GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA FONDATO E DIRETTO DA L. T. ‘BELGRANO ed Λ. ^ERI ANNO QUINDICESIMO GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCLXXXVIII • : ì Î" ' <· ■' ‘ V ' ■■ *, » - ' ...... . : ■ : ' ·> - · ■ : >φ; ■ ’’ ·' "'-C , ■■■■ \ ‘ -.i /' , ' ,„i ■ .. '-''Λ ' V' :rr'· ' TRE NUOVI DOCUMENTI sopra Cristoforo Colombo e suo padre. Sono tre documenti sopra Cristoforo Colombo e suo padre da me nuovamente scoperti nel nostro Archivio di Stato, quelli eh’ or rendo di pubblica ragione. Essi accrescono la serie dei già pubblicati (i), con i quali pienamente concordano, e non sono privi di importanza, anche perchè segnano un incidente della vita intima dei Colombo, particolarmente del padre del grande navigatore, incidente ove questi figura, mentre era nella sua giovinezza, sulla quale ben poco finor si conosce di veramente accertato. Tutti sono dell’anno 1470, e stanno nelle filze del notaro Giacomo Calvi; due colla data del 22 settembre, epoca in cui Domenico, quantunque già deciso a fermar stanza in Savona, ove dal . 2 marzo aveva installato il suo garzone Castagnelli, teneva ancora domicilio in Genova pel disbrigo degli affari che continuava ad avervi, e l’altro del 27 dello stesso mese di settembre. Il primo è un compromesso che Domenico e Cristoforo, padre e figlio Colo r.bo, il qual ultimo stipula col consenso e l’autorizzazione paterna, non essendo sui juris, fanno con un Geronimo da Porto, a causa di certi interessi che avevano (1) Cfr. Giornale Ligustico 1885, pag. 218, 1887, pag. 241. Harrisse, Christophe Colomb etc. Paris 1884-1885. 4 GIORNALE LIGUSTICO fra di loro, rimettendo al prudentem virum dominum Johannem Augustinum de Goano, lo stabilire Γ ammontare di quanto essi avrebbero dovuto pagargli. La quale espressione e la promessa esplicita che essi fanno al da Porto, di sborsare quanto verrà dall’arbitro stabilito, la garanzia che danno per questo, mentre il loro avversario non è vincolato da alcuna consimile obbligazione, sono prova che non era questione di indagare se fossero o no debitori,, ma sull’ entità del debito loro, od a parlar più giusto di Domenico verso il Geronimo da Porto. Chi si rende mallevadore degli impegni dei Colombo è un Deserino de Monte, falegname, bancalarius, ma è detto che ciò fa a nome di Antonio Colombo, del quale non si accenna di più, ma che certo dovea esser legato da stretta parentela col Domenico, per impegnarsi in tale fideiussione. Infatti vedemmo negli atti prima d’ora trovati che Giovanni, Matteo ed Amighetto fratelli Colombo , quelli che nel 1496 si convengono perchè il primo di essi vada in Spagna, a trovare l’ammiraglio Cristoforo Colombo, erano figli di Antonio, e sappiamo da altri documenti che costui era figlio di Giovanni, e fratello di Domenico. La celebrazione del compromesso ha luogo nel palazzo del comune al banco del giudice de’ malefizii, cioè a dire delle cose criminali, circostanza da se sola indifferente, giacché usavansi concluder gli atti dove i contraenti si trovavano, e presso i notari di loro confidenza, che spesso erano cancellieri di qualche magistrato, ma nel caso attuale trova spiegazione dall’ atto che segue. Il quale è 1’ ordine dato lo stesso giorno ed ora, e con gli stessi testimoni dal medesimo giudice de' malefizii, affinchè Domenico sia rilasciato libero dalle carceri dove allora era sostenuto, coll’obbligo però di ripresentarsi ad ogni richiesta dell’ autorità giudiziaria, pena venticinque ducati, e colla garanzia del suddetto Deserino del Monte. GIORNALE LIGUSTICO s Dal complesso di tutto questo, la prima supposizione che può venire alla mente sarebbe quella che Geronimo da Porto creditore di Domenico Colombo di qualche somma non ancora bene determinata, sapendo che costui aveva risoluto di abbandonar Genova per recarsi ad abitare in Savona, a salvaguardia del proprio interesse, lo facesse arrestare sul suo giuramento come debitore sospetto, e che quindi acconsentisse alla liberazione di lui, dopo la conclusione del compromesso sopra accennato , la prestata fideiussione, e la promessa di ripresentarsi, secondo le disposizioni degli statuti genovesi (i). Ma il fatto che tali atti si svolgono presso il giudice criminale, e non il civile, come sarebbe convenuto trattandosi di interesse civile, l’espressione che leggesi nell’ordine di rilascio, dicente che Domenico arrestato per certe cause, venne riconosciuto non colpevole, fa rimaner molto dubbiosi nell’ accettazione di questa ipotesi. A ciò si aggiunga che Domenico possedeva in Genova due case, una in vico dritto di Ponticello, e 1’ altra in via Olivella, e aveva ancora, quantunque forse già in trattative per venderla, una possessione a Ginestreto in vai di Bisagno, per cui, quando anche arrestato come debitore sospetto, poteva esser subito messo in libertà, secondo le disposizioni del citato statuto. Onde può esser avvenuto invece, che Domenico fosse stato condotto in carcere per qualche imputazione criminale, non poi giustificata, e che il da Porto, profittando di questa circostanza, sia giovandogli perchè venisse rilasciato, sia in qualche altro modo, lo inducesse ad accettare il compromesso. Comunque però sia delle supposizioni sulle cause della detenzione, nella quale non è menomamente implicato Cristo-foro, che solo da figlio riverente interviene nel compromesso, e per ciò è compreso nella sentenza dell’ arbitro, ciò che (i) Stai. Lib. IJ, Cap. i. 6 GIORNALE LIGUSTICO resta indiscutibile sono le relazioni di interesse fra i Colombo ed il da Porto. L’arbitro a cui fu commesso il giudizio delle somme dovute è Giovanni Agostino de Goano figlio del fu Luchino, della famiglia dei reputati nostri giuristi ed uomini politici più eminenti di quei tempi. Egli emise la sua sentenza, pur registrata negli atti del già citato notaro Giacomo Calvi, il dì 27 dello stesso mese di settembre, cioè cinque soli giorni dopo il fatto convegno, prova che la controversia era limpida e chiara, e non avea bisogno di essere studiata lungo tempo. E la sostanza ne fu la condanna di Domenico e di Cristoforo al pagamento di lire trentacinque, entro lo spazio di un anno al loro creditore. Già replicatamente vedemmo esser costui Geronimo da Porto, circostanza importantissima e che è una prova come i documenti di cui si tratta si riferiscono propriamente allo scopritore del nuovo mondo, ed al padre di lui. Imperocché nel codicillo annesso al testamento di Cristoforo Colombo fatto a Vagliadolid il 19 maggio del 1506, fra diversi legatari, la più parte genovesi, ai quali Cristoforo lasciava delle somme, certo a pagamento di debiti contratti, ed a scarico della sua coscienza, è notato prima di tutti Geronimo da Porto, agli eredi del quale sono lasciati venti ducati, colla formola seguente: Primieramente a los Herederos de Geronimo del Puerto, padre de Benito del Puerto, chanceler en Genova, viente duca-dos ò su valor (1). Come si rileva da ciò, Geronimo da Porto, creditore dei Colombo, a quella data non era più, ed è perciò che Cristo-foro Colombo lega la somma indicata a’ suoi eredi, dei quali non sapeva i nomi ad eccezione del Benedetto, che designa (1) Cfr. Navarrette. Collection de los viages y descubrimientos que hicieron por mar los espaùoles ecc., voi. 2. pag. 315, Madrid 1825. GIORNALE LIGUSTICO 7 come cancelliere del Comune di Genova, e che forse conobbe per esser egli andato in Ispagna, quale cancelliere degli oratori genovesi ai Reali Cattolici, e da non confondersi con un altro Benedetto, che pur appare in diversi atti di quel tempo come mercadante, essendo quest’ ultimo figlio di Andrea mentre il cancelliere è figlio di Geronimo. Il Federici nel suo Abecedario segna questo Geronimo come tintore di professione, e difatti molti atti si hanno di lui con tale qualifica. Citerò, ad esempio, quello del 13 giugno 1469 nelle filze del notaro Simone Canella, per non so qual convegno co’ nobili Centurioni, relativo a quarantacinque pezze di panno, ove è indicata anche la sua paternità, essendo detto figlio di Bartolomeo. La sua professione poi di tintore di panni di lana spiega abbastanza le relazioni che può aver avuto con Domenico Colombo, che ne era tessitore. Ma la somma lasciata nel codicillo di Cristoforo Colombo agli eredi del nostro Geronimo, sarà stata proprio in soddisfacimento del debito proveniente dagli atti esaminati, oppure dipendente da altro titolo? Invano ho tentato di sciogliere questo dubbio, nè certo colla scorta dei soli documenti che finora sono a nostra cognizione si potrà mai. Le L. 34 della sentenza pronunciata dal Goano il 27 settembre del 1470, corrispondono presso a poco a italiane L. 117 e cent. 95, ed i 20 ducati del legato fatto da Cristoforo il 19 maggio del 1506 ad italiane L. 240 (1). Come vedesi la differenza è di più del doppio. Ma se si consideri il lasso di oltre trent’ anni che scorsero fra la sentenza ed il legato, e perciò si calcolino gli interessi del denaro, e si abbia anche riguardo alla posizione di Cristoforo, non sembrerebbe esagerato compenso, ove vogliasi ammettere (1) La lira di Genova del 1470 corrisponde a circa lire italiane 3, 37, ed il ducato d’oro del 1506 a lire it. 12. 15. 8 GIORNALE LIGUSTICO il legato come soddisfacimento del debito. Nessun dato però ci autorizza a dire che non fosse stato soddisfatto prima, ed in tal caso la largizione di Cristoforo sarebbe stata occasionata da altri motivi a noi ignoti. Ma comunque sia, la cosa per noi è indifferente. Quel che importa stabilire è il riscontro che trovasi del nome di Geronimo da Porto nel codicillo di Cristoforo Colombo, e negli atti di cui ho parlato, e che è la prova la più luminosa come essi riguardino precisamente la persona dello scopritore del nuovo mondo; e coloro che per negare che Genova sia la vera patria di lui, volessero attribuirli ad altri omonimi, a-vranno a sudare di molto ed invano, per distruggere questa nuova testimonianza, che sta contro alle loro pretese. Marcello Staglieno. I. Compromissum. In nomine Domini amen. Dominicus de Columbo quondam Joannis, et Christofforus eius filius, in presentia et consensu dicti Dominici patris sui presentis et consentientis ex parte una, et Jeronimus de Portu, quondam Bartholomei ex parte........ (i). De et super omnibus controversiis et differentiis vertentibus inter ipsas partes, et de et super omni eo et toto quod una pars ab altera et altera ab una petere et requirere potest, usque in diem et horam présentes, ita quod presens compromissum sit generale et generalissimum et se extendat super omni eo et toto quod per infrascriptum arbitrum et arbitratorem intelligatur fuisse factum presens compromissum. Se se compromisserunt et generale compromissum fecerunt et faciunt in prudentem virum dominum Johannem Augustinum de Goano quondam Luchini, tanquam in ipsarum partium arbitrum et arbitratorem et ami-cabilem compositorem et tamquam amicum electum et assuntum per et inter dictas partes, et de comuni acordio et voluntate ipsarum. (i) II notaro si dimenticò di scrivere altera. GIORNALE LIGUSTICO 9 Dantes etc. de jure et de facto etc. Emologantes etc. Ratificantes etc. Renunciantes etc. Et duret presens compromissum usque et per medium mensem mensis octobris inclusive. Que omnia etc. Sub pena florenorum decem, in qua pena etc. Qui Dominicus de Columbo et Christofforus eius filius volentes in totum observare sententiam ferendam per dictum arbitrum et arbitratorem. Sponte etc. Promiserunt dicto Jeronimo presenti et solemniter stipulanti, eidem Je-ronimo dari et solvere totum illud quod fuerit sententiatum et indicatum per dictum arbitrum et arbitratorem, omni cavillatone et contradicione censante (i). Et demum observare sententiam predictam faciendam ut supra per dictum arbitrum et arbitratorem. Sub etc. Et pro eis intercessit et fideiussit Dexerinus de Monte bancalarius.... (2) Antonii de Columbo, qui promisit dictum Dexerinum et bona sua indemnem et indemnia conservare pro dicta fideiussione. Sub etc. Actum Janue in palacio Serravalis, videlicet ad bancum Jurium malle-ficiorum Janue, anno dominice nativitatis mcccclxx , indicione prima secundum Janue cursum, die sabati xxii septembris hora vigesima tercia in circa, presentibus testibus Petro de Zoalio quondam Dexerini, et Vinciguerra de Via quondam Bartholomei, civibus et habitatoribus Janue vocatis et rogatis. (Notaro Giacomo Calvi, filza 3. n. 370) II. mcccclxx die xxii septembris hora vigesima tertia in circa, ad bancum Juris. Egregius dominus Judex malleficiorum Janue, sciens Dominicum de Columbo detemptum et carceratum fuisse parte et mandato magnifici (1) Così per cessante. (2) Qui avvi una parola abbreviata, indicifrabile, che può leggersi procurator, oppure parte, ma il senso ne è chiaro. IO GIORNALE LIGUSTICO domini Potestatis Janue, et ipsius domini Judicis pro certis de causis, et dictum Dominicum non tuisse repertum culpabilem, omni modo etc. Mandavit dictum Dominicum a dicta detentione et carceratione relaxari, sub fideiussatione infrascripta, et promissione de se presentando seu semper ad mandatum dictorum dominorum Potestatis et Judicis, sub pena ducatorum vigintiquinque, aplicata operi Casteleti. Qui Dominicus volens parere mandatis dicti domini Potestatis et Judicis promisit se presentare, semper ad mandatum dictorum dominorum Potestatis et Judicis, sub pena ducatorum viginti quinque, aplicanda operi Casteleti. Sub etc. Et pro eo intercessit et fideiussit Dexerinus de Monte bancalarius. Sub. etc. Renuncians etc. Qui dominus Judex vissa dicta promissione et sattisdacione, mandavit dictum..... (i) relaxari. Testes ut supra. (Not. Giacomo Calvi, filza 3, in calce al precedente documento). III. Sententia Arbitralis. In nomine Domini amen. Nos Joannes Augustinus de Goano , arbiter arbitrator et amicabilis compositor et comunis amicus, electus et assumptus per et inter Dominicum de Columbo, et Christophorum eius filium ex una parte, et Jeronimum de Portu ex parte altera, vigore et ex forma compromissi in nos facti, scripti manu Johannis Calvi, notarii infrascripti, hoc anno, die...... (2). Vissis igitur dicto compromisso et balia nobis attributa per dictas partes virtute ipsius. Et audita et intellecta requisicione coram nobis verbo facta per dictum Jeronimum, contra dictos Dominicum et Christofforum. Responcionibus et contradictionibus coram nobis factis et allegatis per dictos Dominicum et Christofforum ; Et ipsis partibus auditis, et plene intellectis juribus et raccionibus ipsarum partium, et ipsis partibus auditis pluries, et omnibus hiis, que coram nobis dicere et allegare voluerunt. (1) La parola non si può leggere, ma certo è Domiuicum. (2) Il notaro si dimenticò di segnare il giorno. GIORNALE LIGUSTICO I I Et visis videndis, et auditis audiendis : Et super predictis habito maturo examine cum pensata deliberacione : Christi nomine invocato etc. In his scriptis dicimus, sententiamus, cognoscimus, declaramus et condemnamus ut infra. Videlicet quia condemnamus et condemnatos esse pronunciamus et declaramus dictos Dominicum et Christophorum, et quemlibet eorum in solidum , ad dandum et solvendum dicto Jeronimo de Portu libras tringinta quinque monete currentis, infra annum unum, proxime venturum, omni contradicione cessante. Mandamus hanc nostram sententiam per dictas partes observari debere sub pena contenta in compromisso, vigore cuius hec nostra sententia lata fuit. Lecta etc. Et lata etc. Janue in bancis, sub porticu nobilium De Nigro, ad bancum mei notarii infrascripti, anno dominice nativitatis mcccclxx, indicione tercia, secundum Janue cursum, die veneris xxvii septembris, in terciis, presentibus Bartholomeo de Goano et Antonio Leardo notario, testibus ad hec vocatis et rogatis. (Notaro Giacomo Calvi, filza 3, n. 273). DI UNA EPIGRAFE RITUALE SACRA A GIOVE BEHELEPARO Una singolare epigrafe e d’interpretazione oscura fu nel mese di settembre dell’anno 1886 raccolta in Roma sulla pubblica via Portuense, a circa duecento metri dalla porta, fra un mucchio di pietre abbandonate. Di essa mandai subito copia al mio chiarissimo amico il Cav. Vittorio Poggi, perchè ne dicesse ciò che a lui meglio sembrasse, ed un apografo con relativo calco alle Notizie degli scavi ecc. Si il Poggi nel Giornale Ligustico (fase. IV, 1887) come le Notizie cet. (apr. 1887) la riferirono, ma lasciarono intatta l’interpretazione. Di questa dirò ciò che di vero a me è parso, lasciando 12 GIORNALE LIGUSTICO che altri per avventura più savio e che intenda me’ che ΐ non ragioni, sgombrate le tenebre che avvolgono il vero senso di alcune frasi della medesima, ci metta in grado di vedere e leggervi più chiaramente. Ma prima di venire alla trascrizione ed interpretazione della medesima, fa d’uopo avvertire come essa manchi disgraziatamente del principio, e d’ una parte laterale. Il principio smarrito o perduto per rottura antica, mentre che ci lascia desiderare una linea almeno, come apparisce dall’avanzo di una lettera, che è probabilmente un E, ci dà poco pensiero in quanto che ne conserva il senso completo. L’altro frammento di cui siam privi per rottura moderna, benché di poco momento per il numero delle lettere mancanti, pure ci tiene molto in forse sul vero supplemento da darsi. Tuttavia perchè nulla manchi, io darò l’epigrafe con i supplementi da me ideati, non perchè li conosca del tutto sicuri, ma perchè li tengo solamente probabili e necessarii per il senso che ho dalla medesima tratto. DISDEABVSQVE IO r/5EHELEP AROQVISa Gi?F£CDEOMOREP ATRIOS iiOCERIT 5 NIQ.VISIN TRASEVELIT ABISREBVSQ. ASIVSADITOITEMASVILI OMNIS GENERIS MELLENI MVNDATOIVS ANTEDI EM DEI IN MOLATVM NIGVST PARTV· ANTE · DIEM X ACCI LEONAS VILIC La quale trascritta e corretta direbbe: Dis deabusque (?) / lovi Behelep(h)aro qui sajcr{um) feç(erit) Deo more patrio s / (anctum) hoc erit. Ni quis in / ira se velit ab (i)is rebus q/(u)as (statuimus) ius adito; item a suili/ omnis generis (abstineto) ; meile ni / GIORNALE LIGUSTICO 13 mundato; ius ante diem / dei inmolatum ni gustiate); (jetuma (?)) partii ante diem X ncci(pito). Leonas Vilic(us) (1). Come ognuno vede l’epigrafe dà luogo a molte difficoltà, dalle quali non è facile liberarsi con onore. Primieramente si può domandare, quale ufficio avesse quel Leonate Villico (1) Il supplemento della prima linea è tolto da un’ altra epigrafe sacra pure a Giove Behelepharo, trovata pochi mesi prima della nostra e che è del tenore seguente : DIS · DEABVSQVE IOVI · BEELLEFARO (sic) SACRVM · PRO· SALVT T · AVR· ROMANI · ET IVLIANI · ET · DIOFANTI FRATRES · EQ. ■ SING . IMP ■ *N V · S · L · M Importantissima è anche questa epigrafe, che unita alla nostra ci assicura, come avea già sospettato il eh. Orazio Marucchi (Bull, della Comm. Arch. Com. di Roma, 1886, p. 147), che i cultori di Giove Behelepharo appartenessero ad un sodalizio religioso col singolare nome di Fratres. Non però furono i soli che tal nome si appropriassero, chè oltre agli Ebrei per i connazionali, dai quali lo tolsero i Cristiani in una maniera più perfetta ed ampia, si chiamarono fratres anche i cultori del dio medo-persiano Ahriman, come si ha dalla seguente epigrafe: Deo . Arima/nio. Libel/la . Leo./Fratribus /voto. Di cavit. (Ern. Desjardins, Acta Mus. Ungar, 1873. Tab. VII, η. 49· C. I L. Ili, 341$). I capi si dicevano Patres, come nel rito mitriaco, e ce lo attesta quest’ altra epigrafe pubblicata da E. Q. Visconti nel M. Pio-Clementino p. 25: D. Arimanio/ Agrestius . V. C./ Defensor/Magister et/Pater . Patrum / Voti . C. D. Anche alcuni settari, come nei nostri giorni, si doveano tra loro chiamare fratelli, se pure ben intendo il seguente luogo di Minucio Felice: Non ci distinguiamo per alcuni occulti contrassegni, come voi vi pensate, ma per la modestia e per V innocenza nostra. Onde ci amiamo scambievolmente.....e ci chiamiamo fratelli come figliuoli tutti di un Dio, come consorti della stessa fede e cerne eredi della stessa beatitudine. E voi, 0 Gentili, nè vi amate.......nè vi chiamate fratelli, se non cospirate alla morte di qualcuno del vostro prossimo. Oct. p. 36, Lugd. Batav., 1652. r4 dORNALE LIGUSTICO che sottoscrive il decreto, se egli cioè facesse parte dei cultori di Giove Behelepharo, ovvero fosse il sopraintendente al fondo in cui essi si radunavano per tenere le loro misteriose adunanze. Il contesto ci consiglia ad abbracciare la prima sentenza, a tenere cioè Leonate come un frater del Collegio colla dignità probabilmente di Magister, il quale essendo anche Villico conservava questo titolo, e con esso firmava, in quel modo che troviamo un villico della Biblioteca del Portico di Ottavia essere anche decurione del Collegio cui esso apparteneva (Henzen, 6271). Era dunque un forestiere, capo di un sodalizio parimente di forastieri, i quali secondo il patrio costume, more patrio, dovevano sacrificare a Giove Behelepharo; perciò tali cose loro sanciva: I. Ni quis intra se velit ab iis rebus quas (statuimus) ius adito. Il diritto, cui si mandano i sodali, perchè alcuno non agisca diversamente da ciò che è stato decretato, o in altri termini perchè tutti sieno uniformi nelle cerimonie del culto, è a mio modo di vedere un corpo di regole rituali a noi ascoso, e non una legge romana, non ostante che la forma con cui questo primo precetto è espressa sia per avventura del tenore di quella celebre dell’anno 568 di Roma contro i Baccanali — neve posthac inter sed comoumse, neve comuovise, neve conspondise, neve compromisise velet, neve quisquam fidem inter sed dedise velet ovvero di quest’altra trovata Panno 1882 nel quartiere del Castro Pretorio : B. F. NEIQ.VIS · INTRA TERMINOS · PROPIVS VRBEM · VSTRINAM FECISSE . VELIT . NIVE STERCVS.CADAVER INIECISE . VELIT (Bull, della Comm. Arch. Comun. di Roma 1882, p. 159). GIORNALE LIGUSTICO Questa è la parte meno oscura del decreto, perchè fortunatamente riceve luce dalla voce item, che immediatamente tien dietro, e che fa vedere come il primo ordinamento è dello stesso genere del secondo, come questo del terzo , il terzo del quarto. Avevano dunque i cultori di Giove Behelepharo un corpo di leggi rituali, di cui nulla ci è stato dal decreto tramandato, ma che supposto, come si proverà in seguito, il collegio di nazione e culto Siriaco, non ci sarà difficile investigare. Di esse leggi adunque ci occuperemo alquanto, per supplire almeno in parte alla mancanza della nostra lapide, e perchè meglio si sappia di qual gente da noi si tratti. È noto come ogni popolo avesse il suo cerimoniale, che regolasse il culto della propria divinità. Ma non tutto era scritto; chè parte apparteneva al misterioso arcano , e soleva tramandarsi ai posteri a voce soltanto , perchè non fosse accessibile ai profani. Se non che, anche di rituali scritti nell antichità non abbiamo che frammenti sparsi qua e là negli autori o nei monumenti secondo le circostanze, non un corpo intero. Il più completo e antico cerimoniale ci è stato conservato dal popolo Ebreo, in due libri interi, nel Levitico cioè e nei Numeri, ed in parte dall’ Esodo e dal piofeta Ezechiello; e da esso, siccome quello che si trovava da ogni parte circondato da popoli idolatri, la massima parte semitico-cananei, abbiamo tanto in mano da formarci un’idea abbastanza chiara del cerimoniale di questi ed anche dei cultori di Giove Behelepharo, che dalla Siria, come vedremo, vennero in Roma a piantare le loro tende. Con ciò non vogliamo noi, come è rea opinione d’alcuni, far dipendere le istituzioni del popolo Ebreo da quelle dei popoli confinanti, non avendo nulla che fare la purezza e semplicità del culto Giudaico, con quello impuro ed empio dei pagani, ed anche perchè Iddio avea al suo popolo proibito di agire secondo le usanze degli Egiziani e dei Cananei. Secundum opus terrae ι6 GIORNALE LIGUSTICO Aegypti in qua habitastis non facietis, et secundum opus terrae Canaan, quo ego adduco vos non facietis (Levit. XVIII, 3). Colle quali carole non solo ci mostra, come egli abbia interdetto agl Israeliti i riti di quelle nazioni, ma che i riti e le Wai da lui date erano contrarissime alle cerimonie e statuti O \ loro (Spencer, De Leg. Haebr. rit. Ί ubing. 1732, pag. 284). Per la qual cosa a ragione lo stesso Tacito potè scrivere che Mosè avea agli Ebrei comandati riti nuovi e contrari a quelli degli altri mortali, e che da loro era tenuto per profano ciò che dagli altri si considerava come sacro , e lecito ciò che agli altri era proibito (Hist. V. 4). Tanto perchè si sappia con quanta critica e cognizione di causa il Maspero abbia scritto: « Certaines prescriptions ritualistiques, certaines cérémonies empruntées évidemment aux pratiques du culte égyptien, doivent se reporter jusqu’au temps où les enfants d’Israël, à peine sortis d’Egypte, adaptèrent au culte de Iahveh nombre de rites qu’ils avaient vu célébrer devant les statues d’Ammon et de Phtah (Hist. Ant. des peupl. de l’Or. 1884, p. 290) ». So di certo che alcune pratiche di culto erano comuni a tutti i popoli, e che più somiglianti si trovano fra quelli che appartengono ad una medesima stirpe, come l’ara, il sacrificio cruento od incruento, la distinzione deodi animali fra mondi ed immondi, la preghiera fatta in questo od in quell’altro modo.....; ma tra la somiglianza di alcuni usi e cerimonie, e la dipendenza delle une dalle altre vi ha gran distanza. Meglio è ammettere con Max Miiller (Leit. d’introd. alla scienza delle relig. Fir. 1874, p. 97) esservi stato un tempo di un culto comune per le stirpi semitiche, come per le ariane, che precedette la formazione delle loro separate lingue, e delle loro separate religioni. In altri termini i Semiti avendo in comune molti nomi per la divinità, e possiamo aggiungere molti riti e cerimonie comuni, che devono essere esistiti prima che i rami meridionali o arabi, GIORNALE LIGUSTICO *7 settentrionali o aramei, centrali o ebraici, si separassero l’uno dall’altro in modo durevole, ci fanno penetrare nei concetti religiosi della stirpe semitica primitiva e tuttavia unita prima che Baal si adorasse in Fenicia, ed El in Babilonia; concetti che, se non del tutto svolti, li troviamo sufficientemente accennati nel sacro libro del Genesi Falsatasi poi l’idea della divinità in tntte le nazioni fuorché in quella privilegiata del popolo Ebreo, si falsarono ancora i riti e le cerimonie del culto, e sicome questo popolo era da ogni parte circondato da idolatri e, che più è, proclive a fornicare dietro gli Dei stranieri, Geova, mentre gli comanda d’adorar lui solo come unico e vero Dio, alcune leggi rituali gli prescrive, ed ed altre gli proibisce, siccome quelle che dalle nazioni paga-niche erano empiamente praticate. E questa è ancora gran ventura per la scienza delle religioni ; chè siccome tali prescrizioni e proibizioni si sono conservate nel sacro codice della Bibbia, fuori del quale nulla abbiamo, o semplici ed oscure traccie per lo più da quello desunte , noi possiamo formarci qualche sicuro concetto delle religioni semitico-ca-nanee, e, che più importa al nostro presente caso, essere in grado di capire qualche cosa anche della nostra epigrafe, fatta da gente che tai riti appunto professava. E per venire più al concreto, dirò che il decreto di cui parliamo non contiene che solamente una parte delle prescrizioni. Queste erano di due generi, alcune di natura loro male, ed altre puramente cerimoniali. Appartenevano al primo molte nefandezze innominabili (i), la prostituzione delle vergini (2), il culto di- (1) Nolite ambulare in legitimis nationum. Omnia enim haec (nefandit?. che si descrivono) fecerunt et abominatus sum eas. Levit. XIX e XX. Cfr. Ezech. XLIII, 11, Mach. VI, 4, III Reg. XV, 12, 13. (2) Ne prostitues filiam tuam. Levit. XIX, 29. — Cfr. Herod. I, 199. Giorn. Ligustico. Anno XV. 2 ι8 GIORNALI· LIGUSTICO vino prestato alle immagini (i), il sacrifizio umano (2), l’arte e la fede nei prestigi e negli auguri (3). Cerimoniali soltanto, ma che pure diventavano male per il fine, erano una specie di tonsura orbicolare, e certe stimmate di determinata forma (4), con cui si dedicavano alle divinità, la cottura del capretto e dell’agnello nel latte della madre (5), l’oblazione del miele e dei fermentati (6). Inoltre celebravano i loro misteri nei boschi e sulle alture, negli orti e nei sepolcri, e dormivano nei templi per aver dei sogni (7). (1) Nolite converti ad idola, nec deos conflatiles facietis vobis. Ego Dominus Deus vester. Exod. XIX, 4. (2) Et aedificaverunt excelsa Topheth... in valle filii Hinnom ad comburendum filios suos et filias suas. Ierem. VII, 31. Cfr. Ierem. XIX, 5; XXXII, 35 ! II Reg. XVI, 31; Sap. XII, 5. Dai quali luoghi si vedrà non trattarsi di semplice lustrazione per mezzo del fuoco, come vorrebbero alcuni (Theod. Quaest. 44 in IV. Reg.), ma di vero sacrifizio umano. (3) Non augurabimini, nec observabitis somnia, non declinetis ad magos, nec ab ariolis aliquid sciscitemini. Levit. XIX, 26-31. (4) Non vos incidetis, nec facietis calvitium super mortuo, quoniam sanctus es Domino Deo tuo. Deut. XIV, 1, 2. Neque in rotundum attondebis coniam, nec radebis barbam, et super mortuo non incidetis carnem vestram, neque figuras aliquas aut stigmata facietis vobis. Levit. XIX , 27, 28. (5) Non coques hoedum in lacte matris suae. Exod. XXIII, *9> XXXi^'' > 24. Deut. XIV, 21 ; al qual luogo il testo Samaritano fa seguire la seguente dichiarazione: Nam qui hoc facit, est ut qui macrum (rem abominabilem) sacrificat, quod irritat Deum Iacob. (6) Omnis oblatio .... absque fermento fiet, nec quidquam fermenti aut mellis adolebitur in sacrificio Domino. Levit. XI, 11. E ciò al dir di Maimo-nide, perchè gli idolatri non solo le cose dolci amavano , ma solevano ungere di miele le vittime. Morè Neb. (7) Et fecit lehoram excelsa in montibus lehudae, et fornicari fecit habitatores Ierusalem (dall’Ebr.) II Parai. XXI, 11. Lucos eorum succidetis. Exod. XXXIX, 13. Qui immolant in hortis et sacrificant (adolent incensum LXX) super lateres, qui habitant in sepulcris et in delubris idolorum dormiunt (propter somnia LXX) Is. LXV, 3, 4. GIORNALE LIGUSTICO 19 Tali e simili erano gli usi infami e le cerimonie sacre che tra i popoli semitico-cananei, quali erano specialmente gli Assiri ed i Babilonesi, i Fenici ed i Cartaginesi, i Moabiti ed i Filistei, si celebravano per venerare il supremo loro signore, il Dio Baal e Bel. Anche gli Ebrei, non ostante le proteste dei profeti, lo adorarono nei boschetti e sulle alture della Giudea. Ma di questo, rito speciale, come segno di con-secrazione al vero Dio leova od Eloim, era la circoncisione. Et circumcidetis carnem praeputii vestri, ut sit in signum foederis inter me et vos (Gen. XVII, 11; Levit. XII, 3). Le quali parole vengono interpretate dallo Pseudo-Ambrogio come se la circoncisione non avesse nessuna virtù propria, ma fosse soltanto un segno: quod signum ita accipiebant Abrahami filiis, ut scirentur eius filii esse, qui credens Deo hoc signum acceperat (In Ep. ad Rom. IX). Interpretazione del resto già data da S. Ireneo, quando contro Trifone scriveva aver Iddio data la circoncisione non perchè essa valesse a giustificare, ma per segno, affinchè si riconoscesse la stirpe di Abramo. Anche Tacito (Hist. V) assegna la stessa ragione: Circuncidere instituere , ut diversitale noscentur. Era dunque la circoncisione un segno con cui il popolo eletto in peculiar modo si con-secrava al vero Dio, come ai falsi e bugiardi con particolari stimmate le altre nazioni. Quale sia stato il fine per cui Iddio abbia questo più che an altro segno comandato non è nostra intenzione investigare, chè molto se n’è parlato, e molto ci devierebbe dal nostro scopo. xMa non furono solo i Giudei ad usare un tal segno di consecrazione. Prima di tutti, scrisse Erodoto II, 104, si circoncisero i Colchi, gli Egiziani e gli Etiopi, περιτάμνονται απαρχής τα αιδοία ; i Fenici poi, i Siri e gli abitanti della Palestina confessano di aver tolto siffatta consuetudine degli Egiziani. Per la quale autorità, a dire il vero non molto arcaica rispetto alle origini del rito di cui parliamo, molti sono andati in diverse e contrarie sentenze, al- 20 GIORNALE LIGUSTICO cuni sostenendo la priorità degli Egiziani, altri deg1; Ebrei; e non è a dire come alcuni così detti critici moderni servendosi di questa sola opinione d’Erodoto, da cui come da unica fonte sono sgorgate tutte le altre, abbiano bistrattata la sacra tradizione della Bibbia. Ma non era questo il caso. Noi potremmo negare ogni tede al medesimo, perchè, come abbiamo notato, è troppo moderno rispetto al sacro libro, non salendo la sua antichità al di là del secolo V a. C., ed avendo scritto in affari di religione massimamente per tradizioni quasi sempre orali, e per lo più fallaci; potremmo servirci di autorità molto più antiche e sincere, le quali ci dicono chiaramente aver i gentili tolto il rito della circoncisione dagli Ebrei e non questi da quelli, come nel caso dei Sichemiti che si circoncisero per poter sposare le figlie degli Israeliti (Gen. XXXIV); potremmo anche tacciare di falsità Erodoto per ciò che egli asserisce, aver cioè confessato i Fenicii e gli Ebrei medesimi di aver tolto tal rito dagli Egiziani, mentre che gli uni l’attribuivano ad Elo (Sanconiat. ap. Euseb Praep. Evang. I, p. 38) e gli altri a nessun altro che a Dio; ma non è questo il nostro intendimento. Ammettiamo che altre nazioni oltre a quella degli Ebrei usassero il rito della circoncisione, vogliamo concedere che questo prima che tra gli Abramiti fosse in uso fra gli Egiziani, non ne segue però averlo quelli da questi imparato e tolto. Iddio legò a se Abramo ed i suoi discendenti con un segno che tra tutti giudicò il più conveniente, e questo fu la circoncisione. Il Castelli (La legge del Pop. Ebr. Fir. 1884, P· 7)> dietro l’opinione secondo lui più accettabile, la giudica avanzo e mitigamento e simbolo dei sacrifici umani e dei culti fallici, quando i costumi presso certe genti, come accadde presso gli Egiziani e gli Ebrei, s’ ingentilirono e si elevarono a più alta moralità. Che la circoncisione possa considerarsi come sacrifizio cruento è probabile, ma che essa GIORNALE LIGUSTICO 21 sia avanzo, sostituzione e simbolo dei culti fallici, e non a questi del tutto opposta, ed inoltre che gli Egiziani fatti più gentili abbiano quelli abbandonati per appigliarsi a questa, è più facile ad asserirsi che a provarsi, massime quando i monumenti e la storia reclamano il contrario. Cfr. Herod. II, 49. Noi per contrario diciamo che la circoncisione, per sè indifferente o medicinale, diventa tessera o simbolo di culto insignemente religioso se al vero Dio è diretto, superstizioso se ai falsi, nè perciò Γ atto, benché il medesimo debba considerarsi della medesima moralità, come le stimmate che si fanno sul carpo o sulle braccia alcuni devoti in segno di con-secrazione alla B. V. di Loreto, non ha la stessa moralità di quelle che si facevano in onore di Baal, di Cerere e di Bacco (1). E già che siamo tornati alle stimmate 0 note impresse in qualche parte del corpo, colle quali gli uomini solevano dedicarsi a qualche divinità, non sarà inutile Γ avvertire come esse erano molto in uso tanto nel nuovo, quanto nell’antico Testamento. Luciano ci dice chiaramente degli Assiri, che essi solevano notarsi o sul carpo o sulla cervice: Στίζονται δέ πάν-τες ol μέν ές καρπούς, ά δέ ές αυχένας, καί άπ'ο τοΰδε απαντες Ασσύριοι στιγματηφόρέουσιν (_De Dea Syria jy). Nella sacra scrittura: Quid sunt plagae istae in medio manuum tuarum (Zacch. XIII, 6)? sarà detto a colui che negherà di essere stato profeta degli Idoli, quando Iddio disperderà finanche il loro nome, e condannerà i pseudo-profeti alla morte. Le quali parole commentando il de Groote (Grot. in Apoc. XIII), a ragione le spiegava per quei segni che si fanno nelle mani , con cui solevano dedicarsi a qualche Dio inscripto eorum signo, nomine aut numero. Anche nell’Apocalisse si parla di quelli costretti (1) Il sommo Sacerdote degli Ebrei, come segno dì soggezione a Dio portava scritto sul frontale di lamina d’ oro purissimo Sacro a Iahveh. Exod. XXVIII, 36. 22 GIORNALE LIGUSTIGO dalla Bestia ad adorar la sua imagine e a portare un carattere impresso nella mano destra, o sulla fronte, esprimenti il nome della bestia medesima con lettere o con numeri, XIII, 16. Il modo che solevano tenere nel formarsi tali note ci è descritto da Prudenzio nei seguenti versi : Quid cum sacrandus accipit sphragitidas? Acus minutas ingerit fornacibus ; His membra pergunt urere, utque igniverint, Quamcumque partem corporis fervens nota Stigmaverit, hanc sic consacratam praedicant (Hym. X). E qui mi sia lecito terminare quest’ ingrato argomento col de Groote lodato, tanto più che ciò che egli ai suoi tempi quasi divinando asseriva, ora ai nostri colla scoperta dei monumenti si è avverato. Traiano, dice egli, ad istigazione dei Maghi proibì tutti i sodalizi o Collegi eccettuati quelli che si univano a titolo di religione : sodalitates vetuit exceptis quae religionis (paganicae) nomine cohibant. E siccome gli uomini amano riunirsi in società, avvenne che in tutto l’impero non vi fu uomo che non fosse ascritto a qualche collegio sacro a qualche divinità. Quelli poi i quali vi si ascrivevano, ricevevano nel loro corpo un segno espresso o con lettere o con numeri simbolici (1. c.). Se per distinguersi, un segno aveano quelli che a qualche divinità erano in peculiar modo consacrati, anche i cultori di Giove Behelepharo insigniti doveano essere d’un sacro carattere. E forse anche a questo si allude, quando si vuol prescrivere Γ uniformità colle parole del nostro decreto : Ni quis intra se velit ab iis rebus quas (statuimus) , ius adito. II. — Item a suili omnis generis (abstineto). Gli animali più comuni atti ai sacrifizi erano buoi, vacche, capre e pecore. Le colombe fra gli uccelli erano tenute per sacre e non era lecito ai Sirii neppure toccarle, sicché entravano nelle loro case e vi pascolavano. Gli animali suini però GIORNALE LIGUSTICO 23 erano aborriti, nè l’immolavano, nè di essi si cibavano. Σύας δέ μοόνας έναγέας νομίζοντες ουτε θύουσιν, οδτε σιτέονται. Luc. l. c. 54. Di questo genere di persone doveano anche essere i cultori di Giove Behelepharo, quando loro si comanda di astenersi da ogni genere di siffatti immondi animali. Da questa proibizione in poi abbiamo alcuni precetti determinati, i quali, s’intende, se furono specificati, la causa si è che tali cultori tro-vavansi a contatto con altri popoli per cui la carne suina era in pregio, ed il sacrifizio in vigore. Ma è alquanto incerto il significato da darsi alla voce suili, se quello naturale di porcile, ovvero tenendola per errata in vece di suilla o suillis, quello di carne porcina. Questa seconda spiegazione mi pare più conforme al contesto, tanto più che seguono le parole omnis generis, colle quali par vogliansi comprendere gli animali non solo domestici ma anche selvatici, come si giudica dal seguente luogo di Erodiano V: Bestias omne genus sive cicures sive feras (Elagabalus) populo dabat in missilibus exceptis suibus, his enim lege Phoenicum abstinebat. Comunque però s’intendano, mostrano certamente, che qui si tratti di gente Semitica, per la quale era considerato atto immondo non solo mangiare carne suina, ma il contatto stesso della medesima. Fra i popoli che avversavano quest’animale erano, oltre ai Fenici e Sirii nominati, anche gli Ebrei, gli Arabi (Plin. Vili, 52, Solin. de Arab.), i Saraceni (Hieron. adv. Iovin. VI), gli Egiziani (Herod. II, 47), gli Etiopi (Porph. VI), gl’indiani secondo Eliano, e gli Sciti secondo Erodoto II, 47 (Cfr. Bo-chard de Anim. sacr. lib. II, p. 702). Non è però assolutamente vero, che da tutti i popoli sopranominati il porco forse sempre aborrito. Chè gli Egiziani pur lo sacrificavano a Bacco ed alla Luna, se stiamo alle parole di Erodoto II, 47, ed Isaia si lamenta del popolo Ebreo, il quale ad imitazione dei gentili (certamente quelli che li circondavano) si cibavano di carne porcina (LXV,4). Della Siria era re Antioco, eppure H GIORNALE LIGUSTICO volendo costringere il popolo Ebreo a vivere secondo il costume delle genti, come proibiva loro la circoncisione, cosi gl’imponeva di cibarsi di carne porcina. Nè vale il dire che Antioco viveva secondo il costume greco, chè le genti su cui comandava erano della Siria, e se si può supporre defezione in alcune, nella generalità non mai. Non a tutti i Siili dunque era interdetta la carne porcina, ina ad alcuni popoli solamente; anzi, se stiamo all’autorità di Giuseppe Flavio, al suo tempo almeno anche la circoncisione era rimasta rito speciale degli Ebrei solamente in tutta la (Siria Ant. Vili, io). III. — Melle ni mundcito. Il miele presso gli Ebrei non era assolutamente vietato, come la carne porcina, ma egualmente che i fermentati non era da adoperarsi nel sacrifizio. Ogni oblazione che voi offrirete al Signore sia serica fermento, ne alcun che di fermento e di miele a lui sacrificherete (Levit. II, n). Questo precetto però non si debbe prendere assolutamente, chè il pane fermentato era permesso nei sacrifizi pacifici ed eucaristici (Levit. VII). Non è a dirsi altrettanto rispetto ai gentili, per ciò che noi sappiamo. Gl’idolatri, dice Maimonide, si eleggevano delle cose dolci per le loro oblazioni, e le loro vittime solevano ungere di miele (Morè Neb. P. III, c. 46). La ragione si è, perchè siccome giudicarono il miele grato al palato degli uomini, così tenevano che dovesse incontrare il gradimento degli Dei. Un uso speciale di sacrificare è il seguente, descrittoci da Teofrasto ed ingiustamente da lui attribuito agli Ebrei della Siria. Non mangiano, dice egli, della vittima sacrificata, ma cospersala di molto miele e vino la bruciano intera , e consumano presto, perchè colui che tutto vede non vegga questa loro azione: ούκ εστιώμενοι των τυθέντων, δλοκαυτοΰντες δε ταΰτα νυκτός, καί κατά αυτών πολλυ μέλι καί οίνον λιβόντες.... (ap. Porphyr. de Abst. II, § 26). Se non che da tutto ciò noi non possiamo intendere il vero significato della prescri- GIORNALE LIGUSTICO di- zione compresa nelle parole meli e ni mundato. Fa d’uopo ricorrere ad altri documenti. Già abbiamo accennato come i precetti compresi nel nostro decreto furono dati, perchè coloro i quali ne professavano Γ osservanza non facessero come le genti di altri culti. Vi era dunque una religione la quale prescriveva il rito di mondarsi col miele, altrimenti il precetto sarebbe stato per lo meno inutile. Studiando, mi è venuto fatto trovarlo nei misteri mitriaci. La setta di coloro che professavano il culto di Mitra al tempo di cui parliamo , nel secolo II, avea messe vaste radici in tutto l’impero, ed in special modo in Roma, ove molti spelei sono stati ai nostri giorni massimamente scoperti. Era una setta potente e 1’ ultima che potè resistere all’ urto del Cristianesimo, dinanzi al quale tutte le religioni paganiche dovevano crollare. Dalle insidie dei Mitriaci volea il villico Leonate che i suoi sodali si tenessero lontani, ed ecco che loro prescrive di non macchiarsi con un rito a loro molto sacro nelle iniziazioni ai misteri Leontici (i). Ecco come questi son descritti da Porfirio (de Antr. Nymph. p. 216, Romae 1630): A quelli che s iniziano ai misteri Leontici invece dell’ acqua per lavarsi le mani danno del miele, ed al tempo stesso loro comandano di tenerle pure e lontane da ogni malvagità e scelleratezza. Inoltre con un rito speciale lo lustrano per mezyo del fuoco, ed hanno in orrore l’ acqua come di questo nemica. Finalmente gli purgano col miele anche la lingua da ogni macchia di peccato. Quale sia il senso simbolico di questo rito, Porfirio si è sforzato di darcelo ; ma noi, poco servendoci nella nostra presente questione, volentieri ce ne passiamo. (1) Sette erano i gradi degli iniziati al culto di Mitra, i quali si chiamavano: Korakes, Kryphii, Milites, Leones, Persei, Heliodromi, Patres. — S. Girol. Ep. 57, n. 2; Henzen nel Bull, dell’Ist. 1866, p. 90: V. Poggi D’una iscriz. gallo-latina, nel Giorn. Lig. 1881. 2 6 GIORNALE LIGUSTICO IV. — Ius ante diem Dei inmolatum ni gust(ato). Così leggo in questa quarta prescrizione, e non tus e det come parrebbe dalla pubblicazione fatta nelle Notizie degli scavi. La ragione è facile ad intendersi. Per causa degli apici le lettere I e T si confondono, come in tante altre della medesima forma, così anche in questa epigrafe ; e d’ altra parte tus nel nostro caso non avrebbe senso col verbo gustato, -e det invece di Dei sarebbe senza grammatica. Per contrario ius nel significato di brodo si addice molto bene al verbo gustare, il quale era termine sacro nei sacrifizi, come si ha dagli atti dei fratelli Arvali all’anno 81, in cui si legge cum in aedem Caesarei consedissent ex sacrificio gustarunt. Ad ogni modo il brodo era usato nei riti Semitici. Nel libro dei Giudici VI, l9> segg·) si narra come Gedeone fotti cuocere dei pani azimi ed un capretto, ne separò le carni dal brodo, quelle ponendo in un canestro, e questo in un’ olla, quindi portò tutto sotto una quercia, e l’offrì all’angelo. Ma questi gli disse: Prendi le carni ed i pani azimi e mettili su quella pietra e versavi sopra il brodo. Come quegli ebbe ciò fatto, l’angelo toccò colla sommità della verga che avea in mano 1’ offerta, ed in un attimo salì il fuoco dalla pietra e bruciò pani e carne. Quindi della medesima pietra, distrutte le are ed i boschetti di Baal, fece un altare al vero Dio. Qui, come si vede, abbiamo un vero sacrifizio, il quale si componeva di pane, carne e brodo, e per di più fu consumato da un fuoco prodigioso (i). Ma più chiaramente, per ciò che si riferisce ai riti della super- (i) Non è unico nella sacra scrittura il caso d’un fuoco prodigioso, che consuma la vittima. Lo stesso miracolo si narra avvenuto per ministerio d’Aronne e di Mosè (Levit. IX, 24), di Elia (III Reg. XVIII, 38), e di Neemia (II Machab. I, 18 segg.). E giova averlo accennato, anche perchè s’intenda qual sia il vero senso da darsi a quel si noto ed ornai proverbiale luogo di Orazio: Credat Iudaeus Apella. Qui non è nominato Apella perchè credenzone e superstizioso, come si stima comunemente, ma Apella GIORNALE LIGUSTICO 2? stizione gentilesca, parla del brodo come usato nei sacri riti il già lodato Isaia. Egli lamentandosi del suo popolo, il quale si era a lui ribellato, dopo aver detto degli atti superstiziosi in cui era caduto, come di sacrificare negli orti, di offrire incenso sui mattoni, super lateres, di abitare nei sepolcri, di dormire nei templi degli Dei, di mangiare la carne porcina, soggiunge che nei loro vasi conservavano del brodo profano, cioè, come ha più chiaramente il testo ebraico, il brodo d’immonde carni, perchè consacrato con riti idolatrici, ius immundarum carnium habent in vasis suis (LXV, 3, 4). Dalla nostra lapide si vede che questo brodo aveasi come sacro, e che era illecito non solo di servirsene per cibo, ma anche di gustarlo. Ius ante diem Dei inmolatum ni gustato. Presso gli Ebrei se alcuno per ragione di voto , 0 per libera elezione avesse offerta qualche ostia, questa dovea esser mangiata lo stesso dì, ma quando alcuna parte fosse pur avanzata, era lecito di mangiarla il giorno seguente. Se alcuno poi si fosse cibato del-1 ostia pacifica il terzo giorno, 1’ oblazione sarebbe stata inutile e non sarebbe giovata all’ oblatore ; anzi chiunque si fosse di tal cibo contaminato sarebbe stato reo di prevaricazione. Levit. VII, 16, segg. per un giudeo qualunque il quale credeva precisamente a prodigi simili a quelli che narravansi della città di Gnazia nei Salentini. Gnatia lymphis Iratis exstructa, dedit risusque iocosque, Dum flamma sine tura liquescere limine sacro Persuadere cupit. Credat Indaeus Apella , Non ego; namque deos didici securum agere aevum. I, Sat. V, v. 94 e segg. Il fatto di Gnazia è narrato anche da Plinio H. N. III, 11, il quale ci assicura che se si poneva della legna sopra un sasso, che ivi si avea per sacro, di subito s’innalzava della fiamma. Se ciò che ei dice possa avvenire naturalmente è trattato dal Bianconi, Storia naturale dei terreni ardenti ecc., p. 194. 28 GIORNALE LIGUSTICO Anche nei tempi moderni si adopera presso alcuni popoli il brodo per uso sacro, come ne fa fede Paolo Veneto citato dallo (Spencer 1. c. de région, orient. II, 41), dicendoci che ammazzati degli arieti ne sogliono lanciare il sangue verso il cielo, e cottene le carni, spandere per l’aria il brodo. Ed al lib. Ili, 24, parlando di altri popoli si esprime cosi : Portant cibos secum quos in mensa ante idolum ponunt et praesertim ius carnium profundunt iJlis, quo potissimum delectari putantur. Ma un altro brodo presso i popoli semitici era sacro, e questo, come abbiamo accennato, era formato col far cuocere il capretto o 1’ agnello nel latte della madre. Tal brodo fu ripetutamente proibito da Dio. Non coques hoedutn in lactt matns sttae; e chi fa ciò, aggiunge il testo Samaritano, è come chi sacrifica una cosa abbominevole che irrita il Dio di Giacobbe. Ora sacrificare una cosa abbominevole, secondo il sacro codice , significa sovente uniformarsi nei sacrifizi ai costumi gentileschi. Che poi fra i riti pagani vi fosse veramente quello di cui è questione, ce l’insegna il rabbino Menachen di Recanati (Comm. in Leg. alleg. 1595); il quale, studiandosi d’interpretare la legge citata, dice apertamente di avere udito che presso i gentili c’era l’uso di lessare la carne col latte e specialmente la carne dei capretti e degli agnelli , e che quando piantavano gli alberi v’infondevano di questo brodo, chè in tal guisa credevano le piante avessero a rendere frutti più copiosi e più maturi. E che a loro imitazione e per il medesimo fine anche i Giudei alle volte sacrificassero, ce ne assicura il Parafraste Ionatan : Popule mi, domus Israel, non potestis coquere nec comedere carnem et lac permixta simul, ne irascatur juror meus et coquam proventum vestrum, frumentum, et paleam simul. Vuol dire che se gli Israeliti a somiglianza dei gentili avessero sacrificato colla speranza d’ una più abbondante messe, si sarebbero ingannati, chè in luogo di fertilità avrebbero avuto carestia. Che se questo veramente era GIORNALE LIGUSTICO 29 lo scopo per cui si offriva il brodo a Giove Behelepharo, non m’ingannerei forse se giudicassi i cultori di questa divinità, come sin da principio sospettai, un collegio di contadini, di cui fosse capo il villico medesimo. Il Lanci (Bull, dell’ Ist. 1860, p. 52) avea fatto osservare che nella celebre iscrizione trilingue palmirena, ove il testo greco ha Belo, il palmireno traduce Sccms sole. Scems volendo dire spiratore di fuoco o principio calorifero, non disconviene a Belo, che preso per Bàal, marito, signore, fecondatore, accennerebbe al principio calorifero generativo siccome Γ altro. Inoltre i Palmireni aveano in apparenza quattro divinità come assistenti alle quattro stagioni dell’ anno ; ma in realtà non era che una sola, Baal. Esse erano Malach-belo che presiedeva alla primavera, Scems o Belo per eccellenza all’estate, Camri-belo all’autunno, ed Aglibelo all’ inverno. Nè vale F obbiezione che potrebbe farsi dall’ essere questo nume sacro anche agli Equites singulares , come si argomenta dalla lapide da principio riferita, chè essi erano o potevano essere militi dimessi dopo un servizio di 25 anni, e dedicarsi all’ agricoltura, come nella seguente epigrafe (Notizie, 1885), consacrala a tutte quasi le divinità del-F Olimpo, ma non sì che non trovino buon posto anche quelle del campo. Iovi optimo / maximo · Iunoni / Minervae · Marti / Victoriae · Herculi / Fortunae ■ Mercurio / Felicitati · Saluti · Fatis / Campestribus · Silvano / Apollini · Dianae - Eponae / Matribus · Sulevis et / Genio · Sing. Aug. / Ceterisq. Dis · Immortalibus / Veterani ■ Missi / honesta · Missione / ex eodem / numero · ab · Imp. Hadriano / Antonino ■ Aug. P. P. P. / Priscino et Stloga Cos / L. L. Μ. Μ. V. S. (a. 141). V. — Ante diem Dei inmolatum. È chiaro che qui si parli del sacrifizio fatto nel pervigilio, vigilando cioè la notte innanzi al giorno sacro a Giove Behelepharo. L’ uso della vigilia era per avventura comune a 30 GIORNALE LIGUSTICO tutte le genti non esclusa la nostra Roma, specialmente la notte che precedeva la festa di Cerere, Venere, Apollo e della Fortuna. Ma essa era d’importazione forestiera, come ne fa fede Cicerone de Leg. II, 16: Novos deos, et in his colendis nocturnas vigilationes Aristophanes vexat. Anche il modo di vegliare e sacrificare che in essa si teneva ce la mostrano venuta dall’ Oriente. Eccone alcuni particolari. Il popolo intervenuto bruciava dell’incenso sull'ara, rito cui in ogni tempo voleansi obbligare i Cristiani, come si ha dagli atti dei Martiri. Frattanto si solea dai sacerdoti cantare degli inni a suon di tibia, che Arnobio VII chiama exercitationes Deorum matutinas. Gli inni avevano alcuni versi intercalari, che il popolo ripetea (Serv. in Ecl. 8). Il Pontefice passando in mezzo ai convenuti eccitava la loro attenzione colle parole vigilasne Deûm gens? (Serv. in II. Aen). Fatto ciò, si preparava ciò che facea d’ uopo al sacrifizio, il cui frutto si chiamava Pax Deûm. Così ne assicura Plauto nel Penulo : Svinine hic omnia quae ad pacem Deûm oportet adesse? E Livio VI: Hostia caesa pacem Deûm adorare.C fr. Guth. de veteri iure Pont., p. 369. Alcun che di simile attribuiva Plinio ai Cristiani, quando scriveva a Traiano, X, 97, che essi erano soliti stato die ante lucern convenire, carmenque Christo quasi Deo dicere, con questa differenza, che i Cristiani non si obbligavano con solenni promesse a delitti, ma a non commettere furti, adulteri, rapine, a non rompere la fede data, a non negare il deposito, quibus peractis morem sibi discedendi fuisse, rursumque coeundi ad capiendum cibum promiscuum tamen et innoxium ; ed i gentili per contrario s’ingolfavano in ogni specie d’iniquità, tanto da obbligare più volte la pubblica autorità ad impedir simili adunanze tutte a titolo di eterie. Cesare, eccettuate le assemble giudaiche ed i sodalizi antichi, proibì tutti i collegi che a suo tempo in Roma si venivano fondando (Svet. Caes. 42);'ed Augusto, perchè non GIORNALE LIGUSTICO 31 ostante ciò plurimae factiones titulo collegii novi ad nullius non facinoris societatem coirent, collegia praeter antiqua et legitima dissolvit (Id. Oct. 32. Mommsen de Coll. et sod. Rom. p. 78 seggO (O· Legittimi si dicevano quei collegi che erano approvati dal senato o dal principe (Marciano I, 1 § 1, h. t.). Se non che tanto era inveterato l’uso delle associazioni, e tale fu 1’ alluvione dei popoli e riti stranieri che nei due primi secoli specialmente in Roma concorse, che fu quasi impossibile più proibirli, ovvero furon permessi o tollerati con qualche titolo legale, come quello i.° di associazione operaia, come si ha da Gaio I, i, pr. D. : Vectigalium publicorum sociis permissum est corpus habere, vel aurifodinarum et argentifodinarum et salinarum. Item collegia Romae certa sunt quorum corpus SCtis atque Constitutionibus principalibus confirmatum est, veluti pistorum, cet.— 2.0 A titolo di collegio funeraticio. Ai poveri, tenuioribus, era permesso stipem menstruam conferre, dum tamen semel in mense coeant, ne sub praetextu huiusmodi illicitum collegium coeat (Marciano I. D. de. Coll. et Corp.). E questo fu il titolo con cui i Cristiani durante la prima era di sangue poterono radunarsi (Cfr. Tertull. Apoi. 39; De Rossi, Bull. II, 27, 59-63, 79j 97? IV, 11, 21). 3.0 A titolo religioso. Secondo Filone (de Legat. ad Caium) e Tertulliano (Apoi. 24), era concesso agli stranieri abitanti in Roma d’adorare i loro Dei secondo i propri e consueti riti, more patrio, nè più nè meno che come si ha della nostra epigrafe. Anche Marciano (1. c. § 1), pare del medesimo avviso quando scrive: Sed religionis causa coire non prohibetur, dum tamen per hoc non fiat contra SCtum quo illicita collegia arcentur. Se non che alcuni pensano diversamente, e credono doversi queste parole interpretare (1) L’aureo libro del Mommsen, intorno ai collegi e sodalizi serve di fondamento a ciò che dei medesimi diremo, dal quale non ci allontaniamo se non in parte e forse solo apparentemente. 32 GIORNALE LIGUSTICO come se fosse permesso banchettare e fare sacrifici soltanto nel senso anzidetto, quando cioè i tenuiores si radunavano una volta al mese per deporre la loro stipe mensile. A me par poco probabile. Le accoglienze che i culti orientali e special-mente gli arcani terrori delle loro iniziazioni simboliche ave-van trovato non dico nel facile volgo, ma nel Senato stesso e negli imperatori (l’imperatore filosofo M. Aurelio fu talmente atterrito dalla guerra dei Marcomanni ut undique sacerdotes acciverit, peregrinos ritus impleverit, Capitol. 13. Cfr. Orelli, 844) rendevano troppo difficile, per non dire impossibile, come la proscrizione delle loro divinità, cosi la proibizione di radunarsi insieme alle persone che a quelle si consecravano. Laonde potremmo quasi senza pericolo di errare affermare che Roma, la città sacrosanta, civitas sacrosancta (Apul. Met. XI, fin.), siccome tutto ebbe per dio fuorché 1’ unico Dio , così tutte le religioni approvò, fuorché Γ unica Religione, la Cristiana; e sarebbe vero quello che fu detto di Traiano, che cioè abbia proibito tutti i collegi fuorché quelli che si univano a titolo di religione: Sodalitates vetuit exceptis quae religionis nomine coibant (Grot. 1. c.). A questa conseguenza ci conducono le iscrizioni trovate in cui si parla di riti stranieri , e special-mente la nostra, nella quale non -si tratta di stipe, non di sepoltura, ma unicamente di cerimonie appartenenti al culto, unite, come è da credersi, a convegni notturni, ante diem. Nè vale il dire che se la legge s’intendesse come noi 1 intendiamo sarebbe assurda, essendovi tale eccezione — dum tamen non fiat contra SCtum, quo illicita collegia arcentur— che valga a renderla inutile, perchè anzi le eccezioni confermano la legge, come la confermerebbe l’altra 2. D. de extr, crim. XL VII, 11, sub praetextu religionis, vel sub specie solvendi voti ■ coetus illicitos nec a veteranis tentare oportet; chè quando dice sub praetextu religionis, c’indica chiaramente non esser proibito il radunarsi a scopo di religione, ma soltanto per finzione. GIORNALE LIGUSTICO 33 Tuttavia non vogliamo negare Γ esistenza di alcune leggi che proibivano alcune riunioni, dette eterie, di cui in più luoghi parla Plinio; ma ciò era stato causato, o per sospetti, o per abusi che in esse si commettevano, non per puro scopo religioso. « A te è venuto in mente, scriveva al citato autore Traiano, che come molti altri, così possa permettersi e stabilirsi anche il collegio dei Fabbri; ma ricordiamoci che questa provincia e massimamente, le città sono infestate da simili fazioni, laonde quodeumque nomen ex quacumque causa dederimus iis qui in idem contracti fuerint, Haeteriae quamvis breves fient (^>43)· Ora è chiaro che se Traiano voleva che non fosse approvato il collegio dei Fabbri, era solo perchè sarebbe degenerato in fazione od eteria nel peggior senso della parola, o per nefandità che potessero commettere, o perchè uniti insieme sarebbero facilmente stati di pericolo alla repubblica; nel qual ultimo senso, riconosciuto anche dal Mommsen 1. c., Marciano riferisce la legge che proibiva di ascriversi a più di un collegio. Ad ogni modo, non ostante le leggi, P Impero romano, e ce 1 attesta Plinio stesso, era pieno anzi vessato da simili collegi; ed ultimamente in Roma è apparso un decreto dell anno 227, ove si parla di un collegium magnum arkarum divarum Faustinarum cet., in cui i magistri quinquennales danno facolta ad un tal Geminio Eutichete di fabbricare una memoriola in un terreno di proprietà del sodalizio. Il Mommsen avverte che in massima non si ammettevano nella capitale corporazioni, e che quella citata dalla nostra lapide deve considerarsi più come opera pia che come collegium nel senso vero e proprio della parola (Bull. dell’Ist. 1887, P· 203)· Noi aggiungiamo che per costituirsi simili collegi si richiedeva l’approvazione del Senato, come ne fan fede le leggi anzidette, 1’ autorità di Plinio , ed epigrafi evidentemente certe, come quella della postulatone dei Ciziceni, i quali chiedevano ut corpus quod appellatur neon et habeant in civitate sua (si era dun- Giorx. Licvmco. An no XV. - 34 GIORNALE LIGUSTICO que già costituito) auctoritate amplissimi ordinis confirmetur (Eph. epigraf. II, p. 827, III, p. 156). Era dunque necessaria per qualunque collegio o corporazione, sia che fosse di artigiani, sia che si facesse a titolo funeraticio, sia che a scopo religioso, la sanzione del governo , come nei nostri tempi 1’ exequatur, e chi questa non avea , era , secondo Ulpiano , soggetto alle pene medesime di chi occupa a mano armata 1 luoghi pubblici ed i templi, la relegazione, cioè, la moite e tutti gli orrori dell’ anfiteatro (Dig. XLVII, 22, 2. Coll, illic.) (1). Il quale exequatur a nessuno in massima fu negato fuorché ai Cristiani, se si toglie per questi il diritto di raccogliersi a titolo di funeraticio, e a qualche ceto particolare per scandali commessi, come nei misteri d’Iside per 1 attentato di Mundo sotto l’impero di Tiberio; per la quale cagione i sacerdoti complici del delitto furono crocefissi, il tempio abbattuto ed il simulacro della Dea gettato nel Tevere. Benché non andò sempre così, chè riedificato in seguito il tempio e poi bruciato, fu di nuovo risarcito da Domiziano e frequentato ed abbellito da Commodo, Caracalla, Severo Alessandro, Diocleziano e Massimiano (Lanciani, Bull, della Comm. Arch. com. di Roma 1883, p. 33). Le medesime società operaie, benché, come egregiamente nota il dottissimo Mommsen, in Roma in massima non fossero ammesse, perchè molto pericolose, pure si trovano stabilite, come quelle dei fornai, dei barcaiuoli del Tevere, dei Scribi (Martial. Vili, 38), insieme ai collegi salutari, dei giovani, Augustali ecc. I quali collegi erano più numerosi di quel che si possa pensare, chè per restringermi alle scoperte fatte nella sola Italia e descritte nelle Notizie degli Scavi ecc. in questi ultimi (1) Questa legge per altro 1’ abbiamo ancora in Cicerone ad Quintum XI, 3, in cui dice factum esse SCtuin ut sodalitates decuriatique discederent; lex de his ferretur, ut qui non discessissent, ea poena quae est de vi tenerentur. GIORNALE LIGUSTICO 35 anni, molti ne troviamo fra sacri e profani, come i collegia Nautarum 1877, p. 233, Liberi Patris et Mercurii Negotiantium cellarum Vinariarum Novae et Arruntianae 1878, p. 66, Collegium salutare Fortunae reducis 1879, p. 268, Collegium Dentrofororum, 1880, p. 355, Dianae de domo publica, p. 289, Fabrum tignariorum Ostiensium, 472, Fabrum 1881, p. 68, Fabrum civitatis Volsiniensis 1882, p. 316, Can[n]oforum 1882, p. 402. Similmente troviamo un corpus Mensorum frumentariorum, Adiutorum, et Exceptorum Ostiensium 1880, p. 470, Corpora Mensorum, Frumentariorum et Urinatorum 188 r, p. 115, Corpus Pistorum Ostiensium et Portuensium p. 116, e cosi, per farla finita, si nominano i Cultores Herculis et Imaginum Caesaris 1885, i Sodales Calcarenses 1887, p. 13, ed i Sodales Geniales 1880, 355. La politica dunque combattè ma non disti usse questo costume inveterato d’ associazioni che si tro % ava in tutto 1 Impero Romano; anzi, come avviene sovente quando le consuetudini si mettono in lotta coll’ autorità, questa ne ìimase vinta. E ad esempio delle associazioni che il governo autorizzava per il servizio dello Stato e per il bene pubblico, si videi o da per tutto uomini di un medesimo mestiere, di un medesimo rione e d’ una medesima via, adoratoli di un medesimo dio, negozianti di un medesimo paese, peiegiini devoti di una medesima patria divinità, musici, attori, buontemponi, radunarsi e stringersi insieme con vincolo comune di mutua assistenza, religione e piaceri. Non basta: i sodalizi, come nel nostro medio evo, divennero anche un mezzo per concorrere alle pubbliche dignità; e purché vi appai tenesseio, anche i libeiti e i servi potevano ambire le cariche del municipio riservate ai soli ingenui (Cfr. Guidobaldi, Decreto dei cultori di Ercole, p. 9). Quindi non fa maraviglia se ai tempi di Commodo il giureconsulto Tarrunteno Paterno ricordi ben trentadue collegi di soli artefici militari (Dig. 1. L, tit. 6, §, ult.), ed una legge di Costaniino annoveri non 3 6 GIORNALE LIGUSTICO meno di trentacinque corporazioni di arti e mestieri civili con immunità dalle prestazioni personali (Cod. Theod. 1. XIII, tit. 4, leg. 2). Pare dunque che siffatte paganiche corporazioni religiose non fossero del tutto essenzialmente soppresse, se non quando da Teodosio i loro beni furono tolti per far fronte alle domestiche spese : « Omnia opera quae Frediani, quae Dentrofori, quae singula quaeque nomina, et professiones gentilitiae tenuerunt epulis vel sumptibus deputata , fas est hoc errore submoto compendia domus nostrae sublevare » (Cod. Theod. de Pagan. et tempi. 1. 20. Cfr. Garzetti, Della condizione di Roma e d’Italia ecc., vol. I, p. 262-270). Laonde io credo poter conchiudere che i Collegi ed i Sodalizi, non ostante le leggi emanate contro di loro dal tempo della repubblica in poi, continuassero a sussistere, anzi a moltiplicarsi durante l’impero; chè Traiano stesso, come si rileva dalla testé citata lettera, non distrusse quelli esistenti, soltanto non permise che se ne formassero dei nuovi; e se per causa della natura sospettosa d’ un qualche imperatore, 0 per zelo di alcuni magistrati, fosse loro proibito di radunarsi , si tenevano ascosi durante il pericolo, per venir fuori in seguito con maggior audacia. Inoltre, siccome le leggi a titolo di religione non proibivano di radunarsi — religionis causa coire non prohibentur — e siccome permettevano ai più poveri, tenuioribus, raccogliersi per trattare dei funerali, sotto 1’ una ο Γ altra ragione potevano anche nei tempi più pericolosi tenere le loro radunanze. I Cristiani certamente le tennero sempre, chè sin dai tempi apostolici si raccoglievano insieme per celebrare i divini misteri il giorno di domenica, κατά κυριακήν Κυρίου. Διδαχή XIV, Act. XX, η. L’ uso fu continuato sotto il sospettoso Traiano, come ne fa fede S. Ignazio nella lettera a quei di Magnesia, e Plinio dianzi citato. E che giammai, se non forse per circostanze eccezionali, l’avessero smesso, ne dà una prova evidente S. Giustino, GIORNALE LIGUSTICO 37 il quale, come se mai non ci fosse stata alcuna proibizione, confessa apertamente dinanzi agli Imperatori ed al Senato, che nel di del Sole (Domenica) tutti quelli che abitavano nella città e nei villaggi circonvicini convenivano in un sol luogo per celebrare il divin sacrifizio (Apoi. II). Verso la metà del secolo III, l’epicureo Celso rimprovera ai Cristiani di tenere riunioni clandestine, sformandosi in tal modo, dice Origene, di muovere vieppiù V odio dei gentili contro le nostre cene, che dai fedeli sono agape appellate, come se fossero introdotte per apportar danno alla repubblica. Che più? Anche quando infieriva la persecuzione le celebrarono. Discacciati dalla città, da. tutti perseguitati ed oppressi, celebrammo le sante feste. In qualunque luogo noi fummo, e nel campo e nella solitudine, e nella nave, e nella stalla, e nella prigione, noi fummo come in un tempio, e facemmo le sacre adunante (S. Dion. Aless. pr. Euseb. H. E. VII, 22). Se non che non solo di giorno si facevano, ma anche di notte; ed eccone una testimonianza di Tertulliano, il quale scrivendo alla moglie ci lasciava insieme in brevi tratti descritta la fede e la carità dei primi cristiani : Qual gentile lascerà mai che la sua donna cristiana giri per i vicoli ed entri nei più poveri tugurii, e si levi di notte per intervenire all’ adunanza, e porti Γ acqua per lavare i piedi ai santi, e venendo qualche cristiano forestiere gli dia V ospitalità in casa sua? (Lib. II, 4). VI. — Partu ante diem X acci(pito). Che cosa vogliasi propriamente significare con queste parole, confesso che non mi è riuscito ancora trovarlo. Questo è proprio il caso di ripetere il noto proverbio: in cauda venenum. Tuttavia, supponendo nella frase qualche involontaria ellissi, e parecchie ne abbiamo dovute supplire , proporrei di leggere ('fetum a) partu ante diem X acci(pito). Il qual supplemento troverebbe la sua ragione nel seguente luogo di Plinio VIII, 51: Suis fetus sacrificio die V purus est·, o me- 40 GIORNALE LIGUSTICO modo sembrandomi nostrale cercai di scoprirne la provenienza, e la trovai nell’ Oriente e propriamente in Eliopoli della Siria. Ne parla un tal Damasceno, vale a dire Siro anch’ esso, nella vita del filosofo Isidoro τόν δέ Γενναΐον ΉλιουπολΓται τιμωσιν έν Διός ιδρυσάμενοι μορφήν τινα λέοντος (Phot. Bibi. Ro-thom., 1653, p. 1063, cod. 242). Questo nume che nel tempio di Giove è adorato in forma di Leone ritto , non si dovea veramente chiamare Genneo , essendo questo un soprannome, e nient’ altro che un attributo del Leone, generoso, come il Ζεύς nel cui tempio si adorava, non era in lingua loro altro che il Baal grecizzato, nello stesso modo che il Behelepharo della nostra epigrafe trasportato in Roma si è convertito in Giove. Nè si creda che ciò sia una semplice congettura priva di fondamento, no. Eliopoli era una città eminentemente semitica, ed ora si nomina appunto da Baal : è Baalbek, una delle più illustri città della Siria. Ma lasciando agli eruditi il compito di decidere se il mostro leonticefalo sia proprio di Baal, ovvero di Mitra secondo il Montfaucon, E. Q. Visconti, Felice Layard, C. L. Visconti ; oppure di Eone secondo Zoega e Platner (cfr. Layard. Mem. sur un Basril. Mithr. Ann. 1S41, p. 17° segg. C. L. Visconti, Ann. 1864, p. 149, segg.) a proposito di due di queste rappresentazioni scoperte ad Ostia e (1) A proposito della lite insorta fra il Visconti, il Zoega ed il Platner, giova tener conto di una osservazione, ed è che se veramente i due mostri leontocefali furono trovati in uno speleo mitriaco, non c’è nulla o poco da opporre; essi sarebbero con grandissima probabilità appartenuti al culto di Mitra; ma se per contrario tal provenienza non è ben certa, ovvero fossero sporadici, la ragione apportata da E. Q_. Visconti, tolta dallo scoliaste di Stazio, non persuade gran fatto. Chè quando questi dice : Eius (Mithrae) simulacrum fingebatur reluctantis tauri cornua retentare, dietro i monumenti scoperti noi sappiamo che parla bene. Ma quando vuole aggiungere per spiegare : erat autem ipse sol leonis vultu cum tiara prisco halitu utrisque manibus, ceu diximus, bovis cornua comprimens , dietro i monumenti medesimi conosciamo che egli la sbaglia. Il dio Mitra nel GIORNALE LIGUSTICO 41 passandomi della vera origine della seconda parte di cui è composta la voce di Behelepharo, conchiudo che mi sembra più probabile che esso sia in tal guisa chiamato da un luogo dei Filistei, Cananei, Fenicii a noi sconosciuto, e che potrebbe essere Epher od Ephar (III, Reg. IV, 1.) o altro simile; allo stesso modo che troviamo Baal-tsidon, Baal-tars, Baal-tsur, cioè Baal di Sidone, Baal di Tarso, Baal di Tiro, ed insieme Baal-gad, Baal-thamer, Baal-lhat, Baal-peor per significare i Baalim di altre città. Anche altre epigrafi si trovano che prendono nome da qualche città e da Baal, come ne fan fede un Deus Belatucadrus, un Iuppiter Balmarcodes, un Ζευς BEASOÏPAOC ed un ΘΕΟΣΒΕΕΛΜΑΡ d’una lucerna (Marucchi 1. c.), che è forse o il Balmarcodes sopra citato o il Θεός Βεελμαρνάς di Gaza e specialissimo nume dei Filistei (Vita S. Porphyr. Gaz. Ep. c. 9, 19. Act. SS. 1. 4, p. 655). Finalmente, per dire una parola anche della provenienza, benché del tutto sporadica, pure il luogo ove inscientemente 0 per ignoranza fu gettata, e per buona ventura raccolta l’insigne lapide, ci mostra chiaramente che essa proviene da quella catena di colline, fuori di porta Portese, che in altri tempi ci diede altri monumenti spettanti a culti di rito esterno modo con cui egli ce lo descrive è sempre rappresentato in forma umana, e forse il suo errore proviene da ciò che asseriva Porfirio (de Abst. IV, 39) dei diversi iniziati, che cioè prendevano secondo il grado le sembianze degli animali, e. g. di sparviere, leone, aquila... quando a questo nume si consacravano. Per il contrario starebbe per il Platner e il Zoega l’autorità di Sanconiatone presso Eusebio (Praep. Evang. Colon. 1688, p. 38), il quale descrive Eone con quattro ali, precisamente quante per avventura ne hanno 1 descritti monumenti di Ostia. Ma anche di ciò credo non dover fare gran caso, potendo anche diverse divinità essere rappresentate allo stesso modo, conservando però quell’ impronta ideale o nazionale che a ciascuna in particolare fu assegnata, come la conservano precisamente i monumenti leon-tocefali di Ostia e quello Babilonese (semitico non persiano) descritti e rappresentati nei Monum. dell’istituto Germanico, vol. Ili, tav. 36, n. 1, 2, }. 42 GIORNALE LIGUSTICO ed orientale, come, per passarmi dei Cristiani e degli Ebraici, il Palmireno (C. L. Visconti, dei Scavi della villa Bonelli, anno 1860, p. 415 segg.), il Cartaginese per la presenza della dea Tanit nella villa Iacobini (De Feis, Scoperte archeologiche sulla Via Portuense. Roma 1885; LeBlant, Compte rendu etc., 1885, Ρ· 355) CO i il Caldaico e Persiano per i nomi di Tabita e Ba-gate, come si rileva dalla seguente epigrafe scoperta nella vigna medesima (Gatti, Bull, della Comm. Arch. com. 1886, maggio). FLAVIA TABI TA FLAVIO AVG LIB. BAGATI CONGI (sic) BENE MERENTI FECIT. Leopoldo De Feis Barnabita. L’ARTE DEI GIUDICI E NOTAI DI FIRENZE ED IL SUO STATUTO DELL’ANNO 1566 (2) I. — Ê noto che in Firenze non furono ordinati a cor-porazione solo quelli tra i cittadini che attendevano ad un mestiere od esercitavano il commercio, ma anche quelli che professavano arti liberali, come i medici e speziali, i giudici (1) Debbo al eh. Comm. Le Blant il significato della rappresentazione dell anello d’ oro da me descritto nella relazione citata e lasciata in dubbio. Essa è poco diversa da quella pubblicata dal Garrucci (Storia dell’Arte Crist. tav. 477, n. 49) e dal medesimo tenuta come cristiana. (2) Fu mio intendimento di dare notizia della redazione più antica di statuti che ci sia pervenuta dell’ a. dei g. e n., non già di presentare uno studio completo intorno a tale statuto, ed alle attinenze che esso può avere colle redazioni statutarie anteriori. GIORNALE LIGUSTICO 43 e notai; ed è noto parimenti che questi ultimi appunto formavano la prima di quelle arti che furono dette maggiori, anche quando esse crebbero dal numero di sette al numero di dodici. Su ciò è concorde la testimonianza dei cronisti e degli storici fiorentini, i quali o videro lo estrinsecarsi della vita di quest arte, o, nei secoli di poi, esaminarono i documenti ad essa relativi e che Firenze ci conservò. E noi possiamo ancora trovare una prova di tale priorità nelle approvazioni degli statuti latte dal consiglio degli « approbatores », le quali seguono ad ogni statuto delle arti fiorentine, e nelle quali sta scritto sempre, primo della serie dei deputati, il nome del giudice e notaio (i). Nè questo avvenne senza ragione, chè essi erano chiamati a coprire le cariche più importanti nei comuni medio-evali, e ad esercitare le funzioni più difficili e delicate. Sicché vediamo che nelle città libere il notariato diviene la prima delle professioni liberali, ed abbiamo ricordi di notai di tutte le più nobili famiglie d’Italia (2). Ed è perciò che si voleva mantenessero una grande dignità nella vita, che fossero sflperiori a tutti « honestate, modestia, (1) Ai eh. di Stato, Firenze. Statuto dell’ arte di Calimala dell’an. 1301, erroneamente attribuito al 1302: in fine si segna primo, per l’arte dei giudici e notai: d. Boninsegna de becchenugis ; nelle aggiunte del 1303 ; d. lacobus de Rtciis; del 1305 d. Rayntrius del forese-, del 1306 d. Carus ser Venisti; del 1307 d. Bartholus de Ricciis; del 1309 d. Raynerius del Jorese. Nel Cod. « Riforma » del 1599, appartenente alla stessa arte di Calimala e ras. nello stesso archivio, troviamo scritto nel Proemio intorno all’arte dei mercanti, che « per l’orrevolezza di quelli che la maneggiarono fu collocata nel primo luogo de’ traffichi mercantili appresso 1’ arte dei giudici e notai, quale era dichiarata la prima delle arti maggiori della città », ripetuto, con altre parti dello stesso statuto, in codice Riccardiano n. 3113. (2) F. Forti, Libri due delle istituzioni civili, Firenze, 1840, V. I. p. 317. Cita d. Placido Puccinelli, Della nobiltà dell' arte del notaio. Cfr. pure Schupfer, Istitu^. longob., pag. 144, dove mostra la importanza che i notai assunsero nel medio evo longobardo. 44 GIORNALE LIGUSTICO moribus, virtute » (i), e nell’esercizio delle loro funzioni procedessero con imparzialità e con giustizia. Lo statuto loro consigliava persino di interpretare a fin di bene Γ animo del testimonio invitato a depositare in una causa davanti al tribunale, esaminandone il pallore del volto, Γ incertezza del linguaggio, per ricavarne quindi argomento a credere più o meno alla sua deposizione (2); e d’altra parte proibiva sotto pena grave che un notaio presentasse istrumenti non esatti, qualunque fosse stata la causa e la persona interessata (3). Ma sappiamo che la volontà delle legge non era obbedita; e dal Sacchetti in poi sono incessanti le querele che dai Fiorentini venivano mosse contro l’amministrazione della giustizia. Gli stessi statuti delle altre arti fiorentine lamen- ti) Statuto dell’arte dei notai dell’an. 1566, lib. II, R· H. Ms. nel R. Archiv. di Stato in Firenze. (2) Id. lib.Ili, R. IX. « De examinatione testium». Quante importantie quantique periculi anime corporisque sit testium examinatio, nemo est qui nesciat cum in testium depositione omnis fere litium decidendarum summa vertatur. Et si de iure per iudicem recipi debeant, ut ipse perspicere possit qua animositate, quo vultu, quo timore, palloreve testes deponant, ut eisdem plus minorisve credatur.... (3) Lib. IV, R. IV. « De pena producentis instrumenta non exacta ». Nullus de collegio predicto cuiuscumque status, gradus vel condicionis existât, possit, audeat vel présumât, tam proprio nomine quam procuratorio alicuius, quam etiam sub nomine et per medium clientis sui, uti, narrare vel allegare, producere seu deponere in aliqua curia huius civitatis, vel in aliqua causa civili criminali seu mixta, ordinaria vel exequtiva, aliquod instrumentum seu instrumenta tam inter vivos quam ultimarum voluntatum, nisi acta talia instrumenta a notario seu notariis de eis rogatis vel commissario aut commissariis imbreviaturarum in quibus huiusmodi instrumenta reperirentur fuerint exacta..... Così già in St. antiq. mercat. Plat- centiae, cap. 346. Statuerunt in concordia quod si aliquis notarius fecerit falsitatem sive forum in suo officio, non possit esse notarius comunis nu-xii in perpetuo. GIORNALE LIGUSTICO 45 tarono tale inconveniente, e provvidero a che esso fosse diminuito riguardo ai loro soggetti, e per quanto loro era possibile (i). Così mentre per una parte la nobiltà dell’ ufficio chiama a se le persone più elette della cittadinanza, dall’altra la corruzione tradizionale e gli intrighi con che si risolvevano le cause allontana dai giudici e dai notai la fiducia e la simpatia del pubblico, il quale trovò sinceramente espresso il suo sentimento nella iscrizione che a lungo si vide nel giardino Gaddi di Firenze: « Dolus malus obesto et iurisconsultus » (2). Di questa violazione continua delle leggi che regolavano la procedura, dell’indugio e della parzialità nel giudicare, delle formalità alle quali essi erano vincolati, e che potevano fino ad un certo punto spiegare la loro lentezza, parlò assai a lungo il Perrens nella sua storia di Firenze (3), e con maggior ampiezza ancora il Chiappelli in un suo studio sull’amministrazione della giustizia in Firenze durante gli ultimi secoli del Medio-Evo (4). Però mentre noi conosciamo la vita esterna, per dir così, di quest’arte, i suoi rapporti col resto della cittadinanza fiorentina, siamo ancora molto scarsi di notizie intorno alla sua organizzazione, alle attribuzioni degli ufficiali che la dirigevano, ed ai rapporti che fra quelli intercedevano. Tali notizie si dovevano desumere evidentemente dagli statuti dell’ arte, e questi mancano per i secoli nei quali più numerosi e più importanti troviamo quelli delle (1) St. mercanti di Calimala, 1301, lib. II, R. II.... ut questiones citius et facilius inter mercatores veritate secundum cursum et modum mercande et mercatorum reperta finiantur et terminentur, et ne contentionibus litigiis et subterfugiis procuratorum notariorum et avogatorum indicum in longum tempus protrahantur,... (2) Sacchetti, nov. 127. Perrens, Hist. de Flor. III, pag. 287. (3) Id. Id. Perrens, Hist. de Flor. III, pp. 283-300. (4) Arch. St. Ital. gen. marzo an. 1885. 46 GIORNALE LIGUSTICO altre corporazioni fiorentine; poiché è necessario discendere fino alla seconda metà del sec. XVI per trovarne la prima redazione che ci è pervenuta: e questa non fu nota ai due scrittori prima indicati. Or se ad età assai tarda siamo costretti ad attingere le notizie, queste non hanno tuttavia piccolo valore, in quanto che anche dello statuto dei notai possiamo legittimamente pensare sia avvenuto quello che vediamo negli statuti delle altre arti, e per conseguenza trovare ancora nella redazione più tarda parecchie delle disposizioni appartenenti ad età assai antica (i). * II· — Era volontà della legge che nessun giudice o notaio potesse esercitare il suo ufficio se non era immatricolato nell arte (2); la quale disposizione troviamo pure ripetuta negli statuti delle altre corporazioni, concordi tutti in questo che i cittadini esercenti la stessa arte dovessero avere i medesimi diritti ed i medesimi doveri (3). L’arte aveva perciò (1) Lo statuto porta in fine 1’ approvazione dei signori del consiglio del 19 febbraio 1566; ed il lib. I, R. Ili, ha un accenno all’anno IJ49· Ma v hanno certamente resti non apparenti di redazioni più antiche. (2) Lib. Ili, R. II. « Quod non admissi ad collegium non se exerceant, nisi certis solemnitatibus servatis». Nullus cuiuscumque gradus, status et preheminentie existât qui non sit admissus, receptus et matriculatus in collegio universitatis predicte, possit, audeat vel présumât directe vel indirecte aliquo pretextu, vel sub aliquo quesito colore advocationis, procurationis, vel notariatus, officia eorum quodlibet exercere tamquam advocatus, causidicus vel notarius, seu retinere discum vel apothecam residentem, seu ire ad magistratus, seu iudices ecclesiasticos vel seculares, aut aliquas scripturas causarum vel aliqua conficere publica instrumenta tam inter vivos quam ultimarum voluntatum, vel eisdem modo aliquo se subscribere vel signum opponere, etiamsi apostolica vel imperiali auctoritate fungeretur... (3) St. Calimala 1301, lib. Ili, R. XXXIV. « De requirendis civibus facientibus de hac arte ut iurent arti Kalismale ». GIORNALE LIGUSTICO 47 una matricola, nella quale erano segnati i suoi giudici e notai (i), ma distinti gli uni dagli altri. È ben vero che noi nelle autenticazioni dei documenti e degli statuti troviamo per lo più, accanto al nome del notaio, segnata anche la sua qualità di index ordinarius ; ma non per questo dobbiamo credere che tutti avessero tale autorità. Chi voleva farsi immatricolare dottore doveva provare di aver studiato a Firenze, o Pisa, o Bologna, o altrove in uno studio generale, almeno per cinque anni, ovvero presentare un privilegio che gli permettesse di esercitare il dottorato: colui che a questa condizione avesse soddisfatto non poteva essere giudice, ma doveva essere considerato semplicemente come notaio (2). La quale differenza di importanza era stata specialmente nei primi tempi causa di discordia ; tantoché nel 1287 i giudici si erano divisi dai notai, ed avevano eletto con danno loro e del comune i loro consoli separati. Ma presto, riformati gli statuti, furono riuniti ancora in un’arte (1) Lib. IV, R. I. « De hiis qui de universitate et sub eius iurisdictione esse intelliguntur ». Subsint et subesse intelligantur universitati predicte et cognitioni et coercioni et punitioni tam d. procunsulis quam consulum et aliorum officialium iurisditionem habentium in ea secundum ordina-menta , omnes et singuli iudices vel doctores , iudices et advocati atque notarii civitatis comitatus et districtus Florentie, matriculati et descripti in dicto collegio, et se in eius matricula tam exercentes quam non exercentes in officio advocationis, procurationis et tabellionatus vel in dependentibus et annexis ab eis..,. (2) Lib. III, R. I..... et tamquam simpliciter notarius ab omnibus habeatur, nominetur, describatur, tractetur et reputetur, ipseque se denominare et describere et subscribere teneatur et debeat et non tamquam doctor aliquo modo ac si nunquam privilegium doctoratus habuisset, nec possit aliquo pacto scribere vel allegare aut respondere in iure tam domi quam extra in quacumque curia, vel se doctorem profiteri aut tamquam docto-rem denominare tam in actis pubblicis quam privatis... 48 GIORNALE LIGUSTICO sola, senza che più rinnovassero le querele antiche (i). Eppure vediamo una differenza mantenuta ancora nello statuto del 1566: tantoché — fra le altre cose — il notaio doveva pagare per la sua iscrizione 17 fiorini d’oro se fiorentino, 18 se del contado (2), il giudice invece « doctor », 25 fiorini (3). Minore tassa era richiesta per P iscrizione di chi fosse figlio 0 parente di uno già appartenente alla corporazione (4). Una commissione di giudici e di notai esaminava (1) Perrens, op. cit. Ili, pag. 285. (2) Lib. Ili, R. I. ... Si vero notarius fuerit, et pro membro notariorum matriculari voluerit pro civitate, comitatu et districtu Florentie . . . solvat et solvere teneatur dicte universitati, si fuerit civis florenos decem et septem auri de moneta ; si vero comitatinus , florenos decem et octo similiter, et semper cum augumento solidorum duorum pro libra hoc modo, videlicet tertiam partem antequam ad dictam matriculam admittatur et recipiatur, et de residuo usque in dictas respective summas describatur debitor in libris dicte universitatis, pro eis solvendis infra mensem XVIII a die qua admissus fuerit, solvendo quolibet semestri tertiam partem. Et pro quo residuo debeat prestare idoneos fideiussores, unum vel plures, per d. proconsulem approbandos.... (3) Lib. III, R. I. Et qui... doctor sic admitti volens pro eius matricula solvat et solvere teneatur et debeat universitati predicte florenos viginti-quinque auri de moneta, cum augumento solidorum duorum pro libra hoc modo, videlicet tertiam partem summe predicte antequam ad matriculam predictam admittatur, et de residuo dicte summe debitor describatur et describi debeat in libris dicte universitatis ad effectum computandi residuum predictum cum salariis et enseniis officiorum ad que in dies eum extrahi et que per eum exerceri contigerit in collegio universitatis predicte. Hoc adiecto, quod tempore mortis ipsius eius heredes teneantur ad libere solvendum universitati predicte residuum predictum et omne id totum et quicquid non fuisset huiusmodi compensatione eo tempore persolutum. Ac insuper teneantur solvere ante ipsam receptionem et admissionem camerario dicti collegii libras novem solidos XIV et domicellis libras septem pro eorum labore et mercede in predictis expediendis. (4) Lib. III, R. I.... si quis ad dictum collegium secundum predicta admitti petens fuerit filius vel nepos ex filio vel frater ex eodem patre ali- GIORNALE LIGUSTICO 49 quelli che domandavano di essere ammessi nell’ arte tam in grammaticalibus quam circa artem et exercitium notarie, et circa que viderint exspedire (i), e poteva negare l’iscrizione per mancanza di coltura nel richiedente. Era lecito incominciare a diciasette anni Γ esercizio del notariato, non senza licenza però del proconsole e dei consoli dell’arte: ed in età di anni ventuno ognuno che ne avesse gli altri requisiti, poteva fermare la sua iscrizione nei registri dell’ associazione (2). Ma nessuno, di qualunque età, condizione e coltura era accettato, se eretico, vel ber elice pravitatis notatus, vel fautor cuius matriculati in dicto collegio, solvat et solvere tantum teneatur florenos quatuor auri de moneta, dimidiam scilicet ante ipsam admissionem et residuum infra annum, quolibet semestri ratam; si vero nepos et frater carnalis fuerit, solvere teneatur florenos quinque similes, videlicet dimidiam ante quam admittatur , et aliam dimidiam infra annum quolibet semestri ratam ut supra... (1) Lib. I, R. VII. Cfr. pure lib. III, R. I... facto autem deposito summarum respective predictarum, et prestatis satisdationibus predictis, pre-dicta petitione exhibita et probationibus receptis , talis sic admitti petens coram examinatoribus dicti collegii in sufficienti numero insimul congregatis producatur, a quibus circa grammaticam et notariam examinetur et examinari debeat, et alia coram eis serventur de quibus in statuto sub rubrica de examinatoribus novitiorum (Lib. I, R. VII). (2) Lib. III, R. II... nullusque maior annorum XVII possit etiam modo aliquo se exercere in scribendo procurando vel advocando ut supra, nisi precedente licentia et aprobatione d. proconsulis et consulum per eorum partitum legiptime obtenta, sub pena predicta. Et huiusmodi licentia et approbatione sequta, possit et valeat talis sic approbatus se in predictis et qualibet predictarum exercere usquequo annum XXI sue etatis compleverit absque alia admissione et receptione ad matriculam collegii pre-dicti, solvendo nichilominus quolibet anno universitati predicte libras duas cum solitis augumentis quolibet semestri ratam. Mullusque minor annorum XXI completorum possit ad matriculam dicti collegii recipi et admitti. Giorh. Ligustico. Antio XV. 4 SO GIORNALE LIGUSTICO vel defensor sive receptor hereticorum (i_). La quale disposizione del resto era comune a tutti gli statuti delle arti, 1 quali, a somiglianza di quelli del comune, avevano prima fra le rubriche, quella che prescriveva Γ osservanza della fede cattolica e l’ubbidienza ai capitoli papali ed imperiali che colpivano gli eretici (2). III. — Sopra tutti gli ufficiali dell’arte stava il proconsole: era naturale quindi che lo statuto lo volesse più che gli altri degno di venerazione e di stima. Difatti esso doveva esseie. vir venerandus probitate et fama , conspicuus moribus et bone ■ state probatus, sancte romane ecclesie fidelis et devotus, et a sua nativitate ex legiptimo matrimonio procreatus. Doveva aveie età di quaranta anni almeno, iscrizione nell’ arte da venti anni, e per di più doveva aver esercitato il consolato almeno una volta : doveva ancora essere sano di mente e di corpo, in condizione insomma da poter di per sè attendere al suo ufficio (3). Non era permesso rifiutare tale carica, se non per legittimo impedimento (4) : anche il nostro statuto, come (1) Lib. Ili, R. I. (2) St. Calimala ijoi.Lib. I, R. I. «De fide catholica ». Catholicam et ortodoxam fidem servabimus, honorabimus, manutenebimus, et regimmi fiorentino consilium et auxilium impendemus ad extirpandam hereticam pravitatem, si ab ipso regimine inde fuerimus requisiti ; et hoc faciemus bona fide et secundum statuta comunis Florentie. St. Podestà 1324, ms. arch. fior., lib. V, R. VII. « Quod observentur statuta de statu fidei ». (3) Lib. I, R. I. « De qualitate, officio et salario d. procunsulis », . . · . . . qui per se vel antecessores suos in civitate Florentie familiariter habitaverit, et in eo prestantias et alia onera civitas subierit, saltem per annos triginta continuos ante initium officii sui, et sit ipse vel eius pater vel avus paternus vere oriundus de civitate et saltem comitat. Flor. . . · (4) Lib. I, R. I.... nullus ad huiusmodi proconsulatus officium extractus possit quoquo modo ab ipsius officii assumptione excusari ex aliquo im- GIORNALE LIGUSTICO SI già molti altri più antichi, obbligava dunque l’eletto ad assumere la carica alla quale fosse stato chiamato. L’ufficio durava quattro mesi; la nomina del proconsole avveniva per conseguenza tre volte nell’ anno ; nel giugno , nell’ ottobre e nel febbraio (1). Nei consigli del comune, ai quali pigliavano parte le capi-tudini delle diverse arti, e che formavano il potere centrale della repubblica, le cui fila si riunivano nelle mani del podestà e del capitano del popolo, il proconsole non aveva veramente un’ autorità speciale. Egli aveva voto deliberativo, come qualunque altro dei consoli della sua o di altra arte. Nella città quindi non esercitava un grande potere (2). La sua autorità si svolgeva più che altrove nell’interno dell’arte, dove egli era veramente primo fra gli ufficiali, e forte di più ampia giurisdizione. In unione ai consoli, o, volendo, anche solo, poteva chiamare davanti a sè, come davanti ad un giudice inappellabile, pai am et secrete, tutti quelli che erano soggetti all’arte, o che in qualche maniera ne riconoscevano la supremazia; e dar ragione di ogni frode, inganno, falsità, errore di istrumenti, di libri 0 di altre scritture, qualunque fosse stata la persona interessata, ed il tempo tra- pedimento etiam infirmitatis .... vel alio quocumque, nisi tale impedimentum saltem infia quatuor dies a die sue extractionis immediate sequentes fuerit allegatum, admissum et approbatum per partitum d. proconsulis et consulum 111 officio existentium, legitime obtentum j vel nisi talis sic extractus infra dictos quatuor dies expresse repudiaverit et in actu repudiationis actualiter solverit camerario pro dicta universitate recipienti scutos duos auri in auro. . . . (1) Lib. I, R. I. ...... d. proconsulis officium duret per quatuor menses incoandos prima die iunii cuiuslibet anni, et successive da quatuor mensibus in quatuor menses. . . . (2) Cfr. Villari, Politecnico, giugno 1867, pag. 575. 52 GIORNALE LIGUSTICO scorso (i): nelle cause civili o miste aveva cognitionem et iurisdictionem plenissimam (2) , nelle questioni che avessero (1) Lib. I, R. II. « De iurisdictione d. proconsulis ». Dominus proconsul collegii predicti, tam requisito quam irrequisito consulum seu conservatorum consilio et prout sibi conveniens visum fuerit, possit et valeat in-quirire, procedere, cognoscere et terminare palam et secrete contra omnes de universitate predicta et dicto collegio et eius iurisdictioni quomodocumque suppositos, vel dictum collegium recognoscentes tam de civitate quam de comitatu et distructu Flor, quam etiam forenses cuiuscumque conditionis vel preheminentie existerent vel qui se exercerent in officio advocationis, procurationis vel notariatus, vel dependentibus aut annexis ab eis, etiam quod non essent in matricula dicti collegii descripti, et contra omnes et singulos in quos habet iurisdictionem ex forma statutorum comu-nis Flor, et universitatis predicte de omnibus et singulis excessibus, negli-gentiis, fraudibus vel dolis, falsitatibus, varietatibus, diminutionibus vel corruptelis instrumentorum, protocollorum, librorum vel aliquarum scripturarum, aut simoniis vel baratteriis officiorum quomodolibet et quocumque tempore per eos commissis, non obstante temporis cursu et contra omnes et singulos qui obrobriis vel convixiis advocarent vel procurarent, seu in officio vel circa officium advocationis vel procurationis , et seu in officiis ad que essent vel deputati vel extracti, male et inhoneste se gererent et indebite pecunias extorquerent vel pactum de quota litis inirent. Et contra omnes et singulos cuiuscumque status et conditionis vel preheminentie existentes, etiam dicte universitati non suppositos, qui haberent, tenerent vel ocultarent libros, protocolla, imbreviaturas vel scripturas alicuius notarii seu dicte universitati suppositi, vel qui eos vel ea non presentarent dicto domino procunsuli vel eius provisori, seu ipsas imbreviaturas, libros, protocolla vel scripturas venderent, emerent, permutarent vel laniarent, vel dolum seu fraudem in eis modo aliquo committerent, et contra omnes et singulos qui honori dignitati et iurisdictioni dicti collegii et dicti d. proconsulis et consulum quomodolibet verbo vel facto detraherent et eorum mandatis non obtempararent. . (2) Lib. II, R. II.....in causis civilibus et seu mixtis habeat et habere intelligatur cognitionem et iurisdictionem plenissimam, et possit et valeat cognoscere et procedere, libellos et petitiones quoscumque recipere ei admittere, citationes et productiones committere, relationes citationum GIORNALE LIGUSTICO 53 diviso i soggetti all’arte, autorità di giudicare e di ristabilire la concordia (r): in tutto libertà assoluta di operare secondo la sua volontà e la sua saggezza, specialmente quando avesse trovato lo statuto insufficiente a provvedere al bisogno (2). Ed il suo giudizio era inappellabile (3). In un sol punto aveva un limite la sua autorità: egli non poteva difatti sospendere od interdire ne a tempo nè per sempre dal collegio dei giudici e notai alcuno che ne avesse avuta immatricola- comparationis, inditiones et productiones recipere, terminos et dilationes statuere , concedere et prorogare , testes recipere et examinare, et aliis examinationem committere, et omnia et singula alia facere et exercere que in causis civilibus seu mixtis facienda et agitanda fuerint usque ad sententiam inclusive , etiam inquisitis et absentibus consulibus...... (1) Lib. I, R. I......Honestati et bonis moribus subditorum sollicite et diligenter intendat, rixas et contentiones ac discordias tollat et dirimat, et pacem et unionem procuret inter eos , condemnationes et pe- nas omnes tam suo tempore quam alias in preteritum factas, nec non alia quecumque dicte universitatis credita a debitoribus exigat et ad manus eius camerarii et in eum omni conatu faciat pervenire, pro quorum con-sequtione possit et valeat quecumque exequtionem contra ipsos debitores intentare, incipiendo etiam a captura persone, et omnibus iuris et statutorum remediis opportunis, etiam quod de talibus debitis non constaret nisi per i libros universitatis predicte. . . . (2) Lib. I, R. I......procedat prout eius discretione videbitur convenire. . . . (3) Lib. I, R. II.....a cuius......sententiis, pronunciationibus, preceptis et condemnationibus, vel aliquo ipsorum ut predicitur, per dictum d. proconsulem solum, vel cum consilio dd. consulum seu dd. conservatorum ......respective latis appellari vel de nullitate dici vel opponi, reclamari vel iudicis officium implorari non possit quoquo modo, directe vel indirecte, nec sub aliquo quesito colore ; sed omnino valeant et teneant et observentur et observari et exequtioni mandari possint et debeant per quemcumque rectorem et officialem civitatis, comitatus et dominii Flor..... 54 GIORNALE LIGUSTICO zione, senza che con lui convenisse la volontà dei consoli (i). Non v’era allora pena più grave di questa, che portava uno sfregio gravissimo all’onore dell’espulso, e che poi, in tempi più antichi, quando ancora avevano vigore gli ordinamenti di giustizia, chiudeva l’adito a tutte le cariche. Saggiamente quindi lo statuto impediva che l’arbitrio di una persona, fosse pure questa il proconsole, potesse colpire troppo gravemente e senza rimedio uno dei sottoposti all’ arte. Non [escludeva tuttavia l’espulsione: che anzi la comunicava come pena severissima a tutti quelli che dai giudici avessero ricevuta una condanna disonorante (2). Pari all’autorità onde era insignito, erano gli onori che il proconsole riceveva. Anche in mezzo ai giudici e notai, che pure avevano un abito speciale, diverso da quello usato dai più dei cittadini, egli indossava un vestito tutto rosso o violetto a volontà, ed oltre a ciò doveva sempre essere seguito da due donzelli del suo collegio. Ed a questo segno di autorità l’arte annetteva tanta importanza , che collo statuto aveva imposto una multa al proconsole stesso, ove fosse uscito solo per la città (3). (1) Lib. I, R. II.....d. procunsul......nullum condemnare valeat in suspensione ant interditione perpetua vel ad tempus de collegio predicto, aut in abrasione de eius matricula,..............nisl interviente aut precedente deliberatione dd. consulum seu conservatorum collegii predicti legitime obtinenda. . . . (2) Lib. IV, R. IX. (3) Lib. I, R. I......honorifice vestitus incedat et audiatur et iudici teneatur et debeat desuper et in veste superiori panno et drappo coloris rubei vel rosacei aut violacei ad libitum ut in reliquis prout huiusmodi dignitati et videbitur convenire, et secum ducat quocumque per civitatem ierit et tam diebus iuridicis quam festivis saltem duos ex domicellis dicti collegii, et absque eis incedere non debeat quoquomodo sub pena libr. quinque parvuli pro qualibet vice auferenda et dicte universitati applicanda..... GIORNALE LIGUSTICO 55 IV. - In numero di otto erano i consoli dei giudici e notai, e che col proconsole formavano il tribunale dell’ arte. Ed è cosa importante il notare quanto essi fossero numerosi di fronte alla scarsità dei soggetti alla corporazione (i), ed al numero dei consoli delle altre arti fiorentine (2). Fra essi due dovevano essere avvocati, gli altri sei notai, tutti poi per scienza, costumi e fama egregi, devoti alla S. Sede, ed al pari del proconsole de legiptimo matrimonio. Non potevano essere eletti a tale carica se non dopo trenta anni di residenza in Firenze, e se non erano essi stessi o i loro antenati oriundi di quella città. Dovevano avere trenta anni di età, ed un anno di matricolazione se giudici, dieci se notai (3). Eletti appena, giuravano al par di tutti gli altri ufficiali di adempiere con diligenza al proprio dovere e di ubbedire agli statuti dell’arte e del comune (4). Il quale giuramento del resto doveva prestarsi anche da tutti i soggetti alle singole arti: così già nel 1237 i mercatanti di Calimala pronunziavano al loro ingresso nell’ arte la forinola sagramentale che ci è pervenuta, e che riassumeva tutti i doveri che li vincolavano al comune ed all’ arte (5). Ed era solenne la religione del giuramento: che se gli statuti stessi, conscii della impotenza frequente di questo a tenere i cittadini sulla via dell’onestà, provvidero di poi a che con multa pecuniaria fosse (1) G. Villani, Hist. fior. XI, 93, dice che si contavano circa 100 giudici e circa éoo notai. (2) È noto che in genere si eleggevano quattro consoli. (3) Lib. I, R. III. « De qualitate et officio dd. consulum ». (4) Lib. I, R. Ili......consules debeant .... iurare ad sancta Dei evangelia . . . omnia et singula facere et adimplere que ad dicti consulatus officium quomodolibet pertinent et spectant tam secundum statutum communis Florentie quam universitatis predicte. . . . (5) Cod. Riccardiano n. 3113, an. 1237. Giuramento all’arte dei mercatanti di Calimala. St. di Calimala 1301, lib. IV, R. III. 56 GIORNALE LIGUSTICO punito il trasgressore (i), non è men vero che sempie si mantenne Γ obbligo del giuramento, e che fu considerato come colpa assai grave lo spergiuro. I consoli duravano in ufficio quattro mesi : ma non entravano nè uscivano di carica contemporaneamente al proconsole, chè essi cominciavano le loro funzioni col maggio, col settembre e col gennaio (2); cosi non avveniva mai che i più autorevoli amministratori dell’arte fossero nello stesso giorno tutti rinnovati. Lo statuto non ci dà copiose notizie sulle attribuzioni di questi dignitari: però è certo che essi dovevano riunite nelle loro mani i diversi poteri, legislativo, politico , esecutivo e giudiziario, se non nel secolo a cui appartiene il loro codice di leggi che ci è pervenuto , certo negli ultimi tempi del Medio-Evo, dacché questo noi vediamo essere avvenuto pei consoli delle altre arti ed in genere per le autorità comunali, allora ancora non esisteva divisione di poteri. Lo statuto ci dice che essi dovevano assistere il proconsole, provvedere a tutte le cose necessarie alla loro arte, giudicare a lato di quello in cause civili e criminali, che si agitassero o tra soggetti all’arte, o tra cittadini che spontaneamente presentassero querela davanti al loro tribunale (3) ; procedendo (1) St. Calimala 1301, lib. Ili, R. XL. « Quod ubi dicitur pena iura-menti dicatur pena s. xx ». Lib. Ili, R. XXXI. « De iuramento clavariorum » in fine dice : .... et de isto ultimo articulo teneantur ad penam s. xx et per non iuramentum .... Lib. IV, R. XXV. « De procedendo contra illos qui recurrerent ad aliquem officialem de extra, artem Kallis-male... » in fine dice: .... et consules teneantur debito iuramenti et pena libr. I cogere dictum talem quod dictum preceptum .... fieri fecerit. (2) Lib. I, R. III.....et duret officium dictorum dd. consulum per quatuor menses incoandos in kal. maii et sic successive de quatuor mensibus in quatuor menses. . . . (3) Lib. I, R. III.....qui quidem consules d. proconsuli adesse debeant eique assistere, et cum eodem d. proconsule residere et consulere et GIORNALE ligustico 57 per ogni causa breviter, summarie et sine strepitu et figura iu-dicii (i). La loro sentenza era inappellabile (2). V. — Pari a quelle del proconsole e dei consoli lo statuto richiedeva che fossero le qualità morali del camer-lingo ; e lo voleva ugualmente immatricolato da dieci anni e residente da trenta nella città (3). Egli era il tesoriere del-l’arte; però non poteva disporre arbitrariamente di alcuna somma di denaro appartenente alla corporazione (4) ; ed a providere omnia et singula que dicte universitatis et subditorum eius utilitati et honori futura esse cognoverint, possintque causis civilibus, criminalibus, et procedere, decidere et terminare contra omnes et inter omnes et singulos de dicta universitate et eius iurisdictioni quomodocumque suppositos vel eam recognoscentes, et inter quoscumque coram eis sponte litigare volentes , vel etiam contra omnes matriculatos vel non matricu-latos in aliqua ex viginti unius artibus civitatis Flor, ad petitionem ma-triculati in collegio universitatis predicte, et e contra ad petitionem non matriculati in collegio predicto, contra quemlibet de dicta universitate et ei suppositum de et super omni et qualibet re, causa et quantitate, etiam quod non essent de pertinentibus ad exercitium universitatis predicte. (1) Cfr. intorno a questa forma di processo: A. Lattes, Studi di diritto statutario, Hoepli, 1887, cap. I. Il procedimento sommario 0 plenario negli statuii. (2) Lib. I, R. II. ... et a sententiis per ... . consules vel duas tertias partes ipsorum latis appellari non possit, sed omnino exequtioni mandentur omni exceptione remota. . . . (3) Lib. I, R. X. « De qualitate et officio camerarii». Sit et esse debeat in dicta universitate de numero notariorum unus camerarius de legiptimo matrimonio a principio natus, bone qualitatis, conditionis et fame, et sancte romane ecclesie fidelis et devotus, sit etatis annorum triginta completorum et in dicto collegio matricolatus saltem per decem annos ante initiurh officii sui, et qui habitaverit in civitate Florentie et in ea prestantiàs subierit saltem per annos triginta continuos perse vel eius progenitores, et sit oriundus de ea vel eius comitatu. (4) Lib. I, R. X. . . . qui camerarius servare et custodire teneatur omnes pecunias dicte universitatis que ad eius manus pervenient, et non pos- 58 GIORNALE LIGUSTICO questa univa altre attribuzioni di natura diversa e che ìichie devano da lui una non superficiale conoscenza della legge, formando egli parte del tribunale davanti al quale si agitavano le cause civili e criminali (i). Perchè poi la sua amministrazione fosse regolare e chiara, egli doveva segnare in diversi libri tutti gli atti da lui emanati, relativi tanto alle entrate dell’ arte, le quali erano di varia natura, quanto alle cause che si trattavano nella curia dei consoli (2). Ne veniva sit eas vel earum aliquam quantitatem sol vere vel in quavis re erogare nisi precedente stantiamento. ... (1) Lib. I, R. X. . . . camerarius possit et debeat ad requisitionem cuiuslibet petentis taxare quoscumque processus quarumcumque causarum ci^ vilium, criminalium, et mixtarum, agitatarum in curia d. potestatis civi tatis Flor, et vigore presenti statuti intelligatur habere et habeat facultatem et auctoritatem taxandi omnes processus et quascumque scripturas pre dictas. ... (2) Lib. I, R. X. . . . ut ratio administrationis sue facilius et clarius haberi possit, teneatur et debeat prefatus camerarius retinere librum in quo describat et describere teneatur et debeat particulariter et distincte omnes pecunias que in eum pervenient, ex causa imbreviaturarum et protocollorum notariorum defunctorum existentium in archivio universitatis predicte ......ac etiam alium librum in quo describat et describere teneatur clare et distincte omnes pecunias, introitus et exitus universitatis predicte ex quacumque causa, ac etiam alium librum in quo describat ac deseri bere teneatur deposita que in dies fierent per particulares personas penes dictam universitatem pro quacumque causa et restitutiones eorundem .... ac etiam alium librum in quo registrare teneatur et debeat quas cumque litteras que in dies per d. proconsulem et consules et alios offi ciales collegii predicti transmittuntur ad rectores et officiales dominii flo rentini tam e xofficio quam ad petitionem particularium personarum. . ... ac etiam quaternum in quo describat et describere teneatur omnia acta causarum civilium, criminalium vel mixtarum que in dicta curia agitantur, et tertium depositiones et sententias et precepta et alias quascumque scripturas que in dicta curia fieri contigerit, super quibus omnibus rogari debeat et cuilibet petenti si sua intersit copiam facere, recepta competenti mercede. GIORNALE LIGUSTICO 59 per conseguenza che per una gran parte del giorno egli non poteva per nessuna ragione allontanarsi dal palazzo dell’arte, dove talora doveva trovarsi anche nei giorni festivi (i). Il camerlingo riceveva l’uffizio dal proconsole, al quale doveva dare sufficiente garanzia di esercitare fedelmente e legalmente il dover suo, e durava in carica quattro mesi al pari degli altri ufficiali, ed, al pari dei consoli, dal maggio al settembre, e così via (2). Le attribuzioni del camerlingo potevano essere in caso di bisogno assunte provvisoriamente anche dallo stesso procon-sole (3): nella maggior parte dei casi però lo statuto provvedeva alla sua successione immediata. Quando tale carica si fosse resa vacante per causa di morte del camerario, poteva esserne investito il padre 0 il fratello o il figlio del defunto, purché notaio e nelle condizioni volute dalla legge. Ed ove mancassero i parenti atti a tale carica, il proconsole in unione coi consoli doveva nei quattro primi giorni successivi alla morte del camerario, eleggere un altro che tenesse 1’ ufficio fino al termine dei quattro mesi già incominciati (4). (1) Lib. I, R. X. . . . Et teneatur et debeat continue de mane et de sero in palatio dicte universitatis residentiam facere, exceptis diebus solen-nibus et festivis, in quibus etiam ibidem adesse debeat quando fieri debent oblationes quibus et ipse intersit, et ad eos retro consules incedere teneatur. (2) Lib. I, R. X. . . . cuius camerarii officium duret per quatuor menses incoandos die primo maii cuiuslibet anni, et sic successive de quatuor in quatuor menses:......debeat dictum suum officium in manu d. proconsulis vel provisoris acceptare, iurare et promittere, et idonee satisdare per quatuor idoneos fideiussores per d. proconsulem et consules aprobandos de bene, fideliter et legaliter exercendo dictum officium. . . (3) Lib. I, R. X......Et quicumque ad proconsolatus officium aliquando fuerit extractus.....possit dictum camerariatus officium personaliter per se proprium exercere. Sed teneatur et debeat eius loco substituere et sui loco ponere alium notarius bone conditionis et fame. . . . (4) Lib. I, R. X. Et si acciderit mors camerarii de per se exercentis tale 6o GIORNALE LIGUSTICO VI. — Attorno a questi ufficiali stavano due consigli: uno di dodici consiglieri, dei quali due almeno dovevano essere dottori, che riunissero in sè le qualità che vedemmo richieste pei consoli e gli altri dignitari, in età di almeno venticinque anni, ed immatricolati da cinque anni nell’arte (i); ^ altro di quindici consiglieri, dei quali tre dottori, ed investiti già della carica di proconsole od almeno di console : e quelli e questi duravano in carica quattro mesi. Lo statuto ci dice che il primo consiglio doveva provvedere a tutto ciò che fosse uscito dai limiti della giurisdizione del proconsole o dei consoli; o che dalla volontà esplicita di questi fosse stato loro presentato alla discussione : che il secondo invece doveva specialmente convalidare le provvisioni dell’arte e ricevere l'immatricolazione dei novizi (2). officium possit et valeat dictum officium prosequi pater, frater aut filius eiusdem .... se exercens in officio tabellionatus et habens qualitates requisitas .... si autem non superessent tales persone seu recusarent tale onus, tunc proconsul et consules in officio existentes in sufficienti numero congregati possint, teneantur et debeant saltem infra quatuor dies a die mortis talis camerarii per eorum partitum legitime detentum eligere et deputare aliquem notarium pro residuo temporis habilem. . . . (1) Lib. I, R. IV. « De qualitate et officio consiliariorum ». In dicto collegio sint et esse debeant continuo duodecim consiliarii, inter quos duo pro membro doctorum et reliqui decem pro membro notariorum , sint viri bone vite, integre opinionis, et fame etc......sintque etatis saltem annorum vigintiquinque completorum, et per quinque annos ante initium eorum officii matriculati et descripti in matricula collegii predicti.... (2) Lib. I, R. V.....Sit etiam et esse debeat in dicto collegio consilium aliud quindecim virorum, quorum tres sint doctores et duodecim notarii, qui aliquando functi fuerint officio proconsulatus vel saltem consulatus collegii predicti.....Et quorum consilium habeatur et haberi debeat in firmandis provisionibus universitatis predicte et in recipiendis et matriculandis novitiis .... quorum quindecim consiliariorum officium dμret per quatuor menses incoandos in kal. maii cuiuslibet anni. . . . GIORNALE LIGUSTICO 6 I *· Perchè fosse rispettata la legge, si era istituito un consiglio di sei, detti conservatori, dei quali uno doveva essere giudice, tre già eletti al proconsolato e due al consolato ; essi, col proconsole potevano procedere e dare condanna contro tutti coloro che fossero colpevoli di ingiuria verso 1 autorità, esercitassero disonestamente il loro ufficio di giudici o notai, commettessero inganni o frodi negli atti o nelle scritture, e punirli a tenore degli statuti, o — quando questi non avessero provveduto — secondo la loro volontà: inspecta qualitate delicti et condictione persone (r). Però non potevano riformare alcun ufficio nè la matricola, introdurre nuove tasse, spendere dei denari dell’ arte, allontanare (i) Lib. I, R. VI. « De conservatoribus, eorum officio et electione ». Quoniam non satis esset leges et statuta condere, nisi essent qui ea contra prevaricatores et transgressores debite mandarent executioni, idcirco provisum et ordinatum est quod in dicto collegio continue sint sex boni et experti vir; laudabilis vite et bone conversationis et fame, unus pro membro doctorum et quinque pro membro notariorum , et quorum tres sint de numero proconsularium et alii duo ex numero eorum qui aliquando officium consulatus dicti collegii functi vel ad illud extracti fuerint, .... et una cum d. procunsule pro tempore existente intelligantur esse et sint conservatores statutorum ed ordinamentorum dicte universitatis, et eisdem et maiori parti ipsorum intelligatur esse et sit concessa plenissima auctoritas cognoscendi, inquirendi et procedendi usque ad sententiam inclusive contra omnes et singulos dicte universitati suppositos, qui obbrobriis vel conviciis procurarent vel advocarent, et seu circa officium procurationis vel advocationis inhoneste et indebite se haberent, et cavillosas seu calumniosas exceptiones proponerent, et contra committentes, falsitatem , varietatem, mutationem, diminutionem -vel corruptelam instrumentorum, librorum vel aliquarum scripturarum aut simoniam vel bara-cteriam officiorum .... et contra omnes et singulos aliquo modo directe vel indirecte contra facientes statutis vel ordinamentis dicti collegii D .....eosque omnes et singulos corrigendi et puniendi iuxta penas in dictis statutis appositas et préfixas, et ubi pena non esset apposita prout eisdem vel duobus partibus ipsorum libere videbitur et placebit. . . 