ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XXVIII PRIMO DELLA TERZA SERIE FASCICOLO I. GENOVA TIPOGRAFIA R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCXCVI ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XXVIII PRIMO UEI.1.A TERZA S E R I E GENOVA TIPOGRAFIA R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCXCVI — RELAZIONE DEL SEGRETARIO GENERALE fascicolo di appendice al presente volume rà dato ai Soci, insieme a un indice ana-ico e sistematico delle materie contenute ■gli atti della prima e della seconda serie, cioè dal 1858 al 1895, il rendiconto morale dell’anno accademico MDCCCXCV1-MDCCCXCVII. Crediamo però opportuno, date le circostanze eccezionali in cui si è trovata la nuova direzione, di riassumere in brevissimi cenni, le notizie che in miglior forma e più ampiamente saranno svolte nel prossimo Rendiconto. Il Consiglio direttivo, eletto nell’assemblea generale del 2 Febbraio, non si è dissimulato il grave carico addossatogli dall’ eredità che aveva raccolto in seguito alla morte del Presidente marchese Gerolamo Gavotti e del Segretario Generale Comm. L. T. Belgrano. Grave, sia per lo stretto obbligo di conservare intatte le tradizioni di operosità e di dottrina che hanno data fama onorevole al nostro Istituto, sia per le condizioni non del tutto liete in cui versava allora la Società. Morti o dispersi, per la maggior parte, coloro che avevano contribuito al decoro e alla fortuna del nostro Sodalizio, tutte le molteplici cure per 1’ amministrazione e per il buon andamento della Società erano state a poco a poco, specialmente negli ultimi anni, assunte quasi per intero da una persona sola, dal compianto Segretario Generale. Ed era Egli uomo da tanto; e la nostra Società non solo, ma il mondo degli eruditi ricorderà con sincera ammirazione come Egli in mezzo a molteplici e gravissime occupazioni, e nell’ ultimo periodo di sua vita, Ira le angoscie del terribile morbo che doveva, anzi tempo, condurlo al sepolcro, abbia voluto e potuto attendere agli svariati e non sempre tacili incarichi del suo ufficio di Segretario Generale, dai più modesti ai più elevati, e sia riuscito a tener viva e splendente nella Società quella fiamma di vita che Egli, ormai quasi solo, alimentava e conservava. Ma la gravissima malattia che lo costringeva a lunghi riposi, e poi la sua morte improvvisa, avevano lasciato in sospeso molte pratiche, avevano impedito sopratutto che altri fosse in grado di raccogliere subito, con piena cognizione di causa, la successione degli uffizi delicatissimi da lui tenuti. 11 nuovo Consiglio direttivo si é trovato per conseguenza, nei primi tempi, senza una guida pratica e sicura che gli insegnasse la via percorsa e gli additasse quella da percorrere; e non gli si può quindi ragionevolmente ascrivere a colpa se, malgrado tutta la sua buona volontà, non ha potuto ancora, in questo non lungo pe- riodo di vita amministrativa, tutto riordinare, e a tutto provvedere. Oggetto principalissimo delle quasi settimanali radunanze che il Consiglio direttivo ha tenuto, dal 9 Febbraio al 16 dicembre del 1896, é stato il riordinamento amministrativo della Società ; lavoro che può dirsi oggi in gran parte compiuto, coll’aumento notevole dei proventi dell’ Istituto mediante l’ammissione di circa 160 nuovi soci ; coll’assetto già bene avviato delle varie contabilità ; e col trasloco della nostra sede in un nuovo locale, ottenuto dalla benevolenza del Municipio, nel Palazzo Bianco. Locale più vasto dell’antico, e che ha permesso I’ impianto della Biblioteca Sociale, ricca ormai di 200 Ira pergamene e manoscritti, di circa 4000 opere e di un centinaio di riviste scientifiche; materiale che per la prima volta è stato cosi messo a disposizione degli studiosi delle storiche discipline. Ma il Consiglio direttivo non ha trascurato nello stesso tempo l’indirizzo, diremo cosi, scientifico della Società; e le sue cure specialissime ha rivolto naturalmente alla pubblicazione degli atti, deliberando che mentre da una parte si dovessero nel più breve termine condurre a fine le opere rimaste incomplete nelle serie antecedenti, dall’altra, si impiegasse ogni studio perché il pi imo volume della nuova serie riuscisse in tutto degno di quelli che Fave-vano preceduto. L non ha creduto di poter meglio colorire questo disegno che riunendo in questo volume due pubblicazioni per lungo tempo desiderate invano dagli eruditi: la nuova edizione completa dei mirabili studi del chiarissimo Desimoni sulle Marche d’Italia ; studi pubblicati qua e là, in differenti epoche, in diversi periodici non facili tutti a rintracciarsi : e la raccolta dei documenti che riguardano le relazioni fra la nostra Repubblica e 1 Impero d’Oriente dal 1155 al 1453. Nello stesso tempo il P. Amedeo Vigna conduceva a termine il dotto suo lavoro sui documenti della antichissima chiesa di Castello ; per modo che i Soci riceveranno in quest anno, insieme ai primi due fascicoli del volume XXV11I, anche il fascicolo di complemento al volume XX. Molti lavori intanto sono già pronti, o in via di avanzata preparazione per i prossimi volumi; ma di questi studi affidati alla solerzia delle varie Sezioni, o di alcuni soci volonterosi, fra i quali, a titolo d onore, ci piace nominare Anton Giulio Barrili, Arturo Ferretto, P. Giulio Breschi, l’avv. Accame, O. Varaldo, il comm. Gerolamo Rossi, il prof. Rosi, il colonnello Ruggiero, il prot. Manfroni, tratterà diffusamente il rendiconto. Accenneremo soltanto che in questo consolante risveglio di operosità nel nostro Istituto, nessuno dei soggetti che più stanno a cuore agli studiosi delle patrie memorie é stato dimenticato. Le raccolte artistiche dei nostri marmi e dei nostri monumenti, gli Statuti Liguri, i documenti notarili dei primi secoli e le bolle pontificie riguardanti la nostra Liguria, le iscrizioni medievali, le indagini sugli istituti religiosi o di beneficenza, la storia della nostra marina, le collezioni numismatiche formano il tema degli studi in parte compiuti, in parte già bene avviati di quei soci dei quali più sopra abbiamo fatto il nome. Concludendo questo breve cenno delle pratiche che il Consiglio direttivo ha trattato nelle sue adunanze, ci piace ricordare le proposte di nomine, confermate poi dall’ assemblea del 2 Maggio, del Barone Carutti di Can- togno, del Comm. Villari e dell'on. Boselli a soci onorari, e dei signori Livi, Quarenghi, Tarducci e Gaspa-rolo a soci corrispondenti; la nomina del socio professore Campora a delegato della Società presso la Commissione Provinciale di sorveglianza sulle esportazioni di oggetti d’arte e di antichità ; e le istanze presso 1 Istituto Storico perchè venisse continuata la pubblicazione degli Annali di Caffaro, e a questa fosse conservato il nome di chi 1’ aveva cosi splendidamente iniziata e preparata, del Comm. L. T. Belgrano. Istanze coronate da felice esito perchè Y Istituto Storico accettando completamente le nostre proposte affidava il mandato della pubblicazione degli Annali al marchese Cesare Imperiale, Presidente effettivo della nostra Società. Né potremmo dimenticare che più di una volta le autorità locali e governative ebbero a ricorrere per consigli alla nostra Società. Citiamo ad esempio un parere, accolto favorevolmente dal Ministero, intorno alla questione insorta nel comune di Struppa dove, forse poco opportunamente, si voleva dalla maggioranza dei consiglieri cambiare il nome antico in quello di Doria; ed altro più recentemente da noi emesso, dietro invito della Giunta Municipale di Genova, sul ricorso presentato dagli abitanti di Portovenere contro l’aggregazione di questa antica colonia genovese alla nuova diocesi di Chiavari. Potrà forse alcuno tra i Soci lamentare che alle numerose sedute del Consiglio direttivo non abbiano corrisposto così frequenti le Assemblee, e noi siamo i primi a dolercene. Ma a scusa del Consiglio si potrà dire che era desiderio suo che prima di ritornare all’ antica ed — XIT — eccellente consuetudine delle assemblee mensili, la Società fosse in grado di riprendere con efficacia le tradizioni laboriose dei primi tempi; e tutti converranno che 10 spazio di pochi mesi, dopo tanti anni di quasi assoluta inerzia, non può essere considerato periodo troppo lungo per questo lavoro di preparazione. Nè si può dire ad ogni modo che il Consiglio direttivo non abbia cercato di mettersi anche in questo tempo, più di quello che da molti anni non si facesse, in continuo contatto coi Soci ; sia aprendo loro giornalmente le sale della Biblioteca, sia formando dei più volonterosi alcune Commissioni incaricate di studiare varie pratiche di interesse generale, come la riforma dello Statuto , il riconoscimento della Società come Ente morale, la preparazione di un corso di conferenze e di gite archeologiche le quali, secondo 11 nostro concetto, dovrebbero diffondere nel pubblico la conoscenza e 1’ affetto alle memorie patrie e agli insigni monumenti della nostra Liguria. D’ altra parte, se poche iurono in quest’ anno le Assemblee generali propriamente dette , nessuno potrebbe negare che queste poche convocazioni dei Soci abbiano avuto un’ importanza speciale. Basterà ricordare fra tutte, la solenne commemorazione di L. T. Belgrano, fitta dal Socio A. G. Barrili nel Palazzo Rosso, gentilmente concesso dal Municipio. 11 mirabile concorso di elettissimo pubblico convenuto in quel giorno nelle storiche sale che la munificenza dei Brignole donava all arte e agli studi, ci ha fatto bene augurare delle rinascenti sorti del nostro Istituto. Augurio che ci hanno confeimato il sempre crescente numero dei soci e la continua ed efficace benevolenza della quale ci onorano tutti coloro (e sono moltissimi, dobbiamo dirlo, ad onore di Genova nostra) i quali sperano, come noi, che la Società Ligure di Storia Patria raggiunga, sotto ogni aspetto, quella importanza che la sua lunga e non ingloriosa esistenza, e il nobilissimo scopo al quale sono rivolti i suoi intenti, le danno fondata ragione di desiderare. Genova, 16 Dicembre 1896. Il Segretario Generale Luigi Beretta. ■ - I : . . ' . . Mi, PER L'INAUGURAZIONE DELLA NUOVA SEDE SOCIALE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA 2 MAGGIO 1896 PAROLE DEL PRESIDENTE CESARE IMPERIALE DI SANT’ANGELO a tristezza dovrebbe esser bandita, oggi, dal mio discorso. Troppe e troppo liete speranze ho sentito esprimere in questi giorni, troppa fiducia in una vita fiorente ed operosa mi sorge nell’animo, vedendovi, oggi, raccolti, così numerosi, in questa nuova sede che dal benevolo consenso del Municipio abbiamo ottenuto, perchè io non comprenda che le mie parole dovrebbero essere, in certo modo, un inno all’ avvenire, un inno che rispondesse ai sentimenti degli animi vostri. Eppure, mai come oggi, lo confesso, in mezzo appunto a questo rifiorire di liete e — XVIII — gagliarde speranze, ho provato quella sensazione di mestizia ineffabile — quasi di rimorso — che invade Y animo quando al-l’improvviso, in una casa fatta deserta dalla morte, la vista di un oggetto, il suono di una parola vi ridestano nella mente, chiare e precise, quelle care immagini che il cuore non ha dimenticato, ma che erano andate, grado a grado, perdendosi nella nebbia sempre più fitta delle cure quotidiane, dei pensieri tristi o lieti della vita. Di loro, di quei Soci che abbiamo perduto ed ai quali, in un momento lieto per noi, si rivolge per naturale contrasto di affetti il mio pensiero, vi dirà fra breve, e degnamente, una voce assai più eloquente della mia. A me concedete soltanto, a sfogo dell’ animo, — prima eh’ io vi parli delle nostre speranze, dei nostri propositi, — un mesto, affettuoso saluto a coloro che a molti di noi ricordano una dolce consuetudine di affetto, brutalmente interrotta dalla morte, un volto amico che più non rivedremo, — a tutti, un debito di riconoscenza per il valido aiuto che dal nome illustre e caro — XIX — a Genova, o dall’opera indefessa ed efficace ne ebbe il nostro Sodalizio. Lungo e doloroso elenco che dai primi fondatori della Società Ligure di Storia Patria, dal Padre Marchese, dai fratelli Ricci, dai Morro, dai Caveri, dai Tola, dai Merlo, dai fratelli Remondini, dagli Olivieri, dai Sanguineti, dai Crocco, dagli Ansaldo, dagli Amari, ci conduce, attraverso gli anni, all’ evocazione di quei giorni in cui una popolazione intera si affollava alle porte di un antico palazzo, chiedendo ansiosa del Barone Andrea Podestà, del suo Sindaco, e all’ annunzio tristissimo di morte prorompeva in uno scoppio di dolore unanime, profondo, che meglio di ogni altra manifestazione , di ogni onoranza funebre, dimostrava quanto Genova fosse grata all Uomo che aveva consacrato a lei tutta la sua energia, tutta la sua intelligenza, tutta una vita febbrilmente e nobilmente operosa. E a questo lutto, altri non meno gravi e dolorosi doveva aggiungere 1 anno tristissimo che sarà annoverato tra i più funesti a Genova e alla Società nostra. Il dicembre del 1895 11011 era ancora compiuto, e a breve intervallo di giorni, la Società Ligure perdeva per sempre il suo Presidente, il Marchese Gerolamo Gavotti, il colto e geniale patrizio che all* affetto illuminato per tutte le cose buone e gentili accoppiava la squisitezza dei modi — che è dote altamente pregevole anch’essa — quando 11011 si ferma alla vuota esteriorità della forma, ma è indizio, come era in lui, di animo nobilmente e altamente educato; — e il suo Segretario, il Comm. L. T. Belgrano, l’illustre scrittore che Genova ricorderà con orgoglio accanto ai Foglietta, ai Federici, ai Casoni, — Colui che fu anima e vita della nostra Società, — tanto che pareva non potesse concepirsi la esistenza della Società Ligure di Storia Patria senza il Belgrano, — tanto che sorse il dubbio dovesse, colla sua morte, anch essa 1 morire. Dubbio naturale in animi addolorati ma che tuttavia 11011 era fondato. Perchè se il Belgrano e la maggior parte di quegli illustri che diedero vita alla Società Ligure, non sono più tra noi, la loro opera rimane, pre- zioso tesoro clic vuole gelosi e vigili custodi, — gloriosa eredità che deve essere conservata ed accresciuta. Quale e quanta sia stata l’opera di quegli egregi lo dicano gli atti della Società, lo dica il grandissimo, prezioso contributo che le loro ricerche, i loro studi, le loro pubblicazioni hanno portato alla storia della nostra patria. Si può affermare, senza esagerazione, che se dal giorno in cui nell’aula Municipale, la dotta ed eloquente parola del Padre Marchese esprimeva quali fossero gli intenti, quali i destini vagheggiati per il nascente sodalizio, se da quel giorno, ripeto, una rivoluzione ha mutato profondamente gli ordinamenti politici della nostra Italia, un’altra rivoluzione, più modesta e pacifica, se volete, ma nel suo campo non meno radicalmente innovatrice, si è compiuta negli studi storici che riflettono la nostra Genova. Quelle che allora sembravano ancor tenebrose epoche sulle quali gli antichi storici avevano tessuto ingenue e bizzarre leggende, o Do > e che anche i più moderni, fino a quel — XXII — tempo, avevano trascurato, arrischiando al più qualche timida congettura, sono state rischiarate dai luminosi studi del Desimoni sulle Marche, dalle illustrazioni del Registro Arcivescovile del Belgrano. Diradate dalla fitta selva delle leggende, le origini del Comune, le genealogie delle antiche famiglie Viscori-tili; trovato il nesso che lega le vicende delle prime epoche a quelle delle successive; cominciata la preziosa raccolta degli Statuti Liguri; dichiarate con ammirevole chiarezza la serie dei nostri Consoli, la storia e le vicende della nostra Zecca ; illustrati con preziose monografie i nostri monumenti, le nostre colonie, le nostre chiese, la vita privata dei Genovesi nei secoli anteriori al nostro ; in questo — e 11011 ne accenno che una piccolissima parte — consiste il lavoro compiuto dal nostro Sodalizio negli anni trascorsi. Lavoro vastissimo, tradizioni gloriose, che costituiscono uno strettissimo dovere di continuare nella via intrapresa, conservando colla stessa vigoria l’impulso che i fondatori e i primi continuatori dell’ opera le hanno dato. — XXIII — E questo dovere che io sento di comprendere perfettamente mi avrebbe imposto l’obbligo di non accettare la gravissima responsabilità che avete voluto affidarmi, se non mi sentissi sorretto dalla benevolenza vostra, e se non sapessi sopratutto che il vero nostro capo, la nostra guida, il nostro maestro, sarà sempre il Comm. Desimoni, quel venerando vecchio al quale l’ala del tempo ed i faticosi studi non hanno saputo recare altro oltraggio che di qualche ruga, lasciando intatta la più che giovanile memoria, la meravigliosa lucidità della mente, che dalla minuziosa indagine analitica sa assurgere alla contemplazione delle idee generali abbracciandone la sintesi coll’ acuto sguardo dello storico e del filosofo. Per queste considerazioni non mi sono sottratto al difficile ufficio, altamente onorato di esservi compagno e modesto collaboratore in un’ impresa, che a mio giudizio, ha un intento assai più vasto, più, dirò così, moderno, di quello che 11011 avessero in altri tempi le così dette Accademie ; impresa alla quale io sento di portare un contributo assai — XXIV — modesto di forze e di studi, ma, in compenso, una grande fiducia nell’ avvenire ed un entusiasmo — oso dire — giovanile. Perchè io so, e in questa convinzione maggiormente mi ha confermato una recente statistica dei frequentatori delle biblioteche nostre e delle riviste scientifiche che numerosissime si leggono in Genova, che la città nostra non merita la fama di nemica degli studi, di gretta e calcolatrice, che gli invidiosi le hanno creato e che i suoi figli con una persistente affettazione di scetticismo e di indifferenza si affannano a conservarle, con una buona volontà degna di miglior causa. La passione dei forti e nobili studi, l’affetto e il culto pei santi ideali della scienza e dell’ arte hanno molti e ferventi seguaci anche in Genova. Ma sia colpa dell’ambiente ostile o almeno restìo, ad ogni manifestazione che sembri un po’ clamorosa di un sentimento anche sincero, sia una certa tradizionale scontrosità (passatemi l’orribile parola) dell’animo nostro, non v’è città, io credo, in cui una persona nasconda con più geloso studio, ciò che altrove terrebbe * — XXV — a vanto, cioè la propria cultura. Potrei citarvi fatti, e nomi di persone, che tutti credono dedite soltanto alle cure del proprio scagno e dei propri affari, persone gravi e stimate in Portofranco, in Borsa, nel Foro, e che soltanto fra amici intimi, quasi vergognose come di un delitto, si rivelano valentissimi e profondi studiosi di letteratura, d’arte, di archeologia, di storia. Ma dal citarvi questi nomi io molto mi guardo, perchè oltre a far violenza alla modestia eccessiva di costoro, potrei molto probabilmente recar loro qualche danno, diminuendo quella estimazione universale che essi godono di persone gravi e positive, che tendono al sodo e lasciano agli eruditi di professione e ai dilettanti il gusto di sentir dire di sè, con quell’ aria di benevolo compatimento che tutti conosciamo : il tale, poveretto, non sa che fare del suo tempo... studia ! Cari e modesti ingenui ! Quasi la fiamma che si vuole con somma cura tener celata non debba fatalmente dare un giorno il suo guizzo accusatore, rivelandovi al pubblico per quei falsi ignoranti che siete sempre stati ! — XXVI — Del resto, Genova va, come il mondo, lentamente ma radicalmente trasformandosi — in molte cose e in molte abitudini — e • • le nuove generazioni hanno già minor ritegno , minor spavento di quella terribile fama di studioso, ossia di fannullone, che i nostri buoni vecchi infliggevano inesorabilmente a chi perdeva il tempo sui libri inutili, vale a dire su tutti quelli che non fossero tenuti a partita doppia. Verrà giorno — ed io lo spero non lontano — che tutti gli sparsi ma numerosi elementi di studio che già esistono fra noi, cesseranno di viver solitari, separati l’uno dall altro, come le molecole agitantisi nello spazio, ma s incontreranno , si affratelleranno, e dalla nobile gara d’intelletti verrà giustamente il nome di colta a questa nostra Genova che sino ad oggi si è contentata di quello di superba. Superba! L’aggettivo è sonoro, e noi l’abbiamo ripetuto con una certa compiacenza, quasi come un vanto, senza pensare che l’accusa di un vizio che non trovò grazia dinanzi a Dio, era rivolta non tanto alla città, quanto ai suoi abitanti, per la loro indole scontrosa, che sdegna la folla e gli applausi, quasi timorosa che il giudizio degli altri possa diminuire l’altissimo concetto che in fondo, in fondo, ogni buon Genovese, ha della propria città e di sè stesso. Perchè il rimprovero è antico. Prima che nella città nostra come nella Roma d’Augusto, le case di legno e di mattoni cedessero il posto ai palazzi di marmo, e ai templi ricchi di oro e di pietre preziose, Genova fu detta superba ed egoista. Quanto sia giusto il rimprovero di superbia non saprei, ma confesso che trovo assai più fondato quello di egoismo. Perchè sinonimo, almeno, di egoismo può dirsi quello spiccatissimo spirito di individualismo che ha sempre informato tutti gli atti di un popolo che in nessun tempo, in nessun periodo della sua storia ha mai saputo piegarsi a quel concetto elevatissimo dello Stato, secondo il quale gli interessi, la volontà, le energie individuali, gli individui stessi dovrebbero annientarsi e sparire di fronte all’ente che rappresenta, o dovrebbe rappresentare, — XXVIII — non la volontà di pochi o di un solo, ma la volontà collettiva di tutti. Concetto generoso, al quale si devono quegli atti di sacrifizio, di cavalleresco eroismo, che difettano nella nostra storia, ma che in fondo, per essere veramente pratico ed utile, in modo da evitare lo sfruttamento e il conseguente intristimento della pianici uomo richiederebbe l’abolizione dei furbi, dei violenti e dei disonesti. Del resto non è colpa nostra, ma della razza e della posizione geografica e topografica se il concetto di uno Stato nel quale tutto si compendia a detrimento dell individuo, — 1 intelligenza e la forza il pensiero e T azione, — non ha mai trovato molti adoratori nè molto ferventi fra noi. Che volete ? Nati in paese chiuso fra i monti ed il mare, i Liguri sono stirpe di marinai e di montanari — gente rude e fiera, — costretta ad una lotta continua per la vita — lotta in cui l’individuo acquista presto dalla coscienza della propria forza, quella del proprio diritto, diventando così poco disposto a tollerar padroni, o almeno ad accettarne — XXIX — tali che non senta superiori a sè per vigorìa di corpo e di mente. Gente rude e fiera, amante della patria ma che non soffre di nostalgia, tenace negli affetti ma non espansiva, non facile agli entusiasmi, anzi disposta alla critica mordace, talvolta sanguinosa, sempre rude come il dialetto. Questi i Liguri — di un tempo, s’intende, — quelli che popolarono di colonie tutto il Levante, — che dopo la sconfitta del Giglio, scrivevano al Papa dicendosi pronti alla rivincita, dolendosi soltanto della prigionia di alcuni Prelati, quasi dimentichi che il sangue di molte migliaia di Genovesi avesse tinto in rosso i flutti del Tirreno ; — che al grande Pagano Doria, dopo la vittoria memorabile del Bosforo, toglievano il comando, perchè troppo temerario era sembrato un ammiraglio che in quella notte terribile di febbraio, in mezzo all’orrore di una tempesta, aveva osato, con sessanta galere, accettar battaglia da tre flotte riunite — Veneziana, Greca e Catalana — sbaragliandole completamente. Gente rozza ed ostinata, se volete, che al cospetto di Federico Barbarossa, per mezzo di Oberto Spinola, minacciava di tagliare naso ed orecchie ai Pisani che avessero osato di sbarcare in quella Sardegna che l’Imperatore aveva, prima, conceduto a Genova e poi, per denari, promesso a Pisa; — che a Federico II il quale pretendeva il licenziamento di un Podestà perchè Guelfo, rispondeva non esser costume del popolo Genovese l’usar villania a coloro che liberamente aveva eletto ; — che anche nei tempi della decadenza, dopo quattro giorni di terribile bombardamento, all’Ammiraglio del Re Sole, di Luigi XIV, che intimava la resa, rispondeva fieramente : — Genova non tratta sotto le bombe. Egoisti e superbi! E sia! Non diversa la taccia che si attribuiva un giorno ai Romani. Dio mi guardi però dal paragonare i Genovesi ai Romani ! Troppi Catoni, troppi Bruti e disgraziatamente troppi Varroni ci hanno lasciato in eredità le reminiscenze classiche dei primi studi, perchè io debba qui richiamarle, per istituir confronti dove mancano i termini per farlo. Non sono più — XXXI — di moda gli artisti del buon tempo antico che mascheravano inesorabilmente colla toga e colla clamide, tutti gli eroi, a qualunque epoca appartenessero. Ai popoli Italiani del Medio Evo, ma più specialmente ai Liguri, sui quali poche traccie lasciarono tanto la dominazione Romana quanto le invasioni barbariche, spetta certamente il vanto di aver dato alla propria storia, che comincia coll’alba luminosa della civiltà moderna, un’ impronta speciale, tutta propria, non presa a prestito da alcuno. Non certo dai Romani avevano ereditato i nostri avi la fierezza indomita che per tanti anni li sostenne nella lotta con Roma, e li spinse in seguito a combattere, prima ancora delle crociate, contro i Saraceni, — nè l’arte del navigare, necessità voluta dalla natura e dalla posizione geografica. Le stesse origini del nostro Comune si devono ricercare, malgrado qualche analogia di nomi, non già nel Municipio Romano ma in un consorzio di famiglie Liguri, unite insieme da vincoli di sangue e da interessi di indole feudale. Le primitive istituzioni di Genova, — XXXII — sebbene in qualche parte informate a qualche reminiscenza del diritto Romano, pure si rivelano ispirate dalla necessità dei tempi, dall’indole speciale del nostro popolo. Tutta, o quasi tutta, la legislazione commerciale marittima è vanto nostro ; e vanto esclusivo di Genova sono gli ordinamenti mirabili per le colonie, quelli per le Compere e per il Banco di S. Giorgio. E Liguri, schiettamente Liguri, sono i nostri personaggi storici, i nostri eroi ; liguri nelle tendenze, nei pregi e nei difetti, nelle virtù e nei vizi. Ligure è Guglielmo Embriaco, il Testa di Maglio, il paladino nostro, compagno ed emulo di eroi leggendari, dalle prodezze inaudite e dalle forze quasi prodigiose, ma che nello stesso tempo si rivela accorto negoziatore di vantaggiosi trattati, valentissimo ingegnere militare. Ligure è Caffaro, che a vent’ anni, sulla galea che lo porta in Oriente comincia a scrivere gli Annali della patria. Natura più complessa e più raffinata, che al valore guerriero accoppia la sapienza del legislatore, l’accortezza del commerciante, la — xxxin — pieghevolezza del diplomatico ; figura quasi moderna che pur ritrae tanto mirabilmente l’ambiente e l’epoca in cui visse, da riuscire il tipo più completo, più perfetto di quei Genovesi del suo tempo che uno scrittore quasi contemporaneo e testimonio non sospetto, Jacques de Vitry, descriveva con queste parole: « Più gravi, più saggi » degli altri popoli, sobri, eloquenti, pieni » di previdenza, vanno a rilento nel prendere » una risoluzione, ma quando l’hanno presa » sono prontissimi nelì eseguirla. Insofferenti » di qualunque giogo, capaci di qualunque » sacrificio per difendere la propria libertà, » obbediscono però volentieri ai capi e alle » c^e sono 'mposti ». Ligure è quel Guglielmo Boccanegra che gettando le fondamenta del palazzo che si chiamò poi di San Giorgio, sognava forse quella Signoria che speravano allora i Tor-riani e che ebbero poi i Visconti, gli Scaligeri, gli Este e più tardi i Medici, in cui la tirannia apparve velata dai sorrisi, dai lenocinii dell’arte; quel Guglielmo Boccanegra che dopo aver preparato col trattato Atti. Soc. Lio. St. Patria Voi XXVIII, Serie 5.» c di Ninfeo la rivincita di Genova contro Venezia, scacciato dalla patria, profugo e povero, ritrova la tenacità e l’energia della sua razza per ritentar la fortuna e muore, lasciando alla Francia, mirabile monumento dell’ ingegno ligure, le mura e le torri di Aigues-Mortes. E Ligure è quell’Andrea Doria, meraviglioso capitano di ventura, paragonabile soltanto, per ingegno, a Francesco Sforza ; più grande di lui, perchè seppe comprendere che troppo sangue, troppe rovine sarebbe costata alla patria una dinastia Doria; strano impasto di astuzia e di generosità ; che non rifugge, per rendersi necessario a chi lo tiene ai suoi stipendi, dal venire a patti con Aria-deno Barbarossa, e vecchio, colmo di onori e di ricchezze, non teme di affrontar la collera del temuto Sovrano della Spagna, parlando alteramente in favore di quella Genova dove, egli, Andrea Doria, vuol essere primo fra tutti, ma per la quale, nello stesso tempo, non sa tollerar padroni. E Liguri, schiettamente Liguri, sono tutti quegli ammiragli, quei capitani, quegli uo- — XXXV — mini di Stato che nei contratti degli antichi notari si ri,velano eziandio accorti negozianti, banchieri, armatori; gente economa, avida talvolta, ma che sa anche profonder tesori per innalzar mura quando la patria è in pericolo, o per aprire strade, per fondare ospedali, istituti di beneficenza, che attestano ancor oggi quanto la munificenza privata in Genova abbia sempre avanzato di gran tratto quella pubblica. * * Non sono ispirate, credetelo, da vano orgoglio o da sciocchi ed inutili rimpianti di tempi e grandezze svanite per sempre, queste mie parole. La mala pianta del gretto municipalismo non alligna fra noi, in questa Genova che ha dato i primi martiri alla causa della patria, e va giustamente altera di chiamar suo figlio il grande pensatore, l’Apostolo della unità Italiana; in questa Genova che potrà ricordare con legittimo orgoglio alle venture generazioni che dalla stessa terra donde salpavano un giorno le galee di quel Benedetto Zaccaria che con Giovanni da Procida pre- — XXXVI — parava ai danni del tiranno Angioino i Vespri Siciliani, partivano, per mirabile ricorso storico, su navi genovesi, alla volta di Sicilia, i migliori tra i suoi figli col biondo eroe che pur si gloriava di sua Ligure stirpe; e partivano per quell’ impresa che doveva essere il meraviglioso epilogo dell’epoca eroica del nostro risorgimento e che attraverso i secoli prenderà, nelle leggende popolari, il posto delle favolose epopee d’Orlando e dei paladini della Tavola Rotonda. Ma non è gretto municipalismo il volere che un popolo il quale ha saputo conservare attraverso i secoli, attraverso mille vicende, i caratteri distintivi della propria razza, impari a conoscere e a non disprezzare i monumenti, le memorie di un passato non inglorioso. E non è gretto municipalismo il desiderare che la storia di Genova sia conosciuta almeno come quella degli altri paesi, come quella di Firenze, di Venezia, di Milano, di Pisa. Un Genovese, persona colta, che arrossirebbe di non conoscere a puntino la storia intima dei Re di Francia e potrebbe recitare — xxxvri — a memoria le genealogie dei Signori di Lombardia, di Toscana, di Romagna e narrarvi le vicende del Comune di Firenze dalla lega di S. Genesio fino alla battaglia di Gavinana, mi confessava ingenuamente, 11011 è molto, che aveva sempre creduto che Caffaro fosse un frate. Aprite del resto le storie d’Italia, anche le più recenti, leggete i libri, le monografie che si stampano in questi giorni, assistete alle conferenze storiche, e vi convincerete che anche gli scrittori più dotti, più coscienziosi, si limitano a ripetere di noi quel poco che ne hanno detto il Villani, il Macchia-velli, il Muratori, il Botta. Non parlo poi di coloro che non sono eruditi di professione. Le galere che tornavano dal Levante invariabilmente cariche di tesori, la battaglia della Meloria, la guerra di Chioggia, e di questa, soltanto la parte che riguarda Vettor Pisani, il Banco di S. Giorgio, qualche nome sonoro, Colombo, Doria, Spinola, Grimaldi, Fieschi, questo su per giù, il bagaglio di cognizioni che ogni Italiano che si rispetti crede sufficiente — XXXVIII — alla sua coltura storica per ciò che riflette Genova. Storia un po’ condensata ad uso Baedeker, tema eccellente per brindisi ; ma in fin dei conti, sempre migliore della notissima e odiosa leggenda che si compendia nel motto : genuensis ergo mercator; leggenda in cui il mercator non significa naturalmente il commerciante, ma l’esoso, ignobile trafficante, il pirata. Gli archivi nostri, e lo sanno gli stranieri che scendono a frotte a farvi larga messe di studi, sono tra i più ricchi di documenti di quei secoli XII e XIII in cui, come scriveva il Cibrario, si facevano in Genova più contratti in un mese, di quelli che in altri paesi se ne conchiudessero in un anno ; documenti dai quali risulta che il nostro Comune stipulava trattati di commercio e di alleanza coi Re di Spagna, di Sicilia, di Francia, con i Signori di Palestina, di Provenza , di Barcellona, cogli Imperatori di Germania, e d Oriente, coi Papi, in epoche in cui la storia di molti fra i maggiori Stati d’ Europa è ancora avvolta nella fitta nebbia delle leggende. — XXXIX — Nessun Comune ebbe mai in quei primi secoli della nostra civiltà una serie non interrotta di Annalisti così gravi, così coscienziosi, così degni di fede come quelli che Genova può vantare da Caffaro fino ad Jacopo Doria, vale a dire dal 1099 al l293. E poche storie, oso dire, sono così varie, così drammatiche, così degne di studio per 1’ uomo politico, per l’economista, per il filosofo. Genova ha provato tutti i governi; governo di pochi, di molti, di un solo; il Consolato, Repubblica parlamentare, a base larghissima, con tutte le cariche elettive e di breve durata; l’oligarchia mascherata da una larva di dittatura ai tempi dei Podestà forestieri ; la dittatura vera e propria, democratica di nome, ma aristocratica nella sostanza, dei Capitani del Popolo ; la monarchia elettiva, ora costituzionale, ora assoluta, ora democratica, coi Dogi così detti popolari; il dispotismo delle signorie straniere; l’aristocrazia temperata, coi Dogi biennali. E tutti i temperamenti che l’ingegno umano — XL — in fatto di politica ha potuto escogitare furono studiati e messi in pratica dai nostri avi; suffragio universale, ristretto a pochi, dato alla sorte, temperato da elezioni di secondo grado, da mille altri accorgimenti che, tutti, dimostrano, a un tempo, 1 acutezza dell ingegno umano, e la fallacia di ogni provvedimento che pretenda di opporsi alla forza invincibile di quelle leggi immutabili , provvidenziali che, sole, regolano il corso degli avvenimenti. Meno romanzesca, meno poetica perchè sempre scritta da persone gravi e coscienziose , che preferivano il documento alla leggenda, si capisce che la nostra storia sia piaciuta meno nei tempi in cui si studiava storia sui romanzi di Dumas padre, e del Guerrazzi. Ma oggi, la sua impopolarità è meno spiegabile, è quasi ingiusta. Forse a Genova, che di annalisti e di sagaci e indefessi raccoglitori di documenti ebbe sempre dovizia, è mancato finora lo storico propriamente detto. Mancanza di cui si consolava argutamente un mio amico, — genovese fino all’osso — come diciamo noi, — XLI — osservando che la vera storia critica è propria dei popoli infiacchiti e dei periodi di decadenza. Macchiavelli, Guicciardini, Muratori, Botta, Denina, Balbo, hanno scritto nelle epoche dolorose in cui l’Italia credeva perduta per sempre la propria grandezza, la propria indipendenza. Il paradosso troppo lusinghiero per noi, ha, come tutti i paradossi, una certa apparenza di verità. Chi è nella vigoria degli anni, chi non ha ancora provato le tristi disillusioni della vita, non è capace di comprendere perfettamente quella sensazione di soave e malinconica dolcezza che vi fa battere il cuore intorpidito mentre andate sfogliando qualche vecchia carta polverosa, o contemplando un ricordo avvizzito della prima giovinezza ; che vi fa rivivere, per un istante, quei tempi in cui il mondo non pareva abbastanza vasto per tutte le speranze, per tutte le audacie, in cui 1 azione precorreva quasi sempre il pensiero, - non moderato così da nessun ritegno di prudenza, quindi più risoluto, spesso più efficace. — XLII — A questo sentimento profondamente Limano, a questa nostalgia del passato dobbiamo la storia, che non è soltanto un vasto elenco, una sapiente compilazione di nomi e di fatti, disposti in ordine cronologico, ma è vera arte rappresentativa che intende alla evocazione, alla risLirrezione del passato. Arte e scienza nello stesso tempo, che dallo studio delle origini degli avvenimenti, risale alla ricerca delle cause prime, di quelle grandi leggi che regolano il corso delle vicende umane, e che ha quindi, comune a tutte le scienze, la nobilissima missione di concorrere a quel benessere generale, a quel perfezionamento che è lo scopo, la meta ultima dell’umanità. E tale dev’ essere lo scopo, la meta ultima dei nostri studi, dei nostri lavori. Non mi si dica che troppo vasto è l’intento, che troppo sonore parole sono queste per la storia di un piccolo paese come il nostro, per studi particolari come sono quelli ai quali intendiamo. Tutti gli sforzi quando sono rivolti ad una meta nobile e grande, sono aneli’ essi — XLIII — grandi e nobili. Gli umili, oscuri architetti del medio evo, che lasciarono a noi quelle meravigliose cattedrali che formano il nostro orgoglio, e la disperazione di chi si sente incapace, non dico di imitarle, ma di comprendere l’arcano, sublime concetto che tutte racchiudono, sapevano che il loro nome sarebbe ignorato dai posteri, ma nella fede in Dio trovavano la consolante certezza che la loro opera aveva uno scopo assai più nobile e santo che non fosse la soddisfazione passeggiera di lasciare un nome illustre o il compiacimento di aver innalzato un monumento insigne. A noi moderni, se non soccorre la fede ingenua e sincera di quei sublimi entusiasti, giovino almeno l’esempio, il ricordo di tempi non lontani in cui le memorie di un passato glorioso, suscitando negli animi il santo orgoglio del nome Italiano, prepararono gli eroismi del nostro risorgimento. Non siamo purtroppo così grandi, nè così felici, oggi, perchè da queste memorie non ci sia dato di ricavare qualche conforto, qualche esempio nelle tristezze dell’ora pre- — XLIV — sente, qualche lieto auspicio per l’avvenire. E passato ormai il tempo in cui nell’ ebbrezza suscitata dai maravigliosi trionfi del-l’ingegno umano nel campo delle scienze positive, l’esperienza delle generazioni che ci avevano preceduto parve troppo inutile e meschino soggetto di studi, degno, tutt al più, di coloro che con mal celato disprezzo si chiamavano archeologi. La nostalgia del passato risorge dappertutto, conseguenza di tristi disillusioni, di una grande, forse esagerata, sfiducia nell’avvenire. Mai come oggi, infatti, si è parlato tanto di foschi presagi, si è declamato tanto sulla putredine, sul fango che sale; esagerati lamenti, declamazioni un po’ rettoriche, comuni a tutte le epoche di transizione come la nostra. Ma vivaddio ! Proprio oggi, sul fango è caduto del sangue, sangue di eroi e di martiri del sacrifizio e del dovere. E il sangue è fecondo. Dal sangue è uscita la civiltà nostra, figlia del Cristianesimo che col sangue dei martiri ha debellato la mostruosa civiltà pagana; e dal sangue, per una triste fatalità storica, fu consacrato tutto ciò che - - XLV - vi è di grande, di duraturo, di bello al mondo, — la scienza, la civiltà, la fede, la libertà. E il sangue sparso dagli eroi che per l’onore d’Italia e pel dovere hanno incontrato serenamente la morte, laggiù sulle balze Africane, non sarà infecondo. Dal sacrifizio di tante nobili vite, inutile forse, certamente sproporzionato allo scopo, è già uscita luminosa, consolante, la certezza, che le nuove generazioni valgono per eroismo, per virtù di sacrifizio, quelle che le hanno precedute ; e da questa certezza risorgeranno più vivaci, ne son certo, il desiderio, la speranza di quella rigenerazione morale della patria che è in questo momento, il primo, e direi quasi, il tormentoso pensiero di tutti gli animi veramente Italiani. E in nome di questa altissima missione che a tutti gli Italiani incombe oggi, ricordo a voi che lavora per la rigenerazione della patria, tanto l’eroe che combatte e muore per lei sui campi di battaglia, quanto Fumile artigiano che coll’ esempio di una vita onesta e laboriosa, educa i figli al sentimento del — XLVI — dovere ; tanto lo scrittore che lascia un orma profonda del suo genio nella storia del proprio paese, quanto il modesto raccoglitore di documenti che apre la via, prepara i materiali all’ opera insigne. Povera cosa invero, degna soltanto delle insulse accademie del seicento sarebbe la nostra opera, se a noi tutti non sorridesse il pensiero che quella evocazione del passato alla quale sono intesi i nostri studi, potrà un giorno, insieme al desiderio di rendere noi e gli altri migliori, ridestare in noi tutti una fede più intensa, più sincera nei nostri destini. Signori , La nostra Società sta per entrare nel suo quarantesimo anno di vita, nell’ età dei forti propositi e dei fatti virili. Vasto e importante è il lavoro compiuto — XLVII — negli anni trascorsi, ma assai lunga ancora è la via da percorrere, immenso il campo tuttora aperto ai nostri studi. I nostri Archivi, se non inesplorati, non sono certamente conosciuti universalmente come meriterebbero; della storia della nostra marina, di quella della nostra giurisprudenza, dei nostri commerci, dei nostri artisti, delle istituzioni di beneficenza, parte è solamente abbozzata, parte neppure incominciata. Opera vastissima che richiede il lavoro assiduo e costante di molti anni e di intere generazioni, che non sarà certamente condotta a termine da noi. Che importa! È destino dell’uomo di trasmettere ad altri l’eredità ricevuta; — fortunato e degno di encomio colui che può trasmetterla, non solo intatta, ma accresciuta, ai propri successori. Possano un giorno quei Soci che qui verranno dopo di noi, rendere alla nostra memoria quell’ omaggio che giustamente possiamo rivolgere a coloro che hanno avuto oggi il mio primo ed ultimo pensiero — dicendo : « Furono onesti cittadini, e co- — XLVIII — scienziosi lavoratori, e la loro opera fu degna di Genova perchè sempre ispirata da un alto ideale, — dall’amore della patria e della scienza ». COMMEMORAZIONE DEL Prof. Comm. LUIGI TOMMASO BELGRANO FATTA DALLA SOCIETÀ LlGURE DI STORIA PATRIA ADDÌ XXIV MAGGIO MDCCCXCVI NHL saloni; del Palazzo Rosso, già dei Brignole Sale PAROLE DEL SOCIO ANTON GIULIO BARRILI Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXVIU, Serie 3.“ d - ' * ' Signore e Signori ornavo , son quasi i trent’ anni, dal Tirolo italiano ; e ancora non avevo deposta la tunica rossa, quando a me, sul colle di Sturla, dove si era ritirata ad attendermi, dove giubilante mi accoglieva mia madre, si presentò un visitatore sconosciuto fin allora, certamente inaspettato ; tonaca e cocolla di lana bianca, vermiglio il labbro sorridente, lucidi gli occhi arguti, fiammeggianti di sotto la rialzatura del nicchio di feltro nero. « Vuol venire? » mi disse, appena ebbe proferito il suo nome. (( Non troppo lontano di qui, all entrata del comune di Nervi, sull’alta ripa del mare, è un modesto collegio, che celebra oggi la sua festa, con una solenne distribuzione di premii. Festa di scuola; Le dovrebbe piacere; non mi dica di no ». Tonaca bianca aveva trovato il debole di tunica rossa: ho sempre amate le scuole; segnatamente quelle dove s’impara un po’ di latino, la lingua dei padri, che i figli non dovrebbero mai disdegnare. Scesi dalla collina con lui : una carrozza aspettava sulla via provinciale: quindici o venti minuti dopo, ero in un luminoso cortile, tramutato in aula magna, con gala di bandiere e di fiamme, tra una gran lolla di babbi contenti e di mamme felici. Leggeva il discorso il professore di storia : falda nera e cravatta bianca; giovane, aitante della persona, leggermente accennante con le spalle poderose alla curva ben nota dei lavoratori di tavolino, bianco cereo la carnagione, come di chi passa troppe ore al chiuso, poco visto dal sole, e molto dal lume della fida lucerna; vividi gli occhi cerulei; neri, già radi sulla fronte i capelli ; tenue il labbro, che allora portava raso come le guance, bonario l’aspetto e costante il sorriso. Leggeva bene, quasi parlando familiarmente, e spontaneo; diceva ottime cose in bella forma, sobriamente ornata. Chiesi il suo nome, per congratularmi con lui. « Luigi Tommaso Belgrano » mi dissero. Gli stesi la destra, che strinse forte : fummo amici da allora. Ad ogni tanto c’ incontravamo per le vie della nostra Genova : ed erano lunghe le fermate, ragionando del passato, che mi è sempre parso (scusate, ognuno ci ha il suo difetto) più dilettoso assai del presente. Dieci anni dopo, avemmo occasioni parecchie di lavorare insieme; su giornali, da prima, in commissioni consultive, in uffici di governo, poscia nell’Ateneo genovese; nè da quel tempo, per quasi vent’anni, ci siam più lasciati. Egli ha lasciato me, veramente, ma per una vita migliore, la vita delle anime, a cui ogni giorno che passa più ne attrae col pensiero, ogni immagine cara che sparisce più ne avvicina col desiderio. Ond’ io ringrazio Cesare Imperiale di Sant’Angelo, che in nome della Società Ligure di Storia — I.IV — Patria mi ha detto : « parlerai tu, ai Genovesi, di Luigi Tommaso Belgrano ». Sì, mi pare che io solo possa farlo, io, compagno suo, testimone della sua vita, poiché tacciono, giustamente posando da lunghe onorate fatiche, Cornelio Desimoni e Amedeo Vigna, che furono i maestri di lui, che gl indicarono la via, il metodo e 1 arte, che gli spirarono nell’anima il sacro fuoco della indagine storica. La vita di Luigi Tommaso Belgrano fu tutta quanta di pensiero. Vita è via, ed ognuno si elegge la sua. Quella dell amico nostro concordò mirabilmente due amori, lo studio e la casa, le carte antiche di Genova, la cara donna a cui giovanissimo aveva dato il suo nome, e le due figliuole soavi, che, rimaste di lei al vedovo padre, furono le consolatrici de’ suoi anni operosi. Era un vivere quasi claustrale, il suo, in quel triplice archivio, Notarile, di Stato, e di San Giorgio : ma dal rovistar eh’ egli vi fece, quante faville non si sono sprigionate! Ed io non posso rappresentarmi altrimenti quella buona figura, che in forma di spirito luminoso, radiante — LV — nella sua via, per rischiarare altrui, sgombro d’errori, il cammino. Modesto, non si avvedeva di saper tanto ; modesto ed intrepido, anelava a saper sempre, a far sempre dell’altro : l’unica volta che lo udii muover lamento di qualcheduno (ed anche con tanta misura !) fu perchè altri non pareva gradire eh’ egli lavorasse di più. Il primo suo scritto fu opera di gratitudine : e l’onora aver cominciato così, nel 1858, sul fiore de’ suoi vent’anni, trattando Della vita e delle opere del marchese Girolamo Serra, storico insigne, il primo del secolo nostro (quando Giovali Battista Spotorno, intento ancora ad insegnar rettorica ai Livornesi, preparava alla gloria del nome Carlo Bini e Francesco Domenico Guerrazzi), il primo, dico, che dettasse una storia dell’ antica Liguria e di Genova, prendendo lume di dovunque si potesse, perfino dalle istorie degli Arabi, e mostrando di 11011 volersi appagare delle solite ciance, di secolo in secolo ripetute e stemperate. Fu buona rivendicazione della gloria del Serra, anche per al nobilissima parte che questi ebbe a soste- — LVI — nere nel governo della sua patria in momenti difficili: dopo di che il giovane studioso si accinse a ricerche di prima mano; frutto delle quali i Documenti inediti delle due Crociate di Ludovico IX re di Francia. Tristi crociate, che riuscirono a martirio, e d’ un re fecero un santo; tristi, ma di tanto pregio storico per noi, essendo stata di nostre forze navali la doppia spedizione, e di questo territorio il vettovagliamento delle navi; onde le molteplici notizie illuminavano assai punti oscuri della nostra vita economica nel secolo XIII, e le piccole cose assumevano importanza singolare dal modo come erano osservate e tratte a conclusioni generali. Così, a proposito degli apparecchi e dei conti d una spedizione armata, tutto il Medio Evo era in moto : doveva venirne una febbre d indagini minute, le quali, in mani esperte come le sue, non potevano rimaner disgregate. Da questo complesso di curiosità erudite, e dall’ardente desiderio di appagarle a sè stesso per utile altrui, scaturì la Vita privata dei Genovesi; della quale ben poteva aver suggerita l’idea il bel trattato del Cibrario, Della Economia politica del Medio Evo ; ma il Bei-grano, in altro campo e più circoscritto, ebbe modo ad una veduta più chiara. Intendendo un sistema, applicando un metodo, mirò ad un ordine doppio, di materie e di secoli ; e il saggio che negli Atti della nostra Società comparve come una dissertazione, sul far di quelle del Muratori nelle sue maravigliose Antiquitates Medii Aevi, crebbe poi in un volume, che nella disposizione delle materie offre utilità di prontuario, e nel condensamento armonico della dottrina è diventato un’opera d’arte. A questo carattere artistico di organica esposizione non venne egli mai meno nelle opere sue. Gli toccarono, s’intende, i moniti superbi di qualche erudito della novissima scuola, avvezza ad ammontar sabbia, senza far mai buon impasto di calce. Pare impossibile; ma c’è tuttavia della gente a cui non sembra meritar nome di dottrina se non quella che riesce a fastidio, volendo essa noiosi i ricercatori per poterli autenticare eruditi. A questi patti l’amico nostro non avrebbe voluto apparire erudito. Pure, pos- — LVIII — sedeva dottrina come niun altri mai: non tu del tempo nostro uno studioso in Genova, che non ricorresse a lui in qualche circostanza, e non lo ritrovasse copioso quanto volenteroso distributor di notizie, armato coni’ era di tutte armi in ogni punto di storica indagine. Vent’anni d’archivio gli avevano fatto uno schedario ingente; tanto che già più non gli occorreva di attingere alle » • fonti, avendo negli scaffali del suo scrittoio tutto il repertorio, e l’indice di quel repertorio bene impresso nell’ anima. Il metodo geniale della ricostruzione trionfa nella illustrazione del Registro della Cuna Arcivescovile di Genova. Sapete di che si tratti; di due codici membranacei, dove soli riferiti tutti i diritti di questa Curia, d’innanzi il Mille fin oltre il Milleduecento. Al primo aspetto, non altro che oneri segnati, di contro a diritti riconosciuti ; decime di chiese, livelli di censuarii, obblighi di vassalli, prestazioni di famuli : ma di là quante faville ! quanta luce sui natali del comune di Genova, chi voglia riscontrare, ad esempio, i nomi dei livellarii del Vescovo e delle loro discendenze — LIX — con quelli dei consoli e degli altri uffiziali dello stato nascente ! Le origini del comune medievale italiano, ancora un mezzo secolo fa, non si studiavano altrimenti che con due canoni storici, a scelta; Tulio, delle libertà germaniche introdotte dai barbari, bontà loro, nell’ Europa latina, canone sfatato oramai dalla salda dottrina del compianto Fustel de Coulanges; l’altro, del municipio romano rinnovato, anzi nelle sue parti essenziali non mai interrotto nella nostra penisola. Il Registro della Curia, rimasto chiuso (e parrà strano) fra tante mani per cui passò, di governi e di privati, quando finalmente il Belgrano lo lesse, trascrisse, interpetrò, diede una luce nuova, mirabilmente accordata a quella che sulle Marche dell’ alta Italia e sulle loro propaggini comitali di Liguria aveva sparsa Cornelio Desimoni; onde una terza ipotesi ottenne la sua piena dimostrazione scientifica. Raccolgo, concentro, esprimo il succo di ciò che oramai è largamente dimostrato. Genova e tutta Liguria (su per giù l’antica nona regione delT impero d’Augusto) corsa — LX — e messa a rovina dai Longobardi, che poscia vi posero un duca (i); fatta marca dai Franchi, 0 contea di confine, con un conte che certamente fu da prima temporaneo, d’ufficio e non di possesso (2) ; da ultimo, nella dissoluzione d’ogni autorità politica ed amministrativa, dissoluzione avvenuta non pure per le guerre fraterne dei successori di Carlo-magno , ma ancora per le invasioni degli Ungheri da un lato, per le incursioni dei Saraceni dall’altro, per le contese della corona italica tra duchi e marchesi di varia derivazione , per la calata de’ nuovi avvoltoi di Sassonia, le carestie, le pestilenze e tutte l’altre calamità dei due secoli ferrei che cerchiarono il Mille, essa Marca ridotta a campo d’intermittente e non mai pieno dominio feudale (3); ed allora, per necessaria occupazione della res nuììius, come per incremento naturale delle immunità (4), 0 per rinfre-scamento delle giurisdizioni largite da Car-lomagno a quel potere che gli parve più universalmente consentito e più stabile (5), 1 vescovi nella maggior città di Liguria assumer essi di fatto, 0 tacitamente esercitare — LXI — il comando ; e intorno ad essi annodarsi, prendendone indirizzo e speranza i pochi dispersi elementi superstiti di vita civile, come intorno ai monasteri di Benedetto da Norcia si rifaceva con la domus cult a il podere, e la vite e 1’ olivo rigermogliavano nelle lande isterilite della penisola. Non si negano per alcune città dell’Italia orientale, della media, della centrale, più custodite dai frequenti assalti della barbarie, gli avanzi conservati del municipio romano ; son pure avanzati in mano dei re barbari, degli imperatori settentrionali, dei conti, dei visconti e dei vassalli più fortunati, i vectigalia, i portoria, i pedagia dell’ antico fisco imperiale romano. Dovunque ci sia da riscuotere, passino pur gli uomini, i nomi e gli uffizi ; le istituzioni fiscali rimangono, colle tavole del catasto in prima riga, debitamente rispettate e gelosamente custodite. Ma in troppe città i vecchi ordinamenti municipali erano morti, per e-stinzione violenta di ordinatori e di ordinati. I tentativi di ricostruzione civile, per via di consuetudini, che vediamo più tardi invocate contro le rifiorite pretensioni d’ una — LXII — autorità feudale d’improvviso lattasi viva (6), ma indegna di comandare ad un popolo che non aveva saputo tutelare, ed essa medesima facilmente persuasa della sua impotenza (7), si fecero a Genova intorno al vescovo, da un pugno d’artieri e di marinai, mentre nelle valli circostanti duravano, ben dimostrando lontana la persona e scaduta l’autorità diretta del conte di marca, duravano, dico, e si prò- • • • pagavano in più famiglie i visconti, o vicarn del conte, longobardico di nazione, come tanti altri che la conquista franca non potè sradicare, o non volle (8). A quei visconti di Polcevera, viventi con legge romana, nelle loro castella a tergo della rinascente città, poi con vescovi di lor sangue richiamati alla spiaggia natale, fatti pur essi cittadini e giuranti la Compagna, in cui si espresse primamente e si atteggiò la vita nuova del nostro Comune, il Belgrano, con la scorta sicura degli atti enfiteutici (9), ha ricondotte le fila di tutte le antiche famiglie consolari di Genova. Il vero di tutto ciò era balenato a qualcuno dei nostri eruditi dei secoli scorsi ; al Cibo Recco, per esempio : ma ancora si — LXIII — era offuscato nei dubbi soverchi del senator Federici (io). Quel vero, il Belgrano lo ha visto ; e 1’ ha affermato, documentandolo in chiare inoppugnabili genealogie. Oramai, non è più possibile, usando gli abecedarii capricciosi di qualche secentista, assegnare in vai di Bisagno le sedi prime degli Embriaci, a Pegli dei Saivaghi, a Sestri ponente dei Crispini e dei Vento, quasi si trattasse di famiglie nate in que’ luoghi, nuove, e le une alle altre straniere. Parla il Registro; parlano le carte congeneri ed autentiche, con le loro stabilite agnazioni : guizzano dal vivaio, sciamano dal-l’alveare di Manesseno, di Carmandino, di Castrofino, e d’un solo stipite, tutte le famiglie consolari degli anni famosi in cui il valor genovese rifulse sulle mura di Antiochia, di Gerusalemme e di Cesarea ; era là, tra quelle gole, su quei poggi, disseminata la superstite vita romana che la minaccia Saracena aveva cacciata a quel riparo entro terra, ma che presto, rifatta di forze e di spiriti, doveva ritornare alle sue sedi, raccogliendo a popolo volghi dispersi di pescatori, di agricoltori, di artieri dell’argilla e del ferro. — LXIV — Così, se anche i vanti particolari possono esser qui ricordati, tante illustri famiglie genovesi, che ripetevano la certa notizia delle loro origini dal tempo della prima crociata, hanno da quelle documentate genealogie il piacere di ritrovarsi di un secolo e mezzo più antiche nella potenza degli uffici e nella gloria del nome, vedendo tutte nel 952 il loro stipite in Ido Visconte (11) oltre il quale disgraziatamente c è buio. Anche i cognomi ci dicono il loro segreto. Tre Spinola (Oberto, Guido ed Ansaldo) un Primo di Castello, un Amico Brusco, un Guglielmo Embriaco, un Guglielmo senza soprannome, ma da cui si spiccheranno i Medici, gli Alineri, i Della Porta, i Demarini, son tutti fratelli, nati d’ un medesimo padre, che lu Guido Spinola; il quale, per Belo e per Oberto, si collega al bisavolo Ido Visconte. D’altra parte i Carmandini, i Serra, gli Uso-dimare, i Lusii, i Pevere e gli Avvocati (questi due ultimi casati riuniti poi a formare il nuovo casato dei Gentile) per due loro agnati rispettivi Ingo e Dodone, e più su per un Ingo e un Oberto, si ricongiungono pur — LXV — essi a quell’Ido Visconte. E si videro amministrazioni di otto consoli, quattro dello stato, o maggiori, quattro dei placiti, o delle cause forensi, esser tutte di consanguinei, tra fratelli, cugini, o in altra maniera congiunti di parentado. Donde appare tutto ciò ? Dal Registro, in cui seppe leggere il Belgrano, con tanto acume di critica. Così nella fortuna delle famiglie viscontili, ritornate all’abitacolo genovese, egli ha veduti i principii del patrio Comune, mostrando come, quando e perchè questo si dispiccasse, quasi per ispon-tanea manomissione di agnato, dalla patria potestà vescovile (12). Così nelle prime diramazioni di quelle venti o trenta famiglie viscontili, che tenevano ancora dominii e pedaggi indivisi fuori città, nelle loro competizioni al governo, nel dividersi loro, nel • collegarsi in nuove parentele, in nuove associazioni, noi possiamo riconoscere le origini dei «Tetti appesi» (13), i germi delle discordie, e i rimedii, alcuna volta peggiori del male, dei capitani e degli abati del popolo, dei podestà, dei dogi popolari, dei biennali e via discorrendo, le nostre glorie e le nostre Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XXVI11. Serie 5.* e — LXVI — sventure, le paci momentanee, le ire non ispente, le gare e le guerre maledette, onde Genova non ebbe mai posa, fino ad Andrea Doria; ma per trovare, ahimè, sotto il vigile sguardo della troppo cresciuta potenza di Spagna, una quiete di tomba ; quiete necessaria, pur troppo, come tutti i mali che non si seppero curare sui loro principii. # • • • • E nondimeno, chi voglia a quei principii ricondursi, non recando nello studio del passato i criterii o i sopraccapi del presente, troverà un governo di famiglia conveniente al momento storico suo ; buono pei frutti che diede, come ad esempio la città stesa oltre la cinta del vecchio Castello ; le opere di difesa del porto, i navigli allestiti, che nel-1’ undecimo secolo con la impresa di Media e con 1 altra di Terrasanta, vendicavano le scorrerie saracene del decimo, preparando le colonie armate della costa di Sorìa, dell’Arcipelago greco e del Bosforo; governo di famiglia tutto inteso alla utilità del popolo, fino al giorno che i nostri consolari durarono in lotta contro l’impero (14). Pacificati con questo, i nostri maggiorenti, uomini di re- — LXVII — pubblica entro i vecchi confini dello stato, gradirono i feudi d’oltre Appennino per sè; onde Genova, già tanto forte sul mare da irradiare la propria autorità fino alla Tauride, restò sul Tirreno una lista di dominio che non andava oltre i guadi della Scrivia e del Lemmo a tramontana, dell’ Entella a levante e del Laestra a ponente; solo più tardi ottenendo la Magra da un lato e la Roia dall’altro, ma più per indebolire le sue difese che non per vantaggiarle, contro ribellioni di popoli e insidie di principi. Triste destino, a cui s’aggiunse l’improvvido governo della Corsica e la non preparata formazione d’un più largo e naturai confine occidentale, causa i dinasti di sangue nostro che lasciammo crescere sotto il colle di Tenda, far casa e terra e ragione da sè. Triste destino, ripeto: ma de’ guai della storia, e della repugnanza che certi suoi periodi dolorosi c’ ispirano, non debbono star pagatori gli studiosi diligenti che la mettono in luce. E gloria del Belgrano, e purissima, aver chiarite le origini della fortuna dei Genovesi in patria, come di aver dato nella sua Storia delle Colonie il — LXVIII — primo saggio ordinato e compiuto della loro potenza marittima.; come di aver procurata, presso l’istituto Storico Italiano, la prima edizione critica degli Annali di Caffaro, e nella regia Commissione Colombiana, con una schiera di valorosi ingegni felicemente cospiranti, la monumentale raccolta di documenti, onde rifulge più che mai rivendicato a Genova il maggior de’ suoi figli : e questo non per appagamento di vanità municipale, che poco sarebbe, ma per onore di quella verità, che un altro insigne storico, e non genovese di nascita, Giovali Battista Spotorno, aveva incominciato a mettere in luce meridiana. Queste le maggiori benemerenze : le minori son grandi ancora, per l’indole che offrono , pel numero a cui giungono, per l’esempio che lasciano. Cose genovesi, o d’altre terre italiane in relazione con Genova, furono daH’amico nostro illustrate in monografie ricche di documenti ignorati. Cito il ricordo di Ugo Foscolo, combattente in Genova nel memorabile assedio sostenuto dal Massena, e tra una pugna e l’altra autore — LXIX — d’ima tra le migliori sue liriche per Luigia Pallavicina, la celebrata bellezza che Varese Ligure e la casa dei Ferrari avevano data alla nostra città, per tante bellezze in ogni tempo famosa. Citerò ancora Carlo Goldoni, amante e sposo tra le nostre mura, poi console di Genova a Venezia, e quella sua serie di lettere, anzi relazioni consolari, onde, sotto gli auspicii della comica Musa, han nuovo lume e piacevole i quieti rapporti tra Genova e Venezia, le due antiche ed aspre rivali. E rammento qui volentieri che l’idea dello studio sul Goldoni nacque nelle sale del-l’Archivio di San Giorgio, da una conversazione occorsa davanti a quel fascio di lettere del console commediografo ; e nacque particolarmente per le esortazioni del maggiore tra i presenti, Quintino Sella, insigne uomo di stato, che tanti meriti ebbe verso la patria, e un torto solo; quello di morirle anzi tempo. Di tali studi, e d’altri pubblicati in un giornale cittadino, poscia in minima parte raccolti nelle Imbreviature di Giovanni Scriba, si aspettava dal Belgrano la serie compiuta in altri susseguenti volumi. — LXX — Egli stesso meditava un Mastro Salomone, ad illustrar la figura d’un nostro notaio del Duecento, così nominato, i cui notularii, pieni di cose non attinenti alla professione, mostrano insieme un erudito ed un medico, un astrologo, un poeta e un empirico, che ai rogiti alternava le celie, i versi, gli oroscopi e le ricette. Ne sarebbe venuto fuori un curioso spiraglio di vita medievale tra noi. Quante volte, imbattendomi nell’ amico, non mi avvenne di chiedergli : e Mastro Salomone ? Mi lasci stare, rispondeva ; ci ho Caffaro di Caschifellone sulle braccia, Oberto Nasello, Ottobono Scriba, Ogerio Pane, e tutta la schiera dei nostri annalisti. Poi venne 1 accennata pubblicazione dei documenti Colombiani, sotto il cui peso l’animoso infaticabile lavoratore è caduto. Due volte si rilevò ; la terza volta, nella sera del 26 dicembre dell’anno passato (la seconda sera di Ceppo, che raccoglie ancora, fedeli al desco ben provveduto, le nostre famiglie d’ogni ceto e d’iogni fortuna), ricondottosi tutto solo nel suo studio della Civica Biblioteca, come un soldato nella trincea, cadde fulminato, per non più rialzarsi. I primi che accorsero, de’ suoi familiari e colleghi di lavoro, trovarono l’ultimo tratto di penna segnato su quelle bozze di stampa che lo avevano chiamato, in quel giorno indebito, in quell’ora insolita, al faticoso lavoro ; e quel tratto di penna era sulla parola « quondam » dov’ egli aveva raddirizzata un’ u rovesciata per error tipografico. « Laboremus » narra la Storia Augusta essere stata 1’ ultima parola d’ordine data dall’ imperatore Settimio Severo morente ; « militemus » era stata la prima del nostro Elvio Pertinace, appena giunto all’ imperio. Laboravit, militavit, fu tutta la vita di Luigi Tommaso Belgrano ; il segreto suo, e di quanti studiano indefessi. Stupisce la gente, che tanto facciano, e a tanto possano bastare, mentre essi consacrano al tavolino tutte le ore che noi concediamo ai passeggi, alle corse, ai teatri, agli svaghi d’ ogni genere ; e le consacrano con una forza d’animo, che veramente è premio a sè stessa, come l’esercizio della virtù, anzi delle virtù, per dire alla guisa dei vecchi. E poi? si domanda; — LXXIl — a che servono, tante cognizioni accumulate ? Se ad altri, e come, non so; a me, certo, e candidamente l’espongo. Osservando il passato, mi consolo del presente, che in troppe cose non vuol correr mai, ed ora meno che mai, a mio modo. Conoscendo gli uomini dei secoli andati, le ragioni che li mossero, alcune delle quali necessarie, quasi direi fatali, certamente soverchianti per cumulo d’interessi discordi, intendo meglio gli uomini del tempo mio ; e so scusar molto, acquistando il senso della misura, della bontà, del perdono ; se pure è detto eh’ io abbia da perdonar cosa alcuna, e non piuttosto da esser io perdonato di molte. E son grato a questi valorosi, che indagano uomini e cose dei giorni sepolti; volenterosi ufficiali dello stato civile di otto e più secoli addietro, i quali ci sanno dire donde predicasse Ugo di Grenoble la prima crociata ai nostri maggiori, dove abitasse Pagano Doria, grandissimo tra gli ammiragli della patria, dove cadesse Gian Luigi Fiesco, infelicissimo tra gli ambiziosi sovvertitori dello stato, o meglio (poiché la grazia ha sempre toccati i cuori più della forza) quando fiorisse e quanti pittori invaghiti traesse a Genova madonna Violantina Giustiniana, al tempo suo per universale consenso nominata la più bella donna del mondo. L’erudito sa le cose utili e le inutili; necessarie le prime, perchè rispondono a ragioni di materiale interesse ; più necessarie le altre, perchè abbelliscono il vivere. Signore e Signori , L’erudito di cui vi ho presentata in iscorcio la immagine buona, tacendo i molteplici uffizi, di segretario generale della nostra Società, di civico bibliotecario, d’insegnante universitario, onde la memoria vìve e la ri-conoscenza nell’ animo di tanti studiosi, amò Genova, l’amò bene, qual fu, qual è, quale vogliamo che resti, forte, operosa, semplice e schietta, e nella sua sincerità pronta ove occorra a giudicare severamente sè stessa. L’ha detto, non sono ancora molti giorni, il nostro insigne presidente, il mio buon amico Cesare Imperiale, nell’atto di assumer l’uffizio 0110- — LXXIV — rato ; ci ha pòrto egli stesso in memorabili parole un esempio di questa severità, serenamente usata contro noi medesimi, nella quale è forse da cercare il segreto della forza d’ un popolo, e che a buon conto non ^ è cosa volgare. Genova fu un organismo civile che non potè esser migliore, nè diverso da quello che è pur riuscito : comunque ella sia, è la gran madre dei Liguri, e noi sentiamo di amarla ; è la nostra dama, e da cavalieri antichi, portandone i colori, la vogliamo fedelmente servire ; in ciò tutti concordi, se anche venuti da partiti diversi, e in molte cose, o in tutte, ci facciano diversamente pensare istituti di vita e propensioni di spirito. Chiunque ama Genova, ama il ^ suo bel San Lorenzo, miracolo d arte e di fede e gualmente sincere ed ingenue, e ^ ringrazia Tommaso Reggio, il venerato arcivescovo, che ha l’ardimento di restituirlo alla primitiva bellezza. Chiunque ama Genova, ama il palazzo dei Capitani del Popolo, che oramai restaurato contenta anche i suoi nemici giurati di vent’anni fa ; ed ama i portici della Ripa, restituiti alla forma di que’ tempi in cui sor- — LXXV — geva, esemplare a tutti i susseguenti, l’arco di Negrone ricordato in atti del 1140; li ama, e della ristorazione avviata ringrazia la memoria di Andrea Podestà, il sindaco di grande animo, di pronto ingegno e di tenace volere, che le cose buone intendeva, e senza più mandava ad effetto. Ed ama ancora questa Società di Storia Patria, che ha avuto tanti valenti cooperatori, dal suo primo presidente, Vincenzo Marchese, che io non posso nominare senza prostrarmi « con le ginocchia della mente inchine » a quel Beato Angelico della prosa italiana, fino a Girolamo Gavotti, gentil signore, la cui cortesia scendeva dall’alto, non pure della eretta persona, ma ancora e più della squisita bontà; diligente amministratore del Comune, tenero d’ogni 7 o bella cosa, vissuto senza fasto borioso, senza ambizioni volgari o dispetti puerili, dividendo il suo tempo e le cure tra le presidenze della Accademia Ligustica di Belle Arti, della Società di Storia Patria, dell’istituto dei Ciechi e d’ogni altra fondazione di carità, di provvidenza cittadina ; ora sindaco, ora assessore di Genova, e negli intervalli sin- — LXXVl — daco della sua Albisola Superiore, che non potè ribattezzare Alba Docilia, come voleva e sperava, quasi a ricongiunger meglio la Liguria moderna coll’antica, e tutt’ e due col « nostro capo, Roma ». O povero Jeronimo, • che io ancor da fanciullo avevo conosciuto ed ammirato nei geniali esercizi della sua balda giovinezza, dovendo amarlo poi tanto nella esemplare operosità degli anni maturi ! E se ne vanno, questi amici nostri; e noi li raccontiamo alle nuove generazioni, questi cavalieri di Genova, fautori d’una cultura generalmente diffusa, onde la città si viene ingentilendo sempre più nell’ anima sua, come nelle esterne fattezze. Sicuramente, fu bella cosa nel buio dell’ Eyo medio un gran lume d’intelletto, « eh’ emisperio di tenebre vincìa », come quello di Dante. Ma anche una cultura largamente diffusa per tutti gli ordini sociali sarà benefizio inestimabile, che renderà sommamente gradito il civile consorzio. E del resto, il più intenso piacere della vita, quello di cui non fu possibile mai all’uomo più infastidito sentir la stanchezza e la nausea, è uno solo, uno solo ; conoscere ! — LXXVII - E vedo voi così concordi in questo pensiero; voi così numerosi portargli suffragio d’autorità, di sapere, di grazia ! Sentite voi dunque che il nostro passato è gloria, e che ogni gloria è incitamento e promessa ? Questo tempio dell’arte, dov’ io parlo, è degno dell’ inno, se anche al tempio e all’ inno non è pari il poeta. Come amarono Genova questi Brignole Sale ! Ultima prole del sangue loro, Maria Brignole nei De Ferrari, lasciò alla città i suoi palazzi; onde oramai mezza la via Garibaldi, non più di privati, può dirsi patrimonio del popolo genovese. E Paolina Adorna nei Brignole, antica padrona di casa, rianimando del suo spirito gentile la bellissima effigie così vivamente espressa dal pennello del Van Dyck, può sorridere alle belle padrone delloggi, che amano arte e dottrina, che all’opera dotta di Luigi Tommaso Bei-grano hanno recato il consenso d’un gentile sorriso, alla memoria onorata di lui, più dolce tributo, hanno dato una lagrima; lagrima buona, lagrima cara, che veramente è O 7 O la perla del cuore ! NOTE (i) La distruzione di Genova, o piuttosto delle sue mura, e la conseguente sua diminutio cupitis, hanno ricordo credibile nella Cronica di Fredegario, ove di Genova e d’altre città della spiaggia Ligustica è detto che Rotari le devastò, spogliandone il popolo, dannandolo a servitù : « murosque earum usque ad fundamentum destruens, vicos has civitates nominare praecepit ». E forse quello che non aveva pensato a fare Alboino, fece Rotari nel 64*» per essere in Genova, sede alla Curia milanese fuggiasca dall’oppressione dei Longobardi ariani, il centro delle pratiche a favore dell’impero greco, del Papa e dell’ Esarca, come ha bene osservato, citando anche i documenti, il Lombroso, ne’ suoi Conienti della Storia dei Genovesi avanti il MC (pag. 26). Di un Audoaldo, duca longobardo sulla Liguria al tempo di re Liutprando, e che mori circa il 718, fa fede il titolo sepolcrale di lui, nella chiesa di San Salvatore a Pavia, coi noti e sgraziatissimi versi : Sub regibus, Liguriae ducatum tenuit audax Audoatd armipotens, claris natalibus ortus, ecc. Che se anche, coll’abate Gaspare Oderigo, si volesse dubitare di questo Audoaldo, non si potrebbe dubitare altrimenti degli atti di dominio compiuti a Genova, o attinenti al territorio di Genova, dal-r istesso re Liutprando. Vestigi di diritto longobardo fra noi accenna il citato Lombroso, oltre l’uso del « pes Liutprandi regis » in atti e per poderi genovesi. — LXXX — (2) Che Carlomagno nel 774, tranne Pavia e Verona prese per assedio, ottenesse senza colpo ferire tutte le città della gran valle del Po, da Ivrea fino a Piacenza, e con esse « eas quae circa mare sunt, cum stiis castellis » è detto dalla Cronica Novalicense (Murat. Rer. ila!., Il, 2). Da Eginardo {Vita Caroli) si ha che Carlo provvide contro i Saraceni, nella Narbonese, nella Settimania, cd anche nelle spiagge Liguri e Toscane, « toto etiam Italiae litore usque Romani » e che nell’801 fu mandato da lui « Ercanbaldus notarius in Liguriam ad classem parandam ». Cosi, anche tralasciando il franco Erico di Strasburgo, governatore per Carlo nella Liguria occidentale, ricordato da un inno di Paolino d’Aquileia come pianto alla sua morte in molti luoghi, tra cui YHasletisis humus et Alben-ganus, va ricordata, all’anno 806, sulla fede di Eginardo, l’armata navale spedita da Pippino, figlio di Carlomagno e re d’Italia, contro i Saraceni che devastavano la Corsica; « cuius adventum Mauri non expectantes abscesserunt; unus tamen nostrorum, Hadumarus comes civitatis Genuae, imprudenter contra eos dimicans occisus est ». Negli Annal. Frane, la stessa notizia con altre parole è confermata: « unus tamen ex Francis, nomine Athemarus, comes civitatis Genuensis » ecc. È anche dell’anno 806 la divisione del regno fatta da Carlo magno tra i suoi figliuoli, nella quale si vede lasciata a Pippino l’Italia, ma, ov’egli morisse prima de’ fratelli, a Ludovico accresciuto il dominio (della Francia meridionale) con parte della regione Transpadana « una cum ducatu Tuscano usque ad mare Australe et usque ad Provinciam », dove può essere oscuro che cosa s’intenda per mare Australe; o mare di mezzodi, ma non è dubbio che tra Toscana e Provenza si trovi assegnata a Ludovico la Liguria marittima. (3) Sono radi i cenni, ma sufficienti, del dominio imperiale su Genova. Nell’ 825 l’editto di Lotario sulle scuole assegna a quella di Pavia gli scolari di Genova. Ludovico II, per una leva d’uomini contro Benevento, manda tre suoi uffiziali in litore italico. Nel 946 troviamo a Genova un Petrus Index domni regum, e nel 971 un Vualpertus notarius dominorum Imp. Già prima di questa data, nel 958, Berengario e Adalberto, a domanda di un Ebone nostri dilecti fidelis, dànno omnibus nostris fidelibus et habitatoribus in civitate januensi conferma d’ogni loro possesso, comunque acquistato, se- — LXXXI — eundum illorum consuetudines ; e vietano che alcuno, duca, marchese, conte, visconte, sculdascio, decano, possa dar loro molestia. Donde appare che il pericolo c’ era, anzi già qualche tentativo di violenza. E ne riceve conferma l’induzione messa primamente fuori dal nostro dottissimo Cornelio Desimoni (Marche dell’ II. seti.) che intorno al 950 e all’elezione di Berengario, questi promettesse ó concedesse Genova, compresa nella Marca Ligure, al conte, poi marchese Oberto, di nazione longobarda, stipite dei Malaspina e degli Este. Contro le costui pretensioni si difendevano adunque i Genovesi, mandando per loro avvocato Ebone. Le consuetudini da essi ricordate e da Berengario e Adalberto sancite, erano certamente nate nel lungo periodo di confusione e di assenza d’ogni stabile autorità. Del resto, che i Genovesi fossero abbandonati a sè stessi, è dimostrato dalle incursioni Saracene (931, 935) onde furono oppressi, e si difesero, 0 si camparono da sè. (4) Luigi Cibrario, a cui s’accosta il Desimoni (Le Marche ecc. p. 507) osserva che quando una sola fede riunì Longobardi vincitori e vinti Romani, avendo i Vescovi acquistato una grandissima ingerenza nelle cose temporali, i Romani medesimi si posero in gran numero nella loro clientela, e raccomandando loro la persona e le cose proprie volentieri divennero fedeli di quei prelati. E ancora dal Cibrario (Schiavitù e Servaggio, II, p. 103) è da riferir questo passo: « Il Vescovo trasforma il patronato in giurisdizione, ottenendo prima per tolleranza, poi per personale privilegio, che il giudice ordinario non s’ impacci de’ suoi raccomandati, coloni e servi, nè un fiscale riscuota imposte per conto del Re, niuno fuori del Vescovo obbligarli a servire in guerra. Tale l’origine delle famose immunità ». (5) I messi regii sotto Carlomagno erano ordinariamente due per provincia, scelti tra i vescovi e gli abati, i conti o i duchi; e la scelta dell’ ecclesiastico in tali uffici appare richiesta dalle stesse attribuzioni politiche assegnate ai vescovi nelle diocesi loro; attribuzioni ond’ è prova in tutta la legislazione di questo imperatore. Anche gli avvocati delle chiese, almeno una volta all’anno, tenevano placito in una delle città dipendenti da quelle chiese, e vi rendevano giustizia, assistiti da probi uomini. Solo per non sciogliere Atti Soc. Lio. St. Patri*. Voi. XXVIII. Serie j.* — LXXXII — affatto il clero dalla dipendenza dello Stato, nel Concilio di Francoforte fu dato di appellarsi dalle curie vescovili al re, « sebbene poco vi si attendesse » nota a questo proposito il Cantù (i/. Univ., 2, IX, p. 413 della terza ediz.) L’autorità temporale tu poi, per forza di circostanze, partecipata ai vescovi da Carlo il Calvo, come appare dai Capitolari di questo imperatore, che ai curati conferì diritto d’inquisizione contro i malfattori, dovendo tradurli innanzi ai vescovi se ostinati : « .... unusquisque presbiler imbrevitet in sua parochia omnes in aiefactores, et eos extra ecclesiam faciat... Si se emendare noluerint ad episcopi praesentiam perducantur ». Il Cantù (Op. cit., voi. X, p. 286), accennato che ai re tornava acconcio crescer beni e privilegi ai vescovi per farsene appoggio contro i principi secolari, soggiunge : « onde esentavano dalla giurisdizione dei conti le città di loro residenza (dei vescovi) e talvolta anche tutti i loro possessi. E tanto salirono i prelati in autorità, che all’elezione di Corrado II la scelta fu commessa in tre vescovi ». E a pag. 310: « Politica degli imperatori era stato 1 elevare i deboli contro il potente; onde li vedemmo favorire i Comuni, largheggiare immunità ai vescovi e sostituirli ai conti. Ora però (anno 1037) i vescovi erano cresciuti di modo, da rendere il regno d’Italia una aristocrazia ecclesiastica; e sull’esempio d Ariberto, cercavano rendersi dipendenti anche i feudatarii immediati ». A pag. 295 aveva già detto delle molte città dell’Italia superiore, ove « Ottone e i successori suoi confermarono l’immunità ecclesiastica, e deputarono a conti i vescovi medesimi » cui rimanevano esse città, mentre « ai signori la campagna, che perciò chiamossi il contado ». Non pare tuttavia che ciò avvenisse a Genova per investitura formale; di che, se fosse stato, sarebbe rimasto il documento, o apparsa in qualche modo la traccia. E più ragionevole ammettere che sull’ esempio di Milano, la Curia vescovile ottenesse una autorità di fatto, se non di diritto, piacendo ciò al popolo, poiché l’autorità ecclesiastica rappresentava un progresso, come quella che non faceva divario tra Longobardi, Franchi, Italiani e Tedeschi; così congregando ella i cittadini d’ogni stirpe, e venendone naturalmente un comune di uomini liberi, possessori di terra ed arbitri delle arti loro. — LXXXIII — (6) Ho accennato nella nota 3 il privilegio di Berengario e Adalberto risguardante le consuetudines dei Genovesi. Dei marchesi di Liguria rifioriti in quel torno, si ha memoria in quattro placiti, riferiti dal Muratori nelle Antichità estensi, tomo I. Di essi quattro, uno solo è tenuto in Genova, l’8 dicembre del 1039. In esso il marchese Alberto, al cospetto di Oberto visconte e d’altri personaggi, ad istanza di Ansaldo, abate del monastero di San Siro, che è assistito dal suo avvocato Dodone (viscontile anch’ egli e nipote di Oberto predetto) riconosce ed afferma la verità della donazione di beni fatta da Lamberto ed Oza jugales al monastero medesimo. Gli altri tre placiti, agosto 972, gennaio 994, febbraio 1044, furono tenuti fuori, e abbastanza lontani da Genova: quello del 972 presso Bobbio, nella villa di Gragio, all’aperto (.sub quadam arbore quae vocatur Pero), e in esso Oberto I marchese e conte del Sacro Palazzo decide di confini in favore del suo monastero di San Colombano, contro il monastero di San Martino di Pavia; quello del 994 in Lavagna, e in esso Oberto II decide a favore di Madalberto, abate di San Fruttuoso in Capodimonte, aggiudicandogli la selva Demà; quello del 1044 in vai di Rapallo, e in esso Oberto Azzo conferma ai frati di San Fruttuoso la proprietà della selva medesima. Parrebbero atti di giurisdizione stranieri a Genova, se in essi non fosse indicata la presenza di alcuno dei nostri Visconti. Del resto, i nomi di Marca e Comitato genovese sono spesso riferiti in atti notarili. 1089, 20 aprile; Ingone dona a Wida sua nipote tutti i beni che possiede « infra Marcha Ianuensi... in fun do Rapallo... in finibus Lavaniensi ». 1018, 2 febbraio; atto di composizione riguardante beni posti « in Comitatu Iannense ». 1033, 10 giugno; Assegnazione di beni « infra Comitatibus lanuensis ». 1040, febbraio; Breve di promissione di non vender beni « positis in Comitatum lanuensis ». 1045; Rainaldo vescovo di Pavia conferma alla Basilica di S. Giovanni Dominarum i beni che questa possiede « in Sancto Cipriano Comitatus lamie ». Questi accenni giustificano il titolo e certi diritti conseguenti delle famiglie Viscontili di Genova: e il conte e marchese rimanesse pur lontano; non necessario, nè grato! (7) Risulta evidente dalla carta di promissione del 10 maggio 1056, nella quale il marchese Alberto figlio di Opizzone giura di osser- — LXXXIV — vare le consuetudini di Genova. Dopo di che, quasi ad illustrare l’annientamento d’ogni autorità marchionale su Genova, si può citare un atto del 1097 (Murat. Autich. Est., I, 251) in cui Uberto, figlio del marchese Alberto predetto, notando tutti i doininii del padre, specifica un comitato Piacentino, un Pavese, un Cremonese, un Parmense, ed anche un comitato di Bobbio, e un comitato di Luni, ma di un comitato Genovese non dice. Che voglia espressamente tacerne appare da un generico sive infra alios Comitatos che subito segue, e che par messo li per dissimulare la tacita confessione d’ una autorità perduta. (8) Carlomagno non distrusse il regno Longobardo, bastandogli di averne cacciati i re. Egli stesso nell’807 scrivendo al figlio Pippino s’intitola re dei Longobardi. Signori longobardi si mantennero sotto di lui e sotto i suoi successori in dignità di duchi e conti, oltre quelli di Benevento. Cito ad esempio un Everardo, che nell’846 fu fatto duca del Friuli dall’imperatore Lotario, e quel-l’Ildebrando che entrato in grazia a Carlomagno era stato da lui reintegrato nella ducale signoria di Spoleto. Ho già notato che gli Obertenghi, marchesi di Liguria sotto Berengario e Adalberto, erano di nazione longobarda. (9) Dovrei dir livellarii. Le locazioni dei beni allodiali della nostra Chiesa sono una enfiteusi alterata dalla sua primitiva e più semplice natura. Già Carlomagno aveva vietato di assegnare i pa trimonii ecclesiastici a laici, se non a titolo precario, e questi pure a patto che gli utenti pagassero doppia decima e conservassero i monumenti del culto. A Genova il podere si otteneva, previo giuramento di fedeltà alla Chiesa, e per essa al Vescovo e il pagamento di un canone (pensio). Questo contratto si disse livellario, e livellaria la terra, dal libello di un tal contratto agricolo locativo, che da principio poteva andare fino alla terza generazione; poi si fissò a ventinove anni, con altre condizioni aggiunte, nominate exenia, doni, offerte. Le condizioni, a titolo di precaria, e di presterìa, si facevano con persone libere, di condizione elevata, senza patti servili, a lungo termine, a prezzo di denaro, senza aggravii personali. Si risolvevano quindi, come giustamente osserva il Desimoni (op. cit.) in investiture feudali, rette dalla costituzione di Lotario III — LXXXV — sui Feudi, che infatti si vede, quasi a giustificazione, inserita nel Registro Arcivescovile. Gli investiti costituivano la classe dei nobili vassalli, di città e di contado. Tra i primi si scelsero i vessilliferi della Curia; tra i secondi si videro anche discendenti fé non lontani) degli antichi marchesi di Liguria, come Obizzo Malaspina. (10) L’eruditissimo uomo ebbe tra mani il Registro; ma pare non l’abbia letto, o considerato colla usata diligenza. Dal Registro appaiono chiare le genealogie delle famiglie viscontili in relazione livellaria colla Curia, e con esse il loro riferirsi allo stipite, Ido Visconte. Pure, nel suo Scrutinio della Nobiltà Genovese, nel trattare che fa della casata Spinola, esce in queste parole : « La quale, sebbene da più alto ed antico principio pretende con buoni argomenti di derivare, io tuttavia, seguendo la mia opinione più volte replicata come più sincera, darò principio da Guido, il quale Spinola cominciò a chiamarsi nel tempo degl’introdotti cognomi ». H dei Grimaldi: « Ancorché la famiglia Grimalda asserisca e pretenda aver notizia di più antica origine ed ascendenza... avendo io fondato per concetto indubitato e reale che i cognomi delle famiglie che sono trapassate ai posteri cominciassero nel 1100 in circa, come si è detto nel discorso, darò principio... » da un Grimaldo, che fu console nel 1162, dimenticando Otto Cannella, padre di lui, che era stato console nel 1133, ed era tra i vassalli dell’Arcivescovo, come appare dal Registro. E così via delle altre famiglie viscontili, di cui non si occupa se non oltre il 1100. (11) Ydo Vicecomes, 952. « Vinea quae tenet Ydo Vicecomes » fuori le mura di Genova presso la basilica di San Siro (Atti Soc. St. Patria, I, 280). Per tutta la discendenza sua si vedano le Tavole genealogiche documentate dal Belgrano (Atti, app. alla parte I del voi. II). (12) « Assai lunga fu, nell’undicesimo secolo, la lotta fra il Vescovo e i Visconti, vicarii del Marchese. Ma, eletto vescovo, nel 1052, un Oberto appartenente a famiglia Viscontile, si venne ad una composizione fra l’Autorità episcopale e i Seniori di Car-mandino, di Manesseno e delle Isole, che rappresentavano allora la massa delle famiglie viscontili, per le decime da essi dovute alla Chiesa, e da loro, prima di quel tempo, sempre contese o negate. — LXXXVI — Da quel giorno i Visconti abbandonarono la parte politica del Marchese, loro antico signore; e questi, nel 1056, era costretto a giurare un Breve limitativo dei propri diritti in Genova, diritti che non molti anni dopo perdeva completamente col fondarsi della Compagna. Dopo Oberto, il vescovato non uscì più, se non a brevi intervalli, dalle mani dei Visconti. D’altra parte, quasi tutte le famiglie viscontili ottennero feudi e privilegi dalla Chiesa. I Caffaro, i Della Porta, i Castello, gli Alinerii partecipano alle decime e si dichiarano vassalli del Vescovo per determinati feudi ». Cesare Imperiale di Sant’Angelo (Caffaro e i suoi tempi — Torino, edit. Roux - p. 41, in nota). (13) a — Le quali famiglie, a differenza delle prime, furono anticamente chiamate Tetti appesi, perchè, come si appoggiano i tetti delle fabbriche a’ gran palazzi ed alle mura antiche per maggior sicurezza, cosi restavano questi della seconda classe appoggiati ai primi e massime a quelli delle quattro case (Fieschi, Doria, Spinola, Grimaldi), le quali per più segnalarsi nutrivano artificiosamente questa distinzione con tal vocabolo; oppure perchè questi appoggiati, così distinti e conosciuti, fossero soliti adunarsi a Banchi sotto ceni tetti appesi e volte che si usano ancor oggi in Genova per riparo dalla pioggia, e quindi ne restasse loro tal nome ». (Federici, Scrutinio ecc., ms.) Il senatore Federici sta incerto fra le due. Ma dal citare eh’ egli fa nel corso dell’opera alcune di tali famiglie indicate per Tetti appesi, e dal riscontrarsene parecchie nel 1236 come partecipi del pedaggio di Gavi, c’è da argomentare che la denominazione alluda al fatto di alleanze domestiche, con rispettiva comunanza d’interessi, fra nuove famiglie consigliari e le consolari antiche del periodo viscontile. (14) Lotta d’interessi, non guerra. Nel 1191 l’imperatore Enrico confermava ai Genovesi « veteres consuetudines et privilegia et Marchiani et Comitatum ». Nel 1220, quattro anni prima di fondare la università di Napoli, Federigo II concedeva loro il privilegio di creare i notai. « Donamus et concedimus liberam potestatem consulibus vel potestati Ianue faciendi notarios in civitate lanue ». Nel 1138 Corrado II dava ai Genovesi « jus monete quod ante non habuerant ». E già da un pezzo era caduta in desuetudine, o quasi, la formola — LXXX.VII - di marchia o di comitatus, leggendosi spesso in atti di dopo il 1100 la voce « Archiepiscopaiiis » e la chiesa di San Lorenzo messa accanto al Comune genovese. Già innanzi il noo appaiono i consoli. Che il nome non fosse nuovo in Genova si argomentò da un atto del 1052, col quale il vescovo Oberto donava a San Siro le decime che i suoi nobili parenti di Manesseno e delle Isole tardavano troppo a pagare. All’ atto intervengono due preti, quattro diaconi, quattro chierici ; e il notaio scrive a piè di pagina : « Ego Wullemus q. Bonijahnnis notarius praecepto suprascriptorum consolum transcripsi et exemplificavi ut supr a ». E noi potremmo veder qui un saggio del governo di fatto che il Vescovo esercitò in un periodo più o meno breve di transizione, se non ricordassimo i dubbi mossi nel 1856 da Agostino Olivieri (Carte e Cronache manoscritte per la Storia di Genova, pag. 228) e le nuove osservazioni del medesimo autore (Serie di Consoli del Comune di Genova, in Atti della Soc. di St. Patr., Voi. I, fase. III, pag. 16r), donde apparirebbe che il citato notaio trascrivesse l’atto del 1052 nell’anno 1204 per ordine dei consoli di giustizia dei forestieri. Ma lasciando stare questi dubbi sulla pergamena in discorso, resta sempre che il nome di consoli fosse già in uso innanzi il primo consolato di cui si abbia memoria in Genova. Al 1093 , nella convenzione tra i conti di Biandrate e i lor militi (pag. 708 del voi. Chartarum in Mon. Hist. Patr.), si vedono eletti dodici consoli. Tornando poi al nostro proposito, cioè alla decadenza del governo di fatto che avevano esercitato i vescovi, certamente nel 1098 non son più ecclesiastici i governanti, ma laici; nondimeno si adunano ancora presso il vescovo, o nel capitolo di San Lorenzo, o nelle case dell’episcopio, presto anche pagando pigione. Son tutti di famiglie Viscontili ; giurano la compagna ; e con questa il Comune è nato. Ma pur facendo nna cosa sola col Comune, non rinunziano così presto ai loro vecchi diritti feudali in città, sui macelli, sui banchi, sui pesi e le misure, sui dazi delle vettovaglie, ed altri che tenevano dagli antichi marchesi. E fuori città tengono egualmente pedaggi e castella; feudi, insomma, che amplieranno, come fecero i Fieschi, facendoseli riconoscere, con regolari investiture, dagli imperatori d’ oltralpe. ALBO ACCADEMICO PER L’ANNO MDCCCXCVI-VII XXXIX DALLA FONDAZIONE DELLA SOCIETÀ Questo Elenco rappresenta lo stato nominativo dei membri della Società al 31 dicembre 1896. Le date chiuse fra parentesi sono quelle dell’ elezione di ciascun socio. L’Ufficio di Segreteria sa di avere usate le maggiori diligenze; né ragionevolmente si potrebbero ascrivergli a colpa le omissioni e le inesattezze, imperocché non sempre gli vennero fornite le indicazioni richieste. UFFICIO DI PRESIDENZA PRESIDENTE ONORARIO A VITA Desimoni Cornelio, Sovrintendente-Direttore degli Archivi Liguri di Stato, Presidente della Consulta Araldica regionale ligure, Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie, Socio onorario della Assemblea di Storia Patria di Palermo, Socio corrispondente delle RR. Accademie di Scienze e Lettere di Torino, di Lucca e di Padova e dell’istituto di Venezia, Socio corrispondente delle Accademie Pontificie di Archeologia e dei Nuovi Lincei e della Reale Accademia dei Lincei, della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, Umbria e le Marche, della Società Storica di Boston (Massachusetts), della Sodili Normande de Giographie di Rouen, della Società Imperiale di Storia e d’Antichità di Odessa, della Società Economica di Chiavari, Comm. m, Cav. $ e dell’Ordine di San Carlo di S. A. il Principe di Monaco. — Piana S. Stefano, 2 (7 gennaio 1858). — XCII — PRESIDENTE EFFETTIVO Imperiale Marchese Cesare, dei Principi di Sant’Angelo dei Lombardi, Dottore in leggi, Deputato della Società Ligure di Storia Patria presso l’Istituto Storico Italiano di Roma , Comm. 00, Decorato colla medaglia d’argento dei benemeriti della salute pubblica (1884) (21 giugno 1885). VICE PRESIDENTE Bensa Avv. Enrico, professore ordinario di diritto nella R. Scuola Superiore d’applicazione per gli Studi commerciali, professore pareggiato di diritto marittimo nella Università di Genova, membro della Commissione conservatrice dei monumenti d arte e d’antichità nella provincia di Genova, socio dell’Associazione per la Riforma e la Codificazione del Diritto delle Genti di Londra, della Società di Legislazione comparata di Parigi, e dell Associazione internazionale per le scienze giuridiche ed economiche comparate, Cav. &. — Via S. Bernardo, iy (28 maggio 1865). SEGRETARIO GENERALE Beretta Sac. Luigi, Diploma d’insegnante ginnasiale, Direttore nelle scuole civiche di Genova, Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria di Torino, Cav. &. — Via Caffaro, 19 (12 dicembre 1875). VICE SEGRETARIO GENERALE Bertolotto Girolamo, Dottore in lettere e storia, Libero Docente in paleografia Greca al R. Istituto di Studi Superiori di Firenze, ivi diplom. in Egittologia e Archeologia, Dottore aggregato alla Facoltà di filosofia e lettere nella R. Università di Genova, Membro effettivo della R. Deputazione di Storia Patria di Torino, Vice Bibliotecario della Civico-Beriana di Genova, s. e. della Società Storica Savonese, Direttore del Giornale Ligustico, Cav.