GIORNALE LIGUSTICO D I ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA DIRETTO DAL PROF. GIROLAMO . Le pazienti indagini da me fatte all’Archivio di Stato (i) per viemmeglio illustrare questo contributo alle relazioni tra Genova e Lisbona non riuscirono infruttuose, e vennero in mio aiuto quattro documenti, che piacemi riferire nella loro integrità, perchè ricchi di particolari e apportatori di nuova luce. I. Ser.’"' Signori, Sono moltissimi anni che da Capitani e mercadanti Genovesi fu fondato un ospizio di Capucini nella città di Lisbona per havere la loro assistenza ne Sagramenti con che però fra detti Capucini vi dovesse essere di continuo il Presidente con quattro in cinque altri Capucini nationali Genovesi ciò che ottenero mediante anco la permissione di quella sacra corona, qual ospitio viene giornalmente da medesimi mantenuto di tutto nel loro sostentamento. Presentono detti Capitani e mercadanti che possano essere ammossi detto Presidente et altri nationali e che ciò possa provenire da superiori Capucini non nationali Genovesi abitanti in Roma per altri loro fini che però per non restar detti mercadanti e capitani delusi della loro spirituale consolatione se ne ricorrono alla somma clemenza di V. S. V. S. umilmente supplicando degnarsi far scrivere al loro Agente o sia Console commorante di presente in detta città acciò con ogni maggior caldezza procuri presso S. M. di cooperare in modo che non debba essere ammosso detto Presidente Genovese e sudetti nationali. Di V. S. V. S. __Detti supplicanti. (i) furisdictionalium. An. 1715, filza segnata —, foglio 62, Arch. Segreto. GIORNALE LIGUSTICO IS II. Motivi che inducono i Capitani e Mercadanti Genovesi di Lisbona a supplicare il Ser.m0 Senato acciò sia stabilita la dimora de PP. Capuccini Genovesi nell’ Ospizio di quella città. Servendo solamente i PP. Capuccini Italiani da molti e molti anni a' Re di Portogallo per le Missioni nelli Paesi delle sue conquiste dovevano essere perciò proveduti nella Città di Lisbona d’ un qualche albergo per il loro passaggio : il che per molto tempo è seguito ma variamente e sempre con grande incomodo de PP. medesimi sino a tanto che il Padre Paolo di Varazze Genovese ritornato dalle sue missioni in Lisbona ottenne e dal Re e da Roma il consenso di alzare un Hospitio sicome colle limosine de Capitani e Mercadanti Genovesi l’alzò dell’anno 1690 restandovi destinato per superiore il Padre medesimo quale finalmente ivi morto venne in suo luogo surrogato dell’anno 1692 il P. Paolo Francesco del Portomaorizio da superiori maggiori di Roma memori dell’ obligazione e della necessità che haveva quell’ Ospizio della nazione Genovese. Indi successivamente furono sostituiti a quel governo altri PP. tutti Genovesi come il P. Bernardino della Lengueglia nell’anno 1696 et il Padre Francesco Antonio da Genova dell’anno 1698 e sebene appresso a questi il Nonzio Conte per favorire le richieste d’un suo auditore sorrogò un Padre Milanese, pure fra poco tempo fu costretto scrivere a Roma che dovessero provedere quel Ospizio secondo il solito d’altro superiore Genovese alegando che non si sarebbe potuto governare da altri a quali la nazione Genovese superiore di numero a tutte l’altre non voleva somministrare le limosine dalle quali unicamente si haveva il vivere di que Padri. Nell’anno donque del 1702 fu provisto secondo la richiesta e vi fu mandato il Padre Girolamo da Genova che vi continuò per lo spazio di undeci anni nel qual tempo ristorò quell’ ospizio e chiesa impiegandovi la somma di 8000 e più pezze da otto doppo del quale vi sucedette il Padre Giuseppe Maria dal Porto Maurizio che ancor dura a quel Governo. Ma perchè ora s’intende da parte che non fallisce come i superiori maggiori de Capuccini vogliono levare da Genovesi questa sì antica attinenza per agregarlo alle Provincie loro nazionali umilmente si suplica di provisione e di riparo per le seguent. ragioni : i.° Perchè fu dal Re D. Pietro 11 negato a tant’altri l’assenso e con cesso al Padre Paolo sudetto Genovese che n’è stato il fondatore e l’autore. ι6 GIORNALE LIGUSTICO 2.° Perchè fu fabricato il sudetto Ospizio colle limosine de Genovesi come apparisce dalla notizia che si è fatta da parte. 3.0 Perchè da Genovesi è stato per tanti e tant’ anni sostenuto e migliorato colle loro limosine. 4.° Perchè il Re medesimo ha sempre dimostrato gradire più d’ogni altro i Genovesi e quando i PP. Genovesi volevano partire per la mutazione dì quel governo per ordine del Re furono fermati in casa del Segretario di Stato e poi rimessi all’ Ospizio. 5. Perchè la Nazione genovese che ivi habita e viaggia più d’ ogni altra non ha altro rifugio per il ricevimento de Santi Sagramenti che que PP. co quali ha la communicazione della lingua. 6.° Per ultimo finalmente perchè li Missionarii incaminati alla volta di Portogallo passando per il più per la via di Genova anche in numero eccedente di quindeci o venti per volta doppo il fermarsi che fanno per più mesi nel Convento de Capuccini a motivo di trovare qualche imbarcazione questi poi vengono imbarcati da Capitani Genovesi nelle loro navi senza pagamento alcuno di nolo per il loro trasporto anzi ben spesso con dare anche il vitto gratis alla loro tavola a qualche d’ uno de medesimi PI . Missionarii il che non ponno conseguire così facilmente sopra vascelli d’ altra bandiera. 1715 - 18 Giugno. — Letta. Si trasmetta all’111."’" et Ecc.n,ù Gionta di Giurisdizione perchè veda e rifera dove si possi scrivere e come. Per Ser.mun Senatum ad Calculos. Rapportate al Ser.™0 Senato per parte dell’ Ecc.”" Commissionata le notitie date da delti R.^1 Padri per giustificatione del da loro supplicato acciò con dette cognitioni possa prendere quelle proviggioni e deliberare quelle lettere che più stimerà. 1715 - T4 Agosto. — Udito nel Ser.mo Senato quanto è stato riferto per parte dell’Ill.”* et Ecc."” Giunta Commissionata. Discorsa la pratica. È stato deliberato che si trasmetta copia delle notitie somministrate da detti R.<,! Padri Capucini per giustificatione del supplicato con incaricarlo che quando sussista 0 per traditione o per scrittura che il detto ospitio sia stato eretto con elemosine per il tutto o per la maggior parte da nationali e che sia stato solito che il superiore et altri religiosi stanti in detto ospitio fussero Genovesi e quelli mantenuti con le elemosine de nationali in tal caso a nome publico .assista detti R.dl Padri presso chi si deve in Corte e facci le oppositioni instanze appresso il Re perchè siano mantenuti nel possesso del detto GIORNALE LIGUSTICO I? ospitio i PP. Genovesi tanto rispetto al Superiore quanto rispetto alli altri religiosi soliti starvi e gli si scriva a dettame dell’ 111.“° et Ecc.mo Capo della detta Ecc.m“ Gionta. III. Nota de Capitani et altri Genovesi che sono concorsi colle loro limosine all’erigere del nuovo hospitio de Capuccini in Lisbona nell’anno 1690. Li Capitani Gio. Agostino e Gio. Batta Germani zio e nipote pezze da otto............ 1000 Li Capitani Giuseppe e Gio. Stefano fratelli Viviani un quadro grande di S. Felice e più pezze da otto ...... 1000 Capitan Castagneto oltre all’ havere proveduta la cucina di rami nuovi due statue di marmo di S. Francesco e due quadri grandi con 1’imagine di N. S. per la chiesa pezze da otto.....500 Pietro Francesco Viganego Console della Repubblica Ser.m“ in Lisbona ha somministrato per dare principio alla fabrica pezze da 8 . . 400 e più molti quadri sedie e tavolini per mobiliare l’ospitio. Pietro Francesco Ravara oltre all’ havere somministrate in ogni tempo limosine sicome tutta via continua fece fare a sue spese un corridore che dal claostro conduce alla sagrestia alla quale per andarvi bisognava passare dentro della chiesa che importò la spesa di scuti argento . . 200 Li altri Capitani e Mercanti Nazionali meno facoltosi de sudetti ogniuno ha concorso chi più chi meno secondo la loro possibilità non potendo acertarsi a quanto sia arrivata la somma del danaro che hanno somministrato. Di più i Capitani sudetti hanno fatto lavorare nellOspizio i loro Maestri da legname senza stipendio e somministrate tavole e chiodi che portavano da Genova per il sudetto Hospitio. IV. Copia di lettera scritta dal M. R. P. Procuratore e Commissario Generale il P. Bernardino da Saluzzo all’Ill.™0 e Rev.m0 Mons. Conti, Nunzio Apostolico in Lisbona, li 14 Nov. 1701. Giorn. Ligustico. Anno XXII, 2 iS GIORNALE LIGUSTICO 111...... e Rei’.“<" Sig. Patrone Colendissimo, Finalmente doppo molte difficolta che poco alla volta ha bisognato superare si sono fatte le provisioni per cotesto Ospizio conforme all’intenzione espressami da V. S IH "* e Rev."* : non vi è stato poco che fare atteso le difficoltà che mostravano i PP. Genovesi di venire sotto il governo del Padre Teodoro da Pavia che da più parti avevano appreso per poco geniale alla nazione cosa che haveva fatta impressione ne medesimi secolari massime capitani de vascelli da’ quali vi restava poco da sperare per l’imbarco de Missionarii : onde io dirò che Iddio ha inspirato a V. S. Ill.“* a comandarmi di mandare costà i PP. Genovesi: perchè con questo io mi sono reso forte in persuaderli che haverebbero di V. S. 111.“ la buona grati i e patrocinio e questo è quello che ha servito a me per argomento et ad essi per impulso ad abbracciare l'impresa persuasi che sotto tale patrocinio havriano potuto con tutta pace e carità fare costi il servizio di Dio ; onde io supplico umilmente quanto so e posso a far godere a medesimi gli effetti di quella clemenza che V. S. III."* ha sempre fatto e fa tuttavia sentire alla mia religione ed a quali ho data ferma speranza. Li PP. Genovesi che saranno i latori deila presente WS. III.'- li troverà Religiosi di buone qualità e costumi che credo fermamente riusciranno di buon esempio al secolo per gloria di Dio e servizio della Religione in cotesto posto che è quel tanto a che so che mirano le sue sanie intenzioni. Prego V. S. 111.*· a compatire la dilazione delle mie provisioni perchè già apparirà chiaro che saria stato difficilissima l'accomodamento delle cose in altra forma che in quella che Γ istessa prudenza di V. S. 111.“· ha concepita et espressa. Iddio ha voluto che qu.-stc provisioni incontrassero le loro difficoltà per ridurle ad un tempo che io sono andato premeditando ne altro qui mi resta che rendere umilissime strazi e a V. S 111.”· per il buon zelo con che s'è degnata adoperarsi a beneficio della Religione la quale le viveri eternamente obligata a pregargliene da Dio il meriio ed io fra tutti sebene il minimo con ragione più di tutti devo confessarmi quale col farle umilissima reverenza mi raffermo Komi. li 14 Novembre 1701. Di V. S. IU.~ e Rev.- Umil.m· e Ob.m· Servo Fr. Bernardino da Saluzzo Procuratore e Commessario Generale de Capuccini GIORNALE LIGUSTICO *9 Questa in succinto la prima storia di quella minuscola colonia genovese, da cui partivano nuclei di intrepidi campioni, che serafici in ardore andavano sventolando la fiaccola della civiltà in inospite contrade. E quale stima facesse il Re del Portogallo di questi umili tìgli di S. Francesco emerge pure da questo fatto che stralcio di pianta dalla cronaca sopra citata. « 1682. — Padre Giovanni da Belluno, Predicatore della Provincia di Venezia, finito eh’ ebbe il suo settennio si pose in viaggio storpiato per sua Provincia et avanti di arrivare a Lisbona mori nel mare e quando li marinari furono per lavare il corpo suo lo ritrovarono stigmatizato come il nostro Padre S. Francesco ne piedi mani e costato e lavato eh’ ebbero il corpo lo buttarono nel mare. Arrivata in Lisbona la nave, fu riferito il caso 'al Sig. Re Don Pietro Padre del Regnante Don Giovanni quale intese malamente che havessero butato il corpo del Padre al mare e subito mandò a chiamare il Capitano della nave il quale ordinò che fosse inforcato ma con ogni celerità furono avisati li nostri Padri che assistevano nell’ospitio di Lisbona quali furono a placare S. M. del che si permutò la forca in carcere per molto tempo acciò s’imparasse dalli altri che sucedendo altre volte casi simigliami havessero da portare li corpi delli Padri Missionarii in Lisbona perche li vedesse sua Maestà qual era molto stimatissimo e devotissimo di noi Missionarii Capucini Italiani chiamandoci suoi fidelissimi vassalli delle sue terre di conquista nell’Africa meridionale e de Regni di Congo, Zinga, Angola etc. » La chiesa fondata dai Genovesi a Lisbona è ora parocchia, e s’impronta attualmente a quelle linee serie e severe comuni a tutte le chiese dell’Ordine, come gentilmente m’informa il Rev. Prof. Cav. Prospero Peragallo, nome ben noto nel campo della storia. Arturo Ferretto. A un prossimo fascicolo : Il lessicografo Francesco Alberti dei conti di Villanova, di G. Sforza. 20 GIORNALE LIGUSTICO DI UNA PRESUNTA EDIZIONE GENOVESE DELLA DIVINA COMMEDIA DEI. SECOLO XVI. Non credo inutile correggere un errore d’una certa importanza nel quale è incorso il compianto Nicolò Giuliani nel suo pregevole lavoro sopra la Tipografia ligure, pubblicato nel volume IX degli Atti della Società Ligure di Storia Patria; tanto più che si tratterebbe d’una pretesa sconosciuta edizione del poema dantesco, e, per di più, genovese; cosa che, se vera, sarebbe un assai lieto avvenimento e un non piccolo vanto per la Liguria nostra, in questi tempi di novissimo culto al poema sacro. Il Giuliani adunque dà come di probabile edizione genovese una Commedia esistente nella biblioteca della Missione Urbana di San Carlo (i). Egli dice che, non avendola trovata notata da alcuno dei principali bibliografi, la presume pubblicata dal Belloni circa l’anno 1550 (2). Fa meraviglia come il dotto Giuliani abbia potuto affermare in modo tanto reciso di non averla trovata notata da alcun bibliografo; perchè, non solo quella edizione della Commedia è descritta nei lavori speciali di bibliografia dantesca, ma si trova pure citata in alcune opere di bibliografìa generale. Ho esaminato l’esemplare dell’Urbana, e posso, senza tema di cadere in errore, affermare che la presunta edizione geno- (1) Il volume ύ segnato 16, 2, 12; è in carta velina cd in buono stato; lu qualche linea manoscritta nella carta del frontispizio e nei risguardi, taglio dorato e sco'pito, legatura in pelle del tempo, mediocrcmcntc con· s ervata. (2) Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. IX, pp. 262, 26}. GIORNALE LIGUSTICO 21 vese del Giuliani altro non è che la contraffazione dell’aldina del 1502 fatta in Lione probabilmente da Bartolomeo Troth nell’ anno stesso o nel seguente. Nel fatto, ecco come la descrìve il Giuliani : 1550, circa. « L’Urbana conserva una bella edizioncina, in 8.° piccolo, » della Divina Commedia, senza alcuna indicazione di luogo, » d’anno e di tipografia, e cosi pure senza marca di carta » od altro segno distintivo. » Nel frontispizio si legge in maiuscoletto romano : Terze rime di Dante ( 1 ) » Nel tergo: Lo ’nferno e ’l pvrgatorio e ’l paradiso di Dante Alaghieri » E subito al principio della terza pagina, segnata a-ii : Nel mezzo del caniin di nostra vita ecc. » E sono in tutto nella stessa pagina nove terzine (2). » I canti si succedono senza altro intervallo che la nume-» razione romana, talora posta in fin di pagina, sino a G-vi, » seerno; tutti gli altri sono quaderni. » Nel retto dell’ultima carta, verso la fine, è l’ultimo verso: L’ amor, che muove ’l Sole et l’altre stelle. (1) Il Giuliani è qui inesatto, perchè il frontispizio dice Le terze rime// di Dante. (2) Altra inesattezza del G.: sono dieci e non nove le terzine per ogni pagina. 22 GIORNALE LIGUSTICO » Sarebbe mai una edizione genovese della prima metà del » secolo XVI? I caratteri mi paiono belloniani; nè io la » trovo notata da alcuno de’ principali bibliografi (i) ». Ed ora ecco le parole del De Batines che si riferiscono alla contraffazione dell’aldina del 1502: S. D. (1502 circa) Le terze rime di Dante « In 8. piccolo di 244 carte non numerate. Edizione senza » indicazione d’anno, nè di luogo, nè di stampatore; il verso » della carta del frontispizio ha così : Lo ’NFERNO E ’L PARADISO E ’l PVRGATORIO di Dante Alaghieri » È una esatta e perfetta contraffazione dell’edizione Aldina, » col medesimo numero di carte e colla medesima disposi-» zione delle parole in ciascuna faccia; non si trascurò περί) pure la carta bianca che sta nell’edizione del 1502 dopo la » Cantica dell’inferno, e l’Ancora Aldina fu riprodotta nel » verso della carta ultima; unica differenza, l’ultimo foglio, » in luogo di esser segnato H11, è segnato G vj. Il Renouard » (Annales des Aides, fac. 307) la crede pubblicata a Lione » da Bartolomeo Troth nel 1502 o nel 1503 al più tardi. I » caratteri si rassomigliano a quelli di cui si servirono i vecchi » Giunti di Firenze. Ne possiede un esemplare il signor Kirkup » in Firenze. » Questa contraffazione è oggidì rara e più difficile a ri- » trovarsi che l’edizione originale » (2). (1) Alti, ecc. Ibid. (2) Colomb De Batines, Bibliografia dantesca. Prato 1845, voi. i.0,pag. 63. GIORNALE LIGUSTICO 23 Anche il Ferrazzi accenna a questa contraffazione dell Aldina con queste parole: « Nel 1503 l’Aldina del 1502 fu esattamente » contraffatta, e credesi stampata a Lione per Bartolomeo » Troth » (1). Nel Brunet trovo le seguenti righe al proposito: « In-8, » feuillets non chiffrées. Edition sans date et sans indication » du lieu, mais contrefaite à Lyon sur celle d'Aide, 1502. » Un exemplaire sur vélin, partagé en 3 volumes et relié en » mar. 16 liv. 16 sh. Paris » (2). Nessun dubbio adunque che 1’ esemplare dell’ Urbana possa essere un’edizione genovese del XVI secolo, e che non sia invece la contraffazione lionese della veneziana del 1502. Una cosa sola per altro è necessario notare. Come abbiamo veduto, il De Batines dice che in questa contraffazione l'ancora aldina fu riprodotta nel verso della carta ultima. Ora, 1 esemplare dell’Urbana non ha l’ancora aldina nell’ultima faccia (3). Ma questa mancanza si spiega facilmente. Si sa infatti che non tutti gli esemplari dell’aldina autentica hanno 1 ancoia (che fu adoperata per la prima volta nella stampa di quest opera); ciò che fa supporre ai bibliografi che fosse ajoutée dans le cours du tirage (4). Quindi è più che naturale fossero a Lione contraffatte le copie portanti l’impresa degli Aldi, e quelle che n erano mancanti. La Spezia, 10 gennaio 1897. Ubaldo Mazzini. (t) Manuate dantesco, voi. 1.°, pag. 732. (2) Brunet, Λianuet du livraire et de l’amateur des livres, 4.™' édition. Bruxelles, 1838, vol. 2°, pag. 12. (3) Nemmeno un esemplare posseduto da me, identico a quello dell Urbana, ha Γ ancora aldina. (4) Brunet, op. cit., vol. 2.°, pag. 11 Al prossimo fascicolo la continuazione dei documenti sulle rappresentazioni sacre in Liguria. 24 GIORNALE LIGUSTICO GLI SVIZZERI IN ITALIA <■> E GENO VA NEL i 507 Dopo la preziosa pubblicazione degli Eidgenòssichen Abschiede, cioè dei processi verbali delle adunanze dei cantoni elvetici, io studio della storia svizzera ha fatto progressi veramente meravigliosi e le relazioni delle varie città svizzere con le potenze vicine hanno trovato numerosi e diligenti cultori. Già Vittoiio Cerésole s era occupato di ricercare negli archivi di Stato di Venezia quali legami avvinsero la serenissima ai cantoni elvetici, specialmente durante il Secolo XVI, e nella seconda edizione, comparsa pochi anni sono, aveva aggiunto molti nuovi e curiosi documenti ; lo Stricklers ne aveva raccolti molti altri nella sua collezione; due anni fa il mio amico Gaspare AVirz raccolse in un grosso volume tutti i documenti, che sulle relazioni della Svizzera colla Curia Apostolica potè trovare nell Archivio Vaticano (Akten über die diplomatiscbe Be^iebungen der r'òmische Curie der Schwei%_ — 1512 - 1552); ora Carlo Kohler, già allievo della celebre École des Chartes, ci presenta in un grosso volume il frutto delle sue ricerche sulle campagne degli Svizzeri in Italia dal 1506 al 1512, già lungamente descritte dal Fuchs (Mailandischen Feldziige), cioè su quel periodo intricatissimo di storia italiana che dalla spogliazione di Lodovico il Moro per opera di Luigi XII va fino al ritorno di Massimiliano Sforza sul trono di Lombardia. L autore si serve in parte delle pubblicazioni italiane e straniere su questo periodo di storia, per esempio dell’interessantissima raccolta del Müller (Actenstücke zur innere (ij Ch. Kohler. Les Suisses dans les guerres d’Italie de 1506 a if!2. — Genève, Iullien, [897. GIORNALE LIGUSTICO 25 Geschichte Mailands unter den lezten Sforzas) , delle lettere del Morone pubblicate dal Promis nella Miscellanea di Storia Italiana, del lavoro del Iàger ( Uber Kaiser Maximilian’s Verhaltniss zum Papstthum), della storia di Giulio II del Brosch e d’altri lavori minori; ma si fonda specialmente su tonti importantissime, e finora poco studiate, quali i Diari di Marin Sanuto, che contengono tante lettere e tante relazioni di personaggi contemporanei, la cronaca bernese del Riid, cioè di Valerio Anshelm, la vita di Luigi XII di Iean d’Anton, e finalmente la raccolta dei processi verbali delle diete federali. Ma a queste fonti già edite, egli ha aggiunto il prezioso contributo delle fonti inedite, da lui trovate negli archivi svizzeri e nella biblioteca nazionale di Parigi, istruzioni di Luigi XII ai suoi ambasciatori ed agenti presso i cantoni, risposte e relazioni di questi, lettere di agenti savoiardi, intime rivelazioni d’una politica d’intrighi sottili, di abili manovre diplomatiche, per ottenere o per impedire la partecipazione degli Svizzeri alle grandi lotte italiche. Di tanto materiale sa abilmente servirsi il Kohler per istudiare tutte le trattative diplomatiche, corse fra i Cantoni e le potenze, dal giorno in cui, rotto il trattato di Blois, Massimiliano d’ Austria inviò i suoi agenti alla dieta di Zurigo per chiedere ai deputati svizzeri di violare il trattato stipulato da loro a Lucerna il 15 marzo 1499 per fornire al re Luigi le loro milizie mercenarie contro qualsiasi nemico della Casa di Francia, fino al momento in cui, coll’aiuto degli Svizzeri condotti dal cardinale di Sion, il giovane principe Massimiliano Sforza, cacciati i Francesi, riprese possesso dei paterni domini di Lombardia. Tutti gli avvenimenti di quel periodo, così ricco di fatti, di repentine mutazioni, di intrighi nascosti sono esposti diffusamente e con singolare chiarezza dall’Autore, il quale assai opportunamente sa rannodarli alla politica, non sempre disinte- 2 6 GIORNALE LIGUSTICO ressata ed onesta, dei cantoni svizzeri, che in quel tempo, in cui gli eserciti stanziali non erano ancora costituiti, fornirono il nucleo principale di tutte le spedizioni militari nella nostra penisola. Il racconto ha principio colla sollevazione di Genova, avvenuta nel 1506 contro Filippo di Ravenstein, governatore in nome di Luigi XII; e il Kohler, colla scorta di documenti in gran parte nuovi, ci narra come Luigi XII riuscisse ad ingannare ed a corrompere i magistrati svizzeri e a ottenere da loro, non ostante Γopposizione di Massimiliano, re dei Romani, che un corpo di oltre quattro mila svizzeri, sotto la condotta di Giovanni di Bassey prendesse pirte alla spedizione contro Genova e col suo valore contribuisse alla pronta vittoria dei Francesi (1507) — Prosegue poi a narrarci come Massimiliano riuscisse dapprima col denaro e coll’abilità diplomatico a staccare gli Svizzeri dal servizio del re Luigi ed a procurarsene l’aiuto per la spedizione, che egli intendeva di fare in Italia, e come poi, grazie agli intrighi ed alla corruzione esercitata dagli agenti francesi, « qui répandirent les écus à profusion dans le rues, les carrefours, les villes, les villages, les bains, les hôtelleris et les marchés, donnant aux femmes, aux eniants, aux soldats, aux courtisanes » il governo svizzero, debole, lacerato da interne discordie, non solo negasse quello che prima aveva concesso, ma di sottomano fornisse nuove reclute al re di Francia. Sicché per questa ragione principalmente la calata di Massimiliano in Italia non ebbe quell’effetto, che l’imperatore si prometteva e che i suoi nemici temevano, e si limitò ad una scorreria poco felice sul territorio veneto. Quando fu conclusa ai danni di Venezia la lega di Cambrai, papa Giulio II, il re di Francia, l’imperatore si rivolsero quasi contemporaneamente ai cantoni svizzeri per ottenere aiuto contro la Republica di S. Marco, mentre dal canto loro i Veneziani ponevano in opera tutti i mezzi, non solo per impedire che i mercenari svizzeri ingrossassero le file dei GIORNALE LIGUSTICO 27 loro nemici, ma per guadagnare alla loro parte l’aiuto di quella solida fanteria, che non aveva allora rivali in Europa, e per istringere una solida alleanza, da pari a pari, coi cantoni elvetici. Il Kohler, esaminando minutamente i processi verbali delle Diete ed i Diarii Sanutiani, è riuscito a scoprire le cause per le quali , fra tutti i diplomatici, soltanto i Francesi riuscirono a reclutare circa ottomila volontari, coi quali vinsero alla Ghiara d’Adda l’esercito della Republica; e queste cause, alle quali le considerazioni politiche furono completamente estranee, sono in gran parte da attribuirsi alla decadenza morale degli Svizzeri, alla disobbedienza dei singoli cittadini ai decreti della confederazione, all’avidità del lucro, che, nonostante l’opinione delle classi elevate contro il servizio mercenario , spingeva migliaia di avventurieri ad accettare le grosse offerte degli arruolatori stranieri. Durante il periodo, che precedette la conclusione della Lega Santa, tutte le relazioni tra la Svizzera e il pontefice Giulio li furono condotte dall’ambiziosissimo vescovo di Sion, Matteo Schinner, più soldato che prete, abile negoziatore ed astuto cortigiano , il quale riuscì ad ingannare gli Svizzeri sullo scopo vero che si proponeva il Papa richiedendo il loro aiuto, ed ottenne una leva straordinaria di dieci mila uomini per servirsene contro i Francesi di Lombardia. Le insistenze dei legati francesi e tedeschi non riuscirono ad impedire che queste milizie invadessero la Lombardia; ma la mancanza di capi e di ordini precisi e le energiche misure prese dal governatore francese, costrinsero ben presto quei mercenari alla ritirata, che portò con sè un lungo strascico di querele e di proteste violentissime di Giulio II e finalmente la rottura definitiva delle relazioni tra la Sede Apostolica ed i Cantoni. Tutto questo intricatissimo periodo storico è studiato dal Kohler con una cura specialissima, non solo sui documenti ufficiali, ma colla scorta delle lettere del Machiavelli, di 28 GIORNALE LIGUSTICO Luigi XII, di Massimiliano d’Austria e del carteggio dei residenti veneti, pubblicato dal Sanuto, e forma uno dei capitoli più originali e più interessanti del volume. Non meno meritevole d’esame, pei particolari nuovi che ci fornisce e per la genialità della critica comparativa di tante fonti diverse, è il capitolo in cui si descrive l’improvvisa invasione degli Svizzeri in Lombardia nell’inverno del 1511, che, provocata da alcune offese fatte dai governatori francesi ad alcuni privad cittadini di Schwitz, poco mancò non facesse perdere al re Luigi il Milanese, ed eccitò tante speranze nel-l’animo di Giulio II e dei Veneziani. Fra i documenti notevolissimi, che l’Autore ha scoperto e pubblica, ricorderò specialmente il proclama dei capitani svizzeri al popolo milanese per eccitarlo a ribellarsi ai Francesi, minacciando altrimenti « eversionem tocius provinciae ». Ma col solito argomento persuasivo del denaro poterono i Francesi parare il colpo che loro si minacciava riaprendo le trattative coi Cantoni , i quali nel tempo medesimo accoglievano benevolmente le offerte di Giulio II e dei Veneziani, fatte per mezzo del cardinale di Sion, e, incerti a quale delle due parti dovessero concedere la loro alleanza , cercavano di spillar danaro da entrambe senza compromettersi troppo. Ma la Lega Santa, e specialmente Venezia, seppe più generosamente e più sollecitamente acquistarsi il favore degli Svizzeri, come dimostrano molti nuovi documenti scoperti dal Kohler intorno alle trattative della legazione Graf; e da quel momento i Cantoni presero risolutamente parte in favore della Lega e contro la Francia e sotto la condotta dello Schinner inviarono un iorte esercito, che, ben pagato, meglio nutrito e colmato di promesse e di carezze, libero di saccheggiare a suo talento, occupò il Milanese in apparente accordo coi Veneziani, scacciò il La Palice da Pavia, si impossessò di Milano vi proclamò lo Sforza e favori a Genova il tentativo di Giano Fregoso. GIORNALE LIGUSTICO 29 Dolorosa, ma provata da documenti inconfutabili è la storia delle ruberie, delle prepotenze, delle violenze commesse dalle masnade svizzere e contro i Milanesi, e contro i propri alleati, i Veneziani, i quali nello Schinner trovarono un poco fedele e poco onesto ausiliario. Dopo la vittoria gli Svizzeri non conobbero più freno: essi che dapprima s’erano accontentati del modesto ufficio di stipendiari, pretesero di dettar legge ai confederati, di disporre a loro talento del Milanese, negoziarono ad un tempo coll’imperatore, col duca di Savoia, col Papa e con Venezia e finirono poi collo strappare al Milanese il Canton Ticino e la Val d’Ossola. Forse l’analisi, soverchiamente minuta, di tutte le trattative, le discussioni e le controversie viene a scemare l’effetto delle ricerche, che non mi sembrano abbastanza lumeggiate dalla sintesi finale; qua e là certi giudizi (e specialmente quelli sulla politica di Giulio II e di Ferdinando il Cattolico) non sono stoppo esatti e senza ragione si discostano troppo da quelli del Brosch e del nostro De Leva, il quale ultimo scrittore, non so perchè, non si trova mai citato nel volume del Kohler: infine una certa severità, una carta acrimonia specialmente contro i cantoni tedeschi Valdstàtten, trapela fra le righe dell’opera. Ma in compenso la diligenza delle ricerche, la vasta erudizione, la precisione delle citazioni, l’interpretazione sempre corretta e misurata dei documenti, la vivacità dello stile, fanno di questo lavoro del Kohler un complemento utilissimo ai Mailandische Feld^Uge del Fuchs ormai troppo antico ed una pregevole illustrazione a quegli Eidgeriòssichen Abscheide, che gettano tanta luce sulle relazioni di tutte le potenze europee colla Svizzera. Camillo Manfroni. Al prossimo fascicolo un articolo di P. E. Guaknerio sopra il trovatore genovese Simone. 