62 GIORNALE LIGUSTICO donzelli dalla loro carica, o riaccettarne degli espulsi, nè avere ingerenza di sorta nelle cause civili che si agitavano davanti ,ii consoli dell’arte (i). Essi duravano in officio sei mesi (2). Vili. — Si è visto che nessuno poteva essere inscritto nell’ arte senza preventivo esame. Ora questo doveva essere dato da un ufficio speciale, detto appunto degli esaminatori dei novizi. Essi erano in numero di otto, dei quali uno appartenente ai giudici, e quindi capo del consiglio , e gli altri ai notai: tre già proconsoli, gli altri tutti già usciti dalla carica di console. Ed a volontà del proconsole dovevano radunarsi nella curia dell’arte ed esaminare quelli che domandavano la immatricolazione, intorno alle materie che già sappiamo. L’accettazione del novizio doveva essere preceduta dal giuramento di tutti, col quale dichiaravano di riconoscere il richiedente capace di esercitare l’ufficio al quale aspirava. (1) Lib. I, R. VI.......Salvo et excepto quod nullam auctoritatem vel potestatem habeant vel habere intelligantur circa reformationem ali cuius officii vel matricule......aliquo modo se intromittendi, dispo nendi et statuendi, tam in universali quam in particulari, ultra preter aut contra disposita circa predicta in presenti statutorum volumine , aut impositam aliquam faciendi vel componendi : nec etiam aliquid expendendi de pecunia dicte universitatis, nec quovis titulo bona vel bonis rebus aut iuribus ipsius oberandi, nec aliquem ex dominicellis dicti collegii removendi vel gratiandi, vel remittendi aut absolvendi in totum vel in partem aliquem condemnatum vel debitorem universitatis predicte , neque etiam amovendi devetum substitutis ad camerariatum, nec in causis civilibus in curia dicte universitatis vertentibus, se intromittendi vel de eis cognoscendi. s (2) Lib. I, R. VI......eorum officium duret per sex menses et sic successive de semestri in semestre. GIORNALE LIGUSTICO 63 Erano eletti ogni anno dal proconsole nel mese di aprile; ed incominciavano le loro funzioni nel mese successivo (i). IX· Alla dipendenza dell’arte dei giudici e notai stava 1 ospedale di S. Paolo di Firenze: cosi già nel secolo XIII erano governati dall’arte di Calimala la chiesa di S. Giovanni Battista in Firenze, di S. Miniato al Monte, e l’ospedale di S. Jacopo a S. Eusebio. Per esercitare tale governo 1’ arte aveva cinque incaricati, detti operai, dei quali due giudici, due notai, con a capo il proconsole, perchè provvedessero agli interessi di tale ospedale, lo rappresentassero nelle sue liti, ed in ogni modo lo aiutassero e favorissero. Ogni anno, nel mese di ottobre, dovevano fare un’attenta ispezione nel- 1 interno perchè non avessero, per trascuranza dell’ammini- (i) Lib. I, R. VI. « De qualitate et officio examinatorum novitiorum ». Examinatores novitiorum sint et esse debeant octo, unus sdlicet pro membro notariorum, inter quos notarios habeantur saltem tres de numero proconsulariorum, et ceteri qui saltem officio consulatus aliquando functi fuerint seu saltem ad illud extracti. Et quorum doctor intelligatur esse et sit semper prior propositus et in eius absentia senior ex aliis congrega- .....Et qui teneantur et debeant ad mandata d. proconsulis quan- documque venire et se congregare in residentia dicti collegii, et diligenter et accurate examinare novitios qui proponuntur matriculari tam in gra-maticalibus quam circa artem et exercitium notarie et circa ea que viderint expedire, et si ipsum examinatum sufficientem invenerint ad huiusmodi exercitium et per partitum per eos vel saltem duas partes eorum legitime obtentum fuerit talis novitius pro idoneo approbatus.....hoc in pre- missis addito quod teneantur et debeant ultra partitum et approbationem predictam formaliter iurare corporaliter, manu tactis scripturis ad sancta Dei evangelia, quod illis videatur talem novitium esse idoneum habilem et sufficientem ad tabellionatus officium exercendum......qui quidem examinatores eligantur et eligi debeant per d. proconsulem et consules in officio existentes quolibet anno de mense aprilis, et eorum officium incipiat de prima maii et duret per annum..... 64 GIORNALE LIGUSTICO strazione, a soffrirne gli ammalati. Il loro ufficio era a vita (i). E P ospedale riconosceva tale patrocinio , donando ogni anno nella festa del Corpus domini cinquanta libbie di cera nuova ai consoli dell’arte, perchè ne facessero oblazione alla chiesa di S. Ambrogio (2). Oltre a questi, altri ufficiali avevano sorveglianza sull ospedale di S. Paolo, ma in modo diverso. Due dei consoli in (1) Lib. I, R. Vili. « De officio, electione et iuramento operariorum hospitalis Sancti Pauli ». Ut hospitale Sancti Pauli de Florentia, quod antiquitus huic universitati recomandatum fuit et de iure potronatus eiusdem pro una et quatuor vocibus existit, ut decet, ab ea conservetur, augeatur et defendatur, statutum et ordinatum est quod continue in universitate pie-dicta habeantur quinque probi et experti viri in operarios hospitalis predicti, videlicet d. proconsul pro tempore existens et duo pro membro doctorum et alii duo pro membro notariorum ; qui quidem operarii teneantur et debeant pro debito eorum officii invigilare et vacare utilitati et honori dicti hospitalis, negociisque per hospitalarium pro tempore existentem peragendis, et curare ne bona dicti hospitalis alienentur nisi pro urgenti necessitate et in evidentem utilitatem dicti loci; et que alienationes fieri non possint nisi de licentia et consensu dictorum operariorum .... et insuper teneantur bona, res, auxilium et patrocinium ipsorum et cuiuslibet eorum prestare in omnibus dicti loci litibus, causis, questionibus et controversiis civilibus et criminalibus seu mixtis, et alia omnia et singula facere que quomodolibet fuerint necessaria et opportuna pro utilitate et honore dicti hospitalis: et teneantur saltem semel in anno quolibet de mense octobris se conferre ad dictum hospitale , et diligenter perscrutare et videre si in eo congrue et apte omnia parata sint que ad hospitale requiruntur, cunctisque propterea necessariis provideri facere ... Et eorum officium duret quoad unusquisque ipsorum vixerit. ... (2) Lib. I, R. VIII......In signum honorantie et preheminentie et protectionis predicte, teneatur et debeat hospitalarius pro tempore existens quolibet anno in perpetuum dare et donare universitati predicte, et eius provisori in domo dicte universitatis consignare in festo Corporis Christi libras quinquaginta cere nove et pulchre ad declarationem d. proconsulis et consulum pro tempore existentium, pro oblatione facienda in ecclesia Sancti Ambrosii in festivitate predicta. . . . GIORNALE LIGUSTICO 65 carica, nominati ogni anno nel mese di ottobre, dovevano rivedete i conti dell’ospedale, in unione con quelle persone che a ciò venivano delegate dall’ospedaliere, ed avevano diritto di coi reggere ogni atto che loro fosse parso errato od irregolare (i). he all arte era grave tale tutela: che anzi aveva stabilito che tutti i suoi soggetti concorressero nel sovvenire 1’ ospedale, per mezzo di una tassa da pagarsi da quelli che domandavano immatricolazione nell’ arte (2). X· Tutti gli ufficiali, dei quali abbiamo enumerate brevemente le attribuzioni, erano soggetti a sindacato (3). Questo del resto noi vediamo introdotto anche per tutte le autorità del comune e per gli ufficiali delle altre arti fiorentine. (1) Lib. I, R. IX. « De officio, electione et iuramento rationerariorum hospitalis Sancti Pauli ». Quolibet anno de mense octobris d. proconsul et consules dicte universitatis una cum operariis .... teneantur et debeant eligere et deputare duos ex consulibus in officio residentibus, pra-ticos et expertos, ad revidendum et calculandum rationem et computa intioitus et exitus dicti hospitalis Sancti Pauli cum illis personis quos hospitalarius ad predicta eligerit et habere voluerit. Et qui sic electi teneantur ad dictum hospitale se conferre et diligenter inquirere et perquirere an dictus introitus fuerit perfecte et legaliter in libro positus, nec ne, et emendare et corrigere quicquid in predictis correctione et emendatione noverint indigere. (2) Lib. III, R. I.....Debeat insuper talis notarius, si pro civitate raa- triculari petierit, deponere solidos viginti, et si pro comitatu solidos decem, pro eis soluendis hospitali Sancti Pauli de Florentia pro eius subventione. (3) Lib. I, R. XIII. « De electione et officio sindacorum d. proconsulis, consulum et camerarii ». ... Et reperitos innocentes debeant absolvere, et culpabiles condemnare secundum formam statutorum predictorum ; et ubi pena statuta non esset prout ipsis sindicis aut duobus partibus ipsorum . . . visum fuerit convenire, inspecta qualitate delicti et conditione persone, et absolutionis vel comdemnationis sententiam proferre et promulgare debeant infra quindecim dies a die predicte eorum electionis. . . Giorn. Ligustico. Anno XV. . 66 Così gli statuti mentre da una parte impedivano che 1 eletto si sottraesse alla carica che gli veniva affidata, lo obbligavano poi, con minaccia di pena severa, ad esercitare le sue funzioni con diligenza e regolai ita. Giovanni Filippi. VARIETÀ Un nuovo documento di Uberto Foglietta. Non è di molta importanza questo documento, che estrassi dal museo civico di Torino. Utile tuttavia mi sembra il pubblicarlo, perchè completa la messe non troppo abbondante di notizie che è già stata raccolta intorno al celebre storico genovese. Visse il Foglietta gran parte della sua vita in Roma, ove nel 1538, ventenne, era chierico, e poi divenne successiva mente protonotario apostolico, abbreviatore, riferendano del papa (1). Le condizioni politiche della sua città natale lo interessavano peraltro sempre grandemente. È questa la gione per cui nel 1559 e&^ decideva a pubblicare in Rom un suo dialogo volgare Delle cose della Repubblica di Genova, che doveva costargli assai caro. Prendeva 1 autoie di questo libro le parti dei nobili più recenti di fronte ai più antichi, con vivacità di dialettica e argomenti calzanti (2). Recenti fatti dolorosi aveano servito di triste esperienza alla Signoria genovese, e però la parte conservatrice fu dal libro del Foglietta in modo singolare irritata. (1) Secondo i rogiti dei notai romani avvertiti dal Bertolotti, Tracce di Uberto Foglietta negli archivi di Roma, in Nuova Rivista, An. IV, 1884, fase. 5°, p. 289 segg. (2) Spotorno, St. lett. della Liguria, vol. Ili, Genova, 1825, p. 41· GIORNALE LIGUSTICO 67 Ne è documento bellissimo la lettera a Benedetto Lomellini, che fu pubblicata negli Atti della Società ligure di storia patria (1). U libro vi si chiama « abominevole », « sedizioso », pieno di « pestiferi ragionamenti »; l’autore, uomo « di poca o nessuna qualità ». Del libro si vuole impedire la diffusione in Genova e fuori (2) ; Γ autore si vuol castigato col bando perpetuo dalla patria sua, e si fanno pratiche per non offendere con ciò la dignità di ecclesiastico eh’ egli tiene. Nè furon solo parole, chè il Foglietta fu realmente dichiarato reo di ribellione e come tale dannato a esilio perpetuo. Aveva egli tutta la colpa che videro in lui i reggitori della città sua? Il fatto che egli medesimo mandò il libro alla Signoria, accompagnandolo con una sua lettera, può farcene dubitare. Checché sia di ciò , è certo che la condanna non ebbe durata perpetua per lui. Sia pel mutato ordine delle (1) Vol. IX, 1869, P· 351 segg· — Ecco la grida emanata contro il libro, che mi venne comunicata dalla gentilezza dell’amico A. Neri: « Havendo Uberto Foglietta composto e fatto stampare un libro tanto abominevole e detestando in pregiudicio della nostra Republica quanto imaginar si possa, e sendosi ordinato pella S.™ IU.ma che si proceda contra di lui acciocché col mezzo della giusticia ne riporti quella punitione che merita la sua temerità, e serva tal castigo per essempio agli altri: Pertanto si ordina per parte dell’ 111 mo s.r Duce , Mag.ci S.r Governi e Procuratori, et espressamente si comanda che ciascuno il quale havesse cosi al presente come in 1’ avvenire alcuna copia tutta o parte di detto libro così stampato come scritto a mano, debba haverlo presentato fra spano di giorni tre in mano di S. Ecc.* e S.™ IU.e sotto pena di scudi cinquecento, et ogn’altra corporale in arbitrio degl’Ill> doi Collegi. Ricevuta per il Cancell. Matteo Gentile Senarega. 1559 die xj mareij. (R. Arch. di Genova, Senato, 1559, Fil. 109). (2) Le misure repressive ebbero il successo che sogliono avere, se è esatto quanto il Bongi ritiene, che cioè una delle due edizioni romane del 1559 sia stata fatta in Genova. Cfr. Atti Lig. cit., p. 355. (53 GIORNALE LIGUSTICO cose pubblfchTin Genova, sia per intercessione di Gian-nandrea Doria, cni nel IS73 il Foglietta dedico g i e ogi Liguri illustri, il bando fu revocato. Molta stima ovea Do dere allora in Genova il già aborrito scrittore, perchè con decreto del 6 gennaio 1576 il Senato lo eleggeva stonogialo ufficiale della repubblica, carica di cui poco prima o a\e\a ritenuto degno un principe illustre (1)· Il 28 gennaio partiva il decreto accompagnato da una et tera (2), nella quale si lamentava che g per penuria . amo revoie scrittore » andassero già in oblio gli antichi atti genovesi e che nei tempi moderni la « moltitudine historiografi » minacciasse « danni maggiori » ; si mostrava desiderio che persona colta, incorruttibile e ingegnosa si so barcasse al carico di tramandare ai posteri le memorie ge novesi ; si investiva dell’onorevole ufficio il Foglietta, sLco^ ^ persona che « per dottrina, per amorevolezza e per notit.a della verità » non poteva essere superata. A questa etteia appunto rispose il Foglietta con quella del 6 febbraio, che 10 metto qui in luce: a provarlo, se anche non \i tosse data, basterebbe la precisa corrispondenza del contesto. Dalla lettera che pubblico traspira un’ altra volta quanto altamente lo storico genovese sentisse di sè. Basta leggere la importante lettera con cui due mesi prima di morii e, il i.° luglio 1581, accompagnava alla Signoria una parte della sua Historia Genuensium (3), per averne vieppiù esatta no- ci) Il duca di Savoia nei 1569, come si ricava da un documento che 11 Vernazza comunicò al Tiraboschi e questi pubblicò nella St. ìett.,^ ed. Antonelli, VII, 1338 n. Circa alla dimora del Foglietta alla Corte di Savoia , accertata dal Campori, non sarebbe inutile qualche ricerca d’ archivio. (2) Pubblicata dal Neri in Notizie e documenti intorno a Uberto Foglietta e Pietro Biiaro (estr. da Giorn. Ligustico), Genova, 1877, p. 11. (3) Cfr. Neri, Op. cit., p. 12-13. GIORNALE LIGUSTICO 69 tizia. Rispondendo ai reggitori della sua patria egli dice di aver già dato prova di non essere timido amico del vero « principalmente nelo scrivere la congiura del Fiesco ». Con ciò allude senza dubbio a quel saggio della sua storia contemporanea che trattava della congiura dei Fieschi, dei tumulti di Napoli e della ribellione dei Piacentini contro al Farnese, saggio che essendo corso manoscritto per le mani di parecchi, ad evitare il pericolo di vederselo stampare da altri chissà come, Uberto avea fatto imprimere nel 1571 (1). Per consiglio della stessa Signoria , il Foglietta, prima di por mano alla nuova storia, si mise d’accordo con Matteo Gentile Senarega , che nell’ufficio di storiografo ufficiale lo aveva preceduto (2). Questi poteva dargli utili indicazioni per la composizione di quell’opera, che occupò interamente gli ultimi anni della vita di Uberto. Rodolfo Renier. Al ser.mo e ili.™ sigg.ri miei col.mi li ss.ri Duce et Gov.ri della Repubdi Genova. Ser.mo et ili.™ sigg.ri padri et Sigg.ri miei Col.mi Se a questo carrico di scrivere li vostri Annali, che alla Ser.<* et SS. VY. ill.me é piaciuto darmi, io non risponderò alla aspettativa con la facoltà, almeno nelle altre due importantissime parti, cioè dell’ amore verso la Patria, et della verità pareggierò certo la fiducia di me concepita. Le quali parti per aventura le haranno indutte a preferire me in questa elettione all’ ingegno et alla eloquentia di molti, alli quali è dovuto ch’io ceda, non già perchè le istesse laudi non siano in molti altri (1) TiRABOscHi, VII, 1339; Spotorno, III, 43. Alberico Cibo principe di Massa contribuiva a quest’ opera del Foglietta, mandandogli notizie del- 1 infelice fratei suo Giulio Cibo. La lettera che gli spediva in proposito è del 10 gen. 1570 e trovasi pubblicata da G. Campori nei Documenti per la vita di Uberto Foglietta, Modena, 1870, p. 5-7. (2) Il Senarega tenne quell’ufficio dal 1559 al I571· Cfr. Neri, Op. cit., p. 4. / 70 GIORNALE LIGUSTICO Cittadini, ma forse perchè in coloro, li quali possono fare questa professione, si possono sperare et presumere : in me sono certe ; ta i e si efficaci saggi ne ho dato in molti propositi, et principalmente nelo scrivere la congiura del Fiesco, la quale va attorno. Nella quale i P di huomini tanto potenti, li quali si toccano, non mi ha spave ritenuto da dire apertam.te il vero. Onde se questi due stimoli p ^ * stessi bastarono a spingermi tanto oltre, che faranno eglino hora da lo sprone, che la bontà della Ser.tà et SS. VV. ili.- vi hanno aggiunto, con farmi questo honore, et con fare di me sì eccellente &iu Non solo dunque volentieri et obedientemente accetto questa cu , l’abbraccio con tutto l’affetto dell’animo, confidando che le Ser.' et m.me SS. VV. quando haranno da me tutto quello, di che io non p dar più, non ricercheranno da me più. Et resteranno soddisfatte, io non sarò quello egregio artefice, il quale con nobile penello < pp dipingere le attioni nostre talmente, che invaghischino di se chi le mi < > sarò almeno quello fedele raccontatore, che con la luce della ver.tà sterà forse a dare loro tanto di splendore, che la malvagità o ignor di quelli huomini, li quali sono hoggimai senza numero, non sai à ciente a macchiare o farle oscure, nè forse il tempo a sepelirle del tu ^ nella oblivione. Hora che modo io habbia a tenere, da che princip farmi, con che filo ordire et tessere questa tela, ho largamente confe ^ col molto mag.co s.or Matteo Gentile vostro Amb.re architetto primario et antistite in questo mestiero, il quale di presentia, che doverà presto, riferirà ogni cosa distintamente alle Ser.u et SS. VV. M. mettendo sempre tutto alla loro correttione et comandamento. In buo gratia delle S. VV. facendo fine alla lettera non fo mai fine di raccomandarmi. Da Roma, alli vi di feb. 1576· Delle VV. Ser.'à et M.™ SS. ubidiente figliuolo et ser.rc Uberto Foglietta. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA I sonetti del Pistoia giusta l’apografo Trivul^iano a cura di Rodolfo Renier — Torino, E. Loescher, 1881, in-8.°, pp. XLVIII — 404. Allorché i signori A. Cappelli e S. Ferrari pubblicarono le rime edite ed inedite di Antonio Cammelli detto il Pi- GIORNALE LIGUSTICO ?! stoja (1) opportunamente illustrandole con note ed appendici, non pretesero di aver raccolte tutte le poesie del bizzarro poeta pistojese, anzi rimase loro in dubbio che il suo repertorio dovesse esser ricco di maggiore varietà di componimenti e in numero maggiore che oggi non abbiamo. E come i chiarissimi editori si fossero bene apposti accennando alla possibile scoperta di nuove rime del Cammelli , si rese manifesto nello stèsso anno 1884 per la pubblicazione del Catalogo dei codici manoscritti della Biblioteca Trivul%iana edito dal Porro (2) , dove fu per la prima volta indicato un manoscritto Trivulziano che contiene 388 sonetti, dei quali 314 affatto sconosciuti. Cotesto preziosissimo manoscritto, che triplica il patrimonio poetico del Cammelli fin qui noto, è ora integralmente edito per cura del prof. Rodolfo Renier , che in una dotta prefazione illustra con molta diligenza il codice Trivulziano , discutendo se si possa o no ritenere eh’ esso sia precisamente il manoscritto appartenuto a Isabella d’Este Gonzaga , che conteneva i sonetti ricopiati e sontuosamente ornati da Francesco Gianninello, e indicando altri testi manoscritti finora ignoti e alcune rarissime stampe possedute dalla Biblioteca Marciana di Venezia, delle quali nessuno avea finora sospettato Γ esistenza. Il volume secondo della Biblioteca di testi inediti 0 rari porge pertanto un nuovo ed ampio sussidio alla compiuta conoscenza di uno dei più originali e fecondi precursori del Berni; e gli studiosi di tal genere di poesia non mancheranno di accoglierlo col meritato iavore e di farlo argomento di studio. Le nuove notizie biografiche che si raccolgono dai sonetti del codice Trivulziano non sono molte , ma tali però che (1) Livorno, F. Vigo, 1884, in-8.° (2) Torino, 1884, in-8.° 72 GIORNALE LIGUSTICO servono a compiere in qualche parte quelle che già s*· cono scevano o a rimuovere alcuni dubbi che poteano rimanere. Cosi, per citare un esempio , non conoscevasi finora con precisione quello che il Pistoja facesse in cotte del Duca Ercole II. Il Cappelli disse che egli era addetto alla cucina e dispensa di corte, con incarico altresi di far cavalcate, quando occorresse, a Milano. Lo Scipioni (i) osseivò che dalle sue poesie non si può ricavar tanto, nè il sonetto sulla cena in corte può dar indizio di nulla. Ora il sonetto 237 ci fa sapere in modo chiaro e preciso che il Pistoja faceva un po’ di tutto alla corte degli Estensi : oggi siscalco e diman credenzieri, Legato, portinar, famiglio a un tratto, guattaro, ragazzo e camerieri , coco son fatto e notte e dì corrieri ; tornato , il piscio poi votar m’ è fatto. Sgurro il bacii con gli bicchieri e 1’ amola e perchè a far nuli’altra cosa resta, prima ch’io facci il pan, meno la gramola. Le feste sempre la mia arte è questa : Siedo in cucina e al canto d’ una niamola batto il mortai fin che la salsa è pesta. La cosa qui non resta , chè mi fan nel portar poi via perito il pasto che di sotto han partorito Bazzicando di frequente in cucina, non è a maravigliare ohe sapesse fare buoni manicaretti tanto da poter insegnare come debba essere preparata una buona cena (Son. 217), e che ne suoi sonetti s’incontrino spesso argomenti attenenti alla cucina. (Son. 128, 186, 228, 255, 256). (i) Giorn. stor. della letter. ital. (V, 244). GIORNALE LIGUSTICO 73 Le occupazioni che il Pistoja avea in corte doveano naturalmente sembrargli troppo abiette e indurlo a ricercare altro coperto. Fu mandato, com’ è noto , nel 1487 capitano alla porta di S. Croce in Reggio ; ma anche di questo nuovo ufficio si mostrava malcontento, nè cessava dal lagnarsi perchè il verno vi facea troppo freddo e la state il sole lo cuoceva (Son. 181). Il Duca per far cessare tali continue lagnanze ed anche pei mostrare la sua gratitudine del dono della Tragedia che il Pistoia aveagli dedicata, ordinò che gli fossero pagate 600 lire. Ma quel ladro del fattore quando egli richiedeva il pagamento era solito a rispondere: torna diman (son. 262, 365); e intanto avea impegnato più d’un farsetto e dovea torre a credenza vino, pane e carne. Nè giovava eh’ egli lo sollecitasse a dargli quel poco resto che dovea avere e a non dir più : aspetta e spera , perché al mio mal aggiunge novi affanni, e un giorno sol mi par più di mille anni. Per distrarsi dalle molestie che gli procuravano la moglie e il suo misero stato di fortuna , ed anche per soddisfare alle molte richieste degli amici che voleano sonetti sopra i più bestiali argomenti, ne componea su qualunque tema che gli fosse dato, e su qualunque cosa gli accadesse d’ osservare. Di tutto quel che vedi fai sonetti , si fa dire il Pistoia da un amico, se tu vedessi pur cacare un pollo , 0 far questione insieme dui galletti. Se volea chieder doni pel Natale (son. 260), od inviare a un amico qualche regalo (son. 128, 184, 186), se faceva oggetto delle sue pungentissime satire un predicatore (son. 3), 74 GIORNALE LIGUSTICO un retore (son. 71), un legista (son. 235, 238), un pretoie (son 82) , o qualche altra persona a lui odiosa , era sempre il sonetto caudato che si prestava alle manifestazioni del suo spirito bizzarro ed arguto. Molti dei gruppi in cui furono suddivise le poesie del Cammelli nella edizione Cappelli-Ferrari, secondo il tema in esse trattato, ora si compiono ed arricchiscono di nuovi so netti, come fu già notato dallo stesso prof. Reniei nella prefazione al suo volume (p. xxx). Un nuovo gruppo, di cui conoscevasi un solo saggio nella edizione Cappelli-Ferrari (p. 210), è formato dai sonetti sul Natale (n. 40, 42, 43), su S. Stefano (n. 44), su S. Gio vanni (n. 46), sui Re Magi (n, 47), sulla fuga in Egitto (n. 48), sulla Passione (n. 49) e sulla Resurrezione (n. 50, soli sonetto : Quando tu vai, madonna, a’ templi santi (1) potrebbe essere indirizzato a quella stessa Madonna Julia Bojarda, la quale è lodata perchè dove a messa coi ginocchi giace non vói d’ alcuna pompa essere ornata ; mentre un’ altra dama per nome Barbara andava a messa menandosi dietro le donzelle con li scudieri innanti e col tappeto. Allo stesso gruppo appartiene pure il son. 146 : Dove vuo’ tu andar, Francesca? — A messa, che ne richiama alla memoria un altro di ser Matteo Franco, dove dimostra come t quanto cicalino le donne in chiexa alla (1) Ediz. Cf., p. 150. GIORNALE LIGUSTICO 75 messa, e che trovasi nello stesso codice Magi. VII, 1125 (car. 41 v) che reca il sonetto del Pistoja : Da Leon vengo e là si fa banchetto (r). Buon di, buon dì e buon anno e come stai? Domin , quant' è eh’ entrò questa messa ? Or si che i’ cretti pure star sanç essa. Or ben, eli’è di te? Come la fai? — Naffe, non so’ io di molti guai ; Ho ancora in casa mia Tita e la Tessa Con poca dota e ’l tempo pur s’ appressa. E Bartol tuo ha avuto briga assai ? — O cattivella, io ho che fare aneli’ io ; Ma pure i’ mi ricolgo un po’ di pane. — T’inganni, com’ a’ tu buon lavorìo ? L’ acqua con che no’ ci laviam le mane Non guadagniam Teo, io e ’l garçon mio. Che son di quelle tue galline nane ? Da una in fuor son sane ; Una ve n’ è che à 1’ andoça e ’l palatìo. — Addio, addio, la messa è detta, addio. Tra i sonetti in cui sono nominati a cagione di biasimo o di lode alcuni poeti contemporanei del Pistoja, è particolarmente notevole il son. 129 , nel quale si fa menzione di tutti i principali poeti della corte di Lodovico il Moro e che ci rende testimonianza della dimora del Pistoja in Milano, come i sonetti 58, 59, 151 ci fanno sapere ch’egli fu anche a Bologna, dove conobbe Giambattista Refrigerio segretario di Roberto da San Severino e autore di molte rime per la massima parte tuttora inedite in due manoscritti della Biblioteca Universitaria di Bologna (2). (1) V. p. xvii della Prefaz. ai sonetti del Pistoia ed. Renier. (2) Uno è lo Zibaldone di Cesare Nappi, donde il Guerrini trasse la novella I Negromanti; l’altro è il cod. 165 che contiene: Poesie antiche 76 GIORNALE LIGUSTICO Il conte Roberto da San Severino trovavasi a Bologna nel 1474, nel qual’anno ebbe luogo un’accademia in suo onore nella possessione del conte Galeazzo Pepoli « f°ra stia Castioni sotto san Michele in Bosco » (1). . Vi era tuttavia, od eravi ritornato nel 1478, P0ici? , _a" spare Nadi nel suo Diario bolognese (2) dice che _ ivo eito da San Severino « de 1’ ano 1478 steva in Bologma per e duca de Milan ducha Ludovigo...., se disea seci etamente eh’ el steva per metre el puovelo in grazia del dicto slgmore Ludovigo , avea paura de non venire quelo che 1 e venu 0 ducha ». Intorno a questo tempo adunque il Pistoja deve avei conosciuto Giovambattista Refrigerio, poiché egli dice che vi e ......a Refriger compor sonetti su per le frasche, al vento , ’n un deserto , e descrivere i fatti de Ruberto nel tempo che se empievono i sacchetti. di diversi manoscritte per ta maggior parte Bolognesi del sec. XV. e p del Refrigerio hanno le seguenti didascalìe: ■ Cantilena del prestantissimo M. Ioanne Baptista di Refrigera del Magnanimo Signor Roberto in laude de lo Illustre et li er patricio Conte Andrea Bentivoglio. E io tono in celebrar toc laude pigro (c, 1 r 3 r) Cançone de M. lo. Baptista Refrigerio in laude del suo Signoi Invictis simo S. Roberto San Severino Capitanio generale de tutta Italia. Magnanimo signore, invicto e pio (c. 3 v — 7 r) Cançone sextina de M. Io. Baptista Refrigerio pronosticando la morte del suo signor Roberto per lo eclypso del sole. Tempra. eh' è tempo homai, tempra , fortuna (c. 7 r — v) Cançone sextina del prefato M. Ioanne Baptista Refrigerio dolendosi de la seguita morte del suo Signor Roberto: la quale dolse a tutta per essere spogliato del suo ornamento per le mane de li Germani. Viverd sempre la mia vita in guerra (c. 8 r — v) Triumpho de M. Io. Baptista Refrigerio fingendo esserli aparso el spirto del suo charo signor Roberto Sanseverino : dove il conforta vivere tranquillo, perchè lui vive felice in fra gl’homini, divi et immortali e che conforti gli figliuoli viver cum virtute. Trovandome in la patria de Calullo (c. 8 v — 16 r). (.1) V. I Negromanti. Novella di Messer Cesare Nappi edita per le Nozze di G. Guerrini colla Marchesina Ottavia Antinori — (Bologna, Zanichelli, 1885, p. 12). (2) Scelta di curios. letter., Disp. CCXVI, p. 20. GIORNALE LIGUSTICO 77 Il Pistoja dice (son. 59) che il Refrigerio mutossi il nome , eh’ or fe’ di pensiero poi eh’ el gran condottier perdè di vista (l). Quale nome egli assumesse dopo la morte di Roberto da San Severino non mi è noto; Refrigerio era certamente il nome di sua famiglia , poiché il Ghiselli nella sua Cronaca di Bologna , manoscritta presso questa Biblioteca Universitaria , ricorda un Domenico Refrigeri dottore in filosofia e medicina che morì nel 1476 e un Lorenzo di Giovanni Frigeri o Refrigeri dalla Pieve del Vescovo , dottore egli pure in filosofia e medicina, collegiato e lettor pubblico, che morì nel 1451 (2). La serie più ricca dei sonetti contenuti nel codice Trivulziano è quella dei politici, che va dal n. 273 al 388 e sono quasi tutti in lode di Lodovico il Moro, che per il Pistoja era unico lume d Italia , a tutto el mondo transparente non altrimenti che il sole (p. 402). Al Moro pertanto egli indirizzava alquanti epigrammi in sonetti in sua lode; ma la serie contenuta nel codice 2618 della Biblioteca Universitaria di Bologna non è certo compiuta, perchè l’ultimo sonetto è frammentario e nella lettera di dedica accennasi ad una poesia in morte di Beatrice d’Este che poi non vi si trova. Il Pistoja non vedeva salvezza tranne che nel Moro , al quale tutti ponean mente come a ministro e commissar di Dio, e colpiva delle sue acerbe invettive chiunque osasse offenderlo in qualunque guisa, o disconoscere la sua potenza e lealtà. Chi ebbe più d’ ogni altro ad attirarsi le ire del Pistoja fu Panfilo Sasso. Egli consigliava Carlo Vili a non fidarsi troppo del Moro, perchè, mentre fingeva di accarez- (1) Anche nella Canzone sextina in morte del Conte Roberto da San Severino il Refrigerio dice : Più non son , nè voglio esser Refrigerio, Poi eh* ho perduto el mio signor Roberto. (2) Il Canetoli riporta fra gli stemmi delle famiglie nobili bolognesi anche quello della famiglia Refrigeri. Una Vermiglia Frigeri fu mo°-lie di Michele Bentivoglio verso il 1340 (secondo il Dolfi) ; da ciò probabilmente derivarono le relazioni del nostro rimatore colla fami°lia Bentivoglio ed in ispecie col Conte Andrea. ?8 GIORNALE LIGUSTICO zarlo, apparecchiavasi a morderlo di mortale veleno e lo esortava a fuggire : Ergo fugam capias, infelix, dum potes, hostis, Vipera nam gallis semper acerba fuit. Il Pistoja gli scaricò addosso ogni sorta di villanie (son. 108-114), chiamandolo filosofo bestiale, vii montanaro, capo di ocagna pien di cimatura , cervel gattesco ed altri simili complimenti. In tutti cotesti sonetti politici si rivela, più che negli altri, il poeta cortigiano, che prodiga al suo signore le lodi di clemente, benigno, umano, discreto e pio per venire da ultimo a questa conclusione : ricordati di me poi nel tuo regno, E non avere a sdegno, s’ el ti piace, per me mandare un tratto eh’ io possa l’opre tue vedere in atto. Ludovico Frati. SPIGOLATURE E NOTIZIE Nelle Historisches Jahrbuch, a. 1887, n. 4, si legge: Il papa Nicolò V e la lotta contro ì Mori di Spagna, pel d.r Kayser. * * >1« La Società di S. Agostino a Lilla, ha pubblicato : Christophe Golomb et les découvertes du Nouveau Monde, di Paul de Joriaud (Lille, Desclee, 1887), in 8.°, di pp. 198, con incisioni ed una carta. « M. de Joriaud (scrive il conte de Bizemont nel Polybiblion, XXVII, 173) s’est inspire surtout du journal même de l’illustre navigateur et aussi des ouvrages bien connus de Laharpe, de César Cantù et du comte Rosellv de Lorgues; mais, tout en formant des voeux pour la béatification de Colomb, il se garde bien de tomber dans les exagérations du dernier de ces auteurs, et pousse le scrupule jusq’ a éviter d’attribuer à des miracles les incidents les plus merveilleux de la vie qu’ il décrit : ce qu’ il s’attache surtout à mettre en relief, c’est le désintéressement de son héros et les injustes perséuctions qui ont été sa seule récompense ». * * * Dall’Università (dicembre 1887, pp. 622-30), che continua e termina il Catalogo dei rettori dello Studio bolognese leviamo il nome di questi altri liguri (ved. Giorn. Lig. a. 1886, pp. 399). 1546-47. — Magnificus D. Antonius Gallucius de Bobbio, utriusque Universitatis iuristarum rector. 1604. — D. Johannes Dominicus Spinula, ianuensis, rector generalis Studu Bononiensis GIORNALE LIGUSTICO 79 o Λ ag°sto e 15 ottobre. — Prof. Comm. Giovanni Cappellini di opezia, incaricato del rettorato. tS ^ ι8β5-88. — Lo stesso, rettore. Ώ n ;° t P’n?.la discorse inoltre il Malagola negli Atti e memorie della UePutH· ài Romagna (serie III, vol. V, pp. 282-84). * * * nn^'V·1 tr0.vau ricord«o nelle nostre storie letterarie, e neppure nelle opere biografiche un Tommaso Murchi (Morchio) medico genovese, il quale pubblicò a Lione nel 1504 le Opere di Arnaldo Villanova dedicandole ““‘S1 Flesf.hl· Ne ricaviamo la notizia dalla seconda parte di un !av?ro dl Pl° RAJNA , Intorno al cosiddetto < Dialogus creaturarum » ed al suo autore (Giornale Stor. Lett. Ita!., X, 59). * a1l?“r«e.n0ÌÌZTÌe fb,biamo di Giambattista Boeri da Taggia assai onorato nt t -1 Inghilterra, dove fu medico di Enrico VII, tornerà quindi S’,safre ■ ^ e amicizla con >· celebre Erasmo di Roterdam, e gli affidò 1 educazione de’ suoi figli, i quali furono da lui condotti in Italia ;LNolHAC- Erasme en Italie, Paris, 1888, pag. 5). Un d’essi, Giovanni, ^01 sac1e.rdoîe. e mon settuagenario a Sturla nel 1561, dove venne polto in quella chiesa di S. Maria Annunziata. *^PUBBLICAZIT· ~ L’ editore Lapi di Citta d' Castello ha in Γ» M uno de gustosi libri di Alessandro Ademollo intitolato La Bella Adriana, che è la celebre cantante del secolo XVII. Eccone il Mantova°’ ITT* ί PosiliP°· ~ π· L'harem musicale del Duca di ~ .J,1 melodramma a Mantova nel primo decennio del sei- a Firenze ' VI ? βι fi ~ X’ La bella Adriana a Roma e rw iTT , La bl:* Adriana a Mantova e a Milano. — VII. Da 16,? aDtr°' ~ matrimonio del Duca e le feste del 1617 e w Potenza e morno dell’Adriana. - X. Le feste del 1621 Au’Si deÏAS„dk.V“““' - XI· T“"”“ *»**-■ - XII. La Strenna della Gaietta Piemontese esce quest’ anno ricca di versi e bel aa°rhn r?0tev°!i· Si distinguono parecchie novelle dettate con tnrnn ■ · ‘P^dimento ; uno scritto morale pieno di verità in- 0 no ai giovani italiani di Vittorio Bersezio; un affettuoso ricordo ziom' tTT, ’ fpVUt?-a Edmcndo De-Amicis ; alcune buone osserva- * del Lavini sull architettura considerata come regina delle arti. Il P vf. V™ dlscorre d’isabella Andreini comica e scrittrice del secolo h-,» 1 .ITT0^10 Banzatti s’intrattiene intorno ad un umorista del seicento “ „:■ Ant04batl> indendo conto delle sue curiose Frascherie; docu-^rf;ieM°tlZie “"P01?11,11 SÜPra Giovanni Prati e la censura austriaca reca 11 Malamani; e finalmente Giuseppe Depanis rifà la storia delle rap-.Loh‘*grin di Wagner, ricordando il modo onde venne diede luogo*1101 artlstlco e critico > non che le polemiche alle quali . 9-ues,ta raccolta riuscitissima è fra le migliori strenne uscite al principio di quest’ anno. v L’egregio ed_ operoso Cav. Giuseppe Baccini con il titolo di Zibaldone, notiate, aneddoti, curiosità e documenti inediti 0 rari raccolti da una brigata 8o GIORNALE LIGUSTICO di studiosi, si propone, coadiuvato da parecchi studiosi ^cercato raccogliere le curiosità, gli aneddoti, i motteggile cose .sinl1’’ f f conoscere le abitudini , le credenze , le superstizioni, insoiramali vita pubblica e privata de’nostri antenati: indagini queste che , m ge e e , tenute di poco conto, hanno però bene spesso non minore importanza de’ crrandi avvenimenti. A questo fine saranno messi a Ρ™“ηο c<™.c . carte, cronache e lettere antiche, libri di Magistrature e di Conventi, ricordi di famiglie illustri, scritture inedite, zibaldoni, opere a stampa se -nosciute o dimenticate, riproducendo anche notizie sparse nei giorna 1 in recenti pubblicazioni, purché sieno dell’indole del giornale. Questo giornale esce regolarmele il 15 d’ogni mese in rnenze ( del Fosso, 40) in 16 pagine (L. 5 annue). BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Nuovi documenti e studi intorno a Girolamo Savonarola per cura i les Sandro Gherardi. Seconda edizione emendata e accresciuta. nenze, Sansoni, 1887. . La prima volta che 1’ erudito Gherardi mise m pubblico qi * opera, e tu nel 1878, dette ampia ragione del modo onde gli venne di compilarlo, riferendone in gran parte il merito a Napoleone Ci ed al p. Ceslao Bayone , i quali gli avevano , secondo diceva , por materiale da ciò. Se non che que’ due egregi e dotti scrittori vano per i primi quanta modesta parte avesse voluto fare a se 1 rardi, proferendosi poco più che editore delle loro fatiche. Ura qu * nuova stampa, richiesta dall’ esaurimento della prima, tirata a poi- iissi copie, egli volle si vantaggiasse per nuove cure e nuovi documenti, mantenne la divisione delle tre parti, già stabilita in quella dove r°',‘ luogo le notizie genealogiche, bibliografiche e_ intorno alla casa de a narola in Ferrara; i nuovi documenti da aggiungersi alle raccolte a ispecie dal Marchese e dal Villari; e infine diversi schiarimenti equis 1 sopra alcune cronologiche differenze ; ma opera qualche trasposizione documenti, consigliata dalla materia, e dall’ ordine più razionale. Di P1 ritocca qua e colà, tenendo presente gli studi recenti, _ aggiunge alcun cose a meglio illustrare i documenti producendone dodici per la pri volta. Ristampando poi il Saggio bibliografico, anziché soprammettere ap pendici ad appendici, rifonde con buon consiglio tutto quanto il lavoro , giovandosi del materiale già radunato dal Cittadella, e mettendovi di suo il nuovo ordinamento cronologico, e il frutto delle proprie ricerche, _cne in vero non è piccola parte. Anche i notevolissimi document^ editi ect illustrati da Cesare Guasti, intorno alle relazioni del frate con i pratesi, ricompaiono qui con nuove cure. Il Gherardi ha in questa guisa resa accessibile a tutti una raccolta posseduta da pochi studiosi, la quale può dirsi per più rispetti un’appendice necessaria alla splendida vita del frate ferrarese scritta dal Villanie nuovamente testé pubblicata, secondo i resultati degli studi più recenti. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 8l LA STORIA GENOVESE NELLE POESIE DEL PISTOIA. Il nome di Antonio Cammelli detto il Pistoia, che ancora pochi anni or sono era press’ a poco sconosciuto , oggidì è ben noto a tutti gli studiosi di storia politica e letteraria italiana per i molti lavori intorno a lui pubblicati in quest’ ultimi tempi (i). Simpatica ed originale figura di quel bizzarro secolo decimoquinto cosi vario e multiforme, egli rispecchia in sè fedelmente molti lati di quella età dove accanto all’ irreligione e allo scetticismo di Luigi Pulci era la fede ardente di frà Girolamo Savonarola , dove a lato dei canti carnascialeschi fioriva tutta una letteratura di laudi spirituali. Il Pistoia che irride a Cristo e al vangelo (2), che scrive poesie equivoche ed oscene (3), che si mostra intemperante e vendicativo nelle sue polemiche (4), sente (1) Senza citare le edizioni particolari di qualche poesia, ricorderò Cappelli e Ferrari , Rime edite ed inedite di Antonio Cammelli detto il Pistoia, Livorno, Vigo, 1884; Renier, Del Pistoia, in Rivista Storica Mantovana, I, fase. 1-2, Mantova, 1885; Idem, Nuovi Documenti sul Pistoia, in Giornale Storico della letteratura italiana, t. V, pag. 319-320, Torino, 1885; Scipioni, Recensione del libro del Cappelli e Ferrari, in Giornale Storico cit., V, 242-258; Renier, I Sonetti del Pistoia giusta V apografo Trivulziano, Torino, Loescher, 1888. (2) Renier, Sonetti, pp. 8-13, 40-51, etc. (3) Cappelli e Ferrari, pp. 166, 179-180, 197-202, etc. Cfr. Renier, Sonetti, p. 167, 118, etc. (4) A parte anche la questione dell’ autenticità dei sonetti contro Niccolò Ariosto (Cappelli e Ferrari, p. 251-273) e contro il Cosmico (Idem, p. 221-245), ch’ebbi già a discutere altrove (Saggi crìtici di storia letteraria, pp. 104, 112-113, Venezia, Merlo, 1888), stanno sempre a Giorh. Ligustico. Anno XV. (, 82 GIORNALE LIGUSTICO poi fortemente Γ amor della patria, ha potente la coscienza della sua italianità ed è magnanimo poeta civile (i). L’ importanza delle poesie del Pistoia e per sè stesse, come espressione dell’animo suo e documento certo di una parte integrante del suo spirito e della sua coscienza, e pei rapporto alla storia del tempo suo, come cronaca quotidiana e manifestazione del pensiero e dell'opinione di un età che non aveva ancora i giornali, fu già rilevata da me in due articoli che si proponevano essenzialmente lo scopo di atti rare l’attenzione degli studiosi anche su questo notevole aspetto della vita e delle opere del Cammelli (2). Non v ha fatto di qualche entità di cui non si trovi cenno in quelle poesie: talora se ne parla con qualche lunghezza, talvolta non è che un tocco rapido e fugace, ma basta coglierlo per rilevare sotto il cenno vago tutto un avvenimento notevole, un fatto epico o tragico, per scorgervi, cosa importante per que’ giorni, un fremito di buon sangue italiano. Come la storia di tutta Italia e delle altre singole sue re gioni, cosi ancora quella di Genova e della riviera Ligure provare la violenza e l’intemperanza del Pistoia i sonetti contro il Bellincioni (Renier, Sonetti, pp. XXXIII-XXXIV, 61-62, 64-78), e contro Panfilo Sassi (Idem, p. XXXIV-XXXV p. 108-110, 113-114) e contro altri ancora. (1) Vedi in genere in Renier, Sonetti, i numeri e pagine 273-388, che però non sono tutti politici. Notevole sopratutto è il sonetto 347 · Voi non volete ravvedervi ancora, italici mastin, crudi tiranni, che a letto , a mensa , al foco , et agli scanni fate a la carreggiola dentro e fora, etc. (2) La politica del Pistoia, in Napoli Letteraria, anno III, n. 31, 1886; Nuovi Studi sul Pistoia, in Letteratura, anno III, n. 1, 1888. Ad una osservazione di questo secondo articolo rispose il Renier in Letteratura, anno III, n. 2, 1888. I due studi rifatti furono poi da me ripubblicati in Saggi critici di storia letteraria, p. 79-115. GIORNALE LIGUSTICO 83 è in buona parte nelle poesie del Pistoia. Anche qui, anzi qui specialmente, non troviamo, come per Pisa, per Pistoia o per Milano, interi e numerosi sonetti, o come per Venezia, per Napoli, per Ferrara, per Roma, notizie molto frequenti ; sono versi staccati, qualche terzina al più, ma non perciò men degni di essere presi ad esame, perchè un sifatto studio, quando quei versi staccati e quelle terzine si vengano oppor-tunatamente commentando con gli altri documenti contemporanei, riesce sempre ad illustrazione di un periodo capitale della storia nostra. I. La prima volta che il Pistoia ricorda il nome di Genova non è in modo troppo lusinghiero per lei: Che direte, cicale? Il papa è fatto. Non più si ciarlerà sia questo o quello : Vada or Savona e Genova al bordello , Poiché Innocenzio la sua volta ha tratto (1). Però bisogna dire che il Cammelli qui non mirava tanto alla città di Genova e di Savona quanto ad un lor cittadino, che per la morte di Innocenzo VIII e per l’elezione di Alessandro VI andava, se non in bordello, però certo a male venture. Difatti Giuliano Della Rovere, nipote di papa Sisto IV a cui doveva tutta la sua fortuna, era stato a sua volta Fautore dell’ elezione al pontificato del cardinal Cibo, che fu Innocenzo Vili, contrastando fin d’ allora a tutto potere l’elevazione di Roderico Borgia sostenuto dal cardinale Ascanio (1) Renier, Sonetti, 274. Nell’ordine del codice Trivulziano riprodotto in questa edizione dal Renier è molto prima (138) un altro sonetto in cui si parla di Genova, ma in ordine di tempo ò certo posteriore; a suo tempo vedremo come. 84 GIORNALE LIGUSTICO Sforza (i). Naturalmente sotto il papato d’Innocenzo egli conservò molta influenza alla corte romana, anzi era tanto potente che essendo di animo avverso agli Spagnuoli e favorevole ad un lega coi Francesi, tirò il papa a pigliar parte alla famosa congiura de’ baroni contro Ferdinando d’ Aragona (2). Nè quella potenza era diminuita per la pace conchiusa poi tra il pontefice e re Ferdinando dopo la mala fine dei ribelli, perchè il ritiro del cardinal Giuliano a Bologna nel settembre del 1487 aveva commosso il pontefice che si era affrettato a rabbonirlo, e gli aveva ridata tutta quell’ autorità che il mutato indirizzo della politica romana sembrava gli avesse tolto un istante (3). Ma per la morte d’Innocenzo Vili tutto l’edificio da lui innalzato crollava d’un tratto e bisognava rialzarlo dalle fondamenta. Al che attese il cardinal Della Rovere, e Francia depositò ducento-mila ducati e Genova centomila per farlo riuscir papa (4). Ma furono vani disegni; perchè se Genova lavorava per lui,, gli stava contro Ascanio Sforza, il quale, sostenuto dal fratello Lodovico il Moro che reggeva il ducato di Milano, prima pensava a sè, poi, non riuscendo , faceva eleggere il cardinal Borgia che fu Alessandro VI (5). (1) Vespucci, Relazione a Lorenzo de’ Medici, apud Fabroni, Vita Laurentii Medicei, p. 256. Cfr. Infessura, Diario. L’uno e l’altro ricordano come il Della Rovere guadagnò molti partigiani al Cibo con promesse fatte a suo nome, e di queste promesse danno anche 1’ elenco. (2) Porzio, Congiura dei baroni, I, 13. Cfr. Brosch, Julius II, p. 3°^· (3) Grgorovius , Storia della città di Roma nel medio evo, t. VII, p. 335, trad. italiana. (4) Cavalieri, Lettera ad Eleonora d' Aragona, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie dell’ Emilia, t. I, p. 429 > Modena, 1863. (5) Il Vettori, ambasciator fiorentino a Roma, scriveva: « Monsignore Ascanio è stato quello che solo ha fatto venire, con arte non pichola, GIORNALE LIGUSTICO Gli è a questo insuccesso, e potrebbesi dir fiasco, del cardinal Giuliano e dei Genovesi che allude il Pistoia, poiché questa è cosa notevole che mentre gli Sforza, che pur tenevano Genova sotto il loro pretettorato e quasi sotto la loro assoluta dominazione, la città spendesse quel resto di libertà e d’ indipendenza che le restava per adoperarsi in favore di chi era pur tanto avversato da’ suoi Signori. Forse è perciò appunto che il Pistoia manda « al bordello » non solo Savona, patria del Della Rovere, ma anche Genova e grida: Che direte cicale ? Il papa è fatto. Anzi non contento di questo primo sonetto, ne scrive tosto un secondo (i) in cui dileggia anche meglio, sebbene più copertamente, lo sconfitto Giuliano, esaltando per contro il successo dello Sforza. Or oltre, ecco che’l papa è incoronato; io lo pronosticai e non son santo chè Ascanio dar pò e tor a Pietro il manto , sebbene il fusse in vincula legato (2). Ben sapea lui di chi seria il papato che aveva in man la mitria e il sceptro accanto, e iustamente a lui dar possi il vanto che fra due sesti va Roma e il ducato (3) il pontificato in costui »; e altrove dava la ragione dell’operato del cardinal Ascanio, dicendo che fu « cupidità di roba, perchè del vicecancellierato li rimane il valsente di 100 mila ducati 0 meglio ». Cfr. il Diario dell’Infessura, col 1244. (1) Renier, Sonetti, 273. E anteriore per ordine, ma certo posteriore per data al 274, perchè in questo si dice che « il papa è fatto », mentre in quello che è « incoronato ». Ora mentre il Borgia fu eletto papa nella notte dal 10 all' 11 agosto (Conclavi dei pontefici Romani, t. I, pagina 133, Colonia, 1691), non fu incoronato che il 26 di quel mese (Infessura, 1. c.; Raynaldi, Annales Ecclesiastici, ad annum 1492, N. 27). (2) Si sa che Giuliano della Rovere era cardinale di San Pietro in Vincoli. (3) Alessandro VI papa e Gian Galeazzo II Sforza, sesto duca' di Milano. 86 GIORNALE LIGUSTIGO E aggiunge poi un curioso particolare di cui vuoisi tenere il debito conto : Ma prima che’ 1 sapessi il concistoro, in camara del papa, per Milano littere scrisse, e fel sapere al Moro. Il Pistoia per la sua posizione a la corte dello Sforza di cui era assai famigliare, poteva sapere la cosa che certo sarebbe importante assai. Ad ogni modo, non esprimesse anche se non una diceria che correva per Milano, è sempre un notevole segno di ciò che pensava allora la pubblica opinione sull’ elezione di Alessandro VI. II. Per quali ragioni e come Lodovico il Moro, dopo qualche esitazione, chiamasse in Italia Carlo Vili ed i Francesi, è cosa nota per il racconto degli storici e pei numerosi documenti (i). Tuttavia anche qui i sonetti del Pistoia gettano qualche luce, mostrando se non altro quali erano le voci che correvano e quindi qual era la pubblica opinione circa quei fatti. Generalmente credevasi, e non a torto, che la guerra e la pace dipendessero da Lodovico il Moro: guerra non serà mai per tempo o tardi per fin che ’l Mor non spiega i suoi stendardi (2) ; però si capiva che esistevano dei malumori anche da parte (1) Vedi, anche per le fonti citate abbondantemente nelle note, Cipolla, Storia delle Signorie italiane dal 1313 al 1530, V, 4 e VI, 1 p. 670 e segg. (2) Renier, Sonetti, 276. GIORNALE LIGUSTICO 8? degli altri principi, poiché ciascuno aveva pretese che non s’ accordavano cogli interessi altrui : Il novo patre santo d’ or fa massa perchè il vói Cervia da la Signoria, il Moro vói che al socer reso sia ciò che Ruigo e il Polesene ingrassa. Dicono alcun che il Fracasso fa gente, ma perchè chi lo sa dir non lo vole ; la cosa va pian pian segretamente (1). Il matrimonio della Bianca, nipote del Moro, coll’Imperatore Masimiliano dava luogo a nuovi commenti (2): era un continuo domandare: Che è? Che non è? Che vuole il Moro? A che aspira Venezia? (3). Lodovico Sforza voleva far credere che non desiderava che la pace (4), ma le eran parole, e ben avea ragione il Pistoia di dirgli: Per te stanno in pensier i Veneziani, Napoli assai dubbioso da un canto, temono i Florentin, nè si dan vanto di trar Marzocco for contro i tuoi cani. Ercole militar più studia Γ arte (5), forse sperando una mazza franciosa, Genova cerca le sue membra sparte. Che sì che Pisa un dì si farà sposa ? Il turco mantuan maggior con Marte (?), la sega sotto un Mor più gloriosa. (1) Ibidem. (2) Renier, Son. 280. (3) Idem, 278 - 279. (4) Idem, 278. (5) Ercole I d’Este, duca di Ferrara dal 1471 al 1505. 88 GIORNALE LIGUSTICO Luna sta paurosa gli uccei lombardi, i tordi di Romagna , temendo un di di non dar nella ragna. Quando questa montagna parturirà ? tu sol sai, Signor mio, chè chi più sa di te, sa quanto Dio (i)· Come si vede da questo sonetto, anche Genova, sebbene paresse al Pistoia più gloriosa sotto il governo del Moro , non era perfettamente tranquilla, ma era essa pure mal contenta, come colei che cercava « le sue membra sparte ». Ora quali erano queste « membra sparte » ? Dopo la congiura de’ Pazzi, le cose de’ Fiorentini per alcun tempo andarono alla peggio : approfittando di queste difficoltà Agostino Fregoso, che qualche anno prima aveva venduto a quella repubblica la piccola, ma importante citta di Sarzana, nuovamente, sorpresala, se ne impossessò. Finche i Fiorentini si trovarono in male acque, ebbero a pensare ad altro che a Sarzana, ma poiché fu conchiusa la pace di Bagnolo e riservato per essa ai medesimi il diritto di ricuperar la città colle armi, Lorenzo de’ Medici, chiesto in\ano per capitan generale il Trivulzio (2), mandò in Luni-giana con un forte esercito Antonio di Marciano e Ranuccio Farnese (3). (1) Renier, Son., 282. (2) De Rosmini, Vita dd grande Gian Giacomo Trivulzio, t. II, p. 127-128. (3) Ammirato, Storie Fiorentine, 1. XXV; Guicciardini, Storia Fiorentina, in Opere inedite, t. Ili, p. 70 e segg; Machiavelli, Storie Fiorentine, Vili, Giustiniani, Annali della repubblica di Genova, t. II, p· 35^ 3 57> Genova 1835; Tommasi, Sommario dilla storia di Lucca, in Archivio Storico Italiano, Serie I, t. X, p. 339 e segg., Firenze, 1847; Senarega, Commentaria de rebus genuensibus, in R. I. S., t. XXIV, p. 513 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 89 Era il settembre 1484. Agostino Fregoso, sentendosi incapace a difendere la città, ne fece cessione al Banco di San Giorgio e così tutta Genova si trovò impegnata nella guerra per la conservazione di Sarzana. Tuttavia i Fiorentini non vollero subito romper guerra aperta ai Genovesi, ma non mostrando addarsi della cessione fatta dal Fregoso, finsero di combatter lui solamente. Ma ecco da Pietrasanta, terra genovese che quella repubblica aveva comprata dai Fiorentini nel 1343, irrompere il presidio sopra un convoglio che si recava all’ esercito sotto Sarzana : allora la guerra è dichiarata apertamente e 1’ 8 novembre, dopo breve assedio, Pietrasanta viene occupata dai Fiorentini. A questo punto interviene Lodovico il Moro e propone onesti patti d’accordo: o Sarzana resti a Genova e Pietrasanta a Firenze o viceversa. Ma i Genovesi, che non vole-van la pace, ricusarono quei patti e domandarono che, se dovevano lasciar Pietrasanta ai Fiorentini, questi cedessero loro Sarzanello, fortezza presso Sarzana, ma tenuta sempre dai Fiorentini. Così fu impossibile intendersi; e dopo due anni di tregua, nel maggio del 1487 la guerra ricominciò: i Genovesi sorpresero Sarzanello, ma i Fiorentini presto lo ricuperarono e poco di poi ebbero anche Sarzana (1). Nè i Genovesi, distratti da discordie civili, ebbero campo a ricuperare il perduto, e Lodovico il Moro, assunta poi la signoria di Genova come reggente il ducato di Milano, con tregue opportunamente rinnovate, soffocò la guerra. Ma non perciò chetavano gli animi de’ Genovesi e le loro aspirazioni : Sarzana e Pietrasanta, le « membra sparte », stavan (1) Oltre le fonti citate nella nota precedente vedi anche Cappelli, Lettere e notizie dei magnifico Lorenzo de’ Medici, in Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia patria per le provincie dell’Emilia, t. I, p. 294 e segg. Vedi pure Reumont, Lorenzo von Medici, t. II. 9o GIORNALE LIGUSTICO loro, come spine, nel cuore, e noi li vediamo in questo sonetto del Pistoia drizzar F orecchio a ogni rumore di guerra, per veder se v’era modo di ricuperare le perdute città. III. Fra tutte queste aspirazioni diverse degli Stati italiani, le voci e le probabilità di guerra si facevano ogni di più frequenti. Era venuto in Italia ambasciatore del re di Francia Perron de Basche e si era recato presso quasi tutti 1 potentati nostri, ma senza riuscire ad accordi positivi che preparassero acconciamente la discesa di Carlo Vili (r)· Senon-chè d’ un tratto , mentre dovunque credevasi ancora che il Moro tergiversasse più che mai e il Pistoia pensava che il gallo sta gran tempo a far un ovo (2), lo Sforza stringeva il patto d’ alleanza, e tosto si facevano più pronti apparecchi per la spedizione. Allora 1 opinione pubblica si commoveva grandemente, e il Pistoia, fedele interprete della medesima e ad un tempo più acuto veggente (1) Marin Sanudo, La spedizione di Carlo Vili, p. 31 e segg. ed Fulin, Trincherà, Codice diplomatico aragonese, t. II, nn. 462-550; De CherRIER, Histoire de Charles Vili, t. I, p. 358 e segg. (2) Renier, Son., 285. Cfr. ciò che scrive il Malipiero, Annali veneti ordinati e abbreviati da Francesco Longo, in Archivio Storico Italiano, Serie I, t. VII, p. 482: « Il Duca de Milan se gloria de haver addesso un capelan, un conduttier, un camerlengo e un corier, che insieme provede unitamente ai so besogni. El capelan è papa Alessandro, el conduttier è Massimian , el camerlengo è la Signoria, che da fuori largamente quanto ’l cornette, e’I corier è’I Re de Franza, che va e vien a so beneplacito, cosa spaventosa de pensar ». Notisi però che queste parole si riferiscono al tempo posteriore alla discesa e al ritorno di Carlo VIII, e perciò erra il Cipolla, Signorie, p. 686, quando le riferisce a un’ epoca anteriore. GIORNALE LIGUSTICO ?! del comune , ripeteva in versi ciò che invano gli oratori del re di Napoli cercavano far capire al reggente di Milano (1): Di Francia torno e là vidi in effetto che ’l Re ne viene a Γ odor come un bracco, con quel baston eh’ Ercole uccise Cacco , Italia , tu averai più d’ un buffetto. Forse noi credi? Io el vidi, io te l’ho detto, aspetta al gioco pur matto lo scacco, chè avendo tu tanto suzzato il ciacco , ben ti starà s’ el ti lacera il petto (2). Se il Pistoia fosse realmente stato in Francia col conte di Bel gioioso inviato colà dal Moro, è cosa per lo meno molto incerta; ma ad ogni modo, ancorché fosse quella una finzione era pure una magnanima finzione, perchè con quelle sue parole avvertiva gl’ Italiani di stare in guardia e di non fidarsi dello straniero, cui aperta una volta la via, sarebbe troppe volte disceso a straziare la bella terra italiana, e tanto più suonavano generosi i detti del poeta che in Milano pareva toccare il cielo col dito per la venuta de’ Francesi, sicché egli cantava sdegnosamente satireggiando: Qui si piglia ogni di Napoli e il Re e la mitria papale ad altri danno, Firenze è tutta in preda a’ saccomanno, pensa tu di Bologna quel che n’ è. Venezia àrà fatica a tener se, Ferrara non serà senza gran danno, tutta Romagna in fin dissoluta hanno, non vi vo’ dire quel che Mantua è (3). (1) Trincherà, 1. c. (2) Renier, Son., 286. (3) Idem, 287. 92 GIORNALE LIGUSTICO E anche a Genova pare sì gongolasse di mala gioia, sempre per la speranza di riaver Sarzana e Pietrasanta : Pisa è disfatta, ii Finale e Livorno, stata lor è Sarezana un pan onto, Pietrasanta impastata e missa in forno (i)· Ma non si chiacchierava e sproloquiava soltanto, chè già la città tutta di Genova formicolava di armati, ed era febbrile Γ attività che regnava nel suo porto per allestire una floua pel re di Francia: Genova ha ben trenta galee in ponto scorrendo il mar con le nave ogni giorno, perchè de scudi un gran soccorso è giunto. Ri- In realtà già da qualche mese era venuto a Genova ^ naldo di Marsiglia, ambasciatore del re di Francia, e poiché quando nel 1488 la repubblica s’era data agli Sforza, Lodo vico, per non suscitarsi brighe con Carlo Vili, aveva accon^ sentito a ricever da lui Γ investitura della nuova signoria, Moro dovette permettere fin d’allora che i Genovesi ìispon dessero favorevolmente all’ ambasciatore francese e s impe gnassero dietro sua domanda a fornire al re un certo nu mero di navi per la guerra contro Napoli e gli Aragonesi. Allestivansi dunque quattro navi grosse e dodici galee, cui presto se ne aggiunsero altre ancora sino al numero di trenta indicato dal Pistoia; e poiché non bastavano i denari for niti per l’impresa, Antonio Sauli genovese imprestava 70 mila ducati senz’ alcuna sicurtà, e poco dopo in egual modo aggiungevane in Roma altri 25 mila (2). Seguiva poi con nuovi denari Pietro d’Urfè, grande scudiere di Carlo Vili, e si raccoglieva nel porto di Genova tutta la flotta di Provenza (1) Ibidem. (2) Giustiniani, Annali, II, 563. GIORNALE LIGUSTICO 93 e di Linguadoca, mentre per lui stesso si apprestavano magnifiche stanze nei palazzi Spinola e Doria (i). Con la flotta francese giungevano pure in Genova tremila fanti Sforzeschi capitanati da Gaspare Sanseverino detto il Fracasso, quello stesso che abbiamo già veduto di sopra ricoi-dato dal Pistoia come intento a far gente: se allora niuno ne vedeva ancor chiara la ragione, ora questa si faceva palese a tutti. Nè soli s’afforzavano in Genova gli Sforzeschi, che vi venivano pure due mila Svizzeri al soldo di Francia sotto il capo Antonio di Belley, Bailly di Digione, inviati specialmente per opera del focoso savonese Giuliano Della Rovere, quello stesso che il Pistoia aveva altra volta mandato « al bordello » e fu poi papa Giulio II (2). A comandare le truppe francesi e a dirigere i movimenti della flotta recavasi pure a Genova il Duca d’ Orleans , poi re Luigi XII (3). Anche questo fatto è ricordato dal Pistoia: El dirà che a Milan si dan ducati, eh’ el Duca d’ Orliens è in genoese e che per tutto qua son de’ soldati (4) Del resto il nostro poeta torna spesso sull’ argomento della flotta che si armava a Genova e che doveva pur esser causa e materia di molte dicerie. Ora egli dice che Genoa studia a 1' armata del serpente (5), (1) Giustiniani, Annali, II, 560; Senarega, p. 539; Comines, Mémoires VII, 5. (2) Guicciardini, Storia d’Italia, 1. I; Bellari, Commentaria Rerum Gallicarum, 1. V, p. 129; Marin Sanudo, Op. cit.. p. 412; De Brosch, Julius II, Documenti, p. 314; Malipiero, p. 318-319; Corio, Storia di Milano, III, p. 547-548; De Cherrier, Op. cit., t. I, p. 406. (3) Comines, 1. c. (4) Renier, Son., 138. Vedi sopra η. i a pag. 83. (5) Idem, 288. 94 GIORNALE LIGUSTICO ora ricanta eh’ essa ... ha l’armata a tor Partenopea (i), mentre Il Re de’ galli, come voi sapete ha tutti posti i suoi galletti in vista (2). Ma più che rallegrarsi della bella armata e del forte aiuto che scende al Moro suo signore, il poeta s’attrista al pensiero de mali incontro a cui va tutta Italia, e se un istante scherza alle spalle dei Fiorentini che non sanno a qual partito appigliarsi , e non danno mai risposte decisive (3): Marzocco, io penso al tuo tempo futuro, dove io ti vedo in mille pensier vari ; tu hai fra galli il traffico e’ denari, se Dio mi aiuti, molto mal sicuro. Se al re di Francia sarai troppo duro, tu se’ in disgrazia al mio duca di Bari, e se col re Alfonso te ripari, sia quel che vói, tu se’ fra l’uscio e il muro. Io ti vedo un fagian fra duo falconi, se tu di’ sì al primo e no al secondo, ad ogni modo è mal per tuoi leoni (4) ; (1) Renier, Son. 293. (2) Ibidem. (3) Incerta ed equivoca era stata la risposta data aH’ainbasciator francese Perron de Basche fin dal luglio 1493· Vedi Sanudo, Op. cit., p. 31’ Pitti, Storia Fiorentina, in Archivio Storico Italiano, Serie I, t. 1, p· 28, De Cherrier, Op. cit., t. 1, p. 361; Cipolla, p. 682. I due ultimi danno interessanti notizie su tutta la condotta ambigua di Pier de’ Medici e dei Fiorentini. Ancora nel luglio del 1494 a Firenze non si sapeva per chi tenere. Vedi Buser, Die Bexiehungen der Mediceer %ii Frankreich wàhrend der Iahre 1434-1494, p. 548-549 e 560, Lipsia, 1879; e Acciaiuoli, Vita di Piero Capponi, in Archivio Storico Italiano, Serie I, t. IV, p. 28-29. (4) Renier, Son. 291. GIORNALE LIGUSTICO 95 d’altra parte ritorna al suo tema prediletto, a quel tema che gl’ ispirava quasi un’ antiveggenza profetica, e mentre a più riprese biasima l’inerzia o 1’ egoismo de’ Veneziani che non lasciavano scorger bene i loro divisamenti (i), intuona alto il canto dell’ ammonizione all’ Italia divisa : Tu ridi, Italia; un altro il tempo spensa a farti in pochi giorni pianger forte, preparati pur, viva, a veder morte crudel cibar di sangue alla tua mensa. Tu fai ben come quel il qual non pensa eh’ ei possa contro lui perversa sorte volubile ! Ohimè son l’ore corte de la tua irreparabil doglia immensa (2). Ma era un parlare a’sordi, e d’altronde ornai troppo tardi, perchè già erano incominciate le ostilità. IV. Sebbene qualche tempo prima Alfonso d’Aragona, re di Napoli, dopo aver .....disarmato ogni legno e galea e sicurati gli porti di Neptuno in ogni parte (3), sembrasse poi al Pistoia starsene con la sua gente ad aspettar quando viene il Messia (4), egli era tutt’altro che neghittose, anzi disponevasi a prendere egli stesso arditamente l’offensiva perchè ornai ogni speranza (1) Renier, Son. 289, 291, etc. (2) Idem, 290. (3) Idem, 293. (4) Idem, 288. 9 6 GIORNALE LIGUSTICO di pace era inesorabilmente perduta. Mentre Venezia , insospettita della gran flotta che si raccoglieva a Genova, faceva qualche apparecchio di difesa per non lasciarsi ad ogni evento sorprendere, e, cosa accennata ancor essa dal poeta nostro (i), nominava capitan di mare Antonio Grimani e mandava gente nel Polesine (2), il re di Napoli indirizzava 1’ esercito verso la Romagna, e, affidata la flotta al fratei suo Federico principe d Altamura, l’inviò a Livorno, donde doveva tentare qualche ardito colpo sulla riviera genovese (3). Erano con Don Federico d’ Aragona il vecchio cardinale Paolo Fregoso ed altri esuli genovesi, che abborrivano il governo esercitato nella città dagli Adorni in nome del Duca di Milano. Questi spingevano sopratutti 1’ ammiraglio napoletano ad un tentativo nel Genovesato , promettendo la sollevazione dei loro partigiani ; caldissimo ira i fuorusciti Obbietto del Fiesco, singolarissima figura intorno a cui importa fermarsi alquanto, tanto più che è il solo uomo politico genovese che il Pistoia ricordi per nome nelle sue poesie. V. Messer Obbietto del Fiesco è dopo Gianluigi, conte di La* vagna, una delle più cospicue individualità di quella famiglia (1) Renier, Son. 298: Vinegia ha fatto un capitan d’armata, chi dice il Trivigiano e chi il Grimani. Notisi che Trivigiano (Trevisan) essendo un cognome, non un aggettivo di patria, va scritto col T (maiuscolo), non col t (minuscolo) come fa il Renier. (2) Sanudo, Op. cit., p. 61. (3) Idem, p. 65, Guicciardini, 1. I; Giovio, Historia sui temporis, 1. I; Malavolti, Storia di Siena, parte III, 1. VI, t. 98. GIORNALE LIGUSTICO 97 resa cosi miserabilmente famosa per la cospirazione del 1547. Natura impetuosa e violenta, facile a mutar partilo o per irrequietezza d’ animo o per seduzion di denaro cui era tut-t’altro che insensibile, ingegno vario, multiforme, dai disegni vasti e smodati, ecclesiastico e sprezzatore di fede e di scomuniche e gran millantatore, pien di fiducia in sè e nell’affetto de’suoi vassalli: tal era quell’Obbietto che s’imbarcava sulla flotta di Don Federico per tentare un ardito colpo sulla riviera genovese. Era nato nel 1435 (1) ; contava, fra i maggiori della sua famiglia, due papi e un maresciallo di Francia sotto S. Luigi; possedeva molte delle centocinquanta terre allodiali e feudali che furono un dì patrimonio della sua casa, e giunse a raccogliere intorno a se fino a 5000 vassalli (2). Giovane fu (1) Lo ricavo dalla sua iscrizione funeraria che esiste ancora oggidì nella cattedrale di Genova. IN. EO. STATV. VIXIT. IN. Q.VO. MORI. IVVAT. HIBLETO. FUSCO. AP. P. PAC. ZELAT. MILLT. GNARO. LIBERALITATE. PIET. ABSTIN. ET. SEVER. INSIGNI. ARMIS. AC. RELIG. INCLITO. Q. PON. TRES. DVC. PAT. Q. EXERC. DVX1T. ROM. GENV. ÏVDER. TER. D. C. VRB. REGIM. ALI1SQ.: PVB. AC. PRIVAT. MVNER. FVNCT. PATRIAE. LIBERTATIS. VINDEX. VARIA. RERVM. MVTATIONE. AGITAT. FORIS. DECESSIT. ANNO. MXDVII. XV. AVG. AET. S. ANNO. LXII. LAVREN. FL. BRV. EP. RELATO. Morto di 62 anni nel 1497, doveva esser nato nel 1435. (2) Federico Federici, Trattato della Famiglia Fiesca, presso Gio. M. Faroni, Genova, s. a. Il Federici riempie due pagine della sua opera colla enumerazione delle terre e castella possedute in feudo dai Fieschi. Dopo averne ricordate circa 120, aggiunge « Et altre molte terre in Liguria occupate in varij altri tempi da’ Fieschi, le quali come non possedute con investitura si tralasciano ». Un altro esempio dell’importanza massima di questa famiglia ce lo dà lo stesso Federici, Scritture importante per la Gxorw. Ligustico. Anno XV. 7 9s GIORNALE LIGUSTICO studente all’Università di Siena, dove apprese quell amore alle lettere e alΓ umanesimo che conservò sempre attraverso a tutte le fortunose vicende della sua vita avventurosa (i). Quindi entrò nella carriera ecclesiastica ed ebbe il grado di protonotario apostolico (2), di cui fu privato solo più tardi nel 1481, come avrò occasione di dire più oltre. Ma 1 ufficio ecclesiastico non fu mai esercitato da quell’ animo riero ed irrequieto, nato a tutt’altre imprese che al sacro ministerio, e noi lo troviamo già nel 1463 , in età appena di 28 anni, immischiato nelle guerre civili della patria. Era doge per la seconda volta Paolo Fregoso, quello stesso che ora di nuovo tentava rientrare in Genova con Obbietto. Il Fregoso, arcivescovo e doge di Genova, sfrenato essendo in ogni suo desiderio, nè mettendo ritegno alcuno alle propue passioni, tirannicamente sgovernava, circondato di una schiera di satelliti e di scherani. Allora per la prima volta s incontra vano quei due uomini e Obbietto si faceva ministro dell arcivescovo oppressore; mal principio di funesta carriera (3)· famiglia Fiesca, p. 70-71 (la 2.a parte dell’opera sua) in ur. documento che è un trattato di pace « inter Dominum Petrum de Campo Fregoso ducem Genuae ab una parte et Dominum I. Philippum Fliscuni comitem Lavaniae ab altera parte ». 11 documento è eloquente di per sè. (1) Lorenzo Maioli, De conversione propositionum cuiuscumque generis secundum peripateticos, Ep. dedic. « amplissimo praesuli domini Hybletto de Flisco ». Venetiis, in domo Aldi Romani, mense Iulio MIUD. (2) Federici, Op. cit. Cfr. Raynaldi, Annales ecclesiastici, ad 1481 > n. 27. t. XXX, p. 9. Notisi che qui trattasi di un documento ufficiale, che risolve la questione in modo assoluto. Eccone le parole: « Quibus diligenter peractis Ibletus de Flisco clerico ianuensis et tunc noster et aposto-licae Sedis notarius, qui nonnulla castra in locis Ianuae circumvicinis detinet » etc. (3) Giustiniani, 1. V. t. II, p. 439 e seg.; Simonetta, De rebus gestis Francisci Sfortiae, I. XXX, in R. I. S. t. XXI, p. 755; Neri, Poesie storiche genovesi, p. 7-8, Genova, 1885. GIORNALE LIGUSTICO 99 Breve, mi feroce durava quella tirannide, talché il popolo cominciava a riguardare a Milano al duca Francesco Sforza come ad unica speranza di salvezza. Si rimpiangeva il tempo della dominazione viscontea , ben più dolce e più umana , e la canzone popolare ripeteva : Hai che trista zornata fu quella di scacciare il gran bissone ! Nei paesi mici mai più rasone è stata, poi eh’ io persi vescontina, haimè haimè meschina, donna fu mai cotanto stracciata (i). Ed ecco il duca intendersela con Prospero Adorno , Spinetta Fregoso e Giacomo Fieschi: d’accordo tutti, tentato invano l’arcivescovo che cedesse la città in cambio di ricchezze , con miglior fortuna si rivolsero ad Obbietto che, dando prova fin d’allora della sua volubilità, passò agli Sforzeschi (2). Paolo Fregoso, abbandonato da tutti, prese la fuga, e Obbietto, fattosi innanzi pel primo con un gran numero di seguaci della sua casa, occupò la porta degli Archi e i giardini di Carignano e di là il 13 aprile 1464 apriva le porte a Giacomo Vimercati, condottiere delle armi sforzesche (3). Ma se il tradimento è caro, non cosi il traditore, e presto Obbietto vedevasi trascurato dal nuovo governo, anzi in so- (1) Neri, Op. cit., p. 11. (2) Alle trattative tra il duca di Milano e Obbietto del Fiesco si riferiscono due lettere di questo allo Sforza, una in data Recco 25 marzo, e 1’ altra in data Genova 26 marzo 1464, che si conservano nel codice I59°) ff· 87 e 62 della Nazionale di Parigi (Cfr. Mazzatinti , Inventario dei manoscritti italiani delle biblioteche di Francia, t. II, p. 360, Roma, 1887. (3) Vedi gli autori citati; inoltre Serra, La storia della antica Liguria e di Genova, t. Ili, p. 239-240, Torino, 1834; Belgrano, La presa di Genova per gli Sforzeschi nel 1464, in Giorn. Lig. a. 1888, p. 150; Spinelli, Notizie intorno a Bernabò de Sanctis da Urbino, Milano, Dumolard (1883), p. 13 e segg. 100 GIORNALE LIGUSTICO spetto al medesimo (i). Perchè mostrandosi sdegnato e cupido di novità, incorreva nell’odio di Galeazzo Maria, successore di Francesco Sforza, che lo faceva arrestare e teneva più anni in carcere accusato di macchinar trame contro la signoria milanese. Spogliato di tutti i suoi beni, temendo per la propria vita, parevagli gran fortuna scampar di prigione; e, dopo aver alcun tempo vagato per Francia ed Italia, finiva per riparare in Roma col minor fratello Gianluigi, accolto si benignamente e protetto e aiutato di denaro da papa Sisto IV, ma pure da lui amichevolmente vegliato perche non si dipartisse di là a provocar Genova a ribellione , essendo allora il Pontefice in lega con gli Sforza (2). A Roma strug- . 1’ gevasi Obbietto, e di mal animo aspettava il tempo e 1 opportunità di nuove audacie e turbolenze. Senonchè gli sorrideva amica la fortuna : Galeazzo Maria veniva assassinato e il contraccolpo della congiura del Lampugnani si faceva sen- (1) Solenne scappuccio piglia il Moreri, Le grand dictionnaire historique, t. V, p. 152, Parigi, 1759, quando scrive « François Sforza, s’etant rendu maitre de Gênes en 1464, en donna le gouvernement à Obbietto de Fiesque. Ce fut le seizième jour d’avril » ; e il Dukas, Recherches sur l'histoire littéraire du XV siècle, p. 14, Parigi, Techener, 1876, mostra di conoscere ben poco la storia genovese quando trova questa indicazione « fort precise et ayant un caractère de grande vraisemblance » quantunque non l’abbia trovata in nessun’ altra fonte. Ai rapporti del Fieschi col governo milanese dopo la mutazione di governo in Genova si riferisce una lettera di lui a Cicco Simonetta in data Genova 4 settembre 1464, conservata nel citato codice, f. 386, della Nazionale di Parigi (Cfr. Mazzatinti, Op. cit, t. II, p. 373). In questa lettera Obbietto s’intitola egli stesso protonotario apostolico, il che è una conferma di ciò che ho detto più sopra. (2) Cfr. Federici, 1. c. Il Serra, t. Ili, p. 257, lo chiama « esule volontario ». Altro che! Erra anche il Cipolla, Signorie, p. 579, quando dice che Obbietto del Fiesco era allora a Milano, donde venne a Genova dopo l’uccisione di Galeazzo Maria. GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ tire potentemente per tutta Italia, e più negli Stati di casa Sforza. A Genova il governatore Pallavicino mal riusciva a frenare la ribellione già divampante: Carlo Adorno primo raccoglieva armati in vai Polcevera, Giorgio e Matteo Fieschi, giovani animosi, i soli di lor famiglia che per la fresca età non fossero stati banditi, pigliavano essi pure le armi; finalmente l’arresto di due cittadini provocava veemente lo scoppio dell’ insurrezione. Allora alcuni cardinali consigliavano ad Obbietto di fuggirsi da Roma, ed egli sopra una fusta giungeva a Genova, dove presto raccoglieva il governo nelle sue mani (i). Al Fieschi riuscivano prospere le prime imprese militari : il Castellacelo tenuto ancora dagli Sforzeschi al suo arrivo, cadeva nelle sue mani. Ma presto l’avvolgevano le discordie civili, fra cui destreggiandosi come poteva meglio, s’accordava coi Fregosi contro gli Adorni. Ma questi si congiungevano agli Sforzeschi, i quali numerosi passavano l’Apennino e moveano al riacquisto di Genova. Difendevasi Obbietto non senza prodezza; ma non potendo resistere alle forze superiori de’ nemici, presto dovette abbandonar la partita e ritrarsi nelle sue castella della montagna. Dove , mentre entravano in Genova Prospero Adorno e Roberto San Severino, generale milanese, egli teneva fermo alcun tempo ancora nelle forti rocche di Savignone e Montobbio, scendendo poscia ad un tratto con cinquemila vassalli a minacciar la città. Respinto, ritraevasi nuovamente; ma perchè gran mestatore (i) Giustiniani, 1. V, t. II, 496; Diarium Parmense, in Muratori, R. I. S., t. XXII, p. 256; Gallo, Commentarium rerum Genuensium , in R. I. S., t. XXIII, p. 275 e segg. ; Annales Piacentini, in R. I. S., t. XX, p. 954; De Rosmini, Vita del grande Gian Iacopo Trivuliio, t. II, p, 13 e segg.; Serra, VI, 8, t. Ili, p. 256 e segg. Vedi anche Senarega, p. 510 e segg., e Federici, 1. c. 102 GIORNALE LIGUSTICO e animo pronto ed audace, gli Sforza e il Sanseverino gli facevano proposte d’ accordo e s’ intendevano insieme per macchinare novità in Milano dove, finita la guerra, si recavano tutti. Era Milano sotto il governo di Bona di Savoia, reggente in nome del figlio suo e di Galeazzo Maria, Gian Galeazzo II; con lei divideva il potere 1’ antico segretario di Francesco Sforza, Cicco Simonetta. Or proponevansi il Fieschi, il Sanseverino e i quattro fratelli del morto duca, Lodovico il Moro, Sforza, Ottaviano ed Ascanio, di abbattere la reggente e il Simonetta, gridar duca il Moro, pigliarsi ciascun degli altri una citta e Obbietto farsi gridar doge di Genova. Ma D O la trama fu scoperta: il Sanseverino dovette riparare a furia nella città d Asti che apparteneva al duca d’ Orleans ; i fratelli Sforza furono mandati a confine, e messer Obbietto., più sfortunato di tutti, sorpreso nella fuga mentre pigliava alcun riposo, venne arrestato e ricondotto a Milano dove per la seconda volta si ritrovava in prigione (i). Riuscito vano il tentativo d’ insurrezione provocato dal fratei suo Gian Luigi per ottenerne la liberazione, Obbietto rimase in carcere oltre un anno, finché nel 1478 fu liberato dalla stessa reggente per consiglio della nobiltà genovese. Genova si era sollevata per opera dello stesso doge Prospero Adorno passato da parte milanese a pontificia ed aragonese, e le schiere ducali che ne avevano tentato il riacquisto erano state gravemente sconfitte. Impegnavasi Obbietto di ricondurre la città sotto la reggente ; ma libero appena e venuto (1) Gallo, 1. II, p. 277 e segg.; Annales Piacentini, p. 954 e segg.; Diarium Parmense, p. 259 e segg.; Corio, Storia di Milano, III, 519, e segg· ; Cagnola, Storia di Milano, in Archivio Storico Italiano, Serie I, t. Ili, p. 780; De Rosmini, Dell’ istoria di Milano, 1. XII, t. Ili,, p. 45 e segg; t. IV, p. 163 e segg.; Cipolla, p. 579-480. GIORNALE LIGUSTICO IO3 a Genova s’univa al fratello già ribelle a Milano e ricuperava le perdute castella della sua famiglia , alla repubblica svelava i segreti degli Sforzeschi e da lei riceveva in dono considerevole somma di denaro. Ma anche stavolta il Fieschi non rimaneva fedele alle promesse : Battista Fregoso , nipote del doge Paolo e figlio dell’altro doge Pietro, entrava in città con numerosi seguaci e cominciavasi per le vie battaglia civile. Postavasi Obbietto co’ suoi in borgo Santo Stefano per combattere a prò’ degli Adorni ; ma presto guadagnato con dènaro da Giovanni Doria, della parte avversaria, mutava insegna , contribuendo con le sue genti alla cacciata degli Adorni e all’ elevazione di Battista Fregoso a doge di Genova ( 1 ). Fu sotto il dogato di Battista Fregoso, che i Turchi presero Otranto e si sparse il terrore per tutta Italia. In queste circostanze, e precisamente sul principio del 1481, papa Sisto IV mandò a Genova come legato a latere il cardinale diacono di San Vito in Macello, eh’ era Giovan Battista Savelli, a fine di ristabilire la pace fra tutte le fazioni e indurre la repubblica ad armare una flotta contro il Turco. Il cardinale Savelli ottenne in fatti la promessa di ventuna galera, che dovevano essere comandate dall’ arcivescovo Paolo Fregoso, fatto anch’ egli cardinale di Santa Chiesa. Ed ecco succedere un curioso episodio, che tacciono intieramente gli storici genovesi. Obbietto del Fiesco per poco non mandò a monte ogni cosa. Aveva egli al suo servizio un tal Monte-negro, vero pirata eh’ egli proteggeva, perchè ne divideva le (1) Gallo, 1. II, p. 286-300; Foglietta, 1. XI, p. 647, e segg.; Annales Piacentini, p. 957; Diarium Parmense, p. 282 e segg.; Giustiniani, ad annum 1478; Cagnola , p. 180 e segg.; Corio, III, 325-326; Sismondi, Storia delle repubbliche italiane, c. 86, t. X, p. 117 e segg.; De Rosmini, c. XIII, t. Ili, p. 64 e segg.; Cipolla, p. 59 2-593. 104 GIORNALE LIGUSTICO prede. Montenegro s’impadronì, benché a costo di una ferita toccata e di una galera perduta, di due caravelle portoghesi che venivano a congiungersi alla flotta crociata, e, peggio ancora, di alcune altre navi che portavano a Genova del gì ano di cui il papa faceva gran traffico (i). Il pontefice s’era bensì assicurato un salvacondotto di Obbietto stesso, ma il Fieschi aveva nondimeno lasciato agire il Montenegro; p°i scaricandosi d ogni responsabilità, s’ era tuttavia presa la sua parte di bottino, e , dopo aver lasciato sperare un momento che 1 avrebbe resa, finì per rifiutarvisi affatto. Il legato Saveili allora lo scomunicò, ma che importava al Fieschi? Anzi, quasi a scherno dell’ interdetto lanciato sulle sue terre, sembra obbligasse i sudditi suoi, più timorati, ad assistere alla messa che vi faceva sempre egualmente celebrare. Allora il papa, accusandolo di tutto ciò non solo, ma ancora di metter ogni sorta di ostacoli alla partenza delle navi contro i Turchi e d intendersela quasi con essi, gli lanciò nuova e più solenne scomunica con una bolla del 4 luglio 1481. Pare però che Obbietto finisse con dar soddisfazione a Roma, perchè c è chi dice che il nuovo pontefice Innocenzo VIII, genovese, fosse sul punto di farlo cardinale nel 1485 (2). È noto come Battista Fregoso fosse spogliato del dogato dal vecchio zio Paolo: Obbietto non ebbe parte in questa mutazione, anzi pare che, disgustato delle cose genovesi 0 piuttosto dissimulando qualche nuovo disegno che maturava, domandasse di entrare ai servizi della repubblica veneziana (3). Ma poco andò che si fé’ capo d’ una trama contro il doge (1) Infessura, Diario in R. I. S., t. Ili, parte II. (2) Tutti questi fatti si ricavano dalla bolla di scomunica pubblicata dal Raynaldi, 1. c. nella nota 2 a pag. 98. Cfr. anche Guglielmotti, Storia della marina pontificia nel medio evo, Firenze, 1871, II, 437. (3) De Rosmini, 1. XIII, t. Ili, p. 79. GIORNALE LIGUSTICO IO5 arcivescovo d’intesa col fratello Gianluigi, con Giovanni ed Agostino Adorni e collo stesso Battista Fregoso, nipote, ma inimicissimo di Paolo. Mentre Gianluigi usciva di Genova a raccogliere armati nelle sue terre, Obbietto che teneva vita splendida e all amore delle avventure univa quello delle feste e dei piaceri (1) non meno che delle lettere (2), credeva poter copi ire i preparativi che faceva nella città stessa; ma non riusci a sfuggire alla vigilanza del vecchio astuto , che sospettò subito la trama. Il che però non valse se non a precipitare lo scoppio della macchina preparata nel 1488 ; i fuoi usciti entravano in Genova e costringevano 1’arcivescovo a rinchiudersi nei forti, poi non potendo accordarsi fra di loro , autore principalissimo messer Obbietto , vendevano la citta al duca di Milano; ai due fratelli Fieschi erano riservate nel trattato molte e importanti prerogative (3). VI Tale era l’uomo che primeggiava tra gli sbanditi genovesi saliti sulla flotta aragonese nel 1494: egli era fra quelli malgrado i patti deli’ 88, per quel suo spirito irrequieto, sempre vago di novità e di turbolenze. E fu egli che istigò don Federico a tentare una mossa su Portovenere nella speranza di sollevare gli abitanti; ma Gianluigi che serviva allora la parte contraria li mentenne fedeli al Moro, e le truppe sbarcate furono ributtate dalla piccola terra e sulla sera la flotta (1) Cfr. Federici, 1. c. (2) Maioli, 1. c. Cfr. Dukas, 1. c. Il Fieschi teneva intorno a sè una specie di accademia di letterati, par che vi accenni il Maioli quando dice * Novi enim quanti semper me feceris, quantum mihi in magnorum virorum hemicyclis tua auctoritate tribueris ». (3) Senarega, pag. 524 e segg. ·, Giustiniani, t. II, p. 550 e segg. ; Corio, VI, 5, t. III, p. 246. ιο6 GIORNALE LIGUSTICO dovette ridrizzar le prore a Livorno, tanto più che già stavano per sopravvenire le navi francesi e sforzesche (i). Il rumore di quest’ insuccesso degli Aragonesi fu grande assai, e si potrebbe credere che il Pistoia vi accennasse quando scrive : L’ altr’ hier messèr Obiecto ne là impresa mal per lui, le sue terre per mar vide, quando la gente gli fu morta e offesa (2), ma la cosa non è cosi, perchè nello stesso sonetto troviamo il verso : Ostia è da Ascano novamente presa, e si sa che quest’ occupazione avvenne l’S settembre, lo stesso giorno in cui Obbietto del Fiesco e i fuorusciti genovesi, portati dalla flotta napolitana, dopo avere occupato Rapallo, v erano stati solennemente battuti. Perocché avanzatisi già fino a Recco, s’eran tosto mossi da Genova i fratelli Sanse verini e Giovanni Adorno con le schiere sforzesche e per mare il duca d’ Orleans stesso con trentatrè navi e mille Svizzeri, i quali sbarcati ancor essi, con grandissima emulazione si gettarono sulle difese che Obbietto aveva appi estate intorno a Rapallo e, malgrado il valor suo e de tremila uomini che seco aveva, ridussero presto i nemici a mal partito, sicché, sparsasi voce che accorreva anche co suoi Gianluigi del Fiesco, gli Aragonesi si sbandarono. Fregosino, figlio dell’ arcivescovo Paolo, e Rolandino Fregoso furono fatti prigioni. Obbietto scampò a gran pena pel favore dei (1) Giovio, 1. I, p. 15 ; Guicciardini, 1.1, 1.1, p. 37 edizione Capolago, Senarega, p. 540. (2) Renier, Son., 295. Per la polemica cui diede luogo l’interpretazione del primo verso — messèr e mésser (misero) — vedi La Letteratura , anno III, nn. 1 e 2, 1888. GIORNALE LIGUSTICO IO7 montanari che molto lo amavano, svaligiato tuttavia per ben tre volte col figliuol suo Rolandino (1). Intanto Carlo VIII era finalmente sceso in Italia e con marcia trionfale entrato in Napoli il 22 febbraio 1495. Il Pistoia accompagna il cammino del re co’ suoi sonetti : verso la meta di ottobre del 1494, Carlo Vili giunge a Pavia ed egli lo saluta: Lingue, tacete, il Re di Francia è qui (2); il 21 dello stesso mese muore Gian Galeazzo II; Lodo-vico il Moro è acclamato duca di Milano , e tosto il poeta esclama : Ve’ che è fiorita al Mor la nobil pianta, ve’ che ’l pronosticar mio non fu vano, ve’ Ludovico Duca di Milano del mille quattrocen quattro e novanta (3), (1) Guicciardini, 1. I, p. 44; Giovio, 1. I, p. 26-27; Senarega, p. 542; Marin Sanudo, p. 83-84; Giustiniani, 1. V, ad annum 1494; Nardi, Storia Fiorentina, 1. I; Ammirato, 1. XXVI; De Rosmini, Storia di Milano, 1. XIV, t. Ili, p. 165-166; Cfr. anche Comines, Mémoires, 1. VII, 6, p. 198, ediz. Buchon, che chiama Obbietto « Messire Breto de Flisco », e Leo, Hist. des états d'Italie, t. I, p. 598, che lo nomina Ubizzo. A proposito del nome fa una lunga nota il Dukas, Op. cit., p. 17, dove accanto a qualche buona osservazione accumula molte inesattezze ed errori. Graziosissimo poi 1’ aneddoto che della fuga di Obbietto racconta il Senarega, 1. c. Per terminare ciò che riguarda Obbietto del Fiesco, egli passò poi a parte francese quando se ne staccò il Moro, e nel 1495, dicesi con 8000 uomini, attaccò nuovamente Rapallo e nuovamente vi fu battuto. Morì poi a Vercelli nel 1498, non senza sospetto che fosse stato avvelenato. (2) Renier, Son., 303. (3) Idem, 304. ιο8 GIORNALE LIGUSTICO e ancora Non Moro più, che ’l nome t’ è mutato ; chiamati pur chi t’ è fedele amico septimo Duca, Duca Ludovico, reputazion che si aspetta al Ducato (i). Ai primi di novembre poi avviene la presa e il sacco di Fivizzano (2), ed egli ammonisce i Fiorentini sempre irresoluti : Se il danno cognoscevi di te stesso, Marzocco, visto il gallo sul tuo grano, non avriano 1 galletti Fivizzano con 1’ altre terre a saccomanno messo (3)· Il Pistoia non ricorda il gran fatto di Pier Capponi, cui forse si die’ più importanza dopo, che al primo istante; consacra invece un sonetto all’ occupazione di Roma avvenuta il 31 dicembre (4) che per errore pone invece al 29 : Il Re di Francia è in Roma — In Roma? e dove? — Dentro in San Marco con la sua brigata. Correa in decembre, quando fu la entrata novanta quattro e giorni ventinove (5), e un altro alla riconciliazione di Carlo con Alessandro VI. Or son pacificati il Papa e il Re: il Papa di santo Angel fora andò (6), (1) Renier, Son., 305. (2) Porto veneri, Memoriale, in Archivio Storico Italiano, Serie I, t. VI, p. 285 ; Giovio, 1. I, p. 31 ; Guicciardini, 1. I, p- $1 ; Nardi, 1.1, p· 17· (3) Renier, Son., 308. (4) Giovio, 1. II, p. 40; Guicciardini, 1.1, p. 63 ; Belcario, I. V, p. 143; CoMiNES, VII, 12; Marin Sanudo, p. 173. (5) Renier, Son., 316. (6) Idem, 317. GIORNALE LIGUSTICO ΙΟ9 pei quali fatti tanto crebbe la riputazione de’ Francesi, sicché più « non si gridava se non Francia e Carlo » cominciando dal giovane al vetusto, non senza ira e dispetto del generoso poeta che pur diceva: ........Italia male accorta, nave senza nocchier presto trabocca , dove il capo non è la coda è morta. Il coco fa la torta, come P ha cotta, la presenta altrui, poi nel partirla non ne tocca a lui (1). 11 Pistoia ricorda ancora l’abdicazione di Alfonso II in favore del figlio Ferdinando II o Ferrandino : Fatto il Papa col Re Io accordo santo, Alfonso visto il suo mortai periglio, chiamò Ferrando, a lui unico figlio, e diegli la corona, il scettro e il manto (2), indotto, vuoisi, da segreto consiglio di Ascanio Sforza che gli avrebbe fatto intendere che il Moro, che lui odiava, era invece disposto a proteggere il figlio suo che restava proprio nipote (3). Così si ferma a parlare della guerra nel Napolitano e dell’ ingresso di Carlo VIII nella capitale, al qual proposito ha un verso importantissimo: Carlo Petito è in Castel capoano, Alfonso è trabuccato a la bilancia, in Napoli si grida Carlo e Francia, per questi al Re dei Franchi orò il Pontano. (1) Renier, Son., 310. (2) Idem, 318. Vedi anche 319. (3) Summonte, Istoria di Napoli, VI, I, p. 500, Bernardo Rucellai, Commentaria, p. 60. Cfr. anche Sanudo, p. 194-195. r io GIORNALE LIGUSTICO Queste parole ci fanno subito risovvenire di una questione gravissima storica politica e letteraria ; e benché affatto estranea all’ argomento di questo studio, mi si permetta, poiché ho in mano nuove fila per risolverla, di dirne brevemente qualcosa. VII. Francesco Guicciardini nella sua Istoria d’Italia (0 ha queste gravissime parole: « Partì adunque il re (Carlo VIII) di Napoli, il vigesimo dì di maggio; ma poiché prima non aveva assunto con le cerimonie consuete il titolo, e le insegne reali, pochi dì innanzi si partisse ricevè solennemente nella chiesa cattedrale con grandissima pompa e celebrità, secondo il costume de’Re napolitani, le insegne reali, e gli onori consueti prestarsi a nuovi Re, orando in nome del popolo di Napoli Giovanni Joviano Fontano, alle laudi del quale molto chiarissime per eccellenza di dottrina e di azioni civili, e di costumi, dette quest’ atto non piccola nota. Perchè essendo stato lungamente segretario de’ Re Aragonesi, e appresso a loro in grandissima autorità, precettore ancora nelle lettere, e maestro d’Alfonso, parve che o per servare le parti proprie degli oratori, o per farsi più grato ai Francesi si distendesse troppo nella vituperazione di quei Re, da’ quali era sì grandemente stato esaltato: tanto è qualche volta difficile osservare in se stesso quella moderazione, e quei precetti, coi quali egli, ripieno di tanta erudizione, scrivendo delle virtù morali, e facendosi, per l’universalità dell’ ingegno suo in ogni specie di dottrina, maraviglioso a ciascuno, aveva ammaestrato tutti gli uomini ». (i) II, 3, p. 93. GIORNALE LIGUSTICO I I I Questo racconto del Guicciardini fu ammesso gran tempo da tutti i più gravi storici (i), finché non cominciò a dubitarne, anzi quasi a negarlo affatto il Tallarigo (2), il quale anzi mosse al Guicciardini fiera accusa di calunnia. A difendere lo storico fiorentino e a sostenerne il racconto, il Tor-raca ed il Viola pubblicavano una lettera del Pontano e la relativa risposta, dove parlavasi delle accuse fatte al Pontano stesso da certi malevoli ob sollemniter laudatum Francorum regem Aragoniae genti infestissimum (3). Di queste lettere negavano l’autenticità il Morandi (4) e il Tallarigo (5), cui replicava il Torraca adducendo notevoli e valide ragioni (6). Però era da osservare una cosa, che cioè quelle lettere non avevano data , nè accennavano all’ epoca precisa dell’ orazione del Pontano a Carlo Vili. Ora il verso citato dal Pistoia viene precisamente a parlare di un discorso fatto al re dal poeta napoletano , e , ciò che vuol essere notato, pare appunto, per quelli che in Napoli gridavano: Carlo e Francia. Questo discorso non fu certo pronunciato nel maggio, ma nel febbraio del 95: tutto l’insieme del sonetto e gli altri fatti che vi sono accennati e che sono del febbraio, non del maggio, lo provano evidentemente. (1) Non ricordo che i principalissimi : Giannone, Storia civile del Regno di Napoli, XXIX, I; Sismondi, Storia delle repubbliche italiane, c. 96, t. XII, p. 254 e segg., etc. (2) Giovanni Pontano ed i suoi tempi, 1. I, p. 319 e segg., Napoli, 1874. Notisi che qualche sospetto l’aveva già avuto il Colangelo. (3) F. Torraca e L. Viola, Intorno a V orazione di G. Pontano a Carlo Vili, due epistole di G. Pontano e P. Caracciolo, pubblicate per le noz\e Romano-Pignatari, Roma, Regia Tipografia, 1881. (4) In Fanfulla della Domenica, anno IV, n. 31. ($) Giornale napolitano della Domenica, anno I, n. 32. (6) L’orazione del Pontano a Carlo Vili, in Studi di storia letteraria na-politana, p. 301-337, Livorno, 1884. 112 GIORNALE LIGUSTICO Ma di altra orazione del Pontano a Carlo Vili» oltre quella del maggio, nessuno sa, sicché il problema invece di trovare la sua soluzione, si complicherebbe ancora. D’altra parte negar fede al Pistoia non è possibile : contemporaneo non solo, egli scrive le sue poesie politiche giorno per giorno, e come lo mostra questo studio stesso, è quasi sempre esattissimo. In conseguenza si verrebbe gü a questo dilemma: o il Pontano recitò due discorsi al re di Francia, o, se ne recito uno solo , è piuttosto da ritenersi che 1 abbia recitato nel febbraio, che nel maggio. Ma c’è di più- il si" lenzio su questo discorso del febbraio, da parte di tutti gli storici che accennano a un discorso del maggio, esclude la ipotesi di due discorsi, cosichè bisogna conchiudere che il Guicciardini non calunniò punto il Pontano, solamente ritardò troppo il fatto, confondendo la cerimonia dell entrata in Napoli di Carlo Vili con quella della sua incoronazione. Vili. Se eccettuiamo P accordo del re di Francia con Obbietto del Fiesco, cui del resto il Pistoia non accenna, in questi mesi che seguono la battaglia di Rapallo non avvengono casi notevoli che riguardino la storia genovese. La rapida conquista francese aveva insospettiti tutti i potentati italiani. San Marco non si fida, e ’l biscion teme, la volpe è trista, e ’l lupo pensa male (i) la lepre teme, e ’l coniglio ha paura (2), e in questo stato di cose si pensava già a formare una lega per rimandar Carlo Vili nel suo paese. E Lodovico il Moro (1) Renier, Son., 322. (2) Idem, 323. giornale LIGUSTICO 113 era fra i promotori della medesima, sperando che il re, messo alle strette per avere il suo aiuto, avrebbe lasciata Pisa a lui e lestituite Pietrasanta e Sarzana ai Genovesi (1) che le agognavano tanto, come ricorda il nostro poeta: Genova aspetta la restituzione, chè a Sarexana e a Pietrasanta aspira (2). Allora Carlo Vili abbandonò Napoli , e ritornando per la via dond’ era venuto, al Taro Passò il Re franco, Italia, a tuo dispetto, cosa che non fe mai ’l popul romano, col legno in resta e con la spada in mano, con nemici alle spalle e innanti al petto (3), mentre il Duca d'Orleans s’ impadroniva per sorpresa di Novara e di là minacciava tutto il Milanese (4). Perchè il Moro cominciò a desiderare la pace con Francia, e riuscì facile al Comines , il quale dal re , che la desiderava egli pure, era stato incaricato di ciò, entrare in trattative con lui. Pertanto tra Bolgari e Camariano, a mezza strada da Novara a Vercelli, convennero i delegati dello Sforza e di Carlo Vili e prima segnarono una tregua, poi parlarono addirittura di pace. Ma v’erano alcune gravi questioni: l’una riguardava Novara che il re voleva rimettere non direttamente al Moro, ma, come feudo imperiale, agli ambasciatori dell’imperatore Massimiliano, l’altra era per Genova che Carlo Vili pretendeva non solo fosse riconosciuta dal Moro come feudo francese , (1) Guicciardini, 1. II, p. 90. (2) Renier, Son., 327. (3) Idem, 324. (4) Guicciardini, 1. II, p. 97 e segg.; Giovio, 1. II, p. 63 e segg.; Bel-cario, 1. VI, p. 162 e segg.; Cagnola, p. 196 e segg.; Sanudo, p. 383 e segg.; Comines, Vili. 4 e segg. Giorn. Ligustico. Anno XV. e 114 ma ancora gli venisse consegnata, per poter di là soccorrere i presidi lasciati nel Napoletano e rinnovare a suo piacete l’impresa (r). Presto però il re smise ogni pretesa ìiguardo a Novara, sicché l’unica difficoltà che opponevasi ognora alla conclusion della pace era la question genovese. Tale era la condizione delle cose sul finire del settembre del 1495, condizione che il Pistoia ritraeva mirabilmente in un sonetto, non dimenticando neppure il dispetto che Venezia avrebbe avuto della conclusione della pace senza di lei, dispetto accennato copertamente nell’ ultimo verso: Ciascun fermo si sta dentro a la sbarra, Marte al presente tra la tregua giace, il nimico pò dar come gli piace, per quattro dì vittuaglia a Noarra, con gli asini, coi muli e con le carra. Il gallo franco vói Genova in pegno per poter ir a Napoli a sua posta, e ritornar sicuro nel suo regno. Rispondegli il biscioli a la proposta : che s’ el v’ ha il cor non vi faccia disegno, perchè la importa molto e troppo costa. Aspettasi risposta, la qual nasca di bocca al re di Gallia non forse grata a alcun maggior de Italia (2). Ma poco importava allora a Lodovico degli sdegni vene-neziani, e ben sapendo di poter dire La pace è quella che mi salva il regno (3), (1) Guicciardini, 1. Il, p. 123 ; Comines, Vili, 16. (2) Renier, Son., 329. (3) Comines, Vili, 18; Guicciardini, 1. II, p. 124; Giovio, 1. HI, P· 9^? Malipiero, p. 392; Rucellai, Commentarii, p. 91; De Cherrier, Histoire GIORNALE LIGUSTICO 115 rispondeva a tutti: Chi vói guerra la faccia a suo piacere (4), e a Vercelli il io ottobre concbiudeva un trattato pel quale gli era restituita Novara e riteneva Genova, ma come feudo francese, non rimettendo altro che il Castelletto per sicurezza delle truppe francesi che da Genova dovevano soccorrer Napoli , e questo neppure al re stesso , ma al duca Ercole di Ferrara, che non doveva rimetterlo a Carlo Vili se non quando Lodovico il Moro violasse i capitoli della pace. IX. Chetati i clamori che questa pace sollevò in tutta Italia, cacciati i Francesi dal Napolitano e ristabilitovi dalle armi di Consalvo e degli Spagnoli il legittimo re Ferrandino, più non occupava l’attenzione degl’Italiani altra guerra se non quella di Pisa. La città, stanca della dominazione fiorentina, profittando della discesa di Carlo Vili e delle tergiversazioni di Pier de’ Medici, era insorta, come ognun sa, e combattevasi allora aspra guerra tra essa, che voleva conservare la ricuperata li- ete Charles Vili, t. II. Il testo del trattato fu pubblicato prima dal Go-defroy, Observations sur l’histoire de Charles Vili, p. 722 e segg., e poi riprodotto da altri. (4) A questo proposito è curiosissima una lettera inedita del celebre umanista Michele Ferno a Lodovico il Moro {Archivio di Stato di Milano: Autografi, Letterati, Ferno), in cui gli narra delle mormorazioni che si facevano a Roma per la pace fatta dal Moro con la Francia, della difesa fatta dall’ oratore sforzesco e della parte da lui stesso presa alla medesima. Mi riservo di pubblicare per disteso tutta la lettera nel lavoro che sto scrivendo coll’ amico Angelo Badini Confalonieri su Giorgio Merula e le baruffe letterarie nel Quattrocento. 11 6 GIORNALE LIGUSTICO i sua signoria» berti, e Firenze che cercava rimetterla sotto ia c jj Il Cammelli, nato a Pistoia , altra terra che mal p ‘ nlte nella sua giogo di Marzocco, inclina pei Pisani, e più vo ^ temente poesia si fa a rincorarli e ad esortarli a resistere v0ienza sperando nell’aiuto o almeno nel favore e nell·1 j56? ssUine. degli altri Stati italiani, le cui idee in proposito cosi Attienti Pisa, or che libera sei; chè ’l Leon è troppo rapace fiera ; San Giorgio t’ ama e ancora la pantera, attendi pur a far quel che tu dèi. La biscia guarda e fa pur capo a lei, e nel tuo Carlo re di Francia spera, quando ventila al ciel la sua bandiera di’ : Refondator mio, memento mei. Fallo pur secondar di loco in loco con questa santa e pietosa orazione; dura, perchè chi dura vince al gioco. E prima che tornar sotto al leone fa di te stessa un sacrifizio al loco e di’ con tutti i tuoi : Mora Sansone ! Perchè vói la ragione eh’ ogni conato faccia una cittade per conservar sua cara libertade (i), i f-intO odio Che Genova amasse Pisa par cosa strana, dopo che le due repubbliche s’ erano un giorno portate, nia P il Pistoia non ha torto di scrivere : San Giorgio l perchè se proprio non era amore vero, era però comuna d’interessi e d’inimicizie. E difatti altrove il poeta stesso, °P aver detto: Pisa che ne di’tu? ti dico male, tu rispondi; Firenze è disperata; noi siam due su le spalle d’un sensale; 1’ una è venduta, 1’ altra è mercantata, (i) Renier, Son., 336. GIORNALE LIGUSTICO 117 aggiunge : Gienova ride e guata, che lieta nel suo danno ognor si specchia per la vendetta della ingiuria vecchia. Marzocco, or t’ apparecchia a nova febbre, a più perversa sorte che dove il sol non è regna la morte (i). Genova non poteva ancora rassegnarsi alla perdita di Sarzana e Pietrasanta, e sperava quandochesia ricuperarle fra quei torbidi, e almeno godeva intanto la feroce voluttà della vendetta, vedendo travagliata Firenze. Di qui il suo interessarsi per Pisa, la quale, per quanto ridotta in mal punto, perduto Vicopisano e assediata Riparatta, proprio « all’ olio santo » come dice il Pistoia, aveva giurato più tosto che a Marzocco andare in mano, di darse in carne ed ossa al dio Vulcano (2). Ma mentre Venezia e Milano ingelosiscono tra di loro per quel pomo di discordia di Pisa e sempre Il re degli animali, alato mostro, guarda da la Adriatica finestra se a man sinistra vede od a man destra per dir di quel de altrui : Questo xe nostro. Ad un manda denari, a un altro inchiostro, per far col cazzo in man la sua minestra ; ma l’angue ognor fra i piè se gli incapestra dicendogli: Misèr, quel non xe vostro (3), moriva Carlo Vili e il nuovo re di Francia s’ apprestava a scendere in Italia aspirando non soltanto più al Napolitano , (1) Renier, Son., 343. (2) Idem, 355. (3) Idem, 360; Cappelli e Ferrari, p. 9. 11S GIORNALE LIGUSTICO ma al Milanese e al Genovese ancora. Il Pistoia avvertiva i principi italiani: Altro non resta in bandolo a dir se non che Italia aspecta il re dì Galia con una gran penuria; la Insubria, la Liguria ne porteranno il carico; chè a Milan serà scarico il mortai furor gallico (i), e fieramente amtnonivali a buttar via le male discordie e i meschini e gretti rancori : Ecco ’l re de’ Romani e ’l re de galli, l’un per offender vien, l’altro in aiuto; prepara, Esperia, il tuo ricco tributo per pagar condottier, bande e cavalli. L’ arme ricorderà gli antichi falli : spesso il vincitor vinto è dal perduto, sia pur con Dio I Io non sarò creduto, se non quando i padron seran vassalli. Pensa al tuo fine, Italia! Italia gudrti! L’ aquila e ’l gallo dubito, ti dico, eh’ ancor s’accorderanno a deciparti. L’ un ti domanderà il tuo censo antico, l’altro la fede e i tuoi tesori sparti, Napoli e la vendetta del nemico. Se Marco e Ludovico non apron gli occhi a giustar questa soma in breve si dirà: Qui fu già Roma, e 11 Vinegia è doma; Gienova in cener tutta si riserba, Bologna rotta e Milan fatto in erba (2). (1) Capelli e Ferrari, p. 26. (2) Renier, Son., 339, GIORNALE LIGUSTICO 119 E il suo modo di pensare era diviso dai migliori; ma Venezia disposta a « vegnir a la guerra con Milan per caxon di Pisa» (i); si alleava con Francia e il 25 marzo si pubblicava il trattato di Blois (2). Nell’ agosto cominciava la guerra: facevansi pronostici con mezzi di negromanzia e con-chiudevasene che '1 duca di Milan perderà il regno (3). Nè tardava la profezìa ad avverarsi. Gian Giacomo Tri-vulzio , maresciallo di Francia, occupava il forte castello di Arazzo nell’ Alessandrino e poi anche Valenza , mentre Nicolò Orsini conte di Pitigliano, generale veneziano, passato l’Adda, si spingeva fin sotto alle mura di Milano. Addi 30 agosto la città tumultuava, il i.