GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI FONDATO E DIRETTO DA L. T. ‘B.ELGRJNO ed Λ. ΊXLERI ·' ί \ GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO MUTI M DCCC LXXIV AXXO PRIMO òaoói: . ■ '■i' ' ' _ Anno I. Gennaio 1874. Fascicolo x. GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI M LETTORI il concetto che ci ha ispiiata la fondazione del Giornale Ligufiico risulta abbastanza dal nostro Programma del 15 dicembre p. p., per esimerci dal dettare qui una apposita Prefazione. Riassumeremo piuttosto le idee esposte nel medesimo, siccome quelle cui abbiamo fatto proposito di tenerci ognora fermi nel disimpegno del nostro compito. Il Giornale Ligufiico essendo « Γ organo ufficiale della Società Ligure di Storia Patria » pubblicherà specialmente le memorie che saranno lette nelle tornate di questo Istituto ; delle quali ultime darà pure con regolarità i singoli processi verbali. Fornirà inoltre notizie delle opere cui attende la Commissione Consultiva di belle arti, e cosi degli scavi d’antichità e de’ restauri di monumenti ai quali essa dee porre mano. Soggiungerà informazioni della Scuola di Paleografia presso Γ Archivio di Stato, e metterà in luce sì le Dissertazioni che vi saranno pronunciate e sì i lavori degli studiosi che la frequentano. Alla stampa delle opere moderne alternerà quella di varie scritture di reputati archeologi, che tuttavia 4 GIORNALE LIGUSTICO durano inedite ; e precipuamente quelle dell’ insigne Gaspare Luigi Oderico. Aggiungerà un ‘Ballettino Bibliografico, nel quale verrà dato annunzio di quelle recenti pubblicazioni che non saranno argomento di speciali riviste; e darà pur luogo a memorie concernenti le altre provincie italiane, professandosi fin d’ ora gratissimi a coloro che vorranno fornirgli materia all’ uopo. 1 sottoscritti compiono a un debito porgendo le loro più vive grazie a quella parte della stampa cittadina che ha accolto con lieto animo e segnalato alla pubblica attenzione il progetto del presente Giornale, e a tutti quei benevoli per le adesioni cortesi dei quali il progetto medesimo diviene oggi una realtà. Genova, Gennaio 1874. L. T. ‘BELGRANO. - A. %ERI. GIORNALE LIGUSTICO 5 DEL CRISTO DI GUGLIELMO PITTURA INSIGNE DELL’ANNO 1138" ESISTENTE NEL DUOMO DI SARZANA STUDI del Prof. SANTO VARNI La pubblicazione di queir insigne monumento pittorico che è il Cristo di Guglielmo, fatta dal mio compianto e dotto amico il professore Giovanni Rosini^ svegliò in me più volte il desiderio di considerarlo da vicino e di descriverlo minutamente. Conciossiachè il lodato storico della Pittura Italiana, venuto troppo tardi in cognizione dell’accennato dipinto, gli consenti appena brevi parole nel suo lavoro (1); nè con tutto il rispetto al carattere e la più scrupolosa fedeltà potè riprodurlo (2). Ben so che l’argomento, ad essere svolto con ogni ampiezza, meriterebbe non solo una dotta penna, ma un acuto indagatore il quale all’ assoluta mancanza delle sincrone memorie supplisse coll’ utile sussidio che porge sempre il raffronto giudizioso di molti monumenti. Nondimeno penso che il mio lavoro, qual eh’ esso sia, non chiude la via ad alcuno; e saro lieto se le osservazioni da me adunate potranno servire ad altri di eccitamento. Ma innanzi tutto siami conceduto di rendere qui le maggiori grazie a quel solerte Vicario Capitolare sig. canonico Po- (1) Rosini, Storia della pittura italiana, ecc., voi. ir, pag. 2S8: « Rivolto a considerare di nuovo quanto potea crescer lustro alla presente Storia, mi risolvetti d’aggiungervi quattro monumenti, de’ quali andrò facendo adesso parola..... Il secondo è un Cristo storiato, che si vede nel Duomo di Sarzana, opera di un artefice, che dal nome pare italiano, c che porta, senza timor di moderna impostura, l’anno 1138 ». (2) Id., Monumenti Greci, tavola A. 6 GIORNALE LIGUSTICO desta, il quale mosso da vero affetto per le arti gentili e le preziose memorie della chiesa onde è preclaro ornamento, si compiacque non solo di rimuovere tutti gli ostacoli che si erano sempre frapposti in addietro all’ effettuazione del mio proposito, ma concedette che potessi replicatamente esaminare la pittura, e cavarne quei lucidi e disegni che meglio avessi creduti opportuni. i. 'KLoti^ie Storiche. Il Crocifisso in discorso derivò al Duomo di Sarzana dalla chiesa di santa Maria di Luni « avanti il totale disertamelo di quella città », come scrive il Gerini, che è a dire verso la fine del secolo xn (i). Opino poi che in Luni non sorgesse per avventura sopra di un altare, ma più probabilmente fosse raccomandato a qualche trave dell’ armatura del tetto, giusta una consuetudine antichissima e non punto infrequente. Al quale uopo ci soccorrono più esempli; e fra gli altri quello del Crocifìsso della Provvidenza nel Duomo di Carrara (2), e di santa Giulia di Lucca: monumento quest’ultimo non dissimile dal nostro, e dottamente illustrato da monsig. Telesforo Bini (3). Accadde però col volgere dei secoli che parecchi di siffatti Crocifìssi pigliassero invece a riguardarsi entro a ricchi tabernacoli, e a difendersi in questa od in altra somigliante guisa dalle ingiurie dei tempi, e medesimamente a crescere in venerazione appo i devoti. Al che tutto contribuì d’ ordinario la fama di grandi prodigi. (1) Ved. Gerini, Memorie floriche di Lunigiana, voi. 1, pag. 145. (2) Ved. Andrei , Cenni fui Duomo di Carrara, pag. 18. Dove da altro dei libri de’ matrimoni riferisce: « A dì i.° luglio 1737 cadè dal primo arco della chiesa di sant’Andrea il Crocifisso antichissimo, » ecc. (3) Ved. Bini, ‘ìsLoiiiie della chiesa e del Crocififfo di fanta Giulia di Lucca. GIORNALE LIGUSTICO 7 Or questa sorte, ad un bel circa, toccò pure al Crocifisso di Guglielmo, il quale trasferito da Luni come abbiam detto , e per molti secoli collocato presso Γ ingresso della Cattedrale di Sarzana, vi ebbe quindi, nel 1715, cappella ed altare splendidissimi per la munificenza del cardinale Casoni, il quale volle pure che venisse difeso da una tela del Solimene esprimente i Dottori della Chiesa con diversi angioletti, i quali circondano un disco donde la sola testa del Crocifisso si rivela ai fedeli (1). (1) L’uso di tener coperti i Crocifissi per non esporli alla pubblica vista che nelle maggiori festività della Chiesa, od in ispeciali contingenze, è aneli’ esso frequentissimo. Un Crocifisso così coperto serbasi nel Duomo di Massa, nè mi fu possibile vederlo malgrado pratiche fatte a questo scopo; un altro in marmo, e non· antico per quel che mi sembra, vedesi nella chiesa di Torrano, che è un paesello sito alle falde delle cave di Carrara. Nella nostra chiesa di santa Maria di Castello, alla nicchia di quel Crocifisso cui si riferisce dagli storici una pietosa leggenda, non si accede fuorché nei venerdì di marzo, nel venerdì santo e nella seconda festa di Pasqua. Questo Crocifisso medesimo venne trasferito da una cap-pelletta sotto la chiesa di san Silvestro in quella summentovata dopo il citato avvenimento; appunto come si riscontra del Crocifisso di santa Giulia di Lucca, il quale fu posto entro di un tabernacolo dopo V orribile caso del giuocatore, per dirla colle parole del Bini che lo racconta. Che poi i Crocifissi, come precisamente notammo di quel di Guglielmo, solessero tenersi prossimi all’ ingresso delle chiese , noi stessi ne abbiamo tuttodì molti esempi in quelle della nostra città: nella già detta chiesa di santa Maria di Castello, dove è il Cristo détto della Provvidenza come l’altro di Carrara, a sant’Antonio di Prè, a Nostra Donna del Carmine, a santa Maria dei Servi, all’Annunziata in Portoria, ecc. Si dirà forse che questi Crocifissi, ed anche il miracoloso di Castello primamente ricordato, sono scolpiti in legno e non dipinti; e poiché la consuetudine di rappresentare il Cristo di basso o di tutto rilievo, e però staccato dalla croce, non è anteriore al secolo xm o fors’ anco al xiv, se ne dedurrà che per avventura non sono essi i più acconci ed essere prodotti come in prova del nostro assunto. E sia pure nell’ ingenere ; ma alcune delle citate chiese (santo Stefano e santa Maria di Castello) precorrono 8 GIORNALE LIGUSTICO II. TDescri^ione del Crocifijfo e della Croce. Il Cristo di Guglielmo è dipinto a tempera su di una spessa tela raccomandata ad una tavola di noce, la quale è alta metri 2.50, allargasi per un campo di cent. 85, ed ha lo spessore di circa 8 centimetri. La tavola è preparata col gesso, conforme alla maniera del dipingere nei tre secoli dopo il mille, onde trattò il Da Morrona nella sua Pisa Illuftrata (1). La croce però, quanto alla forma, diversifica non lievemente da quelle dei Crocifissi di Giunta in sant’ Anna di Pisa e di Margaritone in san Francesco d’Arezzo, nonché di que’ due che trovansi alla Badia in quest’ultima città, l’uno de’ quali, che è di Giotto, serbavasi prima alla Pieve; e tutte poscia le vince per la ricchezza delle composizioni che ne decorano il fondo. Il perchè, se voglia tenersi conto del tempo in cui venne eseguito, niuno potrà a meno di considerare la detta opera di Guglielmo come un vero sforzo d’ arte; e considerarla tale sì per la facilità onde si vede improntata, si e molto più per la vita che si scorge nella figura del Cristo, si ancora di gran lunga all’epoca di Guglielmo; ed i loro Crocifissi scolpiti possono averne sostituito altri dipinti d’età remotissima. In materia de’ Cristi scolpiti in legno citeremo ancora quello che ve-desi nella chiesa di san Girolamo di Quarto, e l’altro di santa Maria della Costa sopra Sestri-Ponente. Quest’ultimo pende tuttavia dalla volta sovra 1’ ingresso del Presbiterio. (1) Voi. n, pag. 160. Io stesso vidi già in Pisa un Crocifisso ritratto su pergamena distesa sovra uno strato di paglia schiacciata su di un legno, ed il tutto ingessato; e tal Crocifisso, se la memoria non mi tradisce, parmi sia quello di greco artefice, che è allogato in altra delle cappelle in Camposanto. Un altro Crocifisso simile, del secolo xn almeno, è citato dal Ciampi che lo vide nel convento di san Matteo di Pisa; e soggiunge che « dovette esser questo un lavoro molto ammirato » (Ved. 'ZLoti^ie inedite della Sagreflia Pijioiese ecc., pag. 87). GIORNALE LIGUSTICO 9 per la movenza di quelle che fanno parte delle composizioni testé accennate. Il Cristo si direbbe lavorato tutto d’impasto con pochissime ombre, nonché di una sola tinta la quale tende al giallognolo, ed è poco diversa da quella del panno che gli è stretto sui fianchi per mezzo di una fune a più giri, scendendogli fin oltre le ginocchia. Il detto panno è giallo-arancio con rovesci bianchi, e nell’ andamento delle pieghe rivela quel fare che si scorge nelle greche pitture e che fu eziandio lungamente praticato da’ maestri italiani, i quali tolsero a lavorare nella stessa maniera. Nè sarà privo di utilità il notare come la rappresentazione di Cristo nella foggia or ora decritta, segni nelle tradizioni artistico-cristiane come un terzo stadio. Nei primi quattro secoli infatti, ed anche per buona parte del quinto, le croci si adornarono di tutt’altra effigie che di quella di Gesù; ma il più delle volte il Salvatore vi si espresse sotto gli svariati simboli d’ agnello, di pastore, ecc. Di che agli infiniti esempi recati dagli autori, ci piace aggiungere quello di una croce marmorea che vedesi murata ai pie’ della salita dei francescani di Voltri, nel cui mezzo, entro un disco, è scolpito l’agnello col labaro. A Genova abbiamo pure altri e non rari di tal fatta esempi; ma dalla forma e dai confronti che ne abbiamo istituiti, la croce di Voltri ci si rivela per la più antica. Dovette essa per avventura sormontare una colonna, forse quella stessa che è sulla piazza dei detti frati ; ed in tal caso sarebbe da ritenerla per istoriata anche dalla parte la quale al presente ci rimane celata. In altre croci 1’ agnello è rappresentato col noto monogramma del Ψαχ Chrifli sul dorso (i); oltre di che vi hanno figure di Cristo, che recano il monogramma medesimo sopra il capo (2). (1) Martigny, T)ictionnciirc des autiquités chretiennes etc., pag. 226. (2) Id., pag. 234. IO GIORNALE LIGUSTICO Successivamente fu preso bensì a rappresentarsi Cristo in effigie; ma le sue forme si vestirono di una tonaca senza maniche, e lunga quanto la persona. E la pia usanza durò sino alla fine del secolo vm, nel qual tempo, « e molto più ne’ due seguenti (scrive il Bugati), un tal costume cominciò a variare. Imperciocché quella veste che prima copriva tutto il corpo del Salvadore, incominciò a limitarsi dalla cintura in giù a guisa di gonna o sottana, ora più ora meno allungata » (i). Il Crocifisso di Guglielmo è rappresentato in attitudine di persona ritta; e quanto alle proporzioni è da ritenere conforme al vero. Che se forse apparisce alcunché maggiore, ciò dipende dall’ essere la figura estremamente svelta, e dallo avere i piedi distesi quasi a perpendicolo sul suppedaneo. L’ uso del suppedaneo non si riscontra , a detta del Buonarruoti, nella maggior parte, delle immagini antichijjime di Crocififfi (2); ma all’ opposto il medesimo autore ci assicura assai vetusto e generale essere stato il costume di esprimere il Cristo confitto al tronco con quattro chiodi. Il perchè si avvisa « che 1’ uso odierno di fare all’ immagine de’ Crocifissi i piedi soprapposti l’uno all’altro, e di rappresentarli confitti con un sol chiodo, s’introducesse intorno ai tempi della restaurazione delle arti, avendogli fatti in tal forma, fra gli altri, Cimabue e Margaritone ne’ loro gran Crocifissi dipinti che sono in Firenze nella chiesa di santa Croce (3). Ha inoltre il nostro Crocifisso la testa alta e gli occhi aperti, i quali mostrano la pupilla di forma elittica: forma non rara in dipinture di quella età (4). Sul mento ha poca (1) Bugati, Delle reliquie di fan Celfo martire ecc., pag. 178. (2) Buonarruoti , Offerva^ioni fopra alcuni frammenti di vafi antichi ecc., pag. 266. (3) Id-> Pag· 264. (4) Una tavola del secolo xn, presso di me, esprimente la B. Vergine col putto ς dipinta all’encausto, presenta per l’appunto siffatta forma di GIORNALE LIGUSTICO barba di colore castagno, e radi sono pure i mustacchi (i); i capelli scendono sugli omeri con bello andamento, e si direbbero accennati da pochi tratti se non vi avesse luogo a sospettare che gli anni ne abbiano pur cancellata una parte. La bocca tende nella sua forma a descrivere un arco, ed è semiaperta come di persona che parli; le labbra si tingono di un rosso-cinabro vivissimo. Insomma tutto il carattere della testa si allontana da quello dei più noti Crocifissi eseguiti non solamente nel secolo xii, ma anche nel xm; oltre di che per la sua espressione, non disgiunta da una certa vivacità, si scosta da quella forma che si direbbe consueta, e pupille. La detta tavola, alta cent. 65 per 45, è lavorata a tratteggi sul fare delle opere di Rico di Candia. (1) Non pochi fra gli antichi artefici espressero anche Cristo col volto affatto raso. Cosi, ad esempio, può vedersi in tal guisa in un vetro della Vaticana prodotto dal Boldetti (Offerva^ioni ecc., pag. 189) e dal Garrucci (Vetri ornati di figure ecc., pag. 103, tav. xvi, nuni. 5); in una miniatura dell’Evangelistario di Carlo Magno della Biblioteca del Louvre (Ved. L’art du moyen àge etc., pag. 461); in altra del ‘Regifiro dell’Abbazia di Hide, dove sono espressi il re Canuto e la regina Algisa con la gloria celeste (Ved. Strutt, lAnghterre ancienne etc., voi. 11, tav. 28); in un fresco dell’ xi secolo della cappella di Montoire presso Vendome (Ved. Didron, . venvs victrix. Venere in piedi a sinistra, tenendo un elmo ed uno scettro. Nel campo la lettera h (1). 21. Domenica. 22. Nel progresso degli scavi si raccolgono molti pezzi di vetri colorati, di tazze in terra nera senza cottura d ogni forma e dimensione, e così pure degli avanzi di idrie in terra cotta rossastra con grandi manubrii. Rinvengonsi anche dei grossi embrici alcuni de’ quali recano lo stampo della fabbrica. Componesi questo d’ alcuni semicerchi; e fu già notato dal Varai, che avverte pure rinvenuti parecchi di tali mattoni « in una località fra il cavalcavia che s incontra a breve distanza dal Teatro e questo edificio ». Indi soggiunge: « Evidentemente la fabbrica della quale faceano parte doveva (1) Ved. Cohen, num. 87. GIORNALE LIGUSTICO 51 essere contemporanea al Teatro stesso ed anche destinata ai suoi servigi, se si consideri che alcuni frammenti di embrici con eguali marche trovai pure in un ripostiglio sotto la scena » (i). 23. Nessun trovamento notabile. 24. Si esplorano due chiaviche od acquedotti. L’ una corre sull’asse del Teatro dall’ingresso principale di questo edificio per una lunghezza di metri 10, oltre i quali è rovinata. L’ altra si apre sul lato destro, e procede in senso obliquo verso la scena. Riapparisce quindi verso quest’ ultima e si protende per una fuga di ben 54 metri nella direzione del-1’ Anfiteatro, attraversando il Campo dei dadi, cosi detto dai contadini per la moltitudine de’ tasselli vitrei e marmorei che vi si scopersero. Sembra che le acque di tale chiavica si scaricassero poi nel vicino %io della Pieve. Tra gli oggetti rinvenuti, si accenna una fibula in bronzo che si termina con una testina di serpe. 25-26. Feste di Natale. 27. Si estraggono dal terreno degli avanzi di vasi fittili neri, e di tazze rosse aretine, ecc.; ed il seguente mezzo bronzo di Ottavio Augusto: caesar pont. max. Sua testa laureata a destra. — 1$. rom. et avg. Altare ornato di figure tra due colonne, ciascuna delle quali è sormontata da una Vittoria (2). Rinviensi pure una chiave in ferro, c.Ja lunghezza di otto centimetri e della forma consueta appo i romani, raccomandata a due maglie dello stesso metallo. 28. Domenica. 29. Lo scavo mette allo scoperto molti pezzi di intonaco colorato di giallo, di rosso cupo e d’ altre tinte. Ne a\ea già notati il Varni; il quale perciò espresse la opinione che (1) Varni, ^Appunti di diverse gite nel territorio dell’ antica Libarna; Parte II, pag. 42. Genova, Sordo-muti, 1873. (2) Cohen, num. 276. 52 GIORNALE LIGUSTICO « tutta la scena dovesse essere coperta di uno strato di calce dipinta, come- scorgesi essere stato praticato nel Teatro di Pompei, e parimente in tatti quei simili edifici che non erano adornati con marini, secondo rilevò il Canina a proposito del Teatro di Tusculo » (i). Può anche credersi che fossero nella stessa guisa dipinte le pareti delle gradinate. 30. Presso al postscenio scopresi il muro di un edificio attenente al Teatro, e che si estende anche alla finitima proprietà della Mensa Parrocchiale. 31. Dall’ambulacro si estraggono marmi, latercoli e pietre arenarie. ^Continua) SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 39) IV. Sezione di Storia. Tornata del 10 gennaio 1874. “Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Belgrano legge a nome dell’ autore e socio Giambattista Brignardello la seguente scrittura intitolata: Michele Allerto Bancalari delle Scuole Pie, Professore di Fisica nella R. Università di Genova. Che le scienze esatte avvezzino la mente a fermarsi sopra la ricerca del vero fino a che sia noto per evidenza, e dispongano l’intelletto al buon raziocinio ed all’ amore di quella verità, che è appunto il fine dell’umana filosofia, non v’ha chi noi sappia. Tale principio, conosciuto dagli antichi, ebbe (1) Varni, loc. cit.; Canina, L’ antico Tusculo, pag. 122. GIORNALE LIGUSTICO 53 non pochi cultori in questa nobilissima parte del nostro bel Paese, nella Liguria. E per verità avvi una eletta schiera di fervidi ingegni, i quali, per la maggior parte nella solitudine dei chiostri, con pazienti studi scrutando i segreti della natura, tramandarono a noi preziosi scritti, onde vanno anche oggidì celebrati. E una pagina di lode hanno nella Storia della patria letteratura (i) Domenico Sauli e il Beato Alessandro figlio di lui, Clemente Serravalle, Domenico Ceva, Giorgio Del Carretto, Oberto Cantone, Basilio Spinola, Agostino Pallavicini, Gregorio De’Ferrari, Gio. Battista Baliani, Orazio Grassi, Filippo Maria Bonini, Bartolomeo Gandolfi, Giacomo Garibaldi, Michele Alberto Bancalari. Di costui io qui intendo particolarmente discorrere. Michele Alberto Bancalari nacque in Chiavari da Benedetto onesto negoziante e proprietario, e Giovanna Bacigalupo, il 20 febbraio 1805. Nel patrio Collegio degli Scolopi attese allo studio delle umane lettere e della Rettorica, e fra tutti i compagni, benché ve ne avessero di preclari per ingegno e per istudio, egli di gran lunga andò distinto. Alla R. Università di Genova applicò alle filosofiche discipline, ed ottenne il plauso di quel dotto consesso. Nel 1825 si ascrisse tra i figli del Calasanzio, fra i quali fu accolto con sommo giubilo, e specialmente da Chi allora trovavasi preposto al governo della Ligure Provincia, il quale era conscio del grande acquisto che 1’ Ordine aveva fatto : nè fallirono le speranze che nel Banca-lari erano state riposte. Il P. Vincenzo d Adiego, generale del 1’ Ordine, ardentemente cercava un abile soggetto che istruisse nella fisica e nella matematica gli alunni del celebre Collegio Nazareno; e conosciuto il valore del Bancalari in co-teste discipline, immantinente lo chiamo a Roma, ed eDli vi si recò il novembre del 1826. Ed eccolo nella eterna città, (1) Ved. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, tomi IV e λ . 54 GIORNALE LIGUSTICO nel primo Collegio dell’ Ordine, con un onorevole e difficile mandato da compiere, e in età appena di venti anni! Ma egli non vien meno alla aspettazione dei superiori, e mostra coi fatti quanto saviamente si erano in lui apposti. Poiché a tutt uomo volgendo la mente alla istruzione degli alunni, costoro ricavarono dal di lui insegnamento tanto utile, che più volte alla fine degli scolastici ludi addimostrarono, difendendo nei pubblici esperimenti le proposte tesi', tale maestria e tanta copia di dottrina da meritare i plausi dei più dotti personaggi del clericato e della culta società romana. Carlo Felice Re di Sardegna· avendo con onorevolissimo diploma restituiti nel 1829 gli Scolopi al governo del R. Collegio di Oneglia, fu tosto cura dei moderatori dello stesso di provvedere al lustro del novello Istituto con dotti insegnanti. E primieramente da Roma vi fu inviato il Bancalari, il quale in breve si attirò l’amore e l’ammirazione degli alunni e dei cittadini. Ordinato sacerdote, a gara fu domandato ai superiori dai collegi di Finale, di Carcare e di Chiavari a fine di richiamarvi in onore gli studi filosofici; e diligentemente adempì ai voti di ognuno, provvedendo o aumentando ovunque, e specialmente nell’istituto chiavarese, di nuovi istrumenti il gabinetto di fisica. Mentre egli stava tutto intento a investigare i segreti della natura e ad esperimentare le forze del magnetismo e della elettricità, novella prova di onore lo attendeva. Morto nel 1846 l’illustre ab. Giacomo Garibaldi professore di fisica nel Ligure Ateneo, il voto unanime dei cittadini designò a succedergli il Bancalari, e il desiderio della eletta cittadinanza genovese fu pago. Con R. Decreto datato il 9 giugno di quello istesso anno, fu nominato professore reggente la cattedra di fisica generale e sperimentale, e direttore del gabinetto di fisica e dell’ osservatorio meteorologico; e con altro del 26 agosto 1848 GIORNALE LIGUSTICO 55 venne confermato professore effettivo. E in questa nuova sede della scienza la fama del di lui predecessore non gli nocque, ma confermò quella che già meritamente aveasi acquistata. L’ amore che il P. Michele Alberto Bancalari portava ai prediletti suoi studi, non distolse giammai Γ animo di lui dai doveri che gli derivavano dallo essere ascritto tra i figli del Calasanzio. E primierameute stavano in cima dei suoi pensieri un sincero e costante amore per Γ Istituto medesimo , ed un assiduo e ardente studio di promuoverne il decoro e la fama. Pertanto egli si rammaricava fortemente, e la mestizia che traspiravagli dal volto chiaramente lo addimostrava, ogniqualvolta udiva che qualcuno dei religiosi abbandonava il sodalizio per apostasia, o anche con licenza per un tempo indeterminato. Ogni giorno adempiendo con zelo ai doveri del sacerdotale ministerio acquistava novella virtù nella fede, e confortavasi a dirigere altri nel cammino della evangelica perfezione. Quindi tu lo vedevi istruire nel catechismo gli alunni, ed assistere sempre a tutte le ecclesiastiche funzioni solite a celebrarsi nella chiesa dello istituto. Per natura ed a cagione di studio fuggiva i convegni anche i più onesti, nò mai si mostrava in pubblico anche per ristorare con necessarie passeggiate il corpo affievolito dal lungo vegliare sui libri; e per quasi otto anni che fu in Oneglia, nessuno lo vide uscire dal collegio : costumanza questa che giammai abbandonò, eccettuati gli anni ne’ quali essendo professore in Chiavari, soleva recarsi nelle ore vespertine a visitare il vecchio suo genitore. Nel 1846 sedette fra i dotti convenuti in Genova all’VIII Congresso, e nella sezione delle scienze fisiche ebbe importanti uffici. Nella tornata del 15 settembre fu incaricato di assistere alle esperienze del prof. Majocchi, relative alla origine della elettricità voltaica. Ed in quella del 23 avendo il 56 GIORNALE LIGUSTICO presidente Amici nominata una Commissione incaricata della redazione di un nuovo corso di fìsica; per gli Stati Sardi furono eletti membri della medesima i professori Bancalari e Botto. Altre onorifiche incombenze gli furono del pari affidate durante il Congresso. Ma dove brillarono viemaggiormente lo ingegno ed il sapere del Bancalari fu al Congresso degli scienziati tenuto in Venezia nel 1847; là fu anzi il campo del suo principale trionfo. A quella eletta schiera di dotti fìsici nostrani e stranieri comunicò egli la sua scoperta sul diamagnetismo dei gas, che gli valse la stima e Γ ammirazione dei più rinomati fìsici della nostra età. Nella tornata del 21 settembre a quello stesso Congresso fu nominato membro di una Commissione permanente, con facoltà di associarsi altri del suo paese, per le osservazioni da farsi sulla proposta dei parafulmini pei bastimenti da guerra e di commercio. Alieno dagli onori, cionondimeno dovette sobbarcarsi per un triennio, mercè l’unanime voto dei suoi correligiosi, al governo della Ligure Provincia; e come accettò umilmente 1 ufficio così il sostenne con diligenza somma, fortezza d’ a-nimo e prudenza; ma poi con calde «preghiere supplicò di esserne dispensato appena ebbe cognizione che l’onorevole mandato gli si voleva confermare. Fu socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino, e di altri illustri consessi ; e legato in amicizia cogli scienziati più insigni italiani e stranieri, i quali venivano a visitarlo ed ammirarne il sapere ogniqualvolta passavano da Genova. Il parigino Despretz recatosi per breve tempo nella Ligure Metropoli e trovando assente il Bancalari, andò a fargli visita alla campagna, ove questi dimorava a fine di ristorare in un clima più puro e salubre le abbattute forze. Dovette pure accettare la decorazione dell’ ordine equestre dei ss. Maurizio e Lazzaro, che S. M. Vittorio Emanuele II, con decreto del 24 gen- GIORNALE LIGUSTICO 57 naio 1856 avevagli largito; che allora assai parcamente e al solo vero merito conferivasi. Un grave morbo, la podagra e la chiragra, travagliava da molti anni, e specialmente nell’ultimo decennio di sua vita, il professore Bancalari; il quale perciò ottenne con R. Decreto datato il 3 dicembre 1863 di essere collocato a riposo. Ma la penosa malattia crebbe con maggiore intensità l’anno successivo, ed in breve tempo lo trasse al sepolcro. Con eroica fermezza egli sostenne quest’ ultima prova : oppresso dagli acutissimi dolori che lo martoriavano non mai si perdette d’animo, ma confortandosi nella religione della quale era stato sempre diligente osservatore, sereno di mente volgeva di frequente fervide preci a quel Dio che affanna e che consola; nella lunga agonia accompagnò, per quanto le forze glielo consentivano, le preci del sacerdote, e morì esempio di cristiana rassegnazione a tutti gli astanti, il 10 agosto 1864. Appena spirato, il suo corpo prima deforme pei sofferti patimenti, parve acquistare un novello aspetto, una bellezza celestiale: fu sepolto nella chiesa del suo ordine, nella tomba comune ai religiosi. Il professore Bancalari fu di statura mediocre, di bello aspetto, di indole austera e recisa, di modi generosi e cortesi, di pochi amici, ma schietti e costanti. Profondo nello insegnamento e severo, abbisognò di uditori capaci e d’ingegno, nonché docili ed attenti. Ebbe facile ed elegante il discorso: non una parola inutile o vana usciva dal suo labbro; ma era sempre chiaro e preciso come se leggesse uno scritto. Sebbene coltivasse di preferenza e con passione la fisica, fu parimente uomo di buone lettere e di svariata dottrina, e perito eziandio nella filosofia razionale che insegnò difatti con plauso per molti anni. Ora è nostro compito dire qualche cosa degli scritti che di lui ci rimasero ; e sono i seguenti : 5 58 GIORNALE LIGUSTICO X. ‘Della capacità degli atomi composti. Nota inserita nelle Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, serie II, tomo XIII, e pubblicata per estratto coi tipi della Stamperia Reale in Torino 1’ anno 1852. 2. Della natura delle forze molecolari di aggregazione. Nota 1 novembre 1852. Genova, Stabilimento tipografico Ponthe-nier. 3. Memoria seconda intorno alle forze molecolari dei corpi. Genova, coi tipi del R. Istituto de’ Sordo-Muti, 1861. 4. Memoria terza, ecc. Genova, tip. id., aprile 1862. Nella Nota sulla capacità specifica degli atomi composti, il Bancalari partendo dalle idee generalmente ammesse sulla composizione atomica dei corpi composti e sul valore dei pesi atomici dei corpi semplici e composti, formulò con altri fisici e dimostrò la legge importante che il calorico specifico del-Γ atomo di un corpo composto è espresso dalla somma dei calori specifici degli atomi semplici, che concorrono alla formazione dell’ atomo composto. Le esperienze di De-La-Roche, Berard e Regnault gli porsero elementi per la conferma di questa legge. La Nota Della natura delle forze molecolari di aggregazione, è la prima di tre importanti memorie sulle forze molecolari dei corpi. In questa egli cerca di interpretare la natura della forza ripulsiva molecolare; ritenendo che la attrattiva segua la ragione inversa dei quadrati delle distanze, e partendo dalla conosciuta legge di Mariotte, deduce che le forze di ripulsione seguono la ragione inversa dei cubi delle distanze. Note così le componenti della forza molecolare, deduce che la risultante di queste due forze, dalla quale dipende lo stato di equilibrio fra le molecole dei corpi, segue la ragione diretta dei decrescimenti o degli accrescimenti lineari, e la ragione inversa dei cubi delle distanze. Esamina quindi i caratteri principali di questa risultante per diversi casi particolari, e specialmente GIORNALE LIGUSTICO 59 per le trazioni e pressioni cui possono essere sottoposti i corpi della medesima natura. Introducendo nella espressione analitica di questa legge lo elemento della massa molecolare, la trasforma in modo da renderla applicabile anche pei corpi di natura diversa. E questo e il soggetto della seconda Memoria, nella quale si occupa specialmente del confronto fra le forze meccaniche e termiche atte a produrre eguali dilatazioni in isbarre metalliche di natura diversa e considerate ad una temperatura iniziale costante. Nella terza Memoria finalmente, partendo ancora dalla preaccennata forinola fondamentale e dai risultati conseguiti nella seconda Memoria, stabilisce nuove relazioni fra le quantità di calore assorbito da un corpo e 1 effetto della dilatazione prodotto nel suo passaggio da una ad altra temperatura. Queste Memorie vennero dettate dal Bancalari fra i dolori e gli spasmi i più atroci; e certamente se la malattia che tanto 10 martorio e si presto lo trasse al sepolcro gli avesse data un po’ di tregua, il problema della costituzione dei corpi sarebbe stato da lui abbastanza illustrato. Dissi che al Congresso degli scienziati tenuto in Venezia 1’ anno 1847 lo ingegno ed il sapere del Bancalari fecero bella mostra, ed egli raccolse una buona messe di allori quando nell adunanza del 21 settembre annunziò la sua scoperta sul diamagnetismo dei gaz, intorno alla quale fu differita la discussione alla successiva adunanza. Già da vari anni io faceva indagini per conoscere presso di chi erano restati gli Atti di quel Congresso, i quali sono inediti (chè allora fu pubblicato 11 Diario soltanto), e vedere ciò che era stato detto intorno alla scoperta annunziata dal Bancalari, e non fosse ancora conosciuto per le stampe. Ma le mie indagini rimasero senza effetto sino al 22 settembre 1870, in cui ricevetti da Venezia una lettera di quel direttore del R. Archivio onerale *D 6 ο GIORNALE LIGUSTICO dei Frari, il compianto cav. Tommaso Gar, il quale gentilmente trascrivevami la Nota inserita nel num. 14 del Diario del Congresso e che appunto è il rapporto della Commissione incaricata di dare il giudizio sulla scoperta del Bancalari. Soggiungeva -inoltre che alcune memorie lette in quel Congresso vennero pubblicate in diversi giornali, p. e. in quello di Statistica del Sacchi, ma altre molte rimasero presso il presidente generale, principe Giovanelli, 0 presso del segretario generale Lodovico Pasini 0 dei vari presidenti di sezione, la maggior parte defunti, sicché era difficile 0 impossibile il ricuperarle tutte. Se non che, morto qualche tempo dopo il senatore Lodo-vico Pasini, il nipote di lui Eleonoro, deputato al Parlamento nazionale,, cedendo alle preghiere del direttore del R· Museo di fisica e storia naturale di Firenze, prof. comm. Filippo Pai-latore, consegnava a questi, nel settembre 1872, quelle fi a le carte degli Atti del citato Congresso che erano presso lo zio, le quali furono depositate al Museo predetto e nello Archivio degli Atti dei Congressi scientifici, secondo è prescritto dal-Γ art. 14 del Regolamento generale di siffatte riunioni, appi cavato nella prima adunanza generale degli scienziati tenuta in Pisa il 15 ottobre 1839. 1° debbo quindi al eh. prof. Parlatore, e colgo l’occasione per rendergliene pubbliche grazie, la comunicazione di quegli Atti, fra i quali fui lieto di rinvenire il verbale dell’adunanza tenutasi dalla sezione di fisica, matemetica e meccanica il 22 settembre 1847, nella quale appunto ebbe luogo la importante discussione sulla comunicazione (chè non lesse in proposito veruna memoria) fatta il giorno precedente al Congresso dal professore Bancalari. La quale discussione eh’ è inedita io trascrissi fedelmente, ed <~ del tenore seguente. « Si apre la discussione intorno alla memoria del prof. Bancalari sulla universalità del magnetismo. Il cav. prof. Belli en- GIORNALE LIGUSTICO 61 comiata la serie di esperienze del prof. Bancalari, esprime il desiderio che alcune di esse, e segnatamente quella diretta a mostrare l’azione della calamita sulla fiamma, siano ripetute da un’apposita Commissione, perchè gli nasce il dubbio che l’esperienza in cui si ottiene colla calamita il movimento della bolla d’aria in .mezzo all’ acqua nel tubo vitreo non valga ad accertare un’ azione del magnetismo sull’ aria, potendo il movimento della bolla dipendere da un’ azione sul liquido in quella guisa che lo spostamento dell’ aria nei livelli a bolla prodotto da un corpo caldo vicino dipende, giusta la spiegazione dello stesso prof. Belli, da un’ azione del calore sul liquido che fiancheggia la bolla e non sul fluido della bolla medesima. Il prof. Wullerstorf ricorda le esperienze di Arago intorno al-1’ azione dei liquidi sugli aghi magnetici oscillanti. Il professore Cattaneo raccomanda la proposta del prof. Belli, notando che le esperienze di Farady negano alla calamita ogni azione sui gas, ond’ è ragionevole il dubbio che il movimento accennato della bolla d’aria avvenga per un’azione sull’acqua, e che invece le apparenze della fiamma, mutabili secondo che le ancore vicine sono o non sono magnetiche, sembrerebbero manifestare un’ azione diretta del magnetismo sui gas. Il Presidente avvisa che in tale esperienza si abbia riguardo alle modificazioni di forma e di luce della fiamma che fossero per avventura dovute all’ azione degli oggetti vicini ; potrebbe essere per esempio che le armature della calamita funzionassero da camminetti per 1’ aria molto riscaldata e però modificassero la fiamma. Onde spiegare poi le disposizioni assiale ed equatoriale che prendono nell’ aria le diverse sostanze collocate ira i poli della calamita, anticipa la congettura che si debbano ripetere non da un’ azione attrattiva o ripulsiva dei due poli, ma da una prevalente attrazione del magnetismo sulla sostanza o sull’ aria ambiente , con che cesserebbe la difficoltà di ammettere, com’ è necessario nell’altra ipo- 62 GIORNALE LIGUSTICO tesi, una ripulsione di ambidue i poli per una medesima sostanza. » Il prof. Cattaneo confessa che' da tempo egli avrebbe tenuta questa idea in conto di verità, se non si fossero opposte le sperienze di Farady circa la mancanza d’ azione della calamita sui gas. E l’idea eragli occorsa al vedere come talvolta la medesima sostanza prendesse la posizione ora assiale ora equatoriale, venisse cioè ora attratta ora respinta da ciascun polo della calamita secondo la diversa natura del mezzo ambiente. Gli parve anzi potersi spiegare con questa idea tutti i movimenti osservati, d’una maniera simile a quella con cui si spiegano i vari moti che prendono per rispetto alla terra i corpi pesanti sui fluidi pesanti. Nel mezzo che circonda uno dei poli dèlia calamita egli immagina un così fatto sistema di superficie che tutti i punti delle medesime superficie-siano egualmente attratti, e che la intensità dell’ attrazione diminuisca al crescere della distanza che le superficie hanno dal polo. E senza anticipar nulla sull’ origine di tale attrazione, provenga essa da stato elettrico indotto in ciascun atomo del mezzo o da altro, ammette che a poca distanza e posizione rispetto al polo, la grandezza di quell’ attrazione sia specifica, cioè cambii colla natura del mezzo o in generale dell’ atomo materiale situato in quel punto dello spazio che si considera. Se ora si immagina collocata presso il polo una sostanza per la quale 1’ attrazione magnetica sia specificamente minore che pel fluido ambiente, è chiaro che la sostanza tenderà ad avvicinarsi al polo con una forza minore della risultante delle pressioni esercitate su tutta la sua superficie dal fluido stesso, la quale risultante tende ad allontanare la sostanza dal polo ; e in questo caso il moto simulerà 1’ effetto di un’ azione ripulsiva. Applicando il principio al caso in cui entrambi i poli della calamita agiscano sulla sostanza ridotta a forma allungata, si rende ragione GIORNALE LIGUSTICO 63 di tutte le posizioni assiali ed equatoriali osservate da Farady nei liquidi. Ma Γ edificio cade quando il fluido ambiente è un" gas, s’egli è vero che il magnetismo, come conchiude il Farady non abbia sui gas nessuna influenza; però si potrebbe ricostruirlo se per le sperienze del prof. Bancalari fosse ri-convinta di falso questa conclusione del Farady. » Chiusa la discussione il Presidente elegge una Commissione a ripetere ed esaminare le esperienze del prof. Bancalari, formata dei signori prof. cav. Belli, Cattaneo, Perego. » Il Presidente: Prof. Luigi Magrini. ÌProf. Bernardino Zambra Prof. Vincenzo Gallo Prof. WULLERSTORF ». Ed ecco ora, come si trova del pari negli Atti, il Rapporto della mentovata Commissione, letto tre giorni appresso alla medesima Sezione. « La Commissione incaricata di assistere alle esperienze del signor ab. Bancalari, professore di Fisica nella R. Università di Genova, da lui descritte nella seduta del 22 corrente, e in ispecie a quella tra esse la quale mostra Γ azione del magnetismo temporario sulla fiamma, si raccolse ieri mattina, giorno 24 corrente, nelle Camere del Segretariato della Sezione Fisica-Matematica, ove esso signor Bancalari, munito di apparecchi somministratigli dal signor Wullerstorf, aveva fatti gli opportuni preparamenti. Oltre la Commissione assistevano agli esperimenti il Presidente della Sezione nostra signor Magrini, i Vice-Presidenti Minich e Minotto, i Segretari Gallo, Zambra e Wullerstorf e i membri Frisiani e Turazza. » L’apparecchio consisteva in una calamita temporaria a ferro di cavallo, attivabile da una pila alla Bunsen di nove coppie, 6 4 GIORNALE LIGUSTICO e sui poli della quale rivolti all* alto riposavano, a guisa d’ àncore, due pezzi di ferro dolce che si potevano avvicinare e allontanare l’uno dall’ altro. Dinanzi allo spazio vano interposto fra cotali due pezzi si poneva la fiamma di una candela; quindi si chiudeva e dopo alcuni secondi si riapriva il circuito elettrico , stabilendo cosi e poscia ritogliendo il magnetismo temporario. E tutti con piena soddisfazione e in una maniera evidentissima vedemmo, che ogni volta che veniva messa in giro la corrente la fiamma mostrava di sentire dai due pezzi di ferro, un’azione ripulsiva, venendo respinta alcun poco all’infuori, e che quest’ azione cessava immediatamente al ritogliersi della corrente. E collo allontanare l’uno dall’ altro i pezzi di ferro si vide non essere questo un effetto diretto o immediato della corrente istessa sulla fiamma, ma bensì un effetto diretto o o prossimo del magnetismo eccitato da essa corrente, la quale da sola, e senza i pezzi di ferro dolce resi magnetici, non era capace di alterare la fiamma. E qualche effetto, ma più debole, parve che si manifestasse anche sul fumo. » Noi dobbiamo qui richiamare per amor del vero che la possibilità di un’ azione del magnetismo sulla fiamma non è pensiero novissimo, essendo stato esternato da uno dei membri intervenuti al Congresso di Genova, il signor Codde; però gli esperimenti di lui erano afflitto inconcludenti, parendo a tutti eh’ egli attribuisse a magnetismo Γ effetto della facolta conduttrice de’ metalli. E perciò ci sembra che l’esperienza del signor Bancalari sia la prima la quale ponga fuori di dubbio questo importante fatto ; il quale apre un nuovo campo alla scienza, e stabilisce quasi certissima 1’ azione del magnetismo sui fluidi aeriformi; azione già negata dal grande Farady che aveva pure tentato su ciò un gran numero di esperienze. » Venezia, 25 settembre 1847. » Belli — Perego — Cattaneo ». GIORNALE LIGUSTICO 65 Volli trascrivere dal suo originale anche questo Rapporto, perchè nel Diario del Congresso si legge con qualche variante, che io credo importi assai di notare, poiché la redazione del testo da me prodotto riesce a maggior lode del Bancalari. Difatti mentre la copia a stampa dice « che la possibilità di un’ azione del magnetismo sulla fiamma non è pensiero nuovo, ecc. », e che però «gli esperimenti del signor Coddè non si credettero bastevoli a conchiudere, ecc. » ; nel manoscritto autografo leggesi invece: « che la possibilità di un’ a-zione, ecc. non è pensiero novissimo », e si constata che gli, esperimenti del signor Coddè erano affatto inconcludenti ». Le quali ultime parole suonerebbero meglio, perchè di fatti le esperienze del dottor Luigi Coddè di Mantova furono inconcludenti, come risulta dagli Atti del Congresso di Genova, pubblicati nel 1847 in codesta città coi tipi Ferrando. Ne’ quali Atti (1) leggo come il Coddè nella seduta del 25 settembre dichiarasse: « avere scoperto un nuovo fenomeno di relazione fra il magnetismo e la luce ... Dice che se si approssima una calamita a ferro di cavallo alla fiamma d una candela, questa aumenta in lunghezza ed in intensità di luce, ed il fenomeno è tanto più sensibile se il polo prossimo alla fiamma è l’australe ». Quindi nel verbale della riunione del di successivo è scritto: « Approvato il processo verbale della precedente tornata, il Presidente annunzia alla Sezione che appena sciolta 1’ anzidetta riunione recatosi nel- 1 attiguo gabinetto di fisica, procurò di ripetere l’esperimento per produrre il fenomeno la cui scoperta era stata annunziata dal signor Coddè, seguendo le norme da lui medesimo indicate; ma che non ottenne 1’ effetto dichiarato. Invitato pochi istanti dopo lo stesso signor Coddè, che per avventura si trovò reperibile, a riprodurre 1’ esperimento, non (1) Pag. 299-300. 66 GIORNALE LIGUSTICO conseguì egli stesso più di ciò che il Presidente aveva otte nuto. Osserva in proposito il prof. Orioli, che forse il signor Coddè era stato indotto in errore da una illusione ottica, giacché per la conducibilità del metallo la presenza della calamita raffreddando la fiamma rendeva imperfetta la. combustione, e quindi doveva allungarsi la colonna di fumo con perdita nell’intensità della luce. Il Presidente dichiara esseie stata appunto cosiffatta l’apparenza che si scorse, ed aveie egli stesso avanzata la medesima osservazione al signor Coddc. In conferma di ciò soggiunse il prof. Elice di avere aneli egli ripetuta l’esperienza con calamita a ferro di cavallo, con sbarre metalliche, e di aver sempre ottenuto il semplice fe nomeno osservato dal Presidente ». Adunque la gloria principale derivò al prof. Bancalari dallo avere egli pel primo riconosciuto il potere diamagnetico della fiamma; e questo onore gli tributarono tutti gli autori di trattati di fisica nostrani e stranieri, Botto, Majocchi, Luvini, Pouillet, Becquerel, De la Rive, Jamin, Ganot, Da gnin, ecc. Quest’ultimo, dice: « Per la scoperta curiosa del P. Bancalari, Farady fu condotto a riprendere la riccica su diamagnetismo dei gas ». Pertanto potrebbesi conchiudere che il Bancalari fu il primo ad osservare la ripulsione, eseicitata dalle forti elettro-calamite, delle fiamme e del fumo delle lam pade, quella dei vapori d’ acqua e d’alcool; e che con questa scoperta egli aprì la via a nuove ricerche sul diamagnetismo medesimo, istituite specialmente da Zantedeschi che confermo i risultati del Bancalari, da Farady, da Edmondo Becquerel, da Plucher e da Matteucci. Il nome di lui aggiunge una nuova pagina gloriosa alla storia della ligure letteratura non solo, ma di Italia tutta. giornale ligustico 67 V. Sezione di Archeologia Tornata del 17 gennaio. ‘Presidenza, det Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio Sanguineti proseguendo la sua relazione sui frammenti epigrafici comunicati dal cav. Cesare De Negri-Carpani,· ragiona di cinque iscrizioni latine. L una di esse non presenta nella prima riga superstite altro che 1 avanzo di due ll e di un v; ma su questa reliquia il riferente costruisce un sacellvm , con cui armonizza Γ unica parola della riga disotto che è atrivm, ed il frammento del- 1 ultima che è sa sva, da leggersi impensA sva. Nè dubita di rilevare esser questa un’iscrizione monumentale, cioè di un particolare che o ristorò o costrusse un santuarietto col suo atrio e con quel di più che poteva essere indicato in ciò che è perito dalli? lapide. I bei caratteri accennano ad un’ e-poca ancora di buon . gusto, e dall’ iscrizione argomentando dell edifìzio si può credere che questo fosse condotto con eleganza. Nella seconda non si legge che deareg, e sotto pectvs. Dice il Sanguineti doversi quelle prime lettere dividere in dea regina, ed essere perciò il caso di una epigrafe deprecativa. Tra 1 immensa schiera delle Dee mitologiche nomina quelle poche che si trovano insignite di questo titolo, ed afferma che quando non è espresso il nome della Dea, ma questo solo titolo, si deve intendere Giunone regina per antonomasia. Segue la terza quasi intiera, e della quale quel poco che fu danneggiato dal tempo si può facilmente supplire. È un Q. Valerio Vero che pone il monumento alla moglie Griso; gona; dai quali nomi il relatore argomenta 'sulla patria e la primitiva cfondizione di questa donna. 68 GIORNALE LIGUSTICO L§ due rimanenti sono cristiane; ma la prima tolta ad esame, è rotta obliquamente a cominciare dall’ alto della destra, discendendo al basso della sinistra di chi legge. Da ciò che rimane di parole tronche rilevasi che questa iscrizione è dedicata a due soggetti morti 1’ anno stesso, non il medesimo giorno; e di uno fra essi si è, salvato il nome, che è Albino. Questa iscrizione, per quanto mutila, non manca di avere una certa importanza, da che accenna al Consolato di Simmaco. Siccome però quattro personaggi di questo nome figurano nei Fasti Consolari, rimarrebbe dubbio qual di essi fosse quello che è nominato in questa epigrafe. Il relatore fra i quattro dà la preferenza a quello del 485 , che fu in Occidente e senza collega, e assegna le ragioni che militano m favor di questo ed escludono gli altri. Proposte poi alcune induzioni sulla parte mancante, passa all’ultima iscrizione, che è dedicata ad una fanciulla settenne per nome Crescenzia. Anche questa pietra è rotta d’ alto in basso e mancante del principio d’ogni riga: non manca però d’interesse portando seco indubitatamente la sua data nel nome dei consoli del-1’anno 434. È vero che è nominato un solo, Aspare; ma è anche vero che prima di questo nome vi è un et che congiunge il primo col secondo. Quel primo andò perduto colla frattura del marmo; ma i Fasti ci fanno conoscere essere stato * Ariovindo. Il socio Belgrano presenta la copia di un documento trasmesso alla Società dal prof. Guglielmo Heyd Bibliotecario di Stoccarda, e concernente le contese tra Venezia, Genova e Pisa. Osserva come la rinunzia che, dopo la prima crociata dei latini contio Costantinopoli, fece dell’isola di Creta a’veneziani Bonifacio di'Monferrato, rinfocolò d’un tratto le discordie tra la Signoria di San Marco e quella de’ genovesi. « Le quali come parvero assai prossime a degenerare in aperta guerra, in ispecie dopo le ardimentose e ben riuscite spedizioni di En- giornale ligustico 6 9 rico Pescatore, così persuasero ai veneti l’opportunità di fortificarsi per tempo con acconce alleanze. Nè tra queste potea cercarsene alcuna che si chiarisse più solida della pisana. » Se non che la stessa Pisa, i cui cittadini avean difesa Costantinopoli contro l’impeto de’ crociati, non poteva trovarsi in peifetta armonia coi veneziani (i). Occorreva dunque non solo gittare le fondamenta della lega, ma appianare le differenze; e ciò appunto si ebbe in mira di conseguire con un atto la cui esistenza rimase fin presso a’ dì nostri ignorata. L atto in discorso si annovera infatti tra quel cumulo di carte che rimasero lungo tempo celate in un locale sopra la chiesa di san Marco in Venezia, dove poi si scopersero nel i8n; e venne primieramente indicato dal Cicogna laddove commentando la lapide sepolcrale del doge Pietro Ziani in san Giorgio Maggiore, tocca de’ più importanti documenti che si riferiscono al costui governo (2). Dal Cicogna ne attinse quindi notizia il Romanin (3), le cui parole, tuttoché alquanto oscure, non isfuggirono alla oculatezza del nostro Desimoni che volle pigliarne nota nelle proprie schede. » Il documento però serbasi tuttora inedito ; e vuoisi saper grado al eh. Ideyd dello avercene spedita la copia succitata, la quale venne fedelmente eseguita lo scorso anno da un amico del lodato Professore, il rev. Teodoro Elze parroco tedesco in Venezia, sulla pergamena oggidì custodita in quel R. Archivio di Stato. Or eccone il tenore. In nomine domini nostri Jesu Christi Dei eterni. Anno ab incarnatione eius. m. cc. vii. inditione nona, die tali ('nonis) augusti, Pisis in tali loco (ecclesia sancti Petri in Palude'). Cuna (1) Heyd , Le colonie degli italiani in Oriente nel medio evo, voi. I, pag. 96. (2) T>elle iscrizioni veneziane, IV, 539. (3) Storia documentata di Venezia, II, 195. 70 GIORNALE LIGUSTICO ad presentiam vestram, domine Petre Ciane, Dei grafia inclite Venetiarum, Dalmatiae atque Croatie dux, domine quarte partis et dimidie totius imperij Romanie, ego Gerardus Cur-teuecchie pisanorum potestas, viros honorabiles Ventilium (Ventrilium?) q. Ildebrandi Ventilij et Albithonem Caldere nuntios transmisissem, quibus dedi plenam potestatem et mandatum irreuocabile iurandi super animam meam, quod totum quod ipsi missatici vel unus eorum statuerent, ordinarent atque firmarent vobiscum vel cum alio duce vel alia aliqua persona pro aliquo vestrum ratum et firmum haberem et tenerem et facerem et obseruarem, et fieri et obseruari facerem sicut ab ipsis legatis vel uno eorum statueretur et firmaretur, velut in quodam scripto confecto manu publica aspexistis per ordinem contineri, placuit vobis societatis fedus pro ciuitate pisana inire cum eis, quod continet sic. In nomine domini nostri Jesu Christi Dei eterni. Anno ab incarnatione eius m.cc.vii, inditione nona, sexto nonas iulij. Nos Ventilius filius quondam Ildebrandi Ventilij et Albitho quondam Caldere missi viri nobilis Gerardi Curteuechie pisanorum potestatis ad vestram dominguP^tre Ciane Dei gratia Venetiarum, Dal-matie atque^Croatie dux inclite, domine quarte partis et dimidie totius imperij Romanie, presentiam destinati, gratia suggerente, que amicitiam parit, ciuitatis pisane nomine eo vobiscum sumus federe sociati, ut exercitum facere ,debeat pisana ciuitas atque vos. Pisani videlicet galearum xxxx et vos similiter xxxx, plus autem facere ex vestra parte erit in beneplacito vestro; qui exercitus conuenire in Sicilia debent apud Mesanam; et exinde iter arripere per totum mensem madij venturum proximum; debent autem exercitus isti offendere ianuenses ubicumque eos inuenerint et offendere illos poterint, et loca que tenuerint et videbuntur teneri per eos de quibus simul concordes erunt omni fraude postposita et ingenio malo. Et si de ciuitatibus seu locis alijs ceperint, que O m giornale ligustico 71 contra honorem regium teneantur titulis corone regie assignatis restituere eas debent dominio.iurisdictionis regalis, congrua prius securitate recepta quod nunquam in eis recipiet neque lecipi faciet rex ianuenses sine consensu vestro et duitatis pisane. Aquestum quemquam (?) fecerint, inter se fideliter diuident secundum nauigij quantitatem. Debent autem itare exercitus isti simul, et iuuare se manutenere et deffendere contra omnes qui eos vellent offendere, sicut fideles socij usque ad terminum quem elegerint voluntate comuni. Preterea statutum est quod a festo apostolorum Petri et Pauli transacto nuper usque ad annos duos nullam pacem nullamque concordiam faciet cum ianuensibus pisana ciuitas sine vestro consensui (sic) , nec vos absque ciuitate pisana; hec omnia seruata erunt ex parte ciuitatis pisane, 'que debent et ex vestra parte seruari, nisi partis utriusque remanserit voluntate. Verum pro eo quod nescitur quod temporis mutatione vel rerum varietate contingat, pisana ciuitas hinc ad festum na-tiuitatis dominice, vel ad plus infra quintamdecimam ab ipso festo proximo venienti, nuntios suos si voluerit mittere debet Venetiam significando si ea que statuta sunt et composita possint fieri in termino memorato. Cum quibus ad terminum si statuetur, et omnia quecumque ordinata sunt vel erunt pariter et composita, ex parte ciuitatis pisane seruabuntur et fient. Similiter· et vos, domine dux, si volueritis, nuntios vestros Pisas mittere debetis infra spatium temporis memorati, significando pariter si ea que ordinata continentur superius possint fieri termino supradicto. Cum quibus nuntijs ad terminum si statuetur et ea omnia que statuentur et ordinata sunt vel erunt debent ex vestra parte seruari pari modo et fieri. Cuius scripti continentiam dicti nuntij iure iurando firmarunt. Unde ego prenominatus Gerardus Curteuechie, pisanorum potestas, corporaliter affirmo ad euangelia sancta Dei, presentibus et assistentibus viris nobilibus tali et tali (sic), 72 GIORNALE LIGUSTICO quod hec omnia que continentur superius debere fieri ex parte ciuitatis pisane seruabo ei faciam sine fraude seruari. Nos testes Albitho Caldere et Bulsus Petri Albithi et Albertus filiorum Bonacij et Robertus et Guiscardus. Judices et notarij rogati. Ego talis (sic) notarius huic iuramento interfui et de mandato prefati potestatis hanc cartam scripsi compleui et roboraui. » Le parole che io nel principio dell’ atto ho segnate in corsivo e poste fra parentesi, leggonsi invece fra la linea, d’altro inchiostro benché di carattere sincrono; e per guisa che la parola nonis viene a cadere sopra quelle che dicono die tali mensis; mentre le altre ecclesia sancti Petri in Palude rispondono alla generica indicazione tali ecclesia. Donde si rileva che la pergamena citata era propriamente, come or or diremmo, la minuta dell’atto, e si conosce che questo venne effettivamente concluso il 5 agosto 1207. » L’ atto poi contiene in sostanza la ratifica della lega progettata, e mette in aperto come questa precipuamente si risolvesse a favorire i disegni di Federigo di Svevia, il quale come già Enrico VI, avendo sollecitato Γ aiuto de’ genovesi pel conquisto della Sicilia, non tenne fede più del proprio padre alle larghe promesse lor fatte di privilegi e di signorie. Di più ci chiarisce che la lega medesima informavasi in tutto a’ principii della veneziana politica ; la quale come aveva esclusi da Costantinopoli i genovesi, mercé quella accorta stipulazione per, cui gli Imperatori latini si erano obbligati a bandire dal regno chiunque appartenesse a popolo in guerra coi veneti (1), così mirava di presente ad escluderli da tutti i porti siciliani. (1) Heyd, I, 134, GIORNALE LIGUSTICO 73 » Il patto poi a seconda del quale tutto il naviglio de’ collegati dovea raccogliersi nelle acque di Messina, non era forse rimasto così segreto che non ne fosse trapelato alcun rumore in quella terra, o forse avea di già sortito nn principio d’ e-secuzione intorno al cadere del 1207; leggendosi in Ogerio 1 ane che nauis ... que Sanctus Jacobus dicebatur, qua Symon de Bulgaro preerat, cum galea una apud Messanam iter suurn direxit, ibique homines Messane timore Pisanorum perterritos in-ueniens et stupefactos, eos penitus confortami (1). » Nè Γ alleanza ebbe vigore per lo spazio stabilito nell’ atto, benché non ci venga dato conoscerne la cagione; anzi è certo che già nel successivo 1208 fu tra pisani e genovesi conclusa una tregua, e l’anno appresso si addivenne, quantunque per poco, ad. una pace definitiva. Della quale rogossi un lungo istru-mento che serbasi inedito nel nostro Archivio di Stato (2), e dicesi stipulato nella terra di Lerici ad intromissione degli abati del Tiglieto e di san Galgano, presenti Lotario primate di Pisa, Ottone arcivescovo di Genova, Gualtieri vescovo di Luni ». Dopo varie altre considerazioni, il socio Belgrano si fa a parlare del prof. Teodoro Wustenfeld di Gottinga, e delle ricerche istituite dal medesimo nell’Archivio di Genova correndo Γ autunno del 1871, per la compilazione di un Regesto dei diplomi concernenti alla storia dei Comuni italiani avanti il 1330. Da una lettera testé diretta dal eh. Professore al socio Pinelli desume poi qualche notizia degli studi successivamente fatti in altri Archivi dal Wustenfeld; e così ad esempio tocca di un bel codice dell’Archivio di Corneto, appellato Margarita, contenente tutti gli atti e trattati pubblici di quel Comune, ragguardevole nel medio evo per la tratta dei grani, di che (1) Pertz, DvConum. Germ. Hist., XVIII, 126. (2) Materie Politiche, mazzo III. 6 74 GIORNALE LIGUSTICO # pure si trova memoria in un documento genovese del sec. XII. Oltre di che nello stesso Codice si contiene un poema su molti cornetani che dati in ostaggio al capitano imperiale Vitale d’Aversa, furono nel 1245 decapitati, allorché i loro concittadini abbracciarono le parti della Chiesa. Il poema, dettato da un notaio, è scritto in latino, ma già con qualche assonanza italiana. Soggiunge quindi aver trovato ne’ registri angioini dell’ Archivio di Napoli tutti gli elementi per tessere la serie dei vicarii di re Roberto ; e finalmente dà contezza di un Beltramo de Fiorenis, podestà genovese del 1305, onde è cenno nei Commemoriali di Venezia presso 1 Archivio Imperiale di Vienna. Dove serbasi pure un Codice dell’ antico Comune di Asti, recato probabilmente in quella capitale ed ivi rimasto a cagione di qualche processo dibattutosi innanzi i tribunali dell’ Impero. Questo Codice, scrive il Wustenfeld, che « forma quasi il Liber jurium della Repubblica Astigiana, è scritto nel 1252 con pochissimi supplementi posteriori, e ricco particolarmente di bellissime miniature, essendovi disegnati tutti i castelli dell’ Astigiano. .. Un altro esemplare di tale Codice, sotto il titolo di Libro verde, si trova, anche a Torino (1), ma molto [difettoso, e mancante sul principio e sul fine. Desunti da quest’ultimo, furono stampati nei Monumenta Historiae Patriae non pochi documenti, i quali però formano appena una minima parte del suddescritto volume, che si compone di 411 carte di gran foglio, e contiene fra gli altri atti una copiosissima serie di trattati coi Marchesi di Monferrato e di Saluzzo, con Carlo d’Angiò, con Alba e con altri Comuni del Piemonte ». (1) Archivio di Stato. GIORNALE LIGUSTICO 75 VI. Sezione di Belle Arti. Tornata del 24 gennaio. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il socio pittore Giambattista Villa, pigliando occasione dalla lettura del processo verbale dell’ ultima tornata dello scorso anno accademico , nel quale è ricordato come il Preside ragguagliasse la sezione di una piccola epigrafe del 1259, allora di fresco scoperta presso la chiesa di san Giovanni di Prè , ed oggi custodita nel Civico Palazzo, dice che il bassorilievo incastrato nella medesima, e che da principio fu giudicato di bronzo, è invece d’ argento , il cui ossido potè simulare le apparenze del detto metallo. Chiedendo poi ΓAli-zeri se il bassorilievo sia tutto a cesello od altrimenti, risponde il Villa : dove essere di gitto e dove a cisello. Il Preside seguitando poscia a leggere le sue Notizie dei professori del disegno in Liguria, espone come negli esordi del secolo XVI la pittura fiorisse tra noi per opera di Francesco Sacchi pavese, nato nel 1485, e del quale ebbero scarse e mal fondate indicazioni il Soprani, il Lomazzo, il Lanzi, lo Spotorno. Or egli, mercè i documenti che gli fu dato scoprire nei pubblici Archivi, pone in luce due fratelli di Pier Francesco, pittori aneli’ essi, e tra’ quali 1’ uno per nome Battista era il minimo di età. L’ altro, che addiman-dossi Gio. Angelo e fu il primo nato, consegnava in Genova per fattorino ed aiuto Pier Francesco all’ officina di Pantaleo Berengerio, mediocrissimo dipintore e più che pittore scudaio. Pier, Francesco contava allora i sedici anni ; e il Disserente sospetta che dopo quest’ epoca ei si recasse a più sudati studi in Lombardia, e profittasse degli esempi dei Mantegneschi e di Leonardo. Mostra poi come si aprisse un 76 GIORNALE LIGUSTICO nuovo passo al moderno, già maestro a ventisei anni ; e dice testimoniare di lui a questa età una tavola del Precursore , e quattro anni più tardi una ancona che di Genova passò al Louvre e tuttor vi rimane. Nella quale icone, che fu colorita di commissione di Brasco Saivago, si rappresentano i quattro dottori della Chiesa Latina , Girolamo , Agostino , Ambrogio e Leone disputanti. Nizza ebbesi quindi dal pavese una tavola, dove campeggiano le figure del Battista e dell’apostolo Giovanni: lavoro condotto con bell’arte per ordine di un Giacomo Borzone. Seguita il Preside accennando tre altre tavole delle quali pigliò contezza in più 1 ogiti notarili. L’una eseguita per volontà di Bernardo Giustiniani, esprimeva San Giorgio con altri santi, ed avea Γ usata predella partita in capitoli. Le altre due è possibile che fossero in tela, e toglieano argomento dalla Passione di Cristo. Nel-P 8 luglio 1523 Pasquale Fornari si accordava col Sacelli per Γ ancona di un altare in San Sebastiano ; e se ne aveano due altre Taggia e Rapallo , descritte e lodate dall Alizcii. Ma una bellissima se Γ ebbe la nostra chiesa di santa Malia di Castello, figurante sant’ Antonino arcivescovo di Firenze ' O !.. fra i santi Giambattista e Tommaso d’ Aquino. La dipinse Pier Francesco nell’anno 1526, quarantesimoprimo dell età sua; e suggellò la propria carriera coll’opera segnata del I527> onde si onora la chiesa di Montoliveto nella villa di Multedo. Accadde la morte del Sacchi per effetto di contagioso 11101 bo nel luglio 1528 in Santa Nlaria del Prato in Albaro ; e pochi di appresso lo seguiva al sepolcro il fratello Battista che egli medesimo a\7eva educato nel magistero dell arte. giornale ligustico 77 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Guida alle Alpi Apuane compilata dal prof. C. Zolfanelli e cav. V. Santini. — Firenze, Barbera, 1874. Muovono gli egregi autori da Pontedera e rimontando la Val di Nievole, guadagnano le alture delle Panie, donde scorrendo per la Val di Magra visitano i monti circostanti al Golfo di Spezia e scendono giù al mare per le propagini delle Alpi Apuane, che partono la vetusta Diocesi di Luni-Sarzana dall’ Archidiocesi genovese. Toccano della storia civile dei molti comuni onde si compone il tratto di paese cui fanno corona le cerniate montagne, recando altresi quei dati statistici e quelle nozioni economiche e geologiche che sono precipuo fine di sì fatto lavoro. E dobbiamo dire in vero, che appunto questa parte ci parve la migliore del libro e valse a satisfarci. Non così quel che ragguarda la storia, poiché ci occorsero diverse inesattezze. A cagion d’ esempio : Fivizzano (pag. 97) non ha storia civile? — Le Fosse papiriane (pagina 106) è accertato non fossero a Fosdinovo, e la Tavola Peutingeriana reca luna = ad taberna frigida = foffis papirianis. — Il vescovo Gherardino Spinola (pag. 165) non è mai esistito, sì Gherardino Malaspina. — L’accomandigia dei fiorentini cui si sottopose il Fregoso (pag. 166) non fu cagione della guerra coi genovesi, sì il tradimento di Ludovico ed Agostino Fre-goso che rioccuparono Sarzana dopo averla venduta ai fiorentini. — Non fu venduta la città dagli ufficiali di Carlo VIII (ivi), ma le fortificazioni. — La rocca Ferma Fede non fu distrutta dai fiorentini per impiantarvi la loro cittadella (ivi), ma lo fu dalle bombarde nella guerra del 1485-87. — In San Francesco i quadri del Fiasella (pag. 167) esistevano un tempo. — Sarzanello (pag. 166) non ebbe un borgo, che fu comune con statuti propri, ed una storia ? ·— Francesco di Giorgio (ivi) 78 GIORNALE LIGUSTICO fu inventore delle mine, secondo Promis, ma non è certo fosse all’ assedio di quel castello. — A Castelnuovo di Magra non nacque la madre di Nicolò V (pag. 170), come erroneamente scrisse il Repetti che male la dice madrigna.