®. Via Nino Bixio £-7 (6 giugno 1892). — xeni — TESORIERE Staglieno Marcello, Marchese, Patrizio Genovese -, Dottore in leggi, Membro della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Accademico promotore e di merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, della R. Accademia Albertina di Torino, della R. Accademia Araldica Italiana, della Società Storica Savonese ecc. ecc., Cav. Cav. Uff. tm. — Via Serra, 8 (4 gennaio 1858). CONSIGLIERI Barrili Anton Giulio, Dottore aggregato alla Facoltà di filosofia e lettere nella R. Università di Genova, Accademico di merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti per la città e provincia di Genova, Prof. ord. di letteratura italiana, Preside della Facoltà di lettere e filosofia, Comm. ® e Sfc. — Via Garibaldi, 20 (17 novembre 1861). Campora Giovanni, Architetto, Professore all’Accademia Ligustica di Belle Arti, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti per la Liguria, Assessore Municipale. — Via Rivoli, 7 (21 giugno 1885). Centurini Luigi, Avvocato, Cav. %>, Comm. &. — Stradone S. Agostino (i.° agosto 1886). Cervetto Luigi Augusto, Redattore del Cittadino, Cav. &. — Salita S. Rocchino, 13 (8 agosto 1880). Podestà Francesco, Pittore dilettante, Accademico di merito del-l’Accademia Ligustica di Belle Arti, Socio corrispondente della Regia Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia. — Via Assarotti, 18 (17 luglio 1864). Vigna Sac. Amedeo Raimondo, già dell’Ordine dei Predicatori, e Parroco di S. Pietro in Galata di Costantinopoli, e ivi missionario apostolico, Professore di Lettere, Storia e Geografia, Membro effettivo della R. Deputazione sopra gli studii di Storia — XCIV — Patria di Torino, della Società Italiana di Archeologia e Belle Arti in Milano, Membro onorario della Società Imperiale di Storia e Antichità di Odessa, dell’istituto di ltelle Aiti delle Marche in Urbino, dell’Assemblea di Storia Patria in Palermo, Membro corrispondente della Società Economica di Chiavari, dell’Ateneo di Milano, dell’Accademia artistica Rafaello in Urbino, dell* Accademia di S. Tomaso d’Aquino in Roma, Rettore del Collegio di Barolo, Cav. — Barolo (21 febbraio 1856). UFFIZIALI DELLE SEZIONI SEZIONE DI ARCHEOLOGIA Presidente March, cav. Marcello Staglieno, predetto. V, Presidente Prof. arch. Giovanni Campora, predetto. Segretario Prof. Marc’Aurelio Crotta. V. Segretario Prof. Angelo Massa. SEZIONE DI BELLE ARTI Presidente Comm. Anton Giulio Barrili, predetto. V. Presidente Cav. L. A. Cervetto. Segretario Avv. Antonio Filippi. V. Segretario Avv. Pier Giulio Breschi. SEZIONE DI STORIA Presidente Cav. P. A. Vigna, predetto. V. Presidente Le Mesurier Edoardo Algernon. Segretario Arturo Ferretto. V. Segretario Avv. Dionigi Corsi. SOCI ONORARI Boselli Paolo, già Ministro della P. I. e delle Finanze, Dott. aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Prof, nella R. Università di Roma, Professore onorario della R. Università di Bologna, Socio della R. Accad. delle Scienze di Torino, Socio Corrispondente dell’Acc. dei Georgofili, Presidente della Società di Storia Patria di Savona e di quella abruzzese, Vice-Presidente dell’Associazione per la riforma e codificazione del diritto internazionale, Socio della R. Accad. di Agricoltura e Presidente del Consiglio Provinciale di Torino, Deputato al Parlamento Nazionale, Gr. Uff. Gr. Uff. tn*, Gr. Cord. dell’Aquila Rossa di Prussia, dell’ Ordine di Alberto di Sassonia e dell’Ordine di Bertoldo I di Zàhringen (Baden), Gr. Ufi. Ordine di Leopoldo del Belgio, Uftìz. della Corona di Prussia, della Legion d’Onore di Francia e C. O. della Concez. di Portogallo. — Via Po, /2, Torino (2 maggio 1896). Carutti di Cantogno Barone Domenico, Senatore del Regno, Socio della R. Accademia delle Scienze di Torino, Socio della (1) Elenco completo dei Soci Onorari deceduti dalla fondazione della Società fino al 1896 : S. A. R. Oddone di Savoia - Amari Michele - Benso Camillo conte di Cavour - Bonaini Francesco - Bonaparte Principe Luigi Luciano - Boncompagni Don Bal-dassare - Cantù Cesare - Capponi Gino - Castelli Michelangiolo - Charvaz Mons. Andrea - Cibrario conte Luigi - Ferrerò Della-Marmora conte Alberto - Lambruschini Raffaele - Long-Perrier (De) Adriano - Manzoni Alessandro - Morro Giuseppe -Pinelli conte Alessandro - Promis Carlo - Promis Domenico - Rezasco Giulio -Riant conte Paolo - Sauli d’Agliano conte Luigi - Sclopis di Salesano conte Federico - Theiner Agostino - Torelli conte Luigi - Tosti D. Luigi - Vieusseux Gio Pietro. — XCVI — R. Accad. della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche dei Lincei e dell’ Istituto storico italiano, Membro del Consiglio degli Archivi, Presidente onorario di Sezione del Consiglio di Stato; Gr. Uff. ^ . Gr. Uff. e®. Cav. e Cons. #, Gr. Cordone Leone neerl., Is. Catt. di Spagna e S. Marino, ecc. Via della Zecca, 7, Torino (2 maggio 1896). Colucci Giuseppe, Dottore in leggi, Prefetto del Regno, Socio corrispondente della R. Accademia Peloritana di Messina, Socio non residente della R. Accad. Pontaniana di Napoli, Comm. Gr. Uff. — Livorno (13 luglio 1873). Villari Pasquale, Professore, Senatore del Regno, Membro del Consiglio Superiore della P. I., Prof. Emerito nella R. Univei-sità di Pisa, Presidente della Sezione di Filosofia e Filologia nel R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, Membro attivo della R. Deputazione di Storia Patria pei le Provincie di Romagna, Accademico corrispondente in Firenze dell’Accademia della Crusca, Membro del Comitato centrale in Firenze della Società Dantesca Italiana, Socio ordinario non residente della Società Reale di Napoli (Classe di archeologia, lettere e belle arti) Socio della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL), categoria III, storia e geografia storica, Membro dell’istituto Storico Italiano, Socio Onorario della R. Accademia dei Rozzi di Siena, Accademico nazionale non residente della R. Accademia delle Scienze di Torino, #, Gr. Uff. , Gr. Uff. $, Cav. dell’ Ordine del merito per le scienze ed arti di Germania — Firenze (2 maggio 1896). — XCVII SOCI CORRISPONDENTI A Angelini Annibale, Professore di Pittura, Socio di merito della R. Accademia delle belle arti di Perugia e della Ligustica, Cav. % . — Perugia (17 febbraio 1861). B Barbieri Abate Luigi, Bibliotecario della Governativa di Parma, Membro della R. Commissione per la pubblicazione dei testi di lingua, Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincia Parmensi. — Parma (16 dicembre 1860). Barozzi Nicolò, Patrizio Veneto, Conservatore del Civico Museo Correr, Socio fondatore, Consigliere e Tesoriere della R. Deputazione Veneta di Storia Patria, Corrispondente della R. Deputazione Storica per le antiche Provincie e la Lombardia, Membro della R. Commissione per la pubblicazione dei testi di lingua, Comm. % e ugno 1891). Biblioteca Civico-Beriana di Genova. (22 novembre 1857)-Biblioteca Comunale di Verona. — (17 marzo 1881). Bigliati Paolo, Avvocato, Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza e Professore di Diritto Internazionale nella R. Università di Genova, Comm. — Vico Notari, 3 (i.° gennaio 1858). — CVII — Binda Giulio, Archivio di Stato di Genova. — (2 febbraio 1896). Bo Camillo, Avvocato, Cav. Uff. iea. — Via Caffaro, 32 (3 agosto 1873). Bo Giovanni Battista, Dottore in medicina e chirurgia. — Sestri Levante (i.° agosto 1875). Boccoleiii Giuseppe, Prevosto della Chiesa di N. S. delle Vigne. — Ivi (12 agosto 1875). Bonino Enrico, Canonico della Metropolitana di S. Lorenzo — Spianata Castelletto, 17 (10 marzo 1872). Borra Pietro, Dottore in Medicina e Chirurgia, Medico primario dell’Ospedale Pammatone. — Via Caffaro 2. (17 luglio 1896). Botta Augusto, Viceconsole di Russia, Cav. — Genova, Pia^a Oche (2 febbraio 1896). Botto Domenico, Abbate Mitrato e Parroco di S. Teodoro in Genova. — Via Venezia, 1-6 (n marzo 1888). Botto Epifanio, Spedizioniere. — Via S. Lorenzo, 4 (17 agosto 1887). Bozzo Lorenzo, Avvocato. — Presso l’Avv. Carcassi, Via Roma, 8 (2 febbraio 1896). Breschi Pier Giulio, Avvocato. — Via Garibaldi, 20 (23 febbraio 1896). Brichetto Sac. Francesco, Missionario Apostolico. — Via San Nicolò, 36 (4 giugno 1896). Brichetto Sac. Paolo, Direttore delle Terziarie Francescane. — Salita Vecchia del Monte (21 maggio 1896). Brignole Marchese Benedetto, Dottore in leggi. — Via S. Luta, 4, (11 agosto 1867). Buonguadagno Gerolamo, Avvocato — (21 maggio 1896). C Cabella Edoardo, Avvocato — Via Luccoli, 17 (25 giugno 1896). Cabella Gaetano, Console Generale del Belgio, Uff. dell’Ordine di Leopoldo del Belgio, Cav. e — Salita dei Quattro Canti di S. Francesco, 7 (27 aprile 1873). Cabella Gian Luigi, Farmacista. — Piarci Nunziata (2 agosto 1888). — CVIII — Callegari Paolo, Avvocato — Piana S. Bernardo (6 aprile 1896). Calligari Ernesto, Avvocato, Assessore Comunale Via Orefici, 9 (25 giugno i896)- Calpestri Italo. — Via Giulia, $i, studio dell Avv. Stefano Drago (25 giugno 1896). Calvini Alarico, Avvocato. — Vico Notari (2 febbraio 1896). Cambiaso Marchese Michelangelo, Avvocato. — Piana Annunciata 24 (15 marzo 1863). Campora Giovanni, predetto. Caneva Giorgio, Dottore in medicina e chirurgia, piofessore a Padova. — Via Assarotti, 20 (30 gennaio 1881). Canevari Gio. Battista, Studente in Giurisprudenza (21 maggio 1896). Canevello Edoardo, Professore, Dottore in leggi, Diiettore Generale delle Scuole, Cav. &. — Via Palestro (21 dicembre 1884). Canevello Mons. Paolo, Pro-Vicario Generale della Curia Arci vescovile — (12 agosto 1888). Capecci Mons. Giuseppe, dei PP. Agostiniani, Maestro in S. Teologia, Parroco di N. S. della Consolazione. — Vico della Consolazione, 1 (30 maggio 1875). Capellini Vincenzo, Avvocato, Cav. #. — Piana di S. Matteo, j; (21 maggio 1871). Carcassi Claudio, Avvocato. — Via Scurreria, 2 (20 aprile 1896). Carrega Marchese Antonio di Angelo, Dottoie in Leggi. Via Curtatone, 1 (19 ottobre 1896). Carrega Marchese Camillo, Via Cairoli (23 febbiaio 1896). Casale Nicolò di Antonio, Cav. m. — Via David Clnossone, 12-2 (6 aprile 1896). Casareto Sac. Nicolò, Dottore in leggi, Parroco di S. Donato. — Piana S. Donato (14 luglio 1872). Casaretto Pier Francesco di Michele, Avvocato. Salita Cappuccini, j (23 marzo 1896). Castagnola Marchese Giulio. - Spezia (21 dicembre 1884). Cataldi Giuliano fu Giuseppe, Dottore in leggi. — Via S. Sebastiano, 17 (5 agosto 1877). — CIX - Cattaneo-Adorno Marchese Luigi, Dottore in Leggi. — Via Garibaldi, 8 (io marzo 1872). Cavagnari Giuseppe Stefano, Chimico Farmacista. — Via Scur-reria 6 (25 giugno 1896). Caveri Enrico, Società Assicurazioni Italia — Piana Scuole Pie (6 aprile 1896) Celesia Domenico, Dottore in leggi, Cav. es. — Via Assarotli, 40 (13 agosto 1882). Celesia Rev. Vincenzo, Cappuccino. — Spianata Acquasola. (20 aprile 1896). Centurini Luigi, predetto. Centurione Marchese Vittorio. — Via del Campo, 1 (4 giugno 1896). Cerrato Dott. Giuseppe. — Via S. Ugo, 13-8 (6 aprile 1896). Cerruti Professore Ambrogio, Avvocato, Cav. m. — Piana Invrea, 8 (19 maggio 1867). Cervetti Gio. Maria, Notaro R. Archivio di Stato— (21 maggio 1896). Cervetto Luigi Augusto, predetto. Cipollina Marcello, Avvocato. — Archivio di Stato (4 giugno 1896). Chighizola Eugenio fu Giuseppe, Laureato in Legge all’ Università di Pisa. — San Martino à'Albaro, Via Bottini, 11 (10 dicembre 1868). Chinazzi Giuseppe Carlo, Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Università di Torino, Libero Docente nella R. Università di Genova, Cav. — Via del Campo, 12 (5 agosto 1877). Circolo Artistico Tunnel. — Via Carlo Felice (13 agosto 1882). Conti Pier Alfonso, Capitano R. Marina. — Spezia (16 dicembre 1896). Corradi Sac. Sebastiano, Professore nel Seminario Arcivescovile, Dottore in S. Teologia, in Filosofia ed in Belle Lettere, Dottore del Collegio Teologico di S. Tomaso d’Aquino. — Corso Mentana, 41, scala sud, 10 (2 febbraio 1896). Corsanego-Merli Luigi, Accademico Promotore dell’Accademia — ex — Ligustica di Belle Arti, Comm. dell’Ordine di S. Giegoiio Magno e Cameriere Segreto di Spada e Cappa di Sua Santità. — Via Assarotti, 17-6 (30 maggio 1875). Corsi Dionigi, Avvocato. — Vico Cbiabrera, 3 (2 febbraio 1896). Costa Felice, Dottore in Medicina e Chirurgia, Cav. ®». Palalo Rosso (25 giugno 1896). Costa Francesco, Comm. — Piana Zerbino, 2 (17 luglio 1896). Costa Francesco, Negoziante. — Via Porta S. Bartolomeo, 14 (4 agosto 1878). Croce Giuseppe, Comm. Assessore Municipale. Piana Demarini, 1 (5 luglio 1868). Croce Beppe, Cav. Sindaco di Nervi — (17 luglio 1896). Crotta Marco Aurelio, Professore. — Via Colombo, (21 giugno 1885). D D’Albertis Cap. Enrico, Cav. . Comm. ®. — Castello d Al-berlis_, Montegalletto (21 dicembre 1884). D’Andrade Professore Alfredo, Accademico di merito dell Accademia Ligustica, Socio onorario delle RII. Accademie di belle arti di Torino e di Milano, Cav. ^ . e Comm. di S. Giacomo di Portogallo e di Isabella la Cattolica di Spagna. I ia Pico della Mirandola, Firenze (21 giugno 1885). Da-Passano Marchese Manfredo, — Firenze (14 agosto 1864). Da-Passano Gerolamo, Avvocato, Assessore Comunale. — Via Rivoli, 7 (4 giugno 1896). Deamicis Sac. G. Maria, Archiv. onorario, Cancelliere della Cuiia, Cerimoniere arcivescovile. — Pinna Vigne (12 agosto 1888). De Araujo Cav. Gioachino, Console del Portogallo. (16 dicembre 1896). Debarbieri Professore Antonio, Statuario, Socio onoiaiio di vati Istituti di belle arti. — Via Colombo, 8 (28 dicembre 1857). Debarbieri Professore Emanuele, Dottore in leggi, Dilettole del Collegio omonimo, Cav. — Via Palestro, if B. (2 agosto 1885). De Ferrari Marchese Francesco. — Via S. Lorenzo, 25 (21 maggio 1896). De Ferrari Duca Giuseppe, Cav. , Comm. es. — Piana Annunciata, 15? (20 febbraio 1859). De Negri Giovanni, Dottore aggregato delle Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università e Professore della R. Scuola Navale Superiore, Cav. e®. — Via Luccoli, 14 (29 maggio 1870). Desimoni Cornelio, predetto. De Simoni Gian Carlo fu Nicolò, Diploma in Lettere Italiane, Storia e Geografia per esami sostenuti nella R. Università di Torino, Direttore della R. Scuola Tecnica Goffredo Mameli, Cav. sa. — Genova (7 Agosto 1887). — CXll — Donath Antonio, Cav. ss». — Via Luccoli (6 giugno 1892). Donaver Professore Federico. — Asilo Infantile Tollot (9 marzo 1890). D’Oria Lamba Marchese Francesco. — Piana Vigne, 6-3 (6 a-prile 1896). D’Oria Marchese Andrea. — Via Garibaldi, 6 (25 aprile 1869). D’Ori a Mons. Giuseppe, Abate mitrato di S. Matteo. (12 agosto 1888). Drago Stefano di Giuseppe, Avvocato. — Via XX Settembre, 31 (25 giugno 1896). Dufour Maurizio, Socio Promotore e di Merito dell Accademia Ligustica di Belle Arti, Laureato in Legge, Comm. dell Ordine Pontificio di S. Gregorio Magno. — Cornigliano Ligure (12 gennaio 1858). Durand Davide, Medico primario all’ Ospedale di Pammatone e del R. Istituto Sordomuti. — Via Galata, 6 (19 ottobie 1896). Durazzo Marchese Marcello |Nicolò, Cav. c®. Nervi (5 maggio 1872). E Elia Giuseppe, Dottore, Presidente della Deputazione Provinciale di Genova, Comm. ^ e i®. — (4 giugno 1896). Eusebio Federico , Professore ordinario di letteratura latina alla R. Università di Genova, Cav. &. — (21 maggio 1896). F Fabbri Sebastiano, Negoziante. — Via Archimede, 34 (-7 aPrile 1873). Faggioli Fausto, Dottore in medicina e chirurgia. Via l alesilo, 2 (1 agosto 1886). Farina Tito Maria, Avvocato. - Vico S. Matteo, 12 (41 agosto 1881). Farrugia Antonio fu Giovanni. — Via Piileslro, 13 - 1} (29 novembre 1868). Ferralasco Enrico, Professore di ginnastica. — Via Casaregis, 35-5 (23 febbraio 1896). — CXIII — Ferrando Agostino, Avvocato, Procuratore Capo. — Via S. Pietro delta Porta, (6 giugno 1892). Ferrari Luigi, Direttore della Tipografia del R. Istituto dei Sordomuti, Cav. Uff. «*u. — Via Serra, <) (2 luglio 1876). Ferretto Arturo. — Corso Dogali, 8 (9 marzo 1890). Ferretti Luigi, Professore. — Ufficio d’Istruzione Pubblica - Municipio di Genova (19 maggio 1896). Figari Pietro. —'Via Chiabrera, 3 (4 giugno 1896). Figoli Alberto. —■ Via Balbi, 2 (i.° agosto 1875). Figoli Augusto. — Via Balbi, 2 (21 giugno 1885). Filippi Antonio, Avvocato. — Via Goito, 2 ( 13 marzo 1869). Fontana Leone, Avvocato, Membro della R. Deputazione di Storia Patria di Torino, Comm. m. — Torino, Piana Vittorio Emanuele I, 12 (10 agosto 1879). Fontanabuona Ettore, Capo Ufficio Direzione R. R. Poste di Genova — (6 aprile 1896). Fontanini Professore Pietro, Canonico di N. S. dell Immacolata. — Via Assarotii (20 aprile 1896). G Galliani Gabriele, Avvocato. — Piana S. Bernardo, jo (25 giugno 1896). Gamba Cesare, Ingegnere. — Via Assarotti, j (25 giugno 1896). Gambaro Alfredo. — S. Francesco d’Albaro (14 agosto 1881). Gambaro Francesco, Chimico-Farmacista. — Farmacia Zerega, Via Carlo Felice (4 luglio 1876). Garassini G. B., Dottore in Lettere e Filosofia, Vice-Segretario Generale della Società Storica Savonese. — Savona (23 febbraio 1896). Garavini Antonio, Professore di Lettere e di Storia, Cappellano dell’ Ospedale Militare di Genova. — Ospedale Militare di Genova (2 febbraio 1896). Gardini Enea. — Via S. Ugo, 7-13 (6 aprile 1896). Garibaldi Franco Temistocle, Professore di lettere italiane, Storia, geografia e lingua francese. — Asti (29 gennaio 1882). Atti Soc. Lig. St. Patri». Voi. XXV111, Serie 3 * h — CXIV - Garibaldi Giovanni, Prof. Dott. Cav. •&. — Via Serra i (12 Agosto 1888). Garibaldi Pier Maria, Dottore in Medicina e Chirurgia, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, Professore titolare di Fisica sperimentale, Direttore del-1’ Osservatorio Meteorologico provinciale della R. Università di Genova e della Scuola di Farmacia, Cav. e Comm. t®. Via Balbi 21 (13 Marzo 1869). Gavotti Canonico Marchese Ludovico. — Via Assarotti, 44-11 (20 Aprile 1896). Gazzo Monsignor David Anselmo, Dottore in ambe le leggi, Cameriere Segreto di Sua Santità, Canonico della Metropolitana di Genova. — Via Jacopo Raffini, 7 (25 marzo 1866). Gonetta Giuseppe , Dottore in Scienze Sociali. Genova (6 aprile 1896). Gorgoglione G. B., Avvocato, Notaio. — Piazza. Campetto (6 aprile 1896). Gotelli Mario, Agente di cambio. — Corso Torino, 26 (3 aprile 1870). Graffagni Angelo, Avvocato, Comm. es. — Via Giustiniani, 2$ (2 febbraio 1896). Grasso Vittorio Emanuele, Maestro Normale Superiore. Via Giustiniani, 18 (29 gennaio 1882). Grillo Didimo, Avvocato. — Stradone S. Agostino, 30 (19 mag-gio 1867). Grillo Giovanni BaTTiSTA, Via S. Donato, j (14 agosto 1881). Gropallo Marchese Marcello, Dottore in leggi, Gentiluomo di Corte di S. M. la Regina d’Italia, Cav. . e Comm. sm. Piana Zerbino, 12 (20 febbraio 1859). Groppo Claudio, Dottore in Leggi, Cav. Uff. &. Pia~za De Ferrari, Palazz0 Galliera, 40 (5 agosto 1877). Guarnerio Pier Enea, Dottore in Lettere e Filosofia, Professore titolare di Letteratura Italiana nel R. Liceo Andrea D Oria e Libero Docente di Lingue Neo - Latine nella R. Università di Genova, Cav. — Via Rwoli, j - 7 (6 aprile 1896). — cxv — 1 Ighina Canonico Andrea, Cav. efc. — Mondovì (i.° agosto 1875). Imperiale Marchese Cesare dei Principi di Sant’Angelo, predetto. Invrea Marchese David, Dottore in leggi, Consigliere di Corte d’Appel-lo. — Corso Duca di Genova, 27, Torino (15 marzo 1863). Isola Ippolito, Avvocato, Professore, Dottore aggregato alla R. Università, Membro di varie Accademie, Bibliotecario del Municipio di Genova. — (22 novembre 1857) Italiani Arturo, Avvocato. — Via Conservatori del Mare (20 aprile 1896). Ivaldi Emanuele, Cav. %, Uff. p^ ^C^W^rv^1 fc-'V.S ^^5 4^ ' y v «fcrMS?W? V J ^ *! " ? V...rf, Ou- ^ v Au- ^ J? A"-A— V V ' V -fl ['nfi.' .* "*• - Ss^ LETTERA I Genova 15 Dicembre 1866. Ch.mo Signore ed Amico, nzitutto le rendo vivissime grazie pel gentile ricordo del recente suo opuscolo numismatico pervenutomi con cara lettera nel 20 ottobre p. p. ; e le chieggo mille scuse del non avere finora risposto, rimasto come fui alcun tempo fuori del mio nido; poscia distratto da cure domestiche e d’uffizio. Godo ora finalmente poterle esprimere il piacere che provai, come provo sempre, nel leggere le di Lei dotte e diligentissime pubblicazioni. Mi congratulo e della sua operosità e del giusto e largo concetto ond’Ella tratta la Numismatica; non, come sogliono pur troppo tanti altri, contentandosi d’indicare i tipi e le — 8 — leggende, ma aggiungendo il peso e il titolo delle monete, la loro relazione colla moneta di conto corrente ne rispettivi paesi e la loro connessione collo sviluppo della storia relativa. Tanto io quanto la Società Ligure di Storia Patria, le professiamo debito speciale di riconoscenza e pei preziosi documenti comunicatici, e per aver Ella tratte dall’ oblio e poste in bella luce le nostre Zecche di Savona e di Scio, e fattoci nascere il desiderio e la speranza di altre sue illustrazioni per riguardo alle monete de’ Fieschi, de’ Grimaldi e de’ Gattilusii (i). Ciò premesso, mi consenta spiegarle più a lungo il titolo principale onde la sua lettera mi giunse gratissima. Avvisandomi Ella aver ricevuto il mio tenue scritto sulla Marca Aleramica (2), inserto testé nella Nuova Antologia di Firenze, mi porge al tempo stesso un insperato conforto colà dove coll’ autorevole suo consenso rafferma 1’ opinione mia sulla identità del Marchese Bonifacio di Savona del Vasto; identità impugnata dall'illustre Conte di San Quintino (3) con grande apparato di ragionamenti e con tenacità degna di miglior causa. Trovo inoltre non meno acuto che vero il riflesso che Ella fa e che amo ripetere perché cade molto a proposito ; ed é : che la sco- (1) Qui si allude alla Memoria sulle Monete inedite del Piemonte pubblicala da Domenico Promis. Supplemento. Torino, Stamperia Reale 1866. L’Autore ci fa ora sapere che la desiderata illustrazione delle monete de’ Fieschi e de’ Gattilusi è pronta per la stampa; e che quelle de’ Grimaldi saranno pubblicate dal comune amico il Prof. Cav. Gerolamo Rossi di Ventimiglia. (N. dell’A.). (2) Cfr. Lettera a Michele Amari, Sidla discendenza Aleramica e sulla diramazione de’ Marchesati dalla Marca, 16 Aprile 1866, in appendice pag. 221-233. (3) Di San Quintino Giulio, Osservazioni critiche sopra alcuni particolari della Storia del Piemonte e della Liguria nei Secoli XI e XII, in Memorie dell’Accad. delle Sciente in Torino, Voi. XIII, Serie II. ì — 9 — perta delle falsificazioni dello Sciavo (i) fatta dal prelodato Conte tu l’occasione che spinse questo all’eccesso contrario, fino a dividere in due personaggi l’unico Bonifazio e la sua discendenza pure in due diverse famiglie. Benissimo ! Rem acu tetigisti. Nella foga della lotta, nel piacere d’aver evitato lo scoglio, a cui ruppero tanti valentuomini, non s’avvide che passava il Rubicone. Che se fosse sostato per poco a considerare le conseguenze della sua scoperta, avrebbe di leggeri avvertito, che essa ben lungi dall’affievolire l’antica tradizione, le riesciva anzi nuovo e potente rincalzo; si per meglio provare l’identità della famiglia Savona del Vasto, sì per riformare e meglio chiarire il nesso di quest’essa famiglia cogli altri. Marchesi Aleramici. Il falso, anche recato a sostegno della verità, anche fabbricato da ingegni (come era lo Sciavo) non volgari e nutriti di tutta l’erudizione possibile a loro tempi, è per lo meno una scoria appiccicata al metallo, che ne annebbia il naturale splendore, e rende sempre più difficile il coglierne i molti pregi ; ma, che è più, il falso riesce sempre e necessariamente all’ errore. Così nella quistione nostra i nomi propri, i titoli, i documenti che furono inventati per dar corpo di verità a preconcette ipotesi finiscono col trovarsi in contraddizione coi documenti veri scoperti di poi, e scemano con ciò fede anche ai sinceri e di buona lega: ma quand’ anche concordassero nella sostanza, vi avrà sempre tra loro una grave differenza nello sviluppo dei fatti storici : i quali nell’ ipotesi si suppongono al solito subiti, (i) Solavo Gaspare, Della Lapide di Ferratila, Mondovì, 1790. Cfr. San Quintino, op. cit. e Bresslau, lahrbùcher des deutschen Reichs unter Kottrad II. L contemporanei, artificiosamente simmetrici ; laddove la realtà ce li offre a gradi a gradi, con varietà e in un lasso di tempo più o meno notevole. Di che ebbi ragione di lodare nello scritto precedente il Ch.ni° San Quintino, d’aver giovato alla verità non ostante il suo errore cardinale e averle giovato in due modi: colla pubblicazione di nuovi documenti preziosi, e col dimostrarne falsi parecchi che fino allora erano corsi come oro di coppella. Ella poi conoscendomi da più anni non farà, spero, le meraviglie al sentire che la sua lettera mi tornò gratissima , non solo per quella parte che accresce peso alle mie opinioni, ma eziandio per quell’altra, ove pare non le entrino troppo le idee che andavo esprimendo sulle due Marche Aleramica ed Arduinica e sulla loro estensione, limiti e modo di formazione e di disgregazione. E perchè avrei a lagnarmene ? In primo luogo le di Lei osservazioni sono esposte e con molta cortesia e con modesta esitanza, quasi Ella voglia, piuttosto che farmi obbiezioni insolubili, invitarmi a scioglierle. In secondo luogo io soglio dire tra me e me: meglio le mille \olte una critica imparziale che non lodi vaghe e infruttuose. O le mie idee hanno con sè la verità; e non mi tornerà • i * malagevole disbrigarle dalle obbiezioni e con ciò anzi rifermarle e farle accettare dagli opponenti sinceri con mia e loro soddisfazione. O sono per contrario campate in aria come bolle di sapone: ma allora perché farei io il ritroso a darmi vinto ? Credo potermi vantare di questo : che io amo in tutto la verità, nient’altro che la verità ; e intendo volerla sempre confessare anche in pubblico, fosse anche con mio rossore. Ma se potessi per- — II — suadere che la verità era da parte mia, io dico: tanto meglio. E perciò che ripigliando la penna su cotesto subbictto, mi propongo svolgere più ampiamente alcuni punti fondamentali toccati soltanto di volo nella mia lettera al Ch. Prof. Amari. Nella quale, promossa da lui per suoi studi speciali, e solo a lavoro fitto e per singolare sua benevolenza congedata alla stampa, credetti dover tenere la dettatura entro angusti limiti; non più di quanto bastasse a soddisfare all’ onorevole mandato. Siccome poi le osservazioni eli’Ella mi fa, hanno tratto alle due Marche, l’Aleramica e l’Arduinica; cosi anch’ io andrò discorrendo più o meno largamente dell’una e dell’altra, incominciando dalla prima di esse, come più affine al subbietto che nel precedente scritto discorsi. A lei dunque non sembra potersi finora concedere che Aleramo avesse giurisdizione di Marchese su quel gruppo di Comitati e distretto, onde io ho colà tracciata l’estensione e i limiti; segnatamente non le pare dimostrato nè chiaro che Aleramo fosse già conte di Savona; essendoceli soltanto nel sesto documento dell’ anno 1004 compaiono per la prima volta i nipoti d’Aleramo, marchesi Guglielmo ed Oberto, ad esercitare in Vado distretto di Savona la dignità ed ufficio di Conte-Marchese (1). Ma con ciò implicitamente mi fa capire che, per suo avviso, le donazioni di proprietà ed anche di molte corti regie conferite dall’imperatore al marchese Aleramo non bastano a dimostrare, che costui avesse la sua giurisdizione su questo stesso distretto ove era situata una gran parte ti) Cfr. San Quintino, Osservazioni etc., doc. 1, p. 9. dei beni a lui come sovra donati. Ed io rispondo subito: che nemmeno a me bastano siffatti indizii, da per se soli, serica il sussidio d'altri criterii. Per altro sono persuaso che ella non vorrà troppo estendere questa obbiezione fino a cavarne le conseguenze che ha creduto cavarne l’illustre di S. Quintino. Il quale ripetè ed esagerò un dubbio già emesso dall’ egregio pubblicista genovese Raffaele Della Torre (i); anche questo (sebbene per ragioni diverse e municipali) tutto intento ad impugnare certe derivazioni aleramiche. Se Aleramo, dicono essi, riceveva dall’imperatore donazioni o conferme parziali di signorie e possessioni in certi comitati, ne viene che egli non poteva aver già avuto prima d’allora la totalità della giurisdizione sui comitati medesimi. A chi già possede l’intero, la donazione d’ una parte di esso non sarebbe superflua e senza senso ? E ciò dunque non significa che egli non poteva aver la dignità, la giurisdizione di Conte-Marchese in tutti que’ comitati ove erano situate le cose donategli ? Fin qui gl’ illustri oppositori : a’ quali risponderò con un esempio. Oh bella ! A questa stregua, 1 egregio di lei concittadino il conte Di-Cossilla che abbiam 1 onore di aver Prefetto a Genova, staremo a vedere, se, posto che si è insediato nel nostro storico Palazzo Ducale, intenderà non solo d’infeudarselo ma a dirittura trasmetterlo ai proprii eredi in proprietà. Forsecché Aleramo per essere Conte-Marchese, doveva per ciò solo aver la padronanza di tutti i feudi, corti e proprietà del distretto da lui governato? O forsecché a que’ tempi si era così (i) Della Torre Raffaele, Cyrologia controversiae finariensis, Genova, 1642. — 13 — grossi da non distinguere un uffizio governativo da una privata proprietà o anche da una particolare signoria? Anzi la distinzione, il frastaglio di diritti contemporanei e diversi di più persone sovra una stessa cosa era nel medio evo molto maggiore che non oggidì: come ognun sa, vi erano livelli perpetui, precarie, feudi, sotto-feudi con vassalli maggiori e minori a varii ordini concentrici. L’imperatore potea lasciar godere le Corti Regie all’ordinario Conte-Marchese, ma poteva anche staccarle, e le staccava sovente, concedendole a tempo, a vita, in eredità all’ imperatrice, al vescovo, ai monasteri, a minori vassalli: potea anche tenerle per proprio conto e farle amministrare da un Gastaldo, ecc. Quindi semprecché il Marchese riusciva a farsi donare, in ispecie se in piena proprietà, cotali corti, castella, e simili entfo la propria Marca, faceva opera tutt’altro che superflua: radicava in sé e ne’ discendenti la ricchezza, la potenza e con ciò anche l’ambita eredità della dignità marchionale ; si valeva dì questi privilegi per meglio lottare colle case rivali, per riunire in una efficace unità le già troppo disperse forze del proprio governo: si valeva inoltre della crescente debolezza dell’ impero, destreggiando tra i frequenti candidati alla corona per raggiungere pezzo a pezzo la pienezza della signoria, far anco convalidare e dichiarare legittimi quegli acquisti, che dapprima erano stati tollerati, come usurpazioni non potute reprimere a danno dell’ impero o d’altri signori. Ciascun vede che una serie di siffatte operazioni legate da padre in figlio non sarebbe stata né possibile nè utile fuori altrettanto, quanto dentro il proprio governo. Ed è appunto in questa guisa (senza contar le violenze di — 14 — que’ tempi di ferro, il preteso diritto alle successioni vacanti e le occasioni favorevoli naturalmente sorgenti da tale stato di cose) è in questa guisa che tutti i Marchesi di quel tempo, secondo che io penso, poterono non solo rendere la rispettiva giurisdizione da personale ereditaria, ma inoltre attrarre a questa eredità di giurisdizione la piena proprietà di Corti Regie, di grandi agri di confine, di vaste e numerose possessioni segnatamente nel territorio rurale. Ed è da ciò che, come vedremo, la Marca si converti in Marchesati; siccome per arti simili dei conti il comitato rispettivo si mutò in signoria feudale. A ciò alludevo, quando testé concedendo che la donazione di corti e terre fatta dall’ imperatore non inchiude la dignità marchionale nello stesso distretto, soggiunsi: non inchiude per se sola, e sen^a il sussidio di altri criterii. Ma non può negarsi essere già un ottimo indizio codesto, per iscoprire quivi stesso le più e più volte la situazione della Marca: indizio che acquista sempre più valore col crescere il numero e T estensione dei beni donati : tanto più ove tali beni e signorie si trovino a lungo possedute dalla medesima famiglia. Laddove proprietà poche e disperse o spettanti più di recente e a un solo ramo della famiglia accusano piuttosto che la situazione delle cose donate sia all’ infuori della Marca avita. Del resto il chiarissimo conte di San Quintino si taglia le legna sulle ginocchia, e contraddice al proprio ragionamento quando ammette anche solo come probabile, che Aleramo fosse conte o signore del Monferrato ; giacché eziandio in questo comitato erano situate parecchie delle donazioni confertegli dall’ imperatore. Similmente si contraddice quando riconosce che I’Arduinico marchese - r5 — Odorico Manfredi fosse conte del torinese (il che del resto è notorio ed espressamente detto in una carta del 103 1) (1). Eppure anche questo marchese o il padre suo Manfredo 1 riceve dall’ imperatore Ottone III nel 1001 un diploma, in cui gli si confermano le terze parti di Torino, della Valle di Siisa e molti altri beni e signorie in questo comitato (2): senzacché nemmeno qui la parte noccia al tutto, nè l’imperatore diasi la pena d’avvertire che tutti questi beni sono situati entro la Marca o comitato già governato dal donatario. Infine, siccome e Arduino e Aleramo e Oberto marchesi, presi insieme, possederono proprietà in tutti i comitati dell’ Italia alta e alcuni anche nella media; secondo il ragionamento a cui mi oppongo, si dovrebbero trasportare, Dio sa dove, le marche dai tre suddetti governate, per non aver a incappare nelle loro proprietà e signorie particolari, né si saprebbe spiegare la singolare bizzaria di quelle famiglie in ostinarsi a far sempre acquisti fuori e lontano dal proprio nido. Ma ripeto, io non intesi confutar Lei che certo non concordava coi due critici sullodati; volli piuttosto prevenire le osservazioni di chi si fosse lasciato illudere dall’autorità ed ingegno loro: intesi anche di sgombrare il terreno per poter procedere più spedito nel mio cammino. Ella desidera argomenti più stretti e forse letterali, pei quali consti avere Aleramo realmente ottenuto dal-l’imperatore l’instituzione in sè, e il trapasso ai suoi discendenti della Marca da me tracciata. Argomenti letterali veramente non ne ho, nè spero che altri finora sia (1) Cfr. Moti. Hist. Patr., Chart, II, 119 segg. (2) Cfr. Chart, I, 345'347- — 16 — riuscito a scoprirne: tuttavia a me sembra potervisi supplire con prove indirette, ma tali da poter acquetare pel loro armonico insieme una ragionevole critica; alla peggio da persuadere i giudici più severi del dover rigettare sui nostri avversarli l’onere della prova contraria : e per verità, se anche questo secondo risultato soltanto se ne potesse ottenere, sarebbe non piccolo guadagno in un subbietto storico fin qui cosi oscuro; e non basterebbe allora agli oppositori allegare qualche inverosimiglianza o lacuna difficile a spiegarsi, ma ci vorrebbero, ad infirmare un sistema ben congegnato, argomenti pieni e lampanti. Come accennavo nello scritto precedente, le mie prove indirette posano sui criterii introdotti dal sommo Muratori (i) e da esso applicati alla genealogia Obertenga con tale una acutezza e felicità, da far sorgere quasi piena luce sulla Marca di Genova-Milano ove era buio perfetto, e da fargli indovinare il nesso collo stipite anche di quei rami e famiglie, di cui gli mancavano i documenti, e di cui ora é certa la provenienza. Questi criterii sono : 1.° 11 numero scarso sui principii di famiglie costituite in dignità marchionale. 2.° La ripetizione quasi simmetrica de’ nomi de’ marchesi da avo a nipote o da padre a figlio. 3.0 La medesimezza della nazione e della legge da essi professata, salica, longobarda, ecc. 4.0 11 compossesso sulle stesse giurisdizioni e proprietà tra quei marchesi dello stesso nome e legge; donde, incontrandosi in più documenti un personaggio in cui collimino gli stessi criterii, s’abbia egli a reputare iden- (1) Cfr. Muratori, Delle Antichità Estensi ed italiane, Modena, 1717. -litico a sé stesso, o all’ altro legato di sangue secondo il tempo della vita, la paternità o la figliazione. 5.0 Ove si trovi una Marca o comitato goduti da un discendente, si può ammettere (almeno fino a prova contraria) che anche quivi fosse la Marca o comitato dell’ascendente: tanto più se non si vegga una ragione speciale per dover ascrivere agli avi una giurisdizione diversa da quella de’ nipoti : per esempio se questi ultimi vedansi spiccati dal tronco per trasferirsi altrove per nozze, eredità materna e simili. E s’intende che il ricercatore non si appaghi d’ aver riscontrato uno o due degli anzidetti criteri, ma brami avverarli tutti e coordinarli in un insieme; esamini se la sede della giurisdizione coincida col territorio ove é posta la parte maggiore o più importante delle proprietà e signorie del Marchese e specialmente, se é possibile, la sua chiesa principale, il sepolcro, le instituzioni monastiche: diligentemente distinguendo e ponendo in disparte que’ feudi e proprietà rare e disperse, che per qualunque occasione potessero esser pervenute alla famiglia. Ora, sempre seguendo le vestigia del grand’uomo, a me è parso che nel subbietto presente tutti questi criteri concorrano. Tutti i personaggi scritti nell’albero genealogico posto in fine della mia lettera al eh. Amari si professano ne' documenti marchesi, e di legge salica (salvo i vescovi secondo l’ecclesiastico costume); tutti o quasi hanno un nome che si ripete di avo in nipote e sovente da padre in figlio, formando una omonimia quasi perfettamente simmetrica e appariscente anche ad una superficiale ispezione dell’albero: tutti (ad eccezione di due) hanno dichiarato il nome paterno e molti anche Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XXVIII, Scric 3.*. 2 la loro figliazione, di guisa che si possano convenientemente innestare 1’ uno nell’ altro secondo il periodo contemporaneo o graduato del rispettivo fiorire. Delle poche altre famiglie marchionali dello stesso tempo, le une (come gli Obertenghi e gli antenati della contessa Matilde) professano legge longobarda; le altre (come gli Arduinici) sono bensì saliche al pari de’ nostri marchesi, ma hanno nomi la più parte diversi; onde non c diffìcile distinguerli. In quanto al criterio ultimo posto, con cui Muratori riconosce Oberto a marchese di Liguria perché tali erano certo i suoi discendenti, io mi valgo dello stesso ragionamento; e dico: se Ella concede (e mi par che sì e giustamente) che fossero nipoti d’Ale-ramo quei due Guglielmo ed Oberto che nel 1004 tennero piacilo in Vado di Savona nella loro qualità di conte-marchese, non v’ é ragione di negare la stessa qualità e giurisdizione all’ avo loro comune, il marchese Aleramo. Anzi io ho avviso che non potrebbe desiderarsi documento più calzante all’ uopo di questo placito del 1004. Nel quale essendo i due marchesi consorti e cugini (come vedremo) è naturale il concetto che non debbano aver ricevuta essi i primi tale dignità dall’ imperatore. Una Marca data in consorzio a questa guisa sarebbe cosa insolita e contraria allo scopo di tale instituzione, produrrebbe debolezza ove si voleva forza ed unità. Ma per lo stesso motivo non basta risalire ai padri dei due anzidetti, marchesi essi pure e tra sé fratelli, Ottone ed Anseimo; ma é duopo ascendere ancora un gradino, ove soltanto si trova 1’ unità insieme e della famiglia e della giurisdizione; ove quindi è la forza per l’adempimento del comune scopo di difesa, e la ragione dell’in- stituzione della Marca, come vedremo più avanti. A questo superiore’gradino sta Aleramo, marchese egli pure, padre dei marchesi Ottone ed Anseimo, avo dei marchesi e cugini Guglielmo ed Oberto; quindi stipite loro comune, e vero ed unico fondatore di quella Marca che i posteri a ragione denominarono da lui. Ciò apparirà più chiaro quando si rifletta che nei di lui figli e nipoti il titolo di marchese apparisce sempre ne’ documenti, senza trovarsi cenno di uno stato loro anteriore in minore dignità; laddove di Ale-ramo si sa che fu soltanto conte fino al 948 (1) almeno, e che fra quest’anno e il 961 comincia a fregiarsi del maggior titolo di marchese (2). Di che si scorge intorno a qual periodo di tempo sia spuntata la nuova dignità che vedremo contemporaneamente comunicata a due altre famiglie, e in paesi che anteriormente dipendevano da più antichi ed ampii distretti. Si comprende pure che in un’età, ove i titoli non erano vane mostre, a questa nuova dignità dovea corrispondere un governo effettivo e posto geograficamente colà ove si vedono per documenti fregiarsi di egual titolo e giurisdizione i nipoti del primo marchese. Ciò per gli Aleramici fino al 1004 almeno. Ma una serie preziosa di altre carte ne accerta che mentre Savona, all’uso delle città di quel tempo, andava via via emancipandosi da’ suoi conti-marchesi, lasciava loro ancora godere alcuna ombra di giurisdizione sui cittadini ; però solo ad una condizione: che ciascun personaggio della famiglia marchionale, via via che entrava al possesso di tale giurisdizione, giurasse solennemente di rispettare i (1) Cfr. diploma del 5 Luglio 948 in Mon. Hist. Patr , Cod. diplont. Longo-bardiae, 1001-1002. (2) Cfr. p. 20, n. 3. — 20 — privilegi de’ cittadini medesimi. Lo stesso avveniva contemporaneamente nella città di Genova per rispetto ai marchesi Obertenghi : senonché, dove negli archivi di quest’ ultima fu conservato un solo di cosiffatti giuramenti, la città di Savona fu più felice: in quanto i suoi registri a catena (i) (i libri del giuri o cartarii come noi li chiamiamo) ne conservano quattro per disteso, e di più v* ha il sunto di un quinto. 11 eh. conte che pubblicò primo questi giuramenti savonesi in un col placito del 1004, si volge quasi con aria di chi è certo non poterglisi rispondere; e chiede dove sieno nella discendenza Aleramica i nomi de marchesi corrispondenti a quelli per lui venuti in luce ? Eppure ei ben conosceva i Monumenti Aquensta del benemerito Moriondo(2): e avrebbe trovato ivi agevolmente il suo bisogno per mezzo degli alberi genealogici disposti in fine del secondo volume, col rispettivo richiamo de documenti sparsi nel corso dell’opera. Abbiamo testé notato come appunto i nomi de’ marchesi Guglielmo ed Oberto si trovassero ne’ due nipoti d’Aleramo. Si sa che costui, oltre uno a lui premorto di nome Guglielmo, ebbe altri due figli appellati Ottone ed Anseimo, coll intervento de’ quali fondò nel 961 il monastero di Grassano in Monferrato (3). Si sa che da quell Ottone nacque il marchese Guglielmo il quale col fratello Riprando e collo zio Anseimo fondano nel 991 un monastero a Spigno nel comitato d’Acqui attiguo al savonese (4). Dall’altro figlio (1) In Archivio Municipale di Savona. Per questi registri, cfr. San Quintino, Oss., p. 26 in note; Bruno Agostino in Atti Soc. St. Savonesi, I, pp. 354-}^°- (2) Moriondo G. B., Monumenta Aquensia. Torino, 1789. (j) Cfir. Moriondo, op. cir., II, 292. (4) Cfr. Moriondo, I, 9. d’Aleramo, il marchese Anseimo, nacque il marchese Oberto, il quale nel 1030 coi figli Oberto II e Guido accrescono di ricca dote l’antico monastero di Sezzé altra terrà dell’Acquese (1). V’aveano dunque verso il 1004 due Aleramici, Guglielmo ed Oberto, possessori di ampie signorie in distretti attigui al savonese; anzi (che è da notare e vi torneremo più avanti) i fondatori del monastero di Spigno del 991 accordano la consecrazione dell’abate prò tempore al vescovo di Savona. Né può destare sorpresa che il marchese Oberto di Vado del 1004 sia lo stesso di quello di Sezzé nel 1030, giacché egli ha in quest’ ultimo anno due figli che concorrono a una donazione e sono perciò maggiorenni. Se adunque il eh. Conte non trovò nella genealogia aleramica i due Marchesi del 1004, gli é perché egli li cercò come fratelli quando erano cugini. Ma il documento del 1004 non dice punto che fossero fratelli; e siccome in questo secondo caso si soleva esprimere tale più stretto grado di parentela, cosi il silenzio del documento avrebbe da per sé dovuto indurre il sospetto di un grado più rimoto. Continuiamo l’esame delle Carte Savonesi pubblicate dal San Quintino : vedremo, dopo l’Oberto del 1004, comparire un altro Marchese Oberto che per ciò chiamo II, e che presta giuramento a Savona nel 1061 (2); mostrando con ciò esser venuto al possesso de’ diritti marchionali in quel torno e per morte del padre. E nel Moriondo abbiamo appunto trovato e riferito la donazione al monastero di Sezzé fatta nel 1030 da Oberto 1 coll’inter- (1) Clr. Moriondo, I, 25. (2) Cfr. San Quintino, Oss., etc., doc. Vili, p. 42. vento de’ figli Oberto li e Guido. Dunque anche questo Oberto II del 1030 si lascia benissimo identificare con quello di Savona del 1061: difatti il Moriondo lo aveva già identificato, comeché ignorasse l’esistenza del placito del 1004 che raddoppia il valore dell’argomento. D’allora in poi cessa di apparire il nome d’ Oberto ne’ giuramenti savonesi; ed anche ciò riscontra colla genealogia aleramica ; dove non solo non si trova più questo nome, ma si estingue verso la fine di quel secolo il ramo a cui i due Oberti appartenevano. Alla morte del Marchese Guido fratello di Oberto II senza prole maschile succede unica erede la figlia Adelaide, la quale cede i suoi diritti sovra Sezzé al vicino Comune di Gamondio (ora Castellazzo d’Alessandria) (j). Questo ramo Aleramico si può chiamare di Sezzé, sia perché cosi si trova denominato in un atto l’ultimo Marchese Guido, sia perchè questa terra pare esserne stata il soggiorno favorito. Ma se si estingue il ramo di Sezzé o di Oberto I, non cessa per questo la linea del padre di Oberto I, il Marchese Anseimo. Perché i documenti moriondeschi ci palesano altro figlio di quest’Anselmo, anch’esso nominato Anseimo, vivente nel 1047 (2), allorché il padre era già morto, e perciò ben distinto da noi come Anseimo II. Abbiamo poi, sempre da fonti non sospette, due altre successive generazioni d’Anselmi, figli l’uno dell’altro, viventi nel 1055 (3) e nel 1062 (4), ben distinti tra loro per la moglie o madre e pe’ fratelli; e che noi perciò giusta (1) Cfr. diploma del 1106 in Moriondo, I, 44. (2) Cfr. placito di Broni in Ani. Esteri., P. I, 165 e Moriondo, II, 308. (3) Moriondo, I, 33. Cfr. anche p 90, n. 4. (4) San Quintino, Oss., doc. X, p. 50. — 23 — il citato criterio muratoriano incastriamo in una sola linea, facendone un Anseimo III figlio del II ; ed un IV figlio del III. L’Anseimo IV ha due fratelli Manfredo e Ottone: i quali tre uniti compaiono a giurare in Savona nel 1062. L’ un di essi Ottone consideriamo una sola persona col suo omonimo padre di quel Bonifazio Marchese che anch’esso giura in Savona nel 1084 (1). E figli di questo Bonifazio sono i marchesi Manfredo e Guglielmo, i quali nel 1135 (2) prestano nella stessa città l’ultimo giuramento di cui resti memoria. Fin qui discorremmo la discendenza d’Anseimo I figlio d’Aleramo; passiamo alla linea dell’altro di costui figlio Ottone. Fu visto nascere da Ottone quel Marchese Guglielmo che col cugino Oberto nel 1004 tengono placito in Vado ; e che noi chiameremo Guglielmo II per rispetto ad un primo dello stesso nome, cioè al figlio premorto d’Aleramo. Dopo d’allora troviamo altri due Marchesi Guglielmi che vengono anch’ essi a giurare in Savona ; l’uno nel 1059 (3) che chiameremo il III; l’altro nel 1085 (4) che diremo Guglielmo IV. Or bene anche le carte del Moriondo ne accertano dell’ esistenza di due xMarchesi dello stesso nome e intorno allo stesso periodo di tempo, e 1’ uno di essi certamente figlio dell’ altro. Il più giovine (Guglielmo IV) comparisce nel noi (5) insieme al fratello Marchese Rainero, e da questi comincia l’origine comunemente ammessa della casa de’ Marchesi (1) San Quintino, Oss., doc. XIII, p. 60. (2) San Quintino, op. cit., doc. XX, p. 130. (3) San Quintino, doc. VII, p. 34. (4) San Quintino, doc. IX, p. 49. (5) Cfr. donazione alla chiesa di Sant’ Eusebio di Vercelli, in Moriondo, I, 41. — 24 — di Monferrato; la quale presto e per causa specialmente delle Crociate si levò a tanta fama e grandezza. Ma Guglielmo IV e Rainero del noi si professano figli del quondam Guglielmo III surnomato di Ravenna, dalla patria, come pare, di Otta sua moglie o da sue avventure ivi. Nulla dunque di più naturale che il Guglielmo del noi sia quegli stesso che prese possesso nel 1085 de’ suoi diritti Marchionali in Savona prestando giuramento: e che l’omonimo padre di lui sia quegli stesso che avea fatto simile giuramento nel 1059; come io li identificai aderendo in ciò alla proposta dell’ acuto e dotto tedesco il prof. Wùstenfeld. Ma siccome, per risalire ancora indietro dal 1059 al 1004 la lacuna é abbastanza ampia, cosi volontieri mi accostai di nuovo al parere del lodato Tedesco, ponendo tramezzo a queste due date quell’Ottone che in un documento moriondesco del 1040 si dichiara Marchio et Comes Monlisferratensis (1). Il quale é uno dei soli due per- • * * sonaggi dell’albero genealogico, a cui manca ogni notizia di paternità e di figliazione; ma pel tempo in cui fiorisce, lo si può acconciamente innestare a quel posto, come figlio del Guglielmo placitante in Vado nel 1004, e come padre del Guglielmo giurante nel 1059: e si lega per bene cogli antenati e coi discendenti; cogli antenati perchè ripete in sé il nome del proprio avo Ottone figlio d’Aleramo; coi discendenti, perché a sua volta viene ad essere l’avo dei primi certi Marchesi di Monferrato, ed ei stesso é detto Marchese e Conte di Monferrato. (il Cfr. atto di fondazione del monastero di San Silano in Moriondo, II, 301; — 25 — Ciò posto si capisce il perché, anche in questa linea di Ottone figlio d’Aleramo, cessino i giuramenti in Savona dopo quello di Guglielmo IV nel 1085. Gli é che, alla morte di costui dopo il noi, il ramo ormai s’era affatto staccato dal tronco: aveva acquistato con titolo proprio e stabile una separata esistenza ed anche sede e interessi differenti; sebbene, come accennai nello scritto precedente, non manchino anche assai più tardi le tracce dell’ antico appicco. Del resto a che giovava più un giuramento verso i cittadini, i quali non solo si erano affatto emancipati dal Marchese ma procedevano con sempre crescente potenza fino a sottoporre al loro giogo l’antico Signore ? Vedemmo difatti eziandio nell’altra linea aleramica continuarsi per un solo grado di più e fino al 1135 questo giuramento che era ornai più che un’ ombra, un insulto ; potuto rifiutare non che dai cittadini, da’ Marchesi stessi. Ad eguale fatto nel medesimo periodo soggiacquero i Marchesi Obertenghi verso Genova; e tutte in generale le Case Marchionali e Comitali verso la città principale del rispettivo distretto. Ottone di Frisinga (1) e il Poeta Ligurino ci narrano dei Conti del Palazzo Imperiale d’Italia, i quali già Signori di Pavia dovettero poi subirne il giogo e rincantucciarsi nella vicina campagna; donde presero il più umile titolo di Conti di Lumello. Il Sig. di S. Quintino, annotando i documenti da lui pubblicati, aveva intravveduta, come dissi, la consanguineità dei due Marchesi del 1004: avea pure ammessa, (1) Cfr. Rer. Ital. Script. VI, p. 717; Pertz. Mon. Gtrm. Hist. Script., XX, p. 83. Cfr. anche Carutti Domenico, Regesta Comitum Sabaudiae. in Bill. Storica Ital. per cura della R. deput. di St. Patria, V, Torino, 1889, pp. 363-365. —= 26 — almeno come probabile, la discendenza da questi stessi di tutti gli altri Marchesi giuranti in Savona; avea persino acutamente notata una ripartizione de’ Giuranti in due linee parallele, i cui membri si presentano in tempi diversi, mano mano che si dovea aprire la loro successione al rispettivo ascendente : e appunto chi prenda ad esame il mio albero genealogico, vi nota facilmente cotale prima bipartizione in una linea di destra ed una di sinistra. Quella di destra dal titolo de’ principali discendenti si può appellare (per anticipazione) di Monferrato ; sebbene essa pure si suddivida allargandosi ne’ rami collaterali di Occimiano, Montechiaro, ecc. e desumendo ciascun sottoramo il nuovo nome dalle sedi rispettive in regioni attigue allo stesso Monferrato: anzi comprese essendo le regioni stesse nel Monferrato quando questo nome si prenda nel suo più largo significato. La linea di sinistra pe’ suoi discendenti principali si potrebbe appellare (in anticipazione) de’ marchesi di Savona: ma anch’essa si suddivide; e ne sorgono tre rami che nel mio albero sono disposti da destra a sinistra, ma nella posizione geografica tengono una direzione da tramontana a mezzogiorno. Il primo ramo é quello che già conosciamo col titolo di Setfi, ed è il più vicino verso tramontana alla Casa di Monferrato. Il secondo ramo é quello di Pontone, che si suddivide in altri di Pareto, di Ussecio (Beiforte d’O-vada) ed in quello più noto del Bosco (presso Alessandria); terra quest’ ultima invero Obertenga e del comitato di Tortona, ma in cui certo, come in terre vicine, questo ramo Aleramico fece punta. I marchesi del Bosco-Ponzone, per meglio conservare la memoria dell’antico vincolo colla — 27 — casa di Savona, spingono i loro dominii fino al mare a Varazze, ad Albisola e fanno donazioni alla Cattedrale di quella città; come il chiarissimo Di San Quintino vide egli stesso e confessò. Ultimo a sinistra o a mezzodi viene il ramo più strettamente detto di Savona, il celebre marchese Bonifacio giurante ivi nel 1084 coi due figli giuranti nel 1135. Ma Bonifazio ne ha otto figli ; un di questi Enrico riceve appunto il titolo di marchese di Savona in documento che vedremo del 1183 (1), ma i di lui figli lo scambiano col titolo più umile e rurale di Del Carretto ; per quelle medesime ragioni e vicende, onde vedemmo l’altro ramo pigliare il nome dal Monferrato, e i conti di Pavia divenire di Lumello. Un altro figlio di Bonifacio avente il nome paterno é diseredato (2) : pure la sua discendenza si mantiene in Incisa (comitato Acquese) e ne assume il titolo. I sei altri fratelli si diffondono in ampii territorii posti al di fuori dell’avita Marca Aleramica (del che parlerò a suo tempo) e vi fondano i marchesati di Ceva, Clavesana, Cortemiglia, Saluzzo, Busca. Questo terzo ramo, non potendosi più appellare di Savona dopo il sunnotato distacco e per la piena emancipazione della città dalla signoria marchionale, eppure avendo ancora a lungo interessi comuni e la memoria della anteriore unità, prese il titolo generale di casa de’ Marchesi del Fasto; della quale denominazione non tenterò offrire spiegazioni. Senonché estinto, come dissi, il ramo di Sezzé, la linea di sinistra o di mezzogiorno rimase composta di (1) Cff. p. 61. (2) Cfr. p. 48. due sole case raccolte sotto i titoli di Del Vasto e di Bosco-Ponzone, mentre la linea di destra o di tramontana consiste nella casa di Monferrato-Occimiano. E queste appunto sono le tre case marchionali che compaiono sovente dal secolo XII in avanti o alla corte imperiale o involte in interessi coi vicini comuni e co’ signori di secondo ordine. E, comecché si vadano sempre più suddividendo e di sedi e d’interessi, pur mantengono a lungo la traccia di questa divisione in tre, anzi lasciando intravedere ancora l’antica unità di tutta la stirpe. Di che toccai nella lettera al chiarissimo Amari, recandone in prova e la lunga e ferma tradizione aleramica, sorta in tempi antichi e non sospetti; e l’esempio di quarte ed ottave parti ereditate dal vescovo Guido come dall uL tima figlia de’ marchesi di Sezzé; e le pretese posteriori su questo stesso Sezzé dei marchesi di Monferrato, come le costoro pretese sovra Albisola al mare. Non è ora mio proposito addentrarmi nello svolgimento di questo fra i muratoriani criterii che io chiamo del compossesso: che vorrebbe troppo lungo discorso e citazioni e note mal confacenti all’ indole del presente scritto. Ma, domando io, la sola giacitura sovra spiegata del mio albero genealogico, non pare a Lei che risponda acconciamente alla giacitura geografica della marca d’Ale-ramo, come venne da me tracciata nello scritto surriferito? La quale Marca verrebbe per tal guisa ad estendersi non interrotta pei tre comitati di Monferrato, Acqui e Savona, avendo a mezzodi per confine il mare, a tramontana il Po, a levante i comitati di Genova, Tortona, Pavia, Milano (Marca Obertenga), a ponente i comitati di Al-benga, Alba, Mondovi Asti, Torino (Marca Arduinica). — 29 — Non avevo io ragione di dire che il chiarissimo Conte recò il miglior servizio alla nostra causa, rendendo possibile mercè i nuovi documenti il collegamento di tutte le notizie in un semplice sistema? Ma che in pari tempo preparò a sé un’anticipata confutazione, in quella parte appunto ove più spese fatica ed ingegno ? Che se un critico severo non si mostrasse ancora persuaso dell’ origine comune di tutte queste case, io penso che vorrà almeno ammettere come cosa fuor di quistione, che Bonifazio e gli altri marchesi mano mano giuranti in Savona discendano da Aleramo ; posto che si concede perfino dal eh. Conte che essi discendano dai marchesi Guglielmo ed Oberto del 1004: e postocché non può ragionevolmente dubitarsi che questi Guglielmo ed Oberto sono i nipoti ex filiis di Aleramo. E se ciò venga ammesso, ne inferisco che ad Aleramo deve assegnarsi almeno il comitato di Savona come giurisdizione sua e come facente parte della propria Marca, per 1’ ultimo dei criterii muratoriani sovra indicati; e ciò almeno fino a prova contraria. Del resto anche l’illustre Cesare Balbo riputava Aleramo conte di Savona (1). Ma, se è così, non potrebbersi avere alla mano argomenti da provare, che ad ogni modo al comitato di Savona doveano essere aggregati gli altri due d’Acqui e di Monferrato per costituire una sola Marca? Facciamo d’ esporre questi argomenti se a Lei piace. Anzi tutto, come già accennai, l’essenza stessa della Marca (da Mark confine) inchiude in sé l’instituzione (1) Balbo Cesare, Conti, Marchesi e Duchi dell’Italia Settentrionale in Mem Accad. Scien{e di Torino, Voi. XXXVIII, p. 297. — 3o — della difesa dei confini del regno ; e il vedere costante-mente il Marchese governare al tempo stesso più comitati di confine, dimostra che si volle dall’ imperatore o re imprimere maggior forza ed unità a questa ditesa, col riunire in mano d’un solo i poteri disgregati di più conti. In altra lettera cercherò nuove ragioni affatto personali, che poterono indurre il re Berengario II alla creazione contemporanea di più marche a favore d’Aleramo e di altri conti vicini. Ma la ragione primaria e più calzante per istituire questi maggiori governi, mi pare si presenti da sé, sebbene taciuta dai troppo pochi cronisti contemporanei, e che questa sia la necessità nel secolo X di tutelare la zona confinale del mare ligustico dai Saraceni, i quali irrompevano ognor più frequenti e feroci nelle riviere, incendiavano Genova, devastavano il comitato d’Alba a tale che il Vescovo fu ridotto a vivere col lavoro delle proprie mani, penetrarono fino al Monastero di S. Mauro sul Po, invasero la città d Acqui distruggendo per via il monastero di Giusvalla sull Appennino. Donde probabilmente la causa di tutte quelle corti e terre abse cioè rovinate e deserte confermate ad Aleramo in proprietà dall’imperatore nel 967 (1). E di qui pure le parecchie altre espressioni consimili che si trovano ne’ documenti contemporanei dalle Riviere fino a Torino; e la memoria di Saraceni rimasta indelebile, dai cronisti fino alle nostre infantili tradizioni. Ciò premesso, si concederà come cosa al tutto naturale che, per custodire più efficacemente per esempio il lido savonese colle regioni che gli stanno a tergo, si riduces- (1) Cfr. diploma 25 Marzo 967 in Chart, l, 217. - 3i - sero sotto unità di governo le forze dal mare fino al Po pel doppio pendio Appennino; il che appunto si otteneva colla riunione dei tre comitati di Savona, Acqui e Monferrato. E questa conseguenza sarebbe, non che naturale, indeclinabile quando si riuscisse a provare (e credo si possa) per mezzo dell’ illustrazione delle marche vicine, che queste marche tenevano rinserrata tra loro l’aleramica. Essendocché in tale caso al comitato di Savona non resterebbero possibili ad aggregarsi altri che Acqui e Monferrato, postocché a levante la marca Obertenga si stendesse da Milano a Genova e alla Lunigiana coprendo la riviera orientale e le regioni a tergo con sistema strategico simile a quello veduto pel lido savonese; a ponente la marca Arduinica coprisse il resto della riviera di ponente con Albenga e Ventimiglia, con a tergo i comitati transappenini Alba, Bredulo (Mondovi), Asti, Torino ed oltre; se'infine a settentrione del Po i comitati appartenessero ad una delle due ultime marche o a quella più antica d’Ivrea. Che se dopo aver considerata la Marca Aleramica in complesso, scendiamo ai singoli suoi comitati, confido che verremo alle stesse conclusioni. Che Aleramo fosse Signore del Monferrato e che questa regione entrasse nella sua Marca, lo attesta il marchese Guglielmo, professandosi successore di quello in Marchia nel noto documento moriondesco del 1156(1); quando cioè erano ancor fresche le tradizioni di famiglia, e, al tempo stesso, non era più soggetto al menomo dubbio il titolo (1) Donazione in favore del monastero di Grassano fatta da Guglielmo di Monferrato e da Giulitta d’Austria sua moglie, Cfr. Moriondo, II, 327. — 32 - di Marchese di Monferrato in quel Guglielmo. Oltrecché Aleramo in questo comitato ebbe non solo molti e grossi possedimenti, ma, che più monta, scelse il suo riposo e la tomba in quel Monastero di Glassano, da lui co figli, come vedemmo, fondato e dotato. Del resto la tradizione della signoria Aleramica, in questa regione specialmente, è tanto antica e generale che perfino il Ch. di S. Quintino non dissente d’ammetterla ; e scorgo con piacere che anch’ Ella l’accetta. Ma, così essendo, cresce l’argomento per inchiudere nella stessa Marca il Comitato d’Acqui, che posto in mezzo tra gli altri due di Monferrato e di Savona, ne • • è l’unico anello d’unione. Invero una Marca, costituita di due estremi interrotti, sarebbe, non che debole, un impaccio, senza senso, ridicola. Arrogi, Aleramo nei più antichi documenti ove é Conte, ma non anco Marchese, si scopre possessore di Signorie nel solo Comitato d’Acqui; nel Monferrato non comparisce che da quando fu fregiato della dignità Marchionale; anzi (e si vuol porvi mente) il Monferrato non è un Comitato vero nell’ antico senso di questo vocabolo, ma sì un recente distacco dai Comitati vicini e più specialmente da quello di Torino o dalla Marca d’ Ivrea, come ha ben veduto il Ch. Durandi (i) e come provano le circoscrizioni diocesane colà. Perciò esso é uno di que distretti rurali impropriamente detti Comitati che sorsero intorno allo stesso tempo come Santhià per rispetto a Vercelli ed altri che ometto per brevità. La coincidenza di questi due fatti, della dignità marchionale in Aleramo, (i) Durandi Jacopo, Piemonte Cispadano. Torino, 1774, pp. 319-320. — 33 — e della prima memoria che allora si trovi d’un comitato di Monferrato, inducono la persuasione che si tratti di due creazioni contemporanee e per lo stesso motivo ; in altre parole si direbbe che il nuovo comitato sia stato instituito in servigio e a compimento della nuova Marca. Di che avrò agio a riparlare nella penultima lettera. Per le esposte ragioni io avviso che il lodato Durandi cogliesse nel segno, attribuendo ad Aleramo l’Acquese come primiero comitato di lui e del conte Guglielmo suo padre (i); ma che altrettanto fossero nel vero il conte di S. Quintino e Cesare Balbo, quando il primo di essi teneva Aleramo conte di Savona e il secondo lo teneva conte del Monferrato. Questi tre chiarissimi personaggi, forniti di tanto ingegno e consumati nella storia di questi paesi, non poteano senza qualche fondamento aver adottata tale rispettiva opinione: errarono soltanto nell’escludersi a vicenda, laddove avrebbero dovuto a vicenda integrarsi; tutti e tre non cercarono che un conte e lo trovarono; ma doveano cercare un marchese e lo avrebbero scoperto nel signore dei tre comitati riuniti. lo però prevedo al mio sistema un’ obbiezione che già toccata dal signor di S. Quintino, mi verrà probabilmente rinnovata dal prelodato prof Wustenfeld. Se è vero che gli Aleramici comprendevano nella loro Marca l’Acquese, come va adunque che nella fondazione del monastero di Spigno nel 991 il conte del comitato d’Acqui si vede essere un Gaidaldo il quale nulla ha a fare con que’ marchesi ? (2) Rispondo in primo luogo che lo esservi un conte (1) Cfr. Durandi, Piemonte Cispadano, p. 236. (2) Cfr. p. 20, n. 4. Atti Soc. I-ig- St. Patria. Voi. XXVIII, Serie 3.» — 54 “ speciale in un comitato, non esclude di per sé l’autorità superiore del capo di tutta la Marca sovra questo conte e il suo comitato; del che vedremo a suo tempo un esempio nel conte di Ventimiglia sottoposto al marchese Arduino; e se ne potrebbero addurre più altri nelle marche specialmente le più antiche in Italia e fuori. Secondamente. Supposto anche che nel 991 i figli di Aleramo fossero veramente esclusi da ogni autorità diretta o indiretta sull’Acquese; ciò poteva essere avvenuto a loro temporariamente, ma non essere stato così in vita del padre e al punto della creazione della Marca. Egualmente come Oberto marchese della Liguria, governando al certo il comitato di Pavia come conte di Palazzo, dovea avere non interrotta la Marca dalla Lunigiana a Milano; ma dopo la sua morte (e non senza politica reazione) essendo data ad altre famiglie la dignità palatina, rimane interrotta agli Obertenghi la Marca tra Tortona e Milano. Del resto il nome di Gaidaldo é, nonché strano, ignoto tra i signori in questa regione; nè di lui stesso o di suoi discendenti si ha qui ulteriore notizia. Credo assai probabile che egli sia la medesima persona con un Gaidaldo nominato in due carte inedite di cui possedo copia tratta dall’antico Archivio Genovese (1). Ma, se è cosi, questi si dichiara figlio del quondam Ingone e di legge longobarda; nel 1016 riveste ancora la dignità di conte, ma nel 1017 deve esserne stato spogliato, perché s’intitola soltanto Dominus, cioè, come Ella anche avviserà, uno dei signori (1) Archivio di Stato in Genova {Pergamene dell’ Abbazia di S. Siro (mazzo I). Queste carte furono poi pubblicate in Atti Soc. Lig., II, par. I (Cartario), p. 98 e segg. Cfr. anche Usseglio Leopoldo, I Marchesi del Vasto. Torino, 1893, p. 19. — 35 - o feudatarii di second’ ordine. Vedremo più sotto la portata di siffatte circostanze; frattanto giova notare che nelle due carte del 1016 e 1017 i luoghi, di cui si parla e dove si fa l’atto, sono nel comitato tortonese; dunque vicino, ma fuori del distretto d’Acqui. Ad ogni modo è certo che nello stesso torno di tempo la città d’Acqui non era più né dei marchesi né del conte, ma passò sotto la giurisdizione del proprio Vescovo con un raggio di alcune miglia all’intorno, come accadde verso lo stesso tempo a molte altre città d’Italia per privilegio imperiale. Ma sia che queste città passino a signoria del Vescovo, sia che si costituiscano a Comune, ogniqualvolta si brami riconoscere quale fosse la famiglia che era anteriormente signora e della città e dell' intero comitato, fa d’uopo cercarla in quei marchesi o conti che si trovano ancora tardi al dominio del distretto rurale, come notammo dei conti di Lumello per rispetto a Pavia. Di che avvenne 1’ uso generale in Italia che il solo territorio rurale ritenne il nome antico di comitato (1contado) esclusane la città; come i comitadini, ossia gli abitanti del già intero comitato, non furono più che i contadini; vocaboli già ampii ed onorevoli scaduti al nuovo umile significato, alla stessa guisa che scaddero le idee e le persone da essi vocaboli rappresentate. Ora applicando al nostro caso codeste incontrastabili massime, Ella vede come in tutti i più notevoli luoghi dell’Acquese troviamo signoreggiare gli Aleramici, nè havvi traccia d’altre famiglie signorili. Nel 991 i figli d’Aleramo nel castello di Visone e a Spigno, al monastero del quale ultimo luogo donano terre situate a Pon-zone, Melazzo, Strevi, Bestagno, Sezzé, Carpeneto, Ovada, — 36 — Prasco, Masone, ccc. Nel 1030 il nipote 77-583. — 6o — tenebatur (si notino queste parole tutte preziose) per Enricum marchionem de Saona filium quondam Enrici Guercii ut apparet per publicum instrumentum factum per immuni Jacobi Boviculi Notarii anno 1191 » (0- (Ecco Boviculo che riceve atti già al 1191 come dissi). Anche in questo documento, secondo l’illustre Critico, la parola Guercio deve essere stata aggiunta di proprio capo e per la solita confusione del Notaro Passatore, il quale trascrisse verso il 1292 questa e altre carte nel Libro verde. Ma qui cresce la lorza del nostro ragionamento. Quella trascrizione non é una copia ad uso privato, ma su di un Codice uffiziale ad uso e per guarentir la memoria dei diritti della Repubblica; è fatta dal Cancelliere di quella e da un successore del Notaro Boviculo; fatta col riscontro dell’ originale alla copia, come si è sempre usato in simili casi e coll’ intervento di altri Notari o de’ Consoli stessi della Repubblica. Ma, fosse anche veramente un’ interpolazione, un’ aggiunta del Cancelliere trascrittore allo scopo di far conoscere ben chiaro di quale famiglia fossero que’ marchesi, tale supposizione, ben lungi dal condurre alla conseguenza voluta dal Sig. di San Quintino, condurrebbe ad una conclusione a noi favorevole: l’identità dell’Enrico Guercio coll’Enrico di Savona padre di Enrico II verrebbe cosi attestata da personaggi gravissimi, in tempi assai vicini, in cose d’alto affare e di grande interesse per la Repubblica e per le stesse famiglie de’ marchesi. Concedo anzi che alcune di simili giunte (per es. : rubriche o note marginali, interne correzioni e variazioni) sonosi fatte in registri pubblici (i) Cfr. Cod. Ast., dal n.° 696 al 704. — 6i — od ecclesiastici: ma non è difficile discernerle dalla esterna forma e capirne la ragione : ad ogni modo anche queste sono per noi, non un inciampo, ma un addentellato prezioso per farci intravvedere antiche relazioni che sarebbero al buio senza di ciò, e che certamente poi co’ documenti vengono a dare e ricevere reciproca luce; del che porgerò a suo luogo un esempio nel Registro del Vescovato di Genova. Addurrò ancora un documento per dimostrare l’identità d’ Enrico Guercio Di Vasto-Savona; documento chiarissimo e stringente da bastare a più severi desiderii. Il marchese Enrico fu intimo consigliere di Federico Barbarossa e caldamente si adoperò in favore dell’ Impero nella contesa coi Comuni Lombardi : fu tra i delegati che trattarono e nel 1183 conchiusero la celebre pace di Costanza. Gli atti preliminari di questa pace nominano più volte Enrico col soprannome di Guercio, mentre in più altre carte imperiali egli si sottoscrive Enricus Wercius marchio de Wasto. Ma nell’ ultimo atto che chiude le trattative della pace egli è intitolato Enricus Marchio Saonensis (1). Io non so come meglio possa stabilirsi l’identità d’ una persona, nè come possa ancora rimaner dubbio in animo non preoccupato da sistematica opposizione. Ma fu il sistema che vinse anche qui il ch. Critico e lo indusse a ripetere il solito suo Achille della sostituzione d’una parola ad un’altra, fatta più tardi pensatamente o per error di copiatura. Ma si badi bene in quale spinaio egli s’intrica con questa risposta. (1) Cfr. anche Charl., I, 915, 919. — 62 — Gli atti della pace di Costanza pubblicati dal Muratori, dal Canciani, dal Savioli, dal Wurdtvein, dal Pertz, ecc. sono tratti da non meno di otto codici, indipendenti l’uno dall’altro e dai gravi pubblicatori riconosciuti tutti antichissimi; due bresciani, due romani, due modenesi, un bolognese, un reggiano. L’uno dei bresciani, per attestato del Muratori, è un apografo che si dichiara trascritto dall’ originale da cui pendeva il sigillo dell’ imperatore Federico e autenticato da più Notai al tempo del Podestà di Brescia Ramberto de Ramberti, vale a dire prima della metà del secolo XIII. Altri tre degli otto codici sono i Cartarii pubblici ed uffiziali dei Comuni di Brescia, Modena e Reggio, di Comuni per conseguenza che intervennero come parti ai trattati di Costanza, dove, secondo il consueto, si saranno fatti altrettanti originali, o copie autentiche almeno, quanto erano le parti; e questi originali o copie recate in patria dal Legato o Cancelliere del rispettivo Comune devono aver servito per la trascrizione del trattato nei Cartarii di ciascuno, compilati tutti al certo non dopo il secolo XIII. Ciò posto, e siccome in tutti questi codici nel documento su indicato e allo stesso luogo si trova scritto Enrico Marchio Saonensis, invece delY Enricus Guercius che é negli atti precedenti; io domando come l’errore o il dolo che suppone il ch. Conte, avrebbe potuto insinuarsi in tante copie e codici così autorevoli, differenti di luogo, indipendenti tra sé, imparziali e ignoranti della quistione che per noi si agita ? Non é questa una prova incontrastabile, evidente, che le parole Marchio Saonensis delle copie erano anche nell’originale? £ se il ch. Critico cerca un appiglio in qualche sgorbio onde la parola Sao- nensis è un po’ travisata in Scaonensis o simile, ciò, non che approdargli, gli nuoce: perché si capisce, tali sgorbii essere naturale conseguenza della difficoltà, che vi é sempre, nel trascrivere esattamente un nome di luogo mal noto al copista, ma ciò stesso non fa che confermare 1 esistenza nell’originale della lezione genuina Saonensis da cui questi sgorbi più o meno si allontanano. Laddove non si é ancora trovato né si troverà mai un codice o una copia alquanto autorevole, la quale allo stesso luogo scriva Guercio, o uno sgorbio che in qualche modo a tal lezione si possa ridurre. Pretendere dunque anche qui di sgusciare dalle morse di un documento cosi calzante, é, mi si perdoni la frase, prendere un po’ a gioco i suoi lettori. Né, io credo, vorrà sostenersi sul serio che i Legati de’ Comuni an-zidetti intervenuti al trattato, i cancellieri e i copisti di Bologna, Roma, Brescia, ecc., siensi intesi fra loro tutti per fare questo scambietto, e che sieno stati a tale uopo corrotti dai marchesi Aleramici in tempi, quando non ancora si prevedeva la gran lite per la successione all’estinta casa di Monferrato; i quali marchesi del resto, allorché sopravvenne la lite, ignorarono o non fecero uso di questa prova che loro sarebbe stata tant’oro. Che se vi fosse alcuno ancora così schizzinoso da desiderare la riferma di un altro codice, potrei soddisfarlo, grazie alle schede piacentine di fresco ricevute dal mio amico Alessandro Wolf instancabile ricercatore d’Archivi. Egli ha potuto frugare a suo bell’ agio, tra moltissime altre carte, i due Regesti ufficiali del Comune di Piacenza Magnum et Parvum, sotto gli auspicii del benemerito e dotto conte Pallastrelli. Quella città fece essa pure parte — 64 — della Lega Lombarda e ne conservò i trattati nel suo Regesto, dove pure é una notizia finora sconosciuta, e l’ultima in data, della vita d’Enrico Guercio cioè nel 1184; e vi è detto chiaro e tondo: Enricus Guercms Marchio Saone (1). In fine anche il cronista genovese, continuatore di Caffaro, entra a dar di cozzo nell’ipotesi sanquintiniana. Egli, contemporaneo e annalista ufficiale di questa citta, narra che nella guerra del 1172 contro i Malaspina interveniva anche Enrico Guercio tra i marchesi e signori obbligati per trattato ad aiutare i genovesi in simili casi (2). Ora sotto questo nome di Guercio non può intendersi altri che il marchese di Savona, il quale difatti avea giurata la Compagna genovese fino dal 1154 (3): e poi a qual titolo e quale aiuto avrebbe potuto prestare un altro Enrico che avesse avuto signoria sul lontano Saluzzo o all’introvabile Vasto? Si badi che le parole Enrico Guercio sono cavate dall’edizione di Caffaro fatta dal ch. Pertz sul-1’ originale della Biblioteca Imperiale di Parigi : e ciò per rimuovere ogni possibile sospetto di non buone copie (4). Se io non son proprio cieco, ho dimostrato più che non fosse d’uopo il mio assunto: e l’ho dimostrato in due modi, all’uso legale cioè coll’in genere e l’in specie: in genere per l’identità del titolo Del Vasto che compete (1) Per questi Regesti che si trovano ora per legato del Conte Pallastrelli, nell’ Archivio della Bibl. Comunale di Piacenza cfr. Pallastrelli B., Degli atti della pace di Costanza in ordine alla storia Piacentina; Piacenza, 1862. (2) Cfr. Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, a cura di L. T. Bei-grano in Fonti per la storia d’Italia, Istituto Storico Italiano - Genova, Tipogr. Sordo-muti, 1890 - Voi. I, p. 256, linn. 9, 10, e p. 257, linn. 10 e 11. (3) Cfr. Iur, II, 4, dove porta veramente la data del 115 5. (4) Cfr. anche l’edizione più recente degli Annali di Caffaro già citata in n. 2. — 65 — tanto ai marchesi di Saluzzo-Busca quanto a quelli di Savona-l)el Carretto-Clavesana-Ceva: in ispecie per l’identità della persona di Enrico Guercio Del Vasto con quella di Enrico marchese di Savona. Il quale, essendo senza contrasto il padre di Enrico II del Carretto, e in pari tempo essendo fratello di Manfredo Del Vasto, che è padre a sua volta di Manfredo II marchese di Saluzzo, ne viene che Enrico lì del Carretto e Manfredo II di Saluzzo sono cugini tra di sè in primo grado. Ora, fintantoché resterà vero al mondo che due cugini di sangue hanno un solo ed identico avo, e che il fratello, lo zio, il figlio dell' uno di essi sono legati con quelli dell’altro in reciproco grado: fino a che resterà vero che un individuo non può dividersi in due ed essere il subbietto di fatti che l’uno all’altro contemporaneamente contraddicano, l’illustre Critico ha bel dire e bel fare; ammireremo la felicità e l’acutezza del suo ingegno nel saper trarre apparenti contraddizioni nel medesimo individuo da un suo soprannome transitorio o usato qua e non là, da lacune troppo frequenti nelle croniche e documenti di que’ poveri tempi, o da altre circostanze; ma si potrà scommettere mille contro uno (anzi non si potrà scommettere in buona fede come di cosa troppo sicura) che Egli non giungerà mai a provare la verità di una sola delle pretese contraddizioni. Come difatti accennai nella lettera al ch. Amari, che il Sig. di San Quintino non ha provato punto quella che sarebbe stata vera e seria contraddizione ; 1’ esistenza cioè ancora in vita dell’ Enrico Guercio Del Vasto nel 1183, mentre il suo omonimo ligure sarebbe stato già defunto nel 1182. Ma il documento da lui citato in appoggio chiama i marchesi liguri Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXVIII, Serie }.• 5 — 66 — di quell’anno fììii Enrici, non filii quondam Enrici (i); dunque il loro padre era ancora vivo e poteva essere, era anzi, a Costanza nel 1183, e figurava nell’atto del Regesto piacentino del 1184. Dunque il ch. Conte ha provato il contrario di ciò che intendeva, ha confermato che Enrico sotto • • • entrambi i titoli sopravvisse, certo ottuagenario, a tutti 1 suoi fratelli, anch’essi sotto entrambi i titoli (ad eccezione dell' ultimo genito Bonifazio di Cortemiglia che viveva ancora nel n88) (2); donde ognor più risalta l’identità, come delle persone, cosi delle circostanze della loro vita. D’altro fortissimo argomento toccai nello scritto del -l’Amari e vi ritornerò fra poco; cioè risultare dai documenti, che i Del Vasto, fondatori della Badia di Staf-farda devono essere identici coi marchesi possessori del terreno su cui, o intorno a cui, si alza la Badia stessa (3); i quali marchesi pur sarebbero i cosi detti liguri, come è costretto a confessare il ch. Critico. Ma non volendo, come dissi, esaminare per singolo i ragionamenti dell’illustre Autore, mi appagherò di una risposta che giova anche alla chiarezza del mio assunto. A torto Egli si fa scudo del silenzio de’ documenti savonesi sui due Bonifazii, il maggiore e il minore, cioè sul primo e l’ultimo genito del padre omonimo: donde vorrebbe dedurre che Bonifazio di Savona ebbe soli sei figli, quando il marchese Del Vasto ne aveva otto. Era ben naturale che tutti gli otto figli fossero nominati nel testamento paterno, che è il solo documento donde si ha di lor tutti notizia. Ma era naturale altresì che il (1) Cfr. p. 81, n. 1. (2) Cfr. Manuel, Dei Marchesi del Vasto, p. 81 ; Moriondo, II, 352; e Cod.Ast. n. 32. (3) Cfr- P- 74, i- — 67 — primogenito essendo stato diseredato per aver tradito suo padre e la sua famiglia, non figurasse più in avvenire tra i fratelli, e ne’ loro interessi : ciò tanto più, se, come accennai nel primo mio scritto, il diseredato era a que’ tempi assente e nell’Italia meridionale, ove pare abbia seguito la fortuna della cugina Adelaide che andò sposa al normanno Ruggeri signore di Puglia e Sicilia (i). È a notare però, che i figli del diseredato Bonifacio riuscirono a mantenersi oppure a ritornare almeno al possesso d’incisa nel comitato Acquese, donde il loro padre avea tratto il soprannome di Bonifacio d’Incisa, e donde anch’ essi desunsero il titolo ed ebbero il loro marchesato; ma nulla toccarono del territorio Arduinico o d’ altre parti, sia in virtù della diseredazione paterna, sia anche perché figli di una prima moglie. Così pure il silenzio, nelle carte de’ fratelli, sull’ ultimo genito Bonifazio si può spiegare naturalmente. Perché non trovandosi nessuna traccia di lui salvo che nel 1182 (2) e 1188, sorge spontaneo il sospetto che le vicende tempestose in che si vede essere stata involta questa famiglia, abbiano tratto anche lui, piccolo, lontano dalle patrie terre per ragioni di sicurezza o simili: oltreché essendo egli 1’ ultimo e vivendo ancora alcuni anni dopo morto grave d’età Enrico (che pure non era che il terzogenito) si capisce che deve essere stato minorenne lungo tempo, (1) Rimasta vedova nel noi, passò a seconde nozze con Balduino I, re di Gerusalemme nel 1113; da questi ripudiata nel 1116, mori nel 1118. Cfr. Amari, St. dei Musulmani in Sicilia, III, pp. 195 e passim fino a p. 351; Savio Fedele, e aut. cit., Il Marchese Bonifacio del Vasto ed Adelaide Contessa di Sicilia, p. 17 e segg.; e Desimoni, Leti, ad Amari in appendice, pp. 229-230. (2) In atti del notaio Arnaldo Cumano. Cfr. San Quintino, Oss., pp. 122, 123. — 68 — e non potè come tale concorrere per tutto quel periodo alle donazioni e convenzioni fraterne. Alla peggio se i due Bonifazii, il maggiore e il minore, non compaiono in compagnia de’ fratelli savonesi, non intervengono nemmeno insieme ai fratelli Del Vasto; non v’ era dunque ragione pel Signor di San Quintino di attribuirli più all’ una che all’ altra famiglia. Anzi siccome, per avviso del Sig. di San Quintino, Cortemiglia, che era la porzione del minor Bonifacio, passò dopo la sua morte, ai marchesi di Albenga-Ceva-Clavesana che il ch. Conte annovera tra i liguri, così a quest’ultima, piuttosto che alla famiglia Del Vasto, sarebbesi dovuto ascrivere l’ultimo dei figli di Bonifazio. Senonché altre carte ne dànno indizio che a questa stessa eredità concorsero i marchesi di Savona e quelli di Saluzzo e di Busca; di guisa che, anco per titolo di compossesso, verrebbe provata la identità degli otto fratelli e del comune padre Bonifacio : come per anteriori titoli di compossesso dicemmo raffermarsi la comune derivazione da Aleramo e di questo Bonifacio e dei marchesi del Bosco, di Sezzé, di Monferrato. Del resto i miei amici e colleghi della Società Ligure di Storia Patria forse ricorderanno, che parecchi anni fa in una speciale Memoria confutai, e spero pienamente, anche le altre obbiezioni del ch. Conte a cui ora non rispondo, e mostrai che queste ultime obbiezioni si sciolgono agevolmente da sé stesse colla sola lettura attenta dei documenti che egli reca in appoggio. Ma la mia Memoria rimase inedita e rimarrà; perché dopo il qui ragionato parmi non punto necessario toccar gli altri appunti; e infine perché (ho da aprirle tutto l'animo mio?) — 69 — io mi son trovato a malincuore invischiato in questa polemica, ove entrai per solo amore di studio e di un soggetto essenzialmente connesso colle mie ricerche sulla storia ligure medievale. E sebbene, vivo ancora il ch. Critico, avessi già fermo il giudizio sulla sua ipotesi (potrei citare testimoni che mi incoraggiavano a scrivergliene), non volli turbare gli ultimi anni della sua grave età; e ieri stesso entrai nella lizza, non dirò, tirato pei capelli, ma (che per me non é il meno) pregato da voce autorevole a spiegarmi categoricamente e quindi a licenziare alla stampa il mio primo scritto. Insomma Ella sa che io non sono per indole un Aristarco; tanto meno avrei gradito questo mestiere rispetto ad un illustre personaggio a cui professo alta stima per l’ingegno, 1’ erudizione," la lucida e pulita esposizione, l’ardore delle ricerche, l’integrità della vita: gli sono poi segnatamente obbligato per le molte verità da lui apprese e in altri studi e in questo stesso subbietto ; perché il suo lavoro mi porse modo di rimuovere le antiche mie difficoltà, d’intender meglio l’andamento storico di quel periodo marchionale e i confini geografici dei distretti ; in una parola di bene stabilire T idea fondamentale del mio qualunque siasi studio storico. E se talora mi lascio alquanto andare allo scherzo, protesto non far ciò per diminuire la stima a un si chiaro uomo che solo un’idea preconcetta travolse ai notati errori, ma perchè mi pare che il mio pensiero tradotto in imagine salirebbe più rapido e vivo alla mente del lettore, ed un po’ di celia tramezzata alle rigide deduzioni logiche renderebbe meno pesante e sgradito a me stesso e agli altri il non focile compito. Senonchè si dirà: come dunque avvenne, che una stessa — 7o - famiglia marchionale entro breve intervallo si chiamasse O con diversi titoli, ora Del Vasto, ora di Savona od altrimenti? Ai tempi nostri ciò non sembra strano ed inverosimile? Nessuno avrebbe saputo rispondere a tale difficoltà meglio dell’illustre Critico. 