GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA FONDATO E DIRETTO DA L. T. ‘BELGRANO ed Λ. %ERI ANNO NONO GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCLXXXII LUCHETTO GATTILUSIO Nella Rassegna Settimanale del 6 giugno 1880, il eh. Tommaso Casini ha pubblicato, sotto il titolo Un Trovatore ignoto del secolo XIII, alcune notizie di « Luchetto de’ Gattalusi, genovese, vissuto sino oltre la metà di quel secolo, e degno per più ragioni che la storia non si dimentichi affatto di lui ». L’egregio autore rileva ottimamente, che del Gattilusio « nulla ci dicono i molti annalisti genovesi del Dugento » ; ma si spinge troppo innanzi, laddove afferma come « fra i molti italiani, che... scrissero rime amatorie, politiche e morali in lingua provenzale, non ricordano gli storici delle nostre origini letterarie il nome oscuro di lui ». Da costoro vuoisi almeno eccettuare il Crescimbeni; il quale, benché sfigurandone il nome in Lughetto e Ughetto Gattello, rammenta non-dimanco nella Istoria della volgar poesia (ediz. 1730, vol II, par. I, pag. 199-220) che questi, « detto in francese Lugnet Gatellus, fu poeta provenzale, che non potendo sofferire le tirannie de’ principi, scrisse di continuo contra loro. Fiori in tempo di Percivalle D’Oria e di Pietro di Castelnuovo; e il Nostradama parla di lui nella vita di Guglielmo Figuera ». Recentemente poi il eh. Desimoni, nella dotta sua memoria sul marchese Bonifacio di Monferrato e i trovatori provenzali alla corte di lui (Giornale Ligustico, a. 1878, pag. 255), ha in brevi linee raccolti alcuni accenni di Luchetto ; i quali ci hanno appunto messi nella condizione di istituire quelle indagini più minute, onde qui soggiungiamo il risultato. Luchetto Gattilusio nacque nelprimo terzo del secolo tredicesimo, da quell’Jacopo che i genealogisti assegnano a stipite 4 GIORNALE LIGUSTICO dei più tardi signori di Eno e Metellino nell’Arcipelago, e da una figlia di Ottone Usodimare, della quale non ci venne tramandato il nome. Sua moglie fu Lino, ossia Leonora, di Corrado D’ Oria, due volte capitano del popolo ; e doveva essere d’età assai più giovane di Luchetto, perchè alla morte di costui, molto innanzi negli anni, passò a nuove nozze con Rabella Grimaldi, gran giustiziere del regno di Napoli e governatore di Provenza a’ tempi del re Roberto (i)· Aveano i Gattilusio le loro case signorili presso la piazza di S. Pancrazio e nel carrobio di Fossatello (in carrubeo recto Fossatelli') ; e quivi appunto Γ Abecedario del Federici addita l’abitazione di Luchetto e di suo fratello Gattino, sulla scorta di tre atti del 1264, 1265 e 1282 (2). Inoltre un rogito di Oberto Osbergero, del 27 febbraio 1269, portante vendita di due case nella contrada di S. Giorgio al cardinale Ottobono Fieschi, poi papa Adriano V, dà per confine alle stesse domus sive furnus Lucheti Gattiluxii (3)· Similmente questi e il già citato Gattino possedeano terreni e case in carrubbio suprano de extra portam Sancti Andree, quo tenditur versus Sanctum Stephanum, come consta da una pergamena di quest’ultimo cenobio, del 20 giugno 1270, e da unJ altra dell’ anno successivo, rammentata dal Federici medesimo (4). (1) Ved. la genealogia dei Gattilusio, nelle Chroniques gréco-romanes di C. Hopf; Berlino, 1873. (2) Giornale Ligustico, a. 1874, pag. 87, 217; Federici, Abecedario delle famiglie nobili genovesi, ms. della Biblioteca della Missione Urbana, vol. II, car. 146 verso. — Gattino fu due volte podestà di Vercelli, avanti il settembre 1280. Ved. Mandelli, Il Comune di Vercelli, vol. IV, pag. 96. (3) Archivio Notarile di Stato. — Notulario di Oberto Osbergero e di altri notai, ann. 1267-70. (4) Archivio di Stato. — Pergamene di S. Stefano, mazzo III. Enfiteusi consentita a Nicolò di San Pier d’ Arena da Giovanni di Alberico e consorti. — Federici, loc. cit. GIORNALE LIGUSTICO 5 Al pari di tutti i nobili suoi concittadini, Luchetto si diede alla mercatura, e specialmente si volse all’ esercizio lucroso de’ cambi. Lo attestano vari strumenti notarili di Parodino da Sestri (13 ottobre 1248), Bartolomeo De Fornari (7 giugno 1251, 23 maggio 1252, 2 luglio 1267) e Guglielmo da S. Giorgio (19 febbraio 1287), mercè dei quali Luchetto riceve o consegna denaro in accomandita per farlo trafficare ne’ viaggi marittimi, oppure acquista luoghi di Compere. Un altro atto di Guglielmo Pagliarino, del 26 aprile 1268, contiene una quitanza generale rilasciata da esso Luchetto e dal fratei suo Giacomino a favore di Enrico Passio; ed è importante per ciò, che il padre loro viene ivi notato come defunto (1). Ma capitarono i giorni ne’ quali anche i pubblici negozi chiamarono a sè il Gattilusio; il quale, se le memorie non fallano, esordì la sua carriera partecipando a una solenne ambasceria di sei cittadini che il Comune di Genova, nel 1266, mandò al papa Clemente IV ed a Carlo I d Angio, allora incoronato a Roma, « per fatti importanti della città ». Nè pare che tali esordi sortissero lieti auspici; perchè, scrive il Giustiniani, gli ambasciatori « stettero a negoziare col pontefice e col re più di tre mesi, con grandissima spesa, e ritornarono a casa carichi di buone e belle parole senza fatti alcuni » (2). · Quattro anni più tardi (1270) , Luchetto si trova tra gli esaminatori del podestà Orlando Putagio da Parma; il quale, in seguito alla rivolta che condusse la repubblica sotto il capitanato dei due Oberti, D’ Oria e Spinola, fu sostenuto prigione e poi licenziato. Un biennio appresso (1272) egli era podestà di Bologna; (1) Tutti cotesti rogiti si leggono nell’ Archivio Notarile di Stato. (2) Giustiniani, Annali, vol. I, pag. 437. 6 GIORNALE LIGUSTICO ed osserva il Casini che, per quanto ne appare, « tenne l’alto ufficio con rettitudine, e fu prudentissimo in mezzo alle discordie dei Geremei e dei Lambertazzi ». — E seguita: « Il nome di Luchetto Gattalusi è rimasto ancora in un importantissimo documento, che è il testamento fatto il 16 marzo del 1272, nelle carceri del Comune di Bologna, da Enzo di Svevia, serbato dalla sorte a mirare nella lunga prigionia il ruinare di ogni grandezza e di ogni gloria della sua casa. Se il podestà di Bologna andasse a confortare Γ infelice Enzo per impulso di animo gentile, o se assistesse al morente, insieme alla sua famiglia di giudici e cavalieri, sol per dovere del suo ufficio, noi non possiamo sapere; ma certamente ad Enzo, re e poeta, in quegli ultimi momenti di vita, la presenza di Luchetto Gattilusio, podestà e trovatore, dovette ricordare le ruine, i dolori e le stragi della sua famiglia. Poiché la sola poesia conosciuta del trovatore genovese, quella forse che a’suoi tempi fu più diffusa di ogni altra, è un sirventese scritto intorno al 1264, quando Carlo d’ Angiò raccoglieva le forze per venire alla conquista del reame di Manfredo. La poesia di Luchetto ci mostra chiaramente eh’ egli era un guelfo, ma di quelli che non si commossero troppo davanti all’Angioino e alle sue masnade, rimanendo immobili osservatori degli avvenimenti.... Del resto, il trovatore italiano dà consigli e suggerimenti al conte di Provenza, e lo sprona a condurre a fine la sua impresa col valore dimostrato già in Terrasanta ». E perchè lo eccita a rammentarsi di Carlo Magno, che conquistò coi suoi baroni la Puglia e del quale rivive in lui il gran nome, acutamente rileva il Casini come questa menzione e questo eccitamento, « mentre ci confermano indirettamente che il nostro trovatore fosse guelfo..., rispondono del tutto al concetto che, r nello stesso anno e nella stessa occasione, Urbano IV esprimeva ai vescovi francesi, sollecitandoli a raccoglier denari GIORNALE LIGUSTICO 7 per l’impresa di Carlo d’Angiò: illam eamdem liberationem, scriveva il papa, per eum consequeretur Ecclesia, quam per clarae memoriae magnum Carolum Vipini filium. Così il papa s’ incontrava col poeta.... ». Però se al tempo cui rimonta il sirventese Luchetto poteva dirsi un guelfo platonico, ben dovette mostrarsi deciso e ardente partigiano dell’ Angioino, quando la fortuna arrise a quest’ ultimo, sì come pare per le seguenti notizie ignorate dal Casini. — Risulta infatti dall' Inventario dell’ Archivio lucchese di Stato pel Bongi (vol. II. 337)? nonché dalle spigolature del Minieri-Riccio in quello di Napoli (Arch. Stor. ltal. 1875, disp. V, pag. 243), che il Gattilusio tenne in Lucca l’ufficio di capitano del popolo nel 1273» cioè appunto nel tempo in cui re Carlo aveva la signoria di quella repubblica. E convien dire che in cotesti uffici si acquistasse bella fama, perchè più altre volte non gliene mancarono di somiglianti. Così del 1282 il marchese Guglielmo di Monferrato, signore di Milano, eleggeva Luchetto a podestà di questo comune pel secondo semestre dell’ anno citato, benché egli non accettasse poscia l’incarico, sì come abbiamo dalle Memorie del Giulini (vol. VI. 675). Nel 1295 il Gattilusio andò ambasciatore a Bonifazio Vili, spedito da’ propri concittadini per le trattative di componimento tra’ veneti e genovesi (1); ed in tale occasione ottenne dal pontefice una bolla a favore della chiesa, che egli stesso aveva edificata in Sestri di ponente, nel luogo detto di Priano. Sì fatta bolla, pubblicata or ora dal Thomas, merita di essere riprodotta; e mentre noi confermiamo il rilievo da lui fatto, che cioè fin qui ignoravasi il nome del fondatore, troviamo scusabile l’illustre tedesco laddove immagina erroneamente (1) Federici, loc. cit. 8 GIORNALE LIGUSTICO potersi riconoscere la chiesa de’ Gattilusi nella parrocchiale di S. Giacomo di Carignano, oppure negli oratori di S. Giacomo della Marina e delle Fucine. Universis présentes litteras inspecturis. Vite perennis gloria, etc. Cupientes igitur ut ecclesia Sancti Ja-cobi de Priano, quam dilectus filius Luchetus Gatiluxius, civis ianuensis, de bonis propriis fundasse dicitur et dotasse, congruis honoribus frequentetur * omnibus vere penitentibus et confessis qui eamdem ecclesiam in festo eiusdem Sancti facobi et per octo dies festivitatem ipsam immediate sequentes venerabiliter visitaverint annuatim, de Omnipotentis Dei misericordia et Beatorum Petri et Pauli apostolorum eius auctoritate confisi, unum annum et quadraginta dies de iniuncta sibi penitentia misericorditer relaxamus. Datum Anagnie, XIII1 halendas septembris, anno primo (i). Nella seconda metà del 1299 e nella prima dell’anno successivo, Luchetto era podestà di Savona; leggendosi fra le Rime istoriche genovesi d’ autore sincrono, pubblicate dal Bo-naini nell’ Archivio Storico Italiano (serie I, appendice, vol. IV) e dal Lagomaggiore nell’ Archivio Glottologico (vol. Il), un componimento nella cui intitolazione latina il poeta anonimo così scrive: Dominus Karolus, frater regis francorum, venit in Tuxia.... anno ... 1301. Quidam de magnatibus fame, timens de facto ipsius ..., misit in Sagonam ... quidam nuncius domini Luchini Gatiluxi tunc potestatis Sagone; et quum ipse tacuit nomen suum, non potuit scire quis fuerit componitor ipsius scripti; (1) Thomas, Extraits des Archives du Vatican; nel periodico Romania, vol. X, luglio 1881. — Registro di Bonifazio Vili, anno I, bolla numero 640. Per la chiesa de’ Gattilusi, ved. Atti della Società Ligure ecc., vol. II, par. I, pag. 396 ; Giornale Ligustico, a. 1874, pag. 218. GIORNALE LIGUSTICO 9 et propterea ego .. . consolando eum, respondens scripsi eidem ut infra : E’ no so chi fosse aotor De lo scrito che mandasti: So fosti e so ben mostrasti Che senti de lo bruxor Chi in Tosecanna è contraito De che è faito campium De quello grani barom Tuto ordenao per lo grani caito ecc., ecc. « Il concetto di questi versi (nota il Bonaini) racchiude una profezia politica. Carlo di Valois, non avendo risposto alle superbe intenzioni di Bonifazio Vili, che voleva estermi-nati i Cerchi e parte Bianca a Firenze, e forse ancora la Si-goria di Toscana, e quasi per giunta la rovina estrema di Federigo re di Sicilia, lasciava F Italia di lì a non molto con grande onta e vergogna λ. Finalmente, nello stesso anno 1301 il Gattilusio passava dalla podesteria savonese a quella di Cremona; dove lo additano più atti, registrati dal Robolotti nel Repertorio diplomatico cremonese, fra il luglio di quell’anno e il maggio 1302. Per giunta, una carta del 30 settembre 1301 lo mostra anche uomo d’azione, dicendolo partito coll’esercito contro i bergamaschi (i). Un rògito d’ Ambrogio di Rapallo, dell’ 8 gennaio 1303, fa menzione di Ilisina vedova d’ Accellino Cicala e figlia di Luchetto Gattilusio, il quale è affermato tuttora fra’ vivi (2) ; e il Federici rammenta altresì una pergamena donde apparirebbe ancora vivente nel 1307 (3). Anzi la prima esplicita (1) Correggasi però l’erronea lezione del nome che è sempre Cuchetus o Zuchelus, e non mai Luchetus. (2) Arch. Not. di Stato. (3) Abecedario ecc. IO GIORNALE LIGUSTICO menzione che si fa di lui come morto, si leggerebbe nei registri delle Compere del 1336 (1). Tornando ora al poeta, il Casini, oltre al sirventese del 1264, ci ha pure segnalata un’ altra poesia del Gattilusio, « o meglio una tenzone di lui con Bonifazio Calvo ». È notata nell’indice del manoscritto Riccardiano num. 2814, il quale contiene una parte della raccolta di rime provenzali, compilata da Bernardo Amoros, chierico di Saintflor nell’ Alvernia; ma il suo testo vi manca, come quello di molti altri componimenti (2). Intanto concludiamo, dando qui il Sirventese che ci fu conservato in un codice Barberino (plut. 45, num. 59) colla traduzione italiana dell’ab. dott. G. Plà, e che fu pubblicato per la prima volta, nel 1872, dal dott. E. Stengel, nel programma d’associazione alla Rivista di Filologia Romania (Imola, Galeati). Cora quieu fos marritz e consiros Per dan de pretz, que cascuns relinquia, Ara’m conort, e sui gais, e ioios; Car iois e pretz revenra, que’s perdia, Car lo pros Comps Provensal Lombardia Vol conquérir, Toscana, e Poilles: E d’autra part Conrade vol son Paes, E ’l Rei Matfrè no si acorda mia, Perque ’ntrels faitz avanta pretz sa balia. S’il pros Coms vai segon qu’es poderos, Maint miraill ha, on mirar si deuria; E si’s mires%el faitz del rei Nanfos, leu sai per ver, que tant non tarzaria Aisò , c’ha empres, que laisar non poiria, Que non laises tot lo pretz, c’ha conquès; Que’l bruit ve tan ves tota part, on es; Com laisava de lai mar en Suria, E de Poilla tro en Normandia. (1) Abecedario ecc. (2) Lettera del Casini, nella Rassegna Settimanale del 28 novembre 1880. GIORNALE LIGUSTICO Doncs albir se pot, tais es lo resos, Si ’l se tenia tot so, c’hom en diria. E membreli, que Cari ab sos Baros Conques Poilla , on ac la Senhoria, E del gran fait, que Fransa far solia; Car ara ’l te al tesor en defes. E pos lo nom del Rei Cari en lui es, Sega ’l sieu fait, que ’stiers a tort seria Per ses clamatz que vole, si non volia. Si Colratz non es valens, e pros, Deslinhara, car li sieu sobranson Suria Non er aisò à bastansa, si plus no fos; Doncs si laisa so, qu’esser sieu deuria, Farà semblan, que mal l’autrui tenria; E si ’l no ve recobrar demanès Farà creire so, que’l Rei dis esprès Que ’l sia mort, e c’autre ’n son luec sia; Car s’el fos iust, lo sieu demandarla. Si ’l Rei Matfrè fos coratios, E so, que’l te conques per gaillardia, S’ara lo pert, cairà per un dos Aura reblan, car mais de carestia Deu hom tener, on plus l’ac à fadia Et els Baros ha tant del sieu mes, Membreil qui son, ni can , ni coni es; E pens cascus de gardar nueit e dia Aisò, c’ab autre Senhor non auria. Bernart apren e chanta ’l sirventes, E poira dir, s’il cor no faill als tres, Que ’l iocs serà entablatz ses fadia ; Ma tale lo vuol, eh’ io non credo che sia. Ancor ch’io fosse smarrito, e consiroso Per dan di presio, che ciascun relinquia, Or mi consolo, e son gaio e gioioso; Che gioi, e presio rinverrà, che si perdia, 12 GIORNALE LIGUSTICO Cha ’l prò Conte Provenzal Lombardia Voi conquistar, Toscana e Pogliese. E d’ altra parte Conrado vole ’l suo Paese, E ’l Re Manfredo non s’ acorda miga Perch’ intra i fatti avanta pregio sua balia. Se ’l prò Conte vai secondo eh’ è poderoso Manti miragli ha, u’ mirarsi deuria, E se si mirasse i fatti del Re Don Alfonso, Io saccio per ver, che tanto non tardaria Ciò, che ha impreso, che lasciar non poria, Che non lasciasse tutto ’l pregio, c’ha conquiso; Che il grido vien tanto ver ogni parte, ov’ ene, Come lasciava di lae ’l mar in Soria, E da Puglia fino à Normandia. Dunque pensar si può, che tal è lo mezzo, S’ egli si tenea tutto ciò, che uom ne dicia. E membreli, che Carlo co’ suoi Baroni Conquistò Puglia, ov’ebbe la Signoria, E del gran fatto, che Franza far solia, Che ora ’l tiene nel tesor in difesa. E poi lo nome del Re Carlo in lui ène, Segua ’l suo fatto, eh’ altrimenti a torto seria Pe’ suo clamori che volle, se non volia. Se Cólrado non è valente, e prode Degenerarla , chà li suoi sovranzan Soria ; Non sarà ciò a bastanza, se più non fosse. Dunque se lascia ciò eh’ esser suo deuria, Farà sembiante, che mal l’altrui terria; E s’ egli non vien ricovrar suo dominio, Farà creder ciò che ’l Re disse espresso, Ch ei sia morto, e eh’ altro ’n suo luogo sia, Chà s egli fosse giusto , lo suo dimandarla. S el Re Manfredo fosse coraggioso E ciò, che e’ tien, conquistò per gagliardia , Se or lo perde, caggerà per un due Ora rotolando ; chà più di carestia GIORNALE LIGUSTICO Dell’ nom tener, u più Γ ebbe scioccamente Et i Baroni ha tanto dal suo rniso, Menbregli chi son, e quanto, e com’ène; E pensi ciascun di guardar notte e dia Ciò, che con altro Signor non auria. Bernardo apprende , e canta ’l serventese, E porà dire, se ’l cuor non falla ai tre, Che ’l giuoco sarà intavolato senza sciocchezza, Mà tal lo voi, eh’ io non credo che già sia. L. T. Belgrano. STORIA DEI GIUSTINIANI DI GENOVA del prof. Carlo Hopf, trad. da A. Wolf (Continuazione v. ann. VII e Vili fase. X pag. 400) La Maona aveva goduto un periodo di quiete non intei-rotta di quindici anni, quando fu nel 1431 involta nella guena che allora ferveva tra Genova e Venezia. Questa volendo tagliare uno dei nervi vitali della nemica, apparecchio a Mo- O done e Corone un colpo contro Scio, mandandovi (1. ottobie) una flotta di trenta navi sotto l’ammiraglio Andrea Mocenigo ed il capitano Dolfino Venier (1). Dato fondo avanti la città (11 novembre), cominciarono subito a bombardarla giorno e notte con cinque grandi mortai (2). La Maona non disponeva che di 300 armati raccolti in fretta, e capitanati dal prode e risoluto podestà Raffaele di Leonardo di Montaìdo. Caduta in poche ore la cinta vecchia, mezzo diroccata già prima, gli Scioti si ritirarono dietro le mura nuove, erette nel 1401 dal-Γ architetto Leonardo di Ragusa (3) e da lui munite di (1) Secreti. T. 12, fol. 10 a. Misti. T. 58; f. 191 h. (2) Diarii veneti 1412-1447· Cod· Foscarini, n. 6205, f. 73 a. (3) Iscrizione in Scio. N. XXX presso Wlastos. T. II, σελ. 227. Jerome Justinien lib. 11, dove la spedizione viene però erroneamente ascritta all’anno 1416. r4 GIORNALE LIGUSTICO doppio fosso e triplice vallo, e vi si difesero con sommo valore: tanto che il condottiere dei fanti veneti.. Scaramuccia di Pavia, fatto accorto di avere dinanzi a sè non già un meschino castelluccio greco, ma una fortezza guernita di tutti i mezzi di difesa e presidiata da uomini prodi e sperimentati in tutte le pratiche dell’ arte militare italiana, propose all ammiraglio o di dare F assalto o di abbandonare F impresa. chè un assedio regolare sarebbe troppo lungo e d’esito dubbio, tanto più con una fanteria come la loro raccolta alla ventura e che stava male di armi. Decisosi per Γ assalto, il Mocenigo fece entrare di notte tempo alcune galee nel porto difeso^ da due sole navi mercantili genovesi ; e prese all’ im-piovusa^le due torri che custodivano l’ingresso del porto, ordinò 1 assalto generale, sopratutto dal lato di mare. Più di ottocento bombe furono gettate nella città in quel giorno; già cominciavano a crollare anche le mura nuove, ed i veneziani s accingevano alla scalata, quando il Montaldo fatte aprire porte si staglia alla testa dei suoi sugli assediatori, e preci-P ‘ e mura i già saliti, facendo orribili stragi del nemico, ? g «amente dei fanti. Solo la notte pose fine alla mischia, r 1 . Scaramuccia tentò le mine ; ma fu ucciso da i . ,ta’ mentre stava di rimpetto i lavori. La sua morte, p · Zia arrivo imminente di due galee spedite da J· era in soccorso r- .· · . jKcprKot · · Giustiniani, mentre scoraggiavano gli Zi ?nCUOra™ 8K S“0'i- Nè andò molto cbe ven- ad entri & ^ comandate da Damiano Grillo, e riuscirono nemica Μ Ρ°,Γ'° P“S“do ““ssemte «traverso la flotta allora 1’ assedio (ι- “η38ΐ'° dl Scaram“«ia, il Mocenigo levò dato il pnasf ■ ■ ^en* e se ne parti, avendo prima ■1 guasto a, gtardini, Tigneti « bosch; ^ ^ (Pf> (i) Stella, 1307-1508 _ e» j Ag. Giustin. lib. e \ ;ooa. , ’ 22’ I0I9> Ι03Γ· Navagero, 23, 1096. — Folieta lib. io p c6ì <6r r Intonano lib.ó, foi. 1763-1773. >°.P. 563-566 JaCi B,ocelli, De bello inter Hispanos e. GIORNALE LIGUSTICO In questo frattempo i Genovesi non se n’ erano stati con le mani in mano. Al primo avviso dell’ assedio, il Governo armò cinque navi di soccorso sotto Tommaso Cebà, che giunsero però in Levante solo dopo levato l’assedio (i). Poco appresso andò a Scio Pietro Re incaricato di promettere agli Scioti la spedizione prossima d’ un’ altra flotta più grande. Si scrisse al sultano Maometto II, invocando il suo aiuto per i Mao-nesi ed insistendo che impedisse ai Veneziani la costruzione d’ una nuova fortezza su Tenedo (7 die. 1431); parti Andrea De Marini, per combinare un colpo contra Candia con Teodoro di Morea, fratello dell’imperatore di Costantinopoli. In Lombardia e nel Piemonte si comprarono armi, s’arruolarono bombardieri, un ingegnere, 600 arcieri d’Asti e di Ceva ed altra truppa; ed in aprile 1432 (due mesi dopo levato l’assedio di Scio) salpò finalmente. sotto il comando di Pietro Spinola di Cipriano la flotta destinata a liberare Scio, proteggere Pera e Cipro, ed assalire il nemico in Candia o Negroponte (2). Il colpo che esso tentò contro Corfù, andò a vuoto ; ma prese, oltre una quantità di navi mercantili venete, le isole di Nasso ed Andro, sconfisse la flotta nemica, l’inseguì sino a Caristo e s’impadronì della città, le chiavi della quale fregiarono poi come trofei la porta del castello di Scio. Rifornitosi di viveri in Scio, lo Spinola tornò trionfante a Genova, dove popolo e Governo andarono a gara nel prodigargli ogni sorta di dimostrazioni d’onore (3). Ben diversa Genuenses gesto, in Graev. Thes. T. I, p. 1, p. ]i 287-1290. —Bìyir. De Bello Veneto lib. 2, p. 785-789. (1) Folieta, p. 5 66. (2) Le migliori notizie su questa spedizione si trovano in Roccatagliata Ms. ad an. 1431. (3) Roccatagliata ad an. 1432. — Stella p. 308. — Ag. Giust. f. 191a.— Interiano f. 177 b. — Folieta p. 566. — Bracelli p. 1295-129. — Bi^ar. p. 789. ι6 GIORNALE LIGUSTICO accoglienza toccò in Venezia al Mocenigo ed al Venier. Appena tornati, furon tratti avanti il Consiglio della Quaranzia ; e contro di loro vennero proposti questi capi d’accusa: il castello di Scio investito solo da una parte, invece di stringerlo tutt’ intorno; il numero troppo scarso di truppe impiegate nell’assedio; l’omissione di distribuire le armi prese nel porto e di animare le soldatesche con premi sufficienti ; gli attrezzi di guerra non abbruciati prima di ritirarsi. Il \enier uscì prosciolto, il Mocenigo fu condannato (3 gennaio 1433) a(i una multa di lire 500 e a dieci mesi di prigione da scontarsi nei Pozzi (1). Tosto dopo venne conchiusa la pace; e comecché questa non giovasse a troncare ogni causa di contese tra Venezia e la Maona, tanto che ripullularono negli anni 1434, I441^ *444 (2)> ciò nondimeno il pericolo sovrastante dal lato degli Osmani consigliava a vivere d’accordo. Del che porge aigomento il contegno riservato che la Maona serbò riguardo all isola di Scio , quando gli abitanti di questa dopo la caduta di Costantinopoli vollero darsi chi a Venezia chi ai vjiustiniani. I quali invitarono allora, col mezzo di Paolo Co-resio (3), 1 antica rivale a prendere possesso di Scio, atteso che essa era molto meglio in grado di difenderla (4). Ed avevan ben donde a far senno, poiché le minaccie degli Osmani andavano ingrossando, segnatamente contro la Maona, che s’era tirata addosso l’ira del Sultano per la parte cospicua sostenuta nella difesa di Costantinopoli (1453) dal maonese Giovanni Guglielmo Longo. Messa alle strette, ed (1) Raspe T. 8, p. I, f. 73 b - 75 b. (2) Stella p. 1352. — Federici. Collect. T. II, ad an. 1441. — Mar. T. 2, fol. 46, foi. 57 a. (3) Paolo Coresio, figlio di Sergio, fu ascritto alla cittadinanza veneta li 17 giugno 1485. Ved. Privilegi. T. 2, fol. 62 a. (4) Stef. Magno. Annali Veneti. T. 6, cod. Foscarini 62x5, ad. an. 1453. GIORNALE LIGUSTICO *7 invocato invano l’aiuto di papa Pio II, che disperando del-Γ indifferenza degli Stati Cristiani rispose con isterilì condoglianze (i), la Maona dovette acconsentire a portare a 6000 ducati il tributo (kharadsch) convenuto nel 1418 (2), sperando di stornare il pericolo. Ma fu speranza_ vana: chè il Sultano aveva ormai stabilito d’aggiungere Scio alle altre sue conquiste, e non aspettava che un pretesto per dare effetto al disegno. E il pretesto sembrò che gli si porgesse nel 1455 (3). Francesco Drapperia, nobile e ricco genovese stabilito in Pera, uno dei traditori di Costantinopoli e già appaltatore di Focea, era in lite con la Maona, contro la quale accampava un credito da questa costantemente contestato di 40,000 monete d’oro, per tanto allume che pretendeva averle somministrato. Ed ecco che nella primavera del 1455 diè fondo a Scio , presso la chiesa di S. Isidoro, una flotta turca incaricata d’ aiutare il Drapperio a conseguire il pagamento. Ma vista la città munita di nuove fortificazioni (erette nel 1440) (4) , e difesa da un prode e numeroso presidio, nonché venti navi genovesi stazionate nel porto; Γ ammiraglio turco Hamsabeg si limitò a devastare i giardini e vigneti, e ad invitare la Maona che delegasse alcuni suoi soci a trattare col Drapperio, che si trovava appunto sulla flotta. Due Giustiniani, tra essi il Nestore della Maona Ouilico de Furneto, si posero in cammino; a metà strada s’insospettirono e vollero tornare indietro, ma furono presi dagli (1) Scio Sacra, p. 49-55. (2) Cod. Giustin. T. I. f. 206 a. — T. 2 , fol. 203 b. — Cod. Belg. 250 a.b. (3) Ducas. c. 43, p. 322-328; Folieta. lib. 10; p. 582. (4) Le aveva costrutte assieme al castello Apolychnoi, Nicolò Giustiniani. Ved. l’iscrizione esistente ancora sopra la porta. — Piacenza. L’Egeo redivivo; Modena 1688-4, p. 361. — Wlastos T. 2. σελ. 40. Giorx. Ligustico, Anno IX. 2 iS GIORNALE LIGUSTICO Osmani e tradotti a Rodi. Dove si convenne, che Quilico ed alcuni altri Maonesi sarebbonsi trasferiti ad Adrianopoli per aggiustare la vertenza col Drapperio. Facendo ritorno da Rodi, la flotta osmana si fermò alcuni giorni a Scio; ed in tale occasione un Turco colto nell’atto di guastare una chiesa venne ucciso da un Genovese. Di qui nacque un tafferuglio, che finì con la ritirata dei Turchi e la distruzione di una delle loro navi. Prevedendo però che il Sultano non porterebbe in pace questa disdetta, la Maona si rivolse alla madre-patria; ma la Repubblica, travagliata dalla guerra con Alfonso d’Aragona, dovette limitarsi a mandare Pietro Giustiniani con due galre ed 800 uomini (1), scrivendo ad un tempo al papa (26 ag. T455) e ad Enrico VI d’Inghilterra (2) (7 aprile 1466) per implorarne, sebbene invano , Γ aiuto. In quel mezzo erano uscite (autunno del 1455) sotto Junùsbeg venti triremi turche incaricate della vendetta (3); ma fortuna volle che una bufera le disperdesse, mandandone molte a picco. Riunite alle coste dell’ Asia minore le navi uscite salve dalla procella, Junùs concepì l’idea d’impadronirsi di Focea Nuova ; e bastò una semplice intimazione per ottenere la resa della città, di cui Paride Giustiniani appaltatore della stessa Focea ed altri primari cittadini gli presentarono le chiavi. Ne la spontaneità della dedizione le risparmiò la soite delle città vinte col ferro; i mercatanti genovesi furon sbanditi, la loro roba mandata a sacco, rapiti i fanciulli, le fanciulle, molti adulti, e venduti in ischiavitù. Lasciato poi qui\i un governatore turco, Junùs si levò li 15 novembre, (1) Federici. Collect. T. 2) ad ann. 1456. (2) Giov. Berti. Veneroso. Genio Ligure risvegliato. Genova 1650, fol. p. 29-30. (5) Ducas. c. 44, p. 331-335. — Hist. polit. Costantipol. p. 26. — Sa-nudo p. 1159. GIORNALE LIGUSTICO 19 movendo per Focea Vecchia, cui tolse li 24 decembre al principe di Lesbo che la teneva in feudo dalla Maona. Il 1456 s’aprì con nuovi armamenti del Turco contro la Maona (1), la quale riuscì però a placarne l’ira, mediante un indennizzo di 30,000 monete d’ oro per la galea distrutta e l’aumento dell’annuo tributo, che fu portato a 10,000 ducati. La flotta papale che, corse 1’Arcipelago nell’anno seguente, ebbe un bell’ esortare i Giustiniani che cessassero dal pagamento del tributo (2); ma, per quanto intenti a completare i loro mezzi di difesa (3), essi ponevano ogni studio a pagarlo puntualmente ed evitare ogni cagione di contese (4). Al qual contegno la Maona andò debitrice della quiete che godè negli anni prossimi, segnatamente nel 1462, quando gli Osmani s’impadronirono di Lesbo cacciandone i Gattilusi. Nè sembra che il tributo abbia esaurito i mezzi finanziari dei Giustiniani, i quali appunto in quel torno sussidiarono Lodovico di Savoia re di Cipro contro il suo rivale Giacomo II (5). Tuttavia la sorte di Lesbo non potea non mettere in apprensione; e fece sì che Genova allestisse una flotta (1463) (6), mentre la Maona spediva a Costantinopoli Giovanni Antonio Longo per assicurare una pace durevole. Non consta quale fosse l’esito di questa missione; ma sembra che le concessioni da Longo fatte al Sultano siano state giudicate soverchie (7); nel 1469 fu (1) Ducas, c. 45, p. 335. (2) Ducas p. 338. (3) Cod. Giust. T. I, f. 206 b - 207 a. — Bosio. T. 2, p. 203. — Aen. Sylvii Opera (Basii. 1551). — Liber de mundo universo, c. 79 p. 363. — The Chronicles of Rabbi Joseph ben Joshua ben Meir thè Sphardi.'translated from thè Hebrew by Bialloblotzky (Lond. 1835-8. voi. 1, § 381), dove i Maonesi vengono nominati : Ham-Maoneschi. (4) Ducas, c. 45, p. 341. Phrantres, p. 1, cap. 32, p. 94. (5) Archivio di S. Giorgio. Registro 34, fol. 76b-8ia. (6) Cod. Giust. T. Ili, f. 1 a - 5 b. — fol. 7 b -11 a. (7) Notulario di Oberto Foglietta. Pand. Ridi. Libro fasciato di cartina fol. 195 a. Atto del 4 genn. 1469. 20 GIORNALE LIGUSTICO persino processato in Genova, essendo anche accusato di malversazione; nè gli giovarono le prove con cui ribattè 1 accusa, dimostrando avere egli stesso tolti ad imprestito per la Maona 2000 ducati da un usuraio turco di Brussa (Ka-burnoghlû) ; i giudici lo condannarono ad una considerevole multa (1). Un incidente sorto nel 1470, mentre i Turchi tenevano investita Negroponte, minacciò di nuovo di mettere a ìepen-taglio la pace, essendo che la nave sciota, che aveva a bordo la rata semestrale (5000 ducati) del tributo e 100 braccia di panno scarlatto per i visiri, fu catturata (li 15 ë^u§n0) dalle navi venete accorse per liberare l’isola (2); ma pei buona fortuna il caso non ebbe conseguenze disastrose. Più gravi sembrarono le minacce del Sultano negli anni I472> 1473, 1475 (3) e 1477 (4), provocate in parte dall aver la Maona dato ricetto nel porto di Scio all’ammmifaglio Pietio Mocenigo (5). In Genova s’allestirono allora venti navi (6), e la Maona stessa impose nuove tasse, per far fronte alle spese dell’armamento di un naviglio con una ciurma di 250 a 300 guerrieri. Fu in quel torno, che i Giustiniani sgombrarono Savio, traducendo a Scio gli abitanti dell’ isola già quasi deserta; e poco dopo (1481) abbandonarono anche Nicana ai cavalieri di S. Giovanni, ai quali avean ceduto già molto prima l’isola di Cos. Erano aneli’ esse quasi deserte; ed oltrecciò, prive di comodi porti, non potevano allettare nemmeno i pirati turchi a stabilirvisi (7). (1) Non già alla forca, come dice il Federici in Collect. T. II, ad an. 1469. (2) Bartoì. Pugliola, Cronaca, in Murat. XVIII. 779. (3) Cod. Giust. T. Ili, f. 15 a-19 a. (4) Cod. Giust. T. Ili, f. 25 b-27 a. (5) Corio]. Cepio. De P. Mocenici gestis (Basileae 1544, 12), p. 8. (6) Bi^ar lib. 14, p. 327. (7) Jer- Jiustinün. Descript, etc. — Piacenza, p. 200. 215. — L. Lacroix. Iles de la Grèce. Paris 1853-4, p. 210. GIORNALE LIGUSTICO 21 Nel 1479 scoppiò la procella già da tanto tempo sospesa sopra i Maonesi, i quali furono allora accusati di spiare gli apparecchi militari degli Osmani e di tenerne avvertiti i Veneziani; e mentre in Genova correvan solo vaghe voci di una minaccia (1), in Venezia (7 settembre) giungevano lettere annunziatrici che i Turchi, sbarcati nell’isola, l’avevano messa a soqquadro conducendo via mille Scioti come schiavi. Da un altro sbarco, che le sovrastava nel 1480, quando i Turchi uscirono contro Rodi, la Maona potè riscattarsi mediante il pagamento di 10,000 fiorini d’oro (2). Morto Maometto II, nacque in alcuni la speranza e la velleità di svincolarsi dal tributo; ma furon sogni, come fu un sogno la Crociata che per la riconquista di Lesbo e di Focea andava allora predicando in Genova il padre Domenico di Ponzone (3). Mentre la Repubblica si limi.tava a mandare di quando in quando a Scio qualche soccorso di milizie (4), i Giustiniani continuavano a pagare il kharadsch con la massima puntualità (5). Ma l’impegno con cui vi attendevano non giovò nemmeno a metterli al coperto da nuove angherie; poiché gli Osmani, sempre all erta pei cogliere un pretesto di contese, sposavano le doglianze di chiunque si pretendeva creditore della Maona e dei singoli suoi soci, 0 leso da essi nei propri interessi'; attalchè la Compagnia, stanca delle incessanti estorsioni, protestò li 8 febbraio 1488 che non avrebbe più risposto per alcun debito dei singoli Maonesi e Scioti (6). (1) Cod. Giust. T. Ili, f. 31 a-32 a. (2) Cod. Giust. T. Ili, f. 36 b- 39 a. (3) Ag. Giust. lib. 5, f. 241 b. — Intérim, lib. 8, f. 222 a. — Bi^ar. lib. 15, p. 3 5 5- (4) Cod. Giust. T. Ili, f. 56 a-58 a. (5) Cod. Giust. T. Il, f. 249 a.b. — Cod. Belg. f. 289 a-290 a. (6) Cod. Giust. T. I, f. 216 b-217 a. — Carte della _ Maona di Scio. (Bibl. dell’Università di Genova, Cod. 69, f. x a.) Pagano, p. 311-312. 22 GIORNALE LIGUSTICO Nel 1495 Γ isola fu di nuovo minacciata da una poderosa flotta turca, che desistè poi dall’attacco, essendo tenuta in rispetto dal naviglio veneto e da un soccorso di 300 scelti guerrieri accorsi da Genova sotto l’intrepido Tommaso Giustiniani (1). Γη tal guisa la Maona strascinava sin’ oltre la metà del secolo XV una vita travagliata da ansietà e vessazioni, ponendo ogni suo studio a propiziarsi quanti per posizione ufficiale e autorità personale erano in grado di appoggiarla e proteggerla presso la Porta. Tra i personaggi, di cui sollecitava in tal guisa i buoni uffizi e l’intercessione, meritano d’ersere ricordati il Barone S. Blancard agente diplomatico del re Francesco I di Francia in Oriente, che durante i suoi viaggi nel-l’Arcipelago si fermò due volte a Scio, dove fu trattato con cortesie d’ogni sorta e fornito di viveri e danaro da Benedetto Giustiniani allora capo della Maona (2). Nè era men cordiale l’accoglienza fatta ad uno dei suoi successori, il noto barone d’ Araman, da Giuseppe Giustiniani console francese in Scio (3), ed al principe di Lussemburgo che vi stazionava otto mesi con ventiquattro galee francesi nel 1552 (4). Ma con tutto ciò andavano maturando i destini della Maona, affrettati anche dalla viltà con cui la madre-patria ritrasse da lei la mano sleale. Dimentica degli innumerevoli (1) Senarega Hist. Genuens. in Murat. 24, 550. — Ag. Giust. lib. 5, f. 251 a. (2) Il barone approdò a Scio li 20 settembre 1537, e vi fece al suo ritorno una seconda fermata di tre settimane, dopo avere calorosamente raccomandata la Maona al Sultano. Ved. La Charriére. Négociations de la France dans 1ς Levant. T. I, Paris 1848, 4, p. 373-381. (3) De Nicotay, Op. cit. — Voyage d’Aramon, pièces fugitives pour servir à l’histoire de France. T. I, p. 1, p. 56. Paris 1759, 4. 4) Il certificato originale dell’ accoglienza fatta all’ ammiraglio, esiste nell Archivio Giustiniani in Roma : una copia si legge nella Storia della nobile famiglia Giustiniani. Wlastos, T. Ί, σελ. 231. GIORNALE LIGUSTICO servizi che le avean resi i Giustiniani, e dell’ obbligo formale contratto di schermirli da qualsiasi aggressore, il Governo della Repubblica s’abbassò a rinnegare i propri nazionali, istruendo (li 2 marzo 1558) il plenipotenziario genovese presso la Porta (Francesco De-Franchi-Tortorino) « che venendo a Costantinopoli ambasciatori della Maona, sconfessasse la sovranità genovese sovra essi, per non dar luogo nè a scandalo nè ad ammirazione » (1). — Con la quale dichiarazione venne tolto di mezzo l’ultimo ostacolo che s’opponeva ai disegni di Solimano. È vero che Genova promise allora di risarcire ai Giustiniani l’antico debito di lire 152, 250, qualora Scio fosse perduta per colpa sua; ma serbò poi fede a questo nuovo impegno come l’aveva serbata ai patti antichi, non avendo mai nè alzato un dito per salvare Scio, nè pagato uno scudo della somma dovuta ai Giustiniani. Ne puossi allegare in buona fede l’argomento della forza maggiore, per palliare questa turpe infrazione della fede data, poiché la Repubblica era avvertita già nel 15 64 della grandiosa spedizione che Solimano stava apparecchiando per la conquista di Nasso, Cipro e Scio, mentre la catastrofe non seguì che nel 1566 (2). Ad accelerare la quale vennero a cooperare due cagioni: 1’ impotenza in cui si trovava la Maona, dopo il I5^4> di Pa“ gare il tributo annuo allora salito a 14,000 monete d 010, e (1) Marco Antonio Martinelli Descrizione del viaggio dell’ambasciata genovese fatta a Solimano, l’anno 1558; nell Archivio di Stato in Toiino. (2) Roccatagliata ad an. 1566. — Casoni ad an. 1566. P. Binari Bellum Pannonicum. Basilea 1573, 12, p. 173, 179· Idem De Bello 'Veneto lib. 2, p. 746. — Andr. Mauro ceni Historia Veneta ab. a. 1521 ad a. 1615. lift. 8, T. 2, p. 220, Venet. 1718, 4. — Reyss des Salomon Schweigger von Tübingen ien Reyssbuch, voi. 2, p. 96. Francof. 1609 fol. — T. Por-cacchi L’isole più famose del mondo. Venezia 1576, fol. p. 125. — Chronologie di Halgi Khalfa, trad. da Giovanni Rin. Carli, ad an. 973 p. 149. Venez. 1697, 4. 24 GIORNALE LIGUSTICO d’ offrire ai visiri i consueti donativi di panno scarlatto ; infine lo zelo con cui venivano ricettati in Scio gli schiavi cristiani riusciti a fuggire da Costantinopoli. Fra questi ve n’ era uno che aveva appartenuto al gran visir Maometto pascià; ed il capo della Maona Vincenzo Giustiniani, allora anche podestà dell’ isola (i), da lui diffidato di consegnarlo o di pagare un grosso riscatto, aveva spedito subito un messo con la somma richiesta. Ma questi se ne fuggì col danaro, non curando il fio tremendo con cui i Giustiniani avrebbero scontata la sua perfidia ; ed il Visir vedendosi deluso, aizzò il Sultano a finirla con la Maona. Ed ecco che il 14 aprile 1566 una fiotta di 80 galee comandata dal Kapudanpascià Piali diede fondo a Scio, nel luogo detto « Passaggio », che serviva di scalo alle merci destinate in Oriente. Mentre stava lì fermo all ancora, gli uscirono incontro due oratori che l’invitarono ad entrare nel porto, chiedendogli anche scusa per Vincenzo Giustiniani, a cui la celebrazione della festa di Pasqua toglieva di ossequiarlo in persona. Piali li accolse con cortesia simulata: non vo’ere egli disturbare la festa, ma gli farebbero cosa grata se lo lasciassero entrare nel porto con venti galee. L’ indomani la flotta turca si divise in tre squadre che occuparono i tre porti, con Γ intenzione di penetrare nella città per i giardini vicini. Condotto da traditori greci e genovesi, venuti spontaneamente ad offrirgli i loro servizi, Piali ascese un’altura, per riconoscere il terreno. Esplorato tutto, segnatamente la posizione del castello, tornò alla flotta ed invito Vincenzo Giustiniani e i dodici Governatori dell’isola che venissero a conferir seco, prima che egli partisse per Napoli. Dopo lunga discussione, e cogli animi abbattuti da sinistri pr'e-sagi> gli invitati si recarono a bordo della nave ammiraglia, (1) Copioso ristretto degli Annali di Rausa, di Gìac. Luccari. Venezia, 1605, 4, p. 147. GIORNALE LIGUSTICO 25 dove accolti dapprima con cortesia furono poi gettati in catene. Nell’ istessa ora fu dato il segnale dell’ assalto. I gianizzeri presero la città ed il castello, quasi senza incontrare resistenza; ed in poche ore il vessillo di S. Giorgio cedè il posto alla mezzaluna sulle torri, le porte ed i palagi. La città fu mandata a sacco, le chiese atterrate o convertite in moschee. Si racconta che in quella di S. Pietro, cui gli spo-gliatori non lasciarono che le nude mura, un rinnegato, afferrato l’ostensorio con 1’ ostia domandò sghignazzando al pio vescovo'Timoteo Giustiniani (1) se quello era il Dio dei Cristiani; ed essendogli risposto essere questo un mistero della fede, il manigoldo si disponeva a buttare l’ostia in terra, ed a calpestarla; ma desistè dal sacrilegio, quando il venerando vegliardo lo pregò ginocchione che 1’ uccidesse, affermando essergli più cara la morte che il veder profanare il corpo del Signore. Appena fatto il suo ingresso trionfale, Piali interdisse agli indigeni, d’altronde da lui trattati mitemente (2), sotto pena di morte, la partenza dall’isola: divieto che fu poscia revocato da un ordine del Sultano. \7incenzo Giustiniani, i dodici Governatori dell’ isola e gli altri più cospicui Maonesi, con le loro famiglie — eran cinque navi piene di prigionieri — furon tradotti a Costantinopoli. Dove giunti, i fanciulli al di sotto dei 12 anni vennero chiusi in un convento intitolato a San Giovanni Battista; i giovanetti dai 12 ai 16 ven- (1) Entrato in sede li 14 apr. 1564, morto come vescovo di Strongoli. Ved. Acta consistoralia Pii V papae, et Regest. Cancellar. Apostolic., in Fontana. Theatr. Dominicali. Tit. 167, p. 168. — Ugbelli Italia Sacra, nelle diocesi di Ajaccio e Strongoli. — Scio Sacra, p. 114-139. — Le Quieti. Oriens Christianus. Paris 1740 fol. T. 3, p. 1063-1064. (2) I/ atto di capitolazione di Scio servì pure di modello per le dedizioni di N’asso, Andro, Paro ecc. Pégues. Histoire du volcan de Santorin. Paris 1842-8, p. 609 seg. 26 GIORNALE LIGUSTICO nero separati aneli’ essi dai genitori, per indurli ad abiurare la fede cristiana e cacciarli poi nel corpo dei Gianizzeri (i). Eran ventuno, tutti di casa Giustinani: tre piegarono; cogli altri diciotto (2) si tentarono invano le promesse, le minacce, i tormenti più atroci. Confortati nella loro costanza dalle madri, a cui fu concesso di visitarli, e che ringraziarono Iddio dell’ aver dato ai loro figliuoli la forza di resistere alla tentazione, i diciotto martiri adolescenti spirarono dopo indicibili supplizi li 6 settembre 1566. La Chiesa, apprezzando la loro mira-rabile fermezza, li canonizzò; e F arte tentò di glorificarne la morte in un dipinto (d’altronde non molto estetico) che fregia il Palazzo dei Dogi di Genova. I capi della'Maona e gli altri adulti, passati parecchi mesi nelle prigioni di Costantinopoli, furono relegati in Crimea, dove molti morirono. Ai superstiti fu concesso, in novembre 1567, mercè i buoni uffizi dell’ ambasciatore francese de Granterie de Grandchamp , di tornare a Scio od a Genova (3). I più andarono a Genova, sperando che la Repubblica li risarcirebbe della perdita dell’isola. Ma furono vane speranze: il (1) Ved. la dichiarazione di Teodora Giustiniani de’ 9 novembre 1644» nelfogliazzo di Giacomo Maria Castello. — Pagano. Illustraz. 38, p. 214-215. Ag. Calcagnino. Le sacre palme genovesi. Genn. 1655, p. 105-114··^*^· Giustiniani. La gloriosa morte dei 18 fanciulli Giustiniani. Avellino 1656, 16. (2) I nomi di due sono ignoti: gli altri 16 erano Filippino, Giorgio, Paolo (forse anche Giuseppe e Girolamo) Campi , Bartol. Giustiniani, Scipione, Ercole , Cornelio, Ippolito Moneglia, Sebast. Garibaldo, Brizio Oliviero, Francesco, Pasquale, Antonio, Giovanni, Raffaello ed un altro Pasquale Giustiniani. — I rinnegati erano Giambattista Forneto, come Mor-lem Mustafà; Giov. Banca e Domenico Castro. Anche Giov. Garibaldo e due suoi figli passarono allora all’ Islamismo. (3) Mich. Giustiniani. Lettere memorabili. T. II, p. 81. Atto del 2 luglio 1570, nell’ Archivio Giust. in Roma. Wlastos, T. 2, σελ. 232-234. CIORNALE LIGUSTICO 27 Governo, sempre più angustiato nelle finanze, fece orecchie da mercanti ai ricorsi che i rimpatriati non si stancavano di presentare per far valere i loro diritti. Che più ? Nè essi, nè i loro discendenti, che continuavano a considerarsi come una società costituita, poterono mai ottenere il rimborso con gl'interessi dei 600 luoghi (60,000 lire) (1), che la Maona avea depositato presso il Banco di S. Giorgio come garanzia dell’ annuo censo da essa dovuto alla Repubblica. Tutti i richiami che essi fecero (ancora nel 1805) per conseguire questa sacrosanta restituzione, furon respinti; e Γ ultima speranza di reintegrazione svani nel 1815, quando fu sciolto il Banco. Altri membri della Maona tornarono a Scio, dov’ erano rimasti i meno agiati del casato Giustiniani (2), e dove il loro lignaggio si è conservato sino ai giorni nostri : fra altri nel presente vescovo dell’ isola Ignazio Giustiniani, entrato in sede nel 1830. Un ramo laterale, spento nel secolo scorso (3), fermò sede in Nasso (4) ; dove un Giovanni Giustiniani avea nel 1670 vasti possedimenti. Non è questo il luogo da raccontare tutte le vicende posteriori delle isole un di soggette alla Maona: basti il dire, che le Sporadi impoverirono e divennero poco meno che disabitate. Samo, dove Γ agricoltura era decaduta già negli ultimi anni del dominio genovese, e la cui posizione esposta aveva anche troppo sovente allettato i pirati ad annidarvisi, fu occupata da Kilidsch Ali, Satrapa del Sultano, che vi si mantenne parecchi anni come padrone quasi indipendente, e vi tradusse una colonia d’isolani di Lesbo (5). Sulle condizioni (1) Ved. i cartolarli delle colonne nell’Archivio di S. Giorgio, a 175 3—τ 799- (2) Scio Sacra, p. 194. (3) Lichtle. Chronique de Naxie (nel convento di S. Lazzaro in Nasso). (4) Atto dell’11 maggio, posseduto da un privato in Nasso. (5) Josef Gorgircnes. Descrizione della condizione presente delle isole di Samo, Nicaria e Patmq. Ed. 1689, 12, p. 3 seg. 28 GIORNALE LIGUSTICO miserande di Scio abbiamo una relazione dello sciota Giacomo Paleologo (i), che rivisitò 1’ isola otto anni dopo la catastrofe del 1566, per riabbracciare sua madre, la nobile Γοιή-masina dei Chiavari, cui trovò caduta nell’ultima povertà. « Scio era ridotta ad una spelonca di ladri, ad un villaggio lasciato da Piali in arbitrio di due villani; i pochi Latini, che v’ eran rimasti, spogliati, malmenati ed incarcerati a capriccio dai Greci, nei quali eran rinati gli antichi odi religiosi subito dopo 1’ invasione turca ». Il castello custodito dai Gianizzeri; 32 ville e 12 dei più bei palazzi usurpati da Piali, molti dalla soldatesca, scoperchiati e deserti gli altri. La popolazione tutta plebea, all’infuori di qualche gentiluomo ( « monstra nobilitatis » ) già uscito dalla feccia della canaglia (« faex et lutum »), e di poche donne che al tempo della conquista eran troppo vecchie o troppo giovani per farne delle schiave. Abbracciare l’IsIam, ecco l’unico mezzo per sottrarsi alle intollerabili angherie degli ufficiali turchi. Le chiese del castello convertite in moschee, tranne la cappella dei Domenicani, ed il convento dei Francescani nel quartiere dei Greci. La proprietà talmente depreziata, che un magnifico palazzo, tutto costrutto di pietre tagliate, non trovò compratori nemmeno per 300 sc-udi! (Continua). RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Emanuele Celesia. Storia della Letteratura in Italia nei secoli barbari. Vol. I. — Genova Tipografia Sordo-muti, 1882, pag. 430. — L. it. 4. Sono i secoli della virtù ignorata quelli di cui 1’ egregio autore ha preso a trattare, con un’ erudizione che fa rincalzo (1) Epistola Jacobi Palaeologi de rebus Constantinopoli et Chii cum eo actis. Ursel. 1594, 4, stampata in Reusneri Epistolae Turcicae, lib. 11, p. 143, seg. Francof. 1599, 4· GIORNALE LIGUSTICO 29 alla parola rapida e colorita e con una abilità di colorito che rende piacevole l’erudizione. Fu costante la tradizione classica in Italia? Ecco il quesito che Γ autore si è proposto, e al quale avendo data una risposta affermativa si è accinto a dimostrarlo anche per quel periodp storico che per credenza comune fu involto in una profonda caligine, non solcata che da pochi e radi lampi di gentilezza e coltura. « L’istoria letteraria, osserva il Celesia, non seppe ancora rinvenire entro i ruderi del passato i germi delle odierne sue condizioni e i presagi dell’avvenire ». — E quei germi è d’ uopo cercarli appunto in seno a’ secoli così detti barbari, perchè son dessi che fecondati dal libero e civile Comune spiegano la fioritura letteraria del Trecento, e lungo una serie di laboriose evoluzioni ci conducono al nuovo verbo dell’ arte nel secolo XIX. Certe modalità, certe elaborazioni letterarie, non si possono intendere se non ad un tale patto. Chi crede, ad esempio, che la novella borghesemente epicurèa del Boccaccio rappresenti un fatto isolato in piena spiritualità medio-ovale, mostra disconoscere il Boccaccio e il medio evo. No, quella vena gioconda ed insieme satirica che pervade le pa-σΐηε del Decamerone non era un fatto isolato; era frutto O della reazione, che lasciato da banda il cupo misticismo importato dall’ Oriente, tornava alle fonti vive e sane della classicità; era una conseguenza della tradizione pagana, conservata perpetuamente in Italia, la quale si versava irresistibile nella vita e nella letteratura. Come la Fiammetta sorrideva graziosa ed accorta al Certaldese sotto le arcate e tra i ceri ÎD della chiesa di S. Lorenzo, così la novella italiana ride spensierata e maligna tra una lauda spirituale e una leggenda divota. E se facciamo un passo indietro, altrettanto s’ avrà a dire per madonna Bice e madonna Laura immortalate dai loro rispettivi poeti. Io non so se 1’ amor platonico basterebbe a giustificare la vaporosità di quelle due soavi creazioni, quando 30 GIORNALE LIGUSTICO non s’ aggiungesse che le corti d’ amore e la poesia provenzale del secolo XII confermando la donna a quell’ altezza cui il cristianesimo e la cavalleria si sforzavano di collocarla, concorrevano a determinare la lirica della Vita Nuova e del Cannoniere. L’ influenza esercitata dai trovatori provenzali sulla poesia italiana è visibilissima; nè, come succede delle derivazioni e filtrazioni, è sempre salutare. E qui cedo volentieri la parola all’ autore: « Chi, egli osserva, togliesse per avventura in esame la prima parte della Vita Nuova, troverebbe pur fra lampi di mirabile poesia, certe fredde arguzie, certi sbiaditi colori, giuochi di parole e modi che accusano il vieto fLasario della scuola convenzionale d’*oltr’alpe. In essi per fermo non s’appalesa quel dolce slil novo, quell’ olimpica elevazione dell’ anima, che fa di Dante un poeta originale e somigliante solo a sè stesso. Di questa pece per altro andò assai più tinto il Petrarca, e ne fan fede gli intrecci delle rime usati nelle sestine , il sonetto che incomincia : « Quand io movo i sospiri a chiamar voi », imitazione delle coble rescoste de’Provenzali, l’intera canzone IX, pretta imitazione pure essa delle coble divinative, intorno la quale esercitarono vanamente Γ ingegno i suoi molti commentatori. Ma più assai che nella corteccia, ossia nella forma esteriore, questi influssi oltramontani spiccano in quel lirismo convenzionale, in quelle sottigliezze e falsi concetti che mostrano aver egli seguito, anziché l’ispirazione e l’impeto della passione, le vestigia della fredda arte occitanica. Quelle sue così frequenti personificazioni dell’amore, quelle forme lambiccate e contorte, quelle antitesi cozzanti fra loro, le strane sue metamorfosi in albero, in sasso, in fonte e perfino in cervo, quella rabbia di sdegni e pioggia di lagrime e vento angoscioso di sospiri, e mille altri tropi balzani e gonfie metafore, son prove non dubbie, chejtalora il suo cuore anneghittisce O nel vuoto, che tace la passione e prevale la scuola ». GIORNALE LIGUSTICO 31 Così tutto s’incatena, così una forma dell’ arte diventa premessa necessaria a chi vuol darsi ragione delle forme successive, così si avvera il principio fondamentale, innovare rinnovando, che è fecondo di bene e di male, ma condizione inevitabile di ogni progresso, cànone imprescrittibile dell’arte presente e futura. « Un sol uomo non basta a creare un’ opera immortale: è mestieri vi concorra un’ età, un popolo intero. Il genio non è che la sintesi di molte generazioni ». — Persuaso di queste leggi, 1’ autore si getta attraverso il periodo storico e letterario che corre dal quarto secolo al duodecimo, da Severino Boezio che grandeggia al limitare del mondo barbaro, ai trovatori italiani che con Sordello e quei valorosi genovesi che furono Lanfranco Cicala, Bonifacio Calvi, Percivalle Doria, cantano il canto del cigno e preludono alla musa gentile ed insieme severa di Dante Alighieri. E in così lungo cammino egli, che padroneggia la materia colla felice sprezzatura di chi fa il fatto suo, vi parla se non sempre con novità di vedute, sempre colla perizia che mette nel debito rilievo ogni cosa, dei primi poeti cristiani, Ennodio, Sidonio Apollinare, Proculo, Venanzio Fortunato, per una metà ancora pagani, devoti ai vecchi Dei che non si rassegnano a schierarsi tra gli sconfitti; delle leggende religiose ed eroiche particolari ad un’ età nella quale la storia, come dice il Bartoli, non era nè maestra della vita, nè luce di verità, ma diventava aneli’ essa un’umile ancella della teologia, — e giù giù fino al Chronicon Novalicense, fino agli Annales Casinates dove più di cent’ anni di storia si compendiano in una pagina sola— l’esempio il più insigne di laconismo cenobitico—; e finalmente di quel soave albore, che era promessa di luce più diffusa e più splendida, voglio dire della poesia provenzale. Che simpatica figura quelF Onorio Venanzio Fortunato! Giurista, poeta, sacerdote, cavaliere, gaudente epicurèo, pre- 32 GIORNALE LIGUSTICO cursore dei goliardi e della beata musa rabelesiana; e tutto ciò nella seconda metà del Cinquecento, nella così detta notte caliginosa della barbarie. Un giorno capita a Poitiers e visita Γ abazia di Santa Croce. Quivi viveva Radegunda , figliuola di Bertario , che dopo la strage de’ suoi fratelli, principi di Turingia, e l’intero sterminio del regno , rapita prima dal re de’ Franchi Clotario I e poi dal medesimo disposata, fugge il feroce marito , si chiude nell’ abazia di Poitiers ; e S. Medardo , cavaliere colle regine, la consacra diaconessa. « Bella, gentile e devota alle lettere, l’amore di uno sposo celeste non l’avea tratta agli altari: il mondo non era ancor morto nel suo cuore , e soleva con liete accoglienze onorare i personaggi più illustri e virtuosi che spesso la visitavano. Non è perciò a dire con quali dimostrazioni di stima ricevesse il nostro poeta, di cui sì alto volava la fama». — E Venanzio non volendo nè potendo in breve più abbandonare le due amiche del cuore, Radegunda e Agnese badessa del chiostro, si rende sacerdote, assume la direzione spirituale delle pie suore di Santa Croce ed è felice e troneggia. — « Gli ammonimenti che solea porgere in versi, tendeano sempre a recare una qualche larghezza ai loro religiosi doveri. E invero, benché sacerdote, non mostravasi di soverchio severo per quanto aveva tratto al costume : avido oltre ogni dire ne’ cibi, stemperato nel bere. Nei banchetti a cui l’invitavano le ricche sue piotettrici, ora imbanditi all’uso barbaro, ora al romano, ei soleva abbandonarsi alle voluttà della gola : Ond’ è che le due monache intente a legarlo di più stretti vincoli a loro, nulla risparmiavano per appagare i suoi voraci appetiti ». — Alternava il fumo delle dapi cogli slanci di uno spirito amante, ma puro. Quis mihi dat reliquas epulas ubi voce fideli Delicias anima te loquSr esse meae ? A vobis absens colui ieiunia prandens, Nec sine te poteram me saturare cibo. GIORNALE LIGUSTICO 33 Nè gli faceva difetto il fervore religioso, ed è proprio a Venanzio Fortunato che la Chiesa va debitrice di alcuni fra i migliòri inni liturgici, segnatamente del Vexilla regis prodeunt che meritò di essere ricordato da Dante Alighieri. Uno studio amoroso fece Γ egregio Celesia sulla poesia provenzale, colla quale insieme alle sue derivazioni si chiude questo primo volume. L’influenza esercitata dai cultori della gaia scienza su quella società che scuoteva appena allora da sè le arcane paure onde il mille aveva contristata Γ umana coscienza , è ritratta nella sua piena luce. I poeti provenzali trovavano ne’ primi anni del secolo XI una triste realtà lontana assai dall’ ideale che viveva nella loro mente, e 1’ attività riformatrice, l’interno dissidio versavano al di fuori in canzoni ora balde, audaci, inspirate, come spesse volte nei canti politici, ora concettose, manierate, convenzionali, come per lo più nei canti di amore. È inutile : nessuno si sottrae alle necessità dell’ ambiente sociale che ha sortito. Nè la donna poteva delinearsi a netti ed amabili contorni nella poesia occitanica, quando l’abbassamento di lei nella realtà della vita era giunto verso il mille ad un grado che a fatica noi possiamo immaginare. « Negli strati più bassi, scrive U. A. Cannello, essa è serva , rustica o domestica, esposta ai capricci del padrone che ne può fare la sua camerieri, felice se di tanto in tanto gode gli abbracciamenti del suo Robin campagnuolo ; negli strati mediani la donna è femna, è molher, o appena appena Viene risalendo verso la stabilità dell’ uxor antica; negli strati superiori essa è ancora oissor, è femme èsponsce, è la dame o domna d’un castello, destinata a procreare figli legittimi a questo o a quel signore feudale Impossibile pertanto la plastica e pagana verità delle Delie e delle Lalagi romane, del pari che l’alta idealità di Beatrice e di Laura. Per altro non bisogna esagerare : v’ ha in Giorn. Ligustico, Ληηο IX. 3 34 GIORNALE LIGUSTICO quei canti a quando a quando e finitezza di particolari ammirabile e carezza di forme e sentimento artistico ; e molti poeti elzeviriani de’ di nostri non scriveranno mai e poi mai tre strofe come le seguenti di Folchetto. Le riproduco per intiero, perchè sono anche un saggio del modo con cui sa" tradurre, quando voglia, il Celesia. o, sebbene dal Zaccaria non fossero reputate degne di tanto onore. Ebbe dimestiche^ co. p.ù insigni letterati del suo tempo. Alcuno sue lettere al Gatti mostrano come ,la Nell RM' 0n fj n ^ ,1"'° pic£hcv0le prepotenze della Compagnia, e n’ebbe dolori. Nella Biblioteca della R. Univ^rcìtA a: r . ( . ς. . . enova serbansi autografi alcuni suoi studi danteschi. Mod t Τ1ΓΛ 1 arl0l0mc0 Gatti glurc perperi la detta griparia, forniia ed armata di 24 rema-affinchc lasciasse Costantinopoli per Negroponte col carico del Con-uttore ». (Archivio Stor. Siciliano N. S. An. VI, Fase. I-II). ♦ " idemy del 29 ottobre parla con lode della recente monografia del Desimoni intorno a Giovanni Caboto. * Nella nuova e splendida edizione uscita a Parigi (Hachette, 1882) del- 1 se,gneur Bayard sono osservabili due cromolitografie, una rappresentante l’esercito francese innanzi a Genova, l’altra l’entrata in città di Luigi XII. * teca A° P1SOf‘ inediU deì sacco di Roma tratti da un ms. della biblio- il seguente ^ V 1 ^ Esercito della Domenica, A. I, n. 2) troviamo giato la Roto 'd "T CamP° Marzio> g1’imPcriaI''> dopo aver saccheg-- nonR°t0nda’ * d,resser0 verso il palazzo della signora Lomellina, la quale non scoraggi, fatta barricare la porta, capitanando 7o dei suoi GIORNALE LIGUSTICO 45 fidati, resistè più di mezza giornata agli sforzi di 200 nemici. Ma il numero vinse il valore, e la brava donna per salvarsi , fu costretta a farsi calare per una corda in un cortile, senonchè chi la calava, impaurito la fece cadere: allora un servo la prese e tentò fuggire , ma due archibu-giate lo uccisero insieme con la signora ». ♦ * * In un pregevole scritto di F. Torraca intitolato : « Gli scrittori stranieri del Risorgimento in Italia » (Rassegna Seitifnanale N. 208) si ricorda Francesco Imperiai genovese « ammiratore di Dante » che poetò in Castigliano; la missione di Gracilasso della Vega a Genova nel 1536; e la dimora in questa città di sir Filippo Sidney nel 1573- Da un altro articolo di D. Perrero « un Principe Ruspoli a Torino » rilevasi che nel carnevale del 1738 venne a cantare a Genova Antonia Cerminati, protetta dal cardinale Olivieri, come si vede dalla sua corrispondenza col marchese d’ Ormea. * * * Agostino Oldoini aveva accolto nel suo Ateneo Ligustico Iacopo Gastaldi catografo del sec. XVI reputandolo di Villafranca marittima, invece egli è nativo di quella che trovasi sulla sinistra del Po; di che ci fanno accorti i chiar. Manno e Promis in una diligente ed importante memoria intorno a quel piemontese, inserita negli Atti dell Accad. delle Scienie di Torino (Vol. XVI, 8 17). * *«* Il Sig. A. Ademollo col titolo Le Giustizie a Roma pubblica, preceduto da una erudita prefazione ed illustrato da opportune note e documenti, il Libro di tutte le Giustizie eseguite in Roma dall’ anno 1674 a lutto Γ anno 17 ;ç, compilato dall’ Ab. Placido Eustachio Ghezzi. Oltre un Domenico Lazzarini ed un Rafaello di Tomaso Orlandetti genovesi mazzolati e squartati per delitti comuni, vi troviamo un Abate Filippo Riva-rola, condannato, al « taglio della testa a Ponte S. Angelo per aver ritenuto Pasquinate contro il Papa, aver sparlato del medesimo et aver avuto commercio con gli eretici per far dare il sacco a Roma ». La sentenza fu eseguita con atroci particolari il 4 agosto 1708. Il Rivarola era un foglicttante o, come oggi si dice, giornalista. (Archivio della Soc. Rom. di St. Fair. Vol. IV, 429). Ivi non è indicata la sua patria, ma il contemporaneo Ursaja nel suo Diario inedito lo dice genovese (e il Deila Cella nelle Fani. Gen. ms. di Chiavari), come gentilmente ci fa sapere l’egregio autore ; il quale pubblicherà in appendice una curiosa « Relazione sincrona 46 GIORXALE LIGUSTICO della vita a Roma e della prigionia e della morte del Rivarola ». Il processo si conserva in quell’Archivio di Stato. * * * Il capitano d’artiglieria cav. Claudio Cherubini ha pubblicato una carta in rilievo delle Alpi, occidentali e dell'Appennino Ligure (ni. 1,50+ 1,25), che venne premiata al Congresso geografico di Venezia. « * * Nel Bibliofilo ( 188x , N. 12) si pubblicano alcuni brani di lettere del Longhi e dell’ Anderloni a Girolamo Scotto riguardanti 1’ incisione. * * * L avv. Enrico Bensa stampa nell’ Archivio giuridico (vol. XXVII pagina 281) un importante scritto : Della giurisdizione mercantile in Genova nel Medio-Evo, in cui dopo aver determinato le origini, le· svolgimento e le attribuzioni del magistrato genovese preposto alle cose commerciali, risponde vittoriosamente ad alcune arbitrarie affermazioni del Lastig, correggendo coi documenti gli errori in cui è caduto in un recente suo Libro. * * * Nelle Memorie della R. Accademia di Sienie, Lettere ed Arti di Modena (Tom. XX. Part. 2) il eh. Marchese G. Campori pubblica, col titolo Ciir-teggio Galileiano, 661 lettera dei corrispondenti del grando scienziato. Accennare 1 importanza di questo nuovo contributo alla storia letteraria e scientifica non possiamo in questa notizia ; lo faremo con apposita ras-segna, quale si conviene all’opera ed al dotto editore.*Intanto per quel che ci tocca più da vicino diremo che oltre, a non poche notizie genovesi sparse qua e colà in questo tesoro di· documenti, vi sono lettere dei seguenti liguri: Girolamo Bardi n. 1., Bartolomeo Imperiali n. !., Fortunio Liceti n. 14, Gio. Vincenzo Pinelli n. 1, Vincenzo Kenieri n. 20, Spinola Daniele n. 4. * Δ * * Pao· 484 del precedente volume , spigolando da una memoria del Minieri Riccio le notizie genovesi, abbiamo citato la vendita di due bolassi (corr. balasci) fatta ad Alfonso I da Simone Calder. Qui si tratta senza allo del valoroso argentiere Simone Caldera, di Aridora, il quale venne e ucato nell arte in Siena, ed ebbe parte nel mirabile lavoro della cassa pe le ceneri del Battista nel Duomo di Genova (a. r j. ; 2), traforandola quella finezza che non è 1’ ultimo pregio dell’ insigne monumento , cui eramo di Daniele da Portomaurizicf legò il suo nome. GIORNALE LIGUSTICO 47 Fra le « Carte strozziane » conservate nell’ R. Archivio di Firenze, e delle quali Cesare Guasti pubblica il Regesto , con indicazioni e documenti (nell’ Archivio Storico Italiano con numerazione separata) troviamo (pag. 196): « Differenze tra il conte Filippino Dorir. e il Marchese del Finale. — Lettera del Principe e Marchese del Finale al Duca Cosimo. * Dalle Carchare, li VI di marzo 1566 ». Vi è la commissione fatta dal Duca al Torelli, sottoscritta da B. Concino, 18 marzo 65. — Lettera di Lelio Torelli al duca Cosimo. È il parere circa la precedente lettera, che concerne la delegazione fatta dall’ Imperatore nel Duca in causa di pretensione di pagamenti fra il Doria e il Marchese. E vi è la subdelegazione del Duca nel Torelli, sottoscritta dal Concino ». * ¥ * Fra le « Thèses soutenues par les élèves de la promotion 1882 (nella Scuola delle Carte di Parigi) pour obtenir le diplôme d’archiviste-pa-leographe », vi è la seguente svolta dal sig. Emilio Salone: « Essai sur la domination français à Gênes sous le règne de Charles VI ». Nella (r indication des sources » troviamo citati i Libri Jurium in due raccolte ; l’una ben nota e stampata nei Monumenta historiae patriae di Torino : la seconda inedita « transporté en France probablement pendant la Révolution et conservé, au Ministère des affaires étrangères ». Ci piace proprio quel’ « probablement » quasi che non si sappia da tutti che quei documenti furQno portati a Parigi insieme alle carte del nostro Archivio, e che con esse non ci vennero restituiti come pure era debito. Degli storici vediamo citato il solo Foglietta ; è bensì vero che dopo il suo nome vi è un etc., ma ragion voleva che si citasse a preferenza lo Stella e il Giustiniani. Vedremo di procurarci lo svolgimento della tesi, e ne renderemo conto ai nostri lettori. ♦ * * Nel VII voi. della Revue des documents historiques, suite de pièces curieuses et inédites etc. il sig. E. Choravay pubblica documenti di Carlo VII e di Genova del 1457. * * * Nel T. LXVII della Biblioteca Universal di Madrid hanno stampato: * Cristobai Colon, Cartas que escribio sobre el descubrimento de America y testamento que hizo à su muerte ». * * * · T. Desjardins ha pubblicato a Lione alla Tipografìa Giraud un libretto di 97 pagine in-8 intitolato : « La Ligurie *. * * * 48 GIORNALE LIGUSTICO La Rassegna Settimanale (15 Gennaio n. 211) pubblica un articolo intitolato « Un giornalista del sec. XVII », ne! quale si discorre di Pietro Antonio Soccini compilatore della Gaietta di Terina. Egli lu anche a Genova nel 1655 ed ebbe mano col Botticelli alla compilazione dei Novellari. Gli Inquisitori di stato lo tennero d’occhio ; raccolte notizie intorno a lui seppero che era di Bagnone in Lunigiana, ed ebbero contezza della sua natura e dei suoi maneggi specialmente col card. Mazzarino. Lo fecero perciò bandire dal dominio. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Gio. Batta De Rossi. — Gli statuti del Comune di Anticoli in Campagna con un atto inedito di Stefano Porcari, Roma 1881. La notizia dei codici contenenti gli statuti, non mira che a porgeri il destro al eh. Autore di entrare a discorrere di proposito di Stefano Por-cari e della congiura contro Nicolò V. Le adizioni fatte a questi statuti de licentia, authoritate et decreto magistrali Dòmini Step'.ani Porcarii Equitis Romani Provinciarum Campaniae et Maritimae pro sancta Romana Ecclesia et sanctissimo Domino Nicolao divina providentia Papae Quinti (sic) Rectoris generalis, vennero rogate nel 1448 a Ferentino nel palazzo del Rettore. Donde si chiarisce ciò che inesattamente avevano detto gli storici circa questo ufficio del Porcari, male interpretando'alcune parole dell Alberti. Prendendo le mosse da questo punto il De Rossi rili con chiara dottrina la storia degli antecedenti della congiura, mettendo in rilievo gli onori compartiti al Porcari da Nicolò, e la mitezza di questi verso colui che pur sapeva desideroso di novità. Forse i propositi del cospiratore nella esecuzione della congiura non erano cosi micidiali ed infami come .si afferma ; mancano a ciò le prove imparziali ; quindi non possiamo convenire collo scrittore laddove trova giusto il paragone di lui con Catilina già da altri accennato ; paragone messo innanzi per amor di rettorica in tutte le congiure, di che basta citar l’esempio di quella del Fiesco. Ben diremo seguendo 1 autore il Porcari ingrato, e indotto all’opera rivoluzionaria secondo dice il Tommasini da un « falso giudizio » delle condizioni del suo tempo e di Roma; onde il fallito « tentativo, (sono parole e regorovius) fu un’ impotente imitazione della grande tragedia di Cola da Rienzo ». Infine dispiace vedere ancora affermare inesattamente che Nicolò V ebbe « origine povera e quasi ignobile ». Pasquale Fazio. Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 49 STORIA DEI GIUSTINIANI DI GENOVA del prof. Carlo Hopf, trad. da A. Wolf (Continuazione v. pag. 13) Capitolo Terzo. Gli ufficiali della Repubblica. — I podestà e vice-podestà di Scio; i loro vicarii e la curia. — I castellani di Scio. — I podestà e castellani di Focea. — I protogeronti e logariastilae dei distretti rurali. — Stipendi degli ufficiali. — Origine della voce Maona e del nome dei Giu-stfiiani. — Le azioni; i duodeni; karatti grossi e piccoli e loro circolazione. — Il Consiglio grande. — La Quarantina. — Il riparto degli impieghi tra gli azionisti. — I Governatori residenti in Genova. — I Governatori'reggenti.— I consultori legali del podestà. — I revisori ; gli appaltatori di Focea. — Amministrazione della polizia di sicurezza, dell’annona. _ Dell’igiene e della polizia edilizia. — Le finanze; introiti lordi e netti della Maona. — Valore negoziabile delle azioni. — La fondiaria.. — Il testatico. — Le gabelle. — I dazi d’entrata e di transito. — Prodotti e commercio di Scio. — Il monopolio del mastice. — Leggi penali contro il contrabbando. — Quantità e prezzi correnti del mastice prodotto. — Le multe. — Il diritto di caducità. — Il diritto della zecca. — Tributi e censi. — Origine delle Compere del 1444 e dell’ Officium Chii. — Spese d’ amministrazione. — Spese straordinarie. — Prestiti contratti col Banco di S. Giorgio. — La Maona sospende i pagamenti e cede gli introiti di Scio al Banco. — Il palazzo di giustizia. — Il tribunale di commercio. — Giurisdizione e legislazione civile e penale. — Ordini militari. — Le fortezze ed i loro presidii. _La flottiglia. — La giunta navale. — La chiesa latina. — Entrate della mensa vescovile di Scio. — Chiese, conventi ed ospedali. — I vescovi di Focea. — La chiesa • greca. — Maonesi distinti negli studi classici, nella storia , teologia ed eloquenza sacra. — Giurisprudenza. — Scienze naturali. — Belle arti. — Architettura. — Le ville di Scio. — Vita sociale e feste. — Popolazione. — Riscatto di schiavi cristiani. — I borghesi latini. — Gli arconti greci. — I servi della gleba. — Gli ebrei. — I forestieri. — Cenni sulle famiglie che fecero parte della Maona. — Lo stemma dei Giustiniani. Accennammo già come nel riparto del dominio di Scio, stipulato dalla convenzione del 1347 tra la Repubblica di Genova e la Maona (1), quella si era riservata Γ alto dominio (merum et mixtum imperium), la giurisdizione civile e penale col diritto di sangue, e la custodia del castello. Di questi diritti la Repubblica delegava 1’ esercizio ad un podestà, per la cui creazione vigevano le norme seguenti. Ogni anno, in febbraio, il Governo compilava una lista di (1) Le notizie di questo capitolo sull’ amministrazione sono tutte attinte al testo delle convenzioni. Quanto si trova a tal proposito in Jérôme Justinien è inesattissimo, e talora contrario al vero; più attendibile il De Nicolay, Governo dell’ isola e città di Chio, lib. 2, c. 8. Giorn. Ligustico, Anno IX. 4 50 GIORNALE LIGUSTICO venti popolari genovesi, e qualora questi non fosseio accetti, una seconda lista di altrettanti, presentandoli alla Maona che ne sceglieva quattro, affinchè il Governo a sua posta cernesse tra questi ultimi il candidato (i). La carica era annua (2), e lo rimase sino al 1558 (3); nel quale fu estesa, con decreto dei 24 gennaio (4), ad un quadriennio, essendosi già prima modificate le condizioni d’eleggibilità con decreto dei 13 dicembre 1529. Il quale disponeva, che i podestà di Scio dovessero trarsi dai nobili stati ascritti nel 1528 ai ventotto alberghi riformati (5). Unico ira i podestà coloniali d’ Oriente che dipendeva direttamente dal Governo (gli altri erano tutti soggetti a quello di Pera), il podestà di Scio esercitava la giurisdizione civile e criminale, ed era tenuto a percorrere l’isola due volte all’ anno, per ascoltare le querele degli indigeni contro gli ufficiali subalterni; ed affinchè gli isolani potessero parlare senza ambagi e soggezione, era proibito ai Maonesi di accompagnarlo in tali viaggi. In caso di vacanza per morte o malattia, ne suppliva le parti sino all’ arrivo del successore un vicc-po-destà tratto dai popolari e nominato con la maggioranza di almeno 18 voti da un collegio di ventiquattro, in cui entravano i dodici Governatori dell’ isola e dodici mercanti genovesi residenti in Scio, metà popolari, metà nobili, designati con la pluralità dei voti dagli stessi Governatori (6). (1) È meno che esatto quanto dice Foglietta lib. X, p. 582. (2) Pagano (p. 133) e Wlastos (tom. II, σελ, 29), fanno l’uffizio triennale; ma è un errore. (3) Nel 1452 fu proposto di rendere la podesteria biennale; ma la proposta non ebbe seguito. Notulario di Oberto Foglietta. — Pand. Richer. Libro fase, di cartina fol. 1:1 a.; — Federici Collect., tom. II, ad a. 1452> Idem, Scrutinio fol. 184 a. (4) Cod. Belg., fol. 143 a - 344 a. (5) Cod. Belg., fol. 341b-343 a. (6) Cod. Giust., tom. I, fol. 2353-237 b. Decreto dei 14 nov. 1495. CIORNALE LIGUSTICO SI Nei negozi ardui, come per esempio quando si riformavano gli statuti (nel 1488 e 1495), il Governo aggregava al podestà due commissari straordinari (1). Nelle circostanze ordinarie il suo seguito consisteva d’ un vicario, ossia luogo-tenente giurisperito, che lo rappresentava nella cognizione delle cause, d' uno scriba Curiae tratto dia notari di Genova, che autenticava i suoi editti, d’ un interprete, un cavaliere, quattro donzelli, tre scudieri, due trombettieri, un araldo, un cuoco, un cancelliere (introdotto dopo ‘il 1513), oltre venticinque famigli scioti e sei a cavallo destinati al suo servizio personale. A lui era subordinato il castellano di Scio, comandante della cittadella e delle milizie sparse per l’isola. Anche questi stava in carica un anno , essendo nominato dal Governo, che lo sceglieva in una list;a (e questa essendo respinta da una seconda lista) di sei popolari presentati dalla Maona: alla quale spettava pure il diritto di presentazione dei sei candidati al Governo (2). Dopo il 1413, il podestà di Scio col suo Consiglio (3) eleggevano il podestà ed il castellano di Focea nuova, ed il castellano di Focea vecchia; il quale ultimo era pure munito di tutta 1’ autorità civile d’ un podestà. La nomina di tutti gli altri ufficiali dell’ isola, e segnata-mente dei rettori dei dodici distretti rurali, detti codespotae 0 protogeronti negli otto distretti della parte settentrionale (Ap-anomorea), e logariastilue nei quattro distretti meridionali della regione del mastice (Katamorea) (4), spettava al podestà ; il quale conosceva pure in seconda istanza sulle loro (1) Cod. Giust., tom. I, fol. 221 b. ; tom. II, fol. 2493-251 b. ; tom. III, fol. 81 a.b. — Cod. Belg., fol. 2893-291 b. (2) Cod. Giust., tom. I, fol. 167 3.-169 b·; tom. JI, f. 106 3.-108 3.; Cod. Belg., fol. 141 3.-145 3. (3) Cod. Giust., tom. I, fol. 164 a b.; tom. II, fol. 127 b-128 a; fol. 172 b.-i74 3; decreto del i.° marzo. (4) Cod. Giust., tom. II, fol. 185 b. — Cod. Belg., fol. 2323.-233 a. 52 GIORNALE LIGUSTICO decisioni. I ricorsi in appello contro le sentenze del podestà si giudicavano in Genova, se Γ appellante era scioto; e se non era isolano, si deferivano ad una commissione di quattro probi uomini (due genovesi non Maonesi e due scioti), cui il podestà nuovo nominava subito dopo entrato in funzioni, e che dovevano trasmettere le proprie decisioni a Genova (i). Gli stipendi degli ufficiali non erano molto lauti, quello del podestà essendo di sole 800 lire (1250 iperperi) cresciute a 1000 dopo il 1382 (2): somma affatto sproporzionata al-Γ aggravio che gli cagionavano il mantenimento del numeroso seguito e le altre spese di rappresentanza. A questo stipendio, come anche a quelli del podestà di Focea Nuova (lire 600), dei dpe castellani di Focea Vecchia e Focea Nuova (lire 500 ciascuno) e del castellano di Scio (lire 400)> sopperivano i proventi delle sportule, multe ecc., che venivano loro sborsati in rate semestrali dai massari della Maona. Dopo il 1427 alcuni di questi stipendi ebbero anche a subire una diminuzione a titolo d’imposta per la nomina, introdotta con decreto dei 21. ottobre; e che colpiva il podestà di Scio con lire 100, il cancelliere con 75, il castellano con 50 (3). Il dominio utile (proprietas et dominium utile) dell isola spettava ai Giustiniani, i quali, come s’ è visto, si erano costituiti in società anonima sotto la ragione di Maona (4) : nome d’ origine oscura e derivato, chi vuole dalla voce genovese mobba equivalente ad unione, chi dal nome di una nave, (1) Cod. Giust., tom. I, fol. 18.jb.-185 b. (2) Decr. del 31 “marzo. — Cod. Giust., tom. I, fol. 116 a; tom. II, fol. 57 b-58 a; Cod. Belg., fol. 80 ab. (3) Liher Magnus Contractuum, fol. 101 b. — Trattati varii (Bibi, del-Γ Università di Genova, ms. n. 119), fol. 91 a.— Cod. Giust., tom. II, fol. 2303-231 a; Cod. Belg., fol. 273 b-275 b. (4) Cod. Giust., tom. I, fol. 61 a-62 a. — Federici Collect., tom. I, fol. 239 b. — Fatti storici, doc. n. 2. GIORNALE LIGUSTICO 53 chi col Foglietta, dal vocabolo greco μονας. Nè sono più soddisfacenti le ipotesi messe avanti pei* ispiegare 1’ origini del cognome Giustiniani ; per avventura essi lo trassero dall’avere la nuova società acquistato un palazzo o fondaco già posseduto dai Giustiniani veneti, che in antico trafficavano molto in Genova : quell’ istesso palazzo che torreggia ancora al giorno d’ oggi nella contrada de’ Giustiniani, fregiato dello stemma del casato e di parecchi trofei della guerra di Chioggia (i). Fondata nel 1362, la Maona si rinnovò li 21 novembre 1373 (2) per altri vent’anni, e li 10 febbraio 1391 per venticinque ancora (sino ai 21 settembre 1418) (3); scaduti i quali si dichiarò permanente, reintegrando ad un tempo le sue convenzioni con la Repubblica. Il numero originario delle azioni era di 13, o più precisamente di 12 2/3 ; ma per facilitarne le trasmissioni, si stabili con provvida cura di dividere ogni azione in tre frazioni maggiori (baratti grossi) e venti-quattro minori (karaitipiccoli, in greco: « chilcia »), la somma totale delle frazioni essendo di 38 karatti grossi e di 304 piccoli, i quali ultimi eranoanch’ essi suscettivi d’una ulteriore suddivisione (4). Rese in tal guisa più mobili e più facilmente negoziabili, le azioni entrarono presto nella circolazione generale dei valori: si compravano, si vendevano, si trasmettevano agli eredi. E quanto fosse vivo il giro di tale circola- (1) Non vogliamo entrare in queste ricerche. Soltanto notiamo d’inesa-tezza che 1’ antico palazzo de’ Giustiniani in Genova sia stato originariamente posseduto dai patrizi veneti d’eguale cognome (Nota della Direzione). (2) Cod. Giust., tom. I, fol. 103 a-105 b; tom. II, fol. 37 a-38 b; Cod. Belg., fol. 49 a-50 b. (3) Cod. Giust., tom. II, fol, 43 b - 44 b. — Cod. Belg., fol. 58b-6ob. (4) Atto dei 22 ott. 1390, nel Notu'.ario di Ant. di Credenza. — Pand. Rich. A., fase. 60, c. 4. — Le notizie di Wlastos (tom. II, σελ, 29) e Pagano (p. 133) non sono esatte. 54 GIORNALE LIGUSTICO zione, lo dimostra il fatto che il numero complessivo di tutti’i compartecipi ascese nel 1566 ad oltre seicento. Ecco P elenco delle famiglie, che possedevano le azioni nel 1497. — Due duodeni intieri erano posseduti dai Campi, uno intiero dai Rocca, uno intiero dai Garibaldi, uno intiero dai Banca, uno intiero dai Recançlli, ed uno intiero dai Longo. Nell’ottavo erano interessati gli Adorno con 16 karatti, i Giustiniani ed i Sauli con 8 karatti. Nel nono duodeno i Longo con 21 karatti, gli Adorno con 1, i Campi con 2; nel decimo i Paterii con 20, i Giustiniani con 1 ; nell’ undecimo i Fur-neto con 18, gli Adorno con 1, i Cicero con 1, i Sauli con 4; nel duodecimo i Furneto con 22, i Paterii con 2; nel decimoterzo i Paterii, i Franchi, i de Paolo ed i Giustiniani (1). La divisione fondamentale in 13 era però quella che dava la norma per le votazioni del Consiglio grande e del Consiglio piccolo nei quaranta (quarantina), giacché ognuna delle 13 azioni originarie aveva un voto. Le deliberazioni in questi consessi si prendevano alla pluralità dei voti delle azioni rappresentate nell’ adunanza: nove azioni erano il numero legale richiesto per disporre novità, e dieci per abrogare i decreti vigenti in Scio. In base a questa divisione in 13 si ripartivano pure, oltre i dividendi, anche gli altri utili a cui avevano diritto i soci, cioè le castellarne, i capitaneati, le scrivanie, le cariche militari e gli altri impieghi pubblici (23 in origine, poi cresciuti nel 1378 a 29). Tale riparto si faceva sempre per una serie d’anni (talora 13 (2), talora 20 (3)), quando per estrazione a sorte, quando per voto, ed in guisa che ad ogni azione toccassero in assegno due 0 tre di essi impieghi; i quali venivano poi goduti alternatamente da tre compartecipi (1) Federici, Collect, tom. II, ad an. 1497. (2) Cod. Giust., tom. II, fol. 643-68 a. (3) Cod. Giust., tom. II, fol. 131 b-138 b. GIORNALE LIGUSTICO SS dell’ azione, salva sempre la disposizione generale, che nessun Maonese potesse occupare la stessa carica per due anni consecutivi (i)· In processo di tempo 1 osservanza di questi ordinamenti s’ andò rilassando, segnatamente negli ultimi decennii del XV secolo, quando la Maona angustiata nelle sue finanze cominciò a vendere gli impieghi al maggiore offerente; il quale abuso, oltre parecchi altri inconvenienti invalsi, provocò li 24 novembre 1495 un severo decreto ripristinante le antiche disposizioni, e tra queste segnatamente il riparto delle cariche per una serie di 26 anni e per estrazione a sorte (2). Nè fu questa l’unica restrizione che ebbe a subire la Maona nell’ esercizio del diritto di disporre delle cariche. Già nel 1402 (con decreto dei 27 novembre) erasi ordinato che lo scriba Cancellariae (con 150 fiorini di stipendio) si dovesse scegliere tra i notai genovesi ; due altri decreti (7 settembre 1379 e 14 dicembre 1409) conferirono al podestà ed al suo Consiglio la nomina dello scriba, del patronus galeae, e dei due officiales Ministrariae ; ed anche lo scriba masticis, al quale s’ apparteneva di allibrare le partite del mastice raccolto e di consegnarle alla Maona, fu dopo il 1391 tratto dai notai genovesi (il primo fu Raffaello Specia) con aumento di stipendio a lire 200, e coll’ estensione del termine d’ uffizio ad un triennio (3). Tra i funzionari, che la Maona nominava per elezione e voto, erano i Governatori residenti in Genova; dove rappre- (1) Decreti dei 7 settembre 1379, 24 giugno 1396’ e 24 marzo 1403. — Cod. Giust., tom. II, fol. 68b-7i a. (2) Cod. Giust., tom. I, fol. 238 a-240 a. (3) Disposizioni dei 23 agosto 1417 e 16 dicembre 1418. — Cod. Giust., tom. II, fol. 45 a b. ; fol. 178 a - 179 a. ; fol. 193 b. ; Cod. Belg., fol 60 a-61 B. — Fatti storici, doc. n. 3. 56 GIORNALE LIGUSTICO sentivano la società e ne erano garanti solidali (i). In origine furono sei; ma il loro numero venne accresciuto a nove col decreto dei 19 novembre 1476 (2). Esercitavano il loro uffizio per turno, sicché nessuno poteva occupare la carica per due anni consecutivi: deliberavano con due terzi dei voti, ed erano assistiti da due notai di loro propria nomina (3). Con questi non vanno confusi i sei Gubernatores Maonae istituiti dalla convenzione del 1347 , per assistere il pode-stà (4) come corpo consultivo nell’ amministrazione interna e nella gestione finanziaria, nel creare e rimuovere gli impiegati, nei provvedimenti militari, insomma in tutti gli affari pubblici, tranne la giurisdizione (5). Stavano in carica due anni, trascorsi i quali rendevano conto del loro operato ai successori , con Γ obbligo di sopperire del proprio alle deficienze del bilancio; in corrispettivo di che godevano il diritto d’appropriarsi la metà degli eventuali civanzi, l’altra metà competendo alla Maona sino al 1383; nel qual anno vennero aggiudicati a questa, con esclusione dei Governatori, gli eccedenti intieri dei bilanci (decreto dei 12 giugno 1383). — La loro nomina spettava alla Maona, (1) Questi Governatori subentrarono ai Procuratori, che ave%-ano già rappresentato in Genova i Maonesi residenti in Scio. Altri procuratori rappresentavano in Scio i Maonesi residenti in Genova ; ed anche a questi venne poi sostituito un Consiglio di Governatori. Cod. Giust., tora. II, fol. 61 b. ; Libro di Ob. Foglietta. — Pand. Ricber., lib. fase, di cartina, fol. 149 a. — Decr. dei 16 sett. 1424 ed, atto dei t) sett. 1410; Notulario di Giuliano Canessa: Pand. Rich. A., fase. 62, c. 3. (2) Federici, Collect., tom. II, fol. 155a. (3) Ibid., tom. Ili, ad ann. 1497» Notulario di Ob. Foglietta; Pand. Rich., lib. fase, di cartina, fol. 252 a. (4) Anche il podestà di Focea Nuova era assistito da un simile consiglio. (>) Decr. dei 7 sett. 1379. — Cod. Giust. tom. I, fol. 106 a-114 a, ; Cod. Belg. fol. 72 a.-8o a. GIORNALE LIGUSTICO 57 e si faceva prima per due anni e per voto; dopo il 1391 Per estrazione a sorte (i) e per una serie di sei (2) oppure dodici anni (3). Il loro uffizio era regolato in modo, che non erano mai contemporaneamente in funzione tutti i sei Governatori, ma si alternavano a due a due, o tre a tre, dandosi la muta ogni quattro mesi. I loro emolumenti, comprese le spese d’uffizio, ascendevano a 4000 ducati, che si pagavano con assegni sul prodotto delle partite di mastice vendute in Siria ed Egitto (4). Durafite Γ amministrazione del maresciallo Bucicaldo, gli indigeni chiesero di essere rappresentati aneli essi in questo Consiglio, ed ottennero difatti che il maresciallo assegnasse loro quattro fra i posti di consiglieri, riservandone soli due ai Giustiniani (5); ma appena tornata al potere la parte popolare (1417), vennero ripristinati gli antichi ordini con esclusione degli Scioti (6). Nel 1476 il Doge avoco a se la nomina dei consiglieri (governatori reggenti), creandoli per due anni, di guisa che erano in funzione uno ad uno , facendo il turno ogni quattro mesi; nel 1488 il loro numero venne accresciuto a dodici, il termine d’ uffizio a tre anni, sempre con turno trimestrale (7). — Il numero di dodici o tredici (secondo le azioni) venne anche conservato dopo il (1) Cod. Giust., tom. I, fol. 116 b-117 b.; tom. II, fol. 58 b - 59 a. ; Cod. Belg., fol. 82 a.-83 a. (2) Cod. Giust., tom. II, fol. 6ob-6i a.; Cod. Belg., fol. 85 a-86 a. (3) Cod. Giust., tom. II, fol. 193 a. (4) Cod. Giust., tom. II, fol. 4$ a. b. ; 139 a. b.; Cod. Belg., fol. 60 a -61 b. ; Fatti storici, doc. n. 73. (5) Decr. dei 14 dee. 1409; C. Giust. t. II, f. 112b- 114b; C. Belg. f. 153 a -156 b. (6) Atto dei 23 luglio 1417 ; Cod. Giust. t. Il f. 157 a-i77b; — C. Belg. f. 222 b-226 b; Federici, Collect. t. II ad ami. 1417. (7) Privilegi (archivio di S. Giorgio) 1476-1499 f· ^4® a-161 b. Le notizie presso Wlastos sono assai confuse. GIORNALE LIGUSTICO 1515, quando il diritto di nomina tornò alla Maona, che allora portò il termine dell’ uffizio a sei anni con turni trimestrali; essendo però provvisto, che nelle deliberazioni sui trattati, sulla difesa militare ed altre materie gravi, dovessero chiamarsi a votare tutti i dodici. Un terzo collegio formavano i consulenti legali, coi quali il podestà conferiva nelle ardue questioni di diritto, e nel rivedere la legislazione civile e penale. Essi erano quando due, quando tre , quando quattro, nominati dal podestà stesso tra i dottori di legge di Genova (1). Alle modificazioni della legislazione amministrativa atten-devano quattro revisori Maonesi non permanenti, ma nominati soltanto quando occorreva dalla Maona (2). Ai massari era affidata la gestione finanziaria della Maona. Erano due, e tenevano in Genova due sostituti non salariati (3). Ad essi s’ apparteneva di riscuòtere gli introiti, appaltare gli stabili e le gabelle, provvedere ai dispendi, ordinare oppignorazioni, multe, arresti personali contro i contribuenti ed altri debitori morosi, invocando in caso di bisogno P aiuto del podestà che aveva 1’ obbligo di assisterli. Ogni anno trasmettevano il bilancio alla Camera dei conti (maestri razionali) della Repubblica. Ai tempi della Maona vecchia del 1346, il posto di massaro era occupato dal genovese Gianotto Campanaro, estraneo alla Società; ma sotto i Giustiniani si stabilì che i massari sarebbero due, nominati per un anno e per estrazione a sorte, con uno stipendio di 500 fiorini ciascuno, oltre gli incerti consistenti in alcuni re- (1) Cod. Giust. t. II, f. 59 b ; — C. Belg. f. 83 a. Talora rimasero in Genova, dando il loro parere in iscritto. C. Giust. t. II, f. 183 a; C. Belg. f. 229 a-b. (2) Cod. Giust. t. II, f. 183 b; 195 a-163 b ; 165 a-174 b ; Cod. Belg. f. 230 a-b; 205 a -212 a; 214 b-222 b. (3) Atto dei 31 marzo 1364; Cod. Giust. t. I, f. 64 a-70b. GIORNALE LIGUSTICO 59 gaiucci (exenia) che i servi della gleba dell isola eran consueti presentare ai governanti. Coabitavano, ed avevano 1 obbligo di tenere ciascuno tre donzelli, un servo, due cavalli, ed un cuoco in comune. Quanto all’amministrazione delle dipendenze di Scio, abbiamo già accennato che Focea Vgcchia era infeudata a titolo d’ enfiteusi ai Gattilusi di Lesbo. I documenti non ispecifi-cano la somma del fitto annuo ; ma, stante la poca importanza della città, non poteva essere vistosa. — Focea Nuova era scata appaltata già dalla Maona vecchia a Vieti o Recanelli, e la Maona nuova gli confermo 1’ appalto nel 1364· Alla di lui morte, seguita nel 1381, 1’ appalto venne concesso pei dieci anni, e poscia nel 1391 rinnovato per un altro decennio, al borghese Raffaello Valerio (1), con l’obbligo di accordare certe prerogative commerciali ai Maonesi , e di mantenere nel castello ventidue uomini d’arme e diciotto nella città. Premorto egli alla scadenza dell’ appalto, la Maona lo rinnovò nel I395 Per un altro decennio al di lui figlio Tommaso, che rica\o somme vistose dall’estrazione dell’allume (2). A questi succedettero come appaltatori Giovanni Adorno (1405-1424) e Vercivalle Vallavicini (1425-1427)· Durante 1 amministrazione dell’Adorno, accadde al Bucicaldo di appaltare Focea al Banco di S. Giorgio, mediante un imprestito di 4000 fiorini d’oro (L. 5000), destinati a sopperire alle spese dell’armamento contro la ribellione dei Giustiniani ; pero col patto che il contratto avesse principio solo dopo scaduto l’appalto dell’ Adorno e quando fossero usciti d’uffizio il capitano Pietro Calvo ed il podestà Gianotto Lomellino (3). Reti) Cod. Giust. t. I, f. 114 b-115 b; f. 137 a- , t. II, f. 37 a; Cod. Belg. f. 63 a-6 ; f. 80 b-81 b; Federici ad ann. 1381; Idem, nello Scruttinio, f. 260 a. (2) C. Giust. t. II, f. 93 a-b. C. Belg. f. 124 a-125 b. (3) Archivio di S. Giorgio. Comperae Capituli, f. 49° b· 6o GIORNALE LIGUSTICO pressi poi i moti di Scio, venne sciolto il contratto, e Focea rimase in possesso dell’ Adorno. Morto il Pallavicini, la città fu infeudata (li 20 settembre I427) Per uno spazio di otto a dieci anni, ad Enrico Giusti-niani-Longo, mediante una cauzione di 13000 ducati ed un annuo fitto di 2,760 fiorini, che la Maona destinava a far fronte al censo dovuto alla Repubblica. Tra gli obblighi assunti dal Longo, oltre il giuramento di fedeltà verso il podestà, la difesa a spese sue della città ed il ristauro delle mura, era anche quello di soddisfare come meglio potrebbe alle pretese dei Turchi. In compenso godeva tutti gli introiti della città e delle allumiere, declinati però di molto dalla misura che avevan raggiunta nei tempi degli Zaccaria (1). Gli ultimi appaltatori di Focea furono Francesco Drapperio (2) (1437-1447) e Paride Giustiniani-Longo ( 1447-1455), figlio d’ Enrico, che si segnalò negli anni 1447-1448 come capitano genovese della spedizione contro Finale (3)5 e mancò ai vivi nel 1474 (4)5 dopo aver dato in matrimonio a Domenico Gattilusio principe di Lesbo la propria figlia Maria, che acquistò poi grande fama pel suo mirabile amor coniugale (5). La polizia di sicurezza in Scio, al pari che in Focea, era affidata a 52 soldati che ogni podestà conduceva seco da Genova. Essi invigilavano al buon ordine, di giorno e di notte, facendo la ronda per le strade sotto gli ordini del capitano di notte, ossia bargello, il quale ricavava il suo sti- (1) C. Giust. t. II, f. 19Q a-192 b; C. Belg. f. 235 a-240 a; Federici ad ann. 1427. (2) Cyriaci Anconitani. Epistolae inedd. N. 7, 9, 12, 20, 21, 23, 30. (3) Ag. Giustiniani, lib. V, f. 204 a; Folieta lib. X, p. 601. (4) Il suo testamento è in data dell’ 8 giugno 1472. Notulario di Ob. Foglietta; Pand. Rich. libr. fase, di cartina f. 215 b-225 a. (5) Ag. Giust. lib. V. f. 206 a. GIORNALE LIGUSTICO 61 pendio dal prodotto delle patenti d’ esercizio delle numerose donne di mala vita (i). Al servizio delle porte attendevano appositi guardiani , che le chiudevano alla seconda ora di notte e le aprivano con 1’ alba, le chiavi essendo in custodia l’una del podestà, P altra del governatore in funzione. Era rigorosamente proibito di aprire le porte di notte tempo a chiunque si fosse, non eccettuato lo stesso podestà, salvo che uno sbarco improvviso di Turchi od altro caso grave richiedesse la sua presenza al di fuori (2). All’ annona sovrintendeva una commissione composta di due Maonesi ed un borghese; i quali facevano le provviste del grano e lo depositavano in due grandiosi magazzeni (raibetae) eretti nel 1488(3), vendendolo a prezzi moderati in tempo di carestia. Nei tempi normali, questi magazzeni venivano affittati a qualche Maonese e fruttavano alla società un reddito annuo di 500 in 560 ducati (4),-che in corsodi tempo andò scemando a 200. — Un medico stipendiato dalla Maona (con 200 ducati all’ anno) (5), e due giudici di sanità, presiedevano all’ igiene e visitavano tutte le navi in arrivo. Vicino al porto s’ergeva un vasto Lazzaretto ; nell’ interno della città, (1) « Se la donzella, o sia di contado o della città , si lascia sverginare, prima che andare a marito, e eh’ essa voglia continuare il mestiere, è obbligata di dare per una volta un ducato al Capitano della notte, per poterlo poi esercitare a suo piacere, senza paura o pericolo veruno. E in questo consiste il maggior e più sicuro guadagno che abbia questo gentil Capitano dell’ ufficio suo ». Nicolai 1. cit. p. 88. (2) Decreto dei 14 novembre 1495. (3) Cod. Giust., tom. I, fol. 225 a.-22Ó b. ; 227 b. ; 233 a. b. — Carte della Maona di Scio (Bibl. dell’ Università di Genova, ms. 69), fol. I b.-2 b. ; Pagano, p. 315-318; 322-323. (4) Cod. Giust., tom. I, fol. 227 b.-229 b. — Carte, ecc. fol. 1 a. — Pagano, p. 318-323-325. (5) Nel bilancio dei 24 agosto 1498. — Cod. Giust., tom. I, fol. 242 b.- 247 a. 6 2 GIORNALE LIGUSTICO presso la chiesa di S. Hypallae, era un grandioso ospedale pei lebbrosi (i), l’uno e l’altro costrutti a spese della Maona; e coi molti Ospedali privati, le case di ricovero e le altre opere della carità cittadina, provvedevano ampiamente ai bisogni delle classi meno agiate. Un altra commissione composta di due Maonesi, un borghese ed un arconte greco, amministrava la polizia edilizia, attendendo al mantenimento dei due grandiosi acquedotti che fornivano la città d’ acqua potabile, al buono stato dei moli e dei magazzini del porto, proponendo lavori nuovi, e dirigendone Γ esecuzione, come p. es. . la costruzione del grande portico a colonne di marmo che dal porto conduceva sino all’ ingresso del castello. Le finanze dell’ isola furono sin verso la metà del secolo XV in istato floridissimo. La Maona nuova era entrata in vita (1364) con un capitale di oltre 120,000 lire (ogni socio avendo versato 100 luoghi di lire 100 ciascuno) (2), — somma secondo quei tempi vistosissima e che sotto una buona amministrazione non poteva non rendere frutti stragrandi. — Un indizio della prosperità dell’impresa ci s’è già affacciato nell’ aver la Maona potuto dare a prestanza alla Repubblica negli anni 1385-1436 ben 68,000 lire, oltre il pagamento dell’ annuo censo. Stando ai documenti, che abbondano di particolari minutissimi sulla parte attiva e passiva dei bilanci,, non è punto esagerata la stima del Pagano che valuta P introito lordo medio della Società a 100,000 ducati (scudi d’ oro) all’ anno (3). Il civanzo netto, che fu diviso tra gli azionisti nel 149S , (1) Wlastos, tom. II, σελ, 42. (2) Cod. Giust., tom. I, fol. 61 a - 63. — Federici, Collect., tom. I, fol. 239 b. — Fatti storici, doc. n. 12. (3) Op. cit. p. 133. * GIORNALE LIGUSTICO 63 -1------ ammontò a ducati 14,972 (1). E ‘le entrate andarono ancora crescendo nei decennii seguenti; talché tra il prodotto delle tasse dirette, delle gabelle e della vendita del mastice, l’introito lordo raggiunse ancora nei tempi disastrosi del XVI secolo la somma di 86,000 ducati, lasciando dopo la detrazione di ducati 26,000 per le spese d’ amministrazione, di 20,000 per il kharadich, e di altri 20,000 assorbiti dagli interessi di debiti incorsi, un utile netto di 26,000 ducati. Che più? Nello stesso anno fatale 1566 toccò ad ogni duodeno un dividendo netto di 2000 ducati (2). Quali saranno stati gli utili nei tempi addietro , quando il commercio del-l’isola era nel colmo, e quando il valore negoziabile dei karatti piccoli era salito dall’ originario tasso nominale di poco più di lire 30 a lire 4,930? (3). Le fonti principali dell’ entrata erano le tasse dirette, le gabelle , i prodotti del mastice, 1’ esercizio della zecca ed altri cespiti minori che verranno enumerati qui sotto. i. Le tasse dirette. — Le imponeva il podestà, ottenuto prima il formale ed esplicito consenso dei Giustiniani (4), e talora anche degli altri Scioti ; ed ecco le formalità con cui la consuetudine circondava l’introduzione di tasse nuove o la modificazione di quelle già esistenti : Il podestà interpellava prima la Maona, poscia i 60 arconti greci, poi i borghesi latini, dopo questi i codespotae e i deputati dei distretti rurali, ed in ultimo gli abitanti della città di Scio (5). Ottenuta l’adesione di tutti, si convoti) Cod. Giust., tom. I, fol. 242 b.-247'a. (2) JVtastos, tom. II, σελ. 43-44. — Ved. anche Foglietta lib. X, p. 582. (3) Not. di Antonio di Credenza. — Pand. Ricber. A., fase. 60, c. 4. — Cod. Giust., tom. II, fol. 128 b-129 a. — Cod. Belg. fol. 147 b. (4) Privilegi dal 1476-1499, fol. 155 ab (Archivio di S. Giorgio). (5) Ved. gli atti relativi alla tassa introdotta nel novembre 1395 dal podestà Nicolò Fattinanti e ratificata in Genova li 4 marzo 1396· — Cod. Giust., tom. I, fol. 1563-163 b; tom. II, fol. 149a- 156 a — Cod. Belg., fol. 187 b- 202 a. 64 GIORNALE LIGUSTICO cavano tutti i Greci in pubblico aringo nella chiesa di San Michele, dove ascoltavano ritti in piedi, col capo chino e le mani alzate al cielo, la parlata con cui il podestà sottoponeva per P ultima volta il partito alla loro deliberazione; poi sedevano, e si procedeva alla votazione per alzata e seduta. Vinto il partito in favore della tassa, questa s’applicava senz’altro in via provvisoria, salva l’approvazione di Genova. Due erano le imposte dirette : il Kapinichon e 1’ Akro-stichon. Il primo era un testatico di 6 iperperi alFanno, che ogni padre di famiglia pagava annualmente per la sua casa; nei distretti più poveri era più tenue, importando 4 iperperi in quelli di Selovere , Caliamoti e Pigri, e 3 in quello di Lamisto (1). Ma pare che anche in questa misura il testatico riuscisse troppo grave agli isolani, molti de’ quali spatriarono per sottrarvisi, talché la Maona lo ridusse nel 1396 a 2 iperperi (2), supplendo al minor prodotto in parte con gabelle indirette ed in parte sopportandola di per sé per alleggerire i sudditi. Erano esenti da questa tassa i borghesi latini e i raccoglitori di mastice, i marinai ed armatori, cioè una gran parte della popolazione. L, Altro stichon era una tassa fondiaria compartita in base ai dodici distretti dell’ isola, e si riscuoteva da tutti gli stabili: nessuno erane immune (3), nemmeno i burgenses latini (Decreto 17 dee. 1454)· H su0 prodotto (4500-5000 iperperi (4)) si divideva ogni anno fra gli azionisti della Maona (5). 2. Le tasse indirette. — Comprendevano le gabelle della carne, del bestiame vivo (un danaro per ogni capo di bestiame (1) Cod. Giust., tom. II, fol. 181 a-182 b. — Cod. Belg., fol. 226 b-229 a. (2) Decreto dei 4 marzo, rinnovato li 10 novembre 1404. — Cod. Giust., tom. II, fol. 156 b-157 a. — Cod. Belg. fol. 202 a-203 b. (3) Cod. Giust., tom. II, fol. 186 a-188 b. — Cod. Belg., fol 223 ab. (4) Cod. Giust., tom. II, fol. 1943-195 b. (5) Ibid., tom. I, fol. 234 a b. GIORNALE LIGUSTICO 65 minuto (1)), dei vini nativi (2) e forestieri (3), dell aceto, olio, sale (4), catrame, legname d’opera (5), i diritti del peso pubblico (6), e la gabella della senseria (7). La Maona ne appaltava la riscossione per una serie d anni ai propri soci o anche ad altri genovesi; e quanto fruttassero, si può giudicare dal fatto che il solo appalto della gabella della senseria rendeva talora 3,505 ducati all anno. (1Continuaj. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Tre lettere di Cristoforo Colombo e di Americo Vespucci recate in lingua italiana col testo a fronte da Augusto Zeri, con tre facsimili in fotolitografia, Roma, 1881, pp. 80. Il Ministero spagnuolo del Fomento invio al Congresso Internazionale di Venezia uno splendido volume , intitolato Cartas de Indias con facsimili, disegni d antichità e carte; contenente in ispecie copia di lettere autografe di Colombo, di Vespucci, di Diaz, di Las Casas ecc. Il Ch. A. Zeri, che nella Rivista Marittima lodevolmente si occupa della parte presa dagli Italiani alle scoperte, ebbe (1) Imposta nel 1396. (2) Cod. Giust., tom. I, fol. 15015-152 a. ; tom. II, fol. 215 b-217 a. — Cod. Belg., fól. 261 a-262 b. (3) Cod. Giust., tom. I, fol. 1673-1693.; tom. II,. fol. io6a-io8 a.— Cod. Belg., fol. 141 a-150 a. (4) Cod. Giust., tom. I, fol. 186 a b. (5) Imposta nel 1397; nel 1515 rendeva 600 ducati. — Cod. Giust., tom. I, fol 201 b-204 b. (6) Cod. Giust., tom. I, fol. 143 b-150 a. (7) Idid. _ Ved. anche Cod. Giust., tom. I, fol. 170 3.-172 3.