3° GIORNALE LIGUSTICO TOMBE DEI COLOMBO DI GENOVA A PALERMO L’elegante chiesa di S. Giorgio dei genovesi a Palermo è letteralmente lastricata d’iscrizioni sepolcrali. Son tutti nomi di famiglie liguri, cospicue come i Pallavicini, i Doria, i Du-razzo, modeste come i Barabino, i Semeria, i Groppo, ma che pella loro quantità addimostrano l’importanza di quella nostra colonia Ira la fine del cinquecento e nel seicento. Probabilmente su questa e sulla chiesa di S. Giorgio ritorneremo altra volta. Per ora un breve cenno d’ una di quelle tombe. È una di quelle che più colpiscono 1’ occhio per 1’ area che occupa ed appartiene ad una famiglia di Colombo che ivi si asseriscono oriundi di Genova e della stirpe del Cristoforo. La riporta in parte il Villabianca nella sua raccolta delle iscrizioni siciliane (VIS Bibl. Palerm. Vol. Vili fol. 123 e seguenti) e fu pubblicata pure in parte neH’Archivio Storico Siciliano (i), e probabilmente trascrivendola dal Villabianca, con altre pure di genovesi che si leggono in quella chiesa. Non so tuttavia perchè si l’uno che l’altro si limitarono a riferire i sei versi che si leggono nella parte centrale trascurando l’iscrizione principale che è scolpita lungo il margine della lapide rettangolare. Perciò mi par interessante pubblicarla ora integralmente. La tomba dei Colombo è collocata vicino all’ aitar maggiore sul lato destro della chiesa; tutto intorno leggesi l’iscrizione seguente : Nicolao et Pere Columbo patribus dulcissimis Joseph V. I. D. et Hieronimus fratres piissime et sibi et suis omnibus non sine lacrimis posuerunt XX MARTII ANNO SALUTIS MDC. (i) Arcb. Siciliano, Nuova Serie, anno III, fase. II, 1878, pag. 226. GIORNALE LIGUSTICO 31 Nella parte centrale superiormente si leggono questi versi: D. Ο. M. Principium dedit urbs genue de stirpe columbi Tradidit Esperio qui nova regna duci Post natos liberos (i) siculis mihi finis in oris Sic liguri ex ortu morteque sum siculus Nunc memor heu dulcis patrie liberumque Panormi Ut SICULUS LIGURUM CLAUDOR IN ÆDE LIGUR Sotto a questi versi campeggia uno stemma, lo stesso concesso dai re di Spagna a Cristoforo Colombo, cioè partito in 4, nel i.° e 2.0 di Leone e di Castiglia, nel 3.0 le isole, nel 4.0 le ancore, il tutto sormontato da un elmo aperto di fronte, colla croce per cimiero, precisamente come nello stemma ben noto dello scopritor dell’America. L’inscrizione come dissi è alquanto danneggiata sebben molto meno d’altre della stessa chiesa divenute completamente illegibili. Non pretendo che l’asserzione di quei Colombo, d’ esser della stirpe del Cristoforo, debba esser creduta sulla parola a fronte dei risultati controdicenti delle indagini posteriori. Ma parmi debba pur darsi un peso al fatto che la Chiesa di S. Giorgio fondata dai genovesi a Palermo sullo scorcio del cinquecento in sostituzione d’ altra cappella più antica, dipendeva dal nostro consolato, era amministrata da massari genovesi (1) Così il Villabianca e con lui l’Arch. Stor. Sicil. ; io avrei letto invece post nepos ecc. e la parola nepos mi parve ben chiara; tuttavia siccome oggigiorno massime nella parte centrale quella incisione è molto corrosa, non potendo riconfrontar ora col testo la lezione del Villabianca riporto questa supponendo che nel secolo scorso quand’ egli la trascrisse fossero molto più discernibili i caratteri dell’ epitaffio. Non dissimulo tuttavia che altri errori ho riscontrato nella sua lezione delle iscrizioni di S. Giorgio, cosa facile in simili grandi raccolte e che si trova anche nel lavoro analogo del nostro Piaggio, sebbene di mole molto minore. [Ma nepos, colla e breve guasta il verso ? N. d. D.] 3 2 GIORNALE LIGUSTICO e genovese dovea esserne perfino il cappellano; s’aggiunga che la Sicilia nel 1600 dipendeva dalla corona di Spagna che a Colombo ed a suoi discendenti avea accordato lo stemma, i titoli ecc. Ora che una famiglia in faccia a tanti che poteano smentirla, solo un secolo circa dopo la scoperta dell’America, avesse la sfacciatagine d’asserirsi della stirpe dello scopritore, d’usurparne lo stemma, d’inquartar le armi di Leone e di Castiglia, della Corona di Spagna, senza essere almeno agnata del' glorioso genovese parmi pure poco ammessibile. Ad ogni modo anche quel ramo di Colombiani ora dovreb-b’ essere estinto. Non ebbi occasione di far accurate ricerche per conoscere la sorte del Giuseppe e del Geronimo Colombo ormai siciliani, che posero il monumento ai genitori. Di Giuseppe tuttavia ne trovai uno messinese citato dal Mongitore nella sua Bibliografia Siciliana come autore d’una vita di S. Calogero anacoreta pubblicata nel 1669; 1’esser messinese e la data dell’ edizione escluderebbe la possibilità che fosse il nostro nel 1600 già dottore in leggi. Non è probabile neppure che il Gerolamo, fratello minore a quel che pare, sia lo stesso sia un R. P. Fabio 0 Fabbiano Colombo, ma al secolo Gerolamo Colombo, menzionato dallo stesso Mongitore, benedettino nel convento di S. Martino della Scala ove sali al grado di decano, magister tyronum ed economo e mori nel 1675. Egli era bensì palermitano ma un suo biografo certo Evangelista, lo fa nato precisamente nel 1600. Egli lo dice nato di prosapia onorata e gentile, ed infatti il Convento di S. Martino della Scala rimase fino all’ ultimo molto aristocratico, ma non fa cenno dell’ origine della famiglia genovese. Tuttavia non è da escludersi che fosse figlio d’ un fratello del Gerolamo nostro, forse dello stesso Giuseppe, per 1’ uso comune nelle famiglie d’imporre ai figli tanto i nomi dei fratelli come quello del padre del genitore. U. A. GIORNALE LIGUSTICO 33 Ad un prossimo fascicolo, uno studio su Ansaldo Cebà di A. G. Barrili. DI UN ALTRO CODICE BERIANO DE’ TRIONFI DEL PETRARCA Se la critica del testo del Cannoniere, come ho provato recentemente (i), è tutta da fare, quella de’ Trionfi affaticherà, per non lieve tempo ancora, l’industria de’ critici. Monsignor Beccadelli, nelle preziose notizie che ci ha lasciato su la storia del testo delle Rime petrarchesche, osserva che il Poeta « sopravvenuto dall’ infermità della vecchiezza e dal desiderio di attendere all’ anima, gli lasciò (i Trionfi) imperfetti o non rassettati» (2). Un’opera, dunque, non compiuta dall’autore, eh’ era incontentabile della finitezza stilistica de’ suoi versi, e che, morendo, aveva lasciato le sue scritture « invogliate in più ruotoli e di tante maniere corrette e rimutate » (3), si intende bene che dia molto da fare e rispetto alle varianti del testo e al loro ordinamento. E il Pasqualigo, in un tempo in cui la luce della critica non anco aveva rischiarata la questione degli autografi petrarcheschi, collazionando codici e prime stampe, ritraeva dalla testimonianza beccadelliana, rispetto all’ordinamento e alla critica del testo, queste conclusioni. « I copisti, secondo ogni probabilità, cominciarono dal trascrivere que’ capitoli che il Poeta stesso avea messi in pulito, comin- (1) D. Gravino. Note Petrarchesche, in Giorn. Ligust. N. S. Anno XXI, pag. 452 e segg. (2) Beccadelli, in Pasqualigo, Trionfi di Fr. Petr. - Venezia, 1874, col. 6. (3) Beccadelli, ibidem, col. 3. Giorn. Ligustico. Antio XXII. 3 34 GIORNALE LIGUSTICO ciarono cioè da quel capitolo eh’ è ora il II della Morie, poi quello che gli tien dietro principiando : « Nel cor pien d’amarissima dolcezza » e, man mano, gli altri, cercando di disporli ordinatamente. E il loro manoscritto riusciva, in questa parte dell’ordine de’ capitoli, quale è veramente ne’ più antichi codici. Ma, e il testo de’ singoli capitoli? Qui era la difficoltà e l’imbarazzo grande. Molti copisti saltaron via addirittura una, tre, otto terzine, e anche si fermarono a metà de’ capitoli. Chi pigliava una terzina, chi un’altra. Dieci i copisti e dieci potevano essere le forme diverse del testo. Di guisa che, dove l’autografo era netto di correzioni, tutti i ms. riuscivan concordi... In que’ passi invece dove eran più fitte, confuse, arruffate le mutazioni, le interlinee, le aggiunte, la scelta delle terzine, delle rime, de’ versi e delle parole, era in balia di chi copiava o faceva copiare i versi » (i). Or, con tutta la gratitudine che si deve al Pasqualigo, che ingegno e pazienza non scarsi consumò su la critica del testo de’ Trionfi, non possiamo non seguire, su l’ordinamento discrepante de’ codici, l’opinione del Mestica. Il quale, facendo de’ codici da esso conosciuti due categorie, crede che la prima d’esse sia dovuta non al capriccio d’un copista, ma rappresenti « l’ordine della prima pubblicazione di ciascuno di que’ Canti » (2). Ma 0 che il Mestica non abbia tenuto in debito conto tutti i codici petrarcheschi, o che l’amore della classifica rigorosa gli abbia preso la mano, cert’è che a noi non pare di dover attribuire « a eccezionale bestialità o bizzarria di copisti 1’ ordinamento de’ Trionfi di tutti que’ mss. che, ne’ primi otto Canti, non s’inquadrino (1) Pasqualigo, 1. c., col. 12-13. (2) Mestica. Le Rime di Fr. Petr. - Firenze, Barbera, 1896, prêt. XVII GIORNALE LIGUSTICO 35 nelle due categorie mestichiane (i). Intorno alla causa di sì fatta varietà, siam d’accordo col benemerito editore delle Rime del Petrarca ; crediamo cioè che, egualmente di quello usasse fare pel Cannoniere, il Poeta, finito di stendere un Canto de’ Trionfi, per ragioni varie, lo divulgava subito. Ma, se molti, per posizione privilegiata di potenza o per vincoli d affetto, han potuto aver, l’un dopo l’altro, appena scritti dal Poeta, i primi otto Canti de’ Trionfi, non è improbabile che altri molti abbiano avuto in mano, prima (supponiamo), il VI Canto della prima categoria del Mestica: poi, come riescirono a procurarseli, alla spicciolata, gli altri Canti, che trascrissero in seguito a quello che, solo in ordine d’acquisto, rappresentava il primo. Cosi, dato il caso, veniva a organizzarsi un ms. del Petrarca che cominciava col terzo Canto del Trionfo d’Amore, e chi sa quanto bizzarramente aveva poi a continuare. Ma la bizzarria è nelle circostanze onde venne a mettersi su quella raccolta, non nel copista inconsciente. Se non che, oltre ad essere razionalmente possibile questa nostra congettura, è rinsaldata anche da qualche elemento di fatto. Troviamo, questa specie d’ ordinamento , pur in certi codici in cui qualche postilla finale, di mano del medesimo copista, addi-mostra che questi sapeva qual fosse 1’ ordimento logico de’ Trionfi. Nel bedano, che descriveremo più oltre, l’amanuense, nella postilla finale, conosce che de’ sei Trionfi, petrarcheschi vien primo quello d'Amore e poi, ordinatamente, quelli della Pudicizia, della Morie, della Fama, del Tempo, del « Giudicio » ; ma, ciò non ostante, nella carta seguente al Trionfo dell’Eternità, trascrive i primi sette ternari del primo Canto della Morte; a’ tre Canti della Fama fa seguire il secondo della Morte, (i) Già, anche intorno all’ordine de’ primi quattro canti il Cesareo crede bisogni tornare alla Volgata: N. Antologia, 16 Marzo, 1S97. 36 GIORNALE LIGUSTICO poi continua col primo Canto rifiutato della Fama, per ripigliare col quarto Canto d'Amore « Stanco già di mirar, non sazio ancora ». E questo prova che l’amanuense del beriano, pur essendone in grado, forse per rispetto all’antigrafo da cui copiava, non ficcò nè punto nè poco la sua ingerenza nell’ ordinamento. Quindi non capricci nè bizzarrie di amanuensi; ma fedele trascrizione d’ogni Canto de’ Trionfi petrarcheschi, a mano a mano che s’ arrivava a ottenere. Ma se questa terza categoria di codici, rispetto all’ordinamento, varia, incerta, oscillante, non soddisfa, da questo lato, che ad una curiosità scientifica, ne’ riguardi della storia del testo dev’essere tenuta in debito conto, come quella che rappresenta una redazione quasi sempre primitiva. E anche su questo bisogna intendersi. Data la formazione saltuaria, in ordine di tempo, e casualmente incomposta d’una tal classe di codici, non è lecito pretendere che ogni singolo Canto rappresenti, sempre, una redazione de’ Trionfi primitiva. Se un possessore di parecchi Canti, è riescito ad aver gli altri, quando, in tempo posteriore, essi avevano già ricevuto una seconda o terza mano dall’ autore, par agevole intendere che ad un tipo di codice siffatto non si possa domandare, in ogni Canto, delle varianti di stampo primitivo. E il copista, son certo ne dubitino pochi, non è a credere abbia ottenuto l’esemplare de’ Trionfi petrarcheschi, secondo il processo accennato dal Pasqualigo. Non è possibile ammettere che i codici del Petrarca accennati ('ogni tipo cioè da cui derivino gli attualmente conosciuti) sieno tutti una filiazione delle carte autografe secondo furon lasciate dal Poeta, dopo morte, e che la discrepanza delle varianti debbasi attribuire al vario gusto del copista che, tra due o tre, preferiva la migliore. Già, un amanuense non letterato, par certo che, data e non concessa l’ipotesi GIORNALE LIGUSTICO 37 del Pasqualigo, avesse a preferire la variante più facilmente decifrabile. Or perchè mai il copista doveva preferire, tra due varianti, quella già scancellata dal Poeta e lasciar l’altra limpida e netta, questo noi non comprendiamo. Così nel primo Trionfo della Fama al verso 13, il Mestica (1) ci fa sapere che il casanatense ha questa variante : « così venia et io... », poi della voce « io » il Poeta cancellò la vocale « o ». S’intende, data quest’ espunzione, che al Petrarca non garbava quella vocale accoppiata all’« i ». Or, ciò posto, mal saprei convincermi perchè un amanuense, come questo del beriano, copiando di su quell’autografo, dovesse venir fuori con il seguente emistichio : « cotal veniva ë o ! di quali — », ciò è con la trascrizione d’una vocale eh’è proprio quella cancellata dal Poeta. Invece la intendo benissimo se immagino eh’ essa rappresenti la trascrizione del Canto divulgato dal Petrarca in un momento in cui al « cosi » aveva sostituito « cotal » e l’esclamitiva « o! », non ancor cedeva il posto al definitivo « or ». Per una serie complessa di simili fatti, dunque, non è possibile accogliere per buona la congettura del Pasqualigo come causa efficiente delle varianti de’ Trionfi petrarcheschi, ma al fatto della divulgazione subitanea de’ Canti, appena elaborati dal Poeta, rappresenti, quest’ elaborazione, una prima o una seconda redazione. Per ciò, noi pensiamo che sia dovere della critica dar fuori le varianti di tutti i codici delle biblioteche pubbliche e private d’Italia e fuori, con intendi serenamente critici, senza preconcetti e senza nessuno attaccamento, non giustificato, verso il ms. che s'imprende a studiare. Solo dopo un lavoro così paziente e così severo, rannodando le affinità e i legami (1) Mestica, Rime, 1. c., p. 605. 38 GIORNALE LIGUSTICO che intercedono tra la numerosa famiglia de’ codici petrarcheschi, è possibile determinare la quantità delle redazioni del Cannoniere e vagliare la qualità del miglioramento stilistico che il Poeta apportava all’ opera sua. Per i nostri maggiori poeti, almeno, la critica italiana deve fare, rispetto alla storia del testo, quello che, riguardo a’ greci e a’ latini, hanno fatto i tedeschi e ora, felicemente, fanno anche gl’ italiani. Forse, tra il manoscritto beriano che prendo in esame e parecchi di quelli coliazionati dal Pasqualigo, parmi aver rinvenuto traccie non dubbie di comune origine. Il che, mentre sfata la comoda leggenda eh’ ogni variante d’ un codice inesplorato è dovuta al capriccio del copista, infonde non so qual fiducia nello studioso che, usando le debite cautele e non avventurandosi a una corsa sfrenata, potrà disegnare, quando che sia, una prima linea del grand’ albero genealogico de’ mss. petrarcheschi ove troveranno il posto gran parte di quelli che rappresentano una tra le più antiche redazioni. Se non che, sia perchè in lavori di tal genere bisogna andare col pie’ di piombo, sia perchè attendo a’ resultati che mi daranno tre altri mss. d’una biblioteca privata di Genova, rimando ciò a tempo migliore. Non voglio però nascondere che in parecchi de’ Canti di questo ms. beriano, là, specialmente, dove si affollano varianti sopra varianti, parmi, o io m’ingano, a una tal quale loro fattura e a certi raffronti, che ci troviam presente a una tra le prime redazioni de’ Trionfi. Oltre, dico, a una non saprei qual loro rudezza e pesantezza nella locuzione (carattere, per altro, incerto e soggettivo e sul quale solo non c’è da fidarsi di soverchio), mettendo a raffronto la lezione di questo ms. — che chiamerò B' — con quella d’un altro Beriano (di cui le varianti verranno nel libro-del Pellegrini) — che chiamerò B2 —, e tutt’e due con l’edizione del iMestica, mi parve, in casi non infrequenti* di notare una certa progressione ascendente, nell’ordine delle correzioni GIORNALE LIGUSTICO 39 dal B1 al B2 e da questo alla lezione accettata dal Mestica. Riferisco qui pochi degli esempi da me notati : Trionfo della Morte, I, 28. B.1 : e uno miracolo era a veder ivi B.2: Era miraeoi novo a veder quivi Μ. : Era miraeoi grande a veder quivi. Id. 1. c., 75· B.1 : di che si maraviglia et si riprende B.2: Che or si maraviglia or si riprende M. : Di che or si meraviglia e si riprende. Id. 1. c., 77. B.1 : fu stato un poco, ben lo riconosco, B.2: Fu stata un poco, ben le riconosco M. : Fu stata alquanto, « Ben le ricognosco, ». Id. 1. c., 81. B.1 : pur non sentisti mai qual sia il mio toscho B.2: Pur non sentisti mai mio duro toscho M. : Pur non sentisti già mai del mio tosco. Id. 1. c., 104. B.1 : e chi ve la pur pon[e] se si ritrova B.2: ma chi non ve la pone e se si trova M. : Ma pur chi ve la pon, se poi si trova. Non vo’, come potrei, aumentar più cosiffatti esempi : del resto che, oltre a questo Canto, anche quello della Pudicitia rappresenti, nel B.1, una redazione primitiva, si riconosce anche da questo. Il Mestica al primo terzetto di tal Trionfo, annota: « Qui parecchi codici recano varianti diverse, anteriori tutte- 40 GIORNALE LIGUSTICO alla definitiva del nostro testo. Ecco, per es., quella del cod. 45 del Seminario di Padova: Quando vidi in un puncto et in un luogo Domo de[Domita] l’alterezza degli Dei, Et l’orgoglio degli uomini ad un giogo ». Cosi riferisce il Mestica. Or, meno qualche leggiera e notevole variante, vedasi se il B.- non dà la medesima lezione : « Quando viddi in nun tempo e in un luogho domita l’alterezza delli dei et l’orgoglio de gl’uomini, a un giogho ». Ma non tutti i Canti de’ Trionfi offerti dal B.1 offrono una redazione primitiva: si riconosce, se non foss’altro, dal numero delle varianti. Le quali, varie e molteplici in parecchi Canti, in altri, come nel terzo della Fama, sono scarsissime e di valore affatto povero. Dunque, se di quel Canto altri codici dànno varianti copiose, s’ ha da dire, come affermammo più innanzi, che la collezione de’ Canti dell’antigrafo del B.1 s’è fatta in tempi diversi: il possessore del codice è arrivato ad ottenere il terzo Canto del Trionfo della Fama, quando esso era pervenuto già alla redazione dataci dal Mestica. Non è lecito credere poi che le varianti del B.1, sien dovute a falsa lettura o a capricci del copista. Certo qualcosa del copista in questo codice si scorge, ma non va di là da qualche vocale ond egli, con pericolo d’aumentare o scemare di una sillaba il verso, arricchisce, con pertinace frequenza, qualche voce ossitona. Ma la più gran parte delle varianti sue son rincalzate da molti codici esaminati dal Pasqualigo, da qualche prima stampa (1472), e, raramente, dall’autografo bembiano. Del terzo Canto del Trionfo d’Amore, ad esempio, il Mestica leg°e il verso cencinquanta cosi : « Onde per strette a gran pena si migra », GIORNALE LIGUSTICO 41 e annota: « Nel V3 (3197) il Bembo aveva scritto con dolor sì migra, lezione probabilmente del suo antigrafo; poi, cancellato con dolor, sostituì in margine a gran pena ». Or ecco come, secondo l’antigrafo avuto dinanzi dal Bembo, con di più la variante serrata, legge il B.1 : « Onde [poi] serrata con dolor se migra ». Non insistiamo più. Il codice beriano rappresenta, in gran parte, una redazione primitiva, e, meno qualche svista facilmente discernibile, dà varianti delle quali ci possiamo fidare. Il B.' è un codice miscellaneo del quattrocento (2, 2, 20) e misura cm. 25, 5 X 14. Ha sul dorso il titolo « De Vara-gine Jacobus, Chronica », che lo comprende in gran parte, ma è ricco di varie operette d’importanza minore e, nelle prime 36 carte contiene i Trionfi del Petrarca. Tutti i Canti non hanno alcuna intestazione, solo, in fine al Trionfo del-l’Eternità, leggesi: « Francisci petrarce triumphus // Sextus et ultimus//Explicit ». Ciò non toglie, però, che al recto della carta seguente sieno trascritti i primi sette ternari del Trionfo della Morte, a cui, nel tergo, segue questa postilla della medesima mano: « Messer franciesco petrarcha fece questa hope-retta che s’apella triumphi: la quale e’ parte e distingue in sei triumphi, e quali di grado in grado l’uno triumpha sopra l’altro, fino che viene al sexto e ultimo del giudicio. » E prima fa triumphare Amore, mostrando di sua natura e conditione. E drieto li manda tutti gl’ uomini famoxi che dallui sono stati alacciati e prexi. » Nel secondo fa triumphar la pudicitia colle sue sorelle. Le quali con somma virtù e casta vita da questo amore si sono difese, e loro sopra di lui inno triumphato. » Nel terzo fa triumphar la morte la quale senza discretione, ogni creatura, per virtuosa casta e moderata che sia, pone abasso. Et sopra tutte triumpha. 42 GIORNALE LIGUSTICO » Nel quarto fa triumphar la fama, che anchora la morte spengha tanti nobili huomini. E tanta virtù, tutta volta l’alta fama appresso morte resta di loro la qual vittoriosa sopra lei triunpha. E qui fa un discorso di tutti gl’ uomini famoxi sono stati al mondo, e maxime Caldei ebrei, Greci e latini, tanto di scienza quanto d’ arme e d’ ogn’ altro atto virtuoso e laudabile, che per fama anno triumphato sopra cruda sorte. » Nel quinto fa triumphare el tempo, el quale, con corto o lungo andare, consuma e spegne questa fama, come quello che consuma e distrugge e sè conserva. » Nel sexto e ultimo triumpha el Giudicio, el quale e fama e tempo e ogn’altra cosa a consumare e fondere e recare al niente è insuperoma (insuperabile?) resta e triumpha ». Premesso ciò, eccoci, senz’altro, a dar la lista delle varianti, ricordando però che non abbiamo insistito su quelle puramente grafiche che han poca o nessuna importanza. Sia detto una volta per sempre che la collazione è fatta con la ben nota edizione del Mestica. Trionfo d’Amore, III (i). 128 Tiepidi — giuochi cibi — | 129 vento che l’alma semplicetta — I 131 il di fa vincitor e prongne — | 135 che più de gl occhi il tuo tributo chiede | 136 — volse quei die vulgo — I 139 — di morte (2) | 140 — all’arco | 141 e (1) Il B‘ è, sul principio, mutilo, perchè furon strappati, chi sa quando, dei fogli. (2) Di morte, verrebbe a far rima con morte del verso 137, e, certo, è svista grave. Ma già nel B2 abbiamo trovato, nel sonetto LXXV, che il secondo e settimo verso finivano con la medesima parola martiri. E cii> dicemmo indizio di redazione primitiva. Più, secondo il testo del Mestica, nel Trionfo della fama, canto primo, il Petrarca fa rimare Reina del verso 20 con divina del verso 22. Vedo bene: qui le parole son diverse, ma l’assonanza è, certo, molesta assai, cosa che il Petrarca avrebbe tolto, se fosse tornato a limare i Trionfi. GIORNALE LIGUSTICO 43 false hopenion sopra le — | 142 — le sale | 143 = 145 del Mestica, e nel 145 torna il 143 — | 147 — e furo inganno ) 148 Sollecito peccato e virtù pigra | 149 Carcere onde si vien per strada aperta | 150 onde [poi] serrata con dolor se migra. | 152 — torbida | 153 di certo duolo e d’allegrezza incerta | 154 Non bolle sì vulgan[o] lipari ed ischia 1 155 Stromboli | 156 onde — I 160 ivi poi — | 161 Sentj molt’anni — | 162 nè potei per ingegno il sì far no | 164 ebbi — | 165 — memorabili — I 166 — la vaga vista — | 167 che disir di saper )u pronto — I 168 — conoscer chi e quanto fusse — | 169 e mi struggea più ch’ai sol neve | 171 — lunga puntura (1) | Pudicizia, Canto unico. i Quando viddi in nun tempo e in nun luogho domita 1’ alterezza delli dei et Γ orgoglio de gl’ uomini, a un giogho. 4 — assempro — | 5 faciendo mio profitto — | 9 1 un[o] detto iddio e l’altro homo mortale | 10 — a un lacciuolo Iunone — | 14 giovane — | 16 non è ancor questa gran — | 19 Nè con — I 21 eh’a terra e cielo — [23 — colei di cui ragiono | 24 — presta che vapori o venti | 25 non fa — | 27 Scilla 0 cariddi — | 28 che assai maggior — | 29 non fusse dal dubioso — | 31 — si riteneva in alto | 32 — l’onor de 1’ampresa | 33 I cuor — avean[o] fatto — | 36 — a l’orecchio avea già stesa | 39 — e da catena | 40 che non fusse paruto lento — | 41 — pronto lei fedire | 42 — al viso di eh’ io ardo | 43 disire | 45 duro a veder in — [47 mostrò 111 quel — I 54 —, a chi l’attende, sì funesto | 55 Io era al fin (i) Qui collaziono col testo riprodotto in nota dal Mestica, poiché i versi 154-172, in parecchi codd. e nella stampa del 1472, si leggono in una redazione, evidentemente anteriore, e che più s’avvicina al B1. 44 GIORNALE LIGUSTICO de 1 opra intento — | 57 e per non più da lei' star diviso | 61 Tal ero io a dir, signor, se vinci | 65 — sarien — | 67 E già y dorati strali erano stinti nella tredda onestà accesi in fiamma d’amorosa biltà in piacer tinti. | 73 Nè I 74 contro al — | 75 contra que’ che’ cor vince c 1 armi smaglia | 76 erano intorno allei tutte le sue | 77 chiare virtù ! ο — I 79 chastità e vergongna — | 80 nobili — | 85 Euterpe Lia (1) — | 86 — a torno a torno — | 87 — e gran disio — | 88 — canuti e giovenile — | 90 Con somma pudicitia alma biltate | 91 — con si secondo | 93 — non soffersi il I 94 ivi ben mille gloriose — | 96 e legarli per forza ambo le palme | 104 — ov’ è (2) la vedov’orba | 105 che gran — | 109 — e tanto a piggior — | in — suo tutte ad — I 116 eh’i’ vidi e non oso a — | 122 catena di diamanti — I 124 legarlo vidi — | 125 — a mille alte — | 129 — con 1’altre elette | 133 — queste e gli strali | 134 ha-'ean spezato e la faretra allato | 136 — apresso al fero — | 141 Servaron lor[o] — | 142 — saggia e casta — | 145 — e con alquante — | 151 portò del fiume — | 154 — pellegrine | 158 la qual vera honestate ha — | 161 sovr’arno — | 168 lassando, I 175 e la guardia maggior della più bella | 175 nel tnunpho I 177 —e per l’imperio — | 178 ivi giugnenur.o— | spegner nella mente — | 185 ivi dispose I 187 — giovane — non nascose I 193 — io vidi — | (1) Ben sette mss. consultati dal Pasqualigo hanno questa notevole variante; sol ch’ei lesse male, trascrivendo: Eutrapdia (sic). Petrarca, 1. c. p. 64, n. (2) Ον l, presente storico, ove fu la vedova orba che fece la memorabile e gran vendetta. GIORNALE LIGUSTICO 45 Trionto della Morte, I (Οι Quella — | 25 — altra arme | 27 â honesto amico | 28 e uno miracolo era a veder ivi | 29 — l’arme ad amor — | 30 e tay morti dallui, tay presi e vivi | 33 — givano strette | 34 _ perchè rara è vera — | 37 era la loro — | 38 ermellino I 38 c’oro fino e [di] topazi — | 45 — e di vivuole | 46 — gentil cor — I 47 — venian — | 53 di gioventute e di belleza — | 56 da voi, 0 — | 58 I’ ò — | 62 e giugnen-d’ io — I 63 ό interotti infiniti — | 64 hora a noi — | 65 — corso innanzi che — | 66 — dolçe alchuno — | 69 rispose — | 70 altri son che n’avran — | 71 — del mio viver — | 73 — gl’ occhi tende | 74 e vede quel che prima non iscorse | 75 — si maraviglia et si riprende | 76 — e poi in torse | 77 — stato un poco, ben lo riconosco | 78 disse, e so quando mio — I 78 poi col ciglio — | 81 — sentisti mai qual sia il mio toscho I 84 — vecchieza e suoi — | 89 et quindi — | 91 rispuose — | 93 — può — | 94 — da Cattayo — | 98 — e regnanti imperadori | 99 — e miseri — | 100 — o (= u’ B3) son I 104 e chi ve la pur pon[e] se si ritrova | 107 tutti tornate — I no — non sien — | 112 il sogiogar — | 113 — genti strane | 115 e col sangue aquistar — | 117 Vie più — | 123 al dubbio — | 132 — un lauro (d’auro?) crine | 136 — lacrimosi — | 137 fur ivi — begl’occhi — | 138 per chui lunga stagione cantai e arsi | 139 e tra tanti — | 141 del suo ben viver — | 146 — e se cangion — | 149 per pietà di quell’anima gentile | 151 l’ora prima era, il di — | 153 cosi fortuna— | 155 — morte, com’io— | 158—ch’ero giunto— | 159 nè allei torre ancora sua dengnitate | 160 o qual — quinci (1) In questo canto il M. segue il Palatino 195, che innesta sette terzetti: Quanti gii ne ecc. alla lezione della Volgata, la quale è riprodotta dal B1 : segno anche questo eh’ esso appartiene a una redazione primitiva. 46 GIORNALE LIGUSTICO si stima I 160 — pensare— | 162 — in versi o rima | 163 virtù more e bellezza — [ 164 le belle donne intorno — | 165 triste dicien — j 166 chi vedrà ^mai in — | 167 — di saper — | 168 chi ’l canto — intelletto | 173 c’apparisse ivi mai — | 175 poiché disposto — | 177 e per disperazion[e] — | 178 — che per forza è spenta | 180 ne va in pace — | 183 traendo al fine — | 185 — senza venti — | 189 — gli sciocchi | . Trionfo della Fama, I (1). i del volto I — di biltate — | 8 giugner — | 10 come in sul — I 13 cotale veniva e o di quali — | 14 — discriva — | x5 — semplici — | 16 — dintorno al — | 17 — il disir acceso al core | 21 molti di quelli — vedi — | 22 — ove gl’ occhi in prima porsi | 30 talora 0 per via — o per — | 31 — tutti nell’ordine — j 34 — pispiglio '35 — ed ecco a’ primi due | 36 1’un[o] seguire — | 37 — alchun pare — j 42 — in tra’ lodati | 43 — a guisa — | 44 — con consiglio — | 48 di rea semenza — | 49 — ebbe a vedere occhi — ( 50 e uno gran — | 51 — Annibaie a — ) 55 Un[o] Mario. Erno Fabritio assai più belli (2) | 58 Cincinnato e ’l soriau — | 61 perchè a tanto d’onor — | 62 chella sua virtù — [ 64 — che figlio percusse | 66 — c’orba — | 73 Mudo, Levinio — | 75 vie più che con pietà il — | 76 eravi que’ — | 78 — il costrinse — | 79 e que’ — | 80 — e que’ — | 8 e chi — (1) Di questo Trionfo l’abbozzo autografo casanatense dà varianti ne’ soli primi 36 versi, essendo, nel restante, mutilo. Il Mestica dice bene: « Nella composizione di questo Quarto Trionfo scrisse (il Petrarca) primamente il canto Nel cor pien; poi a meglio svolgere e poeticamente illustrare la materia, lo sostituì con due, il primo Da poi che morte ecc , e il secondo Pien' d’infinita ecc. Ma perchè il cominciamento del primo di questi due canti non si legava strettamente col secondo del Trionfo della Morts, il quale immediatamente lo precede, prese dal canto scartato i primi 24 versi e li innestò in quello, eliminandone da esso altrettanti, cioè i primi 24 ». Il B‘ ha, in quella primitiva redazione, due, almeno, de’ tre canti. (2) Questo verso è certo curioso. Se in erno è possibile rinvenire un curio, dove mai è andato a pescar un Mario, che tornerà, a suo luogo, in questo medesimo ^ Trionfo ? È da considerarsi quale una dimenticanza del Petrarca, o un capriccio del copista ? GIORNALE LIGUSTICO 47 grand’ opra ! — nel nemico — | 88 — conobbi e gl’ occhi suoi — I 90 e poi viddi un[o] grande — | 92 — fu tra noi | 95 que’ che d’ allor suo destro e legiero | 96 che nome nel fior — I 98 — que’ che ’l seguio c’orbò benigno | 102 Vo-lumio nobil[e] — | 107 que’ tre scogli e tre folgori — | 116 — che non chiaro si vede | 118 dico Metello, il suo padre e ’l — I 119 — e de’ Numidi | 120 e di creta — adusse — | 122 il buono e bel — | 156 eh’ebbon al meglio il — | 127 — oltre — I Canto II. 5 — gl’alti molti (?) — | 7 — disviarmi pelegrini — | 8 — e quel tanto ne’ versi (1) | 10 I due — e’ due — | 17 — Aiax — I 20 — che spose | 21 ebber poco felici o di gran risse | 22 Leonides — | 28 Melciade — a’ Greci — | 30 vivo legossi — I 31 Theseo themistocles — | 32 Aristides — I 33 — crudel mente — | 36 — intrestitio | 37 — di sopra I 39 — da l’opra | 40 — il gran Pirro — | 41 — Massinissa gli era aviso | 43 cosi — | 44 hyero seraghusan conobbi ’l crudo I 45 e — I 46 — nudo | 47 — assempro | 49 — pari a tale — | 51 — cadde e[gli] sopra ’l delfico — | 53 gl’occhi' ergho I 55 quel che — il grande — [59 produsse — | 62 in gratia o in parlar — | 63 — altro, dico, tanto à vanto | 6 5 colla possente lingua — | 67 — che dio ben vole j 68 — subbietto — I 69 — con semplici — [72 — già era eletto | 73 sotto — I 74 — spose: saggio | 75 Iosep — lontanarsi poco I 76 — scendendo — | 77 guardando quanto l’occhio oltre travarca | 78 — e Sanson guasto | 80 e que’ — | 82 vidi il buon Giuda — j 88 — vagho di mirar — | 89 — e Rithia — | 93 ch’ebbe 1’una — | 101 e tra queste una giovane — | 104 con una treccia avvolta — | 105 correr[e] la babilonica (1) Sarebbe: vidi, primo, Annibaie, e poi quel così grande Achille che ne’ versi ebbe gran fregi di fama. L’espressione, certo, è un po’ contorta; ma gli è questo segno che accusa una redazione primitiva. 