11 quale avea veduto egli stesso e colla lucida esposizione de’ documenti tatto vedere altrui, che il titolo Del Vasto non comincia a comparire che dal 1162 in poi e alla corte imperiale (1) : e che più tardi il figlio di un Del Vasto lascia di nuovo questo titolo per assumere l’altro di marchese di Saluto. Era stato pure da lui sagacemente e per la prima volta notato che questo titolo dì Saluto non si trova attribuito ne’ documenti contemporanei al figlio di Bonilazio Manfredo I, ma si al tìglio di costui Mantredo 11 e non prima del 1176, con tutto che anche il padre avesse ivi diritti signorili e possedimenti (2). Ancora: era stato da lui veduto che in Saluzzo stesso aveano signoria comune con Manfredo I il costui fratello Guglielmo e i figli di esso Guglielmo: e che tuttavia questi figli di Guglielmo, separandosi più tardi dalla comunione co’ cugini, assumevano il titolo a loro speciale di Marchesi di Busca. Ancora: egli sapeva che i figli d’Enrico I di Savona, Enrico 11 ed Oddone, perdendo i diritti più strettamente marchionali sulle città marittime, aveano scambiato il primiero titolo in quello di Del Carretto. Infine sapeva e confessava che, se il fratello di quell’Enrico I, Anseimo, non trovasi espressamente chiamato marchese d'Albenga; tale era detto in un documento del 1196 il figlio d’An- (1) Cfr. San Quintino, Oss., doc. LV, p. joo. (2) Cfr. doc del giugno 1175 c del novembre 1176 in Moriondo, II. n. 24 e 25. — 7i — selmo, Bonifacio (i) ; e si può ritenere che quest’ultimo e suo fratello Guglielmo, e molto probabilmente già il loro padre Anseimo esercitassero in questa città i diritti marchionali : ma perdettero tali diritti per la stessa ragione che i loro consanguinei savonesi, e ritirandosi al di là dell’Appennino assunsero colle nuove sedi il nuovo titolo; Bonifacio marchese di Clavesana, Guglielmo marchese di Ceva. Tutto ciò sapeva e riconosceva il Sig. di San Quintino. Come dunque non vide che un consimile procedimento poteva essere accaduto nella stessa famiglia anteriormente ai cambiamenti da lui notati? Essendocché quegli stessi figli di Bonifazio, i marchesi Enrico 1, Manfredo I ed Anseimo, nei documenti anteriori al 1162 non hanno titolo né di Savona né del Vasto, ma puramente quello di marchese: onde il ch. Conte è costretto a mendicare supposizioni per distinguere per qual periodo le pretese due case, mancandogli allora lo specioso argomento della diversità del titolo. Tanto più Bonifazio lor padre porta sempre ne’ documenti veri e contemporanei il puro titolo di marchese, senz’altra specificazione. Eppure se dai documenti o carte passiamo alle cronache anche le più antiche, troveremo facilmente qui (come per tutto altrove in simili casi) che i figli di Bonifazio aveano almeno un soprannome; ma il soprannome non si scrivea nelle carte di Notaio o d’ufficio, bensì correva per le bocche del popolo ed era raccolto dal cronista per maggiore intelligenza del personaggio ivi nominato tra tanti altri marchesi omonimi. I figli di Bonifazio dunque si chiamavano di Lorclo, come di uno di essi attesta il contemporaneo dì C(ir. San Quintino, Ots., doc XLII1, p. 157. — 72 — annalista di Genova nel 1154 (1). Ed é possibile che così fosse pure appellato dal popolo il padre Bonifacio, almeno negli ultimi anni della sua vita, quando lo troviamo ad abitare un castello di questo nome che è capo anche d’ un rurale comitato di Loreto oltre Appennino ; e lo vediamo quivi far testamento nel 1125 (2) ed avere avventure in vicine terre, ed avere di qua dall’Appennino altro castello omonimo sul monte a cavaliere di Savona riscontro a dir vero curioso, di che si valse ingegnosamente il nostro Critico a favorire la sua ipotesi e moltiplicare il numero degli enti, secondo lui diversi benché omonimi, ma che tuttavia si può spiegare naturalmente anche senza ammettere una casuale coincidenza, considerando l’un castello rimembranza e imagine dell’altro. Il fatto quindi della successiva e ripetuta mutazione di titoli nella medesima famiglia marchionale è indubitato, quand’anche a’ nostri costumi potesse parere strano: sebbene non può parere strano nemmeno oggidì a chi guardi ai paesi in cui il sistema feudale vive tuttavia o cessò di fresco di vivere, come nella bassa Italia o in Inghilterra. Di che raccogliendo insieme le mutazioni concedute dal Sig. di San Quintino con quelle anteriori da noi descritte, ne risulta una continua gradazione storica di titoli che acconciamente si accompagna alla gradazione e svolgimento dei fatti, li coordina in un bell’insieme; e ne esce netta e filata la storia intera della famiglia. Ricapitolando la quale, vedemmo nella lettera prece- (x) Cfr. Annali di Caffaro, già cit. Voi. I, p. 40, lin. 14 e segg.; e postilla in cui sta scritto: Iste (marchio de Loreto) fuit pater Ollonis et Enrici marchionum de Carreto. Cfr. anche la genealogia dei del Carretto in appendice, p. 304, tav. II. (2) Cfr. p. 48, n. 1. — 73 — dente dal marchese Aleramo uscire due linee di Savona e di Monferrato (non contando quella di Sezzé presto estinta); e da quelle due linee diramarsi famiglie secondarie, ma senza che queste fino al secolo Xll assumano mai ne’ documenti un vero titolo in aggiunta a quello di marchese. Nella linea di Savona si stacca il ramo d’ Ugo li, padre dei marchesi che furono detti più tardi del Bosco, di Pontone, e d’Albisola, come si può vedere nel mio albero genealogico. Il fratello d’Ugo II, Anseimo III, é il ceppo da cui discende il figlio Ottone III e il nipote Bonifacio tutti e due giuranti in Savona; e questo Bonifazio é il padre degli otto marchesi che formano il soggetto della presente mia lettera. Vedemmo Bonifacio non aver nemmen esso un titolo speciale di signoria, tutto al più aver il soprannome di Loreto forse dalla favorita sua residenza; sebbene lo si trovi anche sugli Appennini tra Acqui e Savona a fondare la nota Canonica di Ferrania (i). Non pochi sono i documenti che lo riguardano dal 1079 al 1131 (2). Ma nel-l’anno seguente è morto e compaiono già maggiorenni due de’ suoi figli Manfredo e Guglielmo; quegli stessi che, come dissi nella lettera prima, nel 1135 prestano 1’ ultimo giuramento marchionale in Savona (3). Ma tosto ricompaiono insieme con loro gli altri fratelli di cui si aveva già notizia nel testamento paterno del 112 5; e ricompaiono tutti, ad eccezione dei due omonimi al padre, il primo e l’ultimo genito, per le ragioni della loro (1) Cfr. diploma del 28 dicembre 1097 in Moriondo, II, 313 ed altri del un e 1112, in op. cit. II, 317 nn. 40, 41. Cfr. anche Sanguineti, Della lapide di Ferrania, in pioni. Lig., a. 1875, p. 246-309. (2) Cfr. n. antecedente e pp. 48, 74, 102. (3) Cfr. p. 23. 1 — 74 — assenza testé addotte. E fin dalla prima volta che ricompaiono insieme, par proprio che, per far piacere a noi, si affrettino ad attestare in modo indeclinabile l’identità della famiglia che si andrà poi dividendo. Parlo del documento di donazione alla Badia di Staffarda onde ragionai sopra e nello scritto al ch. Amari: documento che il Sig. di S. Quintino assegna intorno al 1135 (1). Nel quale sono fortunatamente indicate circostanze speciali , per cui si é dovuto ammettere dal nostro Critico che questi benefattori della Badia sono i marchesi liguri ; eppure i beni donati sono nel Saluzzese, anzi uno di questi beni è il terreno stesso su cui o intorno a cui è edificata la Badia. Ora siccome si sa di certo (e per documenti riferiti dal ch. Conte) che essa Badia fu fondata dai marchesi da cui discendono que’ di Saluzzo, ne viene che anche per questo modo restano identificate le due, pretese diverse, famiglie. Altro documento del 1142 riflette donazioni dei fratelli marchesi (riconosciuti liguri dal ch. Conte) fatte di terre nel Saluzzese a favore del monastero di S. Maria di Civitatula (2) : il quale monastero è situato nel medesimo territorio, ma (si badi) è una Colonia del monastero di Tiglieto ; e questo fu fondato dal ramo Aleramico dei Bosco-Ponzone, ed è situato sull’Appennino tra Savona ed Acqui (3). (1) Cfr. San Quintino, Oss., doc. XXV, p. 177. (2) Cfr. San Quintino, Oss., doc XXIII, p. 157 e Moriondo, II, 4- (3) 11 P. Janauschek L. in Origin. Cisterciensium Vindobonae, 1878, p. 9, dice che la badia del Tiglieto fu istituita nel 1120 dal B. Pietro, ma che le donazioni fatte nel 1131 dai marchesi Bosco-Ponzone possono considerarsi come un perfezionamento dell’atto di fondazione. Cfr. doc. del 1131 in Moriondo, I, 47. Cfr. anche Desimoni e aut. cit., I Cisterciensi in Liguria in Giorn. Lig. a. 1878, pp. 216-235 e appendice pp. 282-286. — 75 — Uno dei fratelli, Guglielmo, nel 115 5 riceve feudi nel Saluzzese dal Vescovo di Torino (1); un altro, Ottone, comparisce nel 1157 al paterno Loreto tra i fiumi Tanaro e Belbo (2). Ma mentre questa famiglia ad intervalli si vede in possesso di signorie in Piemonte, é chiaro però che la sua sede principale, i suoi vincoli politici sono finora al di qua dell’Appennino, durante questo che si può chiamare il primo periodo della loro carriera fin verso il 1160: periodo che si distingue dai seguenti pel godimento comune in famiglia dei diritti Marchionali, e per non avere ancora, appunto per questo motivo, titolo particolare oltre quello di marchese (non parlo del soprannome che é cosa ben diversa). In questo primo periodo di fatti i due fratelli più anziani giurano in Savona nel 1135 ; nel 1155 e 1160 hanno essi anche sulla città di Noli diritti marchionali, però già assai infievoliti e posti in quistione. Ma le loro relazioni più gravi e fatali alla propria indi-pendenza sono con Genova. Questa sempre più potente Repubblica emancipatasi dapprima dai marchesi suoi proprii Obertenghi, poi anche assoggettati gli stessi al suo giogo in Città e fuori e oltre Appennino, veniva ora a contatto cogli Aleramici di Bosco, Ponzone, Albissola e di Savona, obbligandoli a giurar la Compagna e attribuendosi sovra di essi una sovranità che in principio era soltanto alta o mediata, ma che non tardava a divenire immediata e piena. Coi figli di Bonifacio entra Genova in relazione nel 1140 con una lega che era intesa a soggiogare con forze comuni Ventimiglia (3). Il quale scopo (1) Cl'r. Moriondo, li, 324 e Chart. I, 806. (2) Cfr. Chart., I, 812. (3) Cfr. lur. I, 70. Cfr. anche p. 49, n. 1. — 76 — potea bensì essere effetto di prepotenza, ma anche la prepotenza deve avere almeno un pretesto, un colore di diritto; e io non ne vedo altro che le pretese di que’ marchesi sul Comitato di Ventimiglia, posto che questo entrasse nella Marca Arduinica, e che que’ marchesi per successione materna venissero eredi della contessa Adelaide. Donde sopra trassi, se non una prova, un indizio della verità di questa materna successione. Dal 1140 in avanti Genova non lascia più la sua preda, anzi sempre più la serra tra le zanne. Le Compagne, le leghe, che i figli di Bonifazio giurano nel 1148 e 1154(1), sono bei nomi d’amicizia ma fatti di vera servitù: nel 1150 e 1155 i genovesi s’immischiano delle quistioni tra i marchesi e la città di Noli e se ne rendono arbitri e giudici (2). Passiamo al secondo periodo che corre dal 1161 al 1170 circa. I fratelli Guglielmo, Anseimo, Ottone non compaiono più e pare sieno morti, i primi due di loro lasciando figli che incontreremo tra poco. Dei due Bo-nifazi, il maggiore e il minore, vedemmo quello diseredato, questo per minore età o altre cause non comparire che al 1182 e al 1188 ; egli muore senza prole prima del 1191, lasciando l’eredità in comune ai figli de’ suoi fratelli. Restano dunque tre i marchesi che incontriamo durante questo secondo periodo, e li incontriamo quasi sempre alla corte imperiale, e nei diplomi di Federico Barbarossa ; ed é quivi dove per la prima volta e poi ripetutamente si sottoscrivono : Manfredus marchio de Wasto. Ugo magnus marchio de Wasto. Henricus Wercius marchio (1) Cfr. San Quintino, Oss., doc. XXVI, p. 182 e Iur. II, 4, già cit. a p. 64, n. 3. (2) Cfr. Iur. I, 149, 157, 186, 188. — 77 - de Wasto (i). Ma Ugone presto scompare dalla scena senza nemmen egli lasciar traccia di prole. E qui comincia il terzo ed ultimo periodo, ove i superstiti della casa di Bonifacio vanno a mostrarsi divisi e nel fatto de’ loro interessi e ne’ titoli. Le signorie su Saluzzo e il Po si vanno quind’ innanzi a ristringere in Manfredo e ne’ nipoti di lui, figli del predefunto Guglielmo. Manfredo portando ancora il titolo di marchese del Vasto dal 1161 al 1173 continua a beneficare la nota Badia di Staffarda che giace sul suo territorio (2). Dapprima continua indiviso coi detti suoi nipoti, godendo in comune il dominio sulla stessa città di Saluzzo; ma il titolo di marchese di Saluzzo non si trova mai dato a lui nei veri documenti, sì al figlio di lui Manfredo II dopo la morte del padre nel 1175 (3). Ma allora era già avvenuta una suddivisione. I figli del predefunto Guglielmo aveano abbandonata la loro porzione della città di Saluzzo e si erano separati d interessi dal cugino Manfredo II, ristringendo il proprio dominio sulla parte più meridionale e montuosa del Saluzzese a Busca; ove fermano la nuova sede, ne fanno un loro marchesato, ne assumono il titolo con cui poscia divengono celebri per le note relazioni coll’ imperatore Federico II (4). (1) Cfr. diploma del 1162 già cit a p. 70 ed altro del dicembre 1167 in Moriondo, II, 332; Antiq. Ital. Medii aevi, I, 317; San Quintino, Oss , doc LVI, p. 301. (2) Cfr. Moriondo, II, 329; San Quintino, Alcune considerazioni sopra i primi Marchesi di Saluzzo, in Mem. Accad. Scienze di Torino, voi. XIII, Ser. II, doc. Vili, p. 331, e detta op. pp. 333 e segg. (3) Cfr. p 70, n. 2 (4) Da Mantredo detto Lancia, figlio di Guglielmo, naque Bianca che, dai suoi amori coll’ imperatore Federico li, ebbe Manfredi che fu poi re di Sicilia. I fratelli e i nipoti di lei seguirono le parti e le fortune di Federico II e di re Manfredi. Cfr. in Cod. Ast., la genealogia dei marchesi di Busca, allegato 7, quadro IV. Cfr. anche appendice p. 302, tav I. - 78 - Le signorie al mare e al vicino Appennino rimangono ad Enrico Guercio e a suoi nipoti figli del predetunto Anseimo. Non si sa se anche qui, come a Saluzzo, dapprima l’eredità fosse in comune tra lo zio e i nipoti; il che però è probabile, sì per analogia, come perché l’assegnare, in ciascuna delle parti ereditarie, uno zio agli orfani protettore, era non solo dovere d’umanità ma a que’ tempi diritto d’ anzianità, Scniorato. Checché ne sia, presto scomparve la comunanza tra Enrico e i figli d’Anseimo. Questi possedono diritti marchionali sulla città e sul Comitato d’Albenga; notai sopra che nel 1196 uno di essi figli, Bonifacio, è chiamato ancora espressamente marchese d’Albenga, sebbene poi anch’egli dividendosi dal fratello Guglielmo, se ne formino nelle nuove sedi i marchesati di Ceva e di Clavesana (1). Perché già fin dal 1170 in una convenzione di questi marchesi col Comune d’Albenga (2) si vedono i diritti loro marchionali sulla città andare sfumando come per tutto altrove. E Genova stessa è già alle porte e li raggiunge in questo stesso anno. D’allora in poi non è più interrotta la catena delle umiliazioni e cessioni fatte da que’ marchesi verso Albenga nel 1174, 1206-23-24-26 (3), verso Savona di cui giurano la cittadinanza nel 1188 (4), e per fino verso i più umili Comuni, come Diano (5) e Cervo di cui devono riconoscere la emancipazione. Anche al di là dell’Appennino sono costretti a confessarsi sotto la dipendenza del (1) Cfr. p. 71. (2) Cfr. San Quintino, Oss., doc. XLI, p. 225. (3) Cfr. San Quintino, Oss., doc. XLII, p. 226. (4) Cfr. il giuramento di Guglielmo di Ceva in Archivio di Savona (Registro 1 a cu tetta, fol. Vili), cit. in Atti Soc. Savou., I, pp. 182, 358; e San Quintino, Oss., p. 220. (5) Cfr. per convenzioni con Diano nel 1172, Chart. II, 1035-36. — 79 — Comune d’Asti ; ma le più gravi perdite soffrono da Genova, di cui giurano la Compagna e a cui cedono Porto-Maurizio, Andora, Cervo, Diano, Valle Arocia, Dol-cedo, ecc. (i 170-82-92 1204-21-27-28-3 3-51-52-5 3 ecc.) (1). Non ci resta che a parlare d’ Enrico. Il quale già nel r 168 comparisce col soprannome (non titolo) di Savona, cioè nel trattato tra Genova e i Malaspina (2). De’ fratelli egli solo ormai quindinnanzi rappresenta l'antica stirpe in Savona e nella parte orientale del Comitato, abbandonando la parte occidentale (Albissola e Varazze) al ramo consanguineo di Ponzone. In Savona riesce ad Enrico a porre sulla sede vescovile due proprii figli successivamente, Ambrogio e Bonifacio (3), per quegli stessi esempi e motivi onde notai nel primo mio scritto la sede d’Acqui successivamente occupata da tre Aleramici, San Guido, Alberto di Sezzé ed Azzone del Bosco-Ponzone: come vedremo in seguito la sede d’Asti occupata da due vescovi Arduinici, Alrico ed Ottone (4). Con tutto ciò anche la potenza d’ Enrico nel Savonese va sempre più infievolendo. Nel 1170 e 76 le sue questioni colla città di Noli continuano a stare sotto 1’ arbitrio de’ Genovesi (5). Nel 1179 abitando egli a Fornello presso Cos-seria vi fonda uno spedale con buona dote (6); ma l’anno (1) Cfr. per convenzioni del 1192, Iur. I, 403; del 1204, Iur. II, 29; e del 1228 Iur., I, 820-832. (2) Cfr. Iur. I, 232-235. (3) Cfr. Ughelli, Italia Sacra, IV. pp. 734, 736. (4) Cfr. pp. 39, 82, 90, 162, 173 e appendice pp. 230-231. (5) Cfr. sentenza arbitrale del 1170 in San Quintino, Oss., doc. XXXI, p. 194 e Iur. I, 251; ed altra del 17 gennaio 1176, in atti del not. Caligepallio, citata da San Quintino, op. cit. p. 208. (6) Cfr. San Quintino, Oss , doc. XXXV, p. 205 e Moriondo, lì, 342. — So - stesso o il seguente abbandona alla città di Savona parecchie delle regalie o diritti marchionali sulle privative di pesi, bilance (i), ecc. Nel 1181 fa un simile abbandono di regalie in Noli in favore di questa città (2), Però in questi stessi e ne’ seguenti anni fino alla sua morte, avvenuta non prima del 1184, Enrico si trova più volte a seguito dell’imperatore ed occupato nei più gravi affari di lui, di cui era divenuto il Cancelliere e il confidente. Egli ebbe, come dissi, larga parte al trattato di Costanza, dove dopo essersi più volte detto Guercio, negli ultimi due documenti del 1183 e 1184 si chiama Marchio Saonensis o Saonce (cioè qui titolo e non soprannome). Ma la sua frequenza alla Corte non implica niente affatto (come suppone il Sig. di San Quintino) Valibi d’Enrico per quei pochi atti che gli vedemmo fare in Savona, Noli o Fornello intorno allo stesso tempo: tanto più quando si rifletta che l’Imperatore allora percorreva l’Italia, e tutti i marchesi, conti o militi erano soliti a que’ tempi passare alternativamente dalle Diete o Corti ai proprii feudi, e percorrere questi in giro con una mobilità che oggi è difficile concepire. Ma d’ altra parte questa speciale carica di Cancelliere dell’ Impero e di plenipotenziario in sì grave e lunga trattativa politica è una ragione abbastanza chiara, per cui negli ultimi due anni della sua vita Enrico abbandonò l’amministrazione delle signorie proprie ai figli Enrico lì ed Ottone. I quali nel 1182 trattano essi direttamente con Genova, ne giurano la Compagna, obbligandosi a non costrurre nuovi ^i) Cfr. San Quintino, Oss., doc. XXXIII e XXXIV, p. 199 c 201. (2) Cfr. San Quintino, Oss., doc. XXXVI, p. 208 e Moriondo, II, 545. — 81 — castelli(i); e nelle parole del trattato « quamdiu marcam comunem habebimus » prevedono la possibile suddivisione tra di loro o anche il trasferimento di uno di loro al di fuori della marca medesima. E questo il documento del 1182 sovra indicato, su cui il ch. Conte architettava la morte, come fosse già avvenuta, dell’ Enrico ligure, mentre i due marchesi trattanti con Genova pur si chiamano fìlii Enrici; ora intendiamo il perchè, vivente ancora il padre, ma assente, essi contrattassero in nome proprio. Che se non mi fossi già troppo dilungato, potrei mostrare con più esempi, e negli Obertenghi e nell’Avo della contessa Matilde, che un caso simile non era allora infrequente; se non si debba dire piuttosto che era ordinario ed avente il chiaro scopo di assicurare meglio l’eredità della Marca in famiglia: come appunto allo stesso scopo e contemporaneamente usarono gli imperatori elettivi di Germania e d’Italia per assicurare la corona ai proprii figli. Non andrò oltre particolareggiando la rapida china dei figli d’ Enrico I di Savona: e come Ottone fino dal 1191 assuma il titolo di marchese del Carretto, sotto il quale nome resse, non senza fama, l’alto ufficio di Podestà di Genova (2) ; come egli e il fratello Enrico II cedano a Savona sempre nuovi diritti e possessi ( 1191-92-9 3,1214 ecc.), (1) Cfr. Iur. I, 319-320. (2) Cfr. due atti del San Quintino, Oss., doc XXXIX e XL, pp. 216 e 222; Atti Soc. St. Savon., 1, 359. Ottone del Carretto fu eletto podestà di Genova nel 1194, durante la spedizione di Sicilia, dopo la morte del podestà Oberto di Ole vano avvenuta in Messina. Cfr. Pertz, Caffaro, Annali di Ottobono Scriba, p. 109 e segg. Atti Soc. Lio. St. Pliuh. Voi. XXVIII, Serie 5.* 6 — 82 - Vado e Quilliano, Veccio, Albisola, Carcare, Cairo, ecc.(i). Anche Noli ne spreme sempre più vantaggiose concessioni (1191-92-93-98, 1208-15-18 ecc.) (2); questa città acquista Segno e Vado e la privativa de’ pedaggi, di porta, di bosco, di pesca e de’ placiti; vale a dire si fa cedere tutti que' diritti giudiziarii e di finanza che erano il nerbo della sovranità. Asti da canto suo strappa agli stessi marchesi più o meno pienamente le loro porzioni ereditarie, tra Tanaro e Belbo, di Loreto, Castagnole, Lequio, S. Stefano, ed eziandio acquista l’eredità ne’ detti marchesi pervenuta dal loro zio Bonifacio di Cortemiglia (3). La quale china è dovuta discendere altresì dal ramo consanguineo de’ marchesi del Bosco-Ponzone. Tra i quali già nel 1135 giura la Compagna di Genova Aleramo, padre dei primi marchesi di Ponzone, fratello del primo marchese del Bosco, Anseimo e del Vescovo d’Acqui Azo-ne (4). D’ allora in poi tutta questa casa piega ai diversi Comuni che delle sue spoglie s’ingrandiscono. Da Genova essa riceve stipendio innanzi al 1200 (5) e le cede Capriata nel 1218 (6), poi Ovadae Rossiglione (nel 1217-18-23-24-28) (7). Da Savona gli stessi marchesi accettano la cittadinanza e ne riconoscono l’alto dominio sui loro territorii marittimi, ad Albisola, a Stella, e Varazze e Celle (nel (1) Cfr. San Quintino, doc. citati a p 81 in nota 2. Cfr. anche Atti Soc. St. Savon., I, pp. 135-157, 169-170, 357-363 e II, pp. m-149; 5 53'6i°- (2) Cfr. Della Torre, Cyrologia, III, p. 38 e Moriondo, II, 363, 365. Cfr. anche p. 59 ed Atti Soc. St. Savon., I e II, pp. già cit. in n. antecedente, e II, pp. 577" 583, 584-586, 591, 598-602. (3) Cfr. Cod. Ast. nn‘. 248, 253, 560. (4) Cfr. Iur. I, 51. (5) Cfr. Iur., I, 551. (6) Cfr. Iur. I, 630-31. Cfr. anche ivi, coll. 489 e 724. (7) Cfr. Iur. I, 589, 571, 726, 728. - 83 - 1181-86-91-98,1202-4-5-6-8-9, 16-17-24 ecc.) (i) ; riconoscono questo stesso dominio anche nelle terre oltreap-pennine di Spigno, Sassello, Cairo, Carcare, ecc. ; mentre per altri territorii i marchesi di Ponzone si assoggettano al comune d’Acqui e i marchesi del Bosco a quello di Tortona. Nella stessa guisa i marchesi di Saluzzo e di Busca lottavano, ma perdendo sempre terreno, col comune d’Asti, e i marchesi di Monferrato e di Occimiano colla città d’Alessandria, la quale di fresco sorta prese la mano al vicino comune di Gamondio che avea già cominciato ad assorbire il marchesato di Sezzé. Così dovunque la città, già capo locale del Comitato, ne diviene anche il capo politico; ne esclude il conte o marchese, lo rintana ai monti o alla campagna, e l’obbliga a deporre, colle regalie anche il titolo urbano: ma le città meglio fiorenti per ricchezza di commerci e di popolo si allargano fuori del Comitato, ingrossano di potenza e di spoglie opime, assorbendo e i Comuni di minor vigoria e i marchesi già signori di questi Comuni. Questi antichi dominatori frattanto si sfiniscono nella suddivisione all’ infinito, nella conseguente povertà e gara perpetua d’interessi tra loro: sole rimanendo in auge le case di Monferrato e di Saluzzo, e per cause speciali di esterna grandezza 0 politica, e per aver adottato ancora in tempo il diritto di primogenitura che permetteva conservare intatto quindinnanzi il patrimonio di famiglia. Queste, s’io ben vedo, sono armonie che porgono ai (1) Cfr. per tutte queste convenzioni con Savona, Asti, Tortona ed Acqui, Atti Soc. St. Savon., I e II; Cod.; Ast. Moriondo e San Quintino, in opere già citate; Costa, Chartarium dertonense, Torino 1814; Bottazzi, Carte inedite dell’Arch Capitolare di Tortona, Tortona, 1853; Monumenti dell'Arch. Capitol. di Tortona, Tortona, 1837. - 84 - fatti storici spiegazione e chiarezza, e riverberano luce anche su altri fatti contemporanei e di famiglie meno note e più povere di documenti: sono in certo modo la chiave della volta, la pietra angolare della storia generale dei feudi e dei Comuni grandi e piccoli che tra i feudi levano il capo : storia che comincia appunto in questi secoli XII e XIII al declinar de’ conti e marchesi, e che finora si trova campata in aria senza base. In cambio di codeste armonie il Conte di San Quintino preferì cercare le disarmonie colla sua analisi spietatamente disgregatrice delle membra d’ un sol corpo. Se il marchese Bonifacio non venne dal Savonese, donde e sulle ali di qual vento portato piombò egli su Loreto e nel territorio Arduinico ? Non si sa. E se una tradizione di nozze tra le attigue famiglie marchionali ciò spieghi assai naturalmente, la non si deve ammettere, finché forse non si scopra l’autobiografia di Bonifazio o d’Adelaide, o una buona firma di notaro con due testimoni. Il buon Muratori se ne sarebbe contentato, secondo una savia massima anche storica : che, dove non si possa aver piena certezza, si può stare alla probabilità; ciò specialmente per quegli oscuri secoli. Ma l’illustre Conte no: piuttosto che stare al lumicino, meglio il buio perfetto. Quale altra raffica di vento e da quanto lontano portò poi Bonifazio e i suoi figli all’ignota Marca Del Vasto? Dove gli altri loro fratelli, di cui nel frattempo manca ogni traccia, se non si vuole che questi sieno i savonesi rimasti nell’ avito nido ? Dove tutti questi marchesi, durante i talor lunghi intervalli che passano tra 1’ una e l’altra sede, tra 1’ uno e l’altro documento ? Non si sa, non si sa, non si sa. E quando il ch. Conte trovò - 85 - i figli di Bonifazio a Saluzzo e alla corte imperiale col titolo Del Vasto, amò crederli vivi qui, ma morti come marchesi di Savona; senza badare ch’egli stesso li sapea vivi pochi anni addietro tanto a Savona quanto a Saluzzo, come possessori e benefattori della Badia di Staffarda. E bastò a lui la mancanza dell’intervento di uno di essi fratelli in un documento per tosto argomentarne la morte, senza riflettere che vi possono essere più altre ragioni di tale mancanza; e che, collo stesso criterio suo e co’ documenti da lui stesso attribuiti ad un identico personaggio, egli si potrebbe trovare obbligato, dopo aver fatto morire tale personaggio, a farlo risorgere. A codesta stregua si sarebbe dovuto argomentare che un dei fratelli, Ugone, sarebbe rimasto vivo soltanto come marchese Del Vasto e morto non solo come marchese di Savona, ma anche come marchese di Saluzzo, contro la supposizione del ch. Critico. Il marchese Ottone collo stesso criterio non sarebbe stato vivo che come signore di Loreto nel 1135 e 11'il- Bonifacio il minore vivo soltanto come signore di Cortemiglia dal 1182 al 91, senza che nessun di loro possano pretendere né alla casa di Savona, né a quelle di Busca-Saluzzo : tutti gli altri fratelli or vivi or morti secondo le date dei documenti che si conoscono o di quelli che si verranno appresso a conoscere. Insomma, si dovrebbero separare in servigio di tale massima non so quante, non dico case, ma individui, moltiplicandoli all’ infinito senza sapere donde vengano e dove vadano a finire. Di che si recherebbe al non plus ultra della perfezione quella teoria di funghi-marchesi a cui accennai nello scritto all’ illustre Amari, e l’altra - 86 — simile di funghi-visconti o signori a cui accennerò nella lettera seguente. Tutti i quali marchesi e signori, in meno che noi dico e come per incanto, saltano su contemporaneamente, forse di sottotterra; e si affollano, quasi dissi, entro non molti miriametri quadrati di terreno in castella, castellacci, castelluzzi, castelletti, castelnuovi, castelvecchi ; in lotta continua tra sè e i borghi ; in condizione fin da principio evidentemente decrescente; quasi vestiti di broccato di stoffa e lavoro magnifico, ma ormai lacero, abbiosciato e rabberciato che, siccome per sistema non si vuole lo abbiano redato dagli avi, l’avranno comprato dal rigattiere : quindi, come stretti dello avere, cosi larghi del desiderio e delle tradizioni; fermi alla bastia, alla bertesca, al ponte levatoio, al pedaggio, come il ragno alle mosche, a tormentare il vassallo e il viandante; quando non abbiano la degnazione di andargli incontro essi medesimi e spogliarlo addirittura sulla grande strada. Il Conte di San Quintino mi risponderebbe che per parte sua ha provato l’identità della casa Del Vasto con quella di Saluzzo, onde, trovato nei documenti l’un titolo, si dee intendere incluso anche l’altro. L’ha provato si, ma come ? con un Breve recordationis eh’ egli ammette essere stato esteso sulla minuta originale del notaio un trenta o quaranta anni dopo la sua vera data (i); Breve dunque, di cui, secondo i suoi criterii, si avrebbe a rigettare o tener per lo meno assai sospetta l’autorità su questo punto di titoli: dove difatto il notaro dà già a Bonifazio il titolo di marchese del Vasto e a Manfredo I quello di Saluzzo; titoli che nei suoi documenti non fi) Cfr. doc. del 1148 (?) in San Quintino, Oss., doc. L, e nota, pp. 285-289. — 87 — portano mai, secondo che concede anche il ch. Conte. 10 invece accetto l’autorità dello stesso Breve; e nel mio sistema calza benissimo. Perchè il notaio medesimo che già fece la minuta, ampliandola più tardi, colla qualificazione di Manfredus Marchio de Saluciis filius Bonifacii Marchionis de Vasto compendia in poche parole la storia di questa casa; e chi la compendia è un ufficiale pubblico che conobbe personalmente la famiglia e le sue vicende; e la compendia, quando la suddivisione de’ rami, divenuta ricisa nel fatto, rese anche necessaria la trasformazione ne’ titoli ; quando queste mutazioni, da oscure o insensibili che erano, sono divenute palesi o stabili, attalché sono accettate finalmente nelle carte ufficiali che riguardano direttamente lo stesso marchese, laddove prima correvano solo per la bocca del popolo o per le cronache, o aveano appena cominciato a far capolino in carte ove 11 marchese era soltanto teste e non parte. A codeste cautele vorrebbe porsi ben mente per potere sfruttar alcuna delle più preziose fonti che rannodano le storie di que’ tempi : col che intendo non solo questi Brevi recordationis estesi più anni dopo il fatto, ma e tutti que’ cartarii, libri verdi, rossi, iurium, a catena, Regesti dei Comuni, delle chiese e dei monasteri, poliptici, ecc. L’autorità de’ quali codici sarà sempre gravissima; ancorché si potesse ragionevolmente credere che certe parole o formole, vuoi nel corpo dell’atto, vuoi molto più spesso nella rubrica, siano variate od aggiunte dall’originale. Difatti, come ho già sovra osservato, quelle parole o formole sono in certo modo i testimoni, gli interpreti del senso deiratto stesso, ma interpreti i più vicini e talora identici alle parti intervenute all’originale; in ogni — 88 - caso i più autorevoli per lunga cognizione e per tradizione non interrotta in affari della stessa natura. Sono dunque il mezzo più acconcio per risalire al fatto primo, o per compiere una prova per sè languida o affatto supplirla; giovano almeno a gittare un filo di luce sovra l’ignoto, e indicano una via di riprova che può riuscire a certezza, quando una non sperata bellezza ed armonia si veda spiccare tra le conseguenze della provata ipotesi confrontate a tutti i fatti già certi storicamante. Ahi ! Ahi ! sento pispigliarmi all’ orecchio. Quante ripetizioni ! Lo so, lo so, è mio costume antico. Sarà povertà d’ingegno ? Può darsi : ma bisogna pur che io ci trovi qualche cosa di tollerabile, perché mi sottoponga all’ingrata fatica di riscrivere più volte gli stessi concetti. Il medio evo, studio mio favorito, amava il ritornello nella leggenda, che non é senza grazia e giova ad imprimere nell’uditore l’idea cardinale. Ancora oggi nelle più ispirate opere musicali, senti fin da principio un motivo che tratto tratto si ripete e si svolge sino al fine: programma in uno, e compendio e chiusa; riposo e riattacco ; simbolo dell’idea o dell’affetto che governa tutta l’azione. Se io male a proposito 1’ uso od abuso, tal sia di me : ma se ho da chiamarmene in colpa, temo di dover imitare quel penitente che per economia di tempo confessava colle peccata commesse quelle che intendeva prossimamente commettere. Perciò, avendo fin qui posto in sodo, parmi, il fatto della mutazione progressiva de’ titoli, benché ne abbia anche implicitamente toccata la causa, amo trattenermi più a lungo su questa causa; considerarla nelle sue ragioni non solo generali ma anco filologiche, e nella sua — 89 — applicazioni ad altre famiglie marchionali contemporanee ma non Aleramiche. E ciò faccio tanto più volentieri, in quanto sento sollevarmi il cuore e alleggerire il respiro; cessando d’ora in poi dall’ ingrata polemica e risalendo a più serene regioni, alla storia, più che dei fatti, delle idee. Ma la mia lettera é ormai troppo lunga; rimandiamo ad altra fiata la sommaria esposizione delle leggi storiche, quale risulta dallo svolgimento delle Marche dell’ alta Italia fino alla loro decadenza. NB. — Nel dar l’ultima mano a questa lettera mi avvenne di rileggere quello che avevo già scritto sullo stesso soggetto nel 1859 (V. Atti della Società Ligure di Storia Patria, Voi. I, pag. 149); e vi trovai da me conosciuto e citato un libro che mi sfuggì poi di memoria, avendo per più anni di seguito interrotto tali studi. Parlo dei Marchesi del Vasto ecc. del Barone Manuel di S. Giovanni. Torino 1858. Il quale libro avendo ora riletto, godo riparare alla involontaria omissione fattane negli ultimi miei scritti; tanto più che nella lettera all’illustre Prof Amari accennai come nessuno si fosse accinto finora di proposito a trattar la quistione sollevata dal Signor di San Quintino. Riconosco al contrario che tal quistione non solo fu trattata, ma anche sciolta nel suo vero senso dal ch. Manuel ; per la parte almeno che riguarda la pretesa distinzione di due Bonifazii e de’ loro discendenti. Meritano ogni lode in cotesto libro l’ordine della discussione, la finezza delle osservazioni e la sodezza degli argomenti, tra i quali erano sfuggiti due a me Genovese, e sono i trattati della nostra Repubblica ove si accenna ai figli e successori di Enrico Guercio, e vi si accenna in guisa da doversene dedurre che questi personaggi non possono essere altri che i discendenti del Marchese di Savona. L’Autore tratta più di volo le altre parti del sistema sanquintiniano; ma si mostra convinto egli pure che Bonifazio chiaramente discende da Aleramo per mezzo dei Marchesi che giurano mano mano in Savona. Nemmeno dissente da noi nell’ ammettere che le case di Bonifazio e de’ Marchesi di Monferrato vengono da un medesimo stipite; anzi rinforza l’antica tradizione con un grave documento, che è la sentenza di Enrico VII nella causa di successione al marchesato di Monferrato (1). Al quale argomento puossi aggiungere un altro non meno grave ma più antico: sono due versi del nostro poeta-notaio Ursone, nato almeno sui principii del secolo XIII, il quale nel Carme della vittoria de’ Genovesi contro Federico II nel (.) Cfr. Muratori, Rcr. Ital. Script., IX, S89; Manubl di San Giovanni, Dei Marchisi del Vasto. p. j7; Muletti, Storia di Saluto, III, j'p. 27, 2S, 59, 94. - 9o — 12-42 saluta uno degli Alleati della Repubblica, il Marchese di Monferrato coi titoli di Ligurum flos, stirpis vastensis lux et generosa propago nominis excelsi (V. Hist. Patriae Monum. Chart. II, col. 1737 e segg. versi 664-66) (1). Anche la discendenza del Vescovo Guido da Aleramo è accettata dal ch. Autore; però credo che egli erri supponendo questo Santo fratello di Oberto II (di Sezzè); mentre Guido di Sezzè sopravvisse al Vescovo di molti anni ed ebbe prole, come notai nel testo. Il punto principale, ove il Bar. Manuel si scosta da noi, si è, che non ravvisa provata nè probabile l’esistenza di un altro fratello di Oberto I, che abbia nome Anseimo come il loro padre. Se fosse vera la sua opinione, resterebbe troncato il filo alla linea dei Marchesi del Bosco-Ponzone-Varazze-Albissola; la quale linea pure si mostra chiaramente consanguinea colla casa di Savona, o consanguinea più stretta ancora con questa che non coi Marchesi di Monferrato. Ma i fatti rivocati in dubbio dall’Autore non si provano soltanto, come ei suppone, coll’ atto di donazione al monastero di Savigliano, che egli reputa fattura dello Sciavo: vi sono più altri documenti incontrastabili, e tutti, salvo uno, noti e già citati dal Moriondo. Quel Marchese Anseimo che assiste ad un placito nel 1047 non può essere identico con quello omonimo che già fin dal 961 concorreva col padre Aleramo a fondare il monastero di Grassano; e ciò non solo per la gran distanza di tempo, ma perchè il primo Anseimo è indicato, come defunto, nella donazione di suo figlio Oberto, nel 1030 fatta al monastero di Sezzè. Anzi questo primo Anseimo non era più in vita nel 1017, quando appare suo figlio Anseimo quondam Anseimo Marchese colla moglie Adelegida in un documento Nonantulano nel Tiraboschi (2). Vi erano stati dunque due Anseimi padre e figlio; e, che è più, uno di questi Anselmi. avea per germano un Marchese Oberto, come rilevasi da un placito del 1014 (3). Tutte le quali notizie collimano col nostro sistema e si adattano ragionevolmente ai nostri personaggi Aleramici, non trovandosi altre case marchionali note ove allogarli. Si aggiunga la pergamena non nota al Moriondo, ma pubblicata dal ch. Bottazzi nel Monumenti inediti dell’Archivio Capitolare di Tortona, e nello stesso Archivio veduta dal mio amico Alessandro Wolf. Ivi è fatta una donazione al monastero de’ SS. Pietro e Marziano di quella città nell’anno 1055; e chi la fa è A dila vedova del quondam Marchese Anseimo di legge longobarda coi figli Anseimo ed Ugo di legge salica come il loro padre. Se dunque lo Sciavo veramente fabbricò la donazione all’altro monastero di Savigliano (il che non voglio qui discutere), si dovrà ammettere che ebbe buono in mano ; ripetendo egli quasi al tutto identici i personaggi e le note cronologiche della pergamena tortonese (4). Per compiere la prova, si vede da documenti che un Marchese Ugo appunto lascia (1) Cfr. anche la versione italiana del Graziasi G. B., Genova, 1857. (2) Cfr. Tiraboschi, Storia della Badia di Nonanlola, par. II, 146, doc. 112; Moriondo, II, 295. (3) Cfr. diploma 7 maggio 1014 in Ani. Est., I, 110 e Moriondo, II, 294. (4) Cfr. Bottazzi, Monumenti ecc., Tortona, 1S37, p. 12. Moriondo. I, 33. Cfr. anche p. 22, n. 3. sui principii del secolo XII più figli che ripetono i nomi salici del padre e quelli longobardo-obertenghi della madre; e sono, Anseimo primo Marchese del Bosco, Aleramo (assai probabilmente) primo Marchese di Ponzone-Varazze, Guelfo d’Al-bisola, Azzone Vescovo d’Acqui; onde si ottiene senza lacune la desiderata genealogia anche di questi rami. Infine il ch. Manuel concorda col Conte di S Quintino nel rigettare la moglie Arduinica di Bonifazio. Gravi scrittori l’accettarono e noi pure; specialmente perchè tali nozze spiegano meglio che in ogni altra guisa il trapassare e lo ampio estendersi della casa Savonese nella vicina marca Arduinica 11). Ma in verità questo fatto non è indispensabile al nostro sistema; onde non vi spenderemo parole oltre quanto ne abbiamo detto nel testo. (i) Cfr. p. <8 in nota c appendice p. 281. LETTERA III Febbraio 1867. Come facevo presentire nelle antecedenti lettere, la ragione generale delle mutazioni oscillanti o graduate, sì ne’ titoli, sì nelle sedi e possessi, sta nella trasformazione politica avveratasi nel periodo dei secoli XI e XII; sta nello scioglimento di tutte le Marche e Comitati e nel loro trapasso in Marchesati, Signorie, Feudi, Comuni maggiori e minori. Tale scioglimento e trapasso non é subito, rapido, violento; ma non voluto e quasi non veduto dagli stessi marchesi e conti fin dopo il compiuto suo effetto : in ciò peccavano le falsificazioni dello Sciavo, il quale fa dividere tutto in una volta e troppo per tempo i figli del marchese Bonifacio, come oggidì più fratelli si ripartirebbero una ricca azienda paterna. Allora per 1’ opposto il passaggio dalla indivisione alla divisione fu lungo e a grado a grado e per la forza delle cose; come accade di tutte le grandi fasi che trasformano gli instituti invecchiati in altri nuovi, senza — 93 - che i contemporanei se ne avvedano e molto meno indovinino la meta a cui si giungerà. Si é questo il motivo onde i cronisti di quel tempo non ne parlano. Essi al solito non sono scossi, eccitati alla riflessione che dagli avvenimenti più appariscenti, più esteriori, violenti: non vedono, e quindi non possono scrivere ne’ loro ricordi lo svolgimento intimo, i gradi insensibili. Se Bonifazio, se gli altri nostri marchesi non si fossero allargati e moltiplicati da un vicino centro, ma fossero venuti dal di fuori, conquistatori o anche solo immigranti, oh ! allora sì, non si sarebbe mancato di farne le meraviglie e lasciar memoria nelle cronache del vivace sentimento prodotto da questi fatti; come appunto nell’ antecedente secolo IX, benché assai più povero di notizie, non si é mancato di notare l’arrivo, dal difuori d’Italia, dei primi Arduinici e il loro alzarsi da povero stato al governo del comitato d’Auriate (Saluzzo-Cuneo). Come pure fu a noi tramandato l’arrivo in Lombardia con Guido di Spoleto di parecchi volontarii, tra i quali un Guglielmo che molto ragionevolmente fu immedesimato con quello che fu poi conte e padre del nostro Aleramo. Chi si faccia ad esaminare diligentemente il periodo storico da noi studiato; e al lume degli sparsi documenti e cronache cerchi formarsene un generale criterio; e la luce che viene dalle famiglie più illustri e ricche di documenti (come la Obertenga) provi a far riverberare sulle altre .famiglie signorili contemporanee ; le lacune minori delle più ricche supplendo coi resti delle famiglie meno fortunate nel lasciare lor traccia; chi faccia tutto ciò, verrà a consentire, io spero, nel mio modo di concepire storicamente la parte, direi così, centrale del medio evo dalla metà del secolo X alla metà del XIII. Il comitato semplice, come i più comitati riuniti a confini del regno (la marca) erano nella loro origine ed istituzione puri offici di governo. Il conte, il marchese erano i rappresentanti dell’imperatore o re; rivocabili anche ad arbitrio; ma di consueto posti pel tempo della loro vita a quel governo, col generale comando della forza armata e colla superiore autorità giudiziaria, a meno che non fosse presente lo stesso re o imperatore, o il conte del sacro palazzo o i messi speciali della corona. Come è noto, gli uffiziali di Governo d’ allora non riceveano stipendio in danaro ma prestazioni personali in natura; segnatamente godevano l’uso di agri, corti regie, palazzi e simili spettanti in proprietà al Fisco Reale o Imperiale. Or bene i Conti e Marchesi approf-fittarono della lontananza dal centro di Governo e della debolezza che proveniva e da ciò e dalle frequenti discordie e gare tra i più concorrenti alla Corona : e seppero destreggiare in modo da assicurare il trapasso dell’ufficio ai proprii discendenti, e con 1’ ufficio anche la piena proprietà e il trapasso dei diritti, possessi e terreni, annessi prima soltanto all’ esercizio personale di quella dignità. Ma la potenza per siffatta guisa radicata nei Conti e Marchesi e non più frenata da una suprema autorità di fatto, se non di diritto, valse loro ben maggiori accrescimenti di potere e di ricchezze, col lasciar loro arrotondare intorno, a dritto o a torto, i possessi; col trasformare i feudi in allodi ; coll’ impossessarsi delle proprietà vacanti per manco di eredi o pel dritto d’ al-binaggio; colla protezione sperata o temuta sovra i — 95 ~ vassalli e i liberi uomini; col mettere i membri della propria famiglia sulle sedi vescovili, usurpare special-mente o porre in quistione le proprietà allora grandissime delle. Chiese e de’ monasteri ; le quali proprietà di pia destinazione (come notai più volte qui e altrove) aveano la stessa natura ed origine delle Corti Regie o Fiscali già possedute dal Marchese (i). Difatti erano le une e le altre per lo più gli antichi confini tra i comitati o Provincie, tra i popoli e i paghi ; confini che assorbiti nel popolo e Impero Romano da questo trovaronsi nel-l’Imperatore e Fisco Germanico prima di passare al marchese o alla Chiesa. I discendenti del marchese in sulle prime non divisero punto tra di sé questa eredità di diritti ; sia che lo vietasse il costume o l’istinto di conservazione della famiglia, od anche un’espressa proibizione di legge: come di fatti si trova vietata nel corpo del diritto feudale la divisione de’ ducati, marche e comitati. Donde viene che i marchesi si vedono esercitare in comune tra fratelli o cugini l’uffizio di giudice supremo nel loro distretto. Per eguale motivo di comune eredità si trovano in Savona, a date diverse, gli Aleramici di più rami a prestar giuramento di mantener le franchigie di que’ cittadini loro vassalli. In questa generale forinola di giuramento essi dimostrano espressamente di venire a tale atto per conservare il diritto marchionale, ad servitium nostrorum hominum retinendum. Si è adunque la prestazione del giuramento che attribuiva o raffermava almeno a loro il diritto di nominarsi col titolo di mar- (i) Cfr. appendice, pp. 284-286. — 96 — chese; e si capisce, come essi continuassero a giurare ancora quando il diritto marchionale sui cittadini era divenuto un’ombra e quasi un insulto. xMa la comunione nella famiglia de’ marchesi fu per lungo tempo, non ispeciale alla loro dignità od uffizio e godimenti annessi, ma fu generale anche per gli altri diritti feudali e perfino pel privato lor patrimonio. Di qui è che, sebbene le generazioni fossero moltiplicate in modo ragguardevole, si vede tuttavia continuare a lungo il compossesso di tutta l’antica casa sui medesimi beni : come dimostrano i documenti, indicano le porzioni a ciascun membro spettanti; i quarti, i ter^i, gli ottavi, i dodicesimi e fino a trentaduesimi ; indicando anche la metà del quarto o simile; il che accenna ad una suddivisione che succedette a più antica divisione. Ma (che importa notare) queste divisioni e suddivisioni non sono reali e pratiche, ma solo ideali; di fatti esse non si ristringono a qualche tenimento speciale, ma si stendono a tutto l’asse ereditario, a tutte le signorie sulla città, sulle valli e monti, acque, pascoli, colto ed incolto; rimanendo così ad ogni membro della famiglia per ogni e singolo pezzo ereditario un quarto, un terzo, un ventiquattresimo, un trentaduesimo o le successive metà della metà e simili. Ognuno comprende che una divisione pratica in questo senso è impossibile ; é chiaro che gli emolumenti, i frutti del comune dominio qui devono essere curati e percepiti per mezzo di uno o pochi rappresentanti della famiglia: il seniore o i visconti (vice-comites'), i gastaldi o comunque si chiamino ; distribuendosi poscia la rendita netta ai singoli membri o rami della stessa famiglia, secondo il grado e il numero de’ “ 97 ~ compartecipi. La divisione dunque è dei frutti, non del capitale; e di mobili non d immobili: il patrimonio come la famiglia conservano la originale unità. Ma é pur chiaro che, se si protraggono troppo e in crescente gradazione codesti fenomeni, la comunione non può durare. Dai figli vengono i nipoti e pronipoti, dai fratelli i cugini a gradi sempre più remoti : mentre si raffredda il sentimento del sangue, si fa più viva ed intralciata la lotta degli interessi. 11 costume antico, l’istinto di conservazione rimpetto alle estranee famiglie, le tradizioni, la legge ripugnano bensì alla scissione, riescono anche a trattenerla alcun poco : si pongono in opera ripieghi da ciò ; patti di famiglia, trattati con giuramento (giure) con uno dei membri eletto a podestà del consorzio che concentri e tenga unite le forze (potestas marchionum de Vasto, potestas de iur a marchionum, potestas hospicii, consortii, ecc.). Tutto inutile. La natura delle cose é più potente d’ogni umano disegno; il progresso dell’ emancipazione prevale e si finisce con divisioni, dapprima dei possessi meno importanti ritenuto ancora indiviso il feudo principale, poi colla separazione intera, per cui a ciascum membro o ramo si assegna un corpo di signoria e di tenimenti uniti tra sè, staccati da quelli dei coeredi, rinunziandosi a quell’ intralcio di possedimenti in ogni singola valle o territorio, che, se è molesto anche nella indivisione, è impossibile a mantenersi dopo la separazione. Allora soltanto 1’ unità della famiglia é veramente disciolta; il ramo è riciso dal tronco e fa pianta da sè; fra breve si ripartirà ancora ed ancora, e si andrà sempre più dileguando la memoria e la traccia della primitiva unità : pure un’ eco come da Atti Soc. Lig. St. Patri». Voi. XXVI11. Serie 3 ■ 7 - 98 — lontano ripete sempre più languido lo scroscio della separazione, e il bitorzolo cresciuto sulla cicatrice ne dà lingua ai più diligenti ricercatori. Tale è la storia delle famiglie signorili in genere; storia non di questo solo periodo, ma e di tutti gli altri in cui si avverino simili condizioni sociali. Perchè anche la grandezza e ricchezza crescente di Roma sciolse il già unico nome nei più cognomi ed agnomi, e disfece a poco a poco gli antichi consorzii degli ottimati che in sé rappresentavano 1* unità primordiale di famiglia. E di nuovo coi barbari irrompenti nell’ Impero fu ricondotto questo rinforzo del diritto di famiglia e di signorìa, onde ora vengo tracciando la disgregazione nello scioglimento che si fece delle case marchionali contemporaneo all’ aumento della popolazione ed al sorgimento de’ Comuni. Laonde, codesta fase essendo di sua natura generale, errano coloro, che, come il ch. conte Litta (i), pongono la distinzione tra le famiglie di stirpe salica e quelle di longobarda in ciò che le seconde usarono nelle eredità la divisione e la suddivisione all’ infinito, laddove le saliche conservavano intero 1’ asse e la signoria al primogenito. Ma il vero si è, almeno per quanto riguarda l’Italia : i.° Che per lungo tempo nessuna delle case signorili di qualunque stirpe o legge usò dividere, nessuna nemmeno escluse i minori fratelli a benefìzio del primonato; ma tutta la famiglia godeva in comune; comecché i più anziani senza dubbio avessero un maggiore e legittimo influsso nell’amministrazione. (i) Litta Pompeo, Famiglie celebri italiane, Milano 1819; per la famiglia d’Este VoL II, Tav. II, nel Marchese Alberto Azzo II; — pei Monferrato Voi. IX. Tav. I nel Marchese Ugo. - 99 — 2.° Che successivamente tutte quelle famiglie signorili divisero e suddivisero; vuoi longobarde come gli Obertenghi, vuoi saliche come gli Arduinici e gli Aleramici di Savona e del Bosco-Ponzone ; e perfino si trova quest’ uso in famiglie di legge romana, come erano i visconti di Genova. 3.0 Che solo in ultimo e per eccezione speciale (notata molto a proposito da Iacopo d’Acqui) (1) il diritto di primogenitura fu introdotto nelle case Aleramiche di Monferrato e di Saluzzo; come rimedio opportuno, preso forse da stranieri paesi e che fu infatti efficace a prevenire la loro crescente dissoluzione. Ché del resto anteriormente all’adozione di tale rimedio, i Monferrato si erano già staccati dai consanguinei marchesi d’Occimiano, e i Saluzzo dai cugini marchesi di Busca, con cui vedemmo aver essi goduto insieme la città lor Capitale : e tutti insieme, come dissi più volte, si erano staccati dall’ unico ceppo Aleramico. La moltiplicazione e la separazione delle famiglie genera senza manco povertà, impotenza, e sempre maggiori discordie e rovine (2). Ma allo scioglimento delle case (1) Cfr. Chron. imaginis mundi, in Mon. Hist. Patr., Scriptorum, III, col. 1538, d. (2) Allo sbocconcellamento de’ terreni prodotto dalle suddivisioni all’ infinito credo io essersi voluto cercare il rimedio nell’Uffizio degli Ingrossatoli di cui parlano, fra altri, gli statuti di Modena e di Parma, e che avea l’incarico di procurare la ricostituzione della proprietà in maggiori corpi per mezzo di permute e di vendite, anco forzose. Altri statuti, come quello di Genova, cercarono il riparo, nei concedere al confinante il diritto di preferenza alla compra del terreno che il suo vicino volesse vendere. Cogli stessi principi del consorzio e del suo graduale scioglimento si spiegano molte tracce rimaste ancora assai tardi negli statuti, come il ritratto gentilizio, il tribunale di famiglia nelle liti loro, l’esclusione delle femmine dall’eredità, la comunione de’ beni tra fratelli ecc. (N. dell’A.) — 100 — marchionali contribuì molto un fatto politico da me toccato nella prima lettera; la perdita, che esse case fecero dovunque, del capoluogo della Marca o comitato, che 0 divenne indipendente o passò sotto la giurisdizione del Vescovo. Con ciò il titolo marchionale e comitale venne a mancare del suo proprio originario significato e trapassò ad un senso esclusivamente rurale, come già osservai a proposito del comitato che divenne contado. Da codesto rompersi della Marca sorsero contemporanee due instituzioni affatto diverse e nemiche : da una parte il Comune, cioè l’associazione giurata dei cittadini sotto 1 proprii consoli o sotto la protezione del Vescovo ; dall’altra la campagna, dove le corti regie, gli agri pubblici colonizzati con famiglie immigranti e protette, rincalzarono la potenza degli antichi conti e marchesi nel distretto rurale ; si confuse quivi in grandissima parte la proprietà col diritto di governo, il dominio sulle cose col dominio sulle persone ; e ne nacque il sistema politico noto sotto il nome di feudo. Cosi i due sistemi, il Comune ed il feudo, si trovarono a fronte; ma, mentre fuori il feudo predominò quasi interamente a tale da venirne la massima « nulle terre sans seigneur », a nostra gran ventura trionfò in Italia il Comune, assoggettando a sè dovunque gli antichi suoi signori : come vedemmo di Pavia, di Savona e di Genova, la quale ultima andava superba nelle sue feste e spedizioni guerresche d’ un codazzo di marchesi Aleramici ed Obertenghi. Cotale storia generale non si trova letteralmente scritta negli Annali, tuttavia non è meno vera. Oltre gli oscuri e dispersi cenni che se ne potrebbero raccappezzare, ne fa fede l’insieme de’ fatti medesimi, che per tale guisa — 101 — soltanto acquistano intelligenza ed organamento di periodo storico, e fanno addentellato col periodo anteriore e coi successivi. Ad ogni modo questa storia e sviluppo .dei fatti è rimasto specialmente impresso nella storia e nello sviluppo de’ vocaboli corrispondenti ; i quali ben suppliscono la mancante ed oscura notizia delle più antiche cose da loro rappresentate, secondo il bellissimo concetto di Vico, onde a me venne più volte giovamento in simili difficili quistioni. Difatti, come sul principio la casa marchionale é una per ogni ampio territorio, così non troviamo nominati che marchesi in genere senza titolo o aggiunta più speciale; bastando il loro nome e la legge, il luogo e la data del documento a distinguere le case marchionali da quelle ad esse vicine ma estranee. Ma non appena il numero crescente e la ripetizione di nomi identici in famiglia comincia a generare confusione, avviene quel che sempre avvenne in simili casi e che tuttora si avvera nei luoghi ove pochi cognomi predominano : per evitare 1’ errore o la confusione nelle persone come nei diversi interessi, cominciano a spuntare i soprannomi ; cioè una qualificazione personale che distingue un marchese dall'omonimo suo consanguineo; tale qualificazione è sempre cavata o dal fisico (Rosso o Rufo, Bianco, Guercio ecc. ), o dal morale ( Pelavicino, Malaspina, Malnipote ecc.), da una nota o vezzo qualunque (Ca-valcabò ecc.), infine, e più frequente, dal luogo di sua nascita o più consueta abitazione (di Gavi, di Parodi, di Monferrato ecc.). Allorché poi tale qualificazione diventa stabile, e dalla persona passa ai suoi discendenti, cessa di essere un soprannome e divien cognome o titolo. In tal guisa - 102 — sorsero a Genova e dovunque i cognomi delle famiglie dal secolo XII in poi, e cominciando dai cognomi de’ visconti ed altri nobili ; mentre i documenti anteriori indicando gli « individui col solo nome di battesimo e del padre, attestano . con ciò la semplicità e la deficienza della popolazione; come era accaduto nei primi secoli di Roma e nuovamente accadde sul primo sorgere della potenza saracinesca. Non diversa fu la ragione de’ nuovi titoli marchionali; e appunto perchè Bonifazio e i suoi figli non ebbero titoli speciali nel primo periodo della loro carriera sovra descritto, basterebbe questo indizio ad argomentare l’unità ed identità; giacché una qualche nota di distinzione avrebbe dovuto sorgere immancabilmente, al trovarsi due famiglie di marchesi vicine e intrecciate ne’ possessi, aventi inoltre nomi tutti identici nel padre come ne’ figli. Ma (lo si noti) quando nelle carte si dice marchese Guido di Gavi o di Se^è, ciò da per sé non significa che Gavi o Sezzè fossero i titoli, il fonte della dignità loro. Dapprincipio tale indicazione non era che un soprannome; passò poi in cognome e divenne infine un titolo di dignità; ma ciò solo dall’istante in cui, perduto il capoluogo, sciolta la Marca e compiuta la separazione nel modo che spiegai, ciascun ramo ebbe a sè un tenimento rurale, che posseduto dai conti si chiamò contado, posseduto dai marchesi ebbe nome di marchesato : marchionatus. Ciò è tanto vero, che una carta del 1079, notando come testimonio Guido di Sezzé, non lo chiama Wido marchio de Seciago ma Wido marchio qui dicitur de Seciago : (1) le quali parole chiaramente (1) Cfr. diploma 4 luglio 1079 (donazione della Contessa Adelaide al monastero di San Solutorei in Cliarl. 1, 660. Guido di Sezzè è pure nominato nella dona- - 103 — significano che il di SeTgè é un soprannome personale, non cognome, tanto meno titolo di dignità desunto dalla sede del marchese; il che sarebbe cosa prematura a quel tempo. Eppure il soprannome era come la scala per venire a questo titolo; e, che esso fosse tratto dal più o meno abitare del marchese in Sezzé, lo si riconosce riflettendo, che Guido era già colà col padre nel 1030, che entrambi vi beneficarono la basilica di S. Giustina (1) ed uno almeno di loro vi fu sepolto, che Benzone vescovo d’Alba accenna alla visita fatta ivi a Guido dall’ Imperatore Enrico IV sul finire del secolo XI (2), e che al principio del secolo seguente vi si trova la figlia ed erede di Guido, Adelaide (3). Ma la frase qui dicitur de Seciago indica un altro fenomeno degno di nota : vale a dire che tale soprannome correva già per le bocche del popolo o della famiglia, prima che fosse introdotto negli atti legali; ma cominciava ora appena a far capolino nello scritto, quasi chiedendo scusa dell’ardita innovazione di presentarsi a corte in farsetto. E se quest’appicico del qui dicitur fu tolto un venti anni dopo, il nuovo documento non riguardava ancora direttamente la persona di quel marchese, ma altri a cui il marchese servisse di testimonio; come avviene nella carta in cui è.per la prima volta nominato Rainero di Monferrato e simili (4). Così dunque il qui di- zione di Immilla sorella di Adelaide al monastero di San Pietro in Musinasco. Cfr. dipi. 3 dicembre 1077 in Chart. I, 665. (1) Cfr. p. 21. (2) Cfr. Pertz., Mon. Germ. Hist. XI, p. 663. (3) Cfr. dipi. 1100 (Donazione a S. Siro\ in Chart. I, 735 e in Atti Soc. Lig., II, par. I (Cartario; p. 208. (4) Cfr. p. 23, n. 5. — io4 — citar come pure le tramutazioni del soprannome di Loreto in Vasto; e quelle di Vasto in Savona, in Carretto, in Finale, in Saluzzo; e di Saluzzo in Busca; di Albenga in Ceva e in Clavesana; di Monferrato in Occimiano; di Bosco-Ponzone in Ussecio; in Pareto..., tutti questi sono fenomeni indicanti oscillazione, ondeggio, cedevolezza, trasformazione a gradi minuti e insensibili. Alla quale oscillazione nei nomi risponde naturalmente una simile oscillazione nei fatti da quei nomi significati ; un nuovo ente vuole un nuovo nome, e per converso un nuovo nome accusa la esistenza d’ un nuovo ente; l’instabilità dello stesso nome, le cautele o formole onde lo si circonda, il più o meno pronto suo tramutarsi indicano la transizione dall’ ente che muore al nuovo che sorge sul vecchio; esso svolgendosi a gradi e potendo anche finire in un falso germe od aborto imprime una simile incertezza nel concetto e quindi anche nella nomenclatura del popolo; di che la nomenclatura non si fissa, finché il nuovo ente non appaia bene stabile e determinato. Gli é questo insomma quel fenomeno che sotto nome del diventare levò tanto grido di sé nel sistema filosofico eghelliano; concetto vero e profondo, se non fosse, come é stato ed é, abusato, e considerato come termine infinito, laddove non é che mezzo e passaggio. Così quando le corti regie e i diritti inerenti erano accordati ai vassalli puramente a vita, si chiamavano benefizi]', ma, quando per motivi simili ai sovraccennati sullo sviluppo marchionale, anche il vassallo potè cambiare in eredità e proprietà il vitalizio, anche i Beneficii cambiarono il loro nome in quello di Feudi: però questo — ros — secondo vocabolo non fu introdotto ne’ documenti tanto presto quanto 1’ idea da esso significata; le prime tracce del nome di feudo trapelano appena al principio del secolo XI; ma ci volle tutto il secolo stesso, prima che l’uso di quel nome divenisse famigliare e comune nelle carte; sempre per la ragione filosofica che la parola, seguitando il concetto, non si ferma e non si fa d’ uso universale che a gradi e sol quando fu ravvisato ben fermo il concetto. E per simil guisa sciolta la Marca e sortone dalle rovine il Marchesato, benché ciò avvenisse lungo il secolo XII, pure il nome di Marchionatus non s’ incontra nei legittimi documenti che ben inoltrato il secolo seguente, come giustamente osserva il Conte di San Quintino. Vedasi come una semplice osservazione di sviluppo grammaticale inchiude tutta la storia dello svolgimento dalla Marca. Questa esisteva già di nome e di fatto, e significava in linguaggio germanico il confine, e special-mente il confine del regno (Mark). Quando a guardia di questo confine fu posto con rafforzati poteri un pubblico uffiziale, egli desunse dall’ ufficio il nuovo titolo, ed ebbe nome di Marchese, Marchio. Donde, come l’uffizio del custodire una cosa è naturalmente posteriore all’esistenza della cosa stessa, così il titolo di marchese é logicamente posteriore alla Marca ; così anche grammaticalmente i vocaboli March-ese, March-io, March-eus sono derivativi ed aggiunti alla parola radicale March. Ma per converso, quando la Marca si scioglie, il marchese si ritira in campagna e se ne forma il suo marchesato, ciascun vede che il March-es-ato è un nuovo ente che in natura è posteriore al March-ese, come in — io 6 — grammatica la prima parola è un derivativo della seconda, una giunta alla giunta della radicale. Ciò é tanto vero nel fatto storico, che nei documenti non si trovano mai nominati, come marchesato, se non quei territorii che furono signoreggiati da una delle famiglie degli antichi signori delle Marche. Veramente il nome di Marca non è ancor morto allora, apparisce tratto tratto nelle carte fin quasi alla metà del secolo XIV, rimane anzi fino ad oggi in alcune striscie confinali d’ Italia, resto cristallizzato di un’ antica instituzione ; ma quel nome dopo aver agonizzato è morto nell’antico e vero suo senso, non è più che una espressione geografica : come buon’ anima di Metternich, sua gran mercè, voleva ridurre l’Italia. Pure, anche come agonizzante e come espressione geografica, giova molto all’intelligenza della storia; perchè rimane come ricordo e simbolo d’ un tempo, quando al nome rispondeva la reale istituzione politica. In questo senso il nome di Marca, applicato anche dopo il 1200 ai distretti di Genova, Savona ed Albenga, serve di controprova all’ esistenza dell’antica vera Marca, che già si stendeva su tutta questa zona confinale marittima a tutela contro i temuti assalti esterni. E lo stesso nome ci varrà buon indizio a raccapezzare l’esistenza di un’ altra Marca settentrionale, come pure a rivendicare al marchese Arduino la signoria della riviera occidentale dalla Caprazoppa in giù. Vorranno essere tenute le mie osservazioni come quisquilie grammaticali, indegne di un lavoro serio ? Io spero che V. S. non pensi cosi, e il di Lei favore mi crescerebbe coraggio ad applicare somiglianti criteri a certe disquisizioni numismatiche, a cui Ella mi ha in- — io7 — coraggiato e dove porta sì caldo amore e sì largo contributo. Vorrei cioè, se Dio mi desse tanto di vita da poter esporre in tollerabile prosa il concetto che mi bolle per la mente, vorrei mostrare come, in difetto di documenti positivi nella storia numismatica del medio evo, il cardine delle ricerche ed i primi appicagnoli si scoprano nel nome del danaro che dalla moneta-base passa al peso-base e vi s’incorpora; restando fermo questo, mentre quello continua a mutare ; poi ne! successivo nome di grosso, che non é che il danaro restituito al- 1 antica purezza ma con valore sempre crescente; e cosi nell’ oro, dal fiorino passando allo scudo e alla doppia con varietà che sono apparentemente grandi e difficili a tenersi a memoria eppur riducibili a pochi e semplici criteri, nel loro svolgimento generale dai primi tempi fino ad oggi : purché nell’ esame delle oscillazioni intermedie e del diventare si distinguano e il sempre crescente invilimento del segno monetario e le tradizioni di Zecca e i falsi germi e gli aborti che la frode o gli errori economici d’un governo possono introdurre bensì ma non mai rendere d’ effetto durevole ; non potendosi fare d’ un aborto un ente stabile contro la natura delle cose (i). Tornando a bomba, porrò ancora un’ avvertenza. Sebbene, come fu detto, i titoli speciali de’ marchesati sieno sorti più tardi, non nuoce anzi giova a noi farli risalire indietro, applicandoli anche agli antenati del ramo o linea rispettiva, comeché non ancora portassero tale titolo; alla condizione però che ciò sia dichiarato espres- (t) Questo desiderio è stato in gran parte soddisfatto dal ch. autore nell' Introduzione alle Tavole descrittive delle monete della Zecca di Genova, e in altri suoi studi numismatici ivi citati. Atti Soc. Lig. XXII, p. vi-lxxii. — ioS — samente per evitare equivoci. Dappoiché per tale ripiego si afferra meglio e di colpo e si ta intendere altrui il nesso delle genealogie, il rappicco dei rami alla linea, delle linee allo stipite, Egli é in questo senso che nella prima lettera parlai del ramo di Se^è come esistente dal secolo XI, perché, se non ancora esistente di titolo, lo era almeno di soprannome, e senza tallo lo sarebbe anche divenuto di titolo, se la famiglia non si fosse troppo presto estinta. Nello stesso senso s’intende come i Notari nei Brevi di ricordatone o i cronisti parlassero di Bonifazio marchese del Vasto o di Manfredo I marchese di Saluzzo; titoli che non mai essi, si i loro discendenti portarono. Vorrà Ella consentirmi gentilmente che io pigli a mostrare per sommi capi e in esempi d’ altre famiglie marchionali la fecondità di applicazione, e perciò anche la verità dei criteri finora esposti? Tanto più che, stanco e distratto da vicende e da altri studi, dispero ormai di poter incarnare nella sua pienezza il disegno concepito con giovanile temerità. L’immortale Muratori, onde tolsi l’indirizzo in queste ricerche, fu primo a vedere che Oberto di stirpe longobarda non ebbe che dignità di Conte fin presso alla metà del secolo X, come Aleramo. É in vero assai probabile l’opinione del lodato storico, che Oberto scendesse dalla famosa famiglia de’ marchesi di Toscana gittata in fondo dal re Ugo d’Italia (i): di ciò darebbe indizio, oltre altri argomenti, il possesso in lui di quella terra detta Obertenga o chiuse del marchese, lunga zona (I) Cfr. Ani. Esltn. 1, ijt segg — 109 — montana che giace tra le sorgenti dell’Arno e del Tevere e che fu antichissimo confine di separazione di Comitati e della stessa Toscana in due parti. Checchenesia, se Oberto risorge a potenza, risorge solo come conte, e conte, pare, della Lunigiana, mentre soltanto verso il 950 si leva a dignità di marchese (1); senza che però dai suoi documenti (come nemmeno negli Aleramici ed Arduinici) si possa scoprire la natura, postazione, ed estensione della Marca a lui affidata. Egli fu, si sa, grande amico e sostegno del re Berengario dapprima, poi di Ottone imperatore; egli Conte del Sacro Palazzo, quindi anche signore del Comitato di Pavia, la capitale del regno. Ma posteriormente, come in Savona i marchesi Aleramici, cosi e nello stesso torno di tempo i figli e nipoti d’Oberto col titolo di Conti-Marchesi tennero placiti in Lunigiana, nella riviera di levante, entro Genova stessa, in Tortona, a Milano (2); e più d’una volta tennero questi placiti in comune tra di loro: di che anche qui si argomenta che tale giurisdizione era eredità paterna od avita; e che essa si stendeva dall’estrema Lunigiana per non interrotto cammino fino a tutto il Milanese. Anche questi Marca e marchesi (che dallo stipite chiamiamo Obertenghi) nelle carte contemporanee non hanno titolo proprio per le stesse ragioni sovra discorse; appena è, se in due cronache o poco più, alcuno di questi porta la denominazione di Marchio de Longobardia o Marchisi^ IJgiiricc, denominazioni non ufficiali ma usate colà per far meglio capire di qual personaggio si tratti, c abbastanza appropriate quando la Liguria comprendeva (1) Cfr. /lui. Esi. I, 134, !$;. (2 Cfr. appendice p. 2jt. — no — anche in largo senso la Lombardia, e il marchese dominava tutti due i paesi. Anche la Marca Obertenga racchiudeva in sè come l’Aleramica, i due constitutivi d’ogni Marca, la sua postazione ai confini del regno e la riunione di più Comitati sotto un solo governo per la maggiore efficacia della difesa. Esse due Marche colla terza Arduinica formavano un lungo e non interrotto cordone dalla Magra al Varo o alla Turbia; coi piedi al Po, il petto all’Appennino, il braccio e l’occhio al mare contro i minacciosi Saraceni. Anche gli Obertenghi giuravano mantenere integri i privilegi di Genova come gli Aleramici que’ di Savona; e anche colà, come qui, a poco a poco in città l’antico diritto marchionale divenne un’ombra, poi sparve al tutto; anzi come Savona avea soggiogato i già suoi marchesi, così e molto più Genova assoggettò i già suoi padroni Obertenghi, e con loro assoggettò Savona stessa ed Albenga e i Marchesi Aleramici, obbligando tutti a giurare la sua celebre Compagna. Anche gli Obertenghi doveano vivere sulle prime in comune e come una sola famiglia; vedendosi ne’ documenti indicati i possessi loro a metà, quarti o simili, per divisione dunque tra i membri o rami ideale, non reale. Ma anche in questi marchesi cominciano a poco a poco colla moltiplicazione i soprannomi, dedotti or dalle terre loro più favorite (Alberto di Gavi, Alberto di Parodi o di Massa); ora, e più spesso tra gli Ober-tenghi, da qualità fisiche o morali (Alberto Ruto, Alberto Malaspina, Oberto Pelavicino, Ugo Lupo. Cavalcabó) (i)- (i) Cfr. appendice p. 237 e segg. — Ili — Anche qui comparisce la sovranotata oscillazione e cedevolezza nell’uso di tali soprannomi; il cambio di soprannome da padre a figlio; finalmente il soprannome divenuto cognome e titolo (dai Pclavicini si diramano i Lupi, i Cavalcabò, i marchesi di Gavi; da Alberto Rufo il marchese di Massa, dal marchese di Massa il marchese di Parodi. Come negli Aleramici, così anche tra gli Obertenghi si avverano le ampliazioni delle signorie ai margini e al di fuori della Marca avita; ma qui la diffusione invece che a ponente é a tramontana e a levante; per 1’ Emilia e la Toscana. Anche qui ha luogo un grande distacco per nobili nozze, e il conseguente trapiantarsi di un ramo obertengo fino ad Este nella Marca Veronese ; donde il nuovo soprannome divenuto cognome e titolo degli Estensi: quella illustre progenie che innestata nella casa Guelfa di Germania tu la più terribile antagonista degli emuli Ghibellini e regna o regnò di fresco a Brunsvich, nell’Annover e in Inghilterra. Per siffatta ampiezza e lontananza di signorie e per la moltiplicazione de’ rami marchionali una separazione compiuta d’interessi è divenuta indispensabile. Gli Estensi si sa che cedettero ai marchesi Malaspina la loro parte in Lunigiana e altrove nella comune eredità. Un altro ramo si asside al margine orientale della Marca, trae dalla nuova sede il titolo di Marchese di Massa, ma allarga la signoria sino a Livorno e Piombino, e più o meno lungamente anche fino alla Sardegna e alla Corsica. Un terzo ramo, i Pelavicini, ferma la principale sua sede fuori della Marca, fondando tra Parma e Piacenza, verso l’Appennino, l’ampio stato^ detto poi (dal nome un po’ — 112 — abbellito per nascondere la brutta macchia d’ origine) lo stato Pallavicino. Lo stesso ramo si suddivide più tardi ne’ marchesi di Zibello, di Scipione ecc., ma, prima di questi, genera di sè le illustri case de’ Cavalcabò di Cremona e dei Lupi di Soragna; in tutti i quali luoghi si trovano anteriori tracce di compossesso tra i sottorami secondo i criterii più volte accennati ; e le nuove famiglie estinguono o dimenticano in questi nuovi cognomi il titolo anteriore Pelavicino a misura che si com-piono le separazioni. Per effetto di tali divisioni, al quarto ramo obertengo, ai Malaspina rimane quasi unicamente riservata quella qualunque traccia di signoria già competente agli antenati sulla intera Marca della Liguria: allo stesso modo come tra gli Aleramici era rimasto al solo padre dei Del Carretto la parte rurale almeno dell’avito Comitato di Savona. Ma non rimane loro esclusivamente e per guisa che anche nella Marca obertenga non si conservino memorie dell’antico consorzio degli altri tre rami, quasi per continuare la tradizione. Perchè queste famiglie trasmigrate lasciano nel Comitato di Tortona due rampolli: 1’ uno della casa di Massa col nuovo titolo e sede di marchesato a Parodi; l’altro dei Pallavicini col nuovo titolo e sede di marchesato a Gavi. Al marchese di Gavi competono inoltre ancora assai tardi dei diritti nella ligustica riviera orientale, e su parecchie terre del Tor-tonese e perfino sulla di fresco sorta Alessandria ; la quale nel 1172 giura fedeltà a questa famiglia (1), certo come erede dei diritti spettanti agli Obertenghi su questo (1) Cfr. Iur., I, 271. suolo, quando ancor si chiamava Rovereto. Altri resti di diritti signorili sulla riviera di levante e sul Tortonese, competenti in consorzio ai marchesi Malaspina, ai Parodi-Massa, ai Cavalcabó, ai Pallavicini si possono raccogliere da documenti, faticosamente sì, e non cosi chiaro come i diritti consortili degli estensi, ma suscettivi di essere dimostrati. Resta infine il prezioso codice Pallavicino del capitolo di Sarzana, e in esso è l’argomento cardinale dell antica unità degli Obertenghi; il celebre documento della pace di Luni del 1124 che porse il filo al Muratori per tessere il suo lavoro e a me e agli altri per continuare lo svolgimento d’ una storia che non era mai stata scritta (1). Nel quale documento è additato chiaramente che la divisione d’ un promontorio al mare di Lunigiana (uno dei soliti agri pubblici) era stata fatta tra gli antenati del Pclavexino, d’Azzo (d’Este), del Malaspina e di un quarto nominato Guglielmo Francesco che Muratori sospettò, e i documenti poi comprovarono, essere lo stipite del Massa-Parodi. Ecco qui tre o quattro soprannomi che poi diventarono i cognomi, i titoli ere-ditarii dei quattro rami Obertenghi. Ma il medesimo documento consente ancora una maggiore semplificazione ; dando a divedere che la divisione di quel promontorio fu fatta, prima che in quattro, in due sole parti; 1’una delle quali toccò all’antenato della linea Pelavexino-Massa, l’altra all’antenato della linea d'Este-Malaspina. Così anche qui, come negli Aleramici, si fa suddivisione. Allo stipite e primo marchese Oberto I succedono due figli Alberto I e Oberto II, quindi da due si moltiplica in (1) Cfr. Aut. Esteu., I, 154, e segg.; Chart., II, 206; e appendice p. 240 e segg. Atti Soc. Lio. St. Patru. Voi. XXVIll. Serie j.» — ii4 - quattro. Perocché da Alberto 1 discendono Alberto II, ceppo dei Massa-Parodi, e Oberto III ceppo dei Pallavicini -Gavi-Lupi-Cavalcabò; mentre Oberto II, l’altro figlio del primo marchese, genera Alberto Azzo, ceppo dei marchesi d 'Este, e Oberto Obizzo ceppo dei Malaspina. Tale differenziarsi graduato dei rami, come io lo presento, non potè veramente essere condotto a perfezione dal Muratori; e, sebbene da altri dotti sulle di lui tracce migliorato, richiede ancora 1’ ultima mano ; godo però vedere il mio sistema nelle principali sue linee non solo approvato ma, senza che l’uno sapesse dell’altro, indovinato da quell’ instancabile raccoglitore ed acuto critico che è il già lodato prof. Wùstenfeld. Nè può essere altrimenti, se il nostro lavorìo non è che severa e logica applicazione dei criterii muratoriani ai documenti già noti o successivamente scoperti. Ognun comprende che lo infinito ripetersi anche qui degli stessi nomi, Alberto ed Oberto, in una sola casa che andava sempre più crescendo, dovesse necessariamente introdurre i soprannomi a meglio distinguere i diversi membri; nè potea più bastare a ciò l’uso degli ingranditivi o abbreviativi (Albertazzo, Azzo) o dei diminutivi e vezzeggiativi (Obizzo) che prima distinguevano i seniori dai giuniori. Parimenti si capisce che una casa come questa che, molto più delle altre marchionali ad essa vicine, stese ampio il volo e le signorie, non poteva a lungo stare indivisa; ma, per quanto ricca ella fosse e potente nel suo influsso sugli avvenimenti estrinseci, nell’ interno suo sviluppo e rimpetto ai Comuni ebbe pari la sorte colle altre Marche. Milano scosse presto il giogo marchionale ponendosi sotto le ali del proprio — iis — Arcivescovo; finché, ingrandita a Comune, caccia l’Arcivescovo stesso dalla temporale signoria. Pavia riceve dall’ Impero, ancora dopo Oberto, altri Conti di Palazzo; ma questi ultimi, che pretendevano pure all’eredità della dignità, soggioga e riduce alla campagna di Lumello; donde si forma una famiglia signorile nominata spesso ne’ documenti. Tortona, Genova, Piacenza anch’esse, dopo tolti al marchese i diritti urbani, intaccano i rurali, rinserrando e restringendo sempre più tutto all’ intorno, e, secondo la bella imagine dantesca, ritagliano con forbice perpetua gli orli dell’ampio e nobilissimo manto marchionale. Anche qui dunque, come negli Aleramici, segue la lunga lotta degli Obertenghi coi Comuni, con cui si trovavano a contatto. Genova emancipatasi anch’ essa dai suoi marchesi prima del finire del secolo XI e, assodato il predominio nel suo Comitato pel mezzo dell’aggregazione de’ visconti e signori di secondo ordine, passa l’Appennino dopo il 1120, combatte ed in breve assogetta gli Obertenghi marchesi di Gavi e di Parodi (1): dalla parte di levante penetra per Lavagna, Sestri e Cicagna su alle aeree castella de’ Malaspina, li obbliga nel 1140, nel 1168 (2) e sempre più poi a scendere in città e a giurare la compagna. Tuttavia questi ultimi rappresentanti di Oberto in Liguria, i Malaspina, così respinti all’ intorno a settentrione da Piacenza, a ponente da Tortona, a meriggio da Genova, conservano ancora per secoli una lunghissima zona signorile tutto giù lungo gli Appennini per più di settanta miglia dall’ e- (1) Cfr. Annali di Caffaro, ed. 1890, già cit. I, p. 17. (2) Cfr. Atti Soc. Lig. I, p. 137 e doc. già cit. p. 79, n. 2. — 116 — strema Lunigiana a tutto il Tortonese, come notò il ch. conte Litta. È dessa bensì la spina dorsale, ormai spolpata dalle grasse e saporite costolette che le si raggruppavano alle due parti; ma appunto, perché spina dorsale, essa é quell’agro compascuo e confinale che divideva già i Comitati Liguri dagli Emiliani al mare ed al Po, e che anteriormente all’esistenza de’ Comitati separava i paghi ed i popoli rispettivi; fu quindi essa, come più volte notammo, il nucleo dei diritti imperiali romani e germanici, che passò ai marchesi, e, dove non a marchesi, fu concessa ai vescovi di Luni e di Genova secondo più tracce che ne abbiamo ne’ documenti, o donata ai monasteri, che quivi sorsero con qualche ampiezza, di Brugnato che salì poscia a Vescovato e di S. Fruttuoso di Capodimonte. Ma la teoria muratoriana riceve un’ altra applicazione che mi sembra feconda di storiche conseguenze e non tentata finora da alcuno. Intendo parlare della generazione e moltiplicazione, per cause simili, delle famiglie signorili di second’ordine, contemporanee alle marchionali e comitali. Le quali famiglie io avviso non essere in sostanza che i discendenti di quel visconte (vice-comes), milite o primo vassallo che rappresentava il marchese 0 conte, in città o in campagna, e specialmente nell’am-ministrazione de’ diritti di finanza. Abbiamo difatti nel comitato genovese i visconti e la loro numerosa diramazione, ed altri signori elevati talora poi a conti (come 1 Fieschi). Abbiamo nel comitato tortonese i signori di Grondona, di Mongiardino, di San Nazzaro ecc.; nei comitati piacentino e parmigiano i signori di Val d’ Ena, del Seno, di Val di Taro, tutti questi come quelli del tortonese e del genovese più o meno provabili essere — n7 — stati sotto 1 alto dominio degli Obertenghi. Anche quel consorzio di cavalieri, da cui ha nome tuttora l’alta valle posta all Appennino parmigiano e che negli statuti di quella città spesso è nominato, fornirebbe buon soggetto di analoghe considerazioni. Le quali case, come i visconti del Cairo e di Priero tra gli Aleramici e i signori che vedremo tra gli Ar-duinici, per quanto avviso, vivono tutte alla stessa guisa, in consorzio dapprima, poi in lenta e oscillante, in fine ferma e netta divisione di territorii, di titoli e cognomi : sieno esse di legge salica come i signori di Salmour, o perfino romana come i visconti di Genova. E a questi ultimi segnatamente badando, li vedo abbastanza sicuramente discendere da un solo ceppo; quell’ Ido Visconte che fu benefattore della chiesa delle Vigne nel 952, il quale dunque per un assai notevole coincidenza incomincia a comparire col suo titolo contemporaneamente all’ elevazione a marchese del nostro Oberto (1). Ido possiede un’ampia distesa di terreno che gira intorno a Genova tra i due castelli (Castello e Castelletto) ; terreno certamente e naturalmente di regalia. I successori di lui compaiono nei principii del secolo XI benefattori del nostro monastero di Santo Stefano, donando a questo terre sul Prato pubblico del Bisagno e della vicina Abrara (la solita Braida medievale) (2) ; luoghi adunque anch’essi di diritto naturalmente regale o marchionale. (1) Cfr. Atti Soc. Lig. I, 279; Belgrano, Illustrai. Reg. Arciv., in Atti Soc. Lig. II, par. I, p. 313; e ivi in appendice, Tavole Genealog., Tav. XIX. Cfr. anche p. 109, n. 1. (2) Cfr. documenti del 1014, 1018, 1019, 1020 in Atti Soc. Lig. II, par. I, (Cartario), p.p. 90, 106, 114, 116; e altro doc. del 1019 in op. cit., p. no e Chart. I, .(26 — IT 8 — Cotali indizi, e il titolo viscontile e i nomi più volte ripetuti, in simili atti, di Ido e di Oberto già accennano all’ importante conclusione che anche a Genova durò più o meno lungamente la traccia delle regalie esercitate per mezzo dei marchesi a nome dell’ Imperatore, e per mezzo de’ visconti a nome dell’uno e degli altri; sebbene tutti questi elementi a poco a poco si sciogliessero del tutto dal rispettivo ordine di dipendenza. E, se non bastassero tali indizi, v’ ha una prova chiara e lampante nel monopolio da essi visconti goduto in città sui diritti di porta, della riva del mare, dei macelli e del così detto viscontado: monopolio che il Comune di Genova loro riconosce, ma salvo jure Marchionum da cui dunque essi lo ebbero, o per lo meno con cui compossedono. Di più Genova loro riconosce questo monopolio come indipendente dai proprii dazi, come superiore a se stessa ; perciò, nel fermare trattati politici o commerciali con estere potenze, riserva integri dapprima tali diritti a favore de’ visconti ; in seguito li espropria in certo modo per pubblica utilità, assoggettandosi all’ indennità verso i medesimi; e ciò dura fino a che la sempre crescente potenza de’ genovesi li indusse ad abrogare affatto quella privativa, di cui diventava ognor più intollerabile l’esercizio, entro le mura stesse della città o agli scali e allo sbocco più importante de’ loro commerci (i). Le parecchie sentenze intervenute per regolare i diritti di questo viscontado poste a riscontro coi documenti già citati del monastero di Santo Stefano somministrano altre analogie sulle divisioni e mutazioni successive dei (i) Cfr. appendice p. 246 n. 3. — ii9 — cognomi, come vedemmo ne’ marchesi, e danno cosi nuovi argomenti della primitiva unità anche nelle famiglie viscontili. Di fatti si vedono uscire dal consorzio di codeste regalie i visconti di Porta, di Città, del Mare (De Mari) e gli Spinola, e i Caffaro, e i Carmandino, i Delle Isole e via dicendo. Ma, come Peculio, figlio del primo nostro storico Caffaro, staccandosi dal cognome paterno divien ceppo della nuova famiglia consolare dei Peculio (i), così, risalendo addietro, il numero dei cognomi sempre più si semplifica. In una carta vescovile nota ma non abbastanza sfruttata finora, si dichiara nel 1052 che le famiglie viscontili provengono da soli tre rami chiamati Delle Isole, di Carmandino, di Manesseno (dalle terre omonime poste tutte in Polcevera) (2). E, mirabile accordo, risalendo ancora indietro un quarto di secolo circa, troviamo due famiglie viscontili senza cognome, ma una delle quali si trova a contrattare appunto nel castello di Carmandino (3) e l’altra al luogo delle Isole; di che si fa evidente la ragione del cognome o titolo, che le due famiglie rispettivamente assumeranno più tardi. Donde in grazia del nostro sistema nel Comitato genovese veggonsi continuare crescendo e diramandosi le famiglie signorili, che poi formano il nucleo e la parte migliore della nobiltà genovese nella Repubblica; e le si vedono cominciare da que’ figli di Migesio, di Ido o Ingo, di Oberto ecc., di legge romana e discendenti certo dal lo- (1) Cfr. Atti Soc. Lig. II, appendice alla par. I, tav. XXXVIII. (2) Cfr. Ughelli, 844-45 e 4M Soc. Lig. II, par. II (Registro Arcivescovile), p. 441. (3) Cfr. doc. del 1020, Atti Soc. Lig., II, par. I (Cartario), p. 116 già cit. p. 117, n. 2; e del 1026, Alti cit. p. 132 e Chart. I, 450. — 120 — dato Ido Visconte, i quali furono fino a questi tempi un mistero storico. E si rinvengono eziandio in queliti tra famiglia viscontile degli Avvocati che signoreggia a Recco a levante di Genova, traendo essa il titolo, come pare, dal rappresentare che ivi faceva il nostro Vescovo; come al Vescovato erano anche strettamente legati gli altri visconti genovesi, per le decime ecclesiastiche, da loro in tutto o per porzioni amministrate, litigate e talora restituite alla Chiesa, talora da essa riconosciute in feudo. Continuando il cammino su per la riviera orientale fino agli ultimi confini della Lunigiana, più famiglie nobili ci si presentano, di cui si può ottenere per documenti, se non l’unificazione in una famiglia, la riduzione almeno a poche, e provare il vincolo di soggezione che esse hanno verso la casa Marchionale Ligure. Prima viene la illustre schiatta di Lavagna, il cui certo stipite Ansaldo era nel secolo X un vassallo, in quelle parti, del Vescovo di Genova ; ma il figlio o immediato nipote di lui, nominato Tedisio, é tra i secondi militi del marchese Oberto e tra i proscritti dall’ imperatore Enrico II, perché fautore del vinto emulo re Arduino (i). Tedisio di Lavagna sale poscia a dignità di Conte; i suoi figli e discendenti presto si moltiplicano, e nel secolo XII li troviamo divisi anch’ essi in soprannomi che or mutano, or diventano cognomi, or figliano nuovi cognomi come vedemmo nelle case marchionali: quindi i due contemporanei Ugo Siccus e Ugo Friscus, dal quale fi) Cfr. diploma del 1014 di Enrico II in Chart. I, 406, e in Atti Soc. Lig. II, par. I, p. 94. ultimo la celebre prosapia dei Flisci o Fieschi ; quindi altri due Girardo Scorda e Oberto Bianco, i quali si sa che sono fratelli, eppure, col soprannome perpetuato in cognome, danno origine alle due nobili famiglie Scorda e Bianchi. 11 simile avviene per le nobili case Ravaschicra e Della Torre e per più altre; le quali tutte ancora assai tardi, come prova della loro comune discendenza, godevano in consorzio le esenzioni dalle tasse e que’ privilegi che il Comune Genovese più volte con trattati ebbe assicurato alla famiglia de’ Conti di Lavagna in genere. Così pure un trattato col Comune di Lucca riconosce a tutti loro il diritto di impor pedaggio sulla via che transita per le proprie signorie (i). Ed anche in questi signori della riviera talora il vincolo di sangue, illanguidito dal numero e dalla lontananza, fece pensare a’ rinforzi arti-fiziali, sebbene al solito inefficaci; come ne’ Bianchi di Vicario che hanno il podestà al pari dei marchesi del Vasto tra gli Aleramici, e dei signori che vedremo tra gli Arduinici. 11 Registro della Curia Vescovile di Genova del XII secolo, pubblicato dalla Società Ligure di Storia (2), mentre ne porge in digrosso, ma ben sicura, l’origine dei Lavagna e delle principali loro diramazioni, ci consente come un lampo di semplificazione maggiore e più alta nella rubrica di un atto di livello, che riunisce ai figli di Tedisio di Lavagna la casa dei signori di Vezzano di Lunigiana (3). Al quale indizio paiono venire in confi) Cfr. doc. del 1167 in Genealogia familiae Scorciae, Comi Ium Lavaniae, Napoli 1611, p. 40, dal Notularo di G. Caligcpalio. (2) Cfr. Atti Soc. Lig. II, par. II, già citati. (3) Clr. doc. del 1012 in Atti Soc. Lig., II, par. II, p. 294. — 122 — ferma altri livelli, che accennano alla consignoria delle due case in Sestri di Levante. Sono cotesti gli esempi a cui alludevo nella lettera precedente, quando mi occorse segnalare la grave autorità ed utilità de’ Regesti anche nelle sole rubriche e giunte sebbene certo posteriori al documento; come sarebbe quella che intesta ai figli di Tedisio il livello, ove nel corpo dell’atto non si parla che del figlio d’Ansaldo (i); essendoché tali rubriche o giunte sono qui poste nel tempo che si riordinano gli sparsi livelli in un solo libro, e sono scritte dall’economo od amministratore dei diritti della Curia ; uomo invecchiato in essa, conservatore dei documenti, riscuotitore di essi diritti dai figli dei figli contemplati all’infinito negli stessi livelli; quindi e per tradizione e per esperienza e per bisogno, sicuro conoscitore del lungo ordine delle generazioni e delle loro divisioni e suddivisioni. Ai conti di Lavagna si rattaccano pure i signori di Cogorno e di Nascio, come ai signori di Vezzano probabilmente gli altri della Lunigiana (di Trebbiano, Beacqua ecc.). Nel mezzo tra i Lavagna ed i Vezzano sta una famiglia nobilissima per lungo ordine d'avi e per forti fatti, la quale comparisce già dai principii del secolo XI, stende la signoria al mare da Deiva a Levanto e Moneglia, ed entro terra a Mattarana, Carrodano ecc., ma trae il cognome e titolo dal castello di Passano che già alla marina sovrastava. 11 legame che intravvedemmo correre tra i Lavagna e i Vezzano ai due estremi opposti, fa sospettare che anche i signori Da Passano, che eran nel mezzo, (i) Cfr. doc. del 1031 in Atti Soc. Lig., II. par. II, p. 290. — 123 — fossero uno dei rami della discendenza d’Ansaldo diffusasi da Sestri alla Magra (i). Checchesia di ciò, importa notare che tanto gli uni quanto gli altri di questi signori non erano dapprima indipendenti, ma vassalli di primo grado del marchese, o anche del Vescovo. Della antica loro sudditanza verso la Casa Obertenga fanno testimonio quei documenti, ove questi signori riservano la fedeltà ad essa casa dovuta; ogni qualvolta (almeno nei primi tempi) vengano con Genova a far lega o compagna, a promesse reciproche di aiuti in caso di offesa e difesa, aggiungono salva fidelitate seniorum suorum, o marchionum, o fideli-litate domus de Gavi, de Parodi, marchionis de Massa, Accii Veronensis (d’ Este), Peiavicini aut Cavalcabovis. Ed ecco qui gli esempi, che avevo sopra accennato, di tutti i rami della Casa Obertenga ancora per molto tempo in consorzio tra sé, anche dopo le relative separazioni, e durati in compossesso di un alto dominio, come sui visconti della città, cosi sui Lavagna e su i Da Passano signori della campagna; i quali tutti però diverranno presto indipendenti dal marchese, ma dipendenti da Genova. Non uscirò dalla Liguria per seguir le ricerche sui signori della Versilia e della Garfagnana: sebbene, per debole che sia la mia erudizione su questo punto, a me paia intravvedere anche qui una simile fisionomia generale, una legge costante di moltiplicazione e di provenienza da uno o pochi, ed un nesso costante di originale (i) Per tutti questi Signori da Passano, di Lavagna, di Nascio, di Vezzano, cfr. Atti Soc. Lig. II, par. I e II, e Tav. Genealogiche già cit. ; e aut. cit. in appendice p. 236, n. 1. — 124 — sudditanza dei signori di secondo ordine dal conte o marchese. Credo anche i visconti di Pisa avessero coi già marchesi di Toscana quella dipendenza che aveano cogli Obertenghi i visconti di Genova e i visconti stessi di Milano; giacché anche questi ultimi si trovano durare lungamente in possesso di privative, pesi, misure e dazi nella metropoli lombarda; del che vedasi il ch. Giulini. Ma fra i numerosi ospizi od alberghi che in Italia sorgono di tal fatta, vogliono essere segnalate le consorterie fiorentine in città, e quelle dei conti annidati sulle Alpi (Appennini) tra Toscana e Romagna; gli Alberti, i Poppi, i Battifolle ecc., che in quella storia rappresentano la parte dei nostri signori e marchesi verso Genova. 