° settembre il Moro fuggiva per la via di Como in Germania presso l’imperatore Massimiliano, e tutto il ducato veniva in mano dei Francesi (4): Persa Alessandria, Novara e Tortona, Milano, Conio, Piasenza e Pavia, Lodi e Parma con lor di compagnia, Gena, rivera e la bella Savona. (1) Sancdo, Diarii, t. I, p. 984. 12) Idem, t. II, p. 547-572; Guicciardini, 1. IV, p. 213. (3) Renier, Son. 379, (4) Guicciardini, 1. IV, p. 226 e segg.; Sanudo, Diarii, t. II, p. 1088 e segg.; Bembo, Historia Veneta, 1. IV, p. 86; Nardi, Storie Fiorentine, 1. III; Senarega, p. 566; Prato, Storia di Milano, in Archivio Storico Italiano, Serie I, t. Ili, p. 222 e segg.; Belcario, 1. Vili, p. 333; Mali-piero, p. 561 ; Ripamonti, Hist. Med., 1. VII in Grevio, Thesaurus antiquitatum et historiae Italiae, t. II, parte I, p. 655-660. Vedi pure De Rosmini , Storia di Milano, t. Ili, e Vita del grande Gian Iacopo Trivul-\io, t. I. 120 GIORNALE LIGUSTICO X. La caduta di Lodovico il Moro fu il principio della rovina d Italia: i mali che la discordia nostra aveva fatti prevedere al Pistoia si avverarono tutti l’un dopo l’altro. E così ancora accadde a Genova, la cui mala ventura, come quella delle altre città italiane, aveva più volte pronosticata il poeta no stro. Abbiamo già veduto nel famoso sonetto Ecco il re de’ Romani e il re de’ galli il verso : Genova in cener tutta si riserba (i) ; altrove, tornando sulla medesima idea, dice: Alfea sotto a Marzocco si ripone, Gena e Partenope in grembo a Vulcano (2), e: Mantoa e Zena tutte andranno in giuoco (}), e ancora: Gena e Bologna son coi capi in giù (4), e, in forma di domanda e risposta: — Genova, e tu? — Tacere al tempo vale — (5)· (1) Renier, Son., 339. (2) Idem, 342. (ì) Cappelli e Ferrari, p. 12. (4) Renier, 348. (5) Idem, 385. giornale ligustico 121 Difatti, malgrado la visita fattale da re Luigi XII nel 1502 e le feste eh’ ebbero luogo in quella circostanza (1), Genova ebbe presto ad essere malcontenta della signoria francese, e tanto che nel 1506, morto già il Pistoia, la città insorgeva e per poco non cacciava gli stranieri. Ma le artiglierie del Castelletto, tenuto sempre da loro, cominciavano a giocare ; sopraggiungeva in persona re Luigi con tutto il suo esercito e il 29 aprile 1507 rienttava in Genova vincitore. Abbruc-ciate le convenzioni della città con Milano, pur concedendo di nuovo qualche privilegio ; obbligatala a pagare 200,000 scudi; puniti di morte i capi degli insorti, anche Genova, dopo Milano e Napoli, sentiva la verità delle previsioni del poeta che aveva esortato tutti i principi e le repubbliche nostre a formare una sola lega contro lo straniero, non ascoltato pur troppo, perchè tale era il destino d’Italia. Ferdinando Gabotto. L’INCATENATURA DEL BIANCHINO. (Nuove ricerche) Il luglio del 1880, nel Giornale di Filologia Romania diretto da Ernesto Monaci, io in un articolo intitolato: Cannoni ricordate nell' incatenatura del Bianchine, pubblicai quanti documenti ad illustrazione di detta incatenatura mi era venuto (1) Benedetto Da Porto, La venuta di Luigi XII a Genova nel 1/02 nuovamente edita per cura di Achille Neri, Genova, 1885, negli Atti della Soc. Lig. di Storia Patria, ΧΠΙ, 907. Notevole sopratutto la prefazione dell’ editore. 122 GIORNALE LIGUSTICO fatto di trovare. Oggi, dopo quasi otto anni, ritorno in campo con nuovi studi e con nuovi documenti ; accarezzato dalla convinzione che più poco oramai resti da aggiungere a quanto io con molta fatica ho raccolto, consultando più sPe' cialmente libri di musica, i quali, come è chiaro, sono i naturali serbatoi di quelle canzoni che alla musica in particolar modo dovettero la loro fortuna presso il popolo nostro. Qualche altro ricercatore voglia, quando che sia, riparare alle poche lacune da me lasciate. Ora avverta il lettore che questo studio è fatto tenendo davanti e l’incatenatura del Bianchino come fu riprodotta dal d’Ancona (La poesia popolare italiana, Livorno, p. ioo e segg.), e il mio lavoro sopra ricordato. I, II. Per la i.a canzone, quella del Gobbo Nati, nulla ho da aggiungere al primo studio. La 2.1 canzone ricordata che è quella che incomincia : Vola, vola, pensier, fuor del mio petto; vanne veloce a quella faccia bella della mia chiara stella, dille cortesemente con amore; — Eccoti lo mio cuore —, fu nel mio primo articolo riportata intera, traendola io dal codice riccardiano 2845, dei primi del Secento, ricordando in pari tempo che la si stampava ancora in un libretto pel popolo chiamato Ardor d’amore. A quest’ultimo proposito, avrei dovuto notare con più diligenza che qui è messa fra altre villanelle, sotto il titolo : Battaglie d’amore, e con una strofa di meno. Ora, debbo aggiungere che si trova citata in una incatenatura che io già pubblicai di su un codice, pure riccardiano, pure dei primi del Secento, nella Biblioteca di letteratura popolare, I, 117; e che, intera si ritrova spesso nei giornale ligustico 123 codiai scritti sullo scorcio del secolo XVI e i primi del XVII. (E a questo tempo voglio d’ ora in poi che siano attribuiti i codici senza indicazione di secolo). Cosi si trova nel Palatino E. 6. 5. 3, ove (e ciò è prova della sua voga) è ancora tramutata. Curioso è il trovarla poi nel palatino (Catal. Bartoli) 224, attribuita al Tasso: ma non fa punto specie incontrarla, mascherata in laude, nella Raccolta del Guiducci, Firenze, 1614. Ripublico la tramutazione e la laude che già misi nella citata Biblioteca ecc., I, 212; TRAMUT AZIONE. Vola, vola, buon frate, alla cucina, vanne veloce al cuoco e alla padella, e con dolce favella dilli cortesemente e con prestezza : — Deh, facci una frittata in gentilezza. — 5 E mentre col soave e dolce burro cocerà 1’ ova (te ne pigli assai), cosi tu gli dirai : — Piglia un boccale e vattene in cantina, empito di bon vin poi va in cucina. — 10 E se col lampeggiar del troppo foco abbruciar tu vedessi la frittata, deh, d;ìgli una voltata, poi mettila in un piatto a custodire, e con le mani potrai lei benedire. 15 Cosi tosto da noi ritornerai la frittata arrecando pane e vino. — Allora il buon fratino non tardò troppo con la sua tornata, — Ecco, dicea gridando, ho la frittata. — 20 E noi ce la godemmo in santa pace, nè fu fatta da noi una parola: contenta fu la gola ; licenzia addomandiamo al padre pio; allor disse il buon frate: — Ite con Dio. __2^ 124 GIORNALE LIGUSTICO La finale è una scappata del tramutatore, e l’ultima stro a un suo capriccio di più, chè manca nella canzone origina e, e manca nella laude che quella strettamente contraffaceva. LAUDE AL CROCIFISSO Vola, vola, pensier, fuor del mio petto, vanne veloce a pie’ del mio Signore , e con un gran fervore davanti gli starai umile e pio al mio Signore e Dio. E mentre che pendente il mirerai in croce fisso per 1’ umana gente — O padre onnipotente, dirai, perdona a questo tuo diletto pien di vizi e difetto. E se cotanto tempo t’hanno offeso, or ti chieggo , Gesù , pace e perdono, se non che in abbandono 1’ alma n’ andrebbe al precipizio rio ; , . 15 sie , tu, benigno e pio. Così sperando aver da te salute pel sangue che spargesti su la croce, io grido ad alta voce: deh non ci gastigar col tuo potere; . . 20 signor mio, miserere. — III. Sulla terza canzone citata nell’ incatenatura, la Violina, io nel mio primo articolo mi fermai lungamente. Se ci fosse bisogno di confortarne la popolarità, si potrebbero qua e li spigolare molte testimonianze; massime nel Croce. Per esempio, nei Trionfi fatti nel dottorato di Marchionne Pettoìa (in Bologna, st. dei primi del sec. XVII), si dice che Marchionne in quattro mesi, et io fui presente, imparò tutta la Violina a mente. GIORNALE LIGUSTICO 125 Dal Dizionario della linguas’ imparano altre cose : « Violina di gergo — Mormorazione fatta fra sè, Borbottamento , onde Dir della Violina, detto fiorentino che vale: Dir del male fra se medesimo, Taroccare, Entrare in collera », e di rimando a « Dire della Violina: Dire parola d’imprecazione, o simili fra sè medesimo (forse come diciamo: Cantarla o suonarla ad uno ; perchè Dire della violina è come Dire a suon di vivuola. Modo assoluto). Malmantile IV, 69 : Pensa s’allor mi venne la rapina, E s’io diceva della violina ». Se il Dizionario abbia intera ragione intorno all’ origine del motto , io non so dire : in quanto al significato, certamente. Le canzoni della Violina, sono per 1’ appunto nel più numero un continuo rimbrottio del vecchio padre che assale a parole la figlia sua colpevole d’amore, e un continuo schermirsi aspro astuto e sarcastico di questa. E mi lascia pertanto meglio persuaso che se io abbia avuto ragione mostrando di credere che il nome Violina data in antico alla protagonista della canzone sia stato suggerito dallo strumento musicale a che il canto era sposato. A proposito poi di alcuni ravvicinamenti da me fatti tra le antiche e le moderne violine, scrisse già un articolo dotto e cortese il signor T. Cannizzaro nello stesso Giornale di Fihlogia Romania (vol. IV, fase. 3, 4), ribattendo alcune opinioni da me espresse sui detti ravvicinamenti, o parentele che dir si voglia. A lui parvero più apparenti che sostanziali; esprimendo l’idea che il nome potrebbe essere provenuto alla ragazza che dà il nome alla canzone, dal lividore delle labbra, simulante le viole, cagionato dal trovarsi incinta, e confermando 1’ asserto con tre varianti siciliane da lui raccolte : 0 labbra ’nviulati, Viulina. Hai li labbra niuri, Viulina. Hai li labbra russi, Viulina. 126 GIORNALE LIGUSTICO Per le quali cose e per altre ancora indagate con acume, rimando al luogo citato il mio lettore. Io intanto ìiporto un’ altra canzone che nuovamente entra, benché con varietà, nella famiglia delle Violine del Cinquecento; tratta dal codice riccardiano 2977. Udito ho una donzella un giorno lamentare, (cosi leggiadra e bella che forse non ha pare) perchè il padre gli vuol dar per marito $ un vecchio rimbambito eh’ in pie’ non può più stare. Piangea la sconsolata dicendo forte: — Aimè, qual più disventurata si può trovar di me ; perchè mia sorte un vecchio mi destina ? Posso ben dir meschina Questa mia vita sia. — La madre sua pietosa I<* 1’ attende a confortare : — Figlia, tu sarai sposa d’un vecchio d’ alto affare, qual è molto stimato dalla gente , 1 » 20 ed è ricco e potente, che non t’ è per mancare. — La figlia disperata non ha conforto in sè, ma dice : — O madre ornata , ragione avete a fe’ 1 2 5 la barba argento e ’l viso d’ oro fino, son gli occhi due rubbini : purtroppo ricco gli è ! 5. Coi.·, perchè suo. — 10. Cod.: più disavventurata. 127 Ma io ho deliberato più tosto di morire 30 che mai vedermi a lato un tal mostro venire. b ver ch’io voglio entrar ’n un monistero, e tutto il tempo intero di mia vita finire. — 35 In questo giugne il padre e sente contrastare: si rivolta alla madre e dice : — Ch’ è da fare ? — Lei risponde: — Tua figlia si tormenta 40 perchè non si contenta un vecchio di pigliare. — Il padre si rivolta con collera e furore e dice : — O matta stolta , 45 non far più questo errore Deh fa quel ch’io ti dico che egli è coni’ un signore. — Risponde la figliuola : 50 — Padre, non lo vuo’ tóre, Potete per la gola cosi appiccarne ancora, vuo' più presto pigliare un giuvinetto discalzo e poveretto 55 eh' un vecchio carco d’ oro. — Risponde il padre mesto: — In quanto al mio potere io per me ti piotesto di lare il tuo volere. Darotten’uno come tu lo vuore; ma se tu stenti poi, di me non ti dolere. — 128 GIORNALE LIGUSTICO IV. Per la 4.1 canzone , Girometta, rimandai il lettore ad un altro mio articolo su un centone intrecciato tutto di principi di canzoni popolari pubblicato nel Propugnatore del 1S80. Quivi a pag. 7 avevo riportati alcuni pezzi del Croce per accertarne la popolarità ; e a pag. 24 e segg. avevo trascritto la canzone intera tale e quale si trovava in una stampa antica tra una fitta raggiera di errori di stampa: e nel mio nuovo studio poche cose aggiungevo di nuovo, per conchiuderc che era conosciutissima ancora nel Settecento. Lasciando a parte il Croce che la ricorda ad ogni pie’ sospinto, si può accertarne l’antichità rammentando che era già a maturare in quel gran vivaio di componimenti popolari che è la Selva di Orario Vecchi. Mi si permetta di citare il titolo e P indice di questa opera del Vecchi. L’esemplare di che io mi servo è nella Nazionale di Firenze segnato col n.° 114 della Collezione di libri musicali. Titolo : Selva di varia ricreatione di Hotutio Vecchi. Nella quale si contengono Varii Soggetti A }. à 4. à j. à 6. a 7. à S. à cf. & à dieci voci. Cioè Madrigali, Capricci, Balli, Arie, Justiniane, Canzonette, Fantasie, Serenate, Dialoghi, vn Lotto amoroso, Con una Battaglia à Diece nel fine, 8c accomodatoti la Intanolatura di Liuto alle Arie, a i Balli, & alle Canzonette. — Nouamcntc Composta e data in luce. Con Privilegio. — In Venetia Appresso Angelo Gardano. M.D.LXXXX. — (È in dieci parti). GIORNALE LIGUSTICO 129 TAVOLA DELLA SELVA DI VARIA RICREATIONE D’HORATIO VECCHI. Madrigali A 5. Ss desto di fuggir Se tra verdi arbuscelli Al bel de' tuoi capelli De la mia cruda Ahi sorte priva Capricci A 5 Margarita dai corai. Ticb ioch, eh’ è quel Cicirìanda Vinata Prima Je veu le Cerf Vinata Seconda Gitene Ninfe Pauana Gioite tutti Saltarello Trincila Saltarello Mostraua in ciel Tedesca Arie A j Se glii vero Amor opra che puoi Io spero, e temo Non vo pregare Iustinianc A 3. Sanitae allegrila Deb vita alabastrina Mo magari colonna Canzonette A 4. Damoη e Filli Che fai Dori Deh prega Amore So mi ben c' ha la con tempo Aria Fantasia A 4 Senza parole Madrigali A 6 Sovra le lucitT onde Giotx. LtsvsTico. Anno XIV. Ond’ ei par 2. parte Ei altri amorosetti 3. parte Serenata A 6 Tiridola non dormire Sai eh' io ti dico 2. parte. Affrettiamoci. Canzonetta A 6 0 bella 0 bianca. Villotta A 6 Dialogo a 6 Dolcissima mia vita Lotto Amoroso a 7 Chi mette al lotto 0 là Sua ventura 2. parte Hora che ’l crin }. & vit. parte Dialoghi A 8 Ecco Nuntio di gioia Vieni, 0 Morte. Risonanza d’Echo A 8 Echo rispondi Diversi linguaggi A 9 0 messir 0 Patrù 0 disgratiao 2. parte Dialogo A 10 0 felici e cortesi Ecco su l Tauro. Col Ballo per nozze Battaglia d’Amor e Dispetto à 10 Accingeteui lutti Da l’altra parte 2.· parte Ecco Mastro dal campo parte In tanto grida 4,- parte 9 130 GIORNALE LIGUSTICO Qui ò finito Γ indice : ma decifrando le varie parti (ho già avvertito che io ho potuto conoscerle tutte) si trovano altre canzoni, non indicate nell* ìndice. Così sotto i Diversi linguaggi nella parte del Canto vengono poi le canzonette ; La bilia Franceschina e nella parte del T{nonché dtstu che fiistu che voslu e in quella del Basso sotto il titolo: Tedesco dd Mamilio Mi stjr bon compagnon Nel Quinto trovo : Lo Scolare Aggiunto dal Vecchi : Salii Magister 0 dal Ginnasio, aprile ; nel sesto: Il « Fate ben per voi », aggiunto da! Vecchi; nel settimo : Il Grattano, Aggiùnto dal Vecchi: 0 Zeni o Pressori au do au Jo ta bona Sira (i) nell’ ottavo : Il Pedante A y del Vecchi. P. parte : Bene veniat: U voglio far gustar ìa sentita. Seconda Parte: Chi pulsa così nel Jiluculo. nel Nono : La Giromctta del Masentio : Chi t’bà fatto quelle scarpette. Dicevamo adunque che la Girometta è citata dal λ ecchi. Nel Secento fu tanto comune che a chi scrisse il codice Ma-gliabechiano VII, 6iS bastava mettere le note con sopravi il (i) Vorrà dire a v'dò cioè vi do in bolognese: e tutta bolognese è U poesia, cioè di Balanson e del dott. Graziai. GIORNALE LIGUSTICO titolo Gii ometta senza le parole. E nel 1603 (Delie rime piacevoli del Borgogna, Venezia, libro j.°) la Farcia d’ un Genti-jomo vicentino che ha perduto la gratia della sua signora per non sapi> far salti mortali (scritta al medesimo signor Tomaso) si sfoga in questo modo: I resto, presto, fuggite, non vedete 1 alma del buon Ruggero Paladino che vien armata e in man porta le forze d Orlando, per mostrar al cieco d’Adri.-i : Chi t’ ha fatto quelle scarpette che ti stan si ben, che ti stan sì ben , Girometta , che ti stan sì ben? — Me l'ha fatte la Lissandrina che tesse si ben, che tesse si ben , Girometta , che tesse si ben ! — E nella fine del secolo scorso nel Napoletano era nota sott’ altre penne. Nella Posileccheata de Massillo Reppone de Gnanopole (Napoli, MDCCLXXXVIII) si legge: « Ma chi po dicere nio le belle canzone che decettero (le donne) ? chelle de Cecco fujeno cheste : O quante vote la sera a lottardo ghievamo a spasso co tante zetelle ncoppa lo scuoglio de messè Lonardo e Uà faceamo spuonde e ppaselle. Chi t'ha fatte ste belle scarpette? e no l’aje pagate no ! Da dreto me sento chiamare : — Votate, votate e pagale mo ! — Trincole e nmignole lazze e spingole fuse e cocchiare di Menogliano che fa la donna mia che non compare ? GIORNALE LIGUSTICO chesta veramente fu bella.... ». — Ora io ripublico la metta del sec. XVI ripulita e emendata per quanto mi L sut0 possibile dagli errori di stampa (Da una stampa ^c,utuì » MD.LXXXVII. — Vedi il Centone cit., nel Propugnatore: quivi si avverte che le forbici adoperate per levar le penne al libricino, hanno tatto cadere ancora un verso) : CANZONE DI GIROMETTA. — Noi siamo le tre sorelle tutte tre polite e belle, tutte tre d’un gra’, Girometta, tutte tre J'un gra’. — — La più bella e più gioiosa la più bella e più gioiosa venirà con me, Girometta veniri con me. Io metto man al pugnale, io metto man al pugnale per voleiti ferir, Girometta, per volerti ferir. Io ti dono cento scudi, io li dono cento scudi, s’tu li sa contar, Girometta , s'tu li sa contar. — La li conta e li racconta, la li conta e li racconta. — Gie' ne manca un gra’, Girometta . gie’ ne manca un gra'. — 20 5, 6. SL: La più bella e la più. — n, ij. Si.: Io ti dono li cento. GIORNALE LIGUSTICO I33 Torna, torna al tuo paese, torna, torna al tuo paese, tu non fai per mi, Girometta , tu non fai per mi. — Mena , mena in qua il cavallo , mena , mena in qua il cavallo , che voj su montar, Girometta, che voj su montar. — Abbandonato ho padre e madre, abbandonato ho padre e madre , per venir con ti , Girometta, per venir con ti. Io mi compro un par di scarpe, io mi compro un par di scarpe, che mi stan pur ben , Girometta, che, mi stan pur ben. Me Γ ha pagate ’l mio amore, me 1’ ha pagate ’l mio amore, che mi voi gran ben, Girometta, che mi voi gran ben. Io mi compro un par de pianelle , io mi compro un par de pianelle, che mi stan pur ben, Girometta , che mi stan pur ben. Me 1' ha pagate ’l mio amore , me Γ ha pagate ’l mio amore , che mi voi gran ben, Girometta, che mi voi gran ben. 29, 30, St.: Si deve leggere ’bbandonato? — 41, 42. C più. Forse pronunziavano : un par d'pianelle, 3° 35 40 4S ’è una sillaba di *34 GIORNALE LIGUSTICO Io mi compro un par di calzette, io mi compro un par de calzette, che mi stan pur ben, Girometta , che mi stan pur btn. Me l’ha pagate ’l mio amore, me l’ha pagate ’l mio amore, che mi voi gran ben, Girometta, che mi voi gran ben. » Io mi compro un par di poste, io mi compro un par di poste, che mi stringan ben , Girometta, che mi stringan ben. Me Γ ha pagate ’l mio amore, me Γ ha pagate ’l mio amore, che mi pompeggia ben, Giromcita, che mi pompeggia ben. Io mi compro una bella vesta, io mi compro una bell» vesta, che mi sta pur ben, Girometta, che mi su pur ben. Me 1’ ha pagata ’l mio amore, me 1’ ha pagata il mio amore, che balla pur ben, Girometta, che balla pur ben. Io mi compro una bella centa, io mi compro una bella centa, che mi stringe ben, Girometta, 75 che mi stringe ben. 49, $0. Cfr. la nota ai versi 37, }8. — 57. Che sono le posU ? 63. Gli ultimi due versi del teiraslico pare non abbiano un metro subile. Ma già non pare Γ abbiano (almeno per Γ antico editore) nò pure i primi. 55 60 GIORNALE LIGUSTICO ISS Me l’ha pagata ’l mio amore, me 1’ ha pagata ’l mio amore, che mi voi gran ben , Girometta, che mi voi gran ben. Io mi compro un bel scopazzo, io mi compro un bel scopazzo, che mi sta pur ben, Girometta, che mi sta pur ben. Me 1’ ha pagato ’l mio amore , me l’ha pagato ’l mio amore, che mi voi gran ben , Girometta , che mi voi gran ben. Io mi compro una collana, io mi compro una collana, che mi par pur ben , Girometta, che mi par pur ben. Me Γ ha pagata ’l mio amore, me 1’ ha pagata ’l mio amore, che di me conto si tien, Girometta, che di me conto si tien. 80 85 90 95 Io mi compro un bel scuffiotto, io mi compro un bel scuffiotto, che mi sta pur ben, Girometta, che mi sta pur ben. Me 1’ ha pagato ’l mio amore, me l’ha pagato ’l mio amore, che mi voi gran ben, Girometta, che mi voi gran ben. Io mi compro un zibillino, io mi compro un zibillino, che mi par pur ben, Girometta. che mi par pur ben. lou 105 6 GIORNALE LIGUSTICO Me Γ ha pagato '1 mio amore , me Γ ha pagata Ί mio amore, che mi voi gran ben, Girometta, che mi voi gran ben. — — Noi siamo le tre sorelle, tutte tre polite e belle, tutte tre d’ un gra', Girometta , tutte tre d' un gra'. LA GIONTA. Viva, viva Girometta. Noi siamo tre sorelle tutte tre polite c belle, de una prole cosi detta. Viva, viva Girometu. Noi siamo gigli e rose rosse, e bianche come un latte ; tanto belle tanto vistose che da tutti siamo amate, che ne voi per spose ornate Viva, viva Girometta. Noi abbiamo dei occhi in testa, più del sol ognun riluce, da tener in gioia e in festa ogni re principe e duce : chi si specchia in nostra luce vede la beiti perfetta. Viva, viva Girometu. 8. Qui pure il verso cresce di una sillaba. giornale ligustico X37 Ogni nostro viso bello, 20 bello vago almo e decoro fabbricato col penello d* un sottil e bel lavoro di far dir — Ahimè che moro — eh’a mirarne si diletta. 25 Viva , viva Girometta. De diamante e de rubini nostri labri e’ bianchi denti, da invaghir i dèi divini, da fermar i fiumi e i venti 30 orsi tigri e fier serpenti : dolcemente ognun ci aspetta. Viva, viva Girometta. Girometta medicina d’ ogni nostra acerba pena , 3 5 Girometta peregrina, Girometta alma e serena, Girometta suave e amena dolce cara e graziosetta ! Viva , viva Girometta. 40 Girometta , col tuo vento spengi la mia barca a riva ; Girometta mio contento. Girometta è la mia diva ! cosi ognun, se ’n altro schiva, 45 de noi sona la trombetta. Viva, viva Girometta. 38. Suave di due sillabe; ve n'è qualche esempio. Anche nel Medici, parmi. 45. St.: itti. i3S GIORNALE LIGUSTICO V, VI, VII, vili, IX. A quanto scrissi nell’articolo più volte citato, sulla 5·* canzone e sull* 8.* e sulla 9.* ricordate dal Bianchino, nulla ho da aggiungere. Per la 6.*, debbo dire che non ho ancora trovata lezione migliore di quella che riportai. Credo tuttavia dover accomodare il testo degli ultimi tre versi in questo modo : l'arem ridire : do, ri, mi, fa , fin eh' al tugurio si giunga l’armento si munga, che sazio è gii. La 7.» mi è ancora sconosciuta. X. Non così mi è sconosciuta la 10.* canzone. Facendo un po’ troppo a fidanza sulle storpiature alle quali ni’ immaginavo che il Bianchino, per amore del rigore metrico della sua canzone, assoggettasse le strofe popolari , io mostrai di dubitare che questa canzone : Se mia sincera fede i degna di nurcede fenili siete, signera, sì cruJek a un amante, che i si fuiele, non fosse altro che una riduzione cervellotica dell’ altra che incomincia : Io ti servo e son Jedile ecc. Ed ebbi torto. Del quale torto in parte fu causa la poca stima che io aveva del Trucchi; onde poco lo consultavo. Esagerata anche questa non curanza, s’intende, appunto perchè se il Trucchi scambia una lepre spesso per un capriolo, non per questo è da torglisi il me- GIORNALE LIGUSTICO T39 rito di annusare e scovare la selvaggina. Se adunque io avessi un po più atteso a quella sua notevole raccolta — inutile citarla , tutti la conoscono — avrei per P appunto trovata a pagina 88 del tomo 4.0 la poesia che faceva al mio caso e mi sarei risparmiato quello sbaglio e questa aggiunta ed emenda. E quante cose argute non avrei io allora potuto saettargli contro? ! E allora molte: oggi (non so per altro se mi basterà P arguzia) bastino alcune. Il Trucchi adunque nelle sue ricerche per le Poesie italiane di dugento autori, fra gli altri codici pose le mani su uno che egli indica come magliabechiano 218 (è nella Classe VII, palchetto 7); il quale non è altro che uno degli innumerevoli codici usciti nei primi decenni del Secento ad uso di quelli che volevano cantare, accompagnandosi colla musica, le poesie di più bell’aria e più in fama. Il codice aveva nel frontespizio Canzoni diverse di madama inaia con un segno di abbreviazione sull’ m il quale si può, volendo , supporre che debba allungarsi fino alla d. Poi contenente in una tavola i Nomi delle sonate della Maria Manadori. E cosi lievi accenni gli furono colonne ad inalzare l’arco sotto cui far passare la trionfante poetessa Maria Manadori ; che egli pertanto aveva scoperta e laureata. Bisogna sentirlo di che lodi la vezzeggia, su che iperboliche lodi la inalza! « La lingua italiana non si vide mai si bella, sì melodiosa, sì dolce, quanto nei versi di questa graziosissima poetessa » bandisce il Nostro, e il Petrarca può andarsi a riporre. Nè gli bastò aver trovata la poetessa, sì le volle dare anche un amante, poiché trovò che « le poesie di Maria sono alternate colle rime di un altro poeta lirico, ma inferiore a lei, senza nome, che pare fosse 1' amante di Maria. Le sue rime verranno dietro a quelle di Maria Menadori ecc. » Buon Tnicchi, un romanzetto a dirittura non è vero ? Io voglio ammettere che il mada in principio voglia dire Manadori ; e voglio essere tanto indulgente ( poi si sa I40 GIORNALE LIGUSTICO bene che debbo tare Γ articolo, in cui per non ann^u^e 1 lettore debbo ricorrere alle risorse della rettorica) col r111-1-da non muovergli rimprovero di non essersi accorto che con nomi delle sonate della Maria si accennava solamente all autrice o alla esecutrice della musica, poiché le poesie nel Cinque e nel Seicento non si chiamavano sonate, e se in princif 10 dice Cannoni di Maria, questo doveva intendersi in ;>enso musicale ; nè voglio largii carico, e sarebbe pigola c0S3 · di non aver posto a mente all’ avviso posto in seconda pa gina « O tu che leggi — ta che non mi chieggi perchè di chi sono — non m’ ha gi.\ auto in dono. — Donato esser non voglio — rubbato (sic) esser non voglio E i(- P13 cesse ad alcuno — Vadasene a comprar uno », che attenta mente letto l’avrebbe potuto mettere in guardia che si trat tava di uno di quei libri di musica i quali, per 1<- difficoltà e le spese di stampare le note, si ponevano in vendita ma noscritti, il che 1’ avrebbe ricondotto per ciò ad una Maria esperta di musica 0 di canto; ma bensì gli taccio colpa, e grave, del criterio che egli mostra aver seguito per Sceverare le poesie di costei da quelle di altri, poiché egli pure si era accorto che a il codice ove esistono le sue poesie non e l’originale, ma si una collezione di vari autori; e vi sono alcune canzonette di Reginaldo Cecchini, e alcune di Ottavio Rinuccini ». Orbene della Menadori confessa il I rucchi stesso « non ci dà notizia alcuna » ; nè v’ essendo d’ altra parte alta prove e fatti che ce la testimonino poetessa, apparisce che il criterio con che il Trucchi scelse la ghirlanda di fiori poetici onde si compiacque di ornarla fu adunque tutto fondato sul suo gusto particolare, e sulla sua erudizione, per cui dice'a. questa poesia non so di chi possa essere e mi par senta della Maria ( la quale egli non aveva mai gustata ) ; questa poi in bocca d’uomo, per certo è dell’ amante. Ma se alcune poesie potevano essere di Lei, pare evidente dovessero essere quelle Ï4I messe fra le cantate a lei attribuite. E il Trucchi le aveva bene osservate se le riportò in parte. Ma tralasciando i balli e le musiche che certo son d’altri, basti fare attento il lettore su queste cantate: La violetta, Mille dolci parolette, dove la prima è certo di Gabriello Chiabrera; e la seconda, con non minore certezza, è di Ottavio Rinuccini. Ancora : alle molte altre canzoni del codice si potrebbe molto facilmente trovare per la più parte la paternità ; parte dandole ai due poeti ora nominati, parte ad altri della scuola toscana-ligure di quel tempo, o riponendole fra le villanelle alla napoletana, e di queste si potrebbero riportare anche gli esemplari che tengono le forme di quel dialetto. Ma la prova più stringente contro al Trucchi si ha dall’esaminare le poesie stesse che egli alla Menadori, e al preteso infiammato di lei, attribuisce ristampandole. Vediamo. La canzonetta Ti parli, e qui mi lasci, o cor mio bello —, è già musicata nell’opera; La nobiltà di Roma. Versi in lode di cento gentildonne romane. Et le villanelle a tre voci di Gasparo Fiorino della città di Rossano ecc., opera che uscì, Nuovamente ristampala, in Vinegia nel 1573; ed è una villanella alla napoletana : e tali pure sono le altre : Sapresti indovinar quel che varrei —, La lurturella piange e si lamenta —, Amor tu m’ hai ferito col tuo strale —, che fin dal 1570 si trovano stampate ih Vinegia, compositore il Gorzanis nel primo libro di Napolitane Che si cantano et sonano in Leuto, Novamente composte da Jaconio Gorzanis Leu-tonista ecc. ; ed esse quattro certo erano passate di qui nei libri toscani di musica. Il madrigale poi Angeliche pupille 1^2 GIORNALE LIGUSTICO si trova nel cod. palatino 249 (Cat.il. Birtoli), cose del Rinuccini : se sia suo , non so, ina nel manoscritto non è incora detto che sia d’altri: l’altro madrigale Amatilii mia bella è invece risolutamente dal cod. palatino 251 (Cat.il. citato) attribuito ad Alessandro Guarino; ma a togliere ogni du 10 che il Trucchi non si sapesse quello che si faceva Sctg »en 0 le foglie d’alloro per la sua poetessa e per 1 incerto suo amante, viene la canzonetta Dj//j periti iT oriente la quale senza dubbio alcuno è di Ansaldo Cebà. E tutto qucst0 lusso di citazioni e di ragioni per venire a dire che b brutta poesia incastonata nei suoi primi versi nell’ incatenatura dii Bianchino non è della Menadori, nò so di chi sia . ma se i musici 0 il popolo hanno dei cattivi gusti in latto di poesia, io non ci ho colpa. Se mia sincera fede è degna di mercede, perchè sete, signor, tanto crudele, a una giovan che v’ è tanto fedele. Forse altra donna tiene * eh’a me non vuoi più bene, e di qui nasce il mio continuo pianto, quale stupisco, ohimè, che duri tanto. i. Coi.: Se la, gii corretto dal Tr. — 3. Cod.: Perchè sete signor mio, corr. da! Tr. — 4. Coi.: ai una giovani; corr. dal Tr. — $. Cod.: donn.i tieni. GIORNALE LIGUSTICO I43 O mio sostegno e scorta , vuoi tu vedermi morta? io s’ altra chioma non lega i sensi tuoi, deli , bello Idolo mio , torna , se vuoi. Rio fatto è stato il mio, poche son 1’ altre o dio a me si ceda sol ma non ti piego. 15 Deh , bello Idolo mio , torna , ti prego. XI, XII. La canzone 11.· forse è intera e sta così come il cieco cantastorie l’ha riportata. La 12.a è tra le musicate dal Vecchi, nella Selva gii cit. Tiridola vieni in letto , sentirai suonar V archetto , dolcemente la viola ; vieni in letto Tiridola (Bianchino) Levandola di sotto alle note, procurerò di racconciarla metricamente. Questa serenata è così vispa, gaia e fresca che è un piacere a cercare di farla rivivere di nuovo. Tiridola, non dormire s’ un bel canto vuoi sentire ; chè si fa la serenata con una bella brigata. Su , su, prest’, esci dal letto, 5 eh’ udirai menar Γ archetto , la viola dolcemente : su dal letto prestamente. i}. Rio fato (?): ma questa strofa è, nei primi tre versi, indecifrabili. 144 GIORNALE LIGUSTICO Leva su, deh non tardare ! chò comencian accordare Γ arpicordo col leuto e ’l lison col cornomuto. tron tren tren tren trin triti tren tren triti triti trin triti triti trin trin trin, Runda, ronda , ronda , rondella, runda, runda, [runda,] la rondinella. Hor fatt’un poco, donna, a lo balcone e ascolta se ti piace, sta canzone : Sai eh’ io ti dico, amorosetta mia , che tu mi rubi il core, quando eh’ a tutte P hore tante mingole tringole fringole tante gnacchare nacchare bacchare tu mi fai. Deh, apri homai, apri un po’ la fenestrella. S’io ti bacio la bocca bella riderella vezzosella non lo dicere a la mamma. Già l’hora è tarda, che la campana suona ; andiane a riposare. A dio, cara patrona. XIII. La 13.* canzonetta è cosi ricordata dal Bianchino: Amar illi piangeva la morte d’ un pastor che le premeva. Essa lo chiama con viso malinconico Jonico , jonico, jonico. GIORNALE LIGUSTICO x45 Il lettore, al quale certi maligni accozzi di parole sono ben noti, si accorge subito che Amarilli non istimava cosa da pastor turbo il morire per lei : chi non é mica una ciancia il morire, E massime il morire daddovero. La canzonetta si ritrova in quello che forse è la più ampia raccolta di bellissime can-Kpndte musicali moderne, di autori gravissimi nella poesia e nella musica; raccolta che fu messa insieme da Remigio Romano e pubblicata in tre parti dichiarate, nel 1622 in Vicenda, appresso Angelo Salvadori libraio; con l’aggiunta di una quarta parte in Venezia nel 1625 , e col contentino di un ressiduo uscito nella stessa città 1’ anno dopo. E dice così : AMANTE MORTO , PIANTO DALL’ AMATA. Cantone in musica Amarilli piangca la morte d' un pastor che gli premea ; ahi, lo chiama con viso melanconico. Jonico. Jonico era il bel nome 5 del pastor, che per lui le belle chiome stracciando lo chiamava ir: pianto erronico: Jonico. Non cessano gli stridi che corsero i pastori a gli suoi gridi. 10 Credendo esser chiamato, venne Clonico. Jonico. Mentre piangendo andava appresso al corpo morto s'accostava : Invan lo chiama, non si desta Jonico. 15 Jonico. Gioxx. Ligustico. Anito XP. 10 146 GIORNALE LIGUSTICO XIV, XV, XVI, XVII. Per le due prime, vedi il mio articolo; per la 16.a rlPet0 ciò che I10 osservato a proposito dell’ u.\ che così come c indicata è forse intera. La 17.1 Caterina dal corallo, lieva su, che canta il gallo ; il gallo e la gallina, la, la diridon, tu gii da me illustrata , riportandola nel modo che si canta tuttora nel veneto ; ciò è in una strofa sola. È una mattinata. Nella Selva del Vecchi è in quattro strofe: Margarita dai corai leva su che eant' i gai. E mi che non ghe penso — la La diridon Me mari è un turluru eh’ al lo sa ben ancha lu. * E mi che non gha penso — la la diridon Me mari è andà a Pavia a comprar la malvasia per far la supp’ a l’Asen — la la diridon Me mari è un zentilhom ; 1’ è da ben ma pover hom : e mi che non gha penso — la la diridon. XVIII, XIX, XX, XXI. Ripeto per la 18.* ciò che ho detto a proposito della 16.1 e dell’ 11.* Per la 19.* e per la 20.* rimando all’altro mio articolo nel Propugnatore, citato. Sull’ultima canzone dico che veramente mi sfuggi (il libro è raro ed io non lo possiedo) che fosse già a stampa nell’ Egeria del Mueller : il quale Mueller non disse donde la togliesse. Ne conosco una redazione nel codice riccardiano segnato 239S di Antonio da S. Gallo. È molto scorretta, come si può vedere. GIORNALE LIGUSTICO I47 Nel Bianchino intuona : E noi ci vogliamo partire da voi, lieti e contenti, perché il nostro desire è di seguir gli armenti: e voi, con passi lenti, seguite; Amor cantando; e nel codice riccardiano si riporta intera in questo modo : Noi ci vogliam partire da voi lieti e contenti [perchè] nostri desiri son di seguir gli armenti: e voi con passi lenti 5 seguite Amor cantando. Se la nostra dimora, o ver nostro viaggio, vi rincrescessi ancora, o ver facessi oltraggio, io incolpate il passaggio che qui ci spinse Amore. Voi benigni signori, (che il ciel vi dia ogni bene) tranquilli in cuore state 15 senza travagli e pene, con quel che si conviene nella felice etate Voi alti abeti et faggi che intorno al loco sete, 20 voi animai’ selvaggi eh’ il canto inteso avete , non so se cognoscete che ci voglian partire. Severino Ferrari. 15. Cod.: tranquilli in cuori : mancando una parola ho aggiunto stale correggendo cuori in cuore. 148 GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ LA PRESA DI GENOVA PER GLI SFORZESCHI NEL Nell’ Archìvio Storico Lombardo (31 dicembre 1SS7. 807), il eh. architetto Luca Beltrami ha pubblicati e 1 ^ . due documenti di un codice Sforzesco della Nazionale . Francesco che si riferiscono al possesso di Genova acquistato uJ QoUlcn-Sforza nel 1464, dopo di averne cacciati i Fregoli- - ^ gono questi documenti « molti particolari tecnici r'°t,nne all’ impiego delle bombarde e al risultato che se ilC nella espugnazione di (corr. del) Castelletto »; e se 1 ^ di vista storico non aggiungono, come riconosce lo stLSS° ^ ^ trami, importanti notizie, ben seppe aggiungetene P1-gregio editore, ricavando da un registro di missi'c alcuni accenni « in gran parte inediti » sui prepara11' dinati dallo Sforza per conseguire P intento. Sia ora p<-a noi di soggiungerne altri, desumendoli da’ codi*-· Du rum negotiorum del nostro Archivio di Stato. . Il conte Gaspare Vimercati spedito alla testa delle n11 ^ ducali, con lettere patenti date in Milano il 2S di m-irzo, quali lo Sforza dichiaravalo generalem et specialem prOi'i,a 1011 et mandatarium nostrum (1 ), se ne era venuto a ( tenendovi alcun tempo il campo in attesa di rinlorzi 11 Lombardia e da Savona. Ma non Paveva già aspettato ! ar vescovo e doge Paolo Fregoso; il quale, scrive il Giustini*!11> « diffidandosi delle cose sue... lasciò in la fortezza di Caste letto Bartolomea, la qual fu moglie del duca Pietro, e I λ'1 dolfo suo fratello con presidio di cinquecento fanti ; ed e-, · (1) Archivio di Stato. Cod. Diversorum a. 1464, nn. 83. 578. GIORNALE LIGUSTICO I49 navigò con alquanti suoi seguaci, con quattro navi delle quali si era insignorito contro la volontà dei patroni ». Conferma il racconto dell’ annalista questa esposizione che il cancelliere Jacopo Bracelli lasciò nel suo registro, in memoriam, datata degli ultimi giorni di marzo, e riferentesi a fatti che ebbero luogo successivamente, fino alla proclamazione del governo ducale. j Mcccclxiiij , in ultimis diebus martii. Cum reverendissimus in Cbristo pater, dominus P(aulus') de Campofregoso, archiepiscopus ac dux ianuensium, relicto palatio publico, in navibus quas paratas habebat se se recepisset post quosdam motus in urbe excitatos; magnificus et prestantissunus comes Gaspar de Vicomercato, ducalis commissarius et procurator, superveniens, maximum civium concilium vocari curavit, in quo translatum tandem est civitatis el districtus dominium in illustrissimum et preclarissimum dominum Franciscum Sfortiam Vicecomitem, ducem Mediolani. Idémque magnificus comes Gaspai constitutus fu t ducalis locumtenens et ianuensium gubernator (1). In quai giorno più precisamente cadesse la fuga del doge-arcivescovo non è detto; ma vedendo negli atti della Signoria che questi a’ 23 di marzo recano ancora il nome di lui (2), e che dal 25 in appresso deliberano soli gli anziani, e facile desumere che egli dovette allargarsi in mare il di 24 (3)· Nè il Vimercati sopraggiunse di corto a Genova ; ma solamente mosse da Corneliano, dopo che Obbietto Fieschi si impadroni della porta degli Archi, certamente calandosi in Bisagno e rimontando di qui, per congiungersi a lui sul colle di Carignano. Il cronista Gian Pietro Cagnola, (1) Arch. cit. Cod. Div. a. 14^4» nn· $3· 578· (2) Arch. cit. Cod. Div. a. 1464-65, ntl· 85· 58°· (3) Arch. cit. Cod. Div. a. 1464-651 nn· 84· 579> IJO GIORNALE LIGUSTICO mandato poco stante dal duca con trecento schioppettieri in aiuto al Vimercati, segnò il t-uto sotto il 13 d’aprile; e notò ancora, che « il sesto giorno di poi », dunque il 19, per opera di Donato del Conte, sceso da Carignano in città, furono snidati i nemici dalla porta dei Vacca, unica tuttavia rimasta in potere di Gian Galeazzo Fregoso che di là salvossi pel primo con la fuga (1). λ eramente il Giustiniani anticipa al giorno 16 questo successo; ma non vi ha dubbio che alla sua relazione è da preterire quella dello scrittor milanese; la quale d’ altra parte trova il proprio rincalzo nella memoria d’ un altro registro cancelleresco, laddove si legge per mano di Nicolò di Credenza: f Mcccclxiiij die xvnij aprilis. Scripture facte tempore magnifici domini Gasparis de Vicomercato comitis sequuntur ut infra (2). Il che vuol dire che proprio in quel giorno la città rimase libera onninamente da’ Fregosi, e il Vimercati, portato di peso in sala grande a Palazzo (come si esprimono ad un modo il Giustiniani e il Cagnola), vi inaugurò di tatto il governo ducale. Di questi avvenimenti egli stesso ragguagliò subito il suo signore, con una lettera alla quale lo Sforza fu altrettanto sollecito di far la risposta cosi : « Ne è stato (1) Giustiniani, Annali, II. 441 — Poco avanti aveva egli provveduto a mettere in salvo gli interessi domestici, come si vede per un decreto del 28 di lebbraio, con cui la Signoria, audito magnifico domino Johanne Ga-leatio de Campofregoso, narrante natam ex se esse et quondam Conslancia fitta qm. domini Palamedis Gataluxii Ennii etc., et uxore sua , filiam nomine Loistnam, que sola heres ab intestato remansit dicte qm. Constande, concede ad esso Gian Galeazzo di vendere a prò’ di detta sua figlia 57 luoghi di S. Giorgio, procedenti per l’appunto dall’eredità di Costanza (Cod. Div. nn. 84. 579). La fanciulla doveva allora essere di tenera età ; sposò di poi Ranuzio d’Antonio, conte di Marsciano, e mori nel ijjo. Cfr. Litta, Fam. Fregoso, tav. IV. (2) Cod. Div., nn. 85. 5S0. GIORNALE LIGUSTICO gratissimo intendere quanto ne scrivi per la tua de di de beri, de la victoria havuta prima di quella casa de’ Centurioni et chiesa di S. Siro, et deinde de la porta de li Vachi » ecc. (i). La casa apparteneva a Federico Centurione, secondo ricavo da un decreto del 4 maggio, con cui la Signoria , deliberando su le istanze da lui presentate , lo dichiarava esente dalla gabella delie possessioni per due estimi consecutivi, ob domum snam sitam in vico S. Siri, que hisce dicbtis adusta fuit per illos qui in arce Caslelleti in presentici sunt, che è un dire le soldatesche de’ Fregosi (2). Come si vede, fra i tanti mali della guerra questo v era almeno di buono, che i danni si riconoscevano e risarcivano presto; mentre a’ di nostri è bazza allorché simili indennità le riscuoton gli eredi. Nè si creda il caso accennato una mera eccezione : provvedimenti conformi si leggono sotto il 19 e ’l 23 dello stesso maggio a favore di Francesco Spinola, per ristorarlo dell’incendio appiccato dagli Sforzeschi al suo palazzo di Corneliano ; in prò’ de’ fratelli Savignone e di Bastiano de Vigevio, pe’ guasti delle lor case in vicinia porte Vaccarum, Puterelli et Sartorie (3). — La via del Poi-carello doveva all’ incirca rispondere a quella che ora diciamo de’ quattro canti di S. Francesco, e che per cagione de’ religiosi abitatori dell’omonimo convento, veniva chiamata volgarmente de’ frati minori (4): la Sartoria, come ho già notato altrove, è l’odierna contrada della Maddalena (5). (1) Beltrami, p. 778. (2) Cod. Div., nn. 84. 579. (3) Cod. Div. a. 1464-65, nn. 82. 577. (4) Atto dell’8 di ottobre 1541, in notaro Giorgio del Ponte: Janue, in contrala ΡοχατέΜ sive fratrum minorum. — Cfr. Poch , Miscellanee, mss. della Civica-Beriana, vol. V, pp. 229. (5) Belgrano, Un ammiraglio di Castiglìa; in Arch. strr.itaL, serie I\ , voi. XIII, pp. S0· I52 GIORNALE LIGUSTICO Rimaneva da espugnare il Castelletto; e poiché a ben condurre P impresa richiedevasi P opera di grosse artiglierie, il duca aveva sino dal '17 d’aprile spediti a Genova Serafino Gavazzo da Lodi, suo provisionato, e Danese de’ Maineri, architetto militare e bombardiere, coll’ incarico « che vedano et intendano se dal canto de qua se potrano condurre boni barde ; perchè quando la via de qua fosse difficile, vedaremo de trovare de le bombarde per altra via » (1)· Ma bisogna dire che la risposta degl’ inviati fosse affermativa, perchè i duca mandò la Corona e la Liona da Pavia, e la Bissona da Milano: appunto tre bombarde di grossa portata, cui il feltrami, su la scorta di una lettera posteriore (2 febbraio 14^)) dice « fuse da certo Francesco Bianco..., quantunque la fama ne attribuisse il inerito al Ferlino ». Se non che dalla citazione che egli fa del Quarenghi (2), ben si comprende come non abbia veduto per esteso il documento; nè vedutolo , mai lo avrebbe affermato scritto dal « castellano della rocca di Castelletto »,-e attribuiio per conseguenza al Gagnola , che veramente esercitava quest’ ufficio. La lettera comunicata dal Caffi al Yarni, e da questi pubblicata nei Ricordi di alcuni fonditori in bronco, reca invece la firma Alexander ; cioè Alessandro da Foligno (Alexander de FulgiMÌs), con cui ci è dato identificarlo ora pei documenti editi dallo stesso BeltramL Completiamo adunque noi i particolari, aggiungendo che la lettera dichiara il maestro Bianco « genovese »; e che nell’ emulo suo è da riconoscere quel Freylino de’ Mer-cadilli da Chieri, del quale discorre il Promis negli Ingegneri militari in Piemonte (3). Del resto, le bombarde testé men- (0 Beltrami, pp. 797. — Sul Gavazzi, vcd. Arcb.stor. lodi gì ano, IV, 159· (2) Quarenghi, Tecno cronografia delle armi da fuoco, par. I, pp. 9η ί}) Cfr. Miscellanea di Storia Italiana, XII. 422; Angelucci, Gli scliiop-pettieri milanesi, pp. 12. Ignoro se Alessandro da Foligno fosse un ingegnere militare anche lui, oppure un a provvisionato » del duca. GIORNALE LIGUSTICO ISS tovate doveano proprio rappresentare P ultima ratio del duca, perocché già del 1453 le aveva egli adoperate contro i veneziani nell’ assedio di Ponte Vico, sì come narra il Simonetta : trinas in aggerem vallumque bombardas Ferlini pedemontani artificis peritissimi et fama clari, opera usus, disponit (1). Arrivaron queste a Genova circa la metà di maggio ; e tosto si provvide a metterle in assetto unitamente a due altre, chiamate Golia e San Giorgina. La quale ultima (e il nome di per sè lo manifesta) era quella certamente che la Signoria, come è detto in un atto del 27 d’ aprile , aveva, magnis precibus, ottenuta a prestanza da’ Protettori di S. Giorgio, e fatta condurre da Pietrasanta, allora soggetta al dominio di quelle Compere, contro la promessa di restituirla illesa o di pagarne il prezzo nella somma di 1500 lire (2). Fu aperto il fuoco solamente nel pomeriggio del 28 di maggio; ma poche ore bastarono, perchè la Bissona e la San Giorgina, battendo il Castelletto dalle alture di S. Nico-losio, facessero larga breccia nel muro della rocca, con festa e alegre^a grandissima de’ cittadini, i quali, a udire il da Foligno, assisteano al bombardamento come a lieto spettacolo. Tuttavia le bombarde seguitarono dell’altro a far opera ma-ravigliosa, finché il i.° di giugno (un venerdì) Bartolomea patteggiò per 14,000 fiorini la resa, e « receuta la somma,... di segreto a tutti i Fregosi, mise la nocte li Sforzeschi in Castelletto, nè se ne intese prima che fu giorno..... Et io che queste cose scrivo (conclude il Cagnaia), fui a tale impresa, e li durai qualche fatica ne la mia giovenile etate, et restai castellano de dieta fortecia, la quale governai fino a la (1) Simonetta, De rebus gestis Fr. Sfortiac; in Muratori , S. R. 1., XXI. 615. (2) Cod. Div., nn. 8}. 578. 154 GIORNALE ligustico morte di esso duca (Francesco), che fu a 8 de marcio 1466 » (1). L. T. Belgrano. I PILASTRI GENOVESI-ACRITANI DI VENEZIA. - ,, Il fascicolo 68 dell’Archivio veneto (pag. 285-309) ci ha recata una bella ed erudita memoria critica del eh. Giovanni Saccardo, su que’ due pilastri marmorei e quel tronco di colonna in porfido, che miransi in piazza a Venezia, dinanzi al fianco meridionale della basilica Marciana, e sono trofei della grande guerra coloniale combattuta tra veneti e genovesi a mezzo il secolo XIII. De’ pilastri aveva già dissertato il Weber in una Lettera ad Emanuele Cicogna, concludendo che stavano nella chiesa di S. Saba dei genovesi in Acri, e servivano a separar la nave dall’atrio, mediante cortinaggi tirati dall’uno all altro, secondo P uso delle chiese primitive. Che appartenessero alla chiesa citata non dice però la Cronaca di Gian Carlo Scivos, scrittore del secolo XVII, nella quale il dotto tedesco mal si appose di trovare il fondamento alla propria spiegazione; perocché il cronista soltanto afferma che Lorenzo I iepolo entrato colla flotta nel porto d’Acri, vinti i nemici e distrutte le loro fabbriche, « fece____caricar sopra d’ una galera doi colonne che erano intagliate a fogliami, quali furono le ba-lestrade (stipiti) d’ una porta de Acre ». E poco stante aggiunge, che quelle bakstrade « erano....... per mezo la chiesa di S. Saba » ; che vuol dire non già in metfo del tempio, ma di rimpetto 0 di fronte al medesimo, tale essendo nella (1) Càgnola, Storia ecc.; in Arch. stor. Hai., serie I, vol. Vili , pp. 165. GIORNALE LIGUSTICO rîî parlata veneziana del tempo dell’ autore la significazione del vocabolo da lui adoperato. Bisogna dunque intendere che i pilastri spettavano ad una porta che fronteggiava la chiesa. Forse potrebbe opporsi la poca autorità dello Scivos, cosi distante dal fatto che egli racconta; ma non va taciuta l’osservazione del Foscarini, il quale ci insegna che la Cronaca di quel secentista è un mero spoglio di altre più antiche. Ecco intanto le parole di un cinquecentista, nella Cronaca attribuita a Daniele Barbaro, le quali meritano di essere riferite, anche per la maggior precisione. Come il Tiepolo ebbe distrutta « la Monzoia fino dai fondamenti fece egli stesso, « levare le balestrate della porta del detto castello (appellato probabilmente Monzoia dal nome del colle su cui i nostri P aveano fabbricato), et un pezzo d’ una colonna di porfido che li genovesi havevano nel mezzo del loro Fon-tico ». Qui pertanto si tratta, soggiunge il Saccardo, « di una porta non di chiesa, non di palazzo, ma addirittura— di fortezza ». Segue poi lo stesso Barbaro, o chi altri si sia, col divisare anche meglio la porla, chiamandola « bocca della Monzoia » ; la qual parola « dà l’idea di un portone molto grande, e ancora del primo portone che conduceva dall’ esterno alla torre » ; in altri termini « la porta che chiudeva il muro di cinta della fortezza, non già la porta della fortezza istessa ». Certo sarebbe più persuasivo il leggere di tutte queste cose memoria nel contemporaneo Martino da Canal. Se non che al silenzio del cronista veneziano, supplisce proprio un’ altra fonte sincrona, di parte avversaria; la quale narrato il fatto con molta esattezza di particolari, conclude che i veneti, rovinate le case della ruga e la torre de’ genovesi , de lapidibus turris et portas turris Vcnecias adduxerunt (i). (i) Annales Genuenscs; in Pertz, Mon. Gemi. Histor., XVIII. 240. IS 6 GIORNALE LIGUSTICO La vittoria del Tiepolo να segnata al 24 di giugno 1258, l nella pace fatta più tardi (1277) fra le due repubbliche, secondo attesta Marin Sanudo il vecchio, tra l’altre dure condizioni imposte a’ genovesi fu pur quella che non potessero più teneri, in Acri corte di giustizia e banditore (praeco) (0· ^ CcC0> che il divieto scritto era stato da’ vincitori precorso col fatto, perocché quel tronco di porfido asportato da essi unitamente alle balestrate, avea giusto servito agli emuli per ^ P^bü cazione dei loro bandi. Nò l’uso di esso fu mutato dai nuovi possessori, i quali seguitarono a giovarsene per farvi gridare i decreti e le leggi; anzi, a crescergli decoro, gli aggiLinS(-r0 la base e la mensola che oggi ancora conserva, e gli accos tarono alcuni gradini, che la bollente democrazia volle demo liti nel 1797. Si noterà che il cronista genovese accenna distintamente alle pietre della torre e alle porte della torre; e anche questo particolare si accorda pienamente colle cronache veneziane, le quali parlano infatti di una grossa pietra delle fondamenta della Monzoia, che il Tiepolo ottenne di serbare per se e murò all’angolo del portico di S. Pantaleone, sul pavimento, dove stette fin oltre la metà del secolo X^ I. ^ la ragione dello averla colà allogata è esposta dal Barbaro; il qualc scrive che il Tiepolo, motteggiato da alcuni suoi parenti e specie da un tal Signolo abitante in campo S. Pantaleone, acciocché se era mai buono a cacciare da Acri i genovesi volesse portar « qualche pietra de li sui edifici », s* ^ 3vca portata e fatta murare in guisa che Signolo « non andasse mai in gesia che el non la vedesse et non ghe zapasse suso ». Continua il Saccardo, mostrando, contro l’affermazione del Selvatico, che i pilastri acritani erano lavorati da tutte le (1) Cfr. Heyd, Hist. du commtrcc etc., I. 350. GIORNALE LIGUSTICO *57 quattro faccie, e che se oggi amo di essi lo apparisce da tic solamente, ciò dipende da un incendio rammentato dal giovine Sanudo (File mss. dei duchi) e scoppiato l’anno 1482. tanto ò vero, che quella faccia scambio di essere liscia , e tutta scorzata e calcinata. Nè li scolpirono i genovesi, il cui primo stabilimento in Acri va riferito al 1104; giacché gli intagli « si rammentano.... ancora dei bei tempi dell arte romana » ; ma devono averli trovati in qualche fabbrica diroccata, forse del sesto secolo, e di là ebbero ad asportarli in servizio della loro torre. Infine ricercando come fossero collocati isolatamente nella Monzoia, opina 1 egregio autore dovessero sostenere la volta di un protiro estei no , del quale è ben probabile non andasse sprovveduta quella fortezza; se di questa potè dire il Canal come non si trovasse en tos li mondes uve tor plus beh ne greignor ne plus defensable. Questa la somma della memoria del Saccardo ; ed io mi sono volentieri affrettato a darne contezza, perchè rammentando di avere altrove preferita la sentenza del Weber, ammessa senza discussione dall’Heyd (1), ne traggo l’opportunità di fare ammenda della colpa da lui solamente apposta ai dotto storico delle colonie commerciali degli italiani. L. T. Belgrano. NECROLOGIO Nell’Assemblea delia Società Ligure di Storia Patria, del giorno 11 Marzo, ilSegretario generale prof. Belgrano, commemorò i soci defunti dopo 1 ultima tornata plenaria del 2 agosto pp., cioè : il conte senatore Giovanni Gozzadixi, socio corrispondente (i 25 agosto); il conte senatore Luigi Torelli, socio onorario (·{- 14 novembre); il sac. Marcello Remoxdini, (l) Cfr. Vita privala dei genovesi, 2.» ediz., pag. 10. 15S GIORNALE LIGUSTICO (t i.“ ottobre); il marchese Giuseppe D’Oria (+ 28 dicembre), signor Filippi· Oneto, (f 21 gennaio 1888) soci effettivi. Giornale, Del Remondini, di cui si leggono articoli anche nel n05 discorse più specialmente ; ed eccone le parole: . orat0re effi- « Sacerdote esemplare, cultore felice degli studi letterari, ^sunt0 |»ar. cace e gradito, artista nell’anima, egli si era da molt’ /"?nl i'.crjXj0ni mi-duo ufficio di raccogliere negli Alti della nostra Società le auaie si votò dio-evali della Liguria. E fu una missione, questa sua, alla q · niniaj_ con uno zelo di cui non mi sembra che potremo vederci egu‘ volte Voi ne foste, egregi colleghi, al pari di me testimoni ; e q| pjaus0 era annunziata una sua lettura, la vostra frequenza ed 11 su1# significavano a quel modesto l’alto pregio in cui avevatef ^ ijirlta cosi « Aveva egli contratta con que’nostri monumenti una famig j 0bbli— intima, esercitava sovra di essi una padronanza cosi assoluta ’ ·'* sjn qUj garli a non serbare più alcuno di quei segreti, onde erano s . sta_ gelosi custodi. Anzi la lucidità e la sicurezza dell' interpreta ;1ÿreste vano spesso in ragione inversa del senso astruso del monutnen _ '[iianjera> detto che quel sottile ingegno si acuiva tra gli ostacoli «l* °8nl' anj|c di Ricordate, ad esempio, le iscrizioni di frate Guglielmo nel C11 p S. Giovanni di Prò, del preposito Engelraak di Magdcburgo in · ’ jn irate Oliverio nel palazzo delle Compere, della torre di papa c '■ Caffa, ecc. ecc. _ jn. • Esisteva un’opera frammentaria? ed egli la ricostruiva nc Λ ef3 tegrità, con un processo di quasi divinazione. Ma. alla P . oe’rj2joa|e posssibtle rimanere in dubbio : così doveva essere la scotta eunn)j‘ com’egli la presentava nei suoi accurati disegni al nostro l0 rato; cosi per fermo, e non altrimenti, l’aveva incisa il lapidari . · ^ dimenticherò mai, per questo rispetto, quella paziente restituz sepolcro di Guido Sceuen, per la quale il Remondini , istituì .jcare gegnoso riscontro cogli Annali di Giorgio Stella, pervenne a ·.. or negli animi nostri la convinzione che giusto il citato annalista u dell’epigrafe. , 1,. l'o- « Confortiamoci nel dolore della perdita gravissima, pensaiuio ^ ‘i j. pera del benemerito socio gli sopravvive in molte e svariate puoi? ·>-;J · e che non è a disperare della raccolta epigrafica da lui incoimi >- · · · Quanto egli lasciò di scritti, calchi e disegni, tutto amorosamente colse la pietà del suo diletto (rateilo Don Angelo; e tutto ci iu sarà consegnato. Noi proseguiremo la stampa dell’ impreso lavoro, ducendola il più lontano che ci sarà possibile; e attesteremo »1 ^ guisa come sia vivo nei nostri cuori il desiderio di onorare la cara 1 moria del suo Autore >. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Araistrigò, Cartentrastesò. — Padova, Stabil. Tip. L. Crescmi e Comp., 1887. È un erudito articolo del prof. Vincenzo Crescini, che a noi corre proprio il debito di segnalare a’ lettori. I quali hanno a sapere che trattasi di due lezioni differenti, e del pari sin qui enigmatiche , nei quarto verso della GIORNALE LIGUSTICO *59 seconda Epistola del trovatore Rambaldo Ji Vaqueiras a Bonifacio I di Monferrato, laddove descrive quel valens marques Cani assailbis a Cartentrastenò secondo tre manoscritti, oppure Quant assalivi antan arai strigò giusta un altro codice, caricò ben quattrocento cavalieri e ne ottenne vittoria. Ma che luogo è mai cotesto, in cui avvenne la memoranda battag ia, della quale ebbe anche a discorrere in questo periodico il nostro egregio Desimoni (1)? Chi si argomentò di trovarlo in Sicilia e chi nell’Oriente. 11 Crescini però , dimostrato come la lezione Araistrigò ^vada riso uta mente scartata , passa a chiarire fino all’ evidenza come 1’ altra rimanga nettamente spiegata, solo che la strana parola si scomponga in Car entr’ Ast e No\ che vuol dire: Quarto fra Asti e Non. — « Quartoun villaggio dall’ Astigiano, sulla sinistra del Tanaro, e sta, come 'P^ica am baldo , di mezzo fra Asti... e il borgo, che oggi è Castello d Annone », e anticamente dicevasi Non e Nono. Il fatto poi rammentato da P° deve « essere ricollegato alla guerra, che dal 1191 a» ’20o arse ’ accanita tra il comune astigiano e il marchese Bonifacio ui * lon err Guglielmo suo figlio » ; e forse accadde avanti l’aprile del « Si vede anche da questo saggio, conclude il Crescini, che lare e P utile chi si ponesse a costituire il testo critico delle rime di a _ per me confesso che il soggetto mi seduce..... »· Ebbene, si *ascl , il eh. professore; non potrà che risaltarne sempre più 1 a>.um della sua critica storico - letteraria. Battista Guarini ei « Il Pastor Fido ». Studio biografico- critico con documenti inditi per Vittorio Rossi. Torino, Loescher, ibbò. . L* opera che 1’ egregio autore ci ha dato intorno al poeta ferrarese si compone in due parti. Nella prima ha voluto trattare con . 0 o della vita di Battista, e mercè i molteplici documenti ca ui .. , . negli archivi e nelle biblioteche, e l’esame di un gran nui anjone edite, egli ha seguito, può dirsi passo passo 1 autor su , ^ ^ uomQ j0 l’origine, il procedimento, ia condizione, 1 indole, gli s u . ,J . · scrittore ci si manifesta in tutta la sua interezza, con le vi fami- inerenti alla sua natura ed alla sua educazione politica, e .. , gliare. E quantunque la sua figura naturalmente campeggi 1 vero, pur meglio spicca in mezzo a quell’ambiente con “ta efficacia e si gran ricchezza di particolari dipinto dal Rossi, di 1 gui e ^ rendiamo agevolmente ragione non solo de suoi a 1 letterario e come cortigiano e come politico , ma eziandio de attingere che si andava man mano svolgendo nella sua mente, 1 a quell’ alto grado che lo rese a que’ di tanto celebre, - so tutto dimenticato. , .. 1. oniV>i7Ìrme e Non fu per t ermo vita quieta e tranquilla la sua, , ·· onde 1’ orgoglio lo sospingevano a sempre nuovi e non ut ’ ,je]ia il cambiar padrone frequente, il ritrarsi sdegnoso, 1 P (1) Cfr. Giani. Lig., inno i8;8, pag. 166. GIORNALE LIGUSTICO • .... . . „nn lieta vicenda, parola, per tornar poi al primo giogo e ricominciare J3 nu‘* , Dr;nijpi e Lo aiutò costante fortuna , cosi rispetto alla benevolenza i® Pq certa-de’ signori, come all'utile grande che seppe procacciarsi- t. Hltresi mente di gran nominanza e lodato e carezzato moltissimo, uiranl0_ temuto, diè fu uso agli avversari non dar tregua; ma J? !r tF: postergò revoie, spesso burbanzoso tiranno; i più santi e gentili atte l||ect®_ alla boria spagnolesca del sangue, più spesso, il che è ‘ qliadro siderazioni d’interesse. Tale ci si presenta il Guarini in HV £ non delineato con molta cura e con grande verità dal Kossi, y lV'|u! v0. sen»a ragione s’è indugiato sopra tutti i particolari della v,ta «, 0róbra, lendo in tal guisa che nessun lato, nessun aspetto restasse ne l0CCl nè rimanesse alcuna dubbiezza nell’animo del lettore. E perei cumentj i singoli latti, allorquando egli s’ è trovato innanzi a fonti o ^ verità, sospetti, parziali e contradditori, ha saputo con acume trar fuori o esporre le più ragionevoli induzioni. . -.«litiche Le opere del Guarini, e cioè le rime, le lettere, le scrltu,irL| ,ncrjto, o critiche, la commedia, sono oscurate, rispetto alla fatua * ;Specie dal Pastor fido. E questo dramma pastorale, a cui deve il Poe 3 j j(0ssJ. il suo grido, ha porto argomento alla seconda parte dell opera .. j0_ Dopo aver dato alcuni cenni (nè egli vuol siano giudicati altri |ir_ torno all’origine del dramma pastorale, espone, sempre con que ghezza e diligenza adoperata nella parte biografica, la storia di q ^ ponimento, e il disegno, non posto per allora ad effetto, di Proc'Λ _ηζ(.ψ £ rappresentazione selle scene a Mantova, a Ferrara, a Torino, a > ^ * . ciò prima ancora che fosse divulgato con le stampe ; al che pr ^ a 3 l’autore, riusciti inutili i tentativi di vederlo provare la scena. · Qoa. ha luogo prima che se ne facciano, richiesti, correttori il Salvia» e |. j zaga. Qui cadono l’esame dell’opera ne* manoscritti diversi. i ragg ^ riscontri, le osservazioni sulla via tenuta dall'autore per ragg ^ lezione definitiva, il conto fatto de'rilievi del Salviati, le allegori. sioni ai casi della sua vita, e quindi la determinazione storica de.« posizione di parecchie parti. Λ1 che seguono le notizie intorno a c plici rappresentazioni, fra le quali notevolissime quelle di Manto > ^ il dramma ebbe incontro felicissimo, e permanente favore. ' cjj_ grande ottenne nel campo letterario, siccome ci manifestano Ih jfoz, zioni uscite in luoghi diversi negli anni che corsero dal ' ,jonj’ in cui venne fuori la bella edizione con rami, annotazioni ed illus ^ ’ per cura dell’autore stesso; mentre a Parigi compariva in questo due volte tradotto. I giudizi però non furono tutti concordi , clic ^ tiche si mostrarono assai presto, nè di poco valore, né rimesse, guerra letteraria accanita ira il Guarini e i suoi censori ; P0*» co\ .. . turale, tra i gregari dall’una parte e dall'altra. Son c’è da mera^ig chè il tempo era propizio a queste battaglie. _ i; Anche il Paslor fido produsse delle imitazioni, quali più aperte, q più mascherate, e non solo in Italia, ma anche fuori, del che discor Rossi sulla fine del suo libro. Chiude poi con un breve esame i giudizi intorno a quel dramma, cosi degli scrittori del secolo pass come del nostro, e con un riscontro sommario assai vero fra il I asso et il Guarini. L’ opera che abbiamo annunziato ci sembra commendevole per ogni rispetto, e quantunque alcun che sia da aggiungere o da rettificare , secondo altri ha mostrato, pur nulla detrae al merito intrinseco del lavoro, buono nel metodo, nello svolgimento, nella economia e nella esposizione. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO lèi NICCOLÒ E FRANCESCO PICCININO A SARZANA I. Scompaginata la lega del 1435, e, per il voltafaccia di Filippo Maria Visconti a proposito del Re d’ Aragona, tolto pretesto i Genovesi a vendicarsi in libertà, la guerra si accese fra il Duca da un lato, la Repubblica di Genova, di Firenze e di Venezia dall’altro. Due capitani di ventura di molto grido militavano dalle due parti, Niccolò Piccinino e Francesco Sforza (1). Riusciti vani gli sforzi del primo per riacquistare al Duca il perduto dominio di Genova, si mosse sul cadere del 1436 alla volta della Toscana, con Γ intendimento d'impadronirsi, quanto poteva, delle terre genovesi sulla ri- (1) A proposito di questi due capitani scriveva con acutezza Girolamo Garimberto : « Francesco fu huomo grande di statura, bellissimo di presenza, e raro di eloquenza, accorto, e patiente in ogni sua attione, e nella guerra molto ritenuto e circonspetto. Impero che cercava sempre di vincere più presto co ’l straccar il nimico, che co ’l venir seco a giornata , se già non vi fusse stato tirato dall’ occasione ; valeasi più della fanteria, che della gente a cavallo. Con quei modi e costumi, mediante la benignità, e dolcezza della natura sua, che’l faceva amabile appresso d’ognuno, si acquistò riputazione grandissima, et finalmente si fece Duca di Milano. All’ incontro, Nicolò Picinino fu di corpo piccolo, di poca presenza, di pochissime parole, e mal assettate, fu più animoso e presto nella guerra, e risoluto e pronto nel far una giornata, che ritenuto e circonspetto, come quell’altro, et prevalendosi anchor più della cavalleria che de’ pedoni, con essa, et co ’l resto delle vie tutte diverse da quelle di Francesco, ciò è con l’austerità e durezza, puotè essere compreso tra i principali capitani di quei tempi >. Della Fortuna, Venetia , Tramezzino, MDXLVII, c. noi. Giorm. Ligvitico. Anne XV. n i6a GIORNALE LIGUSTICO viera, prendendo come base delle sue operazioni mi itari Lucca, la quale aveva aderito, per odio verso i Fiorentini, alla parte Duchesca. In questa guisa stimava mettersi in mezzo fra gli alleati ed impedire allo Sforza di recar soccoisi ai e novesi, contro i quali specialmente ei mirava. Disceso coi suoi dalla parte di Parma, cansando la via marittima, il - ottobre già si trovava a Lucca, donde si mosse per accamparsi su l’Arno a riscontro dei Fiorentini, i quali mostrammo so a mente di volersi tenere sulle ditese, affinchè il Piccinino non si avanzasse nel dominio della Repubblica, che gli ave\a negato il passaggio. Stettero così i due eserciti alcun tempo, senza determinarsi ad alcuna impresa, quando sul mezzo di decembre Nicco ò volle impadronirsi di Vico Pisano; ma venne respinto, ond cDli, pensando forse che ai nemici potesse giungere valido aiuto dalla parte di Genova, si volse coi suoi, dando il gu-ist0 *1 contado, in Lunigiana: quivi impadronitosi di Castelnu^'O, Falcinello e Santo Stefano, scese a combattere Sarzana (i)- Questa terra apparteneva allora a I ommaso Campofregoso, il quale ne aveva ottenuta la Signoria, e vi si era ritirato in seguito all’accordo del 1421, quando Genova, essendo eD 1 doge, era passata all’obbedienza del Duca di Milano (2). Se nonché sottrattisi i Genovesi per rivolta nel I4jj> con UL cisione di Opizzino d’ Alzate, all’ oppressione milanese, Toni maso, non senza qualche contrasto per il solito turor delle (1) Credo potermi dispensare di metter qui e in seguito, una lunga serie di citazioni degli storici e cronisti ben noti, dove è menzione dei fatt Ben debbo avvertire che errano tutti nel riferire la presa ui Sarzana 0 alla discesa del Piccinino verso Toscana, 0 dopo la sconfitta di Barga. La guida più sicura in ciò è U Cronaca del Morelli (Delizie degl’ crud-tose., XIX, 157 e seguenti), la quale riscontra con i documenti. (2) Giustiniani, Annali di Genova, Genova, Canepa, 1854, II, 296 e seg. — Lunig, Cod. Dip. Italiae, IV, 1991, 1999. GIORNALE LIGUSTICO r 163 parti, tornò a riprendere il dogato (1), lasciando a Sarzana in suo luogo la moglie Marzia e il nipote Spinetta, i quali, appena inteso il pericolo, provvidero a munire la terra, ed in ispecie ad afforzare Sarzanello, fortezza assai ben guardata, dove essi dimoravano. Nè il Comune se ne stava inerte, poiché si riforniva del denaro necessario a mettersi sulle difese (2). Anche la Signoria di Genova dava opera a’ provvedimenti. Fino dal dicembre del 1436 avea mandato in Lunigiana Bartolomeo Lomellino, suo commissario, perchè ordinasse le difese e si mettesse d’ accordo con lo Sforza a fine di procedere unitamente; dava poi sollecite ed opportune istruzioni al capitano della Spezia, affinchè rendesse sicura Sarzana, ponendola in grado di sostenere e respingere validamente le invasioni nemiche (3). Ma quando ebbe inteso i progressi del Piccinino, si volse a chiedere soccorsi al Comune di Firenze, esponendo in ugual tempo e al Papa e alla Repubblica di Venezia le distrette in cui si trovava (4). Scriveva altresì a Baldaccio d’ Anghiari che vedesse modo di tentare coi suoi mercenari qualche impresa su quel di Lucca, per divertire i nemici dai suoi danni, ritraendosi poi a Sarzanello 0 all’ Ameglia, a fine di essere meglio pronto alle offese (5). Intanto 1’ impresa (t) Giustiniani, Op. cit., II, 350 e seg. I Genovesi partecipando agli altri Stati amici la compiuta rivoluzione, dicevano: Hodie pulsis ex urbe presidiis ducalibus, solite libertatis dulcedinem in magno omnium civium consensu, sine cede ac vulnere consecuti sumus: solo omnium mortalium trucidato Opicino de Alzate » ; e nelle lettere non dirette al Papa aggiungevano: « quem carnificem boni malique pariter oderant ». — Archivio di Stato di Genova, Litterarum, Reg. n. 1783, 27 dicembre 1435. (2) Archivio Notarile di Sarzana, Atti di Andrea Griffi, 2 gennaio 1437. (3) Archivio di Stato di Genova, Litterarum, Reg. n. 1780, Iett. 20 novembre al capitano della Spezia. — Roccatagliata, Spogli, ms. Bib. R. Univers, di Genova, B, VII, 27, car. 122 t. (4) Archivio di Stato, Litterarum, Reg. 11. 1783, lettere 12 gennaio. (5) Ivi, lett. 17 gennaio. 164 GIORNALE LIGUSTICO contro Sarzana andava innanzi virilmente, ed aveva ottenuto il pieno assentimento del Duca; onde Niccolò il 20 gennaio gli scriveva: « Ad la ultima littera in la quale mi scriveti che haveti habuto piacere del mio firmare ad campo qui, et che se rende certisssima la Signoria Vostra che io debia obtenire questo loco prestamente , corno io ho scripto, re-spondo che quanto ho scripto exequirò. Et più prestamente Γ haveria exequito , pur eh’ io havesse habuto le cosse necessarie. Et quando questo loco seri acquistato, ne farò quello che la Signoria Vostra me scrive » ( 1). Mentre avvenivano queste cose, non cessavano tuttavia i negoziati di pace, promossi specialmente dal Pontefice, ed accolti con qualche benevolenza dal Duca, ma sconsigliati apertamente dal Piccinino, il quale imbaldanzito dalle facili conquiste nel contado lunense, stando a campo sotto Sarzana, il 22 nuovamente scriveva: « Havendo io per le mane le cosse che ho cossi contra Fiorentini, come contra Zenovesi, le quali se reduriano presto in forma che non che alla celsitudine vostra cresca la spesa, ma più presto mancarà, non so vedere per quale casone non sia migliore tale guerra, che una di quelle pace si fa con lo rasore sotto il mantello ». Annunziava poi con un poscritto, certamente del giorno stesso, quasi a provare le condizioni favorevoli in cui si trovava: « Cum lo nome de Dio ho fornito Serzana per la excellentia vostra » (2). Sarzana cadde dunque nelle mani del Piccinino il 22, e subito ne ebbero avvisò Genova e Firenze. Infatti la prima scriveva il 25 a Venezia, annunziando che quel capitano « captis castronovo, falcinello, sanctostephano, castellis lunensis (1) Archivio di Stato di Milano, Carteggio generale. Ne debbo la comunicazione all’ egregio cav. Ghinzoni. (2) Osio, Documenti diplomatici milanesi, Milano, Bernardoni, III, pap. 138. GIORNALE LIGUSTICO 165 dicionis, postremum et ipsam Sarzanam , metu immoderato perterritam occupavit », gettando, col solo suo nome, lo spavento in tutti quei popoli ; la Signoria fiorentina poi dava nel giorno stesso notizia del fatto a Luca degli Albizi, ambasciatore al Papa: « Questa mattina habiamo novelle che Nicolò Piccinino ha avuto Serezana. Ebbela a patti, avendo molto strecto la terra et dipoi va prendendo et combattendo l’altre castella dintorno, et aralle » (1). E i patti invero vennero firmati fra i Sarzanesi e il Piccinino, siccome luogo-tenente del Duca, di che è prova questo documento (2). Nicolaus picininus de perusio Locumtenens et Capitaneus generalis etcet. Non ignorantes quanta condam beneuolentia fuerunt affecti Comuni et Hominibus Serzane Illustrissimi principis et excellentissimi domini no-strj domini Ducis Mediolani etc. precessores. Ipseque princeps mirum in modum obliane causam denuo afficiatur. Affectantes eos his pro rebus nonsolum his immutatis perfrui quibus frui retroactis temporibus consue-uerut, verum maiora animo concipientes ut eorum requisitionibus annuamus, tenore presentium omni modo jure via et forma quibus melius possumus confirmamus approbamus atque ratificamus omnia et singula capitula et statuta que dicti Comune et homines Serzane cum Magnifica Comunitate Janue superioribus annis habere consueuerunt, de quibus quidem Capitulis et scripturis plenissime constat in Registro predicte Comunitatis Serzane, ad que nos de verbo ad verbum refferimus per présentes. Mandamus igitur Universis et Singulis Ducalibus Commissarijs ac Officialibus quibuscumque presertimque Vicecomitibus dicte Comunitati presidentibus tam presentibus quam futuris, quatenus dicta capitula et statuta de verbo ad verbum obser- uent, faciantque ......... prelati Illustrissimi principis ................. In quorum fidem ......................... et registrari nostrique Sigilli impressione muniri. Dat2s in.......... feliciss........ Castris prope Serzanam die vigesimosecundo Januarij M cccc xxxvij. Albertinus. (1) Arch. di Genova, Litter., Rcg. 1783, lettera 25 gennaio. — Archivio di Stato di Firenze, Riformag. Classe X, dist.1, n. 55, Signori, Leg. Corniti. Istruì. e LeU-> c. M9 t· (2) Archivio Comunale di Sarzana, Liber doc., η. 693. — I puntini indicano le lacune per corrosione della carta. 166 GIORNALI· LIGUSTICO Come si vede , questo documento riscontra precisamente con la lettera di Niccolò, confermandoci così la data in che fu presa ed occupata la terra, e la esattezza delle informazioni avute dai Fiorentini per quanto concerne i patti. Donde si può assai probabilmente argomentare, che se i Sarzanesi scesero agli accordi atterriti « metu immoderato », si dee dire altresì che pur vi erano, per avventura, colà dentro, alcuni favoreggiatori del Duca, i quali agevolarono la dedizione; tanto più quando si consideri la larghezza da parte del Piccinino, nel concedere la semplice conferma de’ patti già innanzi fermati co’ Genovesi. Di si fatti accordi ebbe notizia il doge Tomaso, al quale in ispecie importava conoscerne il tenore; a questo fine sollecitava il canonico Molinello, che, suo partigiano, si era rifuggiato presso Marzia e Spinetta nel iorte di Sarzanello, rimasto libero da qualunque molestia per parte dei nemici. Ma la cosa non riusciva agevole come da prima egli credeva, poiché delle difficoltà non lievi dava contezza il canonico al Doge, che tornava ad insistere in questa sentenza (i): \ enerabilis vir, memorastis nobis pericula propter que non misistis scripturam illorum pactorum cum domino duce mediolani qucnJam inito-rum ; nobis tamen opus est copiam illorum habere, ex quo videtur nobis ut ea transcribi faciatis et simul cum carissimo nepote nostro Spineta ordinetis ut per eam viam que tutior videatur ad nos hec copia proferatur. Cui Spinete hortamur vos ut studeatis pro viribus complacere. Data VIII februarij. Forse a Genova si credette alla esistenza di nuovi e speciali capitoli conclusi col Duca; ma io ritengo che l’unico documento intorno a ciò sia quello qui innanzi riferito; poiché non si stipularono in questa opportunità nuovi patti, bensì (i) Archivio di Genova. LitterReg. 1783. GIORNALE LIGUSTICO 167 vennero soltanto accordate e confermate le convenzioni già esistenti fra i Sarzanesi ed i Genovesi. Compiuta questa impresa, tornò il Piccinino incontanente verso Lucca, dove già era giunto il 28 gennaio; e di qui, per le segrete intelligenze con quella Repubblica, e per le sue sollecitudini, si condusse alla espugnazione di Barga, torte castello poc’ anzi dei Lucchesi, ed ora venuto in potere dei Fiorentini, che l’avevano provveduto e fortificato. Ma, come è noto, gli toccò quivi il 15 febbraio una grave sconfitta per opera dello Sforza, ond’ ei dovette ritornare sopra i suoi passi, e si ritrasse in Lunigiana, riducendosi sui primi di marzo in Sarzana (1). Frattanto, mentre i Fiorentini e i Genovesi per mezzo di ambasciatori cercavano modo di provvedere ai vicendevoli aiuti (2), la repubblica di Venezia apprestava la guerra contro il Duca. Di ciò era ben lieta la Signoria di Genova, la quale già sulla metà di febbraio conosceva quelle mosse, perchè sperava di potersi togliere di dosso in questa guisa il grave travaglio del Piccinino, il cui nome incuteva grandissimo terrore in que’ paesi, dove i suoi mercenari campeggiavano (3). Impartiva perciò le opportune disposizioni per ricuperare le terre e le castella tolte violentemente al suo dominio, subito che il Piccinino, secondo le previsioni, fosse tornato in Lombardia; al quale intento si adoperavano assai bene Giano da Campotregoso, commissario alla Spezia, e Spinetta assieme con il canonico Molinello, i quali, stando nella rocca di Sarzanello, potevano agevolmente conoscere le mosse di Niccolò, e tenere coperte relazioni con gli uomini di Sarzana, per animarli , (1) Ivi, Litter., Reg. 1780, lett. 5 marzo. (2) Ivi, Litter. cit., lett. 6 marzo a Gregorio Grillo. — Arch. di Stato di Firenze, Reg. cit., cart. 153. Roccatagliata, Spogli cit., car 123.r (3) Archivio di Genova, Litterarum, Reg. 1780 cit., lett. 20 febbraio. GIORNALE LIGUSTICO venuto il buon punto, a ritornare sotto l’antico signore (i). Ma il capitano perugino invece d’ uscire dalla Lunigiana, si gettò a dare il guasto ai luoghi dei Genovesi posti nelle gole dell’ Apennino, pur minacciando, senza però toccare la Spezia come quella che era validamente munita; e procedendo sempre in alto tra le montagne, apparve nella pianura di Sestri (2). La Repubblica vide il pericolo da presso, e non solo ordinò le ditese, richiamando in riviera Baldaccio d’Anghiari, la cui venuta sperava potesse « ipsum Nicolaum terrefacere et a nostris finibus procul fugare », ma richiese soccorso ai Fiorentini, al Papa e ai Veneziani (3). La guerra dei primi contro Lucca per opera dello Sforza, dava speranza che a quella volta sarebbe richiamato Niccolò (4); ma cosi non avvenne, e chi veramente determinò il suo ritorno in Lombardia, fu Venezia con le sue mosse contro il Duca. É noto infatti che i Veneziani, comandati dal Marchese di Mantova, dopo alcuni indugi, ruppero il confine, incominciando a passare il fiume presso Medolago; e quivi, sorpresi dai nemici, e scomposto il ponte di barche, vennero cosi disgiunti, sconfitti e dispersi ; onde parve prudente al Marchese ritirarsi sul Bresciano. Questa impresa è assegnata dagli storici alla seconda metà di marzo, e si afferma vi fosse pure il Piccinino, al quale anzi si ascrive il merito della vittoria; senonchè i documenti genovesi ci avvertono che egli rimase pur sempre, come abbiamo veduto, fra Sarzana e la Riviera fino ai primi d’aprile; quindi tornò, senza effetto, verso Lucca, stretta dalle armi dello Sforza, e poi sullo aprirsi di maggio venne richiamato in Lombardia. Infatti il Doge scri- (1) Ivi, lettere 20 febbraio, 2, 3, 6 e 12 marzo. (2) Ivi, lettere 20, 23, 24 marzo, e 2 aprile. (3) Ivi, Litter., Reg. 1783, lettere 4 aprile. (4) Ivi, Litter., Reg. 1780, lettera 2 aprile. 169 veva il giorno 6 al capitano Tommaso D’Oria : « Illustrissimum dominium venetorum expugnavit oppida quedam in glarea abdue, tantisque et peditum et equitum et galeone-orum copiis bellum intuit, ut dominus dux mediolani exterritus revocaverit in lombardiam nicolaum picininum cum omni exercitu , qui iam die veneris nj presentis pontremu-lum attigit, et inde in planicie lombardie properat » (1). Onde vuoisi ragionevolmente ritardare quel tatto alla metà di maggio, ammettendo in ugual tempo che i Veneziani ottennero sulle prime qualche notevole vantaggio, e si mostrarono cosi minacciosi, da determinare il Duca a richiamare celeremente il suo capitano. Ben è vero che alcuni storici accennano ad un ritorno del Piccinino in Lunigiana dopo quella vittoria, per opporsi alle soldatesche dello Sforza ; ma ciò deve intendersi del soccorso da lui dato nel luglio a Pontremoli, che rese vano allo Sforza Γ impadronirsene, per aprirsi, secondo il proposito, una via al fine di correre in aiuto dei Veneziani. I Genovesi liberati da un tanto travaglio respirarono, e senza perdere tempo, poiché le cose erano a quest’ uopo ordinate, aiutati altresì dallo Sforza, riebbero in breve le terre perdute. La comunità di Sarzana spedì incontanente suoi deputati per rinnovare le convenzioni col Campofregoso; ma questi travagliato da moltissime e gravi cure, non potè di subito ascoltarli, tanto più che molte cose richiedevano (2). Pur finalmente anch’ essi furono spediti, e poterono ritornare a Sarzana latori del decreto col quale Tommaso rinnovava i vecchi patti, concedendo in un tempo largo indulto a chi in quei mesi fortunosi vi avesse contrafatto. (1) Ivi, Litter., Reg. 1783, lettera 6 maggio. (2) Arch. di Genova, Litter. Reg. 1780, lettere 19 e 21 maggio. τ7° GIORNALE LIGUSTICO Eccolo ( i ): 7 M.° CCCCXXXYIJ.0 dìe prima Junij. Illustris et Excelsus dominus Thomas de Campofregoso Januensium Dux et Sarrane dominus. Non ignorans Magnificum Nicolaum picininum C.apitaneum exercitus I. domini ducis Mediolani de Mense Aprilis (2) (1) Arch. Comunale di Sarzana, Libtr. cit. — Arch. di Genova, Diversarum, n. 519. (2) Come abbiamo veduto, Sarzana venne occupata nel gennaio e qui deve esservi errore materiale. O forse fu messo a studio per giustificare il « per aliquot dies non longevos » e le altre miti espressioni del documento, volte a dimostrare che i sarzanesi nella maggioranza si serbarono fedeli a Tomaso. — Fra Tomaso Fregoso e il Piccinino erano corse, pochi anni prima, relazioni amichevoli, come ci manifesta il seguente documento (Arch. Mot. di Sarzana, AlH di Str Andrea Je' Grifi)'. Millesimo CCCCXXXIII, inditione xj, die vj novembris. Universis et singulis hoc presens publicum instrumentum inspecturis pateat et liqueat evidenter, qualiter Magnificus et excelsus dominus dominus Tomas de Campofregoso Sarzane etc. dominus, natus recolende memorie Magnifici et excelsi domini domini Petri de Campofregoso, omni jure, via modo et forma quibus magis et melius potuit, fecit constituit creavit et ordinavit suum verum et legiptimum procuratorem actorem factorem et certum nuncium specialem et quicquid melius dici et esse potest, magnificum et potentem dominum dominum Nicolaum Pici— nium de Peruxio inclitum ducallem loeumtenentem et capitaneum generalem etc., licet absentem sed tamquam presentem, specialiter nominatiti! et expresse ad iniendum et contrahendum faciendum et tractandum matrimonium et sponssalia de verbo de futuro, cum magnifico et excelso domino domino Malatesta de Peruxio, seu cum quocunque alio suo procuratore ad hec per eum constituto, de uno ex magnificis filiis suis, quem ad premissa et infrascripta decreverit, ac magnificam dominam Theodorinam de Campofregoso natam olim recollende memorie magnifici domini Spinete de Campofregoso et nepotem ipsius domini constituentis. Et ad promic-tendum et convenendum et promissiones quaslibet facendum pro ipso domino constituente, et ejus vice et nomine, prefato magnifico domino Ma- giornale ligustico 171 proxime lapsi cum eius exercitu vi obtinuisse terram Sarzane preter voluntatem illorum qui in dicta terra tunc residebant, eamque occupasse per aliquot jies non longevos, et que terra et incole eiusdem reducti sunt ad obedientiam et gratiam eiusdem domini Thome ducis, volens Sarzanenses omnes incolas dicte terre caritate et benevolentia amplecti eosque benigne tractare, illos ad gratiam suam presentium tenore reduxit et reducit, sub illis pactis modis formis et conventionibus sub quibus Communitatem l.it<.ste, et cuiqumque nuncio et procuratori suo predicto ut supra constituto, de faciendo et curando ita et taliter et cum effectu quod dicta domina rheodorina contraet matrimonium per verba de presenti et anuli dationem cum illo prelibato magnifico filio prefati magnifici domini Malateste, quem ad premissa fienda et exequenda decreverit ut supra. Et ad pro-mictendum et constituendum prelato magnifico domino Malateste, seu cui vel quibus ad premissa dederit vel commiserit ut supra, et promissiones quaslibet faciendum pro prefato magnifico domino Thoma ac eius vice et nomine , de dando et solvendo illas dotes et pro dotibus ipsius domine Theodorine illas florenorum pecunie et rerum quantitates et summas, in ea summa et quantitate et ad id tempus et terminum et eo modo torma et ordine qua et quanta et prout et sicut prefato magnifico procuratori suo videbitur et placebit. Et pro datione et solutione dotium suprascriptarum fienda modo et forma supra scriptis, prefatum magnificum dominum constituentem et eius heredes et bona obligandum et ipotechandum, prout et sicut prelato procuratori suo videbitur et placebit. Et pro predictis et quolibet predictorum instrumentum et istrumenta fieri faciendum vallatum et vallata, pena et penis, obligationibus realibus personalibus ac mixtis, tenoribus, condicionibus, modis, solempnitatibus, iuribus et cautelis in similibus convenctibus consuectis et usitatis , et de quibus et prout et sicut prefato magnifico eius procuratori videbitur et placebit. Et procurator ad omnia alia et singula faciendum et queeunque alia faciendum gerendum procurandum et exercendum, ut iuris ordo et facti qualitas predictorum postulant et requirunt, et que ipsemet dominus constituens si adesset facere posset, dans et concedens dictus dominus constictuens dicto domino procuratori suo in predictis et circa predicta plenum liberum et generale mandatum, cum plena libera et generali administratione et speciale ubi exigerit speciale, nec non procuratori magistro Andrea de Grifis de Sarzana notario publico infrascripto stipulanti, recipienti vice et nomine omnium et GIORNALE LIGUSTICO Surzane et homines eiusdem habebat et tenebat ante supradictam occupationem. Remittens eis et eorum cuilibet omnem contrafactionem et crimen in quibus incidissent occasione supradicte occupationis usque in hodiernum. Mandans universis et singulis vicecomitibus castellanis et officialibus in dicta terra constitutis et in posterum constituendis quatenus suprano-minatos homines Sarzane et eorum quemlibet amicabiliter recipiant et benigne pertractent, nec alicui ipsorum iniuriam inferri permittant, eisque observent et faciant inviolabiliter observari quantum ad eos attinet pacta et conventiones de quibus superius est mentio. In quorum testimonium presentem scripturam scribi et annotari mandavit idem Illustris dominus dux in actis mei notarij et cancellarij infrascripti. Extractum est ut supra de actis publicis Cancellarie Communis Janue. Thomas de Credentia cancellarius. Al Comune poi il Doge scriveva così (i): Egregijs et prudentibus viris consilio et universitati Sarzane nobis carissimis. Egregi) et prudentes viri. Comparuerunt coram nobis Ambassatores et legati illius vestre comunitatis, exponentes nonnulla ille nostre terre necessaria et opportuna, quibus post provvisionem de victualibus factam, responsionem dedimus prout ab eis latius oretenus intelligetis. Data dic iij Iunij. singulorum quorum interest intererit seu interesse posset quomodolibet m futurum, se proprio firmum gratum et ratum abiturum omne id et totum quicquid per preiatum dominum procuratorem suum in predictis et circa predicta actum factum gestum sive procuratum fuerit, et contra nullo modo facere vel venire sub ipoteca et obligatione sui suorumque heredum et bonorum omnium presentium et futurorum. Actum in castro magno Sarzaneli, videlicet in camera existente de versus Sarzanam, presentibus Federicho de Sacho de Gavio quondam Bartolomei et Nicoloxio Guascho quondam Magistri Guilelmi cive Janue testibus etc. Il nome di Teodorina si cerca invano nelle genealogie dei Fregoso, le quali mancano altresi di altri figli di Spinetta. Pare poi che il matrimonio progettato con un de’ figli del Malatesta di Perugia non avesse luogo. (i) Arch. di Genova, Litter., Reg. 1780. 173 E di vero al cancelliere Gottardo de’ Donati sarzanese, legato e commissario in Toscana e in Lunigiana, egli aveva dato incarico di approviggionare Sarzana di frumento, e provvedere a quanto era necessario perchè la terra fosse munita e rimanessero paghi i desideri degli abitanti. Nel tempo stesso eleggeva a visconte di Sarzana Andrea Gambino, affidandogli altresì la custodia della fortezza Firmafede (i). L’ occupazione di Sarzana per opera di Niccolò Piccinino fu certamente assai grave per il comune, e lasciò tracce profonde nell’ animo di quei terrazzani. Ce ne porge valida testimonianza Antonio Ivani, il quale dopo ben trent’ anni rammentava quel fatto nel pubblico Consiglio con queste parole (2): « Un de* majori ricordi ch’io habi, è haver veduto Nicolò picenino cum robusto exercito circumdare queste mure non senza gravissimi danni, e manifesti periculi. Fu in tanto impeto di fortuna electo il minor male da quelli eh’ amavano la salute di la propria patria ». E cioè, ad ovviare 1’ assalto, Γ occupazione violenta, e quindi il conseguente saccheggio, reputarono savio partito, come abbiamo veduto, scendere a patti, i quali col cambiare padrone, non mutarono le interne condizioni del comune. II. Se il fatto intorno al quale mi sono trattenuto fino a qui venne toccato, quantunque con brevità e inesattamente, dagli storici, nessun ricordo si trova della occupazione di Sarzana (1) Ivi, decreto e lettera 1 giugno. (2) Biblioteca del Comune di Sarzana, Antoni: Ivani Epistolae Ms. È strano che Γ Ivani ricordi Γ occupazione di Sarzana del 1437, mentre doveva essere iu età di circa 7 anni, e non faccia menzione della successiva del 1445. Forse questa non recò i danni della prima. 174 GIORNALE LIGUSTICO per opera di Francesco Piccinino , figlio di Niccolò. Ma il documento seguente ce ne porge la più sicura prova (i): Dux Mediolani, Papie Anglerieque Comes ac Janue Dominus, eadem liberalitate uti Intendentes cum Magnifico Locumtenente Nostro Piccinino Yicecomite, qua ipse Nobiseum usus est in ponendo ad Manus Nostras sive Agentium pro nobis Terram Sarzane per eum aquisitam, mandamus tenore presentium strenuo Zanono Gogo de Crema, familiari Nostro dilecto in partibus ipsis Sarzane militanti, ceterisque omnibus tam Armigeris quam Conestabilibus et Pedibus ad eiusdem Terre custodiam exi-stentibus, quatenus eidem Francisco Piccinino, sive cuicumque nuntio suo presentium exhibitori, et comitive quam sccum habuerit, libere tradant consignent et dimittant dictam Terram, ita ut in eius potestate et dominio ex toto remaneat, sicut etiam dignum est ac debitum, postquam illam aquisivit ut supra. Exequanturque intentionem hanc Nostram prompte et expedite sine aliqua exceptione et omni contradictione cessante, sub indignationis et perpetue disgrafie Nostre pena. In quorum testimonium présentés fieri et registrar! iussimus, Nostrique sigilli munimine roborari. Datum Mediolani 1446 die 6 Martii. Joanncs Antonius. Hgo Filipponus de Costaherbosa quondam Luisini de Burgovallis, publicus Imperiali auctoritate Notarius et Sarzane Vicecomes, suprascriptam litteram ut supra ex ipsius originali fideliter sumpsi et exemplavi de verbo ad verbum, nil addendo vel minuendo, sed prout iacet ad litteram: que quidem littera est sigillata sigillo et corniola Ducali : et in fidem premissorum me subscripsi cum nomine et signo consuetis. Ricerchiamo ora quando il Piccinino si condusse a quella impresa, e da quali cagioni fu indotto a scendere in Luni-giana. Al silenzio degli storici si aggiunge appunto per questi (11 Arch. Comunale di Sarzana, Registro vecchio, car. 44.r — Questo documento venne da me malamente riprodotto a corredo del Landinelli, Relazione di Sarzana dilla Spezia e dei Marchesi Malaspina, Sarzana, Ra-vani, 1871, pag. 101; senza aver veduto l’apografo fui tratto in inganno dal De Rossi, che lo trascrisse nei suoi zibaldoni errando nel nome e nella data. giornale ligustico 175 anni una singolare lacuna nei documeuti degli archivi, così a .Milano, come a Firenze, a Genova, a Lucca; ciononostante alcuni frammenti che si sottrassero alla dispersione, specie nell archivio genovese, ci mettono in grado di ricostruire in parte questo brano di storia, e ci aprono la via a plausibili induzioni. noto come Francesco Piccinino, dopo la rotta toccata pei opera dello Sforza nella Marca, fosse preso prigione, e poi liberato in seguito ai vivi uffici del Duca presso il genero, ti attenutosi alquanto in Perugia, si riducesse a Milano; dove accolto a grande onore, venne indi a breve nominato luogo-tenente generale, subentrando nell’ ufficio già tenuto da suo padie, morto poco innanzi (1). La disdetta dei suoi accese maggiormente nell’ animo bieco di Filippo Maria l’odio contro lo Sforza, e il desiderio di vendicarsi s’ accrebbe e traboccò quando questi, scoperte le segrete intelligenze di Attendolo da Sanseverino detto Ciarpellone suo capitano con il suocero, lo fece subitamente appiccare. Di qui il continuo e sollecito adoperarsi a danneggiare 1’ odiato genero, or cercando di volgergli contro alcuno dei signorotti della Romagna, or eccitando il Papa a muovergli guerra, or tentando, quantunque invano, i fiorentini : onde mentre fra i primi trovò aderenti alle sue proposte, questi ultimi, che avevano tratta a sè per v.a di accordo la repubblica di Lucca, si tennero legati alle fortune dello Sforza a cui fornirono danaro più volte. In questo tempo Genova aveva cacciato i Campofregoso ed eletto a reggitori gli Adorno, dando a Raffaele Γ ufficio supremo; or essendo costoro partigiani ben noti del Duca, a cessare le vecchie discordie, s’ erano affrettati a fermare con (1) Fabretti, Capitata' venturieri dell' Umbria, Montepulciano, Fumi, 1842, II, 250 e segg. — Giulini, Memorie di Milano, Milano, Colombo, 1S57, VI, 595. χηβ GIORNALE LIGUSTICO lui nell’agosto del 1445 una tregua per dieci anni con 1 intendimento di ristabilire la quiete nello Stato (1). Ma le condizioni della Repubblica non erano tranquille, poiché i feudatari della riviera orientale, specialmente i Fieschi e i Campofregoso stavano in armi molestando il dominio, e minacciando persino la capitale ; nè mancavano al governo noie consimili per parte d’alcuni altri signori della regione occidentale e montana (2). Di più, il Duca, sempre inquieto e turbolento, dava non poche cagioni di sospetto (3), porgendo esca, nonostante la tregua, con la sua equivoca condotta ai nemici de.la repubblica d’imbaldanzire; non gli bastava la rimessa sudditanza dimostratagli dagli Adorno, e dai loro partigiani, e forse meditava di tornare in suo potere Γ agognata Liguria. Ma le cose sue nella Marca volgevano poco prosperamente, e d altra parte Genova non nascondeva il suo malumore, e il desiderio di finirla una buona volta con i feudatari che le davano gran molestia nella riviera di Levante. A questo uopo nell aprile del 1445 spedito a Milano Jacopo Bracelli, il quale con la sua accortezza conchiuse il 12 maggio successivo un nuo\o . Il trattato d’ amicizia, volto in ispecie a mettere un termine a reciproche diffidenze e animosità, tenute vive in singoiar modo dagli aderenti dell’ una e dell’ altra parte (4). I Fieschi sollecitati dal Duca, e lusingati con uffici onorevoli dal Doge, deposero le armi; onde ai Campofregoso convenne ritirarsi \erso le loro terre di Lunigiana, dove però non restavano di scorrere qua e colà nelle finitime castella del dominio génoise, (1) Arch. di Stato di Genova, lustrini, et Retai., fil 2707A. (2) Giustiniani, Annali cit., 11, 374- — Arch, di Genova Litter., Reg. 1788 A. passim. (3) Ivi, Diversorum, Reg., 531. 21 luglio 1444. (4) Arch. di Genova, Instruet, et Relat., fil. 2707 A. — Materie politiche, Busta 12. — Litter., Reg. 1788 A. — Morbio, Codice Visconteo Sforzesco, Milano, Classici, 1846, pag. 317. GIORNALE LIGUSTICO I77 mantenendo in continua ribellione quei luoghi, e accennando a spingersi per la via montana sopra la Spezia, in quel di Sestri (1). In queste distrette Genova invocava energici prov-vedimenti dal Duca, col quale dobbiamo credere (chè i documenti qui ci mancano) essere intervenuti opportuni accordi per tar discendere un buon nerbo d’ armati a frenare quegli ultimi ribelli ; e si dee esser ritenuto come miglior mezzo per ottenere 1 intento , ferirli nel cuore, occupando le loro tei re. Tanto più che fra Spinetta da Campofregoso e Marzia moglie di 1 omaso, sostenuto in carcere dall’ Adorno, dovevano essere sorti dissidi per la signoria di Sarzana. Anche qui il diietto dei documenti ci costringe a semplici induzioni; ma il fatto di veder Marzia fra i feudatari aderenti del Duca >-h ei voleva compresi nella tregua stipulata coi Genovesi (2), mi fa credere ragionevolmente come a rintuzzare le pretese del nipote ricorresse alla protezione di Filippo Maria. D’ altra parte Spinetta s’ era già preso titolo di Signore di Sarzana, e aveva messo innanzi diritti sul possesso di Carrara, Avenza e Moneta, mantenendo acceso perciò un acerbo litigio contro la Repubblica, alla quale quelle terre si erano sottomesse nel r444> sottraendosi al dominio dei Visconti, e dando così a questi nuova cagione di malumore contro Genova (3). Ora il Duca, mandando ad occupare quei luoghi di Lunigiana dai suoi soldati, veniva d’ un tratto a quietare tutte quelle contese, provvedeva alla sicurezza di Genova, procurava a sè una soddisfazione personale e metteva sui confini del Comune di Firenze, suo nemico, un esercito che potea, quando occorresse, tener fronte allo Sforza, se mai gli fosse sembrato opportuno (!) Arch. di Genova, Litter., Reg. 1788 A. Lettere 30 maggio, 11, 13, 18 giugno. — Diversorum, n. 531, 3 luglio. (2) Ivi, Diversorum, n. 536: lettera del Duca, 8 luglio 1445. (3) Ivi, Materie politiche, Busta 12. — Repetti, Compendio Storico di Carrara e Massa, Firenze, Badia Fiesolana, 1821, pag. 13. Gioì*. Ligustico. Anne XV. ,, J-S GIORNALI: LIGUSTICO rifare la via di Pontremoli (terra divenuta sua proprietà), come nel 1457, per portare la guerra in Lombardia. Ecco dunque Francesco Piccinino di qua dagli Apennini. La sua discesa in Lunigiana avvenne certamente Ira il giugno e il luglio del 1445, poiché la lettera con la quale la Repubblica domanda al Duca provvedimenti è del iS giugno, e già abbiamo da un’ altra del i° agosto, che il Piccinino, occupate le terre lunensi sulla sinistra della Magra, pareva accennasse al proposito di ridurre in suo potere Γ Ameglia posta dal— Γ altro lato del fiume; di che i Genovesi si richiamavano al Visconti, affermando vivamente come quel castello, che alcuni pei loro fini facevano credere al Piccinino « ad sarzanensem dicionem pertinere », appartenesse da oltre cento anni al Comune di Genova (1). Rilievo per noi assai importante, poiché ci fa implicitamente conoscere come, secondo si è disopra toccato, la venuta dei soldati ducali in Lunigiana avesse proprio il fine d’ occupare le terre dei Campofregoso, sulle quali Spinetta attribuiva a sé la signoria. Inflitti, impadronitosi di Sarzana sicuramente nel luglio, troviamo Irancesco accampato vicino a Carrara il 2 agosto, e sappiamo che prima dell 11 già s’ era fatto padrone di questa terra e dell’ Avenza (2). La mossa dovette esser compiuta con alquanta celerità e con pieno accordo dei Genovesi, i quali appunto il 3 scrivevano al capitano: a Quamprimum nunciatus nobis fuit discensus vester in agrum lunensem, omnibus terris nostris preceptum datum est, ut omnia humanitatis officia que in amicos haberi soleant, erga vos et vestros exhibeant. Nam cum 111. domino duci Mediolani non sunt nobis inducie tantum, sed insuper ea benivolentia que patris in filium esse solet. Quam (1) Archivio di Genova, Litter., Reg. 1788 A: lettere 18 giugno, i agosto. (2) Kepetti, Op. cit., pag. 13. — Arch. di Genova, Litter,, Reg. 1788 A: lettera 11 agosto. Γ79 ob causam, si quid optatis a nobis ac nostris curari, rescribito nobis, quoniam in nihilo deerimus vobis ». E poiché egli aveva spedito in questa opportunità il suo cancelliere al governo genovese, questo nuovamente lo assicurava: « Nullus metus nulla suspicio vobis aut vestris impendet ab ullis terris nostris, quinimo persuadere vobis ipsi debetis eas terras commoditatibus et honestis favoribus vestris in nihilo defuturos. Idque supervacuum videtur nobis ultra memorare , cum ex rectoribus nostris eorumque operibus cognovisse potuerit Mag.'u vestra qualia a nobis acceperint mandata ». I£d era verissimo, poiché avevano scritto a quei loro ufficiali: « Quod ad Magnificum franciscum picininum pertinet, volumus ut literis nuncijs muneribus et omni ex-trmseca ostensione benivolentiam nostram in eum teste-mini » (i). Intanto vedendo i progressi del Piccinino, ed essendosi sparsa voce che egli avesse domandato il passo alla Repubblica di Lucca, questa si affrettava a spedire Gregorio Arrighi, ambasciatore a Firenze, con la seguente istruzione (2): Exporrai che la cagione della tua mandata alla loro Ex. S. sia perchè per la venuta di Francesco Piccinino di qua dallalpe, et come qui si è udito da più persone che in più luoghi si dice che noi haviamo dato opera alla venuta di qua del predicto Francesco Piccinino. Et che per volere togliere questo dubio, spetialmente alla loro Ex. S. tu se’da noi mandato. Et dopo questa expositione facta in quel migliore modo saprà la prudentia tua, appresso li exporrai quanta sia intera et ferma la intentione nostra circa a servare la fede che tra noi è, et intorno a questo stendeti con ogni tuo mgiegno, con quelli argumenti, et ragioni che meglio saprà trovare la tua prudentia, et con questo modo sforzati, che rimangnino ben chiari (1) Ivi, LitUr., Reg. 1788 A: lettere 3, e 8 agosto. (2) Archivio di Lucca, Anziani al tempo della Libertà, Reg. 532, Part. II, c. 63. — Osto, Op. cit., III, 373. iSo GIORNALE LIGUSTICO della nostra integrità et taie, et che non credano che da noi proceda tale venuta del predicto Francesco Piccinino. Et questo è in somma lo officio dell’ ambasciata a te commissa. in questa guisa i Lucchesi, essendo stretti con i Fiorentini per il trattato dell’anno 1441, volevano dissipare qualunque sospetto potesse sorgere, ove al capitano ducale fosse piaciuto procedere innanzi. Ma non si avvanzò, e si stette pago a^3 occupazione delle terre già tenute da Spinetta da Campofregoso, il quale probabilmente si ritrasse nel dominio fiorentino. Sappiamo infatti che egli fermò il 13 novembre 1445 un’ ,1C' comandigia con quella Repubblica, mettendosi sotto la sua protezione, mentre questa s’impegnava « farli recuperare tutto quello che li era stato tolto da francesco Picenino » (1)· Non fu d’ uopo tuttavia mandare ad effetto si fatto obbligo ; perchè cessata Γ occupazione ducale e tornati nel 1447 1 Campofregoso al governo di Genova, Carrara, Moneta e 1’ Avenza furono assegnate dal doge Giano, in seguito ad un arbitraraento, al cugino Spinetta (2). Sarzana, era rimasta pur essa nelle mani del Duca, il quale, come afferma il documento, nel marzo del 1446 la concedette al Piccinino ; e questi ne tenne il possesso per mezzo de’ suoi ufficiali, che vi si trovavano sempre nel giugno di quell’anno stesso (3), quando egli s’era condotto all’impresa di Cremona. In seguito, e forse dopo le disdette di Lom- (1) Questo documento è citato dal Litta, Famiglia Fregoso, Tav. V, attribuendolo erroneamente al padre, e se ne conferma Γ esistenza in due lettere di Giano Fregoso del 27 giugno 1447, 1’ una a Spinetta Malaspina e 1’ altra al Comune di Firenze (Arch. di Genova, Litter., Reg. 1778); ma a Firenze non si è trovato (Cfr. Giorn. Ligust., an. 1884, pag. 351). (2) Repetti, Op. cit., pag. 14. (3) Arch. di Genova, Litter., Reg. 1789: lettera 10 giugno. GIORNALE LIGUSTICO l8l bardia, venne riscattata da Marzia Campofregoso per duemila fiorini d’oro (i). Il primo atto di Giano da Campofregoso, appena eletto doge, fu di liberare lo zio Tomaso. (2). Questi tolto di seggio nel dicembre del 1442, s’ era dato « in balia di Raffaele Adorno » , fidando nella gratitudine che s’ aspettava da lui, per la generosità, onde gli era stato largo nel tempo del suo governo ; ma non fu cosi. Infatti, secondo ci manifesta egli stesso « eletto duce nel 1436 con comune consenso dei cittadini , alla quale elettione intervenne, e diede il consenso Raffaele », si studiava di governare la città « travagliata dalle guerre civili et esterne con la giustitia conveniente » a procurare il bene della Repubblica; ma Γ Adorno, « a cui in tutte le cose giuste si satisfaceva, mosso da Γ ambitione, cospirò contro Tomaso et il suo Stato ». Scoperto, mentre « per il delitto, per le leggi e statuti meritava la morte », pur ottenne il perdono « assieme con la vita », e soltanto « per una certa correttione » fu sostenuto alcuni mesi « nella torre di capo di faro », e poi venne liberato, avendo promesso « d’ essere favorevole allo Stato ». Però non tenne fede, « e fece e macchinò tutto quello che potè » contro il governo; ciò nonostante, « ancora che molti persuadessero altrimente », Tomaso, « attendendo più presto alla clemenza », non lo fece carcerare, nè dar sicurtà, « ma permise liberamente che se ne potesse andare, con la sola promessa e giuramento di osservare la fede di non offendere mai lo Stato ». Tuttavia non os- (1) Si rileva dall’atto di vendita di Sarzana e castella fatta da Tomaso a Giano Fregoso, 18 luglio 1448. Cfr. Landinelli, Relatione cit. ; Documenti, pag. 110. (2) È notevole il fatto, che eletto Doge il giorno di venerdì 27 gennaio 1447 alle ore 22, decreta subito alle ore 23 la liberazione di Tomaso, mandando a Savona speciali deputati (Ardi, di Genova. Litter., Reg. n. 1789). i82 giornale ligustico servò il nuovo giuramento, e « non tralasciò cosa alcuna che non fosse contro lo Stato, cospirando quasi con ogni natione, con ogni via et in ogni modo, onde causò molte spese et molti travagli alla Repubblica »; infine, accordatosi « con certe galee di corsari catalani et altri nemici » di Genova, operò in guisa che per mare e per terra fosse assalita la città. Egli « venne fino a Promontorio con tutti quelli soldati che potè, dove verso il monte Peraldo fu con li suoi posto in fuga ». Eppure fu « di nuovo sollevato dalla clemenza et humanità » di Tomaso, « insieme con Barnaba », suo fratello, « il quale era incorso nella medesima dannatione; perchè potendo giustamente perseguitarli e procurarli ogni rovina », egli volle « più presto obbligarseli con la beneficenza et humanità, e perciò fece novo patto con essi, perchè non offendessero più il suo Stato », promettendo loro cento lire al mese, e pagando intanto come anticipazione quattrocento ducati per uno. Senonchè « questa liberalità, benevolenza, e humanità e demenza non servi a cosa alcuna, perchè non osservando lo giuramento e contravenendo alla fede, eccito tumulto in città », e poi venutovi egli stesso « non pretermesse cosa alcuna per la rovina dello Stato ». M·1 ^o-maso sapendo quanto danno potesse derivare alla patria dalla guerra civile, giudicò doversi « astenere dal sangue, non ostante che haveria potuto con le armi e le forze difendere se e lo Stato suo », ed elesse perciò d’ abbandonare il palazzo pubblico, nel che avendo consentito gli avversari, non pensò a guardarsi con soldati ed amici ; onde riesci agevole a Raffaele, rotta la fede, assalirlo inerme prima ch’ ei se ne partisse, mettendo a ruba e a sacco « li suoi beni di valuta di ventimila libre ». Nè pago di ciò lo prese, e lo ritenne da prima prigione nelle case di Gregorio Adorno ; poi lo rinchiuse nella Torre della Lanterna, dove avendo tentato Tomaso di fuggire, venne sottoposto a durissimi « tormenti GIORNALE LIGUSTICO 183 quasi tino alla morte, e vi mancò poco che non lo facesse impiccare, e tentò di avvelenarlo, in modo che più presto tu difeso dalla morte per aiuto divino che per prudenza humana ». In fine, lo fece strettamente guardare nel castello di Savona, dove stette sino al 1447, quando per opera del nipote riebbe la libertà, con gran gioia de’ concittadini, siccome fu manifesto « dal concorso universale nel suo ritorno nella patria » (1). (1) Rilevo queste notizie da un.i istanza presentata da Tomaso al governo, con la quale domanda essere indennizzato dagli Adorno dei danni patiti. 11 documento originale non esiste più, e se ne ha una copia molto spropositata nell’Arch. di Genova, Mss. Cod. 114, c. 308-310 (Cfr. De-SLMONt, Descrizione di un aquilino d' argento c cenni di altre monete genovesi, negli Atti Soc. Lig. di St. Pair., XVII, 380). Io mi sono giovato della fedele versione che ce ne ha lasciato il Roccatagliata, Spogli cit., c. 263 t. e seguenti. Di questi fatti tacciono gli storici, ma un oscuro cronista contemporaneo, Gio. Antonio Faie, ne lasciò memoria (Cfr. Cronaca, negli Atti Soc. Lig. cit., X, 539, 540). Tomaso dava notizia della sua liberazione al Duca di Milano, con questa lettera (Archivio di Genova, Litter., Reg. 1789): Domino duci Mediolani Reversus sum hesterna die, Illustrissime et Ex.™ Princeps, ex longo carcere in quo supra quatuor annos asservatus sum, quantumque mali et egritudinis habuit illa custodia, tantum habuit leticie reditus in patriam omnium omnis etatis atque ordinis occursu celebratus. Si ut res omnes pacate ac tranquille sunt, ita status publicus ex omni parte reformatus esset , accessisset iarn ad sublimitatem vestram qui illustrissimi domini ducis ac meo nomine de communi utriusque status utilitate sermonem habuisset. Id quoniam bene compositis rebus melius ac solidus fiet, interim orare statui celsitudinem vestram sibi persuadeat hunc statum suum esse coque confidenter utatur. Nam in iis curandis que amplitudinem et gloriam vestram aspiciant, neque dominum ducem neque me unquam laboris tedebit. Dabiturque opera ut hoc ipsum excellentia vestra re opereque experiatur, cui me ex animo commissum facio. Data die penultima Januarii 1447. Thomas de Campofregoso. GIORNALE LIGUSTICO Quantunque Tomaso non tornasse per allora a Sarzana, ne riebbe la signoria, e il 15 aprile 1447 consentì i nuovi capitoli richiesti dai terrazzani (1). Achille Neri. LA BOCCA DELLA VERITA IN ROMA E IL TRITONE DI PROPERZIO Una recente pubblicazione del ch. Comm. C. L. V isconti intorno ad una Iscrizione antica incisa nella base d’ un Thesaurus (cfr. Studii e Documenti di St. e Dir. a. VII, fase. II, Aprile-Giugno 1886, p. 8j segg.