48 GIORNALE LIGUSTICO rapina | 107 vedi Cleopatra — | 110 e quanto in più gioventù e ’n — I 112 — fu si gran francheza | x 13 che ’l suo bel viso e la ferrata coma | riS — che ’n dir bene — | 121 — on-d’ogni humana storia | 123 chui superbia — | 127 — de’ nostri dogi con duro | 134 e il re arturo — ] 149 — dopo costoro il — I 150 — a’ nostri già vergogna — 153 fu a rengno — | 154 guardo — | 159 i qual[i] chiudean — | Canto III. i — di tal — I 8 — umile mente | 13 questi — | 20 — eloquentia à tratti — I 25 uno folgor — | 26 seco era Eschin che poteo — [ 27 già fioco | 35 eh’ è si mal colta e mal — | 36 — di che grecia — | 38 -— gran nome — | 42— padovano I 43 mentre io il mirava — | 54 — cercando in fame ingiuste I 56 — e 1’opere — | 60 di trangoli e tondi — | 70 uno di — in lui — | 71 — tra noi a lor — | 85 e que’ che vidde i suoi campi disfatti | 86 lieto e diserto — | 92 — e con l’ingengni vaghi | 119 — pinger Cleante (1) | 120 che trae — | Trionfo della Morte, II. 3 di eh io — I 4 — per l’ayre — | 10 — disiata | 13 — colei che n prima — | 18 ombrata dal bel lauro e verde faggio | 21 dimmi, io ti priego, se [tu] se’ morta o viva ] 22 — io, ma tu I 27 anzi quel — | 34 — della prigione schura | 35 a 1 anima gentile, all’altre è a noya | 41 divotamente: poi mosse in — | 48 — et più la — | 63 c’ amò me — | 67 e quando — | 74 a dolce albergo — | 75 — di te sol pietà | 89 — datte fii il mio cor — | 91 c’a salvar të e me — | 92 — giovinetta — (98 e questo è quel — | 105 — e la tua vita e ’l mio honore | rii tussai che m’ài — | 114 chi non (1) Gli ultimi quattro versi di questo canto sono i più ricchi di varianti che, dice il Mestica, vanno, senza dubbio, riferite tutte all’autore. GIORNALE LIGUSTICO 49 l’aita s’il conosco a’ segni | 118 cosi, or caldo or freddo, or nero or bianco | 121 — assai veggio | 123 diss’ io — | 129 — ch’intorno al collo avei — | 136 — zelo | 142 — già fioco I 149 Solo i tuoi — I 150 di più | 153 — e più ti diedi | 155 — volte, più di I 156 rendimi con pietà | 162 — in questa di partenza — | 175 Et coxì sia — | 180 — oceano sino | 181 — per partirne | 186 — ni’ è troppo greve j 188 sono — o per tempo | 189 Et ella mossa già | Trionfo della Fama, (i) 14 — stilo I 19 — insieme | 21 che ciascun ■— | 23 dalla man — | 24 — in francia e in germania j 27 — e minor | 29 Curio e fabritio | 31 — corvinio | 32 — troppa pietà | 36 — con tardità e | 39 — gli fe’ | 41 — contra | 42 che nè ferro nè foco a virtù | 45 sin[o] che — | 46 — vinse | 48 e’ duo che prima in — | 49 Appio audace — | 5 1 — vinto lor | 54 — riportar il | 55 — quindi e quinci | 57 — dittatore Mamilio | 59 — e Volunnio, Gracco e | 62 — con Roman | 64 vidi i due — (66 — di sua rubello | 71 — sengno | 72 — colla chiara soma | 76 Era un — | 79 E in fra — | 80 del sangue della figlia | 84 e Mario il qual — | 105 — forse il mondo | 106 anco mi | 108 — fu dall’ombra | no — peregrino I 114 — e al buon monte | 138 Prima a italici regi era — | 119 P°i era pico e fauno e Jan[o] — | 120 [e] vidi pensosi — | 124 — al mio | 126 Sicché parëa a veder — | 127 — un gran leophante un doge — | 150 vidi lacedemonio — | 131 c’a cruda gente — | 132 et d’un[o] nido medesmo uscir gisippo I 133 —eh’andaron | 135 e qui lasciar di — | 139 A-chille, Diomede — | 145 — fece noya | 147 apresso, al mar ov’ — I 163 — fine vidi Arturo e Carlo | (1) Collaziono col testo riportato in Appendice dal Mestica, 1 c., p. 670. Giorn. Ligustico. Anno XX1J. 4 5° GIORNALE LIGUSTICO Trionfo dell’Amore, Canto IV. 2 or quindi or quinci — | 3 — ricordarle | 6 — dolcemente lagrimando | 8 — scuro | 10 — chi erano | 16 Guardomnii— | 18 Spiato ày tutti gli affetti — | 19 — non sostiene | 22 — giunge I 25 Ma dimmi — | 30 — per sforzar | 33 — insegne io fui I 3Ó — più d’ altro mai | 42 furo a — si brievi e — | 51 che bene è orbo — | 54 fü uno scoglo | 60 morire in prima — | 61 — del dolor mio — | 62 — preghi eran[o] sì — I 68 Lei' e ongni mio — | 71 notabil cosa — è breve | 73 Pien di pietate e ripensando al breve | 75 parvemi aver al sol un cor — | 82 — vogl’hor che — | 84 e domandane — | 85 A tanto — I 93 — ciaschuno in quel — | 94 Io vidi yre a man mancha un[o] — | 980 grande amor e — | 99 tal che la stessa — | 101 — di lor dolci — | 104 eran già — | 114 gliel diedi — 1 115 Strattonica ebbe nome — | 118 Che contenta — | 123 — sua sul fiorire era finita | 126 — che lui soccorse | 129 — mi poteo — | 138 — noi sofferse — | 140 tanti che — | 142 — era ivi | 153 — altrui davanti a — | 154 — per amor vita rincrebbe | 155 — rafighurai alchun de’ moderni | 165 da tre — | 176 — vago uccello — | 179 — aspra e silvestra | 186 — cantar per la lor verde — | Trionfo del Tempo. i Nel taureo — | 7 — s’un che famoso — | 8 della sua — | 21 — dico primo — | 25 — quali io veggio — | 29 — notte e dì rotando | 37 Alloro tenni il — | 40 — terribil vanitate | 45 fondare in — | 49 — e li stesso la | 51 che, pur vedendo, era mirabil cosa | 52 vedrà quel esser, come là vidi io | 56 — uno gran specchio | 57 nel qual — | 59 — al breve mio viver — | 62 mobile — fredda — | 64 qui è — | 72 ma piega — I 80 — usi, ma volgete — | 81 — si può il — | 89 — tener del — | 97 — si radopiava — | 99 d’alchun de’ GIORNALE LICUSTICO suoi volea — | 102 — di certi abissi | 104 — cerebro | 109 — instabile e sereno | 112 — vostre grandezze — | 119 nè mai s’arresta si riposa — | 122 non è mirabil cosa — | 124 — o sparle | 126 — in fummo — | 129 — nostra cosa — | 132 — nè ’l crede | 136 — felici morti — | 142 Tutto — | Trionfo dell’Eternità. 9 _ non so — I 23 — e si la — | 26 — in in un piè — | 45 — sia memoria — | 50 che chi pone speranza — | 51 che il lieve tempo porta | —53 — d’argomenti | 55 Quei che ’l mondo governa pur — ! 55 — e quieta — | 60 — stando — | 66 tutta — passerà — j 100 — non so; sassel proprio essa | 105 — di rangni | 113 poi vedrem prender ciascun — | 114 — scacciata si rimboscha | 115 — in quel — | 120 — altra colpa — 1 124 — in disfar — | 131 — belli tornar | 135 — a tutti — I 141 — ancor il cor — | « Francisci petrarce triumphus Sextus et Ultimus Explicit ». Morte, Canto I (1). 8 — ma di rivo — [9 — fora in verso | 10 Costui ch’io — | 15 Sengnò — | 16 — chaso | 17 congiungon le lor chiare e torbide — | 18 la mia chademia e mio parnaso | 19 — un bel lume — | 20 che le volse a buon porto si ratenne | Dott. Donato Gravino. (ij Sono le varianti de’ sette ternari che innestò al principio del primo canto della Morte. Al prossimo fascicolo : uno studio del Marchese Marcello Staglieno sopra il giureconsulto Luigi Corvetto, contenente gli atti di Stato Civile e altre notizie inedite sopra la vita di lui. )2 GIORNALE LIGUSTICO UN GENTILUOMO PIEMONTESE DELLA L» METÀ DEL SECOLO XVI GIACOMO PROVANA DI LEYNÌ I. Il 20 agosto 1517 Leone X concesse a Giacomo III Provana dei signori di Leyni la dispensa apostolica dal 4.° grado di consanguineità, che lo univa a Filiberta della Ravoira, perchè potesse colla medesima stringere matrimonio (1). Il Provana apparteneva ad una famiglia nobile molto antica, che ebbe parte notevolissima nella storia del Piemonte medioevale e moderno. Le notizie più remote sui Provana risalgono con certezza alla metà del sec. XIII, in cui essi nel solo Piemonte costituivano già almeno 10 famiglie (2), senza tener conto dei rami che crescevano in Provenza, nell’Armenia ed altrove. Uno dei loro feudi principali fu Carignano, ed è appunto del ramo dei Provana di Carignano che venne quello dei Provana di Levni. Nel 1300 Leyni fu per la prima volta concessa in feudo a Corrado e Franceschino Provana di Ca- (1) Archivio Provana. Provana di Alpignano. Contratti di matrimonio e monacazioni, mazzo I, categoria 4.·, n. 16. — L’Archivio Provana è a Pianezza in proprietà del signor Agostino Fontana, e debbo alla squisita cortesia del medesimo e della sua gentil.”* Signora il permesso di esaminare con ogni agio le carte che a me importavano. Debbo pure viva riconoscenza all’ egregio signor avvocato Giuseppe Bocca, il quale con gentile premura mi rese facile l’ingresso a quell’Archivio. (2) Αχ gius, Famiglie nobili della monarchia di Savoia, Torino, Fontana e Isnardi, 1843, vol. I, pag. 1219. GIORNALE LIGUSTICO 53 rignano durante la signoria dei marchesi di Monferrato. Fran-ceschino non ebbe discendenza. Corrado invece lasciò cinque figli, di cui tre ebbero prole e furono i capi della nuova famiglia (i). I due primi, Giacomo o Giacomotto e Franceschino il 19 gennaio 1337 vennero investiti da Giacomo, figlio di Teodoro I, marchese di Monferrato, della parte loro spettante di Leyni (2), mentre del terzo figlio, Riccardo, è ignoto finora l’anno d’investitura. Col tempo i discendenti dei tre fratelli acquistarono nuovi feudi. La linea di Giacomotto, biforcatasi, ebbe giurisdizione sui feudi di Alpignano e Frossasco, e di Bruent e Rubbianetta; quella di Franceschino fu designata dai feudi di Bussolino, della Gorra, e poi, dopo l’estinzione dei Savoia-Collegno, anche dal feudo di Collegno. La discendenza di Riccardo fu signora di Faule, Castel Reniero e Castel Brillant. Dal ramo primogenito, da Giacomotto, discendeva Giacomo. Unitosi a Filiberta della Ravoira dopo la licenza ottenuta, ne ebbe un figlio, Andrea, il famoso ammiraglio. In qual anno? non si sa. Il Tenivelli nella biografia di Andrea Provana (3) non ne fece ricerca, ed erroneamente lo credette figlio di Anna Grimaldi di Boglio, moglie in seconde nozze di Giacomo, come vedremo tra poco. Il chiarissimo Barone Claretta (4) lo dice « nato nel castello di Leyni intorno al 1511 » da (1) Op. cit., I, 1234. (2) Benvenuto di S. Giorgio, Cronaca del Monferrato, Torino, 1780, pag. 125: «L’anno predetto 1337 inditione quinta alli decinove del mese di gennaio il predetto marchese Giovanni nel castello di Chiavasso diede in feudo a Franceschino e Giacomotto Provana il castello e terra di Leinico, e per rispetto di essa ricognizione feudale giurarono la perpetua fedeltà ad esso marchese alla presenza di Oberto di Tilio, Francesco di Gabiano, Giovanni Deato di Villa e molti altri : del che fu rogato istromento a Raimondello Bava di Grazano notaio ». L’Angius, I, 1234, sbaglia l’anno: scrive 1328. (3) Biografia piemontese, decade III, Torino, Soffietti, 1787. (4) Dell’ Ordine Mauri\iano nel primo secolo della sua fondazione e del suo grand’ammiraglio, Andrea Provana di Leyni, Torino, Bocca, 1890, pag. 2. 54 GIORNALE LIGUSTICO Giacomo e da Filiberta. Il documento citato della dispensa di Leone X a Giacomo del 1517 distrugge ogni probabilità per la data 15 ix. Andrea dovette dunque nascere dopo il 1517, forse nel 1518, o certo poco dopo, perchè negl’ultimi anni di sua vita viene di solito rappresentato come molto inoltrato negli anni. Inoltre Giacomo, nel suo testamento, fatto il 28 aprile 1545, di cui discorreremo in seguito, mentre dichiarava di lasciare eredi universali Andrea e Gaspare, figlio avuto da altre nozze, nomina per quest’ultimo solo, come minorenne, vari tutori. Andrea dunque nel 1545 era già in età maggiore, il che porta la data della sua nascita ni più tardi intorno al 1520. Oltre ad Andrea Giacomo ebbe da Filiberta della Ravoira 4 figlie, Maria e Violante, già maritate nel 1545, la prima a Giorgio di Monluc dei conti di Valperga, e la seconda a Vespasiano Bobba, signore di Lu, e Antonina e Cassandra, che nel 1545 erano ancora nubili (1). Morta Filiberta, Giacomo sposò in seconde nozze Anna Grimaldi di Boglio, vedova di Carlo Provana pure dei signori di Leyni, consanguineo di Giacomo, e nel 1539 dal nuovo matrimonio era già nato un figlio, Gaspare, poiché in quest’ anno Giacomo come padre e legittimo amministratore di Gaspare agiva contro Percivalle Provana, erede del suddetto Carlo per la restituzione della dote di Anna, ed otteneva il 19 giugno da Carlo III, duca di Savoia, un prescritto che obbligava Percivalle a cedere (2). Poco sappiamo della vita di Giacomo prima del 1543. Ci risulta che nel 1528 egli era scudiero di Beatrice di Portogallo, sposa di Carlo III, da una patente del 27 luglio di quell’anno, dove Beatrice lo eleggeva gran castellano e chiavaro di Ciriè in successione del padre suo Gioanello Provana, morto poco (i) Anche questo appare nel testamento cit. (2,1 Archivio Provana. Provana di Alpignano. Contratti di matrimonio e monacazioni, mazzo I, categoria 4.*, n. 25. GIORNALE LIGUSTICO 55 prima (i). Nel 1535 poi, come consigliere dì Beatrice, insieme col conte di Piossasco, presidente del consiglio, ed ai consiglieri Lamberto di Scalenghe, Antonio di Piossasco e Lelio di Vi-novo, ebbe parte nel raccogliere i tre stati, ai quali Carlo III chiedeva soccorso di denari per difendersi dai Francesi. Carlo V imperatore combatteva allora in Africa: approfittando della sua assenza i francesi minacciavano d’invadere il Piemonte ed il Milanese (2). Nel 1543 i francesi stanziati in Piemonte tentarono l’occupazione di Nizza, la quale con Vercelli e Cuneo costituiva 1’ ultimo baluardo del Duca di Savoia. Da lungo tempo essi agognavano quel possesso, ed in quest’ anno per riuscire con maggior sicurezza fecero venire nelle acque di Provenza il temuto ammiraglio dei turchi, Kaireddm Barbarossa, con una flotta poderosa. Carlo III, che da più dati aveva sentore delle mosse nemiche, si recò a Nizza, per provvedere alla difesa, e di là il 6 marzo inviò prima a Genova presso la Signoria ed il residente cesareo, poi a Milano dal marchese del Vasto, luogotenente cesareo in Italia, Giacomo Provana, allora mastro di casa di Emanuele Filiberto, principe di Piemonte, per lagnarsi delle truppe imperiali in Piemonte, riguardo particolarmente al contado di Vercelli, dove esse gravavano senza ritegno sui poveri paesani (3), e probabilmente anche a chiedere aiuto (1) Archivio di Stato di Torino. Protocolli ducali n. 203 (Laude Chatel registri) fol. 28. Chambery 27 luglio 1528 e fol. 29. 8 agosto 1528. « Su-plicatum quoque dilecti nobis Jacobi de Provanis, scutisseri nostri dicti Jo- hannelli filii..... ». — Il Claretta, Notizie storiche intorno alia vita ed ai tempi di Beatrice di Portogallo, duchessa di Savoia, Torino, Botta, 1863, pag. 123, nella lista degli scudieri di Beatrice non nomina Giacomo Provana. (2) Claretta, op. cit., pag. 89 e 188. (3) Gioffredo, Storia delle Alpi marittime (Mon. hist. patr., Script., II) col. 1373. — Nella Biblioteca di S. M. in Torino si conserva un grosso manoscritto col titolo: Inventario dell’archivio del castello di Κίχχα (Mss. di 5 6 GIORNALE LIGUSTICO per ditendere Nizza. Lo munì inoltre di varie lettere pei gommatori delle citta piemontesi che erano nel suo cammino. Il Piovana andò alla sua missione, ed un mese dopo, il 12 aprile ne scriveva il risultato poco felice al Duca da Ivrea. Aveva presentato le lettere, secondo gli ordini ricevuti, a tutti fuorché al governatore di \ ercelli,che era assente nella valle d Aosta, ed al signor di Masserano, che era stato irreperibile. Il marchese del Vasto poi, a cui il Provana doveva parlare dei « grans desordres » del « pouvre pays qui sont tres piteulx », mancava da Milano. Quindi la missione nel suo lato essenziale falli. Il Provana non potè far altro che rincuorare i governatori ed ufficiali piemontesi, e riceverne le proteste del « bon \ ouloir qui est de vouloir employer tout le pouvoir jusques aux femmes et enffants pour vostre service et la recouvrance de vostre estât ». Sotto questo rispetto il signor di Leyni rimase soddisfatto. « Et vous asseure, monseigneur, quils ont este tres-aise dentendre vostre bonne voulonté davoir bonne souvenance de ses subyects avecques bonne voulonté de les recouvrer et les... de captivité » (1). La flotta turchesca si appressava, e Carlo si recò personalmente a Milano per sollecitare i soccorsi nel luglio di que- i/o; ia patria n. 594), diviso in quinterni, e con notizie di documenti molto importanti. Fra 1 altro nel quinterno 2°, n. 7 è scritto che in quell’archivio esisteva « Un ... masso di quatro pezze concernenti la memoria data al s. Giacomo di Leyni, mastro di casi del s.' Prencipe di Piemonte, per quello dovea fare appresso il Marchese del Vast per parte del s.' Duca et lettere scritte per parte d’esso Duca al detto Marchese in servitio di Giu-seppe Aschieri di Nizza dell anno 1543 ”· Feci ricerca di questi documenti nell Arch. di Stato di Γorino, dove, secondo che gentilmente mi comunicò il conte Cais di Pierlas, furono trasportate tutte le carte di Nizza e del contado, ma non mi riuscì di scovarle. 11) Arch. di St. di Torino. Lettere particolari. Giacomo Provana di Leyni al Duca. Ivrea 12 aprile 1543. GIORNALE LIGUSTICO 57 st’anno (i). Di là inviò a Nizza come governatore del Castello un uomo fido e capace, fra Paolo Simeone dei Balbi, gran priore di Lombardia (2). Il marchese mandò pure un corpo di truppe nell’Astigiano sotto Oddone Provana, capitano, perchè ingrossassero il presidio di Nizza (3), ma durante i preparativi di questa spedizione ai primi d’agosto il Barbarossa colla (1) Il TosELLl, Précis historique de Nice depuis sa fondation jusqu’en 1860, vol. I, Nice, Cacuru, MDCCCLXVII, pag. 137, scrive che il Duca quando s’era recato a Nizza, provveduto ai bisogni della piazza, tornò in Piemonte « suivi de son fils le prince Emmanuel-Philibert pour aller à la defense de la citadelle de Verceil ». Ora Em. Filiberto rimase a Nizza, e solo quando la fiotta turchesca fu vicina riparò a Genova. V. Arch. di st. di Venezia. Capi del consiglio dei Dieci, busta n. 28. Lettere di Amb.ri in Savoia 1543-1626. Casale 9 agosto 1543 « Per lettere di Genoa di vi s’è inteso II Principe di Piemonte... è ivi già alcuni pochi di havendo preso per ispediente di non star a Nizza ». (2) Arch. di St. di Torino. Contado di Nizza, mazzo I d’addizione. Lettere di Carlo III e di Em. Filiberto alla città di Nizza ed all’abate di S. Ponzo sulle cose del contado (1543 e 1544). Carlo III ai sindaci e comune di Nizza Milano 7 luglio 1543. «Nous avons bien voulsu vous advenir comme envoyons depardella mons.' le grand prieur de Lombardie, present porteur, pour entrer en la charge de notre chateau de Nice. Laquelle luy avons comise pource que... ne scauvions choisir personnaige plus duisant et propice en telle dignité que ledit grand prieur, qui sûmes asseuré aura l’œuil à vous garder et preserver suyvant le commandement que luy en avons fait...» L’abate di S. Ponzio, Onorato Martelli, morto intorno al 1550, fu un personaggio notevole nei suoi tempi. V. di lui in Gioffredo, col. 1464. (3) Id. id. Carlo III ai medesimi. Vercelli 5 agosto 1543. « D’aultre part mons/ le marquis de mesmes a despeché ung bon nombre de gens pour vostre aide, ainsi que plus au long pouvrez estre adverty par le s.’ de Provane, qu’est allé de nostre part sur l’Astesane fere le payement de la fanterie pour puis la garder et conduire a Nyce. Si que J’espere que aveques set secours pouvrez aisement obvyer aux iniques entreprinses des ennemys... » Il Tisserand, Histoire civile et religieuse de la cité de Nice et du département des Alpes Maritimes, Nice, Visconti e Delbecchi, 1862, vol. II, pag. 44, scrive che al momento dell’assedio in Nizza a Hommes, femmes, enfants, se mirent a l’oeuvre. Jacque Provana, sieur de Leiny, commandait les mous- GIORNALE LIGUSTICO sua flotta entrò nel porto di Nizza e strinse la città di un assedio durissimo (i). Carlo, di ritorno a Vercelli, mandò in fretta a Milano il conte di Challant, perchè spingesse il marchese ad un’ azione risoluta (2), ed incaricò il conte di Cha-tillon, Carlo di Mombello, conte di Frossasco, ed il protonotario Giambattista Provana dei signori di Leyni, cugino di Giacomo, di recarsi a Genova, e chiedere soccorso a quella signoria. La risposta di Genova fu soddisfacente: rifiutò di prendere atteggiamento ostile verso i Gallo-Turchi per timore di rappresaglie, ma promise in segreto aiuti di danaro, quando il marchese del Vasto si fosse mosso lungo la riviera a salvare la piazza (3). I tre messi scongiurarono il Duca di fare ogni sacrifizio per evitare la rovina di Nizza, sciagura alla quale quetaires, et son frère Otton six cents cavaliers ». È un errore. Nè Giacomo nè Oddone Provana erano a Nizza in quei giorni, e lo vedremo presto. Ignoro pure donde il Tisserand abbia tolto che Oddone Provana era fratello di Giacomo Essi non avevano altro di comune che il cognome. (1) Lettere cit. di Carlo III e di Em. Fil. alla città di Nizza ecc... Em. Filiberto ai sindaci e comune di Nizza. Genova 7 agosto 1545 « 11 n’est besoing vous fere entendre le regret et peyne ou summes de l’arrivee de l’armee pour sentir nostre part de vostre travail comme de bons et loyaulx subgects qu’avez tousiours esté à monseig. et pere... ». (2) V. lettera del Challant al Duca. Milano 15 agosto 1543 in Gioffredo 1425-26. (3) Arch. di St. di Torino. Genova. Lettere ministri, mazzo I. Lettere del protonotario Provana di Leyni al Duca (1543) Provana al Duca. Genova 16 agosto 1543. a La responce fu.... que en tout ce que leur scaroyt possible de fer pour beneffice de v. Ex.* qu’ils le feriont pour l’affection qu’ils vous portent et qu’ils ont tousjours pourté a vostre mayson. Ne voulsirent fere aultre déclaration. Despuis y’ai entendu de bon lieu que, si monsieur le marquis fait l’entreprise qu’il a résolu avecques v. Ex.·, que ils donneront ayde d’argeant secretement et a cest effect il est requis que monsieur le marquis leur escrive un peu chaudement, sans dedairer ne fere entendre cecy a chascung, ains le plus secretement que sera poussible ». Pubbl. dal Gioffredo, pag. 1426 e ss. in cui anche pubblica altri documenti sull’ assedio di Nizza. GIORNALE LIGUSTICO 59 giammai si sarebbe potato trovar compenso (i). Ed a questo certo attendeva Carlo con ogni sollerzia (2), ma senza le truppe spagnuole era impotente, e queste indugiavano sempre. Cosi abbandonata a sè Nizza dopo disperata resistenza cadde e venne sacchessiata orrendamente. Solo il castello difeso dal Simeone OD rimase saldo respingendo ogni assalto del nemico. Allora soltanto comparvero le genti spagnuole. (1) Id. id. « Monseigneur. — Il plaira a v. Ex.' voir les advis que maintenant la segneurie a envoyé a monseig/ le prince, que grâces a Dieu sont tels que Ion apersoyt que Dyeu y met sa grâce et son Ayde, dont le deb-vons bien recconoistre. Et puis que les afferes sont en sy bon termes, nous vous supplions très humblement que vostre bon plaisir scoyt de accelerer le secours, et si v. Ex.' despendera bien quelque somme dargent, il luy plaira considerer que il ne fust onques temps que maintenant, car il y va lhonneur, lestât et toute la réputation de v: Ex.' et sii advenoyt le malheur de perdre a ce coup, v. Ex.' pense que elle perdroyt chose non recuperable et per-deroyt avecques Nice tout le susdict. Et vous supplions, monseig.r, de non vous arrester ne fier sur aultre, car laffere touche a vous. Et si bien v. Ex.' fera quelque grosse dispance il y plaira considerer ce que la dicte dispance luj gaignera, joint que les gens que v. Ex.' mandera ou conduyra sont pour ly gaigner de choses que ly payeront bien la dispence a troys doubles. Nous recommcndant très humblement a vostre bonne gi ace prions nostre seigqu’il vous doint monseig.' très bonne et longue vie. De Gennes en haste pour faulte de secretaire. Ce x viii D’Aoust 1543. Très humbles et Très hobeissant subjects et serviteur Chatillion. Le prothonot.' provana. ' Charles De Montbel. Plubb. anche dal Gioffredo loc. cit., non sempre correttamente. (2) Arch. di Stato di Venezia. Capi del consiglio dei Dieci. Lettere di Amb.rl in Savoia (busta n. 28) lett. cit. da Casale 9 agosto 1543. « Per lettere da Vercelli s’intende la ressolutione presa per s." Imp.“ di non far per adesso l’Impresa de Chiavasso, et ch’el duca di Savoya deve partir per Savona per dar quell’aiuto che potrà a Nizza, della perdita di quale si dubita per non vi esser potuto giunger a tempo il soccorso che si mandava di 8000 fanti Italiani ». 6o GIORNALE LIGUSTICO Aveva il marchese mandato per la via di Fenestrelle e S. Martino il nostro Giacomo Provana con 2000 italiani, pel colle di Tenda altri 500 sotto Oddone Provana, mentre il grosso dell’ esercito comandato da lui e da Carlo III procedeva lungo la riviera. Giunto ad Oneglia e conosciuta la partenza dei Turchi stremati dall’ oppugnazione, il marchese rimandò le sue genti in Piemonte e col Duca entrò in Nizza (1). Salvato quel castello e rimediato in parte ai gravissimi danni sofferti dalla misera città, il Duca ed il Marchese assediarono Mondovi, che il 3 novembre s’arrese e ricevette presidio spagnuolo (2). Ai primi del 1544 troviamo Giacomo Provana in Biella, mandato dal Duca per provvedere alla sicurezza della città. (1) Chronique Niçoise de Jean Badat (15 16-67) Pubb. dal Cais de Pierlas (estratto dalla Romania, tomo XXV (1896)) pag 38. « Dits Franseses et Turchs bateron lo castel siei gjours, et non plus, per fauta de monissions. Interim venget lo secors de 2000 Itallians, de quals era cap lo sig.r Jaques S/ de Leinì, passerom per Fenestras, et autres 500, quals condusia lo sig/ Audum Provana, per quals lo papo Paul paget 60 mille o sus ducats, et lo camp gros venia per Ribiera [Riviera di Genova] conduch per nostre duca Carle, due de Savoia, et venget fins alla vai de Oneglia, et d’aqui mon-terom in Piémont; perche los dits Franseses et Turchs abandonerom la villa et meterom lo fuec als quatre cantons della villa ».— Dal Badat il Gioffredo, col. 1398, e gli storici di Nizza. Toselli, op. cit. I, 138-39. Durante, Histoire de Nice depuis sa fondation jusqu’à TAnnée ΙΊ92, Turin, Favaie 1823, tomo II, pag. 310. — La liberazione di Nizza è pure narrata in una lettera del Calendar of Letters, Déspatches and State papers helating to thè negotiations letween England and Spain preserved in thè archives at Si-mencas, Vienna, Brussels and Elsewhere, vol. VI, part. II, Henry VIII, (1542-43) ed. Pascual de Gayangos, London 1895, pag. 497. Carlo V ad Eustazio Chapuys, Binche 4 ottobre 1543. Dice che per lettere del marchese del Vasto, del principe Doria e di Gomez Suarez de Figueroa, suo ambasciatore a Genova aveva notizia che il Barbarossa, inteso il loro appressarsi aveva tolto l’assedio al castello di Nizza. (2) Gioefredo, col. 1441. GIORNALE LIGUSTICO 6 I Vi si trovava da poco tempo, quando il 26 febbraio, inviata dal marchese, giunse colà una schiera di spagnuoli, della quale erano comandanti Cesare Maio da Napoli, famoso maestro di campo dell’esercito imperiale, e un capitano Gian Maria, allo scopo di fortificare la terra (i). Queste genti arrivarono in uno stato di completo disordine alle 4 di notte. Il Maio trovò il posto adatto a fortificazioni, sebbene non privo di difficoltà, e si rivolse ai Biellesi manifestando i suoi intendimenti: « In quanto alla fortificatione dii loco il cap.n0 Jan Maria con il sopradetto s. Cesare ano ritrovato il loco belissimo, però non con quella facilità qual si diceva. Loro mandeno il loro parere al s/ M.e, et starano aspettando risposta di le domande qual a fato il s.r Cesare a quelj di la tera ». (2). Giacomo Provana era poco favorevole a questa iermata di Spagnuoli; egli vedeva troppo bene i danni che la loro permanenza avrebbe recato al paese. Consigliò quindi il Duca a farli ritirare. « Saria bene di mandar il Capitano di fanteria [Gian Maria] dal s.r Marchese per risolversi di quanto averano da fare et cerchar di levar la gente de qui al più presto sarà possibile » (3). Egli volle intanto rimanere a Biella finché giungesse la risposta del marchese. Carlo rispose a Giacomo con lettera, che fu recata da un signor di Ternengo, e nella quale lo autorizzava a pubblicare un bando in favore del comune, con invito agli Spagnuoli di partire non appena si fosse dai Biellesi stabilita (1) Arch. di St. di Torino. Lettere particolari. Giacomo Provana al Duca. Biella giorno di carnevale (27 febbraio) 1544. — V. anche copia in Carteggio e Memorie dal 152η al 1590 (Ms. della Bi'bl. di S. M. in Torino. Mss. di storia patria n. 560 in 5 vol.) vol. I, n. 8. (2) Id. lett. cit. (3) Lett. cit. 62 GIORNALE LIGUSTICO una somma da sborsare ai soldati con viveri e qualche altra cosa (i). Pochi anni prima Biella era già stata infestata dai presidi Spagnuoli. Nel 1538 avevano i suoi cittadini dovuto dar alloggio ai soldati, per quanto dal marchese del Vasto ne avessero ottenuto esenzione. Allora i Biellesi s’erano lagnati col Duca, il quale da Nizza ne scrisse il 23 aprile al marchese, invitandolo ad esentarli « de tali allogiamenti et d’ ogni altro carigho de soldati et etiamdio de contributioni qualunche havendo rispetto a la sterilitate di quello cantone qual non potrebbe patir più avanti » (2). Ora il caso si rinnovava in parte. Giacomo conferì col Maio, esponendo quanto il Duca gli aveva commesso, ed il Maio acconsentì allo sgombro della città e del territorio a patto d’una contribuzione di 3000 scudi e d’una certa quantità di viveri con 25 bestie da soma. I Biellesi si rassegnarono. Si stabili il i.