— L’espressione di Lucano sulle deserte mura di Luni (pag. 17 *) è detta giustamente dal Promis un’ esagerazione, per le ragioni ivi discorse; oltre che si può consultare il Brenucci (citato a PaS· x73) il quale legge deserta moenia Luca, e ne dice le ragioni. — Rutilio Numaziano (ivi), secondo Bertoloni, parla delle mura marmoree (candentia mcenia) di Luni non degli edifizii, e parmi quel dotto lo provi molto bene. — Vezzano (pag. 175) non dette i natali ad Ant. Maria Visdomini, sì bene Arcola come dicesi pur nella Guida (pag. 195)· — Tara-vacci (ivi) si nomò Baldassare non Francesco. E i Zacchia che illustrarono Vezzano fino al nostro secolo? — Il Bracelli non è della Spezia (pag. 199), ma di Sarzana come è detto a pagina 168. — S. Terenzo (al mare) prende il nome dal fanto che fu vescovo di Luni... ucciso sui gioghi di Solaro degli Ariani (cosi a pag. 208). San Terenzo secondo la tradizione fu ucciso all’ Avenza, e poi il suo corpo portato a quel luogo ove sorse S. Terenzo dei monti, così la leggenda rifiutata però come apocrifa dai Bollandisti e dagli scrittori di Storia Ecclesiastica; sull’ altura di Solaro fu ucciso, a quanto leggesi, S. Solario pur vescovo di Luni. — Vernazza dette i natali al padre di Ennio Quirino Visconti, non a questi nato invece a Roma (pagina 220). E qui facciamo fine, plaudendo nondimeno agli autori per aver dato fuori un libro, nel quale se v’ hanno difetti che possono sparire in una nuova edizione, hannovi altresì utili notizie. Feste, giuochi e spettacoli di Gerolamo Boccardo. — Genova, Tip. Sordo-muti, 1874. — Prezzo L.it. 4. Coloro che pretendono argomentare la sostanza d’un libro dal titolo stampato sulla copertina, ci è avviso abbiano ap- GIORNALE LIGUSTICO 79 pena fermato P occhio sulP opera enunciata brontolando boriosamente: levità, levità. Se non che veggendo il nome chiarissimo dell autore, avriano per fermo dovuto persuadersi non essere egli adusato sprecare P ingegno poderoso in oziose scritture; sì dare opera sollecita ad apparare altrui quelle profittevoli cognizioni onde vanno giustamente laudati i suoi lavori. Questo, venuto fuori col nuovo anno, è una seconda edizione di quello mandato al palio or son 18 anni e premiato dall’ Istituto Lombardo, rispondendo a puntino al quesito intorno a sì fatto subbietto, posto a concorso da quel sodalizio. Ma la nuova stampa grandemente si vantaggia a cimento dell’ antica, a cagione delle molte giunte, e dei ritocchi eseguiti avvedutamente dall’ autore in que’ luoghi a lui sembrati in alcuna parte manchevoli. Il piacevole argomento è svolto nella triplice forma storica, letteraria e scientifica; di guisa che trova il lettore un diligente racconto di tutti que’ svariati ludi e pubblici e privati in uso appo gli antichi popoli di Grecia e di Roma, a’ quali seguitano le costumanze di tal ragione nel Medio-Evo per giugner poi a divisare le odierne, e veggonsi altresì ricordate, e all’uopo con larghezza discorse, le pubblicazioni dei vecchi e nuovi autori intorno a così fatta materia; e ricercasi in fine con filosofico acume, mercè un diligente studio comparato, qual peso ebbero in passato ed hanno eziandio ai nostri dì i divertimenti ed i sollazzi nella vita sociale. Al che si dee arrogere una savissima critica di quel falso gusto ' onde va inquinato il teatro , non ostante i lodevoli conati d egregi riformatori ; e quegli opportuni consigli ed avvedimenti volti a migliorare la pubblica educazione e la moralità per opera del fruttuoso diletto. Ci parve debito, come che secondi ad altri valenti, toccare in breve di quest’ opera la quale riunisce seguendo il precetto oraziano 1’ utile al dolce. 8o GIORNALE LIGUSTICO NECROLOGIA Registriamo con sommo dolore la triste nuova della morte del nostro ottimo amico, il cav. avv. Gaetano Avignone, accaduta il 23 del corrente febbraio alle ore 430 antimeridiane in seguito a brevissima malattia. Dopo la perdita sì recente e tuttora lagrimata del Nestqre della Numismatica italiana, P illustre Domenico Promis, è questa del nostro egregio concittadino un’ altra mancanza per cui si vengono assottigliando le scarse file dei cultori di tale disciplina nella nostra Penisola. L’avvocato Avignone avea radunato un Medagliere genovese ricchissimo e preziosissimo, nonché una scelta Biblioteca dove alle più importanti opere di numismatica antica e moderna, italiana e straniera, si associano quelle che concernono alla storia ed alla letteratura ligustica. Sonvi eziandio alcuni codici rnss., e a dovizia rarità e curiosità bibliografiche, come il chiariscono gli rttfffip GSS9UI IX) ί : j . COMMISSIONE CONSULTIVA PER LA CONSERVAZIONE DEI MONUMENTI STORICI E DI BELLE ARTI SCAVI DI LIBARNA (Continuazione da pag. ;2) Gennaio 18^4. i. Solennità di Capo d’ anno. 2-3. Rinviensi un muro il quale corre in direzione parallela a quello di già notato il sotto 30 dicembre; e si riscontra fra GIORNALE LIGUSTICO P uno e 1’ altro la distanza di metri 5. — Trovasi la prima soglia dello ingresso principale del Teatro , composta d’ alcuni massi di arenaria. 4. Domenica. 5-7. Nessun trovamento rimarchevole. 8-9. Si rinviene un pezzo di capitello di arenaria, ed un mezzo bronzo di Marco Aurelio : divvs m. antoninvs pivs. Sua testa nuda a destra. — 1$. consecratio s. c. Aquila in piedi a destra· sopra un globo, riguardando a sinistra (1). 10. Il muro del postscenio, che nella sua lunghezza totale misura 57 metri, rimane scoperto per 27 di essi all’altezza di centim. 70. 11. Domenica. 12-18. Interruzione dei lavori. 19. Riattivandosi gli scavi cosi dietro il postscenio come sul portico , si rinvengono altri pezzi di cornici, una mensola di arenaria, ed un gran bronzo di Antonino Pio: antoninvs avg. pivs p. p. tr. p. XX.. (xxn?). Sua testa laureata a destra.— ijj. cos. mi. s. c. Antonino in piedia sinistra, sagri-ficando su di un tripode. Se ben ci apponiamo, il Cohen non conosce di questo rovescio che un mezzo bronzo del Gabinetto Herpin (2). 20. Si ritrovano una piccola testa muliebre di marmo, uno stilo d’ avorio, ed una medaglia di biglione : salonina avg. Suo busto diademato a destra. — venvs victrix. Venere in piedi a sinistra, tenendo un elmo ed uno scettro. Nel campo la lettera h (3). 21. Scopresi un altro muro trasversale nel senso di quello del postscenio, a circa 4 metri dall’ angolo estremo della scena, e che viene a formar cosi una specie di camera. (1) Cohen, num. 432. (2) Id., num. 562. (3) Id., num. 87. GIORNALE LIGUSTICO 97 22. Nessuna scoperta. 23-31. Nuova sospensione dei lavori. Febbraio. 1-13. Seguita la interruzione. 14· Riprese le opere di scavo, nulla si rinviene di- notabile. 13· Si sterra 1 andito laterale a sinistra della scena, assai ingombro di macerie. 16. Domenica. I7_I9- La neve che cade in abbondanza impedisce ogni lavoro. 20-22. Si prosegue lo sterro dell’ andito precitato, e quello di due scale a’ fianchi dell’ entrata maggiore. 23. Domenica. 24-26. Continuano i lavori de’ quali sopra; e si comincia eziandio a sterrare la camera che riesce a sinistra della scena. 27-28. A cagione del cattivo tempo sospendonsi un’ altra volta i lavori. ( Continua) SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 76) VII. Sezione di Storia. Tornata del 31 gennaio. Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Belgrano legge la seguente Commemorazione del collega testé defunto Antonio Merli. La triste nuova della morte di Antonio Merli, accaduta nel pomeriggio del 25 di questo mese, tuttoché immatura, riuscì 8 9s GIORNALE LIGUSTICO a pochi soltanto e lontani inattesa. Da noi colleghi suoi ed amici, solleciti di procurarci ogni dì le notizie del morbo che con lento ma terribile lavorio il condusse alla tomba, era temuta e da pezza prevista. Pur non giunse meno acerba al cuore di tutti; a me oso dire sopra modo acerbissima, in ispecie pel fatale ravvicinamento di più circostanze tutte egualmente luttuose. Molti anni addietro Antonio Merli, dotato qual era di largo censo, avea indirizzata la propria attività alle speculazioni economiche, e presa gran parte nei casi di quella Società che ci diede il primo tronco della ferrovia litorana, da Genova a Voltri. Osservatore diligente degli svariati costumi de’ popoli, imprese viaggi di qualche importanza ; e verso il 1850, facendo parte di una missione diplomatica presso il Sultano di Costantinopoli, attinse in Levante preziose cognizioni che si ragguardano alle nostre colonie del medio evo. Peregrinando 1’ Asia minore avvertì a Brussa di Bitinia, . nella Moschea di Maometto, i prodotti bellissimi dell antica ceramica genovese; e tali e somiglianti rilievi consegno in un volume di ricordi, che lasciò poi manoscritto. Però quella parte della vita del Merli che dee pigliai posto di preferenza tra le memorie della patria letteratura, può dirsi che tolga suo cominciamento da quel tempo soltanto nel quale egli, già ascritto fra i Promotori dell Accademia Ligustica di belle arti, fu sortito dal voto de suoi colleghi all’ onorevole ufficio di Segretario di tale Istituto. Onorevole invero a più titoli ; ma eziandio di gran peso, in ispecie per le tradizioni luminose e il desiderio vivissimo onde ognor si rammenta il nome di Marcello Durazzo, il quale tenne quell’ ufficio medesimo sin eh’ ebbe vita, e fu non meno splendore della nobiltà genovese, che padre del-1’ arti e decoro dell’ Accademia. Pur direbbe che il Merli si fosse di preferenza proposto a modello quel degnissimo, GIORNALE LIGUSTICO 99 chi consideri com’ egli spendesse allora in prò’ della Ligustica la miglior parte de’ giorni, e assiduo zelasse istituzioni o p'romovesse riforme con rettitudine d’intendimenti della quale niuno potrà mai dubitare. Or come queste gli aveano fatto obbligo di conferire gli ordinamenti della nostra con quelli delle altre Accademie più riputate, e come P avean tratto allo studio non solo della storia artistica, ma e delle questioni che si agitano intorno all’arte viva, alle sue diverse scuole, alla moltiplicità dei suoi mezzi, al suo unico fine ; così le solennità delle annuali premiazioni gli schiudeano la via a rendere contezza di questi e d’ altri somiglianti suoi studi, per modo che l’istituto esponesse quasi per bocca di lui il programma eh’ era o stava per dar norma a’ proprii insegnamenti. Il perchè troviamo che nel 1860 il solerte Segretario proponeva a subbietto di trattazione : « Ciò che sia il genio del disegno; come le arti che ne derivano si sviluppino e si perfezionino, progredendo di pari passo colle filosofiche speculazioni; quale nobilissimo ufficio abbia loro assegnato la Provvidenza nella civiltà dei popoli ». Ampio argomento, ma che può riassumersi in queste massime generose indirizzate dall’ oratore 'ai premiandi: « È ... di assoluta necessità che l’educazione dello spirito e del cuore non vada disgiunta da’ vostri studi dell’ arte materiale.....È necessario che-, elevando lo spirito al dissopra della materia, vi disponghiate a bene intendere la rappresentazione di quei sorrisi ineffabili, di quei trionfi dell’ anima maravigliosamente delineati dai Trecentisti, per poter poi apparare da Raffaello, da Leonardo, da Guido come si possano figurare i più squisiti affetti. È necessario che in ogni età vi ricordiate essere intento del-1’ arte commuovere utilmente 1’ animo, illuminare la mente, innalzare le intelligenze; ed allorché, fatto saldo sostegno alla virtù colla convinzione e la fede in quelle massime fuori 100 GIORNALE LIGUSTICO delle quali non è che dubbio e chimera, ... sarete artisti provetti . . ., farete che P arte conduca gli animi a venerazione, a raccoglimento, a rispetto, infonda amore per la giustizia e sensi di generosità, riesca di conforto ai timidi, di ammonimento ai potenti, d’ incitamento ai forti, di gloria immortale per voi, di lustro alla patria ». Dalla trattazione che ho testé encomiata derivava quindi il Merli gli argomenti alle altre successive. Perciò (1861) discorreva la Ragione dell’ architettura ; poscia (1863) mostrava « come 1’ effigie del Bello che ci presenta 1’ artefice coll’ opera sua agisca potente sull’ animo nostro ». E a conseguir questo fine indicava la via luminosamente battuta a di nostri dal Consoni, dal De Sanctis, dal Minardi, da Luigi Mussini. Ma sopra tutti bellissimo e fecondo di pratici risultati sembrami il tema che egli svolse alquanto più tardi, con rara copia e larghezza di avvedimenti; dico la « influenza delle belle arti sulla prosperità delle arti industriali ». Dove le ricche ed inusate citazioni di già tradiscono nello scrittor d’ arte 1’ appassionato cultore delle archeologiche discipline ; e dove piace 1’ animo aperto con cui si grida ai reggitori della pubblica cosa : « concedano alle belle arti quella considerazione che meritano per la importanza loro hel benessere generale » ; perchè rifiorendo, comunicheranno nuova vita alle arti industriali, emancipandoci da rovinosi tributi ; si che le opere tutte improntate dal genio italiano vedrem risplendere di nuova luce, riavere 1’ universale favore, e ridivenire ubertoso campo di nazionale ricchezza. I saggi principii cosi esposti dal Merli negli enunciati Discorsi accennavano intanto a sortire anche una applicazione per vie non prima sperate. Chè un Giovinetto Reale, venuto appunto di que’ giorni a fermare la propria dimora fra noi, palesava lo intendimento generoso di prestar munifico favore alle arti della pace. Odone di Savoia, 0 Signori, aveva in- GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ fatti proposti a’ giovani ingegni de’ premi straordinari da aggiudicarsi a coloro che in appositi concorsi accademici si fossero chiariti i migliori; ed è lecito il credere che nell’attuazione di sì commendevole disegno avesse non lieve parte il Segretario della Ligustica, come quegli che presso del Principe avea per più rispetti graziosa e frequente entratura. Ben ricordo eh’ egli mostrò di poi gratitudine reverente ed affettuosa alla memoria lagrimata del Principe medesimo; e sì ne die prova allorquando ebbe dal Municipio confidato il carico di sopravvegliare alle opere dei funerali solenni che se ne celebrarono in Duomo. Aveva il buon Principe adunata nelle proprie stanze una doviziosa ed eletta copia d’ oggetti d’ arte e d’ antichità; e però dopo la morte di lui, per subita iniziativa di Tammar Luxoro, 1 Accademia, la Società Promotrice delle arti e questa nostra, le quali tutte Odone di Savoia aveva onorate dell augusto suo patrocinio, furon sollecite a dirigere una collettiva istanza alla Maestà del Re, perchè non volesse privar Genova di tali cimelii. E il Re assentiva benigno che il Municipio li avesse, mettendo patto che 1’ Accademia li serbasse in custodia. Così ebbe vita presso quest’ ultimo Istituto il « Museo Principe Odone », intorno a cui, per generosità di privati cittadini, si raccolsero poscia più altri depositi di sculture, di dipinti, e di egregi prodotti dell’ arte vetraria e ceramica in Italia. Venne poi la volta di manifestare con atti solenni la riconoscenza ben dovuta al Monarca ; e ’l Municipio, a proposta del Merli, affidava al valentissimo nostro Edoardo Chiossone 1’ opera di una medaglia che perpetuasse il ricordo della regale munificenza. Oltre che le manifestazioni della gratitudine de’ genovesi si rinnovarono nei festeggiamenti che ebbero indi luogo per le auspicate nozze del Principe Ereditario. Nell’ indirizzo de’ quali festeggiamenti, riusciti invero splen- 102 GIORNALE LIGUSTICO (fidissimi, ebbe il Merli gran parte; come non poca parte dei medesimi fu P Esposizione Archeologica aperta nelle sale della Ligustica a proposta del già lodato Luxoro, e come tutte le generose e nobili idee caldeggiata dal Merli. Il quale, in una col Corpo Accademico e co’ membri straordinarii delle Commissioni addette alla Mostra, accoglieva in quelle sale Vittorio Emanuele co’ Figli, e in nome del Re riceveva da Orazio Di Negro le insegne di Commendatore della Corona d’ Italia. La Mostra succennata era stata preceduta e fu seguita da più altre d’ indole diversa; alle quali tutte, per quella parte che concernea la Ligustica, prestava il Merli volenteroso e sollecito il suo concorso. Intendo, o Signori, le Esposizioni mondiali di Parigi (1855. 1867) e di Londra (1862), le nazionali di Firenze (1861), Parma (1870), Milano (1872). Per la Mostra di Londra del 1862 mise a stampa, unitamente al degno march. Staglieno, il Sunto storico-cronologico delle arti del disegno e dei principali artisti in Liguria; per la parigina del 67 scrisse una ‘Breve Relazione intorno alla origine , alle vicende, allo stato attuale dell’ Accademia, e 1 ^Appendice al Sunto poc’ anzi citato. Nella quale partitamente e e con molta copia di dati si rassegnano i lavori che dagli artisti liguri furono eseguiti in ispezie nell’ ultimo decennio. Se non che a Parma, insieme colle Esposizioni d’ arte e con lo scoprimento della statua del Correggio, si inaugurava il primo Congresso artistico italiano. Dove Antonio Merli, eh’ eravi intervenuto a rappresentare officialmente la Ligustica, sortiva eletto de’ quattro Segretari generali, e vice-presidente della prima Sezione; che è a dire la più importante , siccome quella che avea tra gli altri compiti lo svolgimento dello spinoso quesito: Se Accademie od Istituti d’ arte abbiano ad esistere. Quesito preso indi a trattare di fronte, e con giuste vedute, in una applaudita Relazione di GIORNALE LIGUSTICO IO3 Maurizio Dufour; la cui somma può compendiarsi in queste parole pronunciate subito dopo da Francesco Dall’ Ongaro , delegato del Ministero: « Le Accademie sono salve » (i). Già alquanto innanzi ho toccate le attinenze del Merli col Municipio ; chè nel Consiglio Comunale avealo inviato il concorde suffragio di quella lega de’ proprietari onde ei medesimo era stato zelantisssimo promotore. Eletto assessore della Giunta, ebbe la cura di soprintendere all’ uffizio de’ pubblici lavori; e tosto il suo amore per le arti lo portò a dar vivo impulso a’ restauri del Coro della Metropolitana, commessi alla direzione amorevole e sapiente del Varni; restauri ne’ quali appunto a que’ di era impiegato in condizione d’ aiutatore all’ ornatista Perasso, per la parte figurativa, quel Giulio Monteverde che Γ Accademia Ligustica mandava indi a poco suo pensionato a Roma, e che presentatosi alla Mostra Parmense si assise a un tratto fra’ sommi nell’ arte della statuaria. Procurò del pari che allo scalpello del Varni si affidassero i busti di Vittore Pisani e Pietro D’ Oria, e questi si inviassero da Genova all’ antica emula dell’ Adriatico, pegno di fratellevoli sensi e gentil ricambio di quegli eccellenti mosaici del Salviati che ci ritraggono Marco Polo e Colombo, ed ornano 1’ aula massima del Civico Palazzo. E volse pur le sue cure alla Necropoli di Staglieno; dove avrebbe voluto che il colosso della Fede, il qual dee giganteggiare solitario nel mezzo del funereo ricinto, venisse gittato in bronzo piuttosto che scolpito nel marmo. Disegno, per quel che a noi sembra, assai confacente alla grandezza del soggetto, non meno che alla natura del luogo. (i) Anche nel Congresso artistico di Milano, che ebb'e luogo nel 1872, il Merli fu uno de’ vice-presidenti. Ma perchè gli Atti di quella unione non vennero per anco pubblicati, noi non possiamo aggiunger parole intorno la partecipazione speciale del nostro compianto collega. 104 GIORNALE LIGUSTICO Nell’ ultimo decennio 1’ operosità del Merli erasi volta eziandio con ardore alle ricerche d’archeologia e di storia patria ; e certo ad infervorarvelo avea contribuito principalmente la sua partecipazione alla nostra Società, onde fu in diversi periodi consigliere e vice-presidente, e della quale avrebbe pur tenuta la presidenza generale, se non avesse stimato declinare Γ onorevole ufficio comecché di già confer-togli dal suffragio de’ propri colleghi. Bensì resse un biennio questa nostra Sezione storica, innanzi che si inasprisse il morbo onde fu tratto alla tomba, e che il carico medesimo venisse confidato alle cure di quel solerte che oggi con plauso concorde il sostiene. Spirito penetrante e sottile, nelle proprie indagini applico 1 animo più spesso all’ analisi per cui si riesce alla luce, che alla sintesi la quale è di per sé raggio di luce avvivatrice. Così avveniva eh’ egli proponendo a’ suoi studi un argomento divagasse in un altro, e finisse per rimaner preso dall’ ultimo su cui le sue ricerche eran venute a cadere. Così lascio a mezzo interrotti alcuni lavori, come a dir quello che aveva per subbietto la integrale illustrazione di un prezioso codice della Biblioteca Molfìno, che ci presenta una bella serie di poetici componimenti dettati nel patrio dialetto del secolo xni, e già noto a’ cultori delle discipline letterarie per gli studi dello Spotorno e del Bixio. Degli scritti onde il Merli die’ lettura alla nostra Società, e che tutti udimmo appunto nelle tornate di questa Sezione, io non terrò lungo ragionamento; ché non sono certo usciti dalla nostra memoria. Alla monografìa sulla origine e 1 uso delle trine a filo di refe, alla descrizione delle feste celebrate per Γ ingresso *in Genova di Giovanni Andrea III D’Oria e di Anna Panfili, porsero occasione due avvenimenti onde si allietavano i congiunti del nostro collega. I casi delle zecche doriesche si ebbero da lui una descrizione sopra modo accu- giornale ligustico 105 rata, la Illustrazione del principesco palazzo di Fassolo at- , terra vittoriosamente una tradizione quattro volte secolare sulla derivazione di quel possesso nei D’ Oria, e rivendica da una nuova accusa quel magnanimo cui il vero e spassionato esame degli atti sincroni non può recar nocumento, anzi fia che ne levi ognora sopra più larga e solida base la gloriosa memoria. Oltre di che ci. riconduce, e quasi rende partecipi, alla vita di que’ tempi nei quali le ricche stanze di Fassolo furono albergo de’ più potenti monarchi, da Carlo V a Napoleone il Grande, e testimoni della specchiata pietà di Zenobia Del Carretto, di Giovanna Colonna e di più altre gentili. Come Voi ben sapete, gli studi opportuni ai menzionati lavori non meno che la liberalità dell’ attuai Principe, aveano reso al Merli famigliare lo Archivio di Fassolo. Ed egli ne profitto per ordinarlo con opera assidua e giudiziosa, nè certo vana per noi, da che gli andiamo debitori dello scoprimento di que’ Cartularii di san Fruttuoso di Capodimonte che per lungo tempo si reputarono perduti, e di quella Allegazione che ragionando di molti e non prima conosciuti particolari delle congiure del Fieschi e del Cibo fu stimata meritevole di essere inserita negli Jltti della nostra Società. Alla quale il Merli volle pur giovare sotto altri aspetti, sia procurandole il concorso di varii membri effettivi, e sia l’onorevole ed utile corrispondenza di parecchi illustri personaggi e di reputati Istituti. Ultimamente il Consiglio Provinciale avea delegalo il Merli a suo rappresentante fra i consultori della classe archeologica nella Commissione per la conservazione de’ patrii monumenti. Ed egli, com’ era suo stile, non fu in questa raunanza dei meno operosi: anzi, finché le forze gliel consentirono, pigliò parte alla divisata compilazione di un elenco ragionato dei monumenti suddetti, e coll’ amicissimo suo Francesco Gan-dolfi , dal quale fu di sì breve tratto precorso nel sepolcro, ιο6 GIORNALE LIGUSTICO zelò i restauri della basilica di san Salvatore su quel di . Lavagna che è fra noi monumento assai pregevole della gotica architettura. Riassunte per tal forma tra le angustie del tempo e le amarezze dell’ animo le virtù letterarie del Merli, d’ uopo è eh io rammenti quelle del cittadino. Il quale all’ appello della patria fu sempre de’ primi a rispondere, non solo quando corsero per lei giorni prosperi e lieti, ma quando luttuosi eventi sopraggiunsero a funestarla. Così procacciò soccorsi ai feriti, agli orfani, agli mondati; così nelle invasioni epidemiche stette saldo al suo posto, ed ebbe in premio la medaglia di argento che si concede ai benemeriti della pubblica salute. Ne fu dimentico della sua Genova in quelle tavole testamentarie 1’ atto della cui presentazione reca la data del 14 scorso dicembre. Legava all’ Accademia Ligustica, con più altri oggetti, alcune incisioni del Morghen, un dipinto del ' Caracci, diversi avorii scolpiti, alcuni merletti antichi di squisito lavoro, un tappeto orientale, e molti capi di ceramica sopra modo estimati; legava all’ Albergo de’ poveri duemila lire, « la rendita delle quali (diceva) sarà annualmente erogata nell’ acquisto di esemplari per quella scuola di disegno industriale e professionale ». Inoltre così disponeva: « Tutti i libri ed opere stampate di cui non avrò qui dopo disposto esplicitamente, con tavole e senza, e raccolte di disegni stampati d’ ogni maniera (eccettuate le incisioni e litografie montate in cornice), lego alla Biblioteca della Missione Urbana, nella quale si raduna la Società Ligure di Storia Patria, a condizione che entro tre mesi dalla mia morte, per opera di uno o più delegati dalla Biblioteca medesima, coll’ intervento di uno o più delegati da’ miei esecutori testamentarii, sia redatto un accurato catalogo di detti miei libri ed opere, disposto per materia, per lettera alfabetica e con numerazione progressiva delle opere, ad imitazione di quello della Biblio- GIORNALE LIGUSTICO IO7 teca Cicognara, omettendo il giudizio delle opere descritte che in quello si trova, ma aggiungendo se rilegate e come. Cotal catalogo verrà fatto stampare a spese della mia successione . . . Un esemplare almeno di cotale Catalogo sarà distribuito alle Biblioteche pubbliche della città, a comodo di chi fa le ricerche ». Ne giorni ultimi del vivere, Antonio Merli partecipava dal letto del suo lungo ed acerbo soffrire a’ sentimenti di quella gratitudine che destò viva e profonda in ogni cuor genovese il magnanimo atto per cui si risvegliarono tutte le più belle e splendide tradizioni del patriziato genovese. La generosa donazione del Palazzo Rosso alla nostra Città, le provvide e liberal^ disposizioni che accompagnarono la munificenza di Maria Brignole-Sale Duchessa di Galliera e del costei Figliuolo trovarono ancora un eco nell’ animo del nostro collega; il quale volle intendere minutamente ogni particolare, pigliarne nota fra’ suoi ricordi é soscrivere Γ indirizzo che, prima fra tutte le nostre Istituzioni, 1’ Accademia Ligustica presentava ai Donatori. Ma pur troppo quelle note e quella soscrizione doveano essere le estreme! Ed ora, o Antonio, che le tue ossa si compongano nella pace del sepolcro accanto a quelle della madre, nello amar la quale fosti ognora esempio di tenerezza e di pietà! Che il tuo spirito non isdegni questo tributo eh’ io porgo alla tua memoria pel debito dell’ ufficio e per gli impulsi del cuore ! Dopo questa Commemorazione il socio Neri legge una sua rivista pubblicata nell’ autunno scorso dal march. Giuseppe Campori, socio corrispondente, col titolo: Memorie Biografiche degli Scultori, Architetti, Pittori ecc. nativi di Carrara e di altri luoghi della Provincia di Massa, con cenni relativi agli artisti italiani ed esteri che in essa dimorarono ed operarono, e un saggio bibliografico, per cura di G. Campori. — ιο8 GIORNALE LIGUSTICO Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi 1873, di pagg. xm-466, ed una carta con 1’ errata. Ediz. di ess. num. 206. Ed ecco il tenore di tale rivista: Se il chiarissimo nostro socio autore di questo libro, non avesse oggimai sicura e bella fama nella repubblica delle lettere, il nuovo suo lavoro qui annunciato basterebbe a procacciargliela, tanta è la diligenza e Γ erudizione che in esso si trova. Niuno avea di proposito fino a qui volte le cure a raccogliere tutte le notizie atte ad illustrare la storia del-1 arte nella vita degli artisti della provincia di Massa-Carrara, sì molte scritture erano uscite, le quali intorno ad opere speciali ed ai più noti artefici ragionavano ; n^, poche eccettuate, si rivelarono di critica manchevoli, ed alcuna fiata eziandio di quelle verità, la quale soltanto si manifesta dalla ricerca e dal paziente esame dei documenti. Grandissimo sussidio avrebbe recato a così fatta ragione di studi il massese Carlo Frediani, se gli fosse stato concesso tanto di vita da ordinare i molti documenti da lui raccolti, e que’suoi spogli di pubblici e privati archivi illustrare in guisa da por fuori in orrevol forma il divisato Archivio Lunigianese. Or di tutte queste carte essendo divenuto possessore il chiarissimo nostro socio, fu mosso al nobile proposito di comporre Γ erudita opera testé alla società nostra donata. Dopo una breve ma succosa prefazione, nella quale tocca dell’ordine del suo libro, ci porge in tre parti le sovra cen-nate memorie. Nella prima discorre con molta erudizione degli Artisti nativi della Provincia (pagg. 1-260) ; adagia nella seconda con pari diligenza gli Artisti estranei alla Provincia che in essa lavorarono o v’ ebbero stanza 0 pur qualche relazione (pagg. 261-373); la terza infine ci porge un saggio bibliografico di quelle opere che in alcuna guisa alle cose ed agli uomini della parte prima si riferiscono (pagg. 375-429): GIORNALE LIGUSTICO segue quindi un’ appendice nella quale leggonsi additamenti alle tre parti ; chiudesi il volume con triplici indici, due cronologici degli Artisti nativi della Provincia, e degli Estranei, il terzo dei luoghi. L’ egregio autore svolgendo queste tre parti, ha mostrato quanto si conosca e studiosamente si piaccia della storia del- 1 arte italiana ; e come che egli dica essergli stati di giovamento grande gli spogli lasciati dal Frediani, ognuno che scorre il libro potrà di leggeri argomentare, quali e quanto minute deggiono essere state le ricerche di lui e negli archivi, e nelle opere tutte ove e’reputava trovar notizie al suo uopo, ed eziandio in quelle molte pubblicazioni periodiche, le quali spesso o per incuria o per insipienza sen λΜηηο disperse. Nè qui è tutto, chè apparisce dal dotto lavoro come ragunato tanto tesoro'di notizie abbia dovuto 1’autore porle nel vaglio della critica, e cernere a quella stregua le atte ad illustrare il soggetto, nella quale opera ben palesa di quanta acutezza e’ sia adorno, spezialmente la dove lumeggia maestrevolmente quelle note del Frediani non sempre raccolte con agio e diligenza, spesso aride e fatte a mo’ di ricordanza. Per il chè molti degli articoli intorno agli artisti degni sono di considerazione, come quelli che o qualche nuova notizia c’ insegnano, od alcuno sbaglio d’ altro autore correggono ; ma notabili in ispecie nella prima parte m’ appaiono i discorrenti dei Calamec, dei Ghirlanda, dei Laz-zoni, di Domenico Guidi, d’ Alberto Mafiolo, di Felice Palma, di Giuseppe Porta, e quel sopra tutti di Danese Cataneo scultore e poeta di gran fama, intorno alla cui vita, alle opere ed agli scritti ha così largamente e con tanta diligenza favellato, da satisfare in ogni parte il curioso leggitore; della seconda basti ricordare le memorie sul Buonarroti, sul Ban-dinelli, sui Moschino, sul Fancelli e sull’ Ordognez. Ed in questa medesima parte, per quanto ragguarda la storia del- I IO GIORNALE LIGUSTICO l’arte genovese, hassi orrevole ricordo di Luciano Borzone, del Fiasella, di Sinibaldo Scorza, di Cesare Corte, dei Castello, di Taddeo e Giuseppe Carlone cui deesi aggiungere Jacopo pur egli scultore stanziato in Genova, di Leonardo e Giovan Antonio Sormani, e Steffano della stessa famiglia, non ricordato dagli scrittori, fiorente ne’ primi del seicento; di Lazzaro Tavarone accolto con stima alla Corte d’ Alberico Cibo ; di Carlo Solari scultore del secolo xvii ; di Pietro Aprili detto da Carone eh’ avea stanza in Genova, incaricato nel 1517 da Scipione Fieschi di Lavagna d’eseguire il sepolcro della sua consorte Eleonora Malaspina, opera della quale non resta vestigio, o, come argomenta il Campori, non ebbe effetto ; di Luca Cambiaso autore di due tavole nella Chiesa già degli Agostiniani di Pontremoli, nelle quali figurando 1’ Epifania e la Creazione toccò 1’ eccellenza del-l’arte, opere dai suoi biografi non ricordate; di Giovan Battista Paggi al quale una carta carrarese attribuisce le ancone degli altari di S. Antonio Abate, e di S. Genesio conservate nel Duomo di Carrara ; d’ un Pacio da Bissone scultore che abitava in Genova nel 1507, certo della famiglia istessa di quel Giovanni menzionato dal chiarissimo socio Sante Varni nell’ Elenco dei documenti artistici da lui raccolti ; di Andrea Semino figlio del celebre Antonio, il quale apparisce da un rogito carrarese già morto nel 1545, onde nota il Camponi Γ errore del soprani là dove narra che nel 1547 dipinse in S. Maria della Consolazione ; con nuovi documenti s’illustra la statua del Doria abbozzata dal Bandinelli della quale parlò il Varni nel 1863, accennando potesse essere quella che col nome del Gigante s’ erge sulla piazza del Duomo di Carrara, il che è pure consentito dall’autor nostro; e finalmente alcune notizie si recano del Paracca noto sotto nome di Valsolda, che il compianto socio comm. Merli ci scoperse testé autore del Satiro nel giardino Doria a Fassolo, posto in luogo di quello giornale ligustico III che fu opera del Montorsoli. Nò le utili notizie son qui tutte divisate, chè altre potrà trovarne lo studioso svolgendo Γ erudito volume. La fruttuosa lettura del quale mi ha mosso ad alcune osservazioni, che senza più piacemi discorrere. Dagli Spogli Frediani fatti nell’ archivio notarile di Sarzana, ha preso cagione l’autore di far ricordo d’Antonio di Ma-fiolo carrarese scultore, il quale per atto rogato in Macerata nel palazzo di residenza del Card. Calandrini li 8 marzo 1450, si obbliga di lavorare entro il prossimo dicembre il marmo occorrente per una cappella, che il detto Calandrini voleva erigere in S. Maria di Sanguine (p. 153). Dico francamente ch’io leggo invece in S. Maria di Sarzana, e rilevo cosi il nome dell’ artefice, che nella insigne Cattedrale di quella Città lavorò i marmi esistenti tuttavia nella Cappella di S. Tommaso. Sappiamo dagli storici nostri che il Calandrini la fece fabbricare a sue spese, e che venuto nel 1456 in patria, dopo la morte del gran Nicolò, dotò essa cappella di molti beni facendola giuspatronato della sua casa in atti di Giovan Andrea Griffi, e poscia nel 1460 li 21 settembre la consacrò sì come recita l’iscrizione eh’ ivi si legge. Mi pare fuor dubbio che quel documento parli della nostra chiesa di Sarzana, e in così fatta guisa, mercè il libro del Campori, aggiungo ai nostri scrittori una non inutile notizia. Parlando di Domenico Fiasella sì come quegli che operò alcune tavole pel principe Carlo Cibo di Massa, cita una lettera del Serdonati scritta a’26 maggio del 1591 da Firenze ad Alderano Cibo nella quale, così Γ autore, gli rende conto della chiesa di S. Lorenzo, e dichiara di non voler toccare dei due famosi monumenti di Giuliano e di Lorenzo de’ Medici « perché so che V. S. ne ha fatto levare i disegni dal Fiasella ». Dalle quali parole e dalla data della lettera risulta chiaro I’ erróre del Soprani nel fissare al 15S9 la nascita del Fiasella, che fu certamente anteriore di parecchi anni. Or dalle lettere del I 12 GIORNALE LIGUSTICO pittore Gio. Battista Casoni al P. Angelico Aprosio conservate nella nostra Biblioteca Universitaria, apparisce chiaramente come le Vite dei pittori genovesi lasciate incompiute e non ordinate dal Soprani, furono condotte a termine e date fuori dal Casoni stesso cognato del nostro Fiasella; può quindi reputarsi per fermo non siavi in quella data errore di sorta, poiché ove il Soprani avesse errato il Casoni avrebbe corretto. Arroge; nella lettera 28 settembre 1670 egli scrive a mo’ di postilla « Mi scordavo il più. Il nostro Sig. Domenico Fiasella, pittore singolarissimo, se n’ andò al cielo l’anno 1669 a’19 ottobre in sabato giorno di S. Pietro di Alcantara con gran rassegnamento al volere divino, d’ età d’ anni 80. Essendo egli nato del 1589 a’ 12 agosto, et andato al cielo come dissi trovo che aveva detti 80 anni, due mesi e giorni 6. » Finalmente abbiamo una testimonianza eh’ io ardisco dire dello stesso Fiasella. Il P. Aprosio domandava a tutti coloro, che erano in qualche fama, il ritratto e le notizie della lor vita; ebbe dal Fiasella 1’ uno e le altre ; e queste in 4 pagine in foglio tro-vansi nel codice stesso della Universitaria, dove hannovi le poche lettere autografe dell’ insigne pittore, ed una parte di quelle del Casoni. Le notizie sono di mano d’esso Casoni, e furono inviate all’Aprosio li 20 giugno 1668 con opportuna lettera del Fiasella, il quale, secondo argomento, le dettò al cognato. In esse non è accennata la data della nascita, ma nell’ ultimo periodo leggonsi queste parole : et essendo bora di età di anni jy opera mirabilmente e talmente s’impegna, che l’anno passalo 1667 ha fatto una tavola ecc. dalle quali si rileva esser egli appunto nato nel 1589. Posto cosi in sodo aver scritto rettamente il Soprani, rimane pur sempre la lettera del Serdonati nella quale si afferma essere stati allogati que’ disegni ad un Fiasella ; ed io reputo per avventura che qui si parli del giornale ligustico il 3 padie di Domenico, noto come orafo valentissimo, ed eziandio predicato esperto disegnatore nelle notizie sopra citate, narrandovisi essere egli dimorato lungamente in Roma per appararvi cosiffatto magistero. 1 01 iei qui fine al mio dire se lo imparare come Benedetto Buglioni fiorentino, parente dei celebri della Robbia ed ope-ìatore nella lor maniera d’invetriare le terre cotte, abbia lavorato in Lunigiana, non m’inducesse in sospetto doversi a lui attribuire i due altari di tal maniera già esistenti nei cenobi fi ancescani della Spezia e di Sarzana. Il primo de’ quali, secondo mi fu detto testé, pare sia stato degnamente locato allorché si cominciò l’arsenale marittimo; l’altro è miseramente perito quando, con inconsulto proposito, si acconciò a stanza di soldati il chiostro del convento di Sarzana; opera dispendiosa e divenuta oggimai inutile a cagion della quale fu rumato un pregevole monumento artistico, e distrutta una parte delle pitture non indegne di Stefano Lemmi da Fiviz-zano; delle quali le esistenti tuttavia andranno in breve interamente perdute, difettando delle cure necessarie. E la Chiesa stessa, or di ragione municipale, palesa già nelle mura secolari segni non dubbi di ruina ; e quivi son pur raccolte le ceneri delle precipue famiglie della città quali i Parentucelli, i Favoriti, i Leoni, i Cecchinelli, i Bernucci, i Rossi, i Ca-iani, gli Spina, gli Amati ed altri ed altri; s’ergono poi entr essa, nobile e singolare ornamento, i due insigni sepolcri 1’ uno del Vescovo Bernabò Malaspina opera de’ primi del secolo xiv, 1’ altro di Guarnerio Antelminelli laudato lavoro di Giovanni di Balduccio da Pisa. Vivamente desidero che queste mie parole, abbiano balìa di muovere la benemerita Commissione pe’ monumenti di belle arti ad oprare in guisa che il tempo e l’ignavia, non distruggano le belle memorie degli antichi. A queste patrie memorie mostrò il Campori grandissimo 9 n4 GIORNALE LIGUSTICO affetto, trasmettendone in un col nome degli artefici la ricordanza ai venturi. Quindi è che i lunigianesi, e quelli della massese provincia in ispezie, debbongli riconoscenza senza fine : e molto grado eziandio gliene sapranno i cultori tutti della storia e delle arti, per aver recato nuovo lume in oscuri argomenti, tratti fuori dagli archivi Γ ignoti, confortato il tutto da importanti ed inedite scritture, molte delle quali pia-cquegli pubblicare per esteso in servigio degli studiosi, ed a maggiore ornamento della erudita sua opera. (Continua). VARIETÀ ■ ALCUNE LETTERE DI AGOSTINO MASCARDI Al Cardinale Alessandro D’Este I. lllustriss. e Reverendiss. Signor Padron mio Colendissimo, Dal signor Giovan Maria Spinola intendo quello che \^ostra Signoria Illustrissima si è degnata di farmi sapere in espressione della sua solita benignità verso di me, e se bene ciò non m’è giunto nuovo in riguardo del suo magnanimo instinto, che è di favorir con eccesso, al riscontro però della mia male fortuna è stato affatto cosi fuori dell’ opinion mia, che ne resto soprafatto e confuso. Rendone perciò a Vostra Signoria Illustrissima humilissime grazie, e mentre aspetto il compimento delle sue cortesissime esibitioni, con la reinte-gratione della mia servitù interrotta con infinito dispiacer mio, vado nutrendo il desiderio con le speranze (i). (i) Il Mascardi standosi a’ servigi del Cardinale d’Este dispiacque si fattamente alla Corte romana che fu licenziato non solo, ma per viver quieto dovette uscire di Roma e se ne venne a Genova. Quivi stampò giornale ligustico ”5 La signora Benedetta Pinella sorella del Marchese Paris, e Principessa di Gerace, che altre volte supplicò Vostra Signoria Illustrissima della sua protetione, di nuovo per mezzo mio ricorre al suo cortesissimo Patrocinio, e la prega ad udire e promover con la sua autorità le ragioni che le saranno esposte dall’ agente suo, a cui ne dà ordine, riserbandosi a scrivere a Vostra Signoria Illustrissima sopra di ciò la settimana seguente, per essere al presente risentita un tantino. Questa è Dama di bellissime parti, e che professa obligazione straordinaria e desiderio grandissimo di servire a Vostra Signoria Illustrissima. Arrivarono la signora Duchessa e Duca d’ Ayello, e celebrano la cortesia del signor Duca di Modena, della Serenissima Infante, delle signore Principesse fino alle stelle; ho visitato ambidue in nome di Vostra Signoria Illustriss. secondo ch’Ella m’impose, le vivono servitori di particolar divozione. Il signor Giovan Stefano D’Oria (i) venne l’altro giorno a favorirmi fino a casa, e disse che gli Ambasciatori nel fare la relatione della loro Ambasceria in Senato havevano sotto capo distinto raccolti i favori, che Vostra Signoria Illustrissima si compiaque di far loro (2), e fu ciò rappresentato con tanta efficacia, che per la voce comune, che corre qui, nel 1622 pe’ tipi del Pavoni le sue Orazioni; nella prefazione al lettore tocca delle sue disgrazie; ma più chiaramente ne dice in quella preposta cinque anni dopo ai Discorsi sulla tavola di Ccbctc, editi dal Pinelli in Venezia. (1) Fu Doge nel 1633. Coltivò eziandio le belle lettere ed hannosi di lui alcune poesie latine in lode del Doge Girolamo Assareto, stampate nel 1607. È memorabile l’orazione da lui fatta in Senato contro i ribelli del 1625-28, a seguito della quale votò il partito del loro supplizio; con che sanciva la morte del suo stesso nipote prigioniero del Duca di Savoia, avendo questi dichiarato farebbe uccidere tutti i prigioni, ore a’ ribelli non fosse perdonata la vita. (2) Parla dell’ambasceria inviata nel maggio di quest’anno al nuovo Pontefice Gregorio XV. 116 GIORNALE LIGUSTICO ella havrà sempre parte grandissima in questa Città,· così presso la Republica come presso i particolari; e perchè infinite persone hanno sopra di ciò ragionato meco, io ho fatto Γ ufficio che conveniva, con assicurar tutti, che Vostra Signoria Illustrissima in servizio publico e privato ha fatto assai meno di quello, che desiderava, per mancamento di occasioni, ma che però quando le sarà porta commodità non è per cedere a qualunque Cardinale affetionato o nationale, e consimili: ho d’haver sopra ciò motteggiato un’altra volta a Vostra Signoria Illustrissima, ma perchè dopo la relatione degli Ambasciatori sono cresciute queste voci fuor di maniera, ho stimato conveniente rinfrescargliene la memoria: e qui per fine a Vostra Signoria Illustrissima humilmente m’inchino. Di Genova 7 Luglio 1621. II. Illustriss. e Reverendiss. Signor Padron mio Colendissimo, Dal sig. Co. Camillo Molza mi sono stati rimessi alcuni denari in nome di V. S. Illustriss. gli ho ricevuti come nuovo argomento dell’antica sua benignità, e se non per confer mattone della mia costantissima servitù, almeno valeranno per nuovo titolo alla obbligazione singolarissima, che le professo. Aspetterò poi Γ avviso eh’ ella havrà da Roma per liberarmi da quella sospension d’ animo che non è più in mio potere di prolungare (1). Del negozio commessomi da S. V. Illustr. io non manco di tener vive le pratiche (2) e non dispero; e per fine le fo humilissima riverenza. Di Genova 21 Ottobre 1622. (1) Accenna alla speranza di ritornare agli stipendi del Cardinale; il che poi non avvenne e s’acconciò invece col Card, de’ Medici. (2) Trattavasi di trovare certa somma di danaro a cambio. GIORNALE LIGUSTICO ”7 III. Illustriss. e Reverendiss. Signor Padron mio Colendissimo, È giunto in Genova il sig. Card. Zappata ed è per trattenersi qui qualche mese, ne do parte a V. S. Illustr. acciochè se le pare di passar qualche complimento possa ordinarmi quello che dovrò fare. S’aspetta il Principe di Condé, e tutto che i fransezi in questa citta non abbiano il luogo che potreb-bono desiderare, ad ogni modo sarà spesato dal publico (i). Rinuovo con questa occasione a V. S. Illustr. la memoria della mia incomparabile devotione e le fo humiliss. riverenza. Di Genova 7 del 1623. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Memoria sull3 Archivio della Città di Genova compilata da Giuseppe Gambaro Archivista Civico, riprodotta con correzioni ed aggiunte. Genova, Pagano 1874. L’ Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, cui er,a presentato questo diligente lavoro del sig. Bart. Cecchetti, volle fosse nei suoi Atti inserito, ed ha luogo nel Voi. XIII, Ser. III. E questa una seconda edizione la quale si vantaggia d’ alcune correzioni e additamenti; e fu eccellente proposito il porla fuori, onde , essendo maggiormente divulgata , giovasse a coloro, e sono i più, che ne’ su mentovati volumi non avean agio ricercarla, 0 che la prima non posseggono. L’ egregio autore scorto dai documenti divisa breve, ma chiara ed ordinata storia del nostro magistrato cittadino, palesando come all’ antico reggimento della Repub- (1) Il Condè vi giunse in fatti da Venezia, ed accolto nel palazzo di Antonio Doria a spese del governo, prosegui poi il suo viaggio per la Francia (V. Casoni). GIORNALE LIGUSTICO blica era legato ; in quanta misura eragli consentita autonomia ; poi la sua vicenda nel cambiar di governo in fino all’unione del 1815; e tocca da sezzo dell’archivio stesso ìecando un quadro delle parti in che trovasi ordinato. Chi desidera una chiara notizia di questo nostro Magistrato può con gian prò consultare l’annunciata memoria. Memorie della Parrocchia di Marta in Polcevera dal 1105 al 1S73 raccolte dal Sac. Luigi Persoglio. ·— Genova, Tip. Stend. Catt. 1873. T01 nano utilissimi alla peculiar conoscenza della storia particolare, que lavori che illustrano una regione, un comune, un castello, una chiesa, perchè appunto da si fatte monografie s imparano quelle minute notizie che non possono aver luogo in una generale istoria ; la quale però si giova grandemente di tal ragione memorie, per que’ larghi tocchi eh all uopo del suo racconto convengono. Fu per ciò laudabile proposito dell’ egregio autore licenziare alle stampe 1 annunziato libro, dove leggonsi con diligenza grande raccolte le memorie che alla Parrocchia di Murta in Polcevera ragguardano. E’ si vede come opportunamente abbia condotto il racconto sulle antiche -carte edite ed inedite , divisandole sempre a conforto dei fatti. Se non che 1’ autore avrebbe meglio adeguato il suo fine , lasciando in oblivione alcune notizie di poca 0 niuna importanza, ed ordinando la materia in migliore e più razionai guisa. Della vita e delle opere di Carlo Sigonio , discorso dell’ civv. Prof. Giovanni Franciosi in questa seconda edizione nolevol-mente ritoccato dall’ autore e arricchito di nuovi documenti e di lettere inedite del Sigonio a Cammillo Coccapani. Modena, Tip. Sociale 1872. Reputava opportunamente l’egregio autore onorare la memoria del Muratori, pubblicando pel ducentesimo suo anni- 1 giornale LIGUSTICO II c> veisario questo erudito discorso intorno al Sigonio, come quegli che tien si alto luogo nella storica disciplina, e fu sul XVI secolo quel che Ludovico pel XVIII. Il sig. Prof. Franciosi avea letto Γ annunziato lavoro nel 1869 per la festa commemorativa degli illustri scrittori italiani, e poi datolo fuori nell istesso anno; ma nella nuova edizione e’ vi pose additamenti molti, e note non più lette; augumentandone d assai 1 importanza colle lettere, che ne sono degno ed utile corredo. Si discorre prima del Sigonio come uomo , poi si recerca lo scrittore, che viene considerato in terzo ed ultimo luogo rispetto al suo secolo ed a’ contemporanei; il tutto svolto con grande squisitezza di stile, e con pari erudizione. Debbono i Liguri eziandio ricordare con onore il Sigonio mercè la sua vita d’Andrea Doria, la quale, se per avventura non è in tutto conforme a verità, è senza meno stupenda per lo stile, per vivezza e per nobiltà. ^e?ni Simbolici alle porte degli Antichi Templi cristiani, Memoria dell’ avv. Prof. Giovanni Franciosi , Modena. Gatti 1871. La opinione dell’ illustre scrittore d’ arte March. Piero Selvatico , che i leoni ostiarii porgessero simbolo di custodia, mosse il eh. Sig. Prof. Franciosi a dettare 1’ annunciata memoria, nella quale con molta erudizione riesce a dimostrare aver usata quell’ immagine i gentili da prima per raffigurare la forza del fato, donde 1’ arte cristiana facendone suo prò’, la volle intesa a significare la forza del Cristo. Combatte 1 autore le antiche autorità, che dettero appicco al prelodato Selvatico d’ uscire in quel concetto ; e molte ne reca a conforto del suo proposito ; nel che si manifesta così savio ed acuto critico, come nella forma del lavoro e’ si pare grave e in un forbito scrittore. Così fatti pregi gli procacciarono lodi senza fine, eziandio da quel fior di gentiluomo che è il 120 GIORNALE LIGUSTICO Marchese Selvatico il quale scriveva al eh. Autore queste parole che noi poniamo a conclusione della presente rassegna : « Ella continui in simili studi di simbolica cristiana, perché, ciò può tornare utile agli architetti chiamati ad erigere o a decorare chiese, quando smetteranno il mal vezjo di affaticarsi sulla falsariga delle regole vignolesche, o abbandoneranno le servili imitazioni di qualche facciatina gotica ». T)odici lettere inedite di Illustri Italiani, pubblicate per cura di Giuseppe Bigonzo e Pasquale Fazio. Genova Tip. Sordomuti 1874. Adoperarono saggiamente i due impiegati della nostra Biblioteca Universitaria curando si fatta pubblicazione , in ispe-zie perchè fecer manifesto ben conoscere il debito, che secondo noi, è proprio di tal ragione uffici; vogliam dire il dar opera a quegli studj cui sovviene la copia dei libri di qualsivoglia disciplina. Furono estratte le dodici lettere dagli originali, che, insieme ad altri non pochi, si conservano nella doviziosa nostra Biblioteca, raccolti mercè le cure del eh. Sig. Comm. Celesia che la dirige. La prima è del Doria e reca in fac simile la firma autografa ; furono scritte le altre dal Me-tastasio, dal Bettinelli, dal Tiraboschi, da Mons. Aless. Tassoni, dal Biagioli, da Tommasini, da Monti, da Cave-doni , da Fellice Bellotti e da Guglielmo Libri, e son tutte corredate da succose notarelle biografiche e letterarie. Laudiamo il proposito onde furon mossi i pubblicatori, e speriamo sia quest’ opuscolo seguito da altri; e per avventura non sarà vana· questa 'Speranza, se vero è che, come noi argomentiamo per certe nostre informazioni, si stia preparando una raccolta di lettere dettate da illustri liguri. Desideriamo che ciò presto avvenga. Pasquale Fazio ‘Responsabile. Aprile-Maggio 1874. Fascicolo 4-5# GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI ELOGIO DI FRANCESCO VIVALDI del professore FEDERIGO \ALIZERI letto nella Festa Letteraria del Liceo C. Colombo addi 77 marzo 1874. °§§i appunto il sest’ anno che a me combattuto da lutti domestici consentiste, 0 Signori, di farmivi innanzi con un subbietto anzi affettuoso che illustre, quantunque ben degno di V oi, per que’ sensi che vengono dirittamente dal cuore. Ed ecco che·anch’oggi, non bene rifatto da tristissima infermità, e nondimeno obediente all’invito di chi modera co-testo annuale festeggiamento, mi faccio scudo della vostra umanità, recando in mezzo un cotale argomento che risponda pei sua modestia alle presenti condizioni dell’ animo mio. Conciossiachè 1 oratore dee sorgere ad altissimo stile se pi ende materia già decantata per mille lingue : ad umile dicitore e contento del poco agevolmente si perdona. Non per questo (io mi penso) verrà scapito alla dignità del luogo, nè alle solenni cagioni che qui adunano una parte elettissima di cittadini, in cospetto di personaggi autorevoli, e in un giorno che per noi prende titolo dalla memoria de’ grandi Italiani. D altra parte è consiglio di Provvidenza che siccome il gloriare degli arroganti vanisce nella mente dei posteri, cosi la modesta virtù, poniam che sepolta nei secoli, sia raccolta quandochessia e ricambiata pur una volta di lodi maravi- 10 122 GIORNALE LIGUSTICO -----—----” ft gliose. Alla quale vendetta, cosi debita per ragion di giustizia e tanto utile per efficacia d’ esempj, io non presumo per certo; ma buon sarà s’io ne accenni al giudizio vostro, o Signori umanissimi, perchè un benemerito a gran torto dimenticato, per voce vostra e per vostro senno sia rimesso in onore. L’ uomo eh’ io vi presento a mirare è un tal patrizio dabbene che forse le più nobili terre d’Italia c’ invidieranno un giorno per cittadino. Nè però v’ aspettate a que’ lampi di gloria vana che danno negli occhi alla moltitudine, ma tanto O O durano in quanto abbarbagliano. Francesco A^ivaldi (chi intese mai nominarlo?) fu così fatto che agli eguali convenne di amarlo senza rivalità, ai minori senz’ ombra d’invidia. E sì pareva che la fortuna o troppo amica o insidiosa (eh’ io non so dirlo) studiasse a corrompere que’ santi costumi, colmandolo di ricchezza, quanta a gran pezza non ebbe esempio in cittadino privato. Ma di tali dovizie non toglievano oifesa gli abbienti o molestia i mediocri ; perchè Francesco tanto solo ne usava da parere al di sotto de’ primi e al dissopra a gran pena degl’inferiori: onde in quelli cessava l’emulazione, in questi altri il rancore. Le sue stanze non eran vili da sordidezza, ma nè anche splendienti d’oziosi fregi. Al cibarsi, quanto chiedeva il bisogno; al vestire, quanto portava il decoro, e così ancora al fornirsi di famigli e di fanti, ch’altri ingrassano a stormi per ostentar signoria. Quale in privato era in pubblico; nè corse divario dalla gioventù alla vecchiaja eh’ egli ebbe tardissima, e quanto è conceduto ad uom savio, felice. Or come non è vera felicità se non da vera virtù, in ciò solo dovettero i buoni recargli invidia, eh’ ei suggellasse la vita lunga ed intemerata con sì sottile accorgimento di carità, da discernerlo non pure da’ suoi cittadini, ma da quanti furon mai più civili a memoria d’ uomini. Nè minor privilegio fu in lui di cansare ogni sospetto d’ ambizione o di va- giornale ligustico 123 niti, come quegli che rassegnando alla posterità gli effetti del suo benefìcio, negava a sè stesso la compiacenza del va-gheggiarli. Laonde passò compianto anziché celebrato; e ’l suo nome ebbe nota per pochi scrittori quantunque gravissimi , cessando per uomo sepolto ogni cagione di lode agli importuni e ai venali. La nostra patria, 0 Signori, ha cospicuo monumento di gloria 1 antico Palazzo delle Compere, e una storia di civiltà nelle trentaquattro sue statue che siedono o sorgono su per le scale e per gli atrii e per 1’ aula e ne’ più ascosi ricetti di quelle stanze. L’ andar degli anni, il polverio delle merci e 1 alito che vi si appasta dal basso, le annera ed isquallida da lungo tempo : faccendieri e mercatanti e operai per vecchia assuetudine a tante imagini, sbadatamente le veggono e passano. Ma quelle figure durano anch’oggi nel luogo antico, non guaste da mano profana : e diresti (a vederle) che si piacciano in quel tumulto di traffici, che sorridano al popolo, che chiamino a colloquio chi pur le guarda. La matta plebaglia che scalzò un giorno le statue dei benemeriti dall’ augusta Sede della , Repubblica e le sfregiò negli Ospizipiù venerandi, 0 non si volse o non ardi contra queste; più che ritratto di grandi le parvero forse sembianze di cittadini. Lo studioso de patrj fasti vi troverebbe non altrimenti che una famiglia, una prole, una discendenza di generosi, e risalendo più secoli conterebbe i nipoti e i figli de’ figli, finché giungesse al comun padre di tutti : a Francesco Vivaldi, che di bellissimo intaglio si vede effigiato in angusta camera, e propriamente in quell’ abito di bontà e di modestia che s’ ebbe vivendo. Per me non m’ avvenne giammai di fissar gli occhi in quel volto e in quegli atti, ch’io non mi chinassi di riverenza, e più ancora che il cuore non mi battesse d’insolito affetto, e la mente non s’ affondasse a pensare quell’ uomo e a meditarne 1 proposti. Allora non tanto mi stupisco delle insigni lar- 124 GIORNALE LIGUSTICO ghezze che si narrano a voce d’ uomini o si leggon per libri, quanto mi sento commuovere per quella sapienza (vorrei dirla cristiana) che misura ed esplora e delibera il benefizio secondo Γ altrui bisogno. Perocché per quantunque s’ assottiglino in dispute o la ragione o la scienza, non so vedere nell’ ordine de’ casi umani fuorché un consiglio impenetrabile a noi, che inevitabilmente prepara le sventure e le necessità de’ mortali per metterli a prova di merito. E spesso accade che in un sol popolo e per le sorti medesime insorgano odj e contraddizioni acerbissime, e si rinfreschi la guerra perpetua fra chi stenta la vita e chi siede alla cosa pubblica, fra l’agiato e il tapino, fra il debito de’ governanti e il tribolare dei sudditi. Misera condizione di tempi, quando le grida del poverello mestamente ricercano 1’ orecchio de’ magistrati, e ai magistrati è ineffabile rammarico la necessità di strappare il frusto agli affamati figliuoli del popolo, e di pesar duramente sugl’infelici, fino a volger le lagrime in urla da disperati. E tristissima d’ ogni fortuna, quando la pubblica salute si dee comprare col pianto de’ cittadini, e a chi singhiozza penuriando di pane mostrar la patria manomessa nell’ onore, assalita colle armi, o straziata dalle fazioni, o vilipesa da soprusi stranieri. Chi dolora in isquallide case, tra i figliuoletti scalzi e digiuni, con al fianco una sposa scapigliata e rimorta per tedio di vita, difficilmente perdona agli accigliati esattori del fisco chiedenti il paiuolo od il desco a pareggiare la somma degl’ ingrati balzelli. E pessima sorte pei ultimo se a tristo presente non rida una speranza nell’ avvenire, ultimo conforto a chi soffre: ma le sventure d’ un popolo son gravi e lunghe e non sanabili per ispediti consigli. Fingetevi nella mente, o Signori, quel eh’ io leggermente ho adombrato, e vi parrà quali fossero un tempo le sorti di Genova, e tanto più ree quando il Vivaldi toccava all età matura. Già il prestito aperto ai privati oppressava il Comune, giornale LIGUSTICO 125 e con titolo di capitoli o compere empieva i registri della Curia. E come e vicenda de’ cambj che la fiducia si scemi quanto ingrossano i crediti e con essi lo spendio delle rendite, cosi i Reggitori destreggiavano dalle compere alle avarie, e da queste alle gabelle, e calcato il più forte possibile sulle più comunali, aguzzavano l’ingegno a crearne di nuove, secondo che urgevano le distrette del pubblico erario. Niun possesso, niuna industria, niun traffico, non gli atti medesimi bisognosi alla vita scampavano alla sottile inquisizione dei contributi. Tassato il ministerio dei servi, tassate le cavalcature , tassato il metter vino nei dogli, tassato il caricar zattere d arena o di simili salme. Malo augurio, e soprattutto agli abbienti; se non che la tempesta dai palazzi e dai fori trapassò sui mercati, e colpi la raiba che spacciava i frumenti, e la gombetta che ne dicea la misura, e i navigli che il portavano a proda ; poi tosto 1’ embolo e Γ ostellaggio e il pedaggio e il macello; e ciascun peso sopraccrescendo agli antichi, nuovamente ingrossava delle salse o vuoi soprattasse a tempo, non circoscritte che dall’ arbitrio, non moderate se non dai casi. Nè soli i pubblicani di Palazzo battevano all’uscio del povero; s’aggiungevano le bisogne edilizie e le cure domestiche, magistratura dei Padri.