1 ali famiglie, sotto questo rispetto guardate, presterebbero torse qualche maggior lume all’ origine del Comune fiorentino e ai fieri odi di parte tra i grandi e il popolo, che resero allora così travagliata e celebre quella nobilissima contrada. Ed anche il gran numero de’ conti medesimi colla stessa stregua già si lascia intravvedere come riducibile a maggiore semplicità; cercando le leghe e i compossessi e mettendo da parte i cognomi nuovi, sorti dallo stacco de’ rami, chi sa se non possano essi tutti o la più parte ritirarsi a dirittura ad uno o pochi dei primi vassalli della contessa Matilde; e se non sia questo il motivo, onde eglino come i rappresentanti del marchese e dell’ Impero ne abbiano mantenuto gli umori ghibellini; e perciò anche appena, compajono, si trovino assisi sul vasto agro pubblico, sul confine montano tra gli antichi paghi, ove i Comuni sorgenti dalle opposte pendici appennine li vanno ognor più rinserrando e spennacchiando. Se tale é l’andamento storico generale della età e delle regioni da noi discorse: se i molti marchesi si possono ritirare a pochissimi stipiti, e i marchesati ad una Marca : se anche i molti visconti e signori rimontano ad uno 0 pochi vassalli della medesima Marca e marchese, mette conto di esaminare quale fosse la relazione tra i marchesi stessi e i loro primi vassalli; e come questa relazione siasi svolta : e sarà questa l’ultima nostra ricerca. In quella guisa che il marchese o conte non avea sul principio che a vita o in beneficio la Marca dall’ imperatore; anche il vice-conte, o visconte, il milite, il vassallo aveano soltanto a vita, in beneficio le attribuzioni, 1 vantaggi lor conferiti dal marchese. Ma in quella guisa che, per le sovra addotte cagioni, questi riuscì a convertire il beneficio e vitalizio in feudo o dominio utile perpetuo, e in molte parti anche in piena proprietà; così anche il visconte, il vassallo cominciò a pretendere di mutare il suo sottobenefiyio in sottofeudo, perpetuandolo nella propria famiglia; sotto però l’alto dominio a gradi concentrici del suo signore immediato e su salendo fino all’ imperatore. A ciò ottenere il vassallo si giovò non solo dell’ esempio e del diritto di reciprocità, ma e delle favorevoli occasioni, sfruttando gli altri elementi della lotta, appoggiandosi al proprio sottovassallo mediante concessioni, o al cittadino, al Comune, al Vescovo contro il marchese. Donde una grande agitazione notata dagli annalisti di quel periodo storico, e riescita con tale buon successo che Corrado imperatore nel 1038 ebbe a fermare con generale statuto 1’ eredità de’ feudi, estendendola a benefizio di tutti i vassalli e militi, maggiori e — 126 — minori (i). E soltanto allora si potè dire il sistema feudale essere legalmente riconosciuto, sebbene già da pezza introdotto per consuetudine o tollerato per necessità, almeno nei maggiori uffizi. Tale frazionamento di diritti politici e privati in tanti ordini e sottordini a foggia di circoli sempre minori ma convergenti tutti ad un centro (l’Impero) dovea senza fallo generare ognor crescente confusione, urti e danni continui, sia per sua natura, sia in quell’ infanzia degli instituti amministrativi, sia perchè l’Impero per le sue proprie lotte diveniva sempre più debole ed incapace a reggere e tener ordinate le membra cresciute di forza e di numero a dismisura. Ma ristringendoci al nostro soggetto; se la moltiplicazione de’ marchesi li obbligò alla separazione tra di loro, se lo stesso effetto ebbero le moltiplicazioni tra le famiglie discendenti dal vassallo dei marchesi; quanto più dovea divenire indispensabile una separazione compiuta di diritti e interessi anche tra i marchesi per una parte e i visconti o vassalli per l’altra ? Essendo che tra le due parti non ci era punto quel vincolo di sangue, che potè per lungo tempo trattenere indivisi i rami di ciascuna famiglia. Ora la separazione tra i marchesi e i visconti, o vassalli rispettivi, è importante a notarsi come quella che è il gradino più basso dell’età storica da noi tracciata; contemporaneamente al quale comincia 1’ età nuova, bella e gloriosa in Italia, l’emancipazione della proprietà, il levarsi del popolo a migliori destini, l’associarsi in Comune urbano o Vaccompagnarsi a questo, anche (i) Cfr Muratori, Anliq. hai. I, p. 610. — 127 — da lontano, a difesa reciproca di libertà, dignità e indi-pendenza. La separazione di diritti politici e privati e d’interessi tra i marchesi e i vassalli, nel mio scritto al dotto prof. Amari, fu appellata barbaramente, ma per renderne meglio il concetto, una liquidazione; e l’assomigliai a quella che alla nostra età si fece nei feudi della Sardegna e si fa ancora presentemente tra il direttario e 1’ utilista nella soluzione delle private enfiteusi. Della quale separazione vi sarebbe, se non altro, una prova filologica nel nome dei due vicini Varani nel parmigiano; Varano dei Marchesi e Varano dei Melegari; col che chiaramente si capisce, come sia avvenuta la soluzione dell’ anteriore confeudo tra i Melegari signori o militi di second’ordine, e i Pallavicini Marchesi e diretti Seniori. Ma, senza ciò, nel secolo XII vedremo un indizio tra gli Arduinici e i loro vassalli nella lettera seguente : ed un più chiaro esempio ne viene fornito dai Regesti piacentini: dove é un atto che scioglie la comunanza tra i marchesi Malaspina e i signori della Valle d’Ena (i). Lo storico Poggiali, che porge il sunto di quel documento, credette poterne dedurre argomento di antica consanguineità tra questi signori e i marchesi; ma dovea metterlo in guardia da tale errore, se non altro, l’osservazione che i signori della Val d’ Ena non si trovano mai né qui né altrove appellati marchesi, come sono sempre detti i consanguinei dei Malaspina. 11 vero è che la Valle anzidetta formava parte bensì del patrimonio o signoria obertenga, ma erano anche qui, come per tutto altrove, dei vassalli maggiori rappresentanti il marchese, i (i) Cfr. doc. dell’8 Luglio 1197 in Poggiali, Memorie Storiche di Piacenza, Piacenza 1758, V. p. 40 — 128 — quali in progresso di tempo aveano ottenuto il teudo o sot-toteudo in eredità, ed aveano assunto il titolo divenuto poi generale di domini, seniores, signori per rispetto ai minori vassalli e al popolo. V’era dunque certo nel caso piacentino un consorzio da sciogliere bensì, ma era un consorzio d’interessi non di sangue e proveniente dall’antico vincolo tra i primi marchesi e visconti. E in non diverso modo comprendiamo noi lo alzarsi a piena indipendenza dai marchesi Obertenghi dei sovraccennati visconti e signori del Genovesato, i Fieschi, i Da Passano ecc., sebbene forse manchino i documenti a stabilirne la prova diretta. lo domando, se ricostrutte al modo suaccennato le genealogie tutte e distinte, graduate, unificate secondo verità e colla più ampia e critica cognizione de’ documenti; poste a rincontro le famiglie marchionali o comitali colle signorili, e tutti insieme rincontro agli altri enti politici contemporanei; riconosciuta la parte importante e fin qui negletta che si ha ad attribuire, per l’incremento delle signorie, ai grandi agri confinali su pei monti o alle spiaggie marittime e fluviali (i); domando io, se la storia di questi tempi non uscirà mille volte più chiara che ora non sia ? Se non ne verrà meglio supplita la lacuna che dissi essere nella storia di due secoli, e rannodato il filo, che or soltanto ripiglia capo al periodo de’ Comuni italiani ? Belli e profondi senza dubbio sono gli studii sulla costituzione di questi Comuni e sui loro elementi giuridico-sociali che ci diedero i chiari Bethmann, di Cfr. Desimoni, Relazione sopra un frammento di Breve Consolare in Atti Soc. Lig. I, p. 12) e note; Lettere sulla tavola di bronzo della Polcevera , in Atti Soc. Lig., Ili, pp. 583, 610, 635, 666; e Cisterciensi in Liguria, e op. cit. in Giorn Lig., a. 1878, p. 231-235. Cfr. anche appendice pp. 283-286. — 129 — Hegel, Haulleville e gli italiani dal Pagoncelli e Rovelli al conte Cibrario, al Villari; ma io avviso che non fu finora abbastanza apprezzato 1’ elemento signorile che é l’anello tra l’impero e i Comuni; o fu studiato per lo più a puro scopo genealogico, e non come parte integrante dello svolgimento politico. Veramente questa storia non si trova distesa negli annali e cronache : ma i diplomi ecclesiastici e di famiglia, i rari placiti, il motto sfuggito ad uno scrittore, le leggende e le tradizioni, raffrontate insieme con fiscale diligenza ed acutezza, si lasciano comporre in un insieme abbastanza regolare e da recare una ragionevole persuasione. Sull’ alba di tale periodo storico troviamo giacenti al suolo e dispersi i rottami dell’ antico, che verranno a riaggiustarsi nel nuovo edifizio. Soli nel campo e nella lotta appariscono dapprima 1’ Imperatore e pochissimi marchesi o conti : il primo sdegnato contro i secondi, che affettano la eredità e perpetuità dell’ uffizio. Di che l’Imperatore si sfoga con parole agre che suonano tuttora in qualche documento; giudica contro di loro in favore de’ monasteri, e contro lor suscita gli stessi monasteri e i Vescovi e le grandi città; con privilegi ed esenzioni assolvendo questi dalla immediata dipendenza verso quel già primo rappresentante dell’ Impero; sono anche sobillati i visconti e vassalli, e infine favoriti apertamente colla imperiale assicurazione della perpetuità dei sottofeudi a danno dei loro seniori. Gli scolari trovano assai gradita la lezione, e tosto l’applicano e contro i marchesi e contro lo stesso maestro, 1’ Imperatore; e col separarsi sempre più della proprietà Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXVIII. Serio 3.’ 9 svincolata dagli intralci e coltivata dappresso nelle nuove sedi e persone, vedi il campo mano mano raffittirsi d instituti e rifiorire; e potenza ricreare potenza, ricchezza ricchezza, libertà libertà. L’Imperatore e i marchesi avvedutisi tornar loro a danno le ire reciproche, si rappa-tumano; e dove per lo addietro le loro parole e fatti ci suonavano agro, ora il più de’ marchesi si piace alle diete e agli uffizi della corte imperiale, e tramanda ai discendenti l’umor ghibellino. Ma il ravvedersi é tardi; il movimento sprigionato, non che arrestarsi, cresce. Vedi alternare associazioni e lotte: nobili vecchi che vanno diradando, e nuovi o di second’ ordine che ne pigliano il luogo : cittadini che dalla terra ebbero il primo vigore, ma che il commercio, le arti, il mare rese invincibili : una popolazione diffusa che appoggiandosi a quegli elementi si reca in massa dal monte al piano, dal castello al borgo nuovo e con grandi colonizzazioni di agri compascui confonde e dilegua i confini tra i comitati. Che se in codesta nuova massa di diritti e d’interessi si ripigli lo studio, ad uno ad uno, dei diversi umori imperiali, signorili, ecclesiastici, democratici : e se ne seguiti l’intreccio e il derivamento nel sangue sociale, si vedrà in ogni fatto, che sembra a prima fronte dell’individuo, la mente e la mano del consorzio ancora per lunghi anni, colle sue memorie e speranze non volute abbandonare; l’apparente disordine ravviasi alcun poco, distinguendo questi gruppi con fisonomie ben divisate che additano chiaro chi fa soffrire e chi soffre, e per quale interesse e tradizione. Infine, della lotta dei marchesi contro l’impero, dei figli de’ marchesi contro il — I3I — proprio padre (di che abbiamo esempio negli Aleramici e negli Obertenghi), de’ visconti contro i marchesi, de’ vassalli minori contro i maggiori, il popolo é quello che ne raccoglie il frutto, e ne sorge la indipendenza, la civiltà, la lega gloriosa dei Comuni nel Caroccio e nella croce. Ma ahi ! troppo breve la concordia della forza colla moderazione ; troppo più violento che non persuasivo l’assorbire dell’esterno elemento nella città; la tradizione dell’antica potenza e le recenti umiliazioni risospingono quell’ elemento al favor dell’ Impero : i semi degli odi di parte lungamente compressi, ma covati in segreto, dappertutto fan lievito e rompono' la superfìcie che parea piana e tranquilla; vendette e riscosse a vicenda, guelfe e ghibelline, che qua si rifanno in nuova tirannide, colà per soverchiarsi l’un l’altro consumano in vani conati il rigoglio giovanile e muoiono d’etisia. Del resto io reputo utile lo studio, da me disegnato, per l’intelligenza non solo del periodo storico che qui discorro, ma e dei tempi antecedenti e di quelli posteriori fino a noi. Quanto agli antecedenti, già toccai del turbamento e dileguo, avvenuto per le nuove vicende, dei confini de’ Comitati e Marche ; e degli agri pubblici ivi occupati e colonizzati quando fu ridotto a divisione e coltura il territorio rurale colla creazione de’ marchesati, signorie e sottofeudi, senza alcun riguardo all’antico stato delle cose, e secondo la maggiore fortuna, arbitrio e potenza de’nobili e de’ Comuni. Ma mercè l’esame accurato dei documenti del presente periodo, non è difficile restituire gli antecedenti confini, o trovarli ancora conservati nelle pievi, nelle diocesi, quale erano già nei Comitati, intesi nel vero e legale loro significato. Anzi — 132 — ciascuno si persuaderà essere questi stessi confini rden-tici con quelli dei paghi e popoli d’Italia, anteriori anche alla conquista romana. Di che si fa possibile gettare uno sguardo sulle nostre epoche preistoriche tanto oscure finora. Quanto a’ tempi seguenti al ridetto periodo, il nostro studio offre un mezzo prezioso per raccogliere in pochi tratti la lunga storia degli influssi, esercitati fino a ieri dalla nobiltà e dalle instituzioni feudali-politiche nelle successive lor fasi. Ad esempio, abbracciando di volo tutta la serie degli ampi tenimenti sull’Appennino da Luni a Tortona, e considerandoli al lume dello stato primo feudale da me sovra abbozzato, si capisce sen-z altro il come e perché i conti di Lavagna abbiano potuto a spese de’ marchesi e de’ Vescovi accumulare tanta distesa di territorio e castella alle due pendici marittima e pedana; il perché poi, sulla rovina causata dalla congiura del Fieschi, i lunghi umori di parte agevolassero ai Doria il subingresso in tante feudali giurisdizioni, che durarono fino al cadere de’ feudi nelle nostre regioni. E, quando attraverso al medesimo territorio vediamo trapelare tuttora qua e là i laceri ma numerosi avanzi dei Malaspina, sopravviventi all’antica gloria; o quando apprendiamo da documenti che gli altri odierni possessori, gli Adorno, i Centurioni, ma, più di tutti e da più antico, gli Spinola -derivarono i più o meno insigni tenimenti dai Malaspina stessi o dai costoro feudatarii ; ecco compendiata in ciò stesso la storia intera di una vasta regione; ed ecco la chiave per comprendere l’influsso esercitato da tale storia sulle condizioni della stessa regione, politiche, economiche, agricole. — !33 — Ogni anno eh’ io rivedo la terra di Gavi, onde bevvi la vita e il cui amore m’inspirò le prime storiche fantasie, l’aura primaverile semina di mille smalti e rallegra di profumi ineffabili l’ondeggiante terreno; allora mi si ringagliardisce 1’ animo stanco e lungamente compresso nella gelida rassegna de’ documenti : la materia, che sonnecchiava ammonticchiata, s’agita e mesce, e ravviandosi a misteriosi cubicoli si marita al concetto e ne plasma e figlia gli organi che le mancavano alla pienezza della vita. Un susurro arcano mi giunge all’ orecchio anzi al cuore, e mi chiarisce il senso dei rottami ond’ io mi trovo circondato; e mi punge ognivolta il rimorso di non aver ancora narrata la patria storia. Nè ora nemmeno la narrerò, ma si condoni all’ affetto, se io ne spizzico un esempio che cade in taglio al ragionato testé. L’umile strada che corre lungo la casa paterna e che serba l’antico nome della Magione, la croce de’ cavalieri scolpita sull’arco di faccia, mi trasportano di balzo a quel marchese di Gavi precettore gerosolimitano (i) che si travagliò in Genova per la crociata del santo Luigi di Francia : sull’acqua che corre più abbasso, gira la ruota d’un molino che i medesimi cavalieri (certo per mezzo del predetto marchese) godevano in consorzio colla Repubblica. Lungo la mia passeggiata favorita, ombreggiata dagli ontani che listano la gora, sento nominare San-t’ Eusebio, ma non iscorgo che campi e vigne in un’amena pianura che a tramontana poggia in dolce pendìo. Ma sostiamo al crocicchio d’ una stradicciuola ; ecco qui dormono l’ultimo sonno gli antichi Benedettini; quella (i) Cfr. Belgrano, Documenti delle Crociate di San Luigi, Genova, 1850, pp. 40-41. Cfr. anche p. 284. — *34 — colonia che parti dalla badia parmigiana di S. Maria di Castiglione insieme ad altri fratelli i quali procedettero più oltre a Tassarolo, e a San Remigio di Parodi. E S. Maria di Castiglione era stata fondata fin dal secolo XI da un marchese obertengo (i) e dotata della decima di tutti i suoi beni, tra i quali appunto Tassarolo, Parodi, Gavi (di quest’ ultimo riservandosi il castello) e Rovereto su cui sorse Alessandria; quella città che, come dissi, giurò poi fedeltà a' marchesi di Gavi. Ecco dunque ossa sepolte e disperse al caldo dell’ idea storica assumere nervi e apparenza di persona : ecco Tassarolo e Parodi con un solo tratto di questo racconto dar ragione di sé e delle loro parrocchie sorte dal nulla per cura di que’ monaci ; e sorte sugli incolti e le paludi che indicano il nome dei due luoghi. Di S. Eusebio di Gavi nulla più rimane al-l’infuori del nome, della tradizione e di pochi documenti; il terreno dei monaci all* intorno passò a più famiglie nobili dai Di Negro ai Lomellini; ed ora la pianura ed il colle finirono in cento mani che ne forzano la fecondità per proprio conto; ma recente é la memoria della sciolta enfiteusi ; lo stemma scialbato sulla faccia d’ una casicciuola ci fa risalire ai Lomellini, come un antico documento ci trasporta molto addietro ai Di Negro e alle loro quistioni coi monaci. Così il cronista, il raccoglitore delle tradizioni, se abbia scintilla di genio, si muta in istorico e da storico anche in poeta. Il maestro dell’arte gaia per simil guisa visitava le singole castella, egli solo sicuro nell’età violenta. Al soave preludio dell’arpa o del liuto, che chiede (i) Nel 1033 da Alberto padre di Alberto Rufo. Cfr. Ani. Esteri. I, 98; e appendice pp. 241, 249. — 135 — ospitalità, la scolta dai merli del torrione porge benigno l’orecchio : la gelosa saracinesca s’abbassa e colma la larga trincea; la vasta caminata accoglie il Trovatore con unanime benvenuto. Le armi, gli usberghi, lo scudo dormono sugli arpioni; il fiero barone affatica sul focolare gli enormi tizzi, e la folla dei vassalli s’aggruppa qua e là, ingannando coi dadi le lunghe ore invernali. La gran tazza ospitale passa di mano in mano, scalda e apre il cuore. Il Trovatore studia i volti, gli ammicchi, afferra i motti, raffigura ne’ figli il noto costume de’ padri, indovina la lotta degli interessi e l’onda degli affetti che si accavalcano come nuvoloni in cielo sconvolto; dagli sparsi lineamenti s’incarna pieno il ritratto de’ tempi nella capace fantasia ; e il canto si sprigiona signore degli animi, tra il frizzo e il severo e il feroce, tra la gioia e la lagrima che sprizza talora sui volti abbronziti, furtiva e invano ricacciata. Ed ecco come nacque la romanza ; e non altrimenti avrebbe voluto e dovuto nascere e conservarsi il romanzo storico, secondo il concetto espostone dall’acuto Tommaséo ; compiendo, cioè e ravvivando i fatti noti nella loro relazione naturale alla psicologia degli individui, dei caratteri e della società. Senonché pur troppo la sbrigliatura dell’ingegno e l’impazienza delle ricerche hanno tramutato in epiteto calunnioso quel nome, che avrebbe legittima origine nello storico impasto del romano coi popoli germanici. Ma si veda in Gualtieri Scott, come nello studio geniale delle patrie memorie s’incarni vigorosa la fisionomia delle persone e de’ luoghi storici : e si veda in Alessandro Manzoni, come a tutto questo si possa aggiungere la voce del cuore e la sublime moralità del — 136 — subbietto e, benché paia bestemmia, io non mi periterò a chiamare trovatori e poeti que’ recenti sommi italiani Cavedoni e Borghesi, i quali nel silenzio del gabinetto interrogando senza posa marmi e medaglie, scoprirono l’ordine dei tempi e delle generazioni delle famiglie, le magistrature, gli instituti e gli usi degli antichi popoli ; e posero le nuovi basi, su cui (mercé segnatamente la dotta Germania) va ora alzandosi gigante l’intelligenza e l’edifìzio della storia. E per somigliante nobile scopo principalmente che io, troppo fidando di me, mi ero sottoposto all’improba fatica delle genealogie e dello studio de’ titoli signorili del medio evo; io che per istinto naturale non curai (senza sprezzarle) le genealogie e i titoli moderni : e sì che anch’ io, a torto o a ragione, avrei saputo, sul costume de’ facitori di alberi, appiccicare qualche non oscuro personaggio ad ornamento del mio cognome; il quale del resto, per una non comune felicità, é disposto di guisa che basti a nobilitarlo, staccarne pianpiano la prima sillaba e allungare in maiuscola la lettera che segue. Io che per di più, almeno a detta di benevoli, avrei potuto aggiungere al fumo l’arrosto, dissepellendo non so quale fedecommesso di famiglia, io ho preferito le genealogie che non mi davano nè arrosto, né fumo; mi sono stillato lunghi anni il cervello e consumata la vista sopra fogli larghi e piccoli, e note e schede d’ogni ragione e d’ogni colore; ammonticchiando o separando, come si farebbe d’un giuoco di carte, alle cui varie combinazioni si chiede il segreto del destino. Ma, fidando troppo di me, lo dissi e lo ripeto, perché forse a ragione io non sarò tenuto da ciò; oltrecché — '37 — le vicende della vita mi recisero o turbarono le fila pria che fosse a buon punto, non che il tessuto, l’ordito : che un Trovatore dopo le castella avrebbe dovuto visitare i vescovi, le chiese, le città, ed ammirare quel fino e diuturno lavorìo che alla lotta co’ signori sostituisce dapprima la lotta colle città sorelle, e successivamente la lotta con se stessa e coll’ elemento signorile che ne rinasce. Le quali due sorta di movimenti si potrebbero tradurre in forme quasi geometriche, la seconda concentrica e subordinata alla prima; entrambe con centri o nodi fissi, guelfi o ghibellini, di città e di famiglie, e con curve da un nodo all’altro che si spostano e ritornano a serie e con leggi di reciproca attrazione e ripulsione; quasi figure dalla limatura di ferro assunte secondo la varia ma sapiente direzione data alla corrente magnetica nelle note esperienze fisiche. La quale espressione sociale fu intravveduta da un illustre italiano (i), ma secondo i suoi consueti principii fu esagerata in matematica necessità; eppure l’umano arbitrio è salvo, e capace della virtù in sé e della giustizia verso i fratelli; solo che si consideri, per una parte che l’uomo troppo spesso non fa degno uso di questa nobile libertà, preferendo la servitù delle passioni che l’agguagliano alla legge matematica del bruto; e per altra parte che la Divina Provvidenza riserba a se stessa l’ultimo riescire de’ periodi sociali, ossia l’asse e la grande spirale entro cui le piccole curve dell’ umano arbitrio a capriccio sbizzariscono ; due formole che bellamente si compendiano nella sublime ma nota sentenza: « L’uomo s’agita e Dio lo guida ». (i) Cfr. Ferrari Giuseppe, Histoire des Revolutions d’Italie, Paris, Didier 1858, Voi. 4. - 138 - Del resto conosco i pericoli d’ogni sistema e di chi vi si scalda, e l’esperienza me n’é maestra in questo stesso soggetto, trattato da ingegni più potenti del mio. Ma non mi parrebbe avere speso male il mio tempo, se anche ritagliate le dovute eccezioni, se con maggiore erudizione e talento disegnato meglio e praticamente svolto questo periodo, rimanesse tuttavia, quale 1’ abbozzai, la fisonomia generale storica dell’ Italia special-mente settentrionale ; alla peggio, se, come esposi fin da principio, fossi almeno riuscito a sobbarcare agli oppositori il debito della prova d’ogni e singola eccezione al sistema. Infine, infine, amico, come mi dissi e voglio sempre essere, della verità, non manderò gli alti guaiti, se vedrò anche cadere a pezzi tutto il mio edifizio, purché lo si abbatta con buoni argomenti; nè, se al sole della critica disincerate le penne imprestaticcie dell’aquila, ricomparirò una cornacchia; purché sia veramente il sole che me le strugga, non una lucciola o un fuoco fatuo. Ad ogni modo non isperi nessuno di togliere tutte le difficoltà, nè di riempiere tutte le lacune in un tema così povero di documenti; sovratutto non si lusinghi che la sola analisi e la fredda critica, benché ottima a distruggere l’errore valga mai a riedificare alcunché. La verità edificatrice sorge soltanto e sempre da una quasi divinazione, da un senso misterioso che risponde all’ intuito de’ fatti : intuito bensì paziente, fedele, compiuto ne’ particolari e nell’insieme; ma sovra cui si alzi l’ala dell’ingegno che sullo spazioso orizzonte indorato dal sole goda meravigliando la bassura; e tornino vincoli e armonie quei picchi, que’ deserti e quegli oceani — 139 — che quaggiù ne affaticano e intorbidano la vista, ne troncano il cammino o lo rendono aspro e selvaggio. Per simil guisa l’umano composto, pascendosi della materia, ne penetra il velame e se ne fa scala alle sublimi contemplazioni dello spirito; e per quanto or si gridi ai quattro venti la esclusiva necessità dell’ esperienza e dell analisi, veggo che, anco nelle scienze naturali, ove pure tal metodo ha in sé la ragione del suo predominio, tuttavia i risultati più meravigliosi e fecondi di vero ed ampio progresso non sono mai frutto d’analisi, ma si di quella quasi divinazione che comincia in ipotesi, finisce in teoria, e somministra criterii superiori i quali delle analitiche obbiezioni non sentono la punta e vincono senza bisogno di combattere. Ma lasciamo questi tasti. E forse soltanto l’innata cortesia e benevolenza distolse Lei dal tirarmi per le falde dell’abito e richiamarmi al tema; al die Postume de tribus capellis. Dacché io ho a parlar de’ marchesi, e ho promesso di passare quandocchessia ai marchesi Arduinici, già signori della bella e brava regione ov’Ella sortì la culla e che illustra coi di Lei studii ed ingegno. Né voglio mancar di parola, comecché confessi d’ accostarmi trepidando all’ ultima parte del mio compito ; ma prima chiedo in grazia per me stesso e, certo anche per Lei, un po’ di riposo. LETTERA IV Genova, maggio 1867. Come avvertivo sul chiudere della mia precedente, confesso di entrare con molta esitazione nel soggetto di questa lettera, che é la Marca Arduinica: e ciò per più ragioni. I miei studi sulle Marche da parecchi anni rimasero interrotti, quando appunto per questa parte non erano giunti alla desiderata maturità ; il soggetto per se stesso é, più che nelle altre Marche, difficile; perchè, tranne le carte riguardanti la contessa Adelaide e i suoi genitori, gli altri documenti di famiglia sono scarsissimi e male possono supplirsi con le imperfette indicazioni de’ cronisti, in ispecie per la cronologia: infine parrà superbia da parte mia voler trattare di storia piemontese con dotti Piemontesi: i quali se in tutte le discipline storiche mi sono maestri, tanto più sul presente soggetto da essi così diligentemente esplorato e con tanto frutto. E veramente io ho nulla o quasi nulla da aggiungere ai documenti, ai fatti, alle genealogie, quali sono comunemente ammesse da codesti chiarissimi scrittori delle - i4i - patrie memorie: tuttavia non mi sembra inutile che io dia una sguardata almeno alla Marca Arduinica, ed esamini fino a qual segno essa vada d’accordo colle teorie sovra dedotte dalle Marche Aleramica ed Obertenga; o se per avventura, e per qual ragione, se ne discosti nello svolgimento di que’ fotti storici e genealogici che furono discussi e posti in chiaro dai Terraneo, Durandi, Pro vana, Balbo, Cibrario, Adriani e altri valentissimi che ometto per brevità. Con tale ricerca soltanto si potrà dire compiuto sommariamente il giro storico per l’alta Italia, che dissi rivolto a supplire una importante lacuna tra i secoli X e XII, e a fornire miglior lume per 1’ intelligenza di quello straordinario avvenimento che fu il sorgere de’ Comuni. Ma qui mi giova pigliare il filo da alquanto più antichi tempi che non feci finora : col che verrà anche in taglio di discorrere delle origini contemporanee delle tre Marche Arduinica, Aleramica, Obertenga, come promisi in fine della prima mia lettera. Ella accenna all’ antichità della Marca d’Ivrea e con ragione; poiché questa antecede di mezzo secolo e più le tre onde io faccio studio speciale. Ed è perciò che nello scritto al dotto Amari io chiamai nuove queste tre Marche, come si potrebbe appellare nuovissima quella in-stituita dall’imperatore, un altro quarto di secolo appresso, a benefizio d’Alberto Azzo, l’antenato della contessa Matilde : Marca questa che fu certo l’ultima in Italia ; dopo del che avvenne il sovradescritto disgregamento di tutte in marchesati o signorie, feudi o Comuni. Ma la stessa Marca d’Ivrea è più recente di tempo delle tre altre notissime, del Friuli, di Spoleto, di Toscana. Cosi - I42 — in totalità abbiamo avuto in Italia otto Marche, le quali per rispetto alla posizione nostra geografica si potrebbero classificare in tre orientali (le più antiche) di Friuli, Spoleto e Toscana; in una occidentale, d’ Ivrea; in tre meridionali, di Genova-Milano, di Savona-Monferrato, d’Albenga-Torino; e nell’ultima settentrionale, di Brescia-Modena, della quale toccherò in fine. Quale fu la ragione dello stabilimento di tutte queste Marche in un tempo più che in un altro? Se si badi alla storia d’Italia, tale ragione verrà chiarissima, comecché da nessuno storico o cronista, ch’io sappia, esposta. L’ uffizio della Marca essendo di custodire i confini del regno con forza sufficiente e coll’aggregazione di più comitati, era naturale che fino dai più antichi tempi tosse a levante del regno italico un iMarchese nel Friuli contro gli Avari o Slavi, detto perciò anche Prefetto della Marca Slavica, fosse altro Marchese a Spoleto contro i resti ancora potenti dei Longobardi nella bassa Italia; un terzo Marchese in Toscana coll’ incarico di tutelare la Corsica e il Mediterraneo contro i Saraceni. Ma non v’era ragione nessuna di tenere un Marchese ai confini di ponente del regno in quel tempo, quando l’Italia era unita ai regni attigui sotto lo stesso ed unico Impero Carolingio. Soltanto dopo sfasciato quest’ Impero colla deposizione di Carlo il Grosso, e sorti che ne furono altrettanti regni quante le nazioni, Italia, Provenza, Borgogna, Germania, soltanto allora nacque la necessità di difendere l’Italia da codeste parti; e ciò tanto più, in quanto ognuno dei nuovi re stranieri pretendeva riunire in sé anco la corona d’Italia; siccome quella sola che, secondo il diritto pubblico d’allora, conferiva il titolo imperiale. I nuovi confini — 143 — da guardare si presentano da sé naturalmente: i.° il settentrione colle Alpi sovra i laghi Maggiore e di Corno-Lecco fino a Bergamo e Brescia dove il confine si collega con quello della Marca di Verona-Friuli ; perché da queste gole di monti potea venire e venne poi difatti Arnolfo re di Germania: 2° l’occidente colle Alpi sovra Ivrea ed Aosta pei noti passi del grande e piccolo San Bernardo e coi passi seguenti sovra Torino pel Cenisio e il Monginevra e giù fino al mare, per dove potean venire e vennero difatti i re di Borgogna e di Provenza. Or vedasi come a siffatti naturali timori risponda il fatto della contemporanea apparizione qui di due nuovi marchesi. Nell’ 891 Guido di Spoleto é incoronato re d’Italia e imperatore; e nello stesso giorno dell’incoronazione emana tre diplomi a favore di uno, per l’addietro mai nominato, Marchese Anscario che si sa essere lo stipite della casa marchionale d’Ivrea, e che, se non é il fratello dell’imperatore (come finora fu creduto, ma é mostrato erroneo dal ch. Wustenfeld), ad ogni modo é di lui fidatissimo e forse anche consanguineo (1). Al principio del seguente anno 892 comparisce un altro marchese; Corrado zio dello stesso imperatore e da questo favorito colla donazione della corte di Almenno, sul lago di Lecco, nel Comitato di Bergamo (2). Toccherò più innanzi della discendenza di Corrado e degli oscuri cenni che lasciano intravvedere in questa famiglia il possesso d’ una Marca settentrionale d’ Italia. Per ora ristringia- (1) Cfr. Moti. Hist. Patr., Cod. diplom. longob. 576-579. (2) Cfr. Cod. longob. 583. — 144 — moci alla Marca d’Ivrea; la cui estensione e limiti non sono indicati in nessun documento, ma i tratti principali si possono abbastanza rilevare. Che Anscario e suo figlio Adalberto e i suoi nipoti Anscario II e Berengario (questi poi re d’Italia) tenessero Ivrea come sede principale, è certissimo pel testimonio di Luitprando (i) e d’altri cronisti che danno sempre a que’ personaggi il titolo di Marchesi d’Ivrea ; sebbene, come al solito e per le ragioni addotte nelle lettere precedenti, anch’ essi nelle carte contemporanee abbiano la sola denominazione di marchesi senz’altra aggiunta. Ma, che la loro signoria si stendesse eziandio al Comitato di 1 orino con palazzo marchionale in questa città, è dimostrato da più documenti, segnatamente da quello del 929 eh’ Ella cita e dove il marchese Adalberto è detto anche nostro comite (cioè di Torino dove si fa l’atto) (2). Senonchè ciò non vuol dire che Torino fosse già fin d’allora una Marca per sé, ma significa solo che il Comitato torinese facea parte della estesa Marca d’Ivrea. Il che é innegabile; posto che il titolo dato dai cronisti ad Adalberto è di marchese d’Ivrea; e posta l’identità di Adalberto marcheseconte di Torino coll’omonimo marchese d’Ivrea. La quale identità di persona anche il cronista della Novalesa pone fuori di dubbio colà, dove narra che Adalberto padre del poi re Berengario (dunque il marchese d’Ivrea) ricevette in Torino nella Basilica di S. Andrea i monaci della Novalesa, fuggiti dalla invasione de’ Saraceni ; e diede loro l’abbazia di Breme nel Comitato di Lomello (3). (1) Luitprandi Historia in Rer. Ital. Script. Il, 384, 439, 441. (2) Cfr. Chart., 1, 131. (3) Cfr. Chronicou Novaliciense in Mon.. Hist. Patr., Scriptorum, III, col. 99, l>. - r45 — Del resto Ella badi che io non intendo qui far quistione della sede principale : a me basta che sia concesso che una sola Marca comprendeva a que’ tempi Ivrea e Torino, perchè se ne deduca ciò che qui sostengo; che cioè posteriormente nacque una nuova Marca pel distacco di Torino da Ivrea; e che questa nuova Marca si è quella governata da Arduino e dalla di costui discendenza. In quanto alla sede dei Marchesi si sa che in quei tempi non era in uso il presente accentramento; come 1’ Imperatore stesso, cosi tutti i suoi uffiziali giravano d’una in altra città a render giustizia ed ordinare gli affari; avendo nelle città principali palazzo, corte regia o ducale, broletto e simili, di cui, come Ella sa, rimangono ancora più tracce nella nomenclatura delle strade e piazze, specialmente in Lombardia. La Marca poi, comecché comprendesse più Comitati, era un’unione, direi cosi, personale piuttostoché reale : un solo marchese la governava tutta, ma il suo rappresentante in ogni Comitato si continuava a dire Vicecomes, visconte ; egli stesso il marchese tenendo placito in qualunque de’ suoi comitati aggiungeva alla parola Marchio il titolo speciale di conte di quel Comitato dove esercitava giurisdizione in quel punto; Comes istius Comitatus Dertonensis, Mediolanensis, Vadensis ecc. : dando con ciò a divedere essere questo il titolo legale ed ufficiale della giurisdizione; come anche il cancelliere o il notaro nel trascrivere l’atto stesso diceva far ciò per licentiam nostri Comitis; e cosi vedemmo usato nel placito suesposto del marchese Adalberto nel 929. Andiamo avanti rintracciando 1’ estensione dell’ antica Marca d’Ivrea. Che questo marchese oltre il comitato di Torino signoreggiasse quello d’Asti è cosa naturalis- Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXVIII, Serie j.a 1 10 — 146 — sima, e confermata dal conoscere che Anscario II figlio del predetto Adalberto, negli anni 933 e 936 possiede castella e terre nell’Astigiano (1). Anzi già fin dal 924, ancora vivo il marchese Adalberto, i suoi figli Anscario II e Berengario intercedono dal re Rodolfo la donazione del Castelvecchio d’Asti a favore d’ un loro protetto (2) ; nel quale atto di donazione è notevole che i due figli del marchese sono appellati conti, incliti comites; donde si capisce che il loro padre assegnò loro e sotto la propria alta signoria il governo di qualche Comitato formante parte della Marca; conforme ad esempi che vedremo a suo tempo in altre Marche. Più difficile è recar prove che il governo d’Adalberto si stendesse più oltre nei Comitati d’Alba, Bredulo, Auriate e tanto più al di là dell’Appennino ad Albenga e Ventimiglia. Delle quali estensioni la prova del resto al mio scopo non é essenziale; solo mi piace osservare che io ci credo per due ragioni; prima perchè anche dopo il distacco di Torino da Ivrea, i marchesi della prima di queste città dominarono certo in Auriate e Ventimiglia e quasi certo in Albenga, come dirò sotto: in secondo luogo, perché, chi ben consideri, capirà che senza ciò lo scopo della istituzione della Marca non sarebbe stato raggiunto; il confine italico verso Provenza non sarebbe stato ben tutelato senza la riunione, sotto un marchese, di tutta la cerchia dell’Alpi fino al mare. Se i fatti e le deduzioni da me esposte sono vere, come io penso, se ne trae anche il vantaggio di conciliare (1) Cfr. Chart., I, 137 e 139. (2) Cfr. diploma del 5 dicembre 924 in Chart., I, 123. - H7 — una grave discrepanza d’opinione tra i chiarissimi subalpini Durandi e conte Cesare Balbo, entrambi così bene informati del resto della storia della loro patria. Il conte Balbo comprende nella Marca d’Ivrea oltre i noti Comitati a levante di questa città (Novara, Vercelli, Lu-mello ecc.) anche quelli di Torino, Asti, Alba ecc. Il Durandi per contrario limita la stessa Marca al fiume Malone ; dal quale in poi comincierebbe altra Marca detta di Torino, comprendente il Comitato dello stesso nome e i vicini d’Alba, Asti, Auriate ecc. Dal ragionato di sovra apparisce che il primo di questi scrittori avea in mira la Marca più antica d’Ivrea, che abbracciava in realtà 1’ estensione da lui particolarizzata. Il secondo pensava alla Marca più recente dello stesso nome : la quale finiva appunto al fiume Malone, dopo essere stata privata dei Comitati occidentali che costituirono la Marca di Torino. Quindi (come avviene in molte altre quistioni storiche) tutte e due queste opinioni sono vere, purché si aggiustino a tempi diversi ed appropriati. Ora cerchiamo di applicare questi principii alla storia di que’ tempi, e vediamo che ne risulti. Anscario primo marchese d’Ivrea figura ne’ documenti dall’891 all’896 almeno (1); verso il 901 é nominato come defunto e gli è succeduto il figlio Adalberto (2); che fu, marito, in seconde nozze della troppo celebre Emengarda figlia del marchese di Toscana. Adalberto ha due figli, uno de’ quali secondo l’uso rinnova il nome dell’avo Anscario: questi ebbe verso il 935 la Marca di (1) Cfr. p. 143 n. 1 e diploma 25 Luglio 896 in Chart., I, 87. (2) Cfr. diploma 1 Maggio 902 in Chart., I, 103. — 148 — Spoleto e fu ucciso nel 940 (1). L’altro figlio d’Adalberto ebbe nome Berengario dall’avo materno che fu marchese del Friuli, re d’Italia ed imperatore. Questo secondo Berengario succedette al padre nella Marca nativa d’Ivrea, poscia divenne anch’ egli come l’avo materno re d’Italia ed ag-gregossi nella regia dignità il proprio figlio, che di nuovo secondo il costume ebbe il nome dell’avo paterno Adalberto. In questo intervallo tra i due re Berengarii primo e secondo (dall’ 890 al 950) la povera Italia era stata contesa, palleggiata, vinta e perduta più volte dai concorrenti alla corona; Guido, cioè marchese di Spoleto e il di lui figlio Lamberto, Berengario I marchese del Friuli, Arnolfo re di Germania, Ludovico re di Provenza, Rodolfo re di Borgogna, Ugo di Provenza e Lotario di lui figlio; alternatamente chiamati, coronati e rimandati dai Magnati d’ Italia, per quella falsa e rovinosa politica, di che Luitprando giustamente li biasima, di voler sempre due padroni per non ubbidire a nessuno. Ugo di Provenza reggendo con mano di ferro e senza scrupoli, cercò a morte Berengario marchese d’Ivrea; il quale avvertito in tempo ricoverossi in Germania, donde potè indettarsi coi connazionali ridotti alla disperazione, vistisi preda della tirannide, dei capricci del re, d’ intrusi stranieri e dei non frenati Ungheri e Saraceni che d’ ogni parte trascorrevano bottinando e devastando il nostro infelice paese. Berengario adunque ridiscese le Alpi, acclamato come un nuovo Carlomagno, un nuovo Davide, O ' quegli che sanerebbe tutte le piaghe e redimerebbe l’Italia. Ma se furono queste le speranze del popolo e le ragioni che lo indussero a coronar Berengario, i Magnati certo (1) Cfr. Muratori, Annali, ad ann. — 149 — non se ne contentarono; voleano qualche cosa di più solido, di più appetitoso; è il cronista Luitprando che ce ne informa, un po’ mala lingua ma contemporaneo e ben conoscente di questi avvenimenti. Egli dice che, per indurre i Vescovi ad accordare il loro voto alla sua elezione, Berengario promise a Manasse già signore di Trento, di Verona e di Mantova l’arcivescovile dignità di Milano; a Adelardo promise il vescovato di Como, e al Vescovo Guido di Modena il grosso boccone della badia di Nonantola. Di simili particolari promesse ai Magnati secolari il cronista non fa motto, ma dice abbastanza genericamente che Berengario, nulla ancora possedendo, a tutti prometteva largamente e dispensava le italiche dignità. Ora le italiche dignità sono tanto ecclesiastiche, quanto secolari; ed è del resto ben chiaro che i conti e maggiori vassalli essendo per diritto tra i principali elettori del re, non potea assolutamente trascurarsi con essi loro quel metodo d’accapparrarsi il voto che Luitprando descrive come generalmente adoperato. Ciò posto, non si potrebbero per avventura scoprire alcuna tra le dignità o promozioni promesse ai non ecclesiastici ? Cerchiamo i fatti che più strettamente s’attengono al nostro soggetto. L’ elezione a re di Berengario avvenne nel novembre del 950. Noi troviamo tre conti di nostra conoscenza, Oberto, Aleramo, Arduino, tutti presenti ad un placito del re Lotario in Pavia nel 945 (1); ancora nel 948 Oberto ed Arduino hanno il solo titolo di conte (2), ma nel 951 la dignità di marchese compete (1) Cfr. documenti di placiti in Pavia nel marzo e nell’ agosto in Cod. Long., 981 e Chart. I, 157. (2) Cfr. Chart. I, 160. — 150 — già ad Oberto e ad Arduino (i); di Aleramo gli scarsi documenti tacciono fino al 961, ove anch’egli figura decorato dello stesso più alto e nuovo titolo (2); ma il chiarissimo e buon critico Terraneo (3) lo dice innalzato alla dignità di marchese dal re Berengario fin dal 950. Di che si scorge che la promozione di tutti questi tre a marchesi più o meno strettamente si annoda al-1’ elezione a re di Berengario ; anche guardando ai soli e scarsi documenti del tempo. E, siccome quei personaggi furono gli stipiti delle tre famiglie che d’ allora in poi dominarono nell’ alta Italia collo stesso titolo di marchesi, ne conseguita che con l’atto imperiale di promozione non era stato conferito un titolo nominale soltanto o un puro segno d’onore (che del resto allora non usava far cosi) ma bensì fu una vera instituzione, un nuovo governo di distretto territoriale più ampio e sublime che non fosse il comitato, in una parola una Marca. Nulla dunque di più naturale delle due inferenze che ne deduco: i.‘ che la promozione da conti a marchesi di Arduino, Aleramo, Oberto fu l’offa, il boccone che offerse loro Berengario per guadagnarne il voto alla propria elezione in re; e ciò tanto più in quanto non è probabile che egli, dopo eletto re e presto volto a tiranno, abbia voluto fare tale promozione, allorquando ne sarebbe venuta ai marchesi maggior forza da potersi rivolgere all’uopo contro di lui stesso, come si rivolse di fatti. La 2.a conseguenza si é che l’istituzione delle tre Marche, come la elezione di Berengario, aveano chiara- fi) Cfr. pp. 109, 117. 4 — 210 — che fosse estesa di fatti e con più Conti sotto l’alto suo dominio, ne è prova il passo di Donizzone ove dice che giurarono fedeltà al Marchese, oltre i servi, i Proceres e i Comites (i). Ala (che monta notare al caso nostro) la stessa Marca, comprendendo i Comitati di Bergamo e di Parma, pare che succedesse, per questa parte almeno, all’ antica Marca settentrionale di Corrado e Radaldo, di cui si é perduta la traccia dopo il 92 6. Or non si potrebbe egli ragionevolmente pensare che il testé mentovato Almerico, Marchese in Mantova dal 938 al 954, fosse l’anello di mezzo che riunisce in una sola Marca i tre frammenti che a noi compaiono scuciti ? Il primo frammento dal-1’ 891 al 926 con Corrado e Radaldo; il secondo dal 938 al 954 con Almerico; l’ultimo dal 977 almeno in avanti con Attone e la sua discendenza ? Col quale legame giungiamo a classificare anche questi pochi Marchesi, direi cosi, sporadici, dopoché abbiam potuto ridurre a tre stipiti le famiglie marchionali dell’alta Italia : e in tutte le altre Marche, di cui é abbastanza nota la serie marchionale per istudi fatti da ch. Storici, abbiamo almeno accennato, ed accenneremo ancora il perché delle frequenti mutazioni delle stirpi, e del non essersi ivi, se non per uno o due casi, potuto stabilire un Marchesato. Tedaldo figlio d’Attone fu padre del Marchese Bonifacio famoso a’ suoi tempi; e questi fu padre della ancor più famosa Contessa Matilde ; nella quale, morta senza figli, cessò questa Casa nel 1115. Anche qui dunque, come in Adelaide Aleramica di Sezzé e in Adelaide (1) Cfr. Donizo, Vita Matlnldis Comitissae in Rer. Itaì. Script., V, p. 349. — 211 — Arduinica di Torino, si scorge chiaro il perché non sieno sorti dalla Marca i Marchesati. Bonifazio ebbe bensi due fratelli ; ma 1’ uno di nome Corrado morì giovine e celibe, l’altro Tedaldo (dal nome paterno) fu Vescovo d’Arezzo verso il 1027 (1). Anche lo zio paterno di Bonifacio era stato Vescovo di Brescia verso il 970 ; e fu questi Gotofredo figlio del Marchese Attone (2). Di che si vede anche in questa famiglia, come nelle altre, il costume di porre sulle sedi vescovili i proprii figli o fratelli, per mantenervi l’influsso politico proprio o impedirvi l’altrui. Senza tali cause estrinseche di restrizione delle generazioni , quale e quanto non sarebbe stato il numero dei Marchesati nella immensa distesa a grado a grado formatasi dalla Casa degli Attoni nell’ Emilia, nelle Marche, nella Toscana? I cronisti lasciarono scritto che Sigifredo padre del primo Marchese Attone, di stirpe longobarda e di sangue principesco, da Lucca si trapiantò nell’ Emilia. Il ch. Affò, correggendo le date, mostrò ciò dover essere avvenuto intorno al 920 (3); di più, egli e il Muratori resero assai probabile l’opinione; i.° che Sigifredo medesimo discendesse dall’ antica e illustre prosapia degli Adalberti Duchi di Toscana ; 2° che Oberto il primo Marchese di Liguria, stipite degli Obertenghi, dovesse essere un rampollo nascosto o fuggiasco di quella stessa Casa che fu schiantata dal Re Ugo, per sostituirvi i propri congiunti. Per tale riunione di fatti, (1) Cfr. Terraneo, op. cit. I, 213. (2) Cfr. Ant. [tal. I, 302, 303; Terraneo, I, 213. (3) Cfr. Affò, St. di Panna I, p. 200-201 ; Ant. Esten. I, 26, 29 segg.; Terraneo, I, 212. — 212 — gli Attoni e gli Obertenghi, come hanno comune la stirpe longobarda e il nome di Azzo in famiglia, così avrebbero anche comune e stretto il vincolo di sangue. Oltrecché si spiega con ciò l’origine di quella Terra Obertenga e di quelle chiuse del Marchese sovrannomi-nate, poste sui confini della Marca di Toscana tra l’Arno e il Tevere; come si chiarisce l’origine di notevoli proprietà nel Parmigiano, possedute già dagli Adalberti di Toscana, poi dagli Obertenghi, senza far parte della loro Marca. Checchenessia, gli Attoni nell’Emilia andarono sempre più guadagnando terreno; vedemmo da un fratello del primo Marchese staccarsi un ramo che ebbe per più generazioni la dignità di Conte di Parma, finché si estinse, succedendogli il Vescovo. Una gran fonte poi di potenza e di ricchezza, in questa come e più che in altre famiglie di simil grado del suo tempo, sono quegli agri di confine, onde spesso mi occorse far cenno. Già Attone, prima d’esser Conte, risiedeva nella poi celebre Rocca di Canossa, allivellatagli dal Vescovo di Reggio, e posta sul confine tra Reggio, Modena e la Lunigiana; donde egli e i suoi discendenti continuarono ad arrotondare e ridurre sotto lor signoria simile sorta di terreni; ora facendoseli infeudare dall’impero, ora prendendoli dai Vescovi e dai Monasteri a livello, in commenda, sotto specie di protezione, d’avvocazia, per amore o per forza: di che prodigioso è il numero delle Corti che ebbe con tal mezzo dai soli Vescovi di Reggio il Marchese Bonifazio ; come si scorge nell’ elenco fattone verso il 1070 e pubblicato dal Muratori (1). A questo stesso (1) Cfr. Antiq. Ital. Ili, 184. — 213 — Marchese verso il iooo i sudditi giurarono fedeltà, ancora vivente e così volente il di lui padre, Marchese Tedaldo. Questa notizia ci è fornita da Donizzone contemporaneo ed amico di casa; il quale fra i sudditi giuranti annovera i Proceres e i Comites (i); donde deducemmo l’esistenza di più Conti e con ciò anche l’ampiezza e l’importanza della Marca. Questo inoltre è l'esempio, toccato nella seconda lettera, di Marchesi che, come l’Enrico Guercio, nella loro avanzata età cedettero il governo della Marca ai proprii figli, come egualmente adoperò l’Obertengo Alberto Azzo li, di cui vedasi il Muratori. Il Marchese Bonifazio continuando la paterna politica nell’ attenersi alla parte imperiale, seppe porre il colmo alla grandezza della famiglia; aggiungendo alle avite signorie la dignità di Duca-Marchese della Toscana; ma ciò non prima del 1028 al 1033 (2); nel quale ultimo anno egli compare, per documenti, nel nuovo governo ed aggiunge nelle carte il titolo di Tuscorum Dux et Marchio, secondo il costume speciale già notato per queste Marche più antiche e fornite di maggior dignità. Morto egli senza figli maschi, esercitò la giurisdizione marchionale in Toscana il secondo marito della moglie di lui, e poscia i di lui generi, Gottifredo il Gobbo e Guelfo V Obertengo, mariti della unica di lui figlia Matilde. Ma questa celebre Contessa volle e seppe effettivamente raccogliere tutto il grave peso ed autorità nelle sue mani ; femminili sì, ma degne e pari all’ ardito assunto. (1) Cfr. Donizo, Vita Mathil. Comil in Rer. Ital. Script., V, capo IV, p. 351. (2) Cfr. Ant. Esten. I, p. 34 segg. — 214 — Non fa mestieri descrivere, come essa, con politica di parte opposta a quella degli avi, ma ferma e nobile, mantenne ed ampliò la grandezza della famiglia. Ma questa era fatata a spegnersi ; l’eredità da lei legata ai Pontefici fu per secoli dibattuta tra la Chiesa e l’impero; ma chi ne guadagnò più, furono gli antichi vassalli, i militi secondi, divenuti Conti potenti e in guerra perpetua coi Comuni; annidati, come sopra accennammo, nei grandi agri confinali degli Appennini tra Toscana e Romagna; a cui si aggiungano i Visconti Pisani, che, come quelli di Genova e di Milano, e si potrebbe aggiungere quelli di Verona, conservarono a lungo tempo la privativa di dazi e regalie, indipendentemente dai Comuni, entro la cerchia della stessa capitale. Ma se il padre di Matilde ebbe dall’ Imperatore la Marca di Toscana, che cosa dobbiam pensare avvenisse della famiglia del Marchese Ranieri che fu ivi suo immediato antecessore ? Ecco anche qui un viluppo, il cui scioglimento mi é trapelato nella mente e parmi degno di notevole considerazione, ma non è qui il tempo né il luogo di discorrerne altro che con un cenno. Perché, combinando il Lami ne’ Monumenta Ecclesia Fiorentina cogli Annales Camaldulenses, i parecchi documenti ne avvertono che la famiglia di Ranieri non si estinse e nemmeno ripiombò nel nulla : il suo lungo ordine di discendenti si ripetè nei nomi alternati di Ranieri e di Ughi, Uguccioni, Ugolini a cui seguita il Marchese Guidone e i suoi figli Enrico o Rigo e Ugolino. Questi ultimi nel 1167 (1) sono investiti dallTmpero della Marchia (1) Cfr. Moriondo, II, 332 ed altre fonti già citate a p. 77. - 215 — paterna; la quale però non ha nome di luogo, e solo è indicata come Marchia Guidonis. Notevole denominazione, e che finora lasciò nell’ imbarazzo di trovarne la situazione chi se ne occupò ; tuttavia, se si seguitino le vicende della famiglia, anche qui la si trova finire in un Marchesato disteso sui confini tra le Marche di Toscana e di Spoleto, specialmente sui territorii dell’Aretino, di Civita Castellana, dell’ Umbria, ecc., poscia diviso e suddiviso in parecchi rami ; il più noto de’ quali é la famiglia dei Marchesi del Monte Santa Maria nell’ Umbria, di cui vedasi il Litta (i). Da ciò si capisce che la Marchia di Guidone fu il nucleo, la sintesi donde uscirono que’ frammenti-Marchesati; e che fu essa pure sul confine e campeggiò per quegli agri pubblici e monti intorno al confine stesso, anzi fu vicina a quelle chiuse del Marchese, a quella Terra Obertenga, donde fu notato l’indizio della discendenza pure del Marchese di Liguria dai Duchi di Toscana. Si capisce pure che la Marchia di Guidone era già un ente ibrido o sul diventare; era la striscia montana e regale, il solito benefizio del Governatore-Marchese ; ma, chi voglia trovare la Marca vera e politica, la scopre facilmente nel governo, a cui quella striscia apparteneva; nella Toscana di cui era effettivamente Marchese Ranieri, il ceppo della nuova Casa. Sono note le di costui brighe coll’ Imperatore; quindi si capisce il perchè sia stato posto in di lui luogo il Marchese Bonifacio, tutto zelo per l’Impero ; ma 1’ evento prova che Ranieri, o per forza o per successiva pacificazione, potè tenersi a cavallo e tramandare (i) Cfr. Litta, Famiglie Celebri Italiane, Voi. IV. — 216 — ai discendenti una parte estrema ragguardevole ed ampliata della Marca medesima. Nella Marca di Spoleto gli avvenimenti politici, le lotte tra il Papa e 1* Imperatore, produssero divisioni di governo, sorgendone la Marca di Camerino, poi quella d’Ancona; e anche qui poco mancò che non si scendesse all’ente ibrido; giacché quella Marca fu denominata di Guarneri dal nome degli ivi lungamente dominanti padre e figlio; ma questa famiglia non potè farvi ramificazione. Gli ultimi Marchesi di Spoleto e di Toscana ridiventano, come gli antichissimi, puri governatori elettivi per l’Impero, ma, meno fortunati di quelli, non hanno nè lunga vita, né potere, per le mutate condizioni del popolo. Finalmente anche la Marca di Verona-Friuli ci offre analoghi fenomeni ; sebbene, come fu detto, una gran parte di essa passasse al Patriarca d’Aquileia. Potremmo indicare una Marchia Udalrici Marchionis senz’ altro titolo; la quale tentò metter radici anche qui, ma non approdò; simile alla Marchia Wameni or nominata. Si potrebbe rilevare un Marchesato d’AItems, diramatosi da una di codeste famiglie marchionali; ma ci contenteremo dell’esempio più illustre e per noi più importante, il Marchesato d’Este, sorto nel Comitato di Padova. È vero bensì, che questo, come notai sopra, è un trapiantamento della casa Obertenga della Liguria; ma il suo nucleo e il precipuo suo ampliamento procede certo dalla porzione ereditaria di Cunizza sorella di Guelfo III Marchese di Verona, morto senza figli maschi. Si sa, e lo dissi a suo tempo, che, dei figli di Cunizza e di Albertazzo II Obe-rtengo, uno continuò nella successione delle Signorie — 217 — italiane ed é Folco ; un altro ebbe l’eredità fuori d’Italia dello zio Guelfo III predetto; da cui prese il nome di Guelfo IV ed un cui ramo giunse splendente fino a noi di due serti regali, neH’Annover e in Inghilterra. Ma già ricchissima era la porzione di Cunizza, ancor vivo il fratello, nella Marca di Verona, tra cui una sola Corte comprendeva non meno di 100 mansi (i). Ed ora ho proprio finito. Perché Ella riconoscerà che 10 ho adempiuta la promessa fattale su tutti i punti (se soltanto materialmente od anche con qualche frutto storico, non ispetta a me il giudicare). Anzi ho fatto più del promesso ; allargandomi, almeno con qualche cenno, dalle tre Marche dell’ Italia superiore a tutte le altre Marche della nostra bella e cara Penisola. Su quelle ancora più antiche di Germania, della Bretagna, della Spagna, della Gozia ecc. non gliene voglio, né posso parlare; toccherò soltanto che soggetto bellissimo, e di gran frutto, e tale da compiere e ognor più raffermare 11 mio ragionamento, sarebbe uno studio della Marca in genere e sotto tutte le sue fasi ; incominciando dalla sua origine, e mostrando con la parola e 1’ uffizio del confine, ma non ancora la dignità politica, spunta già fra i Longobardi e si va innalzando al nobile suo significato sotto Carlo Magno, ma assai più tardi che gli scrittori comunemente opinano; essa significa dapprima la vigilanza del territorio piuttosto al di fuori, che non dentro ai confini dell’ Impero; e, sul diventare, sul comporsi della nuova dignità, questo vocabolo ondeggia anch’ esso tra le forme di Marcheus, Marchensis, Marchi- (i) Cfr. Ant. Esten. I, p. 2 segg. - 2l8 — sius (i), Prafectus limitis ecc., secondo i tempi e i cronisti: si mostrano qua e là (per esempio nella Marca Ispanica) più Marchesi ad un tempo che accennano anch’ essi ad un consorzio di sangue, ad una comune origine; e si vedono (per esempio nella Marca Gotica) i Visconti di Narbona ed altri Baroni e Signori di second’ ordine elevarsi anche colà a grande stato, e fondare nobilissime case, e assumere diversi e distinti cognomi e titoli. Ma cotesto non é peso per le mie spalle; oltrecchè io non mi sento né l’animo nè l’agio di sobbarcarmivi : e ne avrò merito da V. S., che avrà forse temuto negli ultimi miei cenni la minaccia d’ una nuova invasione epistolare. Ringraziandola dunque della squisita benevolenza con cui Ella ha accolto queste mie che temo troppe e troppo lunghe lettere, chiudo con pienezza di stima ed anche, giacché mel consente, d’affetto la mia corrispondenza e me Le professo ecc. (I) Cfr. Ant. Esten. p. 27. C. Desimoni. APPENDICI I. SULLA DISCENDENZA ALERAMICA E SULLA DIRAMAZIONE DE’ MARCHESATI DALLA MARCA LETTERA AL COMM. PROF. MICHELE AMARI (dalla Nuova Antologia, 50 settembre 1866). Genova, 16 oprile 1866. Chiarissimo Signor Commendatore, Ho dovuto ritardare il riscontro alla cortese sua del 2 corrente, tra perchè avevo tra le mani un lavoro di calcoli che non potevo lasciare a mezzo senza danno dei già ottenuti risultati; tra perchè ho dovuto rinfrescare alquanto le mie idee sopra il subbietto di che Ella mi parla, e che da lungo tempo ho trascurato, distratto da altri studi affatto diversi. Come vede adunque, non posso prometterle vicina la pubblicazione di tali mie ricerche che stanno finora sepolte in schede mobili e non leggibili che da me stesso; ma procurerò in minor possibile spazio rispondere alle sue interrogazioni e tracciare le basi del mio sistema, eh’Ella già in parte conosce per la citazione che si compiace di fare delle pagine degli Atti della nostra Società Ligure di Storia Patria; a cui potrebbesi aggiungere la pagina lxxii del Voi. Ili, cioè dell’ultimo Rapporto del Segretario generale, ove si parla bensì della Marca Obertenga; ma lo sviluppo essenziale delle due Marche è assai analogo, e — 222 — quando Ella voglia esercitare la pazienza a mio riguardo, può anche consultare i Rapporti un po’ più ampii sulle stesse materie che l’amico mio Cavaliere Belgrano faceva nell’Archivio Storico (i). Colla elezione del re Berengario li, e (come io sospetto) appunto per questa elezione sorgono tre nuove Marche attigue e fornite di tutti i requisiti essenziali delle antiche e maggiori Marche che sono la loro posizione sui confini del Regno italico, e la riunione di più Comitati in una Marca. Esse si possono chiamare dai nomi de’ loro stipiti Obertenga, Aleramica, Arduinica; oppure dalle sedi de’ loro Comitati: i.° Marca di Genova — Tortona — Milano; 2.° Marca di Savona — Acqui — Monferrato; 3.0 Marca di Albenga — Bredulo (Mondovì) — Auriate (Saluzzo e Cuneo) — Asti — Torino. Tale loro posizione dimostra che il mare ligustico è il loro confine comune meridionale e anche confine del Regno; e che esse sono attigue; l’Aleramica al centro con Savona — l’Obertenga a levante con Genova — l’Arduinica a ponente con Albenga. Cosi la marca centrale che più l’interessa si stende dal mare al Po, lungo i tre comitati di Savona, Acqui o Monferrato alto, e S. Evasio (Casale) 0 basso Monferrato. Visti i confini nord e sud, il Po e il mare; vediamone l’orientale e l’occidentale. Il primo di questi la separa dalla Marca Obertenga pel fiumicello Lerone, che dall’Appennino scende al mare, dividendo all’ incirca anche oggi i Mandamenti di Voltri e di Varazze. Dall’Appennino prosegue il confine al Po lungo una linea fluviatile che comincia col Piotta, che divide anche oggidì presso a poco i mandamenti di Gavi e di Castelletto d’Orba (terra obertenga o tortonese) da quello di Ovada (circondario d’Acqui). Il Piotta influisce in Stura; questa in Orba, questa in Bormida; la Bormida in Tanaro, e il Tanaro in Po. Il confine occidentale separa la Marca Aleramica dalla Arduinica verso il mare per mezzo del promontorio notissimo della Caprazoppa (presso Finale) che si attacca coll’Appennino : poi scende verso il Po pel fiume Belbo fino al suo sbocco nel Tanaro; traversa (1) Vedi Arch. Storico, Voi. XIV, Parte I, pag. 37-41, ed Atti della Società Ligure, Voi. I, pag. 141-142 e 647-648. n — 223 — questo fiume e salendo su per quella linea semicircolare di colli, che separa le sorgenti della Versa, del Grana e della Stura di Po, termina in quest’ultimo fiume presso Verrua; lasciandosi a ponente le città di Alba, Asti e Torino. Insomma anche questo confine occidentale separa oggidì i circondarj d’Acqui, Alessandria e Casale appartenenti alla Marca Aleramica dai circondarj d’Alba, Asti e Torino della Marca Arduinica. — Ciò s’intende all’incirca e specialmente pel Circondario d’Alessandria che allora non esisteva, formando parte dei Comitati vicini. Ora io, come per l’Obertenga, così anche tentai per la grande famiglia Aleramica una genealogia che comprendesse tutti i Marchesi che signoreggiarono in que’ confini, indicandone il posto e la figliazione da Aleramo in giù fino verso la fine del secolo XII; fin quando cioè cominciano ad essere ben accertate le speciali genealogie dei rami Marchionali moltiplici, sorti sul territorio della già unica Marca; in altri termini io ho cercato il nesso tra la Marca e i Marchesati riempiendo la lacuna di due secoli; e notando che la Marca era un uffizio in origine di giurisdizione governativa, giudiziaria e militare; ed era un Vicariato Imperiale nell’intero Distretto (compresa la città capitale); indi a poco a poco la città o si sottrasse formandosi in Comune, o diventò Vescovile; il resto diventò patrimonio della famiglia Marchionale dapprima in comune, poi a poco a poco diviso e suddiviso; finalmente, dal ri00 al 1200, si stabilirono fermi nelle loro varie sedi rurali i Marchesi già discendenti dall’ unico stipite Signore della unica Marca ; e ne vennero i Marchesati coi loro nuovi titoli di Marchese di Ponzone, del Bosco ecc., che sono cosa ben diversa dalla Marca; come difatti il nome stesso di Marchionatus non si vede adoperato nei documenti che assai tardi. Non dirò che questa sia idea nuova; è anzi antichissima ; chè quell’ improvviso comparire nei secoli XII e XIII di tanti Marchesi già in decadenza, di così brevi giurisdizioni e senza sapere donde venissero e come qui si radicassero, non poteva ammettersi per verun modo. Ma finora specialmente la famiglia Aleramica non ebbe fuori del Piemonte sufficienti espositori. E come si potrà giungere all’ intento in tanta scarsezza di notizie? Certo non altrimenti che coll’induzione e colla piena ( — 224 — conciliazione di tutti i fatti e documenti che l’erudizione progredita consente. Perchè, se anche si ottenga soltanto un’ipotesi, la quale però spieghi e renda chiari tutti i tatti noti, e armonizzi collo sviluppo della storia generale e specialmente come nesso tra tatti che sono immediatamente anteriori, e altri che sono posteriori al periodo che si studia, tale ipotesi non si dovrà ammettere, sino a prova contraria almeno? E questa stessa prova contraria non dovrebbe ella essere evidente invece di fondarsi sovra apparenti inverosimiglianze o lacune? Tanto più quando, come nella famiglia intera Aleramica, vi è (oltre le più prove, almeno in genere, dell’antica unità) una tradizione orale antichissima; che non si può attribuire, come pretende il Sig. di San Quintino, a ragioni d’interessi; perchè questi non esistevano ancora quando la tradizione era già comprovata. Con siffatti criterj il Muratori ricostrusse quasi di pianta l’intera famiglia Obertenga, e, dove non potè giungere co’ documenti, potè supplire coli’intuito nudrito dal complesso de’ fatti, di guisa che calcando le sue orme, si può ormai, coi nuovi documenti venuti in luce, dare il rigore di dimostrazione all’ attacco di certi rami genealogici eh’ egli previde. Io non pretendo certo a tanto onore, ma godo aver trovato nel dotto e acuto Prof. Teodoro Wùstenfeld di Gottinga un uomo profondamente versato in questi stessi studi (e ne debbo a V. S. la conoscenza); il quale avendo lungamente conferito con me, ed essendoci comunicati entrambi le nostre tavole genealogiche, ci siamo trovati conformi d’idee non solo nell’ammettere la unità Aleramica delle famiglie del Vasto, di Savona e di Monferrato, ma ancora nell’attacco della più parte dei rami. Certo abbiamo avuto qualche dissenso; di alcuni Marchesi non si conosce nemmeno la paternità, e bisogna dunque rattaccarli secondo il tempo in che vivono, i possessi loro, i nomi loro e de' figli; alcune delle opinioni del Wùstenfeld credo preferibili alle mie, su altre non posso consentirgli; ma (e questo è che più importa) sono quistioni secondarie di rami o di persone che non toccano punto o piuttosto confermano la unità Aleramica. Mi duole che quel dotto Tedesco abbia poi interrotta la sua corrispondenza con me senza ch’io possa indovinarne il motivo; perchè, — 225 — come egli stesso si compiaceva scrivermi, noi non eravamo lontani dall intenderci, e una genealogia combinata dalle nostre due, io credo, avrebbe potuto soddisfare noi stessi e altrui e presentare un quadro compiuto; giacché se io per la mia conoscenza locale, ho potuto additargli alcuni fatti e documenti a lui non noti; egli mi ha vinto nell’erudizione, come sogliono i Tedeschi, e special-mente negli attacchi colle famiglie estere, come per esempio in quelle relazioni sicule, eh’Ella domanda e a cui ritornerò. Pel motivo suaddotto della interrotta corrispondenza io non posso comunicarle, che confidenzialmente, un sunto della genealogia Aleramica, della quale non posso disporre, non essendo al tutto mia, ma in parte modificata sulle osservazioni del Wùstenfeld. Da questa Ella potrà vedere che da Aleramo primo Marchese della Marca ai Marchesi stipiti dei Marchesati non corrono che 47 o 48 individui: e ci vedrà posti in opera i criteri Muratoriani, che sono, di semplificare e identificare al più possibile gli individui, considerata l’importanza e la scarsità delle Marche a quel tempo ; ed avendo sempre l’occhio intento alla nazione 0 legge che professano, alle comproprietà 0 congiurisdizioni, all’armonia e ricorso dei nomi paterni od aviti. Ma quando l’albero è fatto, un colpo d’occhio sul suo complesso permette di rilevare altre armonie e criterj storici importanti, che senza ciò sarebbe stato impossibile capire. Si concilia 1’ opinione degli autorevoli Durandi, Balbo e San Quintino, dei quali l’uno vuole Aleramo Conte di Savona, l’altro d’Acqui, l’altro di Monferrato, ammettendo che la Marca di lui abbracciò tutti e tre questi attigui Comitati. Si vedono staccarsi a poco a poco i due rami principali, di Monferrato e di Savona (del Vasto) i quali già nel 1004 congiuntamente giudicavano in Vado nelle persone dei loro sottostipiti Oberto e Guglielmo cugini e nipoti d’Aleramo (1): ed ancora nel 1204 (2), sebbene già suddivisi in tanti altri rami, conservavano tuttavia la traccia di questo primo distacco in due. Questi stessi due rami continuano a mantenere un’ ombra di giu- (1) Cfr. p 11. (2) Cfr. p. 53. Atti Soc. 1-iG. St. Patria. Voi. XXVili, Scric 3.» — 226 — risdizione in Savona, recandosi alternatamente colà a prestare il giuramento costituzionale nel 1059-62-84-85 (1), dal quale ultimo anno in poi cessa il ramo di Monferrato di comparire a Savona, continuandovi a giurare i Marchesi del Vasto. E tuttavia ancora nel 1156 Guglielmo di Monferrato chiamava Aleramo suo antecessore in Marchia (2). Si stacca il ramo di Sezzè (Comitato d’Acqui) e si estingue nel rioo (3); ma Adelaide, l’ultima erede, non ne possiede che la quarta parte, e si trovano anche tardi pretese su questo territorio dei Marchesi di Monferrato-Occimiano e di quelli d’Incisa (Vasto). I Marchesi di Bosco-Ponzone (che sono identici prima di suddividersi e appartengono al Comitato d’Acqui) possedono la parte orientale del Comitato di Savona (Varazze e Albissola) e fanno donazioni alla cattedrale di Savona; come i Marchesi del Vasto ne fanno al monastero di Tiglieto nel Marchesato del Bosco. Guido vescovo e (come credo) di questa stessa famiglia non possedeva che un’ottava parte di Acqui e d’altre castella: come prima di lui i figli di Aleramo avevano dei diritti presso la stessa città. Il personaggio più importante di questa famiglia è il marchese Bonifazio (di cui Ella domanda) e il quale per nozze abbastanza credibili con una discendente della Contessa Adelaide Arduinica, dopo la morte della celebre suocera, pretese tutta o gran parte della Marca di lei, s’impadroni dei Comitati di Albenga, di Bredulo, Auriate, Alba ecc., attigui agli aviti dominii, e con questo vasto ampliamento potè fornire nuove e importanti sedi ai più recenti Marchesati della numerosa sua discendenza. Cosi Enrico Guercio in ultimo ritenne Savona e parte del Comitato Acquese alle spalle di questa città, lasciando a' suoi figli il titolo più umile di Del Carretto, nome di una terra di quest’ultimo Comitato; Manfredo e Guglielmo ebbero Busca e Saluzzo, prima in comune, poi suddivisi; Anseimo ricevette Albenga, donde poi le linee di Ceva e di Clavesana, ed altri Cortemiglia e Loreto; rimanendo Incisa a (1) Cfr. pp 22, 23, 24, 25, 27. (2) Cfr. p. 31. (3) Cfr. p. 103. — 227 — Bonifacio, il figlio diseredato. Ma si noti bene, che questi titoli di Busca, Saluzzo ecc., non sono assunti che assai tardi, anzi veramente solo dopo la morte dei figli di Bonifazio, dai loro discendenti; sebbene i notai nell autenticare, trascrivere o far sunto di carte anteriori talora dessero il postumo nome anche ai Padri di essi Marchesi ; ma questa stessa aggiunta, fatta da persone autorevoli e ufficiali, e i quali alcune volte perfino la fanno in presenza del Marchese figlio del così qualificato, è una prova incontrastabile dell: identità di persona. Il monastero di Staffarda nel saluzzese è fondato dai Marchesi del Vasto, e sul terreno proprio, come è attestato dai documenti; eppure il signor di San Quintino reca un documento del 113 5 ( 1 ) in cui i Marchesi (che ammette essere savonesi) danno allo stesso Monastero una loro terra circa monasterium, senza avvedersi che ivi era identità di proprietà, dunque anche identità dei Proprietarj ed omonimi Marchesi. Il distretto e comitato rurale di Loreto, ampio territorio tra il Tanaro e Belbo sui confini comuni delle due Marche Aleramica e Arduinica, resta ancora titolo del figlio di Bonifacio Ottone e resta più degli altri indiviso in famiglia, attalchè ancora sullo scorcio del secolo XII, Enrico Del Carretto (dunque di Savona) ne ritiene una sedicesima parte ed eredita di più una porzione di Cortemiglia (Alba) per morte senza eredi dello zio Bonifazio (Del Vasto) detto il minore ed ultimo dei figli dell’omonimo padre. E a proposito di Loreto osservo che questo è una specie di agro confinale, vasto appunto perchè limite di più Comitati e in origine forse limite di più popoli Liguri; come il Bosco e il territorio intorno aW’Urba era l’altro limite opposto tra le Marche Aleramica e Obertenga. Ora siffatti agri confinali assomigliano ad altri sui gioghi Appennini, ove furono fondati più Monasteri o dominarono vescovi o Corti Imperiali passate ai Marchesi; in una parola sono questi luoghi la culla, il germe del Marchesato; mentre la culla della Marca era la città. Della quale importanza storica degli agri confinali e della loro applicazione alla nomenclatura locale, toccai, benché sotto altro aspetto, nella 2.“ e 3.“ lettera della recente mia (1) Cfr. pp. 66, 74. — 228 — pubblicazione sulla tavola di bronzo della Polcevera nel IH*0 volume degli Atti della nostra Società Il sig. di San Quintino rese un segnalato servigio a questi studi pubblicando i documenti eh’Ella conosce; giovò anche dimostrando la falsità delle carte dello Sciavo; ma guastò il tutto con fantasticare quella sua separazione o bipartizione della famiglia del march. Bonifazio in due case, pretese contemporanee cogli stessi nomi del padre e de’ figli, collo stesso ordine d’anzianità, cogli stessi possessi. La sua ipotesi non regge alla critica; accumula inverosimiglianze e anche semplici supposizioni (come il sognato Guelfismo dei marchesi Liguri in confronto al Ghibellinismo dì que’ del Vasto) ma non ha un solo argomento di qualche polso : e pare impossibile che un uomo di vaglia, come egli è certo, abbia potuto durar tanta fatica ad accozzare tanti piccoli dati per tentare di costrurre un edifizio, che egli stesso sentiva ad ogni istante crollarsi sotto i piedi. L’unico argomento (se fosse vero) sarebbe la dimostrazione che pretende dare che Enrico, il marchese Ligure, sia morto nel 1182 quando l’omonimo Del Vasto viveva ancora: ma anche questa è un’illusione (1): il documento che reca non dice fiJii quondam Enrici, ma filii Enrici, dunque il padre Ligure è vivente; dunque nel 1182, circa mezzo secolo dopo la morte di Bonifacio del Vasto (secondo il San Quintino), sarebbero proprio vissuti ancora due Enrichi marchesi, figli di due Bonifacii, aventi entrambi fratelli di egual nome e collo stesso ordine d’ anzianità e tutti questi fratelli morti dalle due parti, ed essi due Enrichi giunti ad una età straordinaria, ed abitanti ai lati opposti dello stesso Appennino. Sogni! Credat Judaus.... Venendo alla quistione che più le preme, io non vedo il perchè possa dubitarsi della identità del Bonifacio Del Vasto collo zio della moglie del conte Ruggeri. Dappoiché le carte citate dal Pirro e dal Gregorio, pongono in chiaro che il fratello d’Adelaide era Enrico nipote d’un marchese Bonifazio, figlio del quond. marchese Manfredo e padre del conte Simone di Bufera; e nello stesso tempo è noto per altri documenti che il nostro Bonifacio aveva nel 1097 (i) Cfr. pp. 65, (?6. 81. — 229 ~ un nipote Enrico figlio del quond. marchese Manfredo suo fratello (i). Anzi la trasmigrazione d’ Enrico in Sicilia spiega meglio il perchè dopo il 1097 non si trovi più traccia di lui nè della sua discendenza tra noi. Il nome di Lombardi allora si dava tanto ai Liguri del mare quanto a quelli della Valle del Po; cioè nei documenti officiali più presto si usava dir Ligure; nel linguaggio comune e segnatamente in Oriente, Lombardo voleva dire anche Genovese. Quale sorta di popolazione recassero con sè Adelaide e il nipote Enrico sarebbe difficile indovinare; ma questo mi pare indubitato che venivano dalla Marca Aleramica ampliata da Bonifazio. Certo il dialetto, come Ella saviamente accenna, potrà fornire qualche lume; ed anche più la nomenclatura locale, secondo il metodo da Lei usato nella Storia e che io lodai e cercai generalizzare nelle predette mie lettere. Parimenti sarebbe difficile indovinare il perchè sia stato scelto a residenza della Colonia il terreno tra i monti piuttosto che il lido del mare. Io però qui proporrei un mio pensiero eh’Ella, perito come è dei luoghi e della loro storia, potrà meglio avverare. Posto che Caltagirone, Piazza, Butera ecc., sieno sui monti principali dell’isola e confinanti tra più Diocesi; io vengo in sospetto che la Colonia abbia avuta dal conte Ruggeri in dono 0 feudo uno di quegli ampi agri confinali, a cui alludevo testé, e che erano antichissimi confini di popoli, terre imperiali, agri Romani, patrimonii Pontificii, o ecclesiastici; come appunto era il patrimonio, detto delle Alpi Co^ie nel medio evo, ma propriamente posto nei nostri Appennini, e che figura in grandissima parte nelle relazioni tra Marchesi, Visconti, Vescovi e Monasteri. E questo mio sospetto non so se potrà anche estendersi nel già Regno di Napoli, ove trovo contemporaneamente il diseredato Bonifazio d’Incisa cugino di Adelaide col titolo di conte di Gravina, benché temporariamente; e anche più opportunamente al Monte Gargano ove mi par di trovare altri possessi del conte Simone nipote d’Adelaide e del conte Ruggero. Io non intendo farmi giudice di ciò ma solo di gittar là una idea che se si avverasse, sarebbe una nuova conferma dell’ importanza che io do agli agri confinali nello sviluppo storico. (1) Cfr. p. 73. Ma questo Bonifazio era veramente così famoso in Italia, come lo qualifica il Malaterra ? In prima non v’ è altro Bonifacio contemporaneo, il padre della contessa Matilde era morto da gran tempo, e non credo che suo fratello abbia avuto prole. Un Bonifazio di Monferrato non esisteva, sebbene i genealogisti di questa casa lo ammettano senza ombra di documenti. Dunque non ve n’è altro; o piuttosto è lo stesso Bonifazio del Vasto, consanguineo al ramo di Monferrato, che i genealogisti per vaga tradizione e per la sua celebrità posero a capo di quest’ultimo ramo. Or sebbene di lui parli poco o nulla la storia, non ci vogliono molte parole a dimostrare che il mondo contemporaneo lo dovette riguardare come personaggio importante. Egli era senza dubbio di idee vaste e di qualità politiche; giacché potè raccogliere e mantenere gran parte dell’eredità della suocera, contrastatagli a un tempo dal figlio dell’imperatore Enrico IV, da Umberto di Savoja, e dal figlio del conte di Monbeliard, il più fedele partigiano di Gregorio VII. Egli ebbe guerre coi Comuni vicini che gli ribellarono il primogenito e imprigionarono lui stesso, ma riebbe la sua libertà; fenomeno simile ad altro contemporaneo nel ramo Pallavicino della famiglia Marchionale Obertenga. Egli ebbe quistioni con Gregorio VII pel suo matrimonio colla cognata: tolse in moglie la nipote di Filippo I di Francia; e tentò dare la propria figlia in isposa a Luigi VI successore di esso Re, opponendovisi Ivone vescovo di Chartres: nulla di più naturale che abbia cercato alleanze anche nel mezzogiorno. Infine più volte egli si trova coll’imperatore o a suoi placiti; e accompagna a Roma Enrico V nel mi, e di nuovo nel 1122 è testimonio e giuratore delle promesse Imperiali al Papa nella celebre questione delle investiture. In genere si può dire che 1’umor Ghibellino fu in tutta la stirpe Aleramica, ma trafuso poi per eccellenza nella casa di Monferrato; giacché mentre si hanno più esempi di diete o placiti Imperiali a cui assistono i nostri Marchesi, non ho memoria che di due casi, ove si trovino contrastare all’impero; Guglielmo nei 1026 contro Corrado II; e Anseimo del Bosco nel 1127 contro Corrado III. Ma ella vorrebbe ancora conoscere le sorde rivoluzioni de’ Vassalli e i rapporti dei Conti co’ Marchesi. lJoco si conosce su ciò — 23I — , A , nei nostri documenti. I Rapporti colle città non risultano che dal succitato giuramento costituzionale fatto contemporaneamente dagli Aleramici in Savona, e dagli Obertenghi in Genova, e che, sebbene in poche parole, esprime tutta una storia di sviluppo, dapprima di dipendenza del Comune dal Marchese come Vicario Imperiale, poi a poco a poco di limiti imposti al diritto Marchionale nel tempo e nello spazio, di Cittadini maggiori e minori che sorgono; poi di piena indipendenza dei Comuni, infine dell’assoggettamento dei Marchesi al Comune. Alcuna città diviene invece vescovile, come Acqui (e credo anche Asti, almeno in principio) e quanto a’ Vescovi è notevole in questa Marca il fenomeno osservato altrove ma non finora qui; che tre Vescovi si succedono in Acqui dal 1030 circa al 1130 almeno, i quali secondo me appartengono tutti alla famiglia Marchionale, e sono, Guido signore di un’ottava parte d’Acqui fin verso il 1070; poi Adalberto fratello di Guido di Sezzè verso il 1079; poi Azone fratello del primo marchese del Bosco e del primo marchese di Ponzone (1). Di Conti sotto i Marchesi Aleramici ed Obertenghi non si ha notizia; anzi si vede che i Marchesi stessi esercitavano qua e là la comitale giurisdizione: tuttavia vi è una eccezione per Acqui, dove si trova un Conte verso il principio del secolo XI; ma pare temporario e senza lasciare altra traccia della sua famiglia. Invece si trovano i Visconti, 0 Vicarii del Conte, e se ne ha traccia negli Aleramici; come i Visconti di Priero e Cairo notati dal San Quintino; ma più se ne conosce nella Marca Obertenga, ove appaiono ancora le liquidazioni 0 divisioni di feudo tra il Marchese e il Visconte o Vassallo, come oggidì si farebbe tra il Direttario e l’Utilista. Tali sarebbero 1 Fieschi, i Da Passano, i Vassalli Piacentini ecc. Ed ecco che ho finito, non so con quanta sua soddisfazione. Io ho detto cose a lei forse non necessarie: e dove più le premeva sapere, l’ho lasciato a denti asciutti, dopo averle col numero delle pagine e col carattere fitto del mio abborracciato letterone fatto sperare un lauto pranzo. Ma non me ne voglia male, e gradisca se non altro l’intenzione, che certo è tutta in cercar di far servigio (1) Cfr. p. 79, n. 4. — 232 — a Lei a cui professo molte obbligazioni. Riceverà qui unito il promessole schema genealogico naturalmente abbreviato e lasciando i nomi delle donne meno importanti e le date de’ documenti. Ma veda caso bizzarro! Prima di chiudere la presente mi giunge per la posta un fascicolo con una breve nota del sullodato Wùstenfeld, con cui rompe il silenzio di due anni, promette di scrivermi più a lungo sulle ultime mie osservazioni di cui mi ringrazia, e accetta fin d’ora di staccare dall’albero Aleramico le case de’ Marchesi di Gavi e di Cavalcabò, che io proponeva doversi pei soliti criterj aggregare alla famiglia Obertenga (1). Mi tenga sempre disposto a’ suoi comandi. Suo Devotissimo C. Desimoni. (1) Al desiderio espressomi dal Ch. Amari di lasciar pubblicare la mia lettera seguita dall’albero genealogico, sarebbe stata scortesia non aderire. Veramente il consenso che chiesi al Prof. Wùstenfeld per quanto lo riguarda, non ebbe risposta, a cagione certamente degli eventi di guerra sopravvenuti; tuttavia liberale come ei sempre fu delle cose sue a me e altrui, non mi resta il menomo dubbio sui suoi intendimenti. Ma per rendere a ciascuno il suo, ho segnato coll’ asterisco i nomi dei Personaggi che ho semplificato o a cui diedi la paternità secondo le proposte del sullodato Professore di Gottinga. II. SUI MARCHESI DI MASSA IN LUNIGIANA E DI PARODI NELL’OLTREGIOGO LIGURE NEI SECOLI XII E XIII. (dalVArchivio Storico Italiano, Voi. X, pp. 524-349). I. La lettura e la interpretazione d’un documento nella mia scuola di Paleografia mi ha richiamato alla memoria studi antichi e da molti anni pretermessi, ma che amici di fresco mi eccitarono a ripigliare e pubblicare. Si tratta di una pergamena del nostro Archivio di Stato, impressa già bensì nella Collezione dei Monumenta Historiae Patriae, (i), ma di cui niuno finora, ch’io sappia, si è accinto a rilevare l’importanza e segnatamente rispetto al punto che sarà il soggetto della presente Lezione. Nel 1130 i Genovesi, continuando a stendere la loro azione oltre Appennino, che già nove anni prima aveano cominciato colla occupazione di Fiaccone e di Voltaggio, vennero naturalmente in contrasto coi Tortonesi, i quali consideravano, come proprio comitato, il territorio fino al vertice dell’Appennino. Affine di rendere innocui i rivali confinanti, il Comune di Genova si rivolse a quello di Pavia; essi fermarono un’alleanza, intesa a serrare come fra due morse i Tortonesi e che fu suggellata colla pergamena in discorso. (1) Moti. Hisl. Palr. Chartar., II, 215; e pergamena nell’Archivio Genovese di Stato, Materie Politiche, Mazzo i.°, 1130, i.° ottobre. Cfr. anche p. 264. — 236 — I due Comuni si guarentiscono i diritti e beni reciproci, prevedono i casi possibili del conflitto d’entrambi col Comune di lortona, determinano un territorio intermedio a guisa di cerchio e d’anello entro il quale ciascuno dei due alleati dovrà esercitare una sorveglianza speciale e più efficace, a frenare i danni e pericoli temuti. Qui accennano personalmente ad alcuni signori i quali saranno messi in mora a dichiarare se 0 no vogliano entrare nella lega, per essere quindi trattati bene e male a seconda della loro dichiarazione. Questi Signori, oltre ad Alberto (Marchese) di Gavi, sono indicati col semplice nome di Porrada e suo figlio e suo fratello Guglielmo. Con tali parole cosi asciutte sarebbe difficile indovinare chi sieno dessi; e mi pare che non ne sia venuto a capo nemmeno quel tanto acuto quanto profondo conoscitore delle genealogie italiane di quei secoli, che è il prof. Teodoro Wùstenfeld di Gottinga. A me è sembrato possibile il ricondurre anche questo signor Porrada nelle genealogie dei Marchesi della Liguria, e per dirla tutta in una volta, nella genealogia dei Marchesi di Parodi. Questi di fatti, insieme ai Marchesi del vicino Gavi, dalla crescente superbia dei comuni non voleano per lo più esser riconosciuti col titolo feudale; ed essendo, come un cuneo, fra Genova e Tortona, doveano largheggiare or coll’una or coll’altra per tenersi in piedi; ma dal prepotente influsso di Genova finirono d’essere assorbiti, anzi annullati affatto. Nei tempi di cui parliamo non ci appaiono che signori dei piccoli castelli di Gavi e di Parodi, a cavaliere dei colli vitiferi posti a mezzogiorno della Scrivia e della ferrovia Genova-Novi; ma, se si studino in tutti i loro aspetti, desta meraviglia la loro relazione di parentela 0 di signoria con altre potenti e lontane famiglie. Così ad esempio i Conti di Lavagna, i Signori da Passano, obbligandosi a Genova d’ aiutarla contro i nemici, intendono però eccettuarne i Marchesi di Gavi, verso i quali sono legati da vincoli anteriori di fedeltà; e, che è più notevole, tale vincolo di fedeltà li lega contemporaneamente verso i Marchesi d’Este, i Marchesi Pallavicini e i Cavalcabò (1). Ecco già qui la prima traccia di una (1) Cf. pei conti di Lavagna M. H. P. Iurium, I, 201, 220, 259, 271, anni 1157, 1166, 1171-72 e pei signori Da Passano Antichità dei signori Da Passano, Torino, 1616, pp. io, 17; anni 1132, 1171. — 237 — grande famiglia che ormai compariva soltanto sparpagliata e debole, rosa non meno dalle progredienti divisioni e povertà, che dai Comuni divenuti consci della propria forza. Documenti, specie del Cartario Tortonese (r) o dei Giuri di Genova, ci mostrano questi . Marchesi di Gavi e di Parodi avere resti di regalie non solo intorno al loro castello, e reciprocamente nel Castello l’uno dell’altro, ma e nell Avocheria del Monastero di Precipiano, e in Serravalle e oltre la Scrivia molto addentro nel Comitato Tortonese. Ma qui noi non vogliamo parlare che delle relazioni fra questo Comitato e quello di Massa di Lunigiana. 