-174 b*, tom. II, fol. 108 b-109 b. — Cod. Belg. fol. 145 3 - 148 3, dove vengono specific3te psrecchie altre gabelle vigenti anche in Focea. Giorn. Ligustico, Alino IX. > 66 GIORNALE LIGUSTICO una idea felice e che merita la nostra gratitudine. Staccò da quella Collezione le lettere dei due nostri grandi Navigatori, le fece riprodurre e in facsimili e colla stampa, vi aggiunse la traduzione in italiano, una prefazione ed alcune note e ne formò un piccolo ma assai elegante libro, corredato da un Atlantino di facsimili. Le parole ai Lettori dell’ Editore sono erudite e calde d’affetto patrio; tuttavia ci duole dovervi notare alcune inesattezze storiche. Vadino e i due Vivaldi non sono tre persone ma due fratelli, come ci mostrano i documenti; Tedisio Doria concorse all’ armamento delle loro navi per l’ardimentoso ma infelice tentativo di traversata alle Indie, ma non vi partecipò colla persona. L’isola di Porto Santo non fu scoperta da Perestrello nel secolo XV, poiché la vediamo già disegnata col suo proprio nome nella Carta genovese alla Lau-renziana del 1351, e nella Carta Catalana a Parigi del 1375. La quistione su Tedisio Doria fu ben trattata e sciolta dal nostro cav. Belgrano nell 'Archivio storico Italiano (i), e ciò non ostante si continua sempre e dovunque a ripetere Γ antico errore. La priorità delle scoperte italiane su quelle dei Portoghesi o di Italiani a servizio de’ Portoghesi, fu luminosamente· mostrata fin dal 1845 dal sig. D’Avezac (2); il quale, oltre il nome di Porto Santo, trovò quello d’Isola dello Legname nelle stesse carte, tradotto dai Portoghesi, più tardi nel patrio loro Madera, che ha lo stesso significato. Egli provò parimente che le isole Azore già si disegnavano da quei cartografi, se non perfettamente, abbastanza complete nel numero, ed alcune con nome eguale 0 consimile. Anche questa è (1) Degli Annali di Cajfaro, 1865, TS. t. II, p. II, 125-6, ed ora nuova mente negli Atti della Società XV, 325, 1881. (2) Notice des découvertes faites au moyen âge dans l’Océan Atlantique, p. 32 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 6 7 gloria italiana che non si dee lasciar cadere a benefizio dei Portoghesi, già ricchi abbastanza delle loro proprie e reali. Proponendoci ora di far conoscere il contenuto della nuova pubblicazione, cominceremo dalla lettera di Colombo, che ivi è la seconda in ordine; ciò perchè la prima nella stampa, pel suo soggetto, è più analoga a quella del Vespucci, con cui si chiude F opuscolo. Queste due trattano di amministrazione o di finanza; quella di cui imprendiamo l’esame ragiona di marineria, degli effetti del clima e dei venti sulla riuscita e durata del viaggio. Cristoforo Colombo , allorché partì la prima volta per le scoperte passò per le Canarie e trovò, nel corso per ponente e libeccio, un vento così costantemente favorevole, che i marinai presero a mormorare temendo che lo stesso vento non più permetterebbe loro il ritorno all’ Europa. Ma 1 Ammiraglio , venuta P ora del rimpatrio, a vece di correre la via per cui era giunto, si alzò molto più a settentrione e passo per le Azore. Pare adunque che egli allora già avesse conosciuto o indovinato quali sieno le regioni dei venti che giova meglio percorrere secondo le direzioni diverse, per abbreviare od agevolare il viaggio. Trovava di fatto sulla via per alla America gli alisei che soffiano costantemente da greco, e nel ritorno salì ai venti di ponente che predominano nella regione delle correnti d’aria mutabili. Senonchè nel secondo viaggio Colombo non si attenne più a un mezzo così savio; onde ritornando per la regione degli alisei ebbe a soffrire grandemente nella traversata. Queste leggi delle correnti dell’ aria e di quelle dell’ acqua sono ora ben note e in teoria e in pratica ; specie per gli studi del sig. Maury di Nuova Jorch, con grande vantaggio delle navigazioni di lungo corso che ne sono abbreviate in modo molto notevole. Nella lettera che abbiamo sott’ occhio Cristoforo pero non si stende a questa sorta di viaggi; ma, secondo le domande 68 GIORNALE LIGUSTICO che gli vengono fatte dalla Corona di Spagna, risponde ragionando soltanto del Mediterraneo, del tragitto lungo le coste da Napoli a Francia e Spagna e fino alla Fiandra. E ne ragiona brevemente accennando casi speciali: ad esempio tocca dell’influsso dei monti e delle valli che modificano il clima, nota gli effetti delle brezze alternanti dal giorno alla notte, dalla terra al mjire, il modo di governare la nave fra le difficoltà dei venti, le stagioni e i giorni da preferire secondo i casi; rammentando un avviso alle RR. A A. da lui dato opportunamente e sulla fede sicura della sua lunga esperienza. Si sa del resto che 1’ Ammiraglio era diligente e acutissimo osservatore d’ogni fenomeno, traendo profitto ed insegnamento dalle cose più minute. Donde gli avvenne più volte d’indovinare la posizione ove si trovava, o annunziare prossime mutazioni con mezzi di scienza allora scarsissimi e tali, che fanno stupire non che i suoi compagni di viaggio gli stessi scienziati odierni. Questa lode gli rendono non solo il grande Humboldt e gli storici amici di Colombo, ma anche i meno a lui favorevoli purché dotti; fra questi ultimi il Peschel, che più innanzi vedremo cercare capi d’accusa contro Colombo. Meritevole di nota è anche ammesso da tutti lo stile del-Γ Ammiraglio; e in questa lettera, essendo egli nel suo naturale elemento, spesseggia in quelle frasi figurate, espressive, onde il dotto P. Guglielmotti loda il linguaggio marinaresco in generale. Così abbiamo qui la nave che obbedisce al mare, i salti di brenna non gentili ma impetuosi, i marinai battuti dalla tempesta che arrivano in porto colle mani nei capelli, il dover stringere di bolina per guadagnare le isole di Jeres, il sole che spande secondo i monti e le concavità. Questa lettera fu scritta da Granata il 6 febbraio 1502. L altra lettera, da lui indirizzata pure alla Corona, tratta, GIORNALE LIGUSTICO 69 come già notai, di Governo e d’ amministrazione. Ivi espone il suo parere sul modo di popolare l’isola Spagnuola (Haiti) da esso scoperta e sul frutto che se ne potrà ritrarre. Propone che si scelgano 2000 uomini fra quelli che liberamente si presentino in Ispagna per introdurli nell’isola; si distribuiscano in tre o quattro distretti suddivisi in villaggi, ogni distretto governato dal suo Alcade assistito dallo scrivano del popolo come in Siviglia; vi sieno preti o frati per le cose della religione e per la conversione degli Indigeni. L’occupazione principale di coloro che si stabiliranno nel-l’Isola sarà quella di cercare e raccogliere l’oro, escludendone gli estranei: ma sieno anche determinate certe stagioni 0 tempi, durante i quali si debba tralasciare quella ricerca per accudire alla coltivazione delle terre, al commercici e al-l’industria. Dovendo il Re partecipare ai profitti della raccolta del-1’ oro in una proporzione da stabilirsi (che potrebbe essere la metà) , occorre un sistema di sorveglianza e di riscontro (controllo). Perciò sia 1' Alcade quello che dà la licenza e a lui si rechi tutto 1’ oro raccolto, con giuramento che nulla fu frodato; tutto l’oro si fonda e si segni col sigillo regio, si pesi e si lasci la parte alla corona. Si riservi T uno per cento per la fabbrica e 1’ ornato delle chiese e per sostentare 1 Ministri del santuario. Gioverebbe forse anche farne una parte, da determinare, a vantaggio dell’Alcade e dello scrivano per renderli più vigilanti. Si scriva il tutto in Registri, uno dei quali tenuto da un frate 0 da altro deputato pel Re, vi sia -un tesoriere generale dell’ isola a cui gli altri facciano capo. Si carichi e scarichi in uno o due soli porti dell’isola e dell’ Europa, a ciò stabiliti e dotati di un Uffizio di registro; la merce caricata si chiuda con due chiavi, una pel fattore o padrone, l’altra pel tesoriere regio; e non si scarichi se non previa verificazione e confronto colla nota del 70 GIORNALE LIGUSTICO \ carico. L’oro che si scoprisse non marcato o sfornito di tali condizioni sia soggetto a confisca con darne parte al-F accusatore, oltre le pene agli Alcadi e scrivani colti in fallo di connivenza. La lettera non ha data, ma il Conte di Toreno, in nota riferita dal Ch. Zeri, avvisa, che essa sia stata scritta fra ii 2.° e il 3.° viaggio di Colombo, nella seconda metà del 1496 o al principio dell’anno seguente; poiché il 27 aprile del novantasette una Cedola del re permette all’ Ammiraglio d’ assoldare per la Spagnuola chiunque desideri recarvisi. Se il dotto Peschel vivesse ancora, penso che egli coglierebbe volontieri questa pubblicazione per ribadire la taccia al Grand’Uomo che, secondo lui, non si curava che d oro, per guisa da dimenticare perfino la continuazione delle sue scoperte. Certi paradossi sono troppo mostruosi, perchè possano far presa sui lettori. Possibile che Colombo dimenticasse la sua gloria di scopritore, egli che appena ritornato dal terzo viaggio chiede navigare di nuovo? E parte, appena può, sebbene umiliato e accorato dalla gelosia del Re, dal divieto fattogli di soffermarsi nelle stesse terre da lui scoperte; e compie il quarto suo viaggio, ritornando colla salute infranta due anni 'appena prima di morire? Ma, si dice, egli rimase molto tempo a terra senza navigare. È verissimo, ma Colombo non si era proposto di fare lo scopritore soltanto, si di essere anche l’organatore dai paesi scoperti; volea introdurvi colla fede e la civiltà nuovo sangue e popolazione, fare che la terra rendesse quel migliore profitto che le sue condizioni consentissero; e non parlava in questa lettera di schiavi ma di liberi e liberamente venuti all’ Isola. Insomma egli era non soltanto 1’ Ammiraglio del mare, ma e il Viceré dei nuovi dominii. A lui, cui la scoperta avea costato tante angosce, traversie e sudori premeva, come ad una madre pel suo portato, che riescisse a bene ; GIORNALE LIGUSTICO 71 paventava insieme alla gelosia e grettezza del re, le cupidigie e gli intrighi degli emuli. Percio desiderava essere solo e Hibero nel governo, come ne avea diritto per patti solenni, e così fosse stato che non ne sarebbero avvenuti così presto e così gravi mali. Peschel accusa anche Colombo d’aver tentato impedire altrui la libera navigazione in que’ mari; ed io sostengo che qui pure egli ne avea tutto il diritto e per patto e pel bene di quelle terre, le quali abbisognavano di un governo giusto, ma forte ad un tempo come un tenero frutto abbisogna di maggior coltura e vigilanza. Non aveva egli sperimentato abbastanza le difficoltà che gli si creavano da ogni parte, e Γ audacia di uomini valorosi sì, ma sforniti di qualunque scrupolo nelle loro cupidigie? Nella sua lettera dalla Gia-maica del 4 luglio 1503 parlando della bontà delle terre ultimamente scoperte, esclama con tutta l’energia dell amore e dell’ onore ferito : « non è figlio questo per dare a nutrire ■» a matrigna. Della Spagnuola c delle altre terre non me ne » ricordo mai che le lagrime non mi cadano dagli occhi. » Credevami io che lo esempio di queste dovesse essere per » le altre. Al contrario loro stanno con la bocca in giù » « (languiscono quelle terre) » benché non muoiono. La » infermità è incurabile o molto lunga. Chi fu causa di questo » venga adesso se può e se sa a curarle. A discomporre » ognuno è maestro, ma a comporre pochi maestri si tro-» vano » (1). Ad ogni modo non intendo già negare che il sistema proposto da Colombo non dovesse tornare assai grave alla popolazione e al commercio dell’isola; ma non ne farà le meraviglie chi conosca alquanto le instituzioni economiche del (1) Morelli, Operette, I, p. 281 e segg. poiché continua il giusto ri-sentimento. 72 GIORNALE LIGUSTICO medio evo, tanto più poi se badi alla condizione speciale in cui si trovava F Ammiraglio e per la novità della fondazione e per le esigenze della Corona. Infine, rispettando io sommamente la persona e il carattere di lui, come una delle maggiori glorie della nostra patria e del mondo, non posso tuttavia associarmi a quegli scrittori, i quali credono che Colombo non abbia mai potuto errare, in mezzo alle gravissime difficoltà in cui fu condotta la travagliata sua vita. Del resto, astraendo dalla persona di lui, tutti i grandi uomini sono per natura accentratori; consci della propria potenza e vedendo tante forze disperse rimanere inutili o peggio, vogliono valersene, buon grado o malgrado. E ciò non sarebbe male, se essi non fossero portati ad abusarne, a prendere per vera grandezza ogni utopia propria; donde si avvisano poter mutare la faccia della terra anche quando e dove Madonna Natura non lo consente. Passiamo alla lettera di Vespucci che ci rimane ad esaminare e che è indirizzata al Cardinale Ximenes, colla data 9 dicembre 1508. L’oggetto ne è simile in parte a quella di Colombo, ultimamente discorsa. Non vi si tratta di fondare e popolare, ma di trarre vantaggio da quelle isole pel fisco regio, pel commercio che si va avviando. Con quale sistema si dovrà procedere? Con quello forse del Portogallo che nello stabilimento della mina d’ oro in Africa manteneva il più rigoroso monopolio ? Vespucci assennatamente risponde di no e ne reca le ragioni. In Africa si tratta di un solo stabilimento e di un solo 0 due oggetti di commercio che vi si esercita. Se in cotali condizioni il monopolio è possibile, non lo è certamente nelle nuove isole scoperte (1’ America) per la loro distesa, varietà e quantità, e per ogni sorta che occorre colà d importazioni ed esportazioni, vettovaglie, strumenti di produzione ecc. ; parecchie delle quali merci nemmeno vengono GIORNALE LIGUSTICO 73 dalla Spagna, ma e dalle Canarie ed altronde, È impossibile regolar tutto per via di monopolio , egli se ne appella alla esperienza passata e avvenire. Quindi crede che il modo migliore pel tesoro sia di lasciare libero il passaggio e il commercio per e dalle isole all’ Europa ; ma s intende libero di quella libertà che sia compatibile col profitto del Fisco, che vuole una parte in tutto ciò che si importa od esporta. Il consiglio del Fiorentino era anche secondo 1 indole della sua patria, amante sì della libertà, ma sottile e fecondo di trovati, atti a somministrare alla finanza ogni desiderato sussidio. Così Vespucci propone anch’egli, come Colombo, il riscontro di due persone, il commerciante e il tesoriere, coi loro Registri per iscrivervi il carico e lo scarico ; e non solo sia assicurata la presenza del Fisco, ma questo anche disimpacciato da noie e da pericoli di perdite ; il che si otterrebbe ponendo che i fattori del mercante abbiano essi tutto il peso degli imbarazzi ed anche quello di riscuotere da altri il dazio , senza che il Tesoriere abbia da far altro che ricevere e vegliare. Seguono alle tre lettere poche note, le più importanti delle quali, secondo 1’ avvertimento del eh. editore, furono dettate dal Conte di Toreno per la pubblicazione delle Cartas de Indias. Noi non ne rileveremo che due; la prima versa sulla forma della sottoscrizione di Colombo, espone più compiute e più chiare che non sia stato fatto finora, le differenze che pare si trovino fra l’ima e l’altra di tali sottoscrizioni secondo gli scrittori precedenti; ma non riesce ancora a interpretarne in modo sicuro le due prime linee. L’altra nota riguarda il modo vario, onde nei documenti è espresso il cognome Vespucci. Quanto a noi non vediamo in tale diversità quella stranezza che a prima fronte parrebbe. È sempre avvenuto nel medio evo, deve anzi avvenire così 74 GIORNALE LIGUSTICO ogni volta che si voglia tradurre un cognome in altra lingua, di guisa che esso mantenga al possibile la pronuncia d’ un paese estraneo. È per tal guisa che volendosi tradurre Vespucci in latino, si dovea necessariamente scrivere Vespucius o Vesputius secondo la doppia forma che usava a que’ tempi; e volendosi tradurre in spagnuolo doveasi scrivere Vespuchy, per poterlo pronunziare Vespucci all’italiana, o anche, lasciando cadere la facile labiale, mutarlo in Espuche o D’ Es-puche. C. Desimoni. I. Teodoro Bent — Gonoa\ heiv thè republie rose and fell. (Genova; origini e caduta della repubblica). Londra, C. Kegan Paul i, Paternoster Square, 1881. I progressi della storia italiana nel nostro secolo, sono stati grandemente ajutati dagli studi e dalle pubblicazioni degli stranieri, ed in ispecie dei Tedeschi, ai quali s’appartiene certamente il primato, sebbene gl’ Inglesi figurino onorevolmente nella bibliografia in ispecie della nostra storia artistica. Non poteva quindi accogliersi altrimenti che con soddisfazione la comparsa di un libro come quello del Sig. Bent, che proponendosi ad argomento tutta quanta la Storia di Genova veniva a colmare una lacuna della letteratura inglese. II Sig. Bent non si è però diretto ai soli studiosi, e s’ è adoperato invece a fare un libro di lettura piacevole, smettendo 1’ ordine rigoroso, ed inserendo descrizioni di luoghi, proprie ad allettare il lettore. Questo scopo però, se apparisce a chiunque dia una scorsa al volume, non è apertamente confessato dall’ autore, il quale sta garante nella prefazione d’aver ritratto i materiali del- 1 opera sua da quegli scrittori, che a loro volta usufruttua-rono i manoscritti esistenti nei diversi archivi. Egli annuncia per dippiu di aver potuto, grazie all’assistenza di amici, con- GIORNALE LIGUSTICO 75 sultar manoscritti in archivi generalmente inaccessibili agli stranieri. Al qual riguardo ci sia permesso di chiedere, con buona venia del Signor Bent, quali sieno ancora in Italia nell anno di grazia 1881, gli archivi inaccessibili agli stranieri. Quali notizie abbia pescato il Signor Bent in questi archivi innominati, non è dato rilevare dalla lettura del suo scritto, tanto più ch’egli è assai parco di citazioni. I suoi autori sono radunati in una tabella al principio del volume, e quanto all’ attendibilità della sua affermazione , d esser ricorso solo a quelli che aveano attinto agli archivi, ciascuno potrà giudicarne di per sè vedendo campeggiare in questa nota il compendio deU’Accinelli, il Brequigny, la Storia del Varese ed altrettali. Nè si comprende perchè egli abbia insistito in iar sapere che gli antichi Annalisti li ha consultati proprio nell’ edizione del Muratori, quando potea aver alle mani il Pertz. E manco male si fermasse lì. Ma chi si aspetterebbe di trovare tra le principali autorità, il Pasquale Paolo (sic), del Guerrazzi ? Con siffatte guide si comprende agevolmente qual lavoro sia da aspettarsi dal Sig. Bent. Spiace però di vedere citati, diremmo prò forma , accanto a costoro scrittori ed opere affatto recenti, che possono dar a credere agl’ incauti che Γ,autore sia al corrente degli studi e delle ricerche odierne sulla Storia nostra, mentre il fatto è che quanto alle ricerche sulle origini Ligustiche la sua erudizione non va oltre il Pelloutier ed il Frèret, dei romani tiene che chiamassero Genova Janna e si diffonde sull’ etimologia rivaleggiando coll’Annalista Jacopo Doria; e pel Medio Evo, se non tira innanzi le pretese della continuata indipendenza dei Liguri, vi parla però con tutta serietà del governo consolare nei secoli prima del mille, della sovranità del Vescovo e d’altrettali vecchie teorie ormai rilegate tra i sogni. Certe notizie per la loro peregrinità meritano d’ essere se- 76 GIORNALB LIGUSTICO gnalate. Così il primo podestà di Genova era per nome Tettùccio, ma per le sue severità fu soprannominato il Manigoldo , e questa fu cagione che il governo del podestà 'non prendesse mai radice in Genova. I Grimaldi discendono da Ugo e Raneiro militi di Carlomagno. I Doria, si capisce, da Onetto e Arduino di Narbona. La scuola pittorica Genovese cominciò soltanto con Lodovico Brea, e il suo difetto principale è, chi il crederebbe? la mancanza di colorito. Manco male però se non si andasse al di là di queste sciocchezze. Il peggio si è che le più belle pagine della Storia nostra sono malamente sconciate. Così la parte presa dai Genovesi nella prima Crociata fu, per chi noi sapesse, sordida c mercenaria al sommo. Se Maometto II s’impadronì di Costantinopoli, ciò fu per tradimento dei Genovesi, e di Giovanni Giustiniani lor condottiero, la cui viltà diede la capitale in mano del Turco. E dire che il Heyd (i) ce lo descrive come una « figura eroica » e la « persona principale della difesa ». Ma per quanto classico sia il libro del Heyd esso non ha trovato luogo tra le autorità del Sig. Bent. Andrea Doria poi e Colombo sono stati la rovina di Genova : si taccia pure del primo, ma la perdita delle colonie, Γ irruzione dei Turchi, 1’ abbandono delle vie percorse dalle carovane dell’Asia, le spedizioni commerciali dei Portoghesi, sono proprio tutta colpa di Colombo ? Troppo ci siamo ornai dilungati in mezzo a queste quisquilie abborracciate in furia per dare un pasto a lettori poco istrutti, e ai divoratori di volumi in ferrovia. Nè, se il Sig. Bent avesse scritto in Italiano, ci sarebbe stato da occuparsi di lui ; ma ninno che senta un poco la dignità del proprio paese, può tollerare di vederne malmenata in faccia agli stra- ti) Colonie degli Italiani, I, 467. GIORNALE LIGUSTICO 77 nieri la Storia, con delle sconciature come questa, cui non valgono certamente a redimere fantastiche vignette e i simboli impressi in oro sulla copertina. SPIGOLATURE E NOTIZIE Nella Revue des questions historiques (i Janvier 1882) il conte de 1’ E-pinois, facendo suo pro delle più recenti pubblicazioni, manda in luce una importante monografia intorno a «Nicolò e la congiura di Stefano Porcari», consentendo nelle medesime conclusioni del ch. G. B. De-Rossi. Quanto all’ affermazione : « Thomas Parentucelli né très probablement à Sarzane et non à Pise » si veda il Giornale Ligustico anno II (1875) p. 382. Il sig. O. Delarc in un dotto articolo « Les Scandinaves en Italie 859-862» riferisce il racconto di Dudone intorno alla distruzione di Luni per opera d’Astingo, e pur ammettendone la elaborazione leggendaria, vi riconosce un fondo di verità raccolto dalla tradizione. Il sig. Fulin nella rassegna delle pubblicazioni geografiche italiane discorre con lode delle memorie di Cornelio Desimoni intorno a Verrazzano ed a Giovanni Caboto, soltanto noti "gli sembra che le testimonianze di due diplomatici spagnuoli siano bastevoli a far ritenere il secondo genovese, come afferma Desimoni, sebbene egli consenta che non è veneziano. (Cfr. anche Archivio Veneto XXII, P. II, Bulle.lt. Bibliografico, 81). * * * Sappiamo che il dotto sig. Harisse sta lavorando intorno ad un’ opera importantissima sopra la famiglia Colombo. Abbiamo già «veduti alcuni fogli stampati di altro suo dotto lavoro intorno al Caboto. * * * Nella Gaietta Letteraria di Torino (N. 3) il sig. G. B. P. pubblica un articolo intitolato « Carlo Goldoni a Genova », giovandosi delle recenti Im-breviature di Giovanni Scriba. Peccato che 1’ A. non abbia gettato gli occhi sulle « Giunte e Correzioni », perchè allora avrebbe assegnato al 1733 l’incontro del Goldoni coll’ Imer a Verona, e non avrebbe asserito che conobbe la Conio « stando dal balcone di casa sua nella via di Prè, innanzi la chiesa di S. Sisto». Non è esatto che egli « molto probabilmente» traesse P Impostore dalla giunteria fattagli da un sensale, perchè 1’ origine di questa commedia può vedersi nelle Memorie (Par. I, cap. 44 e 45) e nella prefazione alla commedia stessa. 78 GIORNALE LIGUSTICO Nell’ Elleboro (N. 3) F. Alizeri pubblica, un articolo intorno al Ma-troneum della chiesa di S. Donato, invocandone lo scoprimento ed il restauro. A questo proposito sappiamo che la Commissione conservatrice nella sua ultima seduta ha nominato una giunta perchè esamini e rifeiisca. Una importante lettera dì Luigi Muzzi a Mons. Stefano Rossi intorno al Biamonti, manda in luce F. Viale, e ne promette altre di Pellegrino Fa-rini. Chi ne possiede gli autografi? * * * In una lettera del conte di Marsy edita nella Revue belge de numismatique (a. 1882) fra le pubblicazioni di cui fa menzione, vi si parla con lode delle seguenti di C. Desimoni: Decroisance Graduelle du denier edita nelle Mi- o langes de numismatique (a. 1878), della nota Sulle monete nominate nei conti dell ambasciata al Cbaii di Persia (Atti della Soc. Lig. di St. Pat. T. XIII). e del Valeur de quelques monnaies ayant cours a la fin du XIII siècle sur la coté de Syrie et de Petite Arménie (Archives de V Orient latin I, 437)· Del nostro autore così ragiona il Marsy: « Parmi les érudits qui se livrent a des études comparatives sur la valeur des monnaies au moyen 4ge, personne, croyons-nous, n’est arrivé a des résultats aussi précis que M. le chevalier Desimoni ». * », * * L uscito il vol. XV. degli Atti della Società Ligure di Storia Patria, che contiene le seguenti memorie e documenti: Hugues, Giornale di Piaggio di un Pilota genovese addetto alla spedizione di Magellano. — Desimoni, Intorno al fiorentino Gio. Verravano. Studio secondo. — Intorno a G10. Caboto genovese, Documenti illustrati. — Appendice allo studio intorno al Verzazzano. Pero Tafur i suoi viaggi e il suo incontro con Nicolò dei Conti. Belgrano , Documenti e Genealogia dei Pessagno genovesi ammiragli del Portogallo. — Nota sulla spedizione dei fratelli Vivaldi nel I2Ç)T, * * * i el 1879 '1 °h· sign. P. Podestà, R. ispettore degli scavi in Calice e Podenzana, fece conoscere una piccola necropoli ligure scoperta in Cenisola. Dallo esame delle monete quivi trovate, il eh. Chierici provò che quelle tombe appartengono al periodo che corse dalla prima metà del sesto fino olire la metà del settimo secolo di Roma. Gli oggetti raccolti, il modo con cui erano formate le tombe, anch’ esse a lastre di pietra, coperte dal mucchio di sassi, e col grande macigno che serviva di stela sepolcrale, come nelle euganee, diedero materia a studi di confronto, e rivelarono le ìelazioni ed il costume di questi Liguri della Liguria propria, essendo il territorio di Cenisola entro i confini nei quali fu ristretta la Liguria colle GIORNALE LIGUSTICO 79 regioni di Augusto. Ora nella pianura sottoposta a Cenisola, tra i fiumi Magra e Vara, viene indicato un altro luogo che conserva un sepolcreto ligure. È questo nei pressi di Ceparana nel comune di Bollano, ove si trovarono recentemente sepolcri formati come quelli di Cenisola, quantunque assai più rozzi di iattura, e molto scarsi di suppellettile funebre. Sono essi più antichi, ovvero appartengono a gente di misera condizione che viveva contemporaneamente a quella che fu seppellita nelle tombe scoperte in Cenisola? A questa dimanda risponderà certamente il sig. Podestà, se gli sarà dato condurre a termine la esplorazione che intende fare coll’aiuto del Governo, dopo le sommarie informazioni avute sopra le scoperte di Ceparana (La Cultura n. 7 pag. 314). BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO G. Nasalli. — Per le vie di Piacenza, Ricordi di Storia Patria. Estratto dalla Strenna Piacentina del 1882. Nell’ ultimo paragrafo di questo scritto (XII p. 76-84) sono citati documenti spettanti alla famiglia Colombo di Piacenza. L’ Autore non crede ormai più lecito porre in dubbio che Cristoforo sia nato in Genova, ma non essere altrettanto chiaro, d’ onde traesse origine la famiglia di lui. Di Piacenza la vollero parecchi insieme agli storici di quella città allegando atti notarili e argomentando da indagini (p. 77), le quali per verità acquistano forxa. soltanto dal loro insieme , avvalorandosi I’ una coll’ altra. Secondo uno dei più preziosi documenti, addi 5 aprile 1443 (p. 78) un Domenico Colombo padre di Bartolomeo, di Cristoforo e di Diego presentasi al Notaro Giacomo Cucherla ; a que’ tempi in Val di Nure infierivano discordie; quello non parea luogo da viverci in pace, così' colui disegna partirne per attendere in Genova a suoi traffici. 1481, 5 dicembre. — Altro atto in Not. Luca Marenco è prodotto dal Campi, Stor. Eccles. di Piacenza, III, 232, che dice alverlo avuto dall’ archivio dei Colombo di Piacenza. (Archivio non pubblico ma di famiglia a cui V atto interessa ; ahi! ) In quest’ atto (p. 78) si dice che essendo morto Domenico Colombo corre voce esser morti anche i figli di lui qui jam per annos decem incirca se absentaverunt a dicta civitate Januae et ut dicitur iverunt ad insulas incognitas taliter quod a multo tempore citra non fuit auditum de illis. Le parole iverunt ad insulas incognitas « in un atto celebrato 11 anni 8o GIORNALE LIGUSTICO « prima che Colombo approdasse all’ America, non possono essere dette » a caso. Per toglierne l’importanza bisognerebbe negarne 1’autenticità, ciò » che troppo non è consentito dalla critica che si elevò intorno ad esso. » Il Ch. Nasalli soggiunge che fu opposta all’autenticità dell atto notarile la discordanza fra la data dell’anno e quella dell’ indizione ; ma il conte Pallastrelli credeva poter mostrare alla evidenza la causa del materiale errore del Notaro. Il resto dello scritto sono di quelle induzioni, che veramente da per se non valgono nulla se manca la prova dei predetti documenti, i quali soli possono parere di qualche peso a primo aspetto. In quanto all eriore dell’ indizione non è gran cosa ; se ne trovano tanti altri esempi. Ma vi sono errori ben più gravi; per es: si fa già morto prima del 1481 Domenico padre di Cristoforo, e noi sappiamo al contrario per documenti certi eh’ egli sopravisse alla scoperta dell’ America, essendo motto fra il 1494 e il 1500. Quella diceria dell’andata alle isole incognite, undici anni prima della scoperta dell’ America non è proprio detta a caso ma puzza forte d’impostura. Lasciamo andare che Cristoforo nel 1471 e ne^ era in Portogallo : Colombo non ha mai sognato di andare, nè 11 anni prima, nè al momento di partire, alle isole incognite, ma sì di andare alla terraferma d’ Asia, alla Cina e al Giappone, per una via secondo lui più diretta e più breve di quella dei Portoghesi. É opinione unanime dei dotti, che tutte quelle pretese scritture di Colombo, in cui lo si fa parlare di Nuovo Mondo e simili, sono fittizie; così è stato giudicato al recente Congresso di Venezia d’ una pretesa lettera di lui del 1497 concepita in simili termini , e che il ch. Fulin ha riprodotta non senza giustamente rigettarla. Lo stesso si deve dire di un’ altra pretesa lettera di Colombo in data di Giamaica 1^03 tradotta in francese e pubblicata nel Moniteur del 1802 (annodel 10 la Repub. n. 300, p. 1229. V’è bensì una vera lettera dalla Giamaica 7 luglio 1503 ma è ben diversa; e questa tradotta in italiano, fu ristampata, come si sa, dal Morelli (Operette I. 257 seg). Riguardo all’ atto notarile del 1443 il Campi non l’ha riferito per disteso, il che non avrebbe mancato di fare se le espressioni ne fossero state così esplicite come pajono nello scritto qui analizzato. Noi Io riteniamo della stessa farina di quello del 1481, sovratutto non crediamo, vi possa essere il nome di Diego. Si sa che il terzo figlio di Domenico Colombo si chiamava Giacomo puramente; solo dall’anno 1500 comparisce colla giunta: Giacomo sopranominato Diego e poscia Diego semplicemente. Dunque già fin dal 1443 il Notajo avrebbe subodorato che cinquanta o sessanta anni dopo Giacomo Colombo sarebbe divenuto^spagnolo ! Apage fabulas. Pasquale fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 81 QUISQUILIE EPIGRAFICHE APPUNTI E NOTE PER VITTORIO POGGI Le pagine di cui faccio omaggio ai cultori dell antichità figurata e scritta furono per la maggior parte staccate da un taccuino di appunti vergati alla matita in tempi, luoghi e circostanze diverse, di mano in mano che mi capitò Γ occasione di aver sottocchio gli inediti monumenti che ne formano il soggetto ; il che è quanto dire non pur saltuariamente , ma spesso di sfuggita, talvolta anche in condizioni men che favorevoli ad una minuziosa ispezione ; circostanza questa che mi importa di ricordare, pel caso che, nonostante la circospezione e 1’ oculatezza di cui mi son fatto una regola costante in opera di descrizione e di trascrizione, abbia potuto per avventura sfuggirmi qualche particolare di minor rilievo. Ho corredato questi appunti di alcune osservazioni che mi parvero quadrare al soggetto e conferire alla sua dichiarazione. Pubblicando sì gli uni che le altre ho appena bisogno di soggiungere che non ebbi altro obbiettivo da quello in fuori di contribuire in modestissime proporzioni all* incremento del materiale archeologico ed epigrafico, e di porgere agli eruditi che si travagliano exprofesso circa questi studi, materia e occasione di utili riscontri e di feconde induzioni. i. Il march. Carlo Strozzi (nome caro ai cultori, degli studi archeologici) possedeva due anni addietro e credo ritenga tuttora una piccola lastra ottagona in bronzo dorato del Giorn. Ligustico, Anno XI. & S2 GIORNALE LIGUSTICO diametro di 0,016, munita d’una maglietta 0 appiccagnolo in forma di anello schiacciato. Questo singolare oggetto porta incisa sulla faccia anteriore una divinità stante, galeata e tunicata, con asta nella destra e parazonio nella sinistra, le gambe incrociate in atteggiamento di quiete (Marte?). Intorno a questa figura corre la seguente iscrizione : Z N ΣΕΤΕΤΟΝφΟΡΟΥ NT A La faccia opposta mostra un personaggio ignudo, di fronte, col braccio destro piegato in alto , fra due figure femminili in doppio chitone succinto, volte di fianco verso il medesimo, una delle quali facifera e dendrofora , Γ altra in atto di imporgli un serto sul-capo. All’ esergo leggesi l’epigrafe ΠΑΝΘ60Ν Tutt’ intorno sullo spessore della lastra veggonsi disposti, . uno per lato e nell’ordine seguente, i busti di Serapide, di Cerere , di Nettuno, di Castore (?), di Iside, di Cibele, di Pallade e di Selene. L’ iscrizione del dritto esprime una invocazione del latore dell’ oggetto alle divinità rappresentate sull’ oggetto stesso e comprese sotto la denominazione complessiva di ΠΑΝΘ60Ν incisa sul rovescio. Ammettendo un ovvio scambio fra la Z e la deriverei ΖΝΣΕΤΕ da σώζω, leggendo col ch. P. De-Feis σώζετε τον φορουντα — servate ferentem, quando non vogliasi supporre che la prima voce stia per ZCOSlATE da ζώννυμι, nel qual caso la traduzione della leggenda sarebbe praecingite armis ferentem. trattasi evidentemente di un signum pantbeum, e più precisamente di un amuleto militare, destinato ad essere portato sulla persona sospeso ad un nastro 0 ad una catenella, come GIORNALE LIGUSTICO 83 indica la maglietta, ed esteriormente, a guisa di gingillo ornamentale , per quanto è lecito arguire dalla doratura. Il soggetto della rappresentazione, lo stile e Γ artificio piuttosto basso si accordano colla paleografia della leggenda per riportare il cimelio in discorso ad un’ epoca non superiore allo scorcio del III secolo. La sua provenienza dalla Baviera, nel Noricam, fa pensare alla Legione II Italica, che ancora all’epoca di cui si tratta trovavasi di stanza in detta provincia (1). 2. Pongo a fianco della ora descritta una congenere laminetta rettangolare di bronzo (dimensioni 0,017 X 0,015), con rappresentanza indistinta da una parte, e dall’altra la leggenda in rilievo TAP* COC esistente nel Museo etrusco di Firenze. 3. Al prefato sig. march. Carlo Strozzi appartiene una fusaiuola, o sferoide schiacciata e perforata al centro, in agata zaffirina, portante incisa sul ventre l’iscrizione VALERIA AEPITEVXIS L’ attribuzione di questo cimelio non è meno problematica di quella dei congeneri fittili, di cui riboccano specialmente le collezioni di antichità così dette preistoriche. (1) Vengo ora soltanto a conoscere che di questo stesso cimelio già fu tenuto discorso del P. R. Garrucci nella Civiltà Cattolica (Serie XI, vol. II, quad. 720, p. 724 seg). Siccome però dal confronto rilevo che la descrizione che il chiar. autore fa del medesimo, differisce in qualche particolare dalla mia, credj sia il caso di lasciar questa pagina così come fu scritta al cospetto dell’ originale, tanto più che nulla trovo ad immu- 3 tarvi riscontrandola con un ' calco in ceralacca conservato fra le mie schede. 84 GIORNALE LIGUSTICO È noto che tali oggetti vennero da alcuni riferiti alla suppellettile domestica, e indicati quali arnesi da inserirvi la cocca da pie’ del fuso, affine di mantenere questo più saldo e renderne più rapida e unita la rotazione ; donde derivò loro il nome sotto cui sono ordinariamente designati : nè si può invero disconoscere come nella serie delle rappresentanze a bassorilievo esprimenti le arti di Minerva su noto fregio del Foro di Nerva in Roma, occorra appunto una figura di filatrice col fuso munito di un vorticellum di forma assai simile alle fusaiuole in quistione. Per altri le presunte fusaiuole fittili non sarebbero che pesi : e chi le ritiene adibite, come oggi i piombi, nelle reti da pesca ; chi vuole si cucissero ai lembi del pallio e della clamide, per renderne più artistiche le pieghe; chi le qualifica pesi da telaio verticale destinati a tener dritti gli stamina ossiano i fili dell’ordito, e a dare all’ordito stesso il voluto grado di tensione ; nè mancano coloro i quali alla più spicciativa le battezzano per bottoni; e si che mi occorse di averne fra mano parecchie di oltre a un palmo di diametro e del peso non minore di un chilogrammo ciascuna ! Che dir poi di quell’ altra congettura che ascrive le fusaiuole alla classe degli oggetti militari, assegnando loro 1’ ufficio di salvapunta dei ferri di lancia ? Nella fattispecie, nessuna delle attribuzioni di cui è cenno calza al cimelio in esame, ostandovi anzitutto la preziosità della materia in cui è lavorato. Rimane che questo abbia a tenersi in conto di ninnolo o d’ oggetto di ornamento muliebre (i), se non forse più probabilmente di amuleto, della classe degli oggetti detti dai -s (i) Il ch. dott. W. Helbig. (Die Iialihr in der Poelene, pgg. 21, 28, 83) è dell’ opinione che le fusaiuole fìttili debbano appunto riguardarsi come vezzi da collana. GIORNALE LIGUSTICO 85 Greci περίαπτα, περιάμματα, προβασκάνία, φυλακτήρια, e dai Latini praebia, servatoria, amolimenta, al quale fosse attribuita alcuna peculiare virtù inerente appunto alla pietra che ne costituiva la materia. È noto come Γ agata fosse ritenuta in genere quale un preservativo contro le punture dei ragni e degli scorpioni ; oltre che si credeva che avesse il potere di scongiurare la tempesta ed il tuono (1), e se collocata sulle spalle o fra le corna dei bovi aggiogati all’ aratro, di attirare sul campo arato la fertilità (2). Si sa del pari che le agate unicolori possedevano la virtù di rendere invincibili gli atleti : onde è lecito congetturare che anche la varietà conosciuta ora sotto il nome di zaffirina fosse dotata di qualche singolare prerogativa oggi ignorata. L’iscrizione ci rivela più che altro Γ imperizia del litoglifo che Γ ha vergata, sia che si guardi al taglio poco netto e all’ andamento irregolare dei caratteri, sia che si abbia l’occhio alla ortografia insolita del cognome. La forma grecanica di questo accusa la condizione libertina e 1’ origine servile della titolare Valeria. 4. Dagli oggetti d’ornamento personale passando alla categoria degli utensili domestici, è prezzo dell’ opera ricordare qui un piccolo cucchiaio in bronzo, sulla convessità del quale è graffita la leggenda TEDIO TERTIO Si osserverà Γ impiego del terzo caso di flessiene per indicare il proprietario dell’ oggetto, anziché quello del nominativo o del genitivo più atti a denotarne Γ artefice. L’assenza dej. prenome nella nomenclatura del titolare (1) Plin,, Hi st. nat., XXXVII. (2) Orph., Li th., 238 sq., ed. G. Hermann. β 86 GIORNALE LIGUSTICO appella all* uso introdotto e generalizzato sotto 1 impero di distinguere i diversi membri d’ una famiglia dal terzo nome invece che dal primo. Vidi e descrissi presso il march. C. Strozzi in Firenze. Piacerai qui notare di passata come alcuni fra i cosi creduti nominativi della 2.a declinazione arcaica in-o per-oi =* us, possano forse più plausibilmente ritenersi appunto come dativi. Cosi i nomi dei titolari delle due epigrafi del museo Kircheriano M · COLI IO · M · L [| A · D · III - DIIC8R; e C ■ GEMIO |]AD*VII-EI-IV attribuiti dal Ritschl al caso retto, furono con ragione rivendicati dal Garrucci al terzo caso0 (i). Similmente il titolo T-VOH15IO graffito su rozzo boccale del museo etrusco di Firenze e dichiarato testé per Titus Volesius o Volusius dal chiar. suo editore (2) potrebbe benissimo, in vista anche della natura dell’ oggetto su cui è inscritto, oggetto destinato evidentemente al corredo funebre del titolare, essere riguardato come dativo di appartenenza 0 di dedicazione dell’ oggetto stesso al defunto. Del resto, la natura del monumento di cui l’iscrizione fa parte, e la sua probabile destinazione potranno meglio d’ogni altro indizio somministrare all’ uopo un criterio nei singoli casi. Aggiungasi alla precedente P iscrizione 5· P - CIPIPO /////" sul manico di una patella di bronzo nella Galleria degli Uffizi fP ubiti CI PI*’ PO Uucis ì) ; e quest’ altra 6. p pi incisa a bulino sul rovescio di un manico di specchio eneo nel Museo etrusco di Firenze. (1) Op. cit. 1179, 1211. (2) G. F. Gamurrini, Appendice al Corp. inscript, italic., Firenze 1880, p. 9, n. 44. GIORNALE LIGUSTICO 87 La leggenda essendo incisa a bulino, è probabile che si riferisca alla proprietaria dell’oggetto publia T|tia. Invero, nell’ età a cui ci riporta la vetustissima grecizzante grafia del p in latina iscrizione, le donne di nobile casato e le liberte usavano il prenome, come consta da noti esempi (i). La forma quadrata è senza dubbio la più antica delle tre che affetta la lettera p nella latina paleografìa : pogniamo che la sua presenza non valga per sé stessa a fornire un criterio assoluto per assegnare ad una iscrizione una data anteriore al 620 di Roma, come altri opinò ; potendosi additare esempi del suo uso anche in tempi posteriori a tale data (2). Non saprei invece quale grado di fiducia si possa accordare alle due seguenti epigrafi, di cui non vidi gli originali, avendole semplicemente trascritte dal vecchio catalogo della R. Galleria degli Uffizi di Firenze, dove figurano sotto i num. 1564 e 1565 come incise sul fondo di due arnesi qualificati calamai in bronzo : EX· OELON · SOC RA EX · OELON · SOCRA 8. Fra gli utensili domestici la classe degli strigili offre tuttora un campo ove gli spigolatori di epigrafi trovano di quando in quando da arricchire di nuovi nomi la serie dei bolli già registrati. Questa serie abbraccia tre diverse qualità di bolli, secondo la lingua e la scrittura in essi adoperata: così una parte, ed « (1) Garrucci, Sylloge inscr. lat. aevi Rom. r. p., 555, 795, 796, 801, 849, 1529, 2330 cet. (2) Id., ib'id., p. xi, seg. 88 GIORNALE LIGUSTICO è la più numerosa, consta di nomi in greco, un’altra appar-* tiene all’ epigrafia etrusca, la terza finalmente esibisce nomi in lingua e caratteri latini. Trascrivo qui sotto alcuni bolli delle tre specie inscritti a rilievo su manichi di strigili enei : APOMOilSil con palmetta proveniente, dai noti scavi eseguiti a Telamone dal sig. Vi-varelli, d’ onde uscirono i tanti e si insigni bronzi di cui la maggior parte passò poi ad arricchire il Museo etrusco di Firenze (i). Presso il March. C. Strozzi. Tre variati esemplari di questo bollo, rinvenuti a Chiusi, possiede in Milano il Sig. Amilcare Ancona, che mi è grato qui nominare a titolo di onore per 1’ esimia liberalità con cui pone a disposizione degli·» studiosi la sua ricca collezione di rare ed erudite antichità; e sono : 9· AIOMOÛPÛ !0· ίίςΠΟΜΟΊΑ ”· //// ΜΟΌ Le strane leggende di simili bolli danno argomento a sospettare che gli strigili così improntati esser possano fattura di artefici etruschi, i quali li abbiano per avventura contras-segnati di lettere desunte dall’ alfabeto greco, allo scopo di farli credere di greca importazione, in quella guisa appunto che tuttodì si contraffanno le marche di fabbriche forestiere su prodotti di industria nostrana. È nota I’ attitudine degli Etruschi ad imitare e a contraffare le opere d’ arte e i prodotti (i) Io fui il primo a render di pubblica ragione alcuni fra i più esimii cimelii epigrafici di quel tesoro. V. Poggi, Contribuì, allo studio dell’epigr. etrusca, 5, 9, 35. GIORNALE LIGUSTICO 89 industriali esteri, specialmente greci. Come a Cere si imitavano le ceramiche di Corinto, è lecito arguire che ivi e in altri paesi si contraffacessero più tardi altri articoli di moda, specchi, strigili, ciste, ecc. Le stesse considerazioni sono applicabili al seguente, di ignota provenienza, nella Galleria degli Uffìzi in Firenze: 12. ■ ΡΑΡΔΑΜΟΘ //// E // Σ Più pronunciato è il carattere etrusco di altro bollo del Museo fiorentino, su cui, a rilievo, un cavallo corrente a briglia sciolta a destra, e in giro nel campo la leggenda 13. NVA^3D3 Per contro, sembra non potersi dubitare che lo striglie segnato col seguente bollo sia di importazione greca : 14. ΤΡΑΣΥΜΜΑΚΟΥ Proviene da Telamone, e trovasi presso il march. Carlo· Strozzi. 15. //ADM in rettangolo, nel Museo etrusco di Firenze, La leggenda sembra potersi plausibilmente supplire (c)ADMmì. 16. Delfino sovrastante ad un chicco d’orzo, e nel campo le lettere Ai iniziali del prenome e del gentilizio dell’ artefice. Nello stesso Museo. 90 GIORNALE LIGUSTICO 17· TATTAL duplice bollo a nastro su manico di striglie nella Galleria degli Uffizi. Leggasi Titi ATTAL^· Del gentilizio di questo artefice esibisce altro esempio la tessera gladiatoria ΒΑΤΟ || ATTALENI II SP · A · D · IV · N · MAR || L · SVL · Q · MET dell’anno 674 di Roma (1), e la sua desinenza è buon argomento a congetturare che la famiglia che lo portava fosse originaria del Piceno o dell’Umbria, regioni dove appunto ricorrono più frequenti i nomi in — enus, i quali ancora ai tempi del Borghesi (2) ritenevansi derivati dall’ adozione, mentre è oggi posta in sodo la loro natura Mi veri e propri gentììicia. Non metto in conto coi precedenti un altro bollo a nastro, coll’ iscrizione CPOLLI fra due rosoni, perchè già conosciuto, avendone il Ritschl pubblicato un esemplare proveniente da Toscanella (3). Non tornerà tuttavia discaro a chi si interessa di questi studi conoscere che un altro esemplare dello stesso striglie, però di ignota provenienza, conservasi oggidì nel Museo fiorentino. Questo striglie e parecchi altri di paleografia analoga si riferiscono con fondamento all’ età augustea (4). 18. Da questa venendo ad altra più estesa ed interessante classe di monumenti, quale è quella dei vasi fittili, ricorderò (1) Garrucci, Sylloge, 992. (2) V. Diploma di Traiano Decio. (3) Enarr. p. 95, tab. p. Cf. Garrucci, SylL, 2275. La mia lezione differisce per la mancanza d’interpunzione fra la sigla del prenome e il gentilizio. (4) Ritschl, op. cit. ib. Garrucci, Syll. 2276, 2277 ; Dissertazioni archeol. I, pag. 141. GIORNALE LIGUSTICO 91 anzitutto una kylix a figure gialle su fondo nero , nel cui interno vedesi riprodotta la superba composizione graffita sul noto specchio etrusco rappresentato nella tavola LXXXIII dell’opera del Gerhard (i), ed esprimente la riunione di Bacco con Semele nell’Olimpo. Il Giovinetto Bacco, nudo, adorno di argilla e di monile, abbandona il tirso lemniscato per attaccarsi al collo della madre deificata e rigettarsi allo indietro fra le di lei braccia. La quale vestita di ricco chitone con sovrapposto pallio e insignita di stefane o anipyx e collana , lo stringe al seno e abbassa la testa su quella del figlio divino per baciarlo teneramente. Apollo clamidato con diadema , monile ed eleganti crepide , assiste ai loro trasporti, poggiando la destra al fianco e la sinistra ad un lungo ramo di lauro ; mentre dietro a lui un Fauno nudo e senz altro ornamento che un monile della stessa graziosa forma di quelli che ricingono il collo dei due numi, e consistente in un cerchietto a cui sono appesi sull’ alto del petto tre paia di piccoli dischi, siede su di un masso suonando la doppia tibia. Il tutto entro un serto d’ edera. A differenza del citato specchio eneo, le figure di Semele e di Bacco non sono quivi indicate dai nomi e MNV>JSVS; bensì a quella di Apollo sovrasta, come sullo specchio, un cartello colla leggenda vma Ma ciò che rende singolare la rappresentazione vasculare è che concentricamente al serto d’ edera corre un secondo (i) Etruskische Spiegel, III. È pubblicato anche nei Montini, ined. de l'Inst. arch., I, pl. LVI A., e trovasi riprodotto dall’Inghirami, Storia della Toscana, tv. XLI, 2 , da Miiller-Wieseler, Denlim. der alten Kunst, I, taf. LXI, 308 , nel Dictionn. des antiq. grecq. et rovi,, di Daremberg e Saglio, I, p. 609, etc. 92 GIORNALE LIGUSTICO fregio, al di là del quale, cioè lunghesso il labbro della tazza, alternansi con altrettante palmette dodici cartelli portanti le seguenti iscrizioni : KA>IOl eiko* KAMDS ΜΚΟΙΆ ΔΟ»ΟΟΕ OSKAkOS KAMOlA IANI3XO fATEPOS P AISKAIOS MEMNON KAMOI Per quanto risguarda la parte figurativa, è noto che una rappresentazione identica a quella del prefato specchio etrusco trovasi riprodotta in gemma (i); nè si udrà ora senza interesse come della stessa rappresentazione un altro esemplare sia esibito dalla pittura vasculare in esame : sebbene io non abbia avuto agio di confrontare questo cogli altri due esemplari già conosciuti, per riscontrare quali e quante varianti il confronto dei singoli particolari possa per avventura mettere in rilievo. Simili confronti riescono sempre interessantissimi, atteso che gli antichi artisti non solo ripetevano le opere reputate insigni, ma spesso le copiavano più o meno liberamente, modificandone i particolari, aggiungendo o eliminando accessorii, e variando non di rado l’insieme della composizione , anzi talvolta perfino adattavano le figure d’un sog- (i) Tolken, Verxeichniss der Gemmensammlung, III, 3, n. 967; Müller-Wieseler, op. cit. II, tf. XXXVI, 430. GIORNALE LIGUSTICO 93 getto alla rappresentazione d’ un altro. Per atto d esempio, la celebre rappresentazione conosciuta sotto il titolo di Diomede che rapisce il Palladio, della quale ci rimangono tante repliche in gemme derivate probabilmente da originale in pittura di Poiignoto (i), non pure ammiiasi espi essa con molte varianti, ma adattata eziandio ad esprimere Oreste al-Γ ara di Delfo, e forsanche Paride vincitore dei giuochi funebri troiani, che si rifugia all’ara di Giove έρκεΐος inseguito dai fratelli, soggetto prediletto dagli artisti etruschi. Rammento in proposito d’aver posseduto alcuni anni fa un vetro antico trovato nella campagna di Eboli e ritraente la famosa composizione del notissimo dipinto murale di Pompei denominato la Venditrice di Amori. Quel vetro calcato sopra un eccellente cammeo oggi perduto, esprimeva con una meravigliosa finezza di particolari la rappresentazione di cui il dipinto Pompejano ci offre invece una esecuzione molto trascurata, colla variante importantissima che gli Amori venivano dalla venditrice esibiti non già ad una dama panneggiata e sedente come nella pittura pompejana, ma bensì ad una vaghissima donzella ignuda e stante. Basta invero la considerazione che le rappresentazioni congé,-neri dell’ arte antica derivano generalmente da originali oggidì perduti, per rilevare di quanto momento torni all’ archeologo il porre le une a cospetto delle altre, affine di asseguire mediante 1’ analisi delle varianti che risultano da tali riscontri un più completo intuito dell’ archetipo donde provengono. Le leggende del labbro interno della tazza sono nomi personali intercalati ad acclamazioni proprie di questa classe di monumenti, e la loro grafia accusa la mano d’ un artista che lavorava d’imitazione , ed al quale erano poco famigliar! la lingua e la scrittura greca. (i) V. Poggi, Iscrizioni gemmarie, Serie i, 22. 94 GIORNALE LIGUSTICO Sulla parte esterna della tazza è figurato da un lato un efebo in atto di fuggire, difendendosi colla χέλυς alzata, da un nemico che Γ incalza colla spada sguainata. Egli si rifugia sotto la protezione di Apollo che, cinto il capo di alloro, siede suonando la lira. Dall’ altro lato vedesi lo stesso efebo inseguito da una figura alata. Questa kylix apparteneva, quando io la vidi l’anno scorso, al negoziante sig. Giuseppe Pacini in Firenze. Il fatto che su questa kylix trovasi riprodotta la rappresentazione d’uno specchio graffito corrobora l’induzione emergente, come accennai, dall’ ortografia della Teggenda, che trattisi, cioè, d’un vaso d’ imitazione, appartenente perciò, ad un’ epoca relativamente recente della civiltà etrusca (2.a metà circa, del secolo III av. Cr.), nella quale 1’ uso di decorare le tombe con vasi dipinti importati dalla Grecia andava in generale scomparendo, e si adibivano come suppellettile funebre, sussidiariamente agli specchi graffiti e ad altri nuovi articoli , prodotti di fabbriche locali, ultime- manifestazioni d’ un’ industria il cui ciclo storico stava ormai per chiudersi definitivamente. 19. Di stile arcaico e non posteriori al VI secolo avanti Cristo , sono invece i seguenti a figure nere con violaceo e bianco , alcuni dei quali specialmente si raccomandano per più rispetti all’ attenzione di coloro i quali fanno soggetto di studio le rappresentazioni e le leggende dell’ antica pittura vasculare. Anfora attica ; alt. 0,420 ; circonf. massima 0,780. Sulla faccia nobile sei eroi troiani indicati dalle iscrizioni ///0//1 EA>NA-f- ÇOTX3H ^Ο'ΊΒΛΑ ΕΟ^Δ^Α^ΊΑ in fila un dietro l’altro squassano le aste contro A-H^EVE che si difende da solo, menando colpi colla testa recisa di ΕΟΊΙΟ^Τ che egli impugna pei lunghi capelli rotandola a GIORNALE LIGUSTICO 95 ilio’ di mazza, e il cui corpo giace ignudo ai suoi piedi vicino ad un oggetto conico ornamentato a quadretti con croci, forse la tenda. Achille è vestito di corazza sovrapposta a corta tunica, con elmo , clipeo e cnemidi, e tiene due aste nella sinistra. I troiani sono elmati, clipeati, con cnemidi: le insegne dei clipei sono un colombo , una testa di bove, un tripode, un uccello , una protome di pantera ; 1 ultima è scomparsa. Sulla faccia opposta vedesi effigiata una corsa di quattio cavalieri, colla leggenda nel campo ILA /// IA* KIPIAE HA//PIA* Al disotto della principale girano altre zone con uccelli a testa di donna, pantere, gru, sfingi, e altri animali di stile asiatico. Proviene dagli scavi praticati nel 1880 dal cav. Luigi Maldura in Montalto di Castro, territorio Vulcente, e più precisamente nella tenuta denominata La Peseta romana, di proprietà del principe di Piombino, e trovasi col rimanente del ricco prodotto di detti scavi nel Museo etrusco di Firenze , per recente acquisto del Ministero dell’ Istruzione Pubblica. Gli espositori delle antichità figurate osserveranno le singolarità dell’ azione ivi rappresentata, in quanto il mito di Troilo vi si esibisce sotto un nuovo punto di vista, in un momento, cioè, posterioie a quello che forma ordinariamente il soggetto delle tante rappresentazioni figurate ad essa riferibili, di cui porgono esempio così i vasi dipinti di stile arcaico come i bassorilievi delle urne etnische. Queste rappresentazioni, infatti, riproducono, sebbene non senza varietà di particolari, Γ episodio dell’ inseguimento e dell’ uccisione del giovine figlio di Priamo per opera di Achille, mentre il vaso in esame esprime una fase ulteriore che costituisce 1’ epilogo del sanguinoso dramma, completando 96 GIORNALE LIGUSTICO così lo sviluppo di un mito che è tanta parte del ciclo troico. Nè sfuggirà al paleografo Γ andamento della scrittura ora da destra a sinistra, ora da sinistra a destra, come non passerà inavvertito Γ uso dell’ alfabeto ante-euclideo , il γάμμα rappresentato dal segno il χΐ dal In generale, tanto la grafia delle leggende, quanto lo stile del disegno rigido e legato bensì, ma accurato nei particolari, autorizzano a ritenere questa anfora, se non sincrona, almeno riferibile ad una data assai prossima a quella del famoso vaso Francois. 21. Frammeuto di anfora (?) d’ignota provenienza: altezza 0,198; lungh. 0,240. La zona inferiore è istoriata a figure di leoni e di galli con fiori di loto. Nella zona inferiore è rappresentato il combattimento di Achille, •^νΞ'ΝΐΦΑ, e Memnone ν|θ(η'*13)ι'11, vicino al ca-^ davere di Antiloco, 20Φ0ΊΙΤιΐ(Α)· I due eroi vestono corazza sovrapposta a tunica, con elmo e cnemidi ; impugnano colla destra l’asta, colla sinistra lo scudo, e pende loro dal balteo sul dorso il parazonio : sul clipeo di Memnone vedesi Γ episema della Gorgone. Dietro ad Achille è Teti, $IT3®> diademata, in chitone con pallio; dietro a Memnone rimane parte della figura dell’Aurora, EOS, in atto di inquietudine e di spavento. Al di là di Teti scorgesi un’altra figura, coll’iscrizione ^NB^OT- Nel Museo etrusco di Firenze. 22. Kelebe; alt. 0,400; circonf. 1,280. La faccia nobile offre la rappresentazione d’ un simposio, con quattro clini su ciascuna delle’ quali recombenti un uomo e una donna: appese alla parete tre lire; nel campo le iscrizioni : ΜΦΟΡ NOTAIS Bf>MA20^ SOWIM ////// ///// ////// GIORNALE LIGUSTICO 97 Sulla faccia postica veggonsi tre coppie di cavalieri armati di tutto punto e seguiti da due opliti. Le insegne degli scudi sono un occhione, un rosone, una mezzaluna con un disco fra le corna, e un astro. Nel campo 23. Β5////Γ10Ν hAAAMAM ΓAAAMAFOM Inferiormente alle rappresentazioni, in ambidue i lati, corre una zona di animali. Sotto le anse sono dipinti due galli. Nel Museo etrusco di Firenze. 24. Idria; alt. 0,372; circonf. mass. 0,960. Sull’ orlo : Ercole nudo , la destra armata di clava, alle prese col leone Nemeo. A destra e a sinistra del gruppo , veggonsi accorrere due guerrieri, uno dei quali (Iolao) ignudo con asta nella destra e il braccio sinistro involto nella clamide; l’altro in tunica succinta, con parazonio. Chiudono la rappresentazione due figure in lungo chitone con pallio. Sul ventre : quadriga, su cui un guerriero in pieno assetto di guerra a fianco dell’ auriga che tiene colla sinistra le redini e nella destra il kentron : al di sopra dei cavalli volita un uccello augurale. Nel campo leggonsi i nomi dei cavalli OPIPOS AN+IPOS ΜΔΑΙ3Π 3*10ΨΙ>ΙΑ\/ Proviene dalla Pescia Romana come il n. 13, col quale ha una sensibile analogia di stile. L’appellativo Oripos (δριπος, piè-veloce) come nome di cavallo ricorre in altri vasi dipinti dell’epoca arcaica, teste la kylix di Senocle (XSENOKLES) trovata ad Orvieto e oggi nella collezione del Collegio alla Querce in Firenze. Questa kylix edita primamente dal dott. G. Kòrte negli Giorh. Ligustico, Anno IX. 7 98 GIORNALE LIGUSTICO Annali dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica (i), venne testé ripresa ad esame e illustrata dal chiarissimo mio amico P. Leopoldo De Feis (2), il quale dissertò dottamente sulla etimologia di detta voce, cui derivò da δρνϋμι contro l’opinione del prefato dott. Kòrte che la vuol procreata dal coniugio di ουρος con ίππος. 24. Di disegno meno legato e di stile più largo, quindi di età alquanto posteriore a quella delle precedenti, è Γ infrade-scritta anfora attica, magnifico campione della scuola arcaica pervenuta all’ apogeo del suo sviluppo. Da una parte è figurato il duello fra Ercole e Cigno, tema favorito dalla pittura vascularia di quel periodo. ΗΕΙ>ΑΚ(Έ5 vestito della pelle leonina stretta al corpo con cintura e a cui è sottoposto un corto chitone, la clamide sul braccio sinistro e il turcasso sugli omeri, afferra colla sinistra il suo avversario per la cresta dell’ elmo e colla destra alzata gli mena un colpo di ξίφος. «VKNOi in ricca armatura, elmo, corazza, parazonio, ocree e scudo coll’episema d’una maschera gorgonica fra due pantere, è obbligato dalla pressione di Ercole a piegare un ginocchio, ma alzando Γ asta tenta di trafiggeie il suo nemico. Dietro a lui sta Giunone diademata, in doppio chitone ricamato, alzando le braccia in atto di spavento, mentre dietro al semidio vedesi Pallade con elmo, lungo chitone a ricami ed egida, appoggiata all’ asta e col clipeo ai piedi. Dalla parte opposta, un vecchio personaggio cui l’iscrizione determina per S0TSA<1AA, cinto il capo di edera, in lungo e ricco chitone con pallio, siede su difros oliladias, appoggiandosi allo scettro, mentre dinanzi a lui chiedendo ospitalità stanno in piedi un astato con clipeo dall’insegna della (1) Ann. 1877, p. 131. (2) Di alcune epigrafi etrusche e d’un calice greco, Genova 1881, p. 12. CIORNALE LIGUSTICO 99 triquetra, ed un arciere di cui manca la testa e parte del busto. Una cagna accorrendo si alza colle due zampe anteriori verso il vecchio Adrasto; il quale stende una mano per accarezzarla. Dietro il medesimo è una donna con lunghe trecce di capelli scendenti sulle spalle e sul petto, in chitone con sovrapposto pallio a ricami, alzando le mani in atto di sorpresa ; probabilmente Amphitea sua moglie. È verosimilmente lo stesso soggetto trattato con diversa composizione su noto vaso di stile antichissimo del Museo di Copenaghen (i), dove il re d’Argo è invece rappresentato recombente sul letto , mentre i due stranieri stanno seduti dinanzi a lui in atteggiamento di supplici. Trattasi, cioè, di Polinice figlio di Edipo, e di Tideo, fuggiaschi il primo da Tebe per opera del fratello Eteocle, e il secondo dall’ Etolia in seguito ad un Omicidio; i quali si presentano alla reggia: di Adrasto per implorarvi un asilo. Questo avvenimento, a cui tenne dietro il matrimonio dei due giovani principi con Argia e Deipile figlie di Adrasto, ha una peculiare importanza nel mito tebano, e si intende facilmente come si trovi ricordato ' con varietà di particolari dall’ antichità figurata non meno che dalla scritta (2), chi pensi che ad esso fa capo la spedizione dei sette eroi contro Tebe, organizzata appunto da Adrasto per reintegrare il genero Polinice nel dominio paterno. L’ anfora è alta 0,590, e misura di circonferenza 1,160. Proviene da Cerveteri, e trovasi come la precedente nel Museo etrusco di Firenze. (Continua) (1) Abeken , negli Ann. dell' Istii. corrisp.. archeol., 1839, p. 255, tv. d’ agg. P. Overbeck, Thel·. Heldenkreis, p. 84, taf. Ili, 4. Heydemann, in Denkmàl. und Forsch., 1867, p. 130 e taf. CCVI. Daremberg e Saglio, Diclionn. des antiq. grecq. et rom., fìg. 122, p. 82. (2) Euripid., Suppl. 131; Phoeniss., 411: Scol. ad v. Apollod., III, 6, I. Stat., Thel·.y 524-539. Hygin., Fal·., 69. 100 GIORNALE LIGUSTICO STORIA DEI GIUSTINIANI DI GENOVA del prof. Carlo Hopf, trad. da A. Wolf (Continuazione e fine v. pag. 65) ■9 Nè erano meno proficui i da^i d’entrata (commercia forensium) fissati in origine a 5 iperperi per ogni quintale di merci, e poscia cresciuti a tassi esorbitanti. Ne andavano esenti le merci introdotte a bordo di legni genovesi, in base ad una convenzione che accordava la stessa immunità alle merci introdotte in Genova e negli altri porti della Repubblica sotto la bandiera dei Giustiniani; e dopo il 1484 anche i legni turchi parteciparono in Scio dello stesso privilegio (1). S intende d altronde, che il prodotto di questi dazi, in ordine ai quali i documenti somministrano dati abbondantissimi (2), era soggetto a grandi oscillazioni secondochè le tariffe erano alte e basse, e più o meno favorevoli le congiunture generali da cui dipendeva la frequenza dei porti e Γ attività dei traf-I da^i di transito tolti del 1396 vennero introdotti di nuovo nel 1463 (3), e poi aboliti per sempre con decreto del 15 giugno 1513 (4). Anche da questi erano esenti le navi « (1) Cod. Giust., tom. II, fol. 2pb-2^2b.— Cod. Belg., fol. 275 ab. (2) Ved. Cod. Giust., tom. I, fol. 138b-143 a.; 205 a-206 a; 223 b-234a; tom. II, fol. 202b-203 b; 23ib-232 b; tom.IIIfol. ija-i9b; 25 b-27 b ; 31b-33 b; 43 b - 45 b; 58 b-61 a; 68 b-69 b. ; 98 b-99 b; 110 a-112 b ; Ii6b-n8b; I2ib-i22b; i36b-i4ob.— Cod. Belg., fol. 248 b - 250 b ; 275 ab. — Fatti storici, doc. n. 6. — Carte della Maona, fol. 26. — Liber magnus contractuum (nell’ Archivio di S. Giorgio), fol. 244a, 350a, 470 a; 549 a. — Liber parvus regularum, 1407-1428 (ibidem), fol. 20 a, 24 a; 186 a; ed in molti libri delle cosidette Colonne. (3) Cod. Giust., tom. Ili, fol. Ia-7a. ' (-Ί-) Ioid.j tom. II, fol. 310 ^-313 e. GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ genovesi quando sostavano in Scio, in obbedienza ad una legge che imponeva tale fermata (d’un giorno) a tutti i legni provenienti da Genova e diretti ai porti di Levante. 3. Diritti ed appalti diversi. — La decima del bestiame, dei molini ed orti (1), i fìtti dei magazzini pubblici e dei beni demaniali, il prodotto degli appalti di Focea Nuova e Focea Vecchia. Quanto ai beni demaniali, risulta che le case e gli orti s’ affittavano per un termine di 5 anni, i boschi a beneplacito del podestà (2). 4. Il commercio, in ispecie del mastice. — Uno dei cespiti più lucrosi d’entrata, il cui prodotto ridondava ad esclusivo vantaggio della Maona, era il commercio. Scio era durante il medio evo uno degli empori più importanti d’ Oriente (3); e perduta Caffa e decaduta Γ influenza genovese in Cipro, fu anche Γ unica colonia posseduta dalla Repubblica in Levante. Navi francesi, inglesi, italiane , spagnuole (segnata-mente catalane) (4), egiziane, siriane ed arabe concorrevano nel suo porto, come pure in quello di Focea (5), recandovi i prodotti dei propri paesi e caricando in iscambio i marmi del Pelineo, una terra fittile non inferiore a quella di Lemnos, i vini squisiti, Γ olio ed i frutti del mezzodì che Scio pro- (1) Cod. Giust., tom. I, fol. 192 b-193 a. (2) Ved. decreti dei 3.1 maggio 1364 e io febbraio 1488; col quale ultimo viene ingiunto ai fittaiuoli della Maona di pagare senza dilazione i fitti arretrati. — Cod. Giust., tom. I, fol. 222 a. (3) Sabdlic., Decad. Ili, lib. IX, p. 561, (ed. Basii. 1661, 4). — Bo-scbini, L’Arcipelago (Venezia 1638, 4), p. 78. — Decreto dei 22 dicembre i486. (4) Ancora nel 1549 venne nominato un console catalano per Scio, nella pfersona di Galceran Albanell. — Ved. Capmany, Memorias sobre la marina de Barcelona, tom. II, apend. p. 65 (ed. Madrid, 1779-1792, 4). Anche la Francia vi ebbe un consolato, occupato da Giuseppe Giustiniani quando capitò nell’ isola il barone d’ Aramon. (3) Ducas, c. 25 (p. 161). 102 GIORNALE LIGUSTICO duceva in grandissima abbondanza. Roseti e boschi di cedri, ora recisi dall’ascia del Turco, coprivano l’isola, empiendo Γ aere tutt’ intorno della loro fragranza. La seta di Scio era tenuta in altissimo pregio, massime quella della parte settentrionale, dove vaste piantagioni di gelsi alternavansi con le viti, i cui tralci, disposti in innumerevoli festoni, si davan la mano di colle in colle e di poggio in poggio. Ma furono sopratutto due prodotti, quelli il cui monopolio diventò una sorgente di ricchezza per i Giustiniani: 1’ allume di Focea ed il mastice di Scio. La coltivazione delle allumiere, che avevano^ già fruttato somme sì ingenti agli Zaccaria, veniva esercitata dagli appaltatori di Focea con 1’ obbligo di stabilirvi grandi opifizi e magazzini. Al comodo dei negozianti d’ allume serviva un apposito Bazar in Focea Nuova, nel quale tutti i Maonesi potevan vendere e comprare liberamente durante cinque giorni della settimana, gli altri due essendo riservati all’ appaltatore. Quanto al mastice, fu già accennato che esso era il prodotto esclusivo dei distretti meridionali dell’ isola, e la sua estrazione e vendita monopolio della Maona (i). Appositi ufficiali (officiales super recollectis masticis) raccoglievano la preziosa resina, e ne distribuivano il prodotto netto in parti eguali fra gli azionisti. Per ovviare all’ esaurimento delle piante e mantenere sempre alti i prezzi, si era stabilito di restringere la quantità dei raccolti annui entro un limite fìsso, con la riserva che le quantità prodotte in eccedenza della normale sarebbero, secondo i casi, o abbruciate addirittura, o (i) Cyriac. Anconit. Epist. inédit, n. 2.— Notizie degli anni 1332-1336 si trovano in Gulielmi de Boldenselen Hodoeporicon (ediz. 3, in Grotefend. I signori di Boldeselen, Hanov. 1855, 8) p. 32). — Vedi pure la relazione dell’ ambasciatore Ruy Gonxah{ de Clavijo (1404-1405) nella Historia del gran Tamorlan (Madrid 1782, 4), p. 42-43. GIORNALE LIGUSTICO IO3 tenute in serbo nei magazzini per un altro anno (1). — A nessun privato era lecito di vendere la preziosa resina ai forestieri; ed appositi doganieri '(persequitores) frugavano tutte le navi in partenza, vigilando che non portassero seco mastice di contrabbando. Severissime erano le leggi dell’isola nel colpire i ladri e contrabbandieri : le sottrazioni di quantità minori di 10 libbre punivansi con una multa di 1 a 5 iperperi per ogni oncia, ed in caso d’insolvibilità colla frusta e la perdita d’un orecchio ; dalle 10 alle 25 libbre comminavasi » (1) Notizie più diffuse sul mastice si trovano in Michele Giustiniani, Lettere memorabili (Roma 164,4) Tom. J, p. 15, ed in Nicolò de Nico-lay (compagno del barone d’Aramon), Navigazioni e viaggi nella Turchia, trad. da Francesco Fiori (Anversa 1576, 8.°), p. 78. — Traduz. francese (Anversa 1577, 4.0), p. 112. Riportiamo da quest’ultimo i particolari seguenti: « Le piante di mastice (Pistacia Lentiscus L.) si trovano nei piani me· » ridionali dell’ isola, laddove sorge il promontorio di Fanea, detto ora » Capo Mastice, e sono produzioni esclusive di Scio , amenochè siano » attendibili le relazioni di certi viaggiatori spagnuoli che dicono averne » visto anche nelle Indie. Il Governo dell’ isola assegna ad ogni abitante » dei villaggi circonvicini un numero determinato di piante con l’obbligo » di curarle e mondarle, e consegnare all’ epoca del raccolto una quan-» tità fissa di resina proporzionata al numero delle piante assegnate. » Qualora il raccolto ecceda là misura normale, i raccoglitori ricevono » dal Governo un tanto per ogni libbra eccedente, mentre nelle annate » cattive, quando raccolgono meno della misura, devono pagare il doppio » per renderli più operosi e diligenti. Il raccolto incomincia in luglio ed » agosto, e si fa succhiellando la corteccia delle piante in molte parti con » appositi strumenti di ferro. La resina esce sgocciolando, e si raccoglie » quando ha fatto crosta, cioè per lo più in settembre. Terminato il rac-» colto, il Governo nomina tra i propri membri una Giunta di quattro, » sotto la cui direzione gli impiegati subalterni dividono il prodotto del-» 1’ anno in quattro parti ; una per la Grecia , una per 1’ Occidente (Italia, » Francia, Spagna, Germania), una per l’Asia Minore (vera Turchia) ed » una per la Siria, l’Egitto e la Berberia: in tutto 150 casse, ciascuna » del peso di due quintali e del valore di 100 scudi ». 104 GIORNALE LIGUSTICO il marchio; dalle 25 alle 40 la perdita del naso; dalle 40 alle 50 la perdita del naso e d’un orecchio; dalle 50 alle 80 la pena predetta ed il marchio di giunta; dalle 80 alle 100 la perdita delle due orecchie e del naso ed il marchio; dalle 100 alle 200 la perdita del naso e d’ un occhio, o d’ un piede o d’ una manò, a beneplacito del podestà. Il furto di più di 200 libbre e di 100 nella prima recidiva, di 50 nella seconda, veniva punito con la forca. Premi proporzionati all’ entità del furto incoraggiavano i delatori. La pena del manutengolo era uguale a quella del ladro, talora anche più dura (1). La quantità di mastice che la Maona smaltiva ogni anno ascendeva in media a 430 quintali, 120 dei quali andavano nei paesi d’ Occidente, 114 in Armenia e Cipro, Rodi, Siria ed Egitto (i Giustiniani tenevano fondachi e in Alessandria e in Damasco), e 200 nelle altre contrade dell’Asia Minore (2) e nella Romania, che comprendeva la Grecia, Costantinopoli e la Crimea. Ognuna di queste tre partite si vendeva, di regola, in blocco, per una serie di tre, sei, otto ed anche dieci anni, a negozianti o associazioni costituite apposta per questo commercio , le quali rimborsavano la Maona in rate semestrali con cambiali tratte sopra Cipro 0 Genova. Stando a un documento del 31 maggio 1364, il prezzo del quintale era in quell’anno di lire 40; sali nel 1391 a lire 51 '/2 (3); e venne li 19 agosto 1407 fissato una volta per sempre a lire 45 (4), (1) Cod. Giust., tom. I, fol. 187 a-189 a; tom. II, fol. 710-73 a. — Cod. Belg., toi. 90 a - 94 a. — Cyriac. Anconit., Ep. ined. 2. (2) Cod. Giust., tom. II, fol. Sya-<)2iL·, 94a; 96a; 97 b -101 b; noa-ii2a; 115 a-118 a. — Cod. Belg., fol. 101 a-115 b; H7b-i23b; 125 b-i26a; I29a-i38a; 148 b -15 3 a ; ij6a-i6ia — Federici Collect., tom. I, ad ann. 1398. (3) Cod. Giust., tom. II, fol. 7 5 a - 78 b. — Cod. Belg., fol, 94bTioia. (4) Cod. Giust., toni. II, fol. 1403-148 b. — Cod. Belg., fol. 177 b-187 a. GIORNALE LIGUSTICO talché questo introito rese nei decenni susseguenti la media di lire 19,530 all’anno; vale a dire un dividendo di lire 1,500 per ogni duodeno. Nel secolo XVI il prodotto annuo scese a 300 quintali (κιβατοι a 320 libbre ossia 3,840 onde) incirca, che al prezzo corrente di 100 ducati (1) fruttavano alla Maona 30,000 ducati, cioè un dividendo di ducati 2,300 per ogni duodeno. 5. Le. multe (2) ed il diritto di caducità, fa'). — Mercè di questo la Maona succedeva nelle sostanze degli Scioti defunti senza eredi naturali e testamentari (4), e concorreva per un terzo delia sostanza con gli eredi testamentari, e. con tutti gli eredi naturali che non erano discendenti legittimi del defunto. 6. Il diritto della %ecca. — Lo esercitava il podestà a nome della Maona sino dal 1347, valendosi dell’opera d’uno zecchiere mandato da Genova. Le monete d’argento impresse quando con l’effigie del doge di Genova quando con la semplice croce e la solita leggenda « Conradus rex Romano-rum » (5), avevano sul rovescio lo stemma dei Giustiniani con (1) Secondo Belou, il prezzo medio sarebbe stato di 205 ducati. Il medesimo autore spiega la disposizione di abbruciare le quantità divmastice raccolte in eccedenza della normale col fatto che la Maona pagava una parte del tributo dovuto al Sultano in mastice, ed aveva quindi un interesse di mantenerne alto il prezzo. (2) Cod. Giust., tom. I, fol. 242 a. (3) Cod. Giust., tom. I, fol. 131b- 132 b; tom. II, fol. 158 a, b ; 207 b-209 b. — Cod. Belg., fol. 204 a - 205 a. Lettera in dialetto genovese del 1461 (non 1373), presso Pagano op. cit., p. 310. (4) La consuetudine imponeva in tal caso alla Maona di erogare un terzo della sostanza nella celebrazione di messe per l’anima del defunto. (5) Genova ebbe il diritto della zecca nel 1139 da Corrado III, con la condizione che le sue monete portassero sempre il di lui nome. Serra I, 131. — Meno esatto Muratori in Phil. Ar -elatus, De monetis Italiae. (Mediol. 1750, 4.°), tom. I. p. 92, tav. LXXX, e con Muratori Münter Om Frankernes Mynter i Orienten. Kjòbenhavn 1806, 4.0, p. 23-24'; pl. I, n. 4; e Buchon Rech. et matêr., tom. I, p. 459, pl. VI, n. io. ιο6 GIORNALE LIGUSTICO la leggenda « Civitas Chii »; alla quale s’aggiunsero più tardi anche il millesimo e le iniziali del podestà: p. es. V(incentius) I(ustinianus) 1552 (1). Oltre la fabbricazione delle monete d’argento, la Maona s’abbandonava poi, in concorrenza coi Gattilusi di Lesbo, alla speculazione di contraffare gli zecchini veneziani (2) : abuso che diventò una sorgente perenne di contese con Venezia. Un documento del 1454 ragguaglia 100 di questi zecchini contraffatti a 141 '/2 fiorini di Genova (3). I principali capi d’ uscita erano : i. I tributi e censi. — Il censo annuo di 500 iperperi, che la Maona pagò dal 1363 sino al 1453 all’imperatore di Costantinopoli per la conferma del crisobullo dell’ 8 giugno 1363; — il tributo di 500 ducati già dovuto al principe di Ssa-rukhàn ; — il kharadsch dovuto al Sultano, fissato nel 1415 a 4000 ducati, cresciuto a 6000 nel 1453, a 10,000 nel 1456, e nel 1566 sino a 14,000 (4); — il costo dei donativi che s’offrivano ai visiri (nel 1482 era di 430 ducati) (5); — il (1) Wlastos, tom. II, σελ. 44-45, dove si trovano pure tavole e notizie delle monete più antiche di Scio. (2) Idem, p. 46; Foglietta, lib. X, p. 581. (3) Notulario di Ob. Foglietta; Pand. Rich., libro fase, di cartina , fol. 181 a. — Uno di questi zecchini con la variante S. Laurentius (patrono di Genova) ed il nome del podestà Petrus de F(erarriis) fu acquistato nel 1854 dal Museo Correr in Venezia. (4) Nel 1555 il tributo ascendeva a 12,000 ducati, e veniva pagato in parte (4-5000 ducati) in mastice. Non può essere esatta la notizia di d’Aramon (o meglio del suo segratario Jean Chesnau), che lo fissa a 9000 nel 1550, poiché era salito a 12,000 già nel 1508. (Ved. Martin v. Paumgarten, Peregrinatio in Agyptum. Norimb. 1594, 4.°, lib. III, c. 15, p. 135. — È probabile che gli altri 2000 venissero aggiunti nelle trattative del 1558. — Sandys, Voyagien. Amsterd. 1665, 4.% p. 15. (5) Cod. Giust., tom. II, fol. 217b-229b. — Cod. Belg. fol. 262b-273 b; Bilancio dei 26 maggio 1482. GIORNALE LIGUSTICO IO7 dispendio delle ambasciate che andavano ogni anno a Costantinopoli ; — ed in ultimo il censo annuo di L. 2000, cresciuto dopo il 1385 a 2,500, che la Maona pagava in base ajla convenzione dei 4 novembre 1373 a^a Repubblica, la quale, come già accennammo, lo vendè li 13 marzo 1380 assieme ad altri introiti al Banco di S. Giorgio pel prezzo di L. 100,000 (1). Nel 1424, ed ancora nel 1476, i Protettori del Banco tentarono di accrescerlo ; ma la Maona respinse le pratiche intavolate a tal proposito (2). A soddisfare a questo esborso, la Maona assegnò (sino al 1455) come fondo speciale, il prodotto deir appalto di Focea-Nuova, e pare che nei primi decenni i pagamenti* si siano effettuati con la massima puntualità ; senonchè vennero a sconcertare questa combinazione le quistioni insorte, verso il 1440, con Franecsco Drapperio, appaltatore di Focea. Allora i pagamenti restarono sospesi ; e la Maona dovette nel 1444 oppignorare al Banco, in sicurtà del pagamento regolare del censo e degli arretrati, 600 luoghi che vennero amministrati da un apposito magistrato detto Officium Chii (3). 2. Spese d'amministrazione ; cioè gli stipendi del podestà, dei governatori ed altri impiegati, le spese militari (4) , il mantenimento della galea dell’isola (L. 1519 all’anno), i ristauri del porto, ecc. Nel bilancio del 1379, la somma totale di queste spese viene (1) Ant. Lobero, Memorie storiche della Banca di S. Giorgio , Genova 1842, 8.°. — Cuneo, Del debito pubblico di Genova e di S. Giorgio, Genova 1842, 4.0. (2) Cod. Giust., tom. I, fol. 175 a- 176 b; tom. II, fol. 189 a,b; fol. 247 a - 248 b. — Cod. Belg., fol. 233 b-234 b; fol. 2873-2893. (3) Epitome storico de’ diritti appartenenti alla famiglia Giustiniani sopra luoghi 600 di S. Giorgio, Genova, 1805, fol. 1 a - 7 b. (4) Cod. Giust., tom. II, fol. 118 b-119 a. — Cod. Belg., fol. 161 b. 162 b; decreto dei 26 maggio 1410. ιο8 GIORNALE LIGUSTICO valutata a fiorini 28,120 e 8 soldi. Si cercò ridurle (sopratutto le militari) ; ma malgrado tutti gli sforzi che si facevano in questo senso, esse andavano crescendo quasi ogni anno, e figurano ancora con la somma di 26000 ducati nei bilanci' degli ultimi anni d’ esistenza della Società. 3. Spese straordinarie. —Per quanto gli ordini del Governo avessero inculcato di limitare le spese straordinarie allo stretto necessario, e di ricorrervi solo per respingere gli sbarchi dei Turchi, la Maona non potè evitarle. Il ristauro delle mura, il vuotamento del porto dopo l’assedio del 1341, i continui armamenti contro i Turchi, segnatamente dopo la perdita di Focea e la caduta di Costantinopoli, richiedevano somme ingenti; ed i Giustiniani, non volendo procacciarsele con Γ imporre sempre nuovi pesi ai sudditi, già abbastanza aggravati, si videro ridotti a contrarre dei debiti, i cui interessi saliti in breve tempo a proporzioni enormi, disordinarono 1’ intiera economia finanziaria della Società. Ecco la serie degli imprestiti che la Maona contrasse col Banco di S. Giorgio. — Nel 1463, 415 luoghi al 4% (1); 106 luoghi nel 1469 (2); 300 nel 1475, metà dei quali vennero estinti nel 1476. Scadendo, due anni dopo, il termine dell’estinzione di altri 300 luoghi, la Maona non potè soddisfare all’ impegno , e si trasse d’impaccio contraendo un nuovo imprestito di 25,000 ducati, ossia 350 luoghi (16 febbraio 1478 (3), con l’obbligo di estinguerlo mediante il pagamento annuo di 1000 ducati oltre gli interessi correnti, e dando in pegno al Banco una parte degli introiti di Scio, ai (1) Comperae veteres Chii, nell’Archivio di S. Giorgio, 1584-1587, Epitome storico, fol. 8a-i6b. (2) Cod. Giust., tom. Ili, fol. nb. (3) Cod. Giust., tom. II, 233 a - 239 b. — Cod. Belg., fol. 276 b-281 a; e la ratificazione del Governo in data dei 6 agosto. — Cod. Giust., tom. II, fol. 245 a-246 a. — Cod. Belg., fol. 285 b-286b. GIORNALE LIGUSTICO IO9 quali aggiunse nel 1483 altre gabelle per garanzia del censo annuo il cui pagamento era rimasto sospeso sin dal 1479 (1). L’imprestito del 1478 s’accrebbe poi nel 1493 di 80-90 luoghi nuovi, e di 25-30 nel 1494; nel 1498 vi s’aggiunse un altro imprestito di luoghi 600. Ed ecco che la Maona nel 1513 dovè dichiararsi fallita, e cedere mediante la somma di L. 250,000 (2,500 luoghi) tutti i suoi introiti, tranne il prodotto del mastice, al Banco, 0 più precisamente ad un’ associazione anonima (Comperula) a questa affigliata, che assunse 1’ obbligo di estinguere tutti 1 debiti della Maona e di fare ad un tempo fronte alle spese d’ amministrazione di Scio. Ai massari della Maona subentrarono allora due procuratori della nuova Società, che amministrarono le finanze dell’isola sino al 1566; la Società stessa (Comperula vetus Chii) si sciolse soltanto ai 15 maggio 1589. La giustizici si amministrava nel Dikeotaton , palazzo spa zioso avanti il castello presso il porto, e adorno d’un magnifico portico a colonne di marmo, sotto il quale il podestà redigeva i suoi editti per farli poi pubblicare dal Banditore in latino ed in greco nella città e nei borghi. Lì presso era pure la cosidetta Στήλη της χαωσύνης , dove il podestà pronunziava le sentenze; e poco distanti si trovavano le carceri dei detenuti in arresto preventivo , dalle quali tutto il quartiere vicino prese poi il nome di Sclavia (2). Un tribunale di commercio composto di due Maonesi, un boghese latino ed un arconte greco , definiva in due giorni determinati della settimana le controversie commerciali. La giurisdizione civile in prima istanza competeva in parte ai rettori (1) Cod. Giust., tom. I, fol. 189 a; tom. II, fol. 73 b - 74 b. — Cod. Belg., 94 a, b. (2) Wlastos, tom. II, σελ. 30-31. ΧΙΟ GIORNALE LIGUSTICO distrettuali, ed in parte al podestà, il quale -giudicava pure in appello le sentenze dei primi. Gli appellanti contro i giudicati del podestà dovevano ricorrere con grande loro dispendio ai consiglieri del Doge in Genova ,^e dopo il 1396 al successore del podestà , se il valore dell’ oggetto di lite era inferiore a 100 iperperi (1). Fonte di diritto per regolare i rapporti civili erano in massima lo statuto di Genova, ed in via sussidiaria il diritto romano, che s’ applicavano senza distinzione a tutti gli abitanti, latini o greci che fossero; tranne alcune consuetudini locali, il cui mantenimento era stato conceduto ai Greci dalla capitolazione del 1346, e che vennero posteriormente confermate dal doge Francesco Garibaldo con decreto del 18 agosto 1393· Anche il diritto penale era nelle sue disposizioni più essenziali basato sulla legislazione romana. Chi ordiva macchi-nazioni per sovvertire il dominio genovese nell’isola, mao-nese, borghese o greco che fosse, ne pagava il fio con la confisca dei beni, e secondo la gravità dei casi anche con la morte. Ai delatori dei rei di tradimento era assicurata una rimunerazione di 500 iperperi all’ anno, trasmissibile agli eredi (2). D’ altronde venia fatto divieto assoluto di ricettare in Scio i Genovesi profughi o banditi dalla patria (3); e limitatissimo era il diritto d’asilo, tanto che il padre doveva consegnare al podestà il proprio figlio inseguito dalle autorità genovesi. L’ esecuzione delle sentenze era affidata al podestà. I malfattori ^condannati alla prigione scontavano la pena in una torre del castello (4), con l’obbligo di pagare un diritto carcerario (5). Ogni trimestre il cancelliere spediva a Genova (1) Cod. Giust., tom. I, fol. 131a. (2) Cod. Giust., tom. II, fol. 94 a - 95 b.— Cod. Belg., fol. 126 a-129 a. (3) Ag. Giustin., lib. V, fol. 205 a. (4) Cod. Giust., tom. I, fol. 190 a. (5) Ibid., fol. 136 a; tom. II, fol. 51a. GIORNALE LIGUSTICO 11 I la lista delle multe , il cui prodotto bastava da solo a sopperire a tutte le spese giudiziarie (i). Una gran piaga era la facilità con cui i condannati greci si sottraevano alla giustizia mercè Γ aiuto dei loro conterranei ; e per mettervi riparo venne pubblicato nel 1402 un decreto che comminava la forca ai manutengoli , ed una multa agli abitanti di tutti i· villaggi vicini a quello in cui si supponeva nascosto il latinante (2). Gli ordini militari dell’ isola erano modellati su quelli di Genova; la forza armata regolare, e piuttosto scarsa, oscillava fra i 300 e gli 800 uomini, secondo i tempi e la tendenza più o meno pronunziata a fare economie (3). Essa sottostava al comando del castellano delusola, e comprendeva oltre i mercenari , cui ogni Maonese teneva nel proprio seguito e che erano sempre a disposizione del podestà (4), un corpo di arcieri metà Scioti metà assoldati in Occidente, e pochi drappelli di cavalleria latina comandati da un capitano stipendiato per una serie d’ anni (talora di sei) (5) e scelto per lo più tra i condottieri italiani. Solo dopo il 1418 fu scelto, anche tra i Maonesi (6). Nei casi estremi il podestà poteva bandite la leva in massa, alla quale erano soggetti tutti i maschi adulti dell’ isola , senza distinzione di ceto e d’ origine. Il maggior nerbo della forza regolare presidiava la cittadella della capitale ; manipoli minori, sotto gli ordini d’ un (1) Ibid., tom. I, fol. 217 b-221 a; fol. 242 a. , (2) Decreto dei 27 novembre. (3) Decreti dei 26 maggio 1410 e 23 luglio 1417. (4) Ogni Maonese residente in Scio doveva mantenere due soldati ed un cavallo, verso un corrispettivo di 200 fiorini che riceveva dalla cassa sociale oltre il dividendo. — Cod. Giust., tom. II, fol. 643-73 b. (5) Cod. Giust., tom. II, fol. 45 a,b. — Cod. Belg., fol. 6ob-6ib; Fatti storici, doc. n. 3. (6) Cod. Giust., tom. II, fol. 179 b-180 b. 112 GIORNALE LIGUSTICO capitano, stavano nei sobborghi e nella città stessa al cui pie-sidio venne nel 1440 preposto un vice castellano. Anche gli altri quindici castelli dell’isola — Colla, Calaraoti, Cardamile, Lamista, Late, Lecovere, Melanete, Pennuccelli, Perparea , Pigri, Pitio , Sant’ Elena , S. Giuliano , Valisso (con la rocca di Psara) e Vigo — avevano le loro guarnigioni più o meno forti, i cui comandanti, col titolo di capitani 0 castellani, erano per lo più scelti tra i Maonesi. Tutti eiano ben provvisti di munizioni e d’artiglieria di grosso calibio. Valisso munito di nuove opere di difesa. Presso Hai inolia venne nel 1440 costrutta una fortezza nuova sotto la dilezione di Nicolò Giustiniani , cinta di doppio giio di mura, con entro due torri e 62 ca^e (1); e miransi ancora al giorno d’oggi le rovine delle specole, erette in quel tomo sulle rupi che presso Sidero, Pyrgi e Nennos scendono a picco nel mare. Fra tali castelli, rocche e torri isolate, 1 isola numerava 36 luoghi fortificati (2). Ma fu sopra tutto la difesa della capitale e del suo porto, che s’impose alle cure ed alle finanze della Maona. Nel 1402 venne scavato un nuovo fosso intorno la cittadella (3), il vecchio essendo divenuto inservibile per le·immondizie accumulatevi; le riparazioni ai guasti prodotti dall assedio del 1437; la costruzione di una nuova cinta con fossati, munita di grossi torrioni ed irta di cannoni, che assorbivano un dispendio di oltre L. 200,000. Nel 1440 vi si aggiunsero dei nuovi muri, per la difesa del porto e della rada costrutta di fresco." Nel 1488 si die’mano all’escàvazione di un gran canale, per deviare nel mare le torbide acque del Caloplito e (1) Thevenot, Voyage du Levant, p. 182. (2) Gio. Rosaccio, Viaggio da Venezia a Costantinopoli, Venezia Ι59^·> 8.°, fol. 68 v. Ved. anche l’ottima carta geografica di Scio annessa a questo libro. (3) Cod. Giust., tom. II, fol. 62 a-63 b. — Cod. Belg., fol. 8ya-9oa· GIORNALE LIGUSTICO 113 d’ altri torrenti, che mettendo foce nel porto, vi scaricavano ghiaie e sabbie , minacciando renderlo inaccessibile ai navigli grossi, che cominciavano già a preferire il Porto Delfino , con pericolo di vedervi sorgere una Scio novella (1). Queste opere si eseguivano sotto la direzione di una Giunta navale (Officium Maris) composta di quattro Maonesi; i quali, oltre allo esercitare F ispezione del porto, dirigevano' la difesa marittima dell’ isola (2), e governavano la piccola flotta composta d’ una galea di Stato con 78 rematori, mantenuta dalla Maona (3), e di trenta legni minori appartenenti ai singoli Maonesi. La religione dominante in Scio era la cattolica romana. Il primo vescovo latino ricordato dai documenti dopo il 1363, è Manfredo de Coronato (4) : Pallavicini e Giustiniani furono quasi tutti i suoi successori (5). Al mantenimento loro e della loro curia, composta d’un vicario, d’un cappellano e di due o tre sodali, per lo più frati francescani o agostiniani (6), sopperiva , oltre le decime dovute dalla popolazione latina e greca (7), un sussidio annuo, in origine di 300 ducati, som- (1) Un decreto del 20 marzo 1488 , proibì alle navi in arrivo di dar fondo nel Porto Delfino. — Cod. Giust., tom. I, fol. 223 b-224 a. — Carte della Maona fol. 2 a. — Pagano, p. 312-314. (2) Folieta, lib. X, p. 582. — Wlastos, tom. II, σελ. 41-42. — Pagano, p. 134-135, e molti documenti mss. degli anni 1418, 1454, 1488, 1513, 1558. (3) Cod. Giust., tom. I, fol. 116 a ; tom. II, fol. 57 b-58 a; 1843-1853; tom. Ili, fol 90 b-92 3. — Cod. Belg. fol. 803, b; 230b-232 3. (4) Pagano, p. 294. (5) Scio Sacra, dalla qu3le è 3ttint3 k serie dei vescovi in Le Quien, Oriens Christianus, tom. Ili, p. 1061-1065. — Pagano, p. 294-298. (6) Waddingus, Annales minorum, tom. IV, p. 83, ad ann. 1364, n. 18; Reg. Pontif., p. 80. — Herrera, Alphabet. Augustin., tom. II, p. 13—14. (7) Nel tempo di sede vacante, la Maona riscuoteva essa le decime; ma dopo il 1420 dovè restituirne il prodotto al successore. — Cod. Giust., tom. II, fol. 164 a, b. — Cod. Belg., fol. 212 b-214 b. Giorn. Ligustico, Anno IX. 8 ”4 GIORNALE LIGUSTICO ministrato dalla Maona. Del quale i vescovi godevano però solo due terzi , quando, come avveniva di frequente, erano assenti in Occidente; Γ altro terzo essendo in tal caso distribuito a parti eguali tra il vicario, il cappellano e la fabbriceria della cattedrale (i). Senonchè tra le molte confische dei beni di ribelli e la ritrosia dei Greci sì laici che sacerdoti a pagare le decime, questo ramo d’ entrata andava d’ anno in anno scemando , di tal forma che i papi dovevano rimettere quasi sempre ai vescovi neo-eletti le annate (200 ducati) (2). La Maona stessa, a sua volta, onde sostenere il decoro della Chiesa Latina e dietro le istanze del vescovo Leonardo Pallavicini (1408-1421), portò il sussidio fisso a 373 ducati e 3 1/4 gigliati; e più tardi nel 1480 a ducati 400, mediante la cessione che le fece il vescovo Girolanio da Camogli (i4^9_ *499) di tutti i redditi che la Mensa ritraeva dalle decime (3). Quattro erano le chiese parrocchiali di rito latino in Scio, e otto i monasteri e conventi, appartenenti tutti agli ordini di S. Francesco , S. Domenico e S. Agostino (4), e tutti fondati ed arricchiti da Maonesi (5). Primeggiavano per belìi) Convenzione col vescovo Giovanni Bapicio in data dei 24 maggio 1391. — Cod. Giust., tom. I, fol. 138 a. — Cod. Belg., fol. 84 a, b. — Scio Sacra, p. 90. (2) Scio Sacra p. 90. (3) Convenzione dei 4 luglio 1480 ; con la quale la Maona assunse pure 1’ obbligo di pagare entro i tre anni seguenti 200 ducati pei ristauri della cattedrale. La convenzione venne conchiusa coll’ assenso del legato pontifìcio Giuliano di Sabina.·—Cod. Giust., tom. II, fol. 217b-229b. Cod. Belg., fol. 262 b - 273 b. L’ atto originale si trova nell’ Archivio Grimaldi in Genova. — Ved. anche Scio Sacra, p. 78-88. (4) Il convento degli Agostiniani, consacrato dal vescovo Leonardo Pallavicini era nel sobborgo Aplotarià. (5) Ved. p. es. il testamento di Benedetto Giustiniani in data dei 20 giugno 1538, con molti legati in favore delle chiese. — Scio Sacra p. 109. GIORNALE LIGUSTICO lezza di architettura e ricchezza di dipinti, le chiese di S. Domenico, S. Francesco (con una splendida cappella eretta da Andriolo Banca) ; poi venivano quelle di Nostra Donna, S. Lorenzo, S. Isidoro, S. Giorgio, S. Pietro, S. Nicolò, Santa Maria delle Grazie, Γ abbazia di S. Michele , dove si tenevano le radunanze pubbliche, e S. Antonio con un magnifico affresco sopra il portale rappresentante P ingresso del Signore in Gerusalemme (i). A parecchi dei monasteri erano annessi degli ospedali, anch’ essi istituiti dai Maonesi; e ve n’ era uno pure in Roma, fondato nel 1530 per i poveri Maonesi infermi dal vescovo Benedetto Giustiniani (1502-1533) , che erogò altresi una somma vistosa nella dotazione di povere zitelle Sciote (2). — Anche Focea era sede d’ un vescovado latino ; al quale vediamo preposto un Genovese già prima del dominio della Maona (14 maggio 1346), nella persona del minorità Bartolomeo di Cassina (3). L’ ultimo vescovo di Focea fu Lodovico de Foro , morto nel 1457. Accanto alla Latina continuava però ad esistere la Chiesa Greca, alla quale i patti della capitolazione del 1346 avevano assicurato le proprie istituzioni, le sue chiese e monasteri, anche quelli di gius-patronato de’ privati (4). Scio come Focea erano pertanto sede d’ un vescovo greco, eletto dalla popolazione e confermato dal patriarca di Costantinopoli dopo aver giurato fedeltà alla Maona. Senonchè i vescovi greci di Scio vennero dopo non molto a cessare, in causa della parte cospicua che uno di essi, mosso da invidia delle rendite più laute del (1) Tbevenot, op. cit., p. 176. (2) Manoscritto della Bibl. dell’ Univ. di Genova, n. 240, fol. 1 a - 8 a; Scio Sacra, p. 105-108. (3) Waddingus, tom. Ili, Reg. Pont., p. 343. — Oriens Christianus tom. Ili, p, 1079 e seg. (4) Per es. il convento di Santa Maria presso la torre di Sicilia, appartenente ai Kybos. 116 GIORNALE LIGUSTICO collega latino, prese in una congiura di Greci, i quali radunatisi in conventicole segrete nella chiesa di S. Giorgio Kataraktos (detta dopo Katadotos) deliberarono d' assalire i Maonesi il giorno di Pasqua a tradimento nella cattedrale e scannarli tutti. Una fanciulla, amante d’un Giustiniani, ne ebbe sentore e palesò Γ atroce disegno al suo damo : i cospiratori vennero colti nel giardino del chiostro, e pagarono il fio sul patibolo, ad eccezione del vescovo che fu punito con esilio perpetuo. Da allora in poi la Chiesa Greca di Scio venne retta da un Dikaios, nominato dalla Maona e confermato dal Patriarca (i). La cattedrale reca era la chiesa di santa Maria, fondata dall’ imperatore Costantino Mono-machos, e posta ad occidente di Scio a cinque miglia dalla città, adorna di molti mosaici, e dichiarata da molti viaggiatori di quei tempi la più bella chiesa dell’ Arcipelago (2). Nel 1509 venne tolta ai Greci, ed assegnata con le ricche sue rendite alla mensa dei vescovi latini (3). Scarsissime sono le notizie che abbiamo sull·’ istruzione pubblica e la coltura intellettuale dell’ isola. Evvi nei documenti qualche cenno di scuole ed anche d* accademie, a quanto pare promosse dai vescovi ; ma non sembra che siano giunte a grande floridezza, poiché i Giustiniani preferivano di mandare i loro figli alle scuole di Genova ed alle università di Pavia, Padova e Bologna. Tuttavia non furono pochi i Maonesi, che sostennero una parte importante nel movimento letterario del loro tempo (4). (1) Storia di Scio, ms. nella Bibl. Berio. —Jér. Justin., Descr., p. 35. - Wlastos, tom. II, σελ. 31-32. _ Vagano, p. 130. (2) Nicolay, op. cit., p. 81, la chiama : Nostra Donna di Niamovi (Νέα μονή). (3) Scio Sacra, p. 104; atto dei 20 aprile 1509. (4) M. Giustiniani, Scrittori Liguri, tom. I, p. 63. — Wlastos, tom II, σελ. 66-8o, 85-96. GIORNALE LIGUSTICO II? 1 ra i primi va posto Andreolo Banca (1385-1456), cui la propria dottrina valse l’amicizia di papa Eugenio IV, ed autore della storia in versi italiani della guerra veneta del 1431. Era in car-teggio intimo con Ciriaco d’ Ancona, ed esistono ancora molte lettere (inedite) indirizzategli da quest’ ultimo, piene di notizie interessantissime sugli avanzi del tempio d’Apollo presso Car-damile, e sul monumento (scuola) sepolcrale d’.Omero, nella cui vicinanza Andriolo aveva edificato, all’ ombra d’ una folta pineta e presso una limpida fonte, una villa Omerica circondata da una ficaia (1). Suo figlio Angelo, non dissimile dal padre nell amore dell’arte e dell’ erudizione, albergò nel 1474 Cristoforo Colombo in Scio. Come storiografi si distinsero Leonardo Garibaldo, vescovo di Lesbo morto nel 1482, noto per 1 attività con cui favorì il disegno di riunire le Chiese Latina e Greca , e come autore delle relazioni sulla caduta di Costantinopoli e di Lesbo, e dell’aureo libretto « De vera nobilitate »; — Paolo, vescovo di Niolo in Corsica (2);— Agostino Banca, vescovo di Nebbio, gran-filologo, autore degli Annali Genovesi e d’una autobiografia pregevolissima (3); i vescovi di Scio Paolo Moneglia (1499-1502), — Benedetto Longo (1501-1533) e Timoteo Garibaldo (1564-1566) che compilò, imitando 1 esempio dello sciota Paolo Coresio , una storia dell isola, ota perduta, ma di cui si valse Girolamo Giustiniani (1544-1600) nella sua « Déscription de l’ile de Chio ». Nell’ arringo dell’ eloquenza sacra e della teologia si segnalarono Antonio Giustiniani, arcivescovo di Paronaxia dal (1) Ved. estratti delle lettere di Ciriaco in Toiletti, Relazione di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana (Firenze 1773, 8.«), tom. V, p. 410, 456 seg. — Ciriaco soggiornava molto in Scio e Focea, negli anni 1435 e 1444-1447. (2) Atto dei 22 dicembre 1461, in Notulario di Ob. Foglietta. — Pand. Richer., libro fasciato di cartina, fol. 148b. (3) Ag. Giustiniani, Annali di Genova, lib. V, fol. 223 a-228 a. x 18 GIORNALE LIGUSTICO 1567-1:564, autore di prediche quaresimali ; Angelo Giustiniani (1520-1597), che era pure poeta e filologo di merito; ed il domenicano Vincenzo Giustiniani (1519-1582), che stampò nel 1570 in Roma con Teodoro Maurguez le opere di S. Tommaso in 18 volumi in foglio; Andrea Giustiniani (1502-1546), consigliere di Carlo V ed autore d’un panegirico in onore d’Andfea D’Oria. — Vincenzo, morto nel 1570 in Parigi, amico di re Enrico II di Francia; ed il cardinale Benedetto (1554-1621) editore delle Istituzioni (Bologna 1608), coltivarono con lode la giurisprudenza. Alla medicina ed alle scienze naturali volse l’ingegno Alessandro Giustiniani (nato nel 1515), amico del Mureto, medico e latinista di polso , e traduttore di parecchi scritti d’ Aristotele e d’Ippo-crate. — Alla botanica ed alla matematica applicossi Francesco Giustiniani, nipote del precedente (nato nel 1570 in Scio). Questi e molti altri Maonesi coltivarono con zelo le scienze e gli studi classici; ed è al loro esempio che s’inspirarono Michele Cofiano, Giorgio Coresio, Giacomo Paleologo, Leone Allazio ed altri Scioti celebri nei fasti del risorgimento delle scienze. « Tra le arti, erano in maggior fiore l’architettura e la pittura. Nei primi tempi dopo la conquista, i Maonesi s’erano accontentati di prendere stanza nelle case dei Greci, comprandole 0 togliendole a pigione; ma a misura che l’isola diveniva per essi una seconda patria, fecero venire architetti italiani e costrussero maestosi palazzi coi marmi del Pelineo; e fuori della città, in un piano circondato da una lunga fila di molini a vento, edificarono elegantissime ville, il cui numero ascese nel secolo XVI ad oltre 100; e che con le loro pitture a fresco, ed i loro ridenti giardini e boschetti di melaranci, di mirti e di lauri, offrivano al forestiere una delle prospettive più incantevoli. Numerosi opifici, tra essi una grandiosa cartiera, facevan fede dell’ opulenza ed industria degli abitanti; GIORNALE LIGUSTICO II9 e non a torto un viaggiatore veneziano che visitò P isola poco prima del 1480, lodandone le fortezze, le fertili pianure, il commercio e la forte popolazione, la dichiarò la prima del-l’Arcipelago (1). Altri viaggiatori esaltano la vita sciolta e gaia, che dominò in Scio sin negli ultimi anni della signoria genovese ; ed ancora il francese Belon, che percorse Γ Arcipelago negli anni 1546-1549, ammiratore della bellezza e grazia delle donzelle sciote, dichiara essere Scio il primo paese del mondo per passar bene la vita (2). (1) Bartolommeo dalli Sonnetti, Isolario. Cod. Marciati. Ital. (lib. IX , 188), fol. 43 b. (2) Pierre Belon du Mans (Anvers, 1555, 8.°), livre II, ch. 8, fol. 149 r, seg. — Ecco alcuni passi del De Nicolay (lib. II, p. 79, segg.), su Scio e gli Scioti : « Scio è posta in riva del mare, dieci miglia sotto il Porto Delfino. » Il porto è ottimo e capace di molti navigli, la città munita di solide » mura, larghi bastioni e profondi fossi. Da una parte della piazza pub-» blica, presso l’ingresso del porto ed il mercato delle vettovaglie, è la » Loggia, dove fanno convegno i mercanti, appunto come quei di Lione ed » Anversa nella Borsa. In faccia, a sinistra, trovasi il palazzo del Governo. » Le strade sono ben belle e larghe; le chiese e le case costrutte tutte » di pietre squadrate come in Genova ed in altre città d’Italia. Fuori della » cinta è il sobborgo coi suoi ridenti giardini , abbondanti d’ ogni sorta » di frutta di mirabile dolcezza: melaranci, limoni, fichi, pere, mele, » prugne, albicocchi, datteri, olive ; di fiori di squisito profumo ; e di » limpidissime acque. Grande è la cortesia, che gli abitanti usano verso » il forestiere ; sono molto amanti della musica e d’ogni genere di onesto » sollazzo. Donne e donzelle non-credo (perdoninmi le altre) che in tutte » le parti d’Oriente se ne possino trovare di bellezza più compita, » buona grazia e amorosa cortesia. Perciò che oltre a quella beltà natia, » onde la natura tanto largamente le ha dotate, vestono tanto leggiadra-« mente, e sono in atti e favella sì venuste e di tal conversatione, che » più tosto si giudicano Nimphe o Dee, che donne 0 donzelle mortali. » Portano le gentildonne le loro vesti di velluto, raso , damasco, o di » qualche altra ricca seta bianca o d’ altro colore apparente, che arrichì- 120 GIORNALB LIGUSTICO Numerose feste invitavano i Maonesi ed i loro sudditi a socievoli sollazzi, della cui allegria e splendore ci porge un saggio la vaghissima descrizione, che ci lasciò Ciriaco d’ Ancona , dei divertimenti con cui si celebrò il carnevale del 1448 in casa del marchese Antonio Adorno (1). Nè sonò meno vaghe le notizie, che dobbiamo a Girolamo Giustiniani ed al Wlastos (2), intorno alle pompe sacre e profane con cui si festeggiavano il capo d’anno, il Natale, la Pasqua, 1 Epifania, il giorno 17 di maggio, la natività di S. Giovanni Battista, ed altre solennità. » scono di gran bande di velluto all’ intorno ed affibbiano a tergo le ma-» niche con passamano di seta di diversi colori. È il loro grembiale di » tela sottilissima lavorato, e con frange all’ intorno; e si cuoprono la te-» sta d una scuffia di raso bianco, o d’altro colore, fregiato d’ oro e di » perle, e quelle serrano intorno al capo con longhe bande di seta del » medesimo colore di quello delle maniche, colle quali fanno diversi » leggiadri nodi e lacci di buona grazia. Hanno poi in fronte una banda » di crespo giallo rigato d’ oro, che serrano ed annodano dietro alla scuf-» fia (lasciando le donzelle pendere gli estremi per lo stomaco infino alla » cintola), sopra alla quale applicano un ricco velo ornato d’oro e di perle. » Ma le donne maritate, alla differenza delle donzelle, invece di crespo » portano su le spalle un bel velo di tela candidissima ; e generalmente » sono le loro calzette e pianelle bianche. In somma, nulla si può vederle » addosso, che non sia e piacevole e leggiadro ; salvochè hanno le poppe » assai fiacche per la continua frequentatione de’ bagni. Ma intorno al » collo e su lo stomaco portano forza di cattene ed altre gioie d’oro e di perle, ed altre gemme di gran pregio, ciascuna secondo la qualità e grado suo. Di maniera di’ ogni lor piacere e cura ad altro non tende » eli a farsi belle e lisciarsi, per aggradire davantaggio agli uomini si » privati come forestieri ». — Ved. anche presso il Nicolay (p. 83-84) le tavole dove son raffigurate le Sciote nel loro costume nazionale. (1) Ai assisteva il podestà di Pera Baldassarre Maruffo, venuto per invito speciale. — Ciriac. Anc. , Ep. ined., n. 79. — Το^Μί, op. cit., V. p. 43 5-436. (2) Tom. II, σελ. 46-50. GIORNALE LIGUSTICO 121 La popolazione dell’isola ascendeva dai 90 ai 120,000 abitanti (1), e riceveva un continuo incremento dagli schiavi cristiani, o fuggiti dai serragli turchi (2) o redenti dalla Maona, che ne riscattava oltre 1000 all’anno pel prezzo medio di 100 aspri la testa, colonizzandoli tutti nell’isola e dotandoli di terreni (3). S’intende d’ altronde, che gli abitanti non formavano un consorzio sociale omogeneo : le diversità d’origine, di condizione politica ed economica, avevano creato una gerarchia sociale, giusta la quale si distinguevano sei classi. A capo di queste, come ceto dominante, stavano i Giustiniani ed i loro congiunti. — Il secondo rango occupavano i cosidettì Bnrgenses, di sangue latino, anzi quasi tutti Genovesi, dediti al commercio, parte discendenti dai compagni d armi degli Zaccaria e parte immigrati dopo la conquista del Vignoso; non avevano parte alcuna negli utili e negli onori del Governo , e non godevano nemmeno piena parità civile coi Maonesi, non potendo, per esempio, edificar case in Scio senza il consenso della Maona (4). L’imparentarsi coi Giustiniani, per unioni matrimoniali, era l’unica via aperta ai Borghesi per entrare nella classe dominante e conseguire una parte attiva nel Governo , come fecero le famiglie Paterio, Navone, Saginbene (detti più tardi Adorno), Campanaro (Adorno), Ciprocci (Giustiniani Campi), Cavallini (5) e Coresio (6). Le ultime due furono pure onorate della cittadinanza di Venezia. — Alla terza classe appartenevano gli Arconti Greci, già insigniti dagli Imperatori Bizantini di crisobulli e privilegi di nobiltà, e che continuarono a godere (1) Folieta, lib. X, p. 582; Wlastos, tom. II, asX. 41-42. (2) Decreto dei 20 settembre 1427. (3) Casoni, Annali lib. VII, p. 286. — Pag-no, p. 136. (4) Federici, Collect., toni. Ili, fol. 54 b, ad ann. 1515. (5) Misti, tom. XL VII, fol 26. (6) Privilegi (Archivio Generale di Venezia), tom. II, fol. 62 a. 122 GIORNALE LIGUSTICO le loro prerogative anche sotto il dominio genovese. Distinti nella favella e nel vestire (r), vivevano appartati nella città vecchia « Burgus Graecorum » ; la città nuova « Burgus Latinorum » essendo occupata dai « Burgenses ». Nessun Greco poteva possedere case nè in questa nè nel castello; e se ve ne possedeva da antico, la legge gli imponeva di venderle alla Maona a quel prezzo che sarebbe stabilito da due arbitri (uno Greco ed uno Latino), ai quali il podestà poteva aggiungerne un terzo se non riuscivano a mettersi d’accordo. Era libero ai Greci di espatriare e vendere i loro beni, pagando alla Maona a titolo di taglia un quarto del prezzo di vendita. D’altronde si rispettavano rigorosamente le antiche loro consuetudini e costumanze, i riti nuziali, la tassa singolare di vedovanza (2), certe loro pene infamatorie, e le danze che la nobiltà greca celebrava nel vecchio castello (Paleocastro) sul torrente Scarama^co (3). Ancora nel 1402 venne inculcato al podestà di fare osservare scrupolosamente le convenzioni del 1346 ed i crisobulli dei primati; e la Maona s’interpose più d’una volta per proteggere i Greci contro P abituale tracotanza dei « Burgenses » (4)· — La quarta classe abbracciava tutte le persone d’ estrazione greca addette a lavori manuali e servili, segnatamente al- 1 agricoltura, all’ estrazione del mastice, alla costruzione ed (1) La foggia di vestire predominante era la Franca. Tra i Giustiniani rimaneva sempre in uso il dialetto patrio, molte espressioni del quale passarono nel corrotto greco moderno dell’ isola. (2) « Se una donna dopo la morte del marito vuol rimanere vedova con proposito di non rimaritarsi, la Signoria la costringe a pagare una certa somma di danari, che chiamano Argomoniatico, che vuol dire (con riverenza del lettore) Conno scioperato ò inutile ». Ved. Nicolay, op. cit., p. 88. (3) Wlastos, tom. II, σελ. 30-51. (4) Cod. Giust., tom. I, fol. 240 b-241b. GIORNA.LE LIGUSTICO 123 al servizio delle navi. Mentre a questi ultimi P essere direttamente subordinati alla Maona, ed immuni dal testatico ed altre tasse, faceva una condizione alquanto tollerabile, quella degli agricoltori (Parvikoi) era pessima. Soggetti parte alla Maona, parte ai Consoli Maonesi, limitatissimi nella facoltà di disporre delle proprie persone ed averi, obbligati al servizio militare ad ogni chiamata del podestà, cui dovevano anche accompagnare nelle spedizioni in Levante, aggravati oltre ogni dire da prestazioni personali verso la Maona ed i code-spoti (1), essi erano ridotti alia condizione di veri servi della gleba. Molti, per sottrarsi all’ intollerabile peso delle commandate, ed ai soprusi e prepotenze degli ufficiali, fuggivano di nascosto dall’ isola, abbandonando la patria e la famiglia (2). — Nella quinta classe troviamo gli Ebrei, dediti all’ usura (3) , in condizione forse alquanto migliore che sotto il dominio Bizantino, ma sempre tenuti in odio e disprezzo, come per ogni dove nel medio evo. Vivevano appartati nel ghetto, dal quale non potevano uscire nelP intervallo tra il Giovedì Santo ed il secondo giorno di Pasqua; dovevano portare come contrassegno un cappello giallo , presentare ogni anno in corpo al podestà una bandiera bianca con la croce rossa di S. Giorgio, ed implorare tolleranza con atto d’umiliazione. Nè eran queste le sole mortificazioni a cui andavano soggetti, chè la ricorrenza di quasi ogni festa religiosa della Chiesa Latina li esponeva, come pure il clero greco, ad ogni sorta di 1 idibri e vi- (1) Le commandate eran dovute al Codespota nei giorni di Natale, nella Quaresima , nei giorni di Pasqua ed ogni qualvolta usciva alla caccia. (2) La cattura di questi fuggiaschi dava molto da fare ai padroni ed alle autorità pubbliche. Quando gli arrestati negavano di essere Scioti — e lo fecevano sovente'— si ricorreva ad un mezzo molto spedito per constatare la loro origine, facendoli profferire la parola « fragela » (una specie di pane) cui gli Scioti pronunziavano « frangela ». (3) Nicolay, op. cit., p. 81. 