· E oppressori ed oppressi si travagliavano d’egual ragione, quelli a sostenere la patria, costoro a cibar la famiglia. Non possibile ai primi l’adempiere il vuoto di tante compere, intollerabile agli altri il durar tale inopia, peggio assai del morire. Lo Stato, o Signori, è una vasta famiglia; e quando incontrasse nelle disdette fin qui raccontate m’ avrebbe faccia di quella famiglia, ove il padre sortito a reggerla si dibattesse tra i figli che chieggon di vivere, e tra le usure che corrono colle ali del tempo e struggono le virtù dell’ industria e del pensiero. Il più accorto ad usar masserizia griderebbe a co-testo impacciato : chè non serbi 1’ un di per 1’ altro, foss’ anche 126 GIORNALE LIGUSTICO un nulla, e di quel gruzzolo non premi altri avanzi accrescendo alla somma, finché tu o i tuoi figliuoli non iscotiate di dosso quel carico, a trar fiato una volta e cibar senza lagrime il vostro pane? Opera lunga (il sappiamo) e piena di sconforti, ma pur sicura, e quel che importa laudabile e onesta. E il misero padre tornerebbe a mostrare i bambini ignudi, e sprovveduta la mensa, e in asciutto .il denaro; del quale se rimanesse alcun nulla, oh come godrebbe egli di sfamarne un tal più la sua prole ! La scienza moderna ha ricantato il medesimo ai reggitori delle nazioni: e i reggitori delle nazioni rispondono tuttavia che il fluttuar dei bisogni e il soverchiar dei pericoli non lascian nè tempo nè argomento agli acquisti. E il senno dei politicanti ha replicato più forte : arrestate il male sdebitandovi per altri debiti di mano in mano: salvate l’infermo che non muoia per oggi; il domani è nei casi avvenire, troppo rileva il tener dignità riguardando al presente; i mercimoni e gfi scambj tanto durano in credito quanto s’ingegnano a rigirare e a schermire ; sciagura estrema e irreparabile da umano ingegno è il confessarsi per vinti. A questo filo, o Signori, pende la sapienza di molti libri e la dottrina di molti saccenti. Pur nondimeno è dolce ad intendere la lode che rendono i più dotti stranieri alla nostra Genova ; da cui confessano originata la esdebitazione del pubblico erario per via de’ moltiplichi. E perciocché ne commendano i benefici effetti, è dritto il gloriarci d’aver tocca una meta alla quale non giunsero molti per erudite speculazioni. Ma gli stranieri non sanno (e pochi sanno dei nostri) le prime cagioni; e godranno al sentire come procedesse da civile pietà quel benefizio che attendono altri, e sempre vanamente , dalla umana accortezza. Quella sapienza (cred io) che tanto è sopra alla nostra ragione quanto il cielo alla terra, commuove talvolta due mali contrarj, perchè a dissiparli si levi una virtù che ritragga nel mondo 1’ amore supremo. Gè- GIORNALE LIGUSTICO I27 nova fu prima bensì al nobilissimo esempio: ma bastò a Genova un uomo solo, e quest’ uomo è Francesco Vivaldi. Era il 12 aprile del 1371. Il generoso patrizio (crederei di vederlo) moveva sull’ora di terza alla Signoria, pensoso negli atti se vuoi, ma serena la fronte ed acceso lo sguardo, come persona impaziente d’indugi e deliberata ad un grande pensiero. Lo attendevano seduti a Consiglio il doge Domenico da Campofregoso e gli Anziani in pien numero ; il Cancelliere della Repubblica, Aldebrando da Corvara, mallevava della pubblica fede. « Signori, così il Vivaldi intromesso che fu nella Curia, io conosco i bisogni della mia patria, io sento il debito di sovvenirla quanto è possibile a buon cittadino. Io vi ho serbato il valsente di novanta Luoghi perch essi sian vostri, come reggitori che siete e ministri ad un tempo del popolo; voi perchè approdino al popolo usateli secondo i disegni che mi han mosso ad offrirveli. Restino i novanta titoli inscritti a mio nome, inviolabili e sacri, che niun magistrato o collegio 0 persona del mondo vi possa in verun tempo 0 per qualsiasi cagione, poiché d’ora innanzi son cosa del popolo. Io stesso terrò questa legge, dacché me ne spoglio; ma quelli de’ vostri uffiziali che hanno in cura le Compere attendano a trar le rendite di questa somma, nè mai più tardi che allo scadere d’ogni anno. De’ quali proventi voglio ch’altri se ne ricomprino, e 'che fruttino a lor volta, e de’ nuovi frutti e de’ nuovi acquisti altri acquisti ed altri frutti si vengano moltiplicando per correr d’anni, finché si soddisfaccia a quanti sono i , comperatori del grosso credito che voi chiamate della Gran Pace. Cassato questo, si volga l’ufficio vostro sulle altre Compere, 0 gravi che sieno 0 leggeri, nè in perpetuo s’ arresti mentre avanzi un sol debito nella Repubblica, mentre si legga nei cartularj un balzello che pesi sui vostri e miei cittadini. Così fatta è la mia volontà: trasgredita la quale, 128 GIORNALE LIGUSTICO od anche in parte negletta, o per me stesso s’io sarò vivo, o per mano de’ miei successori, ripiglio il mio dono » (r). Assentirono i magistrati, e ad una voce lodarono che 1’ atto così si rogasse come piaceva a Francesco, e stanziarono che in breve epigrafe n’ andasse notizia ai presenti e ai futuri. Non si vide mai più onesto convegno, d’ un magnanimo che mette leggi a un Senato e d’un Senato che si lega ad un cittadino, stipulando scambievolmente non per sè ma pel bene comune. Che se mai domandaste, o Signori, quanto reggesse e fin dove il sottile trovato di Francesco Vivaldi, nè potrei sdebitarmi con piena certezza, nè ritenermi eh’ io non piangessi con voi la irreparabile caducità degli umani concetti. In qual tempo e in qual gente si tenne in tal pregio la santità dei contratti, che scampassero agli assalti della fortuna non dico i civili istituti, ma quelli ben anche consecrati da pietà e religione? Questo solo m’ è dato rispondervi, e vi parrà maraviglia, che in termine di sedici lustri, o poco oltre, scrivevansi sulla colonna del Vivaldi novecento vent’ un migliaio di lire e quattrocento novanta per giunta; di tanto erano cresciute le nove mila largite (son quasi per dire) a memoria de’ vivi; di tanto erano scemate le gravezze comuni, e d’ora in ora scemavano. Ma Francesco dormiva da lungo tempo la pace dei giusti : felice, che chiuse gli occhi nella fede del beneficio : felicissimo che non vide le sorti che in età più vicine ne turbarono i mirabili effetti! Per verità, se l’affetto de’ pietosi guardasse pure al continuo rimutarsi e travolgersi che fanno quaggiù le opere mortali, sarebbe troppo a temere eh’ei non restassero di fare il bene, e sgomberassero il campo ai temerarj trafficatori di vanità. Ma sien grazie all’ Eterno, che negando saldezza alle cose degli uomini, ha benedetta per altra parte e santificata (i) Vedi il Documento in fine. GIORNALE LIGUSTICO 129 1 eredità dell’ esempio. E sì che Γ esempio di Francesco Vivaldi fu il lievito che scaldò cento petti, fu Γ evangelica senape che mise germoglio e si levò in salda pianta. Oh Γ e-lettissima schiera che corre sull’orma di quel gentile, e contra i pericoli della fortuna ne rincalza i magnanimi intendimenti ! "Non è ricco patrizio che non s’invogli di seguitarlo : che dico ? che non procacci d’entrargli innanzi nel nobile arringo. Non volge un secolo che due Luciani, Grimaldi e Spinola, per virtù de’ moltiplichi, hanno scossi dal povero i molesti tributi dell’annona e del vino, e di quanto è desiderabile a chi stenta la vita. Vedi un Domenico Pastine, un Antonio Doria, un Eliano Spinola, due Gentili, Gerolamo e Pietro, un Francesco Lomellino, un Dario Vivaldi, allargare la mano a tutti quanti i bisogni del pubblico; e nuovamente un Giano Grillo, un Battista Lercaro, un Raffaele Saivago, un Manfredo Cen-. turione, un Andrea de Fornari e più altri, provvedere del loro peculio onde i frumenti che natura ricambia al sudore dell’ operaio non rincarino per nuove gabelle. Nella qual gara è tanto e così ardente il competere, che alla privata munificenza poco è che non manchi e materia e argomento ; ma 1’ opera de’ generosi si volge con simile industria ad altre ed altre forme di carità: e Ansaldo Grimaldi apre scuole e sovviene agli ospizj, e due da Passano, Filippo e Giulio, desti-nan limosine ai poverelli, e Lazzaro Doria a dotar pulzelle, e Battista Grimaldi a restaurare il Palazzo pubblico, ad am-megliorare 1’ antico molo e 1’ acquedotto ed il porto, a rifornir le galee, a riempier le canove, a ricattare gli schiavi, a maritar le fanciulle, ad aggrandir gli spedali, a sostentare i cenobj. Ben fecero i Protettori delle Compere, quando travasate le ragioni del debito nella nuova Banca che si chiamò da san Giorgio, curarono senza dimora che le persone di quei benemeriti, scolpite di marmo e lodate in epigrafe, passassero a documento d’ amore nella più tarda posterità. Io mi 130 GIORNALE LIGUSTICO prostro a que’ volti, io mi esalto nelle pietose leggende onde invitano i cittadini a giovare la patria. Veramente barbaro ed incivile mi parrebbe quel secolo che rimovesse di luogo si care imagini, o patisse che mani profane ne facessero strazio. E in tal pensiero mi travaglio per modo, che al fendere che pur si dee quel palazzo, mi stanno mestamente nel cuore quelle lapidi e que’ simulacri, che altrui negligenza o disamore alle nostre memorie 0 troppo studio di cose nuove, non ci tolgano in parte cotanto tesoro di gloria per noi e di esempj pei nostri nipoti. E s’io non sapessi di che gentilezza si vestano i magistrati che vegliano alla cosa pubblica, s’io non sapessi di che zelo s’ accendano per quanto è proficuo alla nostra e alle venture generazioni, ardirei supplicarli in nome di Genova, in nome d’Italia, in nome del mondo, a voler provvedere anzi tempo che non un sasso, non una lettera od un segno qualsiasi abbia a scoscendere fra le rovine, o a perir sotto i colpi. E degno fatto mi parrebbe pur questo, che 1’ imagine di Francesco Vivaldi, da lunga pezza murata, e sto per dire nascosta in un quasi ricetto, uscisse a vista di tutti nel luogo più eletto ed aperto dell’ edifìzio ; acciocché com’ egli fu primo nel mettere le sostanze e l’ingegno a gran prova di civiltà, cosi riscotesse dai cittadini le prime lodi, e primo svegliasse ne’ cuori la fiamma d’ una onesta emulazione. Perocché ai nostri giorni, o spregiatori che siano od increduli d’ ogni antica virtù, si vuole usar forza con argomenti palesi e innegabili: si vuole confondere, e se è possibile tirare a vergogna la matta furia dell’ arricchire coll’ esempio della ricchezza che offerta in copia dalla fortuna, si fece comune agli sfortunati, e contenne sé stessa nell’ aurea mediocrità. A cercar su pei fori, a spiar nei mercati e adocchiar negli scambj, che cosa ci resta oggimai di cittadinesco fuorché il nome nei censi e la lingua per lusingare? giornale ligustico Benché, quale sdegno mi muove contra 1’ età presente, che non sia giustamente dovuto a quanti furono e a quanti per avventura saranno i secoli e le condizioni del mondo? Così fatta è la natura degli uomini, che alla prima rozzezza, inesperta fuorché del patire, tenga dietro l’industria a migliorarne le sorti : che sèguiti a questa il talento degli agi e della potenza; da ultimo Γ abbandono d’ ogni maschia virtù e d’ogni affetto gentile. Ond’ io mi consolo di questa fede, che la divina Bontà regolatrice de’ casi umani, non resti mai di sco-prirci fra i vizj molti tanto raggio d’amore che vinca la densa tenebria degli errori, e ritiri gli erranti alla luce del vero. Della qual fede (poiché soprattutto rileva il presente) mi sia caparra e solenne argomento il tuo esempio ben noto a noi tutti e ammirabile a quei che verranno, o Gentildonna dei Brignole-Sale. Conciossiachè nel nobile rifiuto che tu facesti in benefizio della patria comune, non m’è solo stupendamente pregevole la larghezza dell’ animo, ma ben’ anche e più molto 1’ opportunità del gran dono, onde si richiamano gli asserviti costumi all’ affetto delle arti graziose e all’ uso sapiente delle ricchezze. Io non intesi chi ti lodasse di generosa, senza addentrarsi nella tua mente, perch’io non dica negli intimi secreti del cuore. E quasi parlando i tuoi nascosi pensieri, che è (domandavano) che è l’abbondare della fortuna, se non quel soverchio onde lo spirito d’ amore ci vuol dispensieri al maggiore bisogno? Che se al fortunato dee pure tornarne alcun bene, forsechè non è molto che una città tutta quanta spaziando per le auree sale, maravigliando gli squisiti dipinti, e piacendosi in un’ eletta d’ingegni che quinci tor-ranno sprone alla gloria e documento al valore e guiderdone alle oneste fatiche, benedica al tuo santo concetto, ed impari il tuo nome ai figliuoli dei figli? E non sarà grandissima cosa, che dopo, tanta arte di carità che illustrò per GIORNALE LIGUSTICO mille guise più secoli, trovasti ancora, provvidamente sagace, come giovar la tua terfa con nuova forma di benefizio ? Che se le tracce de’ vostri antichi eran degne a tenersi con devoto riguardo, tu hai d’altro lato a piacerti nel magnanimo Consorte, il quale non che proseguirle, ma s’apparecchia di trapassarle in sussidio della operosa indigenza. Cosi se cento altri largheggiarono a menomar la sventura, ed entrambi Voi soccorrete alla smarrita virtù, confortando gl’ ingegni a leggiadri studi, e avvalorando il meschino che ha scarso alimento dal quotidiano sudor della fronte. Fortunati, o Signori, e fortunati le mille volte coloro, ai quali bastano le sustanze ed il senno per mettersi nella schiera onorata che conosce per guida, per maestro, per principe Francesco Vivaldi! I DOCUMENTO. «Accordi stipulati tra Francesco Vivaldi e la Signoria per I’ istituzione de’ moltiplichi. (Archivio di san Giorgio; Cartulario P. S. della Compera della Pace per l’anno 1378, fot, 132-33). MCCCLXXI die XXI aprilis. De mandato et voluntate Domini Francisci de Vivaldis est quod loca nonaginta sive 1. vim pro ipsis locis lxxxx computatis scripta et scripte super ipsum sic scripta super ipsum Franciscum stare debeant in columna ipsius nec de super ipsum et columna sua dicta loca lxxxx aliquo tempore possint describi et scribi super aliquam personam corpus collegium et universitatem ex aliqua ordinatione communis Janue condita seu condenda nec per ipsum Franciscum seu alium ejus nomine donec infrascripta contenta in presenti instrumento inferius inserto et scripto et composito manu GIORNALE LIGUSTICO 133 Aldebrandi de Corvaria notarij mccclxxi die xn aprillis fuerint adimpleta et quod de proventibus ipsorum locorum qui procedent de cetero et in futurum ex locis ipsis fiat et fieri debeat ut infra'dicetur et continetur in infrascripto et in dicto instrumento de verbo ad verbum presentibus testibus ad hec vocatis et rogatis Anthonio de Gavio notario et Jenuyno de Pissina. Tenor autem instrumenti talis est. In nomine Domini amen. Nobillis vir Franciscus de Vivaldis quondam Leonellis sciens quod commune Janue est quampluribus creditis oneratum propterea quod per ipsum commune ex ordinatione presidentium ipsius communis qui pro temporibus fuerunt imposite sint quamplures compere pro quibus et ex quibus solvantur certe assignationes civibus Janue seu habentibus ab eis causam: volens ipse Franciscus in hac parte quantum in eo est utilitati et comodo reipublice providere ex causa donationis inter vivos que amplius revocari non possit jure ingratitudinis vel occasione vel causa salvis semper infrascriptis et que infra dicentur: Donavit et titulo donationis concessit et tradidit seu quasi magnifico et potenti domino domino Dominico de Campofregoso Dei gratia Januensium Duci et populi deffensori ac suo provido consilio recipienti et stipulanti nomine communis Janue loca nonaginta in compera magne pacis sive libras novem millia computatis pro ipsis locis lxxxx modis et formis et conditionibus infrascriptis et ut ex ipsis locis et proventibus qui procedent ex eis fiat et fieri debeat ut infra dicetur : Et eo casu quo non fiat ut in omnibus et per omnia presens donatio habeatur penitus pro non facta. Videlicet quod dicta loca scripta sint super ipsum Franciscum nec desuper columna sua dicta loca possint aliquo tempore describi et scribi super aliquam personam corpus collegium seu universitatem ex aliqua ordina-cione communis Janue condita seu condenda donec infrascripta omnia sint adimpleta: et solvit et donavit quod proventus spectantes ad dicta loca et qui in futurum spectabunt habeantur et percipiantur per Protectores Comperarmi! qui nunc sunt et pro tempore fuerint et qui accipiant proventus dictorum locorum et ipsos proventus in fine anni si voluerint ponere et collocare in emptione locorum .dicte compere que scribantur super dictum Franciscum in columna sua et quod non possint describi aliquo tempore prout de dictis locis nonaginta dictum est donec omnia et singula infrascripta fuerint adimpleta et que loca emi debebunt ex dictis proventibus infra menses duos usque in sex ad plus finito anno 134 GIORNALE LIGUSTICO si\e ultima paga que est de mense februarij: Ita quod sint empta loca ex dictis proventibus et scripta super dictum Franciscum per totum mensem aprilis seu etiam augusti tunc proxime subsequentis et subsequendum annis successivis accipiantur proventus ipsorum locorum per dictos Protectores et emantur loca finito dicto anno in dicta compera et infra dictum tempus seu tempora que scribantur super dictum Franciscum et sic successu e singulis annis donec omnia loca dicte compere fuerint empta et acquisita que sunt in dicta compera nec ad alium usum proventus percipiendi converti possint aliquo quovis modo vel ingenio directe vel per indirectum qui dici vel excogitari posset. Et postquam satisfactum fuerit omnibus participibus dicte compere tunc et in dictnm casum pro-'entus assignati dicte compere accipiantur per dictos Protectores ut supra et con\ ertantur in emptionem aliarum comperarum dicti capituli prout \idebitur dictis Protectoribus: que loca modo premisso scribantur super dictum Franciscum et sic fiat successive modo et forma premissis donec fuerit satisfactum participibus omnium comperarum communis Janue capituli tantum et ab inde in antea commune Janue de dictis locis et pro-\ entibus faciat ad suam liberam voluntatem. Et ut predicta melius exe-cutioni mandentur teneantur Protectores qui nunc sunt vel illi qui pro tempore fuerint in fine anni eorum reddere et facere Protectoribus successoribus suis plenam et veram racionem de gestis per eos vixitatoribus capituli qui pro tempore fuerint. In casu vero quod predicta omnia et smgula non fiant voluit ipse Franciscus presentem donationem haberi penitus pro non facta ita quod ex tunc ex quo fuerit contrafactum dicta loca que scripta reperiantur super dictum Franciscum spectent et pertineant pleno jure ad dictum Franciscum si tunc viveret et si non viveret ad heredes suos ita quod in dictum casum ipsi heredes sui de ipsis locis qui tunc fuerint et proventibus ipsorum possint facere ad suam liberam voluntatem. Versa vice prefacti magnificus dominus Dux et suum Consilium videlicet ipse dominus Dux et in presentia sui Consilij Antia-norum in quo Consilio interfuit plenus numerus dominorum Consiliariorum et quorum qui interfuerunt 'nomina sunt hec : D. Magister Johannes Bustonus Prior Jacobus de Franciscis Manuel de Juliano , Franciscus Subiarius Deserinus Bordonus I0h. de Bracellis Stephanus de Sancto Biasio Nic. de Recho Nicolaus Campanarius Petro Bellogius et Lucianus Panicius Lanfrancus de Pagana. GIORNALE LIGUSTICO r3S Al ipsi Consiliari] in presentia consensu et auctoritate ipsius domini Ducis absolventes se ad ballottolas albas et nigras et fuerunt ballottolle albe invente tresdecim numero et nigra nulla et in omnibus observata forma Regullarum communis Janue nomine et vice ipsius Communis Janue : Acceptantes predictam donacionem modo et forma in obseruationem premissorum promixerunt ipsi Francisco solemniter stipulanti et recipienti prò se et heredibus suis dicta loca et proventus ipsorum locorum qui pro tempore fuerint et proventus quorumcumque locorum propterea ex eis emendorum in aliud usum non convertere seu capere seu capi facere quam ut supra in omnibus et per omnia de ipsis locis tam pre-sentibus quam futuris et proventibus ipsorum facere et disponere et fieri facere in omnibus et per omnia secundum voluntatem dicti Francisci de qua superius fit mentio et etiam voluerunt et consentierunt (sic) in Regulis fiendis per Regulatores primo elligendos presentem donacionem et omnia et singula contenta in* presenti instrumento approbentur ratiffi-centur et confirmentur in Regulis eorum ut voluntas ipsius Francisci efficacius observetur: Et etiam predictis omnibus et singulis consenserunt et assenserunt pro bono et utilitate dictarum comperarum videlicet Protectores Visitatores et Consules quorum nomina sunt hec: D. Magister Johannes Bustonus Prior Nicolaus de Recho Dominicus Lercarius Andriolus de Mari et Bartholomeus Longus Janus Imperialis. Aymonus Marocellus Nomina vero Visitatorum qui sunt duo sunt hec: Valarianus Lomelinus et Dagnanus Gambarus Anthonius de Gavio notarius unus ex duobus Consulibus Pacis Janus Imperialis Damiani unus ex Consulibus assignandorum mutuorum. Et est actum in presenti contractu specialiter et expressum quod in primo juramento quod subeant Capituli Protectores addatur sacramento ipsorum quod ipsi observabunt omnia et singula que in presenti instrumento continentur que sibi ipsi tenentur observare qui sic ut supra promiserunt ipsi Francisco solemniter stipulanti ut supra facere .et adimplere in omnibus et per omnia et effectualiter secundum voluntatem dicti Fran- GIORNALE LIGUSTICO cisci superius expressam. Et ut predicta majoris roboris habeant firmitatem tam dicti dominus Dux et Consilium quam ipsi officiales comperarum voluerunt quod dicta pacta conventiones et dicta donatio ut supra sic facta scribantur in Cartulario dicte compere in carta in qua scripta erunt dicta loca nonaginta et sic successive singulis annis donec predicta omnia et singula fuerint adimpleta : et etiam ponatur unus lapis super locum in quo consulunt Protectores in quo lapide sint sculpta ista verba : Notum sit omnibus quod Franciscus de Vivaldis q. D. Leonellis assignat loca, nonaginta ad scribendum in Comperis capituli modis et formis de quibus fit mentio in publico instrumento scripto et composito manu Aldebrandi de Corvaria notarij et cancellari'j communis Janue MCCCLXXI die XII aprilis. Que omnia et singula prefatus dominus Dux et Consilium et Officiales dictarum comperarum nomine ipsarum ex una parte et dictus Franciscus ex altera attendere complere et observare juraverunt et promisserunt alioquin penam dupli ejus totius in quo sive de quo et quotiens contrafactum foret vel ut supra non observarent cum restitucione omnium dannorum interesse et expensarum litis et extra : ratis semper manentibus omnibus et singulis piedictis: et proinde et ad sic observandum omnia bona dicti Francisci habita et habenda prefacto domino Duci et Consilio ut supra stipulanti obligavit et dicti dominus Dux et Consilium dicto Francisco solem-niter stipulanti obligaverunt et ypotecaverunt omnia bona dicti communis habita et habenda illa videlicet que ex forma capitulorum dicti communis non sunt prohibita obligari et quod instrumentum registretur in registris communis Janue et capituli. Quibus omnibus et singulis dominus Matheus qm. domini Leonis de Essio miles Potestas civitatis Janue et districtus presentem donacionem et omnia et singula suprascripta tamquam legitima et legitime insinuata approbavit et ratificavit et statuit et decrevit presentem donacionem et omnia et singula suprascripta obtinere debere perpetuam roboris firmitatem quemadmodum donacionem legiptime insinuat apud magistratum census et etiam infringi non posse aliqua ratione vel causa que dici vel excogitari possit. Actum Janue in palatio ducali in terraticha ubi consilia dicti domini Ducis et Consilij celebrantur : anno dominice nativitatis MCCCLXXI indictione octava secundum cursum Janue die xn aprilis circa terciam : presentibus dominis Celesterio de Nigro jurisperito Marcho Gentilli Georgio de Cla-varo Raffaele de Goascho notario et cancellario ac Badassalle de Pineto notario testes (sic) vocatis et rogatis. Testatum et publicatum manu Aldebrandi de Corvaria not. et cancellarij. GIORNALE LIGUSTICO 137 Nel Cartulario Ϊ454 della stessa Compera Tacis, in capo alla colonna di Francesco Vivaldi si legge cosi: Franciscus de Vivaldis q. Leonellis Libre noningente viginti una millia quadringente nonaginta soldi duo et denarij novem cum dimidio. — Sive L. dcccxxi cccclxxxx. S. ii. D. vini i/2 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ' · (Continuazione da pag. 114) Vili. Sezione di Archeologia. Tornata del 7 febbraio. Presidenza del cav. prof. Federigo Alizeri. Il socio Desimoni legge la seguente sua Memoria sui Quartieri dei Genovesi a Costantinopoli nel secolo XII. Mi gode Γ animo nel vedere la Società nostra ogni giorno più guadagnare amici e corrispondenti, e stendere le sue fila anche fuori d’Italia. Di gran vantaggio per noi era sovrat-tutto il rannodare relazioni coi Dotti del'Mar Nero e della Grecia: i quali per la profonda cognizione de’ luoghi congiunta alla cognizione della loro storia ci fornissero sussidii tanto più importanti per noi, quanto più colà ebbe Genova nel medio evo larga parte di potenza e di gloria. Oramai il nostro intento approdò: i signori Bruun e Jurgievicz, Professori dell’ Università di Odessa, a nome anche di quella benemerita Società storica, ci inviarono gli eruditi studi proprii e dei colleghi. Da Costantinopoli quel Console generale di Francia, il signor Belin, già chiaro per pregiate pubblicazioni, ci fece 1’ onore di due esemplari della sua recente e lodata 11 i38 GIORNALE LIGUSTICO Storia della chiesa latina di Costantinopoli. Poco stante il dottor Alessandro Paspati, greco, residente in quella capitale, faceva omaggio alla Società nostra di una sua Memoria sui Quartieri genovesi in Costantinopoli nel medio evo; stampata negli Atti di quella Società filologica ellenica, di cui il eh. Autore è uno dei .Membri più operosi e più segnalati (i). Delle comunicazioni sovralodate abbiamo in parte già ragionato nel seno della nostra Società, in parte diremo altra volta; per ora vogliamo fermarci al dottor Paspati, il quale ci richiama alla mente alcuni studi nostri da qualche tempo intramessi ; e ci porge 1’ occasione di rannodarli co’ suoi, anzi di compierli; dacché egli pervenne a sciogliere felicemente, come io credo, la principale difficoltà. Il dotto Greco comincia la sua Memoria salutando il bel nome d’ Italia e loda la nostra Penisola del suo risveglio vigoroso, come negli altri Instituti, così negli studi storici. Parla con benevolenza della Società nostra, a cui già avea altre volte fatto cortesia di sue pregiate pubblicazioni; rammenta con lode il Codice diplomatico tauro-ligure del socio nostro il Padre Vigna, notando che i documenti ivi contenuti valgono mirabilmente a porgere un concetto chiaro e spiccato della vita intima e della politica di que’ tempi e paesi. Egli quindi entra nell’ assunto; e noi lo seguiremo, aggiungendo mano mano la notizia dei documenti che al soggetto si attengono. Vogliamo avvertire tuttavia che il nostro studio per ora si ferma al 1204; a^a caduta cioè di Costantinopoli conquistata dai Crociati. E siccome i Quartieri genovesi in Costantinopoli costituiscono l’oggetto principale di questa (1) L’Emporio dei Genovesi in Costantinopoli e nel Mar Nero nel medio evo (in greco moderno), negli ( abitacolo) » ,X. » 32 calvorum » cadiviorum » » » 29 in fasico )) uno fasico » XI. » 20 calamis )) columpnis » XII. » 11 meridiem tropice aggiungi : alia cubicula » )) » 30 cancellupt correggi : cancellis » XIV. » 3 extera » extra » XV. » • 9 viri monasterio » juri monasterii GIORNALE LIGUSTICO dievali, il Prof. Heyd intrecciò la sua Storia di codeste colonie orientali per guisa che il racconto, benché breve, corre limpido ad un tempo e pieno, e somministra , a chi ami saperne di più, la cognizione delle fonti e degli autori che d’ ognuno di que’ speciali fatti ragionarono. Noi potremo quind’ innanzi venire alla piena intelligenza del contenuto ne’ citati documenti, mercè la diligente traduzione che fece dei testi greci il socio can. prof. Sanguineti; il quale volle inoltre trascrivere e conferire tra loro gli originali e le traduzioni ufficiali che ci restano nei diversi esemplari; curò sopratutto la esatta lettura de’ nomi di persone e di luoghi, ove 1’ errore è scusabile ma assai frequente. Per tal guisa Genova avrà anch’ essa in tempo non lontano, e per cura della Società nostra, il suo Codice diplomatico ligure-bisantino. Per ora basterà soggiungere in ordine cronologico quelle sole notizie che sono necessarie a comprendere il filo degli avvenimenti, fino alla conquista di Costantinopoli fatta dai Crociati. Nel 1182 Alessio, che due anni prima era succeduto all’imperatore Manuele, fu cacciato dall’ usurpatore Andronico : la plebe di Costantinopoli approfittò dell’occasione per isfogare il lungo odio contro gli Italiani, che stimava s’arricchissero a suo danno, e ne fece un orribile macello; non senza che però gli Occidentali, che poterono sfuggire e imbarcarsi sulle proprie navi se ne vendicassero, depredando e incendiando lungo la Propontide e ΓArcipelago. Così, durante l’impero d’Andronico, i Genovesi come i Pisani ed i Veneti rimasero spossessati de’ loro emboli nella Capitale bisantina: ma nel 1185 salendo al trono imperiale Isacco l’Angelo, si diedero attorno per ritornarvi. Il Cronista genovese nota che nel 1186 fu inviata colà un’ ambasciata nelle persone di Nicola Mallone e Lanfranco Pevere. Sappiamo da un documento nostro nel testo greco del 1188 , che i legati ritornarono in patria senza GIORNALE LIGUSTICO aver concluso nulla; di che l’imperatore si scusa con Bai-duino Guercio, rovesciando la colpa su di loro (i). Un altro'di questi documenti greci ci fa sapere che nel 1191 l’Imperatore si mostrava disposto a rinnovare i privilegi antichi de’ Genovesi, ed invitava il nostro podestà Manigoldo a a spedir legati con poteri sufficienti a trattare, giacché il genovese Tanto che si era presentato all’ Imperatore non ne era munito (2). Nel 1191 o 1192 giunsero infatti a Costantinopoli i nostri legati Guglielmo Tornello e Guido Spinola; e dopo molte trattative stavano per ritornarsene a vuoto; quando presentatisi a prender congedo, l’imperatore Isacco li fece contenti della rinnovazione de’ privilegi; restituì alla Repubblica 1 antico embolo di Coparia colla annessa scala, inoltre altra scala ed altri edificii vicino a quell’ embolo, infine un palazzo appellato di Calamano, oppure di Fotaniatc (nomi entrambi ben noti di famiglie bisantine di quel tempo). Questo palazzo che più anticamente dovea essere di molta magnificenza, comprendendo due chiese e più altri edifizi, vedremo più avanti che dovea essere situato a levante e poco discosto dal vecchio embolo verso santa Sofia. Il diploma, detto anche cr;sobullo ( perchè suggellato con bolla d’ oro che più non esiste ), è sottoscritto in rosso dall’ Imperatore e reca la data greca 6700 in aprile, indizione io.", che risponde all’ era volgare 1192. Di questo documento abbiamo l’originale, ma non la consueta traduzione latina ufficiale (3) ; viceversa nel nostro Archivio c è (r) Heyd, i, 63 ; Caffaro, pag. 101 ; ^età graeca, pagg. 1 e 2: Doc. I. (2) ^Acta graeca, pagg. 2 e 3 : Documento II. (3) Vedi per questo e pei seguenti documenti nel testo greco fino al 1199, Λetà graeca, Documenti IV, pagg. 24-25, aprile 1192; V, pagg. 25 a 37 stesso mese ed anno; VI, pagg. 37-40, novembre 1192; VII, pagine 4^46, ottobre 1195. Vili, 46-47. marzo 1199. È notevole a pag. 34 ivi il titolo d' Ecatontarchos che si dà in greco a quell’Uffiziale che dee 164 GIORNALE LIGUSTICO la traduzione ufficiale, ma non il testo greco, dei documenti che compiono il diploma. Questi ultimi sono il precetto imperiale che si consegni ai Genovesi il vecchio embolo colle nuove giunte, e l’esecuzione del precetto colla descrizione de’ luoghi consegnati per parte de’ funzionarli a ciò eletti. Ai 2 di luglio giunsero in Genova con quel diploma i legati d Isacco, Niceforo Papegomeno e Giberto Alamano-pulo interprete dii’Impero. Agli 8 dello stesso mese si presentarono alla Signoria chiedendo la ratificazione del trattato. I Consoli ed il popolo adunato in Parlamento ne giurarono 1’ osservanza ai 2 d’ agosto. La lettera dell’ Imperatore nel testo originale e il giuramento de’ Genovesi sono conservati tuttora ; e sul dorso sono scritte le date della presentazione de’ legati bisantini. È bello vedervi le firme originali de’ Consoli e fra questi Bisaccia, il quale vi appone invece il segno di croce propter ignoran-rantiam litterarum. Fra i testi vi è quel Tanto che trovammo in legazione a Costantinopoli l’anno precedente : e questi appone al documento la firma colla parole : Ego tanto su-schirsi (sic) (1). giurare in Genova il trattato a nome e sull’ anima del popolo. Questo Uffiziale fra noi si chiamava il Cìnlrago ; come difatti Balduino Cintrago ne giura Γ osservanza in Genova il 2 agosto 1192 in pubblico parlamento. Quindi acquista piena prova la derivazione di Cintragus da Centarchos che acutamente ha proposto e illustrato il eh. Lumbroso, nei Conienti sulla Stona dei Genovesi avanti al MC; Torino, Bocca, 1872, pagg." 19-26. Giustamente il dotto scrittore ha veduto nei nomi di centarcus (capo di 100) nella città e di decanus (capo di 10) in un villaggio della Riviera di ponente (Jurium, II, 983), uno dei resti degli istituti germanici, trapiantati anche in Liguria e negati invano dai nostri storici. Pel practicum tradictionis, del 1192 in latino, ved. Acta graeca. pagg. V I-X\, oltre gli originali nell’Archivio di Stato. Mal. politiche, Mazzo II. (1) Il Genovese Tanto figura col cognome Guercio nelle Tavole genealogiche unite all’ Illustrazione del Registro Arcivescovile di Genova GIORNALE LIGUSTICO Non trascorse un anno da questo trattato (così si lagna in novembre del 1192 l’imperatore) che la pace è di nuovo turbata tra i bisantini e la Repubblica. Perchè nel frattempo il genovese Guglielmo Grasso con parecchi Pisani, pirateggiando assaltano una nave veneziana che tornava dall’ Egitto. Ivi erano un ambasciatore dell’ Impero, reduce da una missione alla corte di Saladino, ed un ambasciatore di questo alla corte d’Isacco. I pirati uccidono i due ambasciatori e s’impadroniscono di ricchi doni, che dall’ Egitto si recavano all Imperatore bisantino. Il popolo della Metropoli infuria di nuovo e si accinge a vendetta contro gli Italiani ed i loro Quartieri. Isacco confessa che ebbe gran pena ad impedire le rappresaglie, dando affidamento di legale e piena soddisfazione. Le lagnanze dell’imperatore espresse con sua lettela del novembre 6701, indizione n.a (1192) sono consegnate a due legati che egli invia ai Genovesi, un Pietro d Andala loro concittadino ed un Pietro Anglico. Quest ultimo consegna l’imperiale dispaccio il 20 marzo H93- Al quale i consoli rispondono inviando · ad Isacco due ambasciatori, Balduino Guercio e Guido Spinola. Questi dovranno persuadere all Imperatore che i danni sofferti dai sudditi di lui non possono imputarsi alla Nazione genovese ; che Guglielmo jGrasso e compagni son da lungo tempo banditi da Genova e lontani, pirateggiando per proprio conto, onde non si saprebbe come punirli. Finalmente si fa la pace dopo parecchie trattative, ed dell’amico Belgrano. Ved. .Atti della Società Ligure di Storia Patria, Voi. II, Parte I, tav. XLI. Egli è dunque fratello o parente di Balduino Guercio, e si capisce il perchè della di lui partecipazione a questi atti bisantini, come vi partecipava Balduino. Ma probabilmente Tanto fece un ramo da sè sull’uso di que’ tempi, in cui nascevano a poco a poco i cognomi; dappoiché vedo un Ogerio Tanto nella istruzione a Grimaldo del 1174 e nel giuramento coi Pisani del 1188 (..Atti della Società Ligure di Storia Patria, I, 372). 166 GIORNALE LIGUSTICO Isacco rinnova ai Genovesi i privilegi anteriori con diploma o crisobullo in data del 6702 in ottobre, indizione I2.a (1193) (1). Sale sul trono di Costantinopoli Alessio III nel 1195; e circa tre anni dopo accade’ nuova occasione di rottura. Un genovese di nome Gafforio (male a proposito scambiato in uno della famiglia Caffaro) , per vendetta contro 1’ Ammiraglio bisantino , saccheggia le navi, le città e le isole dell’Egeo, e ne estorce tributi. L’Imperatore non potendo vincere colla forza quel pirata lo irretisce coll’ astuzia ; attalchè questi è sorpreso all’improvvista, fatto prigione ed ucciso. Pare che Alessio sospettasse Gafforio d’intesa co’ suoi compatrioti : difatti fece carcerare molti genovesi abitanti in quel tempo a Costantinopoli e nelle terre dell’ Impero; e tolse beni e feudi (1) Il chiar. Editore di questi xActa ha letto Pietro Pandolo (pag. 40) il nome del genovese inviato dall’ Imperatore a lagnarsi delle piraterie di Grasso. Si sa quanto è difficile districare le vere lezioni dei cognomi. Ma la traduzione ufficiale latina legge Pietro D’ Andala ; ed invero il cognome Pandolo è ignoto nelle nostre carte : suona meglio Ί)' Andala. L amico Belgrano neye Tavole genealogiche già lodate (Tav. XLI) pone una Dandala come figlia a Tanto Guercio; quindi pare nato il cognome a Pietro dalla madre, come avvenne nella famiglia D’Oria e altre. È notevole questo intreccio dei Guercii, Tanti e D’Andala aventi tutti relazioni tra sè e coll’ Imperatore Bisantino ; e che sono rilevati genealogicamente dal Belgrano, senza che egli punto pensasse ai nostri documenti. \edi anche Caffaro al 1179, pag. 99: Filia Regis Francorum hoc anno venit in Januam, quam Baldumus Guertius et propinqui eius cum galeis apud Con-stantinopolim transportarunt ad Alexiumfilium domni Hemanuelis imperatoris, cuius uxor fuit. Per Balduino Guercio ved. *Acta graeca, pagg. 1 e 42. Riguardo a Grasso e a Gafforio, di cui sotto, vi sarebbe molto a dire, ma lo spazio non ce lo concede. Frattanto si veda: Heyd, I, pag. 75-77; e si aggiunga Jurium, I, '411, ove nel 1195 Gafforio ammiraglio dei Genovesi tratta con Enrico signore di Acri. Il eh. Paspati mi pare abbia assegnato al fatto di Gafforio una data non esatta (Ved. la sua Memoria, pag. 155). GIORNALE LIGUSTICO 167 al rinomato Balduino Guercio antico , fedele e benemerito , vassallo di quell’ Impero. Il prof. Heyd ben avvisa che a questa stessa occasione dee riferirsi il fatto: che l’imperatore tolse ai nostri il palazzo di Calamano o Votaniate di cui è detto sopra, e lo diede in alloggio agli Alemanni che lo devastarono; come si vede nelle istruzioni al legato del 1201 a cui presto verremo. Tuttavia sembra anche che 1’ Imperatore abbia smesso presto il sospetto o il rancore contro i Genovesi. Come egli ebbe punito del capo Gaffori 0 , inviò alla Repubblica un suo ambasciatore, Nicolò Medico, invitando la Signoria a ripigliare le trattative della pace. La sua lettera che in originale si conserva ha la data del marzo 6707, indizione 2.% e corrisponde al 1199. Qui giova notare che ordinariamente ad ogni testo greco succede la traduzione latina, ma le bambagine special-mente verso i margini sono assai guaste e corrose; onde il Poch trascrivendole dovette lasciarvi ad ogni istante lacune o dubbii che non ne lascerebbero afferrare il senso, se non vi fosse 1’ originale greco. Non sappiamo se la Signoria abbia risposto subito all’invito dell’imperatore. Ma nel 15 maggio 1201 furono stese le istruzioni da darsi ad Ottobono Della Croce nominato ambasciatore per Costantinopoli. Delle istanze che ei dovea fare si è parlato sopra, secondo che portava l’occasione. Cosi egli dovea curare che si rimovessero le poche interruzioni, che ancor rimanevano, tra le varie parti dell’ embolo, prolungandolo e verso i Pisani e verso il palazzo di Calamano e santa Sofia e verso il mare; che si assegnassero ai Genovesi le scale marittime frapposte tra loro e i Pisani; che si restituisse il palazzo di Calamano già occupato e devastato dagli Alemanni: si rendessero i feudi a Balduino Guercio; si pagassero dall’ Imperatore i pallii e stipendi arretrati e promessi; si riducessero i diritti di dogana al due per 168 GIORNALE LIGUSTICO cento o al più al tre, dal quattro per cento che erano stati prima, ecc. (i). La legazione di Ottobono se non riesci in tutto, nella maggior parte fu felice; i privilegi ai Genovesi furono rinnovati , Γ embolo e il palazzo di Calamano restituiti e ampliati di alcuni edilìzi e di uno scalo. Vedasene l’imperiale decreto di concessione, e la successiva descrizione dell’ embolo assegnato fattane dai funzionarli eletti a tal uopo. La data del quale documento negli Acta graeca è posta al 13 ottobre 1202. L’originale è nell’Archivio nostro e fu pubblicato dal prof. Muller; la traduzione latina sincrona ed ufficiale è nel Liber Jurium originale conservato nella nostra Biblioteca Universitaria, ma fu stampata tra i Monumenti della Regia Deputazione di Storia Patria (2). Ho citato qui due date: del 15 maggio 1201 per le istruzioni al Legato, e del 13 ottobre 1202 per la consegna del-1’ embolo ; come se fossero ben determinate e non soggette a dubbio. Pure il dubbio c’ è stato ed in parte c’ è ancora ; vediamone i motivi. In quanto alle istruzioni del Legato, il P. Semino ed il Sauli ne riferirono la data dell’anno e dell’indizione (1201, indizione 3.“), salvochè il Sauli scambiò il giorno 15 nel 4 maggio per puro errore paleografico. Ma una copia pervenuta alla suddetta Regia Deputazione leggeva invece 1203 , indizione 5.*, giorno 15 maggio; e questo errore di data traviò l’illustre conte Cibrario e gli Editori delle Carte nei Monumenti di Storia Patria di quella benemerita Deputazione. In pari tempo un altro errore di data sfuggiva al chiamo Editore (1) Sauli, II, pag. 195; Chartarum, li, col. 1224; Cibrario, Economia politica nel medio evo, seconda ediz., Ili, 399. Pei nomi dei Consoli del 1201 vedi ^Atti della Società Ligure di Storia Patria, I, 407-8, e Caffaro, pag. 118 e segg. Archivio: Materie politiche, Mazzo III. (2) Jurium, I, 495 e segg.; Acta graeca, III, 49 e segg. Docum. XI. GIORNALE LIGUSTICO 169 del Liber Jurium> riportando al 13 ottobre 1203 queHa successiva consegna e descrizione dell’embolo, che noi sull’e- > sempio dell Heyd e del Muller assegnammo all’anno 1202. / Da questi due errori il eh. storico della Liguria avv. Canale fu indotto ad attribuire ad Ottobono Della Croce due successive legazioni : la prima del 1202 infruttuosa, la seconda del maggio 1203 coronata di successo colla consegna del- 1 embolo nell’ ottobre dell’ anno medesimo. Ma il prof. Heyd ha prima di me avvertita e dimostrata l’identità delle due pretese legazioni (1). Il Genovese Storico avea già egli stesso addotto un argomento incontrastabile contro la propria ipotesi : i Consoli che danno l’istruzione sono proprio quelli del 1201; e nel 1203 non v’erano consoli ma un. Podestà. Ora in entrambe le lezioni, quella del 1201 e quella pretesa del 1203, sono i nomi de’ medesimi Consoli. Non vi sono neanche varianti tra l’una» e 1’ altra lezione, salvo in qualche nome di luogo o di persona non ben letti; e salvo in quanto nessuna di esse è completa. Cosi un copista ommise l’uno, un’altro 1 altro paragrafo. Aggiungerò io che nell’Archivio genovese* ove si trovarono esistenti tutte le carte bisantine nominate in antichi cataloghi, non vi è che un solo esemplare di queste istruzioni ; cioè l’originale bambagino il quale reca chiaramente MCCprimo indictione lercia ecc. Ma la seconda legazione diventa anche più insostenibile, se si rifiuti, come si deve rifiutare, la data della consegna dell’embolo al 13 ottobre 1203. Anche qui il lodato prof. Heyd nota con ragione che a quest’ ultima data Alessio non era più Imperatore; essendo fuggito sin dal luglio di quell’ anno, e sottentratovi l’antico Isacco che ripigliò il trono col favore dei Crociati. L’occasione all’errore venne a mio credere da questo, che nel Liber Jurium originale, al documento di consegna (1) Heyd, I, 78-79. 13 170 GIORNALE LIGUSTICO dell’ embolo succede 1’ autenticazione (non riprodotta nella stampa) del cancelliere Atto Placentinus. Il quale dichiara aver trascritto in quel Registro, d’ordine del Podestà Jacopo Balduino (1229) il practicum concessionis dell’embolo e scale ottenute dall’Tmperatore Alessio per mezzo di Ottobono Della Croce tempore Domini Gnitifredi Grasselli Januensis Potestatis MCC tertio indictione V mense madii. È facile riconoscere che il cancelliere del 1229 confuse la data della presentazione del trattato fitta alla Signoria in maggio del 1203 c°lhi data del trattato stesso fermato in un precedente mese d’ottobre. Attone Piacentino potea ingannarsi tanto più che quella data del trattato era scritta secondo l’era bisantina 6711, 13 ottobre, e non coll’ era nostra volgare. Ma ho detto che il dubbio c’è ancora in parte, ed ecco come. Il testo greco oltre l’anno 6711 aggiunge l’indizione 5.0. Ora , 0 è sbagliato Γ anno 6711, che risponde al. nostro 1202, o è sbagliata l’indizione 5.% che in ottobre risponde soltanto al 1201 e all’anno greco 6710. Di più, il testo latino stampato nel Liber Jurium, e che io trovai conforme all’originale, legge senza ambagi: sex millesimo septingentesimo decimo, indictione quinta. Queste due date dell’ era greca e della indizione 5.“ corrispondono perfettamente tra sè, e segnano l’ottobre 1201. Nè vi è difficoltà a credere che Ottobono Della Croce partito in maggio, subito ricevuta la istruzione, abbia potuto fermare il trattato nell’ottobre dello stesso anno. Forse parrà meno verosimile che se cosi presto ebbe a riuscire nel suo intento, abbia poi tardato fino al maggio 1203 a presentare il trattato alla Signoria. Io non disputerò di questo; sebbene potrei rispondere, che Ottobono avrà anche avuto i proprii affari colà; e che quando avea ottenuto la firma del trattato ed il possesso dell’ embolo, e datone avviso alla Signoria, non vi era ragione di somma urgenza al ritorno. Cosi leggiamo in Caffaro che il nostro Amico di Murta nella sua legazione del 1170 dives et felix GIORNALI·: LIGUSTICO I7I redi#; e sappiamo dall’ Archivio notarile che lo stesso partendo nel 1157 per Costantinopoli avea preso a mutuo del danaro, come pare’, per farlo fruttare in commercio. Checché ne sia, ripeto che può accettarsi senza inconvenienti la data anche del 1202, che si trova nel testo greco, siccome originale primo ed autentico; scusando lo sbaglio della indizione con altri esempi di errori simili. Ora che siamo pervenuti all- ultima conferma dell’ embolo genovese entro Costantinopoli, giova sostare, tentando formarci un concetto, quanto possibile, esatto dell’ embolo stesso e delle sue successive ampliazioni. Il eh. dottor Paspati confessa non poter venire a capo di determinare la posizione dei varii monasteri che a quel tempo si notano come inchiusi nel terreno genovese; vuoi perchè lo stato presente di quei luoghi non ne serba più traccia, vuoi perchè tali monasteri non sono nominati in altre a noi note scritture (1). Nè io pretendo far meglio; desidero soltanto passare brevemente a rassegna i tre successivi documenti di consegna dell’ embolo, e rilevarne almeno una qualche orientazione dei punti principali. Nella descrizione dell’embolo del 1192 è premesso il decreto imperiale di consegnare ai Genovesi oltre l’antico quartiere alcuni edifici appartenenti ai monasteri di ^pologothetot 1 e del patrizio Teodosio: habitacula que utrinque sunt veteri eorum embolo coniuncta; inoltre il palazzo di Calamano 0 Fotamate (non un monastero di Calamos) contenente nella cerchia delle sue mura due chiese, due curie, edifici attinenti, pozzi, cisterna, bagno ; e fuori di essa cerchia i pensionali che sono sopra la cisterna del Salvatore Gesù Cristo Antifonite (2). Attenendoci per ora alla prima parte di questo decreto, rileviamo \dunque che gli edifici nuovamente aggiunti coniì- (1) Paspati, pag. 161-62. (2) lActa graeca, pag. VI. ι ηι GIORNALE LIGUSTICO navano da due parti (utrìnque) al primo embolo. Sappiamo già che il monastero «.Apologotbeton era presso al confine di ponente dell’embolo genovese e verso i Pisani; il che si conferma in questa descrizione del 1192, ove sono nominatigli abitacoli spettanti al medesimo monastero posti inter semitam et iura Pisanorum. Anzi colla giunta che 'si farà di nuovo nel 1202 il confine genovese toccherà a dirittura il muro del monastero (1). Se adunque le giunte del 1192 sono utrìnque congiunte al primo embolo, e se Γuna di esse, quella verso 1Apologotbeton, è a ponente, si può supporre che l’altra verso il monastero del patrizio Teodosio sia a levante del primo embolo, e cosi verso santa Sofia (2). Questa supposizione diviene certezza, considerando le istruzioni date dai Consoli ad Ottobono Della Croce, ove gli si ingiunge di chiedere la restituzione dell’embolo tolto ai Genovesi per la sollevazione della plebe sotto Andronico nel 1183, come si è detto sopra, ed ivi si distingue l’embolo di prima concessione dalle giunte del 1192; le quali giunte sono dette consistere, oltre al palazzodi Calamano, in due case vèrso l’embolo dei Pisani ed altre due verso santa Sofia (3). Dove dunque ognun vede che questi ultimi edifici verso santa Sofia non possono essere che quelli già spettanti al monastero del patrizio Teodosio. (1) Vedi sopra, pag. 143, nota 1. (2) S’intenda a levante in genere ; ma sarebbe meglio detto a mezzo-giorno-ievante (sud-est), perché sa;ita Sofia é più a mezzodi e verso Γ interno della città, A levante, o versus partem orientis, come dichiara l’atto del 1192, sono anche gli abitacoli del metocbio (cella monastica) di san Bassiano e di Elecmon. Anche il Signor Paspati (pag. 157) osserva che la cisterna di Gesù Cristo Antifonite (situata presso il palazzo di Calamano) dovea essere ad una certa distanza dalle mura del mare e vicina a santa Sofia. (3) V. sopra, pag. 143. giornale ligustico r73 La posizione del palazzo di Calamano o Votaniate non è indicata se non colla aggiunta per noi ugualmente oscura di essere nel luogo Calibiorum; ma si può già pigliarne un indizio dalle stesse istruzioni del 1201, dove appare che esso palazzo è separato dall’embolo per mezzo d’una sola chiesa; la quale dovrà essere chiesta all’ Imperatore dal Legato acciò P embolo si unifichi in un sol tutto. Anche qui ci pare abbastanza chiaro che il palazzo di Calamano debba essere situato a levante dell’ embolo e verso santa Sofia. Difatti oltre i confini del vasto suo recinto si trovano indicati i possedimenti del monastero di san Demetrio, anzi in un luogo è dato per confine proprio il muro di quel monastero (1). Ora è noto che san Demetrio era posto verso ed anche più a levante di santa Sofia, e sul principio del Corno d’oro; cosicché il promontorio, che termina nella punta soprannominata e che ora dicesi punta del Serraglio, chiamavasi già l’Acropoli di san Demetrio. Non parlerò di altri possedimenti accennati entro o presso l’embolo del 1192, come sarebbero quelli di santa Dinami, della Vergine del Mandilu, ecc<; perchè potrebbero spettare a chiese e monasteri staccati e lontani: sebbene di santa Dinami si'sa che v’era una chiesa vicina a santa Sofia. Nella descrizione dell’embolo rinnovata il 1202 si vedono aggiunti altri edifizi già spettanti ai monasteri d’Ipsile, del patrizio Teodosio e di Apologotbeton, tutti già nominati come confinanti nelle descrizioni precedenti ; il che prova la successiva spogliazione dei medesimi monasteri. Ma i possedimenti del monastero di Manuele continuano ad esser dati per confine e non compresi nella concessione (2). Il monastero di questo nome a (1) Structure per quas dividitur talis domus (accessoria al palazzo di Calamano) a monasterio sancti Demetrii. Ved. Jurium, 1, 501-502. Sopra la chiesa e l’Acropoli di san Demetrio, ved. Ducange, Const. Christ., ed. veneta, libro IV, pag. 84; sopra ’la chiesa di santa Dinami, ibid. pag. 55. (2) Jurium, I, |C)5 e segg. 174 GIORNALE LIGUSTICO me pare dover essere quello altrove innominato , che confinava all’embolo a tramontana e verso il mare; e di cui s’ingiungeva al Legato del 1201 di chiedere la concessione, per unire e fare un tutto dall’embolo fino agli scali ed al mare. I motivi della mia opinione derivano dal complesso della descrizione del 1202; ma più ancora della circostanza , che i tre scali che vedremo in tre volte consegnati ai Genovesi appartenevano tutti a questo monastero di Manuele; dunque è naturale che esso fosse situato unito e di faccia ai proprii scali. Non è ozioso il notare che il più antico e centrale di questi tre scali è detto appartenere al monastero di Pantaleemone o di Manuele nella consegna dell’embolo del 1192 ; secondo la variante dell e-semplare migliore. Il che si conferma leggendo il testo greco del 1192, ove la scala nuovamente concessa si .dice appartenere al monastero di san Pantaleemone costrutto da un tal Manuele (1). Questo monastero avea dunque doppio nome, come 10 hanno tutti gli altri in queste carte nominati: il monastero di Apologotheton 0 del Medico; quello del patrizio 1 eodosio o dell’Arcistratego (san Michele capo dell’esercito angelico) (2) 11 monastero di san Bassiano 0 di Elecmon, del quale 1 possedimenti erano posti sul confine orientale immediato dell embolo genovese. Si noti che un monastero di san Pantaleone o Pantaleemone è indicato da Procopio come situato verso la bocca del porto; dunque non dovrebbe esser diverso dal qui nominato (3). (1) Nella traduzione del can. Sanguineti: alteram scalavi quae pertineI ad venerabile monasterium nomine sancti Pantaleemonis al> ilio Manuele • *v ' r· excitatum. E nel testo greco {tActa, pagina 31): ετέρων αχ&λαν την τγ ίίβαιμ,ια μονγ τί? έπ όνομχπ τού ίγίου Παντελεημονος ΠΛρα. zoj Μανον«λ έχείνου άνεγερ&ίϋ» ΰιαφέρονσα·/. (2) Constantinop. Cbrist., lib. IV, pag. 65. (3) Procopius, T)e aedificiis ne’ Bisantini; ed. ven., p. 406. Veramente Ducange, Const. Cbristed. ven. pag. 91, suppone il monastero di san GIORNALE LIGUSTICO I75 Il testo greco del diploma del 1192 che poc’anzi accennai compendia in poche ma chiare parole tutti tre i confini che noi assegnammo all’ embolo, a settantrione , a levante ed a ponente. Difatti, ivi Isacco racconta d’aver donato ai Genovesi una scala che appartiene al monastero di Manuele (ecco il settentrione) ; e gli abitacoli che confinavano dall’ una e dall’altra parte del vecchio embolo, harèpccSev, utrìnque (ecco i confini di levante e ponente); ed aggiunge che questi erano già abitacoli dei monasteri di Apologotheton e del patrizio Teodosio (1). Considerando le giunte del 1192 e del 1202, si capisce che l’embolo primo 0 del 1170 era presso a poco nel mezzo e come nucleo donde si allargò a poco a poco; se prendiamo ora a leggere la descrizione di quel primo embolo, lo vediamo situato, come già si disse, nei luoghi di Coparion od anche denominati di Onorion (2). Le sue parti sono composte di più edifizi di diversa natura; un embolo proprio-, e vicino a questo un’ altra parte di embolo senza tetto, già spettante al monastero di Apologotheton con edifizi e sale attigue ; un fondo deserto a tramontana; e qua e là più altri abitacoli già facienti parte dei possedimenti dei vicini monasteri di Ipsile, di Anguriu e del ripetuto Apologotheton. E notevole questo nome di Anguriu che non comparisce più nelle descrizioni del 1192 e 1202; come viceversa nel 1170 non comparisce ancora il nome del patrizio Teodosio: di che si potrebbe sospettare, che si tratti d’ un unico monastero indicato con due nomi successivi differenti. Da queste nozioni Pantaleone in fondo del Corno d’Oro; ma Procopio lo dice situato in vista di chi va al Mar Nero ; procurrens a freti littore ; dunque a me pare verso la bocca del porto. (1) ^Acta graeca, pag. 31 subito dopo le parole teste citate nella nota 1, pag. antecedente. (2) Ved. il documento II in fine. 176 GIORNALE LIGUSTICO possiamo ricavare anche il concetto dell5 embolo proprio che nominai testé, cioè del suo originale significato. Il Ducange nel Glossarium medice et infima gracitatis spiega la voce Embolos per 'Porticus. Lo stesso nella Conslantinopolis Christiana, trattando dei varii porticus già esistenti in quella città, ne porge i testi greci corrispondenti, ed ivi la parola è sempre tradotta in embolos (1). Ciò prova che in origine P embolo corrispondeva a quello che i Genovesi chiamavano loggia , ove si riunivano i negozianti, i parrocchiani, i nobili d’uno stesso Albergo, ecc. Delle quali loggie genovesi in città e nelle colonie abbiamo numerosi esempi ne’ documenti del medio evo. Ma in senso derivato e largo si chiamò embolo anche Γ aggregato degli edifizi, che si stendevano intorno alla loggia pubblica. Ci rimane a parlare degli scali al mare conceduti insieme all embolo. Abbiamo già accennato che questi scali sono tre, e che appartenevano tutti al monastero di Manuele o di san Pantaleone. Col primo diploma del 1170 fu concessa la prima scala, distesa ad oriente fino oltre una delle torri che fiancheggiavano il muro della città allato alla porta detta di Bono. Col secondo diploma del 1192 fu aggiunta altra scala che era a levante della prima e si stendeva, sempre a levante, fino al- 1 angolo del muro in mezzo della cortina. Col terzo diploma nel 1202 fu aggiunta una terza scala situata a ponente della più antica, e distesa da levante a ponente fino ad una quarta scala del medesimo monastero di Manuele. Lungo le scale concesse è descritta la esistenza di abitacoli che si accostano talora fino al muro della città, ad un solo 0 a due piani con camere ed officine ; e qua e là qualche scala minore e di legno. Anche qui si vede che, come l’imperatore non volle concedere ai genovesi il monastero di Manuele domandato (1) Ducange, Const. Cbrist., pag. 89. GIORNALE LIGUSTICO I77 nel 1201, così non volle aggiunger loro che una delle due scale al mare che separavano quelle già possedute dai Genovesi da quelle de’ Pisani (1). Ivi è anche citata la porta nummulariorum, cioè dei banchieri e dei cambiavalute, la quale ci ricorda simili mensa campsorum sugli scali pisani. Questa porta, come quella veteris Rectoris e come altre nominate nell’ embolo pisano, saranno state porte ausiliarie o di sfogo pel commercio e la marina. Colla conquista che i Crociati fecero di Costantinopoli nel 1204 incomincia un nuovo periodo che vuol essere studiato a parte. Il eh. dottor Paspati lo ha studiato, e ci porge la grata notizia che sta sotto i torchi il seguito della sua Memoria, in cui cercherà i motivi del trasferimento del nostro Quartiere da Costantinopoli a Galata, e la esatta posizione della torre della catena in questo sobborgo. Questa seconda parte, secondo Lui, offrirà risultati affatto differenti da quello che ne fu esposto finora dalla più parte degli Autori. Inoltre egli ci trasmetterà le carte topografiche illustrative della sua Memoria, le quali ognun sa quanto conferiscano a ben afferrare il concetto che si vuol trasmettere agli studiosi. Noi attendiamo avidamente che il dotto Autore sciolga la sua promessa; ne faremo da parte nostra attento esame, e e per quanto l’ingegno ci consente, riferiremo ai Colleghi il nostro qualunque siasi giudizio. (1) Et scalas duas que sunt inter nos et Pisanos (consequi studeatis). Istruzione ad Ottobono della Croce in Sauli, II, 196. i7S GIORNALE LIGUSTICO DOCUMENTI. ‘Descrizione dell’ embolo assegnato ai Genovesi entro Costantinopoli nell’ aprile del ii/O; e diploma di concessione del medesimo nel maggio successivo (i). I. -j- Mense Aprili decima. Indictione tercia. Juxta preceptum potentis et sancti nostri Imperatoris astitimus cum nobilissimo prefecto domino Basilio Camatero in positione locorum Onorii, videlicet Coparion, ut describeremus submonstrata nobis ab ipso habitacula que sunt data Genuensibus cum bis qui eis adiacent fundis in quibus aliquando habitacula fuerunt ; que et habent sic : ad horientem emboli qui dicitur Coparion est pars emboli absque tecto, et a parte ipsius septemtrionali habitaculum triclinarium oblongum supero inferum, et ab occidentali parte huius iliacum per cubicula et triclinaria et ipsa supero infera que pertinent monasterio tu Apologo-thetu preter humile triclinarium in quo est furni stacio. Ad meridiem emboli sunt muri cum calce fabricati latericii per pisos (sic) duos et fornices, et desuper perpectorale marmoreum refractum cum cancellata fenestra ; et ab occidente huius usque ad supero inferum bifluum vel bicanale habitaculum monasterii tu Anguriu est fundus in quo fuerunt aliquando habitacula et ipse monasterii est tu Apologothetu cum aliquibus fundamentis qui habent longitudinem ab eo qui dictus est versus orientem muro cum calce fabricato et ad occident'em usque ad supero inferum habitaculum monasterii tu Anguriu cubitorum xxim, et latitudinem a muro emboli et usque ad finem eiusdem supero inferi habitaculi monasterii tu Anguriu cubitorum nouem cum dimidio. Et qui superius est prescriptus absque tecto paruulus embolus pertinet et idem monasterio tu Apologothetu. Ab his versus occidentem est triclinarium oblongum supra embolum qui pertinet monasterio tis Ypsilis. Ab ipso versus occidentem est fundus sine tecto in quo aliquando fuit embolus, et ad meridiem huius sunt habitacula supero infera tria per cubicula oblonga et cum ergasteriis fabrorum lignariorum versus embolum qui pertinet monasterio tu Anguriu. Amplius ab his versus^ occidentem est fundus in quo fuerunt quondam habitacula et cum quibusdam fundamentis et puteo, pertinentia monasterio tu Apologothetu, qui habet longitudinem cubitorum xx cum medio et latitudinem cubitorum VII et (i) Archivio di Stato; Materie politiche, mazzo I. GIORNALE LIGUSTICO 179 tertiam. Λ septentrionali parte horum est fundus absque tecto qui quondam fuit emboli, et ab hoc supra embolum est cenaculum oblongum cum iliaco. Versus septentrionem et versus meridiem sunt habitacula supero infera v et ipsa per triclinaria et cum ergasteriis fabrorum lignariorum. Ab his sunt mi supero infera cum dicto cenaculo emboli quod est ad horum similitudinem, qui pectinet monasterio tu Anguriu; aliud vero pertinet monasterio tu Apologothetu. Predictus autem sine tecto embolus qui est inter prescripta habitacula tis Ypsilis et cenaculum habitaculi monasterii tu Apologothetu pertinet predicto monasterio tu Apologothetu. Ad septemptrionem huiusmodi tocius ambitus est fundus desertus in quo habitacula fuerunt quondam, qui pertinet monasterio tu Apologothetu, cum guteo qui incipit a prescripto versus orientem supero infero habitaculo ubi est furnus et desinit in fine supero inferorum habitaculorum que sunt supra embolum monasterii tu Anguriu; habet longitudinem cubitorum septuaginta vi et latitudinem cubitorum duodecim. Cum his data est eis et litoralis scala que pertinet monasterio ton Manuel, per cuius medium transit aque cursus qui egreditur recta linea per portam que dicitur Bonu habens longitudinem ab horiente versus occidentem cubitorum xxx cum uno et medio et latitudinem a meridie videlicet a publica via et usque ad mare cubitorum xxii. Et in parte huius intra mare est palorum fixio repleta terra, que habet longitudinem cubitorum octo et latitudinem cubitorum vii. Sunt autem et in circum mensuratione ista habitacula plana xi et supero infera duo bicanalia ad ergasteria. Et e regione huius ad meridiem publice vie et prope murum ciuitatis habitacula humilia x ad ergasteria, quorum tecta in unam partem stillant. His ita inuentis et traditis presens pragmaticum expositum est mense atque indictione prescriptis. Sexmillesimo sexcentesimo septuagesimo octauo anno. Cum his traditus est eis et fundus ecclesie plane gratia edificande qui incipit ab eo qui versus horientem Angiportu, qui ab ipso principio est obtinentie illorum que tradita sunt et pertransiens versus occidentem usque ad humile habitaculum in quo est furnus; habet longitudinem cubitorum xxii et latitudinem cubitorum nouem. Ultra ea que tradita sunt nouem cum dimidio cubitorum latitudinem. ttt Tribunus Stayracius, Oglycas tribunus, Johannes tu Anza. II. •j- Contigit quidem ut Imperium meum faceret c'nrysobulum fidelissimis suis Genuensibus diffiniens que diffinit paciscentibus cum Imperio meo ι8ο GIORNALE LIGUSTICO que pepigerunt per prudentissimum legatum eorum Amicum, que manifeste in illiusmodi chrysobulo Imperii mei continetur. Enimuero in pre-monstrato continetur chrysobulo quod daretur eis,embolus et scala trans magnani ciuitatem sicut et factum est. Similiter autem ostenditur in illiusmodi chrysobulo ut darentur eisdem statuta solemnia pro annis χχνι, nomismata scilicet et blatti^ que et in facta tunc conuenientia monstrantur. Nunc vero preostenso legato adhuc moram faciente hic et deprecante super hoc Imperium meum, constituit Imperium meum ut demutaretur eis huiusmodi embolus et scala et daretur illis in magna ciuitate ; tribuerentur quoque ipsis pro solemniis iam dictis solemnia annorum decem. Et quidem procliue factum Imperium meum supradicti legati peticionibus, statuit sic fieri. Sancit igitur ^per presentis auree bulle sigillum ut ipsi possideant huiusmodi embolum et scalam in magna ciuitate sicut illis tradita sunt vice illorum que data fuerant eis in trans mare partibus, et ut rata sint reliqua que in prius facto chrysobulo Imperii mei comprehensa sunt, siquidem et Genue uniuersa plenitudo susceperit huiusmodi iuramentum et conuenientiam legati sui et adimple-uerit hanc et per propria iuramenta firmauerit sicut in ea comprehensum est. Verumtatem non licebit qui in magna ciuitate seu in aliis regionibus Imperii mei habitant Genuensibus cum meditacione et consilio malo accipere arma aduersus aliquos homines Romanie. Quod si forte acciderit quamlibet pugnam ab aliquibus contra eos exurgere ut ipsi compellantur accipere arma contra illos cessabunt ab huiusmodi impetu diffinitione Imperii mei aut hominum ipsius ; et non poterunt his aut illis associari et vindicare quoscumque voluerint, sed cohiberi sola iussione Imperii mei et hominum ipsius et facere per omnia que mandabuntur ab ipsis. Propterea enim hoc presens Imperii mei auree bulle sigillum attributum est quod debet ascribi cum eo quod ante factum fuit chrysobulo Imperii mei et reddi Genuensibus ad securitatem. Mense Maio, Indictione tercia (i). (i) Vi è un terzo diploma di Manuele di cui abbiamo il testo greco senza la traduzione ufficiale, e che è inserito ma senza data nel Crisobullo del 1192, col quale l’imperatore Isacco Angelo rinnova i privilegi ai Genovesi. Ivi è loro promesso l’embolo entro Costantinopoli; ενΤΟζ Τϋς Mey&X07iÓXcCJS (Ved. *Acla graeca, pag. 35); perciò ò chiaro che questo documento greco appartiene all’aprile o maggio 1170, e va unito agli altri due del medesimo anno qui sopra stampati. GIORNALE LIGUSTICO 181 IX. Sezione di Belle Arti. Tornata del 21 febbraio. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside continuando a leggere le sue 'JsLoti^ie dei professori del disegno in Liguria, dimostra come in sull’esordire del Cinquecento gli Statuti del Collegio pittorico rendessero Genova estremamente gelosa de’ suoi artefici, a segno da rimuoverne con duri gravami coloro che fermandovi stanza non si sobbarcassero a quanto nell’esercizio del dipingere veniva loro imposto. Accenna di un Antonio da Casale e d’un Francesco da Lodi del fu Beltrame, i quali soggiacquero a tal pena; e tocca di un Giambattista pavese che corse, migliore fortuna, se non prospera al tutto , poscia che si lece de’ nostri e mischiossi cogli ottimi, non senza chiarire essere costui quel desso che ne’ contratti si aggiunge il casato dei Grassi. Neppur consentivano gli Statuti che alcun maestro potesse avvalersi di lavoranti i quali non fossero usciti dalle officine di Genova; e l’Alizeri narra di un Giacomo Da Passano, venuto di Levanto, che non avendo ottemperato alla legge per cui richiedeasi a’ forestieri un tirocinio d’ anni sette in città, venne multato di 25 fiorini con atto del 16 agosto 1516. Di tal forma rinvigorivano le vecchie usanze; e spesso incontrava che la volontà del Collegio era posta in atto , innanzi che autorità governativa si levasse a giudicarne. Diverso temperamento però si teneva in favore di Giovanni Braida, il quale attendeva agli studi in Milano, e vi si ispirava agli esempi del sommo Leonardo, Giorgio Brenta e Lorenzo Faxolo, Consoli dell’ arte, derogando allo Statuto, il chiamavano amichevolmente in patria; dove rientrato nel 1513, 182 GIORNALE LIGUSTICO ricevea da’ lor successori Bernardino Faxolo e Luca di San-tolupo dimostrazioni d’ affetto, e per pubblica scritta la conferma del concedutogli indulto. Parla quindi 1’ Autore di una tavola cui il Braida condusse per santo Stefano di Villanova in quel d’ Albenga, mentre ancor se ne stava in Milano ; e dice come avesse compagno nell’ opera un Angelo Sardo. Il documento che ne serba notizia, tacendo il soggetto della maestà, mostra nondimeno trattarsi di figure di santi partite in capitoli secondo il vecchio stile. Si ha del pari memoria di un altare condotto in Albenga dal Braida per commissione di un Tommaso Defferrari, e nel cui lavoro egli ebbe per aiuto un Domenico Pezzi del Luganese. La stessa immunità onde il Collegio fu liberale al Braida trovasi pur conceduta ad un Angelo Cherico da Messina. Poscia il Preside digredisce alcun poco ragionando delle sorti che s’ ebbe in Liguria la pittura fiamminga; alla quale, in sulle prime, non fecero buon viso quanti temeano che gli stranieri invadessero il possesso dell’arte loro, o cagionassero altrimenti danno agli sperati guadagni. E per fermo i quadri di stile fiammingo onde si adornano tuttora alcune chiese della nostra riviera, riescono mirabili per vivacità, bellezza e diligenza. Di che fra gli altri ci è testimonio un trittico che vedesi locato in san Lorenzo della Costa, che è villa fra Ruta e Rapallo; dove è rappresentata la crocifissione dell’ apostolo sant’ Andrea, avente nei due spazi di fianco le nozze di Cana e la risurrezione di Lazzaro. Commise Γ opera Andrea di Costa in Bruggia nel 1499, come leggesi a tergo della tavola; e due figure che ginocchione si atteggiano al martire sono i ritratti del committente e della moglie di lui Agnese Adorno. La gentil pitturina fece copiare a’ nostri tempi il signor Edmondo de la Coste, discendente di quella famiglia trapiantata nel Belgio. Ma quanto all’ indagare il dipintore del trittico, il Preside s’ attiene a coloro che il vogliono di Giovanni Hem- GIORNALE LIGUSTICO i83 melinch, il cui nome appunto rimase vivo nelle tradizioni dell’ accennata famiglia. Di una tavola rappresentante Γ Epifania, onde s’illustra 1’ altare de’ nobili Raggi nella chiesa di San Donato in Genova, dice il Preside come sia da recarsi a Quintino Messis; e nota come 1’ effigie del devoto che vi si mira, sia tale immagine che è insieme vita, movenze, preghiera. Soggiunge quindi l’Alizeri il cenno di tre tavole pervenute dal monastero di san Girolamo della Cervara nelle stanze del nostro Comune; cioè Nostra Donna col Putto, e due santi monaci : dove il pennello di quei maestri pareggia colla italiana eccellenza. Nè si vorrebbe menomar fede a chi ascrive tai dipinture a quel Francesco Floris , che a buon diritto meritò il nome di Raffaello fiammingo. Nè dubita 1’ Autore di assegnare a Francesco un figlio omonimo tra il secolo ΧΛΤ e ’l XVII, eh’ ei trova per documenti occupato fra noi in piccoli quadretti; e dal quale presero le mosse que’ fiandresi che nel Seicento allegrarono i nostri palazzi di gaie e numerose pitture. Dopo la lettura del prof. Alizeri, i socii Desimoni ed Isola porgono varii schiarimenti riguardo al summentovato Andrea di Costa ed al ramo degli Adorni trapiantatosi in Fiandra, onde fu capo Obizzo morto in Gand nel 1307. L’avv. Desimoni riferendosi a quanto venne di già scritto negli ^Atti della Società (1), ricorda come appunto di questo ramo uscisse Anseimo che fu borgomastro di Bruggia, consigliere di Giacomo II re di Scozia, e che viaggiò nella Siria e nell’ Africa. .Soggiunge che da Anseimo derivò Arnaldo, signore di Ronsele e A'ive ; e da costui l’Agnese, sposa in seconde nozze di Andrea di Costa, a’ cui discendenti il doge Antoniotto Adorno (1527) consenti il privilegio di portare (1) Voi. V, pag. 539. 184 GIORNALE LIGUSTICO il cognome di questa famiglia e di inquartarne le armi nel loro stemma. Rammenta per ultimo che i viaggi di Anseimo Adorno vennero di recente narrati dal lodato sig. de la Coste, in una bell’opera che s’intitola: ^Anselme Adorne Sire de Cor-thuy, etc. Il pittore Isola ricorda la chiesa di Gerusalemme che Giacomo e Pietro del qm. Martino Adorno fondarono in Bruggia, verso la metà del secolo XV, ad imitazione di quella del Santo Sepolcro in Palestina: chiesa illustrata con una dotta monografia dal Gaillard, e visitata dall’isola medesimo nell’autunno del 1858. X. Sezione di Storia. Tornata del 28 febbraio. Presidenza del Preside Antonio Pitto. Dopo alcune parole consacrate dal Preside alla memoria del socio Gaetano Avignone teste defunto, il segretario della Sezione Achille Neri legge i suoi «.Appunti storici intorno a Filippo Casoni (1). Si fa a dire in prima della famiglia che si pretende tragga origine dai Torriani di Valsassina; e reca i fondamenti di sì fatta tradizione, accennando come a cagione delle guerre civili del secolo XIII un d’ essi si stanziasse a Trebiano castello ligure, e lasciato Γ antico prenome abbia voluto col solo nome, che era Cassone, esser chiamato; donde la nuova famiglia. Sceso poi sull’ inizio del Cinquecento un ramo della famiglia a Sarzana, nel 1581 sen venne a Genova il medico Leonardo padre di Filippo reputato giu- (1) Questo scritto uscirà fra breve in capo alla pubblicazione della Storia del bombardamento di Genova, operetta inedita del Casoni, alla quale di presente dallo stesso Neri si attende. (La Direzione). GIORNALE LIGUSTICO ’ 185 reconsulto, il quale fu avo dell’ annalista. Questi ebbe a padre Gio-Michele pur egli avvocato di vaglia, che sulla via stessa scorse il figlio nato nel 1662 a’ 13 aprile. Ma le cure forensi cui attese noi /distrassero dagli studi storici a’ quali avea posto grande amore; e mentre raccoglieva materiali in servigio della patria storia porse al pubblico un primo saggio di sue fatiche nella vita di Ambrogio Spinola edita nel 1691. Il Disserente, soffermandosi alquanto sopra quest’ operetta, ne rileva alcuni pregi divisandone gli intendimenti. Narra quindi come Filippo fosse posto in carcere per un ratto da lui commesso in compagnia di 'armati, nelle vicinanze di Promontorio , sulla persona di Appollonia ' Acquarone colla quale amoreggiava, nè gli si volea concedere in isposa; per il che ebbe condanna di anni 20 di Torre, recando altresì la sentenza per condizione, niuna grazia gli si potesse concedere se non sancita dal Minor Consiglio e dai Collegi con quattro qirfnti dei voti. Toglie argomento da qui per rappresentare a qual segno era giunto fra noi lo scadimento morale di quel secolo, appro-vecciandosi dei documenti criminali dell’Archivio di Stato e di sincroni scrittori. Segue a descrivere le sollecitudini del vecchio Gio-Michele, a fin che fosse concesso al figlio, divenuto malato per la grama stanza assegnatagli, d’essere tolto di Torre e posto nel Palazzo criminale; ma non sortì sì fatta domanda alcun effetto per quantunque volte si rinnovasse. Intanto aveva Filippo condotto a fine gli Annali del secolo XVI ed il padre, sperando ottenere mercè, ai Collegi, cui erano dedicati, li presentò nel 1693; ma non valse ad ammollire il rigore dei governanti, i quali trasmessa 1’ opera agli Inquisitori di Stato niegarono consentire a qualsivoglia grazia ; nel quale proposito rimaser fermi in fino al 1696, quando, donata da Gio-Michele la Camera Eccellentissima di scudi mille d’ argento, ebbe Filippo il condono della pena e fu incontanente posto in libertà. A conforto di questi fatti reca il Disserente più do- 186 GIORNALE LIGUSTICO cumenti tratti dall’ Archivio, fra’ quali è notabile una lettera dell’ annalista indiritta a’ Collegi dalla sua carcere; nò si passa d’alcune considerazioni sopra la guisa in che erano condotti i giudizi criminali a quel tempo. Il seguito di questi appunti storici è rimandato alla ventura tornata. XI. Sezione di Belle Arti. Tornata del 7 marzo. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside esordisce recando i nomi di quei dipintori stranieri a Genova, i quali amarono esser tenuti in conto di suoi cittadini e tra noi lasciarono alcun saggio delle opere loro. Fra questi, in ordine al suo racconto , propone primo Raffaele De Rossi, venuto di Firenze a noi dove rimase tre anni, come lo attesta la memoria di tre lavori di non poca importanza da lui condotti dal 1518 al 1520. Esegui il più antico per commissione di Andrea Cicero, ad ornamento di una cappella che questi aveva nella chiesa di santa Maria di Castello; e fu una icone esprimente il Battista e l’estatico di Patmos, siccome è fatto palese da un rogito di Oberto Foglietta reso di pubblica ragione dal eh. Vigna. Fu il secondo un altare costrutto e dipinto per la Consorzia del Corpo di Cristo alla Maddalena; ed ultimo un quadro commessogli da quei d’ Alassio nella riviera occidentale , onde pero si ignora il subbietto. Al De Rossi tien dietro Francesco Della Porta, fratello allo scultore Gian Giacomo , che appar fra noi un quadriennio, ma non segnato nella Matricola, avverso coni’ era al rigor dei Capitoli ed insolente ai Consoli. Nondimeno GIORNALE LIGUSTICO potè aprire scuola, e professarsi maestro ad un Andrea Scopi dej Lago Maggiore. Meglio al certo meritava Albertino da Lodi, pittore assai caro a Lombardi e vivo tuttora nelle bocche de’ Savonesi, de quali nel 1517 decorò il Coro nel Duomo antico. Tocca poscia il Preside d’ alcune tavole che ritraggono del vecchio stile di siffatto maestro ; come ad esempio quella che nel Duomo nuovo si vede all’ altare degli Spinoli, ed esprime una Nostra Donna in suggesto fra gli apostoli Pietro e Paolo. Accenna del pari a un dipinto onde è argomento la Vergine del Buon Consìglio, che mirasi nella chiesa di sant’ Andrea, nè vuol punto recarsi al Robertelli sì come fece il P. Spo-torno. Segue 1’ Alizeri dicendo di un Pietro Guidi, o Ghio , da Ranzo ; e nota come principalissimo tra’ costui lavori una ancona che gli abitanti di Rezzo conservano nel loro santuario di Nostra Donna delle Vigne. Una tal opera credesi del 1537 5 ed è partita in capitoli secondo il vecchio stile. A quei del Chiavarese reca l’Autore un Franchino da Recrosio, che s’ebbe i rudimenti dell’arte da Giovanni di Barbagelata; e del nome di un cui fratello, Giambattista, comecché non iscritto nella Matricola, parlano i documenti. Ma tra coloro che predilessero la cittadinanza genovese primeggiano tre Da Passano di Levanto : Michele, Battino e Andrea. Michele però fu tra essi il più valente, e venne da Jacopo Grimaldo invitato a dipingere all’ Annunziata di Portoria ; poi fu chiamato a Novella su quel di Rapallo, per 1’ opera di una tavola di Nostra Donna fiancheggiata da santi. Ad Andrea Morinello, già rammentato dal Soprani, dedica pure il Preside alcuni riflessi, notando coni’ ebbe fratello un Battista, dipintore ancor’ egli, benché non iscritto nel ruolo. Andrea ci si chiarisce per due rogiti valente nell’ istoriar sulle tavole, non meno che nel decorare le camere private a i SS GIORNALE LIGUSTICO somiglianza della scuola lombarda non isdegnosa dell’ arte del fregio, quasi giocondità di ricreazione che segue ad un concetto più dignitoso nell’ arte. A lui un còrso , di nome Re-mirchio, commetteva d’ effigiargli una Madonna circondata da beati, ponendo per patto che 1’ opera fosse per istile non diversa da quella che rivelavasi in certa immagine di san Domenico a Castello : tanto, osserva il Preside, era invalso ne’ Córsi il costume d’ aver tav9le riprodotte da questa chiesa , come si fa manifesto per molteplici esempi. VARIETÀ L INGRANDIMENTO ED IL PORTO DI GENOVA. - Il chiar. prof. Santo Varni ci comunica la copia di una importante lettera indirizzata nel 1568 alla Signoria Genovese dal P. Gaspare Vassori; il cui nome vuoisi aggiungere alle memorie degli artisti domenicani sì dottamente illustrate dal P. Vincenzo Marchese. Nella citata scrittura, che noi stimiamo non inopportuno di riferire nella sua integrità, il Vassori intende a mostrare come Γ ingrandimento di Genova mercè 1’ unione dei sobborghi e d’ alcune- ville si da levante che da ponente della città, in guisa assai più ampia di quel che non si fece oggidì, fosse da riconoscersi per più rispetti utilissimo. Tratta quindi del prolungamento del molo, che or diciamo vecchio, operatosi nel 1553 sotto la direzione di Galeazzo Alessi, mostrandone gli inconvenienti; e per ultimo accenna ad un suo strumento col quale proponevasi di ripulire il fondo del porto. Ecco la lettera; e vogliano gli studiosi, condonare il'principio di essa invero poco felice; del quale più che il Vassori medesimo è da chiamare in colpa P età in cui egli scriveva. GIORNALE LIGUSTICO 189 Ill.mi et Eccell.mi Signori L’anno passato scrissi all’Ill.me Signorie Vostre questi miei ragionamenti ; credendomi debbano essere utili alla Repubblica, mi è parso di nuouo per li rispetti che occorrono al mondo ricordarli. Prima dissi che la famosissima città di Genoua non è fabricata nè imposta per quel poco vicino al porto commodo a’ negozianti (sic), ancora che essa città sia d’industria et fatiche, et non de frutti, cioè frumenti, vini et altre cose che sopra que’ monti non puonno abbondare, come benissimo disse Alessandro Magno a Dione che haueua designato una bellissima città sopra il monte Aton, scriue Vitruuio nel principio del suo secondo libro. Ma Genoua fu principiata da ingeniosissimi e sauij inuentori, ancorché l’istorie dicano che per sorte fusse principiata; quali inuentori pensorno che detta città douesse viuere d’industria, et che la gente si douesse dare più alla industria et sorte del mercantare, che all’ocio et morbido viuere, et che crescendo le facoltà solite a quelli che con la buona fortuna si guidano, Genova douesse crescer di fabrica et di sito, tanto che venisse ad esser gran città, pigliando in sè tutta la soauità delle regioni, cioè di Carignano, di Be-zagno, di Morteo, di Bacherna, di Granarolo, di Promontorio , insino alla soavissima et ottima aria di san Benigno, et cosi finalmente fusse fabricata insino alla cima del monte verso sua viua et naturai fortezza, et iui con agiuto del viuo artificio fosse fortificata et fatta inespugnabile. Dal principio sin ad ora per certe occasioni si fortificò Genoua. Si come dicon le historie, prima per corsali mori et infideli furono fatte, le porte a san Pier di Banchi, a san Lorenzo e san Do-nà; poi per causa di Federico Barbarossa Imperatore ingrandita insino alla porta de’Vaccha, a Castelletto, a santa Cat-tarina, a san Domenico et Sarzano; poi per diuerse fattioni 190 GIORNALE LIGUSTICO et varie volontà et consiglio de* forastieri, fu ingrandita a san 1 omaso, a Monte Galletto, a Castelletto, alla Cassola, agl Archi et Carignano; et (da) Voi poi per la venuta di Cezare Hegoso et signor Cagnino fu fortificata di miglior fortezza (1). Ma insin hora non è venuta al dissegno de’ vecchissimi et primi inuentori, che dissegnarono Genoua unita tutta di qua dal monte et le tortezze tutte sopra il monte, per esser Genova unita per la diffesa, et diffesa da muri et fortezze inespugnabili. La causa che Genova non è unita, e che si è fabricato Albaro, Teralba, Quarto, Bizagno, et così san Pier d’Arena, Cornigliano, Pegli et altre bellissime fabriche fuori del i-Οιpo di essa città, è stata la varietà delle volontà nate nelli partiali da anni 350 in qua, per quali variandosi lo Stato, si daua mano a quei di tuori come amico o parente, e così le torze della Repubblica communi si sminuiscono con danno poi uniuersale, et così seguendosi questo humore si è atteso a far bello quel di fuori di Genova. Che (se) almanco dopo il \ indotto che si governa a Repubblica con diuino soccorso et prouidenza grandissima, che Iddio la conserui in perpetuo, almeno fussi stato ordinato che tutti fabricassero infra detto monte et unitamente, adesso saria Genoua più bella città et più grande che ogn’ altra del mondo. Dissi dunque che per tal sorte essendosi fabricato fuori del distretto forti.:„ato, che tali fabriche sariano o puonno essere alloggiamento delli nemici, con modo et forma di starui, offendere et commodamente assidiare, sariano padroni de’ colli che signoreggiano tutta la città, con altre conditioni che i buoni guerrieri sanno. Perciò raccordo una cinta di muro torte di tutto San Pier d’Arena et Promontorio, dove il signor Roberto Sanseuerino fu rotto (2), che poi per soccorso (1) L assalto dato a Genova da Cesare Fregoso e Cagnino Gonzaga rimonta al 1536. (2) Nel 1478. GIORNALE LIGUSTICO 19I della città seppe benissimo anteuedere, prouedendo a quel luogo che con pochi si possa diffondere, per esser forte di sito naturalmente; et benissimo li successe; poi facendo muragli con sue diffese sopra la cima verso il Castellacelo e san Bernardo (i) et al Zerbino, et scendere giù sotto Consolatione (2) et venir per Bizagno insino al primo scontro di Carignano ; e dico che questo1 è il primo et principal dissegno di Genoua, ancora che non s’intendessi di San Pier d’Arena, ma la muraglia venisse di Promontorio a san Benigno, et al passo di essa Lanterna si facesse la porta e gran fortezza. Questo raccordò altre volte l’Ingegnerò de’ Córsi che haueua grandissimi segretti di Francia; hora in questa forma sarebbe fortificata Genoua di viua fortezza che saria inespugnabile, et diffesa senza offensione; et gli nemici non potriano nè offendere nè vedere la città, et hora che è così ben gouernata et ben unita sarebbe un altra Roma fiorita. Nè mi voglio scordare il grandissimo uttile delle gabelle, che ardisco dire che in pochi anni pagaria tutta la speza di detta fortificatione. Io per essere stato circa anni 40 per il mondo, et inteso e veduto molte cose, non posso far eh’ io non dica questo, e vorrei dir di più. In somma le Ill.mc et Ecc.me Signorie Vostre veggano le circostanze del mondo come stanno, e gli pensino sopra. Dissi ancora nel codicillo mandato al magnifico signor Ottaviano Oderico (3) un altra cosa importantissima, cioè che nostri vecchi principiorno un molo per conseruatione delle naui, qual molo da principio che è a san Marco e va insino alla capella di san Sebastiano guarda da quiui per linea dritta poco (1) San Bernardino di Peraldo. (2) Intendasi la Consolazione vecchia in Bisagno : monastero insigne demolito per ordine pubblico nel x681. (3) Ottaviano Gentile-Oderico qm. Nicolò era stato Doge dal 1S6S al 1567. 192 GIORNALE LIGUSTICO sopra san Lazzaro verso la Chiapella, qual linea veniua a far ostaculo contra la Prouenza(i); ma poi per li varij pensieri e partialità si voltò esso molo verso la Lanterna, e non facendo ostacolo ouer contrasto a detta Prouenza, restò il porto aperto alla riama di detta Prouenza , di modo che si vede essersi spezo dui o tre milioni in fabrica di tanto molo, e non si è proueduto all’ impeto di essa Prouenza, perchè nel porto si fracazzano le naui, et esso porto si riempie di sabia, giara, alega et altre sporcitie cacciate dall’ impeto dell’ onde et della fortuna. Perciò hora le naui non hauendo fondo competente si voltano e fracazzano con perdita di esse naui e della mer-cantia. O gran danno et forsi vituperio di tanta città, quale ha spezò tanti denari, e mai ha fatto una prouigione viua, che sia perpetua e buona, et non hauendo miglior traffico di quel di mare non si habia mai proueduto. Concordia paruae res crescunt, et si fanno buone; et il contrario per il contrario. Dico adonque se la città non è stata persuasa da qualche forastiero suo nemico, sì come si potrebbe dire delle fortezze ultime, che gli habbi fatto spendere tanti denari a mal dissegno, che è impossibile non si fussi fatto altra prouigione et più viua che non si è fatto. Eccoui gl’ ingegni forastieri e le persuasioni de finti amici 0 de’ ignoranti. Douriano le Ill.me Signorie \ ostre istimare li patriotti, et non fidarsi come per il passato. . Hoisu donque dirò perchè resta Genoua che non facci viua prouigione? perchè non è informata? perchè non ha ingegni? non ha litterati ? non ha capaci di tal cose ? Altre volte Genova era abbondantissima di tutte le sopra dette cose ; et perchè ora non? Si sono voltati gl’ingegni verso Milano, che si è cinto d ottimi muri, e non ha lasciato di fuori che san Gregorio , che appresso di voi è il Lazzaretto, con guadagno di centomila scuti 1’ anno di gabelle, et non ha lasciato allog- (1) Cioè contro il vento di sud-ovest. GIORNALE LIGUSTICO 193 giamento a’ nemici. Et che 'ha fatto Gaitta (1) che si è tanto ampiamente murata, che si fa gran prouigione di grano infra le mura, et è restata fortissima sopra suoi monti? Et quanti porti si son fatti sicuri et con gran fondo in Francia! Che vi resta, o Repubblica, che non si provegga con cose viue hora che hai (sic) gran denari, gran forze? Dov’è la fiducia? Dicovi, 111.™ Signori, che bella cosa è esser sicuro per la buona guardia, ma è bellissima Γ esser sicuro di viua e naturai sicurezza, quale facilmente si diffende e facilmente s’offende l’inimico. Io adonque ebbi dall’Ingegnerò de Córsi, che al porto di Genoua non si può prouedere con viua prouigione, si non si fa un altro molo quale è mirabilissimo, che non lascia entrare la Prouenza in detto porto, et il porto sarà grandissimo ; et fondato che sia una volta, si come dirò qua di sotto, non vi entrarà più giara, sabia nè alega, et non si haueranno da spazzare che le immonditie che vengono alli ponti per la via sotterranea della città; et con questo molo sara il più bello e più sicuro porto, et più forte che sia al mondo. Quando le Ill.me Signorie Vostre vedranno il dissegno, gli piacerà, perchè non vi andarà più speza che al molo fatto. Adonque quando Genoua fosse così com è detto sopra, non solamente saria regina, ma imperatrice del mare, e la terra gli portaria rispetto per forza; et per giudicio humano non si potria pigliare per forza, nè offendere da luogo alcuno; e si guardar ebbe con pochi, per gl ordini dati al magnifico si gnor Ottauiano Oderico, con la maggior parte soldati genouesi et amoreuol unione. Ho poi detto eh’ io ho un istrumento sicurissimo e bellissimo per spazzare il porto, con quale si cauaranno 26 barcate di sabia, ouero sporcitie, 0 sassi il giorno, per il quale si spazzarla tutt’ il porto e le darsine ; et feci intendere alli magnifici (1) Gaeta. 194 GIOR NALE LIGUSTICO signori Padri del Comune tutta questa cosa, et lasciai il magnifico messere Andrea de Ferrari che parlassi di ciò, perch'io ero venuto a Genoua malato di gotta; et così non pottendo aspettare le longhe risposte, per disaggio ch’io haueuo di seruitù e di viuere, mi feci condurre a Milano in casa di miglior amici eh io non ero a Genoua. Onde parendomi le suddette cose importantissime, non le ho volute lasciar così supite nè ascose. Hebbi ancora dal sopra detto de’ Corsi il dissegno de molini quali per fauor delli Re di quel tempo si designa-gnauano fare in Genoua sopra l’acque del mare; et io ho hauuto il mouimento dell’ acqua et alzamento di essa circa quindeci palmi; con il moto che si caua da detta acqua alzata si puonno far cinquanta ruote de molini di grandissima utilità. Ma per essere col cuor freddo a fare imprese alcune, si sono ritenute queste cose. Hora sapendo che 1’ Ill.me et Ecc.niL Signorie Vostre si sforzano bonificare la Repubblica ,. et ciò si è veduto per isperienza, essendo io e mio padre e tutta la casa de’ Vassori stati sempre suoi seruitori affettuosissimi, ho hauuto prosontione di scriuere questo mio codicillo , acciochè se le parrà hauere le dette cose in consideratione, e si raccordi del suo seruitore. Dia risposta a messer Giulio Cezare Taglino libraro in san Luca, che mi auisarà di quanto sarà ordinato per P Ill.me et Ecc.me Signorie Vostre. Di Milano al primo maggio 1568. Tutto di Vostre Eccellenze et Servitore Maestro Gasparo Vassori di san Domenico (1). Gli Archivi dello Stato. — La controversia dibattutasi per oltre un decennio circa la riunione di tutti gli Archivi sotto la dipendenza di un solo Ministero, e circa la prefe- (1) Dal fogliazzo 2.0 delle Nuove Mura, nell’ Archivio di Stato. GIORNALE LIGUSTICO 195 renza da darsi in questa unificazione al Dicastero della pubblica istruzione oppure a quello dell’interno, era stata già risoluta in favore di quest’ ultimo da una Commissione arbitra nel 1870; ma non ebbe pratico risultato se non al dì d’oggi per opera dell’on. Cantelli ministro dell’interno ed interinalmente anche dell’istruzione. Il R. Decreto che sancisce la detta unificazione reca la data del 5 marzo p. p., ed è entrato in vigore col i.° aprile. Se non che l’on. Ministro il quale nella Relazione che precede al citato Decreto accennava ai molteplici bisogni di siffatti Istituti, fu pur sollecito di segnalarli con altro Rapporto a S. M., alla cui firma sottopose quindi un nuovo Atto col quale si divisano gli opportuni provvedimenti. Giusta un Decreto del 26 marzo, viene perciò istituito presso il Ministero dell’interno un Consiglio per gli Archivi, scelto fra persone estranee al personale archivistico , e del quale fra le altre cose vuoisi chiedere il parere su quanto concerne la compilazione ed interpretazione delle leggi e dei regolamenti, l’ordinamento generale degli Archivi, il metodo dei lavori di ordinazione e di pubblicazione, i programmi per gli esami degli ufficiali, e le costoro promozioni. In seguito si pongono le basi per la prossima creazione di Sovrintendente, sotto le quali, secondo e scritto nella Relazione ministeriale, si costituiranno come in altrettanti gruppi gli Archivi « di quei luoghi che avendo identità di storia devono essere diretti a fine comune » ; e si determina che « uno dei direttori degli Archivi compresi in ciascuna Sovrintendenza, designato dal Consiglio, ha il titolo e le attiibuzioni di Sovrintendente ». Succedono poi altre disposizioni relative alla nomina ed alla classificazione degli uffiziali, alle scuole di paleografia e dottrina archivistica, ccc. Finalmente un Decreto Reale del 7 aprile compone il Consiglio per gli Archivi nel modo che segue: 196 GIORNALE LIGUSTICO Ψ residente Amari comm. Michele, senatore. Consiglieri Castelli comm. Michelangelo , senatore — Lampertico comm. Fedele, senatore — Tabarrini comm. Marco, senatore λ annucci comm. Atto, senatore — Correnti comm. Ce-sare Porro-Lambertenghi cav. Giulio — Villari comm. Pasquale — Tosti Luigi. Crisogr.ìfia. — Nella Mostra della benemerita Società Patria per 1 incoraggiamento delle arti e delle industrie, stata aperta il 5 aprile nella ex-chiesa della Pace, figurano alcuni saggi di Crisografia brunita e flessibile per la riparazione dei codia alluminati, eseguiti ed esposti dal colto giovane signor Edoardo Begey. Come è noto, le dorature sugli antichi manoscritti vedonsi praticate con o senza brunitura; e quest’ ultime riescono di assai facile imitazione, non avendosi che a stendere sul disegno o fondo che vuoisi dorare una soluzione di mordente od altra consimile. Al contrario la doratura brunita non va scevra da difficoltà; e generalmente si ottiene stendendo la foglia d oro sovra una preparazione di gesso e colla, e brunendola in seguito con un dente di lupo o *con un brunitoio di pietra dura. Se non che tali dorature essendo prive di flessibilità e scrostandosi assai facilmente, se possono applicarsi ai mobili mal si converrebbero alle pagine dei libri, soggetti ad essere spesso sfogliati. Migliore al certo è il metodo adoperato dal signor Pietro Ciatti in alcuni suoi restauri a’ codici della Laurenziana di Firenze; ma è pure assai complicato, e percio di difficile esecuzione. Semplicissimo invece ci si annuncia il sistema del sig. Begey, ma a quanto sembra non GIORNALE LIGUSTICO 197 meno utile di quello del Ciatti; imperocché non solo ripara le parti guaste, ma impedisce lo scrostamento delle altre. Lo stesso signor Begey ha pure esposti alla Pace i fac-simili di alcune pagine tratte da un antifonario e da un messale del secolo XVI, che serbansi tra i codici membranacei della Civico-Beriana ; ed anche questi lavori ci paiono saggi assai commendevoli degli studi di lui; benché ai medesimi non sia esteso quel suo trovato, colla applicazione del quale egli potrà rendere molti ed utili servigi. Disegno industriale. — Alla Mostra medesima sono molto ammirati i numerosi ed eletti saggi della Scuola civica femminile di disegno industriale diretta dal cav. Tammar Luxoro, e nella quale eziandio professano i signori Perosio e Zandome-neghi. Ma poiché il ragionarne partitamente si dilungherebbe dal compito di questo giornale, cosi ci starem paghi ad accennare que’ soli oggetti che si rannodano al genere dei nostri studi. Tali sono una cartella di preci sacre e tre cartellone impresse su candida pergamena, ed alluminate con isquisita diligenza a fregi di finissimo gusto. I lavori della cartella e della cartagloria maggiore sono eseguiti dalla signora Fann) Prato ; gli altri dalla costei sorella signora Carlotta. È da augurare grandemente che questi saggi bellissimi valgano a richiamare in onore tra noi una gentil disciplina, ed invoglino molti del desiderio di favorirla. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO ‘Delle benemerente di S. Tommaso d’Aquino verso le Arti belle _ Accenni del P. Vincenzo Marchese dell Ordine de Predicatori — Genova, Tipografia della Gioventù, presso gli Artigianelli, 1874. 198 GIORNALE LIGUSTICO Al solo annunzio che allo scrittore delle Memorie sugli Artisti Domenicani era affidato l’incarico di consacrare alcun frutto del suo nobile ingegno a celebrare la centenaria commemorazione del transito dell’ Aquinate, esultarono gli amici di lui e quanti hanno in pregio le glorie vere della patria italiana. E il frutto si ottenne ed è salutato dal plauso di tutti coloro che sanno all’ amor patrio congiungere 1’ affetto alla Religione, ispiratrice così dell’alto sapere come è maestra del bello e fonte di civiltà. Nè l’animo prostrato dalle dolorose condizioni dell’ Ordine a cui Vincenzo Marchese appartiene, nè le acerbe sofferenze che da più anni ne abbattono la stanca persona hanno punto scemato di quel vigore di mente, di quell ardore, di quella vena spontanea che tutti ammirammo nello storico del S. Marco e di Gerolamo Savonarola. chè anzi nel libro ora annunziato si diffonde, a malgrado dei travagli dell animo e delle membra onde è afflitto l’autore, quella limpida espressione di luminosi concetti, quella pace serena e tutta virgiliana che torma il carattere particolare d ogni scritto del nostro concittadino. Se alcuni, come nota il P. Marchese, hanno esaminate ai dì nostri le dottrine estetiche di S. Tommaso, non ne hanno dimostrata del pari la salutare influenza nelle lettere e nelle arti. A questo speciale intento s’ intesseva dal Nostro un la\oro atto a spargere un vivo lume sul nobil tema e sul merito dell angelico dottore, non apprezzato finora sotto un aspetto così attraente. E a colorir la sua tela esordiva Egli col porgere un rapido, ma caldo cenno intorno alle condizioni delle belle arti in Italia nel secolo XIII ; e per esso poneva in chiaro come fosse all Italia serbata la gloria di tutte accogliere le arti sorelle, eh erano altrove sbandite o impotenti, e recarle alla maggior perfezione, per diffonderle poi come elemento di civiltà presso le altre nazioni. E in questo primo capo 1’ autore si apre 1 adito a far conoscere come per mezzo dell’ A-quinate la scienza preparasse il civile consorzio a farsi bello dei miracoli della poesia e delle arti. Le vicende della pittura sono tratteggiate maestrevolmente e diremo pure poeticamente GIORNALE LIGUSTICO 199 dalla faccia 9 alla faccia 15 : nella quale toccando dei principii di S. Tommaso intorno al Bello, considerato nella sua massima idealità, il P. Marchese avverte come racchiudano in germe quanto di più ragionato si è svolto successivamente in fatto di estetica. Senonchè a rendere accessibili quei principii alla mente degli artisti per farne lor prò nell’operare, fu ventura che gli rivestisse d’immagini poetiche e colla lingua del popolo gli esprimesse la mente dell’ Allighieri ; sì che due fra i massimi ingegni italiani si unirono, come scrive ii.P. Marchese, nell’opera di creare la nostra pittura. Ragionando quindi del Bello secondo la mente di S. Tommaso per dimostrarne l’influenza non solo nelle arti, ma nella poesia e nella civiltà, e sottilmente analizzati i caratteri dell’arte cristiana o mistica, e della naturale o pagana, ci apre 1’ autore le cagioni per le quali decadeva fra noi la pittura religiosa. E giova il meditare col Nostro e il conchiudere che un sublime Manuale dell’ arte italiana per ciò che spetta alla pittura religiosa si ha nella Somma teologica di S. Tommaso convertita in poema nelle tre cantiche dell’Allighieri; ond è che 1’ Aquinate presiedendo ai natali dell’ arte e della poesia apprestava ad esse il nutrimento che dovea convertirsi nella Divina Commedia e nei dipinti di Giotto, del Gaddi, dell Or-cagna e del Beato da Fiesole, nel cui nome l’autore dice di por termine al suo lavoro ; che cominciato coll’ Angelo della scuola si chiude mirabilmente coll’ Angelo della Pittura. Antonio Crocco. ‘ISLotizie dei Professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI, opera del cav. avv. Federigo Alizeri. — Genova, Sambolino 1870-74. È uscito testé il fascicolo 15 di questo eruditissimo lavoro, che reca vivissima luce là dove gli antecedenti scrittori per manco di critica e per difetto di paziente studio de’ documenti aveano lasciato una fìtta tenebra, oppure s’erano iti avvolgendo in un laberinto inestricabile d’errori dal quale 'non riusciva sì agevole lo sprigionarsi. L’ egregio autore mercè la cura amorevole e sollecita da lui posta nello esaminare gli atti notarili e governativi dal secolo XIII al XVI, c tutte quelle altre carte onde reputava 200 GIORNALE LIGUSTICO trarre sussidio al suo lavoro, aggiunse nuovo lustro alla patria e titolo grande di benemerenza al suo nome. Il fascicolo sopra citato discorre in ispecie de’ pittori Giovanni di Barbagelata da Rapallo e Luca Baudo da Novara (sec. XV). tArchivio storico Lombardo ; Giornale, della Società storica lombarda e Bollettino della Consulta Archeologica del Museo storicoartistico di Milano. — Anno I, fase. x.°. Milano, Brigola 1874. La illustre città, dove ebbe vita la celebre Società Palatina, non dovea aver difetto d’ una istituzione che recò frutti egregi in altre contrade della penisola. I nomi soltanto di coloro che promossero l’associazione storica, duce l’illustre Cantù, bastano a mostrare con quali propositi e con qual copia d’ intelligente dottrina si apprestano a dar opera agli studi divisati. Di questi discorre il chiaro Presidente nella dissertazione degli studi storici in Lombardia, che sta in capo al giornale ; il quale accoglie altresì documenti importanti illustrati dal Ghinzoni e dal D’Adda, oltre altri pregevoli scritti; e s’a-dorna d’una diligentissima eliotipia onde è riprodotta la prima pagina d un prezioso codice miniato del secolo XV. T^ivista Italiana di sciente, lettere ed arti. — Anno I, fase. 2.0 — Milano, Lombardi 1874. A mostrare di quanto pregio sia questa nuova pubblicazione basti per noi 1’ annunciare che ne è meritissimo direttore il signor Isaia Ghiron, ed accoglie una schiera di valenti cooperatori alcuni dei quali ponno rilevarsi dagli articoli in questo fascicolo inseriti, e sono i seguenti: I precursori nella storia di Francia, Gius. Ferrari — Ìì maestro del Petrarca, Aless. d’ Ancona — Fante di Picche (racconto), Salv. Farina — Il vero e il bello, l’arte e la scienza, Nicc. Tommaseo — Il passaggio di Venere sul disco solare nel dicembre del 1874, Giov. Celoria — Le correzioni ai Promessi Sposi e l’unità della lingua, Francesco d’Ovidio — Varietà: La scoperta di Troja, Gius. Sacchi — Rivista drammatica, Eugenio Torelli-Viollier — Rivista critico-storica — Bollettino bibliografico. errata-corrige. Pag. 107 liti. 27 : il socio Neri legge una sua rivista pubblicata ecc. Leggasi: il Socio Neri legge una sua rivista di un’ opera pubblicata ecc. Pasquale Fazio T^esponsahiìe. Anno I. Giugno 1874. Fascicolo 6. GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI SE GENOVA ABBIA AVUTO UN DOPPIO NOME nell’antichità Il passo di Stefano Bizantino: Τενόα, πόλις των Αιγυρων, 'Σταλιά, ■καλουμένη νυν, ως Άρτεμίΰωρος, è comunemente giudicato guasto (1). Già il Cluverio (Ital. Antiq. 1, 71) osservò: « certe haec pejjime cohaerent, ingens quidpe saculorum est intervallum Artemidori inter et Stephani atates. Credo in hanc mentem sctipsiffe Stephanum: Τενόα,, πόλις Αιγυρών εν Ιταλία, ως Άρτεμί-Ιωρος, καλουμένη νυν Ίάνουα. » ; la qual correzione parve al citato editore « magis audader, quam feliciter procedere ». Dopo lungo silenzio degli storici locali, ultimamente il can. Grassi prese il testo ad esame in un esteso Ragionamento letto alla Società Ligure di Storia Patria (2). Basti dire eh’ egli crede che, nei tempi remoti, Genova fosse conosciuta sotto doppio nome, e che 1’ altro nome fosse Maγαλία., da sostituirsi a Έταλία. nell’ articolo discusso. Io inclinerei a credere che l’egro passo sia da curarsi colla modesta ricetta, che per ben intendere una linea controversa, conviene interrogare quelle (1) Edizione del 1725. Non ho ritrovato la recente edizione del Wes-termann (Lipsia, 1839) nè in commercio, per essere esaurita, nè in alcuna Biblioteca pubblica di Torino. (2) Voi. iv, 1866, p. Lxxvi-Lxxix e 471-490 « Importante frammento di Polibio conservatoci in lezione alterata da Suida e mostrato relativo a Genova ». . 15 202 GIORNALE LIGUSTICO che la precedono e che la seguono, siccome diceva l’abbate Peyron. Stefano Bizantino non premette P articolo των al nome di popolo, cui appartiene la città eh’ egli adduce, se non quando aggiunge la indicazione del paese nel quale è stanziato quel popolo: COSÌ egli scrive Έόλουρός πόλις των έν ΊλλνρίΑ Τράλλεων, ‘Ρωμυλία των εν Ιταλία Έαυνιτων πόλις ecc. Ora se dice qui Τενόα, πόλις των Αιγυρων e non, come poi sotto i nomi di altre città Liguri (ι), πόλις Αιγυρων semplicemente, è ovvio il pensare (e quell’inatteso Σταλία lo confermerebbe) eh’ egli abbia voluto scrivere Τενόα., πόλις των έν Ιταλία. Αιγυρων. Ma la posizione del vocabolo Έταλία. ci conduce piuttosto a quest’ordine di parole: πόλις των Αιγυρων (iv’I) ταλία; e tale ha dovuto essere. Il geografo nell’articolo Τενόα parla per la prima volta dei Liguri, dei quali poscia in Tortona, Piacenza ecc. Ora i Liguri erano distintamente appellati dai Greci Ligyes, dai Romani Ligures (2). Lo stesso testo adunque, Γενόα, πόλις των Αιγυρων} 2ταλία χαλαυμένη νυν, ως ’Αρτεμίΰωρος, così considerato, suggerisce, se non erro, la lezione Τενόα., πόλις των Αιγυρων εν Ιταλία χαλουμέν(£ϊ)ν, citato il qual nome, usato in Italia, una volta per tutte, Stefano dirà poi: Tortona πόλις Αιγυρων} Piacenza πόλις Αιγυρων e così via. Giacomo Lumbroso. (1) Δέρτων, Πλαχεντία, ΈτουΊνος. (2) Vedansi gli autori Greci e Latini citati dal Forbiger, Handbuch der alten Geographie, in, p. 544. GIORNALE LIGUSTICO 203 DELLA CHIESA DI SANT’ INNOCENZO DI CASTELLETTO D’ OLBA APPUNTI del Prof. SANTO VARNI Chi procedendo da Gavi per San Cristoforo giunge a Castelletto d’ Olba, s’ incontra ben tosto in una chiesuola cui la struttura e 1’ impronta rivelano di grandissima antichità. Sorge essa contigua al cimitero, s’ intitola a sant’ Innocenzo martire, ed è oggi lasciata in abbandono. Apparteneva essa alla celebre abbazia di san Fruttuoso di Capodimonte presso Portofino, da cui rilevava egualmente quella di san Lorenzo che era ed è tuttora una delle due chiese parrocchiali del paese (1). Nel secolo XIII però, dopo che la Pieve di Gavi, nella cui circoscrizione Castelletto si trovava compreso, passò dalla dipendenza del Vescovo di Tortona a quella dell’Arcivescovo di Genova, sorsero questioni fra gli Arcipreti di detta Pieve e gli Abbati del monastero circa il diritto di nominare i ministri 0 rettori di sant’ Innocenzo. E la lite parve comporsi nel 1280 con una sentenza arbitrale, in forza di cui tal diritto veniva riconosciuto alla Pieve. Ma o sia che questa mancasse dipoi all’adempimento degli obblighi cui Γ esercizio del medesimo trovavasi vincolato, 0 sia per altre a noi ignote cagioni, certo è per documenti che il monastero di Capodimonte lo esercitò di bel nuovo in età posteriore (2). (1) L’altra è dedicata a sant’Antonio. Se ne incontra memoria nel noto documento della tassa straordinaria imposta da papa Urbano VI a tutte le chiese dell’Arcivescovato di Genova nel 1386. (2) Vedansi in fine alcuni estratti di documenti desunti da’ codici di san Fruttuoso, oggi serbati nell’Archivio del Principe D’Oria in Genova. 204 GIORNALE LIGUSTICO I. Descrizione dell* eflcrno. La fronte della chiesa si allarga per metri 7. 05, e viene limitata da due lesene sporgenti sette centimetri, delle quali però quella a manca è in gran parte perduta. La sua costruzione, tutta di pietre squadrate e ben commesse, può distribuirsi in tre strati, il mezzano dei quali abbraccia un maggior campo e si vede eseguito con più diligenza. Nel mezzo della fronte medesima si eleva un corpo che ha 1 identica sporgenza delle lesene, e che raggiunge la sommità dell’ edificio. Quivi appunto è praticata la porta d’ accesso, spaziosa metri 1. 33 ed alta m. 2. 55 compresa la larghezza della fascia che corona l’arco di tutto sesto, e che è decorata da un grazioso intreccio di foglie simili all’ olivo. Latistante all’ imposta dell’ arco ricorre un fregio di basso rilievo, il quale comprende non solo il corpo di mezzo ma tutto lo spazio che resta fino alle due lesene, e si divide in quattro riparti. Nei due a destra sono scolpiti due galli che fiancheggiano un calice, ed una specie di griglia o rete; in quelli a sinistra sono varii anelli intrecciati, e due leoni posti di rincontro (1). Questi bassi rilievi sono tenuti sullo stile di alcuni fra quelli della facciata di san Michele di Pavia, che è quanto dire dintornati sovra di un piano e rilevati per un altro alquanto ribassato; ed accusano tutta la rozzezza dei secoli VII ed VIII. Già s’ intende poi che per la miglior parte sono ispirati ai precetti della simbolica cristiana, perchè gli anelli sono l’emblema di Dio eterno (2), i leoni rappresentano un simbolo (1) Nel destro fianco del Duomo di Genova si vede pure un basso rilievo di marmo con due leoni -ritratti in eguale atteggiamento. (2) Questo emblema si trova in diversi monumenti. Il Boito, nelle sue GIORNALE LIGUSTICO 205 di efficace custodia, derivato dagli antichi cristiani dell’Egitto, ovvero anche la forza di Cristo (1), i galli esprimono la vigilanza che protegge F innocenza. Soltanto il basso rilievo della griglia ci sembra che non asconda alcun senso mistico, nè altro sia che un fregio meramente decorativo; tanto più se si avverta che lo adoprarono i Romani in alcuni lor monumenti, i maestri bizantini in varii capitelli delle fabbriche veneziane, ed anche i tedeschi, come vedesi nel palazzo di Federico Barbarossa a Gelnhausen (2). Superiormente alla fascia dell’ arco dianzi accennato vedesi quindi praticato un finestrone dell’ altezza di metri 2 per cent. 95 di larghezza; il quale andando gradatamente ribassandosi per quattro giri di cordoni che successivamente si ristringono, finisce per acquistare la forma di una feritoia. Il frontone poi è coronato da una bella sagonja corniciata; e questa veniva sorretta da modiglioni, de’ quali oggidì non sussistono più di otto, girandosi all’intorno dell’edificio come tuttora si riconosce per diversi avanzi. In ciascuna delle pareti laterali vedeansi pure aperti quattro fìnestroni, due de’ quali nel corpo della nave, simili al già descritto, gli altri nel Presbitero. Se non che tra quelli della nave he fu otturato uno per ogni lato; e così pure uno ne rimase soppresso nella parte destra del Presbitero, portandosi poi l’altro alla forma quadrata per acquistare maggior luce. Lettere Cornatine, riporta un capitello della chiesa di sant’ Abbondio in Milano, ornato da sette anelli 1’ un dentro l’altro a guisa di catena (tavola Vili). Tre cerchi allacciati insieme, e disposti a guisa di triangolo, figuravano le tre persone della Trinità. Se ne ha esempio in una miniatura francese della fine del secolo XIII prodotta dall’ Oudin (Manuel d’Archeologie etc., pag. 376, tav. XI, num. 13). (1) Ved. Franciosi, I Leoni Simbolici ecc.; Modena, 1871. (2) Ved. Hope, Storia dell’architettura, pag. 213 e tav. 72. 20 6 GIORNALE LIGUSTICO Una porta egualmente praticata in ciascun lato dava del pari accesso all’ interno; ed era di forma semplicissima, cioè di un solo arco a tutto sesto, il quale si imbasa su di una grossa pietra che le serve d’ architrave. Ma quella del lato sinistro venne anch’ essa in progresso di tempo otturata. La parte posteriore della fabbrica è priva d’ abside, e quadrata; come si riscontra, ad esempio, nelle chiese antichissime di santa Agnese in Roma, nella cattedrale di Pola d’Istria, a san Paolo di Pistoia, san Ciriaco d’Ancona ecc. (i). Scorgonvisi tuttora le traccie di alcuni archi; e sotto il timpano è incastrata una croce rossa lavorata di cotto. Siffatte croci vedonsi murate di tal foggia all’ incirca in molte chiese; e, per citarne alcune, nelle cattedralidi Piacenza, di Verona, di Modena, di Worms, nelle chiese di Rehinof e di Colonia, a sant’ Ambrogio di Milano, ed agli agostiniani di Pavia (2). In altre chiese poi simili croci sono praticate a guisa di finestre; ed a questo proposito può citarsi la nostra, ora distrutta, di santa Brigida. Al disotto della croce vedonsi quindi sovrapposte 1’ una all’ altra due pietre che rinserrano il tronco della medesima; e nella inferiore di esse è scolpita di basso rilievo una mitra ornata da tre piccole croci rilevate, e fiancheggiata da due liste eziandio di pietra le quali paiono decorate da una rozzissima sagoma. La quale scultura è probabilmente simbolo della dipendenza della chiesa da noi avvertita in principio. Succede poi, a breve intervallo dalle dette pietre, un arco il quale si riconosce che formava 1’ ornamento di un finestrone; mentre ai lati della croce erano due finestrini ad arco tondo, come tuttavia si p*ò scorgere. Tali aperture vennero però in seguito otturate; e (1) Ved. Serradifalcc!, Il Duomo di Monreale, tav. XXVII. (2) Ved. Hope, Stor. cit., tav. 1, 29, 39, 40, 50, 64, 69. GIORNALE LIGUSTICO 207 forse ciò accadde nell’epoca in cui praticaironsi all’interno le pitture delle quali in appresso ragioneremo. La rimanente parte inferiore dell’ edificio è poi così coperta di fittissima edera, da non lasciar vedere se non le due lesene che lo fiancheggiano. II. Descrizione dell’ interno. La nave della chiesa si prolunga metri 12. 20, avendone 5. 84 di larghezza; ed alla estremità superiore dei due lati si incontrano le porte già accennate, disposte simmetricamente e coronate da un arco il cui lunetto è chiuso. La costruzione è identica a quella dell’ esterno, cioè di nuda pietra, ad eccezione di due ampie fascie di stucco sopra le quali campeggiano le pitture. Le quali, a giudicarne dallo stile, si potrebbero ascrivere al secolo XIV 0 tutto al più alla prima metà del XV ; e ritraggono in ispecie, com’ è naturale, le immagini de’ santi maggiormente venerati nel paese (1). Se fossero state men danneggiate ne avrei eseguiti di buon grado parecchi disegni; ma, atteso il loro cattivo stato, dovetti limitarmi a farlo appena per qualcuna. Le finestre sono anch’ esse decorate quasi come all’ e-sterno, cioè da piani ribassati. Oltrepassate di brevissmo tratto le porte laterali si tocca al Presbitero; il quale si allarga di altri metri 1. 53 per ciascun lato, e forma così un’ ampia sala coperta di scialbo, e nei cui angoli vedonsi quattro rozze mensole murate (2)^ (1) Difatti, oltre ai santi Innocenzo, Lorenzo ed Antonio, titolari delle tre chiese di Castelletto, le pitture rappresentano fra gli altri, ed anche ripetutamente come vedremo, i santi Sebastiano e Rocco, cui s’intitolano due fra le chiese dei borghi vicini, nonché santa Caterina martire e san Bernardo dai quali han nome due monti del territorio. (2) La sala è lunga m. 7. 45 ; larga m. 8. 90. 2θ8 GIORNALE LIGUSTICO Lungo il lato manco della nave, e aderente alla parete, si trova poi una mezza colonna di pietra (i), senza che dalla opposta parte si scorga veruna traccia di opportuno riscontro alla medesima. Bensì e nelle pareti d’ entrambi i lati, e in quelle stesse del Presbitero, si riconoscono quattro sfondi turati alla bocca da tegoloni; i quali non si può mettere in dubbio che giovassero in antico ad uso di loculi od ossarii, trovandovisi anche al dì d’oggi de’resti d’ossa umane che appieno il confermano. La travatura della nave è di legname rozzamente commesso, e coperta da tegoli. Un grosso trave la attraversa all’ altezza di metri 2. 50; e sovr’ esso poggia una croce, pur di legno, e d’ antichissima forma. Quanto è del Presbitero, il soffitto rilevasi di posteriore costruzione; ed è diviso in travi equidistanti, con mattoni sovrapposti ai medesimi e coloriti di bianco, i quali formano così una specie di amandolato (2). Chi entra in chiesa vorrà tosto notare alla sua destra un acquasantino sorretto da un piccolo pilastro, lavorato nella stessa qualità di pietra che vedesi impiegata per la fabbrica, e della forma di un quadrato ad angoli smozzati. Ma più originale è un altro acquasantino che sorge verso la porta del lato destro; il quale si compone di una colonnina rovesciata, sulla cui base posa una tazza rotonda, lavorata anche essa nella pietra suddetta, foggiata a guisa di bacino (3); mentre nel centro di essa tazza è un tondo sagomato che ha il rialzo di appena 2 centimetri, e reca scolpita nel mezzo una croce simile a quella dell’ ordine di Malta. Se non che, (1) Tali sfondi sono di forma quadrata; larghi cent. 40, e della profondità quasi totale del muro. Si elevano da terra appena cent. 70 circa. (2) Non facciam conto dei due travi appoggiati sulla parete interna poco superiormente alla porta ; giacché sembra che sienvi stati collocati soltanto per guarentire dalla spinta de’ fianchi 1’ edificio. (3) Il diametro di questa tazza è di cent. 46, per lo sfondo di cent. 12. giornale ligustico 209 tolto via questo tondo, si scopre un’ altra tazza bellissima di maiolica tinta di verde ed ornata di figure d’ animali, fogliami ecc., la quale allo stile si appalesa antichissima. III. Descrizione delle pitture che campeggiano sulle pareti della chiesa, secondo l’ordine in cui si trovano, a far capo dal lato destro. nella parete destra della nave. I. Sopra un fregio partito in più campi da dieci colonnine vedonsi nove figure esprimenti: i.° un santo abate, forse sant' Antonio ; 2° san Giorgio colla croce nello scudo ed in atto di percuotere il drago con 1’ asta cimata da una fiamma, ornata anch’ essa di una croce celeste in campo bianco ; * 3.0 santa Margherita, avente un libro fra le mani e un drago a’ piedi; 4.0 un santo vescovo; 5.0 san Girolamo dottore; 6.° sant’Innocenzo; 7.0 san Lorehzo martire; 8.° un santo colle lane dell’ ordine francescano, forse san Bernardino da Siena venerato assai in quel di Gavi; 9.0 un altro santo. La maggior parte di queste figure (num. 1, 5, 6, 8, 9) sono gravemente danneggiate. È poi da notare specialmente il san Giorgio; il quale è ritratto in età giovanile, cinto di aureola, e vestito d’ una lunga cotta rossa-scura che ha le maniche strette e fregiate da un ornamento, o forse da una fila di bottoncini, come vedesi in altre figure d’ egual tempo e costume. Quanto ai molti giri che sono indicati sul petto, si direbbe che Γ autore intese di esprimere con essi una corazza, se pure non si hanno a giudicare come fregi della tonaca stessa, giacché non variano dalla tinta di quest’ ultima se non per ciò che sono alquanto più scuri. Del resto la effigie di san Giorgio, ne’ monumenti antichi, s’ incontra espressa con assai varii costumi. Il Salazaro, per esempio, 210 GIORNALE LIGUSTICO ne riporta una stranissima del cimitero di Badia presso Majori (i). II. Il dipinto occupa lo spazio di metri 2. 25 ; e sembra doversi arguire che tanto il presente quanto Γ altro che gli sta di rincontro e che perciò descriveremo al n. 11, riproducano due grandi iconi già collocate per avventura nel luogo medesimo dove or sono questi affreschi. Il campo è messo ad oro, oppure a fregi bianchi i quali risaltano bellamente sopra un fondo di tinta rossa e fingono così una specie di drappo ; nè Γ insieme architettonico si discosta dalle pale che furono operate fra il 1350 ed il 1400, come ad ' esempio quella di Giovanni da Pisa prodotta dal D’Agincourt (2). L affresco in discorso, il quale per una assai rara ventura è conservatissimo, si compone di tre scomparti divisi da lunghi pilastrini finienti in cuspidi, e fiancheggiati da colonnine spirali su cui si imbasano tre archetti decorati da conchiglie. Nello scomparto mezzano vedesi un santo vescovo in atto di benedire , forse sant Innocenzo, col pastorale e col pluviale tutto rabescato, come ne corre l’uso nelle pitture del Quattro-cento , e massime nelle lombarde. Il santo a destra, vestito degli abiti francescani, tenendo con una mano il Crocifisso ed un giglio, coll’ altra un libro, esprime per avventura san Bernardino da Siena; a sinistra è santa Caterina martire d Alessandria. Inoltre, superiormente allo scomparto mezzano, è il Cristo con la Madonna e san Giovanni, e con la veduta delle mura merlate di Gerusalemme nel fondo (3); nei (1) λ ed. Salazaro, Le pitture dei cimiteri e delle catacombe etc., fascicolo 2.0 (2) Tav. CXXVIII. (3) Fra le diverse croci scolpite nel bosso e da me possedute, ne trovo ben sei le quali nello scomparto della Crocifissione rappresentano mura o torri merlate, fabbriche coronate da merli, ecc. Or ciò m’induce a giornale ligustico 21 X due laterali stanno l’arcangelo Gabriele e la Vergine da lui annunziata. Nel gradino poi sottostante, veggonsi ritratti in mezze figure Gesù coi dodici apostoli. Il colorito è robusto, il disegno abbastanza buono; e buoni, relativamente all’ età, si rivelano i concetti delle figure del gradino testé accennato. nella parete destra del presbitero. III. Questo ed il successivo dipinto ci sembrano ciascuno d’ artista diverso : ma entrambi hanno scarso merito sia pel disegno come pel colorito, e sia anche per la composizione ; ed in qualche modo ci richiamano a quelli che adornano la chiesuola del cimitero in Serravalle-Scrivia. Il riparto presente esprime la Beata Vergine col Putto sulle ginocchia, il quale si volge a san Pancrazio che sta in atto di porgergli la palma del proprio martirio. Il santo veste un girello giallo e maglie rosse, e colla destra protende la spada. Dall’ opposta parte è ritratta santa Lucia. IV. Il dipinto raffigura la Casa di Loreto, la cui porta è sormontata da una croce della forma identica di quella che notammo scolpita entro 1’ acquasantino ; e sopra la Casa la Madonna ed il Bambino fanno atto di benedire. Ai lati stanno due figure di santi che poco più si distinguono, frammezzate da una testa d’ angelo e poste in atto di ammirazione verso la Vergine. Vuoisi or avvertire che tanto in questo quanto nel precedente riparto la imamgine della Madonna si conosce ricavata da pitture di qualche merito, e liberamente imitata secondo portava il bisogno della composizione. credere ad una specie di intesa o convenzione tra gli artisti per rappresentare in siffatta guisa la città di Gerusalemme. 212 GIORNALE LIGUSTICO NELLA PARETE SINISTRA DEL PRESBITERO. V. Sopra un gran fregio composto di dodici colonnine spirali sorreggenti undici archetti ricchi di ornamenti, campeggiano altrettante figure dell’altezza di m. i. 35 all’incirca, cioè: 1. un santo che tiene un papiro in mano; 2. un vescovo col pastorale e forse un reliquiario; 3. san Sebastiano frecciato; 4. la Beata Vergine col Bambino in braccio; 5. Gesù risorgente ; 6. san Sebastiano vestito in costume di guer-riei o, avente nelle mani la spada e due freccie a somiglianza di quello che si ammira nella predetta chiesuola del cimitero di Serràvalle; 7. san Bernardo abate col pastorale, ed a suoi piedi il demonio ; 8. sant’Innocenzo seduto ed in atto di benedire; 9. il Battista con un papiro, un libro e 1’ agnello, come vedesi rappresentato da Manfredino di Castelnuovo-Scrivia sì nel fresco della Pieve di Novi, e sì nella pala di Gavi oggi serbata all’ Accademia Ligustica; 10. 1’ apostolo san Pietro ; 2. sant’ Antonio abate, figura non solo quasi perduta, ma in quel poco che ne resta ritoccata goffamente da mano inesperta. Tornando all immagine di sant’ Innocenzo, vuoisi notare eh ella e tenuta di proporzioni maggiori delle altre, e riccamente vestita con abiti pontificali e col pluviale tutto rabescato come nel quadro descritto al numero 2. Or questa circostanza del santo titolare e delle maggiori sue proporzioni, ci dimostra che ' 1 imagine in discorso segnava il centro del— 1 affresco, e che gli archetti in origine erano quindici con altrettante figure sotto di essi. Finalmente in un lungo gradino sottostante alle descritte immagini, erano in mezze figure espressi gli apostoli; la maggior parte de’ quali però andò modernamente perduta, per essersi appoggiato alla parete un altare costrutto in materiali. Due soli perciò ne rimangono, siccome quelli che sor- 2l3 vanzano dai lati dell’ altare medesimo. Parimente al disopra del fresco è espresso un quadro il quale giunge sino al culmine del tetto. Tale quadro è partito in due campi: nel- 1 uno, in figure poco minori del vero, sono ritratti Gesù Cristo, la Vergine,’san Giovanni e la Maddalena, vedendosi nel fondo le mura merlate di Gerusalemme ; nell’ altro poi vedesi il Redentore in atto di benedire, assiso su di un trono ed avente ai lati la Madonna e 1’ arcangelo Gabriele in atto d’ annunciarla. In tutto questo riparto, e massime nel quadro accennato per ultimo, son notevoli una certa larghezza di stile ed il colorito, per guisa che ricordano le opere de’ buoni maestri toscani. Vuoisi infine avvertire come superiormente alla figura del san Sebastiano (num. 6) trovisi allogata una replica della Madonna delle Grazie che si venera nella chiesa omonima di Valle presso Gavi: coll’unica differenza che mentre in questa non si vede più della mezza figura, nell’ altra invece apparisce tutta la persona seduta. Del resto 1’ identità che corre fra i due dipinti è tale, che 1’ uno e 1’ altro si direbbero eseguiti sopra un medesimo spolvero (i). * NELLA PARETE SINISTRA DELLA NAVE. VI. Questo scomparto rappresenta la Beata Vergine seduta in trono, vestita d’ una tunica verdognola, coperta di un ampio panno bianco, e con una corona ornata di perle sul capo. Giunge anch’ essa le mani in atto di orare; ed ha sulle ginocchia il Divin Figlio vestito di una tonachetta con larga cin- (i) Per essere ancor più esatto noterò pure un altra piccola varietà, la quale consiste nell’ aggiunta di una collanina rossa con croce e di un braccialetto posti nel dipinto di Gavi, ma non in quello di Castelletto, ad ornare il Bambino. 214 GIORNALE LIGUSTICO tura, braccialetti e collana di corallo da cui pende una croce. Con una mano egli si appiglia ad un braccio della Madre, col- 1 altra le addita un libro che tiene aperto sui proprii ginocchi. La pittura è assai bene conservata; ed allo stile ricorda in qualche modo quella descritta al num. 3. VII-Vili. Questi due scomparti sono di proporzioni minori di tutti i precedenti, ed anche hanno scarsissimo merito. Nel primo è una santa, che sembra una monaca, e tiene un libro ; nel secondo è ritratto san Sebastiano frecciato. IX. Anche questo affresco è distribuito in tre campi, e fa cosi riscontro a quello del num. 2. Nel campo di mezzo vedesi la Beata Vergine coperta di un gran panno ornato da ricco meandro, la quale tiene il Bambino sulle ginocchia, ed e seduta su di un trono coperto da baldacchino in quella guisa che si riscontra nelle pitture dei lombardi, e per esempio nella tavola di Leonardo da Pavia esistente nel Palazzo Municipale di Genova. Sospeso al trono è inoltre un panno verde cadente in ricche pieghe. Nello scomparto destro vedesi il Battista cogli accessorii consueti del papiro e dell’ agnello; nel sinistro un santo vescovo col pastorale. X. Sovra di un arco della sporgenza di circa 10 centi-metri, ornato da meandro, e sotto cui si riconoscono le tracce d alcune pitture, è ritratta una graziosa figuretta di santa Radegonda, il cui nome leggesi quivi scritto in caratteri gotici. Il dipinto non appartiene all’ artista che ritrasse il precedente scomparto, ma è certo anch’ esso di pennello lombardo del secolo XV. Al disotto della pittura leggeasi una epigrafe in caratteri rossi, della quale al presente più non si scorge che la lettera M; ma che forse additava il nome del devoto che avea fatta eseguir 1’ opera. XI. Quest’ ultimo scomparto sembra d’ artefice inferiore per età e per merito ai preaccennati; ed è diviso in cinque campi coft altrettante figure, l’ultima delle quali però è affatto GIORNALE LIGUSTICO 215 perduta. Le quattro rimanenti sono: una santa; la Beata Vergine col Putto; un santo vescovo ; un santo diacono. Da alcuna di esse è pur caduto in parte Γ intonaco. Se non che tali guasti lasciano veder sotto un altro intonaco assai liscio, con alcuni lineamenti di tinta rossa; e ciò induce a credere all esistenza d’ anteriori dipinti eseguiti nell’ epoca stessa, e forse anche dal pittore medesimo dello scomparto num. 1 che gli sta di rincontro. Seguono all’ estremità della parete altre due figure, del Battista (a quanto pare) e di una santa con un libro in mano; le quali però nulla hanno di comune col suddescritto riparto e forse anche spettano ad età più recente (1). ESTRATTI DI DOCUMENTI A. 1268, 6 febbraio. Ingo prior monasterii sancti Fructuosi de Capite montis ... locauit atque ad firmam concessit Guilleìmo Arato de Castelieto, clerico, ecclesiam sancti Laurentii de Castelleto ... usque ad finem vite sue---- Prestare deleat (idem Guillelmus) dicto monasterio... in die Natiuitatis Domini et Tasche resurrectionis medietatem oblacionum que fuerint (factae?) in his diebus ad missam maiorem (Cod. A., car. 43 verso). A. 1273, 20 novembre. Guglielmo abbate ed i monaci di san Fruttuoso costituiscono loro procuratore il monaco Nicolino, ad conueniendunij componendum et paciscendum pro dicto monasterio et conuentu cum Archipresbi-tero et Capitulo Plebis de Gauio, seu sindico ipsius Plebis, occasione ecclesie sancti Innocentii de Castelleto, et super facto et iuribus ipsius ecclesie, et tam instituendi rectoris et ministri in dieta ecclesia, et etiam super admi-nistratione ipsius et omnium pertinentium ad dictam ecclesiam de Castelieto (Cod. cit., car. 27 verso). (1) Ricorderò che nel paese di Castelletto s’ incontrano sparsamente varie pitture,, benché di non molto interesse. La più importante parmi una Deposizione di Croce, di buona scuola, ritratta a fresco in una specie di oratorio affatto abbandonato; e l’epoca del dipinto giudicherei che fosse la fine del secolo XVI. 216 GIORNALE LIGUSTICO A. Γ280, 10 novembre. In Burgo Gauiì in domo Plebis de Gauio. — Ruffinus archipresbitcr Plebis de Gauio, et Opi^o de Clapa, et Guidetus et Jacobinus nepotes quondam Fa^onis de Nigrono, canonici dicte Plebis, costituiscono a loro volta procuratore a quanto sopra dominum presbiterum Johannem. de Camulio sacristam ecclesie sancti Laurentii Janue (Cod. cit., car. 41 verso). A. 1280, 21 novembre. Gli arbitri sovra nominati si accordano in questo componimento. Videlicet quod Archipresbiter dicte Plebis qui nunc est vel pro tempore fuerit et ipsa Plebs predictain ecclesiam (sancti Innocentii) et bona et iura omnia ipsius ecclesie in proprium habeant pacifice, et quiete sine omni molestia teneant et possideant, et edam ius eligendi rectorem siue rectores in ea, ac eciam ipsos in ea instituendi et destituendi ■ · ·. su& Pact^s et conditionibus infrascriptis. Videlicet quod dictus Archipresbiter seu rector qui pro tempore fuerit in dicta ecclesia poni seu instituere non possit in dictu ecclesia clericos sine consensu et voluntate dicti Abbatis dicti monasterii..., seu ipsa Plebes (sic) annuatim prestent seu soluant dicto monasterio censum illum qui consuetus et solitus est prestari seu solui dicto monasterio, videlicet libram unam cere in festo sancti Fructuosi vel ante.... La sentenza è pronunciata nel palazzo dell’Arcivescovado, in presenza del Vicario Arcivescovile Bartolomeo di Reggio, che a sua volta ebbe la dignità ar-chiesctìpale dal 1321 al 1537 (Cod. cit., car. 42 recto). A.i 368,9 novembre. Frater Rolandus abbas etc. Vacant e ecclesia sancti Laurentii de Castelleto Vallis Urbarum..., que ecclesia ad supradictum monasterium (sancti Fructuosi)... pleno iure spectat, volentes de ministro ipsi ecclesie prolùdere —, administrationem dicte ecclesie .... presbitero Johdnni nato condam Bertrandi Martini de Vinctimitia conferimus..·· Qu* piesbiter Johannes... iurauit ad sancta Dei euangelia parere mandatis ipsius domini Abbatis,... et ad dictum monasterium die solemnitatis beati Fructuosi omni anno accedere..., et reddere censum..., videlicet medietatem offertorii Nati-uitatis domini, Resurrectionis, sancti Laurentii et Assumptionis sancte Marte (Cod. B., car. 216 verso ). A. 1375,— (il resto della data è obliterato). Frater Gaspar ... abbas etc. Vacante ecclesia sancti Innocentii de Casteleto Valis Urbarum...·, que ecclesia ad supradictum monasterium et ad mensam nostram pleno iure dignoscitur pertinere, et que vacat per mortem presbiteri Andree olim ipsius rectoris. Volentes ministro ipsi ecclesie prouidere... presbitero Petro Testaneira.. · conferimus ... Et committimus presbitero Johanni rectori ecclesie sancti Laurentii de Casteleto Valis Urbarum... ut dictum presbiterum Petrum in corporalem possessionem... inducat (Cod. e car. cit.). GIORNALE LIGUSTICO 217 DOCUMENTI RIGUARDANTI ALCUNI DINASTI DELL’ ARCIPELAGO PUBBLICATI PER SAGGIO DI STUDI PALEOGRAFICI DA ALFREDO LUXORO e GIUSEPPE TINELLI-GENTILE (Continuaiione da pag. 90) N. 6. De mandato domini iudicis et assessoris domini Potestatis Janue, vos publici extimatores Communis Janue extimate et in solutum date, tradite et deliberate Petro de Auria qm. Ignacii in bonis et de bonis domini Francisci Gateluxii domini Metelini tantum quod bene valeat libras ducentas nonaginta duas, soldos tres et denarios sex ianuinorum. A norma di . tale mandato gli estimatori aggiudicano al D’Oria: dimidiam cuiusdam domus posite Janue prope plateam sancti Pancracii, et que est pro indiuiso cum Oberto et Luchino Gateluxiis participibus ipsius domus pro reliqua dimidia. 1401, 15 luglio. (Arch. Not. Libro di Oberto Foglietta ann. 1400-1402, car. 226). N. 7. Johannes de Dominis de Lagneto, ciuis Janue, confessus fuit . . . Morueli de Auria tamquam procuratori et procuratorio nomine magnifici domini Nicolai Gatilusii Enei domini dare ... et soluere debere libras quingentas ianuinorum, . . . pro racione una currenti quam dictus Johannes de Dominis de Lagneto habere dixit cum dicto magnifico domino Nicolao Gatilusio Enei domino. . . . Actum Janue in Bancis . . . 16 2x8 GIORNALE LIGUSTICO I4°9’> 5 gennaio. (Arch. Not. Libro di Giuliano Cannella ann. 1408-10, car. 24). N. 8. Legato di Marietta qm. Nicolò Gattilusio a favore della chiesa di sua famiglia, con sostituzione delle Signore di Misericordia. 1409, 25 maggio. (Arch. di S. Giorgio: Cartolario B. delle Colonne pel 1409, fol. 546). Marieta filia qm. Nicolai Gateluxii libras ducentas, siue lib. cc. mccccviiij die xxv maij. Debet responderi de prouentibus dictorum locorum in perpetuum capelano qui nunc est vel prò tempore fuerit in capella seu ecclexia sancti Jacobi de Sexto fundata per dominos de Gateluxiis (1), prò celebrando missas in dieta ecclexia1 prò anima ipsius Mariete; et si cessaret ullo unquam tempore capellanus in dieta ecclexia quod non celebraretur missam, tunc prouentus et reditus dictorum recipiantur per dominas Missericordie ciuitatis Janue que nunc sunt vel pro tempore fuerint, que domine Missericordie ex ipsis prouentibus emant et emere debeant illa loca seu partem loci scribenda super dictam Marietam et eius columpnam cum prefata obligatione. In quorum exeeutione dictas dominas Missericordie constituit et esse voluit dicta Marieta meras executrices reparatrices, cum plena bailia et omnimoda potestate in omnibus et per omnia (1) Questa chiesa s’incontra già ricordata nell’atto di riparto della tassa imposta 1’ anno 1387 a favore di papa Urbano vi su tutti i luoghi pii dell Arcivescovato di Genova. Ved. e « dopo un soggiorno di otto anni fatto nel castello di Montobbio, contando il diciottesimo dell’età sua » si ricondusse « colla famiglia in Genova per celebrare quivi il suo matrimonio con Eleonora Cibo » (pag. 188). Nè sappiamo come il eh. Storico rifiuti 0 quasi la luce che i nuovi documenti hanno sparso pur viva circa le intelligenze di Gian Luigi colla corte di Francesco I, laddove dichiara « che dei concerti e trattati da lui fatti o pretesi colla Francia e con Roma non abbiamo altra prova che quanto ne divulgarono dopo 1’ avvenimento i ministri del- 1 Imperatore » (pag. 190). Bensì e’li aveva di già ammessi poco prima senza riserva, scrivendo che ad esacerbare l’a-nimo di Gian Luigi « concorrevano... le istigazioni, gl’ inviti di Francia, le lusinghe forse, e i consigli dei Farnesi » (pag. 183). E di nuovo implicitamente li ammette in appresso, dubitando se Gian Luigi a un dato momento « continuasse nel disegno di giovarsi degli aiuti di Francia assoggettandovi poscia il dominio della città, 0 se ottenuto l’intento pensasse di rendersi poi indipendente da quella. Delle intelligenze continuate (così prosegue) non si può dubitare, poiché lo depone lo stesso Verrina, se si deve prestar fede alle rivelazioni sue mandate dall’ Ambasciatore Figueroa al- 1 Imperatore addì 30 luglio 1547; facendo anche senza di quelle, e di altri documenti che ce lo affermano, bastante prova se ne avrebbe dall’ essere il Verrina stesso dopo appena scoppiata la congiura con una galea recatosi a Marsiglia per ottenere i promessi soccorsi » (pag. 206). Or qui (1) Loc. cit., pag. 241. GIORNALE LIGUSTICO non che ammettere si direbbe essersi il eh. Autore tolto eziandio 1 incarico di provare. Nè meno esplicito riesce per quanto è dei Farnesi, affermando che « le prime mosse... alla congiura vennero da Roma » (pag. 188). Descrive eziandio le cagioni per le quali « il Papa Paolo III' viveva pieno di amarezza e di dispetto contro Carlo V e Andrea Doria » (loc. cit.) ; e rispetto a quest’ ultimo non manca di mostrare come « la più recente e sanguinosa offesa... che gli stava profondamente nell’ animo riposta [» fosse la confisca posta dai ministri pontificii sulla pingue eredità lasciatagli da « un Imperiale Doria vescovo di Savona » (pag. 189). Correggasi per altro Savona in Sagone di Corsica, come hanno tutti gli storici, ove si eccettui la più recente edizione del Casoni procurata dal Gritta con quel criterio che tutti ormai sanno, e dalla quale nondimeno ben si conosce avere sempre e di preferenza attinto il nostro Autore. L’ Ughelli registra appunto al num. 24 degli Episcopi Sagotienses: Imperialis Doria ianuensis eadem ecclesia potitus est 1J2S die 2j mensis Anglisti. Clausit diem poftremum 1544. Ed in tal periodo la chiesa di Savona venia retta invece dal cardinale Agostino Spinola (1528-37) e da Jacopo Fieschi (1537-40 (1). Annodaronsi, come ognun sa, da Gian Luigi le sparse fila della congiura nello avito palazzo; il quale « superbo in-nalzavasi sul colle di Carignano,... posto in sito amenissimo che per la copia delle viole che vi nascevano, e soave fragranza vi diffondevano intorno Violato appellavasi. Prospettava l’oriente fronteggiando la deliziosa collina di Albaro, e specchiandosi nelle acque del sottoposto fiume di Bisagno » (pag. 217). Qui tutto spirerebbe poesia; ma invero a noi (1) Italia Sacra, III, 519; IV, 743. 240 GIORNALE LIGUSTICO duole di non potere accogliere nè la denominazione di Vio-Jato e nè il profumo della sua etimologia. Il eh. Canale ci mette egli stesso sulle tracce della ragione storica per cui dobbiam preferire 1 appellativo di Via lata, allorché proseguendo la descrizione del palazzo si fa a notare che « al manco suo lato aveva 1 abbaziale chiesa che per suo testamento del 1536 voleva costrutta il cardinale Luca Fieschi » (pag. 218). Corretto il titolo di abballale dato alla chiesa in quello più vero di collegiata, ecco precisamente ciò che al proposito si contiene nel testamento del ricchissimo cardinale. Item di-xit... quod ipse Patronus (cioè il patrono della chiesa di sant Adriano di Trigoso, da lui chiamato a parte della pro-pi ia eredita) ... teneatur confini ere et confimi facere unam ec-clefiam sub vocabulo Beate Marie in via lata ad similitudinem et formam in latitudine, longitudine et altitudine cum sacrifiìa et campanili prefate ecclefie sancii Adriani de Tri gaudio ... Item voluit quod locus in Carignano in punta supra Bisannem qui fuit illorum de Haulo (leggi Sauló) et modo efi ‘Benedice De Marinis mater (corr. ematur'), et in ilio confiruat (corr. confini atur) dieta ecclefia (1). Emergono intanto da questo passo le seguenti circostanze. 