11 gran Muratori (2) tolse da un Registro del Comune di Sarzana la notizia documentata, che un Guglielmo Marchese di Massa e Parodi nel 1184 investiva certo Guidobono di un suo feudo detto Volpeglino nel Tortonese. Altri Marchesi, come un Andrea nel 1196 (3), assumono questi medesimi titoli riuniti di Massa e Parodi; un Marchese Raineri nel 1171 (4), rinunziando ai Genovesi il dominio diretto sovra Parodi, si riserva ancora parte dei diritti sovra Massa e le isole. Ed invero questi Marchesi avevano pure giurisdizioni nell’isola di Corsica, anzi al cadere del sec. XII uno di loro si allargò anche alla Sardegna, appropriandosi il Giudicato di Cagliari (5). Giovandoci delle notizie intorno a siffatte relazioni signorili, possiamo gittare qualche lume su quel Porrada e suo figlio e fratello da cui mosse il nostro discorso. Porrada è chiaramente un soprannome; ciò secondo il costume del sec. XII, quando la fecondità delle famiglie cresciuta a dismisura e la ripetizione perpetua dei loro nomi di padre in figlio 0 d’avo in nipote dovettero recare una confusione che facilmente s’imagina. Alberto ed Oberto, specie (1) Costa, Chartarium Dertonense, Torino, 1814; e Cronaca Tortonese edita da lui e ripubblicata dal Capurro, Novi, 1854. Cf. i varii scritti dell’erudito Can. Bottazzi sulle antichità Tortonesi e Alessandrine; specie i suoi Monumenti dell'Arch. capitolare di Tortona, Tortona, 1837. (2) Antichità Estensi, I, 260. (3) Ibid. I, 260 - e Repetti, Dizionario geografico storico della Toscana, III, 118. (4) Iurium, I, 259, 266. (5) Repetti, loc. cit. - Targioni-Tozzetti, Relazioni di viaggi in Toscana, II, 256 seg. - Tola, Cod. Sardiniae Diplomaticus, I, 303 seg. — 238 — nelle famiglie di stirpe longobarda, Guglielmo in quelle di stirpe salica, Ugo 0 simili nelle une e nelle altre faceano le spese per tutte le generazioni. Si è allora che dovettero cominciare a sentirsi anche nei documenti ufficiali quei soprannomi che per lo addietro i vicini soltanto se li susurravano all’orecchio; soprannomi per lo più satirici o burleschi come si formano appunto fra i crocicchi del vicinato. Peìavexino nobilitato più tardi in Pallavicino, Malaspina, Maìnipote. Degli Iniquità o simile li vediamo sulle carte e nei placiti, come cose le più naturali del mondo; e vediamo spuntarne sempre di nuovi, Guglielmo Piscia aìl’ora e il Guercio e il Bianco e il Rufo o rosso e il Negro 0 nero; diventati, da soprannomi transitori, cognomi stabili. Così anche per esempio nei conti di Lavagna, i Bianchi, gli Scorza, i Della Torre, e Ugone Secco e Ugone Fresco, donde poi i Fieschi. Taluna volta il popolo nella sveltezza e rapidità del conversare ama mutilare i soprannomi, come sappiamo essere uso di fare nei nomi di battesimo. Ugo Soprammonte d’ un ramo dei Marchesi Pallavicini, è in certe carte ridotto ad un semplice Monte. Per simil guisa, io penso, sarà rimasto mutilato il soprannome di Porrada nella nostra carta del 1130; altrimenti sarebbe da disperare di una spiegazione qualunque intorno all’individuo che ci occupa. Vediamo un Oberto Brotoporrada del 1121 fare omaggio per Solero ed altri luoghi del Tortonese, verso i monaci di San Martino di Tours, i quali ne lo rivestono colla berretta come di feudo che era di loro antica appartenenza, ma che anche da antico era goduto dalla famiglia o suoi rami marchionali (1). Vediamo poi nel 1146 un Alberto Marchese di Corsica figlio del quondam Brattaportata vendere a certi Pisani la sua parte (che era un terzo) del Castello di Livorno (2). Ora per le relazioni tra le famiglie marchionali, che abbiamo accennato e che accenneremo ancora, io reputo che l’Oberto Brotoporrada del 1121 sia una medesima persona col Brattaportata già. (1) Mabillon. Ann Ord. S. Benedicti, IV, 634 - Moriondo, Monumenta Aquensia, II, 374, I, 119. (2) Muratori, Antiquit. Italicae, III, p. 1161. - 239 — morto nel i r46 e padre del Marchese Alberto di Corsica. Il lieve divario fra Brotoporrada e Brattaportata non fa la menoma difficoltà per chi è pratico di siffatte cose, e capisce come i nomi del medio evo sieno sempre difficili a tradursi dal Notaio e sieno ancor più difficili a leggersi correttamente da chi non abbia piena cognizione del soggetto. Fin qui il lodato prof. Wùstenfeld ed io eravamo d’accordo, senza saper l’uno dell’altro; ma io reputo inoltre che l’uno e l’altro di que’ due soprannomi sia una medesima cosa con quello di Porrada, mutilo al modo che si è detto. Non mi arri-schierò a spiegar l’origine e l’occasione di questo soprannome, mi arresterò a cosa più utile, notando che Porrada aveva un figlio anonimo ed un fratello di nome Guglielmo. Fioriva di fatto a que’ tempi un marchese Guglielmo, detto di soprannome il Francigena (i) o Francesco, cioè il Francese secondo il parlare d’allora, forse perchè educato o anche nato in Francia o di madre salica; siccome appunto era la prima volta che il nome Guglielmo, usitatissimo nelle famiglie saliche, entrava in quella famiglia marchionale degli Alberti od Oberti, di stirpe e di legge longobarda. Da uno di questi documenti sappiamo che Guglielmo il Francesco avea fratelli nel 1138 ed avea la sua parte del Castello e corte di Livorno, anch’ esso come il fu Marchese Brattaportata del 1146 (2); i discendenti del Francesco erano Marchesi di Parodi ed aveano giurisdizione in Solero, riconoscendo l’alto dominio degli abati di Tours in tutto appunto come l’Oberto Brotoporrata del 1121 (3). Non basta; questo Oberto già fiorente nel 1094 aveva a padre un marchese detto il Rufo 0 rosso ed a madre una contessa Giulitta (4); parimenti Guglielmo Francesco era figlio del Marchese Alberto Rufo che in più documenti vediamo marito d’una Contessa Giulitta (5). Il Porrada aveva anch’egli nel 1130, oltre (1) Francesco è in Antich. Estensi, I, 156, e p. 242, nota 2. Frangicena in Ughelli, Ital. sacra, III, 391 - Feudutn de Livorno concessum irrationabiliter Mar-chionibus Guilliehno Francigenae eiusque fratribus. (2) Ughelli e nota precedente. (3) Marillon e Moriondo, come a p. 238, nota 1. (4) Antich. Est., I, 232, 234. (5) Ib. I, 156 e pel padre Alberto Rufo, ibid. 230-32; ved. p. 242, nota 2. — 240 — un figlio, un fratello di nome Guglielmo con diritti comuni oltre- D ' O giogo; e questi non può essere che il Marchese di Parodi, considerata la sua posizione politica tra Genova e Tortona e per esser nominato insieme ad Alberto di Gavi (certamente il ben noto marchese di quel castello) (1). Dunque, pel nome eguale del padre, della madre e del fratello e per la consignoria negli stessi feudi e castelli, possiamo argomentare con sicurezza che Oberto, Broto-porrada o Brattaportata o Porrada che voglia dirsi, fosse fratello del Marchese Guglielmo Francesco; entrambi figli del Marchese Alberto Rufo, consiglieri di Livorno e di Parodi; l’uno di essi padre d’Alberto Marchese di Corsica; tutti poi, come vedremo, con ampie signorie in Lunigiana ed altrove. Ciò posto noi ci troviamo in un bel campo donde poter distendere la nostra vista a cime alte ed amene più di quello che non sieno le indagini minute dovute finora intraprendere; ci recherà conforto non piccolo se vedremo sempre più chiari e fermi 1 risultati di queste minuzie. Celebre è il documento della pace fermata in Luni nel 1124(2), cioè sempre ai tempi qui discorsi. Le quistioni, che cola si agitarono per la proprietà del monte Caprione in Lunigiana, posero in chiaro per ricise testimonianze: che già nel X secolo v’era una famiglia di Marchesi la quale si era poi divisa in due rami, e i due rami suddivisi in quattro. L’acutezza, la dottrina meravigliosa di Muratori mostrò, in parte indovinando, quali erano queste, prima una poi quattro, famiglie. Lo stipite comune ne fu un Oberto di nazione Longobarda, che ci apparisce Conte soltanto dal 945 al 48, ma dopo il 950 ha il titolo di Marchese. Salì ancora, favorito da Ottone I Imperatore, alla dignità di Conte del Sacro Palazzo, rappresentante imperiale in tutta Italia; ma, nella sua qualità di Marchese, l’autorità sua abbracciava specialmente i Comitati di Luni, di Genova, di Tortona e di Milano che faceano un territorio ampio e non interrotto; perchè la intermedia Pavia era la sede naturale (1) Documento citato a p. 235, nota 1. (2) Antich. Esten., I, 154, segg. Ma si dee leggere tutto il volume I per vedere svolta meravigliosamente la dottrina da noi compendiata nel testo. — 241 — del conte del Sacro Palazzo. I suoi due figli Adalberto ed Oberto ereditarono il titolo di Marchese e più o meno anche l’autorità annessavi, ma non più la dignità di Conte di Palazzo. I loro discendenti sempre marchesi, si vedono, come tali, esercitar la giustizia, in Genova nel 1039 (1), a Rapallo nel 1044 (2)> a Rivazzano del lortonese nel 1033 (3)? a Sale di Tortona nel 1035 (4), a Milano nel 1021 e nel 1045 (5); ma nella seconda metà di questo secolo scompaiono quasi dalla scena politica di tutte queste città. Abbiamo un solo esempio di un Marchese Alberto che nel 1056 (6) mantiene in Genova una qualche giurisdizione, ma ristrettissima, decadente e che cessa infatti al tutto da allora in poi; come decade e cessa contemporaneamente in altra famiglia marchionale salica sovra i comitati di Savona e vicini e per le stesse ragioni generali. Ma se cessa la loro giurisdizione sulle Città, non cessano, anzi si aggravano i loro feudi e diritti di proprietà sui distretti rurali; specie lungo la spina dorsale dell’Appennino, dalla Lunigiana pei Monti Liguri fino e compreso il Tortonese. Sono questi i residui di un’ antica e già unica Marca, i quali sarebbero anche più chiari, se ad oscurarli non fossero sopravvenute due cause: i.° la fecondità della famiglia e la conseguente divisione e suddivisione di feudi e beni all’infinito; 2° la nuova introduzione di soprannomi resa necessaria dalla interminabile ripetizione di nomi sempre uguali, Oberto, Alberto, Ugo e simili. Questi soprannomi perpetuatisi col diventare cognomi fecero dimenticare l’antica comunanza ed unità; come la (1) M. H. P. Chartar., I, 527. (2) Ant. Est., I, 183. (3) Antich. Estens., I, 98. (4) Carta nell’Archivio Capitolare di Tortona al 1035; ved- >n Monumenti del Bottazzi citati a p. 237, nota 1. (5) Giulini, Memorie della città di Milano, 1854, II, 112, 314; Muratori, Anliq. Ital., IV, 9. (6) Iurium, I, 2, 12 con avvertenza che le consuetudini inserite alla col. 2, 3, vanno trasportate alla col. 12; essendo parte di un sol tutto e dell’anno 1056. Ved. il mio Frammento di Breve genovese, negli Atti della Società Ligure di Storia Patria, I, 129-130 — Giuramenti simili di Marchesi Aleramici verso la città di Savona sono in San Quintino, Osservazioni ecc. nelle Meni, dell'Accad. delle Scienxe di Torino, Serie 2.*, Voi. XIII. Attx Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXVIII, Serie 3.* 16 — 242 — farebbero dimenticare anche oggi, ad esempio, le famiglie nobili piemontesi nel parlar comune, se non fosse la ricchezza di documenti che le salva dall5 oblio. Quindi è che fino al Muratori fu creduto che il nuovo cognome indicasse rispettivamente una famiglia indipendente, sorta di fresco e di basso grado a dignità di marchese (1). Alla pace di Luni nel 1124 le quattro famiglie consanguinee erano rappresentate nel modo seguente: i.° un Marchese di soprannome Malaspina che fu lo stipite così della celebre famiglia dello stesso cognome; i suoi feudi e beni lungo gli Appennini di Luni, Genova e Tortona durarono più a lungo che quelli degli altri tre rami e in qualche modo durano ancora. 2.0 I Marchesi Azzo e Folco padre e figlio che Muratori provò essere lo stipite della celebre famiglia à’Este, trapiantatasi per nozze nel Padovano e per tale lontananza condottasi a cedere ai Malaspina parte più o meno grande dei diritti loro sulla Marca avita. 3.0 Un Marchese Pelavicino, il noto stipite dei Pallavicini che si suddivisero nelle famiglie dei Pallavicini, dei Cavalcabò e Lupi, e si allargarono potentemente nel Parmigiano e nel Cremonese; non però senza lasciar tracce di sè nel Tortonese e nella Lunigiana, perfino nei nomi dei luoghi derivati dal loro cognome ; conservando inoltre proprii vincoli coi conti di Lavagna e i Da Passano, come gli Estensi e i Malaspina. 4.0 Il già citato Guglielmo Francesco figlio del Marchese Alberto Rufo, che Muratori sospettò, e i documenti poi scoperti confermarono, essere dessi gli stipiti della famiglia poi detta di Massa e Parodi, la quale ebbe specialmente il suo centro in questi due luoghi ma si allargò alla Corsica e alla Sardegna (2). (1) Ved. il mio Framm. di breve cit.; ma più ampiamente e per tutte le Marche nel mio opuscolo : Le Marche dell’ alta Italia. (2) Antich. Estens. I, 156. Medietatem unam... receperunt ad se comuniter Proavus Pela.vicini et proavus Willelmi Francisci: aliam vero medietatem similiter..... receperunt ad se comuniter Proavus Malaspine et avus Athonis Marchionis..... Postea Proavus Malaspine et avus Athonis Inter se diviserunt suam partem. Ivi anche: Albertum Rufum et patrem eius Marchiones, idest patrem et avum Willelmi Francisci. Nei Chartar., II, ove è copia dello stesso documento, in un luogo a col. 206 fu interpretato per errore Gunivertus ciò che dovea leggersi comuniter. — 243 - Ormai questi risultati fondamentali sono accettati comunemente; chiamandosi Obertengo il gruppo delle quattro famiglie dal nome di Oberto stipite loro; come si accetta di chiamare Aleratnico ed Arduinico i due numerosi gruppi discendenti da due marchesi di tale nome, abbracciami il territorio della Riviera di Ponente e dal Monferrato fino a Torino, Saluzzo ed alle alpi piemontesi. Prima di avere questo filo conduttore, era un enigma lo scoprire la ragione di questi intrecci di signorie, di proprietà e di consorzi, in luoghi diversi, lontani ed anche umili e il cercarne un vincolo che li unisca tutti. Non è più un enigma quando si riconoscano in essi tanti frammenti di una o di poche antiche famiglie; le quali, come usava a quei tempi, viveano in comune per lungo tempo, facendo amministrare da un Visconte o Gastaldo le signorie come i beni: contentandosi d’apparirvi in comune fratelli o cugini, per esercitare alcuni de’ più alti diritti di giustizia; nel resto dividendosi fra di sè i frutti in parti ideali, il terzo, il quarto, anche il trentaduesimo e più; piuttostochè dividere in parti reali la comune eredità. Ma, cresciuta troppo notevolmente la famiglia, e con ciò fattasi più viva la lotta degli interessi mentre illanguidisce il vincolo del sangue, non fu più possibile continuare di tal fatta; la divisione ideale dei frutti dovette cedere alla separazione della proprietà e dei feudi. Eppure, anche così, ci si arrivò solo imperfettamente non come ora si farebbe. In una famiglia che possieda giurisdizioni e beni da Massa o da Sarzana a Tortona un perito odierno farebbe senza dubbio la ripartizione per guisa, che ad un membro tocchino interi i castelli di Lunigiana, ad un altro quelli del Genovesato, ad un altro quelli del Tortonese, o con altro metodo simile per via di opportuni compensi; così si farebbe a ciascuna nuova famiglia una posizione netta, da prevenire liti e rischi troppo prevedibili. Ma a quei secoli il costume era diverso; sia perchè la tradizione e il sentimento fossero più forti, sia perchè effettivamente la dignità e il titolo fossero connessi col possesso di fatto di que’ diritti, sia per altri motivi meno nobili; il fatto è che per lungo tempo ancora ogni ramo si ostinò a volere un castello, sia anche una bicocca, una parte di pedaggio, in ognuna delle regioni già signoreggiate in comune. Donde si trovavano in parti diverse a contatto un Mala- — 244 — spina, un Estense, un Pallavicino, uno di Massa Parodi; finché tre di essi rami o trapiantati altrove od assorbiti interamente dalla città capo del Comitato, lasciarono in Liguria il campo quasi vuoto ai soli Malaspina; ma anche questi ridotti ad un’ombra di quel che furono addietro. Ecco perchè i Marchesi del quarto ramo cbertengo si chiamarono di Massa e Parodi ; divisi poi difatto come vedremo, in due linee, e tuttavia conservando porzioni l’una e l’altra più o meno in entrambi i territorii tanto staccati e lontani. Nonostante la mole cresciuta e bene accozzata dei documenti obertenghi, non è ancora ben sicuro (come non lo è negli aleramici ed arduinici) il preciso punto di derivazione di parecchi individui l’uno dall’altro; ma si badi di distinguere due quistioni diverse. Altro è che si possa riconoscere con sufficiente certezza la derivazione in genere dalla famiglia o dal ramo, altro è che si possa spingere la certezza fino a poter dire : questo Alberto è proprio il figlio di quel tale Oberto che nel tale anno fece quel tale atto, quella donazione e simili. Sebbene anche questa ultima perfezione genealogica è desiderabile e continuamente desiderata e cercata, pure al nostro scopo basta la prima; basta considerare la grande scarsezza delle famiglie marchionali posteriori al secolo XII, e vedere la ripetizione degli stessi nomi in famiglia, diversi da stirpe a stirpe, e la ripetizione della stessa nazione e della legge in cui ciascuno professa di vivere. Il riconoscere inoltre come que Marchesi fondassero Badie dotandole di grande quantità di beni in diversi Comitati, e come i Marchesi posteriori favorissero ed ampliassero tali Badie e Monasteri, tenendone l’avocheria od il patronato, più di tutto il conoscere (come è detto sopra) i possessi comuni tra due o più Marchesi di cognome ora diverso, possessi di beni non solo ma e di giurisdizione ; tutto ciò bene analizzato e ricomposto a punta di buona critica, costituisce una prova piucchè sufficiente a ristabilire l’antica comunanza di famiglia. In secoli tanto oscuri, privi di documenti all’infuori dei più illustri archivii ecclesiastici, senza l’aiuto di cognomi, e con soli quattro o cinque nomi di battesimo sempre ripetuti, è gran che se si è approdati ad un terreno abbastanza fermo. Non c era mica il Times e lo — 245 — Standard pronti sempre a mandare un corrispondente in ogni bugigattolo, ove tosse, non so se dire, timore o speranza di qualche nuova briga, sebbene a dire il vero, con tale abbondanza di corrispondenti, de’ quali ciascuno vede le cose coll’occhio di chi lo paga e con occhi tanto diversi, riesce molte volte tanto difficile a conoscere la verità quanto è per noi a distinguere un Alberto dall’altro di que tempi. Se frattanto saltano su certi sprazzi di luce repentina e passeggiera, bisogna saper cogliere il paesaggio avanti che ricada nel buio. Donde avviene egli mai che Alberto di Obizzo (antenato dei Malaspina) giurando nel 1056 di osservare le consuetudini di Genova si riservasse ancora diritti di placiti entro la città? O che un altio Maichese Alberto (probabilmente antenato dei Pallavicini) avesse già effettivamente esercitato in Genova nel 1039 questo stesso diritto di placito? O che Alberto Azzo (antenato degli Estensi) lo esercitasse nel 1044 a Rapallo, avendo a congiudice altro Marchese Alberto, probabilmente il medesimo testé citato? (1). E che già nel 994 un Marchese Oberto figlio dello stipite Oberto tenesse placito nella Valle di Lavagna, poi nel 1014, in fin di vita a Genova, legasse al Monastero di San Siro un terreno attiguo alle mura della città, una specie di pomerio, naturalmente di diritto imperiale? (2). Donde avviene e come si spiega che l’Alberto Azzo sovraccennato fosse denominato Marchisitis Liguriae da un cronista pel 1073 ed Opizio Malaspina fosse chiamato allo stesso modo da altro cronista per l’anno 1137? (3). E che ancora nel secolo XII Federico Imperatore rinvestisse nel 1184 Obizzo Estense della Marca di Genova e di Milano, e nel 1164 rinnovasse ad Obizzo Malaspina la conferma dei diritti goduti dagli avi sulla Marca di Genova? (4). Diritti certamente ridotti allora a poco più di zero, ma ricordo di (1) V. p. 241, note i, 2 e 6. (2) Antich. Est., I, 133 - Atti della Società Ligure cit., I, 131, 319 - Un pezzo di terra lungo le mura di Genova fra il Castello e il Castelletto era già posseduto nel 952 da Ido Visconte, cioè il rappresentante del Marchese, Atti citati, I, 279. (3) Antich. Estens., I, 35, 162. (4) Ibid. I, io, 158, 255. Pei Malaspina il diploma è confermato nel 1220 da Federico II, (Maccioni, Cod. diplomai. Marchionum familiae Malaspinae, p. 13). — 246 - altri antichi reali e solidi provenienti dall'impero. Così ancora nel 1201 un notaro genovese, con espressione inusitata pei suoi tempi, parlava degli eredi del Marchese Alberto (Malaspina) chiamandolo Marchese, di Sestri (i). Come si spiega che i militi o seniori di secondo ordine, i Conti di Lavagna, i signori da Passano, si sentissero legati da vincoli di fedeltà anche tardi e verso Marchesi lontani e affatto scaduti? (2). E che i Marchesi e i Visconti, loro rappresentanti entro la città, dopo perduta ogni autorità politica e di giurisdizione, potessero conservare tuttavia ancora nel secolo XIII, malgrado la piena potenza del Comune, certi diritti finanziari, dazi d’importazione alle porte e alla riva del mare, privative di mercato e di macelli e simili? (3). Così nel 1181 Guglielmo Marchese di Parodi vende ad Ido Picio il pedaggio che riscuoteva alle porte di Genova (4); nel 1190 Opizzo Malaspina e consorti rinnovavano ad Otto Nolasco l’investitura che i loro avi aveano fatta ai costui antecessori sui diritti di porta, ripa, macello e fóro in Genova; e nel 1228 Andrea Marchese di Massa coi consoni rinnova a Simone Carmadino l’investitura similmente derivata dagli avi sulla porta di Genova, Viscontado, ripa, letico e macello (5). Questi è 1 Andrea Marchese di Massa e Parodi di cui sopra accennammo e che rivedremo legato per sangue col Guglielmo di Parodi del 1181 or ora nominato: egli inoltre pei suoi possessi di Monte Caprione, venduti nel 1196, mostra di far parte della grande discendenza obertenga (6). (1) Heredes Alberti Marchionis de Sigestro; Richeri, Ms. in Archiv. di Stato, I, 13. 3- (2) Ved. p. 236, not. 1 e Atti Società cit., I, 139-4°- (3) Alti cit., I, 134- - Iurium, I, 162, 288, 295, 761, 782, 9°4> 1149, iz84: nei quali documenti si spiega la natura dei diritti dei Visconti e la loro indipendenza dal Governo. Per la loro genealogia cf. Belgrano, Tavole genealogiche in append. alla Illustrazione del Registro Arcivescovde, Atti cit. II. (4) Federici, Collettanee o Fasti ad ann. (Ms. nell’Archivio di Stato) citando l’atto del not.° Caligepalio. (5) Richeri, Estratti notarili; Ms. nell’Archivio di Stato; I, 29, 7; I, 65, 7 -Per altri diritti regali sul pedaggio di Recco, ibid. I, 67, 7: e sul pedaggio di Torriglia, I, 16, 7; I, 51, 5 ; Cf. Epistol. Innocentii III (Baluzio) Libr. X, epist. 46. (6) Vedi pp. 237, n. 3, 242, n. 2, e sopra, n. 4. — 247 — Lasciamo altri consorzi fuori del Genovesato ma compresi nella antica Marca Obertenga e i placiti in comune dai Marchesi Obertenghi esercitati a Tortona ed a Milano, di che già toccai. Lasciamo i dazi d entrata in città o di passaggio, esercitati anche nel Tortonese dai Malaspina, dai Marchesi di Parodi e di Gavi, le giurisdizioni consortili perfino nel territorio oltre Bormida ove poi sorse Alessandria. Ma, per dare un ultimo esempio, vedemmo Oberto Brotoporrada nel 1121 fare omaggio ai Monaci di Tours per l’alto dominio sovra Solero, sappiamo che nel 1199 rinnovò l’omaggio il Marchese di Monferrato, avendo acquistato Solero dal Marchese Guglielmo di Parodi (1). Ebbene, riandando addietro la storia, troviamo nel 1025 lagnanze di quei monaci contro i Marchesi denominati Alberto, Azzo, Obizzo, Ugo che usurparono e sfruttarono i beni del Monastero in Italia senza corrisponderne censo; e questi nomi sono propriamente i consueti nella famiglia obertenga. Uno di questi Marchesi, Ugo, andato in quel torno al Re Roberto di Francia volle passare da Tours per venerare le ossa del Santo, e udite cotali querele rese giustizia per parte sua cedendo parecchie terre, fra le quali il Solero di cui è parola. Risalendo ancora più in su troviamo che questi beni erano stati donati a San Martino da Carlo Magno e confermati nell’ 887 da Carlo il Grosso (2) : vi potremmo forse riconoscere uno dei numerosi esempi da noi altrove discorsi dell’ingrandimento dei Marchesi coll’agro pubblico passato dall Imperatore alla Chiesa, e dalla Chiesa a loro e viceversa; potremmo forse anche riconoscere la lontana ragione dei molti San Martini, patroni di Parrocchie e Cappelle in Liguria (3). (1) Ved. p. 238, nota 1 e p 239, n. 3. Moriondo, op. cit. I, 119, legatur charta qualiter Willelmus Marchio de Palodo dedit quondam Solerium et Apianum Domino Bonifacio (di Monferrato). (2) Ant. Est., I, 116: anno 1025; ivi passo notevole ove si nominano cinque marchesi contemporanei. (3) Vi ha per lo meno 25 Chiese, tra parrocchiali e succursali, nella Diocesi di Genova, dedicate a-San Martino — Sugli agri pubblici e sulla loro riduzione in o da Monasteri, ho parlato più volte negli Atti cit., I, 125 ; III, 583, 610, 636, 666; nelle Marche cit. pp. 55-58, 88-92, 122; nel Giornale Ligustico 1878, pp. 229, segg. In buon punto trovo una conferma per la Toscana in Repetti cit., — 24§ — La pace di Luni ci ha porto non solo questo modo di richiamare quattro rami ad uno stipite, ma anche il mezzo di distinguere i due gruppi intermedii in che si divise dapprima e poi si suddivise in quattro (i). Ricerca questa seconda che non ci pare ancora chiarita da niuno e che pure è utile ; dacché i due rami d’un gruppo suppongono un vincolo più stretto di consanguineità tra di sè che non coi rami dell’altro gruppo. Cosi a mio giudizio gli Estensi e i Malaspina procedono abbastanza chiaramente da Oberto II, figlio dello stipite Oberto primo Conte del sacro Palazzo: e per contrario i Pallavicini e i Marchesi di Massa e Parodi, stretti tra sè per consanguineità più che cogli altri due rami, dovrebbero discendere dal Marchese Adalberto I figlio di quell’ Oberto I e fratello di quell’ Oberto II. Coll’ occhio teso a tutti questi criterii, cautele e considerazioni di ogni sorta, coll’ aiuto largo e generoso del lodato Dott. Wùstenfeld il quale mi comunicò parecchi documenti a me allora ignoti e tutta la sua sintesi genealogica; accettando io parecchie volte i suoi fatti ed opinioni, tuttavia indipendente da lui prima e dopo nelle mie conclusioni, ho disegnato gli alberi genealogici, degli Obertenghi non solo, ma e dei Marchesi discendenti da Aleramo e di quelli discendenti da Arduino. Non è mio intento ora il distendermi sopra questo soggetto; il che in parte ho fatto altrove più volte, e più sinteticamente nella mia memoria: Sulle Marche dell’Alta Italia (2). Mi limiterò a porre in maggior luce il ramo marchionale di Massa e Parodi, donde cominciò la mia lezione. II, 719. « L’istoria è piena di donazioni di beni del patrimonio regio, situati « lungo gli alvei e fra le foci » (appunto perchè luoghi di confini naturali e maggiori). (1) Ved. p. 242, nota 2. (2) Ved. le Marche dell’Alta Italia cit. ove ho tentato dimostrare l’importanza dei due elementi il marchionale e il signorile 0 di 2.0 ordine per compiere la storia slegata fra l’imperatore, il Vescovo ed il Comune, tra i secoli IX e XII; aggregando e disgregando, creando le nuove famiglie a cognome, i numerosi castelli e borghi che allora appunto pigliano origine. — 249 - II Vedemmo Guglielmo Francesco e Oberto Brotoporrada fratelli, figli di un Marchese Alberto Rufo che fioriva lungo la seconda metà del sec. XI (i). Anche il padre di Alberto Rufo si chiamava Marchese Alberto ed è quest’ultimo probabilmente il Marchese di tal nome che nel 1033 fondò la Badia di S. Maria di Castiglione nel Parmigiano ; alla quale lasciò in dote la decima di tutti i suoi beni, eccettuati alcuni castelli, fra cui quello di Gavi (2). È meravigliosa la quantità di luoghi ove il donatore possedeva; anche nei Comitati di Parma, Piacenza, Cremona ecc., ma più specialmente in quelli di Luni, di Genova e Tortona, lungo la Riviera di Levante, a Rovereto ove poi sorse Alessandria, a Marengo, a Gavi, a Parodi, a Tassarolo; nei quali ultimi tre luoghi troviamo un secolo dopo che i Monaci dotati aveano fondato tre chiese (3). È egli quello stesso Marchese Alberto che nel 1033 don° al Monastero di S. Stefano di Genova certe terre presso Chiavari ? (4). Difficile la risposta, poiché noi già citammo più Alberti a quel tempo; quello che tenne placito entro la città nel 1039 e quello (se è diverso) che nel suo Comitato a Rapallo placito il 1044, insieme al consorte pure di nome Alberto ma distinto col soprannome di Azzo. Checchenesia il Marchese fondatore della Badia di Castiglione possedeva anche nell’ isola di Corsica una badia nel luogo detto Plaidello. Egli mori nel gennaio 1034; notevole è una circostanza che risulta sulla iscrizione posta sovra il suo sepolcro, benché dettata in versi oscuri ed enfatici (5). Vi si dice che il Marchese Alberto guerreggiò virilmente contro i pagani (come si chiamavano sovente i Saraceni); pare che li cacciasse di Roma (ab urbe) ma vi si dice più chiaramente che concorse a liberare la Corsica. Sappiamo delle cure che si diedero i Papi a frenare quegli invasori, ( 1 ) Ved. pp. 238, nota 1, 239, note 1, 3, 4, 5. (2) Ant. Est., I, 98 - Affò, Storia di Parma, II, 305. (3) Affò, op. cit., II, 352, 356 coll’errore di Grani in luogo di Gavi. (4) Cbartar , I, 501, da pergamena nell’Archivio di Stato. (5) Ant. Est., I, 102. — 250 — invocando aiuto dai potenti Principi d’allora e dai nascenti comuni, Pisa, Luni e Genova. Il vedere i cenni, per quanto oscuri, di questa iscrizione, e tanto più il vedere come i Marchesi Obertenghi o un loro ramo possedesse nella Corsica, può fornire una traccia di più di quella storia, tanto povera di documenti e tuttavia tanto importante. Già il fondatore della Badia di Castiglione ci possedeva, come dissi, nel 1033; Alberto Rufo che supponiamo suo figlio era in Corsica nel 1050, quando donava una corte di quest’isola al Monastero di San Venerio nel Golfo della Spezia (1). Oberto Brotoporrata suo figlio genera a sua volta un figlio in cui rinnova il nome del padre. Questo nuovo Alberto è distinto col titolo di Marchese di Corsica figlio del quondam Brotoporrata (2); ma nei documenti di suo figlio Guglielmo egli è detto più spicciatamente Alberto Corso (3). Esso figlio Guglielmo si dà il titolo di Marchese di Massa (4); più tardi egli stesso, 0 più probabilmente un figlio omonimo di lui, natogli da una Dotnicella Giorgia figlia di un giudice di Cagliari (5), invade questo Giudicato verso il 1192, si stabilisce in Sardegna ed aggiunge ai soliti titoli quello di Giudice di Cagliari (6). Premorendogli i maschi, succedono a questo Guglielmo di Massa e Cagliari le figlie Benedetta ed Agnese le quali estendono coi maritaggi la giurisdizione in altri Giudicati. Ad Agnese succede la figlia Adelasia, poi moglie del Re Enzo ; nozze splendide ma troppo pagate coi dolori del cuore. Crediamo non metta conto dilungarci a notizie più particolari intorno a questo sottoramo illustrato dal Targioni-Tozzetti, dal Repetti, e per la parte della Sardegna nel Codice diplomatico dell’illustre Barone Tola: avvertendo (1) Ant. Est., I, 230. (2) Ved. p. 238, nota 2; e Mattei, Eccles. Pisanae Hist I, 226, anno 1148. (3) Iurium, I, 277, 282. (4) Ibid., 277, 282, 288. - Ant. Est., 256; ivi Gullielmus de Massa et Guido filius. (5) Cosi opina il Ch. Dott. Wùstenfeld da un documento del 1213 in Repetti, IV, 326. La moglie di Guglielmo Giudice di Cagliari e madre di Benedetta si chiamava Adelasia, come da carta del 1225 dell’Arch. Arcivescovile di Cagliari, indicata dal solo Manno, Storia della Sardegna, Libro Vili. (6) Caffaro, Ann. (Ed. Pertzj p. 113 e ved. p. 260, nota 1. — 25 r — pero (ciò a cui essi non badarono) di tener ben distinti i due Alberti e i due Guglielmi, contemporanei e cugini fra di sè, come vedremo. Estinto era dunque nei principi del secolo XIII il sottoramo maschile dei Marchesi discendenti da Oberto Brotoporrada : che cosa era avvenuto frattanto del sottoramo discendente da Guglielmo Francesco, fratello di quell’Oberto? All’Alberto predetto Marchese di Corsica o Corso, troviamo contemporaneo un altro Alberto Marchese di Parodi: troviamo inoltre il costui figlio di nome Guglielmo contemporaneo al Guglielmo di Massa figlio di Alberto Corso; rinnovando così 1’una e l’altra i nomi identici degli antenati. Ma, che più monta, troviamo nel 1173-74 Guglielmo di Massa non solo contemporaneo, ma consanguineo (1) al suo omonimo di Parodi. Ancora; questi Marchesi di Massa e Parodi sono intrecciati fra di sè' nei loro diritti signorili per guisa che gli Eruditi fin qui li confusero in una sola linea. Perciò avendo già riconosciuto che l’Alberto Rufo è padre di Oberto Brotoporrada o Brattaportata e di Guglielmo Francesco, siamo concordi col Dott. Wùstenfeld, ammettendo che da un lato 1’ Oberto è padre di Alberto il Corso, padre a sua volta di Guglielmo di Massa; dall’altro lato Guglielmo Francesco è padre di Alberto di Parodi, padre a sua volta di Guglielmo di Parodi; cugini adunque gli omonimi fra di sè. Infine Guglielmo di Parodi muore nel 1199 (2), mentre quello di Massa sopravvive fino al 1211. Noi li possiamo distinguere anche per altro soprannome; il figlio di Guglielmo Francesco è chiamato Alberto Zueta, il figlio di questo è detto Guglielmo il Saraceno. Mi pare non* debba essere estranea a tali soprannomi qualche impresa guerresca di questi Marchesi di Parodi, padre e figlio, contro i Saraceni; essendoché Zueta nel costoro linguaggio significa il ridotto più intimo e più fortificato di un castello. Ma v’ è qualche cosa altro che distingue i due sottorami ed è l’abitazione più ordinaria dell’ uno e dell’ altro, sebbene non ancora estinti i diritti reciproci sul dominio comune. Certamente si chiamava di Massa e Parodi insieme quel Guglielmo so- (1) Jurium, I, 288. (2) Targioni Tozzetti cit., II, 273. Cfr. anche pp. 254, n. 6, 255, n. io. — 252 — vracitato che investi il feudo di Volpeglino nel 1184; e titolo da entrambi i dominii prendeva quell’Andrea pure sovracitato che nel 1196 vendeva ai Sarzanesi; e Rainiero, figlio di Alberto Zueta, nel 1171, aveva diritti ugualmente sovra Parodi (1); tuttavia si scorge dall’ insieme che Alberto Corso e il figlio Guglielmo di Massa aveano in questa stessa parte di Lunigiana l’abitazione più frequente e probabilmente anche una preponderanza di diritti per qualche nuova suddivisione. Al contrario Alberto Zueta e il figlio Guglielmo Saraceno si vedono nei documenti aggirarsi più sovente nei dintorni di Parodi e nel Tortonese. Di che si potrebbe senza troppa inesattezza distinguere più brevemente un sottoramo di Massa dal suo consanguineo di Parodi. Sono curiosi i pochi tratti che abbiamo su questa famiglia più strettamente detta di Parodi. Alberto Zueta aveva in moglie Matilde, sorella di Guglielmo e figlia di Rainero, Marchesi di Monferrato (2); donde il secondo figlio di Zueta, Rainero, rinnovò il nome dell’avo materno, introducendo negli Obertenghi un nome straniero come già vi era entrato prima il nome salico di Guglielmo. Gli uomini di Castelletto d’ Orba vicin di Parodi si ribellano al loro signore Alberto Zueta, lo fanno prigione e lo tengono due anni o più fra il 1145 e il 48. La Contessa Matilde sua moglie, non vedendo altro modo per liberarlo si rivolge ai Genovesi ed ottiene l’intento ma a prezzo troppo caro; cedendo loro la signoria del Castel di Parodi colla metà del distretto e dei pedaggi (3). Nel 1166, morto Alberto, suo figlio Guglielmo Saraceno, collo Zio Marchese di Monferrato, tentano rioccupare il castello ceduto e vi riescono, ma per breve tempo (4). Tengono loro mano i Marchesi di Gavi, vicini e consanguinei di quei di Parodi (5). Allora la signoria di Genova se ne lagna coll’imperatore Federico I; il quale, avendo bisogno di non guastarsi colla Repubblica ordina, nell’ anno seguente 1167, al (1) Ved. p. 237, note 2, 3,4. (2) Moriondo cit., II, 374, 650 - Caffaro cit., p. 70. - luriam, I, 108, 136. (3) Iurium, I, 105-107, 135-137. In questi ultimi il titolo dell’atto reca per errore Alberto di Gavi invece che di Parodi, cioè il Zueta. (4) Caffaro, p 70. (5) Vedi p. 253, n 1. — 253 - suo legato ed Arcicancelliere Rainaldo di Colonia di far citare il Saraceno ed altri Marchesi di Parodi e di Gavi; e non comparendo essi o non ubbidendo, dichiararli ribelli e porli al bando dell’impero (i). Guglielmo e Rainero Marchesi di Parodi finiscono col cedere nel 1171, spogliandosi dell’alto dominio di Parodi per riprenderlo in feudo dai Genovesi; abbassandosi perfino a promettere che non si accosteranno a due miglia da quel Castello senza licenza del Comune di Genova. Rainero inoltre, anche in nome del fratello, si rende vassallo di esso comune per la sua parte di Massa e delle isole (cioè anche della Corsica) ed ecco una delle prove sovracitate che la suddivisione di questo ramo non escludeva i Marchesi di Pai odi dal continuare d aver parte più o meno anche in Lunigiana ed altrove (2). La vita di questi Marchesi come de’ loro vicini e consanguinei di Gavi prosegue sempre più travagliata ed oscillante sotto gli influssi diversi dei Comuni che li circondano, finché sieno ridotti ad impotenza assoluta. Guglielmo di Parodi verso il 1170 comparisce cittadino di Tortona e come tale promettono aiutarlo i Pavesi in una lega loro con Tortona (3). Ma poco dopo pare da certe testimonianze ch egli sia stato assediato dagli Alessandrini per otto mesi ed espulso proditoriamente da Parodi (4). Nel 1171, come dissi testé, riconosce in feudo dai Genovesi il proprio castello, senza aver nemmeno la facolta di entrarvi ad abitarlo a suo talento (5). Nel 1174 i Marchesi di Parodi, di Gavi e i Malaspina sono involti con Genova in certe quistioni nelle quali è costituito arbitro il Maichese d Incisa; è qui dove sono ben distinti e viventi ad un tempo i due Guglielmi, quello di Parodi e il suo consanguineo Marchese di Massa. Nel 1181 Guglielmo di Parodi infeuda, al Genovese Ido Picio, i suoi diritti di dazi alle porte della città di Genova, certamente per mantenerseli ancora quanto poteva (ó). Nel 1184 (1) Iurium, I, 225, anche qui Saraceno. (2) Ibid , I, 239. (3) Costa, Chartarium cit., p. 154. (4) Moriondo, II, 650. (5) Ved. sopra not. 2. (6) Iurium, I, 290. — 254— lo stesso infeuda a certo Guidobono il luogo di Volpeglino nel Tortonese (i). Nel 1192 Tortona obbliga i Castellani del suo Comitato a riconoscerla per signora, presenti e consenzienti i Marchesi di Parodi e di Gavi, i quali sono anzi costretti ad essere essi gli intermediarii di tale innovazione (2). Nel 1197 lo stesso Comune obbliga i Marchesi di Gavi, di Parodi e i Malaspina a riconoscere da esso in feudo le ragioni che hanno sul Castello di Mongiar-dino (3). Nel 1198 già questi Marchesi sono fuori di causa a Gavi e a Parodi ; i due distretti sono contesi fra i comuni di Tortona e di Genova, costituendosi arbitra Pavia a conciliar questa lite (4). Nel 1199 difatti Tortona rientra in lega con Genova, e promette che non aiuterà contro la sua alleata i Marchesi olim di Gavi e di Parodi (5). Nello stesso anno Guglielmo di Parodi muore e i suoi figli si trovano coinvolti in altre contese per giurisdizioni in Livorno; onde insieme al loro consorte Guglielmo Marchese di Massa ed altri si sottomettono ad arbitraggio (6). Nel 1201 ci dovettero essere nuovi tentativi per parte dei Marchesi di Gavi e di Parodi, giacché i loro antichi vassalli ribelli di Castelletto d’Orba anche quest’anno, convenuti in Gavi, promettono al Comune di Genova di far viva guerra a fuoco e a sangue e con tutta la loro forza ai Marchesi chiamati di Gavi, cioè ad Alberto e fratelli e ai Marchesi chiamati di Parodi (7). Guglielmo di Parodi in data non ben certa vendette anche al cugino Marchese di Monferrato i luoghi di Solero, di Castelletto d’ Orba e d’altri castelli, come già ho accennato (8) ; di che finisce con rimaner presso a poco sciolto da ogni impiccio di giurisdizione propria. Perciò lo vediamo vivere sovente alla corte dell’ Imperatore (1) Federici, Collettari, cit. ad ann. Vedi anche p. 237, nota 2. (2) Costa cit., pp. 48-50. (3) Ibid., p. 65. (4) Iurium, I, 418, 421. (5) Ibid., I, 428, 431, 458. (6) Targioni cit., II, 256-57-273. Guglielmo di Massa sopravvive, fino al 1211, almeno, nei documenti sardi. (7) Iurium, I, 470. (8) Moriondo, I, no, 137; ved. p. 238, not. 1 e p. 239, n. 3. — 255 - o di uffizi che questi gli conferisce. Vicario Imperiale in Versiglia e Garfagnana nel 1185 (1): invocato nel 1193 arbitro insieme a Muruello Malaspina nelle contese fra gli Astigiani e i Marchesi di Monferrato e Incisa (2); Podestà di Tortona nel 1194(3); e nel frattempo testimonio alle diete e placiti imperiali girando di città in citta; nel 1178 a Pisa in gennaio, a Pavia in marzo (4); nel 1183 in Asti con Enrico il figlio dell’imperatore (5); nel 1185 a Barga di Garfagnana con Federico I (6) ; nel 1191 di novembre a Genova col nuovo Imperatore Enrico VI che vi crea un notaio e legittima uno spurio (7); nel 1196 a Milano e a Pavia in agosto (8), a Fornovo in settembre (9); insomma membro della curia e naturalmente anche partecipe alla tavola imperiale, provando come sapesse di sale il pane di Federico I ed Enrico VI. Nel 1199 vediamo che egli è morto: nominandosi i figli del quondam Guglielmo Marchese di Parodi, in consorzio di diritti insieme al (vivente) Marchese Guglielmo di Massa, Giudice di Cagliari (10); nuova dimostrazione dell’ esistenza contemporanea di due Marchesi Guglielmi consorti che già si deduceva dal documento genovese del 1174. Dei figli di Guglielmo di Parodi uno certamente ha nome Palodino (11); l’altro, secondo il ragionevole opinare di Wùstenfeld, deve essere quel Muruello che fu padre di Andrea soprannominato il Bianco (12). (1) Ficker, Forschungen %ur Reich-und-rechtsgescbichte Italiens. Inspruk, 1870, IV, 199-200. (2) Codice Astense pubblicato recentemente dall’illustre Sella, I, p. 1040. (3) Bottazzi, Monumenti cit. ad ann. Ivi l’atto è anche relativo al pedaggio dei Malaspina entro la città di Tortona. (4) Ughelli (negli Arcivescovi Pisani) III, 411, 413. (5) Muletti, Storia di Saluto, 1829, II, 103. (6) Ficker, op. e loc. cit. in nota 1. (7) Richeri in Archiv. cit., I, 10, 4. (8) Chartar., I, 1032 - Ant. Est. I, 370. (9) Moriondo, II, 547. (10) Ved. sopra pp. 251, nota 2 e p. 254, n. 6, le due prove di distinzione e consanguinità fra i due Guglielmi e la sopravvivenza di quello di Massa. (n) Moriondo, II, 650. Un figlio di questo Palodino, per nome Corrado, in Iurium, I, 690. (12) Iurium, I, 690; ivi Andrea quond. Muruello. Eppure il continuatore del Caffaro (Pertz, 154) lo dice filius ijuond. Palodini. Si potrebbe sospettare che Pa- — 256 — Di Andrea si fanno di nuovo più frequenti i documenti, essendo forse premorto suo padre all’avo ed egli emancipato; perchè come vedemmo, già nel 1196 vende ai Sarzanesi la sua parte di Monte Caprione ed altri molti beni (1); nel 1207 come Marchese di Massa riconosce la sovranità del Comune di Lucca giurandogli fedeltà (2); nel 1216 arresta al loro passaggio gli ambasciatori genovesi inviati al papa, i quali colla pace di Lerici sono liberati l’anno seguente (3); nel 1218 vende il pedaggio di Aula di Lunigiana ai Piacentini (4); nel 1219 insieme agli Ospinelli (signori di 2° ordine) vende ai Tortonesi la quarta parte d’Arquata (presso Gavi); e si noti questa solita quarta porzione tra gli Obertenghi (5). Nel 1233 nuova convenzione del comune di Genova con Andrea quond. Muruello a nome anche di Corrado q. Palodini insieme ai loro consorti Opizo Corrado, figli del quond. Rainero; quest’ultimo fratello che vedemmo di Guglielmo il Saraceno o di Parodi è ivi convenuta la remissione di danni reciprocamente inferti, eccettuati però quelli provenienti già da Guglielmo di Parodi, ed è promesso da parte di Genova di pagar loro una annua pensione (6). Andrea in questi documenti o nei cronisti ora è detto Marchese di Massa (lunense), ora mantiene tutti i titoli riuniti e come ricapitolati in sè dei due rami, di lodino fosse il soprannome di Muruello dal luogo di nascita; ma non è cosi, poiché nel 1199 si parla dei figli in plurale del fu Guglielmo di Parodi, e perchè si conosce il figlio di Palodino (nota prec.) come si conoscono i figli di Andrea. Inoltre (ibid.) Andrea rappresenta in quest’atto gli interessi così suoi, come del figlio di Palodino; mentre altra porzione di simili interessi è rappresentata dal March. Opizzo figlio del quond. Rainero per sè e a nome del fratello Corrado che poi ratifica la cessione (ibid. I, 693). Donde si vede che vi sono due linee parallele, una di Andrea e di Corrado q. Palodino discendenti da Guglielmo Saraceno o di Parodi, l’altra d’Opizzo e d’altro Corrado, discendenti da Rainero fratello del predetto Saraceno. (1) Antich. Est., I, 260 e ved. p. 237, nota 2. (2) Ibid., I, 256. Bonaini, Statuti Pisani, 1854, I, 64 - RR. II. SS., XII, 1278. (3) Caffaro, pp. 137-138. (4) Registrum magnum Placentiae, c.' 328 (Ms. già presso il conte Pallastrelli). (5) Costa, Cronaca di Tortona all’anno 1219. Bottazzi, Osservazioni sui Ruderi di Liburna Novi, 1815, p. 96 Per la famiglia d’Ospinello, ved. p. 263, nota 4. (6) Iurium, I, 690. — 257 — Marchese di Massa, di Parodi e di Corsica. Ancora nel 1228 esercita i diritti signorili soliti alle porte di Genova, riva, Viscontado ecc., dei quali rinnova 1 investitura (a nome anche del consorte Corrado ptedetto) che gli avi loro aveano conferito agli antenati dei presenti investiti, cioè a Simone e Lanfranco di Carmadino (1). Ma benché uomo di qualche nota non può Andrea frenare il corso delle umane cose che avea predestinato tutte le antiche famiglie marchionali a un generale sfasciamento, quanto a potenza politica. Quindi non abbiamo più ragione per occuparci dei Marchesi figli di Andrea, Guglielmo il Bianco ed Alberto (1229-59), i quali cedono ancora Massa e Motrone al Comune di Lucca; nè monta ragionare del secondo Andrea figlio di Guglielmo il Bianco, nè di Guglielmo il Nero, nè dei figli di Raniero, Corrado ed Opizzo sovracitati, nè dei discendenti dall’ un sottoramo e dall’ altro. Basterà dire che continuano a vegetare fino alla seconda metà 0 poco più del secolo XIV, imbastarditi perfino nei nomi di Albertaccio, Cappone, Upezzino, Corsuccio, Rolluccio, Lemuccio, Corsuccio quondam Lemuccio quondam Corso; nomignoli diminutivi, dispregiativi; significanti perciò da per sè lo stato ultimo di una grande famiglia; nuova conferma di quello che andiamo forse troppo ripetendo e a cui anche in questo piccolo lavoro abbiamo badato; di quanto cioè la storia dei nomi e delle parole conforti e all’ uopo supplisca la storia e la sequela dei fatti da essi nomi significati (2). Ed ora avrei finito: senonchè mi si presenta opportuna a discutere una quistione antica ma tuttora insoluta, e che a mio parere può sciogliersi incastrandola in queste genealogie. Vedemmo Oberto Brotoporrada e il fratello Guglielmo Francesco, figli del Marchese Alberto Rufo, viventi dal 1121 al 1130 0 38, anzi 1’Oberto già fin dal 1094, possessori più o meno in Corsica ed antenati de’ Marchesi certi di Corsica (3). Citammo pure l’atto del 1138, in cui si dichiara dall’ Imperatore nulla ed irrita la donazione del Castello (1) Richeri ms. cit., I, 64, 8. Altri documenti di feudi dei Marchesi di Massa ibid., al 1229, I, 66, 1, e al 1239, I, 26, 3. (2) Per queste discendenze ved. il cit. Targioni e il suo albero a p. 245; ved. specie il Gerini, Memorie della Lunigiana, 11, 289-295; vedi p. 259, nota 1. (3) Ved. pp. 235, nota 1; 238, note 1, 2; 239, note 1, 4, 5. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXV11I, Serie 5.* 17 — 2)8 — di Livorno irragionevolmente fatta a favore di Guglielmo Francesco e fratelli (i). Notisi questa parola fratelli: dunque non solo il Brotoporrada ma altro fratello almeno. Ancora ; malgrado quella dichiarazione d’annullamento, Alberto figlio del quondam Brotoporrada continua tuttora nel 1146 a tenere la sua parte di Livorno e la impegna a certi Pisani ; quivi è detto che tale parte è un terzo di essa corte e castello (2); dunque i fratelli erano certamente tre. Noi finora non ne abbiamo conosciuti che due, Oberto Brotoporrada e Guglielmo Francesco; il terzo chi sarà? Avrei detto che questi fosse quel Marchese Ugo che nel 1103 al Monastero lunese di San Venerio dona la Chiesa di S. Gavino di Corsica (3); il nome di Ugo è frequente nei Marchesi Obertenghi ed è dato non molto tempo prima ad un fratello di Alberto Rufo, perciò zio paterno di tre fratelli che cerchiamo. Ma vi è una difficoltà non leggiera ad ammetter ciò; il padre dell’Ugo del 1103 dovrebbe allora essere 1’ Alberto Rufo, ma Ugo invece si dice figlio del Marchese Oberto. A conciliar la differenza non vi sarebbe che supporre un errore nella lettura o nella copia dall’originale, supposizione invero non improbabile e certamente già altrove accaduta in tanta somiglianza dei nomi Oberto (od Auberto come pure si scriveva) ed Alberto. Il Cambiagi (4), fa cenno pure di un Marchese Ugo di Corsica, nel 1122, benefattore del Monastero della Gorgona. Egli accenna altri documenti riguardanti un Ugo Marchese di Massa e Signore di Corsica che però riferisce all’anno 1306, data secondo me impossibile. Altra data più giusta ravvisiamo in un documento da lui pure accennato, riguardante un marchese Corrado vivente nel 1210. Ora vengono in ballo certi documenti pisani che il Muratori (5) primo citò, poi riferirono più compiutamente gli annalisti Camaldolesi, Mittarelli e Costadoni (6). Si tratta di dotazioni da (1) Ved. p. 239, not. 1. (2) Ved. p. 238, not. 2. (3) Ant. Est., I, 243. (4) Storia di Corsica, 1770, pp. 85, 86. (>j Antiquit. Ital., II, 1063, 1071-73, LO78. (6) Ann. Camaldulenses Ord. S. Benedicti, 1775; I, testo pp. 178-81, 40$; Append. pp. 37.38, 47, 169, 248, 276. — 259 — Re, Principi, Marchesi o Signori fatte al Monastero di San Mami-liano, dell’ isola di Montecristo. Se si guarda e si crede al modo materiale come sono ivi riferiti, tali documenti apparterrebbero ai secoli XI e X, se non anche prima. Muratori col suo sguardo d’aquila ha subito veduto, e in brevi ma poderosi tocchi ha notato le gravi obbiezioni ad ammettere tali date; cioè la contraddizione dell’anno colla indizione, la già esistenza dei cognomi in alcune di esse carte, la loro redazione in lingua italiana ed altre magagne. Tuttavia i lodati Camaldolesi tentarono difenderle nella loro integrità; ed il compianto Barone Tola (i) non si è peritato di ammetter, colle pretese date, que’ documenti che hanno qualche tratto alla Sardegna. Io convengo con Muratori, scusando cioè la redazione in italiano che sarà stata rifatta dal notaro copista, poiché non esistono più gli originali ; ammettendo la sostanza degli atti, che in qualche parte sono anche confermati da documenti posteriori, ma rigettando le pretese date che si devono protrarre invece al sec. XII ed anche al XIII (2). L’affermazione di quel sommo ci pare possa essere ormai assodata per le considerazioni svolte in questa lezione. Due delle carte camaldolesi sono donazioni di un Guglielmo, ivi detto Marchese e Signore di Corsica, oppure Marchese in Corsica e Signore di Cagliari ; altre due carte sono di una Matilde Contessa vedova del quond. Guglielmo; altre due sono di un Ugo chiamato Marchese di Massa, Signore di Corsica e Giudice di Cagliari ed anche Marchese semplicemente e Signore di Corsica. Chi ha seguito la mia lettura, capisce che il titolo di Marchese di Massa è un soprannome nuovo divenuto cognome; è uno degli stacchi della casa Obertenga, introdotto come gli altri stacchi contemporanei verso 0 nella prima metà del secolo XII; ricorda, che il nome stesso di Guglielmo fra gli Obertenghi non entrò che verso lo stesso tempo; che allora pure comparisce per la prima volta in documenti sicuri, il titolo di Marchese di Corsica; il titolo poi di Giudice di Cagliari riunito a quelli di Massa e di Corsica non comincia che alla fine dello stesso secolo XII, con quel Guglielmo appunto Marchese di (1) Codex Sardiniae cit. a p. 237, not. 5; ivi I, 120, 147-48. (2) Antiq. Ital., II, 1066. — 2Ù0 — Massa che usurpò violentemente quel Giudicato in Sardegna (i). Si pretenderà egli di sostenere che una unione rara anzi singolare, di tali titoli e fenomeni del secolo XII fessesi completamente avverata già altre volte negli anni 936, 961, 1002, 1018, 1021, che sono le date pretese negli annali Camaldolesi? Nessun uomo di buon senso potrà crederlo; anche lasciando da parte le altre gravi obbiezioni, dei cognomi dei testimoni, della lingua, delle note cronologiche discordanti tra sè. Si veda invece come nel mio sistema le notizie prese da due lati combaciano abbastanza. L’atto del 1122 che già citammo dal Cambiagi ci presenta un Marchese Ugone di Corsica; nel 1103 un altro documento che riferimmo dal Muratori ci palesa un Marchese Ugone che dona una chiesa di Corsica al Monastero di S. Venerio in Lunigiana (2). Ha dunque egli vincoli coll’ isola e colla Lunigiana insieme, come i Marchesi Obertenghi; domando io, quale argomento contrario (all’infuori della data 1002 forse 1102) ci si potrebbe opporre, a crederli tutti e due una sola e medesima persona? E probabilmente, come già supposi, esser desso il 3.0 fratello del Brotoporrada e del Francesco che sappiamo dover esistere ? Si badi per di più; questi Ugoni non si affibbiano ancora il titolo di Giudice di Cagliari, come in fatti i Marchesi Corsi ed Obertenghi non lo avevano fino alla invasione del Marchese Guglielmo verso il 1192. Ma le carte Camaldolesi trovano ancora colla data del 1002 e 1021 un altro Ugone che ai soliti titoli aggiunge anche quello di Giudice di Cagliari ed ha fratelli; ivi stesso i medesimi titoli di Massa, Corsica e Cagliari si danno a un Marchese Guglielmo, ma colle date pretese del 1018-19 e perfino del 936. Quest’’ultimo Marchese per nostro avviso, non può essere che l’invasore del Giudicato di Cagliari verso il 1192, il quale, come addietro accennai in concordia col Wùstenfeld, ci dovea aver qualche ragione per la madre Donicella Giorgia (3), e vi potè radicare la signoria della (1) Ved. p. 250, nota 6 e p. 255, n. 10. Tola, Cod. cit., I, 303*319 e segg. per la discendenza di Sardegna; e, oltre i già citati, il Repetti, il Roncioni (Archiv. Storico Ital 1844, VI, 436-6). Amari, Diplomi arabi pisani, pp. 67,408. San Quintino, Nell’ Accad. delle Scienze di Lucca, Voi. X, p. 84. (2) Cfr. p. 258, note 3, 4. (3; Repetti, IV, 526 e p. 250, nota 5. — 261 — famiglia, se non nei figli premorti, nelle figlie Benedetta ed Agnese. In tale caso il quarto Ugone, giudice anch’esso di Cagliari (i) sarà probabilmente fratello a questo Guglielmo, figli entrambi del Guglielmo di Massa del 1173-4 che fu figlio a sua volta del Marchese Alberto di Corsica; quest’ultimo distinto perciò col soprannome di Alberto Corso. Dissi già che il nome di Ugo o di Ugone fu frequente negli Obertenghi, ma lo si trova più altre volte anche in Corsica; dove gli atti camaldolesi (2) ci palesano un Marchese Rainaldo figlio del quond. Ugone che benefica egli pure il Monastero di San Mamiliano. La data del 1160 che vi si legge è contrastata dai dotti annalisti che vorrebbero farla risalire al secolo XI; io la farei piuttosto discendere al XIII; dove trovo nel Cambiagi un Marchese Rinaldo all’anno 1260. Trovo pure in Tola gli atti del 1256 relativi a un Rinaldo fratello di Guglielmo Cipolla e cugino di Chiano o Giovanni, Marchesi di Massa e Giudici di Cagliari. Trovo ancora in Targioni e in Gerini un Rainaldo Marchese di Massa e Giudice di Cagliari nel 1229, marito che è della Benedetta di Massa, figlia già citata del Marchese Guglielmo (3). Donde un nuovo marito non mai nominato nelle dibattute questioni sui matrimoni di Benedetta; ma (che più importa) donde nuovi soggetti di esame, se questi Rinaldi sieno o no identici, se Rosso il padre del Rinaldo del 1256 non sia uno dei soliti soprannomi dati ad Ugo padre di Rinaldo nei Camaldolesi; e se quest’Ugo non sia l’Ugo Marchese di Massa e Giudice di Cagliari dei documenti pure Camaldolesi. Donde anche verrebbe un po’ di luce a capire la parentela dei Marchesi Chiano e Cipolla coi più noti Marchesi di Massa e Cagliari. Ma io non entrerò in questo pecoreccio; aggiungerò solamente un’altra conferma al mio concetto generale sulla natura degli atti Camaldolesi e corsi ; e la trovo nei cenni del Cambiagi (4) per atti del Monastero di Gorgona; ivi un Marchese Corrado nel (1) Annal. Camaldul. cit. append., pp. 169, 249. (2) Ibid., p. 27-6. (3) Cambiagi cit., p. 85. Tola cit., I, 367, 369. Iurium, I, 1236-39; e, sui mariti di Benedetta, Tola, I, p. 324. Targioni cit., II, 270, XII, 234. Gerini, op. cit., II, 294. (4) Cambiagi, pag. 8ò. — 262 — I2T0 dona a que’ Monaci le decime dal fiume Regino fino ai monti. Ma noi abbiamo veduto già due Marchesi Corradi appunto fra quei di Massa-Parodi (1) i cui atti si stendono dal 1213 al 1230 o circa; figlio l’uno, pronipote l’altro del Marchese Rainero di Parodi; consorti ambedue nei diritti feudali col pure indicato Andrea Bianco, Marchese di Massa, di Parodi e di Corsica. Veggano altri se io abbia imbroccato nel segno o se, non avendo di meglio, convenga lasciar campati in aria, come furono finora, questi documenti camaldolesi. III. Il Marchese Alberto Rufo, oltre un fratello di nome Ugo, ne aveva altro a nome Guido, noto per più documenti 1051, 1052, 1056, 1085 prodotti dal Muratori (2). Questo Guido, come benefattore al lunese Monastero di San Venerio col fratello Alberto Rufo, si dimostra anche consorte con lui nei diritti ereditarli, la inetà del quarto e simile. A questo stesso Guido Marchese quond. Alberto, di nazione e legge longobarda (come tutti gli Obertenghi) io attribuirei un documento tortonese del 1081 (3), in cui un Marchese con tutti questi titoli cede al suddiacono Cervino la sua portone, cioè la metà di quattro castelli posti in quel Comitato; Grondona, Gattorba, Montemorisino e Nazano. Accennammo sopra i diritti che gli Obertenghi ebbero largamente sul Tortonese, e trovammo proprio Nazano (Rivanassano) fra i castelli e luoghi posseduti nel 1033 dal fondatore della Badia di Castiglione (4). Stando a questi (1) Corrado quond. Rainero e Corrado quond. Palodino, zio e pronipote nel 1223 in Iurium, I, 690, e p 255, note 11 e 12. Io non pretendo giustificare 0 rettificare a una a una quelle date, ma son persuaso che prese in complesso giustificano abbastanza la mia opinione. (2) Ant. Est., I, 232, 236-38. (3) Costa, Chartarium, p. 1. Ego Guido Marchio Clericus filius q. Alberti Mar chionis qui professus sum ex natione mea lege vivere Longobardorum. Actum Preci-piano. La parola Clericus, per chi conosce il Medio evo, non fa obbiezione; l’Avogheria di Precipiano come spettante alla curia marchionale di Gavi è in Iurium, I, 492. (4) Ved. p. 249, not. 2. — 263 - soli documenti, si potrebbe sospettare non aver egli lasciato prole ; ma io credo aver buono in mano per farne lo stipite dei Marchesi di Gavi che vedemmo tanto intrecciati, con quelli dell'attiguo Parodi, nei feudi e possessi ed anche nelle sventure della decadenza ; soffocati e poi ripartiti fra i Comuni di Genova e di Tortona (1). Difatti già nel 1121 ci comparisce Alberto Marchese di Gavi costretto a cedere Voltaggio ai Genovesi (2), nel 1130 lo incontrammo fin dal principio di questa stessa lezione (3), lo si trova nello stesso anno e nel n 50 tra i documenti del libro di Giuri, e cosi di seguito, manifestandosi figlio del quond. Marchese Guido; è poscia avo egli stesso e proavo di altri Guidi ed Alberti; e, che più importa, i suoi diritti feudali, lungo la Scrivia, a Grondona, Gattorba ecc. traspariscono ad ogni piè sospinto, benché ridotti ad ombra, tra i documenti tortonesi e Genovesi. Si noti per di più che il Monastero di Precipiano, ove fu fatta la vendita dal Marchese Guido nel 1081, apparteneva ancora nel 1202 alla curia Marchionale di Gavi a titolo di avocheria (4). Non ripeterò qui ciò che dissi più addietro su altre traccie obertenghe dei Marchesi di Gavi e di Parodi, sulle consignorie loro coi Malaspina a Rovereto (Alessandria), nelle valli di Scrivia e di Borbera, a Torriglia, a Mongiardino, alle porte stesse di Genova; sui loro vincoli coi lontani signori della riviera orientale ecc. Ma questo è soggetto, oltreché oscuro, nuovissimo presso gli studiosi ; da non potersi spedire con poche parole, da lasciarsi perciò ad altra lezione ove ci venga il destro di trattarla colla conveniente larghezza. Cornelio Desimoni. (1) Iurium, I, 428, 430, ecc. (2) Caffaro, p. 15. Iurium, I, 35, 146, 271, ecc. (3) Ved. p. 235, nota 1. (4Ì Iurium, I, 492. Ivi stesso p. 491 sono vassalli della curia di Gavi quegli Ospinelli di Arquata (da correggere cos’r invece di Aquaria) i quali vendono questo luogo ai Tortonesi in società coll’Andrea March, di Massa. Ved. p. 256, not. 5, e bada all’ intreccio continuo di consignorìe. Così il pedaggio di Gavi spetta in parte ai Marchesi di Parodi. Iurium, I, 492, 494, Caffaro, p. 154. — 264 — 1130, i ottobre » Ab hodie in antea usque ad annos decem nos Januenses saluabimus personas Papiensium et eorum districti atque res eorum in toto nostro districto. Et si aliquis nostri districti eos offenderit in rebus et habuerit unde emendari possit, faciemus ei emendari infra quadraginta dies post quam requisitum fuerit a consilio consulum Papie capiendo tantum nisi remanserit iusto impedimento uel per parabolam consulum Papie, uel illius cui iniuria facta fuerit. Et impedimento transacto infra alios sequentes quadraginta dies. Quod si non habuerit malefactor unde emendari possit, faciemus inde uindictam, expellendo eum extra nostrum districtum, et non recuperando eum absque consilio consulum Papie, nisi remanserit per parabolam consulum Papie, uel illius cui iniuria facta fuerit. Et si homicidium' factum fuerit, emendabitur libris vii, et dimidiam brune monete. Et si preter homicidium personam offenderit emendabitur secundum usum terre. Et si aliquis offenderit Papiensem in persona uel in pecunia infra has coherentias ex habitantibus infra istas coherentias uidelicet; a Castelleto usque ad Palotum, et a Paloto usque ad Caroxium, et a Caroxio usque ad Montemaltum, et a Montealto usque ad Stazanum, et a Stazano usque ad Sarzanum, et a Sarzano usque ad Vigueriam, et a Vigueria usque ad Castrumnouum, et a Castronouo usque ad Salam et ad Rouoretum et ad Gamundium et ad Sezagium et ad Castelletum, et infra quadraginta dies emendare noluerit, post quam requisitum fuerit a concilio consulum Papie, adiuuabimus Papienses faciendo guerram per commune nisi remanserit per parabolam consulum Papie uel illius cui iniuria facta fuerit. Et non faciemus pacem neque treguam neque guerram recreutam cum eo absque consilio consulum Papie, preter contra Porradam eiusque filium et Guilielmum fratrem eius; ita tamen si Porrada et eius filius et frater eius intrauerint in sacramento Papiensium uel per Papienses steterit quod recipere noluerint. Et si intrare noluerit Porrada et eius filius et frater eius et Papienses eos recipere uoluerint et Papienses offenderit, aut infra quadraginta dies post quam a consilio Papie requisitum fuerit, emendabimus de nostro aut adiuuabimus eos ut supra dictum est. Et de Terdone et habitantibus Terdone et • burgi Terdone faciemus guerram per comune in personis et in rebus; et Alberto de Gaui et habitatoribus.de Gaui, et Montealto et habitatoribus Montisalti, nisi Albertus de Gaui reuersus fuerit in debitis Papiensium et Ianuensium usque ad kalendas ianuarii. Et si reuersus fuerit et postea Papiensem offenderit et infra quadraginta dies non emendauerit, adiuuabimus Papienses faciendo guerram per comune sicut hic scriptum est. Et neque pacem neque treguam neque guerram recreutam cum — 265 — eis faciemus absque consilio consulum Papie. Et ab his kalendis octubris usque ad annos duos faciemus exercitum per comune infra predictas coherentias cum consilio consulum utriusque ciuitatis, ubi utilius uisum fuerit consulibus utriusque ciuitatis, nisi guerra Pisanorum remanserit. Et infra decem predictos annos faciemus alios exercitus in concordia consulum utriusque ciuitatis. Et si aliquid infra predictas coherentias cum communi exercitu uel compagna acquisierimus uel metu exercitus nobis redditum fuerit, communiter habebimus et possidebimus. Et si perditum fuerit ad recupcrandum adiuuabimus Hec omnia obseruabimus absque dolo et fraude, nisi quantum consilio consulum utriusque ciuitatis remanserit. Actum est hoc anno dominice incarnationis m. c. xxx. prima die mensis octubris. indictione octaua. (Archivio di Stato in Genova, Malerii Politiche, mazzo I; Chartarum II, 213). III. DUE DOCUMENTI DI UN MARCHESE ARDUINO CROCIATO NEL II84-85 (dal Giornale Ligustico, a. 1878, pp. 335-544). Ci sono comunicati dal nostro amico e valente metrologo il cav. Pietro Rocca, e furono desunti dal foglio 22 del primo Libro a catena tra i preziosi membranacei delPArchivio Municipale di Savona (1). L’Arduino a cui si riferiscono appartiene alla casa dei Marchesi del Bosco non lungi da Alessandria, dei quali parla anche Ottone di Frisinga e dove fu ospite Federico Barbarossa. Ma que’ marchesi inoltre per ragioni di consorzio stendevano la loro signoria anche di qua dall’Appennino a Varazze sul mare e anche al Castello di Stella che sovrasta sul monte, seguitati a ponente dai consanguinei Marchesi di Savona e d’Albenga. Di Arduino e del fratello Anseimo soprannominato il PisciaJora abbiamo notizie già dal 1173 nello stesso Archivio Savonese, con tracce del loro condominio sull’ antico Rovereto dove era sorta Alessandria. Seguitano ivi stesso altre carte relative a Varazze e alla Stella de’ due predetti Marchesi con altri fratelli Azone e Delfino negli anni 1179, 1180, 1181, 1182, fino alla partenza d’Arduino nel 1184 e alla sua presenza in Acri di Terra Santa nel 1185. D’ allora in poi scompare ogni memoria di lui ; donde è da credere che morì colà, mentre del fratello Azone continuano gli atti sino (1) Questi documenti furono in seguito pubblicati negli Alti Soc. St Savonese, 1, pp. 153, 154. é — 267 — • al 1216. Un documento senza data, ma importante, nel Liber Jurium (I. 551) ci mostra questi Marchesi ridotti a due: Anseimo detto Bisaccia e Delfino, aventi una eguale parte a certa pensione dalla Repubblica genovese, insieme all’altro ramo residente al Bosco e composto anch’esso di due fratelli, Guglielmo ed Ottone. La sorella d’Arduino, Sibilia, ebbe dal marito Enrico Malocello un figlio Guglielmo, per cui passò in questa famiglia genovese parte della consignoria di Varazze. Tutti insieme poi questi Marchesi di Varazze colla madre Maria, e a. gara coi consanguinei del Bosco e di Ponzone, furono liberali di donazioni ai Cisterciensi tanto della Badia di Tiglieto quanto delle Monache di Latronorio od Areneto (ora Invrea fra Varazze e Co-goleto). Non raramente importa alle storie, come si vogliono ora approfondire nei particolari, il saper distinguere 1’ una dall’ altra queste ed altre tanto numerose famiglie di Marchesi spesso omonimi e contemporanei, che recano una confusione da non dirsi, ma che per la legge professata, per ripetizioni degli stessi nomi in famiglia e più per traccie d’ antico compossesso si mostrano provenienti da pochissimi stipiti. Niuno è che non vegga di quanto gioverebbe, ove manchino notizie più positive, la conoscenza almeno della consanguineità più 0 meno stretta fra le diverse case, i loro modi di divisione fra se e coi signori di secondo ordine ; donde un qualche barlume sulle parti politiche, sugli interessi e sullo stato sociale di quei secoli confortati poco o nulla da cronache contemporanee. Dello sfasciamento della Marca aleramica ho parlato nelle mie cinque lettere al Comm. Promis Sulle Marche dell'Alta Italia e più brevemente nell’altra lettera all’ illustre Amari Sulla discendenza aleramica, aggiungendo a quest’ultima un alberetto genealogico, che dallo storico, ma quasi leggendario Aleramo, giunge fino ai primi e certi stipiti dei Marchesi di Savona, del Bosco, di Monferrato ecc. Una serie compiuta e documentata di tutti questi Aleramici e dei loro vicini di destra e sinistra (gli Obertenghi e gli Arduinici) ci sarà data (speriamo presto) dal nostro amico, il dotto quanto acuto professor Teodoro Wùstenfeld di Gottinga. 268 Egli avendo percorso, oltre agli Archivi e le pubblicazioni tedesche, gli Archivi d’Italia anche i municipali e minori, ha raccolto con rara tenacità un numero stragrande di documenti fino a Ludovico il Bavaro, e, mentre sta ordinandoli, con non meno rara larghezza ne fa parte agli studiosi dei paesi rispettivi ; come si può vedere negli Statuti Bresciani dell’Odorici (Moti. Hist. Patr., XVI), nei documenti cremonesi pubblicati da quel Municipio per cura del ch. Robolotti, e in pubblicazioni anche germaniche, per esempio nel Kaiser Henrich FI del Toeche (i). Scontratici anche noi in più modesta cerchia, ma nello stesso studio genealogico, abbiamo avuto la fortuna di trovarci d’accordo con lui nelle fila principali del lavoro ; abbiamo amichevolmente discusso sui nostri dissensi a riguardo degli attacchi di qualche linea. Il più delle volte io deferiva al suo avviso, ma talora anche egli al mio ; convenendo entrambi del resto che certi attacchi sebbene non rigorosamente dimostrabili, si poteano dedurre con bastante probabilità dai compossessi, dalle eredità, dai nomi rispet- 1 tivi e da altri indizi. Qualche scoperta importante dopo d’allora (come la moglie Arduinica del padre di Bonifazio del Vasto (2) 4 e la imminente pubblicazione del Cartario d’Asti per l’illustre Sella) hanno cagionato qualche variazione negli anelli subordinati ; ma staranno inconcusse l’unità della Marca d’ origine invano oppugnata dal Conte di San Quintino, staranno le membrature sue principali che divennero Marchesati, come erano già state recate a buon segno dal Moriundo per la parte aleramica; come Terraneo e Carena aveano poste le basi per 1’unità della Marca Arduinica: come, maggiore di tutti, il Muratori avea nonché iniziato ma condotta (1) 11 Prof. Wùstenfeld anche a noi fu cortese della serie dei Podestà che ressero Genova e di quelli che da Genova si recarono fuori (ved. Giornali Ligustico, 1875, pag. 375). I documenti inediti di altri Archivi, specie i Registri Angioini, le danno un valore di cui profitteremo per la serie da pubblicarsi insieme agli Statuti Genovesi nei Monumenta Hist. Patriae in società col cav. Belgrano. (2) Ved. pp. 275-281 e il Giornale Ligustico, ibid., pag 368-75; e ci è di soddisfazione il vedere ammesso definitivamente questo punto nelle due pubblicazioni recentissime dell’Illustre Carutti (Umberto 1 nell’Archivio Storico Italiano, 1878, II, 43) e del ch. Barone Claretta (Sui Signori di Rivalla, Torino, 1878, pag. 183). < — 269 — quasi a perfezione la prova della unità originaria della Marca' Obertenga. Avendo noi pubblicato recentemente e quivi stesso un articolo su Bonifazio di Monferrato e un altro sui Cisterciensi in Liguria, che richiamano simili notizie (i), credemmo non inutile sottoporre al presente terzo articolo un nuovo alberetto aleramico il quale fosse, direi quasi, piuttosto topografico che genealogico : vale a dire che colla possibile brevità, omettendo nomi non necessarii stretta-mente, disegnasse il graduale distacco dei Marchesati sul campo generale della Marca e giungesse fino ai Marchesi nominati nei tre articoli predetti. Di qui potrassi comprendere a volo d’uccello, che la Signoria aleramica era distesa da Lucedio e Trino oltre Po fino alla Riviera di ponente e al mare, attraverso il Po, il Tanaro, la Bormida, l’Orba e l’Appennino; essendo stretta a levante (ma strappandone qualche brandello) dalla Marca Obertenga o della Liguria (2) ; a ponente , invece riuscitole per nozze fortunate di allargarsi ampiamente sulla Marca Arduinica 0 di Torino; dallo Astigiano alle Langhe, a Saluzzo e Busca, a Ceva e Clavesana, e oltre Appennino ad Albenga e suo Comitato. La prima e durevolmente mantenutasi divisione della Marca Aleramica può stabilirsi al fiume Tanaro, e può tuttora riconoscersi in certo modo nelle denominazioni usuali di Alto e Basso Monferrato. Quest’ultimo, 0 il proprio Monferrato a tramontana del Tanaro, ebbe i suoi celebri e più presto caduti di potere , i marchesi d’ Occimiano e di Montechiaro. Da Anseimo altro figlio di Aleramo discendono le Case Marchionali, che ebbero signoria a mezzodi del Tanaro e fino al mare. E queste si suddivisero: i.° nel ramo presto estinto di Sezzè fra Alessandria e Acqui; 2.0 nel ramo che generò i Marchesi del Bosco e di Ponzone, con sottoramificazioni a Pareto, a Uxecio (Beiforte) (1) Ved. Giorn. Lig., 1878, p. 241-69. (2) Rovereto (Alessandria), prima di passare nei Marchesi del Bosco, come appartenente al Comitato Tortonese era sotto la signoria degli Obertenghi (discendenti da Oberto Marchese della Liguria), cioè i Malaspina, i d’ Este, i Pallavicini, i Marchesi di Massa, di Gavi e di Parodi. — 270 — sulla Bormida e 1’ Orba ; a Varazze e Albissolu fin presso a Savona sul mare; 3.0 nel ramo del Vasto 0 di Savona il quale, pur conservando parte dell’Acquese col sottoramo dei Marchesi d’incisa, fu più illustre col titolo di Savona degenerato poi in Del Carretto; inoltre col mentovato ampliamento sui dominii arduinici generò i Marchesi d’Albenga divenuti poi di Ceva e di Clavesana, e i Marchesi di Saluzzo e di Busca; questi ultimi con un sottoramo a Cossano sul Belbo, e col soprannome di Lancia divenuti illustri per la loro affinità con Federico II (1). Tali Marchesi, moltiplicati in sì gran numero e forzati perciò a separarsi dal consorzio primitivo, colà dove non seppero stabilire la primogenitura salica (come seppero quei di Saluzzo), o dove non ebbero largo sfogo in Oriente (come ebbero i Monferrato), furono ridotti a piccoli sprezzati feudatarii, sospinti sempre più dall’invadente Comune ai monti e alla campagna; presero quindi per distinguersi tra se un nuovo titolo dalla residenza rurale rispettiva ; si estinsero , 0 durando perdettero più 0 meno la memoria dell’ antica origine comune. Donde parvero ai tardi ricercatori tali Marchesi sorti come per incanto dal suolo tutti insieme e negli stessi secoli XII e XIII. Si noterà infine che nell’alberetto figurano tre Vescovi d’Acqui, San Guido , Azzone e Adalberto, appartenenti alla gran famiglia Aleramica; il che è conforme a quanto si vede nei vescovi di Savona Ambrogio e Bonifacio fratelli dei primi Marchesi Del Carretto; e a quanto si può vedere negli Arduinici, nei Conti di Savoia e in generale nelle famiglie signorili che a que’ tempi solevano occupare con uno di loro la diocesi rispettiva. C. Desimoni. (1) Il eh. Barone Manuel, benemerito anch’egli di questi studi pel suo libro 1 Marchesi del Vasto (Torino. 1858), ebbe da me 1’omaggio d’un esemplare della mia pubblicazione. Egli pur facendo alcune obbiezioni su punti oscuri e subordinati, a cui ho procurato rispondere con una lettera (la settima, ma inedita), ebbe la compiacenza di scrivermi il 2$ luglio 1869: Posso ben dirle che non mi era ancora fatto un’ idea così chiara intorno alla formazione e costituzione di queste Marche, del loro degradamelo in Marchesati, delle condizioni e vicende dei loro Marchesi, come dopo quella lettura (del mio lavoro). — 271 — I. Testamentum Arduini Marchionis de Bosco. Ergo Arduinus filius qm. domini Willielmi Marchionis de Bosco, cum ultra mare ire debeam , de omnibus rebus meis, ne lis aliqua vel controversia inde inter fratres meos oriri possit, talem facio dispositionem. Volo in primis et est mea voluntas sic : quod ego relinquo fratri meo Delfino omnem partem loci qui dicitur Stella ante partem, et dono. De aliis vero omnibus bonis meis ipsum Del fin um et Azoncm fratres meos mihi eredes instituo, excepto de parte mea Varazinis quam relinquo domine Marie matri mee. Res meas dimitto in potestate et guardia fratris mei Delfini dum venero. Hec est ultima mea voluntas, que si aliqua iuris solemnitate careat vim saltem codicilli vel alicuius ultime voluntatis volo quod obtineat. Actum apud Albuzolam, in pontili ecclesie sancti Benedicti, testibus ad hoc convocatis et rogatis presbitero Oberto de Stella, Jonata de Saona, Trucho eius fratre, Balduino Bavoso, Willielmo de Stella, Wilelmo Pedebò, Simone de Bosco, Ogerio de Stella. Anno Dominice Nativitatis millesimo centesimo octuagesimo quarto, indictione I, die XII Augusti. Ego .... de Donato notarius Sacri Palatii rogatus scripsi. II. In nomine Domini Dei et Salvatoris nostri Jesu Christi, amen. Anno ab Incarnatione eiusdem MCLXXXV, indictione II, mensis intrantis marcii die XV. Notum sit omnibus hominibus tam futuris quam presentibus quod ego Arduinus Marchisus tibi sorori mee Sibilie qm. uxori Enrici Malocelli facio chartam dona-cionis, quod tibi dono castellum de Stella cum pertinentiis suis et dominium sicut teneo et possideo, ad faciendum quid quid volueris et in perpetuum. Et Wilielmo monacho et ceteris meis hominibus mando et precipio ut tibi respondeant et tuo precepto sicuti mihi responderent. Actum in Accon in ecclesia sancti Laurentii feliciter. Testes Alardus Conpel, Rolandus de Carmaino, Bellemustus Lercarius, Rusignolus. Et ego Wilielmus phisicus et notarius ianuensis rogatus scripsi (1). (1) La chiesa c la strada di San Lorenzo in Acri era nel Quartiere dei Genovesi (Lib. Jurium., 1, 412) ; e i presenti all’ atto sono genovesi tutti o quasi. — 272 — Anselmo 991-6 -J* 99 Ugo Chierico 1014 Anselmo 1014-47 f I05S Guido vescovo d’Acqui 1039-70 Ottone o Tetone 1062 *j* 1065 con Berta di Oderico Manfredi Arduinico, sorella della di contro celebre contessa Adelaide 1065 Bonifazio del Vasto o di Loreto 1179-1120 (t>. pag. seg.) A Manfredo t 1179 Enrico 1097 Adelaide con Ruggero conte di Sicilia Ugo "SS Anselmo del Bosco 1116-1136 Azo vescovo d’Acqui 1106-1132 Guglielmo detto Piscialora H31-73 con Maria 1192 Manfredo 1131-1152 Ugo 1178-1180 Enrico 1152 1180 Anselmo Bisaccia ”73-99 Arduino JI73 118$ Azo Delfino Sibilla 1180 1179 1184-5 1191 1216 con Enrico con Malocello Giovanna f i>85 Guglielmo Malocello 1186-88 a Varazze Guglielmino 1204 con Silombra 1210-13 Ottone del Bosco 1183 1224 Enrico di Pareto e d’ Uxecio 1205-23 Bonifacio di Pareto 1206-23 Enrico 1183 1299 Ponzio 1186 1202 Marchesi del Bosco, Beiforte, Pareto, ALERAMO Conte 934 Marchese 95° t 991 — 273 Guglielmo •]• 961 Oddonk 971 T 99* Guido detto di Sezzé io;0-11 r il06 Oberto 1014-1034 Oberto 1030-10 1 in Savona 1061 Hi PKANDO 991-99 Adalkekto vescovo d’Acqui 1065-79 Guglielmo 991-1031 in Savona 1004 Oddone Marchio et Comes Monferratensis 1040 Enrico con Adelaide Arduin 1042-4 Alberto Alemanno j- 1106 Adelaide di Se2zè 1106 Guglielmo detto di Ravenna 1059-84 in Savona 1059 Ardizzonb nominato nei figli Aleramo di Pouzone 1131-)$ Pietro 1152 1180 Giacomo 1180-6 Guelfo 1122-35 d’A Ìbissola Fkrrarta Hf.atrtce 7 1204? con Enrico del Carretto? con Alberto Malaspina ? Ponz:o Pietro 1209 1209 Rainero di Monferrato 1101-35 Enrico Balbo Guglielmo Bernardo il vecchio 1135 1131-1187 Alasia con Manfredo March, di Saluzzo 1285-1230 Guglielmo Lungaspada * *71-79 con Sibilla di Balduino 111 Balduino V Re di Gerusalemme 1184 Varazze, Ponzone, di Monferrato. Ardizzino I13S Guglielmo 1135 Marchesi di Occimiano. Corrado 1171-92 con Isabella di Balduino 111 Jole con Federico 11 1225 Federico vescovo d’Alba Isabella con Gio. di Brienne Re di Gerusalemme 1208 Bonifacio I 1179 1207 Re di Tessa Ionica con Margherita vedova di Alessio III di Costantinopoli Rainero 1x77-83 Re di Tessalonica con Maria di Emmanuele Imperatore di Costantinopoli Agnese 1104 Guglielmo il Giovine 1194-1225 {v. pag. seg.) Il Demetrio Re di Tessalonica 1207-22 Agnese con Enrico Imperatore di Costantinopoli 1206 Atti Soc Lig. St. Patria. Voi. XXVUI, Serie 3. 18 274 - Bonifazio Marchese d’ Incisa I22S-S9 Marchesi d'incisa, Saluzzo, Busca, Ceva, Clavesana, Savona. .% Bonifazio del Vasto e ili Loreto 1079-1150 Manfredo Marchese di Saluzzo 1125-75 con Alasia di Monferrato Ugo del Vasto 1142 Guglielmo Marchese di Busca 1125-55 Guglielmo di Ceva 1170-1214 Bonifazio di Clavesana 1194-1221 Ottone Anselmo Enrico Boverio di il 0 di Albenga Guercio Loreto 1125-.10 0 di 1125-40 1 Savona 1125-1184 Enrico del Carretto 1181-1231 con Simona di Balduino Guercio 1191 con Agata del conte di Ginevra 1216 Oddone del Carretto 1171-1227 con Alda Enibriuco Ambrogio vescovo di Savona 1189-1192 Bonifazio di Cortemiglia 1125-1188 Bonifacio vescovo di Savona M93 Marchesi di Monferrato. Il Guglielmo il Giovane 1104-1225 Alice Regina di Cipro 1229-30 Bonifacio li 1225-1255 Beatrice con ouigo VI Delfino di Vienna 1228 IV. UN DOCUMENTO ALERAM1CO ESTRATTO DI VERBALE DELLA TORNATA DEL 3 APRILE 187 5 (SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA — SEZIONE DI ARCHEOLOGIA) (dal Giornale Ligustico, a. 1875, pp. 375-388). . . . Il socio C. Desimoni comunica la seguente lettera del professore Teodoro Wùstenfeld di Gottinga: Pregiai:"0 Sig. Avv. Desimoni , « Nel Registro Comunale d’Asti (codice che si conserva nell’Ar-chivio Imperiale di Vienna ed è scritto quasi tutto nell’anno 1294) (1) ho trovato un documento, il quale attesa la rarità delle memorie aleramiche più antiche, confido avrà anche per Lei qualche valore. Eccole un estratto dal foglio XXIV di quel codice: « Anno ab incarnatione domini nostri Jesu Christi, millesimo sexagesimo quinto, duodecimo mensis mai, indictione V. Ecclesie sancte Dei Genitricis Virginis Marie de episcopatu infrascripte civitatis astensis Nos Berta Comitissa et Manfredus Boni-facius et Anselmus marchiones et Henricus et Oto germani mater et filii qui professi sumus nos mater et filii ex natione nostra lege vivere salica......offer- tores......quidquid etc. (le solite formule), fanno donazione alla chiesa anzidetta di quattro corti » cum castro muris fossato circumdatis », che possedono in Casta-gnolis et Laureto et Montaldo atque Rodia de Flexio » colle loro pertinenze. Segue la consueta investitura salica « cum festuca, vantone et vasone etc. », e la (1) Questo Codice, restituito all’Italia, com’è noto, nel 1876, per merito di Quintino Sella, fu pubblicato per cura dello stesso negli Atti dell’Accademia dei Lincei, a. 1875-1876, Serie II, col nome di Codice Astense Malabayla II documento comunicato dal prof. Wùstenfeld si trova in detto Codice sotto il n. 52, p. 118. — 276 — conferma. Berta comitissa et Manfredus Bonifacius et Anselmus, Otto et Alricus germani mater et filii, promettono osservare» sub duplo..... bergamenam cum atramento de terra levavimus et Benzoni not.irio sacri palatii ad scribendum dedimus. « Signum manus « ecc. dei donatori. « Amalbertus Milo Paganus signifer Anselmus atque Rudolfus testes. «Anselmus. Obertus, Olto, Ricardus leg. salic. i- Benzo notarius sacri palatii ». « L’indizione è errata e vorrebbe essere la terza ; ma non tornerebbe neppure per chi sospettasse che la data del documento sia da portarsi al 1165, chè allora vi cadrebbe la X. Ma, che è più, il contesto, i nomi, la forma, le circostanze dell’atto, la mancanza de cognomi nei testi e nei vassalli intervenuti, tutto concorda a persuadere che la data ne sia veramente del 1065. Forse il copista che inserì la carta in quel registro lesse nell’ originale V, invece di III, essendo sbiadito il tratto di mezzo. « Il documento ci apprende cosa ignota prima d’ora e preziosa; cioè che si chiamava Berta la madre de’ Marchesi Aleramici Manfredo, Ottone ed Anseimo, già noti per la carta savonese riferita dal San Quintino, e madre pure di quei Manfredo, Anseimo e Bonifacio, nominati nella lettera di Gregorio VII (1). Inoltre, se non con piena certezza, almeno con moltissima verosimiglianza se ne inferisce che la medesima Berta fosse figlia della Contessa omonima che fu moglie di Odolrico Manfredi, de’ Marchesi di Torino; perciò anche, che Berta fosse la sorella della famosa Contessa Adelaide. « Le ragioni della nostra congettura sono dapprima la identità de nomi, che nelle famiglie di quei tempi si solevano ripetere : Berta madre e figlia, come Odelrico, detto anche Alrico, ripete il proprio nome nel nipote suo, figlio di Berta juniore, il quale è detto Enrico nel principio del documento anzi citato, ma sul finire è chiamato Alrico. « In secondo luogo parlano per la nostra congettura i territorii donati alla Chiesa Astense. Loreto, Castagnole, e le altre corti ivi (1) Memorie dell’Accad. delie Sciente di Torino. Nuova Serie voi. XII, pag. 50 e 53; Gregorii Magni, Epistolae, lib. VII, ep. 9. — 277 — accennate (anno parte del Comitato d’Alba (ossia di Diano come dicevasi allora); e questo Comitato apparteneva al tempo della donazione alla discendenza d Arduino, perciò la donatrice dovea averli ereditati dal padre non dal marito. Ed appunto nello stesso 1065 la Contessa Adelaide (che sarebbe come si è detto la sorella di Berta) faceva anch essa una donazione che si può considerare come il complemento di quella onde qui si discorre. È la donazione al Vescovo d’Asti Girelmo di un castello colla cappella di San Silvestro ecc., in Valle Blandinasca et Villa Sancti Michaelis in Vetrone, Vedano, colla cappella di San Giorgio in Novelle, in Valle Godonis, in Loreto, ecc. (1). « Non saprei trovare documento più opportuno per dimostrare 1’ origine di Berta. Questa carta fa cader pure ogni qualunque pos-sibilità di un fondamento nelle invenzioni dello Sciavo sulla moglie ungherese di Teto o Tete, padre di Bonifazio e degli altri fratelli sovra indicati; come pure sovra quell’altra moglie di Teto, Elena di Corrado di Ventimiglia; le quali non possono essere che parto di fantasia. Viene finalmente per tale guisa stabilita non soltanto la possibilità, ma la realtà della trasmissione di una parte dell’eredità dei Marchesi di Torino nella famiglia aleramica. « Cionondimeno non ci pare ancora dileguata per verun modo 1’ altra fin qui tenuta opinione di un’ altra moglie di Bonifacio che avesse nome Adelaide. Credo averne un indizio nelle carte genovesi del monastero di santo Stefano, ove i fratelli Guglielmo e Bonifazio Marchesi di Clavesana nel 1169, VII Kalend. Martii, confermano ciò che la Contessa Adelaida avia nostra fi Ha quondam Manfredi Marchionis, avea già donato al monastero medesimo in Civitate Albengana, nominativi cinte regia ecc. (2). Segue all’atto la copia del documento confermato con questo del 1169; Cl0^ k donazione che fin dal 1049 avea fatto la Contessa Adelaide di cui sopra è discorso (3). L’intervallo fra queste due date del 1049 e Ir^9 dimostra che la prima donatrice non poteva essere 1’ ava dei Marchesi di Clavesana: vi fu dunque un errore, uno scambio nella (1) Moti. Hist. Ptitriae: Cbarlar. I. 609. (2) Cfr. p. 297. (3) Moti. Hist. Patriae: Chartar. II. 145. — 278 — loro asserzione : ma questo scambio non sarebbe stato possibile se la loro ava vera, la moglie del Marchese Bonifacio, che essi avevano potuto conoscere da fanciulli, non avesse avuto lo stesso nome di Adelaide. « Per simil guisa nel Registro Comunale di Viterbo (Cod. I, pag. 586), ho trovato una carta del 15 maggio 1301, con cui il Conte Gaìassus Nicolai Comitis Guidi de Biseucio conferma e riferisce allo stesso modo per intero altra carta di sottomissione che avea latta nel 117 5 il conte Guitto di Vetralla filius quondam Ofreducci. Ivi si considera come una identica persona il Guitto padre di Nicolò ed il suo omonimo Guitto quondam Ofreducci. Or questo è impossibile, perchè Nicolò viveva nel 1263, come si vede da altra carta di sottomissione del castello di Pianizano al Comune di Toscanella (Turriozzi, Storia di Toscanella, pag. 124); ed è manifesto che vi corse Terrore d’aver negletto una generazione. Difatti un Guido quondam Guidi di Bisenzio il 12 giugno 1220 figura nel Registro Comunale d’Orvieto (pag. 120). Si capisce percio che il Guitto del 1175 fu l’avo e non il padre di Nicolò; ma si capisce pure come l’identità dei nomi abbia potuto trarre in errore il discendente loro nel 1301. Teod. Wùstenfeld ». Sono lieto di esprimere i miei più vivi ringraziamenti e le mie congratulazioni al dotto Professore di Gottinga; il quale continuando a onorarmi della sua amicizia non solo ha scritto un erudita e molto ingegnosa lettera, ma mi ha ridestato una rimembranza quasi perduta; il di cui risveglio, confido, gli farà molto piacere, perchè con ciò le sue acute considerazioni salgono al grado di certezza assoluta. Uno de’ miei primi studi, che servi di fondamento al manoscritto delle Carte Genovesi del compianto avv. Ansaldo, e quindi al Cartario Genovese pubblicato dall’amico cav. Belgrano, uno de miei primi studi, dico, fu quello di classificare cronologicamente fino all’anno 1100 le carte tutte che si trovavano disposte a casaccio e senza riduzione di data nelle Miscellanee allora quasi ignote del Poch (1). (1) Miscellanee mss. di storia genovese (anonime, ma raccolte dal sacerdote Bernardo Poch di Sarzana), ora conservate nella Biblioteca Civica per grazioso dono — 279 - Una di queste carte colla data 30 settembre 1064, indizione 2.