124 GIORNALE LIGUSTICO tuperi. — La sesta ed ultima classe abbracciava i forestieri residenti nell’ isola, e trattati ciascuno secondo la propria nazionalità. I Turchi avevano il loro Cadi (Caditis), il cui stipendio la Maona s’ accollò nel 1498 (1). Poniamo fine a questo scritto con un cenno delle singole famiglie che appartennero alla Maona. Fu già ricordato di sopra, che essa fu fondata dai Caneto da Lavagna — S. Teodoro — Banca — Campi — Arangio — Negro ·—· Oliverio — Forneto — Longo — Adorno ; i quali tutti adottarono nel 1362 il nome di Giustiniani, tranne gli Adorno che conservarono il nome antico, cambiandolo poi in Pinelli nel 1528 in occasione della riforma dei 28 alberghi. I Caneto ed i S. Teodoro uscirono dalla Maona nel 1369, vendendo le loro azioni, quelli ai Rocca ed ai Fregosi, questi ai Recanelli e For-neti\ nella quale occasione i Rocca e i Recanelli vennero pure ascritti al casato dei Giustiniani; non così i Fregosi, i quali continuarono a servirsi del nome antico. Tranne gli Arangi, anch essi ritiratisi dopo non molto dalla Maona (2), queste famiglie ne rimasero tutte compartecipi sino al 1566; ed oltre quelli già ricordati, non sono pochi i loro discendenti che levarono grido di sè nelle vicende della madre patria: Nicolò Banca nel 1393 console in Costantinopoli (3); Otto-bono Campi nel 1410 capitano della spedizione contro Ven-timiglia (4) (esiste ancora in Scio il suo epitaffio mezzo (1) Decreto dei 24 agosto. — Cod. Giust, tom. I, f. 246 b. (2) Gli Arangi tennero l’isola di Nicaria in feudo dalla Maona sino al 1481 , avendo preso dall’isola il titolo di Conti. Uscirono nel 1413 dalla Maona, per cessione dei loro caratti fatta ai Recanelli. — Ved. Spinalba, Compendio ecc., p. n-12. (3) Federici, Collect., tom. I, ad ann. 1393; Notulario di Oberto Foglietta ; Pand. Rich., fogliazzo B., fase. 41 c. 4 ; fase. 56, c. 4. (4) Ag. Çriustiniani, lib. V, fol. 174 b. - Interian., lib. V, fol 157 a.-Foheta, lib. IX, p. 535; Idem, Elog. p. 798. — Bi^ar., lib. X, p. 209. GIORNALE LIGUSTICO I25 cancellato) (1); Nicolò Campi nel 1448 accusato innocente di tradimento contro la Repubblica (2) ; Francesco Campi ambasciatore genovese presso l’imperatore Sigismondo, dal quale ottenne per sè la nomina a conte palatino e per il casato una ampliazione dello stemma (17 maggio 1413) (3); Antonio Longo nel 1390 candidato pel dogato (4) e più tardi paciere tra i Guelfi e i Ghibellini (5), morto nel 1412; Giorgio Longo i cui discendenti acquistarono vasti latifondi in Scio (6); Paride Longo già ricordato; Giovanni Guglielmo, 1’ eroico difensore di Costantinopoli (7), che a detta di Maometto II valeva da sè più di tutta la flotta greca (8). — Ai Forneti appartenevano quel cavaliere Jacopo al quale s’arrese nel (1) Wlastos, tom. II, σελ 227. (2) Ag. Giustiniani, lib. V, fol. 204 b. (3) I diritti di Conti Palatini furono esercitati da lui, da suo figlio Nicolò e da suo nipote Lucchesio. Il diploma imperiale si Conserva nel-1’ Archivio Giust. in Genova. — Ved. anche Ag. Giustin., lib. V, fol. 177 a ; e gli atti dei 9 aprile 1460 e 8 giugno 1465 nel Libro di Oberto Foglietta. — Pand. Rich., lib. fase, di cartina, fol. 140a; 165a.— Atto del 30 giugno 1496, per legitimazione di due figli di Brizio Giustiniani, nel Libro di Francesco di Camogli. — Pand. Rich., lib. fase, di cartina, fol. 62 a. (4) Stella, XVII, 1130. — Ag. Giust., lib. IV, fol. 154a. — Folieta, lib. IX, p. 495. (5) Stella , XVII, 1164. — Ag. Giust., lib. IV, fol. 162 b. — Folieta, lib. IX, p. 515. (6) Ved. i] suo testamento in data dei 4 novembre 1410, e rogato in Scio, nel Notul. di Giuliano Canella. — Pand. Rich., fogl. A. fase. 64, c. 1. (7) Ved. i bizantini Phrantzes, Ducas, Calcocondila. — Ag. Giust., lib. V, fol. 205 b. — P. Interiano, lib. VII, fol. 292 a.— Folieta, lib. X, p. 602 ; Idem, Elogia, p. 811-812. — De Marinis, lib. IV, sect. 9, p. 1441-1442. — Bi^ar., lib. XII, p. 214. — Nic. Barbaro, Giornale dell’assedio di Costantinopoli; (Vienna 1856, 8.°), p. 20, segg. (8) Fu sepolto nella chiesa di S. Domenico. — Ved. il suo epitaffio (ora smarrito), nella Scio Sacra, p. 48. . 126 GIORNALE LIGUSTICO 1435 il re Alfonso d’Aragona come « a sovrano di Scio (1)», e l’ammiraglio Bri^io che corse nel 149r la spiaggia d O-neglia dando la caccia ai pirati (2). Un rampollo 'dei Garibaldo — entrati nella Maona poco dopo il 1367 — fu quel Francesco che venne nel 1387 bandito da Genova con i fratelli Leonardo e Raffaello, sotto l’accusa di tradimento (3), e sei anni dopo elevato al dogato (4). — Dal casato dei Rccanelli uscirono: Gabriele Giustiniani figlio di Pietro e di Margherita Adorno, creato conte palatino dall’ imperatore Sigismondo 1’8 dicembre 1417(5); ed il cardinale Alessandro (1778-1843). In progresso di tempo vennero ascritti alla Maona ed ai Giustiniani i Castro (6) — Pagano (7) — Moneglia (8) Ciprocci — Mari — Moneglia — Patei io ; — al solo albergo, senza interesse nella Maona, i Maruffo (9) e gli TJghetti. Non cambiarono cognome i Paterio (10) , gente oriunda di t (1) Ag. Giust., lib. V, fol. 195 a. — Interian., lib. VI, fol. 181 b. Folieta, lib. X, p. 581. — Bracelli, lib. Ili, p. 1302. — Βϊχατ., lib. XI, p. 248. (2) Senarega, op. cit., XXIV, 530. — Ag. Giust., lib. V, fol. 247 b 1 248 a. (3) Stella, XVII, 1128. — Ag. Giust., lib. IV, fol. 152 a,b. — Interian., lib. IV, fol. 132a. — Folieta, lib. IX, p. 491. — Bi\ar., lib. VII,p. 153· (4) Stella, XVII, p. 1136-1138. — Ag. Giust., lib. IV, fol. 156a, b.— Interian., lib. IV, fol. 136 a. — Folieta, lib. IX, p. 500.' — Bi^ar., lib. VII, p. 166. — Notul. di Giuliano Canella. — Pand. Rich., A. fase. 80, c. 6; atto dei 5 giugno 1416. (5) Il diploma imperiale si conserva nell’ Archivio Giustiniani in Roma. — Ved. Libro di Ob. Foglietta. — Pand, Rich., B., fase, 49, c. 3. (6) Notul. di Teramo Maggiolo. — Pand. Rich., B., fase. 65, c. 3. (7) Notul. di Ob. Foglietta. — Pand. Rich., lib. fase, di cartina, fol.2 70 b. (8) Ibid., fol. 140 a. (9) Notul. di Giuliano Canella. — Pand. Rich., A., fase. 63, c. 4. (10) Notulari di Giuliano Canella, Frane, da Camogli e Ob. Foglietta. — Pand. Rich., A., fase. 61, c. 6; fase. 75, e. 5; fase. 83, c. 3. — B., fase. 1, GIORNALE LIGUSTICO I27 Scio, i cui maggiori avevano durante molti decenni tenuto in appalto Focea. Possedevano vasti latifondi nell’isola di Candia, presso la città di Sfalda , nella cui cattedrale avevano il sepolcro di famiglia (nella capella di S. Giovanni Battista), e divennero tosto una delle famiglie dominanti della Maona, figurando durante gran tratto di tempo come principali in quasi tutte le ambascerie che essa spediva alle corti d’O-riente e d’Occidente. — Girolamo Paterio diede la propria sorella in isposa ad Antonio Crispo principe di Nasso e signore di Sira (1). Altre famiglie appartennero solo temporariamente alla Maona, come i Guano (2) (1382), i Persio (3), gli Scarampi d Asti (4), i Fregosi (1373-1412) i quali vendettero le loro azioni ai Campi (5); — i Grillo, che uscirono li 10 giugno j457j cedendo i loro karatti ai Longo (6); — i Franchi de Paolo (7); — i Franchi Luxardo (8); — i Federici entrati nel 1476 per acquisto di karatti venduti dai Longo (9) ; — i Sauli (10); — i Ciceri (11) ed i Ferrari eredi dei Ciceri. — c· 2 fesc. di cartina, fol. 84b; 165 a. — Federici, Scrutin., fol. 260 a. (1) Mar., tom. X, fol. 158 a. (2) Notul. di Ant. di Credenza. — Pand. Rich., A., fase. 60, c. 6. (3) Liber magnus contractuum, fol. 67 b. (4) Pand. Rich., B., fase. 51, c. 4; fase. 52, c. 1. ($) Notul. di Ant. di Credenza. — Pand. Rich., A., fase. 60, c. 4. — Cod. Giust., tom. II, fol. 128 a-129 b. — Cod. Belg., fol. 174 b. (6) Notul. di Ob. Foglietta. — Pand. Rich., libr. fase, di cartina, fol. 211 b ; atto dei 5 marzo 1472. (7) Notul. di Giuliano Canella e Frane, di Camogli. — Pand. Rich., A., fase. 64, c. 2; libro fase, di cartina fol. io a. (8) Notul. di Ob. Foglietta. Pand. Rich., libro fase, di cartina, fol. 183 a. (9) Federici, Scrutinio, fol. 160 a. (10) Atto dei 19 gennaio 1490. (11) Privilegi di S. Giorgio 1476-1479, f. 160 a. 128 GIORNALE LIGUSTICO II All’ incontro le famiglie che entrarono nella Maona dopo il principio del secolo XVI, ne rimasero membri quasi tutte sino al 1576; e sono: Allegro — Domoculta — Merano — de Levanto — Navone — Fornari — Bisignana — Cattaneo — Mamuca della Torre (1). La maggior parte di queste famiglie si sono spente nel corso dei secoli. — Di quelle rimaste in Oriente sopravvivono pochi rampolli, decaduti dall’avito splendore, e ridotti a condizioni umilissime; in Occidente durarono alcuni rami dei Campi e dei Longhi stabiliti in Genova, Ancona e Foligno. Ultima progenie dei Recanelli sono il marchese Pantaleo Giustiniani (discendente diretto in 12.0 grado del grande Pietro Recanelli) e suo figlio Alessandro, ora in Genova gli unici rappresentanti del grande albergo che diede sei dogi alla Repubblica (2). — I Negro sopravvissero a Roma, dove Giuseppe Negri si stabilì sullo scorcio del secolo XVI ed acquistò Bassano ed altri latifondi della Campagna Romana ; suo figlio Vincenzo I (1603-1638) prese da questi il titolo di marchese, e non avendo prole istituì nel 1638 un fedecom-messo con cui chiamava alla successione in prima linea il suo figlio adottivo Andrea di Cassano Giustiniani Banca e i di lui discendenti maschi; in seconda i propri fratelli e loro eredi; in terza gli agnati di sua madre Girolama Recanelli. Nel 1638 gli successe, per virtù di questo testamento, Andrea Banca come secondo marchese di Bassano ; a questi seguitò il figlio Carlo Benedetto I, che venne creato principe verso il 1673. A Carlo Benedetto successe il primogenito Giambattista Vincenzo II che morì, di 81 anni nel (1) La maggior parte di questi nomi figurano per la prima volta nelle convenzioni conchiuse con la Repubblica in data dei 17 aprile 1506, 5 agosto 1510, 24 settembre 1513, e nei rispettivi atti di procura. (2) Il march. Pantaleo Giustiniani morì il 17 febbraio 1867. (La Direzione). GIORNALE LIGUSTICO 129 1754, sopravvivendogli di 14 anni Maria Costanza Buon-compagni da lui sposata nel 1705. A Vincenzo II- successero in linea diretta Girolamo (1714-1757) , che sposò nel 1734 Anna Maria Ruspoli morta nel 1766, — e Benedetto II; a questo i suoi tre figli, prima Lorenzo nato nel 1759, poi Vincenzo III, ed in ultimo Giacomo Tommaso nato li 29 decembre 1769, che scelse lo stato ecclesiastico e fu creato cardinale e vescovo d’Albano (2 ottobre 1826). Costui ebbe a sostenere una lunghissima lite coi Negri, i quali invocando le disposizioni del fedecommesso del 1638, e considerando estinta la linea Banca con la morte di Vincenzo III, pretesero d’ entrare nella successione. La morte del cardinale (24 febbr. 1843) pose fine al litigio, chiamando alla successione Leone Negro di Nicolò, come ottavo nella serie dei principi di Bassano; ma essendo anch’ egli senza prole , la linea Negro si spegnerà in lui ed il principato passerà ai Recanelli di Genova (1). E per non omettere proprio nulla, faremo qui ancora cenno di un famigerato furfante, che nel secolo scorso andava cercando venture in Parigi e Liegi sotto il nome di Francesco Giustiniani principe di Scio, e che fu poi smascherato come figlio d’ un pasticciere di nome Douceur. Alla sua morte, seguita nel 1788 in Gottinga, lasciò — caso strano —- molte monete e documenti genuini di Scio (2). Lo stemma primitivo dei Giustiniani di Scio era un castello a tre torri in campo rosso. Nel 1413 Γ imperatore-Sigismondo (1) Tutte queste notizie sono attinte alle carte di famiglia dei Giustiniani di Genova e di Roma. (2) Extrait généalogique de la très-illustre famille des Justiniani (Paris 1776, 4.0). — Précis historique des faits qui sont prouvés et circonstanciés dans le mémoires ect. (Gottingue 1787,8.°).— Mémoires historiques et authentiques de la Bastille. Paris, 1789 8°, tom. III, p. 60-65. — Schlô?er, Staats-Unzeingen. Gottinga, 1790 8.°, vol. XIV, fase. 54, p. 155-170. Giorn. Ligustico, xAnno IX. 9 130 GIORNALE LIGUSTICO vi aggiunse l’aquila nera imperiale, monocipite, rivolta a destra, ed incoronata di corona d’ oro. In tal forma lo stemma fregia ancora i palazzi e le torri decadenti di Scio, e 1’ antica mansione della iMaona in Genova nella contrada dei Giustiniani. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Libro di Oltremare di Fra Nicolò Da Poggibonsi pubblicato da Alberto Bacchi della Lega , Bologna, Romagnoli , volumi due, 1881. » Il signor Romagnoli di Bologna continua a pubblicare volumi eleganti di forma, pregevoli per sostanza 0 per buona lingua, nella sua Collezione ed Appendice di Opere inedite 0 rare. E noi, come ebbimo a ragionarne altra volta quando stampò La Relazione delle scoperte di Colombo e di Vespucci, così ora ritorniamo a lui, annunziando la recente comparsa del libro di cui sopra è il titolo. Già da pezza era desiderata l’impressione di quest’ opera, troppo a lungo giacente fra i ma-noscitti ; il Poggi nella sua edizione al Viaggio del Sigoli nel 1829 non ne avea dato che un piccolo saggio; Γ Illustre Zambrini ne accresceva la voglia ai buongustai, estraendone - O D ' due più notevoli brani, per circostanza di nozze nel 1872 e 1878; finalmente il signor Bacchi della Lega incoraggiato dallo stesso Zambrini vi pose opera lunga e diligente, ed ora possiamo leggere il Libro d’ Oltremare in due giusti ed eleganti volumi. _ Nicolò da Poggibonsi dei Frati minori compieva questo viaggio fra il 1345 e il 1346, dimorando in Terra Santa più mesi ; e dopo sfogato Γ affetto, considerava con diligenza i GIORNALE LIGUSTICO I3I luoghi percorsi, li misurava ed affrettavasi a descriverli per filo e per segno. Il buon frate spiega egli stesso come usò diportarsi in tali disamine ; studiare il passo, avere con sè una misura di braccio , guardare ai punti cardinali per riconoscere i versi, gli angoli e le svolte nello andare innanzi, e il tutto notare difilato in due tavolelle ingessate, che a questo fine si recava ad armacollo. Per simil guisa il lettore, se non è pratico di colà, con attento studio può formarsi un concetto e quasi ripeterne il disegno da sè ; chi ne sia pratico per veduta od almeno per letture , si fa volentieri compagno allo Autore , gli dà lode d’ esattezza nelle notizie in ciò che sussiste tuttora; impara le differenze e le rovine che la barbarie o gelosie di sette impressero su quella terra , soggetto dei più augusti misteri. Che se .il libro è pregevole per la sua antichità come per bontà e minutezza di osservazioni, non è meno caro per la lingua, tutta d’ oro in oro e per lo stile la cui semplicità non esclude la finezza. Vi è tutta Γ evidenza nelle descrizioni senza cadere nelle forme rettoriche ; vi sono perfino certi particolari, quali usano oggidì nei Romanzi per l’espressione analitica dei moti d’· animo o di corpo ; ma il tutto entro un cerchio di giusta misura e di proprietà che rivela la sincerità dello scrittore, come fido specchio dell’anima (1). (1) Bellissima la descrizione di Damasco (II, 13, segg.) e quella della tempesta nell’Adriatico (II, 218); a cui segue il grazioso episodio della discesa in terra dell’Autore, il suo incontro coi ladri che dopo rubatolo lo legano , fanno servire di capezzale le sue coscie, 1’ una poi 1’ altra ; riesce a slegarsi, fugge dimenticando il mantello e il suo compagno, dorme su di un albero ecc. ; con particolari di stile sciolto, vivo, rapido. Quando egli vide battere il suo interpito (I, 32) aspettava d’avere aneli’ egli la sua derrata, tenuto per le braccia dai bastonieri i quali guardavano alle mani dell'Ammiraglio che accennasse : battetelo. Così altrove, gialli gialli, quatta quatta, la descrizione del dimenarsi degli ebrei nella Sinagoga ecc. 132 GIORNALE LIGUSTICO Le sue parole esprimenti Γ amore e la venerazione sono improntate col suggello del vero ; lontane cosi dal freddo o sarcastico scetticismo, come dal fare svenevole, riscalducciato, ciarliero onde alcuni moderni si argomentano affettare sentimenti di cui pare che manchino. Il chiarissimo editore non era indegno di lavorare intorno a questo libro , e basta a persuadercene la parola del Comm. Zambrini, come anche Γ animo suo onesto che traspira da ogni pagina. Perciò appunto a lui che crediamo giovane noi ' vecchi amiamo dirgli colla lode anche tutta la verità o quella che ci sembra verità; affinchè, se tale parrà a lui pure, voglia giovarsene per P avvenire di cui porge buon pegno ; affinchè eziandio queste note non gli vengano, prima che da italiani, suggerite dai dotti Stranieri che molto ora attendono a studi siffatti. Ma, se osiamo appuntarlo in alcun che, non intendiamo punto proporre a modello noi stessi; i quali soffocati da letture continue di lingua corrotta od esotica, peniamo a rammentarci le ore giovanili consecrate ai classici ; tanto meno avremo ragione d’inorgoglire , se ci venga dato cor-reggere od aggiungere qualche notizia. È facile inventis addere, ed è naturale che gli studi di più persone che hanno uffìzi ed occupazioni diverse collimino a render ricco e vario ad un tempo il commento a uno stesso libro. Chi stampa i primi passi nella carriera delle lettere farà ottimamente, evitando le imperfezioni anche menome, se desidera trasfondersi in succo ed in sangue la buona lingua , lo stile patrio. Onde ci spiace rilevare, sebbene una sola volta, nel nostro editore la parola rimarchevoli della quale è unanime il rifiuto ; vi è un’ altra voce da lui ripetuta due o tie volte, che non mi va a grado, sebbene egli se ne possa difendere con esempio di classici : alludo alle parole impressionare, fare impressione. So bene, il linguaggio umano essere <-osì fatto che abbisogni d’ imagini corporee per esprimere le GIORNALE LIGUSTICO 133 idee e gli affetti ; ma la lingua casta ama scegliere tra quelle imagini le più leggere, le più delicate e più accostate allo spirito. Altre volte si camminava sulla buona via, quasi senza avvedersene ; la filosofia sensistica dal secolo scorso cominciò a tenere la via opposta, preferendo i concetti che più sentono della materia, come qui il marco è preferito alla nota. Ormai il linguaggio ne è zeppo, difficile quindi il guardarsene anche a un desideroso del bene. Gli Italiani chiamano queste maniere francesismi perchè vennero prima di là, ma gli stessi francesi non li conoscevano nei tempi andati. Premesse queste note sulla forma, le quali forse saran tenute sofisticherie, passiamo alla sostanza, al modo adoperato dall editore per commentare il suo testo. Egli non perdonò a fatiche, consultò tre manoscritti del Poggibonsi per correggere gli errori, chiarire i dubbi, compiere le parti mancanti. Lesse gran quantità di descrittori della Terra Santa per conoscere le concordie e le differenze dal testo e le ha poste in mostra a giovamento dei Lettori. Ricorse anche alla Storia e alle Opere geografiche per aggiungere notizie sui fatti e luoghi discorsi dall’ Autore. Ma in quanto a quest’ ultimo ufficio, mi duole il dirlo, non posso lodarlo gran fatto di parecchie sue annotazioni. Non è già eh’ io sia per dare ragione a que’ Commentatori, i quali, come il del resto benemerito Puoti, si contentano di far note di pura lingua, e talora da uno studio troppo gretto sono condotti a raccogliere coll’ oro la scoria e a fare d’ogni sgorbio di copista una gemma da arricchire il futuro Dizionario. No : l’editore ebbe ragione, aspirando al nobile uffizio di inannellare allo studio della lingua le conoscenze meglio atte a far comprendere il senso del libro. Senonchè in proporzione del soggetto pare eh’ egli abbracciasse troppo, risalendo sino alla mitologia, o allargandosi in annotazioni che vorrebbero lungo discorso per non essere τ34 GIORNALE LIGUSTICO frantese, o infine tentando dilucidare cose di cui 1 editore non avea bastante cognizione. Se il lettore si supponga desideroso di più ampie notizie, ve n’ era larga messe da cogliere ; non intralasciare, ad esempio, i nomi odierni delle città corrispondenti ai nomi e alle situazioni che ricorda il Trecentista; fra le altre Dotaim , Cana, Corazaim , Monte della Quarantana, Betsaida, Cafarnaum, sui due ultimi dei quali ferve tuttora viva la controversia (i). Ma che cosa imparo io a sentirmi raccontare che Salamina di Cipro ebbe a fondatore Teucro figlio di Telamone? O come si potrà altri persuadere che Damasco abbia avuto il suo nome dal maestro di casa d’ Abramo ; cosa assurda in sè e tanto più perchè la Bibbia, donde si vuol trarre tale forzata interpretazione, parla nel precedente capitolo di Damasco come già nota Città ? Il P. Cassini, prima del sig. Bacchi, ventilando simili opinioni, avea concluso : « meglio è tacere che dire spropositi » (2). Inoltre Salamina stessa è dal chiaro editore erroneamente confusa con Famagosta ; dippiù nè Salamina nè Famagosta sono una sola e medesima Città coll’ antica Thamassus ; e Nicosia non è l’antica Tremithus, e Baffo di Cipro non è la Giaffa della Palestina. Delle quali cose e d’altri appunti, presi da noi anche al di fuori delle annotazioni dell’ editore, vogliamo (1) A questi nomi antichi rispettivamente convengono gli odierni : Teli Dothan, Kefer Renna, Teli Kora\eh, Gelei el Kuruntul, Khan Minieh, Teli Humm. È solo controverso se Betsaida sia Khan Minieh e Cafarnaum sia Teli Humm, o se non invece il nome antico della prima Città risponda all odierno della seconda e viceversa. Anche i recentissimi non si son posti d’accordo. Ved. il Dalfi fra gli altri che ne parla a lungo contrastando la più antica opinione, che Cafarnaum sia Tell Humm (op. cit. IV, 189-200) e Schaff , Kapernaum che la mantiene nel Zeitschrift des Deulschen Palàstina-vereins, Lipsia, 1878, I. (2) Ved. la sua Terra Santa descritta, Genova 1855, II, 446. GIORNALE LIGUSTICO ISS toccare più partitamele in appendice a queste parole ; ma affrettiamoci a dirlo, se mende vi sono, hanno a condonarsi facilmente ad un giovane egregio che , ove ha potuto aver libri alla portata, seppe trarne in buon prò’. In fatto d’ erudizione pur troppo le Biblioteche d’ Italia difettano , le più , di quei libri recenti, in cui la pienezza , la sicurezza delle notizie è giunta ad un grado meraviglioso (1). Di che desiderando 1’ Editore far conoscere le Opere che trattano delle rovine di Babilonia, non sa indicare con esattezza iuorchè libri stampati avanti il 1839 ! Coraggio signor Bacchi della Lega ; faccia di avere alla mano fonti più pure a cui attingere. La via è lunga e spinosa; ma chi, come Lei, ha dato buon saggio di amore alle cose buone e belle , di sapore di lingua e di tenacità nello studio, non può fallire a meta onorevole. Achilidon II, 216. — Questo distretto non è l’Anatolia in generale, ma la costa speciale che s’interpone fra il golfo di Satalia e 1’ isola di Cacavo o Kakava, lungo la quale navigò Poggibonsi. Il nome che questo viaggiatore le dà di Achilidon è evidente corruzione del Capo Chelidonia, il più prominente nella costa medesima. Ammiraglio, I, 26, 34-36. — L’ etimologia, data dal Ghe-rardini, di Ammiraglio dall’ arabo Raa con mir nel senso di vedere, osservare, non ha il menomo fondamento. (1) In soli tre anni 1878-1880 la bibliografìa sulla Terra Santa e Γ O-riente latino si è arricchita di 1200 (dico milleduecento) fra volumi, opuscoli ed articoli di Periodici in varie lingue. Ved. la Bibliographie de 1Ό-rient latin 1881 dell’illustre Conte Riant, che va unita al i.° Voi. degli Archives de VOrient latin. È questo un grosso volume di 768 pagine, diretto e in parte composto dallo stesso Conte, ponderoso per dottrina critica, resa più feconda da ricchi indici, stampato con diligenza ed eleganza alla Tipografia dei Sordo-muti in Genova e recentissimamente pubblicato da Ernesto Leroux a Parigi.·. t 13 6 GIORNALE LIGUSTICO L’Illustre Amari (i) ha recato la giusta derivazione dall’arabo Emir o Amer (Comandante, Signore) di che i Bisantini, prendendolo in genitivo, fecero Amerados donde Admiratus, poi Ammiraglio. Lo stesso Amari riferisce più documenti.che spiegano questa parola nel senso generale di Comandante di terra, di città, o di mare, come la usano il Poggibonsi, il Sigoli, il Frescobaldi ed altri : sebbene 1’ uso 1’ abbia poi ristretta a significare il solo Comandante delle forze di mare. Architriclino (Castelluccio), 1, 2y8. — Qui credo, il copista di Poggibonsi abbia omesso la preposizione del, dovendosi dire il castelluccio dell’ Architriclino. In questo senso si capisce che Poggibonsi alluda al luogo ove successe il miracolo di Gesù alle nozze di Cana (attuale Kefer Kenna). Oggi ancora colà si mostrano le rovine d’ una chiesa di Sant’ Elena, che la tradizione dice costrutta sovra quella casa. Architriclino , come si sa, è nominato nell’ Evangelio il Capo o Prefetto di quelle nozze. Anche Marin Sanuto a questo proposito denomina triclinium la sala del miracolo. Baff e Giaff, 11, iyy, 215. — Uno dei Codici del Poggibonsi sostituisce Giaff a Baff e l’editore pretende che la sostituita è la vera lezione , ma non rettamente per mio avviso. Veramente in tutto questo brano dell’Autore l’itinerario è un po’ confuso, ma esaminandolo con diligenza , non lascia luogo a dubbi. A pag. 187, Poggibonsi è in Egitto, a Da-miata ; a pag. 211 racconta come si partì d* Egitto, e andò a Cipro e prima in Famagosta ;’a pag. 215 segue a narrare come si partì da Baff e per Limisso andò a Nicosia. Evidentemente questa Baff è in Cipro. L’odierna Baffa, l’antica Paphos, non può essere Giaffa che è l’antica Joppe sulla costa di Palestina. Mariano da Siena entro poche linee rac- (1; Storia dei Musulmani in Sicilia, Firenze, 1872, III, 351, Vedi qui sotto alla voce, Cerche. GIORNALE LIGUSTICO I37 conta che ai 20 maggio del 1431 fu nell’isola di Cipro a un luogo che si chiama Baff; e che il successivo giorno 24 giunse a Giaff porto di Terra Santa. A dire il vero l’altro luogo a pag. 197 ove Poggibonsi nomina Baff non è altrettanto chiaro. Egli è ancora in Egitto e parla delle diverse sette religiose che vi ha osservato, donde per connessione di soggetto, accenna anche ad una sinagoga di ebrei che ha veduto a Baff. Ma anche qui per lo meno non vi era criterio sufficiente per preferire la lezione Giaff, potendo essere vera 1’una o l’altra. Betteraca, I, 211. — Nei dintorni di Betlemme vi sono due luoghi vicini, uno detto il Monastero di Sant’Elia, l’altro il sepolcro di Rachele : quest’ ultimo in arabo suona Kubet-Rachil. Quantunque Poggibonsi ben distingua i due luoghi , tuttavia potrebbe averne confuso i nomi, chiamando il Monastero di Sant’ Elia Betteraca che par simile al Kubet-rachil. Bisunte (ved. moneta), I, 25, II, 187. Bucine, lì, 254. — Poggibonsi dice « capitai alla marina a uno bucine che v’erano più barche ». L’editore ne inferisce il senso di seno o porto, ma il Dizionario non ha questa parola. Per mio avviso si può interpretare « capitai alla marina a una nave che vi era fra le altre barche ». Allora si tratterebbe del bucio o bucio-nave, di cui è parola fra i legni naviganti. Vedi Ial, Archeologie navale, Paris, 1840 II, 249, ma meglio e più particolarmente in Belgrano , Documenti riguardanti la due Crociate di S. Litigi, Genova, i859> pag· 312> segg- Cafa 0 Capha, I, 226. — L’editore interpreta questa Città per Caifa della Palestina, ma egli stesso dice questa una cittadina. Avevano allora i Genovesi nel Mar Nero la fiorente città di Caffa o Capha, popolosa capitale della loro colonia nel Mar Nero ed emporio del commercio d’ Oriente. Crediamo più probabile che Poggibonsi alludesse a quest’ultima. i3S GIORNALE LIGUSTICO Cane, I, 2<). — L’ Editore lo definisce abitazione pei Cristiani che andavano pellegrini in Oriente. Ma era per tutti i viaggiatori anche non Cristiani, e più che abitazione un ricovero passeggero , ove non è alcun agio della vita. Insomnia, è il Chan orientale, generalmente conosciuto. Frescobaldi ne derivò la voce Canettiere pel custode del Khan ; è possibile che i Cristiani P intendessero in senso dispregiativo per loro come se fossero chiamati cani dai seguaci di Maometto. Cassero, I, 123. li, 8. — Non ci garba Γ etimologia che dà la Crusca di questa voce da casso, vuoto, nè la sua definizione del cassero per recinto di mura; non è un recinto generale ma 1’ opera più fortificata , F ultimo ridotto ; io ci credo la corruzione del latino castrum. Per analogia si stende anche al castello della nave ; sulla quale voce si veda Bel-grano , libr. cit. pp. 220, 304. Cedar, I, 293. — La memoria di questa Città 0 luogo ci venne anche conservata dal Philippus, pubblicazione del dotto P. Neumann, Vienna, 1842, p. 80. La Descriptio Terrae Sanctae di quest’ Autore , che si crede del secolo XIII, ha , come vedremo, più altre affinità col Poggibonsi. Il Neumann (ivi a p. 33) riferisce altro simile frammento d’un Innominato. Per la distanza di cinque miglia Cedar parrebbe potersi riconoscere oggi in Ain Kaleh che trovo a maestro di Corazain (Teli Korazeh) nella Carta di Palestina, unita al Viaggio Biblico del Dalfi, Torino, 1872. Cerche, II, 38. — Questa parola è usata, oltrecchè dal nostro Autore, da Mariano da Siena e da Frescobaldi nel senso di visitare, far le visite da un luogo all’ altro. Mancava per questo rispetto nel Dizionario della Crusca ma fu aggiunta nella nuova Impressione col passo appunto del Frescobaldi. I Genovesi del medio evo la usavano in un significato affine : abbiamo infatti nell’ Archivio di S. Giorgio 1 Registri delle visite od ispezioni ai Castelli della Repubblica GIORNALE LIGUSTICO I39 per riconoscere se sono in buono stato intitolati : Cerchae Castrorum Januae. E giacché siamo in quistioni di lingua, noteremo altra parola che occorre a ogni pie’ sospinto nei Registri dello stesso Archivio. Ivi describere significa trasportare la scrittura da una persona all’ altra per mutazione del titolo di proprietà. Non era ben detto cancellare, perchè secondo le savie leggi di quell’ Uffizio nulla si potea cancellare ma solo aggiungere, trasportare, annotare in margine. Ora i documenti degli Archivi Toscani pubblicati dall’ Amari (i) ci porgono anche in Italiano la parola discrivere nel significato medesimo: « che non si possa minuire nè discrivere ». Ciborio, Civorio, Civorelto, I, 57, /5?, 77, 161. — Il signor Corrado Ricci (id. II, 252) ha ben corretto la definizione inesatta che il ch. Editore diede di questa parola. Il Poggi-bono non intende di parlare del qui noto ciborio sull’altare, ma di una cupola o altra copertura al di sopra dell’ altare , sorretta per lo più da quattro colonne. Si veda fra i molti che ne porgono esempi il Ducange: fecit tegurium quod et ciborium nominatur super altare. Il che vien dichiarato meglio dall’illustre De Rossi, Roma Sotterranea 11,234, 437, ol-trecchè dal Labus e dal Mommsen: Inscriptiones urbis Brixiae, 1874, p. 76. Il mio coltissimo amico, Avv. Enrico Bensa mi suggerisce una parola che era ancor viva a Milano nel 1481 quando quel Duca scriveva ai Magistrati di Strasborgo per un Ingegnere che venisse a consigliare il modo di finire il tuburio (la cupola del Duomo) ; Borro, il Duomo di Milano, nel Mediolanum, 1881, I, 190. Collirivoii, II, 234. — Nemmeno io riesco a spiegare questo luogo che deve essere nell’ Istria , più a mezzodì di (1) Diplomi Arabi dell’ Archivio Fiorentino, Firenze 1843, al Glossario p. 323, ove pure più esempi della voce Ammiraglio. 140 Parenzo. Il nome più affine che trovo sarebbe quello di Gol-logorizza, ma è troppo nell’ interno e troppo lontano. Colonne che piangono (nella Cappella sotterranea del Golgota) 1, 86-7. — Simile racconto è fatto nel già menzionato Philippus (op. cit. p. 9) : « Columnae que dicuntur flere passionem Domini ». Ma ne fa anche cenno fra i moderni il P. Cassini (op. cit., ir, 131) il quale ciò spiega come prodotto dalla grande umidità che regna in quel sito. Grifoni Greci, II, 200. — Certamente è soprannome di-spregiativo dei Greci nel medio evo : si confronti il nome Mata Grifon (ammazza greci) dato in quei secoli a castelli fondati da Europei dominatori in Grecia, per esempio ad Acova in Morea. Vedi Hopf, Chroniques Gréco-romanes, Berlino, 1873 Ρ· 4^9 5 Schlumberger, Numismatique de l’Onent latin, Paris, 1879 p. 324. Damante 0 Diamante, 1, 14. — Montagna che forma un canale marittimo di faccia_alla costa di Modone. Deve essere l’isola o un monte nell’ isola della Sapienza. Frescobaldi dice « dirimpetto al porto di Modone vi è un grandissimo poggio il quale si chiama il poggio della Sapienza ». Il Nouveau Portulan , Tolone, 1829, II, 465 ha; Ulle de Sapience vue de 8 lieues dans ΓOrient, n’offre aux regards qu’un êcueil en pain de sucre. Una delle sue rocche lascia il passaggio per mare appena di un buon miglio. Dramme, Dremi, diremi ecc. Vedi Moneta. I, 27, 36, 270, 277- II, 7, 185. Explicit, II, 248. — La chiusa del libro è sul gustp del tempo ; ne ho dato esempio nella Rassegna del Codex Co-manicus (.Archiv. Storico Italiano, 1881, VII, 256. Un altro esempio vidi alla Vaticana in un Portolano ms. segnato numero 4807, in fine del quale sta « Qui scripsis scribas, rnirabdlus cum domino vibas (sic) » Vivat in celis semper cum domino felix ». GIORNALE LIGUSTICO I4I Famagosta, I, 23. — L’Editore la dice l’antica Salamina Thamassus, ma non è nè 1’ una nè l’altro. È invece l’antica Hammahostos di Tolomeo, la quale nell’ Atlante deH’Hughes,. per esempio, è posta più a mezzogiorno delle rovine di Salamina (Vedi Nicosia). Fogliol/ΐζ%_e, /, 25? 9 (Vedi Moneta). Frigoli, //, 2}6. — È evidente che si tratta del Friuli , verso le cui coste volgeva la prora il Poggibonsi venendo dall’ Istria e gassando di faccia a Grado. Un libro stampato in Udine nel 1484 è intitolato « Co-stituzion de la patria de Frivoli ». (Hain Repertorium Typo-graph. I, 2.a 194, n. 5670. Il vino del Friuli è detto Fyrguller da un viaggiatore tedesco in Ròhricht , Deutsche Pilgerreisen,' p. 142. Cosi anche Trau sulla costa dalmata è tradotto in Tramrium. o Gerusalemme, I, 40. — Poggibonsi la dice situata su tre colli, dei quali quello di mezzodi è il Monte Sion , e a ponente (sic) è il Monte Moria. L’Editore avrebbe dovuto correggere 1’ errore , perche il Moria è a levante della Città. Ma egli aggrava il male con un altro errore. Dopo citato il Tasso dicente che Gerusalemme è posta su due colli d’impari altezza, si fa a dichiarare quali sono questi due colli e li spiega pel Monte Sion e per 1’ Aera, aggiungendo che il Sion è a settentrione dell’ Aera. Ora un’ occhiata alla carta fa subito conoscere che è tutto al rovescio, essendo il Monte Sion il sito più meridionale della Città. Il Dalfi (Viaggio Biblico sovra cit., Ili, 358-9) reca pure i versi del Tasso ma li dichiara meglio, notando che più di tutti gli altri monti risaltano alla vista il Moria ed il Sion. Per un altro monte Oslra in vicinanza di Gerusalemme e per la Chiesa di S. Salvatore, vedi queste voci. Il P. Bassi nel Pellegrinaggio di Terra Santa (Torino 1857) inserisce una pianta di questa Città, più particolareggiata di I42 GIORNALE LIGUSTICO qualunque altra a me nota in istampa; però alla Biblioteca Universitaria ve n’è una in ms. di un Piacentino Lusardo, assai chiara e pregevole pér ben capire la distinzione delle diverse parti e dei luoghi delle pie memorie. Ivi e pure la pianta della Chiesa del S. Sepolcro disegnata con minutezza, alla quale non saprei contraporre altra, salvo quella del Munch nell’ Univers Pittoresque e la Palestina del Bedecker. Girradini, /, 236. — Certamente i marinai di Zara nella costa dalmata, ove Poggibonsi si trovava. Come i A^eneti nel loro dialetto cambiavano Giaffa nel Zaffo ((fi che altrove ho parlato) (1), per converso i Fiorentini cambiavano Zara in Giara. Mariano da Siena dice « fummo in Schiavonia e a Giara ». E Frescobaldi scrive Giante invece di Zante, isola. Grepparia, I, 211, 2jy. — Nome ben noto di una specie di legno da navigare. Ved. Ial, op. cit. II, 132, ove parecchi esempi. Vedasi anche il Giornale Ligustico 1882, p. 44· Le citazioni si potrebbero accrescere senza fatica ; ne addussero a gara i Signori Belgrano , Neri, il P. Vigna, alla lettura di questi appunti in seduta della Società. Messinala-1'o, caspe, gorga, natadossi, suini, I, 306, II, 119» 121, 166. Parole che si dovrebbero credere arabe, male intese e storpiate dal Poggibonsi nel trascriverle. Ma l’ill. Amari, chiestone da me, risponde che più che storpiate sembrano imaginarie, non avendo alcuna rassomiglianza col linguaggio arabico. Lo stesso si dovrà dire senza dubbio di quel Innathaly Assiabassya (II, 45) che stando alle varianti dei codici parrebbe equivalere alle parole: che Jesu Cristo sia con noi. MONETA. Bisanti, I, 2j; II, 18η. Dramme, dremi, diremi ecc. I, 27, ]6, 270, 277, II, 7. 8j. (1) Nel Giornale Ligustico, 1875, p. 168, Rassegna dei Colombo d’Italie et de France di E. Harrisse. GIORNALE LIGUSTICO H3 Fiorini, I, 36. Fogliolunne, I, 2yy. — Le Fogliolazze non possono essere che un travisamento della parola folli, più comunemente detto folleri dal Frescobaldi, dal Pegolotti ed altri. Erano di rame e la moneta più vile che corresse nell’ impero Bisantino e nell’ Oriente. In quanto alle dramme, diremi ecc. l’Editore si è avveduto un po’ tardi che sono tutta una stessa moneta d’ argento , e dopo avvedutosene avrebbe dovuto rifondere in lina sola nota il suo concetto prima di darlo alla stampa. Il diremo o dirhem come lo chiamano gli Arabi è una derivazione o continuazione non dubbia dell’ antica dramma. Già moneta greca, poi diffusa in Oriente colle monarchie dei successori d’ Alessandro, rimase in Persia sotto i Sassanidi sostituitisi a que’ successori; di qui come moneta d’ argento fu adottata dai conquistatori Maomettani, i quali per la moneta d’ oro seguirono invece il sistema delli Imperatori bisantini di Costantinopoli. Perciò 1’ aureo , battuto tanto a Bisanzio quanto dai Musulmani, corse in Europa sotto il nome di bisante. Non è esatto che vi fossero bisanti d’argento : se O 7 qualche documento li nomina, lo si deve intendere per moneta di conto e variabile secondo il cambio, cioè per una moneta d’ oro, pagabile in diremi d’ argento quanto valgano al tempo rispettivo. Tanto è vero che dramma e diremo sono una stessa cosa, che nei documenti 1’ uno talora è tradotto per 1’ altra. Ad esempio valga un passo del 1278 (Regno di Carlo d’Angiò del chiar. Minieri Riccio, nell’Archivio storico Italiano 1878, I, 444). Ivi il Re di Tunisi deve bisanti 100,000 ad rationem de dragmis et media prò dupla (doppia 0 doppio bisante di oro effettivo). Non ci porgono un concetto chiaro i ragguagli che l’Editore piglia dal Poggi pel valore del bisante ; cioè del valore ï44 GIORNALE LIGUSTICO di L. io nostre o di 50 soldi al tempo del Ducange ; e di bisanti 8000, pari a circa 7 milioni; poiché non ci si spiega su qual fondamento si appoggi il calcolo. Più chiaro e giusto è 1’ altro ragguaglio, dato dal Sigoli, di fiorini 1 1/4 a bisante, confermato eziandio dal Frescobaldi che lo dice pari a ducati veneziani 1 1/4. È noto che questo ducato e il fiorino di Firenze avean io stesso valore, che si calcola a grammi d oro fino 3,536 e a lire italiane 12,17; perciò un bisante (in Egitto) dovea contenere d’ oro fino grammi 4,42 pari a lire italiane 15,21. Tale era pure a quei tempi il valóre àe\V Augustale di Federico II e delle Doppie barbaresche che sono tanto comuni nei documenti, specie genovesi. Il Conte Castiglioni (1) rilevò anch’egli dal Frescobaldi tale ragguaglio in oro del bisante; e cercandone il valore anche in argento, notò che Frescobaldi equipara i diremi d’Egitto ai grossi d’argento veneziani, e che Marino Sanudo calcola a grossi 24 il ducato; di che gli sembra potersi argomentare che un bisante valeva grossi 0 diremi 30. Ma in quest’ ultima conclusione erra per mio avviso il dotto Orientalista confondendo tempi diversi, benché vicini. Marino Sanudo cominciava a scrivere i suoi Secreta Fidelium Crucis nel 1305; Sigoli e Frescobaldi viaggiavano nel 1384. In questo frattempo il cambio fra 1’ oro e 1’ argento mutò notevolmente. Nel 1306 ci voleano più di 14 pezzi del metallo meno nobile per averne un solo d’oro d’egual valore; 1’ argento andò poi rapidamente così rincarando che nel 1384 bastavano dieci pezzi e un quarto, o poco più, dJ argento per uno di oro. Senza ricorrere ad altri ragionamenti che mi trarrebbero troppo fuori dal presente soggetto, abbiamo già fortunatamente in Poggibonsi stesso una delle prove del rialzo dell’argento al 1345, anno del suo viaggio. Egli dice (I, 30 (1) Le Mondi Cufidie del Museo di Milano, 1819, pp. LXV, LXXIV. GIORNALE LIGUSTICO *45 che pagò coi compagni per tributo, « 72 drammi, che monta, » secondo nostra moneta, fiorini 4 per testa ». Ciò stante, un fiorino tornava a 18 drammi e non a 24 come nel 1305; quindi un bisante era' allora pari a drammi 22 1/2 e non a 30. Un diremo o grosso veneziano, contenendo grammi 2,10 d’ argento fino , torna a centesimi 47 ; 24 grossi, pari a un fio rino, nel 1305 sono dunque lire italiane 11,28, ed un bisante sale in argento a L. 14,10. Ma nel 1345 grossi 18 a fiorino tornano a L. 8,46 e grossi 22 ij2 a bisante fanno L. 10,57. Nè dee far maraviglia questa differenza oggidì fra il conto in moneta d’ oro e quello in argento : ciò è sempre pel corso o cambio variato da un tempo all’ altro fra i due metalli, attalchè , Γ argento essendo di nuovo ribassato , ci vogliono ora, legalmente , pesi quindici e mezzo di questo metallo per uno d’ oro. Qui cadrebbe parola sulle spese del viaggio di Terra Santa, ma il Poggibonsi ne tace. Mariano da Siena nel 1431 pagò ducati (o fiorini) d’oro 30 (Lire italiane 365), come i suoi compagni, a doverli levare e porre da Venezia a Gerusalemme e viceversa per spese di nolo della Galea, vivendo però a proprie spese appena pigliano porto. Altri esempi reca il chiaro dott. Rohricht (Deutsche Pilgerreisen, Berlino 1880, pp. 16, 145), ma che, per essere utili, bisognerebbe ridurre ad una sola specie di moneta odierna. E giova avvertire che fin qui noi abbiamo inteso parlare della sola quantità d’ oro o d’ argento contenuta nelle accennate monete ; chè, quanto ai viveri od- altri agi della vita che con quella quantità si potevano procacciare, crediamo che il benefizio ne sarebbe stato per allora tre volte tanto che non oggidì. Moscheda, I, 196. — Non è errore lo'scrivere così per moschea, come supponeva 1’ annotatore del Viaggio di Sigoli; anzi moscheda e moscheta è la forma più esatta perchè meglio Giorx. Ligustico Jnno XI. 10 146 GIORNALE LIGUSTICO risponde alla parola originale araba Mesced o Mescid. Si sa che i nostri poeti usano la parola Meschita. Nicosia, I, 24.— Non corrisponde già all’antica Trmithus ma a Leucosia il cui nome, ben vicino a quello di Nicosia, si conserva anche più puro in Lefkosce, come tuttora la chiamano i Turchi (1). Nell’ Atlas antiquus di Sprüner si vede Leucosia nel centro dell’ isola di Cipro fra la Tremithus al suo levante e Thamassus al ponente, sempre in mediterraneis Cypri, come dice' il commentatore di Plinio. L’illustre Conte di Mas-Latrie chiama ancora oggi Treme-thoussia 1’ antica Tremithus e la dice situata a 4 leghe da Larnaca nel piano di Messorea. (Hist. de l’île de Chypre I, 6). Ostra monte, I, 153. — Nemmeno io trovo altrove questo nome in vicinanza di Gerusalemme, ma la sua posizione è abbastanza chiaramente indicata per non lasciar luogo a dubbio. È a levante della Città e dove gli Ebrei aveano sacrificato al Dio Moloch : non può essere che il monte , dagli altri viaggiatori chiamato dello Scandalo o dell’ Offesa, posto a mezzodì del Moria. Probabilmente è la stessa parola Offesa, scritta abbreviata, perciò male interpretata. Panfeno, I, 20. — Non può ammettersi l’etimologia di questa voce dal greco pan e feno (tutto io mostro). La parola e corruzione del legno da navigare che si chiamava Panfilo; di cui vedi in Jal, op. cit. I, 242-3, 249, 266 e in Belgrano op. cit. p. 26. L’ origine del nome è bizantina ma lo lai non volle dicervellarsi a cercarne l’etimologia. Pamphylus sive Galea, trovo in un atto notarile del del 1302. (Richeri ms. all’ Archivio di Stato. A. 92, 1). Pelago di mare, I, 2iy, 226. — Il senso di questi passi concorda con quello dei documenti genovesi medioevali, in (1) Ved. 1 Atlante dell’Hughes e Hammer, Storia dell’impero Ornano, Venezia , 1830, XII, 573. GIORNALE LIGUSTICO *47 cui si parla del pelago, come di tratto di mare discosto dalla spiaggia, o in alto mare. Vedine la spiegazione giuridico-finanziaria che ne ho dato negli Atti della Società Ligure, Rendiconto del 1866, III, p. XC. Piaggeria, II, 146. — Veramente il Poggibonsi non adopera questa parola; si l’adopera il Sigoli citato dall’,Editore, e il Frescobaldi la traduce più italianamente in malleveria. Io ne piglio nota per avvertire che pieggeria era ed è forse ancora parola usata a Venezia, nel cui Archivio di Stato si conserva il Codice da Plegiis del secolo XIII. I documenti genovesi simili ma più recenti adoperano in questo caso la parola de securitatibus, e sono cioè le malleverie prestate alla entrata negli Uffizi per guarentigia di buon esercizio, oppure negli appalti per guarentigia di buona osservanza de’ contratti. Rosso (Mare). — Non è così ricisamente certa, come pare al chiar. Editore, la derivazione del nome di questo mare dai coralli, che a foreste si nascondano nelle acque , specie allo stretto di Bab-el-Mandel. Non ignoro che la si ammette anche in Enciclopedie moderne, ma ha molti ed autorevoli contraddittori. Già i viaggiatori, Bartema nel 1506, Corsali nel 1507 asseriscono che il Mar Rosso non si distingue dagli altri pel colore. Il Magalotti (1), che ci fu due volte e vi stette più di due mesi, facendovi sperimenti fisici, riferisce le varie opinioni su tale quistione, le rigetta e parlando specialmente di questa dei coralli, la chiama un solenne sproposito. Saetta (un Saraceno che avea nome), II, 116. — Certamente il nome di quest’ uomo in arabo era Said. Colgo 1’ occasione per accennare un passo di un trecentista di cui mi è sfuggito il nome, che diceva di un altro uomo che « andò a Saetta ». E il suo commentatore spiegava che questi andò rapidissi- (1) Del Mar Rosso e sua denominazione, inserita nell’edizione del Frescobaldi fatta dal Fiaccadori di Parma, 1843, p. 163. 148 GIORNALE LIGUSTICO mamente. Non ignoro che la voce è citata anche in questo senso da qualche Vocabolario, ma quel Trecentista voleva dire che . 1’ uomo andò a Sidone di Fenicia. Sidone , oggi chiamata Saida, negli Scrittori del medio evo si scriveva Sajetta, Saigete o simili secondo i dialetti; e per la somiglianza del suono, il, suo stemma sotto i Crociati era figurato in una saetta. Vedi Schlumberger, op. cit. p. 112. Salamina, I, 212, (Ved. Famagosta e Nicosia). San Salvatore (in Gerusalemme), I, 128. — Ai tempi del Poggibonsi questa Chiesa e Monastero era al Monte Sion; oggi i Francescani sono stabiliti ad altro San Salvatore non lungi dalla Chiesa del S. Sepolcro. Il chiaro Editore avrebbe fatto bene ad avvertirne il lettore per evitar l’equivoco; ciò tanto più perchè mi pare poco avvertito in generale. Ma il Sanuto e il Sigoli fan parola dell’ antico luogo e più chiaramente il Philippus (p. 39) ha: domus S. Salvatoris in monte Sion quae olim fuit domus Chaiphae principis Sacerdotum. Fra i moderni, meglio di tutti il P. Cassini (2) racconta che i Frati furono cacciati dal Sion nel 1551, e che otto anni dopo comprarono il terreno ove costrurre il nuovo Monastero non lungi dal S. Sepolcro. Donde si vede che essi vi trasportarono anche il titolo antico di S. Salvatore. Tartari, I, 1^2. — Il Poggibonsi dice che un tempo i 1 artari acquistarono una parte della Terra Santa « e presono » Jérusalem..... poco poi i Saracini ripresono Jerusalem e » rincalciarono i Tartari infino a Damasco ». L Editore non sa di qual tempo si parli, e cita la presa di quella Città pei Turchi nel 1059 (leggi 1079) , fra le altre guerre , a cui possa alludere 1’ Autore. Ma egli non riflette che qui si parla di Tartari cioè Mongolli, e non di Turchi; pei conseguenza non credo che si possa alludere nemmeno (2) La Terra Santa descritta (Genova, Ferrando 1855), I, 387 ; II, 49-50. GIORNALE LIGUSTICO I49 ai Turchi Garismii che la presero nel 1244, ai quali però accenna chiaramente il Philippus, p. 39. Sarei d’ avviso che si alluda alli anni 1300-130,1 , alla impresa del Chan Mon-gollo di Persia Gazan , allorché questi, in lega coi Re d’Oc-cidente contro il Sultano d’ Egitto , conquistò Damasco e si preparava a venire a Gerusalemme; ma il suo esercito si sciolse, e il Sultano presto riconquistò il perduto. È vero che Gerusalemme non fu presa, ma la fama, che fu presa, corse per lOccidente, come risulta dalle Cronache di quel tempo, e cagionò il risveglio per una nuova Crociata. Il Poggibonsi cogli altri l’avrà letto o l’avrà sentito dire. \7edi Desimoni, Conti dell’ Ambasciata al Chan di Persia, in Atti della Società Ligure, 1879, ΧΠΙ, 573. Abel Remusat, Recherches.... nel-1’ Académie des Inscriptions, 1824, VII, 383-7. Tomba (della Capella del S. Sepolcro), 1, J2, 114. — L’Editore #dal senso di questi passi rileva giustamente che qui la parola significa cupola, e nota che in questo senso manca nel Dizionario italiano. Qui cade in taglio un documento riferito dal Belgrano op. cit. p. 355, ma prima pubblicato dallo Jal. Ivi è sigillum Tubae Templi, il sigillo dei Tempiarii, il quale pel suo disegno rappresenta appunto la cupola del S. Sepolcro e lo Jal si domanda se invece di Tubae, non abbia a leggersi Cubaci Kiimbat, plurale Kubbe è cupola o volta in arabo (ved. Meninsky-Ciadyrgy , Dizionario turco-arabo-persiano, Milano, 1832, p. 489). Sia comunque, credo che il nome tomba del Poggibonsi abbia relazione con queste altre parole tuba e cuba., se non di diritto, di fatto. Trasanna, I, 228, II, 20, 132, 249. — Dal senso ben vede 1’ Editore che questa voce significa un androne o corridoio, e ne deriva l’origine dalla parola transire, ma anche se si voglia, dal passar oltre , come nel Ducange; meglio per mio avviso che da transandare in senso di trascurare, come altri pensano. 150 GIORNALE LIGUSTICO Lo stesso Ducange ha nel medesimo senso la voce transenda e un esempio che la spiega come sinonimo di anditus : et sunt conjunctae cum ipso anditu seti transenda. Si potrebbe chiedere se non sia da cercarsi qui Γ origine del genovese trexenda la quale nei nostri documenti mediovali equivaleva alla odierna inrercapedine o spazio vuoto tra due case; sebbene poi fosse interpretata nel senso poco nobile a cui tuttora serve la intercapedine. Un altro significato, ma in qualche modo affine, avea la voce transenna che indicava la separazione del santuario dal resto del tempio per mezzo d’ un cancello per lo più traforato e marmoreo. Sul che vedasi il Lexicon latinitatis del De Vit, il Dictionnaire des Antiquités Chrétiennes del Martigny; specie il Comm. De Rossi, Roma Sotterranea II, 235, III, 437 e passim nel Bollettino di Sacra Archeologia. Tribuna (a mosaico), I, 7 8. — È l’abside, 1’emiciclo che chiude una Chiesa o Capella. Non occorrerebbe dirlo se non mi piacesse accennare al nome medioevale che ne sorse nei documenti genovesi di truina. Ne vediamo esempi nel Registro Arcivescovile (Atti della Società II, part. 2/ p. 60) al 1140, e in atti del 1204, 1213, 1249 per la truina di S. Nicolò nella Metropolitana e del 1159 per la truina della Chiesa di S. Damiano. (Poch, Miscellanea Genovese, Ms. iilla Civica, IV, pp. 79, 394} 393, 394; e vol. V. Reg. i.° p. 20). In Ducange v’è l’esempio d’un’altra corruzione della tribuna in trofina. La truina 0 trofina deriva da tribuna come questa deriva da tribunal; il tribunale che nelle basiliche romane, modello delle cristiane, occupava il luogo più rispettato e per lo più terminava in semicircolo. C. Desimoni. CIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ. Lettere inedite di Ludovico Antonio Muratori ad Antonio Gatti Continuaζ. vedi num. 44). x. Modena 4 Luglio IJ04. Voi dunque siete a mangiar la torta. Mi rallegro con voi per 1’ aria pura , per la quiete e per la villeggiatura da me invidiata. Son belli i Sonetti del Signor Marchese., ed è una fiera stitichezza quella di chi non soffre che si stampi cosa del .Signor Marchese suddetto. Io però fra qualche giorno voglio tentar la sorte , senza mostrar di aver ricevuto nulla da voi. Lasciatene pure la cura a me ’, che m’ingegnerò senza scrupolo vostro. De’ vostri due Sonetti dirò che mi piacciono assai, e il secondo più del primo. Sono ben tirati, e felici, e ancor voi nel primo vi siete servito delle Rime d’un Sonetto del Padre Pastorino. Vi sono alcune cosette, che potrebbono osservarsi, come quell’ et onde ecc., ma son bagatelle , che non importa metterle in carta. Presentemente io son disgustatissimo delle faccende 'poetiche, e languisco per la costante fatalità, che ritarda il principio della stampa. Iddio m’ aiuterà per superarla in bene. Raccomanderò al Zeno il vostro affare. Io non ho per anche veduto le copie, che m’invicate, e farò diligenza per averle, siccome voi dovete ingegnarvi di favorir me per le Iscrizioni. Monsignor vescovo di Tortona mi fe’ rispondere ultimamente per lo suo Segretario, che egli era in visita, e procurebbe di favorirmi al suo ritorno. Io tuttavia ho poca speranza, perchè conosco il Baron Cavalchini, uomo di molte parole, e di niun fatto. Voi gentilmente ragionate sul merito della Canzone consaputa. Credo assolutamente che sia una frottola finora il regalo vantato. L’Autore non scrive a me : ciò è brutto segno. Felice chi è almen nell’ opinione beato. Io non son tale nè in opinione, nè in fatti. Veramente io non ho gran genio a scrivere novità , benché per altro volentieri le ascolti. Nulla dimeno vi dirò, e voi già lo sapete , che i Tedeschi abbandonarono modestamente Serravalle ed Ostiglia e ritirati IJ2 GIORNALE LIGUSTICO verso il Veronese passarono di là dall’ Adige. Dove ora sieno io noi so. Dal campo fa scritto, essere stati i Francesi assicurati dal Generale Molino, che coloro se ne sarebbero adirittura andati a casa loro. Ieri cominciarono 2500 persone.il blocco della Mirandola, il cui presidio ultimamente pose in costernazione tutte le nostre ville coll’ intimar loro in termine di tre giorni il condurre tutti i raccolti in quella Piazza. Grandi lamenti ci sono e ci saranno sì dalle parte de’ Papalini, come degli Alemanni per 1’ azione seguita già sul Ferrarese, sapendosi che i Francesi passati all’ improvviso il Po misero in fuga i Tedeschi valendosi anche del cannone de’ Papalini, quando quegli già s’erano composti col Legato per uscire in breve dal Ferrarese, e già s’ erano inviati verso il Veronese. Chi avrà colto, suo danno. Continuano i ribelli le loro scorrerie fin sotto Vienna. Si conferma però una rotta loro data dall’ Eister il giorno di Sant’ Antonio. Portaliegre preso in Portogallo. Pare che la Baviera abbia da sospirare, quando non le vengano nuovi soccorsi. Nulla delle Flotte. Caramente vi abbraccio. XI. Modem 10 Luglio 1704. Senza vostre lettere e perchè non ho altro da scrivervi, solamente vi significherò le poche nuove di guerra che corrono. Già è formato il blocco della Mirandola con danno ed aggravio di questo miserabile paese. Si fa conto che quel Presidio sia almeno di mille Tedeschi abili al servizio. Altri lo fan più forte. Nel territorio del nostro Finale i Francesi entrarono con saccheggio e fecero peggio che in terra nimica non perdonando nè a Chiese nè ?d onor di donne ecc. La giustizia fatta di 3 d’ essi non medica la piaga. Ieri il Podestà della Mirandola andò al campo. Improvvisamente ci venne ieri avviso come per lettera del Generale Molino s’era inteso, che i Tedeschi a i 7 del corrente erano usciti con tutti i loro bagagli fuori d’Italia, incamminati alla volta del Tirolo. Noi ce ne siamo rallegrati. Non se ne rallegrerà tanto il Duca di Savoia. Continuano i Ribelli le loro scorrerie fin presso a Vienna. Si erano spedite al Ragozzi nuove proposizioni, ma poco se ne sperava. La Baviera avrà un gran fuoco, ma resisterà. Mi chiede il Fontanini se siate vivo. Gli ho risposto quanto occorre. Finora non ho veduto i vostri libri. Vi raccomando il Cagnolino ecc. Addio. GIORNALE LIGUSTICO ISS XII. Modena 7 Agosto 1704. Dopo avervi scritto lettere numero 3 senza mai vederne risposta, non sapeva io più che pensar d’ esse o di voi. Perciò 1’ ordinario scorso non vi scrissi. Finalmente mi son giunte due vostre in un medesimo punto , che mi han tutto consolato , veggendovi sano in tempi sì ostinatamente caldi, e lieto in cotesta dolce ritiratezza. Me ne rallegro con esso voi, e voi vi rallegrerete meco fra poco , essendo io risoluto di passare in breve a Bologna per passare a Villanova e altrove 4 o $ settimane. Monsignor di Tortona con gran possesso mi scriveva una volta, che assolutamente avrebbe ricvata le Iscrizizioni dal Baron Cavalchini ; ed io gli rispondea che non si fidasse delle promesse. Mi dispiace d es sere stato Profeta, e molto più ne sento dispiacere, perchè non so più quale strada tenere per aver questa grazia, che mi sarebbe somma mente cara e profittevole. Premurosamente vi prego di assistenza , e di sellecitare il Segretario di Monsignore con riverirlo anche da mia parte, e fare scusa se non risposi ad una sua lettera , perchè stimai che i miei complimenti fossero più tosto d’ incomodo che d altro. Ma io sarò intricato a servir bene e voi e me, se non fate saltare il cagnolino. Il migliore de’ vostri Sonetti sopra 1 Italia non passerà al tribunale della Politica (1), e gli altri non sono bellissimi, com’ 10 li vorrei per comune interesse. Se voi stuzzicherete la vena, son certo che non nieglierà a voi ed a me questo favore. Quando seguitate con sì bella vena la Canzone Pindarica incominciata , voi farete un componimento suntuoso. Il principio mi par felicissimo. Non so che pensieri antimu saici vi distornino in tanta quiete. ^ Scrivendo all’ Abate Fontanini, farò le vostre parti. Già 1’ Abate Pas- sionei sarà a Fossombrone.' Aspetto sue lettere per intavolar meglio il tempo della mia andata a Bologna. Appresso di lui vi servirò. Nella settimana ventura stenderò in una lettera le mie preghiere a Signor Marchese Alessandro per Ottenere il Sonetto, di cui mi scrivete con tanta stima, e ne chiederò de gli altri con speranza di buon esito. (1) Quello che incomincia : Una Donna regai solinga vidi edito in diverse raccolte. 154 GIORNALE LIGUSTICO Voi dal canto vostro aiutate le mie suppliche, e fate che monna Modestia non disturbi la mia fortuna. Tutto è pronto dal mio canto per la stampa, e quello scellerato Pantalone finora non ha mandato i caratteri , benché il Zeno-abbia minacciato, e i denari già mandati l’abbiano obbligato a mantener la promessa. Ora che un altro maggior pericolo è passato, vel dirò. In fin di Maggio spedi 1’ Abate Fontanini per la Posta a Firenze il mio Manoscritto indirizzato all’ Abate Salvini. Due mesi siamo stati senza più trovarlo , cosa che mi avea posto in una estrema disperazione. Finalmente si trovò , e a momenti l’attendo riveduto da que’ barbassori (i). Non so più che fare per sollecitare questa benedetta stampa, che mi sta tanto sul cuore. Ma non dovrei tardar molto. Le nuove son, che i Ribelli deH’Uogheria e Transilvania non vogliono aggiustamento e fan peggio di prima. Niuno più mette in dubbio l’arrivo del Tallard ad Ulma con 30 mila persone. Ciò è stato cagione che i collegati senza tentar altre imprese si son raccolti vicino ad Augusta decantando di voler attaccar l’elettore trincierato fortemente non lungi. Hanno bensì devastata parte del paese. Non è vero che l’EIettrice si sia ritirata a Salzburg. L’ elezione già seguita in Re del Lubomischi, benché riprovata da Roma, farà eterna la guerra in Polonia. In Fiandra gli Eretici fanno i begli umori; ma in Portogallo non cantano progressi. Quando saran giunti migliori mortari si ripiglierà il bombeggiamento della Mirandola, la quale si dice saccheggiata ne’giorni passati dal Presidio. Ci fa alquanto temere il sospetto, che i Tedeschi del Trentino cresciuti già di 'molto vogliano calar di nuovo. Già facevano de’ movimenti. Poco buona intelligenza passa fra il G. Pr. e il Generale Molino; ma non perciò si ha da sospettare, come fanno alcuni, che San Marco voglia ballare. Or veggio gran quiete in questi Ufiziali. Con che io caramente vi saluto. Il Bernardoni farà più lieta la mia villeggiatura. XIII. Modena 14 Agosto 1704, Il sonetto, che mi avete fatto avere del Signor Marchese mi piace assaissimo, ed è senza fallo migliore di quel di Geneva, quantunque si veggano in quello alcuni lampi assai spiritosi, e qui la Chiusa riesca al- (1) Intorno a ciò ed a molti altri particolari circa ali’ opera della Perfetta poesia si veggano le sue lettere al Salvini, in Leti, ui Toscani, pag. 155 e segg. GIORNALE LIGUSTICO quanto muta. Io lo riporrò nella mia Raccolta, quando se ne contenti l’Au-tore, al quale scrivo in questo medesimo ordinario , inviando la lettera con sopra coperta al P. Antoniotto. Ancor voi, se vedrete il Signor Marchese, aiutate le mie giuste suppliche, e vincete la sua modestia poco opportuna in chi compone con sì buon gusto. L’ altro sonetto, che è vostro, spezialmente mi piace nel fine. Ma egli si pare in tutti i vostri versi, che voi siate il più sventurato uomo del Mondo. Sempre piagnete, sempre vi lagnate. Almeno appaia nel vostro quasi direi ipocondriaco poetare quel magnanimo e forte, che ha da essere in tutti i Filosofi. Ma quel cagnolino perchè mai ha da morir tacendo ? E che tanti imbrogli e pensieri turbati avete voi mai in cotesta solitudine? Io non so indovinarli. Per me vo’ ben procurare di non morir di mestizia nella villeggiatura Bolognese , alla quale penso di portarmi il venturo Lunedì. Scrivendomi voi, indirizzate a Modena le lettere, e se non vi scrivessi io, segno sarà che mi mancherà materia da scrivere. Finora non ho veduto comparir le copie del vostro libro. Il Monti da gran tempo è lungi da Parma, onde non ho potuto valermi di lui. Voi replicate al Signor Marchese Anguissola. Al Fontanini ho portate le vostre ammirazioni per lo suo lungo silenzio, nel quale è imitato forte dal nostro Passionei, probabilmente giunto alla patria. Vi servirò con gli amici di Bologna. S’ accordano tutte le lettere in dire, che i Ribelli mettono sossopra la Transilvania, e l’Ungheria, avendo portato gl’incendi e il terrore fino a Gratz nella Stiria. Altro non han fatto i collegati in Baviera che devastare il paese. Non sappiamo che le truppe del Tallard si sieno per anche unite al campo elettorale. Intorno a Namur hanno gli Olandesi occupati alcuni posti per bombeggiarlo. È incerta la caduta di Narva, certissima 1’ elezione in Re del Palatino di Posnania. Molti strapazzi si fanno e si vogliono fare ai Pantaloni, e benché molti credano , che s’ abbia finalmente a rompere ; tuttavia i più savi dicono che avranno ottimo stomaco per digerire, essendo assai nota la lor debolezza (i). Non hanno poi fatto alcun moto le truppe del Trentino. Sotto la Mirandola non s’ è per anche ripigliato il bombeggiamento, e andrà in lungo questa brutta musica per noi. Altro non vi dico di Spagna , e Piemonte, perchè voi siete obbligato a sapere più verità e bugie, che non ne so io. Caramente dunque vi abbraccio. (l) Intende parlare dei veneziani. Cfr. Attuali ad a. i56 GIORNALE LIGUSTICO Mi scrive Mezzabarba (i) che la Canzone gli ha fruttato 50 fiorini, e il libro della vita del Re per medaglie franchi 500. Voi fate il comento. Sappiate dirmi, se debbo pur nel mio libro aggiungere il cognome di Botta al nome del Signor Marchese, perchè egli si sottoscrive solamente Alessandro Adorno. Io credo di sì. XIV. Modena 25? Gennaio 1705. L’ aver io creduto, che subito dopo Γ Epifania doveste ritornarvene alla Cattedra, mi fece inviare una mia lettera a Pavia. Da essa avrete inteso la cagione del mio silenzio, che altro non è stata che pigrizia. Voi nulla mi dite del successo di cotesto vostro affare, e nulla di Mezzabarba, il quale tuttavia in iscrivendomi dimostra d’ aver parlato con voi intorno alla Commedia di Lamindo Pritanio (2). Per conto desso 10 solamente posso dirvi, che il P. Bacchini, ed io abbiamo ricevuta una copia per uno de i primi 4 fogli per la posta. Era annesso un biglietto, che diceva che noi c’ indirizzassimo a Mons. Bianchini da qui innanzi. cosa che ci fa credere che il colpo venga da Roma, e che non sia fatto 11 giuoco senza saputa di N. S. Noi vogliamo distendere in carta il nostro parere, e inviarlo al dotto Prelato. Quando non vi capiti una copia, e desideraste di veder la mia, ne sarete padrone coll’ obbligo della puntuale restituzione. Eccovi una nota di Libri, che sono in Ferrara, e si cambierebbono colle copie, che ho del. vostro Libro. Toltone il primo, de gli altri si dàrebbono ancora più esemplari. Osservazioni del Cinonio, parte prima in 12, f. 30. Passerelli Armilli disciplina, in 12, f. 26. Fisica de’ Peripatetici e Caresiani del Pace, in 12, f. 1$. Astorrii de Diis Cabiris, in 8.°, f. 6. Nigrisoli de Charta Dissertio, in 8.°, f. 3. Fabra de Meteoris et morbis, in 4.0, f. 24. Lanzoni de Saliva humana, in 8.°, f. 10. Baruffaldi Vita del Brasavola, in 4.0, f. 36. Scrivetemi, cosa debbo far per servirvi in questo proposito. Già ebbi una gentilissima risposta del Signor Marchese Alessandro; (1) Il P. Gianantonio Somasco. Cfr. Argelati, Bibltot. script, mediol. tom. II, p. I, pag. 512. (2) Tocca qui della notissima Repubblica Letteraria di che Cfr. Soli-Muratori, Vita 22 e segg. GIORNALE LIGUSTICO ' IS? che mi dice che non m’ affanni per la tardanza della stampa, e mi lascia la libertà di mutar quello che mi parrà bene ne’ suoi Sonetti. Se per fortuna fosse in Pavia , ringraziatelo umilmente in mio nome per tanta bontà. Avrete veduta l’Orazione del nostro Fontanini. Nulla ho di nuovo intorno alle cose del Mondo, essendone la miniera solo in coteste vicinanze, onde caramente vi riverisco. Di grazia aiutate 1’ Abate Puricelli a spacciar qualche copia del libro del Signor Marchese Orsi (1), e fategli sapere, quante ve ne possa inviare. Vel raccomando. SPIGOLATURE E NOTIZIE Nel Gennaio passato è morto a Passy Enrico Adriano Prévost de Longpérier giustamente reputato uno dei più insigni eruditi del nostro secolo , specialmente nella numismatica. Ebbe corrispondenza con i nostri cultori di questa disciplina Luigi Franchini, Gaetano Avignone e March. Angelo Remedi. Diversi suoi scritti riguardano la nostra storia, e sono i seguenti: 1864. « Note sur la monnaie attribué a Luni » — Rivista numismatica antica e moderna — Asti, 1864, I, 130. — « Monnaies frappées a Genes sous Charles VII » — Revue Numismatique, N. S. IX, 200. — « Monnaies des Rois de France frappées a Savone » Ivi, IX, 205· 1865. « Monnaie de Charles VI frappée a Gênes ». — Ivi, X, 178. 1866. « De quelques imitation de la monnaie française du XIV siècle au XVII » — Ivi, XI, 453. 1868. « Monnaies de Charles VI et de Charles VII Rois de France, frappées a Gênes » — Ivi, XIII, 272. — « Deniers de Charlemagne trouvés près de Sarzana » — Ivi, 345. 1876. « Le louis de cinq sous » — Journal de Savants, 593, 674. 1880. Comunicazione all’ « Academie des Inscriptions » intorno ad una (1) Si accenna alle Considerazioni sopra la maniera di ben pensare ecc. Bologna 1705. Cfr. Fantuzzi, Scrii. Bolognesi. i5S / GIORNALE LIGUSTICO moneta (o meglio medaglia) d’ oro di Giano II Fregoso Doge, colla leggenda nel rovescio dell’imperatore Massimiliano, 1512-13. * * * Nell’ Elleboro (n. 5) A. Calvini pubblica un breve articolo : « Papa Lucio Il e i Genovesi » — F. Viale segue a dar alcune notizie biografiche di Giuseppe Biamonti, desunte dalle lettere inedite di mons. Pellegrino Farini. — Si dà una Canzone inedita di Lorenzo Costa in morte di Luigi Biondi. — N. Giuliani da un ms. della R. Universitaria incomincia la pubblicazione di un poemetto latino di A. Gallo (1581) intitolato: «Scopulus Pertusus » ossia La Cava. V editore ne dà anche la sua traduzione italiana a Ironte. — Nel N. 6 Stefano Grosso pubblica una lettera inedita di Girolamo Serra al Biamonti. — Girolamo Rossi illustra alcune iscrizioni trovate nel territorio di Ventimiglia. — Nicolò Giuliani seguita la stampa del poemetto del Gallo. * * * Il signor Attilio Ploncher pubblica (Arci). Slor. Ital., T. IX, 146) alcune importanti lettere di mons. Laudivio Zacchia di Vezzano Ligure, Nunzio a Venezia, intorno alla morte di Fra Paolo Sarpi, ed al monumento decretatogli dalla Repubblica di Venezia. * * % Nell’opera seguente: — « The Likeness of Christ: being an enquiry into thè verisimilitude of thè received likeness of our Blessed Lord. By thè late T. Heaphy. Edited by Wyke Bayliss. London, 1881 » — si trova riprodotta l’Immagine Edessena di S. Bartolomeo degli Armeni. * * * Il signor Stefano Charavay visitò nel 1880 gli Archivi d’Italia, per cercare lettere e documenti di Luigi XI, e mercè le cortesi indicazioni del nostro amico e collaboratore C. Desimoni, ne trovò un bel numero d’ assai importanti, dei quali ha dato l’indice nel suo Rapporto edito negli Archives des missions scientifiques et littéraires (Troisième série, T. VII). In fine ne stampa due a guisa di saggio, e sono: Lettera del Doge Pietro da Campo Fregoso a Carlo D’Armagnac luogotenente a Vercelli, nella quale, col pretesto della guerra (propterea quod bellis civilibus impliciti sumus), gli rifiuta un salvacondotto per recarsi t ad visendam hanc urbem et sanctuaria quedam, que in ea sunt » (1453, 15 ottobre) — Altra lettera dello stesso a Carlo VII intorno alla distruzione dell’ armata genovese per opera dei Turchi (1454, 23 marzo). * + + Nel T. VI, fase. 7, 1882 della Société de Geographie d'Anvers vi è un GIORNALE LIGUSTICO IS? articolo di A. Baguet intitolato : « Ove sono i resti di Cristoforo Colombo ? » * >1« * Dalla Storia dell’ Accademia Lucchese di Sciente Lettere ed Arti del dott. Angelo Bertacchi, testé edita, leviamo alcune notizie che riguardano la nostra regione. — Nel 1628 il patrizio Romano Garzoni si reca in Genova a sposare Vittoria Spinola. — Gio. Battista Domenico Sardini venne a Genova per comporre certe differenze fra il governo e i lucchesi ; non potendo ottenere quanto desiderava dal Senato, si presentò al generale Richelieu, del quale guadagnò talmente l’animo che potè per suo mezzo comporre la vertenza. — L’ Humboldt in una sua lettera al segretario dell’ Accademia ricorda le osservazioni meteorologiche di Domenico Franzoni. — Con lettera da Genova del 4 marzo 1806 Bernardo Laviosa ringrazia per la sua nomina a socio corrispondente; e per lo stesso fine scrive da Parigi Ennio Quirino Visconti. — Giulio Cordero di San-quintino in una lettera da Genova (9 ottobre 1819) a Tommaso Trenta, dice : « Ho scoperti due bassi rilievi che devono essere necessariamente di Civitali Matteo ; ho trovato due cantorie o tribune , poste lateralmente nel duomo di Genova, ornate di ottimi bassirilievi e di bellissimi e graziosi puttini con istrumenti musicali, lavorate in legno dall’abile intagliatore lucchese Gasparo Forzano verso il fine del 1600. Poco o nulla ho potuto trovare di relativo alla Zecca ; nè mi riesci di penetrare nel-1’ Archivio del Capitolo , pochissimo conosciuto e curato da questi mercanti ». — Finalmente troviamo in questo volume la più ampia ed esatta biografìa del numismatico Giorgio Viani della Spezia unitamente a tre sue lettere inedite. * ♦ * È stato pubblicato: « Palast-Architektur von Oher-Italien und Tos-kana vom XV lin XVII Jahrhundert-Ge-nua-herausgegeben von Robert Rei-nhardt Architekt und K. G. L. Professor der technischen Hochschule χμ Stuttgart, mit aufmahmen von H. Halmhuber, A. Widmann und audern Architekten. — Berlin, 1872, in fol. ». Il primo fascicolo contiene i palazzi di Genova che ne occuperanno altri quattro. Vi sono le tavole seguenti : Tavole 1, 11. Palazzo del Municipio (Doria-Tursi). Parte della facciata ; tav. ih. Idem. Pianta del pianterreno ; tav. iv. Idem. Pianta del primo piano; tav. vii. Idem. Mascheroni sopra le finestre del pianterreno ; tav. vili. Idem. Spaccato attraverso la corte; tav. ix. Idem. Facciata. — Tav. xiv. Palazzo della Regia Università. Pianta del pianterreno ; tav. xv. Idem. ι6ο GIORNALE LIGUSTICO Pianta del primo piano; tav. xvi. Idem. Vestibolo d’ entrata. — Tav. xxvm. Spaccato della villa Cambiaso in S. Francesco d’Albaro; tav. xxxi. Idem, a) Dettagli dei cassettoni della volta a tutto sesto della loggia del piano pimo — b) Dettagli della loggia del primo piano. — Tav. xxxvi. Palazzo Durazzo. Vestibolo a’ entrata. — Tav. xlii. Palazzo Andrea Doria. Loggia; tav. xliv e xlv (Cromolitografia) Idem. Decorazione della volta della loggia. — Tav. lxii. Villa (palazzo) Sauli. Pianta del Pianterreno ; tav. lxiii. Idem. Facciata verso il giardino; tav. lxvi. Idem. Fondo della corte. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Letters of C. Columbus and A. Vespucius with an introduction^ by George Dexter, Boston, 1878 pag. 22, 8.° (estratto dagli Atti della Società Storica del Massachussetts). La nostra Rassegna sulle lettere di Colombo e di Vespucci era appena stampata nel fascicolo precedente (pp. 65-74) quando l’opuscolo sovra annunziato pervenne alla Società Ligure per cortese invio del sig. Dexter, Segretario della Società Storica sopra accennata. Come si vede è la traduzione in inglese di quelle stesse^ lettere di cui avevamo discorsa la traduzione italiana del Ch. Zeri. Il sig. Dexter arricchì questo lavoro di una importante introduzione, nella quale vogliamo rilevare la differenza fra la sua opinione e quella del Conte di Toreno circa la data della prima lettera di Colombo. Il lodato Conte 1’ attribuiva all’intervallo fra il secondo e il terzo viaggio, di Colombo (firie del 1496 o principio dell’ anno seguente), il nuovo Opuscolo 1’ attribuisce al periodo tra il primo e secondo viaggio (tra il 15 aprile e il 25 settembre 1493). Le ragioni di questa seconda opinione ci sembrano persuasive. È noto infatti che Cristofaro già nel secondo suo viaggio fondò la Città Isabella nell’ isola Spaglinola (Haiti) ; egli vi aveva approdato recando con se grande quantità di uomini, animali, semenze, utensili ecc. Durante la sua dimora in Ispagna tra il marzo e il settembre erano state impartite dalla Corona le istruzioni opportune per la nuova Colonia, nominato un Contadore generale, Ricevitore pel fisco regio, un Alguazil ; fu vietato andare o mandar merci colà senza il consenso del Re, di Fonseca 0 di Colombo; compilati minuti regolamenti pel commercio e per la tenuta dei conti, determinato il porto di Cadice, donde devono partire le merci per alle Indie e dove dee farsi il ritorno e lo scarico ; si ordina che al-1’ arrivo di Colombo alle terre scoperte si costruisca una dogana per P entrata delle merci con officiali proprii e con libri per registrare ; ogni nave mostri il suo carico d’uomini, armi, provisioni e se consultato il registro di bordo si riconosce che alcuno ha recato più del manifestato, si/ punisca. Tutti i quali provvedimenti si possono leggere nel Navarrete Collecion de los Viages y descubrimientos II. pp. 51 e segg. Posto adunque , che già nel secondo viaggio tali disposizioni furono determinate, è duopo inferirne che Colombo era stato interpellato prima ed aveva già risposto colla lettera presente. C. D. Pasquale Fazio. Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 161 la cucina del vescovo di luni Il documento che qui pubblichiamo (i) è assai curioso, per le peculiari notizie intorno alla vita privata dei vescovi di Luni, i quali nella loro qualità di conti, aveanp largo potere civile. Essi traevano tutto quanto era necessario ai bisogni della vita, dalle prestazioni imposte ai vassalli ed ai castaidi o tenitori de’ fondi rustici. Alcuni dell’ Amelia, ad esempio , dovevano al vescovo ciascun anno VI denarios pro agnellatico et I gallinam in carnisprivio et I j uncatam in S. Maria de medio Augusti, et facere balneum domino episcopo et apportare aquam de mari et'colligere herbas odoriferas ad dictum balneum faciendum; altri era obbligato a portare legna per il forno ; un altro erbaggi e cervogia; e chi accomodarlo di materassi e oo o * sacconi, chi di un letto compiuto. V’ era chi dovea al vescovo unum admiscere de duobus annis uno; ed un Opecino giudice, cioè avvocato, aveva obligo di lavorare in cucina coi cuochi. In so mina il vescovo avea distribuito i servigi tra le famiglie dei suoi fedeli in modo che, giungendo in qualche luogo, nulla rimanesse a desiderare (2). Come si vede, quattro poderi dovevano ogni anno ripartitamente, in tempi determinati, apprestare le cose necessarie alla cucina, ricca di cuochi e sguatteri, ai quali era preposto un capo, che occupandosi più specialmente della mensa personale del vescovo, avea ufficio di sopravvegliare al buon andamento di tutta la cucina; che se alcuno mancasse al debito, doveva essere battuto , come gli altri della masnada. (1) Esiste nel Codice Pallavicino, conservato nell’ Arch. Capitolare di Sarzana ; porta il n. CHI. (2) Cibrario , Econ. polit, medio-evo, II, 104, 106. Schiavitù e servaggio, II, 354 Giorn. Ligustico, aitino IX. 11 IÊ2 GIORNALE LIGUSTICO Alla tavola episcopale si faceva grande uso di carne , nè vi mancavano i ripieni tanto cari agli antichi, nè gli arrosti; insieme ai porcellini, agli agnelli, ai montoni ed ai capretti, compariscono le lepri, i caprioli, ed i cervi. Singolare infine la minutezza con cui vengono indicati i diritti dei servi. Quando, fu rogato quest’ atto era vescovo Pietro di cui ignorasi il cognome. In eterni Dei nomine, amen. Ad memoriam in posterum retinendam in hac pagina describitur ordo cocarie domini Lunensis Episcopi qualiter fieri debeat, videlicet : in primis podere de Linari debet facere quartam partem anni de cocaria, et ille qui habet illud podere debet incipere primani ebdomadam ; podere de Brasile secundam ebdomadam debet incipere et facere, et quartam partem anni debet facere; podere de Pogio similiter quartam partem anni quam ille qui habet illud podere debet incipere et facere terciam ebdomadam; podere vero de Bolano similiter quartam partem anni et qui habet illud podere incipere debet quartam ebdomadam. Et in hunc modum omnes isti supradicti debent perficere servicium cocarie domini Episcopi Lunensis tocius anni per totum Episcopatum Lunensem. Valentinus autem debet servire domino Episcopo per medium annum de propria et speciali coquina ipsius domini Episcopi ; et debet esse super alios septimanarios, et servire et custodire tam ipsam coquinam, quam ipse facit proprie ad opus Episcopi, quam illam quam ebdomadarii faciunt ad opus clericorum et militum et tocius masnade. Et debet ipse Valentinus ire cum domino Episcopo sive Romam sive alibi quocumque perexerit ad voluntatem Episcopi tamen cum equitatura domini Episcopi. De omnibus autem cibariis que fuerint cum pasta vel in cibo, pasta mictatur quando opus est ad coquinam; vel de coquendis GIORNALE LIGUSTICO 163 fructibus in igne vel cinere coci non debent se intromittere nisi voluerint; sed pistores debent servire de pasta et cortesiani de fructibus. Et si forte puer non fuerit in Curia ad afferendam aquam ad opus coquine, quisque cocus septimanarius debet ducere et habere aquarolum suum pro aqua afferenda in coquina; et ille aquarolus debet comedere in Curia. Finita vero ebdomada, septimanarius debet reconsignare scutellas et vasa maiori coco vel castaldioni vel canovario. De porco, qui coci interfecerint et paraverint ad opus coquine, ipsi coci debent habere sumatam, quam debet incidi per mediam pupel-lam a dexteris et a sinistris, et debent habere collare, preter barbinam, et caudam cum tribus nodis et minorem penolam fegati. Coci quoque a festo beati Martini usque ad octavas resurrectionis Domini debent habere pelles, capita, pedes et interiora montonorum , agnorum , capretorum et leporum , excepto tamen fegatello capretorum omnium illorum videlicet qui veniunt ad coquinam domini Episcopi de omnibus curtibus sive per aportatores curie presententur ; et si opus fuerit quod bestioli impleantur, de interioribus supradictis impleri debent, et hoc ubicumque Episcopus fuerit a predicto festo beati Martini usque ad octavas resurrectionis Domini. In curia vero Serzane ab octavis Pasche usque ad festum beati Martini senescalcus debet habere predictorum animalium pelles quos interficiuntur diebus dominicis. In omnibus autem festivitatibus que vigiliam habent coci debent habere pelles tantum et collare predictorum animalium et coratas, preter duas partes fegati quas ad eos non pertinent et preter polmonem quem aquarolus debet habere, et cortesianus debet habere caudam muntonorum. Custos etiam debet habere muntonorum capita et pedes muntonorum, et Curia debet habere introitum montonorum tantum. Et si contingerit quod festivitas apostolorum et aliorum qui vigilias habuerint infra predictum terminum venerit in dominica die, coci debent dividere pelles per medium cum siniscalco. In aliis GIORNALE LIGUSTICO autem diebus ab octavis Pasche usque ad festum beati Martini pelles omnes sunt Curie, et collari et corate sunt cocorum, preter duas partes fegati quas ad eos non pertinent, et preter polmonem quem debet habere aquarolus et cortesianus caudam et custos muntonorum capita et pedes habere debet, et Curia introitum. In omnibus autem locis preter Serzanam ab octavis Pasche usque ad festum beati Martini coci debent habere capita omnia, exceptis capitibus porcorum, et collaria, coratas muntonorum agnorum et capretorum et porcellorum si assati fuerint, et sumatam porci preter barbinam et collare et coratam cum tribus nodis ; aprorum vero omni tempore debent habere linguatium. Coria autem predictorum animalium infra statutum terminum debent coci dividere cum siniscalco per medium, exceptis diebus festivis que habent vigilias. Si quandoque dominus Episcopus congregaverit Curiam, coci debent venire omnes statini cum fuerint vocati ad servicium faciendum; et omnes pelles que ibi fuerint erunt cocorum, preter coria cervorum atque capriolorum ; et hoc ubicumque Curiam congregaverit. In Natali et Pascha dominus Episcopus debet dare oblationes cocis qui fuerint ibi coci maiores. In Pascha debent habere granellimi unum tantum inter eos. Preterea sciendum est quod collaria et iskiki agnorum et capretorum, si assati fuerint, debent esse cocorum ; et similiter collaria porcellorum sunt cocorum, si fuerint assati. Coci omnes, si offensam fecerint de officio suo, verberari debent sicut alii masnadengi. De fructibus eorum vel ortulatu cortesianus non debet accipere. Feodum Imperatoris sive Regis coci dare non debent. Aquaroli septimanorum non debent afferre aquam nisi in Curia Sarzane et Amelie. Actum est hoc anno M.° C.° octuagesimo VIII, indictione VI, in Curia Castri Sarzane, die Jovis qui fuit XVI kalendas septembris, in presentia et concordia domini Petri Dei gratia Lunensis Episcopi, et cum signatione Baldinelli castaldionis, GIORNALE LIGUSTICO 165 et in concordia et assensu et confessione Valentini hominis de la Fontana, Daltinelli Cereoli cocorum atque Ruberti pistoris : qui omnes concorditer publico scripto redigi rogaverunt. Signum manum Goberti dyaconi domini Episcopi, Curti de Carnea, Henrici Beccarii, Feretti, Castilionis de Castileone, Gerardi de Bruscaliano rogatorum testium. Ego Lumbardus domini Imperatoris et Lunensis Curie notarius interfui et rogatus hoc scriptum feci. LA NASCITA DI LEON BATTISTA ALBERTI Alcune recenti pubblicazioni hanno riaccesa la disputa intorno alla nascita di Leon Battista Alberti, specialmente perchè Virginio Cortesi ne ha fatto singolare argomento, per restituire al Pandolfini 1’ operetta Del governo della famiglia , la quale si reputava oggimai dai più lavoro dell’ Alberti (i). Diverse date vennero assegnate al nascere di Leon Battista, altri disse nel 1398, altri nel 1414, ma più comunemente si ritenne 1’ anno 1404. A queste deve aggiungersi la recente opinione del Scipioni, che lo vorrebbe nato nel 1407 (2). La prima data del 1398 è stata messa subito da parte; quella del 1414 recata innanzi dal Tiraboschi, poi da lui stesso abbandonata (3) e sostenuta adesso dal Cortesi, viene confutata vittoriosamente dal Scipioni e' dal Mancini (4) , poggiando sopra una argomentazione inesatta; resta il 1404 accettato quasi da tutti, perchè riceve conforto da due testimonianze, (1) Il governo della famiglia, Studio critico, 31. (2) Preludio, Anno VI, n. 5, 48. (3) Stor. Lett. Ital. VI, 615 in nota (ed. Classici). (4) Vita di L. B. Alberti, Fir. 1882, 554. 166 GIORNALE LIGUSTICO e cioè, una nota del Salvini apposta al catalogo manoscritto dei canonici del Duomo di Firenze, e la postilla sincrona di anonimo trovata nella tavola interna di un esemplare dell’opera de re aedificatoria stampata a Firenze nel 1485, già esistente nella libreria dei Minori Osservanti di Urbino (1); quivi però si afferma nato a Genova; del che non convengono i biografi, volendolo i più nato a Venezia; il Mancini soltanto se ne sta coll’ anonimo postillatore; ma il Scipioni come si scosta da tutti nell’ anno della nascita, così nel luogo, che, secondo lui, dovrebbe essere Padova. Da tutto ciò risulta che non esistono veri e propri documenti, nè circa al tempo nè intorno al luogo, e riuscirebbe per conseguenza sempre importante il metterne fuori qualcuno, dal quale si potesse almeno attingere lume ad avviare la controversia al suo scioglimento. Questo io credo di poter fare. Rilevasi adunque da un libro degli atti del governo genovese che il 15 maggio 1408 Ugo Coleto luogotenente del re di Francia, ed il Consiglio degli Anziani decretano quod diebus dominica XX mensis presentis et lunes XXI et martes XXII dictis mensis presentis, quibus fieri debent nucie et festiva tripudia sponse nobilis viri Laurencij de Albertis de florentia sia permesso alle donne di portare quacumque perl-las veraces voluerint, ed a tutti poi vestire di seta di qualunque colore e qualità, liberandoli per questi tre giorni dal pagamento della tassa imposta sulle perle e sulle vesti di seta. Di più, agli sposi, quivi presenti, concedono di poter far chiudere per opportunas Barrerias trabum et lignorum Buccas carrubeorum quibus habentur ingressus in platheam Bancorum , nella quale dovevano aver luogo nei tre giorni indicati so- (1) Dice così: Auctor huius architecturae dominus Leo Baptista de Allerta natus est Januae anno Christianae salutis 1404 hora prandii usu mercatorum die 18 Jebruarii. GIORNALE LIGUSTICO lacia festiva tripudiorum et aliorum jocorum ; onde anche i banchieri potranno tener chiusi i loro banchi (i). Questo documento non solo ci fa conoscere che Lorenzo Alberti festeggiò a Genova le sue nozze nel 1408, ma ci manifesta altresì come egli vi avesse acquistato nome ed au-- torità non piccola, se i suoi sponsali diventano una pubblica festa, ed i commercianti consentono a sospendere per tre giorni i loro negozi: da ciò si deve ragionevolmente inferire che Lorenzo non fosse uomo nuovo a Genova, dove la sua casa aveva banco, ma vi abitasse già da buon tempo, e forse dal 1401 anno in cui vénne bandito. Ora questo matrimonio contratto dall’ Alberti, poniamo pure colla Margherita Benini morta, secondo il Passerini (2), nel 1423, non escluderebbe certo che Leon Battista fosse nato prima del 1408 o da nodo illegittimo, o da madre legittima morta forse a Genova nella peste del 1406; ma la ipotesi che mi sembra più plausibile è che egli· sia nato a Genova al cadere del 1407, o sui primi del 1408, da legame illegitimo, sanato poi colle nozze. Infatti partendo da una data certa, vediamo che ai 30 settembre del 1437 scrive l’operetta De jure in Bologna (3), e 1’ anno stesso ai 12 ottobre il Poggio pur da Bologna accompagna a Lionello d’Este il Filodosso ricorretto, che da dieci anni era andato vagando anonimo, deturpato da infiniti errori, il che ci risospinge all’ottobre del 1427; se si considera quindi che egli afferma aver composta quella commedia « non maiori annis XX » (4), cadiamo all’ ottobre del 1407. Ma perchè non si vorrà pretendere che 1’ Alberti parlando della sua commedia intendesse determinare i 20 e (1) Arch. di Stato Gen. Diversorum, Reg. 503. (2) famiglia Alberti, II, 39. (3) Mancini, Vita, 160. (4) Alberti, Op. volg. I, CXX, CXXIII, CXXIV. GIORNALE LIGUSTICO i io anni con esattezza matematica, cosi si potrebbe anche assegnare la sua nascita ai primi mesi del 1408; poiché la differenza di tre o quattro mesi non vale a distruggere il calcolo fatto partendo dal 1437. Di più il documento genovese recherebbe conforto, sotto un certo aspetto, a questa data. Quanto poi alla data del 1404, non si può far gran conto della testimonianza del Salvini, essendosi egli stesso mostrato molto incerto, notando in un luogo il 1403, in' un altro il 1404, e tacendone affatto nel Catalogo dei canonici a stampa (1): come si potrebbe poi affermare che si debba leggere quell’ anno nella postilla recata dal Serassi, senza un nuovo esame dello scritto? Nessuno ignora che in fatto di numeri in carattere romano, e secondo il modo con cui si scrivevano nel.sec. XV colle minuscole, presero degli abbagli anche gli esperti paleografi. Supponiamo le unità dell’ anno 1407 scritte con un ï e due ij, tenendo presente che la forma del v era simile a quella dell’ u; ed immaginiamo, come ci insegnano gli esempi paleografici, il gruppo di queste lettere così ιιη, più o meno ben scritto, secondo la modalità della calligrafia, ed ecco che noi vi leggiamo un 4 anziché un 7. Notiamo ancora che un nuovo-» esame della postilla manoscritta potrebbe farci leggere un 8 in quel gruppo; infatti se noi allontaniamo un poco i tre iij rimane una lettera che ci raffigura un v colla parte inferiore assai tonda (2). Ho detto qui innanzi che io riconosceva senza difficoltà nella moglie di Lorenzo, accennata dal documento genovese, Margherita di Piero Benini; ed ora aggiungerò come nell’elenco dei matrimoni di casa Alberti prodotto dal Passerini (3), quello di Lorenzo è fra i pochissimi· mancanti di data. Ma il (1) Preludio cit. in nota. * (2) Cfr. Lupi, Manuale di paleog. 174 e tav. V. (3) Op. cit. II, 85. GIORNALE LIGUSTICO 169 casato Benini mi suggerisce un’ altra osservazione. È noto come della congiura contro la Signoria, scoperta al cadere del 1400 per opera di Salvestro Cavicciuli fosse consapevole Michele, figlio giovinetto di Piero: preso con Francesco Di-vizzo ebbe salva la vita per l’età, ma tu condannato al bando (1). È verisimile subisse la stessa sorte la sua famiglia insieme agli Alberti, e riparasse anch’essa a Genova. Quivi verosimilmente nacque il figlio a Lorenzo, il quale sapendo « quanto sia dilettoso vivere in quella prima naturale compagnia del coniugio e ricevere figliuoli, i quali sieno come pegno e statici della benevolenza e amore coniugale, e riposo di tutte le speranze e volontà paterne », e debba sentire dolore chi « penserà non avere dopo sè vero erede e tonser-vatore del nome e memoria sua », nè a questo veruno essere più « accomodato che i legittimi figliuoli (2) » ; volle, subito sopravvenuta la prole, renderla legittima per via del matrimonio. A. Neri. V ARIETA’ LUIGI MAINERI. D’antica prosapia ed assai chiara nei pubblici uffici, nacque Luigi in Genova il 6 Giugno del 1734. Ebbe in patria i primi rudimenti delle lettere, e tanto avanzò negli studi, che a 14 anni già erasi ben avviato nelle discipline filosofiche. Allora i genitori pensarono allogarlo., insieme al fratello Giacomo , in uno dei migliori collegi d’Italia, e la scelta cadde sopra quello di S. Carlo, aperto in Modena fin dal 1626 « con trenta alunni, la maggior parte genovesi e fioren- (1) Ammirato, Istorie, Lib. XVI — Passerini, op. cit. II, 266. (2) Alberti, Op. volg. II, 155. GIORNALE LIGUSTICO tini » (i), e dove prima di lui erano stati istruiti ben settanta dei suoi compatrioti. Aveva certamente conferito a questa scelta la rinomanza in che era salito Γ istituto a quei dì, governato da Bartolomeo Sassarini, il quale « gli mantenne e gli crebbe il buon nome che s’ era venuto procacciando in Italia, e altresì in estere contrade, per la bontà degli insegnamenti di varia natura che vi si compartivano, e pei metodi educativi, alieni così da mollezza, come da rigorismo, e da’ spiriti partigiani » (2). Entrò egli adunque in collegio insieme al fratello il 4 dicembre 1748 , e non fu appena trascorso un mese, che fece prova del suo ingegno con due componimenti l’uno in prosa e l’altro in verso latino, L·quali gli meritarono l’accoglimento a pieni voti nella Accademia istituita fra i convittori; nè in seguito si rimase dal prender parte con qualche suo lavoro poetico alle pubbliche feste accademiche eseguite in occasione d'alcune solennità. Tuttavia di maggior proposito attese agli studi filosofici, ne quali era riconosciuto valente non solo dai suoi maestri, e dai condiscepoli, ma da tutti i colti cittadini, che pregiavano in lui 1’ acutezza dell’ ingegno unita ad una singolare affabilità di maniere e gentilezza d’animo (3). Giovanissimo ancora tornò in patria nel 1751 dando buone speranze di sè, e nel 1757 con decreto del 19 Aprile venne ascritto al Libro d’ oro. Ma in quest anno lo colpì una grave sventura. Il fratello Giacomo, minore di lui di quasi tre anni, era rimasto in col- (1) Catalogo degli alunni del collegio di S. Carlo ecc., Modena, 1876. (2) Campori C. Stona del Collegio di S. Carlo. Modena, 1878, pag. 84. (3) Annotazioni di quanto va succedendo nel Collegio de’ Nobili di Modena:, scritte dai segretari dell’ Accademia di esso Collegio. Ms. nell’ Arch. del C jUegio. Debbo la copia di quanto riguarda i due Maineri a quel fior ci gentilezza ed amicizia che è il march. Giuseppe Campori, a cui non si volgono mai invano gli studiosi. GIORNALE LIGUSTICO I7I legio, dove assai si distingueva, specie nelle lettere amene e negli esercizi cavallereschi e teatrali; onde nell’ Accademia ebbe 1’ ufficio prima di segretario , poi di Principe di lettere, e sulle scene provò assai volte la sua maestria. Infatti nella Vedova scaltra del Goldoni rappresentò il conte di Bosco Nero; nell’ Atreo e Tiesle di Crebillon fece la parte di Tes-sandro ; nel Maometto II di de la Nove quella del Gran Visir; nel Catilina di Voltaire rappresentò Cicerone; nel-1’ Ifigenia del Martelli il personaggio di Oreste; in fine nei Mercanti del Goldoni si produsse sotto le spoglie di Giannina: di più recitò una sua Cantata nel Lucio Paolo Emilio Console, e compose la seconda azione del Cajo Marcio Coriolano ; ma l’accademia estiva del 1757 gli riuscì funesta. Si doveva rappresentare Modena liberata, ed egli, che ne aveva composto il terzo atto, vi doveva sostenere la parte principale « non solo perchè conveniva al suo grado, ma molto più perchè, come in molte altre prerogative, così in quella del recitare, dimostrava il suo spirito, il suo senno e la sua rara abilità. Si farebbe inguria al vero (seguitano le Annotazioni), se occultar si volesse che anche prima di questa funzione non si sentisse alquanto indisposto ; pareva che qualche leggerissimo calor febbrile lo molestasse e pativa della vigilia; ma ciò non tolse eh’ egli non potesse eseguire la sua parte nella funzione accademica. Dopo la quale, ad oggetto che potesse riposar senza disturbo, si trasportò dalla sua camerata e dalla sua camera (che riferiva alla strada maestra) alla infermeria. Venne il tempo di passare con tutto il collegio dalla città alla villa, e ciò seguì ne’ due giorni 18 e 19 luglio (1757), acceleratasi questa partenza per ricercare qualche ristoro all’ eccessivo calore. ■ Lasciammo l’infermo in istato che cominciò a manifestarsi una febbre positiva, indi maligna, e superiore a quanto seppe suggerire 1’ arte de’ più accreditati fisici, e alle più diligenti premure; onde munito de’ SS. Sacra- GIORNALE LIGUSTICO menti da lui ricevufi con sentimenti di una religiosa cristiana pietà , il giorno 21 dello stesso mese rese Γ anima al Creatore. È stata una tal morte di duolo universale alla città tutta, che 1’ ha veduto e sentito tante volte nelle accademie letterarie ed equestri e nelle tragedie dar raro saggio di se stesso; alli sacerdoti e maestri, che Γ hanno sempre provato un cavaliere di buon tratto, di lodevolissima condotta, di costumi irreprensibili, e di tal raro talento, che quanto usciva dalla sua penna o in prosa o in verso si reputasse degno di stampa ; alli convittori che avevano in esso lui un esemplare di tutte le più rare prerogative, che possano formare un giovane saggio, civile, proprio, manieroso, versato non che nelle letterarie, ma equestri facoltà tutte ; alla patria, e ai parenti che Γ aspettavano dentro a questo mese che si restituisse loro, essendone già precorsa la fama, quale egli fosse, e fosse per divenire nuovo sostegno della Repubblica, e nuovo conforto de’ suoi genitori ». Gli vennero celebrati degni funerali come si conveniva al suo grado, e i suoi compagni ne vollero poi onorare la memoria con un’ accademia letteraria. Luigi tornato dunque in patria ebbe modo di far apprezzare le sue doti. Una certa inclinazione alla poesia, che era quasi indispensabile per uscire dalla volgare schiera, in quella età in cui imperava 1’Arcadia, gli procacciò la benevolenza dei pastori della Colonia Ligustica, i quali lo accolsero nelle loro adunate, dove ebbe il nome di Linceo, appropriato assai bene alla sua natura, piuttosto volta alla osservazione ed al ragionamento filosofico, che agli slanci spontanei dell’ estro e della fantasia. Infatti se può ritenersi, sotto un certo aspetto, eh’ ei fosse « scrittore in prosa ... de’ più istruiti nell’ eleganza e pulitezza dello stile », non gli si potrà concedere ugual vanto « in verso » (1), perchè le due poesie che ho (1) Avvisi 1793, pag. 225. GIORNALE LIGUSTICO I73 potuto vedere (i) non escono dalla mediocrità ; e forse egli stesso conosceva questa sua pochezza poetica, di che mi fa accorto il vedere come in quelle raccolte di poesie, colle quali usavano gli Arcadi festeggiare Γ incoronazioni dei dogi o piangere la perdita di qualche chiaro collega , egli preferisse dettare la prosa da premettersi alle rime. Nè può negarsi che queste prose , facendo ragione di quelle ampollosità tutte proprie dell’ educazione letteraria d’allora, non manifestino una certa robusta eleganza di stile, ed una non mediocre conoscenza degli scrittori latini, italiani, e stranieri così antichi come moderni (2). Ma le discipline economiche furono quelle che egli coltivò di maggior proposito , e fra esse tiene il primo luogo 1’ agricoltura, il cui studio non discompagnava dalla pratica esperienza ; facendo poi parte al pubblico delle sue osservazioni. Di queste sue scritture non poche videro la luce senza il suo nome, chè era la stessa modestia, negli Avvisi, giornale assai importante, che ci dà una bella testimonianza della vita politica, economica e letteraria della Liguria, nella seconda metà del secolo passato. Meritano speciale considerazione quelle volte a suggerire i più acconci metodi di migliorare i vini del genovesato , e di allargare la coltivazione dei nostri terreni a fine di ottenere maggiore ricchezza di frutti. Spingendo poi lo sguardo in più vasto campo disegnava 1’ opera grandiosa di un canale italico , atto a dar più vivo (1) Applausi poetici umiliati dagli Arcadi al Ser. Giovambattista Ayroli Doge ecc., 1783, pag· 68. — Psammitico Conquistatore d’Egitto, Aliotte Accademica ecc. 1750, Modena; la prima Cantata è del Maineri.—Nella raccolta delle Ritrie pel Cardinalato di G. Lavizzoni, Modena 1754, vi è un Ode di Giacomo. (2) Ossequii di Parnaso resi dagli Arcadi al Ser. M. A. Gentile Doge ecc., 1781. — Onori funebri resi dagli Arcadi al fu Giambattista Cambiaso ecc. x74 GIORNALE LIGUSTICO impulso ai commerci, alle industrie ed all’agricoltura (i). Pochi anni prima della sua morte , quando discutevasi sui lavori da eseguirsi per l’ampliamento del porto di Genova, a fine di ovviare i dannosi effetti della risacca , dettò « una ben ragionata ed elegante memoria » rimasta manoscritta, e che andò perduta (2). Ebbe corrispondenza con Antonio Genovesi, e gliene porsero forse cagione gli studi economici. Dico forse, perchè l’unica lettera che ci rimane, direttagli dal napoletano, tratta d’argomento letterario. Ho detto di sopra come il Maineri s-i piacesse di poesia , sebbene non vi riuscisse felicemente; ed or lo vediamo tentare la tragedia. Genova non ebbe certamente difetto nel settecento di cultori del teatro tragico ; il Granelli, il Biamonti, il Priani (3), il Salvi, il Del Mare, lo Stefanini, il Giudice, il Boasi, il Giustiniani, il Zanatta son parte della non ignobile schiera, alla quale conviene aggiungere il Richeri, il Gastaldi e il Frugoni come traduttori ; alcuni dei quali si procacciarono gran fama al loro tempo, nè sono oggi al tutto dimenticati. Nella pienezza della sua gioventù, spinto dall’ esempio, volle anche il Maineri provarsi in questo arringo ; prese a soggetto il conte d’Essex già da più altri trattato , e specie da Tomaso Corneille, il che poteva parere soverchio ardimento; scrisse le prime scene, e con un discorso preliminare le spedì al Genovesi. Forse si arrestò ai primi passi compreso dalla difficoltà dell’ impresa, e con saggio consiglio volle sentire, prima di procedere innanzi, il giudizio di un uomo autorevole. (1) Avvisi cit. (2) Giorn. Lig. a. 1875, pag. 491. (3) Al Priani il Genovesi scriveva una lunga lettera latina edita nelle sue Lettere familiari, Venezia, 1787, tom. II, pag. 101. GIORNALE LIGUSTICO Γ75 Ecco la sua risposta : « Risponderò forse più tardi di quel, che si conveniva all’umanissimo foglio dell’Eccell. Sua; ma credo di aver ricevuto alquanto anche tardi la sua lettera : e le mie fatali occupazioni congiunte ad una non troppo ferma salute, non mi han permesso di servirla più presto. Prima di tutto la ringrazio dell’onore, che mi fa, credendomi in istato di poter giudicare della sua bellissima, e divinissima impresa, perchè tale io stimo la vera Tragedia: ma la mia sincerità richiede, che le dica, che può fare assai poco fondo sul mio parere , essendo questa la prima volta, che vi metto mano. Non è, che non abbia avuto il piacere di leggere i Poeti, e principalmente i Greci ; ma gli ho letti più per divertimento, che per fare delle riflessioni sull’ arte. Son persuaso, che la Poesia è la più bella scuola del costume d’ una Nazione , qaando è trattata da mani maestre, e da intendenti del suo vero fine, siccome fu da Omero, da Esiodo , e da quei divini Lirici, e Tragici Greci Pinadro, Sofocle, Euripide, e da pochi Latini , e dai primi nostri Italiani : ma parmi difficile il farlo, nè ho badato mai al come. L’infinita turba de’ piccoli verseggiatori non ha fatto piccolo ostacolo alla divinità di quest’ arte. Sembra, che gl’ Inglesi del passato , e del presente secolo abbiano voluto restituirla alla vera sua grandezza: ma dee esser loro di grandissimo impaccio la lingua troppo dura, benché energetica, e troppo mancante tuttavia di quelle particelle , che servono di legatura alla Greca, e alla Italiana. » Ho dunque letto con molta riflessione, e pari piacere il suo Discorso preliminare. È dotto e sensato. Ella ha ragione di dire, che niente piace, che non c’ interessa : è questa la natura dell’ uomo. Ma crederebbe Ella, che il carattere del Conte di Essex potesse aver niente di simile ai presenti interessi degl’ Italiani ? Ho letto a questi ultimi mesi la storia d’Inghilterra del Signor Hume dell’ultima edizione in 8 tomi, dove il carattere di quest’ Inglese appare in tutta la sua esten- ΐη6 GIORNALE LIGUSTICO sione. Credo, che 1’ Ecc. Sua avesse a torcerlo alquanto per farne un Eroe di Teatro. L’idea, che n’ho io concepita , è quella d’ un giovane ardito , ma pazzo : e per un Italiano ha più dei ridicolo, che dell’ Eroico. » Della Tragedia poi non avendone letto, che le prime scene, non potrei dir nulla, che non fosse temerità. Mi piace il suo verseggiare facile, chiaro, sostenuto. Ella entra nella gran materia a passo grave, e al modo de’ migliori Greci. Ma questo appunto, che 'a me piace, e piacerà ad uomini riflessivi, non dee piacere al comune d’Italia avvezza a que’ passi corti, saltanti, urtanti, e al brillante, che ferisce , de’ Drammi dell’ Abate Metastasio. » Comunque sia , io ardisco d’incoraggiarla a sì bell’ opera di vedere , se noi altri Italiani potessimo prendere il vero gusto per una tragedia ,' non già antica, opponendovisi il costume, e la maniera nostra di pensare, ma temperata del meglio, che ci conviene, » Ho obbedito ai suoi comandi, nè intendo, che il mio giudizio vaglia per altro, che per solo effetto d’ obbedienza. E raccomandandomele quanto più so, e posso, sono con sincerissimo ossequio. Di Napoli li 27 di Agosto 1765 (1). Sebbene il Genovesi modestamente si dichiari incapace a dare un adeguato giudizio in opera letteraria, pure chi ha letto il libro magistrale Delle sciente metafisiche , può facilmente riconoscere quanto addentro sentisse in fatto d’ estetica e di buon gusto (2). Perciò ricorrono frequenti nelle sue opere, i giudizi sui prosatori e sui poeti, de’ quali si palesa profondamente studioso, dei greci in singoiar modo ; e fra questi gli era famigliarissimo Eschilo, che spesso egli cita, recandone anche nelle lettere famigliari alcuni versi di un coro da lui (1) Lett. cit. II, 34. (2) Cfr. ad es. il cap. V. \ηη tradotto (ι). E quantunque il suo stile peccasse qualche volta d’oscurità, onde sembrava impossibile al Baretti « che un uomo , il quale » era « un’ aquila quando si » trattava « di pensare , si » mostrasse « poi un pollo quando si » trattava « di esprimere i suoi pensieri » (2), tuttavia gli va tenuto conto della innovazione introdotta nella scuola di Napoli, di dettare cioè le sue lezioni in lingua italiana; cosa che destò gran meraviglia, di che accortosi, incominciò il suo corso coll’esporre i pregi della lingua nostra, urtando cosi « di fronte il pregiudizio delle scuole d’Italia » (3). Quello che dice il Genovesi al Maineri, a proposito del soggetto della sua tragedia, si accosta assai da vicino al giudizio dato dal Voltaire nell’esame del Conte, d’Es sex di Corneille; anch’egli trova mal scelto 1’ argomento, perchè la figura del protagonista , come ci è porta dalla storia} è quella di un pazzo , disadatto per ciò a muovere gli affetti nell’alto grado voluto dalle leggi tragiche ; mediocre quindi il lavoro del Corneille, sebbene grandemente superiore a quelli degli autori che prima di lui trattarono sì fatto argomento; che se si mantenne sulla scena per alcun tempo applaudito , doversi attribuire alla maestria ed alla fama dell’ autore, non che al valore degli attori che lo rappresentarono (4). Dopo quesfa lettera, nonostante le lodi e gli incoraggiamenti , dobbiamo credere smettesse il pensiero della tragedia; o se pur la ridusse a fine, certo non la pubblicò, non avendone trovato memoria alcuna. Morì nel giorno 18 luglio del 1793 dopa lunga e penosissima malattia, sopportata con gran fortezza d’ animo, ed (1) Lett. cit. II, 51. — E per giudizi letterari e rilievi filologici cfr., tom. I, pag. 89 e ni; tom. II, pag. 15, 62, 66, 78, 87, 88, 90. (2) Frusta lett. (ed. Mussi), I, 51. (3) Lett. cit. 63. (4) Voltaire, Oeuvres (Basle 1787), LI, 422, 428, 442. Giorn. Ligustico Anno XI. 12 178 GIORNALE LIGUSTICO esemplare rassegnazione. Tre giorni dopo la sua morte gli furono celebrate solenni esequie nella Chiesa di S. Francesco in Castelletto, e quindi la sua salma venne ivi deposta nella tomba gentilizia. Mancò in lui uno dei più zelanti cooperatori della Società Patria ; un cittadino per ogni ragione commendabile , che anche colle elargizioni a pubblico beneficio lasciate per testamento, mostrò quanto amore e quanto spirito di carità albergasse nell’ animo suo verso la città natale. A. Neri. NUOVE DESCRIZIONI DI VIAGGI IN TERRASANTA Troviamo nelle Nuove effemeridi Siciliane (fase, del 2.