° marzo che di li a 10 giorni essi avrebbero sborsato metà della somma, ed alla fine del mese il resto. Gli Spagnuoli dovevano allontanarsi la mattina del giorno seguente, 2 marzo. Giunta l’ora si diedero a tergiversare, ed il Maio dichiarò che le sue genti sarebbero partite da Biella, ma avrebbero fatto sosta ad un terzo di miglio solo dalla città, e non si sarebbero mossi di là che dopo il pagamento completo dei 3000 scudi. I consoli ed il consiglio sdegnati scrissero il fatto al Duca, lagnandosi amaramente che la presenza di quelle truppe nel loro contado li rovinava non meno della loro permanenza in (1) Carteggio e Memorie, vol. I, η. η. I consoli ed il consiglio di Biella al Duca Biella, 2 marzo 1544. «Subito gionto il s.r di Ternengo qui con le lettere di V. E. scritte al s.' di Leinì, si cercò co Usuo mezzo di parlar al Sig. Mastro di campo per levarne questa giente, e così si rimesse al detto Sig. di Leinì che facesse bando, secondo V. E. gli haveva scritto.... » (2) Arch. di Stato di Torino. Registri lettere della corte (1536-1550) f. 36. GIORNALE LIGUSTICO 63 città. Essi rammaricarono « che quello che si poteva far con una lettera solamente si sia fatto con tanta giente, et-mandar li humilissimi et fedelissimi sudditi soi in ultima destruccione et povertà senza haver noi datto cagione alcuna, anzi sempre obbedito et fatto in ogni nostro potter quello » che loro era ordinato dal Duca stesso (1). Il Provana ed il Maio fecero intanto una corsa a Volpiano, ed il 6 marzo ritornati a Biella trovarono un ordine del marchese; che ingiungeva al Maio di fortificare un monastero della città, deliberazione rovinosa pei danni che necessariamente si dovevano fare alle case, senza che la fortificazione riuscisse conforme al desiderio (2). Il marchese, per mostrare che la decisione era stata presa con prudenza, diceva d’aver proceduto in essa d’ accordo coi ministri stessi del Duca. Ma il signor di Leyni pregò ed ottenne dal Maio che sospendesse 1’ esecuzione dell’ ordine, e scrivesse al marchese « come a luj par che non sia necessario questa fortificatione per adeso, et che meglio saria di servirsi di questa gente altrove in qualche meglior opera che questa ». Egli stesso ne avvertì il Duca, ed attese la sua risposta per « far dislogiar la gente al più presto saria possibile con lo adjuto di Dio » (3). Pare che i soldati Spagnuoli non si siano appagati delle disposizioni prese ed abbiano commesso disordini. Alcuni si ribellarono presso (1) Lett. cit. dei consoli e consiglio di Biella. (2) Arch. di Stato di Torino. Lettere particolari. Giacomo Provana al Duca. Biella 7 marzo 1544 (v. copia in: Carteggio e Memorie, cit. I, n. 13) « Erj sera jonsemo in questa tera di ritorno da Volpiano, dove avemo fatto quello che eramo andatj per fare, come farò intendere a V. Ex.1* al mjo ritorno, qual spero sarà presto, et jonti che siamo stati qua avemo ritrovato litere dal S.r Marchese del Vasto al majstro di campo che deba fortificare uno monastero qual saria la rujna di questa tera, perchè andarjano rujnate la bontà de le case di questa tera, et il loco saria di poco servitio... » (3) Lett. cit. del Provana. GIORNALE LIGUSTICO la città, ma già il 22 marzo erano stati ridotti al dovere (1). Non so poi come sia finita questa faccenda per Biella. Di Giacomo Provana in quest’anno non ho altre notizie; bensì per l’anno seguente. Carlo III dopo l’assedio di Nizza aveva sentito un lieve miglioramento nella sua posizione; aveva ricuperato Carmagnola e Vigone, sebbene S. Germano fosse caduto in possesso dei Francesi. Di più nell’aprile 1544 1 esercito imperiale, sebbene vinto a Ceresole, aveva occupato successivamente Carignano, Alba, Sant’Albano e gran tratto del Monferrato (2). Solo una flotta di Turchi nelle acque di Tolone minacciava nuovamente Nizza, e Carlo III preoccupato chiese soccorso alla dieta di Spira raccolta allora. La dieta lo raccomandò il 4 febbraio al papa, che per unica concessione lo autorizzò a riscuotere varie decime ecclesiastiche (3). Sentenziò anche la dieta il 5 aprile che gli Svizzeri dovessero restituirgli i paesi da lungo tempo occupati; ma essi non ne tennero conto, e nessuno volle costringerli. Intanto 1 imperatore il 18 settembre faceva col re di Francia la pace di Créspy, con patto, tra l’altro, che venisse il Duca reintegrato nei suoi stati; ma questa condizione rimase lettera morta, e sebbene i Francesi sgombrassero alcune piazze, essendovi subito entrati gli Spagnuoli, l’autorità del Duca rimase non meno nominale (4). Fu allora che Carlo III decise d’inviare alla dieta di Worms del prossimo anno Emanuele Filiberto, appena diciasettenne, con un seguito di 40 personaggi, fra cui tenevano il primo posto Giambattista Provana, l’antico protonotario i) Carteggio e Memorie, I. Tommaso Valperga, governatore di Biella, al Duca. Biella 20 marzo 1544. Id. Pietro Gazino al Duca. Biella 22 marzo 1544. (2 Ricotti: Storia della monarchia piemontese, I, 273. (3> M- 14' Id I, 274-75. GIORNALE LIGUSTICO 65 apostolico, ora vescovo di Nizza, Aimone di Lullin, governatore del giovane Principe, ed il nostro Giacomo Provana, maggiordomo del medesimo. Si noti pure che questi tre personaggi erano tra quelli che Carlo III nel suo testamento del 27 febbraio 1540 aveva eletto consiglieri del figlio, quando egli fosse mancato (1). Segretario del Principe in questa legazione era Ugo Michaud, ciambellano e poi gran scudiero Carlo di Mombello, conte di Frossasco, e tesoriere Gio. Francesco Rebuffi. Giacomo Provana teneva in questi giorni il governo del castello di Lanzo. Dovendo partire col Principe incaricò del comando durante la sua assenza un gentiluomo, che fu in questo ufficio aiutato pure dal fratello di Giacomo, Carlo Provana, abate della Novalesa, zelantissimo per gli interessi del Duca (2). (1) Guichenon : Histoire généalogique de la maison de Savoye, pag. 656 e nelle: Preuves pag. 503-4, dove pubblica il testamento di Carlo. Ivi è ricordato « Iacopo de Provanis ex dominis Leinicij », v. anche Tonso: De vita Emanuelis Phililierti, Torino, 1596, pag. 35. De Monpleinchamp: L’histoire d'Em. Philibert, duc de Savoye, gouverneur generai des Pais-bas, Amsterdam, Jack le Noir, 1693, pag. 54. (2) Questo s’apprende da una lettera di Carlo Provana che riproduco. (Arch. di Stato di Torino. Lettere particolari). È diretta al Duca. « Μ."10 et ecc.”'’ s. s.' mio oss.”° — Nel gionger mio qua il gentilhuomo lassato da mio fratello alla custodia del castello di Lanz m’ha fatto intender esser fornita la paglia delli soldati ordinati da v. ecc.* in quel presidio, et perchè mi credevo eh’ 1’ s.r Thomas di Valperga al suo ritorno da Milano mandaria l’ordine neccessario, ho voluto per servitio di v. ec.* intratener detti soldati sia eh’ io gle le havesse dato aviso, attiò la si degni comandar a detto s/ Thomas provveda secondo il buon piacer et ordine di v. Ecc.”’* Et perchè mio fratello mi fece intender quella haver ordinato a quelli di Lanz provedessero di letti et altre cose necessarie per el dormire d’ essi soldati, per non haver lassato el s. Marchese cosa alcuna nel detto Castello, non di meno sia al presente non si è fatta da essi huomini provisione alcuna, et li soldati dormeno in terra. Sarà del buon piacer di v. ecc.* Giorn. Ligustico. Anno XXII. 5 66 GIORNALE LIGUSTICO Inoltre Giacomo dettò il suo testamento il 28 aprile di quell’anno in Levni al notaio Bernardo Jaini di Chieri (1). Nominò eredi universali Andrea e Gaspare, suoi figli, dedotta la somma di 6000 scudi che lasciò in parti uguali alle due figlie non ancora maritate, Antonina e Cassandra, quando prendessero marito (2). Alle altre due gii maritate, Maria e Y’iolante, confermò solo la dote già data all’epoca del matrimonio, raccomandando loro espressamente di contentarsene (3). farli scriver non li voglino manclure, per non esser cosa di gran costo. — Ho fatto diligentia per haver qualche fasanotti fossero sufficienti, nu sin al presente non ho trovata cosa per mandar a v. ecc.'** Perhò la supplico havemii per iscusato et quanto più presto trovarò cosa buona non m.mcharò sodisfar a parte dii debito mio. Nè altro occorrendomi bascio humilmentc le mani di v. Ecc.* Et N. S. la prosperi sempre felice. Da Volpiano alli 15 di giugno MDXLV Nelli Comm.’* et Servi ti j di v. Ecc.* Humil et fideliss.· subdito et ser." Carlo Provana. Notizie e documenti su Carlo Provana diede il Chiar." Prof. Cipolla: Brevi appunti di storia novaheienst, Torino, Clauscn, 1896 (estratto dalle Memorie della R. Accad. delle Scienze, serie II, tomo XLXj pag. 176. Carlo Provana fu uomo notevole pei suoi tempi. (1) Archivio Provana. Eredi Provana di Alpignano, vol 1, n. 17. Il documento è noto all'Angius: op. cit., I, 1156: ma vien solo citato. (2) « Item instituit memoratus dominus testator et Jure particularis Institutionis sibi heredes particulares fecit nobiles et generosas dominus Antho-ninam et Cassandram, ipsius domini testatoris filias Icgipiimas el naturales in scutis iribus millibus pro qualibet earum eisdem dandis et solvendis per cius heredes universales infrascriptos, quotienscumque ad actum matrimonii devenerint ». (3) o----voluit, iuasit et ordinavit dominus testator easdem Mag “* dominus Mariam et Violandam fore et esse tacitas et contenus, et nil aliud petere, exigere, consequi vel habere posse ia bonis et hereditatibus eiusdem damini testatoris et preiaie Mag.“ domine Fhiliberic earum matris.... » GIORNALE L1GUSTIGO 6? A Gaspare lasciò la dote della madre, Anna Grimaldi di Boglio, che era di 3000 scudi, e per giustizia stabili pure che si prelevasse ugual somma dal patrimonio a favore di Andrea, come dote di Filiberta della Ravoirà, madre del medesimo, sebbene nell’istrumento dotale di lei tale somma non apparisse. In caso poi si spegnesse la linea di Andrea e Gaspare, Carlo Provana, abate della Novalesa, fratello di Giacomo, doveva esserne l’erede, ed alla sua morte le quattro figlie del testatore avrebbero diviso i beni campestri (« in omnibus bonis rusticalibus »), mentre nei beni feudali sarebbe succeduto Niccolò Provana di Leyni, parente pur esso di Giacomo. Siccome poi Gaspare era ancora minorenne, Giacomo nominò tutori l’abate Carlo, Giambattista Provana, vescovo di Nizza, suo cugino, e Niccolò Provana. In questo testamento, fatto con molta serenità di mente e cautela, Giacomo pensò alla possibilità di morire fuori del suo paese (a si contingat eundem dominem testatorem decedere extra ducalem Sabaudie patriam »); e dispose perchè in tal caso si celebrassero messe per Γ anima sua nella chiesa del luogo dove fosse defunto, e che 25 poveri colle torcie accese seguissero il suo feretro durante il trasporto alla chiesa predetta. 1 suoi figli poi non dovevano trascurare le messe ed altri divini uffizi ogni anno nella chiesa di S. Maria delle Grazie di Chieri. Se la morte l’avesse colto invece nella patria, il corpo suo doveva venir seppellito in quella chiesa di S. Maria delle Grazie di Chieri, nella cappella appartenente a lui ed al fratello Carlo, abate, dove già riposavano le ossa di Gioanello Provana di Leyni, padre del testatore. Si dovevano celebrar messe per l’anima sua da un sacerdote, scelto dai suoi figli e pagato in seguito con 2 scudi d’ oro. Raccomandava in ultimo esplicitamente ai figli di pagare i debiti ch’egli potesse lasciare. (Contìnua). 68 GIORNALE LIGUSTICO COMUNICAZIONI ED APPUNTI Dove è nato Antonio Bonumbre? Si sapeva da qualche anno che un Antonio Bonumbre, Vescovo d’Accia in Corsica, era stato ambasciatore o altrimenti incaricato d’una missione ecclesiastica od anche pontificia, in Russia, nella seconda metà del secolo XV, ma non se ne aveva altra notizia personale. L’ illustre padre Pierling, a cui si deve tale scoperta e che ne ha parlato in uno de suoi opuscoli, ove si occupa appunto di tali relazioni colla Russia, sua patria, scriveva, non è molto, da Parigi al comm. Cornelio Desimoni aver trovato, in seguito ad ulteriori ricerche, che il Bonumbre era originario di Savona, e che prima di essere Vescovo di Accia, che è quanto dire anteriormente al 4 Maggio 1467, era stato Arciprete della Parrocchia, non sapeva bene se di Vado o di Rado: sul che chiedeva qualche informazione. Rispondeva il Desimoni trattarsi indubbiamente del nostro Vado, aggiungendo che si sarebbe rivolto al comm. Vittorio Poggi, civico bibliotecario a Savona, per chiedergli se gli annali o altre memorie savonesi accennassero più o meno a tali fatti o, quanto meno, all’esistenza d’una famiglia di questo nome. Le indagini praticate in proposito non hanno finora approdato ad alcun risultato positivo. In una discussione svoltasi su questo argomento, nell’ultima seduta della Società Storica Savonese (vedi più sotto) è risultato che « la cognomina-zione di Bonumbre non figura nell’elenco delle famiglie savonesi, avendosi fra queste i Bono, i Deibuono, i Buonfiglio, i Bongiovanni ed altri, ma non un casato che corrisponda a quello in questione o almeno vi rassomigli)). [E i Bonora, del qual cognome fu appunto l’arciprete di Vado un decennio fa?] C’è tra i lettori del Ligustico chi sappia dar notizie di questo personaggio ? La Società Storica Savonese tenne adunanza il giorno 2 aprile, della quale assunse la presidenza l’onorevole Paolo Boselli. Erano presenti molti soci. GIORNALE LIGUSTICO 69 Venne comunicata lettera del ministro dell’istruzione intorno a un sussidio assegnato alla Società, mercè i buoni uffici del Presidente, al quale l’assemblea tributa vivi ringraziamenti. Il segretario Bruno da schiarimenti sulla pratica circa la cessione degli avanzi della Siracusa del Chiabrera alla Società, la quale ha già ottenuto l’adesione del Ministero. Dopo osservazioni dell’on. Boselli, del comm. Poggi, del prof. Castelli, del cav. Acquarone, l’assemblea, delibera unanime di instare nuovamente perchè siano rimessi al più presto alla Società quei locali, pregando nel tempo stesso il patrio municipio a volere interessarsi della cosa ed aggiun- . gere a tali istanze il suo voto. Il comm. Poggi accenna come il Corpus Inscriptionum, da lui annunziato nella seduta antecedente, sia pressoché pronto: e ne rileva l’importanza per la nostra storia, la quale avrà nello stesso il più fido documento. L’egregio socio fa anche assegnamento sulle comunicazioni che all’uopo potranno fargli i colleghi e quelle persone che possedessero elementi tali da poter utilmente contribuire all’opera. L’assemblea delibera la stampa di questo Corpus in volume separato. Lo stesso comm. Poggi comunica pure la domanda dell'illustre padre Pierling, relativa al vescovo Antonio Bonumbre (vedi sopra) e infine, sulla relazione del socio avv. Pessano, viene dopo qualche discussione, approvato il nuovo Statuto della Società, nel quale furono introdotte dalla speciale commissione incaricata notevoli modificazioni in confronto dell’antico. In onore di GIUSEPPE FANTUZZI Il Prof. Guido Bigoni del nostro Liceo Colombo, fin dal 27 Gennaio scorso, faceva pubblica, a mezzo del Cajfaro, una sua proposta perchè la Società Ginnastica Cristoforo Colombo promotrice delle feste per il centenario della bandiera tricolore, cogliesse l’occasione propizia e la nostra città onorasse la memoria di Giuseppe F anturi morto nell’assedio memorando del 1800. Sapevamo che la Società aveva avviàta qualche pratica col Municipio perchè dal nome del Fantuzzi venga denominata una strada e siano ricor- 70 GIORNALE LIGUSTICO date in acconcia iscrizione le benemerenze e la morte del prode bellunese. Ora siamo lieti di potere annunciare che la iniziativa del prof. Bigoni è stata, nella sua prima parte, coronata da felice esito; giacché la Giunta Municipale nella sua seduta del 21 corr. Aprile, deliberava di dare il nome di Giuseppe Fantuzzi al tratto di Via Milano che va dal Tunnel alla Lanterna. La demostocraxia del generale bellunese è rimasta un ricordo storico per gli eruditi, ma l’esempio d’una vita nobilissima per ogni rapporto (e lo sa chiunque ha letto gli elogi che scrissero del Fantuzzi Ugo Foscolo e Luigi Carrer) è degno d’essere ricordato al popolo in occasione delle feste centenarie del tricolore. Dall’opera manuale sulle zattere del patrio Piave e dall’ozio delle feste veneziane fu riscosso il giovane al grido di libertà che i ribelli magnanimi di Kosciuszko mandarono sulla Vistola, al grido di libertà e al rullo dei tamburi di Bonaparte, che dall’Adda e dal Mincio fugarono le milizie deU’Austria. Generale maggiore in Polonia, Ajutante generale a Genova nel 1800, Giuseppe FantuxTj cade di palla austriaca all’assalto della Coronata il Maggio del 1800: al rullo di quei tamburi, all’ombra di quel vessillo tricolorato rinasceva la coscienza della Italia moderna. Memorabile combattimento, osserva il Belgrano nelle sue Imbrevia-ture di Giovanni Scriba (pag. 257), in forza del quale dalle milizie dell’ala diritta fu ripresa la posizione dei Due Fratelli, e sgomberata dagli insorti polceveraschi e dagli austriaci l’intera linea che si stende da questo monte fino alla Coronata: linea importante, come quella cui si rannodavano essenzialmente le zone difensive di levante e di ponente (30 aprile, 1 e 2 maggio). Il generale Gazan, l’aiutante Thiebault, il Foscolo, Antonio Ga-sparinetti, capitano e poeta egli pure, toccavano gloriose ferite (1); e il prode Fantuzzi, colpito in fronte da una palla di fucile, cadea fra le braccia (1) Thiebault, Journal, I. 237 ; Giornale, pag. 16^-83. Petracchi, Istoria del Blocco di Genova; Genova, Porcile e C., 1800; pag. 81. Koch, Mémoires di Massaia, IV. 148-57.— Quest’ ultimo loda i genovesi, i quali raccolsero i feriti con sollecitudine fraterna , e dal Massena furono ringraziati con un proclama. Nè mancò loro un Comitato di soccorso, composto delle gentildonne Antonietta Costa, Felicina Tealdi. Teresa Parodi e Collettina Durazzo. Ved. Cla-VA.RIN0, Annali, III. 101. Del Fantuzzi fa altresì onorevole menzione il Bossi, nel Diario che abbiamo pubblicato nel Ligustico dello scorso anno p. 353. Cfr. il diario di Graberg di Hemso negli Atti di S. L. di S. P. XXIII. 11 Marbot nelle sue mémoires racconta l’assalto della Coronata (Monte Corona) ma mentre si diffonde in particolari sopra il ferimento e la cattura del suo compatriota generale Soult, al quale vorrebbe attribuire tutta la gloria di quella giornata, non parla dell’ italiano Fantuzzi. Ma di qneste « patriottiche preterizioni » non c’ è da stupire. GIORNALE LIGUSTICO dell’amico; il quale, poco stante, gli consacrava generose parole nella Oratione a Bonaparte pel Congresso di Lione. Imperocché, intendendo Ugo a rintuzzare l’audacia di coloro, i quali, « insultando alla fortuna da tanti secoli avversa agli italiani », osavano chiamarli « degeneri degli avi », dirige qui una calda invocazione ai caduti nelle italiche pugne . « H o* (esclamai, e voi, che da’ ricuperati colli di Genova accompagnaste alle sedi degli eroi lo spirito di Giuseppe Fantuzzi, gridate voi tutti: Forti, terribili, e a libera morte devoti furono i nostri petti ; benché pochi, ignudi e spregiati » (i). Ma anche più tardi piacque al Foscolo di celebrare quel valoroso ; e scrisse in una lettera ad Isabella Albrizzi : « Io avevo per consiglio e conforto nella milizia il generale Fantuzzi ed il generale Teuliè; l’uno morì sui colli di Genova fra le mie braccia, ed il secondo mi fu rapito lontano da me. Mi lasciarono tutti due 1’ esempio delle loro sciagure e la memoria delle loro virtù » (2). Chi legge ora più la risposta data dal bellunese al problema : Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità della Italia, problema posto dalla Amministrazione Generale della Lombardia il primo di Ottobre del 1796? Eppure sulla stessa questione di Oriente, il Fantuzzi, che avea conosciuto i Russi in Polonia, intuisce verità delle quali fu poi dato esclusivo merito al Mazzini e al Balbo, nè gli sfugge la connessione fra la questione d’ O-riente stessa e quella, per lui fondamentale della integrità e della indipendenza della nazione italiana. Pensatore dunque questo soldato morto l’anno terribile e glorioso per la nostra città. Il « Ligustico ». (1) Foscolo, Prose Politiche, pag. 50. — ]1 Fantuzzi era nato a Belluno nel 1761 e la sua morte vedesi annunciata dal Monitore Ligure del 3 maggio (pag. 257). Il Pecchio rammenta anche di aver veduto il nome del prode generale « inscritto in una di quelle tante piramidi posticce, che in tutti quei posticci Governi si facevano per onorare la memoria dei bravi » ; ma non se ne intese più parlare durante l’impero, « in cui il colosso di Napoleone copriva coll immensa sua ombra ogni altro nome » (Vita ecc., pag. 48). (2) Perosiho, Lettere ecc., pag. 280. Al prossimo numero un articolo sopra la recente pubblicazione storica documentata su Gavi del venerando Comm. Cornelio Desimoni. 72 GIORNALE LIGUSTICO SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nel corrente anno furono nominati nuovi soci effettivi della Società i Signori : Prof. Guido Bigoni. — Can. Bobbi Cesare. — Busni Guglielmo. — Can. Pietro Castellini. — Federico Castello. — March. Avv. Giacomo Cattaneo. Avv. Comm. Maurizio Caveri. — Cav. Ernesto Chiossone. — Prof. Gaetano Cogo. — Club Alpino Italiano. — Emilio Dall’ Orso. — Conte Eugenio Figoli des Geneys. — D’Oria March Ing. Giorgio. — Avv. Nicolò Drago. — Avv. Paolo Fallabrini. — Don Giovanni Ghio. — Prof. Comm. Arturo Issel. — Mongiardino Comm. Ing. Emilio. — Rev. Tomaso Olcese. — Pallavicino March. Alessandro. — Parodi Tortello Silvio. — Carlo Pendola. — Sauli March. Ambrogio. — March. Bernardo Sopranis. — Conte Comm. Edilio Raggio Dep. al Pari. — Comm. Armando Raggio. Fu nominato socio onorario (dall’Assemblea del 5 Febbraio 1897) il March. Comm. G. Doria Senatore del Regno, Pres. della Società Geografica Italiana. — Corrispondente il Conte Comm. Carlo Cipolla. * * + Riforme dello Statuto. — L’Assemblea Generale dei soci radunatasi il 7 Febbraio fu importantissima perchè in essa si discusse e si approvò il nuovo Statuto della Società. Importantissime sono le modificazioni apportate. Il Consiglio Direttivo viene ad essere costituito da un Presidente, 2 Vice-Presidenti, 12 Consiglieri: tra essi poi viene scelto dal Consiglio un Tesoriere, un Delegato alla Contabilità, un Bibliotecario, un Segretario Generale. Il Vice-Segretario Generale viene nominato dal Consiglio Direttivo. La Società si suddivide in cinque Sezioni : Storia — Legislazione e Giurisprudenza Storica — Paletnologia — Archeologia — Belle Arti. Si determinò la nomina di 3 Revisori dei conti e si disciplinò in modo vigoroso l’esercizio della contabilità sociale, ecc. La commissione per la compilazione dello Statuto era composta dei socii: Avv. G. Balbi. — Avv. March. Paolo Spinola. — Avv. P. G. Breschi relatore. * * * Nomine sociali. — Nell’Assemblea Generale del 14 Febbraio dopo la commemorazione del compianto Don Amedeo Vigna fu costituito il nuovo ufficio di Presidenza come segue : GIORNALE LIGUSTICO 73 Presidente: March. Comm. Avv. Cesare Imperiale dei Principi di S. Angelo Deputato al Parlamento. Vice-Presidenti: Comm. Prof. A. G. Barrili — Cav. Prof. Avv. E. Bensa. Consiglieri : Avv. Giulio Balbi — Avv. P. G. Breschi Prof. G. Cam-pora — Comm. Avv. L. Centurini — Cav. Luigi Augusto Cervetto Comm. Francesco Costa — Arturo Ferretto — Francesco Podestà March. Cav. Marcello Staglieno, Tesoriere — March. Avv. Paolo Spinola, Delegato alla Contabilità — Prof. Cav. Dott. Girolamo Bertolotto, Bibliotecario — Prof. Sac. Cav. Luigi Berretta, Segretario Generale. Vice-Segretario Generale: Giambattista Canevari. Se^iom di Belle Arti. Prof. Comm. A. G. Barrili, Presidente. — Cav. L. A. Cervetto, Vice-Presidente. — Avv. A. Filippi, Segretario. — Pietro Figari, Vice-Segretario. Sezione di Storia. Sac. Cav. Prospero Peragallo, Presidente. — Le Mesurier Edoardo, Vice-Presidente. — Prof. Camillo Manfroni, Segretario. — Avv. Dionigi Corsi, Vice-Segretario. Sezione di Archeologia. March. Cav. Uff. M. Staglieno, Presidente. — Prof. G. Campora, Vice-Presidente. — Prof. M. A. Crotta, Segretario. — Prof. A. Massa, Vice-Segretario. Sezione di Legislazione. Cav. Avv. E. Bensa, Presidente. — Prof. Avv. A. Rossello, Vice-Presidente. — Avv. Gaetano Poggi, Segretario. — Alarico Calvini, Vice-Segretario. Sezione di Paletnografia. Prof. Comm. Arturo Issel, Presidente. — Cav. E. D’Albertis, Vice-Presidente. — Dott. Fausto Faggioli, Segretario. — Cap. Cesare Balduino, Vice-Segretario. Revisori dei Conli. Generale Comm. Ugo Assereto (i). — March. Vittorio Centurione. — March. Avv. Girolamo Deferrari. (i) Dimissionario 74 GIORNALE LIGUSTICO * * * Il Consiglio direttivo nella sua adunanza del 27 febbraio ha nominato membro della Commissione per l’esposizione generale di Torino del 1898 (presso la Camera di Commercio) il socio consigliere comm. Francesco Costa. Nella stessa tornata ha nominato a suo vice-segretario generale il socio M. Giambattista Canevari. * * * Radunanza dell’Assemblea. — Nel corrente mese di Aprile sarà radunata l’Assemblea Generale per l’approvazione del Bilancio Consuntivo e della Relazione dei Revisori dei Conti. Inoltre sarà all’ ordine del giorno una pratica importantissima per la Società: il voto dell’Assemblea circa la costituzione in Ente morale della Società. Una apposita Commissione composta degli Avvocati: E. Bensa — P. E. Bensa — E. Zunini — C. Carcassi — C. Astengo — si occupa attivamente della importante pratica. Il Cav. Prof. Avv. Enrico Bensa ha presentato le dimissioni da Vice-Presidente della Società e non ostante le gentili pressioni del Presidente e del Consiglio tutto le ha mantenute : l’Assemblea generale è chiamata a surrogarlo. * ♦ * Commemorazione. — Il 14 Giugno data della memorabile Caduta della Repubblica Genovese verrà commemorata solennemente dal socio Anton Giulio Barrili nel grande salone del Palazzo Ducale. * + ♦ La nuova Commissione nominata dal Consiglio direttivo della Società per effettuare la gita archeologica a Noli è riuscita così eomposta : March. Avv. Paolo Spinola — Avv. P. G. Breschi — M. Giambattista Canevari. 11 Club Alpino Italiano (sezione ligure) prenderà pure parte alla gita che non potrà riuscire che imponente anche per la gentile adesione che già si ha di alcune signore. * * * Gite sociali. — La Presidenza della Società ha accolto di buon grado l’idea di gite archeologiche di istruzione. Una prima gita si effettuerà a Noli nella seconda quindicina di Luglio. A. G. Barrili illustrerà sul luogo le antichità della vetusta Repubblica. GIORNALE LIGUSTICO 75 Era già stata lo scorso anno nominata una Commissione composta dei socii: Cav. Avv. Prof. Enrico Bensa — Prof. Angelo Mosso — Giambattista Canevari — È però dimissionaria in omaggio al nuovo Consiglio Direttivo che provvederà al più presto un’altra Commissione. Si effettuerà poi una gita a Libarmi ed una terza a S. Fruttuoso di Capodimonte. * * * Cospicuo dono. — Dal Ministero degli Affari Esteri per gentile interposizione del socio onorario March. Senatore Giacomo D’Oria fu fatto dono alla Società della splendida pubblicazione: Alti della Regia Commissione Colombiana. * * * Assemblea Generale. — Ecco 1’ ordine del giorno dell’Assemblea generale ordinaria della Società che avrà luogo domenica 25 aprile alle ore 14: 1. Comunicazioni della Presidenza; 2. Dimissioni da Vice-Presidente del Cav. Prof. Avv. Enrico Bensa; 3. Elezione di un Vice-Presidente in sostituzione del dimissionario; 4. Relazione dei Revisori dei Conti ; 5. Approvazione del Bilancio consuntivo e Relazione del delegato alla contabilità ; 6. Parere dell’Assemblea circa 1’ erezione della Società in Ente Morale. * * * Necrologia. — Ed ora la nota triste. Nel corrente anno la morte ha mietuto numerose vittime tra i socii. La Società ha perduto: il Comm. Contramm. Vittorio Francesco Arminjon — il Rev. Padre Cav. Amedeo Vigna, Rettore del Collegio di Barolo — il Cav. Prof. Gian Carlo De-Simoni, Direttore della Scuola Tecnica Mameli — Il Prof. Cav. Carlo Giuseppe Chinazzi. Deponiamo un fiore sulle loro bare. G. B. C. E appena trascorso un mese dacché la Società nostra e la cittadinanza tutta salutava con esultanza lo splendido plebiscito con cui il Primo Collegio di Genova eleggeva nei comizi del 21 marzo u. s. a suo rappresentante nel Parlamento nazionale il Marchese Cesare Imperiale di Sant’Angelo, nostro Presidente effettivo. Ed ora la Società nostra e Genova tulta assiste con viva trepidazione allo svolgersi di una terribile malattia che, dopo ηβ GIORNALE LIGUSTICO aver messo in forse la vita del nuovo eletto, lo travaglia accanitamente. S. E. il Presidente del Consiglio, on. Rudini, S. E. il Presidente della Camera dei Deputati, on. Zanardelli ed altre notabilità parlamentari e scientifiche hanno telegraficamente chiesto notizie dell’ illustre infermo, ed e veramente straordinario il concorso di cittadini, ogni ordine e ceto che — per lo stesso scopo — si affollano a palalo. Noi confidiamo che la forte fibra del Marchese varrà a superare i ripetuti attacchi del fiero malore, e rivolgiamo a Dio un fervido voto affinchè non solo una sì nobile esistenza, cosi promettente di splendido avvenire, venga conservata alla Patria, ma che presto si apra il periodo della convalescenza e Cesare Imperiale venga restituito agli studi e agli alti uffici che la Nazione e la Città natale gli hanno con legittima fiducia affidati. 20 aprile 189η. N. d. D. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Canonico Stefano Cuneo. Storia dell’ insegne Santuario di Montallegro. — Tra gli ecclesiastici liguri, che fanno onore agli studi in genere ed alle storiche discipline in ispecie, deve annoverarsi il canonico Stefano Cuneo di Rapallo, altrettanto dotto e geniale scrittore, quanto modesto e affabilissimo sacerdote. Profondo conoscitore delle lettere latine e italiane, valente epigrafista, poeta semplice e grazioso, pedagogista antico e saggio, raccoglitore appassionatissimo di libri, per cui un giorno acquisterà nuovo titolo di gratitudine dalla sua Rapallo, possedeva egli veramente tutte le doti per iscrivere il volume ponderoso e nello stesso tempo geniale, che usciva sullo scorcio del passato anno, in veste magnifica, dalla Tipografia Arcivescovile di Genova. GIORNALE LIGUSTICO 77 11 titolo dell’ opera potrebbe forse, a prima giunta, ingenerare il sospetto, che si tratti di uno dei tanti funghi storici, che nascono con tanta facilità a proposito di certi argomenti, una filastrocca di miracoli, narrati in forma più o meno secentistica e petulante ; invece 1’ opera del venerando canonico Cuneo, mentre manifesta il sacerdote innamorato delle glorie della sua Madonna e del Santuario di Lei, al quale tanta parte della sua vita e delle sue sostanze dedicava, palesa anche 1’ uomo nudrito di forti studi, che la fede circonda costantemente dei lumi della ragione e del sorriso delle lettere. Perciò le affermazioni, i racconti, le descrizioni, che compongono ben 460 pagine, sono condotte con metodo rigorosamente scientifico: la tradizione esaminata , passata al crogiuolo della critica , confermata con argomenti dedotti da scrittori sacri e profani, greci, latini e italiani. L’ autore fa tesoro di quanti lavori furono già pubblicati sul tema suo e, in tanta mole di materia, sa infondere una vita tutta propria, plasmandola come sa fare un vero artista. Sicché, anche quando tu vegga la fede prender la mano alla ragione ed il sacerdote allo scienziato, pure lo scrittore non ti annoia nè ti sdegna, ma passi oltre volontieri, dilettato, sen non altro, dalla musica della sua parola , che ti richiama alla mente la soavità del Cantico al sole di S. Franeesco d’Assisi; una fede, insomma, che fa bene anche a chi non ne abbia o 1’ avesse perduta. L’opera è divisa in due parti. Nella prima, che l’autore intitola « Un Cenno su Rapallo a, sono esposte le vicende principali della città, dai tempi più remoti, quando si reggeva a Repubblica come gli altri Comuni Italiani, fino a quando si assoggettava volontariamente alla Repubblica di Genova; la quale inscriveva nel suo libro d’ oro non poche famiglie di quella terra, quali dei D’Aste, dei Barbagelata, dei Canessa, dei Costa, dei Molfino, e di molte altre. A questo Cenno, che è una vera storia compendiosa ma ben organata e condotta mirabilmente, seguono due note importanti : una sull’ antico nome Tigulia; l’altra, topografica, sopra una battaglia dai Romani combattuta contro i Liguri accampati e forti sul Monte Leto, nome tradotto poi in Laetus e quindi in Montallegro. A questo proposito, mi parrebbe che l’argomento, che il eh. Autore deduce da Livio, Deca V, 1. I, c. X, riuscirebbe più evidente ed efficace, se l’aggettivo latino perpetuo (. .. quod eos montes perpetuo dorso inter se iungit... ) fosse, anzi che per lunghissimo, tradotto per continuo, non interrotto. Le vicende di Rapaflo s’intrecciano, oltre che con quelle di Genova, con quelle di Pisa e in generale d’Italia, specialmente dei tempi sciagurati 78 GIORNALE LIGUSTICO della spedizione di Carlo Vili. Qui l’Aatore ha bellissime pagine , dove , con tacitiano vigore, riproduce le lotte sanguinose combattute in Rapallo nel 1494 e 1495 tra fautori e nemici di Carlo Vili: fatti in generale poco conosciuti e che tanto importano alla conoscenza della Storia , non solo della Liguria, ma dell’ Italia tutta. Cosi si apprende, come le lotte di Carlo V e Francesco I si ripercuotessero sulla nostra Riviera, specialmente su Rapallo; la quale, per essere uno dei centri più importanti , era anche spesso presa di mira dai pirati, specialmente dal feroce Dragut, che nel Luglio del 1549 la mandava a ferro e a fuoco. Quindi il eh. Autore passa a parlare delle Chiese di Rapallo, degl’istituti di Beneficenza e di Educazione e, poscia, nella II parte, da pag. 77 alla fine, del Santuario di Montallegro. In una serie di 23 capitoli, dalla guerra degli imperatori greci contro il domina delle sacre immagini e dalla apparizione della Vergine sul Monte, alle Indulgente concesse dai sommi Pontefici a favore di quella Chiesa , l’Autore raccolse, in forma sempre piana ed elegante, quanto riguarda l’insigne Santuario, non dimenticando mai tutto ciò che avesse attinenza alla Storia Civile e che valesse ad illustrare i singoli avvenimenti. L’ appendice intitolata e Gita d.i Rapallo al Santuario di Montallegro — Incantevole panorama che presenta il Golfo Tigullio » è 1’ ultima pennellata del quadro grandioso e magnifico, degno veramente di ornare la casa di ogni persona amante delle patrie memorie. Camogli, 15 Aprile. Prof. P. Sturlese. Eugène Jarry — Les origines de la domination Française a Gines (1391-1402). — Paris — Picard, 1896. La politica interna della repubblica di Genova nel secolo XIV offre largo argomento di indagini, di raffronti e di considerazioni agli storici ed ai filosofi. Mentre, con audaci imprese si estende il dominio ed il traffico della città nelle colonie di Oriente, mentre le relazioni commerciali coi popoli del-l’occidente divengono più frequenti e più proficue, e da Tana e da Caffa fino ai Paesi Bassi ed all’Inghilterra la croce di San Giorgio, rispettata e temuta, protegge i Genovesi trafficanti ed industri, mentre infine la guerra di Chioggia rivela il valore, la sapienza, la costanza dei marinai e degli ammiragli, il governo interno della città subisce rapidissime ed improvvise GIORNALE LIGUSTICO 79 mutazioni, le fazioni si lacerano a vicenda, i dogi, succeduti ai capitani ed ai podestà, veggono continuamente minacciata 1’ autorità loro ; guelfi e ghibellini, nobili e plebei, si succedono al potere, e la Repubblica non riesce a trovar quiete e riposo, se non rinunziando al più prezioso dei beni, alla libertà, e ricercando la protezione e la ferrea mano di signori forestieri, che dalle cittadine discordie traggono profitto per aprirsi un varco fino al mare e per assicurarsi una fortissima base d’operazione per altre imprese, per altre conquiste. Alla dominazione viscontea, cominciata dopo l’infausta battaglia d’Alghero, succede un breve periodo di libertà, funestata da ferocissime lotte tra popolani e nobili, tra antichi guelfi e antichi ghibellini, tra ambiziosi e prepotenti cittadini che si contendono il seggio dogale, appoggiandosi per aiuto a questo ed a quello del principi stranieri, e specialmente alla casa di Francia che finisce poi collo stabilire su Genova il proprio dominio. Il signor Jarry, che già altri studi aveva fatto sulla politica del duca Luigi d’Orléans in Italia, si é accinto adesso allo studio minuto e particolare delle cause che produssero ed affrettarono lo stabilimento della dominazione francese sulla fine del XIV secolo, quella dominazione che causò poi tanti guai a Genova per opera del Boccicaldo (Boucicault) e che i Genovesi si scossero dal collo pochi anni dopo. Ma egli non si occupa di tutto il periodo della dominazione e si limita soltanto agli anni che precedono la venuta del Boucicaut. I documenti dei quali ΓΑ. si serve nel suo studio sono in parte tolti da recenti pubblicazioni di altri autori, in parte raccolti dall’autore stesso nel nostro Archivio di Genova, in quello di Torino, nell’Archivio e nella Biblioteca Nazionale di Parigi; e di questi i più importanti sono pubblicati in Appendice, altri invece sono compendiati, altri infine citati soltanto. Dell esame coscienzioso e diligente di tutte queste carte, finora sconosciute, lo Jarry si serve per rifare di sana pianta la storia del decennio 1392-1402, dal giorno cioè in cui Carlo Malocello, Giovanni Lomellini, Luca Grimaldi, Adamo Spinola e Raimondo Fieschi a nome loro e di altri nobili genovesi « per Γ evidente onore, per la stabilità, durata, profitto, utilità e sicurezza di Genova e dei suoi abitanti » offrirono a re Carlo VI l’alto dominio su Genova all’ insaputa di Antoniotto Adorno, doge, fino al momento in cui, dopo le deboli amministrazioni del conte di Saint-Pol, del Luxembourg, e di Colart de Colleville, il marecciallo Boucicaut venne a prendere le redini del potere (Ottobre 1401). Fra le pagine più notevoli notiamo quelle che si riferiscono alle trattative con Gian Galeazzo Visconti, in gran parte nuove, quelle sulla campagna 8o GIORNALE LIGUSTICO condotta, a nome del duca di Orléans, dal prode Enguerrand de Coucy, le cui imprese a Savona e nella riviera di Ponente sono illustrate con documenti nuovi, quelle in cui si espongono le discussioni avvenute a Genova in seno alle varie assemblee, secondo i verbali conservati nell'Archivio Nazionale di Parigi e pubblicati in Appendice, e finalmente le bellissime pagine, in cui si esamina l’effetto prodotto dall’occupazione di Genova sulle relazioni internazionali della Francia. Noi avremmo però desiderato in uno studio cosi diligente e cosi minuto una maggiore imparzialità ; avremmo voluto che 1’ egregio autore si fosse mostrato altrettanto spassionato, quanto dotto; non avesse giudicato i fatti con criteri esclusivamente francesi, procurando di scusare e di attenuare le colpe (e ve ne furono delle gravissime) degli emissari e degli agenti francesi, non avesse gravato la mano, ogni volta che glie se ne porgeva il destro, su Genova e sui Genovesi. Potremmo citar infiniti esempi di questa parzialità ; basterà però uno solo, di tutti il più evidente. Quando nel 17 Novembre 1394 i Savonesi si diedero al duca di Orléans, il Coucy solennemente promise loro a name del suo signore molte cose e fra le altre di difenderli contro Genova e di mantenere la loro indipendenza. Queste promesse non furono nè ratificate nè mantenute ed il signor Jarry (pag. 92 e seg.) quasi giustifica e loda la mancanza di fede, mentre scaglia tutti i fulmini della sua retorica contro l’Adorno, che non mantenne i patti promessi al re Carlo e si rivolse a Gian Galeazzo (pag. 179)· E un’ altta cosa ancora avremmo desiderato, che ΓΑ. si fosse soffermato un po’ più a lungo sull’ immenso vantaggio che la casa di Francia ritraeva dal possesso di Genova, e come base d’ operazione per le pretese angioine sul reame di Napoli e come centro di commercio e via di comunicazione col Levante. I danni che la dominazione francese recò a Genova ed al suo commercio ad esclusivo profitto di Marsiglia e degli altri porti di Francia meriterebbero di essere studiati sul serio; il materiale storico non mancherebbe nel nostro Archivio; e noi crediamo che non sarebbe difficile dimostrare che, accettando il dominio di Genova, il re Carlo VI non si sobbarcava ad un peso cosi ingrato, non compiva un’ opera cosi nobile e disinteressata, come il signor Jarry a più riprese e con insistenza dichiara nel suo volume. Camillo Manfroni. Prof. Girolamo Bertolotto Direttore Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 8 I UN GENTILUOMO PIEMONTESE DELLA I.* METÀ DEL SECOLO XVI GIACOMO PROVANA DI LEYNÌ (Continuae fine vedi pag. 67). II. % Il 27 maggio 1545 Emanuele Filiberto col suo seguito partì da Vercelli (1), ed ai primi di giugno arrivò a Trento. Di qui diede notizie sue a! padre (2). Procedendo quindi in Germania alla fine di luglio, il 28, in Worms presentò a Carlo V un memoriale (3), dove facendo presenti le condizioni infelicissime del ducato e di suo padre Carlo III, che aveva dovuto impegnare persino le sue gioie, ed ora si trovava « tellement estonné qu’il n’a moyen de vyvre et survenir audict Prince son fils » ; pregava Γ imperatore di far pagare al Duca la pensione ch’egli aveva sul ducato di Milano, ad impedire che i soldati Spagnuoli installati nel contado d’Asti e nel marchesato di Ceva pretendessero dagli abitanti contribuzioni , anzi ad obbligarli alla restituzione di quanto avevano preso. Chiedeva poi il Principe che Vercelli fosse lasciata libera in mano del Duca, o che almeno fosse ridotto il presidio della cittadella a 50 uomini, e si pagassero gli stipendi del castello di Nizza. « Finablement, Sire, » conchiudeva il fi) De Monpleinchamp, pag. 34, v. sul passaggio di Emanuele Filiberto a Trento, una nota del ch.m° Prof. C. Cipolla nell’Archivio Trentino. (2) Arch. di Stato di Torino. Minute lettere della corte (1545-1638). Registro di lettere dirette al Duca di Savoia, 7 giugno 1545 a 19 dicembre 1547, fol. 4, Emanuele Filiberto al Duca Trento, domenica 7 giugno 15-15. — Di questo registro esistono 2 copie manoscritte, una nell Arch. stesso fRegistro lettere della corte 1548-50 [mazzo da riordinare]), l’altra nella Bibl * di S. M. col titolo: Lettres d’Em. Pbil. et des Seig.’ de son Conseil au duc Charles, à l’empereur Charles V ecc. (mss. di st. patria n. 781). (3) Id. Registro cit. fol. 7-12. Worms 28 luglio 1545. Questo memoriale fu pubblicato dal Ricotti: Degli scritti di Em. Filiberto, documento 3.°, in: Memorie della R. Accademia delle Sciente di Torino, serie II, tomo XVI, v. anche: Storia della mon. piem., I; 275-76. Giorn. Ligustico. Anno XXII. 6 82 GIORNALE LIGUSTICO memoriale, « pour ce que ledict s.r Duc et ses pouvres subyeets ont tousjours heuz expoir que la venue dudict Prince de Piémont au service de vostre Majesté seroit le principal et vra}' moyen d’obtenir quelque bonne provision pour la consolation dudict Seig.r Duc son pere, et soulaigement du desoulé pays, ledict supplie en tout humilité vostre Majesté, qu’il luy plaise porveuoir de sorte lesdictes articles que ledict Seig.r Duc son pere et ses pouvres subyects se puissent apper-cevoir que sadicte venue et l’affection qu’il a de vous fere treshumble service, bien joinct le vray del voir qu’a toujours rendu le pere a esté de quelque service ». Carlo V alle umili e dolorose domande del Principe rispose con promesse, ma ricevette l’ultima con notevole freddezza. « Su Maà por lo que deve al padre y por intercession dii Ill.m° principe mirarà lo que se pudiere llazer en esto » (i). Però acconsentì a tenere presso di sè il giovane Principe, e questa fu la più importante delle concessioni ottenute da Carlo III, perchè quanto al resto l’imperatore non andò al di là delle promesse. Carlo V volle che Emanuele Filiberto fosse chiamato col titolo di Altezza (2), ed il 10 settembre in Bruxelles gli espresse apertamente la sua soddisfazione (3), e gli stabilì poco dopo uno stipendio di 6000 scudi sullo stato di Milano (4). Questo stipendio venne pagato tutt’ altro che puntualmente: solo a stento e dopo reiterate domande e suppliche il Principe ne ottenne per gli anni che seguono qualche porzione. E si noti che già nell’ottobre 1545, nei primi mesi cioè del suo soggiorno in Germania, era in gravi strettezze, e senza un imprestito avuto da Francesco de la Beaume, signore di Montfalconnet, maggiordomo dell’imperatore. « il falloit (1) Id. Registro cit. fol. 12 « Responces faictes par l’Empereur sur les precedens articles». (2) Ricotti: Storia della mon. piem., II, 11. (3) Registro cit. fol. 22-24 II consiglio a Carlo III. Bruxelles 10 settembre 1545- (4) Ricotti: op. cit. II 11. GIORNALE LIGUSTICO 83 vendre les chevaulx et vasseille ou demeurer la, chose que en tel temps que l’on est a present ne seroit point a propoz pour le service de mon dict Seigr, les afferes du quel voul-droyent que mondict s.r le Prince ne habandonast de veue l’empereur un seul pas », secondo scriveva il consiglio del Principe al Duca in un memoriale in cui esponeva gli ultimi avvenimenti (1). Portò questo memoriale a Carlo III il conte di Frossasco. — Per convincere il Duca delle numerose ed inevitabili spese, il consiglio ne dava 1 elenco : In tutto s’aveva un’uscita mensile di 1386 scudi per il vitto, alloggio e stipendio delle 67 persone che servivano il Principe, cioè all’anno 16752 scudi. Erano anche classificati gli stipendi dei principali gentiluomini del seguito, secondo 1 entità della somma: quindi prima era nominato il vescovo di Nizza, Giambattista Provana, il cui stipendio era di 90 scudi al mese, poi il governatore del Principe, Aimone di Lullin dei conti di Ginevra per 60 scudi, il conte di Frossasco per 20, MonsJ di Leyni, Giacomo Provana per 12, e mons.r di Nerieu per 20. Ma i soccorsi mandati dal Duca furono pochi e scarsi, ed Emanuele Filiberto dovette diminuire il suo seguito, rinviando parecchi gentiluomini in Piemonte, tar continui debiti, e lasciar trasparire troppo spesso questa sua difficile condizione in una corte cosi sfarzosa coni’ era quella di Carlo V. Frequenti dolori quindi, frequenti umiliazioni pel giovine principe. Venne il 1546 e dalla dieta, che doveva quest’anno raccogliersi a Ratisbona, speravano Carlo III ed Emanuele Filiberto un miglioramento delle loro condizioni. Già nel marzo di quell’ anno il principe con tutto il seguito era nella città , ansioso di conoscere le decisioni della dieta. E di qui il nostro Giacomo Provana informava il Duca degli avvenimenti (2). li) Registro cit. fol. 29, Gand 31 ottobre 1545. (2, Arch. di Stato di Torino. Vienna. Lettere ministri, mazzo I. Lettere di G. Provana di Leyn\ al Duca. «4 GIORNALE LIGUSTICO IU.ra0 et Ex.mo s.r mio oss.roo — Questa sarà per adviso a v. Ex.* come ogi è jonto in questa citi il Re de Romani et domani si aspeta il duca di Bavera. Sei altri principi luterani vengono come fa la bisa alineata; però se dice che venerano. Venendo io spero che si risolvarà le cose di maniera che sari il bene di S. M.u et de v. Ex.*, et fin a tanto che siamo fori di questa benedetta dieta non si po sapere se siamo in cielo o intera. Dio per sua santa gratia li meti la mano. Il s.r principe suo figlolo fu di subito a basiar le mani al sopradeto re, il qual li fece grandissime caricje et lo retenj a disnare con lui nominandolo sempre per suo tìglolo. S/ mio, el parirà a v. ex.* che le cose vano ala longa, come fano per certo. Però conviene che sua m.IJ provedi ale cose che sono de più importanza de prima, adejo che le altre com più facilità et manco dano si possano risolvere. Il tratado dacordo che si demenava de li douj re di Francia et Ingletera si dice essere roto et se sono partiti più inimici che de prima, dii che ne siamo molto aiegri et contenti. Venendo qualche altre nove d’importanza non mancharò di darnj adviso a v. ex.% a la quale umilmente basandoli la mano prcgarò Dio che lo prosperi e contenti, da Ratisbona alj 28 di marzo del 1546. Credo che v. ex· sarà jà stata advertita come il conte Palatino si è fatto luterano novamente da poi la partita di sua m.'* de Spira, di che nc siamo stati non poco admirativj et è stato causa dela retardacjone tanto grande et corno se dice è dubio che non venera a questa dieta, perchè a mandato qua ja molti suj imbasciatori per comparjrc in la deta dieta humilmo subdito et servitore Jacobo de leixv. I timori del maggiordomo di Emanuele Filiberto s’avverarono. I principi protestanti unitisi a Smalkalden fecero atto GIORNALE LIGUSTICO d’aperta ribellione all’ imperatore, e la dieta di Ratisbona decise la guerra contr’ essi. Emanuele Filiberto ardeva dal desiderio di prendervi parte, e dopo qualche difficolti n’ ottenne dal padre e da Carlo V licenza (i). Un intoppo gravissimo ai suoi disegni era la mancanza di danaro. Il suj consiglio ne scrisse appositamente al Duca mandando il s.r di Nerieu a portare la lettera (2): così pure fece istanza Giacomo Provana (3). Il tesoriere del principe, Gio. Francesco Rebuffi, assicurò il Duca che riusciva impossibile procedere oltre (4). La pensione sul ducato di Milano, nonostante le continue lettere dell'imperatore al nuovo luogotenente suo in Italia, D. Ferrante Gonzaga, non era mai pagata. Danaro a prestito non se ne trovava più dopo l’esempio avuto dal barone di Montfalconnet a pource qu’il n’a encoures restò rellevé de la fiance qu’il feist de mil escus..., dont il en est fort marry », e perchè ora si vedeva intentata una causa da un mercante d’Anversa, il quale aveva dato i mille scudi sotto la cauzione del barone (5). Emanuele Filiberto, prevedendo che i soccorsi del padre sarebbero stati scarsi, si rivolse al re di Portogallo, suo zio, per dargli sue notizie a et dirli come io son sempre qua appresso a Soa Ma.u con animo di acquistar tanta virtù che a quella ed a V. A. io puossa dar la contentezza et anche al-F IU.mo Sig/ mio padre, li negotii del quale sono ancora in quilla longuezza et per la inala ventura di tempi maggior che non vuorrebbero li passati travagli suoi, di modo che mancandogli le facoltà di potermi socorrer, me trovo et dubito tro- it) Ricotti, op. cit., II, il. 12) Registro cit., fol. 74-75, 76-70, Ratisbona 1 luglio 1546. <31 Ardi, di Stato di Torino. Vienna. Lettere ministri, mazto L Lettere di Giacomo Provana, Ratisbona, 1 luglio 1546. (4 Id. Lettere diG. F. Rebuflì al Duca (1545-5? Inspruch, 6 luglio 1546. (5) Lett. cit. del Rcbufìi. 86 GIORNALE LIGUSTICO varmi sempre più in tal necessiti et bisogno che l’aggiuto delli miei buoni Sig." et parenti mi saria più che necessario » (i). Il medesimo press’ a poco scrisse a D. Luigi di Portogallo ed al cardinale di Portogallo, fratello del re (2). Ignoro quale sia stata la risposta di questi principi. Certo è che nel frattempo giunse una lettera del Duca a Giacomo Provana, piena di lagnanze per « la dispense grande qu’il se faict en son hostel » la quale a lui riusciva incomprensibile. « Nous vous prions », conchiudeva il Duca, « tenir mans a tellement la mitiguer, que telle charge puisse durer», perché egli aveva « peu moyens de satisfaire » (3). Il Duca avverti anche il Rebuffi perchè mandasse i conti delle spese fatte : « vous n’oublierez aussi d’envoyer vos comptes au plu-stost que pouvrez, car nous ne pouvons persuader que la despance soit si grande, comme nous exripvons a mons/ de Leyni » (4). Mandarono il Rebuffi ed il signor di Leyni i loro conti il 31 luglio per mezzo del vescovo di Nizza che rimpatriava (5). Emanuele Filiberto allora, stretto dalla necessità, si risolse ad un ultimo passo. Mandò a Trento presso il cardinale Cristoforo Madruzzo il Ri-buffi con una lettera, in cui scongiurava il cardinale a soccorrerlo in qualche modo (6). Il Madruzzo diede al giovane principe una dimostrazione d’a- (1) Registro cit., fol. 82. Ratisbona, 14 luglio »546. (2) Id. fol. 8?. Ratisbona, 13 luglio 1546. (3) Arch. di Stato di Torino. Registri lettere della corte, t)3 de le promesse et bele proferte qual li fece furono grandi. Staremo a veder li efetj, de li quali se ne darà advjso a v. ex.* ». Il Duca non si stancava di insistere col Provana per la restituzione dei suoi stati. Il 29 luglio (Arch. di st. di Tor. Registri lettere della corte *53^*5°» fol. 298; da Vercelli gli indirizzava dinuovo una lettera su quel-l’argomento. « Et puis que sa m.*® est arrivee a la diete, nous vous prions solleciter mon fils de parler a sa m.*4 aux prinses et électeur de Pampire et aux ministres de sa dicte m.*= pour î’efFect de nostre reintegration ... ». E poi dinuovo il 6 settembre (id. fol. }o8). (2) Arch. di st. di Tor. Vienna, Lettere ministri, mazzo I, Giacomo Provana al Duca. Augusta 8 ottobre 1550 «... et ho fede che inansi che questa dieta sia finita che li darà fil principe] qualche bone nove circha ala restitutjone dii suo stato ». GIORNALE LIGUSTICO IO3 fine di luglio gli mandò qualche somma di danaro (1). Emanuele Filiberto s’era trovato in dure circostanze; e senza la generosità di Maria, regina dei Raccani, e lo zelo della contessa d’Entremont, il soccorso paterno sarebbe giunto in ritardo per impedirgli qualche dolorosa umiliazione (2). Impedì nondimeno che il caso si rinnovasse. Negli ultimi del 1550 Giacomo Provana abbandono una seconda volta la Germania. Il principe gli consegnò un memoriale su quanto doveva comunicare al Duca. Ivi si parlava degli sforzi fatti per ottenere il pagamento della pensione, delle solite strettezze economiche e di varie altre cose di minore importanza (3). (1) id. Registri, lettere della corte 1536-50 fol. 298. A Giacomo Provana Vercelli 28 luglio 1550. « Par Bonjour nous avons receu vostre lettre et entendu la bonne santé de sa m.,c de son Altesse et de mon fils, que nous a esté singulier plaisir. Et d’ailleurs nous a despieu grandement que n ayons encoures envoyé secours d’argent a mondict fils pour le grant besoins que xavons il eu a, ce que n’est procedô par faculté de bonne sollicitation, mais .... qui verri par la lettre que le s r de Chatellard escript. 1 outteffois nous donnerous ordre qu’il partira le plustost avecques la meilleur somme que nous sera possible. (2) Id. Vienna Lettere ministri mazzo I, Giacomo Provana al Duca. Augusta 1° luglio 1550. « Nel partir di sua m.'·' di Bruceles io scripsi a v. ex * per via de le poste al logo nel termjne qual si ritrovava il s.r principe suo figlolo, il qual era di grande compassione. Però con lo ajuto di Djo et di madama d’Antermont, la quale fece intendere a la regina Marja la calamjtà et conpasione qual era in noj che fece... a uno mar-cadante di Anversa.... sopra la pensione di questo ano.... Li quali (?) ano pagato in parte di nostri debiti e miei infin qua. Adeso siamo a rjco-mincjar sensa un quatrjno, et avemo mangiato il nostro gran in erba Del tuto ne parse darlj advjso adejo. V. Ex* li provedi come meglo lj parjrà». (3) Lettere di Andrea Provana (ms. della Bibl. di S. M. fra i mss. di storia patria^ Augusta 5 dicembre 15 50. V. anche Arch. di St. di Tor. Lettere partie. Niccolò Balbo al principe di Piemonte. \ ercelli 21 dicembre 155° « Ho veduto quanto ha piaciuto a V. Ecc.* scrivermi per il s.r de Leyni et anchora inteso quello m’ha explicato a nome d’essa ». I04 GIORNALE LIGUSTICO III. Il Provana si recò direttamente a Vercelli ed esegui 1’ incarico affidatogli. Tornato a Lanzo, di cui era castellano fin dal 1545 (i), oltre a provvedere alla sicurezza del luogo, intraprese a riordinare il suo patrimonio molto danneggiato dalle frequenti guerre e dalla sua lontananza. Queste occupazioni richiedevano parecchi mesi di continuo lavoro. Ciò lo persuase a non ritornare in Germania, per quanto il Duca glie ne facesse viva istanza. Anzi egli lo pregò a nominargli un successore nella carica di maggiordomo (2). « Ill.mo et Ex.mo s.r s.r mio oss.m0. Hogi ho ricepuco la di v. ex.a et per quela inteso quanto la mi comanda, sì che per il grande desiderio che tengo di ubedirla et servirla non mancharò di usar ogni diligencia di dar espedicione ale cose mie che mi sarà posibile, ma per essere digne la importanza che feci intendere a v. ex.a non poterò forsi cusì presto eseguir suo comandamento, come seria il mio desiderio, per la grande dificultà qual ho trovato del dinaro, et che insomma non poterò venir a la esecutione de le cose mie che non vengi a la aliena de qualche beni, qual non si po far sensa tempo, come meglio ne sarà informata dal s.r di Novalesa, mio fratello, si che dubito che di tre o quattro mesi non posi venir a la mia debita servitù, come desidero. Per il che la suplico umilmente si degni havermi per iscuso che al più presto mi sarà possibile aver espedito non mancarò al debito mio. Intanto per la necessità qual tiene il s.r principe suo figlolo di aver qualche (1) V. pag. 14. (2) Arch. di Stato di Torino. Lettere particolari, Giacomo Provana di Le_\ ni al Duca, Lanzo 5 gennaio 1551. GIORNALE ligustico 10) persona degna et clarificata in suo servitio, come li feci intendere a la mia venuta in Verceli, serei di opinione che v. ex.a cercase di provederli quanto più presto li sarà possibile, come ancor mi dise di farlo, et dal canto mio dato recapito a le cose mie che tanto me importano, non mancharò di satisfar al debito mio. Et non occorrendomi altro a dirli per il presente umilmente racomendandomi in sua bona gratia, prego nostro s.r che felice lo conservi et prosperi. Da Lanzo ali 5 di Zanaro nel 1551. Humiliss.0 subdito et servitor Jacobo de leiny. Non rimase Giacomo Provana a lungo tranquillo in Lanzo. Il maresciallo di Brissac, succeduto al principe di Melfi nel comando nei Francesi in Italia, si mostrava risoluto a riprendere le ostilità. Tutto lo favoriva. D. Ferrante Gonzaga con una spensieratezza maravigliosa aveva sguernito di truppe il Piemonte e la Lombardia per combattere il Duca di Parma, Orazio Farnese. Il Brissac quindi, rompendo la tregua ai primi di settembre, ebbe comodità di estendersi senza incontrare seri ostacoli. Il primo giorno della guerra riusci a catturare per mezzo d’ alcuni suoi soldati il nostro Giacomo Provana, che partito da Lanzo si recava a Vercelli (1). Nei giorni seguenti occupò Chieri, S. Damiano e Dronero (2). (1) Arch. di St. di Torino. Vienna. Lettere ministri, mazzo II. Stroppiana al principe di Piemonte. Augusta 24 settembre 1551 « Hora li dirò cose che non pocco li dispiacerano. Mons.' il mestro de Leyni venendo da Lanzo a Vercelli il primo giorno della rottura della trega fu fatto prigione da quatro scilzi nemici, mentre discese da cavallo per urinare presso una certa capsina dove erano imboscati, et Γ hano condutto in Verolengo in mane de Biragi » cioè di Ludovico e Carlo Birago, nobili lombardi al servizio del re di Francia. (2) Il 3 settembre e seguenti, V. Memorie di un terrazzano di Rivoli del i al ijS6 in Miscellanea di storia italiana, VI, pag. 619. ιο6 GIORNALE LIGUSTICO Quanto sia durata la prigionia del signor di Leyni non saprei dire. Certo fu breve, perchè dopo la presa di Dronero egli col maresciallo di Challant iniziò trattative di pace col Brissac che non riuscirono, perchè il comandante francese, credendo D. Ferrante ancora sotto Parma, stimò più conveniente proseguire nelle ostilità. Invece nella metà d’ ottobre 1 avanguardia del Gonzaga comparve ad Alessandria, però quando già il sopravvenire della stagione fredda troncava le operazioni militari (i). Ma per poco tempo riposarono le armi. Nella metà di novembre il Brissac, raccolti 6000 uomini e 12 cannoni, quando D. Ferrante meno se l’aspettava, parti da Chieri alla volta di Lanzo. Poche difese aveva questa città , riparata da un semplice muro piuttosto debole; la sua forza stava nella cittadella, la quale dalla parte della città era inespugnabile, ed aveva la fronte coperta da forti baluardi. Solo le spalle offrivano una possibile offesa, purché si trascinassero artiglierie sulle alture che le dominavano per più di 3000 metri d’una salita difficilissima. Comandava la piazza Giacomo Provana, tornatovi dopo la breve prigionia. L avanguardia dei Francesi giunta a Lanzo occupò subito la città non ostante una vigorosa sortita del Provana. Il Brissac poi sopravenendo fece trascinare 4 pezzi sulla montagna alle spalle della città. Due giorni durò questo lavoro, ma infine da quella posizione 1 Francesi aprirono un fuoco micidiale sulla cittadella. Altre due batterie, una nella città, l’altra nel basso della valle furono erette, ma non diedero alcun risultato. Cerco il Provana di ripararsi dal fuoco della montagna innalzando blinde, ma questa precauzione riuscendo insufficiente, tu costretto a capitolare. Dopo otto giorni di resistenza il (ij Alessandro Saluzzo, Histoire militaire de Piémont. Torino, 1859, vol. II, ito-ti. GIORNALE LIGUSTICO IO7 Provana alzò bandiera bianca, sgombrò la cittadella, e cedette anche il castello di Viù, che in suo nome era governato dal capitano Freylino Provana di Carignano (1). (1) V. la descrizione minuta dell’assedio di Lanzo in Montluc: Commentaires, Paris, MDCCXLVI, tome I, pag. 383-99. Da lui il Saluzzo: op. cit., vol. II, 111-13. Solo il Saluzzo aggiunge che il Provana ottenne l’onore delle armi. Ma il Montluc non dice nulla di ciò e narra così la resa della piazza (pag. 399): « Le matin du point du iour on tira trois ou quatre volées à la muraille, qui la perçoient, et à travers les escuries entroient dans la basse court, et de là donnoient dans le logis du chasteau. Monsieur le Mareschal avoit faict mettre aussi trois canon bas, du costé d’ou nous venions battaus contre mont, pour les intimider; car le dommage ou ne leur en pou voit faire. Mais comme nostre artillerié eust tiré trois ou quatre voilées, ils commençerent à faire la chamade et puis se rendirent ». Quanto dice il Montluc coincide col racconto fatto dal terrazzano di Rivoli (Mise, di st. ital. VI, 620). Scrive questi che il Brissac aveva assoldato molte compagnie di Piemontesi « de’ quali furono capitani Michele Vinca, Nicolò di Bucino, Giovanni Brigla d’Avigliana e più altri, et avendo esso Vinea per luogotenente il capitano Giovanni Angelo Pessinis, fuoruscito di Lanzo, come pratico del luogo, per suo mezzo il predetto signor di Brissac fatta montar