*, era la donazione che faceva al Monastero di san Siro di Genova Berta col figlio Manfredo, risiedendo nel castello della città d’Asti. La posizione dei beni donati, le lacune che nella copia del Poch apparivano tra il nome di Berta e quello di Manfredo, e tra questo e le parole mater et filius o fiìii, m’inducevano sospetto di più preziose notizie nascoste in que’ vani; ma non avevo sott’occhio gli originali allora conservati negli Archivi Generali del Regno in Torino. La lettura del documento importante scoperto dal lodato Professore mi tornò in mente i sospetti; e corso al nostro Archivio di Stato, sebbene trovassi le ricercate parole assai sbiadite e poco leggibili per le condizioni della pergamena, ne capii subito abbastanza per dedurne la prova diretta del fatto preveduto dal mio dotto amico : che cioè Berta era figlia di Manfredo e moglie del quondam Teto o Tetone, padre del celebre Marchese Bonifacio. Acciò 1’ amor proprio non mi facesse travedere, pregai 1’ amico cav. Belgrano e la Scuola di paleografia da lui egregiamente indi- dei cav. avv. Emanuele Ageno. Vedi il Cartario Genovese del cav. Belgrano citato qui presso: Atti della Società, voi. II, parte I, pagg. 2-6, ove del detto raccoglitore e d’altri di sua famiglia si porgono per la prima volta alcuni importanti ragguagli. Altri ne furono in seguito comunicati alla Società stessa, per cortesia dell’erudito nostro collega D. Nicolò Giuliani, il quale additava l’indefesso sarzanese sì come autore di una Disserta\ione sul Pentateuco edito in Napoli nel 1491, pubblicata in Roma nel 1780 dalla tipografia Salomoni, e lodata nelle Effemeridi letterarie di detta città (5 agosto 1780, pag. 249). Ved. Archivio Storico Italiano, serie III, voi. XVII, pag. 521. Possiamo ora anche aggiungere la data precisa della morte del Poch, grazie ad un estratto del Diario ordinario di Roma del 9 marzo 1782, inserito dall’ illustre Principe D. Baldassare Boncompagni in nota ad un nostro scritto Intorno alla vita ed ai lavori di And alò Di Negro (pag. 48, nota 1) già rammentato nel Giornale Ligustico (1875, pag. 93). « Essendo passato all’altra vita (così, il Diario) in età avanzata il Rev. Sig. D. Bernardo Poch Sacerdote Secolare Genovese, martedì mattina il di lui corpo stiede esposto a tenore della sua disposizione testamentaria nella Chiesa di S. Carlo al Corso della Nazione Milanese, vestito degli abiti Sacerdotali con attorno 16 cerei accesi. Egli era celebre Perito nella Lingua santa, e col medesimo Testamento ha lasciato tutto il suo asse alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, con l’obbligo, ch’ella debba mantenere due alunni Galilei». — 28o — rizzata a volermi fare una copia il più possibile esatta delle parole nascoste sotto quella apparente lacuna; ed eccone il risultato. Avverto che le lettere scritte in corsivo sono state aggiunte dalla anzidetta Scuola, per compiere la parola il cui senso è indubitabile per le altre lettere che chiaramente appariscono; mentre le parole poste tra parentesi sono una giunta o spiegazione mia. Nos berta comitissa fììia qitod maginfredi et item maginfredus et Anselmus.....fac (Bonifacius) seti oto clericus g g (germani) et /ilii qda teto itemque marchio mater et filiis qui profesi sumus etc. Vedasi il resto del documento nel Cartario Genovese (Atti della Società Ligure, voi. II, parte I, pag. 169). La donazione al monastero di san Siro di Genova riguarda possessioni in Calosso presso il torrente Tinella, cioè non lungi da que’ luoghi di Castagnole e di Loreto donati dalla medesima Contessa Berta e figli alla chiesa di santa Maria d’Asti nell’ anno seguente pel documento ora scoperto dal Wùstenfeld. La 'l ineila qui secondo il Durandi (Piemonte Cispadano, pagg. 202-4, 283-5) divideva i Comitati d’Alba e d’Asti; e Calosso doveva essere compreso in quest’ ultimo Comitato. Ad ogni modo tanto Asti quanto Alba facevano allora parte di quella maggiore Marca, che noi non possiamo più chiamare di Susa, come si usava fare una volta, ma preferiamo dire di Torino dalla maggiore città, od Arduinica dallo stipite della famiglia. E bene a proposito ricorda ‘il lodato Professore l’analogo atto di donazione, che nello stesso anno 1065 faceva al Vescovo d’Asti la Contessa Adelaide sorella di Berta ne’ luoghi medesimi o poco lontani, in Val Godone, in Loreto, in Canelli (questo è ora capomandamento, in cui è il Comune di Calosso). Senza bisogno d’ aggiungere che Loreto è uno dei luoghi che più figurano nelle carte del figlio di Berta, il Marchese Bonifazio. Nella lettura del difficile brano è notevole che qui al rovescio della carta del Wùstenfeld, Anseimo è nominato prima di Bonifacio (le lettere che vi si distinguono tra le altre illeggibili non permettono altra interpretazione). Manca inoltre il nome del fratello Enrico, o ■1 — 281 — almeno non si saprebbe vedere in quale spazio possa stare una tale parola. L Ottone è detto qui chierico, di che abbiamo esempi in caite di altri Marchesi. Le parole leto et item marchio vogliono una antecedente parola marchiones attribuita ai suoi figli, come vi è nella carta del Wùstenfeld; ma nella nostra pare omessa per una svista del notaio, perchè manca lo spazio. L’indizione è giusta. Le formole saliche sono nelle due donazioni del 1064 e 1065 della stessa maniera ed abbondanza. Ciò posto, grazie al Professore di Gottinga, un bel punto finora misterioso è guadagnato: le pretese mogli del Marchese Tetone, venute da Ventimiglia e dall’Ungheria, sono ricisamente rifiutate come fattura dello Sciavo: la vera moglie di lui è Berta figlia di Odolrico Manfredi Marchese di Torino, e sorella della Contessa Adelaide impropriamente detta di Susa; e quindi è chiaro il perchè morendo Odolrico Manfredi senza prole maschia, il Marchese Bonifacio e fratelli di stirpe aleramica abbiano potuto aggregarsi tanta parte arduinica, donde sorsero i Marchesati di Saluzzo, Busca, Clavesana, Ceva, i feudi di Loreto, ecc. I uttavia il prof. Wùstenfeld non intende rifiutare al tutto quel-1’altra opinione che il Marchese Tetone abbia avuto una seconda moglie di nome Adelaide, come quello della celebre Contessa di lui zia materna ; e rincalza il suo avviso con un ragionamento ed un esempio assai ingegnoso. Io pure avea già ammesso simili nozze nelle mie lettere sulle Marche delPAlta Italia (1), come 1’ unico mezzo che allora si presentava per ispiegare il passaggio dei beni arduinici agli aleramidi; ma ora che non ve ne è più bisogno, senza proprio rigettare le ragioni del dotto Amico, osservo che le parole Adelasia avia nostra possono ricevere un’ altra spiegazione, che mi pare abbastanza naturale: che cioè avia sia qui detto non nel senso proprio di ava (madre della madre) ma nel senso più lato di parente antica. Allo stesso modo e senso si diceva nel medio evo (ved. Ducange) hereditas aviatica, ed ancora noi diciamo gli avi nostri in questo senso generale. <1; Cfr. pp. 48 c 91. — -- - - - V I CISTERCIENSI IN LIGURIA (dal Giornale Ligustico, a. 1878, pp. 229-234). Dopo una lunga e accurata recensione di un opera del Padre Leopoldo Janatischelc sulle origini dei Cisterciensi (i) e dopo aver preso in esame le notizie che si riferiscono ai monasteri fondati in Liguria da quest’ ordine, il ch. Desimoni conclude colle seguenti considerazioni : Dal poco che sopra fu detto e dal molto più che si potrebbe dire, risulta che i Monasteri furono fondati o dotati moltissime volte dai Conti e Marchesi nella loro signoria. Ma si può dire cosa nuova il ravvicinare tutte queste fondazioni e dotazioni per dedurne la continuazione e le generazioni delle famiglie marchionali, quindi anche lo spirito che le dettava e la influenza reciproca che ne sorgeva pel progresso specialmente della popolazione rurale. Vediamo i Marchesi del Bosco fondare e coi loro consanguinei di Ponzone arricchire l’Abbazia del Tiglieto, come poi aiutarono con più atti la fondazione dell’Ospedale, Fonte e Monastero femminile di Latronorio, come i consanguìnei di Saluzzo dotarono Staffarda; come il loro stipite comune Aleramo avea fondato il Monastero di Grassano fin dal X secolo, ed altri loro rami marchionali aveano fondato a Spigno il Monastero di San Quintino, e il ramo di Monferrato fondava la Badia cisterciense di Lucedio. Anche i Marchesi di Gavi, sebbene di altra stirpe ma attigui a que’ del Bosco, vollero concorrere nei benefizi ai monaci di I iglieto fin dal 1127 e ai monaci di Sant’Andrea di Sestri nel 1181. Caviamo inoltre da un atto postumo, ma ufficiale, che questi ultimi Marchesi donarono, forse prima del 1200, la terra, ora Comune, di Francavilla (sulla via da Gavi ad Alessandria) ai Cisterciensi di (1) P. Leopoldus Janauschek Originum Cisterciensium Tomus primus . Vindobonae, 1877, fol. di pp. LXXXVI-394 con una tavola genealogica. — 283 — Rivalta tortonese (1). I roviamo pure parecchi di que’ Marchesi ridottisi in Monastero; cosi Enrico di Ponzone al Tiglieto nel 1209, e Giacomo di Ponzone a Sant’Andrea di Sestri nel 1210; senza contare un altro Enrico di Ponzone cavaliere nel 1262 e Maestro de l emplari nel 1268, un Guglielmo de’ Marchesi di Gavi e due altri della stessa famiglia Enrico e Manfredo monaci a Sant’Andrea di Sestri, il primo nel 1239, gli altri due nel 1289. Alcuni sarebbero torse inclinati a notare che i Marchesi di quel tempo, dopo aver commesso chi sa quante e quanto grosse diavolerie, credevano tosto purificarsene col fondare, dotare ed entrare in monasteri quando non erano più in grado di farne delle diavolerie. Io non contrasterò che molte volte ciò sia stato vero, ma per altra parte la fede a que’ tempi era altrettanto ardente quanto le passioni ; e vogliamo sperare che questa fede avrà rimediato anche le piaghe dell’anima, come ha rimediato in gran parte a quelle temporali, efficacemente contribuendo al progresso politico e sociale. Ma di tali vaste donazioni marchionali, se si cerchi la storia anteriore, si vedrà come già possedute dai Longobardi o dagli Imperatori e Re che succedettero, siano state anche da questi in larga copia già consegnate alla mano monacale, speciei luoghi più deserti; donde le fondazioni cisterciensi e di altri nuovi Ordini le più volte non sono in sostanza che restituzioni all’antica disciplina obbliata dai Benedettini. Per la storia speciale della proprietà è dunque un fenomeno degno di studio profondo tale incrociamento di estesissime possessioni d’imperatorie Re, di Marchesi o Conti, di Militi o Signori di second’ordine, di Vescovi e Monasteri e di intere possessioni trasmigrate, moltiplicate sul suolo già deserto, poi trasformatesi in Comuni. In qualche mio lavoruccio di più anni fa ho accennato con parecchi esempi a questo fenomeno, e alle conseguenze storiche e (1) Atto notarile citato dallo Schiaffino, Storia Ecclesiastica ms. all’anno 1389, ma riferentesi ad altro atto più antico. Anche il genovese Fulco di Castello signor di Rivalta nel 1199 donò all’Abbate il diritto di pedaggio che ivi godeva (Cicala, Miscellanee ad ann., mss. in Archivio Municipale della città di Genova. — 284 — filologiche che se ne possono derivare; purché si raccolgano le nozioni più piene e minute nelle singole provincie, e lesi trattino con sani criterii; si guardi segnatamente ai confini che dividono l’uno dall’altro la provincia o il Comune, ai pascoli, agli sparti-acque. Dando qui un rapido sguardo al Genovesato, cominciamo ad intravvedere nei Monti così detti Liguri come uno strato generale antico signoreggiato dai Vescovi di Tortona, che fa pensare al patrimonio delle Alpi Cozie donato dai Re Longobardi alla Chiesa Romana ed estendentesi agli altri Appennini liguri signoreggiati dai Vescovi di Savona, Noli ed Albenga. In questi ultimi Appennini e presso alle cime che dividono gli affluenti al mare ed al Po, aveano fiorito già grandi Abbazie prima che i Cisterciensi vi rinnovassero lo spirito monastico. Intorno al Tiglieto potremmo raggruppare Giusvalla distrutta dai Saraceni già fin da quando nel X secolo i figli d’Aleramo fondarono San Quintino di Spigno. Ferrania fu fondata nel secolo XI dall’aleramide Bonifacio stipite dei Marchesi di Savona e del Bosco. Dagli stessi Appennini scendendo giù per l’Orba inferiore, troviamo i possedimenti assai ragguardevoli dei cavalieri di Gerusalemme, i quali da Casal Cermelli (Plebs S. Joannis de Urbe) si spingono saltuariamente fino a Gavi, e paiono derivazione non dubbia da quell’Ottone di Gavi che fu precettore di essi cavalieri e affidato di delicati incarichi dal Re San Luigi di Francia (1). Quivi stesso altri vasti possessi e due interi Comuni già spettavano a Santa Maria di Castiglione presso Parma; Abbazia questa nel X secolo fondata e dotata del decimo di tutti i suoi beni dal marchese Alberto antenato degli stessi Marchesi di Gavi. Nel territorio di mezzo fra Gavi ed Alessandria stava la vastissima donazione della Imperatrice Adelaide al Monastero di San Salvatore di Pavia, comprendendo luoghi che al solo nome appaiono compascui 0 boschivi : Bosco, Rovereto, Frcsonara, Pasturarla; ai quali segue Francaviìla, un Comune che già dunque cominciava ad affrancarsi e che un Marchese di Gavi donò ai Cisterciensi di Rivalta tortonese. Continuando a lambire i confini liguri lungo la cerchia che dal (1) Cfr. p. 133. — 285 — toi tonese pei monti risale alla riviera di Levante, troviamo il feudo detto il Vescovato e i possessi dei Monasteri tortonesi di San Marziano e di Santa Eufemia; 1 Abbazia di Vezzano presso Carezano; l’Abbazia del Molo presso il Pobleto cisterciense; poi San Fortunato di Vindeisi già nel X secolo, poi Sant’Onorato di Patrania presso Torriglia. Al meriggio di questi erano due Monasteri benedittini longobardi, San Pietro di Savignone e San Pietro di Precipiano lungo la via per a Genova. A settentrione al contrario, e rimontando sempre più all’alpestre, giacevano le possessioni di Pobbio, d Alpepiana e del Giarolo, spettanti al Monastero longobardo di San Pietro in Coelo aureo di Pavia; altre erano di quello del Senatore di Pavia. Rimontando ancora a greco, saluteremo il più celebre di tutti la Badia di Bobbio; quindi sempre più avanti la Badia di Brugnato: entrambe le quali fondazioni resero fiorito il deserto; e le loro colonie divenute popolose formano oggi due diocesi, che quasi si toccano, facendo punta presso al mare in riviera di levante. A questa stessa punta delle due diocesi monacali fanno capo o si intrecciano altre minori Abbazie, quelle di Sant’Andrea di Bor-zone e di San Fruttuoso di Portofino; quest’ultima dal mare signoreggiando in tempi antichi i vicini ed ora nobili borghi di Recco e Camogli, graziata di larghe concessioni dalla Imperatrice Adelaide. In codesta regione confini naturali ben facili ancora a rilevare separavano nel medio evo il Comitato genovese da quello della Lunigiana; e quivi troviamo di nuovo la signoria del Vescovo genovese sulla valle di Lavagna, condotta in feudo dapprima poi occupata del tutto in nome proprio dai celebri Conti omonimi. Lascio le note Badie della Lunigiana al golfo e al monte. Siffatta tramutazione di confini di Comitati da reali 0 marchionali in monacali e da monacali in Comuni si avvera anche, sebbene più oscuramente, nella riviera di ponente; per esempio a Santo Stefano al mare ove si divideva il Comitato di Noli da quello d’Albenga; e i cui possessi, ora moltiplicati in più Comuni, donò Adelaide Imperatrice ai Benedettini di Santo Stefano di Genova. Fu parimente ampia ed antichissima la signoria del Vescovo di Genova sovra il territorio di San Remo, confine tra i Comitati d’Albenga e di Ventimiglia. — 286 - Accumulando questi e simili esempi, ciascuno capisce che non possono esser frutto di vendite o legati spicciolatamente fatti tante possessioni e tanto estese, per di più analoghe per posizione di confini e per provenienza dall’Impero o dai suoi ufficiali resisi indipendenti; oltreché si sa quanto il danaro fosse scarso a que’ tempi. Donde dunque e come sarannosi potute formare tante e sì ampie masse? Secondo il mio modo di vedere altrove espresso e allargato anche ad altre regioni d’Italia, la cosa si spiega benissimo ammettendo che l’origine di tali possessi ha da cercarsi nella natura dei confini, i quali erano anticamente compascui e comuni fra i diversi popoli (nel senso di tribù o comunello), ma poi, specialmente nelle grandi divisioni di monti e fiumi più rilevanti, passarono in dominio dei Re o degli Imperatori, per una specie di legge regia o per multa di ribellione; poi ancora andarono negletti sempre più nel grande spopolamento d’Italia, e imbarbarirono nello incrociarsi delle ripetute invasioni; indi cominciarono a sbarbarirsi colle grandi concessioni che ne fecero ai vescovi e ai monaci i re e gli imperatori, i marchesi e conti; i quali ultimi da uffiziali temporanei di governo, per la debolezza dell’impero sorsero a feudatari con eredità, e fecero loro propri i possessi in natura che prima godevano solo per ragione d’uffizio (i). (i) Di questo soggetto parlai più volte, toccandone dapprima nel Frammento di Breve Consolare (Atti della Società, voi. I, p. 125 e in varie note seguenti); poi nella Tavola di Bronco della Polcevera (Atti pred. Ili, pp. 583, 610, 635, 666), ove cito l’applicazione che se ne potrebbe fare alle nomenclature e alle antiche divisioni degli agri lungo la spina dell’Appennino e i suoi contrafforti fino a Bologna. Infine cercai la soluzione avvenuta degli antichi compascui in numerosi Marchesati, nelle mie Lettere sulle Marche dell’Alta Italia. vi. ESTRATTO DELLA RELAZIONE SUL LIBRO DEL BARONE CARUTTI UMBERTO BIANCAMANO LETTA IL 20 GIUGNO 1885 ALLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (sezione storica) Il ch. Desimoni dopo aver esposto partitamente il soggetto dell’opera e le varie questioni in essa trattate, prende occasione da questo esame per compiacersi dei sempre nuovi acquisti delle sciente storiche e in ispecial modo della critica « che, egli dice, dopo il Muratori che vi stampò orme da gigante, da bambina si fece adulta » e così prosegue : Non è ancora gran tempo che accettavasi comunemente la vieta opinione che distingue le famiglie Saliche dalle Longobarde ; come se quelle prime si reggessero a diritto di primogenitura, laddove le longobarde dividessero l’eredità fra i discendenti all’infinito. Vedo con onesto piacere in Italia ammesso ora il mio asserto contrario; avendo io dimostrato (i) che la primogenitura fu un portato relativamente recente, introdotto allo scopo di rinforzare le case sempre più vergenti a debolezza. I marchesi di Monferrato e di Saluzzo che furono i più cospicui tra le case escludenti i fratelli, non ne avevano ancora usato quando (1) Nelle mie Marche pp. 98, e segg. e già molto prima nel Frammento di Breve pure sopra citato p. 134 (Atti della Società Ligure, I, 1859), ove ^ ^ nucleo della mia teoria sulle Marche e sull’origine del Comune genovese. Nè d’allora in poi ho trovato ragioni da doverla modificare. — 288 - da loro si staccarono i rami dei marchesi di Occimiano e di Busca. L’uso generale nella prima parte del medio evo, fra signori come nel popolo, fu la comunione in famiglia, anche nei gradi di molto inferiori a quelli di fratelli. Quanto al popolo in genere ciò dimostrano le numerose carte di livelli, dati e ricevuti in comunione fra fratelli, cugini e più lontani consorti. Quanto ai signori, ne sono prova speciale i placiti da loro tenuti in comune. Negli uni e negli altri la rara popolazione non aveva bisogno per distinguersi dei cognomi i quali furono introdotti dopo o entro il millecento; precedendo in questi i Genovesi per causa di maggiore civiltà e di sviluppo politico. Ma presto un infoltirsi maraviglioso crea dovunque più o meno bisogni nuovi ; le nozze precoci, come ben notò tra gli Umbertini il Carutti, e le generazioni frequenti rendono impossibile il continuare nei vincoli della comunione. Si comincia a dividere idealmente a metà, a quarti, a sesti, a dodicesimi e perfino a trentaduesimi, o più ripartendo realmente i soli frutti. La divisione ideale non bastando ancora, si viene alla reale; ogni marchese, conte e signore, che pochi stipiti moltiplicarono all’infinito, va a risiedere nel castello centro della relativa porzione; anche i signori di secondo ordine incastellano la propria villa. Quindi mentre il popolo della città rigoglia pei crescenti commerci, i signori vanno ognor più stretti, deboli e impoveriti. Parlando di Enrico del Vasto figlio di quel marchese Bonifacio che citai, il Caffaro cronista contemporaneo, li accusa di rapacità; scrivendo all’anno 1154 : tnos est marchionum magis velle rapere quam juste vivere. Allora i pochi diventando molti, ci vogliono più parole che per lo addietro per discernerli; e fioccano i nuovi titoli di marchese di Gavi, di marchese di Parodi, ecc.; sono tratti di territorio ormai visibili appena in una breve striscia dell’antica e grande Marca, la quale fu già signoreggiata dal loro antenato Oberto, che fu potente marchese della Liguria, e conte di Palazzo del primo Ottone. Eppure fra lo straordinario movimento che cambia la faccia della società, durano ancora e dureranno nel medio evo tradizioni conservateci per lo meno nelle formole notarili, le quali suppliscono in qualche modo al manco de’ documenti. Un esempio di cui si è valso il B. C. è questo: che se non vi fosse altra designazione, il — 289 — solo ordine con cui sono disposti i nomi di più fratelli basterebbe ad indicare il primogenito e l’anzianità rispettiva per gli altri. Altro esempio è la distinzione da farsi fra il senso di conte del Viennese e conte nel Viennese; dove 1 autore si compiacque citare la mia spiegazione; il passaggio cioè o mutazione della parola che corrisponde alla mutazione della cosa (1). Ma un terzo esempio è più importante ancora per mio avviso. Alludo al significato primitivo ed ufficiale del titolo di conte; significato che si conservò lungamente nel formalismo legale, sebbene le attribuzioni dell’ ufficio sieno state modificate. Il conte per sè stesso era il rappresentante del Re o dell’ Imperatore diretto e senza gradazioni intermedie. Allora quando perla tutela di confini, rimpetto a urgenti pericoli, furono create le marche composte di parecchi vicini comitati, ciò fu soltanto per concentrare la difesa militare; ma i singoli comitati non furono alterati nei propri confini nè nelle altre loro attribuzioni. Specialmente continuava la rispettiva autorità giudiziaria, attalchè il marchese, quando si recava nei singoli comitati ad esercitar la giustizia e tenea placiti solenni, in quel caso al suo titolo di marchese aggiungeva quello di comes istius comitatus terdonensis, lunensis ecc.; indicandosi cosi che in quest’atto la qualità di conte era la radice dell’ autorità giudiziaria. Ciò è tanto vero che la donna pervenuta alla signoria anche d’ una marca, non si chiamò mai marchesa ma contessa, poiché pel suo sesso era considerata disadatta all’ uffizio militare. Non ignoro che in alcuna delle prime e grandi marche, specie in quella del Friuli, il marchese ebbe sotto di sè dei conti, il marchese di Toscana lece conti nella marca i due suoi figli; ma nelle marche nuove o minori (l’Arduinica, l’Aleramica, l’Obertenga e la marca d’Attone) la loro creazione non importò sottoposizione di conti al marchese; soltanto a questo furono attribuiti più comitati ad una volta. Se in progresso di tempo si trovano in una marca (1) Carutti p. 342: Comes de toco Bunio. Ved. mie Marche cit. p. 101 segg. osservazioni sullo sviluppo degli enti o dei fatti parallelo allo sviluppo delle nuove denominazioni e modificazioni grammaticali che ne risultano. A pp. 107 segg. aggiungo applicazioni ad altre Marche di questo diventare. Atti Soc. Lig. St. Patiiu. Voi. XXVU1, Serie 5." l9 — 290 — più marchesi, ciò avvenne non per creazione di nuovi enti giuridici, ma per moltiplicazione delle discendenze nella casa marchionale. L’ eredità nei benefizi o feudi era già stata riconosciuta in buona parte da Carlo il Calvo nell’ 877, fu raffermata e generalizzata da Corrado il Salico nel 1038; quindi tutte le dignità passarono, in consorzio dapprima, in divisione dappoi, ai membri della famiglia per quella immedesimazione della proprietà colla giurisdizione che fu il noto carattere del feudo. Difatti, posto come orasi ammette che non vi era ancora, ai tempi di cui parliamo, diritto di primogenitura, ne dovea venire necessariamente che anche la marca, quando per la grande moltiplicità dei consorti non potè più tenersi in solidura, dovea sfasciarsi e si sfasciò difatti in marchesati, come crediamo aver dimostrato nelle nostre lettere sulle Marche. L’illustre autore osserva però che morto Odelrico Manfredo, la marca fu conferita ad un solo cioè al genero di lui Ermanno di Svevia; aggiungendo che egli non conosce esempio di marca conferita dall’imperatore a più d’una persona (1). Ciò è vero, ed è naturale che T imperatore così volesse, ma poteva egli ottenere il suo scopo ai tempi in cui siamo giunti dopo raffermato il principio dell’ eredità ? Frattanto precisamente nel caso adotto la storia attesta che la marca di Torino fu governata da Adelaide non da Ermanno nè dai mariti seguenti; dico da Adelaide per diritto di successione del padre. Anche molto più tardi il discendente di lei Umberto III, in documento citato dall’autore, si dichiara marchio et comes, neposque Adeìaide comitisse et hereditario iure successor (2), A me sembra chiaro che tutti i marchesi arduinici si riputassero pari nella giurisdizione e nei titoli entro la marca, Oddone II, fia- (1) Per giudicare della discussione in cui entro qui, si consulti il B. C. nelle pagine 270-271, 331, specie alle pp. 245-248 e si vedrà ove consentiamo ove no. Egli ammette con me in genere la non esistenza della primogenitura fino ai tempi più tardi, ma è d’avviso che vi sia già una specie di primogenitura pel caso della successione alla Marca, essendovi più fratelli. Le sue ragioni, benché ben condotte e meritevoli di maturo esame, non poterono convincermi che vi fosse questa eccezione alla regola generale. (2) Carutti, p. 139. — 291 — tello il Odolrico Manfredi e zio della contessa Adelaide tenne un placito a Chieri nel 1016; si dice che ivi si chiamasse soltanto conte e non marchese (dico, si dice, perchè l’atto in extenso non è an-coia venuto fuori). Chieri, osserva il B. C.,non era un comitato; verissimo ma era in un comitato, in quello di Torino; quindi Oddone II placitando in quel comitato era consorte al padre di Adelaide nella giurisdizione piena e indipendente che spettava a chi esercita simili atti. D altra parte abbiamo un documento pure di Chieri e dello stesso anno 1016, in cui Oddone II esplicitamente attribuisce a sè il titolo di marchese e cosi è conte e marchese ad un tempo. Parimente Amedeo II dalla madre contessa Adelaide non si trova nominato con altro grado che quello di conte, pure lui morto la propria figlia Adelaide di Coligny lo intitola marchese. Inoltre il B. C. (p. 135) ammette che Amedeo avea veramente diritto di essere nominato per tale. Ancora, Guido del ramo di Romagnano non si trova, mentre vive, indicato come marchese, pure la figlia di lui Prangarda, nominandolo dopo morte, gli dà questo titolo come se lo attribuiscono in genere i marchesi di Romagnano. Qui però T illustre autore (p. 247) è di avviso che tale dignità non competesse loro di diritto , ma fosse soltanto tollerato il nome 0 dato quasi per cortesia. Un indizio della sua opinione egli lo vede in due atti del marchese Pietro I, entrambi dell’anno 1064, un placito a Cambiano e una donazione alla Badia di Pinerolo (i). Voglia egli permettermi che io esprima un avviso contrario. Nei due atti, dopo la sottoscrizione del Marchese, vengono quelle dei Giudici, del Visconte, infine dei testimonii. Fra questi ultimi e non subito troviamo in una delle carte: signum Enrici qui vocatur Marchio e nell’altra: signum Aitici qui dicitur Marchio. Non disputerò se questi Enrico ed Alrico si possano ritenere o no per una sola persona; nemmeno indagherò se e T uno e l’altro nome possano lasciarsi passare per una sconciatura da rettificare in Odelrico. Questo solo a me pare fuori di (1) Donazione a S. Maria di Pinerolo (M. H. P. Chartar 1. 607. Muletti, Storia dei Saluto, I, 223), Placito del marchese Pietro I a Cambiano (Muletti, ivi, I, 274). Cfr. anche pp. 159 e 166. — 292 — dubbio, che in quei testimoni non si nasconde un Odelrico marchese di Romagnano ma sì un Enrico od Alrico, o se si voglia, un Odelrico qualunque che portava il soprannome di marchese, come sono esempi alla mano di altri soprannominati Vescovo, Papa, Re. La posizione della firma in quell’ infimo luogo e dopo il Visconte mi pare ne sieno chiara dimostrazione; e più che questo un’altra circostanza: che cioè il chiamar presente all’atto un consorte, e poi offenderlo con metterlo a quel posto e rimbrottargli il titolo che quegli si dava, non sarebbe stata cortesia nè accettata come tale. Sopra notai che la marca di Torino fu governata da Adelaide e non dai mariti e fu per diritto di successione. Ora questo fatto si può considerare sotto un altro riguardo, il diritto delle femmine all’ eredità anche della signoria. Anche in questo secondo caso, come già negammo il diritto di primogenitura, dobbiamo ora negare 1’ esclusione delle donne dal governo pei tempi e pei luoghi delle nuove o minori marche ; mentre era antica opinione che alla donna non competa la successione nemmeno nel caso che non sieno superstiti maschi. Il B. C. (p. 133) veramente cita la massima francese che la dignità e grado di marchese non passava in conocchia (en quenouille), ma egli stesso concede che la contessa Adelaide governò essa stessa, perfino fatti maggiorenni i figli maschi di lei e dopo morti i figli il genero, morendo ella in tarda età nella pienezza della sua potenza. La successione in simili eredità si potrebbe provare in altre case, ad esempio in Adelaide dei marchesi di Sezzè sulla fine del secolo XI, ma basta per tutti quello della celebre contessa Matilde e del modo come ella trattava i propri mariti. Per conciliare le due sentenze opposte, l’illustre autore (p. 247) dice che questo della contessa Adelaide è un diritto nuovo oppure una violazione del diritto antico. Sia come si voglia, sono fatti storici innegabili, tanto questa ammissione delle femmine alla successione, quanto 1’ altro sovra enunciato della comunione di più fratelli o anche più lontani consanguinei nella marca. Di questo secondo fatto che dissi generale sono prove i placiti tenuti in consorzio dai marchesi Aleramici in Savona, e dagli Obertenghi a Milano e in Lunigiana. Fino a qual segno poi, da questi ed altri fatti contrarii alla constituzione dell’ impero possa nascere un diritto nuovo è qui- — 293 — stione troppo alta perchè sia qui il luogo di accennarla non che di trattarla. 1 uttavia mi spiegherò con un esempio tolto dalla storia della legislazione. Fu calda più anni fa la lotta di scritti fra due illustri Tedeschi, il Ihibaut, e il Savigny. Il primo chiedeva per la Germania un codice generale ed uniforme di leggi, il secondo lo rifiutava sostenendo che il diritto nasce e si muta gradatamente collo svolgersi delle istituzioni e dei costumi, inutile quindi e pernicioso il volerlo fermare in un codice. La pretesa di Savigny è certamente erronea nella sostanza; ma ha la sua parte e profonda di verità. Le relazioni tra le cose invecchiano come le cose stesse nel mondo; cessano con ciò di essere appropriate e diventano un puro nome, un mito; il popolo non fa più conto del diritto invecchiato, il giudice che deve applicarlo suda a storcerne il significato acciò dica il contrario di quel che suona; il legislatore tace o è impotente a farlo eseguire, finché si trova costretto ad abrogarlo. Ciò avviene nel diritto privato, tanto più in quello pubblico e storico, in cui si rompe il capo che vi cozza contro; si chiami egli Barbarossa, Carlomagno, o Napoleone. Il diritto storico, nei secoli di cui ci occupiamo, avrebbe bensì voluto impedire la divisione delle dignità principali : marca, comilatus non dividantur, dice il libro dei feudi del secolo XII. L’imperatore avrebbe di nuovo voluto avocare a sè la collazione degli uffici stessi, rivocarli ad nulum se spiacciano, riservasi perfino la nomina dei podestà nei Comuni italiani. Poteva ottenerlo in parte, ma era egli possibile che durasse la vittoria ? Dove o quale era allora il diritto? Non dirò già il diritto nuovo, cosi chiamato ad uso e consumo dei lettori dei giornali; ma sì intendo la ricognizione di certi limiti che la ragione richiede tra i Governanti e i governati; intendo una guarentigia giuridica che tali limiti non vengano oltrepassati; una guarentigia, ad esigere la quale il diritto cresce tanto nei governanti come nei governati, in proporzione che cresce l’offesa fattagli dalla parte contraria. Intendo anche una specie di legittima prescrizione fondata sul tacito consenso oppure sulla impossibilità, sulla debolezza, sulla negligenza dello impero, nell’ esercitare da parte sua il dovere di tutela verso i propri sudditi. — 292 — dubbio, che in quei testimoni non si nasconde un Odelrico marchese di Romagnano ma si un Enrico od Alrico, o se si voglia, un Odelrico qualunque che portava il soprannome di marchese, come sono esempi alla mano di altri soprannominati Vescovo, Papa, Re. La posizione della firma in quell’ infimo luogo e dopo il Visconte mi pare ne sieno chiara dimostrazione; e più che questo un altra circostanza: che cioè il chiamar presente all’atto un consorte, e poi offenderlo con metterlo a quel posto e rimbrottargli il titolo che quegli si dava, non sarebbe stata cortesia nè accettata come tale. Sopra notai che la marca di Torino fu governata da Adelaide e non dai mariti e fu per diritto di successione. Ora questo tatto si può considerare sotto un altro riguardo, il diritto delle femmine all’eredità anche della signoria. Anche in questo secondo caso, come già negammo il diritto di primogenitura, dobbiamo ora negare 1’ esclusione delle donne dal governo pei tempi e pei luoghi delle nuove o minori marche; mentre era antica opinione che alla donna non competa la successione nemmeno nel caso che non sieno superstiti maschi. Il B. C. (p. 133) veramente cita la massima francese che la dignità e grado di marchese non passava in conocchia (en quenouille), ma egli stesso concede che la contessa Adelaide governò essa stessa, perfino fatti maggiorenni i figli maschi di lei e dopo morti i figli il genero, morendo ella in tarda età nella pienezza della sua potenza. La successione in simili eredità si potrebbe provare in altre case, ad esempio in Adelaide dei marchesi di Sezzè sulla fine del secolo XI, ma basta per tutti quello della celebre contessa Matilde e del modo come ella trattava i propri mariti. Per conciliare le due sentenze opposte, l’illustre autore (p. 247) dice che questo della contessa Adelaide è un diritto nuovo oppure una violazione del diritto antico. Sia come si voglia, sono fatti storici innegabili, tanto questa ammissione delle femmine alla successione, quanto 1’ altro sovra enunciato della comunione di più fratelli o anche più lontani consanguinei nella marca. Di questo secondo fatto che dissi generale sono prove i placiti tenuti in consorzio dai marchesi Aleramici in Savona, e dagli Obertenghi a Milano e in Lunigiana. Fino a qual segno poi, da questi ed altri fatti contrarii alla constituzione dell’ impero possa nascere un diritto nuovo è qui- — 293 — stione troppo alta perchè sia qui il luogo di accennarla non che di trattarla. Tuttavia mi spiegherò con un esempio tolto dalla storia della legislazione. Fu calda più anni fa la lotta di scritti fra due illustri Tedeschi, il lhibaut, e il Savigny. Il primo chiedeva per la Germania un codice generale ed uniforme di leggi, il secondo lo rifiutava sostenendo che il diritto nasce e si muta gradatamente collo svolgersi delle istituzioni e dei costumi, inutile quindi e pernicioso il volerlo fermare in un codice. La pretesa di Savigny è certamente erronea nella sostanza; ma ha la sua parte e profonda di verità. Le relazioni tra le cose invecchiano come le cose stesse nel mondo; cessano con ciò di essere appropriate e diventano un puro nome, un mito; il popolo non fa più conto del diritto invecchiato, il giudice che deve applicarlo suda a storcerne il significato acciò dica il contrario di quel che suona; il legislatore tace o è impotente a farlo eseguire, finché si trova costretto ad abrogarlo. Ciò avviene nel diritto privato, tanto più in quello pubblico e storico, in cui si rompe il capo che vi cozza contro; si chiami egli Barbarossa, Carlomagno, o Napoleone. Il diritto storico, nei secoli di cui ci occupiamo, avrebbe bensi voluto impedire la divisione delle dignità principali : marca, comitatus non dividantur, dice il libro dei feudi del secolo XII. L’imperatore avrebbe di nuovo voluto avocare a sé la collazione degli uffici stessi, rivocarli ad nulitm se spiacciano, riservasi perfino la nomina dei podestà nei Comuni italiani. Poteva ottenerlo in parte, ma era egli possibile che durasse la vittoria ? Dove o quale era allora il diritto? Non dirò già il diritto nuovo, cosi chiamato ad uso e consumo dei lettori dei giornali ; ma sì intendo la ricognizione di certi limiti che la ragione richiede tra i Governanti e i governati; intendo una guarentigia giuridica che tali limiti non vengano oltrepassati; una guarentigia, ad esigere la quale il diritto cresce tanto nei governanti come nei governati, in proporzione che cresce l’offesa fattagli dalla parte contraria. Intendo anche una specie di legittima prescrizione fondata sul tacito consenso oppure sulla impossibilità, sulla debolezza, sulla negligenza dello impero, nell’ esercitare da parte sua il dovere di tutela verso i propri sudditi. \ — 294 — Queste, ripeto, sono questioni spinose, le quali tocchiamo soltanto per avvertire che esse dovrebbero entrare, ma per lo più non sono nemmeno adombrate nelle storie che hanno la pretesa di essere considerate filosofiche. In quanto al modo possibile di temperare gradatamente le istituzioni ai costumi, accennai altrove (1) a un uso lodevole tra gli antichi genovesi : i quali distinguevano due sorta di leggi, le perpetue e le temporarie, facendole persino scrivere in volumi separati. Le temporarie erano introdotte a mo’ di saggio per un periodo determinato e più d’una volta ripetuto; finché la loro bontà riconosciuta dall’ esperienza le facesse entrare nel novero delle perpetue. Ritornando dalla lunga (e non so se perdonatami) digressione, farò nota ancora di un costume del medio evo; poco avvertito mi pare ; ma che fu un mezzo frequente per agevolare il trapasso della giurisdizione da vitalizia in ereditaria. Tale mezzo era il comunicare la propria dignità ai tìgli, mentre i padri erano tuttora in vita. Questo fu il costume dei Re di Francia per lunga età ; ve ne sono esempi simili per l’impero e per altre corone; perfino i più antichi Dogi di Venezia tentarono, benché invano, stabilire a favore della famiglia la monarchia ereditaria con simile mezzo. Ma ristringendomi al tema che ho per le mani, trovo qui in tre stirpi diverse atti di genere affine al costume testé accennato. Dissi più sopra che Amedeo di stirpe romana porta il titolo di Conte aneli’ esso già nel 1042 mentre vive il conte suo padre, il Biancamano. Nella casa Obertenga di stirpe Longobarda si vedono nel 1011, e 1012 tener placito come marchesi e conti i figli del vivente Oberto marchese della Liguria; vivente, dico, ed ancora in Genova ma infermo nel 1014. In altra casa di stirpe Longobarda, la casa di Canossa, il marchese Tedaldo fa egli stesso giurare fedeltà dai sudditi al figlio Bonifazio, il padre della contessa Matilde. Nella casa d’Aleramo di stirpe salica, esercitano giurisdizione nel 1182 in Savona i figli del vivente Enrico del Vasto, famoso confidente del Barbarossa, figlio del ripetutamente citato marchese Bonifazio. Pare anche che il marchese di Monferrato nello stesso (1) Nel sovra cit. Frammento di Breve genovese (Atti della Società 1, 108). — 295 — secolo XII operasse da sovrano nell’assenza del padre, mentre questi era crociato in Oriente (i). Questa osservazione mi fu già necessaria contro il conte di San Quintino, il quale dagli atti dei figli nel predetto anno 1182 voleva indurre la morte di Enrico Guercio del Vasto; e temo ridivenga necessaria, ora che scritti del resto eccellenti sui marchesi di Monterrato pare riproducano il concetto del San Quintino. Per verità oltre al mezzo che, come accennai, si offriva al padre per continuare ne* figli la giurisdizione, vi era forse una ragione più intima a ciò. In quei tempi il vincolo di famiglia o di tribù, e il sentimento che viene da tale vincolo, erano molto potenti: erano essi la cagione delle comunioni, tanto di signoria che di semplice livello, tra individui molti ad un tempo e perfino già rimoti in grado di sangue. Il capo della famiglia e della tribù ne era il rappresentante naturale; il primogenito veniva dopo di lui non come escludente gli altri ma come primus inter pares; assente, infermo o decrepito il capo, sottentrano gli eredi naturali come per diritto proprio di comproprietà. Tale fu ed è la condizione delle tribù, clan o simili che vegetano tuttora in uno stadio analogo di civiltà. Tuttavia non si può negare che se si cerchi in quei tempi ancora un po’ di diritto crudo ed antico dell’ impero o del marchese, lo si trova più che altrove nella marca di Torino; ed è forse questo il motivo che preponderò nell’ opinione dell’ illustre autore. Si trattava d’una signoria in cui la mano dell’ imperatore sentivasi più forte che nelle altre marche; sia per la situazione del territorio importante al passaggio in Italia, sia per la politica che consigliava ai marchesi di stare attaccati all* impero. Quindi sorgeva un interesse comune all’ uno e agli altri ; e fu questo interesse che recò un altro divario da marca a marca, impedì qui cioè il troppo crescere di (1) Ved. per Amedeo Conte nel 1042, il Carutti p. 106; per gli Obertenghi, i due placiti del 1015 di Alberto Azzo ed Ugo in Ani. Estensi 1, 8>, 88, come pure ivi altri loro atti privati, mentre il loro padre viveva in Genova nel 1014 (Atti della Società Ligure I, 519). Si potrebbero aggiungere il filius Opponi del 1056. ' Jurium I, col. 12* e i filii Malaspine, si placitare voluerint (Poggiali, Mom. di Piacenza IV, 182). Per Bonifazio della casa d’Attone, Ved. Donizone in R. I. S. V. jjl. Pei figli dei Marchesi del Vasto le mie Marche cit. pp. 65. 66, 80, 81. — 296 — altri elementi politici; risparmiando al B. C. di doversi intertenere di un altro soggetto faticoso e difficile assai. Attraverso ai contrasti, a rischi e morti precoci, operando colle armi e destreggiando coi consigli, la famiglia del Biancamano fu consolidata da lui, allargata da Oddone e dalla contessa Adelaide, ripigliata da Umberto II il rinforzato e dai successori con un vigore che poche volte si smentisce. Poterono essi quindi, malgrado le preste morti e le spogliazioni, mantenersi in istato da far tacere quasi le voci dei Vescovi e dei Comuni che altrove ebbero tanta parte di condominio. E tuttavia anche qui non mancò il B. C. di porci sott’ occhi nuovi esempi d’un fenomeno che è molto fruttuoso per la intelligenza della storia d’allora. Come sovra notai, egli ci spicciola il tatto di non meno che sei Vescovi della casa che furono preposti alle sedi di quelle provincie o delle vicine (1). Le scoperte che si van tacendo qua e là della appartenenza di ciascun Vescovo alle case signorili dei dintorni, spiegano sempre meglio il viluppo degli umori che trapassarono dalla lotta per le investiture alla lotta politica e ricostituente. Ne abbiamo esempi nei Vescovi di Genova, soltanto di fresco potuti allacciare alla famiglia dei Mazanelli, dei Guarachi, dei Porcelli; vale a dire alle famiglie viscontili poi consolari che arraffarono le decime e le mantennero contro la chiesa; aderendo ad Enrico IV e, come pare, alla simonia e alla scostumatezza. Un brano di bolla d’Innocenzo II del 1134 ci descrive que’Vescovi quali procubitores alios, alios barbaros a diebus predicli Oberti episcopi usque ad..... Airaldi ordinationem, cioè per tutta la seconda metà del secolo XI. Che se 1’ autore non ebbe occasione di trattare siffatti argomenti, non mancò almeno di accennare genericamente al quadro che è da compiere a chi voglia abbracciare la storia intera di quell’ età. Questo quadro egli tratteggia con poche ma efficaci parole, rinforzate che sono dalla grande autorità di Gino Capponi. E noi crediamo non poter meglio licenziare il nostro scritto che citando ad litteram il brano intessuto dai due benemeriti (p. 355), augu- (1) Ne ho toccato nelle Marche dell’Alta Italia p. 79, 82, 90, 162. Ma se ne potrebbero moltiplicare gli esempi, a Como, a Piacenza ecc. Il B. C. ne porge parecchi altri per la Borgogna. — 297 — randoci di vederlo incarnare degnamente con nuovi e potenti studi alla portata delle odierne cognizioni. « Sarebbe desiderabile l’accertamento dei confini di ciascuno di » essi (comitati), materia piena d’incertezze e difficoltà non ostante » quel che ne scrissero Jacopo Durandi e altri; bello il ritrattare » le questioni varie e non ancora terminativamente definite, le » quali attengonsi alle Marche e alla giurisdizione marchionale; le » relazioni fra Marchesi e Conti della Marca, e quelle dei Bene-» ficiari o Vassalli regii esenti dalla giurisdizione del Conte locale » e sottoposti a quella del conte del Sacro Palazzo e dei Messi » Dominici regii o imperiali; cioè di quei signori originarii pur » essi, che mal si confondono coi secondi Militi, altra classe no-» bile e antica, ma diversa. E sarebbero da accennare eziandio le » relazioni giuridiche dei Conti e dei Vescovi prima e dopo l’esen-» zione, la quale sottrasse all’ antico Conte la città e la cittadinanza, » e pose il suo dominio nel Contado; e conchiudere coll’editto di » Corrado il Salico, che, componendo la contesa dei Secondi Militi » costituì veramente il beudo, a favore di tutti i beneficiari, senza » distinzione di origine e di titolo. Gino Capponi notò: Chi sco-» prisse alcuna cosa circa le origini e le schiatte e le possessioni » di quelle famiglie che furono grandi nelle città e nel contado, ') saprebbe assai dell’istoria nostra ». 1169 — 23 febbraio. In Christi nomine. Nos Guillielmus et Bonifacius Marchioncs de Cravexana filii quondam..........ad honorem Domini et Sancti Stephani et omnium Sanctorum pura et mera voluntate nostra et ylari animo confirmamus et omnimodo roboramus carta ni donacionis et offersionis quam comitissa Adalaida prò avia nostra filia quondam Manfredi Marchionis fieri preccpit, quam Odo notarius scripsit in civitate Albinganc in loco qui vocabatur corte regia sub millesimo quadragesimo nono, die quarta mensis iulii indicionc octava ubi fuerunt vocati testes Adalmeas Aldeprando et Zuname et Uuitardus Vuilielmus Grasevertus et Uuibertus de Sancto Michaele quod predicta comitissa Adalaida precepto Berte matris sue donavit Deo et Ecclesiae Sancti Stephani que est sita prope portam civitatis Janue pro redencione anime sue et suorum parentum domos et omnes res suas et sui iuris quas habere visa est in loco et fundo Porzani ubi nuncupatur Villaregia videlicet domos, campos, zerbos, silvas, pascua, rupes, rupinas, aquaductus, vineas, ficetos, canetos, saletos, — 298 — roborctos in integrum, et est ipsa terra per coherencias da una parte fossatus de Rophana qui pergit in mare, de alio latere terra Sancti Syri que est ipsius Monasterii, de superiori capite Alpe Bocallo, de subtus adiacet litus inaris et si amplius de suo juri vel rebus in supradicto loco vel infra easdem coherencias plenum et vacuum inventum fuerit quam supralegitur cartam offersionis prò anime sue mercede prefato Monasterio Sancti Stephani donavit et dedit et per jam dictam cartam ibidem habendum confirmavit......... Insuper per cultellum fistucam notatum vel uuantonum et uuasonem terre atque ramum arboris a parte ipsius Monasterii facto tradidonem et investituram et exinde foris expuli.......quarpivit et asento (acto ad partem ipsius Monasterii Sancti Stephani habendo reliquid ita ut faciant exinde Abbas et Monachi qui pro tempore ibidem ordinati fuerint et Deo deservierint ad eorum usu et sumptu et de predicta (terra faciat quicquid voluerit pro) anime sue mercede sine omni illius et heredum ac pro heredum suorum contradictione vel repeticdone. Si quis vero quod facturum esse non cundebat si ipsa vel heredes ac pro heredes quod absi in suorum se quelibet apposita persona contra hanc cartam offersionis ita quandoque impedire temptaverit aud per quod vis ingenium corrumpere vel frangere quesierit tunc promisit inferre ad illam partem contra quam exinde litem intulerit muleta que est pena auri optimi libras viginti argenti pondere quinquaginta et quod si repecierit se vindicare non valebit presens in predicta carta offersionis diuturnis temporibus firma permaneat atque persistat inconvulsa sub sti-pulacione subnixa et pergamena cum atramentaria de terra elevavit paginam quam Oto Notarius sacri palacii suo precepto tradidit et scripsit quam predicta comitissa cum prcdictis testibus confirmavit et corroboravit. Quam cartam donacionis et offersionis nos Wilielmus et Bonefacius predicti Marchiones corroboramus et confirmamus et volumus atque precipimus quod Monachi et servitores Sancti Stephani et predicti Monasterii in perpetuum firmiter habeant in integrum et possideant quiete et pacifice sine omni nostra ut heredum ac pro heredum nostrorum et omnium personarum pro nobis contradicione. In presencia predictorum marchionum adfuerunt testes rogati Rolandus advocatus Arnaldus de Turcha, Jacobus et Ange-lotus eius filii. Johannes Pavese, Guilielmus Piper Ingo afaitator. Actum est hoc instrumentum in curia predicti Jacobi et Balbonosi fratris sui. Millesimo centesimo sexagesimo nono, septimo kalendas marcii. Indicione prima. (Dall’ARCHivio di Stato in Genova. Pergamene dell’Abbazia di Santo Stefano, mazzo I). VII. ALBERI GENEALOGICI COMPILATI DALL’ANNALISTA IACOPO D’ORI A E TRASCRITTI DA CORNELIO DESIMONI dai Lib. Iur. VII e VIII Reipublicae Ianuensis Archivio del Ministero degli aflari esteri, Parigi (l'ondi Gciiois) GENEALOGIE (') T av. I. — Marchesi di Riviera...... Iur. VII, car. 8v° » II. — Marchesi del Carretto..... id. car. 19 » III. — Marchesi di Monferrato .... id. car. iév° » IV. — Marchesi Malaspina....... id. car. iv° » V. — Marchesi di Gavi ....... id. car. 2ov° e 44a » VI. — Marchesi di Parodi e di Massa id. car. iov° » VII. — Conti di Ventimiglia (2) . . . id. car. i8v° » Vili. — Conti di Lavagna - Iur. VII, car. 33 - e Iur. Vili, car. 44A (i) Queste genealogie sono scritte in carattere minuto sul margine laterale e al basso dei fogli. (2 ) Questo albero genealogico fu comunicato dal Desimoni al comm. Gerolamo Rossi che lo pubblicò con qualche variante nella sua Storia di Ventimiglia ; e al Conte Cais di Pierlas che lo riferisce anche più integralmente nel suo opuscolo Giacobina di Ventimiglia, Bologna, 1892, p. 12. L’albero dei Marchesi di Gavi lu pubblicato dal Desimoni ne’ suoi Documenti ed estratti di Documenti per la Storia di Gavi ; in-4* Alessandria. Iacquemod 1896, documento XX. 302 - I I Oddo Bovenus Henricus Guercio marchio de Loreto Belengerius Manfredus Lancia Raynerius | r de Busca cognatus (?) | Odo Henricus Frederici imperatoris ............de Carreto je Cirn»t (inintelligibile) j | 0 Iacobus Ugo Henricus (2) Oddo Bonifacius Gullielmus Poncius de Ponti Manfredus Franciscus Oddonus (6) Albertus Inguetus (1) La stessa genealogia è nelle Memorie Genovesi (del Roccatagliata) voi. 1, car. 93v» con qualche nome in ! Oddonus — Franciscus Henricus — ) Iac°bus f Manfredus Ingonus — Antonius (3) In Mem. cit. Odo. (4) Ivi — Nanus. (5) Ivi — GulUeìmus. (6) A Oddonus segue in Mem. cit. il figlio Manfredus. (7) Le Mem. cit. aggiungono il figlio Fredericus. I — 303 — rAv OLA I. Genealogia Marchionum de Riperia lur. VII, car. 8V" (1) BONIFACIUS I 14° Anselmus Ugo Magnus Manfredus marchio Saluciarum Gullielmus de Ceva Bonifacius de Cravexana ìilacii ■» Gullielmus Leon Manuel Georgius Opizo Paganus Bonitacius lV101 | (3) (4) gule grosse Nanus Bonifacius Manfredus Thomas vocatus Punaxe Henricus Bonitacius 1 . 1 Iacobus Mantledus (inintelligibile) j 0 bonitacius naso su0 Georgius Ellinus (5) Taiaferrum 1 Bonifacius 1 , Manuel 1 Petrus Franciscus Oddonus (7) Franciscus pm e varianti nella genealogia di Enrico del Carretto - (Cfr. note seguenti) L Manuel TAVOLA III. Marchiones Montisferrati (car. 16 — 305 — S < pi w < (/) co P S w HH "1 HH o co 3 • r—< o -■-2 ■ 'S o PQ G CTJ x £ '£ <-P _ 4-» ~ ^ co 2 CQ • — u Cm Ut C . T—( co 0) s ^ Q x -H qui e H co a cS " u C o U aJ f—N co ex s p *s p cr .js o w: *3 c o o c~ 3 *-» co O u 'O -a o o c £ o — cj bO Gl. 0 £ E g <—• Js E 2 "3 .-S o CO #u rt c W o T3 CS 4-» c: co O CU o > o .£ *3 "3 CQ .55 'o j-i o £ O co s I 3 O "3 5 g e b0._ « ► J ;2 -o g o w S 3 CS o ^ C3 W (/) — *T3 S.O •§ ’S ci a * o .§ u ii •SI *T3 o -0 T3 O a n 3 O ;3 ’S, o .5 c o o o o no v- Q > 'C — u T3 CS N O a D o *-* •5 & 0) o> N N o .S G 0) s ^ .§ g5 a. S « | J2 E 0) Ji -s rt « 3 s ^ s ■3 C5 g 53 c o .a C i~ tc « K lpH V) C ri .2 to o» Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXVIII, Serie 3.» TAVOLA IV. Marchesi Malaspina (car. i C3 s o -D U* 2> E O £X O Ch o G X 3 c/l rt _—s CJ JV *>'■£. "3 oc t/l *3 —. £ s a I ^S-E -3 O-i C ■ u, O c5 w V) ’«r w "3 C 3 -Ji O W Ih CUI) x -a 2; D ^ T3 c _ CT3 X Ué /Z^ rt Vw/ c5 _ W S •8 3’° _ rt ~ co (J _o JH ^3 ° £2 2 « co 3 s -vo 3 _G ‘5, O 3 i-< O CO r. 3 r3 "3 H _ « <-h « c -3 rt s s X 3 O o co O CQ co 3 .2 3 o o -3 ,!2 o -3 ri ° T <" .a ^.2 « —o fe SS« s CQ > a o (J co a co co . o ''4—« C co «u s O u So — o X 3 > < o > < H IL) .S rr\ »—4 CO —, “3 4—» *-* cs o o CO * ^ § £.» fi 5 "§ C/5 3 u _UJ V) r- C3 *-• i-t _ O W5 JcS =2-3 co a - o ctf co a 4-1 *- “ . O co Q r** c3 l ■ 4 3 ‘co - s_ O oo _3 O C - o CQ io 3 3 a O IH "c3 g CQ t-H OJ u. co >> v 4J -3 2^ -c a — o rr 8-S co -O - O o CU co s 3 o “ V-. 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Spedizione contro i Saraceni del conte Bonifazio detto Praefectus insulae Corsicae. (Ant. Est., I, pp. 207-208). Pag. 193 2. — 844. Adalberto, detto Comes, Marchensis et Tutor Corsicanae insulae. (Cenni, Coti. Carolinus, Prefaz. p. XXVII). . » 193 3. — 853. Documento di Adalberto marchese coi figli conti. (Ant. Est., I, 208).........Pag. 193,194 4. — 858. Documento di Adalberto marchese. (Ant. Est., I, p. 212). Pag. 193 5. — 871-876. Suppone Marchese di Spoleto. (Rer. It. Script., II, 11, 93 S)...........» 196 6. — 876. Lettera XXI di papa Giovanni VIII in cui si parla dei Marchesi Guido e Lamberto di Spoleto. (Labbé, XVII, P- 19)...........» 194 7. — 878-880. Suppone Conte di Torino e di Asti (Cbart, I, 62-64). » 195 8. — 882. Lettera CCXCIII del papa Giovanni VIII in cui i due Guidi di Spoleto vengono detti Marchesi. (Labbé, p. 214). » 195 9. — 886. I duchi di Spoleto portano il solo tìtolo di duca fino a quest’anno. (Ant. Est., I, 209)......» 194 10. — 890, 12 maggio. Carta di Unroco tiglio di Suppone. (Antiq. Ital., I, 279-280).........» 196 11. — 891, 21 febbraio. Due diplomi di Guido re in favore di Agel- trude sua moglie. (Cod. Long., 576-579'. . Pag. 143,147, 195 12. — 891. Altro diploma che conferma le donazioni fatte dal re Guido alla moglie Ageltrude nei due diplomi del 21 Febbraio dello stesso anno. (Antiq. Ital., II, 871). Pag. 143, 147, 195 13. — 892. Guido e Lamberto fanno donazione di Almenno a Corrado, zio del re Guido. (Cod. Long., 583). . Pag. 143, 202 — 314 — 14. — 895. Radaldo figlio del marchese Corrado ha vassalli in Parma. (Antiq. Ital, I, 437)......• PaS- 202 15. — 896, 25 luglio. L’imperatore Lamberto ad intercessione di Anscario conferma i privilegi al monastero di Bobbio. (Chart., I, 87)......... 16. — 896, 29 luglio. Diploma di Berengario in favore di un vas- sallo del conte Sigifredo. (Cod. Long., p. 612). 17. — 901. Placito tenuto in Milano dal conte Sigifredo. (Cod. Long., 663).......... 18. — 902, 1 maggio. Lodovico imperatore fa donazioni nel Ver- cellese a un favorito di Adalberto q. Anscario. (Chart., I» 103Ì........... 19. — 915. Placito da cui risulta che Radaldo era stato investito della commenda di Bobbio. (Cod Long., 793). . Pag- 203, 206 20. — 918. Documento di Berengario figlio del march. Adalberto conte di Milano. (Antiq. Ital., I, 455).....Pag. 206 21. — 920. Sigifredo da Lucca va in Emilia. (Affò, I, pp. 200-201). »> 211 22. — 924, 5 dicembre. Donazione di Castelvecchio d’Asti fatta dal re Rodolfo a un favorito di Berengario e di Anscario II figli di Adalberto. (Chart., I, 123). . • • Pag- 146, 151 23. — 926, marzo. Carta di emancipazione rilasciata da Radaldo marchese e conte. (Cod. Long., 884-885). . Pag. 203, 206, 210 24. — 929, 28 febbraio. Il marchese Adalberto fa donazioni al mo- nastero di S. Andrea in Torino. (Chart., I, 131). . Pag. 144, 145 25. — 933, maggio. Anscario figlio del q. Adalberto compra alcuni beni posti nel territorio di Asti. (Chart., I, 137). . • Pag. 146 26. — 936, 22 giugno. Anscario del q. Adalberto compra alcune terre presso Castelvecchio d’Asti. (Chart, I, 139)- • ” *4^ 27. _ 936-961-1001-1018-1021. Donazioni al monastero di S. Mami- liano. (Doc. apocrifi in Ann. Camald., I, pp. 178, 181, 405 ecc.).......Pag. 258,259,260 28. — 938-954. Documenti di Almerico gloriosus Marchio de Civitate Mantua. (Ani. Est., 223, 224).....Pag. 209, 210 29. — 940. Anscario marchese di Spoleto figlio di Adalberto è ucciso in quest’anno. (Muratori, Annali)..... 30. — 945, 29 marzo e agosto. Placiti del re Lotario in Pavia. (Cod. Long., 981 — Chart., I, 157)..... 31. — 948, 5 luglio. Diploma del re Lotario in favore di Varemundo fedele suo e raccomandato dal conte Aleramo. (Cod. Long., 1001, 1002)........ 32. — 948, giugno. Permuta di beni fatta da Bruningo vescovo d’Asti col conte Oberto. (Chart., I, 160). . Pag. 148 » 149 » 19 Pag. 149 » 147 » 206 » 206 » 147 — 315 — 33- — 950. Privilegio concesso da Berengario II e da Adalberto a Guido vescovo di Modena per intercessione del marchese Oberto e del conte Manfredo. (Ant. Est., I, 134, ........Pag. 109,117,150,240 34- -- 952. Marchesi di Verona di stirpe tedesca. (Stefani, Arch. Veneto, a. 1874-1875)........pag% 2Q<) 35. — 952. Documento di Guido marchese d’Ivrea figlio di Berengario >. 151 36. — 952. Atto di Teodolfo vescovo di Genova in cui si nomina Ido visconte. (Atti. Soc. Lig., I, 279). . . . Pag. 117,245 37- 957, giugno. Attone conte di Lecco compra una torre in Palusco. (Cod. Long., 1067)......pag. 20J) 2o6 38. — 958, 13 gennaio. Conferma di privilegi al monastero di S. Be- nedetto per intercessione del conte Attone. (Cod. Long., io73)..........Pag. 200,207 39. — 959, marzo e maggio. Compera di beni in Palusco fatta dai fratelli del conte Attone di Lecco, e permuta di alcune terre pure in Palusco fra il detto Attone e Odelrico vescovo di Bergamo. (Cod. Long., 1079-1080).....Pag. 203 4°- 960. Diploma di Guido marchese d’Ivrea figlio di Berengario. (Antiq. Ital., II, 37).......» 151 41- 960, aprile. Compra di beni in Palusco fatta da Attone conte di Lecco. (Cod. Long., 1093). -....» 203 42. — 960, giugno. Permuta di terre fra Attone conte di Lecco e Dagoberto vescovo di Cremona. (Cod. Long., 1098). . » 203 43- — 961. Aleramo coi due figli Ottone ed Anseimo fonda il mo- nastero di Grassano in Monferrato. (Moriondo, II, 292).........Pag. 19,20,90,150 44- — 961, 25 agosto. Permuta di beni nell’isola di S. Benedetto fra Martino arciprete della chiesa di S. Michele di Reggio e il conte Attone figlio di Sigifredo. (Cod. Long., 1112). Pag. 200-207 45- — 952, 20 gennaio. Conferma della permuta fatta nel 961 dal conte Attone. (Cod. Long., 1122).....pag. 200,207 46- 952, 5 luglio. Placito tenuto in Reggio da Varemundo a proposito della permuta di cui nei doc. 44, 45. (Cod. Long., 1136).........Pag. 200,207 47- — 962, maggio. Attone conte di Lecco vende una casa in Palusco. (Cod. Long., 1135)........pag. 203 48. — 964, 6 dicembre. Placito tenuto in Padova da Oberto marchese, in cui si conferma una permuta fatta dal conte Attone col vescovo di Mantova. (Cod. Long., 1194). . Pag. 200,207 49- — 964. Documento del conte Attone. (Ughelli, V, 1582). . Pag. 207 5°- — 964. I monaci della badia di Breme fanno cassare dall’ im- peratore Ottone la donazione di detta badia fatta nel 950 dal re Lotario al marchese Arduino. (Chron. Nova1., in, a e b)........ Pag. 155 SI- — 964. Documento in cui si parla di Parma come appartenente ad una Marca. (Ant. Est., I, 143, 144)- » 204 52. — 966. Permuta in Garfagnana fatta dal conte Attone. (Cod. Long., 1213).........Pag- 200, 207 53- — 966 (data errata — v. doc. 73). Arduino vende un terreno ai Ugo per la fondazione del monastero di S. Michele della Chiusa. (Terraneo, I, 146 — Provana L. G., Dis- sertazioni ecc., p. 96). ...... Pag. 167 54- - 967. Permuta di beni fra Attone e Donnino abate del mo- nastero di S. Benedetto. [Cod. Long., 1218). . . Pag 200, 207 55- — 967. Documento del conte Attone. (Bacchini, app. pp. 3, 12). Pag. 207 56. — 967, 25 marzo. Diploma dell’ imp. Ottone III in favore di Aleramo. (Chart., I, 217)....... » 30 57- — 969. Arduino ottiene dall’ imperatore la conferma della di- gnità e dei possessi a lui competenti. (Terraneo, I, 151)- » 156 58. — 970, maggio. Attone conte di Lecco compra alcune terre. (Cod Long., 1258)........ )) 203 59- — 970. Gotofredo figlio di Attone è vescovo di Brescia in quest’anno. (Antiq. Ital., I, 302, 313)..... » 211 60. 973. — Arduino elegge l’abate della Novalesa. (Terraneo, I, 143» 145).......... » 155 61. — 975, 6, 7, 9 aprile. Vendita di beni fatta da Attone conte di Lecco. (Cod. Long., 1328-1335). . ■ • Pag- 203, 206 62. — 975. Data della morte del marchese Arduino. (Terraneo, I, 161)........... Pag. 156 63. — 977. Carta di Attone conte di Mantova. (Odorici, par. I, p. 20, doc. IV)......... )) 208 64. - 981, 6 novembre. Placito in cui si conferma una permuta fatta dal conte Attone col vescovo di Mantova. (Cod. Long., 1409).........Pag- 200, 207 65. — 984. Manfredo I figlio di Arduino Glabrione dona alcuni castelli ai figli di Alineo (Adriani, Antichi Signori di Sar- matorio).......... Pag- 186 66. — 984. Documento della badia di Nonantola in cui è nominata una terra Attonis marchionis. (Cod. Long., 1435). • Pag. 201, 207 67. — 987. Tedaldo succede ad Attone. (Antiq. Ital., I, 302). Pag. 201 68. — 987. Doc. del marchese Corrado figlio di Berengario. (Pro- vana L. G., Studi critici, p. 327). .... » 183 69. — 989. Placito di Tedaldo in Mantova. (Campi, I, 494). » 207 — 3»7 - 70. — 991. Doc. di Prangarda moglie di Manfredo I Arduinico, figlia del marchese Attone. (Terraneo, I, 177, 178). Pag. 156, 162,200 71. — 991. Anseimo coi nipoti Guglielmo e Riprando figli di Ottone fonda un monastero a Spigno. (Moriondo, I, 9). Pag. 20,21,33,35,36 72. — 994. Placito tenuto in Lavagna dal marchese Oberto figlio di Oberto. (Ant. Est., I, 1333)......Pag- 245 73. — 999-1000 (v. doc. 53). Documento della fondazione del mo- nastero di S. Michele della Chiusa. (Provana, p. 96]. Pag. 167, 173 74. — 1000. Giuramento dei sudditi del marchese Bonifacio. (Doni- none, p. 351).........Pag. 213 75. — 1000-1002. Carta del marchese Arduino in favore degli uomini di Saorgio, Tenda e Briga. (Gioffredo, St. Alpi Maritt., 307-308).........Pag. 158,167 76. — 1001. Placito di Tedaldo in Reggio. (Tiraboschi , St. Bad. Nonant., II, 194).........Pag. 207 77.—IOOI. Placito di Tedaldo conte di Brescia. (Antiq. Ital , I, 408). » 207 78. —1001, 31 luglio. Ottone III conferma al marchese Odolrico Manfredi il possesso di molte terre nelle valli di Oulx, Bar-donnéche etc. (Chart., I, 345-347). . . Pag. 15,156,171 79. — 1002-1160. Donazioni al monastero di S. Mamiliano (Annales Camaldulcnscs pp. 169-249).....Pag. 258 e segg. 80. — 1003. Data della fondazione della badia di S. Benigno di Fruttuaria. (Manuel, Marchesi del Vasto, p. 24). . » 162 81. —1004. Placito dei marchesi Guglielmo cd Oberto, nipoti di Aleramo, in Vado. (S. Quintino, Oss., doc. I, p- 9)......PaS- 11,20,21,22,23,26,29,225 82. — 1005. Lettera dell’imperatore Enrico II al marchese Arduino IV in favore della Badia di Fruttuaria. (Della Chiesa F. A. cit. da Terraneo, I, p. 187).....Pag. 168, 180 83. — 1007. Doc. di Tedaldo q. Attone relativo alla fondazione del mo- nastero di S Benedetto di Polirone. (Cod. Long., 1112, n 1). Pag. 200 84. —1008-1009. Oddone figlio del re Arduino nominato col titolo di Conte. (Provana L. G., Studi crit., p. 376) . . » 180 85. —1011 (apocrifo). Diploma del re Arduino in favore del mo- nastero di S. Siro in Pavia. (Guichenon, Bibl. Sebns., cent. II, 72)........Pag. 182,183,184 86. — 1012. Atto di livello che riunisce i figli di Tedisio di Lavagna ai signori di Vezzano. (Atti Soc. Lig., Il, p. II, pag. 294). Pag. 121 87. —1013. Placito di Alberto e Ugo in Verona in favore del mo- nastero di S. Zaccaria. — Altro Placito degli stessi in Monselice in favore del medesimo monastero. (Ant. Est., I, 85, 88)..........» 295 88. 89. 9°. 91* 92. 93- 94. 95- 96. 97- 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. — 318 — - 1014-1020. Otto documenti in cui si parla della Marca di Svvona. Pag. 199 -1014. Donazioni del marchese Oberto a S. Siro di Genova. (Alti Soc. Lig., 1, 131, 319)......Pag. 245,295 - 1014. Fondazione del vescovato di Bobbio. (Ditmaro, in Pertz, VI, p. 666)..........Pag. 184 - 1014. Diploma dell’imperatore Enrico II in favore dell’abbazia di S. Benigno di Fruttuaria. (Moriondo, II, 629) Pag. 39,174,179 - 1014. Enrico II dona alla Chiesa di Vercelli molti beni di pro- scritti. (Chart., I, 406)........Pag. 120 -1014, 7 maggio. Placito tenuto dall’imperatore Enrico in Pavia coll’ intervento dei marchesi Oberto ed Anseimo. (Ant. Est., I, 110).........» 90 -1014, febbraio. Il pontefice Benedetto Vili riconferma i privilegi della badia di Breme. (Chart., I, 399). ...» 172 - 1014, Donazioni di visconti Genovesi al monastero di S. Stefano in Genova. (Atti Soc. Lig., II, par. I, p. 9o). . . » 117 - 1016. Placito di Oddone Arduinico in Chieri. (Carutti, Reg. Coni. Sabaud., p. 14)........» 163 - 1016-1020. Un Arduino va a Roma per quistioni relative al- l’abbate di Pollenzo. (Chron. Noval., 122, c e d). . Pag. 180, 181 - 1016-1017. Due atti di Gaidaldo conte del q. Ingo relativi a una donazione a S. Siro di Genova. (Atti Soc. Lig., II, Par- 98)........Pag. 34, 36» 37 - 1017. Bonifacio e Corrado di Toscana vendono beni altra volta comprati dal marchese Anseimo q. Anseimo e da Ade-legida sua moglie. (Tiraboschi, St. Bad. Nonantola, II, 146, doc. 112)..........Pag. 90 - 1018. Donazione dei visconti Genovesi al monastero di S. Ste- fano in Genova. (Atti Soc. Lig , II, par. I, 106). . » 117 - 1018. Rubaldo figlio di Alineo fonda una cella o priorato in Cervere, sulle rive della Stura. (Terraneo, II, 139, 140). » 186 - 1019. Due atti di donazioni dei visconti Genovesi al mon. di S. Stefano. (Atti Soc. Lig., II, par. I, 110, 114). . » 117 - 1020. Donazione dei visconti Genovesi al mon. di S. Stefano. (Atti Soc. Lig., II, par. I, p. 116). . . . Pag. 117, 119 - 1021. Documento di Lanfranco conte di Piacenza. (Tiraboschi, St. Bad. Nonant., II, 152).......Pag. 200 - 1021-1031. Documenti della contessa Adelaide. (Chart., I, 432, 479. — Chart., II, 115, 119)......» 159 1021. Placito dei marchesi Obertenghi in Milano. (Giuiini, n> ”2)..........» 24I - 1025. Lagnanze dei monaci di Tours contro i marchesi Alberto, 4 — 319 — Azzo, Obizzo, Ugo per usurpazioni da questi commesse. (Ant. Est., I, 116)........pag. 247 108. — 1026, settembre. Vidone del q. Oberto visconte insieme coi figli vende al mon. di S. Stefano di Genova diversi beni posti nel Prato di S. Martino. (Chart., I, 450). . » 119 109. — 1026. L’imperatore Corrado conferma a Guido e a Bosone figli del marchese Arduino le terre possedute in Avigliana, Val Susa etc. {Chart., I, 453). . . . Pag. 168,169,170 no. — 1027. Tedaldo fratello di Bonifazio di Toscana è vescovo di Arezzo in questo anno. (Terraneo, I, 213). . . Pag. 211 in. — 1028. Donazione di Abellono figlio di Alineo al monastero di Savigliano (Terraneo, II, p. 139, 140). ...» 186 112. — 1028, 28 maggio. Odolrico Manfredi e sua moglie Berta fon- dano la badia di Caramagna. (Chart., I, 463). . » 159 113. — 1029. Documento di Prangarda figlia di Guido marchese d’Ivrea e moglie di Opizzone conte diBiandrate. (MoriondoII, 787) Pag. 169,189 114. — 1029. Manfredo II e Berta fondano San Giusto. (Chart., I, 479). Pag. 174 115. — 1029, 19 agosto. Abellono figlio di Alineo riceve feudi dal vescovo d’Asti. (Chart., I, 484)......» 186 116. — 1030. Donazione fatta da Oberto figlio di Anseimo coi figli Oberto II e Guido detto di Sezzè, al monastero di Santa Giustina in Sezzè (Moriondo, I, 25) Pag 21,22,36,37,90.103 117. — 1031. Atto di livello intestato ai figli di Tedisio di Lavagna. (Atti Soc. Lig., II, par. II, p. 290).....Pag. 122 118. — 1031. Odolrico Manfredi e sua moglie Berta donano al mo- nastero di S. Solutore una braida coerente al muro della città di Torino. (Chart., II, 119).....Pag. 15,157 119. — 1033. Alberto padre di Alberto Rufo fonda la badia di S. Maria di Castiglione. (Ant. Est., I, 98). . . Pag. 134,201,241,249 120. — 1033. Bonifacio detto marchese e duca di Toscana in quest’anno. (Ant. Est., I, 34)........Pag. 235 121. — 1033. Donazione di alcune terre presso Chiavari, fatta dal mar- chese Alberto al monastero di S. Stefano in Genova. (Chart., I, 501). '........» 249 122. — 1034. Data dell’iscrizione sul sepolcro del marchese Alberto. (Ant. Est., 1, 102)........» 249 123. — 1034. Sunto di un documento di Oberto li di Sezzè. (Giulini, III, 107)..........» 37 124. — 1035. Placito di marchesi Obertenghi a Sale di Tortona. (Bottazzi, Monum. ad ann.)......» 241 125. —1038. Statuto dell’imperatore Corrado relativo all’eredità dei feudi. (Antiq. Ital., I, 610)......Pag. 126,290 - 3 20 - 126. — 1039. Placito del marchese Alberto in Genova. (Chart., I, 527).........Pag. 241,245,249' 127. — 1040. Odolrico Manfredi fonda in presenza di Ottone marchese e conte di Monferrato l’abbazia di San Silano. (Chart., II, 134). ....•••• Pa%- 24> 39» *^9 128. — 104-2. Amedeo, vivente il padre, conte U. Biancamano, porta il titolo di conte. (Carutti, U. Biancamano, p. 106). Pag. 294, 295 129. — 1044. Placito di Alberto e di Alberto Azzo in Rapallo. (Ant. Est., I, 183).......Pag- 241,245,249 130.--1045. Placito di marchesi Obertenghi in Milano. (Giulini, II, 314)- Pag- 24! 131. — 1045-1046. Diploma dell’imperatore Enrico a Pietro vescovo d’Asti per il monastero di S. Michele della Chiusa. (Provana L. G., Dissertai-, p. 122).....» 172 132. — 1047. Placito tenuto a Broni da Rinaldo, messo dell’impera- tore, in presenza di Anseimo e Azzone marchesi. (Ant. Est., I, 165)........Pag- 22> 9° 133 — 1049. Donazione di Villaregia fatta dalla contessa Adelaide in favore del monastero di. S. Stefano in Genova. (Chart, 11,145)........FaZ- 159» l6o> 277 134.— 1050. Alberto Rufo dona una corte di Corsica al monastero di S. Venerio alla Spezia. (Ant. Est., I, 230). . . Pag. 250 I55 — 1051-1052-1056-1085. Documenti di Guido fratello di Alberto Rufo. (Ant. Est., I, 232, 236, 238).....» 263 136. — 1052, luglio. Oberto vescovo di Genova dona al monastero di S. Siro le decime a lui dovute dai figli di Migesio, dai figli di Oberto fratello di Migesio e dai figli di Oberto di Manesseno. (Atti Soc. Lig., II, par. II, p. 411)- • . » 1 *9 xjy — |055, maggio. Donazioni dei marchesi Anseimo ed Ugo e della contessa Adila q. marchese Azzone vedova del marchese Anseimo al monastero di S Pietro in Savigliano. Moriondo, II, 33).......Pag- 22,90 138.— 1055. Donazioni degli stessi al monastero di S. Pietro e Mar- ziano. (Bottazzi, Mon. ined., p. 12).....Pag. 90 139. — 1056. Placito del marchese Alberto in Genova. ( Jur., I, 12; Atti Soc. Lig., 1, 129, 130)......Pag- 241,245,295 140. -- 1059. Giuramento di Guglielmo III in Savona. (San Quintino, Oss., doc. VII, p. 34)......Pag 23,24,225 141. — 1061. Oberto li figlio di Oberto I presta giuramento in Savona. (San Quintino, Oss., doc. Vili, p. 42). . . Pag. 21,22 142. — 1062. Manfredo insieme ad Ottone ed Anseimo riconferma ai Savonesi le promesse fatte da Guglielmo II. (San Quintino, Oss., doc. X, p. 50).....Pag. 22,23,225 — 321 - 143’ — 1064, 8 settembre. Donazione della Contessa Adelaide a S. Maria di Pinerolo. (Chart., 607)......Pag. 159,291 144. — 1064. Placito di Pietro figlio della contessa Adelaide in Cam- biano. (Carutti, Reg. Coiti. Sabaud., p. 56;. . Pag. 166,291 145. — 1064, 30 settembre. Donazioni di Berta e del figlio Manfredo a San Siro di Genova. (Atti Soc. Lig., Il, par. I, P-169)........Pag. 48,279,280 146. — 1065. La contessa Adelaide dona al vescovo d’Asti un castello colla cappella di S. Silvestro in valle Blandinasca. (Chart., I, 605). ........Pag. 277,280 147 — 1065, 12 maggio. La contessa Berta insieme ai figli Manfredo, Bonifacio, Anseimo, Ottone ed Enrico fa donazione di quattro corti etc. in Loreto alla chiesa di S. Maria d’Asti. (Cod. Ast., n. 52).....Pag. 48, 275, 276 14S. — 1070. Elenco di corti donate dai vescovi di Reggio al marchese Bonifazio. (Antiq. Ital., Ili, 184). . . . Pag. 212 149. — 1072. Documento in cui è nominato il marchese Giacomo di Romagnano. . . ... » 170 150. — 1073. Alberto Azzo detto Marchisius Liguriae (Ant. Est., 1, 35). » 245 151. — 1073. Convenzione della contessa Adelaide, di Oddone e Amedeo coll’arcivescovo di Vienna. (Carutti, Reg. Com. Sabaud., p. 62). .......» 166 152. — 1077. Ottone di Ventimiglia marito di Donella figlia di Oberto Aleramico. (Cais, Conti di Ventini., p. 30). . . » 189 153. — 1077, 3 dicembre. Donazione di Immilla al monastero di S. Pietro di Musinasco. (Chart., I, 665).....Pag. 102, 103 154. — 1078. Data della morte della contessa Immilla. (Terraneo, II, P- 278)..........Pag. 163 155. — 1079, 4 luglio. Donazione della contessa Adelaide al monastero di S. Solutore. (Chart., I, 660)......» 102 156. — 1081. Guido marchese cede la sua parte di possessi nel comi- tato Tortonese. (Costa, Chartarium, p. 1). . . Pag 262,263 157. — 1084. Bonifazio figlio di Ottone riconferma ai Savonesi le franchigie concesse dai suoi predecessori. (S. Quintino, Oss., doc. XIII, p. 60)......Pag. 23,27,225 158. — 1085. Giuramento di Guglielmo IV in Savona. (S. Quintino, Oss., doc. IX, p. 49)......Pag. 23,24,25,225 159. — 1088. Documenti in cui sono nominati Manfredo e Ardizzone di Romagnano.........Pag. 170 160 — 1089-1388. Tredici documenti in cui si parla della Marca di Genova..........» 198 161. — 1093-97-98. Umberto di Savoia detto .Marchese d‘Italia, in doc. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXV1I1. Serie 5 = — 3^2 — di questi anni. (Carutti, Reg. Covi. Sabaud., p. 77, 81, 85, 87)..........P«g- 164 162. — 1093, 5 febbraio. Documento di privilegi largiti dai conti di Biandrate. (Atti Soc. Lig., I, 190). ... » 188 163. — 1094. Doc. di Oberto figlio di Alberto Rufo e della contessa Giulitta. (Ant. Est., I, 232,234).....Pag- 239» 257 164. — 1095. Doc. di Alberto di Salmour marito di Ldgarda di Guido Obertengo. (Adriani, Doc. Cberasco, doc. XV). . » 189 165. — 1097, 28 dicembre. Fondazione della Canonica di Ferrania (Moriondo, II, 313).......Pag■ 73» 238 166. — 1100. Donazione di Adelaide figlia di Guido di Sezzè a S. Siro di Genova. (Chart., I, 735)......Pag. 103,226 167. — NOI. Guglielmo IV e Rainero figli del q. Guglielmo detto di Ravenna fanno donazioni alla chiesa di S. Eusebio in Vercelli. (Moriondo, I, 41).....Pag- 23> 24, 25> I03 168. — 1103. Ugo dona la chiesa di S. Gavino in Corsica al mon. di S. Venerio. (Ant. Est., I, 243)......Pag- 258 169. — 1116. Donazione di Adelaide di Sezzè e di Bruno figlio di Odone a Gamondio. (Moriondo, I, 44). ■ • • Pag. 22 170. — 1110. Documenti in cui sono nominati Oberto ed Ottone di Romagnano...........• . » 170 171. — IIII-III2. Bonifazio del Vasto dona Biestro e Cairo al monastero di Ferrania. (Moriondo, II, 317). • • • Pag- 73> 74 172. —1120. Data della fondazione dell’abbazia del Tiglieto. (Ja- nauschek, Orig. Cist., p. 9)......Pag- 74 xyj. — 1121. Oberto Brotoporrada fa omaggio di Sólero ai monaci di Tours. (Moriondo, II, 374). . • Pag. 238,239,247,257 174. — 1121. Passaggio dei Giovi, presa di Fiaccone, etc. (Caffaro, Annali, ed. 1890, p. 17).......Pag- u> 175.— 1121. Alberto di Gavi cede Voltaggio ai Genovesi. (Iur., 1,35). Pag. 115,263 176. — 1122. Donazioni di Ugo di Corsica al monastero della Gorgona. (Cambiagi, St. Corsica, pp 85, 86;. . • • Pag- 258> 2^° iyy. — ||24. Pace di Luni. (Ant. Est., I, 154). • • Pag■ 113,240,243 178. — 1125, 5 ottobre. Testamento di Bonifazio del Vasto in Loreto. (S. Quintino, Oss., doc. XVIII, p. 99). . • Pag. 27,48,72 179. — 1130, i.° ottobre. Trattato di pace fra Genova e Parma. (Chart., IL313).......Pag- 235,240,257,263 180. — 1131. Anseimo figlio del q. Ugo colla moglie Adelaide e coi figli Guglielmo e Manfredo fa donazioni alla badia del Tiglieto. (Moriondo, I, 47)......Pag■ 74 181. — II32-II7I. Doc. dei Signori da Passano. (Ant. Sig. da Passano, pp. 10, 17)..........w 2 36 — 323 — 182.— 1135. Guglielmo e Manfredo, figli di Bonifacio del Vasto, per se, e come procuratori dei fratelli, confermano le franchigie altra volta concesse ai Savonesi. (S. Quintino, Oss., doc. XX, p. 130). . . . Pag. 23,25,27,73,75,85 i83- — 1135. Aleramo di Ponzone giura la compagna genovese. (Iur., I, Si)...........Pag. 82 184. — 1135. Donazioni a StafFarda di Manfredo e Guglielmo figli di Bonifazio del Vasto. (S. Quintino, Oss., doc. XXV, P- 177)........Pag. 66,74,227 i8S‘ — 1137. Opizzo Malaspina detto marchese di Liguria. (Ant. Est., I, 162)..........Pag. 245 186. — 1138. L’imperatore annulla la donazione del castello di Livorno fatta a favore di Guglielmo Francigena o Francesco e dei suoi fratelli. (Ughelli, III, 391). . . Pag. 239,257,258 187. — 1140. Lega dei figli di Bonifazio del Vasto con Genova contro Ventimiglia. (Iur., I, 70)......Pag. 49, 75 188. — 1140. Convenzioni fra Genova e Malaspina. (Atti Soc. Lig., I, P- 137)..........PaS- ”5 189. — 1142. Donazioni di Ugo e Manfredo al monastero di S. Maria di Civitatula. (Moriondo, II, 4)......» 74 19°- — 1145. Convenzioni di Alberto Zueta coi Genovesi. (Iur., I, 105, 107)..........» 252 191. — 1146. Alberto figlio del q. Oberto Brattaportata vende il terzo del castello di Livorno ai Pisani. (Antiq. Ital., Ili, 1161). Pag. 238, 256 192. — 1148 (data incerta). Breve recordationis di un dono fatto da Manfredo di Saluzzo al monastero di S. Maria di Staffarda. (S. Quintino, Oss., doc. L, pp. 285, 289). . Pag. 86,87 193. — 1148. Convenzioni di Alberto Zueta e di Matilde sua moglie coi Genovesi. (Iur., I, 135-137)......Pag- 252 194. — 1148. Enrico Guercio marchese di Savona giura la compagna genovese. (S. Quintino, 0«., doc. XXVI, p. 182). . » 76 195. — 1150. Alberto di Gavi giura la compagna Genovese. (Iur., I, 146). » 263 196. — 1150. Sentenza arbitrale dei Genovesi fra Noli e i marchesi di Loreto. (Iur., I, 149-157)......» 76 197. — 1151. Convenzioni fra Manfredo di Saluzzo e i Signori di Ro- manisio. (Moriondo, II, 323)......» 189 198. — 1152. Guelfo VI prende i titoli di dux Spoleti et Tusciae marchio. (Ant. Est., I, 296). .....Pag. 198 199. — 1152-1174, etc. Diritti dei marchesi e dei visconti sui dazi, sui pedaggi etc. in Genova. (Atti Soc. Lig., I, 134) . . » 246 200. — 1154. Enrico Guercio detto marchese di Loreto. (Caffaro, Ann. ediz., 1890, p. 40)........» 72 — 324 — 20i. — 1154. Enrico Guercio giura la compagna genovese. (Iur., II, 4). Pag- 64,76 202 — 1155. Guglielmo riceve 1’ investitura di Castel Rossano dal vescovo di Torino........Pag- 75 203. — 1155. Sentenza arbitrale dei Genovesi fra Noli e i marchesi di Loreto. (Iur., I, 186, 188). .... Pag. 75» 7^ 204. — 1156 , maggio. Donazione dei coniugi Guglielmo di Monferrato q. Rainerio, e Giulitta d’Austria al monastero di Gras- sano. (Moriondo, II, 327)......Pag• 31, 226 205. — 1157. Trattato di alleanza fra Ottone e Raimondo di Monforte. (Chart., I, 812)........Pa8- 75» »5 206. — 1157-1166 1171-1172. Documenti dei conti di Lavagna. (Iur., 201, 220, 259, 271).........Pag- 23^ 207. — 1161. Donazione di Manfredo di Saluzzo q. Bonifacio a Staffarda. (Moriondo, II, 329. Doc. apocrifo secondo S. Quintino, Oss., p. 334).........” 77 208. — 1162. Diploma d’investitura del contado di Provenza rilasciato in Torino da Federico Barbarossa a Raimondo Berengario, presenti Guglielmo di Monferrato, Manfredo, Ugo ed Enrico del Vasto. (San Quintino, Oss , doc. LV, p. 300). Pag. 70, 77 209. — 1164. Conferma dell’ investitura della Marca di Genova ai Ma- laspina. Ant. Est., I, 10).......Pag• 245 210. — 1165. Documento di Manfredo Saluzzo del Vasto. (San Quin- tino, Considera\., p. 333).......Pag- 77 2H. — 1166. Convenzione fra i marchesi di Saluzzo e i signori di Manzano. (Moriondo, II, 633). . • • » i89 212. — 1166. Guglielmo Saraceno tenta di ricuperare il castello di Parodi. (Caffaro, ed. Pertz, p. 70)......» 252 215. — 1167. Investitura del marchesato di Guido concessa da Federico Barbarossa in favore di un marchese Enrico, in presenza dei marchesi del Vasto. (Moriondo, II, 332)- • Pag- 77>2,4 214. — 1167. Trattato dei conti di Lavagna col comune di Lucca re- lativo a diritti di pedaggio che spettavano a detti conti. {Genealogia familiae Scorciae Comitum Lavamae, p. 4°)- • Pag- 121 215. — 1167. Bando di Federico Barbarossa contro i marchesi di Gavi e di Parodi. (Iur., I, 225).......Pag• 253 216. — 1168. Trattato fra Genova e i Malaspina. (Iur., I, 232, 235) Pag. 79» 115 217. — 1169, 23 febbraio. I figli di Anseimo d’Albenga confermano le donazioni fatte al monastero di San Stefano dalla contessa Adelaide loro antcnata. (Doc. p. 297)- Pag■ 149» I^°> 277> 297 218. — 1170. Convenzioni dei marchesi Guglielmo di Ceva e Bonifazio di Clavesana con Albenga. (San Quintino, Oss., doc. XLI, p. 225)..........Pag' 78 — 32) - 2ig. — 1170. Sentenze arbitrali dei Genovesi fra Noli ed i marchesi di Savona. (San Quintino, Oss., doc. XXXI, p. 194). Pag. 79 220. — 1170. Convenzione di Guglielmo di Parodi coi Pavesi. (Cosi a, Chart., p. 154). ... ...» 255 221. —1171. Convenzioni dei marchesi di Parodi coi Genovesi. (Iur , I, 239)...........->253 222. — 1171. Il marchese Raineri rinunzia ai suoi diritti sopra Parodi. (Iur., I, 259, 266).......Pag. 237, 252 223. — 1172. Enrico Guercio alleato dei Genovesi contro i Malaspina. (Caffaro, Aita., ed. 1890, I, p. 256).....Pag. 64 224. — 1172. Convenzioni dei marchesi d’Albenga con Diano {Chart., II, 1035, 1036)..................» 78 225. — 1172. Giuramento di fedeltà prestato dagli Alessandrini ai marchesi di Gavi. (Iur. I, 271)......» 112 226. — 1173-1179-1180-1181-1182-1216. Doc. dei marchesi del Bosco re- lativi ai possessi in Rovereto, Varazze, Stella ecc. (Arch. Savonese)..........» 266 227. — 1173. Donazione di Manfredo di Saluzzo a Staffarda. San Quin- tino, Consid., doc. Vili, p. 331). .... » 77 228. — 1173. Lega fra Genova e Guglielmo di Massa contro i Malaspina. (Iur., I, 277, 282).......Pag 251,260 229. — 1174. Sentenza arbitrale fra Genova e i marchesi Malaspina. (Tur., I, 288, 290)........Pag. 253 230. — 1174. Convenzioni dei Marchesi di Ceva e di Clavesana con Albenga. (San Quintino, Oss., doc XLII, p. 226). . » 78 231. — 1175. Convenzioni di Manfredo I e di suo figlio Manfredo II coll’abbate di Fruttuaria. (Mokiondo, II, 634, n. 241. Pag. 70,77 232. — 1176. Donazione di Manfredo II a Staffarda. (Moriondo, II, 634, n. 25).........Pag. 70,77 233. — 1176, 17 gennaio. Sentenza arbitrale del comune di Genova fra Noli e i Marchesi di Savona. (San Quintino, Oss., p. 208). Pag. 79 234. — 1178, gennaio e marzo. Guglielmo di Parodi testimonio ad un placito in Pisa e ad un altro in Padova. (Ughelli, III, 411. 413).........Pag- 2>5 235. — 1179. Convenzioni di Enrico Guercio con Savona. San Quin- tino, Oss., doc. XXIII e XXIV, pp. 199, 201). » 80 236. — 1179. Enrico Guercio fonda un ospedale in Fornello presso Cosseria (S. Quintino, Oss., doc. XXXV, p. 205). . » 79 237. — 1181. Enrico Guercio cede alcune regalie a Noli. (San Quin- tino, Oss., doc. XXXVI, p. 208). .... » 80 238. — 1181. Guglielmo marchese di Parodi vende a Ido Picio i suoi di- ritti sopra un pedaggio alle porte di Genova, ylur., I, 290 . Pag. 246, 255 — 326 — 239- — 1182. Bonifacio dì Cortemiglia nominato in atti del not. Arnaldo Cumano (San Quintino, Oss., pp. 122, 123). . Pag- 67,76,85 240. — 1182. Enrico ed Ottone del Carretto figli di Enrico Guercio giurano la compagna genovese. (Iur., I, 319, 320). Pag. 65,66,81,228,294 241. — 1183. Guglielmo di Parodi assiste ad un placito in Asti. (Muletti, St. Saluto, li, 103)........Pag- 25 5 242. — 1183. Ultimo atto della pace di Costanza in cui Enrico Guercio è detto marchio Savonensis. (Chart., I, 915, 919)- Pag- 27> 6*> 62, 66, 80 243. — 1184, 12 agosto. Testamento del marchese Arduino del Bosco. (Atti Soc. St. Savon., I, 153).....Pag- 266,271 244. — 1184. Atto in cui Enrico Guercio è detto marchio Savonae. (Regesti Coni. Piacenza)......Pag- 64,66,80 245. — 1184. Guglielmo di Massa e Parodi investe un Guidobono del feudo di Volpeglino nel Tortonese. (Ant. Est., I, 260).........Pag. 237,252,254 246. — 1184. Obizzo Estense investito della marca di Genova. (Ant. Est., I, 158).........Pag. 245 247. — 1185. Guglielmo di Parodi vicario imperiale in Versiglia e in Garfagnana. (Ficker, IV, 199, 200).....» 255 248. — 1185, 15 marzo. Arduino del Bosco dona il castello della Stella a sua sorella Sibilla, moglie di Enrico Malocello. (Atti Soc. St. Savon., I, 154). .... Pag. 266,271 249. — 1186. Convenzioni dei marchesi del Bosco con Savona. (Iur., I, 330)..........Pag■ 83 250. — 1188. Bonifacio di Cortemiglia cede metà del castello di Loreto al comune di Asti (Cod. Ast., n. 32). . . Pag. 66,76 251. — 1188. Giuramento prestato da Guglielmo di Ceva al Comune di Savona. (Atti Soc. Savon., I, 182, 358;. . . . Pag. 78 252. — 1190. Opizzo Malaspina rinnova ad Ottone Nolasco l’investi- tura dei diritti di porta, ripa, macello etc. in Genova. (Richeri, I, 29, 7)........» 246 253. — 1190. Cessioni dei marchesi del Carretto al Comune di Asti. (Cod. Ast., n. 248, 253, 560)......" 82 254. — 1191. Guglielmo di Parodi è in quest’anno in Genova al se- guito dell’imperatore Enrico VI. (Richeri, I, 10, 4). . » 255 255. — 1191. Enrico del Carretto cede al Comune d’Asti la sua parte di eredità sulla successione di Bonifacio di Cortemiglia. (Cod. Ast., n. 254)........» 56 256. — 1191. Cessioni di Ottone del Carretto a Savona. (San Quintino, Oss., doc. XXXXIX e LX, pp 216,222). . . Pag. 81,82 257. — II9I-II92. Atti di Enrico del Carretto figlio di Enrico Guercio marchese di Savona. (Della Torre, III, 38). . . Pag. 58 — 327 — 258. — II9I-II93. Cessioni dei Del Carretto a Noli. (Atti Soc. St. Savon., I, II)...........Pag. 82 259. — 1192, 10 agosto. Ottone del Carretto cede metà del castello di Segno a Noli. (Atti Soc. St. Savon., II, pp. 577-583). Pag. 59,82 260. — 1192. Convenzioni dei marchesi di Parodi e di Gavi con Tortona. Costa, pp. 48, 50)........Pag. 254 261. — 1192. Guglielmo di Massa si impadronisce del Giudicato di Cagliari. (Caffaro, Ann. ediz. Pertz, p. 113) . . » 250 262. — 1192. Enrico del Carretto vende metà del castello di Segno a Noli. (Atti Soc. St. Savon., II, pp. 577, 583). . Pag. 59,82 263. — 1192. Convenzioni dei marchesi di Ceva con Genova. (Iur., I, 403)...........Pag. 79 264. — 1192-1193-1214. Cessioni dei marchesi del Carretto a Savona. (Atti Soc. Savon., I e II)......Pag. 81,82 265. — 1193. Guglielmo di Parodi arbitro fra Asti ed i marchesi di Monferrato e d’incisa. (Cod Ast., p. 1040). . . Pag. 255 266. — 1193, giugno e agosto. Cessioni di Enrico del Carretto a Noli. (Alti Soc. Savon., II, p. 584, 586).....» 82 267. — 1194. Guglielmo di Parodi eletto podestà a Tortona. (Bottazzi, Monum. ad ann.)........Pag. 255 268. — 1196. Andrea di Massa e Parodi vende Monte Caprione ai Sar- zanesi. (Ant. Est., I, 260). . . . Pag. 237, 246, 252, 256 269. — 1196. Guglielmo di Parodi a Milano, Pavia e Fornovo. (Ant. Est., I, 370 — Chart, I, 1032 — Moriondo, II, 547). Pag. 255 270. — 1196. Bonifacio d’Albenga rimette la decisione delle proprie differenze col Comune di Albenga al vescovo Airaldo di Albenga e a Filippo Cavaronco, console di Genova. (San Quintino, Oss., doc. XLVI, p. 237). . . Pag. .71, 78 271. — 1197. I marchesi di Gavi, di Parodi e Malaspina riconoscono di avere in feudo dal comune di Tortona i loro diritti sul castello di Mongiardino. (Costa, p. 65). . . Pag. 254 272. — 1197, 8 luglio. Atto che scioglie la comunanza fra i Mala- spina e i signori della valle dell’ Ena. (Poggiali, Mtm. di Piacenza, V, p. 40). ......» 127 273. — 1198. Il comune di Pavia è fatto arbitro delle contese fra Genova e Tortona per il possesso di Gavi. (Iur., I, 418, 421). » 254 274. — 1198. Enrico del Carretto riconferma le cessioni fatte negli anni antecedenti a Noli. (Atti Soc. Savon., Il, 591). . » 82 275. — 1199. Lega di Tortona con Genova contro i marchesi di Gavi. (Iur., I, 428, 431, 458).......» 254 276. — 1199. Donazione di Folco di Castello all’abbazia di Rivalta. (Cicala, Misceli, in Arch. Municip. di Genova). . . » 283 - 328 - 277 —1199- Semenza arbitrale di contese insorte fra Guglielmo di Massa ed i figli di Guglielmo di Parodi per giurisdizioni in Livorno. (Targioni, II, 256, 257, 273). . . . Pag 254 278. — 1199. Guglielmo di Parodi vende Solero al marchese di Mon- ferrato. (Moriondo, II, 119)......» 254 279. — 1199. Guglielmo di Parodi muore. (Targioni, il, 273). Pag. 251,354,255 280. — 1200. I marchesi del Bosco ricevono stipendio da Genova prima di quest’ anno (Iur., I, 551 — Ratio fendorum, senza data ma che nel lur. porta l’indicazione dal 1209 al 1264). Pag. 82, 267 281. — 1201. Doc. di eredi di Alberto Malaspina detto anche marchese di Sestri. (Richeri, I, 13, 3)......Pag. 246 282. — 1201. Lega degli uomini di Castelletto d’ Orba con Genova contro i marchesi di Gavi. (Iur., I, 470). . » 254 283. —1202. Elenco dei vassalli della curia di Gavi oltre Scrivia. (Iur., I, 492).........» 263 284. — 1204. Trattato dei signori di Bra, di Salmour etc. dei Mar- chesi di Monferrato, Saluzzo, Ceva, Clavesana, del Carretto con Alba. (Chart., II, 1238). . . Pag. 53,54,225 285. — 1204. Convenzioni dei marchesi di Ceva con Genova. (Inr., II, 29). Pag. 79 286. — 1207. Andrea marchese di Massa giura fedeltà al comune di Lucca. (Ant. Est., I, 256.......» 256 287. — 1208. Convenzioni dei marchesi del Carretto con Noli. (Atti Soc. St. Savon , I, II)........» 82 288. — 1209. Ottone del Carretto col figlio Ugo cede la sua parte di eredità sulla successione di Bonifacio di Cortemiglia al comune di Asti. (Cod. Ast., n. 248-253). ...» 56 289. — 1210. Corrado marchese di Massa dona al monastero della Gorgona le decime dal fiume Regino sino ai monti. (Cambiagi, St. Corsica, p. 86).....Pag. 258,261 290. — 1211. Guglielmo marchese di Massa nominato in doc. Sardi di quest’anno.......Pag. 251,254,255 291. — 1213. Guglielmo di Massa figlio di Guglielmo e di Domicella di Cagliari. (Repetti, IV, 326). . . . Pag. 250,260,262 292. — 1213-1230. Atti di Corrado q. Rainero e di Corrado q. Palo- dino consorti nei diritti feudali con Andrea Bianco marchese di Massa, Parodi e Corsica. . Pag. 255 nn. 11 e 12,262 293. — 1214. I marchesi del Carretto cedono il Cairo a Savona. (Atti Soc. Savon., I, 169, 170)......Pag. 81, 82 294. — 1215. Cessioni dei marchesi del Carretto a Savona. (Atti Soc. St. Savon., I e II)........Pag. 82 295. — 1216. Andrea marchese di Massa fa prigionieri i legati Geno- vesi. (Caffaro, Ann., ed. Pertz, p. 137). . . . » 256 i — 329 — 296. — I2I7-I2I8-I223-I224-I228. I marchesi del Bosco cedono Ovada, Rossiglione etc. a Genova. (Iur., I, 589, 591, 726, 728). » 82 297. — 1218. Genova acquista Capriata dai marchesi del Bosco. (Iur., 489, 630, 631, 724)........» 82 298.— 1218. Enrico del Carretto vende a Noli la metà del castello e delle ville di Segno e Vado. (Atti Soc. Savon, II, 598-602)..........» 82 299. — 1218. Andrea marchese di Massa vende il pedaggio di Aulla a Piacenza. (Reg. magnum Placentiae, c. 328). . . 0 256 300. — 1219. Andrea marchese di Massa insieme agli Ospinelli vende la quarta parte di Arquata al comune di Tortona. (Costa, Cron. di Tortona, ad ann.).......» 256 301. - 1220. Federico II conferma ai Malaspina i diritti sulla marca di Genova. (Maccioni, Cod diplom.fam. Malaspinae, p. 13). » 245 302. — 1224. Trattato fra il comune di Asti e Manfredo di Saluzzo. (Cod Ast., nu. 696, 704).....Pag. 55, 59,60 303. — 1225. Doc. di Adelaide moglie di Guglielmo Giudice di Cagliari. (Manno, St. di Sardegna, lib. VIII). .... Pag. 250 304. — 1228. Andrea di Massa rinnova a Simone Carmandino l’in- vestitura dei diritti sulla porta di Genova, ripa, macello etc. (Richeri, I, 65, 7)........» 246 305. — 1228. Convenzioni dei marchesi di Ceva con Genova. (Iur., I, 820, 832).........» 79 306. — 1228, 25 novembre. Trattato di pace fra i marchesi del Vasto e il comune di Asti. (Cod Ast., n. 261). . . Pag. 54, 56, 57 307. — 1228-1229-1239. Documenti di feudi dei marchesi di Massa. (Richeri, I, 64, 8-66, 1-66, 3)......Pag. 257 308. — 1229, Doc. di Rainaldo di Massa e Giudice di Cagliari marito di Benedetta figlia del marchese Guglielmo. (Tola, I, 367, 369).........PaS■ 261, n. 5 309 - 1233. Convenzioni di Andrea q. Moroello marchese di Massa con Genova. (Iur., I, 690)......Pag■ 256 310. — 1248. Ottone marchese di Gavi precettore Gerosolimitano no- minato in doc. di quest’anno. (Belgrano, Doc. crociata di S. Luigi, pp. 40, 41).......Pag. 133,284 311. — 1256. Doc. di Rinaldo di Massa marito di Benedetta figlia del marchese Guglielmo. (Tola, I, 324, 367, 369). . Pag. 261 312. — 1260. Doc.dello stesso Rinaldo. (Cambiagi, St di Corsica, p. 85). » 261 313. — 1311. Sentenza di Enrico VII nella causa di successione del marchesato di Monferrato (Muletti, St. Saluto, pp. 27, 28, 59. 84)..........“ 89 330 — INDICE DEI MANOSCRITTI CITATI NELLA PRESENTE OPERA Archivio di Stato (Genova) Materie Politiche. Mazzo 1. Id. Pergamene dell’ Abbazia di San Siro, Mazzo I. Id. Pergamene dell’ Abbazia di Santo Stefano. Mazzo I. Id. Federici. Colleltanee o Fasti della Repubblica di Genova, in tre volumi. Mss. num. 46, voi. 1 Id. Pandette Richeriane, cioè Sunti di atti notarili genovesi dall’a. 1154 al 1511, compilati dal senatore G. B. Richeri , intorno alla metà del Secolo XVIII. (Fogliazzi autografi e copia con indici; altra copia senza indici in voi. 4 con titolo di Foglialo dei Notari in Biblioteca Civica di Genova). Archivio del Ministero degli Affari Esteri di Francia. Liber Jurium VII. Cfr. Alti Soc. Lig. XIX, fascicolo I, Indice dei manoscritti citati nei Regesti, p. 135. Archivio Comunale di Piacenza, Regestum Magnum et Parvum (legato del conte Pallastrelli). V. Pallastkelli. Archivio Municipale di Savona, Registri a catena. Cfr. Atti Soc. Storica Savonese I, pp. 254-380. Archivio Municipale di Genova. Cicala, Miscellanee. Biblioteca Civico-Beriana in Genova. Poch, Miscellanee di Storia Ligure, Voi. 8. Della Chiesa F. A., Genealogia dei Conti d’Agite, ms. citato da Terraneo, Adel. ili. I, p. 187 e II, p. 28. - 331 — 1 INDICE DEI LIBRI A STAMPA f ii ■ -- Adriani G. B., Degli antichi Signori di Sarmatorio.—Torino, Cassone Giuseppe, 1853 in-4.0 Id. Indice analitico e cronologico di alcuni documenti per servire alla città di Cherasco. — Torino, Unione Tipografica editrice, 1857, in-8.° Acta Sanctorum (V. Bollandoti). Affò. Storia della città di Parma. — Parma, Carmignani, 1781 Volumi 4. Amari. Storia dei Musulmani in Sicilia. — Firenze, Le Monnier, 1854-1868. Volumi 3. Id Diplomi arabi pisani in Doc. degli Arch. Toscani. — Firenze, 1867. Annales Camaldulenses. V. Mittarelli. Annales Floriacenses in Pertz. Mon. Geriti. Hist. I. Antichità dei Signori da Passano. — Torino, 1616. Arnulphus. Historia Mediolanensis in Rer. Ital. Script., IV. Atti della Società Ligure di Storia Patria. — Genova, Scrdo-muti. Atti e Memorie della Società Storica Savonese, T, 1888; II, 1889-1890. — Savona. Balbo Cesare. Memoria sui marchesi dell’Italia Settentrionale in Meni. Accad. delle Sciente di Torino, XI. | Id. Dei titoli e della poten\a dei Conti, Duchi e Marchesi dell’ Italia Setten- trionale e in particolare dei Conti di Torino, in Mem. Accad. delle sciente di Torino, 1835, XXXVIII, s. 2 ", 241-291. Bacchini Benedetto. Storia del monasterio di S Benedetto di Polirone. — Mo dena, 1696, voi. I. Balutius. Miscellanea novo ordine digesta —Lucca, Giuntini, 1761-64. Volumi 2. Belgrano L. T. Documenti inediti riguardanti le due crociate di S. Ludovico IX redi Francia. — Genova, L. Beuf, 1859. Id. Annali di Caffaro e dei suoi continuatori. — Istituto Storico Italiano. 1890. Voi. I. I V * — 332 — Benzonis Episcopi Albensis Ad Henricum IV Imperatorem, Lib. VI in Iertz, Mon. Geriti. Hist., XI. Bonaini Francesco. Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo. Firenze, 1854. Bollandoti. Acta sanctorum. — 1683. Bottazzi Canonico G. A. Osservazioni sui ruderi di Libarna. Novi, 1815. Id. Carte inedite dell'Arch. Capitolare di Tortona. - Tortona, Rossi, 1833. Id. Monumenti dell’ archivio Capitolare di Tortona. Tortona, Rossi, 1837. Bresslau, Iahrbùcher des deutscken Reichs unter Konrad II. Caffari et continuatorum Annales Ianuenses edidit Georgius Henricus Pertz in Moti. Gertn. Hist., XVIII. — 1862. Id. (V. Belgrano). Cais di Pierlas. I Conti di Ventimiglia e il Principato di Seborga in Miscellanea di Storia Italiana, XXIII. — Torino, Bocca, 1884. Id. Giacobina di Ventimiglia. — Bologna, 1892. Calceato Lorenzo. Vita B. Guidonis Aquensis Episcopi in Moriondo li, col. 89 e seg. Cambiagi. Storia di Corsica, 1770. Campi Pier Maria. Storia Ecclesiastica di Piacenza. — Piacenza, 1651-1652, voi. 3. Carutti Barone Domenico. Regesta Comitum Sabaudiae in Bibl. Storica della deputazione di St. Patria. — Torino, 1889, V. voi. unico Id. Il Conte Umbeito Biancamano e il re Arduino. — 2.