ì, mi onora d’una Nota in cui si riprova la opinione da me manifestata 1’ anno testò decorso, che la cosi detta Bocca della Ferità sia servita di chiusino ad un pozzo sacro od antico tesauro, e non di lapidino ad una chiavica (2). A ciò che scrissi nulla debbo aggiungere, e (1) Lakdinelli, Relazione cit., Documenti, pag. 102. (2) A chi non fosse noto ciò che io pubblicai sotto iltitolo/.** Bocca delh Verità in Roma e gli antichi Donari (Estr. dalla Croniclxtta mens naie ecc., Aprile 1885) dirò che si chiama Bocca della Verità una gran maschera rotonda del diametro di m. t, 75 e grossa 0, 19, una massa cioè di circa dodici quintali. Essa trovasi sotto il portico di S. Maria in Cosmcdin, e fin dai tempi antichi vi fabbricarono sopra delle lunghe favole quasi avesse virtù di provare e punire gli spergiuri. Anche adesso le madri vi portano i loro bambini, e perchè prendano orrore della bugia lor dicono che chi ha mentito mettendo le mani dentro la bocca di quel mostro non può più ritirarle, lo accennai ad una probabile origine di siffatta novelletta, riferendola ad una vicina fonte di Mercurio, ove i mercanti del prossimo foro soleano convenire per purgarsi dei loro inganni, giornale ligustico 185 lino a che non si portino in contrario prove tali che valgano a distruggere le mie ragioni, non contentandomi di pure asserzioni ed argomenti negativi, nulla ho da ritrattare (1). Si è messa innanzi T autorità d’ un Winckelmann (’Monum. ined. vol. II, p. 25) e d’un Ennio Quirino Visconti (Museo Pio-Clementino, ed. Mil. vol. VI, p. 52 seg.), i quali la tengono per maschera d’un Tritone e fatta ad uso di chiavica. Non sono i primi però; altri ne aveano parlato molto tempo prima di loro, come ne hanno trattato sino ai nostri giorni menzogne e spergiuri, e di cui parlano Ovidio (Fasti L. V.), 1’ anonimo di Einsielden ed i Mirabilia (Ed. Ulrichs, 1871, p. 68, in) e so che a qualcuno questa mia opinione benché nuova non dispiacque. (Cfr. Mariano Armellini, Le Chiese di Roma dalle loro origini fino al secolo XVI). (1) Perchè i lettori del nostro Giornale conoscano le ragioni del eh. De Feis, vogliamo riprodurle qui dalla sua memoria. « I. La qualità della figura, esprimente di certo una divinità,... mi dice che dovè servire per uso nobile e sacro, anziché vile e profano. > 2. 11 marmo... è troppo grande per una chiavica ; e per contrario, l'apertura fatta a ricevere ed inghiottire le acque e le immondezze, sembra troppo piccola : in altri termini, non vi sarebbe proporzione tra il monumento e lo scopo per cui si direbbe fatto. » 3. 11 peso enorme del marmo lo mostra contrario al fine per cui le lapidi da cloache debbono esser fatte. Esse vogliono essere amovibili, perchè possano con facilità togliersi e rimettersi secondo il bisogno.... Or, chi mi darà ad intendere che sia amovibile una massa di dodici quintali .... chiusa per soprassello in un cerchio di marmo oppur di pietra?____ » 4. Se fosse servita per ricevere le acque, molte tracce di corrosione operate dalle medesime si dovrebbero vedere; invece (si osservi specialmente la bocca) nulla di tutto ciò abbiamo. Il consumo e la rovina , che scorgesi, sono operate da ben altra causa, dall’ essere cioè esposta per molti anni e secoli allo spregio del volgo, come cosa abbandonata. » 5 La bocca, e questa circostanza va ben osservata, ha una forma i S6 GIORNALE LIGUSTICO nello stesso senso (i). Io li conosceva , e per rispetto appunto a tutti questi grandi mi tacqui, contentandomi solo di dire le mie ragioni, per le quali meglio che maschera di divinità oceanica, mi sembrava fluviale, ed anziché lapidino di chiavica, chiusino d’ un lesauro. Del resto il c^· Comm. Visconti , che conosce profondamente 1’ antichità figurata, dando uno sguardo al monumento potrà meglio che sappia, e che noi fecero i nostri antichi, stabilire le > renze che passano tra le une e le altre divinità, «- stu ia con animo non preoccupato e spassionato, restituirlo a quest o a quella classe. In quanto a me, per il concet'o che son formato dell’Oceano e dei Tritoni e per 1 osservazione attenta della Bocca della Ferità, per cui ho potuto cedere ^ che altri non aveano finora veduto, potrei quasi giurare ... ,. --n i cosa che mi tutta sua propria : essa ha il labbro inferiore in linea reti . dà P idea dei salvadanai.... » 6. Finalmente si consideri un argomento per me p.irl-in^^^ ho sempre considerato come principale, vo* dire i vari simboli scolpiti o in incavo od in rilievo torno tomo alla faccia^principa e, sono chiaramente una pianta di piede umano, un occhio, e nella parte sinistra di chi guarda; e nella destra, oltre ad iltr‘ s e decisi, una figura in profilo di volto umano confusa tra i pel' C^c ^ quando il soggetto principale era già terminato. Ora, che altro significare se non appunto quello che voleasi fatto? ». La Direzione. (i) L’ultimo, per quanto io sappia, che l’abbia giudicata una bo ^ chiavica è stato il eh. Dott. Helbig nel Bull, deir Ist. Germ. 187* 1882 a Leipzig lu pubblicata l’opera di Friedrich Matz, A dwerk in Rom. cet., ed al n. 5617 si parla del nostro monumento, ma ni come da noi si dice rappresentazione di una divinità fluviale ussS mentre per 1’ arte viene paragonato al Giove di Otricoli o ad una trovala a Pozzuoli e che trovasi nella rotonda del Vaticano , prudent mente, m’ imagino, è taciuto lo scopo per cui fu fatto. GIORNALE LIGUSTICO 187 gli attributi di questa a quelli in nessuna maniera si convengono (1). Ma Γ arme più formidabile che contro mi si scaglia non è 1 autorità dei nomi, sibbene una scoperta di E. Q. Visconti (1. c.), il quale con un vero lampo d’ ingegno spiegò per via di quel monumento un passo di Properzio rimasto sino a quel punto iucomprcnsibilt. I versi del Poeta sono i seguenti : Scilicet umbrosis sordet Pompeia columnis Porticus aulaeis nobilis attalicis ; Et creber platanis pariter sur gentibus ordo, Flumina sopito quaeque Anione cadunt; Et leviter lymphis tota crepitantibus urbe Cum subito Triton ore recondit aquam. Elcg. 11, XX11I, v. 41 segg. Lips. 1845; El. XX.X11, v. i$ segg. Per l’interpretazione di questi versi, o meglio dell’ultimo, E. Q. Visconti faceva la prima volta osservare che senza aver marmi simili a quelli della Bocca della Verità, sarebbe riuscito vano ogni sforzo. Quindi continuando: Parla, dicea, certamente il Poeta di una di qtusU rotelle di marmo, su cui scolpita era la faccia d’ un Tritone, che collocata nel pavimento d’ un qualche luogo pubblico, dai pertuggi, e specialmente da quel della bocca, riccvea le acque che 0 le prossime fonti perennemente, o i rivi correnti per le vicine contrade in tempo di pioggia vi tramandavano·. Quindi sicuro della vittoria aggmngea: Intanto per mancanza di qtusia notizia antiquaria lo Scaligero, il Passerazio e tutti i più dotti interpreti v intendevano, contro le parole espresse (1) Si veggano per la descrizione dei Tritoni: Pausania IX, 20, 21; Apoll. Argon.. IV; Nonno 43. Dionys.; Pindaro, Pyth.. IV. Monum. del-rist.. Gcrm. V, 38, VI, 26; e finalmente, per passarmi di molti altri, P. Volters, Der Triton Von Tanagra, Archàol. Zeit., 1886, pag. 263 , e Michaelis, p. 283. I SS GIORNALE LIGUSTIGO del Poeta, un Tritone che gittasse acqua dalla bocca, e spiegavano ore recondit col suo contradditorio refundit. — Così egli; e noi, per quel po’ di famigliarità che abbiamo coi classici, crediamo di dover dare ragione allo Scaligero filologo ed agli altri interpreti che con lui stanno, e torto al Visconti archeologo. Diciamo dunque che il Poeta nel citato luogo non potè esprimere altro che Γ atto del gettar P acqua dalla bocca ; e se volessimo per poco ammettere Γ interpretazione del Visconti, Properzio avrebbe mancato di estetica, ed il contesto non avrebbe senso. Difatti, che cosa volea dire il Poeta ? Nient’ altro che questo : Perchè tu, Cinzia, ten fuggi o a Preneste o a Frascati o a Tivoli o lungo l’antica via Appia? Si vede che hai a vile il Portico di Pompeo, famoso per le sue cortine attaliche, e i viali ricchi di platani in bell ordine disposti, e le acque che siccome i fiumi scorrono dall’assopito Aniene e quelle che crepitando rumoreggiano per la città, quando i Tritoni con violenza le spingono fuori dalla loro bocca. Qui Properzio vuol trovare ragioni per mostrare a Cinzia che non c’ era punto bisogno di uscir di Roma per cercare il bello, e perciò vien fuori con tale quanto breve altrettanto artistica descrizione della città. Ora poniamo il senso dato dal Visconti, come avrebbe finito il Poeta la sua descrizione? Col seguente meschinissimo concetto. Tu devi sapere ancora, o Cinzia, che qua, quando piove abbiamo fin anche dei Tritoni che fanno l’ufficio di chiusino e si beono le acque che altrimenti allagherebbero la città. In breve, si descriverebbe Roma per i portici, i viali e le cloache ! Questo quanto al-1’ estetica. Per ciò che si riferisce al contesto, il Visconti non avrebbe meno errato colla sua audace interpretazione. Il Poeta dice che le acque crepitano per la città quando il Tritone le serra in bocca — et leviter lymphis tota crepitantibus urbe, cum subito Triton ore recondit aquas. — Ora io non so capire qual altro senso possa ricavarsi da tali espres- giornale ligustico 189 sioni fuorché il già dato, 0 qual relazione possa passare tra il crepitar delle acque e il Tritone che se le beve. Il crepitare è proprio della pioggia o della grandine, che cadendo dall alto a piccoli intervalli produce quel rumore spezzato che si assomiglia di molto allo strepito del fuoco o di cosa che in esso arda. Nel qual senso Virgilio (I, Georg. 449), cantava : Tarn multa in tectis crepitans salit horrida grando ; e Tibullo (II, V, 81): Et succensa sacris crepitet bene laurea flammis. Properzio poi, poeta divinamente artista, nel caso nostro se avesse voluto, come pretende il Visconti, esprimere quel gorgoglio che fa 1’ acqua corrente quando nel suo cammino viene da alcun che impedita, si sarebbe non di questa voce servito, ma dell’ altra più propria murmurare, come faceva Orazio, I, Ep. X, 20. 21, nei seguenti armoniosi ed eleganti versi : Purior in vicis aqua tendit rumpere plumbum, Quam quae per pronum trepidat cum murmure rivum. Queste ed altre difficoltà non poteano sfuggire al grande Archeologo, e perciò giudicò necessario, per rimediare almeno in parte, mutare il quatti in qui, monosillabi ordinariamente abbreviati, come egli scrive, nei manoscritti, e che sovente si scambiano. Ed allora io dico, perchè non cambiare piuttosto il recondit in refundit? Sarebbe alla fine questione di due lettere come per le altre voci, ed avremmo d’ altra parte un senso, come abbiamo già osservato, meno triviale e più nobile. Se non che non vedo in nessun modo necessaria siffatta mutazione, perchè se ne tragga il senso anzidetto, e neppure fa d’ uopo dare alla voce recondit, come hanno fatto lo Sca- 190 GIORNALE LIGUSTICO ligero e dietro lui tutti i Lessici, il significato contraddittorio di refundit, perchè più poetica ed artistica rimanga la descrizione. Ed in vero che altro si denota colla voce recondit se non l’atto di chiudere e rinserrare? E tanto fa antecedente-mente chi voglia gettar lungi P acqua dalla bocca, cioè la rinchiude prima, gonfia le gote e poi comprimendola 1’ obliga ad uscir fuori subito, con violenza. In altri termini, in questo luogo Properzio avrebbe adoperata nient’ altro che una figura retorica di metonimia famigliarissima ai poeti, P antecedente per il conseguente, come l’adoperò in seguito anche il nostro Tasso (G. L., IV, 111), quando preludendo alla nuova teoria dei terremoti scrive\fa: Ni ii commossa ornai trema la terra Quando i vapori in seti gravida serra. Ma giacché è parola di Tritoni, Ovidio usando della medesima figura, con il verbo concepit, molto alfine al recondit, espresse pure 1’ atto del raccogliere P aria nella tromba per suonare. ........Neptunus Caeruleum Tritona vocat, concliaeqiu sonaci Inspirare iubet. Cava bucina sumitur illi Tortilis in latum quae turbine crescit ab imo, Bucina, quae medio concepit ut aera ponto, Litora voce replet sub utroque iacentia Phoebo. I, Mcura. 33j «<η· Ma anche ammessa l’interpretazione di E. Q. ^ isconti , ne consegue forse che la Bocca della Ferità sia stato il Tritone o uno dei Tritoni di cui avrebbe per sorte parlato Properzio? La proposizione è tanto falsa nella sua conseguenza, quanto sarebbe falso l’asserire, a rao’ d’esempio, che tutte le maschere le quali si trovano per le vie di Roma o nei pubblici e privati Musei sieno indistintamente servite a coprire sacri te- GIORNALE LIGUSTICO 191 sauri. Se ciò asserivamo della Bocca della Ferità, avevamo tali ragioni che ben valessero a confermare la nostra sentenza, e tra queste la principale era, lo diciamo ancora una volta, tolta da disegni di ex-voto in essa scolpiti, che se sconvengono ad uso di chiavica ben si addicono a luoghi e monumenti sacri. La Nota del eh. Comm. Visconti termina con queste parole : Il giudizio di quei due sommi (il Winckelmann ed E. Q. \ isconti) resterà inconcusso presso gli Archeologi, mentre le cose dette dal de Feis in contrario nulla valgono contro la parlante evidenza di quella appropriazione. Qual sia la parlante evidenza di quell’ appropriazione, 1’ abbiamo già veduto ; chi sieno gli Archeologi presso i quali rimarrà inconcusso il giudizio di quei due sommi, è ancora da sapersi. Per ora posso assicurare il eh. Commendatore che prima che io pubblicassi la mia Memoria sulla Bocca della Ferità, già cinque archeologi, e tutti socii attivi dell’ Accademia Romana, erano del mio avviso, perchè aveano visto quello che io vidi, e colle loro parole mi esortavano a pubblicare quella che non io ma essi diceano bella scoperta. Pubblicata che l’ebbi, altri hanno aderito e nei discorsi famigliari e per mezzo di lettere, che conservo, giudicando persino qualcuno le osservazioni fatte tanto evidenti che nessuno avrebbe potuto dubitare della verità delle conclusioni. Potrebbe darsi che in seguito alcuni, persuasi da altre ragioni, sieno ritornati all’antica teoria; ma ciò che monta ? Il fatto per questo non rimane men vero , che cioè il giudizio anche dei sommi possa rimanere qualche volta scosso. Benché non è sempre il miglior servizio che si possa rendere agli uomini grandi quello di voler pretendere ad ogni costo che abbiano sempre detto e scritto bene — quandoque bonus dormitat Homerus — e — cuiusvis hominis est errare —, nè per questo si scema punto la nostra venerazione per loro. Roma, 20 Luglio 1886. I9- GIORNALE LIGUSTICO P. S. T;di osservazioni io scrissi tosto che vidi la Nota del eh. Comm. Visconti, poi quasi pentitomi posi, come suol dirsi, tutto a giacere. Ma ora pensando non Torse il silenzio venga giudicato per una tacita confessione di sconfìtta, dietro consiglio preso, mi sono indotto a pubblicarle special-mente per ciò che riferiscesi alla interpretazione dei versi di Properzio. Intanto, portami l’occasione, fo seguire a titolo di appendice o di documenti le opinioni di quelli che prima del Winckelmann e di E. Q, Visconti trattarono il nostro argomento, come me le trovo notate, perché si vegga ancora una volta che esse erano tutte a mia cognizione, e che se prima non ne feci motto in particolare fu solo perchè non lo credetti necessario. Inoltre si vedrà come il giudizio loro non era altro che una semplice asserzione, mancando ogni idea di prove ; anzi, per parte almeno del Winckelmann, si parlò del monumento come se non I a\esse mai visto, chè dicendolo Tritone avverte che le corno sotto ài forbici di granitola consueto attributo dell’ Oceano, e divinità marine, o qualche fiume che sbocca nell' Oceano. (Cfr. Venuti, Anticb. di Roma, II, p· S°)· ®'u dizio di questo sommo sull* appropriazione dei monumenti fosse sempre come quello dato delle corna, io mi penso che della sua autorità noi po iremmo fare quel conto che si fa di uno che non sa quel ehc si dice. Ma non e questa Li mia sentenza. Io stimo il Winckelmann, per quanto egli possa qualche volta errare, come rispetto e venero i mici dottissimi avversari, anche quando credo non abbiano ragione ; anzi, per la stima che loro porto, li prego a non riposare e giurare sulla parola altrui, ma ad andare almeno una volta ad osservare coi loro proprii occhi il mo numento di cui è questione, certo che giudicheranno senza prevenzione di sorta, e non si diporteranno come quel buon Crcmoncino, di cui rac contano, che non osasse guardare nel cannocchiale di Galileo per timore d’incontrarsi in ciò che non volca vedere. Ciò premesso, possiamo durre le diverse opinioni che si portarono della Bocca della Venta in tre classi distinte. La prima è di quelli che, come il Visconti ed il Winckelmann, la dissero bocca di chiavica, e sono il Fabretti (Col. Troiana), il quale si contentò di dire che fosse servita cloacae alicui operiendae; il Montiaucon (Diar. Itah, p. 187), Mons. Giusto Fontanini, Paolo MafTei ed il Pancirolo citati dal Crescimbcni. » Il Pancirolo il dice sen\a più bocca d' una chiavica, ma ciò non può essere i.° per la qualità del marmo, che i di color bianco, 0 ametis tino, ο ρανοηαςχο (è veramente pavonazzetto), la quale i riguor-devolissima, e non punto da mettersi in luogo vilissimo come avverte il Se-verani {Metu. VI, c. 1. Ara Mass, p. 344); 2.° perché rappresenta Giove Ani- GIORNALE LIGUSTICO 193 ... j r Sl "‘^rar coperto di pelle d'ariete (sic), e distinguersi sopra la .· * ror"',"" 11 Montfaucon nel Diario italico, p. 183 sostiene lo stesso, e t eie ne palalo della Cancelleria ve n'è un’ altra simile (l’ho osservata, moto 1 versa) esistente in me^o al cortile... Ma riguardata coll’ illustrali · , han"° COmunicato Mons. Giusto Fontanini e Paolo Maffei, me* 10 la stono vera ed indubitata, perchè essi giudicano che questo fosse m c!.,ts,no d'acqua piovana che era 0 nelle piane di qualche tempio o < < > ro un tempio aperto alla sommità come si vede in meno al Panteon. — . Mana in Cosmedin, p. 32 seg. La seconda è di quelli che giudicarono fosse servita per un Ninfeo. a pare losse quella del Severani seguita dal Crescimbeni, 1. c. « Per questo a me sembra che s, vedono per di più i luoghi dei ferri che lo tene-Mno diritto e appoggiato a qualche muraglia, come vuole il Severani (Ara ass.) ». I luoghi dei lem, che io ho veduti, mostrano invece che fosse stata fatta per essere tenuta orizzontalmente e non verticalmente. Sostenne a stessa sentenza apertamente il Vignoli, dicendola un emissario di acqua •Il USO di qualche fontana , I. c. ; ed oggi, per citare qualche vivente, anc ie perche si sappia come la dottrina delle chiaviche non è di tutti, ia sostenuta e la sostiene il eh. Comm. C. Descemet nella dotta memoria che scrisse Sur les fouilles éxecutêes à Santa Sabina, il quale a pag. 25-26 cosi si esprime: « Il est donc probable que l'aqua Appia parcourait jadis ces canaux pour venir alimenter plusieurs réservoirs des bains, des fontaines publiques; ainsi, le cilébre mascaron en marbre blanc •ht Bucca ou Bocca della Verità a pu orner une de ces fontaines ». La terza finalmente é di quelli che la dissero ara. Il Ficoroni (Le VtsÜg. di Roma Ant., p. 27): « Supposto, dice, che fosse servito per ricettacolo d immondezze a qualche cloaca, avrebbe pure all'intorno qualche linea di cavo, acciocchì avesse potuto stare incastrata, e di più, essendo il gran piano scolpito, si riconoscerebbe il consumo ed il tartaro che suol lasciare il correr continuo delle acque ». Quindi, dopo aver date le misure soggiunge: « /« ambo 1 lati e alla metà vi è il cavo per i perni di metallo che la sostenevano sopra a qualche grandiosa ara ». A questa classe si possono ridurre tutti quelli che ammettevano la favola delle bugie e dei giuramenti, come ii Can. Castelli del sec. XVI lodato dal Crescimbeni 1. c., che dopo asserito di aver letta la leggenda dell’adultera in un codice antico così scrive : « Ad S. Mariam... positus est unus lapis rotundus... qui dicebatur Bucca \ eritatis, ad quam homines se expurgaverant ». Ara fu detta anche negli Additam, ad Ciacconium in vita S. Dionysii, a. 1677, t. I, p. 179 « Suum etiam in Virginem Matrem affectum ostendit Dionysius dum Romae Glos*. LicvtTico. Anno Xl·’. GIORNALE LIGUSTICO Mariae semper Virgini templum erexit, quod a publico gymnasio in quo latini se g nucis exornabant Schola graeca , seu a proxima ara ad quam tei iureiurando veritatem fateri cogebantur la Bocca della Verità nostris etiam temporibus nominamus ». Questa è la sentenza dei più antichi ed alla medesima si accosta anche la nostra; chè essi per dirla ara, come già altra volta osservai, o la videro al suo posto o l’impararono per tradizioni ; in qualunque modo però dovettero vederla o supporla, per giudicarla tale e non bocca di chiavica, non a fior di terra ma sopra un puteale. Del resto, prima di finire, mi corre l’obbligo di domandar perdono ai miei dotti avversarli se in siffatto modo e tanto mi sono dilungato nel trattare un argomento sì ingrato. Firenze, 17 Marzo 18SS. ~ Leopoldo de Feis b. VARIETÀ LETTERE DI DUE FUORUSCITI FIORENTINI DEL SECOLO XVI (,) I. Pochi temi hanno, a veder mio, tanti requisiti per invogliare un giovane studioso quanti Luigi Alamanni. In lui si compenetra Γ uomo politico e lo scrittore, e sia come politico sia come scrittore egli è significante. Col politico si seguono gli ultimi destini della libertà fiorentina e si è tratti a studiare la influenza curiosa e malnota che gli italiani esercitarono presso Francesco I di Francia (2) ; col letterato si hanno a studiare argomenti diversi e se non tutti ghiotti del pari, tutti certo importanti, chè P Alamanni fu poeta (t) Autog. nel Museo Civico di Torino. (2) Notevole documento, tra i molti e non studiati, delle conversazioni tra letterati italiani che a quella corte aveano luogo è nel principio di una lettera del Muzio, ove si parla di certa gara letteraria tra 1'Alamanni e il Delminio. Cfr. Neri in Giorn. stor. d. lett. it., IV, 2}i. GIORNALE LIGUSTICO Γ95 epico, lirico, satirico, drammatico, didascalico. Quella idolatria pel bello stile che creò già in Italia la rugiadosa e non peranco estinta progenie dei retori e dei pedanti, levò di lui alle stelle la Coltivazione, poemetto noioso per lo meno quanto elegante, e lasciò quasi nell’ oblio le altre opere, che meriterebbero studio accurato ; pel contenuto segnatamente il Girone, e quel singolare « scheletro classico rimpolpato di leggende bretoni » (i) che è Γ Avarcbide; per la forma poi in particolar modo la Flora (2). Argomento ottimo e degno sarebbe dunque codesto dell’Alamanni; ma non io certamente vi darò opera : il che è per lo meglio. Franchigie falsamente promesse e non attenute dal cardinale Giulio de’ Medici, produssero in Firenze nel 1522 una congiura, che 1’ accorto uomo, cui 1’ anno dopo attendeva la tiara, seppe agevolmente scoprire e sventare. Capi della congiura erano parecchi tra i pacifici frequentatori degli Orti Oricellari ; anzi quella celebre comitiva si sfasciò dopo P infausto avvenimento. Iacopo da Diacceto e Luigi di Tommaso Alamanni n’ ebbero mozzo il capo : altri parecchi, tra cui si citano alcuni dei Soderini, Zanobi Buondelmonti, Antonio Brucioli, Niccolò di Lorenzo Martelli e il poeta Luigi di Piero Alamanni, confiscati ne’ beni e posta a taglia la vita, fuggirono (3). (1) Canello, St. d. lett. il. nel su. XVI, Milano, 1880, p. 154. (2) Rappresentata la prima volta in Parigi il 1 marzo 1555 (cfr· Bibliofilo, VI, 8$). Intera la ristampò Pietro Raffaelli; un saggio ne diede il Carducci, La poesia barbara nei sec. XV e XVI, Bologna, 1881, p. 303 segg. Vedi li. T. (Teza?), Intorno al verso alaimimiano nella Flora , in La scuola romana, IV, n. 9. (3) Gli storici fiorentini del tempo, segnatamente il Nardi, il Pitti ed il Nerli, narrano il fatto con molti particolari. Chi ne volesse .litri e maggiori veda i Documenti dilla congiura fatta contro il carditi. Giulio de' Medici nel 1522 pubbl. da C. Guasti nel G ioni. stor. digli archivi toscani, III, 121 segg. e 185 segg. 196 GIORNALE LIGUSTICO Luigi cercò prima rifugio in \renezia, poscia, non trovandosi sicuro col:\, passò in Svizzera ed in Francia, talora solo, più spesso in compagnia del fido amico Zanobi Buondel-monti (1). I movimenti politici fiorentini del 1527 gli permisero di rivedere la patria e di prestarle P opera propria durante il breve e tumultuoso periodo del dominio popolare. Questo cessato, riprese P Alamanni la via dell’ esilio, e trovò in Francia presso Francesco I e poscia presso Enrico II la più cortese e benevola ospitalità. Egli sostenne per loro varie ambascerie e venne parecchie volte in Italia , e nella stessa Roma, dopoché, morto il suo nemico Clemente VII, lo sostituì nel papato Paolo III. In Roma entrò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, che segui in Ferrara e poscia in Francia (2); in Roma riappiccò la relazione con Benvenuto Cellini e cooperò alla sua liberazione dal carcere (3); in Roma probabilmente conobbe Vittoria Colonna e fu poi mediatore tra lei e Margherita di Navarra (4). Fra le relazioni politiche dell’ Alamanni con potentati ita- (1) Dai due insieme sono firmate le lettere pubblicate dal Guasti ; ai due dedicò la Vita di Castruccio il loro grande amico Niccolò Machiavelli, che nell’ Arte della guerra fece interlocutore l’Alamanni. Questi pianse con molti versi la morte del Ruondelmonti. Vedi Versi e prose di Luigi Alamanni, ediz. P. Raffaelli, Firenze, 1859, I, 356, 542, 3481 J52· 356. (2) λ edi per tutto ciò la miglior biografia che sinora si abbia dell’Alamanni, quella del Mazzuchelu, Scritt., vol. I, P. 1, p. 2J2 segg. c per le relazioni con Ippolito particolarmente Campori, Luigi Alamanni e gli Estensi, Modena, 1867, p. 8-9. (3) Cfr. le del resto scarse notizie del Raffaelli, Intorno a Luigi Alamanni e al su) secolo, nell’ Op. cit., I, xxvn. (4) Cfr. la lettera dell' Alamanni a Vittoria ripubblicata dal Raffaelli, in Op. cit., II, 459-60 e quella di Vittoria a Margherita di Navarra stamp. da Mùller e Ferrerò , Alcune lettere inedite di V. C., Torino, 1884, a p. 26. 197 liani tengono luogo segnalato quelle con Genova. In quella città egli strinse particolare amicizia con Andrea Doria, che 10 amò e. stimò grandemente (i). Col Doria si adoperò a prò di Firenze nel suo primo ritorno; con lui andò in Ispagna ad accordarsi con Γ imperatore nel 1529 (2). Genovese, quantunque abitante in Francia, era la Battista Lercara Spinola, cui diresse tanti versi passionati, chiamandola col dolce nome di Ligure pianta (3). A Genova venne sicuramente I Alamanni nel 1551, ambasciatore di Enrico II, per perorarvi la causa di Ottavio Farnese (4). Ma v’ è memoria di anteriori relazioni politiche con Genova. Narra il Bonfadio che nel 1543 il re di Francia stabilì di mandare a Genova, in qualità di suo legato perpetuo, Luigi Alamanni; ma che 11 Senato genovese con bella maniera rifiutò di riceverlo pel timore di procurarsi attriti con Carlo V (5). Tuttavia nel- (1) Cfr. Segni, Slor. Fior., Firenze, 1857, p. 78. (2) Mazzuchelli , Op. t 1. cit., p. 248 e 250 ; Cipolla, Signorie, Milano, 1881, p. 954. In lode di Andrea Doria è una poesia dell’ Alamanni. Vedi Versi e prose, I, 298. (?) A costei avrebbe diretto anche una novella, che si conservava in un cod. Naniano, ora probabilmente alla Marciana, come attesta il Tira-boschi, Storia, ed. Anton., VII, 1641. (4) Mazzuchelli, Op. e I. cit., p. 254. (i) « Ad haec Senatus ita respondit, quod ad Legatum recipiendum per-» tineret, id se minime quidem recusare, praesertim cum id sibi valde » esset honorificum, quod ad quam civitatem Legati mittantur, illi splen-» dor, atque auctoritas attribuatur, sed tamen vereri, ne ea res aut con-» tentionem inter Regium et Caesaris Legatum, aut dissentionem ititer » cives esset allatura, quorum utrumque maxime sibi vitandam statuebat; » Rempublicam Genuensium liberam quidem illam esse, attamen novam, » et ita Caesaris rebus adiunctam, ut ipsius habenda ratio esset in pri-» mis.... Ita cum esset responsum, missusque ob hanc causam Bene-» dictus Centurionus in Galliam Legatus, haud satis aequo animo res fru-» stra tentatas Rex dimisit ». Bonfadii Annales genuenses, in Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, vol. I, P. II, coi. 1581-82. GIORNALE LIGUSTICO 1* anno successivo sembra indubitato che avesse luogo una missione diplomatica dell’ Alamanni a Genova, giacché Al fonso Caleagnini ne scriveva così al Duca di Ferrara il 28 marzo 1544: « Per ora altro non ci è di nuovo che il sig. » Luigi Alamanni domani parte, se non è partito questa » sera, per ire a Genova ambasciatore di S. M· Cristianis » sima, come ne avvisai V. Ecc. che doveva partire » (0· Tali parole sono esplicite, e per quanto i biografi dell a manni non ci tramandassero notizia di questa ambasceria, basterebbero per farcela ritenere sicura. Ma a farne testiino nianza ancor più chiara viene la lettera dell Alamanni hi data S maggio 1544, che io qui pubblico per la prima vota. Fuori: Agl’ 111.®1 et ex.°» signiori, il s.w Doge et Goucrnatori Γ III1”4 Republica di Geno..... ori mie osser."»1. Ex.100 Doge et ili.®* signiori, Lo ill.ra° s.» Luogotenente di questo paese, Monsignior di Grignia mi ha mostrate lettere in Marsilia di V. Exc." per le quali ho 1 quelle non bavere, potuto ottenere salvocondotto per me dall armata ^ periate havendone esse fatta ogni diligenzia, et veramente la scusa non 1’ ha concessa è da essere accettata per molto giusta et honora , pure essendo io desideroso di satisfare alla M.<* del Re mio I airone, di non abbandonare l’utile che spero loro ne possa avenir della tn>* nuta, ho ottenuto dall’IH.0» Generale dell'armata ch.®J s·*" tJPl,an Paulino che con le sue galere mi metterà sicuro in Sauona, o in qu altra terra vorranno V. Ecc.« delle loro riviere, senza danno aLuno esse, pur che a quelle piaccia di comandare ch’io truovi, o in Sauona, o in qual altro lungo mi ordineranno eh' io scenda , tale sc°^ mandata da loro eh’ io mi possa condurre per terra salvo davanti a^ prescntia di quelle, et sieno contente che et della volontà loro et <.c luogo ove io debba discendere ne habbia presta et resoluta risposta per lo apportatator medesimo il quale aspetto in questo luogo. Et io, si come Ambasciatore, le conforto et si come antico et fedelissimo seruitor di V. Ecc.« et della loro republica le supplico a non voler mancare, tcdochè (1) Docum. pubbl. dal Campori, Op. cit., p. 11. GIORNALE LIGUSTICO 199 piccola occasione non possa causar cosa che rechi in sospetto la buona amicitia tenuta et mostrata da un tempo in qua con s. m.'* ch.ma; et baciando le mani di V. Ecc.« prego dio che la faccie grandi et felici. In Antibo il giorno viij di maggio xLiiij. 11 d. V. ecc.“. affectionatiss.0 serv.,e Luigi Alamanni Ambasciador di s. m.là chrislianissima. Questa lettera io pubblico tanto più volentieri inquantochè ben poco ci è rimasto della corrispondenza epistolare del-Γ Alamanni. Il Raffaelli nel 1859 riusciva a mettere insieme solamente 17 lettere di lui, 5 delle quali non hanno veramente carattere di lettere perchè sono dedicatorie. Nel medesimo anno Cesare Guasti ne pubblicava altre 28 dirette dal 1522 al 1524 a Giambattista della Palla; ma due sole fra queste hanno la firma dell’ unico Alamanni, mentre le altre sono scritte da lui in compagnia con Γ amico Zanobi Buondelmonti (1). Una al cardinale Farnese è inserita nelle Lettere d’uomini illustri conservate nell’ archivio di Parma ; una al Guidiccioni fu stampata a Torino nel 1863 per nozze Riccomanni-Fineschi ; una al duca di Ferrara pubblicò nel 1867 il Campori (2); una del 1518 a Piero Alamanni mise in luce nel 1882 il Villari (1). Ecco le poche lettere di Luigi Alamanni di cui ebbi notizia. Qualche altra ve ne sarà sparsa in pubblicazioni speciali o in riviste (4) ; ma sono pur sempre poca cosa nel secolo celebre per gli epistolari. (1) Giorn. stor. degli archivi toscani, 111, 142-150, 185-215. (2) Op. cit., p. 10 (5) Niccolò Machiavelli, III, 400. (4) A lettere inedite dell’Alamanni accenna lo Zeno, Leti., V, 556. Altre sono indicate nell’inventario delle Carli stroiiaiu del R. Archivio di Stato in Firenie, I, 341, 54$, S47· 200 GIORNALE LIGUSTICO II. Di gran lunga meno famoso dell’ Alamanni è Bartolomeo Cavalcanti, retore, umanista, statista, diplomatico. Se per altro non ebbe P ingegno dell’ Alamanni, gli somigliò nel carattere nobile e nell’ amore per la libertà. Ambedue furono fiorentini, contemporanei, fuorusciti; tranneché il Cavalcanti non tu bandito per una congiura, ma elesse volontariamente l’esilio verso la fine del 1536, allorché Cosimo ottenne il potere (1). Recatosi prima in Ferrara, ove i fuorusciti fiorentini trovavano sempre buona accoglienza, passò poco appresso in Francia. Quivi si fece amare da Ippolito d Este. Con esso venne poi in Roma nel 1544, per indurre Paolo III ad una lega con Francesco I e Venezia. Riuscito vano quel tentativo, si pose ai servigi del duca di Ferrara, e vi stette sino al 1548. Gli chiese licenza solo per esaudire un desiderio del papa, che lo volle presso di sè a Roma acciò gli prestasse 1 opera sua intelligente. Morto Paolo III» passò «* servire il card. Alessandro Farnese, da cui si staccava nel *5S~ Pcr ritornare con Ippolito d’Este, deputato da Enrico II al governo di Siena. Partitone il cardinale, continuò a rimanervi il Cavalcanti sino al 15J5, dopo il qual tempo la sua vita è alquanto oscura. Il Campori ritiene che vivesse poi in Roma. certo è che mori in Padova, come risulta da un epitaffio riferito dal Tommasini (2). (i) Segni , Stor.fior., p. 544. (2j In questi cenni ho completato le poche notizie che dà il Tiraboschi, Stona, ed. cit., VII, 205861 con i preziosi documenti pubblicati dal Cam-pori, Diciotto lettere inedile di Bartolomeo Cavalcanti, Modena , 1868. giornale ligustico 201 In questo periodo oscuro rientra la lettera seguente : Fuori : All’ ill.rao et R.mo Sor Mons.or il Card, di Tornon Padrone mio OSS.rao. in Casteldurante. Io non partii di qui il giorno doppo la partita di V. S. 111.™», come havevo disegnato, perch’ io mi trovai tanto mal disposto delle gambe che non potevo muovermi ; ma trovandomi alleggerito il giorno seguente , andai sino a Loreto, dove non era stato mai, et me ne tornai qui il di medesimo, che fu mercoledì, resoluto di partir hiermattina et trovarmi costi hoggi, o domane al più lungo. Ma io sono stato impedito da una pioggia che si mosse hiermattina et anchora dura, la più grande che si possa vedere in questo tempo, et vedendo che per questa causa si potrebbe ritardare un giorno o due la partita mia, m’è parso di mandare uno a posta per dar conto di me a V. S. 111.™* et anchora per inviarle due lettere sue, l’una lasciata nel mio loggiamento non so da chi, l’altra mandatami dal Conte Ippolito Tassoni, che veniva da Ferrara in posta et anelava al campo, ma passò qua senza dar tempo di poterlo vedere. I nimici si truovano a Corroboli, luogo vicino ad Ancarano circa tre miglia et si diceva che andavano a occuparlo. Questo Ancarano è posto su la collina di là dal Tronto vicino a due o tre miglia a Contraguerra et a Colonnella, luoghi tenuti da’ nimici, et è del vescovado d’ Ascoli, et i nostri si sono ingegnati di mantenerlo et salvarlo il verno passato , giudicandolo luogo commodo et opportuno alla guerra. — È venuto da Fiorenza un giovene fiorentino, il qual riferisce che il Duca Cosimo mandava il Niccolino a pigliare il possesso di Siena et metteva insieme i suoi Alemanni et settemila delle sue battaglie per mandargli verso Mont’alcino, che ò quanto ho da dire a V. S. III.'"* delle cose sue. Io partirò per costi subito che cessi questa asprezza di tempo, in questo mezzo supplico a V. S. Ill.m* che mi mantenga la gratia sua, et con ogni reverentia le bacio la mano, pregando N. S. Dio che la faccia felice. All’arrivo mio referirò a V. S. 111.1»* un ragionamento che ha fatto meco il S.or Duca di Palliano, che è di qualche importanza. D’Ancona alli xx di giugno 1557. Di V. S. 111.™* Hum.m0 et devot.n'° servitore Bartholomeo Cavalcasti 202 GIORNALE LIGUSTICO Stretti rapporti intercedevano, a quanto sembra, in questo tempo tra il Cavalcanti e il cardinale di Tournon; si direbbe rapporti di servitù. Voglio non si dimentichi che durante il soggiorno in Siena con Ippolito, fu appunto il cardinale di Tournon una delle tre persone alle quali Barlolomeo comu nicò la riforma disegnata nel governo di quella repubblica. Questa lettera fu poi impressa nel 15ss in appendice al libro del Cavalcanti: Trattati sopra gli ottimi reggimenti delle repub bliche antiche e moderne. Rodolfo Renier. UN MAZZETTO DI CURIOSITÀ (l)· II. Alfonso d’Este, volendo usare una cortesia , in segno di stima e di benevolenza, al conte Sinibaldo Fiesco , scri\eva a Marco Pio, suo ambasciatore presso Carlo V, in qUcStl termini (2) : Aìfonsus Dux ferrarie etc. S.°r Marco. Se costi a quella Corte se troua lo S.or Sinibaldo flisco, uisitate sua S. da parte mia, et ditele che lo S.or Buoso Sforra mandato a me a domandarmi campo franco, ed ancho un Trombetto mandare ad essa sua S. con la qual dice uoler terminar per duello ce querela, et luno et Γ altro li ho recusato. Ht soggiungete che non facc dirle questo perchè me n’abbia obbligo, perchè per Io amor Jiio Ie Por ’ non solamente non uorrei mai far cosa che fusse contra lei, nia 1 ^ in molto maior importanza (arie sempre piacere; ma lei faccio direso ^ per aduertirla di quello chel P10 S.m Buoso ua cercando. Et offcritem (1) Contin. da pag. 445, a. i887. (2) Bib. Naz. Firenze; Rate. Gonne Ili, Leti. Principi, cass. II, *49· carta è lacerata inferiormente, e manca perciò la firma. GIORNALE LIGUSTICO 203 •t sua S. in tutto quel chio possa che le sia grato. Et quando essa non si troui costi ditelo a suo agente se ue ne è alcuno, o tenete manera in altro modo che le peruenga a notitia. A voi solo ho scritto questa, et dato questo carrico, come a persona dimestica et credo ancho parente del p>° S. Sinibaldo. State sano ferrarie xxvij Septemb. 1529. La lettera doveva esser diretta certamente a Piacenza, dove 1 Imperatore s’era fermato dopo la sua partenza da Genova, avvenuta il primo di settembre di quest’anno (1). E il Pio, della nobile famiglia da Carpi, era stato appunto inviato da Alfonso ambasciatore a Carlo V nella sua venuta in Italia; ma tornato immediatamente al Duca, avendogli ordinato il Monarca che non si presentasse a lui, se non munito de’ necessari poteri per trattare la composizione delle differenze fra il suo Signore ed il Papa, aveva raggiunto l’imperatore a Piacenza (2). Or quivi al seguito imperiale reputava il Duca potesse essere Sinibaldo Hesco, uomo principalissimo e di gran nome, partigiano di Carlo, e venuto in molto potere nella sua patria. Son note le inimicizie sue con i Fregoso, le uccisioni e le vendette di che esse furono cagione, non che le guerre sostenute da Sinibaldo e dai suoi unitamente agli spagnuoli per togliere Genova alla odiata famiglia ed alla Francia. Curioso riscontro ! Non passarono molti anni che, pur guidato da interessi personali, il figlio di lui si volgeva a questa per cacciare gl’imperiali, abbassando in un tempo la potenza d’una famiglia rivale. Sinibaldo era carissimo a Carlo, si come lo dimostrano le molte e luminose prove di benevolenza, onde gli fu largo per molteplici privilegi, fino ad includerlo nella celebre pace di Bologna. Perciò a lui affidarono i genovesi (1) De Leva, Storia doc. di Cario V, II, 560, (2) Litta, Famiglia Pio, Tav. Ili, — Muratori, Antichità Estensi, li, 355. — De Leva, Op. cit., II, 576. 204 GIORNALE LIGUSTICO di recarsi in nome della città a rendere omaggio .ili Impera tore, per la protezione accordata alla Repubblica ne fatti de 1528. Della splendidezza sua e della fama acquistatasi moltis sime testimonianze ci rimangono; egli mecenate di artisti e letterati; egli istitutore di un orto botanico; strenuo in guerra, avveduto nella politica, savio reggitore. Segnò il più alto grado di potenza della sua famiglia, per copia di feudi e di ricchezze (1). Qual fosse la querela di che si tocca nella lettera, onde si richiamava offeso Buoso Sforza, non saprei. Era questi Bosio II conte di Santa Fiora, genero de cardinale Farnese che fu poi Paolo III, e cognato di Pier luigi. Dato alle armi aveva servito in qualità di capitano Francesco Π duca di Milano, e s’era acquistato assai grido, u ispecie nella strenua difesa di Parma dalle armi del Borbone (-) Non è quindi a meravigliare se chiedeva soddisfazione per duello, allora cosi frequente, in seguito a qualche contesa da lui avuta con Sinibaldo, desideroso forse di emulare in ciò il cugino Sforzino, che pochi anni innanzi aveva \into in duello Camillo da Gambara (3). Ma il duca Alfonso non (1) Si vegga intorno a Sinibaldo quanto di meglio ha saputo ^raccogliere Antonio Manno nella avvertenza agli Arredi ed Armi di Sim Fieschi da un inventario del 1542 negli Atti Soc. Lig. Slor. Pût-, Χ· 71 Ofr. anche Sforza, Memorie e documenti per servire alla storia di Pon moli, Lucca, 1887, II, 134 e segg., 201 e segg. (2) Ratti, Della famiglia Sforma, Roma, Salomoni, 1796. 1> 22î eSC8K (}) Ratti, Op. cit., I, 211. Non sarebbe forse fuor di proposito sospet tare che le querele fra Bosio e Sinibaldo risalissero a qualche anno in nanzi, ossia al 1526, e dai fatti di quell’anno avessero origine. Poiché· mentre il primo si trovava a Parma colle truppe del Duca ài Milano, contro il Borbone avviato verso Toscana, Sinibaldo ebbe appunto ài questi Pontremoli, del quale s’insignorl, togliendolo perciò, consenzienti i terrazzani, a Sforzino Sforza cugino di Bosio che lo teneva per il Duca (Cfr. Sforza, op. e 1. cit. — Ratti, op. cit., I, 210. — Targioni, Relazione di alcuni viaggi ecc., Firenze 1777, XI, 296 e segg.). giornale ligustico 205 voleva prestarsi ai suoi desideri, e, come si vede, bramava tar spiccare questa sua deferenza verso il Fieschi. E ben ne avea ragione, poiché volto con ogni mezzo a rendersi benigno 1 animo di Carlo, affinchè si facesse efficace e favorevole mediatore a compor le sue contese col Papa, stimava opportuno rendersi grati tutti coloro verso i quali l’imperatore mostrava particolare fiducia e benevolenza. Onde questi uffici particolari, fatti nel mentre pendevano trattative diplomatiche col Monarca, che, prima riluttante, consentiva poi a passare, splendidamente accolto, ne’ domini del Duca, non attestano solamente la stima d’Alfonso verso Sinibaldo, ma sono nel tempo stesso uno de’ molti spedienti adoperati da lui per mettersi più a dentro nelle grazie di Carlo V. E, come è noto , ebbero i suoi intenti lieto coronamento nei fatti (1). * * * La moglie di Gian Andrea D’Oria erede del grande ammiraglio, c reputato capitano di mare egli stesso, scriveva a Ferrante Gonzaga duca di Guastalla, figlio di Cesare e nipote del famoso omonimo (2): Ill.mo et Ecc.™ S.<” mio et Genero oss.mcl Dal Caini creato di V.r* Ecc.,a ho ricevuto la sua lettera credentiale, et da lui inteso a bocca quelle buone nuove eh’ io grandemente della salute sua desiderava, che come mi sono state oltre modo grate, così mi hanno infinitamente rallegrato, et starò con ardente desiderio aspettando che questi pochi mesi che ci restano di state passino via, per poter godere et servir qui l’Ecc.« V.«, la quale intanto prego con ogni affetto (i) Muratori, Op. cit., Π, 357 e segg. — De Leva, Op. cit., II, 576-595. — Campori, Cario V a Modena, in Arch. Stor. Ital., Ser. 1.*, Appendice. VI, 145. (3) Bib. Naz. di Firenze, Racc. Gonnclli, Carte Gonzaga, cass. 1. 2o6 GIORNALE LIGUSTICO a voler quanto più può guardarsi da questi noiosi caldi, già che tanto l'offendono, et lasciar (com’ intendo che fa) di giuocar alla Pilotta, acciò talvolta riscaldandosi troppo in quel laborioso essercitio, non le cagionasse qualche i-ndispositione, pregandola ad haver per bene questo ricordo, poiché sa esser io così desiderosa della salute sua, come della mia propria. Questi nostri hospiti credo partiranno domani a sera, che mi sarà molto caro, non per altro, se non perchè, chi è avezzo di stare a casa sua agiatamente, si reca malagevolmente a starci stretta come io io. Nel resto rimettendomi al detto suo Creato, le bacio la mani, et le prego ogni felicità. Di Genova li 6 di luglio 1585. come madre che servirà sempre la E. V. D. Zenobia D’ Oria. Del matrimonio di Ferrante con Vittoria D’Oria (1) sera già trattato fin da quando viveva Cesare suo padre , morto (i) Alla nascita di questa figliuola deve riferirsi la lettera seguente scritta alla suocera di Zenobia, Ginetta Centurione, vedova dell infelice Giannettino, e che si legge autografa in una raccolta privata : Ill.ma S.ra mia osser.ma Ho insieme con la lettera di V. S. de’ 22 del passato ricevuto la memoria delli lavori che la mi cornette per il parto della S.ra D. Zenobia e le tele di cambray, e per essa ho visto quanto comanda. Io come servitore che le sono, e desideroso di servir continuamente a V. S. mi sono rallegrato molto di questa occasione , così per renderla certa dell’animo mio, come per l’effetto a che sono commesse. Ho donque subito dato ordine per che sij dato principio a lavorare, et servendomi del meglio mastro che sia a Napoli, non metto dubio che V. S. restara sodisfatta dell’ opera , e massime dovendo tanto nel dissegno come nel lavorare intervenire il parere e consulta di Ines moglie di Vergara creata della Duchessa q’ Alva , che altra volta costì ha servito V. S. come si dovrà raccordar ; perda donque il pensiero di ciò per che metterò ogni studio per che resti contenta, e se pur seguirà il contrario sarà per non saper più ; e di ogni cosa sarà provista alla fine di agosto, per che per all’ hora me le ha promesse il maestro, duoimi ben che per la penuria che vi è d' oro e di perle li verranno a costar più care, però é necessario haver pasienza e far al men male, si come procurerò in suo ser- GIORNALE LIGUSTICO 207 nd 1575, e poi in seguito dalla madre, Camilla de’ conti Borromeo, che fu tutrice del figlio; ma non si potè conchiudere se non alcuni anni più tardi, secondo abbiamo dalla lettera seguente di Ferrante stesso (1): Ser."'o Sig.rc et mio S.rt oss.m° Disidirava di far riverenza a V. A. et parlarle in persona, ma poiché non 1 è stato commodo, non ho voluto tardare più a fare il mede.” officio con questa, con la quale dopo haver baciato humihnente le mani aU’A.V. le dò nuova che il partito di maritaggio che fu mosso in vita del Sig.re mio Padre, et che doppo fu trattato con la Sig.ra Principessa mia Madre, tra la Sig.™ D.» Vittoria fig> del Sig.r Principe D’Oria et me con par-tecipatione di V. A. la quale allhora l’approvò quanto alla persona, ma non intorno al modo, hora si è conchiuso et stabilito, non pure con migliori conditioni delle passate, ma con maggiori di quelle eh’ io havessi saputo domandare. Spero che V. A. sentirà bene questa mia risolutione di parentado, tanto più che essendole il S.r P.= D’Oria tanto ser.re quanto io le sono divoto et obligato, 1’ A. V. ha da promettersi in ogni tempo servitù conforme, di che le darà qualche segno la lettera d’esso S.r P.e , et per non fastidir V. A. con più lunga lettera, mi rimetto a quello che di più le dirà il caval.re Strozzi, al quale ho scritto più diffusam.te sopra questo negotio, onde senza più priego a V. A. il colmo d’ ogni felicità. Di Guastalla a xxiiij di settembre LXXX. Di V. A. Dev.m0 Ser.re Ferrando Gonzaga vigio. Alle dodici seggie ho dato recapito, ben che non mi dij fastidio se non il modo di mandarle dubitando, che a quel tempo non vi debbi esser comodità , però esser potrebbe il contrario, et in tal caso la goderò. Nè havendo che più dirli per hora fo fine, pregandola a comandarmi e tenermi in gratia soa, che N. S. la contenti come desidera. In Napoli alli vj di Giugno 1562. Di V. S. 111.®» Servitore Eliano Spinola (i) Arch. Gonzaga Mantova, Rub. E. XLII, 2. Comunicatami come le altre citate in seguito dall’egregio amico Davari. 2o8 giornale ligustico A questa partecipazione ufficiale del figlio, seguì cinque giorni dopo quella della madre, la quale esprimendo pel maritaggio la sua « soddisfazione et contento », s’ argomentava che anche il Duca di Mantova sarebbe « per sentirne tanto maggior piacere, quanto che le conditioni del partito sono riuscite migliori di quelle che furono già con partecipatione » di lui. Le nozze si fecero il 20 aprile 1581 (erra il Litta recando il 1587 (1)), come ci avverte la comunicazione datane da Ferrante al Duca di Mantova: Ser."'° S.r‘ et mio S.ri oss.”’° Arrivai qui alli xvj ricevuto dal S.r Principe mio socero et da questa Republica con molta amorevolezza et honore, di che sono rimasto sodi^ sfatt.mo, sì come ogni hora resto contento di questo parentado, et di d.na Vittoria, la quale sposai alli xx. Restami ora per compimento di ogni mia consolatione che V. A. non si scordi di tenermi per quel divo tissimo Ser.re che le sono, et d’havere me et le cose mie in quella prote-tione la quale mi ho sempre promessa dalla sua benignità et dalla stret tezza del nostro sangue, et con raccomandarmi hum.te alla buona gratia di V. A.....di Genova a xxiij d’aprile LXXXJ. Di V. A. Dev.m0 Ser.re Ferrando Gonzaga Quantunque la lacuna dei Cerimoniali non ci consenta riconoscere quali onoranze porgesse la Repubblica di Genova a Ferrante, secondo afferma, pure non se ne può dubitare, sapendo come tutte le volte che egli in seguito si recò a Genova ricevesse gli onori dovuti al suo grado. Sembra però che in quell’anno 1585 non fosse appagato il desiderio della suocera, perchè non è fatta menzione della sua venuta (1)· Gli ospiti alquanto molesti a donna Zenobia, erano il conte d’Alba de Lista, il Principe di Sulmona e Don Carlo (1) Famiglia Gonzaga, Tav. Vili. (2) R. Arch. Genova, Ceremoniali, 473 A. 209 Avaio (i), passati in Italia con le galere di Gian Andrea, die avevano ricondotto dalla Spagna il Duca di Savoia Carlo Emanuele I con la novella sposa Caterina d’ Austria, figlia del re Filippo lì (2). * * * Chi tosse Celso Cittadini sanno tutti coloro in ispecie, che si sono occupati degli studi intorno alla nostra lingua. Senese, quantunque nato occasionalmente a Roma, venne richiamato in patria dal granduca Ferdinando , che lo elesse lettore nella patria università con rescritto del 13 maggio 1599 (3)· Aveva egli intenzione di recarsi a Roma nel 1615 per sue faccende particolari, secondo si vede da quanro scrive a Carlo Strozzi, erudito fiorentino (4): Mollo 111." S.rc mio S.re osser.mc Sapendo io quanto V. S. m’ami e per sua gratia desideri di farmi be-nefitio, troppo gran torto farei a me stesso, ed alla sua cortesia, se ne’ miei bisogni non me ne valessi. Io haverei bisogno che V. S. (potendo e volendo) procurasse che il Sig. Gio. Batta Strozzi il vecchio scrivesse una lettera, come da se, 0 ad istanza di V. S. e del Sig.r Alessandro suo fratello al Sig.r Seg.ro Ciampoli a Roma, informandolo delle mie qualità, e come son tanto servitore di Casa Strozzi, che gli piacesse pigliare la mia protezzione, ed havermi per raccomandato caso che andassi io a Roma, come spero di fare in quest’anno a trattare alcun negotio di mio utile col Papa, e di sodisfattione di S. S.,à che intendo desiderarlo, essendo certissimo se ’l Sig. Gio. Batta (che può disporre più ch’huomo (1) Ceremoniali, cit. (2) Merli e Belgrano, Il palalo D’ Oria a Fassolo, in Atti Soc. Lig. Stor. Pat., X, 65. (3) Notizie del Cittadini premesse da Girolamo Gigli alle Opere da lui raccolte, Roma, de’ Rossi, 1721, cc. 5 e 6. — Moriani, Notizie sulla Università di Siena, Siena, Lazzeri, 1873, pag. 48. (4) Bib. Naz. Firenze, Cl. Vili, cod. 1487, n. 207. Giorn. Ligustico. Anno XV. 14 210 GIORNALE LIGUSTICO del mondo di detto Sig.r Ciampolo) vorrà scrivergli di buono inchiostro, come spero che farà a richiesta della delle SS. V.tre, che potrebbero ottenere da S. S. altro che una semplice lettera, che non gli costarà niente. Prego V. S. a darmi risposta con una delle gratissime sue di quel che io potrò sperare di questo mio desiderio appo loro. E bacio caramente le mani di V. S. e del Sig.r Alessandro. Di Siena a’ 4 di maggio 1615. Di V. S. M.to IH re Aff.mo Ser.r,; Celso Cittadini Che cosa egli desiderasse dal Papa di suo « utile » non è dato accertare, ma sappiamo che la cosa doveva staigli molto a cuore, se mentre chiedeva la commendatizia dello Strozzi, reputatissimo e tenuto in gran conto, non mancava adoperarsi con altri a Roma per ottenere il favore di cardinali a quei di molto potenti. Di che ci danno notizia due lettere indirizzate da lui a Giulio Cini, e pubblicate dal Gigli suo biografo (1). Anzi è da avvertire che la prima reca pie cisamente la stessa data della nostra. A questa sua andata a Roma si riferisce il proposito di ristampare il Décamerone del Boccaccio con annotazioni e nuove cure ; ristampa dalla quale sperava ritrarre un doppio utile, cioè un migliaio di piastre che destinava alla pubblicazione di tutte le sue opere, e la protezione del cardinale Barberino al quale intendeva dedicarla. A quanto sembra il viaggio di Roma per allora non ebbe effetto ; ben è da credere fosse scritta e gli abbia servito la commendatizia dello Strozzi per il Ciampoli, poiché 10 troviamo sui primi del 1616 in diretta corrispondenza con 11 segretario pontificio. (1) Op. cit. cc. 9, 10. Si noti che la seconda lettera reca per errore la data « 2 gennaio 1625 ab. Inc. », mentre evidentemente si deve legge'-1-1615 (1616 stile comune). giornale ligustico 211 * * * Un altro letterato, ch’ebbe a’ suoi tempi non piccolo grido, scrive a Giambattista Strozzi così (i): Molto Ill.rc S.r mio oss.’"° Alcuni Gentilhuomini stanno in pensiero di recitare una tragedia del S.r Ansaldo Cebà d’honorata memoria, et io in tal caso doverò compor gli Intermezi, ma perchè questo a me sarà mestiere in tutto nuovo, non metterei la mano all’ opera, se non havessi prima ricorso a V. S. per indirizzo e per consiglio. La prego perciò a favorirmi di qualche suo ricordo, cosi intorno alla materia come circa la forma, presupponendo d’instruir uno eh’ è non men bisognoso che desideroso de’ suoi averti-menti. E s’alla teorica non spiacesse d’accompagnare anche la pratica, io riceverei a molto favore eh’ ella mi mandasse alcuno di quegli intermezzi, che in diverse occasioni si saran fatti in cotesta Ser.ma Corte, essendo io certo che non potranno esser se non tali, ch’io me ne debbia valer per essemplare. Ricordo in tanto a V. S. l’obbligata mia volontà di servirla e le bacio affettuosamente le mani. Di Genova 3 marzo 1623. Di V. S. lll.ma Ser.r« oblig.m° Agostino Mascardi È noto che il Mascardi, mentre stava al servizio del cardinale d’Este, dispiacque tanto alla Curia che gli fu data licenza, e dovette altresì partire da Roma. Venne a Genova nel giugno del 1621 (2), dove ebbe buona accoglienza dagli studiosi e dagli amici, e il 13 dicembre fu eletto Maestro delle Cerimonie dalla Repubblica; ma, forse non andandogli a grado quell’ufficio, dopo quindici giorni lo rinunziò (3). (1) Bib. Naz. Firenze, Cl. Vili, cod. 1399, c. 370. (2) Cfr. Lettere del Mascardi, in Giorn. Lig. a. 1874, pag. 114 e segg. — Giuliani, Ansaldo Cebà, in Giorn. Lig., a. 1883, pag. 433. (3) R. Archivio Genova, Manuali Senato, n. 869. 212 GIORNALE LIGUSTICO Certamente ebbe amicizia con Ansaldo Cebà, chè furono insieme ascritti all’ Accademia degli Addormentati ; e gli rese anzi un grande servigio. Poiché essendo stato proibito dalla Congregazione dell’indice il poema d’Ansaldo, La Reina Ester, edito allora allora, il Mascardi scriveva in suo prò’ al cardinale d’Este: « Il Sig. Ansaldo Cebi si trova tanto mortificato per la suspensione del suo Poema dell’ Ester, che più volentieri tolererebbe , com’ egli dice , la morte , che questa infamia. Si duole acerbamente della sua disgratia, e dove in ogni altra materia io l’ho riverito come uno stoico della Religion nostra, in questo solo ho occasione di compatirgli, come ad ingegno amantissimo de’ suoi parti e tenero nel senso della riputatione. Per mezzo del Sig. Marc’ Antonio D’ Oria egli ricorre fuor del suo solito alla benigna protet-tione di V. S. Ill.ma, et ha voluto ch’io parimenti le testifichi il suo sentimento, per muovere, com’egli stima, tanto più 1’ animo suo a favorirlo. Io 1’ ho assicurato che in V. S. Ill.mi sarà sempre una prontezza uguale al merito di lei, e che senza molti scongiuri, ella farà il possibile per consolarlo, ponendogli frattanto in consideratione che '1 negotio è di qualche difficoltà, perchè passa per voti d’ una Congregatione intera, che è quella dell’ìndice ». Del che il cardinale si occupò sollecitamente; onde, in seguito aduna «benignissima lettera » scritta da lui al D’Oria intorno a questo negozio, il Cebà si potea « dir risuscitato », e anche per mezzo del Mascardi ne porgeva vive grazie, quantunque si riserbasse di farlo direttamente di suo pugno (i). Ansaldo era da poco mancato ai vivi nel 1623, quando una brigata di gentiluomini, nell’intento di onorarne la memoria, si propose di recitare una sua tragedia. E poiché trovo che appunto in quest’anno usci per le stampe VAlcippo (1) Da lettere inedite nelPArchivio Estense di Modena. GIORNALE LIGUSTICO 213 spartano, credo che la tragedia da recitarsi fosse questa. Il nostro Mascardi, secondo ci manifesta la lettera, venne pregato a preparare gli Intermezzi, che si consideravano allora necessario compimento della rappresentazione scenica; ma egli non era poeta, quantunque nella sua giovinezza avesse adorato le Muse, e molto meno poi poeta drammatico: si rivolgeva perciò allo Strozzi, uomo di gran valore e molto reputato affinchè lo sovvenisse nel difficile incarico. Se egli abbia poi composto gli Intermezzi e se la tragedia fosse recitata non potrei dire con asseveranza, non avendone trovato documento. È certo però che a quei dì si fecero in Genova delle rappresentazioni, porgendomene indizio un decreto del Senato del 25 febbraio, col quale deputa i Residenti di Palazzo, affinchè assumano informazioni intorno a quei soldati che la sera del 22 « circa domum in qua Comedia recitabatur tormenta exploserunt » (1). E forse, non avendosi notizia per questo tempo di comici venali, si allude qui al luogo dove si facevano le rappresentazioni sceniche dai gentiluomini dilettanti, i quali, perduto il suo rigoglio l’accademia degli Addormentati che promoveva sì fatti divertimenti, avevano la consuetudine di riunirsi nel carnevale per dar opera ai trattenimenti drammatici (2). * * * Un giovane poeta pisano (3), che incominciava appena a farsi conoscere, indirizzava la lettera seguente (4) al medico (1) R. Arch, Genova, Manuali Senato, n. 871. (2) Scriba (Belgrano), La commedia sostenuta nella prima metà del seicento, in Caffaro, a. 1883, n. 48. (3) Del Venerosi si ha la biografia nelle Memorie istoriche di più uomini illustri pisani, Pisa, Prosperi, 1792, vol. Ili, pag. 361. (4) Bib. Nazionale Firenze, Racc. Gomitili, cart. 44, n. 62. 214 GIORNALE LIGUSTICO Ippolito Neri, già innanzi negli anni, conosciuto fin d’allora come buon poeta, e che doveva legare poi la sua fama ad un poema giocoso uscito dopo la sua morte (i): Ecc.”‘° Sig. Sig.e e Padne. Col.'"0 Ho mille riprove del gentilissimo affetto di V. S. Ecc.ma. Hd ella può credere d’esser corrisposta con quel vantaggio di stima che meritano le sue nobili prerogative, che la fanno distinguere dal comune volgo degli Uomini, e la ripongono in quello de’ più scelti ed illustri. V. S. si è ricordata di me con iscrivermi, ed io mi sono sempre ricordato di Lei, dando continue occhiate agli immortali caratteri di servitù che scolpiti nel cuore mi privilegiano per suo servo. Adesso però che V. S. mi assicura del gradimento delle mie righe, non mancherò di quando in quando di partecipargli le nuove della Città, e delle lettere. All’augurio che V. S. mi fa nell’occasione delle trascorse feste io non rispondo per non offenderla. Poiché il di lei gran merito serve per un grande augurio di feli-cità ; e gl’ altrui voti (massime li miei) sarebbero insolenti, quando supplicassero prosperità, a chi si devono per giustizia. In questa gran Metropoli del mondo abbiamo continue magnifiche divozioni : unico ornamento dell’Anno Santo. E sopracciò io mi rimetto alle gazzette , non essendo questo mio foro competente. Le nuove delle lettere sono la nuova ristampa delle Satire di Settano, con aggiunte di versi del medesimo Autore, ed adnotazioni copiosissime di Q, Antoniano, talché sono divise in quattro Tomi, e ciascun tomo è in quarto, alto 3 dita; è per uscire questa impressione dalla Cancelleria Apostolica di cui è Cane, il Card. Ottobuoni. Roma tanto più si conferma che ne sia 1’ autore mons. Sergardi Senese. E ciò le accerto, o almeno lo creda per opinione la più probabile, ché Settano è il Sergardi. L’Accademia dell’Arcadia in Roma fa certo gran figura si per li per-sonaggi che la compongono, quanto per le famose ragunanze che si fanno nelle stagioni più placide, e temperate. È ben vero che l’Abb.te Crescimbeni Custode d’Arcadia è odiato universalmente, poiché si ritrova in questo (1) Del Neri si legge una breve biografia scritta dal marchese Marcello Malaspina nelle Notizie istoriche degli Arcadi morii, Roma, Rossi, 1720, II, 252. Il suo poema La presa di Samminiato vide la luce primamente nelle Poesie di eccell. autori toscani per far ridere le brigate, Gelopoli, 1760-69. GIORNALE LIGUSTICO posto per disgrazia. Avvegnaché questa sì nobile e fiorita Accademia, ne suoi principi era ignobile ed oscura, ed il Capo che fu eletto in quei torbidi tempi, se n’ è saputo mantenere la giurisdizione. In quanto poi alla lamentazione comune circa la recita dei componimenti nell' Accademia dell’ Infante di Savoia , V. S. camina colla stessa fortuna di mille. Poiché questa fu un’accademia strepitosa pel gran concorso che ebbe; talché non si poterono recitare li componimenti nemeno per metà, e male, e molti rimasero disgustati. Nel resto poi il Crescimbeni suol esser cortese e rispettoso con tutti ; è letterato ancora, se non sublime, almeno più che mediocre. E tutto questo dirò a V. S. con quella sincerità che deve esser propria di chi si pregia d’esser Uomo. 11 sig. Giusto Fontanini ogni volta consegnerà al torchio Γ Apologia all’Aminta del Tasso, contro la lettera critica stampata nelle raccolte delle lettere memorabili del Bulifon. Ed è una cosa assai erudita, allegando per incidenza molte erudizioni pellegrine. V. S. frattanto dia alla luce il suo canzoniero, eh’ io impaziente starò attendendolo per goderlo e farlo godere a questi Letterati : ed in specie a Mons. Severoli a cui io Γ ho già messo in quella considerazione che ella merita. E quando V. S. componesse almeno un sonetto in lode di sì degno prelato: oltre il far giustizia al di lui gran merito, verrebbe V. S. ad acquistarsi un gran Protetore. Per sua informazione è il medesimo Prelato di letteratura universale, ed è Mecenate in Roma di tutti li letterati ed ha una libreria sceltissima di scrittori toscani. Dio volesse eh’ io avessi 1’ onore di abbracciarla qua in Roma. Che quand’ ella in stagione migliore si risolva io sto in via del Governatore dirimpetto al Gasparo Valerani, dove con ansietà starò attendendola ; e creda a me esser necessario il viaggio a questa Città per chi ama li studi, essendo una gran Nutrice da cui bisogna succhiare qualche stilla di Latte. E V. S. eh’ è pratica delle storie, leggerà che tutti i letterati anno respirato per qualche tempo quest’ aria sacra. Qui lascio di infastidirla. Solo la prego di un riverente saluto al Sj Proposto Zuccheri mio Padrone, di cui ho precisa memoria e per il di lui merito, e per i miei stretti doveri. E rattificando a V. S. i miei rispetti assieme al desiderio de’ suoi pregiatissimi comandamenti faccio dev ,ma Reverenza. Roma li 28 xbre 1699. Di V. S. Ec.™ Devot.mo Obblig.mo S.re Brandaligio Venerosi. 216 GIORNALE LIGUSTICO L’accenno a monsignor Severoli ci manifesta che egli doveva frequentare le conversazioni che si tenevano nella casa di questo prelato, il quale era tenuto in gran conto, e come dottissimo giurisperito, e come studioso cultore delle buone lettere, mecenate e sovvenitore benevolo de’ letterati. Egli, accademico della Crusca, aveva raccolto una ricchissima biblioteca , che poneva a disposizione de’ frequentatori della sua casa (i). Quivi il Venerosi dee aver conosciuto da vicino il Sergardi e il Crescimbeni, del quale ultimo da quel giudizio che s’andava ripetendo allora in Roma , e fu poi confermato dalla posterità. Le satire di Ludovico Sergardi, che si nascondeva sotto il pseudomino di Quinto Settano, erano già state pubblicate due volte, la prima in Roma, quantunque senza luogo, nel 1696, la seconda probabilmente a Lucca con la falsa indicazione di Colonia, nel 1698. L’edizione accennata nella lettera dal Venerosi uscì con la data del 1700, e con l’indicazione. Amste.lod.ami, apud Elseviros; ma, secondo si vede, stampata veramente in Roma dalla tipografia della Cancelleria Apostolica , e promossa dal card. Pietro Ottoboni che ne era il cancelliere. Ma F opera rimase incompiuta, non essendo proceduta oltre il secondo tomo, ed ha quindi ragione ii ^ e_ nerosi di accennare a quattro, perchè veramente, secondo il disegno, tanti dovevano essere; solamente il formato anziché in 4·0, è in 8.° Anche 1 Aminta difeso del Fontanini uscì poi in Roma nel 1700, e così nell’anno stesso in Lucca la desiderata raccolta di rime d’Ippolito Neri. (1) Cfr. per il Severoli la vita scritta dal Crescimbeni e inserita ne Le vite degli Arcadi illustri, Roma, Rossi, 1710, II, 275. GIORNALE LIGUSTICO 217 * * * All’abate Lorenzo Mheus, erudito fiorentino ben noto, scriveva da Roma un letterato di molto sapere e assai stimato nei termini seguenti (1): Ill.'"o Signore Sopra 1’altre sue lettere mi è stata grata l’ultima sua, specialmente per Γ operetta dalla sua vasta erudizione accennatami contro i Pastori della Chiesa, che promuovono i loro parenti, benché indegni. Molto volentieri la darei alla luce, ma molto mi conviene prima ricercare da Lei, che è un arsenale di notizie: 1.° donde si cavi per certo che l’Opera è del Cavalca. 2.0 Se il Manos. è corretto. 3.0 Se ce ne sia altre copie a nostra notizia , perchè se il Manos. è unico, ed antico, vi saranno de’ luoghi molti oscuri, storpiati, e mancanti, ne’ quali bisogna ricorrere, come Ella sa, a un altro esemplare. La prego dunque di queste notizie, e se chi possiede il Ms. ne permetterà la copia. Non mi ricordo quel che io abbia detto del Fontanini, dello Zeno e del Maffei. Quel eh’ io ne giudico dentro di me, è, che 1’ opera del Fontanini contiene molte belle, e rare notizie, ma è fatta con troppa passione, e non con molto giudizio, e senza tutti i necessari strumenti. Quella del Zeno è più accurata, e più ampia la sua erudizione, e più studiata, ed era più ricco di materiali, e fa maggior spicco di gran lunga sopra il Fontanini. Ma ogni uomo è più alto degli altri, quando sale addosso a un altro. Del Maffei ho parlato per i suoi traduttori italiani, onde è difficile che io ne abbia parlato con lode , perchè non istimo un fico quel suo libercolo. Sarebbe dunque bene, che ella desse fuori la sua fatica, unita con quella dell’ Argelati, perchè nella prefazione al Salustio non può entrarvi tutto il bisognevole. Avrò a caro di rivedere il P. Ab. Bandinelli mio stimatissimo padrone, e lo solleciterò a stampare le Dissertazioni del Benvoglienti. E con tutto l’ossequio, e la stima resto Di V. S. 111."11 Roma 8 Xbre 1764. Dev.®° obb.m° Servo Gio. Bottari. (1) Bib. Naz. Firenze, Racc. Gonnclli, cart. 4, n. 60. GIORNALE LIGUSTICO Questa lettera doveva far parte di un carteggio assai pregevole andato forse disperso. È noto infatti che il Mheus ebbe una estesissima corrispondenza, e per il grido che s era acquistato con le pregevoli sue pubblicazioni, e per 1 ufficio cui era preposto nella biblioteca Laurenziana, mentre ne era prefetto Angelo Maria Bandini. Non mi risulta che il Bottari, sollecito pubblicatore delle opere di fra Domenico Cavalca, abbia dato in luce quella di di che è parola in questa lettera; operetta che doveva ser barsi, a quanto pare, in qualche biblioteca privata; e neppure ho sortito trovarne menzione altrove. É curioso il giudizio intorno al Fontanini ed allo Zeno, nè privo di verità quello sull’infelice libercolo del Maffei. Il Mehus, in servigio alla Biblioteca dei voi garzatori già quasi pronta per la stampa da Filippo Argelati, aveva raccolto le notizie intorno alle versioni manoscritte conservate nelle bi blioteche fiorentine; or, essendo morto quel benemerito bi bliografo, disegnava, secondo si vede, premetterle alla pub blicazione del Sallustio (si tratta probabilmente di una antica versione) alla quale attendeva; lavoro che, per quanto ne so, non usci mai in pubblico. L’ editore e continuatore dell Ar gelati, mettendo in luce l’opera bibliografica ricordata, si valse delle notizie già mandate dal Mehus, quantunque non interamente, perchè parecchie andarono smarrite, nè gli riusci procurarsele di nuovo (i). Il che vuol dire come al Mehus non sia piaciuto, seguendo il consiglio del Bottari, mandar la sua fatica all* ab. Villa, affinchè la pubblicasse nelle giunte da lui introdotte nell’opera dell’Argelati. (i) Argelati, Biblioteca degli volgarinatori, Milano, Agnelli, 1767, U XVI. 219 * )f * Non erudita nè scientifica, ma famigliare è la seguente lettera di un grande filosofo, che scontò col carcere Γ amore della patria, all’intimissimo suo Luigi Bramieri (i): Mio caro Bramieri ■> Piacenza, 8 novembre 1790. Poiché voi il volete, e mi stuzzicate, io mi studierò di essere quale a voi piace che io sia. Le maniere che voi ravvisate, ed amate nel mio stile sarebbero mai per avventura le tinte delle vostre idee dominanti? Oh vi hanno ben colpito le immagini de’ rinfreschi delle feste patrie ! Voi mi date del ghiottone per lo capo; ma l’interesse che voi mostrate per queste cose fino a fare un calcolo da algebrista, cosa significa egli in voi? Sappiate mò che al ballo non vi sono punto intervenuto io. Se però io mi fossi procurato questo bene a voi tanto invidiabile, e che avessi pensato ad abbusarmi de’ confetti per parteciparvene, me ne avrei per lo meno procacciate da dodici libbre, poiché avrei pensato di dover farne parte ad un Poeta. Non ho veduto Gadi dopo la vostra lettera, poiché in questo frattempo si è recato a Parma con suo padre, d’onde però ha fatto ritorno. Sono in una vera brama (e non burlo) di leggere le cose vostre, e di stimarle. Io non vi dico che mi ringraziate, perchè siete de’ pochi che io stimo, ma voglio bene che pensiate che non credo se non di rendervi giustizia. — Per lo contrario se voi apprezzate il mio giudicio, debbo più che ringraziarvi, perchè sono persuaso che siete meco, contro il vostro solito , generoso. Voi mi compatite perchè vi sembra patire del pudore. In caso che ciò fosse vero, chi di noi due sarebbe più da compiangere? Del resto se non vi ho parlato delle cose delle quali mi richiedeste, egli fu perchè sembra-vami di potervene fornire delle più interessanti. Non avrei certamente arrossito di affidare all’amicizia cose che presento senza rossore al pubblico, abbenchè forse voi essere potreste per me più temibile del pubblico istesso, segnatamente dopo che mi avete posto nel piccolo numero degli (1) Bib. Naz. Firenze, Racc. Gonnelli, cart. 40, n, 13. 220 GIORNALE LIGUSTICO Eletti alla vostra stima, e che nel restante (che è appunto questo pubblico) ve ne fo.... Di Rezzonico dicesi che abbia tentato d’impegnare la Corte di Napoli presso quella di Parma, onde produrre le sue giustificazioni ; ma dicesi del pari che quella non abbia voluto assumere una tale mediazione; si ritorna a confermare che fra le carte di Cagliostro siasi ritrovato un carteggio di Rezzonico con lui. Vi ritorno i saluti delle Montanari, e delle sorelle mie. Non ho peran-che veduti nè Vignali nè Grillenzoni. Al vederli significherò loro che gli onorate della vostra memoria. Per ultimo pregovi a palesarmi se ritornate a noi o no. Affinchè nel caso che non ritorniate, non vi manchiamo nelle convenienze, poiché in questo supposto ci converrà fare il gran lutto. Senza coglionerie mi rincrescerebbe all’ anima, come a’ vostri amici. Diteci adunque qualche cosa senza mistero. Giacché mi rimane ancor della carta, e che ci trovo gusto a parlar teco, vo che tu sappia che il Consiglier Borsani marita sua figlia nel Podestà di Fiorenzuola fratello del detto Silvola. A giorni si fanno i Capitoli. La dote sborsata viene intera da D. Carlo Cabriati di Castel San Gioanni nella somma di 40000 lire. Egli la dà ad un uomo mal sano, e che dopo una formale promessa ad un altra, senza il minimo pretesto, nè colore di disgusto, Γ ha abbandonata, e lusingata fino all ultimo giorno in cui conchiuse 1’ affare colla Borsani. Quali uomini ! Quali cuori ! Credo che Silvani sarà già a Parma, allorché il vidi gli feci i tuoi saluti. Ai 4 del corrente sarà stato celebrato il matrimonio di Eugenio Leoni colla Liberati colla dote di 60000 lire. Addio scrivimi e vogliami bene. Tuo amico Romagnosi. Il Romagnosi aveva da quattro anni ottenuto nella Università di Parma la laurea nella giurisprudenza, ed ora ritrattosi in patria s’era tutto volto agli studi prediletti delle scienze morali. Ma non abbandonava perciò le piacevoli conversazioni e le liete brigate, chè anzi veniva dovunque desi-rato per quella naturai facondia, ond’ebbe dote singolare. Avea l’anno innanzi letto alla società letteraria di Piacenza il bellissimo discorso sull’ amore delle donne, e stava lavorando intorno alla importante sua opera: Genesi del diritto penale, uscita poi in luce nell’ anno seguente. Con tutto ciò GIORNALE LIGUSTICO 221 ìicordava volentieri gli amici, e sollevava l’animo dalle profonde meditazioni con l’arguzia faceta e con le notizie correnti, di che ci dà prova quanto egli scrive al Bramieri nella lettera sopra riferita, parte certamente di più ampio carteggio, forse disperso, forse ignorato. L’unico accenno da rilevare è quello che riguarda il Rezzonico, intorno al quale ed al fatto a cui si accenna dà notizie importanti Giambattista Giovio suo biografo (i) e il Pezzana (2). * * * Ed ecco in qual guisa un altro illustre cultore delle scienze morali e politiche, dava sue notizie a Tito Manzi (3) : S. Marino, 29 novembre 1809. Mio dilettissimo. Sono qui da quattro giorni, rimembrando con tenerezza il tempo che vi passai felice, e sospirando ancora di potervi ritornare a godere di quel riposo che deve precedere all’ ultima quiete. Con tali idee nell’ animo, l’immaginazione si è mossa alla Poesia, e mi ha fatto dir: Napoli bella a benedir ti mando E teco anche il Consiglio e la Sezione, Ch’ io me ’n ritorno al solitario bando, Dove albergan- la pace e la ragione, Dove non soffro dell’ altrui comando, Dove 1’ orgoglio è ignoto e 1* ambizione, E dove passerò 1’ ultima etade Agli ozi dotti in grembo e all* amistade. Dissi.... ma la Musa mi lascia, ed io lascierò pure domani, dolente nel mio cuore, questo soggiorno. Ma oimè, che anche questo povero paese risente degli sconvolgimenti che ha sofferto l’Italia, e dei mali della guerra. Gli abitanti possedendo buona parte delle loro piccole fortune (1) Rezzonico, Opere, Como, Ostinelli, 1815-30, vol. I. (2) Affò, Memorie degli scritt. parmig. (Continuazione), VII, pag. 268 e segg. (3) Bib. Naz. Firenze, Racc. Gonnelli, cart. 11, n. 185. 222 GIORNALE LIGUSTICO nei nuovi dipartimenti aggregati al Regno italico, si trovano al momento senza rendite, per effetto di una svista di finanza, che ha valutati i sassi del Montefeltro come le fertili zolle della Lombardia. Colpi da cieco. È per questo che più mi è piaciuto la pace; ognuno spera che l’attenzione sovrana si rivolgerà più aH’Amministrazione civile e finanziera, di cui gli Itali hanno il maggior bisogno per la loro esistenza. Questo popolo tutto spera in Napoleone, e già pensa a proclamare il Codice con qualche riduzione conveniente alle sue circostanze. I Ministri di Finanze dovrebbero venir qui per qualche tempo, ed imparare come senza far da scortichini, si provveda alle convenienze sociali. Si fa una strada Regia, cioè grande e commoda per la communicazione col Regno Italico dalla parte del Mare. E vedete con qual nobiltà di sentimento! invece d’incominciarla dalla casa propria, s’incomincia da quella del vicino, cioè dal confine, quale espressione di ospitalità ! Uno stato di sei mila abitanti non può avere un’armata che faccia paura, invece ha una banda musica marziale, che diletta e conserva la sociale armonia. Non è trascurata l’istruzion pubblica neppure. Ma vi sono dei difetti, delle querele , della povertà ecc. Sono pur uomini, e vi è pure un poco di canaglia, ma a dosi molto rifratte. Vorrei dirvi del mio arrivo in casa. Il padre che vi giunse prima di me non ebbe forse tanta festa della famigliuzza che è tutta bella. Ed oh quanti belli puttini che vi sono in un paese di trecento abitanti ! e poi sono più civili e graziosi assai di quelli di una Capitale di mezzo milione. Basta così ! tu riderai della mia lettera, ed io piangerò. La mia salute è buona e sento quel vigore che la caratterizza, ma la penna è cattiva e mi dice di finire, pregandoti di ricordarmi agli amici e colleglli, mentre ti stringo al cuore con cento abbracci. Addio. Melchiorre Delfico. Tutti sanno qual uomo fosse il Delfico, e come dalla sua Teramo si recasse, in tempi turbinosi, a S. Marino, e quivi fermasse dimora, dettando poi, in testimonianza di gratitudine per la cortese ospitalità , la storia della piccola repubblica. Quivi nel 1809 era venuto a ricercare un breve sollievo alle fatiche eh’egli durava nel Consiglio di Stato del regno di Napoli, dove presiedeva alla sezione degli affari interni. A ciò si riferiscono i lepidi versi da lui inseriti nella sua lettera, esempio forse unico della sua vena poetica. GIORNALE LIGUSTICO 223 * ì'e * Chiuderò questa seconda parte con un bel nome, quello d un illustre straniero che mostrò grande affetto all’ Italia , di che è prova altresi la sua corrispondenza con Domenico Moreni, al quale è' indirizzata questa lettera (1) : Reverendissimo e stimatissimo Signore Benché noti siavi cosa che possa affliggermi più sinceramente, quanto essere creduto insensibile agl’ onori e beneficj da V. S. Rev.a conferitimi, temo che ’l mio lungo silenzio non le abbia data troppo giusta cagione da sospicarmene. Verissimo è eh’ io sono stato, da molti mesi, incessantemente impiegato nella difficile impresa di preparare una nuova vita del nostro celebrato Poeta Pope, da mettere alla testa delle sue opere in 10 volumi, dell’ edizione delle quali io aveva l’incarico, e della cui pubblicazione i Iibraj proprietarj erano impazienti, non accordandomi indugio alcuno, nè permettendomi di impiegarmi per un solo momento in altro soggetto. Così imbarazzato, non mi fu possibile d’ applicarmi al- 1 esame della Traduzione del sig. Pecchioli, delle mie Illustrazioni della Vita di Lorenzo de Medici, con quel giudizio e riposo di mente a siffatto lavoro indispensabili. Finito col tempo questa lunga importuna impresa, io ritornava con infinito piacere a’ miei cari studi Italiani, e stava per rispondere a’ suoi stimatissimi favori, quando ecco 1 un’altra lettera del 28 d’Aprile m’ é testé giunta alle mani, ricordandomi la mia troppo apparente negligenza, e ripetendo i suoi graziosissimi favori , alla quale io m’ accingo a rispondere senza indugio, e co’ sentimenti di stima , e di gratitudine, troppo lungo tempo nel mio petto ristretti. Ed in primo luogo, io mi lusingo eh’ Ella accetterà 1’ espressione delle mie più distinte grazie, per 1’ onore conferitomi colla Dedica della bellissima Edizione de’ Sonetti del Dottissimo Salvini, Autore da me conosciuto da lungo tempo, ed alle cui opere questo volume fa una pregevole aggiunta. Non pretende egli per certo di sedersi capo del Parnaso Italiano, ma i suoi soggetti sono sempre interessanti, il suo linguaggio facile e corretto, e per tutti i suoi scritti troviamo una vena di spor.ta- (i) Bil. Naz. Firenze, Racc. Gonneìli, cart. 40, n. 324. 224 GIORNALE LIGUSTICO neità che gli di un pregio inestimabile. Io mi trovo molto onorato in questa pubblica espressione della sua bontà, stimandomi felice in ogni occasione dove i nostri nomi siano amichevolmente congiunti. Ho impiegato qualche giorno nell’esaminare e comparare la Traduzione del sig. Pecchioli delle mie Illustrazioni della Vita di Lorenzo de Medici, col testo originale. Il suo stile è facile, e corrente, e talora non senza forza ed eleganza; ed io trovo ragione assai d’essere soddisfatto dell edizione; ma nel medesimo tempo, bisogna confessi eh’ ho trovato qualche passo che mi pare, o non pienamente inteso, o non correttamente espresso, e che m’ ha dato un poco di rammarico. I più importanti di questi sbagli ho segnati ed indicati al sig. Pecchioli, a fine , nel caso d un altra edi zione, egli prenda occasione di correggerli. Sproveduto com’io mi trovo, per gli avvenimenti sventurati di questi tempi, della mia scelta biblioteca, da me pel corso di cinquant anni ra^ colta, riceverò co’ sentimenti della più sincera gratitudine e del più prò fondo rispetto, la copia colla quale V. S. mi fa sperare S. A. R· il Gra Duca di Toscana sia per degnarsi onorarmi delle Poesie del Mas. renzo, da Lui superbamente fatte stampare ; e che sarà indubitamen , un monumento degno, si del grand’ uomo alla di cu', memoria è alzato, che del Munificentissimo Mecenate. . Ho inteso ancora, con mio gran piacere, l’annuncio che V. S. m del grand’onore destinatomi dalla Celebratissima Accademia della Crus , d’ aggregarmi tra i suoi Accademici corrispondenti ; al quale io mi zero di rispondere come meglio io potrò: compiacendomi sinceram d’ essere stimato un mezzo, benché troppo umile, di serrare più stre mente i legami letterari che dovrebbero sempre sussistere tra 1 paesi. Tra i libri che V. S. Rev.a mi ha cortesemente spediti, nell ultimo su pacchetto, ho trovato le sue dotte ed interessanti Illustrazioni della daglia di Bindo Altoviti, che mi paiono essere dettate dalla più soda tica, col più evidente buon gusto. In particolare io partecipo sincerameli all’ omaggio eh’ Ella sempre sì giustamente rende alla memoria del Divino Michelangolo Buonarotti, e al suo risentimento contro i di lui ridicoli stupidi detrattori, degni della medesima sorte, che attende, coni io non dubito punto, gli inimici del nostro amato Lorenzo. Per simil cagione la lettera del sig. Abate Francesco Cancellieri, sopra la statua del Mosè, m’ha data grandissima soddisfazione, essendo una risposta a tutte le invettive e calunnie maliziose, che ne’ tempi moderni sono state vomitate da bocca impura, contro la sua gloriosa memoria. GIORNALE LIGUSTICO 225 Ho veduto in questi ultimi mesi in Londra , con mio grande stupore, la bellissima Figura del Mosè, fatta in plastica, con ogni cura e perfezione dal sig. Day, come è stato indicato e spiegato dal Cancellieri nella sua lettera; ed in quel momento ho ricordato il passo riferito dal sonetto del Zappi, ed ho tacitamente acconsentito Ch* era men fallo 1’ adorar Costui. Pregandola di conservarmi la sua solita benevolenza, io mi rassegno con tutta la stima ed il rispetto. Liverpool, io Agosto 1824. Obbligat.mo e devot.mo ser.r« Gul. Roscoe. Era stata pubblicata l’anno innanzi a Firenze la traduzione di Vincenzo Pecchioli delle Illustrazioni del Roscoe alla sua Vita di Lonn^o de’ Medici, che aveva sollevate alcune critiche, dalle quali appunto intende difendersi l’autore in questa nuova opera, punto in ispecie dalF accusa di parzialità datagli dal Sismondi (1). Come si vede al Roscoe non era stato sottoposto il lavoro prima della stampa procurata dal Mo-reni, poiché ora soltanto rileva alcune inesattezze, che desidera veder corrette ove si facesse una nuova edizione. Le opere del Magnifico alle quali si accenna, uscivano in torma splendida nel 1825, e mentre il dotto inglese gradiva 1 aununzio del dono, non poteva tenersi da un melanconico senso di rimpianto per la insigne sua biblioteca venduta al- 1 asta pubblica, in seguito a’ rovesci economici che lo avevano colpito alcuni anni innanzi (2). Cosi mentre si compiaceva di essere posto nel novero degli Accademici corrispondenti della Crusca, si mostrava grato al Moreni e della (1) Cfr. a questo proposito una recensione del Paolini nell 'Antologia, XIV, B. 28, e la Necrologia del Roscoe nello stesso giornale, vol XLIII, B. 155. (2) Appendice alla necrologia, nell 'Antologia, XLIV, B. 173. Giorv. Ligustico. Anno XIV. i$ 226 GIORNALE LIGUSTICO dedica a lui della sua recente pubblicazione de’ sonetti di Antonio Maria Salvini (i) , siccome dell’ invio dei libri per sua cura messi in luce, ne’ quali si difendeva Michelangelo da certe accuse onde venne colpito (2). La stima e la corrispondenza reciproca dell’ illustre scrittore inglese e dell’ erudito fiorentino, venne altresì testimoniata dalle opere loro, dove troviamo a vicenda ricordati F uno e 1’ altro. E come il primo cita parecchie volte onorevolmente nelle Illustrazioni il Moreni (a cui fece dono della prima copia mandata in Firenze, sulla quale il Pecchioli eseguì subito la versione), questi ebbe opportunità di ricordarlo assai spesso in alcuni suoi lavori, e pubblicò eziandio una lettera da lui scrittagli fin dal 1811 (3), quand’ebbe ricevuta l’operetta del Bargeo : De bello senensi, edita dal Moreni stesso e dedicata al suo nome (4). È noto finalmente che la raccolta delle opere di Alessandro Pope curata dal Roscoe vide appunto la luce in quest’ anno medesimo, e viene considerata come una delle migliori. A. N. (1) Sonetti fin qui mediti ed altre rime, Firenze, Magheri, 1823. (2) Moreni, Illustrazione istorico-critica d’una rarissima medaglia rappresentante Bindo Altoviti, opera di Michelangelo Buonarotti, con copia di documenti e di note, Firenze, Magheri, 1824. — Cancellieri, Lettera al canonico Domenico Moreni sopra la statua di Mose del Buonarotti, Firenze, Magheri, 1823. (3) Moreni , Continuazione delle Memorie storiche dell’Ambrosiana Imperiai Basilica di S. Lorenzo, Firenze, Daddi, 1817, II. 185. (4) Petri Angeli Bargei, De Bello Senensi commentarius, Florentiae, 1809. In tvp. apud Vicum Omnium Sanctorum. GIORNALE LIGUSTICO 227 Curiosità di storia genovese del secolo xv tratte dall’ Archivio di Stato in Milano (i). XV. Bombardieri a Genova nel 1496. L’ amico arch. Luca Beltrami ha discorso nell’ Archivio Storico Lombardo (IV, 1887) delle bombarde milanesi a Genova nel 1464. Dal documento che segue — una lettera del castellano del Castelletto a Lodovico il Moro — emerge che a Genova, di quei giorni, non eranvi che i due Bombardieri maestri Andrea e Aluisio Filaborgo; si chiedeva perciò Γ invio del provetto maestro Cristoforo da Gandino. Di costui e dei diversi bombardieri sforzeschi, conto io scrivere fra non molto ; basti in oggi dire che il da Gandino è personaggio ed architetto eziandio che figura di sovente nelle carte milanesi della seconda metà del quattrocento. Quant’ è dei due bombardieri sopra nominati, l’uno, il Filaborgo, ci sembra tedesco, ed il nome suo storpiato da quello di Filamburgo 0 congenere. Il Maestro Andrea è Andrea da Sestri. Nel maggio del 1496 ispezionava, in compagnia di Gaspare de Negri, le fortezze di Savona, Noli, Ventimiglia. Era egli pure « ingegnere et bombarderò » (2). L’ Ange-iucci lo menziona ne’ suoi Schioppetteri Milanesi, all’ anno 1489 (3)· (1) Cont. da p. 374 dell’ a. 1887. (2) Lettere del Negri, da Genova 16 maggio 1496 al duca di Milano, in Giornale Ligustico, a. 1877, p. 254. (3) Politecnico di Milano, 1865, vol. XXIV, p. 170. 228 GIORNALE LIGUSTICO Ma ecco il nostro documento: Illme et Exm« princeps Domine mi singolarissime. Como sa la ex“» vostra qui non gli hè nisi dui bombarderi, videlicet mastro Andrea et mastro Aluisio Filaborgo et quantoncha gli sia dtffendè da rivolta [Dejen-dente da Rivolta] non se poteria usare lopera sua nisi per trare pasavo-lanti, et luso del fabricare polvere: et per questo mi hè parso per il debito mio advertirne la prefata vostra Ex<‘“, perchè essendo qui tante belle ar-telarie da bombarde et pasavolanti et altre diverse bombardelle, conoscendo quella qui (quale) suspecto di guera habia ad essere, pregolla la mi voglia mandare m.r° Christoforo da Gandino bombardiere, ad ciò venendo il tempo possa fare il debito mio, remetendo però il tutto al sapientissimo judicio de prefata vostra Extla, ala quale semper mi arecomando. Ex arce Castel-leti Genue die 26 martij 1495. Ejusdem Illme dominationis vestre fideliis servitor Zanonus de Cropello ibiden castelanus (1). XVI. Nuovo Convento di Francescani in Savona. La seguente lettera del duca di Milano, diretta il 13 gen* naio 1473 al Podestà e comune di Savona, ragiona della più 0 meno grande convenienza di concedere ai Francescani di fare erigere il nuovo convento nel posto da loro fissato, a cagione della vicinanza alle fortezze. Dilecte noster. Havemo ricevuto la tua lettera responsiva ad un altra nostra, per la quale ne scrivi essere andato ad vedere et examinare el loco, dove voleno edificare lo monastero li frati di Sancto Jacomo obser-vantivi di San Francesco, et corno tandem te pare, quando se li debia (i) Classe Architetti ecc. autografi: Cristoforo da Gandino. GIORNALE LIGUSTICO 229 concedere de edificare dicto monastero, chel non se facia in lo loco per loro designato, ma in un altro loco più basso lì appresso verso la valle, e che li edifizij non fossero troppo alti per la rasone et respecti quali tu alleghi in dieta lettera. Unde inteso bene quanto tu hay scripto , te di-cemo chel nostro parere si è, et così siamo contenti chessi frati possono procedere al dicto edifitio in tale loco, sive in quello dove è stato designato, sive uno pocho più basso verso la valle corno tu scrivi, donde a tempo avenire se possa manco nocere ad quelle nostre forteze nè ala citi, che sia possibile, come pare meglio a ti et ad Johanne da Melzo et li Antiani de quella nostra cita. Et loro nondimeno possono edificare com-modamente, facendo loro li edifizj et lo campanile humili et basso , come diceno volere fare, et convene a la religione loro. Si che tu li daray licentia de edificare, corno è dicto in quello loco che mancho possa pre-judicare ad dieta cità, et sue forteze et il monastero se possa fare. Dat. Mediolani die xnj Januarij 1473 (1). XVII. Nobili Genovesi morti in Milano. Alessandro Spinola mandavasi in Francia nel 1470 quale ambasciatore di Galeazzo Maria Sforza, e 1’ istruzione sua venne da molto tempo data alle stampe, prima dallo Chmel [Notizenblatt di Vienna, 1856] indi dal Reumont [Diplomazia italiana ecc. p. 367 seg. ] (2). Ora noteremo come a questo nobile genovese morisse in Milano a P. Vercellina, nella parrocchia del Monastero Maggiore una tenera bambina, di 10 mesi, di nome Bianchina; e ciò ai 16 ottobre 1474. La notizia è cavata dai registri mortuarii milanesi (3), dai quali spigoliamo quanto segue. Ai 22 marzo 1482 morte, nella parrocchia di S. Nazzaro, di Giov. Ambrogio figlio di Napoleone Spinola, d’anni 1. (1) Carteggio Diplomatico. (2) Documento 10 febbraio 1470 dell’ Archivio milanese. (3) Archivio di Stato. Popolazione. 230 GIORNALE LIGUSTICO Nel r.° maggio 1491, parrocchia di S. Marco alla Porta, morte di don Enrico del Carretto, d’anni 37 « ex vulneribus in brachio, coxa dextra et tibia sinistra, superveniente febre, fluxo sanguinis et spasmo », secondo il parere del medico Stefano Tornielli. Don Ottaviano Fieschi moriva d’anni 32, ai 4 aprile 1 >4^ a S. Pietro all’Orto. Anche lui « ex vulnere capitis illato » (1). Aggiungiamo che all’ Archivio notarile di Milano si può leggere il testamento 13 dicembre 1464 di Spinetta Campofregoso, autenticato ai 15 ottobre 1467, a rogito notaio Gio. Ant.° da Castiglione. Un Armatolo nel 1461. Sono a leggersi nel Registro Ducale n. 100 a fol. 160 le lettere di passo concesse dai duchi di Milano il 16 gennaio 1461 a Magistro Laurentio de Ascerete, armor ario. Non so se sia artefice noto 0 men che valente. XVIII. Accuse date al Capitano delle Galee Genovesi. Ecco un’ informazione poco edificante intorno a Giuliano da Magnera, capitano delle galee a Genova nel 1473 (2)· ^ nome suo, come quello di molti altri, ricorre assai di sovente nelle carte milanesi, e fu spesso adoperato dai duchi di Mi- (1) Per citare un altro nome, non di nobile genovese, ricorderemo un « Magister Jacobus Januensis » magister a muro, morto d’anni 4°> a' 29 ottobre 1539 nella parrocchia di S. Primo, a Porta Nuova. (2) È diretta al Governatore di Genova, dal quale rimettevasi allo Sforza in Milano (Cart. dipi, cartella n. 338, gennaio 1473). GIORNALE LIGUSTICO 23I lano delle diverse podesterie del ducato. Ad esempio nel gennaio 1479 lo troviamo podestà e commissaro di Bel-linzona. JHESUS. Questo è parte del deportamento del Mag.co potentissimo Capitanio gal-learum Zuliano da Magnera : Primo de lanno presente del mexe di febraro ha roto la franchixia del portico della Inclita comunità de Zenova zoè (in) avere prexo dove persone forestere le qual abitaveno in Zenova, e meterli in ieri sotto coperta. item ha venduto uno homo el qual è montà in gallea in lo dicto porticho de Zenova, de bona voglia, in Sardegna in large (Alghero), onde al ne ave (ebbe) formage cccc.0 e pan frescho e carne sailata. Item ha facto fare la mostra a gallioti per forza facendoli dare ono sollo dinaro per homo azò podesseno zurare che aveveno recevuto dinari da Sancto Giorgio. Item ha uxato altre arte asay le qual non meto in scripto, ma bixognando vignarò devante all oficio a dire tutti gli manchamenti soy, in presenza del Mag.co indigno capitanio de le diete gallee corno omo tace del honore del suo Signor e de la inclita comunità de Zenova. Data 1475 die etc. Scritta con quelli penna, la qual ama lonore de la inclita comunità de Zenova. Emilio Motta. Osservazioni al Glossario del secondo Registro Arcivescovile di Genova. A proposito di questo Glossario (Alti Soc. Lig. di St. patr., XVIII), Anton Giulio Barrili mi ha comunicato alcune dotte osservazioni, relative all’ interpretazione del vocabolo sarabula, delle quali riconosco tutta la giustezza e l’importanza. Trattandosi di una ammenda, non voglio indugiarla punto; ma stampo subito la lettera dell’ illustre amico , sia per evitare ad altri il pericolo di cadere nel mio stesso errore, e sia per dimostrare pubblicamente all* egregio uomo che me lo ha fatto rilevare tutta la mia riconoscenza. L. T. Belgrano. 2j2 GIORNALE LIGUSTICO _ . . Villa Maura, 23 Marzo 1888. Carissimo, .....Mi rimane assai dubbio se possa farsi la distinzione di Sara- bula. Saraballa e Sarabara sono calzoni lunghi e larghi (fluxaac sinuosa) portati dai Parti, dai Medi, da altri Asiatici, ed altresì dai popoli del Settentrione, come è rappresentato dalla figura di un ausiliare germanico sulla Colonna Traiana. I due esempi del Registro mi sembrano accennare egualmente a calzoni, e ciò ad un tempo che ancor non si usavano le calze a maglia, bensì certi avanzi di drappo, male aggiustati alle membra, come quelli che dovevano andar coperti dal lembo della tunica. Erano il primo capo di vestiario che un uomo indossava, perla decenza ; e cosi per 1 appunto intenderei Γ et ipse surrexit in serabulis, cutn rapagulo in manu, a pag. 330 del citato Registro. Quanto all’ altro, sarabolam novam della pag. 368, crederei si dovesse intendere una medesima specie d’indumento, vedendolo io citato bensì dopo parecchi arnesi da letto, ma immediatamente prima dell’ interulam. Ora che interula sia sinonimo di subucula e significhi camicia, è fuor d’ogni dubbio. Veda in Apuleio, Metamorph. Vili, la moglie di Tlepolemo : discissaque interula, decora braclna saevientibus palmulis converberat. Veda nello stesso Apuleio, Florida, II, 9: habebat indutui ad corpus tunicam interulam, tenuissimo textu, triplici licio, purpura duplici; ipse eam sibi solus domi texuerat. Aggiunga Vopisco, nella 'ita di Probo, dove Valeriano comanda al prefetto del pretorio, Muluio Gallicano, di dare a Probo, da lui creato tribuno in giovanissima età : tunicas russulas duas, pallia gallica duo fibulata, interulas paragaudias duas..... E la paragaudia istessa non era altro che una camicia, come abbiamo nel Calepino, teste Ale. genus vestimenti virilis, et plurimum linei, quod sub alia zeste gerebatur. I soldati romani non portavano camicia, a quanto pare, prima dei tempi di Aureliano. Infatti, narra Vopisco, in Vita Aureliani : paragaudas vestes primus militibus dedit. Giustissima 1 etimologia dello Zebarum. Per bigoncia lo hanno anche questi Liguri di Langa, che lo chiamano \ebbo. Credo derivi dal latino Seria, significante vaso vinario di una forma non potuta accertare dagli archeologi, e che il Rich vorrebbe collocare tra l’anfora e il dolium. Ma essersi conservato nei nostri paesi lo \ebbo e il sebbro per bigoncia, mi credere che la sena fosse una bigoncia anche per gli antichi Romani. Poiché ho citati questi popoli, le soggiungerò che pure a Carcare e g i circonvicini chintagna, ossia quintana, è vivissimo per trexenda..... Il suo affei.mo Anton Giulio Barrili. giornale ligustico 233 Spigolature genovesi nei « misti » di Venezia (1293 -1331) eh. Giuseppe Giorno ha nello scorso anno felicemente compiuta nell’ Archivio Veneto la trascrizione dell’ indice superstite dei primi quattordici codici Misti del Senato di Venezia, i quali perirono da antico in un incendio, salvo un frammento di cui lo stesso Giorno compilò il regesto. Ora il diligente lavoro, di cui al rimpianto Fulin spetta il merito d averlo proposto ed al solerte sovrintendente B. Cec-chetti quello d’ averlo incoraggiato e favorito, è stato raccolto dall’ egregio autore in un volume a parte (Venezia, Visentini, 1887); nel quale il Cecchetti medesimo ha inserito a mo’ di prefazione alcune utili notizie, che della intera serie de’ Misti danno esattissimo conto. Noi, seguendo il nostro costume, abbiamo stralciate dal- 1 indice e dal regesto le notizie che vi si contengono di storia genovese, e le disponemmo qui appresso in ordine cronologico; segnando nel principio di ciascun articolo la data precisa di esso, e , dove non sia possibile, quella almeno del periodo di tempo abbracciato dal libro cui la memoria appartiene. L. T. B. 1293- 1303· — Heredes ser Manuelis Lercharii mittant ad consequendum ius suum iti rebus petitis per dominum Peregrinum (1) (p. 141). I293 " I3°3· — Littera quedam missa fuit a quibusdam nobilibus ianuen-sibus, quibusdam nobilibus venetis (2). Factum ser Montani de Marinis. Sorleonus de Grimaldis cum suis relaxetur (p. 201). (1) Pellegrino da Patti, in Sicilia. (2) Cfr. più sotto, alla data del 6 maggio 1501 e segg. 234 GIORNALE LIGUSTICO 1300, 21 gennaio, more veneto. — Si concede alla città di Candia la riduzione del prezzo del sale a 2 steriini la misura, come si pagava prima della guerra di Genova (p. 272). 1301, 6 maggio. — Il maggior Consiglio dà facoltà al Senato di trattare circa al contenuto delle lettere pervenute da Genova a Bartolomeo ed a Francesco Contarini. Cancellata (p 275). 1301, 25 marzo. — La proposta che i due Contarini rispondano ai nobili di Genova se credono di convenire coi veneti in un certo luogo, a trattare pel bene di ambe le repubbliche, non è approvata. Fu invece presa una parte, colla quale si commette a Bartolomeo Contarini di rispondere a Guglielmo di Promontorio, che il modo migliore di trattare quanto egli scrisse è per mezzo di persone a ciò delegate dai due Comuni. Cancellata (p. 276). 1301, 23 marzo. — Francesco Contarini risponda a Ballano e ad Antonio Tartaro, secon.lo le commissioni che riceverà. Cancellata (p. 276). 1301, 11 aprile. — I due Contarini rispondano ai genovesi, che si accetta per loro intermediaro Bartolomeo Piacenza. Cancellata (p. 277). 1301, 11 aprile. — Guido da Canal ed altri quattro nobili veneti sona delegati a compilare la commissione a Bartolomeo Contarini per le vertenze con Genova. Cancellata (p. 277). 1501, 13 aprile. — Annotazione di materie da trattarsi in Senato, relative a Genova. Cancellata (p. 277). 1301, 20 aprile. — Istruzione a Bartolomeo Contarini, sul modo di trattare con Guglielmo di Promontorio, per l’alleanza chiesta a nome di Genova. Cancellata (p. 277). 1301, 21 aprile. — Proposta che si rimandi il trattare, in seguito alle notizie venute da Genova dell’ entrata in Monaco del siniscalco e cancelliere del re Carlo II di Napoli, e sul trattato di pace fra esso re ed i genovesi. Cancellata (p. 278). 1301, 26 aprile. — Bartolomeo Contarini dica a Guglielmo Promontorio, che l’alleanza tra Genova ed il re Carlo sarebbe buona per ambe le parti ; e se non potesse ottenerla, procuri di fare un’ alleanza generale tra \ enezia, Genova e le terre di mare, purché non sia contro la Chiesa e il predetto re. Cancellata (p. 278). 1301, 8 maggio. — Lo stesso Contarini procuri l’alleanza di Venezia col re Carlo ed i Genovesi ; e se Guglielmo di Promontorio non assentisse all’unione con Carlo, procuri di ottenere soltanto quella coi Genovesi (p. 278). 1301, 7 ottobre. — Ambasceria a Federico re di Sicilia, per conoscere GIORNALE LIGUSTICO le sue intenzioni circa i danni recati alle navi veneziane; e ciò in seguito alle rivelazioni fatte ai capitani delle galere venete da Emanuale Lercari prima di morire (p. 281). 1301, 25 ottobre. — Elezione di cinque savi sulla domanda di Nicolò Sosta (Costa?) e Montano De Marini (p. 282). 1302, 18 dicembre. — Si partecipi alla madre ed agli eredi di Emanuele Lercari (di Genova), che mandi un suo procuratore; e le sarà resa giustizia (p. 293). 1303-07. — Ordine al duca di Candia e al suo Consiglio, quod congregent mamolucos delatos per Ottobonum ianuensem (p. in). 13°3'°7· — Electi..... ituri Alexandriani, possint facere satisfactionem ia- nutnsium de mamoluchis (p. 132). I3°3'°7· — Il Doge, il Consiglio ecc. possint mandare fieri examinationem de rebus ianuensium que pervenerunt ad illos de Cya. (p. 132). 1303-°7. — Responsio facta ambaxatoribus fanue, super damnis factis ad insulam Cie (p. 201). 13°7· — Commissioni agli ambasciatori destinati a Genova super compromittendo pro damnis utriusque factis (p. 10). 1307-13. — Ambaxatores missi fanuam contententur compromittere de damnis utriusque factis. Responsio domini Ducis ad ambaxatam ianuensium petentium emendam de quodam derobatione facta, ut dicebant, per ser fohannem Quirino. Omnes damnificati a ianuensibus comparcant coram extraordinariis, et respondeatur fratri Egidio quod dicat ianuensibus (p. 201). 1313-17. — Respondeatur domino Lambe Aurie secundum formam notatam per sapientes (p. 201). 1313- 17. — Provvedimenti circa Antonio Bono, il quale da Costantinopoli, Corone e Modone condusse merci cum ligno ianuensium (p. 244). 1317. — Si ordina, che nullus vadat fanuam vel ad riperiam eius cum victualibus, sub pena librarum L pro centenario (p. 50). 1317-20. — Scriptum fuit Guilielmo de Fraganesco (in Francia), quod procuret aconcium cum ianuensibus de dando sibi ad pro soldo et libra de omnibus mercationibus que intrarent in portum Aquarum mortuarum vel in terris subditis regi Francie (p. 92). 1317-20. — Nostri non possint cum eorum navigiis mittere fanuam et ad riperiam frumentum, bladum vel alia victualia, pena, etc. (p. 201). 1317-20. — Ser Nicolaus Maurus, Johannes Contareno, Bardi Bembo, si conduxerint ballas ianuensium intra Gulfum, non cadant propter ea ad aliquam penam (p. 327). 236 1317 " 20. — Decreto, quod si nobiles viri Nicolaus Mauro, Johannes Co utar eno et Bardi Bembo, propter quoddam pactum habitum cum ianuensihus, venirent cum ballis intra Culfum, non cadant ad aliquam penatn (p. 244). 1324-25. — Fuit commissum baiulo et consiliariis Constantinopolis faciendi unam tabulam dandam cuidam veneto , qui reducat pondus auri de Constantinopoli ad pondus de Pera; et de argenti pondere (p. 82). 1324-25. — Occasione damnorum nostrorum mittatur unus notarius Sagonam. Mittatur unus notarius Januam pro damno de ca Dodho (p. 201). 1325-26. — Mittatur Januam unus ambaxator pro factis illorum de ca Dodho, habiturus pro toto viagio libras VIII grossorum. Reddantur per castellanum Coroni res ser Manfreditii Pipamelo (Piccamiglio) fanue, capti per gentem galearum Sicilie (p. 201). 1526-28. — Sollecitetur armata quatuor galearum , quarum est capita-neus ser Bertucius Michael, occasione... novarum XXII galearum de Sagona que exiverunt..... (p. 83). 1326-28. — Scribatur duché et consiliariis Crete, baiulo et consiliatus Negropontis et Constantinopolis, quod cum domino imperatori et hospitali et domino Martino Zacharia et aliis omnibus presentire debeant de faciendo societatem contra Tureos, et rescribant (p. 84). 1326-28. — Il Balio di Costantinopoli co’suoi consiglieri, possint, si erit necesse, securitatem facere quibusdam ianuensibus debitoribus certe quantitatis pecunie ser Marino Faletro et Hermolao Zane etc. (p. 85). 1326-28. — Eleggonsi de’ « sapienti » super facto navigiorum captoium per ianuenses extrinsecos (p. 108). 1326-28. — Scribatur baiulo et provisoribus (Nigropontis) quod placuit nobis quod non permiserunt intrare dominam Marulam, et adhuc mandetur eis expresse quod non permittant ipsam vel virum intrare, cum nobis appareat, ob fraudem per eam commissam ipsam privatam esse hereditate petita. Item quod si terminabitur per illos ad quos spectat, quod hereditas predicta pertineat ad uxorem domini Bartholomei Zacharie, relinquimus in libertate baiuli et provisorum permittendi ipsum et uxorem eius venire et morari super nostrum territorium, et non permittere, ut eis pro meliori videbitur. Si vero terminabitur hereditatem pertinere vel puelle filie tn. domini Bonifacii vel domino Nicolao Sanuto, non est nostre intentionis eis vel aliqui eorum facere novitatem (1) (p. 123)· (1) Manilla, figlia di Bonifazio dalle Carceri dei terzicri di Ncgroponte, signora di Caristo e di Egioa, era moglie di Alfonso Fadrique d’Aragona , capitan generale del ducato d Atene. Bartolomeo Zaccaria, figlio di Martino , dei signori di Focea e di Scio, avea sposata Guglielma di Alberto Pallavicino dei marchesi di Bodonizza. Nicolò I Sanuto, figlio di Guglielmo, dei duchi dell’ Arcipelago, aveva in moglie Giannetta di Ugo di Brienne, sorella di Gualtieri primo duca d’ Atene. — Cfr. Hopp, Chroniques greco-romana etc., pp. 473, 478-88. GIORNALE LIGUSTICO 237 1326-28. — Ordine di scrivere al duca di Candia, e ai balii di Ne- groponte e di Costantinopoli, quod cum.......domino Martino Zacharia....... debeant presentire de faciendo societate contra Turchos pro defensione locorum nostrorum (p. 12 ■;). 1326-28. — Provisiones sapientum electorum super factis Negro ponti, tam contra Turchos quam super facto domini Bartolomei Zaccarie et uxoris eius (p. 125). 1326-28. — Supersedeatur....... super facto ianuensium intrantium mare maius (p. 125). 1326-28. — Baylia data V sapientibus super factis Saone (p. 136). 1326- 28. — Ambaxata mittenda Sagonatn sit solemnis. facobinus notarius protestetur Sagone, et Venecias redeat (p. 202). 1328-29. — Restituatur domino Martino Zacharie biscotum intromissum in Mothono per castellanum (p. 116). 1329, 6 maggio. — È delegato agli straordinari il giudizio sui danni arrecati da que’ di Savona e di Pegli ai Veneti, che navigavano da Candia e Romania per Venezia (p. 307). 1329-30. — Scribatur baiulo Trapesunde quod procuret exigere bona Adamucii Tachino a Bronuno (?) ianuense (p. 87). 1329-30. — Sapientes electi super ambaxata Peyre, et responsio facta eidem ambaxate (p. 87). 1329- 30. — Mittatur fanuam unus notarius, vel alius sufficiens, pro facto de ca Dodho. Mittatur una discreta persona Sagonatn, cum querela nostrorum et {de?) facto Aytonis de Auria. Responsio facta ambaxatoribus Peyre quod contenti sumus quod per dominum Adonem Vicecomitem cognoscatur (p. 202). 1329- 30. — Ugolinus Cervallarius ianuensis possit investire et extrahere pecuniam extractam de frumento huc (in Venezia) delato cum cocha sua (p. 246). 1329 30. — Ad opera degli straordinarii taxentur damna data per ia-nuenses de Savona et Peyra venetis, qui venerunt de Creta et Romania et aliis partibus (p. 266). 1330-31. — Decreto quod quidam nostri detenti occasione ianuensium déroba torum, relaxentur, etc. (p. 44). 1330- 31. — Eligantur sapientes super denotatis per Montinellum de Sagona. Respondeatur comuni Sagone ad suas litteras pro ut lectum fuit hic. Concessum fuit Georgio de Montefalco ianuensi quod pecuniam frumenti, quam habere debet a nostro comuni pro frumento, possit extrahere de Venedis (p. 202). 2SS GIORNALE LIGUSTICO 1330-51. — Licenza a Cristoforo Pallavicino ed a Giovanni Riccio, genovesi, di estrarre da Venezia i loro averi (p. 240). 1550-51. — Licenza a Sardo Brancaleone e Pietro Belmosto, genovesi, di poter estrarre da Venezia la somma di 5990 soldi (p. 246). 15 51. — Responsio facta regi Karulo super facto domini Montani de Marino, de rebus sibi restitutis (p. 15). 15 51 · — Super facto Aytoni (de Auria) non procedatur (p. 57)· 15 31 - — Que sunt ordinata dari per nostrum Comune aliquibus damnificatis super galee (sic) Manuelis Grimaldo (p. 57)· 1331 - — Ordine a Bertuccio Michiel, comandante di quattro galee, di «ingiungersi all’armata del Capitano del Golfo , occasione novarum de XXII galeis ianuensium de Sagona (p. 41). 1551. — Commissioni a Marco Minotto, quod omîtes cursarios qui nostram gentem dérobassent demergat in mari, exceptos ianuenses (p. 58)· 133χ- — Ordine di detenzione del comito Marco Panza, e degli altri colpevoli derobationis unius galee ianuensis de Grimaìdis (p. 44)· I331· — Il duca di Candia e il suo Consiglio, super facto vtamalucorum delatorum per quendam Otobonum ianueitsem faciat..... eos saivari (p. 50)· I331· — Procedatur ad aliquem tractatum suber facto Aytoni (p. 89). 13 3 1 · — Possint (il Doge ecc.) committere alicui quod conferat cum nuncio principis Tarentini dicentis se damnificatum in galea ianuensium capta pei nostras galeas Culfi (p. 159). Responsio facta ad litteras sagonensium conquerentium de persecutione facta per nostras galeas Culfi suis VIII galeis. Sapientes tres , cum quibus sint ser Marcus de Lege et fohannes Sanuto, super requisitionibus derobationis facte super galeis Manutllis de Grimaldo. Dentur ser Nicole Liono, thesaurario hospitalis, dono et gratia fiorati D., et Gregorio Frumento et Honorato Rubeo de Janua, derobatis super galeis Manueli de Grimaldi. Tractatores nostri loquantur adhuc cum ambaxatoribus Sagone quod sit contentus de summa (sic). Super facto Aytoni non procedatur ad aliquem tractatum. Que consulta sunt dari et solvi de gratia ser Vitale , Gregorio Frumento et Honorato Rubeo de Janua (p. 202). 