° semestre 1S81, pp. 57-86) un Viaggio in Terrasanta scritto nel 1585; due anni dopo il ritorno di colà dell’autore, il P. Fran-cesco tla Messina, Minóre Osservante, che fu Procuratore de’ Luoghi Santi e Guardiano in Betlemme. Il Ms. si conserva nella Comunale di Palermo. Fra le cose più notevoli è una digressione da Alessandria ai Conventi di S. Macario o della Nitria, che il viaggiatore fece in compagnia di Monsig. Paolo Caimo Ordinario del Duomo di Milano. Giunti a un villaggio detto Cheaus s’inoltrano nel deserto senza indizio di strada e d’ erba. Le Guide arabe si giovano « di due bussolette che tengono legate al » collo a guisa de’ marinai che fanno nel solcare il mare, » pongono la calamita a segno verso li monasteri ; soprag-» giunta la notte conservano la bussola in seno e si guidano » per una stella senza fermarsi ». L editore, che è il chiar. V. De Giovanni, aggiunge notizia di altri viaggi simili compiuti da Siciliani, specie uno da Fra Agostino da Sciacca nel 1612 e pubblicato a Palermo nel 1622, ma che mi pare ignoto anche alle più recenti bibliografie. GIORNALE LIGUSTICO I79 Esiste poi in questa Universitaria un Codice ms. di Miscellanee, segnato E. II. 42. nel quale è inserita una Vera descrizione di Terra Santa in cui si descrivono i Luoghi Santi di Gerusalemme con il paese della Palestina.... fatto da Antonio Cellesti Venit(iano). L’Autore dite che vi andò nel 1672, poi di nuovo partì t per colà colla nave S. Giustina da Venezia il 3 febbraio 1712 dell’ anno p. p. (dunque scrisse nel 1713). Nel campanile della Chiesa del S. Sepolcro vi è sotto una iscrizione : Jor-danus me fecit (?). Egli sapeva le lingue araba, turca e greca; e siccome era difficile a penetrare sul Monte Sion pieno di Dervis o Santoni', si travestì da Arabo parlando la lingua barbaresca di Tunisi a lui famigliare, e fingendo essere diretto alla Mecca. Onde potè vedere a suo agio la Chiesa di Monte Sion , il Cenacolo , la tomba di Davide ecc. Il racconto è in carte 14 ossia pag. 28 da linee 30 per pagina piena; è particolareggiato, specialmente nelle misure del S. Sepolcro ed altre chiese, e nelle spese del viaggio che sommano a 87 talleri, senza il vitto in Terrasanta che è somministrato dai Frati. È notevole ivi la parola cuba che egli usa per le cupole del S. Sepolcro e del Tempio (1). Sembrerebbe che questa descrizione fosse inedita; senonchè troviamo nella prima- edizione dei Viaggiatori Italiani del chiar. Amat di S. Filippo (Roma 1874) un opuscolo che potrebbe essere questo stesso. Il titolo ne è : Vera descrizione della Terra Santa di Gerusalemme e della Palestina, Venezia, 1716. 8.0 L’Amat trasse la notizia da un catalogo del Guidi Libraio a Bologna; non si capisce il perchè ne abbia taciuto intieramente nelle sue edizioni posteriori del 1875 e 1881. C. Desimoni. (1) Cfr. Giorn. Lig., a. 1882, 149. ι8ο GIORNALE LIGUSTICO Lettere inedite di Ludovico Antonio Muratori ad Antonio Gatti ( Continuaζ. vedi pag, 157)- xv. Modena 12 Febbraio 1705. Godo che abbiate ricevuti ancor voi i fogli del Pritanio. La risposta, eh’ io unitamente col P. Becchini ho mandata a Roma, siccome troppo lunga, non vi si-può trasmettere. Abbiam parlato della necessità dell’Or-dine de’ Candidati, poiché 1’ ordine di mezzo ci pare impossibile, credendosi tutti degni d’ essere Arconti. Ci pare che ad alcuni Letterati del Catalogo manchino i requisiti richiesti ne’ fogli, e abbiam suggerita una nuova maniera d’ eleggere. Si potrebbe fare un’ Ordine d’ Artisti, come Stampatori, intagliatori in Rame, a’ quali si darebbono privilegi.. Abbiam raccomandato più rigore nell’accettar Poeti, e l’amore della Verità. Se i Protettori dicessero daddovero, si crede non impossibile questa Società. Tralascio 1’ altre cose. Ancor voi potrete dire ciò che vi par bene, perchè vi sovverrà ben qualche cosa. Non abbiamo peranche avuta risposta da Roma. Il Zeno spera di sapere il segreto dal signor Trevisani. Scriverò a Ferrara quanto occorre per cambiar co’ vostri libri, e mi regolerò secondo i vostri ordini. Non conosco bene il dottor Sacelli. So che è Filosofo, credo che sia ancor Medico, ed è stato Lettor di Padova. Mi rallegro con voi per la stampa del vostro Libro Legale (1), a cui auguro fortuna ; ma vorrei che aveste Libri e comodo per far, come potreste , ^più onore alla Repubblica Platonica del Pritanio. Godo che abbiate riportato il trionfo nella Causa da voi trattata in Milano, La vostra borsa ne avrà avuto ancor più gusto. La canzone di Mezzabarba riveduta anche da me potrà piacere. Non aspettate nuove del Mondo, perchè ora ve n’ è scarsezza, e qui s’ è pubblicato ordine, che sotto pena della vita niuno più parli de gli Alemanni. Non è mica questa una bagatella. Procurate di medicare in altra maniera la trascuraggine dell’Abate T>uricelli per le copie del Libro Orsiano. Con che divotamente e caramente vi riverisco. (1) Vedi Lett. V. GIORNALE LIGUSTICO 18 r XVI. Modena 12 Ματχο ιηο%. Rispondo a due vostre. Poco male è stato Γ avere voi speso qualche tempo in pensare alla risposta da farsi a M. Bianchini. Forse non avrete gittato 1’ olio, perchè la faccenda non è a terra. Il Signor Marchese Orsi, che opera con fuoco, e ha riscontro che tutti i Gran Protettori gradiscono la lega divisata, e promettono soccorso, propose per depositario il Fontanini. Ieri mi scrisse, che o per modestia o per troppe faccende il dotto Abate non voleva tale impiego , e proponeva monsignor Lancisi. 10 non conosco quel Prelato ; ma per essere proposto da chi ha buon gusto , e per essere vicino al Gran Protettore, sarà ottimo. Noi qui acconsentiamo. Credo che farete lo stesso ancor voi altri. Potrebbe essere, che il Tamburo sapesse tutto. Noi credo già del Reno. Vedremo che ne seguirà , e allora ancor voi direte e manderete il vostro parere. Il Manfredi sta bene. Spero il medesimo del Zeno ; ma son due ordinarj che io aspetto sua risposta intorno a que’ benedetti caratteri ; che son finiti, e mai non vengono. Invierò con prima occasione una copia per uno del vostro Libro a i nostri Senatori Filicaia, e Salvini. Scrivete quel che s’ ha da fare per voi in Ferrara. In iscrivendo oggi a Mezzabarba, che m’ ha inviata la Canzone Arcadica, voglio accennargli la stima, che fate di lui. Imparate a non perdere tutto 11 concetto, e 1’ affetto per chi talora va fuori di strada. Se seguirete a stampare, imparerete ancora, che gli stampatori non sanno dir vero, quando promettono prestezza, perchè vogliono mangiare da molte parti. Mi rallegro però che già sia incamminata, e molto bene, 1’ opera. Voi sapete le nuove felici di Verona. Qui non abbiamo altro di considerabile. L’ Elettore di Baviera è in Vienna. Si fa incurabile l’infermità del Re Portoghese. Caramente vi riverisco. Il Bernardoni spera maggior Salario, e non sa peranche chi abbia ad essere suo collega. XVII. Modena 16 Aprile 1705. Molto bene avete pensato in non volere applicare al cambio coll’Ebreo Ferrarese, perchè finalmente è meglio avere in mano roba buona, benché tardi un pezzo a spacciarsi, che cattiva, che non si spacci mai. i82 GIORNALE LIGUSTICO Non essendomi giammai capitata occasione per Firenze, hanno ancor da muoversi le due copie. Pensava a portarle a Bologna per le Feste passate ; ma non mi son poscia mosso dalla tana. Le invierò al Signor Marchese Orsi, che troverà loro imbarco. Il Tillemont non si truova, e ancor’ io volentieri lo prenderei. Ora il Donati è senza Libri, perchè di Ollanda non ne vengono. Manderò anche al Baruffaldi una copia. Da che in Roma s’ è vietata la stampa dell’ Agnello del P. Bacchini, libro di buon gusto ed erudizione, e ciò per l’indiscreta censura di Monsignor Bianchini, io non so come più si pensi a far delle Repubbliche letterarie (i). I buoni amici però, Fontanini e Passionei hanno così bene operato finora, che può essere che si medichi un sì rigoroso decreto. Scrivendo ad alcun d’ essi, mostrate di sapere ch io son loro ben tenuto per questo atto di carità e vera amicizia. I Romani truovano, che il Pritanio non dovea nella sua Apologia spacciare per burla ciò che ha fatto, e prendono questo per pretesto di raffreddarsi. A me non dà fastidio questa confessione , perchè di cosa che tutti sapevamo esser tale, e poi tocca a noi altri il farla divenire una verità. Avrei bensì avuto gusto, che il Pritario non avesse nominato nel terzo foglio que’ 3 personaggi. Ma se altro calore non è in Roma, io veggio la faccenda per terra. Oh infingardi Italiani ! Già erano usciti di mano all’ artefice, che mi ha cotanto tradito, i caratteri. Doveano a momenti spedirsi. Ecco i Tedeschi ad imbrogliar la navigazione del Po. Non potevano accadermi fatalità maggiori. Spero nondimeno che il corrier di Ferrara in breve mi abbia a consolare. La diligenza de’ Francesi fece ripassare il Po a i distaccamenti Alemanni. Ora si dispongono tutte le cose per 1 assedio della Mirandola, e vi si darà principio fra qualche giorno. È anche lungi dal giungere in Italia Eugenio con altra gente. Gibilterra di nuovo soccorsa. Voi sapete il resto. Mi scrive il Zeno, che Stampiglia (2) sarà collega del Bernardoni, il quale ultimamente m’impose di riverirvi. Caramente vi riverisco. (1) L’ Agnello, antico cronista della chiesa di Ravenna, fu edito nel 1708 colle dissertazioni del P. Bacchini e riprodotto poi dal Muratori (R. I. S. Π, par. 2.a)Cfr. Affò, Mazzuchelli, Tiraboschi. (2) Silvio Stampiglia poeta romano (Giorn. dei lett., t. XXXVIII, par. 2.a). CIORNALE LIGUSTICO 183 XVIII. Modena jo Aprile 170}. Se è più costì 1’ amabilissimo Signor Marchese Alessandro, fatemi grazia di portargli i miei umilissimi rispetti, e di dirgli che al dispetto de i Tedeschi io spero finalmente d’ avere in breve da Venezia i caratteri. Se il Signore Iddio non ispirava al signor Zeno di sospendere una delle passate settimane la loro spedizione, sarebbono caduti in mano de gli affamati, che tuttavia stanno alle rive di là del Po, siccome è avvenuto ad altre nostre barche con danno di molte migliaia di ducati per gli nostri mercanti. Ora s’ è scritto per ispedirgli a Comacchio , e farli poi venire a Bologna. Questo è il frutto dell’ empia tardanza di chi gli ha fatti. Ma finalmente avremo a Dio piacendo Γ intento. Vi auguro la compagnia di Mezzabarba, il quale finalmente non può nuocervi costì. Vorrei eh’ egli badasse a più sodi studj. Non so se il Bernardoni avrà sicuramente quella dello Stampiglia. So bene che il Zeno così crede, e eh’ egli si lagna di essere stato posposto. A quest’ ora il signor Baruffaldi dee aver ricevuto il regalo del vostro Libro. Spedii al Signor Marchese Orsi le altre due copie per Firenze, ed egli mi ha promesso di presta spedizione colà. In breve saprò dirvi qualche cosa intorno all’ affare del Pritanio. I buoni amici di Roma ci fanno assolutamente sperare la stampa del Libro del P. Bacchini. Solamente ieri sera dovevano essere all’ ordine jj. cannoni per cominciare a tormentar la Mirandola. Ma questo assedio ha molti giorni che tormenta fieramente questo povero paese. Si vuol far divenire bravi soldati i nostri miserabili villani, e voi sapete quello che incontra a i bravi. Nulla dico de’ buoi, della roba, de i denari, che si sagrificano, nè delle gravi minaccie, che si fanno. Il G. Pr. fu alla visita. È tornato a Mantova. Si è colla trincea fin sullo spalto della contrascarpa. Gli assediati hanno finora fatto un gran fuoco; ma non han forze da guardai le fortificazioni esteriori. Facilmente si contano gli assediami. Eugenio si fa vicino a Verona, ma tarderanno ancor molto a giungere i suoi bravi. Sapremo un giorno, ove sarà il teatro funesto. Caramente vi riverisco. Abbiamo una bellissima Orazione del P. Bellati Gesuita per la fu Duchessa di Mantova stampata con àltri degni componimenti. 184 GIORNALE LIGUSTICO XIX. Modena 14 Maggio 170$. Eccovi l'Apologia richiesta, che vi presto, pregandovi di rimandarmela per la Posta. Mi maraviglio , come non se ne sia mandata copia anche a voi altri. Già vi ho scritto, che Monsignor Lancisi ha accettato la carica di depositario , onde avete ancor voi da riconoscere la di lui amorevole autorità. Potrebbe essere , che s’ andassero stampando que pareri de’ compagni, che si trovassero più utili e proprj per la Repubblica. Ma finora non son certo di questo. Oh la presente guerra è pure il grande ostacolo a gli ottimi disegni. Attendo risposta dal Zeno per vedere, se ho da liberarmi dalla tirannia di questo Frate , e intanto con ansietà aspetto risposta anche dal Signor Marchese Alessandro. Se non si muta registro, bisognerà che i poveri Letterati stampino solamente il Paternostro. Godo che abbiate d’ avere un Collega sì riguardevole, quale è il Padre Mezzabarba. Egli ha colpito poco. Ma voi avrete maggior divertimento anche udendo i suoi castelli in aria. Riveritelo, se è costì, in mio nome. Bellati non ha copie da far regali, onde bisognerà provvederne una in Mantova. Se voi aveste amici colà per risparmiar la spesa, scrivete. Io solamente posso promettervi di farvela comprare, e di procurare che vi sia trasmessa. Buon prò all’Arcadia Milanese. Io ho perduto la voglia de’ versi, e non saprei farne più. La domenica passata cominciò a trattarsi la capitolazione della Mirandola. Il Presidio è restato prigioniere di guerra, e sarà condotto a Mantova. Dicono che arrivi ad 800 soldati, e a più di 50 ufiziali. Sarà costata a i Francesi questa impresa circa 400 persone. Questa è finita, essendone già padroni i Francesi. Ma il Ferrarese è sotto. Non posso nè voglio scrivervi le molte ciarle, che si dicono di que’ popoli. Niuno mette in dubbio, che l’Imperatore non sia in pessimo stato di salute. Già si fanno in armi i Turchi per assistere a i Ribelli d’ Ungheria. Cosi scrivono da Vienna. Voi già saprete i movimenti del Villars verso Treveri, e le disposizioni contra Torino. Seguitano i Tedeschi a passare di qua dall’Adige. Oh dove mai ha da terminare questa gran febbre dell’ Europa ? Se è costì il Signor Marchese Alessandro, portategli i miei umilissimi rispetti. Con che io caramente vi abbraccio. GIORNALE LIGUSTICO 185 XX. Modena 21 Maggio 170/. Anche dal Signor Marchese ho amorevoli riscontri della sua bontà vers'o di me, e questo mi consola in mezzo a gl’ imbrogli. S’ è contentato il Frate eh’ io procuri a Roma licenza di dare i titoli che voglio : cosa lunga per me , e ridicola per lui. Questi Signori non vorrebbono eh’ io pregiudicassi alla lor giurisdizione, e stentano a non prendere fuoco. Si vuole scrivere, perchè si cangi la 'quistione, e si propongono altri partiti, che tutti possono ritardar la faccenda. Se nell’ ordinario venturo verrà più risoluta risposta del Zeno, io mi libererò probabilmente da questa tirannide. In Bologna vi sono maggiori strettezze, e in Milano non vi è chi voglia o possa ben assistere alla stampa. Veggio i vostri prudenti consigli per isbrigarla. Ma io ora solo penso a stampare, e nulla al profitto, e potete credere, che non dormo. Faccia Dio ciò che sarà il meglio per me. Se il Signor Marchese è più costì, fategli riverenza in mio nome, e ringraziatelo per tanta cortesia. Ringrazio ancor voi per la nota de’ Feudi, eh’ io già aveva, benché non sì copiosa. Poche nuove abbiamo. Eugenio incamminava la sua gente verso Rivoli con disegno forse di far girare il Lago di Garda, non essendogli riuscito di passare il Mincio. Il nuovo Imperatore fa temere i Preti non essendo cosi pio , coni’ era il padre. Non abbiamo in questo ordinario nuova alcuna, che i Turchi abbiano fatto movimento alcuno; e non son cosi cer£e le cose , che si dicono di quelle parti. Il Villars è ritornato a’ quartieri. Gibilterra più che mai rinforzata. Eccovi quanto io posso dirvi delle cose del Mondo. Può essere, eh’ io vi serva in persona con gli amici di Bologna. Se Mezzabarba è costì, riveritelo caramente in mio nome. Per non gravarvi, lascio d’inviarvi le capitolaziom stampate della Mirandola. Addio. XXI. Modena 28 Maggio 170^. Benché io abbia poco da scrivervi, pure non voglio differire il farlo sino all’ ordinario venturo; perchè penso di portarmi Sabbato mattina a Villanova senza però lasciarmi vedere in Bologna. Riverirò in nome vostro il Signor Marchese Orsi, ed altri amici, se ne ritroverò colà. Una settimana di riposo ho destinata per me. Tornato che sarò spero in Dio 186 GIORNALE LIGUSTICO di poter cominciare la stampa del mio povero Libro, aspettando io da Roma quella ridicola licenza, che questo Frate desidera. Bisognerà far comparire colà prima del tempo il nome del Signor Marchese Alessandro; ma ciò gli ritornerà in gloria. Così vuole l’indiscrezione Fratesca. Eccovi la lettera del dottor Baruffaldi. Mi scrive l’Abate Salvini d’aver ricevuto le due copie ; e confesso d’ aver letto la sua con gusto grande, e dopo molte vostre lodi mi prega di pregarvi, che continuiate una sì lodevole fatica. Si rallegra eziandio col signor Michele , che abbia fatto ottimi versi Latini di non bonissimi Greci. Non so se abbiate avuto a dirittura riscontro di quanto vi dico. Non dovei ben’ osservare la vostra lettera, allorché presi per Lettore il nostro Mezzabarba. Ma a che gli hanno servito le confidenze , eh’ egli ha col Re, e co’ primi Ministri ? Rifarà il danno con una mitra , di cui egli però si mostra poco voglioso. Un brutto scherzo è stato quello, che vi han fatto que’ 600 cavalli. Finora non sappiamo precisamente che fine abbiano fatto essi e il bottino. Noi credevamo di riposare alquanto ; ma facevamo i conti senza 1’ oste. Si vogliono alla grande Armata del Bresciano 50 carra e con 3 paia di buoi per uno. Il peso è grande per un paese già rovinato. Nè son per-anche libere le rive del Po, continuando a fermarsi alla Polesella i Fer-rabuti Tedeschi, e con esso loro molti villani del Ferrarese, che ricusano d’ ubbidire anche al loro Sovrano. Non avrà avuto il duca di Van-domo da faticar molto per prendere Desenzano, perchè da qualche mese i Francesi vi son dentro. Egli s’ è avanzato verso Gavardo per combattere, 0 per contrastare ad Eugenio la calata. Ma probabilmente non si morderanno sì tosto. I Tedeschi sono tornati all’Abecè, e pur troppo ci daranno delle, altre lezioni. Non veggo confermarsi nè la mossa de’ Turchi, nè .1’ assedio di Buda. Molte mutazioni di Ministri a Vienna. 11 resto consiste in preparamenti. Il comandante della Mirandola è stato condotto a Milano. Caramente vi riverisco, e mi dico tutto vostro. XXII. Modena 11 Giugno iyoj. Per una settimana sono stato a villeggiare col Signor Marchese Orsi, che ora è intento a rispondere alla censura alquanto sdegnosa fatta da ‘ 1 Giornalisti di Trévoux del suo Libro. Egli a buon conto vi riverisce. Altri amici non ho veduto, nè voluto vedere. GIORNALE LIGUSTICO 187 Truovo l’ultima vostra coll’avviso del Libro fatto dal cuculiato, cosa che mi fa maravigliare in vedendo tanta indiscrezione , e massimamente essendone consapevole e consigliere 1’ altro galantuomo. Un girno potrebbe dispiacervi questo colpo molto più che ora non fa. Ma non vi mancheranno argomenti da esercitare la vostra erudizione. Dimane farò aver la sua lettera al dottor Baruffaldi. Non so , perchè i Fiorentini non vi abbiano ringraziato finora con lettera a posta. S’ è parlato a Villanova della Repubblica Letteraria. Si vanno disponendo le cose, essendo certo che Lancisi stato a Bologna ne’ giorni passati farà tutto. Quando sia intavolato ancor meglio l’affare , ne saremo , credo io, tutti avvisati, e si vedrà se siam buoni da far nulla. Le lettere di questo ordinario dell’Istro confermano l’intera occupazione della Baviera per la congiura, che dicono scoperta. I Principini saranno condotti a Gratz, e Monaco ridotto alla povertà de’ primi Monachi. Tornano a dire, che si farà pace co’ Ribelli, e nulla parlano d’ assedio di Buda o d’altre cose più grandi. T e nuove di quella parte son troppo lontane e passano tutte per luoghi sospetti. Il nuovo Imperatore ha scritto di suo pugno al Papa. Della baruffa seguita sul Bresciano ad una Cassina son diverse le relazioni. Certa si vuol che sia la caduta di Salvaterra per tradimento e di Valenza d’Alcantara per forza. Finora nulla di nuovo alla Mosella, e alla Mosa. Eugenio è inferiore di forze finora, ed è molto ristretto. Voi saprete se si pensi daddovero a Torino. Più non posso scrivere, perchè la Processione mi chiama. Addio. Rimandatemi l’Apologia del Pritanio. XXIII. Modena 10 Dicembre 1705. Ben tornato una volta alle fatiche. Vi eravate dimentico fra le montagne. Ora continuate a far de i Sonetti, se vi dà 1’ animo al dispetto delle sospensioni del soldo. Ben mi dispiace di cotesto aggravio, e potete credere d’ avere chi vi compatisce, perchè ad altri ancora è toccata la disgrazia medesima. Quello che mi cruccia si è il non vedere un minimo barlume di pace, anzi più che mai disposte le cose alla guerra, massimamente ora che la Catalogna è tutta in potere dell’ Arciduca a riserva di Roses, che però non può mantenersi. Anche nell’ Aragona, e nel Regno di Valenza era penetrato il fuoco vicino, e può temersi che segua a dilatarsi, mentre la Francia impegnata in tanti luoghi non può, e la 188 GIORNALE LIGUSTICO Spagna non sa e non vuole estinguerlo. Tuttavia facciamoci coraggio, e il Signore Iddio ci aiuterà a tirare innanzi, finché venga la quiete del Mondo, o delie nostre ossa. I danni sofferti per cagion dell’ acque in coteste parti non è da paragonarsi punto al sofferto da i Parmigiani, Mantovani, e Ferraresi. Ancor noi ne abbiamo sentita la nostra parte, ma possiamo cantare per gran bene il manco male. A quest’ ora saranno stampate 'le 4 lettere del Marchese Orsi a i Giornalisti ; ma non si vedranno, finché non sieno stampate ancora alcune altre Lettere, che il cavaliere ha voluto da’ suoi amici in difesa propria. 10 non ho potuto esentarmi dal farne una. A suo tempo vedrete tutto (1). Più tosto che valermi di quel prosaico al di sotlo a lui, penso di lasciare così il verso del vostro Sonetto come sta (2). Aspetterò che mi scriviate, se poscia abbiate mutato il verso nel Sonetto del Cagnolino. Mi rallegro per le nozze vicine del Sig. Marchese Alessandro al quale oggi scrivo, ed augurò le buone Fee e con insieme congratularmi del matrimonio venturo. Lentamente s’ avanza la stampa del mio Libro. Perchè le convenienze mi chiamano a Bologna per le Feste vicine, bisognerà eh’ essa faccia un poco di pausa. In Bologna saluterò gli amici ancora in vostro nome. Il Padre Bacchini per liberare il suo Agnello andò a Roma. Prego Dio, che egli stesso si liberi di colà, e torni a stare con esso noi. Al Bernardoni è stato accresciuto lo stipendio sino a 200 Fiorini il mese. Egli saluta gli amici dell’Insubria. Adunque ancor noi. Altre novità non saprei dirvi, che meritassero d’essere scritte. Cotesto nemico vostro vicino fa de i miracoli. Caramente vi riverisco e mi confermo. Scrivetemi che dote porterà la sposa del Signor Marchese Alessandro. 11 C. Gio: B.° è vicino a Roma forse per fare il medesimo passo. XXIV. Modena 4 Febbraio 1706. Dal Padre Agudi Domenicano, i! quale si porta a predicare in cotesto Duomo per la ventura Quaresima voi riceverete copia delle Lettere stampate dal Signor Marchese Orsi. Io intanto vi mando nota de gli argo- (1) Videro poi la luce nel 1707 col titolo: Lettere di diversi autori in proposito delle Considerazioni del march. G. G. Orsi ecc. Bologna, Pisarri. (2) Cfr. Perfetta poesia, IV, 267 (ed. classici). GIORNALE LIGUSTICO 189 menti, che già gli altri han preso , acciocché eleggiate ancor voi cosa omessa da gli altri. Non perdete tempo, e se non trovaste suggetto da farvi onore, parlate a tempo, non essendo il vostro impegno si stretto, che non possiate scioglierlo. Basterebbe ancora una lettera di non molta mole ; ma bisogna dire qualche cosa di nuovo. Dall’ Abate Puricelli già ho ricevuta la dobla che gli avete trasmesso. Questa Città s’è rallegrata d’aver potuto dare un capo alla riguardevole Compagnia di Gesù, nella persona del Padre Michele Tamburini eletto Generale. Cattive nuove si contano di Valenza, e di Balbastro in Aragona. Non è peranche certo, se sia caduto ancora Alicante. Noi abbiamo spedita cavalleria all’Isola di Rovigo sul Veneziano. Caramente con ciò vi riverisco e mi confermo tutto vostro. XXV. Modena 18 Febbraio 1706. Già dal Padre Agudi Domenicano Predicatore in cotesto Duomo, avrete ricevuto copia delle Lettere del Signor Marchese Orsi, e con altra mia anche la nota de gli argomenti già presi da gli altri collegati. Sicché a quest’ ora voi potete avere scelto, e già cominciare ad esercitare il vostro buon talento in favore del Signor Marchese. Altro sopra ciò non ho da dirvi. Avrei con particolar consolazione riverito il Signor Marchese Alessandro, se fosse passato alla volta di Venezia. Ma poiché non ho potuto godere questa fortuna, fate voi le mie parti presso di lui con rallegrarvi seco a nome mio del matrimonio seguito, e con ricordargli il mio vero ossequio. Intanto va innanzi la stampa delle mie cosette, e 1’ affretto per quanto è. possibile. Non avendo io peranche potuto ricuperare da un amico mio, a cui 1’ ho prestato, il Libro del Signor Fontanini, non vi posso trascrìvere ciò che quivi si legge in vostra lode. Un’ altra volta il farò, se il Libro medesimo non vi sarà giunto. L’Abate Dandi vorrebbe pure, che tutti prendessero quel suo Giornale, ove sono cosi infelicemente riferiti i Libri a lui donati, ma viene io. fastidio a tutti (1). S’ egli avesse più talento, sarebbe da lodarsi la sua buona intenzione. Per me non ho voglia di fargli avere de’ miei danari. (1) Cfr. Lettere ai Toscani, 249 in nota. 190 GIORNALE LIGUSTICO Siamo affatto senza nuove di Spagna. Le già venute sono confuse e incerte, siccome è confuso colà il sistema delle cose. Non so onde sia nata la voce non solo d’ un’ Armistizio col duca di Savoia , ma d’ una pace per tutta l’Italia. Per me non so sperar tanto. Forse Luigi è ridotto a gravi strettezze , ma però non è finora caduto. Si lusingano finora i Tedeschi di acquetare in breve i tumulti dell’ Ungheria. Il nostro Passionei lia fatto acquisto di circa 150 Codici Greci, e il Padre Bacchini peranche non ha liberato in Roma il suo Agnello , ma spera di farlo fra poco. Io caramente v’ abbraccio, e mi rassegno. XXVI. Modena 6 Maggio 1706. Eccomi tornato da Loreto, Firenze, e Livorno. Il viaggio è stato felicissimo, la dilettazione dell’ animo grande, e competente il miglioramento della salute. Tornato qua ci truovo una carissima vostra coll’ avviso di non avermi potuto inviar le copie del vostro Libro Legale. Cercherete altra congiuntura, ma non la sperate mai Fratesca, se non sarete riconosciuto abile a far loro qualche buon servigio. * In passando per Bologna lasciai in mano del Marchese Orsi la penultima vostra, ove rapportavate que’ passi del Voiture. Piacciono al Signor Marchese e li collocherà a suo luogo. In quell’ opera nondimeno il Voiture ha avuto poco credito. Il voler pure la lettera dell’ Abate Salvini, che non è peranche, dopo tanti mesi, cominciata fa che si differirà anche di molto la stampa. A riserva del Frontispizio e dell’indice il mio primo Tomo è terminato. Ora sta faticando intorno al 2.0 il torchio. Attendo nuova risposta dal Signor Marchese Alessandro circa i suoi cognomi, e poi finirò la stampa del primo. Seguendo un biglietto inviatomi, ho usato altrove Botta Adorno. Egli ora vorrebbe solamente Adorno. In mano dell’ Abate Salvini vidi un Tomo del Basilico a lui prestato. E mi rallegro bene, perchè speriate di non essere trattato da meno de’ Musici. Il P. Semenzi morto. Il P. Bacchini si spera in breve di ritorno, e vittorioso contra le fiere censure fatte al suo Agnello. Qui si dà preso il Mongiovì colla morte del Laparà e tagliato a fil di spada tutto il presidio. Per me credo inevitabile la caduta di Barcellona. Volesse Dio che fosse principio della Pace. I Tedeschi nelle montagne del Trentino, e i Francesi a Rivoli. Caramente vi riverisco e mi confermo tutto vostro. GIORNALE LIGUSTICO 19 I XXVII. Modena 27 Maggio τηοβ. Se so ben intendere la vostra lettera, debbo scrivervi a Genova, dove fate conto d' essere in breve. Sicché invio costà le mie condoglianze per le vertigini, che mi dite d’aver patito in Pavia. Oh queste benedette teste nostre sono pur poco d’ accordo colla necessità di studiare. Basta : io consiglierò a voi quello , eh’ io stesso non so poi eseguire. Cessare , andare adagio, e ripigliar fiato. Siete, coni’ io suppongo, in Genova. Dunque avete a riverir caramente in mio nome il Padre Pastorini. Se vedrete il Padre Gesini, e il Signor Carlo Tassorelli, anche a loro i miei di voti complimenti. Sto con ansietà aspettando una risposta del Signor Marchese Alessandro, senza cui non posso far imprimere il frontispizio del mio primo Tomo. Nel principio de’· Libri ho stampato Botta Adorno, seguendo una carta, che mi fu mandata colla nota de’ Feudi. Ora veggio , eh’ egli non vorrebbe quel Botta. Gli replico oggi per timore che non si sia smarrita la prima. Intanto si lavora intorno al 2. Ma io ne sono ristucco, ed essendo più di quello eh’ io mai sognassi cresciuta la spesa, mi son forse indebitato : cosa mal sana e dolorosa in questi sì miseri tempi. Ma il Signore Iddio aiuterà. Veggio quanto mi dite del giovane dottor Sitoni. Noi lasceremo ch’egli si sfoghi a suo talento , e a me basta per suo gastigo, eh’ egli voglia attribuire a quell’ Iscrizione una sì smoderata antichità. Attenderò le copie del vostro Libro Legale. Il Marchese Orsi è quasi a cavallo per conto del Fiorentino , e dovrebbe tardar poco ad aver tutto in pronto. Voi siete in sito proprio per dar delle nuove di Spagna e Piemonte a me , e in fatti ne attendo da voi, ma le attendo sincere, e non le sole favorevoli ad una parte. Intanto vi dirò, mettersi qui per cosa certa la levata dell’ assedio da Barcellona, e che il Gallovay faceva progressi dalla parte sua. Sì fa investito Torino , ove dicono seguita una calda zuffa. Eugenio aspetta soccorsi, e dorme in questo mentre, non sapendo io che abbia fondamento una voce sparsa, eh’ egli abbia pizzicato i nostri. In Ungheria due mesi d’ armistizio. Al Reno non si può far tutto quello che si volea, perchè il Marleburg ha sfidato il Martin alla Mosella. Voi ne saprete a quest’ ora di più. Caramente vi riverisco a nome ancora del Bernardoni e aspetto .nuove di mare, ma più quelle della vostra buona salute. 192 GIORNALE LIGUSTICO XXVIII. Modena 15 Luglio ijo6. Due vostre ricevo in un medesimo tempo, ma in niuna d’ esse truovo menzione del vostro Sonetto sopra il Cagnolino ; e pure con premura ve ne scrissi, e con ansietà aspetto la correzione, o risoluzione vostra sopra il primo terzetto. Io ci ho pensato non poco ; ma non mi è riuscito di trovar cosa a proposito. La Rima Tiranno Dio sa che non cada più a proposito. Ma quel Frango non può mutarsi così facilmente, e impedisce il far meglio il seguente verso. Pensateci, e scrivetemi assoluta-mente su questo punto , perchè già s’ è dato principio alla stampa de’ Componimenti da me raccolti. Si mette insieme il primo Tomo, e poscia il manderò. · · Di grazia, scrivete voi al Marchese Vaini, perchè io nè il conosco, nè so :1 nome suo, e non saprei se non dirgli, che i vostri Libri non son peranche giunti. Mi ha comunicato il Marchese Orsi 4 bei sonetti del Padre Pastorini, e ancor la Satira del signor Canevari (1). Ancor questa è bella, ma 1’ argomento non finisce di piacermi, trattandovi cose di non molto rilievo, se si prendono in senso proprio, 0 oscure, se in allegorico. Non so se Butyrum possa avere la prima longa. Per altro quel signore ha una bella franchezza, e uno stile nobile in versi Latini. Godo che siate guarito. Io per due settimane, non ho fatto nulla. Ora mi sento competentemente bene. Fate dunque con qualche Operetta tacere que cagnoletti arrabbiateli!, che pescano così poco nell’ antichità. Il Manfredi è stato gravemente malato. Ora è convalescente. Vi servirò con lui. Poco buone nuove di Spagna, ove le cose vanno a precipizio. Ma io poca pena mi metto di quelle, avendo a pensare ad altri più vicini malanni. Riuscì poscia a i Tedeschi di passar 1’ Adige in numero di circa 8 a 10 mila. I Francesi abbandonarono la Badia con lasciarvi 6 pezzi di cannone, ed altre cosette. Finora non è certo, che Eugenio sia passato col grosso ; ma era in continuo moto. Avevano i Tedeschi passato anche il Canal Bianco; e s’ erano avanzati sino al Po. Si è ancor detto, che abbiano superato questo ; ma per grazia di Dio non credo che sia vero (1) Gio. Tommaso Canevari genovese, noto per la difesa del Petrarca contro il Muratori fatta insieme al Casaregi ed al Tommasi, e stampata a Lucca nel 1709. GIORNALE LIGUSTICO r93 finora perchè qui ci sarebbe altra confusione. Erano i Francesi vicini a decampare per andarsi ritirando, mentre Eugenio è più forte, e pure aspetta circa io mila tra Assiani e Luxeburghesi, che si suppone caleranno sul Bresciano. Noi siamo pieni di paura. Faccia Dio. Nulla de’ ribelli Ungheri. Quiete al Reno. Ostenda battuta, e gran nuvoli per ora. Quest’ anno pare che abbia da deciderla. Caramente vi riverisco e mi confermo. XXIX. Modena 19 Agosto 1706. Non vi scrissi 1’ Ordinario passato , perchè non passò corriere , e in quel tempo mi venne a visitar Dio colla morte di un mio Cognato unico sollievo de’ miei domestici affari, colpo che mi ha stranamente sconcertato, e afflitto, e che tuttavia mi affligge di molto. Sia fatta la volontà di Dio. Vi scrivo ora, benché non sappia, come sieno per venire le lettere. Nel passato venerdì i Tedeschi s’impadronirono di Reggio, e v’ entrarono quietamente facendo prigionieri di guerra il Presidio Francese consistente in un battaglione e mezzo. Poscia lentamente s’ incamminarono verso Parma , dalle cui vicinanze ieri 1’ altro s’instradarono verso Piacenza, da dove si suppongono ora non molto lontani. L’Armata Francese, dopo aver lasciato competente Presidio in Guastalla, passò il Po, e va costeggiando i nemici. Iddio tenga lungi da’ vostri poderi sì gran nuvolo di genti. In Italia è cresciuta 1’Armata Tedesca quasi più di 10 mila persone, la maggior parte Italiani, che fanno numero, e tutti son buoni a qualche cosa. Noi siamo mezzo bloccati con penuria di farina ed altri guai, senza sapere, quale abbia da essere la nostra sorte. Subito che comincerà a passare qualche carrettone verso Parma, io spedirò la copia del mio primo Tomo al Signor Marchese Alessandro già da tanti giorni preparata. Non saprei, come spedirla per la via , che mi suggerite. Cercherò di mandarne ancor’ una per voi. Sino alla fine del correte penso di proseguire la stampa, e poi di far punto fermo , finché Dio provegga al mio bisogno, perchè qui non si può più avere un soldo di paga. Se il Signor Iddio inspirasse al Signor Marchese di darmi qualche nuovo aiuto di costa , volerei. Ma, come voi osservate, bisogna prima, ch’egli vegga il primo Tomo. Disgrazia favoritemi di scrivergli, che sto con ansietà di fargli avere il detto Tomo. A suo tempo mi favorirete ancora di toccar 1’ altro punto, che è dilicato. Giorm. Ligustico, Anno IX. x3 194 GIORNALE LIGUSTICO Se mi verrà fatto di mutare quel verso nel Sonetto del Cagnolino, io mi prenderò Γ ardire di stamparlo , non come voi poltronissimo volete. Basta, ve ne avviserò. Mi cruccia il vedermi tolta da i guai correnti, e dalla morte del cognato, la comodità di villeggiare con gli amici Bolognesi. Fo capitale del vostro soccorso a Genova, e con tutto lo spirito v’ abbraccio. XXX. Villanova 20 Settembre 1706. Sto godendo le grazie e la villa del Signor Marchese Orsi, cosa necessaria alla mia non troppo buona salute, e di sollievo alla malinconia che mi cagiona 1’ accrescimento de’ guai alla mia povera patria , che è presentemente bloccata benché alla lontana. Uno de’ più rilevanti motivi d’ afflizione mi è stato il dover sospendere la stampa del mio secondo Tomo, del quale per altro ho già più di 46 fogli stampati. Di questa mia disgrazia ho avvisato il nostro Signor Marchese Alessandro, e gli ho anche scritto d’ aver consegnato per lui alle Signore Nannine, o sia alle Polacchine Cantatrici, ultimamente andate a Genova a cantare in quel Teatro, una copia del primo Tomo, che per la fretta non ho potuto far legare, restando tuttavia in Modena la preparata. Voi che probabilmente sapete, dove egli presentemente si truovi, replicategli di grazia tal notizia, affinchè procuri di ricuperarla dalle dette Signore Nannine, e ricordategli il .mio gran rispetto. Qui in villa abbiamo il Signor Marchese Orsi ed io riveduta la lettera vostra, e usata la libertà, che ci avete conceduta. Si sono con altro ordine disposti gli esempj delle Antitesi, o Paranomasie da voi riferiti, si è fatta l’aggiunta, di cui vi scrissi, in risposta all’ultima replica de’PP. Giornalisti, e si son ritoccate varie cosette qua e là coll’ attenzione medesima , che noi useremmo nelle cose nostre. Voi fate menzione di una Figura chiamata da’ Greci Onimoron. Temo, che tal parola non sia scritta bene e qui non posso chiarirmene per mancanza di Libri. Voi osservatela meglio, che forse dovrà scriversi Onomoron. Si cita il Causino de Eloc. Non mi pare, che il titolo del suo Libro sia tale. Il passo di Senofonte è riferito con queste parole : Nam Regem natum nihilo te minus ortum arbitror, quam ille Rex est etc. A me pare oscuro, e convien vedere che non vi fosse errore. Abbiam posto a suo luogo il Passo del Voiture preso dalla Storia d’ Alcidalis, ma non già quello d’ Anacreonte, che io ho giudicato non far molto al proposito. GIORNALE LIGUSTICO Voleva io pur qui acconciare il primo terzetto del vostro Sonetto sopra il cagnolino, ma dopo molte consulte ho finalmente conchiuso di non istampare questo vostro componimento , perchè pare ad alcuni, che non vi si contengano tali pregi, che possano fare grande onore a voi. Essendo il mio intento premuroso di far comparire voi qual siete , cioè un valentuomo anche nella Poesia , e bramando io di lodare qualche poesia vostra, di grazia scégliete alcun altro Sonetto di miglior tempra, perchè sicuramente n’ avrete. Se i tempi correnti l’avessero permesso, avrei poste le mani sopra un di quegli, che faceste per l’Italia. Già è stampata la favoletta del Lupo e dell’Agnello, se ben mi ricordo. Spero che non vi avrete a male la mia ingenuità, e in mezzo ad essa riconoscerete il mio vero affetto. Non vi parlo delle nuove del Mondo , perchè voi avete vicine le più strepitose, ed io son fuori del commercio de’ novellisti. Scrivetemi a Modena e continuate ad amarmi. Addio. XXXI. Modena 14 Aprile 170J. Ho cercata, e ritrovata 1’ Iscrizione di cui vi diedi notizia, avendola io nella mia Raccolta. Ma non la vi mando in questo Ordinario, perchè io non 1’ ebbi da copiatore ben intendente, e vorrei io farla meglio confrontare. È fatta al tempo del Ile Liutprando , e il marmo è lungi di qua cinque miglia. L’ avrete. Peranche non ho ricevuti i vostri Libri, ma non ve ne prendete più altra cura. Mi si era fatto credere, che 203 settimane sono fosse partita per Milano la balletta de’ miei Libri. Per avventura io la trovai in Dogana ieri. Sicché ci vorrà flemma. Giunta che sarà all’Abate Puricelli, ne avrete Voi alcuna copia da vendere, e il Signor Marchese Alessandro avrà le altre, che gli ho destinato. Vorrei eh’egli le facesse ricuperare in Milano dalle mani del detto Abate Puricelli, perch’ egli non assai diligente, ritarderebbe troppo la loro spedizione. Continuerà per nostra disgrazia la guerra in Italia. Passano tuttavia reclute a cotesta volta. Caramente con ciò vi riverisco. XXXII. Modena 26 Maggio 170η. Mi giunsero finalmente le 6 copie della vostra Opera Legale, che fu immediatamente , fatta vedere da me a que’ pochi Curiali, che qui si 196 GIORNALE LIGUSTICO dilettano di Libri. Essi lodano la dottrina e l’Autore ; ma con mio dispiacere particolare debbo dirvi, che niuno finora ne ha comprato, si perchè essendo avvezzi ad aver per pochi danari gli altri Libri Legali, il prezzo di questo sembra loro grave di troppo, e sì perchè in questo paese, ove non abbiamo Maggiore e Minor Magistratura , essi non sanno, a che servirsi della vostra fatica, la quale costì e altrove è utilissima, ed è superflua per gli Legisti Modenesi. Io per verità ho quasi perduta la speranza di venderne una copia sola, da che i migliori se ne son ritirati. Vedete un poco, se tornasse meglio il mandare a Venezia, o Bologna, o Ferrara, o in altra Città tutte queste copie ; eh’ io non mancherò di farlo. Qui hanno spaccio le materie amene, e ancora le bagatelle. Poco pensiero delle sode ci truovo. Solo per accidente io potrò abbattermi in una copia del Tassoni. Userò ogni possibile diligenza ; ma ci vuol fortuna. I miei Libri sono in Milano. A quest’ ora dovrebbono essere Liberi dalla Dogana. Manderebbe a voi il Signor Marchese Orsi mezza dozzina delle sue Lettere, se si trovasse congiuntura. La cercheremo. In Genova già ve ne sono. II Bernardoni a quest’ ora dovrebbe essere in Vienna. Finora non m’ è riuscito di vedere la difesa Milanese del Maggi. Sento nondimeno, che tutti concorrono nel vostro parere. Bramerei, che la Modenese soddisfacesse meglio. Ella non sarà, come io la vorrei ; ma avrei fidanza, che potesse bastare per ora. Caramente vi riverisco. XXXIII. Modena 28 Luglio 1707. Bisogna, ch’io vi scriva colla mano altrui, perchè la mia testa indebolita non mi lascia da qualche settimana nè studiare, nè scrivere. E vi scrivo, perchè ho occasione di spedirvi una lettera del nostro Fontanini mandatami dal Marchese Orsi. Vero è, eh’ io non so, dove presentemente vi siate, e mando la lettera alla buona fortuna, non avendo vostre lettere da moltissimo tempo. S’io potessi divertirmi come fate voi, sarei forse sano al pari di voi. Da Milano mi è stata mandata qualche copia di una lettera latina stampata e indirizzata al Magliabechi. Non ve ne dico altro, perchè son certo, che voi sarete stato de’ primi ad averne. Non ho nuove da scrivervi, che voi non possiate altronde sapere ; e poi ne ho perduta la voglia. Sicché mi ristringo a riverirvi caramente, e protestarmi. GIORNALE LIGUSTICO I97 XXXIV. Modena 2<) Dicembre 170"]. Farò il possibile per esitare in qualche maniera le copie de’ vostri libri , avendolo già tentato indarno qui e a Reggio. Non potreste assai immaginarvi quanto mi sia venuto e venga in Fastidio, il vedere che servo si male in questa faccenda voi che siete sì attento per me e per gli altri Amici. Ma non prenderò mai più opere alcune da spacciare, quando io non sappia ciò che si possa promettere de’ compratori. Non so come si sia in coteste parti sparsa la voce che qui sia uscita alla luce l’Apologia del Maggi. Il giovane che si prese cura di formarla, va si lentamente e svogliatamenre facendola, eh’ io non so se s’abbia a vederla giammai alle stampe. Se si vedrà, voi certamente sarete il primo ad averne copia. Verranno le lettere Orsiane, che credo già spedite, indirizzate al Ma-latesta Stampatore, sperando io più in lui, che nel mio solito corrispondente, al quale ho raccomandato di spedirvi qualche copia de’ miei libri. Mi vien supposto, che ne gli Atti di Lipsia sarà stampata una pistola latina aculeatissima contra il Padre Germen. Il Padre di Montefaucon pubblicherà un’ opera de Re diplomatica Graecorum. In Roma l’Abate Garofalo ha pubblicata un’ opera della Poesia de gli Ebrei e de’ Greci. Dopo essere io stato due settimane in istato pessimo di salute, e con pericolo continuo di vertigine, ora sto alquanto meglio. Caramente con con ciò vi riverisco. SPIGOLATURE E NOTIZIE Quando Nicolò V nel 1454, a fine di pacificare l’Italia, propose un congresso, che poi non ebbe luogo, da tenersi a Roma, il Duca di Milano si affrettò ad eleggere suo rappresentante Nicodemo Trincadini da Pontre-moli ; e nelle istruzioni dategli si legge : « Item perchè sapeti corno tu say, havimo li capituli della Lega cum lo Illustrissimo dose et comunità de Zenoa, quali contengono che se debbia fare o paze o guerra che se faza, che se fazano de comuni concordia , percio ne pare necessario che 198 GIORNALE LIGUSTICO li debbia intervenire lì ad questa pace li Ambaxatori Zenovesi per observantia de dicti capituli et honore et debito de Signori Fiorentini et nostro, cussi havirao scripto a Zenoa che siano mandati , et cussi ve di-cemo dal canto nostro che nostra intentione è che loro lì intervengano per el facto loro retrovandosi lì ». (Arch. Stor. Loml·. A. IX, p. 133)· * * * È uscito : « Zwei Genuesser Palaste, erbaut v. Galeazzo Alessi (Palast Spinola — Palast Sauli) (Aus: Bauschatz) Wien, Lehmann et Wentzel, 1881. In fol. 14, pl. en héliogr. ». * * * È stata in questi giorni pubblicata pei tipi del Barbera la nuova opera: Eustachio Degola, il Clero costituzionale e la conversione della famiglia Manzoni, spogli di un carteggio inedito di Angelo De Gubernatis. * * * È già condotta ben innanzi in questa tipografia, la stampa del carteggio di Francesco Bernardi ministro a Londra della Repubblica Genovese al tempo di Oliviero Cromwel. Lo pubblica con illustrazioni e note Carlo Prayer. * * * Fra le relazioni sulle scoperte d’antichità pervenute al Ministero della Pubblica Istruzione durante il mese di febbraio, ve ne ha una da Venti-miglia intorno agli « avanzi romani· nella proprietà Porro, e nei pressi dell’antico teatro ». * * * Il comm. Colucci, di cui sono noti ed apprezzati altri studi storici, prepara la pubblicazione di un’ opera molto importante che si intitolerà Cromwell e l’Italia, e conterrà la corrispondenza inedita degli ambascia-tori delle repubbliche di Genova e di Venezia presso Cromwel, e quella dell’ambasciatore del Granduca di Toscana, come ancora tutti i documenti relativi alla persecuzione dei Valdesi e alla protezione assuntane dal Cromwel. * * * Il comm. Amari accennando al suo proposito di ripubblicare il poema di Lorenzo Vernese, relativo alla conquista di Majorica, (già edito dal Muratori nel t. VI dei Rerum Italie. Script.) sopra un buon codice del sec. XII, già appartenente al Rondoni di Pisa, tocca della sua importanza specialmente per la « maravigliosa coincidenza de’ nomi propri e topografici » coi documenti arabici. « Gli episodi (egli dice) d’altronde non sono tutti inventati. Uno principalissimo, anzi una specie di antefatto, GIORNALE LIGUSTICO 199 usato già nella compilazione de’ nostri annali, è il conquisto della Sardegna per Mugàhid al Amiri, il Mugetus delle nostre croniche, e la cacciata di esso per le armi unite de’ Pisani e de’ Genovesi, nell’anno 1016. In quella guerra rimase prigione dei Pisani un figliuolo di Mugàhid per nome Alì, il quale fu reso al padre per opera di un Albizone, avolo di quell arcivescovo di Pisa che andò all’ impresa di Majorca. Lorenzo Ver-nese afferma che per cosifatto benefizio fosse stata giurata una fratellanza tra Mugeto e Albizone , la quale continuò tra le famiglie dell’ uno e del- 1 altro e servi nelle trattative di accordo condotte dall’ arcivescovo con 1 eunuco Mubascir, soprannominato Naserodolus (Wasir ed daulah — l’ausiliare della dinastia) il quale reggea le isole Balcari nel 1x15 a nome di un discendente di Mugeto ». (Atti dei Lincei, Transunti, VI, 187). * * % Nell’Elleboro (n. 8) S. Grosso pubblica quattro sonetti inediti di G. Biamonti sulla morte di Luigi XIV. — I. Ivani scrive una notizia biografica di Bernardo Laviosa. — Segue il poemetto del Gello edito da N. Giuliani. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Una scorsa nel mio portafogli. Notizie e carte sparse sopra i monumenti torinesi, il re Carlo Alberto, Carlo Botta ed altri illustri, radunate da Antonio Manno. Torino 1881. Il portafogli dell’ egregio autore è assai ricco; lo sappiamo per molte prove; or viene a darcene una nuova con questo grazioso ed importante libretto, sebbene esca « mutilato », perchè ne «furono strappati i preliminari, e recise e divelte le congiunzioni » per certe ragioni di prudenza, a cui argutamente egli accenna. Ma noi restando in curiosità di « quel che s’ asconde », contentiamoci intanto di quello che gli è piaciuto darci. Oggi non si crederebbe; ma pur non è ancora passato mezzo secolo che il Consiglio di Stato invitato a pronunziarsi'sulla domanda di un francese, per «apprestare in Torino un servizio d'omnibus», temeva sopra tutto che questo genere d’ industria degli omnibus sarebbe poco in armonia coi principii monarchici ; è vero che non parve così a Carlo Alberto, pur nonostante negò il suo consenso, perchè non vi era apparenza che cosi fatta speculazione attecchisse in Torino. La qual città se oggi va adorna di molti monumenti pochi ne aveva nel 200 GIORNALE LIGUSTICO secolo passato ; e i forastieri vi ammiravano a preferenza il toro di bronzo e il cavallo di marmo; distrutto il primo dalla rivoluzione del 1798: l’altro, rappresentante Vittorio Amedeo I a cagione d’un cambio di testa, mentre doveva raffigurare Emanuele Filiberto, venne salvato perchè sbollì quel primo furore vandalico, che, a proposta del pittore Revelli, voleva rendere il monumento adatto al Governo democratico , « camuffando il marito della più famosa Madama Reale nel Genio guerriero repubblicano, trionfatore del dispotismo e dell’ ignoranza ». Fu pensiero « pietoso e felice» di re Carlo Alberto, «di ornare con ritratti e con busti d’illustri subalpini e liguri e sardi » la galleria del Daniel ; ma nella scelta andava molto guardingo e seguiva certi suoi preconcetti , frutto dei quali fu la esclusione da quel Panteon del La-Grange, dell’ Alfieri e del Botta. Nel primo gli spiaceva la fama di scetticismo, del secondo scriveva egli stesso : « Notre célèbre poète Alfieri écrivit aussi une vie faite pour ternir sa mémoire; il passa ses jours dans des contrariétés et des peines conti nuelles ; son orgueil si susceptible lui faisait éprouver des tourments extraordinaires, il fut obligé de s’expatrier, et lorsque la révolution française lui procura le désenchantement de ses théories philosophiques, le Seigneur lui envoya une attaque d’apoplexie foudroyante». Era allora'negli anni « del più fervido e più austero ascetismo ». Quanto al Botta, forse non gli perdonò mai Io spirito ghibellino ond’è improntata la sua storia, la quale ebbe per molto tempo l’ostracismo dal Piemonte e dall’ Austria. Eppure le relazioni fra loro furono molto aperte e cordiali, di che qui il Manno ci reca nuove ed esplicite prove, dalle quali si rileva eziandio gli aiuti e i consigli ricevuti dallo storico nella composizione del suo lavoro. Con tutto ciò quando dopo la morte dèi Botta si domandò il concorso del re, al monumento da erigersi in suo onore nel villaggio di S. Giorgio Canavese , egli non lo consenti, mettendo innanzi questo pretesto : « le circostances actuelles des finances étant peu favorables a des largesse de cette nature » ! ! D altra parte niuno vorrà negargli fama di mecenate, geloso persino se « altri volesse prender parte nel protettorato delle arti, che egli reputava privilegio e dovere della sovranità ». Perciò non volle si accettasse una offerta di lire mille venuta dal ministero dei lavori pubblici di Francia, pel monumento a Colombo in Genova, del quale già si parlava nel 1845. Ben doveva sorgere in questa città una statua colossale di Vittorio Emanuele I, già scolpita a tal uopo dal Gaggini, ma ne fu smesso il pensiero : pure il re fino dal 1838 ne aveva fatto apparecchiare l’iscrizione da Carlo Promis, valente anche in questi difficilissimi componimenti let- GIORNALE LIGUSTICO 201 terari, di guisa che lo Scolpis , elegantiarum magister, sottoponeva al suo rigoroso giudizio quella da lui composta per Prospero Balbo e collocata all’ Accademia. Infine ira i monumenti non va dimenticato quello innalzato a Carlo Alberto ; opera del Marocchetti. Dalle carte appunto di Carlo Promis toglie il Manno una serie di documenti importanti, dai quali si rilevano le vicende di quell’ opera. Due cose crescono valore a questa parte del suo lavoro ; una bella lettera del Dupré intorno al Marocchetti, e la riproduzione del primo pensiero del monumento, schizzato a penna dallo scultore sopra uno dei disegni archittetonici fatti dal Promis ; riproduzione eseguita con rara maestria sulla pietra da Efisio fratello dell’ autore. Angelo Genolini — Majoliche italiane monete e monogrammi. Milano, Dumolard 1881. Tra le molteplici pubblicazioni sulla storia della ceramica, questa offre interesse speciale anche pei lettori Liguri, poiché a p. 145, vi si trova un cenno sulle majoliche di Savona , Albissola e Genova. A dir vero 1’ autore si sbriga assai speditamente dell’ argomento, a cui dedica poco più di due facciate, attribuendo a Savona tutto quello che c’ è d’importante — dichiarando che la majolica di Genova è irreconoscibile dall’ altra. Degli eleganti rivestimenti di scale di cui v’hanno ancor numerosi esempi in Genova, e dei lavori di figura che si vedono a S. Maria di Castello, non ci si trova verbo. Insomma la ceramica Ligure e la Genovese in ispecie fanno in questo lavoro una figura piuttosto meschina. Per converso sarebbe a saper grado al Sig. Genolini d’ un nome nuovo aggiunto ai fabbricanti conosciuti sinora, e tale è a sua detta Bartolomeo Botero soscritto ad una mattonella figurata colla data del settembre 1729. Nemmeno è a tacersi che nel libro del Genolini trovansi accuratamente descritti parecchi pezzi importanti di majolica Savonese, conservati in diversi musei stranieri. Le marche sono raccolte in quattro tavole. Lettere inedite d’illustri scrittori del secolo XVI annotate da G. Angelini. Roma 1882. Venne pubblicato questo libretto per festeggiare il compleanno dell’ illustre G. B. De Rossi. Contiene tre lettere del Varchi, una di Bernardo Tasso, una del Giovio, una del Bembo, e un.i di Paolo Manuzio, tratte da un codice apografo e sincrono posseduto dallo studioso editore, e nel quale ve ne sono altre del Caro, del Sadoleto, del Franco, del Domenichi, del Bonfadio, del Mascardi, del Testi. Sono scritte le qui edite al Molza, fuor 202 GIORNALE LIGUSTICO solamente quella del Bembo diretta a Carlo Gualteruzzi. La lezione della prima deve essere stata guasta dal trascrittore antico, poiché vi sono errori da non attribuirsi all’autore, sebbene egli stesso la dica « rozza let-teraccia ». — Il Varchi giudica « divinissime » le elegie del Molza, che lo « hanno fatto meravigliare più volte », e Pier Vittori « non si può satiar di leggerle, lodarle come pari alle antiche ». Chiama il Bembo « mostro santissimo ». Ma perchè in Venezia si volevano stampare forse dal Marcolini le stanze del Molza per la Giulia Gonzaga, il Varchi « pensando che fosse senza saputa et contra la voglia sua », consigliatosi collo Sperone, andò da Pietro Aretino, che era allora una specie di potenza, « per veder di rimediare » ; ma egli « rispose che non si poteva » e che gli stava bene al Molza, « non 1’ havendo mai voluto fare da se ». Da ciò il Molza venne forse in sospetto che l’Aretino avesse scritto contro di lui ; ma il Varchi lo assicura che « non ha fatte stanze nè altro » in suo biasimo, « anzi fa professione d’ amare » le sue virtù « et di conoscerle »; di che è prova nella « Talanta », dove lo dice * veramente degno dell’ onore fattogli dal mondo » (Atto 3.0, Se. XVII). Non essendosi però voluto impacciare d’impedire la stampa delle stanze , il Varchi riuscì « per altra via » ; nel che ebbe aiuto da Paolo Manuzio, a cui rincresceva vedere « istratiati li scritti » del Molza, dei quali « si verria a diminuire nel giudizio degli uomini la fama », a cagione della « trascuraggine et ignoranza » di quelli stampatori. Carità pelosa, se vogliamo , « perché già da buona pezza » gli « era caduto nell’ animo di farli stampare » lui, « e di mettervi tutta quella diligenza », che alle sue è « solito di porre ». Il Giovio è a Como, ma « alle cerase a sarà col Molza, e lo farà ridere « dell’ opinione » dei letterati ai quali si trova in mezzo, « pieni di vocaboli, provverbi, e secreti, fino all’ orlo ; sono dotti, ma bizzarri, et fra gli altri ce n’ è uno ostinatissimo, quale adora il stilo d’ Erasmo, et un altro sa tutta a mente la Poliantea , et un altro recita a pagina per pagina il Margarita poetarum ». Tuttavia a questi spassi egli ne accompagnava dei più sostanziosi, avendo trovato colà « tutto quello che ’l figliolo di Cicerone et Apitio harebbono potuto desiderare.....; vini da sbalzare in coperta , vini di Roma omnium coloris et colorum, volanti, et correnti di tutte le spetie » ; non parla dei pesci , chè « la trotta si vende xx baiocchi la libra di 28 oncie; le cose manufacte per dévotion di S. Biasio farebbono mangiar la Matina ogni Napoletano » ; fra le « Terre di Lombardia » Como è quella dove si stia « manco male, computati li perpetui sacchi, e sacchi spagnuoli, et altri accessorii danni ». GIORNALE LIGUSTICO 203 Giuseppe Garzolini. Macchiette campagnuole. Genova, Sordo-Muti 1882. Ecco qua un libro che si legge volentieri, e perchè ci si sente nella lingua e nello stile la vivezza ed efficacia paesana, e perchè vi è riprodotta la natura. Piacciono specialmente le macchiette « Bernardo Va-condìo », 1 Và, pensiero, sull’ali dorate », « Un pulcin nella stoppa » , « Avere il danno, il malanno e l’uscio addosso » ; grazioso senza smancerie 1’ idillio « Occhi azzurri ». Potrebbe dirsi non riuscita qualche intenzione satirica nell’ « Aristodemo Camomilla », e nel « Taddeo Semola » dove si precorre alla nuova legge comunale facendo nominare il Sindaco dai consiglieri ; cosi trovarsi qualche inverosimiglianza nella » Marionetta di Geppino », e nella « Nena ». Alla bontà generale della esposizione nuoce a quando a quando una sprezzatura soverchia, lo spirito un po' tirato, e la frase alquanto leccata. Ma queste cose perchè saltano subito agli occhi ? Perchè si allontanano da quella bella omogeneità di che va dotato l’insieme del lavoro. Emilio Penco. Francesco Petrarca. Milano, Agnelli 1882. Annunziamo questo libretto perchè ci sembra di riconoscere nel giovane autore una certa attitudine a far meglio ; purché però non si lasci sviare da certe preoccupazioni, che da principio più o meno abbiamo avuto tutti. Voglio dire la smania di far sapere che si è letto molto , e lo sfoggio della rettorica. Ora stia certo il sig. Penco non esservi cosa peggiore che 1’ avvezzarsi a pensare col cervello degli altri ; invece si prova una grande soddisfazione quando per nostra virtù arriviamo dove sono giunti gli altri maggiori di noi, e qualche volta anche più in là. In fatti la parte debole del suo lavoro è quella dove sono costipate le citazioni, dal Foscolo al Costero ; mentre troviamo assai bene tratteggiato, sebbene brevemente, lo svolgersi dell’amore; appunto perchè ha saputo cogliere nel suo poeta i più opportuni e più veri momenti della passione. Colore rettorico ce n’ è poi qua e colà per esempio a pag. 5, 38, 40, 43· Essendosi 1’ autore proposto di metterci sotto gli occhi il Petrarca nei suoi tre aspetti di poeta, di patriotta e di erudito, avrebbe meglio provveduto al suo fine seguendo l’ordine razionale anziché, quello cronologico, necessario nella biografia, non in uno studio critico. Oltrecchè il poco che dice del poeta patriottico è affatto insufficente e incompiuto; basti l’accennare che non si è quasi servito della Canzone all’Italia, in cui il Petrarca fermò il suo concetto politico, essendovi buone ragioni, secondo il D’Ancona, per crederla scritta nel 1370. 204 GIORNALE LIGUSTICO La considerazione a proposito dell’ amore di Dante e del Petrarca (P- 32-3 3), e la chiosa all’ultima terzina del sonetto Levommi il mio pensiero ecc., non sono esatte. L’ amore di Dante era astratto, sovrumano, spirituale, mistico; quello del Petrarca invece apparisce concreto, corporeo, umano. Non è respinto verso terra « dall’ambizione di gloria », ma perchè egli non concepisce una Laura puro spirito, spoglia del « bel velo » che tanto amò , nè « cape » nel suo « intelletto umano » il bene che lassù gode Laura ; ridate a lei il suo « velo » , e non allargherà « la mano ». Posto ciò nessuno gli concederà che il Cannoniere sia un « eterno monumento, eretto ad omaggio non della donna avvilita, disprezzata, reietta dal paganesimo, ma redenta da Gesù Cristo, e dalla sua religione santificata come vergine, come sposa, come madre in Maria » (p. 57). Finalmente poiché mostra d’ aver letto parecchi scrittori intorno al Petrarca , credo utile avvertirlo che avrebbe potuto trarre molto giovamento dagli studi del Zumbini e del Bartoli sul medesimo soggetto. Non so se dovrò mettere anche il sig. Penco nel novero di quelli che mi tengono il broncio perchè ho detto aperto il mio parere; ma pi omettendo egli più ampia opera « dello stesso genere », se troverà «benevola la critica », ho creduto debito l’incoraggiarlo senza nascondergli il vero. Carlo Dionisotti — Storia della magistratura Piemontese; 2 voi. di pp. 416-527. Torino, Roux e Favaie 1881. Il sig. Dionisotti, già noto ai cultori della storia per le diligenti notizie biografiche dei Vercellesi illustri, ha fatto opera grata agli studiosi raccogliendo nei due volumi da noi annunciati le notizie della magistratura piemontese, di cui alcun saggio era già comparso alla luce in separati opuscoli, ove trattavasi delle Corti d’Appello del Piemonte e dei loro capi t e della magistratura consolare nel regno sardo. Il lavoro del Dionisotti è diviso in due parti ; la prima anziché ristringersi alle sole vicende dell’ ordine giudiziario in Piemonte, assume quasi le proporzioni di una storia costituzionale, con ispeciale intuito alla magistratura, e spazia dai tempi di Carlomagno e dalle origini di Casa Savoia, sino al 1860. la seconda comprende cenni biografici dei ministri, dei membri dei Senati, e magistrati d’ appello, della Corte dei Conti e di quella di Cassazione. La più antica di queste notizie si riferisce a Giovanni de Meyriaco cancelliere di Savoia nel 1330. L utilità del lavoro è fatta maggiore da copiosi indici personali e generali. La Liguria non entrava nel disegno dell’ autore, senonchè a partire « GIORNALE LIGUSTICO 205 dall’annessione nel 1814. Egli però se ne occupa sino dall’epoca dell’unione alla Francia (1805), anzi fino dalla rivoluzione (1797)1 illustrando quel turbolento periodo con rapidi cenni. Il lavoro del Dionisotti si raccomanda per la diligenza e la copia delle notizie, raccolte certamente a prezzo di minuta indagine e di non lieve fatica, in ispecie nella parte biografica. Al critico imparziale non possono sfuggire le mende, e certo si amerebbe, minore asseveranza in materie dubbiose e gravemente controverse , stile più elaborato. Ad ogni modo siffatte mende non sono sostanziali all’ opera , che avrà certamente buona accoglienza dagli studiosi. Statuti antichi inediti e statuti recenti dell’ ordine supremo della SS. Annunciata, con notizie storiche relative al medesimo, pubblicati dal barone Gaudenzio Claretta. Torino 1881. L’ ordine cavalleresco, del quale l’A. tesse la Storia come proemio agli statuti, ebbe cominciamento da Amedeo VI, il quale nell’ istituirlo seguì un concetto insieme politico e religioso, sebbene la sua denominazione nulla ritraesse di questo secondo carattere, poiché fu detto semplicemente « ordine del Collare di Savoia ». Il titolo che prese in seguito, e che mantenne fino al presente si deve invece a Carlo III, siccome a lui si devono le modificazioni emblematiche introdotte nel collare, e le norme più antiche pervenute a noi. Sì fatte regole però non durarono uniformi lungo i quasi quattro secoli che ci separano da quel tempo, ma subirono parziali riforme, finché la rivoluzione del i79^> nella sua foga d uguaglianza , spazzò via anche que sta maniera d’ onorificenze. Fu ripristinato colla restaurazione, ma non furono troppo saggi i conferimenti che se ne fecero; ed è osservabile che dal 1814 al 1832, anno in cui salì al trono Carlo Alberto, tre soli genovesi ne furono insigniti. Il nuovo re intese il soffio dei nuovi tempi e svecchiò anco quella istituzione, specie togliendo ai cavalieri certi privilegi divenuti incompatibili; alle loro rimostranze, messe innanzi dall’arcivescovo Franzoni, stette fermissimo. Mutate finalmente le condizioni d’Italia, quelli statuti altresì furono rifatti, e come oggi si leggono, ebbero la reale sanzione da Vittorio Emanuele il 3 giugno 1869. L’ A. non ci mette sotto gli occhi un’ arida notizia delle vicende qui sopra toccate, ma con acconcia erudizione ricerca le ragioni storiche, e con prudente critica, discute e corregge asserzioni ed opinioni poco esatte. Peccato che la forma pecchi d’improprietà di lingua, e lo stile qua è colà sia intralciato ed oscuro. 20 6 GIORNALB LIGUSTICO Ci sono venute a mano due pubblicazioni per nozze fatte in Padova nel 1873 e in Udine nel 1874. Nella prima troviamo due lettere di Uberto Foglietta al Gran Duca di Toscana; e sono del seguente tenore: IU.m° et Ecc.'n0 Principe Sigs mio CoIen.m° Mi harebbe ritenuto la bassezza dello stato mio da esporre ella Ex.tla V> con questa lettera l’inestimabile alegrezza che mi ha portato la gloriosa vittoria che V.a Ex.*, senza alcun danno de’ suoi, sì felicemente ha avuta de’ suoi inimici; parendomi mal convenirsi, che in compagnia di tanti huomini grandi, che faranno questo ufficio di congratulazione, comparisca 1’ oscuro nome mio nel cospetto di sì alto principe. Ma dall’altra parte , la humanità della Ex.tia V.», la quale so che in lei pareggia la sublimità del grado, mi ha assicurato, che non pur non le parrà prosontione questo mio atto, ma amorevolmente lo accetterà et harà caro et riconoscerà in quello Ia hereditaria devotione et servitù di casa mia verso la III.ma Gente Medicea ; a’ servitii della quale messer Agostino Foglietta mio zio tenne appresso le sante Memm. di Leone et di Clemente non mediocre luogo di gratia et di auttorità. Io ho avuto adunque tanta alegrezza di questa sua felicità, quanto 1’ animo mio la ha potuta capire maggiore ; benché havendomi sempre promesso tal esito la giusticia della causa, qual V> Ex.tia difende, è già gran tempo che con l’antivedere questo fine, io cominciai a partecipare questa letizia, la qual hora l’effetto ha ridotto al colmo. Massimamente vedendo li grandi et molti frutti, che a V.a Ex.tia questa vittoria produce , l’augumento della gloria, et riputatione, la confusione degli nimici et malevoli, la tranquillità del-1’animo, et la quiete de’ soi popoli. Ma molto maggior frutto senza dubbio sarà quello che la prudentia di V.a Ex.tia ne saprà trarre, perciocché non attribuendo questo felice evento nè alle forze, nè alli the-sori, nè al sapere suo, ma riconoscendo ogni cosa dalla benignità di Dio, la quale miracolosamente senza alcun spargimento di sangue dei suoi, le ha donato tanta vitioria, et perciò non si lasciando dalla prosperità sollevare, gli porgerà questo fejice successo maggior occasione et più largo campo di essercitare 1’ usata sua moderatione et continentia, la quale fra tante sue altre virtù la ha fino a qui renduta mirabile. Del che Nostro Signore Dio le dia gratia et la augumenti et conservi nel suo santo servitio , et io pregando di ciò S.* Maestà, a V.a Exc.tia bascio humilmente la vittoriosa mano. Di Roma alli XVII di Agosto del MDLIIII. Humil. Servo Di V.a Ex.«a Uberto Foglietta. GIORNALE LIGUSTICO 207 111.”'° et Ecc.”'° Principe et Sig.r mio Colen.mo Io non sarei ardito di ricorrere in ogni occorrentia mia all’Ecc.'ia V.a per aiuto, quando io cercassi impetrarlo da lei col mezzo della mia devotione et pronta volontà a’ servitii suoi ; sapendo che dalla bassezza de lo stato mio non può mai uscire opra che pareggi il favore dell’Ecc.tia V>. Ma conoscendo che la benignità di V. Ecc.tia è quella, che sopra ogn’altro rispetto basta ad invitarla a porger la mano a chi ricorre a lei, et coloro massimamente che sono per hereditaria servitù congiunti al-l’111.™» Casa Sua, nel qual numero per la memoria di Messer Agostino mio zio mi riputo essere io ; confiderò di farmi innanzi al cospetto del-l’Ecc.'ia V.a et richiederla di uno, a giudicio mio, honesto favore col Rev.mo Car. S.<° Jago suo parente. Perciocché avendomi la trista sorte mia tolto la S.ta memoria di papa Marcello, col quale io haveva antica et assai intrinsica servitù, et il quale mi haveva dato in questo ufficio di scrivere Latino et Volgare, luogo appresso di sé assai intimo et honorato ; vorrei havere adito in simile esercitio col successore, il quale potendo essere facilmente S.a Sig.a Rev.ma o vero il Rev.m° Car> di Napoli, appresso al quale detto Monsignor S.t0 Jago ha grandissima autorità, desidererei fino d’hora preoccupare il favore d’esso Mons.r S.'° Jago in ciò che egli volessi disporsi et indurvi Mons. predetto di Napoli a porgermelo appresso il Papa successore con una lettera di V.a Ex.'« talmente calda, che paresse che ella uscisse non da commune ufficio, ma da particolare affetione ; con un buon ordine al Sig.r Suo Ambasciatore che accompagnasse le lettere con uno ufficio non volgare in nome di Quella; et un’altra lettera simile desidererei a Mons. Rev.m0 di Carpi, la quale per la umanità et valore che è in sua Signoria Rev.™, non mi sarebbe di minor giovamento. Et dell’una et dell’altra humilissimamente ne supplico l’Excellentia V.a alla quale devotissimamente bascio la mano. Che N. Signore Dio la conservi felice ». Di Roma alli 4 di Maggio del MDLV. Hurnil. Servo Dell’Ecc.tia V.a Uberto Foglietta. L’ altro opuscolo contiene una canzone inedita di Gabriele Chiabrera. Ecco le prime strofe : Posto il mondo in confusione La Discordia non sapea Altro fare : ad un balcone Di sua reggia si sedea 2o8 GIORNALE LIGUSTICO A mirare un praticello Di fior varj ornato e bello. E veggendo in pace stare L’ odorosa umil famiglia , Seco stessa si consiglia, Onde scesa in mezzo al prato Così ai fiori ebbe parlato : — Cari miei, qualunque volta La Repubblica dei fiori Io contemplo insieme accolta Di color contrari e odori, Mi stupisco come mai Possa viver senza guai. ecc. Veramente non ci sembra roba del Chiabrera ; e la sgrammaticata lettera di dedica ci fa molto dubitare del gusto dell’editore, e del suo buon giudizio in opera letteraria. ♦ * Il prof. Carlo combi pubblicerà presto negli Alti della R. Deputazione Veneta di storia patria l’Epistolario di Pier Paolo Vergerio il seniore, e con esso le notizie biografiche diligentemente raccolte di quest’uomo, « uno dei più illustri di quell’ estrema regione d’Italia » che è l’Istria. Frattanto l’infaticabile Attilio Hortis, ha stampata nell’Archeografo Triestino (marzo u. s.) una Lettera al Combi : Di Santo de’ Pellegrini e Blenghio de' Grilli, l’uno e l’altro rammentati appunto nelle epistole vergejiane. Il Pellegrini è cittadino di Trieste, ma il Grillo è genovese; e· in due lettere indirittegli da Pier Paolo nel 1395 e 1397 viene chiamato Belegno da Genova. Più chiaramente egli stesso, che fu notaro, firma in calce agli atti : Blenghius qm. Petri de Grillis de Janua. Però questo nome nella genealogia di tale famiglia si cerca invano: ed a me non sembra fuor di proposito il sospettare che Belegno, o Benigno che dir si voglia, nascesse lontano dalla patria o ne uscisse in età puerile, così da non lasciarvi alcuna memoria di sè. Ma odasi 1’ Hortis. « Cotesto genovese... dimorava in Istria almeno fino dal 1396, quando nel castello di Buje fu creato notaio e tabellione... da Paolo conte di Montefeltro·, vescovo di Cittanova d’Istria... Nel 139^ Blenghio de’ Grilli fu fatto cancelliere del comune di Trieste... Nel 1400 era già marito della gentildonna triestina Antonietta figlia di ser Ganorio di Genano; nel 1405 e’ fu fatto maestro delle scuole; . . . nel 1411 era cancelliere per la seconda volta. Il comune doveva essere molto contento dell’opera sua, poiché nel 1411 esaudì una sua supplica, con la quale pregava di esser fatto cittadino, chiedendo dispensa dal fabbricare una casa in Prelaser, come lo statuto ordinava per i nuovi cittadini ». Fu ri-confermato ancora cancelliere fino al 1419, in cui a sua richiesta, gli venne data licenza. « Ometto (ripiglia P Hortis) altri documenti privati di Blenghio ; ben mi giova ricordare che dalle suppliche sue spira un’ aura di modestia, che ci spiega l’arrendevolezza del comune riguardo a lui... Blengio fu un egregio e valentç uomo, ben degno dell’ amicizia e dell’ affettuosa corrispondenza di Pier Paolo Vergerlo ». Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 209 SUI DENARI MINUTI DELLA ZECCA GENOVESE (i) I. • Il Capitano Ruggero ha mosso di tratto un bel passo nella nummografia, e nel tempo stesso che scrive il proprio nome nella Società Ligure di Storia Patria, ci offre buona guarentigia di essere un abile continuatore nel posto che lasciarono vuoto fra noi i compianti Avv. Gaetano Avignone e Luigi Franchini. Di piccola mole sono i due scritti che qui annunziamo ma di peso per la novità e Γ importanza del soggetto. Dico novità, quanto alla stampa; chè già vi avevano meditato non poco i -due lodati testé e raccolto quanto si poteva da’ medaglieri loro ed altrui e da collezioni o cataloghi ; senza che per altro le Tavole, generali di Numismatica Genovese, diligentemente preparate, potessero finora pubblicarsi, viste le strettezze della nostra Società. Ora giacché il terreno in questa parte è smosso vantaggiosamente dal sig. Ruggero, pigliamo volontieri la parola anche noi, da lungo collaboratori ai compianti amici.; richiamando Γ attenzione degli studiosi intorno alla pubblicazione presente e a quella maggiore del-Γ avvenire che vogliamo sperare non tanto lontana. Il Ch. Autore intitolò modestamente Annotazioni i suoi opuscoli; volendosi anche con ciò tener libero il passo da un ramo all’ altro della nostra Numismatica, e dall’ oro giù fino al metallo più vile; ma cominciò le sue prove dalle (1) Annotazioni Numismatiche per la Zecca di Genova del Capitano Giuseppe Ruggero, Palermo 1879 e 1881 ; opuscoli due con altrettante tavole. Giorn. Ligustico, Anno IX. l4 210 GIORNALE LIGUSTICO monete minori, dichiarando il perchè di questa preferenza. Del che gli diamo lode, accettando i suoi tre motivi, anzi aggiungendovene un quarto che ci pare il non meno importante. I piccoli pezzi d’ogni zecca erano, segnatamente nel medio evo, le basi su cui poggiava tutta la moneta di conto. Chi non si appaghi di contemplare a solazzo belle e grandi monete e nobili metalli, ma voglia conoscere cóme il danaro spendeasi e per qual valore, crescente o descrescente, e come una moneta rispondesse alle altre in codesta scala, quegli capisce che fa d’ uopo tener conto anche dei piccoli pezzi, anzi dee dare la preferenza a questi perchè basi e perchè troppo generalmente trascurati. Cosi operava anche, a detta dell Autore, il lodato da lui Cav. Maggiora-Vergano di Asti, e (aggiungeremo noi) l’illustre Domenico Promis, il quale abbracciando la Numismatica generale, pur non trascurava mai di ricercare la moneta di conto. Nella sua Zecca di Genova (i) egli recò due saggi di simili monetine, ne indovinò il titolo, come vedremo, e ne suppose il valore; sebbene per quest ultimo rispetto non abbia potuto coglier nel segno per manco di documenti. Nel primo opuscolo del Ch. Capitano vediamo descritta e dichiarata una serie quasi cronologica di piccoli pezzi di Zecca genovese, di bassa lega, aventi un carattere speciale e costante sul rovescio : la leggenda Co nr ad us ο simile, tagliata ad ogni due lettere da una croce che vi prolunga attraverso le sue quattro braccia. Comincia per l’Autore la serie dalle monete battute sotto la Signoria di Filippo Maria Visconti e finisce al dogato di Ottaviano Campofregoso. Egli però ne presenta una ancora battuta sotto i dogi biennali, la quale per le lettere L. B. iniziali del Zecchiere è ben da lui classificata agli (i) Promis. Origine della Zecca di Genova, Torino, 1871. GIORNALE LIGUSTICO 211 anni 1569-81, come più avanti vedremo. U Autore non omette di ricordare simili pezzi pubblicati da Domenico Promis (1) e dall’eminente Numismatico testé defunto, il Longperier (2) ; tuttavia quest’ ultimo avea pure pubblicato una moneta simile battuta sotto la signoria del Re di Francia Carlo VI, e non s’indovina il perchè su questa abbia tenuto silenzio il sig. Ruggero; ammettendola se vera, confutandola se di non sincera attribuzione, poiché essa supera in antichità tutte le altre da lui dichiarate (1396-1409). Ciò premesso, ecco la serie delle monetine come è data dall’Autore: Filippo Maria Visconti (1421-36); Tommaso Campofregoso (1436-43); Raffaele Adorno (1443-47), Giano Campofregoso (1447-48); Ludovico della stessa famiglia (1448-50); Pietro pure (1450-58); Carlo VII Re di Francia (1458-61); Ludovico Campofregoso di nuovo (1461-62). Questi pezzi erano già scritti nelle nostre schede inedite e colle medesime attribuzioni, salvo quello di Giano Campofregoso, su cui dubitavasi se dovesse leggersi le iniziali I. C.; oppure I. G.; non alieni del resto ad accostarsi all’Autore ora che egli così legge senza esitazione. Ma una più importante e ben giustificata scoperta del Ch. Ruggero è il pezzo segnato O. C. che dee significare Ottaviano Campofregoso (3). Invero quelle sigle non possono convenire che a questo, Doge che fu nel 15x3-15; sia perchè non vi sono altri nomi a cui tali iniziali possano adattarsi; sia perchè lo dimostrano di tardo tempo la forma delle lettere romane sostituite al semigotico ed ogni altro indizio, come ben riflette Γ Autore. Appare anche ingegnosa la interpretazione sua del rovescio » (1) Ai numeri 16, 17. (2) Monnaies de Charles VI et de Charles VII frappées à, Gènes (Revue Numismat. XIII, 1868, al n. 12 per quella di Carlo VI; ai numeri 18, 19, 20 per Carlo VII. (3) Ved. il num. 8 della sua prima tavola. 212 GIORNALE LIGUSTICO della moneta; non vi si vedono che due lettere M. C. ma ben vi si possono imaginare due altre intermedie a queste e non riuscite per Γ irregolarità del conio, le quali sarebbero R. R. In tal caso avremmo la consueta leggenda C(onradus) R(omanorum), R(ex) mentre la 4.“ lettera M sarebbe la sigla d’un Zecchiere ; tanto più che tale sigla, da sola od accompagnata da un O, si vede già in monete più nobili battute sotto il Re Francesco I, succeduto ad Ottaviano nella Signoria di Genova. Tuttavia mi nasce in mente una interpretazione diversa, che, senza troppo insistervi sopra, sottopongo al giudizio dell’ Autore. Due anni fa il lodato sig. di Longperier comunicava all’ Accademia parigina delle Iscrizioni (1) la notizia d’ un pezzo d’ oro di stampa genovese che aveva una leggenda singolare e finora inaudita nella nostra Zecca. nel diritto Ianus II de Campo F. dux Ianue, nel rovescio Caesaris Maximil. semper Augu. L’Illustre Francese ne poi-geva una interpretazione che può riguardarsi come soddisfacente. Giano Campofregoso fu eletto Doge (secondo di questo nome) nel giugno del 1512 e durò fino alli 11 di gennaio dell’ anno seguente. Egli era stato protetto dallo Imperatore Massimiliano e dalla Spagna contro la Francia e contro i suoi emoli ed aderenti a quest’ultima nazione. Da ciò il motivo per porre su quel magnifico pezzo d’oro il nome dell’imperatore vivente in cambio del consueto e storico Con-radus; fare così una contro-risposta alle monete precedenti che ci avean scritto il nome di Luigi XII e un tipo odioso, imposto dalla costui vittoria sulla rivoluzione. Ora io osservo / che Ottaviano Campofregoso dopo 22 giorni d’interregno succedette al cugino Giano II per gli stessi aiuti e favori dell’imperatore, come si può vedere dagli Annalisti; sebbene, (1) Il 3 Dicembre 1880; di questa medaglia avrò presto occasione di riparlare. GIORNALE LIGUSTICO 213 durando fino al 1315, abbia egli creduto infine dover mutar politica riaccostandosi a Francia. Quelle due iniziali M. C. scritte anche in caratteri abbastanza rilevati in sì piccola moneta non avrebbero potuto stare da se e significare Maxi-milianus Caesar ? Come si vede, la serie data dall’ Autore comincia tardi e presenta lacune, ma pur troppo ne presenterà poco meno quella che sarà inserita a proprii luoghi nelle sperate Tavole di Numismatica. Tali pezzi, poco curati nella fabbricazione e dal commercio trascurati e dai Nummografi, furono anche certamente fusi dalla Zecca in grande quantità, a mano a mano che si peggiorava notevolmente il titolo delle nuove monete da sostituirsi, come vedremo. Quindi non abbiamo perlopiù che esemplari irregolari, mancanti, illegibili o quasi. Io verrò qui accennando altre leggende non indicate dal Ruggero ; le quali se sieno giudicate vere, sarebbero da aggiungere alla serie di lui oltre al già rammentato pezzo del Re Carlo VI. Ma premetto che io non ho collezione e non sono numismatico nel senso ordinario ; la mia parte nelle comuni fatiche essendo stata quella di ricercare nei documenti il nome specifico e volgare d’ ogni moneta, il titolo e peso legali, il valore suo primitivo e le mutazioni successive. Io perciò abbandono il giudizio definitivo a coloro che hanno la fortuna di posseder monete e l’agio di ben esaminarne- la lettura, il tipo, lo stile e simili ; ma credo in pari tempo che la posizione di nuove questioni sia sempre opportuna a svegliare il senso critico dei Collettori e acciò, per lo studio comune e pel felice incontro di buoni esemplari, si dia ansa a nuovi, sicuri risultamenti. B. A Dux (Barnaba Adorno Doge XXIII, 1444, gennaio) citato nella Collezione Franchini, Catalogo Sambon n.° 565 (1), (1) Catalogo di Monete... della Collezione Franchini di Genova, Roma 1879. 214 GIORNALE LIGUSTICO non potrebbe egli essere introdotto nella serie, giacché il sig. Ruggero ammette come sicuro un pezzo d’ oro almeno del medesimo Doge? P. C. CA. (Paolo Campofregoso Cardinale, Doge XXXI, 1483-88). Lo trovo notato nel Catalogo ms. del compianto Franchini, sebbene non lo trovi più in quello stampato dal Sig. Sambon. È noto che Paolo usava volontieri menzionare la sua nuova dignità nei documenti e nelle monete del terzo Dogato (1). Ci danno molto maggior motivo a dubbi le monetine genovesi dei Re Luigi XII e Francesco I nominate nel Catalogo Sambon. Quello al n.° 676-7 segnato F. R. F. D. non potrebbe far nascere il sospetto di uno scambio fra la prima lettera F ed un K che le si dovesse sostituire ? Che se il sospetto si avverasse, non avremmo qui che il pezzo già da noi sopra ricordato di Carlo VI con una leggenda simile, coi caratteri del tempo e coll’ approvazione dell’ esatto e perito Longperier che la interpreta : Karolus Rex Francorum Dominus lanue. Certo la distanza di tempo tra le due Signorie deve far rilevare la verità a chi abbia a mani la moneta: ma checchenessia, ci pare ancora più dubbia l’attribuzione a Carlo VI data nello stesso Catalogo (al n.° 504) al pezzo segnato K. Ianua semplicemente; la cui leggenda troppo si discosta da quella data pocanzi, anzi si discosta dall’ uso comune. Pure, ecco allo stesso Catalogo (n.r‘ 651-2) una leggenda simile per Luigi XII: L. Ianua.r. Ed il giglio che s’indica nel campo di tutte queste monete parrebbe non poter subire altra interpretazione, che di pezzo emesso da Signoria francese ; se però il consenso pacifico di periti ci assicuri da ogni errore su tali indicazioni. (1) Ved. in Promis al num. 24, e nel Giornale Ligustico, 1879, pag. 389 dichiarata una moneta di Paolo colla leggenda P : C : CA : GTORNALE LIGUSTICO 215 Più conveniente al tipo generale genovese e a quello speciale alla circostanza ci sembra un pezzo pubblicato dal Rei-chel al n.° 2127 del suo Catalogo di Pietroborgo (1); la leggenda: A. A. Dux Ianue ci rappresenta, a non dubitarne, An-toniotto Adorno Doge dal 1522 al 27; il suo peso espresso col sistema russo equivarrebbe a gr. 0. 528. Il nostro Autore indica varie altre monetine simili ma con certe iniziali che è impossibile applicare ad alcuno della ben nota serie de’Dogi genovesi; perciò deve essere certamente erronea la sua lezione di P. Po. Dux; 1’ altra di N. C. nemmeno si potrebbe ammettere , salvo che interpretandola per N. G. Ma in questo caso il Nicolò Guarco essendo Doge VIII dal 1378 all’83, la maggiore antichità lo paleserebbe, laddove Ruggero assegna tutti questi pezzi come nati probabilmente fra il 1420 e il 58. Alla stessa stregua sarebbero a studiare certe monetine effettive con lezione corrispondente più 0, meno ad alcune mie schede: D. C. Dux; A. G. Dux; F. G. Dux; le quali a prenderle così alla leggera quadrerebbero coi tre Dogi Domenico Campofregoso (1370-78); Antonio Guarco (1394, ma veramente per soli 17 giorni); Francesco Giustiniani (1373-4). Ma sono essi stati ben letti? e il tipo, i caratteri convengono? Passando al periodo seguente, chiamato dei Dogi biennali che, come è noto, comincia dal 1528, il già citato Reichel al n.° 2143 ci descrive una monetina che sarebbe preziosissima, se potesse ammettersene la lezione; UB. Du-x Ian. Egli la interpreta Ubertus, cioè per Oberto Cattaneo, che fu il primo di questi Dogi biennali dopo la riforma d’Andrea Doria (1528-30). Senonchè la nuova Aristocrazia non permetteva al Doge d’imprimere il proprio nome sulle monete, come indizio troppo monarchico; vi fu sostituita la leggenda (1) Die Reichelsche Miln\sammlung in St. Petershurg, parte 9.” 1843. 216 GIORNALE LIGUSTICO impersonale : Dux. Gubernatores . Reipublicae . Genuensis. Se tale moneta ricompaia e se ne conosca irrepugnabile la lezione, non vi sarebbe a spiegarla altro mezzo che credere Oberto Cattaneo ambizioso di imitare i Dogi così detti perpetui; però tale tentativo d’incidere il proprio nome nelle monete essere stato tarpato dalla gelosa aristocrazia o nei successori o già in lui medesimo. Dei pezzi che seguirono dal 1528 in avanti, colla leggenda or ora accennata D(ux) G(ubernatores) R(eipublicae) G(enuensis), il nostro Autore ne ha segnalato uno che in uno dei quattro bracci della croce reca le sigle L. B. e che, come dissi sopra, furono da lui ben attribuite ad un Zecchiere tra il 1569 e Γ81. Tali sigle difatti indicano un Luca Bruno che In quel frattempo sovraintese alla monetazione genovese. Noi pure lo conoscevamo, e le collezioni Avignone e Franchini contenevano altri pezzi simili ma con altre sigle di Zecchiere, I. V. (Ieronimus Viglevanus, 1582-1605); H. P. {Hieronimus Palius o Paggi, 1607-10) a cui pare possano anche ascriversi le sigle che si hanno di I. P. sull’ esempio del Viglevanus ; I. Z. (Iosepb Zino, 1615-17 e 1626). Tutti i quali pezzi hanno fra le altre tre braccia della croce il consueto Cfonradus) R(ex) R(omanorum). Le schede presso di noi raccolte da parti diverse, hanno ancora altre sigle di Zecchiere lette per F. S. e per F. G. Forse furono effetto di non sicura lezione, perchè non troviamo le simili nelle monete più nobili. Altri pezzi si vede almeno che devono appartenere al secolo XVI e forse verso la metà ; giacché hanno, come le monete più nobili del tempo, la giunta del II al Conrcidus; C. II. R. R. Dal 1638 in poi, si sa, nelle monete genovese la leggenda Conradus Rex Romanorum, fu abolita e surrogata da quella : et Rege eos intorno alla Madonna della Città. Frattanto, come dirò più avanti, i piccoli pezzi in discorso erano GIORNALE LIGUSTICO 2I7 giunti, sempre più peggiorando, a non comporsi che di rame, senz’ ombra dell’ antico argento. Ed ecco appunto che il Catalogo Wellenheim (i) ce ne offre uno di rame colla Madonna attorniata dalla leggenda E(t), R(ege), E(os) con dall’ altra parte il consueto D. G. R. G. Passiamo ora ad indagare se si conosca tale sorta di mo-netucce battute prima della istituzione del Dogato al 1339. Il Ch. Capitano offrirebbe anche qui una bella novità se la si potesse ammettere nel senso ch’egli le attribuisce. Un pezzo, di cui nel secondo opuscolo dà il disegno e la lezione come Ci Ianua, è naturalmente interpretato da lui Civitas Ianua ; esso sarebbe cosi del periodo che succede immediatameate alla leggenda primitiva Ianua in tutta la Zecca genovese. Il Civitas Ianua nacque indubitabilmente nel 1252 per attestato dell’Annalista ufficiale e contemporaneo. Dallo insieme dei fatti esaminati dal Gandolfì sembrava che la durata di questa leggenda non dovesse essere stata lunga, ma già verso il 1280 per lo meno fosse surrogata dalla nuova: Ianua quam Deus protegat, e che quest’ultima durasse fino alla instituzione del Dogato. Tuttavia un ripostiglio, nel 1872 scoperto colla demolizione d’una casa in Vallechiara, ha fatto conoscere che il Civitas Ianua, se non nei grossi d’ argento che veramente devono aver presto ripigliato il più antico e migliore titolo, durò nelle minori monete più a lungo che non si era supposto; infatti le pe-tachine del Civitas, scoperte in quella occasione, eraiio ivi in buon numero miste alle petachine di Carlo VI, Signore di Genova nel 1396-1409. Ma, concedendo questo, non ne viene di conseguenza che le une e le altre di queste monete fossero battute contem- (1) Catalogue de la grande Collection de Monnaies et Médailles de M.' Lèopold WelxJ de Wellenheim II, parte i.\ Vienna 1844, pag. 155, numero 2623. « 218 GIORNALE LIGUSTICO poraneamente ; tanto meno ne viene che la Civitas lamia continuasse a battersi anche dopo Carlo VI e fin quasi alla metà del secolo XV, insieme o anche dopo i tipi diversi coi nomi dei Dogi che il Ruggero stesso ha descritti. Ed è per questa difficoltà specialmente che ci è sospetta l’interpretazione Civitas nel pezzo di cui qui ci è comunicato il disegno ; la forma della lettera A ed ancora più quella della lettera U sono di carattere detto semigotico, che non ci par di trovare in altre monete fino al Doge Raffaele Adorno (1443). Qui si presenta un caso curioso. Nelle Monde inedite dei Re di Cipro nel medio evo il Ch. Lambros d’Atene (1) ne ha discacciato una che per errore vi aveva introdotto il Sig. di Rozières, e l’ha giustamente restituita alla Zecca genovese, pur dandone il disegno. Or questa nella forma dei caratteri e nelle leggende è somigliantissima a quella disegnata dal nostro Autore; entrambe hanno il rovescio eguale, che del resto è un po’ diverso dai rovesci degli altri simili pezzi della croce che taglia la leggenda; comunemente si trova, come fu detto fin da principio, Co nr ad us, o Co nr ad e, ma nei due pezzi di Lambros e Ruggero c’ è Cu ra dr ex. Nel diritto vi è in entrambe Ianua preceduta da due lettere ; colla sola differenza che laddove nel pezzo Ruggero queste due lettere sono Ci, nel pezzo Lambros si vede una O seguita da una specie di coda od appendice che sembra la cifra araba 2. Ne è a credere che Lambros leggesse male; tale pezzo per mio avviso non è raro, io ne vidi più altri e ne ho ora sott’occhio due esem- (i) Η. ΔΑΜΠΡΟΓ Ανέκδοτα Νομίσματα % του μεσαιωνικού βασιλείου τήσ Κύπρου. Venezia, Tip. del Tempo 1873, Pag· 21. GIORNALE LIGUSTICO 219 plari abbastanza conservati ed appartenenti al colto mio Amico e nostro Socio il Dott. Pisano. Trattenendoci ancora sul pezzo Ci Ianua il Ch. Capitano non esita al affermare eh’ esso sia una di quelle monetucce che si diceano quartari, perchè equivalenti in commercio a un quarto di danaro, sui quali, come benevolmente egli aggiunge, io ho ragionato altre volte (1). Per parte mia non posso partecipare alla opinione di lui a questo proposito : ciò per due ragioni, la i.a perchè del quartaro non si fa più menzione nei documenti dopo il 1330; esso dovea essere scomparso al tempo che dominava il tipo del suo Ci Ianua, poiché il quadruplo, ossia il danaro, allora tanto già peggiorato, non pare ammettesse più simile frazione o suddivisione La 2.a ragione ci pare ancor più stringente ; vedremo ben tosto quale doveva essere la denominazione e il valore in generale dei piccoli pezzi colla leggenda tagliata dalla croce ; se ho colto nel segno, non si potrà mai supporre che uno stesso tipo abbia servito contemporaneamente o quasi per due specie diverse di monete, una quadrupla dell’altra. Tanto più ciò non è credibile nella Zecca di Genova, più tenace d’ ogni altra nel conservare i tipi. Sia però o non sia da interpretarsi per Civitas il disegno del nostro Autore, è certo che non manchiamo di pezzi di simil tipo anteriori alla instituzione del Dogato. Tali pezzi nelle mie schede hanno la leggenda Ianua , talora seguita da una iniziale ma sempre preceduta da altra, che è ora A, ora C, ora D, forse anche un E, certo un G semigotico, una L, una S ; formando così una serie che ci reca a pensare ad emissioni frequenti 0 di non breve durata. Sarebbe ad esaminare se non debba (1) Desimoni. Sni quarti di danaro e sui loro nomi volgari, nel Periodico di Numismatica, Vol. VI, Firenze, 1874, pp. 360-72. — Desimoni. Nuove considerazioni sui quarti di denaro, nel Giornale Ligustico, 1877, pp. 117-27. 220 GIORNALB LIGUSTICO piuttosto aggregarsi a questa serie alcuno di quegli L, o simile che trovammo nel Catalogo Sambon attribuiti ai Re di Francia. II. Prima di parlare nel 2.° opuscolo del Civitas Ianua il Sig. Ruggero chiedeva nel primo, quale fosse la denominazione e quale il valore delle monetine sulle quali si aggira il presente discorso. L’illustre Promis avea sospettato in esse il valore di tre danari, ma gittando là il suo avviso come semplice congettura. Più affermativo ed anche più lontano dal vero fu il Sig. di Longperier assegnando loro il valore di sei danari (r). Noi che siamo al fatto delle comunicazioni del-F Avv. Avignone all’ illustre Francese, comprendiamo che il costui errore nacque dall’ aver egli male inteso tali comunicazioni; il pezzo da sei denari non era questo, ma bensì la petachina di Carlo VI, petachina essendone il nome volgare. Il sig. Sambon, venuto 1’ ultimo, prese dal Longperier il nome di da sei danari o sexino, ma dandogli per sinonimo il nome ben diverso e più giusto di minuta, che egli cavò senza dubbio dalle note ms. del Franchini. Pei pezzi più recenti :1 Sambon li battezza bene per piccoli danari, ma poi abusa del nome di danaro ad indicare più altre e ben diverse specie, di guisa che questo, per altro utilissimo e ricco-Catalogo, abbisogna di parecchie e gravi correzioni (2). (1) Promis ai nn. 15 e 17. Longperier, al num. 12, pag. 7. (2) I pezzi da 8 denari e quei da 4 denari così distinti pei loro tipi speciali tra se e dal minuto sono in quel Catalogo confusi in una sola denominazione di denaro 0 di sexino. Il Cap. Ruggero ha ben notato fra altri appunti lo scambio delle terzaroli d’oro colle quartarole. Che il Redattore del Catalogo abbia denominato per grossi anche i cavallotti, per mezzi grossi i soldini, per grossetti i sesini 0 petachine tutto ciò si può lasciar passare, GIORNALE LIGUSTICO 221 Ora io posso affermare con certezza! che tale sorta di monete rappresentava la base monetaria della Repubblica genovese, il danaro, denominato però più volgarmente il minuto. Fin dai tempi di Carlo Magno dodici denari effettivi facevano un soldo (di conto) e venti soldi, o denari 240, costituivano una lira. Fino al secolo XII più o meno inoltrato, non vi fu moneta effettiva d’argento superiore al danaro; bensì monete inferiori, cioè la medaglia o mezzo danaro e il quar-taro o quarto di danaro. Ma corrompendosi ogni dì più il danaro, furono emesse monete superiori, col valore di quattro o sei denari, poi anche di un soldo e poi sempre più. Allora queste monete superiori furono perciò dette grossi e, per correspettivo, al denaro semplice fu applicato il nome di piccolo e presso noi più comunemente di minuto, senz’ altra giunta. Nella Sacri-stia o Tesoreria delle Compere di S. Giorgio troviamo più notizie di sacchetti di minuti per servire metà del secolo XVI), poi collo stesso titolo, ma ridotto al peso d’ un grammo verso il principio del secolo seguente. Il sestino o petachina a sua volta nel 1437 aveva il peso di gr. i. 32 col titolo di oncie 4 (mill. 333) al quale titolo però era discesa da uno anteriore di oncie 6 e d’oncie 51/2 goduto in principio dello stesso secolo. Dal 1437 rimase costante gran tempo, ma il peso andava sempre diminuendo. Nel secolo seguente questa specie fu soppressa e surrogata da due altre, il pezzo da 8 denari, 0 2/3 di soldo, e quello da 4 denari, dei quali non è qui il luogo d’ andar seguendo le fasi. Ritornando ai minuti, abbiamo provato che nel 1492 e parecchi anni prima (giacché si dubitava allora dell’ interpretazione d’ un anteriore decreto), il titolo di questa specie era di un oncia (mill. 83), mentre il loro peso dovea essere di gr. 0.539. Altri documenti, sebbene separati da notevoli lacune, ci forniscono un concetto sufficiente a formare una 224 GIORNALE LIGUSTICO scala, la quale è sempre più alta a misura che si rimonta al passato, sempre peggiore se s’inoltra nell avvenire, pren dendo per base l’anno 1492. Cosi nel I437~44 ^ titolo dei minuti era di oncie una e 4/24 (mill. 97) co^ Pes0 Pro^a' bile di gr. 0,713; ma prima (nel 1404) era stato di oncie 1 1/2 (mill. 125) unito al peso certo di gr. 0,733 ; e pi ima ancora, nel 1380 col titolo medesimo il peso stava sui grammi 0,879. Non possiamo risalire in su con documenti diretti, ma indi rettamente sappiamo che il fino argento contenuto in un ηιΓ nuto nel 1327-35 non potea superare i gr. 0.176, il che ci darebbe un titolo di circa due oncie (mill. 167) supponendo, come è probabile che il peso fosse uguale a quello del 1380. Il documento che ci dà questo fino di gr. 0.176 pel minuto del 1335 ci porge notizia di altro più antico, che dovea con tenere d’ argento puro gr. 0.230 e che dovrebbe esseie stato emesso verso il 1309. Parimenti verso lo stesso tempo il Commesso viaggiatore Pegolotti segnalava piccoli (minuti) genovini più antichi che aveano il titolo di oncie 3 16/2.4 (mill. 306). Ma il danaro primitivo, 1139, Per documento ufficiale era del titolo d’oncie 4 (mill. 333) col peso di un grammo e poco più (1). Questo per la scala rimontante dal 1492 indietro, se ora dall’ anno medesimo procediamo in avanti, la scala scende sempre. Se nel 1492 abbiamo trovato il minuto al titolo di un’oncia (mill. 83) e al peso di gr. 0.539, dopo lunga lacuna nei documenti, ritroviamo nel 1572 quel pezzo ridotto al titolo di mezz’ oncia (mill. 41) e al peso di gr. 0.499· Esso continua a lungo collo stesso titolo, ma il peso dimi- (1) Ho già avvertito altrove (Giornale Ligustico 1877, pag. 386) che il Gandolfi, tav. I, numm. 1, 2, ha erroneamente supposto un da due denari il pezzo che è il denaro, e disse il denaro il pezzo che è la vera medaglia o mezzo denaro. GIORNALE LIGUSTICO 225 nuisce a gr. 0.471 nel 1582; a 0.447 nel r59°; e a §Γ· °-432 nel 1602-7. Parlo sempre di titolo e peso legali, come furono stabiliti dall’ ufficio sopracciò, non delle- frodi, nè del peso effettivo che vi trovano i Collettori ; il quale peso si sa essere più generalmente minore del legale per più ragioni, ma talora si trova anche maggiore del dovuto, sia per l’imperfetta fabbricazione, sia per la poca considerazione che si dava al danaro, dopo che per la grande quantità della lega era divenuto moneta d’appunto (1). Ormai non si poteva diminuire di peggio tale moneta, volendo lasciarci ancora un po d’ argento; onde fu deliberato di farla di puro rame; una nota presso di me dichiara che fu ciò deliberato nel 1626; tuttavia pare che già fosse di tutto rame un minuto della Collezione Avignone segnato colle sigle del Zecchiere I. Z. che cominciò nel 1615. Allora se ne potè anche aumentare di un poco il peso; ma per la solita legge fatale si dovette finire a non battere più minuti affatto; sul cessare della Repubblica genovese, il più piccolo pezzo in corso era il da quattro denari di rame; e di rame era pure divenuto il soldo che fu ragguagliato a cent. 4 di lira italiana, mentre quello primitivo della .stessa Repubblica (di conto nel 1139) equivarrebbe a cent. 90 circa. Il Ch. Ruggero nelle sue Annotazioni Numismatiche parla di altre monete genovesi che vorrebbero anche per parte no- (1) Troppo a lungo mi condurrebbe il giustificare tutti i dati di pesi e titoli indicati nel testo; giacché i documenti provengono da fonti varie e disperse ; le accennerò in generale. Pel secolo XIV specialmente i Cartolari di Zecca dell’Archivio di San Giorgio; pel secolo XV i Codici e i fogliazzi Diversorum della Cancelleria Ducale, e il Cod. della Zecca sopracitato; pel secolo XVI e seguenti i fogliazzi Diversorum predetti, il Sommario dei due Libri Rossi delle monete posseduto dagli eredi del fu March. Massimiliano Spinola ; e altri Compendii ed estratti del Cancelliere Bafico che si conservano presso gli eredi del fu Avv. Avignone; altri alla Universitaria. Tanto più preziosi tutti questi fonti, in quanto i Registri originali della Zecca sembrano perduti. Giorìj. Ligustico, Anno IX. *5 226 GIORNALE LIGUSTICO stra un motto di approvazione o di osservazione, ma dobbiamo riservare questo motto ad un secondo articolo. C. Desimoni. PALLADE CORONEFORA I Memoria del P. Leopoldo de Feis Barnabita. Corre già il settimo anno, che andato in compagnia del P. Pellegrino Tonini, mio carissimo amico, a far visita al ch. March. C. Strozzi, nel dipartirmi dopo lunga, coitese e dotta conversazione, mi sentii dire con quei modi cavallereschi che tra mille il nobil uomo distinguono: « Prenda questa Minerva, che ben si addice a un Collegio d’Istruzione di cui Ella fa parte ». Con cuor grato l’accettai, ed ora mi gode l’animo farla nota ai dotti in Archeologia per un attributo del tutto nuovo, che in essa ho scoperto. Il simulacro fu trovato in Siena; è di bronzo; ha m. o, 16 di altezza ed è in . atto di camminare. Sulla destra mano, o per dirla con termini più propri, sulla faccia esterna • dell’avambraccio presso al carpo, posa un uccello, che dal becco Pallade Coronefora. luilgO, dal CapO piccolo, dal- F angolo facciale acuto, e per altri argomenti che in seguito si svolgeranno, non dubito tenere per una cornacchia, e per cui Coronefora mi è piaciuto la Dea chiamare. GIORNALE LIGUSTICO 227 Che questo volatile, siccome la civetta e il gallo, fosse sacro a Minerva non è chi Γ ignori, essendo a tutti conte per la favola le avventure della casta Coronide , da Pallade in cornacchia mutata, e di lei divenuta fedelissima ministra. Male però le tornò la sua fedeltà, al dir dei poeti, chè per eccesso di zelo avendo alla sua padrona rivelate cose che questa non voleva conoscere, dico dello scoprimento di una cassetta fatto da Aglauro contro il divieto, fu scacciata e pos-posta alla civetta ..... Ut dicar tutela pulsa Minervae Et ponar post noctis avem (1). Tanto dalla favola; ora vediamo in breve le ragioni per cui la tutela della cornacchia a Pallade si convenisse. Il mito di questa vergine figlia di Giove è mito di sapienza (2). Essa tutto vede, tutto regola e sopra tutto vigila, e ben le si unisce la cornacchia, la quale, come il corvo sacro ad Apollo, secondo che i naturalisti dicono, ha grandissima forza di odorato e di vista, in guisa che senta e veda gli oggetti anche i più lontani ed ascosi. Ha tale istinto di vigilanza, che se uno stuolo di loro dorma o pascoli, può farlo impunemente e senza timore, perchè alla loro custodia (1) Ovid. Metam. II, v. 565-566. Questa credenza facilmente si spiega con ciò che ne dice Plinio (H. N. X. 12) intorno a quest’uccello — Ab Arcturi sidere ad hirundinum adventum notatur eam in Minervae lucis templisque raro; alicubi omnino non aspici sicut Athenis. (2) Tra le molte origini assegnate alla voce latina Minerva, in etrusco AZKBNBW, la più conveniente, a parer mio, è quella che si ottiene dalla radice meno, da cui mens e me-mini con raddoppiamento. Le si addice bene il greco μένος e le voci sanscrite man, opinione, manas, mente, e mansvin, fornito d’intelligenza. Analoga a quest’idea è la greca voce Ά·9·ήνα la quale, sia che venga da ά-τι-8-ήνη, non allattata, come vorrebbe Hermann, ovvero dal sanscr. Ahànd, aurora, secondo Max. Mùller (Scienza del linguaggio, Lett. XI, T. II), significherebbe sempre lo stato di perfezione di questa Dea e gli effetti di sua sapienza. Quindi i sopranomi a lei dati di Aristobula, dall’ottimo consiglio, di Ossiderco dall’acuta vista, di Tritogenìa nata dal capo. 228 GIORNALE LIGUSTICO veglia una che colla voce le fa attente e sicure da qualunque benché minimo ostile assalto. Da tale facoltà della cornacchia credo avesse origine il proverbio Cornicum oculos configere, riferito da Cicerone (i) a proposito di chi la fa anche al più circospetto. Che più? Sono atte meglio di qualunque altro animale ad imitare la voce umana; e qual nunzio più conveniente a Minerva, perchè sapesse tuttociò che le faceva d’uopo conoscere? Inoltre come la civetta dal volo era simbolo di felice augurio (è noto il proverbio γλαυξ ί'πταται detto per quelle cose che ben cominciano o che riescono bene), così presso gli antichi la cornacchia ed il corvo. Si credeva che avessero naturale istinto per predire il futuro e che anche col gracidare facessero buoni e cattivi pronostici (2). Di tali prerogative della cornacchia congiunte alla credulità del popolo gentile, si servivano certi accattoni ciarlatani, i quali, per mendicare direi quasi più onoratamente, andavano in giro magnificando alle porte delle case le virtù della medesima; da ciò furono detti Κορωνισταί ed il loro canto Κορώνισμα. Canzone d’ un tal Coronista è un’ ode in versi scazzonti conservataci in gran parte dal poeta Colofonio Fenice; la quale, perchè poco conosciuta, piacemi riportare per intero, facendola seguire da una mia versione letterale in senarii giambi ; e ciò tanto più volentieri, perchè impariamo la cornacchia essere stata sacra anche ad Apollo (3), come da Festo sap- (1) Pro Murena 11. Inventus est scriba quidam, Cn. Flavius, qui cornicum oculos confixerit, et a prudentibus juris sapientiam ipsorum compilarit. (2) Virg. Georg. I. 388; Plaut. Aul. act. IV. v. 31; Cic. de Div. I. 7 e 39; Plin. XVIII. 