l’artiglieria appresso il castello di Leanzo dalla parte dell’occidente, luogo impensato, e sparate alcune cannonate, il signor Giacomo Provana di Leyni, che n’ era il governatore, lo rimise al predetto signor di Brissac insieme al castello di Viù, quale al suo nome governava il capitano Freylino Provana di Carignano monocolo, e pose in detto castello di Viù il capitano Tonà di Rivoli, il quale per ordine del Brissac lo fece demolire ». Dal Montluc trae anche il Ruffia (Historico discorso Scriptores I, 1102-3 'n Monumenta historiae patriae). Quanto all’ epoca di questo fatto d’armi, il terrazzano di Rivoli lo pone nel 1551, mentre il Saluzzo scrive che l’avanguardia del Brissac occupò Lanzo il 19, che il Brissac vi giunse il 20, e che il Provana capitolò il 28 gennaio 1552. Ora abbiamo prove certe che il Saluzzo s’ingannò. Anzitutto il Provana proprio il 20 gennaio 1552 era a Volpiano, non in Lanzo, come si scorge in una lettera sua scritta in quel giorno e da quel luogo, della quale parleremo in seguito. Inoltre il 2 gennaio di quest’anno il Duca scrivendo alla Stroppiana (Arch. di St. di Tor. Vienna. Lettere ministri, mazzo II. Minute del Duca allo Stroppiana) da Vercelli diceva : « Le s.r de Leiny maistre d’hostel de mon ιο8 GIORNALE LIGUSTICO Don Ferrante si mosse quando già Lanzo era strettamente assediata, ed incaricò il marchese di Pescara di soccorrerla e di rinforzare la guarnigione di Viù. Ma per quanta diligenza ponesse il Pescara nella marcia, giunto a Rivarolo seppe che il nemico s’era già insignorito di tutta la vallata di Lanzo e lo minacciava direttamente. Avendo solo con sè 2000 uomini dovette ritirarsi con molta celerità (1). IV. Già prima della caduta di Lanzo tra il Duca ed il Brissac s’ erano riappiccate trattative di pace. Nella fine poi del 15 51, contemporaneamente, o subito dopo la perdita di Lanzo, il signor di 1 aurines, inviato del Duca, riportò dal Brissac proposte di pace, ma molto pretensiose. Il maresciallo chiedeva che gli Spagnuoli sgombrassero il Piemonte, riserbandosi poi egli di restituire a sua volta le terre occupate. Inoltre, sembra che, conchiusa la pace, dovessero stringersi le nozze tra Emanuele Filiberto e Margherita di Francia, sorella del re Enrico II (2). Ma queste proposte non piacquero al Duca, il fils et monsr de Novallese son frerc sont icy, les quels touttcffois ne m ont encoures informò comme le chatéau de Lanz s'est perdu et comme que estait----qu’il ait esté perdu bien malheureusement ». Queste parole del Duca tolgono ogni dubbio. La caduta di Lanzo è del 15 51, e forse del dicembre, 0, con maggiore probabilità, degli ultimi di novembre, come prova il seguente documento: Calendar of State papers. Foreign Series of thè Reign of Edward VI (1547-53) London, Longman, 1861, pag. 201. Peter \ annes al Council. Venezia 5 dicembre 1551 « The Seigniory have received letters from Piedmont to thè effect that thè French have taken by assoult and battery a strong castle 12 miles from Turin, a place of importance for their purpose ». Questo castello non può essere che quello di Lanzo. (i) Montluc, op. cit., 399. (21 Questo deduco da una lettera dello Stroppiana da Inspruch 17 gennaio 1552, di cui fra poco. GIORNALE LIGUSTICO quale s’affidò al tatto del nostro Giacomo Provana, uscito allora da Lanzo, per ottenere patti migliori. Il 2 gennaio Giacomo era di ritorno a Vercelli, e faceva la sua relazione al Duca. Il re di Francia per bocca del Brissac consentiva a restituire la Savoia e la Bressa e ad adoperarsi perchè gli Svizzeri sgombrassero i baliaggi da lunghi anni occupati. Il re prometteva inoltre un compenso in cambio delle terre piemontesi che voleva ritenere, e prometteva la mano di Margherita ad Emanuele Filiberto (i). Carlo III fu poco lusingato anche di queste proposte, per quanto migliori di quelle fatte al Taurines, e mando il conte Ludovico di Chatellard ad Inspruch, dove si trovava in quei giorni la corte imperiale, perchè comunicasse ogni cosa all’imperatore ed al vescovo d’Arras. Cosi fece egli insieme allo Stroppiana (2). Il D’Arras approvò il rifiuto del Duca (1) Arch. di Stato di Torino. Vienna. Lettere ministri, mazzo IL Minute di lettere del Duca allo Stroppiana (1546-53). Vercelli 2 gennaio 1552. « Rapport de mons.r de Leiny: Que ayant esté licentié de mons.r de Brissac, le dict s.r manda ung après luy; le priant de la part d’icelluy s’en retourner vers lu}' qu’ il avoit oblyé luy dire auchune chose. Lequel faist et luy dist ledict s.' qu’ il vouloit qu’ il dormist là celle nuyt. A quoy le dict s.' de Leiny fast cousté avec quelques excuser qu’ il sceust fere. Et rentrant en matere ledict s.' luy dist qu’ il avoit mandé vers le Roy sur les propos qu’ il eurent ensemble. Que le Roy se contentoit rendre tout la Savoye avec la Bresse, et se perforeroit (?) que les Suisses rendroyent ce qu’ ils tiennent, en donnant recompense du Piémont et madame sa seur en mariage a monseig r le Prince. Et pria ledict s.r de Leiny fere effectuer ses recommandations a mondict s.r le Prince, le priant se souvenir des propos qu’ il luy tint a Ratisbone pour le 'bien et le repos de monseigneur son pere et sien, desquels il estoit treshumble serviteur ». (2) Id. Id. Lettera del Duca allo Stroppiana. « Real serviteur: Despuis l’aultre despeche fait nous a semblé vous advenir comme le s.' de Leiny, maistre d'hostel de mon fils, et nions.' de Novallese, son frere, sont icy, les quels toutteffois ne m’ont encoures ènformé comme le chateau de Lanz s’est perdu, et comme que estait.... qu’il ait esté perdu bien malheureu- GIORNALE LIGUSTICO alle proposte riportate dal Taurines, e trovò che le altre del Provana non meritavano miglior accoglienza (i). Ma già il sement. Au demeurant nous vous envoyons le rapport que nous a fait ledict m.' d’hostel de quelques propos tenus dudict m.' d’hostel » affinchè li riferisca all’ imperatore. II Duca dichiara di credere queste proposte del Brissac « toutes bayes «. La lettera è data a Vercelli 2 gennaio 1552. — Da questa lettera e dal Rapport del Provana sopra trascritto parrebbe che il Provana, quando venne rilasciato in libertà dal Brissac, da cui era stato preso nella resa di Lanzo, ricevesse le proposte di pace dallo stesso maresciallo, e la sua prigionia fino allora gli avesse impedito di presentare la relazione della caduta di Lanzo al Duca. Sembra pure che Carlo, l’abate della Novalesa, suo fratello, gli fosse compagno a Lanzo e nella prigionia, perchè, secondo il Duca, ambidue, non Giacomo solo, avrebbero dovuto in ormarlo esattamente di quella sventura. Id. Lettere particolari. Gio. Tommaso Langosco di Stroppiana al Duca. Inspruch 12 gennaio 1552: « Il Chatellard.... mi pare non pretermettesse cose che convenesse dirsi, et con tutto questo parve che sua m.tA pigliasse ogni cosa in bona parte con rimetterse però a Mons.r d’Arras senza altra rispuosta sopra qual si possa far fondamento. Però s" el si ha da havere speranza in negotiatione, si debbe havere in questa considerata la mina (sic) di sua m.“, et ancora, come gli ho scritto av. E, havesse fatto intendere a sua m.'i per mons.' d’Arras il raporto che faceva mons.' di Taurines in la pratticha adrizata per lui. Però non ho manchato, finito che ebbe mons.' de Chatellard il suo parlare, ricerchare l’intendere d’ essa quel che si doveva fare et suo buon piacere, insieme con dirli il novo raporto di mons.' dè Leini sopra l’istessa pratticha, et anche de parlarli delle page del castello di Nizza...... Me disse: « Parlatene con mons.' d’Arras et per lui haverete la resolutione d’ogni cosa ». ^ Id. \ ienna. Lettere ministri, mazzo II. Stroppiana al Duca. Inspruch 17 gennaio 1552: « Mons.' d’Arras al nome di sua m.'·1 mi resolvete in tutti li tre poncti de la sorte che segue. Et quanto al p.° dice che.... trova fuor d ogni raggione il rapporto dii detto Taurines, conciò sia che per esso non suol si vogli mettere in dilatione e dubbio la restitutione di quel che il re tanto indebitamente occupa a v. E., ma anche si cerchi di levarli ciò che li he restato e deffenduto sotto la protettione di sua ρ.,Λ m.’·*, a tal habbia più modo di farli far quel che vorrà esso Re, qual anche mette dilatione nel mariaggio di Madonna Margerita, qual tante volte l’hano GIORNALE LIGUSTICO Duca le aveva respinto, e mandato Γ 8 gennaio il Provana a Volpiano per comunicare il suo rifiuto al Brissac (i). offerto, sì che declara assai di qual manera la vorrìa trattare s’el si fosse impatronito di quei luogi che ancora tene e quasi sua m.tà non doverla rimettere per tal non se ne servesse esso re contro di lei. Et per questo che si cognosce assai la pocca voluntà eh’ el tene di volere venire ad accordo alcuno con V. E. et dice che v. m.'4 ha trovato le rispuoste che ella ha fatto al ditto Taurines savie e buone, ma il predetto rapporto he statto tanto absurdo che non meritava rispuosta, nè così pocco d’esser sentuto ni mandato qua. Quanto a quel di Mons/ di Leyni dice che non ne ha possuto anchora far rellatione a sua m.^, ma mi ha dimandato come V. E. si contenterà di prendere ricompensa dii Piemonte, et come si troverà sicura quando gli lo cedesse. Io respuosi che v. E. persisteva sempre in domandar l’integra sua restitutione senza volere accettare alchuna ricompensa, et che haveva mandato qua il rapporto dii detto mons.' de Leyni, a tal che sua m.tà restasse avertita delle prattiche che francesi fano, et di quel che sino a quest’hora si he passato con loro ». (i) Arch. di Stato di Torino. Vienna. Lettere ministri, mazzo II. Minute del Duca allo Stroppiana. Il Duca a? (D. Ferrante Gonzaga?,: « Molto mag.co s.r - Sto di continuo aspettando rispuosta di v. s.ria con la risolutione sopra ciò che s’è trattato qua a beneficio delli mei sudditi, qual pregola inviarmi quanto più presto. La recordarò parimente che voglia tener memoria de miei bisogni apresso sua Ecc.*, come confido in v. s.u. Il s.r de Leiny è andato sino a Vulpiano, e da lì spedisse uno suo far risoluta rispuosta secondo li ragionamenti stati tra v. s.ia et me, et similmente ne dò aviso al Stropiana, Ambassiator mio presso sua M.'à perchè ne la informi. V. S.ia mi farà gratia con la prima occasione dar recapito al incluso suo plico, et con questo fine ricomendandomi a V. S.'1 pregarò u S.r Iddio che la contenti. Di Vercelli alli vili di Zenaro 1552 ». Id. Id. Il Duca allo Stroppiana: « Féal conseiller - Dernièrement par le s.' de Chastellard vous avous envoyé la copie du rapport avois fait par M. de Leiny des propos a luy Leiny par mons ' de Brissac. Maintenant vous envoyons la copie de la responce que.. dont vous informerez v. Μ.'έ. Et nous advertirez du contentement qu’elle eu aura bien que... attendre que la dicte response est conforme aux precedentes. Nous receusimes vostres lettres avant hier du xix de decembre, et avous esté bien asé entendre b.uayes hen les cent escuz. Par le dict Chastellard nous vous en avons 112 GIORNALE LIGUSTICO Giacomo Provana, giunto a Volpiano, s’affrettò a mandare al Brissac un gentiluomo per tale scopo, e nel frattempo in attesa di ostilità s’adoperò a rafforzare quella terra. Pare tuttavia che i Francesi non avessero in quei giorni alcuna intenzione minacciosa (i). « 111.'110 et Ex.mo s.r mio oss.mo — Io aspeto il ritorno del gentilomo qual ho mandato far la risposta qual mi comise v. Ex.a et subito sarà ritornato me ne andarò da quella. In queste bande non vi è altro di novo sino che si aspetta bandere de Svicer quali deveno jongere presto. Francesi si sono un poco refrediti di loro colera da poi che si è provisto in questa tera, che he adeso 1200 boni soldati, et così si sarebeno refredito per il passato chi avesse provisto neli altri logi. Nè altro mi ocore per il presente, salvo che umilmente racomendarmi in sua bona gratia. Prego nostro s.r che lo prosperi et contenti. Da Vulpiano ali 20 di zanaro del 52. Humiliss.0 subdito et servitor Jacobo de leiny. envoyé cinquante aultres que luy donnasmes charge prendre a Milan. Et pour ce que par luy nous avous ampliement escript ne nous occoure vous fere aultre responce fors que vous prier continuellements nous advertir des occourrences, que avez accomplis et fet et que feres. De Verceil le vin.” de Janvier 1552 ». Ecco la risposta latta al Brissac: « Que monseigneur a auuy ce que mons.r de Leiny luy a dict de la part de mons.r de Brissac, les propos duquel sont bien.... des responses que cy-devant luy ont esté faictes en escript. Les quelles responses sont telles que quant a la restitution de Testât mondict seigneur heust ung peu de patience, et quant au mariage qu’on se parleroit avec le temp. De recompense du Piémont mondict seigneur est resoulu de non y vouloir entendre en aulcune maniere ». (1) Arch. di Stato di Torino Lettere particolari. Giacomo Provana al Duca. Volpiano 20 gennaio 1552. GIORNALE LIGUSTICO '13 Alcuni giorni dopo lo raggiungeva il fratello Carlo, l’abate della Novalesa, troppo tardi per partecipare egli pure alle trattative di Giacomo col Brissac, come pare fosse la sua intenzione (i). « Ill.m0 et ecc.m0 s.r mio oss.mo — Gionsi hier sira qua, et piacesse a Dio lj fosse gionto otto di più presto, ch’averei sperato averlj fatto un qualche segnalano servitio secondo le occasioni si son offerte. Pur spero in Dio se me ne offerirà delle altre per servirla come dessidero. Si partono le compagnie di Caselle et Lanz per passar di là de monti oggi con altre compagnie vecchie, et s’aspettano doe altre nove per questi presidij. Non ho possutto sin hor intender altro per esser gionto troppo tardi. Mio fratello verrà in breve da v." ecc.* che li apportarà quello che di più occorrerà. Nè per hor ho altro che dirlli, suol che suplicarla si degni consservarmi nella sua buona grafia come fidell.m° subditto et ser.re che li suono. N. S.or conservi suoa Ill.ma persona come dessidera et meritta. Da Volpiano li 29 gienaro 1552. Humil et fidell.m0 ser.ra Carlo Provana. Il 30 luglio di quest’anno ritroviamo Giacomo a Volpiano, la cui posizione diventava pericolosa. Mille fanti e 2 compagnie di cavalli dell’ esercito francese sotto Ludovico Birago ed il cap. Francesco Vimercato avevano fatto portare tutte le vettovaglie del Canavese in Chivasso, perchè i difensori di Volpiano non se ne potessero servire. Il Provana non sapeva darsi pace che un pugno di Francesi bastasse a trattenere tutto 1 esercito di D. Ferrante (2). (1) Id. Id. Carlo Provana al Duca. Volpiano 29 gennaio 15 52- (2) Id. Id. Giacomo Provana al Duca. Volpiano 30 luglio 1552. Giorh. Ligustico. Anne XXII. * ιι4 GIORNALE LIGUSTICO « 111."10 et ex.m0 s.r et padron mio oss.mo — Io sarei già di ritorno da v. Ex.a se non fose la venuta del s.r Ludovico Birago et il cap.° Francisco Vimercha in Sogliso, con circba mile fanti et dove compagnie di cavali, quali fano portar tute le vituarie del Canaves in Chivaso, adcjò che noi non se ne possiamo prevalere, et mi pare con supportacione che gli è una gran vergogna ali ministri di sua m.td di patir che tre gate vengano a far tanto dano sopra il nostro..., et per essere nel più bel loco che potessero essere per disfarli. S.r mio, se avesemo auto il modo di la gente, come si era mandato a domandar al s.r don Fernando si seria fato de bele imprese, però per non aver auto il modo si è sopraseduto et non so se ne verà più tal comodità, come farò il tuto intendere a v. ex.a trovandomi da lei, come spero di far in brevi. Et umilmente basiandoli le mani, prego nostro s.r la conservi. Da Volpiano ali 30 di lujo 1552. Di v. Ex.a umiliss.0 subdito et servitor Jacobo de leiny. Nuli’altro sappiamo di Giacomo Provana. Egli deve aver finito la vita sua o negli ultimi mesi di quello stesso anno 1552, 0 nel seguente, perchè il 30 gennaio 1554 in una lite tra i suoi figli, Andrea e Gaspare, contro Pietro ed Antonio Cornetti, che pretendevano d’aver ragione sopra certi beni di loro proprietà, egli viene nominato come defunto (1). Le notizie adunque giunteci di Giacomo Provana, per quanto non numerose, ci mostrano a sufficienza com’egli fosse degno padre di quell’insigne ammiraglio e uomo di Stato che fu il suo primogenito, Andrea. Egli servì con fedeltà e zelo nel-1’ avversa fortuna il povero Duca Carlo III, spogliato dei suoi (1) Archivio Provana. Lanzo e Valle. Miniere, beni ed effetti, mazzo II, cat.‘ i.*, n. 2. GIORNALE LIGUSTICO "5 Stati ed abbandonato da molti nobili del paese, aiutò coll’opera e col consiglio Em. Filiberto , e combattè da valoroso, quando 1’ occasione gli si presentò. La fama di Andrea eclissò quella del padre, talché di Giacomo Provana finora quasi il nome stesso si ignorava. Era debito di giustizia togliere dall’obblio la memoria di un uomo che ebbe meriti così notevoli e rari pei tempi in cui visse (i). Dott. Arturo Segre. LE BANDIERE GENOVESI DELLA BATTAGLIA DEL FINALE NEL 1746 AL SANTUARIO DI VARALLO Il Finale, ora Finalborgo nel littorale ligustico di ponente, già antico feudo degli Aleramidi, marchesi Del Carretto, posto quasi nel bel mezzo dei dominii della repubblica di Genova, fu di continuo preso di mira da questa, bramosa sempre di venirne in possesso. Dopo varie discordie e contese tra quei marchesi, la Repubblica e i finalesi stessi, furono stipulate le famose convenzioni cesaree in forza delle quali l’imperatore Massimiliano II aveva dato autorità ai finalesi di avere una certa indipendenza nell’ esercizio della loro amministrazione, mentre che Finale fu riconosciuto capo di tutto il marchesato, sottomettendosi però ai vicarii imperiali in rapporto di quanto si riferisse alla giustizia ed al governo della forza armata. E tali norme a un di presso si mantennero sino al 1797. (1) Debbo viva riconoscenza al mio venerato Maestro, Prof. Conte Carlo Cipolla, che esaminò questo mio lavoro e mi fu largo del suo prezioso consiglio. giornali; ligustico Non per questo il Finale a cagion della sua giacitura, e qual punto di comunicazione fra la Spagna e lo stato di Milano, tenuto da questa (che avevaio avuto ai tempi di Filippo III, per investitura dell’imperatore Mattia nel 1619) dopo la morte del marchese Alfonso II Del Carretto fu parecchie volte occupato dalle sue soldatesche. Carlo VI poi, avendolo alienato nel 1713 a Genova, non contribuì per nulla alla sua sicurezza e tranquillità, poiché sorgevano di continuo gravi litigi fra la Repubblica e quella popolazione. Col trattato di Worms infine Maria Teresa, non ostante la vendita fatta da suo padre, alienava hinale al Re di Sardegna Carlo Emanuele III. Sorse allora la celebre guerra dell’anno 1746, in cui i genovesi unitisi ai gallispani che pugnavano in Piemonte per la contesa della successione austriaca, provvedevano a tutelarsi del preteso marchesato, che ben vedevano, come in mano di Sardegna avrebbe servito a questa di porto capace ad attirargli il commercio dell’ Inghilterra. Non è il caso di qui ripetere cose note e seguire i progressi della guerra che già nell’anno antecedente non accennava a buoni auspicii per Carlo Emanuele, che oltre alla Savoia ed al Nizzardo vide in poter dei nemici il Piacentino, il Tortonese, il Novarese, il Monferrato, l’Asti-giano e l’Alessandrino al di fuori della sua cittadella. L’esercito assottigliato, i collegati austriaci scoraggiati ed impari a far fronte ai gallispani davano assai ad impensierire ai nostri. Quindi con poco buon pronostico cominciava la successiva campagna, intrapresasi dopo molti negoziati tenutisi nel verno fra i plenipotenziari delle potenze interessate. in mezzo alle difficoltà che sorgevano non lievi, ed anche all’abbandono di quanti nelle città occupate si lasciavano cogliere al laccio dei nemici, grato giugneva alla corona un sentimento di fedeltà dalla lontana Valsesia. Col trattato di Utrecht dell’undici aprile 1713 era stata confermata col regno di Sicilia, basso Monferrato, Lomellina, Alessandrino la ces- giornale ligustico 117 sione della Valsesia, aggiudicata alla Sardegna sino dal trattato di Vienna del 1703 I Valsesiani adunque, che uniti ai dominii di Savoia dopo un periodo di nemmeno cinquantanni si potevano ritenere fra i popoli nuovi, e desiderosi di aver motivi per dar prova del-Γ attaccamento, al nuovo sovrano, non lasciavano sfuggire occasioni per assicurarlo dei sentimenti che li faceva partecipi, come delle pene, così delle sue glorie. Nel furor dunque della guerra del 1746, ricominciata con avventurosi successi del noto barone di Leutrum, che con un colpo di mano, preparato con somma segretezza, già nel marzo guidando i piemontesi riusciva felicemente nella tentata impresa di Asti, le sorti sembravano arridere felici ai nostri : come lo furono colla liberazione della cittadella di Alessandria. Lo annunziava la leggenda stessa della medaglia coniatasi per ricordare la difesa della cittadella d’Asti. Recava essa nel dritto il ritratto di Carlo Emanuele, nell’ esergo una bilancia, un bacino della quale conteneva la fortezza di Alessandria preponderante, l’altro le armi di Francia, Spagna, Napoli col motto Et Genva e la leggenda Attamen non sufficit. Dopo tali successi, in breve il Piemonte rimaneva libero : e Valenza era dal Leutrum ridotta a capitolare nel marzo. Gli sforzi dell’armi erano ridotti sul Piacentino : e nel maggio seguiva la celebre battaglia di Piacenza, ottenendone gli austriaci la vittoria. Animati da siffatti successi i reggenti la Valsesia chiesero al Re che volesse loro concedere alcuna delle bandiere tolte ai nemici per riporle quale trofeo nel celebre santuario di Varallo. Sembra che così pio e innocente desiderio dovesse venire tosto soddisfatto. Eppure siccome invale in genere l’uso di essere talora restii a concedere liberamente quanto si prodiga allorché non viene chiesto, il segretario di stato per gli interni, 118 GIORNALE LIGUSTICO il 5 luglio cosi scriveva a quei magistrati... « Dal compitissimo foglio di VV. SS. Ill.m* dei 7 ho avuto campo di riconoscere come un effetto del loro zelo per la prosperità delle armi di S. M. il desiderio di cotesti popoli d’avere nel santuario del sacro Monte qualche stendardo preso sovra i nemici. Affinchè però venir possa si lodevole brama adempita devono incessantemente pregar il sommo Dio di concedere al nostro Sovrano nuove vittorie, nel qual caso non si ommetterà di far presente alla M. S. la suddetta dimanda, mentre potrà esservi allora luogo a soddisfarla, trovandosi presentemente dove hanno da rimaner collocati li già riportati trofei... » (1). Le supplicazioni dei buoni e devoti valsesiani dovevano avere tale efficacia, che in breve Carlo Emanuele III poteva ottenere Novi, occhio della Liguria, e le cui porte i cittadini stessi paventosi che la città fosse soggetta a bottino, gli aprirono. Riacquistati quindi i castelli di Villafranca e di Montal-bano il Re riaveva pur Nizza con quanto eragli stato tolto nei fatti precedenti ; e cosi il marchesato di Finale. Quindi il venti agosto il ministro scriveva al segretario di stato Cauda... « La felicità dell’ armi della M. S. ed i rendimenti di grazie che ne hanno fatte all’Onnipotente i sudditi della Valsesia, hanno dato luogo a quei reggenti di umiliare alla M. S. le loro suppliche acciò si compiacesse decorare quel loro santuario della miracolosa Beatissima Vergine con qualche stendardo preso a nemici per riponerlo in quella chiesa, ed avere sempre presente l’assistenza divina che ha protetta la giusta causa di S. M. Ho stimato che la medesima non sgradirà questa rappresentanza che procede da un popolo molto affetto, zelante ed ubbidiente a regi comandi : il che V. S. {ll.ma si contenterà riferire alla M. S. (2) ». (1) Archivio di Stato di Torino. Corrispondenza della segreteria di Stato. (2) Archivio di Stato: luogo citato. GIORNALE LIGUSTICO Come si vede, anche allora non men d’oggidì la burocrazia procedeva lentamente nelle sue avviluppate forme. Già erano scorsi due mesi che i buoni Valsesiani avevano manifestato quel loro pio desiderio al pio Re, e questi non aveva ancora preso decisione alcuna; e soltanto al cader dell’agosto si dava autorità al segretario di stato Cauda di fargli nuova rappresentanza. Anzi bisognava che trascorresse ancor un altro mese prima che si decidesse di finalmente conferirne col Re. Il 20 settembre infatti si scriveva al Cauda.... « Conimi vous m avez écrit que Ion a pris six drapeaux Génois à la reddition des chateaux de Final, il faut monsieur, que vous ayez l honneur de ressouvenir le Roy des très humbles detnandes que les Regens de la Valsesia ont faites pour avoir quelques trophées a mettre dans leur Sanctuaire de Varai. S. M. pourroit leur faire ressentir des effets de ses graçes dans cette occasion, si elle vouloit ordonner qu on leur remit deux de ces drapeaux. C’est ce que vouz aurez l’honneur de Lui représenter, et en attendant les déterminations qu il lui plaii a de donner à cet effet j’e vous réitéré... (i) ». Del resto il governo era ben disposto ad appagare a così buon mercato quei buoni Valsesiani; e già il ventisette dello stesso mese scrivevasi all’or accennato segretario di stato.... « Ho avvisato il tappezziere di S. M. Lauro di metter a posto due bandiere genovesi pel Santuario di Varallo ; e scriverò a quei reggenti la grazia che gli viene accordata dalla M. S. acciò mandino a levare dette bandiere per affigerle in detto Santuario (2) ». E colla stessa data veniva trasmesso a quei reggenti la partecipazione, come si dice volgarmente, ufficiale « ...Dalla premura delle SS. VV. Ill.me d’aver in cotesto Santuario qualche contrassegno de’ felici successi delle armi della M. S. per renderne continue grazie all’altissimo, si è la me- li) Id. 1. c. (2) Id. 1. c. 120 GIORNALI- LIGUSTICO desima benignamente degnata accordare a V. S. Il].m* due bandiere delle sei prese ne’ castelli del Finale. Ho il vantaggio di darlene l’avviso acciò elleno possano indicarmi a chi dovrò tarle rimettere per cautelatamente costà condurle, e poscia ri-ponerle come trofeo in cotesto Santuario. Nel recare con somma soddisfazione questo annunzio a VV. SS. Ill.mi... (i) ». Senonchè, o per la deviazione della reale corrispondenza, o per la difficoltà del cammino, notevole considerandosi a quei dì la distanza da Torino a Varallo, fatto è che tredici giorni dal- 1 invio di quel dispaccio, non era ancor giunta alla Capitale la risposta dei reggenti della Valsesia. Quindi è che non senza sorpresa, il dieci di ottobre il ministro scriveva nuovamente a loro, affine di non differire... « maggiormente di rassegnare a S. M. i loro umili ringraziamenti per tale distintivo accordatoli... ». La lettera della segreteria di stato del 22 ottobre prova poi che i buoni Valsesiani avevano risposto sino dal quattro di quel mese : il perchè ogni cosa era in regola. Ma nella risposta inviata loro da Torino si dà un tocco della poca premura loro di non essere in grado di far ritirare quei vessilli sino alla metà del successivo novembre. Del resto ecco le parole del ministro... « Per l’espresso che si rispedisce ho ricevuto il compitissimo foglio di VV. SS. IIl.mc dei 20 senz essermi pervenuto 1’ altro de’ 4 cadente mandatomi ora per duplicato, e da cui osservo i vivi loro sentimenti di gratitudine per le consapute bandiere da S. M. accordate a co-testo Santuario. E non sendovi motivo per cui non possino differire di mandarle a prendere sino alla metà del venturo novembre, passo... ». In tal guisa rimanevano appesi alla volta dello storico ed artistico santuario \ alsesiano i vessilli di quel Finale, i cui abitanti avevano salutato il Re di Sardegna, loro liberatore, (D Id. L c. GIORNALE LIGUSTICO I 2 I angariati, com’ essi si dicevano, dall’ ingordigia genovese. Ed egli v’ istituiva una giunta pel suo governo economico e giudiziario in un con quello del littorale. Senonchè quell’acquisto era sol passeggero, ed in forza delle stipulazioni del trattato di Àix-Le-Chapelle il Finale venne restituito a Genova, di cui seguì le sorti sino al 1814. G. Claretta. IL LESSICOGRAFO FRANCESCO ALBERTI i. Il nome dell’abate Francesco Alberti de’ conti di Villanova, nato a Nizza il 21 settembre 1737, morto a Lucca il 15 dicembre 1801, per quanto adesso dimenticato, ha diritto di figurare nella storia della nostra letteratura. Tra le sue opere (1), le due principali: il Dizionario italiano-francese e francese-italiano, e il Dizionario universale critico della lingua italiana, quando vennero fuori per la prima volta, segnarono addirittura un (I) Appena comparve in Francia il Dizionario del cittadino, l’Alberti lo tradusse in lingua italiana; traduzione che fu pubblicata a Nizza, co’ torchi di Gabriele Flotcront, il 1762, in due volumi in 8°. Per festeggiare le nozze dell’avv. Pietro Ricci con Marianna De Gregori-Martinengo, stampò, co’ medesimi torchi, un poemetto intitolato : La vite. Si ha di lui anche un altro poemetto, ma ignoro quando venne fuori, non essendomi riuscito di trovarlo. La sua opera: Dell’educazione fisica e morale, ossia dei doveri dei padri, delle madri e de' precettori cristiani nell’ educazione de’ figlioli , contro i principii del sig. Rousseau di Ginevra, uscì alla luce in Torino, dalla Stamperia Reale, il 1767, in due tometti in 12°. Tradusse le Notti di Young, e due volte fecero in pubblico la propria comparsa, a Marsiglia, il 1772, co' tipi di Giovanni Mossy ; a Napoli, nel 1793, per cura di Giuseppe Maria Porcelli. î 22 GIORNALE LIGUSTICO progresso ne’ nostri studi lessicografici. Il primo a scrivere dell’Alberti fu il Ginguené, che ne dette un magrissimo cenno, non scevro d’errori (i); più diffusamente ne trattò il marchese Cesare Lucchesini (2); e meglio l’abate Francesco Federighi, il quale, per sua stessa confessione, legato all’Alberti di « leale intrinseca amicizia λ, negli ultimi anni della vita gli fu compagno inseparabile (3). Copiarono e compendiarono quello che avevano detto il Ginguené e il Lucchesini, con garbo il Cardella (4); sciattamente, al suo solito, il Lombardi (5). Afferma il Ginguené che l’Alberti è autore « du meilleur » Dictionnaire français et italien, italien et français, que nous » ayons »; giudizio autorevole sulla sua bocca. Con lui si trova d’accordo il marchese Cesare Lucchesini, che scrive: « il libro di cui possiamo gloriarci è il Dizionario dell’Alberti, » a tutti noto . . . Sono circa quarant’ anni passati da che esso » venne in luce la prima volta, e in tante edizioni che ne » sono uscite in Italia e in Francia non si è mai dovuto » larvi considerevoli emendazioni e accrescimenti. Esso ha (1) Uscì fuori, prima nella Biographie universelle; poi nella Galerie historique des contemporains. (2) Lucchesini C. Illustrazione delle lingue antiche e moderne, e principalmente dell’italiana, procurata nel secolo XVIII dagli italiani, Lucca, tip. Baroni, 1819; Part· h Pag- 75 e segg· (3) Federighi F. Memorie dell’ab. Francesco de Alberti; nella seconda edizione del Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana, Milano, per Gaetano Cairo, 1825, con ritratto; e, accresciute, nella terza edizione, Milano, per Giovanni Silvestri, 1834; poi in De Tipaldo E. Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo X Vili e dei contemporanei; vol. V, pp. 104-109; e finalmente nell 'Album, di Roma, n. i [1839]. (4) Cardella G. M. Compendio della storia della bella letteratura ; toni. Ili, part. III, pp. 364-366. (5) Lombardi A. Storia della letteratura italiana del secolo XVIII; toni. IV, pp. 20-22. GIORNALE LIGUSTICO 123 » fatto dimenticare gli altri dizionari, ed a chi volesse succe-» dergli non ha lasciata molta speranza di far cosa migliore. » Nato essendo nel contado di Nizza, erano a lui naturali le » due lingue italiana e francese, nelle quali inoltre pose molto » studio finché visse; quindi colle acquistate cognizioni e co » dizionari della Crusca e deil’Accademia Francese potè fai e » un’ opera utile e degna di vivere lungamente ». E qui è da sapersi che l’Alberti, dopo avere per un tratto di tempo abitato nella Polonia, dove ottenne il titolo di canonico onorario del Capitolo di Varsavia, non che una pingue pensione da un ricco Principe di quel regno, si trasferì a Parigi, poi fece ritorno nella nativa sua Nizza. Si mise allora a rivedere e accrescere il Dizionario francese italiano dell abate Annibaie Antonini; ma, per testimonianza del Federighi, « le giunte e » le correzioni furono tali e tante, che invece di ristamparlo » col nome di lui, vi appose, con più di ragione, il proprio »; e lo pubblicò a Marsiglia, nel 1772, co’ torchi di Giovanni Mossy. Del Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana il Ginguené dette questo giudizio : « est fort estimé » et peut tenir lieu, à des étrangers, du dictionnaire de » La Crusca ». Peraltro, più che quello del Ginguené, è notevole il giudizio che di quest’opera dette il Lucchesini, perche rispecchia il pensiero de’ dotti d allora. « L Accademia della » Crusca », così scrive, « nel suo Vocabolario poche parole » aveva registrate spettanti alle scienze e alle arti; quelle cioè » solamente che, 0 sono più comuni, 0 si trovano negli autori » approvati ; dicendo che di queste far si dovea un Vocabo-» lario separato. Conosceva essa certamente le difficoltà che » nel raccogliere queste voci si dovevano incontrare. Le dif-» ficoltà non sgomentarono l’Alberti. Egli esaminò i libri mi-» gliori che trattano di queste facoltà, viaggiò per le città » della Toscana, visitò le officine degli artefici ed ogni altro 124 GIORNALE LIGUSTICO » luogo da cui trar potesse siffatte voci, e ne arricchì il suo » Dizionario (i). Nè trascurò pure le altre parole che a scienze » ed arti non appartengono, ma un numero grandissimo ne » radunò traendole dagli autori citati nel Vocabolario del 1729 » e dallo stesso Vocabolario nella prefazione, o nelle spiega-» zioni delle voci che dagli accademici non furono registrate. » A queste aggiunse egli altre fonti di nuovi accrescimenti, » che furono: r.° Gli autori approvati col partito che dicesi » preso dall’Accademia Fiorentina nel 1786 (2); 2.0 La de- li) Il Federighi così racconta il fatto: « Nel 1793 viaggiò per le città » della Toscana; visitò le fabbriche della seta, della lana, del ferro, del » sale e di altre arti, tenendo discorso cogli artefici nelle officine delle loro » manifatture, osservandone la esecuzione e gli strumenti ; e se alcuna cosa » di singolare gli avveniva di scorgere, che meglio fosse stato avere sot-» t’ occhio, ne formava di sua mano in carta il disegno (e molti ne fece » d’ogni sorta), apponendo alle parti ed al tutto quel nome con che ogni » cosa udiva chiamata. Ad assicurarsi poi dell’ esattezza e proprietà del » nome, con industria usò spesso di addimandarne altri artefici dell’ arte » medesima, ed in città diverse, mostrando loro, o descrivendo soltanto la » cosa che bramava di riudire nominata, astenendosi però egli dal nomi-» narla. In Livorno raccolse i vocaboli di nautica e di pesca, e verificò » quelli che già raccolti aveva altrove, e registrati. In Firenze si trattenne » più lungo tempo che in altro luogo, occupandosi particolarmente delle » voci di uso, e consultando alcuni dei principali accademici della Crusca » sopra diversi oggetti di lingua ». (2) Il Granduca Pietro Leopoldo fin dal 1784 aveva soppresso le tre Accademie della Crusca, Fiorentina e degli Apatisti, formandone una sola; cosa che, al dire dell’ab. Francesco Becattini [ Vita pubblica e privata di Pietro Leopoldo d’Austria Granduca di Toscana, poi imperatore Leopoldo II, Siena, MDCCXCVII. All’insegna del Mangia; p. 197],5« incontrò biasimo » universale presso tutte le persone di buon senso ». Vittorio Alfieri col sonetto: L’ idioma gentil, sonante e puro e coll’ epigramma : Boreal scettro inesorabil duro fece le vendette della Crusca. 125 » rivazione delle voci adottate, cioè i superlativi, diminutivi, » accrescitivi, vezzeggiativi, diminutivi di diminutivi, peggio-» rativi, avvilitivi, participii, verbali ed altri somiglianti, se-» guendo in ciò l’autorità della Crusca medesima nella pre-» fazione al Vocabolario del 1691 e del Varchi; 3.0 Altri » autori non mai citati dalla Crusca, che furono però per la » maggior parte toscani, o annoverati fra gli accademici, e a » suo giudizio scrissero in purgata favella ». Il Lucchesini mena buoni all’Alberti gli accreseimenti che derivò dalle prime due fonti. Non gli fa colpa « quando » prende alcune voci spettanti a scienza dall Alghisi, dal dott. » Bastiani, dal Biringucci, dal p. Bonanni, dal Ceracchini, dal » Mattioli, dal Vallisneri e da altri »; e neppure gli muove rimprovero quando toglie « dalla raccolta di bandi, editti, ecc. » pubblicati in Toscana nel secolo XVI e dalla tariffa delle » gabelle della Toscana certe voci spettanti a manifatture, » commercio e simili ». Lo rimprovera, per altro, d aver preso de’ vocaboli dagli scritti di Pietro Aretino, « autore » scorretto quanto altri mai » ; dalle opere del Ruscelli, « scorretto altresì » ; non che del Dolce e di più altri ; lo rimprovera « per soverchia scarsità di esempi », e « per la » negligenza da lui usata nelle citazioni », e per avere regi- D O strate nel Dizionario alcune parole che « da altri forse si po-» tranno credere men degne di quest onore : tali, per esempio, » abbonamento e abbonare, toletta, altarizzare> regretto e regret-» tare, deserta, ecc. ». Conclude però che il Dizionario del-ΓAlberti « è pregevolissimo e necessario a chiunque vuole » studiare la lingua toscana », e che il Cesari « di molte » voci e maniere di dire avrebbe arricchita la sua edizione « del Vocabolario della Crusca, se l’avesse veduto ». Del-l’averlo però ripreso « per soverchia scarsità d’esempi », il Lucchesini quasi se ne scusa, con dire, a giustificazione del-l’Alberti, che « l’angustia somma a cui negli estremi del viver 126 GIORNALE LIGUSTICO » suo l’avevan condotto le vicende della patria, caduta mise-» ramente sotto il giogo della rivoluzione, fu forse la cagion » principale che lo consigliò a diminuire il numero degli » esempi, per diminuire il numero de’ volumi ». L· un’accusa e una giustificazione, che nè 1’ una, nè l’altra reggono a martello. Non regge l’accusa, perchè quando si tratta di lingue vive, non son gli scrittori che dettano la legge, ma la bocca del popolo. Non regge la giustificazione, perchè, come già ebbe a scrivere il Federighi, « più discreti e più » ragionevoli sarebbero stati i censori, se ponderatamente e » con animo spregiudicato ne avessero letta la prefazione, e » ben addentro fossero entrati nello spirito dell’ autore. Egli » poi, per esperienza propria, e per quella ancora di altrui, » aveva osservato in altre opere le quante volte sono le ου tazioni sbagliate, e quanto facilmente lo ponno essere per » incuria o degli amanuensi, o degli stampatori ; e quanto le » poche volte venga il bisogno o la voglia di riscontrarle..... » Oltre di che, l’Alberti era di massima che in un Dizionario » di lingua viva gli esempi trar si potessero da qualunque » autore, riconosciuto di purgata favella dalla comune dei » dotti scrittori, e quindi inutili riputava le citazioni; e se » s’indusse a seguitar il sistema degli Accademici della Crusca, » lo fece si, ma di mala voglia; e perciò non volle giammai » allegare il libro, il capitolo, il canto, ecc. dell’autore da lui » citato, e cancellolli nel suo manoscritto dove notati gli avea. » Fu dunque effetto di sua massima il condursi in tal modo, » e non di angustia che lo consigliasse a diminuire il numero » de’ volumi, per render l’opera meno costosa : giacché le » vicende della sua patria, caduta sotto il giogo della rivolu-» zione, noi ridusse mai a tale di aver bisogno di che prov-» vedere alla propria sussistenza ». 11 Dizionario dell’Alberti ha però un merito, dal Lucchesini e dal Federighi non avvertito; ed è quello d’aver, per il primo, GIORNALE LIGUSTICO 127 fatto una qualche parte, sebbene non grande, alla lingua viva e parlata; d’essere stato, per conseguenza, in certo modo, un tantino rompitore di que’ freni dentro i quali la Crusca vorrebbe, come in un cerchio di ferro, ristretta e fossilizzata la lingua d’ Italia; che è lingua non di morti, ma ricca di potenza e di vita e padrona di sè e de’ suoi destini. II. Delle grandi strettezze, in mezzo alle quali il povero Alberti finì la vita, per quanto dal Federighi negate (1), fa parola anche un altro lucchese, il cav. Giacomo Sardini, il quale fu in qualche famigliarità seco, appunto nel tempo della sua dimora in Lucca. Il Sardini, noto come bibliografo, principalmente per V Esami sui principii della francese e italiana tipografia, ovvero storia di Niccolao Jcnson, lasciò inedite le memorie della propria famiglia (2), dove non solo discorre de suoi antenati, ma anche di sè stesso, de’ suoi tempi e degli amici che ne frequentavano la casa, abbellita dalle virtù della colta e gentile sua moglie, Teresa Talenti. Parlando dunque degli infortuni dell’Alberti, ecco quello che scrive: « Faceami affli-» zione la sua disgrazia, poiché dopo aver quasi compito con » incredibile fatica il manoscritto del gran Dizionario della » lingua francese, col quale non avrebbe dovuto questa lingua » più invidiare il Dizionario nostro della Crusca, avvicinatisi (1) Torna a negarlo anche in un altro luogo delle sue Memorie intorno alla vita dell’Alberti. Infatti dopo aver detto che a Lucca « prese alloggio » in casa di Luigi e Rosa coniugi Gambogi, pagando la convenuta dozzina » di scudi quindici al mese, e con esso loro dimorò fino che visse, e in » morte gratificolli pur anco della somma di scudi cento »; soggiunge: « Vuoisi ciò avvertire a toglier d’inganno chi credette l’Alberti ridotto in » miseria per le sciagure di Nizza, prodotte dall’ invasione francese ». (2) È un voi. in fol. di pp. 477, che ha per titolo : Memorie della famiglia Sardini. Si conserva manoscritto presso il nipote, comm. Giacomo Sardini, che ebbe la cortesia di trascrivermi i brani riguardanti l’Alberti. 128 GIORNALE LIGUSTICO » i francesi a Nizza, lasciando ben custodito il suo lavoro in » casa sua, si portò preventivamente a Torino. Ma per non » essere ascritto in ogni eventualità nella lista degli emigrati, » (riconoscendo negli avvenimenti del tempo di Robespierre » che il terrorismo non lasciava luogo ad alcuna giustifica-» zione) era in cammino per tornare al suo domicilio, quando » incontrò molti che fuggivano, per essere già entrati i fran-» cesi. Una donna di sua molta famigliarità, che essa pure » fuggiva, lo distolse dalla presa determinazione sino a che » non si avessero opportuni riscontri. Nel frettoloso consiglio, » tenuto sulla strada, la di lei cameriera fu scelta per andare » a verificare coli ciò che immediatamente accadeva. Questa » donna, assai destra, in abito da uomo, nella notte del di » seguente cacciossi sconosciuta nella folla d’un club, ove » senti nominare la sua padrona fra le persone che tumultua-» riamente venivano condannate alla ghigliottina. Sul punto »> avvisò di ciò; e l’Alberti scelse il partito di raccomandar » caldamente i suoi scritti ad un amico, il quale poi trovò » la casa con la porta sfondata, tutto, o tolto, o dilapidato, e » solo sparso a terra qualche frammento di quell' opera, sulla » quale il desolato autore avrebbe potuto contare la sicurezza » d’una futura comoda sussistenza ». Anche il Federighi parla del « sacco » dato alla casa del-ΓAlberti quando nel 1792 i Francesi entrarono a Nizza, e dice che in quel sacco andò disperso il manoscritto di 0 un’ opera diplomatica », già composta da lui durante il soggiorno di Parigi, non che il manoscritto di varii « discorsi, panegirici e poemetti », ma di quello del « gran Dizionario della lingua francese » non fa motto alcuno. In che consisteva questo 0 gran Dizionario »? si trattava di un lavoro affatto nuovo, 0 piuttosto di correzioni e di aggiunte al vecchio, di cui già n’ erano uscite fuori tre edizioni ? Inclinerei a credere si trattasse del vecchio, che ristampò migliorato a Marsiglia, GIORNALE LIGUSTICO I29 per la quarta volta, nel 1796. Del resto, fu fortuna e grande per l’Alberti (lo attesta il Federighi; che all’arrivo in Nizza de’ giacobini francesi, si trovasse « fuori di città, in un suo luogo di delizie », tutto intento all’arduo e faticoso lavoro del Dizionario universale della lingua italiana. Potè dunque fuggir via, « recando seco il manoscritto non anche ultimato » di quel Dizionario, che poi intitolò al cardinale Giovanni Andrea Archetti, in segno d’affetto riconoscente per 1 ospitalità avuta in Bologna da lui per più mesi, dopo tanti trambusti e pericoli e spaventi e dolori. Durante il soggiorno dell’Alberti a Firenze, (anche questa è una notizia che dà il Federighi) fu proposto di ristampare il Vocabolario della Crusca « colle giunte ed ammende » di lui, λ e secondo il piano da lui formato, e sotto la direzione » sua; ma le condizioni non gli piacquero », e per conseguenza determinò di trasferirsi a Lucca, dove giunse ai primi d’agosto del 1796, per dare alla luce da per sè e a proprie spese l’opera, che fu l’occupazione prediletta e costante, la gioia e il conforto degli estremi anni della sua vita. Del determinarsi a venire a Lucca, e di stamparvi il Dizionario, due dovettero essere le ragioni : la quiete che allora si godeva nella piccola Repubblica, e la fama grande che aveva per il lavoro de’ suoi torchi. Infatti, fu « sul principio del settecento » che essendo caduta in basso Γ arte della seta, già principa-» lissima per i lucchesi, si volsero questi in cerca di nuovi » traffici ; e alquanti capitali, rimasti senza impiego, vennero » in sussidio dell’arte tipografica, di cui si aprirono nuove » officine, d’ onde uscirono moltissimi libri, ed opere di tanta » mole, che oggi sgomenterebbero le più celebrate stam-» perie » (1). Basta ricordare gli Annales del Baronio e del (1) Bongi S. L’Enciclopedia in Lucca ; nell’Archivio storico italiano, Serie III, tomo XVIII, pp. 64-90. Giorni. Ligu«tico. Λ»·« XXII >50 GIORNALI·: LIGUSTICO Rainaldo, compresi in quarantadue poderosi volumi, che vennero iuori dal 173S al 1757 e la famosissima Enciclopédie, ristampata tra il 1758 e il 1771, in lingua francese, col medesimo corredo di tavole incise, imitando in tutto, anche nella forma materiale, il testo parigino. Di queste compagnie tipografiche lucchesi, ove alcune delle famiglie principali tenevano investito il proprio danaro, e che in persona vigilavano e dirigevano, le tre di maggior polso furono quelle che dal nome modesto degli stampatori, sotto il quale si nascondevano, si dissero del Venturini, del Giuntini e del Marescandoli. Appunto alla Ditta tipografica Marescandoli, della quale era uno degli azionisti il Sardini, fece capo PAlberti per la stampa del suo Dizionario universale. Ha da questo radice la relazione passata tra loro. Giacomo, nel parlare de’ vegliatori della sua casa, cosi scrive di lui : « Più modernamente era sopravve-» nuto il sig. abate Alberti, che qua stampava il suo Di^io-» nario italiano; e passando con noi continuo commercio di » ufficiosità, e col debito qui da esso contratto col suo stam-» patore e nella strettezza di assegnamenti, giacché non per-» cepiva quasi altro se non quello che pervenivali dalla vendita » di buon numero di copie d’ altre sue edizioni, erami inter-» posto col marchese Girolamo Lucchesini (1) per fare rivivere » un suo credito molto pericolante nella Polonia Prussiana. » Aveva io preso inoltre gran parte in uno strattagemma di » far consegnare, come per casualità, dal nostro Inviato a \ icnna, Ferrante Sbarra, poche righe di complimento, scritte » da!.'Alberti, alla Principessa Lubormiscka, la quale di Polonia » erasi stabilita in quella Dominante; signora ricchissima e » molto a lui affezionata fin da quando suo ospite era con-» dotto a permanere lungamente a Villafranca, luogo di delizie ■) Girolamo, il noto confidente e diplomatico di Federico II re di lYu»ia. '3' del re Stanislao II; sperava egli che da certi misteriosi termini potesse la benevola Principessa apprendere le sue angustie, nel qual caso non dubitava di venire generosamente sovvenuto. L’abate Alberti conosceva per esperienza meglio d’ogni altro le rovine che portavano alle nazioni civilizzate le vigenti dottrine filosofiche. Ma fin dalla sua prima gioventù imbevuto delle medesime, mostrava molta inclinazione verso certi principii, dei quali erangli poi odiosissime alcune immediate e legittime conseguenze. Come accade pur troppo a molti, non erasi mai formato un sistema suo proprio. Bastandoli d’esser buon amico e di professare alcune virtù sociali, si prefiggeva di contradire a tutti i sistemi , sebbene lo facesse con una cert’ aria di amichevole disinvoltura e molto cautamente. Vi sono certi luoghi comuni, rispetto ai quali, se ciò che proviene da bigottismo, o dalle passioni umane, volesse ascriversi ad un atto di religione, ci sarebbe giusto motivo da reclamare. Aveva io sentito proferir dall’Alberti sopra di ciò alcune proposizioni che poteansi sostenere con una destinazione, ma perchè appunto questi stessi luoghi comuni sono un indizio significante, erami alquanto alienato da lui. Una sera venne egli dalla mia moglie, e volendo promuovere il buon umore della compagnia, si avanzò a qualche tratto di quelli che falsamente nel mondo si chiamano di spirito, e che alla medesima dispiacque, dimodoché teceli capire che la di lui maniera di pensare poco si confaceva colla sua, e che, andando in questo modo le cose, faceali maggior finezza a non ritornare più da lei. Parve che ΓAlberti ne rimanesse al vivo mortificato, ed a norma dell’intimazione più non provossi a ritornare. Disgraziatamente per lui, non aveva egli incontrato questa decisa e risoluta franchezza nell’altre case che frequentava, ed io medesimo ebbi a conoscere quanto doveva in questo caso imparare dalla mia 132 GIORNALE LIGUSTICO » moglie. Fatto sta, che l’Alberti, infermatosi d’indi a poco » d un guaio d’orina (i), e dal suo amico ab. Federighi, che » lo aiutava nell’ edizione del Dizionario (2), consigliato a (i) Da qualche anno soffriva di mal di vescica; male che al principio del 1S01 si rese più molesto e più doloroso. Chiamò allora un medico e due chirurghi, e riconobbero che si trattava di mal di pietra. Per quanto ripetuta-mente ne facesse istanza, non vollero indursi a operarlo, temendo di accelerargli la morte. Fatta poi la sezione del cadavere, trovarono nella vescica « due pietre incarcerate, grosse come una nocciuola » (son parole del Federighi) a e osservarono tutte le altre parti scevre affatto da ogni malore ; » per lo che i professori furono quasi pentiti di non aver condisceso alle » brame di lui ». - L Alberti attese da per sè alla stampa de’ due primi volumi, che uscirono fuori nel 1797. 11 terzo, benché porti la data del 1798, venne alla luce dopo la morte dell’autore. « Nel 1798 » (scrive il Federighi) « era stampato per metà il tomo terzo, quando l'Alberti sospese la stampa per » imprcvedute circostanze economiche, pronto a riassumerla tosto che avesse » potuto. In questo frattempo continuò ad occuparsi del suo manoscritto; * c lo condusse al termine in quel modo appunto in cui venne poi dato » alla luce ». Aggiunge inoltre : 0 confesso con ingenuità, che passato nelle » mie mani il restante del manoscritto, per grazioso dono fattomene da » lui con pubblico istnimento, e trovandomi io solo affatto e occupatissimo, » per tacere di ciò che dovetti sagrificare, attese le critiche circostanze po- * litiche di quel tempo, fui più premuroso di presto riassumere la stampa, » di già ritardata di troppo, di quello che di riesaminare con accuratezza * il manoscntto ; e quindi tal quale mi affrettai di consegnarlo ai torchi ». 11 Federighi, nato a Lucca nel 1766, era sagrestano della Collegiata di S. Pietro Maggiore e teneva le veci di Bibliotecario pubblico ogni volta che il titolare, Carlo Ambrogio \ ecchi, si assentava dalla città. Appunto nella Biblioteca conobbe 1 Alberti, che vi andava ogni giorno, e strinse ami-cuia con lui, e per cinque anni gli fu « aiutatore indefesso ad ordinare e * trascrivere » il Dizionario. Il manoscritto, lasciatogli, era bensì condotto a termine, ma « in abbozzo e disordinatamente »; e nel darlo alle stampe ebbe a faticare non poco. · Mi narrava il Federighi » (son parole del suo biografo Gio. Francesco Rambelli) « aver corse talvolta le intere settimane » scrivendo continuamente le 14 e 16 ore del di, appena rifocillandosi con ■ qualche cioccolatte, con parchissimi pasti alla sera e con brevissimi sonni, GIORNALE LIGUSTICO I 3 3 » mettere in sesto le partite dell’ anima, e pensandovi sopra » e piangendo, disse di farlo. Questo gran passo si andava » procrastinando, tanto più che egli solitario erasi ritirato a » miglior aria in una villa suburbana, cedutali dalla casa Micheli. » Ma nell’ urgenza del male, con le nuove e sempre più forti » riflessioni dell’ amico, il quale talora portavasi a ritrovarlo, » pose finalmente la sua coscienza nelle mani d un dotto » religioso, e passò gli estremi suoi giorni in una fin allora » sconosciuta consolazione, quantunque fra i dolori del suo » male, con le nuove e sempre più forti riflessioni, alternando » fervide preghiere ad alta voce, finché, munito dei santi sa-» gramenti della Chiesa, volò a miglior vita. Rapporto al-» l’Alberti mi sarò forse esteso di soverchio; ma egli sarà » un uomo sempre memorabile per le sue utili produzioni; » e può forse la divina misericordia, pel non preveduto mezzo » della mia moglie, avergli somministrato un primo impulso » alle di lui finali ed utilissime e salutari determinazioni ». L’Alberti ebbe così pronta e felice la memoria, da non trovarsene Γ uguale. « Con frequenza è accaduto a me » (scrive il Federighi) « di aver sott’occhio un esempio di pochissime » righe mancante di citazione, e solo che a lui lo leggessi » due o tre volte, bastava perchè tosto egli fra i molti autori » di lingua, mi indicasse l’autore dell’esempio, e il libro, il » capitolo, la novella, la stanza e tante volte perfino la pagina, » senza sbagliare giammai ». Fu di mezzana statura, e d’una carnagione bianchissima, che tirava al pallido, ebbe alta la fronte; cerulei e vivi gli occhi, non grandi; e folte e spor- » presi sulla sedia medesima. Per tal modo potè trarre dal confuso am· » masso delle schede deH’Alberti i rimanenti volumi e giungere a riva di »> si grave intrapresa ». Cfr. Rambelli G. F. Memorie risguardanti Γab. Francesco Federighi; nella Pragmaìogia cattolica, di Lucca; tom. XXIX, pp. 106-122. *34 GIORNALE LIGUSTICO genti le sopracciglia, che gli davano una guardatura severa ; quasi rotondo il mento; e il naso un po’ cadente verso la bocca, piccola e tagliata all’ingiù. Giovanni Sforza. Ad un prossimo fascicolo, oltre gli articoli già promessi : uno scritto storico-bibliografico di G. Sforza, sovra Agostino Falconi da Marola. LA ROSA DEI VENTI NEL XIV SECOLO Nella filza 35.* dei notari ignoti di questo Arch. di Stato, a tergo d un atto che porta la data del 133...., trovai alcuni versi latini contenenti la descrizione della rosa dei venti, seguiti da un piccolo diagramma esplicativo. lale rosa concorda in massima con quella citata dal D’Avezac come usualis a proposito della descrizione dei venti d’Alberto Magno, ne suoi Aperçus historiques sur la rose de vents, pubblicati nel Bollettino della Società Geografica del 1874, lavoro che non conosceva e che ru’ additò e mi procurò 1’ illustre Comm. Desimoni. Soltanto una differenza si riscontra, che nella rosa da noi riportata il boreas corrisponde al greco-tramontana e 1 aquilo al nord, mentre in quella citata dal D’Avezac come usualis i posti sono invertiti. Osservo però che il dizionario Forcellini — de Vit traduce boreas per greco-tramontana, ma viceversa lo fa sinonimo di aquilo. Nell’adriatico il grecotramontana tuttavia conserva il nome di bora. Sembrandomi che i versi mnemonici e sopratutto i due finali nonchu il diagramma dell’ ignoto notaro abbiano una certa importanza per ben precisare il vero nome e 1’ andamento successivo dei venti collaterali , pubblico qua sotto i primi. '35 Per maggior chiarezza avrei desiderato pubblicar pure la figura dell’ ignoto notaro ma 1’ indole del giornale non comportando incisioni supplisco invece con un quadro ove a fronte di ciascheduno dei nomi dei venti della rosa dodecagona notai il nome italiano e moderno del vento corrispondente approssimativamente nella rosa a 16 punte. Dico approssimativamente perchè nella rosa di 12 venti tracciata nella figura del notaro genovese i venti non sono intervallati equidistantemente ma ripartiti in quattro gruppi o fasci di tre venti ciascheduno, un principale e due collaterali. I collaterali del levante e del ponente fissati nella direzione dei levanti e ponenti solstiziali variamente distanti secondo le latitudini dal levante e ponente equinoziali ; la direzione dei collaterali settentrionali ed australi stabilita relativamente al nord ed al sud per analogia a quella dei venti collaterali orientali e occidentali. Percio ne risulta una ineguaglianza fra le aree assegnate ai diversi venti ed una certa indecisione nella corrispondenza dei nomi latini ai nomi italiani e stranieri ora in uso per designare i venti ed avviene che secondo i casi si possa trovar indicato per es. 1 Affricus come mezzogiorno-libeccio 0 come libeccio o garbino, il Circius, il mistral dei provenzali, come ponente-maestro o come maestro. E quel che si riscontra cercando i nomi latini dei venti nei dizionari. Coll’aiuto dell’elenco che faccio seguire ai versi dell’ignoto notaro chiunque potrà da se stesso sopra una rosa moderna dei venti a 16 punte trovar subito i corrispondenti nomi latini in uso nella nostra marineria nel secolo XIV e scriven-doveli accanto avrà ricostituito il diagramma che nell’originale fa seguito alle seguenti linee : Infrascripti versus continent quot et qui sunt venti quorum xij quatuor scilicet principales et octo collateralles. Quatuor e quadro consurgunt undique venti Hos circum gemini dextra levaque premuntur 136 GIORNALE LIGUSTICO Et sic bissextii tenent hoc ordine mundum. Sunt subsolanus vulturnus et eurus eoo Circius occasum zefìrusque et favonius afflant Sed veniunt aquilo boreas et chorus ab alto Denique de medio nothus exit et affricus auster. Ordo ventorum incipiens a septentrione et vadens Versus austrum et occidens denique venit ad se. Sep. boreas, vultur, subsol. eu. nothus et auster Affricus et zephirus favonius circiusque chorusoue. Sep. e septentrio sive aquilo Corrispondenza dei nomi latini ai nomi dei venti nella marineria italiana: Chorus 'i Tramontana-maestro NNO Aquilo (septentrio) Tramontana N Boreas ^ Greco-tram.Bora nell'Adriat 0 NNE ..........Greco NE Vulturnus j Greco-levante ENE Subsolanus (oriens) Levante E Eurus ) Levante-scirocco ESE ..........Scirocco SE •v‘otus i Mexjogiorno-scirocco SSE Auster (meridies) Mezzogiorno S Affricus * Mezzogiorno-libeccio SSO ..........Libeccio o Garbino SO Zephirus j Ponente-libeccio OSO Favonius (occidens; Ponente Ο Circius Ponente-maestro ΟΝΟ ..........Maestro NO Genova, Aprile 1897. U. A. APPUNTI E DOCUMENTI intorno a Luigi Corvetto Ho raccolto, colla cooperazione del mio antico amico avvocato Luigi Centurini, alcune notizie e gli atti dello stato GIORNALE LIGUSTICO 137 civile del nostro concittadino conte Luigi Corvetto, e mi piace renderli di pubblica ragione, essendo sempre interessante conoscere le particolarità tutte che si riferiscono alla vita degli uomini illustri. Come è noto, Luigi Corvetto nacque in Genova addì 11 luglio 1756. I registri parrocchiali della chiesa di S. Andrea, ora soppressa, che conservansi nell’ archivio di quella di Santa Maria dei Servi, così ne fanno menzione: 1756 die 16 Iulii. « R. Andreas Palarella curatus, baptizavit infantem natum die undecima » huius, ex D. Dominico Crovetto Antonii, et Magdalena Torpia Antonii » coniugibus, cui nomen imposuit Aloysius Emmanuel. Patrini fuere » D. Emmanuel Bozano qm. Thomae, ex nostra, et D. Magdalena uxor » Martini De Martinis ex paroecia S. Siri ». La famiglia di lui era originaria di Nervi o terre circonvicine , dove ancora trovansi moltissimi di cognome Crovetto o Corvetto, imperocché, secondo l’uso dialettale che pronuncia « crovo » invece di « corvo », dicevasi primamente Crovetto, come leggesi nella fede di battesimo. Suo padre Domenico Crovetto di Antonio, sotto la data del 27 luglio 1752 nella dizione della parrocchia della Madda-lena, si sposava con Maria Maddalena Torpia di Antonio. Detto Domenico abitava assieme a suoi genitori, Antonio Crovetto del quondam Gio. Battista, e Teresa Pitto del quondam Stefano, in una casuccia alla sinistra in ascendere nel vico della Celsa, presso la salita di Ripalta. Infatti questa famiglia trovasi così registrata nel libro dello stato delle anime di suddetta parrocchia di S. Andrea per l’anno 1756, compilato, secondo l’uso, nel tempo quaresimale: (In vico della Celsa). « Appartamento libero a piano di strada. » Antonio Crovetto qm. Gio. Batta. '38 GIORNALE LIGUSTICO » Teresa Pitta qm. Stefano, moglie 56. (anni) » Domenico Crovetto di detti. » Maddalena d’Antonio Torpia, moglie. » Carlo Antonio loro figlio, 1 anno ». In questa registrazione non appare ancora il nostro Luigi Emmanuele, perchè nato quattro mesi dopo la redazione della stessa; vi è però notato un suo fratello maggiore, a nome Carlo Antonio, allora di un anno. Ma nel libro del 1757 si trova nuovamente registrata tutta la famiglia nello stesso vico della Celsa, ed allora vi comparisce il piccolo Emmanuele, segnato senza il primo nome di Luigi, e come di mesi sette. Nel libro poi dell’anno seguente tale famiglia non si trova più registrata in quel vico, segno evidente che aveva cambiato di abitazione. Ma da quanto sopra si è detto chiaramente si conosce che il Luigi Emanuele è nato in una casa del vico della Celsa, e precisamente in un