13 3.1· — Sapientes electi super questionibus galee Manuel lis de Grimaldo. Alii electi pro facto Sagone (p. 255). SPIGOLATURE E NOTIZIE Nel Bollettino della Società Geografica Italiana (marzo, pp. 268-78;, Pietro Amat di S. Filippo rende conto dei recenti ritrovamenti dt Carte nautiche in Parigi, in Londra ed in Firenze. La più importante di queste Carte è senza dubbio quella della Nazionale di Parig', fatta in Maiorca nel 1559 da Angelino Dulceri, intorno a cui rifeci già Gabriele Marcel alla Società geografica francese (cfr. Bull, de la Soc. Géogr. , ecc. janvier). Se non che l’erudito Marcel, pur riconoscendo « la forme italienne du nom de 1 auteur » , ed anzi confessando che « Dulceri n’ est pas un vocable de figure catalane », si è tuttavia ostinato a ravvisare proprio un catalano nel cartografo di cui si discorre. Ora 1’ Amat giustamente rileva come trattisi invece di Angiolino da Dolcedo , nella riviera ligure di ponente, il cui nome, Dulceti o Dulcedi, non apparisce più forse con sufficiente chiarezza nella leggenda a demi effacée; e conforta la sua afferma- GIORNALE LIGUSTICO 239 zione col prezioso riscontro di un’ altra Carta scoperta 1’ anno scorso Λ,Lw S?rsini in Firenze, che ha quest’epigrafe: Hoc opus fecit hn/' i Dulcet0 anno Domini M. CCC. XXX, de mense martii com-l’Am 11,0C" ~ cotesta.anti« Carta dell’archivio Corsini, soggiunge a , avrei voluto offrire ai lettori una breve descrizione, confrontan-ser> illustrata dal Marcel; ma il mio desiderio non potè es- A · ,t0>. e m* s‘ ^ece sperare che altri prepari un lavoro illustrando ei preziosi documenti cartografici corsiniani, quod est in votis. Intanto co ortunato ritrovamento della carta parigina e della fiorentina, si ha no ìzia di un altro cartografo della prima metà del secolo XIV ; e l’Ange ino da Dolcedo, che cronologicamente (1330-39) va collocato fra il errino Visconte (1327) e l’autore anonimo dell’Atlante mediceo (1351), co ma una lacuna di ventiquattro anni, chè tanti appunto se ne contano tra 1 due citati lavori cartografici ». Angelino da Dolcedo usa in entrambe le carte la lingua latina ; e poiché quella di esse descritta dal Marcel si ha da riconoscere come * PT^P° * ce^ebre Carta catalana del 1375, è logica la conclure. dell Amat medesimo, che cioè « la cartografia catalana discende dall italiana » ; e che, contrariamente a quanto dichiara lo scrittore francese , potrebbe riescire interessante, non già « de rechercher l’influence qua pu exercer sur les cartes italiennes l'école catalanne», ma viceversa. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Lettere inedite di Giacomo Leopardi e di altri a’ suoi parenti e a lui, per cura di Emilio Costa, Clemente Benedetiucci e Camillo Antona-Traversi. Città di Castello, Lapi, 1888. I tre cultori degli studi Leopardiani, che hanno raccolto la materia di questo volume, possono dire d’aver reso un buon servigio alla conoscenza di tutto quanto riguarda il poeta recanatese, poiché cosi le lettere inedite di lui, come quelle che si riferiscono alle cose sue e de’ suoi parenti, chiariscono alcuni punti importanti e controversi della sua vita e delle relazioni cogli amici, cogli editori, e coi parenti. Le lettere dello Stella e a Monaldo e a Giacomo sono assai curiose, e per certe intime notizie molto notevoli in riguardo alle condizioni economiche della famiglia Leopardi e per ciò che concerne la stampa degli scritti di Giacomo. Cosi porgono argomento ad utili osservazioni le lettere del Brighenti, le quali ci rendono assai più dolorosa la mancanza di quelle molte da lui dirette al poeta, donde potremmo attingere notizie importanti, di che ci avvertono le risposte di Giacomo edite in questo volume. Quelle lettere di varii poste in fine, potevano forse senza danno tralasciarsi; riconosciamo bensì che in questa scelta gli editori sono stati molto parchi. Ricche annotazioni corredano opportunamente le lettere, e servono di buona scorta per chiarire il lettore, richiamando alla sua mente i fatti e i riscontri. •Ettore Parri. Vittorio Amedeo II ed Eugenio di Savoia nelle guerre di successionespagnuola. Studio storico con documenti inediti. Milano, Hoepli, 1888. Diciamolo subito francamente, il titolo non conviene al libro, poiché dopo averlo letto ci persuadiamo che doveva dire cosi: Documenti inediti per servire ad uno studio storico intorno a Vittorio Amedeo II, ecc. Perchè invero lo studio storico non esiste, e c’è soltanto una esposizione di fatti non sempre attinti a lonti migliori, messa qui coll’intendimento di cu- 240 GIORNALE LIGUSTICO cire insieme , e fosse almeno con garbo, i documenti che vengono posti in luce. I quali, meno alcuni inutili affatto e che recati per esteso costituiscono un fuor d’ opera, debbono dirsi davvero importanti, e di tal ragione da porgere argomento allo storico di riprendere in esame il periodo al quale si riferiscono, correggendo, rettificando, aggiungendo quanto di nuovo da essi si rileva. L’autore potrà certamente dar opera a miglior lavoro, chè le attitudini non gli mancano, quando non voglia aver (retta, e se gli avverrà di por mano a qualche nuova pubblicazione, ometta pure certe note con notizie biografiche, che tutti sanno, citi esattamente le fonti e scelga sempre le più attendibili e le migliori. Milano nel Settecento giusta le poesie, le caricature e altre testimonianze dei tempi. Studio di Giovanni De Castro. Milano, Dumolard, 1887. L’argomento che l’autore ha preso a trattare è dei più curiosi ed importanti, tanto più se si considera che quel secolo o venne giudicato in j110^0 superficiale, o in tutto erroneo, ma senza uno studio pieno e profondo de’ fatti, delle cagioni, degli effetti, degli uomini, delle opinioni, de e costumanze, infine di quell’organismo complesso che dà vita,moto e impulso alla società nel suo svolgimento, nelle evoluzioni e nelle tras orinazioni. A colorire però il disegno di un lavoro generale, il quale assommi tutto quanto il quadro della vita italiana in quel periodo, occorrono innanzi studi speciali, singolarmente delle città e delle regioni che possono dirsi la scena precipua dove si svolge il gran dramma sociale. Il prò essor De Castro si è proposto sì fatto lavoro per Milano, e come prima a dato opera a metterci innanzi le condizioni storiche e morali della ci a ne’periodi della Cisalpina e della dominazione Napoleonica, chiù en o con la caduta del regno italico, cosi ora, mercè il nuovo^ libro, ha 111 eso compiere l’opera immaginata, dandoci la storia aneddotica e minuta e secolo in cui furono preparati gli avvenimenti, che valsero a modi car profondamente i costumi, le opinioni, lo stato politico della patria nos r . Giusta il suo concetto si giova l’autore di tutte quelle manifestazioni c hanno virtù di introdurci nella coscienza pubblica, a fine di n aJne sentimento universale onde è mossa ad operare , e perciò mentre a lato attinge dalle istorie, dai diarii, e dalle relazioni contemporanee, suo pro’in guisa assai larga delle poesie, delle satire, delle carica d’ogni ragione, onde si mostrò singolarmente fecondo il Settecento, a mato da quello spirito satirico e beffardo, antico patrimonio degli ita 1 > trasmigrato al di là delle Alpi, e ritornato più tardi fra noi m\o uto scetticismo volterriano, e di leggerezza francese. Senza indugiarci qui una minuta disamina dell’ opera, diremo che sono notevoli quelle p nelle quali è divisata con assai garbo la condizione morale, letterari economica della gran metropoli lombarda, quantunque per ciò c ìe c cerne il costume sarebbe riuscito giovevole uno studio più largo e a rato dei viaggi di stranieri in Italia , dove , scegliendo e vagliati o giudizio, si può quasi sempre trovare la nota vera, e, come suo 1 > palpitante. Ci sembra invece men felice il quadro delle condizioni P tiche, manchevole, secondo noi, di quella pienezza, coesione, ed orno& , neità necessarie in lavori come questo. Di qui una qualche ineertezz procedimento, che reca danno all’ organismo generale. t Contuttociò 1’ opera del De Castro riesce certamente utilissima , come quella che reca un buon contributo alla conoscenza della società nel secolo passato, e porge una quantità notevole di documenti 0 ignoti 0 per lo più trascurati. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 24 I DEL SEGNO DEGLI EBREI (i) Qualunque foggia od insegna disusata imposta agli Ebrei, uomini e donne, per differenziarli palesamenti dai Cristiani : volgarmente Simàn, vocabolo rabbinico derivato come e' sembra dal greco σγ,μα. !.. Il Segno, per quello che me ne pare, è il principale ordine della condizione giuridica degli Ebrei nel medio evo e quasi simbolo suo agli occhi della moltitudine cristiana; onde non si può dir bene dell’ esser suo che non si dica degli ordini minori che lo accompagnavano, come il rappresentante non si può comprendere se non si conosce a pieno il rappresentato. Per la qual cosa avevano ragione di stimarsi estremamente umiliali e di accorarsi gli Ebrei all’ obbligo di portare squadernata su i panni la scritta della viltà che li bandiva dal consorzio civile. Innocenzo III, facendo sua la sentenza di Clemente III, insegnò dalla cattedra a’ Cristiani che: La morte di Cristo rese la libertà a Fedeli e fece schiavo il Popolo Ebreo; (2) e la sentenza diventò della Chiesa universale. Se non che alcuni Pontefici, compreso lo stesso Innocenzo, trovarono in sè tanta umanità, cristiana pietà e grandezza che raddolcirono copiosamente gli effetti temporali della tremenda condanna, avanzando per tal guisa (1) Nuovo articolo in aggiunta a) Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo dello stesso autore. La Direzione. (2) Innocentii P. Ili, Epistolarum libri undecim, VilT, 121: Parisiis 1682. Giorn. Ligustico. Anno AT. 16 242 GIORNALE LIGUSTICO gli Ebrei verso la comunione civile appena conseguita in Italia a nostri tempi; gli altri Pontefici, assai diversi, rifecero i passi a ritroso de’ compagni : onde il viaggio a quella meta fu più lungo e penoso. Imperocché autore dei precetti di che si costrinse la vita degli Ebrei dimoranti nel paese cristiano non poteva essere e non fu se non 1’ interprete e custode della Fede cattolica, a cui è commesso dall’alto di salvarla dalla corruzione. Egli pertanto o da solo o co’ suffragi de’ Concilj definisce le cose religiose o tanto o quanto attinenti alla Religione, e sparge suoi decreti per la generale osservanza in tutta la Cristianità. Ma nell’ operarla questa osservanza qui stava il malegevole; dacché trattandosi di materie miste e la cui religiosità non era sempre chiaramente compresa o incontrastabile, l’intervenzione della Podestà ecclesiastica ne’ reggimenti secolari suscitava spesso gelosie e ripugnanze. E poi non tutti i Popoli e i Principi avevano le stesse disposizioni e le stesse necessità di Governo, e non tutti i Principi, anche nel secolo decimo quinto, potevano tutto in Italia, terra sacra alla libertà; pure allora essendovi ordini che a dare fermezza a decreti signorili e registrarli ne’ particolari Statuti convenisse di farli approvare per provvisione municipale (1); molto più in ogni evento la bolla il breve o l’epistola papale, se doveva acquistare vigore di legge civile. Quello che fuori degli Stati suoi temporali poteva per sè il Papa su gli Ebrei, privo colà della distrizione personale e reale, si riduceva allo antico espediente di negar loro la partecipazione, il participio o la comunione, come ancora si diceva il comandare a’ Cristiani, sotto pena di scomunica, di troncare affatto ogni corrispon- (1) Balduzzi, Bagnacavallo e Γ ultima Signoria degli Estensi, 1440-1598, pag. 305 (Atti e Mem. Deput. Storia Pair., Ser. Ili, Vol. IV). GIORNALE LIGUSTICO 243 denza con quelli infino a che non si piegassero a questo od a quell ordine ecclesiastico. Ma, senz’altri esempi, l’espediente si adopro dal Concilio IV Lateranense per P usura ebraica (1), lasciata libera dalla legge di Mosè contro il forestiero (2), e questa vergogna durò maledetta ancora per secoli, se non fino alla istituzione de’ Monti di Pietà. Quindi la grande varietà delle condizioni degli Ebrei ne’ tempi e ne luoghi, del che terrò discorso, dopo aver toccato degli Statuti pontificj che li risguardano universalmente; nei quali entro subito. E primieramente invoco il Pontefice Gre-goiio che meritò il titolo di Magno e la corona di Santo; e raccoglierò il poco che alla giornata e caso per caso egli appropriatamente disponeva e notava nella materia degli Ebrei, meglio assai che a fabbricare Statuti. Gli Ebrei permessi di vivere a Legge Romana, egli ricorda a’ suoi Prelati talvolta dimentichi, non si potevano gravare nè affliggere contro ragione , avendo eglino franchezza di persona e di roba (3). Perchè sotto varii pretesti si obbligavano gli Ebrei ad allontanarsi nelle loro solennità, non mai frastornate in passato, egli scrisse al vescovo di Napoli, dove questo spesso accadeva , di lasciarli a sè in que’ giorni, quali erano lasciati i loro antenati ; imperocché agendum est ut ratione potius et mansuetudine provocati sequi nos velini, non fugere (4). Non permetteva che senza licenza erigessero sinagoghe nuove, ma voleva che avessero sicurtà di usare le concesse ed antiche. Occupatane una in Cagliari da un Ebreo novellamente battezzato, il giorno seguente del suo battesimo, e postavi egli dentro la Croce e la immagine della Madre di Dio per discacciarne a (1) Concit. Lateran. IV, a. 1215, cap. 27. (2) Deuter. XXIII, 19, 20. (3) S. Gregorii P. I., Registri Epistolarum, lib. I, ep. 10: Parisiis 1705. (4) Id. Ep., V, 12. 244 GIORNALE LIGUSTICO quella vista i padroni, il Papa commise al Vescovo di riprendere severamente il fanatico, e dopo rimosso dalla sinagoga quanto vi si trovava di venerabile restituirla fedelmente agli Ebrei (i). Ancora in Palermo per un’altra simile occupazione arbitraria il Papa fece lo stesso rescritto, salvo se la sinagoga fosse già consacrata, nel quale caso si rendesse il prezzo di quella, degli ospizi e degli orti adiacenti, agli antichi possessori (2). Egli non si travagliava che gli Ebrei possedesseio beni stabili in Italia e fuori, in Italia particolarmente nel-Γ Agro Lunese (3). Ma non istimava lecito che Cristiani, figli di Cristo e membra sue servissero agli Ebrei nemici di Cristo, ed esortava i fedeli a liberarli ne’ termini della legge, solo quando i servi e mancipj dimoravano nelle tene degli Ebrei da lunga pezza, potessero, volendo, continuare a condizione coloniaria (4); il quale precetto veramente fu anche più largo in addietro, apprendendosi da un Concilio Gallicano che i mancipi Cristiani potevano servire agli Ebrei ìn-fino a tanto che da’ padroni non fossero indotti a cose vie tate dalla Religione (5). Poscia alla notizia che in quel di Marsiglia si forzavano gli Ebrei al battesimo non è a dire quanto se ne scandolezzasse e con quanta forza comandasse a’ vescovi di contrapporsi gagliardamente, considerando che appresso i Cristiani la violenza non dee tenere il luogo della persuasione: con questa, conversioni vere e durevoli, con quella, passeggiere e false che riconducevano alla antica superstizione o la coprivano (6): ma fu pur troppo dottrina (1) Id. Ερ., IX, 6. (2) Id. Ερ., IX, 55. (3) Id. Ερ., IV, 21. (4) Id. Ep., cit. (5) Condì. Aicrelian. Ili, a. 630, cap. 13. (6) S. Gregorii P. I., Ep., cit., I, 47. GIORNALE LIGUSTICO 245 disutile in ispecie ai Redi Portogallo che riempirono di falsi Cristiani e di roghi il loro regno. E sempre che agli Ebrei accadesse ingiuria o menomamento de’ loro diritti, eglino facevano ricorso al buon Papa (1); e questi come pe’ Cristiani, così disponeva per gli Ebrei secondo ragione e verità, senza che mai in parlando di loro , cadesse dalla sua casta penna alcuno di quei motti vituperosi, che poi appresso diventarono epiteti naturali degli Ebrei, non solo nelle bocche plebee e stemperate, ma e nelle carte solenni degli uomini alle maggiori dignità sollevati. Alessandro III, nome caro alla libertà d’Italia, conservò parte degli insegnamenti di Gregorio I, e quindi ai tempi suoi, come a quelli del suo grande maestro, gli Ebrei menarono vita quieta e decorosa; invero non poco argomento di onore per loro l’averla goduta tale sotto quei due Pontefici straordinari e venerandi, e perdutala dopo. Sotto Alessandro III parecchi Ebrei esercitavano a gran lode la medicina liberamente; altri andavano per gli uffizj, ed uno Mabbi Jechiel sedè molto domestico nella Corte del Papa, suo tesoriere privato (2). Possedevano terre in alcune provincie. Avevano un’ accademia di letteratura rabbinica e di medicina in Monpellieri, un’ altra in Ascoli. D’imposte , che poi tanto abbondarono, nessuna (3). Il Concilio Lateranense III convocato da esso Papa, trattò il soggetto degli Ebrei e stanziò: pena la scomunica ad abitare con Ebrei e Saracini sotto uno stesso tetto, pene a’ Cristiani ed alle Cristiane a servire da fanti 0 balie agli Ebrei; nelle testimonianze, in tutte cause contro Ebrei, bastare i Cristiani, contro (1) Id. Ep., I, 9; IX, 46, 56· (2) Perrf.au , Educazione e coltura degli Israeliti in Italia nel medio evo, pag. 19: Corfu, 1885. (3) Beniamini de Tudela, Itenerar., pag. 19: Histoire de Languedoc, II, 517; III, 531. Perreau, loc, cit. 24^ GIORNALE LIGUSTICO vincitori e padroni; e consisteva in tenere un segno su le porte delle loro case, ed uno sulle vestimenta, sopra tutto una cintura di cuoio o lana (i). Che i Cristiani voltassero dappoi addosso agli Ebrei loro antichi compagni nell’ avvilimento e nella sventura l’ordine musulmano che insieme avevano abborrito, non vorrei fosse vero, ma confesso molto gli si assomiglia. Come che sia, Innocenzo attesta di averlo già ti ovato in essere in alcune provincie e caduto in altre, ed in queste inorridì a’ mescolamenti malvagi che vi si facevano tra le due stirpi avversarie, di che egli impose il Segno da per tutto (2). Cosiche se non primo copiatore de’ Saraceni, Innocenzo si fu il primo Pontefice, che diede stabilità e generalità all’ ordine disonesto. Ma egli non lo desciisse altrimenti; forse ne abbandonò la scelta a’ Concilj provinciali, forse agli stessi Ebrei; se già fra le tante cure del suo glorioso Pontificato che portò la Chiesa alla maggiore altezza, non gli mancò il tempo a ripigliare questo pensiero, essendo egli morto dopo pochi mesi, in questo solo colla stessa sorte di Paolo IV, che, data la berretta gialla agli Ebrei, anch’ egli dopo pochi mesi passò di vita. La descrizione del Segno più vicina ad Innocenzo ci fu som-ministrata, sedente Onorio III, dal Concilio provinciale Nar-bonese del 1227; ^ quale per far discernere gli Ebrei pensò che portassero nel mezzo del petto la figura d’ una ruota 0 circolo di panno, che in appresso si disse O volgarmente, la cui larghezza fosse di un dito e l’altezza d’un mezzo palmo di canna (3). Onorio, scrivendo all’Arcivescovo della provincia bordegalense, dopo aver dichiarato infame la intelligenza fra uomini cristiani e donne ebree e per contrario, (.1) Amari, Storia de’ Musulmani di Sicilia, I, 476, 477: Firenze, 1854. (2) Condì. Laterali., loc. cit. (3) Condì. Narbon., a. 1227, caP· 3- GIORNALE LIGUSTICO 249 gli raccomandava sopra ogni cosa che gli Ebrei si avessero a contrassegnare per alcun che disusato nell’abito, e poi lo esortava a tenerli lontani da’ pubblici ufficj, certamente petchè là ne occupavano talvolta (1). Diversamente Gregorio IX si limitò a rinfrescare la proibizione antica de’ fanti e delle balie cristiane a' servigi degli Ebrei (2), ripetizione questa ed altre frequenti, che dicono come l’esecuzione dei Decreti non fosse sempre sicura e si fraudasse agevolmente: e proibì a’ Cristiani di disputare della tede cogli Ebrei (3). Al suo tempo si celebrò il Concilio Arelatense , il quale agli Ebrei da’ tredici anni in su ordinò di non uscire di casa, senza avere in petto il segno d’ una cella (voce assai dubbia e non so perchè raccolta dal Du Cange; gli altri Concilj scrivono ruota tutti), largo tre 0 quattro dita, eccetto che per viaggio ; e le Ebree dovessero portare Γ orale (ciò era un panno o velo, chi noi sapesse, onde le donne d’Italia e di Francia per modestia e per difesa dall’ aria si coprivano la testa e la bocca, come accenna la parola), colla solita pena della comunione negata a’ contravventori. In esso Concilio si ammonirono ancora gli Ebrei che cadrebbero nel medesimo pregiudizio se non soddisfacessero le decime alle Chiese de domibus et possessionibus quas noscuntur in ipisis parochiis possidere (4) ; particolarità pe’ diritti civili degli Ebrei degna di nota. Ora viene Nicolò III, Γ inventore malaugurato od almeno il primo usatore, eh’ io sappia, delle prediche speciali agli Ebrei per farli Cristiani. Egli commise nel 1278 al Provinciale de’ Frati Predicatori di Lombardia, che facesse predicare alcuni suoi di buona mente (1) Honorii P. Ili, Brev. 27. febr. 1221. (2) Gregorii P. IX, Brev. 5 mart. 1232. (3) Ivi. (4) Condì. Arelatens., a. 1234, cap. 16. 250 GIORNALE LIGUSTICO e prudenza , agli Ebrei , a più insieme ο singolarmente , in uno o più discorsi, come conferiva meglio alla loro conversione; avvertendo di trattare benevolmente coloro che davano di sè buone speranze, e di informarlo de’ caparbi per punirli e provvedere (1) ; ecco l’unghia del leone che spunta. Il Gregorovius ne regala l’origine a Gregorio XII (2); ma qui si sbaglia e non si vuole privare di quel vanto Nicolò, avvegnaché Gregorio ed i suoi successori ne abbiano fatto quasi una seconda invenzione, vieppiù aspra e stranamente ingiuriosa, che fece quasi dimenticare la prima. Gregorio pertanto nel 1572 riprese la vecchia istituzione di Nicolò e la portò in Roma, dove la rimbruttì anche di più; e da Roma andò fuori. Intimò che si predicasse agli Ebrei il sabato, m barba agli statuti civilissimi di Gregorio I, di Alessandro III e d’Innocenzo III, che volevano non si sturbassero quegli ospiti nelle loro feste ; vero è che aggiunse : od altro giorno; ma ben s’immagina che l’aggiunta non doveva aveie effetto; si predicasse da un maestro di Sacra Teologia o altra persona idonea, da eleggersi e pagarsi dagli Ebrei; il sermone possibilmente in ebraico, ragionasse del Vecchio Testamento, del Vangelo, della desolazione di Gerusalemme, della dispersione e cattività del Popolo Ebreo: a queste prediche convenisse almeno la terza parte della famiglia ebraica del luogo (in Roma poi trecento e più) fra maschi e femmine e fanciulli non minori di dodici anni, a pena di esser loro levati i commerci o puniti dell’arbitrio ; oltracciò ad ipsos sermones audiendos (questo è il nerbo) compellantur (3)· E l’esecuzione, passando da un Pontefice all’altro, scambio (1) Nicolai P. Ili, Brev. 4 aug. 1278. (2) Gregorovius, Ricordi storici e pittorici d’Italia, p. 183: Milano, 1872; traduz. di Augusto di Cossilla. (3,) Gregorii P. XIII, Constit. 1 sept. 1574. GIORNALE LIGUSTICO 25I di rammollirsi e logorarsi acquistò durezza e asprezza maggiore. Intanto che negli ultimi tempi ogni sabato gli esecutori 0 birri del Cardinal Vicario di Roma, che per decreto di Paolo IH (del resto tanto benemerito de’ Marrani bestialmente perseguitati dai Re Portoghesi) aveva sugli Ebrei facoltà giudiciale (1), andavano in Ghetto e ne cacciavano fuori gli Ebrei a frustate spingendoli innanzi come pecore, fra le risate degli astanti, ad una chiesuola determinata, entro la quale gli esecutori prima gli rassegnavano. Gli Ebrei che dovevano pagarsi il predicatore, dovevano ancora farsi la spesa delle panche per sedersi, e se alcuno di quelli dava aria di sonnecchiare al sermone 0 di starci disattento 0 non composto gli esecutori lo toccavano colla scuriada o con una lunga pertica tenuta in mano, per insegnare il dovere. I birri vicariali carceravano i meno docili. Oltracciò correva una multa da’ venticique a’ cinquanta scudi a coloro 1 quali non si lasciavano cogliere in Ghetto a farsi frustare 0 non capitavano in chiesa all’ ora posta (2). Più tardi queste prediche si facevano solo cinque volte l’anno (3) e andavano in disuso se Leone XII non le revocava all’antico costume, lasciando a Pio IX nel mirabile primo anno del suo Pontificato, di abolirle. Dinanzi a questi fatti, a fine che 1 giudizi non pieghino in falsa parte imputandosi alle insti— tuzioni gli errori e i capricci degli uomini, io contrappongo alcune parole d’un Santo e dotto Pontefice, che rappresentano sinceramente la sublime dottrina cattolica in questo (1) Pauli P. Ili, Constit. 3 nov. 1542. Ronchini, Giovanni III ài Portogallo, il card. Silva e T Inquisitione (Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria dell’ Emilia , vol. IV). (2) Della Giurisdizione del Vicario di Roma, cap. XLIII, a. 1719 Ms. della Biblioteca Angelica di Roma. Gregorovius, loc. cit. (3) Gkegorovius, op. cit. I, 66. Perreau, op. cit., pag. 24. 2)2 GIORNALE LIGUSTICO argomento: Eos cnim, scriveva San Gregorio Magno, qui a Religione Christiana discordant mansuetudine, benignitate, admonendo , suadendo ad unitatem fidei necesse est congregari : ne quos dulcedo praedicationis et praeventus futuri judicis terror, ad credendum invitare poterat minis et terroribus repellantur. Oportet ergo ut ad audiendum de vobis verbum Dei benigne conveniant quam austeritatem quae supra modum extenditur, expavescant (i). Altro Papa da mentovarsi per noi , Giovanni XXII, proibi il Talmude e per infamia lo fece ardere in pubblico, mandato alle fiamme due volte nel secolo XIII in Parigi (2). E gli tenne dietro Giulio III che proibì agli Ebrei il medesimo libro ed altri simili, imponendo che si bruciassero sotto pena della carcere, della confiscazione dei beni e magari della morte, secondo i casi ; nelle quali esecuzioni molti e preziosi testi divamparono per mano del boia nelle piazze; ma nuove e copiose e più belle edizioni risorsero da quelle ceneri (3), come avviene sempre da simili violenze. Lo stesso Giulio, visto Γ assegno della casa de’ Catecumini molto sottile al bisogno, condannò ad ingiossario gli Ebrei, facendo pagare tutte le sinagoghe delle terre pontificie dieci ducati d’oro annui ; cento diciassette sinagoghe, al vivente di Pio IV, che gittavano novecentottan-taquattro scudi (4) Nè parmi da trascurare la costituzione di Urbano V, nella quale egli reputò necessario ammaestrare i Cristiani che in buona coscienza, senza formale giudizio eglino non avevano autorità di uccidere, spogliare, bastonare, (1) Gregorii P. I, Registri Ep., cit., I, 3$. (2) Gregorovius, op. cit., pag. 66. Perreau, op. cit., pag. 24. (3) lu lu P. Ili, Constit., 27 maij 1554· Pesaro, Appendice alle Memorie storiche sulla comunità Israelitica Ferrarese, pag. 19, 20: Ferrara, 1880. (4) Ium P. III, Constit., 31 aug. 1554: Annali di Statistica, Serie III, Vol. IX, pag. 206. GIORNALE LIGUSTICO 253 e lapidare Ebrei, disseppellire e mutilare i loro morti (1). Veramente meglio era che il furore religioso fosse trattenuto dall appiccare il fuoco, più tosto che gridare poi alle moltitudini infatuate di spegnerlo. Tanto che il terzo Innocenzo bandì la stessa ammonizione, anzi levò sopra la testa dei cattivi Cristiani la spada dell’anatema, e nondimeno, mercè di quel fomite a cui si apponeva di giorno in giorno, i profanatori de’ sepolcri degli Ebrei continuavano all’ età di Urbano e continuarono ancora per più secoli, almeno infino agli ultimi del diciassettesimo, nel tempo che cacciati gli Ebrei da Bologna, il loro cimitero venne dalla plebaglia sconvolto e manomesso (2). Martino V nel principio del suo papato non faceva presagire di sè quello che poi doventò così pio e clemente Pontefice verso gli Ebrei, per ciò che se mantenne l’antico loro privilegio di esercitare la medicina e gli esentò dalla tassa del carnevale colla quale i Cristiani si sollazzavano alle spese di quelli (3), egli altresì confermò la centesima volta agli Ebrei 1’ obbligo del Segno sugli abiti ; altrimenti correvano il rischio che ogni loro avere fosse confiscato e venduto a prò delle Chiese, de’ Conventi e degli Ospizi (4). La nobiltà dello spirito di Martino apparve alla occasione che pochi anni appresso, i diversi sodalizj Israelitici di Italia ricorsero a lui umilmente, affinchè la pietà cristiana li soccorresse dai pericoli de’ loro persecutori; alle quali querele il Papa fece ragione con una Bolla particolare. Dove si vede, che quando i Predicatori Mendicanti e degli altri Ordini ed i Confessori stringevano il Popolo Cristiano a fuggire il fiato avvelenatore degli Ebrei, non conversando con (1) Urbani P. V, Conslil., 7 jun. 1365. (2) Ann. Statist, loc. cit., pag. 196. (3) Gregorovius , op. cit., I, pag. 66. (4) Martini P. V, Conslil. 6 jun. 1423. Gregorovius, loc. cit. GIORNALE LIGUSTICO esso loro in alcun modo, fino a negare loro qualuuque sussidio e partecipazione sotto gravi censure; quando que’ Ministri del Vangelo affermavano che gli Ebrei erano caduti d’ ogni diritto umano ; per contrario il Pontefice ordinava a quei Ministri ed a qualsivoglia Cristiano di astenersi da tali dottrine , che non sortivano altro effetto se non di conservare que’ traviati nella loro ostinazione. Qualunque forza nelle persone, nell’avere e nella coscienza di quelli non esser lecita; non di costringerli a udire i divini ufficj e cerimonie nostre e turbare le loro; o farli lavorare il sabato; o battezzare i loro bambini, senza il consenso de’ genitori. Quindi non potersi interdire la famigliarità fra Ebrei e Cristiani salvo in certi casi proibiti ; fuori de’ quali doversi permettere agli Ebrei di comprare da’ Cristiani e tenere in proprio case e possessioni e fare altri contratti fra loro nelle fiere, e convenire insieme nelle altre cose oneste; oltreché potevano essi frequentare le scuole cristiane non meno che le proprie, attendendo alle discipline da loro liberamente prescelte (i). La quale convivenza generosa, a mio parere, escludeva implicitamente tanto il Segno, quanto l’abitazione segregata obbligatoria, come due angherie che avrebbero distrutto il benefizio. Fu ella insomma questa bolla una sentenza solenne contro i zelanti sconsiderati e gli ipocriti. Ma perchè la vita di tali Costituzioni era un fare e disfare continuo fra 1’ un Papa e 1’ altro 1’ opera loro (salvo che il male era più longevo del bene), Eugenio IV, successore di Martino, non si rimase di abbattere la miglior parte della Costituzione Marti-niana, circa tredici anni dopo la sua promulgazione. Perchè egli vietò agli Ebrei ed a’ Cristiani di sedersi a mensa insieme rinnovando il precetto del Concilio di Laodicea, e di far traffichi ed altro affare comune; agli Ebrei proibi di esercitare la medicina, (i) Martini P. V, Constit., 15 febr. 1429. GIORNALE LIGUSTICO \ 255 vendere medicinali, portare ufficj civili, tenere servi e serve cristiane appresso di sè; vietò i lasciti per testamento da Ciistiani ad Ebrei, contro l’usato in Sicilia da’ Musulmani, che in questo più giusti ed avveduti di noi non guardavano a differenza di religione; comandò il Segno nelle vesti, gli obbligò ad abitare separati da’ Cristiani in viuzze rimote, primo passo all’ ergastolo del Ghetto ; non andassero in volta per la città, pagassero annualmente 1130 scudi alla Camera Capitolina e conferissero con danari ed altrimenti alle baldorie cristiane carnovalesche, delle quali i Papi si davano gran pensiero (1). A proposito di esse baldorie, si dice che Paolo II gran festaiolo, conforme all’ umore dei Veneziani, fosse il primo che portò in Roma lo spettacolo delle corse de’ cavalli e con quelli anco degli Ebrei, e questo per celebrare l’anno straordinario di pace 1468 (2). Non posso dire se nel principio, ma poco andò che in quella prova gli Ebrei furono accompagnati con giovani, vecchi e fanciulli cristiani, tutti volontarj ; e gli Ebrei indossavano vesti particolari bianche lunghe insino a’ fianchi, ornate di orpelli e di alloro, con un cappello bizzarro (3). In appresso, tutti ignudi, Ebrei e Cristiani, simili de’ correnti al drappo verde di Verona; al che poi ritraendosi i Cristiani e chiedendolo aneli’ essi gli Ebrei, ne furono i Cristiani scusati e gli Ebrei obbligati. Questo avvenne verso 1’ anno 1583 (4). Correvano adunque forzatamente gli Ebrei ignudi, se non coperti i lombi, col capestro alla gola e rimpinzati prima (1) Eugenii P.IV, Constit., 8 aug. 1442. Gregorovius, loc. cit. Amari, Stor. Musul. Sic. cit., 1, 474. (2) Memoriale di Paolo di Benedetto di Cola dello Mastro dello Rione de Ponte, pag. 34: Roma 1873. (3) Ademollo, Il Carnevale di Roma ne’ secoli XVII e XVI11, pag. 4: Roma, 1883. (4) Ademollo, op. cit., pag. 9. 256 GIORNALE LIGUSTICO di cibo, perchè fossero più maldestri alla corsa e più scherniti; e correvano sgombri come gli altri, ma talvolta cavalcati da soldati, ed ora entro sacchi, mascherati di fango e di ogni bruttura al loro passaggio , e percossi con sassi e con bastoni dalla folla esultante; mentre Pio II, accomodato al balcone del palazzo, modernamente di Venezia, si godeva la vista abbominabile. Questo barbaro martirio a disdoro della nobile città e del genere umano durò più d’un secolo, e fu strappato al gusto infermo popolare da Clemente IX col Breve del 28 gennaio 1668, nel quale il dover correre ai palj venne cambiato agli Ebrei in tributo di scudi trecento che fu assegnato a’ premj per le corse de’ barberi e nel-l’annuale omaggio in Campidoglio al Senato Romano (2). L’omaggio, forse il lettore vorrà saperne, cadeva nel primo sabato del carnevale, dacché ogni sopruso agli Ebrei doveva essere di sabato. I Capi della Università Israelitica cominciavano dai Conservatori del Popolo, ed a loro inginocchiati davanti presentavano per nome di censo un mazzo di fiori e venti scudi, pregandoli per somma grazia ad onorarli di addobbare a loro spese il verone dove il Senato eccellentissimo stava a vedere le corse de’ palj. Fatto questo si prostravano su i primi gradini del trono senatorio, · la cui apparenza regale dissimulava la servitù reale, ed umilmente supplicavano il Senatore di prolungare la loro dimora nella eterna città. Il Senatore rispondeva, chi vuole dando un calcio nel viso all’ Oratore (io non ammetto tanta viltà in un gentiluomo per quanto vile), e chi posandogli un pie’ sulla fronte inchina e dicendogli, tenessero bene a mente che eglino in Roma non avevano stanza (1) Gregorovius, op. cit., pag. 67-69. Ademollo, op. cit., pag. 9, 11. Silvagni , La Corte e la Società Romana, pag. 63 ; Firenze, 1882. GIORNALE ligustico ferma, ma uno stallo posticcio per commiserazione (i). Altro omaggio e più pomposo rendevano gli Ebrei al Papa novello nella sua entrata, non che all’imperatore ed al Re de Romani venuti in Roma. E si rendeva per via, dove a un certo punto gli Ebrei, aspettanti che il nuovo Piipa passasse, cantavano intanto le lodi sue, sì come i Veneziani cantavano per le chiese quelle del nuovo Doge. Tosto giunto il Pontefice a quel punto, gli Ebrei se gli atterravano a’ piedi ed il capo della sinagoga gli porgeva aperto il Pentateuco, portato in ispalla secondo la loro usanza; nel che fare lo pregavano a confermarlo, simile a’ suoi Predecessori. Ed il Papa, lettone pochi versi, lo restituiva e pronunciava presso a poco queste parole: Confermiamo la Legge e condanniamo il Popolo Ebreo; parole applaudite furiosamente dalla moltitudine con fischi ed urlate agli Ebrei. Leone X mise del suo la sgarbatezza di lasciar cadere per terra il sacro Libro, se non fu sbadataggine. Quindi il Papa riprendeva la sua via e gli Ebrei se ne ritornavano a casa annuvolati o sereni secondo l’aria del viso del supremo Gerarca. Per evitare quelle villanie popolari, Innocenzo Vili nel 1484 riformò che per l’avvenire l’omaggio degli Ebrei al Papa novello avesse effetto nel cortile di Castel Sant’Angelo. E dopo Leone fu tolto affatto, sostituito dalla crudele angoscia di dover parare di arazzi nell’ entrata del Papa l’arco trionfale del distruggitore della loro patria. Questo omaggio facevano ancora gli Ebrei in altre regioni a’ loro Principi; e basti quello degli Ebrei di Messina nella entrata di Pietro Aragonese in quella Città (2). Il Sismondi nota che verso la metà del sedicesimo secolo accadde nella Chiesa, (1) Gregorovius, op. cit., pag. 68. Silvagni, op. cit., II, 63. (2) Muratori, A.M.Æ. Dissert. XIII. Gregorovius, op. cit. pag. 69-72. Vedi Doge. Giorn. Ligustico. XV. 258 GIORNALE LIGUSTICO massime pel premere minaccioso della riforma, di cui Id j ·ι ί · m'indc mutn ed il nostro buon senno ci scamparono, una gl zione, non solo nel costume de’ cherici sciolto ad _ °° licenza ed allora disposto ad infrenarsi ed a prendere inl&^. forma quanto consentivano gli esempi dell’alto, llia ez ‘ nell’ avvicinarsi ella di più a’ Principi e scostarsi da °P _ contro alla pratica antica (1); di che venne a cornmetters il trionfo delle verità eterne alla brutta forza, snaturando e come mondane (se possibile fosse) e screditandole : e hi ^ 1 bertà del pensare se ne afflisse, e quella degli Stati inclinò e cadde, tutte le libertà dandosi la mano. Del quale 1 ivo ol mento iniziatore principale fu Paolo IV, mente acuta., na^ tura feroce, inflessibile, soverchiarne a tutto e a tutti, insieme alcuni dicono religiosissimo, altri simulatore sovrano, quello che si conveniva al fatto. Onde condottosi nel sacro campo delle coscienze e degli intelletti colla superba febbre che lo travagliava, egli converti lo zelo della religi°ne n<- l’odio, l’odio nella persecuzione, il sospetto nella realta, ricercava ansiosamente Γ errore , non per allettarlo a dolcezza del vero, ma per farne vendetta; non conosceva libertà se non per sè, non ravvedimento e non miseri 1 X cordia per alcuno; anche gli innocenti tremavano, perei nulla risparmiava di più venerabile, e cagionava ribrezzo se non anche orrore nelle anime più candide e timorate (2)· O Dio, che sei la carità e la benedizione dell’ Universo, non riguardare ai falsatori della tua legge ! Però il popolo di Roma nel suo transito si sollevò per la gioia e con esso gli Ebrei, cosi miti e dimessi da natura e fortuna; e facendo sfregio al suo governo maledetto ed alle sue institu- (1) Sismondi, Hist. Rep. Ital., cap. cxxvix. (2) Muratori, Ann. Ital., a. 1555 e 1559. GIORNALE LIGUSTICO 259 zioni, ne misero in pezzi la statua in Campidoglio, e spiccatane la testa , un Ebreo osò porvi su la berretta gialla data in marchio d’infamia pochi mesi prima agli Ebrei; atti certamente esecrabili, ma la mina più compressa è più scoppia (1). Or questo Papa è Γ autore della Bolla che da quindi in poi sempre servi di codice ai tormentatori d’Isra-ello. In essa, dopo confermato espressamente, che gli Ebrei sono servi de’ Cristiani e che della pietà cristiana fanno uso dannevole, egli si travagliò sopra tutto ad assicurare la separazione perfetta degli uni dagli altri. Il che era già assai, se non di soperchio pe’ modi che si misero in opra, e non importava che un zelante bugiardo, per aggiunger legna al fuoco sacro calunniasse il Pontefice e gli Ebrei acconciandogli in bocca, che questi cercassero sotto mano di scannare i Cristiani ed impadronirsi de’ loro beni (2); falsità delle falsità. Al quale fine della separazione , il Papa fece comandamento che gli Ebrei in Roma e in tutte sue terre abitassero insieme raccolti in uno 0 più luoghi, dove non si accedesse che per una o più porte e per altre si uscisse, insomma , accettò i tristi esempi dati primamente da’ Principi, Federico II di Aragona ed Amedeo Vili di Savoia, fondò nello Stato suo il Ghetto, da ciò divenuto autorevole a tutti gli altri paesi; in Roma pozzanghera più tosto che abitazione umana, sulla ripa sinistra del Tevere; detto ancora Serraglio (3), quasi gabbia di fiere, che si serrava la sera ed aprivasi la mattina da un Cristiano, dovuto pagare dagli stessi Ebrei sontuosamente; oltre al fitto ciascuno della sua casa, e l’Università Israelitica oltre a quello delle case (1) Nores, Storia della guerra di Paolo IV contro gli Spagnuoli, pag. 277 : Firenze, 1847. (2) Descrittione di Roma antica e moderna, pag. 630: Roma, 1643. (3) Descrittione ecc., loc. cit. 26ο GIORNALE LIGUSTICO vacanti (i). Egli non permise più che una sola sinagoga in un luogo, le altre si atterrassero ; i beni immobili degli Ebrei, eccetto quelli de5 convertiti, si vendessero entro un dato termine a Cristiani, però tolto il diritto di possederne, conservato da’ Musulmani in Sicilia agli Ebrei ed ai Cristiani (2); ordinò che gli Ebrei per indizio di loro servitu portassero in capo, gli uomini una berretta 0 mitria gialla, e le donne un velo del colore medesimo; gli allontanò da ogni arte e mercatura, se non quella de’ cenci e delle cose vecchie, da un lato per l’odio religioso, dall’altro per la stolta gelosia mercantesca, che egli all’ incontro avrebbe dovuto correggere con civile avvedimento; non consentì che Ebrei medicassero Cristiani, dimenticando ingratamente che medici Ebrei operarono 1 arte sopra assai Papi, da Gelasio I a Leone X, e sopra Principi grandi , che se li tennero cari e gli esentarono dal Segno in considerazione della loro virtù (3); proibì che gli Ebrei, ancora più ragguardevoli per sapere e decoro di vita, quali servi ricevessero da’ Cristiani il titolo di Signori, dove 1 educazione spagnuola lo aveva gittato fin nel bordello (4)’ revocò e cassò tutti i privilegi e le agevolezze concedute loro da suoi predecessori (5). Infissi per tal guisa gli Ebrei a macerare entro il Ghetto, erano quindi esposti a tutte voglie de padroni di casa, che avrebbero potuto caricarli di pigioni insopportabili, e fin là non metteva conto di andare, se si voleva tenerli vivi e giovarsene. Perciò una legge prudente (1) Alexandri P. VII, Constit., 15 nov. 1655. Descritt. cit. Maes, Curiosità Romane, II, pag. 118; Roma, 1885. (2) Amari , Stor. Mus. Sic., cit. I, 474. (3) Gregorovius, op. cit., pag. 64, 65. Motta, Ebrei in Como, pag. 27. (Estratto del Periodico Comense). Perreau, Educ, e Colt. Israel., cit. pag. 3. (4) Ariosto , Satira II. (5) Pault P. IV, Constit., 12. iul. 1555. GIORNALE LIGUSTICO 261 dispose che la proprietà delle case del Ghetto restasse agli antichi padroni, privi per altro della facoltà d’ aumentare il prezzo de’ fitti, ed il possesso fosse de’ pigionali a forma livellaria, quando pagassero le pigioni puntualmente; il quale diritto o modo di possedimento che era trasmissibile in eredità ed alienabile, negli Stati Pontefici ebbe il nome volgare di Casacà o Ga^jacà ed equivalse presso a poco al Diritto di Entratura attribuito in Toscana agli artefici a rispetto alle loro botteghe (1). Pio V, creatura di Paolo IV (2), tosto insediato confermò la Costituzione del suo Protettore inculcando più particolarmente il Segno, donde tutto il bene del mondo, e pregò cordialmente i Principi e Magistrati secolari ad assistere e dar braccio a’ suoi Prelati nella esecuzione di quella legge, per castigare efficacemente anco di pene temporali i ricalcitranti (3). Nè egli era uomo da ristarsene lì, onde tre anni dopo in una sua Bolla, fatto come a dire un processo a’ costumi degli Ebrei, rinfacciò loro, privi del godimento del proprio stato, tapini e raminghi pel mondo, di non essersi mai pasciuti e non pascersi se non di arti vili e sozze per campare la vita, di truffe, usure, stregonerie, ruffianesmi, ladronecci, e simili ribalderie; come se eglino, sotto il grido di Dio che li scombuiava per ritemperarli nel dolore col lavoro e colla rassegnazione, non avessero travagliato nel medio evo a coltivare la terra, all’esempio de’ monaci antichi, in Lombardia, nelle Calabrie, in Sicilia, in Grecia, in Sardegna anco delle miniere, e come oggi stesso nella Russia cosi (1) Gregorovius, op. cit., pag. 79· ^ìus ^asaca ^al Governo Italiano odierno fu considerato enfiteusi ed affrancatale colle stesse norme di questa. (2) Muratori, Ann., a. 1560. (3) Pii P. V, Constit., 19 apr. 1566. 2Ó2 GIORNALE LIGUSTICO nemica; non avessero propagato nuove industrie e arti; allargato con viaggi arditi e continui i commerci europei ; amministrato aziende pubbliche e confortato di nuovo splendore le scienze e le lettere, massimamente la medicina la geografia e la filologia orientale; senza che d’ ogni arte e mercatura chi li privò più aspramente se non Paolo IV pochi anni innanzi, gittandoli fra gli stracci e le sferre vecchie? (i). Dopo la quale sfuriata di vituperi, Pio V li sterminò da tutte le terre ecclesiastiche, donde uscissero entro tre mesi, non volendo costituirsi perpetui servi della Chiesa; eccettuati quei di Roma ed Ancona; Ancona dove eglino davano opera a’ commerci del Levante lucrosi alla sua Camera; Roma dove la presenza della Santa Sede li rendeva più pronti a’ suoi vantaggi (2). Con migliore augurio Sisto V esordi il suo regno promulgando la Bolla: Christiana pietas infelicem Haebreorum statum commiserans ecc. Ecco il Gran Sacerdote: inchiniamoci. In questa celebre Bolla il Papa apri le porte dello Stato Ecclesiastico agli Ebrei di qualsivoglia condizione. Coloro che venissero all’ abitazione di quello potrebbero farvi ogni esercizio, arte, mercanzia, traffico, se non quello del vino, grano e carne, in quanto la Grascia e Γ Abbondanza, stanno meglio nelle mani de’ cittadini ; potrebbero tener corrispondenze, faccende ed amicizie coi Cristiani, guardandosi solo di condurre servi o serve di questi appresso di si; avrebbero case e luoghi condecenti al culto con affitti modici e fermi, serberebbero lor leggi e (1) Riformazione Orvietana, 24 genn. 1394. Ms. Arch. Orviet. Perreau, Educ, e Cult. Israel, cit. passim. Pesaro, Memorie storiche sulla Comunità Israelitica Ferrarese, pag. 19 e seg.: Ferrara, 1878. Cenni storici sulla Comunità Israelitica di Cento, pag. 41. (Vessillo Israelitico , anno XXX). Natali, Il Ghetto di Roma, 65-71 : Roma, 1887. (2) Pu P. V, Constit., 22. febr. 1567. GIORNALE LIGUSTICO 263 riti in pace, e nessuno li chiamerebbe in giudizio o a lavorare ne’ giorni loro festivi, per distoglierli dalla preghiera , sempre che usassero libri sacri espurgati da insulti alla Religione santa che li raccettava; sarebbero liberi di accasarsi dove fosse lor grato, ed in qualunque modo godrebbero nelle arti e ne’ commerci le stesse immunità de Cristiani; potrebbero aprirvi sinagoghe, possedervi scuole e biblioteche quante volessero ; non più il Segno abborrito , non mai il Battesimo per violenza ; tre sole prediche 1 anno, alle quali sarebbero invitati non forzati; e delle imposte, i maschi dai quindici ai sessanta anni giulj venti d entratura subito, successivamente dodici l’anno per testatico e nulla più salvo una somma ferma pei palj del Carnevale (1). Fin qui la Bolla per la quale gli Ebrei abbiano sempre in benedizione il nome di questo Pontefice, il quale portato dalla carità cristiana avanzò d’ un pezzo la civiltà del suo secolo. Disgraziatamente la navicella di Pietro fu presto respinta nel mare crudele, che da poco aveva lasciato dietro sè. Però che a Sisto succeduto Clemente Vili, suo antico famigliare, quando per ciò gli Ebrei potevano confortarsi alla sua esaltazione , egli per contrario ripristino le Bolle di Paolo IV e di Pio V , abrogando conseguentemente la riforma di Sisto; e solo innovò che alle due città eccettuate dal bando di Pio fosse terza Avignone (2). Anche Benedetto ribadi gli antichi divieti contro agli Ebrei e segnatamente di esercitare pubblici uffizj aventi autorità sopi a i Cristiani, permettendo per altro che al traffico de’ cenci, delle sferre vecchie e de’ panni usati aggiungessero i nuovi (3). Fra i due (x) Sixti P. V, Constit., 22. oct. 1586. (2) Clementis P. Vili, Constit., 25 febr. 1593. (3) Benedicti P. XIV, Brev. 14 juin. 1751. Gregorovius, op. ciL pag. 81. 264 GIORNALE LIGUSTICO Pii VI e VII veramente pii e degni, intermezza uno spazio de’ più memorabili della Chiesa. Invasioni francesi e napoletane, le une più rapaci e insolenti delle altre; spogliazioni de’ cittadini, delle chiese, degli erari, de’ palazzi pubblici, de’ musei e degli archivi, imprigionamenti e supplizi; commozioni e tumulti popolari, tutti, senza diversità di pretesti pomposi, tendenti a far sacco del Ghetto, come già in Pesaro ed in Senigaglia (1); rapito alla sua sede e morto Pio VI prigione in Valenza, perdonante, rassegnato, povero fin dell’anello piscatorio strappatogli in Roma dal dito (2), espiando innanzi a Dio le subite ricchezze de’ suoi. Oltre a ciò due Repubbliche rovesciate da Austriaci, Russi, Inglesi, Turchi e Napolitani; e l’Austria ficcar gli artigli nelle Ro-inagne, nelle Marche, nel Patrimonio di S. Pietro; e Napoli , nel Campidoglio ; ambedue anelanti alla bella preda abbandonata. Non era egli assai a dar da pensare e far del passato esperienza utile per l’avvenire? Ma la turba vana che non sa e non vuol sapere, intendeva piuttosto a baloccarsi, rimovendo lo scandalo che gli odiati Ebrei, nella volubilità delle opinioni e de’ governi succedutisi rapidamente deposto il Segno, allora lo ripigliassero per salvare la patria dai nuovi castighi divini che soprastavano. Laonde il Generale Don Diego Naselli governatore di Roma per Ferdinando IV, non lasciò fuggirsi il destro di quel ribollimento fangoso per fare un suo negozio ; e mentre comandava agli Ebrei di riassumer subito il Segno, aggiungeva che per mantenimento della sua soldatesca eglino pagassero una taglia di mille dugento piastre (circa lire seimila quattro-cento), e somministrassero quattromila canne di grosso panno (1) Silvagni, op. cit., I, 471 ed altrove. Ann. Statist., IX, 208. (2) Silvagni, op. cit., I, 468. GIORNALE LIGUSTICO 265 per le coperte militari (1). Di Leone XII che rivendicò le ragioni del vaiuolo, della mazzola, dello squarto, del cavaletto, della feudalità, e di quanto potè disotterrare di più duro ed ostico alla gente civile, non farà maraviglia che all’animo suo fossero in gran dispetto gli Ebrei; il perchè li mise nelle mani dell’Inquisizione regolatrice, e sindicatrice inesorabile de’ loro andamenti, e l’inquisizione non li lasciava respirare. Onde appunto perchè dal suo rigido pontificato molto fu il male venuto agli Ebrei, io non voglio trascurare in silenzio un provvedimento che ha 1’ aspetto di benefizio , per sapergliene grado; quello cioè che eglino potessero finalmente acquistarsi casa propria, quando vi possedessero sopra il diritto del Gaxjacà : avvegnaché la riforma vantaggiasse cosi i padroni come i livellari, e forse più quelli che questi; e voglio ancora contare l’esenzione dal Segno e la facoltà di trafficare qualunque merce , concessa agli Ebrei dJ Ancona per instaurare i commerci di quella città (2). Ma tutto tramuta stato quaggiù. Che avrà detto nel mondo di là il fiero Leone al sapere che appena dopo diciannove anni dalla sua morte un altro Papa, benedetto da Dio e dagli uomini, rovesciò d’un fiato il castello medievale da lui rimesso a nuovo con tanta cura e tanta speranza ! E questa fu una delle primissime e cordiali riforme di Pio IX, che , malgrado della piazza e del palazzo, spalancò il Ghetto, restituendo gli Ebrei alla convivenza civile, senza quelle prescrizioni che in loro offendevano i diritti del genere umano, spegnevano le industrie, perpetuavano la miseria, il dispregio e gli odi, le divisioni ed i vizi; della quale riforma in que’ tempi fortunosi egli non mai si pentì, ancora dopo la Ci) Sala, Diario Romano (24 ottobre 1799). ^2) Gegorovius, op. cit., pag. 87. CiavarinÌ, Gli Israeliti in Ancona, pag. 200: Ancona, 1870. 2 66 GIORNALE LIGUSTICO seccessione di Gaeta (i). Egli era pure inchinevole ad innalzarli a’ diritti civili, non a’ politici, parendogli sconvenire a Papa Principe costituzionale la possibilità di ministri non cattolici al fianco (2) ; e questa parte fu compita dal Regno d’Italia. Ma il più è suo, come suo il nascere beato della Libertà Italiana, che sempre fa battere il cuore a ripensarlo. So che oggi non pochi menano gran vanto di mostrarsi crudamente ingrati alla memoria di quel Pontefice, dando a lui la colpa , che fu più tosto degli avvenimenti soverchiami 1’ animo e la mente sua. Egli s’arrestò soprafatto e spaurito nell’ altissima impresa. Ma di essa rimane un popolo maledetto sollevato dalle sue sacre mani, e sopra tutto rimane l’Italia libera; e ciò dal primo impulso di lui che stupì il mondo. E questi due miracoli narrano continuo la sua gloria ; sia severo chi può verso Pio IX, io lo esalto ed onoro. Ora usciamo di Roma, e passiamo a discorrere brevemente l’esecuzione delle discipline generali e la vita pubblica degli Ebrei, in alcuni de’ principali Comuni d’Italia e loro dipendenze. (Conlima) Giulio Rezasco. GABRIELLO CHIABRERA e « La Corona d’Apollo » Il signor Niccolò Giuliani in un suo studio pubblicato in questo giornale su Ansaldo Cebà (studio prezioso per le molte notizie raccolte sui letterati liguri che fiorirono sul finire del Cinquecento e il principio del secolo di poi ; che mi spiace di non aver conosciuto quando attesi al Chiabrera), prima un po’ in modo dubitativo, poi risolutamente s’induce (1) Gregorovius, op. cit., pag. 85, 87. Maes, op. cit., II, 119. (2) Farini, Lo Stato Romano dall' anno 1815 al 1850, lib. Ili, cap. 41 Firenze 1850-53. GIORNALE LIGUSTICO 267 a credere che nella seconda parte (tutta di Schermi) Della Corona d’Apollo composta de’ più vaghi Fiori di Permesso da Piergirolamo Gentile, uscita con licenza de Superiori, In Venetia appresso Sebastiano Combi nel i6oj, si trovino « sicuramente » « le nove canzonette » che il Chiabrera aveva fin dal 1594 inviate manoscritte al pittore Bernardo Castello , amico suo , pregandolo di non darne copia·; quelle cioè che dovevano rimanere fra gli amici, perchè , diceva il poeta , un par mio (p. 103 dell’Epistol. a B. Castello) ornai vecchio non doveria scrivere sì fatte, non so come chiamarle. E gli argomenti che al sig. Giuliani persuadono tale certezza, e muovono, mi pare, dalla sicurezza in lui formatasi che a buona parte degli Schermi il Chiabrera non volesse mai far posto nelle raccolte di rime nel suo nome intitolate, sono: 1) le parole (le vedremo più sotto) premesse dal Gentile agli Schermi della seconda parte della Corona d’ Apollo, le quali accennano, secondo sempre il Giuliani, al Savonese come a padre di alcuni di quelli ; 2) la verseggiatura, lo stile e « la forma sempre correttissima ». Il Chiabrera poi avrebbe lasciato stampare questa volta gli Scherzi in discorso , perchè la Corona usciva in Venezia e non in Genova ; ossia usciva in una città ove i padri inquisitori erano di manica meno stretta; e perchè usciva sotto i finti nomi di Accademici Trasformati; chè non sarebbe stato bene a un uomo di più che cinquan-t’ anni, da poco tempo sposo di una fanciulletta che il dì delle nozze ne aveva sedici soltanto, far pompa delle galanterie amorose della scorsa gioventù. Ora, perchè io credo che il sig. Giuliani si sia ingannato, mi proverò di combatterlo, e mi sforzerò di persuadere al lettore tutto Γ opposto : che è come dire, trarlo a concludere che nella Corona d’Apollo nessuna cosa del Chiabrera vi si ritrovi; e, alla peggio, caso mai vi si trovasse, a noi non resti nessun buon indizio che ci aiuti a riconoscerla per sua. 26S GIORNALE LIGUSTIGO Proviamoci. Ma prima di tutto leviamo di mezzo quanto ha servito al sig. Giuliani di preparazione intima , che ha , se non condotto, giovato almeno a ricercare le prove della convinzione che in lui si veniva formando ; e togliamo di mezzo le acute spiegazioni con che egli ha inteso dimostrare le cause probabili o certe, che poterono indurre il Chiabrera a mostrarsi al pubblico sotto la maschera di accademico trasformato. Il Giuliani, dall’avere osservato che il Poeta nel 1594 spediva al Castello una scelta di Scherzi, si sente spinto a dar forma press’ a poco a questo dubbio : — Chi sa che gli Scherzi in discorso non siano, in tutto o in parte, quelli, che per 1’ appunto si veggono in questa Corona ? — Il che, come ho avvertito lascia luogo a credere che il Giuliani non possa ammettere che nelle varie stampe di poesie in metri brevi fatte dal 1599 al 1605 dal Chiabrera in persona , o col suo consenso, gli Scherzi confinati nelle mani dell’amico trovassero mai posto. Del che io non vedo la ragione. Forse il Chiabrera non permette al Fabri di pubblicare nel 1599 una raccolta di Scherzi; e non vuole, di più, si sappia che l’amico glieli aveva strappati a viva for^a di priegbi ? e lasciando che nel 1603, a Mondovi, nuovi Scherzi si ristampano del poeta, non ne pubblica poi molti egli stesso nel 1605 in Genova pel Pavoni? Ed è legittimo il supporre —dacché delle odicine della Corona non mai se ne vede ricomparire alcuna fra le rime del Chiabrera col suo nome — il supporre che egli, sì tenero delle cose sue, lasciasse queste come dimenticate e perdute? Ma il sig. Giuliani queste ed altre obbiezioni che si potrebbero muovergli contro, ha già parate là dove fa sapere che il Savonese non voleva impicci cogli Inquisitori di Genova (ecco perchè stampava le cose sue fuor di Genova) ; e che da pochi anni aveva preso una moglie giovanissima (ecco perchè si ricopriva collo pseudomino). Ma se 1’ argomento ha molto valore, dato il carattere del Chiabrera, incerto e amico di pace GIORNALE LIGUSTICO 269 nella virilità , cade, a mio credere , di per sè , se si ponga mente a ciò che man mano siam venuti avvertendo: che, cioè, e innanzi il 1605 e nell’anno stesso, il poeta aveva pubblicate altre tante e altre tali gentilezze quante se ne possono vedere nella Corona d’Apollo; e in Genova per avventura. Vero che pel sig. Giuliani questi non sono che rincalzi alle prove dirette , che sono : le parole dell’ editore Gentile premesse alla stampa ; la verseggiatura delle odi, lo stile , la forma. E per certo, se il Gentile avesse nominatamente indicato il Chiabrera come padre di alcuno fra gli Scherzi da lui editi, a noi non rimarrebbe se non che starcene zitti, o ricercare quanta fede meritasse l’asserto. Se non che il Gentile si espresse in modo tale che io interpreto in modo tutt’af-fatto opposto al sig. Giuliani. Perchè le parole del Gentile al signor Paolo Vincenzo Ratto sono queste: « A lei che è tutt’ amore e tutta cortesia, si donano questi pochi componimenti di Amore e di Cortesia; si perchè sotto l’ombra del suo favore sieno più graditi dal mondo che ha già gran tempo li desidera ; come perchè seguendo la tessitura de’ Schermi del signor Gabriello Chiabrera tanto suo amico , pareva se non ragionevole, che non dovessero restar privi della protetione di V. S. » ecc. Ora le parole sottosegnate a me pare che escludano in tutto la paternità del Chiabrera. Si allude con quelle parole alla scuola formatasi intorno a lui, a cose della sua scuola; ma egli non ci ha che fare. Ma vero sempre ancora, che pel sig. Giuliani anche questo supposto ha valore in quanto unito ai criterii della verseggiatura, dello stile, della forma correttissima, e conveniente al Chiabrera meglio che a nessun altro. Ma vero ancora , che la verseggiatura, se si tratti di scolari che ricalchino o imitino.il maestro, non prova nulla; cosilo stile e la forma. Poi, lo stile e la forma qui sentono proprio del Chiabrera ? Se egli non ebbe tale unghia che ti mostri subito il leone, non sarà facile rispondere. Pure artista vero della parola fu spesse GIORNALE LIGUSTICO volte in quelle odicine che indubbiamente derivò pei congegni metrici dal Ronsard ; e se ancora talvolta in lui la fantasia scaldata dal sentimento, non avesse spinta la materia poetica per tutte le forme ; egli poi con mirabile arte sapeva dopo ripulire le asprezze, e nascondere, al bisogno, le screpolature o quei po’ di vuoto che i praticcnacci riempiono rozzamente colle zeppe : ma ques’ arte ancora non appare nei nostri Scherzi. Lungaggini slavate e ineleganti a cascare. Una ode, la prima — sola che il Giuliani indichi come probabilmente del Chiabrera — reco a conforto della mia ultima affermazione. Schermo I. — Di Tiresia Academico Trasformato. Lode della Verginità. Mente pomposa te ne stai, rosa, Ma s’ una volta tu resti colta da man rapace avara; il color fugge l’odor si strugge, rosa , non sei più cara. su la tua verde spina, de’ vaghi fiori de’ grati odori sola tu se’ regina. Cedon gl’ acanti e gl’ amaranti e la gentil mortella, rosa polita , rosa gradita, rosa leggiadra e bella. dov’ ho 1’ alma legata , soave intrico laccio pudico se ti diletta essermi sempre grata , Tu, verginetta , Per te vien fuora in questo fiore specchia Γ onore la lieta aurora perchè il color le presti ; e tua gentil sembianza ; Vener infonde grazie feconde eh1 ogni bellezza ogni vaghezza se con 1’ odor la desti. verginitate avanza. E nel metro dell’ odicina più popolare (in virtù della musica ancora) del Chiabrera : La violetta. Lo stesso numero GIORNALE LIGUSTICO 27I di strofe : simile l’andamento. Le due ultime strofette, anzi, sono una contraffazione di quella : Tu , cui bellezza e giovinezza oggi fan si superba ; soave pena, dolce catena di mia prigione acerba ; Deh , con quel fiore consiglia il core sula sua fresca etate ; chè tanto dura 1’ alta ventura di questa tua beliate. Vogliam proprio credere che il finito cesellatore contraffacesse così male se stesso? Io per me non lo credo. — Raccomando Y In questo fiore, Specchia l’onore, E tua gentil sembianza : ben più elegante è : Deh, con quel fiore Consiglia il core, Sulla sua fresca etate (Delle canzonette che cito, avverto man mano i codici in che, a mia saputa, si trovano o intere o indicate per la musica. — Mentre pomposa, è nel riccar-diano 2848, da me edito nella Biblioteca di letter. popol. ita]., I, 206). Ma se non del Chiabrera, di chi sono le 53 canzonette? (non 50; sono numerate per L, ma tre sono senza numerazione). E sotto i vari nomi degli Accademici Trasformati a cui sono attribuite, chi si nasconde ? Difficile rispondere ; anzi , per ora, nei più casi, impossibile ; perchè degli Accademici Trasformati non si sa nulla. Confrontando molti manoscritti e molte stampe di rime di quel tempo ho potuto per altro scoprirne qualcuno. Ma poi, in un caso, ho accertato che una persona sola ha qui due soprannomi, il che accresce l’imbroglio. Intanto, procedendo per esclusione, passo a togliere 2Ί2 GIORNALE LIGUSTICO al Chiabrera quelle odi che , per testimonianze interne, di lui non sono certo; poi quelle che ad altri si veggono altrove attribuite. Lo Scherzo che nella Corona d’Apollo ha il num. xi, e che incomincia : Fugge il verno de i dolori, termina : Tu non sai che lieto stato è ’l trovarsi accompagnato ! Mira, Filli, Amarilli quanto gode con sua lode di star sempre a Tirsi in braccio! Filli, o quanto farai pianto se disprezzi questo laccio. Questa stroia potrebbe alludere al Chiabrera , che si coprì col nome di Tirsi anche quando cantò, nelle Ecloghe, la morte di Iacopo Corsi; a lui che cantò più volte Amarilli (oh Amarilli , su te è più che un volume di versi dal Chiabrera a P. I. Martelli: ma io non lo raccoglierò certo!); la quale potrebbe alla sua volta ben essere la Giulia Pavese che per essere stata da lui condotta sposa nel 1602 (1), poteva perciò (1) Dalle note manoscritte di G. B. Spotorno all’esemplare delle lettere del Chiabrera (In Bologna, 1762) che si conserva nella biblioteca di Genova, tolgo : « Ne’ registri parrocchiali di S. Andrea di Savona, si legge: — Li 29 Luglio 1602, Il Nob. sig. Gabriele Chiabrera del fu Gabriele à contratto matrimon. con la Nobil Sig. Lelia Pavese del sig. Giulio nella Chiesa de' Rev. pp. Cappuccini di Savona... nel 2.0 e 4.° grado di consanguineità. Sono stati dispensati da santa Sede, come in carte episcopale sotto il 21 Maggio J602 apare. GIORNALE LIGUSTICO 273 godei si nel 1605 di star sempre a Tirsi in braccio. E si badi che sotto Tirsi non vi è alcuna ode negli Accademici Trasformati. Solamente nello Scherzo numerato xxxvm, a Nesso la sua Cloii dice, 0 2 irsi caro, ma può essere una semplice pastorelleria. Lo Scherzo che ha il numero xliiii — Di Nesso Academico Trasformato. Iscusa di non poter cantare a pieno le lodi del sig. Gio. Battista Paggi (incomincia : O Gentile), termina: Vostro Omero Savonese lodi Apelle Genovese, con evidente allusione al Chiabrera, nell’ iperbolica perifrasi di Omero Savonese. Anche quest’ ode adunque non è sua. Veniamo ora alle attribuzioni. Gli Scherzi che hanno i numeri xxxi e xxxii sono dati ad Acheloo , così : Scherzo xxxi. — Di Acheloo Academico Trasformato. AI sig. Gabriello Chiabrera : Ecco T alba rugiadosa ; Scherzo xxxii. — Dello stesso. Il piacer amoroso non esser mai compiutamente felice : lo credea che tra gl’ amanti ; Gli schermi coi numeri xxxm, xxxiv, xxxv, xxxvi, e un altro che sèguita senza numerazione, vanno sotto il nome di Ifi : Scherzo xxxm. — D’Ifi Academico Trasformalo. Dimostra la força dell’ Armonia : Dal furor del dubbio Marte ; Scherzo xxxiv, Dello stesso. Gelosia Amorosa : Care gioie ; Giorn. Ligustico. Anno XV. iS 2?4 GIORNALE LIGUSTICO (è anche nel cod. magi. II, I, 296 descritto dal Bartoli, ed è indicata nel magi, xix, 10, 25); Scherzo xxxv. — Dello stesso. Alla pietà del guardo di Madonna : A che sguardi amorosetti ; Scherzo xxxvi. — Dello stesso. Ha lo stesso subbietto : Deh girate (è anche accennata nel magi, xix, 10, 25) ; (Scherzo non numerato). Dello stesso: Con quei giri lascivetti. Ora questi sette scherzi, dati come di due Accademici, o di un accademico solo con due nomi, provengono tutti dalla bella edizione (non vi è quasi varietà) delle Rime d’isabella Andreini padovana. Comica Gelosa. Dedicate all’ illustriss. et Reuerendiss. sig. Il sig. Cardinal S. Giorgio Cinthio Aldobrandim. In Milano... MDCI. Così che Acheloo ed Ifi sono la Andreini, e di lei gli Scherzi. Gli Scherzi che hanno i numeri xiv e xv e Γ altro che sèguita senza numero, sono dati ad Esone : Scherzo xiv. — Di Esone, Accademico Tasformato. Invito Pastorale : Al fonte, al prato ; Scherzo xv. — Dello stesso, Passione Amorosa : Bocca amorosa; (Senza numer.) — Dello stesso, Riprende Glori di ferità : Clori amorosa; Il primo di questi tre Scherzi è dal codice magliabechiano, VII, IO, 359 attribuito a Francesco Cini. Il lettore (se pure vuol credere al Gentile) ne tragga la conseguenza per gli altri __giornale ligustico 275 due. Fu popolarissima. Si trova ancora nel manoscritto magliab. vii, 9, 628, nei riccardiani 2868, 3643 e 2403. Nell anno 1609 è a stampa fra poesie musicate dal Peri. Lo Scherzo xvm, e quello che gli vien dopo senza nu-mer., e il numerato xix, sono sotto il nome di Lineo : Scherzo xvm. — Di Lineo Academico Trasformato. Sopra il suo dipartirsi e suo ritorno da Madonna: Mille dolci parolette; (Senza numer.) — Dello stesso. Ai labri di Madonna: Rubinetti ; Scherzo χιχ. — Dello stesso. Loda la mano di Torilla: Bianca mano inerme e imbelle. E il primo Scherzo è nella stampa giuntina delle Poesie del s. Ottavio Rinuccini... MDCXXII, curata da suo figlio ; ma dalla stampa differisce non lievemente ; invece s’ accorda al modo con che si trova nei codici da me pubblicati nella Biblioteca di letterat. popol. ital., I, p. 122 e 170. Vedila ancora nel magliab. xix, 11, 30; e infine nel palat. 250 (catal. Bartoli) autografo del Rinuccini. Che tutti e tre gli Scherzi dati a Lineo siano del Rinuccini , non oserei affermare. Lo dice il Gentile. E sembra che il Rinuccini, come già la Andreini avesse due cognomi ; così oltre Lineo sarebbe Cigno, se suo, come è da credere, è lo Scherzo xn. Di Cigno Academico Trasformato Scherma sopra il suo ritorno in Genova: Anime liete ; attribuito al Rinuccini dal cod. magliab. 11, iv, 17; e dal palat. 251 descritto dal Bartoli ; ed è ancora nella raccolta autografa fatta dal Rinuccini, corrispondente al numero 250 del cod. palatino, già cit. Vedilo adespoto anche nel riccard. 2848, da me pubbl. nella Biblioteca, già cit., I, p. 165. GIORNALE LIGUSTICO Altre molte poesie, troppe, rimangono della Corona d Apollo che io non so, nè pure per supposizione, di chi possano essere. Se alcuno me ne desse contezza , e magari dimostrasse che qualcuna è del Chiabrera, io ne sarei ben contento. Questo terreno della lirica musicale nell’ ultimo ventennio del Cinquecento e nella prima metà del secolo decimosesto e tuttavia da dissodare; e mi affatico a richiamarci su 1 attenzione degli studiosi sperando che altri approfondi là dove io non posso che leggermente e brevemente additare. Severino Ferrari. EPIGRAFI DI VASI INEDITE DEL COLLEGIO FIORENTINO ALLA QUERCE Alle iscrizioni graffite sui vasi etruschi da me edite nel Giornale Ligustico l’anno 1881, aggiungo alcune altre scopette in seguito, e provenienti come le prime dalla Necropoli Oi-vietana. Esse vanno divise in tre classi; la prima, ed è delle più belle ed arcaiche, abbraccia quelle graffite sui vasi detti di bucchero 1-5 ; la seconda è dei vasi verniciati e dipinti, 1 · ma di epoca molto scadente 6-16, e la terza, I7_25> cU quelli etruschi o di tipo laziale, che hanno graffite voti 0 sigle latine e greche, similia quelle pubblicate dal P· Biuzza negli Annali dell’ Ist. Gemi. 1876. Cfr. 1 segni incisi nei .massi ecc., p. 17 segg. = Suthiti, in coperchietto da olla di bucchero cenerognolo simile in tutto e per la forma e per la disposizione delle lettere a quello da me medesimo pubblicato sotto il n. 2 nel 1881. Cfr. Tav. I. =- Tla, sul labbro interno d? una patina della medesima terra. È singolare, perchè porta i. 1+1 <*> V M GIORNALE LIGUSTICO la medesima epigrafe della supposta moneta di Telamone. 3· 3A = Av = Aulns, sotto il collo d’ un vaso di bucchero cenerognolo. 4. 3A = Av = Aulus, sotto il piede d’una tazza della medesima terra. 5. +}/λ = Aci — Acte? sotto un calice di bucchero nero. 6. 3 A = Av = Aulus, sul manico d’un vaso ver- niciato. 7. fi 1/13 - Ena = Ennius, graffito sotto il collo di un’ Olpe verniciata di color marrone. È degno di nota la lettera 3 che è lunata. .8 >1R41- = ytvip = ..Vibius, in oenochoe verniciata di color marrone. 9. 31V = Vie, in oenochoe come la precedente. 10. ΙΊΚΑ = Arini = Arias? in tazza verniciata della medesima terra che le precedenti oenochoe. ii· MIEE IVA = Aules Ipi = Auli Epii. Così amo leggere anziché Avies Ipi, essendovi tra le lettere E ed I una rottura e tanto spazio da contenere la linea richiesta per formare »J. E graffito a lettere coricate sul labbro interno d’un gran vaso verniciato. 12. B<13M = S’erh = Sertorius? in un piatto, paropsis, di color marrone. Sotto il piede è graffito χ. 13. n-i-a = Atn = Atinius? = Alius? sul labbro in- terno d’ un gran vaso verniciato. 14. 3U©| = Ithve, in un framento d’un vaso verniciato. 15. ν+ϋ = Utv = Utave? — Octavius, sul manico d’ un vaso verniciato. 16. NA+ = Tan = Thana 0 Tana? Tanas è prenome in una epigrafe osca (Mommsen, Die un- 278 GIORNALE LIGUSTICO terit. Dial. 5, 174, 298). Graffito sul collo d’ un vaso a vernice di color marrone. 17· ..lA'V.. Frammento di bucchero nero. Le lettere mi sembrano latine, e sono da confrontarsi per le linee d’interpunzione coll’epigrafe DA'VINA1 graffita sopra un elegante vasetto del Museo Kircheriano. (Garrucci, Syll., p. 147). J8. ..ΠΑ.. Frammento d’un gran vaso dipinto, della decadenza. 19· ..Π,. Altro frammento graffito. Tanto in questo quanto nel precedente le lettere sono evidentemente greche. 20- I 2 Graffito leggermente in mezzo ad una tazza di bucchero cenerognolo. 2!· I K Lettere graffite sulla terra ancor molle d’una fiaschettina ordinaria e di tipo laziale. 22· M <— Sotto le anse d’ un piccolo Kantharos di terra rossastra, ordinarissima. 23. Ξ E + Sotto il piede d’una tazza di bucchero cenerognolo. 24· ^ Ί Sulla terra ancor cruda d’ un vaseliino di color rossastro. 25· HT Ξ Sotto il piede d’un Kantharos di bucchero nero. Della stessa provenienza sono moltissimi altri vasi e frammenti che hanno graffite semplici cifre 0 lettere, fra cui abbondano le A di diversa forma e le X semplici 0 in nesso con altri segni. Di queste una precipua fu da me confrontata colla cifra della gemma del Calcolatore di Parigi, e pubblicata col valore di diecimila nel Giornale Ligustico. Cfr. L. de Feis, I dadi scritti di Toscanella ed i Numeri Etruschi. Tav. s. t. Genova 1883. Per ahre cfr. Fabr., I Suppl., nn. 38, 56, 57, GIORNALE LIGUSTICO 279 58, 68; Bruzza, Sopra alcuni graffiti di vasi arcaici, 1878 P· 7, c. f. g. Alla medesima raccolta appartiene anche Γ arcaico cippo di forma conica coll’ epigrafe 23>| 3 D I 23 m VM che fu trovata nella campagna di Bolsena e pubblicata la prima volta dal Brunn negli Annali dell’ Ist., 1’ anno 1862, p. 175, e poi dal Fabretti n. 2094, ter. Di esso, benché non inedito, ho creduto far parola , perchè si sappia dove ora si trova. Piacemi ancora prima di terminare, far cenno di due epigrafi, le quali, benché non si trovino in mio potere, pur sono a mia cognizione ed inedite. Una è graffita a bellissime lettere intorno ad un’ elegante fiasca a collo lungo del Museo d’Artiglieria di Torino, e dice, secondo una copia da me medesimo tolta per gentilezza del eh. cav. A. Angelucci : I E V I K · V = Ievica L. L’ altra è scolpita sopra una piccola urna di travertino (cm. 43 x 39) posseduta dal Dott. L. Franceschi fiorentino. Da informazioni prese ho potuto solo conoscere che apparteneva ad un certo Pieri, dal quale fu comprata insieme ad una villa detta di Scandicci a circa tre miglia da Firenze. Hassi dunque a tenere come sporadica. La rappresentazione è semplicissima e non rara. Un cavaliere che atterra un pedone, quindi il genio della discordia colla face, e finalmente un guerriero in atto di sguainare la spada. Sul listello del letto su cui poggia la figura d’ un uomo coricato colla solita coppa in mano, è scritto : fl23>IVA : IviTflD : 3>IVfl cioè: Aule : Caini : Alilesa = Aulus Catinius o Catius Auli Filius. 2$0 GIORNALI- LIGUSTICO Questa, se mal non m’ appongo, è la migliore interpretazione che possa darsi della detta epigrafe. Chè dare ad Aulesa il significato di Aulì Vxor io credo non sia il caso essendo Aule proprio di uomo, e di uomo il ritratto del monumento su cui fu posta. Cfr. V. Poggi, Appunti di Epu_ Etrusca, 1884, 44; Iscr. Etr. d’ un vaso fittile a forma di tic-cello, iSSj , p. 4. L. De Feis B. GLI STATUTI DI MIOGLIA (notizia bibliografica) Il codice membranaceo che conteneva gli Statuti di questa comunità (1), andato perduto sulla fine del secolo passato, ci ritorna ora dalla Francia frammentario (2). Ne rimangono due quinterni di carte numerate i-xx di mm. 260X190. Una larga macchia sul recto della prima carta ha danneggiato lo scritto in guisa che riesce malagevole la lettura di alcune parole, resa anche più difficile dall’attrito, che, per la manomissione del volume, ha prodotto uno sbiadimento nell’inchiostro cosi grande, da far scomparire quasi del tutto quà e colà i caratteri. Le rubriche scritte in rosso sono state numerate in margine, tutte di seguito, non tenendo conto della divisione là dove incominciano gli statuti civili determinata dalla formola: « Incipiunt civilia et primo ». È da avvertire che per errore (1) Mioglia appartiene alla Provincia di Geuova, Circondario di Savona, Mandamento di Dego, e Diocesi d’ Acqui. (2) Venne di recente acquistato dal Ministro della Pubblica Istruzione e destinato alla Biblioteca Universitaria di Genova, dove ora si trova con questa segnatura C. III. 10. GIORNALE LIGUSTICO venne saltato il numero xxxxi. Alcuni segni, richiami e note assai più moderne ne dimostrano P uso, e ci fanno credere fosse questo appunto l’esemplare che serviva per la Comunità. Lo Statuto comincia cosi: « Ista sunt Capitula et ordina-» menta hominum miolie. Ad honorem dei beateque marie » semper Virginis et beatissimorum petri pauli et Anùree Apo-» stolorum facta et composita per universitatem hominum » et comune ipsius loci de eorum comuni concordia. Sub do-» minio et regimine Magnifici domini Isnardi de marchionibus » malaspine cremorini. De Anno nativitatis domini Mille-» simo cccc quinquagesimo nono Inditione septima die se-» cunda marcij » (i). L’indicazione della signoria e del dominio d’Isnardo Mala-spina sopra questo comune ci manifesta un fatto interamente ignoto nella storia, poiché non venne ricordato nè da coloro i quali parlarono di quel comune, nè dagli storici della famiglia Malaspina (2). Ma alcuni documenti conservati nel-PArchivio genovese porgono bastevoli notizie atte a renderne testimonianza. Si deve dunque ammettere che Isnardo, spinto più presto da naturale indole prepotente ereditata dall’ avo , che da ragioni di diritto, innanzi al 1460 occupasse con la forza il luogo di Mioglia. Di che Boruello Grimaldi, il quale vantava su quel comune diretto dominio si come erede di Ingone suo padre, e del parente Aleramo (3), si richiamò (1) Le ultime parole che indicano il giorno e il mese sono di lettura assai incerta. (2) Cfr. Casalis , Dizionario geografico d. Stati Sardi. - Litta, Famiglia Malaspina, tav. V. (3) Noto che neppure il Venasqpe nella Genealogia dei Grimaldi (Genealogica et historica Grimaldae gentis Arbor, Parisiis, 1647, pag. 109), accenna a questo possedimento feudale. 282 GIORNALE LIGUSTICO alla Repubblica, la quale, volendo accondiscendere ai desideri d’un cittadino tanto reputato e di sì grande autorità (1), scrisse al Malaspina affinchè scendesse a più equo consiglio, interponendo per ciò eziandio gli uffici del re di Francia a cui era sommessa. Ed accompagnò le lettere reali con queste parole (2) : Ludovicus de Valle etc. et Consilium Antianorum. Magnifico d. Isnardo marchioni malespine chermurini etc. Magnifice vir. hic tabellarius noster affert ad vos litteras christianissimi d. regis nostri pro facto nobilis civis nostri Boruelis de grimaldis in eo de quo pretendit a vobis sibi iniuriam inferri de loco moliarum. Quare vestram Magnificentiam hortamur et rogamus ut velitis in hac causa ita providere ut dictus Boruel de vobis ulterius querele causam non habeat. Scitis enim ad nos pertinere civibus nostris honesta remedia prestare : cum videmus illos iniuria affectos esse. Quod tamen etsi putemus alienum esse a mente vestra prudentie vestre et in nos benivolentie officium fuerit controversias devitare : que plerunque ex minima re solent ad maximas devenire: Nam ubi huismodi controversia augeretur cogeremur forsitan nonnulla inquirere ad istantiam dicti boruelis que vos longe aliter in multis obligatum reddunt quam forsitan putetis. Data Janue die xvn Juni j 1460. Isnardo, affermando il suo diritto, rispondeva di voler pto-durre le sue ragioni in giudizio contro il Grimaldi , onde questa nuova lettera del governo (3): Ludovicus etc. et Consilium Antianorum. Magnifice vir. Significamus vobis pridie querelam quam adversus vos proposuit coram nobis nobilis civis noster Boruel de grimaldis in facto oppidi molie, quod ipse suum esse et a vobis indebite occupari pretendit. Misimusque etiam vobis litteras christianissimi d. regis nostri quam (1) Ebbe molti pubblici uffici in patria e fu parecchie volte ambasciatore. Cfr. Federici, Abecedario di famiglie genovesi, ms. (2) R. Archivio di Genova, Litterarum, Reg. 1797. (3) Ivi> 1· c. giornale ligustico 283 putemus de huiusmodi re Magnificentie vestre scripsisse, vos vero primum respondistis nobis velle stare iuri cum dicto Boruele, et litteris regie Maiestatis responsurus. Ubi enim quis stare iuri non recusat, reprehendi certe non potest: verum cum dictus boruel instantius a nobis requirat iusticiam sibi in ea re ministrari affirmetque huiusmodi litis iurisditionem ad nos pertinere: cum iure pheudi de multis sitis nobis et civitati nostre obligatus. Necessarium est ut nobis respondeatis quid in predictis fieri posse et debere pretenditis, ut proinde iusticia utrique parti ministretur. Data Janue die xxvm Junij mcccclx. II Malaspina tacque. Passato così un mese, Boruello fece pervenire alla Signoria una nuova istanza del seguente tenore (1): T Jhesus, Illustri ac excelse dominationi vestre ac magnifico consilio Dominorum Ancianorum. Reverenter supplicando exponit eorumdem dominationum servitor et civis fidelis boruel de grimaldis condam domini ingonis. Quod cum castrum et locus miolie ad eum in solidum spectet et pertineat tam tamquam heredem condam domini ingonis predicti quam et. tanquam heredem condam domini alarami de grimaldis consanguinei sui et aliter prout verificabitur, et in processu fiet fides, tamen violenter quam et de facto per d. Isnardum malaspinam pretendentem habere Ius directi dominij in dicto loco et castro , ipse locus tenetur occupatus et fuit per ipsum dominum Isnardum privatus ipse boruel pacifica possessione in qua erat ipse boruel et seu auctores sui contra tamen formam juris et honestatis : Quum quidem dominum isnardum sepius requisivit ut vellet eidem restituere dictum suum locum et castrum et in pacificam suam possessionem eum restituere. Quod tamen ipse d. Isnardus licet indebite et iniuste semper facere recusavit. Item dicit quod ipse dominus isnardus ratione feudi et seu feudorum que tenet ab excelso comuni Janue est subditus et feudatarius excelsi comunis et propter iniuriam ac violenciam et damnum quod fecit ipsi borueli civi vestro potest in loco Janue conveniri non tamen coram magistratibus ordinariis; sed necesse est ut per dominationes vestras delegetur magistratus quare requirit instanter ipse boruel per vos constitui et delegari magistratum qui jus reddat ipsi (1) Ivi, Confinium, Fil. 4. 284 GIORNALE LIGUSTICO borueli contra ipsum dominum isnardum in hiis que petere et requirere voluerit ipse boruel ab ipso domino isuardo causa et occaxione dicti castri et loci miolie summarie simpliciter et de plano sine strepitu et figura judicii sola facti veritate inspecta prout fieri debet ne alias ipse boruel juris suo (sic) privatus remaneat et 11011 habeat alium locum in quo possit convenire ipsum dominum isnardum. Gli Anziani, rimettendone copia al marchese, gli scrivevano così (1): Ludovicus etc. et Consilium Antianorum. Instante rursus, Magnifice vir, nobili cive nostro Boruele de grimaldis quatenus ei iusticiain ministrare velimus contra vos pro facto oppidi miolie quod occupari sibi a vobis pretendit et affirmante huius cause cognitionem ad nos pertinere, quia iure pheudi ac fidelitatis conveniri curam nobis potest, quemadmodum ex sua supplicatione his inclusa videbitis dicimus ac monemus vos, quatenus infra decem dies a die qua he littere nostre vobis reddite fuerint, de quo fidem dabimus presentium latori, per vos ipsum vel legitimam pro vobis personam coram nobis compareatis ut quid pro iusticia a nobis fieri debeat et possit decernamus, vel si ad hec contradicere iuste potestis, nos facite certiores, propterea quod aliter oportebit nos ea superinde facere, que ad iusticiam reddendam pertinere cognoverimus. Data Janue die xxv Julij mcccclx. Il messo spedito a Cremolino « aditum habere non potuit ad conspectum d. Isnardi » e dovette accontentarsi di parlare con il Vicario , dal quale il marchese gli fece dire « quod aliter non respondere volebat his litteris quia per alias suas respondisset quid in huiusmodi materia vellit ». Trascorso quindi il termine perentorio, e non essendosi presentato Isnardo nè personalmente, nè per via di procuratore, la Signoria il 12 agosto deputò il Vicario del Governatore regio (1) Ivi, Liti. cit. GIORNALE LIGUSTICO 285 e i Sindicatori ad esaminare la cosa, e a procedere secondo giustizia (1). Qual fine avesse la causa non abbiamo potuto rilevare. Certo il Malaspina occupava sempre Mioglia nel 1464, poiché Boruel lo sulla fine di luglio si reca a Milano con una commendatizia del Governo, per veder modo di risolvere finalmente la lunga contesa (2). E forse con la interposizione del Duca, al quale Isnardo si mostrò sempre amico e deferente, il comune di Miolia tornò al suo legittimo signore. Comunque sia, lo Statuto di Mioglia venne per certo composto , o , secondo è a credere , rifatto sopra il· più antico , nel tempo della occupazione, forse il primo anno, d’Isnardo Malaspina; e' fu questa opera buona, la quale ben dimostra la sollecitudine del feudatario. Dobbiamo rammaricarci che a noi sia pervenuto incompleto, poiché quello che ne rimane ben dimostra quanto vantaggio può trarne lo studioso delle consuetudini, delle costumanze, del dialetto. Crediamo intanto opportuno riferire qui le rubriche, che sono comprese ne’ due quaderni per buona ventura salvati : Et primo. De non blasfemando deum beatam mariam nec..... II. De non laborando diebus dominicis nec alijs festis. III. De rebus ecclesie non occupandis. 1III. De non interficiendo aliquem. (1) Ivi, Confm. cit. (2) Ivi, Istruì, et Relat., Fil. 1. A proposito di questo viaggio a Milano di Boruello, al quale la repubblica affidò altresì alcuni suoi negozi presso il Duca , è curioso 1’ equivoco del Federici. Egli, male interpretando la commendatizia del Governo genovese, scrive nelle Collettame (Ardi, di Genova, Cod. B, 47, car. 135 v.) : « B. Grimaldo ambasciatore a Milano perchè Isnardo Malaspina gli aveva tolto Creniorino suo castello posseduto da d. Grimaldo ». Invece risulta dai documenti che )a Repubblica, sapendo come Boruello dovesse recarsi per la contesa di M oglia al Duca, gli affida una pubblica commissione. 286 GIORNALE LIGUSTICO V. De combustione domorum et de incisione vinearum. VI. De insultu facto cum gladio contra aliquem et cum spata vel alijs armis. VII. Si quis percusserit aliquem et de eorum concordia. Vili. De non percutiendo aliquem cum manu. VIIII. De insultu facto cum lapide seu baculo. X. De non trahendo aliquem per capillos et de non proster¬ nendo in terram. XI. De muliere percutiente alteram mulierem. XII. De non congnoscendo carnaliter aliquam mulierem. XIII. De non laciendo furtum. XIV. De non intrando domum vel casxinam alienam. XV. De non portando clam nec palam plumbata-s. XVI. De hijs qui periurium faciunt. XVII. De non dicendo verba iniuriosa. XVIII. De preceptis imponendis rissantibus. χνππ. De ferijs in quibus curia non ponitur. XX. De ellectione consiliariorum. XXI. De elligendo sex camparios pro quolibet anno. XXII. De denumptijs et accusis fiendis. XXIII. De accusis et denumptijs per notarium denumptiandis. XXI1II. De non intrando ortum alienum. XXV. De non incidendo alienam arborem domesticam. XXVI. De non scaluando vel incidendo aliquam ramam. XXVII. De bestijs bovinis porcinis et alijs bestijs dantibus dampnum in pratis messibus et ortis. XXVIII. De non faciendo foliam in alienis mansurijs. XXVIIII. De non intrando alienas vineas. XXX. De bestijs intrantibus alienas vineas. XXXI. De canis (sic) intrantibus in alienis vineis. XXXII. De porcis dampnum dantibus in vineis. XXXIII. De bestijs mulinis et equinis dantibus dampnum. XXXIIII. De anseribus dantibus dampnum. XXXV. De bestijs caprinis dantibus dampnum. XXXVI. De non colligendo alienas castaneas. XXXVII. De non colligendo herbam in alienis pratis vel messibus. XXXVIII. De non exportando alienas covas. XXXVIIII. De non intrando in alienis pratis nec messibus cum bestijs aut sine. GIORNALE LIGUSTICO 287 XXXX. De capris devastantibus alienas arbores. XXXXII. non exportando alienas clausuras. XXXXIII. De n0n extrahendo aliquem de possessione. XXXXIIII- De soccidis dandis. XXXXV. De terris tenendis clausis. XXXXVI. De igne non ponendo in boschis. XXXXVII. De non ruscando in alienis mansurijs. XXXXVIII. De non aufferendo fossatum seu aquam de andio suo. XXXXVIIII. De non facendo lignamen in alienis mansurijs pro conducendo ad marutinam. L· De non arancando terminos. LI· De strapassis bestiarum. LH· De ordinandis vijs publicis. LUI. De vallibus habentibus exitum. LIIII. De faciendo aptare vias in burgo. LV. De carrezzando cum bobus de non exeundo vias publicas pro eundo per alienas possessiones. LVI. De faciendo ressigum in suis pratis. L\II. De non incidendo lignamina in nemoribus deyve. LX III. De non exportando aliena lignamina facta. LVIIII. De non capiendo tessoras in alienis castagnetis. LX. De soluendo duplum in possessionibus dominorum. LXI. De non percutiendo alienas, bestias. LXII. De sculmantibus cumulos feni in alienis pratis. LXIII. De custodiendo igne in domibus suis. LXIIII. De ponentibus canapum in aqua molie. LXV. De panis non lavantibus (sic) in fontibus. LXVI. De asinis non tenendis. LXVII. De stanziari facere numero mensuras. LXVIII. De non ludendo ad taxillos. LXVIIII. De revendentibus carnes ad minutum. LXX. De vendentibus vinum ad minutum. LXXI. Incipiunt civilia et primo. De stando in offitio ultra annum. LXXII. De ratione reddenda forensibus. LXXIII. De solutione fienda extimatoribus. LXXIIII. De rebus venditis ad callegam. LXXV. De decedentibus ab intestato. LXXVI. De mulieribus dotatis ut non veniant ad aliquam divisionem. LXXVII. De non dando libellum a libris xx infra. 288 GIORNALE LIGUSTICO LXXVJIÌ. LXXVIIII. LXXX. LXXXI. LXXXII. LXXXI1I. LXXXIIII. LXXXV. LXXXVI. LXXXVII. LXXX Vili. LXXXVIIII. LXXXX. LXXXXI. LXXXXI1. LXXXXIII. LXXXXIIII. LXXXXV. LXXXX VI. LXXXXVII. LXXXXVIII. LXXXXVIIII C. CI. CII. De non Quod quisque teneatur ferre testimonium et de testibus examinandis. De apodisijs et condempnationibus. De saximentis sequestris et detentione personarum. De terminis assignandis confitentibus sponte debitum. De iustitia reddenda pro iornatis et de vino tabernarum et de alijs rebus vendendis ad minutum. De citatis et non comparentibus. Quod cuilibet credatur usque in s. V. De appellationibus. De pignoribus vendendis. De questionibus vertentibus inter parentes et de compromissis non admictendis in indicio. De debito soluto non petendo. De debito negato. De non producendo falsum instrumentum nec testem. De dando securitatem de non offendendo. De questionibus terminandis per bonos viros. De curia non tenenda nisi tribus diebus in ebdomada. Quod nemo de rniolia procurare vel advocatare possit pro aliquo forense contra terrigenam. De iustitia fienda contra absentem et bona defunctorum. De questionibus consortium terminandis. De possidentibus usque ad annos decem. De expensis resarciendis. . De bampnis non exigendis elapso anno, De auxilio dando facientibus domos. De represalijs concedendis hominibus miolie contra homines forenses, petendo debitum ultra tempora infrascripta. Ia fine della carta xx verso, come a guisa di richiamo, si leggono le parole : « De non tenendo », parte della rubrica cui onde doveva cominciare il quaderno seguente. Due rubriche di questo medesimo Statuto si leggono nel-ΓArchivio di Stato di Torino; esse sono: « De pannis non lavandis in fontibus » e « De confinibus gaudi Avere », GIORNALE LIGUSTICO 289 che appariscono copiate rispettivamente dai fog. 17 e 36 « cujusdam libri statutorum Miolie penes Rev. d. Advocatum Joseph Mariam Boreanum oppidi Pareti existentis » (12). Di queste due rubriche la prima soltanto esiste nel nostro frammento ed è la lxv; quanto al manoscritto presso il Boreano di Pareto, e che forse era copia del presente, non ne abbiamo altra notizia. Il possessore francese del frammento ha apposto al manoscritto una nota, che dice così: ■« Le fragment de Statuts, qui est plus ancien que celui de Gênes, dont on fait si grand cas en Italie, est de la petit commune de Miolie au que (sic) il appartenait a l’epoque des guerres français ». Non occorre in vero fermarsi a dimostrare Γ inesattezza dell’ affermazione rispetto alPantichità; osserveremo soltanto, che probabilmente si è stabilito il confronto considerando la data della prima stampa dello Statuto di Genova uscita in pubblico nel 1498. A. N. VARIETÀ Un mazzetto di curiosità. III. Per compiere degnamente questo mazzetto, ho stimato opportuno aggiungere un manipolo di lettere dettate da Piemontesi per varia ragione illustri. Incomincerò la serie dai principi di Casa Savoia, con due lettere del grande Eugenio, (2) Lo rilevo dalle giunte di prossima pubblicazione, fatte da Girolamo Rossi alla sua Bibliografia de Gli Statuti della Liguria ( Atti Soc. Lig. Stor. Pat., xiv) gentilmente comunicatemi. Giorv. Ligustico. Anne XV. *9 290 le quali possono aggiungersi a quelle pubblicate dal Cibra-rio (1), ed alle altre messe testé in luce dal Parri (2). È utile notare che parecchie delle lettere in tutto o in parte inserite ne’ molteplici libri intorno al Principe, usciti nel secolo passato, vennero riconosciute apocrife. Certamente le qui recate da me per la prima volta appartennero all Archivio di Torino (3), ma non vi erano più assai prima che venisse in animo al Cibrario di pubblicare quelle che ne trasse. Sono tutte due di pugno d’ Eugenio , e indirizzate al duca Vittorio Amedeo nel tempo della guerra contro la Francia; per la materia dunque e per le persone non prive di qualche importanza. Ecco la prima: Monseigneur, Devant partir demain un courier, je n’ay pas voulu perdre cette occasion de rendre mils grâces a V. A. R. du beau present qu’elle ni a fait, je la suplie de croire que personne n’est plus reconnoissant de toutes ces bontés que moy. La plus grande satisfaction que je pourrais avoir seroit de luy taire connoistre, en me sacrifiant entièrement pour son service, que je n’ay rien a luy offrir que ma personne ; la plus grande grâce que V. A. R. me peut faire est dans (sic) disposer comme estant entièrement a elle, quelle resolution qu’elle prenne elle me trouvera tousiours dans les mesmes sentiments. Je suis revenu il y a dix iours de Boheme, il paroit que cela pourrait ce faire, en ce cas j’espere que V. A. R· nie continuera les mesmes bontés qu’elle a tousiours eu, et qu’elle voudra (1) Lettres inédites du Prince Eugène de Savoie relatives aux Campagnes de 1690 et ιηοβ tirées des originaux conservés aux archives de l'État; Turin, Union Typ., 1857. (2) Vittorio Amedeo II ed Eugenio di Savoia nelle guerre della successione spagnuola; Milano, Hoepli, 1888. — Noto che nell’agosto del 1887 per nozze venne pubblicata (Bassano, Pozzato) un’ altra lettera del P. Eugenio al Duca, del 10 gennaio 1691. (3) Ora si trovano nella Bib. Nazion. di Firenze, Racc. Gonnelli, Lett. Prine., cart. I. giornale ligustico 291 bien contribuer a ce qui sera necessaire pour le faire réussir; elle doit estre bien persuadée qu’elle s’aquitera un homme qui sera éternellement par devoir et par inclination Monseigneur de Vienne a 3 mav 1690. De V. A R. très humble et très obéissant sen’iteur Eugene de Savoye. Precisamente un mese dopo questa lettera Vittorio Amedeo, rompendo ogni indugio, fermava i trattati che lo facevano entrare nella lega contro la Francia (1), e Catinai s’apprestava alle ostilità. Nè la lettera di Eugenio è certo estranea a queste faccende politiche. Riuscirebbe per fermo più chiara, se le si potesse mettere a riscontro la missiva del Duca, ma io l’ho cercata invano; tuttavia non è difficile riconoscere che Vittorio Amedeo, mandandogli un dono come segno di benevolenza, gli apriva l’animo suo intorno al proposito d’averlo presso di sè nel caso probabile di guerra ; ed egli mostrandosene del pari Jesideroso , caldeggiava la riuscita delle pratiche a quest’ uopo. È noto come Eugenio, dopo aver dato mano fino dal 1689 alle prime aperture degli accordi fra il duca e l’imperatore, essendosi recato perciò a Torino (2), ottenesse poi il comando dei soldati ausiliari tedeschi, e, prima ancora che essi giungessero in Piemonte , volasse al fianco del cugino, il quale, se ne avesse seguito i prudenti consigli, forse non sarebbe stato vinto a Staffarda (3). E 1’ opera di Eugenio giovò allora assaissimo a diminuire i danni della ritirata, siccome in seguito, in quel lungo ed incerto trasci- (1) Trattati del 3 e 4 giugno. Cfr. Carutti, Storia del regno di Vittorio Amedeo II; Firenze, Le Monnier 1863; pag. 121 e 122. (2) Carutti, op. cit., pag. 116. (3) Carutti, op. cit., 127. — Arneth, 11 Principe En genio di Savoia , (trad. Cossilla); Firenze, Le Monnier, I, 33 e seg. 292 GIORNALE LIGUSTICO narsi della campagna, a rifornire le forze disgregate e disperse, ed a mantener vivo lo spirito militare. Ma le cose procedevano male, e intanto Catinat, secondo gli ordini, ferocemente usava della vittoria; onde scompiglio e terrore dovunque, di che fu esempio la capitolazione inaudita del castellano di Susa, conte di Losa, processato perciò dal Principe Eugenio (1). Se non che a vincere gl’indugi e le distrazioni imperiali, la ignavia spagnuola e le colpevoli stranezze dell’ intrattabile conte di Fuensealida, governatore di Milano, non bastando gli avvisi e le sollecitazioni scritte, fu stabilito che Eugenio sarebbe andato a Vienna; missione da lui stesso caldeggiata fin dal novembre del 1690, allorquando scriveva al marchese di S. Tommaso: « Je crois que S. A. R. va ecrire à la Cour pour qu’on luy permette de m’envoyer a Vienne aussitost qu’il aura écrit; pressez la chose estant de la derniere nécessitée que ie y aille tant pour la service de l’empereur que pour le sien, les choses estant dans une confusion si grande que tout se perderà bien loin de faire <~e que l’on a esperé si l'on ny met un prompte remede et qu on ne prenne des meilleurs mesures: pour moi je quitteiaïs plustost la guerre que de faire une seconde campagne comme celle c’y : croyé qu’il n’y a pas d’autres raisons qui me fasse souhaiter ce voyage ne comtant pas d’y estre plus d un mois, n’y partir que tout ne soit réglé icy » (2). Ma la sua pat- tenzanon avvenne che l’anno successivo sul cadere di marzo (3); secondo abbiamo da questa seconda lettera : Monseigneur, En arrivant a Milan j’ay reçu du comte Landriani la lettre que V. A. R· me fait l’honneur de m’ecrirc, et ne manqueré pas de rapresenter a S. M. (1) Lettres inedites cit., pag. 3. — Arneth, op cit., I, 36. (2) Lettres cit., pag. 4. (3) Arneth, op. cit., I, 37. GIORNALE LICUSTICO 293 avec les paroles les plus pressantes le danger ou V. A. R. ce trouve si elle n’est secourue promptement. Je me suy informe icy de ce qui se passe, pour pouvoir en rendre un conte iuste a la Cour. Le comte Fuensealida m’a reçu a son ordinaire dans le lit, son bonnet sur la teste, rassemblant beaucoup plus a un singe qu'a un homme. Je luy ay dit que V. A. R. m’avoit charge de le presser de secour, dont elle avoit tant de besoin ; a quoi il ne m’a rien repondu. En attendant que je luy puisse mander quelque chose de mon voyage, je reste avec le plus profond respect Monseigneur de Milan ce 24 mars 1691. De V. A. R. très humble et très obeisant serviteur Eugene de Savoye. La sua missione non mancò di produrre buoni effetti, poiché egli ottenne che i promessi e invocati soccorsi scendessero finalmente in Piemonte. * * * Ed eccoci ad un altro principe dell’ altro ramo di Carignano, rimasto noto per il suo matrimonio con la figlia illegittima di Vittorio Amedeo e della contessa di Verrua; ma assai più a cagione della vita dissoluta di cui ci ha lasciato acerba testimonianza la penna mordace e tagliente del Saint-Simon. Egli è il primogenito di Emanuele Filiberto, sordo e muto, ma altrettanto furbo ed audace da accoccarla persino al prepotente Luigi XIV, maritandosi, a suo dispetto, con quella che più gli piacque. A chi sia diretta questa lettera non so, chè l’autografo manca d’indirizzo; ma non ismentisce per nulla il buontempone amante de’ piaceri e dei divertimenti (1). Ill.mo Signore, In quest’ ultimo ordinario ho ricevuto il compitissimo foglio di V. S. 111.ma del 9 corrente, ed in risposta le faccio sapere che per la fine del corrente farò partire li due cavalli di Danimarca, e sarà mio sommo piacere se questi potranno riscontrare il suo genio. Mi spiace sommamente (1) Bib. Nazion. di Firenze, Racc. Gonnelli, Leti. Princcart. I. GIORNALE LIGUSTICO di non avere li due grossi cavalli frisoni che V. S. Ill.ma desidera, e sarebbe stato mio sommo contento se avessi potuto servirla in questo rincontro. La pregi) di prendersi 1’ incomodo d’informarsi se la virtuosa Marchesini di Bologna recita ancora , e quando ella voglia recitare , sapere quali sarebbero le sue pretensioni per venire a recitare in questo mio teatro, avendo gli impresari di esso intenzione di valersi di questa virtuosa, oltre l’Anna Dotti, ch’io le ho già dato l’incomodo d’informarsi delle sue pretensioni. Ne attendo con impazienza la risposta si dell’una che dell’ altra, et attribuisca alla di lei compitezza la libertà che 10 mi prendo d’infastidirla, accertandola però che le mie obligazioni sono sempre più in augumento , e queste mi faranno essere in ogni tempo prontissimo qual mi offro con tutto l’animo Torino, li 19 marzo 1718. Ai servizi di V. S. lll.ma Amedeo di Savoia. Avrà egli potuto godere lo spettacolo teatrale che si stava preparando ? Non saprei affermarlo; è certo bensì che tre mesi dopo (21 giugno) (1) avvenne la sua fuga a Parigi, dove condusse una vita assai licenziosa; e, confiscatigli i beni dal re Vittorio Amedeo (2), dovette poi aspettare il perdono e la riammissione in Piemonte da Carlo Emanuele. La moglie volle due anni più tardi seguirlo , e fu sua mercè se 11 Principe non si rovinò del tutto. Donna avveduta, ma savia e d’onorati costumi, seppe cattivarsi la stima e l’affetto de’ migliori, tanto che, ove non avesse rinunziato, sarebbe stata eletta a sopraintendere alla educazione della infanta, destinata sposa a Luigi XV, che trovavasi in Francia col padre (3). Il che fa cadere le maligne calunnie scritte sul suo conto dal Saint-Simon. (1) Perrero, Vittoria Marianna di Savoia Carignano, in Galletta letteraria, a. 1885, pag. 366. (2) Carutti, op. cit., pag. 424. (3) Perrero, loc. cit., pag. 567. GIORNALE LIGUSTICO 295 Non è ben chiaro se la Marchesini e ia Dotti fossero cantanti, come parrebbe dall’ appellativo di virtuose, oppure commedianti, e forse furono l’uno e l’altro, secondo se ne hanno più esempi; della prima è ricordata una famiglia omonima di commedianti, ma veneta e più tarda; della seconda si conosce un’Angiola, attrice lodatissima, la quale per ragione d’età potrebbe essere figliuola dell’Anna (1). * * * Chiudo la serie principesca con una lettera di Vittorio Amedeo, che fu re e dovette essere spettatore e parte, negli ultimi anni di regno, delle turbolenze e delle guerre alle quali dettero cagione le rivolture di Francia (2) : Turin. 29 juillet 1755· Sire et très chere Père. J’ai appris avec le plaisir que V. M. peut aisetnent concevoir qu’elle etoit parfaitement retablie de sa jambe , et qu’elle avoit pu recommencer ses promenades. Dieu veuille nous faire la grâce que les bains aient fait à sa precieux santé tout le bien que nous souhaitions. J’envois a V. M. la seconde partie du livre contenant les Evolutions , que je crois maintenant aller très bien, et pouvoir meriter d’avoir le nom de V. M. à la tète, puisqu’il me semble qu’il n’y a plus rien qui puisse s’ y opposer et en être indigne. V. M. apprendrà par la secretairie le combat qu’il y a eu en Amérique au desvantage des François, et pour moi je crois toujours plus la guerre inévitable entre ces deux couronnes, et par conséquent en Flandre, plus encore par la façon dont la négociation est allée, que par le combat qui n’a pas été grand chose. Mon equipage est parti ce matin, et en attendant dappren-dre par la poste ce que V. M. daignera m’ordonner sur mon départ , je finis en lui demandant excuses des ratures qui se trouvent dans ma lettre, que je n’aie pas eu le tems de refaire, et 1 assurant du profond respect avec le quel je sui, Sire, de V. M. Le très humble et très obéissant sujet et fils V. Amé. (1) Bartoli, Notizie dei comici italiani ; Padova, Conzatti, 1781, 1, i99> II, 25. (2) Bib. Naz. di Firenze, Rticc. Connetti, Lett. Princ., cart. 1. 296 GIORNALE LIGUSTICO Cultore appassionato delle discipline militari, caldo ammiratore di Federigo il Grande, egli ben palesa anche qui quali fossero le sue inclinazioni e gli studi preferiti. Manda al padre un suo lavoro d’arte guerresca; attende ai pubblici avvenimenti, ne accenna e ne giudica gli effetti. Il re suo padre si trovava in questo tempo ai bagni di Valdieri , dove si era recato verso il 15 di luglio; vi andò egli pure pochi giorni dopo questa lettera, e fecero tutti insieme ritorno a Torino la sera del 7 agosto , dopo aver sostato alquanto a Cuneo, per una leggiera febbre onde venne preso Carlo Emanuele, e desinato a Racconigi presso il principe di Carignano. * * * λ eniamo adesso agli scrittori. Primo, in ordine di tempo, ci si fa innanzi un giureconsulto di molto nome ai suoi di, oggi caduto in dimenticanza ; Giulio Claro di Alessandria. Egli scrive a donna Diana Cardona contessa di Chiusa la lettera seguente (1): III.via signora mia, Molte cagioni mi hanno sino a qui ritenuto ch’io, si come dovea, non habbia scrivendo basciate le mani di V. S., le quali, perciò che sarebbe noia a raccontarle, lascerò che se le imagini per se medesima. Non vorrei già che questo si lungo silenzio mi fusse imputato a colpa di negligenza, o a difetto di amore, perciò che più tosto esser potrebbe che io fussi altro ch’io stesso, che già mai mi uscisse di mente quanto grande sia la obbligatione con che et sono, et voglio essere tenuto a riverirla et honoraria in sempiterno. Mi assicuro adunque che la sua cortesia iscusandomi ove non habbia errato, et perdonandomi, quando pure avessi errato, mi ritornerà nel luogo nel quale era fra i servidori suoi, ove bench’io fussi l’ultimo di merito non era l’ultimo d’affettione. Et quando pure mi credessi di dover per la colpa del passato silentio perdere un sol punto della gratia di V. S., sarei sforzato a diventar non meno oscuro (1) Bib. Naz. di Firenze, Racc. Gonnelli, carte Gonzaga, cass. I. GIORNALE LIGUSTICO 297 cliio tussi in Aqui al passar il fiume, et rinunciando alla toga dottorale, a venire in persona et manu propria a chiederle perdono , con speranza non solo d’impetrar mercè, ma di ritornarmene a casa carco di guanti, et fazzoletti, et calzette, ecc. Messer Aloysio Trotto alla sua venuta di là mi diede le raccoman-datiotii di V. S., le quali mi furono tanto più care quanto meno io le spelava. Mon già che la humanità et amorevolezza sua mi lasciasse credei e eh io del tutto le fussi uscito di mente, ma la mutatione dei luoghi, il mio poco merito et la lunga absentia, erano cagione di far ch’io ne temessi in parte. Oltre che V. S. sa in quanto credito siano di me le donne, non dirò massimamente le siciliane. Nondimeno io ne fui sì lieto, anzi sì altiero di tanto favore, ch’io per me non sono nè sarò mai bastevole a sodisfar la menor parte di tanta cortesia, quanto in ciò V. S. ha mostrato meco. Mi ha detto esso messer Aloysio di parte di V. S. che gli fazzoletti miei stanno apparecchiati pure eh’ io venissi a prendergli quivi, a che rispondo che non si sogliono i fazzoletti vender sì cari, sì che questo sarebbe troppo picciol premio a così lungo viaggio. Però, in caso che ^ · S. si disponga a sodisfarmi di tutte le cose perdute di che ella mi è debitrice , forse forse io mi ci lascerò ridurre, tanto più dovendo andar in Roma prima che passi l’anno santo. Nondimeno fra tanto ch’io non havrò di ciò altra risposta non mi porrò in camino, ma resterò supplicando V. S. che mi teDga per affettionatissimo e perpetuo suo servidore , commandandomi come a tale, perciochè questa sarà la maggiore di tutte le gratie ch’io desidero et spero da lei. Così N. S. la sua Illma persona lungamente conservi come desia felice. Giovedì xvm di settembre mdl di Alessandria. Di V. S. Ili™ Servidore Giulio Claro. 11 Claro era stato insignito della toga dottorale in questo stesso anno nella Università di Pavia, nè aveva torse ancora ottenuto l’alto ufficio di Senatore in Milano, siccome deve essere avvenuto poco dopo, poiché sappiamo esser corsi cinque mesi dalla laurea alla nomina (i). Non mi è noto chi sia la donna (1) Tiraboschi, Storia di ktt. itaì. (ediz. classici), VII, 1074. 