* ediz. Roma, Loe-scher, 1884, in-8°. Id. Della Contessa Adelaide, del re Arduino e delle origini Umbertine. Firenze, Cellini, alla Galileiana, 1882 e in Arch. St. Ital 1882. X, serie IV. Casalis Gioffredo. Dizionario geografico storico, statistico, commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna con Atlante. — Torino, 1833, 1851, voi 31. Cennius Gaietanus. Monumenta dominationis pontificiae sive Codex Carolinus. — Roma, 1760, voi. 2. Cibrario. Storia di Chieri. — Torino, 3/ ediz. 1855. Cibrario. Storia della Monarchia di Savoia. — Torino, Fontana, 1840, voi. 3. Cibrario e Promis. Documenti, monete e sigilli raccolti ed illustrati. — Torino, Stamperia Reale, 1834. Chronicon Novaliciense in Mon. Hist. Patr., Scriptorum, III. — Pertz Mon. Germ. Hist., VII. Claretta. Dei Signori di Rivalla. — 1 orino, 1878. Codex Astensis Malabayla in Atti R. Accad. dei Lincei, a. 1875-76, serie li. Corio Bernardino. Storia di Milano, ediz. principe, Milano, 1503'— ediz. Venezia, 1565 — ediz. de Magri, 1855. Costa. Chartarium dertonense. — Torino, 1814. Id. Cronaca Tortonese. — Novi, Capurro, 1854 — 333 — D'Achery Lucas. Spicilegium sive collectio veterum aliquot scriptorum ecc — Parigi, De la Barre, 1723, voi 3. Damiani B. Petri s. r. e. Cardinalis Episcopi Ostiensis Opera Omnia. — Lugduni, MDCXXIII. Della Chiesa Francesco Agostino. Corona Reale, par. I, 1655; Par- U, 1657 in-4.0 Id. in Meni. R, Accad. Scitn%. Torino — Voi. X, serie II. Id. Genealogia dei Conti d’Aglié (V. Ms). Della Iorre Raffaele. Cyrologia controversiae finariensis. — Genova, 1642. DbstMONi Cornelio Relazione sopra un frammento di Breve genovese del Consolato dei Placiti in Atti Soc. Lig. I. Id. I Cisterciensi in Liguria in Giorn. Lig. a. 1878. Id. Lettere sulla Tavola di bronzo della Polcevera in Atti Soc. Lig., III. Id Lettura alla Società Ligure di Storia Patria sul libro del Barone Carutti, Umberto Biancamano. — Genova, 1886. Id. Documenti ed estratti di documenti per la Storia di Gavi. — Alessandria, Iacquemod, 1896, 1 voi. in-4.0 Id Tavole descrittive delle Monete della Zecca di Genova. - Atti Soc. Lig., XXII, fase. I, pp. VII-LXXII. Id. Un documento Aleramico — Comunicazioni alia Soc. Lig. di St. Patria in Giorn. Lig., a. 1875, pp. 368-375 e in appendice pp. 275-281. Id. Lettera a Michele Amari sulla discendenza Aleramica e sulla diramazione dei Marchesati dalla Marca, 16 aprile 1866 — (Nuova antologia 30 settembre 1866) pubblicata ora in appendice pp. 221-233. Ditmaro o Annalista Saxo in Pertz. Mon. Germ. Hist. Script. VI. Donizo. Vita Mathildis Comitissae in Rer. Ital. Script. V. Durandi Jacopo II Piemonte Cispadano antico. — Torino, Fontana, 1 voi. in-4.0 Federici Collettanee. — (Cfr. Ms). Ferrari Giuseppe. Les revolutions d’Italie. — Paris, Didier, 1858. Ficker. Forschungen zur Reich-und-rechtsgeschischte Itàliens. — Inspruk, 1870. Genealogia Familiae Scorciae Comitum Lavaniae. — Napoli, 1611 (dal Notularo di G. Caligepalio). Gerini Emanuele. Memorie storiche dell’ antica e moderna Lunigiana. — Massa, 1829, voi. 2. Gfròrer. 'Pabst Gregorius VII. — Sciaffusa, 1860. Gioffredo. Storia delle Alpi Marittime in Mon. Hist. Patr., Script. II. Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e Belle arti. - Genova, Sordo-muti, a. l874, 1875, 1878, 1893. Giulini. Memorie spettanti alla storia e al governo della città e campagna di Milano. — Milano, Colombo, 1857, volumi 7. Oraziani G. B. Vittoria dei Genovesi sopra l’Imperatore Federico li, Carme d’ Ursone tradotto ed illustrato — Genova, tip. Schenone, 1857. — 334 — Gregorii Magni Epistolae lib. VII in Meni. Accad. Scienze, di Tonno, Nuova serie, voi. XII. Guichenon Samuele. Hisloire genéalogiqtte de la R. Maison de Savoie. 1 orino, 1778, 4 voi. in fol. ; nel IV Preuves e Bibl. Sebusiana. Jacopo d’Acqui. Chronicon imaginis mundi in Mon. Hist. Patriae, Scriptorum III. Jaffé Philippus. Regesta Pontificum romanoriiin ab ecclesia condita ad annum post Christum natum 1198. — Berolini, 1851, voi. I. Janauschek Leopoldo. Originum Cisterciensium Tomus primus, Vindobonae, A. Hoelder, 1877. Labbe Philippus et G. Cossartius Collectio Conciliorum. — Paris, 1671-72, voi. 15. Lamius Jo. Sanctae ecclesiae Florentinae monumenta. — Florentiae, 17581 4-Litta Pompeo. Famiglie celebri italiane. — Milano, 1819. Liutprandi Historia eiusque legatio ad Nicephorum Phocam cum notis Henrici Ca nisii in Rer. Ital. Script, V. Lupus Marius. Codex diplomaticus civitatis et ecclesiae Bergomatis. — Bergamo, 1784, voi. V. Mabillon. Annales ordinis S. Benedicti — Lucca, 1739, 1745> v0^ Maccioni. Codex diplomaticus familiae ma.rchionu.tn Malaspinai um Malaguzzi Valeri Ippolito. / Supponidi. — Modena, 1894. Manno Giuseppe. Storia di Sardegna. — Torino, 1826, voi. 4. Mansi. Sacrorum Conciliorum nova et amplissima Collectio. Firenze, Zatta, 1779-92, volumi 24. Manuel Giuseppe. Dei marchesi del Fasto e degli antichi monasteri dei SS. Vittore e Costan\o e di S. Antonio nel marchesato di Saluzzo. — Torino, 1858, voi. I. Mattei Antonio. Ecclesiae Pisanae historia. — Lucca, 1768, voi 2. Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino. - (V. Balbo, della Chiesa etc.), Mittareili e Costadoni. Annales Camaldulenses ordinis S. Benedicti. — Venezia, 175 5-J773» Vo1- 9-Monumenta Historiae Tatriae. — Torino, Stamperia Reale. Id. Liber Jurium Republicae Genuensis 1, 1854; li, 1857. Id. Tola Codex diplomaticus Sardiniae. I, 1861; II, 1868. Id. Chartarum I, 1836. Id. Chartarum II, 1853. Id. Codex diplomaticus Langobardiae, 1873. Id Scriptorum I, 1840. Id. id. II, 1839. Id. id. Ili, 1848. Monumenta Germaniae Historica — vedi Pertz. Moriondo. Monumenta aquensia. — Torino, 1789-90, voi. 2. Muletti Delfino. Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo. — Saluzzo, 1829, 1833, voi. 6. — 335 — Muratori. Antiquitates Italicae medii aevi. — Milano, Società Palatina, 1738-42, volumi 6. Id. Delle antichità Estensi ed italiane. — Modena, Stamperia ducale, 1717 , voi. 2. Id. Rerum Italicarum Scriptores. — Milano, Società Palatina, 1723 e segg. volumi 25. Odorici Federico Storie Bresciane dui primi tempi sino all’ età nostra. — Brescia, 1854, 1864, voi. 11. Id. Antichità cristiane di Brescia lin app. al Museo Bresciano). — Brescia, 1845-1848, voi. 2. Id. Codice diplomatico bresciano dal quarto secolo fino all’ era nostra. — Brescia. 1854, 1858. Id. Statuti Bresciani in Mon. Hist. Patriae, XVI. Ottonis Frisigensis episcopi eiusque continuatoris Radevici Libri de gestis Federici I Imperatoris in Rer. Ital. Script. VI. — Id. in Pertz. Mon. Germ. Hist. XX. Pabst Ermanno, Appendice del Hirsch. Annali di Enrico II. — Annali Storici dell’ Impero. — Monaco. Pallastrelli Bernardo. Degli atti della Pace di Costanza in ordine alla Storia Piacentina. — Piacenza, Del Majno, 1862. Pertz Henricus Monumenta Germaniae Historica: Id. Caffaro, XVIII. Id. Ann. Floriacens'.s, I, Script. Id. Benzonis ecc., XI. Id. Ditmaro, VI. Id. Ottonis Frisigensis ec<;., XX. Poggiali Cristoforo. Memorie Storiche della città di Piacenza. — Piacenza, 1757, voi 12. Promis Domenico. Monete inedite del Piemonte (Supplemento). — Torino, Stamperia Reale, 1866. Provana L. G. Dissertazione :opra alcuni scrittori del monastero di S. Michele della Chiusa in Mem. Accad. Sciente di Torino. Ser. II, voi. II. Id. Studi critici sopra la Storia d’ 1latta ai tempi del re Arduino. — Torino, 1844. Provana di Collegno. Dei matrtmonii di Adelaide Contessa nelle Curiosità e Ricerche di Storia Subalpina, a. 1881, pp. 64-87 ed a. 1882, pp. 145-185. Repetti Emanuele. Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana. — Firenze, 1833, voi. 6. Robolini Giuseppe. Notizie appartenenti alla Storia di Tavia. — Pavia, 1823, voi. 8. Roncioni in Arch. Stor. Italiano, 1844, VI. Rossi Gerolamo. Stona di Ventimiglia. — Torino, Cerutti, 1857. — 336 — Sanguineti Angelo. Della lapide di Ferrania in Giorn. Lig., a. 1875, pp. 160, 246, 309. San Quintino Giulio. Osservazioni critiche sopra alcuni particolari della Storia del ‘Piemonte e della Liguria nei secoli XI e XII, in Memorie dell Ac^ad. delle Sciente in Torino. — Voi. XIII, serie II. Id. Alcune Considerazioni intorno ai primi Marchesi di Saluzz0 'n Meni. Accad. Scienze di Torino, XIII, serie II. Id. in Accademia delle Scienze di Lucca, voi. X. Savio Fedele. Il Marchese Bonifazio del Vasto ed Adelaide Contessa di Sicilia, regina di Gerusalemme. — Torino, 1887. Id. 1 Primi Conti di Savoia. — Torino, 1887. Id. I Conti di Ventimiglia in Giorn. Lig., a. 1893. Solavo Gaspare. Della lapide di Ferrania. — Mondovì, 1790 Stefani. Sui Marchesi di Verona in Archivio Veneto, a. 1874-75. Targioni Tozzetti. Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parli della Toscana. Firenze, Stamp. Granducale, 1768-79, volumi 12. Terraneo G. Giacomo. La principessa Adelaide illustrata, 1." e 2.“ parte Torino, 1759, 2 voi. in-4.0 — 3-* Parte (ms-) in Università di Torino Tiraboschi Girolamo. Storia dell’ augusta Badia di S. Silvestro di Nonantola. Modena, 1784-85, voi. 2. Id. Memorie sloriche Modenesi; ivi, cod. diplom. — Modena, 1793'94> v°l- 4-Troya. Storia d’Italia nel medio evo. Napoli, 1839-51. — Ivi Codice diplomatico Longobardo nel voi. IV. Toeche. Kaiser Heinrich VI. Tola. Codex diplom. Sardiniae in Mon Hist. Tatriae. Ughelli Storia Sacra. — Venezia, Coleti, 1717-28, volumi 9. Usseglio Leopoldo. I Marchesi del Vasto. — Torino, 1893. Wustenfeld Teodoro. Die Herzoge von Spoleto aus dem hause der Guidonen in Gelehrte Anzeigen, Gottinga. INDICE DELLE MATERIE Suille Marche d’ Italia e sulle loro diramazioni in marchesati -Lettere cinque al Comm. Domenico Promis: Lettera I..................pag_ 7 Id- II.................. » 47 Id. Ili.................. » PREFAZIONE A lungo tempo la Sezione Storica della Società Ligure di Storia Patria aveva deliberato di pubblicare una nuova raccolta dei documenti posseduti dall’ Archivio di Stato di Genova intorno alla relazione della Repubblica coll’ Impero d’ Oriente, completando e correggendo i documenti già pubblicati non integralmente od inesattamente nell’ opera del Sauli, nei Monumenta Historiae Patriae, o negli Atti della Società (Voi. XIII) e dandone alla luce altri non pochi, fin qui ignoti agli studiosi. Il canonico Angelo Sanguineti con non comune diligenza e con grande fatica aveva già collazionato le carte più importanti, conservate nel nostro archivio, tenendo conto delle varianti dei codici, traducendo in latino i — 340 — diplomi greci, che non erano accompagnati da versione, spesse volte correggendo gravi errori di lettura, in cui erano caduti i sigg. Miklosich e Mùller nel primo volume degli Acta Gracca. L’ opera del canonico Sanguineti fu pur troppo troncata a mezzo dalla morte, che lo colpì nell’ anno 1892 quando già egli sperava di dare alla Liguria un codice diplomatico levantino, simile a quello che il Vigna aveva pubblicato per le colonie tauriche, il Belgrano per la colonia di Pera, il Mùller per le colonie pisane, i sigg. Tafel e Thomas per le colonie venete. Ma le fatiche del Sanguineti non andarono perdute; il suo manoscritto restò alla Società ligure, la quale due anni or sono affidò l’incarico di compiere e di pubblicare il lavoro al socio professor Gerolamo Bertolotto. Grazie all’ operosità ed alla dottrina paleografica del Bertolotto fu compiuto ben presto il riscontro delle pergamene greche e dei testi latini e si diè principio al-1’ edizione. L’A. si proponeva anche di far precedere alla raccolta una lunga nota illustrativa, nella quale avrebbe indicati i documenti, già pubblicati da altri, ed avrebbe lumeggiato colla scorta delle dotte disquisizioni del De Simoni, del Belgrano, del Langer e di Guglielmo Heyd la storia delle relazioni tra Genova e Costantinopoli e mostrato l’importanza dei nuovi documenti. Ma neppure al prof. Bertolotto fu dato di condurre a termine I’ opera intrapresa con tanto zelo e con tanta fatica. Aneli’egli, benché giovanissimo, colpito da crudele malattia mori il 13 del corrente, lasciando incompleti gli ultimi fogli di stampa del testo e solo pochi e saltuari appunti per la prefazione. — 341 — In omaggio alla memoria degli estinti soci Sanguineti e Bertolotto, e per non ritardare più a lungo la pubblicazione tante volte promessa, il Consiglio Direttivo della Società di Storia Patria ha deliberato di dare alla luce in questo fascicolo i soli documenti, riservandosi di pubblicare nel prossimo volume l’illustrazione, della quale si è affidato l’incarico al socio prof. Camillo Manfroni. Pur troppo il testo dei documenti non è privo di mende tipografiche, né abbonda di richiami ad altre pubblicazioni; ché negli ultimi giorni la malattia latente aveva al Bertolotto affievolito le forze. Ma a nessuno dei cultori delle patrie memorie sfuggirà l’importanza del contributo che questo fascicolo dà allo studio delle relazioni commerciali di Genova col Levante. Genova, 21 Gennaio 1898 LA PRESIDENZA. \ DOCUMENTI I. ii5 5* — Convenzione de’ Genovesi con Demetrio Metropolite a nome e come ambasciatore di Manuele Comneno imperatore di Costantinopoli. Seguono le emendazioni deliberate dal Governo della Repubblica sopra quella convenzione e le istruzioni all’ ambasciatore Amico di Murta che deve andare a Costantinopoli. Archivio di Stato, Materie politiche, Ma^jo /, a. 1155 In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti Amen. Ego Demetrius Metropolites nuncius Sanctissimi Constantino-politani Imperatoris Domini mei Emanuelis Porfirogeniti Comnino promitto vobis Consulibus Ianue atque populo Ian. ex parte ipsius Domini mei pacem et bonam voluntatem et quod vos salvabimini et custodiemini in omnibus terris imperii ejus (et quod de querimoniis quas ante eum fecerunt Ianuenses qui erant in terram imperii ejus, faciet inde eis quod justitia vult postquam ante eum querimonia evenerit) in aliqua vero terra imperii ejus non dabitis comercium majorem quam Pisani nunc tribuunt. Promitto etiam quod ipse Dominus meus Sanctissimus Imperator dabit comuni Ianue singulis annis pro solemniis Perperos quingentos et Pallia duo propter de istis proximis quatuordecim annis pro quibus dedi vobis ad presens septem milia perperorum et duo Pallia et in ipsis quatuordecim annis singulis annis Pallia duo vobis dabit. Archiepiscopo vero vestro dabit annuatim perperos LX et pallium unum. Et dabit vobis in Constantinopolim Embolum Attx Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXV111, Fase. 11, Serie 5.* 22 f — 344 — et Scalos cum commercio et cum omni jure in eis pertinentibus sicut Pisani habent, et haec in partibus quibus ipsi Pisani et Venetici habent et in totis aliis terris imperii sui dabit vobis ipse Dominus meus Sanctissimus Imperator sicut Pisani habent. Si vero Paleologus vel Sebastos promiserit vobis specialem embolum et speciales scalos Dominus meus Sanctissimus Imperator dabit vobis easdem. (Sin autem dabit vobis ea sicut supra scriptum est). Et faciet hoc pactum notum principibus suis (et preceptum faciet eis ut salvent et custodiant omnes Ianuenses et quod Ianuenses non dent in terris Imperii sui nisi ut superius scriptum est). De his omnibus faciet vobis ipse Dominus meus Sanctissimus et excellentissimus Imperator chirographum suo sigillo impressum quod ipse et heredes ejus qui post eum imperatores erunt in perpetuum sic observent. Facta sunt hec in civitate Ianue in Ecclesia Beati Laurentii anno Domini millesimo centesimo quinquagesimo quinto duodecimo die intrantis Octobris indicione tere ia. (In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti Amen). Nos Ianuensium Consules (Willelmus Lusius, Iohannes Malus Aucellus, Obertus Cancellarius, Willelmus Porcus) cum toto populo Ianuensium facimus pacem Domino Emanueli Constantinopolitano Imperatori Porfìrogenito Comnino (et heredibus ejus qui post eum Imperatores erunt et hominibus Imperii ejus) et promittimus in spiritu veritatis quod nos non erimus in consilio vel opere (per nos vel per aliquos aut cum aliquibus in simul) quod Dominus Emanuel Sanctissimus Imperator vel heredes ejus (qui post eum Imperatores erunt) perdant terram vel honorem de iis que nune habet vel de cetero habuerit excepto si ceperit de terris Surie quas habemus vel tenemus aut in quibus justiciam habemus (sive per captionem belli sive per redditum, aut per donum aut per comperam vel cambium quod fecerimus de terris per terram). Si vero quando Ianuenses erunt in terris Imperii ejus et aliquis vel aliqui homines circa terras illas fecerint assaltum vel obsidionem, Ianuenses qui ibi erunt bona fide (et sine fraude defendent et) tuebuntur terras illas ad honorem Domini (Imperatoris) Emanuelis (vel heredum ejus qui post eum Imperatores erunt. » — 345 — De offensionibus quas Ianuenses qui erunt in terra Sanctissimi Imperatoris fecerint ipsi Domino Imperatori vel hominibus ejus habeant eumdem usum quem Pisani nunc habent. Si vero aliquis lanuensis intulerit aliquam offensionem imperio ejus vel hominibus ejus imperii, Consules communis Ianue bona fide tenebuntur facere inde id quod justicia vult post quam.... commoniti erunt a Domino Imperatore (sicuti Pisanorum consules ei justiciam facere tenentur). Universa praeterea que superius insinuata presenti pagina continentur in Ecclesia Beati Laurencii Martiris in pleno parlamento supra memorati consules juraverunt observare atque populus lanuensis per cintracum die prememorata. Emendationes. Ubi dicitur nos consules de communi facimus pacem domino emanueli etc. muta si postulabitur a curia ut verbum illud emendetur sic. promittimus veram et fidelem amiciciam domitio emanueli et successoribus ejus imperatoribus, item ubi dicitur in spiritu veritatis quod non erimus in consilio vel opere per nos vel aliquos aut cum aliquibus adde, coronatis vel non coronatis antequam ob hoc retnaneret convencio si a curia instanter postularetur, item illud quoque si postulabitur a curia addatur de novo quod salvabimus nuncios imperiales in toto posse et terra nostra. Emendationes (i). Ubi dicitur promitto vobis pacem et bonam voluntatem muta si curia voluerit sic beneficium gratie et bone voluntatis mee et quod salvabimini etc. item si placuerit et postulabitur a curia ut ubi dicitur domino imperatori et heredibus qui post eum imperatores erunt dicatur successoribus ejus qui post eum imperatores erunt, illud admittas (i) Una alia promissione dei genovesi a Manuele I, l’altra a quella del legato di lui. Cfr. Iurium I, 184. Il Sauli II, 181-83 ha sol° le due promissioni, ma non ha le emendazioni. — 346 - et concedas item ubi dicitur (manca qui la copia) pisani in tota terra imperii et quod tantum habeant ipsi in terris imperii quantum pisani et de singulis omnibus subtiliter et diligenter inquirere quantum pisani tunc temporis soliti erant dare et habere in terris imperii et quod generaliter dictum est in singularitatem deducas et nominatili! exprimas de unoquoque et si in aliquo meliorare poteris id studio diligentie tue committimus, item embolum et scalas petas et omnibus modis habere studeas in constantinopoli inter embolum venetorum et palacium angeli despoto. et si ibi non posses in perforo, quod si ibi non posses in alio convenienti loco infra civitatem constantinopolis. si vero infra civitatem nullatenus consequi poteris embolum et scalas, in pera studeas habere in meliori et in convenienti loco si tibi melius videbitur, eo tamen addito et sub ea conditione ut infra civitatem habeatis consignatum embolum et scalas ut si quando latini infra civitatem redieiint quod embolum illum et scalas habeamus, item studeas consequi et habere quod restat ad solvendum de annis preteritis tam comuni nostro [quam ?] archiepiscopo secundum convencionem que nobis fecit macropolitus. illud quoque procures quod ianuenses vel homines de districtu janue non solvant aliquod drictum in toto imperio de pecunia quam non vendiderint et quod si naufragium in toto imperio passi fuerint quod salvi sint et securi in personis et rebus item omnes perditas diligenter petere et consequi studeas et facere quicquid melius poteris bona fide ad utilitatem pei dentium et quantum de quaque perdita habueris secernas, et ex eo quod inde habueris pro labore tuo vicesimam partem tibi providimus et perditam nominatim que est viginti septem millium perpeioium instanter petas, item capitulum illud quod convenisti imperatori videlicet quod si aliquando stolus centum galearum vel plurium assaltum vel obsidionem fecerit in terris imperii, quod omnes ianuenses qui in terris imperii inventi fuerint debent intraie in galeis imperatoris cum soldis quos latinis dare solitus est et ire contra stolum ac servicium illud complere exceptis hominibus viginti qui pro custodiendis navibus remanere debent sicut convenisti illud et in grisoboli logo continetur expresse illud complere possis et firmare, item perdita navis que apud rodum naufragium — 347 — passa est, in qua lambertus grillus perperos septingentos habebat studeas recuperare, item et de perperis quadringentis quinquaginta idonis guntardi non obliviscaris. Istruzioni ad Amico di Murta. In nomine Domini Amen. De maxima conventione de quo sepe mentio est si fueris appellatus declines a principio et caute ac avide (i) studeas percipere et cognoscere diligenter quidquid utilitatis inde communi Ianue consequi posses. Credimus vero quod in ipsa conventione postulabit quod Galeas XXX comune Ianue sibi armet in expeditionibus suis ad soldos imperiales et cetera capitula que tractata sunt in aliis conventionibus de non minuendo honore suo aut terra vel posse sibi vel heredibus suis qui post eum imperatores erunt et de ceteris in conventione Amici de murta contentis. Hoc itaque postules quod imperialis magestas debita quibus commune nostrum obligatum et honeratum existit persolvat videlicet CCCCXXX milia librarum Ianue monete. Si vero ad finem melius non posses ad viginti milia condescendas gradatim et paulatim. Postules quoque quod imperialis sublimitas ecclesiam beati lau-rentii qua deceat fabricatione construere faciat aut pro ipsa edifi-canda ad perpetuam laudem et gloriam suam manuatim quotcumque plures poteris bisancios solvat et per unumquemque annum quantitatem unam perperorum convenientem videlicet DC perperorum per annum donec compleatur et deo propicio consumetur opus ecclesie, quo feliciter peracto illud annuum pro anime tue mercede canonicis nostre matricis ecclesie per annos singulos tribui et exsolvi constituat. De domino archiepiscopo similiter mementote ut quantum dat vel concedit aut dare solitus erat patriarce venetorum, pro anime sue mercede et ut civitas janue fidelior sibi semper existat, tantundem ei tribuat, vel si melius non possetis quantum dat pisano archiepiscopo imperialis clementia. (i) Var. prudenter. — 348 — Item mementote diligenter pro hac ultima et maxima conventione postulare quod in tota terra imperii sui quam habet vel habebit de cetero deitate propicia ipse vel qui post eum imperatores erunt januenses vel aliquis de districtu eorum nullum drictum nullam dacitam vel exactionem ullo modo tribuant et liberam et commodam habeant facultatem mercandi et utendi libere per omnem terram et omnes partes imperii et etiam exercendi negociationem pannorum sete apud stivam sicut veneti soliti erant et eundi ad matracam et per omnia simili modo gaudeant privilegiis et indulctis omnibus quemadmodum et veneti faciebant. In magna urbe constantinopolitana tot scalas et embolos cum ecclesiis et omni suo commodo quot veneti habebant postuletis, vel saltem ad ultimum si melius non possetis quot Pisani habent. Per singulas quoque imperii civitates loca habeant januenses embolos et scalas et cetera omnia beneficia et indulcta que veneti soliti erant habere modis omnibus studeas. Illud quoque non pretermittas ut per totum imperium et singulas imperii partes terra mariqne seu fluminibus januenses et eorum bona salventur custodiantur et manuteneantur, nec vim aut injuriam patiantur et de lamentationibus quos apud imperialem celsitudinem vel quemcumque bavilum seu rectorem locorum deposueiint plenam et expeditam justiciam omnino consequantur. Item quando Ianuenses ad defensionem civitatum seu locorum in quibus fuerint se contulerint secundum quod in conventione Amici de murta continetur studete quod in conventione quam nobis facturus est imperator ponatur quod si tunc quando ad defensionem ut dictum est se contulerit ea occasione eis dampnum contigerit quod illud eis restituere debeat imperialis magestas, quod sane omni congruit equitati. Illud quoque sit cordi ut in conventione nostra ponatur quod Ianue consules et populus januensis ea omnia que convenei it legntus per bonam fidem inconcussa et illibata observare teneatur quamdiu sanctissimus imperator et qui post eum imperatores erunt que Ianuensibus imperatoria sublimitas convenire dignata fuit observaverint. 3 49 — II. 1169 (i). — Giuramento dell’Ambasciatore Amico di Murta e diploma dell’imperatore Manuele a favore di Genova. ibidem, Iuramentum vero ab Amico de Murta legato Genuae praestitum sic se habet. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Ego Amicus de Murta Genuensis missus a consulibus et consiliariis omnibus civitatis Genuae et nactus potestatem et missionem ab ipsis, sicut jurejurando confirmabo, paciscens in persona Genuensium cum excelsissimo imperatore Romanorum Porphyrogenneto domino Manuele Com-neno (placeat hoc et ipsis) praesentem conventionem facio et juro ex voluntate omnium Genuensium erga dominum imperatorem porphyrogenitum dominum Manuelem et erga omnes heredes et successores imperii ipsius regnaturos et Romaniam, sicut declarabitur: quod ex nunc et in posterum nunquam sic se gerant Genuenses in consilio vel in opere per se ipsos vel per alios, vel cum viris coronatis vel non coronatis, ut dominus Imperator vel heredes ipsius et successores perdant regionem vel honorem a quibus hodie habet, vel a quibus acquisiturus est, eo excepto quod ceperit ex regionibus Syriae, quas habemus et in quas dominamur et in quibus habemus jus sive per bellum, sive per occupationem, sive per gratiam, sive per emptionem, sive per commutationem quam fecimus , regionem pro regione accipientes. Et cum Genuenses versentur in regionibus imperatoris, si quis vel aliqui homines cuju-scumque generis in illos irruperint vel insidias fecerint, qui inventi fuerint illic Genuenses cum bona fide et sine dolo, defendant et custodiant tales regiones in honorem domini imperatoris domini Manuelis et heredum et successorum ipsius, et si Genuensis aliquis offensionem fecerit majestati ejus vel hominibus imperii ipsius, Consules Genuae cum bona fide teneantur facere justitiam postquam (1) Non 1170 come si legge nella coperta della carta originale. — 5 SO - notitiam acceperint a domino imperatore. Similiter juro quod Genuenses honore prosequentur imperatoris legatos in omni nostra jurisdictione, et si quando classis centum triremium vel etiam plurium tendant contra terras imperatoris, Genuenses qui invenientur in imperatoris regionibus, conscendent ejus triremes cum stipendio secundum consuetudinem Latinis tribuendo et discedant adversus hujusmodi classem ad illud servitium absolvendum, praeter homines viginti qui reliquendi erunt in navigiorum suorum custodiam. Haec omnia quae praesens scriptura complectitur jurent consules omnes Genuae observare et populus Genuae per capitaneum. Et sicut juro haec sine fraude et dolo, sic me adjuvet Deus. Super tali juramento Chrysobulum illustris imperatoris et desiderati patrui majestatis meae domini Manuelis Comneni sic se habet (*). Quoniam sapientissimi Consules et Consiliarii et populus universus communitatis civitatis Genuae, misso ad majestatem meam legato ipsorum Amico de Murta commiserunt convenire et tractare cum majestate mea de iis quae volebant, hic autem cum ad majestatem meam accessisset et convenienter de iis rebus tractasset, fecit conventionem ab ipso concinnatam et per jusjurandum firmatam, ecce majestas mea propter bonam voluntatem quam habet erga incolas ejusmodi civitatis et propter servitium et benevolentiam quam profitentur observare erga majestatem meam et Romaniam in omne aevum, promittit per praesens chrysobulum concedere Genuensibus embolum et scalam et ecclesiam intra Constantinopolim sicut in acto apud ipsos existenti declaratur circa hoc dare vero etiam civitati Genuae et communi stipendii ergo quotannis hyper-pyra quingenta et pallia duo et Archiepiscopo Genuae hyperpyra sexaginta et pallium unum, de quibus stipendiis civitatis et communis data sunt pro annis decem per legatum ipsorum prudentis-simum Amicum de Murta. Cum his decernit ipsos vectigalia pendere sic, videlicet in divinitus custodita Constantinopoli quatuor pro centum, in reliquis regionibus Romaniae sicut et reliqui Latini qui vectigalia pendunt: debent vero servare Genuenses negotia (*) Estratto dal Crisobulo d’Isacco Angelo dei 1192. (Vedi a suo luogo). — 351 — sua salva in omnibus regionibus dominationis meae. Si vero aliqua fortasse injuria a quoquam his contigerit debent nancisci justitiam a curia nostra, sicut par est, sed quandocumque poscant (actione j u i is) adversus aliquem Romanum vel alienigenam coram majestate mea inveniant justitiam in curia ipsius. Possint vero Genuensia navigia secura negotiari in omnibus ubicumque regionibus dominationis meae praeter Russiam et Matracham, nisi forte expresse hoc etiam concessum illis fuerit a majestate mea. Quando vero introduxerint merces Gonstantinopolim et non potuerint lorte ipsas divendere, fiat hujusmodi mercibus sicut mos est fieri reliquis Latinis vectigal pendentibus. Et si navigium Genuense a quocumque loco veniens in Romaniam periclitetur et contingerit ut aliquid ex iis quae in ipso sunt, ablatum fuerit a quocumque, fiat de his vindicta a majestate mea et restauratio hujusmodi rerum. Si vero contigerit ut delinquant Genuenses aliqui quoquomodo, non debent judicari ab aliquo alio alienigena, nisi a curia imperii mei, praesidentibus scilicet Romanis cognatis vel hominibus majestatis meae, et non detineatur in custodia reus ante judicium si dederit fidejussorem; si vero non dederit fidejussorem, detineatur quidem in custodia, educatur vero et judicetur donec fiat sententia super ipsum. Interea delegetur intra cursum quinque annorum vestiarites majestatis meae in vindictam Genuensium, quamvis hi appellent ad majestatem meam. Siquidem ergo tota Genuae multitudo Archiepi-scopus videlicet, consules et populus omnis [Genuae] conventionem receperint a legato suo laetam, complebunt ipsam, eamque describent et jusjurandum praestabitur secundum extensa ibi capita salvam custodire ipsam et inviolatam in omne aevum in honorem majestatis meae et Romaniae, firmaque servabuntur ab imperio meo que superius declarantur, cum praesens chrysobulum imperii mei firmum et stabile manere debeat. Manuel in Christo Deo fidelis imperator porph\rogenims et auctocrates Romanorum Comnenus I — 352 — III. 1169. — Trattato tra l’imperatore Manuele e il Comune di Genova. a) Ibidem, Pergamena. Quoniam honoratissimus archiepiscopus civitatis Genue et prudentissimi consules et multitudo universo comunis trasmittentes ad imperium meum legatum suum prudentissimum amicum de murta iniunxerunt ei ut tractaret ei conveniret cum imperio meo de quibus ipsi volebant, hic autem perveniens ad imperium meum et copiose de hujusmodi negotiis cum pertractasset que hic ostenditui convenientiam fecit et iureiurando eam certificavi que sic ad verbum comprehendit, in nomine patris et filii et Spiritus Sancti, ego amicus de murta qui sum ianuensis transmissus ab archiepiscopo genue et consulibus et ab omni multitudine comunitatis civitatis genue et accipiens potestatem et mandatum ab eis, ut quicquid iuravero conventionem faciens in persona genuensium cum sanctissimo et excellentissimo imperatore romeon porphirogenito domino manuel comneno foveri, hoc et ab illis presentem convenientiam facio et iuro de voluntate archiepiscopi et consulum et totius comunis genue sanctissimo domino imperatori porphirogenito manuel comneno et omnibus heredibus et successoribus imperii eius et romanie sicut manifestum erit, quoniam amodo et in perpetuum quamdiu mundus stabit, nunquam erunt aliquando genuenses contra imperium eius vel heredes et successores eius seu contra romaniam sive contra aliquam regionum imperatoris quascumque nunc habet et quascumque deo volente possidebit, neque per consilium ncque per pecuniam aut stolum sive aliter quocumque modo , et neque ipsi facient sic neque apponentur per qualemcumque occasionem rationabilem aut irrationabilem alicui alii homini coronato aut non coronato enti et futuro cristiano et pagano viro et mulieri qui possunt vivere et mori quemadmodum de coronato capitulum pertractatum est in aula domini imperatoris et intellectum est michi per interpretationem et probatum a me ad honorem et utilitatem imperii — 3 53 — eius et romanie. quod quidem sic debeo et ego genuensibus interpretari ut utique et in his que sequuntur, sic hujusmodi capitulum intelligatur et conservetur, et nunquam facient aliquando genuenses detrimentum alicuius regionis imperatoris et corporis ipsius et heredum et successorum eius, sed neque diminutionem imperii eius et honoris eius facient aut perquirent hanc sive per se sive aliter, sed magis si persenserint tale quid in regione genue impediant hoc. et si ab aliquibus fiat assultus aut obsidio adversus aliquas regiones imperatoris qui in illis inveniuntur genuenses cum omni fide absque dolo et malo ingenio defendent et custodient hujusmodi regiones ad honorem domini imperatoris et heredum eius, si autem venerit aliquis stolus cuiuslibet inimici cristiani sive alterius fidei contra aliquam regionem domini imperatoris usque ad centum galeas habens vel ultra, genuenses omnes qui inventi fuerint in regionibus romanie intrabunt in galeis imperatoris cum consueta roga quam de aula imperatoris solent accipere latini et ibunt contra hujusmodi stolum cum galeis grecorum et non revertentur donec compleatur huiusmodi servitium, et grecorum galee redeant in magnam civitatem aut in aliam regionem imperatoris, veruntament cum ituri sunt debent habere licendam dimittendi ad custodiam navium et rerum su;irum viginti viros quos ipsi delegerint: in tot quidem galeis singulariter debent genuenses intrare quot galeis armare plenissime suffitiunt. si autem in aliqua regione neque ad unam galeam armatam sufficiunt intrabunt omnes in unam galeam cum aliis alienigenis qui sufficiant ad armaturam illius, cum autem imperator voluerit mittere genuam pecunias sive res aut homines suos sive galeas aut naves contra quemcumque mittat hec cristianum vel paganum coronatum vel non coronatum, habebunt de necessitate genuenses suscipere cum honore et defendere in regione sua et custodire iuxta voluntatem eorum qui illic sunt, hominum imperatoris omnes missas pecunias et res et homines eius et galeas et naves quot et quales fuerint ab omni homine coronato et non coronato, debet interpositio autem et hic intelligi capitulum de coronato sicut superius expositum est ad honorem et utilitatem domini imperatoris et romanie. et non impedient aliquando genuenses dominum imperatorem et heredes et successores eius in possessionem alicuius — 354 — regionis excepto iure quod habent in regione syrie sive obtinuerint bello sive emptione vel aliter quocumque modo, si autem et in istis servabitur ex parte imperatoris genuensibus ius eorum, neque in istis impedient imperatorem quin faciat quodcumque voluerit in ipsis regionibus, de offensis autem quas forte facient genuenses in regione imperatoris in grecos vel in alienigenas alios qui non sunt genuenses iudicabuntur ab aula domini imperatoris quemadmodum venetici et relique latine generationes, si autem acciderit aliquando quod aliqui genuenses depopulentur vel aliter ledant aliquam regionem domini imperatoris aut homines ipsius, dabitur notitia genue ab imperatore aut per scriptum vel per legatum et ipsi solliciti erunt absque dolo et malo ingenio invenire malefactores et facere in ea iustitiam et ultionem que spectet ad honorem domini imperatoris. Si autem forte non inveniatur hujusmodi fiet in res eorum ultio similiter, hanc convenientiam et que in ea ostenduntur capitula omnia debent habitatores totius civitatis genue a primo usque ad minimum custodire erga dominum imperatorem romeon porphi-rogenitum Manuel comnenon et omnes heredes et successores eius et romaniam usquequo mundus subsistet, et omnes qui debent fieri oenue consules aliter non debent fieri nisi prius iurent cum consilio O 1 et exhortatione archiepiscopi et principum totius comunitatis genue quod in huiusmodi convenientia factum est iusiurandum. et quod firmam servent huiusmodi convenientiam et incorruptam, et quod nunquam absistant genuenses ab huiusmodi convenientia quin faciant secundum eam neque per ecclesiasticam prohibitionem, neque per diffinitionem cuiuslibet hominis coronati aut et non huiusmodi. domino imperatore et heredibus et successoribus eius debentibus in perpetuum conservare ea que ab imperio eius per presentis auree bulle constitutionem promissa sunt civitati genue, que et habent sic. — Propter clementiam namque et bonam voluntatem quam habet sanctissimus dominus imperator romeon erga habitatores civitatis genue et propter servicium et bonam voluntatem quam profitentur explere penes imperium eius et romaniam in seculum omne promittit imperium eius tribuere civitati genue embolum et scalam et ecclesiam trans constantinopoliin in locorum positione que dicitur orcu in loco bono et placito, et dabuntur civitati genue — 3 55 — et comuni gratia solemni annualiter yperpera quingenta et blattia duo et archiepiscopo genue yperpera sexaginta et blattium unum, dabuntur autem nunc simul civitati et comuni genue solemnia annorum viginti et sex propter imminentes eius sumptus: commer-chium autem prestabunt sic videlicet constantinopoli quidem de centum quatuor. in aliis vero regionibus romanie quemadmodum reliqui latini qui dant commerchium. custodientur autem genuenses et res eorum integre in omnibus regionibus imperatoris. Si autem aliqua forte lesio per aliquos istis acciderit invenient iusticiam ab imperio eius sicut est conveniens, set et cum querimoniam fecerint contra aliquem grecum aut alterius gentis in conspectu imperatoris invenient iustitiam in aula imperii eius, habebunt autem et licentiam genuensium naves negotiari in omnibus usquequaque regionibus absque roffia et matracha nisi forte signanter contingat quod et hoc permittitur eis ab imperio eius, si autem introduxerint merces in magnam civitatem et non poterunt eas vendere fiet de huiusmodi mercibus sicut consuetudo est fieri de reliquis latinis commerchia prestantibus. et si navis genuitica a quocumque loco veniens in romania periclitetur et accidat aliquas res qi:e in ipsa sunt auferri ab aliquibus fiet preceptum imperii eius ad vindictam et reintegra-tionem huiusmodi rerum, amplius et hoc statutum est ut si accidat peccare aliquos genuenses quomodocumque ut non iudicentur ab aliquo alio alterius gentis nisi ab aula imperatoris presidentibus scilicet romeis consanguineis aut et hominibus imperii eius et ut non trudatur in carcerem qui peccavit ante iudicium si dederit fideiussorem. Si autem non dederit fideiussorem ut detineatur in carcere, emittetur autem et iudicabitur donec fiat judicium de eo. ad hec mittetur post decursum quinque annorum vestiarita ad iudicandum genuenses si ipsi conquesti fuerint domino imperatori, hec omnia que in presente charta manifestata sunt, convenio ego jam preostensus legatus civitatis genue amicus de murta et iuro absque dolo et malo ingenio aliquo ex precepto et voluntate archiepiscopi et consulum et comunis tocius civitatis genue quod ipsi fovebunt hec et jurabunt et firma conservabunt et incorrupta in seculum omne, quoniam igitur huiusmodi convenientiam prefatus legatus fecit et iureiurando eam confirmavit ecce et imperium meum promittit per presentis auree bulle constitutionem suam ut si genue omnis plenitudo archiepiscopus videlicet et consules et multitudo universa comunitatis huiusmodi convenientiam suscipientes de moie expleverint hanc et in scripto fecerint et iuraverint quod secundum interpositas in ea distinctiones servabunt eam in seculum omne ad honorem imperii nostri et romanie firma conservabuntur et ab imperio nostro que ab ipso sunt promissa genuensibus que et superius ostensa sunt donec videlicet sine fallacia et inalterabi 1 ittrr servabuntur que ipsi convenerunt imperio meo et romanie, presentis auree bulle constitutione imperii mei firma et sine fallacia permanere debente que facta est per ottobrem mensem presentis tercie indictionis sexmillesimo sexcentesimo septuagesimo octavo anno in qua et nostra pia et a deo posita subsignavit potentia. b) Altra versione sincrona (x). Quandoquidem venerabilissimus Archiepiscopus civitatis Ianue et Sapientissimi Consules et universum commune ejusdem civitatis mittentes ad imperium meum sapientem nuncium eorum Amicum de Murta dederunt ei potestatem tractare et conventare eum imperio meo de quibus voluerint. Ille autem ad Imperium meum perveniens et de his negocus sufficienter tractans hanc convencionem hic ostensam fecit et sacramento eam confirmavit que et sicut habentur de verbo in verbum ( ). In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti amen. Ego Amicus de Murta civis Ianue legatus ab Arehiepiscopo civitatis Ianue et a consulibus et ab omni communi civitatis Ianue accipiens potestatem et injunctum ab eis ut quicquid juravero et conveniero vice Ianue cum Sanctissimo et excellentissimo Imperatore Romeon (i) Cfr. Sauli II, 188, che però non ha le note o proteste del Governo contro certi tratti della convenzione; che il Sanguineti ha riportate a parte con rimandi ai luoghi relativi di questa versione, qui segnati con asterischi. (*) Quandoquidem venerabilissimus Archiepiscopus...............que et sic habentur de verbo in verbum. || prima conventio que postea fuit emendata per Amicum de Murta ut infra. — 357 — porfiro genito Domino hemanuele cornino firmum et ratum erit hoc ab eis. Hanc presentem convencionem facio et juro ex voluntate archiepiscopi et consulum et tocius communis civitatis Ianue ad sanctissimum dominum imperatorem Porfiro Genitum dominum hemanuelem cominon et ad omnes heredes et successores imperii ejus et romuniam (*) sicut significabitur. Quum ab hodie et in antea usque in sempiternum donec mundus steterit non erunt Ianuenses contra imperium ejus vel contra ejus heredes et successores vel contra Romaniam vel contra aliquam terram ipsius imperii quam nunc habet vel quam in antea Domino adjuvante acquisierit neque per consilium, neque per pecuniam, neque per stolum idem per navalem exercitum neque ullo aliquo modo neque Ianuenses hoc facient neque aliqua conjungentur justa vel injusta occasione alicui homini coronato vel non coronato qui sit vel qui erit christiano vel pagano viro vel mulieris qui mori vel vivere possit. Sici.t de capitulo coronati tractatum est in curia domini Imperatoris et intellectum et interpretatum est mihi et a me confirmatum ad honorem et proficuum ejus imperii et Romanie. Sicut et ego debeo hoc interpretari Ianuensibus ut et in antea sic istud capitulum intelli-gatur et observetur (**). Et nunquam facient Ianuenses dampnum alicujus terre Imperatoris et persone ejus vel heredum et successorum ejus. Neque facient diminucionem imperii sui vel honori ejus neque inquirent hanc per se vel aliter sed maxime si aliquid tale intellexerint in terra Ianue debeant hoc disturbare. Et si ab aliquibus fuerit assultus factus vel obsessio contra aliquam terram imperatoris, Ianuenses qui in terris illis fuerint inventi bona fide sine dolo et fraude debent illas deffendere et custodire ad honorem domini Imperatoris et heredum ipsius. Si vero aliquis alicujus inimici ex parte aliqua aliquando pervenerit christiani vel saraceni sive pagani versus aliquas partes imperatoris usque ad numerum centum galearum vel plus universi Ianuenses qui tunc inventi fuerint in terris Romanie debent intrare in galeris domini imperatoris (*).....non erunt Ianuenses contra ejus imperium vel contra ejus heredes et successores vel contra Romaniam. || Non debet esse contra romaniam. (**) Et nunquam facient Ianuenses dampnum alicujus terre Imperatoris. || falsum. - 353 - cum consuetis soldis curie domini imperatoris quos consuevit dare latinis et ire contra supradictum stolum cum galeris grecorum et non revertentur... donec illud servicium compleatur et Grecorum galere revertantur vel in Constantinopolim vel in aliam terram domini imperatoris. Verumtamen quando predicti ianuenses debent moveri habebunt lieentiam relinquendi in custodia navium et rerum suarum homines XX quos maluerint vel elegerint. In propriis vero galeris ibunt ianuenses quot armare poterint. Si vero ianuenses in aliqua terra domini imperatoris neque unam galeram armare poterint omnes in eam intrabunt et complebitur numerus galere ex alia gente sufficienter. Quandocumque vero dominus imperator voluerit Ianuam mittere pocuniam vel res vel homines galeras (*) sive naves contra quemcumque miserit ea christianum sive paganum coronatum vel non coronatum ut ex debito debeant ianuenses honorifice eam recipere et deffendere in terra sua et custodire secundum voluntatem hominum domini Imperatoris qui cum eis erunt omnem pecuniam et res missas homines galeras et naves quanta et qualia erunt ab omni homine coronato et non coronato debentes et hic intelligere capitulum de coronato sicut superius interpretatum est ad servicium et honorem domini imperatoris et Romanie. Et non impedient unquam ianuenses dominum imperatorem et heredes vel successores ejus ad conquirendas terras aliquas preter jus quod habent in terra Surie sive ex bello sive ex emptione seu aliquo alio modo. Si vero et in his ex parte domini imperatoris custodietur Ianuensibus justitia eorum neque in his debent impedire dominum Imperatorem facere in his quicquid voluerit. De offensionibus vero quas fortasse Ianuenses fecerint in terris domini Imperatoris Grecis vel aliis gentibus que non sint Ianuenses debent judicari in curia domini Imperatoris sicut Venetici et cetere latine gentes. Si vero contingerit Ianuenses aliquos depredari aliquando vel aliter ledere aliquam terram domini Imperatoris vel homines ejus dabitur super hoc noticiam Ianue civitati ab imperatore sive (*) Quandocumque vero dominus imperator voluit Ianuam mittere pecuniam vel res vel homines ejus galeas sive naves contra quemcumque miserit ea christianum sive paganum coronatum vel non coronatum. [] additum ultra conventionem. - 359 “ per literas sive per nuncium et dabunt operam sine dolo et fraude invenire eos et facere ex eis justiciam et vindictam ad honorem domini imperatoris spectantem. Si forte isti malefactores inventi non fuerint similiter fiat vindicta in bonis eorum. Hanc conventionem et que in eo scripta sunt capitula omnia debent habitatores tocius civitatis Ianue a (*) majore usque ad minorem observare domino Imperatori romeon porfiro genito domino hemanueli comnino et omnibus heredibus et successoribus ejus et Romanie donec mundus steterit. Et omnes futuri consules Ianue aliter fieri non debent consules nisi prius juraverint cum consilio et consensu archiepiscopi et nobilium et communis tocius ianue sacramentum factum in hac conventione quatenus observetur ista conventio rata et inconcussa. Neque unquam Ianuenses dimittent hanc conventionem vel facient contra eam neque pro ecclesiastica (**) excomu-nicacione neque pro precepto alicujus hominis coronati vel non coronati quemadmodum dominus imperator et heredes ejus et successores imperii sui debent observare semper que ab imperio suo per presens crisobolum logo promissa sunt civitati Ianue que sic habentur. Propter enim gratiam et bonam voluntatem quam habet dominus sanctissimus imperator Romeon ad habitatores civitatis Ianue et propter servicium et fidem quam manifestant complere ad imperium ejus et Romaniam in sempiternum et semper promittit imperium dare civitati ianue embolum et scalam et ecclesiam ultra Constan-tinopolim in loco qui dicitur orcu in loco bono et placabili. Et dare civitati Ianue et communi propter solempnias singulis annis perperos D et pallia duo et archiepiscopo ianue perperos LX et pallium unum. Et dabuntur modo simul civitati e communi Ianue solempnias annorum XXVI propter expensas que eis imminent. Et ut debeant commercium dare sic videlicet in Constantinopolim de (*) Hanc conventionem et que in ea scripta sunt capitula omnia debent habitatores tocius civitatis Ianue a maiore usque ad minorem observare. || additum ultra conventionem. (**) Neque unquam Ianuenses dimittent hanc conventionem vel facient contra eam, neque pro « Ecclesiastica excommunicatione ». || additum et non conventum. Atti Soc. Lig. St. Pitku. Voi. XXVUI, tasc. 11, Serie 3.* 23 — 360 — centum quatuor. In aliis vero terris Romanie sicut ceteri Latini dant commercium. Custodientur vero ianuenses et res eorum integre in omnibus terris domini imperatoris. Si vero lesio aliqua eis ab aliquo illata vel facta fuerit invenient justiciam ab imperio eius secundum quod decens est. Sed et statini quod reclamationem fecerint contra aliquem grecum vel aliam gentem coram imperatore invenient justiciam in curia imperii sui. Habebunt vero potestatem naves ianuensium negociari in omnibus terris ubicumque voluerint preter in Rusiam et in matica nisi forte ab eius imperio specialiter hoc fuerit eis concessum. Si autem Ianuenses res suas in Constantinopolini introduxerint, easque vendere non poterint fiet de rebus eorum sicut consuetudo est fieri in aliis latinis qui dant commercium. Et si aliqua navis Ianuensium a quacumque parte venerit naufragium passa fuerit in Romaniam et contingerit de rebus eius auferri eis ab aliquo fiat preceptum Imperii eius vindicandi et recuperandi res amissas. Adhuc et istud preceptum et quum si contingerit Ianuenses offendere aliquem modo aliquo non debent judicari ab aliqua alia gente nisi a curia domini Imperatoris presidente iudicante videlicet aliquo de consanguineis grecis imperatoris vel de hominibus ipsius, neque tenebitur in captione faciens iniuriam ante iudicium si dederit fideiussorem. Si vero fideiussorem non dederit tenebitur quidem in custodia extrae-tur tamen et iudicabitur donec iudicium manifestum et finis iudicii fuerit in ipso. Preterea expletis quinque annis mittetur camerarius domini Imperatoris ad vindictam faciendam Ianuensibus si ipsi per damnacionem domino Imperatori fecerint. Ista omnia in presenti carta significata conventio ego prenomi-natus nuncius civitatis Ianue Amicus de Murta et iuro sine fraude et malo ingenio ex precepto et voluntate archiepiscopi consulum et tocius civitatis communis civitatis Ianue communis confirmari et observari ab eis et iurari et firma et stabilia custodite in sempiternum et semper. Quandoquidem presentem sinphoniam et conventionem prenominatus nuncius fecit et sacramento hanc confirmavit. Ecce et imperium meum per presens crisobuluni logo eius quum si universitas Ianuensium videlicet archiepiscopus consules et multitudo tocius communis hanc convencionem recipientes — ]6i — secundum consuetudinem eam complebunt et per scriptum fecerint et iuraverint quod secundum prescriptas eius distinctiones et capitula observabunt eam incorruptam et immobilem usque in sempiternum et semper ad honorem imperii nostri et Romanie firma observabuntur ab imperio nostro que ab eo promissa sunt Ianuensibus que superius sunt significata, donec videlicet firmiter et indissolubiliter observabuntur que ab eis conventata sunt imperio meo et Romanie presente grisoboliologo imperii mei firmiter et stabiliter perseverare debente. Facto mense octubris presentis tercie indictionis anno M.........LXXVIII. In quo et nostrum clementissimum et a deo concessum signavit imperium vel potestas. — Subscriptio proprie manus imperatoris Manuel in Christo deo fideliter Imperator porfiro genitus et aftocrator romeon o cominos. c) Altra versione : Archiv.t \fa^{0 /, bambagine. Quandoquidem venerabilissimus Archiepiscopus civitatis Ianue et sapientissimi consules et universum commune ejusdem civitatis mittentes ad imperium meum sapientem nuncium eorum Amicum de murta dederint ei potestatem tractare et conventare cum imperio meo de quibus voluerint. Ille autem ad imperium meum perveniens et de his negotiis sufficienter tractans hanc conventionem hic ostensam fecit et sacramento eam confirmavit, que et sic habentur de verbo in verbum. In nomine patris et filii et spiritus sancti amen. Ego Amicos de murta civis Ianue legatus ab archiepiscopo civitatis Ianue et a consulibus et ab omni communis civitatis Ianue accipiens potestatem et injunctum ab eis ut quidquid juravero et conveniero vice Ianue cum Sanctissimo et excellentissimo Imperatore Romeon porfiro genito domino hemanuele cornino firmum et ratum erit hoc ab eis. hanc presentem conventionem facio et juro ex voluntate archiepiscopi et consulum et tocius communis civitatis Ianue ad sanctissimum dominum Imperatorem porfiro genitum dominum hemanuelem cominom. et ad omnes heredes et successores imperii ejus et romaniam sicut significabitur ab hodie et in antea usque in sempiternum donec mundus steterit non erunt Ianuenses contra — 362 — ejus heredes et successores vel contra Romaniam vel contra aliquam terram ipsius imperii quam nunc habet vel quam in antea domino adiuvante acquisierit, neque per consilium neque per pecuniam neque per stolum idem per navalem exercitum, neque ullo aliquo modo, neque Ianuenses hoc facient, neque aliqua conjungetur justa vel injusta occasione alicui homini coronato vel non coronato qui sit vel qui erit christiano vel pagano viro vel mulieris (sic) qui mori vel vivere possit. Sicut de capitulo coronati tractatum est in curia domini imperatoris, et intellectum et interpretatum est et a me confirmatum ad honorem et proficuum ejus imperii et Romanie, sic et ego debeo hoc interpretari ianuensibus ut et in antea sic istud capitulum intelligatur et observetur. Et nunquam facient Ianuenses dampnum alicujus terre Imperatoris, et persone ejus vel heredum et successorum ejus. Neque facient diminucionem imperii sui, vel honori eius, neque inquirent hanc per se vel aliter, et maxime si aliquid tale intellexerint in terra Janue debeant hoc disturbare. Et si ab aliquibus fuerit assultus factus vel obsessio contra aliquam terram Imperatoris Ianuenses qui in terris illis fuerint inventi bona fide sine dolo et frande debent illas defendere et custodire ad honorem domini Imperatoris et heredum ipsius. Si vero aliquis alicujus inimici ex parte aliqua aliquando pervenerit chiistiani vel saraceni sive pagani versus aliquas partes imperatoris usque ad numerum centum galearum vel plus universi Ianuenses qui tunc inventi fuerint in terris Romanie debent intrare in galeis domini imperatoris cum consuetis soldis curie domini Imperatoris quos consuevit dare latinis et ire contra supradictum stolum cum galeis grecorum et non revertentur donec illud servicium compleatui et grecorum galee revertantur vel in Constantinopolim vel in aliam terram domini imperatoris. Verumtamen quando predicti Ianuenses debent moveri habebunt licentiam relinquendi in custodia navium et rerum suarum homines XX quos maluerint vel elegerint. In propiiis vero galeis ibunt Ianuenses quot armare poterint. Si vero Ianuenses in aliqua terra domini Imperatoris neque unam galeam armare poterint omnes in eam intrabunt et implebitur numerus galee ex alia gente sufficienter. Quandocumque vero dominus Imperator voluerit Ianuam mittere peccuniam vel res vel homines ejus galeas sive naves - 363 — contra quemcumque miserit ea christianum sive paganum, coronatum vel non coronatum, ut ex debito debeant Ianuenses honorifice eam recipere et deffendere in terra sua et custodire secundum voluntatem hominum domini Imperatoris qui cum eis erunt omnem pecuniam et res missas, homines, galeas et naves, quanta et qualia erunt, ab omni homine coronato et non coronato debentes et hic intelligere capitulum de coronato sicut superius interpretatum est ad honorem et servicium domini imperatoris et Romanie. Et non impedient unquam Ianuenses dominum imperatorem et heredes et successores ejus ad conquirendas terras aliquas preter jus quod habent intra Surie sive ex bello sive ex emptione seu aliquo alio modo. Si vero et in his ex parte domini Imperatoris custodietur Ianuensibus justitia eorum neque nihil debent impedire dominum Imperatorem facere in his quidquid voluerit. De offensionibus vero quas fortasse ianuenses feccerint in terris domini Imperatoris grecis vel aliis gentibus que non sunt januenses debent judicari in curia domini imperatoris sicut venetici et cetere latine gentes. Si vero contingerit (sic) januenses aliquos depredari aliquando vel aliter ledere aliquam terram domini imperatoris vel homines ejus dabitur super hoc noticiam janue civitati ab imperatore sive per litteras sive per nuncium et dabunt operam sine dolo et fraude invenire eos et facient ex eis justitiam et vindictam ad honorem domini Imperatoris spectantem. Si forte isti malefactores inventi non fuerint similiter fiat vindicta in bonis eorum, hanc conventionem et que in ea scripta sunt capitula omnia debent habitatores tocius civitatis Ianue a majore usque ad minorem observare domino imperatori romeon porfiro genito domino hema-nueli to (1) commino et omnibus heredibus et successoribus ejus et romanie donec mundus steterit. Et omnes futuri consules Ianue aliter fieri non debent consules nisi prius juraverint cum consilio et consensu archiepiscopi et nobilium et communis tocius Ianue sacramentum factum in hac convencione quatenus observetur ista conventio rata et inconcussa. Neque unquam Ianuenses dimittent hanc convencionem vel facient contra eam neque pro ecclesiastica excommunicatione neque pro precepto alicujus hominis coronati ( 1) = Tip come tu = toS, tis = xTjg ecc. - 364 — vel non coronati, quemadmodum dominus imperator et heredes ejus et successores imperii sui debent observare semper que ab imperio suo per presens crisobolum logo promissa sunt civitati janua, que sic habentur. Propter enim gratiam et bonam voluntatem quam habet dominus imperator romeon ad habitatores civitatis Ianue et propter servicium et fidem quam manifestant ad imperium ejus et romaniam in sempiternum et semper promittit imperium dare civitati Ianue embolum et scalam et ecclesiam ultra Constantinopolim in loco qui dicitur orcu in loco bono et placabili. Et dare civitati Ianue et communi propter solempnias siugulis annis perperos D et pallia duo et aschiepiscopo Ianue perperos LX et pallium unum. Et dabuntur in simul civitati et communi Janue solempnias annorum XXVI propter expensas quae eis imminent. Et ut debeant commercium dare sic, videlicet in constantinopolim de centum quattuor. In aliis vero terris Romanie sicut ceteri latini dant commercium. Custodientur vero Ianuenses et res eorum integre in omnibus terris domini imperatoris. Si vero lesio aliqua eis ab aliquo illata vel facta fuerit invenient justiciam ab imperio et secundum quod decens est. IV. (A. Descrizione dell’embolo assegnato ai Genovesi entro Costantinopoli nell’aprile 1170 e diploma di concessione del medesimo nel maggio successivo (1). Ibidem. Mense Aprili decima. Indictione tercia. Iuxta preceptum potentis et Sancti nostri Imp. astitimus cutn Nobilissimo Prefecto Domino Basilio Camatero in positione locorum Onorii videlicet Coparion ut describeremus submonstrata nobis ab ipso habitacula quae sunt data Genuensibus cum his qui eis adjacent fundis in quibus aliquando habitacula fuerunt, quae et habent sic ad orientem emboli qui dicitur Coparion est pars Emboli absque tecto et a parte ipsius septemtrionali habitaculum triclinarium oblongum supero inferum (1) Cfr. Desimoni in Giornale Ligustico p. 160 nota pag. 178 sgg. — 3^5 — et ab occidentali parte huius iliacum per cubicola et triclinaria et ipsa supero infera que pertinent Monasterio tu Apologothetu preter humile triclinarium in quo est furni stacio. Ad meridiem Emboli sunt muri cum calce fabricati latericii p. pisos (sic) duos et fornices et desuper per pectorale marmoreum refractum cum cancellata finestra et ab occidente hujus usque ad supero inferum bifluum vel Bicanale habitaculum Monasterii tu Anguriu est fundus in quo fuerunt aliquando habitacula et ipse Monasterii est tu Apologothetu cum aliquibus fundamentis qui habent longitudinem ab eo qui dictus est versus Orientem muro cum calce fabricato et ab Occidente usque ad supero inferum habitaculum Monasterii tu Anguriu Cubitorum xxmr et latitudinem a muro Emboli et usque ad finem ejusdem supero inferi habitaculi Monasterii tu Anguriu cubitorum novem cum dimidio. Et qui superius est prescriptus absque tecto parvulus Embolus pertinet et idem monasterio tu Apologothetu. Ab his versus Occidentem est Triclinarium oblongum supra Embolum qui pertinet Monasterio tis Ypsilis. Ab ipso versus Occidentem est fundus sine tecto in quo aliquando fuit Embolus et ad meridiem hujus sunt habitacula supero infera tria per cubicula oblonga et cum ergasteriis Fabrorum Lignariorum versus Embolum qui pertinet monasterio tu Anguriu. Amplius ab his versus Occidentem est fundus in quo fuerunt quondam habitacula et cum quibusdam fundamentis et puteo pertinentia Monasterio tu Apologothetu qui habet longitudinem cubitorum XX cum medio et latitudinem cubitorum vii et terciam — a Septemtrionali parte horum est fundus absque tecto quod quondam fuit emboli et ab hoc supra Embolum est cenaculum oblongum cum Iliaco versus Septemtrionem et versus meridiem sunt habitacula supero infera V et ipsa per Triclinaria et cum ergasteriis Fabrorum Lignariorum — ab his sunt IIII supero infera cum dicto cenaculo emboli quod est ad horum similitudinem qui pertinet Monasterio tu Anguriu. Aliud vero pertinet Monasterio tu Apologothetu. Predictus autem sine tecto embolus qui est inter prescripta habitacula tis Ypsilis et cenaculum habitaculi Monasterii tu Apologothetu pertinet predicto Monasterio tu Apologothetu. Ad Septemtrionem hujusmodi tocius ambitus est fundus desertus in quo habitacula fuerunt quondam qui pertinet — 366 — Monasterio tu Apologothetu cum puteo qui incipit a prescripto versus orientem supero infero habitaculo ubi est furnus et desinit in fine supero inferorum habitaculorum quae sunt supra Embolum Monasterii tu Anguriu. habet longitudinem cubitorum septuaginta vi et latitudinem cubitorum 12. Cum his data est eis et littoralis scala que pertinet Monasterio tu Manuel per cujus medium transit aque cursus qui egreditur recta linea per portam que dicitur Bonu habens longitudinem ab Oriente versus Occidentem cubitorum xxx cum uno et medio et latitudinem a meridie videlicet a publica via et usque ad mare cubitorum xxir. Et in parte hujus intra mare est palorum fixio repleta terra que habet longitudinem cubitorum vm et latitudinem cubitorum vii. Sunt autem et in circum mensuratione ista habitacula plana XI et supero infera duo bicanalia ad Ergasteria. Et e regione hujus ad meridiem publice vie et prope murum civitatis habitacula humilia x ad Ergasteria quorum tecta in unam partem stillant. His ita inventis et traditis presens pragmaticum expositum est mense atque indictione prescriptis. Sexmillesimo Sexcentesimo Septuagesimo octavo anno. Cum his traditus est eis et fundus Ecclesie plane gratia edificande qui incipit ab eo qui versus Orientem Angiportu qui ab ipso principio est obtinentiae illorum que tradita sunt et pertransiens versus Occidentem usque ad humile habitaculum in quo est furnus habet longitudinem cubitorum XXII et latitudinem cubitorum novem. Ultra ea quae tradita sunt novem cum dimidio cubitorum latitudinem. + + +. Tribunus Stayracius, Oglycas Tribunus, Iohannes tu Anza. (B. Contigit quidem ut Imperium meum faceret Chrisobulum fidelissimis suis Genuensibus diffiniens que diffinit paciscentibus cum Imperio meo que pepigerunt per prudentissimum legatum eorum Amicum que manifeste in illiusmodi Chrysobulo Imperii mei continetur. Enimvero in premonstrato continetur Chrysobulo quod daretur eis Embolus et scala trans magnam Civitatem sicut et factum est. Similiter autem ostenditur in illiusmodi Chrysobulo ut — 367 — darentur eis statuta solemnia pro annis xxvi Nomismata scilicet et blattia quae et in facta tunc convenientia monstrantur. Nunc vero preostenso legato adhuc moram faciente hic et deprecante super hoc Imperium meum, constituit Imperium meum ut demutaretur eis hujusmodi Embolus et scala et daretur illis in magna Civitate. Tribuerentur quoque ipsis pro solemniis jam dictis solemnia annorum decem, et quidem proclive factum Imperium meum supradicti legati petitionibus statuit sic fieri. Sancit igitur per presentis aureae bullae sigillum ut ipsi possideant hujusmodi Embolum et scalam in magna Civitate sicut illis tradita sunt vice illorum que data fuerant eis in transmare partibus et ut rata sint reliqua que in prius facto Chrysobulo Imperii mei comprehensa sunt siquidem et Genuae universa plenitudo susceperit huiusmodi juramentum et convenientiam legati sui et adimpleverit hanc et per propria juramenta firmaverit sicut in ea comprehensum est : verumtamen non licebit qui in magna civitate seu in aliis regionibus Imperii mei habitant Genuensibus cum meditacione et consilio malo accipere arma adversus aliquos homines Romaniae. Quod si forte acciderit quamlibet pugnam ab aliquibus contra eos exurgere ut ipsi compellantur accipere arma contra illos cessabunt ab hujusmodi impetu diffinitione Imperii mei aut hominum ipsius et non poterunt his aut illis associari et vindicare quoscumque voluerint, sed cohiberi sola jussione Imperii mei et hominum ipsius et facere per omnia quae mandabuntur ab ipsis. Propterea enim lioc presens Imperii mei aureae bullae sigillum attributum est quod debet ascribi cum eo quod ante factum fuit chrysobulo Imperii mei et reddi Genuensibus ad securitatem. Mense Majo Indictione tercia (1). (1) Nota il Desimoni che vi è un terzo diploma di Manuele di cui abbiamo il testo greco senza la traduzione ufficiale e che è inserito ma senza data nel Crisobullo del 1152 (vedi a suo luogo), col quale l’imperatore Isaaco Angelo rinnova i privilegi ai Genovesi; ivi è loro promesso l’embolo dentro Costantinopoli, èvtÒ£ -cf)$ MsyaXoTióXsujs : perciò è chiaro che questo documento greco appartiene all’ aprile o maggio 1170 e va unito ai due di questo stesso anno, qui sopra riferiti. — 368 — V. 1174- — Istruzioni all’ambasciatore Grimaldi e suo giuramento. 8 dicembre 1174. Arch% ibidem, in due codici A (grande) B (piccolo) Sauli, li, 188. Ego ex quo iter arripiam causa eundi in hanc (legationem) ad quam electus sum et prò qua juro me it(urum?) per bonam fidem tractabo operabor honorem et utilitatem Ianue urbis ore et sermone nec in contrarium operabor ullo modo ut consensum prestabo ut oportet et hoc legationis munus mihi impositum bona fide ad honorem civitatis Ianue complere studebo sicut consules communis omnis vel major pars mihi ordinaverint. Quidquid ego vel pro me alius consecutus fuerit occasione hujus legationis excepta vianda et lumi-nariis non in fraude datis vel receptis vel valens restituam vel restitui faciam in potestate omnium vel majoris partis clavigerorum Ianue qui sunt vel erunt pro tempore infra mensem postquam revisa fuerit legatio in presentia Consulum communis. Si quas preterea ordinationes mihi omnis vel major pars Consulum fecerint eos observare et adimplere tenebor sine fraude, nec ullomodo permittam quod aliquis ex filiis meis vassallus imperatoris in toto hoc itinere deveniat nec paciscar quod aliquis debeat devenire, nec portabo aut mittam nec portari faciam domum aut dono aliquo ulli persone in hac legatione que valeant ultra libras x et non vetabo suscipere donum vel dona aliqua a curia et illa reddere et consignare clavigeris in reditu et in consilio reddam rationem quum reversus fuero totius quod mihi vel alicui per me datum fuerit. Hec omnia bona fide observabo et adimplebo nisi quantum justo dei impedimento aut oblivione vel licentia omnium vel majoris pai tis consulum de communi qui sunt vel erunt pro tempore remansit et transacto impedimento itidem tenebor. Hec iuravit Grimaldus vm die exeuntis decembris MCLXXIIII. Mementote petere pro Ottonebono socio nostro perperos cccc quos a tempore conventionis macrapoliti infra quidem socius suus amisit per ducam Davolono qui eos sibi abstulit violenter et ita vult jurari super animam suam. — 369 — Mementote petere ab imperiali magestate perperos ccccxx per Idonem guntardo fideli vassallo imperialis celsitudinis quos debet recipere de lb. cv quas intuitu imperialis celsitudinis demetrio macropolito mutuavit sicut in carta grecis litteris scripta et latinis subscripta legebatur et ipsius demetrii subscriptione roborata in qua etiam continebatur quod iuraverat predictam solutionem facere. Cura qua dum ad pedes imperatoris suos nuntios direxisset in reditum imminente maris tempestate cum aliis sarcinulis in mare projecta fuit sicut legitime idoneis testibus Ido comprobavit. Consules qui ante nos precesserunt hoc ratum habentes ei autenticam scripturam et laudem inde fecerunt ipsos perperos habere studete et date filio suo quem ad pedes imperiales transmittit. -j- In nomine Domini amen feliciter. MCLXXV Indictione septima mense decembri Ordinationes et memorialia data Grimal do misso legato ad Constantinopolitanum imperatorem per Consules communis Wilelmtm Longum Ottonem de Cafaro Wilelmum aurie Bonum vassallum de anthiochia atque Wmum pip Hec sunt Grimalde que nos consules omnes concorditer vobis ordinamus et ingiungimus. Studete diligenter augere embolum et scalam et ampliare et habere ecclesiam que ibi est et domos usque ad mare et adhuc scalam unam et quanto majora et meliora deo propicio consequi poteritis. De annis XVIIII qui transierunt a conventione demetrii macram-politi debemus recipere pro unoquoque anno perperos lx nomine domini archiepiscopi et pannos duos sete pro communi nostro et unum pallium pro eodem domino archiepiscopo quorum pannorum extimatione ponimus in perperos c sexaginta pro unoquoque anno perperi clx per annos xvim qui sunt perperi mmmxl, quorum pro domino archiepiscopo mdcclxiii et pro communi perperi mcclxxvii. — 370 — Item pro opere nostre matris ecclesie pulcra et laudabili fabricatione ad honorem dei et gloriosi martiris beati laurentii et perpetuam domini imperatoris gloriam edificanda petite a sanctitate imperiali x perperorum et annuatim postmodum quod conveniens videatur donec opus deo auctore compleatur, quo teliciter peracto illud annuum habeant canonici nostre matris ecclesie pro anime sue et parentum suorum remedio. It. Solempnia d perperorum per annum consequi studeatis et exstimationes duorum palliorum communis de annis xx et pluribus in quantum poteritis sine fraude. It. Perditas nostrorum concivium de embolo de sancta cruce sicut in ratiociniis imperii conscriptum est diligenter restitui postuletis. Quod sane rationis et equitatis est cum apud altissimam urbem constantinopolim sub fide et alis imperii securiter cum suis cives nostri convenissent ibique vim passi et bonis suis crudeliter expoliati sunt. Cum eo ipso imperialem magestatem eis fidem plenissimam et omnimodam defensionem debere omni congruat equitati quod drictum commercii susceperis. Tandem in scansimento et misericordia imperiali te indeponas. It. Perditam quoque navis villani gauxoni quum infra sinum imperii per homines suos apud citrillum dum scopulis adhesisset exho-nerata fuit, et pecunia tota contra jus et pium dispersa. Ab hac ultima conventione infra et de qua sanctissimus imperator optimam promissionem fecit legato nostro instantissime postuletis et totam consequi studeatis et ad ultimum sicut vobis melius videbitur inde misericordiam imperialis clementie consequamini. Dummodo ipsam primo cognoscatis misericordiam et que vobis conveniens videatur. Mementote etiam quod Amico de murta hanc perditam imperialis celsitudo restituere promisit. It. Similiter et perditam navis de nigrampo de qua similem promissionem sanctissimus imperator fecit eidem legato nostro Amico omni diligentia consequi non pretermittatis. et si absque sententia inde consequi poteritis quocumque modo sive pro concordia sive pro mercede vel misericordia quod vobis conveniens videatur faciatis licenter. — 37' - It. Perditam quoque Emboli de coparia de novo Ianue dati instanter postulatis, de qua similem premissionem habuit a curia jam dictus legatus, occasione ejus rapine curia omnem pecuniam venetorum, cepit cum inde culpabiles essent et sceleris ejusdem rei. Et si absque sententia inde consequi poteritis quod vobis conveniens videatur quocumque modo sive pro concordia, sive pro misericordia vel mercede faciatis. It. Perditam vero navicule de Syo, quam cum toto honere Constantinopolim transvecta fuit et mandato imperiali restituta et postea subtracta. Et quam habuit curia et Mauresonus curie bajulus vendidit. Quod si absque sententia inde consequi poteritis quod vobis conveniens videatur id faciatis. It. Perditam quoque navis nostrorum concivium que apud almiro per venetos combusta fuit dum Ianuenses in defensione civitatis ad servicium imperatoris se magnanimiter contulissent similiter postuletis. Et si inde consequi poteritis quod vobis conveniens videatur absque sententia id faciatis. It. de perdita navis Lanfranci grancii et sociornm que cum toto honere dum sub fiducia imperii et cum carta imperiali apud paschiam securiter morarentur per burgenses constantinopolitanos et alios pisanos cum toto honere vi occupata fuit atque detenta. Mementote quam melius poteritis ad utilitatem perdentium complere et facere. It. Ceteras omnes perditas a tempore conventionis demetrii ma-crampoliti infra postuletis et consequi studeatis pro mercede et ut civitas Ianue sanctitati sue debeat fidelior permanere. It. De ceteris vero perditis que fuerunt ante conventionem demetrii studeatis et laboretis bona fide consequi quod poteritis pro mercede et scansimento et misericordia imperiali. It. De perperis quos fueritis consecutis pro perditis prirrto accipiatis M communi vm et pro scriba nostro (in renumerationem immensi laboris quem inde sepe sepius passus est dabitis Albergato vel Rubaldo porco B (misso ejus) (i) libram unam perperorum, de reliquis committimus arbitrio vestro quod perdentibus qui presentes erunt vel eorum misso (i) Le parentesi a si leggono nella copia grande, le b nella piccola. — 372 — partem que quemque continget aut minus dare possitis apud constantinopolim sicut vobis videbitur exceptis illis de perdita de Sancta Cruce, quos omnes simul Ianuam deferetis. Si vero omnes vel maximam partem perperorum perdentium expenditis in solutionem nostrorum debitorum accipiatis dono de tota summa perdentium M M solummodo v redigentes vm de quibus supra diximus in hanc summam pro mutuo quem inde habuimus. It. De his que pro communi a curia consecuti fueritis dabitis misso cancellarii pro solempniis perperos x et Rubaldo porco misso calige pallio totidem b. Item pro calige pallii Albergato vel Rubaldo porco decem. Item studeatis pro scriba nostro consequi perperos lxxxiii quos villanus gauxonus de suis habebat in navi de citrillo in argento vivo quod greci violenter rapuerunt et eos mundos detis Albergato nuncio suo a misso ejus vel Rubaldo porco sive per se sive cum aliis ipsos a curia fueritis consecutus. It. Similiter pro eo benedictionem consequi studeatis a curia pro A benedictione cartarum conventionis (scripte et scribende) et pro multo obsequio servicio b sancto imperio prestito et prestando et quicquid inde habueritis Albergato vel Rubaldo porco misso eius detis (tribuatis a). M A It. De perperis (v b) quinque milia quos (sicut predictum est) primo de ratione perdentium percipietis et de ceteris quos pro communi a curia fueritis consecutus persolvetis infrascriptis creditoribus vel eorum certo misso perperos infra scriptos cuique nominatim. A Quod si aliquid deesset ad integram solutionem de (perperis) A A perditis (omnibus) communiter compleatis (eis) integram solutionem A _ B (videlicet misso fulconis de castro etc. (Si vero inde integram solutionem facere possetis quod absit non habueritis facite quod omnes B habeant equaliter per libram). A Illud quoque vobis cordi sit diligentissime videlicet discernere et singillatim cognoscere quicquid pro unaquaque perdita ab imperiali — 373 — clementia pro misericordia vel alio quocumque modo fueritis consecutus. A Quidquid fueritis consecuti a curia exceptis victualibus et luminaribus non in fraude datis vel receptis restituatis in reditu vestro sicut ordinavimus et in scriptis dedimus intraturis consulibus idest clavigeris vel creditoribus scientia consulum. A Albergato pro labore suo dabitis perperos xxxii. et medietatem benedictionis quam forte a curia fueritis consecutus Ratio debitorum. Misso Fulconis de Castro . . de lb. cl B pro eo Ogerius pediculo A de perperis quos a curia fueritis consecutus Misso Wilelmi cavarunchi . . de lb. ccl A pro eo Iohannes filius ejus B pro eo Iohannes cavaruncus Ogerio pedicule.....de lb. cxxx B ipsemet Rufino Anne guercie. . . . de lb. ccl Misso Alberici......de lb. lxxx Item eidem.......de lb. xlii adcal. iii- Pro eo Iohannes Zurlus A Misso Ogerii de Castro. . . de lb. c de veteri Nicola Lecanoze pro eo A pro eo Nicola Philippi Misso Nicole Philippi de Lamberto ........de lb. 1 ppos dc persolvatis ppos M ppos dxx ppos M ppos cccxx ■ppos cxlvii ppos ccc A vetus debitum ppos cc — 374 — Misso Elie.......de lb. 1 ppos cc A pro eo Stephanus frater ejus B Stephanus Elie Misso Lanfranci cigale . . . de lb. c ppos cccc prò eo boccacius Misso Enrici piccamilii ... de lb. ccl ppos m b Boccacius Misso Oberti Lue.....de lb. cc ppos dccc solutus Ianue a legato de medietate pro eo de medietate missus \ Ossorolandus A i de alia medietate Willelmus [ Oberti Ususmaris Ossorolandus pro medietate et Willelmus ususmaris pro alia medietate A ' B Misso Otonis de Calaro... de lb. cl ppos dc i dc. cccc a pro eo Guido Laudensis y A ( 1 vetus A Item eidem......de lb. c de veteri ppos ccccj debitum Misso Lanfranci Piperis ... de lb. ccccl pro eo grimaldus ppos Mdccc Misso Bisacini......de lb. cl ppos dc a proco Ugoni Quartani b Ugoni Quartano Misso Oberti de nigro . . . de lb. c ppos cccc solutus facta a legato a solvendum misso Enrici Malo-celli qui eos comperavit b et pro eo Guido Restis Misso Piccamillii.....de lb. c ppos cccc b pro eo Boccacius — 375 — A Misso Blancardi......de lb. ccxx ppos dccclxxx B MCCCCXX b Willelmo guercio bancherio vel Enrico de Multedo vel Stephano Elie a Item eidem..... de lb. clxxx de veteri ppos dxl datus debitum Misso Pascalis de Marino . . de lb. lxxxx ppos ccclx Misso Oliverii de insulis . de lb. clxii ppos dcxlviii b pro eo villanus de insulis Misso Villani de insulis . . . de lb. c ppos cccc Misso Stabilis..... ppos cccc Misso Arduini . . . . . de lb. ccl ppos M a videlicet Rubaldo fratre ejus aut Oberto tres guise b Oberto fratre ejus vel Rubaldo Misso Wilelmi Zerbini ... de lb. cclxxxiiii ppos dccxxxvi in quibus habet clxxxiii ogerius mozanellus a pro dlii missus Willelmi Bal-dicius frater ejus b ipsis Willelmo vel Baldicio fratri eius a Misso Enrici Malocelli . . de lb. dcccc ppos mm dc A item eidem pro lb. dcccc de de lb. xxi facta solutio Ianue a legato veteri et lb. c quas nobis addidit................Ppos mmmm b Misso Nicolosi farmagi . . ppos cccc Misso Enrici Aurie . . . . de lb. dccl ppos mmm a In quibus Elias habet dc quos Stephanus frater ejus (pro eo) recipiet et Ihoannes de Murta m et Bonusvassallus Augustinus cccc quos pro eo recipit Baldicio Bergogni et Guido nanfus et Squarcjaficus cccc quos Boccacius recipit. Remanent dc quos Baldicio Bergogni et Guido Nanfus recipiunt. Atti Soc. Lio. St. Patri*. Voi. XXV111, Fase. II, Serie }.• — 376 — B In quibus Elias habet dc quos Stephanus frater ejus recipit et Iohannes de Murta m. et Bonusvassallus Augustinus cccc et Squar-cjaficus cccc quos Boccacius recipit. Restant dc quos Enricus de Multedo et Willelmus guercius ban-cherius recipiunt et similiter recipiunt cccc Bonivassalli Augustini. Misso Willelmi de Carmadino de lb. clxvi ppos dclxvii b Anselmus filius eius Misso Ansuisii Mazanelli . . de lb. 1 ppos cc A Anselmus carmadinus pro eo b Anselmus de Carmadino pro eo Misso Opizionis Villani . . . de lb. c ppos cccc Misso Willelmi Leccaveli et fratris........de lb. cc ppos dccc a pro eo Rufinus Anne Guercie et Gallonus b Rufinus Anne Guercie Misso Tanclerii Alde. . . . de lb. 1 ppos cc b Willelmo de Donioto Misso Bertoloti de Volta . . de lb. 1 ppos cc a Missus ejus Willelmus Mussus b Willelmo Musso Misso Ottonis de Murta. . . de lb. c ppos cccc a Missus ejus Iohannes de Murta b Iohanni de Murta Misso Guidonis Spinule ... de lb. lx ppos ccxl Misso Oberti de Domoculta . de lb. cc ppos dccc a Misso Iohannis de marino . de lb. c ppos cccc b Iohanni de Marino vel misso ejus Misso Lanfranci de pallo Oberto Calvo de sancto Damiano . de lb. lxxx ppos cccxx Montanario filio Ustachii quondam....... • • de lb. c ppos cccc Misso Ugonis Cassine ... de lb. ccl ppos u b Fulco Guilie comitisse pro eo co 2 2 .2 3 CJ u, ri 1— de lb. xx ppos Ixxx de lb. x ppos xl de lb. v ppos xx ( £ ^ g de lb. v ppos xx ] O O de lb. x. xv ppos c - 377 — ab Misso Philippi Baraterii ... de lb. cc ppos cccc.cccc dccc Misso Ansaldi Cebe . . Misso March, cassicii. Misso Rainaldi Cebe . . Misso Landoici.... Misso Rainoldi Arcanti . a prò eo Ogerius pedicula a Misso Enrici Malocelli Guidoni Resti.......de lb. c ppos cccc quos a Nicoloso farmaio comperavi quos ipse postea recuperavit Misso Ingonis nocentii . . . de lb. c ppos cccc a prò eo Guilielmus guaraccus b Willelmo Guaracco Misso Embroni......de lb. cc ppos dccc Misso Oberti de nigro . . . de lb. 1 ppos cc a solvit Ianue legatus ad rationem pporum clxxx pro centum B Misso Enrici Malocelli......ppos vii. d. Quorum Obertus tres guise recipit. . . ppos d firminus ppos dc Willelmus Alinerii prò Roberto de Carmadino ........... ppos dccc firminus pro benedicto.......ppos dccc Guidoni resti..........ppos c filiis Idonis Picii.........ppos dccc Otto de Cataro et Tantus.....ppos mmm dcccc De conventione qua aconensis episcopus cum consulibus qui nos A precesserunt tractavit tractetis (et vos et in nomine domini) si B poteritis compleatis (et tractetis et compleatis si possetis in nomine domini). De perditis nostrorum civium non obliviscamini sed eos omni diligentia recuperare studeatis et ut magis memorie vestre sepe occurrant eas infra describi fecimus incipientes a nave Villani gau- — 378 — xoni que apud citrillum naufragium passa est sed greci homines habuerant qui impie naufragos contra jus et pium bonis que secum habebant expoliare minime dubitarunt. b Mementote petere ab imperiali magestate ppos ccccxx pro Idone gontardo fideli vassallo imperialis celsitudinis quos debet recipere de lb. cv quas intuitu imperialis celsitudinis demetrio macrampolite mutuavit sicut in carta grecis litteris scripta et latinis subscripta legebatur et ipsius demetrii subscriptione roborata in qua etiam continebatur quod juraverat predictam solutionem facere. Cum qua dum ad pedes suos nuncios direxisset in reditu imminente maris tempestate cum aliis sarcinulis in mare proiecta fuit. Sed sicut legi-tissime (sic) idoneis testibus Ido comprobavit. Consules qui ante nos precesserunt hoc ratum habentes ei auctenticam scripturam et laudem inde fecerunt. Quos ipsos ppos habere studete et date filio suo quem ad pedes imperiales transmittit. b Albergato pro labore suo dabitis ppos xxxii et medietatem benedictionis quam forte a curia fuerit consecutus. b de perdita navis Villani gauxonis hec est summa et perdite et nomina perdentium. Ottobonus manifestavit in primis de lb. civi ppos cccclx Villanus barrachinus . . . . de lb. ccxli ppos dcc Gisulfus........de lb. vi -r ppos xv -s- Iohannes guercius.....de lb. cxx ppos cccxx b Lanfrancus grancius Obertus de forte.....de lb. ccl ppos dccl qui sunt ugonis cassine a pro eo Anselmus Carmadinus et bonus vassallus Carmadinus b pro eo fulco Guilie Comitisse Ottolinus........de lb. ii -J- ppos vii -i* Willelmus vicecomes. . . . de lb. cx ppos cccxx a pro eo Ogerius pedicula Lavorante........de lb. xxxvii ppos exi Embriacus.......de lb. ci ppos ccciii a pro eo Villanus gauxonus — 379 — Iordanus de faxol.....de Arnaldus........de A Willelmus rebollus (cognatus O-gerii scribe)......de a pro eo Rubaldus porcus Ido de campo......de a prò eo Anselmus Carmadinus Willelmotus lecarus .... de Iohannes de balneo ... de a prò eo Anselmus buconus Truccus........de a prò eo Rubaldus cavalarius Iohannes de castro .... de a prò eo Ogerius agusinus b Quorum Baldicionis tapari cvii Balduinus et Ansaldus nuveloti........de a prò eis Guido namfus b prò eis Enricus de murtedo et Willelmus guercius ban- charii Guaracus........de Aquinus........de a prò eo lanfrancus grancius et Rufinatis Enricus de Donato.....de et prò eo Anselmus de boconus Villanus Gauxonus .... de a in quibus Ido de Carmadino habet cl et calige pallii lxxxii -r quos Rubaldus porcus recipiet et Albergatu missus Idonis Willelmi Alinerii lb. v ppos xiiii lb. viii ppos xxiiii lb. lxii ppos clxx lb. Ixxxxii ppos ccl lb. clxv ppos ccccliiii inde quarta lb. lxxv ppos ccx lb. cv ppos cclxxx lb. cxviii ppos ccc in quibus habet cvii -r baldicio bergogni lb. ccxli ppos dee lb. Ili -r ppos elviii lb. evi ppos cccxv lb. Ixxxx ppos ccxl lb. dclvii ppos MM — 380 B in quibus calige pallii habet ppos lxxii -f- et Refutatos sicut dicitur xx et Otto de med xxn — Iordanus de predi ..... de lb. ccccl ppos M 1 Rogerius merenda..... de lb. xviii ppos liiii Odegonus bacese..... de lb. lxv ppos clxii -j- a pro eo Willelmo Oberti Usus- maris Willelmus Sardena..... de lb. Ixviiii ppos clxxxxv Opizo de aldone..... de lb. cxxxv ppos cccc a pro eo Opizo villani b et Guidoti zurli xxxii Girardus Scotus ..... de lb. clx ppos ccclxxx a pro eo Willelmus galleta Bonusvassallus de Sturla . de lb. cclxxv ppos dcccxxv Galopinus....... de lb. lv ppos cxl pro eo Anselmus Carmadinus Otto gontardus...... de lb. clxxvi ppos dxx a pro eo Willelmus Galleta Anselmus boctonus . . . . de lb. c ppos cclx Rollandus capellanus . . . . de lb. ccclxv ppos M lxxxxv a pro eo nomine Bisacie de pro- priis d Ugo quartarius missus et Rubaldus Cavalerius . . . . de lb. dlxxxxv Lanfrancus de gozo . . . . de lb. lxxx ppos ccxiii a pro eo Obertus clericus Iohannes Rapallinus .... de lb. clxxvii ppos d a pro eo Anselmus Carmadinus de lb. vi inde tercia ppos xiiii et sextam Thomas Sardena..... de lb. ccxxxviii ppos dclx Baldetus........ de lb. •/. ppos ii -s- Bonusvassallus faba .... de lb. ii ppos vi Bernardus ....... de lb. clxxxii ppos dviiii -s- pro eo Philippus Cavaruncus — 1 f - 381 - Baialardus........ de lb. vi et quinta ppos xv -*• Malcanis........ de lb. xxviiii ppos lxxx inde quarta Iohannes tinctus..... de lb. xxxvii -f- ppos exi Rainaldus Sardena..... de lb. exi -r ppos cccxxv a quorum xv ipsius Rainaldi et x Gisle de cacavo et clxii Wil- lelmi et Opicionis Sardene et ciii Tabacis et filiorum An- saldi Sardene xxxiiii -r pro his omnibus recolligendis Thomas Sardena Enricus et buccucius . . . . de lb. xxxviii ppos cxx Rubaldus faxol...... de lb. evi ppos cccxviii pro eo Anselmus butonus Vassallus xxx veliate .... de lb. cxxxiii ppos cccl a pro eo Philippus xxx veliate Anxaccus........ de lb. exii ppos cccxxx a pro eo Villanos et Iannebonus Vassallus bonveite..... de lb. cii inde quarta ppos ccclxvii a pro eo Mantellus de balneo B pro eo mantellus de susilia Petrus de balneo..... de lb. lxxxxviiii ppos cclxi et terciam Primus........ de lb. xiii ppos xxxviii Ansaldus nigrancius .... de lb. cclxvii ppos dccliii A pro eo frater ejus Iannobonus b Lanfrancus grancius vel Rufi- nalis Mantellus........ de lb. xxv ppos lxii -r b eidem mantello Iannebonus ....... de lb. cxxxv ppos ccccv Iohannes pancia..... de lb. i ppos cxxx a pro eo Rubaldus cavalarius b pro eo Rufinalis Iohannes beccus ..... de lb. viiii ppos xxii * * i - 382 - Enricus de sauri.....de lb. i a prò eo Rubaldus cavalarius Willelmus de Sexto . . . . de lb. ccl a prò eo Balduinus de Rudulfo b prò eo Willelmus zerbinus vel balduinus frater ejus Iohannes de crevoli . . . . de lb. viiii Marchio de crevoli . . . . de lb. xii Belmustus et Alacer . . . . de lb. xxvi a prò Aiegro de medietate Alberti ususmaris pro aliorum medietate Angelarus de mari Willelmus de octavo . . . . de lb. vi Ido de palio.......de lb. ccxxxv Obertus de mari.....de lb. lxii A prò eo Angelarus Martini de mari Tebaldus de ponte.....de lb. v Rubaldus pellicia.....de lb. xxviiii a prò eo mantellus de balneo b prò eo mantellus de susilia Iohannes gulfus......de lb. cclxxx a prò eo Rubaldus cavalerius Opizo balistarius.....de lb. x Vigorussus.......de lb. vi -ì- Opizo de marinco.....de lb. ii Ansaldus blancus.....de lb. xxxvi Petrus barcarius.....de lb. ii -r Americus........de lb. xxiiii a prò eo Iannebonus musculo Vassallus mondagia . . . . de lb. xiv Anfosse nata de rebus blanc ppos cxxxv ppos dccxxv ppos xx ii -s* ppos xxx ppos lxxiiii ppos xiiii ppos dc ppos clxxx ppos xii ppos lxxiiii inde quarta ppos dcclx ppos xxviiii ppos xviii ppos v ppos Ixxxx ppos vi et quartam ppos lxxii ppos xxxvi - 383 -a pro eo Enricetus Auria nepos Amici grilli......de lb. dx ppos ccclx et marabutinos dccccxli in armis et guarnimentis ppos xxiv Iohannes de marino . . . . de lb. i et quinta ppos iii Angelerius.......de tb. xv ppos xl Otto de langasco.....de lb. x -s- ppos xxviiii Bonusvassallus bucuccius (de B societate) Ogerii scribe . . de lb. xxv ppos Ixxv a prò eo Rubaldus porcus M A summa navis villani S. ppri xxiii ccxvi Ratio perditarum Emboli de coparia dati de novo Ianuensibus de quibus restituendis publice imperator et eius curia sententiam dedit. A (et ob hec bona pisanorum qui rapinam fecerunt cepit et predam etiam quam penes se habebant sicut fertur). Zervasius cursor............ppos xxx A Presbyter martinus (amisit ibi).......ppos cxvi Oliverius guaraccus...........ppos m ccxxv Obertus cancellarius pro filio suo Iacobo . . . ppos ccl a de d ppis quos idem filius suus amiserat Carmadinus.............ppos cxlv Lambertus grillus (a de rebus societatis Amici grilli ppos cx a pro eo Rubaldus cavalerius Guido vicecomes..... ......ppos dcc Willelmus Arnaldus...........ppos lxxx Ansaldus..............ppos clxxx Willelmus de bagno..........ppos xx Donadius..............ppos lxx Willelmus borrel. ...........ppos cccxx pro eo Rubaldus porcus Rubaldus de arzeleo...........ppos xxx Rubaldus Sarafie............ppos xx Oliverius de sancto martino........ppos lx Maurus ferrarius............ppos cl — 384 — Benzo...............ppos vvi Rollandus capellanus..........ppos lx Paulus...............ppos xv Willelmus de ponzo..........ppos vi Iohannes de fossato...........ppos xvi Willelmus bassus...........ppos xxv Otto pensator.............ppos clxxx Lanfrancus de isola...........ppos xx Ansaldus blancus...........ppos xii Enricus calegarius...........ppos x Lanfrancus domini balduini........ppos lxxx B Willelmoto (Guilelmoto).........ppos xx A . B (Oberto gagina) Obertus gallina......ppos xvn B Willelmus brundus (brondus).......ppos lxii a prò eo Rubaldus porcus Symon Stabil.............PP0S xxiiii Bonitacius de Roasia..........ppos lxxv Otto de laudo............PP°S v Rollandus sancti Mathei......... ppos xii Petrus guercius............PP0S XW1 B Iordanus (Iohannes) de.........PP0S x Balduinus pastellus...........PP0S Todescus..............PP0S xx* Petrus zocolarius.............PP0S xin Tonsus...............PP0S xxv Enricus de insiana...........PP0S cc* Capra...............ppos xxv Orebus Stabil.............PP0S ^ Arnaldus lanuensis...........ppos xl Rubaldus de albericis..........pp°s viiii Milus (Mylus)............PP0S cclxx a Milus statuit cum domino legato Grimaldo ut consules Ianue darent Ugoni Rubeo ppos viii quos sibi debebat quando perdentes solventur. — 385 — Willelminus.............ppos viiii Margonus..............ppos x Balduinus..............pp0s xviii Ansaldus (Arnaldus) de guiso.......ppos vi lordanus Rubeus............ppos iii homo Rollandi Capellani.........ppos xxx Stefanus..............pp0s vii Gerundia..............ppos X1 b Oliverius Guercius Martinus de Ripa...........ppos xxxv Safranus..............pp0S 1 Iohannes de fossato...........ppos xxv Solacium..............ppos xxxviii Bonusjohannes spazadiscus........ppos xxxvii forte scolar.....