1. La intenzione del testatore di imitare in tutto e per tutto i disegni di un celebre suo antenato, e di imitarli non solo materialmente ma eziandio moralmente. Imperocché come Ottobono Fieschi, innanzi che un mese e poco più provasse come pesa il gran manto, essendo cardinale diacono di sant’ Adriano aveva del proprio voluta erigere una chiesa, la quale serbasse il titolo della sua diaconia; così Luca Fieschi, cardinale diacono di santa Maria in Via lata disponeva 1’ erezione dell’ omonimo tempio nel suburbano di Genova. (1) Federici, Famiglia Fiesca, pag. 140. giornale LIGUSTICO 24 r 2. Che la località designata all’ uopo di questa erezione, era un fondo di dominio privato, e comprendevasi in quella regione cui davasi l’appellativo di Carignano con più larga estensione di quanto poi si fece. 3. Che perciò la località suddetta avendo assunta una denominazione particolare soltanto dopo l’innalzamento della chiesa in discorso, questa denominazione dee rettamente esser quella di Vialata, e non Violato 0 come altri anche scrisse Violaro. Oppongono alcuni parzialissimi del Violato (non però il Canale)*: che cosa potrebbe rispondersi « se il popolo domandasse dove era su questa rupe una via larga » ? Confessiamo ehe la domanda è piuttosto ingenua, e che per le cose suesposte non può a chiunque abbia senno tornar difficile l’avvertire: che nè di Via lata nè di Violato o somiglianti vo-> caboli si ha mai riscontro in documenti i quali antecedano la fondazione della chiesa di santa Maria; che dopo questa fondazione tutti gli atti dei secoli XIV e XV non recano altro nome da quello infuori di Via lata-, che tal nome fu guasto nel XVI e ne’ seguenti per quello stesso male inteso studio delle eleganze, per cui, a darne un esempio, si mutarono i Fregosi in Fulgosii, e cambios^i l’appellazione del— 1’ umil villa di Voiré in quella di Villaregia. Ma per tornarcene al palazzo di Gian Luigi, negheremo anche che questo edifìcio potesse specchiarsi « nelle acque del sottoposto fiume di Bisagno », appellandocene a chiunque si conosca mezzanamente della topografia della nostra città. Se non che nello esame del libro del eh. Canale noi ci siamo fin qui rimasti come alla corteccia. Or se volessimo addentrarci nella sostanza del medesimo, converrem noi col eh. Autore nei giudizi eh’ egli stima desumere dai Documenti di Simancas, e intorno allo spirito che da lui si attribuisce alle trame del Fieschi? Ne dubitiamo assai; e faremo di esporre le nostre ragioni a miglior agio, con una più completa recensione. 17* 242 GIORNALE LIGUSTICO Curiofità e Ricerche di Storia Subalpina pubblicate da una Società di fiudiosi di patrie memorie. — Puntata I.a Roma, Torino, Firenze, Bocca 1874. Il risveglio che si manifesta negli studi storici da qualche tempo in Italia è palesemente dimostrato dalla varia ragione di scritture che o in periodici o in separati opuscoli vanno comparendo ; e convien pur confessare che in esse trova quasi sempre il lettore amorevole diligenza nello approvec-ciarsi di documenti ignorati, accompagnata da una critica modesta ma saggia, e da semplice e qualche fiata elegante dizione. Nel novero di lavori così fatti giungne da sezzo a prendere un de’ primi luoghi l’annunciato libro, il quale s apre con un bello ed ingegnoso Proemio dell’illustre Comm. Nicomede Bianchi : ond’ è ad argomentarsi eh’ egli sia duce, e invero meritamente, della egregia Società riunitasi al non mai abbastanza laudato fine di dar opera agli studi storici, e scorgere così in piacevol giusa i giovani su quella retta via che mira ad investigare il vero per via del naturale razioncinio. — Il Piemonte può con vera gloria noverare molti bei nomi e, non pochi eruditi volumi ne’ fasti della sua letturatura, in ispecie nel secolo nostro dopoché Re Cario Alberto ebbe fondata la Deputazione sopra gli fludi di Storia Patria ; non tanto perchè i 13 volumi della maggior collezione e i 13 della minore da essa pubblicati racchiudono un vero tesoro, ma sì perchè furono cagione ch’altri volgesse la mente ad eguali ricerche o consimili studi, dando fuori libri di storia subalpina .... degni d’encomio per essere frutto d’ accurate indagini, e con lealtà spassionata dettati. Se non che ad un punto si fermano, ed oltre il regno di Carlo Emmanuele III non sarebbe sì agevole, cui spingesse desìo, ritrovare una accurata narrazione degli avvenimenti condotta col magistero delle istorie che riguardano a’ precedenti periodi; nè a que- GIORNALE LIGUSTICO 243 sto difetto ponno sopperire le storie generali, dove i fatti hannovi narrati in iscorcio e per quanto si porgono in relazione a quegli degli altri Stati. Il nuovo libro si propone di riempiere la lacuna, non solo, ma vuole altresì recare maggior luce là dove si rimase incerta negli antecedenti, il tutto facendo per forma piana e piacevole da soddisfare poi singolarmente chi ama istruirsi e non ha modo di cacciarsi negli archivi 0 di vegliare sopra i grossi e non sempre accessibili volumi. Così non precludendosi la via a produrre quel che potrà· tornare utile a chiarire degli antichi tempi, farà conoscere quel tanto che di moderno tuttavia si nasconde, conducendo con agevolezza il lettore ad imparare cose nuove, porle a confronto con più remote età e investigare le cagioni delle differenze onde si distinguono i secoli nella vita politica e civile, e lo svolgersi del progresso intellettuale; sfatando in certa misura la piagnucolosa canzone degli oggidiani, come diceali leggiadramente il Lan-cillotti, i quali ci rintronano le orecchie con un passato, che s’ebbe vanto di giustissima gloria in alcuna parte non è in vero a desiderare vi si esempli la moderna educazione, per non esser tratta a deporre negli archivi quel medesimo testimonio d’incredibile scadimento morale lasciatoci in ispecie dai secoli XVI 'e XVII. Questi gl’ intendimenti esposti e intorno a’quali il Comm. Bianchi intrattiene chi legge. E ci piace eh’ ei rivendichi a noi quella vita, quella attività intellettuale negataci da molti; e ben dice, con felice similitudine, come quello che manca son robufii perni, intorno ai quali i noflri giovani fiudiosi, non di rado forzatamente ozio fi nello findio, abbian modo d’esfirinsecare la propria operofità mentale all’ aperta luce del sole, e sotto il vivificante influffo della pubblica opinione; sono le occafioni pronte e facili per acquìfiar coscienza del proprio valore, e per far fi apprezzare; sono gli aiuti indispensabili per isgombrar loro la via dagli inevitabili 244 GIORNALE LIGUSTICO ostacoli morali e materiali, che la ingombrano ai primi passi. Ma, gran mercè, che questo perno robufio pe’ giovani subalpini è trovato, e quest’ esso ponendosi a capo d’ un divisamente si utile e savio porge abbondevolmente le occasioni e gli aiuti di che eglino abbisognano; e il solo rapido discorrere le memorie e i documenti onde questa prima puntata si compone ci palesa la verità del fin qui detto. I. Law e Vittorio \Amedeo II di Savoia. — Io mi sono sempre meravigliato che in questo nostro secolo bancofilo e finanziere per eccellenza, niuno abbia mai pensato ad ergere un monumento a Giovanni Law, il genitore e intrepido partigiano di quelli istituti di credito si numerosi ed alcuni trapotenti oggidì. Ma egli fu un briccone, un falsario, un traditore gridano molti; altri lo pongono inter sidera: chi ha ragione? Non è molto agevole il giudicarlo: è però a reputarsi quasi fuor dubbio e’ fosse soverchiato da impreviste circostanze, e messosi nella fatai china non riuscisse ad arrestare l’immenso rovinìo. I biografi cel rappresentano un furbo che con cavalleresche" maniere rubasse bravamente al giuoco e si procacciasse così una bella fortuna; dicono anzi fosse perciò bandito da Venezia e da Genova; non sappiamo della prima, ma, forse ci occorrerà altra fiata ricordare la sua dimora fra noi. Recitano altresì che Vittorio Amedeo con poca urbanità rifiutasse reciso ascoltare i suoi progetti, e che Desmarets e Luigi XIV resistessero sempre strenuamente alle lusinghe del venturiero di Scozia. Tutti e due questi fatti si rivelano insussistenti dalla corrispondenza del Law col Duca, illustrata con molta dottrina e acume dal Sig. Perrero; il quale dandoci esatto conto del meccanismo ond’ era informato il suo sistema, dichiara giudiziosamente le cagioni della mala prova fatta in Francia e della infamia che ne venne al suo autore. Di più facendo un diligente confronto fra lo spirito morale piemontese ed il francese e fra giornale ligustico 245 le diverse condizioni in cui trovavansi allora quei due Stati, ricerca se ove il sistema di Law fosse stato posto in atto in Piemonte avrebbe prodotto tristi effetti; e colla scorta di argomenti del pari giusti ed eruditi, ne viene a concludere non solo avrebbe quivi fatta buona prova contenendosi entro i suoi limiti naturali, ma vi avrebbe eziandio perdurato rendendo un bel servigio alle sue finanze. Cosi parmi dover giudicare secondo la ragion critica ; nè io poi sono economista per investigare se ne sia infirmata la ragione scienti-tifica. II. Il Tesoretto di un bibliofilo piemontese. — È la storia di tutti i tempi; affannatevi per tutta la vita a raccogliere buoni e rari libri, rifate le cento volte quelle strade dove il rigattiere ed il libraio volante da vecchiumi rizzano i loro trespoli, quando avrete fatto e fatto, se vi fosse concesso tornare al mondo appo sei mesi la vostra morte, novantanove volte su cento trovereste in mano a’ medesimi i vostri libri venduti a peso dai nepoti 0 peggio dai figli ignoranti. Nè qui è tutto, chè entrando dal vicino salumaio, vi si parranno le scritture vostre, le lettere privatissime con tanta religione conservate, ammanite pel formaggio e le sardelle. Cosi avvenne a Don Fricciofilo, come ci dice 1’ autore dell’ articoletto, e bazza se questi giunse a salvare qualche raro libricciuolo e il quadernuccio delle lettere, delle quali ci produce quella che illustra la rarissima Hifioria della guerra del Piemonte dell’ Albicante, famoso per le sue contese coll’ Aretino e col Doni. La lettera è piacevole ed arguta, ma sarà poi di Don Fricciofilo? In letteratura non che consentite sono canonizzate certe piacevolezze. III. Le streghe del Canavese. — Importantissima è questa monografìa, nella quale il Cav. Pietro Vayra piglia a svolgere con singolare possesso lo argomento, richiamando alla propria memoria i ricordi di giovanili escursioni nei campi della 246 GIORNALE LIGUSTICO letteratura demonologìca e ripetendo a sé stejfo opinioni e detti d’ autori antichi e nuovi. Nè solamente e’ ci attende quanto il titolo promette, con largo corredo di opportune citazioni per chi fosse vago di riandare anche sotto altro aspetto la materia; ma ci offre pure un lucido riassunto dell’ opera di Alfredo Maury, La magie et V aflrologie dans V antiquité et au nioyen age; e nelle sue escursioni lumeggia anche un simile argomento per quel che ha tratto alla parte genovese. Così narra come al Pian delle streghe sopra Ribordone si das-sero pur la posta quelle della Liguria; e così riproduce la notizia del contratto notarile mercè cui addì 30 aprile 1620, ben 12,000 spiriti infernali capitanati dal generale Alii Dandam abbandonarono, nella chiesa dei santi Nazaro e Celso di Varazze, il corpo di una giovane abitante in quella parrocchia. Nè il eh. Vayra manca di avvertire come questo fatto abbia molta analogia col celebre caso di Apolonio, riferito da Filostrato (Vita Apolon. Tian., IV. 20). Nel seguito della lodata monografia 1’ egregio Autore produrrà eziandio due processi inediti, intentati nel 1474 dal tribunale dell’ Inquisizione contro quattro streghe di Levone, tre di Rivara e due di Forno di Rivara. Noi intanto soggiungiamo un breve documento, il quale chiarisce come dalla Signoria di Genova si ordinasse di rimettere ad un simile tribunale una insigne maga dimorante a Taggia. Raphael Dux, nobili viro vicario Portus Mauricii nobis carissimo. Vir nobilis carissime. Scimus fuisse a Potestate Tabie detentam quan-dam Romeam Baiardonam insignem magam ut fama est. Equum autem est ut in manibus Inquisitoris hereticorum tradatur; propter quod vobis iubemus ut illam vobis tradi et a Potestate Tabie assignari faciatis, mox-que eam huc deduci et Inquisitori assignari curetis. Si quis erit sumptus faciendus in adducendo eam huc, providebitur ut solvatur quantum et a quibus solvendum fuerit. Data VIIII decembris (1446) (1). (1) Archivio di Stato: Registro Litterarum ami. 1446-50, car. 114· giornale ligustico 247 Ma contro alle streghe assai più rigoroso mostrossi per fermo il Governo della Repubblica nei tempi in eh’ era soggetta a Luigi XII di Francia; si come evincesi da un atto che nelle parti sostanziali stimiamo del pari di pubblicare. 1505, die quinta julii. Illustris et excelsus dominus... Januensium Gubernator et magnificum Consilium dominorum Antianorum... Cum audissent reuerendum sacre theologie magistrum dominum fratrem Gasparem de Varigine exponentem se priuilegio pontificio institutum esse inquisitorem eorum omnium qui fidei catholice clam vel palam aduersantur et tam marium quam feminarum, et earum presertim que striges et seu lamie appellantur, quarum flagitiis exploratum est ita esse urbem contaminatam ut nisi tanto malo occurratur, futurum sit ut multa pefanda scelera quotidie videantur. Ex earum autem numero se in suas manus venisse que in custodia servantur, quarum inditio etiam sine tormento tot et tam multa nefaria cognita sunt ut ea proferri sine horrore ingenti non possint. Namque huiusmodi femine blandiente paulatim lasciuia ministris demonibus, eo tandem precipitantur ut spreta religione chrystiana vel abnegata potius animam et ipsum corpus demonibus ipsis deuoueant. Quorum instinctu cetus nocturnos celebrant; domos etiam occlusas et cubicula penetrant reserantibus demonibus; infantes vel inficiunt tabifico contactu vel strangulant ; hinc mox vel subite mortes vel saltem egritudines diuturne ; hinc quoque sortilegia plurima ; atque ex hoc pestifero fonte omnia ferme veneficia emanare certum est, ut denique nullum sit tam nefarium scelus, nullum tam atrox et horrendum facinus quod sacrate iste diabolo sacerdotes non audeant. Proinde cum in animum induxerit, tactus zelo diuini honoris et glorie, ita etiam requirente offitio sibi delegato, tanto et tam exitiali morbo purgare urbem, nec tantum in se virium esse cernens ut tam grave malum comprimere per se aut difficultates omnes superare possit; venisse imploratum Senatus auxilium et secum imprimis creari laudavit ex duabus religionibus viros duos doctrina et probitate vite insignes, et totidem insuper ciues auctoritate et animo prestantes ; atque ut omnia non minus consilo quam viribus gerantur, in eodem magistratu necessarios esse dixit eximios doctores iuri dicos, adiecto notario uno ; ut tantis viribus invixus, violentiam tanti mali erumpentem maximo animo reprimere possit. Re igitur examinata..... in primis delegerunt magistrum.... (lacuna) religionis sancti Francisci, et magistrum Stephanum de Zoalio religionis sancti Augustini ; creaueruntque 248 GIORNALE LIGUSTICO et constituerunt cum eis viros prestantes Antonium de Gualterio et Hiero-nimum de Monelia, et pro notario ad maiorem dignitatem rei egregium Raffaelem Ponsonum cancellarium.....Imponentes spectabilibus dominis sapientibus Communis ut sempercumque fuerint requisiti predictis assistant, atque illos consilio iuuent... Mandantes magnifico domino Potestati ac militibus suis ut ad peticionem prenominatorum... faciant omnes executiones per eos ordinandas, non aliter quam si ab ipso magnifico Senatu proficiscerentur (i). IV. Un falso inviato del Duca di Savoia nella corte di Vienna, 16S5. — La storia fa suo prò’ anche di quei documenti che riguardati superficialmente sembrano di poco 0 punto interesse. Cosi è della relazione del Cav. Gabriele Petrina dei signori di Pralormo, trasmessa da Vienna a A^ittorio Amedeo II per dargli particolare e minuta notizia d’ un tale (chi sia veramente non si giunge a scoprire) che per circa un mese si fece credere inviato del Duca, spacciandosi col nome di Carlo Leopoldo Ranuccio Carretto, Marchese di Gorzegno, Belvedere e Marsaglia. Egli si palesò molto destro e conoscentissimo della diplomazia, di guisa che niuno sospettò mai sulla verità della sua missione ; e quando giunse 1’ avviso che smascherava l’impostore, ei eh’ aveva con esattezza matematica calcolato il tempo necessario al viaggio del corriere se n’era partito di nascosto poche ore innanzi, lasciando in asso tutti quegli che da lui dovevano aver danaro, e ciò per 1’ egregia somma di 7000 fiorini. Chi non si ferma alla corteccia ed entra colla mente nella ragione degli avvenimenti, trova modo d’utilmente istruirsi mercè i confronti degli usi e costumi de’ passati tempi, ne’ quali ci par rivivere tuttavolta occorrono documenti di tal fatta. V. Note autobiografiche di un veterano dell’esercito piemontese. — Quando un galantuomo la cui vita si rannoda alla storia letteraria o civile del suo paese scrive alla buona (1) Archivio di Stato: Codice Diversorum ann. ifOf-6. giornale ligustico 249 e proprio per sè senza pretesa alcuna le sue avventure , io me ne vado in visibilio leggendole perciocché so essere la schietta e netta verità senza ampollosità rettorica o noievole e magistrale filosofia. Il marchese Pes di Villamarina è noto a tutti gli uomini di mente e di cuore, per la parte grandissima eh’ egli ebbe alle sorti nazionali. Qui narra i suoi casi dal 1794 al 1820 e ci promette quelli del fortunoso anno seguente; dice le cose come sono spoglie d’ orpello e dà ad ognuno il suo; dipinge gli uomini con quattro parole incisive, e vi pare averli dinanzi; nè risparmia la sua censura a quella curiosa restaurazione del 1814 fatta colla guida del Palmaverde del 1798. Insomma mal se ne dà contezza di scritture si fatte; si legga e se ne avrà utile dulci. VI. Rettificazioni ed aggiunte alla Storia piemontese. — Il trattato del 1° Giugno 1639. — La refiitiivione della cittadella di Torino. — Nuovissime notizie ci porgono i documenti qui prodotti. Nel primo si vede che Madama Reale non solamente firmò con dispetto e a malincuore l’infausto trattato col quale la cittadella di Torino venne in balia de’ Francesi, ma protestò ancora virilmente contro la prepotenza de’ suoi alleati in prò’ dei diritti del figlio. La dichiarazione da lei fatta a quest’uopo alla presenza dell’Arcivescovo di Torino, del Vescovo eletto di Geneva, dei conti d’ Agliè e di S. Tomaso sen giacque fino a qui in un archivio privato e rimase ignota agli istorici; sarebbe a ricercarsi se questo documento raggiunse il fine cui era destinato, e perchè fu taciuto dal Guichenon nel suo famoso Soleil, dove senza meno avrebbe dovuto trovar luogo sì come orrevole molto per la Reggente. Gli altri ci chiariscono la vera epoca della restituzione d’ essa cittadella di che variamente fu scritto, avvenuta nel 1657 li 10 di Febbraio giorno in cui Madama Reale compiva gli anni. Ciò è palesato da una nota dell’ Ab. Amo- 250 GIORNALE LIGUSTICO retti che s’ adoperò alla corte di Francia per tale restituzione con molto zelo, e da una lettera del Card. Mazzarino. A questi documenti ne seguono altri tre donde si rilevano gli ostacoli frapposti a tali negoziati, tanto che Carlo Emma-nuele dichiarava avrebbe ricevuto la cittadella in conto di semplice deposito; ma l’accortezza dell’ Amoretti fece sì che si concludesse il negozio senza patto di sorta. VII. Cenni e lettere inedite di Piemontesi illustri del secolo XIX. — Silvio Pellico. — Chi si permette ripetere il nome di questo grande con scherno 0 dispregio 0 non ha mai letto le sue opere, 0 non ha cuore. Eppure è pur troppo vero ch’ei vien condannato per poco all’oblio. Ma se alcuno de’ suoi detrattori si facesse ad aprire le pagine immortali delle Mie Prigioni, arrossirebbe di vergogna sentendosi scuotere sul viso le decenni catene con tanta e sì gran dignità sopportate. Alcune di lui lettere a Stanislao Marchisio opportunamente illustrate dal Comm. Bianchi formano una bella appendice all’ epistolario che già possediamo di Silvio. Ma queste sono in vero preziosissime sì per le notizie dell autore, sì pei giudizi intorno al Monti, al Foscolo, al Manzoni, al Marchisio stesso tanto valente ed affatto dimenticato; ricordano il Conciliatore, il modo onde erano redatti gli articoli, le opinioni altamente nazionali di que’ strenui scrittori. Vanno poi distinte per una libertà grande di critici giudizi dettati con semplicità ed acume, e per mille altri avvedimenti di cui non è qui uopo far novero, bastando per noi aver segnalato ai nostri lettori come meglio si è potuto la comparsa di un libro che lascia in desiderio grandissimo del proseguimento. Gli scultori in legno in Firenze e il Prof. Bianchi di Lucca. Firenze, Lemonnier 1874. Questo opuscoletto estratto dal Giornale La Nazione è giornale ligustico 251 saittura del Prof. Enrico Ridolfi, e mostra sempre più come egli si conosca delle arti belle e sappia scriverne con proprio stile. L indiritto a far conoscere un modesto quanto valente suo concittadino, che ha dato stupende prove del suo amore e della sua saggezza nello insegnamento artistico, volgendosi di preferenza a scorgere i giovani nell’arte ornamentale dello intaglio. Sarebbe gran prò, se i voti che 1’ autore volge al Governo perchè incuori l’egregio sig. Bianchi fossero davvero ascoltati ! Notizie dei Professori del disegno in Liguria dalle origini al sec. XVI, opera del cav. Federico Alizeri. Genova, Sam-bolino 1874. Sono usciti i fase. 16.0 e 17.0 dove leggonsi peregrine notizie di Giacomo di Gottardo da Bissone, Nicolò di Canepa della Riviera orientale presso Sori, e di Lorenzo Fazolo da Pavia; intorno al quale 1’ Autore raddrizza le errate opinioni di chi, scrivendone per lo innanzi, il volle savonese. Tutti costoro erano de’ migliori discepoli di Luca Baudo da Novara discorso nel fascicolo antecedente. Seguono quindi le memorie del nicese Lodovico Brea. Archivio Storico Siciliano, pubblicazione periodica per cura della scuola di Paleografia di Palermo. Anno II. Fase. I. Palermo, Lao 1874. Contiene : Del Dotario delle regine di Sicilia detto altrimenti Camera Reginale (R. Starrabba) — I diplomi greci ed arabi di Sicilia (S. Cusa) — La storia nei canti popolari siciliani di G. M. Mira (G. Salvo-Cozzo) — Il Palazzo Aiu-tamicristo (R. Starrabba) — Rassegna Bibliografica — Varietà. 2 J2 GIORNALE LIGUSTICO Nuove Effemeridi Siciliane di sciente, lettere ed arti. Seconda Serie. Voi. i.° Palermo, Natale 1874. Contiene: La Pedagogia nel trattato De disciplina, scholarum attribuito a Boezio (V. Di .Giovanni). Sebastiano Bagolino (U. A. Amico). Le Reputatrici in Sicilia (S. Salomone -Marino). Tradizioni popolari Palermitane (G. Pitrè). Cenni bibliografici di alcuni mss. della Comunale di Palermo (G. di Marzo). Dell’ Ifigenia in Aulide, coro (G. De Spuches). Notizie archeologiche e Belle Arti. Critica Letteraria. Varieta. Bullettino Bibliografico. Giornale di erudizione artifica pubblicato a cura della R· Com-mijjione Conservatrice di Belle Arti nella provincia dell’ Umbria. Perugia, Boncompagni 1874. Contiene: Storia artistica del Cambio di Perugia compilata sopra nuovi documenti (Adamo Rossi). Ricordi storici cavati dai feriali del Cambio di Perugia. Effemeridi delle società di letture e conversazioni scientifiche e d altre Società educative (Nuova serie). Disp. I. Genova, Schenone 1874. 1. Ai cortesi lettori (I compilatori) — II. Relazione relativa alla sostituzione del Dazio ecc. (Corrado Massa) ■ III. La questione dall’emigrazione (J. Virgilio) — IV. Discorso inaugurale delle scuole femminili del Circolo Filologico e Stenografico (E. Gallar di) — V. A Giove Tonante, Inno (G. Buffa) — VI. Ad Ugo Foscolo, sonetto (E. Celesta) — VII. Una madre sulla tomba della figlia, versi (E. Gallar di). Pasquale Fazio “Responsabile. Anno I. Luglio 1874. Fascicolo 7. GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI Il Papa Benedetto XII assolve gli abitanti della città e del distretto d’ Albenga, incorsi nella scomunica per aver seguito le parti di Lodovico il Bavaro e di fra’ Pietro da Corvara antipapa col nome di Nicolò V (133S)· Fra le città della Liguria che nell’ infuriare delle civili fazioni fecero adesione e porsero aiuto ai Ghibellini, àvvi Albenga, della quale eransi fatti padroni i Doria e gli Spinola esuli da Genova. I Marchesi del Carretto poi, quei di Clavesana ed i Conti di Ventimiglia, signori delle numerose castella, di cui era seminata la vasta campagna della diocesi albinganese, colle loro clientele e coi loro partigiani aggiungevano forza al partito delle due potenti casate geno\esi. E si è da Albenga appunto, che nel principio del XIV secolo partirono validi soccorsi pei Ghibellini della Riviera occidentale, con poderose schiere attaccati dai Fieschi e dai Grimaldi di Monaco. Si è pure da Albenga, che Emanuele Spinola vescovo della città, non pago di tener nelle mani le fila della vasta trama, ordita da’ suoi per ispodestare i Guelfi, dimentico del sacerdotale carattere, mutata in elmo la mitria ed in ispada il pastorale, partito per isnidarli dal castello di Andora, incontrava nell’espugnarlo miseramente la morte (1321). Si è pure da Albenga che avviatosi all’assedio del castello di Cisano, Filippo dei Conti di Ventimiglia s’intitolava capitano fidelium Imperii Albinganae, quali doveano in tatto chiamarsi, coloro che aveano riconosciuto Ludovico il Bavaro, e quindi Fra’ Pietro da Corvara antipapa, da lui eletto col nome di Nicolò V. 2J4 GIORNALE LIGUSTICO Colpiti impertanto gli Albinganesi dalle più gravi censure ecclesiastiche, vennero pochi anni dopo deputati dal Podestà, dai Consoli e dal Consiglio della città a chiedere pubblica perdonanza al Papa che risiedeva in Avignone, non che ad implorare l’assoluzione dalla scomunica, Dino dei Conti di Radicofani Arcivescovo di Genova, e Giovanni di Maestro Anseimo d’ Ancisa (i), i quali ammessi al pubblico concistoro, tenuto il giorno undeci febbrajo dell’anno 1338, riuscirono nel bramata intento, col patto però che gli Albinganesi si sottoponessero ad alcune condizioni, le quali si possono scorrere nel documento che ora viene per la prima volta in luce. In nomine domini amen. Nouerint uniuersi quod anno a natiuitate ejusdem millesimo tricentesimo trigesimo octauo, indictione sexta, Pontificatus Sanctissimi Patris et D. D. Benedicti diuina prouidentia Pape duodecimi anno quarto, die XI mensis februarii, Auinioni in concistorio pubblico coram prefato D. N. Summo Pontifice et Sacro Collegio RR. Patrum DD. S. R. E. Cardinalium , personaliter constituti R. P. D. Dynus Dei gratia archiepiscopus januensis et prouidus vir Magister Joannes magistri Anseimi de Ancisa ciuis januensis sindici et sindacarlo nomine Potestatis consulum et consiliariorum, cancellarii communis ciuitatis albinganensis et nomine ipsorum comunis, uniuersitatis, ciuitatis, districtus predictorum et omnium et singulorum ciuium ciuitatis et districtus ciuitatis albinganensis, facientes fidem de ipsorum sindicatu per quoddam publicum instrumentum scriptum et signatum ut pubblica facie apparebat manu Dominici de Justenice publica auctoritate imperiali notarii et scribe communis ciuitatis albinganensis sigillatum cum pen.denti sigillo dicte uniuersitatis seu communitatis albinganensis ut prima facie videbatur, cujus tenor dignoscitur esse talis. — In nomine domini amen. Anno dominice nati-uitatis M CCC XXX VII indictione quinta die VII nouembris. Magnifici et potentes viri D. Nicolaus de Spinolis de Luculo honorabilis potestas communis ciuitatis albinganensis et DD. Franciscus Briga, Gulielmus (1) Giovanni figlio del celebre chirurgo Anseimo da Incisa, esercitò con grandissimo onore la professione paterna; visse molti anni alla Corte Papale di Avignone, e fu archiatro di Clemente VI succeduto a Benedetto XII nel 1342. GIORNALE LIGUSTICO 255 Francus, Raphus Clericus et Annetus Georgius consules ciuitatis albin-ganensis, nec non omnes consiliarii ciuitatis predicte videlicet: Joannes Spelta, Jacobus Dentatus, Luchinus de Ronco, Manuel Bellonus, Jacobus Costa, Bartholomeus Bapitius, Franciscus Ritius, Jacobus Ascherius, Lanfrancus de Garexio, Joannes Puytus et Joannes Vassallus, nec non Vassallus Falacha cancellarius communis ciuitatis albingane, ad sonum campane pro infrascriptis more solito congregati. Prefatus D. Nicolaus de Spinulis de Luculo Potestas communis ciuitatis Albingane de consensu et voluntate unanimiter praedictorum DD. quatuor consulum et consiliariorum, ac etiam ipsi DD. consules et consiliarii supradicti de auctoritate et consensu et voluntate D. Nicolai de Spinolis potestatis predicti, modo et forma et jure quibus melius potuerunt pro se et nomine suo uniuersitatis et ciuitatis Albingane et districtus predictorum et omnium et singulorum ciuium et ciuitatis et districtus ciuitatis Albingane quos tangit et tangere potest negotium infrascriptum, de certa scientia et super infrascriptis deliberatione habita diligenti, non reuocando nec reuocantes alium sindacatum factum petitum et ordinatum de infrascriptis sindicis, et ad omnia infrascripta sed potius ad cautelam majorem confirmando et confirmantes ut de sindicatu constat per publicum instrumentum scriptum et traditum M CCC XXX VII indictione V die XVII octobris per Geor-gium Lambertum notarium pubblicum et scribam communis et ciuitatis Albingane tempore consulum et consiliariorum in dicto instrumento contentorum, fecerunt, ordinauerunt, creauerunt et constituerunt ejus et eorum certos et veros et legittimos sindicos actores procuratores et nuntios speciales et quid quid melius esse possunt, R. in Christo Patrem et D. D. Dynum Dei gratia archiepscopum januensem, et prouidum et discretum virum D. Magistrum Joannem Magistri Anseimi de Ancisa januensem, D. Magistrum Joannem de Portu procuratorem in curia romana, et Philippum filium majorem predicti Spinoli de Luculo potestatis ciuitatis predicte, licet absentes tamquam preesentes et quemlibet eorum in solidum, ita quod non sit melior conditio occupantis, sed quod unus eorum inceperit a reliquis prosequi valeat et finiri, ad comparendum pro eis et singulis eorumdem coram Sanctissimo in Christo Patre et D. D. Benedicto divine providende clementia papa duodecimo et sacro collegio RR. in Christo PP. DD. Cardinalium, et apostolica sede, vel coram ipso domino nostro Papa tam in concistorio quam in camera, vel alibi ubi fuerit opportunum, vel videbitur expedire et quibus supra omnibus nominibus confitendum humiliter et devote recognoscendum quod ipsi et multi eorum dederunt et prestiterunt auxilium consilium et fauorem rea- 25 6 GiORNALE LIGUSTICO liter et personaliter quondam Matheo Vicecomiti et filiis ejus postquam fuerunt per Sanctam Romanam Ecclesiam condamnati seu' de mandato ipsius, non unquam habentes respectufn nec intendentes aliquatenus contemptu ipsius Sacrosancte Romane Ecclesie quam semper reputaverunt matrem suam et cunctorum fidelium et magistram, et etiam quomodilibet intendentes eisdem quondam Matheo Vicecomiti et filiis dare quorno-dolibet auxilium consilium vel fauorem in aliqua heresi vel infedeli-tate specie erroris, seu ad defensionem ipsius heresis vel infedelitatis erroris, vel ad impugnationem ejusdem S. Matris Ecclesie vel aliorum quomodolibet persequentium vel impugnantium heereses quaslibet vel infidelitatis errores, sed hoc dumtaxat facientes tamquam coacti e tiran-nizati a Januensibus tunc existentibus qui ab ipsis Albinganiensibus hec facienda in auxilium et fauorem ipsorum requirebant et districte precipiendo mandabant, tamquam hominibus subditis, qui non poterant denegare et eorum mandatis resistere tamquam potentioribus quibus pares esse non poterant, quorum etiam quidam ex eis Januensibus venerunt ad ciuitatem albinganesem ad predictum auxilium, fauorem requirendum, et cum arrogantia postulandum, quia predicti albingaunenses viribus quibus poterant predicta facere recusabant, quoniam eis injusta videbantur. — Item ad confitendum humiliter et deuote recognoscendum quod ipsi et multi eorum dederunt et prestiterunt auxilium consilium et fauorem Ludouico de Bauaria postquam per eandem S. R. E. extitit reprobatus et codemnatus nonnullis ex eis appellantibus eum imperatorem licet cordialiter non crederent nec in corde reputarent eum imperatorem, quamvis aliquis propter simplicitatem aliud forte teneret in auxiliis consiliis et fauoribus supradictis, non tamen intendentes dare auxilium et fauorem principaliter ipsi Bauaro, quoniam iniuste imperatorem recognoscebant et non esse imperatorem, sed potius coacti et tirannizati a Januensibus extrinsecis qui ab ipsis predicta facere districte precipiendo mandabant requirebant et postulabant tanquam potentiores quibus nullo modo resistere potuissent, qui Albinganeses viribus quibus poterant in his obtemperare recusabant, qui eum Bauarum non imperatorem reputabant , nec in contemptu ejusdem sancte matris ecclesie intendebant, nec alicui heresi vel fidei errori volebant vel intendebant dare fauorem, qui hereses vel errores fidei semper spernebunt et abominabuntur ex tota mente et corde. — Item ad confitendum humiliter et deuote recognoscendum quod nonnulli ex eis exhibuerunt quondam Pietro de Corbaria antipape seu appostatico fauorem propter ipsum Bauarum, et exibendo ei reue-rentiam sicut Pape, et aliqui eorum impetrauerunt ab eo gratiam sicut a giornale ligustico 257 Papa. — Veruni est tamen quod communiter non credebant nec reputabant eum Papam sed antipapam 'et appostaticum quarauis forsitan, propter simplicitatem ad quorundam pseudoreligiosorum predicationem et assertionem crederent eum Papam. — Et ad supplicandum humiliter et suppliciter postulandum a prefato S.1”0 D. D. nostro Papa et sacro collegio DD. Cardinalium beneficium absolutionis et relaxationis ab omnibus sententiis excommunicationis suspensionis interdicti vel interdictorum, et quomodo-libet aliis sententiis siue penis propter premissorum latis vel inflictis a felici recordatione D. Joanne Papa XXII vel ejus vel apostolice sedis legatis vel eorum seu cujuslibet eorum mandato vel auctoritate, seu quauis alia auctorisatione ordinaria vel etiam delegata et latis vel inflictis. . . quomodolibet ab homine vel a jure. — Et ad promittendum pro eis et singulis eorum de parendo mandatis et preceptis D. N. Pape ac Collegio dominorum Cardinalium predictorum seu aliorum vel alterius quibus idem D. N. Papa duxerit committere propter hoc faciendum. — Et de mandatis et preceptis inviolabiliter obseruandis prestandum in animas singulorum omnium predictorum tactis euangeliis juramentum. — Et alios eorum et quemlibet eorum et bona sua quomodolibet obligando prout fuerit opportunum et videbitur expedire. — Et quoniam multitudo nimia est in predictorum aliquo involuta, et esset quasi impossibile quod tanta multitudo se propterea conspectui apostolico presentaret, quoniam etia m majores propter inimicitias capitales manifestas et de minoribus infiniti propter paupertatem ad conspectum ejusdem D. N. Pape non possent absque periculo corporum et incommoditate nimia se conferre, ad humiliter supplicandum eidem D. N. P. et sacro DD. Cardinalium Collegio supradictorum, quod ipsi vel idem D. N. Papa misericorditer dignetur committere predicto archiepiscopo suo januensi vel alio de quo videbitur expedire, qui auctoritate apostolica predictos et quemlibet eorundem ab-soluet juxta formam quam idem D. N. Papa ac Collegium supradictum super hoc duxerit ordinandum, et omnes interdicti sententias propter hoc vel eorum aliqua prolatas ab homine vel ab jure relaxet et uniuersitatem et quemlibet eorumdem in eo integre reponat quo erant antequam contra pre-missa commiserint vel aliquid premissorum. — Et ad constituendum unum et plures procuratores et sindicos quem et quos voluerint vel alter eorum voluerit in omnibus et singulis supradictis et infrascriptis et dependentibus et connexis eisdem dantes et concedentes eisdem sindicis et cuilibet eorum in solidum et substituendis seu substituendo ab eis vel altero eorum liberam et generalem administrationem cum pleno libero et generali mandato. — Renuntiantes ex certa ac deliberata scientia omnibus et sin- 258 GIORNALE LIGUSTICO gulis exemptionibus omnium et singulorum predictorum non sic actorum atque gestorum et cuncte potestatis eisdem sindicis et cuilibet eorum in solidum per dictos potestatem consules et consiliarios et uitra* commune et uniuersitas Albingane cum solemnitate premissa nominibus quibus supra, sicut supra legitur non tradite seu etiam non concesse deceptionis sive lesionis communis et uniuersitatis ejusdem et singularum personarum omnium predictorum restitutioni in integrum et omnium canonum et legum auxilio, per quod predicta vel aliquid de predictis nullum dici posset, vel annullandum, seu quouis modo, vel auctoritate vel officio suis quocumque remedio irritari posset, vel quomolibet retractari seu etiam reuocari; quibus et eorum quolibet non obstantibus voluerunt dicti constituentes omnia et singula que per ipsos sindicos et quemlibet eorum in solidum et substitutos et substituendos ab eis vel alterum eorum facta fuerint, perpetuo firma irrefragabiliter manere in predictis et singulis premissorum ; et generaliter ad omnia alia et singula facienda in pre-missis et qualibet premissarum, que ipsi constituentes, et illi quorum nominibus constituunt possent facere per se ipsos et natura talis postulat et requirit seu si mandatum exigant speciale. — Promittentes omnes et singuli supradicti pro se ac omnibus et singulis supradictis mihi notario nomine et vice predictorum domini nostri Pape Romane ecclesie et omnium singulorum, quorum interest et intererit et in futurum interesse poterit legittime stipulanti se ratum et firmum habere et tenere ratum et quidquid per sindicos, actores et procuratores et nuntios speciales et quemlibet eorum actum procuratum et gestum fuerit in premissis et singulis premissorum, et contra non facere vel venire sub obligatione bonorum suorum uniuersitatis et singulorum etiam predictorum. Acto nihilominus in sindicatu et procuratorio supradictorum, quod ipsi sindi-catum et procuratorium in qualibet parte sui possit corrigi supleri et emendari ad dictamen seu industriam cuiuslibet sapientis ad beneplacitum et voluntatem Sanctissimi Patris ac D. D. Summi Pontificis et sacri DD. Cardinalium collegii supradictorum, et alias pro ut sindicis ipsis et procuratoribus et cuilibet eorum in solidum vel substitutis ab eis.....videbitur expedire; secundum quas correctiones, supplicationes et emendationes voluerint et mandaverint iidem constituentes mihi suprascripto notario quod instrumentum istud reformem semel et pluries quoties ipsis sindicis et cuilibet eorum in solidum videbitur expedire et in publicum redigam instrumentum. Et ad majoris roboris firmitatem supradictus D. Nicolaus potestas et suprascripti DD. Consules et consiliarii huic publico instrumento sigillum uniuersitatis et ciuitatis Albengane mandauerunt appendi. GIORNALE LIGUSTICO 2J9 Acta fuerunt suprascripta in palatio communis Albingane, ubi morantur consules, presentibus testibus D. Manuele de Misma jureperito, D. Francisco Sponsato jureperito, Vassallo Falacha, Raynaldo Buyono, Cónrado Bestaldo et Odino de Amidola ad hec vocatis specialiter et rogatis. Ego Dominicus de Justenice notarius imperiali auctoritate et curie scriba communis ciuitatis Albingane rogatus tradidi et scripsi. Quo quidem sindicatu in dicto concistorio publico predictorum domini nostri Pape ac D. D. Card/nalium presentia existente ibidem prelatorum et aliorum multitudine copiosa de verbo ad verbum alta voce lecto et inteli-gibiliter recitato, predicti D. Archiepiscopus et Magister Joannes sindici et procuratores predicto sindicario et procuratorio nomine omnium et singulorum predictorum in sindicatu contentorum omnia et singula in dicto sindicatu contenta iiixta modum et formam in ipso sindicatu contenta, recogno-uerunt dictos constituentes.... et de illis etiam suppliciter et humiliter po-stulauerunt sibi quibus ut supra nominibus super eisdem penis quas occasione predictorum et cujuslibet eorum ipsi et quilibet eorum incurrerint et ipsos dicti sindici quibus supra nominibus confitentur incurrisse latas contra tales per processus tam fel. record. D. Joannis XXII quam R. Patris Bertrani hostiensis et velletrensis episcopi tunc in illis partibus apostolice sedis legati, vel quorumvis aliorum legatorum apostolice sedis, vel aliorum seu ordinariorum quorumlibet apostolica vel alia quacumque auctoritate prolatas sive in uniucrsitates aut loca quelibet siue in personas etiam singulares ab homine vel ab jure, ac dictis nominibus super predictis integre se supposuerunt obbedientie voluntati omnimode et arbitrio prefati D. N. Pape quibus supra nominibus promittentes se pro predictis et quolibet predictarum stare et obedire mandatis predicti D. N. Papas et ejus mandata complere. Supplicantes insuper ac etiam prefati sindici nominibus quibus supra memorato D. N. Pape quod uniuersitas et ciuitas Albingane et districtus eorum et persone singulares etiam supradicte in integrum restituantur aduersus penas et sententias supradictas, et eos in eo statu reponant in quo erant antequam predicta commisissent vel aliquid de predictis. Quibus ut pre-mittitur sic peractis prefati sindici quibus supra nominibus per D. N. Papam interrogati ut predicti constituentes erant in proposito .... penitendi, et predicta omnia et singula vel similia non perpetrare deinceps, ac m animas eorum constituentium jurandi capitula infrascripta, que specifice ibidem lecta fuerunt, nec non et faciendi et complendi illas penitentias quas D. N. vel successores occasione predictorum tum confessatorum in ecs et singulares personas duxerint imponenda, et sindici supradicti respondissent quod sic, ac recognouissent, et humiliter postulassent, sup- 26ο GIORNALE LIGUSTICO pliciter petiissent, obtulissent, et ut supra per omnia promisissent ; tunc prefatus D. N. Papa legi fecit capitula infrascripta et per dictos sindicos jurari ^irout sequitur. In primis.....jurabunt in animas dictorum constituentium et stabunt et parebunt mandatis Ecclesie et D. N. Pape super illatis per ipsos constituentes injuriis, contumatiis, rebellionibus, adhesionibus, fautoriis et aliis explicitis per eos confessis, et ceteris sententiis et penis quas ]5rop-terea incurrerunt ab homine vel ab jure. Item quod confessata per eos vel similia ulterius non admittent. Item quod D. N. Summo Pontifici et ejus successoribus canonice intrantibus fidelitatem et obedientiam debitam exhibebunt sicut ceteri fideles christiani. Item quod non erunt cum Bauaro, nec cum sequacibus suis per Ecclesiam denotatis vel denotandis, nec eis in futurum dabunt auxilium consilium vel favorem, vel publice vel occulte, sed Ecclesie Romane et dicto D. N. et successoribus suis canonice intrantibus fideles et obedientes erunt sicut ceteri fideles christiani. Item quod non obedient, nec adherebunt alicui vel Imperatori vel administratori Imperii nisi ille primitus fuerit per sedem apostolicam approbatus. Item quod nullam obbligationem,coniurationem, conspirationem seu legam facient cum Bauaro damnato, vel seguacibus suis aut cum aliis damnatis per D. N. Papam vel Sanctam Romanam Ecclesiam, et facta dimittent et abjicient cum effectu. Item quod omnia et singula officia et beneficia per Bauarum λτε1 antipapam eis collata ex nunc dimittent, et eis de cetero non utentur. Item quod ecclesias et personas ecclesiasticas dominio ipsorum subiectas manutenebunt et defendent, jura et bona ipsorum non usurpabunt, sublata et usurpata restituent ecclesiis et personis pi edictis. Item quod Regi Marochitano turchis et aliis saracenis ac fidei catholice inimicis contra Christianos non dabunt nec quantum in eis fuerit dari permittent auxilium, consilium vel favorem, ipsos in ipsorum guerris contra Christianos invocando, aut eis quecumque a jure prohibita portando vel ministrando. Item jurabunt in animas illorum de dicto communi et populo ciuitatis et districtus albinganensis, qui per simplicitatem et inter ignorantiam crediderunt quondam Petrum de Corbaria fuisse verum Papam, et scienter ab eo tamquam a tali officia vel beneficia receperunt et qui ei dederunt scienter auxilium, consilium vel fauorem se tenere fidem catholicam et illud quod Ecclesia Romana docet et pre-dicat, quod non spectat ad Imperatorem Papam deponere vel alium facere, et quod de hoc hereticum reputant, et heresi per ecclesiam damnatum, et nihilominus dicti sindici nomine quo supra, in quantum petierunt promiserunt quod dicti constituentes omnia et singula supra- giornale ligustico 261 dicta ex certa scientia particulariter et expresse cum publico vel publicis instrumentis sigillo dicte uniuersitatis siue ciuitatis sigillata super dictis approbationibus et confirmationibus. Quibus quidem capitulis lectis et per dictos sindicos plenius intellectis, ipsi sindici ante pedes dicti D. N. personaliter constituti sindicario nomine supradicto sponte et ex certa scientia dicta capitula et ipsorum quodlibet singulariter in animas dictorum constituentium ad sancta dei Euangelia corporaliter tacto libro jurauerunt se se predicta omnia et singula in dictis capitulis contenta attendere ct obseruare, complere et non contrafacere vel venire promiserunt. Post que prefatus D. N. Summus Pontifex gratiose volens agere cum eisdem protestationibus predictis quod si dicti constituentes predicta per dictos sindicos eorum nomine promissa et jurata non ratifi-cauerint infra terminum supradictum singulariter et expresse, et ratifi-cationem ipsam, ut predictum est, infra tempus predictum non miserint dicto Domino in forma predicta, aut predicta non seruauerint aut con-trafecerint, quod absolutio, restitutio, et interdictus amotio sive relaxatio habeantur penitus pro non factis, et quod eo ipso reincident in easdem penas et sententias quibus antea tenebantur. Interdictum vel interdicta et sententias quibus uniuersitas siue ciuitas, districtus et populus albinga-rensis et ejus districtus subjacent, omnium inobedientiarum, adhesionum predictorum relaxauit et admouit omnino et pro relaxatis habuit et amotis , ipsosque ad pristinum statum, famam, honorem et priuilegia et alia omnia et singula integraliter restituit, ita quod ipsi gaudeant et utantur sicut antequam predicta commisissent et processum fuisset contra eos occasione excessuum predictorum uti poterant et gaudere. Super absolutione autem singularum personarum que premissarum occasione excomunica-tionis sententiam incurrerant latam ab homine vel ab jure, Dominus noster Papa dixit se velle mittere ad partes illas aliquem certum vel certas personas, qui singularibus personis juxta formam juris de debito absolutionis beneficio prouidebunt cum effectu esset difficile singulos de uni-uersitate ad sedem apostolicam accedere pro obtinendo absolutionis beneficio a sententiis memoratis. Que omnia et singula dicti sindici nomine quo supra cum gratiarum actione humiliter receperunt. Acta fuerunt hec Auinioni in palatio apostolico ubi dictus D. N. Papa tenet concistorium anno, mense, die, inditione et pontificatu predictis presentibus RR. in Christo Patribus DD. S. R. E. Cardinalibus, ac Gocio Patriarcha Costantinopolitano, Gasperto Arelatensium , Petro Cesaraugustensium, Bertrando Ebredunensium archiepiscopis, Joanne Aciniono, Joanne Castricense episcopis, Aymerico Guasco, Bertramino 264 GIORNALE LIGUSTICO in codeste ricerche rimanderò alla Notice des Découvertes pubblicata dal D’Avezac fino dal 1845-46; e vi manderò pure gli scrittori di storie generali marittime, i quali oggi ancora preferiscono ripetersi Γ un P altro piuttostochè darsi la noia di attingere o alle fonti originali, od almeno alle diligenti discussioni sulle stesse fonti. Passerò quindi ad altra quistione che fu per 1’ addietro vivamente agitata: la navigazione dei fratelli Vivaldi nel 1291, e il loro tentativo di andare all’india circumnavigando 1’ Africa. III. Il Arisconte di Santarem, dotto certamente ed operoso ricercatore, ma tenero oltremodo della priorità dei Portoghesi volle negare di pianta la navigazione de’ Vivaldi. In parte gli giova di scusa che non si conosceva ancora nel 1842 il passo riciso e chiarissimo del contemporaneo Annalista Jacopo Doria uomo di gran levatura per uffizi pubblici e stretto consanguineo di uno degli Armatori delle navi per la spedizione. Eravi pero la testimonianza del quasi contemporaneo Pietro D Abano : eranvi le concordi affermazioni degli Storici Ge-novesi le quali faceano intravvedere una fonte comune, patria ed antica. Non ostante il eh. Portoghese le spregia attribuendole a vano amor nazionale : egli clie traviato appunto da questa pecca trova delle assurdità nelle cose più naturali. Come quando fa le meraviglie che i genovesi Vivaldi per recarsi alle Indie a levante circumnavigando 1’ Africa, volgessero dapprima le prore a ponente; quasi non fosse questa la via che si fa tuttora, e quasi nel medio evo se ne potesse fare un altra: seppure non era tagliato fin d’allora 1’ istmo di Suez (2). (1) Santarem, Reclierches sur la priorità de la dtcouverle ecc., Paris, 1842, pagg. 243-59; Codine, loc. cit., § III, pagg. 412-18, ove sono riferite le altre fonti. giornale ligustico 265 Checchenessia della sua polemica, il documento risorto poi alla luce troncò la lite: il passo d’Jacopo Doria-faciente parte degli Annali del Caffaro e Continuatori, fino dal 1859 £u additato dall’Illustre Giorgio Pertz alla Accademia Bavarese delle scienze, e nel 1863 fu impresso tutto il testo di quegli Annali nei Monumenta Germaniae Historica, traendolo dall’ originale della Biblioteca Parigina. Ancora in quest’ anno come già nel 1859 il Pertz si attribuisce 1’ onore di questa scoperta , e il sig. Major gliel’ accorda volentieri. Passi pel dotto Inglese, che certo ignorava le discussioni precedenti; ma nel sig. Pertz non so vedere nò una memoria felice, nè quella esattezza e diligenza di che giustamente i Tedeschi si vantano. Già fin dal 1846 il lodato Comm. Canale aveva interte-nuto di una simile comunicazione il Congresso degli scienziati allora sedente in Genova, ove parlando de’ nostri antichi Navigatori avea letto, indi stampato il passo di cui è discorso, e che egli trasse da un buon testo a penna di Caffaro, volgarmente detto il Codice Lagomarsino. Inoltre nel 1849 egli stesso, pubblicando la sua storia di Genova abbastanza conosciuta anche fuori, vi travaso lo stesso discorso sui Navigatori e lo stesso brano già comunicato tre anni prima. Ancora: nell’anno 1859 dopo il suaccennato discorso del Pertz all’ Accademia di Monaco sorgeva il D’Avezac nei Nouvelles Annales des Voyages a rivendicare 1’ onore della scoperta al Canale. Infine quest’ultimo pubblicando nel 1860 una nuova edizione della sua storia ci fa sapere che il dotto Tedesco ebbe ad arrendersi subitamente alle osservazioni di lui e a riconoscergli il diritto di priorità. Or come soli tre anni dopo il Pertz dimenticava questi fatti e la sua stessa dichiarazione (1)? (1) Pertz, Der àlteste versiteli \ur entdeckung des seeveges nacli Ostin-dien (Memoria stampata a Berlino); D’Avezac, L’expèdition gènoise des 266 GIORNALE LIGUSTICO Qui giova ricordare una circostanza già toccata dal Canale, ma meglio chiarita dal Socio ed Amico Belgrano, e che pure continua ignota o trascurata a non pochi che parlano di questi studi. Tedisio Doria stretto consanguineo dell’ Annalista Jacopo cooperò bensì all armamento delle navi per quella spedizione del 1291, ma secondo il testo non vi si recò egli personalmente , bensì i suoi compartecipi fratelli Vivaldi. Di che si scioglie un altra obiezione sollevata dal Santarem e che sembrava assai grave: la presenza a Genova di Tedisio nel successivo anno 1292; presenza attestata già dall’ Annalista suo consanguineo ed ora confermata da un atto notarile prodotto dall Amico Belgrano. Il sig. Canale ricordò altro atto onde apparirebbe una galea di Tedisio di nome Alleprancia in o viaggio Per Barberia nel 1292. Belgrano ricorrendo all’ originale trovo veramente che quella galea viaggiava invece verso Romania; ad ogni modo a me sembra un bellissimo indizio il nome di Allegranza che si dà egualmente a una galea genovese e ad altra delle isole Canarie, al di sopra e quasi nello stesso meridiano della Lanzarotta. Di una simile applicazione del nome della nave scopritrice alla terra scoperta vi sono altri esempi : e il tempo di Tedisio Doria si acconcia benissimo a farne un compagno di Lanzarotto nel viaggio avventuroso che sovra abbiamo esaminato. Il tentativo dei Λ ivaldi che sappiamo essere stato infruttuoso si lega naturalmente colla nota leggenda di quel manoscritto impropriamente chiamato l’Itinerario di Antoniotto frères Vivaldi, Paris 1859. Lo stesso: Un mot encore sur Ics navigations genoises ; postscriptum 4 dicembre 1859; Canale , Degli antichi navigatori e scopritori genovesi, Genova, Ferrando 1846; Major, pag. 99; Canale, Nuova Storia di Genova, 1860, III, pag. 340. Belgrano, Degli Annali di Caffaro editi da Giorgio Enrico Pert{, recensione inserita nell·’ Archivio Storico Italiano, Serie III, tomo II, parte II, 1865, pagg. 122-28. giornale ligustico 267 Usodimare, del quale Ms. si parlò più volte qui e fra i dotti, fin dal 1802, quando il sig. Gràberg de Hemsò ne diede la prima notizia. Pure vi è un punto che rilevo dal eh. Codine non essere ancora abbastanza chiaro fra i disputanti, vale a dire se più e quali copie si conoscano di questo Codice. Ora giova avvertire che delle copie fatte nel nostro secolo ve ne possono essere più d’ una, ma il Ms. sincrono, il vero Codice onde si parlò e si parla tuttora è unico e si conserva nella Biblioteca di questa Regia Università. Esso apparteneva al noto Raccoglitore di patrié memorie, il Senatore Federici, e cogli altri preziosi suoi cimelii passò all’ Archivio segreto della Repubblica: indi con questo Archivio fu trasportato a Parigi per le note vicende, e da Parigi a Torino, donde fu concesso alla predetta Biblioteca. È in questo stesso codicetto che fu letta per errore paleografico la data 128L sulla leggenda riguardante il Vivaldi, il che diede luogo a sospettare di due spedizioni distinte una del 1281, altra di dieci anni dopo. Ma io e i miei Amici vi leggiamo indubitato l’anno 1290, e già ve 1’avea letta il sig. D’Avezac, o chi per esso lo riscontrò quando il Ms. era ancora agli Archivi di Torino. La data dunque scritta nella leggenda non diflerisce che di un anno da quella asserita dall’ Annalista contemporaneo; perciò non che menomare, rafferma la fede di un racconto scritto nell’Itinerario nel 1455, e dopo un secolo e mezzo. Altrettanto si dica del tacersi in questo racconto posteriore il nome di Tedisio Doria che vedemmo appunto non essere partito; altrettanto del nome di uno dei fratelli Vivaldi diverso bensì da quello dato dall’ Annalista, ma pur conveniente. Fu infatti riconosciuto per un atto notarile, che viveva a que’tempi un Vivaldi di nome Vadino eguale al cosi chiamato nella leggenda del 1455; perciò o quest’ultimo parti coi due fratelli Ugolino e Guido: oppure la confusione de’ nomi, benché fitta in una tarda leggenda, 268 GIORNALE LIGUSTICO dee di necessità avere la sua origine in una sbadataggine di fonte contemporanea. I 170 anni che la lettera dell’Usodimare dice trascorsi dopo il tentativo de’ fratelli Vivaldi veramente farebbero risalire questo tentativo al 1285; ma anche qui ciascun vede che una differenza di cinque a sei anni in un intervallo così ampio non è tale da guastare un racconto che regge alla prova per gli altri capi. I barbarismi e la infelice esposizione in latino di un uomo d’ affari non sono buone ragioni per ripudiare la sua lettera ; tanto meno gli nuoceranno gli errori affibbiatigli nella Stampa; parte de’ quali sono tuttora da correggere, parte corretti dal D’ Avezac. Tra questi ultimi è importante la correzione di Regis mei in Regis Meli: donde svanisce un apparente assurdo ben rilevato dal Major. Dalla stessa lettera d’ Antoniotto infine, accettandone 1 interpretazione dal sig. D’Avezac, abbiamo ancora una concordanza coll’ antico Annalista. Antoniotto Usodimare, allorché incontrò un patrioto che ei credette resto della spedizione vivalda, trovavasi a 70 leghe dal fiume Gambia, ma .di ritorno e perciò di qua del fiume e non al di là (al contrario dell interpretazione del Pertz) : perciò egli trovavasi giunto nella regione del Senegai che allora chiamavasi Budomel; e più o meno vicino all’ omonimo fiume Senegal, che il D’Avezac prova essere il Gihon d’un altra leggenda del-l’Itinerario. Ciò fermato, la posizione attuale dell’ Usodimare si riconosce essere al di là dei confini della Gozola; ed è appunto al di là di tali confini che si perdettero in patria le tracce della spedizione secondo 1’ Annalista Jacopo Doria. La regione di Gozola onde qui si parla è indicata nei portolani dei secoli XIV e XV ; e già appare nell’ antico viaggio del Frate mendicante spagnuolo, di cui un estratto ci è porto nel libro della conquista di Bethencourt. L’arabo Ibn-Kaldun c’insegna che la tribù dei Gazola (Ghezula, Giezula) era a meriggio dell’ Atlante, ma più oltre fino al deserto di Sahara giornale ligustico 269 essendo preceduta dalla tribù dei Lamta. Tuttavia nel senso dei cartografi e viaggiatori europei, vediamo che la regione Gazola cominciava dal Capo Non: e comprendeva perciò le due tribù dei Lamta e dei Gazola; mentre il mare che le fiancheggiava chiamavasi di Ghinoja, Ghenea ecc., a tramontana dell’ odierna Guinea. E qui mi duole di nuovo dover appuntare le obbiezioni del Visconte di Santarem. Il quale si meraviglia che Anto-niotto non abbia saputo apprendere alcun che di più certo da quel compatriota che trovò nel Senegai. Oh che? Un uomo nato e unico rimasto della sua nazione in terra straniera e selvaggia doveva proprio snocciolargli per filo e per segno la storia e la data di 165 anni fa, e i nomi e cognomi della sventurata spedizione e quasi dissi il grado di parentela che correva tra lui e i fratelli Vivaldi? Non era già molto, per nostro avviso, che quegli sapesse ancora di essere genovese, e che ne confermasse la tradizione l’interprete del Signore del luogo, e che Antoniotto ripetendola, pur modestamente non la desse come notizia certa (1)? IV. La persona dell’ Usodimare entrata già in discorso a proposito del tentativo del XIII secolo, ci chiama ora a parlare direttamente dei fatti e dell’essere di lui stesso. Ma per quanto ai fatti ci è forza abbreviare la lunga discussione che richiederebbe il soggetto e che del resto si può vedere nel sig. Codine, le cui conclusioni io accetto. Conciliando la narrazione del Genovese con quella più (1) Graberg, Annali di Geografia, Genova, 1802, II, pag. 280 e segg.; Codine, pagg. 412-17; D’Avezac, L'expedition____ des frères Vivaldi, pag. 8 e segg.; D’Avezac, Notice des découvertcs, pag. 23; Santarem, Op. cit., pagg. 253 e segg. Sulla posizione di Gazola 0 Ghezula vedasi il Codine, pag. 20 in nota. ιηο GIORNALE LIGUSTICO ampia del suo compagno il Veneto Luigi Cadamosto, riconosciamo che quest’ultimo nel 1455 si era fermato nel Budomel (Senegai) a 50 miglia a meriggio di questo fiume. Dal Signore della stessa regione egli ebbe cortese accoglienza, come 1’ anno precedente 1’ avea già provata benigna un Genovese di nome ignoto. Sul partire per più lontano paese, incontra Antoniotto Usodimare e un costui figlio spurio ; le loro navi d’ ora in poi procedono di conserva, giungono alla maggiore delle isolette presso Capo Verde (Γ isola di Gorea) e continuano ancora sino al fiume Gambia; ove ebbero a battagliare cogli indigeni. Qui volsero le prore al ritorno, ma il Genovese si fermò alcun tempo a 70 leghe dalla Gambia, come fu detto sopra, ossia presso alle rive del Senegai; e vi fece un commercio lucroso, caricando denti d’ elefante e 40 schiavi (non 31 come legge Gràberg, per quello stesso errore paleo-grafico per cui lesse 1281 in luogo di 1290). Di nuovo nell’ anno appresso 1456, partono da Lagos di Portogallo i predetti Genovese e Veneziano per un simile viaggio di conserva; come essi furono pervenuti al di là del Capo Bianco sorge un vento contrario che li affligge oltremodo per più giorni e li costringe a piegare verso ponente. Tale deviazione fu causa che essi scoprissero alcuna delle isole del Capo Verde non mai vedute prima di loro, cioè San Giacomo cosi detta, come pare, dal giorno della scoperta; e quella da loro e oggi ancora nominata Buonavista, quasi conforto alla sofferta traversìa ed augurio a nuove ^venture. Non parlerò della continuazione del viaggio dei due Navigatori dalla Gambia a Capo Rosso, a Rio S. Domingo, Rio Grande e alle isole Bissagos, perchè non offrono punti controversi. Questo racconto era in complesso accettato già prima che sorgessero le obbiezioni di cui sotto parleremo; e ne era anche in generale ammessa la data : sebbene pel primo viaggio giornale LIGUSTICO il Portoghese Damiano Goez lo facesse indietreggiare fino al 1444. Ma il eh. Visconte di Santarem osserva con ragione che di tale viaggio sa nulla il Cronista Azurara il quale finì di scrivere nel 1448. È pure conosciuta da un pezzo la lettera del 12 dicembre 1455, che tra il primo e il secondo suo viaggio scrisse Antoniotto ai Creditori; nella quale prometteva pagarli coi profitti che sperava di fare nella prossima spedizione; e frattanto dava loro alcun cenno sui suoi casi precedenti. Questa lettera conservata per ventura nel già nominato Ms. (che fu perciò appunto detto Itinerario d’Antoniotto Usodimare) fu pubblicata, come si sa, con‘ alcune leggende da ivi stesso estratte dal sig. Gràberg de Hemsò, ma con parecchi errori di lezione (x). Era naturale il desiderio di conoscere un po’ più largamente la persona di quello, fino allora ignoto, Navigatore.^ E al Sig. Gràberg istesso che ne chiese ai nostri Archeologi d’ allora, tu invero fornito qualche particolare, ma tale che poco giova al proposito. Fu detto che Antoniotto era di famiglia nobile ed antica, e sta bene; ma sul costume dei fabbricatori di genealogie non parve loro che tale antichità avesse pregio, se la non si facea risalire almeno a Carlo Magno. E così per variare, non volendolo far venire da questo imperatore 0 da Vitichindo, si fece come pei Cibo, si andò a cercarne in Grecia lo stipite: Timoteo figlio di Ba-risonte. A noi, per vero dire, poco importa di simili vanti campati in aria; e crediamo che anche ai savii Lettori piaceranno più le umili ma sincere testimonianze de’ documenti. Ammetteremo anche noi che Γ Albergo Usodimare avente casa e strada tra piazza Banchi e Sosiglia fu veramente nobile; rivestito della dignità consolare, illustre per pubblici (1) Codine, nel citato Bulletin del 1873, semestre II, §§ IX ,e X, pagg. 67-85; Gràberg, Op. cit., II, 280; Santarem, pag. 270. 272 GIORNALE LIGUSTICO uffizi, anche fuori e specialmente in Inghilterra. Ma tenendoci al nostro assunto troviamo due Antoniotti dal cadere del secolo XIV alla metà del sèguente nelle carte genovesi. Il più antico dei due abbiamo indizio per crederlo Zio paterno del Giuniore; quest’ultimo (che è quello che fa al caso nostro) non comparisce che al 1425 come figlio di un quondam Anfrone. Ma già dal 1406 si ha notizia delle sorelle di lui Limbania e Benedetta; poi di Giovanni figlio d’una prima moglie d’ Anfrone; e di Francesco e Cristiano i quali con Antoniotto erano figli di esso Anfrone e della seconda moglie Pietrina Spinola. Nel 1449 Antoniotto è tra gli Anziani della Signoria,' ed ha per moglie Bianchina Gentile. Nel 1453 tutto ad un tratto si viene a conoscere che egli dopo aver dimorato in Siviglia per affari di commercio, fuggì di nascosto in Portogallo. I Creditori di lui chiedono ai Tribunali di Genova che egli sia dichiarato in istato di fallimento. La moglie Bianchina oppone che Antoniotto si ritrasse di Spagna soltanto per molestie di quel Governo e per contravvenzione in fatto-di certe monete; si procede; si odono i testi, i quali in parte danno ragione ai Creditori, in parte alla moglie: si produce una lettera di Antoniotto ai suoi Creditori in data di quello stesso anno 1453. Da ciò intendiamo come e perchè Antoniotto sia giunto in Portogallo; e perchè scrivesse Γ altra già nota lettera ai Creditori il 12 dicembre 1455; nella quale si lagna della fortuna che non era stanca di perseguitarlo, ma che infine sperava poter volgere a suo favore; annunzia il nuovo viaggio che sappiamo infatti aver egli intrapreso nel 1456, donde confidava ritrarre tanto almeno da soddisfare ai proprii debiti. In caso disperato .assicura in questa stessa lettera che pagherà colle paghe (i dividendi) a cui ha diritto nel Banco di San Giorgio ; e troviamo difatti, nei Registri dell’ Archivio dal giornale ligustico famoso Banco, inscritti nel 1454 fra i Luogatarii, (Azionisti o Compartecipi) i fratelli Giovanni, Antonio , Francesco e Cristiano. Dopo queste notizie tacciono di lui, come vivente, le carte da noi cercate, ma egli era certamente già morto nel 10 settembre 1462, Nel quale giorno Limbania , la sorella sovra ricordata, far testamento ; ed istituisce eredi per quarta parte ciascuno 1.» Giovanni: 2.0 Francesco di lei fratelli abitanti in Ispagna: 3.0 Giuliano ed Anfrone figli del quondam Antoniotto: 4.0 Marco e Bartolomeo figli del quondam Cristiano siccome suoi nipoti per parte dei di lei predefunti fratelli. Nomina inoltre fideicommissaria la cognata Bianchina Gentile, che già ricordammo come moglie del nostro Antoniotto, ed ordina manomettersi Margherita schiava ex genere Rubeorum. Fra non molti anni la vedova Bianchina passa a seconde nozze con Giacomo Fiesco; fa poi testamento nel 1492 lasciando erede Anfrone figlio suo e del quondam Antoniotto; e vuole si lasci libera Maria schiava de genere Maurorum, dopo che avrà ancora servito fedelmente per 10 anni. Non sapremmo se queste schiave od almeno la seconda procedano dal patrimonio d’Antoniotto, il quale vedemmo che ne contrattava in Africa nel 1455 e ne avea già una con sè, come dice il Cadamosto. Nemmeno sappiamo se Γ ultima sua spedizione sia riescita a tale da appagare i Creditori. Questo ci pare chiaro dai posteriori documenti: che il figlio di lui Anfrone esercitando cariche onorevoli e pubbliche e tenendo Banco, deve aver riguadagnato la fiducia e l’onore presso i Concittadini. La stirpe di lui durò ancora per non breve età, riproducendosi il nome paterno nel figlio Antonio, come egli Anfrone avea riprodotto il nome dell’ avo che fu padre del nostro Antoniotto. In pari tempo i fratelli di quest’ ultimo e i loro figli continuavano a commerciare in Siviglia; donde 274 GIORNALE LIGUSTICO un ramo degli Usodimare durò in Spagna non senza onore e vi era ancora nel 1728 (1). V. Senonchè la scoperta delle isole di Capo Verde viene pure attribuita ad una data più recente e ad un altro Genovese, Antonio Noli, accompagnato dal fratello Bartolomeo e dal nipote Raffaele. Sulla realtà di questo viaggio sono presso a poco concordi tutti gli storici; e sebbene alcuni di essi facciano oscillarne la data al 1461, 1462 o anche a maggiore distanza, pure i documenti e le affermazioni ricise de’ meglio informati determinano il maggio del 1460. Come dunque si conciliano queste scoperte delle medesime isole, che si pretendono fatte due volte a quattro anni d’intervallo? Il eh. Major, seguendo il parere già esposto dal Santarem, pensa che i due Antonii Usodimare e Noli sieno una sola ed identica persona; forse scambiando la parola Noli come nome della patria ligure; oppure la parola Usodimare pel sopranome di un ben esperto Navigatore, come altri so- (1) Nell’ Archivio di San Giorgio (Cartulario S ildìle Colonne degli anni 1426 e 14J4) si nominano luogatarii per quarta parte ciascuno i fratelli Giovanni, Francesco, Antoniotto e Cristiano quondam Anfrone Usodimare. Nello Spoglio di notari e mandati (Ms. alla Civico-Beriana, voi. I, car. 95 verso, si cita dagli atti del notaro Nicolò Garumbero sotto il 10 settembre 1462 il testamento di Limbania quondam Anfrone Usodimare e vedova del quondam Riccardo Squarciafico. 