298 GIORNALE LIGUSTICO alla quale scrive, chè di una Maria serbano memoria le istorie letterarie, non già di una Diana ; la quale dovrebbe essere della Sicilia, se si guarda all’ accenno che è nella lettera a proposito delle donne di quell’isola (1). Del suo valore e della fama onde andava distinto, ci dà buona prova 1’ ufficio di consigliere reggente a cui venne innalzato in sua Corte da Filippo II; il quale, quando scoppiarono le turbolenze di Genova nel 1575, lo deputò, come uomo savio ed avveduto, a sedare le discordie dei cittadini, e Marcantonio Sauli, ambasciatore genovese a Madrid, persuadeva il Governo della Repubblica ad accoglierlo di buon animo, poiché era mandato « a posta » dal re per « consigliarle, esortarle, pregarle a concordarsi » ; ma, partito sul cadere di marzo, la domenica delle palme, non fu appena giunto a Cartagena che infermatosi « passò in due giorni » il 13 aprile (2). * * * Di maggior grido e di fama certamente più durevole tu il politico erudito di Bene, Giovanni Botero, al quale appartiene la seguente lettera al duca (3): Serm° I Sermi stanno (la Dio mercè) ogni giorno meglio, e danno d’hora in hora maggior sodisfattione. L’ altro dì il Nontio mi disse con molta allegrezza del migliorameuto notabile mostrato dalle A. A. Loro in questo ritorno da Valenza, et della satisfattione che hanno dato, e che danno (1) Anche la Maria infatti trae origine dalla Sicilia, secondo afferma il Gesualdo nella dedica delle sue illustrazioni al Petrarca, dove fa altresì grandissime lodi di lei; siccome è lodata del pari dal Min turno , >1 quale ha molte lettere a lei indirizzate (Cfr. Lettere, lib. vii e vili;. (2) Lercari, Le discordie e guerre civili dei genovesi nell’anno 1/7/ »' Genova, 1857, Pag· I20· — Arch. di Stato Genova, Lettere ministri, Spagna, Busta 6. (3) Bib. Naz. di Firenze , Racc. Gonnelli, cart. 3 , n. 37. GIORNALE LIGUSTICO 299 nelle visite, che loro fatte sono. 11 medesimo Nontio mi disse che le A A. Loro erano venuti in Spagna per la salute di questi regni, e che il Re mostrava loro ogni giorno maggior inclinatione, et amorevolezza, e che ciò dava ombra a qualcuno onde procedeva la maninconia della quale V. A. haverà inteso. Tutti però ci consigliano a procedere chetamente, come si fa. Nel che i Principi si portano meglio di tutti: perchè non scappa loro parola impertinente di bocca, nè fuor di proposito. Quanto al Prencipe Vittorio stimo molto a proposito quel che V. A. mi significa haver in animo di procurarli il Cardinalato , perchè così e si asterrà da alcuni eserciti] troppo vehementi alla sua complessione, ne’ quali non vuol cedere di un punto a’ fratelli, e si applicherà meglio agli studi). Et è bene che si metta in habito prima che habbia preso habito maggiore delle cose mondane, et acciò che la mutatione non li paia poi troppo dura e grave. Habbiamo dato licenza a’ buffoni, che ci mettevano tutti in contusione: onde hora i gentiluomini della camera trattano sempre di qualche soggetto cavalleresco a tavola, e si potranno seguitar gli studij con più quiete. Della pretenzione di Fiorenza il confessor della Reina, benissimo informato delle cose d’Allemagna, mi dice di non havervi nuova nissuna, e di non la credere. E Γ Ambasciatore Cesareo aggiunge a questo che tra Cesare e ’l pretensore passano disgusti grandissimi, de’ quali però io non ho potuto penetrar altra cagione, se non che all’ Imperatore dispiace il poco rispetto che colui porta in ogni occasione alla casa d’ Austria, e il parteggiare che fa per la corona di Francia. Essendosi qui sparsa voce della rinuntia fattami dal Principe Fi-liberto della badia intanto che il Re e tutta la Corte il sa, e ne mostra gusto grande, supplico V. A. a dar ordine con la sua solita benignità verso me, per la speditione, acciò che io non paia abbate da burla. Prego a V. A. compimento d’ ogni desiderio, e le faccio humilissima riverenza. Di Vagliadolid a dì 25 d’aprile (1604). Poscritta. Essendo qui morto il Guevara, mastro di casa , il Prencipe inclinava molto al Tanca, però non si sa quel che il Duca di Lerma disegnerà e non se ne fa nulla senza il beneplacito di V. A. humilissm0 obbligmo suddito e servo Gio. Botero. È noto come il Botero seguisse i principi, figli del duca Carlo Emanuele, nel viaggio di Spagna, e tosse deputato sin- 300 GIORNALE LIGUSTICO polarmente al loro governo ed alla loro educazione; di che ci dà bella prova il carteggio da lui tenuto in questo tempo col duca stesso. Il primo a farci conoscere con larghezza questa parte importante della vita di lui fu Gaudeuzio Claretta, il quale mise fuori altresì parecchie di quelle lettere (i); ma di questa pubblicazione non tenne alcun conto, e forse gli piacque ignorarla, Casimiro Danna stampando, alcuni anni più tardi, con scarsa perizia e poca felicità, tutta la ricordata corrispondenza (2); nè se ne giovò più recentemente Pietro Orsi nel suo pregevole Saggio biografico sullo scrittore Benese (3). Anche la lettera che ora vien fuori va messa in novero con le altre , e verrebbe ad essere la nona della raccolta Danna, se non si riconoscesse erronea la data di viario apposta da lui alla sesta, la quale per ragione del contenuto, deve seguire la presente e ritenersi scritta sul cominciare di maggio. Noto che due delle lettere stesse non le trovò il Danna negli archivi, ma le ebbe d’altronde, e sono, come la nostra, dell’aprile·, donde mi pare evidente ritenere fossero sottratte tutte in un tempo, nè a mio parere sono le sole , da quel carteggio. Dopo quanto è già stato detto da altri, reputo inutile toccar qui delle cose discorse anche in questa sua lettera dal Botero. * * * Un curioso anedotto della propria vita ci fa conoscere il Tesauro con una lettera mancante d’indirizzo (4): (1) Il principe Emanuele Filiberto di Savoia alla corte di Spagna; Torino, divelli, 1872. (2) Lettere inedite di G. Botero, con una relazione dell’andata e dimora dei principi Sabaudi in Ispagna; Torino, De Rossi, 1880. (3) Saggio biografico e bibliografico su Giovanni Botero; Mondovi, Frac-rhia, 1882. (φ) Bib. Naz. di Firenze, Racc. Gonnelli, cart. 39, n. 22. GIORNALE LIGUSTICO 3°i lll.mo sig. mio Pro.11' Col."0 Credo che V. S. Ill.ma havrà inteso 1’assa;sinamento fattomi l’altra sera alle due hore sopra la dora grossa, mentre io veniva a servir queste Altezze. I complici sono una fattinne di sciagurati di Torino, che vanno tutta la notte in troppa, e vivono di simili ribalderie. Ne ho dato inditij al signor capitano di giustitia ; ma intanto prego V. S. IU.ma di mettere in consideratione a Madama Reale, che se con la impunità si accresce questa fattione che facilmente trova sequele, nè la notte, nè il giorno sarà sicuro per me e per qualunque persona. Et però la supplico usar qualche straordinario effetto della sua providenza, acciò si estingua nel nascere questa scola di scelerati. Et a V. S. Ill.ma faccio humilissima riverenza. Torino primo settembre 1647. Di V. S. 111.™ hum.rao e dev.™° ser.rc e par> D. Emanuele Tesauro. Le condizioni di sicurezza pubblica non erano , a quanto pare, molto liete in quel tempo a Torino, se scorrazzava per la città ladroneggiando una banda di malfattori, come quella indicata dal Tesauro, e della quale egli dovette provare le poco piacevoli carezze. Conferiva facil campo a questi delitti l’oscurità in cui era immersa la città tutta, priva di ferma e sollecita sorveglianza. Del resto le istorie della reggenza di Cristina e del successivo ducato di Carlo Emanuele 11 assai ci dicono intorno a questa piaga, che ne repressioni violente, nè il rinnovarsi d’ editti valse per lungo tempo a sanare. * * * Può dirsi invero che, saltando un buon secolo, ci dipai-tiamo affatto dal gonfio secentismo, così ben personificato nel Tesauro, per entrare audacemente nella letteratura nuova col Baretti, la seguente lettera (1) del quale, diretta a (1) Bib. Naz. di Firenze, Racc. Gomitili, cart. 3, n. 8. 302 GIORNALE LIGUSTICO Giovanni Lami, se fosse stata al suo luogo avrebbe già veduto la luce, come le altre, per opera di Carlo Gargiolli, e si potrebbe leggere altresì nel pregevole volume messo fuori dal Morandi (i): Illustrissimo signor Dottore, Di Londra, li 12 d’ottobre 1752. Io non so s’ Ella sei sappia, ch’io sono in quest’isola da diciannove mesi. Signor sì, ci sono, e a’ comandi di Vossignoria, il mio signor dottor Lami. E che fa tu costae ? mi dirà Ella. Che ci fo ? Ci fo qualcosa. Studio la lingua Inglese per servirla. E mi ci sono sì sprofondolatamente sprofondolato dentro, che oggimai m’ho scordato la Taliana, che Dio noi faccia. La sare’ bella, che correndo dreto il Lepre mi perdessi il mio Cane ; la sare’ bella. Basta 1’ ho tanto studiata in queste diciannove lune, che già scrivo in essa di molte cose. E belle cose scriverai tu , replica il dottor Lami sogghignando. Ma o belle, o brutte, fatto sta che mi sono messo a scrivere in inglese un non so che, che non so nemmen io come battezzare. Un trattatacelo, verbigrazia, sopra i nostri poeti, e particolarmente sopra i nostri Epici. E se Ella vorrà dire che le sono imprese temerarie anzi che no, la si ricordi, che un dottor Lami mi caratterizzò un tratto Intrepido. L’intrepido signor Baretti, che s’è scagliato addosso al professore della Reale Università, che 1’ ha addentato alla gola, come un Lupo digiuno la innocente Pecorella, eccetera. O, a proposito di quella cicaleg-geria, mi fu mandato qui 1’ anno passato un certo paragrafo d’ un certo Giornale che si stampa in Venezia da un certo frate, di cui non so il nome. Costui, idest Sua Riverenza, parte leccandomi e parte mordendomi, ha detto in quel Giornale qualcosa, che non m’andava a verso troppo , e io cosi nel bollore tirai giù allora una Rispostina a quel paragrafo molto dolcepiccante. Ma freddatasi poi la fantasia, e non presentandomisi subito occasione di mandarla a stampare a quel benedetto Lugano, me l’ho scordata nello scrittojo , e non n’ho fatto uso alcuno. Ma se Ella campa, e s’io campo (Madonn’Atropo lo voglia), chi sa che l’anno (i) Voltaire contro Shakespeare, Baretti contro Voltaire, con un appendice alla n Frusta Letteraria > e XLIV lettere del Baretti inedite e sparse; Città di Castello, Lapi, 1884. GIORNALE LIGUSTICO venturo io non voli dal paese dell’avvelenante birra a quello dell’imbalsamato vino, e che quella mia Rispostina la non giovi ancora a empiere un quarticello d'ora d’una lunga e soave conversazione, che spero in Dio e nella Vergin d’ aver col dottor Lami ? Azzo da Este ! ho pure la gran foja di vedere un tratto quella Toscana benedetta Madre di Begl’ ingegni e di Poeti ! Ho pur l’ardente desiderio di fornicare con una....... Eh diavolo ! Dove vad’ io ? Mi sento così dolcemente solleticare, e sollucherare dal pensiero che parlo con un toscano (scrivere e parlare non son’ eglino sinonimi ?) che vado in visibilio senza saper dove. Proprio di palo in frasca. Orsù torniamo al primo punto, ed è, se ben mi ricordo, che sto scrivendo un imbroglio a mio modo su i nostri Poeti Epici troppo strapazzati da monsù di Voltaire in un suo Libricciuolo pure in Inglese intitolato: Essay upon thè Epic Poetry of thè European Nations from Homer down to Milton, e stampato qui da lui alcuni anni sono. E questo Libricciuolo io lo malmeno un pochino, e mi prefiggo di dare a questa gente qui un’ idea che generalmente non hanno de’ nostri Valentuomini. Per riescire il meglio che sarà possibile in questa mia impresa, mi sono posti sotto gli occhi tutti i necessari libri che trattano di queste materie, ma me ne manca uno , cioè certe Lettere (credo le sieno quattro e dirette a un Soderini) di Amerigo Vespucci, in una delle quali v’è un passo in cui Messer Amerigo parla di certe stelle da lui viste neU’Emisfero di là, e indovinate d. Dante. Io mi ricordo, che anni sono ho letto quel passo, che mi farebbe bene parlando di Dante ; e non avendo per disgrazia quelle lettere appresso di me, nè potendole in modo alcuno trovar qui, sono a pregare Vossignoria, signor Dottore mio reverito, di farmi trascrivere quel passo come sta tutto intero, che se mal non mi sovviene, è un negozio d’un venti linee al più. Di grazia mi faccia questo favore, che gnene avrò obbligo grande grande. In contraccambio ella si vaglia anche di me, e mi comandi particolarmente se la posso servire di qualche notizia inglese, che lo farò con tutto il cuore. Oh, sa ella chi m’impone di riverirla? Il sig. Vincenzo Martinelli, che è il solo italiano vivo, che sia in Londra. Gli alti i (e son di molti ) sono tutti morti e sepolti, chi ’n un Gravicembalo, chi ’n un Violino, chi ’n un Colascione, ecc. Questo sig. Martinelli m’ha detto che ha mandato anche a Lei un suo Libro della Vita Civile, che qui incontra molto bene. Se Ella mi favorisce di risposta, la prego farlo per lo stesso canale, 30·! GIORNALE LIGUSTICO per cui riceverà la presente ; cioè pel sig. Man, ministro brittanico presso cotesta Reggenza. Sono con la solita dovuta infinita stima Di V. S. 111.™ Umilissimo servidore Giuseppe Baretti. La dissertazione alla quale attendeva il critico piemontese, venne fuori l’anno successivo (i), ed è a credere il Lami, gli mandasse l’estratto richiesto, poiché quivi appunto si legge, avendo l’autore, primo fra tutti, rilevato che Dante accennava , secondo suo parere, stelle reali anziché allegoriche (2). Nessuna altra lettera successiva ci è nota per affei-mare che sia continuato il loro carreggio; certo è bensì che il Baretti serbò grato ricordo e molta stima verso 1 erudito fiorentino, siccome apparisce da testimonianze parecchie. Il « paragrafo » del giornale di Venezia, compilato da un frate, al quale si accenna nella lettera, deve essere sicuia mente quel che leggesi nella Storia letteraria d Italia del Zaccaria, nel volume uscito appunto l’anno 1751 (3)> ma risposta, che doveva essere cosa al solito gustosa, non ho indizio alcuno, neppure ch’ ei se ne sia giovato in seguito per altre scritture; e forse è rimasta inedita. Ben conosciuta, sebben poco letta, è l’opera ricordata di Vincenzo Mai tinelli della quale si hanno tre edizioni, e venne lodata dal Lami nelle sue Novelle Letterarie ; il Martinelli che il Baretti argutamente chiama il solo italiano vivente a Londra, nte nendo gli altri morti e sepolti in mezzo alla musica. (1) Morandi, op. cit., pag. 16 e seg. (2) Il Baretti si riferiva alla nota pubblicazione del Bandini , Vlta e lettere di Amerigo Vespucci; Firenze, 1745. (3) Venezia, Poletti, pag. 347 e segg. \ GIORNALE LIGUSTICO 305 * * * Al Baretti che, come è noto, negava al Piemonte qualità e potere di procreare poeti, aveva risposto il Denina (uno dei tanti frustati), mettendo innanzi il nome di una giovinetta , che già era uscita dalla comune schiera : Diodata Sa-luzzo (1). Di lei è la lettera seguente indirizzata alla non men conosciuta poetessa Fortunata Sulgher-Fantastici (2) : Mia cara, Dovendo partire per Saluzzo fra pochi giorni, e non volendo ritardare soverchiamente la mia risposta, mi fo premura di scrivervi nel momento stesso che mi giunge la lettera vostra. È vero ciò che mi dite, che non sono bastevolraente chiare alcune mie Poesie ; è vero egualmente che l’epitetare troppo in molte delle mie operette è un difetto che conosco e non ho saputo sfuggire. L’aver cominciato a comporre giovine molto, tanto che nella mia Raccolta vi sono versi da me fatti in età di dieci 0 undici anni, 1’ aver io una fantasia assai calda e 1’ aver letto sempre con entusiasmo il Dante e il Tasso assai più ch’io non feci i freddi ma saggi cinquecentisti, ecco, cred’io, le cagioni vere del mio difetto. Oltreché 10 voleva guardarmi con ogni cura dallo scrivere Poesie ripiene più di parole che di cose. In quest’ultimo errore ci sono però caduta due volte : una, nell’ anacreontica in morte di Enrichetta Balbo, l’altra, nella cantata di Niobe; l’anacreontica e la cantata non contengono se non immagini triste, e perciò non più degne di essere nobilitate in versi. Vedete se io sinceramente vi rispondo? Benché a spese del mio amor proprio mi rallegro che il mio pensiero si sia incontrato col vostro. Nell’ Agamenone poi v’ è un vero difetto di cui non mi avvidi nel bollor dell’estro; questo difetto sta nel verso : 11 padre, olmi 1 d’Ifigenia d’Oreste ; qui Ifigenia non doveva essere ricordata altrimenti ; del rima- (1) Vallauri, Storia della poesia in Piemonte; Torino, 1841; li, 289. (2) Bib. Naz. di Firenze, Racc. Gonnelli, cart. 37, n. 96. Giorn. Ligustico. Anno XV. 3o6 GIORNALE LIGUSTICO nente crederei di poter difendere questa composizione, che è una delle mie predilette. Nel Deucalione l’amore che ho voluto dipingere è soave, tenero e pio ; nell’Agamennone ho voluto dar saggio del modo con cui penso che stia quella terribile passione in un cuore agitato fra il rimorso e 1’ affetto, in un cuore trascinato , malgrado suo, ad un gran delitto ; qui la debolezza era nociva al bello. Non mi pare che questa passione potesse avere un solo moto che la assomigliasse a quella di Pirra; lo dirò finalmente, ho voluto uscire dalla natura si, ma dalla natura volgare; le passioni eccessive non parlano il linguaggio delle passioni comuni ai molti. Se ho errato, questo terzo difetto è tuttavia ed è stato volontario; gli altri due primi non furono, e posso dire non lo sono poiché mi avvedo di non essermene ancora corretta, e raffrenandomi con ogni cura, ricado talora, malgrado mio, come sono ricaduta ne’sciolti in morte di Silvio Balbis. La vostra sincerità mi è stata un pegno d’amore, la mia ve lo sia parimenti; ho risposto schiettamente alla cara lettera vostra, gradite voi i miei ringraziamenti, e siate certa che io considero il candore con cui mi parlate come prova non dubbia di perfetta amicizia. Col tempo raffreddandosi la fantasia un po’ confusa, forse perchè ardente troppo, farò meglio, me ne lusingo, di quel che ho fatto sin’ora. Il mio libro è opera dei primi vent’ anni di mia vita ; per intraprendere opere grandi so aneli’ io che ci vuol tempo, riflessione e studio, a ciò aspiro, e chi sa che i vostri saggi consigli appoggiando il mio proprio sentimento, ed il parere delle due sole persone che io soglio consultare sulle opere mie, non mi sieno di maggior utilità che non avete creduto voi pure? Gradite i complimenti de’ miei genitori, salutate caramente Isabella e Massimina, e datemi nuove del signor Fantastici e di voi stessa. La mia lettera è lunga troppo, la chiuderò col dirvi che vi amo teneramente e vi prego di amar sempre Torino, 6 agosto 1798. La vostra vera amica Diodata Saluzzo. La Sulgher-Fantastici aveva scritto alla giovine amica, esponendole il suo giudizio intorno alla nuova raccolta delle sue poesie, uscita in luce a Torino nel 1797; dove pure è bella testimonianza di affetto e di stima la lode che a lei comparte con alcuni suoi versi. GIORNALE LIGUSTICO 307 * * * Alla poetessa succcede uno storico, Carlo Botta (1), il quale scriveva al conte Cicognara: Signor Conte Onorande, La sua lettera del primo corrente mi è capitata a Roano di Normandia, dove da cinque mesi mi trovo rettore di questa Accademia degli studi. La tela che ordisco, mi cresce ogni giorno fra le mani, ma non tanto quanto vorrei, perchè troppo son distratto dalle bisogne d’ ufficio ; pure non si tralascia di andare avanti, e spero, se Dio mi concede ancora qualche anno di vita, di venirne a capo. Ma, oltre di tutto questo, signor mio , queste cose , com’ ella sa, non si gettano in pretèlle , e bisogna considerarle e ruminarle molto bene. Per questo le dico , che di quei libri eh’ ella mi favorì, ho ancor bisogno, ed avrò per qualche mese, e forse per un anno. Spero nella cortesia sua ed in quella della persona che gliene fece copia, che mi si lasceranno ancora in mano per altrettanto tempo. Ella si assicuri che sono custoditi con somma gelosia, e saranno restituiti a tempo debito puntualmente. Gli riporterò io medesimo a Parigi, e consegnerò a persona, la quale gli rimanderà a Venezia per via sicura. Il suo primo volume rimessomi dalla signora Gin-guenè lo lasciai a Parigi, a un amico, al quale scrìvo per quest’ordinario pregandolo lo porti, secondo l’intento suo, al signor Percier. Nè altro per questa, e mi raccomando nella sua buona grazia. Servitore Carlo Botta. Stava egli allora dettando la storia italiana del periodo rivoluzionario , e perciò aveva domandato ed ottenuto dagli amici sovvenimento di libri a suo uopo. Ma le cure del suo ufficio, nel quale poneva tanta onesta rigidezza che gli fu dannosa, essendogli stato tolto allo spirare del quinquen- (1) Bib. Naz. di Firenze, Racc. Gonnelli, cart. 5, n. 191 e 192. 3o8 GIORNALE LIGUSTICO nio con lo specioso pretesto che egli era italiano, ma veramente per un intrigo reazionario (i), non gli consentirono di lavorarvi attorno con la desiderata sollecitudine, onde ne fu ritardata la pubblicazione alcuni anni ancora. La moglie del Ginguené, cui accenna, era rimasta vedova l’anno innanzi, e della morte di quello scrittore che fu amico non tiepido degli Italiani, scrisse allo stesso Cicognara meste ed affettuose parole (2). E perchè degli uomini illustri possono riescire non inutili anche le piccole cose, metterò qui un breve viglietto al marchese Capponi, che non trovo nel suo epistolario a stampa : Parigi, 24 marzo 1827. Sig. Marchese pregiatissimo, Vengono a visitare Γ Italia per cagione di salute la moglie ed il figliuolo di quel Villetard , di cui si parla nella mia Storia d Italia, là dove si tratta delle cose di Venezia. So che passeranno per Firenze e vi verranno davanti da parte mia, portandovi la presente. Siate contento di esser con loro ciò che siete con tutti, cioè buono e cortese, e fatelo anche per amor mio, che ve ne prego. Così essi s’accorgeranno che essendo in Firenze, sono nella propria sede della civiltà antica e moderna. Prego Dio che vi renda il corpo tanto sano quanto avete bello 1 animo. Il vostro Carlo Botta. Tutti ricordano chi fosse il Villetard, e, qual parte avesse come rappresentante della Francia, nella caduta della Repubblica di Venezia nel 1797, essendo poi costretto a far subire a quel popolo il traffico che ne aveva fatto Bonapaite, nel che degnamente e coraggiosamente si condusse, nulla temendo di provocare le ire del generale. Onde il Botta (1) Botta, Lettere a Tommaso Littardi; Genova, 1873 ; pag. 34. — Botta Scipione, Vita privata di Carlo Botta; Firenze, 1877; pag. 52 e segg. (2) Botta, Lettere; Napoli, 1843; Pag· 35· GIORNALE LIGUSTICO 3°9 ne loda Γ onestà, e, scagionandolo da torti giudizi altrui, rende omaggio al generoso suo animo. * * * Se il nostro storico si piacque con singolare studio della eleganza e della purezza della lingua, a restaurarla volse l’animo ed ogni suo potere Giuseppe Grassi, mercé le note opere lasciateci, specie in ordine al linguaggio militare; e la sua amicizia richiese spontaneo il Leopardi, desideroso d’u-dirne il giudizio intorno agli scritti che andava pubblicando (i). Gli aveva mandato nel 1820 la canzone ad Angelo Mai, e il Grassi ne lo ringraziava cosi (2) : Torino, 17 novembre 1820. Io mi vedo tanto gentilmente favorito dalla S. V., che non so come ricambiarla, non dirò dell’affetto nel quale son certo di pareggiarla, ma nelle dimostrazioni eh’ ella me ne dà continue. L’ assicurarla della mia riconoscenza è poco, 1’ augurarmi un’ occasione per attestagliela sarebbe più, se 1’ occasione fosse probabile, tocca a lei ad aggiungere questo agli altri favori, e a darmi opportunità di sdebitarmi con V. S. Che le dirò della bella poesia che V. S. mi ha mandato ? L’ho letta qui a pochi, ma buoni e caldi e dotti italiani, e tutti ad una voce sono, come io, rimasti sorpresi dalla forza, anzi dall’ energia del pensiero ; ora essa corre per le mani di molta gente e ne ritrae quell’ onore che le è dovuto. Come concittadino dell’ Allobrogo, io la ringrazio particolarmente della lode che gli dà e che torna si bella in questa parte d’I-talia, che è luogo natio dell’ Alfieri, avendo poi tutti una patria comune, che è l’Italia. Vedo bene che la noia non ha nel suo cuore quel dominio mortale , che esercita sulle cose, poiché essa non le impedisce di mostrarne grave disdegno. Il nobile pensiero che dettava i suoi versi è degno d’ogni alto (1) Leopardi, Epistolario; Firenze, 1849; I, 116. (2) Bib. Naz. di Firenze, Ms. Targioni, n. 187. 310 GIORNALE LIGUSTICO animo, e come italiano ho l’orgoglio di parteciparvi. Questa unione di pensiero, anzi di sentimento dee convincerla ch’io non potrò dimenticarmi di lei giammai, quando bene mi mancassero le occasioni di farnela sicura. Non so se le poste d’Italia daranno facile via ad una cattiva dissertazione accademica, che ho stampato alcun tempo fa, e che ardisco mandarle, acciò veda che, sempre fisso nell’ idea di dare una lingua militare all’ Italia, ho. dovuto ricorrere a quegli Italiani, che già tennero il campo, e che or son posti in dimenticanza. Ho perciò procurato una buona edizione di tutte le opere militari del nostro Montecuccoli, la quale uscirà fra un mese alla luce. La dissertazione, che la prego di accettare, è relativa ad una parte di questa nuova edizione; l’accolga ella come cosa che le viene da un suo leale e sincero servitore ed amico, che tale io voglio pur essere se ella mi vuol far 1’ onore d’ accettarmi ; avrò per garante il comune amico Giordani. Sono colla più alta stima Suo dev.”° ed obbl.“° servitore Grassi. L’ opera alla quale allora attendeva il Grassi era la nuova stampa degli scritti di Raimondo Montecuccoli, uscita poi nell’anno seguente; e la dissertazione inviata al Leopardi, già letta alla Accademia delle scienze di Torino e pubblicata quindi nelle Memorie (i), volgeva intorno « ad un’operetta inedita » di quel gran capitano. In essa « risplende », gli scriveva il recanatese, « quella purità e gentilezza di lingua dignità e gastigatezza di stile, nobiltà e gravità di materia che suole ornare e contrassegnare tutti i suoi scritti » (2)· * * * Viene ultimo e come suggello il nome di Silvio Pellico, il quale al quesito sottopostogli da una commediante, l’Angehca Armani Dalbono, risponde così (3) : (1) Ser. i.*, XXIV, Par. 2.% pag. 103. <2) Leopardi, Epist. cit., I, 212. (3) Bib. Naz. di Firenze, Racc. Gonneìli, cart. 31, n. 290. GIORNALE LIGUSTICO 3 11 Pregna signora, Il suo amabile desiderio di far la parte di Gabriella nella mia Gis-monda da Mendrisio mi onora, giacché prova che quella parte è di suo genio. Ma siccome, quando fo tragedie, dò a ciascuno de’ personaggi quello svolgimento che la natura del soggetto richiede, senza essere punto informato delle convenzioni secondo le quali i capo-comici avranno a qualificare le parti, e a distribuirle, così debbo confessarmi incapace di sciorre il dubbio ch’ella mi propone. Sono ignaro non solo de’ precisi diritti di un attore, o di un’ attrice nell’ esigere che si chiami così o così una parte, ma anche de’ varii possibili motivi per cui talora, senza offendere il decoro d’ alcuno, un capo-comico sia obbligato di stabilire eccezioni. Ho veduto più d’ una volta in ottime Compagnie francesi, per ragioni particolari, una prima donna cedere la sua parte ad una seconda, ho vedute altre mutazioni siffatte ; e sono sempre stato d’ opinione che, comunque si distribuiscono le parti, purché la rappresentazione non ne patisca, la cosa è indifferente. Ella mi dice, preg.”'’ signora, che i suoi capo-comici inchinano a dar ragione a lei in questa questione. Pronuncino dunque il giudizio che a loro spetta, ed io sarò contentissimo. Si compiaccia di riverire i suoi compagni e compagne per me, e singolarmente il signor Domeniconi, mio buon amico, e mi creda con tutto il rispetto e distintissima stima Torino, 20 maggio 1833. Suo umil.m0 servo Silvio Pellico. Giudicare in argomento di convenienze teatrali era invero difficile e delicatissima cosa; e il Pellico, confessiamolo, esce d’impaccio abbastanza bene, assegnando a ciascuno l’ufficio suo, e lasciando che altri interpreti a suo senno 1 avvertimento che indirettamente egli dà. A. N. Tre lettere dell’ab. Frugoni al conte Gregorio Casali. Nel mese di marzo 1762 il fonditore Rinaldo Gandolfi presentava all 'Eccelsa Assonteria d’Ornato residente in Bologna una sua particolareggiata relazione dello « stato dei difetti j 12 GIORNALE LIGUSTICO da considerarsi nella statua del Nettuno della fontana pubblica, aggiungendovi il modo di porvi riparo » (i). I medesimi difetti notati dal Gandolfi erano stati pure osservati quarant’ anni prima dall’ architetto Francesco Maria Angiolini, che entrò in sospetto della sussistenza di questa statua per aver trovato il ferro, che dall’interno di essa passa pei il piedestallo, alquanto corroso dalla ruggine. Il Gandolfi richiesto del suo parere relativamente ai pericoli che poteano minacciare la statua del Gian Bologna, non si limitò alla osser\azione esterna, ma praticò diversi fori nella gamba sinistra , disposti in modo da non pregiudicare alla robustezza della statua, per mezzo de’ quali potè osservare internamente i danni cagionati dal tempo e dalle acque penetrate per alcune Sciepolature e proporre quanto era necessario alla conservazione di cosi insigne monumento. Dall occasione di tali restauri nacque nell’ Accademia di Belle Arti di Parma il desiderio di avere un getto del « famoso gigante di Gian Bologna » e a tale effetto lo scultore Gio. Battista Boudard il 5 di luglio 1762 scrivea ad Ercole Lelli professore di scultura nell’istituto di Bologna: « Ho detto a S. E. che a poco presso V. S. Ul.ma avea stimata cotesta faccenda cento scudi romani, poco più, poco meno, e sopra di questo il sig. Ministro si rimette a quanto farà V. S. Così a\remo la forma di così bella statua. L’istituto di Bologna ne a\ra un bel getto, e, se il sig. Ab. Farsetti ne volesse uno, faremo i nostri patti ». Mancano le lettere del Lelli relative a questo affare, ma da quelle del Boudard si rileva che egli rispose essere necessario di ottenere prima la licenza del Senato di Bologna; onde il Boudard un po’ sdegnato se ne lagnava, dicendo (i) Trovasi ms. presso la Biblioteca Universitaria di Bologna colla seguente collocazione: Caps. LVIII, A, 22. GIORNALE LIGUSTICO 3r3 (i6 luglio 1762) di non aver potuto vedere il sig. Ministro perchè la Corte stava di residenza a Colorno ed egli in Parma, ma se anche l’avesse veduto nemmeno gli avrebbe parlato di domandare, nè a suo nome, nè a quello di S. A. R. una licenza al Senato di Bologna per formare una statua, essendo di parere che il decoro di un Principe e d’una Corte non dee compromettersi per cosi lieve cagione. Ed a88lungeva: « Se bastasse che qualche persona (se pure vi fosse questo bisogno) si giugnesse a V. S. Ill.ma per parlare a qualche Senatore a fine d’ ottenere questa licenza, potrei indurre il sig. Ministto a scrivere privatamente una lettera , ma di una dimanda formale al Senato non gliene parlerò mai ». Allora si pensò di far presentare la domanda al Senato dal Conte Gregorio Casali, membro pure dell’Accademia di Parma ; e 1’ Ab. Carlo Innocenzo Frugoni ebbe l’ordine dal Ministro di scrivergli la lettera seguente (1): Amico e Padrone incomparabile, Parma , 30 luglio 1762. Eccovi un’ occasione da segnalare il vostro zelo ed il vostro affetto verso la R. Nostra Accademia, della qual siete una parte sì bella. Si desidera qui avere un getto del Nettuno della vostra Fonte pubblica. Il sig. Ercole Lelli, che fu interpellato dal nostro scultore regio Monsieur Boudard, ha risposto che per formare detta statua si richiede il beneplacito dell’lll.mo Eccelso Senato Bolognese, che solo lo può permettere. La R. Accademia mi ha dunque incaricato di scrivere e di supplicare in suo nome l’Eccelso Senato e trovar costì suggetto ragguardevole che presenti ed appoggi la lettera e si adopri per la favorevole risposta. Io ho indicato incontanente alla medesima l’immortale vostra persona e 1’ Accademia Reale mi ha ordinato subito di farvi mille complimenti per sua parte e di pregarvi di voler voi presentare la sua lettera e farvi suo (1) Le lettere del Frugoni qui pubblicate si trovano nella Bibl. Universitaria di Bologna, fatte trascrivere dal Co. Gregorio Casali per i sig. Ubaldo Zanetti, nella Miscellanea Caps. LVIII, A. 16. GIORNALE LIGUSTICO oratore appresso gli Eccelsi Padri Coscritti', guadagnando [favore per il buon esito. La lettera d’ufflcio, che scrivo io, ve la mando a suggello alzato, piacendomi che degnandovi di farvene l’esibitore sappiate che cosa essa contiene e che cosa esibite al Senato. Non credo avere errato ne’ titoli che si debbono cosi al S .-nato, come particolarmente ai Senatori : esaminate ben tutto e fate vedere alla R. Accademia quanto 1’ amate e quanto sapete fare per Lei. Bisogna, amico mio veneratissimo, questa volta riuscire. Voi siete del Ceto Senatorio, voi avete credito, voi siete dotto, eloquente. Come dunque sarà possibile che non usciate vittorioso dall aringo? Scrivo pure quattro righe d’ avviso al sig. Ercole Lelli che vi degnerete fargli subito tenere. Potrete con lui, che pure è nostro Accademico costi delegato , intendervi, massime ch’egli già sopra questa pratica ha carteggiato e carteggia col predetto M.r Boudard. Mezza la Clementina Accademia è aggregata alla nostra. Dunque tutto dee farci merito, ed acquistarci favore. Addio, vi raccomando vivamente questo affare. Se mai non potesse aver buon esito, scrivetemi i motivi e scrivetemi lettera ostensibile. Ma voglio lusingarmi che l’esito sarà fortunato. Sono il vostro fedelissimo servitore ed amico Ab. Frugoni. Il Conte Casali si adoprò tosto, perchè la domanda fosse presentata e raccomandata al Senato nel miglior modo che per lui si poteva, e l’Ab. Frugoni il 24 agosto ringraziavalo a nome delPAccademia. ... , , Parma, 24 agosto 1762. Amico iTMiiovtcìlc, Io non posso dirvi abbastanza quanto la R. Accademia abbia gradito l’interesse, che avete preso nella sua domanda a codesto 111.™0 ed Eccelso Senato, dal quale subito che avrò la risposta, che mi fate sperare, sono incaricato, dopo i ringraziamenti al medesimo, farne a voi in nome della R. Accademia predetta. Tutto si è comunicato a chi presiede alla medesima, che singularmente ha lodato il vostro zelo e fatto ragione al vostro merito. Vi prego di far tenere all’egregia Corilla la qui aggiunta risposta. Scrivo di fretta, essendo molto tutti occupati della solenne funzione che domani si farà, dandosi l’ordine dello Spirito Santo al Nostro Reai Principe Ferdinando con tutta la magnificenza, che vi si richiede. Amatemi e credetemi immutabilmente il vostro obbligatissimo servidore ed amico vero Frugoni* GIORNALE LIGUSTICO BIS La desiderata licenza del Senato non si fece lungamente attendere, e il Lelli ne diede ragguaglio prima del 30 agosto al Boudard, che trasmise tosto la lettera al Ministro perchè facesse dare gli ordini opportuni, ma scusavasi di aver ritardata la risposta di qualche giorno per essere il Ministro assai occupato nella funzione dellOrdine dello Spirito Santo, dato al Principe Ferdinando di Parma. In questa occasione il Frugoni compose un sonetto ch’egli inviò al Conte Casali colla lettera che segue e che non trovasi nella edizione in nove volumi delle sue rime fatta in Parma, dalla Stamperia Reale, l’anno 1779. Amico carissimo, Parma, 3 settembre 1762. I signori Assonti d’ornato hanno onorata di favorevole risposta la Reai nostra Accademia, che mi fa rispondere, come potrete vedere nel-l’aggiunta lettera, che poi suggellata vi degnerete presentare ai suddetti signori. Dovrei pure per ordine della R. Accademia a voi scrivere in suo nome e ringraziarvi di esservi sì ben adoperato in questa sua domanda, ma io conto che questa mia adempia il commesso dovere e contenti la vostra beil’anima, che di poco si contenta. Vi ho scritto e spedito una lettera per l’egregia Corilla; ma nè da voi, nè da lei ne ho avuto alcun riscontro. Qui si è celebrata con festa magnifica la funzione del ricevimento nel-1’Ordine dello Spirito Santo nell’Augusta Persona del Reai nostro Principe Ferdinando. Troverete qui trascritto il sonetto, che presentai per essa, che mi sono dimenticato di fare stampare, coni’ era 1’ ordine a me dato. Amatemi e credetemi immutabilmente il vostro servidore ed amico vero Frugoni. SONETTO. Il terzo Enrico dalla somma sfera, Della colomba il sacro, augusto segno Darsi vede a Fernando e la guerriera Alma ne ammira e il valoroso ingegno. 3r 6 GIORNALE LIGUSTICO E dall’ alto a lui dice : O prode, o vera Borbonia prole, o nuovo mio sostegno, Mira lieta con me tutta la schiera Delle virtù dovute ai nati al Regno. Mirala meco a presagirti intesa Palme e corone, allorché in altro aspetto Dell’ alma fe’ sarai scudo e difesa. Col prisco onor della mia croce in petto Cresci, deh cresci ad ogni bell’impresa, O regai figlio, ad opre grandi eletto. Il contratto firmato il 6 di settembre 1762, col quale Ei cole Lelli e i formatori Giampietro Simoni e Luca Luchesi assumevano F impegno di fare il getto del Nettuno, compren deva questi patti e convenzioni: I. Che detti Simoni e Luchesi debbono usare in detta operazione gli strumenti necessari a tale effetto e se si ser vissero di altre persone fuori di loro medesimi, debbono porle senza aggravio alcuno di detto Lelli. II. Viceversa poi il detto Ercole Lelli promette e si ob bliga di fare di proprio tutte le spese occorrenti per fare e terminare la preconvenuta opera; cioè: di somministrare tutto il gesso e farlo cuocere a sue spese, dovendo però esser ob bligo di detti formatori il farlo pestare, settacciarlo e por tarlo dal forno al luogo del lavoro. Ancora detto Lelli dovea somministrare tutte le corde, ferri, olio, terra e in genere quanto sarebbe stato necessario per eseguire il getto e tra SDortarlo dalla piazza all'istituto. Prometteva inoltre di pagare a detti formatori la somma di lire cento settantacinque; re stando per ultimo convenuto che se venisse pregiudicata la forma per incuria de’ formatori, 0 loro aiutanti, debba stare a carico dei medesimi, e se viceversa fosse danneggiata per qualunque casualità, in tal caso detti formatori non saranno tenuti a cosa alcuna. GIORNALE LIGUSTICO 3I7 Il lavoro fu incominciato e proseguito senza interruzione fino al 17 ottobre, nel qual giorno il Boudard scriveva al Lelli di avere inteso che i formatori aveano già terminato il getto del Nettuno, e pregavalo di fare che la forma con tutti i tasselli al loro luogo ben fermati, fosse « doverosamente incassata affinchè giungesse a Parma in buono stato ». Raccomandava sopra tutto che ogni corpo di forma fosse ben serrato e calzato con sodezza, perchè non succedesse quanto era accaduto ad una forma venuta da Roma. Il getto del Nettuno, che porse occasione a questa lunga corrispondenza epistolare tra le due Accademie di Parma e di Bologna, trovasi tuttora nel vestibolo che conduce aila Pinacoteca ed alla Biblioteca e precisamente a destra di chi si reca a quest’ultima; nia è in uno stato di conservazione poco buono, avendo una gamba fratturata e mancando di due 0 tre dita alla mano sinistra (1). L. Frati. SPIGOLATURE E NOTIZIE Intorno ad Obbietto del Fiesco, del quale ha discorso testé il Gabotto in questo Giornale (pag. 96 e segg.), Angelo Badini Confalonieri pubblica il seguente curioso documento : Dux Mediolani etc. Dilectissimi nostri : Per essere M. Hibieto dal Fiesso mancato verso noi et stato nostro et lo 111.”0 signore Ludovico de la fede et promessa facta per scriptura autentica et sottoscripta de sua propria mano , havemo deliberato che per 1’ universo dominio nostro del mancamento suo se ne faci tale publica dimonstratione che ciascuno ne habbi noticia : et però vi commettemo et volemo che senza dimora faciati pingere la sua figura in zuparello attaccata per uno pede in questa nostra cita in loco celeberrimo cum queste parole : Io sono M. Hibieto mancatore de fede. Papiae, die 7 Julij 1494. B· Calchus. (1) Debbo queste notizie alla cortesia del dott. Lionello Modona, sottobibliotecario alla Bibl. Palatina di Parma. GIORNALE LIGOSTICO (a tergo) Sp.li Equiti et nobilibus viris Comiti Borelle de Sichis consiliario ac commissario et Deputatis provisionum Papiae nostris dilect.mis. Cito. (Archivio Civico di Pavia : Cartella 6: Lettere ducali e diverse (i475‘ 1499) )· * * * In una notevole monografia di Rodoleo Renier, Poeti Sforzeschi in un Codice di Roma (Rassegna Emiliana, vol. I, fase. 1) sono recati tre curiosi sonetti di Antonio Campofregoso. * * * f. A proposito di Francesco Bianco genovese che comparisce come fonditore d’artiglierie (Cfr. Giornale, pag. 152) , possiamo aggiungere una notizia che ci communica 1’ egregio nostro collaboratore Emilio Motta. Da una lettera scritta da lui al Duca di Milano il 18 gennaio I452 S1 rileva che egli era allora a Genova, dove si era recato per mettere al P ordine la polvere, dopo aver in Milano « firmata compositione pulveris medio mag. domini Bartol. de Cremona ». Si firma: Francisons Blanc magister pulveris et bombardarmi. La lettera è nel Carteggio diplomatico (Arch. di Stato, Milano), 1452, cartella 77. * Nella Rassegna Nazionale (vol. XLI, pag. 410) il sig. G. P· Assirelli inserisce un suo scritto sopra II giuoco del lotto in Italia, e mostra di non conoscere la monografìa intorno a questo medesimo argomento dettata da Giulio Rezasco ed inserita nel nostro Giornale (a. 1884 > p. 196)· Notiamo di passata uno strano errore, là dove si attribuisce al Panno 1576 il * riordinamento dato alla Repubblica da Andrea Doria (pag. 415)· * * * Nell’ Omnibus, giornale di Novi-Ligure (a. XIV, n. 20), si legge lin Nota delle opere di Lorenzo Cappelloni da Novi compilata da Andrea Verri. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Federico Donaver, Uomini e Libri; Genova, Sordo-Muti, 1888. L’ autore, giovine studioso, già noto per altre sue pubblicazioni, ci ha dato con questo volume edito recentemente, una nuova prova della sua lodevole operosità. 11 libro si compone, conforme una buona usanza in- GIORNALE LIGUSTICO 319 valsa da tempo anche fra noi, di nove saggi parte già noti, perchè usciti “ Ruc7®;,su giornali letterarii, parte inediti finora. Citiamo: La leggenda di Balilla, La gioventù di G. Macini, Il Conte di Cavour, Foscoliana, che ci paiono, tra gli altri, notevoli. Nel primo l’autore giovandosi opportunamente di documenti ignoti 0 trascurati dagli altri storici dell’ avvenimento , produce e spiega in modo ragionevole le origini del memorando motto popolare. Come tutti sanno, fino a pochi anni or sono, la miracolosa scintilla era ritenuto che partisse da un ragazzo, il quale con l’audace grido : Che Γ inse aveva scosso i cuori inviliti dei concittadini e dato principio alla gloriosa epopea. Lo studio dell’autore prova per contro che la rivoluzione era stata sotto mano preparata dal governo genovese, che il tumulto avvenuto per il mortaio incagliato a Portoria non fece se non affrettare ciò che sarebbe del pari e indubbiamente avvenuto, che non un ragazzo, con una ragazzaglia iniziò il tumulto, che infine l’identificazione del Balilla con un Giambattista Perasso è opera posteriore, anzi della prima metà del nostro secolo. Ad alcuno forse dorrà che anche questa pagina della nostra storia, cara al sentimento popolare, consacrata per dir così dall’inno che guidò la nazione alla riscossa ed al risorgimento venga sfrondata della sua parte più poetica. Ma sarebbe del pari ridicolo voler frenare il movimento critico che distingue lo spirito umano in questo scorcio del secolo decimonono, e per cui ogni manifestazione del pensiero e della volontà, 0 individuale o collettiva, è sottoposta a rigoroso sindacato. Lo studio è condotto con bontà di metodo, con imparzialità di intendimenti e di ciò, oltre le diligenti ricerche, va data lode all’ autore. Un altro dei saggi, importante per le notizie che ci fornisce, alcune delle quali attinte a fonte orale, è il secondo : La gioventù di Macini. È 10 spaccato della casa dove si maturò l’animo e l’ingegno del grande Agitatore che l’autore intende presentarci ; sebbene non tutti gli aneddoti raccolri mi paiano egualmente opportuni. Quanto conferisce, per un esempio, a meglio delineare la figura del Mazzini il racconto di certe debolezze paterne? Cosi pure alcuni documenti, come, per citarne uno, la lettera al Gazzino, che senza aggiunger nulla 0 assai poco, guastano 1’economia, dello studio, io avrei confinati in una nota ; e in una nota, se non addirittura omessa, avrei relegata la Ninnarella di una balia ad una bambina. Parmi che l’accettar tutto alla rinfusa non giovi nè alla miglior conoscenza dei tempi, né a quella dell’ uomo che forma 1’ argomento della monografia; parmi che si faccia un tristo servigio al biografato, allorché, concedendo a una malsana curiosità, si getta in pasto al pubblico tutto ciò che è caduto dalla penna di quello in un momento di distrazione. Curiosa per contro e degna di ricordo è la poesia latina composta dal Mazzini insieme a’ due Ruffini e all’avv. Ghiglione di Novi per isberteg-giare le manovre dei parrucconi universitarii, rivolte,, negli esami, a danno degli studenti intinti di pece liberale ; importanti tutte le notizie che vi si danno intorno al progetto formato da un Comitato di animosi per mettere Napoleone Bonaparte a capo di un impero romano, e sull’ operosità del Mazzini per dare coll’ Indicatore Genovese a’ suoi concittadini un giornale che esprimesse le idee e le speranze de’ nuovi tempi. Foscoliana ha sollevato, per confessione dello stesso autore, qualche rumore nel campo letterario. 11 D. dimostra in modo irrepugnabile , parmi, che il Foscolo scrivendo l'Ortis avea dinanzi alla mente non soltanto 11 Werther del Goethe, ma anche il romanzo francese del Léonard : Lettres de deux amants, habitans de Lyon. Le corrispondenze nella tessitura dei due lavori sono più d’una ed evidenti. Ben inteso, purché la critica si fermi a questo e non tenti, come fa il D., un riscontro di passi paralleli. 320 GIORNALE LIGUSTICO Cotesto parallelismo, se mi è permesso dir così, a me pare che non esista e credo che ne dubiterà la maggior parte dei lettori. Non posso però abbandonare questo argomento tanto agitato senza fare quaiche appunto su alcune considerazioni e conclusioni dell’autore, che a me sembrano veramente affrettate e poco esatte. Il D. nella lettera diretta prima al direttore del Fcinfulla della domenica, e più esplicitamente a pag. 197 del libro, non vuol riconoscere l’elemento politico che dal Foscolo venne introdotto nella redazione delle Ultime Lettere. « Per carità, egli scrive, non si venga a dirmi che V Iacopo Ortis è il grido patriottico dell’ anima di Ugo, che è la protesta del fiero poeta contro l’autore del trattato di Campoformio ». — Ma se ciò si nega, come S1 spiegano allora le lettere del romanzo che manifestamente vi alludono, 0 che sono pervase dal disperato desiderio della patria perduta, come si spiega allora la fiera lettera dedicatoria dell’Ode a Bonaparte liberatore, in cui si denuncia apertamente la patria trafficata e l’ignominioso trattato riceve la meritata condanna? E la lettera dedicatoria, come il ip* è del 1800, ossia si colloca tra il 1799, anno in cui il Foscolo pubblicava la Vera storia di due amanti infelici, e il 1802 con il definitivo rifacimento delle Ultime Lettere. A mio parere poi è molto fuor di luogo il discutere, sempre a piopo-sito del Iacopo Ortis, se il Foscolo nutrisse davvero sentimenti unitari e d'indipendenza come altri gli volle attribuire. Ho detto discutere ed avrei dovuto dire negare. Difatti P A. se ne sbriga molto brevemente con e parole: mi si permetta dirlo, non lo credo affatto. Lasciamo stare se il severo giudizio, quale risulterebbe da siffatta negazione, sia sP^s.'°na·0' io non oserei pronunciarlo per quante possano essere le contraddizioni semisconfessioni dell’uomo; ma è egli poi necessario parlare di unta proposito dell’amor patrio che inspira molte pagine àt\Y Ortis. ^ . Se debbo esprimere candidamente il mio modo di pensare, pairnl c le parecchie pagine le quali incominciano la lettera dall' A. diret a Checchi sull' Ortis, non aggiungano che assai poco alla lettera s es , dove la questione delle derivazioni del Foscolo dal romanzo del Leona era opportunamente posta e trattata. L’A. in alcuni punti vuol Ρ10νί1|Γΐ troppo, come per un esempio a pag. 191 dove afferma che « si nictre 1 dubbio dai più se il Werther abbia avuto alcuna parte nell’origine ^ romanzo foscoliano « — e in generale la natura morale del Fosco 0 è giudicata, malgrado tutte le debolezze e tutti i torti che l’uomo a potuto avere, da un lato solo, il che è quanto dire con molta ingius ìzi · Fra gli altri saggi è notevole per le copiose notizie recate intorn scrittore quello su la vita e su le opere di M. A. Canini: buono p un’ opportuna misura servata nella trattazione e per certa scioltezza spontaneità di forma l’altro dal titolo : lì Conte di Cavour. ^ „ Non direi lo stesso de’ rimanenti, che si risentono un po’ troppo occasione in cui furono scritti ; sono insomma troppo articolo, tropp poco saggio , e gettano perciò una nota alquanto stonata in mezzo ag altri di maggior lavoro e di ben maggiore importanza. In complesso questo libro, malgrado le poche mende che troppo min tamente forse son venuto notando, è prova di studi pazienti e coscienziosi; è un saggio a sua volta ed una promessa del molto che il D. potrà fare nell’ avvenire. Carlo Braggio. Pasquale Fazio Responsabile. giornale ligustico 321 DEL SEGNO DEGLI EBREI (Continuazione v. pag. 266) II. Dirò primieramente d’ Anagni, l'antica sede degli Ernici, thè nel corso d’ un secolo diede quattro Pontefici alla Cristianità; alcuni non senza gloria. Nella quale città dimorarono tranquillamente gli Ebrei fino ab antico e con privilegi riconosciuti dal Papa. Ciò fu quando gli Anagnini ribellatisi dalla S. Sede e fautori degli Antipapi Roberto e Pietro di Luna, tornati alla ubbidienza del Papa, convennero con lui il 4 maggio 1399 una capitolazione, dove fra le altre cose si dice: Iudaei Civitatis Anagninae gaudeant privilgiis et dignitatibus dictae civitatis sicut et alii cives dicti loci pociuntur et gaudent (1). Erano perciò gli Ebrei considerati in Anagni cittadini perfetti fino da quel tempo ; e si può presumere anche da prima, essendo usanza in simili atti di far confermare i capitoli 0 privilegi antichi, non chiederne de’ più larghi chi era uscito allora di ribellione. Ma poscia, non mi par vano il crederlo, questa larghezza dovette venire in uggia a maggiorenti, sdegnosi di compagnia nella dignità, più sdegnosi di estranea: onde quella fu ristretta. Il ristringimento si appalesa nello Statuto Anagnino che ci rimane, in due frammenti più vetusti: il quale, scritto nel 1517, se non potè essere esemplato dagli Statuti antichissimi, allora perduti, si fu da uno che in quell’ anno era già divenuto pene-temporibus longitudine obliterato : ma disgraziatamente con va- (1) Theiner, Codex diplomaticus dominii temporaìis S. Sedis, III, 981 Giorh. Ligustico. Anno XV. -, 322 GIORNALE LIGUSTICO riazioni e giunte (i). Nella quale copia i termini della capitolazione di Bonitazio del 1399 vennero recati in questa forma: Et ipsi ludaei in civitate nostra habitantes vel morantes cum familiis suis pro nostris civibus penitus habeantur et civium immunitatibus statutis et beneficiis singulis decernimus eos gaudere. Ecco pertanto gli Ebrei spogliati de’ privilegi e delle ^1' gnità o vogliamo dello Stato 0 degli onori del Comune, che sono i nostri diritti civili e politici; e non più cittadini perfetti od interi, ma tali che pro nostris civibus penitus habeantur. Quando ebbe luogo il geloso mutamento, da riscontri di carte, e per molte considerazioni d’uomo versatissimo, si può conghietturare poco lontano dal 1530. Le altre disposizioni in torno agli Ebrei accolte in questo Statuto non sono molte. Esso apriva la città a quelli che volevano abitarvi, pure tenessero banco di prestare ad usura togliendo invai labilmente per sè soldi due il giorno de’ soldi prestati per un giorno solo, e sei lire di denari il mese delle lire prestate per mese, alla pena di quattro lire agli ingordi : la quale pratica giovava per lo più i piccoli rivenditori nelle loro contratte zioni in mercato. Ammetteva ancora il prestare a carta, pegno ed a sicurità. Secondo l’usato d’altri luoghi non permetteva che gli Ebrei per la Pasqua si mostrassero pubblico: veramente nel più de’ luoghi ciò si proibiva ne settimana santa, per esser giorni di dolorose memorie potevano accendere i Cristiani contro di loro, e non que gloriosi della Risurrezione: non era lecito ad essi tener balie cristiane pe’ loro bambini. Potevano far mercanzia, ma no di grasce, come grano, orzo, frumento, vino, fave, spelta se non rivendendole ad Ebrei, salvo il vino raccolto nel suo che potevano vendere a chicchessia al pari de’ Cristiani ; dunque avevano terreni in proprio, per effetto de’ diritti ii) Df. Magistris, Lo Statuto di Anagni, pag. 7 e seg.: Roma, 1880. giornale ligustico 323 civili in questo conservati. Era loro interdetto di tener sinagoga} e nè pure in casa, cioè privatamente, sinagoga nè scuola; dunque erano vietati agli Ebrei i riti della loro religione; tirannia non usitata dagli stessi Musulmani (debbo fare talvolta di questi raffronti, con gran dolore), i quali permettevano agli Ebrei ed a’ Cristiani Γ esercizio de’ loro culti nei templi e nelle case (1). Del Segno lo Statuto non fa motto: ma non e da rallegrarsene con Anagni, chè pur v’ era nel 1453 e dopo sarà continuato, leggendosi in un libro di conti una partita di quell’anno, nella quale si porta ad entrata la multa, pare di sessanta denari cioè di dodici soldi, pagata da due Ebrei di Anagni eo quia non deferebant Signia (2). Nel 1569 Pio V cacciò gli Ebrei da Anagni e da tutte le terre ecclesiastiche , eccettuata Roma ed Ancona. — Degli Ebrei di Ancona si fanno diverse conghietture, quando prima capitassero in quella città. Fatto è che le cronache cittadine, incominciano a parlarne nel 1348, notando che in quell’anno crebbero assai di numero ; forse chiamati dai Malatesta a rim-popolare quella città, quasi deserta dalla morìa e dal fuoco, con gente esperta de’ commerci e procacciante. E gli Ebrei in que’ primi tempi vi trovarono stanza onorata, con ogni maniera di libertà, solo nella religione diversificando dai cittadini. Se non che dopo non molti anni venne in Ancona irate Giacomo de’ Minori, detto della Marca, uno di quelli che correvano al fiuto degli Ebrei per acquistare da Dio il merito di tribolarli. Il quale avviluppando nelle sue reti il (1) Statui. Anagn., V. 72. Ms. Munie. Anagn. Amari, Stor. Mus. Sic. cit., i, 476. (2) Libro delle entrati ed uscite della Tesoreria provinciale di Marittima « Campagna, pag. 61. Ms. Arch. Rora. Sono debitore di questa notizia e d’ altre alla cortesia dell’ egregio Cav. R. Ambrosi De Magistris, Bibliotecario nella Vittorio Emanuele di Roma. 324 GIORNALE LIGUSTICO Popolo ed il Senato Anconitano (allora Signori) ottenne da loro il 7 aprile 1427 che gli Ebrei non abitassero se non tutti insieme in alcune vie sudice, e portassero gli uomini cucito in petto ed apparente un gran tondo giallo , e le donne i cerchielli agli orecchi, come le Ebree perugine gli annelli, che credo una stessa forma di orecchini. Di ciò si commosse quella Comunità Israelica e con altre insieme mando querela a Papa Martino V, che amorosamente Γ accolse, e con Bolla del 1429 ne fece ragione, dando bravamente sulle mani a’ Frati Predicatori (primi i Mendicanti) ed ai Confessori, alla cui indotta si facevano quelle leggi, le quali condanno per offensive alla carità cristiana (1). Ma quantunque il buon Papa minacciasse P indignazione di Dio e degli Apostoli Pietro e Paolo a chi contraffacesse alla sua Bolla, pure il Popolo ed il Senato Anconitano credettero più alle ciance di Frate Giacomo, che non temettero la pena del Papa; e la separazione fra Ebrei e Cristiani fu sempre mantenuta. Separati i vivi, si vollero anche i morti separati, facendo agli Ebrei fabbricarsi un cimitero da sè, chè prima si seppellivano i loro corpi nel Cimitero cattolico; così la separazione e Γ odio fra i due popoli si resero perfetti in vita ed in morte. Nel 1494» non ostante che in Ancona fosse un Monte di Pietà, quivi appellato de’ Meriti, fu permesso agli Ebrei di aprire un Banco di prestito ; nel quale, alcuni affermano, si usureggiasse e truffasse , oltre misura; onde il Senato punì i Banchieri in mille ducati d’ oro. Per altro vuoisi notare, che tre anni dopo, per cavar danaro dalle loro borse in una carestia, egli concesse agli stessi Banchieri agevolezze nelle loro faccende, ed alle mogli Γ esenzione dal Segno de cerchielli ; dal che si argomenti se non possa dirsi dubbiosa la giustizia della pena dell’ usura, 0 non fosse piuttosto il pretesto d un (1) Martini P. V, Constitut. 6 Iun. 1423. Vedi Parte I. GIORNALE LIGUSTICO 32S balzello. P0i ancora altra gravezza, quella della spesa della tazza d’argento, dal 1498 in giù assegnata in premio il di di Pasqua al vincitore del giuoco della balestra. Pure il Senato talvolta si porgeva loro benigno, quale fu nello stesso anno di questo tributo, difendendoli dal Vescovo che gli aveva vietati di celebrare più innanzi nella loro sinagoga; ed egli a rincontro decretando: Non ostante alcun ordine di messer lo Vescovo celebrassero. Ma la volontà sua ed il suo giudizio sovente s informavano dalle suggestioni di Consiglieri non sedenti in Consiglio. Imperciocché, nel 1527 egli, improvvisamente cambiatosi senza nota cagione che lo valesse, obbligò gli Ebrei a portare un berretto giallo per Segno ; e nel 1528 lasciando parlare il suo buon senno, sospese il decreto, dicono per 1 opera degli Ebrei nell’allontanare il pericolo della occupazione de’ Francesi avviati alla volta di Roma a liberare Clemente VII prigione de’ Tedeschi. Paolo III continuò que’ benefìzi, e nel concedere l’anno 1547 al porto di Ancona la franchigia, vi comprese i Turchi, gli Ebrei ed altri infedeli, massime Levantini, per favoreggiare specialmente i commerci orientali, a cui la postura della città era disposta mirabilmente; ed oltre a questo liberò gli Ebrei dalla servitù del Segno. Che più? Anche Paolo IV ne' principj del suo lugubre pontificato non seppe resistere a quel corso di amorevolezze , ed ordinò che le nuove merci, dopo tenute a mostra in Ancona gli Ebrei, potessero portarle a vendere in tutto il dominio; ma fu troppo faticoso sforzo , e la tigre tosto riprese il suo istinto. Del che egli diede esperienza partecipando ad Ancona la terribile Costituzione del 1555 , che loro ritolse d’un tratto la concessione sua e quella degli altri (1); aggiuntavi la gabella annua di dieci denari (i) Pauli P. IV, Constit. 12 lui. 1555. Vedi Parte I. 326 GIORNALE LIGUSTICO d’ oro imposta da Giulio III a ciascuna Sinagoga e da Paolo eziandio alle demolite, che è più strano, d’ ordine suo. Sotto la quale oppressione, avviamenti, speranze e guadagni andarono in fumo, appunto mentre diventavano più promettenti. Ma tuttavia in breve accadde un fatto di gran lunga più spaventoso perchè non mai riparabile. Marrani o Marani si dicevano allora gli Ebrei e Maomettani che al tempo della cacciata loro dalla Spagna e dal Portogallo, per non distaccarsi dalla patria e conservare le loro sostanze, s’ erano resi Cristiani, ma nel cuore custodivano le credenze avite, o professavano un culto misto di quello al quale avevano fatta non volontaria rinunzia. Contro quegli animi deboli s era rivolto più vivamente lo sdegno del Re Giovanni III di Portogallo, che si struggeva di sterminarli. Però Paolo III , non appena salito nella Sedia Apostolica, vedendo come il tristo morbo si curasse sciaguratamente, con zelo cieco più che pietà, senza nè conoscerne la natura, pensò di provvedervi. E con suo Breve confermò la decisione di Clemente VII, onde non si dovevano estimare recidivi coloro i quali per forza furono tratti al Sacramento, secondo la dottrina fonda-mentale cattolica, repugnante ad ogni violenza (i). Dietro le quali traccie andò Giulio III quando concesse agli Ebrei Portoghesi di abitare in Ancona e altre terre del dominio ecclesiastico, loro e loro mogli e figliuoli, e osservare lor culto, ancora che in altri tempi fossero vissuti cristianamente, proibendo agli Inquisitori di offenderli (2). Della quale autorità si armavano i Governi secolari a fronte degli Inquisitori che tentavano di soperchiarli; massime i Duchi Estensi (1) Pauli P. Ili, Constit. A. 1534, Bullar. Cocquelines, tom. IV par. I. pag. 134, col. 2. (2) Iulii P. III, Brev. 6 decembr. 1552. giornale ligustico ed ordinariamente la Signoria di Venezia (i). Ma Paolo IV succeduto ai predetti Papi, o sia che Γ infiammasse Γ odio contro gli Spagnuoli da lui chiamati eretici, scismatici e maledetti da Dio, seme di Giudei e di Mori, feccia del mondo ; o sia che il veleno della crudeltà gli trafiggesse le viscere, egli si gittò dietro le spalle le Bolle de’ suoi predecessori e gli affidamenti sacri dati da quelli agli Ebrei in Ancona; e mandò in essa città un Commissario sopra di loro. Uomo del suo cuore doveva fare quel che fece. Egli gli imprigionò, taglieggiò, processò, condannò: o l’abiura o la morte: abiurarono sessan-tatrè, morirono ventiquattro, compresa una donna, appiccati ed arsi. Il qual misfatto quando avvenisse non è ben certo ; per alcune circostanze pare che nel 1556 (2). Ma è certo il fatto, provato per testimonianze chiare, irrepugnabile quella del Cardinale Michele Ghisleri, nel tempo San Pio V. Il quale in sua lettera del 4 febbraio 1559 al Duca di Ferrara fa cenno de’ Marrani, che tanto giustamente, egli scrive, furono già fatti abbruciare in Ancona (3). Adunque il dubitare di quel supplizio, come fece taluno, non argomenta se non il desiderio che sia falso, ed in ciò siamo tutti concordi. Conveniva a Pio IV, che purgò la stalla del reggimento del Caraffa , pure nel sangue suo, benché paia trasmodante il gastigo, di rialzare i cuori degli Ebrei, non meno che de’ Cristiani. Onde è che per moto proprio del 27 febbraio 1562, cancellate le disposizioni del precedessore, allargò gli Ebrei d’ Ancona a comprar case e poderi fino ai valore di scudi 1500 d’oro per (1) Sarpi F. Paolo, Consulta 13 genn. 1613, 22 febbr. 1616, n. 12: ms. Arch. Ven. Pesaro, Memorie sulla Comunità Israelitica Ferrarese, pag. 17: Ferrara, 1878. (2) Feroso, Gli Ebrei Portoghesi giustiziati in Ancona sotto Paolo IV, pag. 5 e seg.: Foligno, 1884. (3) Id· > Pa£- l8· 328 GIORNALE LIGUSTICO ciascuno; ricuperare gli stabili venduti per la proibizione di Paolo IV, se i compratori non gli avessero ancora pagati ; avessero famigliarità onesta e conversazione co’ Cristiani; negoziassero qualunque materia con quelli; tenessero botteghe anche fuori del Ghetto. Per altro verso conveniva a Pio V, laudatore dell’ eccidio de* Marani, di confermare la Bolla di Paolo IV, la quale non bastandogli ancora, egli raccolse e costrinse gli Ebrei del suo Stato tutti in Roma ed Ancona e li serrò dentro i Ghetti, se non volevano sgombrare dalle sue terre fra tre mesi, sotto pena della servitù perpetua (i). Sisto V li liberò (2). E Clemente Vili che il 2 luglio 1593 richiamò novamente la Costituzione Paolina avrebbe annullata affatto quella liberazione, se grande apprezzatore qual era dell’ utile apportato alla sua Camera dai traffici degli Ebrei, non avesse per questa parte a quella Costituzione derogato per gli Ebrei d’ Ancona. Di fatto dopo pochi dì incominciò per sue Lettere in forma di Breve con dar libertà agli Ebrei orientali ed altri mercanti di Ancona di girare gli Stati suoi a far negozi di mercanzia e simili faccende de’ loro esercizi, portando in viaggio e nelle osterie il cappello nero in iscambio del rancio (3). E con Bolla degli 8 marzo r594 approvò la franchigia del porto, graziò gli Ebrei di godere 1 capitoli conceduti da Paolo III suo antecessore, e raffermò quello che pe’ viaggi loro egli aveva stanziato nel suo Breve imponendo a’ Vescovi di non molestarli. Tanto che sapendo che alcuni suoi Ministri, più cattolici di lui, andavano di male gambe in su queste indulgenze 0 recalcitravano, una volta egli fece scrivere dal Cardinale Marcello al Vicario Vescovile di Ancona, per avvertirlo, che il Papa (1) Pu P. V, Constit. 22 febb. 1569. Vedi Parte I. (2ì Sixti P. V, Constit. 22 oct. 1586. Vedi Parte I. (3) Clementis P. Vili, Brev., 11 jul. 1593. giornale ligustico 329 disapprovava le molestie eh’ egli dava continuamente agli Ebrei contro i privilegi conceduti loro in beneficio del commercio:... e s^ccomeì conchiudeva il Cardinale, dispiacerla a Sua Santità che si perturbasse quel traffico che si desidera conservare ed accrescere , cosi bisogneria pigliarci rimedio, che patria essere di poco gusto suo. Si deve pur dire che per questo lato Paolo V, anch egli favoreggiò gli Ebrei, Levantini ed altri mercanti d Ancona, posciachè ne’ loro viaggi i Gabellieri usando di addaziarne non solo le merci ma ancora le persone, e vessarli pel cappello nero, il Camerlengo di S. Romana Chiesa comandò a tutti i Magistrati 1’ esecuzione del Breve di Clemente Vili degli 11 luglio 1593 sotto pena di mille ducati d oro (1). Ciò non ostante a questi esempi non attese Alessandro VII quando il 10 luglio 1659 proibì agli Ebrei di far botteghe fuori del Ghetto, conversarvi e pernottarvi, ma tutti doversi intanare, la notte entro il Ghetto ; cosa tanto disonesta che pregiudicava lo stesso commercio cittadino, come fece chiaro al Papa il Magistrato Anconitano , il quale almeno ottenne la libertà del pernottare. Intanto la rivoluzione francese romoreggiava, in sull’alpi, e nel pericolo temuto di ribellione, sapendo i Reggitori quali disposizioni potessero avere gli Ebrei sul fatto loro, cercavano con grande affanno, che non si accostassero co’ Cristiani a farle comuni, e che gli Ebrei fossero ad occhio raffigurati nelle commozioni per metter loro le mani addosso. Quindi Pio VI sotto gravi pene rinnovò gli ordinamenti che interdicevano qualsivoglia commercio, famigliarità e convegno fra Ebrei e Cristiani ; ed ingiunse che il Segno giallo fosse visibile e gli uomini lo portassero al cappello ben cucito sopra e sotto la falda. Ma tuttavia la Rivoluzione si avvicinò, e, subito aperte le porte, (1) Lettera del Card. Aldobrandini della S. R. Chiesa Camerlengo, del 5 aprile 1609. 330 GIORNALE LIGUSTICO entrò la libertà. Caduta la libertà Leone XII restituì agli Ebrei ed ai Cristiani tutte le prescrizioni della servitù, eccetto a primi il Segno e la cenceria. Ad ultimo apparvero Pio IX e Vittorio Emanuele, l’uno che incominciò Γ altro che compì la liberazione (i). — L’anno 302 in Bologna furono morti per la Fede i santi Vitale e Agricola, e sepolti nel suolo degli Ebrei. Di questo si tenevano gli Ebrei, onorando morti quelli che avevano perseguitato vivi. Ma i Fedeli al contrario si diedero a ricercare le spoglie de’ loro Martiri, come infra le spine, la rosa. E quando trasportavano alla Chiesa le sacre reliquie, gli Ebrei circondarono il corteo; e dissero alla vista de Mar^ tiri : Flores visi sunt in terra; ed agli applausi de Cristiani nella Chiesa : Vox turturis audita est in terra nostra (2). Pn vilegio delle grandi virtù 1’ essere riverite anche dagli avver sarii. Dal predetto anno in giù trascorse un lungo spazio d’ogni luce muto, fino al 1171, nel quale gli Ebrei per eccessive usure furono banditi da Bologna, volendo più pres i cittadini il disagio del danaro che non quella esosa se vitù (3) ; e non vi ritornarono, secondo pare, che verso ^ ultimi del secolo seguente (4). Nel secolo XIV, che fu 0 il più propizio, vi possedevano case e ricchezze, e andavan accomunandosi co’ Cristiani (5). Il perchè nel 14*7 ^ e scovo Niccolò Albergati, poi beatificato, temendo per la 1 tegrità della Fede, specialmente da quella dimestichezza, mise in osservanza la Costituzione d’Innocenzo IH e » (1) Il succo di questa narrazione relativa agli Ebrei di Ancona iu 1 dal buon libretto di C. Ciavarini , Gli Israeliti in Ancona, Anco 1870. Valga questa citazione per tutte che abbisognassero. (2) Sancti Ambrosii, Opera, col. 279, 280: Parisiis, 1690. (3) Ghirardacci, Historia di Bologna, I, pag. 91 : Bologna, 159°· (4) Ravà e Zamorani, Gli Israeliti della Città di Bologna (Annali Statistica, Ser. III, vol. IX, pag. 195). (5) Ivi. GIORNALE LIGUSTICO 331 obbligò a portare un Segno manifesto di panno giallo in capo 0 su^ Pett0 ; comandò che tenessero chiuse le botteghe ne* di festivi, non riscuotessero frutto più di quattro soldi per lira (20 per 100), non sei come prima; ed assegnò a loro ricovero la sola contrada gran tempo addietro prescritta dal Magistrato, che poscia si chiamò l'Inferno (1). Questo ordinava quel Vescovo nel 1417 ; e nel 1429 Martino V metteva fuori la sua Bolla, dove egli rendeva pietosa ragione ai sodalizi Israelitici che si erano rivolti a lui contro i loro oppressori (2). E ne seguitò una certa calma, non senza qualche esacerbazione, infino a tanto che gli Ebrei Bolognesi furono in un fascio cogli altri travolti tutti sotto la tortura della intera vita, fabbricata per loro da Paolo IV (3). Ma gli Ebrei Bolognesi ebbero di più in proprietà da Pio V di dovere star fermi alle percosse e non causarle mai. Onde i ricchi non potendo sopportarla più, unte le mani a’ Custodi del Ghetto, una notte i chiavistelli della prigione scorsero, ed eglino ricoverarono in Ferrara con le mogli e i figli (4). Del quale fatto il Papa prese tal dispetto che nel 1569 cacciò via tutti gli Ebrei dai suoi Stati, eccettuati quelli di Roma e di Ancona (5), e caricò gli Ebrei Bolognesi partenti (circa 800) di scudi quarantamila di taglia; nella quale occasione il Cimitero Israelitico fu popolarmente buttato sossopra (6). Novamente vennero in Bologna nel 1586, e novamente congedati nel 1693 (7). Tuttavia il passare per la città ed il (1) Zanotti, Vita del B. Niccolò Albergati, Vescovo di Bologna, p. 96: Bologna, 1757. (2) Martini P. V, Const. 13 febr. 1429. Vedi Parte I. (3) Pauli P. IV, Constit. 12 jul. 1555. Vedi Parte I. (4) Ravà, op. cit., pag. 196. (5) Pii P. V, Constit., 22 febr. 1569. Vedi Parte I. (6) Ravà, op. cit., loc. cit. (7) Id. ivi. 332 GIORNALE LIGUSTICO fermarvisi qualche dì alle volte si permetteva. Alcuno scrittore afferma dell’ obbligo del Segno giallo in Bologna quando al suo tempo non vi era più testa di Ebrei; il che farebbe supporli suggetti a quella prescrizione anche nel loro passaggio (i) come in Toscana dopo tre giorni di permanenza (2). Certo è che giunti tardi la sera in città, potevano pernottarvi purché alloggiassero alla osteria del Capei Rosso, ripartendo la mattina seguente alla levata del sole, se per legittima causa non fosse loro concessa la fermata di pochi giorni ; con pene di corda e di multa ad alloggiare altrove , e rifacimento di danni al padrone della osteria che aveva la privativa. Nel 1764 si aggravò, che non potessero prendere albergo nè mancò fuori di città entro il circuito di tre miglia, acciocché non si mischiassero e conversassero co’ Cristiani a loro piacimento (3). Dopo la Rivoluzione francese gli Ebrei ripresero in Bologna le loro case ; nè avrebbero gran fatto a lamentarsi della signoria Pontificia risorta nel 1814, se non fosse accaduto il battesimo furtivo ed il rapimento del fanciullo ebreo Edoardo Mortara, di che parlò tutta Europa (4). - Che gli Ebrei godessero nella città di Ferrara, correndo il secolo tredicesimo , assai favore ed autorità non sembra da dubitarsene, se eglino meritarono che i loro privilegi fossero assicurati per pubblico decreto, da cui nè Podestà, nè altro Magistrato, nè tampoco lo stesso Papa, ma solamente il Marchese poteva U) Masini, Bologna perillustrata, pag. 69: Bologna 1866. (2) Band. Tose., 26 settembre 1573. (3) Notificazione del Prete Card. Gastaldi, della città di Bologna e Con tado a Latere Legato, degli 8 giugno 1682. Editto del Prete Card. Ser· belloni, della città e Contado di Bologna a Latere Legato, del 16 novembre 1754. (4) Raνλ, op. cit., pag. 197· giornale ligustico 333 assolvere (i). Onde per la sicurtà che forniva quella terra agli Ebrei, altri assai senza gli antichi vi sopravvennero, particolarmente delli scacciati nel 1492 dal Portogallo e dalla Spagna e molti Marani, i quali a quell’ aere di dolcezza e di liberta straordinaria presero coraggio di riabbracciare il Giudaismo, dismesso apparentemente per forza e dap-pocaggine (2). Ma questo grande aumento di popolazione di lede diversa forse fa la cagione che condusse il Duca Ercole I nel 1496 a rinnovare più stabile l’ordine statutario del Segno distintivo degli Ebrei, sul petto, di nastro giallo ο lancio, largo quattro dita, a forma di scodella, eccette le principali persone de’ Banchi comunemente conosciute ; e nel 1670 ancora i dottori, gli studenti e loro famiglie (3). Nel 1539 un Cronista Bolognese scrive che cinque mila Marani andarono a Ferrara (4). Mi sembra una di quelle bubbole così facili alli scrittori popolari quando vogliono riferire di cose estianee alla loro terra; visto che il numero degli Ebrei Ferraresi nel 1590, non passava i due mila compresi dugento Marani tra Portoghesi e Spagnuoli : ma nondimeno che nuovi Marani convenissero quell’ anno in Ferrara mi sembra ancora da potersi credere (5). Tanta era la pietà e clemenza del Governo ducale che nel 1590, essendo una fiera carestia, il Duca Alfonso II raunò quanto più potè vettovaglia spendendovi grossa somma, e ne fece pane che dispensava alla giornata (certamente a prezzo onesto) senza differenza, se (1) Muratori, A. M. Æ., dissert. XVI. (2) Pesaro, Memorie Storiche sulla Comunità Israelitica Ferrarese, p. 17: Ferrara, 1878. (3) Cittadella N., Notizie relative a Ferrara, pag. 298: Ferrara, 1864. Pesaro, loc. cit. (4) Rainieri, Diario Bolognese, pag.93 : Bologna, 1887. (5) Pesaro, op. cit., pag. 34. 334 GIORNALE LIGUSTICO non nel numero delle bocche, alle povere famiglie, tanto de’ cittadini, quanto degli Ebrei ; il quale fatto diede il modo per la numerazione degli Ebrei (i). Sventuratamente l’ottimo Alfonso fu l’ultimo de’ suoi, e nel 1598 al reggimento Estense succédé 1’ Ecclesiastico. Fra lo sgomento degli Ebrei il nuovo Governo promulgò subito una Costituzione, colla quale promise tolleranza, a queste condizioni ; che gli uomini portassero attorno al berretto 0 cappello un velo giallo e così le donne : permise ogni traffico e mercatura anco de’ grani, olii e seta , ma li proibì di acquistare stabili di sorta alcuna e tenere i già posseduti, che dovevano vendere entro cinque anni e dentro quattro mesi le bestie date in soccita : permise il cimitero, ma li privò di amministrare dazi e gabelle e condurre Banchi, donde cavavano la maggior parte della vita; se non che pe’ tristi negozi del Monte di Pietà i Banchi furono prorogati fino al 1683 (2). Tolto il possedimento degli stabili, tolti gli uffici, lasciati i Banchi per necessità passeggera , rimaneva 1' abitazione promiscua co’ Cristiani e la libertà di muoversi e conversare; e pur questo si tolse, ordinandosi nel 1626 che gli Ebrei si restringessero tutti e soli nella via Sabbioni e in altre tre vicinissime, con porte a’ capi delle contrade per chiudersi la sera e aprirsi la mattina. Ed agli Ebrei si concedettero le case di quelle vie colla stessa forma livellaria che nel Ghetto di Roma e colla stessa ingordigia fiscale, tanto che la popolazione israelitica venendo ogni dì più a scemare, ciò nondimeno la Camera Pontificia voleva che le si pagassero dalla Comunità gli affitti delle case quantunque mancati gli abitatori (3). Quindi continuando (1) Pesaro, op. cit., pag. 32. (2) Costituzione del Card. Aliobrandini Legato di Ferrara del 27 febbraio 1598. (3) Pesaro, op. cit., pag. 37, 41, 76. giornale ligustico 335 si forzarono gli Ebrei a tanti per volta alla predica in Duomo la domenica ; la domenica, perchè la maggior frequenza de’ Cristiani per le vie in quel dì accresceva il numero de’ bef-feggiatori mentre essi andavano alla Chiesa; e passarono sessanta anni prima che si assegnasse a quell’uopo 1’O-ratorio attiguo al Ghetto e vi si aprisse una porta interna (i). li colmo delle offese insensate e dei dolori arrivò nel 1733 e seguì, sotto il Cardinale Ruffo, nome malaugurato: vietato severamente agli Ebrei il conforto de’ libri sacii non trasfigurati dall’Inquisizione ; non più l’ultimo addio delle esequie pubbliche ; non più lapidi a ricordare 1 affetto e le virtù de’ trapassati e pochi anni appresso rimosse le antiche; non più esenzioni dal Segno già concesse a più meritevoli ; non aiuto di levatrici e non balie cattoliche in servizio degli Ebrei ; non comodo di carrozze nella città per qualunque bisogno che se ne avesse; non libertà di uscire da quella senza licenza ; e strazio maggiore , strappati dal seno materno i bambini e dati a mani strane, pure che una fantesca cristiana asserisse di averli comunque battezzati (2). Per lo che si può immaginare se il grido della Rivoluzione Francese fosse gratamente udito da quei tribolati. Di fatto entrate in Ferrara il 23 giugno 1796, le milizie francesi, la nuova signoria abolì il Segno, volle che i portoni del Ghetto non si chiudessero più, e che fra Ebrei e Cittadini non fosse differenza ne’ diritti civili: un anno dopo i pilastri del Ghetto venivano ragguagliati al suolo, ed il prezzo de’ materiali dispensato per limosina a’ poveri (3). E la Signoria Austriaca, successa nel 1797 alla repubblicana Francese , non apparve meno civile e cristiana dichiarando liberi gli Ebrei di andare (1) Pesaro, op. cit., pag. 43, 44. (2) Pesaro, op. cit., pag. 60, 83. (3) Pesaro, op. cit., pag. 60 61. 33^ GIORNALE LIGUSTICO dovunque li chiamasse il loro commercio (i). Diversamente il Governo Pontificio redivivo, per opera di Leone XII, ordinò in Ferrara ciò che in Roma; nè era sperabile, che quella mano di ferro s’ alleviasse mai : ma a quel fatto Pio IX diede correzione divina per sempre. Poche parole intorno alle Comunità minori ferrareresi. In una delle quali, ciò è in Lugo, credono per lunga fama i Ravennati essersi, quando che sia, incorporati i loro Ebrei (2), pure esistenti e costituiti in corpo, con Sinagoghe all’esercizio del culto, ne primi del secolo XIV. Questo essendo attestato dal Si-nodo di Ravenna dell’anno 1311, prescrivente che gli Ebrei della Diocesi si discernessero da’ Cristiani nella differenza delle vesti e degli atti ; nè si accogliesse ad abitazione alcun di loro oltre ad un mese fuori de’ luoghi sforniti di Sinagoghe (3). E questo attestando pure la via di Ravenna intitolata al loro nome, come in altre città le strade di cui eglino abitarono le case (4). Perchè poi cambiassero 1 imperiale Ravenna nell’umile Lugo, e quando, del primo non c è sentore ; del secondo alcuno attribuisce all’anno 1491 struzione dell’ antica Sinagoga di Ravenna (5) ; ma altra ce ne rimaneva ancora nel 1553 se in quell’anno si bruciarono colà, similmente che in Bologna, grandissima quantità di libri ebraici (6) : di modo che si può presumere che la (1) Pesaro, op. cit., pag. 70. (2) Da Lettera del Canonico Antonio Tarlazzi, benemerito de ino numenti storici Ravennati. (3) Synodus Ravennat, A. MCCCXI, apud Murat, A. M. Æ., Dissert. XVI. (4) Tarlazzi, Leti. cit. (5) Ellenberger , Leiden und Verfolgungen der Juden, pag. 75: Buda-Pest, 1882. (6) Emek ha-Bacha, versione francese fatta da Julien See, pag. 133: Paris, 1881. giornale ligustico 337 Com * ; ------’ pjo y0*11 ^avennate) come non poche, venisse meno sotto ti-hi FK^· S'a ^ett° a^meno Per memorare quegli an-. re^ ^ua^ a *nia notizia s’è perduta la traccia ; P* amo a quelli che si sanno. Nel 1598, tosto venuto il ,. ' ’ Ferrara alle mani della Chiesa, essa ridusse i Ghetti 9 a Provincia a tre soli, uno nel centro del Governo Cent UC ^anC^*’ e due Ghetti e Banchi fuori, uno in ,, e(^ a^ro >n Lugo ; su i quali Banchi sopravvissuti mutazione dello Stato, fu caricata una tassa di scudi oro per ciascuno de’ due di Ferrara e settanta per Un° SU que,li di Lu§° e di Cento (2). Gli Ebrei de’ Ghetti tintl ’ ®a§nacavallo, Cottignola, Fusignano e Massa fu- 0 tutti raccolti in quello di Lugo (3). In Bagnacavallo igata israelitica assai numerosa teneva una strada de-ominata Sarzana; aveva Banco ricchissimo, nel 1590 eser- ^ Un ^av’d da Sinigallia (4), e prima ancora che 1 blicata la morte del loro Ghetto, i terrazzani di colà liesero in grazia al Papa che gli ostinali e perfidi Ebrei fossero sformati a partirsi dalla loro Una e territorio (5). Quel di Cottignola fu piccolo Ghetto e Banco, in contrada detta la Castellina (6). In Fusignano stavano in due case presso la piazza del Marchese; là pure con Banco; e i Caleagnini, Signori del luogo, alcune volte provvidero per temperarne (1) In questo pochissimo che ho potuto mettere insieme degli Ebrei di Ravenna concorse l’opera sapiente di Pietro Perreau, e gliene protesto la mia gratitudine. (2) Decreto del Card. Aldobrandino Vice-legato di Ferrara, del 16 marzo 1598. (3) Soriani, Supplemento alla Storia di Lugo, pag. 55. Lugo, 1831. (4) Da Lettera del Canonico L. Balduzzi. (5) Constitutiones et Statuta Terrae Bagnacalmlli (A. 1598), cap. 30: Ferrariae, 1660. (6) Balduzzi, Lett. cit. Giorn. Ligustico. Anno XV. ,, 338 GIORNALE LIGUSTICO la soverchia cupidigia (i). Massa non porge nulla di notevole. Dei due Ghetti esteriori conservati quello di Lugo e certamente il più antico. Si vuole del secolo Χ1Π per una iscrizione sepolcrale del Cimitero israelitico, la quale poi ta l’anno 5045 dalla Creazione, rispondente al 1285 dell èra nostra, e dice così nel volgarizzamento di persona espeita . Vedete V Uomo sublime che fu posto nell’ arca in luogo di Pi incipe eccelso, Γ Uomo Mois'e, assai grande, fu chiamato il suo nome dei Passanim (2) ; giusto egli era e la giustizia amava, di cuore generoso compassionò il povero e padre fu chiamato degli indigenti e dei bisognosi agitati, pei quali scorreva le vie·· Primi doni della Signoria ecclesiastica a quegli Ebrei furono la chiusura del Ghetto nella strada di S. Agostino l’anno 1639, tredici anni dopo che in Ferrara, e la proibizione di possedere ini mobili se non per abitazione o culto entro il recinto. All avvenimento de’ Francesi fu aperto il Ghetto e richiuso al ri torno degli Ecclesiastici. Fu rimesso il Segno, del velo giallo intorno al cappello, e d’ allora in poi gli Ebrei non poterono più varcare la porta della città senza la licenza del Santo Uffizio. Dai quali trattamenti la popolazione della Comunità Lughese, la quale nel 1639 saliva a 606 anime, smonto a 300 circa. E con tutto questo gli Ebrei in Lugo costuma rono, anco negli ultimi tempi e sotto lo stesso Leone XII, trasportare pubblicamente i loro morti alla sepoltura a lumi accesi, senza turbazione ed ostacolo, benché la pompa (1) Fignagnani, Storia di Fusignano, pag. 117. (2) Il Canonico L. Balduzzi di Bagnacavallo, gentile e culto ecclesiastico, nel procurarmi quel volgarizzamento osserva : « La parola Passalim induce in questo caso il cognome che letteralmente significa Pasquali; ma mi consta che le famiglie Castelfranco portano in ebraico il cognome di Pas-saliim, e quindi è da ritenere che anche il Moisè surricordato appartenesse ad una famiglia di cognome Castelfranco ». giornale ligustico 339 passasse davanti a Chiesa cristiana principale; atto di straordinaria tolleranza che loda i Magistrati e la Città, e di cui non so quante altre più cospicue sarebbero state capaci (i). Finalmente la Comunità di Cento si costituì intorno alla metà del secolo XVI di quella della Pieve che dalla sua antica sede borghigiana discese alla città (2). Nel 1636 ebbero i suoi Ebrei il Segno ed il Ghetto chiuso ; ma insieme agevolezze di botteghe in piazza e di altre nel Ghetto dalla pai te della strada. Nè agli effetti delle grandi mutazioni europee ricordate altrove furono rimossi (3). Del resto dinanzi alla pubblica opinione della Romagna gli Ebrei generalmente non avevano punto di che compiacersi, tassati di usure scon-venevoli. Quali in Bagnacavallo, dove si affermò essere state del venti e trenta per cento e peggio col soprassello della usura sopra l’usura, donde venne la distruzione della terra e 1 arricchimento loro, come i terrazzani rappresentarono al Papa (4). Il perchè la Chiesa nel riformare lo Stato novello terminò il pregio dell’ interesse, non maggiore del quattordici per centinaio (5). Ma la censura, se meritata, non tocca menomamente gli Ebrei Lughesi. I quali più che danaro (1) Pesaro, Cenni Storici sulla Comunità Israelitica di Lugo (Vessillo Israelitico, A. XXIX), pag. 235, 236, 267, 268. (2) 11 sig. Abramo Pesaro conghietturando intorno alle ragioni che mossero gli Ebrei dalla Pieve di Cento a trasmutarsi in Cento, arreca fra le altre supposizioni l’ammazzamento d’una Ebrea con tre figliuoli. Questo fatto è stato riferito anche dal Rainieri Cronista contemporaneo Bolognese nel suo Diario, pag. 74: 1543. A dì.... detto fa morto a la Pieve da Cento, de notte, una Zodia che era mogliere de Museto, con tri figlioli e imo fameglio. (3) Pesaro, Ceniti Storici sulla Comunità Israelitica di Cento (Vess. Israel. A. XXX), pag. 41, 43, 74, 107, 108. (4) Constit. Statut. Bagnacab. cit., cap. 31. (5) Decret. Card. Aldoliran. cit., cap. 9. 340 GIORNALE LIGUSTICO trafficando merci pregevoli e rare e non senza lealtà, furono vera cagione che da quelle vicinanze si ordinasse verso la citta di Lugo un avviamento di vari e fidati commerci; onde essa divenne quasi emporio di tutta Romagna e gli Ebrei vi conser vano nome benedetto fi). — Trattando ora di Firenze e sue IV dipendenze, per non lasciarci addietro pensatamente nulla i portante, faremo capo da Luni. Poiché là possiamo notai e che intorno al secolo sesto avevano stanza gli Ebrei e vi possedevano terreni, che facevano coltivare a Servi Cristiani con gran dolore di San Gregorio Magno (2). Non dirò che lor discendenti , tirati alla bellezza del paese ed alla sua disposizione a com merci, entrassero molto più avanti lungo la costa orientale marittima. Dico, che camminando così nelle tenebre e qua cosa di abbattersi in quella direzione negli Ebrei di Pisa o13, usi ad abitarvi nell’ aprirsi del secolo quattordicesimo , dove avevano per sè una strada 0 chiasso e patti speciali di re0 gimento e di sicurtà col Comune (3). Invocata 0 accettata che fosse, per soccorrimento alle minute necessità della po polazione, la venuta degli Ebrei accenna costantemente a c ^ sordine sociale e morale; spesso dopo la cattiva prova prestatori cittadini e 1’ estremo rimedio del divieto assoluto della usura, il quale accresceva il male e rendeva necessaria una medicina che infine lo peggiorava. In Pisa divietata ogni spezie di usura l’anno 1286, pubblicamente o privata mente, e tenere per ciò bottega 0 solaio 0 tenda tesa (per nascondere a’ passanti le trattazioni col prestatore), sotto pena di moneta e della straordinaria ed enorme di non es sere udito a ragione da nessun giudice per nessun caso più grave ; circa ventisette anni appresso, gli Ebrei dimoravano (1) Balduzzi, Leu. cit. (2) Sancti Gregoru P. I, Registri, Ep. cit., IV, 21. (3) Breve Pisani Commun. (1313, 1327), III, 89. GIORNALE LIGUSTICO 341 tranquilli nella città (i). Furono chiamati in Lucca dopo ristretta d un poco Γ usura smisurata de’ prestatori cittadini (2). Ma in Firenze ci fu 1’ una cosa e l’ altra. Nel 1406 si proibì 1 usura e s’impose la restituzione di quella, e si sciolse dal- 1 obbligo di soddisfarla chi non l’avesse ancora pagata, quantunque nelle scritture 0 strumenti apparisse vera sorte ; questo si ripetè nominatamente agli Ebrei, esercitanti l’usura contra mandatum. Ecclesiae sanctae, minacciandoli della pena di mille fiorini in ciascuna volta (3); e s’inchiuse, per più forza dargli, nello Statuto del 1414 (4). Nondimeno 1’ usura non ismarrivasi, ma fu riammessa, sicché nel 1420 si dovette restringere, determinandola a non più di cinque danari per lira il mese, che torna il venticinque per centinaio l’anno (5). Per tal guisa tormentandosi sempre la piaga sociale senza mai indagarne le cause e curar quelle, arrivò l’anno 1430; sotto il quale, il giovane Ammirato scrive, nell’ aggiungere alle Storie di Scipione, che i mali della peste allora dominante erano fatti assai maggiori da ciò che la povertà volendosi aiutare, col proprio non poteva, se non con grandi usure. Dalle quali per sollevarla, fu deliberato da’ Padri d’introdurre in Firenze gli Ebrei, con dar loro licenza di prestare e pigliare al più quattro danari per lira, per ciascun mese ; cioè il venti per cento (6). Con questo provvedimento i Padri Fiorentini al certo avvisarono , che, aumentato di forestieri, più soggetti alla libera autorità dello Stato che non i cittadini, il numero de’ prestatori, la gara fra loro di condizione diversi sarebbe (1) Breve Pisani Commun. (1286) I, 183. id. (1313-1337), loc. cit (2) Vedi quel che si dice di Lucca in questa Illustrazione. (3) Provis. Fior. 24 jan. 1405. Ms. Arch. Fior. (4) Statuta Populi et Comunis Florentiae, Anno salutis MCCCC, lib. II, rubr. XIX. (5) Ammirato, Ist. Fior., lib. XVIII. (6) Id., op. cit., lib. XX. 342 GIORNALE LIGUSTICO stata un freno di più a tenerli tutti nella buona via; dacché non credo alla instituzione d’ un monopolio tanto pericoloso a favore de’ forestieri; o almeno Γ Ammirato noi dice. In altra parte il predetto luogo di quello scrittore porge dubbi, ed è quanto all’ anno ed alla asserzione che allora la prima volta venissero o fossero fatti venire gli Ebrei in Firenze ; non conoscendosi la fonte a cui egli attinse quelle sue notizie, taciute, ch’io sappia, dagli altri. Egli pone adunque a quella venuta l’anno 1430. In iscambio un Priorista , che per la natura sua avrebbe ragione di essere autentico , registra il 1436 (1), e con errore manifesto, mercechè si conservi nell’ Archivio Fiorentino una Capitolazione passata fra il Comune di Firenze e un Guglielmo, Mattasia e Abramo, zio e nipoti Sabatucci, condotti a prestare ad usura in Pistoia, la quale porta la data del i.° di settembre 1430 (2). Diversamente, se il Priorista ritarda il fatto, lo Statuto del Monte di Pietà, composto nel 1496 da uomini che cercarono la materia per bisogno particolare, lo anticipa, rimandando il prestare degli Ebrei in Firenze a settant’ anni addietro , che vuol dire al 1426 (3). La quale opinione, nella incertezza, mi pare più attendibile anche per ciò che sono per dire. Usava il Comune di Firenze eleggere a certo tempo un Collegio , formato della Signoria e di altri principali Magistrati, a cui devolgeva l’autorità di concedere 0 negare agli Ebrei Γ esercizio della usura, e stabilire in carta i patti con loro secondo le norme del suo mandato. Delle quali commissioni o delegazioni essendosi fatte alcune da’ Consigli assai prima del 1430, come provano Γ una del 1415 e l’altra (1) Priorista Fiorentino, citato dall’ Osservatore Fiorentino sugli edifici della sua patria, IV, 23: Firenze, 1821. (2) Negozi e Capitolazioni con gli Ebrei, Filza dell’Arch. Fior. 3 Statuto del Monte di Pietà di Firenze dell’A. 1496, Proemio. GIORNALE LIGUSTICO 343 del 1420 che tuttora ci restano, ne consegue che pure innanzi al tempo predicato da quello scrittore furono gli Ebrei legalmente ammessi a prestare in Firenze (1) ; altrimenti, almeno quindici anni sarebbesi durato a creare un Collegio di dignità senza effetto alcuno. Ma quando che fosse, gli Ebrei posarono in Firenze alla prima in Borgo S. Iacopo, nella via detta poi e tuttora de’ Giudei; di là si dilatarono per la città, onde gran parte delle case di S. Miniato fra le Torri furono da loro abitate (2) ; e dalla capitale passarono alle città e Terre del Dominio, volendo la Signoria partecipare a’ sudditi questo benefìzio de’ cittadini. E in ogni luogo dove s’insti-tuiva un Banco di prestito la Signoria, secondo la generale usanza , formava cogli Ebrei, che dovevano condurlo , una particolare Capitolazione de’ patti comuni. La capitolazione durava cinque 0 dieci anni ; l’interesse vario, e sempre rimettente del rigore antico, poiché nel mandato del 1415 di cui feci parola, non avrebbe potuto essere più di tre danari per lira il mese, e scambio nella capitolazione di Volterra dell’anno 1438 già egli era del sei, cioè del doppio; esenzione dal portare l’abito singolare 0 Segno ; sicurtà della persona e della roba, e impunità di qualunque malefìzio commesso nel Dominio innanzi al giorno della condotta, tranne furto, omicidio e simili; Religione libera, e libero l’edificar Sinagoghe; secondo i casi conceduta o negata la licenza del comprare immobili, e la franchigia dalle gravezze e i privilegi per le riscossioni; e per tutto ciò una tassa annuale proporzionata alla importanza della residenza, da pagarsi agli ufficiali del Monte Comune: per esempio gli Ebrei di Pistoia, fior. 260; di Volterra, 70; d’Arezzo, 200; di Prato, 220; (1) Statut. Pop. Coni. Fior. (1416) cit. lib. V, Tract. I, rubr. CXLI1. Prov. flor. I, oct. 1420 , ras. dell’ Arch. Fior. (2) Osservai. Fior., IV, 27. 344 GIORNALE LIGUSTICO del Borgo a S. Lorenzo, 90; di Firenze, 1200 (1). In questo campo distribuiti a lavorare gli Ebrei, sembra che vendemmiassero a piene mani. Lo Czeco dice : Metti un Ebreo su di un sasso arido con una borsa di danari a lato, egli diventa ncco. Ed eia ben altro che arido sasso quel campo. Tuttavia che in cinquant anni da un capitale di solo cento fiorini, quanto avevano quando in Toscana incominciarono a prestare, eglino abbiano saputo girarlo si bene da farne uscire cinquanta milioni di fiorini, ella è tal cosa che non mi è capace (2) ; se già 1 arte buona e la rea non si mescolarono nell opia. Fatto è che la voce ne corse, e nel correre forse ancora ingrossò, occupò piazze e chiese; siffattamente che il Popolo si sollevò il 13 agosto 1490, e andato sotto la ringhiera della Signoria domandò con grande efficacia il discacciamento degli Ebrei: il che fu tosto decretato e con esso la instituzione del Monte di Pietà per sopperire al-Γ ufficio dei discacciati (3). Nel 1488 il B. Bernardino da Feltre, aveva fra le altre volte promosso anche in Firenze questa pia opera; ma alla minaccia del danno che ne avrebbero risentito gli Ebrei, insorse il ricco padrone de’ quattro Banchi Fiorentini e trasse all’ aiuto fraterno il ricchissimo de Banchi Pisani, cosi che fra tutti ubriacarono i Signori con ventimila fiorini d’ oro e frastornarono il pericolo (4). Ora come mai gli Ebrei che conoscevano a molte esperienze il pregio della borsa, sempre altissimo, non Γ adoprarono altresì, o pi ima o dopo, in questo caso assai più grave di quello? Stando al dopo, chè prima il tumulto popolare venne improvviso e subito signoreggiò, egli è notevole, che il discacciamento (1) Statut. Pop. Coni. Fior., loc. cit.. Nego^. e Capitol. F.br., cit. (2) Vedi Monte di Pietà. (3) Osservai. Fior., cit., pag. 25, 143 (4) Waddingus, Annal. Minor., VII, 323 giornale ligustico 345 0rida di Popolo e di Missionari pochi mesi appresso fu i evocato, con altrettanta solennità, con quanta ordinato, e i istruttori del Popolo (cosi chiamati gli Ebrei) furono assoluti. A tii tentando il mistero di questa revocazione, suppose che guadagno di raccettare i ricchi Ebrei esplusi allora allora a Spagna e dal Portogallo possa giustificarla (i): io lascio la cosa dov e. Nel rimanente, delle angherie versate alarne dall ignoranza su gli Ebrei, la Repubblica Fiorentina u piuttosto litenuta ; anzi al bisogno li difese coraggiosamente, quale nell anno 1459, che sfrattò su due piedi un Fiate Francescano predicatore, benché de’ Visconti, in quanto si dilettava, conforme al costume di quella gente, ad eccitare 1 odio ed il saccheggio contro di essi (2). Ma con questo ella non seppe tenersi di condiscendere a’ tempi, gittando su di loro il più insigne improperio, coll’ obbligarli al Segno , secondo fece la prima volta nel 1439, salvi i diritti conceduti nelle Capitolazioni (3). Che cosa fosse quel Segno nominato solo in genere, si dichiarò nel 1446, essere un tondo od O di panno giallo, fisso in petto 0 in una spalla anteriore, per gli uomini e per le donne (4). I Pisani avevano già prescelto' un O vermiglio nel 1337 (5); i Senesi, giallo, nel I439 (6), forse suggerito da S. Bernardino, a cui non poche riforme statutarie si debbono in Siena ed in Perugia; i Lucchesi non ebbero mai Segno alcuno : sicché nel secolo quattordicesimo e più nel susseguente quest’ Ordine venne accolto dalla maggior parte delle Repubbliche Toscane. Nè altro (1) Osservai Fior., cit., pag. 25. (2) Ammirato, Ist. Fior., lib. XIII. (3) Provis. Fior., 27 maii 1459 : Ms. Arch. Fior. (4) Id. 9 apr. 1446: Ms. id. (5) Breve Pisani Communis, (1313 -1337), III, 89. (6) Concistor. Sen., Delib., 28 octobr. 1439, Ms. Arch. Sen. GIORNALE LIGUSTICO s’innovò nella vita degli Ebrei. Infino a tanto che ^ ^ Gonfaloniere di Firenze Niccolò Capponi, uomo più conte piativo che politico, voltosi a riformare i costumi tracco della città, fra queste riforme mise, che gli Ebrei non pot sero più in Firenze prestare a usura, e che a niuno di que si concedesse altramente dimorare nel Dominio che per Pas saggio, e più di quindici giorni (i). Venuto il Principato, Cosimo I incominciò il suo (Alessandro non toccò questa materia) confermando e riformando la legge repubblicana Segno, non più da portarsi sul petto, ma sì nel cappe!'0 berretta, o sulla capperuccia della cappa e nella parte di dietro del cappotto o mantello; ed alle femmine fosse lor Segno tutta la manica destra della veste di sopra, di color giallo (2) · alla quale foggia succedette col tempo il Cappello Rosso veneziano, che si mantenne fino all’ultimo scorcio del secolo diciassettesimo (3). Nel 1570 si bandirono i Banchieri Ebrei dal Dominio, risuscitando il Decreto repubblicano del I527> forse non mai eseguito, atteso che, particolarmente in Pescia, Prato, Empoli e S. Giovanni, eglino avevano trasgredito alle convenzioni, riscotendo maggiore usura della concessa, o prestando ne’ giorni festivi, 0 tenendosi famigliarmente in casa balie cristiane; con questo che gli Ebrei i quali desiderassero rimanere per far mercanzia, traffici ed esercizio alcuno, lo potessero, riducendosi ad abitare in Firenze nel modo, che sarebbe prescritto in appresso (4). Ciò fu nel 15 71 coll ordinamento del Ghetto, esemplato nelle discipline dell’aprirsi e del chiudersi su quello di Roma; e quindi partecipato allo Stato (1) Varchi, Stor. Fior., lib. IV. (2) Band. Tose., 6 maggio 1597. (3) Rinuccini T., Usanze fiorentine del secolo XVII (nel Borgbini, A. 1.°), cap. XXVIII. (4) Band. Tose., 26 sett. 1670. GIORNALE LIGUSTICO 347 Senese (i). Tuttavia restava ancora qualche cosa da farsi, a saziare gli insaziabili. E Ferdinando II si prese questa briga, ammonendo gli Ebrei, che eglino in Firenze non avevano licenza di mercatare mercanzia nuova appartenente a’ setaiuoli, lanaiuoli, orefici, battilori, fondacai, mereiai, velettai ; ma solo tenere e vendere cose vecchie e cose usate, di nuove non potendo comprare se non mercanzie nostrane indigrosso per mandarle fuori; non potevano ancora esercitare senseria, nè i sarti, i garzoni delle botteghe ed i figli di famiglia andare in Ghetto a comprare da loro o vendere cosa alcuna nè nuova nè vecchia (2). Cosimo III aggiunse, che non facessero allattare i loro figliuoli a balie cristiane, nè si servissero di famigli cristiani (3). E questo provi senza ulteriori ricerche, che nel- 1 andare dietro le orme romane i Principi Medicei furono diligenti e pazienti non meno degli altri Stati, se non anche più, pur troppo talvolta. Però trascorro volentieri al Gran Duca Pietro Leopoldo, Principe di spiriti elevati , per dire che egli non sapendo che farsi del Ghetto lo vendette agli stessi Ebrei pel prezzo di scudi 34580, 4, 15, 4, lasciando a quelli· che non volessero rimanervi di accasarsi in qualunque parte della città, con franca comunicazione cogli altri cittadini, e facoltà di possedere stabili e partecipare a tutti i benefizi della sua celebre legislazione (4). Ma per tutto ciò egli è giusto di non tacere, che alla grande e generale utilità , come di rinvigorire di popolazione e d’ arti una provincia, il contegno degli stessi Principi inverso gli Ebrei era assai differente dall’ ordinario, nelle quali cose va segnalato (1) Band. Tose., 31 lugl. 1571 e 9 die. 1572. (2) Id., 9 nov. 1649. (3) Id·. 1 lug'· 1677- (4) Protocollo degli affari di Finanze risoluti da S. A. R. nel Consiglio del 20 aprile 1779: Ms. Arch. Fior. Osservai. Fior., cit., pag. 36. 348 GIORNALE LIGUSTICO anche Cosimo I, il quale in servizio de’ commerci di Pisa, non guardò alle avversioni religiose delle apostasie finte o vere che costarono tanto sangue,ed accolse in Pisa gli Ebrei Portoghesi con particolari privilegi (i). Similmente in Livorno egli fece erigere abitazioni e chiamò gente, divinando in suo cuore il grande avvenire di quelle arene (2); all’ esempio della Repubblica Pisana, la quale per ciò offeriva immunità e franchigie, certamente con altri presagi (3). Per contrario Francesco suo figlio, in tutto il suo Regno , lunghissimo per crudeltà e h bidini , si contentò della vanità di gittare nel 1577 Pnrna pietra della città immaginata (4), il che tornò in sua maD giore vergogna. Vero e principale fondatore della moderna Livorno fu il primo Ferdinando, come mostrano la ricono scenza pubblica e le Lettere Patenti da lui dirette a rner canti Ebrei zione, che ed esercizi Dominio suo per venticinque anni, prorogabili colla disdetta di cinque. Mentre dimorassero in que’ luoghi Ferdinando obbligo la sua fede che non avrebbero danni da nessun Potentato per delitto enorme, enormissimo, commesso negli Stati di quelli; sarebbero assoluti da qualunque imposizione, salvo dalle gabelle ; potrebbero navigare in mercanzia pei' Levante e Ponente sotto la sua fidanza , con salvocondotti e lettere di favore a’ Signori nelle cui terre approdassero, purché ritornassero a far porto a Livorno e vi tenessero casa (ij Cantini, illustrando una Provvisione di Cosimo I del 146° in vore di Pisa (LegistaTose.). (2) Id. illustrandole Lettere patenti di Ferdinando I del 1593 (Legisti-Tose?). (3) Breve Pis. Coni., (1313-1337), Π, i0. (4) Galluzzi, Star. Grand. Tose., (V, III. , Armeni, Turchi, Mori e altri di qualunque na^ venissero familiarmente a frequentare lor traffici in Pisa e Livorno e negoziare nel rimanente e GIORNALE LIGUSTICO 349 residente. E oltracciò i mercanti navigatori sarebbero accomodati di centomila scudi dalla Camera Granducale, per pagare i debiti de’ noli, condotte, cambi ed altre spese da doversi restituire alla vendita della roba. Particolarmente , gli Ebrei avrebbero un Giudice laico proprio a terminare e decidere sommariamente le loro controversie sì civili e sì criminali, i loro medici potrebbero esercitare liberamente l’arte loro, e i loro giovani addottorarsi; avrebbero abilità di possedere stabili e giovarsi delle balie cristiane ; non avrebbero Segno, e i loro schiavi non potrebbero mai avere libertà (parole nè da Cardinale, qual fu prima Ferdinando, nè da Principe Cristiano) ; ma dovessero operare che di loro non si udisse mai nessuna usura né manifesta, nè palliata. Della Religione ognuno osservasse la sua e ne celebrasse i riti (i). A quella sovrana manifestazione concorse sotto la generosa protezione di Ferdinando grandissima quantità di gente ; de’ quali i Cristiani nuovi o Marani perseguitati senza pace in Portogallo e Spagna, gli Ebrei sbalzati e maltrattati da tutte le nazioni, i Corsi impazienti dell’indegno giogo genovese, i banditi raminghi, che per salvarsi accrescevano le ragioni di perdersi (2). Nelle guerre fra l’Inghilterra e la Spagna Ferdinando tirò pure in Livorno con certe condizioni non pochi Corsali Inglesi, ricchi di prede, per investirsi nelln mercatura; e Cosimo II, seguitante in questo le pedate paterne, ne volle assai più non obbligandoli a niente altro che a rispettare le sue leggi e non corseggiare contro a’ Cristiani (3). Nè vi mancarono impreveduti, e de’ primi arrivati, Olandesi ed Inglesi, oggi maestri sovrani della (1) Lettere Patenti del 10 giugno (2) Galluzzi , 1 st. Grand. Tose., V, II. (3) Id. VI, XI. 35 ο GIORNALE LIGUSTICO mercanzia, i quali subito preferirono i traffici della costiera (i); dimostrando che il Commercio amava piantare il suo trono al cospetto del mare grande, non sulle rive d’ un fiume ornai abbandonato dalla fortuna. Cosimo II ebbe ancora un altro ardimento, divisando di poter coltivare le campagne livornesi deserte con tremila Mori, di quelli del Re di Spagna che minacciavano di ribellarsegli, e che egli, questa volta più mite delle usate, mandava via ; ma la ferocia infrenabile di quei semibarbari e la poca attitudine agli studi pacifici de’ campi lo fecero desistere (2). Il Governo assiduamente faceva fabbricare intere contrade di case, e le concedeva in vendita libera , a livello o in altra forma ai sopravvenuti sempre più molti; agli agricoltori concedeva terreni e vigne (3)· Fralmente in quella crescente città i delinquenti redimevano le loro pene quivi edificando case, 0, non essendo facoltosi, accrescendo colla persona e col lavoro la forza della comunanza (4). Questa strana moltitudine varia di fede, di patria e di costume faceva temere alla Corte Romana non potesse ella infine pregiudicare alla integrità della Religione che tiene la sua augusta sedia in Italia; e quindi adoperandosi a dissiparla, ammoniva e minacciava, rammentava i Canoni , pubblicava nuove Bolle; ma il suo disegno non ebbe effetto, e, la Dio mercè, nè anco i suoi timori. Dopo circa trent’anni dalla fondazione di quella città P accozzaglia che prima animava le spiagge livornesi era fatta unione di popolo; e la città divenuta angusta agli abitatori allargavasi, per metter dentro alla sua cerchia un novello quartiere, che si disse Venezia, pel suolo interciso dalle acque; e se ne ampliava il (O Galluzzi, op. cit., VI, II. (2) ld., loc. cit. (3) Band. Tose., 10 sett. 1603. Galluzzi, loc. cit. (4) ld. loc. cit. giornale ligustico 351 territorio con porzione del Vicariato di Lari (i). In somma l’intendimento di Ferdinando, di dotare la Toscana d’un ricco Emporio trionfava ; e da una landa palustre era sorta una nobile e bella città, ottenuta coll’ opera principale della tolleranza, una delle più grandi imprese moderne che onora il secolo e quei che fatta l'hanno. (Continua). ARCHITETTI, INGEGNERI, MATEMATICI IN RELAZIONE COI GONZAGA SIGNORI DI MANTOVA NEI SECOLI XV, XVI E XVII Ricerche archivistiche mantovane di A. Bertolotti. Quantunque dal Milizia al Promis vari siensi occupati di ricerche sugli architetti ed ingegneri civili e militari, e benché il Conte Carlo d’ Arco abbia dettato più opere sugli artefici, che operarono in Mantova, ed altri di recente abbiano fatte particolari investigazioni negli archivi dei Gonzaga su talun architetto più celebre, tuttavia io posso offrire qui ancora molti soggetti nuovi ed aggiugnere notizie e documenti a famosi architetti, ingegneri e matematici. A saggio di quanto materiale inesplorato si trovasse nei suddetti archivi fin dal 1885 io pubblicava un libro, intitolato Artisti in relazione coi Gonçaga nei secoli XVI e XVII, il quale ottenne il suo scopo, che era quello di richiamare meglio P attenzione su fonti, che si credevano da vari esauriti e specialmente dal Baschet. (1) Band. Tose., 14. apr. 1606. Galluzzi, op. cit., VI, XI. 35 2 GIORNALE LIGUSTICO Intanto io seguiva le mie ricerche, certo di poter avere molto su varie categorie di artefici. Si sta ora stampando a Milano, sotto il titolo Le arti minori alla Corte di Mantova nei secoli XV, XVI e XVII, quanto riguarda gli orefici, gli intagliatori in metalli e legno, osso, vetro, gli armaiuoli, i ricamatori ed arti affini. Io tengo preparati altrettanti lavori sulle arti maggiori, e per ora qui presento quanto riguarda F arte principale , cioè 1 architettura, l’ingegneria, la matematica, la cosmografia e topografia in relazione ben inteso con la Corte di Mantova dal secolo XV al secolo XVIII. L architetto per la moltiplicità delle cognizioni, per gli studi severi, sembra quasi uscire dal dominio delle arti per prender posto fra la scienza. L’ architettura, certamente più di qualsiasi altra, è la più atta a tramandar ai posteri la vita pubblica e privata, gli usi, la fortuna de’ popoli e la possanza dei sovrani. È un materiale pertanto inedito prezioso, che potrà esser molto utile a diversi studi, oltre a quello di far sempre più conoscere una illustre Casa italiana, veramente benemerita alle arti belle. Secondo la maggior.o minor importanza dei soggetti, io produrrò per intiero i documenti, o ne farò soltanto sunti od anche ne faro solamente menzione. I documenti consistono in massima parte negli autografi, stessi degli artefici, oppure sono nomine, delegazioni, pagamenti ordinati dal sovrano. Sono documenti, che come dicesi, parlano da loro e rendono inutile ogni sorta di commenti; così io mi restrinsi quasi sempre ad esporre i materiali cronologicamente per ciascun architetto od ingegnere, con brevissima ricapitolazione al fine di ogni secolo. E tale esposizione credo la più utile per coloro che abbisogneranno servirsi di questi materiali, scavati nei sette anni di mia vita archivistica in Mantova. GIORNALE LIGUSTICO 355 Secolo XV. Fin dai tempi, in cui Mantova reggevasi autonoma , vi fiorì Alberto Pitentino, ingegnere idraulico valentissimo, che, primo pensò a trattenere il Mincio a Governolo nello scopo di render perenne la navigazione. Un’ iscrizione, tuttodì conservata, ricorda Γ erezione del Ponte dei Molini nel 1198, opera per quei tempi veramente straordinaria, come si può arguire da quanto tuttora esiste. Negli statuti del secolo XIII sono ricordati : frate Richel-mino e Benvenuto Bonchelli, che fissarono i confini del territorio Mantovano. Maestro Giacomo e Gratasola Ognabene, suo socio, da Verona, verso il 1295 architettarono la porta principale d’ingresso alla chiesa di Gradaro. Nel 1304 un Germano compì la chiesa, dedicata a san Francesco. E questi considero come antesignani a quelli, da cui principio il mio lavoro. Nel 1395 Bartolino Pioti da Novara, architetto, fu chiamato per costrurre il castello di Mantova, compiuto nel 1406. Ebbe possessi in Sermide, come provò il marchese Campori, pubblicando lettere di Francesco Gonzaga del 1401 all’ingegnere stesso. Fu egli uno de’ primi architetti ed ingegneri civili e militari de5 suoi tempi. Nel 1404 Andrea, Giacomo e Lorenzo fratelli costrussero il ponte di San Giorgio, che attraversa il lago anche oggidì. Nel 1445 Filippo di ser Brunellesco di Lippi, secondo il Vasari ed il Baldinucci, chiamato dal Marchese in Mantova, vi venne e diede modelli di più fabbriche e di argini sul Po, e con grande soddisfazione sua e del Gonzaga ritorno a Firenze. Giokn. Ligustico. Anno XV. 354 GIORNALE LIGUSTICO Manco di documenti inediti su tutti questi architetti; e per ciò mi sono accontentato di riassumere le notizie esatte. Il Vasari fece pure conoscere che Luca Fancelli, dopo aver diretto la iabbrica del Palazzo Pitti ed eseguite altre opere, venne a Mantova, ove si ammogliò e fini i suoi giorni a servizio della Corte Mantovana. L’ archivio dei Gonzaga possiede lettere e altri documenti intorno a questo scultore, architetto ed idraulico ; ma essendo già stati pubblicati (Vedi Archivio storico lombardo an. Ili), mi restringo a dar un rapidissimo cenno dei lavori del Fancelli , aggiugnendo qualche raro documento, restato inedito. Egli visse oltre quarant’ anni in detto servizio, cioè dal 1450 al 1494, non però continui. I Fancelli pervennero da Settignano nel contorno di Firenze , che diede molti valenti cultori della scultura ; così i documenti, che riguardano Luca, per lo più lo indicano con la qualifica di tagliapietre, fiorentino, anzi talvolta egli stesso così firmasi. Si comincia ad aver notizia che lavorò al castello di Revere di scultura, avendo sotto di sè vari maestri. Nel 1458 fu mediatore in Padova per far venire in Mantova il Mantegna. Nell’ anno dopo assistette alla costruzione del tempio di San Sebastiano, disegnato da Leon Battista Alberti. Altri lavori di architettura sono la riduzione del Palazzo della Ragione, della Villa di Cavriana, Γ erezione di un palazzo marchionale presso Saviola, ristorazioni al Ponte dei Molim, ed il compimento di un grandioso palazzo in Gonzaga. Ma più grande di tutte le sue opere fu Γ esecuzione della Basilica di Sant’ Andrea, disegnata da Leon Battista Alberti nel 1470, cominciata nel 1472 e compiuta nel 1477. Innalzò la torre, che doveva avere il famoso orologio di Manfredi. GIORNALE LIGUSTICO 555 Perdette nel 1477 la moglie Elena de Cresci e tre anni dopo sposò una vedova mantovana Anselmina de Cunzi ; ma anch’ essa gli premorì. Rodolfo Gonzaga, a dì 23 marzo 1481, scriveva al marchese di Mantova: t. El me era andato per la mente hora che la IU. V. S. è fora et forse non ha bisognio di maestro Luca suo ingegnerio corno faria essendo a Mantoa di menarlo cimi licentia di quella fino a Luzara per chel mi fesse uno disegno d’ una certa casuza eh’ io' vorria tare » ; pregavalo pertanto di accordargli tale grazia, che subito fu concessa dal Marchese. Munì il castello di Sermide e fortificò vari altri castelli del Mantovano, non eccettuato quello di Mantova. Giovanni Galeazzo Maria Sforza Visconte, Duca di Milano, a’ dì 19 febbraio 1487, si rivolse al Marchese di Mantova per aver a Milano il Fancelli per parere sulla ricostruzione della cupola del Duomo di Milano. Ne ripartì molto soddisfatto. Nel 1489 dimorava a Cavriana e fu chiamato a Mantova a finire la tomba della marchesa Barbara. Rodolfo Gonzaga, che già conosciamo, da Castiglione delle Stiviere, a’ dì 8 giugno 1490, scriveva la seguente inedita : « 111. et Ex.m0 signor mio. Io ho incominzato qui a Castione un poco di fabricha per poter habitare qualche uolta, quando io li uengo et per non hauere più iudicio che bisogno la fabricare me ne sto tutto perplexo : Pero io seria molto desideroso de hauere il parere de Maestro Luca Taiapreta ingegnerò de la Ex. V. lo quale in uno giorno spacceria tutto quello che sia el bisogno » ; indi lo pregava per la licenza opportuna. Fu domandato anche dal Duca Alfonso di Calabria e vi andò, come risulta da sua lettera in data di Napoli del 13 maggio 1491, dove fece disegni di Castellamare. Aveva al- 25 6 GIORNALE LIGUSTICO lora 61 anni dJetà ed era congiunto con una terza moglie Costanza Formiconi. Il Marchese, a’ di η giugno 1492, scriveva ai signori del Consiglio Mantovano che M. Lucha nostro ingegnere avendo una lite e dovendo andar a Firenze per certe occupazioni, loro ordinava di spicciarlo al più presto di tale lite. Nello stesso tempo il Marchese avvertiva il Fancelli di averlo appagato per tale affare. Stette a Firenze e attese alla fabbrica di S. Maria de Fiori, ma nel 1493 era di nuovo occupato in Mantova alla selciatura della città. Chi pubblicò ultimo i documenti del Fancelli scrisse che nell’aprile di detto anno ritornò per sempre a Firenze; ma la seguente inedita ci prova il contrario. 