35 ed altri molti. Che Minerva avesse dei luoghi ove si davano responsi, lo sappiamo da Erodoto fra gli altri, il quale (I. 62) racconta di Pisistrato che prima dell’ occupazione d’Atene si portasse al tempio di Minerva Pallenide e che quivi l’indovino Anfilito gli profetizasse la vittoria. Di più è nota la favola di Tiresia, al quale, dopo averlo accecato, donò lunghissima vita e l’arte di predire il futuro. (3) Pausania (IX. 39) narra che l’oracolo di Delfo si servi della cornacchia per scoprire il sepolcro di Esiodo. Vedi anche Luciano in Peregrino, 41. GIORNALE LIGUSTICO 229 piamo che presso i Romani era ancora sotto la tutela di Giunone. Corniscarum divarum locus crai trans Tiberim cornicibus dicatus, quod in Junonis tutela esse putabantur. ’Εσθ-λοί, κορώνα χείρα πρόσδοτε κριθ-έων, Tfj παιδί τάπόλλωνος ή λέκος πυρών, νΗτ άρτον, ήτ' ήμαιθ-ον (ι) ή ò τί τις χρΐ0ζει· Δότ* ώ ’γαθ-οί, τι των §καστος êv χερσίν Έχει, κορώνα, καλα λήψεται χόνδρον. Φίλεϊ γάρ αΰτη πάγχυ ταΟτα δαίνυσθ-αι. 'Ο νΰν άλας δούς αυθ-ι κηρίον δώσει. ΤΩ παί, θ-ύρην ’αγκλινε. Πλούτος 'εκρουσεν Καί τ^ κορών^ παρθένος φέροι σΟκα. θεοί, γένοιτο πάντ’ άμεμπτος ή κούρη, Κάφνειον ανδρα κώνομαστόν έξεύροι, Καί τφ γέροντι πατρί κοΟρον εις χεϊρας Καί μητρί κούρην είς τα γοδνα κατθ-είη , Θάλος τρέφειν γυναίκα τοίς κασιγνήτοις. Έγώ, δ' δκου πόδες φέρωσιν οφθαλμούς, 'Αμείβομαι μούσαισι πρός θ-ύραις οίίδων, Καί δόντι καί μή δόντι πλείονα των γ' έώ. Άλλ’ ώ 'γαθ-οί, ’πορεξαθ·' ών„ μύχος πλουτει. Δός ών άναξ, δός καί συ πότνα μοι νύμφη. Νόμος κορώνγ) χείρα δουν’ έπαιτούσ^· Τοσαυτ'άείδω·. δός τι, καί καταχρήσει. Anth. Lyr. cur. Th. Bergk. Lipt. 1868. Donati cornici, 0 boni, hordei manum Divi puellae Apollinis, vel tritici Catinulum, aut emaeton, aut quod quis velit. Date, 0 boni, quod quisque nunc manu gerit. Accepta erunt vel grana cornici salis, Comesse namque multa cornix haec cupit. Qui nunc salem dat, denuo favum dabit. O pande januam, puer, Plutus Pater (1) Piccola moneta equivalente alla metà d’un obolo; presso quei di Cizico però ad un diobolo. 230 GIORNALE LIGUSTICO Pulsavit, et puella cornici ferat Ficos. Dii, culpata nunquam virgo sit, Viroque diviti atque nubat nobili. Sic bracchiis seni puellulum patri Matrique ponat in sinu puellulam, Quae nupta cum sit fratribus prolem educet. Ego, pedes quocumque portant lumina, Par reddo musis ante ianuas canens, Dantique non dantique plurimum sinam. Quare, 0 boni, queis est domus dives date; Da, rex, mihi, mihi verenda nympha, da; Mos est manum, cum quaeritat cornix, dare. Haec canto; quidpiam dato, satisque erit. Basta fin qui della cornacchia e torniamo alla nostra Minerva , per vedere ove essa a notizia nostra fosse sotto il descritto simbolo venerata. Pausania, il quale in generale narra ciò che vide, ci racconta, che giunto a Corone di Messenia chiedesse della sua'origine; conobbe che una volta la città si chiamava Epea (Α7πεια), ma dopoché per opera dei Tebani i Messeni ritornarono alle loro sedi, dalle quali li aveano espulsi i Lacedemoni, dalla patria di Epimelide (1) loro condottiere, Coronea l’appellassero (2). Altri raccontavano, che scavandosi le fondamenta per innalzare le mura, fossesi trovata una cornacchia di bronzo, e che da questa Κορώνη la città si chiamasse. Comunque però vada la storia dell’ origine del nome, certo si è che i Coronesi avevano (1) Coronea di Beozia ove Minerva era venerata sotto il titolo di Itonia Paus. IX. 34. (2) Fu Epaminonda che nell’Olimpiade 102 restituì la nazionalità dei Messeni, i quali da ogni parte accorsero e rifabbricarono tutte le antiche città. Se in quest’occasione fosse stata innalzata sull’acropoli la statua di Minerva con la cornacchia in mano, quasi a stemma parlante della città, ed il nostro monumento fosse copia od imitazione di quello di Corone come sembra probabile, avremmo oltre a quello dell’arte un nuovo punto d’ appoggio per non farlo più antico dell’ anzidetta epoca. GIORNALE LIGUSTICO 23I sulla loro Acropoli ed a cielo scoperto un simulacro in bronzo di Pallade colla cornacchia in mano. ΧαλκοΟν δε καί έν Άκρο-πόλει της Αθήνας το άγαλμά έστιν, έν ύπαίΰ-ρω κορώνην έν τη χειρί έχουσα (ι). Che Minerva presiedesse alle città, alle tortezze e alle mura per difenderle dai nemici esterni il sapevamo per i titoli a lei dati quando di Πολιούχος e Πολιάς quando di Έρυ-σίπτολυς e di Άλαλκομενηΐς, voci tutte che significano proteg-gitrice di città e propugnatrice, ed a significar ciò le dedicavano i luoghi più alti, onde i sopranomi di Corifasia e di Acria. Nè a tale scopo le potea disdire Γ attributo della cornacchia, come simbolo di vigilanza sui pericoli che alla città incorrer potessero. Ond’ è che se alcuno voglia distinguere il nostro monumento da uno dei sopraddetti nomi, non mi oppongo, anzi l’approvo; a me nel dubbio è piaciuto chiamarlo con quello di Pallade Coronefora, a somiglianza di chi la disse Nicefora dalla Vittoria che in mano aveva (2). Dopo ciò non stimo ben fondata la sentenza del eh. Max-Müller (0. c.), il quale fa derivare il sopranome di Capita o Capta dato a Minerva in Roma, di Corifasia e di Acria nella Grecia, dal capo di Giove da cui usci, traducendo le dette parole per la Dea della testa. Capita, siccome Capitolium, ha per radice caput, che trattandosi di luoghi, significa cima 0 sommità, ed ha lo stesso significato che Corifasia per Messene ed Acria per Argo. Minerva Capita dunque non vorrebbe dir altro che Minerva la quale abita la cima del monte (Celio); ed in (1) Paus. Messen. 34. Esistono ancora a Pedalidhi tracce del molo e dell’acropoli di questa città. (2) Minerva coll’attributo della civetta in mano, di cui conosconsi ben pochi e rari monumenti', secondo lo Scoliaste di Aristofane (in Avv. 5x5) si diceva Archegetide od Autrice. Τής δε άρχηγέτιδος Άθ-ηνάς τό άγαλμα γλαύκα εΐχον έν τή χειρί. Pausania poi inclina a credere che si dicesse Ergane quella che portava il simbolo del gallo (Lib. VI. c. 26), benché quest’ animale esprima meglio la sua natura virile e belligera, che 1’ essere inventrice delle arti. 232 GIORNALE LIGUSTICO questo senso nel canne delle nozze di Peleo e Teti, Catullo (v. 8-9) cantò di lei: Diva quibus retinens in summis urbibus arcem Ipsa levi fecit volitantem flamine currum. Ed Ovidio (Fast. III. 835 e segg.), dopo aver mostrato dubbio sull’origine della parola Capita, a significare la protezione che Pallade prendea della città dalla cima del monte ov’era venerata, soggiunge: * OO O A quacumque trahis ratione vocabula, Pallas, Pro ducibus nostris aegida semper habe. Similmente Virgilio (Egi. II. 61-62): .... Pallas quas condidit arces Ipsa colat ; nobis placeant ante omnia silvae. Per ciò che al lavoro si riferisce, varie particolarità del monumento valgono a trattenerci alquanto. Lo stile della figura in proporzioni allungate misto ad una certa tal quale aria greca, ce lo dice lavoro di etrusco artefice, che volle grecizzare; e dietro a ciò che abbiam detto sopra, confortati ancora dall’ autorità dei chh. Gamurrini e Bormann, non dubiteremo di ascriverlo alla fine del secolo III od al principio del II, prima delibera volgare. Ha elmo alato con cresta formata di crini, e guancialetti dai greci chiamati παραγναθίδες; dinanzi sulla visiera ha due fori a guisa di occhi, circostanza comune all· elmo greco, perchè nel combattimento potesse tirarsi giù e salvare il viso. Rarissimi però sono i simulacri di Pallade con le ali sull’elmo; esse significano, al dir di Fornuto (N. D. 2), la velocità ed immutabilità delle sue azioni. Πτερωτή παρεισάγεται διά το οξύ^οπον καί άμετάβολον των πράξεων. Il vestito non è dissimile da quello della statua marmorea scoperta ultimamente ad Atene, e pubblicata nella Revue Archéologique (Jan. 1881, p. 41 ; e Févr. Tab.), ha cioè GIORNALE LIGUSTICO 233 lunga tunica sopra la quale è un corto chitone stretto ai fianchi da una cintura, dai Greci chiamata ζώνη e ζωστήρ. Il lavoro di questo cinto è simile a quello espresso in un vaso greco e riportato dal Rich (Dictionn. des^Antiq. Rom. et Grecq.) alla parola Cingulum (1). Le braccia sono scoperte come nelle statue di quasi tutte le donne etnische del III secolo (2). Mancando però disgraziatamente il braccio sinistro, non possiamo dire come fosse armata. Ma attenta osservazione ci ha fatto accorti che esso doveva essere mobile, e tale da far cambiare posizione, secondo che giudica anche il eh. Marchese Strozzi, per diverse circostanze. Di fatti al posto dove si dovrebbe unire alla scapula vi ha un incavo senza alcun segno e traccia di mastice o saldatura. Non ha la solita orrenda egida, Che il Terror d’ ogn’ intorno incoronava; non il diro Gorgonio capo, orribile prodigio Dell’Egioco Signore, (3) come la rappresenta Omero (II. L. V. v. 73 6 e segg.) ; non quella che vien lavorata dai Ciclopi e da Virgilio (Aen. Vili. 435 e segg.) con i seguenti versi descritta: Aegidaque horriferum, turbatae Palladis arma, Certatim squamis serpentum auroque polibant; Connexosque anquis, ipsamqne in pectore Divae Gorgona desecto vertentem lumina collo. (1) Quando altri argomenti in contrario non esistessero, la circostanza del cinto ci farebbe riportare a qualche secolo indietro il nostro monumento. (2) Debbo alla generosità del Sig. Francesco Zampi di Orvieto il possesso di una di queste statue in terra cotta fatte per uso di coperchio ai sarcofagi. È distesa sopra un feretro molto ben formato, conserva ancora tracce di color giallo e violetto ed ha la lunghezza di m. 1,85. Fu scoperta presso Montefiascone. (3) Vers, del Monti. GIORNALE LIGUSTICO Per contrario le difende il petto semplice corazza a squame ornata di cordoni che nel mezzo s’affibbiano. Tale singoiar foggia dell’ Egida di Minerva mi richiama alla mente ciò che Erodoto al capo 189 del libro IV ne scrive « I Greci hanno » preso dalle donne libiche il vestito e P egida di Minerva, » perchè se togli che il vestito loro è di cuojo, e le fimbrie » delle loro egidi non sono a forma di serpenti, ma di cor-» regge, tutto il rimanente è fatto alla stessa guisa. Infatti » il nome stesso prova che dall’Africa viene il vestito dei » Simulacri di Pallade. Imperocché le donne libiche portano » sopra le loro tuniche delle pelli di capra senza il pelo, fim-» briate e tinte in rosso, e da queste pelli di capra i Greci » chiamano l’egidi ». Dalle quali parole due osservazioni ci conviene trarre, la prima si è che 1’ Egida di Minerva secondo Erodoto non è altro che una corazza simile in tutto a quella del nostro simulacro, se ne eccettui solo le fimbrie a forma di serpente che esso non ha, ma di semplici cordoncini che servono ad ornamento e per allacciarla al petto ; la qual maniera di armare la Dea al lodato autore era sconosciuta, altrimenti se ne sarebbe servito per confermare il suo assunto. In secondo luogo 1’ Egida di Erodoto differisce essenzialmente da quella descritta da Omero nel luogo citato, chè mentre il primo la fa sinonimo di corazza, l’altro da questa la distingue quando canta : Ή Ss χιτών’ ενδΰσα Διός νεφεληγερέταο, Τεύχεσιν ές πόλεμον θ-ωρήσσετο δακρυόεντα ΑμφΙ δ’άρ ’ώμοςσιν βάλετ ’αίγίδα θυσσανόεσσαν Δεινήν. E vestita di Giove la corazza Di tutto punto al lacrimoso ballo Armasi. Intorno agli omeri divini Pon la ricca di fiocchi egida orrenda. Firenze, dal Collegio alla Querce, j aprile 1882. GIORNALE LIGUSTICO 235 DI ALCUNE RECENTI PUBBLICAZIONI INTORNO A GALILEO (1) Galileo Galilei ! Nome immortale, una delle maggiori glorie d’Italia; a cui i dotti d’ogni nazione, anche i più severi, i più parchi di lode concorrono di gran cuore a tributare omaggio; di cui gli scritti scientifici, la corrispondenza e perfino i pensieri appena sbozzati si vanno tutto di raccogliendo , pubblicando, illustrando a gara; a tale che'se ne potrebbe formare come una biblioteca da sè. Questa guisa quasi indiscreta di indagare e di pubblicare ha i suoi inconvenienti ; non rare volte una amicizia poco ragionevole costringe gli autori a svelare debolezze vergognose che viventi aveano celato od osato appena accennare fra le loro cartacce. Non così quanto a Galileo. Le sue pecche le ha anch’ egli come ogni uomo; la sua fibbra nervosa, delicatissima lo rese talora agro, ingiusto perfino verso alcuno de’ suoi più affezionati discepoli; essa fu pure cagione non piccola delle sue sventure. Ma un’ aura di poesia , d’ amore , di riverenza gli aleggia d’intorno e gli guadagna Γ ammirazione dell’ universale; e quest’ aura non scema ma si afferma per le pubblicazioni più recenti, anche di uomini che si scindono in opinioni diverse. Eppure la fortuna parve sulle prime nemica ai portati di Galileo. Vincenzo Viviani avea bensì accolto e custodito con cura gelosa il tesoro del Maestro prediletto; e non avendo potuto incarnare il desiderio suo di pubblicarlo, lo aveva affidato al nipote ed erede 1’ Ab. Panzanini. Ma, morto anche questi, la biancheria, i filati, le livree invasero il nobile albergo, costringendo gli scritti di Galileo a sfrattarne e a rifugiarsi in una buca da grano. Ed anche colà parvero inutile (1) Carteggio Galileiano di Giuseppe Campori, Modena 1881. 236 GIORNALE LIGUSTICO ingombro; perchè fattine uscire celatamente a grado a grado, andavano ad involgere la mortadella dei pizzicagnoli se non anche ad usi più ignobili. Volle ventura che una di quelle mortadelle, superba del grande onore, sfogliasse il nome di Galileo all’occhio attonito di Clemente G. B. de’ Nelli; il quale si diede a fiutare e frugare come un segugio e potè fare acquisto di quél che restava del prezioso tesoro. Frattanto altri acquisti di carte galileiane aveano fruttato al Tar-gioni Tozzetti di poterne fregiare il suo lavoro sugli A g gran-dimenìi delle sciente fisiche. Finalmente i manoscritti di Galileo si preservarono da simili jatture avvenire, onorati di nobile seggio fra i cimelii della Biblioteca Palatina di Firenze (1). Allora si pubblicarono intorno al Grand’ Uomo lavori antichi di Viviani per cura del Salvini e lavori nuovi del Nelli, poi di G. B. Venturi, e le Biografie del Fabbroni, del Frisi, e di altri più; se ne moltiplicarono le edizioni già cominciate colla bolognese del 1656, continuate colla fiorentina del 1718, la padovana del 1774, le due milanesi del 1808 e 1832; finché Eugenio Alberi maturò e condusse a fine dal 1842 al 56 la grande edizione fiorentina in sedici volumi (2); con copiose note illustrative, inserzione di interi lavori e corrispondenze di amici ed avversarii di Galileo. Con questa pubblicazione, intitolata la prima completa, parea doversi quetare i desiderii dei dotti, invitati a cibarsi al largo pasto; libero, chi più voleva, di correre al tonte dei manoscritti palatini, i quali erano stati già esaminati con amore e distribuiti per guisa, da rappresentare la scienza non tanto di Galileo quanto anche dei suoi contemporanei, anzi anche degli anteriori e posteriori a lui; la storia dèli’accademia dei Lincei e di quella del Cimento. Collezione preziosa e pode- (1) Fa VARO, Intorno ai una nuova editorie delle opere di Galileo ; Alti dell’Instituto Veneto, vili, 1881. (2) Alberi, Opere ài Galileo-Galilei, Firenze, Società editrice, 1842 e segg. GIORNALE LIGUSTICO V 237 rosa che fa ora bella mostra di sè nella Biblioteca Nazionale Fiorentina, divisa in duecento novantanove volumi (1). Eppure vi era ancora un altro tesoro nascosto; proveniente senza dubbio anch’ esso dai malaugurati eredi dell Ab. Panzanini, ma che non si sa come, era pervenuto ad un ramo della famiglia Galilei, i discendenti del non mediocre Architetto Alessandro. Anche questi recentemente vollero disfarsi del per loro inutile ingombro , cedendolo al libraio Dotti; il quale parte ne fece passare agli Inglesi, ghiotti d’autografi e di rarità; parte ne ebbe il eh. Angelo de Gubernatis che ne fece regalo al Pubblico nella Nuova Antologia, felicemente trascrivendo anche altre lettere di Galileo che avranno poi preso la via dell’ esiglio (2). Ma il più buono, il più bello acquisto fu quello di sei grossi volumi fatto dal Marchese Campori, la cui pubblicazione, prestamente seguita alla compra, porge occasione precipua allo scritto presente (3). Io saluto il Marchese Giuseppe Campori e lo ringrazio per questo nuovo dono che fa alla scienza e pel nuovo onore che reca all’ Italia. Lo ringrazio perchè adopera i nobili ozi ed il censo non solo a raccogliere e custodire, ma e a pubblicare ed illustrare; fecondo, oculato e sempre giudizioso; felice in rannodare coi cimelii estensi gli uomini più notevoli per la politica, per Γ ingegno o per Γ arte. Saluto anche in lui il fratello di Cesare Campori, l’illustratore degli statuti modenesi, autore di parecchie altre dotte pubblicazioni: illustre uomo, ahi ! caldamente rimpianto, per morte immatura e repentina, fra i lavori del Congresso storico milanese (4). (1) Favaro, Ragguaglio dei manoscritti Galileiani nella Bibl. Νας. di Firenze, Atti cit. VI, 1880. (2) Carteggio Galileiano, nella Nuova Antologia, Roma, XVIII, 1879. (3) Carteggio Galileiano di Giuseppe Campori , nell’ Accad. di Sciente di Modena, XX, parte 2.“ 1881, pagg. 642. Testé il Prof. Favaro vi ha fatto un’appendice nella parte 3.“, 1882, colla sua pubblicazione ; Spigolature Gallicane dalla Biblioteca Campori. (4) Ved. l’affettuosa commemorazione del Comm. Vacca: Il March. Cesare Campori, Mo- dena , ιδΒι. t 238 GIORNALE LIGUSTICO Spettacolo questo di due fratelli tanto più degno di nota, quanto più si fa rara fra noi nelle antiche famiglie patrizie l’imitazione di sì nobili esempi; e quanto più farebbe mestieri imitarli rimpetto agli stranieri che con grasse offerte e propine vanno spogliando Italia d’ ogni lume di scienza e d’ arte antica. Giuseppe Campori adunque si affrettò a licenziare alla stampa questo nuovo carteggio Galileiano; lo contengono gli Atti dell’ Accademia modenese di scienze, lettere ed arti alla quale degnamente presiede. Come avverte, egli non rese pubblico tutto il manoscritto , togliendone quel tanto che gli parea di minore importanza; nel che non è approvato dal prof. Favaro che vuol tutto stampato. Ma di rimpatto il eh. editore aggiunse altre lettere tutte inedite o quasi, indirizzate a Galileo; le quali, copiate più anni fa dai mss. palatini, ebbero la sorte di venire anch* esse nelle mani del Campori. Per tal guisa la pubblicazione in discorso si pregia in somma di 652 lettere, dall’anno 1591 al principio del 1642; pa-· recchie delle quali scritte da scienziati 0 letterati che ora per la prima volta possiamo annoverare fra i corrispondenti di Galileo. L’editore, nell’ Avvertimento premesso, ragiona del modo onde ha condotto il lavoro: volle serbare la grafìa e costruzione anche scorretta, contro le altrui opinioni, per rendere meglio P originale ; salvo alcune forme antiquate e qualche interpunzione. Spiega i segni di abbreviazione che in breve spazio chiariscono se la lettera è autografa o soltanto originale, donde scritta, dove si conservi. Precede alla corrispondenza una accurata cronologia dei fatti di Galileo, molto utile a ben apprezzare il contenuto del volume; e questo si chiude con un Appendice, ove criticamente si dilucidano alcuni di quei fatti più notevoli : il giorno della nàscita, la fanciullezza di Galileo, i suoi testamento e codicillo, alcune GIORNALE LIGUSTICO 239 delle sue invenzioni o proposte scientifiche, quella compresa del cosi detto Celatone, sul quale è inserito un lavoro inedito del Venturi. Il Campori fiorisce il testo di note copiose, alcune delle quali gli furono comunicate dal prof. Favaro; vi sono aggiunte (sul buon esempio porto dall’ Alberi) brevi notizie biografiche degli Autori della corrispondenza. Gli indici, cronologico ed alfabetico , degli Autori compiono il ben inteso lavoro. Importanti al certo sono le lettere ivi edite, non solo per Γ uomo a cui sono indirizzate ma e per le cose che vi si discorrono. Ci vediamo dette cose nuove o chiarite altre già note; ragguagli di monete e particolari di scienza; vi si accenna una collaborazione fra Magini e Keplero nel 1613; si prende notizia d’ una gita di Galileo alla Santa Casa di Loreto nel 16x6’, di una fin qui ignota poesia, di una tentata ma non riuscita riconciliazione fra lui e il suo avversario il savonese P. Grassi. Conosciamo ora il conforto che egli ebbe dal Cardinal Capponi, nella troppo celebre causa innanzi alla Sacra Congregazione. Nuovi indizi ci si recano sul progresso della sua cecità, sui frutti dell’ ingegno suo ed altrui; stampe di sue opere fuori d’Italia, studi teorici, espèrienze sul flusso e riflusso, sulla calamita, sulle lenti e strumenti. Specialmente ci si rende nota la trasformazione del canocchiale unico in binoculare che si era tentata in Anversa nel 1613-14 (1); laddove da gran tempo quella invenzione si trasportava al 1645, e recentissimamente ancora il prof. Govi (2) credeva aver fatto un bel passo, anticipandola al 1624 in Parigi. Si chiarisce anche meglio la natura dell’ occhialino costrutto da Galileo verso il tempo stesso, cioè del microscopio, sul quale soggetto il testé lo- (1) Lettere i' Ottavio Pisani in Campori. Op. cit., pp. 72, 82. Favaro. Sulla invenzione dei cannocchiali binoculari. Alti dell’ Accad. di sciente di Torino, XVI, 18S1. (2) Nuovi documenti relativi all’ invenzione dei cannocchiali binoculari , nel Ballettino di Storia ielle Matematiche, del Principe Boncompagni, Roma, 1880, pp. 479, segg· 240 GIORNALE LIGUSTICO dato prof. Govi, in quella medesima sua memoria, ben distingue la parte di onore che spetta a Galileo e la parte che spetta a Drebbel (1). Infine, oltre i nuovi nomi de corrispondenti , ci piace veder ripassare i già conosciuti, sotto i nostri occhi con nuove lettere, fra i quali nomineremo soltanto a cagion d’ onore Elia Diodati, il Peirescio, il Gassendi e Keplero. La società odierna è molto curiosa di pubblicazioni siffatte, poniamo che vi sia anche misto un po’ del debole umano che ama vedere il letterato, lo scienziato in veste da camera per non dire in camicia. Ma è un fatto che a formarci un concetto efficace degli uomini e dei tempi, le corrispondenze famigliari valgono meglio che qualunque orazione od elogio. Ciò tanto più quanto più abbondanti sono ed importanti per la qualità delle persone, e quando le menti sono vivamente occupate intorno a un soggetto, vuoi politico, vuoi scientifico o letterario. E questo, se altri mai, è il caso di Galileo ; uomo singolare anziché raro, per la novità ed altezza de suoi trovati, per 1’ esposizione chiara e classica ad un tempo, per la copia, la qualità, l’operosità de’ suoi tanto amici che nemici, e per le sue stesse sventure. Quindi è divenuta come una passione il ricercare e il pubblicare intorno a lui ; l’occuparsi che fanno italiani e stranieri a gara degli avvenimenti della sua vita, facendo trattati speciali per ciascun caso suo ; il processo, le sue relazioni colla Polonia, colla Svezia e i loro Re, colla Spagna e 1’ Olanda per Γ applicazione dei nuovi trovati alte ricerca delle longitudini; la sua figlia primogenita e simili. Donde (per nominare solo i più recenti) nacquero gli scritti del Wolynski, del Gebler, del Charles Henry, del Principe Boncompagni, del Favaro, del Berti; del Govi, del Malagola, (1) Cnmpori . Carteggio p. 213 , — Govi, Nuovi documenti, p. 479. GIORNALE LIGUSTICO 24I dell’Arduini, del Campori. L’Università Toscana e quella di Bologna e lo studio di Padova, tutti a lor volta* sfilano innanzi ai lettori come a far mostra d’ omaggio all’ ingegno divino. E si viene a sentire nuovamente il bisogno di una edizione veramente completa degli scritti di lui, non omesso un pensiero, un abbozzo. Di una tale intrapresa favella appunto il prof. Antonio Favaro dell’Università di Padova, illustre per lunghi studi sulla storia delle matematiche e benemerito per affetto ed opera lungamente versata sulle cose galileiane. Di che fanno fede i suoi scritti sparsi negli Atti dell’istituto Lombardo, dell'’ Accademia· delle scienze torinese e modenese, oltre altre speciali pubblicazioni, e più di tutto nelle Memorie ed Atti dell5 Instituto Veneto. In uno dei quali scritti ragiona della futura edizione e ripartizione che potrebbe farsene in venti volumi (1); del metodo a tenere, dei difetti delle precedenti e dei rimedii. Come egli propone, gioverà forse trasportare in fine delle opere le notizie biografiche degli autori, in cambio di averle a pescare sparpagliate secondo le occasioni. Certo si dovrà continuare, ma ampliandolo , il metodo già in uso, di porre accanto ad ogni scritto di Galileo quello, se vi ha, de’ suoi oppositori per esteso; e si avranno a mantenere a loro luoghi le postille con cui Galileo rispondeva mano mano alle obbiezioni, e lasciare intercalate nel testo le figure che male a proposito talora furono trasportate in fine del volume. Si dovrà riunire il carteggio scientifico al famigliare che fu con non sano consiglio separato nei mss. palatini; ma non sono a confondere con quel carteggio i trattati che di epistolare non hanno che la pura forma. La corrispondenza sarà posta in preciso ordine cronologico, naturalmente anche qui (come crediamo noi) sottoponendo alle proposte le risposte ed altre lettere analoghe. Per tal guisa (1) Intorno ad una nuova edizione ecc. sopracitata. Giorn. Ligustico, xAnno IX. 16 242 GIORNALE LIGUSTICO non saremo costretti a cercare faticosamente i confronti in più volumi ad un tempo , come succede pur troppo nella edizione dell’ Alberi. La quale tuttavia il prof. Favaro non ha negato essere stata utile al progresso delle cognizioni intorno a Galileo; pure oserei asserire che egli non apprezzò abbastanza le fatiche dell’ illustre uomo che lo precedette nell·* arringo. Ammettendo anche per veri e per non lievi tutti i difetti che egli appunta nell’Alberi,* è mestieri concedere un poco eziandio alla natura umana la quale non può procedere che per gradi. In un’ opera così lunga e difficile, in uno spoglio così vasto che richiedeva tante e varie cognizioni, nelle controversie che intorbidarono la concordia e non per suo torto, nelle mutazioni politiche che lo privarono di buoni aiuti, come si può imputargli a colpa se non fece di più ? Certamente 1 Alberi non era abbastanza preparato per istudì anteriori; 1 e-sperienza di mano in mano gli suggeriva miglioramenti, correggeva il suo metodo, ampliava le cognizioni di lui; quindi oscillazioni e mutazioni. È il caso d’ogni studioso conscienziato il finir d’intender bene il suo soggetto la prima volta che ha finito d’ esporlo : è d’ allora soltanto che rivedendolo gli riesce riordinarlo tutto d’un pezzo. Ma ciascuno vede che, in un tempo relativamente breve, ciò è possibile soltanto se si tratti di lavoro di non grande estensione ; una preparazione simile per Γ impresa dell’ Alberi avrebbe richiesto un cumulo di condizioni favorevoli ed un tale intervallo di tempo, che vi sarebbe da scommettere che Γ opera sarebbe andata in fumo; noi saremmo ancora nelle condizioni del 1842 per rispetto agli scritti galileiani. Sbollito il fervore, sarebbero mancati i mezzi, nè ancora al dì d’oggi sono troppo alla mano, come si vede in pratica. Di che egli a ragione deplora che l’Italia sia condannata a lasciarsi pigliar la mano dalla Francia; la quale stampò le opere complete GIORNALE LIGUSTICO del Lagrange e di Leonardo da Vinci ed , aggiungiamo noi, del Borghesi. » •invero l’ingegno italiano, ove scuota la troppo tacile pigrizia e non si lasci corrompere dalle imitazioni esotiche, è d’indole tale che conviene gli renda omaggio il mondo civile. Gioberti ben lo definiva ingegno dialettico; tale cioè che in temperamento felice abbraccia gli elementi migliori per la riuscita. Il Tedesco è più paziente e più acuto, vagheggia l’ideale; il Francese più pratico, più efficace, più volgarizzatore della scienza; l’italiano acuto quanto basti, ma chiaro ed ameno ad un tempo; accoppia il volo della scienza alla pratica , sovratutto si attiene al criterio del buon senso, toccando gli estremi senza cadervi e quasi d’istinto evitandone i pericoli. Quando adunque siffatta tempra si innalzi al [fior-fiore, allora sorge un San Tommaso ed un Dante; o si sfoga nelle scienze naturali con un Galileo, nella erudizione storica od antiquaria con un Muratori, un Enrico Quirino Visconti e un Giambattista De Rossi, gloria vivente della sacra Archeologia. Ora, come rimpetto a San Tommaso, San Bonaventura si elevava spaziando alle più sublimi ragioni della idea divina, così (se non è troppo profano il paragone), rimpetto a Galileo troviamo un altro Bonaventura, il Cavalieri; tutto intento alle idee archetipe che misurano 1’ universo. Questi sta per creare la teoria degli indivisibili od infinitesimi, d’onde uscirà più tardi il portentoso calcolo differenziale e integrale. Bonaventura Cavalieri non sa far altro che rimugginare nuove qui-stioni matematiche, le propone a Giannantonio Rocca e ad altri; espone la nuova invenzione in Olanda di un Aritmetica senza bisogno di calcolo delle frazioni, spiega ripetutamente a Galileo l’utilità della nuova invenzione de’ logaritiai; onde si abbreviano i metodi già lunghi e faticosi, non più compatibili ormai coi progressi che si preparano alla scienza. 244 GIORNALE LIGUSTICO E Galileo confessa essergli duri sulle prime questi concetti; ma frattanto scopre il compasso di proporzione, il microscopio, il telescopio e tosto applica le nuove armi a conquistare*il cielo. Innanzi alla potenza del suo ingegno sono costretti a svelarsi i satelliti di Giove. Saturno lascia intravvedere il suo anello, Venere le sue fasi; la teoria copernicana va acquistando di dì in dì sempre più la forma di vera scienza e le nebbie peripatetiche vanno sfumando dinanzi alla luce della natura vivificata. Un altro allievo di Galileo, Benedetto Castelli, più si assomiglia all’indole francese; pratico per eccellenza applica le nuove idee a misurare la forza delle acque correnti e ne ferma la teoria, tanto necessaria al bene delle pianure italiane. Anche la sola lettura della parte del carteggio, pubblicato dal Campori, basta a porgerci un concetto vivo di quelle indoli e dei tempi; notevole non tanto per dottrina quanto per amenità e varietà secondo il carattere di ciascuno scrittore. E prima i nemici di Galileo: Cremonino che pur mordendolo non tralasciò di farsi prestar danaro e non trovava mai modo di pagarlo ; uomo dotto del resto ma che, se non mente la fama, negando la immortalità dell’ anima volea gli scrivessero sulla tomba: hic jacet Cremoninus totus. Il Domenicano P. Çaccini contro Galileo pronunziò in S. Maria Novella la nota predica, avente per testo: Viri Galilei quid staiis aspicientes in calumi Un altro Domenicano il P. Lorini pretendea farsi giudice della dottrina di Copernico senza conoscerne bene, non che le opere, nemmeno il nome che travisava in Ipernico. Il fiorentino Francesco Sizi, il più focoso zelatore dell’ ipse dixit, ricusò sempre accostar l’occhio al telescopio, per non avere a convincersi che vi poteva essere al mondo qualche cosa di più o contro la scienza d’ Aristotele. Vediamo ora alcuni amici del Grand’ Uomo. Citeremo il famoso banchiere Fugger di Augusta, soltanto perchè il suo GIORNALE LIGUSTICO 245 nomè, travisato nel carteggio in Conte Fucaro (1) ci spiega 1’ etimologia di questa parola, comune nel dialetto genovese, nel senso di furbo o di sopraffino. Il servita Fra Fulgenzio Micanzio, erede degli spiriti vivi e satirici del Maestro Paolo Sarpi, infiora le sue lettere d’ imagini e tocchi ameni, sebbene talora un po’ crudi e volgari; inventa perfino il nome di tenebrone a sfolgorare i nemici, per contro esorcizza gli amici se gli preme sapere una verità e lo scongiuro riesce; si burla saporitamente di un peripatetico che ha trovato in Aristotele la prova per più capi, che v’ ha un paradiso per le oche e le anatre, benché non abbia trovato un paradiso per gli uomini. Fra Fulgenzio conosce le ricette di Maestro Grillo, e una fabbrica sugli stecchi, e la clava d’ Ercole tessuta sugli arazzi, sempre pronta a colpire ma che non colpisce mai : conosce una storica sentenza profferita da un Giudice, che assolve il sarto venditore di un asino inutile e guasto: pel motivo che fece male il compratore mischiandosi con un sarto che non si dovea intendere d’ asini. I due fratelli Sagredo, Gio. Francesco e Zaccaria, affezionatissimi entrambi a Galileo e pronti a servirlo anche negli interessi, tuttavia di indole affatto opposta fra di sè. Gio. Francesco tutto ferri, strumenti di meccanica, opere d’ arte 3 singolarità naturali, e che passando per Sampierd’arena ammira le grosse spugne per grotte (2). Zaccaria invce, appena morto il fratello, si affretta a togliersi d’ attorno quella roba inutile, per tema che suo figlio abbia ad incappricciarsene. Galileo od altri, se ne desiderano, mandino pure ma presto ch’egli ha bisogno di sgomberare. Dove si vede la lotta perpetua, anche in notevoli personaggi, tra il bello e l’utile; la lotta che (1) Campori, Carteggio, p. $25. (2) Campori, p. 119· GIORNALE LIGUSTICO troviamo così sovente tra i poeti e i loro padri, e che già delineava Ovidio nel noto verso : Saepe pater dixit; studium quid inutile tentas? E ripeteva il verso il dotto Lelewel, come testo in fronte agli acuti e laboriosi suoi volumi sulla geografia del medio evo. E lo traduceva in versi italiani il Marini nel suo Adone e più recentemente il Casti. Perchè non fare il Medico, Γ Avvocato, 1’Architetto invece che il Filosofo, il Poeta, 1 Artista? A Cassiano Dal Pozzo, amico aneli’ egli di Galileo, ripeteva simili ammonimenti il proprio padre, inquieto di vederlo perdersi dietro ai quadri, alle medaglie, ai prodotti di storia naturale. Poiché il Giureconsulto Antonio Dal Pozzo avea la pretesa di ben conoscersi de agibilibus mundi, di aver lunga vista nel prevedere e provvedere, e non cessava di sussurrare al figlio le vie della prosperità e la massima : ubi bonum, ibi patria (i). Sebbene : nemmeno i nostri matematici disdegnavano la buona cera. Galileo era servito da amici, con o senza compenso, di vini squisiti d’ogni ragione e d’ ogni colore ; si onorava anche d’inviargliene la cantina del Gran Duca. Raffaele Magiotti descrive al Maestro un pranzo d’amici presso il P. Benedetto Castelli : in una camera terrena , affumicata sì, ma fresca con un odore di mortadella e di salame di Brescia, formaggio di tre anni e vino da Pontefice. Magiotti del resto ci porge una notizia singolare sulla venuta d’Oriente del P. Atanasio, certamente il celebre Gesuita P. Kirker; il quale, fra le nuove sue proposte, ci ha pure la promessa di provare che la guglia del popolo esisteva già prima che Abramo venisse al mondo. Ma noi, che, per dovere d’uffizio e per amore, poniamo par- (i) Lumbroso , Noiose sulla vita di Cassiano Dal Po^o, nella Miscellanea di Storia Italiana della R.a Deputazione di Storia Patria, XV, Torino, 1866, p. 136. GIORNALE LIGUSTICO 247 ticolare attenzione alle cose liguri, non diremo nulla di ciò che abbia tratto a vincoli degli avi nostri con Galileo? Il senatore e patrizio Giambattista Baliani, il savonese Gesuita Orazio Grassi, il Rapallese professore Fortunio Liceti ebbero parte principale in queste or relazioni or contrasti; parte più o meno nobile e viva secondo le tendenze personali e le circostanze della vita, ma parte importante. Baliani tutto intento ai più gravi ufficii pubblici, non potea difendersi tuttavia dal brulichio delle idee scientifiche che gli rampollavano nella mente; più desideroso, come egli stesso dichiara, di amare queste idee per sè che di comunicarle altrui. Pensò allo stesso tempo che Galileo , e all’ insaputa Γ un dall’ altro , la teoria del moto dei gravi; se vi furono perciò ombre col Fiorentino , Baliani le comportò nobilmente ; ne fu difeso ancora vivente dal Gesuita Nicolò Cabeo professore a Genova e dotto autore sulla Magnete (1), ed ormai non v’ ha più chi osi appuntarlo di plagio. Ma un trionfo ben più grande era riserbato oggidì al nostro concittadino. Il dotto prof. Govi (2) dimostrò luminosamente, come Baliano vide ciò che dopo la polemica con Galileo non riuscì a questo di vedere ancora; indovinò, scoprì la pressione atmosferica, quattordici anni innanzi che Torricelli la rendesse più evidente, più utile colla invenzione del barometro. Meno nobile, più viva, anzi agra fu la polemica fra Galileo e Orazio Grassi sulla natura delle comete ; tutti ormai convengono che il Gesuita avea ragione nel fondo, ma il torto del sommo uomo fu un torto felice, che diede origine al Saggiatore-, il libro più ammirabile per la forma della polemica come per la copia delle cose nuove e belle contenutevi. (1) Desimoni, Notizie di Paris Maria Saivago e del suo Osservatorio, nel Giornale Ligustico, 1S7S . P- 474· (2) Nota intorno al primo scopritore della pressione atmosferica , negli Alti della Accad. delle Sciente, Torino, 1866, li, p. 561 e dopo il Prof. Govi t ved. Podestà , L’ Acquedotto di Genova, Genova, 1879, PP· 50_I> 57· "" ^r0^· Giusto, Della Vita e degli scritti di GB. Baliani , nel Giornale Ligustico , 1881 , p. 19-24, 248 GIORNALE LIGUSTICO Galileo fu pure in quistione con Fortunio Liceti sulla natura del colore secondario della luna. I più convengono che il Rapailese abbia torto; pure il dotto Barone De Zac(i) asserisce che Liceti in questo fenomeno previde la fosforescenza della luna, e che illustri Astronomi ancora nel nostro secolo ammettono tale spiegazione. La gara fu più decorosa, che non col Grassi, tra questi due avversarli, almeno nelle forme esteriori; ma i partigiani del Fiorentino non risparmiarono insulti ed uno di essi descrive Fortunio come un satiro che fugge con un libro in mano ma Mercurio lo rincorre e Jo prende per le corna. E a dir vero Liceti era intemperante ; Bonaventura Cavalieri dice di lui che non possono leggersi i suoi scritti con tanta facilità con quanta egli li stampa (2) ; Michele Giustiniani (3) ha fatto l’elenco delle 75 sue opere in filosofia, antiquaria e medicina. Liceti, provocando sovente Galileo a rispondergli, sebbene con frasi di un poco affettata modestia e cortesia, gli inviava ad ogni volta una nuova opera sua, anzi tre in una sola volta. Dichiarava egli stesso infatti a Galileo di voler ad ogni costo rendersi immortale , se non pel merito, per la gravità degli scritti, del resto veramente eruditi (4). Dunque nelle tre lotte di genovesi con quel gigante, il primo, Baliani, riesce vincitore, il secondo, Grassi, ha ragione almeno nel fondo della quistione , il terzo Liceti ha previsto un fenomeno nuovo che dotti moderni ammettono. Chi pigli a considerare queste ed altre cose del secolo di Galileo proverà un legittimo orgoglio nel riconoscere, come la Liguria non fosse addietro a niun’ altra regione nel movimento scientifico che illustrò allora l’Italia. Bello vedere il (1) Correspondance astronomique, Genova 1822, VII, 127, 237. (2) Campori, p. 466, $$2. (3) Gli Scrittori Liguri , Roma, 1667, p. 226-9. (4) Alberi, VII , 363 e ved. i carteggi in Alberi e in Campori agli anni 1640-41. GIORNALE LIGUSTICO 249 concorso de’ nostri Patrizi alla scienza e il loro legame coi dotti di fuori. Filippo Salviati conobbe a Genova Baliani e ne scrisse ammirato a Galileo, e questi tosto lo fece scrivere nella già celebre, benché nascente, Accademia dei Lincei. Di nmpatto Baliani fa conoscere e raccomanda a Galileo il so-masco Famiano Michelini che si farà presto illustre nelle matematiche e le insegnerà ai giovani Principi di Toscana (1). A Galileo stesso la cattedra all’ Università di Padova era procurata, insieme all’accoglienza ospitale ed altri favori, da un genovese, sebbene nato a Napoli, Gian Vincenzo Pinelli (2). Ballano confessava a Galileo che le lettere di lui erano desiderate in Città e lette in giro dai suoi ammiratori; per mezzo di entrambi si scambiavano i saluti o gli omaggi di Andrea Spinola e di Giambattista Pinelli ; noto pubblicista il primo; letterato e poeta non mediocre il secondo, onorato anche del titolo di Accademico della Crusca (3). Un altro Spinola, Daniele, Accademico fra gli Addormentati di Genova, avea carteggio con Galileo e parteggiava perfino con lui piuttosto che col concittadino Baliani. Egli e un terzo Spinola, Gerolamo, maneggiavano 0 desideravano lenti lavorate dal Fiorentino; si teneva in corrispondenza con lui, fino da Anversa, un quarto Spinola, Tiberio, probabilmente dell’Accademia dei Confusi che colà i genovesi aveano fondato; ragionava egli di cannocchiali e delle diverse qualità di lenti da lui esperi-mentate da quelle parti (4). Il patrizio Bartolomeo Imperiale carteggiava pure con Galileo , oppure dalla magnifica sua villa di Sampierdarena gli mandava i saluti per mezzo del mate-matico Antonio Santini; si scambiavano doni, inviava egli (1) Alberi, Vili, 294-6; IX, 158. (2) Campori, p. 1-2 — De Gubermtis , op cit. , p. 7. (3) Spotorno , Stor. Letteraria delia Liguria, IV, 151. (4) Spinola Daniele di Flaminio nel 1636 e Tiberio di Giulio senza date , appena accennati nel Battilana, Genealogie delle famiglie Nobili, Vol. 2.0 , Spinola di Luccoli, p. 99 e 132. Per 1’ Accad. dei Confusi, Spotorno, op. cit. , V. 117. 250 GIORNALE LIGUSTICO a Galileo un anello e ne. riceveva quell’occhialino (microscopio) che, per le esprezioni del documento , giova ora il più a chiarire il merito del Grand’Uomo in questa parte (1). Ma lungo è il novero dei nostri che a lui resero omaggio o di venerazione o d’amore. Patrizi come i signori Balbi, poeti come Gabriele Chiabrera o il già lodato G. B. Pinelli: storici 0 pubblicisti come il citato Andrea Spinola ed Agostino Mascardi e Pier Battista Borgo; del quale ultimo la parte di lettere, che ci è nota, è tutta in cercar di alleviare la crescente cecità di Galileo, per mezzo di consulti medici (2). Fra 1 meno notati, da chi si occupò degli scritti galileani, ricorderemo Bartolomeo Mainerò , senatore della repubblica nel 1622, suo avvocato e giureconsulto profondo. È forse più contestabile se appartenga alla Liguria Pier Francesco Mala-spina Marchese degli Edifìzì, comecché proveniente dal ramo lunese di Mulazzo e dello Spinosecco. Ma senza contrasto rivendicheremo Paolo Pozzobonelli del ramo della illustre famiglia milanese che già da antico era trapiantato a Savona. Lo fanno intendere le sue lettere a Galileo e i saluti di Chiabrera che manda da questa città e il proposito che fa di recarsi quandochessia eoa quel poeta a godere del-1’ ospitalità di Galileo. Qui egli ricorda, con piacere misto a rammarico, le ore felici passate ccn lui a Padova nella contrada dei Vignali; ma il Palazzo, e gli affari lo distraevano dai cari studi. (1) Campori, 213, Alberi, VII, 207. (2) Questo Prete genovese, poligrafo e scuolaro in matematica del P. Castelli vorrebbe troppo lungo discorso. Contentiamoci accennare altri fonti oltre i soliti nostri. Le lettere di lui in Alberi e in Campori ed altre inedite notizie citate nell’ eruditissimo articolo del Ch. Bon-COMPagni (Bullettino, 1878, p. 626-32): Intorno a due le'tere del P. A. D. Benedetto Castelliate. Il nostro Archivio di Stato ha documenti sulla stampa àé scritti di lui e sulla sua aggregazione al Collegio de’ Giureconsulti: Senato 1641, 2$ settembre Secretorum, 1642, 2 Ottobre e 164$, 13 febbraio. Un GB. Borgo stampò il suo Viaggio di cinjue anni, Milano, 1686 (non ricordato dall’Amat) — Lumbroso, Descrittori Italiani dell’ Egitto, 1879, p. 42) stima inglese quest’Autore; perchè ? GIORNALE LIGUSTICO 251 I Pozzobonelli di Savona ebbero due domenicani notati fra gli scrittori della Liguria, Domenico Maria e Gian Tommaso. Ma più rimpiansero la morte a venti anni di Francesco , e le grandi speranze che faceano nutrire di lui Γ ingegno rarissimo, la protezione del cardinale Barberini, le cure del fratei suo Alessandro e del padre Ambrogio, tesoriere pontificio. Gabriele Chiabrera ne dettò P epitafio, le ossa ne compose in patria lo zio di lui, quel Paolo appunto di cui discorriamo. Del quale si sa che nel 1613 si adoperò per la città nativa presso la Repubblica, riportandone sgravi e favori segnalati. Ed egli e il fratello Ambrogio É e il nipote Alessandro furono gratificati dalla Signoria Genovese del privilegio onorifico (1). Fra i Genovesi ammiratori di Galileo non potremo noi annoverare anche Vincenzo Giustiniani, de’ signori di Scio? Non importa eh’ egli risiedesse a Roma come Marchese di Bassano presso Viterbo. Il celebre fondatore della Galleria che porta il suo nome, 1’ autore di uno scritto. sulla musica de’ suoi tempi e d’altre composizioni; il viaggiatore, i cui viaggi nel 1605 furono descritti dal suo erede Marchese Andrea e vorrebbero onorata menzione dal Conte Amat di San Filippo, Vincenzo Giustiniani pigliava molto piacere aneli’ egli alla lettura delle opere galileiane e meravigliava alla evidenza di quello stile che rendeva facili le cose più difficili (2). (1) Verzellino, Mem. degli Uomini illustri di Savona: Ms. della Civico-Beriana , p. 479, $01. Giustiniani Mieli. Gli scrittori Liguri, p. 42, 192. — Soprani, Gli scrittori della Liguria, p; 174. — Archivio di Stato , Famiglie Nobili (Collez. Lagomarsini , alla Lett. P.) — Alessandro Pozzobonelli come il Borgo erano grandi amici di Mons. Ciampoli. (2) Campori, p. 401 — Di Vincenzo, nato a Scio nel 1564 morto a Roma 1638, ved. Hopf, Chroniques Greco-Romanes, p. 512. — Discorso sopra la Musica pubblicato dal Ch. Bongi , Lucca, 1878. — Giustiniani Mich. op. cit. , p. $8. — Pel secolo ed altre circostanze mi sembra che il suo viaggio non possa identificarsi col ms. onde fa cenno il Ch. Amat (Bibliografia dei Viaggiatori italiani, Roma, 1881 , p. 369 , intitolato : Viaggi d’ un nobile genovese della famiglia Giustiniani. 252 GIORNALE LIGUSTICO Ma fra tutti gli ammiratori, gli amici, i discepoli di Galileo fu prediletto Vincenzo Renieri, genovese, monaco olivetano che il Maestro tentò inviare in Olanda, a far conoscere a quegli illustri marinai i vantaggi del suo metodo per ottenere la longitudine. Galileo mandò innanzi le tavole astronomiche stani-paté dal Renieri, acciò i dotti Olandesi apprezzassero, come in fatti molto lodarono, il valore matematico del discepolo. E quando la cecità crescente impedì a quello di continuare le osservazioni, questi fu chiamato a surrogarlo: il lavoro si conserva tuttora, sebbene tronco da morte immatura, tra i mss. della Palatina e fu pubblicato. Renieri, Teologo della sua Congregazione, Teologo poi dei Principi di Toscana, predicatore e poeta ed anche archeologo, prediligeva però le matematiche e ne ebbe la cattedra allo studio di Pisa nel 1640; Ma prima d’allora abitava a Genova nel Monastero di S.t0 Stefano, forse anche in quelle stesse stanze che abitiamo noi. E qui 0 sulla vicina antichissima torre aveva egli fatto, dal 1637 al 40 ajmeno, quelle osservazioni astronomiche che do-vean servire di base agli studi proposti dal Maestro. Egli vi si consecrava di guisa che, sebbene in salute non ferma, non poteva tenersi, come scrive egli stesso, dal far all’ amore colle stelle (1). Così cominciarono a Genova quelle osservazioni che altra volta raccontammo essere continuate a intervalli con Paris Maria Saivago e con Francesco Maria Barabino , poi ridotte a meteorologiche con Filippo Perrone e con Domenico Franzoni ; finché il fuoco sacro della scienza fu consegnato , per non estinguersi più, all' Osser-vatorio della Università. In quel tempo gli studi generali e più notevoli d’Italia, ac- (1) Alberi, VII , 253, Campori, $57. Le osservazioni del Renieri e un suo frammento ivi V, parte 2.* Un suo sonetto contro Chiaramonti, X, 247. Sue lettere ed altre notizie ibid. e in Campori passim, è apocrifa la lettera in Cantù, Stor. Univ. epoca XV, Sciente esatte. — Per gli osservatorii privati in Genova ved. il cit. mio, Paris M. Saivago. GIORNALE LIGUSTICO 253 coglievano non raramente i nostri a Professori; già sul principio del secolo XVI a Padova fioriva in filosofia Marc’Antonio Paxero (i) detto il Genova e l’enciclopedico; e a Padova, a Ferrara e Pavia dettava Lorenzo Maggiolo in medicina; abbiamo poi Gio. Antonio Ruggeri , nel 1640 professante la stessa scienza allo studio di Pavia. A Roma fiorivano alla Sapienza Orazio Grassi e un P. Spinola; a Pavia e Bologna Fortunio Liceti: in quest’ultima città a Bonaventura Cavalieri dovea più tardi succedere il nostro grande Gio. Domenico Cassini; cui la lettura delle opere di Renieri, forse anche la presenza, invogliarono dell’ astronomia. Frattanto a Pisa leggevano il medico e letterato Giulio Guastavino, e Bardi Gerolamo altro degli amici di Galileo, in filosofia; e Vincenzo Renieri in matematica; e prima di costui per la cattedra vacante nel 1636 facea ressa Santini a Galileo perchè proponesse al Granduca un altro Genovese, Canonico di S. Ambrogio a Milano e già segretario del cardinale Borromeo. Allora Gian Vincenzo Pinelli col largo censo e il grande amore, come vedemmo aver favorito Galileo, così era mecenate in generale dei letterati ed 'artisti. Egli raccoglieva in loro servigio a Padova quell’ immensa biblioteca, i cui resti dopo le infauste traversie furono ospitati da Federico Borromeo e costituirono il nucleo dell’ Ambrosiana. In questa stessa si troveranno forse ancora i libri che lasciò a Pinelli il suo ospite ed amico Paolo Aicardo d’ Albenga appartenente al collegio medico torinese; grecista e dotto, se altri mai, per attestato di Paolo Gualdo (2). Il dome- (1) Scritto così negli atti di qjiesta famiglia genovese, e non Passeri, nè Passerini che l’adulazione voleva attaccare ai signori di Mantova. Di Marcantonio, fra i più recenti ved. Egger sur une médaille frappée à l'honneur d’un Philosophe de l’école de Padoue. (Mém. de la Société Académique de Maine et Loire XXIII). Ivi il suo cursus honorum e pel i.m° suo grado in filosofia nel 1521 ved. il Bullettino del P. Boncompagni , 1879, p. $1, nella Mem. del Prof. Favaro : Prosdocimo de? Beldomandi. (2) Vita Io: Vincentii Pinelli, 1607, p. 55. GIORNALE LIGUSTICO nicano Nicolò Riccardi fu chiamato dal Re di Spagna il Padre Mostro per la sua dottrina ed eloquenza straordinarie ; ottimo cittadinn eziandio, che nel 1625, nel nostro San Domenico infiammava gli Udittfri alla difesa della Patria (1). A Genova, un secolo prima , Ansaldo Grimaldo avea lasciato di che «istituire quattro cattedre pel nostro studio , e vi insegnava Nicolò Cabeo e forse anche Antonio Santini già citati. Il quale ultimo loda nelle parti matematiche Ansaldo De Mari come d’insegno grandissimo e che avrebbe fatto molto, OO O se uffizi pratici non Γ avessero distolto dalle cime della scienza. Ansaldo De Mari difatti fu l’ingegnere delle nuove fortificazioni e dell’ampliamento e sicurezza del porto col molo nuovo (2). Uomo veramente benemerito le cui opere, poco note finora, guadagneranno il dovuto onore colla pubblicazione del capitano Quarenghi. Cassiano dal Pozzo, di cui parlammo, era centro aneli’ egli di dotti ed artisti, adunando un museo, in Roma il cui solo catalogo si allarga in ventitré volumi. Anch’ egli avea corrispondenza con genovesi, in parte già notati, Liceti, Chiabrera, Pier Battista Borgo; il quale gli scriveva da Firenze, da Perugia, da Parigi, da Bruxelles. Ma altri genovesi si presentano in carteggio con Cassiano : Angelico Aprosio, Anton Giulio Brignole-Sale, Cattaneo Cattaneo e Bartolomeo Lomellino (3). Questi, avendo veduto nel museo di lui dell’amianto, se ne invaghì e andando in Corsica per uffici pubblici ne fece ricerca, così a Pegli alla spiaggia del mare e al soprastante Monte Oliveto; fortunato di averne potuto raccogliere qui e là per 1’ amico e per sé. (1) Campori, p. 259, Casoni, Ann. della Rep. di Genova, V. 79; Riccardi morì nel 1639, Schiaffini , Ann. eecles. della Liguria , ad annum. (2) Nato nel 1597 (Libro d’ oro delle famiglie Genovesi), scuolaro di Santini verso il 1624 (Giornale dei letterati di Modena, XXXIII, p. 32). (3) Lumbroso, op. cit., p. i$4, 294. GIORNALE LIGUSTICO 255 Galileo stesso pare avesse buon concetto di Genova quanto alla stampa; poiché interrogò nel 1630 Baliani se vi avrebbero impresso le sue opere. Questi rispose che vi è uno stampatore Giuseppe Pavoni (travisato dall’ Alberi in Favai) al quale darebbe l’animo di accingervisi; senonchè gli mancano alcune cose, cioè uno che componga i caratteri, uno che maneggi il torchio, e il correttore (1). Cose invero, come ciascun vede , di non piccolo peso e che lascerebbero tristissima idea della nostra stampa, se forse non lo spiegasse la peste allora infunante fra noi; mentre si -sa che Pavoni fece edizioni non mediocri, ed una musicale assai bella vedemmo noi nelle Biblioteche di Vienna e di Londra. Ma,ritornando alle cose astronomiche, era oriondo dai patrizi nostri , benché nato a Bologna, Francesco Maria Grimaldi , il compagno nelle osservazioni a Riccioli, illustre inoltre per fenomeni ottici da lui primo notati. In Bologna stessa nel 1640 e 1650 pubblicava le sue edizioni di tavole astronomiche il patrizio nostro Francesco Montebruno ; in Genova stampava Giulio Borzone nel 1654 le sue Tavole della declinazione, del sole e delle stelle. Un diakgo astronomico composto da anonimo nel 1643 si conservava fra i manoscritti aprosiani. Frattanto il Padre ed ora Beato Carlo Spinola (2), nel 1634 osservava al Giappone quella eclissi che, in relazione coi contemporanei studi europei, dovea dar forma più esatta alla descrizione della terra. Ancora uno Spinola nato nel 1605, lasciava un Tractatus astrologicus, che potrebbe per quei tempi però significare anche semplicemente 1’ astronomia, come fu già in simili casi notato. Ma certamente di astrologia pura si occupava allora il genovese Giambattista Senno. Il quale era (1) Alberi , IX , 210. (2) Di Ottavio . op. cit., p. 114). - Ricciou. Géographie riformale, 1672, P· 3S3- 256 GIORNALE LIGUSTICO in altissimo favore presso il celebre Generale Vallenstein che lo preferiva a Keplero ; perchè questi tutto assorto in calcoli che al generale non fruttavano nulla, mentre il Senno, guardando gli aspetti de’ pianeti, sapea predirgli il giorno e , P ora in cui, cominciando la battaglia, la vittoria era certa ; nè 1’ astrologo avea mai fallito d’ un punto. Senonchè finalmente fallì una volta sola e bastò per tutte. Il Vallenstein nella notte del 25 febbraio 1634 fu assassinato; si pretende che in quell’ istante il genovese avesse notato la faccia minacciosa di Saturno, ma forse non fu in tempo ad avvertire. Di che egli dovette fuggire, perdendo in uno i danari e la'v fama; allora soltanto (dice Michele Giustiniani) Giambattista Senno fece smno; ed io tuttavia ne dubito ancora, vedendo che dopo alcuni anni (1645) a Marsiglia egli mette in luce a sue spese una edizione dell’ Astrologia d’ Origano. Non era dunque nei tempi da noi discorsi scarso l’ingegno in Liguria, se non piuttosto sovrabbondante; se contuttociò esso non stampò grandi orme nelle più sottili speculazioni della scienza, la ragione ne fu detta da Antonio Santini già lodato ; il quale, scrivendo da Genova a Giannantonio Rocca, e lodando altamente Ansaldo de’ Mari, aggiunge che solo gli uffizi pubblici gli impediscono d’alzare il volo a più nobili teorie. Così fu di Baliani, così di Paris Maria Saivago, così di letterati come Giacomo Bracelli. Poiché legati al carro dello Stato 0 per 1’ onore della stirpe 0 per più modesta ma tradizionale e gelosa confidenza, abnegavano le inclinazioni proprie, paghi del tributo prestato alla patria. Non mancavano tuttavia di curare le applicazioni della scienza alla pratica; così vedemmo di Ansaldo de’ Mari; del quale 1’ età di soli cinque anni nel 1602 c’impedisce d’attribuirgli (come ci pareva prima) il fatto narrato dal Pozzobonelli : seppure non si adatta piurtosto all’ omonimo padre, Ansaldo quond. Andrea, che trentennario nel 1597 era nominato Commissario GIORNALE LIGUSTICO 257 dei Forti in Savona. Ecco le parole del Pozzobonelli a Galilei (Campori p. 6). « Un uomo che farà restare bugiardi altri in-» gegni che 1’ Ingegneri. La sua fama qui vola gloriosa e le » operazioni sono stupende, ed è delle minori quella di fare » una animetta sottilissima di ferro che resiste a botta di qua-» lunque grosso moschettone etiam da cavaletto ». Del resto troviamo ancora nel 1632 Marino De Marini inventore d’una nuova macchina d’ artiglieria. Ma il più importante per Genova erano le navi; onde la Giunta di Marina si occupava volontieri dei disegni che gliene venivano presentati. Perfino da Brescia nel 1565 Alfonso e Camillo Balbi aveano inviato l’accenno di un loro segreto sul moto perpetuo e sul modo di preservare le navi. Nel 1652 il già lodato P. Grassi ne presentava un altro che secondo lui dava forma di sicura navigazione (1). Baliani studiava e facea mettere in esecuzione un mezzo di maggior prestezza e di minor fatica nel maneggio dei remi. Il dotto P. Guglielmotti (2), citandolo, pretende che quel mezzo era antichissimo e non sa capacitarsi come lo si battezzi per nuovo. Noi non ne sappiamo nulla e non vorremo contrastargli quando egli appunta qui qualche oscurità nell’ esposizione di Baliani, ma il nostro senatore era un uomo serio; e quando dice e stampa in faccia agli uomini del suo tempo che la sua è scoperta nuova , trovata utile ed imitata dalle altre nazioni, noi non abbiamo alcuna ragione da negargli fede. Finalmente il Chiavarese Filippo Maria Bonini, pubblicista, politico, descrittore di viaggi, si acquetò anch’ egli nell’ applicazione della scienza alla .pratica ; facendo osservazioni sul (1) Per questi progetti e relazioni ved. in Giscardi , Famiglia De Marini nell’ Origine della Nobiltà di Genova. — Archivio di Staio, Litterarum fogliazzo 1564-66 agosto 1565. Ivi pure in Busta; Privilegi riguardanti manifatture I. nn. 4, 10 per una macchina dotata di moto per-petuo ; per macchine da seccare laghi e paludi. (2) La Guerra dei Pirati, Firenze, 1876, T. 364. Nel mio Paris Maria Saivago accennai anche al gusto pel bello di quella famiglia; lo Spotorno op. cit., IV, 109 indica un bel codice a penna di poesie, coperto di pelle, con incavo ad oro le parole: Calcita Baliana. Giorn. Ligustico Anno XI. 17 25S GIORNALE LIGUSTICO corso del patrio Entella e innalzandosi fino a voler frenare l’intemperanza anche oggi lamentata del biondo fiume, colla sua maggiore opera, il Tevere incatenato. Dove ribatte Ansaldo de’ Mari chiamandolo tuttavia nuovo Archimede , e censura lo stesso Padre della nuova scienza, Benedetto Castelli (i). In fondo di tutti questi tentativi, saggi, contraddizioni, controversie, era una questione vivissima allora, ma che si può dire perpetua se si faccia astrazione dai nomi o titoli esteriori dei quali essa si riveste secondo i tempi; voglio dire lo studio della natura viva collocato di faccia alla tradizione della pratica, alla ripetizione degli antichi criterii ed opinioni. Allora la quistione era chiamata dei galileiani contro i peri-patetici. Fortunio Liceti era peripatetico, Baliani, anche prima di conoscere Galileo, studiava, come questi, il gran libro della natura e rideva di chi volea confutarlo col numero delle citazioni; così dice di lui Filippo Salviati a Galileo (2). Ma vi era ancora un terzo genovese che pensava colla propria testa, il già lodato Rapallese Gerolamo Bardi : il quale divisava conciliare le due opposte opinioni (3). So che altri ha opinato che ciò era opera impossibile, a me non pare se si tratta delle cose, non delle persone. I peripatetici non erano che i pedanti della scuola di Aristotele; alcuno dei Galileiani cominciava già a divenire il pedante della nuova scuola; mordendo, anche ove a torto e non garbatamente, le opinioni contrarie. Pedanti sempre e pei secoli de’ secoli tutti coloro cui natura rifiutò l’ingegno, e credono supplirlo imitando servilmente, più che i meriti, i difetti del maestro; i più vani facendosene sgabello (1) Spotorno V, 100-6. Nella quale opera si troveranno per lo più le altre notieie date, qui senza citazioni, ma parecchie hanno la loro giustificazione nel mio articolo : Paris Maria Saivago. Del quale Patrizio il Palazzo in Sampierdarena, non potuto riconoscere allora, si trova essere quello , ora Bonanni , in Via S. Antonio, ai piedi della Salita di Belvedere. (2) Alberi , Vili, 294-6. (3) Campori, p. 479. — Ved. anche De Gubernatis, op. cit., p. 32. — Lumbroso , op. cit. , p. 152. — Alberi, X, 1-2, 371. GIORNALE LIGUSTICO imaginano con ciò di pervenire alla immortalità. Non dicea egli stesso Galileo con santa verità che riveriva Aristotele più che noi faceano i suoi avversarli, ponendo cioè in pratica il metodo di lui? Che cosa fruttavano le teorie anteposte alle aristoteliche da altri ingegni, acuti se vogliamo , ma vaganti pel libero aere senza freno e con ali troppo impari all’assunto? Che cosa fruttò in realtà lo stesso Francesco Bacone che pose criterii giustissimi in sostanza ma che sarebbero riusciti a nulla senza l’esempio pratico degli Italiani? Gli Inglesi imparziali, anche ieri, confessavano che la via buona fu aperta prima e con più efficacia di Bacone da Leon Battista Alberti e da Leonardo da Vinci (i). Si dee studiare la natura come la studiavano questi, come la studiavano Galileo e Baliani e San Tommaso ed Aristotele; nè si può far carico al metodo di non aver procreato prima le scoperte. Anche Cavalieri erasi stillato tanto il cervello per creare la teoria degli indivisibili, sommersa poi nelle più alte speculazioni di Newton e di Leibnizio. Ed egli meravigliava, come di grande scoperta, d’ aver capito che le quantità negative aveano valore reale, crescente e decrescente; cosa che ora l’ultimo degli scuolari di matematica conosce senza fatica. Il conserto della speculazione col senno pratico è la strada regia, la più acconcia alla tempra italiana ; quella che, attraverso alle oscillazioni del giorno, assicura il vero progresso, ed a cui auguriamo si attengano i nostri giovani, per onore loro, della patria e della Nazione. C. Desimoni. (i) I Precursori inglesi del Newton ; Edinburg Review, luglio 1880, tradotto dal Favaro pel Bullettino del P. Boncompagni sopra lodato : ivi 1880 , p. 489. \ 26ο GIORNALE LIGUSTICO ' VARIETA’ UNA POESIA SATIRICA CONTRO GENOVA La lotta che la Repubblica di Genova fu costretta a sostenere contro la Corsica nel secolo passato, riuscì esizialissima al suo Governo , e non ultima cagione di quella decadenza che la trasse a ruina; perchè, confessiamolo apei to, il suo robusto organismo, reso debole e fiacco dai colpi poderosi esterni ed interni, era già disfatto assai prima del 1797· Convien dire eziandio che fu disgraziata, essendosi, propiio. per le còrse faccende, gravato malamente sopra di lei 1 Inghilterra, Γ Olanda, Roma e quella stessa Francia che faceva le viste d’aiutarla. Poi venne il terremoto del 17465 e allora a coequiderla s’aggiunse l’Austria e la Sardegna; e non le avrebbero davvero lasciati che gli occhi per piangere, come sacramentava il generale Botta, se le carezze del bastone tedesco , ricevute dai nobili con tanto sorriso di. longanime abnegazione, non avessero fatto stridere il sangue nelle vene del popolo. Ma nel fatto della Corsica, durata, in aperta ribellione per 40 anni, non seppe mostrare nemmeno quella prudente saggezza onde aveva saputo uscire con onore da rovesci non men gravi, e troppo chiaro scoperse il suo lato debole. Fu infelice anche nella scelta dei governatori e degli altri uffi-ziali, anzi parve una disgraziata fatalità che quel solo da cui poteva sperare qualche buon successo, Giovan Gerolamo Veneroso , fosse richiamato per gli intrighi dei suoi emuli. Nello svolgersi di quegli avvenimenti vennero fuori non pochi libelli così da una, parte come dall’altra, nè mancarono le satire mordaci, una delle quali, inedita, per quel ch’io ne so, è la seguente (1): (1) È in un manoscritto della R. Biblioteca Universitaria di Genova. CIORNALE LIGUSTICO L’ AVE MARIA. Infelice Governo, e poco accorto, Agitato tu sei in tanti intrichi, E non trovi chi applauda, e chi ti dichi: Ave. De’ gigli la Corona ne sprezzasti Dimentica de’ tuoi passati guai, E appo di quella più non troverai Gratia. Sgrida fin San Marin la tua pazzia , Cagion di tanti mali e infausta guerra; È di tua ambizion tutta la terra Piena. L’ avara avidità fa che tu ceda La Corsica Corona, e ’l suo splendore; Tu mai più non sarai, con tuo rossore, Dominus. Misera ! che perdendo questo regno Saran da quello i tuoi sbalzati via, E solo resterà la frenesia Tecum. Alla veneta donna allor rivolta, Saggia del mar Regina, esclamerai, Coprendoti confusa le dirai: Benedicta tu. Sconvolta dall’ interni, esterni affanni, Ti crucia la superbia, et io ben sento Star solo il tuo ristoro, il tuo contento in mulieribus. Divenuta tiranna nel Governo, Ognun de’ figli tuoi ti maledice, E viva il Corso, ad alta voce, dice, et benedictus. Spedisti, è ver, il saggio Veneroso, Per comporre i tumulti suscitati, Ma malignato fu da figli ingrati fructus ventris tui. 262 GIORNALE LIGUSTICO D’ Aquilone in un mar F aiuto implori ; Se ti lusinghi è frenesia non poca, Spera nel ciel, ma pria pentita invoca Jesus. Con suppliche e novene a Dio ricorri, Ma i popoli gravar non cessi mai, Indi ti lascierà sempre ne’ guai Sancta Maria. Humile fu Maria, Casta e Pura, Tu superba, tu ingiusta ed infedele, Esaudirti non può Maria Fedele, Mater Dei. Sono alteri i ministri e interessati, Usurpano 1’ altrui i prepotenti, Dir osano a Maria, quasi innocenti: Ora pro nobis. Convien chieder pietà col cor contrito, Detestar la superbia a’ piedi suoi, E gridare: perdon voi date a noi Peccatoribus. Ma da Roma Pasquin dà la sentenza, Ordinando alli Corsi il non tardare, Oprate (scrive) e fatteli impiccare Nunc. La ragion delle genti hanno abolita, Li vostri privilegi hanno anullati, Ora fate, che lor sian tormentati, φ Et in hora mortis. Al Dio delle vendette, o Corsi, i prieghi Dirigite con pie devot'ioni, E sian queste al Signore 1’orationi Nostrae: La fè, la libertà a noi serbate, , I nemici fugate, a noi la pace » Date a’ cuor, date all’alma, ma verace: Amen. L’accenno allo sprezzo in cui la Repubblica tenne la « Corona de’ gigli, » cioè la Francia, ci farebbe credere GIORNALE LIGUSTICO 263 questa poesia dettata nel 1751 , quando avvenuti nell’isola alcuni seri contrasti fra i comandanti genovesi e il marchese di Cursay, il re richiamò le truppe francesi; le quali avrebbero lasciato il paese in un abisso di disordini senza rimedio. Ma il toccare subito della cessione, mi dà sospetto che debba ascriversi piuttosto al 1768, se pure il poeta non rispondeva ad un sentimento che fin d’allora veniya man mano formandosi nella generalità; che cioè Genova, non essendo più atta a mantenere la signoria su quell'isola, fosse costretta dalla forza dei fatti a cederla. E la cessione di questo popolo che il Galiani definiva « nè nazione, nè ribelli », ma « una terza natura indefinibile», avvenne pur troppo, come lo stesso abate, con paragone afrodisiaco, avea preveduto, nonostante tutte le abbottonature del Sorba, ministro genovese a Parigi. Anzi, vedute le gelosie e le picche, e il fuoco destato da questa eterna questione còrsa, il celebre napoletano metteva innanzi una sua idea, che gli pareva « più nuova che strana », ed era la seguente : « Dare la Corsica al Papa in cambio d’ Avignone e Benevento. Il Papa potrà dare ai Genovesi, jjer esempio, la nomina ne’ loro vescovati e benefizi. La Corsica dovrà tenersi dal Papa nel modo appunto in cui è Bologna, cioè autonoma, quasi indipendente , e solo decorata da un monsignore , o cardinale legato. Così niun sospetto alle potenze marittime, niun ingresso ai Borboni in Italia, niuna spesa alla Francia. Terra del Papa si difende da sè, e senza guarnigioni , perchè tutto il cattolicismo ne è garante » (1). Se si fossero accomodate le cose così, chi sa quel che poteva avvenire? E se Napoleone fosse nato suddito del Papa?... In ogni modo oggi quell’ isola non sarebbe italiana soltanto geograficamente. A. N. (1) Lettere al Tanucci neh' Archivio storico italiano. 264 giornale ligustico LIBERTÀ DI SCIVERE Lo scrivere istorie non era certo nel secolo XVII Γ ufficio più agevole, perchè la verità conveniva acconciarla alle voglie dei potenti , i quali mal soffrivano, non dirò il severo biasimo, ma neppure un men benevolo giudizio. Di qui lo studio dei governi nel ricercare con sollecitudine chi aveva in animo di narrare i fatti contemporanei, a fine di blandirli e renderseli amici ; di qui il patteggiare degli scrittori mercenari , tanto frequenti e così spudorati. Che se fra gli storici v’ avea pur qualche animo onesto , il quale nella sua ingenuità reputava stretto dovere non dipartirsi dalla rettitudine e dal vero, gli s’addensavano sul capo molestie così fastidiose, e nembi tanto miniccevoli, che si vedeva pur finalmente costretto a sottostare all’ altrui volere. Ce ne porge un esempio il somasco Giuseppe Ricci bresciano. Dopo aver pubblicato in latino la Storia delle guerre di Germania, si era messo a dettare nella stessa lingua le Storie italiane del suo tempo ; vinto specialmente dalle istanze e dagli incoraggiamenti degli amici, sebbene non si dissimulasse i gravi ostacoli cui andava incontro, dovendo dire delle verità un po’ amare, e quindi non accette ai principi. Se non che quando fu a domandar licenza ai suoi superiori di consegnare ai torchi il lavoro, gli venne comandato di smetterne il pensiero per molte ragioni di convenienza; tuttavia essendosi mostrato pronto a tagliare e a correggere quanto fosse creduto opportuno, gli riuscì di strappare il permesso della stampa. « Sed (egli scrive quasi perdendo la pazienza) quanta mihi ante patientia in retexendis liberioribus dictis desudandum fuit! Quot loca aliquibus aspersa cavillis damnata tollenda! Fastidiebam nimis acerbam criticorum censuram singulis fere lineis aliquid vellicantem: expunge hoc, aufer istud, ista ne tangas, mollius haec, parcius ista , abstine dicto , acrius pungis, haec GIORNALE LIGUSTICO 265 scripta laedent, ut me centies poenituerit bos damnosos scribendae historiae futuros labores suscepisse, quando nuda rerum veritas exprimi sine pernitie non possit ». Come Dio volle si arrivò in fondo, e P opera venne fuori sili primi del 1655 (1). Se riuscisse accetta all’universale e specie ai governi d’Italia non so ; certo dispiacque, e non poco, alla Repubblica di Genova. · Quivi i librai innanzi di mettere in vendita un’opera nuova dovevano presentarne una copia agli Inquisitori di Stato, affine di ottenere il permesso dell’ introduzione. Il magistrato, cui per legge era data grande autorità in fatto di stampe , esaminava F opera e poi prendeva una deliberazione definitiva ; 1’ esame era molto severo, e ben difficilmente sfuggiva la più piccola cosa all’ occhio linceo del censore. La storia del Ricci subì una lunga e minuta revisione, e si trovò « che in due narrazioni, una della guerra del 1625 , l’altra della congiura di Vacherò, non solo si affermano delle cose contro verità o diversamente da essa, ma che di più s’ingerisce 1’ autore a trattare in occasione di quei frangenti poco favorevolmente della Repubblica Serenissima e suo governo, non senza livore e studio (a quel che pare) di deprimerlo »; perciò venne ordinato al libraio di non commetterne, e ne fu proibita la vendita. Nel darne notizia al Senato gli Inquisitori osservano « in riguardo di divertirne il pregiudizio »,che « trattandosi... di opera già stampata e pubblicata.... le dimostrazioni più strepitose non servirebbero ad altro che ad eccitare la curiosità di leggerla e così ad accreditarla ». Consigliavano bensì di muoverne lamento al Superiore del Convento dei somaschi di Genova, ed al padre Provinciale, che doveva arrivare in quei giorni, significando loro la grande meraviglia del Go- (1) Joseplii Riccii Brixiani E. R. C. S. Rerum Italicarum sui temporis Narrationes. — Venetiis, MDCLV. 266 GIORNALE LIGUSTICO verno .nell’ aver veduto consentita la stampa di una storia che tratta delle cose di Genova « con sì poca verità e minor decoro » : tanto più che certi convenienti riguardi si erano usati , secondo appariva dall’ avvertimento al lettore, con gli altri governi d’ Italia, mentre anche la Repubblica aveva diritto d’ aspettarseli « dalla prudenza de’ superiori di una religione.... tanto ben visa, stimata e ben trattata » in Genova. Il superiore dei Somaschi si recò sollecitamente a Palazzo dietro invito del Doge, dal quale, per incombenza del Senato, ebbe una solenne « passata ». Promise il Padre colla più gran premura, e mostrandosi molto dispiacente, che si sarebbe procurata la correzione dell’ opera secondo il gusto e i desideri del Governo; gli Inquisitori stimarono non si potesse fare ormai cosa veruna che non paresse « un em-piastro da apportar piuttosto danno che rimedio » ; poiché d’ altra parte « si avrebbero a variare li discorsi e narrazioni intiere, non che correggere le parole e detti pregiudiziali » al Governo. Si finì dunque con decretare che il P. Ricci, « essendosi dimostrato sì male affetto verso la Repubblica in ciò che non meno falsamente che malignamente ha scritto », non dovrà mai venire in Genova o nel dominio « senza la particolare permissione » del Senato (i). A. N. spigolature intorno al bombardamento del 1684 Quando Genova dovette subire la dura legge del più forte; mentre dinanzi al « Giove Gallico » si comportava con santa fermezza e dignità, faceva conoscere ai diversi stati la insigne prepotenza che le era fatta. Ebbe in risposta attestati di simpatia , e condoglianze , chè altro non poteva ottenere nelle condizioni politiche di quel tempo. (1) Archivio di Stato di Genova, Misceli. Econ. e. Polit. , Fil. 4. GIORNALE LIGUSTICO Carlo III duca di Mantova mandava la lettera seguente : Serenissimo Doge et Eccellentissimi Senatori, » Anco nelle congiunture presenti, che perturbano la quiete di cotesta repubblica, si è compiaciuta V. A., unita all’EE. VV., di portarmene con sensi di rammarico una ben distinta notitia. Io compatisco al caso, e col riflettere nello stesso tempo alla passione del loro animo, non lascio di attestarne con queste righe il mio sommo spiacimento. Le ringratio dunque dell’ ufficio passato meco; et augurando a V. A. e VV. EE. opportuno sollievo, cordialmente mi confermo Mantova, 14 giugno 1684. Al servitio, ece. Il Duca di Mantova. Poco dopo gli Stati generali d’ Olanda scrivevano una lettera, la cui traduzione, eseguita per leggerla in Senato, è di questo tenore: Serenissimo Duca et Eccellentissimi signori, o / Habbiamo ricevuto la lettera di VV. SS. Ser.me de’ 27 di Maggio passato, per la quale si servono darci intiera notitia delle ostilità cominciate, et esecutate dal Re^i Francia contro la Repubblica e Città di Genova, e come per la parte a VV. SS. Ser.me per le notificationi et advertenze fatteci le diamo con questa le gratie, così per l’altra non habbiamo voluto mancare di manifestare a VV. SS. Ser.me che con grande sentimento habbiamo visto per la lettera di VV. SS. Ser.me che 1’ alto e poderoso Re di Francia, valendosi delle forze del suo potere, con pretesto di mala sodisfatione alla alla Repubblica e città di Genova, con termini incredibili fece intendere alla detta città e suoi cittadini, tanto col gittar di bombe come altrimenti, l’incomparabile danno li soprastava. Veniamo con ogni verità ad assicurar a VV. SS. Ser.me che la disgratia sopravvenuta alla detta Città e Repubblica di 268 GIORNALE LIGUSTICO Genova ci trapassa il cuore con sospiri interiori, confidando e desiderando che Dio vorrà conservare la Repubblica e Città di Genova da maggiori inconvenienti e ruine, e con la sua benigna e santa benedizione la renda cosi prospera, acciò con questo il maggior danno fatto a’ suoi cittadini e città di Genova si risarcirà e si ridurrà al suo primiero stato, come parimente noi altri con ogni verità dichiariamo che non desidereremo altra cosa in ogni tempo; che perseverare e continuare con la Ser. Repubblica e città di Genova con P istessa intelligenza et amicitia, e con questa testimonianza terminiamo pregando a Dio. L’ Haya, li 28 Giugno 1684. D. Von Wijngaerde. Appena che al governo venne riferito come Cristina di Svezia, inteso l’eccidio della città,' si fosse « protestata che prenderebbe volentieri la condizione di privata dama genovese, per essere a parte delle genovese risoluzioni mostrate, in difesa della libertà e dell’ onore », s’ affrettò a ringraziarla di questi benevoli sentimenti. E Cristina rispose così : Serenissimo Signor Duca, L’ essere persuasa V. Ser.tà eh’ io habbia compatita lei e cotesta Repubblica nelli mostruosi successi della loro bella Città, m’è d’una somma consolazione; ed io devo molto all’ affetto di chi havrà saputo rappresentarle i miei sì giusti sentimenti in un occasione tanto inaudita. Molto però mi dispiace il non haver operato io cosa che meriti il ringraziamento, che s’ è compiaciuta di farmi, e del quale io resto tanto più tenuta alla sua cortesia, per havermi dato campo di congratularmi seco dell’ immortai gloria acquistata sotto il di Lei governo alla Repubblica ed alla Patria sua, per la quale devono reputarsi per ben spesi tutti li danni, e le rovine sofferte, mentre hanno saputo conservare con sì heroica, et invincibil costanza la loro sovrana libertà. Io intanto auguro a me stessa qualche segnalata occasione GIORNALE LIGUSTICO 269 nella quale io possa darle attestati degni della parzialità, ch’io professo a tutti li loro interessi pregando il sig. Iddio che sempre più li prosperi, protegga, e sopra tutto conservi in loro sì generosi e magnanimi sentimenti, e resto Roma, 8 Luglio 1684. Di V. Serenità Affezionatissima Christina. Vi furono allora anche alcuni zelanti, i quali indicarono al governo certe nuove maniere trovate-di fresco, per meglio difendere la città, se le ostilità, secondo si temeva, si rinnovassero. Un don Giuseppe Santini suggeriva « alcuni modi da fuoco » per riparare la città da « peggiori ruine » , ed anche « un modo nuovo di struggere la pietra a guisa di piombo con facilità , e formarne palle da moschetto e cannone, in defìcenza di piombo o metallo ». Il padre Angelo Maria de Rossi da Voltaggio, guardiano dei Cappuccini di Rieti, scriveva questa lettera : Serenissimo Signore, Appassionato sopra modo un sacerdote secolare suddito della Corona Cattolica , per le durezze praticate dal Cristianissimo a’ danni dì cotesto serenissimo Dominio, si compiace di conferirmi qualmente un altro sacerdote pur secolare da Spoleto, ora habitante in Venetia, confidentissimo suo, lo ragguaglia haver inventato un secreto di portare il tiro del moschetto, canone, e mortaro a doppia lontananza del-Γ ordinario, asserendo di haverne fatto prova alla presenza del Duca di Parma; il che saputo dall’ambasciatore di Francia appresso la Repubblica di Venetia, fa pratica di trasmetterlo alla corte del suo Re : ma dissuaso dall’ amico si tiene sarà disposto di comparire in Genova qualvolta Vostra Serenità si compiacesse farlo chiamare. Per tanto non mi è parso, come della Natione, et oriondo dell’ antica famiglia de Rossi di cotesta città, devotissimo al pari d’ ogni uno, et affettio- GIORNALE LIGUSTICO natisimo alla Patria, non mi è parso, dissi, di transcurare darne motivo a Vostra Serenità, acciò giudicando la di lei prudentissima vigilanza tentare P occasione di qualche sollevo coll’ eccennato secreto, possa valersi dell’ avviso ; il sacerdote inventore si chiama D. Antonio Petrini, e suole essere a celebrare la santa messa nella chiesa della madonna della Fava in Venetia. Quello sacerdote amico mio chiamato D. Sebastiano Marchese, m’ assicura, che in questo medesimo ordinario scrive et esorta P amico suo a voler condescendere di transferirsi a Genova per tale effetto, quando ne venga richiesto, sì che spero non sia per haverne difficoltà. Habbia lei intanto la bontà di gradire questo piccolo segnale della mia divottione; compatisca 1’ ardire e degnandosi di farmi accertare della ricevuta di questa, di cui per maggior sicurezza ne farò il dupplicato per P ordinario venturo, m’essibisco a tutto il più che mi sarà comandato, et inchinato humilissimamente alla Sacra Corona, prego il Signore che P assista nelle correnti emergenze, e conceda la sospirata quiete a codesta serenissima Repubblica. Questa proposta venne accolta con favore, e se ne scrisse subito a Venezia all’abate Tuvo, affinchè, ove la cosa fosse vera, mandasse a Genova l’inventore. LETTERE INEDITE DI L. A. MURATORI (i) a Bonaventura de Rossi (2). I. Modena, 10 Novembre 172;. I caratteri di V. S. quanto più improvisi mi son giunti, tanto più cari mi sono riusciti, e massimamente al vedere con quanta bontà ella si ricorda de’ miei studj, èd anche coopera al vantaggio de’ medesimi. Ma (1) Gli autografi si conservano dal Comm. Santo Varni. (2) Nacque in Sarzana il 9 aprile del 1666, e nella sua giovinezza fu assai dissipato, onde il padre lo diseredò. Più tardi, accortosi della mala via , si mise a studiare da senno , e a Roma ottenne la laurea in ambe le leggi. Tornato in patria si diede allo studio delle storie paesane, GIORNALE LIGUSTICO sopra tutto m’è stato caro il vedere ch’ella mi ha introdotto alla conoscenza, ed amicizia del signor Domenico Muzzio archivista del Collegio D D di cotesti notai (i), persona, che io sentii nominare quando una volta fui costì, e che bramai anche di poter conoscere. Le memorie da lui · con gentilezza sì generosa a me trasmesse , quantunque a riserva d’ una , non fossero a me ignote, pure le ho sommamente gradite, e mi fanno intendere, che egli abbia di moltissime altre antichità, le quali potrebbono pur tanto servire al bisogno mio, e ad illustrare i secoli scuri dell’Italia, e a far onore a cotesta nobilissima città·. E bisogna bene che egli sia di un bellissimo genio, al vedere che gode della stampa di codesta istoria, quando forse altri avari perchè ignoranti, le vorrebbono sempre sepolte (2). Credo io con ciò d’aver fatto un ottimo servigio a cotesta Ser.™ Repubblica, e seguiterò a fargliene. Ma s’ egli ancora volesse cooperare a sì bel disegno, mi obbligherebbe pur tanto ! Fra 1’ altre cose amerei, eh’ egli volesse prestarmi il suo manoscritto delle storie dello Stella per corffrontarlo colla copia mia, acciocché tale storia uscisse ben purgata, e con tutto decoro della sua patria. Basterebbe inviare esso testo a Milano, dove ho già mandato la mia copia e sarebbe il signor Muzzio sicuro della restituzione. Di grazia il preghi di questo favore ; e in caso, siccome spero, che sia per graziarmi, allora mi prenderò la confidenza di scrivergli io a dirittura; perchè stimerei molto la corrispondenza d’ un signore sì dotto, e sì amante dell’ antichità (3). E perchè, a Dio piacendo, darò anche uno, o due tomi d’ antichi Di- nelle quali molto si addentrò ; ed a lui si deve il primo ordinamento dell’ arçhivio comunale di Sarzana , e poi di quello, insigne per antichi documenti, di S. Maria delle Grazie nel golfo della Spezia, oggi disperso miseramente. Lo troviamo in seguito a Genova condottovi dal bisogno di procacciarsi da vivere ; e quivi lavorò indefessamente negli archivi conventuali e privati, riducendosi ben spesso all’ umile ufficio di copista. Morì in questa città nel 1741. Tre sono le sue opere a stampa.—j. Teatro dell' umana redenzione aperto a’ fedeli. Relazione istorica del sacro e pretioso sangue di N. S. Gesù Christo insignissima reÙiquia che si conserva nel Duomo della città di Sarzana. In Massa MDCCVUI. Per Girolamo de Marini. — 2. La vita di Nicolao V Papa, sciolta da’ vincoli della menzogna e restituita alla verità. Raziocinio istorico. In Milano MDCCXVI, Agnelli. — 3. Istoria genealogica e cronologica delle due nobilissime Case Adorno e Botta. In Firenze MDCCXIX, Tartini e Franchi. Lasciò varie opere manoscritte diligentemente descritte da Giovanni Sforma nel Saggio di una bibliografia storica della Lunigiana (Tom. 1 pag. 179-181). Ma quello che gli fa grande onore si è la sua lunga corrispondenza co1 Muratori, e 1’ onorevole menzione che questi ne ha lasciato così nelle Antichità Estensi (Tom. 1, pag. 183 e 240) come nella grande Raccolta (Έ. I. S. XXIV, $11). (1) Cfr. Giornale Lig. anno 1881, p. 75. (2) È noto come al Muratori fosse negato Γ accesso così all’ Archivio del governo come a quelli privati, nè potesse ottenere aiuti sulle prime per la sua Raccolta. Lo Spotorno loda questo rigore (Nuovo Giornale Lig. a. 1837, pag. $). (3) Cfr. Giorn. Lig. a. 188r, p. 478. 272 GIORNALE LIGUSTICO plomi, Bolle, Placiti ecc. potrebbe egli anche in ciò' giovare al Pubblico, e somministrare materia a me da illustrare cotesti paesi, con darmi quelle carte, cioè copie, che sembrassero a lui più gloriose per la sua città. E intorno a ciò prego V. S. di non parlare, se non con lui solo, perchè so cosa son le Repubbliche, dove son tante teste, nè manca mai chi è contrario al meglio, e poco ci vuole ad impedire le più belle imprese. Ad alcuni bisogna fare al loro dispetto del bene. Dica poscia a Lui, che molto bene sussiste la mia sentenza intorno all’ autorità marchionale del marchese Oberto, perchè i Marchesi erano sopra i Conti, e sopra i Consoli ; nè proverà egli mai, che .prima del mille i Rapailini fossero .repubblica libera, e non sottoposta ad alcun Magistrato. I Marchesi erano governatori della provincia, e a loro si appellava da i Conti. Se mai V. S., o il signor Muzzio sapessero qualche altra vecchia storia degna di luce, e massimamente, che continuasse la cronaca dello Stella fino al 1499 avrei pur caro di saperlo, e molto più di ottenerne copia. intanto ella renda infinite grazie per mio conto al gentilissimo sig. Muzzio ; e gli offerisca pure la mia servitù, perchè mi pregerò d essere tutto suo. Finalmente mi rallegro di raccogliere dalla lettera di V. S. che ella goda buona salute, cosa a me carissima, e suppongo ancora, ch ella andrà studiando dietro a qualche nuova letteraria impresa. Vo anch io seguitando la mia; e desideroso d’ubbidirla, e sempre ricordevole di tanti altri favori da lei ricevuti, le rassegno il mio rispetto, e mi ricordo. IL Modena, 12 Maggio ì727* Non ho prima d’ ora potuto rispondere al foglio di V. S. del Marzo prossimo passato, perchè la mia sanità infievolita non me 1’ ha permesso. Ora dunque le dico d’ avere rimandato al signor Marchese Abate Mala-spina la di lei storia della Lunigiana. Sarà cura di lui il farne quell uso, che a lei piacerà. Intanto io le scrissi intorno alla casa Malaspina ciò eh’ io non approvava, perocché dubitava eh’ ella pensasse a stampare quella sua fatica. Io non credo che nelle genealogie ed opere altrui V. S. si quieti sull’ asserzione di qualche moderno, ove si tratta di cose lontanissime da noi per secoli. Altrimenti bisognerebbe prendere per buona moneta la falsa di tanti genealogisti. Lo stesso avverrebbe a chi per mostrare l’origine della Casa Malaspina si valesse d’autori degli ultimi secoli, i quali senza pruove, senza memorie autentiche, e senza autori o GIORNALE LIGUSTICO 273 contemporanei, o vicini, non ne sanno più di quello che sappia ognuno di noi. Il vero ripiego dunque si è dire: io noi so, nè posso saperlo. Non mancherò io d’ esporre a Milano il consiglio di V. S. intorno la stampa a parte della cronaca dello Stella. Avrei caro, eh’ ella fosse a riverire in mio nome P onoratissimo signor Musso, e di chiedergli, se in Genova si truovino gli annali del Se-narega, che continuano lo Stella e arrivano fino al 1514. Giacché nulla si può avere di nuovo di costà, penso di valermi di questo autore, intorno al quale avrei bisogno di qualche notizia. Riverendola con tutto lo spirito, mi confermo. III. Modena, 28 Agosto 172η. Mi significò tempo fa V. S. di avere inteso dal nostro dottissimo signor Musso (sic), che dopo lo Stella scrisse delle cose di Genova Gotifredo da Albaro, dopo di questo Antonio Gallo, e finalmente il Senarega. Ora io sono a pregare la di lei bontà, supponendola in città, che voglia portare i miei rispetti al suddetto riveritissimo signor Musso, e dirgli , che il Senarega spero d’ averlo da altra parte ; e eh’ io bramerei copia degli altri due cioè di Gotifredo e Antonio, sopra di che avrei caro d’intendere, s’ egli possa procurarmi questa grazia, o pure s’io ne abbia da scrivere al signor Marchese òiovan Luca Pallavicino. Il mio desiderio sarebbe di dare una compiuta continuazione di cotesta istoria, e ognuno di cotesti signori dovrebbe aiutarmi in questo. Resterò ben tenuto a V. S. di quanto ella opererà per favorirmi, e desiderando le occasioni di ubbidirla, con tutto lo spirito mi rassegno. IV. Modena, 5 Febbraio 1750. Vo disponendo per le stampe gli Opuscoli di Antonio Gallo, e di Gotifredo da Albaro, e la storia di Barlolomeo Senarega; e ricorro all’erudizione di V. S. e del nostro sig. Mussi (sic), a cui la prego di portare i miei rispetti, per sapere qualche cosa de gl’ impieghi, dell’ età, vita, e scritti di essi storici, se pure se ne può sapere. Io non ho qui pure un libro, che tratti degli Scrittori Genovesi. Forse ne avrete voi altri signori. Trovandone, di grazia mi copii quanto è detto di loro, acciocché nelle prefazioni io possa dare qualche lume intorno ai medesimi. Alla lor bontà resterò io ben tenuto per questo favore. Non tarderà a mettersi sotto il torchio la Cronaca di Giorgio Stella continuata dal fratello ; ma senza aver io saputo ben dire, dove termina Giorn. Ligustico, Anno IX. 18 274 GIORNALE LIGUSTICO il primo, e seguiti Γ altro ; due testi Ambrosiani finiscono verso il fine dell’anno 1409; il Veronese, e quello del sig. Mussi seguitano innanzi; un Vaticano termina nel fine del 1405. Farò menzione de’ favori compartitimi dal signor Mussi, che dirò Archivio publico Genuensium Praefectum. Mi dica V. S. se sta cosi, e se ho da aggiugnere alcun altro grado. Con desiderio di saper buone nuove di lei, e di esso sig. Mussi, le ratifico la mia costante osservanza, e mi confermo. _._ t A Nicolò Domenico Muzio. I. Modena, 10 Gennaio 1726. Non meno dal cortese foglio di V. S. lll.ma che da un altro benignissimo del signor Marchese Giovan Luca Pallavicino, intendo già trasmesso, e inviato in mani sicure il di lei manoscritto. E però mille grazie le rendo per questo favore, al quale io corrisponderò con tutta fedeltà con fare, che il medesimo manoscritto sicuramente ritorni alle di lei mani. Mi sarà caro al maggior segno d’ intendere, se si possa trovare, e avere da poter mettere in luce anche la continuazione dello Stella fino al 1500, poiché così verrebbe cotesta nobilissima città a mostrare una storia seguita per tanti secoli : pregio che non sarebbe comune ad alcun’al-tra. Le speranze , che me ne dà la di lei bontà, faranno eh’ io non desista dal supplicarlo di questa grazia, la quale ha congiunto l’onore della di lei patria, e della raccolta mia. Certo che s’io avessi avuto ne’ tempi addietro quel buon filo, che finalmente la fortuna mi ha presentato nella stimatissima amicizia di V. S. 111.™, il Caffaro avrebbe potuto uscire più corretto (1). M^ una tal balìa non l’ho io mai potuta rinvenire costì ne gli anni passati. Pazienza ! a me basta d’intendere, che le scorrezioni non sieno di sostanza. Starò intanto attendendo il manoscritto spettante alla nobilissima Casa Doria, sperando che sia tale da poter comparire, siccome io desidero, in questo gran teatro. Così facessero altri, e si prevalessero di questa (1) 11 codice che servi alla stampa del Caffaro appartenne a Gian Luca Durazzo, e ne trasse la copia il de Rossi a petizione dell’ Ab. Giuseppe Malaspina (Lett. del Malaspina al Sassi 16 luglio 1725 nell’ Ambrosiana). Il Muzio aveva scritto al Muratori : « Venendo poi al particolare del volume del Caffaro, é stato accettato con gusto grande de’ letterati, e di quei nobili amanti d antichità ; ed avendolo io collationato con 1’ antichissimo originale autentico, che si ritrova nell Archivio secreto di questa Repubblica col stampato in Milano, ho ritrovato essere mancante ossia mutilato in quasi tutti gli annali del 1200, non però in cose di molta importanza, ma in certe minutezze ; ed essendone stato interrogato, ho risposto camminare bene, non esservi niente opposto che non sii scritto in detto volume, e se è mancante, questo è difetto delli testi diversi che sono stati mandati in Milano, e che cammina bene secondo la sostanza ». GIORNALE LIGUSTICO 275 sì bella congiuntura per propria gloria, senza lasciarsi condurre dall’ignoranza, madre di vane gelosie, e di ridicoli timori. Ma giacché ella, da quell’ ottimo conoscitore che è del meglio, nutre sentimenti ben diversi, non lasci, eh’ io la ne scongiuro, di andare cercando, quali altre antichità restassero costì, dalle quali si potesse accrescere l’onore a Genova, e all’ Italia ancora, sì presso ai nostri, che a gli oltramonti, e sì ai presenti, che ai futuri. Di tutti i favori le resterò io eternamente tenuto. Intanto ringraziandola con tutto lo spirito di quei, che già mi ha fatto godere, e pregandolo, se vedrà il nostro signor Bonaventura de Rossi, di riverirlo caramente in mio nome, e di dirgli che in breve risponderò ad una sua, le rassegno la mia vera osservanza e mi ricordo. II. Modena, ij Febbraio 1726. Pel corriere di Parma ieri appunto ricevei il manoscritto inviatomi da V. S. Ill.m» dei trionfi della Casa Doria, insieme con gli opuscoli stampati del Bracelli. Mi è stato caro specialmente il primo, perchè cosa inedita, e tale, ch’io ben volontieri l’inserirò nella gran raccolta. Ma gli è impossibile il trovare presso questi PP. Agostiniani l’opera del Padre Gandolfo, perchè non danno gran guasto alla Scrittura. E però ricorro alla di lei bontà, acciocché mi voglia far copiare ciò eh’ egli scrisse intorno al Montaldo, autore d’ essa operetta , acciocché io possa valermene nella prefazione. Avrà il pubblico Γ obbligo a lei di questo dono, pel quale intanto io sommamente lo ringrazio. Quanto al Bracelli vedrò s’io sia in istato di ristampare cosa alcuna di lui. Tante sono le storie edite dopo il 1400 che fanno paura, e io perciò non mi sono impegnato a pigliare, se non quelle , che saran credute più utili o necessarie. E da che ho più scrittori, che minutamente raccontano la guerra di Chioggia, certo non penso di valermi del Bracelli per questo, e tanto più che è autore molto posteriore a quel tempo. Tutto ritornerà fedelmente alle di lei mani. Intanto se le venisse fatto di scoprire altra cosa d’ antico, che paresse a lei propria pel mio vasto argomento, non si stanchi di favorirmi. Con che rassegnandole il mio ossequio, più che mai*mi protesto. ni. Modena, 12 Aprile 1726. Con piacere ho letto quanto V. S. Ill.ma ha avuto la bontà di accennarmi intorno alle opere di Frate Adamo da Montaldo, di tutto mi pre- 276 GIORNALE LIGUSTICO varrò nello stendere la prefazione al suo Opuscolo intorno alla nobil Casa Doria. Già è all’ ordine il manoscritto d’essa operetta insieme con lo stampato del Bracelli per ritornarsene alle di lei mani, aspettando io occasione opportuna per soddisfare a questo mio debito. Senza fallo eh’ io pubblicherò la Cronica di Giacomo da \7aragine ; ma non ho potuto di meno di non toccare la semplicità di un tale scrittore, per le molte inezie, eh’ egli porta intorno all’ origine di Genova. Per altro giacché ella desidera così, farò che sia aggiunto il titolo di Beato del quale credo di non aver fatta parola. Non lascio io di raccomandarmi alla bontà di V. S. Ill.ma per ottenere qualche scrittore, che abbia continuato gli annali dello Stella fin verso il 1500, con ricordarle però il bisogno mio, che tale storico abbia scritto prima del 1500 o in quel torno. Così avremo una storia seguita di cotesta nobilissima città dal 1100 fino al 1500 : cosa che non può vantare alcun’ altra. Con ringraziarla vivamente de’ favori già a me fatti, e con supplicarla dei nuovi, la prego de’ miei rispetti al gentilissimo signor Marchese Giovan Luca Pallavicino, e con tutto lo spirito mi rassegno. IV. Modena, 16 Agosto 1726. Quando io mi credeva, che la Cronica dello Stella fosse già stata collazionata in Milano col buon testo, di cui V. S. per sua bontà mi favorì, sento dal signor Goffredo de Filippi, a cui fu da me raccomandata, e al quale ultimamente ne scrissi per intendere, se era per anche stato restituito il di lei manoscritto, che non s’ era per anco fatte stante Γ andata a Roma del bibliotecario dell’ Ambrosiana, il quale dovea somministrare un altro testo di quella biblioteca; ma che s’ intraprenderebbe il lavoro quanto prima. Mi son doluto di tanta tardanza, e indarno mi sono augurato, che il suo manoscritto fosse venuto a dirittura a Modena, che mi sarei fatto rimandare il mio da Milano, ed ora sarebbe terminata questa fatica. Son dunque a pregare la di lei bontà, che voglia condonare la soverchia tardanza, e riposarsi sulla certezza, che il suo manoscritto sta in buone mani, e sarà puntualmente restituito, essendo a mio carico questo dovere. Fin la primavera passata io trasmisi a Milano al suddetto signor Filippi i due libri, de’ quali mi fece grazia V. S. cioè del Bracelli, e 1 Opuscolo della Casa Doria, acciocché glieli facesse tenere. La prego di dirmi se siane seguita la restituzione, perchè di ciò non ho mai ricevuto da lei riscontro veruno. GIORNALE LIGUSTICO Con che rassegnandole il mio rispetto, e la memoria delle mie obbligazioni, mi confermo. V. Modena, i; Maggio 1731. La storia Vicentina del Pagliarini, si truova alle stampe sì in latino, come in volgare. Egli scrisse circa il 1480. Io noi metterò nella mia raccolta, appunto perchè autore già edito. Per questo motivo parimente io tralascerò altri storici di quel secolo, perchè non voglio far crescere di soverchio la mia raccolta, in fastidio agli avventori. Il mio desiderio si ristringe a cose inedite. Ho il Senarega, e lo pubblicherò ; solamente bramerei di poterlo dare più corretto. Mi riuscì anche di ottenere 1’ opuscolo di Antonio Gallo Rerum Genuensium ab anno 1476 ad 1478 e 1’ altro de navigatione Columbi. Ebbi anche Gotifredi de Albaro commentarium de Genuesium exspe-ditione anno 1466. Ma mi sono accorto essere anch’esso opera d’esso Antonio Gallo. Sicché nulla ho del suddetto Gotifredo ; e farò senza il medesimo, da che voi altri Signori siete troppo pieni di misteri, e bisogna farvi servigio al vostro dispetto. Ciò dico non per V. S. Il!.ma, il cui buon cuore mi è assai noto, ma per gli altri, a’ quali l’ignoranza somministra timori e gelosie per non lasciare, ch’altri serva alla gloria della loro Repubblica (1). (1) A proposito di questi manoscritti e del modo con cui li ottenne, giova riferire i seguenti documenti : « Essendo stato richiesto il Magnifico Gio. Francesco Brignole dal sig. conte di S. Felice (Principe di Modena) per parte del noto scrittore Muratori di farli avere due manoscriitti cioè, Got-tifredo d’Albaro , che nell’anno 1465 scrisse l’istoria di Genova, et Antonio Gallo che scrisse la guerra tra genovesi et Aragonesi del 1466 sotto la condotta di Lazaro Doria, e di più due comentarti de’ successi tra genovesi e Galeazzo Duca di Milano , con averli asserito che detti libri già li aveva richiesti al Magnifico Gio. Luca Pallavicino , dal quale non aveva avuta altra risposta forse per la sua improvvisa partenza, ma che sapeva che si ritrovavano presso la Magnifica Biancbinetta Franzona. A questa istanza detto Magnifico Gio. Francesco rispose che non avendo cognitione di detti libri averebbe procurato informarsene , ma che ciò non sarebbe potuto seguire sì sollecitamente perchè sapeva ritrovarsi fuori di città il figlio di detto Magnifico Franzoni, il quale probabilmente averebbe avute dette scritture quando vi fossero, ed il detto sig. Conte terminò con incaricare esso Magnifico Gio. Francesco di fare ogni possibile diligenza, con dirli venire assicurato dal Muratori che 1’ uso di detti libri non solo sarebbe riuscito di alcun danno , ma anzi di positivo vantaggio alla Republica. » Per tanto il Magnifico Gio. Francesco si è dato 1’ onore di rappresentare il tutto a Sua Serenità perchè questa si compiaccia parteciparlo a’ Serenissimi Collegi , acciò questi vogliano prescriverli come contenersi nella risposta doverà dare al detto Signor Conte di S. Felice, cioè se negativamente o pure quando stimassero, previe quelle diligenze ed altre riserve stimassero dover pratticare , se potesse frattanto per render meno misteriosa la dilazione ed esentarla dal sospetto di alcuna pubblica ingerenza, rispondere aver ritrovato li desiderati manoscritti ; ma che chi li tiene non vuole in alcuna maniera privarsene , ma bensì sarà pronto farli esso copiare per consegnarne essa copia ; sottoponendo però il tutto etc. » 1729, 8 Giugno. — É stato deliberato che si faccia intendere al detto Magnifico Gio Fran- 278 GIORNALE LIGUSTICO Vedendo ella il signor dottore Bonaventura de Rossi, la prego riverirlo caramente in mio nome, siccome lei prego di conservarmi il suo stimatissimo amore, al quale corrisponderò sempre con quella vera stima ed affetto, con cui mi ricordo. SPIGOLATURE E NOTIZIE Raffaele Pareto. — Il presidente della R. Accademia dei Lincei nella seduta del 7 maggio della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali, lesse il seguente cenno necrologico : * Duoimi annunciare che il 28 dello scorso aprile , morì il nostro Collega marchese Raffaelle Pareto , Socio dell’ Accademia dal 6 aprile 1873. » Egli nacque in Genova il 28 luglio 1812 , da Benedetto Pareto e Maria Aurelia Spinola. Studiò all’ Accademia di belle arti di Genova, e andò in seguito cadetto di artiglieria a Torino. » Essendo emigrato in Francia in seguito agli avvenimenji politici del 1831, progettò e costruì varie opere sia d’architettura che d’idraulica. Ebbe nel 1859 cattedra di professore di lingua francese presso la regia Scuola di Marina in Genova, e fu dichiarato ingegnere laureato con decreto reale del 4 aprile 1861. » Venne nominato nel 1862 capo divisione reggente al Ministero di agricoltura, industria e commercio ; passò, nello stesso Ministero. Ispettore centrale nel 1864, capo divisione nel 1866 e finalmente nel 1869 iu fatto ispettore di 2. classe nel regio Corpo del Genio Civile e membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici, passando ispettore di i.a classe nel 1877. » Il march. Pareto faceva parte di varie accademie e società scientifiche oltre la nostra. Citeremo tra esse : il Lycée des arts , sciences, belles lettres et industries, di Parigi; l’Accademia agraria di Torino; la Società degli architetti e ingegneri di Genova ; 1’ Accademia di scienze, cesco Brignole a dare al detto signor Principe di Modena la risposta di cui in detta rappresentazione, e di incaricare detto Magnifico .Gio. Francesco a farsi consegnare detti due manoscritti da chi li tiene appresso di sé per presentarli all’ III. Magistrato d'Inquisitori di Stato o sia all 111 Diputato di Mese di esso, il quale previe quelle avvertenze e riserve che stimerà , ne faccia far copia, affinchè questa possa consegnarsi dal detto Magnifico Gio. Francesco Brignole al detto Signor Conte di S. Felice, e restituirsi dallo stesso Magnifico Gio. Francesco al padrone di essi detti due manoscritti. Per il caso che detto Magnifico Giov. Francesco Brignole incontri difficoltà nella consegna di detti manoscritti, possa l’Ill.mo Diputato di mese del predetto Ill.mo Magistrato d’ Inquisitori, far fare quelle insinuazioni che stimerà perchè li vengano consegnati, con intendersela con esso Magnifico Giovanni Francesco ». GIORNALE LIGUSTICO lettere ed arti di Modena ; il Club Alpino italiano ; il Comizio agrario di Roma, quello di Firenze ecc. ecc. » Era inoltre insignito di varie onorificenze, era commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro , della corona d’Italia, dell’ ordine del Leone di Baden. Aveva ottenuto una medaglia d’argento per servigi resi in Genova nel 1843 > durante l’invasione del cholera-morbus , ed un’ altra medaglia d’ argento ebbe dal Ministero d’ Agricoltura , industria e commercio pel concorso prestato all’incremento degli studi statistici. Nel 1880 era stato fatto commendatore dell’ ordine Piano con breve di S. S. Leone XIII, per la parte presa nella Commissione pel trasporto dell’ Abside di S. Giovanni in Laterano. » Fu per molti anni direttore del giornale dell’ingegnere ed Architetto agronomo , ed ora dirigeva 1’ Enciclopedia delle Arti e Industrie. » Il march. Pareto dal 17 dicembre del 1881 era amministratore della nostra Accademia, la quale ora ne lamenta la perdita ». Dopo questa lettura « il socio Betocchi prende la parola dimandando scusa, se rientrato in Roma da poche ore soltanto, non è in grado di fare, come vorrebbe, una degna commemorazione del marchese Pareto, di cui è st^D per molti anni Collega non solo in Accademia, ma ben anco nel Consiglio superiore dei lavori pubblici. Assumendo pertanto l’impegno di leggerne in altra adunanza una più estesa necrologia, aggiunge a quanto ha già detto il Presidente , qualmente il Pareto esulando dall’ Italia per ragioni politiche, sebbene fosse in giovane età, pure era già in tale stima anche all’ estero, che in un paese così ricco . di abili ingegneri, qual’ è la Francia, non si esitò di far capitale dell’ 0-pera sua, dedicandolo ai lavori di bonificazione, nei quali era in ispecial modo competente. E fu appunto stando in Francia che pubblicò nello idioma locale il suo magistrale lavoro sulle irrigazioni e sulle bonifiche; lavoro che è giustamente tenuto anche adesso in altissima estimazione, e forma, se non il testo, il fondo delle lezioni che si dànno in argomento nella scuola dei ponti e strade di detta nazione. Soggiunge come rientrato in Italia in tempi migliori, il Ministero dell’ agricoltura, industria e commercio, dal quale allora dipendevavo le bonifiche, lo ascrisse a quella parte di pubblico servizio, fino ad affidargliene la suprema direzione , e come allora quando le bonifiche passarono fra le attribuzioni Jel Ministero de’ lavori pubblici, questo Ministero non mancò di procurarsi la cooperazione del marchese Pareto, che chiamò a far parte del Consiglio superiore, nel quale la sua parola era sempre ascoltata con venerazione , specialmente poi quando si trattava di bonifiche. Osserva 28ο GIORNALE LIGUSTICO quindi come il Ministero dell’ agricoltura nel cedere a quello dei lavori pubblici il marchese Pareto non intese privarsi interamente della sua opera. Ed è cosi che lo si riscontra facente parte del Consiglio superiore di agricoltura, di tutte le Commissioni più importanti che quel Dicastero aveva occasione di nominare. » Aggiunge poi come il marchese Pareto non fosse soltanto un distinto ingegnere idraulico; ma fu eziandio un artista distintissimo, avendo ricevuto dalla natura un senso squisito per tutto ciò che alle belle arti si riferisce. E quindi non solo disegnava con somma franchezza e con molto gusto tutto ciò che appartiene alla professione dell’ ingegnere ; ma di più trattava il paesaggio e la figura molto abilmente ; modellava in cera, in creta ; gettava in bronzo e cesellava con molta grazia : in breve, ricordava gli artisti dello stampo di Michelangelo, ai quali nulla era estraneo. E di questo suo amore per le arti e di questa sua abilità se ne ha ampia conferma, oltre che in molte minori elucubrazioni, nella sua Italia monumentale edita in Milano nel 1870 e tradotta quindi in francese, e nelle bellissime tavole che la corredano ; non che nella Enciclopedia delle arti e delle industrie, e che stava attualmente pubblicando. Osserva inoltre il socio Betocchi come il marchese Pareto avesse cognizioni molteplici e svariatissime, frutto specialmente dei moleplici e lunghi viaggi fatti all estero, e del non breve soggiorno fatto, oltreché in Francia , nella Russia, e nel più estremo Oriente. Disse per ultimo come 1’ attività del nostro compianto Collega fosse ammirabile ; e che forse all’ eccessiva fatica, ed al non aver dato ascolto ai consigli degli amici che lo pregavano a desistere da tanta operosità, deve la sua morte ; la quale lo ha sorpreso in mezzo ai suoi molteplici lavori, in mezzo a studi ed occupazioni d’ogni fatta. Termina dicendo che lo Stato troverà diffìcilmente funzionari più illuminati, più attivi, e nello stesso tempo più de\oti e più onesti del nostro Collega. Come cittadino poi e come padre di famiglia lo dichiarò vero modello ; e come amico, tutti quelli che lo hanno avuto a collega, conoscono pienamente quanto valesse, ed è perciò che ne deploreranno lungamente la perdita e ne onoreranno eternamente la memoria ». • r Dall’ elenco dei molti suoi scritti {Atti della R. Accad. dei Lincei, Transunti, \ I, 214) rileviamo quelli che riguardano specialmente la nostra città : 1. Studi sopra i miglioramenti igienici praticabili in Genova (Corriere Mercantite, 1854). 