11 processo pel fallimento di Antoniotto è nel fogliazzo di Cancelleria num. 14, ann. I453"64 in questo Archivio di Stato. Ivi pure nel codice Diversorum ann. 1464-65 è un decreto della Signoria in data 9 marzo 1464, che esonera dalle imposte Bianchina ed i figli, visto che essa non potè ottenere l’intera dote sopra i beni del fu suo marito Antoniotto. Tuttavia nel Cartolano S delle Colonne per l’anno 1533, nell’Archivio di San Giorgio, Antonio Usodimare quondam Anfrone è detto erede pro dimidia ab intestato del quondam Antoniotto avo suo paterno. giornale ligustico 275 spettarono. Il che è vero e dell’ una e dell’ altra parola , se si riguardi non a que’ due individui ma agli stipiti delle famiglie loro. Del resto queste due famiglie a qualunque Genovese appaiono ben distinte, l’una nobile, Γ altra popolare; sebbene anche ai Noli accennino più documenti dei secoli XV e XIV; anzi vantino perfino un Anziano o Consigliere della Signoria nel 1261. Questo io dichiarai già allo stesso sig. Major nel 1870, allorché egli mi fece Γ onore di chiedermene al Museo Britannico; ove quell’ Illustre Conservatore della parte cartografica della Biblioteca mi accolse con una cortesia e liberalità , di cui serberò grata memoria. Durante quello stesso viaggio, che mi concesse anche l’onore e la preziosa amicizia dell’ Illustre D’ Avezac, le fortune che non vengono mai sole, guadagnarono a quei detti miei una inaspettata conferma. Il Socio ed Amico mio, l’infaticabile Marchese MarceMo Staglieno, rinveniva nell’ Archivio di Stato notizia di un Agostino Noli. Il quale nel 1438 è Maestro di far carte da navigare, e dicendo di esser il solo per allora in Genova in questa arte, supplica di essere fatto immune dalla imposta; e gli viene concesso a condizione che indirizzi all’ arte stessa il fratello. Questo fratello, di cui non è scritto il nome, chiede il March. Staglieno, non potrebbe essere l’Antonio Noli di cui sopra, o altro de’ suoi compagni? O 'almeno non sarebbero legati i due cartografi di stretto vincolo di sangue coi tre Navigatori? tanto più visto il costume che aveano nel medio evo questi ultimi di delineare essi medesimi le carte marittime. Sia che vuoisi di ciò, l’identità dei due Antonii è oggimai condannata senza appello per la comparsa di nuovi documenti. Da un lato vedemmo 1’ Usodimare morto già nel 1462; dal-1’ altro troviamo pel sig. Codine i documenti che provano Γ Antonio Noli essere vissuto fino al 1497» lasciando una sola figlia, Bianca d’ Aguiliar. Ritorna dunque in campo la GIORNALE LIGUSTICO quistione: come si conciliino le due scoperte delle medesime isole nel 1456 e 1460. Il dotto Cardinal Zurla già lo sospettò e il sig. Codine scioglie il nodo assai acconciamente a mio avviso. Si sa che in que’ tempi di difficile e lontana navigazione un isola poteva essere scoperta più d’ una volta senza che uno sapesse dell’altro: oppure poteva essere scoperta la prima volta ma di volo; o essere scoperta solo e in parte un isola faciente parte d’un gruppo, il quale veniva più tardi riconosciuto con più agio, e presone possesso o anche postavi una colonia. E questo secondo è proprio il caso qui; 10 sa e lo dice egli stesso il Cadamosto: quelle isole che egli e 1 Usodimare aveano scoperte, furono poscia rivisitate meglio e trovate dieci in numero. E noi sappiamo che anche 11 Noli vi ritorno, vi formò una colonia, e rimase Governatore pel Re a Sant’Jago fino alla sua morte. Di che quel gruppo piglio nome di Isole d’ Antonio, come sono chiamate in Candido Lusitano, e da altri Portoghesi e Spagnuoli. La celebre carta di Giovanni della Cosa del 1500 cosi pure le nomina; ed io stesso vidi nella Biblioteca Nazionale di Parigi un portolano anonimo e senza data, ma di que’ tempi, segnato N. 12,536 ove a fianco a quel gruppo si legge: que (insule) invente sunt a quodam genuense cuius nomen erat an-thonius de noli a quo insule ipse denominate sunt et nomen adhuc retinent inventoris (1). Per siffatta guisa il racconto delle successive navigazioni dell Usodimare e del Noli procede limpido ed ha tutto 1’ a-spetto della verità. Tuttavia rimarranno sempre alcune diffi- (1) Archivio di Stato, Foglialo di Cancelleria num. 31, 1438 4 n0' \embre e 10 dicembre. Ivi anche vedi il Manuale Conventionatoruin 143^· E vedasi pure: Belgrano, Reso-conto della Società Ligure di Storia Patria nell’ Archivio Storico Italiano del 1872, pag. 173 ; Zurla, Di Marco Polo e d’ altri Viaggiatori, 1818, II, 160; Carta maritima di Giovanni Della Cosa nel Jomard, Monumenti de la Gcographie. giornale ligustico 277 colti nel conciliare tutti i particolari. Oltre qualche errore di data cosi facile a insinuarsi, e che difatti si trova in tutti i simili scritti, i viaggiatori inchinano sempre più 0 meno ad esagerare essi, e a credere (specie nel medio evo) le cose più strane, perfino le impossibili. Gli interpreti, come i Ciceroni in generale, aggravano la soma degli errori; od anche in buona tede, Γ imperizia delle lingue cosi diverse e la lontananza delle terre di cui si vuol prender cognizione danno luogo a malintesi. Sono questi errori di data, queste assurdità od apparenze di contraddizione nei racconti di cui parliamo, che rilevò con ingegno e dottrina il sig. Major. Il quale scrivendo la vita del Principe Enrico è naturale che siasi innamorato del suo soggetto; e che senza avvedersene propenda a magnificare anche oltre il giusto le glorie portoghesi : glorie grandissime che nessuno vorrà negare, ma che appunto perciò non hanno mestieri di invidiare anche le altrui. Il dotto Inglese pretende dunque che il primo viaggio di Cadamosto e dell’ Usodimare siasi prolungato dal 1455 al 1456, e che il secondo viaggio e la scoperta delle isole di Capo Verde non sia che un impostura inventata dal viaggiatore veneziano. Ma il sig. Codine con critica paziente e sagace esamina per singolo le obbiezioni e le ribatte. Nota Γ errore del sig. Major nello scambiare il Capo Rosso di Casamansa col-Γ omonimo vicino a Serra Leona; spiega un altro equivoco tra le due date della scoperta; distinguendo il san Giacomo di luglio dai Santi Giacomo e Filippo di maggio; fa vedere come appunto la diversità di queste stagioni in que’ climi dia alle stesse isole un aspetto affatto diverso, or secco , or piovoso; le qualità e le direzioni dei venti sono spesso non solo errate in simili scritti, ma solite a scambiarsi coi rombi, che renderebbero un senso affatto opposto nel discorso e va dicendo. 27S GIORNALE LIGUSTICO Ma il dotto Inglese non è pago d’ aver posto in dubbio la prima vista delle isole di Capo Verde incontrate dal Cada-mosto e dell’Usodimare: egli rifiuta anche al Noli la seconda scoperta e ne vuol dare Γ onore a Diogo Gomez. Tale onoie invero se lo appropria questo Portoghese in una relazione che fu stampata dallo Schmeller nel 1847 fra gli atti dell Accademia bavarese delle scienze. Il Gomez concede essersi ti ovato in compagnia del Noli quando scoprì quelle isole, ma vantasi essere egli lo scopritore; volle essere egli e fu difatti il primo a discendere in quelle terre; senonchè il Noli pigliando vantaggio d’ un vento più favorevole, corre primo al Re e per sorpresa ne ottiene egli il premio. A questa nuova obbiezione il sig. Codine risponde che stando al detto stesso del Portoghese, questi non potè vedere le isole che nel 1462: due anni dopo che erano già scoperte 0 riconosciute dal Noli ; di che si vede che quest’ ultimo ritornando altra volta in compagnia del Gomez volle fare a costui una gradita sorpresa, conducendolo alle nuove terre. Del resto Diogo Gomez si dà torto da per sè, accennando alla carta marittima che ;?vea già tra le mani, e che trovando poco esatta egli potè correggere dopo la pretesa scoperta. Allo stesso modo il Principe Enrico quando mando a scoprire 0 meglio a riconoscere le Azore, avea la carta in cui esse erano già delineate (1). Qui il dotto Francese ritorce un argomento che l’inglese stesso avea recato a proposito della scoperta dell’ isola di Madera. I Portoghesi, questi diceva, non ne avrebbero mai attribuito 1’ onore ad uno straniero se il fatto non fosse av- (1) Sckmeller , Ueber Valentin Fernande^ ... . ùberdie entdeckungen der Portugiesen; Mùnchen, 1847, pagg. 18-34. Il quale anch’esso, pag. 33 in nota, crede all’ identità de’ due Antonii; Santarem, pag. 253 dell’ Op. cit., e nelle sue note alla Cronica d’A^mara, pagg. 449-456; Major, pagg· 277-99; Codine, loc. cit., §§ X, XI, XII, pagg. 55-98. GIORNALE LIGUSTICO 2?9 venuto cosi. Ebbene anche qui, Γ onore e il vantaggio furono riconosciuti ad uno straniero, ad un Genovese; e furono riconosciuti dal Re e dal popolo tutto portoghese. Questi diede a quel gruppo il nome d’isole d’ Antonio come già notai : il Re nominò il Noli al governo, vita durante, delle isole scoperte. L’inverosimiglianza la nullità delle pretese del Gomez salta agli occhi da sè. Come? Egli fedele e favorito servitore del Re, come si dichiara, egli comandante superiore delle forze portoghesi sulle coste d’ Affrica, si lascia strappare di sorpresa e da uno straniero i frutti si onorevoli che lucrosi della scoperta ? E non solo se li lascia strappare, ma non giunge mai più ad impedire che quello straniero duii a godere di que’ frutti e ne pervenga vantaggio anche alla figlia di lui? Alla peggio infine poniamo per vero tutto che dice il Gomez, lo scopritore non sarebbe egli solo ma due; giacché Antonio Noli vide l’isola nel tempo stesso. Nè importa punto il fatto materiale, dello scendere che fece il Gomez a terra pel primo, a cui, come dotato digrado superiore nella marina, Antonio Noli poteva condiscender? senza pregiudizio de’ propri diritti. Ho avvertito sopra che il eh. Graberg facendoci grato dono di più brani dell’ Itinerario Usodimare , non potè evitare parecchi errori di trascrizione. I Dotti espressero più volte il desiderio di vederne una edizione nuova e corretta. Il lodato prof. Heyd aggiunge in una sua lettera privata il desiderio che sia stampato per intiero l’itinerario: ben rilevando egli che quelle leggende e notizie, per quanto in barbaro stile e cosperse non raro di favole, pur \algono a darci qualche lume di geografia storica, od almeno a chiarire lo stato delle cognizioni contemporanee a tale riguardo. Perciò lo stesso Professore avea intrapreso e ci comunicò un confronto tra le leggende della carta catalana del 1375 e 28ο giornale ligustico quelle più o meno analoghe che egli potè raccogliere dalla carta genovese di Bartolomeo Pareto e dall’ Itinerario di Antoniotto; secondo i sunti che ne porgono 1’Andres e il Canale. La Società nostra per mio avviso farebbe opera buona a secondare que desiderii; forse anche si accorcerebbe il tempo della pubblicazione, inserendo nel Giornale Ligustico frattanto quelle parti che offrano maggiore importanza. A questo punto il socio Desimoni si riserva di proseguire la sua Relazione in una successiva tornata. XIII. Sezione di Storia Tornata del 21 marzo. Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Alizeri presenta la copia di un atto da lui trovato fra 1 rogiti di Gabriele Pelo nell’ Archivio Notarile, e datato dell 8 settembre '1579. Risulta da tale scrittura come Paolo Foglietta, lodatissimo per molte poesie nel nostro dialetto, si accordasse con parecchi gentiluomini « d’operare che monsignor Oberto Foglietta suo fratello scriva l’istoria delle cose fatte da’ Genovesi cominciando dalle più antiche memorie che si trovano delli Liguri e della città di Genova »; e come i detti gentiluomini aprissero tra di loro una sotto-scrizione, allo scopo di corrispondere una adeguata ricompensa allo storico. Il documento verrà pubblicato per esteso nel supplemento che si prepara agli Annali tipografici della Liguria, per opera de’ socu Giuliani e Belgrano, e che si confida di mettere a stampa nel corso del prossimo anno accademico. Ripiglia quindi il socio Neri la lettura de’ suoi Appunti GIORNALE LIGUSTICO 281 • · storici intorno a Flippo Casoni (1); ed espone come questi poich’ ebbe ricuperata la libertà, si adoperasse per procacciarsi dagli Inquisitori di Stato la licenza di dar fuori la prima parte degli Annali della Repubblica; tocca del magistrato che presiedeva alla stampa, e produce la relazione che intorno all’ opera venne fatta dal Magistrato medesimo. La quale poco benevola essendo, fu cagione che il manoscritto se ne rimase nella Cancelleria degli Inquisitori, senza che ne uscisse per allora altro provvedimento, non ostante le replicate sollecitudini di Filippo. In processo avendo composto la Vita di Luigi XIV ed ottenuto il permesso di mandarla in pubblico , videsi, dopo impressi dieci libri, vietato il continuare ; pel che ricorse ai Collegi, i quali udite le ragioni degli Inquisitori sancirono il divieto, e costrinsero Γ autore a disperdere i fogli già stampati ; ond’ egli' pubblicò i due primi tomi del-Γ opera in Alilano nel 1706. Intanto e’ dava mano a mettere insieme la seconda parte degli Annali e ad avvocare nel foro, come ci testimoniano alcune allegazioni che di lui rimangono. Riuscitagli vana la domanda d’ essere ascritto alla nobiltà, porta nel 1705, volle ripeterla nel 1708, profferendo insieme fare imprimere gli Annali del secolo XVI a sue spese. Non gli fu consentita l’ascrizione, si la stampa, essendosegli questa volta mostrati assai benigni gli Inquisitori. Il Disserente reca la relazione da essi fatta, ne rileva le diversità a confronto dell’ antecedente, e spiega con breve digressione alcune parole della medesima che riguardano somme pagate a storici bugiardi, argomentando sieno indiritte a ricordare quel Girolamo Brusoni, il quale pagato da’ Serenissimi per iscrivere la guerra del 1672 molto male li servi. Dice poscia il Xeri dei domestici dolori di Filippo orbato in breve lasso di tempo (1) Yed. a pag. 184. Non avendo più luogo la stampa dell’ opera del Casoni quivi annunciata, gli Appunti storici compariranno a suo tempo in questo Giornale. GIORNALE LIGUSTICO del padre e della consorte; de’ nuovi legami che e’ contrasse nel 1710 e.dell’unico figlio che n’ebbe. Racconta come del 1721 presentasse ai Collegi la Storia del Bombardamento di Genova ne,l 1684, domandando gli si concedesse stamparla ; ma a ciò non avendo assentito , e ricordatogli che tale avvenimento e poteva in breve compendiarlo negli Annali da tredici anni promessi, Filippo trasmise incontanente quest’opera agli Inquisitori insieme con una relazione speciale intorno i Successi del Contagio in Liguria nel 1656 e 1657. Nel- 1 anno stesso 1721 usciva in Milano il terzo ed ultimo volume della f ita di Luigi XIV; ma la Storia del Bombardamento dura inedita anche oggidì. Con Γ opportunità della suddetta· trasmissione, Filippo di bel nuovo chiedeva di essere ascritto, e fu pago. Del pari fece ascrivere nel successivo anno 1722 suo figlio Tommaso; del quale serbatisi manoscritte alla Beriana le Note sopra varii passi storici in confutazione delle Memorie riguardanti la superiorità imperiale su Genova e San Remo. Manco dopo lunga malattia a’ 3 giugno 1723. Il Disserente per ultimo ragiona delle vicende toccate agli Annali rimasti inediti fino al 1799; discorre della pessima stampa che ne fu allora eseguita ; e si dilunga intorno alla rifot ma fattane dal Gritta, giovandosi pel confronto del manoscritto da questi corretto e deposto nell’ Archivio di Stato. Dimostra come il Gritta resecasse dall’ opera alcuni brani, malamente togliesse frasi o parole, ed arruffasse la sintassi con grave danno della semplice e piana esposizione dell’ Autore. Brevemente divisa quindi le altre opere suindicate, e nota siccome giustamente lodata quella che narra i Successi del Contagio : chiude con un succinto giudizio sul merito del genovese annalista. GIORNALE LIGUSTICO 283 VARIETÀ Società dell’ Oriente Latino. — L’ Accademia francese delle iscrizioni e belle lettere imprese nel 1844 e proseguì con perseveranza la pubblicazione del %ecneil des Historiens des Croisades, opera monumentale destinata ormai a servire di fondamento a tutti gli studi storici serii su\Y Jpriente Latino , che è quanto dire i regni di Gerusalemme, di Cipro e d’ Armenia, i principati d’ Antochia e d’ Acaia, 1’ impero latino di Costantinopoli. Se non che, oltre a questi testi molto diffusi e che direbbonsi classici, esistono pure ne’ vari depositi pubblici d’ Europa una gran copia di documenti storici e geografici di un ordine secondario, tuttora inediti o rarissimi , i quali benché cercati e desiderati grandemente, non potrebbero però trovar posto nell’ accennata Collezione se non in capo a lunghissimi anni. D’ altra parte v’ ha pure buona messe di monumenti, i quali vennero fin da principio messi in disparte nel piano della Collezione stessa; ed i pellegrinaggi in Terra Santa sono per 1’ appunto di tal numero. Riunire e pubblicare con uniformità di tipi e di regole tutti questi materiali, di una parte de’ quali manca persino la bibliografia, e che nondimeno una volta adunati reche- O * rebbero un sussidio immenso alla Storia del medio evo ed anche all’ archeologia biblica, parve opera utile e bella a parecchi valorosi e dotti francesi : De Barthelemy , Delisle , Egger , Guérin , De Marsy , De Mas Latrie , Rey, Riant, De Rogière, De Saulcy, Schefer, Tobler. Mossi perciò da nobili ed elevati intendimenti, gittarono essi le basi di una istituzione foggiata sulle norme dei Chibs inglesi, e che intitolarono giustamente Società dell’ Oriente Latino. Queste cose rileviamo dal Programma che i sullodati fondatori hanno testé messo a stampa ; e noi ci affrettiamo a 284 GIORNALE LIGUSTICO divulgarne la notizia, persuasi che ognuno intenderà di leggeri il grande vantaggio che dalle pubblicazioni della Società in discorso non può' mancar di derivare al progresso della storia della Penisola italiana, segnatamente per quanto si rag-guarda alle nostre colonie, a’ nostri commerci, alla nostra navigazione. Del resto i propositi della Società dell’ Oriente Latino si desumono anche meglio dal Regolamento Generale che va unito al Piogramma. Il quale dispone che le pubblicazioni della Società saranno annuali e di due specie, cioè : due volumi di testi inediti, ed una riproduzione fototipografìca di documenti rarissimi od unici. Di ogni volume de’ testi si stamperanno cinquecento esemplari numerati, su diverse foggie di carta, ma di cui poco più di un centinaio son destinati al commercio. Consterà ogni volume di circa 300 pagine, ed avrà il formato delle Chronicles and Memoriali of thè Great Britdin. Delle riproduzioni si faranno appena quaranta copie corrispondenti al numero de’ membri titolari della Società, e percio esclusivamente riservate ai medesimi. La collezione dei testi avrà il titolo di Bibliothéque de l’Orient Latin, ed abbraccerà tre serie : a) Serie Storica: Documenti, Lettere storiche e Piccole cronache inedite (1095-1500) — Progetti inediti di Crociate (1250-1600). V) Serie Geografica : Collezione cronologica dei pellegrinaggi in Terra Santa, e delle descrizioni di questa e delle contrade vicine, cioè: Testi latini impressi ed inediti dal joo al 1400, inediti 0 rarissimi dal 1400 al 1600 — Testi francesi, italiani, spagnuoli, tedeschi ed inglesi impressi ed inediti fino al 1500, inediti 0 rarissimi dal ij00 al 1600 — Testi greci, ebraici, slavi e scandinavi impressi od inediti fino al 1600 ed accompagnati da una versione latina. — Ogni volume di questa serie sarà corredato da una carta geografica a colori. GIORNALE LIGUSTICO 285 c) Serie Poetica : Poesie e poemi latini, francesi ed in altri idiomi dal 1100 al ijoo. Le fototipografie riproduranno : i pellegrinaggi in Terra Santa, i fogli volanti, i giornali di Crociate, ecc. ecc., impressi nel secolo XV e nei primi venticinque anni del XVI; nonché i documenti analoghi i quali, benché di data posteriore, non esistono che allo stato di esemplari unici o rarissimi. Testi e fototipografie inoltre saranno accompagnati da prefazioni o notizie bibliografiche; e de’ primi si noteranno le varianti de’ codici e formerannosi indici copiosi. La Società si proporrebbe pure di radunare e pubblicare in due volumi la Cartografia dell’ Oriente Latino nel medio evo, producendo per fac-simili i monumenti geografici che riguardano quelle contrade e precedono il 1500; la Numismatica , la Sfragistica e 1’ Epigrafia delle contrade medesime. Facciam voti che questa Società incontri dovunque il favore che merita il suo nobile scopo , e che le assicurano gli illustri nomi de’ suoi fondatori. Ben sappiamo che nel novero de’ volumi che essa si propone di mandare in luce non saranno pochi né di lieve importanza i documenti riguardanti la storia genovese (1). Gli Archivi dello Stato. — In conformità dei principii stabiliti nella Relazione Ministeriale da noi accennata a p. 195, con R. Decreto del 31 maggio p. p. furono istituite le Sovrin- (1) La Società sullodata dee comporsi di quaranta membri titolari, francesi e stranieri ; e gli Istituti scientifici possono formarne parte facendosi iscrivere con questa qualifica di titolari. La quota annuale che dee corrispondersi da ogni titolare è di 50 lire. Sonvi poi 350 associati soscrittori, i quali pagano ij lire. Appositi articoli regolano le elezioni dedi Ufficiali della Società, e stabiliscono le norme per la sua amministrazione nonché per lo indirizzo e la distribuzione delle pubblicazioni; le quali devono essere fatte in guisa che alla fine di ogni decennio si abbiano 12 volumi per la Serie Geografica, .4 per la Serie Storica e 4 per la Poetica. 22 286 GIORNALE LIGUSTICO tendenze agli Archivi di Stato. Sono queste in numero di dieci: i. degli Archivi piemontesi; 2. dei liguri; 3. dei lombardi; 4. dei veneti; 5. degli emiliani; 6. dei toscani; 7. dei romani ; 8. dei napolitani ; 9. dei siciliani ; 10. dei sardi. Inoltre con Decreto di pari data, S. M. sulla proposta del Ministro dell Interno ha nominato : il comm. prof. Nicomede Bianchi sovrintendente degli Archivi piemontesi ; il cav. uff. Marcello Cipollina id. dèi liguri; il comm. Cesare Cantu id. dei lombardi; il cav. Teodoro Toderini id. dei veneti ; il cav. prof. Amadio Ronchini id. degli emiliani ; il comm. Biagio Miraglia id. dei romani, il cav. Isidoro La Lumia id. dei siciliani ; restando cosi da provvedere ancora alle Sovrintendenze toscana, napolitana e sarda. Alcuni giornali aggiungono che la sede della Sovrintendenza emiliana sarebbe fissata in Bologna, dove il Consiglio per gli Archivi avrebbe deliberata Γ istituzione di un Archivio Centrale. In tal guisa attuerebbesi un disegno già da parecchi anni caldeggiato dal Governo non meno che da quel Municipio e della R. Deputazione sovra gli studi di storia patria per le provincie dell’ Emilia. Burrasca a Milano nel 1667. — La furiosa tempesta che negli ultimi giorni di giugno passato si scaricò sopra Milano, ci richiama a memoria la notizia di un simile disastro il quale ebbe a colpire la stessa città nell’ agosto del 1667. Di che è parola in una lettera indirizzata alla Signoria di Genova dall’ agente della medesima Gio. Battista Fieschi, la quale serbasi nel suo carteggio all’ Archivio di Stato (1) ; e che noi pubblichiamo anche pel cenno che vi si fa di una Congregazione o Scuola che in Milano aveano i Genovesi. « Serenissimi Signori. — Venne li giorni passati qua in Milano una tempesta tanto fiera, che a memoria d’ homini (1) Milano, mazzo 8. giornale ligustico 287 non si è mai vista tale; ha rotto tutti li tetti, invetriate ed ogni altra cosa dove ha potuto colpire , e particolarmente verso la Porta che domandano Vercellina dove resta il Convento di San Francesco, e congionto a quello la Scola della Natione Genovese, fabrica assai bella e grande, come a qualch uno de Loro Signori Serenissimi doverà esser noto. In essa si celebra la Santa Messa con farsi altre devotioni dai Nostri Genovesi; ma come che la maggior parte sono povera gente, non è possibile poter da essi cavare quel danaro che bisogna per restaurare il grosso danno che ha ri- ' cevuto la detta Scuola, che non sarà bastante lire 1400; e perchè conviene ripararvi subito, mentre che le acque penetrando su la volta con facilità potrebbero farla cadere , si è andato pensando non esservi altro modo che di ripartire la detta spesa sopra li redditi che qua si scuodono, che verrà ad essere ad ogn’ uno in particolare cosa di un terzo per cento in circa sopra li frutti. Ne ho voluto dar parte a VV. SS. Serenissime come Padroni che sono dell’ istessa Scuola, acciò quando così Le paia acettato possino confermarmelo con loro benigni comandi..... « Milano, li 27 agosto 1667. « Dev. Servitore « Gio. Batta Fiesco. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Lettere filologiche e critiche 'di Prospero Viani — Bologna, Zanichelli 1874. Quanto valente filologo e leggiadro scrittole sia il Sig. Prof. Viani è oggimai così manifesto, che sarebbe soverchio ripeterlo qui. La nuova sua pubblicazione giugne eziandio opportuna a mettere maggiormente in sodo questo vero, sì vedesi dettata con copia grande di savere, e acutezza di 288 GIORNALE LIGUSTICO critica, e festosa urbanità da restarne a gran pezza consolati. La ragione del nostro giornale ci stringe a passarci dal noverare partitamente le dottrine magistrali esposte sul fatto della lingua , e solo giovi il dichiarare che ci persuadono ; così ci satisfà Γ ordine e la guisa in che sono dettate. Ad una sola delle tre lettere critiche ci fermeremo adunque, a quella cioè intorno alla morte di Jacopo Bonfadio, preposta ad alcune poesie inedite a lui attribuite. Nanzi tutto conveniamo affatto nel giusto giudizio che Γ egregio filologo ci porge dello scrittore , e ci consola il vederlo lodato come storico non partigiano, ma veritiero ed imparziale, ora appunto che nella recente storia del eh. Canale ebbe nota di bugiardo e vendereccio. Sono eziandio gravissime ed egregiamente discorse le ragioni onde si conclude tosse P infelice annalista dannato pel turpe delitto di pederastia , ed ora possiamo far pubblica la nota da noi ritrovata nei Cartulari della Repubblica, e che toglie intorno a ciò qualsivoglia dubbiezza. Adunque nel Cartulario del 155° ll carte 162 è scritto: Jacobus Bonfadius prò partita de libns }4—· quia sunt pecunie reperte in eius personam tempore quo fint m-carceratus prò crimine sodomitico. E poiché ci è occorso dir parola dei Cartulari, ci consenta il eh. Autore scagionare gli editori genovesi delle opcie del Bonfadio, dalla nota d’ inesattezza eh’ ei loro comparte nella 1 1 annotazione 1 (pag. 295), là dove recando il branetto <>e Cartulario 1547 che segna lo stipendio del Bonfadio, come annalista e pubblico lettore, in lire 297 e soldi 10 pei mesi sei segue dicendo : « Gli editori genovesi delle opeie del Bonfadio stimano che questo onorario tosse per tutti due gli uffici, annalista e lettor pubblico. Non posso crederlo. L e-molumento dei Pubblici Lettori specialmente chiamati di fuori, era in. quei tempi maggiore anche nelle piccole citta. GIORNALE LIGUSTICO 289 L’ avere in oltre allibrata la partita colle parole in primo luogo curam, habens scribendi Annales Reip. mi persuade che quella era la sola rimunerazione di quest’ ufficio temporaneo. Da que’ Cartolari potrebbe sapersi il mese preciso del 1545 che il Bonfadio portossi ai servigi della Repubblica ». Possiamo assicurare il Sig. Viani, che nei citati .Cartulari incominciando dal 1 novembre 1544 si trova allibrato il conto del Bonfadio per entrambi i valori sempre così : Jacobus Bonfadius habens curam scribendi annales et lector publicus ; dal che si trae che egli ebbe contemporaneamente tutti e due gli uffici, e quel habens curam scribendi annales dessi intendere per continuo ufficio di Storiografo, come ci è provato dalla sua storia stessa che giunge ai primi mesi del 1550, e si può ben dire al tempo della sua carcerazione, la quale avvenne per fermo dopo il marzo di quell’ anno leggendosi 1’ ultimo pagamento del suo onorario sotto li b marzo 1550. Affermato così doversi intendere le lire 297 e soldi 10 pagate semestralmente per ambi gli uffici, vediamo se sì fatto stipendio era poi tanto misero come lo ha creduto il eh. Viani. Trascriviamo a tale proposito il calcolo ragionato favoritoci dal dotto e cortese amico nostro Cav. De-simoni, della archeologia e della numismatica, come ognun sa, espertissimo. Eccolo. « Consta per documento ufficiale negli Archivii genovesi di Stato che nel 1541 lo scudo d’ oro detto delle 5 stampe (cioè di Genova, Venezia, Firenze, Spagna e dell’ Imperatore) era ragguagliato al taglio di 93. "2/3 per libbra genovese e al titolo di carati 21 7/8, 0 millesimi 911. » Ciò posto esso scudo d’ oro dovea pesare grammi 3, 381; ma, contenere d’ oro fino soli gr. 3, 08. I quali grammi d’ oro fino all’ odierno valore dell’ oro monetato di L.it. 3 4U/iooo per grammo, tornano a L.it. 10,61 per ogni scudo. » Esso scudo valeva allora lire 3 e soldi 8; per cui una 290 GIORNALE LIGUSTICO lira del 1541 corrisponde a L.it. odierne 3 121/iooo· Quindi lire 297 Y2 del 1541 equivalgono a lire odierne 928, 50. « Ciò s’ intende in valore intrinseco dell’ oro : ma si sa che nei secoli passati una quantità d’ oro o d’ argento, bastava molto più che non oggi a soddisfare ai bisogni della vita : perciò si distingue dagli economisti il valore intrinseco o metallico dall estrinseco o commerciale. « Si starà più al di sotto che al disopra del vero ammettendo che pel secolo XVI il valore commerciale sia maggiore del 50 per cento di quello intrinseco; perciò uno stipendio semestrale di quel tempo in lire 928 50, per lo meno si potrebbe oggi calcolare come un altro di L. 1392, 75 ». Il Bonfadio adunque riceveva uno stipendio annuo ragguagliato al moderno Calore della moneta di L.it. 2785, 50. Sarebbe a discorrere lungamente intorno alle poesie qui prodotte, e del codice onde furon tolte, e della data appostavi che assegna la morte di Jacopo al 20 giugno 1561, ed avvenuta in carcere per via naturale non per decapitazione. Ma 1 oscurità in cui s’ avvolge quel miserevole fatto e la mancanza di documenti ci condurrebbe a sole congetture. Le investigazioni critiche del eh. Viani sono belle e, se vuoisi stringenti, ma fino a che non si possa dare una solenne mentita al libro della Misericordia dove hannovi queste parole « 155° die *9 julii Jacobus Bonfadius de contatu Brixiae decapitatus fuit in carceribus , et postea combustus » ed ai Cartulari della Repubblica, ne’ quali dopo la metà del 15 leggesi costantemente anteposto al nome del Bonfadio il quondam, non ci indurremo mai a prestar piena fede alla data trascritta nel codice in fine alle poesie. Le quali non furono ignorate da tutti come dice l’Autore (p. 251), poiché il sonetto A Christo colla data, venne pubblicato in Genova nel 1855 nel n. 15 del giornale Michelangelo, e nel n. 19 una bella lettera del prof. G. B. Cereseto discorre di essa GIORNALE LIGUSTICO 29I data augurandosi per onore dell’ umanità poterla sostituire a quella del libro della Misericordia ; trascrive di più alcuni versi della canzone 0 figlie, della terra che nel codice susseguita al sonetto. E qui è da osservarsi come il eh. Sig. Viani siasi fermato alla carta 164 a copiare le poesie attribuite al Bonfadio, mentre, secondo vedesi dall’ indice del manoscritto, corrono fino alla 173; onde non trovatisi fra le pubblicate nel recente libro la canzone citata dal Cereseto e le seguenti, e a vero dire sembrane! le migliori. Non possiamo passarci dal dichiarare che gravissimi dubbj si volgono per la mente nostra sulla autenticità di quelle poesie, ed eziandio delle due lettere d’ Jacopo or non ha molto edite dal eh. Sig. Ceruti, come egli dice, sugli autografi e qui riprodotte, dubbj che sono accennati altresì dal Sig. Viani; lasciamo però ad altri più valenti 1’ addentrarsi in sì fatte investigazioni, paghi d’ aver avuto lieta opportunità di far conoscere ai nostri lettori una novella opera del dotto uomo, insieme con alcune particolarità intorno al Bonfadio fino a qui ignorate. *Poemetti di Francesco Ramognini. — Pinerolo, Tip. Chian- tore e Mascarelli 1874. Non è per fermo agevol cosa il tratteggiare per via ritmica gli avvenimenti storici, avvegnaché sovente alla rude verità spoglia d’ ogni poetica vigorìa faccia velo immaginazione, o per contro questa si trovi in compagnia di quella a mal partito ; di guisa chè breve è il novero di que’ buoni poeti usciti* da sì fatte pastoje con onore. Ma il colto Sig. Ramognini le cennate difficoltà conosce, e in accomodate parole e’ le divisa innanzi ad ogni Carme. Quelli accolti in questa edizione sono tre: L' assedio di Torino - Pinerolo -Genova, colla giunta d’ alcuni versi al Principe Umberto che visitò Pinerolo nel 1873. Senza uscire in vane declamazioni, ci drappella l’autore i fatti storici a seconda ce li producono i più reputati autori, e perchè giovi in uno a conforto e alla più piana intelligenza aggiugne erudite annotazioni, nelle quali alcuna fiata discute con sagace critica le opinioni degli storici. Così ci piacque vedere con quanta saggezza GIORNALE LIGUSTICO fece suo prò dei documenti pubblicati negli Atti della Società Ligure di Storia Patria, e come acutamente rilevò certe riposte verità non per anco ben chiarite. Savignone e Val di Scrivici, Passeggiate Apennine per Emanuele Celesia — Genova, Sordo-muti 1870. Colla usata maestria il eh. Autore si fa a svolgere la descrizione storica di quel tratto di paese che prende nome dalla Scrivia , e tocca altresì della istoria naturale senza tacere dei costumi, delle tradizioni, delle leggende che al sub-bietto s’ innestano. Così il lettore può con diletto istruirsi, apparando le vicende di Savignone, dalle ville e borghi che serra nel suo territorio e dei finitimi ; conoscerà 1’ origine del castello feudale e delle più cospicue chiese eh’ ivi si innalzano ; avrà un succoso sunto della guerra fra i Genovesi e il Duca di Savoja nel 1625 vinta dai nostri in que’ pressi; troverà una ovvia spiegazione ai racconti leggendari dei montanini, s’ allegrerà colla vivezza de’ festevoli ed amorosi canti villeschi : in fine, recando le molte parole in una , saprà grado al Comm. Celesia , che anche questa fiata, com’ è suo costume , ha trovato modo di istruire con diletto. Il Buonarroti di Benvenuto Gasparoni continuato per cura di Enrico Narducci. Roma Tip. delle Scienze Matem. e Fisiche 1874. Fase. I e II. Fase. i.° I. Il libro di Ferdinando Colombo (G. Uzielli) — IL Giulio Monteverde e le sue opere (A. Corvisieri) — III. Del-l’antica numerazione italica e dei relativi numeri simbolici (Rocco Bombelli) — Elegia De Christonato di V» Monti volgarizzata da G. Monti — Necrologia del Prof. P. Gambaro (B. Capogrossi Guarna) — VI. Bibliografia. Fase. 2.0 VII. Brevi considerazioni intorno la melodie del canto popolare (G. Frizzoni) — Vili. Due iscrizioni cufico-sicule illustrate (G. Frosina Canella) — VIII.bis Dell’ antica numerazione italica (R. Bombelli) — IX. L’Illiade del Cesarotti e del Monti (A. Monti) — X. Bibliografia — XI-Lo scoglio (A. Tamburello). Pasquale Fazio Responsabile. Anno I. Agosto 1874. Fascicolo S GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI T)i una iscrizione murata sulla porta della chiesa parrocchiale di Rapallo, Memoria letta dal sac. Marcello Remondini nella tornata della Sezione Archeologica della Società Ligure di Storia Patria il 18 gennaio 1873. Onorevoli Soci, Sul finire dello scorso anno accademico ebbi Γ onore di consegnarvi la raccolta delle Iscrizioni cristiane anteriori al secolo XII che mi venne fatto di mettere insieme. Ma un’ i-scrizione che, secondo or me ne pare, a queste apparterrebbe non vi ebbe luogo. Dico la piccola lapidetta che si trova murata sull’ esterno della porta maggiore della chiesa parrocchiale di Rapallo. La sua oscurità, più che il giudizio datone dai nostri vecchi, me Γ avea fatta tralasciare. Se non che anche a questa è d’uopo dare un posto, intenti come siamo a raccogliere tutte le vecchie epigrafi. Di qui la necessità di studiarla come feci, e dallo studiarla il pensiero intorno ad essa che amo, 0 Signori, di comunicarvi, per sentire da Voi se in quel modo che io l’intendo può essere ammessa nella nostra raccolta. La iscrizione consiste in un assieme di lettere scolpite in un marmo alto 24 centimetri largo in capo 15 e nella base 13, altre più altre meno grandi, con parecchi segni di abbreviazione , e il tutto disposto con poco ordine. A farvene una esatta idea, miratene qui la riproduzione (1). Questo marmo fu rinvenuto in un arco l’anno 1596; e (1) Vedasi l’annessa Tavola ridotta al quarto della grandezza originale. 2? 294 GIORNALE LIGUSTICO come monumento creduto mirae vetustatis e perciò di insigne valore, ab ostili ubi mine est chorus existentis fornice fu nel i 606 trasportato sulla facciata della chiesa. Odoardo Ganducio che del 1614 ne mise a stampa il contenuto, ci fa sapere che questo fu da molti letterati d’Italia visto e considerato, e che a que’ giorni un dottor piacentino abitante a Cremona ne diede una interpretazione che fu allora accettata (1). Difatti la già citata leggenda del 1606, attribuendo alla chiesa una preclara origine tutta fabbricata sopra questa interpretazione, ben ci mostra come si avesse in conto d’irrefragabile documento. Sentitela qui un tratto, chè sta bene conoscerla. TEMPLVM Q.VINQVAGESIMO SEXTO AVGVSTI — CAESARIS ANNO ET A DOMINI NOSTRI NATIVITATE — DECIMO QVARTO OCTAVA IDVS AVGVSTI GENTILIVM — DEIS DICATVM. CONSTANT HAEC E MARMOREO--MIRAE VETVSTATIS LAPIDE AB OSTII VBI NVNC — EST CHORVS EXISTENTIS FORNICE IN HVJVS — SVPERIOREM PARTEM TRANSLATO — TEMPLI CVRATORIBVS D. D. AVGVSTINO — CAGNONO NICOLAO CHIGHIXOLA — CAROLO LENCISA ET BAPTISTA JVDICE — ANNO MDCVI DIE XV OCTOBRIS. Ma donde mai tutto ciò, o Signori? Ve l’ho già detto: dalla interpretazione del dottor piacentino. La quale mentre allo stesso Ganducio, secondo che egli si esprime, non finisce di soddisfare per certe difficoltà che egli espone con tutta ragione benché non in tutto egualmente la indovini, fu poi assolutamente condannata dal dottissimo Oderico ne’ suoi mss. della nostra Biblioteca Universitaria. Il dottor piacentino, cominciando dall’ A che è in basso e saltellando sulle lettere della lapide come un passero farebbe sulle diverse frasche di un arboscello, legge cosi : anno (1) Ganducio, 'Discorso sopra Γinscrittione overo epitafio ritrovato a Tortona ecc., pag. 55 e segg. GIORNALE LIGUS TICO 295 QVINQVAGESIMO SEXTO AVGVSTI CAESARIS MENSE SEXTILE DIE sexto factum. E siccome gli sopravanza ancora una lettera, cosi e tira via battezzandola per un segno di abbreviazione: APEX OB BREVITATEM. Tale è dunque la più antica spiegazione di questa epigrafe. Ora sentite come la intesero altri in appresso. E primo il Ganducio stesso, il quale con tutto che nel corpo del suo dissertare ce la dica un enigma, ed affermi non dargli l’animo di esporla, pure in margine a modo di postilla mette una spiegazione non so se sua 0 di altri in questi termini: diis MANIBVS CAESARIS FILIO AVGVSTO ANNO QVINQVAGESIMO SEXTO LOCVM VIVENTE MANDAVIT SENATVS. Viene terzo il dottore Giovanni Agostino Molfino il quale nel 1673 proponeva: anno lvi caesaris avgvsti imperatoris SEXTILI MENSE SEXTA DIE FACTVM Vii SACRVM. Vil vid Versa (dice egli) haehraeo more melius legas: sacrvXì manibvs diis MENSE SEXTILI IMPERATORIS AVGVSTI CAESARIS LVI ANNO (i). Segue nel 1720 il Piaggio, il quale per altro dalle anzidette interpretazioni poco si scosta, e legge: diis manibvs sacrvm CAESARIS AVGVSTI ANNO QVINQVAGESIMO SEXTO LVNAE SEXTO MENSE SECVNDO (2). Nel Paganetti poi, oltre le qui sopra riferite s’incontrano tre altre spiegazioni (3). La prima: ligvres sexta mensis sextilis deae minervae SACRABANT AVGVSTI CAESARIS ANNO QVINQVAGESIMO SEXTO. La seconda : sancto martyri calimero factvm anno qvin- QVAGESIMO SEXTO AVGVSTI QVINQVAGESIMO SEXTO MENSE. (1) Foglietto volante a stampa, esistente nella Biblioteca del compianto socio avv. Gaetano Avignone. (2) Piaggio , Monumenta Genuensia, Ms. delia Biblioteca Civico-Beriana, voi. VII, pag. 65. (3) Paganhtti, Supplemento alla Istoria Ecclesiastica della Liguria, Ms. della Bibl. cit. 296 GIORNALE LIGUSTICO La terza: onorabili martyri calimero sacrvm qvinqva- GESIMO SEXTO ANNO GENVENSIVM ABLVTORVM LAVACRO SEXTO MENSE AVGVSTI. Un ultima interpretazione di questa scritta e, non di altra, come sembrerebbe sotto qualche rispetto, parmi finalmente si debba dir quella che trovo nel Viaggio della Liguria marittima di David Bertolotti, là dove parlando di Rapallo dice (1): « Altro monumento è un marmo con varie figure di basso rilievo (son queste per avventura il Crocifisso e le statuette de santi Gervasio e Protasio in mezzo alle quali sta appunto la nostra tavoletta) ed una iscrizione giudicata ora greca, ora orientale, ora di qualche ignota e smarrita favella, e tenuta sempre per inintelligibile affatto. E non pertanto essa è semplicemente un epigrafe in caratteri latini-barbari, stranamente collocati, intrecciati e sconvolti con foggia inusitata sì ma pure non senza esempi. Ragionevolmente la potete leggere nel modo che segue, e concedermi il meschino vanto di essere stato il primo ad interpretarla: lvis avgvstvs dicare locvm fecit , o meglio ancora dedit locvm fieri anno 856. Per Lodovico 0 Luis, come scrivevasi ancora nel Dugento, intendete Lodovico II imperatore e re d’Italia ». Fuori di queste, altre spiegazioni io non trovai; chè lo Schiaffino (2) e il Giscardi (3) si riferiscono al Ganducio; Nicolò Giusino (4) ed il Casalis (5) si attengono al Molfino; il Zuccagni-Orlandini (6) copia addirittura il Bertolotti ; l’Ode-rico ed altri si astengono dallo spiegarla. Ora che dire, o Colleghi, di tutte queste interpretazioni? (1) Voi. Ili, pag. 70. (2) ^Annali ecclesiastici ecc., Mss., voi. 1, pag. 20. (3) Origine e fasti delle chiese ecc., Ms. (4) ‘Dissertatione sopra gli uomini illustri di Rapallo, ecc. (5) ‘Dizionario ecc., art. Rapallo. (6) Corografia dell’Italia ecc., voi. Ili, pag. 1003. GIORNALI·; LIGUSTICO 297 Per me non ve ne ha una che mi appaghi. E a cominciar dalle ultime, ognun vede, che la interpretazione del Berto-lotti non può reggere in conto veruno, mentre difetta per buona parte de’ necessari elementi su cui debbe appoggiarsi. Egli vede nell’originale questi segni: lvis avgv . d . lo . f . a . octo clvi. Passsiamogli il lvis, I’avgv, l’A e il clvi; ma in grazia dov’è nell’originale la lettera D? dove la sillaba LO? la lettera F? la parola distesa OCTO? Quando il marmo si potrà leggere come fu letto da lui allora ne parleremo. E il san Calimero del Paganetti? San Calimero fu martire bresciano, e le costui reliquie non sono punto a Rapallo; nè la sua vita presenta alcun punto di contatto colle memorie rapailesi. Potea forse bastare una sola C per leggere questo nome? Nè a mio avviso valgono meglio le altre sei spiegazioni, che del nostro epitaffio vogliono fare una iscrizione romana appartenente ai tempi di Cesare Augusto o di suo figlio, 0 ad esso almeno riferentisi. Che sia de’ tempi di Cesare Augusto, od altrimenti appartenga alla epigrafia romana, lo nego recisamente; e ben fece il nostro ottimo socio canonico Sanguineti a non metterla punto nella collezione che già avemmo da lui negli ^Atti della nostra Società. Che scritta in età più bassa dia contezza di un fatto relativo a quegli antichi tempi ne dubito forte. Non a me, ma ai dotti nella storia il confutare se occorra questa secónda ipotesi; la quale quand’anche fosse vera pochissimo valore lascerebbe all’epigrafe per i mille dubbi che ammettono le iscrizioni non originali, non contemporanee. Del mio rifiutare poi la prima limiterommi qui a dar la ragione che mi porgono i caratteri stessi della lapide. Avverti già F eruditissimo nostro socio cav. Alizeri nella sua Relazione de’ monumenti più meritevoli di cura (1) che le lettere (1) Genova, Ferrando, 1859, pag. 33. 298 GIORNALE LIGUSTICO in questa breve iscrizione contenute paiono riferirsi al barbaro stile che regnava intorno al Mille; e il Ganducio medesimo trovava una delle sue difficoltà ad ammettere la interpretazione del dottor piacentino appunto in ciò, che scorgeva alcunché di forma gotica in varie di quelle lettere, dicendo : « Mi dona anche fastidio quelle lettere E (l’ultima della parola mense') e F (ossia la S interpretata factum e da altri sacrum), perchè gli Romani antichi non usavano altre lettere di quelle che domandiamo noi maiuscole, et queste hanno più presto mostra di lettere gotiche che di romane antiche ». Ora io, prevalendomi di quel .po’ di cognizioni paleografiche acquistate nelle mie continuate ricerche d’antiche iscrizioni, a quel che ne disse il prof. Alizeri aggiungerò che , non solo quelle lettere paiono riferirsi al barbaro stile che regnava intorno al Mille, ma che vi appartengono senza dubbio. E al detto dal Ganducio aggiungerò ancora, che non pur le due lettere da lui citate hanno mostra di gotiche, ma che e queste ed altre fino al numero di sei, non che alcuni segni di abbreviazione, il sono assolutamente; nè tutté le altre ripugnano punto di stare anche come tali in loro compagnia. Dal che riesce chiara ad ognuno la conseguenza: che cioè non può essere epigrafe romana, e tanto meno de’ tempi di Cesare Augusto, quella che è scritta con caratteri non conosciuti prima del Mille. Ciò, o Consoci, per mettere in disparte d’un solo colpo, se non con piena vittoria almeno con sufficiente ragione, le interpretazioni surriferite. Che se poi mi chiedeste com’ io dunque la legga, risponderei che altro è distruggere, altro è fabbricare. Ciò non ostante eccovi il mio pensiero. Io guardo 1’ epigrafe, e nel centro vi veggo un C chiarissimo da tutti ammesso : il qual C può essere romano come gotico fino a quasi tutto il secolo XIII, e può essere del pari iniziale di una parola quanto una nota numerale indicante centum. Abbasso lo sguardo, e sotto il C veggo un cinquantasei in GIORNALE LIGUSTICO 2 99 cifre o lettere romane, e gotiche altresi quando vi piaccia, da tutti pur anche ammesso e come tale mai sempre riconosciuto. Di qui porto al sommo della pietra gli occhi, e sopra al C scorgo una lettera che è, non un sei in forma arabica come con solenne anacronismo lo giudica il dottor piacentino, non un D mal chiuso come vorrebbe il Ganducio, non un S ovvero le lettere 0 ed N unite come altri pur vuole, ma un M gotico senz’ altro, di quella forma che cominciava appunto a .comparire intorno alla metà del secolo XII; e questo M ci può dare benissimo il numero mille. Intanto esaminata tutta la lapidetta, io veggo che queste lettere M.C. sono le più grandi che vi siano, e col L\^I che loro sta sotto tengono la linea centrale del marmo occupandone il miglior posto. Ora, o Colleghi, fermiamoci un pochetto qui, e ditemi, che cosa mai ci vieta di leggere in quelle lettere la'data mille cento cinquanta sei? Forse vi dà noia quel dolerla leggere di alto in basso ? Il marmo ha la forma allungata, più larga in testa e al piede più stretta, e fu trovato in un arco, ostii fornice dice la scritta che è a Rapallo, h chiaro che questo marmo serviva realmente o apparentemente a serrare 1 arco medesimo, e perciò è una di quelle pietre dette set ; agli che a questo uffizio si mettono da costruttori nel mezzo de&li archi, e che fu sempre uso di volgere anche ad ornamento con iscolpirvi bassirilievi, stemmi od iscrizioni. Or ponete il caso che Γ architetto di quella qualsiasi arcata abbia voluto mettere in essa la data dell’ opera sua, nulla di più naturale che il segnarla in quel serraglio. Poi, siccome una data m lettere vogliate gotiche o romane esige spazio assai più che non ne esigono le nostre in cifre arabiche; e d’altra parte le cifre di una data alla latina, e quelle specialmente adoperate a significare le quantità maggiori, non essendo che lettere iniziali; tanto fa, perchè dicano il loro valore, che vadano unite come separate; cosi nulla di più ovvio che in tracciar 300 GIORNALE LIGUSTICO quella data 1 architetto abbia ottemperato alla forma della pietra e divisa la sua data come a dire in tre righe per darle lunghezza. A questo aggiungete per ipotesi che egli non abbia scritto altro nella pietra: quella data anche in lettere separate e poste in tre linee non vi spicca dinanzi chiarissima ? Ebbene , questo è appunto porzione del pensier mio. Il costi uttoi e dell arco ha scolpito su quel serraglio la data 1156, e in sulle prime nuli’ altro. Nè credo che troviate difficile ad ammettere per iscrizione una semplice data tutta soletta. Quante ne abbiamo di siffatte ! Quanti marmi presentano soltanto uno stemma e una data ! una 0 due lettere iniziali e una data ! ed anche una data semplicemente ! Certo che 1 essei e queste lettere, specialmente la M ed il C, cosi grandi e nel mezzo del marmo dipende da una ragione; e la ragione, più ci penso e più mi pare essere quella che ora vi esposi, nè altra sembrami possa meglio spiegare quella grandezza loro e il loro collocamento. E le altre lettere? Delle altre oh sicuro, che non è cosa sì agevole cogliere il senso. Tuttavia nutrendo pure intorno ad esse un pensiero mi farò ad esporlo una volta che abbiamo primamente accertato bene il valor delle note, e seconda-mente esaminata la condizione del luogo ove il marmo fu rinvenuto. Fatevi, o Colleghi, collo sguardo sulla epigrafe. A tergo delle due grandi lettere centrali M e C, ed alla vostra manca si para innanzi una mezza riga scritta a traverso in sei lettere con distanze ed abbreviazioni. La prima di queste sei lettere, quella cioè che fu giudicata apex oh brevitatem dal dottor piacentino, e un L sicuramente, non differenziandosi dall’ L che è sotto al C, come a ragione rilevò fin da’ suoi dì il Ganducio, e si vede da chiunque. Poi a un po’ di distanza ci ha un V e un I che può dare la sillaba VI (parola 0 principio di parola) come il numero sei in note romane giornale ligustico o gotiche. Poi nuovamente a un po’ di distanza la lettera M di forma assolutamente gotica, con sopra una trattina ad uncino. Indi un S ed un E con sopra un’altra trattina, almen così pare, e si direbbe meglio uno sgorbio. La lettera S è latina ο gotica come volete, e l’E che a prima vista, se si confronta con i consueti non parrebbe gotico, pure non manca di essere tale, affermandocelo con piena autorità una iscrizione a pennello di soli 46 anni posteriore alla nostra, cioè del 1202, che si trova nella cassa di sant’Ottaviano a Savona dove gli E son quasi tutti fatti cosi: ed è la loro forma minuscola. Andiamo oltre. Sotto a questa mezza riga dalla parte medesima è un A e un V sotto a queste un G, e di nuovo un V, e più sotto ancora un po’ più verso il centro nuovamente un A. Sulle A non può cadere contestazione, e sono benissimo latino-barbare come portava il secolo XII. Sul secondo V nemmeno, non ostante il segno a modo di apostrofe che lo sormonta ed un frego orizzontale alla metà della seconda asta. Il C non apparisce troppo chiaro, ma osservatolo bene, lo è senz’ altro in quel modo che si faceva a que’ giorni. Resta il primo di questi V il quale appare come tagliato orizzontalmente da doppia riga nella seconda sua asta, e di più ha una coda a destra da dare alla lettera come aspetto di composta di S e di V. Ora volgete gli occhi all’ altro margine del marmo. Presso il grande M, che vai mille secondo il già detto, voi vedete una lettera in tutto somigliante a quella che precede la S e la E detti dianzi, con una trattina di sopra. Quella dicemmo essere M gotico; questa adunque lo è del pari, nè vale già D come volle il dottor piacentino. Sotto a questa è una lettera ultima molto mal fatta se si vuole, ma che ha unicamente riscontro, secondo me, in quegli S tagliati diagonalmente con cui principiano moltissime lapidi sepolcrali del medio evo e che valgono appunto la parola Sepulchrum. 302 GIORNALE LIGUSTICO Per i segni poi, ecco. La trattina orizzontale che è sopra i due piccoli M e sul G come dissi, tutti sappiamo che nelle scritture dei secoli di mezzo si usava mettere a segno generico di abbre\nazione, e quindi valea talora una lettera del-1’ alfabeto, tal’ altra una sillaba. La cediglia a modo di apostrofe sul V più basso, quando valea la finale us e quando semplicemente una s; e cosi penso che sia qui. L’uncino poi che è unito alla trattina del primo M piccolo è una forma di abbreviazione non affatto inusitata a que’ giorni. La trattina invece o sgorbio che si vede sopra l’jE, e i tratti orizzontali che sono a traverso della seconda asta dei due V anzidetti (da leggersi entrambi per U) , non che la coda del primo di questi che gli dà aria di un nesso, mi permetterete eh’ io non li consideri niente più di quella specie di punto che si scorge entro il C : il qual punto non è altro che un guasto evidente del vecchio marmo, o un colpo errato dello scarpellino. Veggo che cosi fecero anche i più tra coloro, che nel tentar la spiegazione di questa scritta mi precedettero. Osservando bene nel marmo originale, questi segni vi appaiono tali da poter dire che sieno piuttosto freghi patiti per ingiuria del tempo o degli uomini, che non veri segni abbreviazione. D’altra parte si sa dal Ganducio che fin dai suoi tempi il marmo era alquanto alterato e guasto, « perchè, dice egli, 1’ hanno fatto indorare ». Fin qui delle lettere, delle abbreviazioni e degli altri segni. Ora del luogo ove il marmo fu trovato quasi tre secoli fa, chè anche il saper ciò ne porge aiuto. Già dicemmo colle parole della leggenda postagli sotto, che questo fu tolto ab ostii ubi nane est chotus existentis fornice', e stando a queste parole sembrerebbe eh’ei fosse nell’arco del-1’ antica porta. Se non che è troppo vaga questa espressione e troppo meschina. A spiegarla subentra qui il Ganducio, il quale, se come critico non può avere autorità alcuna, come te- giornale ligustico 503 stimonio contemporaneo al ritrovamento, parmi non sia da metter da un lato. Egli dice che il marmo « si ritrovò murato in una vòlta dell’atrio, 0 antitempio, quale sostenuta da quattro colonne restava unita con la porta della chiesa vecchia, sotto la quale si solevano battezzare i fanciulli ». Il Ganducio poteva esprimersi meglio; ma tutto ben ponderato questo periodo, si vede che qui si tratta di una vòlta che non è quella dell’atrio, ma di un altra esistente nell’interno dell’ atrio. Se infatti avesse voluto indicare la vòlta del-l’atrio medesimo, avrebbe detto nella vòlta e non in una vòlta Or che poteva essere ella mai? Naturalmente, io riferisco le parole del Ganducio « sotto la quale » alla vòlta, non battezzandosi certo i fanciulli sotto una porta di chiesa; e dico: Una vòlta che poggia sopra quattro colonne, e serve di battistero vicino all’ingresso della chiesa entro 1’ atrio di essa, o non sarebbe un arcosolio, già sepolcro in antico e poi col procedere del tempo vólto ad uso di battistero? Una base entro cui si riponeva la · salma del defunto, poi due, quattro ed anche più colonnini, indi un arco terminato, alcuna fiata come da un tetto a due pioventi, è pur la forma di tanti sepolcri di que’ tempi remoti. Di questi arcosolii ne potreste veder uno magnifico nell’ oratorio de’ dottrinanti sotto 1’ attuale ingresso di san Giovanni di Prè ; un altro nel corridoio che fiancheggia la chiesa di san Francesco della Chiap-petta in Polcevera ; ed io ne vidi uno all’ Abbadia del Tiglieto ; appunto fuori della chiesa allo scoperto. Vidi pur le tracce di un altro fuor della chiesa e vicino a una porta laterale a san Nicolò in Sestri di Levante; e uno che par fatto proprio per darci idea di quello di cui ora appunto anderemmo in cerca si trova pure oggidì presso la porta sotto Γ atrio di santa Maria di Cassinelle nell’ alto canale di san Lorenzo a Sestri-Ponente. Ora supponiamo per un istante che neL-Γ atrio della chiesa antica di Rapallo vicino alla porta fosse j 04 GIORNALE LIGUSTICO un monumento somiglievole a questi, si capisce tosto come potesse venire coll’andar del tempo convertito in battistero; e quel che più monta al nostro proposito, si capisce anche senza ricorrere alle fantasie del dottor piacentino nè d’altri, come in questo arcosolio si trovasse il nostro marmo il quale alla sua volta riceverebbe anche per esso monumento una spiegazione a mio vedere più sicura e reale. E quale, o Signori? Eccola finalmente. Immaginate dunque nell’ atrio dell’ antica chiesa di Rapallo quest arcosolio eretto per sepolcro. Là al sommo dell’ arco è il seri aglio di marmo, ed il costruttore se ne giova per iscol-pirvi entro a titolo di memoria la data. Questa è in poche lettere tenute grandi e disposte a seconda della tavoletta d alto in basso come segue : M Millesimo C Centesimo L\ I Quinquagesimo sexto. Subito non altro. Poi o d'allo stesso scultore pentito di avere scritto sì poco, o da altri a certa distanza di tempo, affine di completare quella data, e indicare la qualità di quel monumento, credendo far cosa utile ai posteri, ecco mettere di nuovo i ferri sopra del piccolo marmo; e parte diritto, parte a traverso in quella maniera che può meglio per riuscire a far come una sola iscrizione in tre colonne, scolpire in esso quanto sta attorno alla data suddetta, vale a dire nella prima colonna cominciando dalla scritta a traverso, la quale se si appiana o si volta nel suo vero senso orizzontale riesce propriamente la prima riga, lvce vi (sexta) mense avgvsti anno , e poi quello che era già nel mezzo ed or rimane seconda colonna millesimo centesimo qvincivagesimo sexto , indi nella ^colonna terza monvmentvm sepvlcrale. Signori, mi par di capire che a Voi non piace quel luce in luogo di die perchè sa di poetico, e avete ragione. Infatti GIORNALE LIGUSTICO 3° 5 tre nostre iscrizioni una del 1180, un’altra del 1189, ed una a Caffa del 1348, che me ne danno esempio sono in versi. Ma come spiegare altrimenti quella L isolata, se pur non abbandoniamo F idea che in quella scritta non sia che una data ? Vi spiace anche quel monumentum espresso da una sola M? Ma ricordatevi che appunto con tal lettera finisce l’iscrizione del 1155, che è alla porta di sant’Andrea. Anzi in questa di Rapallo abbiamo, se non altro, sulla M un segno di abbreviazione; mentre sull’altra di porta sant’Andrea non ne incontriamo alcuno. E il sepulcrale non vi piace nemmeno ? Ma sepulcrum si legge benissimo di consueto, come avvertii, nella S tagliata a traverso delle lapidi gotiche; perchè dunque non si potrà qui dire sepulcrale, posto che la M valga monumentum ? Veggo chiaro che la mia interpretazione toglie quasi ogni importanza alla epigrafe ; e per questo certamente a Rapallo non potrà avere fortuna. Ma in mezzo a Voi così indulgenti, così assennati, e amanti così del vero da preferire ai più splendidi paradossi la probabilità anche più tenue , chi sa ?.... Nella peggiore ipotesi fo conto che la potrà stare benissimo in compagnia delle nove già riferite. E liberi Voi di metterla decima tra cotanto senno. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 282) XIV. Sezione di Belle Arti Tornata del 28 marzo. · Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Di due pittori che onorano grandemente la Liguria prende a discorrere il Preside : Γ un d’ essi è Bernardino Fazolo, F altro Agostino Bombelli. 30 6 GIORNALE LIGUSTICO Favellando del primo, figlio al Lorenzo già ricordato nelle adunanze dell anno precedente, dice del suo apparire fra noi, del tirocinio che ivi fece, e del titolo acquistatosi di maestio e di console. Poscia accennato come il Lanzi mettesse a cielo Bernardino, benché a lui ignoto, per una tavola che ne vide in Roma soscritta del nome e del 1518, mostra come in tal anno il pittore vivesse ed operasse in Genova; rammenta una tavola dipinta dal Fazolo per commissione di Lorenzo Cattaneo, coi santi Pantaleo, Sebastiano e Rocco; ed aggiunge consimil titolo di santi e dei patrizi Cattanei serbare il secondo altare della nave sinistra ai riformati del Monte, ove la tavola presentemente si vede benché offesa da non pochi ritocchi. Avverte come quest’ opera dei tre beati fosse stata dianzi commessa al Fazolo seniore; e come Bernardino ritraesse il gusto della scuola lombarda, e deferisse agli esempi di Leonardo da Vinci. Detto di altre due tavole onde si pregiano la villa di sàn Massimo in quel di Rapallo e la città di Finale, di una terza di san Defendente ordinata al Fazolo in ottobre 1520, e di una quarta eh egli condusse per que’ di Rosso nell’ alto Bisagno, si fa il Preside a ragionare di una icone assai nobile e grandiosa che, venuta in dominio dei signori Poggi, rimane, per costoro volontà ed a beneficio del pubblico, in deposito presso 1 Accademia Ligustica. Trae questa tavola argomento dal mistero della Natività; e bene appalesa Γ indole di Bernardino disposta anzi al semplice che al magnifico :· vaga più presto di attenersi ad una sola idea che a molte. Come già Lorenzo suo padre, cosi anch’ egli fu condotto a decorare nella basilica di san Siro una cappella intitolata alla SS. Triade, per commissione dell’arte dei pellicciai. Nè mancarono di nascerne litigi da parte di costoro, che voleano scrupolosamente osservati i termini del tempo assegnati per giornale ligustico 307 contratto al pittore, cui s’erano obbligati a pagare in premio dell’opera lire 200. H a vedere finalmente Bernardino associato a Battista Grasso, ed intesi ambidue nel 1527 a decorare con dipinture, ornati e rabeschi il palazzo di Stefano e Nicolone qm. Giorgio Grimaldi presso san Luca. Ignorasi quali fossero le peculiari opere di ciascun pittore, perchè nell’atto che vi si riferisce e’ ricevono in comune il prezzo del lavoro nella somma di lire 1100, che vuoisi tenere di non picciol rilievo a que’ giorni. Ma per non vederlo più ricomparire nelle carte dopo quel- 1’anno, sospetta il Disserente che nel successivo, e forse pel morbo pestilenziale, morisse Bernardino soggiacendo ad un medesimo fato che il Sacchi (1) col quale ebbe comune e la patria ed il valore. L’ altro dipintore rammentato dall’ Alizeri è Agostino Bom-belli, che sortì i natali in Valenza nel Monferrato. Educatosi al dipingeré, com’ è verosimile, dietro la guida di Lorenzo Fazolo che gli fu suocero, par che ne segua gli esempi. Un primo rogito del 1510 lo dà maestro già inscritto, quasi ad un tempo con Bernardino. Nè più ci esce a vista fino al 1527. Suppone perciò l’autore che il Bombelli rivedesse in quel frattempo la patria, e cercasse di erudirsi nelle scuole lombarde per vantaggiare il suo stile sulle forme moderne. Di qui rilevarsi due caratteri nelle tavole di Agostino : Γ uno che tiene ancora dell’ antica scuola, P altro che ha più dello sciolto, del gaio e dell’ aperto. Della prima maniera è il Deposto, che conservano accuratamente i confratelli della Morte presso san Donato; della seconda un’ ancona rappresentante Γ Evangelista nell’ isola di Patmos, che va da più anni smarrita. V ingegno fecondo e versatile di un tal maestro non si strinse però solo ai pennelli; ma si estese eziandio a certe (1) Ved. a pag. 76. GIORNALE LIGUSTICO pratiche di meccanico ed ingegnere, come potè accertare il Disserente dall’ esame degli atti della Repubblica; donde appare quanto di cotali opere e’ fosse vago, anzi geloso, pel pel richiedere che fece al Governo il iprivilegio esclusivo sopra un ordigno da lui inventato per attinger acqua da’ pozzi e levarla a notabile altezza, girar mulini e gualchiere, vuotar laghi, ecc. Nullameno non vuoisi da questo dedurre che il Bombelli si cessasse dal dipingere; perchè del contrario fanno fede due documenti, e più una icone a cui Agostino pose mano nel 1540 a richiesta di Carlo Cattaneo per la gentilizia di san Torpete. XV. -Sezione di Archeologia Tornata dell’11 aprile. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio Desimoni prosegue e compie la sua %ela%ione sugli scopritori genovesi ecc. VI. λ erso lo stesso anno 1460 in cui Antonio Noli approdava alle isole di Capo verde, un altro Genovese emigrava dalla patria in cerca d’avventure marittime. Parlo di Giovanni Caboto lo scopritore dell’ America settentrionale per gli Inglesi; uomo fino a questi ultimi anni riputato veneziano, ma per la perspicace e diligente critica del non mai abbastanza lodato signor D’ Avezac rivendicato nostro concittadino, come si vedrà nel corso di questa narrazione (1). (1) D'Avezac, Les navigations terre-neuviennes de Jean et Sèhastien Cabot, Paris, Donnaud 1869. Detto, Examen critique d’un ouvrage intitulè: The remarkable life.....°f GIORNALE LIGUSTICO 3O9 Giovanni si reca a Venezia, vi si tfattiene quindici anni continui; compiuti i quali, secondo le leggi di quella Repubblica, il doge Andrea Vendramino coll’unanime voto del Senato nel 28 marzo 1476 gli concede i diritti e privilegi di cittadino. Egli vi piglia moglie e gli nascono tre figli : Luigi, Sebastiano e Santo. Ma dopo pochi anni, essendo il secondogenito Sebastiano ancor fanciullo, pene, infans, Caboto si trasferisce in Inghilterra, a Bristol, città sul mare; importante per commerci e relazioni specialmente coll’ Irlanda, e volta a quel mare occidentale che era il sogno dei cosmografi e lo spavento dei navigatori. Secondo una notizia che il D’ Avezac trasse da Guglielmo Botoner, già il 15 luglio 1480 una nave dell’armatore Jay, sotto il comando del più abile marinaio che avesse Inghilterra, salpa da Bristol per andare in cerca dell’ isola del Brasile, ma nel 18 settembre si viene -a conoscere che la spedizione dopo •vane ricerche è rientrata in un porto d’ Irlanda. Il. dotto francese si persuade che il capo di quella spedizione, magister navis scientificus marinarius totius Angliae, non possa essere altri che Giovanni Caboto. Ad ogni modo segue una data certa', il 1491; e questa ci è somministrata da un dispaccio di sette anni dopo, che F ambasciatore spagnuolo Pietro d’ Ayala scrive officialmente al suo Governo il 25 luglio 1498: dispaccio che il D’ Avezac trasse' dalle ricerche istituite dal sig. Bergenroth negli Archivi di Simancas. Los de Bristol (così F ambasciatore) ha siete anos que cada aho han armado dos, tres, cuatro caravelas para ir a buscar la isla del Brasil y las siete ciudades con la fantasia deste Sebastian Cdbot by I. F Nicholls. Estratto dalla Rèvue critique d’histoire et de lilteraiure dii 2} avril iSjo. Ved. specialmente tutto il primo di questi scritti; eD’AvEZAC, Consi-derations géographiques sur l’histoire du Bresil·, Paris, Martinet 1857. — Nota K, pp. 178-190. 