111.“' D.n' mi Max.' honord.'. Perchè Maestro Luca architecto e nel numero de miei intimi amici da me molto amato per le sue uirtu, venendo epso ad V. M. S. non ho uoluto uenga sanza mia commendatione che mi confido in la benignità di v. s. tanto che spero intendendo quella Maestro Luca essermi amico si degnara raccoglierlo humanamente et fauorilo. Di che io sero ad epsa obligatissimo. In bona gratia della quale sempre mi raccomando. Florentiae die xxiij felruarij mcccclxxxxiiij. E. V. M. D. Seruo Laurentius de Medicis. Ill.mo Domino Francesco De Gonzaga Mantuae Marchioni etc. dno meo max.* honorando. E in Mantova deve esser morto, non in floride condizioni finanziarie a giudicar da sue ultime lettere. Suo figlio Antonio visse a Cavriana, in stabili donati a suo padre dalla casa Gonzaghesca. Il famoso Leon Battista Alberti fiorentino nel 1459 era già in relazione col marchese Lodovico Gonzaga, come ri- GIORNALE LIGUSTICO 357 sulta da lettera di questo per riavere un Vitruvio imprestatogli. Il nostro architetto era allora occupato del modello della costruzione della chiesa di San Sebastiano e di altri lavori in Mantova. Nella Galleria degli Uffizi in Firenze si vede il disegno della stessa fatto da Antonio Abaco. Nel 1465 il Marchese muniva l’architetto di commendatizie pel Papa Paolo II e pel Cardinale Gonzaga ; e pare che non facesse più ritorno a Mantova, fino al 1470, nel qual anno presentava al Marchese il disegno della basilica di Sant’ Andrea, preferito a quello fatto dall’ architetto fiorentino Pietro Manetti. Nella metà dell’anno 1471 1’Alberti era già a Firenze; mentre a Mantova si radunava danaro per sottoscrizioni ad eseguire il di lui progetto pel tempio di Sant’ Andrea, costruzione tirata su coll’assistenza dell’architetto Luca Fancelli. Il disegnatore non la vide nemmen principiata ; poiché moriva nell’estate del 1472. Tutti i documenti attestanti quanto fu qui esposto furono pubblicati nell’ Archivio Storico Italiano 1869. A’ dì 13 febbraio 1450, il Marchese di Mantova concedeva esenzione di dazio a M.r0 Cinque de Asula mgeniario pel trasporto delle sue robe in Mantova (R.° Mandati I45°i 3, /· 5). E da una lettera del Marchese del 4 maggio 1456 diretto a M.r0 Cinque ingeniario si conosce che era incaricato di provvedere a danni prodotti da innondazione (Cop. lettere). Questo Cinque non trovo ricordato dagli scrittori e nemmeno da chi si occupò in modo particolare degli Asolani distinti. Scriveva poi al i.° dicembre dello stesso anno al \ icario di Borgoforte partecipandogli che era stato scritto a Giovanni d’Antonio Prezzo « nostro ingegnerò » che provvedesse 358 GIORNALE LIGUSTIGO « a conzar quello ponte, di che tu ne scriui ». Infatti vidi pure la lettera Marchionale a questo ingegnere. Il Marchese, trovandosi in Milano , il 5 gennaio 1462 , scriveva alla Marchesa in Mantova : « Vogliamo debiate mandare qui Johanne Antonio de Rezo nostro ingignero perchè volemo ch’el veda alcuni discorsi de condure acque che sono qui e quanto più presto meglio perchè voressimo ch’el gli facesse fare al palazo del Podestà che se fa adesso. Vedete di far intendere quanto e cressuto l’aqua del lago e come hanno facto quelle del Serraglio e quelle foreno butate a Goito et adsvisarne ». E poi negli ultimi giorni di ottobre, da Revere, scrivevate: « Johanne Antonio nostro Ingegnerò ne ha mandato a dire che hauendo domandato dinari a Joanne di Strii per lo lauorero se fa al Ponte di Molini et se excusa non hauergli el modo » e che perciò aveva sospeso il lavoro. Ordina che vengano pagati e si segua il lavoro per quanto si potrà. Il 24 gennaio 1463 , scriveva al Marchese di Mantova, assicurandolo che non lascierebbe mancar nulla a Leone Battista Alberti architetto. Era ancora in relazione col Marchese, come risulta da lettera sua del 1468, benché sia scritto Agostino, invece di Antonio. Era egli di Arezzo ; ma di lui non fece cenno il Conte d’ Arco nella sua opera Delle arti e degli artefici di Mantova. Del 24 gennaio 1458 abbiamo una lettera di Innocenzo Ranza ingegnere, il quale da Borgoforte domanda a Lodovico Gonzaga marchese di Mantova licenza per sé e suo fratello Antonio per portarsi subito ad Ostiglia, ove suo padre e un altro fratello erano in gravissimo stato per cadute. Α1Γ otto marzo era di nuovo occupato in lavori idraulici e al 4 luglio domandava altra licenza per andar a Rodigo per certa eredità di sua moglie. GIORNALE LIGUSTICO 359 Egli, al 2i settembre 1463, scrivendo al Marchese da Borgoforte , segnavasi edifficii ingeniarius e notavagli : « Io me son ricorso da Johanne da Rezo inegenero et hollo pregato eh’ el uoglia uegnire fina a Borgoforte per uedere questi penelli qui et darmi qualche conseglio sopra quello ho afiare ». Segue a pregare affinchè sia provveduto un cavallo al detto ingegnere affinchè possa venire sul luogo. Reclamava il 27 gennaio 1464, per furto di legnami fattogli. Il Ranza era nel 1471 soprastante agli edifizi in Borgoforte, come risulta da altra sua lettera al Marchese. Quantunque appaia del Mantovano, di lui non fanno cenno nè il citato D’ Arco, nè il Cadioli (Memorie biografiche). Il Campori (Gli Architetti e gli Ingegneri civili e militari degli Estensi) fa conoscere che nel 1456 Pietro da Figino , ingegnere del Marchese di Mantova, riceveva dal Duca Borso in regalo fiorini 25 d’ oro per alcuni lavori in Bagnacavallo. Il marchese Lodovico Gonzaga, in una sua lettera del 15 febbraio 1458, accenna Zampietro de Figino « nostro Ingegnerò » che doveva mandar nel Monferrato per molti « lauorerii ». E questo Figino nel maggio 1460 riferiva al Marchese sui lavori della Chiesa di S. Sebastiano in Mantova, cui egli attendeva. Nel luglio andò a visitare la rocca di Soave, che minacciava rovina, e con altra lettera sua del 18 ottobre fece conoscere progetti idraulici. Resterebbe a conoscersi se era in parentela coi Figini architetto, pittore, orefici, segnati dal Zani (Enciclopedia metodica delle belle arti) quali artefici milanesi. Se di loro non vi è altra notizia, ben altre più numerose mi si presentarono dell’ingegnere Giovanni da Padova, il quale nel 1460 era occupato in Cavriana donde poi passò in Goito, come si conosce da una ventina di sue lettere al Marchese di Mantova. 360 GIORNALE LIGUSTICO Nel 1462 aveva disegnato il revellino in Canneto; ed era al 24 maggio richiamato, per vedere il proseguimento della fabbrica. Nell ottobre e novembre egli scriveva da Governolo, discorrendo dei lavori di palificatura e di muro fatti alla Chiusa di Governolo. Passo in seguito a Goito, per lavori a quel palazzo e rocca. La valentia degli ingegneri idraulici del Mantovano doveva esser ben conosciuta, a giudicare dalla seguente lettera diretta al Marchese di Mantova dal Re di Sicilia : Rex Siciliae etc. III. Marchio amice noster carissime. Perche hauimo desiderio de hauere uno bono mastro de alleuellare aque et fare prati ; per conzare questi nostri paduli de Napoli : et aliuellare l’aqua et ordinarli tutti in prati : intendendo corno voi ne hauiti de boni, pregamoue ne uogliati compiacere de uno de dicti mastri che sta bono a questo mesterò: al quale satisfarimo de condigna mercede: comò messer lo Turco etiam scriuerà et rechiedera. Et in questo ne compiacerete molto et ne farete cosa assai grata compiacendone et mandandone el dicto mastro. Datum in cast.0 nouo Neap. xxiiij aprilis m°cccdxviiij. Rex Ferdy. F. A. Secret, f Chi il Marchese di Mantova gli mandasse dirà altra lettera dello stesso re. Rex Siciliae etc. IH. Marchio amice noster carissime. Ritornando adesso da vuj el nobile homo Francisco inzignero , ne occorre farue la presente rigratiandoue quanto più possemo de la dimora facta per lui per opera uostra questi tempi passati appresso nui : del ingegno et uirtu del quale confessatilo remanere grandemente satisfacti ; et perchè esso ne ha cominciata una opera a la quale ne seria summamente cara la sua interuentione per darli presta et bona expeditione, ve pregamo affectuosissimamente per GIORNALE LIGUSTICO 361 amor nostro ce lo vogliate rimandar questa primauera, che ve ne rimarremo obligatissimi declarandoue che extimariemo non da vuj ad tanto singular piacere che più non si porria. Non altro per adesso se non che ce offerimo di continuo ad tucti vostri comodi et piaceri. Dat. Tripergolis die xviiij octobris mcccclxviiij. Rex Ferdy. F. A. Secret, f. 111. Ludovico de Gonzaga Marchiani Munirne amico nostro carissimo. Forse questo Francesco e il Pontevico fu Cornino, cittadino Mantovano, accennato nel 1448, che aveva investitura en-fiteutica dalla marchesa di Mantova di stabile nel territorio di S. Martino de Gumago. Se intromisi al cenno dell’ ingegnere Giovanni da Padova quanto riguardava un suo collega per nome Francesco, si è perchè sembrerebbe che questi non sia più tornato a Napoli, ma vi andasse a finire i lavori il Padovano, come ci dimostrerà la seguente Rex Siciliae etc. 111. et Potens Marchio amice noster carissime. Joane de Padua ingignero e arrivato da Nuj : lo quale per lo seruitio che speramo hauerene per lo tempo che starà qua : et per respecto che uene da vuj : lo hauimo re-ceputo : et teneremo ben caro : et quanto possemo ue ringratiamo che ue sia piacciuto mandarenelo. Per una uostra quale lui ne ha portata : ne scriuiti che facto uno mese : ue lo remandiamo inderetro : a la quale pigliando Nui quella fede de vuj quale ne pare potere pigliare: Respon-dimo che atteso in tanto breue tempo: lui non porria non solamente dare fini a la opera de queste nostre padule : per la quale lo hauimo facto uenire, ma non porria etiam dareme dirizo bastante: et comensando lui la opera non ce fidariamo per cosa alcuna trouare altri che ce sapesse dare complimento : ve pregamo et stringamo che per amore nostro ne contentate che dicto Joanne possa suprastare dui altri misi : ultra lo uno per lo quale ne lo hauite mandato, che in questo termine speramo dare tale forma et complemento a questa nostra opera che Nui ne restarimo satisfacti et ben seruiti che inuero altramente la opera et despesa nostra 362 GIORNALE LIGUSTICO seria tuta perduta et vuj ve seristeue in vano incomodato in mandarcenelo. Dai. in Castello nono Neapol. die xxiij mensis maij tncccclxxi. Rex Ferdy. III. Lodovico de Gonzaga Marchiani ducali F- Scci'ct. f. Gen. locumten. amie, noster carisi. E dalla seguente veniamo a conoscere quanto si fermò Γ ingegnere Padovano nel Napolitano e come dìportossi. Rex Siciliae etc. III. Marchio ducalis locumtenens generalis amice noster carissime. Poi che intesimo lo necessario bisogno quale hauite del nobile Joanne de Padua Ingegneri : et uidimo che cum instantia continouauati in revocarcelo et per ultimamente per la uostra de xxv del passato mense hauite scripto : videndo che lo tempo del suo stare qua era breue et poca o nulla opera haueria possuto fare : et che farelo comensare et da po’ lassare la opera imperfecta non seria stato bene, non hauimo voluto perinente habia comensato ad operare : ma li hauimo facto ben videre et recognoscere la opera in modo che ha compreso quanto ha da fare : et non li resta si non la executione : et cossi ve lo remandamo, empero cum firma speranza et confidentia : quisto mese de Jennaro ne lo habiate da mandare altra volta : acio possa mectere in executione quanto haue designato el bisognio per lo complimento de la opera: et seruitio nostro et cossi strectamente ve pregamo faciate cum effecto: Ne ue marauigliate che tanto audacemente ue lo redomandiamo, che la grande securità et fede quale hauimo in vui insieme cum lo bisognio quale de lui hauemo ne danno animo et spengonone ad cussi fare, essendo securi che questo meso tempo prouederite ad omne bisognio et acconzo uostro complitamente m modo che dal dicto mese in la senza uostro incommodo ne lo possite per alcuno mese lassare. Et perche quisto poco tempo che e stato appresso nuj lo hauimo co-gnosciuto per persona non solamente docta in quillo misterio: ma etiam uirtuosa et ben disposto et intendente ad omni cosa : et per questo respecto et anco per causa uostra li hauimo posto amore, ve lo recoman-damo quanto possimo. Datum in Castello nono Civitatis nostre Neap. Die xxij Julii mcccclxxi Rex Ferdy. 111. Lodotiico de Gonzaga Marchioni Manluc F. A. Secret, f. ducali locumtenenti generali amico nostro caris. GIORNALE LIGUSTICO 363 Nel partire da Mantova, Giovanni da Padova ebbe incarico dal Marchese di passar a Firenze a vedere la costruzione della cappella dell’ Annunziata de’ Servi, che egli faceva cola costrurre sul disegno dell’architetto Giovanni da Gravida, modello apprezzato dallo stesso Leon Alberti. Venne Giovanni da Padova a Firenze, donde al giorno 8 maggio 1471 riferiva al Marchese: « O ueduto el principio el quale vedo manifestamente tornerà una belissima cosa quanto al ordine e principio che si ritroua a essergli fato ». Appena ritornato passò a’ lavori in Governolo pella chiusa. Lavorò al benessere del comune di Goito, il quale grato gli concesse Γ esenzione di ogni tassa pei beni che possedeva in quel territorio (1475). Del 1475 vi sono varie sue lettere al Marchese, per lavori alle torri di Cerese, Canneto, Viadana, Marcaria, al Castello di Goito, del quale al 9 agosto mandava alla Marchesa un disegno topografico. Da quelle del 1482 lo apprendiamo occupato al castello di Goito e a riparazioni di quelli di Mariana, Curtatone ed altri. Il 15 giugno 1482 riceveva dal Marchese la seguente : « Dilecte noster. Nui vogliamo che subito tu facci uno disegno del paese e luogi sono a Mellara al Menzo andando uerso veronese et volendo lassar Hostilia et Seraualle a mano mancha et ponte Moiini a man dricta, facendo perhò che esso designo si extendi più ultra come te parera et fornito che 1’ hauerai senza altra dimora lo dricerai al 111. sig. Duca di Urbino perche S. Santita ce ne ha facto uiua instancia ». Nel 1483 era in Asola incaricato di riparare i guasti cagionati dalle artiglierie; passava poi a Revere e alle fortificazioni di Ostiglia. Nel maggio 1485 il Marchese di Mantova lo spediva a servizio del Duca di Milano e poi nell’ ottobre alla città di Lucca, che glielo avevano domandato. GIORNALE LIGUSTICO E queste chiamate ci danno sempre più un’ alta idea della valentia del padovano ingegnere. Nel febbraio i486 era di bel nuovo nel Mantovano e di continuo troviamo ordini del Marchese a lui diretti. Al 7 ottobre 1491 l’avvisa che Rodolfo Gonzaga, zio del Marchese, aveva deciso di fare una rocca a Castiglione delle Stiviere e che desiderava il parere di lui, e per ciò Γ invitava ad andarlo a servire come si trattasse di sè stesso (Copia lettere 13 j). Nel 1492 risulta aver un figlio, che promette molto bene. Al 2 agosto il Marchese gli ordina di portar « il disegno che faceste de la chiauega che ha el signor Galeotto suso Secchia » (Cop. let. 144). Nate differenze fra i confinanti sudditi mantovani e quelli della Repubblica Veneta, Giovanni da Padova era spedito a Venezia a tal uopo, ed egli al 18 ottobre 1492 scriveva al Marchese di aver mostrato i disegni a Sua Serenità che si riservò di farli vedere al Collegio de’ suoi di terra ferma. Si conosce da una lettera del 26 agosto 1493 che oltre esser inegnere Marchionale aveva il titolo di Capitano del Lago {Cop. let. 148). Nel 1495 scrive da Goito, che fu richiesto di andar a Bondeno per verificare certo scavamento a danno del Marchese. Al i.° settembre 1495 era spedito qual ingegnere militare in Novara; e al 21 giugno 1497 scriveva da Mantova al Marchese di esser sollecitato di portarsi a Cremona per lavori di arginatura. Così gli scriveva il Marchese: Jo. de Padua Cbarissime noster. Hauendone richiesto li homini nostri de Caneto licentia di fare una cerca al loro castello, volemo che uoi ui trasferiate sul loco: et da essi intendiati il disegno loro et lo ordinati come ui GIORNALE LIGUSTICO parità chel deba stare perchè secundo indicareti noi cosi uolemo che si faccia et al opera uolemo che conferiscano tutti quelli che conferirono alle mura del castello. Gonzaga xxj februarii 1449 (Cop. lett. ι6β). E finì il secolo sempre occupato in lavori per conto del Marchese di Mantova. Mi pare non registrato questo valentissimo architetto fra quelli omonimi indicati dal Petrucci (Biografia degli Artisti Padovani), essendo vissuti prima e dopo di quello operante così a lungo a servizio della Corte Mantovana. Nelle sue moltissime lettere conservate nell’ Archivio dei Gonzaga si sottoscrive sempre Giovanni da Padova ; così non potei scoprirne il cognome. Esiste in Mantova la casa del Mantegna di fronte alla chiesa di S. Sebastiano, la quale fu eretta sul disegno di Giovanni da Padova. Il Duca Estense aveva a suo servizio per lavori idraulici Cristoforo da Mantova (1463-69) e un Giovanni pure da Mantova (1471), secondo ricerche del Marchese Campori. Corradino soprastante alla selciatura in Mantova, così sottoscrivendosi a’ dì 23 agosto 1463, rivolgevasi direttamente al Marchese per aver un compromesso in una lite con la propria madre. Giovanni Tomario ingegnere, nel novembre e nel dicembre 1463 , scriveva cinque lettere al Marchese di Mantova per lavori fatti in Castelnovo, firmandosi sempre col cognome ; benché anche di lui nulla trovi negli scrittori e così del seguente. Giorgio ingegnere, al marzo 1464, notificava al Marchese Lodovico che stava gettando a basso i muri del castello di Borgoforte; domandava le spese per due bocche, poiché « io son uechio et ho bisogno ad esser seruito ». Desiderava anche avere un marangone, e proponeva M.ro Simone « el quale e qui a Borgoforte perchè lui me serue al mio modo ». 366 GIORNALE LIGUSTICO Miglior conoscenza potremo dare di altro, benché anche indicato con semplice nome. Il Marchese Mantovano, a dì 8 maggio 1465 , rivolgevasi ad Alessandro Sforza, pregandolo di lasciar venir a Mantova « Magistro Luciano per hauere il consilio e parere suo circa quelle sue fabriche », e promettendo di lasciarlo partire presto. Non può esser altri che Luciano da Lovrana, che, secondo il Promis, disegnò il palazzo ducale d’ Urbino. Morì nel 1483 in Pesaro, come dal testamento in parte riportato dal Gaye (Carteggio inedito d’ artisti). Suo padre era di Zara, e il figlio deve esser nato a Laurana o Lauriana odierna nell’ Istria, come dimostrò il signor Paolo Tedeschi nell Archivio Storico Lombardo, anno X, riassumendo tutte le notizie di questo valentissimo ingegnere, cui si deve ora aggiungere la relazione con lo Sforza e il Marchese di Mantova. Un mastro Luchino Melegari da Pavia, il 18 agosto 1468, faceva conoscere al Marchese di Mantova come al tempo del padre di lui « fece quelli ingegni per brusar Γ armata de Marchelchi a Sermide incegnere una naue per brusar quelli gaiioni le qualle è uno edificio chel mondo non si è il più bello ». Domandava denaro per bisogno di ritornar a casa sua. Giovanni Pompeo risulta da lettera del mese di ottobre 1468 esser ingegnere del Marchese Mantovano per un forte sulla strada di Ponte Molino. Tanto di lui quanto dell’ antecedente e seguenti nuli’ altro si potè trovare. Giacomino de Piccoli nel 1471 era soprastante a lavori marchionali in Soave, luogo poco lontano da Mantova. Un Bettino del Meno, già a servizio del Marchese, a dì 17 agosto 14785 da Mantova gli domandava soccorsi, pronto sempre a seivirlo, benche vecchio « per asidiar una terra e pei bonbardar et per bricholar e per scauar aqua et per far bastioni ». GIORNALE LIGUSTICO 367 Era un veterano ; ma non risulta altro dall’ archivio dei Gonzaga in Mantova. A dì 5 maggio 1481 il Marchese avvertiva il Podestà di Sermide, che mandava a Revere « Frate Raphaello de Bas-signana nostro ingignero » per rimediare ad una rotta del Po presso detto luogo, e glielo raccomandava affinchè non mancasse di nulla. Pari lettere scriveva ai Podestà di Revere, Seravalle, Governolo, Quistello e S. Benedetto. E poi il Marchese al 16 gennaio 1482 indirizzava all’ ingegnere stesso encomiì per i buoni lavori a « quelli argine ». Era dopo mandato con Giovanni da Padova alla riparazione del castello e della rocca di Ostiglia. Era soprastante alla fabbrica del bastione in Ostiglia Pellegrino de Caldari. Ancora nel maggio 1484 trovo frate Raffaello a servizio della Corte Gonzaghesca ; e dopo più nulla di lui e nemmeno nei libri consultati. Il Marchese, a dì 8 maggio 1481, si era rivolto a Matteo de Vulterris per aver il disegno del palazzo del Duca di Urbino , volendone far fabbricare uno simile in Mantova ; e 1’ ebbe nell’ agosto seguente. Al 12 settembre del 1482 nuovamente scrivevagli: « Sono parecchi giorni et mesi che nui siamo de desyderio di hauere presso noi Cirro ingegnerò et mastro de Repari per hauerli gran affectione per l’ingegno et uirtù sue, si persuasi a questo da li boni portamenti suoi ala expugnatione de Otranto si anco per la mirabile opera che li mesi proximi fece a Figar olo ». Essendo sempre stato a servizio del Duca dì Urbino non osò mai domandarlo al proprio, ma essendo allora morto il Duca, l’incaricò dei buoni offizi per averlo in Mantova, promettendogli fino a ducati 25 di stipendio. Era Ciro Ciri, detto Scirillo 0 Cirillo di Casteldurante , 368 GIORNALE LIGUSTICO che aveva disegnato ripari in Castelnuovo ed essendo a servigio dell’ Imperatore, allorché Otranto era occupata dai Turchi (1481) ebbe il carico di accostarvisi con le trincee e diportossi meravigliosamente. Rimpatriò e servì il Duca di Urbino. Vuoisi che egli sia stato maestro di Bramante. Hieronymo Pauesio ingeniario Dilecte noster habbiamo receuuto la letra tua ala quale per adesso non iaciamo altra risposta et non ce parso retenire più el messo. Accadendone poi far qualche deliberatione circa el scriuere tuo : te ne daremo per un altra nostra auiso. Mantuae xxii] Aprilis 1482. B. Palellus pro Antimacho. Albertinus de Pavexiis risulta nel dicembre 1475 che aveva tenuto i conti della fabbrica di Sant’Andrea. Il seguente, secondo il Zani, era cremonese, ma non da confondersi con altro, che fu scultore, come fece il Grasselli {Abecedario biografico). 111. ac potens D.ne tanq. frater noster diarissime. Benche crediamo che ’l castellano de Hostilia de la S. V. hara consegnato ad Magistro Petro Ceruero nostro ingignero le nostre munitioni quale furono reponute Γ anno passato in quella fortezza nientedimancho quando non l’hauesse facto pregamo la S. V. che uogli prouedere che gli siano consignate acio le possi fare condure in qua per bisogno del Impresa secondo ha da nuj in commissione: perchè non possiamo far senza quella: siche gli le uogli fare dare ad ogni modo : Et ad li piaceri dessa vostra signoria sempre ne offerimo. Mediolani die 18 maij 1474. JOANNES GALEAZ MARIA S fortia Vicecomes Dux Mediolani. Ili. et potente d.no tanq. fr. et Cap. GM nostro cariss. D. Federico March. Mantuae. A dì 11 agosto 1483 Bernardo di Piacenza riferisce al Marchese Federico intorno ai lavori del Palazzo nuovo, che il Marchese faceva fabbricare presso il Castello. GIORNALE LIGUSTICO 369 Trovo in data del 27 gennaio 1485 un pagamento all’ e-gregio Bernardino da Piacenza, generali superiori omnium fabricarum del Marchese mantovano (J?.° Mandati J4S3-G , fol, 131). Crederei che possa trattarsi di Bernardino Ghisolfo architetto, che servì a lungo in Mantova. Da quanto ne pubblicò il Gaye (Carteggio inedito di artisti) si conosce che nel 1490 presiedeva ai lavori in Marmirolo, su cui riferiva soventi al Marchese nel 1491, specie sulle pitture. Era egli incaricato di una costruzione marchionale nel t494 in Gonzaga, pella quale vi sono vari pagamenti e ordini alle autorità locali di non lasciargli mancar niente. Aveva la supremazia su tutti gli altri artisti ; e fra i pittori vi era Pietro Antonio da Crema, che nel 1495 sospettavalo di voler abbandonar il lavoro per assumerne altro in Verona, secondo dava avviso al Marchese. Ancora nel 1496 continuavano i lavori in Gonzaga. Rivedremo il Ghisolfo ancora in servizio nell’altro secolo. Nella seguente lettera abbiamo un portoghese , o meglio spagnuolo, scultore ed architetto. lìl.me et Ex.me d. et. d. n. I,e buone et optime condictione de maestro Diego porteges spagnuolo, ingegnerò et molto praticho ne l’arte sua, mi astrenze, venendo lui de lì, et sera lator de le presente, a ricomandarlo a V. E. e homo da esser amato et "ben volluto per sue bone opere, imperito prego quella che per amor mio in tutte sue cosse l’habi per arri-comandato, restandole obligatissimo a V. E. me aricomando. Ex Castris JU.mi Domini Venet. ad Roueretum die xvj nouembris mcccclxxxvij. Gaspar de Aragonia de S. Seuerino, armorum etc. III.in 0 et Ecc.mo D.tto Francisco de Gottinga Marchiotti Mattine d. hon. Mattina. Giokn. Ligustico. Anno XV. 24 370 GIORNALE LIGUSTICO Il marchese Campori (Gli architetti.... degli Estensi) scrisse che fra gli ingegneri a servizio di Ercole I vi fu un Patrizio o Pedriza già stipendiato dal re di Napoli. Egli diede il disegno delle fortificazioni al Bondeno e di altri luoghi. Secondo il Campori, questo ingegnere fu in relazione con la Marchesa Isabella Gonzaga Estense. Infatto 1 archivio dei Gonzaga in Mantova conserva due lettere, di cui ecco la prima : lll.ma patrona mia: quando Io me parti da Mantoa promisi a Vostra Signoria de farue fare quello Clauacembalo: Io ho mandato Girolimo infino a Modena a parlargie et lui m’ a risposto volerlo fare \olontieri ma dice che luj è pouero, chel gie bisognaria infino a tre o quattro duc ìa per comprare qualche cosse che gie bisogna : V." Signoria me hau s come voliti che jo facia. Del termene de farlo volea tri misi. Et io tirato ad uno mese et otto dj e ho fato che la tolto uno garzone l’aida perchè lo faza più presto. El signor V.ro fratello stà benne se rac comanda a V. S. Et tutti li altri, me raccomando a V. S. Ferrarli te 9 octubris 1490. M‘ V· λ ' Vostro Schiauo Patricio. Alla mia lll.ma Signora e patrona Mi a Marchesana de Mantoa. Mantoa. A di i.° novembre 1490 nuovamente le sciiveva, che il lavoro era cominciato in legno di cipresso, ma che 1 artefice aveva bisogno di denaro per proseguire. Paolo Genovesi risulta, a dì 27 settembre 1488, ispettore dell’ edificazione della chiesa di Sant Andrea (i?. Mandati 1486-90, fol. 169). Seguirà una lettera del Marchese di Mantova a que 0 e Monferrato, con la risposta di questo D.no Marchioni Montisferrati. Ill.me etc. Ne li di passati per nostro gentissimo bisogno richiedessimo a la Ser.ma Signoria de Venetia alcuni inzigneri, tra quali essendone mandato Alexio Bergamascho se li transfe GIORNALE LIGUSTICO ritte etiam in compagnio M.° Bonifacio suo figliolo che intendemo se troua a li scruitii della S. V., et perchè la cosa non si ha potuto expedire cussi presto come credeuamo : ne forcia retenerli anchor per qualche di et maxime il predicto Bonifatio che è informatissimo e molto al proposito nostro, ne faciamo la excusa cum quella se haviamo preso questa confidentia in retenirlo che tutto e sta facto de securtate presuadendone che si come nui cum tutti li nostri simo al continuo disposti gratificare la S. V. quella anche debba remanere contenta che habiamo usato il medesimo cum lei ne la presente nostra occurentia cussi la pregamo cordialmente a volerne restare cum satisfactione et a lei ne raccomandamo. Mantuae 22 Januarii 149]. Ill.tne ac ec. D.ne tamquam frater noster charisme. Per lettera de la Ex. V." siamo aduisati, come essendo per suo urgentissimo bisognio venuti da quella molti ingigneri et tra li altri M.'° Alexio Bergamasco et Bonifacio suo figliolo nostro ingignero: et non havendo cosi presto pos-suto expedire la cosa: quella ha presto securtà cum noi de retenersi esso Bonifacio per qualche dì. Respondendo dicemo che la S. V. ha facto benissimo et cosa a noi sopra modo grata ad prendere segurtà de le cose nostre et valersi de dicto nostro ingignero ad suo piacere peroche non solum in questo ma in molto magiore cosa che potessimo fare in beneficio et honore de la prelodata V." S.rl“ vorriamo sempre gratificarli come a la mutua beniuo-lentia nostra se recercha: et così lo porrà tenere ad suo piacere, che quando lo habessimo qui lo mandarianio da la p.“ S.rl‘ V." per farli cosa grata. Ad cui beneplacito 11e oflferimo apparichiati. Dat. Casali die pe-nult.o Januarij 149}. Bonifacius Marchio Montisferrati. IH,ino prìncipi ac ex. d.no tanquam D.ito Francisco March ioni Mantuae. Il Temanza (Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani) dà la vita di un Guglielmo Bergamasco, architetto da Bergamo, qual uno « tra i pregiati professori che hanno contribuito al risorgimento delle arti ». E forse anche pei suddetti Alessio e Bonifacio il casato non è Bergamasco , ma questo indica piuttosto la patria. E con i due Bergamaschi finisce il mio raccolto pel secolo XV, il quale è più che sufficiente per dimostrarci che 372 GIORNALE LIGUSTICO i migliori architetti dello stesso furono chiamati a Mantova, come i Brunelleschi, Fancelli, Leon Battista Alberti, ecc. La Corte di Mantova mantenne sempre presso di sè buoni ingegneri idraulici e potè spesso appagare altre Corti, che per averne qualcuno ricorrevano a Mantova. La basilica di Sant’Andrea, la chiesa di S. Sebastiano, il ponte de Molini, il castello di Mantova, ed altri pubblici e privati edifìzì, attestano tutto dì la valentia dei loro architetti e la munificenza dei Gonzaga. Al 2i dello stesso facevagli conoscere che « la loggia de santo Sebastiano era finita, de le liste le camere se ge lauora continue et seriano finite se Lorenzo depintore non se fusse infirmato ». In quanto al Cenacolo che faceva il veronese, non poteva esser finito che fra un mese ; intanto urgeva fare il cornicione pel quale attendeva ordini. Dopo, cioè nel luglio, era occupato per lavori idraulici. Da sua lettera del 28 maggio 1509 al Marchese, tolgo : «... ha-uendomi richiesto . .. che termine sieno le camere de Gonzaga, notifico . . . come la camera de le ale, doue sonno li pianeti, è finita : el camarino del mirto, doue fu acconcio il sollaro, ancora lui e fenito et de picture. El camerino da le sta non ge sta facto niente. Io ho parlato cum M.r0 Francesco de Verona, domandoli de suo fratello Bernardino e seco parli, et me rispose che dandoli duj dipinctori appresso lui forni-rebe il tuto per spacio de quindici dì essendoli datto il modo; dopoi parlay » col Tesoriere pel pagamento di detto Bernardino. Il Marchese al 21 aprile 1511 avvisava il Podestà di Viadana, che doveva arrivar colà « Bernardino Ghisolfo nostro superior de le fabriche per riparazione a quella rocca » (Cop. let. 214). Infatti all’ otto maggio da colà spediva al Marchese il GIORNALE LIGUSTICO 373 disegno, scusandosi di non poter venir in persona perchè, a cagione delle pioggie, non ha potuto « fondare quello loco », ma spera nella settimana di riuscirvi. Il pittore Francesco da Verona è il ben noto Monsignore, di cui il Dal Pozzo (Le vite dei pittori, scult, ed architetti Veronesi) dà molte notizie, anche pei lavori in Mantova, e dei fratelli. Il Marchese, al 3 giugno 1500, ordinava al vicario di Revere, che facesse pagare da quelli homini Iacomo Bonamondo « per hauer facto una bella opera in quello bastione, per il quale quelli homini li fecero al principiar di molte prommis- sioni » (Cop. let. 166). Da una lettera del Marchese a un Leonardo, in data 20 giugno 1501, sembrerebbe che si tratti di Lonardo Brusco , che, a dì 26 aprile 1509, apparisce chiaramente ingegnere marchionale. Era allora spedito a Ferrara « per la tiacta de balotte de ferro » col Duca, ed aveva ottenuto il permesso di andar ai forni di Garfagnana per comprarne molte. Al 3 maggio 1510 era destinato « per fortificar un ponte a Marcaria » (Cop. let. 211). Da Sermide , il 7 feb. 1511, faceva conoscere al Marchese che doveva far un ponte verso Sermide. Nell’ottobre 15 17 era nel Modenese (Cop. let. 253). Dopo più nulla, trovasi invece una lettera del Marchese (15 luglio 1525) al Vicario di Gonzaga, con la quale gli ordina di provvedere quanto occorre al « Magnifico Batto letneo Bruscho nostro soprastante, affinchè possa far coprire quel nostro Palazzo » (Cop. let. 2S3). Sfortunatamente tanto del Bonamondo quanto del Brusco altre indicazioni non potei avere dalle opere, che trattano di architetti. Il Marchese (5 settembre 1524) comunicava all esamina del Sindaco di Mantova una supplica di M.re Giovanni 1 ar- 374 GIORNALE LIGUSTICO taglia, che domandava 350 lire per lavori fatti al palazzo della Ragione (Cop. lett. riservato). Il Coddè, nelle memorie degli artefici Mantovani, registra Gerolamo Arcari, autore « dell’ ingegnoso artificio delle seghe dei legnami » al Ponte dei Molini in Mantova, di cui ebbe il godimento dei frutti, i quali alla sua morte, furono concessi dal Marchese a Giulio Romano. Io trovai che Gerolamo Arcari, soprastante alle fabbriche marchionali, come egli si sottoscrive, il 21 gennaio 1507, in una lettera da Mantova, indirizzata al Marchese, parteci-pavagli che la carta topografica di Lonato, designata dal pittore Gerolamo stava per esser finita : cioè il Monsignori veronese. Questi ne fece il disegno su carte contenenti la parte superiore, di mezzo ed inferiore della fortezza di Lonato, oltre una quarta di note ed avvisi particolari secondo nota il Portioli (Carte e memorie geografiche in Mantova). Nel 1527 e seguente è qualificato sempre per architetto marchionale (Cop. let. 2/2). Se non si tratta di altro omonimo, dal 1522 al 1526, avrebbe avuto la carica di tesoriere e la croce di cavaliere. La marchesa Isabella, al 26 febbraio, raccomandava al Cavaliere Gerolamo Archario 1’ aumento di stipendio a favore del pittore Lorenzo Leon-Bruno. Nel 1528 era già morto. La Marchesa Isabella nel 1511 domandò al Duca di Ferrara un ingegnere per costrurre un casino fuori della porta di Porto , in luogo detto Ungaria. Le fu mandato M. Biasio ingegnere ducale, che al 23 settembre ritornava poi a Ferrara {Cop. let. 29). Era Biagio Rossetti architetto ferrarese, di cui il Campori (Gli Architetti e gl Ingegneri civili e militari degli Estensi) dà speciale cenno, dimostrandolo dei migliori di Ferrara. Invece il Duca di Urbino, fino dal 3 settembre 15 IO, da GIORNALE LIGUSTICO 375 Castello di Finale rivolgevasi al Marchese di Mantova, per aver colà « doi maestri de li migliori che sappiano bene fare ponti sopra il Po, che magior piacere la non me poteria fare ». Nel giorno dopo spedivagli un messo replicandogli la preghiera, limitandola ad uno se non si poteva averne due ; ma non so quali furono i destinati a partire per Urbino. Il Marchese riceveva il seguente inviato dall’ Imperatore ; e forse era ingegnere militare Caroìus divina fauenle clementia electus Romanorum Imperator semper augustus. III. Princeps Consanguinee diarissime. Redeunte isthuc honorabli fideli delecto Io: Vincendo Cossae, magistro castrorum nostrorum, non nulla dedimus in mandatis tibi nostro nomine referende. Tuum erit teque hortamur, ut eam fides adhibeas ac si te nosmet alloqueremur. Ex oppido nostro Vallis olete, die ultima octobris, anno Domini mdxxxi'j. Regni nostro Romani quarto. Carolus Pii. Nicola. Ili, Federico de Gonzaga Macchioni Mantuae Sancte Romanae Ecclesiae Capitaueo Generali, Principi et consanguineo nostro chiarissimo. Moriva in Mantova, il 21 novembre 1521 M.r0 Apolonius de Ricis architectus, in via della nave, d anni quaranta, dopo sei mesi di febbri e per idropisia. Suo avo Antonio, secondo lo Schivenoglia, fu adoperato molto dal Marchese Lodovico Gonzaga, qual ingegnere. In una lettera del Marchese di Mantova, in data 15 gennaio 1523, si ordina di pagare il Mantovano nostro ingegnere (Cop. let. 273). Il Marchese, a di 30 ottobre 1522, rivolgevasi al suo am- basciadore Grossino : « Volemo che tu ne facci fare un dissegnio di Pauia, cioè come la staua quando nui ci erauamo dentro obsessi dallo Inimico, con li loghi delli ripari et delli alloggiamenti nostri GIORNALE LIGUSTICO et delli nostri compagni et ne lo mandi » (Cop. let. Riservato). E quest altra del 17 marzo 1523 ci farà conoscere l’incaricato di tale lavoro. D. Augustino Sementio. M. etc. Pia^eue hauer inteso per la lettra uostra chel dissegno di Pauia sia finito et che 1’ habbiate mandato in mano del Grossino... (Cop. ht., n. 27.4). E all 11 settembre ordinava a detto Sementio altro disegno di tutta la città di Pavia « con le case et torri », volendo farla dipingere in Mantova. E poiché sono a disegni cosmografici, darò anche posto alle seguenti lettere della Marchesa Isabella Gonzaga d’Este all’ambasciadore mantovano in Venezia. Io Baptistae Malatestae. M. Carissime noster. Siati contento di hauere dui dissegni a stampa , uno di Constantinopoli et l’altro del Cairo delli più ueri et fideli si trouino in quella città et mandarceli per il primo u’ occorre : Et se per non ne potesti hauere in uendita, fatti il possibile per hauerli in pre- to da qualcuno de quelli gentilhomini, perchè satisfattone il bisogno 1 moue ad desiderargli subito ui saranno rimessi. Et bene ualete. Mantuae xviij apritis if2}. Io Baptistae Malatestae. I ^ariss,me nosier- Perchè desideramo pur che si finisca de pinger Ia nos|:ra e tav. I, n. 3. GIORNALE LIGUSTICO 395 peichè, senza dubbio esse vennero coniate in esecuzione del decreto della Maona stessa, approvato dalla Repubblica, nel settembre del 1479 (i)} e perchè il loro tipo era fin qui nniasto ignoto. Il taglio legale di queste monete doveva essere di §r- 3· 599> c'°è a pezzi 88 in libbra di Genova; la quale a sua volta e proprio nel medesimo tempo, coniava un grosso di simil peso in relazione al ducato d’ oro (2). Ma da che nè la Repubblica, e (a quanto se ne sa) nemmeno la Maona, aveano prima d’ allora battuto un grosso di altrettanto peso, cadono i dubbi a questo proposito esternati dai signori Gnecchi. Per le monete di tempo posteriore — grossi di Galeazzo Maria Sforza, e grossi di Luigi XII di Francia, signore di Genova — non v’ è che da rallegrarsi della felice scoperta di Siderunda, e da ringraziare pel diligente ragguaglio che ce ne venne fornito. L. T. BtLGRANO. SPIGOLATURE Nella recente opera di Andrea Gloria: Monumenti della Università di Padova (1318-1405), troviamo alcune importanti notizie intorno ai liguri scolari 0 professori in quella insigne Università. Fra gli scolari notiamo Alvise 0 Lodovico Fiesco (1375-1380); Puccio Caico di Nizza (1379); Bartolomeo dei marchesi Malaspina (1380); Alerame marchese di Ceva (13 51); Andrea di Pietralata da Genova (1387); Guadagnino della Lunigiana (1378-1379); Enrico da Genova (1397-1404); Antonio Guastoni da Genova (1396); Onorato da Genova (1397). Dei professori si danno le notizie seguenti : « Galvano Bibbia di Genova (1) apparteneva al collegio dei dottori (di filosofia e logica), prova della sua scuola perchè forestiere. (1) Promis, pp. 42 e 64. (2) Undici grossi a ducato. — Cfr. Desimoni, Tavole dei valori ecc., monete d’argento, a. 1480; Id., Le prime monete d’argento della Zecca di Genova; in Atti Soc. Ligure di St. Patria, XIX. 217. (3) Questo appellativo di BiUia era un soprannome, secondo risulta dal documento citato dal Gloria (li. 113). 396 GIORNALE LIGUSTICO Vi fu ascritto come sopranumerario nel 9 gennaio 1376 a motivo del suo dottorato conseguito in Parigi; e pare che nel gennaio 13 7^ siastato compreso nel numero dei dodici dottori. Non trovandosi più memoria di lui dopo quell’anno, arguisco che siasi allontanato da Padova ». » Raimondino Fiesco conte di Lavagna figlio di Tedisio, era già dottore delle leggi e abitante in Padova nella via di Parenzo nel dicembre 1393* Fu testimonio nel giugno 1394 nella casa di Azzo marchese d’Este posta in Padova nella via di S. Lucia. Era allora già consigliere del principe Carrara, uffizio che teneva anche nel 1396. È appellato vicario del principe stesso e assistente all’esame di Giorgio Giorgi di Zara nel 1397-Ma probabilmente fu detto vicario per errore trovandolo noi consigliere nello stesso anno ancora nel 1398. Nel 1401 nella cancelleria del principe fu testimone alla investitura di notariato impartita dal conte Jacopo S. Croce a Francesco Brazolo, ed ivi nominò suoi procuratori il proprio fratello Bartolomeo e Francesco Spinola di Luccoli. E nel 1402 assistette al dottorato di Tornio Stampiti di Serano. Vedere questo dottore forestiere fermo in Padova, e vederlo tra professori assistere ad esami e a dottorati di scolari, ci riesce forte indizio che egli pure abbia tenuto scuola nella padovana Università » (1). « Benedetto da Sarzana della provincia di Genova , figlio di Pietro , e il suo fratello Giovanni furono promossi al dottorato dal professore Gio vanni Dondi Orologio (2). E dobbiamo dire che ciò sia avvenuto verso il 1369, poiché Benedetto risulta già aggregato al collegio dei dottori nel 1370, appartenente allo stesso collegio nel 1378 e suo preposito ne 1372. Faceva nel 1378 anche parte della fraglia dei medici. E rileviamo che nel febbraio 1379 fu testimone della residenza podestarile: nel gen naio 1380 nella reggia Carrarese in compagnia del professore Ariendino Arsendi e di Marco da Brescia scolare, e nel settembre 1383 al testa mento di Francesco Massimi da Legnaro. Anch’egli nel 12 ottobre dello stesso anno dettò il testamento alla presenza degli scolari della medicina Antonio da Romano e Giovanni da Feltre, stabilendo la sua sepoltura nella cattedrale, lasciando un legato alla sua figlia Giusta e disponen o che nella chiesa di S. Francesco di Sarzana fosse eretto un monumento, che portasse scolpita la sua figura in abito dottorale con libri e scolari, e nominando eredi in parti eguali Giovanni suo figlio e Franchinello suo fratello. Al letto di morte egli sposò nel giorno 20 seguente Jacopma figlia di Bonaventura da Monselice. E poco appresso (ini i suoi giorni, risultando ciò dal mon. del nov. 1383, che riferisce avere chiesto Franchinello predetto al giudice la tutela di Giovanni figlio di lui già defunto. La sua aggregazione al collegio dei dottori, e la riferita sua dichiarazione (1) Di Raimondino esiste il testamento olografo in copia nel cod. C. Vili, 24 (c. I2 S) ^c^;l Bibl. Univ. di Genova. È del i.° dicembre 1422. Lascia tutti i suoi libri a Federico di AnJreolo del fu Bernabove Fiesco « in casu quo velit studere in jure civili ». (a) Recitò in questa opportunità una orazione, che ci è rimasta manoscritta. GIORNALE LIGUSTICO 397 testamentaria di voler essere raffigurato in abito dottorale, con libri e scolari, sono prove evidenti, ch’egli tenne in Padova anche scuola » (i). « Giovanni Passera de Pera di Genova, figlio di Gerardo, era scolare nel dicembre 1387, in cui fu al dottorato di Andrea da Pietralata di Genova. Si rinviene scolare ancora nel novembre 1389, già dottorato in Chirurgia nel gennaio 1392 e nella Medicina nell’aprile seguente. Insegnava la Chirurgia nell’ottobre 1394, e nell’agosto 1401 fu promotore, benché assente, all’esame di Marco Valla di Venezia, e al dottorato di lui nel settembre seguente. Apparteneva al collegio dei dottori nel 1395 e ancora nel 1398. Dovendo l’ultimo aggregato al collegio stesso tenere il sermone all’apertura delle scuole, ed essendo Giovanni l’ultimo, ma lontano e ammalato, fu eletto nel i.° ottobre 1395 in sua vece Barto-Iammeo Gozadori di Mantova. Si dedicò egli anche al servigio del principe da Carrara, che lo tenne in grande estimazione. Lo troviamo nel suo palazzo, allora che il principe, stesso nel marzo 1396 nominò suo procuratore Guglielmo Ongarelli. Ve Io troviamo nell’aprile 1398. E leggiamo che nel febbraio 1399 il principe, inconsiderazione dei servigi avuti da Giovanni, gli fece una donazione ; che questi nel febbraio stesso era vicino alla porta della camera di Lucrezia nel predetto palazzo in compagnia di Paolo e Luca Leone fratelli, e nel maggio seguente sotto la loggia della cancelleria Carrarese, quando i rettori della Università dei giuristi, Francesco Mela da Catalogna e Giovanni SufFuda di Calabria , approvarono la sentenza pronunciata dal principe nella nota controversia che quella Università avea con l’altra degli artisti. Troviamo inoltre, che nel giugno 1399 lo stesso Giovanni era pure nel palazzo del principe, ove concesse una investitura ; che avea in quel mese già conseguita la cittadinanza padovana per decreto di lui; che uel marzo 1400 fu ancora nella cancelleria del da Carrara, quando il conte Lodovico S. Bonifacio concesse il tabellionato a Tommaso da Castelluccio del principato di Salerno; che nel gennaio 1402 assistette nel castello della città, quando il principe élargi una donazione al suo medico Jacopo dalla Crosara del Santo, e nel marzo seguente nel palazzo del principe medesimo, quando egli e il figlio di lui Francesco III incaricarono Francesco Buzzacarini e Bonifacio Guarnerini dottore a conchiudere il matrimonio fra Jacopo da Carrara e Belfiore figlia di Rodolfo da Camerino. E troviamo che nel-l’aprile 1405 ei fu testimone nell’anzidetto castello, quando Matteo dalle Corazze di Verona numerò lire seicento a Donato Sartore capitano della Saracinesca di Padova ; che nel maggio seguente intervenne di nuovo nel palazzo del principe, allora che questi, per bisogni della guerra vendette possessioni a Giovanni Francesco Piomboli; che nel settembre 1405 Francesco III da Carrara a nome del padre rilasciò a lui una quitanza ; che nell’ ottobre 1405 il medesimo Francesco III ancora in nome del padre (l) Nella chiesa di S. Francesco di Sarzana non esiste traccia dell’ indicato sepolcro. Crediamo però clic questo Benedetto fosse della famiglia de’ Mercadanti. 398 ’ GIORNALE LIGUSTICO a retribuzione dei servigi avuti da lui gli donò Maria schiava dell età di anni venti circa, proveniente dall’ Etiopia, la quale chiamavasi bpiu a d’essere battezzata; e che nel 10 novembre seguente il principe allo stesso Giovanni suo medico e famigliare anche Barbara altra se 11 proveniente dall’ India, dell’ età di anni ventiquattro circa, la quale fjvev‘ in fronte tre cicatrici secondo il costume degli Indiani e innanzi 1 su battesimo nomavasi India. I monumenti inoltre ricordano Giovanni n giugno 1393 nella casa di Giovanni Parisino Mezziconti, nel maggio 1397 in quella del dottore Jacopo Gambono dal Piemonte posta a S. di agi , e nell’ottobre 1401 in quella di Nascimbene da Rodi posta nella vi Maggiore. Probabilmente mori nel i.° giugno 1426 in Padova , ed e sepoltura nella chiesa dei SS. Filippo e Jacopo con questo epitaffio ri rito dal Salomonio : τ 1 'c Sepultura nobilis excellentissimi artium medicinae doctons magistri Jo ianni — dei [$]... haeredum suorum constructum M.IIII.XXV1.primo mensis Jun 1. Artibus egregiis veris medicatibus [sic] iugens Famoxus doctor notus in orbe fuit. Janua me genuit stirps Passar a clara, Joanms Nomen erat, fragilem quem brevis urna tenet. An. MDC.LXXXVI mensis Januarii die XXI. Hoc sub marmore, hacque in arca clausum fuit cadaver Palmer ini Genuae de Passeris, philosophiae aoc ori, de familia atque descendentia masculina legitime nata ultimi usque aa iei ultimum, in quo firma fide credendum omnes esse resurrecturos. * ♦ * « « · Fra le carte Strozziane, delle quali si va man mano pubblicando 1 in dice, il cod. CCCII della serie 1.» richiama la nostra attenzione e pe varie lettere scritte da Genova intorno alle guerre contro il Turco su metà del Cinquecento, e per una « copia della perdita di^ C iana », c è, in apografo del tempo, una lettera data « A di 15 d’aghosto 1475 in chanal di Costantinopoli » scritta a un suo fratello da uno che era rimasto prigione del Turco. * * * Nel Giornale storico della letteratura italiana (vol. IX, pag. 432. e se8S·/ G. A. Venturi discorre assai largamente di alcune pubblicazioni recen 1 sul Chiabrera, le quali sono, oltre la Bibliografia del Varaldo, un lavo retto di Alberto Aldini, intitolato: La lirica del Chiabrera ; e Gabrie 0 Chiabrera e la raccolta delle sue rime da lui medesimo ordinale di Severin Ferrari, del quale possiamo annunziare ai nostri lettori fin d ora un altro lavoro sull’ Amadeide. * 11 canonico Giuseppe Del Corno ha pubblicato un volume di appendice (Milano, G. Agnelli) alla nota opera del proposto Riccardi, Stona dei Santuarii più celebri di Maria Santissima. Figurano in questa appendice , per la Liguria, i santuari di Soviore, e di Montallegio presso Rapallo. ♦ * * Salvatore Bongi in un articolo importante : Il Meursio in Italia^ (Rivista critica della letter. ital., a. V, 11. 2), discorre della traduzione di quell’oscuro libro fatta da Celestino Massucco e stampata a Genova nel 1799* Libro divenuto d’estrema rarità, perchè distrutto. In una nota reca giornale ligustico 399 altresì un documento intorno alle Opere del Baffo, edite nel 1789 o a Genova 0 nella riviera di ponente. * ♦ * Nel catalogo della vendita libraria A. Picard, a Parigi, del 28 luglio passato, figuravano le seguenti rarità storiche e bibliografiche genovesi. p7 .Histoire merveilleuse et espouventable advenue près la ville de enes en Italie en la personne d’Anth. Pannetier, voiturier, lequel est a isme en terre pour avoir blasphesmé le S. Nom de Dieu, trad. d’ital. en lranç. par André Devan, advocat. A Rouen, chez Loys Dumenil, tenant sa boutique à la petite rue S. Jean, à la Croix d’Or. Jouxte la copie im-P’cm“ (i Gennes, par Guill. Lena. s. d. (vers 1612), pet. in-8, réglé, v. Pièce fort rare. — Très joli exemplaire, dans un parfait état de conservation et en partie non rogné. 1227. — Punition exemplaire et jugement de Dieu contre Anth. Pa-netier, voicturier de Gennes englouty en terre jusqu’au menton pour avoir exécrablement blasphémé le sainct Nom de Dieu, trad. de l'ital. en rranç. par André Devant, advocat, le 15 juin 1613, avec les arrests de la Cour de Parlement de Paris contre les blasphémateurs. Paris s. d. (1613), pet. in-8, dem.-rel. Pièce très rare; la dernière ligne du texte est en partie coupée. * ♦ * .H signor Perret, archivista paleografo, incaricato dall’ Accademia delle scienze morali e politiche di Francia, di ricercare negli archivi italiani le ordinanze, che vi si conservano, del tempo di Francesco I, avendo compiuta la propria missione, ne ha reso conto in un opuscolo intitolato : Notes sur les actes de François I." conservées dans les archives de Turin , Milan, Gênes, Florence, Modbie et Mantoue; Paris, Alphonse Picard, 1888. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Luca Beltrami. — Il reale Castello del Valentino innalzato dalla duchessa Maria Cristina di Savoia, secondo un disegno inedito; Milano, Colombo e Cordani, 1888; in 4.0 di pagg. 17 con fac-simile. La storia di questo edificio, che lu gradita dimora ai principi sabaudi, assai si vantaggia dalla pubblicazione di questo importante disegno sincrono, testé ritrovato fra una serie di disegni milanesi di proprietà del-1’ editore, e che ci rappresenta il Valentino nel modo col quale venne ricostruito da Maria Cristina. Il Beltrami riassume le notizie del castello secondo vennero date da quelli che ne discorsero in tempi diversi fino a noi, e nota le incertezze e le oscurità che nonostante i loro lavori rimasero a chiarire ; quindi esamina accuratamente il piano in relazione con l’attuale edificio, e coi documenti, i quali ci danno contezza di opere modificate di poi. Con ciò noi veniamo a conoscere in qual guisa venne rifatto nel 1633, riducendolo a magnificenza di villa regale, quel « pa-laso mal condisionato » che Emanuele Filiberto comprò 1’ anno 1564 da Renato Birago, ed al quale egli pure apportò degli acconciamenti e delle migliorie. Resta però tuttavia ignoto il nome dell’ ingegnere al quale la duchessa affidò il carico dell’ opera insigne. A. N. 400 GIORNALE LIGUSTICO Agostino Allegro. — Cenni Biografici dello scultore prof. C. F. Clnaffa-rino; Genova, Stabilimento fratelli Armanino, 1888; in 8,di_pagg. 65. Questo elegante volumetto, testé uscito in bei tipi elzeviriani, è arricchito da una tavola riproducente in olografia il ritratto, somigliantissimo, del defunto artista, tratto da un dipinto" del Guzzone, che fu suo amico, e da altre tre in fototipia, rappresentanti la statua del David e 1 due bassorilievi dei Gladiatori alla vieta sudante, e del Trasporto della Madonna di Cimabue. L’autore, con pietoso pensiero, ha voluto, che l’opera sua fosse preceduta dalla seguente dedica — Alla memoria benedetta di mio padre e ai mia madre. — Con brevi parole, inoltre, accenna alle ragioni della sua pubblicazione, ed in dodici capitoli divide la materia, che vale a rendere noti i fatti segnalati ed il breve soggiorno sulla terra del compianto scultore genovese. Rammento alcuni versi d’una poesia del Giuria, se non erro, che n cono : Fortunato chi muor come saetta Che ha un atmo di vita e luminosa Terribile si spegne...... Tale infatti apparve la vita del Chiaffarino: breve, luminosa e terribilmente spenta. Ma fu egli fortunato? La lettura del libro dell A legro conclude colle lagrime agli occhi, sia perchè ci fa rimpiangere uomo , sia perchè ci fa rimpiangere l’artista, ma in un tempo ci dà a_.cono' scere come i principi del Chiaffarino, ai quali si è uniformato in vi a in morte, accertassero in lui la convinzione che, ad onta del suo teso . di artistica potenza, gli era dato lasciare la terra con molta fede e c molto coraggio. È certo che, a ventotto anni, egli rappresenta1, a c° opere sue , una delle più grandi manifestazioni della scoltura contemp ranea. _ . . L’autore descrive la vita del Chiaffarino colla convinzione di uno, c sa quello che dice, e colla più coscenziosa esattezza ; _ma pari a que qualità si manifesta il sentimento dell’amicizia, che è sincera e prò on^j.‘ La sua esposizione è chiara e semplice , e se non vi si riscontrano gì orpelli della rettorica, vi si trova la sostanza, che interessa e che app g ■ L’arte dello scolpire è di sua natura sintetica; e quando ad un cu di questa nobile disciplina è dato di prendere la penna in mano, no allontana facilmente dalla concisione e non si discosta da quanto si risce strettamente al suo tema. , .„1 Le opere del Chiaffarino furono recentemente esposte nelle sa l’Accademia Ligustica; se non gli artisti, gran parte del pub iC riconosciuto soltanto allora i pregi eccezionalissimi del nostro con -dino, e certo non pochi ebbero notizia contemporaneamente de a esistenza, della sua eccellenza e della sua morte. ,. Io mi congratulo con Agostino Allegro, che oltre la sua ilual‘l scultore, non meno onora quella di architetto e quell’altra, pur r PP non comune, di erudito nelle cose d’arte e di esse capacissimo scrit 0 · Più di tutto mi rallegro con lui, perchè ha resa pubblica e degna tes monianza di un artista italiano, il cui nome merita di essere scritto 1 oro sulle pagine della storia contemporanea. r 0 T. Luxoro. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 4OI ARCHITETTI, INGNERI, MATEMATICI IN RELAZIONE COI GONZAGA SIGNORI DI MANTOVA NEI SECOLI XV, XVI E XVII Ricerchi archivistiche mantovane di A. Bertolotti. (Continuazione v. pag. 39}) Il Dottor Gio. Pacecho, mentre era in Venezia nel 1571 per stampare un’opera, che trattava di Algeri con intagli, la quale dedicò al Duca di Mantova, gli fece conoscere, a dì 21 aprile, che dall’uomo, che gli prepara gli intagli ha conosciuto vari segreti fra cui di riparare in un giorno artiglierie inchiodate e di perfezionarne altre in modo che una operi più di dieci insieme. Egli si offriva di condurre l’inventore a Mantova. Il 10 giugno, presentando detta opera, gli nota che egli scampò da schiavitù in Algeri e fu persuaso da alcuni ministri del re Filippo a far tale pubblicazione. Ma altro di più non posso dirne. Fin dai primi anni del 1400 la famiglia Pedemonte venne da Verona in Mantova. Giovanni Francesco era stato scolare e aiuto del Mantegna e di Giulio Romano. Egli ebbe due figli Cesare pittore e Pompeo architetto del Duca Guglielmo. L’ultimo, a dì 4 luglio 1571, dava ragione al Duca per aver annullato la mercede di M. Francesco Pandino, che aveva indorato l’ornamento nuovo delle ancone di santa Barbara. Il 9 maggio 1577 ricorreva al Duca per esser pagato da Girolamo Boldrino, nipote del defunto vescovo di Mantova, pel disegno del Convento di S. Domenico , fatto d’ordine del Vescovo, poi pel disegno del catafalco e dell’epitaffio Giorn. Ligustico. Anno XV, 26 402 GIORNALE LIGUSTICO per la sepoltura di questo. E di nuovo nel 1580 si rivolgeva al Duca a fine d’ esser pagato per la ricordata fabbrica. Era nel 1599 occupato a costrurre nel castello i locali, detti Corte vecchia. Si lamenta, l’undici luglio 1569, perchè M. Orazio fece dipingere « il cornisotto sopra le colonne et a fatto ivi in membro di quella una pittura non conueniente » nella fabbrica del giardino, benché egli avesse disegnato quel corniciotto, l’architrave e il fregio. Nel mese successivo disponeva per una scaletta, che doveva sboccare alla prima loggetta sopra Santa Croce , per eseguire la piazza di Santa Barbara, e per far dipingere a chiaro oscuro le loggie interne a Corte vecchia. Egli disegnò pure i lavori, che il Tintoretto doveva fare nella piazza del Castello. Nel luglio 1583 era occupato in Gazzuolo. Scontento, nel settembre 1585, scrivendo al Duca, accusa altri di poca onestà e domandagli di poter « valersi del casino già del Vanotio, per ridurmi, se gli sarò, qualche uolta questa vernata a quel camino da basso a scaldarmi ». Benché mal andato di salute, il 4 agosto 1586, voleva pie sentati al Duca alcuni disegni, che egli qualifica per capricci, due giorni dopo gliene manda altri per esser intagliati nelle soffitte delle camere in Goito. Il 5 settembre fa risultare che i suoi disegni sono dipinti da Giulio Rubbone e dal Borgano. Erano disegni di ornamenti. Il 25 si lagna che il suo proposto G. B. Rossi non abbia avuto conveniente retribuzione, qual soprastante ai lavori in Goito, e che per ciò abbia dovuto venir via. Seguono molte altre sue lettere del 1587, in cui ha sempre qualche lagno a fare-, e finalmente, il 7 gennaio 1588, rifeiisce al Duca sul grave stato di salute, in cui trovasi. Forse, sconfortato, vedendo tanto più che la corte Mantovana dava la preferenza ad altri architetti forestieri, scriveva la seguente, che sarà opportuno riportare interamente: giornale ligustico 403 Mollo III.0 et R.m° Sig.or mio sempre Oss.mo Forse che V. S. R.a si marauigliarà del mio scriuergli cose forse mai da lei non aspettate, ma perche certe occasioni mi porgeno il mio bisogno, uoglio comunicarlo a lei, come quel Signore che sempre mi a mostrato, e intatto, il buon animo che a di farmi fauore e piacere ad ogni occorenze mie. Dunque V. S. R.”a sappia che sono, non settimane, ma molti mesi che 10 0 desiderato riueder uenetia con qualche mio honore et utile , anci per questa mia inclinatione son stato più uolte e adesso più che mai sul rizzolo di uendere quel poco che io 0, e uenirmene a starui, poi che qui nella patria mia son derelitto e disprezzato. Ma perche io potessi far questo con sicura fermezza, mi bisognaria il fauor suo come dire s’ ella conoscesse potermi introdurre a far qualche tabrica honorata 0 almeno mediocre, pur che potessi guadagnar il uiuere ι-on qualche buono apoggio, accio s’io desguistassi per uendere il mio potessi rinfrancarmi honoratamente. Ma perche sento che V. S. R. mi dice : 0 pedemonte tu sei uecchio e appunto in stato di douer hora ripossare e nella tua patria e a casa tua senza più afaticarti, gli rispondo che il palladio era pur molto più uecchio di me e pur tuttauia operaua più che mai. Anzi il mio riposo saria tale, non lo trouando nella patria mia. E la mi dice anco : dunque uoresti uenir a morir a uenetia? anco qui rispondo che mi laria a me più il morir là che qua, e con più honor che a casa mia. Ma la mi dice anco : 0 pedemonte dimmi di gratia come potrei io esser sicuro di proporti con honor mio a persona alcuna per huomo da qualche cosa nella profession tua? rispondo che se non sapessi certo di esser huomo per far opere quant’altri ui sieno, non ardirei parlare, ma gli darò un tal contesto che forse non gli dispiacerà. Il R.mo Monsig. Barbaro, in uitta sua eletto patriarca d’Aquilea, hauendo qui in Mantoua il R.° Don Francesco pauolini già suo grande Amico, al quale sua S.'u scriueua spesso, esso Pauolini mi gli fece conoscere, attale che S. S. R.m mi mandaua donare uno de suoi Vitruuji tradutti et co-mentati con un suo libro di prospettiua, dou’ egli pose in esso la mia in-uentione delle scene, et io gli mandai a donare alcuni miei disegni, quali gli dettero occasione di dire, a esso R. Paolino di: dite al pedemonte che se lui fosse a Venetia e chel uedesse le cose degli altri, lui li auanzaria di gran lungha, e fu gran disgratia la mia per la morte sua. Siche, S. mio, so che V. S. R. e prudentissimo et amoreuolissimo a 404 GIORNALE LIGUSTICO me per mera gratia sua, che la si degnarà raguagliarmi il buon animo et parer suo di quanto la dinari il suo concetto, et con questo fine infinitamente me gli raccomando, da Mantoua il 26 di dicembre 1591· (J1 tint0‘ retto mi conobbe qui a Mantoua). Di V. S. III. e R. Al Molto Ill.vio e R.mo S.r e sempre Oss.mo Signore Pietro Aurelio Pompona^o Consig. Ambas. del S. S. Duca di Mantoua et Motif, a Venetia. per servirà sempre Pompeo Pedemonte. L esito della risposta si può capire da altra sua lettera del 17 febbraio 1592, con la quale si mostra dolente di non « poter eseguir il pensiero » suo, e si raccomanda per occupazioni in altre città. Morì il 6 luglio 1592 nella via del Leopardo, di anni 77 per febbre, senza lasciar prole. Il Papa Gregorio xiij avendo concesso la privativa ad Ambrogio Bizozero per una sua « inuentione in Roma di due artifizii per inalzar acque perpetuamente a qualsiasi altezza » e per altra di una lucerna di metallo 0 d’argento che teneva olio per 50 ore e stava sempre pulitissima, dando una luce molto brillante, il cardinale di Como, ciò partecipando al Duca di Mantova, il 7 ottobre 1574, l’interessava ad estendere la privativa per i suoi stati, essendo le invenzioni utilissime. Registro il Bizozero qual architetto 0 meccanico. A dì 28 agosto 1575 moriva, di anni 52, G. B. Zilotto vicentino, prefetto delle fabbriche di S. A. e il 7 giugno 157^ G. B. di M. Gabriele da Narni architetto ducale; ma di loro nuli’altro ci è noto, forse il primo fu anche pittore, allievo di Paolo veronese. Ora indicheremo le relazioni della famiglia Paciotti di Urbino con i Gonzaga, cominciando dal famoso Francesco, architetto civile e militare, di cui il Promis dettò la vita. GIORNALE LIGUSTICO 405 Ill.mo et Ecc.mo Sig. Ho ueduto per la lettera di V. E., il desiderio eh' ella tiene d’ hauer un Ingegniero di qua per il bisogno delle due fortezze che uuol fare nello stato suo di Monferrato, et conforme al molto desiderio che tengo di ser-uirla et compiacerla sempre in ogni cosa che per me si possi, son uenuto in pensiero della persona del Cau.t0 Paciotto, il qual non sol è il più principale di questa professione che sia hora nel mio stato, ma credo che di fuori anchora non resti adietro ad alcun’ altro. È stato longo tempo al servitio del sig. Duca di Savoia, ma son molti mesi che si ritroua in liberta, et è mio suddito de qui, doue sta con la famiglia sua ; è uero che non potrà absentarsi per molto, perchè uolendo S. S. seguitare le fortificationi d’Ancona cominciate col mezzo suo, si uuol seruire di lui in dargli anco perfettione, ma dicendo V. E. che desidera anco un altro che poi habbi ad esseguire i dissegni et ordini suoi, questo non è per importare et egli mi dice che c’haurà un suddito di V. E. med.* che sarà sufficiente a questo, e perchè il sig. Duca di Parma nel passare eh’ a fatto adesso di qua 1’ ha menato seco in Lombardia, potrà V. E., se si compiacerà di lui, come per la molta sufficienza sua in Lombardia ella può sicuramente fare, fargli scriuere la uolontà sua con enunciargli 1’ allegato mio, che non mancherà per l’ordine eh’ a hauuto a bocca da me e che di nuovo per la presente gli replico di uenir a trouarla et seruirla subito. Bascio le mani pregandole ogni contento. Di Urbino a xx di luglio MDLXXÌj. Servitor e cugino di V. E. Il Duca di Urbino. All’ III. et Ecc. Sig. il Sig. Duca di Manioua. Ill.mo et Ecc.mo Signore. Venendomi scritto dal mio ambasciatore di Roma per ordine di S. S. ch’ella desidera che il Cau.” Paciotto se ne uadi là quanto prima, per uenir a totale rissolutione della fortificazione d’ Ancona, come per Γ altra mia toccai a V. E., io non ho uoluto tardare a dartene auiso, affine che compiacendosi di lui per il seruitio che m’ha scritto, si contenti non differir più il mandare a chiamarlo, e in tanto farò opera in Roma che V. E. habbi più commodità che sia possibile di seruirsene, e 1’ auiserà di quanto ocurrerà. Bascio a V. E. le mani pregandole ogni contentezza. DI Urbino il xxvj di luglio mdlxxì). Servitore e cugino di V. E. Il Duca di Urbino. All III. et Ecc. Signor Duca di Manioua. GIORNALE LIGUSTICO Ed eccolo più anni dopo nuovamente chiamato in Mantova. Strettissimo Signor Padron mio Colmo. Questa mattina a 14 ore giunsi a Mantova; per non saper poi ancora con chi ho da parlar per venire alla sua volta, non mi son partito sub-bito come haverei fiuto; ora uado alla uolta del signor Governatore per pigliar lingua e far quanto me sara comandato ; e con questo umilmente le bacio le mani. Che Dio gli conceda quanto desidera. Di Mantova il di 15 di giugno 1589. Di V. A. S. Umilissimo Servitore Il Conte Paciotto. Il Promis fa conoscere che fu chiamato per visitare le fortezze e dar il suo parere sulle fortificazione di Mantova, e forse anche per aver quello sulla pianta della cittadella di Casale Monfei rato, disegnata da Germanico Savorgnano, e fondata poi nel 1591. Egli mori nel 1592 e fu — nota il Promis senza dubbio il più grande e celebre ingegnere militare, che Italia abbia avuto nel xvi secolo ed il più noto agli stranieri. Egli lasciò i seguenti figli Carlo, Francesco Maria, Gui-dobaldo ingegnere di Alessandro Farnese morto nel 159^ e Federico. Ed ecco come il primogenito, che ebbe dal re di Francia patente di colonnello e trovossi all’assedio di Canissa nel xéor e nel 1615 contro il Duca di Savoia, si indirizza al Duca di Mantova: Serenisi.0 Sig. et Pa.”‘ mio Coll.0 Per il fauore riceuuto da V. A. S. delle condoglianze che fa meco e con i miei fratelli per la perdita che habbiam fatto, si noi d’un tale padre, come V. A. d’un cosi fedele et amoreuole seruitore, cognoso quanto ella si sia inclinato dalla sua grandezza per farne fauore, et perchè al incontro la bassa fortuna nostra non può agiungere a mostrarne gratitudine altramente che non l’animo, degnisi d’ humiliarsi, ancora tanto che almeno li sia accetto questo poco che li possiamo porgere dal canto nostro. Quanto al comand.'» che V. A. S. mi fa che debba imitare la virtù di quella benedetta anima, per più rispetti son tenuto, si perché GIORNALE LIGUSTICO 4°7 V. A. si degna comandarmelo si anco perche il dovere naturale lo vole, sforzarommi dunque di continuare nella propria professione per hauer più comodità di seruirla. Acetando tutavia per supremo fauore Γ oferta che S. A. S. mi fa nelle mie occorenze, in uero conforme al animo della b. m. del conte mio Padre, et per fine con ogni umiltà li faccio riuerenza, desiderandoli dal Sig. Dio ogni desiderato contento et felicità. D’ Urbino li 25 di settembre 1592. Di V. A. S. humiliss. seruit. Il Conte Carlo Paciotti At S.mo Sig. mio Coll.0 Il Sig. Duca di Mantoua. Con altra lettera del 2 maggio 1595 da Pesaro ringrazia il Duca del bando contro gli assassini di suo fratello , e gli offre Federigo di anni 25 per qualsiasi impiego crederà dargli. Memore che il Duca altra volta aveva raccomandato Federico per ottenergli la croce di Malta, spera che vorrà coll’ impiego salvarlo dalle inimicizie. Federigo era l’ultimo fratello, allievo del padre. Aveva fatto professione di cavaliere Gerosolimitano nel 1589; si distinse in Fiandra e morì combattendo contro gli Olandesi nel 1599. Seguono ora alcuni autografi del fratello ucciso, sconosciuto a coloro, che si occuparono dei Paciotti. Sereii.""> Sig. et Pad.e mio Sing.m° Di quanto mi ha lasciato de beni di fortuna il Conte Francesco Paciotti mio padre, poco, 0 uerun conto ne terrei, se non mi hauesse lasciato insieme una maggior hérédité, eh’è la seruitù con Vostra Altezza Ser.m\ perche non istimo di poter mantenere e godere cosa al mondo senza la protettione sua, come pure hora mi è necessario d’inuocarla, poi che trouandomi io confinato alquanto tempo fa qui in Fossombrone (da poi circa due mesi di rocca) dal Ser.mo d’ Urbino mio padrone naturale . per alcune questioni fatte da me in quella città, parendomi di hauer purgato pure in buona parte quanto haueuo comesso con la prigione con 1’ essilio e pena pecuniaria, uorrei pur, com’ è comune desiderio, poter tornare nella mia patria di Urbino. E non sapendo a chi ricorrere che soglia spendere la grandezza sua a beneficio altrui più degnamente di V. A. S., in particolare de quelli che sono stati perpetui suoi seruitori come sono 408 GIORNALE LIGUSTICO stati e sono i miei, uengo humilmente a supplicarla uoglia fauorirmi di una sua lettera a detto Sig. Duca in raccomandatione di questo mio giusto desiderio, in quello miglior muodo, che le dettarà l’infinita gentilezza sua. el che essendomi da lei concesso, come spero, me le renderò tanto più deuoto quanto meno sono li meriti miei; et li sarò prima obbligato che da lei conosciuto, essendomi stato negato dalla bassezza mia di poter mostrare quanto sia 1 animo mio dedicato a seruire V. A. S., che sarà sempre ricompensata da altrettanto priuileggio, et assicurandola che le uiuo leale seruitore e sotto l’ombra sua, le faccio humilmente reuerenza, e le prego da Iddio ogni compiuta felicità. Di Fossombrone li xxv di Ottobre M.DXcii. Di V. A. S. hùmiliss. et obblig. seruil. Francesco Maria Paciotti. Aì Ser”’0 Sig. Pad. mio Coleni. Il Sig. Duca di Mantua. Illustrissimo Sig. mio et Padroti Sing.mo Staua aspettando l’essito della lettera che V. Altezza Ser.ml si degnò (mercè alla benignità e gentilezza sua) fauorirmi e poi dargliene conto. Ma poi che io uedo ritardarne 1’essecutione, non uoglio star più con mancar del debito mio di ringratiarla quanto so e posso delle già fattami e starò pregando N. S. Dio mi porghi occasione di far conoscere a V. A. S. quanto sia dedicato l’animo mio a seruirla, assicurandola che sempre spenderò la uita mia e de’ miei amici in suo servitio, e che gia-mai per qual si uoglia occasione io sia per ritirarmi indietro, pur che dalla bassezza mia non mi si tolga l’esseguire questo mio desiderio e debito. Tuttavia uiuerò tale quale me gli sono dedicato, assicurando V. A. Ser.1 eh il non hauere la lettera sua sortito il douuto effetto non sia stato per mancamenti eh’ io habbi fatto al nome di essere tenuto suo humilissimo seruitore, ma che tutto sia mia mera disgratia. Con che faccio fine, e sotto l’ombra sua con ogni humiltà me gl' inchino e faccio riuerenza, et li prego da N. S. Dio ogni compiuta felicità. Di Fossombrone li xxvij di novembre MDxeij. Di V. A. Ser.* hùmiliss. et ubblig. Seruit. Francescho Maria Paciotti. Al Ser.mo Sig. Sig. et Padron mio Colendis. Il Sig. Duca di Mantua. giornale ligustico 409 Il Duca lo fece graziare, come risulta da lettera del Duca di Ut bino, il quale da Pesaro, il 18 dicembre 1593 , così rispondeva a quello di Mantova: « Il Paciotto raccomandatomi da V. A. si è mostrato in molte occasioni di cosi fastidiosa natuia, che mi è convenuto di farlo non solo tener priggione 111 una rocca, ma di confinarlo anco per non lasciarlo ritornar <1 Urbino, fin tanto che non dia qualche buon segno della sua emendatione »; tuttavia per compiacerlo lo libererà dal confine. Veniamo ora ai fratelli del famoso Francesco Pacciotti. Cesare era sacerdote, rettore di S. Bartolomeo in Urbino. Il 13 aprile 1592 faceva conoscere al Duca di Mantova che suo nipote Federico Paciotti era ritornato da Nizza di Provenza, ove aveva avuto la croce di Malta, e domandava per lui delle commendatizie; al che il Duca acconsentiva di buon grado. Da lui mosse più tardi l’istanza per il bando contro gli assassini dell’ucciso nipote Francesco Maria, come apprendiamo dalla lettera seguente: Ser.'<"> Duca mio Sig. Pad.”‘ Col.mo, Per non far cosa che mai potesse apportar disgusto a V. A. S., vengo hora a suplicare, e con le lagrime agli occhi, a concedermi autentica licenza in un foglio di poter publicare per tutto lo stato di quello lo incluso bando ducale, contro quegli empij e malvagi traditori, assassini e ladri, che con tanta inhumanità e sceleratezza hanno commesso 1’homicidio ne la persona del conte Francesco Maria Paciotti mio caro nepote nell’età di 24, anni et ueniva di così grande riuscita. La cosa uera è stato ch’egli fu da li due fratelli traditori inuitato la sera a cena, et in quella uece gli diedero con una mazza di ferro su la testa e subito li tagliarono le nene de la gola per raccogliere il sangue e nasconderlo, credendo tener occulto un tal misfatto, e trattoli due anelli da li diti di valuta et da la borsa una quantità di piastre et alquanti scudi d’ oro, lo gittarono in un fonte pubblico, et il giorno atlanti si fecero prestare dal infelice mio nipote due collane d’oro et io per giunta a cagione di questi trauagli mi trouauo esser sostenuto prigione nel Palazzo del nostro R.™> Arciue-scouo ben uenti giorni fa; et non prima che hier! fui per lettere di Madama nostra Ser.ma posto a la larga. Per leuarmi da tanti angustie desi- 410 GIORNALE LIGUSTICO dero che ne la risposta ci fossero parole di conforto e larghe offerte in queste mie acerbe perturbazioni , e che per fine ci fosse eh’ auendo io animo Jeuarmi di Urbino a ricrearmi, uenendo a cotesta corte Ser.™ sarò ueduto uolentieri et ben trattato et a mia maggior comodità mi si offre la lettica. Queste parole, oltre che daranno terrore alli auersari, mi gio-uerà molto anco ne la mia causa al ecclesiastico tribunale. E perchè lo Sig. Marchese del Vasto è mio protetore, farò che S. E. 111.» si ualerà della lettera a tempo e luogo. Intanto farò le dovute riverenze a V. A. S. e pregherò Dio a conseruarla sana e ne la sua diuina gratia — Di Urbino li 19 de Marzo 159^. Di V. A. Ser. Al S.mo Sig. Duca di Mantova mio Sig. Pad. Col. Felice, ultimo fratello, era canonico; di lui è la seguente. Serenissimo Signor mio Patrona Col.m°, L Altezza V. sa ch’io ho notitia, molto prima di hora degli studi, suoi e del molto sapere del quale ben spesso parlo col S.m0 Duca e con altri, e che per ciò debbo presumere eh’ ella non habbia di bisogno del presente libro, il quale non dimeno le mando in segno che io ritengo a me moria la sua molta cortesia. Basta eh’ ella benignamente l’accetti per amor mio, e che talhora mi fauorisca di commandarmi. Fra tanto le bascio le mani con tutte le riuerenze che le debbo e prego il signor Iddio che lo conserui in la gratia. — Di Parma il 24 di maggio 1579* Di V. A. S. Seruitore humilissimo Felice Paciotti. A dì 23 agosto 1587 si condoleva col Duca di Mantova per la morte del padre. Egli non era estraneo agli studi matematici, avendo inventato uno strumento « per fare tutte le sorte delle Iperbole, degli ovati e delle parabole, col quale comodamente si possono fare gli specchi potentissimi d’ ab-bruggiare di lontano, e si può sapere oltra pell’anno in qual humils.o et obligSeruitore Cesare Paciotti. giornale ligustico 411 segno del cielo si ritrovi il sole, applicando leggiadramente 1 uso di tali instrumenti agli orologi solari, e di questi pure ha trovato una nuova maniera di farli con facilità ne’ piani e per le mura », secondo scrisse l’Isacchi (Inventioni). Morì nel 1622. Vi furono altri Paciotti della stessa famiglia, distinti ingegneri militari; ma non in relazione coi Gonzaga, e perciò di loro non mi occupo. Dallo spoglio del carteggio del Conte di San Giorgio governatore del Monferrato alla corte di Mantova, ricavai quanto qui troverassi su due altri ben noti ingegneri militari. Per le fortificazioni di Alba fu anche interpellato Gabrio Serbellone, il 19 marzo 1576, pregandolo di venire sul luogo; egli, al primo di aprile, era in viaggio per colà e gli fu mandato incontro il capitano Girolamo Grassi. Vi arrivò il due, ma ripartì subito al dopo pranzo per Genova, dopo aver dato delle misure e delle istruzioni, dalle quali il Facciotto doveva ritrarre il disegno da presentarsi al Duca. All’ otto aprile, il Locatelli venne in Mantova, e così Gio. Angelo Bertazzoli, portando disegni e relazioni. Si nota che il Locatelli scoprirà alcuni suoi « segreti coi quali intende di fare una fortezza ben sicura....... quest’ uomo è di molto valore nella professione del fortificare et così fu assicurato da Gabrio Serbelloni che non conosce hoggidì huomo col quale egli non possa stare a paragone..... Sulle fortificazioni di Alba il colonnello Andreasi e Gio. Angelo Bertazzoli rifferirono le difficoltà et tutto quello si poteva fare; e così riferirà per sua parte il Locatelli ». Il parere del Serbellone fu che Alba si potesse difendere , rimediando solamente ai fianchi con baluardi. Il Locatelli, a dì 19 maggio 1576, risulta venuto a Nizza di Monferrato per studiare col colonnello Andreasi il modo di fortificarla. Al Locatelli furono dati cento scudi per sup- 412 GIORNALE LIGUSTICO plemento di spese. Vennero in giugno a riferire in Mantova al Duca. Il quale, a dì 22 luglio 1576, scrive al capitano Vincenzo Locatello, avvisandolo che fra due giorni gli spedirà il colonnello Andreasi in Monferrato; il 16 agosto gli manda 300 scudi per compensarlo di spese fatte, riservandosi di ordinare le fortificazioni di Alba; il 19 settembre gli dà ordine di trasferirsi in Alba per trattar col Andreasi le fortificazioni di Alba, e il 23 febbraio 1577 si dichiara molto ben servito da lui e pronto a munirlo di raccomandazioni per la Sicilia, ove desidera andare, « desiderando che ui riescano prosperi li uostri honorati pensieri a beneficio della Christianità ». Ed ora riferendoci al Promis, che ne raccolse le loro notizie, poche parole sul Serbelloni e sul Locatelli. Il primo, milanese, prese parte a moltissime battaglie in Europa e nell’Africa, guadagnandosi ben meritata fama, qual ingegnere militare e commandante eserciti e fortezze, a servizio di molti e specialmente di Pio IV papa, suo parente. Nelle guerre di Fiandra ebbe a luogotenente Vincenzo Locatelli cremonese. Questi, dopo aver servito il re di Francia nelle fortificazioni di Piccardia, passò nella Spagna, segnalandosi continuamente per valore e per ingegno nelle operazioni del fortificare. Un ingegnere, soprannominato il Facciotto, servì lungamente la Ducal casa Gonzaga, risultando da documenti autentici che il suo cognome era Imenerio; ma tanto sotto questo quanto sotto il soprannome, non comparisce negli scrittori. Da uno squarcio di lettera del Conte di San Giorgio apprendiamo quando entrò in servizio presso i Gonzaga. Hebbi ordine dal Serenissimo signor nostro di douer assoldare M.° Bernardo Facciotto, per seruirsene nei bisogni che occorreranno della sua professione, il che feci all’ arriuo mio in Casale et me ne son seruito in Alba et altroue, senza che egli habbi ancor hauuto danari, per ciò prego V. S. che sia contento, al primo magistrato che si farà, di pregar in nome GIORNALE LIGUSTICO 4*3 mio il signor Priore Ill.mo c|ie UOg]j ordinare che gli siano dati trenta o quaranta scuti a buon conto delle sue prouisione, acciochè egli possa trattenersi qui, aspettando il tempo di seruire conforme all’ordine sodetto di S. A..... Il med.° Faciotto supplica per hauere certe pietre delle rovine del Castello di Frassineto sopra di che parlai all’Ill.m0 Sig. Priore.....— Di Casale il 19 di luglio 1576. Al Stg. Gio Ricardo Vialardi. Sembrerebbe che il Facciotto fosse del casalasco e probabilmente di Frassineto stesso. Egli servì specialmente nelle fortificazioni del Monferrato; ma nel 1581 fu chiamato in Mantova ad altri lavori. E da sua lettera del 25 giugno si conosce che era occupato a terminare alcuni lavori alle fontane del giardino ducale. Il 19 luglio riferiva che, rottosi una scala, egli e tre altri caddero, e n’ebbe malconcia una coscia, per lo che camminava a stento. Aggiungeva che degli otto trofei per le otto facciate tre erano già compiuti. Da Goito nel giorno 22 presentava al Duca la pianta delle due nuove camere da farsi con la soffitta, compartite. Il 23 spediva al Duca « il disegno del ripartimento delle camere con suoi gabinetti et altri luochini per loro comodità ». Era soprastante a detti lavori sotto la direzione del Faciotto nel 1582 Paolo Covo, figlio di quel Gio. Battista che abbiamo già conosciuto. Questo Covo, il 26 agosto 1579, era stato spedito a Pietole per riparare quel palazzo ducale. Il Facciotto nel luglio ed agosto da Goito riferiva intorno ai corniciotti della loggia dello specchio, fatti da M. Fermo Rossi, e di altri lavori nella camera dell’aquila. Nel 1584 dava notizie della fabbrica di Goito; e il 3 giugno 1586 scriveva che « le fabbriche della rocca di Goito sono finite », perciò domandava licenza per far la cura delle acque della Fossa di Pocciolo, e di tenere il figlio in sua vece durante l’assenza, desiderando provvedere al suo avvenire ». Pare che per allora non ottenesse l’intento, 4*4 GIORNALE LIGUSTICO poiché, a dì 27 settembre, era ancora a Goito, donde spediva al Duca la pianta della piazza e della Rocca. Cipriani Assendi di là , nello stesso giorno , riferisce sui lavori fatti alla soffitta da M.° Nicolò Martello, su quelli in muratura dei maestri Pelegrino e Agostino Barbassa, su quelli di pittura di Ippolito Andreasi e di Giulio Rubone. Fa cono-sceie che i disegni del Facciotto e del Trabalesi saranno presentati al domani. Quindi, il 21 maggio 1587 di nuovo avvertiva il Duca che il Facciotto doveva andar a Cavriana, per provvedere a diversi lavori nella torre. Da luglio a settembre troviamo quest’ ultimo occupato in Motteggiana, ove iece depingere stante e la chiesolina. Passò poi ad innalzate la chiesa parrocchiale di Castelgoffredo, compiuta nel 159°> essendo nel 1588 rovinata quella poco prima costrutta da certo Clarini di Montechiaro. Era egli inoltre prefetto delle fabbriche ducali; ed il 22 novembre 1591 lo vediamo riferire al Duca sui lavori alla cittadella di Casale di ritorno da colà. Nel giorno dopo raccomandava il figlio suo al Duca. A di 9 luglio 1592 r',fer*va nuovamente sulla cittadella di Casale, dove era ancora nel 1594· Uno Stefano da Novara abate a Piacenza nel luglio 1577 presentava certi suoi progetti per trattenere e divertire le acque del Po, in modo da impedire danni alle ripe ed argini; ma pare che non fossero presi sul serio dalla Corte di Mantova. Paolo Moro ambasciadore mantovano in Venezia, a dì 12 luglio 1578, scriveva al cardinale di Mantova: « Mando M. Simone ingegnerò, qual se ne uiene allegramente, e uoleua menar la moglie, ma io Γ ho persuaso a venire ora così solo; poiché non importa più che tanto hauere o non hauere la sua famigliola. Il sign°r ambasciador Cesareo mi fa molto largo testimonio di questo huomo e della sua sufficienza, et cosi molti altri, et spero certo che S. A. sia per restar ben seruito, perchè con la prontezza con la quale è venuto a ser-uire S. A. mi pare che habbi guadagnato nella sua gratia ». GIORNALE LIGUSTICO 415 Univa questo certificato: * φ Si fa fede per l’officio dell’arsenal di Venetia qualmente Ser Simon d Andrea inzegner vien pagato in questa casa a raggion di lire doe et soldi sedese al giorno, cioè L. 27. 16 et il vino secondo 1’ ordinario di questa casa, et questi li giorni lauorenti in quorum fidem. Dato nell’officio dell arsenal a dì 10 ottobre 1578. Io Paulo da Molin parton al arsenale tacio fede chôme Simon d’Andrea ingegnier nostro aue al jorno chôme di sopra apar. Bart.0 Penini Secretar. Ed ecco una lettera dello stesso ingegnere: Ser.'»o Principe Sigj mio oss.mo, Sa V. A. come io a sua richiesta venni a Mantoua per far quanto ella mi commatidaua, et come per tre mesi continui son stato in quelle parti a suo servitio dandole diuersi dissegni d’ingegni et facendo diuerse operationi. Io lasciai casa mia e la mia famigliola , la quale ha patito assai per la mia assentia. Son sicuro che V.ra Alt.21, che è benigna et liberale , non mancherà di riconoscer la mia seruitù. Ma mi son marauigliato molto che Monsig.re Moro Secretario di V. A. S.a, qual mi mandò a Mantoua, uoglia mettermi a conto le spese di bocca che di là ho hauuto, essendo di qua alla casa dell’ arsenale il mio salario di 62 soldi al giorno computati quelli del Fante, quali non ho messo in conto, et il uino per mio uso , qual non ho hauuto per il tempo che son stato de li a suoi seruitij, tal che ho messo solamente cinquantasei soldi; però ho uoluto darne notitia a V. A., accio eh’ ella dia ordine al detto M.re che mi usi quella cortesia che parera alla benignità et grandezza di V. A. della seruitù mia; come sia certo essere volontà et comand.'° di V. A. alla cui benigna gratia humil.tc mi raccomando et riuerentemente li bacio la mano etc. Di Venetia il 4 Novembre MDLXXViij. Di V. A. S. humiliss. servie Simone de Andrea da Venetia Ingeniero prouisionato dell’Arsenale. Non è registrato dal Temanza (Vite dei più celebri architetti t scultori veneziani). 4i 6 GIORNALE LIGUSTICO Un Romanino Pietro, a dì 28 maggio 1580, risulta soprastante alle fabbriche in Reggiolo. Bernardino Brugnolo prefetto alle fabbriche in Mantova, a dì 12 luglio 1582 riferiva alla Corte mantovana pei' 1 intermezzo del Conte di S. Giorgio : « I paesi dii friso che va dipinto per il palazzo di Reuere sarebbe troppo confuso ; perciò ho ordinato a M.° Vincenzo Mirandola di sospendere, finché fosse riferito su altro disegno che presenterà ». H r5 settembre: « Si attende a dipingere il corniciotto de la salla dii specchio et si è commandato in Santa Croce tuto quel che haueua lasciato ordine sua Altezza Serenissima, da quella pocha pitura in fora sol la uolta del ornamento dell’altare... Μ·0 Julio Ribon venirà a farla... » Ho parlato a M.° Lorenzo Costa circa dii quadro... lui dice non esser se non principiato et che la causa è stato de non hauerlo finito una indisposi-tione da lui patita sin hora ». Questo Brugnoli veronese, figlio di Luigi, architetto era nipote di Michele Sammicheli. Egli morì nel 1583 ed ebbe in successore il sienese Vannoci. Monsignor Aurelio Zibramonte, a dì 30 aprile 15Pr0P0' nendo il Vannoci, notava che: M.° Francesco da Volterra, qual stette già costà molti anni al seruitio del signor D. Cesare Gonzaga di fe. me. et ha per moglie la famosa Diana, figlia già di M.° Gio. Battista Scultori, uerrebbe anch’ esso a seruir a S. A. così oue l’aria gli è assai nociva. Questo deue essere conosciuto particolarmente dal signor Conte Theodoro, qui egli è stimato manco del Vanoccio predetto ». Infatti il V asari nella vita di Benvenuto Garofolo fa conoscere, che Francesco Volterra era venuto a Mantova a servizio dei Gonzaga, forse verso il 1566. L architetto di S. Pietro, Giacomo Dalla Porta ( 15^3) » ricercato dall’ ambasciadore mantovano in Roma di indicare qualche buon ingegnere da mandar in Mantova per servizio delle fabbriche ducali, propose Oreste Vanocci gentiluomo giornale ligustico 417 Sienese, lodandolo assai, benché giovane di anni 24. Infatti, figlio di un valente architetto, che fu pure scultore e pittore, .iusci valentissimo matematico e anche distinto letterato. Fu accettato, benché il duca avesse fatto osservazioni sul- 1 et.i giovanile, e percio mancante di pratica; e da una lettera del 5 novembre 1583 lo apprendiamo già in carica qual pi detto delle fabriche mantovane. In essa fa conoscere al Duca che ha mostrato il disegno dell’ epitaffio per la sepultura del vescovo, ai mastri di Pistoia, i quali domandarono scudi 50 a 55 per eseguirlo; \< un solo, che forse lavora meglio degli altri ha chiesto scudi 30 » e lo presenta pel contratto. Ecco un suo autografo: Ser.»“> Signor Principe e P.rm Mando a V. A. S. le incluse inuentioni di combattimento festeuoli, con desiderio di farle cosa grata, hauendone tolte le inuentioni da historié come la potrà uedere. Accetti per gratia questo leggiero dono et insieme una purissima intentione e zelo d’un seruitor sincero, e doue sarà mancamento nelle cose che le mando, potrà con i suoi comandamenti suegliarmi la inuentione e procurarmi a supplir al desiderio mio et al merito suo, e con questo fine prego il Signor che la conserui sempre felice. Di Mantova il 6 di Dicembre 1584. Di V. A. S. humil seruitore Oreste Vannocci. A dì 8 luglio 1585, gli moriva in Mantova la moglie in età d’anni 27; e perciò, sconsolato, abbandonò il servizio. Lo stipendio dei prefetti alle fabbriche era di ducati 200 annui con la sopraintendenza su tutte le fabbriche della città, carica che poteva fruttare fino a scudi 200 d’oro. Inoltre si dava la casa, il medico e le medicine gratituicamente, la spesa per tre bocche ed erano provveduti di cavalli se si doveva uscir dalla città (Magistrato Camerale 1583). Giorn. Ligustico. Anno XV. 27 41S GIORNALE LIGUSTICO Successore al Vannocci fu Francesco Traballesi fiorentino, di cui il Baglione (Le vite de3 pittori scultori architetti ed intagliatori) d;\ un cenno biografico. Fu proposto da Cami o Capilupo in Roma al Duca, a dì 24 agosto 15S5, notando c aveva fatto importanti fabbriche d’ordine di Gregoiio X Roma. Aveva allora 38 anni, era robusto e di bella presen <, & architettore ma è poi pittore et ingegnere et <-opi d’inuentioni e fu professore di condurre aque et fontan Fu accettato, e il 24 ottobre partì alla volta di Mantova, nel marzo 1586 il Duca lo destinava ai lavori delle la in Goito col titolo di prefetto, che pure tenevano P° P Pedemonte e il Faccioni. Al 5 agosto il Traballesi i 1 ini disegnato, su decorazioni del salone, detto musicale , ω n Da una lettera di Bernardino Facciotti, in data -7 ^ tembre 1586, conosciamo anche qualche attrito ^on ul» vendo al Duca: « Il signor Trabalese conforme a suoi alzati 1 è di vacui N. 6 nella testada et dodeci nelle ale, mi Pal° ^ poco diforme di quello doueriano essere; parendomi · J 1 1 1 Γ\7Ί tì che li nostri autori ne insegnano locar nei mezzi ^ ^ de importanza uno dei vacui che si disegna largii et ^ pillastri, percio hauanti di copiarla sopra la mia pianta ^ uoluto prima darne regguaglio per mezzo di quella a · et mandargli una pianta di essa lozza che ho latto 10 ))-Traballesi, il 2 marzo 1587, faceva conoscere alla Corte ^ Mantova le pretese del pittore Giulio Rubone per la\on camera della Vittoria. Assicurava che al domani avrebbe man dato il disegno delle pitture da farsi ai corniciotti della camera dei frutti. Il 20 e 21 maggio, sempre da Goito, riferiva sui lavori nella camera della virtù; annunziando poi di aver latto una maschera di terra cotta per modello da eseguirsi nella fontana, oltre un altro modello per scherzo idraulico. Il *4 agosto, essendo morto il Duca Guglielmo, il I raballesi si offrì di fare il ritratto, tanto in pittura quanto in bronzo. giornale ligustico 4X9 Questo architetto morì a Mantova il 21 aprile 1588 , di anni 44. lare che per Goito gli ingegneri siano stati tre: Pompeo 1 edcmonte per 1 ornamentazione, Facciotto per la rocca e iottificazione e Traballesi specialmente per le fontane. Certo Giusti, in data 21 gennaio 1587, da S. Benedetto lasciò una descrizione di Goito. Il Duca Vincenzo I non si curò più di Goito; ma creossi altra villa, come vedremo a suo luogo. Giuseppe Moleto matematico, a dì 6 settembre 1580, scrive al duca che secondo l’ordine avuto giunse a Mantova, ove attende per servirlo. Non risulta in quali lavori fosse occupato. Era di nuovo in Padova nel novembre, come da sua lettera del 19 stesso. Egli, il 18 settembre 1582, faceva avvertire il Principe che, avuto notizia sua suocera esser agonizzante in Padova, dovette portarsi subito al suo letto. Si conosce come egli sia stato professore di matematica nello studio padovano, ove ebbe a successore Galileo Galilei col quale fu in buona relazione. Il Conte Teodoro di S. Giorgio, Capitano della Guardia Ducale, ebbe nel 1580 la sopraintendenza ai lavori delle fabbriche del Duca, dal che nacque vivo attrito con Pompeo Pedemonte, che doveva essere il direttore tecnico. Fra le relazioni del suddetto conte che riguardano lavori, edilizii e architetti noto che a dì 17 novembre di detto anno riferiva : « È venuto da Padova uno che dice d’ essere ingegnere e socero di quello che il signor Paulo Moro haueua scritto di douer mandare al signor nostro serenissimo, il quale non può altrimenti uenire come haueua promesso, et perciò questo dice d’essersi risolto di uenir lui ad offerirsi, io le ho risposto che ne darei auiso a S. A. che in tanto dissegni qualche cosa per mostrar la sua sufficienza ». E il 20 « Ho fatto sapere all’ ingegnere uenuto da Padova che uada ad alloggiare in corte e manderò presto qualche suo disegno... 420 GIORNALE LIGUSTICO Ma per quello che io uado cauando da lui egli è huomo per attendere a far lauorare alla fabrica della canonica di S. Bar-bara, ma non gii di pigliarla sopra di sè a tutte sue spese ». In altra lettera di medesima data: « Il Proto Padouano s’ è poi risoluto di non uoler pigliare sopra di sè la fabrica della canonica di S. Barbara, ma che bene seruirà per Ingegnerò di essa colle conditioni che saranno qui insieme »· Si tace nel carteggio il nome e casato di questo proto cioè architetto. Nella corrispondenza dell’ agente mantovano Paolo Moro in Venezia trovasi un’esposizione dello stato di Guglielmo Grandi del defunto Stefano ingegnere bolognese, allievo del padre, fin dal 1568 a servizio della Repubblica veneta, specialmente per lavori idraulici. Sembrerebbe che non essendo convenuto al Grandi di venir in Mantova mandasse lo suocero. Non mi risulta chi potesse essere Tarquinio Dell Osso da Ravenna, venuto in Mantova a di 27 novembre 158* > c^e domandava al Duca udienza in presenza di « huomini inge gnosi come saria a dire il signor Gio. Agnolo Bertazzolo, M. Bernardino Facciotto, l’architetto di Verona (Brugnoli) », desiderando che qualche ingegnere militare esaminasse i suoi disegni, volendo provare gli inutili ripari che si facevano al Po in Casale. Il 6 ottobre ringraziava della congregazione concessagli per esaminar i suoi disegni, essendo stato appio* vato quello per sostenere il Po. In altra lettera del 19 il penelto fabbricato prima sul Po a Casale dal M. Gio. Bono Bertazzolo. Non è accennato questo ravennate dal Martinetti Cardoni (Vite brevi degli artefici defunti che fecero per Ravenna opere ecc.), nè da altri. La famiglia Baronino Casalasca diede più architetti valentissimi , uno de’ quali, sepolto nel Pantheon, è oggetto di un mio special libro. Un fratello, il 22 di agosto 15^1 » presentava alla Corte Gonzaghesca un disegno, che dice aver GIORNALE LIGUSTICO 42I fatto ad istanza di M. Gio. Bono Bertazzoli per ripari al Castello di Casale. Gio. Francesco il 30 luglio 1582, dava alla Corte Mantovana ragione di suoi lavori alle fortificazioni. Nel mio libro sugli Artisti Subalpini in Roma si potranno aver molte notizie sugli ingegneri Baronino. Giambello 0 Ianbelli Federigo architetto ed ingegnere militare mantovano, si distinse in Inghilterra, poi nel 1585 all assedio di Anversa, secondo notizie del Promis. Battista Zacheo era soprastante ai lavori delle vie Mantovane nel 1583, come apparisce da una lettera del 15 maggio al Duca intorno a selciature. Leonora per la gra\ia di Dio arciduchessa d' Austria, Duchessa di Mantova e Monferrato ecc. M.co el Ecc.m° nostro carissimo. Farà capo a Uoi un giovane spagnolo da Toledo per nome Diego Sanchez scultore, il quale è stato alcuni anni in Roma a studiare in questa professione et anco nell’ architettura. Egli se n’ è venuto a Milano con pensiero, per quanto intendemo, di procurarsi una piazza d’ higegnierio nel castello di Milano. Noi, perchè egli ci è stato raccomandato da persona alla quale habbiamo caro fare ogni sorta di piacere, desideramo di aiutarlo in quanto potemo, acciocché egli conseguisca di presente una piazza d’Ingegniere di quattro che ci uien riferto che hora vacano nel detto castello. Però scriuemo questa a codesto signor Gouernatore in uostra credenza intorno a questo negotio. Vogliamo che uenendo a uoi detto Diego, dopo hauer pigliato di lui quella informatione che potrete, per conoscere la fedeltà et sufficienza sua facciate ogni possibile ufficio con S. E. acciocché si contenti a nostra richiesta , se però anch’ ella lo giudicarà et per fedeltà et per sufficienza meriteuole d’un sì fatto luogo, di conferirgli una delle già dette piazze del quale terremo particolar memoria; sicome anco uoi ci farete cosa grata ad usare in questo negocio della uostra solita destrezza et amore-uolezza, acciocché potiamo ottenere l’intento nostro.....Iddìo vi guardi Di Mantova a’ 14 di Genaro 1585. Leonora Duchessa di Mantova. All' awbasetador Pampona^o. 422 GIORNALE LIGUSTICO Mi pnre che questo artista spagnolo sia da aggiungersi ai molti cognominati Sanchez, registrati dal Bermudez (Dizionario historico des los mas illustres professores de ìas bellas artes in Espania). Serenissimo Signore et mio Signor Oss.'-° Iacomo Antonio dalla Porta , il quale m’ha seruito fino adesso ne! soprastare a queste mie fabriche con molta mia sodisfattione, parte da me per non hauer io più bisogno dell’opera sua, et perchè desidera di tornare alla solita sua seruitù col Serenissimo signor, Duca la quale uorrebbe continuare col fauore di V. A., io a prieghi di lui sono forzato a supplicarla che si degni di non sprezzar questa sua diuota uolonti et inclinatione, che certo mi pare persona che nella fatica et diligenza non sia per lasciarsi auanzare da altro della sua professione, che anche io goderò del fauore, et a V. A. humilmente mi raccomando in gratia. Di Guastalla a ix di settembre HLXXxvj. Di V. A. Devotiss."10 Servitore Fernando Gonzaga. Al Serenissimo Signore el mio Signor Oss.mo Il Sig. Principe di Mantova e di Monferrato. Egli era di Casale Monferrato; in Guastalla operò intorno alle fortificazioni, come verso il 1580 si era occupato di quelle di sua patria per ordine dei Gonzaga. Il Zani lo nota erroneamente come milanese. Vincenzo per la gratia di Dio Duca di Mantova et di Monferrato. Non auendo potuto M. Carlo Lombardi, il quale pochi mesi sono era uenuto da Roma per architetto nostro, continouare il detto seruizio per euidente indispositione che egli quasi sempre ha qui patito, gli habbiamo perciò, cosi da lui richiesti, concessa amoreuole licenza, et perchè non occorra ad alcuno a dubitare ch’egli si parte da noi per demerito, l’hab-biamo uoluto accompagnare colle presenti, facendo con esse testimonio chiunque le vederà che si chiamiamo ben sodisfatti e contenti della seruitù sua et diligenza usata particolarmente nell’ informare gli ordini delle 4 / GIORNALE LIGUSTICO 423 nostre munitioni et nel fare alcuni disegni et modelli di fabriche a noi molto importanti. In fede di che ristesse saranno firmate di nostra mano e sigillate nel nostro solito sigillo di Mantova li 21 di Dicembre 1588. Vincenzo. Donatus S. (R.° Mandati 1588-9, fol. iji). Di questo architetto aretino discorre il Milizia (Memorie degli Architetti antichi e moderni). Egli, a dì 4 febbraio 1589, da Roma indirizzavasi al Duca di Mantova, riconoscente del buon trattamento avuto, offrendosi di servirlo di disegni tanto in Roma quanto in Firenze. Intanto stava facendo i disegni della Chiesa di Sant’ Andrea e quelli della Cappella di San Francesco. Serenissimo mio Signor Padron Singularissimo, Havendo il Mutio lustinopolitano tenuto con la serenissima Casa de-uotissima seruitu, come so benissimo essere noto, io come herede deuo con ogni mio sapere et potere renderle il tributo douuio 1’ obbligo infinito che me ne resta. Pero desiderando io con qualche segno esteriore mostrarle la mia pronta volontà, ho uoluto colla presente furie sapere che ritrouandomi fra molti miei edifitii, che ordinariamente si ueggono ogni giorno, un mulino da macinare a secco, tenuto da maturi pareri il più facile et sicuro edificio che sin qui si sia inuentato et è necessariis-simo non solo per le fortezze, ma per luoghi che patiscono lontananze de acque, fa farine in abbondanza grande et di tutto parangone, ne io mi mouerei a proporne a V. A. materia tale se non fosse più che sicuro che il med.rno sara dalla sua molta prudenza affermato, desiderando io più la sua grazia che l’utile di qualsiuoglia altro; quale lo offerisco, non solo per il commodo de’ suoi luoghi, ma per il molto utile che dalla macchina detta se ne cauerà. Ho inteso che V. A. desidera un ingegnerò, però promettendomi io di due miei li quali rendo sicura che sanano di satisfattione a V. A. non solo nelle molte inuentioni, ma nel disegno , nel rilieuo e nell’ architettura prontissimi, ho uoluto farlelo sapere, a cui desiderandone uno me lo faccia sapere perchè lascerò da parte ogni mio affare per seruirla e condurre l’uno e l’altro che più mi parrà al propo- 424 GIORNALI· LIGUSTICO sito, accio V. A. resti semita. Et per fine con ogni riuerenza le bacio le sereniss.me mani pregando da N. S. Iddio ogni compiuta felicità. Di Venetia xv aprile mdlxxxv. Di V. A. Ser. Deuotissimo et hereditario Servitore Giulio Cesare Mutio lus tino poli tatto. Costui, firmandosi il Cavalier lulio Cesare Mutio Iustino-politano da Venezia, Γιι luglio 1598, scriveva nuovamente al Duca : « Intendo farle uedere li modi sicuri da difendere le fortezze trinzeralamente in quatro maniere, necessarie di fese a principi che tengono piaze uicine a forze magiori, oltre di questi diuersi modi di condurre eserciti trinceralmente marciando et combatenti trinceralmente, le più reali inuentioni al giudicio de’ soldati consumati alle guerre che sin qui si siano uedute et molte altre cose che per brevità tralascio ». Egli era figlio naturale del famoso Girolamo. Il vero nome dovrebbe essere Cristoforo Nuzio, famiglia originaria di capo d’Istria, trasportata poi in Padova. Il padre mutò il casato in Muzio e cambiò anche il nome al suo bastardo in Giulio Cesare, il quale fu uomo di qualche letteratura; ma ben interiore in tutto al padre. Abramo Colorni, architetto, inventore mantovano al servizio del Duca di Ferrara, fu da questo mandato a Praga a servire S. M. Cesare Rodolfo li e quivi nel 1593 pubblicava la Scolo-grafia; ed altre opere di poi diede pure alla luce. Il Zani lo nota anche qual stuccatore. Il Garzoni (Piaçça Universale di tutte le professioni del mondo) scrisse: « Rarissimi et bellissimi giuochi intorno alle carte particolarmente possédé M. Abramo Colorni Hebreo, famosissimo ingegnerò dell’ altezza di Ferrara, come quello che talhora trasmuta le carte che sono in mano altrui in cose da quelle molto diuerse: talhora con esse prende a indovinare i pensieri dell’animo altrui..... » Segue a far conoscere vari altri giuochi, di cui egli e i suoi amici GIORNALE LIGUSTICO iurono spettatori, oltre l’invenzione di un archibugio che da una canna sola sparava quattro o cinque archibusate ad un tratto. Qualifica il Colorai « uomo tutto cordiale et di bellissime maniere ornato pronto ad insegnar i suoi giuochi ». Fin dal io novembre 1592 il Colorai scriveva da Praga al Guidoboni, consigliere del Duca di Mantova, pregandolo affinchè sollecitasse la cancelleria ducale per la spedizione del privilegio a favor di sue operette, accordato dal Duca, avendo già il consimile da quasi tutti i Principi. Al 12 marzo 1593> sottoscrivendosi « Abram Colorai hebreo mantovano » sempre da Praga scriveva direttamente al Duca di Mantova per fargli conoscere una sua invenzione per rendere il carteggio diplomatico segretissimo, mercè cifre mobili che gli manda a mezzo di Marcantonio Avegni, il quale gli spiegherà facilmente Γ uso. E il 24 maggio, a mezzo di suo figlio Si-mone, che scrive la principal iniziale con molti freggi, domanda di conoscere come abbia trovata la >ua invenzione delle cifre. Nel luglio 1593 e poi nel maggio 1595 invocava l’intercessione ducale per ritornar in Mantova. Dal gennaio al giugno 1598 era in Stoccarda, donde spediva al Duca strumenti musicali ed altre cose. Diremo dopo chi fosse lo scrittore della seguente lettera: lll.mo A. et Ecc.m° Signor mio Hauendomi l’lll.mo Signor Don Giulio Giesualdi, mio degnissimo padrone , per sua immensa cortesia introdotto da S. A. 111.™* et Ecc.™·'1 a basiargli la delicatissima mano et fargli reuereutia et monstrargli un instrumento et disegno eh’ io ho da poter condur l’acqua in alto, per poter far fontane et per altri servizi, et mostrargli il modo con il quale poteua preualersi in far fontane nel suo giardino costi, et anche fui mandato a ueder 1’ acque S. A. I1L“ et Ecc."" voi condur in Marmarolo, et hauen-dole uiste et inteso il modo che si ha da tener per condurle, io dissi a S. S. 111.