2. Rivista di Genova (Ibid.), 3- Studii sul porto di Genova (Giorn. dell’Ing. Arch. ed Agronomo, a. IV). GIORNALE LIGUSTICO 281 4. Dello stile barocco nei fabbricati e nei monumenti della città di Genova (Ibid. anno IV e V). 5. Note su di un lavoro nel quale si è impiegato il cemento idraulico genovese (Ibid. anno VI). 6. Considerazioni intorno all’ ingrandimento del porto di Genova (Ibid. anno X). * * * Nel « Regesto dei Principi di Casa d’ Acaja 1295-1418 tratto dai conti di Tesoreria » dal Sig. Filippo Saraceno (Misceli. Stor. Ital. XX, 95) rileviamo i seguenti appunti di spese : c De γ Lxxiiii libris a comuni Papié, causa portandi domino Principi apud Ianuam, mense decembris anno cccxi. Balistarii de Alexandria .. Balisteriis de Ianua existentibus in munitione Gaxini. Die xx aprilis (1380) cuidam famulo Thome de Turre (ex marchio-nibus Carreti) qui apportauit noua sicut Societas ibat super Ianuenses. 1389. Misso Querium vicario dicti loci, sicut Dominus intellexit quod Michael Bosius, Antonius Frexius et complures alii de Querio se ordinaue-runt currere ad requisicionem domini Alexandri Asinari super territorio Ianue , £t quod ipsos vllo modo ire non permettat quomodo sit (come chessia). 1395. Ad exp. ordinarias Domini suarumque gencium et comitiue factis eundo cum equis et armis, edam brigandis et balisteriis ad partes vallis Arrocie , Lingarum et Marine videlicet intër Niciam et Albengam, vnam cum ili. domino Couciaci locumtenti ili. principis e domini ducis Aure-lianensis dominique Ast et Saone , et in ipsius domini Ducis seruiciis, contra dominum Anthonotium Adurnum ducem Janue et Januenses, qui dicta comunitatem Saone pridem tenebant obsessam tam per mare quam per terram. Qui Januenses et alii aduersarii prefacti domini ducis Aure-lianensis sentientes caualcatam huiusmodi et aduentum prefactorum dominorum , qui iam iter suum arriperant cum eorum honorabili gentium armorum, equitum peditum et balisteriorum exercitu et comitiua, campos suos et nauigia leuauerunt, et inde recesserunt. Nihilominus domini prelibati suum iter tenuerunt cum eorum exercitu et caualcata contra aduersarios et rebelles prefati ili. d. Ducis Aurelianensis dictarum partium. In quibus steterunt et fuerunt, tam eundo, stando, quam redeundo, triginta tribus diebus cum dimidio, inceptis die martij vicessima secunda inclusiue mensis iunii anno d. m. ccc nonage simo quinto (qua die mane Dominus separauit a Pynayrolio suum predictum iter arripiendo), et finitis die sab- 282 GIORNALE LIGUSTICO bati vicessima quinta mensis iulii anno eodem, qua die in sero Dominuns applicavit Pyneyorolimum. Quo medio tempore quamplura loca bona et fertilia se reddiderunt et submisserunt dominio et dicioni prefacti ili. principis de ducis Aurelia nensis et inter cetera in dieta valle Orocia (sic. 1. Arocia) locus da Pronax (Pornasio) cum eius vallibus magnoque districtu et territorio; item locus Dyani prope marinam cum eius vallibus ma-gnocque districtu, vna cum pluribus aliis locis et villis etc. 1418. Libravit pro tribus horologiis que apportari fecit a Ianua apud Pinerolium pro Domino xxm gr. 1295. Cuidam ioculatori qui venerat de Genua . . . 1300-2. L1 in viginti mattarac\ds et totidem punclis (coltroni) et pu-liunaribus (guanciali) et xl linteaminibus emptis apud Genuam ad opus hospicii Domini. 1487. L’*Rigaudo hospiti pro expensis in eius domo factis per Matheum... nuncium ducis Ianuee, qui presentauit Domino vnum leopardum; et per famulum qui gubernat dictum leopardum : v flor . . . * * * Nel Saggio· di uno studio su Pietro Aretino di Giorgio Sinigaglia (Roma 1882) troviamo stampata una commedia intitolata: Fortunio, attribuita a quello scrittore, il quale finge la scena a Genova , e qua e colà vi sono accenni che amiamo rilevare. — Un servo vuole mandare una lettera amorosa alla padrona di un suo compagno, e desidera si faccia essa poi alla finestra per dargli segno d’ averla avuta, ma 1’ altro risponde che non si può « perch’ ella non è a quest’ ora a pena levata di letto , non che adornata per comparire alla finestra », ed alla meraviglia mostrata dal suo interlocutore, soggiunge: « non sai ancora i costumi delle donne? elle benché n’ escano per tempissimo di letto, prima che vengano fuori di camera vogliono specchi, scriminali, acque, lisci, rossi, biacche, bionda, ricci sopra ricci, et il cancaro quasi, che venga a quante donne sono in questa città ». Per questo Luigi XII, come narra il Domenichi, a fine di chiarirsi se era vero il vanto dato ad una Spinola di donna bellissima, « et per non essere ingannato dalle arti e malitie donnesche », la fece venire alla finestra di buon mattino in fretta, affinchè « ella non avesse agio nè comodità di lisciarsi, et con artificio accrescere la sua naturai bellezza ». (Cfr. Giorn. Lig. 1879 p. 192). Le donne in generale erano tenute in poco conto quanto al costume; infatti ad un vecchio che si propone di trarre alle sue voglie una giovane cipriota giunta da poco in Genova, col dono di una catena d’oro « di valuta di sessanta scudi », risponde 1’ amico cui apre 1’ animo suo : GIORNALE LIGUSTICO 283 « cancaro , se voi lasciate intendere di far di queste , le prime et le più belle donne delia città vi correranno dietro ». Sebbene fosse « contro 1 usanza 1 andar per la città senza un paggio, od una servente » , pure chi non ignorava « i costumi di^Genova », doveva sapere che quivi « le femmine non stanno chiuse nelle camere sul contegno come fanno altrove » , anzi « paiono uomini, tanta è la libertà che elle prendono , benché con poca riputatione di quel sesso ». Nè gli uomini possono dirsi migliori, a i giovani di questa città sono sì scorretti, et sì perversi, che quando hanno ben contentate le lor voglie abbandonano le povere fanciulle » ; i vecchi già avari e taccagni divenuti spenderecci ed osceni, sebbene gentiluomini, senatori e de’ primarii della città « con moglie a lato » ; ai quali, quando dovrebbero « più attendere al governo della famiglia, et ad aiutare col consiglio et con Γ opera la Repubblica , non si convien conversare con ruffiane, et con parassiti, spenùcndo et dissipando le proprie sostanze dietro agli amori ». I quali accenni al corrotto costume ricevono conforto dalle poesie vernacole di Paolo Foglietta , dalla satira di Andrea Lori (Cfr. Manoscritti ital. della Bib. Nadi Firenze, I, 133), da un capitolo anonimo in fine alle rime del Conestaggio e da altri documenti. Si tocca più volte nella commedia genericamente del commercio, e in un punto del traffico dei velluti, « cari all’eccesso » in quel tempo. Viene ricordata 1’ osteria di Santa Marta in piazza del Guastato (per errore è scritto « Santa Maria » e « Castado »), la quale è durata fino al nostro secolo. Il sig. Sinigaglia ha « qualche dubbiezza sulla autenticità » di questa commedia , ma si rimane dall’ impugnarla « non avendo per il momento prove valide ». lo la credo senz’ altro « un rifacimento di qualche contemporaneo delle due commedie il Marescalco e la Cortigiana » come sospetta il Sinigaglia, perchè fu scritta di certo dopo la morte dell’ Aretino; e ciò si rileva là dove uno dei personaggi afferma che « il signor Alberto Lavacci (forse Lavaggi) in questi novi rivolgimenti di Genova, per le fattioni di Case Nuove et Vecchie è rimasto nemico del padre di Cornelio », il che ci fa scendere agli anni 1571-75. * * * Il dott. Giacomo Lumbroso ha pubblicato nel Bullettino dell’ Istituto di corrispondenza archeologica (Roma, fase, di marzo) una dotta Nota sulla parola Mandrakion. È questa d’origine bisantina, e ne rappresenta l’età; e vedesi adoperata (forse per la prima volta) a’ tempi di Giustiniano e della guerra vandalica , trovandosi allora con sì fatto nome indicato da Procopio il porto di Cartagine. 284 GIORNALE LIGUSTICO Ma più comunemente mandracchio o mandraccio, come poi si disse italianamente, passò a dinotare la parte interna e meglio difesa del porto ; e in questo senso preciso Γ usarono i genovesi, rimasti soggetti alla dominazione di Costantinopoli fino all’invasione longobarda di Rotari (a. 641). Portus interior, così ancora dichiara l’annotare sincrono degli annali di Ogerio Pane, laddove questi registra sotto il 1215: inceptum fuit murus Darsene. Chè tarsana o darsana (dar-es-sena’h) fu appunto la voce arabica sostituita in progresso alla greca màndrakion ; e però il Tommaseo, accogliendo anche il vocabolo mandraccio nel Dizionario della lingua italiana, fece meglio del Fanfani, il quale diede solo la parola darsena, certamente non più toscana dell’ altra. Per l’etimologia odasi il Guérin: « Les grècs (de Rhodes) avaient coutume de désigner 1’ ancien port de galères . . . par le nom de Man-draki ou d' Etable, sans doute parce que les bâtiments, quand on tendait la chaîne au d’avant ce port, y paraissaient en quelche sorte renfermés comme des troupeaux dans leurs bergeries ». Donde mandraggio passò anche a denotare la gabella sul bestiame da mandra. E così nei Capitoli d Alcamo del 1398: Κι li herbaggi, terraggi et mandraggi . . . digianu essiri di la universitati ». Quest ultima citazione non 1’ ha il Lumbroso , ma è levata dal Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo di Giulio Rezasco ; libro che d ora innanzi gli studiosi dovranno tenere sullo scrittoio accanto al vocabolario della lingua. * * * Nel « Zeitschrift far die gsansnte Staatswissenschaft. Jaherg. xxxvn. Heft 4, 188r » il sig. Bruder pubblica da un manoscritto della biblioteca della corte di Λ ienna il giornale viaggio di H. Keller mercante 1489-90, nel quale sono indicate con minutezza le spese fatte nel viaggio da Ulma a Venezia, e da Bolzano a Genova. * * * ra breve vedranno la luce, co’ torchi dei Rocchi in Lucca le Cronache inedite di Massa di Lunigiana raccolte e illustrate dal cav. Giovanni Sforza. Formeranno un elegante volume in 12.0 di pag. XVI-328, che conterrà le seguenti operette : I. Ricordi di Gaspare Venturini massese (1477-1598). — II. Ricordi di Tommaso Anmboni d’Aiolà (1481-1569). - III. Vicende di Massa dal 19 settembre al 19 novembre 1546, narrate da Carlo Carli. _ IV. Carteggio tra Giulio Cybo e la Repubblica di Lucca (1546-47). - V. Vicende di assa a 14 gennaio al 26 marzo 1547, narrate da Giuseppe Migliori. GIORNALE LIGUSTICO 285 — VI. Lettera di Alberico I. ad Uberto Foglietta intorno a Giulio Cybo suo fratello. — VII. Interrogatorii riguardanti Giulio Cybo fatti a Carrara il i 567 nella causa promossa da Scipione de’ Fieschi contro la Repubblica di Genova per la rivendicazione de’ feudi paterni. — Vili Le nozze di Veronica Cybo con Iacopo Salviati descritte da Giulio Beggi. — IX. Fuga di Nicoletta Grillo-Cybo Duchessa di Massa (1713). — X. Ricordi di Nardino Bertelloni massese (1732-1776). — XI. Compendio della vita d’Alderano I. Duca di Massa , scritta da Odoardo Rocca. — XII. Ricordi del P. Eligio Quadrella massese (1796-1803). — XIII. Ricordi dell’Abate Domenico Nardini di Castagnola (1807-1839). Il volume sarà preceduto da un cenno biografico intorno a ciascun cronista ; e corredato di copiosissime annotazioni dal'o Sforza, ricche d’ una quantità di documenti affatto sconosciuti e dei brani più interessanti dell’ Autobiografia inedita di Alberico I. * * * Nella Rassegna Nazionale (Fase, di Giugno) è inserito un articolo intitolato : « Un missionario al Chili nel sec. XVII », nel quale, colla scorta delle lettere autografe , si raccontano i casi di Niccolò Mascardi sarzanese gesuita ; il quale inoltrandosi verso lo stretto di Magellano venne ucciso dagli indigeni. In quelle rozze scritture vi sono curiosi accenni ai costumi ed ai popoli di quelle regioni. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Epistolario di Alessandro Manzoni raccolto e annottato da Giovanni Sforza. Milano, Carrara 4882, voi. i.° di pag. 518. « Alcuni anni fa usciva a Pisa il primo volume di questo epistolario per le cure dello stesso editore, ed in breve ne fu esaurita la stampa, mentre gli studiosi aspettavano con desiderio il seguito. Ma in questo mezzo le nuove diligenze dello Sforza, e le non poche pubblicazioni uscite qua e colà accrebbero di molto la raccolta , ond’ egli divisò farne una nuova edizione. Ed eccone intanto la prima parte, che contiene le lettere dal 1803 al 1839; quel tratto cioè della vita manzoniana che può dirsi il più operoso, e nel quale vennero a mano a mano fermandosi in lui quei concetti in fatto di lingua, storia e poesia, ond’ ebbe poi così meritata fama. Non ci consente la qualità di questo annunzio, distenderci ed addentrarci intorno alle lettere; il che meglio potrà farsi quando sia uscito l’epistolario tutto intero. Diremo per ora come il Racoglitore con molta cura e conoscenza pienissima della vita e dei tempi del Manzoni, 286 GIORNALE LIGUSTICO vada a piè d ogni lettera ponendo quelle annotazioni , che sono necessarie all intelligenza del testo. Serba egli al secondo volume una introduzione in cui discorrerà degli amici e dei corrispondenti del Manzoni , raccogliendo in apposita appendice parecchi bigliettini in gran parte inediti, ed alcuni documenti intorno alla vita dell’ autore; al che farà seguito una ‘Bibliografia delle lettere stesse. Non resta dunque che il vivissimo desiderio di vedere compiuta sollecitamente quest’ opera di non piccola importanza. G. B. Caprile. — Amore, versi. Genova, Sordo-muti 1882. L autore manifesta in questo suo libretto una disposizione assai felice a far versi. Le corde della sua lira mandano un suono dolce, poiché egli si piace degli affetti tranquilli ; quindi non grandi entusiasmi, gonfie figure, tnasi altisonanti ; ma stile placido, qualche volta fin troppo tenue. L espressione tuttavia non è sempre poetica; vi sono immagini indefinite , mancanti di contorni ; dei versi pedestri, la lingua quà e colà porrebbe essere più corretta. Liò nonostante il volume non ci dispiace, sebbene il concetto artistico e letterario, e le opinioni dell’autore non siano tutto le nostre. Si deve poi tributare gran lode all’egregio scrittore, perchè generosamente ha voluto che 1’ opera sua fosse interamente venduta a benefìcio della Cassa degli inabili al lavoro dell'arte tipografica; al che con bello esempio concorre per sua parte anche 1’ editore. Il genovese! Negrone di Negro, ministro di finanze di Emanuele Filiberto diua di Savoia. Memorie storiche e biografiche di Gaudenzio Claretta. Firenze, 1882. L ufficio importante che sostenne questo genovese in Piemonte, ben meritava che alcuno ne conservasse la memoria, insufficienti ed inesatti essendo i giudizi e le notizie che se ne leggevano. Questo ha fatto nella presente monografia 1’ infaticabile barone Claretta, il quale si è per ciò giovato di molti documenti da lui trovati negli archivi di Torino. —Il Duca conobbe il di Negro nelle Fiandre, e forse in Anversa dove la colonia genovese era fiorentissima, e diversi membri della sua famiglia vi contava Negrone (Atti Soc. Lig. Star. Pat., V, m). Ebbe modo di pregiarne l’ingegno in fatto di pubblica economia, e lo nominò generale di finanza ; ma l’affetto che gli pose, certo meritamente, e forse il non essere piemontese, furono cagione dell’invidia e dell’odio dei cortigiani. Sostenne lunga guerra, e finì col darsi vinto appigliandosi al partito più dignitoso; abbandonare, l’ufficio ed uscire dal ducato; questo però col beneplacito del Duca la cui fiducia non gli mancò mai; anzi come nel GIORNALE LIGUSTICO 287 tempo della fortuna ne aveva avuta manifesta prova colla investitura della contea di Stupinigi e del marchesato di Murazzano, anche lontano ne ebbe segni non dubbii , mercè i consigli a lui chiesti in fatto di finanza, e i delicati incarichi affidatigli. — Partito da Torino si ritrasse a Genova, e vi giunse quando si accendevano le turbolenze fra i nobili vecchi e i nuovi ; fu presente a quasi tutti i rumori sorti in questo periodo di guerra civile ; ma quando vide le cose volgere al peggio pensò bene andarsene a Savona e poi nella sua villa di Savignone; senza che riuscisse al duca di farlo tornare, secondo desiderava, a Genova affinchè s’intromettesse nei negoziati di pace promossi dal cardinal Morone, coll’ intento di proporre il duca stesso in qualità di protettore per accomodare quelle differenze. Insomma Emanuel Filiberto avrebbe voluto, per i suoi fini, metterci le mani ad ogni modo. Tuttavia anche da quel suo ritiro ebbe modo di mettersi in^corrispondenza col legato pontificio, onde gli riusciva facile informare il duca dell’ andamento dei negoziati ; assai meglio servì il suo signore quando, passato il pericolo, con pratiche abilmente condotte e tenute in gran segreto, Girolamo D’ Oria cedette al duca Oneglia, che i genovesi con imperdonabile errore si erano lasciata fuggire. Anzi merita lode il di Negro, perchè parlando della vendita, per commissione del duca, col governo di Genova non si tenne dal dichiarare aperto come alla propria noncuranza dovesse ascrivere la perdita di questo feudo. Mantenne il nostro genovese inalterata la sua devozione ad Emanuel Filiberto fino alla sua morte, avvenuta nel 1581. All’ufficio di generale delle finanze, secondando la sua proposta era stato eletto un suo compatriotta, Lorenzo Grimaldi. L’ essere a servizio di un principe straniero, chè così allora dicevasi, non aveva cancellato in lui 1’ affetto verso la patria e il debito di cittadino ; di che si hanno prove nella corrispondenza colla Repubblica (Arch. di Stato di Genova, Litterarum), della quale si dichiara « figlio e servitore .....et amorevole quanto si vogli altro », importandogli « anche mostrarlo in lutti gli accidenti » come ha sempre fatto e si propone di fare per l’avvenire; poiché ama adoperarsi « in servitio de la patria sempre così volontieri », come lo astringe « il desiderio , et obligo di buon cittadino ». Al qual proposito mi piace recare una delle sue lettere, che tocca delle cose di Corsica. « Ill.mi et Ecc.™ et molto Mag.·1· S.ri miei oss.mi. Quello che ho potuto ritrarre da questo serenissimo Prencipe intorno al particolare di che V.re S.rie Illustriss. hanno scritto per la loro de’ xvjiij del presente mese, è stato che il disegno di San Piero sia di op- 288 GIORNALE LIGUSTICO primer Calvi, e farsene padrone, et ciò, dice havere di buon luoco. Poi m’ha soggiunto, che Γ opinion sua sarebbe di rimettere in tutti forti del-l’Isola gente nuova et farne uscire la vecchia, per maggior sicurezza del caso. Appresso, che si tengano sospetti tutti i paesani di quel regno, de’ quali si può aspettare officio poco amorevole; così ha detto il Duca, et cosi le rifero, nel resto lascio eh’ esse, come prudentissime che sono provedino a quanto loro parerà più ispediente a la salute et quiete de’ stati che governano. Io di qua conforme a quanto son tenuto, haverò a core di farle avisate, quando intenderò cosa, che possa giovare a la Pîtria mia, o che mi faccia temere del contrario ; fra tanto me le raccomando riverentemente et le prego longa felicità, di Fossano li 26 di agosto 1562». Il Claretta ha svolto con larghezza di particolari, qualche volta troppo minuti, le parti più importanti della vita di Negrone, fermandosi di preferenza, perchè gli abbondava la corrispondenza, sopra quegli anni in cui avvennero le turbolenze civili in Genova. E qui mentre da un lato non si può negare, che nelle parecchie lettere riprodotta per intero o in parte non v’ abbiano notizie di qualche momento, pur vi si leggono altresì molte cose conosciute, ed alle quali 1’ autore non avrebbe forse dato luogo , se gli fossero stati noti i Commentarii delle cose successe ai genovesi dal 1572 al 1576 scritti da Gio. Batta Spinola (Genova, 1838), e le Discordie e guerre civili dei genovesi dell’anno 187J (Genova, 1838), opera attribuita al doge G. B. Lercari, ma scritta, come fu provato (Atti Soc. Lig. Stor. Pat., IV, 452)> da Scipione Spinola; nella quale vi ha buon corredo di documenti importanti, e fra essi il Memorandum di Gian Andrea D’Oria ripubblicato, perchè creduto inedito, dal Claretta. Avremmo poi veduto volentieri avvertito questo fatto, che cioè mentre nell’ albero geneologico si assegna in moglie a Negrone Faustina D’Oria, dal testamento risulta fosse invece Giulia di Ettore Fiesco. Della nobiltà secondo Bernardo Morando e genealogia ed esempi della famiglia del medesimo, manoscritto del 1640 edito per cura di G. Tononi. Pisa, 1882 (Estr. dal Giornale Araldico). La prima parte di questo lavoro può dirsi un trattatello di morale dettato in servigio dei suoi figli da Bernardo Morando , poeta non infelice del seicento ed autore della Rosalinda, romanzo celebre a’ suoi dì. Molto più importante è 1 esposizione storica della sua geneologia , nella quale di\ isa ampiamente i rami diversi della sua famiglia, fermandosi di prefe-1 enza intorno a quello che fiorito in Genova, ed al quale egli appartener, si trasferì nel secolo XVII in Piacenza, dove si spense ai nostri giorni. Ben si vede come l’amore allo studio fosse tradizionale in questa famiglia, perchè parecchi scrittori di questo nome si trovano noverati nella storia letteraria ligure. Pasquale Fazio Responsabile. giornale ligustico 289 ANNOTAZIONI NUMISMATICHE VI. SULLA INTERPRETAZIONE DEL ROVESCIO NEL DENARO MINUTO DI OTTAVIANO CAMPOFREGOSO Il chiar. dott. Desimoni leggeva in una delle prime tornate di quest’ anno della Società ligure di Storia patria , un suo bellissimo articolo sui denari minuti della Zecca Genovese (i), nel quale dopo di aver ragionato con critica giusta e cortese del contenuto di due miei opuscoletti (2), svolgeva 1’ argomento nelle diverse sue parti. Quando io scriveva quelle brevi annotazioni, era ben lungi dal prevedere che mi sarebbe riservata una gradita soddisfazione , anzi un premio immeritato, nell’ aver dato occasione al chiar. Autore di dettare nuovi articoli sulla Numismatica Genovese. Egli ha ritenuto il mio povero scritto, degno di una critica, nella quale egli è autorevolissimo per l’ingegno, per 1’ erudizione e per il possesso dei documenti ancora inediti; critica, alla quale se alcuna taccia potrà farsi, sarà quella . di mostrarsi troppo benigna a mio riguardo. Ond’ è che io sento il bisogno di render a quel cortese i più vivi ringraziamenti , massime per l’intenzione sua che facilmente si appalesa dal suo scritto, di incoraggiarmi in questi studi. L’Autore approvando in gran parte le aitribuzioni delle mie monetine, mi fa qualche osservazione per non aver io descritta (1) Vedi nel Giornale Ligustico, anno IX. Fase. VI. Genova 1882. (2) Annotazioni Numismatiche per la Zecca di Genova. Palermo 1879 e 1881 ; I-V. Giorn. Ligustico, Λίπο IX. 19 290 GIORNALE LIGUSTICO tutta la serie conosciuta, non accetta perchè erronea qualche mia dichiarazione, e propone una nuova interpretazione per il minuto dell’Ottaviano, che egli mi fa Γ onore di sottoporre al mio giudizio. Io non mi oppongo certamente alla sua opinione per quest’ultima, ma credo ben fatto di aggiungere alcuna considerazione che dal mio modo di vedere sembra appoggiare la mia interpretazione, riservandomi ad accettare definitivamente l’autorevole decisione deir Autore. Per seguire 1’ ordine tenuto nell’ articolo sopra citato, mi proverò a scagionarmi di non aver completata la serie dei minuti Genovesi con quelli di Carlo VI, e del Barnaba Adorno. Se io mi fossi proposto di descrivere tutti quelli conosciuti, avrei dato troppo importanza al soggetto, mettendomi nel caso probabile di non poterlo trattare a dovere, e di lasciare lacune, non avendo conoscenza nè di tutte le raccolte dove si conservano forse di tali pezzi ancora inediti, nè delle schede preparate per le Tavole generali della Numismatica Genovese. Lasciando adunque a questa, che speriamo prossima pubblicazione, il compito della illustrazione generale, io mi proposi solamente di far conoscere un certo numero di tale monetine che sono presso di me, 55 delle quali provenienti da un unico ripostiglio, ed 8 altre da differenti località (Ved. Annotazioni I e II). Fui specialmente indotto a ciò dall essere alcune di queste inedite, e dal trovare sopra un altra le iniziali di un Doge del quale non conoscevansi ancora monete. Quando poi di alcuna delle mie io ricordai la descrizione già data da altri, allora ne accennai l’autore come feci per Carlo VII, per Prospero e Raffaele Adorno. Ecco perchè la serie da me descritta si limita a quella rappresentata nella mia raccolta, cioè: Filippo Maria Visconti (1421-36), Tommaso Campofregoso (1436-43), Raffaele Adorno (1443-47), Giano Campofregoso (1447-48), Ludovico id. (1448-50), Pietro id. (1450-58) Carlo VII (1458-61), GIORNALE LIGUSTICO 291 Prospero Adorno (1461), Ludovico Campofregoso (1461-62) ed Ottaviano id. (1513-15) fra i Dogi a vita e dominazioni estere, ed un minuto per i Dogi biennali. Nel N. 29 parmi di leggere il primo A e potrei comprenderlo tra le monete di Antoniotto Adorno (1522-27). Fermandomi un momento ai minuti di Carlo VI pubblicati dal Longpérier (1), sono grato all’Autore il quale mi toglie ogni incertezza circa alla identità loro con le altre monetine di quel tipo che vengono dopo. Sebbene io sentissi istintivamente che doveva esser così, confesso che fino ad ora non avrei saputo affermare tal cosa con tutta sicurezza; ed esporrò le ragioni che mi tenevano leggermente dubbioso. Prima tra queste, la maggior larghezza della moneta ed il peso troppo differenti da quelle di Fil. M. Visconti, che non mi sembravano in proporzione al peggioramento della moneta, il quale in sì breve intervallo non deve esser stato molto sensibile (2). In fatto, il Longpérier ci dà il peso dei due minuti in 0,77 e 0,855 5 mentre le mie due del Visconti pesano o, 57 e 0,44 e sono di buona conservazione, e quelle dei seguenti Dogi non si allontanano da questi pesi meno quella del Tommaso Campofregoso che è di 0,89. Ma in questa trattasi di un caso isolato prodotto dalla maggior grossezza accidentale della moneta senza alterarne il conio solito, 1 ^i) Monnaies de Charis VI et de Charles VII frappées à Gênes (Revue Num. XIII, 1868). Vedi ai N. 12 e 13 nel tçsto, 4 e 5 Tavola IX. (2) Le osservazioni fine e vere sulla rapida decrescenza del peso e diametro dei minuti da Carlo VI a Filippo Maria Visconti, sono la controprova dei risultati dedotti dai criterii interni, cioè dalla rapida differenza dei valori nello stesso tempo. Nelle mie Tavole dei Valori unite alla Vita privata dei Genovesi del cav. Belgrano, si vede che la lira in moneta d’argento scese fra il 1404 e il 1429 da grammi in metallo fino 24,150 a gr. 19,680, perciò con peggioramento del 31’/, p. % circa. (Nota di C. Desimoni). 292 GIORNALE LIGUSTICO ^mentre nelle due di Carlo VI abbiamo conio più largo e leggenda più completa cominciante dalla sinistra in basso del castello anziché dalla destra in alto. Beninteso che io ragionavo in tal modo quando non avevo i pesi legali dei minuti delle diverse epoche, i quali ci vengono notificati ora dall Autore. In secondo luogo sebbene le dette monetine siano segnate col B (Billon) nella Tavola, sono dichiarate nel testo come argentee, riservando l’indicazione Billon per quelle di Carlo VII. Finalmente, il Longpérier assegna il valore di denari 6 alle prime e si tace per le seconde, e non è a dirsi che egli ritenesse inutile la ripetizione del valore per queste, mentre la usa continuamente per le altre monete dei due Re. Ora, se egli non ha osato dichiarare per pezzi da 6 denari i minuti di Carlo VII, facendo palese in tal modo come non li riguardasse per eguali a quello dell’ altro Carlo, potevo io spogliarmi del tutto da un rimasuglio di dubbio, finche l’autorevole voce del Desimoni venisse a dileguarlo ? L’ Autore ammettendo come ingegnosa la mia interpretazione del rovescio nel denaro minuto di Ottaviano Campofregoso, ne propone tuttavia una diversa suggerita ed avvalorata dal confronto con la leggenda di un pezzo in oro di Giano II predecessore dell’ Ottaviano. Dalle due lettere m e c, le sole riuscite nella impronta per irregolarità del conio, io immaginai due R per le altre due mancanti, leggendo Conradus Rex Romanorum seguito dalla iniziale m del zecchiere. Per me non esisteva altra possibile interpretazione, non conoscendosi allora la moneta aurea del Giano , e non avendo per termini di confronto che leggende degli analoghi minuti. Era evidente che si era abbandonato 1’ antico co nr ad tra le braccia della croce, .sostituendovi iniziali isolate, ma poiché non si era dato ancora esempio, meno che sotto Luigi XII, di escludere il nome del Re Corrado, questo dovevamo ravvisarlo nel C isolato, ritenendo Γ m come cifra « GIORNALE LIGUSTICO 293 del zecchiere, e interponendo i due R. Invero , dal N. 29 che mi pare dell’Antoniotto Adorno , dal 30 e dal 31 dei Dogi biennali riportati a pag. 14 e 15 del mio primo opuscolo , noi ricomponiamo c. R. R. seguiti dalle iniziali del zecchiere, nè io avevo motivo di leggere diversamente in Ottaviano Campofregoso. Nell’ anno susseguente alla pubblicazione del mio primo opuscolo, cioè in Dicembre 1880 l’illustre Longpérier comunicava all’ Accademia parigina delle Iscrizioni la notizia di una moneta in oro di Giano II Campofregoso, avente da un lato la testa del Doge e ianvs · 11 · de · campo · f · dvx · ianve, e nel rovescio lo scudo all’ aquila bicipite sormontato da corona imperiale, colla leggenda caesaris · maximil · avgv · Quel magnifico pezzo già appartenente alla Collezione del principe di Montenuovo, era passato in quella Rossi di Roma che fu messa in vendita nello stesso dicembre 1880, e può vedersene il disegno nel Sambon (1). Ora il chiar. Desimoni considerando che se il Giano II aveva voluto sostituire al solito conradvs una nuova leggenda allusiva alla protezione Imperiale, anche Ottaviano avrebbe potuto imitare il predecessore, trova logicamente ammissibile Γ interpretazione del nostro m c in Maximilianus Caesar. Ecco che la quistione tanto semplice nel 1879 quando io pubblicava il minuto del-1’ Ottaviano, ora si trova più complicata lasciando campo a due soluzioni invece di una. Ed io accetterei molto volentieri la nuova interpretazione, ove non mi rimanesse qualche dubbio sulla importanza del fatto stesso che si invoca al suo appoggio. Dobbiamo noi ammettere che il Giano II abbia vera- (1) Catalogo della Collezione Rossi. Roma 1880. Vedi al N. 1529, essendo stato erroneamente classificato al Doge XXIV, Giàno I, e nella Tavola IV, numero corrispondente. GIORNALE LIGUSTICO mente portato un radicale cambiamento nel tipo della monetazione Genovese? In altri termini, dobbiamo noi considerare il bellissimo pezzo d’ oro del Giano come vera moneta, e perciò rappresentante del nuovo tipo monetario che avrebbe introdotto il nuovo Doge ? Io credo che Γ Autore stesso non sia di questo parere, ed anzi nella Nota 2 a pag. 4, egli portando la data della comunicazione del Longpérier su questo pezzo, soggiunge : « di questa medaglia avrò presto occasione di riparlare ». Se dunque egli stesso lo ritiene una semplice medaglia coniata per dimostrare la gratitudine al Cesare, e forse anche tagliata in proporzione multipla del Genovino in modo da potersi anche mettere in corso, come potremo persuaderci che possa rappresentare il tipo della vera monetazione di quel Doge ( 1) ? E questa fu appunto l’impressione che ne ebbi anch’io allorché vidi per la prima volta il disegno citato del Catalogo del 1880. Come osserva benissimo l’egregio Autore, la Genovese fu una delle zecche più tenaci nel conservare i tipi, e ripugna il credere che un Doge, per quanto grandi la riconoscenza allo Imperatore e 1’ ambizione propria, abbia voluto abolire totalmente il tipo della moneta; improntare la propria (1) Il pezzo d oro di cui qui si discorre è certo una medaglia, benché basata sul peso dello scudo d’ oro, di cui è il decuplo, come rilevai da graziosa indicazione fornitami dal Ch. Marchese Castagnola che ne è ora il fortunato possessore, e ne ha fatto uno dei più singolari gioielli del suo prezioso medagliere. Del resto io non ho presentato la mia opinione su quella interpretazione che come una ipotesi di più, e sarei per arrendermi alle ingegnose induzioni del Cap. Ruggero. Senonchè per altra lettera del Ch. Numismatico pavese il Cav. Brambilla, sono accertato che mentre anch’ egli possiede minuti dell’ O. C. con dietro le iniziali C. M. senz’ altra giunta, ne ha pure altri ove a queste ultime iniziali sono surrogate le lettere A, C, T, F. Quindi gli imbrogli crescono più che mai. (Nota di C. Desimoni). GIORNALE LIGUSTICO 295 testa al dritto, le armi dell’ Impero al rovescio , e non lasciarvi neanche un semplice distintivo della patria zecca al-Γ infuori dell’ indicazione della dignità ducale. Non abbiamo esempio, che io mi sappia, di monete senza le iniziali del zecchiere, dopo quelle anteriori ai Dogi, se non dopo il 1550, ed anche le grosse monete degli Sforza, e lo scudo d’ argento di Ludovico XII non fanno eccezione. Se quel tipo non era sconveniente per una medaglia, non può dirsi altrettanto per la moneta, mentre perfino tutte le estere dominazioni rispettarono il Castello, la Croce e la leggenda conradus. Solo Ludovico XII profondamente irritato per la rivolta del Paolo da Novi (1507), tolse i segni repubblicani e vi pose lo scudo di Francia; ma nelle monete d’argento conservò ancora il castello sormontato dalla croce al rovescio, e non fu che nello scuto del sole che volle invariato il tipo Francese, quantunque anche in questi scuti le cifre del zecchiere valgono a testimoniare della Zecca dalla quale vennero coniati (1). Dunque mi pare che fino a quando non si conosceranno vere monete di questo Doge, non si potrà decidere se egli abbia alterato il tipo patrio, potendosi a ragione considerare il suddetto pezzo in oro, come una medaglia espressa-mente coniata ad attestare la riconoscenza per la protezione Cesarea. E fino a quando questa incertezza sussista, io propenderei a leggere il rovescio della monetina dell’ Ottaviano, in analogia a quella dei minuti che seguono nella serie cro- (1) Qualcuno ebbe a dirmi di non esser ben certo che gli scudi d’oro di Ludovico XII con d. ianve fossero coniati in Genova. Potranno es-servene di Francesi con la stessa leggenda, ma quelli Genovesi son tanto differenti che il solo confronto con quelli coniati in Francia basta a distinguerli. Anche le iniziali del zecchiere tolgono di dubbio. L’esemplare mio ha quelle di a c le quali trovansi sulla maggior parte delle monete d’ argento improntate allo scudo de’ gigli. 296 GIORNALE LIGUSTICO nologica, perchè non avendo la prova che il Giano II abbia alterato il tipo monetario, tanto meno possiamo accusarne il suo successore. Prima di finire non volendo trascurare alcuna delle ragioni portate dall’ Autore, farò osservare che le lettere m c del minuto in discorso sono bensì più grandi e rilevate che non erano le lettere nei minuti anteriori, ma questo ingrandimento è in relazione col maggior spazio libero in seguito alla riduzione delle leggende alle sole iniziali. Nè mi sembrano più grandi di quelle del dritto, massime per il c, che in quanto all’ m per la stessa forma sua è soggetto ad esser talvolta esagerato in confronto delle lettere vicine, come ho osservato in altre monete specialmente di G. Gal. M. Sforza, Ludovico Sforza e Ludovico XII, cioè nei primi tempi che si usava la forma romana. Le dimensioni di queste iniziali sono eguali a quelle dei N. 29 e 30 del mio primo opuscolo, le quali monetine, sebbene mal conservate, tuttavia hanno tutta 1’ apparenza di appartenere ad epoca vicinissima a quella dell’ Ottaviano. VII. DI UN DENARO MINUTO ATTRIBUITO erroneamente a Ludovico XII Continuando ad esaminare attentamente il pregevolissimo articolo del Desimoni, trovo che egli dubita fortemente sulla esattezza delle indicazioni date dal Sambon per alcune monetine. Sono quelle segnate ai N. 504, 651-2, 676-7 del Catalogo della Collezione Franchini, per Carlo VI, Ludovico XII e Francesco I. Colgo volentieri 1’ occasione che mi si presenta, per richiamare 1’ attenzione del chiar. Autore sopra uno di questi mi- GIORNALE LIGUSTICO 297 nuti che io posseggo da qualche anno nella mia raccolta , e del quale non poteva mai riuscire a farmi un concetto soddisfacente. Dr. R. l : iANVA r Castello. nr ad vs Croce che taglia la leg- genda, accantonata superiormente dal giglio. Peso gr. 0,78. Pare al titolo eguale degli altri minuti. Avvertasi che sull’ l del dritto non vi può esser dubbio, ma la r è un poco aperta e potrebbe far pensare ad una n semigotica. Le due prime lettere del conradus son rimaste tagliate fuori. Le lettere sono di forma antica. Ho potuto avere in mano il N. 651 del Catalogo Sambon e lo trovai esattamente eguale al mio. Malgrado che non potessi esser dubbioso sulla leggenda del mio esemplare, tuttavia il confronto con quell’altro servì a confermare l’esattezza della lezione, allontanando dall’ animo mio anche il più leggero sospetto di errore. Anche 1’ r dell’ esemplare Franchini, come nel mio, non era ben chiuso. Due dati emergono dall’ esame della moneta : dessa appartiene senza fallo ad una dominaziohe Francese, ma per tutti i suoi caratteri non può assegnarsi assolutamente a quella di Ludovico XII. Da questi dati s’impone a noi la necessità di studiare, a quale delle altre dominazioni Francesi antecedenti si debba riportare la moneta stessa. Mi farò ardito di esporre una mia idea in proposito, ma rimettendomi al giudizio definitivo dell’ Autore, il quale sarà lieto, a mio credere, che la conferma delle indicazioni già date dal Sambon su questa monetina, dia occasione a nuove indagini. Per cominciare da quella l che fu già causa innocente del-1’ attribuzione al Ludovico XII, poiché dobbiamo negarle il significato che voleva ravvisarvi il S;wnbon, altro non le rimane che quello di iniziale . di un zecchiere, compagna in questo alla iniziale finale che probabilmente è un r ma che 298 GIORNALE LIGUSTICO potrebbe essere anche un n. Ora si cerchi a quale epoca convengano i caratteri della moneta. Il peso di 0,78 è superiore a quello dei minuti di Carlo VII, perchè Longpérier ha per questi una media di 0,475 ec^ i° su 20 esemplari ho una media di 0,516, mentre si trova quasi eguale a quelli dati per i minuti di Carlo VI. La dimensione del pezzo è maggiore di quella dei minuti posteriori, e trovasi eguale a quella dei denari di Carlo VI. Il conradvs, invece di essere tronco e seguito dalla cifra del zecchiere, è intero e senza iniziale di zecchiere, precisa-mente come nel primo dei Re Francesi. Il giglio, trovasi al rovescio e nel canto superiore destro come nelle monetine del Carlo VI, consuetudine non imitata dal VII, quando si soprapose il giglio al castello nel dritto. La leggenda del dritto, invece di cominciare dall’ alto a destra, comincia dal basso a sinistra del castello come vediamo usato nei soli minuti del suddetto Re. Finalmente la forma delle lettere, che è 1’antica, non può convenire che alla prima dominazione Francese. Non rimane altra difficoltà che sefnbri in opposizione a questa conclusione, se non quella della leggenda differente , cioè 1 assenza del nome del Re Francese. Ma considerando che la monetazione Genovese durante questo periodo, si può dividere in due parti ben distinte, cioè corrispondenti, la prima al governatore Genovese per Carlo VI, e h seconda ai Governatori di Francia, noi potremo con qualche probabilità di non andar errati assegnare la monetina alla prima epoca, dal 1396-97. Come ben osserva il Promis (1), nessun Governatore Francese avrebbe osato coniar moneta senza il nome del Re, ed è perciò che egli assegna all’ ex Doge Antoniotto Adorno il Grosso con la leggenda guberna- (i) Origine della Zecca di Genova. Torino 1871. V. a pag. 18. N. 7, GIORNALE LIGUSTICO 299 TOR · ianvensivm (V. Tav. I, N. 7), quando reggeva con quel titolo il governo a nome di Carlo VI dal 1396-97. Assegnando anche noi a questo Governatore il minuto in discorso, possiamo spiegare la variante nella leggenda, supponendo che lo spazio ristretto non bastasse all’ indicazione della nuova dignità dell’ Adorno come nel Grosso. Intanto egli avrebbe fatto su questa piccola moneta, una maggior concessione alla regia autorità improntando il giglio nel rovescio, cosa che non avea saputo indursi a fare per la moneta più nobile. Dopo esserci assicurati che i caratteri già esaminati consigliano ad assegnare questo minuto alla dominazione di Carlo VI, vediamo se quelli che rimangono possano avvalorare questa assegnazione, oppur le siano contrari. Dovendosi ragionevolmente considerare le iniziali del dritto come indicazioni di zecchieri, sia che la seconda debba leggersi per r, come pare più probabile, sia che possa passare per un n, trovo che corrispondono ad altre lettere eguali che si vedono sulle monete della stessa epoca, o poco lontana da questa, e sempre nella serie di Carlo VI. Il Grosso citato dal Promis e da lui assegnato al Governatore Adorno, ha nel dritto dei tre esemplari posseduti dal Museo Regio a Torino (V. pag. 18 al N. 7), le lettere n (semigotico), s e v, cioè le stesse che si ripetono nelle monete battute dai governatori Francesi, e che perciò forniscono un altro indizio favorevole alla attribuzione di quel Grosso all’ Adorno. Trovo I’l nei Genovini, nel Grosso e nelle petacchine di Carlo VI, e unita all’ r in una peiacchina riportata dal Long-périer a pag. 233 linea 10, che poi rivediamo nel Sambon al N. 496. e vedo pure 1’ r in altre monete col nome del Re. Dunque io voglio sperare che si possono trovare nei documenti per gli anni 1396 e 97 i nomi dei due zecchieri, uno dei quali potrebbe essere quel Lucius de Rapallo che fu an- 300 GIORNALE LIGUSTICO cora soprastante nel 1405. Trovandosi quei nomi, oppure dovendosi escludere qualora se ne trovino altri, avremo o la conferma o la negazione del mio supposto. Oltre a tutti gli altri indizi, anche il carattere generale della moneta ossia lo stile, conviene perfettamente a quell’epoca. Ma per esser sincero, poiché in tali indagini è d’uopo procedere molto cauti, sono in obbligo di aggiungere che il solo titolo pare a bella prima contrario alla mia induzione. Quantunque non lo abbia riconosciuto esattamente, non mi sembra tuttavia superiore a quello dei pezzi che seguono in ordine cronologico ; come conciliare questo fatto con F avere il Longpérier dichiarate di argento le minute di Carlo VI nel testo, sebbene segnate col b nella Tavola? Bisognerebbe credere che egli colpito dapprima dalla bella conservazione loro, avesse poi voluto modificare il primitivo giudizio. Invero, il N. 12 del Longpérier appartenendo alla Franchini, deve essere lo stesso esemplare descritto al N. 509 del Sambon; e poiché il Sambon lo dichiara di mistura , noi conoscendo come egli non sia proclive ad abusare di questa indicazione nei suoi Cataloghi, dobbiamo veramente ritenere che il minuto in questione sia di bassa lega, cioè non molto superiore in titolo ai suoi congeneri. Lo stesso Desimoni riporta il titolo legale del 1404 per i minuti in 0,125 ed il peso in °>753· Non troviamo dunque difficoltà neanche per questo lato. Avrei ancora da parlare dei minuti segnati ai N. 676, 677 del Catalogo per la Collezione Franchini , che il Sambon leggeva f. rex. f. d. ian. b, e l’altro del N. 504 con κ. ianua. Il nostro Autore sospetta di uno scambio tra la f ed ed un K nel primo di questi minuti (1), e si dimostra ancor meno disposto ad accettare la lezione del secondo. Se ho potuto confermare la leggenda di quello con L. ianva, non (I) Mi piace confessare che la prima idea di questo scambio mi venne dal mio aimco, il Ch. Numismatico Cav. Vincenzo Promis (Nota di C. D.). GIORNALE LIGUSTICO 3OI posso lare altrettanto per questi che non potei vedere. Dovendoci rimettere a semplici supposizioni, dirò che il sospetto del cambio tra 1’ f ed il k mi pare molto giustificato se osserviamo: 1. Che la leggenda assai completa si conviene meglio a Carlo VI, che non ai seguenti, quando lo spazio ridotto non permetteva d’ improntarvi altro che le iniziali di ogni parola. 2. Il conradvs intero al rovescio senza sigla di zecchiere e col giglio nel canto, è perfettamente eguale come nei minuti di Carlo VI., mentre invece i seguenti posero il giglio al dritto e la cifra del zecchiere al rovescio. 3. La lettera b del zecchiere non è contraria agli altri caratteri, perchè la vediamo anche in altre monete di quel Re. La seconda monetina, cioè quella del N. 504 che il Sambon legge κ. IANVA, sembrando eguale alla mia con l. ianva. r, meno della differenza della prima iniziale e dell’ assenza del-1’ ultima, potrebbe ben esserne una varietà da assegnarsi, fino a prova in contrario, al Governatore Adorno. Sulle altre monete che io ho messo tra le indeterminabili N. 25-28 e che giustamente inducono nel Chiar. Autore il sospetto di lezione erronea, non ho che aggiungere. Ne ho dato il disegno fedele, curando specialmente di mantenere in quello lo stile generale delle monete stesse, carattere importantissimo, che in talune tavole anche meglio eseguite dal lato tecnico viene facilmente svisato. In quelle con n. c. dvx. ian feci avvertito il lettore di confrontare 1’ n del dritto con quello del conrad al rovescio, trovandosi perfettamente eguali in modo da togliere ogni dubbio sulla giusta lezione. Il c è chiarissimo in modo da non potersi confondere col G, che d’ altronde non potrebbe convenire al Nicola Guarco. Non mi fermai neanche un momento col pensiero sulla possibilità che provenissero da altre zecche, perchè simili contrafazioni non risalgono a quest’ epoca ma cominciano nel XVI secolo. Noi dobbiamo credere all’ unità di origine con 302 GIORNALE LIGUSTICO gli altri minuti Genovesi (siano o non siano sbagli volontari o involontari degli intagliatori), perchè oltre all’ essere stati rinvenuti nello stesso ripostiglio colla maggior parte di quei minuti, essa appare innegabile al solo confronto cogli altri per il carattere generale, il quale più che descrivere, lo si sente troppo evidentemente da chi abbia una pratica mediocre delle monete. È duopo convenire che non ci rimane altro che crederli prodotti di errori dell’ intagliatore dei coni. Per ultimo devo dichiarare al Chiar. Desimoni di accettare le sue conclusioni in ordine alla attribuzione della moneta da me portata al N. 2 del secondo opuscolo. L’ errore fu cagionato dal non aver io conosciuto altri esemplari di simili monete, se non i due da me posseduti con ci. ianva, e non avendo altri termini di confronto , mi acconciai troppo facilmente alla interpretazione civitas, ianva, mentre egli mi avverte trovarsene altre simili ma con diverse lettere anteposte alla ianva. L’ a e Γ u semigotici stavano per distogliermi da quella interpretazione, ma finii per arrendermi sulla considerazione che 1’ a semigotico figura in un grosso del 3. tipo repubblicano, ed un n pure semigotico accantona la croce in uno dei miei denari coll’ianva, mentre nella moneta in questione abbiamo ancora un bell’ N di antica forma. Il metallo che par quasi tutto rame, il peso inferiore ai primi quartari col grifone, mi avevano indotto a designarla per il pezzo corrispondente a questi nel secondo tipo col civitas. Ma ora che Γ autore mi fa avvertito del rapido peggioramento del denaro durante quel periodo, da non comportare più 1’ esistenza del quartaro, devo riconoscere Γ insussistenza della mia primitiva dichiarazione. E tanto nel dare, per il primo una interpretazione che venga accettata, quanto nella dichiarazione di accettare una rettifica, provo eguale soddisfazione, perchè i due atti sebben differenti, si compiono in omaggio alla verità. G. Ruggero. CIORNALE LIGUSTICO 303 QUISQUILIE EPIGRAFICHE APPUNTI E NOTE PER VITTORIO POGGI (Continuazione da pag. 99). II. Alle suddette leggende sono da aggiungersi queste due, dipinte la prima su frammento di vaso a figure nere di stile arcaico presso il prefato signor Amilcare Ancona / 26. ΤΟΝΑΘΕΝΕΘΕΝΑ(ΘΛΏΝ) (των Άθ-ήνηθεν άθ-λον) esprimente in modo non dubbio che il frammento apparteneva ad un’anfora panatenaica, destinata, cioè, a contenere 1’ olio delle olive sacre (μορίαι) dato in premio ai vincitori dei giuochi Panatenaici in Atene; 27. La seconda a lettere nere minutissime su vaso in forma di anitra dalle penne tratteggiate in nero su fondo rossiccio : CYPIAC ΟΕΛΖΙ AA3ICTA ΜΛΚ 3ΙΔΟΝ OÌOE AZ Dei vasi dipinti a figure rosse, mi limiterò a far memoria dei seguenti, del così detto stile attico recente. 3°4 GIORNALE LIGUSTICO 28. Kylix, nel cui fondo interno è rappresentata una donzella coperta il capo di cuffia e vestita di doppio chitone con pallio attorcigliato alla vita, in atto di sollevare colla sinistra un’ idria colla quale ha attinto 1’ acqua da un pithos, mentre colla destra ha staccato e lascia andare la fune di cui si è servita per calar l’idria nel pithos. Nel campo, sotto il braccio destro della giovinetta, leggesi 1’ acclamazione ΚΑίΈ ripetuta poi nel corpo dell’ idria. Fa parte, come le due precedenti, della collezione Ancona. 29. Kylix, nel cui fondo interno una figura virile recum-bente su cline, con ramoscello fiorito nella destra e nella sinistra uno scifo. Nel campo è l’iscrizione I Α^ΞΊΙΊ Nel Museo etrusco di Firenze. Ad una classe particolare di vasi, costituita finora da pochissimi esemplari, appartengono le due seguenti inscrizioni dipinte a caratteri bianchi sul risvolto esterno del labbro di piatti a vernice nera, lucida si ma non fina, posseduti dal prelodato signor Ancona: 30. V · IVNIOS · SCEVA 31· ΊΑ La prima di dette iscrizioni spetta all’ epigrafia latina, e come tale, vuoi sotto il rispetto ortografico, avendo, cioè, riguardo alla desinenza in - os che affetta il gentilizio, vuoi dal punto di vista paleografico, per 1’ uso della V ad angolo acuto, accusa una data non posteriore alla prima metà del secolo VI di Roma. Circa alla seconda, qualunque sia il nome 0 i nomi che si nascondono sotto le due lettere di cui consta, cosi per la GIORNALE LIGUSTICO 305 grafia di queste come per l’andamento della scrittura da destra a sinistra, sembra doversi ritenere per etrusca: nè, come tale, sarebbero invero ad essa applicabili i criterii di cui sopra : però il vaso su cui è pennelleggiata essendo della stessa tecnica e forma, e appalesandosi al tutto per un prodotto, se non della stessa fabbrica, almeno d’uno stesso ramo di industria, sarà ovvio riferirla ad una stessa epoca. Le leggende dei vasi di questa classe differiscono da quelle dei vasi greci figurati, specialmente in quanto esprimono soltanto nomi personali, siano questi dell’ artefice 0 del possessore del vaso, laddove quelle degli ultimi consistono per lo più in acclamazioni, o in nomi o in altre voci, riferentisi, quando non siano incomprensibili come occorre non di rado su vasi arcaizzanti, alle rappresentazioni figurate di cui fanno parte. Tale caratteristica distingue i vasi di cui parliamo eziandio dai contemporanei e affini pocula deorum, sui quali l’indicazione del vaso, POCOkOM, è preceduta dal nome al genitivo della divinità al cui culto il vaso stesso era dedicato, AISCI'API, BEKDkAl, SAIITVRNI, VOKANI, SAINTES, MENERVAI etc. (1). Fra le diverse specie di vasi nostrani a nomi dipinti hav-vene poi una, ben nota agli archeologi, la quale sebbene offra parecchi punti di contatto colla precedente, particolarmente per ciò che concerne la tecnica e la vernice ordinaria, pure ha caratteri propri, fra i quali spiccano: i.° la decorazione a cerchi gialli o rossastri in campo scuro; 2° il colore e la posizione dell’epigrafe, la quale invece di essere dipinta a lettere bianche sul risvolto del labbro, apparisce tracciata (1) Garrucci, Sylloge, 475-483. Addenda, 2403, 2404. I fin qui conosciuti, in numero di 11, provengono per la maggior parte dall’agro tar-quiniense e dal vulcente. Giorn. Ligustico, Anno IX. 20 3o6 GIORNALE LIGUSTICO a caratteri rossastri o nericanti nell’ area del fondo interno del vaso, che è per lo più un piatto o una sottocoppa. Le leggende esprimono nomi propri, quasi sempre al genitivo, e questi sono più probabilmente del figulo, ciò che si può arguire dal trovarsi un nome stesso ripetuto su diversi esemplari. Tali leggende sono etrusche ; e in generale , i vasi a cui spettano provengono dall’ agro tarquiniese. Ecco alcune iscrizioni di questa categoria 32. (venelus) = Veneti (opus); oppure (ex officina) Veneti a caratteri neri, entro un cerchio rossastro, al centro del fondo interno di una sottocoppa a ornati rossi in campo nero, alt. 0, o5o, diam. 0,150, proveniente da Tarquinia, oggi nel Museo etrusco di Firenze. Il nome proprio Venelus (talvolta Venerus) trovasi da un capo all’ altro dell’ ampio territorio su cui si estese ab antiquo il dominio degli Etruschi; nella Circumpadana (Adria, Fio-relli, Not. degli scavi di ant. comunic. ai Lincei, 1879, p. 104), nell’Etruria propria, o media (Valdichiana, Gamurrini, Appendice al Corp. inscr. ital., 90; Chiusi, id., ib., 386; Veii, Mommsen, Bull.- dell’ Inst. di con. arch., 1882, p. 92; Orvieto, Fabretti, Corp. inscr. ital., 2049, 2050; Tarquinia); nella Campania (Fabretti, ib., 2782b). Le iscrizioni che lo esibiscono hanno tutte un carattere di alta antichità i laonde è a credere che esso appartenga al-l’onomastico dei popoli antico-italici, e abbia a comprendersi nel novero di quegli appellativi che, giusta 1’ usanza comune ai detti popoli, vennero dapprima adoperati ugualmente come gentili, e come personali 0 pronomi che dir si vogliano. Molti di detti appellativi sopravvissero poi lungamente nella nomenclatura latina conservando la sola qualità di gentilizi; fra i quali, appunto, Venelus, donde ebbe nome la gens Ve- GIORNALE LIGUSTICO 307 nelia non ignota agli epigrafisti. Nulla impedisce di supporre che nella famiglia stessa del Venelo ricordato dal fittile tar-quintese qui edito sia stato per qualche tempo ereditario il mestiere del figulo, e che ad essa appunto debba riferirsi il Caio Venelio a cui spettano i due mattoni del Museo di Parma portanti i nomi dei Consoli del 689 e 690 di Roma (1). 33- *V8>IA (alfus) = A Ifi (opus) a caratteii rossastri, nel fondo interno di coppa presso il signor A. Ancona. La voce al fus esprime il genitivo del nome proprio al fu = lat. Albus, da cui derivò il gentilizio etrusco al fi, genit. al fis = lat. Alfius, della stessa radice di Albius. In Etruria, infatti, come presso i Latini, i gentilizi traevano origine da un appellativo personale del rispettivo capostipite, desunto dalla patria, dalla professione 0 da qualche peculiare contrassegno fisico o morale di questo. 34· //Y-NA (altui) = Alti (opus) Id., ibid. Le considerazioni dianzi esposte in ordine alla leggenda al fus sono ugualmente applicabili allJaltus di questo vaso come genitivo del nome al tu = lat. Altus, del figulo. Lo stesso nome, di cui trovasi esempio, in altro caso di flessione, su sarcofago tarquiniese (C. i. it., 2335; Corssen , Ueher die %· der Etrusk, I, p. 559, tf. XVII, 1), riconosco’ sebbene sotto diversa ortografia, inscritto a graffito su coccio di bucchero del Museo civico di Fiesole, dove io leggo (1) Id., ibid., 1023, 1024. V 3o8 GIORNALE LIGUSTICO ΜΥΉΣΕΙ]) a differenza del ch. Gamurrini (x) che piopone MY"NA[8]; e ad un omonimo titolare appella, per avventura, l’epigrafe βΊΉΑΒΙΜ graffita sul labbro interno di scodella trovata ultimamente in Adria (Fiorelli, Not. degli se. di ant., 1879, p. 221). 35. ' · A(U (lap. nas) Id., ibid. Un’ iscrizione identica ricorre in vaso vulcente della collezione che fu del Principe di Canino (Corp. i. it., 2247), e forse a questa stessa lezione sono da ricondursi le epigrafi di parecchie coppe tarquiniesi del Museo di Berlino supplite in larcnas (ib., 2340 ter, 2781 bis). 36. Fra le iscrizioni dipinte sui vasi fittili, non ultime in ordine di pregio e d’importanza voglionsi ritenere quelle che adornano il collo ed il ventre delle anfore da cella, sì per Γ aiuto che somministrano alla cronologia e alla storia, mediante i nomi consolari che talvolta ne segnano la data, sì per la luce che proiettano sulla vita degli antichi, mercè le indicazioni relative alle qualità dei vini e degli altri generi alimentari contenuti nelle anfore a cui servivano di etichetta. La più ricca serie di iscrizioni anforarie è senza dubbio quella delle anfore pompeiane, nota per le pubblicazioni dello Schoene (2), del Brizio (3) e del Fiorelli (4): viene in se- (1) Appendice al Corp. inscr. ital., 26. Della prima lettera non rimane che una menoma parte, la quale si presta, invero, tanto al mio quanto al supplemento del Gamurrini. Niuno ignora, del resto, quanto ovvio sia nell’ epigrafia etrusca lo scambio fra le lettere B e 8. (2) Corp. inscr. lat, IV. (3) Ephemeris epigraphica, I, p. 160 segg. (4) Notizie degli scavi di antichità comunicate all’ Accademia dei Lincei, passim. GIORNALE LIGUSTICO 309 conda linea quella esibita dal deposito di anfore rinvenuto di recente in Roma ed illustrato dal dott. Dressel (1). L’ epigrafe che qui trascrivo spetta alla classe in discorso, ed è vergata a caratteri rossi sul collo di un’ anfora vinaria a punta (alt. 0,480; circonf. mass. 1,100) proveniente da Corneto, nel Museo di Firenze : K · CR V · VET· A · VI (VET in monogr.) La prima riga contiene probabilmente P indicazione del vino che si racchiudeva nell’ anfora: e le due sigle sono forse da interpretarsi Koum Q^anianum, pei· Coum Granianum, vino di cui trovasi menzione su altro titolo anforario edito dal ch. Minervini. Circa al contenuto della seconda riga, mentre non può cader dubbio sul significato delle due prime note in \jinum VET«s, è invece suscettibile di controversia se alle altre due meglio convenga l’interpretazione Annorurn VI, oppure Amphora sexta. Quanto a me, non esito a dichiarare che la seconda di tali interpretazioni mi sembra preferibile alla prima: nonostante che questa trovi appoggio nella dottrina più comunemente accettata circa la soggetta materia, e seguita anche testé dal ch. Dressel nella sua prelodata memoria sulle anfore del Castro Pretorio. Infatti, se la cifra numerica fosse relativa agli anni del vino, essa avrebbe di necessità dovuto essere ogni anno modificata o cambiata; sistema poco pratico, e del cui uso i monumenti non somministrano apprezzabili indizi; laddove (1) Di un grande deposito di anjore rinvenuto nel nuovo quartiere del Castro Pretorio, nel Bull, della Comm. Arch. Comun. di Roma, 1879. GIORNALE LIGUSTICO la seconda interpretazione riscontra colla pratica tuttodì vigente di numerizzare nelle cantine i recipienti. L’ipotesi che trattisi piuttosto d’un numero d’ordine è anche avvalorata dal fatto che trovansi anfore vinarie portanti una cifra numerica assai più elevata di quanto possa presumersi dell’ età d’ un vino : oltre che non mancano anfore della detta specie colla semplice indicazione del numero, ciò che meglio si affà col presupposto d’una numerazione d’ordine, entro la cella, delle anfore d'uno stesso gruppo, cioè contenenti una medesima qualità di vino. Per rispetto alla tecnica grafica, le iscrizioni dei fittili si dividono in tre classi, secondo che furono eseguite a pennello, a stampa o a graffito. Delle prime abbiamo or ora discorso: quelle a stampa costituiscono i così detti bolli, dei quali la maggior parte è a rilievo, e il resto a cavo : le ultime sono di due specie; alcune, cioè, graffite colla stecca, vale a dire a creta molle, altre dopo la cottura del fittile. Riserbandomi di far soggetto di una pubblicazione speciale una serie di graffiti figulinari di cui trovo memoria fra le mie schede, mi limito a qui trascrivere parecchi bolli che scelgo fra quelli di cui la provenienza è accertata da testimonianze attendibili. L’ interesse, infatti, che presentano questi monumenti deriva sopratutto dalla loro provenienza. La maggior parte dei bolli doliari non esibisce, a dir vero, che i nomi dei figuli, dei padroni o dei conduttori dell’ officina o del predio in cui questa era situata; ma la conoscenza del luogo dove vennero esumati conduce spesso a importanti deduzioni; rivelando l’esistenza di relazioni commerciali fra diversi paesi, i centri di produzione e i raggi di esportazione dei relativi fittili, nonché le vie battute dal commercio per la diffusione di tali prodotti. GIORNALE LIGUSTICO 37· L •Ji o -ti * 4. ~n O .Ί a lettere rilevate intorno all’ ombilico conico di una patera finissima, a vernice nera lucente, decorata di maschere bacchiche parimente in rilievo a stampa. Presso il marchese C. Strozzi. cui patronimico Calenus, da Cales, esibito come contrassegno di fabbrica, attesta dèi gran pregio in cui erano per la loro eccellenza tenuti i prodotti ceramici di questa città della Campania (i). Di detti bolli, quattro sono riportati dal Garrucci ai nn. 498, 499, 500 e 2379 della Sylloge, l’altro fu pubblicato dal ch. Tomassetti nel Bull, dell’Inst. di con. arch. carsi con alcuno dei cinque ora citati. Non col primo, infatti, perchè lo spazio che manca al compimento del ciclo non è tale da capirvi il supplemento CAkENVS, oltre la sigla del (1) Anche il figulo C. Gabinio, probabilmente contemporaneo di L. Ca-nuleio, si qualifica CALIINO (Syll., $06): e analogamente, Reto Gabinio servo di Caio ha cura di enunciare sui bolli delle proprie figuline (ibid., 501-503) che queste furono lavorate a Cales, CA^EVS· Suppliscasi O ■] CANOPEIVS · · F · FEC [IT · CAl·] e leggasi Lucius Canoleius Lucii filius fecit Calenus. Si conoscono altri cinque bolli di questo L. Canoleio, il (1874, p. 146). Quello di cui qui pubblico il facsimile non può identifi- 312 GIORNALE LIGUSTICO prenome. Non coi tre seguenti, ostandovi, insieme ad altre discrepanze, il finimento in - os che sui medesimi affettano il gentilizio e il patronimico del titolare. Non finalmente col-1’edito dal Tomassetti, sì perchè in questo il ciclo dell’iscrizione si chiude col FECIT, mentre nel mio lo spazio esige il supplemento ÇAl·; sì per la grafia dell’ A che nel-1’esemplare del Tomassetti ha l’asta mediana parallela alla sinistra, laddove in quello da me esibito tale lettera non ha altrimenti la linea interna, bensì soltanto un punto, forma adoperata da Canoleio anche nel secondo dei bolli già noti, n. 499 della silloge garrucciana. Il frammento di patera che porta questo bollo appartiene alla ceramica conosciuta sotto la denominazione di etruscocampana, le cui caratteristiche si fanno generalmente consistere nella vernice nera brillante, nelle forme eleganti e nei rilievi esprimenti ornati, teste o figure di puro stile ellenico, ottenuti per mezzo di stampe. I vasi di questa classe occupano un seggio nobilissimo nella serie dell’antica ceramica, e costituiscono una sezione a parte nella storia dell’arte industriale greco-italica. Però non mi sembra abbastanza propria la denominazione di etrusco-campana, almeno per quanto attiene ai prodotti della ceramica calena. Nulla attesta in questi l’elemento etrusco; nè lo stile, che è greco; nè i nomi dei figuli, L. Caloneio, Reto, Lucio e Caio Gabinii, Cesone Attilio etc., indubbliamente latini; come latine, e talvolta anche greche (i), mai etrusche, sono la lingua e la scrittura adoperate nei bolli da essi esibiti. Una nota assai caratteristica sembra essere sfuggita all’autore della dotta monografia sui vasi così detti etrusco-campani pubblicata nella Gaiette archéologique, del 1877, ed è che (1) Come nella tazza Bourguignon descritta testé dal ch. Helbig (Bull, dell’ Inst. di corr. arch., 1881, p. 149 seg.). GIORNALE LIGUSTICO 313 questi vasi non solo si distinguono per la vernice nera brillante (talvolta a riflesso bleu scuro, verdastro o caffè), per le forme graziose e per gli eleganti rilievi a stampa, modellati sotto Γ influenza dello stile greco della migliore epoca, ma una buona parte di essi conserva tracce più o meno apparenti di una ricca decorazione policroma, tracce che non isfuggono a chi ne osservi attentamente la superficie, essendo, infatti, la vernice rimasta alquanto appannata nei punti in cui ad essa era sovrapposta la decorazione policroma oggi svanita. 38. Anfora rodia a punta, con tracce di vernice bianchiccia; alt. 0,850; circonf. 1,070; capacità, litri 29; nel Museo di Firenze : Sopra un’ansa a rilievo ΕΠΙΑΡΙΣ ΤΟΓΕΝΕΥΣ ΣΜΙΝΘΙΟΥ Sull’ altra id. EVKAEI TOY Caduceo Si può porle a riscontro la congenere, trovata recentemente in Ardea (Genzano), col bollo rettangolare sull’ansa: 39· ΕΠIAPXIBIOY ΔΑΔΙΟΥ 40. Anfora greggia proveniente dall’ agro Parmense col bollo a cavo sul collo C * IVLI MARCELL 3*4 GIORNALE LIGUSTICO Vidi e trascrissi presso il signor Podestà negoziante di oggetti antichi in Parma (i). 41. CORNELI SVCESSI Bollo a rilievo su coccio di anfora grezza trovata a Bon-prezagno presso Bozzolo Mantovano. Nella collezione del signor A. Ancona. 42. CNFA ///// Id., ibid. 43. IeNCHVSVETVRÌ (VE in monogr.; TVR id.) Id., su manico d’anfora trovato a Campeggine. Nel Museo di Storia Patria di Reggio dell’ Emilia. 44· iCCORNELIFE CI ξ SER/////// Id., su labbro di grande dolio trovato a Chiusi. Collezione Ancona. 45· BAS Id., a cavo, su tegolo della stessa provenienza. Ibid. (1) Nella Tav. V, n. 66, dei miei Sigilli antichi romani ho esibito il fac-simile di questo bollo come termine di confronto fra i bolli figulinari e le impronte dei sigilli enei. GIORNALE LIGUSTICO 315 46. ///uavji Id., id., proveniente da Boretto. Nel Museo di Storia Patria di Reggio nell’ Emilia. 47· BR'· Al//// Id., id., Ibid. La prima voce appella forse alla vicina Brescello, Brixil-lum, dove appunto si esumarono ai nostri tempi i resti di due grandiose figlinae, o fornaci da mattoni e stoviglie. 48. Q· POP Id., a rilievo, su mattone della stessa provenienza. Ibid. Il punto dopo la sigla del prenome ha la forma triangolare. 49· 50. Id., id., Ibid. Si· ////MIMI M · C *S //iavcivI Id., ad arco di circolo, con lettere a rilievo, su tegolo proveniente dagli scavi di Fiesole. Nel Museo Civico di detta città. 52. Id., id. Ibid. VM/////A/////IO 53· P-S Id., a cavo, su tegolo della stessa provenienza. Ibid. 3ié GIORNALE LIGUSTICO 54· wìiNLISVRAE (AE in monogr.) Id., a rilievo, su mattone trovato dal ch. P. De Feis in Monteleone Sabino. Nella collezione del Collegio dei Padri Barnabiti alla Querce in Firenze. 55. |miepicer| 56. OPTATIET MAR///// Id., su cocci di anfore trovati a Roma. Nella collezione Ancona. Proviene parimenti da Roma il seguente 57. ramoscello a s. PMOCV FIGEDO che trascrissi da un esemplare conservato nel Collegio dei PP. Barnabiti in Lodi. Spetta alla serie dei bolli che tuttodì si raccolgono sul Testaccio, collina artificiale costituita, come è noto, per gli studi del Reifferscheid, del P. Bruzza e del dott. Dressel, dai rottami delle anfore da trasporto che dai porti esteri, e segnatamente da quelli della Spagna, facevano capo all’ Emporio. Per più considerazioni si può ritenere che il bollo in discorso sia d’origine spagnuola: nè osta a tale attribuzione il fatto che del medesimo siasi, come pare, trovata traccia in Inghilterra; dovendosi ciò attribuire al commercio, stante l’esportazione che dei suoi rinomati prodotti faceva la Spagna, e in particolare la Betica, anche in quella regione. È qui il luogo di registrare due bolli a rilievo su manichi di vasi di creta grezza GIORNALE LIGUSTICO 317 CO Q · G · R 59· p L · F · O (punteggiatura triangolare) i quali sebbene presentino poca importanza dal punto di vista epigrafico, constando di semplici iniziali, non sono tuttavia destituiti di interesse sotto il rispetto'della provenienza, o topografico che dir si voglia, in quanto contrassegnano i primi campioni che si conoscano dell’ antica ceramica di Alba Docilia, stazione romana la cui ubicazione per apprezzabili indizi, d’ accordo coi dati proferti dalla Tavola Peutin-geriana, già si riteneva dover più o meno coincidere col territorio dell’ attuale Albisola Superiore (Savona), dove appunto recenti scavi hanno tratto all’ aprico un ricco contenuto archeologico. Or questi bolli, mentre concorrono cogli importanti ruderi e cogli altri materiali archeologici che costituiscono il prodotto degli scavi testé iniziati (1), a confermare e determinare 1’ ubicazione dell’ antica Alba Docilia nei territorio del-1’odierna Albisola, ci porgono i primi elementi per la storia del più antico periodo della ceramica d’un paese in cui, stante 1’ abbondanza e la bontà della materia prima, fu sempre in fiore tale industria da tempi antichissimi insino ad oggi. Non havvi infatti penuria di materiali per la storia del periodo posteriore della ceramica di detto paese : imperocché, a prescindere dai prodotti delle fabbriche di stoviglie comuni che vi prosperano tuttodì, niuno ignora che in Albisola furono lavorate per la maggior parte le famose maioliche in- (1) Detti scavi vennero intrapresi dal ch. Parroco locale Rev. Can. Giovanni Schiappapietra, il quale ne ha pubblicato uua pregevole relazione sotto il titolo Avanci di Monumenti di Alba Docilia, Genova, tip. Sordomuti, 1881. 3x8 GIORNALE LIGUSTICO verniciate e istoriate in azzurro, le quali vanno sotto il nome generico di Savonesi, e il cui smercio raggiunse grandi proporzioni , specialmente nella prima metà del secolo XVII, come ne fa memoria, fra altri, l’albisolese capitano Guglielmo Saettone nelle postille del suo grande Atlante, o Periplo del Mediterraneo, pubblicato nel 1640. Mancava invece fin qui ogni traccia di simile industria nei tempi antichi, ed è perciò che hanno un valore peculiare i bolli ora editi, ai quali è lecito sperare che, in seguito a sistematiche ricerche, offriranno materia di riscontro altri più espliciti, donde potranno desumersi elementi da servire alla storia della ceramica ligure nel periodo romano e fors’ anche nel precedente (v. più sotto, al n. 72). 60. Il bollo CVAFONT (NT in nesso) è impresso a rilievo su tegolo trovato a Varallo Pombia, come da apografo favoritomi dal ch. Prof. Pompeo Castelfranco. La lezione del supposto monogramma, 0 nesso, delle due ultime lettere non è però ben certa. Considerato la frequenza e varietà dei titoli, nonché lo esteso raggio di produzione delle officine figulinarie dei Varii, 1 cui tegoli e altri articoli doliari trovansi con frequenza in territorii attigui 0 non molto discosti da quello ove fu rinvenuto il presente (1), propendo a riferirlo ad un C. Varius Fontanus (?). 61. Quest’altro segna un coccio di buona tecnica proveniente dall’agro di Laus Pompeia (Lodi Vecchio). Nella collezione del signor Dr. Francesco Martani in Lodi. (1) Corp. inscr. lat., V; 81 io, 416, 4ìé, 437; 8112, 84, 85 etc. GIORNALE LIGUSTICO Busto di Pallade, coperta di elmo crestato, a destra. In-torno LVCRIO § VLL Leggasi LVCRIO TVLL» (servus). 62. Il seguente racchiuso entro un cartello rettangolare fa parte della ricca decorazione di rilievi a stampe d’ un vaso finissimo a vernice rossiccia, proveniente dagli scavi di Bom-prezagno (Bozzolo Mantovano); collezione Ancona NORB/// Non si può determinare se Γ inscrizione appelli alla citta di Norba, come sede dell’officina ove fu lavorato il vaso, analogamente alle leggende ARRETI , VEI » LVGVDV , SA-CYNTO , CAkEBVS, OCRICkO etc., di note stoviglie (i); o se debba piuttosto supplirsi NORB^mmì; nel Φ·13! cas0 P0-trebbe aver valore di patronimico, come il CAkENVS di cui al n. 37, o esprimere srmplicemente il gentilizio del figulo o del padrone dell’ officina figulinaria (2). (1) Corp. inscr. lat., II; 4970, 4S; Bruzza, Scop. di figuline in ΡοχχίίοΙί, p. 11; Birch, History of anc. pott., II, p. 409; Bruzza, op. cit., p. 10; Garrucci, Syll., 501-503; id., ibid., 497. Sono noti i bolli d’anfora col nome di TVBVSucto (Tiklat) nella Mauretania, (Bruzza nel Bull, dell’ Insl. di corr. arch., 1873, p. 103; Dressel, Ricerche sul monte Testaccio, p. 134), di FAN»)» FORTurne QOLonia HADRwrcs, etc. Più frequenti sono le menzioni topografiche sui bolli di tegoli e di mattoni, e basti citare quelli coi nomi di Tuscolo (Ann. dell’ Inst. di corr. arch., 1855, p. 86; Willmanns, Exempla inscr. lat., 2791 a), di Vindobona (C. i. lat., III, 4709, 4712), di Sciscia (ibid., 4671). (2) Sul nome Norbanus veggasi quanto è detto nelle mie Contribuzioni allo studio dell’ epigrafia etrusca, p. 56. 320 GIORNALE LIGUSTICO E poiché sono ai vasi del genere aretino, ecco qui alcuni bolli che non trovo registrati nella silloge del Gamurrini, nè in altre pubblicazioni a mia conoscenza , e di cui alcuni ci rivelano nuovi nomi di servi e di padroni, altri costituiscono nuove varietà di sigilli relativi a famiglie ed officine già note. AFRI s rettang. ΛΗΝ , . - ÌHN in nesso) id. AD V J MANI (M A in nesso) in pianta di piede umano. S· ANI rettang. id. ANNI ANNI ramoscello id. ORI Pi QVARhC (AR in nesso) id. •ANNI Provengono da Chiusi, meno il n. 67 trovato a Roma. Vidi e descrissi nella collezione Ancona. È ignoto da quale famiglia dipendesse il servo Afer del n. 63, come incerta è 1' attribuzione del n. 64. Gli altri appartengono all’Annia, delle cui officine ci parlano tanti altri sigilli (1). Non consta se il S. Anius del n. 66 sia lo stesso che il Sextus Annius enunciato dal successivo. L’ortografia ANI trova riscontro fra altri nel bollo C · L · AN10RVM (interpunzione triango- 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. (1) Gamurrini, Iscrizioni dei vasi aretini, 114-122. GIORNALE LIGUSTICO 321 lare, rv in nesso) d’ un tegolo del Museo etrusco di Firenze (1). 7°· PASSI TELAM(AM in nesso) rettang., provenienza Bom-prezagno in quel di Bozzolo Mantovano. Leggi Publii Assii Telamonis. 71· BARGATE (TE in nesso) rettang. 72. CARPF entro un orma di piede calzato. 73· C-CASAE entro un orma di piede ignudo. 74· M · C · ME (ME in nesso) id. 65. GC · LE id. 76. G · C · L · SAB (AB in nesso) id. 77· CORD rettang. 78· CRESTI id. 79· v DAMA (MA in nesso) id. da non confondersi coll’ omonimo servo di una Ebidia ricordato in bollo d’anfora modenese edito dal Cavedoni ; da confrontarsi piuttosto col n. 7 della prelodata silloge del Gamurrini. 80. S · EP// id. 81. FEROX id. (1) Lanzi, Saggio di lingua etrusca etc., I, p. 171, η. XXXII. Cone-stabile, Iscrizioni etr. della Gali, di Fir., p. 249, tav. IX, 10. Il Gamurrini, op. cit., p. 29, trascrive erroneamente ANNIORVM· Giorn. Ligustico, ιΑηηο IX. 21 322 GIORNALE LIGUSTICO S2. GALA id·, ripetuto 4 volte sullo stesso piatto. SCAV Questo Gala servo di Scauro ci offre per avventura il mezzo di rettificare la lezione del bollo n. 397 della silloge Gamurriniana classificato dal chiarissimo autore fra le iscrizioni incerte. 83. L · GE entro un impronta di piede calzato 84. C · 1 · VL////RI id. 85. PIMP rettang. 86. ///MEM (ME in nesso) id. 87. MOSCHI id. 88. L · MV entro orma di piede. 89. C · M\/RR - (MVR in nesso) rettang. FELIX Provengono il n. 72 dai già menzionati scavi di Alba Docilia (Albisola Superiore), il n. 83 da Montefiascone, il n. 87 da Val Precona (Rovigo), i nn. 73 e 89 da Bomprezagno, i nn. 71, 74, 76, 86 da Chiusi e i rimanenti da Roma. Tro-vansi tutti nella Collezione Ancona, meno il n. 72 di cui presi nota in Albisola presso il Parroco locale Rev. Schiap-papietra. 90. Γ ACEEI a cavo. Provenienza Chiusi. Sia che appartenga ad un Γ. Accius, sia che trattisi di un P. Accius 0, come sembra più probabile, di un Paccius, saranno argomento di osservazione la rarissima forma f, la consonante c non duplicata, la geminazione della vocale c, al desinenza in - ti del genitivo nella seconda declinazione, GIORNALE LIGUSTICO 323 dati tutti che concorrono a riportare il titolo ad un’ epoca non posteriore alla prima metà del VII secolo di Roma. 91· MPERCRES (MP in nesso) entro orma di piede. Provenienza id. = Marci Perennii Crescentis. Questo bollo permette di interpretar con certezza il n. 318 della raccolta del Gamurrini (M · PER· CR)> rimasto oscuro al chiaro editore perchè la sigla CR che nasconde il cognome dà campo a ipotesi che recherebbero più fastidio che utilità (p. 52). 92· PES · CLE (punto triangolare) Forma e proven. id. 93. L · P · PVD (il P di seconda forma, cioè a riccio aperto). Provenienza id. 94· G · RAN1 rettang., id. 95· C· RASI entro forma di piede, id. 96. OFSARR rettang., Roma. La nota ARR appella alla città di Arezzo quale sede del— 1’ officina del titolare S....., se pur non afferma semplicemente, come patronimico, 1’ origine aretina di questo. 97. SE ü AR · I circolare, Chiusi. 98. 2EVE entro forma di piede, Roma. 99· SIVM (VM in nesso) rettang., Chiusi. SOCR 100. ramoscello tondo, Roma. ATI IS SVRV , λ ... . ιοί. (TA m nesso), Chiusi. TAVII V J 102. C-TANV-F (TAN in nesso) entro forma di piede, Roma. 324 GIORNALE LIGUSTICO 103. C· TETTI rettang., Chiusi. 104. C · TET (TE in nesso) forma e proven. id. L· TETTI . . > -i -j ioì. -- (TE in nesso) id., id. ^ AQVTVS V ' 106. A · TF (TF in nesso) id., id. 107. VMB in nesso, Roma. 108. C · VM forma e provenienza id. 109. L · VM · H rettang., Bomprezagno. no. VMBRIC (VM in nesso) entro orma di piede, Chiusi. in. L VMB „ (VMB in nesso) rettang., Roma. RI CI ramoscello 112 THYRS (VM in nesso) Id., ripetuto quattro volte VMBR sullo stesso piatto, Chiusi. 113· ///TI · T id., id. 114. ///ER · SA entro orma di piede, id. Oltrepasserei i limiti impostimi dall’ economia del periodico di cui dee far parte il presente articolo, se prolungassi di più questa lista, alla quale per altro mi riserbo dar seguito in altra circostanza. Chiuderò pertanto l’ormai troppo monotona rassegna, non senza tuttavia richiamar 1’ attenzione del lettore sopra alcuni cimelii di indole assai più allettevole, quali appunto i seguenti specchi di bronzo, di cui trovo contezza sulle mie schede per averne preso nota, or son due anni, nel negozio del già nominato signor G. Pacini in Firenze. 115. Oreste, 3T*GV, senz’altra veste che al clamide svolazzante, la destra armata di corta spada, sta per trucidare GIORNALE LIGUSTICO Clitennestra, ΛΤ2ΜΤ\ΛΌ, seduta a lui di fronte, in chitone con sovrapposto pallio. Tutt’intorno corre un tralcio di edera. il6. Teti, 2Ι+3Θ, vestita di chitone e pallio, sfugge a Peleo, 2V3>13n, che l’insegue. L’eroe è clamidato e calza le cnemidi. Sotto, un leone sta per abboccare una farfalla; il tutto è racchiuso da un fregio. Lo specchio, di cui non rimane che la parte inferiore, conserva il manico d’ avorio. Accennerò qui di passata, e soltanto per segnalarne Γ attuale ubicazione presso lo stesso antiquario, ad altro specchio ritraente in graziosa quanto insolita composizione, le figure di Castore di Memnone (?) 2A33, di Cassandra flq+MfO, e di Capaneo BVHfD; specchio che io credo potersi identificare col chiusino registrato dal Fabretti al numero 2536 bis del Corp. inscr. ital., e già descritto dal Gerhard (1) e dal Conestabile (2). La menzione di questi specchi mi porge, occasione di affrettar coi voti la pubblicazione d’un opera di cui vivissimo è il desiderio e l’aspettazione nel mondo scientifico: intendo parlare della continuazione della grande collezione del Gerhard; lavoro a cui, per incarico dell’Imp. Instituto archeologico germanico di Roma, attendeva con perfetta competenza il non mai abbastanza rimpianto dott. Kluegmann, quando da immatura morte venne testé rapito agli studi. (1) Archàol. an%eiger, 1857, nn. 101-102, s. 71 *. (2) Bull, dell’ Inst. di corr. arch., 1859, pagg. 79, 192. 326 GIORNALE LIGUSTICO I GENOVESI AD ACQUEMORTE. § I. Qualche tempo fa Γ egregio amico mio prof. Alfredo D’Andrade, artista di profonda e svariatissima erudizione, ha visitate alcune di quelle città morte del golfo di Lione, che fornirono al Lenthéric l’argomento di un interessante volume (Les villes mortes du Golfe de Lyon, Parigi). Pion e Ç., 1879), e s’è specialmente fermato ad Acquemorte, per cavare i disegni di quelle fortificazioni, che sono un vero monumento dell’ architettura militare nel secolo XIII. Ebbe egli poi la cortesia di comunicarmi cotesti disegni, e d’aggiungervi alcune indicazioni, dalle quali parea doversi dedurre che le fortificazioni accennate, in tutto od in parte, erano opera di genovesi. Ora le Mémoires sur le port d’Aiguesmortes del senatore Giulio Pagezy (Parigi, Hachette 1879) confermano appunto il fatto, e ci mettono al corrente de’ suoi particolari, in grazia de’ numerosi documenti che Γ autore ha potuto raccogliere negli archivi nazionali di Francia, ed in quelli di vari comuni della Provenza. Ognuno sa che il re Luigi IX volse le proprie cure alla fondazione di Acquemorte, allorché trovossi nella necessità di radunare la poderosa fiotta, che in servizio della sua prima crociata gli aveano specialmente fornita i genovesi (1246-48). Acquemorte estoit en sa terre, come scrive il Join-ville ; ed al pio monarca sarebbe riuscito impossibile di trovare, all’infuori di essa, un luogo meglio opportuno al disegno da lui concepito. Le coste del Rossiglione e della Lin-guadoca erano quasi totalmente in potere del re d’Aragona e d’altri principi e signori; la Provenza apparteneva al duca d’Angiò, e riconosceva (sebbene poco più che di nome) GIORNALE LIGUSTICO 327 Γ alta sovranità di Federigo II imperatore dei romani. Luigi IX non aveva altra proprietà, fuor quella che era limitata dalla punta dell’ Espi guette a levante e dalla Motte Co'icieux a ponente, confini dei comitati di Provenza e di Milgorio; epperciò, volendo creare un porto, il quale fosse diretta-mente sotto la sua dipendenza, non poteva disporre se non della lingua di terra che risultava tra cotesti punti, ed era allora coperta di sabbia, stagni e paludi. Secondo i concetti del medio evo, il porto di una città non era solamente un luogo di rifugio per le navi, di caricamento e scaricamento delle merci, ma un complesso di istituzioni fiscali, amministrative ed economiche, indirizzate ad assicurare la conservazione dello stabilimento marittimo ed insieme a favorire lo sviluppo della prosperità commerciale. Così il re Luigi, ordinando le opere necessarie alla fondazione del porto, assegnava anche delle rendite per guarentirne il mantenimento, e concedeva amplissimi privilegi a coloro 1 quali avessero trasferita nella nuova città la loro residenza. Ora fra gli abitanti di Acquemorte non tarda molto a comparire anche un genovese, nella persona di quel Guglielmo Bcccanegra, il quale, nel 1257, salito in patria alla magistratura suprema con titolo di capitano del popolo, ne era poi stato balzato correndo il maggio del 1262. Odiato dai nobili, da’ plebei ricchi e da quasi tutti gli uomini dabbene, come dicono gli annalisti, e scampato alla morte solamente perch’ ebbe tempo di riparare sotto il tetto ospitale di Pietro D’Oria; il Boccanegra abbandonava Genova e rifuggivasi nella Francia. Dove il re Luigi ricevealo nella sua grazia, fino a commettergli il governo della nuova città, ed insieme la percezione della sovrimposta di un denaro per lira, ond’erano, a beneficio della medesima, colpite tutte le merci importate od esportate così per terra come 32S GIORNALE LIGUSTICO r per mare. Di che fanno prova gli atti di una inchiesta eseguita nel 1298-99, per ordine di Filippo il Bello, dal vescovo di Soissons e dall’arcidiacono di Lisieux, laddove Nicoloso da Rivarolo, oriundo di Genova ed abitante d’Acquemorte, marinaio di professione e dell’ età di circa 70 anni, dichiara con giuramento d'aver veduto prima ancora della spedizione di Tunisi e nel tempo di questa spedizione, or fanno meglio di tren-t’anni, che Guglielmo Boccanegra il quale dimorava in Acque-morte ed ivi esercitava la giurisdizione pel re dei francesi, costringeva e facea costringere tutte le navi ad approdare nel porto di Acquemorte, affinché pagassero il denaro per lira (1). Dopo di ciò, i documenti s’indugiano a ragguagliarci di lui fino all’aprile del 1271; dal quale pigliano data le lettere con cui il re Filippo l’Ardito, figlio e successore di Luigi, assegnava al Boccanegra ed a’ suoi legittimi eredi in perpetuo l’annuo feudo di quaranta lire tornesi (2). Assai più importante è poi la convenzione soscritta in Marmande fra il monarca e Guglielmo nel maggio dell’anno successivo; stipulandosi con questa, che per l’avvenire il possesso d’ Acquemorte si terrebbe in comune dal re e dal Boccanegra: Nos et predictus Guillielmus villam et portum cum pertinentiis... communiter possidebimus. Riservava nondimeno Filippo alla sua corona l’assoluta proprietà della torre, coi fossati e la palizzata che la circondavano, nonché quella d’alcune case in città; e dichiarava interamente a sè devoluti il giuramento di fedeltà degli abitanti, il comando della milizia, le eredità giacenti, l’amministrazione dell’alta giustizia criminale (mutilazione, esilio, condanna di morte), la no- (1) Pagezy, pag. 262 e segg. (2) Pagezy, pag. 350. — Ogni lira tornese va ragguagliata a circa 18 franchi d’intrinseco, ma il suo valore commerciale dev’essere almeno quintuplicato. GIORNALE LIGUSTICO 329 mina di un giudice o balio, e quella di un ammiraglio in occasione di future crociate. Questi poi gli obblighi reciproci. Guglielmo impiegherebbe del proprio, e giusta le indicazioni del siniscalco di Beau-caire o di altro regio delegato, la somma di cinquemila lire tornesi nella costruzione della cinta e delle fortificazioni d’Ac-quemorte, nella formazione e manutenzione del porto adiacente. Filippo contribuerebbe nelle medesime opere, impiegandovi per lo spazio di un decennio Γ intero prodotto di tutte le entrate della città, del porto e delle loro pertinenze; rinnoverebbe inoltre, o meglio regolerebbe con efficaci provvedimenti, la sovrimposta di un denaro, esentandone solamente le derrate alimentari vendute nell’interno della città, le robe e le mercanzie dei pellegrini che navigavano oltremare in difesa delle fede di Cristo. Compiuto il decennio, anche tutte le entrate di Acquemorte andrebbero divise in eguali porzioni fra il re ed il Boccanegra od i suoi eredi in perpetuo, a titolo di feudo e omaggio ligio; e similmente d’allora in poi sarebbero sostenuti in parti eguali tutti gli oneri di qualsiasi costruzione o riparazione (1). La torre della quale si parla in modo assoluto nella enunciata convenzione (turris nostra cum fossatis et vallo circa turrim), è quella che poi si disse di Costanzo ed anche Farot, ossia piccolo faro: perchè era sormontata da una lanterna, nella quale, durante la notte, ardeva il lume per guida dei naviganti. Papa Clemente IV, in una lettera diretta a S. Luigi nel 1266, la diceva edificata da questo principe opere sumptuoso, e per tutela dei pellegrini e mercanti. — Di più questa torre, per l’autorevole avviso del Lenthéric, è la sola parte di Acquemorte contemporanea al santo re, e presenta il severo tipo delle fortificazioni europee dal secolo XI al XIII. I bastioni (i) Pagezy, pag. 3si. 330 GIORNALE LIGUSTICO della cinta, invece, si mirano costrutti sovra tutt altro esemplare, e sono una vera reminiscenza d’Oriente (i). Veramente il Pagezy intenderebbe riportare anche al legno di Luigi IX il principio almeno della gran diga, oggi chiamata la Peyrade, destinata cosi a proteggere l’ingresso del porto contro i flutti del mare, come a deviar le sabbie ed il fango che il Rodano vi avrebbe condotti pel Grau de la Chèvre. Ma l’argomento allegato dal senatore francese non parmi attinto ad una schietta convinzione, sibbene dedotto dalla passione, per cui gli dorrebbe di attribuire un opera così altamente utile e commendevole a merito di uno straniero. Se trattasi di biasimare, oh! allora s’infoschino pure le tinte; e, per esempio ragionando della sovrimposta ristabilita da Filippo l’Ardito, non si abbiano scrupoli per affermare del Boccanegra, che « ce génois dut opérer le recouvrement de cet impôt avec la rigueur habituelle de sa race... Boccanegra fut sans nul doute l’auteur ou l’instigateur de ces rigueurs, qui excitèrent des plaintes très-vives et entravèrent le commerce des contrées voisines ». Ma quant’è della diga, esclama il Pagezy, la grossezza dei blocchi i quali ne formano gli strati inferiori (io a 15 metri cubi), ci conferma nell"opinione, che solo i costruttori della torre di Costando potevano impiegare di così fatti materiali : un impresario avrebbe indietreggiato dinanzi alle difficoltà cagionate dalla loro estrazione nelle vicinanze di Beaucaire, e dal loro trasporto lungo il corso del Rodano ! (2) Se non che Y opinione allegata viene poco stante contraddetta dall’autore medesimo; laddove constata « que les remparts d’Aiguesmortes, les fortifications de la tour Carbonnière et les murs du quai du mole (la Peyrade) sont du même style architectural, et paraissent avoir été construits à la (1) Lentheric, pag 381. (2) Pagezy, pag. 147. GIORNALE LIGUSTICO 331 môme époque ». E conclude, abbattendo anche meglio il suo primitivo giudizio, colle riflessioni del Lenthéric : « Ne doit-on pas déslors être frappé, après avoir visité l’enceinte de la ville, de rétrouver à la Peyrade les mêmes matériaux disposés et taillés d’après le même appareil, et présentant entre eux une analogie tellement complète, qu’on doit inévitablement en conclure qu’ils ont été executés sous la même direction et à la même époque? (1) » § II. Guglielmo Boccanegra non sopravisse lungamente alla convenzione del maggio 1272 : egli era anzi diggià morto nel gennaio del 1274, leggendosi in un atto del 6 di questo mese, che gli eredi di lui aveano domandato a Filippo l’Ardito di liberarli dagli obblighi contenuti nella convenzione su mentovata. Il re consentiva all’istanza; ed ordinava al siniscalco di Béaucaire di restituir loro altresi le cinquemila lire tornesi, che il Boccanegra aveva per l’appunto sborsate (2). Gli eredi si dichiaravano nella persona di Giacomina vedova di Guglielmo, allora giacente inferma a Mompellieri, e in quelle de’ figli Nicolò, Ranieri, Ottobono, Alasina ed Albertina (3). I maschi confessavano tutti l’età superiore ai 14 anni; ma nessuno era maggiorenne, e nemmanco doveva esserlo ancora nel 1276; perchè in un contratto ricevuto in Genova dal notaro Angelino di Sestri, alla data del 7 ottobre di quest’ultimo anno, Jacopo Boccanegra fratello del qm. Guglielmo si dichiarava tuttavia curatore e tutore de’ costui figli, ed in tale qualità rilasciava quitanza di una somma data in accomenda ad Jacopo D’Oria (4), Nè va taciuto come (1) Pagezy pag. 122; (2) Id. pag. 358. (3) Alasina o Adelasina, e non Palasina come legge in più luoghi il Pagezy. (4) Archivio di Stato. Pandette Richeriane, fogliazzo I, foglio 154, car. 8. 352 GIORNALE LIGUSTICO questi sia una stessa persona coll’ ultimo degli annalisti continuatori di Caffaro per ordine pubblico, e fosse figlio a quel Pietro nelle case del quale, secondo ho già notato, 1 ex capitano del popolo era scampato al furore dei suoi concittadini. Ma Gugliemo dovette pur lasciare una terza figlia, di cui tacciono i documenti recati dal Pagezy : se è esatto il nome di Sibilla Boccanegra dato da alcuni genealogisti alla moglie d’Inghetto qm. Nicolò Spinola del ramo di S. Luca (i). Il matrimonio, ma non il nome, è confermato da un rogito di Leonardo Negrino del 27 luglio 1278; nel quale il citato Inghetto fatetur Jacobe socre sue, uxori qm. Wiìielmi Bucanigre, se ab ca habuisse libras ducentas et vigiliti, per acquistarne rendite sulla Compera del sale (2). Noto ancora un atto di Giberto da Nervi, del 10 dicembre 1253, il quale chiarisce altre relazioni dei Boccanegra coire di Francia; leggendovisi come il citato Jacopo, in società con Lanfranchino ed Enrico di Palma, costistuisse procuratori per riscuotere 700 lire tornesi, derivanti da un prestito fatto a Luigi nel tempo della sua spedizione contro l’Egitto (3). Altri fra i documenti genovesi ci additano nei Boccanegra una famiglia di mercanti ed armatori ; e ci ragguagliano di una nave - S. Pietro - noleggiata da Guglielmo, nell’agosto del 1251, pel viaggio di Tunisi. Similmente i figli di lui, Nicolò e Ranieri, negli atti del predetto Angelino da Sestri, fanno acquisto di una nave (24 agosto 1287); e Ottobono loro fratello, col ministero dello stesso notaio, noleggia quella di Pietro Rosso, per caricarla in Marsiglia di 2500 (1) Battilana, Genealogia delle famiglie nobili ecc., vol II, famiglia Spinola, pag 36. (2) Pandette Richeriane, fogliazzo I, foglio 155, car. 6. (3) Belgrano, Documenti sulle due crociate di Luigi IX, doc. CC. GIORNALE LIGUSTICO 333 mezzarole di vino da portare a Gaffa in Crimea, recente colonia de’ genovesi (3 febbraio 1291) (1). Nel 1290 il detta Nicolò era anche stato nella Corsica, con grado di vicario e capitano, comandante una squadra di dieci galere; e gli instrumenti di Vivaldo della Porta ci conservano registrate le lettere patenti onde l’avea munito la Signoria, e ch’egli presentava il 22 luglio ad Ottolino Di Negro podestà di Bonifazio. Ivi era detto, che a Nicolo con-ferivasi ogni più ampia giurisdizione e balia compreso il mero e misto imperio, affinchè per volere di Dio e virtù dell’esercito riassoggettasse tutta l’isola al dominio di Genova (2). Tornando alle opere d’Acquemorte, è facile immaginare che queste fossero tuttavia lontane dal loro compimento, allorché Guglielmo Boccanegra esci di vita; nè lo avevano raggiunto ancora nel 1289, quantunque nell’intervallo la cinta fosse stata continuata per ordine ed a spese della Corona di Francia. Di quest’anno appunto, una relazione indirizzata al re Filippo il Bello da Adamo di Montcéliard, siniscalco di Beaucaire, dichiara che Guglielmo Buccuccio, vicario d’Acquemorte , avea proposto al predecessore di esso siniscalco d’aprire a fianco del molo un canale di notevole larghezza e profondità, nell’intento che vi potessero transitare anche le galee di molto pescaggio. Inoltre lo stesso Buccuccio, si era esibito di prolungare per cento canne il molo medesimo, all’ oggetto di chiudere un braccio del Rodano nel luogo chiamato la Fourche, ed infine di accollarsi l’ultimazione della cerchia murale, id quod est adhuc faciendum. In compenso avea chiesto, che il re gli abbandonasse per un decennio (1) Pandette Richeriane, fogliazzo I, foglio 98, car. I, foglio 178, car. I. 7, foglio 180, car. 2. 8. (2) Pandette cit., fogliazzo II, foglio 14, car. 6. 334 GIORNALE LIGUSTICO tutte le rendite della città, non obbligandolo che ad una prestazione annua di mille fiorini, e per giunta gli rimettesse un debito di quattro mila lire tornesi. Ora però lo stesso proponente avea disdetto le primitive condizioni, e ne accampava delle nuove maggiormente gravose, tra Γaltre questa: che il re gli guarentisse i proventi d’Acquemorte nella somma non inferiore di 5500 lire all’anno, e più gliene assegnasse altre mille per lo spaccio del porto: in altri termini gli assicurasse pel corso del decennio un prodotto minimo di cinquantacinquemila lire tornesi. In conseguenza di ciò, il Montcèliard non credea vantaggioso il suggerire alla Corona l’accettazione delle enunciate proposte; e rispetto ai lavori del porto, considerava altresi che la chiusura del Rodano avrebbe suscitate vivissime pppo-sizioni nei limitrofi sudditi del conte di Provenza. Stringe-vasi egli dunque a proporre al re le stipulazioni di un trattato col genovese Nicolò Cominelli; il quale, mediante la corresponsione di mille lire all’ anno, si obbligava alla ne-tezza, manutenzione e riparazione del porto. Quanto è poi delle fortificazioni di terra, calcolava il siniscalco che rimanevano tuttavia da costrurre 1667 canne fra torri e porte, e 1580 canne di muri pieni (la canna in tutto l’Hérault era di otto palmi); e soggiungeva che i muratori, i quali di presente lavoravano all’edificazione delle torri e delle porte, si profferivano pronti ad eseguire ogni opera a cottimo per la mercede di 4 lire e 10 soldi la canna, oppure in blocco per dodicimila lire. —■ Il Montcèliard concludeva col proporre che l’ultimazione dei muri venisse data senz’altro in appalto. Si può credere col Pagezy, che tutti cotesti suggerimenti dell’avveduto siniscalco fossero da Filippo il Bello accettati ; tanto più se si consideri che dalla fine del secolo XIII in appresso nessun documento ha memoria di lavori intorno ai GIORNALE LIGUSTICO 33Î bastioni. E quanto a quelli del porto, lo stesso autore produce appunto una convenzione del 1289, mercè la quale viene assegnata al Cominelli la chiesta somma di mille lire per un decennio; a patto che renda pienamente libero l’ostruito ingresso del porto medesimo, ed abbia facoltà di lavorare a quest’ uopo in tutta la terra e in tutte le acque del re, essendogli unicamente fatto divieto d’aprir canali che conducano acqua dolce, e di dar mano ad opere le quali in qualsivoglia guisa possano derivare in esso porto alcun braccio del Rodano. Aggiungo che il Cominelli osservò fedelmente i propri impegni ; di tal forma, che in sul cadere del secolo XIII e nei principii del successivo, le galere avevano appunto in cotesto porto liberissimo accesso. Del Cominelli non ho ulteriori notizie ; ma altri particolari mi soccorrono a proposito di Guglielmo Buccuccio : genovese anche lui, e ornato per giunta dello splendore di nobiltà. Imperocché il suo casato derivava il cognome da Buccuccio De Mari, console delle Campagne verso il borgo nel 1166; e i De Mari contavano fra le famiglie le quali risalivano fino a que’ Visconti (ramo di Carmandino), che nei secoli X ο XI avevano governata Genova in nome de’ marchesi e degl’imperatori, usurpandone quindi a proprio beneficio Γ autorità. Nè la comunanza delle origini si lasciò da’ Buccucci cadere in oblio, vedendosi bene spesso in documenti del secolo XIII, ed anche nella persona dello stesso Guglielmo, unito al loro cognome quel dei De Mari. Altri atti mostrano le due famiglie ancora associate negli interessi; e per esempio, nelle proposte fatte dai commissari di Luigi IX al Comune di Genova, e da questo accettate, correndo il marzo del 1246, si legge che Fazio De Mari e Giovanni detto Buccuccio do-veano far costrurre a spese del re dodici taride della lunghezza di 48 cubiti ciascuna. 33 6 GIORNALE LIGUSTICO Guglielmo era figlio di Raimondo, e veniva anche chiamato Guglielmino, o giuniore, per distinguèrlo da un omonimo, figlio di Oberto e morto circa il 1234 (1). Cosi in atto del 28 febbraio 1261, ricevuto dal più volte citato An-giolino da Sestri, Jacopo Podisio vende a Guglielmino di Raimondo Buccuccio-De Mari una casa posta in Genova nella parrocchia di San Pier della Porta (Banchi) (2): luogo appunto, dove per molto tempo ebbero le proprie stanze i De Mari, i De Marini, e con essi gli Usodimare; ai quali spettava la proprietà di quell’arco, che oggi attraversa la pubblica via presso le Cinque Lampade. Ancora uno statuto inedito della fine del secolo XIII (3) addita in un luogo medesimo, verso la Chiappa dell’olio e la Pescheria, le case dei De Mari e de’ Buccucci, laddove prescrive: Fiat. . . poti'; . . . in mari, videlicet in loco qui respicit in directum carubium in quo sunt domus illorum de Mari et Bucutiorum. Similmente in tre rogiti del dicembre 1264, ricevuti dal-l’anzidetto notaro, Guglielmo e Giovannino, figli emancipati di Raimondo Buccuccio-De Mari, addivengono ad una stipulazione con Beatrice vedova di Oberto su mentovato ; e già nell’anno stesso, il 9 di giugno, negli atti del Sestri, il medesimo Guglielmo (Guilielmus iunior) avea dettato il proprio testamento, ordinando che al suo cadavere si dovesse dar sepoltura nel cimitero di S. Stefano fuori le mura di Genova (4). (1) Pandelie cit., fogliazzo I, foglio 56, car. 2. (2) Pandette cit., fogliazzo I, foglio 171, car 3. (3) Descritto negli Atti della Società Ligure ecc., vol. XIV, pag. 70. (4) Pandette Richeriane, fogliazzo I, foglio 170, car. 6. — Il Giscardi Origine ecc. delle famiglie nobili genovesi, Ms. della Civico-Beriana, (vol. II, pag. 277) registra nel chiostro di San Domenico la seguente iscrizione : Sepulchrum DD. Melchionis et Manuelis qm. Antonii Boccutii, filiorum ac heredum et successorum suorum, MCCCCXXXXVili die X aprilis. GIORNALE LIGUSTICO 337 Ma quattro anni più tardi (5 febbraio 1268) egli era in Parigi, alla corte di Luigi IX; dove nella stessa camera regia (in talamo domini regis) interveniva, co’ suoi concittadini Pier di Camilla e Ansaldo Paggi, in qualità di testimonio, ad un atto di quitanza rilasciato ai procuratori di esso re da Guglielmo Rosso e da altri banchieri genovesi (1). Sotto Filippo l’Ardito, il Buccuccio andava poi vicario in Acquemorte, si come vedemmo poc’anzi; e mantenevasi tuttavia in così fatta dignità il 23 febbraio 1290, registrandosi a questa data fra i presenti alla convenzione colla quale il signore di Uzès e d’ Ayrnargues cedeva al re di Francia le saline di Peccais, ricevendone in cambio altri ricchi possedimenti (2). Ma forse quest’anno fu anche l’estremo della sua carica e della sua vita. Nell’inchiesta già citata del 1298-99, Pietro Olivi di Narbona, altro degli interrogati, deponendo su alcuni fatti, dice : Tempore domini Guilielmi Buccutii quondam , snnt bene octo anni. § III. Le mura della città di Acquemorte esistono tuttavia come le hanno lasciate Filippo 1’ Ardito e Guglielmo Boccanegra, Filippo il Bello e gli imprenditori succeduti al profugo genovese. Ma non s’ inneggi per questo allo spirito di conservazione de’ monumenti antichi, e non se ne pigli occasione per celebrare il culto che verso di questi mostrano i nostri vicini a confronto dell’ italico vandalismo. « Avec le goût des solutions extrêmes, qui est le fond de notre caractère national (ha scritto il Lenthéric), nous passons sans transition de la destruction complète au système de la restauration à outrance. Nous démolissons ou nous îe-construisons ; et, pendant que nous portons le pic et la pioche sur des monuments d’un autre âge pour en aliener les (1) Belgrano, Documenti ecc., doc. CCXXXI. (2) Pagezy , pag. 301. Giorn. Ligustico, Anno XL 33S GIORNALE LIGUSTICO matériaux à vil prix, nous n’hésitons pas à dénaturer certaines ruines par des réparations soi-disant confortatives, qui équivalent à des reconstuctions, et enlèvent à ces magnifiques débris du temps passé le caractère respectable et le relief artistique que les siècles leur avaient donnés (i) ». Per buona ventura adunque, non abbiamo qui nè ristauri, nè demolizioni ; e ne sieno ringraziati gli Iddìi. La cinta è quasi perfettamente quadrangolare, costrutta di grosse pietre rozzamente lavorate a boz?e, e piene di segni de’ lapidari: l’altezza delle mura è di undici metri; 2.50 lo spessore alla base. Le torri sono quindici; e sorgono agli angoli del quadrilatero, di fianco alle porte, e lungo le cortine a distanze ineguali. Le porte si contano in numero di nove; ma ve ne hanno due principali: la Gardetle, per la quale si usciva sulla strada di Nimes all’incontro della torre Carbon-nière; quella della Marina, che metteva al porto. A destra di quest’ ultima specialmente , erano poi murati degli anelli di ferro, cui potevano ormeggiarsi le navi. La Carbonnicre, sfuggita al pericolo di rovina onde l’avea minacciata il Genio civile del Gard nel 1825, esiste anche essa inalterata; èd è una robusta fortificazione avanzata, la quale proteggeva l’ingresso di Acquemorte dalla banda del Vistre, e potevasi considerare veramente la chiave del paese (2). Il tipo'di tutte coteste fortificazioni è inoltre perfettamente quello adottato da’ crociati per le loro castella in Siria, nel-l’isola di Cipro, in tutto l’Oriente: mura merlate, tempestate di lunghe feritoie, e all’altezza della strada di ronda anche di fori quadrati, per conficcarvi i travi, o sorgo^ni, destinati a sorreggere le gallerie staccate e i balconi di legno (1) Lenthiìric. pag. 378. (2) Id. pag. 513. GIORNALE LIGUSTICO 339 (hourds), d’ onde gli assediati dominavano la base delle mura, impedendo a’ pionieri scavarvi le mine e d’ appoggiarvi le scale (i). Di tratto in tratto vi hanno pure delle caditoie, simili a quelle di Tortosa, d’ Ascalona, di Cesarea, ecc. Fu anche cantato su tutti i toni, che le fortificazioni di Acquemorte presentano, nella pianta, la stessa disposizione di quelle di Damietta in Egitto; ma propriamente, osserva il Lenthéric, ci s’ inganna non poco sulla significazione di quella parola. Quant' è del suo aspetto generale, Acquemorte somiglia a Damietta, come a S. Giovanni d’Acri od a Gerusalemme ; ma se ad ogni costo si volesse trovarle una somiglianza speciale' questa (astrazion fatta dalla torre di Costanzo), non potrebbe cercarsi all’infuori di Antiochia, secondo risulta da un disegno del secolo XIIÎ che lo stesso Lenthéric ha opportunamente riprodotto da un manoscritto della Nazionale di Parigi. Del resto, il tracciato di una città fortificata, generalmente viene imposto dalla forma della medesima; e se Acquemorte ha figura di un esteso quadrilatero, ciò deriva da che essa fu disegnata in previsione di uno sviluppo, il quale non fu raggiunto giammai. Difatti., una terza parte all’ incirca della superficie chiusa entro le mura è occupata da terreni incolti e da giardini a stento coltivati: la sua popolazione, che nel secolo XflI era di 15,000 abitanti, è discesa a 3,500; e sarà mollo se rimarrà stazionaria. La solitudine e il deserto la circondano; tutto è morto all’intorno di cotesta città morta; (1) li Baldinucci, confortato dall’autorità del Vasari, cosi dichiara nel Vocabolario dell’ arte del disegno : « Sorgozzone, pezzo di legno in forma di travicello o piana, che posando dalla parte inferiore sopra mensole o beccatello, o in buca fatta in muro, e con la superiore sportando in fuori, serve a reggere travi, che faccian ponte o sporto, terrazzo, ballatoio, 0 altra qualsisia simil cosa, eh’ esca col suo aggetto, fuori del piombo della muraglia ». 