24 3 io Ginoves. Ed ecco la prima prova promessa da noi sulla vera patria di Giovanni, il quale ' del resto vedemmo a Venezia stessa considerato officialmente cittadino di adozione, non di nascita. Ma questi tentativi di scoperte rimasero ignoti fino a questi tempi; perciò il nome di Giovanni passò quasi dimenticato ed oscurato dalla maggior luce onde brilla il suo secondo-genito Sebastiano. Si dubitò perfino dagli storici (compreso il Tiraboschi) se il padre fosse più vivo e se accompagnasse Sebastiano nella spedizione del 1497; la quale comunemente è riputata la prima che fruttò la scoperta dell’ America settentrionale. Ma il dubbio non è permesso dopo i documenti venuti in luce. Una carta marittima delineata da Sebastiano stesso nel 1544 e che anche noi possiamo riscontrare nei Monuments de Géo-grapbie del Jomard, ci assicura di due notizie importanti: i.° che la scoperta di una terra e dell’ isola di San Giovanni· avvenne il 24 giugno 1494,611011 1497 come comunemente si crede; 2.0 che 111 quella spedizione era con Sebastiano il padre Giovanni. Il sig. D’Avezac accennando a questa carta dilegua gli equivoci che erano sorti dalle varie copie di essa, dal suo scomparire per molto tempo dagli occhi de’ dotti e dalle date che a torto si pretese correggere sulla leggenda, senza aver presente la carta medesima. Giovanni non fu il capo soltanto della spedizione del 1494» ma anche di quella che finora credeasi la prima e dee invece chiamarsi la seconda, dico quella del 1497. Una patente del Re Enrico VII d’Inghilterra in data del 5 marzo 1496 concede a Giovanni Caboto ed a suoi tre figli Luigi, Sebastiano e Santo di andare in cerca di terre ignote sotto bandiera britannica e prenderne possesso in nome della Corona; goderne esso ed i suoi i beneficii a titolo di officiali del Re, pagando il quinto dei prodotti netti. Tuttavia la partenza degli arditi GIORNALE LIGUSTICO 3xr navigatori non ebbe luogo che in maggio del 1497, ritardata, come pare, dagli intrighi degli ambasciatori di Spagna e di Portogallo ; gelosi che una terza Corona s’intromettesse a godere del nuovo mondo già tra le altre due ripartitosi. Il ritorno della spedizione inglese era già avvenuto il 10 agosto del medesimo anno, quando nei registri delle spese private d’ Enrico VII si vede data una gratificazione (veramente poco regale) di lire 10 sterline allo scopritore, della nuova isola: to hym that found thè new isle. Ma vi era egli Giovanni? Si, vi era; ce ne assicurano due lettere trovate or fa pochi anni e scritte di Londra in quello stesso anno della scoperta: lettere che s’accordano perfettamente sui fatti narrati, aggiungendovi curiose notizie. Il signor Rawdon Brown, il chiaro inglese che scrisse su Marino Sanuto, trovò negli Archivi veneti la lettera che Lorenzo Pasqualigo da Londra scriveva ai fratelli a Venezia il 23 agosto 1497; dunque poche settimane dal ritorno della spedizione. Racconta ivi del veneziano (che così potea anche chiamarsi) Zuan Cabot, domiciliato a Bristol con moglie veneziana e tre figli, ritornato testé dalla scoperta avendo percorso 300 leghe di costa e stato in viaggio tre mesi; egli si chiama gran Almirante, e viengli fatto grande honor ; vesti do de seda e sti Inglexi li vanno driedo a modo pazzi·' e pur ne volesse tanti quanti ne avrebbe con lui; perchè si prepara a nuovo viaggio e il %_e gli ha promesso navilii 10. La seconda lettera fu trovata negli Archivi di Milano dal sig. Barrera-Pezzi, e fu scritta il 18 dicembre 1497 al duca Ludovico Sforza dal suo ambasciatore a Londra, l’abate Raimondo ; il quale annunzia che il Re d’Inghilterra ha guadagnato una parte d’Jlsia ( come allora si credeva ) senza colpo di spada. Lo scopritore ne è messer Zoane Caboto, che preso possesso della· terra da lui veduta ritornò a Bristol. Esso ne ha fatto la descrizione in carta ed anco in sfera 3 12 GIORNALE LIGUSTICO solida e mostra ove é capitato. Ma pensa d’andare più in la: e si dice che Sua Maestà armerà alcuni navigli e andranno a fare una colonia. Ho parlato con un Borgognone compagno a cui l’Almirante (che già cosi s’ intitola) ha donato un isola: e ne ha donato un altra a un suo barbero de Castione genovese; e entrambi si reputano Conti, nè Monsignor Almir ante s’estima manco che Principe. Si dice andranno con lui frati italiani, ai quali tutti ha promesso vescovati, e P abate Raimondo se vi andasse sarebbe 1’arcivescovo; ma egli crede più sicuro attenersi ai benefizi che spera dal Duca. Ai 3 febbraio 1498 una seconda lettera patente d’ Enrico VII scoperta nel Rolls Chapell da Biddle (il biografo di Sebastiano Caboto), rinnova la facoltà d’ armare legni inglesi per navigare alle terre scoperte da Giovanni e condurli esso 0 1111 rappresentante da lui nominato. Donde si induce che in questi giorni egli era ancor vivo ma probabilmente impedito da infermità 0 da vecchiaia. Di fatti, morisse egli presto o no, si sa che fu soltanto il figlio Sebastiano che nella state del 1498 si mise alla vela con cinque navi e 300 uomini (1). Io non seguiterò più oltre i fasti dei Caboto; dacché Sebastiano è veramente veneto, nato nelle lagune probabilmente verso il 1475; e così di circa 24 anni capitanava già egli solo la spedizione ultimamente accennata. Aggiungerò tuttavia che questi segui la strada aperta dal padre genovese e ne succhiò 1 educazione, gli intendimenti, i lunghi colloqui e P esperienza marittima ; di che gran parte della gloria del figlio si riflette sul padre. Il signor D’Avezac ha fatto ancora un’acuta (1) Rymer, ^Acla et Foedera; Hagae Comitis 1741. V. 89 ; Miniscalchi Erizzo, Le scoperte artiche; Venezia, Cecchini 1855, pp. 125-128. Ivi citato: Biddle , Λ memoir of Sebastian Cabot; London 1831. L’America e gli scopritori italiani, nell’ ^Annuario scientifico e industriale del 1865; Milano 1866, pag. 700. Ved. anche Kunstmann, T)ie entdcckung Amcricas, Munchen 1858, pp. 48-53; Jomard, Monuments de Gèographie. giornale ligustico 315 induzione. Ferdinando nella'vita di Colombo al cap. 4.0 riferisce un brano di lettera in cui Cristoforo ricorda la sua navigazione nel 1477 a Tuie (Islanda) , ed accenna alle frequenti relazioni in quel tempo degl’ Inglesi e specie di quelli di Bristol con quell’ isola. Anche Humboldt conferma tali relazioni al tempo di Colombo, citando un vecchio poema inglese pubblicato dall’ Hakluyt, I. 201 (1). Ora il sig. D’ Avezac chiede (e mi pare a buon diritto), non potrebbero essersi veduti 0 in Islanda 0 a Bristol i due genovesi Cristoforo e Giovanni e aver a lungo parlato del sogno che entrambi tormentava, giacché eguale era il loro pensiero di passare in Asia per via del ponente? E non so se si potrebbe aggiungere un altro sospetto, cioè che si comunicassero a vicenda alcune osservazioni sulla declinazione dell’ago magnetico, di cui si volle per qualche tempo scopritore Sebastiano Caboto, ma che ad ogni modo fu affermata prima d’ ogni altro ed in modo riciso da Colombo. Ricapitolando le scoperte di Giovanni Caboto secondo lo apprezzamento che ne è fatto dall’ illustre francese più volte . lodato, egli avrebbe dunque nel giorno di san Giovanni Battista del 1494 goduto d’ una prima vista di terra con una vicina isola, che appunto perciò denominò dal giorno della scoperta l’isola di San Giovanni (Terranuova, 0 come la chiamano gli Inglesi New foundland). Nel secondo suo viaggio, nell’estate del 1497, Giovanni e Sebastiano colla nave il Matthew, con alcuni stranieri ma la più parte inglesi di Bristol, avrebbero riconosciute le terre viste la prima volta nel 1494, ed inoltre avrebbero percorso 300 leghe di costa piantandovi le bandiere d’Inghilterra e di san Marco di Venezia. Le quali coste e bandiere si vedono (1) Humboldt, Examen critique de l’histoire de la géograpbie dunouveaii Continent. II. 117; Vita di Colombo per Ferdinando suo figlio, cap. 4. GIORNALE LIGUSTICO all’ingrosso delineate nella celebre carta del 1500 di Giovanni della Cosa, coi nomi di Cobo de Yngìaterra e di Mar descu-bierta por Yngleses. In carte spagnuole del 1527 e 1529 la stessa costa è denominata di Eskvan Gome^ dal nome di colui che la rivide 30 anni dopo i Caboto, e comprende il tratto tra il golfo San Lorenzo o l’isola di Capo Breton e il Capo Henlopen presso la Baja Delaware. Secondo il signor D’ Avezac dunque, 1’ approdo di Caboto alle parti più settentrionali fino a 58 e poi fino a 67 4/2 gradi di latitudine, vale a dire al Labrador, ai Baccalaos e fino allo stretto d’ Hudson non appartiene che a Sebastiano Caboto ed a’ suoi viaggi terzo e quarto. Vedemmo nella lettera del milanese abate Raimondo nominato a compagno di viaggio di Giovanni un suo barbero di Castione genovese, a cui fu promessa un’ isola tra quelle da scoprirsi. Anche questa è una prova che Caboto era genovese; ed una terza prova viene dagli Annali dell’ inglese Stow, cronista del secolo XVI, il quale appunto lo chiama genovese. Si chiederà naturalmente se ne’ nostri documenti si trovi traccia di tali avvenimenti, persone e famiglie. Sventuratamente nulla o lo stesso che nulla ci avvenne di trovare; tuttavia ecco alcuni barlumi almeno dei nomi di famiglia. Il sig. D Avezac sospetta che Giovanni sia nato nella terra di Castiglione genovese nella Riviera orientale presso Sestri di Levante ; e certo egli così sospetta vedendo che Γ ambasciatore milanese chiama suo barbero de Castione il compagno di viaggio di Giovanni. Io non dubito punto che le famiglie di cognome Castiglione non provengano da quella terra, sì per regola generale, sì perchè tuttora io conosco famiglie di tal cognome le quali pure domiciliate ab antico in Genova hanno colà possessi e consanguinei. Ma d’ altra parte memorie genovesi ricordano di frequente persone dello stesso cognome, ed in ispecie dottori in legge, in medicina e chirurgia che la- GIORNALE LIGUSTICO sciarono nome onorato. Dapprima io chiesi a me stesso, se non si asconda forse tra que’ chirurghi il barbero de Castione; visto che sotto tale denominazione di barbiere si comprendevano anche gli operatori di bassa chirurgia, e non solo presso il volgo, ma anche nelle leggi, come in quella aggiunta nel 1595 al nostro Statuto criminale. Sia come vuoisi, ecco che io trovo fra i libri di conti privati trasfusi, non si sa come, nell’ Archivio di San Giorgio uno già spettante ad un dottore Antonio de Ilice, il quale nel 1508 e 1512 accenna ad un suo inquilino magister Abraham de Castilione barberins. Non credo sarà questi il compagno di Giovanni nel 1497 5 nè lo sarà forse, benché più vicino ai tempi di lui, quel-1’ altro maestro Giacomo Da Castiglione barbiere, il quale è indicato tra i Quondam il 9 gennaio 1512, in un atto della sua vedova Clareseta Chiavari, in Giovanni Costa notaro. Ma non ho voluto tacere di tali documenti, come quelli che, se per sè stessi significano nulla, riuniti assumono aspetto sempre maggiore di verità e porgono il filo ad ulteriori investigazioni (1). In quanto al cognome ed alla patria dei Caboto, io mi rivolgerei piuttosto alla sorella di Genova, a Savona, già illustre per arditi navigatori. In quella città trovo due cognomi, uno dei quali poco dissimile, 1’ altro quasi eguale a quello che io cerco; cioè la famiglia patrizia dei Gavotto, chiara per uomini di lettere e tuttora fiorente, e la famiglia popolare, ora forse estinta, dei Cabuto. Del primo di que’ cognomi io ho sotto gli occhi più documenti che parlano di patroni di mare e delle loro navi nel secolo XV: un Bernardo nel 1454, un Lorenzo colla sua nave Gavotta nel 1496, un Nicolò di Varazze ma in Savona nel 1439-1448, un altro Nicolò mercante di Savona ma che si trovava a Valenza nel 1492. (1) Criminalium Jurium Reip. Genticnsis; Genua;, 1669, pag. 90; Re-mondini, Estratti notarili, Ms. alla Civico-Beriana, voi. XI. pag. 101. 5ι 6 GIORNALE LIGUSTICO Dei Cabliti, sebbene meno noti, troveremmo già traccia in Genova nel secolo XII se a loro si possono applicare il Rubaldus Cabutius e il Gmìidmns Cabutius tra i genovesi che giurarono nel 1157 l’alleanza col Re di Sicilia e nel 1188 la pace pisana. Questi stessi Rubaldus e Guilielmus compariscono in un atto notarile di Giovanni Scriba del 2 luglio 1160, ma qui più correttamente scritti Cabnhis; ed un terzo Joannes Cabutus è testimonio nello stesso notaro il 17 novembre 1162 (1). Ma una notizia più importante e vicina ai tempi che discorro mi è fornita dal Calendario savonese per l’anno 1S00; opuscolo indicatomi dal cortese e colto amico avv. Enrico Ludovico Bensa. Ivi e notato che alli 7 gennaio 1478, in notaro Angelo Corsaro, Giacomo Cabutto savonese, fabbricatore d’ artiglieria, si obbligò di consegnare a quel Comune quattro bombarde nei modi e alle condizioni specificate nel contratto. ■ Nello stesso Calendario sono citati altri atti appartenenti ai Cabuto del 1495, e vi sono nominati verso il 1528 cannoni di bionzo e tre maestri fonditori: Domenico Fiorito, e Bernal do e Sebastiano Cabutto. Finalmente il Garroni nella recente ma interrotta pubblicazione del Codice della Liguria a Pa§· 274 reca in estratto da un minutario notarile del 1563, un Sebastiani Gabutus Henricide loco Sancti Benedicti Fallis Berbi che ha certe differenze coi monaci olivetani di Finale. Questo nome di Sebastianiis ripetuto per un secolo non pare egli che dia ansa a rannodarvi i Cabotto d’Inghilterra? E la trasformazione del cognome Cabutus in Gabutus non pare egli che porga un barlume, per cui, come non è cosa insolita, i due cognomi a poco a poco abbiano assunto una consistenza di-λ ersa di famiglia, ma abbiano forse comune 1’ origine ? (1) Monutn. Hist. Patrùc, Aug. Taurin. 1851; Chartar. II, col!. 66}, 825; lAtti della Società Ligure, I. 297, 376. giornale ligustico 317 VII. \engo ora al eh. signor Di Varnhagen, il quale nel suo ^Amerigo V’espucci fin dal 1865 scrive che i ciechi ammiratori di Colombo si sono ormai un poco più raffreddati nel contrastare al fiorentino la priorità della scoperta del continente americano; dopoché cioè fu comunemente ammesso che Caboto ad ogni modo precedette Colombo in tale scoperta. Se per ciechi ammiratori di Cristoforo il dotto brasiliano intende tutti quelli che non credono punto al preteso viaggio di Vespucci nel 1497, potrebbe ritorcere Γ argomento contro il sig. di Varnhagen, dicendo che egli potrebbe un po’ più raffreddarsi nel sostenere la priorità del Vespucci sul Colombo ; dopoché nella seconda edizione del suo scritto, nel 1869, ha dovuto correggersi ed ammettere che ad ogni modo, e supponendo· che Vespucci abbia fatto il preteso j viaggio del 1497 > e§li sarebbe giunto al Continente americano alcuni giorni dopo Caboto e non prima di lui, come aveva invece detto nella edizione del 1865. Noi staremo paghi a rispondere in primo luogo, che'dunque anche stando alle ultime sue parole, ad ogni modo la gloria della scoperta del Continente (se gloria v’ ha) appartiene ad u.n Genovese, a Giovanni Caboto ; e non al solo Sebastiano, coirle egli pare che intenda; non ben tenendo conto dei documenti da noi sovra citati. In secondo luogo ripeteremo col-Γ Humboldt, col sig. Major, anzi con tutti quelli che ragionino senza passione: che abbandonato per la prima volta il viaggio lungo le coste, e affidata per l’alto mare la fragile caravella alla fortuna amica degli audaci; scoperta nel 1492 la prima isola americana, si potea dire scoperto tutto il resto; era dissipato finalmente l’incanto e la leggenda del mare tenebroso, inguadabile; superati i pregiudizii dei dotti come del volgo ; vinti gli ostacoli, i pericoli, le ansie con quella co- GIORNALE LIGUSTICO stanza di carattere, ardimento ed ingegno che costituiscono 1 aureola di Colombo, e che nessuna mano, per quanto dotta e valente, gli strapperà (i). Del resto le esagerazioni del Canovai in lode del Vespucci sono passate di moda, e per altra parte fu dileguata per opera specialmente del grande Humboldt quella brutta taccia d impostura e d’ ingratitudine che avevano affibbiata al fiorentino autori anche gravi ed antichi; i quali lo rimproveravano d’ avere scientemente rapito a Cristoforo Γ onore di dare il nome alla terra da questo scoperta. Per questi motivi noi non ci dimoreremmo a parlare del signor Di Varnhagen, se non ce ne porgesse occasione una nota inserita nel recente e pregiato giornale geografico il Cosiiws, del signor Guido Cora. Ivi il eh. letterato Vegezzi-Ruscalla, annunziando gli scritti del testé lodato Brasiliano, aggiunge che le nuove di lui edizioni confutano e dileguano le obbiezioni che il signor D’ Avezac avea esposto contro il sistema del signor Di Varnhagen ne’ più antichi suoi scritti. Io non conosco lo scritto di giunta che il Vegezzi-Ruscalla O O annunzia come pubblicato a \^ienna nel 1870 sotto il titolo di Toslface; ma credo che il sig. De Varnhagen non avrà così O 0 presto di nuovo modificato il rimpasto del primo viaggio del \ espucci che 1 anno antecedente avea fatto alle più antiche edizioni del suo lavoro. Ciò posto mi viene il dubbio che 1 autore della nota del Cosmos siasi troppo fidato di qualche amico, senza leggere egli stesso il lavoro del signor Varn-hagen. Gi acchè in questa nuova edizione non si nomina punto il D Avezac, se non forse si allude a lui copertamente nella prefazione. Ma, che più monta, non si risponde affatto alle obbiezioni del dotto Francese nè direttamente, nè (al- , meno per la più parte) indirettamente. Piuttosto sarei per (1) Humboldt, Op. cit., IV. 37; Major, Op. cit., pagg. 574, 588. GIORNALE LIGUSTICO 319 credere che Γ autore ha cercato di rispondere al sig. Major. Infatti le modificazioni recate all’ antecedente tracciamento suo del preteso primo viaggio del Vespucci, si riducono nella parte più essenziale a ridurre 1’ altezza massima raggiunta a settentrione dalla Baja di Chesapeake al Capo Canaveral: paiono dunque introdotte principalmente a bella posta per evitare le obbiezioni del dotto Inglese; le quali veramente sono da lui proposte con perfetta cortesia, ma, oltre di essere gravi, fanno abbastanza comprendere che il sig. Major non era stato punto persuaso dal primo scritto del sig. Di Varnaghen (i). Come ho già dichiarato io non ho mestieri di entrare in questa lite, contentandomi di rilevare un fatto curioso nella storia letteraria troppo spesso irta di vive polemiche; quivi al contrario il sig. Di Varnhagen riproduce modificato il suo scritto senza far caso della persona e delle obbiezioni di un valente critico. E alla sua volta il signor Codine citando gli scritti del signor Di Varnhagen nomina le antiche sue edizioni fino a quella di Lima del 1865, senza citare nè far parola del nuovo lavoro pubblicato a Vienna nel 1869; quasi ignorasse questo 0 non lo credesse contenere alcunché di nuovo e di rilievo. Noi non abbiamo nè il desiderio, nè il bisogno di menomare le glorie altrui per far risaltare le nostre che brillano abbastanza di luce propria. Tanto meno negheremo l’ingegno e i grandi servigi resi da Amerigo, amico di Colombo. Nè negheremo le lodi ai Fiorentini, i quali coi loro potenti banchi e la universale operosità promoveano le spedizioni per le terre ignote in Portogallo ed in Ispagna ad un tempo ; e colla dottrina del loro Toscanelli incoraggiavano Cristoforo al tragitto; e col loro Verazzani s’inoltrarono tra’primi nel- (1) Vegezzi-Ruscalla, Sul nome dell’ America, nel Cosmos del eh. Cora; Torino 1873, pp. 83-85. Codine, loc. cit. § XIV, pp. 161-180; Major, Op. cit., pagg. 372-4. 320 GIORNALI-: LIGUSTICO Γ America settentrionale, come col loro Del Tegghia si erano già inoltrati in compagnia di Nicoloso da Recco alle isole Canarie. Sarebbe invero uno spettacolo bello, se non tosse doloroso, il vedére tanti Italiani accorrere ad un tempo in Ispagna, in Portogallo, in Inghilterra, in Francia a spingere col braccio e coll’ ingegno quelle nazioni a nuova vita; mentre la nostra penisola dissanguata perdeva, in un col fiore dei propri figli, le antiche vie del commercio e la conseguente grandezza. Ma anche gli uomini benemeriti e chiari hanno' fra di sè un ordine di più o meno valore; e noi non ci crederemo nè ciechi, nè egoisti se ripeteremo quel giudizio che il signor Humboldt, uno straniero cosi dotto e cosi imparziale nella quistione, ha pronunziato: quel giudizio che il signor Major ripetè facendolo suo, e aggiungendovi che un più illustre Navigatore il mondo non ha mai veduto, e che solo il genio e la perseveranza di lui ebbero dischiuso il nuovo continente. Quel giudizio infine che basta anche a risposta dell illustre Peschel poco benevolo a Colombo facendolo quasi cercatore alla ventura, e negandogli ciò che appunto costituisce il suo maggior vanto, Γoriginalità del genio e la sublime intuizione del proprio scopo. Lcco dunque le parole dell’illustre Humboldt : « Vespucc, i vrai dire, n a brille que du reflet d’un siede de gioire près de Colomb, de Sébastien Cabot, Bartholomè Diaz et Gama, pres de Pinzon mème sa place est une place infèrieure. La majeste des grands souvenirs semble conccntrec sur le noni de Christophe Colomb. C’est l’originalité de sa vaste con-ception, 1 étendue et la fécondité de son genie, le courage oppose à des longues infortunes qui ont élèvé Γ Amirai au-dessus de tous ses contemporains (i) ». (i) Humboldt, Op. cit., voi. V. p. 177; Major, Op. cit., pp. }»6, >88, 420, Dalla λ edova, Cristoforo Colombo e il signor Osi arre Pfifhtl, Ceiun critici, Padova 1867. 321 Del resto non è qui mio proposito favellare delle molte opere o memorie su Colombo o sui fatti attinenti alla sua scoperta le quali vennero pubblicate negli scorsi anni, avendo 10 già parlato di questo in una recensione che feci alla nostra Sezione Γ annata precedente. Ma siccome alcune di quelle memorie ebbero poi una risposta o una continuazione, così toccherò soltanto di ciò che ha tratto necessario alle nuove pubblicazioni. In quella anteriore recensione io rilevava il breve opuscolo del sig. Di Varnhagen sull’ odierna posizione della prima isola (Guanahani) a cui approdò Colombo nel primo suo viaggio; e dissi che 1’ autore intendeva dimostrare che quell’ isola risponde alla presente SCarigtiana. Ora leggendo l’annuale Relazione alla Società Geografica parigina del suo Segretario 11 sig. Maunoir, trovo che il più volte lodato Major ha recentemente trattato questo soggetto, e che egli tiene e rassoda la opinione più antica e già abbraeciata da quei valorosi che sono il grande storico Muiìoz, il dotto tedesco Peschel e più recentemente Γ inglese, capitano Beker ([Die Landralì ot Columbus on bis first voyage, London i3j6). I quali tutti avvisano che la prima isola scoperta da Colombo non sia nò la Mariguana, come pretende Varnhagen; nè la isola Turcos, come opinava Navarrete; nemmeno (sebbene più probabile delle suaccennate isole) 1’ odierna grande San Salvador o isola Cat, come opinavano Humboldt e quell’ anonimo capitano americano (Alessandro Hidell Mackenzie di New York) clic forni il suo articolo a\Y ^Appendice di Washington Irving sulla Storia di Colombo. Ma pensano col signor Major che la Guanahani di Colombo la si debba riconoscere nella odierna isola Watling, posta ad oriente e a poca distanza dalla grande San Salvatore. Non avendo la fortuna di conoscere questo più recente scritto del dotto Conservatore al Museo Britannico, non ne GIORNALE LIGUSTICO dirò di più; ricorderò soltanto in iscorcio quel che ne dissi Fanno scorso; cioò che l’opinione del sig. Di Varnhagen a me già era sembrata non ammissibile tra più altre ragioni per queste due che si presentano evidenti e palpabili per sè stesse: i.® che le carte più vicine alla scoperta di Colombo e fatte o dai di lui compagni di viaggio, o sulle di lui tradizioni, rapporti e disegni (come la carta di Della Cosa del 1500 e quelle dei Reali Idrografi spagnuoli del 1527 e 15 29) queste carte, dico, pongono la Guanahani di Colombo in una situazione che risponde meglio d’ogni altra all’isola Watling; 2.0 che le carte medesime notano oltre la Guanahani di Colombo anche un’ isola Mayguana, e la notano alla posizione ove è la presente Mariguana. Dunque le due isole non possono ora e non poteano tanto meno confondersi a quel tempo, diverse come erano di nome già fin d’ allora e distanti di » O posizione (1). Ad uno scritto pure da noi annunziato l’anno scorso è venuta la risposta. Alludo all’ infaticabile nelle ricerche Colombiane il dotto ed acuto americano Barrisse; il quale avea con gravi argomenti inteso sostenere che la Vita di Cristoforo, finora creduta di Ferdinando suo figlio, non può essere lavoro di quest’ ultimo. Il signor D’Avezac dopo un’ avvisaglia tra lui e il signor Harrisse nel campo del ‘Bollettino Geografico, rilevò il guanto di sfida e pubblicò il nuovo suo scritto : Le livre de Ferdinand Colomb (Paris, 1873). Nel quale colla solita valentia scioglie più obbiezioni, riduce al giusto valore altri argomenti cui a prima fronte parrebbe non potersi trovar via da rispondere, spiega e scusa gli errori che senza dubbio vi (1) \ arnhagen, 'Das uiabre Guanahani d/s Columbus; ien, 1869· Maukoir, Segretario generale della Societi Geografica di Parigi, Resoconto annuo 1873, primo semestre, pp. 458-9. Kohl, Die beidtr, aitateti ^eneral-karlen von America; Weimar, 1860. Pag- 84. GIORNALE LIGUSTICO sono nel libro del figlio di Cristoforo ; e chiude fiducioso di aver raffermato la verità fondamentale di un’ opera quale è la I ila di Colombo, scritta dal figlio Ferdinando; opera, che lo storico Muiìoz già giudicava la più importante per l’epoca di cui trattiamo, e Washington Irving dichiarava la pietra angolare della storia dell’ America. Toccherò per ultimo di un recente articolo inserito dal eh. Uzielli nel pregiato ‘Ballettino della. Società geografica italiana (1873, luglio), intitolato: Ricerche intorno a Paolo del Po^o Toscanelli. Dove 1’ Autore annunziando la scoperta di un manoscritto di quel celebre astronomo fiorentino, si propone di spiegare meglio che non siasi fatto sinora, le espressioni del Toscanelli nella nota sua lettera a Colombo, riguardo al numero delle miglia e dei gradi, valicati i quali si sarebbe trovata la costa d’Asia secondo l’opinione del Fiorentino. Lo scritto del sig. Uzielli certo vuole essere lodato per dottrina e novità; ma in quanto allo scopo suo finale temo che non giungerà a far entrare gli altri nella sua opinione. Le difficoltà che ingombravano fino a questi ultimi anni il senso della medesima lettera per le varianti dei testi, sono ora per la più parte appianate, avendo il prelodato signor Harrisse rinvenuto il vero testo nella Biblioteca Colombina di Siviglia (Femand Colomb, Paris 1872, pp. 178-80). Ma sta sempre la difficoltà principale nel concordare la misura del grado di 50 miglia lungo il parallelo per cui dovea navigare Colombo, colla misura dei gradi del gran cerchio calcolati a 67 i/3 miglia ciascuno. Il eh. Autore per farli ridurre a 50 miglia suppose che la via da tenersi da Colombo dovesse essere sul parallelo di gradi 42,22'. Ma questo parallelo, come confessa lo stesso Uzielli, è poco distante dal Capo Finisterre; esso è dunque lontano di più gradi da Lisbona ove era allora Colombo, anzi è al tutto fuori del Portogallo. Ora è già da per sè poco credibile che Toscanelli indicasse un punto GIORNALE LIGUSTICO di partenza fuori del Regno; ma, che più monta, ciò ò contro le parole ricise della lettera di lui, ove il punto di partenza è proprio indicato Lisbona: a civitate Ulixipotiis per occidentem in directo, come reca il brano della lettera stessa riferito pure dall’ Uzielli. Anche Γ illustre D’ Avezac a cui ne scrissi, gentilmente si affrettò a rispondermi: l’artici c de M. Uditili avait provoquè dans moti esprit des dotiles amlogues a cetix qu ii vous a inspiried aggiunge che egli crede tuttora la più vera soluzione quella da lui proposta da 'trent' anni e spiegata > nella sua Memoria: Les voyages d’Atneric l'espuce, Paris, 1858, pag. 133 e seguenti. Ed ora sarebbe nostro gradito dovere se potessimo di alcunché accrescere quel tesoro di memorie e notizie che riguardano il sommo Cristoforo. Ma quel che noi possiamo dire di meno noto finora, è veramente pochissima cosa; se-nonchè ci facciamo animo a scendere anche ai menomi particolari, considerando come tutto che si attiene a Colombo è gradito al generale; ed è ripetuto e commentato per guisa che una sua bibliografia ben fatta riempirebbe più volumi. Dapprima anche a noi avvenne di trovare negli Archivi nostri due documenti del 1474 e 1482 che riguardano i Coulomb di Francia come pirati e per nulla nè attinenti, nè amici della nostra Repubblica; di quali documenti lu dato 1 estratto nella Raccolta delle convenzioni tra i genovesi ed i fiamminghi, pubblicata tra gli oitti della Società dall’ amico Belgrano e da noi (voi. V, pp. 448 e 451). Il socio nostro corrispondente marchese Giuseppe Campori, di Modena, cortesemente comunicava due lettere; la prima dell’ Andres al Tiraboschi 14 agosto 1786 da Mantova, contenente copia del noto codicillo more militari, da quello scoperto nella Corsiniana di Roma; la seconda è copia di lettera tratta dall’ Archivio di Mantova, ed è di quel Duca Guglielmo al Vescovo di Casale in data di Venezia 11 set- GIORNALE LIGUSTICO 32> tembrc 1583; ivi il Duca dichiara accettare la metà offertagli dai fratelli De Colombo sulla sperata eredità di Spagna; ma chiede i documenti da far valere a tale effetto. L ingegnoso ed operoso nostro socio Achille Neri ci comunica un altra lettera relativa a Colombo, da lui scoperta nel carteggio aprosiano tra i Mss. di questa Biblioteca Universitaria (1). Ivi il 5 aprile 1673 si dà conto al celebre bibliografo di Ventimiglia di documenti raccolti dallo scrittore della lettera per provare la patria genovese e la dimora in Savona del padre di Cristoforo, in confutazione al noto Discorso del piacentino Campi. Egli si sottoscrive Giambattista Pavesi, e senza dubbio egli è quello stesso Patrizio savonese che ve-desi ricordato da Michele Giustiniani e dal Soprani come loro contemporaneo, studiosissimo e laborioso senza però aver nulla stampato. Il eh. avv. G. B. Belloro, già Conservatore del nostro Archivio di San Giorgio, in più scritti e in ispccie nell’Appendice alla Rivista critica sulla patria di Colombo (1) Cod. E. VI. 9. Molto Rcv.do P.c e mio Sig.re Coll.mo Al viglietto di V. P. rispondo che il primo giorno di bnon tempo sarò alla Città conforme il mio solito di ogni settimane, e fuorsi sin dimane, ove il mio primo passo suole essere dal libraro. Iutanro a caotela dirole che del 66 mese di Aprile fui richiesto tfa’ Signori Marco Antonio Saoli e Raffaele Soprani per la risposta all’Historia del Can. Campi piacentino circa il Colombo, al cui effètto mi mandorno l’istesso libro. Io rcssaminai e le feci risposta essattissima a capo per capo riggettando quel suo Instrumento falso 0 appocrifo, e l’intitolai Essanie e Coiuraddiottrio di G. B. P. sopra l’Historie di D. Cristoforo Colombo divulgato dal Can.“> Pier Maria Campi piacentino e gli la mandai che fu molto accetta con pensier loro di farla stampare co’ l’aggiunte di altre cose di loro studio et inventione. Perciò V. P. può ricorrere dal sig. M. A. S. sendo morto l’altro Signore. Il Signor Bottari libraro e e stampatore in Genova è informato di quanto sopra poiché lu il ministro di detti Signori. 25 3^6 , GIORNALE LIGUSTICO (Genova, 1839, pag. 36-37), accenna ad una testimonianza sul sepolcro di Colombo in Siviglia, fatta da un Francesco Spinola ad istanza di Giambattista Pavesi nel 1650, 20 maggio. Anche a principio del nostro secolo altro avv. Ί ommaso Belloro scriveva del Pavesi che rivide nell’ Archivio pubblico di Savona i documenti su Colombo già dati alle stampe da Giulio Salineri, ed aggiungeva che di ciò fa menzione il Pavesi stesso ne’ suoi Manoscritti sulle famiglie savonesi. Di questi stessi Mss. su 70 famiglie savonesi ordinate secondo i tempi, fa cenno Agostino Monti nel Compendio delle memorie storiche della sua patria. L’illustre P. Spotorno, rac-raccogliendo le parole di Agostino Monti, ha creduto che il Giambattista Pavesi, antecedesse a Giulio Salinero ed anzi anche a un Giambattista Ferreri, da cui il Salineri ebbe i materiali che diede alla luce. Ma questi stampò le sue Aduo-tationcs ad Cornelium Tacitum nel 1602, e secondo il ^ er-zellino morì nel 1612; mentre il Pavesi scrive la sua lettera Aggiungo che doppo di quel tempo mandai al detto signor Saoli per mezzo dell’ istesso libraro Instrumeuti auttentici ritrovati in Savona per documento maggiore del Colombo genovese di nascita c genovese di habitatione. Mi dilettai in appresso di comporre un Poemetto latino con scherzi furati da Vijgilio nell’Eneide Georgica etc. Stante il Campi etc. Alcuni epigrammi e distici anche a proposito etc. fra « quali Per Campum et Campos tentant volitare columbi At Christophorum age, sola Saona teget. Places tu Placentia, seu placenta Columbis At Christophoro, ego sola Saona meo Vana tunc sileant Campi miracula molis Parturijt, credas, Mons tuus iste murem e qui per non tediarla finisco mentre a V. P. fo riverentia-Di Langueglia 5 Aprile del 73. Devotissimo G. R. Pavesi. giornale ligustico 327 nel 1673 e dichiara avere intrapreso il suo scritto dopo il 1666 in confutazione al predetto discorso del Canonico Campi. È vero che, come si notò poco fa, il Pavesi si occupava già di simili documenti nel 1650 e forse se ne occupò anche prima; ma lo scrittore della lettera del 1673 non può certo aver giovato delle sue ricerche chi si proponeva di scrivere sullo stesso soggetto non più tardi della fine del secolo XVI. Sull’ esempio dei chiari Savonesi anche noi rovistammo gli Archivi, meno colla speranza di trovar cose nuove che di rivedere le vecchie e indicarne il nuovo collocamento; aiutando cosi gli studiosi a tali ricerche, ora che i documenti possono essere alla loro mano molto più agevolmente che non in altri tempi. Ci corsero dunque sotto gli occhi le note testimonianze a favore dei Colombo di Cogoleto; cioè quelle fatte ad istanza di Bernardo nel 1583 nei fogliazzi del cancelliere Gian Francesco Rosso (Archivio di Governo) e quelle pel figlio di Bernardo, Cristoforo, ricevute nel 5 aprile 1599 dal notaro Cornelio Zoagli (Archivio notarile). Nel mazzo terzo Toliticorum riscontrammo quella particola in spagnuolo del testamento di Cristoforo del 1498, che già è accennata, come esistente nell’ Archivio segreto, dall’Autore dell’ Elogio storico di Colombo (Parma 1782, pagg. 10 e 203). Nelli’ Archivio notarile volemmo leggere uno almeno dei tre contratti che ci assicurano del cognome e della paternità della moglie di Domenico Colombo, Susanna Fontanarossa qm. Giacomo (Fogliazzo di Francesco Camogli; 1470, 25 maggio, all’atto n. 157). Ci corsero inoltre sotto gli occhi un Antonio Colombo di Rapallo, patrono di galea nel 1593 (Richeri B. 27. 1.), ed un Antonio De Colombo che fabbrica a Quinto (Litterar. Communis, Registro 9. 1450, 1 agosto). Il Federici nt\\'^Abecedario delie famiglie nobili genovesi, che è il più ampio repertorio di tal materia (Ms. alla Biblioteca della Missione Urbana) cita il nome di Domenico Co- 328 GIORNALI·: LIGUSTICO lombo come indicato in alcuni registri di Avarie e h'ocaggi (imposte sul mobile e sulla famiglia). Nei pochi libri di questa categoria che trovammo nell’Archivio di San Giorgio, non ci venne fatto di riscontrare quella citazione; ma è naturale che Domenico, abitando più anni in Savona di seguito, non potesse essere iscritto a Genova a que’ tempi in simili registri. Piuttosto lo si dovrebbe trovare in quegli altri denominati 'Possessionum ossia dello stabile, ma anche ne’ pochi che abbiamo nello stesso Archivio di tal fatta non ci riesci di trovare nulla (i). Credo che il silenzio su Domenico negli stabili si spieghi meglio osservando che la sua casa era di dominio diretto de’monaci di santo Stefano, i cui beni non si trovano accatastati perchè immuni da imposte. Rivedemmo bensì il suo nome come pagante livello di soldi η ai suddetti monaci nel 1457-5S-60; essendo i registri di quel monastero passati, non ha molti anni, se non in tutto, in qualche parte all’ Archivio di Stato. Ma manca per esempio il quaderno de’ livelli dell’anno 1489, che sarebbe importante per chiarire una quistione che dirò sotto. L illustre P. Spotorno avea già acutamente rilevato un probabile nesso di famiglia tra Domenico padre di Cristoforo e un Giacomo Colombo qm. Guglielmo che interviene ad un (1) Nelle Miscellanee del Federici (Archivio di Stato, Cod. 11.}, c. 26}, l’irso) si cita un decreto del 11 luglio 14.(0, in cui fra alcune persone a cui si ripartisce un credito è nomin.no CMslopborus De Columbis. Certo qui non si tratta dell’Ammiraglio: ma ciò prova elio il nome di lui non era nuovo in famiglia. Nel Cartolario Possessionum del 1466, c. 156, verso, è scritto oinUmius Columbus, nu in contrada di Sartoria. Nel Cartolano Λvariarum del 1459, quaderno I.·, è scritto Antonius Columbus et fratres in contrada fuori porta Sant'Andrea. Non so, se a questi Antonii o a quelli altri poco sopra nominati abbia attinenza il Gio. Antoniò Colombo parente di Cristoforo che fu capitano di una delle navi che pararono con Colombo pel terzo suo viaggio. Vcd. Fermando Colombo, 5 c 7/ > e Na\ ίκκεγε, Colite ion Jt Ics viagts ecc., I. j jj, nota 5. GIORNALE LIGUSTICO contratto il 3 maggio 1311. Di ciò ne persuadono la comune professione di lanaiolo, e Γ abitazione d’ entrambi extra portam sancti Andreae, vale a dire nell’ odierno vico dritto di Ponticello o vicoli laterali. Io aggiungo parermi molto probabile che quel Giacomo Colombo del 1311 sia padre a quel Giovannino figlio di Giacomo che ha la stessa professione, dimora nella stessa contrada ed è accennato negli atti notarili del giugno 1321 e 27 febbraio 1329 (1). Ma non capisco il perchè il eh. Spotorno attribuisse a Domenico Colombo due case, una nella strada che da porta sant’Andrea scende all’Arco, l’altra in Morcento. Il quaderno dei livelli non parla che di una sola contrada o distretto extra portam sancti Andreae, diviso bensì in due sezioni: la prima dalla detta porta giunge fino a Morcento, ed in questa ò inscritto Colombo ; la seconda sezione da Morcento perviene a Ponticello, ove comincia altra contrada con questo ultimo nome e giunge a porta d’ Arco. D’ altra parte i Cartolari d’ Avarici Focaggi, Possessioni non registrano mai il nome di Morcento, ma si capisce che lo comprendono, nel nome generale di centrata extra portam sancti Andreae; avendo a confini essa porta e le tre contrade di Vico Nuovo, di Ponticello e di Rivotorbido (dei Servi). Tutte insieme poi queste contrade con altre di Portoria, San \7incenzo ecc., costituivano allora il quartiere, 0, come diceasi, la compagna del Borgo di santo Stefano. Ciò essendo, non vi è ragione di attribuire alla famiglia Colombo due case in questo quartiere. Basta una sola pei noti documenti; la quale non so se sarà stata abitata già da antico da Giacomo e Gioannino sovra accennati, ma a me (1) Richeri, Ms. in Archivio di Stato. Fogliazzo A., folio 3, col. 3; folio 4, col. 6; folio 7, col. 7. Si noti che nel primo di questi estratti è letto per errore extra portavi amie; ma 1’ originale del Notaro visto da me dice extra portavi sancti Andreae. come nell' altro documento. 55° GIORNALE LIGUSTICO pare essere senza dubbio quella stessa casa posta nel Borgo di Santo Stefano su cui Susanna, moglie di Domenico, aveva ipoteca per le doti; e ne consenti a tale titolo la vendita nel 1477 per atto notarile fatto a Savona il 23 gennaio e indicatoci dai chiari avvocati Belloro padre e figlio (1). Si deve infine trattare della stessa casa nell’ atto di transazione 21 luglio 1489 in notaro Lorenzo Costa di Genova, se vere sono le informazioni degli Accademici genovesi for- C* o niteci nel Ragionamento sulla patria di Colombo (an. 1814). I lodati signori Accademici dichiarano aver letto nel quaderno de’ livelli del 1489 (che ora ci manca) che la casa era passata da Domenico Colombo a suo genero Jacopo di Bava-rello, per estimo da costui conseguitone come in atti del notaio Costa. Ora in questo stesso anno e in questo stesso notaio i contraenti venendo ad amichevole transazione cominciano ad esporre che vi era lite da più anni tra il Bava-rello e Domenico Colombo per una casa, di cui il primo avea conseguito l’estimo, ed il secondo vi si opponeva come tutore dei proprii figli, eredi delle doti della madre Susanna. Dissi, se vere sono le informazioni de’ signori Accademici; perchè rileggendo io l’atto originale del notaio (del resto fedelmente, mi pare, da loro riprodotto) sorse nel mio animo una obbiezione a cui ho già sovra accennato e che ora espongo. La casa nominata in Lorenzo Costa si dice situata in contrata portae sancti Andreae; (il eh. Spotorno, ma non gli Accademici, dimenticò l’importante parola portae). Ora la contrada di porta sant’Andrea è ben diversa da quella extra portam; tale porta tuttora conservatasi divideva queste due (2) Belloro G, B., T{fi'ista critica . . . sulla patria di Cristoforo Colombo; Genova, Casaraara 1859, Pag· 59; ciundo un ano del notaro Gio. Gallo di Savona del 2} gennaio 1477 ; Belloro Tommaso, TLoti^U della famiglia di Cristoforo Colombo ecc. Impressione 2.* con note dell’editore (Il P. Spotorno) ; Genova 1821. giornale ligustico contrade e due compagne; la contrada fuori porta nel Borgo santo Stefano detto sopra, e la contrada di porta corrispondente all* odierno vico de’ Notari, la quale era dentro le mura e si comprendeva nella Compagna di Macagnana che dalla detta porta per Canneto scendeva al mare. Se il notaio scrisse giusto, le case di Colombo sarebbero veramente due ma poste in due diversi, sebbene attigui quartieri; ed avrebbe ragione il Casoni il quale non solo attribuisce a Colombo due case, ma lo fa ad un tempo parrocchiano di santo Stefano ed appartenente al quartiere o compagna di Macagnana (male però da essolui interpretata in Mascherona) (i). Qui dunque vi è un bivio, un equivoco. O il notaio sbadatamente scrissecentrata portac invece di extra portam; oppure non ò esatto che i lodati Accademici abbiano letto nel quaderno de’ livelli quella tale annotazione. Il primo caso pare in verità poco naturale, trattandosi di contemporaneo e che si dee supporre ben informato, anche per uffìzio, de’ diversi nomi delle parti della città. Ma il secondo caso è ancora più difficile a credersi; i signori Accademici attestando aver veduto essi stessi coi proprìi occhi il quaderno de’ livelli ci porgono una prova che per la qualità e gravità dei testi è d’ ogni eccezione maggiore. Inoltre dichiarano che 1 annotazione nel quaderno fu il filo che li condusse a trovare nel-Γ Archivio de’ notari 1’ atto di Lorenzo Costa. Ciò posto i due documenti si legano necessariamente tra sè; e la casa di Colombo non può essere che una; posta nella contrada fuori porta, e nel quartiere o compagna di Borgo santo Stefano, come lo dichiara l’atto notarile savonese del 1477» 23 gennaio. (1) Spotorno, Stor. Lettcr. della Liguria, Π. 172 e 257. Casoni. Annali dilla Rep. di Genova, 1799, p. 68; Memorie dell’Accademia delle Sciente dì Genova, III. 1814, pag. 48. Ved. anche ivi per le altre citazioni le pagine 36, 45, 50. 352 giornale ligustico Scorrendo i medesimi quaderni de’ monaci trovammo in quello del 1425 entrato tra i livellarii in quella stessa contrada da porta a Morcento un Jacopo di Bavarello q.m Oberto. Quindi guidati dal gii citato ^Abecedario del Federici rinvenimmo nell Archivio de’ notari il fogliazzo di Jacopo Piloso avente studio in Ponticello. Nel quale fogliazzo 1470-92 al foglio n. 8 in data 28 novembre 1470 è un convegno tra i textores pannorum lanae presieduti da’ loro consoli e radunati sub porticu clausure monasterii sancti Stepbam. Ivi tra il gran numero d intervenuti sono: Dominicus de Columbo, e Baptista de Fontanarubea. Da questo documento come dal precedente quaderno di livelli si capisce meglio come Domenico Colombo si fosse imparentato coi Bavarello per via della figlia, e coi Fontanarossa per via della moglie Susanna. Finalmente, sebbene ora resi più noti agli studiosi per le cure del signor D Avezac, non taceremo i due contratti già citati nella rarissima Revista critica dell’ aw. G B. Belloro alla disserta-ione d’Isnardi sulla patria di Colombo (Genova , 1839). Nella quale, alle pagine 56 e 57, Cristoforo Colombo comparisce maggiorenne; perciò secondo le leggi genovesi a\e\a almeno 25 anni compiuti, sebbene ancora sotto la patria potestà. Di questi contratti, uno fu avvertito la prima volta dal Bianchi, Osservazioni sul clima della Liguria. (Genova 1817, I. i43); e poi fa citato dal Bar. De Zac, Corre-spondance astronomie (Génes 1825, I. 296) come esistente nell’ Archivio notarile di Savona. Ed essi sono assai importanti come quelli che rivelano che Cristoforo non poteva essere nato più tardi del 1447. Ben fece dunque l’illustre Francese d inserirne un cenno nel penultimo suo scritto; ove si confutano le opinioni contrarie, in ispecie l’opinione del dotto Peschel, che pretese protrarre quella data sino al 1456; e si rassoda l’antica credenza sostenuta dal nostro 333 P. Spotorno, che Colombo venisse alla luce più probabilmente verso la fine del 1446 (1). Vili. Con Cristoforo Colombo si chiude il medio evo e ad un tempo si chiude la serie dei nostri scopritori. Perciocché a misura che andò languendo in Italia lo spirito pubblico e fu sostituito, come in Genova, dallo smisurato desiderio d’ arricchirsi in Ispagna e nelle Fiandre con operazioni di banco; nella stessa misura cresceva lo spirito pubblico in quelle nazioni marittime, a cui avevamo noi insegnato le vie alle terre ignote e gli ardimenti. Ora gli allievi sono divenuti maestri; ed è gran che, se per qualche tempo ancora restammo in seconda fila. Tuttavia, come dopo un grande incendio, brillano ancora delle faville che è opera pietosa si raccolgano dai tardi nipoti. Già il P. Spotorno, e le memorie raccolte su Colombo rimembrano parecchi Genovesi che al grande Navigatore erano compagni 0 a lui legati d’ amicizia 0 d’affari: ed ora il dotto ed infaticabile Harrisse ci rivelò parecchi concittadini legati a Ferdinando per simili vincoli. Il eli. G. B. Belloro trasse dall’ oscurità coi documenti savonesi il nome di Leone Pancaldo che fu compagno e piloto nella celebre spedizione di Magellano e ne descrisse i casi. E di fresco il eh. Amat di San Filippo nella pregiata ‘Bibliografia de’ Viaggiatori Italiani (Roma, Salviucci 1874, pag. 50) ci rivelò un altro piloto Battista Genovese che descrisse anche egli quel viaggio di circumnavigazione, e la cui relazione, inedita fino al 1831 nella Biblioteca nazionale di Parigi, fu impressa col titolo di %oteiro da viagem de Fermivi de Maga-Ibaes ed inserita nell’ opera Noticias para a historia e geografia (1) D’Avezac. L'annJe véritable de la naissancc de... Colomb; Paris, 1875. GIORNALE LIGUSTICO das nafoes ultrainarinas. Interrogatone il signor D’ Avezac, cortesemente mi confermò che tale Roteiro viene attribuito a Battista da Genova sebbene sia anonimo. Si sa dal Navarrete che nei legni della spedizione magellanica eranvi più genovesi, tra cui col suddetto Leone Pancaldo un Giovanni Battista di Polcevera o di Sestri-Ponente, maestro a bordo della nave La Trinità. Se si prestasse fede al Monti, storico savonese, il Pancaldo sarebbe ritornato colla nave La Vittoria compiendo il giro del globo; e dovrebbe perciò piuttosto a lui che non al Battista attribuirsi la relazione ora stampata a Lisbona. iMa i documenti ufficiali raccolti dal Navarrete, mentre confermano che Pancaldo fece anch’ esso la relazione del suo viaggio che gli fù rapita dal Governo portoghese, provano però che egli non compiè il giro colla Vittoria: ma giunto a Tidor come piloto della Trinità dovette con questa fermarsi: indi prese altre vie ed ebbe avventure che si possono leggere nell’elogio scrittone dal eh. Belloro. Del resto, come il Pancaldo alla relazione del suo viaggio accompagnava la carta, cosi io non dubito che facesse lo stesso il Battista da Genova: perciò chiedo a me stesso, se non sia quest’ ultimo identico al suo omonimo che nel 1514 fece un Portolano che si conserva tuttora a Wolfenbuttel e che fu gii ricordato dal Potocki nella sua Illustrazione del Mar Nero (1). Ad ogni modo abbiamo, se non più il capitano, almeno, (1) L elogio di Pancaldo fu riprodotto nel Giornate digli Studiosi, del cav. L. Grillo ; Genova 1869, pag. 513-28. Ved. pure in De Zac , Corre-spondance astronomiqiu ; Gcnes 1826, pag. 50-68, le lettere di Navarrete e del P. Isnardi. E ved. Navarrete, Collecion de tos viages ecc., voi. IV. pp. 12-25 e 378-86. Il Portolano di Battista genovese fu da noi indicato al n.c 20 del Catalogo delle carte ed alianti nautici, allegato al Rendiconto della Società Ligure (jitti, voi. IV, pag. 178, 1867). Allora sulla fede del Lelevel lo credemmo dell’ anno 1513ε conservato a Parigi ; ma cortesemente ci avvertì e corresse l’errore il signor D'Avenae. giornale ligustico 335 due piloti che guidano le navi e stendono la relazione di quel viaggio che compie il disegno e il desiderio di Cristoforo Colombo e di Giovanni Caboto. E se quindinnanzi gli Spagnuoli, i Portoghesi, i Francesi, gli Olandesi, gl’inglesi cercheranno altri passaggi per riunire il mondo in una sola famiglia, noi Genovesi abbiamo due uomini i quali offrirono i loro studi e la loro opera a tale uopo, ma senza frutto. Dico Paolo Centurione che propose il passaggio per via di terra attraverso l’Asia centrale, e il meno noto ma degno di esserlo e di fresco illustrato dall’ amico Belgrano, quel Benedetto Scotto che volea tentare il tuttora terribile passaggio per l’Oceano artico e di là scendere giù fino all’ investigazione dell’ Australia (ι). E Benedetto Scotto pronunziò una parola felice quando disse che era fatale ai Genovesi il ritrovare per navigazione i paesi incogniti (ibid. p. 352). Sì, proprio fatale: se i nemici di Cristoforo cercano persone che si vuole lo abbiano preceduto nel viaggio, 0 fonti onde egli abbia tratto notizie della via da tenersi, non possono incontrare che persone e fonti genovesi. Un Vincenzo Diaz dalla Madera vede lungi a occidente una terra; e cerca compagni che gli forniscano e comandino la nave alla impresa. Or bene questi compagni sono i due fratelli genovesi, Luca e Francesco Di Cassana (famiglia nota fra noi e di cui abbiamo ne’ notari un Francesco nel 1487). I quali però col navigare non approdarono a nulla. Martin Alonzo Pinzon pretende aver veduto prima del viaggio di Colombo una carta ove era già segnata la terra a cui questi approdò. Ebbene, fosse anche da credere ad un uomo che si sa odiatore di Cristoforo, questa carta dice averla veduta a Roma nella Biblioteca del genovese Innocenzo Vili (2). (1) Opuscoli di Benedetto Scotto in Jltti delle Società, voi. V. 273 e segg. (2) Vita di Cristoforo Colombo, per Ferdinando suo figlio, cap. 9; Herrera . Hist. géiieral de los hecbos en las Indias; Madrid 1601, pag. 6; 33* GIORNALE LIGUSTICO Si pretende per esaltare Vespucci che sia una grande gloria avere scoperto il continente d’ America dopo che già erano da Colombo scoperte le isole: ed ecco che i fautori stessi del Fiorentino sono ora costretti a confessare che prima di Vespucci ad ogni modo la terra ferma fu scoperta da Caboto, da un Genovese. Era dunque proprio fatale., come disse Benedetto Scotto, che la nostra patria, antica signora del mare e madre delle ardite imprese meritasse 1’ onore di compiere ciò che da secoli tentava ; ciò che fu per modi e vie diverse il pensiero dei λ ivaldi e di Malocello sullo scorcio del secolo XIII; di Nicolò da Recco nel XIV ; de’ due Antonii Usodimare e Noli nel XV; fino al suo compimento in Caboto e Colombo; e fino alle ultime conseguenze e tentativi nei piloti di Magellano, in Paolo Centurione e in Benedetto Scotto. Scaldino si illustri esempi Genova e Italia tutta a mescersi nella forte e dura opera colle più moderne nazioni. XVI. Assemblea Generale Tornata del 19 aprile. 'Presidenza del Presidente comm. Antonio Crocco. Il Presidente legge una Commemorazione del rimpianto socio avv. Gaetano Avignone (i); e dopo di aver pòrto alla memoria dell egregio collega quel tributo di stima e di affetto onde la Società non mancherà mai dal proseguirla, ne cn- Navarrete, Collecion de los viages ecc.; Madrid 1829, III. pp. 5$9 e segg·> Humboldt, Examen crilique, I. 255-4 ; 11.86; Remondini. Estratti notarili, Ms. alla Civico-Beriana, II. lettera C. (1) Se ne veda la Necrologia a pag. 80. GIORNALE LIGUSTICO 337 comia lo zelo illuminato per cui adunò un copiosissimo Medagliere Genovese, ed una eletta collezione delle opere più pregiate in fatto di Numismatica antica e moderna, non che di libri attinenti alla storia ed alla letteratura ligustica. Tocca delle Medaglie dei Liguri e della Liguria che Γ Avignone illustrò nel volume ottavo degli Atti, e che riscosse gli en-comii degli intendenti italiani e stranieri; e cosi pure delle Tavole descrittive di tutte le monete genovesi cui avea posta mano in compagnia d’ altri colleghi, e che a tempo opportuno usciranno del pari a stampa negli ^Atti. « Se non che il modo più degno di onorare la memoria di Gaetano Avignone (cosi conclude), e di tramandarne alla gratitudine de’ nostri posteri il Nome, quello sarebbe a mio avviso, del dare opera ad impedire la dispersione, ο P avviarsi in terre straniere da straniere mani occupato, di quel tesoro ch’io additava po-c’ anzi, e che al nostro desiderato socio costò si diuturne e diligenti fatiche. Auguriamoci, o Signori, che quest’onta pur troppo non infrequente fra noi non si compia sugli occhi nostri, e che la nostra Città non voglia mai consentire ad assistere spettatrice indolente di tanto sfregio .... Possano il Museo Numismatico, le opere che vi hanno attinenza, e i cimelii raccolti con tanto amore dall’ottimo che piangiamo associarsi in armonico complemento a quella Biblioteca Brignole-Salc che ora come nobile palestra alle discipline letterarie verrà dischiusa alle indagini ed alla meditazione de’ nostri concittadini riconoscenti! » Il socio Desimoni unendosi al desiderio espresso dal Presidente , propone che Γ Assemblea emetta un voto formale perchè il Medagliere e la Biblioteca Avignone sieno acquistati dal Municipio. 11 socio Tammar Luxoro appoggia questa proposta ; e Γ Assemblea approva all’ unanimità. Si nominano a socii effettivi: il cav. dott. Pietro Berretta, il comm. Alfredo Faussone di Clavesana, monsig. Salvatore 358 GIORNALE LIGUSTICO Magnasco arcivescovo di Genova, il sac. Francesco Martino Persi, il conte Carlo Reviglio della Veneria, il sig. Gian Francesco Sigimbosco. Il Segretario Generale presenta i doni pervenuti alla Società dopo la tornata del 7 dicembre (1); e comunica i documenti qui sotto enunciati. 1. Una rappresentanza del sig. Enrico Glavany, residente a Costantinopoli, con la quale si propone che la Società faccia uffizi presso il Municipio ed il Ministero degli affari esteri, acciò non sieno guaste e disperse le molte lapidi genovesi eh erano infisse nelle mura di Galata state demolite nel 1864; ma possibilmente vengano dal Governo Ottomano cedute al Comune di Genova. 2. Una Nota con la quale dalla Presidenza della Società fu rimessa al sig. Sindaco la rappresentanza Glavany. 3. La risposta del sig. Sindaco, il quale partecipa aver fatte pratiche presso il Ministero « per sapere se la Municipalità di Costantinopoli sarebbe disposta a cedere queste iscrizioni al Municipio di Genova ». 4. Una circolare del Comitato permanente dell’ Associazione Italiana pel progresso delle scienze, il quale invita la Società a farsi rappresentare all’ adunanza che terrà in Roma, c ad esporre alla medesima « la serie dei lavori compiutisi dentro 1 anno volgente da’ suoi membri residenti in qualunque soggetto d’investigazione ». 5. Un invito della Commissione ordinatrice delle feste con le quali nel prossimo luglio verrà solennizzato a Padova ed (1) Ne ommettiamo l'elenco, perchè la pubblicazione da noi fattane non iscuserebbe la loro inserzione negli Λ Iti. D'altra parte la ristrettezza dello spazio ci consiglia a limitarci alle cose più sostanziali, acciocché alla fine del corrente anno possiamo avere stampate per intero la serie dei resoconti concernenti l’anno accademico 1875-74. GIORNALE ligustico 339 Ai qua il quinto centenario dalla morte di Francesco Petrarca; affinché la Società voglia farsi rappresentare alle stesse. 6. L indirizzo che la Presidenza, interpretando i sentimenti della Società, ha spedito alla marchesa Maria Brignole-Sale, duchessa di Galliera, per esprimerle la riconoscenza dell’istituto per 1 atto generoso da Lei e dal degno suo Figlio compito a decoro e vantaggio della patria comune, colla donazione del ‘Ραΐα^ο Rosso e colle varie fondazioni a beneficio delle arti e delle lettere, che sono divisate nell’istrumento della donazione medesima. L’Assemblea approva l’operato dalla Presidenza rispetto alla rappresentanza Glavany ed all’indirizzo di cui sopra; e delibera di accogliere l’invito della Società Italiana pel progresso delle scienze, riservandosi di delegare in seguito chi la rappresenti. Accoglie del pari l’altro invito della Commissione per le Feste Petrarchesche; e si rimette nella Presidenza quanto alla scelta della Persona cui sarà demandato l’incarico d’intervenirvi. Dovendosi a norma dello Statuto procedere alla rinnovazione parziale dell’ ufficio di Presidenza, rimangono, a seguito di votazione per ischede segrete, confermati nella carica di Presidente il comm. Antonio Crocco, e di Vice-Presidente il comm. Giuseppe Morro; e sono eletti a consiglieri i socii Luigi Franchini, Antonio D’Oria e Gio. Battista Pisano. Rimettesi pure alla Presidenza l’incarico di comporre la Commissione, che nella prossima tornata generale dovrà riferire sulle proposte di nuovi soci onorarli e corrispondenti. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO ‘Petrarca in Liguria, di Emanuele Celesia. — Genova, Sordomuti 1874. A 'Dante in Liguria edito come ognun sa nel r86j pel 340 GIORNALE LIGUSTICO Centenario Dantesco, succede nove anni dopo Γ annunciata monografia posta appunto fuori nelle feste commemorative dell’ insigne lirico. Ma se agevole tornava al eh. autore ra-gunare le memorie che in qualche guisa risguardano il divino Alighieri ed insieme la Liguria, non pareva a prima giunta facile del pari comporre un dilettoso ed erudito libro intorno al Petrarca, da che fosse manifesto come pochissime relazioni egli ebbe con questa nostra regione. Se non che la diligente ricerca delle sue lettere famigliari e delle altre sue opere porsero al comm. Celesia bastevole materia per metter fuori un elaborata scrittura, a fin che durasse ricordo come Genova e Liguria non pongono in dimenticanza i grandi italiani. Delle due navi romane scolpite sul Bassorilievo Portuense del Principe Torlonia, Dissertazione del P. M. Alberto Guglielmotti d. 0. d. P. — Roma, Cotta e Comp. 1874. Richiestone dalla Direzione della ‘Rivista Marittima, pubblicò il eh. Autore in esso Giornale una terza edizione di questa sua dotta Memoria. Nell’annunciarla, non diremo dello stile immaginoso ed energico con cui è dettata, e che d’ altronde tutti ben conoscono; nè può essere intento nostro lo esporre i tesori d’ arte e di scienza che il P. Guglielmotti seppe accumulare anche in brevi pagine. Ci starem paghi di additare un sol punto del lavoro, che è però fondamentale; il modo cioè e le cognizioni con cui dalla misura di un solo pezzo di nave nel Bassorilievo, ei seppe dedurre tutte le altre serbando costanti le proporzioni. Donde apparisce agli occhi di chicchessia la perizia e 1’ esattezza dello scultore e ad un tempo dell’ illustratore. Peccato che la Marina Italiana non chieda del pari al P- Guglielmotti il suo Glossario Nautico, compiuto da più anni e che pur si giace negli scaffali per manco di un editore! La nostra patria avrebbe anch’essa il» suo Jal, ed un opera assai migliore che quella del Dotto francese ; avrebbe un monumento che ci manca affatto, e di cui altri non saprebbe fare nè desiderare il più perfetto. Il eh. Guglielmotti studia con amore e dalla più giovane età la storia ed i costumi della marina; alla scienza accoppia la cognizione del- 1 arte ; si piace di conversare cosi coi dotti come col popolo, e coglie vivo dalla bocca del marinaio il linguaggio. Pasquale Fazio Responsabile. Settembre-Ottobre 1874. Fascicolo 9-10 GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI Il signor Filippo Brunn, Professore all’ Università di Odessa, è pure uno dei membri più dotti ed operosi della benemerita Società di Storia e d’Archeologia che ha sede in quella città; ed oltre i parecchi studi ed articoli che ha pubblicato e pubblica in quegli cAtti, egli è autore di più altre Memorie impresse in varii Periodici, di alcune delle quali meglio a noi conosciute porgiamo un cenno in nota (1). Come è naturale, Dotti della nuova 0 meridionale Russia prendono molta parte alla Storia medio-evale del Mar Nero e della Crimea: onde le loro ricerche incrociano colle nostre sotto questo rispetto. Il Prof. Bruun si è compiaciuto dettare pel volume VIII degli Atti della Società Odessiana un articolo bigliografico relativo ÙY Atlante Luxoro, pubblicato dalla Società Ligure di Storia nel suo volume V. In quell’articolo si fa benevola (1) ‘N.otices historiques et topographiques concernant Ics colonies italiennes en Gaxaric. Nelle Memorie dell’ Accademia delle Sciente di Pietroburgo, Tom. X.' 1866. 1. Materiali per la storia di Soldaia (in Crimea); Odessa, 1871. In lingua russa. Estratto dal Calendario della Nuova Russia pel 1872; tradotto in italiano per la Società Ligure dall’avv. P. C. Remondini. 2. Periplo del Mar Caspio secondo i Portolani del XIV secolo (con due fac-simili); Odessa, 1872. In russo. Estratto dagli *Atti dell’Ivip. Università della Nuova Russia. 3. Le colonie italiane in Ga^aria, Osservazioni storiche, ecc.; Mosca, 1872. In russo. Estratto dagli Studi della Società Archeologica di Mosca. 4. Essai de concordance entri Ics opii\ions contradictoires rclatives à la Scythie d’Hirodote; Pietroburgo, 1873 ; con una carta. Estratto dal cRecueil d'antiquités de la Scythie publié par la Commission Imp. Archéologique. 26 342 GIORNALE LIGUSTICO menzione del lavoro in sè, e specialmente della interpretazione moderna de’ nomi medioevali; ma su quest’ultima parte si aggiungono rilievi opportuni e qualche correzione, quale può fare chi ha, come Lui, piena la cognizione delle fonti e la esperienza de’ luoghi. Già il testo russo era stato cortesemente tradotto in italiano dall* avv. Pier Costantino Remon-dini Preside della nostra Sezione Archeologica; però il dotto Russo venuto in cognizione che si sarebbe inserito nel Giornale Ligustico, volle egli stesso ritradurre in francese l’articolo, ma con notevoli cambiamenti e migliorie che gli suggeriva la continuazione de’ proprii studi. Crediamo non sarà discaro ai nostri benevoli lettori d’avere un saggio degli scritti del eh. Professore di Odessa, a cui la Società Ligure deve essere grata e per questo e per più altri attestati della stima in che egli tiene le di lei pubblicazioni. formant un « χίΧτης » de 630 stades, s’appellait alors Opis-sas, d ou il résulte qu’il n’y avait rien de commun, outre une homophonie purement accidentelle, entre ce noni et celui d Opiza, lieu de sépulture de Gouram, fils du roi Achot (Brosset, H. 1, 273), ou le mot goth ubizva, gouttiòre. Par contre un rapport plus intime pouvait exister entre ce dernier mot et la gorge de KhopitzaT, près de Ghòlcndjik, où s’étaient jadis ètablis les Tétraxites. Prenant en considération la lon-gevité des noms géographiques, je suis tenté de croire que les monts Togopsoukouè, qui s’élèvent immédiatcment der-rière les baies de Novorossusk et de Ghélendjik, ont rcqu de giornale ligustico 359 ces Goths le nom de Varadas, que la chaine mentionnée porte encore, et je soup$onne mème que la rivière rapide, nommée aujourd’hui Vouìan ou Tzouepsin est redevable à ce peuple du premier de ces noms, qui par cela est devenu le fleuve londia des cartes italiennes. Quant à l’ancien nom de Ghélendjik, Pagrae portus, il se cache peut-ètre sous celui de Poghrip, lieu situé a 6o verstes de Soudjouk-kalé, vers le midi; il se pourrait aussi que les ruines qui existaient encore dans cet endroit du temps de Reineggs (Allg. Beschr. d. Kaukasus, p. 278) appartenaient à la capitale de la Sin-dique, Gorgippia, dont on ne connait pas encore l’emplacement, de mème qu’on ignore l’origine des Tatars-Adalis, que Ma-rigny (p. 221) avait rencontré en 1824 sur le plateau de Djimaité près d’Anapa, cultivant du blé etc. P. 261, n. 103 ψ° Zor^uqui. D’accord avec M. D. que Du-bois n’a pas prouvó que ce port, nommé susaco, sussaca etc. dans d’autres cartes, doit otre cherché dans l’anse de Djoubg, j’aurais préféré lui indiquer sa place près de l’embouchure du Souksou, sous quel nom Evliya désigne probablement le Touabs, où se trouve actuellement une des principales sta-tions pour nos bateaux à vapeur qui entretiennent les Communications depuis Kcrtch jusqu’à Poti. Mais quelle qu’ait été la position du p.