“* che quel disegno non staua bene, perchè hauendo quelle acque d’andar per Γ acquedotto parte discoperto e parte coperto, bisognaua che l'acqua piouana che vien dal cielo gli facesse grandissimo nocumento, per la 426 GIORNALE LIGUSTICO seruanza delle arene che dentro si sariano introdotte, et che io harrei trouato modo facile et con pochissima spesa che Tacque sempre sariano restate purrificate et nette, de la doue si pigliauano fino doue haueuano a riuscir, et senza che P acque piouane gli faccino nocumento alcuno et senza alcuna fabrica. Nel ritornar poi da Marmarola passando per li molini di al ponte di S. A. 111."1* et Ecc.ma ueddi quelle ruote et macine, et hauendole con molta diligenza uiste et reuiste, feci giudicio che si po-teuano migliorar et fargli un terzo più di quello fa adesso ciascuna d’esse, et à me bastaua et basta 1’ animo di farlo, et che quando anche si uoglia preualere delle acque del Po per adacquar le sue terre et territorio, io gli trouarei modo et uie da potersene preualere et cauarne quanta ne facesse bisogno, et perchè dal detto 111. Sig. Don Giulio mi fu detto che S. S. 111. et Ecc. era occupata d’ alchuni suoi afari, et che per alcuni giorni non sarebbe tornata a Mantoua, et che sarrei potuto uenirmene qui in Venezia per far i miei negocii, et che di qua gliene havrei possuto dar ragguaglio, imperò io non ho voluto mancare di far quanto è mio obligo nel dargli raguaglio di quanto ho di sopra uisto et detto, e di quello mi basti l’animo di far, quando però da lei si degnarà uolersi preualere delle opere mie; et quando lei uoglia pigliar informatione delle opere mie et che uoglia chiamarmi per suo seruitio, si degnarà inuiar 0 far inuiare le sue al Ecc. Sig. Giovanni Finetti Aduocato qui in Venetia, dal quale potrà hauer informatione de un instrumento che gli ho fatto in casa sua che caua P acqua del suo pozzo et la porta alta 62 piedi con grandissima facilità, et da S. E. mi saranno date, et io non mancherò subbito uenire et far quel tanto da lei mi sarà imposto, con che me gli offero et raccomando pregando la uoglia degnarsi tenermi nel numero de suoi minimi seruitori : chel nostro Sig. Iddio la feliciti et conserui longo tempo. Di Venetia li xij di Agosto 1589. Di S. A. III.” et Ecc. Seruitore et humilissimo Guidobaldo Foglietta da Urbisaglia. Nel mio libro Artisti subalpini a Roma feci conoscere un Guidobaldo Foglietta, che ai tempi di Sisto V aveva presentato al governo papale un progetto di mattonato o selciato pelle vie di Roma. Io lo dissi ligure non tanto dal cognome, quanto dall’averlo trovato in Genova nel 1590, donde il 24 agosto scriveva al Duca di Mantova per esser GIORNALE LIGUSTICO 427 pagato di edificii , che gli faceva e che avrebbe portato. Da altri documenti vien ora a conoscere eh’ egli non era ligure , ma della Marca Anconitana. A dì 8 giugno 1591 da Venezia così scriveva al Duca di Mantova: « Con la presente ho uoluto dare aduiso a V. A. Ser. che sono arrivato in Venetia et ho dato principio a far lauorare dui edifitii grandi per il giardino del Te, sicome V. A. me comanda. Ho comprato 18 chiave tre grandi, sei mezane et nove più piccole, le quali sono costate ducati 16 */, ». Si abbisogna ancora del piombo costando meno a Venezia. Non potè aver le chiavi più grandi « però se M. Giovanni fiorentino le vorrà più grandi che ne dia avviso che le farro far sub-bito.... » Il 6 luglio scrive che ha bisogno di metallo pei due edifizii, e che ha fatto eseguire le chiavi come M. Giovanni fiorentino gli ha scritto. In data 7 novembre 1591 scriveva alla Corte di Mantova da Venezia, facendole conoscere che era ancora occupato d’ingegni idraulici pel Duca ; il 21 dicembre aspettava la barca per trasportar gli edifici a Mantova e denaro per rimborso di spese. Ecco un privilegio concessogli dal Duca: « Vincenzo ecc. » Hauendo Noi in diuerse occasioni conosciuto per esperienza l’industria di Guidobaldo Foglietta della Marca Anconitana nel fabricar diuersi edifitii d’ alzar 1’ acque et di mandarle in alto, et ivi sgolare le valli ne fiumi, et desiderando Noi grandemente di giovargli per la seruitù fattaci da tre anni in qua. In uirtù di queste nostre lettere patenti concediamo al detto Guidobaldo che dopo hauer messo in opera le sue inuentioni per spatio di 25 anni prossimi auenire, nissuna persona senza sua licenza o de suoi heredi et successori 0 di chi hauerà causa da lui sotto pena di 1000 scudi, da esser applicabili per la metà alla Camera nostra, un quarto all’ accusatore et l’altro quarto al suddetto Guidobaldo o suoi heredi oltre la perdita degli edifitii i quali dichiaratilo che debano essere del medesimo Guidobaldo, possa farli e rifarli tanto in questo nostro stato quanto nell’altro nostro di Monferrato, comandando alli Ministri dell’uno 428 GIORNALE LIGUSTICO et l’alerò stato che per quanto stimano la gratia nostia osseruino et facciano intieramente et inuiolabilmente osseruare per il suddetto tempo al predetto Guidobaldo o suoi heredi queste nostre ecc. Da Quingentole a 22 di agosto 1503. Vincenzo. (R. mandati 1593-6, fil. 63-4). Era ancora in. Venezia nel 1595, donde scriveva alla Corte d; Mantova, aver principiato 1’ edifìcio, che sperava di finire nella seguente settimana. Non lo trovo indicato da alcuno, quantunque apparisca architetto ed inventore di edifizii. Un certo Egidio Tondi da Mondolfo urbinate lavorava intorno a sue invenzioni in Casale per conto del Duca di Mantova, come risulta da sua lettera del novembre 1591 i ma anche di lui non trovo traccia nei libri di arte e in quelli di artefici. David di Cervi, ebreo mantovano, da Venezia il 6 ottobre 1591 scriveva al Duca, che un Tedesco ingegnere, fra i molti secreti, aveva quello di certa polvere pirica di una forza straordinaria, pronto a svelargli l’invenzione. Il Duca accettò , e perciò questo inventore per nome Giovanni Sigismondo Fristh venne a Mantova. Oltre la polvere portò altri artificii militari. E frate Antonio Cancelli inquisitole d Istria, che lo presentava al Duca, l’avvertiva che il Fristh, consultato destramente, gli avrebbe pur fatto 1’esperimento di cauar dell’oro dall’argento in un’ora! Fino dal 1581 il vescovo Odescalco da Roma faceva conoscere che il Cardinale Camerlengo aveva concesso ad un Bresciano privativa di una sua inventione, con la quale si potevano diffendere quelle spiaggie da inuasioni di Turchi, consistente nel far capanne con poca spesa sulle rive del mare, doue i Turchi ne sarebbero restati accalappiati per particolar invenzione del Bresciano, pronto a provarla. Forse egli era il capitano Marc’Antonio Piceni bresciano, il quale asseriva aver servito per 12 anni il Duca di Savoia con due GIORNALE LIGUSTICO 429 suoi figlioli, e nel maggio 1594 si offriva al Duca di fargli conoscere una sua invenzione per rendere inespugnabili le fortezze. Il Duca prese informazione e gli scrisse dopo di farla palese. Egli venne a Venezia nella casa dei Bresciani, donde il 4 febbraio 1595 avvertiva il duca che si guardasse dar barili di polvere, presi al nemico; poiché erano di sua invenzione c messi nei magazzini, dopo qualche tempo scoppiavano, facendo saltar in aria la fortezza. L ambasciadore mantovano in Venezia, a dì 2 ottobre 1593, avvisava la Corte mantovana che « Γ ingegnerò Gallo mi promise domenica passata di partirsi il giorno seguente per costi a seruire S. A. hauendo licenza da suoi signori ». Non trovai altro di questo Gallo. Giuseppe Dattari, soprannominato Picciafuoco, fu ingegnere militare cremonese di vaglia. Ferrante II principe di Guastalla se ne servì per fortificazioni nel 1584. Nel 1592 risulta prefetto delle fabbriche ducali, occupato nel maggio in Gonzaga; il 28 gennaio 1593 avvertiva la corte mantovana di scrivere all’ ambasciadore in Venezia di cercare un maestro capace di far cisterne e inviarlo a Mantova per farne al The. L’ambasciadore rispose (23 feb.) , « che quel Francesco Moro che fece la cisterna alli Padri Cappuccini è morto; mi uien proposto per huomo intendente et dabene un Francesco Pezzolo bresciano, quale si offerisce di far le due cisterne di 25 piedi 1’ una, che crede la spesa poter montare a 100 ducati, secondo che la sabbia e la creta saranno vicine o lontane. Verrebbe con sè due uomini, domanda scudi 4 al giorno e scudi 2 per gli aiutanti, viaggi pagati ». Furono accettati e il 13 marzo partirono da Venezia per Mantova. Il 20 aprile 1595 dalle prigioni del castello di Mantova il Dattari si rivolge al castellano, per aver un abboccamento col proprio figlio in presenza di qualunque, affinchè possa dargli istruzioni sul compimento di molti negozii, lasciati 430 GIORNALE LIGUSTICO imperfetti in Cremona con danno della prole. Il io giugno s’indirizza al segretario ducale, facendogli conoscere che dopo aver servito S. A. S. per cinque anni e tre mesi con massima fedeltà ed utilità, si procacciò odii che lo misero in disgrazia col duca, e furongli cagione del carcere le molte false querele dategli; essendo allora stato liberato, dopo conosciuta la sua innocenza, supplica per aver il ben servito e qualche soccorso per ritornar a Cremona. Il Grasselli (Abecedario biografico dei pittori, scultori ed architetti cremonesi) fa conoscere che il Dattari morì nel 1619. Tanto il Grasselli quanto il Zaist e Federico Sacchi, i-he trattarono degli artefici cremonesi, ignorarono la relazione del Dattari coi Gonzaga. Vari altri di tal cognome si distinsero in patria e Antonio e Scipione erano architetti del comune di Bologna dal 1555 al 1613. Attingerò ora ad alcuni conti della Tesoreria Ducale, da cui scaturiscono pagamenti ad artefici dal 1592 al 1597 > 111 parte sconosciuti, e ad altri, di cui già abbiamo fatto conoscenza: sono magre partite, le quali affermano se non altto, 1’ esistenza di artisti a servizio dei Gonzaga. G. B. Bertani prefetto delle fabbriche Ducali 19, 33 Ippolito Zaffardi suo notaio......2, 46, 6. Bartolomeo Morandi prof, di architt. . . . 3^ 45* E i seguenti soprastanti : Cesare Pedemonte.........3>21· Paolo Covo...........3- Ferrante Fagiuolo.........3> 2I· Gio. Maria Ungaro in Gonzaga.....1, 4^> Camillo Fagiuolo a Marmirolo.....2, 14, 6. Cesare Pedemonte nel 1542 s’intitola soprastante alla fabbrica di S. Andrea, e nel 1554 è stipendiato ducale qual revisor delle fabbriche. Era anche pittore, come è sottoscritto GIORNALE LIGUSTICO 43 1 nel testamento di Giulio Romano del 1546. Era fratello di Pompeo, che abbiamo veduto più noto. Sempre nei conti della Tesoreria ducale trovai i seguenti pagamenti : •595· 31 maggio lire 28 a M. Dioraarti Leonardo soprastante a Sacchetta per paga del mese di maggio. » 30 giugno idem per seruizio in diuersi luoghi. » x.° luglio a Cristofol Auanci lire 28 pel mese di giugno che ha seruito per soprastante in diuersi luoghi. (Era ancora in seruizio nel gennaio 1596). » 30 agosto lire 36 a M. Boneto Maschara per 40 giorni qual soprastante in diuersi luoghi. » settembre a M. Antonio Maria Vianino prefetto delle fabriche di S. A. lire 25 per fitto annuo della casa. » a M. Francesco Marioleoni per fitto di casa a principiare del 1° giugno 1595 lire 25 per sei mesi. » a G. B. Framberto lire 48. » a Gabriele Bertazolo andato con S. A. lire 150. » a Don Pietro Sforza lire 72. • a Marco Bolognese che lavorò di fiori lire 40, 16 » a Paolo tornitore tedesco lire 30. » a Bastiano intarsiatore tedesco lire 48 (corroso). » a Giovanni fiorentino lire 6. » a Battista archibugiere. » a Giordano Floriani. » a Menrad Chefert tedesco gettatore. » a M. Cristofaro da la Bona milanese. Belisario Cambio bombarda. 11 tesoriere aveva ordine, a dì 18 luglio 1595, di pagare scudi 25 a M. G. B. Viani, per stime da lui fatte delle fabbriche di Castelgoffredo. Nei conti della tesoreria ducale trovai ancora: Ai 20 ottobre 1595. A M. Alessandro Zampi soprastante, liure 167 quali sono per il salario de cinque mesi et giorni 17 che egli ha seruito per soprastante alle fab- » Λ » » )) » » » » » )) » 432 GIORNALE LIGUSTICO briche ducali a ragion di liure 30 il mese comraensando alli 13 maggio ,S9S p„ ,u„o i. presente m«e di o„ob,e. ^ Antonio Maria Viani. 2 novembre 1595 a M. Cristot'ol Avanci lire 28 per un mese di paga qual soprastante. Il Zampi a dì 31 gennaio 1596 riceveva lire 30 per paga mensile. Viani Antonio Maria, detto anche il Vianino, era cremonese, scolare di Giulio Campi qual pittore ed architetto. Era nel 1591 pittore del Duca di Baviera, quando il Duca di Mantova vide in iMonaco i suoi lavori e lo volle a Mantova, ove ebbe la carica di pittore di Corte, d’architetto ducale e di prefetto delle fabbriche dello Stato. Nel 1597 ebbe dal Duca donazione della casa ove abitava nel rione Mastino, più la cittadinanza mantovana (R. decreti ijp6-i6oj, jol. )i). Nel 1599 andò a Milano per dirigere gli spettacoli nell occasione della venuta dell’arciduca Alberto e di donna Isabella d’Austria. Per questo secolo basti l’esposto, maggiori notizie si vedranno dal Viani nel seguente. Questa lettera ci farà conoscere altro ingegnere: Molto lll.m° et R.'"° Signor mio Oss."’° Presentatore di questa sara Messer Alessandro Amadei bolognese architetto, il quale consegnerà a V. S. R.“” due cdificii di lerro con le casse di legno, che egli ha uenduto a S. A., la quale ordina che Ella lo riceua et gl’inuii qua alla prima occasione di barche, et ad esso M. Alessandro paghi V. S. R. 20 scudi d’ oro in oro mettendoli in spesa nè suoi conti. Et io mi resto baciando a V. S. R. le mani con augurarle ogni contento. Di Mantua li 14 d’aprile 1594. Di V. S. Molto 111.* et R.“* Seruitore oblig."'0 et Cesare Andreasi. Al Molto Ill.mo Sig'tor mio Sig. Oss.mo Monsignor Protonolario Pompona^o ambasciadore del S.mo Sig. Duca di Mantua tu Venelia. GIORNALE LIGUSTICO 433 Nulla so dell’Amadeo, due secoli dopo vi fu un Alessandro Amadesi architetto bolognese. Il Promis, studiando gli inge-gneii bolognesi, notava che se in Bologna molto si erano occupati a ricercare memorie di pittori, avevano invece trascurate quelle degli architetti e soprattutto quelle degli ingegneri militari. E neppur di un Lurano ingegnere idraulico, di cui 1 ambasciadore mantovano in Venezia annunziava la Corte di Mantova (24 luglio 1594) l’arrivo in questa città « con li suoi stromenti a servizio del Duca», vi sono altre tracce. Da Vienna Germanico Savorgnano, il 12 novembre 1595, manda al Duca di Mantova due disegni uno di Strigonia, l’altro di Vicegrado, dandogli notizie della guerra. Il i.° gennaio 1596 gli spediva il ritratto del signor Conte di Manfelt valoroso generale, alle cui esequie aveva assistito. 11 17 febbraio annunzia che partiva per Praga domandato da S. M. Cesarea per consiglio nelle riparazioni di Strigonia e di Cornar. Infatto il 5 marzo era già a Praga, donde poi il 16 aprile scriveva: « dopo aver fatto la quarantena fui introdotto da S. M. che mi uide uolentieri, et mi disse che dal suo consiglio hauerei inteso il bisogno suo. Il Dottor Dez, che è quello che fa il tutto apartenente alla guerra, mi fece parlare con il Cogorano ingegnere et con uno Capitano Pompeo da Mazerata ingegnere del Generale del Papa, et ci domandò il parere nostro circa la reparatione di Strigonia, et quello che giudicauamo che si potesse fare a Cuchari in luogo di quello che fu abrugiato. Hauessimo tutti tre openione diuersa e finalmente S. M. commandò che fusse riparata Strigonia nel modo che staua e fatto un piccolo forte alla parte oposta del fiume, sì come ricordai, hauendo openione quello del General del Papa di non far nulla che il fiume et miracoli in Strigonia, et il Cogorano uoleua fare una meza forteza reale in Cuchari et qualche cosa di più a Strigonia. Hora uederemo Giorn. Ligbstico. Anno XV. *8 434 GIORNALE LIGUSTICO un modello che ha fatto quello del Papa di Strigonia, offerendosi di farla inespugnabile con 250 m. fiorini... ma 10 sto saldo nella mia openione et son sicuro che resterò uincitore ». Finisce accennando di esser stanco di restar colà, e promette di mandar il disegno che ha fatto di Cornar. Il 23 scrive che il progetto del Capitano Pompeo fu giudicato da S. M. ben fatto; ma che, eseguito, non avrebbe valso. Di più fa conoscere che gli fu offerto il posto di consigliere di gueria a nome di S. M. con onorario di 300 fiorini mensili; prima di accettare attende di conoscere la volontà del Duca di Mantova. Scrive Γ8 giugno 1596 da Vienna al Consigliere del Duca in Mantova, che, avuta licenza da S. A., accettò il posto di consigliere di guerra. Questo Savorgnano era già stato in Mantova nel 1589 e aveva dato i disegni della cittadella di Casal Sant' Evasio; e a servizio del Duca Vincenzo I Gonzaga nel 1593 guerreggiò contro gli Spagnuoli, impadronendosi specialmente di Castelgoffredo e di Castiglione, come apparisce da ordini ducali. Ebbe dal Duca in feudo il marchesato di Cereseto. Partì nel 1595 da Mantova per andar in Ungheria a combattere i Turchi. Si crede morto in Vienna nel 1600 con la carica di soprintendente a tutte le fortezze dell’ Ungheria, in vece altri scrissero che ritornò ancora in Venezia. In una lettera da Vienna, in data 8 giugno 1596 > a Francesco Petrozzani, a proposito dell’annunzio datogli della rovina di una casa e di un orecchione di baluardo nella cittadella di Casale, si lamenta del Facciotto, che ne fece scavar le fondamenta, « ne doglio infinitamente perchè una pouera unica mia figliola (la cittadella di Casale) la uego uiolata et svergognata dalla ignoranza et malignità del detto Facciotto ». Si noti che la famiglia Savorgnano del Friuli diede non pochi ingegneri militari: il Promis dà notizie di tredici, e credo che non li abbia compresi tutti. GIORNALE LIGUSTICO 435 Del Cogorano avremo occasione di discorrere altrove. Il capitano Pompeo di Macerata è il Floriani, nato in Macerata ne^ 1545» morto poi in Fano nel 1600, lasciando figli, che seguirono le sue orme nell’arte, come si può vedere nelle Memorie Istoricbe delle arti e degli artisti della Marca d’Ancona del marchese Amico Ricci. Moriva in Mantova, il i8 gennaio 1596, M. Francesco Vigilio misuratore ducale nella via del Bue di anni 55 per idropisia. Bonaiuto Lorini fiorentino, da lettera pubblicata dal Gualandi (Memorie originali italiane riguardanti le belle arti), risulta che aveva principiato, suoi studi intorno alle fortificazioni in Pisa, ma che poi passò a servizio della Repubblica veneziana, che lo tenne occupato in Lombardia, quindi in Levante e specialmente in Zara. Scriveva da Venezia, il 2 gennaio 1588, al Gran Duca di Toscana, notandogli che da 20 anni attendeva alle fortificazioni, si offriva per servirlo, dandogli intanto consigli per fortificar Livorno. Il Gualandi indica pure molti disegni di città, fatti dal Lorini dal 1582 al 1604 conservati negli archivi di Venezia, fra cui quello del castello di Brescia. Il Promis indica la sua morte verso il 1611. Abbiamo di lui due lettere al Duca; la prima è la seguente. Serenissimo Signore. Prego con ogni efetto di reuerenza V. A. S., che con la solita sua benignità e cortesia si uoglia degnare di riceuere questa mia opera sopra al modo del fortificare, ove spero che trouerà facilità et risparmio tale nel fabricar le fortezze, che le sarà non poco grate queste mie fatiche, le quali sono state fatte da me particolarmente per suo seruitio; perchè douendo già uenire a seruire la felice memoria del padre di V. A. et non potendo per diuerse cause, questo doueua suplire in suo seruitio come Γ istessa mia persona, e quando ella per sua bontà si degnasse ancora di darmi occasione che maggiormente io le potesse far cosa grata, lo terrei fauore singularissimo et non per altro se non per tarmi degno della sua GIORNALE LIGUSTICO gratia. Baciandole le mani e prego il signor Iddio conserui V. A.S. con perpetua felicità. Di Venetia il dì 16 novembre 159^· Di V. A. S. humilissimo seruo Buonaiuto Lorini. Al Serenissimo Duca di Mantova padrone col.mo Mantova. Con la seconda, del 10 gennaio 1597, ringraziava il Duca della lettera e del regalo di 100 ducati, offrendosi pronto a servirlo. Giacomo Sorina nel 1596 era nominato prefectus aequarum Mantuae. Egli era di Asola. Suo fratello Sebastiano ebbe maggior fama; dal 159^ 1598 era occupato nei lavori alla cittadella di Casale, e a di 25 ottobre fu dispensato da ulteriore servizio col titolo d ingegnere di S. A. S. . (Continua). VARIETÀ IL VIAGGIO DI PIO VI A VIENNA NEL 1782 (Documenti inediti) Il viaggio di papa Braschi a Vienna, intorno al quale tanto e da tanti fu scritto, riceve qualche sprazzo di nuova luce da' dispacci inediti che Domenico Paoli, Agente della Repubblica di Lucca presso la Corte pontifìcia, andava settimanalmente scrivendo per debito di ufficio. « La voce (così il Paoli, ne 1 suo dispaccio de’ 26 gennaio 1782) che fino la settimana scorsa si era qui sparsa, ed a cui non volevasi in conto alcuno prestar fede, cioè di avere Nostro Signore determinato di portarsi in Germania, resta ora verificata, perchè nella copia della lettera scritta dal S. Padre a S. M. C. Γ Imperatore, in data de’ 15 di- GIORNALE LIGUSTICO 437 cembre dello scorso anno, che (scorretta e mancante sì, ma vera, perchè trasmessa qua da Vienna) gira per Roma, si legge, in sostanza, avere S. Santità stabilmente fissato di abboccarsi coll’ anzidetto monarca, per capacitarlo di persona, giacché non gli è riuscito coll’ altra lettera de’ 15 agosto [1781], della negativa latta alla di lui richiesta, che era di volere la libera nomina e collazione di tutti i Vescovati e Benefizi, Abbadie, ecc. della Lombardia austriaca, e per procurare di rimuoverlo dal già fatto, e che pensa di fare, agli Ordini religiosi esistenti ne’ suoi dominii ». « Dalla risposta di S. M. l’Imperatore, osserva il Paoli , dipende ora la permanenza in Roma, 0 la gita a Vienna del S. Padre; ma, purché tal risposta non sia espressamente proibitiva, S. Santità si vedrà certamente in Germania, tanto è fissa in questa sua determinazione ». Ecco che intanto arriva da Vienna « una Guardia Nobile ungarese in qualità di Corriere di Gabinetto », la quale reca la tanto sospirata risposta di Giuseppe II. Il Cardinale Herzan, Ministro della Corte imperiale presso la S. Sede, si affretta a presentarla al Papa. In sostanza diceva (mi valgo delle parole stesse del Paoli) « che se Sua Santità vuole onorare Vienna colla sua presenza, sarà ricevuta, conforme merita la sua ragguardevole persona; ma che se colà si porta, perchè creda di poterlo rimuovere da ciò che ha di già fatto e che pensa di fare, può pure risparmiarsi un tale incomodo, mentre egli, avendo prima ben consultato i suoi teologi, non è per cambiar sentimento ». Pio VI non si perse punto d’ animo; e 1’ Agente di Lucca tornava a scrivere il dì 16 febbraio: « Ecco accinto N. Signore a fare prontamente un tal viaggio, che imprenderà, per quanto assicurasi da chi dovrebbe saperlo, il dì 29 del corrente mese. L’ equipaggio per tal sua gita è fissato in termini assai ristretti, consistendo in sole quattro carrozze e 438 GIORNALE LIGUSTICO tre calessi. Nella carrozza del S. Padre anderanno due soggetti, che non sono ancora a notizia di alcuno, benché molti ne vadano in predicamento. E nelle altre lo seguiranno, per quanto dicesi, due Camerieri segreti, monsig. Nardini Segretario delle Lettere Latine, il Caudatario, il Crocifero, il Confessore, il Medico ed il Chirurgo. Le posate poi, che S. Santità ha destinato di fare, tanto nel suo Stato, quanto fuori di quello, sentesi che le farà nei conventi religiosi, per non recare, come si è protestato, incomodo veruno ». In un altro suo dispaccio de’ 23 di febbraio il Paoli dà le seguenti informazioni: « La partenza della S. di N. Signore da Roma per Germania resta fissata per giovedì della prossima settimana. I soggetti poi destinati per accompagnarlo sono: nella di lui carrozza anderanno monsig. Con-tessini suo Elemosiniere segreto e monsig. Marcucci Vicegerente. Nelle altre tre, monsig. Nardini Segretario delle Lettere Latine, a cui negli scorsi giorni concesse il S. Padre l’uso della mantelletta e annoverò tra’ suoi prelati domestici; monsig. Dini, suo cerimoniere; il sacerdote Ponzetti, che in questa occasione ha dichiarato suo Confessore e suo Cappellano onorario; monsig. Spagna, altro suo Cappellano segreto; due cappe nere, una al servizio di monsig. Vicegerente e l’altra di monsig. Nardini; il medico; il chirurgo, e due aiutanti di camera, e finalmente tre corrieri, ad uno dei quali, chiamato Annibaie Nelli, ha dato il titolo di Prov-visoniere, quattro palafrenieri, e quattro officiali, due di credenza e due di cucina ». « In questa occasione (aggiunge il nostro Paoli) dicesi avere N. Signore fatta una Bolla, colla quale, in sostanza, vuole che nel caso venisse egli a mancare di vita in paese straniero, si faccia, conforme il solito, il Conclave in Roma, per Γ elezione del nuovo Pontefice, e non dove fosse seguita la sua morte, come viene ordinato da altra pontificia GIORNALE LIGUSTICO 439 antica Bolla, che resta ora abolita e dichiarata di niun valore. Ha inoltre S. Santità concesso, con gli opportuni chirografi, Γ alter ego, durante la sua assenza da Roma, a tutti quelli che hanno cariche, con la restrizione però di dover seguire, nel concedere, la regola eh’ egli ha tenuto dal principio del suo pontificato sino alla sua partenza dalla città ». La descrizione della partenza si legge nel dispaccio che il Paoli scrisse il 2 di marzo. Alle ore 13 incirca di mercoledì (sono sue parole) « pose la S. di N. Signore i piedi in carrozza, per portarsi a Vienna; ma nell’andare smontò di bel nuovo dalla carrozza, per visitare, come fece, con molta devozione, 1’ apostolo di Roma S. Filippo Neri, e indi proseguì il suo viaggio, uscendo per Porta del Popolo. A detta Porta si fecero di bel nuovo trovare gli Eccellentissimi Nepoti di S. Santità (il Cardinale Romualdo Braschi e il Duca C. Luigi Braschi), i quali, dopo un breve sì, ma tenero ragionamento, vennero dal S. Padre licenziati colla sua apostolica benedizione. L’ ordine poi con cui marcia S. Santità è il seguente: » Va egli in una carrozza, tirata a sei cavalli, preceduto da due corrieri, e servito in detta carrozza da monsig. Mar-cucci Patriarca di Costantinopoli e Vice-gerente di Roma e da monsig. Contessini Arcivescovo di Atene e suo elemosiniere segreto. » Lo seguitano due altre carrozze, tirate similmente a sei cavalli. Nella prima hanno luogo monsig. Nardini Segretario delle Lettere Latine, monsig. Bini primo Maestro delle Cerimonie, Ponzetti confessore, capellano segreto e caudatario, e De Rossi medico segreto. E nella seconda monsig. Spagna cappellano segreto e crocifero, Stefano Brandi aiutante di Camera, ed uno scopatore segreto. Ed in fine un calesse con facocchio ed un palafreniere. La quarta carrozza poi partì il giorno avanti, unitamente ad un altro calesse ed uno stra- 440 GIORNALE LIGUSTICO scino col bagaglio, tanto per servizio di S. Santità che della sua Corte. I luoghi dell’ anzidetta seconda carrozza vengono occupati da un secondo aiutante di Camera, dal cuoco, dal credenziere e da un altro scopatore segreto; e il calesse da Annibaie Nelli in qualità di provvisioniere. Le due cappe nere, una al servizio di monsig. Nardini e l’altra di monsig. Vicegerente, si è creduto doversene far di meno, per non accrescere imbarazzo. » È incredibile poi l’affetto e l’amore cordialissimo (aggiunge il Paoli), che tutta questa città ha dimostrato in questa occasione a S. Santità. Basti dire che dalla Sagrestia del Vaticano dove il Papa montò in carrozza sino alla Posta di Prima Porta, nel qual luogo N. Signore, in tempo che si cambiavano i cavalli, si spogliò degli abiti pontificali e si vestì dell’ abito viatorio, si fece da per tutto trovare il popolo e la nobiltà, augurandoli con infiniti evviva un prospero viaggio unito ad un felice ritorno, il che fece quasi sempre lacrimare Sua Santità per tenerezza. » Le fermate che N. Signore ha fatte la sera, dal giorno della partenza da Roma, sino al presente sabato sono state come segue: » Mercoledì sera ad Otricoli; giovedì sera a Foligno; venerdì a Tolentino, e questa sera a Loreto, ove il Santo Padre ha destinato celebrare la messa domani e trattenersi a pranzo ». Il 16 di marzo Γ Agente di Lucca scrive: « Non avendo questo Em.mo Sig. Cardinale Herzan, Ministro di Sua Maestà Cesarea, potuto dare esecuzione agli ordini trasmessigli dal· l’imperiai sua Corte per via di staffetta, giunta qui venerdì dell’ antipassata settimana, di presentare egli stesso a N. Signore la lettera del suo Sovrano, responsiva a quella scrittagli dal Papa in data dei 9 di febbraio, con cui gli partecipava che quanto prima si sarebbe messo in viaggio per GIORNALE LIGUSTICO \ ienna, e di seguitare il S. Padre all’ imperiai Corte, per essere S. Santità di già partita da Roma, consegnò immediatamente detta lettera a questo Sig. Cardinale Segretario di Stato, e dopo avere rispedito un corriere a detta sua Corte, si pose martedì in viaggio a quella volta. » In detta imperiai lettera, che per via di corriere straordinario fu dal Sig. Cardinal Segretario di Stato trasmessa sabato scorso a S. Santità, vuoisi che si contenga l’invito dell’Imperatore al Papa di accettare l’alloggio, statogli dal medesimo di già preparato nell’imperiale suo palazzo, anche per comodo di potersi abboccare insieme con libertà; il quale invito dicesi essere stato da N. Signore accettato ». Sulla dimora del Pontefice a Vienna racconta particolarità cuoriose il Bourgoing, che vi si trovò. « Era una frenesia di veder passare il Papa », così scrive: « barche di curiosi ostruivano il corso del Danubio; a venti, a trentamila si affollavano nelle vie che riescono alla Corte, chiedendo a gran voci la benedizione, e più volte al giorno Pio VI doveva comparire al balcone per concedere alla folla quel facile favore. Si credette di mancare di sussistenze, tanta gente accorreva a Vienna dai paesi più remoti. Fu notata 1’ ostina-nazione d’ un paesano, che veniva da sessanta leghe per vedere il Papa. Arrivato andò a mettersi in una sala dell’ appartamento dove alloggiava Sua Santità. — Che cosa volete qua ? gli chiese una delle guardie. — Vedere il Papa , rispose. — Non è questo il luogo : andatevene — Oh no, aspetterò fin che venga ; io non ho fretta — E si mette a sedere e mangia tranquillamente il pane che s’ era portato. Aspettatava da parecchie ore, e Γ Imperatore, saputolo, lo introdusse egli stesso dal Papa, che 1’ accolse bene, gli diede a baciare la mano, lo benedisse e gli regalò alcune medaglie. — To’, to’ prese a dire e questi Viennesi non mi avevano detto che il Papa desse danari a quelli che vanno a trovarlo! ». 442 GIORNALE LIGUSTICO Qual resultato ebbe il viaggio? Sentiamo quanto dice il nostro Agente nel suo dispaccio de’ 15 aprile : « Cosa poi S. S. abbia fin qui operato con li abboccamenti, che si è risaputo avere avuti fino tre volte il giorno con quel monarca, nulla si è potuto per anche penetrare ; ma Γ incontro, che dicesi avere avuto il S. Padre con quel Sovrano e tutta la di lui Corte, dà a Roma la speranza di vedere in fine accomodato il tutto con reciproca soddisfazione ». Questa speranza· non tardò a dileguarsi. « Con dispiacere grandissimo di tutta questa città, così il Paoli in dispaccio degli 11 maggio, si è poi risaputo essere stato infruttoso il viario del S. Padre a Vienna; mentre nulla ha concesso, è vero, ma niente ancora ha potuto ottenere da S. M. C. l’imperatore. Una tal dispiacevole notizia si è qui avuta per mezzo di una copia di alcuni paragrafi di lettera data fuori da questo Sig. Ambasciatore A^eneto, e scritta in data de’ 20 del prossimo passato mese d’ aprile alla Serenissima Repubblica di Venezia dal di lui ambasciatore residente in Vienna, che riferisce alla medesima quanto gli aveva detto il Papa in un’ udienza che aveva avuta dal medesimo, che fu del tenore seguente: » Portò quindi S. Santità il discorso sopra gli oggetti del suo viaggio e con qualche riserva indicò gli effetti che ne aveva riportati. Disse che non poteva essere nè più cordiale nè più magnifica la maniera con cui fu trattato dall’imperatore e eh’ egli era edificatissimo di tutto quel popolo, il quale gli aveva dati li maggiori segni di pietà e di divozione; ma che rapporto al risultato de’ suoi gravissimi oggetti, egli si partiva sconsolato, ma nello stesso tempo tranquillo, non avendo omesso dal canto proprio di agitare e difendere e con scritti e con la voce li più sacri diritti della Chiesa e della Religione; laonde, non avendo egli forza di superare una resistenza invincibile, doveva essere tranquillo giornale ligustico 445 nella sua coscienza e venerare egli il primo le sapienti disposizioni di Dio. Che 1’ ordine della negoziazione non poteva essere nè più nobile nè più polito, mentre in qualunque circostanza trovò Γ Imperatore ripieno di grazia, soavità ed attenzione, ma che il merito dell’ affare sofferse la più dura resistenza. Seguitò dicendo che alcune modificazioni gli vennero esibite da S. Maestà, ma che egli non avrebbe potuto ammetterle senza un sommo aggravio della sua coscienza, e che perciò era meglio soffrire il peso di una estrema disavventura, di quello che sottoscriversi ad espedienti che formerebbero un’epoca di dolore in lui, d’infamia alla sua memoria e di rovina alla Religione e alla Chiesa. « Tutto ciò non ostante, prosegue l’Agente della Repubblica di Lucca, corre ora qui voce che S. M. Imperiale, nel separarsi che fece dal Papi alla Madonna del Fonte, dove l’aveva accompagnato, gli dicesse che partisse pure consolato e tranquillo, mentre avrebbe cercato di secondare i suoi desideri ; e che in adempimento di tal promessa abbia di già o modificato o ritirato 1’ editto di tolleranza, e prolungato ad altri quattro mesi l’editto di soppressione dei monasteri di monache ». Nel nuovo dispaccio del i.° di giugno è notevole questo brano : « Dall’ entrare che la S. di N. Signore ha fatto in questo suo Pontificio Stato, di ritorno da Vienna, si è sparsa qui voce di avere la medesima ottenute finalmente da S. M. Imperiale diverse cose, consistenti, per quanto dicesi nell’ accettazione della Bolla Unigenitus; nel libero ricorso, come primi, a Roma per le dispense matrimoniali in primo e secondo grado e nel terzo misto col secondo; nella modificazione dell’ editto di tolleranza, ed altro ancora , da pubblicarsi allorché N. Signore si restituirà in questa Dominante. Una tal voce poi si è di presente molto più accresciuta, perchè vuoisi avere questo Maggiordomo, nipote di S. Santità, 444 GIORNALE LIGUSTICO non meno che questo Sig. Cardinal Negroni, ricevuta ultimamente lettera dai S. Padre con le anzidette notizie e col-Γ ordine di pubblicarle per consolazione di Roma ». L’ ultimo dispaccio del Paoli, in cui parla del viaggio di Pio VI a Vienna, è del 22 di giugno. Ecco che cosa scrive: « Si riaprirono lunedi le pontificie anticamere e ricominciò N. Signore a dare le ordinarie udienze..... Col ritorno di S. Santità speravasi qui di sapere con sicurezza quel tanto che si era qui sparso aver egli ottenuto da S. Μ. Γ Imperatore Giuseppe II; ma nulla si è fin qui risaputo, o niente è peranche uscito dalla bocca del S. Padre intorno a tali affari, onde ora concludesi che poco 0 nulla abbia ricavato ». Non ne ricavò proprio nulla. Ebbe dunque ragione Pasquino a dire, che Pio VI andò a Vienna a cantare una messa senza gloria per lui e senza credo per Γ Imperatore. Giovanni Sforza. Alcune librerie in Firenze nel seicento. Antonio Magliabechi ebbe un vero culto per i libri, e lo dimostrò mettendo insieme una biblioteca insigne, che divenne lustro e decoro della sua città natale. Egli reputava « veramente compatibile » il Porcè, dottore della Sorbona, pei il dolore onde fu quasi tratto a morte, allorquando gli si abbruciò la libreria, importantissima per numero e per singolarità, della quale pochi dì innanzi aveva rifiutati ventimila scudi dal Colbert, che la voleva comprare per il figliuolo. Ma sentendo nello stesso tempo come gli eredi di monsignor De Thou avessero deliberato di vendere quella lasciata dal celebre presidente, molto importante per « Γ assortimento dei libri, la sceltezza delle edizioni, la ricchezza delle legature », mentre da un lato era dispiacente « di non avere la facoltà di un principe », poiché non si lascerebbe scappare GIORNALE LIGUSTICO 445 « questa sì bella occasione per danaro di alcuna sorta », dal- 1 altro osservava con molta amarezza essere « sproposito che i morti pretendano di legare con testamento i vivi » , ben rilevandosi da questa vendita in qual conto sia tenuta la volontà dei trapassati, nessuno ignorando come il raccoglitore ne avesse vietata la dispersione. Questo affetto così grande per i libri non conduceva già il Magliabechi all’ egoismo, che anzi egli stesso incuorava gli amici a raccoglierne, e per via di consigli e di notizie letterarie dava modo di acquistarne, donandone molti altresì di quelli, che in più copie riceveva, così da tutte le parti d’Italia come dall’ estero. Per questa ragione legò intrinseca amicizia col P. Angelico Aprosio, anch’egli istitutore di quella biblioteca, che a Ventimiglia porta pur sempre il suo nome, ma ha perduta molta importanza dopo la manomissione a cui soggiacque sul cadere del secolo passato al tempo della Repubblica Ligure. A formare questa biblioteca concorse non poco il Magliabechi, e di utilissimi consigli fu largo al P. Angelico per la sua curiosa, e farraginosa Biblioteca Aprosiana rimasta al primo volume; ìebbene già ne fosse all’ordine la seconda parte, che manoscritta si conserva nella privata libreria Durazzo. Quivi l’autoie disegnava inserire un cenno delle biblioteche fiorentine; e ii Magliabechi, a cui per questo fine si rivolse, gli mandò le notizie necessarie: parte delle quali per mala ventura andò dispersa, (i). Or dal frammento autografo restato fra le carte dell’ Aprosio (2) , riferisco i (1) Gli appunti raccolti dal Magliabechi per dettare queste notizie esistono nella Bib. Nazionale di Firenze (sez. Magliabechiana) cod. 63, d. X. Vennero citati dal Del Lungo nel suo Dino Compagni, I, 749, 784. (2) Bibl. Univer. di Genova, ms. E. V. 15. Qui e nell’altro ms. E. II. 2 sono le lettere del Magliabechi all’ Aprosio, donde ho tratto alcune citazioni e notizie. 446 GIORNALE LIGUSTICO cenni più importanti intorno ad alcune raccolte di libri esistenti in Firenze al tempo del Magliabechi. Aveva egli fatto proposito di scrivere all’ amico « correntissimamente, ma con ogni brevità, qual cosa di tutte ». Intanto, mancandogli il tempo, gli parlava « solamente di quelle dei secolari e de’ preti secolari », riservando ad altra volta il dargli contezza di quelle dei « religiosi secolari »; nè gli voleva parlare per ora della medicea di S. Lorenzo, perchè richiedeva più lungo discorso. Se non che scritti i primi fogli fu sul punto di non mandargli altro, perchè, puntiglioso com’ era, venne a sapere che 1’ Aprosio aveva domandato le stesse notizie al padre Puccinelli e al medico Lapi; anzi affermava un po’ acremente, che se 1’ avesse saputo prima, neanche quei due avrebbe « assolutamente scritti, per non perdere tempo senza proposito ». È però certo, avvertiva, che « Γ uno e l’altro avranno scritto mille spropositi, poiché oltre al giudizio, quel medico è anche un bue affatto », e non hanno veduto che due o tre librerie : egli invece non solo quasi tutte le conosce, ma « ogni libro » delle stesse gli « è più volte passato per le mani », e di più conosce anche « i padroni benissimo », onde sa « quanto pesano ». Perciò volendo scrivere « la pura verità », sarà costretto ad « avvisare fedelmente alcune cose che » gli « conciterebbero odio grandissimo »; perciò desiderava che il foglio fosse stracciato, « perchè non possa mai in tempo alcuno essere veduto da chic-chesia », e che ΓAprosio non dicesse d’avere avuto da lui le notizie, ma da « un oltramontano, che curiosissimamente osservò ogni cosa » in Firenze. Conoscendo molto bene con chi aveva da fare, temeva le gelosie, i puntigli, le pretese di preminenza e di dottrina; ed egli d’altra parte era uomo da non aver peli sulla lingua, e all’ Aprosio, di cui avea provato la prudenza, apriva intero l’animo suo. Ab Jove principium. Incomincia adunque dalla libreria « del GIORNALE LIGUSTICO 447 Serenissimo Granduca Cosimo III nel palazzo de’ Pitti; la più copiosa per la quantità, la più universale per la varietà, e la più insigne per la qualità, dei libri ». « Il Serenissimo Granduca » — così scrive — « mentre era principe , per averla più comoda che fosse possibile, alcuni anni sono, la fece fare accanto alla propria camera dove dormiva , onde non poteva escire di camera, che non entrasse in libreria. Si conserva ancora nell’ istesso luogo, ma però S. A. S. da che è Granduca non dorme più in quella camera, per essere tornato a basso nelle stanze che abitava il Serenissimo Granduca Ferdinando suo padre. Per una scaletta segreta però vi può andare senza essere veduto. È stata fatta di pianta dal detto Serenissimo Granduca Cosimo III, ed io mi son trovato a vederla (per così dire) nascere. Nel primo luogo, Antonio Mucini canonico di S. Lorenzo, che fu maestro anche nella grammatica di esso Ser.m0 Granduca, gli lasciò morendo i suoi libri, che furono però poca cosa. Secondariamente il Ser.mo Granduca Ferdinando gliene dette alcuni altri, che erano in una stanza del palazzo de’ Pitti ammassati, nè si sapeva che cosa fossero, ma nemmeno in essi si trovarono se non pochissimi libri buoni. Per terzo, con 1’ eredita del Serenissimo e Rev.m0 Cardinal Decano Carlo De’ Medici, ebbe anche S. A. S. la sua Libreria, nella quale erano de libri buoni, de’ cattivi e de’ mediocri. Inoltre ne ha S. A. S. comprati moltissimi, onde, come ho detto, è la maggiore e la migliore che qua sia. È copiosissima, e generale di tutte le materie; ma però i libri de’ Protestanti, come anche quelli di cose Magiche, ecc. gli tengo riposti in alcuni armadi serrati a chiave, che non son veduti da alcuno, poiché pare che sieno porte, non armadi come veramente sono, nè alcuno ne ha la chiave, come nè meno degli libri, se non io. Oltre al grandissimo numero de’ libri stampati, vi sono moltissimi manoscritti e tra essi de’ singolarissimi. Di più vi 44$ GIORNALE LIGUSTICO sono parecchie centinaia di manoscritti di lingue orientali, rarissimi per lo più e singolarissimi. Non solamente vi sono libri stampati Latini, Greci, Italiani e di lingue orientali, ma anche buonissimo numero di Spagnuoli, Francesi, Inglesi, Fiamminghi, Tedeschi, ed infine della Cina e del Giappone, de’ migliori, e de’ più rari, che si trovino nelle dette lingue ». A proposito dei libri lasciati dal Mu-cini soggiunge, come 1’ essere rimasti pochi, si deve alla facoltà data dal principe stesso al P. Baldoni, successore del Mucini nell’ insegnamento, di pigliarne quanti volesse. Quelli invece donatigli dal padre « avevano ad essere molti, e parecchi molto rari », siccome egli rilevava da un catalogo compilato quasi un secolo innanzi da Domenico Mel-lini, e sebbene si dovesse supporre che fossero molto cresciuti, « contuttociò vi se ne trovarono pochi, e non gran cosa buoni »; un buon numero, « e quasi tutti buoni », quelli lasciati dal Cardinale, « ma in diversi tempi gliene erano stati rubati grandissimo numero », onde quando il Magliabechi andò « dopo la sua morte per essi », non vi trovò « gran rarità », e non passavano i duemila volumi. Viene in seguito la libreria del Cardinale Leopoldo De’ Medici, collocata nelle sue stanze di palazzo Pitti. « Ne ha due » — scrive il Magliabechi — « in due diverse stanze. In una vi sono libri stampati di tutte le materie, come anche molti manoscritti, e nell’altra solamente di Legge e di Teologia Morale. Tutte e due sono state fatte di pianta da S. A. R. Non sono grandissime, perchè S. A. R. generosissimamente dona giornalmente infiniti libri, come anche ne presta moltissimi per non riavere mai ; onde se avesse tutti i libri che fino ad ora ha comprato, certamente che la sua sarebbe una delle maggiori, e più copiose librerie dell’ universo , spendendo ogni anno in libri molte centinaia di piastre , facendone venire continuamente senza badare a spesa alcuna, ben- giornale ligustico 449 thè eccessiva, da tutte le parti del mondo. Ha in oltre S. A. R. fatto stampare a sue spese i Saggi di Naturali Esperienze, la Direzione de Fiumi del Michelini, e altri libri de’ quali ha donato tutti gli esemplari, benché Γ ingordigia degli stampatori senza suo consenso, o saputa , ne abbia tirato qualche centinaio di più, che hanno poi venduti sotto mano. Di più non si stampa qua libro alcuno benché mediocre, ed anche ordinarissimo, non che buono, che S. A. R. non ne faccia subito legare in sommacco quaranta o cinquanta e semplari, comprandogli a qualsivoglia prezzo e mandandogli pel Corriere con ispesa intollerabile, franchi da ogni porto, a diversi letterati sì Italiani come Oltramontani, in luoghi e regni lontanissimi. Altre volte le ho accennato che non credo che in tutto il mondo, il che scrivo con ogni maggior verità, e senza amplificazione di alcuna sorta, si trovi assolutamente chi abbia genio più univarsale generalmente ad ogni e qualsivoglia genere di letteratura, di esso, non ci essendo studio alcuno, benché debole, che esso disprezzi, anzi che non intenda, e non protegga. Non solamente regala, e provvisiona i letterati qua, ma anche in altre parti, a proposito di che mi sovviene, come sentendo a gli anni passati che ’l Sig. Pietro Pietri Dantiscano (del quale V. P. R. avrà infino veduto il nome nelle opere del Chechermanno) si trovava in Padova in qualche necessità, subito ordinò che se gli pagassero non mi sovviene quante piastre il mese, durando a far questo per tutto il tempo che ’l Pietri visse » (i). A proposito dell’ amore agli studi e alle arti, e del genio universale, nonché della operosità del Cardinal Leopoldo soggiunge: « È cosa veramente di prodigio come S. A. R. possa applicare (i) Dimorò questo erudito di Danzica parecchio tempo anche in Firenze, e morì ottuagenario a Padova nel 1660. Cfr. Rdspoli, Pcesie, Livorno 1882, pag. 49. Giorn. Ligustico. Anno XP. 29 450 GIORNALE LIGUSTICO a tante cose, poiché nel primo luogo il Ser.mo Granduca Ferdinando gli lasciava la maggior parte delle cure del governo. Di più, oltre agli studi generalmente di ogni sorta di lettere, si diletta sommamente di medaglie, comprandone quante può, senza perdonare a spesa di alcuna sorta. Inoltre è innamoratissimo della pittura, avendo un’ infinita di quadri e di disegni de’ migliori pittori che sieno mai stati, ed essendone inoltre intelligentissimo ». In corte però i libri erano portati via a furia, e quando l’Aprosio mando una copia della sua Biblioteca Aprosiana al Cardinale, il Magliabechi gli scriveva: « Di quello (esemplare) che ho dato a S. A. R. non ne fo un conto al mondo, essendo certo che a quest’ ora è stato portato via da uno di quei cortigiani, già che 1 ho sempre veduto nelle stanze di S. A. R. o nelle mani di uno o nelle mani di un altro. Fo pertanto pensiero di farne legare un altro, e metterlo in libreria senza dirgli altro, poiché per Γ appunto quanti se ne dessero ad esso, tanti in pochi giorni ne sarebbero portati via. L’ istesso appunto dico del Ser.m0 Granduca, non si potendo nelle loro stanze campare libro di alcuna sorta, e per questo nonostante che S. A. R. spenda in libri veramente tesori, con tutto ciò ha una 1 ibreriuola che non è degna di mostrarsi ad un galantuomo ». Ecco in qual modo discorre della libreria dei Guadagni, posta nel loro palazzo dietro alla SS. Annunziata : « Sono nella detta libreria di quasi tutte le materie libri, è ben però vero che vi mancano, oltre a molti e molti degli antichi, generalmente tutti i moderni, stampati, o ristampati con giunte da circa quaranta anni in qua, il che, come V. P. R. ben conosce, è un grandissimo difetto, e tale che non si può in essa studiare. I libri furono comprati tutti dal Sig. Pier Antonio Guadagni fratello del Padre di questi Sig.ri che vivono adesso, e la posseggono, il quale ebbe concetto di fare una libreria pubblica, secondo che ho inteso da diversi a' quali GIORNALE LIGUSTICO esso medesimo più volte 1’ aveva affermato, ma prima di effettuare tal nobile e santo preponimento Morte vi s’interpose, onde noi feo. Dalla morte di detto Sig.re fino a quattro o cinque anni sono (o per dir meglio otto o dieci), per non se ne dilettare questi Sig.ri che vivono, stettero sempre i libri in una stanza, ammassati sopra di alcune tavole, ma allora mediante le tante istanze e preghiere, che gli erano continuamente fatte, si risolverono a far fare scaffali assai nobili in una stanza dove hanno tatto accomodare i detti libri, i quali però avrebbero bisogno di luogo più capace. È danno grande che questi Sig.rl, come ho detto, non se ne dilettino; poiché sono dei più ricchi gentiluomini di questa città, e tra tutti e quattro non ci è chi getti via ne meno una crazzia ; onde , mentre se ne fossero dilettati col comprare i libri nuovi <> almeno i più necessari, potevano rendere questa lor libreria insignissima. Di Cavalieri questa è la più copiosa libreria che qua si trovi, e in un’ altra stanza hanno un buon numero di manoscritti e tra essi de’ singolari ». Pier Antonio che mise insieme i libri, sebbene sia lodato da alcuni letterati, pure, per quanto se ne dicea, « non sapeva gran cose » ; alla sua morte la libreria passò ai nipoti. Un’ altra famiglia Guadagni, la cui abitazione era dietro il Duomo , possedeva altresì dei libri, benché non si potesse dire vera e propria libreria. « Stanno benissimo a libri di lingua toscana del buon secolo manoscritti » — così seguita — « avendone forse più di alcuno altro che qua sia. Non mi sovviene ne abbiano tutti o la maggior parte di quelli che erano del Sig. Pier del Nero, che ne aveva moltissimi. Questi signori erano due fratelli, cioè il sig. Alessandro gentiluomo della Camera del Ser.m0 Granduca, ed il sig. Carlo, il quale morì alcuni anni sono. Il detto sig. Carlo si dilettava di studiare, ed era 452 GIORNALE LIGUSTICO mio amico, come sono però anche tutti gli altri sopradetti sig. Guadagni. Comprava de’ libri e gli faceva legare nobilmente, tutti in cuoio, con oro, senza badare a spesa di alcuna sorta ; ma però tutti di umanità e di matematica, come eziandio di autori francesi, inglesi e tedeschi, intendendo egli benissimo le dette lingue. Di esso non dirò altro, poiché non aveva messo insieme, quando mori, se non un piccolo stanzino di libri, e ne ho solamente parlato con l’occasione dell’avere scritto della libreria degli altri sig. Guadagni; oltre che, in riguardo de’ manoscritti che questi signori, come ho detto, hanno di cose toscane, non è se non bene il farne qualche menzione essendo molti, ed in tal genere ottimi. Io ne avevo la nota. 11 detto sig. Carlo morì giovanissimo, ed il sig. Alessandro, che vive, non se ne diletta ». Una bella ed importante libreria raccolse il canonico Lorenzo Panciatichi, alla quale accennando il Magliabechi scrive: « Questa è senza dubbio alcuno, toltane quella del Serenissimo Granduca, la miglior libreria che qua si trovi, ed incomparabilmente migliore della detta dei signori Guadagni. Si trovano in essa la maggior parte di libri buoni antichi, e grandissimo numero, ed i più o necessari, o curiosi de’ moderni ». Toccando poi del Panciatichi soggiunge: « Si può dire che sia dotto universalmente in ogni cosa, benché sia della mia età, passando di poco i trent’ anni. È poi il più spiritoso che mai possa trovarsi, e di un ingegno così ameno, che da chicchesia viene la sua conversazione bramatissima, onde da questi Serenissimi Principi è amatissimo e stimatissimo (i). Ha fatto varie cose, benché non abbia stampato (i) Era stato, come Cosimo, di che è toccato di sopra, scolaro del canonico Mucini, Cfr. Guasti nella Vita del Panciatichi premessa agli Scritti Vari, Firenze, 1856, p. vii. Quivi a p. xiv e xxxii si accenna 'alla raccolta de’ libri che andana facendo. GIORNALE LIGUSTICO 453 niente, ed oltre alla gran varietà delle cose che intende e che sa, compone anche divinamente, si in prosa come in versi, e tanto in istile grave quanto in burlesco. Ha nella sua libreria anche molti manoscritti, ed ha adornato il vestibolo di essa con un gran numero di ritratti di letterati insigni, che da varie parti si è fatti mandare ». Segue a questa la libreria di Vincenzo Giraldi « nella sua casa in via de’ Ginori » ; la quale, dopo le già indicate « è la più considerabile che tra particolari » si trovasse in Firenze. « Il vaso della libreria è bello » — soggiunge egli— « i Hbri sono assai, di varie materie, e legati anche per lo più nobilmente. Sono in essa molti corpi grossi di libri, e moltissimi libri figurati. Gli ha comprati tutti il Sig. Vincenzo, in vero con ogni generosità, e senza badare a spesa di alcuna sorta, ed inoltre mentre stava nel letto ammalato, dove ha consumato la maggior parte della sua vita. A dire il vero il detto signore non è gran cosa intelligente, ma bensì buonissimo gentiluomo, e tali sono due suoi figliuoli, cioè il sig. Giovanni, scalco di S. A. R., e il sig. Luigi segretario di S. A. S., i quali hanno anche alla bontà accompagnata una somma cortesia e gentilezza. Nella suddetta libreria però mancano in tutte le materie degli autori classici, e di manoscritti vi è poco o niente ». Ed eccoci a quella del marchese senatore Vincenzo Capponi nel suo palazzo a piè del ponte a S. Trinità, della quale il Magliabechi ha lasciato la seguente memoria: « Vi sono molti libri, buon numero de’ quali son legati anche nobilmente. Ha avuto genio ancora esso di comprare dei libri con figure come il sig. Giraldi, ma però in tal genere il detto sig. Giraldi sta meglio, avendone più numero, e di maggior considerazione. La maggior quantità di libri che sieno in questa libreria sono di istorie, delle quali però ve 454 GIORNALE LIGUSTICO ne mancano infinite , e necessarissime , non vi essendo nonché altro nè meno il Baronio. Ha anche un buon numero di Santi Padri, ma di essi sì che gliene mancano moltissimi, non avendo nè il S. Gio. Crisostomo greco latino, nè il S. Cirillo alessandrino, nè S. Tomaso, nè S. Bonaventura, nè la Bihlot. Patruum, nè cento altri che qui sarebbe superfluo il registrare. Non si può negare che non abbia, come ho detto, assai libri, e per lo più buoni, ma in tutte le materie gliene mancano moltissimi e de’ più necessari; poiché a dire il vero, ma però in tutta confidenza a V. P. R., questo signore (benché ricchissimo) e senza figliuoli maschi, come trova un libro, ancor che sia ottimo, raro, e de’ più necessari, se il prezzo è qualcosa rigoroso, lo lascia stare, nè lo compra, e lo stesso fa sia pure il libro o rarissimo, o utilissimo quanto si pare, mentre vi fosse o una menoma macchia in qualche pagina o la margine troppo tagliata, o simil cosa anche leggerissima, e di niuna considerazione; onde la sua libreria, come eziandio la maggior parte delle altre che qua si trovano, è più per pompa, che per poter studiare. Del resto quando il sig. marchese la mostra a qualche forestiero, ta bellissima vista; poiché essendo per lo più, come ho detto, legati bene e puliti, tenendoli coperti con alcune cortine, ma però di tela, quando le fa tirare e che si scuoprono i libri, fanno una nobil prospettiva. Sono in due stanze contigue, delle quali però una è piena interamente, ma nell’altra è molto luogo vuoto, e per lo più o son legati di cuojo con oro o alla rustica ». In poche parole si sbriga della libreria di Carlo Dati, poiché 1 Aprosio già ne aveva notizie dal proprietario stesso. Tuttavia la dice « considerabile per libri di umanità », essendovi « quasi tutti gli autori greci, latini e toscani, con i migliori espositori, ed un gran numero di critici moderni ». Vi sono pochi libri di storie, di matematica, di filosofia e di GIORNALE LIGUSTICO 455 teologia , ma i libri « nel loro genere sono generalmente quasi tutti buoni » (i). Più lungamente discorre il Magliabechi dei libri messi insieme dal senatore Carlo Strozzi e divisi in due distinte librerie, rimaste dopo la sua morte ai figli Luigi ed Alessandro. « La prima di libri stampati » collocata nella casa di loro abitazione in via de’ Ginori, fra le altre già indicate può tenere « 1’ ottavo luogo ». Sebbene sia assai copiosa, tuttavia « di cose sagre e scientifiche non vi è quasi niente, consistendo la maggior parte dei libri in istorie : vi sono ancora la maggior parte dei libri di medaglie delle quali il senatore era assai intelligente, come ancora vi si trovano parecchi libri di erudizione ». Infatti lo Strozzi aveva raccolto una buona quantità di medaglie, e molti altri oggetti archeologici, che dopo la sua morte furono venduti dai figli, per quanto si rileva da un’ altra lettera del Magliabechi, il quale accenna altresì alle voci che correvano anche intorno alla vendita della libreria; onde affermava amaramente all’Aprosio «fuor di ogni passione odio o invidia che i setti ottavi e tre quarti di coloro che hanno librerie » in Firenze, « sono della razza di colui contro il quale scrive Luciano quel grazioso dialogo, e parla più volle con derisione Marziale, potendosegli con buona coscenza dire: Scilvctc Uòvi siuc doctofc ». E infiammato di sdegno aggiunge : « Quanti ci sono che hanno stentato il tempo di lor vita nel mettere insieme una libreria di qualche considerazione, e vengono dopo gli eredi ignorantissimi, e la vendono, perdendosi così intieramente la memoria di colui ». (i) Giambattista Ricciardi, in una lettera al Magliabechi (Pisa 13 aprile 1678) domanda se sia vero ciò che gli scrisse « un gran personaggio di Roma », e cioè che « il senatore Dati sia veramente per privarsi della libreria della b. m. del sig. Carlo suo fratello ». Cfr. nella Bib. Nazionale di Firenze, Cod. Vili, 6, 1554· 456 GIORNALE LIGUSTICO L’altra libreria « tutta di manoscritti » verme fatta accomodare dal senatore « in due stanze nella Vigna, perchè vi stieno eternamente » , e per la sua singolarità dovrebbe tenere il primo luogo, « poiché assolutamente, levatane quella di S. Lorenzo, che per cento e mille capi è incomparabilmente migliore », può dirsi questa « la maggiore e migliore libreria », che si trovi in Firenze « parlandosi di manoscritti ». Contiene codici « quasi generalmente di tutte le cose », ma in particolare intorno alla storia fiorentina. Di più, i manoscritti vanno ricchi « di indici ed altre memorie », avendoli tutti studiati con diligenza lo .Strozzi (i). Vi erano in Firenze altre famiglie Strozzi, ed in quella che abitava nel suo palazzo al canto de’ Pazzi ebbe assai nome Alessandro, « il quale era avvocato, e se avesse seguitato », sarebbe poi divenuto « uno dei maggiori Auditori»: invece a dispetto de suoi si fece prete. Nel tempo che esercitava la sua prima professione raccolse « una gran libreria di Legge », la quale dopo che fu sacerdote, andò accrescendo « di commentatori sopra la sacra scrittura, di S. Padri, di Scolastici e Morali, e sopra tutto di libri ascetici ». Sebbene egli non avesse « veramente una grande acutezza d'ingegno », tuttavia era « prudente, dotto, e l’istessa bontà ». Il marchese Mattias Maria Bartolomei possedeva anch’egli, nella sua casa in via Lamberteschi una libreria, « varia ed assai copiosa », ereditata in gran parte dal padre, e da lui continuamente accresciuta, nella quale però i libri sacri v’erano in maggior copia. (i) Discorre di questa libreria Salvino Salvini nella Vita dello Strozzi edita con le sue Lettere inedite dal Gargani, Firenze, 1859, p. 5 e seg. Si può vedere allo stesso proposito una Memoria del Bandini nelle Novelle Letterarie di Firen2e, anno 1786, p. 33, 49, 65, 81, 97; e la più recente notizia datane dal Guasti nella importante prefazione a Le carte Strozzane del R. Archivio di Stato, Firenze, 1884, vol. I. GIORNALE LIGUSTICO 457 Una notevole raccolta di libri aveva fatto Bernardo Benvenuti, il quale, essendo prete, « serviva il canonico Arri-ghetti », che « chiamandosi ben soddisfatto di esso, gli lasciò quando morì molta roba, e particolarmente la sua libreria , con condizione però che dopo la sua morte andasse ai gesuiti ». Egli possedeva altresì molti manoscritti « e particolarmente la maggior parte di quelli che erano di Simone Berti » ; questo « buon vecchio » assai dotto in fatto di storia fiorentina, e studiosissimo della lingua, aveva raccolti manoscritti in buon numero, alcuni de’ quali passarono poi in potere del cardinale de’ Medici. « Ne ha però » — soggiunge il Magliabechi — « donati alcuni, ed a me donò la bellissima novella del Macchiavello, scritta di propria mano di esso Macchiavello ». Anche 1’ avvocato Coltellini possedeva molti libri, non però sopra scaffali, ma in casse, e benché fosse giureconsulto, ce n’ era tuttavia « di quasi tutte le materie, ma di niuno assortimento compito ». Una « ragionevole, ma non buonissima » libreria avevano i figliuoli di Gio. Batta Doni nella loro casa nel Corso dei Tintori. Migliore era quella di Andrea Cavalcanti, nella quale soprabbondavano i libri di « umanità ». Vi era altresì un buon numero di manoscritti « e per lo più curiosissimi, benché la maggior parte » di cose fiorentine ; moltissimi copiati di sua mano. Tocca appena il Magliabechi della libreria di Iacopo Gaddi assai ricca di manoscritti singolari; di quella del medico Giovanni Nardi; di Gregorio e Francesco Redi (i); di Giovanni Andrea Moniglia; di Lorenzo Lanfredini; di Neri Scarlatti, (i) Avendo il Redi messo nel frontespizio delle Vite di Dante e del Petrarca scritte dal Bruni, e da lui edite, queste parole: « cavate da un manoscritto antico della Libreria di F. Redi », il Magliabechi scriveva all’Aprosio : « Vegga la solita spropositata ambizzione............. quasi che quatro libracci che ha sieno la Vaticana e ΓAmbrosiana ». 453 GIORNALE LIGUSTICO che ereditò i libri di Francesco Rondinelli (i); di Vincenzo Viviani, e di Antonio Malatesti, il quale aveva molti libri in lingua toscana « de’ più stimati come de’ più curiosi, tanto per dottrina come per amenità », ed « alcuni zibaldoni di poesie manoscritte di diversi, tanto gravi come burlesche ». Di qui Carlo Dati fece trascrivere le migliori dal valente calligrafo Valerio Spada e le inviò alla Regina di Svezia. Altrove, a proposito del Malatesti, soggiunge coni’ egli non avesse se non libri italiani perchè non intendeva la lingua latina, sebbene dissimulasse tal cosa e volesse mostrare d’intenderla. Finalmente accenna alla libreria del marchese Riccardi, ricca in ispecial modo di manoscritti, ma disordinata e da lui non veduta. A. N. Vincenzo Monti e Clarina Mosconi. (Con documenti nuovi) Chi sia Clarina Mosconi non occorre dir troppo: fra le amabili e squisite donne del tempo, tiene posto importante e spiccato. Vissuta dal 4 gennaio 1784 al 26 aprile 1873, primeggiò tra le figlie di Elisabetta Contarini Mosconi e fu dal Pindemonte celebrata come la madre, la quale per altro al poeta della malinconica Musa, aveva destati sentimenti non affatto leggieri nè fugaci, che abbastanza traspaiono dai suoi versi. Educata nelle conversazioni gioviali e galanti in cui i lieti amori si intrecciavano alle lusinghiere avventure, anch’ essa continuò a portare il suo contributo di signorile coltura e di spirito vivace in quei convegni, dove le gentil- (1) Toccando del Rondinelli, che fu « un santo gentiluomo », ed ebbe ufficio di bibliotecario del granduca Ferdinando, aggiunge: « È veramente cosa di stupore, che il detto Sig. Rondinelli continuasse a frequentare la Corte fino all’ età decrepita, e con tutto ciò si conservasse sempre di co* stumi cosi incorrotti, essendo infino morto vergine ». GIORNALE LIGUSTICO 459 donne d allora passavano le serate tra musiche e giochi, udivano e pronunciavano la barzelletta fine e satirica, non senza accogliere, ben di spesso, dotti ingegni, per gusto di arte e di lettere ed amore di scienza. Nè è da credere con ciò che brillasse Clarina per eccellenti pregi di mente o le appartenesse il titolo di letterata quando non lo meritano, in generale, fra quelle donne garbate, le stesse che si diedero a professare effettivamente gli studi. Se ne scorriamo, invero, gli epistolari, trovandoci per lo più davanti a tutt'altro che a modelli di stile, di grammatica e, si direbbe, di ortografia, ci limiteremo a riguardarle come tipiche e splendide figure, sempre brillanti, sempre giovani di mente e di cuore, non però esenti dalle muliebri debolezze che giovavano, anzi, ad attrarre nelle loro orbite gii astri maggiori quasi fossero altrettanti satelliti. Ecco adunque la nostra contessa in relazione e non di rado in vera amicizia, coi più eminenti, eccola partecipare alla vita dell’ intelligenza nazionale e straniera, ecco chele si dedicano prose e poesie e nel suo nome si stampano libri, (i). Singolare predilezione la lega al Monti, il quale nelle lettere che le rivolge, le è tenerissimo di espressioni, nè scrive mai a qualcuno in Verona e talvolta pur altrove, che non la ricordi coi più dolci e più cari nomi. Si potrà qui avvertirci che il Gran Vincenzo, di galanterie fu prodigo fra i prodighi, si da accappararsi i sentiti affetti di Isabella Teotochi Albrizzi (2) e (1) Alessandro Torri, p. e., a temperarle il dolore per la recente perdita della madre, le intitola, il volume da lui raccolto, quale direttore della tipografia Mainardi: Elegia di T. Gray sopra un cimitero di campagna tradotta dall’inglese in più lingue. Verona, Mainardi, 1817. — Clarina permettendogli la dedica, gli si sottoscrive: amica vostra, (cfr. Lettera da Verona 7 ottobre 1816 in Mss. Torri. B.a 49 - /.« M - Bibl. Comunale di Verona). (2) Cfr. Alcune lett. di illustri hai. ad Isabella Teotochi Albri^i (edite da N. Barozzi). Firenze, Le Monnier, 1856, pp. 45-7. 460 GIORNALE LIGUSTICO provocare delle dolorose illusioni in Madama di Staël (1), ma a noi piace ritenere che nell’ animo gentile ed aristocratico di un artista non debba la galanteria essere, come di solito, futile ed insipida espressione denotante Γ assenza di ogni bel sentimento, sì bene muova, nel gran numero dei casi, da stima, da venerazione e da una cotale tendenza di simpatia ammirativa e cortese. Ma, lasciando gli apprezzamenti ed accettando i fatti conforme li troviamo, di due viaggi del Monti a Verona, scopo, se non sempre occasione, fu una visita alla diletta Clarina. Quelle gite sono già state oggetto principale di un erudito articolo del Patuzzi, che con larghezza di particolari, descrisse gli accoglimenti festosi (2). Fonte massima a cotesta storia è la corrispondenza conosciuta del Monti colla Clarina : noi qui l’accresceremo di altre due lettere, le quali se per la biografia dell’un personaggio e dell’altro non sono assai significanti, se nemmeno valgono ad illuminare con la miglior luce la narrazione dei loro rapporti, tuttavia forniscono, specialmente in questo ultimo senso, un contributo punto disprezzabile. Inoltre documenti inediti, un interesse, per quanto relativo e modesto, possono averlo sempre; stavolta poi, assumono un pregio, almeno dal nome dell’autore. Le due lettere ritrovano d’altronde il loro sito nel {'Epistolario, e ciò è anche buon argomento per renderle di pubblica ragione e cercar di illustrarle. Mi capitarono a mano nella raccolta Moschini del Civico-Museo di Venezia, la quale dalla celebre libreria del Convento di S. Michele di Murano, ivi trasportò, anni sono, il Barozzi. Buone ragioni mi persuadono a ritenerle inedite: non vanno (1) Cfr. G. Biadego, V. Monti e la Baronessa di Staël. Verona, Annichini, 1886 - passivi. (2) Cfr. La Società Veronese e V. Monti. Fanfulla della Domenica, n.* 23, 1880. GIORNALE LIGUSTICO 461 comprese nell’ Epistolario del Monti edito dal Resnati (1), che e il più ampio, non le incontrai nelle varie pubblicazioni di lettere Montiane viste nelle Biblioteche di Venezia e nella Comunale di Verona, che pure, ogni dì meglio va affermando una certa specialità per copia di lettere, anche a stampa. Ed il chiarissimo prof. Corradi dell’Ateneo Pavese, nella assai ricca sua collezione di lettere venute in luce in opuscoli, massime per occasioni, del Monti alla Clarina, ne conta una sola del 1819, già nota del resto, innanzi che fosse a parte pubblicata (2). Finalmente che le due lettere non si copiarono mai, mi attesta il Barozzi e ne è presso che certo il Bertoldi, attualmente preposto al Museo Correr e recente ordinatore del carteggio Moschini. Sono autografe e per dubitarne bisognerebbe non aver visto neanche i fac-simili offerti nelle principali edizioni delle opere del Monti. (1) Cfr. Opere ecc., Milano 1842, Voi. 6.°. (2) Cfr. Dodici Lettere inedite di Illustri Italiani pubblicate per cura di Gius. Bigonzo e Pasquale Fazio, Genova, tipogr. I. Sordo-muti, 1874. Sta a pp. 15-6, ed è di Milano 25 dicembre 1819: si trova però anche a PP· 353-4 dell’Epistolario Resnati, nonché a pp. 175-6, vol. 5.° delle Opere ecc., Milano, Soc. tip. Editr. 1834.- Tutto ciò avverto perchè l’errore dipende dall’ essersi ommessa una ricerca ben naturale. Quelle lettere sono tratte da originali esistenti nella Universitaria di Genova, ma la ragione non è sufficiente, perchè possano gli editori, scrivere, in tutta coscienza, nella dedica ad E. Celesia: « è per Voi, che ci confortaste peritosi, se vengono oggi licenziate alla luce del pubblico ». Per non uscire dal campo Montiano, pur quella che si legge a p. 17, diretta da Milano 17 giugno 1820 al co. G. B. da Persico a Verona, era già a p. 368 dell’edizione Resnati, dove fu per la prima volta stampata, conforme ci dice l’asterisco che la controssegna. Aggiungerò, dietro comunicazione del prof. A. Neri, che quest’ultima lettera, all’Universitaria, è in copia, l’altra è autografa, ed appartengono probabilmente ai Mss. che furono di Alessandro Torri. Ora, per originale intendendo la scrittura prima ad essere fatta , donde le copie si traggono, quegli editori non applicarono la parola convenientemente al caso. 462 GIORNALE LIGUSTICO Della prima lettera ci rimase la stessa pagina del foglietto contenente la soprascritta ed i segni di spedizione, la seconda manca d’indirizzo, ma è ben ovvio inferirlo. Lasciai di determinare la provenienza, siccome cosa molto secondaria, dirò soltanto che non ritengo debbano esser molte le lettere disperse dell’epistolario di Clarina Mosconi, se, per la maggior parte stanno presso la famiglia Mosconi unitamente a quelle della madre, ed alcune altre si annoverano tra le inedite della Comunale di Verona, specie tra quelle del Pindemonte e di Bennassù Montanari. Stilisticamente le due lettere non dan luogo ad osservazioni^ tranne forse, che il nostro poeta non dimentica qualche abituale lisciatura, anco in iscritture di carattere intimo: letterariamente hanno scarso valore, giacché appena ricordano pochi nomi di coloro che entrarono nel movimento contemporaneo degli studi e fecero eco o si opposero alle linguistiche opinioni del Monti. Ma oramai è tempo si considerino più davvicino e nel contenuto. Giusta la ripartizione cronologica della biografia del Monti stabilita da Leone Vicchi, appartengono al periodo lombardo (1), compreso nei primi anni del secolo xvm, che furono gli ultimi del poeta, anni dei regni Napoleonici, degli onori e delle incongruenze, dell’ Iliade, del Bardo, i più fervidi per la questione della lingua. Precisamente a questo lasso di tempo spetta tutta la breve corrispondenza che si legge stampata del Monti colla Clarina. La lettera, certamente del 1819 (2), con (1) Cfr. V. Monti, le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830. — Ai primi 4 volumi l’erudito autore assegna il periodo Romagnolo (1750-1777), adunque fino alla comparsa del poeta nella vita pubblica, ai 4 successivi il Romano (1778-1798) cioè quello delle prime armi, delle tragedie, della Bassanvillia, delle nozze con la Pikler: il voi. 8.°, ultimo pubblicato (Fusignano 1887), comprende il sessennio 1794-1799. I 4 volumi del periodo Lombardo sono in preparazione per la stampa. (2) Cfr. Epistolario (Resnati) p. 353. GIORNALE LIGUSTICO 463 cui il Monti fa omaggio a Clarina del Ritorno d'Amore in gratitudine delle belle cortesie ch’ella gli mandava dire, non ha relazione colle lettere che mettiamo in luce: le successive invece, eccettuata l’ultima, del 1826, valgono ad illustrare la prima delle nostre, tanto le anteriori ad essa di data, quanto le posteriori.. Gentili al pari che replicate apparisce che furono le insistenze della dama, affine il poeta le venisse dinanzi; egli però, al sommo della gloria, si supporrebbe godesse nel farsi muovere le più vive preghiere (1) , onde lo sentite esclamare che è un povero e. sordo vecchio, nè si cimenta a mostrarsi in città, soltanto appagherà l’amica andando a visitarla in campagna in tempo di villeggiatura (2). Sembra che cosifatte dichiarazioni e promesse del dicembre non bastino, se nella prima delle nostre lettere gli tocca ripeterle; nondimeno si confessa vinto, è persuaso a non occultarsi più ai Veronesi che tanto lo desiderano, senonchè sì moverà a bella stagione , non prima. E qui udiamo da lui stesso le scuse, le graziosità , le umili espressioni che lasciano invece intraveder chiaramente come mirino ad effetto contrario: Milano, 22 gennaio i8ao. Mia cara Amica, Di nuovo sono stato mal menato dal rigore della stagione : ma è giunta in tempo la magica vostra lettera a guarirmi dell’emicrania e del raffreddore , tanto che mi sento forza abbastanza per mettere iti carta quattro parole di ringraziamento: sì del beneficio che i cari vostri caratteri mi hanno fatto, e si per le vive proteste che mi rinnovate della preziosa ed inestimabile vostra benevolenza. Ma voi, mia cara, ponendomi in cima dei vostri pensieri mi locate in un’ altezza in cui assolutamente io non posso aver merito di sostenermi, -e quando avverrà che mi presentiate ai vostri amici, essi rideranno tutti (1) Cfr. Patuzzi. art. cit. (2) Cfr. Epist. p. 354. 464 GIORNALE LIGUSTICO dirottamente e di me e di voi, maravigliando che abbiate potuto essere si generosa della vostra stima ed affetto ad uno sgraziato e ornai canuto balordo quale son io: chè di balordo veramente ho avuto sempre il diploma anche quando mi fioriva la gioventù, e non era per anche entrato nella stolida confraternita degli storditi e dei sordi. Ma voi m’intimate di voler disporre al tutto di me a senno vostro: ed io che altro posso rispondere se non che fiat voluntas della Maga che senza darmi a bere la tazza incantata si è fatta padrona di tutto me con soavissima prepotenza? Ecco adunque nel pieno vostro arbitrio tutta quanta la povera mia persona. Ma del venire a’ vostri piedi non si parli che a bella stagione. Non mi è occulto 1’ autore dei versi di cui mi scrivete. Egli è 1’Ab. Villardi (i), ringraziatelo delle cortesi bugie di cui si (i) Francesco Villardi, poeta, prosatore e buon latinista nacque il 27 ottobre 1781 in Ronca, piccola terra del Veronese. Fin dagli anni in cui era studente del Seminario di Verona, col Cesari, che subito ne festeggiava l’ingegno valoroso, contrasse relazione intima, per lungo tempo non interrotta. Fu professore di umanità a Vicenza ed a Padova. Alle fervide lotte che per la famosa quistione della lingua impegnarono i letterati di quel torno, anch’ egli partecipò, ma tutta cosa del Cesari, nei primi anni trovandosi in Milano ebbe acri rapporti col Monti. Più tardi parve gli si accostasse, ma non era un accordo completo, giacché anche nel 1818 nel Discorso accademico sopra le accuse date al P. A. Cesari dal cav. V. Monti (Verona, Merlo), mentre si assumeva metter in evidenza che tra il Monti ed il Cesari la discordia era più di parole che di fatti, profittò per lanciare qualche frecciata al Monti, il quale si sfogò in dileggiarlo (Cfr. Lettera a G. B. Giramonte ; Epist., p. 329). — Agli Accad. della Crusca, il Villardi dedicò ancora nel 1819 la cantica 11 giorno natalicio di Dante, celebrato in Elicona (Verona, tip. Ramanzini), ma non andò guari che mutò al tutto idea e la vera e propria palinodia sta nella Memoria al cav. V. Monti sopra la lingua degli Atti dell’Accad. della Crusca ecc. (Milano, tip. dei Classici ital., 1820). — 11 22 febbraio 1820 da Milano il Monti di quella professione di fede gli fa elogi, gli è mirabilmente piaciuta e « ben mostra che chi la scrisse non è uomo da farsi schiavo al Frullone »: recandosi a Verona a viva voce gli avrebbe aperto il suo pensiero (Cfr. D. Sartori, Lett. di alcuni Illustri Ital. a Fr. Villardi (Nozze Cabianca-Onesti). Padova, Sicca 1843, PP· 9'10)· Pare che il Monti promettesse nell’ occasione al Villardi alcune parole « da porsi a riscontro di quella GIORNALE LIGUSTICO 465 è gravata la coscienza per amor mio, e ditegli che gli farò, il potendo, sposta nel venturo ordinario (1): e che intanto lo prego di ritornare al g. Zanotti (2) i miei saluti e di mantenerlo fermo nella buona e santa scrittura » ma, se ne scusali 5 luglio (Cfr. Sartori, op. cit., p. 11), come se ne era scusato, a mezzo di Clarina Mosconi, il 21 giugno ( pistp. 361), come continua a dispensarsene il 22 ottobre, in quella luterà da Pesaro (Epist., γ. 351) jn cui gli accorda la dedica della < stampa sDuard,inte le male arti dei PP. Infarinati ». — Toccano pure della conversione dello scrittore veronese altre lettere del Monti al Villardi , 22 ottobre 1819 (Epist., p. 349) e 5 dicembre (p. 350), ambedue da Milano. (Le due lettere sono date come inedite nell’ edizione del Sartori a PP· 7-9 > come pure vi si legge come nuova una del Perticari da Pesaro del 12 ottobre 1820 (p. 14) che viceversa poi il Resnati pone quale p. s. (Epist., p. 552) ad una del λΐοηπ del 22 ottobre). — Interessano lo studio delle opinioni religiose del Monti due lettere al Villardi speditegli da Milano il 26 gennaio e il 6 dicembre 1827 (Cfr. Sartori, op. cit. pp., 21-2), dove nega esser ritrattazione la sua se fa ciò che ogni buon cristiano è tenuto di fare, giacché seppur l’ebbe sempre con la superstizione ed il fanatismo religioso, non fu mai miscredente. — Il Villardi nel 1823, vestito 1 abito a Locamo dei Minori Conventuali, percorse l’Italia dando prova di eccellente eloquenza: gli ultimi anni si ritrasse al Santo di Padova dove morì il 3 dicembre 1833, pieno di amarezze, perchè seguendo gli studi, non era stato continuamente in ordine colle osservanze claustrali. Col Cesari erano alla fine divenuti accaniti nemici, e la cosa aveva avuto origine da certe disapprovazioni che il Villardi, chiesto del suo parere, espresse quando il Cesari dettò i due sonetti che esaltano Maria Pedena , vergine modenese, la quale eroicamente gelosa del proprio onore, era perita sotto il (erro del più brutale e crudele aggressore il 1luglio 1827. Cfr. A. Me-neghelli. Notizie intorno la vita del Villardi, in prefazione alle Opere Padova, tip. Seminario 1838 — Gius. Lupi, Lettere autografe ecc. (Nozze Molza-De’ Buoi), Modena, tip. Camerale 1858, pp. 38-9. (1) Sottinteso corriere. (2) Paolo ab. Zanotti di Torbe del Veronese, nacque il 14 maggio 1772, morì il 12 gennaio 1842. Fu grande seguace, negli studi sulla lingua, delle teorie propugnate dal Cesari, dal Vannetti, dal Pedarzani; ciò nondimeno era molto amico del Monti. Anche il celebre Botta ebbe, fra altri, corrispondenza con lui : notevoli rapporti aveva stretti pure col Gamba, Giorn. Ligustico. Anno XV. 466 GIORNALE LIGUSTICO intenzione eh’ egli ben sa. — Al degno sig. Conte Persico (4) P01 Plac_ ciavi di presentare in mio nome il più bel saluto di cui sia stato mai capace il mio cuore; onde accertatelo che se egli mi ama è ben corrisposto, e che questo se non è condizionale ma positivo. State sana. Tutto vostro ( fuori ) V. Monti. Alla Nobile Donna La Signora Conlessa Clarina Mosconi Verona. Γ acuto bibliografo. Giovandosi in ispecial modo del buon materiale dèlia biblioteca di Teresa Canestrini Gianfilippi, potè compiere i principali suoi lavori filologici. Riscontrò testi su codici antichi, di alcuni offri correzioni, giunte, varianti, di altri diede 1’ edizione prima, insomma negli anni che vanno dal 1818 al 1835 spiegò un’attività singolare. Nel 1832 cominciò gli studi intorno al Vocabolario della Crusca, proponendo emendazioni ed aggiunte (Verona, Libanti, pp. 96, in 8.°), donde fu tratto alla ristampa intrapresa in comune col p. Bartolomeo Sorio, nel 1836. Molte pubblicazioni dello Zanotti si rinvengono nel Poligrafo, ottimo periodico veronese, che non fa offesa al nome di quell’altro di Milano, dal Carducci chiamato classicissimo. (Vedi cenni sulla vita dello Zanotti in Gaietta di Verona, 11 febbraio 1842, per Luigi Ruozi). (4) G. B. da Persico nacque in Verona il 31 ottobre 1777· Acca" demico Filarmonico , membro dell’Accad. di Agricoltura , Presidente di quella di Pittura, Direttore del Ginnasio prima che passasse ai Gesuiti. Podestà di Verona, condusse varie opere di ristauro e di abbellimento. Era amico del Cesari, del Cicognara : dal Canova ebbe in dono un modello della Venere: il Monti parlò di lui con affetto nelle sue lettere e ne cantò le nozze (Cfr. No^e illustri veronesi, in vol. I, p· 17° delle Opere - ediz. Resnati); e per conoscere con qual cuore, basta leggere quanto scrisse in proposito, ad Ottavio Cagnoli (Cfr. EpisL, p. 389). Il Da Persico cooperò col Giordani a conciliare il Cesari e il Monti. Morì il 24 dicembre 1845. Scrisse d’agricoltura, ma il lavoro più importante che va sotto il suo nome è la Descrizione di Verona e della sua Provincia (Verona, Soc. tip. editrice, 1820-1), di cui gli apologisti gli attribuiscono altresì il merito dell’iniziativa, mentre una ben larga tradizione darebbe il maggior merito al dotto prete Santi Fontana , che gli fu, in ogni caso , assiduo collaboratore. (Cfr. P. Mosconi. Jn morte di G. B. da Persico ecc., Verona, Libanti, 1846: Degli Emilii co. Pietro. Elogio di G. B. da Persico, in Memorie dell’Accademia d’Agric. Comm. ed Arti di Verona, vol. XLVIII, 1869). giornale ligustico Clarina non si acquieta, vuole ad ogni costo affrettare la sospirata venuta e non concede riposo al povero Monti, il quale 1 u Marzo (i) è costretto a chiedere una dilazione « almeno a tutto aprile » per aver agio di correggere il 4.0 volume della Proposta (2). In Maggio finalmente annunzia l’ar-nvo (3); giunge, e tra gli spassi, gli incontri memorabili, gli scambi di visite, le gite nei dintorni, trascorre una settimana nella quale Γ animo del poeta riceve impressioni così forti, che, per non breve spazio, ha turbata la pace dal rimpianto dei dolci ricordi (4). Di nuovo a Milano, il Monti vi si fermò per il resto del 1820, soltanto in Ottobre lo sappiamo in Pesaro, ma per poco, giacché, da quanto scrive al Villardi il giorno 22 (5), entro il mese riparte. Da Milano non si allontana più se non quando si reca ancora a Verona. Questa volta, Io spinge a porsi in cammino il malo esito di certi affari di famiglia, malo esito che prevede nella seconda delle nostre lettere, che è la seguente: Mia cara Amica, Milano 22 Agosto 1821. Alla vista di questa lettera parmi di vedervi fare il segno di croce. E veramente scrivendovi io rompo un grande proposito (nè dovete ignorarlo, se il nostro Persico vi ha spiegate, siccome ne lo pregai, le ragioni del (1) Cfr. Epist., p. 354, (2) Al Villardi, fin dal 22 Febbraio, aveva significato che tutto lo teneva impegnato il vol. 4.0 della Proposta e 1’ assetto della materia già pronta del 5.°, però allora anche ragioni fisiche dovevano dar motivo al ritardo, perchè gli diceva « nell’ entrante Marzo ho speranza di rifarmi un poco in salute tanto che io possa visitare la mia incomparabile amica e signora la co. Mosconi, a cui ho promesso questo attestato della mia devozione..... (Cfr. Lettere ecc. a Fr. Villardi, p. 10). (3) Cfr. Epist., p. 355. (4) Cfr. Epist., pp. 256-60. (5) Cfr. Epist., p. 351· 468 GIORNALE LIGUSTICO misantropico mio silenzio), e lo rompo nel momento forse il più critico della mia vita, nel momento in cui si decide se spogliato di tutto 1 avanzo della mia passata fortuna io debbo abbandonare Milano. Non mi mettete dunque a colpa, mia cara e rispettabile amica, se ho lasciato trascorrere tanto tempo senza mie lettere, perchè se la penna ha taciuto, il cuore mi ha sempre parlato di voi, e niuna delle tante prove della vostra bontà ed amicizia è morta nel libro della mia riconoscenza, nè il sarà mai. Crediate adunque che voi avete regnato sempre d’un modo sulla cima dei miei pensieri. E perchè spero di essere anch’io pur vivo nel bel cuore dell’ unica ed incomparabile mia Clarina, ecco che tutto che reo di lunga ed inescusabile negligenza ardisco di presentarmele e supplicarla del favore di cui la pregherà 1’ esibitore di questa il signor Dott. Ba-retta (i), mio amico , venuto a Verona a sollecitare un decreto di giù (i) Chi fosse il dr. Baretta, per quale affare venisse a Verona non m> è dato accertare , forse non meritano conto nè il personaggio, nè 1 interesse che l’urgeva, senonchè vedendo il Monti occuparsene con un certo calore, mi accinsi a qualche ricerca, i cui risultati sebbene infruttuosi non tralascio di accennare, nella speranza che possano essere giovevoli ad una più presta e sicura soluzione del quesito, ove esso cada sotto gli occh’ di taluno meglio dotto o volonteroso. — È presumibile intanto non si tratti di un Veronese, ma di un Lombardo od almeno di uno che dimorasse in Lombardia. A Verona, fino al 1848, esisteva il cosi detto Supremo Senato Lombardo-Veneto, una specie di Alta Corte di Giustizia, e potiebbe darsi che il Baretta appunto di persona si recasse a sollecitare l’evasione· invano aspettata: ma le carte di quel tribunale, mi si dice, dagli Arch’ di Milano e Venezia, siano emigrate in quelli Viennesi. — Alla Nazionale di Brera ed all’Archivio Municipale di Milano cortesemente investigò il dr. Salveraglio , senza trarne notizia di sorta ; a vuoto tornarono pure continuate ed estese indagini fatte all’ uopo dal cav. Ghinzoni, vice diret tore degli Archivi di Stato in Milano , pare anche in causa delia molteplicità dei cognomi al titolo Baretta, Beretta, Baratta, Baretti, ecc. Lo stesso Leone Vicchi, quando mi favori in proposito una sua risposta, dichiarò che al momento non osava dirmi che pensasse di cotesto Baretta, temendo di con fonderlo con Barbetta, guardingo' ad ogni modo di fidarsi di vaga rimini scenza, perchè lungi dai suoi appunti. In seguito non aggiunse altro, però la questione è in buone mani. Io stesso nella Comunale e negli Archivi di Verona, non fui più fortunato, seppure coadiuvato dal sempre gentilissimo GIORNALE LIGUSTICO 469 stizia che da 2 anni gli viene promesso e mai mantenuto. Egli è degno della graziosa vostra assistenza, e io caldamente vel raccomando : nè voi per giovarlo avrete da spendere che poche parole. — Alla fine dell’ entrante aspetto Perticari in Milano. Al suo ritorno in Pesaro probabilmente il mal esito dei miei affari mi costringerà a rimpatriarmi. Se questo avverrà, la via di Ferrara sarà per noi, quella di Verona non ad altro fine che quello di far conoscere a mio genero in Voi ed in Persico il vivo esempio della vera e santa amicizia. Abbracciate per me i vostri figli e amate il vostro Monti. P. S. Ricordatemi a tutti gli amici. Lo scopo del viaggio è sicuramente dimostrato altresì dagli argomenti raccolti dal Biadego nell' articolo Una Lettera di V. Monti (1). La lettera da noi riportata precorre quella del 10 Ottobre al co. Gio. Reverella (2), in cui il poeta gli fa sapere che nel Novembre si recherà in Fusignano ove le faccende lo chiamano: così Γ altra del 17 Ottobre al nipote Fedele Monti (3), al quale dà informazioni minute del divisato itinerario, nonché una del 3 Novembre al Pindemonte (4), cav. Biadego. Di quell’epoca cognominati Baretta o Beretta vi furono parecchi; p. e. nell’Almanacco per le Prov. soggette all'I. R. Governo di Venezia del 1825 trovo un Giacomo Berretta segretario di Governo (p. 333) : dal 1808 al 1827 fu professore nella Facoltà di giurisprudenza nell’Università di Pavia, certo Ignazio Beretta (Cfr. Memorie e documenti per la Storia dell’ Università di Pavia ecc. Pavia, Bizzoni 1878. t. I, p. 296-7). Un Beretta, allievo del Romagnosi, insigne giurista, che occupò gradi nella magistratura in Milano, deve essere stato in gioventù contemporaneo del Monti; fu padre di quel Luciano Beretta fondatore, col dr. Putelli, del Giornale di Giurisprudenza pratica , che si pubblicava in \ enezia e fu , sotto un certo rispetto, continuato dallo Zajotti coll’fco dei Tribunali. — E per ora questo è quanto so dire. (1) Cfr. Da Libri e Manoscritti. Verona, Münster, pp. 283-9. (2) Fu edita dal Biadego (Op. cit. pp. 283-4) sa l’autografo offertogli dal cav. G. B. Bertoli di Casaleone. (3) Cfr. Epist. p. 119. (4) La trasse il Patuzzi (art. cit.) dall’autografo conservato nella Comunale di Verona. 470 GIORNALE LIGUSTICO annunziante il suo giungere in Verona. Il genero è tornato in Milano agli ultimi di Settembre, epperò vengono vie insieme. Dopo le accoglienze affettuose di Verona, peregrinano trionfalmente per il Veneto, ma il 26 sono a Ferrara, il 28 a Bologna e il 7 Dicembre si fermano a Pesaro. Gli affari erano ornai sistemati, cosi almeno aveva scritto il Monti alla moglie, da Lugo, il giorno 5 (1). Avessero qui avuto fine quelle sventure! Non passò lungo tempo e nuovi dolori s’ aggiunsero agli altri che tormentavano l’illustre uomo; invero il 22 Febbraio 1825, scrivendo ad Urbano Lampredi (2), si rammarica, vecchio, cieco, sordo com’è, di trovarsi privo da cinque mesi dalla sua Costanza, la quale in Romagna era occupata negli affari di lui mal condotti per troppa fede a chi perfidamente amministrava le cose sue. In tutte le occasioni, conclude, dimostrò essere il priore della Confraternita di S. Simpliciano, ma in nessuna mai tanto, quanto nel guidare i suoi interessi. A Verona il Monti non andò più, e quando Clarina nel 1826 fu a Milano, saputolo dal Trivulzio, le scrisse dalla Brianza (3), a quello che sembra per l’ultima volta, scusandosi di non poter venire a baciarle la mano e delegava all’uficio gentile, Felice Bellotti. Il nostro poeta era in quell’ epoca afflitto più che mai dalle solite infermità angosciose, che otto mesi dopo doveano trarlo al sepolcro! Carlo Magno. Una lettera del canonico Bima. Me ne ha cortesemente lasciata trarre copia dall’autografo il suo possessore, can. cav. Carlo Vassallo, egregio preside del Liceo Alfieri di Asti, letterato di chiara fama e cultore operoso e felice degli studi storici, come tutti sanno. La pubblico, perchè, se non contiene notizie nuove, ci porge nondimeno una impressione di più delle liete accoglienze con le quali, in tempi cosi diversi dal nostro e cosi gravi di sospetti politici, la magistratura ed i cittadini genovesi onorarono i dotti (e anche i non dotti) convenuti fra noi per tenere 1’ ottavo di que’ Congressi, che vantano davvero una bella pagina nella storia del risorgimento italiano» Ed è bene segna- (1) Cfr. Epist., 274. (2) Cfr. Epist., 317. (3) Cfr. Epist., p. 361. GIORNALE LIGUSTICO tamente il rammentarle ora, perchè ne piglino esempio coloro ai quali si appartiene di provvedere che Genova possa in modo degno celebrare fra non molto la gloriosa data quattro volte centenaria della scoperta di Colombo. Pensino essi, che giusto allora la patria deir immortale Navigatore volle collocata la prima pietra del monumento a quel grandissimo tra’ suoi figli, e seppe farlo con solennità di cui non mai si vide, l’eguale. Palemone Luigi Bima è 1’ autore di una ben nota e poco critica Serie cronologica dei vescovi di Sardegna (Torino, 1842), e di alcuni non ispregevoli Cenni sulla cattedrale di Asti, pubblicati postumi nel 1887. La sua lettera è indirizzata a mons. Filippo Artico, il quale tenne appunto la sede vescovile di quella città dal 1840 al 1859. Qua e colà ci offende la bassa adulazione verso il prelato; ma ce ne ristora anche la libertà con che si giudica la funesta opera di Antonio Calsamiglia, revisore per la grande Cancelleria. Ci tornano così più vive a memoria le sdegnose parole, con le quali l’illustre Celesia ebbe a ritrarlo: « uomo per supina ignoranza famoso, come quegli che vietò Γ introduzione ne’ regi Stati alle Cento Novelle del Boccaccio e istessamente ne ammise il Decamerone ; nè mai volle consentire che il poema di Dante si nomasse Divina Commedia, sia perchè commedia non era, mancandovi, a suo dire, V elenco dei personaggi, sia perchè una commedia non poteva versare che in tema affatto profano » (1). L. T. B. Genova, li 28 settembre 1846. Eccellenza Rev.ma iMi lusingo che con piacere sentirà nuove del \ III Congresso , a cui per special degnazione dell’Ecc. V. ebbi l’avventurosa sorte di inter\enire, e mi fo doveroso carico di rassegnarle breve descrizione, riserbandomi a viva voce il soprapiù. Giunsi felicemente in Genova il 15; sull imbrunire della stessa sera, consegnai i miei titoli accademici alla Deputazione, e ad onta delle difficoltà che s’incontrano in questo Congresso per essere ammesso, vennero i titoli prodotti riconosciuti buoni e fui tosto ammesso fra gli effettivi e munito di tessera di permanenza, con cui Si può assistere a tutte le adunanze, visitare tutti i pubblici e privat: stabili-menti. L'accoglienza ricevuta dai Genovesi non è credibile, tutti gli scienziati ne furono sorpresi. Le sezioni furono sempre animate,^ e quella di archeologia, a cui appartengo, fece sempre una delle prime figure. Il numero degli effettivi eccede il mille, quello degli amatori oltre- (1) Celesia, Storia dell’Università di Genova, II. 317. 47 2 GIORNALE LIGUSTICO passa i 1500. La Città ieri l’altro diede in dono a tutti gli effettivi una medaglia coniata a bello studio, la Statistica di Genova ed una Guida in tre volumi assai grossi, con varie litografie delle migliori vedute, e carte geografiche, in tutto del valore di oltre a lire 60. Il 25 alla sera, nella generale adunanza, si fissò il decimo Congresso in Bologna, ed il 26 si stabilì che gli scienziati effettivi avessero oltre all’ordinaria copia del Diario (1), un’altra a loro disposizione, quale offro all’Ecc. V., e le spedirò poi i due fogli che dovranno ancora uscire. Il Congresso termina martedì a sera. Terminato il Congresso, proseguirò il mio viaggio in Livorno, ritornando però per terra; ed a questo oggetto sono già munito del passaporto. Visitai S. Eminenza il Cardinale (2) e monsignor Gualco (3): amen-due mi furono cortesissimi. A quest'ultimo parlai della nota stampa (4); e mi fece osservare che nell’attuale circostanza sarebbe più difficile costà che altrove, avendo per revisore il Senatore Calzamiglia , uomo rigidissimo e timidissimo; mi suggerì però un facile mezzo di farla stampare fuori Stato, con facilità d’introduzione, come a viva voce Le farò conoscere. In tutte le sere frequentai le migliori scientifiche conversazioni coi miei ospiti inglesi, quali vanno a gara di procurarmi ogni soddisfazione e risparmiarmi la spesa. Moltissime sono le conoscenze fatte d’ ogni ceto di persone letterate di tutte le nazioni, alle quali ebbi più volte occasione di parlare delle ottime qualità in ogni genere di V. Ecc. Rev.ma, mio venerato pastore. Teneva meco tre copie delli Discorsi sulla lingua italiana, ed altrettante dell’ Orazione del papa defunto; e questi esemplari presentai nella conversazione di S. Ecc. il Presidente capo del Congresso (5), quali dopo aver i molti ivi adunati lette ed ammirate, se le divisero tra di loro, ed una va in Baviera, altra a Washington negli Stati Uniti, una terza se la prese un professore dell’Università di Parigi. Altri m’impegnarono a procurargliene, ed in ispecie ai miei ospiti, che loro assicurai spedire per posta a Londra. Monsignor Carlo Emanuele Muzzarelli, Uditore della Sacra Ruota, membro pure del Congresso, fu lieto nel sentirmi parlare delle scientifiche imprese di V. Ecc., dei nuovi studi riordinati, e dello zelo instancabile con cui disimpegna i doveri dell’ episcopato a vantaggio della chiesa Astense, mi disse che già la conosceva, ma che avrebbe mai creduto tanto; ne restò convinto dalla lettura dei citati Discorsi e mi obbligò di procurargliene copia, ove venendo a Torino non passi in persona a ritirarla a mia casa come mi promise. Avrei moltissime cose, ma il tempo non me lo permette. Spero d’essere costì verso la metà della ventura settimana; frattanto abbia la compiacenza di perdonare il mal connesso mio scrivere, per la fretta che mi incalza, avendo ancora a disimpegnare alcuni affari affidatimi dal Presidente della nostra sezione (è) per domani, ultimo giorno. A dirle il (i^) Cioè gli Atti della ottava riunione degli scienziati italiani; Genova, Ferrando, 1846. (2) Placido Maria Tadini, arcivescovo di Genova dal 1832 al 1S47, cardinale prete del titolo di S. Maria in Traspontina. (3) Domenico Gualco , vicario generale arcivescovile e canonico prevosto della collegiata di N. S. delle Vigne. (4) Pare che si trattasse di qualche opera di monsignor Artico. ($) 11 marchese Antonio Brignole-Sale. (6) Giulio Cordero di S. Quintino. GIORNALE LIGUSTICO 473 vero, dopo fatta, esitava spedirla, non credendola degna di presentarsi ad un cosi eccelso prelato; ma la ferma persuasione che saprà alla fretta ed alla mia insufficienza usare quella indulgenza che tutta è propria del di lei cuore, nato fatto per il bene, mi animò, per compiere altresi a sacro dover mio ; e con questi sentimenti, previo il bacio della sacra mano, ossequioso m’inchino. Di V. Ecc. Rev.ma. P. S. Ieri ad un’ ora pomeridiana, coll’ intervento di S. Em. il Cardinale e tutte le autorità, si collocò la prima pietra del monumento Colombo, con solennità che si vide mai uguale; alla sera vi fu regata sul mare, illuminazione del porto e della città. A tutte queste cose assiste-cardinale Spinola (i), 1’ arcivescovo di Sassari (2) e li vescovi di Albenga (3) e Ventimiglia (4), il Principe dei Paesi Bassi (5), ecc. Umll.m° ed Obb.m° Servo Teol. Avv. Can. Bima. ALCUNE LETTERE INDIRIZZATE A GlANANDREA D’ OrIA RELATIVE AI CONDANNATI ALLE GALERE. Fin dal 1532 Andrea D’Oria aveva richiesto forzati alla repubblica di Lucca, per provvedere di rematori le sue galere, dove quelli, secondo 1’ assicurazione dello stesso D’ Oria, avrebbero penato non meno che nelle carceri del loro paese. La rivoluzione degli straccioni doveva aver sdegnato il comune di Lucca ; e di questo sdegno cercava valersi tosto 1’ ammiraglio genovese a vantaggio delle sue navi. Difatti alcuni dei ribelli furono condannati alla pena della galera, nuova finallora e non contemplata dalle leggi, ma fatta in seguito molto comune ; mandati dalla loro repubblica a Viareggio, e colà ritirati dagli aguzzini genovesi. Tutto questo è noto: poiché il chiaro Salvatore Bongi, nel suo Inventario del R. archivio di Stato in Lucca, ebbe a dire di questa pena inflitta a’ condannati , parlando in genere delle Cure sopra i forcati (6). Una cosa per altro è importante mettere in evidenza; ed è il modo col quale si conchiude fra la repubblica ed i D’Oria questo patto. Non è quella che offra ; è questi invece che domanda. Eppure dopo quel primo momento, '1 D’Oria non (1) Ugo Pietro Spinola, cardinale prete del titolo de’ ss. Silvestro e Martino ai Monti. (2) Alessandro Domenico Varesini, a. 1838-64. (3) Raffaele Biale, a. 1840-70. (4) Lorenzo Battista Biale, fratello del precedente, a. 1837-77. (5) Anzi i due principi Alessandro ed Enrico. Cfr. Gaietta di Genova, 29 settembre 1846. (6) V. Documenti degli archivi Toscani, pubblicati per cura della sopra-intendenza generale degli archivi medesimi. Inventario del R. A. d. S. in Lucca; vol. II, pag. 406-8. 474 GIORNALE LIGUSTICO ascoltano più la volontà dei Lucchesi, ma in certa guisa loro impongono la propria. Così almeno noi possiamo pensare che sia avvenuto, leggendo alcune lettere che negli anni 1559-62 Gianandrea D’Oria riceve dal comune di Lucca, col quale continuavano ancora i rapporti indicati (1). Capitano generale delle armate imperiali prima, ed in seguito direttore supremo delle forze marittime della repubblica , domanda a Lucca forzati e li ritiene poi sulle sue navi per un tempo più lungo che non sia quello stabilito dai giudici; e ciò per non privarsi dei necessari rematori. Di qui le querele della repubblica lucchese dirette non solo a lui, ma anche a sua madre Ginetta Centurione, perchè si rispettino almeno le sentenze dei tribunali. Del resto gli anziani di Lucca ripetono in ogni lettera parole di devozione ed ubbidienza verso la famiglia dei D’ Oria. /-η · . · 1 Tal convenzione durò fino al 1746, fino a quando cioè il magistrato genovese sulle galere si rifiutò di accettare altri forzati, perchè già in numero eccessivo scontavano la pena sulle sue navi. Allora Lucca mandò i suoi condannati a Venezia (2). Sulle galere del D’Oria troviamo pure condannati di altra provenienza: secondo le lettere che seguono, lucchesi e mantovani. Fino dal 1550 si trova nella corrispondenza di Genova colla corte di Mantova, che quel duca mandava i suoi forzati alle galere di Andrea D’Or:a. E quest’uso resta ancora sotto Gianandrea, il quale prega ed- ottiene dal duca che i condannati continuino ad essere mandati sulle sue navi. Finché verso la fine del secolo (1597) anche da Mantova i forzati vanno a Venezia, talora a Ferrara; e nel secolo seguente sulle navi del Granduca di Toscana (3). Giovanni Filippi. I· (4) Ill.m° e Ec.“° S.r come padri protettor nostro oss.m°. Se noi non tenessimo superfluo di mostrar a V. E.z» quale sia Pobligo che habbiamo, sapendo lei che tutto quel che possiamo, possiamo a servizio suo, cercheremmo con ogni lettera et hora particolarmente con questo per (1) Queste poche lettere si trovano, riunite, nella Biblioteca di S. M. in Torino. Sono in numero di cinque: l’ultima, che qui non si pubblica, è diretta al D’Oria nel 1561 da Isabella Colonna. (2) Bongi, loc. cit. (3) Debbo queste notizie al sig. S. Davari, direttore dell’archivio Gonzaga in Mantova, e che io qui ringrazio pubblicamente. (4) Qui pubblico queste lettere in ordine cronologico : nel mazzo esse si seguono invece cosi : III, I, II, IV. b GIORNALE LIGUSTICO 475 lo favor fattoci dalla patente sua in poter cavar oglio del territorio di Lodano dominio di V. E.™, di persuaderla che è infinito, però esendo quel superfluo et il ringratiarnele non bastando, lasseremo quello et in questo non entreremo, et venendo all’altro capo della sua lettera le diremo che ci dispiace sommamente che quel prigione confinato alle galere sue per cinque anni sia ridotto in termine, per certe infirmiti sopravenutili , che non^ è possibile mandarlo senza espresso pericolo della vita, però siamo stati forzati licenziare il suo mandato senza detto prigione , con questo però che ritornando in sanità ne le daremo notitia, perchè quello che non si è potuto fare ora si faccia all’hora, et farsi accompagnare da qualc’uno altro se si ci porgerà 1’ occasione et con questo fine alla buona gratia sua offerendoci et raccomandandoci, di cuore pregheremo di continuo n. s. Iddio che le doni felice et longa vita. del nostro palazzo addi xv di dicembre 1559. al servizio di V. E.2* come figli Ill.mo S." nro oss.mo D’aprile passato scrivemmo a V. S. 111.”* acciò che si contentasse commettere che un Pierino di Lazarino lombardo, nostro suddito, relegato da noi alle galere per tre anni, et consegnato a Viareggio alli xv d’aprile 1559 al mandato suo, fosse rilassato et liberato, havendo finito il tempo della sua relegatione. La qual cosa credevamo che fosse seguita, havendoci scritto V. S. 111."” in risposta di altre nostre, con le quali 1’ havevammo pregata che fosse contenta dare licenza a tutti quelli che havevano fornito il loro tempo, che non mancherebbe di farlo subito che le galere fossero ritornate a Genova; ma intendendo che si tiova ancora in galea non habbiamo potuto inanellare di fare di nuovo questo offitio et pregarla che si contenti senza più dilatione farlo relassare, che per questo effetto vien costà portatore della presente il padre suo, la qual cosa oltre che sarà conforme alla giustizia, a noi anchora darà animo di continuare nella solita memoria delle sue galere, et al servizio suo ci offeriamo di tutto cuore pregando Dio che la conservi et prosperi come desidera. del nostro palazzo, il dì mi di gennaio MDLXII. al servizio di V. S. 111.”* gli anziani et gonfaloniere di giustizia del popolo et comune di Lucca. (a tergo) All' III.’»» et ecc.mo S.r come padri prot. nro. ossm° S.ri principi d’Oria. II. gli antiani et del popolo e comune gonfaloniere di giustizia di Lucca. (a tergo) All' 111:"0 Sig.rt nostro oss.mo il Sig.rc Gio: Andrea d’Oria à Genova. 47 6 GIORNALE LIGUSTICO III. III."* S.“ nra oss."* Habbiamo latto consegnare a Viareggio secondo 1’ ordine suo, in esse-cutione di quanto scrivemmo ultimamente all’111."' S.r Giov. Andrea suo figlio, Lunardo Marracci da Brancalo, condennato perpetuamente alle sue galere, delle quali havendo sempre tenuto quella memoria che si conviene alla molta affettione et devotione nostra verso la 111."* casa sua, desideriamo poter continuare et fare il medesimo per l'avvenire, il che sarà essendo noi per ogni altro rispetto desiderosissimi et obligatis.™1 di farle ogni servizio, se vederemo che conforme alle deliberationi nostre siano ritenuti o rilassati quelli che alla giornata le mandiamo , perchè se giudichiamo un malfattore degno di maggior o minor pena col confinarlo più o meno alle galere, ci par giusto e ragionevole che il giudizio nostro sia interamente esseguito , et non differito come in alcuni vediamo che s’è fatto fine a qui, che si sono ritenuti e ritengonsi, con tutto che o habbino finito il tempo di tre o quattro o sei anni, o vero habbino hauto grazia di dette galere. Però V. S. 111."* sarà contenta, siccome ci ha scritto, in nome dell’ 111.”” suo figlio , così in nome nostro farle intendere quanto li diciamo consapevolmente , acciocché sappiamo come per 1’ avvenire ci habbiamo da governare circa alle relegationi da farsi per noi, e perchè ci vogliamo credere confortando così ogni debito di giustizia che seguirà 1’ effetto che raccomandiamo di cuore pregandoli ogni contento. del nostro palazzo addi xvii di maggio del 1562. al piacer di V. S. 111."* Essendo stati destinati al remo in perpetuo gli infrascritti cinque tristi per suoi mali diportamenti, li mando hora à S. V. III."* a fine che se ne possa valere per servigio di coteste sue galere, dal che si può molto ben conoscere la memoria eh’ io tengo di esse galere, et di V. S. 111."* alla quale desidero di far cosa grata in ogni sua occorrenza. Et con questo fine me le raccomando di cuore. di Mantova a xxv di maggio MDLXII. gli antiani et gonfaloniere di del popolo e comune giustizia di Lucca. (a tergo) All’lll.m·'· S.ra nra oss.ma la S.ΤΛ Giannetta d’ Oria à Genova. IV. 111."0 sig." perpetuo. al servizio d. V. S. 111.”* il duca di Mantova. (a tergo) S.r 111.”10 S.°r Gio. d’ Oria. (L. S. Guillelmus Mantuae dux ih). GIORNALE LIGUSTICO 477 SPIGOLATURE E NOTIZIE Nelle Carte Stralciane. (Serie Prima) il cod. cccix contiene alcune scrit-•iUre jntorno ^11’isola di Cipro, alla presa di Nicosia e di Famagosta ; il cod. cccxi una « Lettera della Repubblica di Genova al Cardinale Borghese de’ 16 luglio 1638 » con la risposta del 31 luglio; il cod. cccxm: * Lettere tra il principe Doria et il sig. Marcantonio Colonna nel viaggio di Spagna 1’ anno 1584, circa la differenza occorsa tra loro dell’ abbassare lo stendardo, et salutare la Reale » — « Ragguaglio della differenza occorsa tra il S.°r Gio. Andrea Doria et il S.or Marcantonio Colonna nel viaggio di Spagna circa l’abbassare lo stendardo, l’anno 1584 » — « Fede del S.°' Sforza Palavicino et Proveditore Giacomo Celso delle parole occorse fra il S.or Marcantonio Colonna et il S.1 Gio. Andrea Doria l’anno 1570 ». Il cod. cccxv ha: « Accordio et conventione facte fra lo 111.“° et Ec.”'° Sig. Fran.co Sf. Duca di Milano da una parte ed il m.co domino Ansaldo de Grimaldo da 1’ altra, per dare il sale al detto Stato di Milano, fatto nel 1530 ». Nel cod. cccxx: « Capitolo di lettera scritta da Genova, il dì 28 luglio 1625, della Presa <·!* Gavi » — « Capitolo di una lettera scritta di Genova a Firenze il 2 d’agosto 1625 ». Nel cod. cccxxi diverse scritture e documenti intorno al Finale ligustico, 1567-1572. * * * In Arcola, all’ esterno della casa Perroni, sotto una maiolica esprimente la B. Vergine col Putto in collo, è murata la seguente iscrizione in pietra di Lavagna (1). I caratteri sembrano del secolo xvii. Si tratterebbe mai di un viaggiatore? Francesco fu, che sopra sasso sasso Di Baldassaro qui eternamente pose Baldoni, tal che cosi passo passo D’ Arcola in patria alfin si ricondusse. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO _ · Parrocchie dell' Archidiocesi di Genova, Notifie storico-ecclesiastiche , per i fratelli sacerdoti Angelo e Marcello Remondini ; Genova, Tip. delle Letture Cattoliche, 1882-88. Ecco un lavoro di lunga lena, assai bene inteso e condotto con grande amore, cui è da augurare che il superstite dei due benemeriti Autori, D. Angelo Remondini, possa in tempo non lontano recare al desiderato compimento. Trattasi di un assieme di quindici volumi, de’ quali finora soli quattro furono pubblicati ed il quinto è prossimo a vedere la luce. Di ogni parrocchia si danno i cenni storici sacri, la descrizione della chiesa parrocchiale, e di tutte le cappelle e gli oratorii posti sotto la sua giurisdi- (l) Fattami vedere dall’ amico prof.|D.JLuigi Beretta e copiata il 24 agosto 1S88 (L. T. B.). 478 GIORNALE LIGUSTICO zione, la serie cronologica dei parroci, ecc.; e tratto tratto si aggiungono notizie d’archeologia, di storia civile ed artistica. Messi per tutto ciò a diligente contributo i precedenti scrittori , non si trascurarono le fonti, quali, ad esempio, i due registri dell’Arcivescovato (sec. x-xiv), gli atti notarili antichi, quelli delle visite pastorali, le relazioni ed i libri parrocchiali, dove non di rado son narrati fatti di cronaca importanti o curiosi. Frattanto, ecco di già illustrate le Parrocchie suburbane (volume I) , e quelle dei Vicariati di Albaro, di Nervi e di Sori (vol. II), di Recco, di Camogli, di Portofino e di S. Margherita (vol. Ili), di Rapallo e di Zoagli (vol. IV). Limitandoci a dire qualche cosa di più particolareggiato relativamente all’ultimo volume comparso, vediamo in esso oppugnata a buon diritto l’affermazione che papa Gelasio II consecrasse nel 1118 la chiesa dei ss. Gervasio e Protasio in Rapallo. Ma non ugualmente sicuro ci sembra Γ indugiare fino a mezzo il secolo xm la fondazione del tempio oggi ancora posto sotto 1’ invocazione di quei santi, per ciò che la prima € ineluttabile prova » della sua esistenza si caverebbe dalla data del mclvi, che leggesi nella notissima lapidetta del serraglio dell’ atrio o antichiesa. Al più al più se ne potrà dedurre, che allora venne aggiunta questa parte anteriore dell’edificio. Discorrendo de’ celebri rapailesi, osserviamo che non meritava di essere ripetuta la congettura del Varai su la patria di Teramo di Daniele a favor di Rapallo; ma che si dovea dare tutto il peso all’asserto del Persoglio, che « lo dice di Porto Maurizio ». Così è veramente; e certo il Persoglio si fondò sui documenti trovati e prodotti dall’Alizeri, dopo la pubblicazione del Varni, laddove si proclama aperto: Theramus Daniel de Portu Mauricio, faber etc. (Notizie dei Professori del Disegno , vol. VI, pp. 278, 282). Negli accenni su la chiesa di S. Massimo, non vuole omettersi il bel quadro del titolare, che Bernardino Fazolo si obbligava a dipingere, il 3 dicembre 1519, ne’ rogiti di Lorenzo Villa (Alizeri, III. 253). Nè l’ancona di N. D. del Carmine, in S. Pietro di Novella, è da attribuire peritosamente a Michele da Passano con un « se crediamo aH’Alizeri »; perocché lo storico delle arti nostre ha stampato il contratto da cui ciò risulta in modo positivo, e che fu ricevuto dal notaio Pastorino il 28 marzo 1516 (III. 232). Ma queste sono ben piccole mende a petto dei molti pregi reali e della mole di un’opera, alla quale i due egregi che vi posero mano, animati da uno zelo che vorremmo vedere più largamente compreso, hanno fatto notabile sacrificio di tempo e di denaro. Ad ogni modo siamo persuasi che non mancherà un Supplemento finale, per tutte le correzioni e le aggiunte opportune. Pasquale Fazio Responsabile. T INDICE DEL VOLUME DOCUMENTI ILLUSTRATI. Tre nuovi documenti sopra Cristoforo Colombo e suo padre (M. Staglieiio)..........Pag■ 3 MEMORIE ORIGINALI. Di una epigrafe rituale sacra a Giove Beheleparo (L. De Feis) » ir L’ arte dei giudici e notai di Firenze ed il suo statuto del 1566 (G. Filippi)..........» 42 La storia genovese nelle poesie del Pistoia (F. G ah otto). » 81 L’incatenatura del Bianchino (S. Ferrari) .... » 121 Niccolò e Francesco Piccinino a Sarzana (A. Neri). . . » 161--y". La Bocca della Verità in Roma e il Tritone di Properzio (L. De Feis)..........» 184 Il Segno degli Ebrei (G. Re^asco).....Pag. 241, 321 Gabriello Chiabrera e « La Corona d’Apollo » (S. Ferrari) . » 266 Epigrafi 3i vasi inedite (L. De Feis). ...... 276 Gli statuti di Mioglia (A. N.).......» 280 Architetti, ingegneri, matematici in relazione coi Gonzaga nei secoli XV-XVII (A. Bertolotti) .... Pag. 351, 401 VARIETÀ. Un nuovo documento di Uberto Foglietta (R. Renier) » 66 La presa di Genova per gli Sforzeschi nel 1464 (L. T. Belgrano) » 148 Lettere di due fuorusciti fiorentini del secolo XVI (R. Renier) > 194 Un mazzetto di curiosità (A. N.).....Pag. 202, 289 Curiosità di Storia genovese del sec. XV (£. Motta) . . » 227 Osservazioni al Glossario del secondo Registro Arcivescovile (L. T. Belgrano e A. G. Barrili) ......» 231 480 GIORNALE LIGUSTICO Pag. 233: » 311 » m » 436 » 444 » 458 » 470 * 473 * 70 Spigolature genovesi nei Misti di Venezia (L. T. B.) Tre lettere dell’abate Frugoni al conte Casali (L. Frati) Monete genovesi di Scio [L. T. Belgrano) Il viaggio di Pio VI a Vienna nel 1782 (G. Sforma). . Alcune librerie in Firenze nel seicento (A. N.) Vincenzo Monti e Clarina Mosconi (C. Magno). Una lettera del canonico Bima (L. T. B.) Alcune lettere indirizzate a Gianandrea D’ Oria, relative ai condannati alle galere (G. Filippi)...... RASSEGNA BIBLIOGRAFIA I sonetti del Pistoia giusta l’apografo Trivulziano a cura di Rodolfo Renier (L. Frati) SPIGOLATURE E NOTIZIE. Pag. 78, 238, 317, 395, 477. NECROLOGIO. — Pog. 157. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Nuovi documenti e studi intorno a Girolamo Savonarola, per cura di A. Gherardi, 80. — Aristrigò, Cartentrostenò di V. Crescini. 158. — Battista Guarini ed il « Pastor Fido », Studio biografico-critico per V. Rossi, 159· Lettere inedite di G. Leopardi, 339. — Farri, Vittorio Amedeo II ed Eugenio, di Savoia, ivi. — Milano nel Settecento, di G. De Castro, 240. Donaver, Uomini e libri (C. Braggio), 3x8. — Beltrami, Il reai castello del Valentino (A. N.), 399. — Allegro, Cenni biografici dello scultore Chiaffarino ( T. Luxoro), 400. — A. e M. Remondini, Parrocchie dell’Archi-diocesi di Genova. Notizie storico ecclesiastiche, 478.