340 GIORNALE LIGUSTICO e in cospetto della sua cinta di un’ altra epoca e di un altro mondo, non vi ha nulla che ci richiami all’ Europa moderna. Nondimeno, nei tempi più vicini alla sua costruzione, e mercè il favore de’ suoi re, Acquemorte era pervenuta ad occupare un posto importante nel commercio del Mediterraneo. Le tele, i panni, le lane d’Inghilterra, i vini della Linguadoca, venivano imbarcati nel suo porto; ed ivi ugualmente si raccoglievano le sete ed i velluti d’Italia, i cuoi, il cotone, la lacca, l’indaco, l’allume, i legni tintorii, le spezie, le drcjighç,/le biade, e tutte insomma le mercanzie del Le-, vaiate. Allora una gran parte di così fatto commercio raccoglie-vasi pure nelle mani dei Genovesi ; non pochi de’ quali si erano anche stabiliti a Frejus, Marsiglia, Arles, Nimes, Mom-pellieri, Maguelonne, Narbona, Carcassona, Perpignano, acquistandovi onorevoli posizioni ed uffici importanti. Dappertutto godevano altresì di privilegi segnalatissimi; e· quando nel 1248 i consoli di Mompellieri chiesero a Luigi IX che nessun genovese, od altro straniero, potesse venir dichiarato cittadino o borghese d’ Acquemorte, certamente mirarono ad impedire che i loro ospiti si trasferissero nella nuova città (1). Ma da Mompellieri o d’ altronde vi si trasferirono egualmente. Alla convenzione, altra volta citata, di Filippo 1’ Ardito cogli eredi di Guglielmo Boccanegra nel 1274, sono testimoni Guglielmo Sibona cittadino genovese ed Albertino di o o Fassacella genovese; alla permuta di Peccais nel 1290, insieme a Guglielmo Buccuccio-De Mari interviene Guglielmo figlio di Pietro Buccuccio castellano d’Acquemorte; nell’ inchiesta del 1298-99, replicatamele allegata, oltre i già ricordati, compariscono Jacopo Vailini ed Jacopo Arduino, marinai oriundi di Genova, e da lungo tempo domiciliati in Acquemorte·. (1) Pagezy, pag. 167-70. GIORNALE LIGUSTICO 54I Nel 1316 1’Uffizio genovese di Gazzeria aveva inserito ne’ suoi statuti un capitolo speciale, per la navigazione ad Acquemorte. Le galee che remigavano verso quel porto do-veano essere equipaggiate di centosessanta uomini bene esperti ; e le sottili aveano obbligo di veleggiarvi in conserva. Le osservazioni del Lenthéric attestano poi la frequenza delle nostre navi in quelle acque. Alla Peyrade, egli dice, si trovano tuttavia molte pietre, la cui provenienza dagli Appennini e dalle vicinanze di Genova non può mettersi in dubbio: ma la loro esistenza presso il molo di Acquemorte non si potrebbe spiegare, se non ammettendo che ve le abbiano scaricate dei bastimenti genovesi del secolo XIII e XIV, giunti in zavorra (1). Cotesto molo di Acquemorte ci richiama per ultimo a quello di Genova, presso S. Marco; ed è argomento di viva compiacenza il pensare come la costruzione dell uno e il prolungamento defi’ altro, quasi in uno stesso tempo, sieno opera non pure di genovesi, ma di due membri di una stessa famiglia: Guglielmo e Marino Boccanegra. L. T. Belgrano. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA A. Ive. — Prose genovesi della fine del secolo XIV e del principio del XV. Nell’ Archivio Glottologico Italiano diretto da G. I. Ascoli, vol. Vili, puntata I, 1882. « Queste prose, dice l’illustre Ascoli, son contenute in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi, il titolo del quale » : Homiliae et Orationes, indica bene di che si tratti. Il codice porta, al presente, il num. 112 degli Italiani·, è in (1) Lentheric, pag. 371. 342 GIORNALE LIGUSTICO pergamena, mutilo nel principio, e qua e là anche nel corpo. Consta, cosi mutilo com’ è, di 101 fogli numerati ; e s’ a-dorna di quaranta miniature, non prive di qualche valore... I fogli, parte sono scritti a due colonne e parte per esteso; e ora contengono un testo latino, ora un testo genovese. Il latino consta di omelie e preghiere diverse, disposte secondo il calendario; il testo genovese, che sembra stare in una relazione più o men lontana col primo, porta una serie di considerazioni e meditazioni-sulle varie virtù, insieme con varie preghiere di chiesa e una .vita di Santo .. . Anche le scritte che accompagnano le miniature, sono quasi tutte in genovese ». Per es. questa si legge sotto la prima di esse, che rappresenta la Giustizia : Mi sum la iustixia chi sempre ho studia a fa, a pensa, a di tute cose iuste piemie de seno e de bontà, mi çamà (giammai), per loxenge, ni per menaxe, ni per Zpie, ni per dinari non vosse rumpere la iustixia, chi De a co-manda, in però in paraixo sum incorona. Veramente coteste prose non risultano originali, se non in « poca parte o quasi in nessuna »; ma riproducono molto fedelmente quella Vita di Santo Giovanni Battista che suole mandarsi tra le Vite dei Santi Padri volgarizzate dal Cavalca; e un’ altra buona parte « sarà ricavata da uno di quei trattati delle Virtù e dei Vi%ii, che hanno, per cosi dire, la lor più semplice espressione nel Fiore di Virtù... Poi s’ha un discorso sulle femine buone e sulle ree; e pur di questo non sarà forse difficile trovar 1’ originale. Si direbbe preparato per la predica, che s’è continuata a fare in genovese in sino a’ nostri tempi, con iscandalo grandissimo del buon Giordani (Scritti, Milano, 1841, ni, 100) ». Ma il codice stesso ci riporta a Genova, e precisamente alla confraternita di S. Bartolomeo, istituita nelle chiesa o ne’ chiostri di Santa Maria di Castello, e sfuggita alle ricerche del ch. Vigna, seppure non si deve identificare col- GIORNALE LIGUSTICO 343 1’ Oratorio di Maria Vergine, di cui egli ragiona a pag. 242 della Illustrazione di detta chiesa. Leggesi infatti , al foglio 68 del codice, la prece seguente: Pregemo per tuli quelli sum in stao de gratia e de penetentia, e speciarmenti per li nostri singultii frai de Madona de Castello, e per tuti li airi chi jam questa disciplina beneita in Genova, in lo destreito e in ogni atra parte (cioè la disciplina del Venerdì Santo). E poco dopo. Anchora preghemo la gloriosa Vergem Maria e lo gratioso ap-postoro messer San Berthome maire e patron de questa compagnia, etc. Ir prof. Ascoli conclude con una lieta notizia : « Il dialetto di queste prose sarà considerato da Flechia, nelle Illustrazioni che delle Rime genovesi (1) egli ci regala in questo medesimo volume ». Ci piace anche di vedere come il nostro dialetto sia da varie persone amorevolmenle studiato; e di ciò eziandio dobbiamo essere grati all’ Ascoli, il quale di già a taluni de suoi ex-discepoli, venuti in Genova per cagione d uffizi, avea rac comandato di cercare i documenti e i codici dei nostii ar thivi ε delle nostre biblioteche. E per fermo, se non si fossero scoraggiati sul bel principio 0 distratti in altre cure, avrebbero potuto rendere utili servigi alla filologia, e risalire anche fino ai secoli XI e XII, mietendo non iscarsa-mente nelle carte monastiche e nel Registro Arcivescovile. Dove infatti già si rinvengono vocaboli rimasti poi nel dialetto, e accenni a un nuovo volgare, specie nella determinazione dei confini delle terre e delle proprietà, sì come per istrumenti di altre regioni osservò pure il Muratori (dis-sert. XXXII). (1) Quelle del prezioso codice Mollino edite dal Bonaim nell’ Archivio Storico Italiano (serie I, appendice, vol. IV) e dal Lagomaggiore nel· l’Archivio Glottologico (vol. II). 344 GIORNALE LIGUSTICO L’ egregio Prof. G. D. Belletti pubblicò, non ha molto, in un giornale cittadino (i) alcune notizie e saggi di un codice della Beriana — Prose e versi genovesi del secolo XIV — che può « forse servire a qualche specialista per studiare sempre meglio il periodo delle origini della nostra letteratura ». Ma più importanti sono, per avventura, due altri codici serbati nella Libreria della Missione Urbana e descritti dal ch. can. Grassi nell’opera del Banchero, Genova e le due riviere (pag. 513-14). Il codice indicato dal Grassi sotto il num. 55 (ora notato al catalogo 31, 3, 7), contiene un Tratao de li VII peccai mortali, cioè il trattato de sani Jeronimo (Flores omnium bonorum); e incomincia : Le%e sam Zoane in lo libro de la soa re-velacion chi 'e appelao lapochalis si dixe che vide una bestia chi ensiva de mar maravegiosamenti desguisa e spaventevere, etc. Ma Γ erudito sig. canonico ci permetterà di non accogliere il suo giudizio, che assegna il codice al secolo XIII e stima solamente d’età posteriore l’altro Tratao, che vien dopo, sovra la miseria e vii condicione de la natura humana. Chiunque lo esamini, si persuaderà che così i caratteri come la carta appartengono manifestamente al secolo successivo; anzi la filigrana della balestra, che qui s’incontra ne’ fogli, per quel che si vede in molti de’ nostri manoscritti, si potrebbe dir quasi caratteristica della seconda metà del secolo XIV. L’altro codice, registrato dal dotto Bibliotecario sotto il num. 56 (di catalogo 31, 3, 14), giustamente si assegna (l) Caffaro, 6 e 8 maggio p. p. — Alcuni saggi del dialetto genovese mandò innanzi al suo Dizionario genovese-italiano l’ab. Giuseppe Olivieri; altri ne diede Agostino Olivieri, nelle Carle e cronache viano-scritte della Biblioteca Universitaria. Vari documenti in dialetto si leggono pure negli Atti della Società Ligure di Storia, specie nel Codice Diplomatico delle colonie tauro-liguri, nonché in questo Giornale, per es., in Grasso, Lega contro il Turco nel 1484 (annata 1879). GIORNALE LIGUSTICO 345 allo stesso secolo XIV; è mutilo della prima pagina, e miscellaneo, contenendo : 1.° Raxonamenlo de la gloriossa Vergem Maria con lo so glorioso figio messer Jhesu Christe. 2.° (senza titolo). Compendio storico dalla creazione del mondo alla morte di G. C. — Eccone un saggio (car. 45): Cap. Como Jullio Cessaro trasse in Roma, e corno elio conquista Ponpeo firn alo tempo de Octavio, chi ave nome Octavio Augusto, e fo compia la quinta etae. Una grande batagia fo in Roma, inter lor, avanti che Jullio Cessaro nassese, e morige grande gente; e quando la batagia fo passaa, si andava um cavaler per la citae, e vi inter per le mure de la citae iaxei una dona morto, chi era gravea , e vi che la creatura li bordigava inter lo corpo, & so fo in, lo mei^e de lugio ; e quello cavaler deseisse da cavallo, e avrì la_ dona per la ventre, e trasene fora la creatura; e perso che questo faito fo de lo mei%e de lugio, sì misse lo nome so Jullio Cessaro a lo fantin ... , e perso che lo corpo de soa maire fo si-hapao per tralo fora .... cossi li misse nome Cessaro etc. etc. 3.0 (senza titolo). Vita e miracoli di Maria. 4.0 Lo pianto de la bià Vergem Madona Sancta Maria dona nostra. 5.0 Vite di Santi, e discorsi. 6.° Vita de Juda Scharioth. 7° La nasciom e la vita fine a la morte de lo biao messer Sam Zoane Batesto. 8.° De le Questioim de Boecio. L. T. Belgrano. GIORNALE LIGUSTICO Emilia Branca. — Felice Romani ed i più riputati maestri di musica del suo tempo: Cenni biografici ed aneddotici raccolti e pubblicati da sua moglie. Torino, 1882. La signora Emilia Branca ha dato al pubblico un raro saggio di amor coniugale, raccogliendo in un bel volume i Cenni biografici ed aneddotici di Felice Romani. Già da qualche tempo questo volume era aspettato con grande curiosità, avendone più volte dato l’annunzio i giornali; e sapendosi d altra parte, che vi si doveano largamente discorrere le relazioni del Poeta coi più riputati maestri di musica, e metterle in quella luce che sola potea derivare dall’ ampio corredo dei documenti, i quali costituiscono per fermo la più nobile porzione della eredità lasciata dall’ insigne Genovese. Sono per dire, che la vedova di Felice Romani non poteva erigere alla cara memoria di suo marito un monumento migliore e più durevole di così fatto volume; e veramente mi sembra che la egregia signora Branca avrebbe ragione di esclamare exegi monumentum aere perennius, massime in questa età nella quale parecchi avvenimenti debbono avere scossa la nostra fede sulla eterna durata de’ marmi e de’ bronzi. Del re^to la esimia gentildonna ci fa anche sapere, che qui non intende arrestare la pietosa opera sua; anzi « il presente volume sara seguito da molti altri, che conterranno la raccolta delle migliori opere dell’ illustre Scrittore, cioè Prose, Poesie liriche, Drammi, Novelle ed Epistolario » (pag. VII). Nè vi è da dubitare, che con ciò venga meno rettamente interpetrato il pensiero del Romani medesimo; perchè giusto il Poeta avea ripetute volte manifestato il disegno di raccogliere tutti insieme i suoi Drammi, e s’ era anche proposto « di farli precedere da uno Studio, per mostrare in quale abbiezione aveva trovata 1’ Opera per musica, con quante difficoltà avesse dovuto combattere per farla comparire men disonesta.... ». Certo a cotesti Drammi non mancherà oggidì « quell’ ammirazione onde fu- GIORNALE LIGUSTICO 347 rono salutati al loro apparire, e accompagnati per tanti anni sulle scene » (pag. 295-96). Che se poi la signora Branca, invece di attendere ad una raccolta completa, ci promette soltanto una scelta, la ragione sta dalla sua. — « Chi volesse ripubblicare tutto quello che fu dal Romani dettato, non basterebbero a comprenderlo neppure ottanta volumi, come ebbero a riconoscere quanti esaminarono i suoi scritti » (pag. 347). Un numero indefinito di articoli di critica letteraria e teatrale; poemi, romanzi, il Dizionario d’ ogni mitologia in collaborazione con Antonio Pe-racchi, e perfino una Storia d’ Italia! Ad oltre cento ascendono i soli drammi; e in gioventù egli ne scrisse ben anche « tre o quattro al mese, ora sotto sognate iniziali, ora col nome di Giuseppe, 0 di Giuseppe Felice Romani, ora senza nome » (pag. 295). Attese nel tempo stesso agli argomenti i più disparati; e (per esempio) sovra i medesimi fogli gittò i versi della Lucretia Borgia e quelli di Un avventura di Scaramuccia. « Per chi non ne conoscesse i drammi, a leggerli, crederebbe di scorgervi delle pagine di un giuoco detto degli spropositi, massime che Γ immaginoso Poeta soleva altresi tracciare fra le linee dei piccoli disegni a punta di penna, cioè testine, figurine, animali, casette, paesaggi, ecc. Le sue bozze, quelle di primo getto, sono veri mosaici umoristici, non privi di un certo qual gusto artistico » (pag. 236). Eppure « la sua prodigiosa facilità fu cagione forse che non potesse stornare da sè la taccia di gran poltrone e di pigraccio! » (pag. 179). Di che però si avrà la spiegazione, pensando come Γ indole semplice e schiva inducesse il Romani a non dare alle cose proprie alcuna importanza; e coni’ egli altresi avesse fibra resistente al lavoro, per guisa « che dopo avere scritto ore ed ore, si staccava dal tavolino più fresco di prima, e lepido ed allegro come se uscisse da un gradito convegno » (pag. 236). Del resto osserva giustamente Γ autrice: « Pare 34§ GIORNALE LIGUSTICO un destino di quanti hanno a sopportare una tale taccia, che all’ ultimo si trovi che hanno lavorato assai e assai più degli altri » (pag. 179). Rifacendomi al libro della signora Branca, non voglio già assumermi la parte del lodatore ad ogni costo, e proclamarlo scevro di qualsiasi menda; anzi aggiungo subito che l’ordine vi potrebbe essere più razionale, la forma più accurata; oltreché in molti luoghi si desiderano gli accenni cronologici, sempre necessari per darci la giusta misura delle circostanze in mezzo alle quali si svolge la narrazione. Forse anche il sentimento in qualche parte riesce soverchio, e non senza che la gravità storica ne rimanga un tantino offuscata; e forse troppo manifesto si rende nella scrittrice un concetto da cui ella sembra predominata: intendo quello di mettere, in ogni avvenimento, in prima linea il suo Romani. Ma chi non vorrà scusare sì fatte mende, ripensando all’ affetto, il quale ora si nutre ed è beato di dolci reminiscenze, e tuttavia erompe possente dal cuore della Donna che il Poeta amò con grandezza e costanza? Perchè difatti il Romani ebbe per la sua Emilia devozioni e delicatezze non ordinarie, e le poesie e le lettere che egli le indirizzò, prima e dopo del loro matrimonio (premio condegno di lunghi contrasti), sembrano dar ragione a lei, che formossi dei marito quasi il tipo di un uomo superiore e gli professò come un culto anche nella semplicità della domestica convivenza. Felice Romani iniziò la sua splendida carriera lirica, rifacendo per Simone Mayr il libretto del melodramma del Cesari, La rosa rossa e la rosa bianca; il quale rappresentato in Genova nel febbraio 1813 sulle scene del Teatro da Sant’ Agostino (il massimo d’ allora), svegliò un entusiasmo di cui è tuttora viva la tradizione. Nello stesso anno e per lo stesso maestro compose quindi Medea in Corinto; la quale, osserva la signora Branca, « com’ è GIORNALE LIGUSTICO 349 il primo lavoro che uscisse tutto dalla sua mente, così è quello che annunzia in lui il primo poeta melodrammatico del suo tempo. Già Γ azione è rapida, profonde e vere sono le passioni, ben delineati i caratteri ; e i versi qua e là mostrano di racchiudere in germe quei pregi che splenderanno di tutto il loro fulgore più tardi » (pag. 119)- Atar 0 il Serraglio d’ Ormus, scritto dal Romani nel 1814, musicato egualmente dal Mayr, e rappresentato in Genova nel giugno di quell’ anno, quando appunto la rediviva Repubblica sognava ripristinate le antiche leggi e ricostituito il prisco governo, fanatizzò gli uditori per le facili allusioni onde il Poeta ne vellicava dolcemente gli orecchi. Ai quali Atar, ricusando lo scettro, gridava : Liberi foste; liberi tornate: Con giustizia e virtù tutti regnate. E il coro rispondeva : Sì risorga e sempre duri Libertade in suo splendor (pag. 120). Scrisse del resto anche altri libretti pel Mayr, e successivamente per la maggior parte de’ maestri celebri: Rossini, Pavesi, Caraffa, Pacini, Mercadante, Donizzetti, Vaccai, λ'inter, Meyerbeer, il quali onorarono tutti il Romani di schietta estimazione ed amicizia; specie il Meyerbeer, strettosi a lui fino dai più giovani anni. Ma fu certamente « per maggior gloria dell’ arte melodrammatica », che al Poeta « si offrì il giovine maestro Vincenzo Bellini » (pag. 127). L’ incontro di questi elettissimi ingegni seguì a Milano nel 1827; e subito il Romani si valse di tutta 1’ autorità onde godeva presso Γ Impresa della Scala, per far accettare un’ opera del giovane catanese in quella grande palestra serbata soltanto ai maestri di già venuti in chiara fama, o, come allora dicevansi, di cartello. « E il Poeta lo fece 350 GIORNALE LIGUSTICO con islancio spontaneo di benevolenza, perchè prese subito ad amare questo giovane così simpatico d’ aspetto, che sapeva esprimersi con chiarezza e buon senso, e che parlando delle necessità e dei vizi del teatro musicale, aveva manifestato con lui perfetta comunanza d’ idee e di aspirazioni. « Era in quei giorni il Bellini digiuno d’ ogni esperienza, non ancor disciolto dalle pastoie di collegio e da legami che lo inceppavano; timido, mancante dell’uso di vivere in scelti ritrovi, pieno di quell’efficace ardore che anima i petti siciliani, fu gran ventura per esso di incontrarsi in un vero e geniale amico che lo comprendesse, ed al quale si potesse affidare con abbandono. Erano diventati inseparabili..... « Io solo lessi (ci lasciò scritto il Romani) in quell’ anima poetica, in quel cuore appassionato, in quella mente vogliosa di volare oltre la sfera in cui lo stringevano e le norme della scuola e la servilità dell’ imitazione; e fu allora eh’ io scrissi per Bel-. lini il Pirata... « Il successo avuto alla prima rappresentazione dell’opera, la sera del 27 ottobre 1827, e alle susseguenti, fu grandissimo; e al sentire quella musica, subito ognuno comprese' come i teneri versi di Felice Romani s’ addicessero in modo mirabile agli affetti e ai sentimenti delicatissimi di Vincenzo Bellini » (pag. 128-29). Insomma giudicò egregiamente Giuseppe Rovani, dal giorno in cui venne rappresentato il Pirata, gli spiriti colti compresero che nel teatro v’ era un nobile trattenimento di più. Non era soltanto la musica che commoveva gli ascoltatori; ma la poesia disponeva i cuori all’affetto, alla passione; la virtù dei suoni andava a scuotere il senso attraversando l’intelletto (pag. 134). E questa verità il Bellini « tutto fatto di sentimento » conobbe egli pure e l’apprezzò pienamente. Solea dire infatti: Datemi buoni versi, ed io vi darò buona musica. E Giuditta Pasta aggiungeva : Quando si canta coi versi di Romani, così fluidi, così GIORNALE LIGUSTICO SS! scorrevoli, così espressivi, la bocca e i lineamenti della faccia si compongono in modo, che par fino di sentirsi belli! (pag. 144-165). Nell’ anno appresso, poeta e maestro erano in Genova per la solenne apertura del nuovo Teatro Carlo Felice; che Γ Inno reale di circostanza ; musicato dal Donizzetti, fu appunto scritto dal Romani, e similmente da quest’ ultimo venne raffazzonato allora il libretto del Gilardoni, Bianca e Fernando, musicato già dal Bellini, il quale con sì fatta opera, nella memoranda sera del 7 d’ aprile, inaugurò la serie delle rappresentazioni. Succedette la Regina di Golconda, musicata dal Donizzetti sul libretto egualmente apprestatogli dal Romani. E di questo spartito, men noto sotto il titolo di Alina, e cenno nella seguente lettera indirizzata dall’ insigne musicista a quel Giacomo Filippo Granara, che nelle imprese teatrali fra noi emulò le glorie del Barbaia a Napoli e del Merelli a Milano. La lettera è inedita, e serbasi autografa nel nostro Archivio Municipale. Stimatissimo Sig. Granara Napoli, il 26 maggio 1829. Secondo la convenzione della nostra scrittura dell anno scorso, sono a chiederle la mia copia dell’ opera Alina, scritta nell’apertura del Teatro Carlo Felice, essendo spirato il tempo di sua proprietà. Avrà dunque la bontà di rimetterla nelle mani del presente, dal quale ne avrà idonea ricevuta, e sara benissimo consegnata. L’ amico Mainetti, che qui si trova, dice che volete dare, non so in quale stagione, L’ultimo giorno di Pompei e 1 Esule di Roma. S.e è vero questo, trovatevi un buon basso ed una buona prima donna, che tutto il resto camminerà; basta che il tenore non sia poi un de’ pessimi, poiché in ogni opera 3 52 GIORNALE LIGUSTICO vi ha abbastanza da fare. Datemi vostre nuove, e ricordatevi che avete in Napoli un amico, un servitore, ecc. ecc. Vi auguro fortuna nelle imprese, e mi dico di voi Aff.° servo ed amico Gaet. Donizzetti. La Straniera, rappresentata alla Scala il 14 febbraio 1829, è già il cinquantesimosesto melodramma nella serie del nostro fecondo Poeta. Egli era sul punto di scriverlo, allorché cadde gravemente ammalato; ma « appena stette un po’ meglio, per non vedere il suo Bellini disperato, e malgrado il divieto dei medici, si accinse al lavoro, il quale riesci quasi tutto di primo getto, non osando il maestro stancare di troppo la mente del cortese poeta con soverchie esigenze di mutazioni. Infatti della Straniera non si trovano bozze di varianti, come ve ne hanno in altri melodrammi musicati dal Catanese » (pag. 146). Narrasi però quest’aneddoto dal Cicconetti, a proposito dell’ aria fiinale. — « Il Bellini non appagato della poesia, pregò l’amico suo che gli piacesse di preparargliene un’altra». Il Poeta gliela fece. Lettala, il Bellini non proferì parola: « — Neppure questa ti contenta? dissegli lo scrittore. « — No... « — Ed a me basta Γ animo di scrivertene una ter%a, ripigliò il Romani. (( Ma nè questa, nè una quarta soddisfece il compositore; sì che 1’ altro, tra meravigliato ed inacerbito: Ora, soggiunge, riprendendo la carta, sono costretto a confessarti che non intendo questo tuo pensiero, ne che cosa tu vuoi. « Allora Vincenzo, animandosi nel viso : Che voglio? voglio un pensiero che sia tutto insieme una preghiera, una imprecazione, una minaccia, un delirio! E correndo inspirato al pianoforte, creò impetuosamente la sua aria finale: mentre Γ altro, guardandolo con istupore, si era posto a scrivere. GIORNALE LIGUSTICO 353 (< — Ecco ciò che voglio, disse il maestro; ora l’hai conosciuto ? « — Ed eccone le parole, rispose il valente Poeta presentandogliele; sono io entrato nel tuo animo? « Il Bellini abbracciò il Romani con effusione d’ affetto e di riconoscenza. Per tal guisa si formò la rinomata aria finale della straniera : Or sei pago , o Ciel tremendo.... Or vibrato è il colpo estremo.... Più non piango, più non temo, Tutto io sfido il tuo furor. Morte io chieggo, morte attendo; Che più tarda, e in me non piomba? Solo il gelo della tomba Spegner puote un tanto amor ! » L’ opera piacque ancora più del Pirata, ed infiniti furono gli applausi che suscitò nel pubblico... La convenevolezza della musica alle parole è tale, in questo lavoro, che talune volte avresti creduto trovarti in mezzo tra il canto e la declamazione » (pag 147). Ma nella Sonnambula e nella Norma il Bellini mise proprio la pazienza del Poeta a duri cimenti. Nella prima, che il Romani cavò tutta dall’argomentino di un ballo dell’ Aumer, lasciando in disparte Γ Emani già ridotto a buon punto, affinchè tra il Bellini e il Donizzetti, che avea prodotta con invidiabile successo l’Anna Bolena (1830), non si stabilissero « confronti odiosi », Γ inno di gioia cantato da Amina nell’ ultima scena, venne rifatto dal Poeta ben dieci volte! Nè alla prova generale il maestro aveva stabilita ancora la propria scelta; anzi chiedeva dell’ altro, e sciamava: Vorrei qualche cosa che innalzi la Pasta e la sollevi ai sette cieli ! — È vero che poi domandò perdono dell’ indefessa seccatura al Poeta; ma è vero altresì che la Pasta, sublime Giorn. Ligustico, Anno IX. 23 354 GIORNALE LIGUSTICO cantante, avea trasportate « oltre le sfere celesti le anime estatiche degli uditori », con la passione sovranamente trasfusa in que’ versi : Ah ! non giunge uman pensiero Al contento ond’ io son piena : A’ miei sensi io credo appena, Tu mi affida, o mio tesor. Ah! mi abbraccia, e sempre insieme, Sempre uniti in una speme, Della terra in cui viviamo Ci formiamo un ciel d’ amor (pag. 163-65). E per la Norma anche peggio, si come ciascuno può vedere non solamente nel libro della signora Branca, ma nelle Note aneddotiche e critiche su Vincenzo Bellini di Michele Schedilo (Ancona, Morelli, 1882). Perchè se il maestro musicò non meno di otto volte la cavatina della Casta Diva, e più volte altresi ebbe a rifarne le parole il Romani. Ecco ad esempio, una delle varianti stata messa da parte, e sembra a me non senza ragione : Casta Diva, che inargenti Questo suol col vergin volto, Nel tenace umor raccolto Spandi influsso di virtù. Sia quel balsamo alle genti Che le piaghe disacerbi, Che costanti ancor le serbi In sì lunga servitù (pag. 169). Alcuni cambiamenti vennero anche cagionati dalla malattia del Negrini, che nella prima esecuzione dell’opera, seguita alla Scala nel dicembre 1831, sostenne la parte di Oroveso. Difatti nel finale, allorché Norma si confessa rea, il gran sacerdote e padre di lei non si accontentava di esclamare insieme al coro: Empia!, ma scagliava alla figlia una maledizione. Di che riusciva poi naturalissima la risposta di Norma, Tu m odi GIORNALE LIGUSTICO 355 alla quale il pubblico non si trova ora interamente preparato. « E qui Norma (soggiunge lo Schedilo, prima di domandare grazia pei figli con quella mirabile melodia Deh! non volerli vittime, li faceva venire sulla scena, ed Oroveso si commoveva alle lagrime loro. Succedeva un pezzo concertato; e Norma, mostrando i figli, poteva con più ragione e con più passione cantare : « Pensa che son tuo sangue Abbi di lor pietà ». Qui il biografo napoletano prosegue, narrando che eziandio 1’ impresario si mise in mezzo, e « consigliò di porre il rogo sulla scena e di farvi salir Norma, cantando una cabaletta finale » (Scherillo, pag. 86-S8): il che mi rammenta un’altra non meno strana pretesa del Donizzetti. Il quale, nella Lucrezia Borgia, voleva dal Romani nientemeno che una scena coi cataletti, per destare colla musica un effetto nuovo da far rabbrividire! (Branca, pag. 212). Poiché anche al dì d’ oggi, dopo tanto mutar di gusti e correre di fortune, la Norma rimane pur sempre un’ opera maravigliosa, ed è bene spesso la tavola di salvezza delle imprese pericolanti, si penerà a credere come essa abbia fatto un vero fiasco alla sua prima comparsa. — « Io non ho più riconosciuto (così 1’ addolorato Bellini, porgendone 1’ annunzio all’ intimo suo Francesco Florimo), io non ho più riconosciuto quei cari milanesi che accolsero con entusiamo, colla gioia sul viso e 1’ esultanza nel cuore il Pirata, la Straniera, la Sonnambula; e pure io credeva di presentar loro una degna sorella nella Norma! » (pag. 166). Affrettiamoci a dire che il danno venne, alquanti mesi appresso, compensato ad usura, con un trionfo completo nella patria del Donizzetti. — « Ha sbalordito tutti i bergamaschi e quanti forastieri erano in teatro » (Bellini a F. Romani; pag. 167). 356 GIORNALE LIGUSTICO Ma il bell’ accordo che per sei anni aveva stretti il maestro ed il Poeta, e che li aveva guidati di trionfo in trionfo colle loro arti divine, mancò pur troppo nel 1833. Vegga chi vuole le cause nel libro della signora Branca, e giudichi poi quanto vada scemato all’ affermazione dello Scherillo, che il Romani « faceva giungere Γ acqua alla gola ai poveri maestri prima di consegnare una cavatina 0 un duetto » (Scherillo, pag. 16). — A buon conto gioverà sapere che il Donizzetti, per mo d’esempio, l’obbligò a comporgli V Elisir d’Amore entro una settimana; e che il Poeta a sua volta accettò e mantenne il patto, (pag. 218). Tornarono amici l’anno dopo; e del lietissmo avvenimento il Bellini porgeva sollecito l’annunzio al Florimo (da Pu-teaux, 10 ottobre 1834): a Finalmente ho fatto la pace con Romani! Egli mi scrisse una lettera veramente d’ affezione... 10 gli ho risposto che alla prima scrittura che avrò per l’Italia, andrò a pormigli ai fianchi, stando in Torino sintanto che avrò finito 1’ opera.... Io voglio sempre scrivere con Romani! » (pag. 184). — E a quest’ ultimo : « Ora che sono ritornato con te, o mio gran Romani, mio egregio collaboratore e protettore, mi sento riposato e contento. Scrivimi presto, e, ti ripeto, com’ io li dimentico, dimentica tu pure i nostri dissapori passati, che non avrebbero mai dovuto essere; io non dimenticherò però mai i tuoi benefizi e la gloria che ti devo. Ora ricominciamo insieme altra vita, sempre più bella e più gloriosa » (pag. 187). Sogni, fantasmi ! e come tali dileguarono rapidi. Il 24 settembre 1835 la morte troncava le ali del genio catanese; e 11 Romani, appreso l’infausto annunzio, prorompeva in un grido che rivela quanto fosse stata sincera la riconciliazione delle anime loro: Io brucio la penna consacrata unicamente a Bellini ! (Scherillo, pag. 20). Come non v’ ebbe maestro eccellente, il quale non chie- GIORNALE LIGUSTICO 357 desse a Felice Romani almeno un melodramma, così può dirsi che non ci fu municipio o società che non si volgesse a lui per qualche cantata da eseguire in occasioni solenni. Due ne compose egli per le nozze di Vittorio Emanuele con Maria Adelaide, ad istanza de’ Corpi Decurionali di Torino e di Genova; e per questa seconda il lavoro si trovava già quasi compiuto, allorché gli fu mestieri di cambiarne il concetto. Di ciò la signora Branca espone il motivo, come a lei consta pei documenti domestici; se non che da una lettera del gran ciambellano Ippolito Spinola ai Sindaci, in data del 14 marzo 1842, chiaro apparisce che nel programma delle feste genovesi il re Carlo Alberto avrebbe soppressa volentieri qualunque cantata, se si fosse potuto farlo senza sfregio al Poeta. Leggo difatti nella citata lettera: « La Maestà Sua dimostrò di aggradire... le accennate feste : solo lasciava trasparire in sulle prime la sua ripugnanza per la cantata del Teatro; ma perinteso (sic) che questa già sarebbe ordinata, degnossi di accondiscendervi, purché in essa non facciansi elogii nè alla sua Persona nè alla Reale Famiglia. Quindi di questa cosa mi faccio debito renderne le SS. LL. 111.me avvertite, per le conseguenti loro disposizioni, con prevenirle che essendo a mia scienza essere il signor cavaliere Romani incaricato di preparare la poesia pella suddetta cantata, io mi son fatto lecito, a scanso di ritardo, di fargli presentire tali Sovrane intenzioni per opportuna sua regola » (Archivio Municipale). Il Romani allora si rifece da capo all’opera, e prestamente scrisse La Felicità; la quale musicata da Federico Ricci, e interpetrata egregiamente dalla Goldeberg, sortì gli applausi universali. — L’ indomani di così bella serata (cioè il 13 maggio) il maestro, pieno di giubilo, scriveva al Romani eh’ era rimasto a Torino: « L’ esecuzione fu in ogni parte accuratissima; la Goldeberg.... era imponente da Liguria...·, nel cantico marinaresco... fu tanto potente la sua voce, che si 35* GIORNALE LIGUSTICO sentiva al disopra della banda, della fanfara, dei cori e del-1’ orchestra. Questo cantico io Γ ho fatto in due melodie diverse: una di carattere marinaresco e l’altra guerriera, a seconda dell’ espressione de’ tuoi magnifici e robusti versi, ed è riuscito di sommo effetto. Morosini, compositore delle danze, nell’ introduzione ha intrecciato de’ graziosi ballabili, e poi un ballabile caratteristico di marinari ove io ho intrecciati i motivi della Moresca e della Giga, balli nazionali genovesi, che hanno fatto piacere assai.... Ieri sera il marchese Spinola... mi esternò Γ alta soddisfazione del Re, il quale con lui si era espresso nel modo il più soddisfacente sulla poesia, sulla musica, e sullo spettacolo intiero nel suo complesso. Dunque io sono contentissimo... e mi affretto a partecipartelo, persuaso di fare gran piacere anche a te, caro Romanone » (pag. 294). Nè al Poeta mancò la riconoscenza della Civica Rappresentanza, sì come è fatto palese dalla seguente lettera ai Sindaci, la quale insieme all’ autografo della cantata si custodisce nel-PArchivio del Municipio. Torino, 20 settembre 1842. Se tardi pervengono alla SS. VV. 111.me i miei vivi ringraziamenti pel nobile dono di cui degnarono Esse rimunerare il mio debole componimento in occasione dell’arrivo in Genova de’ Reali Sposi, non fu difetto di riconoscenza nè oblio di un sacro dovere. Ma la persona incaricata del mio foglio, dopo venti giorni che lo ebbe, se ne ritornò senza averlo consegnato. Compio adesso al debito mio, servendomi della Posta, e supplico le SS. VV. Ill.me di avermi per iscusato di una involontaria mancanza. Aggiungerassi così un argomento di più alla gratitudine che Loro professo. Io mi teneva onorato bastantemente dell’ incarico affidatomi : le SS. VV. Ill.me hanno voluto abbondare di generosità, e dimostrare così, che non vi ha servigio benché minimo, che i cuori magnanimi non ingrandiscano colla ricompensa. Come rimarrà per GIORNALE LIGUSTICO 359 sempre questa testimonianza della Loro virtù presso di me, potessi io fare in modo che presso le SS. VV. 111.me rimanesse eterno un qualche contrassegno della mia devozione ! Se un giorno la Fortuna vorrà presentarmene l’occasione, io la coglierò con gioia. Ora non posso che/offrir Loro l’ossequio di un cuore riconoscente, e fervidamente protestarmi Delle SS. VV. Ill.me Umiliss. e Devotiss. Servitore C. Felice Romani. « Felice Romani (così ce lo dipinge sua moglie) era prestante della persona, la fronte aveva spaziosa e liscia, regolari i lineamenti, la carnagione bianca, castagno-oscuri i capelli , portava baffi lunghi e folti, e fedine ; gli occhi aveva cerulei, dolci, espressivi, vivaci sempre; aristocraticamente piccoli il piede e la mano, e se ne compiaceva. Accurato, lindo ed elegante, vestiva abitualmente con molto decoro; distinto nelle maniere, amabilissimo in ispecie nella famigliarità... Aveva una memoria fenomenale. La sua conversazione, come nutrita dal sapere, così era piacevolissima ed universalmente desiderata per quei motti arguti e spiritosi onde l’infiorava.... Ma, cosa rarissima, anzi unica a chi usa facilmente lo scherzo, egli non se ne valse a scherno d’altrui, neppure de’ suoi nemici, contro i quali non serbò fiele giammai » (pag. 88-89). Amava tutto ciò eh’ era semplice, delicato, gentile, innocente: perciò le sue camere vedeansi ornate costantemente di fiori, ed egli stesso era uso portarne un mazzolino all’ occhiello dell’ abito. Tutti sanno dell’ affetto da lui posto nella piccola Gina, figliuola di una sua cameriera; e molti pensarono che la tragica morte di questa fanciulla affrettò forse quella del Poeta. Diligeva gli animali, e parecchi se ne teneva in casa: « cani, gatti, scoiattoli, uccelli ingabbia, uccelli liberi, tutti addimesticati a vivere in compagnia gli uni cogli altri. Gode- 360 GIORNALE LIGUSTICO vasi vederli scherzare insieme, li studiava, ne ammirava l’intelligenza, corrispondeva con bonomia alle loro carezze, poi rivolto a chi lo stava ad osservare, esclamava: Quanto amore in queste bestiole, e quanta fede in quei cuori! » — Una volta spinse anche questa sua passione fino all’ eccentricità; e fu quando in Milano condusse seco, e tenne per vari mesi in casa della cantante Gafforini, un asinelio, del quale la Polizia ebbe cagione d’inquietarsi e d’ affliggersi (pag. 92 e segg.). Ma della Polizia, più e più volte il Romani ebbe a patir le noie in grazia de’ suoi libretti; benché le maggiori gli venissero da Lucrezia Borgia, da Scaramuccia, da Ugo conte di Parigi, e sopratutto ancora dalla Norma. Dove, per ordine della censura austriaca, furono appunto sopressi i versi seguenti che la druidessa dovea pronunciare, compiuto il rito, nella quarta scena dell’ atto primo : Tutti, ah! tutti tradisco i suoi voti. Profanata, delira, demente Io difendo una perfida gente , Che per pace catene le dà. Dio de’ Padri, il mio capo percuoti Se la colpa tu brami punita ; Immolarti può Norma la vita, Ma 1’ amore immolarti non sa. Tutti Valorosi di Brenno nepoti, Soffrïam finché piace al destino: Ma dell’ armi il gran giorno è vicino, Ma dell’ ira 1’ istante verrà (pag. 169). Similmehte la vigile censura non avrebbe voluto permettere l’Inno guerriero dell’ atto secondo, perchè nell’aquila atterrata si alludeva troppo chiaramente a quella degli Asburgo; ed anzi, dopo una certa scenata alla Scala, il coro ribelle non fu più cantato (pag. 174)· Tutto ciò può fornirci anche un’ idea dell’amor patrio del GIORNALE LIGUSTICO 3 61 nostro Poeta; ma parecchi altri suoi componimenti, e le stesse rassegne letterarie, spirano egualmente vivissimo questo amore. Vedansi ad esempio le canzoni a Carlo Alberto ed a Genova; e odasi questo sonetto, pieno di santo sdegno, all’Italia nel 184.Ç) (pag. 32). Oh ! non dir più che tirannia di sorte, 0 prepotenza di straniera gente, T’ abbia prostrata al suol non altramente Che giovenca all’ aitar serbata a morte. Poiché giunto era il di, che grande e forte Sorger potevi qual lïon ruggente, E delle cento tue città redente Le proterve sfidar torme del Norte. Te incolpa, o Italia, te che cieca e stolta, Fra vane ambizioni e rei consigli, Fosti pronta ai garriti, all’opre ignava; Tal che inerme ed oppressa un’ altra volta 1 tuoi ferri strascina, e grida ai figli: Genìa divisa, eternamente è schiava ! Qui vi sarebbe anche da parlare a lungo sul valore letterario di Felice Romani; ma basti, che Tommaso Vallauri, commentando la cannone a Genova, da lui appunto volta in latino, cosi si esprime : « Per me non so qual altro poeta, dopo il Monti, sia riuscito al pari del Romani a tenere in onore lo studio degli antichi, dal quale deriva quella mirabile perspicuità che risplende ne’ suoi versi, anche allorquando si solleva ai più alti voli e si addentra nei più difficili argomenti » (pag. 310). Pigliando oramai congedo dal libro interessantissimo della signora Branca, conchiudo volentieri con lei, che quando la scelta delle appendici scritte dal Romani uscirà raccolta in volumi, egli « si rivelerà ai molti che non lo conoscono, come uno dei critici più acuti, dei più nutriti ed eleganti prosatori che vanti la letteratura italiana in questo secolo » (pag. 340). L. T. Belgrano. 362 GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ I Genovesi a Kustendjé — Le ricerche le quali si fanno sempre sulle antiche relazioni di Genova coll’ Oriente, rendono opportuna questa comunicazione della quale siamo debitori alla cortesia del ch. sig. cav. G. Lumbroso: « Les Génois durent avoir à Kustendjé (ant. Tomis) des comptoirs importants. Peut-être y avaient-il même fondé une colonie. On peut leur attribuer une partie des restes du port antique ; et dans le souvenir des indigènes c’est toujours à eux que revient l’honneur de tous les grands travaux subsistant encore. Il en est de même d’ailleurs sur toute la côte de la Mer Noire » (C. Allard , La Bulgarie Orientale, 1864, p. 77). II prete Riva. — In una delle lettere scritte da Carlo Goldoni alla Signoria di Genova, come console di questa Repubblica in Venezia (18 febbraio 1741), si legge questo paragrafo: » Un certo Don Francesco Riva, prete, suddito di cotesto Serenissimo Dominio , per alcune sue colpe fu condannato in vita alle Carceri all’ oscuro da questo Consiglio dei Dieci. Sono 22 anni eh’ ei soffre la prigionia, ed ha ottenuto grazia dal Tribunale di poter uscire, quando però abbia pagate le spese del processo. A me si rivolse il povero religioso, perchè lo soccorressi ; ma la ristrettezza in cui mi costituisce il Destino non mi dà il modo di poterlo soccorrere. Quatrocento ducati in circa sarà il suo debito. Procurerò raccogliere limosine per liberarlo ; e se Dio m’ assiste spero che lo farò » (1). Forse -il povero prete era fratello, o altrimenti parente di quel medico Carlo Riva, da Sestri-Levante, che in Genova stette rinchiuso per ben ventotto anni nelle carceri del Sant’ Uffizio , ostinandosi a negare una terza persona in Dio, e che poi ne fu tratto mercè l’abiura consigliatagli da un amico con un lepido ragionamento riferito dal Bouillod (Persecuzioni di un francese ecc., pag. 258). Ma a Don Francesco l’interessamento del Goldoni non valse, perchè, certamente i 400 ducati non si poterono raggranellare. Di che ci porge ora notizia il dotto tedesco Ermanno von Lòhner , il quale ntW'Archivio Veneto ha impresa la pubblicazione di alcuni frammenti importantissimi di un suo studio sulle Memorie del commediografo veneziano. Scrive ditatti il Lòhner al prof. Belgrano : » Mi (1) Belgrano, Imbreviature ecc.. pag. 61. GIORNALE LIGUSTICO 363 permetto di comunicarle una piccola scoperta fatta nei Necrologi veneziani , che potrebbe essere di qualche utilità per la ristampa delle sue Imbreviature. Ho ritrovato il prete Riva, del quale parlò il Goldoni. Quello infelice è morto nei Piombi ; e lo prova la seguente annotazione, tratta dal Necrologio pel 1754 (cioè dal primo marzo 1754 al primo marzo I75 5 > i registri mostrando l’anno .veneto). Ecco quel che trovai in data del 31 ottobre del citato anno 1754: ~Rev. D. Frane. Riva d’anni 74, condanato in vìtta in queste Publici Carcerri (sic), da febbre continua e idroppe giorni 20 morto all’ ore 3, medico Celopo (?) P. Z. S. Marco. « Il P. Z. vuol dire con prete e Xfigo. Questa era la terza ed infima classe dei funerali : i primi due erano Capitolo (con Capitolo) e me%o Capitolo ». Al Dott. Lohner “mandiamo vivi ringraziamenti, e speriamo colla Domenica Letteraria (20 agosto) che compiute le sue ricerche, . .. egli voglia darci una nuova edizione delle Memorie goldoniane annotata e documentata , portando così un contributo assai utile ad una futura storia el teatro italiano ... ». BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Giacomo Lumbroso. — La forchetta da tavola in Europa, Roma, 1882. È una breve Nota, che fu pubblicata nelle Memorie della R. Accademia dei Lincei (Classe di scienze morali ecc., vol. X ; seduta del 19 febbraio p. p. ) : ma frutto di pazienti ricerche e di molta erudizione, come tutti i lavori dell’egregio autore. La forchetta non era conosciuta dai popoli dell’ antichità classica, sì come deducesi dai -vari autori i quali prescrivono le regole opportune per prendere delicatamente le vivande colle dita; e per la prima volta si trova citata da S. Pier Damiani, sì come cosa nuova importata d’ Oriente da una principessa bizantina in Venezia: Cibos quoque suis manibus non tangebat, sed. .., quibusdam fuscinulis aureis atque bidentibus ori suo. ... adhibebat (Institutio monialis , cap. XI). La novità fu male accolta dai veneziani ; e due secoli dopo, questo comodo utensile aveva fatto ancora poco cammino nella penisola italica; dove i galatei continuano a parlare solamente di cugiale e di cortelo. Diventò nondimanco d’ uso comune nel secolo XIV ; e così nelle Novelle del Sacchetti vediamo due compagni ad un tagliere ragguazzar con forchette « maccheroni boglientissimi » (nov. 124). Nello stesso tempo si 3 Gio. Vincenzo Pinelli (1596), Paolo Ramusio (1600), le quali furono stampate in Genova dal Pavoni nel 1603 ; e per qualche lode eh’ ei n’ ebbe da alcuno in altre lettere responsive, (1) Epist. poster, dello stesso Sauli-Carrega, Gen. 1619, pag. 44-9. 392 GIORNALE LIGUSTICO aggiunte colle sue, pare gliene seguisse tale tempesta in patria, eh’ ei risolvè abbandonarla, dappoiché specialmente nello stesso 1603 ebbe perduta l’amatissima sua madre. Se ne andò egli dunque nel luglio del 1606 in Roma, sperando, com’egli scrisse poi e leggesi nell’altro volume delle sue Epislolae posteriores, stampate aneli’ esse dal Pavoni in Genova nel 1619, fore ut romanum illud coelum eloquentiae luminibus distinctum mihi ad scribendum adjumento sit; cum hoc nostrum nonnihil caliginosum mihi semper maxime obfuerit, e come allora scrisse, essendo ancora in Genova, a Paolo Moneglia. Ma nei quattro anni che ivi rimase, fu afflitto « annua et periculosissima febri », e a vece di seguitare i già tanto amati studi, venne, forse anche dalle amarezze incontratevi, indotto ad incarnare il disegno, già da lui molto innanzi' concepito, rendendovisi quasi subito Agostiniano scalzo col nome di Francesco Maria della Beata Vergine Assunta, conforta- O ? tovi forse anche da Antonio Sauli, a cui, Cardinale e Protettore di detto ordine, scrisse poi da Genova nel 1614 la lettera latina, che si legge fra le posteriori. Gli avea l’aria nativa ridonata nel 1610 la salute, della quale potè valersi anche a riprendere la penna e dettare coll’ usata eleganza il secondo volume delle sullodate Epistolae riboccanti di amorevoli sensi e per gli amici, specialmente discenti, e per gli studi, e per la patria, e per la sua Religione, e ricche di notizie circa i suoi tempi, d’ alcune delle quali seguirò a far tesoro in questa scrittura. Visse quasi sempre nel Convento di S. Nicolò di Tolentino, ed oltre altre cariche « nel capitolo generale del 1615 esercitò l’officio di segretario con dimostrazione del suo gran talento e valore », come si legge a pagina 204 dei Lustri storiali de’ Scalai Agostiniani del P. Gio. Bartolomeo da Santa Claudia, stampati a Milano il 1700, a me gentilmente indicati dai RR. PP. Agostiniani ancora esistenti nel Convento di S. Maria Assunta ; GIORNALE LIGUSTICO 393 dai quali si rileva pure la data, ignota ai nostri Collettori, della sua morte, avvenuta, dopo due anni di « travagliosa infermità » nel detto Convento di S. Nicolò il 25 febbraio del 1623. · — Rifacendoci ora agl’ insegnanti in Genova, troviamo ricordati con onore, fra gl’ indigeni, Sinibaldo Ferrari, al quale scrisse nel 1595 una sua Epistola (1) il sullodato Carrega, manifestandogli la sua irremovibile volontà di lasciare il secolo, e lodandolo qual suo maestro inarrivabile in latinità, allora ammogliato e villeggiante in S. Pier d’A-rena, cum nobilissimis Gritnbaldis adolescentibus; e scrivendo nel 1598 a Vincenzo Alzari, poi celebre medico, allora precettore di nobili e studente in Bologna, non approvava il consiglio dello stesso Ferrari, qui cum luculenter et egregie scribat, nullo tamen modo adduci potest, ut sua scripta in publicum proferat (2). Il qual giudizio valse iorse a vincere la sua ritrosia, poiché si lessero poi a stampa suoi versi latini nelle Raccolte per creazione di Dogi nel 1601 da pagina 39 a p. 44, nel 1614, nei 1618, nel 1620, nel 1622 e nel 1625. Insegnava egli ancora nel 1613, quando lo stesso Carrega lo additava (3) a Giuseppe Araldo quale eccellente maestro di lingua ed eloquenza latina tanto pel ben dire quanto pel vivere rettamente. Non men lodato è dallo stesso Carrega il M. R. D. P. Taddeo Ricci, precettore, insieme con Nicolò Micheli, dei nobili giovinetti Camillo e Alessandro Pallavicini di Gio. Andrea di Tobia; al qual Ricci scriveva nel marzo del 1614: perfectam multarum artium cognitionem, atque scientiam tibi comparasti, Usque eloquentiam conjunxisti... Et... doctrinam amicis (1) Pag. 62-4. (2) Pag. 127. (3) Epist. poster, pag. 79. 394 GIORNALE LIGUSTICO libenter impertis·, quibus sive Ciceroniano ore tonas, sive Virgiliana tuba suavissime canis, aures imples, animumque demulces, hinc maxima Reipublicae nostrae a te oritur utilitas, nam alumni disciplinae tuae, quos non tam doctiores, quam meliores reddis, ad illius gubernacula accedant, eamdemque optime gubernent (i). Sappiamo dallo stesso eh’ egli sopportava con mirabile costanza illud naturaeincomodimi, quo in perpetuum oculorum lumine privatus es. Chiedeva il Carrega allo stesso che volesse tessere l’elogio di Scipione della Cella, poetica facultae et jurisprudentia excellens, mira sermonis morumque suavitate praeditus·, ma egli se ne scusò con sua lettera pure latina, che si legge appresso, dicendolo a lui poco aut usu aut etiam nomine notus. Quell’elogio faceva poi e pubblicava con molti altri in Venezia del 1647 l’Ab, Girolamo Ghilini nel suo Theatro d’uomini letterati (2); nel quale non essendo abbastanza dichiarate alcune notizie, parmi pregio dell’ opera qui riferirle dalle note alle sue Ottave dirette in propria difesa da Milano al Cardinale Doria a Fassolo, pubblicate con altre sue Rime in Milano il 1609, poco dopo la morte che lo colse nel fiore degli anni, e dedicate dall’ amico suo Bernardino Sessa all’Ill.ma Maddalena Centurione Saivago, moglie di Luigi, marchese di Murzasco. Apprendiamo da esse, eh’ egli era stato con altri nobili confinato, per ostracismo (3), ed esso particolarmente anche condannato a morte da tre dottori dietro « scaltra calunnia », che in patria « stava ri- ! (1) Epist. poster, pag. 90 e 120. (2) Vol. I, pag. 206. (3) Andrea Spinola, detto il filosofo, amicissimo del nostro Ansaldo, come vedremo, ha lasciato scritto nel suo Dizionario politico (Reg. Univ. genov. B. Vili. 26, pag. 145) che non si doveva dire rilegato per ostracismo, ma « con la legge dei biglietti », di che ragiona in 56 articoli dell’ opera stessa fino a pag. 155. GIORNALE LIGUSTICO 395 tirato per gli studii, e non per ambizione, o superbia» (i); che non andava di notte con armi proibite (2); che avea studiato leggi a Pavia e a Bologna (3); che era comune usanza in Genova il pugnale, da lui portato di rado (4) ; e che insussistente era infine la colpa attribuitagli d’avere ucciso o fatto uccidere un nobile, essendo questo un suo amico. Insegnava di quel tempo in Genova anche il sacerdote Domenico Stozi, del quale si hanno a stampa, insieme colle Posteriori del Sauli Carrega, due eleganti Epistolae allo stesso, una delle quali scritta nel luglio djl 1613 (5) , con due brevi e leggiadri componimenti poetici sulla Vergine. Ma più di tutti merita d’ essere qui ricordato e meglio conosciuto Gio. Andrea Ceva, del quale ricorda con lode F insegnamento in Genova lo stesso Sauli Carrega in una delle sue prime Epistolae del 1594 (6), dove gli dice, che già eletto Cancelliere della Repubblica, e non insediato poi (nonnullorum malevolentia an fortunae iniuria ?) cum aliquot nobilitatis nostrae primarii adolescentes in Rhetorices studium incumberent, te potissimum delegerunt. E nobile documento, a mio credere, ne abbiamo in questa R. Universitaria nel Codi-cetto in quarto, segnato E. I. 7. Egli è ben vero che non vi si legge in fronte che il solo suo cognome ; ma nulla autorizza la supposizione di chi lo ascrisse al P. Tommaso, gesuita milanese, autore del Puer Jesus, fiorito verso la fine del secolo XVII; laddove tutti gl’indizj sono pel nostro Gio. Andrea, il quale a pagina dieci pare additarci la sua orgine o villeggiatura in quel verso del suo» De D. Georgio Carmen Cloris Nerviacae praeses puhlcherrima ripae. Ci) Pag. 141. (2) Pag. 146. (3) Pag· '47- (4) Pag. 148. (5) Pag. 65 e segg. (6) Pag. 9-14. GIORNALE LIGUSTICO Si legge in esso dapprima un’ elegante Orazione inaugurale , letta innanzi ad illustri personaggi, e intitolata Gemici Litterarum Parria (i), la quale meriterebbe per fermo la pubblica luce. Segue il Carmen anzidetto smagliante di bellezze poetiche, senza però nulla di storico (2). De D. Aìexio Poema occupa le pa gine 24-34. Dalla pagina 55 alla 77 sono varii piccoli componimenti poetici assegnati agli scolari, il cui nome si legge a capo di essi, e sono Felix et Paulus Spinula, Mascardus, De Joannis, Varisius, Nucetus, Littardus, Fossanus, Rocca, Justinianus, Va-lerius, De Turris, Molfinus, Petra, Capponus (3), Goanus, lassus, A genus, Semeria, Nossardus, Bacigalupus Jo. Batta, Mascius, Vialis, Calvi, Priaroggia, Garbarinus, Vivianus, Sardus, Adurnus, Travi, Vallis, Demartinis, Balbi Jeronimus, Ga-liardus, Zinus, Figarius, Molinarius, Passanus, De Rhoìs (4), Bonarota, De Bendinellis. Altri versi latini su diversi argomenti si leggono fino alla pagina 108, e dopo la Tabula è un Elegia di 3 pagine intitolata Excusatio absentiae Praeceptoris pro infirmitate ad discipulos che comincia : Ah quoties, dum me torquebat turba dolorum, Vestra erat ante oculos dulcis imago meos! E vi descrive la sua podagra, dalla quale pare fosse travagliato, reduce finalmente in patria e nuovamente precettore dopo le sue vicende di sacerdote in Roma dov’era già nel 15 94> e ad Avello dove gl’ inviò una terza sua Epistola lo stesso Gio. Nicolò Sauli Carrega del 1601. Di altri suoi scritti, a stampa, si parla dall’ Ab. Giustiniani negli Scrittori (1) Pag. 1-9, con abbreviazioni. (2) Pag. 10-23. (3) A Gio. Agost. Caponi di Gio. Domenico rispose il 1602 il Sauli Carrega (p. 195-8) dicendogli fra le altre cose: Iam familia vestra, potentia et opibus Florentiae clara, Genuae litteris clarior est. (4) Del Re? Un Giacomo Re ci occorrerà fra gli amici del Cebà. GIORNALE LIGUSTICO 397 liguri, e più distesamente nelle Notizie sulla tipografia ligure (i). A questa schiera, ben lontana dall’esser compiuta, ma la sola a me nota, mi è grato aggiungere quel Domenico Glendi del mio Vezzano, del quale ho tatto altrove parola, e ultimamente nell’ edizione dei due Poemetti di A. Gallo e di Baldassarre Taravacci. È molto probabile che scolari avesse egli anche in Genova, oltre Angelo Angeletti, giacché un suo sonetto, come già notai, comparve tra gli altri versi pel nuovo Doge nel 1605. V· Anche nelle molte comunità religiose erano certamente insegnanti di belle lettere a giovani esterni. Lauro Cataneo sullodato dice nella sua Epistola al Carrega, che gli era gratissimo frequentare gli Agostiniani di S. Nicola, i Cappuccini , e i Carmelitani Scalzi di S. Anna, coi quali justos dies suavissime, transigo..... quamdiu aut ego cum illis mea studia, aut mecam illi sua communicant. Tra i Carmelitani va ricordato un Fra Melchiorre, amicissimo del nostro Cebà, il quale gli scrisse varie lettere latine, senza notarne, giusta il suo consueto, la‘data ed altre particolarità, onde sono esse meno utili di quelle del Carrega alla nostra storia letteraria. Apprendiam.0 però da esse che il Carmelitano inviogli una volta con sua commendatizia « adolescentem », perchè lo giovasse delle sue istruzioni; di che liberossi egli di botto, rispondendogli: ego te quidem amo de hac mihi conciliata amicitia: ingenue tamen fateor aetates nostras, et vacationes rariorem nobis usum permissuras, mos civitatis non fert ; non fert, ut ipse inquis, meus (2) ». Quanto diverso dal Sauli Carrega, tutto amorevolezza operosa pei discenti! Ci ricorda lo stesso Cebà del mede- (1) Atti della Società ligure di storia patria vol. IX, pag. 206 e segg. (2) Cebà, Lettere, pag. 194-5· 398 GIORNALE LIGUSTICO simo Religioso scriptum de Rhetorica, dicendogli: admiratus sum m eo te militem emeritum ; unico elogio letterario forse uscito dalla penna di quell’austero (i). Egli è forse quell’ istesso di cui parla altrove (2) il Cebà, senza nominarlo, a Marc' Antonio Doria cosi : « exercendus miles, ne situ labescat, mi disse una volta un frate scalzo, che s’ intendeva così ben della lingua latina come della dottrina chri-stiana ». Degli Agostiniani scalzi di S. Nicola sappiamo dal prefato P. da S. Claudia, il quale vi fu novizio nel 1652, che sta-bilitivisi nel 1602, vi stavano allora in numero di cento con « vasta Libraria, ripiena de’ libri di ogni materia, et anche uno globo celeste tutto di ottone, con i circoli distinti delli sette Cieli, e loro pianeti erranti, ciascuno de’ quali circoli facilmente si aggira, giusta il suo proprio moto » (3). Ma più di tutti operosi furono certamente i Gesuiti, che Γ istruzione della gioventù caldeggiavano ed aveano in precipua loro cura. Delle loro benemerenze ho testé prodotto per le stampe qui in Genova una chiara prova nel poemetto latino di A. Gallo intitolato Scopulus pertusus, la cui dedicatoria c’ insegna aver insegnato presso di loro in Genova verso il 1580 il già noto e non volgare scrittore modenese P. Lelio Bisciola. E loro scolare fu probabilissimamente quel Giacomo Tiscornia di Girolamo, al quale, non ancora quindicenne, scrisse nel maggio del 1599 il Sauli Carrega (4) « ex violariis » : in consessu doctissimorum virorum... graece dixisti... ut multos fefelleris, qui te in Graecia natum esse crediderint, invitandolo a’ suoi violarii ('viovh), quae, tibi a Gym- (1) Ivi, p. 247. (2) Ivi, p. 167. (3) Lustri cit., pag. 11. (4) Epist. I, pag. 169. GIORNALE LIGUSTICO 399 nasiis recta domum eunti occurrunt, e desiderando che sua mercè omnes inielligant, cum Genuenses homines bellica laude multos superaverint, eos non facile cuique hominum litterarum gloria cedere, contro la temuta opinione degli stranieri, quoniam nobis mercaturae cura semper praecipua fuit. Allo stesso e al fratei suo Gio. Francesco, segnalantisi nello studio di Bologna scrisse il Carrega nell’aprile del 1606 (1). In questo Giornale (2) fu già dal Neri notato come gli stessi Gesuiti fin dal 1586 circa si facessero avanti per aver dalla Signoria la pubblica lettura, altre volte da essa stipendiata, e offerta allora al Tasso; e i molti scolari che accorrevano a profittare del loro insegnamento dovettero ognor più eccitare le gelosie e i lamenti del clero secolare, come già un secolo innanzi quelli degli amanuensi contro i tipografi. L’ arcivescovo Cipriano Pallavicini li secondò, come appare, non ostante la munificenza de’ suoi parenti intesa ad allogare quei Religiosi in S. Ambrogio; ma il Visitatore apostolico venuto in Genova del 1582, mandatovi a tal uopo dal Sommo Pontefice Gregorio XIII, dovette sopire quelle ostilità. E i Gesuiti, fatti più forti e arditi dalle opposizioni, non rifinivano di caldeggiare l’istituzione di pubbliche scuole degne della grandezza di Genova ; di che ci resta una prova nell’ orazione latina, che si legge in questo Codice universitario segnato E. 11. 5.bis dalla pagina 20 alla 36.a intitolata : Plurimum officere liceorum angustias, conducere vero amplitudinem. E benché la Repubblica, molti de’ cui Membri governanti dovettero udirla, non si lasciasse indurre a stanziare perciò veruna somma nel suo bilancio ; trovarono però, come a tutti è notissimo, fra loro stessi Genovesi che fecero sorgere il magnifico collegio di S. Girolamo, divenuto poscia Università Genovese. Come vi solennizzassero nel 1641 (1) Poster, pag. 21. (2) 1881, pag. 200. 400 GIORNALE LIGUSTICO Γ inaugurazione della gran Sala, ce lo dice ancor oggi — Il Museo riformalo ecc., eh’ essi pubblicarono lo stesso anno, dove si leggono le molte epigrafi latine in quell’occasione dettate da Costantino e Carlo e G. B. de Franchi, da Goffredo, Gerolamo, Luigi e G. B. Spinola, da Tommaso e da Filippo Maria Cattaneo, da Filippo e da G. B. Lomellini, da Giacomo Gentile, da Gio. Bernardo Taccone, da Giacomo Merani e G. B. Barberis, da Luca Maria Invrea, da G. Gagliardo e Marc’ Ant. Castello, da Pietro Maria Fegino, da Gio. Bernardo Raggio, da Cesare Boeri e Bartolomeo Solimano, da Giacomo Maria e da Urbano Durazzo, da Gio. Vincenzo imperiali, da Gio. Stefano Garibaldo , da Nicolò Giustiniano e da altri. Ugual desiderio aveva pubblicamente e solennemente espresso Gio. Andrea Ceva, del quale già parlai; nè il clero secolare fu meno avventurato in quella nobilissima gara, poiché trovò nell Arcivescovo Stefano Durazzo chi aperse all’ ingegno genovese altra splendida palestra nel Seminario Arcivescovile , fondato già nel 1553 dall’ Arcivescovo Girolamo Sauli, e da lui poscia portato a quell’ampiezza che ancor oggi si ammira. E un anno prima dell’ anzidetta solennità letteraria, vedevasene altra non meno magnifica al certo nel Seminario stesso in onore dell Eminentissimo Durazzo, perpetuata coi tipi e col bulino nel libro intitolato Liliatum viridarium, dove in 211 pagine si leggono in prosa e in versi latini e alcuni greci le lodi dello stesso Cardinale, essendo Rettore del Seminario il R. Francesco Gneco. Il costui nipote Uario Gneco, nell’ orazione postavi in fronte diceva, fra le altre cose, al Porporato (1): De bibliotheca Lugduno afferenda, deque propria domo , ad hoc Seminarii opus firmius stabiliendum, emendet, vere Te dignam co-gitationem suscepisti. (1) Pag. 50. GIORNALE LIGUSTICO 4OI In fronte ai componimenti poetici sono i nomi degli Autori, dei quali è giusto si adorni la presente scrittura: G. B. Calvi, giureconsulto e Prevosto di S. Donato; Sinibaldo Ferrari, diverso dal sullodato , Rettore di S. Andrea ; Gio. Andrea Azari, canonico della cattedrale di Savona ; Domenico Giordano, prete della Massa di S. Lorenzo; Bartolomeo Salata, giureconsulto e prete della massa; Gerolamo Bardi, già professore a Pisa di filosofia aristotelica e platonica; R. G. B. Marchetti; R. Stefano Cattaneo; Girolamo Paggi, già alunno del Seminario; R. Ambrogio Oliveri: Tommaso Spinola di Giuliano; R. Giulio Greno; G. B. Azari, promagister in eodem Seminario, che vi ha versi di vario metro, e un epigramma greco di 4 distici, tradotto in altrettanti latini dalla pag. 57 alla 116; Gio. Domenico Roscelli, alunno; G. B. Zino, al.; Giacomo Battaglino, al.; G. B. Bollino; Gio. Maria Tassaria, al.; Bartolomeo Pinasco, al.; Gio Andrea Ghio, al.; Pier Ant. Argiroffo, al.; Gio Matteo Rovereto, al. ; Emanuele Castiglione, al. ; Pellegro Poggi, al. ; Giuliano Lamorati, al. ; Gio. Girol. Queirolo, al. ; Gabriele Frassineto, al.; Nic. Bar-toli, al.; G B. de Leonardis, al.; Ilario Gneco, al.; Giacomo Drago, al.; Gio. Agostino Olivieri, al.; G. B. Ceva, al.; Gio. Agostino Tassaria, al., Ant. Giorello, al.; Gius, de Franchi, al.; Bartol. Piaggia, al.; Gio. Frane. Robello, al.; Bartol. Scoti, al.; Sebast. Vento, al. Chiudono il libro sei distici del sullodato Rettore Francesco Gneco, intitolati : Aura totius operis corona, e Γapprovazione sottoscritta: 4 Kal. Aprii. 1640, Ego Iulius Pallavicinus Societ. Iesu etc. F. Iusti-nianus Vagnonius a Callio Inquisitor... E non era questo il primo saggio letterario uscito dall’ ecclesiastico Istituto. Nel 1616 andò per le mani del colto pubblico un libretto stampato dal Pavoni (1) con questo ti- (1) In 8.° pie. di pag. no. Giorn. Ligustico, Anno XI. 27 402 GIORNALE LIGUSTICO tolo in mezzo ad elegante e finissima antiporta in rame : Parnassius occentus Horatio Spinolae S. R. E. lllustriss. Cardinali a Genuensi Seminario datus, dedicato Ioanni Francisco Brignolae Groppoli Marchioni, il quale parnasicis hisce studiis multum oblectabatur. Si dà vanto nella Dedicatoria a Lelio Tasti vicario generale della genovese Diocesi, di avere in quello studio ridestato il culto delle muse, ponendovi a Rettore Pietro Cella dottore teologo e professore quaestionum çonscientiae, del quale si leggono, oltre varii componimenti, poetici il più (i), due Orazioni, l’una intitolata Gratulatio... in ipsius (Spinulae) adventu (2), Γ altra Oratio funebris, detta nelle solenni esequie celebrate allo stesso Cardinale Arcivescovo (3). Agli altri componimenti stanno in fronte i nomi seguenti : Ioannes Baptista Marchetti (4) , Franciscus Fopianus (5) , Thomas Mora (6) , Christophorus Priccius (7), Petrus Iran-ciscus De Turri (8) , Hieronymus Picaluga (9) , Ioannes Baptista Zeirus (10), Augustinus Calcagninus (11), Io. Bapt. Ber-tolagìa (12), Iacobi Barbagelatae (13), Caesar Be^accia (14), (1) Pag. 19-41. (2) Pag. 7-18. (3) Pag. 85-107. (4) Pag. 42-50. (5) Pag. 51-2. (6) Pag. 53-60. (7) Pag. 60-62. (8) Pag. 63-65. (9) Pag· 65-68. (10) Pag. 69-72 (11) Pag. 72-76. (12) Pag. 76-78. (13) Pag. 78-79. (14) Pag. 80. GIORNALE LIGUSTICO 403 Io. Bap!. Ghirardi (1), Constantii Trucci (2), Io. Baptista Repeti (3). VI. — Che Genova poi fosse città di studii molteplici evidentemente lo dimostrano i non pochi giovani ricordati allora e lodati e poscia divenuti illustri nella storia , dei quali si sa che in patria soltanto si erudirono. Tale si fu, testimonio lo stesso Ansaldo Cebà (4) , quel Gio. Ambrogio Spinola , fatto circa il 1591 Principe della Accademia degli Addormentati col nome 'di Solingo, del quale « nello scrivere... ed in isciolto parlare, ed in legato », niuno era « di più leggiadra, e di più lodevol maniera » ; ed era versato non solo nello studio dei classici italiani, dei filosofi greci e, della politica , ma puranche nell’ astronomia e nelle matematiche. Del celeberrimo capitano Ambrosio Spinola, scriveva Don Angelo Grillo al conte Alfonso Beccaria a Pavia (5) : « Hebbe egli... per molti anni la pace per scuola della guerra, nella quale anco in tenera età non gli mancarono , cosi nel maneggio dell’ armi, come dei cavalli, maestri di molta esperienza, et di molto valore, sì come andò pienamente mostrando nelle giostre, et ne’ torneamenti, ne’ quali in pubblico spettacolo maestrevolmente rappresentava ciò , che nelle scuole privatamente apprendeva... Negli anni suoi giovanili... lo trovai così versato in ogni sorte di belle lettere , che mi restò in lui più da ammirare che da desiderare ». A Lodovico Sauli d’Antonio rispose nel 1613 il sullodato Carrega (6), notandone, ai literarum studia incredibilis paene (1) Pag. 81. (2) Pag. 82. (3) Pag· 83-84. (4) Esercita academici, pag. 58 ant. e segg. (5) Lettere, Ediz. ven. 1612, pag. 441 ant. e segg. (6) Epist. poster, pag. 54-7. 404 GIORNALE LIGUSTICO propensio, e rallegrandosi te in Germanica lingua tantos progressus facere, ut Germanice jam perfecte loquaris. E in patria studiò certamente dapprima quell’ Angelo Grillo , di cui ci occorrerà parlare in appresso, nato alcuni anni prima del nostro Ansaldo, e resosi giovinetto in Santa Caterina Benedettino cassinese. Noterò qui eh3 ei seppe anche di matematica , secondo ci dice Γ Armellini nella sua Biblioteca cassinese; e ch’ei pure si dilettasse di Astronomia, ce lo dice la lettera da lui scritta al nipote Nicolò Grillo in Genova da S. Nicolò del Lido (i) : « Piacerai che dal sig. Gio. Francesco Spinola habbia (Ella) ricevuta la sfera. Mi rallegro che non resterà sf&rico, sapendo i progressi che ci ha fatti in breve tempo... Et se la scala del nuovo occhiale del Galil-leo può giovarle in qualche cosa, non ne mancherà un eccellente ». E a Tommaso Arigucci in Perugia da S. Benedetto di Mantova: « L’esshibitor di questa esshibirà parimente i vetri. Son per fornire due cannoni. Vorrei che V. S. se ne compiacesse, per potermene compiacere aneli’ io. Alla mia vista non riescono male (2) » ; e aggiungeva che quest’arte « hoggi trionfa di maniera, eh’ aspira all’ espugnatone del cielo ». Va egli dunque aggiunto agli altri illustri, che il lettore di questo Giornale (3) già conosce mercè le cure dei ch. Desimoni e Giusto. Vìi. — Facevano altri gli studii, anche primarii, in altre città, e specialmente in Roma, dov’era Leonardo Baliano, al quale scrisse Don Angelo Grillo da Subiaco la Lettera che si legge da pag. 465 alla seguente della succitata edizione. Studiavano più altri nelle varie città soggette al vastissimo dominio spagnuolo, dove frequentissime erano le famiglie di Λ (1) Lett. voi. ii.° pag. 406, ediz. ven. 1616. (2) Ivi pag. 306. (3) Pag. 249 ant. e segg. GIORNALE LIGUSTICO 405 doviziosi genovesi date al traffico per esse vantagiosissimo. Del Cardinale Doria sappiamo ad esempio dal sullodato Scipione della Cella, eh5 egli studiò scienze gravi in Salamanca. II. SOMMARIO. I. Il Cebà in Padova. — Sua lettera a Gaspare Grimaldo. — II. Benemerenze letterarie, dei Grimaldi. — Ottaviano. — Nicolò. — Emanuele — Ansaldo. — Gaspare. — III. Il Cebà disprez-zatore della sua patria. — Suoi studii e modo di vivere. — Suoi maestri. — Amici. — Condiscepoli. — D. Angelo Grillo. — Giulio Guastavino. — Gio. Lanfranco Cebà. I. — In quali scuole si fosse il nostro Cebà formato il suo primo patrimonio letterario, non piacque a lui dircelo nelle Lettere eh’ egli stesso ne preparò per le stampe, compite 1’ anno della sua morte. Ivi appare anzi un suo studio speciale di nascondersi in molti particolari all’ indiscreto lettore, tacendo la data di esse non solo e il nome di molti, cui scrisse, ma confondendone pure ad arte la serie, che si dovrebbe supporre in ordine di tempo. Vi si scorge però un ordine d’ idee, che ci rivelano , a quel che io ne penso, il suo carattere. Già ho detto della sua preferenza del cognome Cebà sul Grimaldo; ed ecco la sua prima lettera da Padova, che ci manifesta non solo il fine pel quale si condusse a quello Studio , allora dei più celebri in lettere , ma ci lascia pure intendere la ragione della sua cognominale preferenza. Lo si giudichi dai tratti che qui ne trascrivo : A Gaspare Grimaldo. « Voi siete andato in Ispagna per danari; et io son venuto a Padova per lettere: non so chi di noi la farà meglio, parente mio : anzi pur so, che voi 1’ havete fatta tanto bene , che già vi chiamano alla patria per darvi moglie e magistrato ; et io m’avveggo d’haverla intesa sì male, che mi mandano all’ Infermeria per curarmi la testa, e lo stomaco... Se la va- GIORNALE LIGUSTICO luta de’ vostri scudi si peserà con quella delle mie lettere, voi sarete tenuto per un oracolo, et io per un buffalo : la qual cosa, se non fosse un certo mio humor malinconico, vi confesso che non mancherebbe di darmi del travaglio; perchè non è huomo, come sapete, che , per naturale inclinatione, non desideri d’ essere stimato da ogni gente, et in ogni luogo; e particolarmente da’ suoi cittadini, e nella sua patria : ma 1’ humor malinconico , che non lascia inquietarmi in questa materia, è, ch’io non fo conto d’altra preminenza, che di quella, che porta seco la vera virtù dell’ animo »... E consigliatolo « a riformar i suoi costumi più per la forza delle ragioni che per lo stimolo degli esempi », dice che di questi esempi, buoni, « ne’ nostri paesani moderni » non gli pare « di vederne dovitia. Hanno ben essi abbondanza d’alcun altri, che non son molto a proposito per la moderatione che vi consiglio; ma non voglio dirvene quel che potrei, perchè sarebbe un passar dalla lettera alla satira; della quale per mia inchinatione m’intrametto meno ch’io possa; o,se pure con qualch’ occasione v’ incorro (oltre che non offendo niuno in particolare) il fine, che mi propongo, non è altro, che di far bene, dicendo male »... Il nostro Ansaldo adunque, il quale non poteva primeggiare nella Repubblica per censo avito, intendeva meglio riuscirvi coll’ addottrinarsi, per acquistare così più cara fama a se stesso e al cognome suo prediletto, e renderla vie più splendida col dirigere la cosa pubblica mercè i consigli della sua penna: intento di animo grande al certo, ma ahi quanto gravido di quelle delusioni ed amarezze, delle quali ci avverrà per 1’ appunto di compiangerlo abbeverato ! II. E poiché mi sono io proposto di temperare, in servigio della verità, eh’ è quanto dire della storia, gli apprezzamenti di questo grande, ma talora pregiudicato scrittore ; non voglio passar qui sotto silenzio taluna almeno delle molte be- GIORNALE LIGUSTICO 407 nemerenze dei Grimaldi per la coltura letteraria della patria, cui fecero nobilissimamente servire le grandi ricchezze , generalmente tanto invidiate. Ottaviano Grimaldo avea coltivato la dotta antiquaria, come risulta da una lettera direttagli dal Longoglio (1) , che ricorda un Nicolò Cebà Grimaldo, avo di lui, che fece verso il 1430 un viaggio nella Persia. Di un Emanuele Grimaldo si leggono le Rime tra quelle degli Eccellentissimi, stampate a Venezia del 1549. A G. B. Grimaldo scrisse il mal arrivato Bonfadio Γ ultima sua Lettera, e gli dovette forse la mitigata pena. E chi non ricorda con gratitudine quell’Ansaldo, che nel 1536 allogò in S. Giorgio tanta moneta, che nel 1650 potè aprirsi in Genova Γ Università nomata appunto Grimalda, e inaugurata con orazioni a stampa? (2) Un Gio. Francesco accettò nel 1588 la dedicatoria, facendo con tutta probabilità le spese della stampa (3), della Lettione di Gio. Andrea Ceva (4). E Gaspare detto, che del 1610 era già morto in Ispagna, come nota il Rocca nell’ Albero genealogico già ricordato, fu tra i promotori dell’ Accademia degli Addormentati (5), della quale ci occorrerà parlare qui appresso. (1) Epist. i, 3, p. 362, ed. lugdun., 1542, cit. dal Tiraboschi, Stor. Letter. VI.0 p. 172. (2) Pro solenni Philosophiae Moralis auspicio in noya Universitate Grimalda explicandae P. D. Stephani Spinolae Congreg. Somaschae Publici Professoris*. Ex typ. Petri Io. Calenzani, 1650, in 4.0 di pag. 12, de-dic. ai Nipoti d’ Ansaldo, « quorum auspiciis tandem aliquando excelsissimis facultatibus lurisprudentiae , Medicinae, Mathesi, et Morali Philosophiae panduntur lycaea ». Pro solemni Medicinae artis auspicio in novo D. D. Grimaldorum Gymnasio tradendae. Baptistae Saldi Physici, ac pubblici Lectoris Praelectio. Comé sopra, di pag. 16. (3) È questa ipotesi confermata dallo stesso A. Cebà, che dedicando un suo libro a Marc’ Ant. Doria, protesta voler egli farlo stampar del suo. (4) Atti cit. IX, p. 200. (5) Atti cit. pag. 193. 4o8 GIORNALE LIGUSTICO III. — La seconda lettera del Cebà da Padova è sfortunatamente una riprova del suo sprezzante carattere. Scrive a Stefano Di Negro socio suo, e il più confidente, come si ha da altre, inteso anch’ egli probabilmente come fa supporre , fra le altre, una poesia direttagli in Napoli, a far moneta: « E dove sono le lodi, che mi dava la piazza de’ nostri mercatanti? O, per dir meglio, dov’ haveva io il cervello, mentre gongolava che mi lodassero di lettere, che non erano di cambio ? io non so chi m’ habbia più assassinato, o la loro cedola , o la mia sottoscrizione... » « A Genova non ritornerò io finché non habbia disimparata la Poetica di quel paese » (i). Di altre particolarità degli studi e del viver suo ci lasciò contezza in più altre lettere « ad incerto », mandategli a Pavia ed a Genova: « fi Dottor Sommo è la mia* guida; con la quale non saria ragione, eh’ io rimanessi tra gl’ infimi... Vi confesso, che leggo Homero e Demostene con più diletto: ma, perchè mi vien voglia talvolta di ridermi delle speculationi de’ Loici, Seneca m’ insegna che noi faccia.... io ringraziai Dio di sentirvi uscito con honore dalla mischia Pavese; ma non desiderai già d’ essermi trovato in essa; perchè dubito, che voi, col menar delle mani, et io, col volar de’ piedi, havremmo dato a’ circostanti un gratioso spettacolo... L’ amico ancora dall’ Hanc opinio ne fece una a questi di tanto brutta, eh’ io non posso hoggimai fermarmi in Padova per lo fetore.... » (2). « Son poco in accordo con me stesso, per cagion di certo contrasto, che m’ occupa la fantasia per modo, che non posso badare ad altro... Vi fo’ saper, che la mia stanza è in casa del solito Ludimagistro, e che ci sono assai solo, perchè le camere non soperchiano : la scuola nondimeno è florida più che mai fosse.... » (3). « Amori di Dame, (1) Lett. p. 4-6. (2) Pag. 7-8. (3) Pag. 9-10. GIORNALE LIGUSTICO 409 e speculationi di lettere; o che strana coppia! Al rimedio, per amor di Dio, se non volete piangere ; e perdonatemi, se vi parlo con libertà; perchè so quel che dico per esperienza » (1). « V’ ho fatto sentir con le parole, ch’io studio Γ Ethica d’ Aristotele : ma sarà ben vergogna, se non vi farò anche comprendere coi fatti, che ’l negotio della disciplina morale sta più nella pratica, che nella theorica. Che vi par di un giovane, che non tocca il ventesimo quart’ anno ? » (2). « Convien, che voi mi scusiate, s’ io non passo più oltre; perchè sento il Piccinini, che grida: A cena Signori; e son già più giorni, eh’ io non gli ho dato risposta » (3). « Il mio maestro... mi ia animo; e, quel che è peggio, mi loda: ma, se non fosse eh’ io il conosco per huomo sincero, mi verrebbe voglia di mettergli le mani sul viso... Fin che non mi senta meglio in gambe per correre le strade Italiane, non voglio curarmi troppo di zoppicare sopra le Greche » (4). Suoi maestri furono in Padova Sperone Speroni celebre filosofo ed oratore a’ suoi di, del quale si gloriava essere stato scolaro Torquato Tasso, e al quale abbiamo, fra quelle di altri, una lettera del nostro Gio. Vincenzo Pinelli, senza data, ma posta fra quelle scrittegli nel 1588 (5), e Giasone di Nores. Del primo però non potè udire che le ultime voci, essendo egli morto di ottantanove anni nel 1588; nè ho trovato fra gli scritti del Cebà menzione veruna di esso, laddove ne scrisse il Chiabrera l’Elogio. Il Nores, cipriotto di nascita, professò allo studio di Padova la filosofia d’Aristotile dal 1577 1590, e fra le molte sue opere è quella Della Rhetorica da lui pubblicata in Venezia nel 1584. Di lui conservò il Cebà grata Λ (1) Pag. it. (2) Pag. 13. (3) Pag· 15· (4) Pag. 16-17. (5) Sper. Opere, T. V. pag. 784, ed. ven. 1740. 410 GIORNALE LIGUSTICO memoria nel sonetto che qui trascrivo dalle sue Rime (i): L’ Arme felici, ond’ a 1’ imperio vile del senso lusinghier la mente ancella in me non fosse, hor con leggiadro stile tu m’ insegnasti, hor con gentil favella. Se 1’ alma ne venisse in me più bella dir non saprei, eh’ io non saprei simile a quel, che dentro il cor me ne favella dir com’ io fossi duro a cangiar stile. Posso ben dir Giason, che quanto a 1’ hora col tuo lume gentil ritrar potei de la virtù, eh’ in terra, e ’n ciel s’ honora Altro non fu eh’ un specchio agli occhi miei ove la bella effigie io miro ancora di quel, che fosti in terra, e ’n ciel tu sei. In altra poesia (2) ne lodò il « saldo e forte petto nelle miserie, indegno di si contraria sorte ». Fu il Nores cantato anche da Don Angelo Grillo, come suo amicissimo, in un sonetto (3), in cui si legge: del perfido Trace il pensier torto Mille patrie ti diè, s’ una ti tolse, E mentre adegua i tuoi palagi al, suolo, Tu perpetui edifici) adegui al cielo. De’ suoi amici più cari in gioventù impariamo il nome da lui stesso. A Leonardo Spinola giureconsulto scrisse da Padova a Genova circa 1’ opinione di esso « intorno alla similitudine e alla metafora (4), secondo i dettati d’ Aristotile; e dedicogli poscia le sue Rime amorose, fra le quali se ne leggono alcune pure di lui, che altre ne avea pubblicate in (1) Pag. 76. (2) Pag. 213-4. (3) Rime ediz. bergam. 1589; c. 4, t. (4) Lett. pag. 18-22. CIORNALE LIGUSTICO 411 Genova il 1591, ristampate nel 1601. Più altre gliene scrisse dappoi, dalle quali si vede eh’ era tra loro comunanza di studi e discreta intrinsichezza, leggendovisi (1): « In Cari-gnano ho havuto caldo assai; ma pochi giorni: più lungo negotio per mio avviso sarà quello delle zanzare...,: penso nondimeno di tirar innanzi più ch’io potrò, e di non appigionar case d’altri....; più di tutto mi consola il pensare, che per tutto è qualche scoglio, e spetialmente a me, che nel navigare non sono il più destr’huomo del mondo... ». E altrove (2) : « Non mancherebbono altre cose da dir in questa materia; ma non sarebbono per avventura da mandar scritte, per non dimenticarmi del nostro Formulario Patavino; con la cui dolce rimembranza finisco... ». Due altri amò egli con ispeciale tenerezza, il già ricordato Stefano Di Negro, del quale avremo a riparlare più volte, e Giacomo Re, stato anch’ egli dei promotori dell’ Accademia degli Addormentati nel 1587, e al quale egli scrisse « da Padova in Anversa (3).... ad un amico, la faccia del quale nello spatio di molt’ anni credo che passassero pochi giorni eh’ io non vedessi... Dolcissimi erano i nostri ragionamenti... Giovani, liberi, e scioperati; fate il conto voi, che discorsi dovevano esser i nostri... Alcnne memorie so io ch’amendue habbiamo portato da Genova, le quali possono in gran parte impedirci il corso delle nostre fatiche: estinguiamole, se è possibile, amico mio dilettissimo.... La professione che voi seguite vi promette danari; e quella, eh’io essercito, mi promette lettere: procuriamo però di star saldi dove siam venuti... ». E perchè da quel che sono per dire qui appresso non si (1) Pag. 95. (2) Pag. 164. (3) Pag· 6-7· 412 GIORNALE LIGUSTICO creda che le corde della sua lira non conoscessero la dolcezza dell’ amicizia, mi si conceda riprodur qui il sonetto allo stesso indirizzato (i) : O de la vita mia fido sostegno, dov’ avvien sempre, che ’l mio cor si pose Iacopo mio, che su per 1’ acque ondose di Fortuna, e d’ Amor fosti ’l mio segno, Deh come lasci il mio smarrito legno tra mille mostri, e mille sirti ascose! come fra 1’ onde incerte, e perigliose più non mi tempri oimè del ciel lo sdegno ! Ahi se pur da te lunge il ciel consente, eh’ io più non veggia a la tua stella il porto, e voli lo mio spirto ad altra gente, Almen quando sarò dall’ onde absorto, amor ti torni lagrimando a mente, ch’io perte vissi, e senza te son morto. Lui amò teneramente Don Angelo Grillo, parente per madre degli Spinola, e gliene diede bella prova mandandogli a Padova il sonetto, il quale credo pregio dell’opera sottoporre agli occhi del lettore, coll’ argomento e le note premessivi da Giulio Guastavino, stato pur egli in Padova col Grillo (2): « S’ era partito da Genova il Sig. Ansaldo Cebà, nobilissimo gentilhuomo della nostra Città, e di vivacissimo spirito, e di lettere ornato, massime di quelle che versano intorno alla poesia; et andatosene a Padova, per cagione degli studij suoi. Colà Γ Autore nostro di cui era, et è affettionatissimo amico, gli mandò il presente sonetto: Quel, che d’ ogni altro più pregiato, e caro Nodo, me teco in amicitia strinse, Così 1’ una, e 1’ altra alma insieme avvinse Ch’ homai spirar con lo tuo spirto imparo : (1) Rime, pag. 73-4· (2) Grillo, Rime, ediz. cit., c, 18, r. e preced. GIORNALE LIGUSTICO Nè, perchè da me lunge il Ciel avaro T’ accoglia, hor scinge ciò, eh’ Amor già cinse ; Ma sol quel che Natura in duo distinse (i), Ond’hor va il Medoaco altero, e chiaro: E quasiin me, com’ in tua viva imago, Fisan gli occhi sovente i cari tuoi, Il Doria·, il Nero, e P altra schiera eletta. Parto 1’ hore con loro ; e me ’n vò poi Ov’ il Castel co’i simolacri alletta (2) A mirar te, di rimirar me vago (3). Ed ora, chi lo crederebbe? A me non fu dato di ritrovare ili veruna delle molte scritture del Cebà neppur nominato questo suo amico, lodato, non che teneramente e meritamente amato, da Torquato Tasso e da Gabriele Chiabrera, a tacere di moltissimi altri. Non godeva egli forse, come poeta la stima del nostro Ansaldo, che a mala pena ne fece grazia al Chiabrera? Si sarebbe tentati a crederlo, a tacer d altri men chiari indizi, dietro ciò che il Grillo stesso scrisse poi da Roma in Genova a Gio. Francesco Spinola suo nipote (4): « V. S. fa gran senno a procurar Γ honor dell’ historia al sig. Federico Spinola di gloriosa memoria (5), mentre il signor Ansaldo Cebà li va procurando dalla sua nobil Musa 1 honoi della poesia... io... mando a V. S. un breve ragguaglio delle attioni di esso..., se potrà giovare a que Signoii Historici... Hò però doppo il discorso historico soggiunto un tale o quale Elogio », e due Sonetti pregandolo a tenerli presso di sè « acciocché non diano in qualche fastidioso cattarro ». (1) c I corpi, che la natura fece due >. (2) « M. Bernardo Castello degnissimo Pittore ritrasse dal naturale il signor Ansaldo; e del ritratto tenne una copia nella sua stanza frequentata da’ più nobili spiriti della Città (3) « Perchè mirando in te, che sei 1’ imagine mia, vengo a mirar me stesso ». (4) Lett. pag. 433-9, ediz. ven. 1612. (5) Era morto di ferita combattendo in mare i Fiaminghi nel 1602. 4H GIORNALE LIGUSTICO Non si leggono questi di fatto fra le Rime del Cebà, che ve ne allogò uno del Chìabrera, da lui provocato. Due sonetti diresse invece il Cebà (i) a Paolo Grillo fratello di Don Angelo, in Napoli, dove, ei gli dice nel primo: Dolorosa cagion nobil consiglio fe che contra te stesso a 1’ hor prendesti che sì lunga stagion da noi potesti Paolo sottrarti in volontario essiglio. H ugual desiderio anima i due componimenti, chiudendosi il primo cosi: / Vedi la gloria nostra all’ occidente tosto inclinar se de’ tuoi vivi ardori 1’ afflitta patria il folgorar non sente. Fu probabilmente Paolo più caro di Don Angelo al Cebà per somiglianza di sentire e di vicende politiche, laddove, a tacer d’ altre cagioni più o meno probabili (2), non doveva egli aver certo gran simpatia per chi non iacea che sfogare sulla facil cetra i pii, gioviali, amichevoli sentimenti dell’ animo suo, tutto dolcezza, tenendosi lontano dalle passioni politiche, e godendosi le lodi de’ molti suoi lettori in patria e fuori: beatitudine dal Cebà pure sommamente desiderata, raggiunta non mai. Nè i versi del buon Benedettino sono tutti poco pregevoli per subbietto anche al giudizio dei così detti spiriti forti, chè non pochi ne dettò, e felicemente, non ostante qualche menda secentistica, a lui gradita perchè gradevole al (1) Rivie, p. 106, 568. (2) Le seguenti parole scritte dal Cebà a Marcantonio Doria che del 1617 andava in Mantova, dove probabilissimamente si trovava allora il Grillo, farebbero credere , che questi avesse rilevato aneli’ egli qualche spiacevole difetto nell’ amico dei giovani suoi anni : « Se voi foste interrogato in questo viaggio della condition mia, dite, vi priego, che, fra gli altri difetti: io non so, nè parlare, nè scrivere, e non dubitate di farmi vergo-gan ». (Lett. pag. 125). I GIORNALE LIGUSTICO 415 più de’ suoi contemporanei, sopra nobili argomenti onorevoli non meno alla patria, che utili alla storia, come mi avverrà di meglio rilevare altrove. Qui non voglio tacere, che stando il Guastavino in Padova, gli scrisse il Grillo dal suo convento di Mantova, ringraziandolo della sua difesa contro un tale maldicente, non «degno dell’ ira vostra nè dello sdegno.... meritevole del riso. Ride-tevene dunque. Cosi faccio io » (i). Dall’ argomento a un Sonetto (2) delle Rime del Grillo, da questo diretto, con altri, al Guastavino, apprendiamo che essendo esso Guastavino in Roma, tradusse « la Elettra, tragedia di Soffocle, con 1’ aiuto particolarmente del Sig. Federico Metio, professor publico di quella lingua in quella Città », e stava « per mandarla alle stampe, quando comparve 1’ istessa tradotta dal sig. Erasmo Valvassone, perch’ egli giudicando quel fatto soverchio se ne astenne; ma il P. (Grillo) che 1’havea prima veduta, 1’ havea celebrata » col succitato sonetto. Del Guastavino serbò memoria il Cebà nelle sue rime (3) con un sonetto, che comincia: Febbre gentil, eh’ a più veraci amori per le vene de 1’ alma il cor m accenda senza che 1’ arte, 0 te medesmo offenda desta pur Giulio entro a’ miei pigri humori, ed ove notevole è quest’ altro verso Già pietoso a sanar mi fosti assai. Anche poco prima della sua morte, gli ricordò (4) la « nostra amistà di tant’ anni », dolendosi a un tempo « che la nostra Republica... fin hora non m’ ha conosciuto se non per forestiero... ». (1) Grillo, Lett. pag. 331, ed. ven. 1612. (2) Ediz. cit., c. 3, r. (3) Pag. 320-21. (4) Lett. pag, 274-5. 4i 6 GIORNALE LIGUSTICO Dalle Rime del Grillo, in grazia specialmente degli Argomenti del Guastavano, impariamo che condiscepolo del Cebà in Padova fu Opicio Spinola, divenuto poi chiaro giureconsulto. All’amico Ansaldo e al cugino Opicio « che in Padova udivano la Poetica, e le Morali dai sig. Giason di Nores eccellentiss. filosofo», diresse egli, ritornando da Venezia, il sonetto (i) che comincia: Ecco il verno...., e termina: Ma primavera di virtù fiorisce Eterna in voi ; eh’ ò in Ariete alloggi Il sol vostro, ò d’ Acquario il cerchio giri, Mai sempre vi feconda; e non gradisce Questa età più bei fior; nè vien eh’ aspiri A più bei frutti, ò più aspirando poggi. Allo stesso Opicio diressero poi varie lettere, sempre amichevoli, e il Grillo e il Cebà. Ricorda lo stesso Cebà scrivendo a Marc’Ant. Doria (2), il Cardinale Alessandro da Este, « eh’ io.... vidi già è gran tempo nello studio di Padova, et intesi eh’egli era non men valoroso nell’ essercitio delle lettere, che singolare nella grandezza dell’animo »; e che lo richiese poi, per mezzo del Doria, della sua amicizia e corrispondenza epistolare: cosa che acettò il Cebà con umile riconoscenza, com’ è a vedere nelle stesse lettere (3). Di Gio. Vincenzo Pinelli e Paolo Aicardi, da esso colti-tivati con ispecialissima considerazione in Padova stessa, avrò occasione di parlare altrove più a lungo. Non voglio passare, da ultimo, sotto silenzio un’azione da esso ivi compita, come quella che grandemente Γ onora, e ci fa conoscere parte dei costumi di quel tempo. La rilevo dall’ Epitafio eh’ egli scrisse e (1) Rime, c. 4, t. (2) Lett. p. 153. (3) Pag. 173 e seg. 417 pubblicò nel 1619 per onorare la memoria del suo fratello minore Gio. Lanfranco. Essendo questi ritornato dalla milizia di Malta in Genova a a riordinare qualche... privato affare, più per necessità, che per elettione », avutane Ansaldo notizia, « non potei resistere, dice egli stesso (1), all’ amor che fu tra noi fin dalle fasce ardentissimo, che senza indugio, per rivedervi, aneli' io parimente alla patria non ritornassi. Ritrovai nella persona vostra poca mutatione di volto, e niuna variatione di voglie; ma però tanta sollevatone di prudenza, eh’ io feci fin d’ al-lhora giudicio, la Religiope Gerosolimitana non men del consiglio che della man vostra poter aspettar col tempo di gloriosamente avanzarsi. In beneficio della quale non vedendo io per allhora come voi poteste honorevolmente affaticarvi, mi cadde in pensiero, che, fin che l’occasione vene venisse, disutile consiglio non sarebbe stato, se per raffinare quelle dispositioni, ond’ era naturalmente il vostro intelletto dotato, a passar qualche tempo nello studio di Padova, invece d’andar senza occupatione girando, voi ve ne foste con esso meco venuto. Ve ne feci però senza indugio alcun motto; ma, come di cosa in prima faccia assai diversa dalla profession vostra, vi confesso, che dubitai molto di ragionarvene in vano.... Voi non solamente la mia ammonitione non disprezzaste, ma comprendendo quanto la cognition delle lettere potesse giovarvi etiando all’ essercitio dell’ arme, e di venir a Padova, e di sottoporvi a quelle fatiche, che per questa cagione fossero necessarie, prontissimamente vi disponeste. Era la stagione sul cuore del verno, e niun’ altra cosa che neve, e ghiaccio sulla terra, e che venti, e tempesta per 1 aria non si vedeva. Ma non fu nè horrore, nè impedimento, che di salir subitamente a cavallo ci ritrahesse, e che, quantunque (1) Epitaf. pag. 17. Giorn. Ligustico, Anno IX. 2 7 4i8 GIORNALE LIGUSTICO . assiderati e quasi della persona perduti, di ritrovarsi in pochi giorni dentro le mura Padovane ne divietasse. Quivi , secondo il costume degli scolari, convenevole albergo prendemmo ; et io ripigliai gli studi, eh’ havea tralasciati; e voi cominciaste quelli, ch’avevate disposto. La disciplina politica, e le scienze mathematiche furono la vostra principale occupatione, e Γ arte della Retorica, e la cognitione delle lingue gli stro-menti necessarii per adoperarle (i). E nell’ uno e nell’ altro studio, con tanta sollecitudine, v’ essercitaste, che, se non s’ attraversava un notabile impedimento d’infermità nella persona vostra, voi certamente eravate per arrivarne a gran segno. Testimone di ciò nobilissimo era il vostro maestro Giason di Nores, che di lodarvi d’ ingegno e di capacità singolare non sapea satiarsi: e banditore honorevolissimo ne fu Gian V incenzo Pinello, che di straordinaria sufficienza nell investigare delle cose agibili non era mai stanco di commendarvi: onde quantunque, e per età, e per dottrina, e per ogn altra circostanza gravissimo, non si sdegnava però di ragionar con voi, eh’ io non so se ’l ventesimo anno ancora toccaste; nè s’adontava, che, fra tanti huomini canuti, che, per divisar delle mondane varietà, da tante parti nelle sue nobili case concorrevano, comparisse ancora un giovanetto, che, più per lume di natura,· che per benefìcio d’esperienza, non era delle cose, che quaggiù si fanno, come essere sogliono tutti gli altri, altro che in poca parte ignorante ». Non essendo 1’ arte medica riuscita ad altro che a « maggiormente debilitarlo », dopo « quasi dut? anni.... a separarci 1 uno dall’ altro, segue a dire Ansaldo (2), fummo alla fine * (r) Nelle Lettere, ad Incerto, pag. 12, si legge: « il prete ch’insegna Grammatica a mio fratello, è di cognome, Francisconio ». (2) Epit. p. 23. GIORNALE LIGUSTICO 419 malgrado nostro necessariamente costretti. E qui non posso passar con silentio le lagrime, eh’ io sparsi., quando con tanta affiittione d animo, e debolezza di corpo da me partire vi vidi, le quali io stetti per si lungo spatio a rasciugare, ch’io mi maravigliai più volte allhora di me medesimo, che pure studiava Filosofia, e non era una femina ». Non sarà discaro al lettore il sapere come Lanfranco passò, dopo aggiratosi altrove, in Roma, donde perseguitato dalla malaria, si ridusse a Napoli con « cinque o sei gentilhuo-mini ».... che ivi giunti «l’un dopo l’altro, senza riparo, che potesse aiutarli, miseramente se ne morirono ». Giudicò egli « ben fatto di provar per alcuno tempo il beneficio del-Γ aria Napolitana, per ritornar poscia a ristabilirsi nella residenza Maltese »; ma caduto infermo, « invece d’aggirarvi (seguiremo con Ansaldo (1)), su la corsia d’una galea, voi vi seppeliste nel profondo d’un letto; in cambio di combattere con 1’ armate de gl’ Infedeli, faceste guerra con le violenze de’ dolori ». Dato per ispedito dai medici, avvenne un giorno, ripiglia Ansaldo (2), che « un vostro antico servidore, altrettanto valoroso di mano, quanto vigoroso di fede, hebbe alcuna briga nel vicinato, per la quale vennero i Ministri della Giustitia in casa vostra per farlo prigione. Contrastò egli alla loro violenza con rovina di morti, e di feriti: e voi, che sentiste il romore, sollevato, come meglio poteste, dal letto, e dato di mano alla spada, procuraste, riparando alla furia, che quel misero si salvasse...». S’ebbe perciò Lanfranco la casa per carcere, finché « come a più legittimo Tribunale » rimesso al suo gran Maestro di Malta, ivi « una delle galee della Religione (3), senza guardar che (1) Pag. 25 ant. e seg. (2) Pag, 28 e seg. (3) Pag· 31· 420 GIORNALE LIGUSTICO v’ havesse a consumare spendendo, a condur per lo spatio che si costuma nell’ usate fattioni, animosamente » prese; e « finita... benavventurosamente la... condotta », fu poi col «valoroso fra Zacharia Doria (i)... all’assalto della Mau-metta », dal quale ultimo si ritirò, raccolto in mare da « un battello per altre cagioni indietro rimaso , sopra del quale... alle galee, che già navigavano, miracolosamente » si condusse. Ciò accadde sotto il gran Maestro Martin Garzez spagnuolo, morto il 7 feb. 1601. Venutosi all’ elezione del successore, Gio. Lanfranco, che aveva « qualche legame con un gran Croce Italiano », in favore di questo manifestamente s’ adoperò quanto potè cogli amici suoi; ma trionfò in quella vece il francese Alof de Vignacourt. Gio. Lanfranco allora, « poscia d’ avergli baciate le mani, e renduta 1’ ubidienza » , lo pregò di concedergli di uscir per alcuni mesi di Malta. « Sentì mal volentieri (seguiremo a narrar con Ansaldo (2)) la vostra dimanda; e risposevi, che pensaste meglio; e che, se non era gran necessità, dal Convento per ninna guisa non vi dipartiste ». Fece egli allora una corsa a Napoli per i suoi privati interessi, e ritornato in breve a Malta, il Vignacourt « l’honorò alla presenza di tutto *1 Convento della prima pensione, che di dare gli fu permesso» (3), aggiungendo in v sua lode molto affettuose parole. Chiamollo « appresso al governo della fortezza di Sant’ Hermo, che solamente a’ più vecchi Cavalieri raccomandare si suole: l’elesse poco stante in suo Recevidore, che è uno de’ primi gradi del Magistrale Palazzo: commise incontanente 1’orecchio a’ suoi consigli, che è 1’ ufficio de’ più grandi, e de’ più sperimentati dell’ Orti) Pag. 33 e seg. (2) Pag. 37. (3) Pag· 39· GIORNALE LIGUSTICO 421 dine: gli fece poi gratia, e d’una e di due, e di tre Commende, che non è costume di farsi se non per notabile soprabbondanza di meriti » (1), e gli accordò sempre qualunque grazia gli domandasse. Morigeratissimo in mezzo alla rilassatezza di non pochi di quell’ ordine, liberale coi poveri, ospitaliero e lauto, benché Γ esser egli « continuamente mal sano a vivere le più volte con rigorosa dieta lo costringesse »; (2) s’ oppose « ben generosamente a chi lo consigliava, che del tesoro del Maestro che tutto passava per le sue mani, a sollevamento di sè, e della sua casa, per quelle vie, che sogliono i mercatanti, tesoreggiasse; e tutte quelle industrie, che potevano nello spatio di tant’ anni render/o nel cospetto degli altri, etiandio honorevolmente, ricchissimo », egli abborrì per modo, che ricusò costantemente qualunque regalo; e fu risparmiato sempre, esempio rarissimo, dai libellisti di palazzo (3). Mandato in fine a governare la Città vecchia, minacciata dai Turchi (4), ottenne colle sue savie disposizioni, che il nemico si voltasse altrove (5). Dopo alcuni mesi ritornò a Palazzo, dove morì nel .1619. « Maravigliaronsi, chiuderò con Ansaldo, i Cavalieri, che voi haveste per tant’ anni tanti thesori amministrati, e eh’ à morir mendico vi foste alla fine condotto (6)... il luogo della sepoltura, che voi scelto fra i minimi dell’Ordine v’ha-vevate , fra i Signori della gran Croce tutto ’l Convento ad una voce vi diede (7) ». Dopo di che, sempre fedele al suo (1) Pag: 40. (2) Pag. 44. e seg. (3) Pag· 53· (4) Ciò dovette essere nel 1614, quando da 60 galere sbarcarono i Turchi cinque mila uomini. (5) Pag. 63. (6) Pag. 67. (7) Pag. 68. 422 GIORNALE LIGUSTICO programma, rivolto per 1’ ultima volta al fratello: « io vi supplico, gli dice Ansaldo (i), ad impetrarmi da Dio tanta grada, che quel eh’ ho scritto di voi, accresca la religione ne’ Cavalieri Gerosolimitani, invigorisca la virtù, imprima la magnanimità nel petto de’ vostri nepoti, e scuota con tanta forza la polvere de’ miei pensieri, che, come nelle miserie della terra io corsi sempre con voi una stessa fortuna, così nella beatitudine del Cielo io goda ancora con voi una medesima gloria». Ei lo seguì nel sepolcro quatti·’anni appresso, con quali onoranze non mi fu dato di rinvenire. Vediamolo ora tornato da Padova in Genova. III. SOMMARIO. Ansaldo in Genova. — Accademie. — Addormentati. — Giulio Pallavicini — Torquato Tasso — D. Angelo Grillo. — Ansaldo accademico — Gio. Ambrosio Spinola. — Girolamo Centurione — Bartolomeo della Torre. — Pier Giuseppe Giustiniani e Leonardo Spinola. — Bartolomeo e Gio. Vincenzo Imperiale e Anton Giulio Brignole. — Agostino Mascardi. — Gio. Giacomo Lo* mellini» Silvestro e Tommaso Grimaldi. — Gabriele Chiabrera. — Paolo Spinola e Matteo Pellegrini. Giulio Sauli. — Ans. Cebà e Gio. Nic. Sauli Carrega. — Andrea Spinola. — Alessandro Sauli — Carattere genovese. — Dispersi. — Gio. Nicolò Sauli-Carrega — Gio. Vincenzo Imperiale. — Girolamo Frugoni. — Desiosi. — Opicio Spinola. — Invaghiti. — Deoda? o Gentili e Innocenzo Ghisi. — Accesi e Confusi. Aveva Ansaldo studiato in Padova pel corso , a quanto pare, di quattr’anni circa con una sua « piuttosto rabbia, che volontà », com’ei di là scriveva « ad Incerto » (2), aggiungendo: « in qualche guisa ci farem nominare»; quando verso il 1591 se ne tornò in Genova. Ardeva egli certo del desiderio di mostrare a’ suoi concittadini che bene aveva speso il suo tempo ; e nulla più gliene offriva favorevole occasione dell’ Accademia degli Addormentati ivi da qualche anno costituitasi (3). (1) Pag. 70-1. (2) Lett. pag. 12. (3) Atti cit. IX, 192. GIORNALE LIGUSTICO 423 Era essa una delle tante società letterarie, che fin dal secolo XV aveano, sarei quasi per dire, invasa Γ Italia con denominazioni più o meno capricciose ; e non era stata certamente la prima fra noi, trovandovisi molto prima ricordata dal Doni quella dei Galeotti. Il Quadrio (1), ritardandone la fondazione « circa il 1628 », aggiunge: « A competenza di questa un’ altra vi fu istituita chiamata de’ Risvegliati. Dopo le predette due accademie degli Addormentati, e dei Risvegliati, un’ altra se ne formò, che per esser composta de’ suggetti dell’ una, e dell’ altra, fu nominata degli Accordati ». Di questo però non cita egli alcuna autorità; nè io trovai altrove neppure un cenno. Che un’ accademia esistesse prima del 1587 l’ha dimostrato il Neri in questo Giornale (2) ; il dirsi però nel decreto d’ approvazione, che essa potrebbe piuttosto nominarsi dei « Resvegiati », parmi possa intendersi per un semplice desiderio relativo al motto sopitos suscitat. Checché ne sia, non fu essa certamente la sola di quei tempi, come vedremo : ebbe però di tutte maggior fama e importanza. Fin dal 1587 Fr. Innocenzo Ghisi, domenicano, dava il primo vanto di questa istituzione a Giulio Pallavicini (3), dal’quale « come principalissima radice andava pigliando accrescimento ». A lui dà pure questo merito l’Alberti (4), dopo ciò che ne scrisse il Guastavino nell’ argomento al Sonetto di Don Angelo Grillo, socio della stessa accademia, il quale comincia : Addormentati hor chi vi sveglia? Amore (5). Ecco le parole del Guastavino : « S’ era in Genova dirizzata l’Accademia degli Addormentati, nella quale erano i primi (1) Storia e rag. d’ ogni poes. I, pag. 72. (2) 1881, pag. 198 e seg. (3) Atti cit., p. 191. (4) Discorso dell’ origine delle Accad. Gen. 1639, pag. 100. (5) Rime, ediz. cit., c. 42, t. GIORNALE LIGUSTICO gentilhuomini .della Città: la cui Impresa era un oriolo, che batte l’hore, risveglia, et accende il lume, col motto: Sopitos suscitat, della quale fu un tempo protettore il Sig. Giulio Pallavicino, gentilhuomo letterato, e de’ letterati amico, et fautore ». Agli stessi accademici diresse poi altro Sonetto il Grillo « per lo Sig. Giulio Pallavicino; che sendo stato Protettore dell’ Accademia,, volle alfine essere Accademico parimente, et fu eletto Principe dell’Accademia », con questa chiusa diretta alla stessa Accademia: Solca per questo Egeo d' ardire accesa, Che sovra Argo, e gli Heroi famosi assunta Farai nuova Corona in Cie' lucente (i). E forse accolse lo stesso Pallavicini gli accademici « in mezzo alle delitie de’ suoi paterni Palazzi » , dove fin dal 1582 teneva « per maggior di tutti gli altri ornamenti, una bella copia di libri infiniti » (2), pei quali ancora fu lodato nelle Rime del Grillo (3), notando il Guastavino eh’ erano quei libri « di varia sorte, tanto stampati, quanto scritti a penna; da lui raccolti con molta fatica, et con molta spesa ». Come vi fosse invitato a leggervi Torquato Tasso, già conosce il lettore di questo Giornale per le cure del Neri (4); e non gli spiacerà veder qui riportato dalle Rime del Grillo (5) il sonetto che allora fu scritto dallo stesso per l’Accademia, in risposta a quello del Tasso riprodotto già in questo Giornale (6) : E qual sonno è si grave, e si gl’ ingegni Lega, o sì Palme accieca empio lethargo, Che non sian sciolti, e eh’ occhi assai più d’Argo Non apran volti agli alti empirei Regni, (1) Rime, c. 56, t. (2) Atti cit. pag. 154. (3) C. 37, t. (4) 1881, pag. 194 e segg. (5) C. 94, t. (6) ï88i. pag. 204. GIORNALE LIGUSTICO Tasso, al tuo canto? eh’ ire, o guerre, o sdegni, O paci, o amori esprima, io sempre spargo Voci di meraviglia: e Troia, ed Argo Quand’ hebber si gran tromba, e sì bei segni ? E ’n te rivolgo ogni più caro affetto, Che (benche Addormentata) in me non dorme, E spero rischiarar l’interna vista A la tua viva voce, il cui diletto / Fa vile questa gioia, a pena mista, E ’n terra contemplar celesti forme. Al Tasso avea forse il Grillo già posto amore fin dal 1579, quando in Genova fu per lo Zabata pubblicato il Canto del Concilio infernal·· (1), e s’ era venuto in esso riscaldando per modo che nel 1584 non potè ritenersi dallo scrivergli da Mantova a Ferrara la lettera, della quale, per non esser essa molto comune, credo ben fatto adornar queste pagine: « La rara virtù di Vostra Signoria, che molto prima mi haveva legato il cuore, et 1’ anima nell’ amor suo, hora mi scioglie la lingua, et i piedi dell’ardimento in questa lettera. Nella quale vengo io hora a ritrovarla, et ad offerirmele per un di coloro, che non potendo più lungamente sofferire la soave tirannide de’ suoi nobilissimi scritti, vien sforzato a parlare, et a palesarsi. Conoscami dunque \"ostra Signoria per tale, e me ne dia segno col comandami; se non per bisogno suo, almeno per necessità mia : sendo troppo bramoso del favor suo. Et la Gratia di Dio, eh’ è suo merito singolare in questo mondo, le sia nell’ altro sempiterna mercede » (2). Quanto ei sempre 1’ amasse, e fin oltre la tomba , come fu già osservato in questo Giornale dal Neri (3), lo dice abbastanza quanto ei ne scrisse a Paolo suo fratello (1) Atti cit. p. 146. (2) Lett. ediz. ven. 1612, pag. 419. Ho tolta la data dalla risposta del Tasso. (?) 