-.......ppos xlii Gandulfus figallus...........ppos xxv Iohannes nazazo............ppos iii Oliverius nevitella...........ppos iii Nicola leccanoce............ppos x Willelmus..............ppos viiii Blancus de turre et Ugo.........ppos cl Vassallus intaliator...........ppos xl Willelmus bolzanedus..........ppos xxv Bonusjohannes saonensis..... ... ppos xl Ansaldus correzarius..........ppos xl Willelmus caner............ppos xx Nicola...............ppos viii Obertus andratus............ppos xxii Sirus graxuncius............ppos xl B Enricus de murtedo aut Willelmus guercius ban-cherius Willelmus falabote...........ppos xxvii Obertus de costa...........ppos viii Willelmotus januensis..........ppos viiii Francescus..............ppos xl a Summa emboli de coparia ppos v dclxxiiii. - s86 - B Preter hos sunt adhuc plures perdentium scripti in scripto quod habet Guido vicecomes et Petrus de Pacia quod eis Oliverius Gua-raccus tradidit, quod habere studeatis et exemplificare et totum debitum petere. Ratio perdite navis de Syo quam cepit dux ejusdem insule cum venetis et pisanis, et cum toto honere ducta fuit Constantinopolim, et mandato imperatoris restituta et postea subtracta, et habuit curia navim Maurisonus nomine qui erat vicarius eam vendidit. Caput galli quos privignus ejus Carmadinus habebat amisit..............ppos cccc pro eo Anselmus Carmadinus Marchio Alinerii............ppos ccc Manfredus bursella...........ppos ccc Otto de orto.............ppos cc Obertus moiante............ppos ccc Petrus Iohannes saonensis. . .......ppos lx Enricus et frater filii Bonijoannis de faxolo. . . ppos lxx Willelmus pedecostus..........ppos lxx Ansaldus clericus...........ppos xxi Ricius de Sauro............ppos xx Ansaldus de Rapallo..........ppos v Arziloffus de Rapallo..........ppos xxx Fredentio cognatus malegronde.......ppos x Rubaldinus de Sauro..........ppos x Pro Iohanne belcesio..........ppos cl quos in demitis xv et cendatis x perdidit Iacobus...............ppos x Sebastianus..............ppos xx Magister Robertus...........ppos xv Navis empta fuit............ppos cccc Summa navis de Syo ppos mm ccclxxxx. Item mementote petere ppos cccc quos dux Satalie filius mega-triarche injuste et violenter abstulit Idoni mallono et sociis. Pro his Rufinus Anne guercie. (Haec in codice b postposita reperiuntur). — 387 — Ratio navis quam veneti apud Nigrampum ceperunt ubi sub fiducia sacri imperii et in ejus tutamine erat. Fuit autem perdita hujus navis supra totum mmmmm (v)B cccxxxiii pprorum sicut continentur in scripto quod habet curia et Guido vicecomes noster in quo continetur nomina perdentium et quantitates perdite totius singillatim. Willelmus Galleta .... de lb. clxxviii ppos dxxxvi Willelmus Scaiante .... de lb. cxxv ppos ccclxxv A pro eo Nicola frater eius Villanus....... de lb. clxxxv ppos dlv Symon........ de lb. xvi ppos xlviii a pro eo Nicola frater eius A n. Census (de rebus Anne de Tan- clerio)....... de lb. lxxxviiii ppos cclxvii a pro eo Willelmus Galleta Girardus....... de lb. vi ppos XV iii Bonus vassallus de razo . . de lb. clviiii ppos cccclxxvii A Balduinus (tellarius). . . . de lb. liii cum tertia ppos clxiii pro eo Ossorollandus Trosascus....... de lb. xlvii ppos clxiiii Petrus........ de lb. xvi ppos li Gandulfus....... de lb. xiii ppos xxxviiii Ansaldus....... de lb. lxxxxviii ppos cclxxxiiii Martinus bragerius .... de lb. iiii -r ppos xiii -r Opizo........ A de lb. vii ppos xxi Bertolotus (de campo). . . de lb. X ppos XXX A pro eo Ossorollandus a Marchio....... de lb. X ppos XXX Arnaldus....... de lb. iiii Ppos xii Obertus de Sexto .... de lb. viii ppos xxiiii Monleon....... de lb. X ppos XXX Balduinus....... de lb. i + ppos iiii -r Iohannes de ilice..... de lb. iiii -r ppos xiii Oliverius....... de lb. lxxxvii ppos cclxi a pro eo Pantaleus V-U CO co 1 Bonus Senior...... dc lb. lxi ppos clxxxiii a pro eo Guido laudensis. Iohannes de villano .... de lb. x ppos XXX Baldicio........ de lb. xi ppos xxxiii Baldo de villano..... de lb. iiii ppos xi Iohannes scriba..... de lb. iiii ppos xii Obertus Bastonus (b de rebus picamillii pro eo boccacius j de lb. xlv ppos cxxxv Martinus hostaliboi (a sine h) de lb. xl ppos cxx Rollandus magister .... de lb. viii ppos xxiv Bedellus........ de lb. lii ppos civi a pro eo Nicola A Ionathas (Cerrialis) .... de lb. cxxxiii ppos ccclxxxxviiii Manfredus....... de lb. xxxviii ppos cxiiii a Willelmus Oberti Ususmaris pro i eo Bassus........ de lb. vii -r ppos xxii -3- Rollandus de sancto martino . de lb. Ixv ppos clxxxv Homodei et Bombellus. . . de lb. viii ppos xiii Arnaldinus de sancto thoma . de lb. X ppos XXX Nicola leccanoce..... ppos XXX a Summa navis de nigrampo ppi mmm dcccclxxx* (In codice b sequitur Ratio perdite navis de Syo etc.) B Mementote de navi quam apud Almiro veneti (venetici) combusserunt que ob hoc combusta iuit quia Ianuenses dimissa navi se ad defensionem civitatis viriliter contulerunt et etiam commoniti fuerunt a venetis et rogati ut cum navi libere et cum suis omnibus recederent et ipsi eis omnimodam securitatem prestarent et civitatem non defenderent. Ipsi autem pro servicio et honore imperii spreverunt dampnum navis et firmiter in defensionem civitatis steterunt. Quare veneti dolore commoti navim combusserunt. Albertonus bancherius pro locis tribus (quos) habebat in navi secundum B extimationem et comparam (comparaverat) . . ppos cxxxm a pro eo Balduinus et Guido nanfus — 389 — .....ppos xxxiii pro locis iii ..... ppos c a in quibus Willelmus auria habet xxxiii Villanus pro locis iiii -r.........ppos clxxxxviii Malcalciatus prò locis ii-5-........ppos cx Auxaccus prò locis ii..........ppOS Ixxxviii Pro Raubadino quos in parte sua navis expendidit ppos xii a prò eo Villanus Gauxonus A Raubadinus de cafaro (cafara) prò locis ii . vpos lxxviii a prò eo Villanus gauxonus Willelmus de Razedo prò locis ii......ppos Ixxxviii Carmadinus prò locis ii.........ppos Ixxxviii A prò eo Anselmus filius ejus Willelmus Ricius prò locis ii.......ppos Ixxxviii Iohannes Lercarius prò locis ii......ppos Ixxxviii a prò eo Villanus Gauxonus Iannebonus prò loco i..........ppos xliiii Baldancia prò loco i..........ppos xliiii Romanus de predi prò loco i........ ppos xliiii Ugo Rubeus pro locis ii.........ppos Ixxxviii b prò eo Willelmus rocia et Angelerius Philippus passius prò loco i........ppos xliiii a prò eo Rubaldus cavalerius Bucconus et filius simini prò locis viiii.... ppos ccclxxxxvi a prò eo villanus gauxonus Willelmus Alius prò loco i........Ppos xliiii Ansaldus policinus prò loco i.......ppos xliiii Scilicet loci xiii navis qui sunt ad rationem perperorum xliiii per locum perperi m doccivi. (Haec in codice b postposita reperinntur). Ratio perditarum Emboli de sancta cruce. Mementote petere pro cancellario nostro perperos ccc quos Ugo filius ejus amisit apud constantinopolim quando Ianuenses sturmum Guglielmus (Willelmus) de Rufino b de Sturla . . . . — 390 — habuerunt cum Pisanis nec recuperavit nec fidelitatem vel hominium fecit imperatori occasione parve etatis in spe tum accepta ab imperatore quod quando esset adulte et convenientis etatis beneficium acciperet et fidelitatem faceret et manifestavit predictam perditam sub iuramento quod fecit jussu curie. Pro Angelerio de camilla ppos dxxv quos ibidem amiserant Willelmus et fulco servi eius atque mylus socius ipsius sicut vult jurari super animam suam si oportuerit. a pro eo Angelerius martini de. Pro Ingone de volta ppos dcc quos ibidem Ioellus de suis amisit. Pro Ansaldo de achileo et fratribus ppos ccc quos ibidem Wil- B lelmus frater eius de suis perdidit (amisit). Pro Baldicione ususmaris ppos clxxx quos ibidem Palatinus socius A eius amisit et in armis ppos v (et guernimentis xxv ppos pro eo Willelmus Oberti Ususmaris). Pro Ugone mallone ppos cxlv quos Otto filius eius ibidem de suis amisit. a pro eo Barocinus. Pro Willelmo Malocello ppos dccl quos idem Fulco lanzavacca A de suis amisit (pro eo Obertus tres Guise) et ppos c quos Ansaldus bavarius de suis amisit ibidem et quos Balduinus similiter homo eius habebat ppos cclxx. a pro eo firminus. Pro dominico judice quos ibidem fulco lanzavacca perdidit m B duobus peciis sagiarum (saiarum) ppos xxxvi. Pro Petro Capra et Ingone de Volta ppos xviiii. Pro Petro de marino quos Buccucius de mari m pecia viridis panni et orlo quem sibi comandaverat amisit ppos xvi. Pro Ioanatho ferri quos similiter ibidem amisit ppos c. Pro Iohanne de Grana quos cum fratre suo cennamello ibidem amisit ppos lxx. Pro Iohanne graxuncio quos in tela Ugo cancellarius de suis amisit ppos iiii -*■ Pro Sorleone de nigro platee longe quos ibidem amisit ppos dlxxxvi. — 39i — Pro Simone auria et Elia ppos ccxx quos Elionus ibidem amisit et sic vult Elia jurari super animam suam. a pro eo Stephanus Elia. Pro Tadone de clavica quos Marinus nepos eius ibidem amisit ppos cl. Pro Ansaldo pestellerio Oberto scaragio (sarago) et Balduino Ingelfredi ppos xxxvii quos ibidem amiserunt. Pro Ottonebono de albericis quos Obertinus habebat in compagnia Ottonis de cafaro ppos cccxl. Pro Iohanne vitello et Ingone ferro cincto quos perdiderunt ibidem ppos viiii. Pro Iohanne de victimilio quos apud Constantinopolim amisit ppos ccxvi. A pro eo Iohannes. Pro Bonovassallo salsa quos Willelmus cabutus ibidem amisit pposcc Pro Oliverio nevitello ppos c quos Angelerius mastorcius de suis habebat. Pro Ogerio pandulfi ppos cxxx quos ibidem amisit. Pro Oberto malocello ppos cxii Pro Willelmo filio eius ppos cxxviii quos ibidem amisit (pro eo guercius). Pro Philippo de brasili quos bertraminus servus eius ibidem perdidit ppos ccclxx. a prò eo Guido laudensis. Pro Willelmo bucca fuira quos similiter ibidem amisit ppos cxxv. b Pro Nicola de Rodulfo quos fìlius eius lanfrancus amisit ppos cccc (legitur etiam in codice a sed deletum fuit). Pro marchione artusio ppos xxxvi quos ibidem amisit. A Pro Blancardo ppos ccclxxxvi (quos Raimundus de sancto Egidio de suis habebat pro eo Enricetus Auria nepos Amici grilli) et pro Raimundo fratre suo comuniter quos videlicet Raimundus de sancto Egidio in pannis baldinelle et in auro et pannis sericis ibidem perdidit. Pro calovrono ppos xliiii quos ibidem amisit. Pro Willelmo de sauro ppos cxx quos Brondus nepos eius ibidem amisit. Atti Soc. Lio. St. Patru. Voi. XXV11I. Fase. 11, Serie j.» 2$ - 392 — a prò eo Rubaldus cavalerius. a Pro Willelmo zerbino et Idone picio quos in peciis ii pannorum de colore perdidit ppos xxx Willelmus guercius frater eius. Pro Willelmo zerbino et Idone picio ppos xxiii quos Abacuc fìlius Achilei amisit. B Item pro eisdem ppos xxx quos in peciis ii pannorum de colore perdidit Willelmus guercius frater eius. a Pro Lamberto grillo petite ppos cccxxxvi quos de suis habebat Willelmus guercius de vulparia. B Pro Willelmo de vulparia ppos cccxxxvi quos apud Constantinopolim perdidit. Pro Stabili ppos cclxxv quos Donundius de balneo ibidem amisit. Pro Bertoloto Arzeme quos ibidem perdidit ppos clx. Pro Baldicione cordoanerio ppos c quos Marabotus amisit. Pro Willelmo de marino ppos ccclx quorum Obertus calvus perdidit terciam et Willelmus catalanus terciam et Ianus fìlius Nicole de Rudulfo terciam. a Pro Nicola de Rodulfo ppos ccxii quos de suis Lan[francus] fìlius suus perdidit pro eo T. homas sardena. Pro Bertrame de marino ppos cxx quos Lanfrancus de Rodulfo ibidem amisit. Pro Bonojohanne mol fìiastro quos fìlius eius amisit ppos del. Pro Ugone pozesio ppos lxx quos Willelmus Achilei amisit. Pro Bertoloto de campo ppos lxxxxvii quos perdidit Otto barba de lacca et xxvii quos similiter de suis perdidit Bernardus Catenacius. a prò eo Osso rollandus. B Pro filiis quondam Alpani ppos cclxxx quos Willelmus oce (oze) amisit ibidem. a prò eis otto bonus. Pro Willelmo barca ppos lxx quos ibidem perdidit. a pro eo manfredinus purus. Pro Bisacia ppos d quos Rubaldus de balneo ibi perdidit de suis. B a prò eo Rubaldus cavalerius (prò eo Willelmus guaraccus). Pro Balduino guercio quos petrus de pavarano ibidem perdidit ppos clxx. — 393 — Pro Oberto de domoculta et Lanfranco frenguello ppos cccc quos idem perdidit. Pro Ottone Pezullo quos frater eius et nepos (Ansaldus frater eius) ibidem perdidit ppos ccccl. Pro filiis et nepotibus quondam Cafari excepto Ottone ppos dccccl B (quos Otto de rebus patris apud Constantinopolim perdidit inter quos Rainaldus de barizone habet cl). a prò eis Guido laudensis. Pro Amico ppos ccclxiiii quos tunc apud Constantinopolim perdidit. B Pro Bonifacio (Bonefacio) de burgeto ppos cccxviii quos Gandulfus A bismuinus (ibidem) perdidit. Item pro eodem ppos liiii quos Lanfrancus frenguellus similiter de suis perdidit. Item quos Bonus Iohannes mussus de suis perdidit ppos lxxxxiiii. Pro Alberico ppos cc quos de suis corsus de sancto damiano perdidit. Pro Iohanne leone ppos xxx quos Pascalis nepos eius filius lan-franci de balneo ibidem perdidit. b Anselmus boctonus. Pro Albertono Ricio ppos ccc quos Willelmus tanaturba ibidem de suis amisit. a pro eo Lanfrancus guercius et Rufinalis. Pro Willelmo capra ppos ccl quos Ogerius filius eius (apud A B Constantinopolim) (ibidem) perdidit. Pro Oberto Guaraccoppos cccl quos fiam... filius eius ibidem perdidit. a pro eo Guido laudensis. Pro Rollando Ermita ppos 1 quos de suis Sorleonus de nigro in commodatione habebat. AB Pro Ottone Rubeo qui filium (suis) (suum) cum perperis amisit ppos ccc. Pro Ansaldo auria ppos ccccliiii inter eos quos Ansaldus cebel-linus perdidit. Item pro eodem ppos ccxviii quos Willelmus Rundanella de suis perdidit. — 394 — Item petite pro eodem ppos clxxiii -s* quos Iohannes Auria de suis perdidit. Item petite pro eodem ppos cxviiii quos de suis perdidit donumdei scarfalla. Item petite pro eodem ppos cccxxxvi quos donumdei scarfalla b a (et Merlo de auria de rebus eiusdem Ansaldi) (de rebus suis) perdidit. Item petite pro eodem ppos cccii quos Pascalis de balneo de suis B A (amisit ibidem) (perdidit ibidem). a pro his omnibus filiorum Ansaldi aurie Balduinus Bergognus et Guido nanfus. Pro Nuveloto quos de suis Vassallus gallonus perdidit ppos ccclxxvi. a pro eo Guido nanfus. b pro his omnibus recipiendis Enricus de Multedo et Willelmus guercius bancherius. Pro Piccamilio ppos c quos Manfredinus homo ejus perdidit apud Constantinopolim. Pro Enrico medico ppos ccl quos frater eius Iofredinus amisit. b Willelmo rocie dentur et Angelerio de mari. Pro Ansaldo mallono ppos del quos de suis filius suus Willelmus amisit. B pro eo barocinus (mallonus). Pro filiis quondam Alpani ppos ccccl quos de rebus suis Ansaldus nigrancius perdidit. a pro eo Rubaldus cavalerius. Pro Rubaldo et Enrico filiis quondam Dettesalve petite ppos cccl B (quos de suis perdidit Willelmus). Pro Odezono (Odezone) de mastaro ppos ccc quos filius eius viridis ibidem de suis perdidit. Et quos Ogerius frater eius similiter ibidem amisit ppos cc. Pro medio lombardo filio Raimundi Ranfredi ppos xx quos ibidem amisit. Pro filiis quondam Willelmi de Vivaldo ppos d quos Willelmus Piper et bonacia de suis amiserunt ibidem. a pro eis Mantellus. — 395 — B b pro eo Mantellus (de Susilia). Pro Cabuto ppos cclxxv quos apud Constantinopolim perdidit. Pro Conrado mol fiiastro quos Oliverius frater eius de rebus suis et fratrum perdidit preter porcionem suam ppos dlxxxiii. a pro eo Nicola philippi. Pro Willelmo burono Idone mallone et Willelmo cerriolo ppos Md quos de rebus ipsorum perdidit Ugo Elie ultra ccxl quos de suis propriis idem Ugo in eodem negotio perdiderat. a pro eis Ogerius pedicula. B Cerriolo lb. dclxxxviiii. b Ogerio pedicule lb. dcclvi. Pro Guidone laudense ppos cccl quos filius suus de suis apud B Constantinopolim perdidit (perdiderat). Pro Otone mediolanense ppos c quos Donadius bancherius de suis perdidit apud Constantinopolim. Pro Tartaro ppos lxxxx quos ibidem amisit. Pro Lamberto guercio ppos dl quos frater suus Drogus de suis perdidit. a pro eo Guido laudensis. Pro filiis quondam Martini de Mari ppos d quos ibi Guido de mari perdidit. Pro Guidone de novaria de lb. cviii ex eo quod socius eius Martinus de Ravecca perdidit ppos cccxxiiii. a pro eo Baldicio de bergogno.. A Pro Guidoto de nigrone ppos cc quos amisit socius eius (Iohannes) B Willelmus de Castromussus (de castro). a pro eo Opizo villani. Pro Ingone de volta et Opizone Amici clerici quos amisit eorum socius Agatante ppos cclxxviii. Pro filiis Villani ppos cl quos de suis perdidit Vassallus grassus. Pro Ismaele ppos lx quos de suis perdidit Ido de pallo. Pro Opizone Amici clerici de lb. lxxiii quos de suis habebat B Ansaldus Nigrandus (grancius) ppos clxxx. a pro eo tedescus vicecomes filius corsi. — 396 — Pro Enrico malocello quos donadius de suis perdidit ppos lxxx. A prò eo firminus. Pro Gandulfo de Gotigone ppos xxvii petite quos Obertus Roza B (rocia) de suis perdidit. a pro eo Rubaldus porcus. Pro Donadeo de balneo ppos cccl (clxxi) quos apud Constantinopolim perdidit de suis Pascalis nepos eius. a prò eo Anselmus butonus et Symon de balneo. Pro Carfe ppos Ixxxx petite. Pro Vassallo buga ppos lv petite. A prò eo Gandulfus de bonovicino. Pro Willelmo Rotaldo ppos cccc quos ibidem perdidit Obertus B Roza (Rocia) et Ogerius superbia de suis. B Pro Balduino ingelfredi et Oberto scargio (scaragio) ppos 1 quo B lanfrancus maniavacca (vacca) eorum socius ibidem perdidit de bonis B eorum (de suis perdidit). Pro filiis quondam Enrici filii Enrici guercii petite ppos dee quos ibidem amisit. Item pro Adalasia uxore quondam eiusdem ppos xviiii de lb. viii cum tertia quos de suis Girardus scotus ibidem perdidit. Pro nicola brefolio petite ppos mccc de rebus suis quas (quos) b .... . eparcos (eparchos) habuit et que in vestiario imperatoris posite fuerunt quas (quos) idem non recuperavit tunc quia fidelitatem facere noluit. Pro Manfredo ppos clxxx quos de suis tunc perdidit fulco lanzavacca. A pro eo Anselmus butonus. Pro filiis quondam Ottonis leccaveli ppos lxxx quos Rufinus B Oce (oze) perdidit de suis. a pro eis Vassallus gallonus. Pro Marabotto balduini bancherii ppos ccxx. Pro Amico Scoto quos Bertolotus lanfranci de Arzema perdidit ppos clxxxxvi. — 397 — Pro filio Gaule ppos xl. B Pro Rufino Anne grasse (guercie). Pro Amico de Castro ppos ccclx quos ibi perdidit nec fidelitatem vel hominium fecit. Pro Willelmo buferio et Simone fratre eius ppos cxlviii quos amisit Ansaldus Buferius. B Pro Ogerio (Ansaldo) de castro ppos cccl quos Ioellus de suis amisit. a pro eo Nicola philippi. a Pro lanfranco maniavacca ppos ccvii. a Pro Iohanne leone ppos xxx quos de suis Paschalis de balneo habebat. a pro eo Anselmus boctonus. b Pro Gandulfo de Gotizone ppos lxx quos Obertus rocia de suis habebat. Pro Oberto comite petere mementote ppos xxvi (xxv) quos A de (rebus) suis Otto de langano habebat. a pro eo frater Pahtius filius eius. Pro Willelmo Arnoldo ppos lxxxx (quos ibi perdidit). a pro eo Willelmus Achilei. Mementote petere pro Ogerio et Bonovassallo de pallo ppos cxxx quos de rebus suis frater eorum Ido habebat. a Pro Bonovassallo Augustini ppos lxxxvii minus tercium quos Lambertus balbus de suis habebat. a pro eis Balduinus bisagni et Guido nanfus. a Pro Lamberto balbo ppos xxx. a pro eo Guido nanfus et Balduinus borgogni. a Summa Emboli de sancta cruce perperi xxviiii ccccxliii. a Mementote de navi in qua erat lanfrancus grancius et baldicio de borgogno qui dum apud Constantinopolim cum sociis commercium dedissent et pervenissent ad paschiam cum honere frumenti et vini suscipiendo et ab imperiali magestate cartam securitatis impetrassent et haberent cum Rubricia (?) manus imperialis et sub alis imperii securiter manerent in portu; fraudulenter et dolose descendissent de navi cum marinarii pisani qui erant burgenses — 398 — constantinopoli et alii pisani post salutacionis eloquium fecerunt insultum et violenter navim occupaverunt et ceperunt cum honere et etiam quemdam qui cartam imperialem exhibuit vulnerarunt ad mortem et cartam ei abstulerunt et cum navi et honere fecerunt perfugium in quo navi erant quinque milia et ccc pporum. Habebat enim lanfrancus grancius in ea . . . . ppos dccclxxx Rufinalis...............ppos dcxl Rubaldus porcus............ppos dclx in quibus calige pallii habebat ppos xliiii Baldicio de borgogno..........ppos Mcxxxii Adalardus..............ppos cccviiii filius Willelmi bancherii.........ppos del Carmadinus.............ppos dlxiiii Ido guntardus.............ppos ccxxxi Iohannes Ricius............ppos cl Item alii marinarii...........ppos lxxxv Summa ppri mmmmmcccIxv. De perditis navis que apud Rodum naufragium passa fuit. Pro Benedicto Arabie ppos dccc petite quos Bencius perdidit in nave lavorantis que apud Rodum naufragium passa fuit. Pro Bonifacio Oliverii quos in eadem navi perdidit de lb. cc ppos d. Pro Alberico de lb. lxxx ppos cc quas Enricus nevitella de suis in eadem navi perdidit. A Pro uxore quondam bigoti popoatos dee et xv (bisancios) ma-rabutinos et lb. xv luc[enses] que omnia zurrandronicus quia tunc temporis dux erat de Rodo abstulit Gervasio socio eius ea occasione quia dicebat dux qui erat de terra Regis Sicilie. Item abstulit eidem Gervasio astengus marchas viii in cuppis et B siffo (sifo) uno argenti et sarracenales lxxii. Item abstulit eidem Stravus Romaneus popoatos lxii et abstulit sibi pro lana que apud Constantinopolim cuidam de creti ablata fuit. De quibus omnibus coram imperatore lamentatio facta fuit et precepit litteris suis ut omnia restituerentur. — 399 — Pro Roberto ferrario lb. ccccl sarracennales quos amisit in eadem navi petite. Pro Willelmo trollando sarracennales dccc petere mementote quos idem Robertus in eadem navi de suis amisit que omnia duca Rodi habuit et cum cartam inde recepisset a domino imperatore ut omnia restitueret nichil inde restituit. Pro Amico grillo et Lamberto fratre ppos Md quos in eadem navi amisit. M Summa navis de Rodo v cc ppri. Perdite extraordinarie. Mementote petere pro filiis quondam Willelmi policini ppos ccl quos Paliologus retinuit ex illis quos sibi dari sanctissimus imperator preceperat. Item retinuit corpus Galee eiusdem Willelmi cum sartia de quibus nichil habuit et obiit in servicio imperiali. Mementote petere pro Willelmo piccamillio ppos dcccc quos implicitos in demitis xamitis et cendatis perdidit iohannes nanfus socius eius in navi que apud Syon naufragium passa fuit et hanc omnem pecuniam habuit dominus Syi. Et facta inde querimonia ante dominum imperatorem fecit inde cartam ut restituerentur et soror domini imperatoris domino sii similiter fecit inde cartam. Item promisit dominus imperator quod si legatus ianue illuc iret ea omnia restituere faceret. Et fuit navis hec que naufragium passa fuit venetorum ets longobardorum. Mementote etiam de ppis ccclvi quos a tempore legationis paliologi B Obertus spinula debet (deberet) recipere et de quibus sepe litteras (sic) imperatorie magestati transmisse sunt. Petite pro Peire nas de picca ppos lxxii quos ei iniuste abstulit comerzarius constantinopolis cum peciis saiarum cuius nomen Tozer ultra debitum drictum solutum. Item petite pro eodem ppos viii quos ei Nicola calavres et tro-gomannus violenter abstulerunt. Pro Martino paiarino petite ppos Ixxxxv quos Galeatores imperatoris in civitate de candida ei abstulerunt in navi sua et honere. — 400 — Pro Ogerio tanto petite ppos clxxiii quos vicecomiti lombardo mutuavi nomine stantiono prò Embolo reficiendo ego et Otto Elie. Pro Ottone gontardo petite ppos xxxiii quos ei veneti in strata imperatoris abstulerunt. Pro Opizone de Aldo ppos xxviiii quos perdidit in equitaturis et guarnimentis quando veniebat Constantinopolim. Facio decibilis abstulit Loganastinus de Satalia lb. 1 perperorum quam et petatis. Pro Ogerio vento petite ppos cccc pro lb. cl quas de suis propriis Rodoanus gener Tadonis de Recco et quos ei apud Constantinopolim B venefici (veneti) abstulerunt. Marchio landola perdidit in servicium imperatoris Willelmum cocoadum fratrem suum cum Galea que capta fuit a comanis apud B peradonicum (perandonicum) et ibi combusta cum hominibus, item postea misit filium suum in servicium imperatoris et ibi mortuus est cum dampno suarum rerum omnium studete igitur quod dominus imperator inde misericordiam habeat. Mementote petere pro Nicola Boiamundi (Boiamondi) ppos cccc 1 ex quibus pro hominio suo debet recipere ppos ccc et patris sui cl quos ipse perdidit in navi sua ad andelmitam quam cepit duca eiusdem loci, et ppos ccc similiter petatis quos ei abstulit duca de creti. Pro Gandulfo guaracco petite ppos xxxii quos dum rediret a constantinopoli ei greci violenter abstulerunt apud Grisopolim. Pro Bonaventura bucca asini ppos ccxv quos ipse et frater suus amisit quando homines imperatoris eos ceperunt in galea marchionis Enrici. Pro Solgarrisio ppos ccl petite quos ei abstulit comerzarius de creti in agreminis (?) et sartia navis et alio honere navis pro nulla offensione vel occasione cum inde jam solvisset commercium. Pro ionatha de campo petite ppos c quos ei abstulit apocaficus quod habebat donatum in creti per angelum despotum violenter in quarta parte navis ppos cl et tantum grani quod comparaverat constantinopoli ppos lx et bisancios albos ccxl — 401 — et arma et guarnimenta filli mei carfe valentia ppos c et miliaria sex casei et miliaria iiii mellis et coopertus iiii equorum et sperones valentes ppos lxx et in frenis osbergis panceriis et elmis ppos ccxl. Hec omnia ea occasione Apocaficus abstulit quia portabat cartam legati babillonensis qui erat apud Constantinopolim Carfc. Mementote petere lb. xiiii prò Rodoano de mauro et Nicola brifolio et Fazaben frenguello et Ottone de murta et Idone garra-tono, lordano de michaele ac ceteris sociis quos churrus Andronicus et Satalia abstulit ei in navi eorum quam cepit apud Sataliam et peciam vermecioni, et paria xi ciminilium propria Rodoani. Pro lanfranco de Rodulfo ppos d quos homines imperii sibi abstulerunt dum ad servicium imperatoris festinaret. Pro Ansaldo baraterii ppos xxx quos anno precedenti apud Gri-sopolim in palafredo et guarnimentis sibi veneti et pisani apud quos hospitatus erat et qui eum in fide susceperant ei violenter abstulerunt. Pro Michaele fratre Ugonis sartoris ppos lxxii quos comerzarius de andrinopoli abstulit occasione commercii quod solverat apud Constantinopolim et cum mandasset dominus imperator ut ea Mi-chaeli restituerentur nihil inde habere potuit. Pro nicola brefolio lb. iiii et mediam pporum quos ultra debitum commercium ei abstulit Andronicus forcino et coegit jurare socios quod amplius non inde facient lamentationem. a Pro fazaben et frenguello et sociis lb. viii auri quas idem abstulit. A pro Rodoano lb. c quos perdidit de suis buronus. Andronicus fordinianus abstulit lb. iii pporum Enrico Amigonis quos illi promisit reddere a nave satalie. Mementote petere pro Oberto iusiolo monacho venerabilis domus Tegedi intuitu misericordie a sanctitate imperiali restitutionem et elemosinam de lb. cxx quas in servicio suo amisit quando captus fuit per Regem Sicilie et trusus in carcere per annos ii in Galea quam armaverat pro ejus servicio et cum qua in Romaniam festinabat ire. — 4°2 — Mementote petere pro Ionatha de campo ppos d pro gatto quod filio suo Iacobo remanserat quod dominus imperator ei abstulere (sic) fecit cum toto lignamine videlicet cum remis mc desuper casa et ccxxxii de subtus casa et ccxx trabes abiectos et aliud lignamen seu latas tabulas et columpnellas. Mementote petere pro Conrado Sagenmar ppos ccxl quos de pecunia quam mutuavit Ugoni beate marie Adrianopoli Abbati et Petro camerario legati imperatoris apud sanctum Egidium sicut in carta plumbeo eius sigillo bullata continetur. a Summa extraordinariarum perditarum ppri vi dccc. Nel Codice A dopo Summa extraordinariarum perditarum ppis. VI duc segue p. 15 : Ianue MCLXXIV indictione sexta. Ugo Cossimo tactis evangeliis mandato Consulum juravit quod quando Obertus de forti ivit ad curiam constantinop. imperatoris ea scilicet vice quando M sicut dicitur ppos. consecutus fuit suis nuncius vel procurator non fuit et contra voluntatem suam ivit nec ex eo quod habuit ipse vel pro eo aliquis quicumque per se vel alium consecutus fuit, audivit tamen ab uxore sua quod quando venit Ianuam ei donavit minas X frumenti et medaliam unam sanctae helenae et etiam eum jurare fecit quando ad curiam iturus erat coram Oberto gontardo, Nicoloso de Mari, Ottone eliae, Tanto Anseimo carmadino aliisque pluribus quod de suo negotio et pecunia quam a curia debebat recipere nullomodo se intromittet. Imperatoriae magestati. Calvus lanuensis civis notificat quod cum ab ultramarinis partibus veniret accessit ad sacrum imperium suum et placuit imperiali celsitudini eum ad servitium suum retinere, ego autem letantem remansi cum equis palafredis et armis ceterisque necessariis per multum temporis. Tandem placuit nuncio imperii Urenne ut ad servicium imperiale irem cum fratre meo in stolum cipri et ibi fratrem meum perdidi cum universis quae habebam et graviter vulneratus fui ad mortem. Unde gloriosissime imperator vos qui spiritum sanctum habere videmini et qui singularis prin- — 403 — b Illud quoque vobis sit cordi diligentissime videlicet discernere et singillatim cognoscere quidquid pro unaquaque perdita ab imperiali clementia pro miseria vel alio quocumque modo fueritis consecutus. Sequuntur in codice a haec documenta: i.° Ego Demetrius ma-cropolites &. — 2.0 Nos Ianuensium Consules Willelmus Lusius Iohannes malusaucellus Obertus Cancellarius &. — 3.0 Quandoquidem venerabilissimus Archiepiscopus Civitatis Ian. &. — 4.0 Hoc est exemplum conventionis quam Amicus de murta per abc divisum detulit &. ceps estis in terris post deum non estis sicut credo immemores hujus mei servicii qui nunquam fuistis oblitus aliquando quod sacro imperio servierim. Supplico itaque pietati vestre ut supreme misericordie vestre oculos aperiatis et mecum signum faciatis in bonum secundum misericordiam vestram. Ubicumque enim sum tam Ianue quam alibi omnifariam devotus existo et laegatis vestris tam quam dominis meis propriis servuli affectione subservio. Miseremini itaque mihi Sanctissime imperator miseremini ut a misericordia vestra que fere totum mundum implevit solus ego ne videar destitutus. Amicus de Murta habuit a curia V pprorum. pro sollempnibus annorum X et pallia XX. Remanserunt ppi. LX et pallium unum domini archiepiscopi de unoquoque anno. Variante. Imperatorie magestati Calvus lanuensis civis notificat quod cum ab ultramarinis partibus veniret accessit ad sanctum imperium suum et placuit imperiali celsitudini eum ad servicium suum retinere. ego autem letanter remansi cum equis palafredis et armis ceterisque necessariis per multum temporis. Tandem placuit nuncio imperii.....ut ad servicium imperiale irem cum fratre meo in stolum cipri et ibi fratrem meum perdidi cum universis que habebam et graviter vulneratus fui ad mortem. Unde gloriosissime imperator vos qui spem sanctam habere videmini et qui singularis — 404 — Summa renivi recuperandarum. De nave Villani ........ ppi XXlll cc XVI De embolo cuparie....... ppi V dc lxxiiii -S- De navi de Syo . ....... ppi ii ccc lxxxx De navi de nigrampo...... ppi iiii dcccc lxxx -r De navi que apud Almiro combusta fuit ppi M dccc lvi De embolo de sancta cruce .... ppi xxviiii ccc c xliii De navi lanfranci guercii..... ppi V ccc i De navi de Rodo....... ppi V cc De extra ordinariis....... ppi vi dccc M Summa ppi lxxxiiii cccxl. Date Oliveiro guaracco ppos xx communiter de eo quod ìecupe-raveritis de perdita Emboli de cuparia quos sicut iuravit expendit pro omnibus communiter. Item detis ei ppos xxx de eo quod recuperabitis de perdita Emboli de cuparia vel de nave sii aut perdita navis de nigrampo. Si omnes tres perdite recuperabuntur de omnibus equaliter. Alioquin de illis que recuperabuntur quos pro eis iuravit expendisse. princeps estis in terris post Deum non estis sicut credo immemores huius mei servicii qui nunquam fuistis oblitus aliquem qui sancto imperio servierit. Supplico itaque pietati vestre ut super me misericordie vestre oculos aperiatis et mecum signum faciatis in bonum secundum misericordiam vestram. Ubicumque enim sum tam Ianue quam alibi omnifariam devotus existo et laegatis vestris tanquam dominis meis propriis servili affectione subservio. Miseremini itaque mei Sanctissime imperator miseremini ut a miseii-cordia vestra que fere totum mundum implevit solus ego ne videar destitutus. Amicus de murta habuit a curia v pporum. pro sollempnibus annorum X et pallia XX. Remanserunt ppi. LX et pallium unum domini Archiepiscopi de unoquoque anno. — 405 — Item solvite Willelmo gallete ppos lx de eo quod recuperabitur de perdita navis de nigrampo quos pro labore sue persone nut expensis factis debet recipere sicut iuravit. Item detis ei quos similiter expendisse iuravit ppos xx de eo quod recuperabitur de navi nigrampi et de perdita de Syo et de perdita Emboli de cuparia de omnibus equaliter si recuperabuntur. Alioquin de illis que recuperabuntur. Hec minuatis de ratione perditarum que nobis mutuantur. De ratione Lanfranci piperis pro lb. viii . Sol. v!! jf de collecta VII • maris ppos xxxv De ratione Blancardi pro lb. x . . de collecta maris ppos i De ratione Pascali de marino pro lb. iiii -f de eadem ppos xviii De ratione Carmadini pro lb. iiii .... de eadem ppos xvi De ratione Ansuisi pro lb. i.....de eadem ppos v De ratione Opicionis villani de castro pro lb. ii-:- de eadem ppos x De ratione Guidonis spinule pro lb. i -r . . de eadem ppos vi De ratione Alberici pro lb. iii.....de eadem ppos xii De ratione montanarii pro lb. ii -J- . . . de eadem ppos x De ratione Ansaldi cebe et sociorum ex arcanto pro lb. i........de eadem ppos iiii De ratione Embroni pro lb. v.....de eadem ppos xx De ratione Enrici Malocelli pro lb. ii -r de eadem ppos De ratione Ugonis Cassine pro lb. ccvii -s- de eadem ppos xxx De ratione Fhilippi baraterii pro lb. v . . de eadem ppos xx Item de ratione Bisacini ex lb. v quas minus solvit de mutuo ppos xx. De ratione Idonis picii ex lib. vi et solidis v quos minus solvit ppos. — 4°6 — VI. 1188. — L’Imperatore Isaaco Angelo risponde a due punti di una lettera direttagli da Balduino Guercio: - i.° Si mostra ben disposto ad accogliere le giustificazioni di lui contro certe calunnie giunte all’ orecchio dell’ Imperatore 2.° Non ha colpa del malcontento dei genovesi, dovuto invece alle loro questioni. egli è tuttavia pronto a riconciliarsi ove vogliano da tali questioni astenersi. Gli dà infine notizia di un imminente viaggio dell’imperatore de Germani e dei re di Francia e Inghilterra in Terrasanta. Cfr. Miklosich e MDller, op. cit., p. i. L' originale i all'Archivio di Sialo di Genova. f ’laaàxto; èv Xpiaxw xw ■9-ew raaxò? (3aaiXeb;, {koaxecf% S.vcc’q, xpaxaiò?, ót^Xò?. òsi a&youaxo; xal aùxoxpàxwp Ta)[iaca)v 6 yA^eko<; xà> XcC&p faaildxc, [aou BaXSoufva) répx£w x/jV yxpiv aùxou. xò axaXèv YpàjijJia aou ScexojjLta^r) xfj paatXeÉa |iou xal ÓTxaveyvcòafb] aùxfj, St’ ou xal TtapeSrjXwaa? xfj paatXfifas flou, w? Sfjfrev órapaTtoXoyoótievos éauxoù x^?iv T^v xat“ a0^ àvcvc'/^oivxwv xfj (3aatXefoc [ìou, 8aa Sfjxa xal "apeòrjXwaa?. xal ypdccpet aoc ij [JaatXefa [iou, w? oùosiroxe xoiaùxa f;X~ca£V sì? àxoà? aùxfj^ èXi)'£tv Ttepl aoù , àXXa xal jxàXXov uTuepaTro-ftvrjaxstv ae xfj? xtjx^g xoù ax£(i[Jiaxo5 aùxfjg ixpoarjXEi, Si’ a xe jiuptaxi5 xai ab xal arcav xò yévo? aou àixò xfjq Tfc)|iav£as ia^rjxaxe àya&òv xal Sta xò àyafròv ■frÉXrjna xal xrjv eujjivetav, t)v 7tpò? aè xal xoùg auyye-veì? aou xal aùxf] ^ (iaacXEia p.ou IvESet^axo- ó[iws £rcel [i,IXX£t£, (0£ àvl[i.a^£v fj paatXeta [iou, xaxaXa^eìv rapò; aùxrjv, XTjVtxaOxa xwv 7xapa aou X£yo[iéviov fj §aatXeta (jlou àxpoà[aexat, xal] Sexxòv av iaxai aùxfj, et 3txatu9f(? Iv xoì? Xóyot? aou. [xal] èòrjXou xò xotouxóv aou Tpà[xtJ.a xal rapi xwv rsvvoutxfijv, 8xt yoyy(£ouac, [èx xfj? Pwfiavfas] ÓTioaxpÉtJm xòv àTtoxpiaiàpcov aòx&v, xal xouxo oux alxta? xfj? ^aacXsta? |i,ou YjOuvavxo yàp xal ouxot X7]V )^àptv aTCEVXEu&ev xfj? J3aatX£tag [xou a^sìv xal xfj? Iv xfj 'Paravia àoeta; xal TìàXiv sTtaTxoXauEtv, emep [J-^j £•? aXXa xal àXXa cpopxtxà èx^pouv ^xr^axa. xéw; 5’ ouv xal TxaXtv fj [3aacX£ta p_ou oòx àrc07t£ji7x£xat xoùxoug 3-eXrjaavxa? à7roa^£aO'at xwv xocouxwv L/rjX7j|i.àxwv xal aépEXiaafilvou? àvaxatvfaat xà? upòg xrjv ^aatXefav |J,ou xal XTjv 'Pwjjiavtav "poxÉpa? aujJLcpwvtai; aì»xo>v xal Trj Ttpòg xrjV BaatXefav jiou xal xrjv Twjiavfav 7itax£t xal oouXefa axot^£tv. oxc oà 0 euyevéaxaxo? — 4°7 — «osXcpòs *c?j|g fiaaiXelaq [iou 6 ’AXa^avia; xal ot sòyevéaTaxot ^YeS j & te T?js Opayyiag "/.a: xrjs TfyXcvias, jxéXXouat xaxà xt]v éopxrjv xoO dtyfou |-i£yaXo|xapxupos rewpyfou xa[£iO£ùaai] à~ò xwv yajp&v auxGv xal Ip^safl-at et? exotxrjatv xòiv èv 'iEpoaoXupocc; àvtwv xótewv , xouxo Ttpó TtoXXoO avép.atì’ev ij (3aaiXefa jxou xal arcò ypacpwv xal à"ò àTioxpiaiapfwv aùxwv, xal eaxeiXs xal ^ jkaiXEÉa |xou Ttpòg aòxobg xal àXXcu; jxàv àv&pwrous aùxyjg, àXXà 5t) xal xòv rcxval^aaxov aepaaxòv olxefcv aùxfj Xoy&O-éxrjv xoO 3p6p.ou xùp ’JwàvvYjv xòv Aouxav, waxe oSxovo^aat xà rapi xrjc età xyjs Xwpas t'TjS ^aatXefa^ (i,ou oisXsóaewg aùxwv xal xà Xowcà xà Boxouvxa aùxfj, àueòÉ^axo Sè xal aè, Sxt xal —epl xouxou xal ruspi xwv àXXcov a>v èypa^a? xfj paatXeca |ìoi>, -apsoy'Xwaac aùxfj ó? ttujxò? aùxf^, xal TiàX'v 5è i-iyj xaxoxvrjarj? èv xw (lexai-b uapaoTjXoOv xfj §aaiXeta pou rapi d)V èn'yvcog àvayxaìov eivat [iafl-eìv y. *{■ MyjvI §exeppt(p Jvo. y BaaiXixòv Tipo? xòv Tuaxóxaxov Xt^tov xfjc, paatXefa; (xou xòv BaXoouìvov Tepi^ov. Isaacius in Christo Deo fidelis imperator, a Deo coronatus, princeps potens, excelsus, semper augustus et autocrates Romanorum Angelus vassallo imperii mei Balduino Guercio gratiam suam. Missa epistola tua delata est majestati meae et ipsi recitata, per quam declarasti majestati meae quasi videlicet defendens te ipsum circa ea quae adversus te relata fuerant majestati meae, quae etiam sane declarasti. Et scribit tibi majestas mea quod nequaquam putasset talia ad aures suas ventura de te, sed potius mori te pro honore ejus coronae decebat, per quae millies et tu et totum genus tuum a Romania habuistis bonum et propter bonam voluntatem et clementiam quam erga te et cognatos tuos ipsa majestas mea ostenderat. Attamen quoniam in eo es (sicut majestas mea intellexit) ut ad eam intendas, ideo quae a te dicentur majestas mea audiet et accepta erunt ipsi si justificatus fueris in sermonibus tuis. Et declarabat ipsa epistola tua etiam circa Genuenses quod murmurant eo quod (e Romania) redierit eorum legatio, idque non ex causa majestatis meae; poterant enim et hi gratiam hinc maiestatis meae habere et in Romania rursus securitate frui nisi in alias et alias graves quaestiones incurrissent. Eos igitur non dimittit quamdiu Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XXVII1. Fase. Il, Serie 3.* 16 -— 4°8 — velint ab hujusmodi quaestionibus abstinere et eligant renovare priora ergo majestatem meam et Romaniam ipsorum pacta et in fide et servitio erga majestatem meam et Romaniam manere. Quoniam vero nobilissimus frater majestatis meae imperator Germaniae et nobilissimi reges tum Franchie tum Angliae debent circa festum sancti magni martyris Georgii navigare a suis regionibus et venire ad vindicanda sancta Jerosolymorum loca, hoc multo ante didicit majestas mea et a literis et a legatis ipsorum et misit etiam majestas mea ad ipsos, praeter alios quidem viros suos etiam pan-sevastum, sevastum proprium suum Logothetam cursus Dominum Johannem Ducam ad ordinanda ea quae transitum ipsorum per ìe-giones majestatis meae respiciunt et reliqua quae ipsi videbuntur, excepit vero et te quod circa hoc et alia de quibus scripsisti majestati meae significans te velut ipsi fidelem, nec rursus verearis interea declarare majestati meae quae judicaveris necessaria esse ad discendum, f Mense decembri ind. 7 f. (A. S.) VIII. 1191. — L’Imperatore Isaaco Angelo scrive al podestà Manegoldo Tetoccio di aver ricevuto la lettera inviatagli a mezzo del genovese Tanto : si mostra soddisfatto delle spiegazioni in essa contenute circa il contegno e la remissione dei genovesi e si dichiara pronto a ricevere legati per ristabilire le buone relazioni tra la curia ed il Comune. Cfr. Muu.br e M.klos.ch, p. *. L' originale in carta bomhicina é all'archivio di Genova. -{- 2uv£xwxaxe è^ouaiaaxà xoO xàaxpou Tevoua? MaveyóXSe */.ai u^ecs cppovijJiwxaxoi xóvaooXoi xoO xocouxou xàaxpou. ij p.£xà xoù ó|i,0y£V0’j; ujxcv Tàvxou axaXsìaa xfj [teaiXsfo jjiou ypacp] ^y-°lL''a^rì xal òrcavey- vwatìT) aòxYj, xal à-sòi^axo fj BaatXsta [iou xòv èrcl xfj ànò Ba-acXsta? (Jiou xal xrj? 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Per concivem vestrum Tantum (i) missa Majestati meae scriptura vestra allata est et recitata est ipsi, et excepit Majestas mea poenitudinem vestram pro vetere a mea Majestate et Romania vestra defectione, et conversionem commendavit et parata erat tota sua brachia extendere vobis et libenter recipere, et siquidem per vestram epistolam commissum erat ipsi Tanto ut circa expetita a vobis Majestati meae referret et ultra concinnata adjungeret et quod erat optandum a vobis ipse ei occurreret, concessitque Majestas mea ut ipse de iis quae a vobis expetuntur sibi referret. Quoniam vero a vestro ad Majestatem meam scripto haud ipse mandatum habere deprehendebatur; prop- (i) Ho corretto qui il Sanguinei, che male traduce Tanclerium e Taticlerio. Il nome Tocvtov e Tocvxtp è chiarissimo nell’originale greco; e questo personaggio è altrimenti noto da vari documenti. Cfr. Desimoni, 1. c., p. 164, nota. — 4IC) — terea neque ut mea curia in sermones de pactionibus cum eo veniret Majestas mea consensit, factaque est prudentiae vestrae facultas legatos ad Majestatem meam mittendi, qui validitatem negotiis paciscendis inter curiam imperii mei et ipsos exhibere valeant, ut iis quae a vestra prudentia expetuntur sic Majestatem meam invenient annuentem in auditionem eorum quae ab illis ei nunciabuntur, quando utique dignatio vestra circa prudentissimum Balduinum Guercium locum habebit ad obtinendum a Majestate mea in ordine ad conclusionem concordiae latius populi Genuae. -J- Mense octobri ind. -f. Imperiale diploma ad sapientissimum Potestatem civitatis Genuae Manegoldum et prudentissimos Consules -j*. (A. S.j VIII. 1192. — L’Imperatore Isaaco Angelo, dopo aver ricevuti i legati dei genovesi, Guglielmo Tornello e Guido Spinola, manda i suoi legati al Podestà, consoli e consiglieri di Genova perchè sanciscano con giuramento i patti stabiliti. Ch- Miklosich e Mùller, p. 24. V originale, caria bombicina, all’Archivio di Stato. -j- ’laaàxioc èv Xptaxw xw ftew marò? (3aaiXeb? •frsoaxscpv]?, àvaìj xpaxa:ò? , ò’prjlò; xal del aoyouaxo? xal aùxoxpàxwp 'Pwpaiwv 6 vAy-YsXo?, x« auvexcoxàxq) I^ouataaxf; xoù xaaxpou rsvoùa? xal xoì? eppo-vcpcoxàxo:? xal maxoxàxot? xfj pxoiXsix (jlou xouvaoùXoc? xal aupjiìoùXoi? xoO aùxou xaaxpou xal Txavxl xw xs Tevoua? TìÀYjpwjjiaxc xrjv yàptv aùxoù xal xò àyxd-òv frsXrjpa- ol auvsxcóxaxo: ànoxpiauxpioi ó|jkov, o xs TiXieXpo? TopvéXo? v.al b IY3o? SravouXa?, xaxaXapóvxe? rapò? xr/v (3aacXscav pou xal èvt&Taov aùxfj' axàvxe? xò xfj? ùpsxspa? tppov^asw? YP^fW v(i Paat_ Xswc pou àvsxópiaav, 3;’ où xal TtXrjpo^opyjMaa i[ j3aatXeca (xou sv3s5opsvov eyeiv aùxoù? èq ùpwv xò xpaxxafaat psxà xfj? aùXfj? xf)? (katXefa? pou raspi xojv ì>cXr|xéwv upìv xal xaxà xà àpéaavxa xfj [3aaiXs(a pou xal aùxoì? 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STTScptXo-ii[i,rjaaio 8è xfj Y^óilpa yojpa xatà xò à[xsxpov iXso; if(; àyca; aùioù Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXVIII, Fase. II, Serie 3.*. 27 — 4j6 — (SaaiXefcsg e£; àvxiair)xa)aiv xffiV tìoXXmv ^y)|jl’.(ov ^|x(òv è7téxeiva xoù 7rpoxa-s)(onévou kxo aùxrj; èv xfj MeyaXonóXet è|JipóXou xal xfj; 7ta-paXt'ou axàXa; xal xrjv TrXrjatàCouaav xfj rcpoxépa axàXa fj|X(~)v éxlpav axàXav xfj; ae^aajxia; p.ovrj; xoù MavourjX, àXXà Sy] xal xrjv èv xfj xoTxotMaia xwv KaXufJfwv oìxov xoù KaXa|Jiàvou rjxot xoO Boxavetàxou xal xà èxxò; xoO xoiouxou olxou rxpò; xò Suxixòv [xspo; avwftev xfj? xoù ’Avxrjcpwvrjxoù xtvaxépvr); èvotxixà xà xs aWvójisva xal xà cpfràaavxa xa-xarxeaeiv, coaxe xal xaùxa àveyepfrfjvat 7rap’ aùxwv àpXa(3G>; xal à^rj|xt(oc xfj xtvaxépVYj, àvxXeìv xs xal uocop arcò xf;? xtvaxépvr]; et? otxefav XP*lCTtv xoù; èv xoì; xoioóxoi; èvotxtxoì; xaxajiévovxa;, àveu [xévxot Xouxpoù xal Ttoxoù àXóycov, xal xà auvaTrcójisva éxaxépwfrev xw èjJLpóXq) ^[ìwv èvoixixà xf]? xe [j.ovf^ xoù à”ò Aoyofrexwv xal xfj? [Jiovfj; xoù Ilaxptxiou ©eoSoafou. xaxévsuae Se Soùvat i?)fiìv xal (iivxot xal èrttSéSwxe xà ÓTièp xtov Tùapextì'ovxwv xpiwv Xpóvwv coXé[jLvta xrj; xe xotvóx7]xo; xal xoù ap^teruaxoTtou ^|iwv, rjyouv uTièp éxàaxou xpóvou Xóyw jisv xt)c xotvóxrjxo; ÓTiéprcupa revxaxóaia xa( pXaxxia Suo, Xóyco Sè xoù àpxteTtiaxÓTCOU órxépTxupa é^rjxovxa xal (ìXaxxfov §v xal ea-poafrev ÓTièp ypóvou évo? rapò; X(p fj[i£aei aùv xfj yeyovufa rxapà xf/? àyta; aùxoù (3aatXeia; aù^aet xaiv éxaxòv Ó7xep7iupcov èuéxeiva xwv xotouxajv Tievxaxoatcov urrepTtùpwv xat xwv Suo (SXaxxftov xal xwv éxépwv xeaaapàxovxa uT-epnupwv xoù aoXe|Jivtou xoù àpxteraaxÓTcou èrrexetva xgjv 7Cpoxexu7tw[Jt£V(i)V sSr'jXOVxa unepTiupwv xal xoù évo; jSXaxxtou. ext Stwpiaaxo 7] àyta aùxoù paatXeta àvxtaxpacpfjvat r)|i.tv w; owpov aùxf,; xal xò àcpatpeO-èv àrrò xoù tìXolo’j, St’ ou fjjxeì; eìarjXO'OjAev et; xr]v MeyaXórtoXtv. xo[i|iépxtov eTtéxetva xóóv xeaaàpcov et; xà èxaxòv xal et; xò e^fj; oùxa) xojijJLspxeueCT'S-at xoù; ènotxou; xoù xàaxpou xal xfj; ywpa; ^[ìwv Ttapa-xeXeuaajiévr) èv xe xfj MeyaXonóXet xal xat; Xotrxat; ytópat; xfj; Poj[J.avta;, xafrw; xà Txept xouxwv "àvxwv rcXaxuxepov StaXvjcpKjaexat èv xò> yevyj-cojxévq) fjjxtv xpuaoj3o’jXXq), èv w xal uapoùaa ^p-wv eyypacpo; xal èvurxóypacpo; au|j.'^(i)vfa àvaxaytì'fjvat [jiéXXot. (b; oùv ouxa) xaùxa 7} ayta aùxoù [jaatXeta cptXavS’pojTrw; xfj ^jJtexépa ywpa àvxtSoùvat apa xal èTitcpt-Xoxtji.rjaaaO'at rjùSóxrjaev, àa|j,évw; xal ^[Jtet; xrjv xotauxrjv àvxtarjxcoatv xa>v ^rjjjitojv xal jjaatXtxrjv ytXoxtjxfav Se^àjJievot xò rrapòv eyypacpov èxxt-frejiexta Ixouatajg xal aùxoO’eXw; xal Stya [3ta; xtvò;, Si’ ou xal rtapa-SrjXoùfjtev, oxt xat è; èvxoXfj; èyypà'^ou xoù xe è^oucrtaaxoù xal xwv au[iPouXwv xoù xaaxpou xal xf;; ywpa; fjjiwv xal xaxaSoyfj; xoù Xoitxoù 7xXrjpa)|i.axo; xf;; Fevoóa; xaxà xò èvSo^èv 'fjjJitv ~ap’ aùxSv xà; xotaùxa; paatXtxà; - 417 — cptXoxt|xta? uapaoeydixefta, xal ajxwjaxtav rafcay)? £y)|x£a? ev xe xfj èratacpp^aet xoù xupàvvou xal 7tpò xouxou xal jxexà xaùxa xal jiiypt xal vùv xfj ywpa xfj? Fóvoua; à~ò xoù jjipou? xf(? Tw|iav£a? jxeptxffi? rj xaO’óXou yevo|xévrj? xai)"j7i:tayv0'j|i£t)'a, xal SouXeuetv xfjv ywpav fj|A&v xw xuptw jjaatXet Pw|xatwv xal del aùyouaxqj xùp ’laaaxfw xw ’AyyéXq) xal Txàat xo-? xX7]povó[Aois *«l Staoóyot? aùxoù xal aùxfj xfj Tw|xavta xaxaxttMjxefra xal au|xcpwvoù|xev xaxà xà; 7cpo§àaa? aujxcpwvta? Ttpò? xòv àofòtjxov paatXéa xùp MavouyjX xal xoù? xXrjpovójxou? xal otaoóyou? aùxoù xal xrjv Twjxavtav xà? xal 8t’ opxou Tcp&xa jxsv xoù xóxe àTtoxpiatapfou Tevoua? xoù ’A{itxou os Moupxa èv xfj paxtXtx^ aùXfj yeyovóxo? ò|xo8-etaa?, Smxa Se xal Ttapà xoù xàaxpou xal xfj? ywpa? fyxwv evwjxóxw? xupw&etaa?, à? xal 6 àowtjxo? [jaacXeù? xùp MavouyjX uapeoé§xxo xal ypuaópouXXov Xóyov xfj? ày£a? èxetvou paacXeia? èrcl xauxat? èjSpàpeuaev, w? xal xfj? ywpa? ■fyxwv àTìoXauciv òcpetXoóayj? xfj? è^xouaaeta? , yj? aTioXaóetv èxùywo|xev Stà xoù èitì xat? xotaùxat? aujxcpwvtat? yeyovóxo? ypuaopoùXXou xfj? àyta? èxetvou jia-atXeta?, 8? 5yj ypuaó[3ouXXo? Xóyo? aùv xw 8pxw xoù ’Ajuxou xal èv xw yevyjaofxévw Tfjjxtv ypuaojìouXXw xaxaaxpwfr-qvat òcpet'Xet xal èv xaxoyfj xal vojxfj etvat où jxóvov xwv Tcpoxaxeyofxévwv Ttap’ fjjxwv, àXXà xat xwv afjjxepov è~tcptXoxt[xrjS'évxa)v fj|xtv xal xfj? xwv aoXejxvtwv oóaew? xwv xe TtpoxexuTtwfxévwv Ttapà xoù èv paatXeùatv aot8t[xou |3aatXéw? xùp MavouyjX xal xwv ayjjxepov èTiauEyj&evxwv Txapà xoù èvQ-eou xpàxou? aùxoù 8tà xoù yevr]ao{xévou xfj yvwpa f(|xwv Ttapà xfj? àyta? aùxoù [BaatXeta? ypuaopoóXXou. xal èm ~àat xouxot? àpeaxójxevot xò Ttapòv èxxt&éfie9,a eyypacpov xal 5pxw [xéXXovxe? xoùxo pe^atwaat xal xat? otxetoyetpot? ^xexspat? ÙTtoypacpat? xal xat? auvf^eat poùXXat? vjjxwv d)? xaxà èvxoXfjv xoù èco’jataaxoù xfj? Tevoùa? xal xwv au[xj3oùXwv xal xaxaooyyjv xoù XotTtoù TtXyjpdùfiaxo? xoù xàaxpou xat xf(? ywpa? ^[xtov auixtjjwvoùvxe? xal Ttpàxxovxe?. eyet 8è xat ò 8pxo? ifyxwv, 8v èTiOjxóaaad-at |xÉXXo|xsv, ouxw?’ ■fjjxet? ol aTtoxptatàptot xoù xàaxpou xal xfj? ywpa? Te-voua? ó xe rtXt'eXjxo? TopvéXo? xal ó Tt'So? SixtvouXa?, axaXévxe? Tipo? xòv utjjyjXóxaxov aùxooxpàxopa Twjxat'wv xal àel auyouaxov xùp ’laaàxtov xòv "'AyyeXov Ttapà xoù è&uataaxoù xal xwv xovaouXwv xal aujxjiìouXwv àitò xotvfj? fiouXfj? xal xoù xàaxpou xf(? Tevoua? [xexà ttoXùv xpaxxata|xév àTioaxàvxe? wv è^xoùjxsv xax’ è7itxpo7tfjV xoù ^eS’évxo? è^ouataaxoù xal xfj? xotvrj? pouXfj? xoù xàaxpou ÒTièp xoù xotvoù xwv èv xw èyypàyco xw ~ap’ fjfxwv yeyovóxt xal óitoypacpévxt Ttepteyojxévwv, a>? xfjv ÓTtèp xouxwv — 418 — àvxtarjxcoatv àpéaxouaav f)|Atv Xa|3óvxe?, xa-9-’ 8 efyo[iev èvoóat|i.ov ruspi xfjC apeaxeta? fjj-wv à"ò xoù èìjouataaxoù xal xfj? xoù xaaxpou [BouXfj? , Ò(jlvuo[isv et? xà àyta xoO $eoù eùayyeXta xal et? xòv xcjJitov xal ^wotxoiòv axaupòv, (b? 6 ^yjO-el? è^ouaiaaxrj?, xotvfj? (3ouXfj? xoù xaaxpou rapi xouxou yevojjivY]?, èvéSwxev fj|j.ìv ò|j.óaat èTiàvco xfj? aùxoù xrjv Txapà xoù xaaxpou xal xfj? ywpa? Tevoua? ysvojiivrjv au|xcptov:av otà xoù xóxe àno-xptataptou xfj? Tevoua? xoù ’Ajuxou Se Moupxa Txpò? xòv àot'8t|Aov [iaatXéa xùp MavoufjX xal xoù? xXrjpovó[J.ou? xal 8ta8ó)(°u? aùxoù xal xfjV Tw-(jiavtav Txpò? aùxoxpàxopa Twjjtatwv xal àel auyouaxov xùp ’laaàxtov xòv 'AyyeXov, xa-9'òj? xal Txpò? èxetvov cb{j.ó9-rj, xat Bit a ÓTxèp xoù xotvoù è^YjioùjJtev xà xal èv ito èyypàcptp xw Ttap' fjjitov uKoypacpsvxt rcepte^ó^eva, è? èvooatjJLGu xoù aùxoù è^ouataaxoù xal xfj? ftauXfj? xoù aùxoù xaaxpou etàaajjiEV 8tà xrjv àvxtarjxcoatv xtjv 7upò? xò xotvòv yevo|JÌvy)v. a59't? Ò[avùo[xsv èixàva) xf(? 'jiuyfj? xoù prjiMvic? è?ouataaxoù, a>? Iva xyjv Sy]Xco-tì-eìaav au|i? Iva porjO-fj ó iJ'cò? fjjj.lv xal io) è^ouataaxfj xal xot? xovaouXot? xal au[i-pouXot? xal xat? xe o't’xq) èx- - 419 — xXrjaifòv xal xoù Xouxpoù, àXXà St) xal xfòv exxòg xoù Tteptxstxfofiaxo? XOÙ XOIOUXOU OIXOU Ttp òg xò SuXlXÒV [JtépOg àvWxtev Xfjg x’iVaxépVTJg xfjg xw Avxt^wvrjxC) Sia^spoùarjg èvoixtxfijv xwv xs aw^ojjivwv xal xwv cpfraaàvxwv xaxaTtsasìv, &axs xal xaùxa àveyepiHjvai ~ap’ aùxwv àpXapGjg xal à£y]|.tfw; xfj xivaxépvfl, àvxXsTv xs xal 5Swp àitò xfjg xiv-axspvrjg elg oìxsiav XP*Jacv T0% xotouxocg èvoìxixoìg xaxafiivovxac, àvsu |j.svxoi Xouxpoù xal rcoxoù aXóywv. xuTtoì Ss Xa|ij3àvsiv xfjV xoivóxrjxa Tsvouag xal tòv àpxi£7tiaxoTtov xà Ttpoxsxujtwjiiva aùxoì; aoXéjivia, f^ouv xrjv [j.èv xoivóxrjxa èxrjai'w; ÙTtspTtupa Ttsvxaxóaia xal pXaxxta Suo, xòv Sè àpxteraaxoTtov ÙTtspTtupa é^fjxovxa xal jSXaxxiov èv, xal èróxstva xouxwv xfjv [lèv xoivóxrjxa èxrjai'w; cxspa ÓTtsvTtupa sxaxòv, xòv Ss àp^isTtiaxortov èxspa ÓTtépTtupa xsaaapàxovxa, a xal èSó-6-rjaav aùxoìg xaxà xò Ttapòv, xà [xév Ttpoxsxwrwjjiva u~sp xpóvwv TtapsX^óvxwv xpiwv, aùxà Ss aùxhg aùv xfj aù^f|asc uTtÈp xpóvou svò; 7tpòc xw fj[«aei ? àv 07i£p èjcófi6ao|j,at, au[i,cpwvwv Txpooomcp xwv l’EVOutxfijv [x£xà xoù ód/fjXoxxxou paatXsw? 'Pwjxatcov xoù ixopcpupoYevvrjXOU xùp MavoufjX xoù K0[AVT)V0Ù, axepy^fj xoùxo xal Tiap’ aùxwv, xfjv Ttapoùaav aujjupcovfav Tiotw xa! È7iO[iv6ct) aitò ^eXt^cjeco? Tiavxwv xfóv I Evoutx&v 7ipò? xòv xuptov paatXéa xòv 7top W ilici mus Caligepolii Not. Sacri Imperii et ludex ordinarius atque Ianue Cancellarius precepto supradictorum consulum subscripsi. 4|-- EE JU PSE (*) Consul Comunis. f Ego Bisacia Consule Communis Litterarum ignaro Reverendo signo Crucis ab eo premisso ego W. Caligepolii (*). ^ Ego Obertus Ususmaris Consul Comunis (*). rp B. D. H. (*) -J- Ego Tanto suschirsi (sic). -J- Ego Obertus Porcori Claviger Communis Otto peaeoll tt. XII. 1192, Novembre. — L’imperatore Isaacco Angelo manda a lagnarsi di Guglielmo Grasso e altri genovesi, che insieme con Pisani avevano assalito Rodi facendovi stragi e rapine; e avevano poi commesso altre piraterie. Qualora il Comune non intenda dare soddisfazione dei danni, l’imperatore minaccia di confiscare i beni dei genovesi abitanti in Costantinopoli. Cfr. Miklosich e Mùller, op. cit.. p. 57 L' originale in carta bomhicina è all’ archivio di sialo. f ’laaàxio; èv Xpiaxw xw Oew raaxò; (kaiXeù;, tteoaxecpf); àva£, xpaxaiò;, ùt^rjXò;, àel auyouaxo; xal aùxoxpàxwp Twpatwv 6 :'AyyeXo; xoi; auvexw-tàxoi; xouvaouXoi; xal aevaxwpai xal XoiTtoì; èxxpfcoi; è;toixoi; xou xàaxpou Fevoua; xal xw Ttiaxoxàxw xrj (SaaiXefa [jlou Ttavxl xouxou 7tX7]pwpaxi rrjv yàpiv aùxoù xal xò àyaO’òv tMXtjpx. xò Ttepi xyjv xaO' ùpà; ywpav eupeve; xfjC paacXaac pou xal ayaxtafreXe; èE, spyojv aùxwv ùplv Ttapeaxyjaaxo ^ paatXeta pou où póvov sic xrjv ywpav aùxfj;, aufri; TtapaSeìjapévT) ùpà; Ttapà xoù xupàvvou ’Avopovtxou èxoiwyxl’évia;, àXXà xal xà oià youio-SouXXwv xwv àoiapwv paaiXéwv xal Ttpoyóvwv xfj? §aaiXeia; pou oeSw-prjpéva ùpìv oixaia èv xfj MeyaXoTtóXei aùih; ùpìv aTtoxaxaaxi^aaaa xal exepa TtoXXw TtXe-w xal pe:£w èxecvwv owprjaapevr, upìv, wv xal èv xa-xaayéaei èaxè, xal xaxà ye xò xfjg (kaiXefa; pou ftéXrjpa xal où5’ et; a?ò)va; oXou; xfj; xouxwv xaxoyfj; xal vopfj; axepfjaat ùpà; xc; ouvrjaexai' xoaoùxov 8s xò cpiXóxipov Ttepl xrjv xaxP upà; ywpav èTtiSei^apévv) fj jjaaiXeca pou àvàXoyov xal xrjv ùpwv oouXetav e^eiv TtpoaeSóxa, xal prj póvov prj ale TtoXepi'ou; ùpà; eupiaxeiv xal Ttpocpaveì; eyfrpou; àvxixpu;, (*) Le sigle non sono riproducibili esattamente con caratteri tipografici. — 449 — àXXà /.al auvepi'ftou? xal aojijxaxou? èv raàatv ot? àv eùpEO-fjiE xóraot?, stxs xaxà £r)pàv, etxs xat xaxà MXaxxav xò Zi vùv rapa^àv raapà xtvo? raXotou ysvvoutxtxoO èv xfj x('>p?- x'^? PaatXst'a? [xou, ou xaxf/p^ev 6 i£ rtXtlX|xo? ó Fpàao?, ‘Paoouavò? ò vaóxXrjpo?, ó Bàxa Boùj3a, ó averto? xoù BaX-oout'vou répx^ou, 6 T£i'p7)? Aat^wv, Oùyo? ó Méotao?, 6 IIuppo?, ó 2e-(xoùvxo?, ò AtpàXxo?, ò llaXi^éx^Y]? xat ó IlaaxàXrj?, ao|XTtvEÙaavio? xat sxépou raXotou rataaatxoù, raàaav è'/^pac ÓTiepeXauvet evoetctv. -pwxa |xev yàp xaxà xfj? xc'JPai= (JaatXeta? [xou xfj? TóSou d)? cptXot ito Xtjiivt aùxfj? rapoaoxe£Xavxe? oraXa fjpavxo xat àóraXot? xa! àcpuXàxxotg èvxuxóvie? xot? 7X£pl xòv atytaXòv xfj? xotaùiY]? ri po') otxouat jxaxatpa? xouxou? 19-evxo raapavàXwjxa, xal Tiàvxa xà rapoaóvxa aùxot? raàpEpyov Xeio? è~ot7'aavxo-£7x£txa xal raXotot? èvxuxóvie? (fevEitxot?, àuò itóv [xepfiv xfj? naXataxivrj? xal xfj? Atyuraiou Tipo? xrjv (5aatXs£av |xou èpxo[xévot? xal àraoxptataptou? xfj? paatXeta? jxou, àXXà xal xoù aouXxàvou xfj? Atyuraiou xoù SaXa/a-xtvou rapò? xf]v paatXet'av (xou 0taraX0)t^0[X£V0U? r/cuat, vaupa^tav xal xax* aùxtòv èvEaxrjaavxo, xal a)? tpt'Xot rapoaeyytaavie? xoùxot? xa! rapepévxav Etprjvtxw? xà^a èìj aùxtóv èrat^rjxouvie? èraerafjSrjaàv xe aùxot? Xrjaxptxw?, xal èv xaxaa)(éa£t toùiwv y£VÓ[X£V0t xoù? [xèv àraoxptataptou? tfj? jìaat-X£ta? [xou xa! xoù? xoù aouXxàvou xfj? Atyuraiou àraTjvS)? xa! àvyjXeó)? Stà |xa-/atpwv xaiéacpacav xal àXXou? Tcojxatou? xa! Suptàvou? rapay|xa-x£uxà?, Saou? èv xot? xotouxot? raXotot? eùpov, xà Sè èv aùxot? rapàypaia xfj? (ìaatXeta? jxou xal itòv cPw|xattov rapay|xai£uitìjv xal Xotrawv xa! xà raapà xoù SaXayaxtvou aiaXIvxa xfj ^aatXEta [xou cpàptà i£ xa' (xouXàpta xal àXXota £toa xuvy]y£xtxà xal raavxota raoXùxtjJ.a "pàyixaxa àvsXàpovxo, [xrj xtvo? xwv èv xot? xotouxot? raXotot? 'Po)|xat'ou fj è&vtxoù, yptaxtavoù xe xal |xouaouX|xàvou cpetaàjxevot, zi [xfj jxóvov itov èv aùxot? òvitov FevvouV-itov xal Iltaaatwv, ot? xat atoa xà rapàyjxaia aùxwv àraooeotóxaatv, àXXà xal raXotto XoYyopapStxò) èviu^óvre?, et? xà |xepr] xfj? K ùrapou àraepxo-|xév(p xal àraoxptataptou? xfj? paatXeta? |xou èyovx', xóv xe O-EocptXÉaiaiov èrataxoraov Ilàcpou xal rcpósSpov itov raptoioauYxéXXcov, xal xòv cppéptov ^raavtouXov Ouyov xal xòv Xt^tov xapaXXàptov xfj? paatXeta? [xou Htratvov xòv Iltaaatov, xa! xw xotouxti) raXotw Xrjaxptxto? èTuiMjxevot xaxta^uaav xa! aùxoù, xal xoù? [xev AoyY^àpSou? [xayat'pa? raapavàXtójxa èì+evxo, xòv Sè Htratvov Iltaaatov xal xòv ^TtavtouXov Oùyov [xsxà xa! xòiv racay^axaiv aùxwv àKoXeXùxaat, xòv i>£ocptXeaxaxov èntaxonov Ilàcpou xal [xóvov èv Seajxot? [xé^pt xoù vùv xai^ovis?. xaùxa raàvxa Tiapà xtov lltaaatcov xa! — 450 — xwv revvoutxGv xaxe-pàyfl-Yjaav, xal xóarj £7]|xta xal àxtjxta xfj [iaatXeta [xou xal xf, 'Pwjxavta èx xoù yévou; ujuov Txpoaeyévexo- àXX’ fj [iaatXet'a |xou xal xaùxa xoù 7xpày|xaxc; [xeyàXou ovxo; xal [xeyàXr]; èxStxi^aeto; oeojxÉvou , cptXavfrpwTtw; PXP'- xal vùv àvéyexai, xal sì xal zly^zv àvxl xwv acpayévxwv Tw|xat'wv 7tXetou; revvoutxa; àvxaTioxxeìvai xal Iliaaacous xal àvxl xwv àcpaipefrivxwv Txpayjxàxwv TtoXXajrXàata Xaj3eìv, èx5tG>ì;a'' xe xéXeov xwv xfj; Tw|xavta; òptwv adepto xà xotaùxa yévr), 8|xw; r^éyzxo xal etaéxt àvéyexat, àv etSrjatv Soùaa xfj ùraxépa auveaet èxStxrjcrtv è; aùxfj ; Xàpot xf(v Tipoafjxouaav xal txàvwatv xwv Ttpayjxàxwv xwv xe 7tpay|xaxeuxwv xal xwv xfj; paatXeta; jxou xal aùxwv xwv Txapà xoù aouXxàvou xfj? AEyuTtxou oxaXévxwv xfj (ìaaiXeta [xou, à xal 7xoaoùvxat, xà jxev xfj? jjaacXei'ac (xou et; vo[x£afxaxa ÙTtéprcupa é;axtay:Xta é^axóata èpoo^fjxovxa -Ivxe, xà Sè xoù jieyaXe-icpaveaxàxou xal oSxetou xf] jiaat-Xeta [xou [xujxaù et; ÓTtfprcupa exxaxóata, xà xwv Txpayjxaxeuxwv et; ytXtàSa; ÙTxepTtupwv xptaxovxa èvvéa. vofxta|xaxa ojiota exaxòv èvvevfjxovxa xpt'a, xoù TrepmotWjXou aùxaSeXcpou xfj; j3aatXet'a; [jtou, xoù Ttaveuxuyeaxàxou aepaaxoxpàxopo; xupoù ’AXect'ou, et; ÙTtepuupwv ytXtàSa; Txevxrjxovxa, w; etvat ójxoù xà oXa ytXtàSa; ÓTtepTtupwv èvvevrjxovxa zq, vo[xtojxaxa ojxota Txevxaxóata e^xovxa ec, àveu xwv |xfj SrjXwO^vxwv èv xw arj|xetw|xaxt, a); xwv èyóvxwv aùxà xwv [xèv acpayévxwv, xwv Sè xaxaayeSivxwv, xal àveu xwv Txpò; xrjv paatXet'av [xou Ttapà xoù SaXayaxtvou axaXévxwv cpaptwv, ìjuXaXowv , jSaXaajxeXatou , à|XTtapàxwv , |3Xaxxt'wv , aeXoyaXtvwv ypuawv etxoateruxà [xexà Xtfraptwv xal [xapyaptxàpwv xal xwv xoù 2aXayaxtvou xal xoù aTxoxptataptou aùxoù xal éxépwv totxwv 7xpay|xàxwv. àvaStoàaxet yoùv xaùxa ùjxà; fj paatXeta jxou, xal èTti^vjxeì è; ójxwv xaxà xfjv aujxcpw-vtav ù[xwv xyjv xe èrti xot; àTtoxxavitetatv éxSi'xrjacv xal xfjv xwv Ttpay-[xàxwv "àvxwv txàvwatv zi oè |xt] txavwfrrjaexat xaùxa 7xàvxa à7xò xwv èv xfj MeyaXorcóXet Ttapeupefrévxwv Tevvoutxwv, ou; èv èXeu-9-ecta [xéypt xal vùv xal èv Ttàarj àSeta otacpuXàxxet fj paatXeta [xou xal èv xaxaayéaet xwv oeowp7][xevwv xfj Tevvoua àxtvfjxwv èvxò; xfj; MeyaXoTtóXew; ovxa;, Staxrjpet [xóva; xà; Ttpay|iaxeta; aùxwv èv àacpaXeì i)'£|xÉvr], waxe Ttap’ aùxwv 2ta~wXetaO'at, xattò; àv aùxol xal ttpò; où; (i&uXwvxat, xal xò xt(XTj|xa xouxwv èvaTtcxt^eaS-at, w; àv et jxrj cppovxl; xfj ujxexépa ywpa yevotxo xfj; òcpetXojxévrj; è~l x(T> xotouxw àxoTxfjjxaxt èxotxfjaew; xal xfj; xwv Ttpayjxàxojv Ttàvxwv txavwaeco;, txavw^fjvat xaùxa IE, aùxwv xfjV xe ^aatXetav [xou xal xoù; èv xot; xotouxot; TtXofot; ovxa; Ttpayjxaxeuxà; xal - 451 - gxioxe tJjXvì dvoLi xfjV rapò? ó|ià? xfj? pooiXeìa? |iou eòjievetav, et poó\eo&e, aG)av xa! àacpaXfj. cppovicaàxoj ouv Yj ù|JL£iÉpa auveai? xou xe auji^ipovio? u|xtv xal xoù à^rj|ifc'j xfj (iaaiXeia (xou xal xfj T(0(xavta. irai xouxw yàp xal o raapà>v Sv&pwrao? xfj? (jaaiXeta? jjiou 6 ’lyyXtvo? IKipo? aùv ito CTUjxraoXfxr) OjjLwv IléxpM IlavScóXtp rapò? ufià? àraEaxàXr). -J- M 7) v 1 voe{i,ppc(p ivo. ia\ -j- BaaiXtxòv £Ì? xoù? auvEiwxàxou? xouvaouXou? xa! aevàxwpa? xal Xoiraoù? èxxpixou? èraotxou? 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[3aatXeta? |xou xal xfj? Twjxavfa? xal x<7>v Tevoufxwv xal Iv x(p rapoaraoXu&ivxt ypuaofìoùXXw Xóyw xfj? (^oaiXefa? jxou xaxà xòv àvcoxepw OTjXwìt'óvxa xatpòv, Iv w xal xò òpxwjxoxtxòv aùxwv eyy?a9°v xaieaxpwjxsvov laxl, 5y]Xoó|ieva xal jxrjoeTcoxs àXXoxe raapà xrjv raEpcXijt^tv xou xotoùxou xpuaopoùXXou xfj? fkatXeta? |xou rj raapà xoù |xépou? xf,? PaatXeta? jxou xal xfj? Twjxavta? yevéa^at Irai xot? Tevoutxat? r, raapà X(ov revoutxfòv irai xw (xépEt xr> paatXeta? [xou xat xf(? To[xavta?, àXXà [XTjoè àraò xoù, u)? eìprjiat, rapo^àvxo? axavoàXou rapópaatv óxeSt'-oxe |xeptxw? rj xaO'óXou xw (xépst xfj? paotXeÉa? [xou xat xf(? 'Pwjxavta? 9/ xf( Fevoùa 5o3-7jVat et? àvaCpeatv xwv |xexa£ù ^[xwv au|xcpw'/rjt)-évxwv èv xw Xpuao[3oùXXw Xóyw xfj? ^aatXeta? |xou xal xw òpxw{xoxtxw lyypacpw aùxwv ilxraeptetX7][X|X£vwv, àXX’ iv àacpaXet xal àraapapàxw xal àxepatw cpuXàx-xea&ai xaùxa , xa&w? àpyjj9-£V iìjexÉtbjaav, xal oòxw XoytCeotì-at, w? jxrjOEVò? raap£|xraeaóvxo? axavoàXou et? àvatpeatv xoùxwv órawa5r(raox£ àcpo-pwvxo?. irai xouxw X>J ~apòv youao-jouXXov atyiXXtov ir)? paatXeta? [xou Iraeppaj3eu{bj aùxot? et? àa^àXetav atwvtCouaav y. -J- MtjvI òxiw(3ptw Ev5. t§' Pervenerunt quidem a civitate Genuae missi ad majestatem meam circa mensem Aprilem praeteritae indictionis seu millesimi septingentesimi anni, legati Guido Spinula et Guilelmus Tornellus ad concordanda cum majestate mea et Romania jure civitatis et regionis ipsorum, quotquot videlicet concordaverunt scripto jurato foedere ipsorum, et declarantur in chrysobulo majestatis meae illis concesso et per ipsum tempus remisso, in quo talis concordia ipsorum ad verbum comprehenditur. Quoniam vero nondum ne unius quidem anni circulus elapsus est, et bonis adversans Satan et pacis inimicus insusurrans animis improborum hominum Genua proficiscentium, venenum his latrocinii et injustitiae infudit et piraticis navibus non solum longis sed et levibus et onerariis Issicum et Pamphylium praeternavigantes mare, in naves quae per hoc transibant sanguinarias manus injecerunt et jugulantes eos qui in ipsis erant, pertinentia iisdem praedabantur. Et inde quum incidissent in Venetum navigium quod Constantinopoli ad Aegyptum iverat et rursus Constantinopolim appellere festinabat ferens homines — 460 — imperii mei et legatos generosissimi illius Sultani Aegypti Salacha-tini ad majestatem meam et res non paucas ab illo majestati meae missas, sed et mercatores Romanos multos ex ipsa urbe Constan-tinopoli profectos et res praecipuas mercatorum qui in ipsa sunt deferentes, accesserunt ad hujusmodi navigium amicos et pacificos primum sermones erga illos ponentes, repente in illud praedonum more irruerunt, et cum interfecissent non solum omnes imperii mei homines, qui in ipso erant, sed etiam legatos dicti generosissimi illius Sultani Aegypti qui ad majestatem meam missi fuerant; omnibus rebus quae in navigio ferebantur et etiam iis quae a praedicto Sultano mihi mittebantur, equis et faris bestiis et cicuratis animalibus, qualia Lybia alit et Aegyptus, potiti sunt. Quum igitur haec leniter perferre majestatem meam non deceret, quumque ipsa a mercatoribus qui in eo navigio inventi fuerant, incitaretur quotidie apud ipsam deflentibus et vindictam enixe deposcentibus et majestatem meam tota die deprecantibus ut compensari permitteret res eorum a Genuensibus qui hic inveniuntur, majestas mea simul et Constantinopolitanis mercatoribus maximam partem allevans tribulationis et damni cessationem proponens, simul et Genuenses magis magisque exstimulare volens ad hujusmodi scelus secundum pacta vindicandum, Genuenses Constantinopoli degentes congregavit, eisque praecepit ut sceleris vindictam procurarent. At cum hi talis facinoris rejicerent curam eamque a se removere tentarent, objicientes malitiam eorum qui id patraverant, eorumque a multis annis e propria regione expulsionem, tum rursus acerbius in ipsos Constan-tinopolitanus incitabatur populus et ferventius precabatur majestatem meam ut ab iis resarcirentur ea quae ex eo navigio fuerant ablata, Majestas mea tempori et negotiis indulgens moderate cedit et Con-stantinopolitanorum tumultum reprimens et Genuensibus securitatem super eorum negotia comparans et praestitutam concordiam majestatis meae et Romaniae et civitatis et regionis Genuae haud irritam reddi procurans et sinens quidem Genuenses reliquas res suas servare, partem ex ipsis sumit sub vadibus ab iisdem datis et ab ipsa designatis ad detinendam tamquam depositum hujusmodi partem in hyperpyrorum viginti millia computatam: ea conditione ut si incolae civitatis Genuae eventus notitiam nacti ad facinoris vindictam — 461 — excitarentur, reddenda esset iis deposita pars; si vero negligenter circa eam vindictam se se habuerint, erunt hujusmodi viginti millia hyperpyrorum apud Romanos in suarum rerum compensationem. Ordinantur haec a majestate mea et tumultus sedatur et Genuenses rursus libere Constantinopoli versantur iisdem conditionibus acquisitis sine impedimento utentes. Mittit vero majestas mea hominem suum cum litteris una cum quodam Genuense, eorum qui Constantinopoli degunt, ad civitatem Genifae qui facta significet: Genuenses vero recipientes majestatis meae litteras, rem sicut decebat sapientes et prudentes viros majestatique meae fideles ordinaverunt, et multa quidem iis de negotio sollicitudo excitatur. Mittunt vero legatos ad majestatem meam de his rebus tractaturos, fidelissimum nempe vassallum ipsius Balduinum Guercium et Guidonem Spinulam, qui quum adiissent majestatem meam et multifariam ipsi satisfecissent, turpe illud facinus existimantibus Genuensibus rejectum et damnatum et propterea multo abhinc tempore fugam indictam a Genua et a civitate eorum judicialem persecutionem, nunquam vero cessaturos ab iis insectandis, donec comprehensos in manus majestatis meae tradiderint: et quum multam fecissent erga majestatem meam obtestationem ne, propter duorum vel trium hominum, totam per ipsos abjiceret civitatem quae multam erga majestatem meam et Romaniam alit fidem et benevolentiam deque ea gloriatur eamque totis manibus exaltat, flexerunt majestatem meam eique persuaserunt ne justum cum impio, vel potius propter impium, perderem. Et sane flectitur his majestas mea et sponsoribus depositam ge-nuensem pecuniam, sicut superius declaratum est, quod jam Genua impositam sibi curam impleverit, reddi ipsis decrevit, et quidem reddita est. Quoniam vero ob interlapsum scandalum irritum evaserat chrysobulum majestatis meae super conventione, petierunt ut per aliud majestatis meae diploma confirmaretur, indulget majestas mea etiam huic ipsorum petitioni, et quum per suam scripturam, perque suam et praecipuorum Genuensium Constantinopoli degentium subscriptionem et corporale juramentum super scriptura, conventionem antea juratam confirmaverint, juxta quod ipsis mandatum fuerat a regione eorum, juxta eam quam majestati meae detulerunt scripturam consulum et consiliarorum civitatis ipsorum, consentien- — 462 — ribus in pactionis vicissitudine consulibus et consiliariis ipsis et etiam Potestatibus quod quandoque existentes alii consules et consiliarii vel etiam Potestates apponent juramento super hanc conventionem etiam hoc quod nunquam, per illapsum partiale scandalum inier Romaniam et Genuam, mutationem inducent iis quae inter Romaniam et Genuam concinnata fuere. Haec sic hi deposuerunt coram majestate mea et hanc suam depositionem fide obstrinxerunt per scripturam ab ipsis subscriptam, et jurejurando, quae sic se habent: Quoniam sanctissimus dominus imperator Romanorum et semper augustus dominus Isaacius Angelus remisit ad nos legatos civitatis et regionis Genuae Balduinum Guercium et Guidonem Spinulam, et per nos ad omnes qui in urbe Con-stantinopoli sunt Genuenses et ad ipsam civitatem Genuae, pecuniam quae ab ipsis ablata fuerat, et sponsoribus quibus ipsi voluerant, depositam causa damni illati sacrae ipsius majestatis et Romanis mercatoribus et causa caedis legatorum sacrae ipsius majestatis et eorum qui ad majestatem suam veniebant, legatorum nobilissimi illius sultani Aegypti Salachatini et causa rapinae equorum et variorum aegyptiorum animalium quae ad sacram ipsius majestatem deferebantur missa ab eodem nobilissimo sultano Aegypti Salachatino et reliquorum donorum, quotquot sacrae ipsius majestati dictus Suitanus Aegypti miserat multiplicia et pretiosa, et eorum quae inveniebantur in navigio veneto Pordani deprahenso a genuensi navigio quod regebatur a Guilelmo Grasso, Rodoano nauclero, Vaca Buba nepote Balduini Guercii, Ciro Daizo, Ugone Medizo, Pyrrho, Semundo, Theobaldo, Pacece et Pascali et aliis Genuensibus, ut satisfactionem caperet sacra ipsius majestas ex nobis, sicut a multo tempore illi a civitate Genuae abacti fuerant propter degenerem ipsorum vitam et non ad bonum conversionem et accepimus nos talem pecuniam in viginti mille hyperpyra numeratam a manibus Oxeobapheopuli loannis in nostras manus et per nos illi qui sponsoribus deposuerant Genuenses mercatores, quique Constantinopolim mense Novembri praeteritae indictionis undecimae causa mercaturae appulerant cum navigio genuensi Henrici Nevitellae. Quoniam igitur haec sic accepimus et pecuniae privationem praetexendi causam non habemus partialiter vel omnino, neque sane alius praetextus nobis — 463 — relinquitui ad abrogationem pactorum inter nos pro civitale et regione Genuae et potentem sanctumque nostrum imperatorem dominum Isaacium Angelum et Romaniam declaratorum per scripturam nostram juratam et chrysobulum sacrae ipsius majestatis in quo ipsa scriptura extensa est, cui scripturae consequenter consules civitatis nostrae et reliqui primores concivium nostrorum fidem juraverunt erga potentem et sanctum imperatorem Romanorum dominum Isaacium Angelum et erga ipsam Romaniam apud legatos sacrae ipsius majestati, qui illuc missi fuerant Pepagomenum Nice-phorum et interpretem Gerardum; juramus quod omnia quae a civitate et regione nostra concordata fuerunt et in chrysobulo comprehensa distinctim et in scriptura nostra in ipso extensa, declarata fuerunt, tamquam concordata ab ipsa civitate et regione nostra, et servabuntur intacte et immutabiliter in aevum omne ab omni populo civitatis et regionis Genuae, sicut antea jurata fuere; et nullum praejudicium fiet civitati et regioni nostrae ad violationem pactorum, sicut dictum est, ex Genuensium Constantinopoli degentium retentione et rerum ipsorum apud sponsores depositione in omnes deinceps et perpetuos annos propter aeconomicam valde rationem et secundum providentiam optimam et sacram ipsius majestatem sic rem gessisse ut non amplius a Costantinopolitanis grave malum incidat in Genuenses Costantinopoli degentes, qualia magna turba novit facere: numquam vero memoriam hujus controversiae faciemus , imo vero in juramentis quae fiunt in civitate nostra in mutationibus consulum et consiliariorum et etiam Potestatum hoc apponetur, omnes Genuenses oblivionem absolutam habere talis scandali, eosque numquam hujus causa ad ultionem ullam adversus Romaniam partialiter vel totaliter ituros, neque omnino ituros quan-documque in praetextum detractionis unius et solius apicis eorum quae stant in nostra scriptura jurejurando firmata, sint domino imperatore et Romania adnuente per reverendum chrysobulum sacrae ipsius majestatis nunc nobis rursus concessum, nunquam ex hoc tempore procedendum erit ad detentionem alicujus Genuensis neque propter hanc causam, neque propter aliud quodcumque partiale damnum vel injuriam quae ab aliquo Genuensium afferri posset in posterum Romaniae vel cuicumque habitantium illius, antequam Atti Soc. Lio. St. Patri*. Voi. XXV11I. Fase. II. Serie } • ?t — 464 — detur notitia civitati Genuae et ab ea exposcatur vindicta, sicut antiquitus concordatum fuerat. Praesens diploma cum aureo sigillo civitati et regioni Genuae majestas mea concessit, per quod sancit et decernit firme et secure et immutabiliter habere omnia quae concordata fuerunt inter curiam meam et Romaniam et Genuenses et declarata in priori resoluto chrysobulo majestatis meae juxta superius indicatum tempus, quo extensa est jurata eorum scriptura et nunquam alias praeter complexum hujus diplomatis majestatis meae vel ex parte majestatis meae et Romaniae fiet contra Genuenses, vel a Genuensibus contra majestatem meam et Romaniam, sed neque ex. elapso, ut dictum est, scandalo praetextus unquam partialiter vel totaliter majestati meae et Romaniae vel Genuae dabitur ad abrogationem eorum quae concordata sunt in chrysobulo majestatis meae et comprehensa fuerunt in jurata ipsorum scriptura, sed secure, inviolabiliter, sincere custodientur haec sicut ab initio exposita fuere, et sic reputandum erit ac si nullum unquam inciderit scandalum ad abrogationem horum respiciens. Super hoc enim et praesens diploma cum aureo sigillo majestatis meae concessum fuit ipsis in stabilitatem perpetuam -j-. Mense Octobri ind. xii, f. (A. S.). XIV. 1199. Marzo. — Alessio III Angelo Comneno, preso e punito. Gafforio, manda al Comune di Genova Nicolò medico che tratti di nuovo circa i privilegi; dà infine notizie che alcune galee genovesi col pretesto dei Pisani molestavano le terre dell’ impero, e minaccia rappresaglie. Miklosich e Muller op. cit. pag. 46. (Uoriginale greco è in Archivio). -j- ’AXé^io? èv Xpiaxw xw ìko) Tuaxò? [3aaiXeù?, d-eoaze^rjg àva£, xpaxatò?, , àel aùyouaxo; xal aùxoxpàxwp ‘PwjJiai'wv 6 KopivTjVÒ? xw auveiwxàxw ècoua'.xaxfj revoua? xal zolg V>^5 nA^A*-' ^\ /. w:.v^v rj^fwv; w SK*< ^Sèo V p-^Vir '^AyA^ _y j ^tt'WW^J’~' r^j *' ^7-vY^ *W^o ^ rrfrv/^ ^ \ i .yi? < A' Z^:Cp^\ ' \. 5 ^Y\f^ * T" «a2$jk»U0i O^tW1fy&ej*)*}* x-W/Wtb G. Bertolotto ,-ltt/ il.Soc.Liff d.Storia Patria voi. XXVII],pag 407 G Bertolotto • Liftd.Storia Patria vol.XXVIJI,pag.4^ — 467 — majestatem meam amicitia et servitute paciscantur, et licet vobis, si vultis, sic facere et ea quae de imperio meo a vobis expetuntur, assequi. Cognoscat autem conscientia vestra quod etiam nunc genuenses triremes (1) Romaniae partes circumnavigant et praetextu Pisanorum Romaniam non parvo damno afficiunt, et si in ipsos, Deo adjuvante, fieret aliquod ex parte imperii mei vobis non gratum, causa non esset ex parte imperii mei sed illorum qui talia audere adgrediuntur. 7 Mense Martio ind. II, -J-. -j- Imperialis scriptura ad sapientissimum Potestatem Genuae et prudentissimos consules et senatores et reliquum populum civitatis Genuae. -}- (A.. S.) XV. 1201. Aprile. — L’imperatore Alessio Angelo dà un salvacondotto a Guglielmo Cacallaro (?) perchè assoldi dei pirati genovesi (2). L’originale-greco è alla “Società Ligure di Storia Patria „ (Vedi facsimile in principio). 7 ’Etc! àv£[ia{tev ^ paatXeia (xou, gii ornò xwv [ispwv SixeXta? àTtlrcXcuaav rcXoTa xal xàtepya xoupaapixà cppovouvxa xaxà (1) Per la proprietà del linguaggio marinaresco, era meglio che, come qui cosi altrove, il Sanguineti traducesse il vocabolo greco xdxscpY* col latino medievale galeas, quale ricorre sempre nel Caffaro e negli altri annalisti. Conviene però osservare che gli stessi greci e turchi usavano promiscuamente i due termini : galee-triremi. Cfr. Ducange, v. xxxspyov. Ho perciò lasciata intatta la versione del nostro A. S. (2) Sempre reverente verso la memoria del Sanguineti, ho tradotto fedelmente il lemma, ch’egli prende dal Mùller, e ho messo il documento sotto 1 anno indica'o da entrambi. Ma il lemma non è del tutto esatto nei nomi e nella data. Ho cercato dimostrare nel Giornale Ligustico di quest’ anno, pag. 347, che il cognome Cacallaro è fantastico e va letto xapaXXapJcp nel testo greco (.come ognun può vedere dal facsimile dell’originale che sta in capo a questo volume), nel testo latino va letto quindi Guilelmo equiti gemutisi. Non so come il Mùller e il Sanguineti abbiano potuto identificare l’imperatore con Alessio Angelo dal momento che manca non solo questo nome, ma anche l’indicazione dell’ anno, — 468 — xwv xw?'~)V PaatXe(a? pou xal xfj ? cPw|iavfa? xal eie; Xù|A7)V aùxwv àcpopfijvxa , xò raapòv xfj? paaiXeta? pou a t y l X X t o v irae8ó{b) * xw KaxaXXàpw2 I\XtéXp(p xw revvoutxY), a)? àv xfj xouxou ipcpaveta 8téX{h[]s àxwXùxw; raàvxr] xal àraapeprao8''axwc; èv raàaat? xaT; xaxà raxpoSov y/ùpaiq xfj? (BaatXeta? pou, xal àva^rjXacprjaYj? xal eùpfjaY)? xobg xópYjia? xwv xotoùxwv xoupaaptxwv xaispywvjevvouixixwv xal3 raXotwv, xal xaxaCTxeuàar^4 aùxoù; raàvxwc xaxaXafjeìv rapò? xfjv (JaacXefav jjlou xal xuyeìv xurawpàxwv èxrjai'wv, xaO'wg xal ot Xotraol ol àraò xoO yévouc; xwv Àaxcvwv xfj (3aacXe£a pou Stà Gxotyrijxàxwv èxSouXeùouot, |xrj uve? s xwv èvepyoùvxwv iv xat? yu)oa:c, Tfj? paatXeia? jjlou r) xwv i£uray]peioùviwv aùxwv ò^eiXóvxwv raapepraoSiaat aot rj àvaXapéaO-at. àraò aoù xt yàptv raoptaxtx&v r) Stajjaxtxcov6. StSwvxat Sé aot xal aXoya xaxà StaSo^à? xal Siotxrjaet? raapà xwv xaxà Xwpag ivepyoùvxwv, ext Sè xal i^eXaaxcxà, et Sefjaet. eie; xò xà^tov icpsupeTv xà xotauxa yevvoulxtxà raXoìa xal xàxepya, xal rapò; xfjv paatXeiav jjlou àyayelv, àcp’ wv pepwv raaparaXsouat xaùxa, xoù xaxaxoXp'jaovxog raotfjaat raapà xfjv raep''Xr)^tv xoù raapóvxo; atytXXtou xfj? (3aatXefa? pou acpoSpàv ócpopwpsvou xfjv èg aùxfj5 àyavàxnrjaiv. irai xoùxw yàp xal xò xotoùxov xfj? (ìaatXeta? pou a t y L X X t o v iraeSótb] aùxw 7. -j- M v) v 1 à ra p i X X t w E v 8 t x x t w v o? 8’ -p. Leggi: 1 aot xw xxX. 2xapaXXaptw. 3 xat xwv. 4 7tap«axeoàaY)£. Sii Afuller, per errore tipografico, ha xivog che non darebbe senso. 6 Stapaxòjv. 7 èTteSó&Yj ooi Quoniam innotuit majestati meae quod ex partibus Siciliae solverunt naves et triremes piraticae genuenses cogitantes adversus regiones imperii mei et Romaniae et ad vastationem ipsarum respicientes, praesens imperii mei sigillum traditum est Guilelmo Cacallaro Genuensis, ut hujus adspectu transeas libere quacumque et sine im- e si ha solo l’indizione. Ora dall’ anno potremmo arguire 1’ imperatore o viceversa ; ma in mancanza d’ entrambi questi dati, muterei il lemma cosi : « Anno ? — Un imperatore greco dà a un cavalier Guglielmo genovese un salva-condotto perchè assoldi dei pirati genovesi ». Vedi l’illustrazione di questo diploma nel Gior. Lig. 1. c. Alle congetture ivi fatte circa il valore da darsi a xapaXXàpioj si potrebbe anche aggiungere l’ipotesi che sia un cognome corrispondente al cabalhrus o caballerus che ricorre in atti del nostro archivio. -- 469 — pedimento in omnibus juxta transitum regionibus imperii mei et attingas et invenias navarchos talium piraticarum triremium et navium genuensium et compares eos ut se obligent erga imperium meum et accipiant diplomata annualia sicut et reliqui qui de genere Latinorum imperio meo per pacta inserviunt, ne quis eorum qui operantur in regionibus imperii mei, vel qui ministrant ipsis debeant tibi esse impedimento vel sumere quidquam a te causa eundi vel transeunti. Dentur vero tibi et equi per vices et provincias ab iis qui per regiones officia exercent, insuper et vehicula si apor-tuerit, ut citius invenias hujusmodi Genuenses naves et triremes et ad imperium meum adducas ex quibuscumque partibus navigent ipsae. Qui ausurus fuerit facere praeter summam praesentis diplomatis cum sigillo majestatis meae, vehementes vereatur ex ipsa indignationem. Super hoc enim et hoc majestatis meae sigillum traditum est ipsi. ■f- Mense Aprili, indictione IV -J-. XVI. 1201. Maggio. — Istruzioni agli ambasciatori mandati all’imperatore a Costantinopoli. Archivio di Stato. Politicorum. In nomine domini nostri ihesu christi amen. Ordinationes et mandata facta a Ianuensium consulibus de communi Willelmo embriaco nicola mallono lordano richerio Willelmo guercio nicolao aurie et guidone Spinula nobili et prudenti legato Ottonibono de cruce constantinopolim feliciter ituro - anno dominice nativitatis MCC primo indictione tertia iv madii Post salutationis eloquium litteris honorificentia debita traditis imperatorie magestati suo loco et tempore post modum diligenter exponetis singula maxime autem ad imperialem benivolentiam verbis in civitatem nostram captandam debitis itaque quod imperialis ma-gestas conventionem quam precedentes legati Willlelmus tornellus et Guido Spinula cum sancto imperio contraxerunt sicut est in scriptis redactum corroboret ac confirmet. — 470 — Palatium nostrum chalaman cum ecclesia balneo cisternis aque usu decurrentis et curtis sicut solebamus ipsum habere recuperare studeatis modis omnibus et habere et quod sanctissimus imperator expensis curie ipsum palatium in ea forma et bonitate qua erat quando ipsum nobis concessit redigi faciat quia per curiam in palatio ipso positi fuerunt Alemanni ad hospitandum qui palatium ' ipsum penitus devastarunt. Possessionem emboli nostri et ambas scalas quas habere solebamus cum omnibus pertinentiis consequi non pretermittatis cum omni insula et area domorum, item cum domibus duabus in quibus molendina et remi fiunt versus embolum pisanorum et aliis duabus domibus versus sanctam Sophiam sicut concesse et largite fuerunt legatis nostris Willelmo Tornello e Guidoni Spinule. Similiter (cum) multa instantia habere studeatis et consequi monasterium quod est subter embolum nostrum cum area et domibus circumstantibus usque ad scalas nostras ad mare ut embolum scalis nostris conti-guetur et magis fiant in unum. Quod si forte monasterium ipsum ut prescriptum est cum domibus consequi non poteritis ad quod diligentius intendatis saltem ecclesiam illam que est inter embolum nostrum et palatium Kalama consequi studeatis ut palatium cUm embolo unietur et scalas duas que sunt inter nos et pisanos et quod ianuenses non dent nisi de centum duo. Canonice nostre maioris ecclesie beati laurentii quam in speculum ianue civitatis reputamus summa cum diligentia annuale beneficium in palliis et perperorum quantitate ab imperiali benigni-nitate consequi studeatis ut honorabilis canonicorum numerus ad honorem imperii induti sue liberalitatis vestibus decenter ad laudem dei et quod imperium iesus christus manuteneat et sublimet iugiter divinam clementiam deposcentes et quod civitas nostra gratissimum et acceptum habebit si cuius Pisana civitas hoc eodem beneficio gaudere noscatur. Pallia pro pluvialibus. Xarantasmum deauratum pro altare. Solempnia pro transacto tempore idest pro annis septem consequi studeatis ad rationem perperorum DC per annum et duorum pannorum sericorum qui blatia dicuntur. — 471 — Item et de decem venturis annis vel plus si poteritis eadem so-lempnia studeatis habere ad rationem perperorum DC per annum et duorum pannorum sericorum qui blatia dicuntur que solempnia in maiori si poteritis quantitate annuatim ampliare studeatis. Ogerio pani et sociis de solempniis unum bonum xamitum com-peretis et defferatis vobiscum. Mementote de negocio domini Balduini Guercii quod tale est. Cum enim fidelissimus imperii extiterit a tempore recolende memorie domini Caloianne et domini manuelis usque felicissima tempora domini Alexii et per imperii fidelitatem multotiens carcerem sit passus et innumera pericula per quondam regem Sicilie Roge-rium et per antiochenum principem et alios principes nonnullos placuit tandem domino Manueli ei casalem et possessiones in feudi beneficium assignare quod beneficium et possessionem sanctissimus imperator ei reddidit et redditum confirmavit et tenuit ipse Balduinus per plura tempora imperii sui et pro beneplacito suo postea occasione Gafforii ei casalem ipsum et possessiones impediri fecit. Studete igitur in quantum poteritis efficaciter quod feudum illius expediatur et quod dominus Balduinus et eius heredes tamquam benemeriti beneficium ipsum habeant et in pace possideant cum introitibus presentis et preteriti temporis et etiam quod tenemur iuramento quod conventionem istam non firmetis nisi erga cives nostros factum istud completum fuerit. Mementote petere et recuperare universas possessiones que fuerint in toto imperio et specialiter Iohannem Maniazanze consanguineum Pienivestiti de castello. Mementote petere pro filiis quondam nobilis civis nostri Oberti de volta libras D quas in armanda galea ultramare ad defendendam personam ipsiusmet imperatoris domini Alexii Constantinopolim et aliis servitiis ei exhibitis que libre fuerunt ultramare bisancii sar-racenales MD. It. Bonifacius frater Oberti equum unum et cendatos domine que modo est imperatrix consignavit que fuerunt 1. CCC inter eos quarum medietas ipsius Bonifacii et dictum Balduinum. Guidetus zurhus totidem. Balduinus comes totidem quod si recuperaveritis pro civibus - 472 — nostris Oherto Marino Baldicione quon. Nicoleta Ususmaris Nub., pinasca consignatis ei Ianuam deferendis. Mementote quod Bonusvassallus Brusedus persolvit apud Constantinopolim supra commercium pro Oberto Dampnesio socio quondam Willelmi Caligepalii perperos LXXXII et plus quos recuperare studeatis. Item Ogerii Panis frater Balduinus similiter solvit sopra commercium perperos XLV quod simili modo recuperare studeatis. Omnes perperos ceteros qui sopra collecti et ablati fuerunt civibus nostris et insimul repositi sicut fertur recuperare studeatis et sunt circiter MD. Omnes Iannuenses et districtus Ianue qui occasione Gafforii vel aliqua demum occasione apud Constantinopolim et per Romaniam carcerati detinentur recuperare studeatis et quod absolvantur omnino gratia imperiali et interfectorum (bona?) restituantur. Mementote petere et recuperare ea que Ducca de civitate avei abstulit civi nostro Adami qui erat in navi que veniebat de Gevari et quam quem (sic) pisanorum corsalium navis usqùe ad civitatem ipsam fugavit et cum ipsi concordassent cum Ducca et ei dedissent b. M. Ducca armavit gentem suam et misit ipsam in navi ad defendendum eam et cum exhonerasset in terram pecuniam ipse Ducca fecit ei auferri pecuniam totam in qua ipse Adames habebat. Huiusmodi. Sete lib. LXVII .... b. LXXV. b. LXXX b. LX. In bisantiis...... b. CXXVIII. balistam unam pretii . . . b. c. Osbergos II pretii.... b. XL Cocometan et cogolar . . b. XVIII. Mantel.... martyrum . . b. XIIII /. Asnesium suum pretii. . . b. LXXXX. summa b. DCV Mementote petere et recuperare ea que civis noster Symon Mu-sonus debet habere a curia imperiali et que ipsi violenter ablatum (sic) — 473 — fuit in magna urbe quia cum ipse Synion venisset in magnam uibem cum navi sua quando detulit legatum salaadini eo tempore dominus Isaacliius imperabat abstulit ei curia perperorum tria millia et Megalologothetus et sevaste comanus posuerunt eum in carcerem de quo exire non potuit primo dedit pro se obsides scilicet fratrem suum et nepotem qui consumpti ab incommoditatibus carceris infirmati obierunt. Super hiis et in reditu suo compulit eum curia deflere ultra mare ungaros pro quibus debebat ei vestiaretus pro cui ia perperos MCCC de quibus non habuit nisi petia b. DC et quod inde consequi potueritis consignate Nubilono de Pinasca misso eius. Commercium idest drictuin quod Ianuenses et de districtu Ianue solvunt apud Constantinopolim et per Romaniam de negociationibus suis est de centum quatuor. Studete igitur descendere et minuere ipsos usque in de centum duo vel saltem si melius non possetis ad ultimum de centum tres. Mementote consequi et habere a sanctissimo imperatore quoddam beneficium ad opus gloriosi martyris sancti laurentii promovendum ad honorem imperii annuatim misericorditer largiendum. De quo beneficio quidquid petitis ad presens habere et deferre studeatis. Cum Enricus Grillus filius quondam Ansaldi Grilli de Syria rediens y pervenisset ad Candidam ad sanctum Georgium Gregi de partibus illis ceperunt ipsum et abstulerunt ei navem et caricum et arma et etiam omnia valentia perporum MM. Studeatis quantum poteritis quod dominus imperator solvere faciat pecuniam que ipsi mutuata fuit ultramare in armanda galea que venit Constantinopolim et quod etiam pax non possit fieri nisi de pecunia ipsa solutio fiat. Ad ultimum si aliter non possetis efiicere studeatis quod illi quorum est pecunia et non possint indes olutionem habere in hac pace non sint et de ea non teneantur. Lanfrancus Leo mutuavit Gafforio cantaria XXII piperis ad can-tarium catene Accon que est cantaria V ad cantarium Constantinopolim de quibus debebat ei de unoquoque cantario perperos XX sicut tunc valebat Constantinopoli et hec omnia debebat ei solvere quando cum constantinopolitano imperatore pactum et concordiam fecit et inde obligavit ei bona sua et galeas suas quas et que capte - 474 - fuerunt et he res fuerunt de societate quam habebat Lanfrancus Leo cum Willelmo Malocellino. De quibus ea que poteritis recuperare studeatis. Mementote petere pro Nos consules omnes ordinamus vobis Ottonibono de cruce legato sub omni debito iuramenti quo nobis tenemini ut de bi-santiis quos a curia fueritis consecutus occasione solempnia-rum vel alio modo Armanno pelli solvatis perperos DC iusti ponderis. Nostre voluntatis est et firmiter vos indebitamus ut A linerio filio qm. Tanti vicecomitivam sive vescontiam de Costantinopoli nullummodo detis nec ipsam ei firmetis vel conveniatis nec in embolo vel scala eum constituatis aliquo modo. Willelmus Grassus maritus Iohanne filie quondam culorii jam per annos V et eo amplius uxorem dimisit nec victum vel vestitum ei dare curavit. Si forte ipsum inveneritis compellatis eum Ianuam redire vel libras XX patrimonii et librus XX antefacti et pro victu et vestitu per annum V quantum vobis videbitur. Mementote petere pro Simone filio Marini de Sosilia bisan-tios M. ultramarinos quos sibi abstulit in bisantiis pannis sericis guarnimentis et armis Averna et filii eius qui Averna stat prope civitatem que dicitur Colanixii dum predictus Simon in galeam et porci et bufari venirent de ultramare in Siciliam ad dominum regem cancellarium et totam curiam ipsius regis cum litteris et cartis domini Guilielmi de amandoleto quam galeam et omnes homines et res ipsius galee fraudulenter cepit et habuit in potestate sua et etiam retinuit ipse Averna et homines in car-ceribus posuit et per multos dies tenuit et hoc fuit proximis ka-lendis augusti. Hoc loco sequens particula scripta fuerat quae postea cancellatis lineolis deleta fuit. Nos eam e monitorum serie, ut par erat, expunximus, sed non omnino pralermittendam duximus ut saltim inquiratur quanam causa factum sil ut de hujusmodi tributo seu potius dono ea occasione patres nostri silendum judicaverint. (A. S.) — 475 — Solempnia domini ahchiepiscopi de transacto tempore idest de annis VII ad rationem perperorum C per annum panni (serici ?) blatie simili modo habere studeatis item de X venturis annis similiter ad eandem rationem et consignare misso suo Armanno pelli. XVII. 1202. Ottobre. — Processo verbale della presa di possesso dell’ embolo in Costantinopoli per parte dei Genovesi. Cfr. Miklosich e Mullbr Op. cit., pag. 49. (£’ originale greco è in Archivio). -j- MyjvI òxxw[3pt

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