° zourzuqui, je ne puis admettre l’identité de ce nom avec celui de Zichia ou Zaquia, ni croire que c’est par errcur que dans d’autres cartes ce mot a été transformé en Sania ou Sanna. Tout au contraire je suis persuadé que ce nom, qui me rappelle Ics anciens Sanni ou Tsani et les Suanètes d’aujourd’liui, désignait un lieu habité par des com-patriotes de la tribù tcherkesse des Cbana d’Evliya Efendi, des grands et pctits Djana de Hadji Chalfa, des vieux et jeuncs Djane d’un voyageur ture anonyme (Sitzungs-Berichte dcr Wiener Acad. XL, 550-93) etc. etc. P. 262, n. 109 Cacari. M. D. fait correspondre ce nom 360 GIORNALE LIGUSTICO avec celui de l’ancien Borgys, appelé Mizygos par l’Anonyme et désignant p;ir cela mème la grande rivière Mezymta, à l’em-bouchure delaquelle est situè le petit fort du Saint Esprit (Svia-tago Dukha) ou Adler (Art-lar). Selon moi cacari devait ètre cherché à une quinzaine de milles vers le midi, c. à. d. à Gagra ou Ivakour, comme ce lieu est appellò par Fèfendi Evliya. P. 265, n. 121 Lofaxio. Sans contredit le Rion; mais cela ne prouve pas encore l’identitè de ce fleuve avec l’ancien Phase, séparé, d’après Arrien (Miiller, Geograph. Graici Minor. I.), par une distance de 180 stades du Chobus, le Khopi de nos cartes, dont 1 embouchure n’est qu’à 9 milles marins ou 90 stades de celle du Rion. En conséquence, j’aurais volontiers fait coincider le cours inférieur de ce dernier, on le Rhèon de Pto-lòmée, avec le Charieis qu’Arrien place juste au milieu entre le Chobus et le Phase, et j’aurais proposé de chercher l’em-bouchure de ce dernier, dans la piaine marécageuse qui s’étend au midi du lac actuel, dit Palèostomo. En faveur de cette opinion j aurais citò les changements auxquels cette contrée « sabloneuse, molle et basse» (Strabon, XI, 2, 17) était de tout temps sujette, et qu’expliquent suffisamment les paroles sui\antcs de deux temoins oculaires: « Débarquer à l’embou-chure du Phase, dit Dubois (Bull, de la Société de Géogr., avril 1S57 P· 244)3 c’est à peu près débarquer à Damiette ou dans les lagunes de Ravenne etc. » À son tour Wagner (Reise nach Kolchis, 227) écrit: « Wenige Fliisse in der Welt fuhren reichlichern Niederschlag von Sand, Lehm und Humus mit sich, wie der braune Rion». Pour montrer que 1 embouchure de ce fleuve pouvait ne pas ètre celle de l’ancien Phasis, jc citerai encore la circonstance, que, d’après Ics auteurs des andens périples, 810 stades séparaient l’enibouchure de ce flerne d^ Scvastopolis, tandis que Soukhoum-kalé, situé tout près de cette ville ruinée, n’est qu’à 700 stades de distance giornale ligustico de Poti, sur 1 embouchure du Rion. Il est vrai que d’après Airicn, la distance entre le Chobus et le Bathys s’élevait à 450 stades, tandis que 370 stades seulement séparent Rédout-kale, sur le Khopi, de Batoum, sur le Saris, l’ancien Bathys. Aussi suis-je loin de m’imaginer d’avoir réussi à démontrer la fausseté de Γopinion dominante relativement à l’identité de 1 ancien Phase avec le Rion. J’espère seulement qu’on m’ac-cordera que cette question est encore sujette à discussion. Les lecteurs me sauront grò si je profite de l’occasion pour leur communiquer quelques nouvelles données contenues dans la lettre de M. D. du 29 novembre 1871. Nous apprenons entre autres que M. D. ayant trouvé dans les archives de Gònes plus de 200 lettres relativement aux affaires de Caffa, la Société Ligurienne avait resolu de les publier avec toutes les autres piòces qui complètent.le Codice diplomatico tauro-ligure ; qui ne devait d’abord contenir que des documents du temps^ quand les colonies gònoises en Gazarie dépendaient de la banque de S. Georges; tandis qu’on y ferait entrer mainte-nant la correspondance directe entre l’administration de ces colonies et la mòre-patrie. Notre société possède déjà les deux premiers volumes de ce Recueil, gràce à l’obligeance de l’éditeur M. l’abbò Vigna. Tandis que nous pouvons espòrer qu’il vaudra bien nous mettre à mème de profiter aussi du 3.rae volume de son ouvrage, si important pour nous, nous apprenons qu’un autre membre de la Société Ligurienne, M. l’abbò Marcello Remondini, s’occupe spécialement de l’in-terpròtation des inscriptions gònoises en Crimée, publiées par Oderico, Canale, Iurgievitch etc. Dans le mème temps Μ. P. Constantin Remondini veut bien traduire en italien les Articles et Mémoires publiòs par nòtre Société odessoise qui peuvent interesser l’histoire ligurienne. De son còté M. D. continue ses études relativement à la synthèse gé-nòrale de ces documents et aux questions de glossaire et 562 GIORNALE LIGUSTICO de gèographie, y compris celle de notre pays, pour les quelles les resultats de ces études seront certainement de la plus haute importance, à en juger d’après le grand merite des travaux antèrieurs de M. D. Nota di C. Desimoni. — Ringraziando il Prof. Brunn delle benevole parole, ond’egli volle accompagnare la menzione de miei tenui studi, mi duole non poter qui entrare a svolgere maggiormente il soggetto, nè aggiungere que’ nuovi schiarimenti che egli mi comunicò con lettera del 28 luglio p. p. ; nella quale mi annunziava il suo ritorno da un viaggio a Sukum-Kaleh e Taman (le medioevali Sebastopoli e Matrega), visitando la costa circassa intermedia. Noterò un solo punto, dove mi dichiaro vinto dall’ evidenza mostratami dal dotto Professore; l’identificazione cioè del medioevale Cacari coll odierno celebre 'Tasso di Gagra. Ciò posto, concedo pure che il nome di Giro che viene appresso a Cacari (\ ed. ^Atlante, pag. 263, num. 110) significherà l’odierno Capo Pitputida, come egli aggiunge nella succitata sua lettera ; quindi anche il nome Ψesonda che vien poi (loc. cit., num. ni), do\rà intendersi nel significato stretto e suo proprio delle rovine dell’antica ‘Pitbiunta. Ma ciò che dice il signor Brunn nel sovra stampato articolo di un antico Hieros (santuario o tempio) presso la baia di Novorossiisk, mi richiama alla memoria un’ etimologia del nome Giro già da me suggerita nei c2^Juovi Studi, pag. 268-69. Anche in queste ultime pagine al num. 182 vi è un posta nella, contrada di Porta Nuova, e volendo appunto dipingere un cavallo, se ne era procacciato uno dalla cortesia del signor Tommaso Airoli onde ritrarlo dal vero, e 1 avea fatto collocare nel portico affinchè potesse quivi acconciamente prestarsi al suo lavoro. Or mentre al dopopranzo del giorno 25 di giugno del- 1 anno indicato stava nel portico dipingendo il suo cavallo, sulla piazzuola vicina, un cotal Valentino Casanova sparava dei razzi, essendo la vigilia di san Giovanni Battista, per cui il ca\allo spaventato si mise a saltare ed a trar calci rendendo impossibile al pittore di seguitar 1’ opera sua. Ciò visto costui mandò un Pietro De Bracelli, giovinetto pur allievo del Paggi e che stava a vederlo dipingere, affinchè· il pregasse che volesse per favore cessare od andar altrove a fare i suoi fuochi. Malamente fu accolto il messo dal Valentino; anzi continuando questi nei suoi giochi fece andare talmente in furia il cavallo, che messosi a strepitare non ci fu più verso a tenerlo, e con un trar di calci rovesciò cavalletto e quadro, e poco mancò non colpisse in volto il pittore. Adiratosi oltremodo costui, licenziò in fretta e furia il giornale ligustico 369 garzone con il cavallo, e salite le scale si fé’ al balcone della sala, ove stava il suo maestro ragionando con lo scultore Orsolino. Poche parole scambiò dalla finestra con il Valentino lo Scorza; indi provvistosi di un pugnale, scese in istrada, cd azzuffatosi con lui lo feriva, e poscia rifuggivasi in casa. Il Valentino si faceva visitare e curare, ed avendo il chirurgo latta la dovuta relazione si cominciò il processo a carico del feritore, che però non fu carcerato, forse perchè le ferite non avevano un carattere grave, nè furono cagione di più spiacevoli conseguenze. Lo Scorza fece le sue produzioni a difesa insistendo sul fatto della provocazione, e volendo provare che il suo avversario lo aveva invitato, e che sembrava volesse brandir arme onde era stato costretto a ferirlo a prevenire di esser egli stesso colpito. Nella lista de’ suoi testimoni, esaminati a’ 22 di novembre , è primo il suo maestro Gio. Battista Paggi, quindi vengono il Pietro De Bracelli, un Gio. Battista Connestabile, 10 scultore Orsolino e Pietro Antonio Giordano, che era il garzon di stalla dell’ Airolo incaricato di condurre e custodire 11 cavallo. I quali tutti più 0 meno presenti al fatto, od a qualche circostanza dello stesso, depongono in modo favorevole all’imputato, ed i primi quattro fan piena fede delle di lui buone qualità morali. Da codeste testimonianze appare che erano già sette ad otto anni dacché lo Scorza stavasi in casa del Paggi, e poiché il Soprani lo fa nato addi 16 luglio del 1589, ed egli aveva allora 23 anni, dovca essere sui sedici quando entrava presso il suo maestro. Il Paggi poi si dichiara sui cinquanta; e se è vero l’anno della di lui nascita nel 1554, segnato dal suddetto biografo, sembrerebbe che dinanzi a’ giudici il buon pittore se ne sia levate almeno quattro paia. Il Giovan Pietro De Bracelli è figlio di Nicolò; contava venti anni, e da quattro circa attendeva in casa del Paggi 370 GIORNALE LIGUSTICO ad imparar la pittura. Di un Bracolli allievo del Paggi, parla pure· il Soprani, ma lo chiama di nome Gio. Battista e lo dice nato nel 15S4 e morto a 25 anni cioò del 1609; il nostro invece è di nome Giovan Pietro, e dovrebbe esser nato del 1592. A meno che il Soprani non abbia preso abbaglio, costui deve dunque essere un altro artista di consimil cognome, e probabilmente un fratello del primo. L’altro teste, il Gio. Battista Connestabile figlio di Pietro, d’anni 21, che era nel portico collo Scorza mentre costui dipingeva, quantunque taccia della sua professione, non v’ha dubbio essere il notato dal Soprani come allievo del Paggi, di cui pur si diceva parente, il nome del quale però non riuscì nell’ arte a superare la mediocrità. Infine l’Orsolino, di nome Giovanni e figlio di Gio. Battista , che stava discorrendo su in sala col Paggi quando successe il fatto, che si qualifica per scultore, abitante da Santa Sabina, non deve essere altri che quello nominato come architetto dal Soprani, il quale ne fa onorata menzione per diverse decorazioni in marmo eseguite in compagnia del padre a Nostra Signora del Monte, al santuario della Madonna a Savona, e che moriva di peste nel 1657. Allora egli si dichiarava di circa 33 anni, onde sarebbe nato verso il ι>59· Dell’ultimo teste, il garzon di stalla, non occorre spender parole; poche ancora dironne sullo Scorza. 11 nome di costui negli atti di cui ho cavato la narrata avventura è sempre preceduto dalla lettera N. indicante il qualitativo di nobile; infatti sappiamo che la sua famiglia apparteneva ai Conti di di Lavagna. Ciò non tolse pero che molti individui della stessa famiglia intorno a questi tempi ed in appresso abbiano avuto a che dire colla giustizia; c spessissimo figurano nelle carte criminali. Fra costoro citerò un nipote in linea retta del pittore, pur di nome Sinibaldo, figlio di Erasmo, condannato verso il 1580 per 1 uccisione di un suo cugino. giornale ligustico Come se l’abbia cavata il nostro Scorza per il fatto in disborso non mi riuscì di conoscere; ma nonostanti le sue difese non credo abbia potuto passarsela liscia del tutto, chè il pugnale era andato a prenderlo e lo aveva adoperato, ed il solo portarlo fuori di casa costituiva un delitto. Di un ferimento fatto con provocazione fu pure dodici anni appresso accusato, assieme ad un suo garzone, Domenico Fiasella comunemente dalla patria nominato il Sarrana; ed ecco in qual modo avvenuto. Abitava il valente pittore nell’anno 1626 nella contrada di Soziglia, e proprio accanto alla porta della sua casa teneva bottega un mereiaio, certo Bastiano Savignone, col quale (se ne ignora la causa) ei si vedeva di mal occhio. E mentre un bel giorno usciva pe’ fatti suoi, attaccò briga con costui, che malamente ingiuriatolo, gli andò incontro a fargli peggio con delle chiavi ed un punzone che teneva in mano. Sentendo l’alterco il garzone del Sarzana, cotal Francesco Pareto, che era su in casa, prese due spade e scese la scala in soccorso del suo principale. Questi branditane una non solo si difese dall’assalitore, ma fece sì che si ritraesse da lui ferito, senza che pur mettesse il piede fuori della porta di casa. Ciò almeno è quanto narra il Sarzana e confermano i suoi testimoni, Gio. Giacomo Marabotto sensale, Agostino Biassia aromatario ed il pittore David Corte. Dei primi, clic si trovaron presenti al fatto, non occorre parlare; noterò soltanto che il Marabotto nelle sue dichiarazioni usa queste parole: 'Ν,οη sono parente di detto signor Domenico, miyi è mio cognato detto signor Domenico perchè ha una mia sorella per moglie; giacche· tali espressioni possono far supporre una parentela col Fiasella. Ma io non ebbi tempo a dilucidar questo punto; e poiché sappiamo che il Sarzana era cognato del Casoni, può essere che tutto si riduca ad una svista del segretario scrittore di quella deposizione, dovendosi 372 GIORNALE LIGUSTICO riferire invece alla parentela che forse era fra il teste ed il Savignone, anche facendolo supporre il modo con cui è espressa la frase. In quanto al David Corte, egli depone d’aver visto il fatto essendo alla finestra di casa del Fiasella che frequentava per attendere alla pittura; soggiunge essere d’ anni 24 ed orbo di padre. Le quali dichiarazioni confermano quanto ha di lui il Soprani che lo fa allievo del Fiasella e morto di contagio in ancor fresca età l’anno 1657. L’atto indicato poi ce ne addita l’abitazione nella strada del Prione, e ce lo descrive di mediocre statura e di barba castagna. Se tutto quanto allega il Fiasella a sua difesa sia esattamente conforme al vero, non abbiamo elementi da asserire’; nè altro avendo noi trovato su questo fattarello ci è forza astenerci pur dal conghietturare qual esito possa aver avuto pel nostro pittore dinanzi alla Rota criminale. Lo stesso non è per un fatto molto più grave in cui si trovo involto Luciano Borzone due anni appresso', a quanto pare non per sua colpa, e che pur troppo costò la vita ad un uomo. Abitava il Borzone con la sua famiglia ad oriente della collina di Sarzano, nella contrada che tuttora in parte esiste e chiamasi del Pomogranato, ed era uso, quando recavasi a casa, passare sulla piazza di Sarzano e voltare nel vicoletto dietro la chiesa di san Salvatore. Sulla piazza abitava pure il nobile Giovanni Andrea Ansaldo, e e come che erano amici, spesso accadeva che andassero assieme da quelle parti. La seconda domenica di ottobre pertanto dell’anno 1628, che cadeva agli otto del mese, partitosi Luciano, per restituirsi a casa, da piazza Banchi, ove andava ogni dopopranzo a veder gli amici ed a saper le nuove della città, e quindi a far qualche passeggiatina sul ponte di mercanzia e luoghi vicini, assieme ad un Giovanni Antonio suo fratello ed a giornale ligustico 373 Giovanni Battista suo figlio, giunto che fu presso il campanile della chiesa di san Salvatore, venne raggiunto dall’ Ansaldo che avendolo conosciuto alla voce affrettò il passo per vederlo e salutarlo, come fra amici si usa, prima che procedesse e voltasse verso sua casa. Scambiatesi poche parole ed auguratasi reciprocamente la buona sera, essendo un’ora di notte suonata, e già abbastanza tardi a quei tempi, quantunque la luna quella sera si mostrasse in tutto il suo splendore ; gli amici si lasciarono, procedendo nella piazza 1’ Ansaldo ed avviandosi a voltare il Borzone. Quando fatti appena una diecina di passi, una turba di giovinastri circondava i Borzone, e gridando dalli, dalli, ammala, atnmxga, con bastoni e con ciottoli cercava percuoterli. Gridavano costoro al soccorso, e dicendo giovinetti prendete errore, fermatevi, alla meglio si riparavano e difendevano, mentre dalle finestre accorsi i vicini ed i Padri di sant’Agostino che eran li presso, ad alta voce chiamavasi la Corte ed il Bargello. Ma quelli non istavano dal lanciar sassi e dal menar di bastone, specialmente contro del Giovanni Antonio Borzone, che rimasto diviso dal fratello e dal nipote si difendea bravamente, ed accapigliatosi con uno degli assalitori, dopo breve collutazione si iacea largo e fuggiva verso Ravecca, mentre il suo avversario barcollava alquanto e quindi cadeva esanime al suolo. Intanto Luciano col figlio, gridando come un ossesso ah mio fratello ! uccidono mio fratello !, lo andava per la piazza cercando, finché di nuovo inseguito inoltrossi nel vicolo sotto san Salvatore, e vista una botteguccia o stanza terrena socchiusa vi si ricovrò in gran furia. Durante il trambusto l’Ansaldo non potè dar aiuto agli amici, che appena giunse ad avvicinare il Luciano ed a rassicurarlo che suo fratello era vivo e eh’ ei Γ aveva visto fuggire verso Ravecca. Poco stette Luciano nel suo nascondiglio, perchè quietatosi 28 374 GIORNALI- LIGUSTICO il rumore ne usci fuori per recarsi da una sua sorella, abitante sulla SfContagnola dei Servi, accompagnato dalla donna presso cui si era ricoverato. Del fatto, coni’ è naturale, si fece processo ; ed i Borzone dovettero comparire dinanzi al Pretore ed alla Rota per giustificarsi. Produssero costoro una lista di ben dieci testimoni, primo dei quali l’Ansaldo, quindi una fanciulla di 16 anni compagna di scuola ed amica di una figlia di Luciano, che alla finestra di sua casa presso san Salvatore potè vedere l’occorso, e quindi diversi altri o vicini od a caso passanti, o conoscenti dell’ ucciso e de’ suoi compagni. Le produzioni dei Borzoni tendono a provare, ed a quanto pare provano pienamente, oltre le loro buone qualità morali, che essi furono dai giovinastri assaltati e maltrattati, e che costoro erano vagabondi, di pessima voce, condizione e fama. Dal complesso poi delle testimonianze risulta che Luciano e suo figlio non erano i presi di mira, ma piuttosto il Giovanni Antonio, che era scrivano sopra una delle galee dette de particolari, e chi sa quali brighe s’avrà potuto attaccare. Onde non vi dev’ esser dubbio circa l’assoluzione del pittore e di suo figlio, mentre lo stesso disgraziatamente non si può assicurare del fratello. Ciò per quel che riguarda il fatto ; ora alcune osservazioni. Tanto 1 Ansaldo come la giovinetta amica della figlia di Luciano furono esaminati nelle rispettive loro abitazioni, certamente per deferenza e gentilezza ad essi usata dall’avvocato fiscale a riguardo della loro condizione, mentre gli altri lo furono nel solito di lui studio. Nei documenti poi d’onde fu tratto quanto ho narrato, si i Borzone clic 1’ Ansaldo sono sempre distinti col qualificativo di nobili ; e poiché è la prima volta che mi occorse vedere tale distintivo ad essi applicato, ho creduto bene notarlo, tanto più che non mi consta di alcuna famiglia Ansaldo ascritta alla patrizia nobiltà, nè che GIORNALE LIGUSTICO 375 quella de’ Borzone aggregata del 1528 all’albergo Pinelli fosse la stessa de’ nostri pittori. In quanto all’ Ansaldo inoltre, quantunque negli atti citati non si abbia indizio della sua professione, pure dichiarandosi egli figlio di Agostino e di circa quarantadue anni, non v’ ha dubbio alcuno che non sia il rinomatissimo pittore che secondo il Soprani nacque a Voltri nel 1584. Onde il di lui nome tanto più volentieri mi piacque incontrare ne’ documenti suddetti, perchè ci porgono testimonianza dell’ amicizia che legava quei due sommi ingegni, e che spesso si desidera invano fra gli artisti. Spicciatomi cosi di questi fattarelli criminali che riguardano i nostri artisti, passiamo a fatti più gravi come sono quelli del Tempesta e della morte dello Stradella. Pietro Molyn detto anche Culier o De Mulieribus, e dal-1’uso di dipinger burrasche soprannominato Tempesta, era un olandese figlio di pittore, che verso la metà del secolo XVII fattosi cattolico lasciava la patria e si recava a Roma. Con ciò però non diveniva miglior cristiano; chè dopo essersi ivi ammogliato ed avervi sostenute brighe ed avventure assai, giungeva in Genova a metter compimento a’ suoi eccessi. Fra noi, a causa del suo ingegno, aveva il Tempesta facilmente trovato protezione e lavoro, e già vi soggiornava da circa sette anni, abitando una casa di Oberto Della Torre e poscia un’ altra di Gerolamo Sauli, allorché, continuando nella sua vita dissoluta, onde gli venne il sopranome ‘Delle donne, contrasse relazione con una cotal femmina piemontese, certa Anna Beltrame, germana di un Guido Antonio Beltrame al quale egli aveva maritata una propria sorella. Venuto nel proposito di sposarla deliberò disfarsi della moglie, Lucia De Rossi romana, sorella uterina di Domenico De Marchi allievo del Tempesta medesimo e perciò detto il Tempestino·, la quale a causa della mala vita che le facea GIORNALE LIGUSTICO passare il marito, quando questi portossi a Genova, era in patria rimasta, stando prima a casa del fratello e poscia chiudendosi in un monastero. Per eseguire il truce disegno concertossi il Molyn con suo cognato Beltrame, e cogliendo Γ occasione che questi si trovai in Roma gli scrisse diverse lettere perchè mostrandole alla moglie la inducesse a partirsi di li. Anzi a meglio farla decidere ed invitarla a ritornar secolui, diceva in esse che quella signora che avea seco si maritava in Riviera lontano da Genova trenta miglia. Lungo sarebbe, e forse noioso, se tutte le istruzioni da lui perfidamente date e le precauzioni prese perchè il suo progetto fosse eseguito, io qui volessi esporre. Basterà dire che la donna doveva essere uccisa a Livorno. La poveretta fidandosi del Beltrame, e credendo che il marito avesse realmente cambiato \Tita e costumi, si lasciava trarre nel laccio, ed insieme a colui si imbarcava sopra una filuca, quantunque alcuni de suoi parenti ne la dissuadessero. Giunti presso a Livorno invano il Beltrame cercò persuadere il padrone della nave a colà sbarcarli, offrendosi pronto a pagare ogni spesa; chè egli vol^e proceder dritto sino a Por-tovenere ove giunse la vigilia di Natale. Ivi nel di seguente la Lucia, ad istigazione della sua guida, mostrò desiderio di scendere a terra per udir la messa, ma anche a ciò s’oppose il predetto patrone, indottovi da qualche raccomandazione fattagli a Roma dai parenti della donna. Andato così a vuoto il concertato progetto, e giunta costei in Genova, invano essa cercava nella casa maritale il Tempesta , che avvisato in tempo dal cognato andava via, e scriveva alla poveretta che essendo stato improvvisamente chiamato a Milano si trovava allora a Serravalle. Colà immediatamente andava Lucìa; ma appena giuntavi, per una lettera del manto, che le diceva esser invece di Milano andatoia i\ orno per recarsi quindi a Roma, ritornava a Genova e giornale ligustico 377 poscia, sempre accompagnata dal Beltrame, recavasi a Li-'omo. Ma, o sia che a costui mancasse l’animo di eseguire il ferale progetto, o sia che dovesse andar colla moglie a 1 orino, come appunto disse alla infelice, fatto è che poco dopo 1 arrivo a Livorno giunse un córso per accompagnarla a Roma invece del Beltrame. A Livorno la donna era chiamata dal marito a Sarzana, ove egli fingeva di essersi fermato e dove avea da soggiornare qualche tempo ; ed essa credendo finite le sue lunghe peregrinazioni si decideva ad andare colà. Ma giunta poco presso al confine genovese, sulla strada di Massa, veniva dal córso con quattordici coltellate trafitta, dicendo prima di spirare che Γuomo il quale era in sua compagnia l’aveva condotta al macello. Del fatto, succeduto a’ primi di gennaio 1676, il Gover-nator di Sarzana dava immediatamente avviso alla Signoria, che ordinava l’arresto del Tempesta e della donna che seco conviveva, nonché di un certo prete che pur stava con lui. La donna però prima ricoveratasi in una chiesa, fuggiva e non pare che in seguito sia stata colta. Del prete e del sicario, che commesso il delitto si metteva in salvo, nulla ho potuto sapere. Il Beltrame e sua moglie fatti arrestare dal Governatore di Sarzana, furono condotti alle carceri di Genova , ove la Rota criminale istruì ipso facto il processo , che poscia venne affidato agli Inquisitori di Stato, ed ebbe per risultanza la condanna seguita a’ 26 settembre 1678 del Tempesta alla carcere perpetua, e del Beltrame a 25 anni. Degli altri carcerati, cioè un Massimiliano Capurro, la moglie del Beltrame, ed un garzone servitore, Gio. Battista Cravasco, nulla si è potuto scoprire. Ma il pittore in carcere non poteva darsi pace. Egli diceva che ingiustamente era stato condannato dal Tribunale, perchè non era cittadino di Genova ma semplicemente vi si trovava di passaggio, che il delitto del mandato non era provato, ed in GIORNALE LIGUSTICO ogni caso compatibile perchè sua moglie lo aveva offeso nell’ onore ; e valendosi delle molte relazioni per la sua perizia nell5arte contratte, faceva pratiche per essere liberato. Fra coloro che a di lui favore si interessarono, trovasi il Duca di Modena Francesco d’ Este, il quale con lettera del 3 agosto 1679 scriveva alla Signoria esponendo le suddette ragioni. Ma questa, quantunque desiderosa di compiacere al Principe, esaminato un sommario del processo a bella posta compilato dagli Inquisitori di Stato, mostrando del tutto insussistenti le suddette ragioni, si schermiva dalla chiesta liberazione, ed osservava che il Tempesta poteva ascrivere a gran ventura se per l’enorme delitto da lui perpetrato con tanta arte, non ci aveva lasciata la testa. Egli però non si diede per vinto; chè due anni appresso ricorse per grazia, sempre adducendo le solite ragioni corroborate da un istrumento di pace ottenuto dal pittore Domenico De Marchi, fratello uterino e solo parente dell’uccisa Lucia. Presentato il tutto a’ Serenissimi Collegi, costoro addi 28 luglio 1681, avuto sospetto che l’instrumento di pace prodotto potesse esser falso, trasmisero gli atti agli Inquisitori di Stato per le necessarie informazioni. L’esito delle quali non si conosce, ma non pare fosse favorevole al pittore, perchè continuò in carcere ancora per qualche anno. Intanto un turbine di gravi avvenimenti si addensava sulla Repubblica. Il cristianissimo Luigi XIV avanzava pretese stravaganti contro di essa, e non potendo altrimenti vincerne la giusta resistenza, usava la forza e faceva bombardare la città di Genova. Nè con ciò desisteva da quelle; chè anzi crescevano più esorbitanti che mai, onde la Signoria, in quei terribili frangenti scriveva a tutti i potentati d’ Europa, esponendo la sua situazione e chiedendo soccorsi e consigli. In questo tempo il nostro inviato a Milano, Francesco Lercaro, scriveva al Governo, colla data del 23 agosto 1684, giornale ligustico 379 eh e il conte Vitaliano Borromeo commissario di S. M. Cesarea in Italia, a nome dell’imperatrice Leonora, aveva domandata la grazia pel restante della pena del Tempesta. Ed è probabilissimo che il Governo abbia allora aderito al desiderio di quell’ augustissima dama, premuroso com’ era di aderenze e d appoggi, e di essere in grazia con tutti i potentati per averne egli qualche aiuto nella guerra che faceva il gran re, tanto più che tutti gli scrittori s’ accordano in porre la data della liberazione del Tempesta intorno a questi tempi, quantunque differiscano circa il modo. Uscito di carcere andò a Milano, ed in appresso, dicono, abbia vissuto da galantuomo, amante però del lusso e dello sfarzo, con carrozze, cavalli e numeroso servitorame, finché morto nel 1701 fu ivi tumulato nella chiesa di san Calimero ove nel 1830 si vedeva ancora il di lui sepolcro. Ora ad un altro assassinio : quello dello Stradella. Alessandro Stradclla, eccellente compositore di musica del secolo XVII, è uno di quegli uomini de’ quali molto e da diversi si scrisse, ma della cui vita privata si hanno ben poche notizie sicure. Incerto ò il luogo della sua nascita; chi lo disse veneziano, chi romino, chi napoletano, chi genovese. Di quale condizioni sortisse i natali è totalmente ignoto. Altri lo fanno morto a Genova ed altri a Torino. Quello che solo di certo si conosce di lui si è che da Venezia fuggiva con una donzella, certa Ortensia clic poi sposava alla corte di Torino, ove si cercò d’asassinarlo, e che moriva infine assassinato. Il eh. Catelani, in una monografia inserita nel volume terzo degli Jltti e Memorie delle Regie Deputazioni di Storia. Patria per le Provmic Modenesi e Parmensi, illustrante l’elenco delle opere musicali dello Stradella possedute dalla Palatina di Modena, dichiarava francamente che tutte le biografie di questo artista appartenevano meglio al romanzo che alla storia, prive coni’ erano di qualunque documento e contradicentesi fra di 580 giornali- ligustico loro; sicché ficea voti che qualche atto autentico si potesse discoprire a benefizio della storia e dell’arte. Io ebbi la ven-tusa di trovarne alcuni, e sopra di essi riposa quanto sono per esporre. Che lo Stradella abbia avuto delle relazioni colla citta nostra, oltre il detto della tradizione, il di lui componimento intitolato il ‘Barcheggio, scritto per le nozze de’ patrizi Carlo Spinola e Paola Brignole, lo prova abbastanza (1). E poiché il matrimonio di costoro si celebrava a 6 di luglio del 1681, ne veniva la conseguente supposizione che intorno a quel- 1 epoca lo Stradella si dovesse trovare in Genova. Forse anche egli vi si trovava da tempo non breve, se è vero, come paiono lasciarlo intendere le più recenti ricerche, che nel 1678 al Teatro del Falcone si espose un dramma da lui musicato col titolo La foraci dell’amor paterno. Ma ormai l’enunciata supposizione si volge in certezza, perchè un biglietto rinvenuto nei calici del Minor Consiglio addi 6 giugno 16S1, ne porge la più irrefragabile testimonianza. Chiamavansi biglietti di calice, certi polizzini che in occasione di qualche votazione si trovavano nelle urne assieme alle palle, depostivi con queste da qualche votante, *il quale ■\olca fare proposte od accennare ad inconvenienti, c non (1) II Catelani (Op. cit., pag. j 17) non saprebbe dire e se sopra delle siasi eseguita questa musica, come accennerebbe il titolo ». Sa-emmo però indotti a crederlo, pel riscontro di una simile solennità, e a quale ci porge notizia la Ganzila di Gtnova del 9 settembre 1668. La quale narra come la sera del di innanzi « il stgT1or Gio. Francesco no diede una rLreationc per marina, alla signora sua Sposa, con rineipió la fontione doppo le 23 bore, e terminò quasi alle due di ' mUS'C*1' eran0 l'raT‘ sopra una gran piatta, che veniva circondata da feluche che servivano le dame e cavalieri che furono regalati d’otto pacchi di dolci, oltre r.nfreschi di vini, sorbetti ed acque gelate ». La citata Gaietta serbasi manoscritta nell1 Archivio di Stato. GIORNALE LIGUSTICO 38i aveva il coraggio di assumerne la responsabilità col farlo a viso scoperto. Uno di questi biglietti pertanto, trovato alla data suddetta, dopo aver accennato a diversi disordini delle dame, specialmente pel loro sfarzoso ed immodesto vestire e la loro cattiva condotta (chè a dirla fra di noi, qui in segreto che le nostre signore non lo sappiano, le bisavole delle nostre madri su questi capi possono dare nove punti su dieci, e vincere la partita sulle attuali loro nipoti), diceva: giocano somme rilevanti, donano somme esorbitanti di doble al Romano per farsi toccar la fascia, sotto pretesto di accomodar i capelli, al Stradella, al Gobbo, ecc. ecc.....donano doble a furia ... ; perche dunque permettere a questi sfacciati cialtroni di stare in Genova ? ecc. ecc. 10 non negherò certamente che in codeste denunzie, fatte a viso coperto, non vi possa essere dell’ esagerazione, chè in tutti i tempi vi furono sempre de’ malinconici i quali non avendo nè spirito, nè ingegno per vivere in pace colle idee, gli usi ed i costumi dell’ epoca, non fanno che dirne male, lodando sempre il tempo passato. Ma nel caso presente e dalla frequenza di tali lamentazioni e dalle molte provvidenze che in consimili materie si trovano prese dalla Signoria, e da tanti e diversi altri riscontri, non si può negare che grandemente a quei tempi campeggiasse la corruzione. 11 biglietto suaccennato preso in considerazione dai Collegi, come quello che tendeva a far adottare qualche provvidenza sopra i tre notati individui, fu trasmesso agli Inquisitori di Stato perchè avvisassero a ciò che conveniva e si poteva operare contro i medesimi. Quel che facessero gli Inquisitori non si conosce, ma non pare che allo Stradella ordinassero lo sfratto, giacché, come vedremo, nei primi mesi dell’anno seguente era ancora in Genova. Qui intanto occorrono due considerazioni, cioè che se lo Stradella trovasi accennato nel biglietto di calice del 9 giugno 382 GIORNALE LIGUSTICO i68r, come frequentatore dei convegni delle dame della nostra città, ed in molta domestichezza con loro, necessariamente doveva da qualche tempo soggiornare tra noi, onde la di lui venuta devesi riferire a molto prima delle nozze dello Spinola colla Brignole; in secondo luogo, che dalla frase del biglietto che dice: perche dunque permettere a questi sfacciati cialtroni di stare a Gettava?, e dall’essere stato rimesso agli Inquisitori il decidere ciò che conveniva fare contro di loro, si può non senza fondamento dedurre che nò lo Stradella nò gli altri erano genovesi. Chiariti questi due punti, passiamo a quanto ne riguarda la morte. Da’ documenti trovati consta che egli fu assassinato vicino alla piazza de’ Banchi di notte tempo, ed a colpi di un cortissimo pugnale. Il giorno preciso del luttuoso fatto invano ho con diligenza cercato. Un biglietto di calice letto addi 5 marzo 1682, in cui si proponevano delle provvidenze da prendersi per conoscerne gli autori, dice il fatto da poco tempo seguito; e così puossi assegnarne la data agli ultimi giorni di febbraio. Proprio di positivo circa le cause e gli autori del misfatto nulla si riuscì a discoprire. La pubblica voce però con molta insistenza ne additava rei, per mezzo di un monferrino prezzolato sicario, i figli del fu eccellentissimo Nicolò Lomellino (uno dei quali era prete), perchè lo Stradella corteggiava una costoro sorella. Nè certo la loro posizione d’essere delle primarie famiglie della nobiltà li metteva al coperto da tanto^ enorme imputazione, chè a quei tempi i giovani delle più cospicue casate erano appunto quelli che porgevano i più cattivi esempi. E fa meraviglia e ribrezzo, scorrendo le carte criminali d’allora, trovare con una frequenza che sembra impossibile i nomi di coloro ai quali in avvenire erano destinate le più alte cariche della Repubblica, che dovean ve- GIORNALE LIGUSTICO 383 stir la toga di senatore, e forse raccoglier voti per cingere la corona ducale, condannati per violenze, delitti e fatti tali il minimo dei quali basterebbe al di d’oggi per far escludere per sempre dal consorzio di ogni civile ed onesta persona. Onde ben a ragione il nostro collega Neri, in un suo lavoro letto in altra sezione, parlando di un fatto successo intorno a quei tempi, potè chiamarli col nome di patrizia plebaglia. Portata la pratica del perpetrato assassinio ai Serenissimi Collegi, costoro se ne assumevano la causa, bandivano l’impunità a chi ne avesse palesato gli autori, e, dichiarandolo delitto grave, proponevano al Minor Consiglio l’esperimento della pubblica voce e fama, mentre si assicuravano delle persone di Gio. Battista e Domenico , altri dei fratelli Lomellini. Molti dei voti raccolti accusavano costoro, nò mai in alcuno si trova accennato ad altre persone; ma il numero voluto dalla legge per dichiararli se non altro sospetti, mancava. Gli Inquisitori, a cui i Collegi delegarono la formazione del processo, invano fecero il possibile per venirne a capo, chè mancando al Fisco gli elementi per procedere, a’ 20 di maggio domandavano a’ Collegi si pubblicasse di nuovo l’impunità, e si facesse nuova esperienza di pubblica voce e fama. Ma tutte le pratiche riuscirono vane; e l’esperienza fatta a’ 25 di maggio non produsse risultato alcuno per mancanza nel numero dei voti. Molti biglietti però persistono nel dirne autori i quattro figli del qm. Nicolò Lomellini , perchè lo Stradella frequentava la casa di una loro sorella maritata con Giuseppe Garibaldi, senza che costui, pregato da alcuno de’ suoi cognati, lo avesse voluto mandar via. Alcuni poi accennano al pianto delle dame di lui scolare per la sua morie, all’aversela egli stesso cagionata perchè* volle fissare lo sguardo nel sole, ed altri adoperane consimili frasi, le quali sono sicuro argomento che il ralente SS 4 GIORNALE LIGUSTICO maestro, qui dimorante da molto tempo, menava una vita scioperata, galante e desiderosa di avventure. Questo è ciò che ho potuto sapere di lui, e per quanto sia poco, nell’assoluta mancanza di documenti in cui fummo finora a riguardo del suo soggiorno fra noi e della sua morte, non manca a mio avviso di una qualche importanza. E qui finisco la mia dissertazione, nella quale se forse mi son dilungato oltre il dovere in dettagli e particolari ne ha colpa solo l'affetto che porto all’arte ed agli artisti, per cui trovando documenti che li riguardano non posso staccarmene senza averli esaminati, analizzati e discussi in ogni lor parte, da ogni minima circostanza prendendo argomento a bene apprezzare la vita intima di quei tempi, sembrandomi di essere presente a’fatti in discorso, e quasi quasi vedere e trattenermi colle persone alle quali si riferiscono. Dopo la lettura del socio Staglieno, il Preside osserva che il Filippo Zucca di cui si legge il nome fra i testi prodotti dal Santacroce, apparteneva ad una famiglia di Serravalle-Scrivia, della quale per documenti cominciano in Genova le notizie volgendo il secolo XVI; ma soggiunge non apparire uscito da essa alcun pittore di grido. Dice che il Connesta* bile esaminato a favore di Sinibaldo Scorza, fu valente nell’arte del miniare e nel dipingere piccole istorie; e stima anz che tali discipline egli imparasse per gli esempi dello Scorza medesimo. Finalmente circa la qualifica di nobile onde si vede distinto 1’Ansaldo, avverte che titolo siffatto si attribuiva allora con frequenza a chi parea guadagnarselo per virtù dei proprii meriti. A conforto di che reca in mezzo Γ esempio di Luca Cambiaso il quale ne’ rogiti notarili è spesso chiamato nobile, e quello de’ costui figli ne’ quali lo stesso titolo vedesi continuato. Similmente nota chiamarsi non di rado con tale appellativo anche il pittore Domenico Piola. GIORNALE LIGUSTICO 385 • Il socio Belgrano ò d’opinione che il conferimento di questo titolo av \ unisse in forza del privilegio onorifico, il quale soleva concedersi ad egregi cittadini non ascritti al Libro d’oro, e valeva per 1 appunto ad equipararli ai nobili ne’ trattamenti ed atti pubblici. XVIII. Sezione di Storia. Tornata del 2 maggio. "Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Neri legge la prima parte di un suo lavoro intitolato '7Z,ole su Pier Luigi Capriata storico genovese del secolo XVII. I documenti e le carte degli Archivi che a’ nostri di formano il principal subbietto delle ricerche e delle illustrazioni degli studiosi, giovano mirabilmente a togliere equivoci, a riempiere lacune, a correggere errori, intorno a’ fatti storici ; e valgono altresi a porre in chiaro il vero carattere degli uomini eh’ ebbero qualche fama, o che furono gii dagli scrittori giudicati ; i giudizi dei quali deggiono perciò alcuna fiata emendarsi od anco in tutto dismettersi. Molte ed erudite monografie indirizzate a questo fine comparvero già in Italia, specialmente dopo clic il nostro Giovan Pietro Vieusseux ebbe fondato il pregevole Λ rebivio Stòrico Italiano, monumento perenne di storia civile e letteraria; e a quelle pagine si splendide per critica giudiziosa e per vastità di concetti, convicn ricorra chi si piace dar opera a studi di si fatta ragione. Non sia quindi disdicevole che io pure, si parva licci componere magnis, rechi innanzi le mie povere fatiche, volgendomi di preferenza alla istoria letteraria, e di questa alla parte men osservata fino a qui, vo’ dire alla aneddottica e biografica. Nò io mi gioverò solo nelle modeste note che mi propongo dettare , dei documenti tratti da’ nostri Archivi, ma eziandio di quelli giunti a mia notizia e pubblicati da altri, vuoi per di- 586 GIORNALE LIGUSTICO visato proposito, vuoi per semplice ed incidentale illustrazione ad opere di argomento diverso. Il Regio Archivio genovese Racchiude un vero tesoro di documenti d’ogni ragione; e se occorre non poca pazienza nel ricercarli, si è poi compresi da grandissima soddisfazione allorquando ritrovansi tutte quelle minute e non più udite notizie, che ci riconducono col pensiero ad altra età, ci fanno rivivere in quei secoli, ci discoprono i vizi e le virtù di altre generazioni e ci scorgono passo passo frammezzo a svariati avvenimenti della vita intima, donde si traggono i criterii * DO per giudicare uomini e cose. Quante volte nello scorrere quelle carte io ho desiderato il pulito stile e la fervida immaginazione de’ maggiori nostri novellieri; sì mi veniano innanzi avventure or festevoli, or lacrimose, or crudeli, con quel seguito di piccioli fatti, di speciali particolarità, che formano il colorito della narrazione, e si reputano per lo più poste a studio dal novellatore per dar vivezza al racconto: onde riceve nuovo conforto 1’ opinione di que’ saggi che stimarono ritrovarsi in si fatti libri scritti per sollazzo uno storico fondamento, e noi genovesi n’ abbiamo ad esempio una ben chiara prova nelle novelle del Bandello. Fra le non poche filze da me ricercate io rinvenni alquanti documenti, da’ quali apparisce in qual guisa si governavano i Magistrati della Repubblica cogli scrittori paesani e d’altronde, qual sorta di relazioni aveano con essi, come intendevano a dirigerne la penna, e la severa censura che intorno ai loro scritti adoperavano; soggetto a cenni ed appunti potranno quindi essere il Capriata, e l’Assarino, e il Siri, e Girolamo Brusoni non che altri di minor nome. I. Incomincio pertanto dal men disonesto, Pier Giovanni Capriata genovese, il quale die’ fuori una storia d’Italia divisa giornale ligustico 387 in tre parti edite in Genova, la prima nel 1638, l’altra nel 1649, e dopo la sua morte la terza, cioè nel 1663; ciascheduna delle quali, non che l’edizione di due soli libri uscita quasi a saggio nel 1625, porge cagione a note singolari che si rannodano alla vita letteraria dell’ autore e servono a dipingerci la sua vera natura. Giovami però innanzi tutto ricordare il gran bene, che di lui dissero concordemente gli autori da me consultati. Mi passo del Soprani e dell’ Oldoini e dico del 1 iraboschi che affermò essere le sue storie in molto credito, dello Zeno che lo reputava degno di starsene in compagnia de’ migliori storici italiani, del Denina che lo dichiarò il Guicciardini del seicento, del Napione che pure il proseguì di molta lode; a’quali tutti sovrasti lo Spotorno, che non consentendo al Tiraboschi d’avergli anteposto il Siri, ne loda l’ordine lucidissimo, la sagacia e l’imparzialità poiché vivendo in città libera, e scrivendo sciita amor di pecunia, dispensa con giusta mano gli encomi ed i biasimi, onde egli se ne stà col parere del Muratori che al Siri l’antepose, tanto più avendo trasfuso ne’ suoi annali tutto il succo del Capriata non rade volte con le parole medesime ; cosicchi____sì come Γ Annalista di ninno scrittore fé’ tanto caso nel secolo XVI, quanto nel Guicciardini; così nel secolo XVII seguitò specialmente il Capriata (1), le quali lodi riconferma poi nell’imperfetto volume ultimo della sua opera, rispondendo ad una opposizione fattagli dal giornale la ‘Biblioteca Italiana, là dove non menando buono allo storico della nostra letteratura quel compiacersi del copioso numero di storici avuti dalla Liguria, ed avvertendo che in generale non ebbero rinomanza al di fuori, nota come il Capriata sarebbesi forse distinto se avesse dettato con maggior nerbo (2). (t) Spotorno , Stor. Leti. Lig. T. Ili, pagg. 60-62: T. V, pag. 20. (2) TìxhlioUea Italiana, Fase, ottobre 1827. 5 SS GIORNALE LIGUSTICO Tutti gli scrittori citati aggiustano intera fede al nostro storico, ond’ è rimasta fama nei fasti della letteratura aver egli dettato con avvedutezza ed imparzialità grande, usando nel racconto franchezza e verità; le quali doti aveano pure in lui celebrate il Roquefort e il Ginguenè nella ‘Biografia Universale, e furono da poi ripetute dal Gamba riproducendo i giudizi del Denina e del Napione. Ma io non so veramente se l’avveduto lettore resterà convinto della giustiaia delle lodi toccate qui innanzi, dopo che gli fìen conte alquante particolarità quinci e quindi razzolate e da me esposte per via di semplice narrativa ; senza alcuna prosunzione di critico giudizio, e non avendone d uopo i documenti eh’ io reco, nò essendo io tale da sedere a scranna e sciorinar sentenze o volger biecamente in giro la stizzosa sferza d’Aristarco. Ma si rompa ogni indugio e venghiamo dunque ai ferri. Pier Giovani era dottore di leggi e, secondo dicono, di qualche valenzia, ma natura gli fu tanto matrigna nel dono della parola che riuscì nell’orare d’infelice espressiva (i); questa la cagione dello avere egli dismesso 1 avvocatura, come chè in un libello attribuito al Tesauro si legga rinunciasse all’esercizio dottorale perché poco gli profittava il far con la Toga enfiata il Fariseo. Che chè sia di ciò gli e fuor dubbio siasi dato allo scrivere istorie innanzi al 1625 > che quest* anno appunto (e non nel 1626 come vuole il Gamba) pe’ torchi del Pavoni uscirono i primi due libri delle Istorie d’ItaUa, nei quali si narra la guerra del Monferrato, originata dai piati insorti per la successione del Ducato di Mantova. Se dobbiam credere al citato libello furono i due libri indettati dal duca cardinale Ferdinando e posti fuori a sua petizione , certo è che in essi spicca 1’ animo appassionato a prò (1) Soprani, Scritl. Lig., pag. 242. giornale ligustico 389 degli spagnuoli, intendendo Γ autore scagionarli dalle accuse e dai sospetti di aver essi avuto mano nella mossa d’armi del Duca di Savoia contro il Monferrato, e li manifesta in quella vece protettori del Duca di Mantova, il quale mercè il loro appoggio fu veramente ne’ suoi possessi reintegrato. Nè lascia di pungere Carlo Emanuele e di narrare con poca benevolenza le male soddisfazioni avute dal principe Vittorio nel viaggio fatto per tale bisogna in Ispagna. Questo libro, eh’ io non ho trovato nelle nostre biblioteche, e che fu due anni dopo ristampato a Milano dal Bidelli, si conobbe prima a Roma che a Torino, imperciocché il P. Ferreri confessore del Duca di Savoia rispondendo li 24 febbraio 1626 all’ auditore del cardinale Maurizio, monsignor Secondo Ferrerò Ponziglione, dicea cosi : Questa notte è gionto il correrà et bora ricevo per mano del signor Secretano Vibò la gratissima sua del li XI di questo, la quale dimani primo giorno di quarer sima farò valere a S. A. essendo di molta consideratione il particolare di quei libri stampati dall’ appassionato ed imboccato da spagnuoli genovese ecc. (1). Sopra il qual soggetto tornava eziandio nell’altra lettera de’ due marzo 1626, dove ringraziandolo delle comunicate nuove, accenna fra le altre a quella del libro fatto da quell' appassionato genovese la quale dice esser stata a tempo\ c credo, cosi segue, che S. A. gli rimedierà con V(ippologia motteggiatami da V. S. sebbene sin qui non è arrivata tal opera alle mani d’alcuno che si sia penetrato, ma si procurerà d'baverla per potersi opporre alle sue menzogne e passioni. Ond’ è a credere che il Capriata conoscendo i rumori che il suo volume poteva destare a Torino non fosse stato molto sollecito a mandarlo coll, o io avesse solamente e in modo segreto inviato a qualche libraio. E perchè il Ponzigliene scriveva nell’aprile come ne avrebbe spedito alcun (1) Adriani, Metti, dì tnms. Su. Ferrerò Pon{iglwtte, pag. 516-517. 29 390 GIORNALE LIGUSTICO esemplare, a’ 16 stesso il Ferreri annunziava che li libri del Capriata finalmente si sono trovati', ne occorre che V. S. R.ma gli mandi, et si va mettendo alla via e preparando la sua sal^a; però poco dopo giunsero i libri da Roma e a’ 24 ne era avvisato al Ponziglione il ricevimento, ma lo si avvertiva averlo già il Duca veduto e fatte ritirare le copie che erano appo i librai (1). Che la sal?a cui accenna il Ferreri, la quale dee essere tutt’una cosa coll’ apologia consigliata dal Ponziglione e dal Duca divisata, sia venuta in pubblico io non potei rilevare, e nè manco se tosse veramente scritta. Senza meno Carlo Emanuele tanto valeva nelle lettere da ribattere con acutezza e vivacità le accuse del nostro storico, ce ne assicura 1’ illustre Federigo Sclopis nella erudita sua lettera sulle scritture politiche e militari dei Principi di Savoia, dove leggo altresì una no-ter ella degli scritti da quel Principe lasciati, nè vi è questo nel novero; se per avventura non si dee riporre fra quelli di non molta importanza, de’ quali l’egregio autore non stimò dovercene dar contezza. Avveniva intanto nella città nostra la ben nota congiura di Giulio Cesare Vacchero, la quale non dee in conto alcuno esser da me narrata, poiché niuno per certo ne ignora le cagioni ed i particolari dagli storici discorsi, ed in ispecie dal famoso giureconsulto Raffaello Della Torre in quella sua lodatissima relazione mandata fuori per la prima volta dall’ egregio avv. Bixio neìV^Archivio storico; dirò solo intorno a questa scrittura, venendomene ora il buon destro, che a quel tempo, e fu nel 1634, rigorosamente ne venne proibita la stampa, e con ogni diligenza, mercè ordini dati ai residenti ed ai consoli tutti della Repubblica, si procacciò ritirare eziandio le copie manoscritte, che, secondo pare, erano in gran numero. E ciò dopo avere ingiunto al Della Torre di consegnare non (2) Adriani, op. cit., pag, 534. GIORNALE LIGUSTICO 391 solo 1 originale, ma altresì tutti quelli esemplari che ne andavano attorno, dovendo egli togliersi carico di raccoglierli; più gli si vietava porla in luce in qualsivoglia luogo, e se avvenisse terrebbesi da lui e per suo ordine fatto; si recasse infine a Palazzo a render ragione dello aver rotto il giuramento, propalando le segrete cose della congiura, ed in ispecie d’aver sì male scritto della Repubblica e della sua amministrazione. E tanto cuoceva al governo sì fatta scrittura, che avuta lingua nel 1656 trovarsene una copia presso Ottavio Filiberto orologiaio a Banchi, tratta da altra posseduta dal procuratore Confredi, le mandò subito a sequestrare (1). A questa congiura adunque partecipò il Capriata; la qual cosa dee recar grande meraviglia ove si riguardi alla poca benevolenza dimostrata verso quel Duca che fu ispiratore e promotore dei miserevoli torbidi di quegli anni. Mi è uopo tuttavia avvertire non aver sortito ritrovare alcun documento intorno a ciò nell’Archivio nostro, sì produrre questa notizia sulla fede del dotto Ercole Riccotti, il quale ci afferma altresì come Pier Giovanni si offerisse al Duca per ire in nome del popolo a Madrid a protestare contro a’ supplici presi; ed ivi essersi recato dappoi, donde mercè il Gandolfo vescovo di Ventimiglia facea pratiche per stampare la sua storia a Torino sotto la protezione del Duca, e se si credesse mancarvi qualcosa del gusto di S. A. si vorrebbe sapere in tempo per poter complire con V obbligazione. Nè si può davvero dubitare minimente di questi fatti, che il prelodato autore rilevò dalle carte degli Archivi generali del Regno (2). E qui parmi non non sia fuor proposito osservare come il Semeria (3) mal s’apponga scagionando il vescovo Gandolfo dalla nota di par- (1) Arch. R. Genov. Secretorum, filza 20. (2) Ricotti, Stor. monarci], di Savoia, T. V, p. 365. Atti R. Acc. di Tor. Voi. 3, pag. 489. (3) Secoli crist. della Lig., T. II, p. 517· 39 2 GIORNALE LIGUSTICO zialità verso il Duca di Savoia, imperciocché manifesta apparisce dalla benevolenza onde fu da questi proseguito, ed è poi affermato dal Gioffredo storico di vaglia a cui, dirò di passaggio, il governo genovese niegò mai sempre le notizie domandate in servigio della sua Storia dell’ Alpi marittime (i); e lo mostrano lo aver avuto in premio de’ suoi servigi la contea di Riccardone e di Melazzo e l’essere stato poi nel 1633 eletto vescovo d’Alba a petizione del Duca stesso; or maggior conforto riceve l’argomento, secondo panni, per la mediazione sua nelle non certo lodevoli relazioni del Capriata colla Corte di Torino. Sembra però che si fatti ma-neggi non giungessero a buon fine, imperciocché mancato forse al Capriata, sì come recita il Ricotti, il denaro di Savoia, se le voltò incontro, e sfavorevolmente scrisse del Duca stesso, a cui aveva esibita la sua penna, tacciandolo persino a torto d essere fuggito nella spedizione di Savona (2). In fatti nel libro nono della sua storia (3) ei coronava con tanta menzogna le molte contumelie scagliate in più 0 men velata guisa contro Carlo Emanuele, il quale potrà ben notarsi di smodata ambizione, di fallace politica, e di strana avventatezza, ma non mai di viltà, ed ognuno mezzanamente istrutto nelle istorie nostrali vorrà in ciò convenire. La prima parte adunque della Istoria ond’ io ragiono, che narra gli avvenimenti seguiti fra il 1613 ed il 1634, usciva in Genova pe’ tipi di Giovanni Calenzano e Gio. Maria Farroni sul cadere del 1638, avendone ottenuto fin dall’anno innanzi a’ 22 giugno il permesso degli Inquisitori di Stato; i quali consentivano alla stampa purché fossero prima corretti que’ luoghi notati dai revisori Gio. Batta Italiano, Gio. Fran- (1) A. R. Genov. Dviisc. Polit. Econom. Fil, 4. (2) Atti cit., pag. 489; Stor. cit., T. V, p. 366. (3) pag- 544 e 545· GIORNALE LIGUSTICO 393 cesco Lomellino ed Alessandro Spinola (i). Non ho potuto rilevare dai documenti e dagli autori se la pubblicazione dell’opera levasse doglianze a Torino; è certo però che gravissime ne sollevò a Venezia, a cagione del racconto posto nel libro undecimo intorno alla vergognosa sconfitta eh’ ebbero a Vai-leggio le truppe di quella Repubblica, e Γ autore sfuggi al pugnale della Inquisizione di Stato in grazia della generosità di Zaccaria Sagredo, il quale, come che fosse capitano in quella maiavventurata impresa, ricusò Γ opera del sicario che a lui come ad uno degli Inquisitori avea offerto il suo braccio (2). E mi è avviso che altresì in Francia ne uscisse qualche censura, perchè Giuliano Spinola-Marini avvisa da Venezia nel dicembre 1645 il Senato che qui si traduce dal francese in italiano un libro intitolato il Consigliere, quale conviene sia moderno poiché parla contro Γhistoria del Capriata, e. parla malissimo della nostra Repubblica (3); d’ esso libro però non rinvenni alcuna notizia appo i bibliografi. Ma il più gran vampo se ne menò dalla Corte romana, la quale mosse le alte querele contro il governo della Repubblica come quello che ne avea permessa la stampa; e perchè in allora aveansi negoziati con il Pontefice, era uopo far ragione ai suoi lagni. Due quistioni agitavansi a que’ tempi in Roma in fatto di cerimoniale; mi passo della futile e invereconda dibattutasi a cagione della sedia dogale in san Lorenzo , contro Γ arcivescovo Durazzo cui deve tanto la chiesa nostra; ben dirò come vivamente si maneggiassero colà e il residente e il cardinale Protettore della Repubblica per Γ altra non meno leggiera, cioè la pretesa delle regie onoranze. Nè importa rammentare qui i molti libri dettati intorno a sì fatto (1) A. R. Genov. Polit., mazzo 18, n. 24. (2) Siri, !\Ccm. ree., T. 7, pag. 118. (3) A. R. Genov. Secret., filza n. 16. 394 GIORNALE LIGUSTICO argomento, e le allegazioni sciorinate con erudita faraggine dai giureconsulti, chè tutti conoscono ad esempio le operette del Borgo, del Federici, dello Sperone e d’altri autori, i quali tutti scrivendo per pubblico servigio doveano poi essere dal governo con qualche dono rimunerati; e questo avveniva in ispecie verso i non genovesi sì come più volte m’ è occorso rilevare dai documenti: così per toccare d’uno, noterò Luigi Manzini da Bologna regalato d’una ricca e bella collana con medaglia d’oro rappresentante lo stemma della Repubblica del valore di cento scudi, in premio d’ aver scritta e stampata nel 1646 La via lattea per la maestà della Serenissima Repubblica di Genova. È una vera pietà il vedere con quanto calore s’occupavano i moderatori della Repubblica di sì picciole ed oziose faccende, da essi magnificate in guisa che tu reputi per poco abbia da quelle a derivare la felicità o la ruina dello Stato; e la bisogna stava loro sì a cuore che d5 ogni opportunità si giovavano pur di giugnere allo intento desiderato. Sedeva allora pontefice Urbano Vili poco amico de’ genovesi a cagione de’ legami che essi avevano colla Spagna, e stavano a lui accosto i cardinali nipoti Francesco ed Antonio Barberini dividendone le antipatie, coi quali singolarmente era uopo maneggiarsi per condurre a fine felice i negozi. Il Capriata forse indettato dagli Spagnuoli, giudicò con molta asprezza di Urbano, nè fu avaro di vivaci parole sul conto del cardinale Antonio, il quale per opera d’un suo domestico prelato se ne risentì appo Pietro Francesco Spinola residente genovese a Roma; e questi incontanente ne avvisava il Doge con lettera de’ 12 febbraio 1639, osservando che sarebbe conveniente non lasciar sfuggire congiuntura di porgere al Papa ed ai cardinali un securo testimonio di benevolo favore e di ossequiosa osservanza (1). I Collegi discorsa la pratica ri- (1) A. R. Genov. Lett. Ministri, Roma, M. 11. GIORNALE LIGUSTICO 395 spondevano ai 25 lodando la diligenza del residente ed il suo valore ne pubblici affari, e diceano intorno al Capriata che veramente nella sua historia egli ba scritto molte inettie e cose sen^a fondamento 0 sostanza, che perciò V. S. si veda con quel Prelato e le dica primieramente che questi SS. Ser.mi continuano in gradirgli la buona inclinatione che ba verso la Repubblica con gli effetti che va dimostrando, e ricordi che dà a beneficio di essa, e che sapendosi chi sia esso prelato corrisponderanno con ogni buona volontà, e che rispetto all’ amenda dell’ errori saranno pronti farla fare nelle maniere che i Sig/' Barberini comanderanno, 0 come ricorderà esso prelato informato degli ultimi sensi di quella casa , e che intorno ciò et in ogni altra cosa procureranno sempre dare a cotesti Sig.ri Nipoti ogni gusto possibile, e si incontreranno sempre le occasioni. Si starà dunque aspettando quello che per aponto sarà a V. S. stato risposto, parendo però che ogni rimedio sia poco accertato e più tosto per corroborare che per diminuire t- il scritto in quell’ historie, ad ogni modo si conformeranno col loro senso (1). L’ opinione molto giusta ed accorta che un qualsivoglia provvedimento avrebbe eccitato, come avviene, la curiosità e dato conforto eziandio alla narrazione, non era in conto alcuno divisa da quei Prelati romani, che intendeano in quella vece procacciarsi un singolare soddisfacimento dal governo della Repubblica; perciò sollecitavano lo Spinola a fin chè dal libro settimo fino al fine di tutta Γhistoria, così riferiva il residente, si emendassero que’ luoghi ne’ quali licentiosamente si parla di Nostro Signore, del Sig. Cardinale Barberino, di Mon-sig. Giulio Mazzarino e d’ altri ministri di questa corte; aggiungeva poi non volersi togliere sì fatta briga il prelato, il quale però si esibiva non appena la desiata sodisfatione fosse avvenuta penetrare apertamente i sensi del Pontefice in riguardo delle regie onorande. Ma i Collegi, come che si manifestas- (1) A. R. Genov. Litter. Reg., a. 1639, n. 245. GIORNALE LIGUSTICO sero parati ad appagare i desideri di Roma, non s’ affrettarono gran fatto ad appigliarsi a qualche partito, volendo in prima aver certo sentore del modo con che si incamminava il negozio, e secondo che si vedrà prendere buona piega, così scrivevano, si farà correggere gli errori del Capriata come cotesti Barberini o altri in lor nome ricorderanno ; tornavano poi a confermare la loro opinione altra volta espressa, credere cioè che tal corretione possa essere di poco profitto, e più tosto atta ad autenticar quella Ustoria che ad altro, della qual cosa lasciavano perciò tutto il pensiero a quei Signori; e perchè lo Spinola insisteva anche a nome del cardinale Borghese, ascritto di fresco alla genovese nobiltà e protettore della Repubblica , esser di molto giovamento ad ottenere i tanto agognati privilegi regali il concedere sì fatta soddisfazione, replicavano i Collegi non credere che tale correttione possa dare si gagliaida spinta alle pretensioni della Repubblica. Divinavano per avventura i governanti quanto doveva accadere e da buoni diplomatici, ricordevoli dell’adagio do ut des, stavano sul tirato; se non che i Barberini volevano spuntarla ad ogni costo e avvedutisi della ragia, finissimi ed astutissimi essendo, diventarono assai più dolci e si fecero intendere col Borghese non restii ad assentire alla dimanda della Repubblica; onde udite le buone novelle subito nel Maggio si facea provvigione contro la storia, deputando due de’ Collegi qui considerent quo pacto damnari possit historiam Doctoris Petri Joannis Capriatae historici parum fidelis, essendo certo avere egli in alcuni luoghi del suo libro recato danno manifesto alla Repubblica e sparlato del Pontefice; ne si passino dall’ osservare se per sorte fosse stato nella stampa con frode cambiato un libro nel quale erano appunto cadute le correzioni dei primi censori ; ciò agli li, ed ai 19 Raffaele Della Torre e Benedetto Viale riferivano si dovesse proibire 1’ opera donec expurgetur (1). Sue-(1) A. R. Genov. Secretfilz. num. io. giornale ligustico 397 cedeva incontanente analogo decreto, che confermando la relazione dei deputati, vietava a chicchessia di ritenere in propria casa Γ opera e di venderla, ordinava ai possessori di portarne gli esemplari a Palazzo entro il termine di giorni quindici sotto pena di lire 500 a cui contravvenisse, dava balìa al Pretore urbano dell’ eseguire e voleva ne fosse fatto pubblico bando affinchè niuno lo ignorasse (1). Ne dava avviso sollecito allo Spinola il segretario nel seguente giorno 20 Maggio dicendogli: Questi SS.ri Ser.mi tengono memoria di servire S. Santittà e la sua casa in ogni occasione; onde havendo applicato Γ animo all’historia del Capriata, di quale a V. S. parlò Mons. Contiloro, hieri fu da’ SS.mi Collegi per servire a S. Santità prohibita donec expurgetur. Potrà V. S. dirlo a Mons. Contiloro acciò sappi quel che passa, e che dovendosi purgare si haverà principal mira a che resti Sua Beatitudine soddisfatta. Et intanto resta prohibita V opera tutta. E questi SS/' Ser.mi non han potuto far maggior dimostrattone, che dannar l’opera nel modo suddetto (2). Non dimenticavasi però ricordare al residente il negozio che stava in cima ad ogni altro pensiero, e ciò si faceva sul chiudere la lettera porgendo un utile avvertimento allo Spinola intorno al modo col quale doveva governarsi, e procurerà, così dice, di vendere il negotio caro nella maniera che alla molta sua destrezza parerà ; preziose parole son queste nelle quali sta compendiata buona parte della sapienza diplomatica di tutti i tempi, e a noi in singoiar guisa manifesta quanta importanza si ponesse in poco serie quistioni di cerimoniale, che niun Utile recavano al governo, erano d’ eccitamento a’ scrittori venali, ed a legulei, e toglievano alla Camera egregie somme onde maggiore prò’ potea trarsi ; ne son prova i non lievi dispendi occorsi per la missione del Rodino (1) xAppunti slor., ms. R. Univ., Voi. IV, Suppl. carta 45. (2) ‘Reg- Litter., num. 245. 398 GIORNALE LIGUSTICO a Ferdinando III e l’inconsulto dono a questi fatto dei 300000 fiorini in cambio d’un titolo, che lusingava l’orgoglio, ma non aggiungeva bricciolo di possanza e autorità; quindi è che occorrono frequenti a questi anni i biglietti di calice e i ricordi a’ Collegi, ne’ quali si muovono lamenti per le spese soverchie che superano l’entrate, e sì fatta verità chiara apparisce dalle relazioni della Camera e dalle provvidenze indiritte a far danaro. Se lo Spinola si destreggiasse a seconda delle ricevute istruzioni non sò, leggo bensì come 11 giugno scrivesse a’ Collegi che Monsignor Contiloro diede parte egli medesimo al Cardinal Barberino della prohibitione che costi s’ era, fatta dell’ historia del Capriata a sola cagione d incontrare il suo gusto e la propria sua soddisfattione, e che S. Eminenza ricevi a gratia particolare questa dimostratione (1). La condiscendenza palesata dal Governo genovese verso la Corte romana doveva, secondo speravasi, essere arra di vicendevole favore; senonchè il fatto volle questa fiata sbugiardare il noto proverbio Genovése prende e non rende, e per converso confortare, mercè la sua inesorabile autorità, l’altro adagio napoletano (1) Bibi. Hisp. T. 2, pag. 332. (2) Athenaeum Lig. pag. 401. (3) Scrittori della Lig. pag. 200. (4) Commentari all’ Istor. della Volg. Poesia, T. V. pag. 185. (5) Stor. e Rag. della Volg. Poesia, T. II. pag. 313 — V. pag. 447. (6) Voi. I. par. 2.a pag. 1170. (7) Stor. della Letterat. Ital. T. Vili. pag. 581 (Ediz. classici). (8) Stor. Lett. della Liguria, T. III. pag. 58 e seg. (9) Lettere bibliog. al P. Spotorno, pag. 38-40. (10) Società Lett. del Piemonte, pag. 104. (11) Della veracità di alcuni scrittori di Storie Italiane del sec. X VII. — Atti della R. Acc. delle Sciente di Torino voi. 3.0 pag. 491 ; e Stor. Monar. di Sav. T. V. pag. 367. (12) Sulle avventure di Luca Assarino e Gerolamo Brusoni chiamati alla Corte dì Savoja nel Sec. XVII, ed eletti istoriogra.fi ducali. Atti cit. Voi. 8, pagg. 112, 30;, 385, 512. Ne furono estratti alcuni esemplari; piccolo volume di pag. 158. Di questo mi giovo per le citazioni. 464 GIORNALE LIGUSTICO quella vece io scorto da nuovi documenti e dalle opere a stampa, ho divisato discorrere delle sue avventure in Genova e delle relazioni eh’ egli, divenuto stipendiato ducale, ebbe col governo della Repubblica genovese. A prima giunta può per avventura sì fatto subbietto sembrare spoglio affatto di storico interesse, ma ove ben si riguardi, agevolmente si parrà come in figura dell’ uomo intorno a cui si svolge la tela de’ fatti, venga rappresentata la società in mezzo alla quale egli visse; di guisa che dovendosi investigare e discoprire le più recondite intimità di quello, ne viene a questa luce ed evidenza maggiore. Non rado avviene, nelle ricerche intorno alla storia letteraria, doversi dopo molti anni dichiarare errate interamente le notizie tramandateci da reputati autori, intorno alla vita d’ alcun soggetto levatosi in qualche fama; non così allorquando 1’ autore stesso ha, come chè in brieve, lasciata P autobiografìa ; imperciocché ovvia ragione c’ insegna dovercene in tal caso riposare fiduciosi sulle sue parole, non reputando che egli voglia di se con manco rettezza ragionare ; specie là dove dice della nascita e di più cose sì fatte. Ma in cotal fallo mi è occorso cogliere per lo appunto il nostro Luca Assarino, il quale, avvegnaché nato in paese da Genova ben lungi, pur nel novero dei nostri scrittori fu posto, a cagione dello esser egli di padre genovese, e piccioletto qui condotto ed allevato. Notano gli scrittori che 1’ Assarino nacque in Siviglia del 1607 li 18 d’ ottobre, giorno consacrato a S.'Luca, da Antonio e da Giovanna di Reluce; la patria della madre affermano però in diversa guisa; il Mazzuchelli e tutti i posteriori la dicono calabrese; 1’ Oldoini, seguendo qui Nicola Antonio, scrive: cantabra 0 sia biscaina; ognun vede che da cantabra a calabra era facile 1’ errore. L’ Antonio a cagion della nascita ha allogato 1’ Assarino fra gli Spagnuoli, ed è il primo GIORNALE LIGUSTICO 465 che di lui ragioni, citando a documento delle sue parole una lettera dello stesso autor nostro, indirizzata all’ Ab. Michele Giustiniani e da questi comunicatagli in Roma, nel mentre facea stampare la sua opera degli scrittori spagnuoli nel 1672. Tre anni dopo il Giustiniani mandava in luce quest’ essa lettera nella parte 3.“ delle memorabili (1), ed io ne reco qui quel tanto che giova al mio uopo. « L’ anno del 1576, » scrive Γ Assarino, « se mal non mi rammento seguirono in Genova Γ ultime guerre civili chiamate in lingua genovese : ro Garibetto. Queste privando dal governo della Repubblica molte case anticamente nobili, e promovendo al medesimo governo molte popolari, furono cagione, che la casa .Assarino la quale (come si vede dalle scritture di pubblico archivio del Ducal Palazzo) trecento e più anni prima era stata annoverata tra le nobili famiglie genovesi, et haveva sempre havuta la sua parte di comando, rimanesse deposta. Mio padre che si chiamava Antonio, figlio di Marino, vedendosi spogliato di quel carattere (di cui per altro non può mai restare alcun huomo privo, se non per via di qualche in-degn’ atione) nel medesimo tempo spogliato della miglior parte dei suoi beni, condottosi in Spagna, passò all’ Indie del Perù, ove fermandosi alcuni anni fece il valsente di 150 mila scudi, e poscia ritornatosene in Spagna, prese per moglie una gentil donna biscaina chiamata donna Giovanna di Relux, dalla quale nacqui io 1’ anno 1607 a’ 18 di ottobre in giorno di venerdì. Peronde mi posero nome Luca. La serie della mia vita è così strana, e piena d’ accidenti non volgari, che per narrarsi appieno richiederebbe non minor lunghezza, che travaglio. Basti per tanto dire che sino all’ età di quasi vent’ anni io hebbi per tal maniera in odio le lettere, che quantunque nella pueritia havessi non senza qualche lode (1) Pag. 412. 466 GIORNALE LIGUSTICO