1881, pag. 207. 426 GIORNALE LIGUSTICO in Napoli da Genova: « Il Tasso è morto, et io mal vivo per la perdici di tanto huomo, et di tanto amico. Iddio Γ habbia in gloria » (1). Non voglio passar qui sotto silenzio un mio dubbio, se cioè P antipatia, eccitata forse da emulazione, del Cebà verso il Grillo, lo traesse molto per tempo a quella pure verso il Tasso, che, come vedremo, ei si propose infine di superare. Certo è che s’ ei s’indusse a dettare un Sonetto per 1’ edizione genovese della Gerusalemme liberata del 1590, lo fece più in lode delle figure del Castello, che non del grand’ E-pico, siccome appare specialmente dalla chiusa : « Quindi n’ ha gloria il carme, a cui dipensa Sì nuova il mio Castel sua nobil arte, Ch’ or più chiaro ei ne splende, hor più ne piace. Vediamo adesso come si producesse il Cebà fra gli Addormentati. Vi lesse le orazioni, che « quasi trent’ anni » dopo pubblicò nel 1621, stimando « danno di ritoccarle », come « Memoria dell’ Accademia dove nacquero ». E sono: « Lettione sopra il sonetto del Petrarca Solo e pensoso i più deserti campi (2) ; Accusa d’ Andrea Imperiale contro a Tito Manlio (3); — Difesa d’ Ansaldo Cebà per Tito Manlio (4); — Oratione per Ventrata del Solingo al principato dell’ Accademia degli Addormentati (5); — Lettione sopra il Sonetto del Petrarca Vidi fra mille donne una già tale (6); (1) Lett. cit., pag. 202. Sono ivi altre lettere e versi in affettuosissimo onore dello stesso. (2) Pag. 1-20, in 4.0. (5) Pag. 21-27. (4) Pag. 27-51. (5) Pag. 51-66. (6) Pag. 67-84. GIORNALE LIGUSTICO 427 Spositione delle parole che disse Thrasea nel Senato Romano contro l arroganza de’Provinciali (i); — Ragionamento intorno al regolar V ambitione de’ Cittadini nel domandar de’ magistrati (2). . Alle dette Lezioni petrarchesche credo alluda il Chia-brera (3), che al Discorso sopra il Sonetto del Petrarca Se lamentare augelli, e verdi fronde letto in Savona all’ Accademia che « si rauna /a in casa Ambrosio Salinero » (4), fa succeder questa chiosa: « ho letto alcune lezioni intorno a somiglianti Poesie, ripiene di somma dottrina, anzi dello sponitore, che del Poeta ». Di questo suo libro scrisse il Cebà a Gian Battista Spinola, che si era « rilegato in Isola », e non aveva approvato del tutto questa sua produzione : « quantunque ella fosse composta nell’ età giovanile, compaiono però in lei certi spiriti, che non havrei saputo darle nella matura: è ben necessario leggerla con qualch’attentione, perch’io non la scrissi senza qualche studio. E quella difesa in particolare di Tito Manlio è la più artificiosa oratione, eh’ io m’ habbia composta (5) ». Dai tratti , oratorii in ispecie, che ho riportati del nostro Ansaldo già si sarà accorto il lettore e meglio il vedrà poi, che nell’ artifizio dello scrivere non è egli certamente secondo ad alcuno, lasciando però troppo desiderare quel preziosissimo e assai raro segreto dell’ arte, che è quello di nascondere 1’ arte istessa. È osservabile com’ egli, che in latino s’ atteneva al far conciso di Seneca, in italiano dia, co- (1) Pag. 84-105. (2) Pag. 106-124. (3) Opere, ediz. ven. 1730-31. voi. 4®, pag. 157 e seg. (4) Pag. 144-57, in 8.°. (5) Lett. pag. 184 e ant. GIORNALE LIGUSTICO m’ oggi si dice, dei punti, non a Cicerone ampio con misura e buon gusto, ma al Casa e a qualsivoglia altro frondoso e avviluppato accademico. Ma torna questo a conferma di quel savio detto di Buffon, che lo siile è l’uomo. Il Cebà era nato fatto per la didattica ; e in questa riesce, a giudizio di tutti, eccellente, perchè fornito di dottrina, di acume, di dirittura e, direi quasi, in casa sua, nella sua pelle. Quando invece vuol fare dell’ oratore e del poeta, voglioso di mettersi in mostra, crede farlo meglio avvolgendosi in larghi e ricchi panni, come usavano a’ suoi dì, senza darsi molto pensiero della scelta, e meno della moderazione, È di questo una prova palese il suo libro testé annunziato, dove commendevolissimo per ogni verso reputo il Ragionamento già detto. Eccone alcuni saggi : « veggiamo talvolta alcuno procurare d’essere nel seminariq de’ Senatori, che non solo non havrà salita la scala de’ magistrati minori, ma a pena havrà udito dire, che ci son leggi, giusta le quali s’ ha a reggere chi è proposto a governar la Repubblica (i) ». « I nobili primieramente, eh’ han gli animi, per qualunque cagione, divisi, se non infetti ancora di questa malattia del- Γ ambitione....., han divise anche bene spesso nell’essercitarli (i magistrati) 1’ opinioni per modo, che la Repubblica è pessimamente governata » (2). A tutti gli altri generi d’ ambiziosi dà con pari franchezza (1) Pag. no. (2) Pag. 144 Ciò non potea piacere che al suo amicissimo Andrea Spinola, che nelle sue scritture, da lui fatte veramente per non essere pubblicate, ma solo lette da pochi e prudenti, professa lo stesso principio di rivelar francamente i vizi de' suoi. Dispiacque forse a Gian Battista suddetto, e certamente a Marc’ Antonio Doria, amicissimo egli pure dello scrittore, al quale se ne dolse, ma invano, rispondendogli esso : « Io lodo il zelo...; ma... tengo che’l riprendere... non possa essere senza beneficio della republica »... (Lett. pag. 59 e seg.). GIORNALE LIGUSTICO e senno il fatto loro, conchiudendo sperare « che Γ intentione sua sarà interpretata da tutti per buona », e nel caso contrario, vuol che se ne lasci il giudizio a chi tocca, e si ponderi bene il detto da lui. E gettava così, sarà duopo ricordarlo, nuova semenza di mali pel suo avvenire. Ma io ni’ era proposto di far meglio conoscere 1’ Accademia degli Addormentati, e mi conviene ora perciò arrestarmi alquanto sull’ Oratione sovraccennata. Fu essa fatta e detta « per 1’ entrata del Solingo al principato ». Ch’ ei fosse degli Spinola noi lascia dubitare l’ivi sul bel principio lodato « antichissimo e nobilissimo sangue » di questa famiglia, alla quale apparteneva; e eh’ ei si nomasse Gian Ambrosio il rende più che probabile la lettera latina a questo scritta sul modo appunto di governare quest’ Accademia, della quale in tanta ejus solitudine, ei dice, usque adeo timere cogor, ut eam posse constare vix credam.... : tnihique Princeps videris in haec tempora dictus, ne quid scilicet illa detrimenti capiat (i). Anche nell’ orazione protessa l’amor suo per questa istituzione essendo essa « quasi a guisa d’ una cotal Republica di lettere formata » (2), tanto più (cosa però eh’ egli non dice) eh’ era nelle mani dei nobili altra volta detti vecchi. Era preceduto in quel principato allo Spinola il « Dissensato », forse Giulio Pallavicini, di cui sopra, del quale ei ricorda infine (3) con lode « l’avveduto reggimento », dopo aver detto in principio che 1’ Accademia dallo Spinola (Solingo) « hebbe sì fortunato principio (4) », fu sempre dallo stesso frequentata, che per lui specialmente « contro ad un tanto, 'e sì lungo divario d’ opinioni, pur ella sì fe- (1) Lett. pag. 62. (2) Essere, pag. 53. (?) Pag. 65. (4) Pag. 53. 430 GIORNALE LIGUSTICO licemente s’aperse (i); ond’egli fu eletto « ad una voce » da tutti Principe. Loda il suo « maturo senno... nel proporre le quistioni tra noi usate », e il « sottile avvedimento... nello scioglierle » (2). E lodati i suoi primi studi, da noi già toccati, passa a dire di quello da lui fatto contro « 1 uso comune (quando e dove fu e sarà mai questo comune ?) della città nostra » sugli « antichi Dicitori, e di più reverenda memoria » e sui « civili filosofi », traendone « quella scienza, della quale quest’ Accademia tanto sovente sì maravigliosi segni ha veduto (3) Lo dice poi sommo statista, benché giovine e non ancor atto, per età, alle pubbliche cariche, « in quanto voi (son sue paiole) con la regola della pietà Christiana, tutti gli altri (?), con quella della sola utilità le misurano... le ragioni di Stato (4) ». E: « nella vostra medesima patria..., ira gli agi, e le delitie del terren genovese, voi stesso a voi stesso siete stato guida e maestro... nella' nostra città di Ge-nova, nella quale (e noi dico senza vergogna, e senza dolore) le nobili virtù dell’ intelletto, se non del tutto havute a vile, almeno pochissimo a capitai tenute si veggono.... e dove poca copia di lodatori, e molta di sprezzatori alle vostre generose fatiche haver poteste (5) ». Tant acrimonia farebbe credere che questa intramessa uscisse più tardi dalla penna del disilluso Cebà, come sfogo di lisentimento suo proprio. Checché ne sia, non voglio tralasciale quest altro tratto, che ci delinea un quadro dei costumi nobili d allora. Dice il Cebà d’averlo talora veduto « ne nobili torniamenti hor la lancia vibrare, et hor la spada (1) Pag. 54. (2) Pag. 57. (3) Pag. 59. (4) Pag. 60. (5) Pag. 61-63. GIORNALE LIGUSTICO 43 1 rotar...., tra le nobili schiere di pomposi e vaghi Cavalieri comparir sì sovente » ; e uditolo « tra Γ honeste brigate di gentili e di gratiose donne, pur gentili cose, e gratiose talvolta favellare (i) » ; lodandolo infine che « letterato tra letterati, leggiadro tra leggiadri, filosofo tra filosofi, e cava-liero tra cavalièri, sia sempre, e nelle feste, e nelle scuole, apparito » (2). Che le tornate infine di quest’ Accademia si facessero con molta solennità, cel dice la presenza, dal Cebà lodata, del « Reverendissimo Monsignor Alessandro Centurione, ornamento e salute della Chiesa genovese ». Dalle Rime più volte citate di Don Angelo Grillo apprendiamo che, prima ancora dello Spinola, doveva essere stato Principe Girolamo Centurione, col nome di Mutato, giacché gli dice: Voi dunque sovra ogni famosa scola Alzate 1’ Accademia, e giusto zelo V’ ha scelto capo si nobil membra .(3). Aveva egli lodate le Rime del Grillo con ode latina premessa alle stesse. Fu egli pure amicissimo del Cebà, che non isdegnò di ammettere colle proprie le rime di lui nell’ edizione romana del 161 r. Altre informazioni abbiamo sugli Addormentati da due sonetti (4) dello stesso Grillo, e dai relativi argomenti del Guastavino. Sono essi indirizzati al medico e letterato « eccellente Sig. Bartholomeo della Torre, per la sua Impresa nell’Accademia de gli Addormentati, eh’è una Torre, la quale si va fabricando, con puntelli ancora intorno, co ’l motto tolto da Virgilio, otia terris? il suo nome è il Tra- (1) Pag. 63. (2) Pag. 64. (3) Car. 57, r. Ì4) C. 3, t., e 36 r. 43 2 GIORNALE LIGUSTICO sognato, bellissimo è il discorso, che sopra v’ ha fatto questo gentilissimo spirito; come che in materia d’imprese riesca molto felicemente, e v’ habbia fatto alcune osservationi ». Lo stesso Grillo gli scrisse altra volta da Albaro (i), ringraziandolo della « sua Quinta essenza..., perchè quintupli-catamente » gli avea giovato. Degli Addormentati fu P amico e ospitatore del Chiabrera a Fassolo, Pier Giuseppe Giustiniani, col nome d’Intirizzato, il quale nel 1628 loro dedicò le sue Ode toscane, con in fronte la sua Impresa in rame rappresentante un serpente marino col motto in cielo stellato Porriget hora. Nelle Odi encomiastiche o e morali, stampate, anch’esse in Genova, nel 1635, una se ne legge (2) « per la morte del Sig. Leonardo Spinola (di cui sopra ho parlato) seguita mentre Egli uccellava, per un Arbore, che casualmente cadendo fece sparare un archibugio ». Che fosse anch’essò degli Addormentati, lo dicono i versi del più sbrigliato secentismo, come tutti gli altri, ... raccolse in carte, Campion del mio Liceo, sudate prede (3). Altra sua ode (4) indirizzò a Bartolomeo Imperiale, ricordato anch’ esso fra gli Addormentati, col titolo di Conte, insieme con Anton Giulio Brignole dal succitato Alberti (5), che dice aver entrambi pubblicati « eleganti libri », dopo aver notato (6) che Gio. Vincenzo Imperiale fece le Imprese « nella morte dell’ Em.° Sig. Card, et Arcivescovo di Genova Horatio Spinola ». (1) Lett. ediz. cit. pag. 248. (2) È la XV, pag. 103-8. (3) Pag. 107. (4) Pag. 145-8· (5) Orig. delle Accad. pag. 101. (6) Pag. 74. GIORNALE LIGUSTICO 4 33 Ma chi vi riscosse più applausi dovette essere quel brillante ingegno d Agostino Mascardi, sarzanese, di madre \ezzanese, che resosi giovanissimo gesuita, avea cominciato a poetare felicemente, come si apprende dalle Lettere responsive da Don Angelo Grillo scrittegli a Milano, a Piacenza, a Modena e a Parma il 1615 (1). Era egli forse ancora nella Compagnia di Gesù il 1617, quando il Venerdì Santo di quell anno fece sentire in Genova i primi saggi della sua eloquenza per la monacazione di Margherita Doria all Annunziata, figlia di quel Marcantonio a noi già noto amicissimo del Cebà, il quale scrisse in quell’ occasione il sonetto stampato poscia insieme colle sue Lettere (2). Anche 1 Orazione del Mascardi fu poi stampata più volte (3). Uscito dalla Compagnia, fu tolto a segretario dal Cardinale Alessandro D’ Este, forse interponendovisi il Doria, per mezzo del quale volle il Cardinale, come già dissi, rinnovare la conoscenza col Cebà. Non trovò egli in corte asilo più fido (e come il poteva?) che nella comunità religiosa; e i lettori di questo Giornale (4) sanno com’ egli il 17 giugno 1621 si tiovasse a Levanto, donde scriveva a Roma allo stesso Cardinale della « mala fortuna » colà procuratasi. Passato quindi in Genova, non gli venne meno la protezione del Doria, che gli procacciò dalla Repubblica 1’ incarico di certa lettura, eh’ei scrisse il 17 dicembre dell’anno stesso d’aver accettata finché non fosse richiamato al servigio dello stesso Cardinale. Dovette certamente questa lettura esser quella dei primi suoi Discorsi sulla Tavola di Cebete, eh’ ei disse poi, pubblicandoli per le stampe, al Lettore aver fatti « in Ge- (1) Lett. vol. Ili, pag. 102 e segg. ediz. ven. 1616. (2) Pag. 123 e seg. (3) Genova. 1622, pel Pavoni, in 4, pag. 102-138, e nell’ediz. ven. 1674 delle Prose vulgari, pag. 305-28. (4) 1S74 pag. 114 e segg. Giorn. Ligustico Anno IX. 23 434 GIORNALE LIGUSTICO nova... in tempo di gran disturbi... in un’ Accademia in cui si davano tre soli giorni di tempo per ordire e per tessere ». L’Accademia era sicuramente quella degli Addormentati; ed io non dubito che ne avesse il Cebà stimolo alla pubblicazione dei già noti suoi Essercitii. Aspettò il Mascardi in Genova il sospirato favore, che forse più non riacquistò, trovandosi poi a’ servigi del Cardinale di Savoia, fino almeno al 2 febbraio del 1623, quando scrisse l’ultima delle succitate sue lettere; e non ebbe egli certo a dolersi di quella sua lunga dimora nella capitale della sua Liguria. Imperciocché Bernardo Morando, uno dei migliori poeti di quell’ età, passato poi ad illustrare la corte di Parma, gli diceva pubblicamente, augurandogli la porpora, in un sonetto pubblicato con altre poesie nel 1622: Tu al favellar dai legge. N. Giuliani. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Storia dell’ Accademia Lucchese del dott. Angelo Bertacchi. Tomo I, Lucca, Giusti, 188x, in 4.0 di pag. 378 I. Coloro che si fanno con serenità di mente a riguardare lo svolgimento del pensiero italiano , non possono disconoscere 1’ importanza di quei sodalizi, che presero nome di Accademie; nome venuto in uggia ai di nostri e sfatato da tali, che pur attingono dalle accademiche consorterie, quella rinomanza, a cui non saprebbero salire per propria virtù. Quindi la storia letteraria non può passarsi senza grave danno di questi istituti, ne’ quali accogliendosi in generale il meglio GIORNALE LIGUSTICO 435 d ogni città d’Italia, si maturavano importanti concetti, destinati poi a fecondare alla luce della civiltà, ed al tepore delle libere istituzioni le discipline scientifiche e letterarie. Ceito il loro organamento non si palesò in tutte e sempre vigoroso e corretto, ed alcune anche sviarono dai sani principii onde mossero; perciò caddero o sotto il peso dei fieri saicasmi, o vinte dall’ avarizia : ma le migliori rimasero, trovando virtù in se stesse di superare gli ostacoli, che gli uomini e i tempi avean drizzato loro dinanzi. Fra queste tiene luogo molto onorevole V Accademia Lucchese, la quale avrebbe forse incontrato la sorte delle altre, se non si fosse a tempo ritemprata in un pensiero vivificatore , mercè cui uscì vittoriosa dalla lotta ira il vecchio passato e il baldo avvenire. Diverse furono in Lucca nel cinquecento le adunanze tenute nelle case di chiari patrizi a fine di studio, ed una vuoisi ricordare, non tanto perchè ebbe fin d’ allora titolo d Accademia Lucchese, quanto per aver dato il buon esempio di promuovere una scuola di cosmografia, pagando i soci del proprio Γ onorario al lettore. Ma tutte avanzò e tolse di seggio quella istituita nel 1584 in sua casa da Gio. Lorenzo Malpigli, ed alla quale fu dato P appellativo d’Accademia degli Oscuri, seguendo l’andazzo allora comune di giuocar puerilmente d’ antitesi, infatti ove si giudicasse questa denominazione con i criteri moderni, ci moverebbe a riso, pensando come anche allora si dovesse forse prestare alla punta dell’ epigramma ; pur non era così : ma non e men curioso il riconoscere come 1’ epigramma sgorgasse spontaneo dalle labbra d’ un de’ suoi più benemeriti segretari, il Grimaldi, quando la smania delle restaurazioni avendo invaso gli animi dopo il 1814, venne proposto che il sodalizio avesse a riprendere 1’ antico suo nome. Dalle scarse memorie che ne rimangono, non pare in quel 43 6 GIORNALE LIGUSTICO primo periodo sia stata grande la sua operosità; certo non vi si trovano ascritti uomini che abbiano levato gran fama di sè, nè restano a testimonianza del loro sapere opeie di molta importanza. Maggior impulso ebbe nel seicento , osservabile in questo tempo il fatto della protezione , non chiesta ma imposta, del Governo, che in sostanza eia un vero e proprio controllo. E per fermo doveva richiamare 1’ attenzione dei reggitori della repubblica, una Società , che accoglieva nel suo seno quanto di meglio in fatto d intelligenza vivesse allora in Lucca, ed ammetteva nel suo statuto il giuramento del segreto; cosa bensì che aveva comune con altre Accademie, come ad esempio cogli Addormentati di Genova. Se noi ci facciamo ad esaminare le « virtuose esercitazioni » degli Oscuri, non possiamo trarne argomento di troppi lode; i soggetti di nessuna o ben poca pratica utilità; gli svolgimenti scapigliati o, coni’ essi dicevano, « capricciosi ». Fu proposito invece molto commendabile quello di stipendiare un lettore di filosofìa morale e politica ; ma per disavventura toccò anche a questa la sorte di tutte le cose buone ; ebbe la breve durata di due soli anni. Una disposizione dello statuto ammettendo con onesti avvedimenti la censura dei lavori accademici, poteva dare opportunità alla discussione critica, la quale acuisce l’intelletto e sveglia gli spiriti assopiti , mettendo in opera le più nobili facoltà umane ; però sembra non si valessero mai i soci di questo diritto, onde anche siffatto concetto riuscì infecondo. Con maggior sequenza invece si tenevano pubbliche dispute sopra determinati soggetti, e questo, che era il più gradito dei trattenimenti accademici, poteva di certo approdare a miglior risultato, se ben spesso frivoli e paradossali non ne fossero stati gli argomenti. Che cosa si poteva imparare ad esempio disputando « se sia la virtù della modestia utile o dannosa agli GIORNALE LIGUSTICO 437 amanti? », e « se amore nasca o doventi cieco? », e « se abbia maggior forza in amore cortese o ritrosa beltà? ». Tanto più che è certo come e disputanti e giudici e ascoltatori », siffatti problemi « considerassero come un mezzo di far prova d’ingegno sottile e di facile parola , senza punto curarsi della conclusione, qualunque si fosse, che ne sarebbe uscita il che toglie ogni valore anco alla trattazione di soggetti in se stessi utili e ragionevoli, vuoi di storia, vuoi di letteratura, che qualche volta pur furono presi a trattare. Anzi che queste dispute venissero considerate come « puro giuoco d’ingegno », si rileva dal vederle servire a divertimento carnevalesco coll’ intervento di cavalieri e di dame , ad onore delle quali sovente era scelto il soggetto, ed un esempio ce ne porge la giostra di parole e di sottili e paradossali · argomentazioni combattuta dall’ Ottolini col celebre Dempster, venuto appositamente da Pisa dove era professore, intorno al quesito, se poteva dirsi « più perfetta quella repubblica, che non ammette le donne al governo ». Nè può attribuirsi gran valore, alle fìnte ambascerie, « che (secondo sentenzia il Lucchesini) meritavano il nome di puerili trastulli non di letterarie esercitazioni per uomini assennati », verso le quali se, considerando i tempi, il luogo e la condizione degli uomini, si vuole usare qualche indulgenza e giudicarle con minor severità, ciò non ostante « sarebbe un curioso modo di travestire i fatti, il rappresentarle sul serio come semenzaio di futuri uomini di Stato »; poiché « costoro si formavano in seno ai consigli della Repubblica, col maneggio di veri e reali interessi, e non con le finzioni accademiche ». Questi passatempi, mi si conceda di chiamarli così, non erano i soli in che costumassero esercitarsi gli Oscuri; vi erano altresì le commedie e le opere in musica, che attiravano colla loro pompa e collo sfarzo veramente signorile gran quantità di persone, e davano anche luogo a 438 GIORNALE LIGUSTICO ripicchi e pettegolezzi; nonché « le azioni d’arme, dove non d’ arguzia e d’ingegno, ma di gagliardia di braccio e di intrepidità di cuore, si gareggiava ». Or chi metterebbe oggi insieme tante e si svariate cose che paiano tra loro contradirsi? Ma le accademie erano allora così fatte, e non v’ ha dubbio che da quella molteplicità d’intenti, sia derivata la comunanza del nome alle moderne istituzioni « affitto diverse », poiché istessamente si suole denominare Accademia « una società di studiosi, la riunione dei proprietari d’ un teatro, quella dei soci d’un casino di conservazione e ballo », le quali cose tutte ai tempi nostri « tanto separate fra di loro, non erano in sostanza , uno o due secoli fa, altro che parti d’un medesimo tutto ». Onde ripensando quello che abbiamo discorso fin qui, e volendo ricercare l’intendimento del nostro sodalizio, conviene pur concludere, che 1’ Accademia degli Oscuri, « eretta per ornamento ed utilità » della patria, anziché mirare a « raccogliere le forze di molti studiosi, affine di recare più efficace giovamento a questo o a quel ramo di sapere », come fecero altre a lei contemporanee, ebbe evidentemente, nel medesimo modo che quasi tutte le consorelle, il fine « d’istituire una scuola pratica di bel costume, dove la nobile gioventù uscita di sotto la severa disciplina paterna , spogliasse la timidezza dei modi, desse 1’ ultima mano alla cultura del-l’intelligenza e alla dispostezza delle membra negli esercizi cavallereschi, e si avviasse a comparire nel mondo fornita di quelle doti, che a ben creato cavaliere si richiedevano, per esservi ben accolto e. tenuto in pregio ». Tenendo fermo questo giudizio, che mi sembra molto retto, di leggeri si capisce come nessuno pensasse ad imprimerle un nuovo vigore, esemplandola a quelle dei Lincei, della Crusca e del Cimento, che ebbero anche allora tanta fama: eppure noverava fra gli Accademici Francesco Maria Fio- GIORNALE LIGUSTICO 439 rentini, il più insigne lucchese dei suoi rempi, che aveva corrispondenza col Galileo e col Redi. Ma è pur d’uopo confessare che la vita letteraria e scientifica, assai rigogliosa in Lucca in pieno seicento nè ebbe anima ed impulso dal-Γ Accademia, nè mai si rifece alle sue porte; bensì fu estranea, a lei nacque e si svolse tutta al di fuori « sebbene tra i suoi membri fossero ascritti moltissimi, anzi poco meno che tutti i più valenti cultori degli studi ». Non è poi da tacersi che fra i non lucchesi , ascritti a titolo d’ onore, furono , oltre Dempster, Giovan Francesco Loredano e Daniele Bartoli. Così trascinò stentatamente Γ esistenza nella seconda metà del secolo XVI, con lunghi riposi e qualche bagliore a quando a quando ; dove i concerti musicali ebbero gran parte, da prima con soggetti amorosi e galanti, poi con una serie non interrotta di ascetici a proposito del Volto Santo , tornando infine Γ ultimo anno del secolo ad argomento profano con questo problema : « se sia meglio ad una vecchia 1’ essere stata in gioventù o bella o brutta ». Erano tutti sintomi di evidente decadenza e di prossimo sfacelo; condizione del resto comune a quasi tutte le altre accademie d'Italia, le quali perciò furono tratte a ruina ; e deve dirsi proprio fortunata la nostra, se non venne travolta dalla medesima sorte. Ben intese la necessità di svecchiare alcuna parte del suo organismo un benemerito segretario, Giulio Marchini, al-P aprirsi del settecento ; e tentò « di riformare con nuove leggi quelle radunanze, che con ordini troppo invecchiati » si governavano, giustamente pensando come « variandosi nel procedere dei tempi i costumi degli uomini, quelle costituzioni che per reggimento e governo di essi furono già salutevolmente ordinate, vengono a rendersi, come improprie allo stato presente, così inutili al fine per cui furono indi- 440 GIORNALE LIGUSTICO rizzate ». Se gli sforzi lodevoli del Marchini non riuscirono a ringiovanire F Accademia, valsero tuttavia a mantenerla in vita, e le diedero modo, dopo aver parecchio tentennato nel buio e nell’ incertezza, d’imboccare alla fine quella strada, che doveva condurla a meta più certa. Il vanto d’aver presa questa nuova via, e scortovi gli altri, va dato tutto a Carlo Antonio Giuliani, succeduto nell’ufficio al Marchini; uomo di vario e acuto ingegno, versato in ogni ragione di studi, ma zelante cultore delle discipline storiche, e studiosissimo delle cose patrie. Egli capì facilmente di qual rimedio abbisognava 1’ Accademia per non morire d’inazione; intese l’influenza della scuola storica che dalla vicina Modena s’era fatto largo in Italia, e si propose con giusto concetto , richiamare i colleghi a studi più profìcui e più seri, lusingando colle glorie patrie 1’ amor proprio de’ suoi, concittadini. A dir vero desta qualche meraviglia, il vedere come nessuno avesse pensato prima a ringagliardire 1’ Accademia, col ministerio delle discipline, che avevano reso tanto celebrato il Muratori; il cui nome, scritto nell’ albo di molte Accademie italiane, non si trova fra quelli degli Oscuri, sebbene si sappia aver egli avuta corrispondenza e col Marchini stesso, e col Mansi, e col Donati, e col Leonardi, e col Lucchesini, e col Berti, e con più altri lucchesi. Il Giuliani adunque volle modificare e innovare; ma accortamente, lasciando pur sussistere qualcheduna delle vecchie usanze « per far passare le nuove ». Egli stesso poi diede il lodevole esempio d’inaugurare con una sua lezione sulle Antichità Lucchesi « la serie di quelle, che intorno alla storia patria proponevansi di fare annualmente gli Oscuri » ; e sebbene non si sappia, se l’effetto seguisse al divisamento, ciò nondimeno « la nuova via era tracciata, il lavoro era preparato; e quanto bene scelta l’una , quanto fosse esteso e GIORNALE LIGUSTICO 441 fecondo P altro, basti a provarlo il fatto, che dopo un secolo e più che l’Accademia si adopera a svolgere le idee del Giuliani , le resta ancora tanto da fare, da potersi ripromettere tuttavia molti anni di vita utilmente operosa ». Dopo la metà del secolo passato tutti sentivano qualche cosa d’indefinito che li sospingeva, senza ben darsi ragione quale scopo avrebbero raggiunto. Era l’intuito dei nuovi tempi; era l’ultima battaglia che lo spirito combatteva, vedendo lentamente sfasciarsi dinanzi agli occhi una società , nelle cui ossa lavorava da gran pezza il tarlo della vecchiaia. La ruina venne, è vero, men prevista e più brusca, e riuscì perciò dolorosa ; ma nessuno vorrà negare che non fosse desiderata. Coloro che in siffatte circostanze si strinsero al vecchio edificio, vennero da quello trascinati ; gli altri , poniamo pure sbattuti malamente dalla tempesta, stettero saldi e si trovarono poi in piedi. Così avvenne degli Oscuri, i quali negli ultimi anni del secolo furono rianimati da nuovo vigore, e allargando con savio consiglio la cerchia delle loro relazioni, accolsero i più valenti italiani ; onde in questo tempo vediamo il loro albo fregiarsi dei nomi di Giovanni Lami, di Girolamo Tirabo-schi, di Ruggero Boscovich, di Gaspare Mollo , di Giovanni Pindemonte, di Carlo Tenivelli, di Domenico Moreni, di Saverio Bettinelli, di Giovanni Rosini, di Angelo Mazza e di Vincenzo Monti. Quand’ ecco a minacciarne 1’ esistenza scende il generale Serrurier, che impoverisce 1’ Accademia obbligandola a concorrere alla contribuzione imposta ai lucchesi; ma le viene conforto in un tempo dal generale Miollis, uomo colto e amico dei letterati, che la richiama in vita : fu scarso compenso al danno patito, non lo nego, ma parmi quasi una promessa del maggior bene che doveva indi a poco venirle dai Napoleonidi. II. L’ avvenimento dei Baciocchi al potere segna per P Ac- 442 GIORNALE LIGUSTICO cademia, non dirò un risveglio, ma una nuova vita, resa ormai certa e duratura mercè un solido e beninteso organismo. Mutato il nome degli Oscuri in quello d’ Accademia Napoleone; divisa in due classi, di Scienze, e di Lettere e d’ Arti assegnando sedici accademici alla prima, ventiquattro alla seconda, chiamati a farne parte con titolo d’ associati settanta stranieri ; istituiti quattro premi, uno per il miglior lavoro scientifico, Γ altro per uno scritto di politica o di eloquenza, il terzo per la poesia, l’ultimo per la migliore opera di scultura, di pittura, di architettura e di musica : questa la somma delle novità ordinate con buon senno e rara sollecitudine dalla principessa Elisa, « che fu spirito e vita del reggimento Baciocchiano ». E alle parole tennero dietro i fatti; poiché subito furono banditi i concorsi ai premi , comunicate le nomine ai quaranta accademici residenti, e indetta una prima adunanza, in cui si chiamarono all’ ufficio di segretari perpetui Gabriello Grimaldi per le Scienze , e per le Lettere ed Arti il buon Tomaso Trenta, già segretario degli Oscuri, dei quali a torto rimpianse la trasformazione. Ottima scelta tuttavia , perchè tutto 1’ ingegno e l’operosità posero entrambi al risveglio dell’Istituto, mantenendone con molta lode la fama e il decoro. Al che conferì eziandio 1’ ascrizione fra gli associati o corrispondenti di « quanti più illustri fiorissero allora nelle Scienze, nelle Lettere, e nelle Arti », quali La Place, La Grangia, Humboldt, Volta, Mascagni, Piazzi, Biot, Monge, Canova, Benvenuti, Appiani, David, Paisiello, Visconti, Delille, Lanzi, Cesarotti, ed altri ancora. Nè è da tacersi come aggiungesse lustro all’ Accademia 1’ averne accettato il principe Felice la presidenza, al che si deve, se anche oggi si onora di avere a suo presidente perpetuo il Re d’Italia. Ma gli sforzi della principessa Elisa per quel che concerne le scienze non raggiunsero l’effetto desiderato ; onde con- GIORNALE LIGUSTICO 443 venne riunire in una le due classi ; e questo provvedimento emanato come provvisorio, si cangiò poi in permanente. Cionondimeno mal si negherebbe che anche le scienze non venissero coltivate, poiché la corrispondenza tenuta da Humboldt coll Accademia in ordine alle osservazioni meteorologiche, nelle quali dottamente si distinsero i lucchesi Stefano Conti e Pier Antonio Butori, quella dell’ Olbers per ciò che tocca all’astronomia, e del Delambre in ordine al sistema metrico, assai chiaro manifestano, in qual conto tosse tenuto il nostro sodalizio dagli stranieri. Quanto ai concorsi, i quali dovevano servire d’incoraggiamento e di sprone, i scientifici e gli artistici si ridussero a ben poca cosa ; invece « se non di frutti più durevoli, almeno di più splendidi nomi, ci porgono assai larga messe i concorsi letterari ». Basterà citare i premi vinti da Giovanni Carmignani, da Costanza Moscheni , da Gio. Salvatore De Coureil, da Francesco Benedetti e da Cesare Lucchesini ; il che tuttavia non giovò « a salvare dalla quasi totale dimenticanza la maggior parte delle opere coronate »; onde ben può dirsi che « da così fatte premiazioni, proposte certamente con larghezza d’ animo, si ricavasse più bagliore che sostanza ». E più bagliore che sostanza si ricavava dalle solenni adunanze ufficiali,, le quali dovevano poi finire con stancare tutti, specialmente dopo che la- corte se ne andò a Firenze. I segni di questa stanchezza apparivano manifesti, e provocarono persino gli eccitamenti del vice presidente Lucchesini; forse anche qualche parola men cauta si lasciò uscir di bocca alcuno degli accademici leggendo il componimento, e può darsi fosse il Papi « uomo di lingua assai libera , secondo la ragione di quei tempi, nè amico di certo alla dominazione francese » ; fatto è che un brusco decreto sottoponeva tutti i lavori da leggersi nelle pubbliche adunanze alla censura preventiva. 444 GIORNALE LIGUSTICO Intanto quel buon seme gettato dal Giuliani molti anni innanzi cominciò in buon punto a germogliare, e il concetto di dar opera « alla illustrazione della storia patria », richiamò tutte le sollecite cure dell’ Accademia. La principessa Elisa accolse di gran cuore la buona idea, la fece, sua e la sostenne con « fermezza di volontà e larghezza d animo ». E bisogna proprio dire che i valentuomini, i quali avevano maturato il disegno, 'senza lasciarsi sviare dalle speciose pio-poste del Grimaldi, andarono diritti allo scopo , assegnando con molto 'senno ai migliori la trattazione delle diveise parti onde avevano divisato si componesse il lavoro critico e la raccolta di documenti per servire alla patria istoria. Ad illustrare la quale anche prima di questo tempo avevano volte le loro fatiche il Gigliotti, il Trenta, il Vecchi, il Pacchi celebratissimo a quei di, nè oggi dimenticato, ed il Cianelli cui era riserbata tanta e così luminosa parte nel nuovo disegno. Ma quando queste forze individuali si raccolsero e si ordinarono ad un unico fine, raddoppiarono quegli studiosi « di zelo e di operosità, e non tardò molto a vedersene il frutto ». Infatti non erano ancora passati due anni che già si pensava ad incominciare la stampa delle prime dissertazioni sulla storia lucchese dettate dal Cianelli, le quali, mercè un sussidio dato con liberale sollecitudine dalla Ba-ciocchi, uscirono poi nel 1813, in quel volume che apre l’importante serie delle Memorie note a tutti gli eruditi. Portano in fronte, dopo un doveroso omaggio ai Principi protettori, il chiaro e ben delineato programma dell opera, dal quale gli accademici non si allontanarono per 1’ avvenire, e ben può dirsi che con questa pubblicazione « 1’ Accademia gettava le basi del suo maggior monumento, alla cui prosecuzione non dovevano recare per fortuna nè impedimento nè ritardo considerabile, i mutamenti che presto erano per avvenire nel governo del paese ». E questi mutamenti non GIORNALE LIGUSTICO 445 vietarono che si mandasse innanzi la stampa del secondo tomo, col quale si proseguiva il lavoro del Cianelli. I rovesci toccati a Napoleone involsero per naturai conseguenza anche i principi Baciocchi, ai quali se (come scrisse il Sanquintino) « Lucca dovrà essere lungamente riconoscente », l’Accademia in particolare non potrà, senza taccia d’ ingratitudine, negare un perpetuo tributo di sentita onoranza. III. Il periodo che seguì al 1814, andò contradistinto per la mania delle più curiose restaurazioni ; quasiché per mezzo di vieti ordinamenti politici fosse possibile cancellare la memoria d’ un tempo, che aveva così profondamente cambiati gli usi, i costumi, le idee e le tendenze dei popoli. Anche P Accademia, solo pel fatto d’aver preso il nome di Napoleone , ebbe ad accorgersi di ciò; poiché il governo provvisorio succeduto ai Baciocchi decretava dovesse riprendere 1’ antico nome degli Oscuri, pur conservando provvisoriamente le sue leggi. La cosa per ventura non piacque al segretario Grimaldi, il quale propose di chiamarla addirittura Accademia Lucchese, confortando la sua proposta con molte buone ragioni, e non tacendo « come nella sua corrispondenza cogli Associati esteri gli sarebbe dispiaciuto di dovere informarli , che dopo il nuovo ordinamento di cose erano do-ventati corrispondenti di un’ Accademia Oscura ». Le osservazioni del segretario erano così assennate, che anche il governo gli diede pienamente ragione. Alcune riforme introdotte poco dopo nello statuto , se da un lato davano modo all’ Accademia di accogliere una maggior quantità di soci, dall’altro avevano per conseguenza di trasformarne la vita; « perchè andate ormai in dimenticanza le conversevoli costumanze e i giuochi ingegnosi degli antichi Oscuri, e cessate le splendide pompe, onde era circondata l’Accademia Napoleone per cura dei principi, inco- 446 GIORNALE LIGUSTICO mincia un periodo di vita raccolta, studiosa, spesso utile, sempre commendevole; ma passata quasi interamente fuor degli occhi del pubblico, la cui curiosità non viene più stimolata da una quieta adunanza di uomini studiosi, che modestamente si raccolgono mese per mese a leggere ed ascoltare a vicenda i loro scritti diversi ; onde la storia della nostra società riducesi quasi tutta a quella dei lavori da essa dati in luce ». E della utilità e serietà dei propositi erano buon argomento la nomina a presidente di Lazzero Papi , le diverse letture fatte da Cesare Lucchesini della sua Storia Letteraria, e dal Bertini di quella Ecclesiastica, non che le cure sollecite del Cianelli per mandare innanzi la stampa delle Memorie. Ma in questo mezzo le toccò una grave sventura colla morte improvvisa, non senza sospetto di suicidio, del conte Giorgio Viani, cui era stata affidata l’illustrazione della· Zecca lucchese; ed egli era tal uomo da saper condur a termine in modo luminoso siffatto lavoro. Volle tuttavia la fortuna che Γ Accademia noverasse fra i suoi membri chi poteva degnamente sostituirlo; e questi fu Giulio Cordero di Sanquintino, che, sebbene venuto a Lucca « da altra parte d’Italia, ne predilesse a lungo il soggiorno, e ne onorò le memorie coll’ opera del suo nobile ingegno ». Infatti quella parte del suo lavoro sulle monete lucchesi, la sola compiuta, edita dopo la sua morte, non che parecchie altre scritture da lui date fuori in sua vita, ben mostrano e il molto suo valore nelle discipline numismatiche ed archeologiche, e l’affetto grande verso la città ospitale, che anco negli estremi momenti ricordava con singolarissimo amore. Non si trascuravano frattanto dagli altri accademici i lavori ad essi affidati; il Trenta andava ordinando gli studi intorno alle arti lasciati quasi perfetti dal Sardini; il Cianelli metteva a stampa il compimento della prima parte del-1’ opera sua , ed il Gigliotti quattro importanti dissertazioni GIORNALE LIGUSTICO 447 sopra la legislazione lucchese. I Borboni che vennero in questo tempo a reggere il nuovo ducato, trovando un istituto con sì buoni ed utili ordinamenti, se ne fecero protettori ; Carlo Lodovico ne accettò la presidenza perpetua , e venne allora concessa all’ Accademia la « distinzione del titolo e delle regie insegne ». IV. Queste cose che io sono andato riassumendo vengono narrate dal Dott. Angelo Bertacchi nel primo volume della sua Storia, con bell’ordine, larghezza di particolari, stile acconcio, giuste osservazioni, e critica savia ed opportuna. L’ autore non ha perdonato a fatiche, per rendere compiuto 10 svolgimento del suo tema; che se nel libro vi ha un difetto, è appunto quello dell’analisi soverchia o troppo minuta ; la quale tuttavia riesce facilmente giustificabile in opera di erudizione. E ben può dirsi questa opera erudita , perchè 11 racconto delle cose operate dall’ Accademia si allarga a porgerci un’ idea assai esatta della storia letteraria lucchese , e ci dà le notizie biografiche degli uomini più chiari, e che meglio si levarono in fama ; osservabili singolarmente quelle del Grimaldi, del Conti, sebbene messa a guisa di nota, del Pacchi, del Sardini, del Cianelli; e assai più quelle del Viani e del Sanquintino. È stato poi un pensiero felicissimo quello di aggiungervi a modo di appendice (i) non solo gli statuti ed i cataloghi dei soci, ma altresì un’importante bibliografia, la Prolusio Accademica di Daniele De Nobili, come la prima e più antica memoria che discorra con certa larghezza della società, e la lezione di Carlo Giuliani sulle Antichità Lucchesi, perchè ci palesa quanto il programma storico dell’ Accademia abbia preso dal suo disegno. Ma ciò che cresce d assai il pregio (i) A pag. 5, nota 4 si avverte che « delle minori Accademie Lucchesi si farà memoria nell’ appendice V », ma quivi poi non se ne parla; solo si cita il libro del Malatesta Garuffi. 44§ GIORNALE LIGUSTICO di queste giunte, è una raccolta di lettere fra quelle dei più insigni soci, e dirette quasi tutte al segretario, le quali non contengono soltanto dei semplici ringrazimenti, ma vi si ragiona altresì di cose scientifiche e letterarie, oltre che rispecchiano qua e là il carattere degli scrittori. Infatti mentre Humboldt discorre a lungo delle osservazioni meteorologiche intorno al clima di alcune città italiane, istituendo utili confronti , Olbers dà notizie dei suoi studi astronomici, ed Hallè degli esperimenti di fisiologia. Con maggior larghezza scrive il Delambre, così dei lavori propri, specialmente intorno al sistema metrico, come di quelli dei colleghi; fra questi tocca d’Arago « jeune astronome d’une grande espérance », e dopo avere accennati i suoi studi sul meridiano , soggiunge : « Au sortir de l’école polytechnique , dont il a été l’un des premiers et meilleurs élèves, il fut nommé professeur de ma-thematiches è Bauvais, Associé de l’institut et peu de temps après Professeur de Physique général au College de France. Il m’a remplacé dans la section de Geometrie, quand j’ai été nommé Secretair perpétuel. Je n’ai pas compté deux années de service militaire comme simple canonier dans les guerres de notre révolution. Cette interruption n’a pas diminué son zèle ni son aptitude pour les sciences, et son avancement a été rapide. Il est astronome adjoint du Bureau de Longitudes ; il réuftit les connaissances du physicien et du chimiste à celles du géometre et de l’astronome, et nous nous promettons beaucoup de son zèle et de son ardeur ». Per quel che concerne la letteratura, parecchie di queste lettere si aggirano sulla nota dissertazione, del Carmignani intorno alle tiagedie dell’Alfieri, che gettò « il pomo della discordia » fra i letterati, e di cui tutti aspettavano con impazienza la comparsa, « chi per cogliere in flagrante ingiustizia il voto accademico, chi per attaccare il sacrilego, che ardì dubitare della supremazia di Alfieri ». E contro al Car- GIORNALE LIGUSTICO .449 mignani si levò subito il De Coureil, la cui dissertazione , secondo il Volta, « più discreta nella critica, ma più profonda e dotta » aveva ottenuto al concorso solamente Γ accessit, con una violenta apologia, dove è « profondità e dottrina », ma critica « troppa amara (sono sempre parole del Volta) piccante e fino insultante in molti luoghi, e in altri men giusta e poco giudiziosa ». Ma comunque si giudichi acerba questa critica, nessuno vorrà difendere il giurista pisano dalla taccia « d’ aver usato piaggeria alle predilezioni non difficili a non indovinarsi della Principessa (Elisa), posponendo il tragico italiano ai francesi, e specialmente al Voltaire », del che sono anche prova le lettere cortigiane, colle quali invia ai Principi la seconda edizione dell’ opera sua. Così tutti riconoscevano di leggiçri in quella scrittura lo sfoggio di una « cavillosità quasi tribunalesca » , perchè quella medesima mano « con cui aveva scossa la polvere da’ grossi in foglio de’ Farinacci, de’ Capsovii, de’ Deciani , era » da lui « istantanea portata a maneggiare lo stile della critica drammatica »; la qual maniera di critica usò poi in seguito in altri suoi scritti, e il Niccolini la disse più tardi sofisticheria avvocatesca. Appena che egli ebbe pubblicata la dissertazione, ecco giungergli gli applausi del Bettinelli, il quale, « piangendo l’ingiuria » fatta all’Italia dall’Alfieri colle sue tragedie, si rallegra del « antidoto sì salutare » da lui apprestato ; la cui mercè quel « cattivo cuore e uomo cattivo », potrà dirsi a ragione « beccamorto e tomba » della poesia italiana. A queste lodi aggiungeva le sue Vincenzo Monti, sebbene con più corretto giudizio, affermando che dall’ analisi del Carmignani doveva derivarne « gran beneficio alla gioventù, che consacrandosi alla poesia, lasciasi facilmente abbagliare dalle novità grandiose, corredate di generosi ed alti concetti » ; nè con ciò si vuol deprimere « punto la fama di quel sommo ingegno », Giorn. Ligustico, Ληηο IX. *9 4S° GIORNALE LIGUSTICO che « rimarrà sempre colossale, ma isolata e sorgente come un grande scoglio in mezzo alle onde, al quale nessuno potrà accostarsi senza pericolo ». Più rimesso si mostra Agostino Cagnoli, il quale riconoscendo la difficoltà dell’ argomento « per li troppo varii, anzi opposti giudizi che serpeggiavano fra i letterati italiani , si compiace che Γ Accademia sia en- . trata giudice nella gran lite », a fin di stringere « ne suoi giusti confini il merito reale del nostro tragico ». Pompilio Pozzetti invece manifesta « di essere propenso » per Alfieri, « ad eccezione di alquante coserelle , che non turbano la sostanza del modello tragico » , e lette le dissertazioni se ne sta sulle generali ; ma il Cesarotti conosciuto il tema del concorso scrive: « L’Alfieri mostrò all’Europa che l’Italia possedeva un genio drammatico de’ più grandi ed originali: 1’Accademia di Lucca mostra ora che la lette-., ratura italica possédé un consesso di Areopagiti inseducibili, che vuol soggetti alla severità della legge anche gli eroi più luminosi e benemeriti della patria.... Questo giudizio, getterà fra i dotti il pomo della discordia; ma i loro conflitti gioveranno alfine a conciliare gli estremi, la pace sarà stabilita sulle basi dell’ equità ; e l’idolo d’ Alfieri se non avrà 1’ apoteosi, otterrà almeno la riverenza dell’ Europa, nè le nazioni emule mancheranno forse di onorarlo con qualche tributo d’invidia ». E di questo onorevole tributo ne troviamo subito testimonianza in due lettere di Delambre e di Morellet, che ristorano 1’ Alfieri dei biasimi italiani. Scrive il primo : « De ses œuvres je n’ai lu qu’un seul volume, celui qui contient la tragédie d’Agamennon, qu’on m’avoit prête pour me prouver que l’Agamennon de M. Le Mercier, joué avec beaucoup de succès à Paris il y a plusieurs années, n était qu’une imitation de la pièce italienne. J’ai reconnu en effet que P auteur francois avoit des grandes obbligations à votre compatriote. Vous sentez que je n’ai pu resister à la tenta- GIORNALE LIGUSTfCO 45 1 don de- lire aussi les autres pièces du même volume. J’ai trouvé dans toutes une simplicité vraiment artistique, et que peut nous paraître excessive. La suppressions des personnages de confidens a ses avantages, mais elle est suivie des quelques inconvèniens qui les fairaient regretter. Le style m’a paru mâle, énergique, peut-être, un peu sec »: e P altro : « Je ne connais point ce que vous appeliez il giudicio al-fleriano ; mais les ouvrages de cet homme célèbre me son assez connus pour que je conçoive qu’ils ont [pu être la matière d’observations très-utiles et très-importantes de l’Académie et fournir une ample moisson d’instruction et de preceptes dictés par une raison eclairée et par un gout sévère et pur ». Ma al Morellet, segretario di una commissione' deputata a preparare il dizionario della lingua, assai più importavano gli studi del Franceschi intorno alla prosa italiana; poiché voleva vedere qual via egli avvisasse doversi tenere « entre le libertinage du néologisme et le pedantisme des cruscants ». Indi aggiungeva : « Je vois que la guerre des puristes et des néologues est élèvée chez vous comme chez nous. Nous n’osons espérer d’établir de longtemps entre les deux partis, ce que vous appeliez un sistème de conciliation fondé sur la raison et la nature, et de donner ainsi quelque fixité a notre langue usuelle; mais nous ne pouvons voir, sans un grande intérêt, les tentatives que vous faites chez vous pour atteindre à ce but. » Nè voglio restarmi dal rilevare una giusta osservazione di Mèhul a proposito della musica. « Un compositeur françois, (egli scrive) quelque habile qu’il puisse être, est obligé de travailler dans un systeme dramatique si opposé au gout musical consacré en Italie par une longue habitude, que rarement sa réputation trouve le moyen de pénétrer et de s’établir dans ce beau pays des Arts ». 452 GIORNALE LIGUSTICO Le quali molteplici testimonianze in favore dell’ Italia, giustificano « P enthousiasme » di Fontanes « pour la patrie du Tasse et Virgile..... la patrie de tous les Arts e lo fanno esclamare « quand dirai-je Italiam ! Italiam ! » ? La vera dottrina non va mai discompagnata da una grande modestia; perciò vediamo Volta che chiama « picciole » le sue « scoperte fisiche »; La Grangia corregge le sue opere « pour les rendre moins indignes de l’attention des savants » Segur dichiara di conoscere « l’imperfection des ouvrages » da lui pubblicate, e la « médiocrité » de’ suoi « talents »; Lanzi confessa la sua « tenuità in ogni genere di sapere » : esempi notevoli e da far salire i rossori al viso a più d’ uno dei nostri saputi. Dato cosi uno sguardo generale all’ opera del Bertacchi, possiamo finalmente conchiudere eh’ egli ha degnamente risposto alla fiducia collocata in lui dall’ Accademia; onde è lecito sperare abbia ad ottenere ugual consenso di lodi il secondo volume, che con desiderio aspettiamo. A. Neri. VARIETÀ Nicolò Malaspina, scolaro nello studio di Pisa. La gioventù più agiata della Lunigiana d’ordinario, lasciate ben presto le montagne native, andava a studio nelle città di Parma o di Pisa, ma più specialmente di Pisa, essendo in molto grido quell’ Ateneo, ove parecchi lunigianesi sedevano tra i professori, sopratutto nelle facoltà di medicina e di giurisprudenza. Tra gli scolari della Lunigiana che nella seconda metà del secolo XVI frequentavano lo Studio di Pisa, si trova Niccolò di Tommaso Malaspina Marchese di Villafranca; e il nome GIORNALE LIGUSTICO 453 di lui non solo è rimasto tra quello degli secolari ne’ ruoli delle rassegne, ma ben anche ne’ registri criminali dell’ Archivio dell Università; la quale, è a sapersi che aveva un tribunale a sè, dove gli studenti e i lettori venivano giudicati delle colpe loro. Il marchese Niccolò il primo giorno di gennaio del 1576 mentre se ne andava « a udire la lettione in casa il Nozzoìino » in compagnia dell’ abate Giambattista, suo fratello, si abbattè presso il palazzo del Commissario in due pisani, che, non so perchè, dissero ai Malaspina: non vi date. Niccolò si fece innanzi a costoro, che erano Bar-tolommeo di Jacopo detto il Verona e Gabriello Dell’ Occhio e rispose : che andate dicendo di dare 0 non dare, quando noi andiamo al nostro viaggio ? — Non ho detto niente, soggiunse il Verona. Mi basta, prese a dire il Marchese, e già era sull’ andarsene, quando il Dell’ Occhio, più ardito dell’ altro, gli si fece incontro, con queste parole: se noi ti volessimo dire qualcosa siamo huomini da dirtelo sul mustaccio. — Quando me l’havessi detto in faccia che haresti fatto? chiese il Malaspina. Har'ei fatto cosa che non ti sarebbe piaciuta, soggiunse il Verona. Haresti fatto da un vituperoso, riprese il Marchese ; e il Dell’ Occhio cacciò mano alla spada, e colla spada e col pugnale nudo, gli fu subito adosso, gridando: menti per la gola, menti per la gola. Niccolò senza porre tempo in mezzo tratta fuori esso pure la spada, prese a difendersi con molta bravura, e tuttoché restasse ferito nella mano manca, ferì del pari il suo assalitore, e l’avrebbe ridotto a mal partito, se non arrivava un bargello, che dal Marchese nel bollore della rissa, preso in iscambio, venne colpito nella testa; ma accortosi poi del fallo, gettò giù l’arme, e disse: alla Corte sono servitore; e fu preso da' birri e menato in prigione'. Giovanni alias Pilo Sardo, di quel tempo « rettore dell’almo et felice Studio di Pisa », venuto al fatto della cosa, scrisse subito al Commissario, che avendo inteso come rite- 454 GIORNALE LIGUSTICO nesse il sig. Nicolò Malaspina marchese di Villafranca per certa rissa, essendo costui scolaro e percio sottoposto alla sua giurisdizione, domandava che subito gli venisse conse-^ gnato con tutto* il processo, assicurandolo che non mancherebbe di amministrare buona giustizia. Il Marchese Malaspina insieme col processo venne dato nelle mani del rettore ; dapprima restò prigioniero in casa del commissario, poi venne chiuso in fortezza, dove rimase finché con sentenza dei 22 di gennaio venne condannato alla pena di lire cento. Giovanni Sforza. Anticaglie di Luni. Le rovine di Luni sono state sempre saccheggiate da tutti i ricercatori venali di antichità, e le cose migliori che vi si rinvennero andarono miserarfi6nte disperse: ora ecco qua che mi capita fra mano la memoria di una statua, che doveva essere di una certa importanza. Nel 1510 il consiglio comunale dona a Francesco della Rocca , regio governatore di Genova, « statuam marmoream seu signum ex marmore, iudicatum esse signum tritonis tubicinis Neptunii, ìepertum in ruinis civitatis Lunae, quod post quam repertum fuerat et in ecclesia Sanctae Mariae catedrali de Sarzana colocatum , inde fuit ablatum et furto subtractum, et ut fertur perventum ad manus spectabilis domini Nicolai Tegrimis civis Lucensis ». Sebbene il pensare ad un tritone collocato nella chiesa di S. Maria, sembri un po’ strano, e quindi sia a credersi che Γ avessero messo nei locali annessi alla chiesa stessa, pur bisogna confessare che il fatto dell essere stato rubato non è men curioso, non potendosi supporre che fosse cosa molto maneggevole ; onde vien subito alla mente che fosse propiio il caso di ladri domestici. Forse il ladro sarà stato un fervente cattolico, al quale quella statua avra puzzato di paga- GIORNALE LIGUSTICO 455 nesimo, ed ha certo creduto di far un’opera meritoria per guadagnarsi 1 eterna salute ! Il regalo poi per sè stesso non e men piacevole, essendo qui evidente che il consiglio dona una cosa che non è più in suo potere. Or tornando al mio primo proposito dei saccheggi fatti nelle ruine di Luni voglio diie ancora, che nel tempo in cui Sarzana fu sottoposta ai fiorentini nell’ultimo trentennio del secolo XV, i capitani mandati a governare la città, avevano speciale istruzione da Lorenzo il Magnifico di comprare per suo conto tutte le anticaglie che si trovavano a Luni, e in questo gli aiutò molto Antonio Ivani amicissimo di Lorenzo. E mi ricordo che in una sua lettera a Donato Acciaioli del marzo 1474 scrive: « Paulo ante 'meum huc reditum , emerat Matheus quidam sculptor marmorarius a rustico inventore semicubitalem æneum herculem, et lapidem corniolam sculptam virili capite, cuius quidem lineamentis nihil vivacius. Tegmentum capitis est ad instar galee, vasculum supra caput et baculum in occipitio habens. Hec marmorarius obstinate retinet ». Foss’ egli questo Matteo il celebre Civitali da Lucca? Ai suoi biografi spetta il sentenziarne. A. N. SPIGOLATURE E NOTIZIE Col titoto La squadra permanente della marina romana, il P. Alberto Guglielmotti ha pubblicato un’ altra parte della sua Storia della marina pontificia, che egli si propone con due altri volumi condurre fino al 1807. Questo muove dal 1573 e giunge al 1644, ed è superfluo accennare come il soggetto vi sia trattato con pienezza di svolgimento, , nuova e vasta erudizione, forma appropriata ed elegante. Abbondano qui le notizie genovesi, e di singolare importanza è quel tratto dove con ampio discorso , e per via di documenti inediti si illustra la figura del capitano Francesco Centurione; non che là dove sulla scorta della relazione manoscritta di Cesare Magalotti, si dà particolare contezza del viaggio in Francia del cardinale legato Francesco Barberini nel 1625. Ne riparleremo in speciale rassegna. 456 GIORNALE LIGUSTICO Annunziamo per ora la comparsa nella Rivista Militare Italiana di una pregevolissima monografìa dell’egregio maggiore Severino Zanelli intitolata : L’ assedio di Genova del iSoo. & Nella Rivista Europea (16 sett. e i ott.) vi è un notevole articolo di J. Baldwin Brown , tradotto dalla Nineteenth Century , che ha per titolo . L’ultimo gran sogno della Crociata ; nel quale s’ intende provare con argomenti storici e filosofici che « Cristoforo Colombo fu 1 ultimo dei grandi sognatori che fecero sul serio il sogno della crociata ». E noto come alcuno abbia voluto far passare Colombo per un ignorante ; qui si cade nell’ esagerazione opposta. ■ · a- In un articolo inserito nel Fanfulla della Domenica (n. 42) si discorre delle relazioni di Galeazzo e Nicolò Gualdo Priorato, storici vicentini del secolo XVII, colla Repubblica di Genova. *** Nella Rassegna Nazionale (i.° novembre) il Prof. Ippolito Isola stampa alcuni saggi di Un Codice del secolo XIV contenente Poesie e Prose genovesi, conservato nella Biblioteca Municipale di Genova. Egli stima si debba riferire la forma dialettale di queste scritture al tempo nel quale furono dettate le note Rime Genovesi dell’ Anonimo ; e si studia provare che non è questa opera originale, specie le prose, ma sibbene traduzione dal toscano nel dialetto genovese. Ciò egli rileva specialmente da certe frasi, vocaboli e modi al tutto speciali dell’ italiano, e ridotti in genovese per via di leggerissime varianti fonetiche. Di più reca dei confronti colle corrispondenti scritture volgari, le quali sembra evidentemente abbia avuto dinanzi il traduttore genovese. I nostri lettori avranno veduto la menzione già da noi fatta di questo Codice nel passato fascicolo. *** Raccomandiamo vivamente il Giornale degli eruditi e dei curiosi che si pubblica a Padova una volta la settimana (16 pagg. L. 20 all’ anno). Per via di domande e risposte si propone di venir-e in aiuto ad ogni maniera di studiosi , porgendo loro modo agevole di conoscere moltissime cose, che o non si potrebbero in alcun modo sapere, o richiederebbero gran tempo, gran noia, e non piccola spesa. * # % La Cultura ha esaminato nel suo primo anno 1881-82 circa 400 opere fra italiane e straniere. I collaboratori che ne fecero 1’ esame sono : Acri, Adinolfi , Amari, Balzani, Baravalle, Beloch, Bloserna, Bonghi, Brizio, Broglio, Buccellati, Canello, Capasso, Cantarelli, Chiappelli, Cogliolo, Gugnoni, D’Ancona, Dalla Vedova, De Marco, De Vita, Ferrari-Aggradi, Ferrerò, Ferri, Ferrieri, Filomusi-Guelfi, Fiorentino, Firmani, Franchetti, Fumi, Galasso, Giambelli, Giussani, Imbriani, Inoma, Labriola, Lasinio, Lombroso, Lomonaco, Mariano, Merlo, Miraglia, Minghetti, Morandi, Nannarelli, Palma , Panfily , Polignani, Ramorino , Rolando , Scialoja , Schupfer, Serafini, Tocco, Tolomei, Toscani. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 457 DIVERTIMENTI Siamo negli anni in cui la Repubblica « s’ era trovata sbattuta più di ognuno dai feroci venti, con pericolo di far naufragio anche di tutto » , eppure era riuscita « a salvare la gioia più cara e preziosa della libertà », mercè la costanza e il valore del suo popolo (i). Ognuno intende eh’ io accenno agli anni 1746, 47 e 48 rimasti memorandi per la gloriosa sollevazione popolare contro lo straniero, dalla quale de-vesi derivare la condanna onde fu colpito un debole governo , che non seppe custodire degnamente le chiavi della città: le generose parole, colle quali il Carbone le riconsegnò al Doge, segnarono i prodromi del 1797. Sebbene il congresso di Acquisgrana fosse aperto fino dal 24 Aprile 1748, pure le condizioni della Liguria non erano punto liete, e tali rimasero in tutto il tempo dei lunghi e laboriosi negoziati per la pace, segnata finalmente il 18 Ottobre; anzi può dirsi che fino ai primi mesi dell’anno successivo, dopoché non furono in Nizza regolati gli effetti di quel trattato , non si poterono incominciare a sentirne i vantaggi. In questo lasso di tempo gli austro-sardi non istettero davvero colle mani alla cintola; pareva proprio che bollisse « più che mai lo sdegno dell’ Imperatrice Regina contra de’ genovesi, quasiché il valor d’essi avesse non poco scemata la riputazione dell’armi austriache » (2). La riviera di ponente era nelle loro mani; tenevano molte terre di terraferma di là dai Giovi; molestavano, campeggiando con varia fortuna, le (1) Muratori, Annali, a. 1749. (2) Ivi a. 1748. Giorn. Ligustico, cAnno IX. 5° 45 B GIORNALE LIGUSTICO città e i luoghi della Repubblica in Lunigiana, facendo ogni lor potere per impadronirsi di Sarzana e 'della Spezia. Infine la Corsica in aperta ribellione. Nella metropoli stavano, non senza sospetto, i galli-ispani comandati dal Richelieu, venuto a sostituire il defunto duca di Boufflers, e dal de Haumada, mandato in luogo del marchese di Taubin. Questa condizione di cose non impediva i consueti divertimenti. Al cadere del 1747 erano certamente aperti i teatri, perchè il 10 novembre, si ingiunge ai « comici buffi» d’astenersi da parole ed espressioni indecenti, con minaccia di far chiudere il teatro; ed un mese dopo, certo in seguito a qualche scandalo, si vietò agli estranei Γ ingresso alla scena del Falcone (1). Nel carnevale dell’anno seguente si rappresentavano La Didone abbandonala e V Ipermeslra, accompagnate dal ballo in cui si distinse Maddalena Formigli fiorentina « ballerina ciu che brava », alla quale vennero indirizzati alcuni sonetti a stampa (2). Nella primavera poi dopo l’opera Siroe re di Persia, erasi posto in iscena il Ciro riconosciuto del Metastasio, ed il Falcone doveva aprire le sue porte per la prima rappresentazione la sera de 6 Luglio 1748; ma essendo andato a villeggiare al Zerbino il duca di Richelieu, villeggiatura cantata in un egloga dal Priani (3), « volle tutta la turba de’ musici, canterine e ballerini, con la comitiva de’ suonatori ed istru-menti di musica, per un atto d’una riconoscente attenzione, passare a quel delizioso soggiorno, e portargli il sollievo, in un’ ora disoccupata, di questa nuova comparsa » ; nè ciò fu senza ricompensa, poiché « le fatiche di questi virtuosi » vennero « copiosamente ricompensate con la provvidenza di (1) Archivio di Stato Divers. Coll. a. 1747 Fil. 3. (2) Belgrano, Feste e giuochi dei genovesi nell’ Arch. Stor. Hai. Ser. 3.», XV, 452, 474- (3) Poesie, Genova 1754, pag. 219. GIORNALE LIGUSTICO 459 un ottima cena » (i). Non essendosi quindi potuta fare « la prova privata della nuova opera », nessuno s’aspettava di vedere aperto il teatro nella sera successiva ; invece, con gran gioia di tutti, ebbe luogo lo spettacolo, con gran concorso «di cittadini ed ufficialità vestiti d’abiti di vari colori », segno certo che quella sera il teatro doveva anche nel vestire far mostra di una gaiezza insolita, quasi volendo dall’ esteriore testimoniare l’allegria dell’animo; non mancarono però alcuni, cui parve forse rimettere alquanto della loro gravità, presentandosi in pubblico con un vestito diverso dal consueto, e sembrò una stonatura; onde fu subito notato che dei cittadini, se ne contavano solo « sei con veste negra ». Sebbene non sia precisamente indicato il ballo, pur vedendo ricordati i ballerini, dobbiamo credere che vi fosse. Non ebbero fine le rappresentazioni dell’opera senza un qualche disordine, promosso appunto da quei capi ameni d’ufficiali francesi; i quali una sera, gridando : bas le chapeau, pretendevano introdurre, secondo la loro costumanza, un nuovo uso « distruttivo della libertà del teatro » ; ma i genovesi non si mostrarono disposti a tollerare questa novità, ed il governo fece impartire ordini severissimi al capitano Caraffa, con facoltà « di arrestare i colpevoli, e di fare anche calare il sipario se bisognasse ». Chiuso così lo spettacolo musicale, incominciarono « le comedie buffone italiane, divertimento necessario per una infinita quantità di gente, che forse ozierebbe inutilmente e con maggior danno ». Ma un solo teatro di comedie non bastava al generai de- O siderio di divertirsi, e forse la classe di persone che lo fre- (i) Tutte le notizie di questo scritto le tolgo da una serie di avvisi o novellari ms. presso di me, che corrono dal 17 Luglio 1748 al 12 Luglio 1749. 460 GIORNALE LIGUSTICO quentava non piaceva ai nobili ed agli ufficiali. Pei ciò appunto questi ultimi pensarono al modo di sopperire a sì fatta mancanza. Composta fra di loro una società di dilettanti, incominciarono al teatro da S. Agostino una seiie di ìappre-sentazioni in prosa ed in musica, alle quali invitavano il fiore della cittadinanza. Dettero principio, coll’ intervento del Richelieu e del de Haumada, recitando la tragedia del Crebillon Radamisto e Zenobia, seguita dalla Contessa d’ Escarbagnas di Molière. Poi cantarono il piccolo dramma francese Zima, e « questa rappresentazione , per la maestria e bellissime voci di chi cantava, per la sontuosità delle macchine e decorazioni, per l’infinita varietà d’ abiti d’ un ottimo buon gusto, per la prodigiosa quantità di balletti ottimamente ordinati, per 1 armonia d’ una orchestra di più di cento strumenti, per la vaghezza di un ricco apparato di cui era ornato il teatio e i palchetti delle dame, per Γ indicibile profusione di squisiti rinfreschi di tutte le sorti distribuiti alla nobiltà, riuscì per ogni parte magnifica e dilettevole ». Furono più volte ripetuti sì fatti spettacoli, sempre con grandissimo concorso della nobiltà, anche quando la maggior parte delle famiglie eiano uscite a villeggiare, secondo l’usanza, negli ameni colli di Aìbaro e nella vicina Sampierdarena. Se non che essendo andata al S. Agostino una compagnia di « comici buffoni », i nostri dilettanti seguitarono la loro rappresentazione al Falcone , dove replicate le opeie in musica e le tragedie già prodotte, v’ aggiunsero di nuove La morte di Cesare del Voltaire e le due commedie del Regnard Le follie amorose e La serenata. Fra gli spettacoli esposti sulle scene del S. Agostino uno ne va ricordato, in cui i comici, con grande maestria, rappresentarono I trionfi dei Liguri, « decorando tutti gli tre atti delle medesime scene con statue, macchine e voli, e ne ottennero particolare aggradimento ». Al qual proposito noto GIORNALE LIGUSTICO 461 come già nel 1697 erasi rappresentata al Falcone un’ opera scenica di Gio. Agostino Pollinari intitolata : Il genio ligure trionfante. Nel medesimo tempo si era aperto il teatrino delle Vigne, dove « una mobba di giuocolieri e ciarlatani », teneva « occupato non poco numero della gente più sfaccendata su varie vedute di false apparenze con Γ uso della lanterna Magica »; ma sebbene facessero d’ ogni loro meglio per contentare il pubblico, pure n’ ebbero assai scarso profitto. La comedia sui primi di gennaio del 1749 cedè il luogo alla musica, e la prima opera, che riportò molto plauso , fu Y Arsace dello Zeno; nella quale. « piacquero molto tutti gli rappresentanti; ma particolarmente la Viscontina e Loren-zino da Novara ». Era tuttavia lamentata la mancanza del ballo che non aveva potuto darsi, per le difficoltà incontrate nel ritrovare una compagnia mimica. A questa mancanza si era cercato provvedere sostituendovi gli « intermezzi buffoni », i. quali riuscirono « bastantemente scellerati ». Entrando però il carnevale, venne aperto il teatro delle Vigne da una compagnia comica, « così ognuno a suo talento con maggiore 0 minore dispendio » poteva passare « le ore oziose in sua soddisfazione e compiacimento ». Ma la Viscontina fino dalle prime sere era stata assalita da una forte flussione catarrale, di guisa che aveva potuto cantare ben poco, e non con quella pienezza e bravura colla quale aveva incominciato. Vi volle un miracolo perchè guarisse istantaneamente ; e questo fu operato la sera dei 20 gennaio, quando « Sua Serenità colla solita comitiva di sei Senatori » si portò al S. Agostino « per godere dell’ opera in musica » ; poiché « al suo apparire parve che si serenasse e si rischiarasse perfettamente la voce della celebre Viscontina, che eccellentemente fa le parti di prima donna », del che « non poco restò ammirato e soddisfatto l’immenso numero di spet- 462 GIORNALE LIGUSTICO tatori ». Dalle quali parole del gazzettiere non è chi non rilevi Γ adulazione commista ad una buona dose di fina malizia, donde si può argomentare come certi tratti caratteristici abbiano trapassato il secolo, e non siano stati nè cancellati nè modificati dalle rivoluzioni. Dopo Γ Arsace si rappresentò il Demofoonte del Metastasio, il quale se non corrispose alla pubblica aspettazione « per quanto appartiene alla musica, che di gran lunga cede alla maestria ed esquisitezza dell5 altr’ opera » , riuscì però a compensare « li amatori della poesia colla maggiore eleganza del libretto ». In seguito calcò queste stesse scene « una scelta compagnia di comici buffi veneziani », la quale ebbe grande concorso ; poiché vi si segnalarono specialmente tutte quattro le maschere. Si alternavano alle commedie alcuni balletti , ora di quattro ora di sei figure, nei quali si distinse « in modo particolare’una ballerina, che in età di 14 anni colla grazia e maestria del portamento e la leggiadria del piede », attirava « a se gli occhi di tutti, e colla vaghezza del volto » rapiva « i cuori dell3incauta gioventù ». Ottenne tanto il pubblico favore, che « con popolar clamore » venne fissata come altra delle ballerine per la veniente stagione d’ autunno. Finì anche questo spettacolo, ma il teatro non si chiuse, perchè vi prese stanza una compagnia di ballerini da corda, ricevuta fino dalle prime sere con molto plauso; di guisa che « crescendo l’aura popolare, eccitata da non pochi motivi » , si facevano delle gran piene con poco gusto dei pigiati spettatori, ma con grandissimo dell’ impresario. Se non che il pubblico dopo poco s’ andava diradando, e la cassetta intiSichiva ogni giorno più. Ne erano cagione due nuovi teatri aperti nell’ oratorio di S. Gio. Battista e in quello di di S. Bartolomeo delle Fucine; nel primo si rappresentava la Semiramide di Metastasio con intermezzi buffi e balli, « e GIORNALE LIGUSTICO 463 con una straordinaria pompa d’ abiti eroici » ; nell’ altro la Zenobia dello stesso autore, alternata con commedie buffone. Gli attori erano dilettanti tutti di civil condizione, i quali avevano preso quell’ impegno per « bene approfittarsi del tempo, conciliarsi la benevolenza degli uditori col grazioso dono del cartello d’invito, e schivare quell’ oziosità, della quale per la maggior parte delle volte si sogliono gli uomini disabusare ». Allora a richiamare il pubblico alle loro rappresentazioni, i ballerini negli ultimi giorni che stettero al S. Agostino, divisarono apprestare alla città un ardito spettacolo, rinnovando il volo dalla cima dalla lanterna alla metà del nuovo molo, già eseguito da un abile saltatore nel 1643 (1). Il concorso fu incredibile « la terra e il mare erano coperti » di spettatori; oltre un infinito numero di barche, una galera a disposizione di Stefano Lomellino accolse gran copia di dame e cavalieri. Alle ventitré e mezzo di quella domenica, 6 luglio 1749, due uomini guidati da un grosso cavo si gettarono dalla sommità della lanterna, e nel breve spazio di un minuto furono in mezzo al molo nuovo. Con questa trovata i ballerini riuscirono a rifornire la cassetta nelle restanti sere, dopo di che dovettero ceder luogo ai comici napoletani; ma continuando ad essere aperti i due teatri negli oratori di S. Gio. Batta e delle Fucine, dove faceva « sempre una bella comparsa il fiore della dilettante e civile gioventù » , scarso era il concorso. Eppure, senza ottenere quella buona fortnna, che avrebbe meritato « P intelligenza di vari personaggi », non mancavano di fare ogni loro meglio per divertire il pubblico, ed una sera rappresentarono Arlecchino nato dall’ uovo, in cui il protagonista, « fra le varie trasformazioni » eseguite « con mirabile prontezza », vi inserì « una suonata di violino imitante a meraviglia il suono della tromba (1) Belgrano, 1. c. 437 e Gior. Lig. a. 1881 pag. 125. 464 GIORNALE LIGUSTICO marina, una cantata di rosignuoli e vari altri uccelli, eccellentemente bene espressa ». Il gazzettiere poneva cosi in rilievo la bravura dei comici, ed il torto dei cittadini nel non accorrere al teatro, donde si può vedere dome non sia un nuovo trovato neanche quello dei soffietti delle cronache teatrali. {Confinila). A. Neri. DUE MONETE LIGURI I. DI un FIORINO d’ ORO DELLA ZECCA DI SAVONA. Nell’ importante vendita di Monete e Medaglie fatta nel-Γ ottobre dello scorso anno nella città di Francoforte presso Adolfo Hess, era esposta una moneta d’oro del più alto pregio per la numismatica italiana. Tratta vasi d’un fiorino d’oro della zecca di Savona, avente la stessa impronta di quelli di Firenze ; fiorino che a pagina 27 del catalogo pubblicato (Catalog einer inieressanten Sam-mlung von antiken, mittelalterlichen und neueren Miin^en und Refonnalions-Medaillen etc. Frankfurt am Main, Adolphe Hess, Bockenheimer Landstrasse 53, 1881), viene detto raro (selten) e che consultando l’importante monografia del comm. Domenico Promis (Monete della %ecca di Savona), troviamo essere una varietà dei più antichi che il dotto autore ricorda , e di cui dice, conservarsi alcuni esemplari. Secondo il Promis adunque, dal tipo e dalla forma dei caratteri, dovrebbe una tale moneta assegnarsi al secolo XIV, oltre al quale, a senso suo, non rimonta l’istituzione della zecca savonese. Per quanto grave debba ritenersi 1’ asserzione dell’ illustre numismatico torinese, ci spiace di doverci staccare da lui in GIORNALE LIGUSTICO 465 questo punto ; ed a combatterlo non ci serviremo che delle armi da lui stesso fornite. Già uno fra i più pazienti, coscienziosi ed eruditi cultori di storia savonese, Tommaso Belloro, prima in un rarissimo opuscolo , pubblicato in Savona dalla tipografia Sabazia col titolo : Giornale sopra Γ anno del Signore MDCCC; quindi nelle sue Memorie della yicca e monete di Savona (inedite) avea asserito, trovarsi in patria, presso gli eredi del signor Jacopo Picconi, una moneta savonese che portava impresso il nome dell’ imperatore Federico. Il Promis confutando 1’ asserzione del Belloro e cercando di dimostrare , che nelle monete del Picconi non si doveva ravvisare che il grosso di Pisa, assegna l’istituzione della zecca in Savona all’ imperatore Ludovico il Bavaro, del quale riferisce nell’appendice il relativo Diploma (13 luglio 1327). Fa quindi seguire altro privilegio dei fratelli Bernabò e Galeazzo Visconti duchi di Milano (16 ottobre 1365), nel quale si leggono queste testuali parole : Exposito nobis prò parte' comunis et hominum civitatis nostre Saone quod tam per PUBLICA IMPERATORUM PRIVILEGIA quam etiam EX ANTICHISSIMA EORVM CONSVETVDINE licitum est eis in dicta eorum civitate facere seu feri facere %echam flo-renorum et etiam monete argentee etc. concedimus etc. Or bene gli è punto verosimile, che se i savonesi non avessero avuto che il solo Diploma di Ludovico il Bavaro del 1327, i Duchi di Milano, pochi lustri dopo, avrebbero potuto accennare ai publica Imperatorum privilegia (plurale); e per soprassello aggiungere Vantiquissima consuetudine? Questa carta adunque non fa, a parer nostro, che servire di rincalzo alle asserzioni del Belloro e mena nel tempo istesso a risalire più alto il corso dei secoli, per assegnare P istituzione di questa zecca ligure. Ed è a deplorare , che 466 GIORNALE LIGUSTICO siasi smarrito il prezioso nummo del Picconi, il quale attentamente esaminato, avrebbe potuto definire la controversia. Rimettendoci ora in carreggiata diremo , che il zecchino d’oro venduto in Francoforte, dalla descrizione datane è presso che in tutto simile a quelli descritti dal Promis. — Porta cioè nel diritto il giglio con attorno: MONETA SAONE ; e nel rovescio la figura di San Giovanni Battista in piedi, colla leggenda : S. JOHANNES. B., ed uno scu-dettino in cui si ravvisa solo una banda adoperata per palo , stemma adoperato dal comune savonese nel secolo XIII; e siccome nel secolo seguente si fece nello stemma l’aggiunta dell’ aquila imperiale, che qui non si vede , cosi si è questo altro argomento che milita in favore del Belloro. In questo soltanto differenzia il zecchino di Francoforte da quello descrìtto dal Promis, che mentre nel diritto del primo si legge: MONETA, si ha invece nel secondo: MONET-A; particolarità che abbiamo creduto del caso di rilevare. Chi sa se quel prezioso cimelio, mercè 1’ amoroso interessamento di qualche nostro concittadino, avrà ripreso la via dell’ Italia; o sarà rimasto ad arricchire qualche Raccolta alemanna? II. UN OTTAVETTO DI GIO. ANDREA III d’ ORIA SIGNORE DI LOANO. Agostino Olivieri, al quale andiamo debitori di una monografia sulle Monete., Medaglie e Sigilli dei Principi d’Oria, venuta in luce in Genova col corredo di cinque Tavole per la tipografia dei Sordo-muti nel 1859, ignorò Γ esistenza di una monetina d’ argento della zecca di Loano, ora acquistata da un intelligente raccoglitore di nummi liguri. Sapendo quanto sieno tenute in pregio, per la loro rarità, queste monete, m’ affretto a darne notizia in questo periodico. Si tratta di un ottavetto d’ argento riferentesi al giovinetto GIORNALE LIGUSTICO 467 Principe Gio. Andrea III, figlio di Andrea III e di Donna Violante Lomellini. Non avea esso che un anno, quando per la morte del genitore (1654), rimase sotto la tutela della madre, la quale nel 1664 faceva riaprire la zecca di Loano, chiusa da alcuni lustri. Essa vi faceva coniare una grande quantità d’ ottavetti pel commercio del Levante, sul cui diritto si riscontra il di lei ritratto , e nel rovescio uno stemma caricato dei gigli di Francia. Altri pure ne fece venir fuori col busto e col nome del minorenne figliuolo ; ed il primo di cui si abbia notizie, è dell’anno 1665; ed attorno al busto del Principe si legge: IOANNES AND. PRIN. DORIA LANDI e sul rovescio, collo scudo spaccato, metà dei D’ Oria e metà dei Landi, la leggenda: DOMINVS VIRTVS MEA ET SALVS MEA. L’ ottavetto invece di cui mi s’invia notizia , col busto a dritta, ha la leggenda: IO. AND. PR. DORIA. L. e nel rovescio invece dello scudo spaccato, lo stemma caricato di gigli di Francia, già usati dalla madre, colle parole : SIT NOMEN DOMINI BENEDICTVM, e l’anno 1669. Il pezzo è assai bene conservato, nè tarderà a pigliar posto in qualche ricco medagliere. Girolamo Rossi. VARIET A DUE LETTERE d’ UOMINI ILLUSTRI. I. Sebbene manchi d’indirizzo, pure la seguente lettera del Muratori è scritta a Giuseppe Ottavio Bustanzo, segretario d’ambasciata a Madrid per la Repubblica di Genova; e ne è prova non solo 1’ essere stata trovata fra le sue carte nel- 4éS GIORNALE LIGUSTICO PArchivio di Stato, ma il vedere come egli figuri fra i corrispondenti dello storico modenese; anzi si può affermare che la lettera a cui serve questa di risposta è la seconda da lui diretta al Muratori, e che reca la data del 1740 (1). Si può di più argomentare che per mezzo del Bustanzo entrasse questi in corrispondenza con il dottissimo spagnuolo D. Gregorio Mayans, perchè le due sole sue lettere conservate nel-P Archivio muratoriano sono del 1739-40 (2). Quest’uomo insigne, autore di moltissime opere di varia erudizione, fu bibliotecario nel 1732 di Filippo V; poi rinunciò 1’ ufficio per amore di quiete , secondo riferiscono i suoi biografi, e per meglio attendere ai suoi studi; ma da quanto qui afferma il Muratori, che aveva notizie più certe dal Bustanzo, avvenne « per mancanza di sussidio » , al che tuttavia non dovette essere estranea la gelosia e l’invidia, destata in alcuni suoi emuli e dalla sua dottrina, e dalla sua severità spinta fino all’orgoglio: di qui la maggior fama da lui goduta all’estero anziché in patria. Giustamente si compiaceva il Muratori della stima di un tanto uomo , al quale si deve forse attribuire il proposito di tradurre nella lingua spagnuola qualche sua opera; sebbene sia da credere non ne seguisse l’effetto, perchè non ne abbiamo trovata memoria. Per rispondere al Bustanzo e mandare alcun che di suo al Mayans, si giova del conte Giovanni Cassio, colto patrizio modenese, che accoglieva nel suo palazzo settimanalmente parecchi letterati a conversazioni accademiche; ma le faccende politiche, e il servigio del Principe lo distrassero da queste geniali occupazioni; e dopo aver adempiuto all’ ufficio d’Inviato presso la Corte di Francia nel 1735, ora si recava in qualità di residente a Madrid (3). Nè scrivendo in Italia diti) Muratori, Scrilti inediti, 262. (2) Ivi, 310. (3) TiRABOSCHi, Biblioteca modenese. GIORNALE LIGUSTICO 469 menticava il segretario genovese di domandar notizie dell’ a-bate Guido Eustacchio Lucarelli, già segretario della legazione di Modena, che se ne viveva adesso quietamente canonico in Reggio, dopo aver sostenute vive battaglie per alcuni suoi lavori teatrali (1). Questa lettera ci venne gentilmente comunicata dall’ egregio archivista avv. Doneaud, di che gli rendiamo pubbliche grazie. Ill.m° Sig.re Sig.re, e PronS Col.mo, Non è già di’ io non desiderassi di rispondere prontamente al cortesissimo foglio, di cui mi favorì V. S, Ill.ma nel prossimo passato Settembre ; ma perch’ io andava differendo per le speranze datemi che dovea venir persona a cotesta Reai Corte, son giunto solamente ora a soddisfare al mio dovere. Coll’ occasione dunque, che spedito dal mio Pron.e Ser.mo sen viene costà il Sig. Conte Cassio, vengono ancora i miei ringraziamenti alla di lei bontà per la lettera del nostro Signor D. Gregorio Mayans, ma più ancora per le amorevoli e generose espressioni di lei, che quanto più · inaspettate mi son giunte, tanto più mi sono state care. Cei-tamente mi sono rallegrato meco stesso al vedere che in Madrid si trova persona, la quale non solo mi conosce, ma anche mi ama, ed ha anche veduto alcuno dei miei libri. Non mi pensava io, che il mio nome, e la mia fortuna andassero tanto innanzi; e molto meno mi sarei io mai immaginato, che alcuno costì pensasse a tradurre in cotesta lingua le cose mie. Tutto ciò effetto è della gentilezza, e del bel genio di V. S. Ill.ma, a cui mi protesto per tante finezze sommamente obbligato, e vorrei potere anche coi fatti comprovarle la mia riconoscenza. Mi occorre ora di pregarla di volere far giugnere con si- (1) Tiraboschi, Biblioteca Modenese. 470 GIORNALE LIGUSTICO curezza al nostro Sig. Mayans un Rotolo, ed una Lettera, che il suddetto Sig. Conte Cassio mi favorirà di portar seco. Ben mi è rincresciuto d’ intendere, che un valentuomo tale abbia dovuto ritirarsi per mancanza di sussidio. Un peccato è, che i felicissimi Ingegni, che la Spagna produce, o per difetto di buon gusto, o perchè privi d’ alimento, non che di stimoli ed aiuti, languiscano, e producano sì rari frutti in benefizio delle lettere. Nulla posso dirle del Sig. Ab. Lucarelli, se non che so, che gode buona salute e quiete in Reggio. Se potrò vederlo, si parlerà di Lei. Passo io a pregar V. S. Ill.ma che siccome ha cominciato con tanta bontà ad amarmi, mi conservi così buon luogo nel suo cuore, con persuadersi, eh’ io dal canto mio, mi pregierò d’ amarla, e bramerò di farmi conoscere, quale con tutto Γ ossequio ora mi protesto Di V. S. 111.™ Modena 12 Febbraio 1741. Div.mo od Obb.m° Serv.re Lodovico Antonio Muratori. II. ANTON GIULIO BRIGNOLE SALE. La lettera che qui pubblichiamo è diretta al Barone Giuseppe Manno, presidente in quell’anno per la settima volta del Senato del Regno, e fino dalla sua giovinezza in consuetudine d’amicizia col Brignole; il quale, non più ambasciatore, viveva allora a Parigi, dove si era poco prima trattenuto brevi giorni anche il Manno col figlio per visitare 1’ esposizione. Sebbene la traduzione dei Salmi eseguita dal Manno fosse pubblicata fino dal 1845 , pure era venuta a mano del Brignole solo da poco tempo, e certo gli era piaciuta assaissimo, come quella che rispecchiava le sue idee; perchè questi GIORNALE LIGUSTICO 47I salmi sono una precisa « professione di fede politica e religiosa » del traduttore; politica molto conservatrice, religione affatto cattolica. Anche il conte di Circourt, amico del Manno, fece una compiuta versione dei Salmi con animo di pubblicarla; ma ciò non avvenne, e l’autografo si conserva ancora presso Antonio Manno. Il proposito del Le Monnier di stampare Γ accurata opera del Manno, non ebbe effetto; pubblicò bensì, oltre alle due operette indicate nella lettera del Brignole, uscite proprio nel 1855 in un volume, anche gli Opuscoli, e più tardi la Storia moderna della Sardegna, premettendovi in quattro libri un accomodato compendio della storia antica. Dobbiamo per fine ringraziare 1’ erudito amico nostro Antonio Manno, il quale ci comunicò P autografo del Brignole, insieme a quelli degli altri genovesi, ch’ebbero corrispondenza con 1' illustre suo padre, e sono lo Spotorno , il Raggio , il Baratta, il Di Negro, il Canobbio, il Gandolfi, Vincenzo Ali-zeri, Giacomo Cevasco, e Antonio Bacigalupo ; le lettere dei quali non hanno per lo più importanza, salvo forse quelle dell’ ultimo per ciò che tocca la lingua. Parigi, 20 Ottobre 1855. (Rue Saint Dominique, N. 58). Eccellenza Leggo nei pubblici fogli che le nostre Camere son convocate per il 12 p. v. Novembre. Avendo determinato, per ragioni di famiglia, di rimanermi quest’ inverno in Parigi, sarà difficile eh’ io intervenga alle sedute del Senato fin dopo Pasqua, che cade sugli ultimi giorni di Marzo. Vostr’ Eccellenza ben comprende che un settuagenario non può muoversi per lunghe gite, soprattutto nella cattiva stagione, senza difficoltà e gran disagio. Non sarà dunque che nel caso di discussioni importantissime e di esito incerto che mi determi- 47 2 GIORNALE LIGUSTICO nerei, nel frattempo, a costì recarmi per deporre nella bilancia il mio voto. Questo io partecipio confidenzialmente a Vostr’ Eccellenza, pregandola a non darvi ufficialmente alcun seguito, nella fondata lusinga che la mia assenza passerà inosservata, almeno pel maggior numero. Permetta ora P E. V. che Le esprima un doppio mio sentimento : di rammarico primieramente per essere rimasto privo del bene di vederla durante la sua troppo breve dimora in Parigi. Più volte mi provai d’andarla a riverire, ma senza mai incontrarla : io pure mi trovai sfortunatamente assente quando Ella ebbe la cortesia di favorirmi in mia casa. Ciò accade spesso, a dir vero, in questa metropoli a motivo delie grandi distanze e anche della vita del viaggiatore che, scarso di tempo e \7oglioso di conoscere quanto v’ ha d’interessante, è costretto di passare fuori di casa gran parte della giornata : ma ciò non vieta eh" io assai me ne dolga nella circostanza della di Lei venuta. L’ altro mio sentimento è ad un tempo di congratulazione e di gioi;i : di gioia per aver letto nei Salmi da Lei pubblicati un' opera quanto mai degna, a mio parere, di elogio per la fermezza dei principii religiosi che ne costituiscono la base, per la profondità dei concetti, per la ricchezza e vivacità delle immagini, per l’elevatezza dello stile sempre sostenuto e tutto proprio dell’ importante, ma variato argomento : sentimento poi di congratulazione vivissima a Vostr’ Eccellenza che ha dotato il mondo scientifico e letterario di una sì esquisita composizione. Ho pure letto la versione manoscritta, che il Conte di Circourt ha avuto la gentilezza di comunicarmi, e mi è sembrata elegante e, ad eccezione di rari luoghi, fedele : vero è per altro che, sebbene molto onori il laborioso traduttore, perde non poco in confronto dell’ originale, i cui pregi, soprattutto nella prosa poetica (com’ Ella stessa ne conveniva nella gentilissima sua del 17 luglio) non possono trasportarsi GIORNALE LIGUSTICO 473 in altra lingua che imperfettamente. Godo però nel rilevare dall ultimo precitato di Lei foglio che presto 1’ Italia almeno possederà, per opera del Lemonnier, una diligente ristampa di quella bell’opera, di cui non si potrà mai abbastanza desiderare la propagazione : e mi fa piacere eziandio che lo stesso editore abbia ultimamente ripubblicato la Fortuna delle· parole e i Vi^j dei letterati, altri due ben conosciuti e lodevoli parti del suo nobilissimo ingegno. Pregandola dei miei rispetti alla egregia Signora Baronessa, colgo con premura l’attual circostanza per riprotestarmi con la più alta e cordiale stima Di Vostr’Eccellenza Devot.'"0 Obb.mo Servo A. Brignole Sale. SPIGOLATURE E NOTIZIE Dalle Noti{ie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei dal comm. Fiorelli togliamo la seguente relazione: Il solerte ispettore prof. Girolamo Rossi mi annuncia la scoperta di altri sepolcri, tornati in luce nel rimuovere 1’ enorme strato di arena , che pesava su quell’ antico teatro romano e nelle adiacenze di esso dalla parte di occidente. I sepolcri ora scoperti sono quasi tutti della stessa configurazione, sebbene di diversa grandezza di quelli trovati nell’anno 1880, e la frequenza mostra chiaramente, che quel tratto di terreno era occupato dalla necropoli di Albium Inetmelium. Essi vengono così descritti dal lodato ispettore : « Sono edifici rettangolari, che nella parte superiore della facciata, che va a terminare in cuspide, portano ancora infisso il titolo in tavola marmorea, o vi si trova ancora l’incavo da cui venne staccato. » Una particolarità di questi sepolcri è la mancanza di tetto o vòlta ; poiché oltre a non trovarsi il materiale, che si troverebbe se il tetto fosse crollato, non vi ha indizio di risega sull’estremità superiore dei muri, rivestiti a piovente da un calcestruzzo che ha sfidato l'ingiuria di tanti secoli. Giorn. Ligustico Anno IX. 31 474 GIORNALE LIGUSTICO » Estratto da questa specie di pozzi (poiché sono privi di porta) circa un metro di arena, s’incontra la terra vegetale, e molto al di sotto di questa si hanno, d’ordinario ai quattro lati della stanza funeraria, capacissime diote con grande numero di patere, di vasi, di lumi, che sventuratamente andarono in gran parte rotti o smarriti. » È da avvertire, che in alcune di dette stanze si riconoscono due distinte età di seppellimento, come avvenne in quella che portava il titolo di Maja, cioè una superiore cristiana, ed una inferiore più antica ». Di siffatti sepolcri in questi giorni ne furono scoperti quattro, che diedero altrettante iscrizioni, le quali pubblico qui appresso desumendone la lezione dai calchi inviatimi dallo stesso prof. G. Rossi. D . M D . APRONIO . PRIMITIVO DIOSCORVS . ET IVCVNDI LLA . PARENTES . FILIO PIEN T ISSI MO . ANNOR . XXIII . S . P . F APRONIAE MARCELLAE D . APRONIVS KARICVS CONIVGI RARISSIMAE . BENE MERENTI . ET SIBI POSTERIS Q.VE svis . vivvs . Fecit . D M LVCRETIAE . LYSISTRATES AEMILIA CRATIA MATER . FILI AE . PlIsiMAE ANN . XXII . ET . BIL LENIVS ONESIMVS MARITVS COIVGI . KARISSIMAE . FECERVNT • . ocTav I . IN.. ANN . XXI.. Di questi titoli, i tre primi sono in tavole di marmo , ed il quarto frammento è in puddinga, e fu staccato da un monumento a forma di piramide. L’ egregio ispettore a proposito del nome Billenius della terza iscrizione, richiama alla mente la lettera di Celio a Cicerone (lib. Vili, ep. 15), ove si parla dell’ uccisione avvenuta in Ventimiglia del nobile Domizio, devoto a Cesare, della quale fu autore Bellienus verna Demetrii. Il medesimo prof. Rossi mi riferì poi che nel sobborgo di S. Agostino i fratelli Macario nel fondare una loro casa s’imbatterono, ora è qualche anno, in ruderi di antiche costruzioni ; e che in un terreno attiguo alla suddetta casa, scavandosi ora le fondamenta per un edificio di proprietà del sig. Francesco Cassini, si rinvennero resti di antiche mura dira-mantesi in diverse direzioni, e grande quantità di tegoloni e di frammenti laterizi. 1 Queste scoperte si collegano con quella avvenuta nell’ istesso luogo circa sei anni fa, e avvalorano le congetture del prof. Rossi, il quale GIORNALE LIGUSTICO 475 nei ruderi scoperti in quella zona di terreno, che è compresa fra il fiume Roja e ;l torrente Nervia, riconosce gli avanzi dell’antica Albium Intemelium. *** E stata pubblicata testé l’opera da qualche tempo annunziata del chiar. prof. Antonio Favaro : Galileo Galilei e lo Studio di Padova (Firenze Succ. Le Monnier 1883, voi. 2). Vi troviamo, oltre al cenno di una poesia promessa dal Chiabrera in onore di Galileo, rivendicato a Vincenzo Renieri il vanto d’ aver « primo fra tutti gli italiani a , colle sue osservazioni sopra Saturno, presentito « più da vicino che gli altri le scoperte ugeniane ». Di più una nuova lettera di Fortunio Liceti al Galileo (di Padova 22 ottobre 1610), ed un’altra pure inedita di Bartolomeo Imperiali (Sampierdarena (?) 7 dicembre 1614) nella quale si discorre della costruzione e perfezione del Canocchiale; è assai erudita ed importante. Finalmente nel cap. XIX vi è una buona notizia biografica di Gian Vincenzo Pinelli, del quale per P incuria dei parenti, neppure si sa dove riposino le ceneri nella chiesa del Santo a Padova. ■:<·"'* Nel voi. secondo della Biblioteca di Letteratura popolare italiana edita dal dott. Severino Ferrari, verrà pubblicato un codice di Laudi scritto da un ligure nel sec. XV. Ne è proprietario Giosuè Carducci, che ne darà egli stesso una notizia critica. *** . Nella Rivista Marittima (Fase. Ottobre 1882) il prof. G. B. Brignar-dello pubblica una sua lettera, colla quale accompagna all’ avv. Desimoni, l’impronta di una singolare medaglia di Giano li da Campofregoso, posseduta dal march. Baldassarre Castagnola della Spezia; ed insieme la risposta illustrativa del Desimoni stesso. Vi è a corredo la figura della medaglia. A questo proposito cfr. Giornale Ligustico del corrente anno p. 212, 293 e 294. *** È in corso di stampa l’Iter Italicum del chiar. Pflugk-Harttung, nel quale sono sommariamente indicati i documenti dei Papi anteriori al secolo XIII, da lui veduti negli Archivi e nelle Biblioteche italiane. Vi è nota delle ricerche fatte anche nella nostra città, e duole il vedere come il dotto uomo non abbia potuto accedere all’ Archivio del Capitolo di S. Lorenzo. 476 GIORNALE LIGUSTICO #** Nella Nouvelle Revue (i.° Settembre 1882) è inserito un articolo di E. Raoul Duval intitolato: La marine à l'armée d’Italie; episode des campagnes de 1798-99. Vi sono narrati sui documenti i servigi resi dal capitano Sibilla, in ispecie nel tempo dell’ assedio di Genova. A Lipsia è stato pubblicato il seguente libro del Langer : Politische Geschichte Geuuas und Pisas im XII Ialirh. *** Nell’ Archivio Storico Italiano il chiar. Desimoni ha pubblicato un’ e-rudita scrittura Sui Marchesi di Massa in Lunigiana e di Parodi nell’ Oltregiogo ligure nei secoli XII e XIII. Annunziamo con piacere che il sig. Carlo Yriarte, felice illustratore della Storia e dell’ arte italiana, ci prepara un libro con disegni e facsimili intorno a Matteo Civitali. Anche di recente si è recato a quest’uopo nella nostra città, e quindi in Toscana. *** Tommaso Campanella in due lettere, fra quelle edite da Domenico Berti (Atti dei Lincei 1878), indicava come suo scolaro un march. Spinola padre del Cardinale vivente nel 1634. Ora il prof. Luigi Amabile rileva che il Cardinale di cui è parola non può essere altri che Agostino ; ep-perciò lo scolaro del Campanella deve essere stato il celebre capitano Ambrogio Spinola ; intorno al quale ed al fratello Federico, ed alle sorelle Lelia, Placidia, Maria e Maddalena non mancano notizie nel R. Archivio di Napoli. Crede poi 1’ Amabile che imparasse forse 1’ astronomia da quel filosofo nel 1598. (Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua ραχχία, Napoli, 1882, vol. I, pag. 92). *** Quel frate francescano Tommasuccio da Foligno, che meglio d’ogni altro segui, e nella vita e negli scritti, il suo correligionario Iacopone da Todi, di ritorno da un pellegrinaggio a S. Iacopo di Galizia sulla metà del secolo XIV, deve essere passato da Genova; e fu forse nel 1356, quando avvennero le turbolenze civili, che tolsero la città dalla soggezione dei Visconti di Milano, e portarono al dogato Simone Boccanegra. Onde colpito da queste guerre intestine tra nobili e popolari, nella sua GIORNALE LIGUSTICO 477 Profezìa composta l’anno 1357, esce in questa apostrofe : Genua, tu non senti Li tuoi veloci affanni, Li tradimenti e inganni Delli tuoi medesrai. Seranno novi sufismi In tutti li toi fideli E poi delli toi veli Ti haveran remutata. Faron nova mestecata De dui par de vessilli E chi ha mal consigli Guastarà poi 1’ acerbo Sempre all’ acqua el cerbo Va bene volentieri Non avendo pensieri De lacci nè de rite. Primamente serite A San Pietro ribella Lassandove quella Che v’ è stata timone. Dunque serai cagione Dello tuo male integro, Che lu colore nigro Se divisa per lo bianco. La forza e 1’ esser franco Dellu alemando sposo Non te varrà uno fuso Nè sua gente tedesca. Vedrai in uno varco Lu lione et la croce Con gente assai feroce Et qui serai perduta. Così serai vinciuta Et seratte la spene tolta Dalla tua gente molta Che te verrà in sucurso. Sera quel Pardo murso Et priso nella caccia ; Chi suo mal si procaccia Veder sole suo danno. Dentro delle porte Dello novo castello Ti rinchiuderà quello Che da morte campasti. Serà misso juso Il tuo onore e ’1 tuo pregio E senza remegio Morerai no regina. Serà verra et fame Per tutte le tue sponde E converrà che affonde Ragione et iustitia. Et sempre la malitia Non muta suo pelo : La infruentia del cielo No te darà mai pace. Questo rileviamo da una monografìa del dott. Mazzatinti intitolata: Un profeta Umbro del secolo XIV (Propugnatore, T. XV, Par. II, p. 24-25). A Nella Rassegna Nazionale (Vol. XI, pag. 64) il ch. comm. Cesare Guasti pubblica una bellissima biografia del P. Tomaso Corsetto dei Predicatori nostro concittadino, nato nel 1807 a’ 25 maggio e morto a Ronta in Mugello a’ 6 d’ agosto del corrente anno. Accoppiava alla modestia e alla bontà dell’ animo molta dottrina, fu reputato teologo e filosofo; si piacque assai della filologia e ^ello studio della buona lingua, di che son prova alcune sue scritture a stampa. Fu professore di teologia dommatica, e di 478 GIORNALE LIGUSTICO storia ecclesiastica nell’ Università di Siena ; poi ritrattosene per ragioni di salute, eletto professore emerito. In seguito ebbe ufficio di Vicario di monsignor Limberti arcivescovo di Firenze. Amava la patria senza discompagnare questo sentimento dai doveri di religione, e seguiva le dottrine del P. Lacordaire, del quale tradusse con amore e bella felicità le Conferente. *** Nel Recueil de Voyages et de documents pour servir à l’histoire de la géographie depuis le XIII presque à la fin du XVI siècle, che pubblica a Parigi Ernest Leroux, è uscito testé un bel volume di 400 pag. dettato dal dotto Enrico Harisse ; ha per titolo : Jean et Sebastien Cahot, leur origine et leur voyages, étude d'histoire critique suivie d’une cartographie, d’une bibliographie et d’une chronologie des Voyages au Nord-Ouest de 1497 à 1550 , d’après des documents inédits. Il solo annunzio e il nome dell’ autore bastano a segnalarne l’importanza. Noi speriamo vedere in breve pubblicata altresì 1’ altra opera sui Colombo, alla quale sappiamo che egli intende da più tempo con largo disegno ed ampia dottrina. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Partecipazio. — Staglieno. Guida del visitatore. Genova, Tipografia Sordo-muti 1883. Questo libretto porge delle utili notizie a chi si fa a visitare l’insigne e monumentale necropoli genovese. Precede una breve descrizione, un cenno del modo onde si venne formando, e delle cure spesevi intorno dal municipio; nozioni storiche statistiche ed economiche non inutili : segue un capitoletto dove sono riprodotte parecchie epigrafi scelte fra le migliori secondo il gusto dell’ Autore. Le indicazioni intorno ai monumenti sepolcrali sono discretamente esatte; non tutti certo vorranno acquietarsi a certi giudizi artistici, nè sembra voglia pretenderlo Γ Autore. Il quale se in una nuova edizione correggesse un poco la forma assai trascurata, farebbe opera molto lodevole. Storia del meraviglioso nei tempi moderni di Luigi Figuier. Traduzione di Carlo Dassori, voi. i.°, Genova, Tipografi Sordo-muti 1882. L’ opera dell’ insigne francese è troppo nota agli studiosi perchè se ne debba ora parlare. Daremo dunque solamente lode al tradutore per aver voluto renderla accessibile ad un maggior numero di persone. E lo ha latto con buon garbo, che gli ha procacciato il plauso e 1’ approvazione non solo d’ ogni maniera di lettori, ma anche dello stesso Autore. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 479 INDICE ί DOCUMENTI ILLUSTRATI. La cucina del Vescovo di Luni (A. Neri) . ■ ■ · ■ P&Z· I^i y MEMORIE ORIGINALI. ^■Luchetto Gattilusio (L. T. Belgrano).....Pag· 3 Storia dei Giustiniani di Genova (C. Hopf) . ■ Pag- !3> 49> 100 Quisquilie epigrafiche (V. Poggi).....Pag· Si, 303 La nascita di Leon Battista Alberti (A. Neri). . ■ ■ Pag- X.Sui denari minuti della Zec^a/genovese (C. Desimoni) . ■ » 209 Pallade Coronefora (L. rfe Feis) . . · · ■ · . » 226 Di alcune recenti pubblicazioni intorno a Galileo (C. Desimoni) » 235 Annotazioni numismatiche (G. Ruggero).....” 289 I Genovesi ad Acquemorte (L. T. Belgrauo) . . · . « 326 Storia di una iscrizione (L. T. Belgrano) . . · » 3^4 ••Ansaldo Cebà (N. Giuliani).......® 3^6 Divertimenti (A. Neri)........" 457 y Due monete liguri (G. Rossi) . .......“ 4^4 VARIETÀ. Lettere inedite (L. A. Muratori) . . . Pag· 35> ISI> I7°> I^° -«-Luigi Maineri (A. Neri)........?aS■ I(^9 Nuove descrizioni di viaggi in Terrasanta (C. Desimoni) . » 17$ X Una poesia satirica contro Genova (A. Neri.) . . . · » 260 — Libertà di scrivere (A. Neri).......8 2^4 4So GIORNALE LIGUSTICO Spigolature intorno al bombardamento del 1684. (A. Neri) Pag. 266 1 Genovesi a Kustendje (L. T. Belgrano) . ... ■ » 362 Nicolò Malaspina scolaro nello Studio di Pisa (G. Sforza) )) 452 Anticaglie di Luni (A. Neri) .....·· » 454 Due lettere d’ uomini illustri ....··· D 467 Spigolature e Notizie . Pag· 44) 77> 157j 197> 20^> 27® 455) 475 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA. Emanuele Celesta. Storia della Letteratura in Italia nei secoli barbari (C. Braggio) ....-··· Pag. 28 Tre lettere di Cristoforo Colombo e di Americo Vespucci recate in lingua italiana col testo a fronte da A. Zeri (C. Desimoni). . . » 65 I. T. Bent. Genoa ; hew thè republie and fell . » 74 Libro d’ oltremare di Fra Nicolò da Poggibonsi (C. Desimoni). » 130 Prose genovesi della fine del secolo XIV e del principio del XV edite da A. Ive (L. T. Belgrano) ..·-■· » 341 Felice Romani ed i più reputati maestri di musica dei suoi 346 tempi, di E. Branca (L. T. Belgrano)..... » Storia dell’ Accademia Lucchese di A. Bertacchi {A. Neri) » 434 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Gio. Batta De Rossi. Gli Statuti di Anticoli in Campagna con un atto inedito di Stefano Porcari, pag. 48 — Per le vie di Piacenza, ricoidi di Storia Patria, 79. — Letters of C. Columbus and A. Vespucius with an introduction by George Dexter, 160. .·— Una scorsa nel mio portafoglio di A. Manno, 199. — Mioliche italiane di A. Genolini, 201. — Lettere inedite d’ illustri scrittori del sec. XVI, ivi. — Macchiette campagnuole di G. Garzolini, 203. —* Francesco Petrarca di E. Penco, ivi. — Storia della magistratura piemontese di C.Dionisotti, 204.— Statuti dell’ ordine della SS. Annunziata di G. Claretta. 205. Epistolario di A. Manzoni, 285. — Amore, versi di G. B. Caprile, 286. — Il genovese Negrone Dinegro di G. Claretta. ivi. — Della nobiltà secondo B. Morando, edito da G. Tononi, 288. — La forchetta da tavola in Europa di G. Limibroso, 363. — Monaca per forza, 364. — Stagli eno, 478. — Il meraviglioso trad. di C. Dassori, ivi.