appartamento a piano di strada, con porta libera. Detto appartamento poi, avuto riguardo alle molte case a sinistra che lo precedono nella indicazione dei citati libri, doveva essere quasi in fondo e poco lontano dal punto in cui ha fine il vico Celsa e si congiunge alla salita di Rompicollo. Del padre di lui, che alcuni dicono architetto civile, nessuna notizia ho trovato, e non so quale valore si debba dare a tale affermazione. Il Luigi Emmanuele fece il corso classico, il solo usato a quei tempi, e quindi studiò leggi nella patria università, ove tu laureato addi 29 agosto 1781. Nelle filze del Collegio dei Dottori, che serbansi nell’Ar-chivio di Stato, ewi tutto lo incarto relativo alla laurea da lui conseguita. Messosi a far l’avvocato, non tardò ad acquistare buon nome nel foro, e poiché non gli mancava un po’ di ambi- GIORNALE LIGUSTICO 1 39 zione, e desiderava distinguersi, nel 1788 fece domanda al governo onde gli fosse concesso il privilegio onorifico ed il titolo di magnifico. Il privilegio onorifico era una specie di nobiltà personale che concedeva allora la repubblica, e che in certo modo equiparava ai nobili coloro che ne erano favoriti, permettendo loro di usare del titolo di magnifico, e di star seduti e col capo coperto dinanzi ai magistrati. La Signoria a di 28 aprile 1788 prese in esame la sua domanda, ma nulla allora decise, perchè prima di concedere questa onorificenza, usavansi prendere le più minute informazioni dal Magistrato degli Inquisitori di Stato. La relazione di costoro per quanto riguarda il Corvetto fu favorevolissima. Si legge nella stessa come egli era di onesti natali, provveduto di sufficienti beni di fortuna, dotato di talento, laureato l’anno 1781, che esercitò lodevolmente la curia del vicariato di Polcevera l’anno scorso, e ne riportò patente di primo grado, per cui i Collegii addì 17 marzo 1789 gli deliberavano il domandato privilegio. Nel frattempo egli si era ammogliato con Marianna Schiaffino di Antonio, ed i libri parrocchiali di S. Sabina cosi ne segnano il matrimonio: 1788 die 2. Octobris. « D. Aloysius Corvetto D. Dominici Ianuen. ex paroecia S. Andreae, et » D. Anna Schiaffino filia qm. D. Antonii huius paroeciae S. Sabinae, » omissis solitis proclaniationibus de licentia R.mi D. Ioannis Lucae Solarii » Vicarii generalis sub die 4 septembris p. p.ti, quam penes me servo, » matrimonium inter se contraxerunt per verba de presenti, cum bencdictione « nuptiali juxta ritum S. R. E. coram R. D. Carlo Torpia specialiter delegato, » presentibus testibus D Antonio Boggiano qm. D. Laurentii, et D. Francisco » Venantio Bianchi qm. D. Ioannis Baptistae ». E da questo si conosce come allora avesse ancora vivente il padre e come abitasse tuttora sulla parrocchia di S. Andrea, 140 GIORNALE LIGUSTICO dove era nato. Il R. Carlo Torpia poi, che delegato assiste al matrimonio era certo qualche fratello o altro parente della madre di lui Maddalena Torpia. Luigi Corvetto continuò nell’esercizio della sua professione di avvocato, ma la rivoluzione del 1797 lo fece diventare un uomo politico. Allora prese parte ai diversi governi che si succedettero, distinguendosi particolarmente per la temperanza delle opinioni e dimostrandosi in tutto e con tutti conciliantissimo. Aggregata la Liguria all’ Impero francese fu chiamato da Napoleone al Consiglio di Stato e poiché era, a cagione del suo ingegno e de’ suoi modi, grandemente stimato, fu da lui colmato di favori e di onorificenze. In prima lo creò cavaliere dell’ Impero, con lettere patenti del 28 maggio 1808, e con le medesime gli concesse uno stemma che era: scaccato d’oro e di azzurro, alla fascia di rosso carica della stella dei cavalieri della légion d’onore, della quale era stato decorato dalle mani stesse di Napoleone, nel 1805, quando questi venne a Genova poco dopo la dedizione di questa alla Francia. Poscia ebbe il titolo di conte, e la prima volta che appare indicato collo stesso, è nel Moniteur del 27 dicembre 1809, e la nostra Gaietta di Genova del 3 gennaio 1810 ne fece cenno. Le patenti imperiali della concessione però, hanno la data del 14 febbraio 1810, perchè spesso dal decreto di nomina, alla spedizione delle patenti passavano diversi mesi. E con queste gli fu approvato lo stemma, alquanto mutato dal primo, e così composto: scaccato d’oro e di rosso, al quartier franco dei conti consiglieri di stato, che era scaccato d’oro e d’azzurro, bordato di armellino; ed infine con lettere patenti del 30 giugno 1811 venne nominato commendatore della légion d’onore. Caduto il regime napoleonico e ritornati i Borboni, Corvetto GIORNALE LIGUSTICO I4I rimase in Francia e naturalizzato francese, fu il ristoratore delle Finanze di quel regno. Degli onori avuti sotto la ristorazione mi taccio. Solo dirò come per le benemerenze che si era acquistato verso gli impiegati dell’ ufficio della moneta, costoro gli offrirono una medaglia d’oro, espressamente coniata. Essa è del diametro di millimetri 37 e del peso di grammi 42. Nel diritto offre in rilievo uno scudo colla corona comitale, ed avente nel campo, che è d’azzurro, come indicano le linee orizzontali da cui è segnato, le lettere iniziali del nome del Crovetto intrecciate, ed all’ intorno dello scudo, pendenti le insegne della légion d’onore. Nel rovescio vi si legge la seguente iscrizione : A s. EXC. M.GR , LE . COMTE CORVETTO MINISTRE . DES . FINANCES LES . FONCTIONNAIRES DES . MONNAIES MAI . 1817 e nel contorno dello spessore: DOMINE . SALVUM . FAC . REGEM. Dopo la morte del Corvetto la moglie di lui Anna Schiaffino fece dono della suddetta medaglia, e di altra consimile in argento, del peso di grammi 25, a suo nipote il generale Mario Schiaffino; e queste, lui morto nel 1893, passavano in possesso del figlio di una sua sorella, il generale Gio. Battista Rossi, il quale interprete del desiderio dello zio, nel novembre dell’anno medesimo, le offriva al Municipio di Genova, che religiosamente le conserva, ed ora trovansi nel civico museo. 142 GIORNALE LIGUSTICO Corvetto si occupò degli affari pubblici e finanziari! del regno di Francia fino a’ primi di dicembre del 1818; ma affaticato dall’ immenso lavoro ed affranto da una malattia di cuore, che da qualche tempo lo tormentava, non potendo più esser utile alla sua nuova patria, domandò ed ottenne dal re Luigi XVIII di essere collocato a riposo. Egli ritirossi in prima in un alloggio messogli a sua disposizione dal re, e quindi trasferissi nel mezzogiorno della Francia, coll idea di stabilirvisi; ma la sua salute andava sempre più deperendo. Sperò allora che 1’ aria della terra natia potesse essergli di sollievo, e si decise a rimpatriare. «Nel giugno pertanto del 1820 ritornò a Genova, e prese stanza presso sua figlia Maddalena, moglie del barone Giuseppe Schiaffino, console generale di Francia in Genova. Giuseppe Schiaffino abitava ed aveva gli uffizii del Consolato in Via Nuova, ora Via Garibaldi, nel piano nobile del palazzo Doria. In questo pertanto passò gli ultimi mesi della sua vita, meno qualche po’ di tempo che stette a Nervi, ove venne trasportato nell’autunno del 1820, sempre colla speranza che il soggiorno in quel tepido clima potesse recar qualche refrigerio a suoi mali, ed in questo palazzo mori. Fece testamento nel 1820, pochi mesi dopo il suo ritorno dalla Francia. Egli voleva presentarlo al Senato, ora Corte d’Appello, come permettevano le disposizioni legislative di allora, ma non potendo a causa della sua malattia recarsi a Palazzo, faceva istanza per mezzo del suo procuratore, onde fosse da quel magistrato deputato alcuno a riceverlo. Il Senato addi 18 luglio del 1820 commise l’incarico al senatore Cotardo Solari, amico intimo del Corvetto. Egli il di appresso si recò da lui, o, come dice il verbale di presentazione, recossi nell’abitazione del barone Giuseppe Schiaffino, console generale di Francia in Via Nuova, ed ivi dalle mani GIORNALE LIGUSTICO 143 stesse del Corvetto riceveva il testamento in un plico chiuso e sigillato con parecchi sigilli, collo stemma della famiglia Schiaffino. L’atto di apertura di esso porta la data del 28 aprile 1829, e così nove anni dopo la morte di lui : e noi non possiamo spiegar tanto ritardo se non colla sapposizione che la moglie e le figlie di lui ben conoscendo che di nessuna sostanza egli aveva disposto (non avendone alcuna e non vivendo che della pensione di riposo concessagli dal re Luigi XVIII), abbiano voluto risparmiare le spese ed i fastidii dell’ apertura. La morte di Luigi Corvetto così è segnata nei registri dei decessi della parrocchia della, Maddalena sotto la giurisdizione della quale cadono le abitazioni di Via Nuova: Die 23 Maij anni 1821. « Diuturna, ac molestissima aegritudine patientissime tollerata, tranquillam » in communione fidelium mortem opetiit, extremis omnibus Ecclesiae sa- » cramentis pie susceptis, eximius jam primum juris doctor, subinde vero » supremus in Gallia publici aerarii administrator, nec non totius Francorum » ditionis apud Christianissimum Regem minister, aulici privative consilii » membrum, decorum magni cordigeri insigne promeritus eius legionis cui » nomen honoris adscribitur, Ferree demum coronae eques excellentissimus » D. Comes Aloysius Emmanuel Corvetto qm. D. Antonii, annos natus » 65 circiter, et honorifice sepultus est in ecclesia S. Syri, loci Nervii, » Genuensis ditionis ». Delia morte di lui è fatto cenno nella Gaietta di Genova del 26 maggio di detto anno, la quale poi ne riporta la necrologia a’ 31 maggio seguente. Il corpo trasportato a Nervi fu sepolto in quella chiesa parrocchiale, ed i registri di essa ne fanno memoria con queste parole : 26 Maij 1821. « Corvetto D. D. Alojsius minister S. M. Christianissimae sexagesimo » tertio aetatis suae anno circiter, omnibus infirmorum sacramentis robo-» ratus atque refectus die 23 dicti Genuae in paroecia S. Mariae Magda- Γ44 GIORNALE LIGUSTICO » lenae, in sinu S. Matris Ecclesiae quievit, cuius corpus in hac Nerviensi » ecclesia, ubi solatii causa per aliquot menses commoravit, hodie fuit » sepultum, et in deposito novo prope ianuam maiorem collocatum ». , Da un libro poi della fabbricieria di detta chiesa di Nervi risulta che tale sepoltura o deposito fu venduto per lire centocinquanta abusive di Genova e pagato a’ 6 di agosto del 1821. Corvetto nel suo testamento aveva espresso il desiderio di essere seppellito nella chiesa sotto la cui giurisdizione sarebbe morto. Ma forse in seguito mutò parere, ed indicò alla famiglia la chiesa di Nervi, come luogo di sua sepoltura. Questa trovasi in fondo alla chiesa non molto lunge ed a sinistra della porta maggiore, e vi si legge la seguente iscrizione: A. Ω. LUIGI CORVETTO GIURECONSULTO E STATISTA PER INTEGRITÀ E PER DOTTRINA CHIARISSIMO NATO IN GENOVA IL DÌ II DI LUGLIO 1756 NEI RIVOLGIMENTI DEL 1797 REGGENTE LA COSA PUBBLICA BEN MERITÒ DELLA PATRIA ASSUNTO NEI CONSIGLI DA NAPOLEONE I GIOVÒ DEL SUO SENNO L’OPERA LEGISLATIVA DAL RE LUIGI DECIMO OTTAVO PREPOSTO AL MINISTERO DELLE FINANZE RICOSTITUIVA l’esausto ERARIO RESTAURAVA IL CREDITO DI QUEL REAME DA LENTO MORBO CONSUNTO RIMPATRIÒ CERCANDO NELLE AURE NATIVE UN RISTORO MA POCO STANTE MORIVA NEL 1821 CONFORTATO DA CRISTIANE SPERANZE A SUOI NON LASCIANDO EREDITÀ DI AVERI MA UN TESORO DI AFFETTI ESEMPI D’INCORROTTA VIRTÙ E QUI PRESSO LE CENERI DELL’UOMO ILLUSTRE RIPOSANO QUELLE DI ANNA SCHIAFFINO CHE GLI FU DEGNA CONSORTE GIORNALE LIGUSTICO I45 L’autore di questa iscrizione non ho potuto conoscere ; ma 10 crederei che sia stato l’avvocato Antonio Crocco, che era in grande relazione colla famiglia. Certo essa fu collocata dopo 11 1834, anno in cui mori la moglie del Corvetto, come d’altronde risulta dalle ultime quattro righe. Il suddetto avvocato Antonio Crocco scrisse l’elogio del Corvetto per la Raccolta degli elogi dei Liguri illustri pubblicata in prima dal Gervasoni nel 1823 e continuata nel 1830 dal Ponthenier, e nella seconda edizione di quest opera fatta dal prete Luigi Grillo nel 1846, aggiunse una iscrizione in latino scritta dal Gagliuffi, e destinata per la tomba che doveva erigersi al Corvetto nella chiesa di Nervi. Infatti in diverse epoche si trattò dai generi di innalzarvi un modesto monumento al Corvetto; ma la cosa non ebbe effetto: per cui l’iscrizione del GagliufE non fu mai scolpita. Su questa iscrizione poi devo osservare che l’indicazione della nascita, segnata IV idus quintiles, che corrisponderebbe ai 12 di luglio, è sbagliata, dovendo esservi V idus quintiles, che è Pii di luglio, la vera data; ma forse è un errore di stampa. Quella della morte X Kalendas lunias, 22 maggio, è giusta. Luigi Corvetto, come vedemmo dagli stati delle anime della parrocchia di S. Andrea, per gli anni 1756 e 1757, aveva un fratello maggiore a nome Carlo Antonio, ma nulla più se ne conosce. Di diverse sorelle, una andò sposa col dottore in medicina Pietro Serravalle, amicissimo di lui, e come tale indicato nel suo testamento. La moglie Anna Schiaffino di Antonio, mori il 4 di aprile 1834 sulla parrocchia di N. S. delle Vigne, ed il 6 seguente fu sepolta assieme al marito, qualmente segnano i registri parrocchiali di Nervi. Dal suo matrimonio, Corvetto ebbe due figlie, Maddalena, Giorn. Ligustico. Anno XXII. 10 146 GIORNALE LIGUSTICO moglie del barone Giuseppe Schiaffino di Nicolò, e presso di lei, come sopra dissi, morì. Essa non lasciò che una figlia, sposata con Stefano Giustiniani, la discendenza della quale è tuttor viva. L’altra, a nome Anna Catterina, sposò il conte Tomaso Littardi di Porto Maurizio, ed anch’essa lasciò una figlia sola, maritata col marchese Nicola Sauli, dal quale ebbe un figlio, premorto giovinetto ai genitori, e senza discendenza. Corvetto non ebbe maschi, cosicché il suo cognome si estinse con lui. M. Staglieno. ALBERO DELLA FAMIGLIA CORVETTO Antonio Crovetto di Gio. Battista con Teresa Pitto del fu Stefano. ! Domenico con Maddalena Torpia di Antonio, il 27 luglio 1754, parrocchia della Maddalena. Luigi Emanuele Crovetto e poi Corvetto nato 11 luglio 1756, parrocchia di S. Andrea; morto 23 maggio 1821, parrocchia di N. S. delle Vigne, con Anna Schiaffino di Antonio, il 3 ottóbre 1788, parrocchia S. Sabina. Anna Catterina con Tomaso Littardi I Teresa con Nicolò Snuli morta senza discendenza a 8 gennaio 1892. Cristoforo Gaspare Tomaso n. 12 aprile 1831 m. a Tolone a 27 novembre 1847, senza discendenza. Maddalena con Giuseppe Schiaffino di Nicolò. I Anna con Stefano Giustiniani, morta 30 aprile 1841 la discendenza della quale continua. GIORNALE LIGUSTICO 147 UN AUTOGRAFO DI NICOLÒ PAGANINI Del celebre Nicolò Paganini scrissero parecchi autori. I biografi di lui più conosciuti sono il Gio. Carlo Conestabile ed Elisa Polko. Nel 1882, coi tipi dei Sordomuti, in una selva di scritti di L. T. Belgrano intitolata « Imbreviature di Gio. Scriba » sono inseriti ventisei paragrafi dal titolo « Spigolature nella corrispondenza di Nicolò Paganini ». In questi sono svolte con metodo chiaro e ordinato le principali vicende, anche intime, della vita di quel sommo, togliendole da una raccolta di lettere autografe dal medesimo indirizzate all’ Avv. Luigi Guglielmo Germi, raccolta che si conserva nello stipo dei documenti preziosi nel Gabinetto dell’ Archivio civico. Nel § 21 è riportata la lettera del Paganini scritta ai Sindaci della Città di Genova, dalla sua villa di Gaione (su quel di Parma) il 21 novembre 1834 in risposta agli officii rivoltigli perchè volesse dare un’accademia a Genova durante il soggiorno dei Sovrani di Sardegna Carlo Alberto e Maria Teresa. La lettera nella sua aurea semplicità dice: « Aderisco con vera gioia alle brame degli 111.™' Signori » Sindaci e sebbene io mi trovi alquanto indisposto di salute, » partirò immancabilmente domani, per essere a Genova » lunedì sera. Intanto 1’ accademia al teatro Carlo Felice pos-» sono fissarla in quella sera che piacerà a Sua Maestà. Il » programma di detta accademia lo comporremo in patria. » Qui sono impegnato a corte per il giorno 12 (Dicembre) » e ciò serva per norma ». Nello stesso paragrafo è dato cenno dell’ Accademia avvenuta in modo splendidissimo alla presenza dei reali la sera del 30 novembre di quell’anno, e di altro concerto dato in seguito dal Paganini a totale benefizio dei poveri della città 148 GIORNALE LIGUSTICO il venerdì 5 dicembre successivo. E si soggiunge che in quella occasione il Corpo decurionale gli deliberò una medaglia d’ onore, la quale avea nel diritto lo stemma civico e le parole Ordo. decur. Genu. e nel campo del rovescio la seguente dedicatoria : Nic. Paganino Fidicini Cvi . ΝΕΜΟ . PAR . FUIT civique Bene . merenti a MDCCCXXXIIII Segue quindi il tenore della lettera dei Sindaci al Paganini in data 14 maggio 1835 con cui gli accompagnavano l’omaggio della medaglia in 10 esemplari d’oro, 20 d’argento e 40 di rame. Però, giunto il Belgrano a questo punto, mentre si occupa di altra epigrafe e di un busto innalzato al sommo violinista dal patrizio Gio. Carlo Dinegro nella sua villa sopra l’Acqua-sola, tronca, per così dire, ogni altra notizia e lascia al lettore sospettare che il Paganini, col suo silenzio, non sia rimasto appieno soddisfatto dell’ omaggio resogli con tanta solennità dal Corpo decurionale. La fortunata scoperta della lettera di risposta scritta dal Paganini ai Sindaci di Genova, avvenuta in questi ultimi giorni, ci pone in grado di colmare la lacuna anzidetta e crediamo che il pubblicarla non solo valga a render noto un atto patriottico del sommo artista, ma a far conoscere lo squisito senso di gratitudine con cui il Paganini accolse 1’ attestato dell’ omaggio resogli dalla rappresentanza della sua città natale. Ecco il tenore della lettera : GIORNALE LIGUSTICO 149 « Ill.mi Signori Sindaci, » Annunciavasi già come distinto quel tratto della sorte » che chiamava un cittadino ad esprimere coll arte sua allo » Augusto Monarca un senso di devozione della sua patria; » ma distinto sopra qualunque altro io lo reputo allorquando » i Padri della città decretarono di rendere perpetuo il testi-» monio d’ onore che si degnarono deliberarmi. » Questo pegno prezioso della munificenza dell 111. Corpo » decurionale viene dal mio cuore accolto con vero figliale » rispetto, nè mai potrei andarne io glorioso senza il più » intimo ed indivisibile sentimento di ossequiosa ed egual-» mente perenne riconoscenza che supplico VV. SS. Ill.mc, » alle quali rassegno l’omaggio della venerazione, di rendere » manifesta. Delle SS. Loro Ill.m£ Genova 16 maggio 1835. Umil.”10 Dev.”° Servitore N. Paganini. La lettera anzidetta è nella filza N. 22 dei documenti relativi alla Biblioteca e Accademia di belle arti 1816-46. Angelo Boscassi. UN MASSESE RINNEGATO AD ALGERI Nel Cinquecento sulle spiaggie del Principato di Massa e Carrara, signoria della famiglia genovese dei Cybo, come, del resto, su tutte le spiaggie del Mediterraneo, spesso infestavano i Barbareschi. Un bel giorno, ecco che un contadino del Mir- ijo GIORNALE ligustico teto, villaggio appunto del Principato di Massa, vien preso, fatto schiavo e menato ad Algeri. Rinnega la fede degli avi, si fa mussulmano, ed entra nelle grazie del padrone: non dimentica però la patria lontana; e, quando gli riesce, protegge, aiuta, benefica i compaesani suoi, per loro malora tratti anch’essi in servitù sulle coste di Barbéria. Il grido di questo figlio lontano, che si riteneva per sempre perduto, corre anche a Massa, e giunge fino agli orecchi del Principe, Alberico I.° Cybo-Malaspina, che non sdegna entrare in carteggio con lui, e valersene per riscattare altri sudditi schiavi e fare acquisto di cavalli arabi, una delle passioni sue. A Massa, nel R. Archivio di Stato, si conserva la copia delle lettere che Alberico scrisse ad Ali Piccinin : questo fu il nome che il rinnegato massese pigliò ad Algeri; ma disgraziatamente le risposte sue sono andate perdute. Pubblico le lettere del Malaspina che non mancano di curiosità e d’ interesse. Massa di Lunigiana, 8 aprile 1897. Giovanni Sforza. I. Alberico Cvbo Malaspina Principe d’imperio et di Massa, Marchese di Carrara, etc. A.....(1) dal Morteto, schiavo del Re d’Algieri. Mag." nostro carissimo. Con dispiacere nostro intendemmo molti anni sono la perdita in mare d’alcuni nostri vassalli di Massa et Carrara, per i quali, s’ havessimo potuto, o inteso di loro in tempo, non havressimo mancato di porgerli ogni possibile aiuto, per Γ amore che giustamente portiamo a tutti i nostri sudditi. Hora, havendo inteso da una certa Polisena da Carrara et da uno del Morteto, liberati per mezzo vostro, (1) Lacuna dell’originale. GIORNALE LIGUSTICO il buon portamento che vi fa il Re d’Algieri, padrone vostro, havemo voluto dirvi con questa che commendiamo et laudiamo infinitamente l’amorevolezza vostra usata verso loro, come faremo se farete il medesimo verso gli altri subditi nostri, che per disgratia fussero capitati, o per 1 avvenir capitassero costì, tenendone sempre grata memoria, non solo con \oi, ma con i parenti vostri di qua. Et perchè possiate sapere alla giornata quali essi siano, saprete che, oltre a questi di qua, hab-biamo nel Regno di Napoli, in Calabria, presso la Manthia, il Marchesato d’Ayello, Mota del Lago et altri luoghi circom-vicini, et nel paese di Roma il contado di Firentillo : però d’ogni benefitio che si facesse loro, per mezzo et autorità vostra, ci sarà sì grato che, come habbiamo detto, ne mostreremo sempre a voi et a’ vostri ogni amorevole dimostratione et buoni effetti. Inoltre desideriamo grandemente un cavallo di quelle parti di Barberia, che sia non manco bello, che buono; il quale se possete haver dalla liberalità et cortesia del vostro Re, come confidiamo, ci sarà oltra modo graditissimo; et quando non si possi, vedete che noi 1’habbiamo in ogni modo, che lo pacheremo qua a vostro fratello, apportatore della presente; et indrizzatelo con nave che venga a Genova, o Marsilia, che il detto fratello vostro et suo parente, che viene con esso, n ha-ranno cura et guardia. Et con questo fine vi preghiamo da Dio salute. Di Massa, nel nostro palazzo, i6 d’8bre 1570. Il Principe di Massa. II. Ali Picinin, in Algieri. Ali carissimo, Si è ricevuto la vostra de’ 27 del passato, per la quale s’ è inteso volentieri che vi sia stata consegnata la moneta d’oro 152 GIORNALE LIGUSTICO che vi mandai. In quanto a quelPAndrea di Io., mio vassallo di Massa, se bene il padrone che lo tiene così schiavo non 1 ha voluto per anco relassare per li cento scudi offertili da voi, desidero nondimeno che perseveriate in fare ogn’opera perchè egli sia relassato et mandato qua in libertà; poiché vi faccio fede eh’è poverissimo, et quello che si potrà pagare per suo ricatto si caverà d’ elemosine. Nel particolare poi del cavallo c’ havete a ordine per mio servitio, perchè sarìa cosa troppo lunga d’ aspettare il ritorno in Algieri di qualche giannizzero liberato di qua, per ottenere, col mezo suo la licenza, vedete di procurarla con l’autorità di Mahamet Lembasi afìncbè si possa estraere et imbarcarlo; al quale perciò scrivo 1’ alligata, quale presenterete. Nè altro. State sano. Di Genova, 25 ottobre 1590. Avisatemi se la lettera scrittami è di vostra mano, se havete moglie et figlioli et della età vostra et come fusti preso. Il Principe di Massa. III. Mahamet Lembasi Cap.n0 di Giannizzeri in Algieri. Strenuo et valoroso Capitano. Mi scrive Alì Picinin che tiene a ordine un cavallo per mio servitio, ma che non ha però potuto sin hora haver licenza di estraerlo et mandarmelo, onde prego lei che voglia operare con 1’ autorità sua che gli sia concessa la licenza che ci bisogna, ricordandole anco 1’ altro cavallo che aspetto dalla cortesia sua, et insieme che si vaglia di me dalle bande di qua in alcuna cosa di sua sodisfattione. Che Dio la guardi. Di Genova, 25 ottobre 1590. Prontissimo al suo servitio Il Principe di Massa. GIORNALE LIGUSTICO I53 IV. Ad Alì Piccinino rinegato di Massa. Molto mag.co carissimo. Alcune urgenti occasioni c’ ho havute da molti mesi in qua, et particolarmente della morte di D. Ferrante, mio amatissimo figliuolo, d’anni 22 in circa (1), m’ hanno talmente renduto travagliato, che non ho potuto pensar di far compire con voi, oltre alli cinquanta scudi, già pagatevi, al resto che vi si deve per conto del riscatto di quel Gio. da Massa; il quale, dopo il suo ritorno, assai presto morì, senza haver lasciato cosa alcuna; et essendo anco i suoi poverissimi, converrà ch’esca da me questo restante di denari, si come a me è toccato di sodisfarvi gli altri. Di Genova, 16 luglio 1593. Saranno d’oro in oro, et di più quanto volete, ch’io non guardo a simile minutie; nè si mancherà tener memoria di voi nelle vostre occorrenze. Alb.° Cybo. L’ANTICA CAPPELLA DE' GENOVESI A PALERMO Nella capitale della Sicilia, prima che la munificenza di Stefano Bozolo vi erigesse l’elegante chiesa tuttora conosciuta come S. Giorgio de’ Genovesi (2), questi già possedevano una (1) Nacque il 26 dicembre 1568 e portò il titolo di Marchese d’Aiello; non morì nel 159$, come affermano il Manni e altri, ma il 30 gennaio del 1593, come sta scritto sulla sua sepoltura nella cappella sotterranea de’ Cybo in S. Francesco a Massa. (2) La chiesa di S. Giorgio fu ultimata soltanto nel 1591 ma fin dal 1576 circa fu aperta al culto e nel 1579 vi si tumulò prima una donna, certa Caterina Mambrila. 154 GIORNALE LIGUSTICO cappella dedicata allo stesso santo, in un locale attiguo alla Chiesa di S. Francesco, qual locale poi per qualche tempo servì di sacristia a questa chiesa e tuttora ne è designato come Γ antica sacristia. I mercanti genovesi fondarono questa cappella il 23 a-prile 1480 con licenza del viceré Gaspare de Spes. Essi vi convenivano liberamente con facoltà di aprire e chiudere le porte perchè allora quel locale era segregato dal convento. Perciò pagavano al P. Guardiano una somma annua nella quale comprendevasi il ccnso pel locale, la spesa d’una lampada e un correspettivo per il padre che il convento era obbligato a provvedere per vigilare il servizio religioso e celebrare la messa nei giorni festivi. Il 18 dicembre i486 il console dei genovesi, Oberto Spinola, ottenne di poter nominare un cappellano nella persona di uno di quei padri (1). Allorché mi recai a visitar quell’ antica cappella la trovai ingombra di legnami sicché non potei esaminar tutte le iscrizioni che probabilmente ne decorano ancora le pareti. Due soltanto potei leggerne; una è sulla tomba di un Domenico Basadonne mercante genovese; porta lo stemma della famiglia e v’ è detto che eressero quella tomba i fratelli dell’estinto, Simone e Giovanni, nel 1516. Un’altra tomba porta lo stemma colla banda scaccata degli Adorno e vi si legge l’iscrizione seguente che riporto nella sua ortografia poco ortodossa : v D. Ο. M. HIC FRATRIS PIETAE JACES FRANCISCE SUB ALBO MARMORE PRO LACHRIMIS HEC MONUMENTA DEDIT FRATER ERAT CONSUL LIGURUM GALVANUS ADORNUS ET GENERE ET PATRIA CLARUS UT EROZ LIGUR. M D L ΙΠΙ. 11) Sac. Vino. Paradisi, Deseriζ. della R. Chiesa di S. Giorgio dei genovesi. Palermo, 1878. — È nn cenno brevissimo. GIORNALE LIGUSTICO *55 Ma la più bella decorazione dell’antica cappella dei genovesi era fino a qualche tempo fa lo splendido altare in marmo scolpito da Antonello Gaggini. È un basso rilievo rappresentante il solito S. Giorgio a cavallo che uccide il drago, di proporzioni alquanto inferiori al naturale ed è contornato da medaglioni con teste di santi. Sotto si legge la seguente inscrizione : DIVO GIORGIO HOC SACELLUM DICATUM ET OPUS MARMOREUM CONSUMATUM EST JANUENSIUM MERCATORUM IMPENSA ET IACOBI DE NIGRONO TUNC CONSULIS CURA POST PARTUM VIRGINIS A. M D X X V I Non SO per quali ragioni dopo la costruzione del nuovo tempio dei genovesi dedicato pure a S. Giorgio non vi sia stato trasferito quell’altare, che ne sarebbe riuscito il più bello ornamento. Certo continuò a rimanere nell’ oscuro e ormai negletto locale pel quale era stato scolpito sinché recentemente, dopo la formazione del regno d’Italia, quel magnifico lavoro — fatto impensa mercatorum januensium — fu tolto e trasportato nel Museo nazionale di Palermo ove molti lo ammirano ma non tutti badano all’ epigrafe che ne spiega Γ origine---- U. A. L’egregio U. A. ci manda il seguente trafiletto che pubblichiamo di buon grado, pur mantenendo le riserve già fatte sulla quantità di nepos, anzi aumentandole ora sull’ autenticità del composto postnepos Cfr. Giorn. Lig., XXI, p. 31. Nel mio scritto sulle tombe dei Colombo di Palermo nel quarto verso dell’ epigrafe invece di sic ligur ex ortu fu stampato sic liguri ex ortu; ciò guasta alquanto il concetto di quei distici, i quali a noi pare dovrebbero ricostruirsi cosi : postnepos de stirpe Columbi qui tradidit regna nova duci esperio, urbs Genuae dedii principium, finis (dedit) liberos in oris siculis. Sic sum ligur ex ortu et siculus (ex) morte. Nunc, memor patriae heu duìcis et liberorum, ut siculus ligur claudor in aede iigurum Panormi. U. A. GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ LA PRESA DI VOLTAGGIO NEL 1625 La presa di Voltaggio (in dialetto: Ottaggio) nel 162j per parte delle truppe di Carlo Emanitele I, è ampiamente narrata e descritta, oltrecch'e dall’ annalista Filippo Casoni, anche da parecchie cronache manoscritte. Di queste non darò Γ elenco, avendolo già abbonato prima di me il -conivi. Jacopo Virgilio nel capitolo che al medesimo avvenimento ha consacrato in un opuscolo edito sotto il pseudomino di Alberto Libri col titolo « Vallecalda e la Vittoria » (Genova, Schenone, iSyy , p. 65 e sgg.). Anche piti diffusa è la notizia bibliografica che stilla guerra di quell’anno dà il comm. Cornelio Desimoni, ne’ recenti suoi Annali Storici di Gavi, pag. 22} , opera che si potrebbe dire maravigliosa per un uomo della sua età, se la vita del venerando vegliardo non fosse essa stessa una serie di maraviglie in fatto di dottrina e di operosità. Fra i manoscritti provenienti da casa Spinola e acquistati l'anno scorso dalla Biblioteca Civica Berio ho trovato una relazione sincrona di quel memorabile fatto d’arme che doveva preludere alla resa di Gavi avvenuta poco dopo. La relazione, come si rileva dalle ultime righe, fu certamente scritta da persona che, testimonio oculare del fatto, non nasconde le sue simpatie per Carlo Emanuele di Savoia. Si potrebbe an fi sospettare scritta da qualche genovese del partito del Duca: dessa é ora adespota, ma forse in origine portava in fronte il nome dell’ estensore; almeno si può arguire da un taglio, molto prudentemente dato al margine superiore della /.* carta, e che lascia tuttavia trasparire le traccie di alcune lettere. In questa relazione i nomi dei prigionieri dell'armata spagnuola e di quelli genovesi sono più dettagliatamente GIORNALE LICUST1CO IS? enumerati che nel Casoni e vi sono parecchi altri particolari nuovi, per cui ho creduto non inutile pubblicare questo documento. Esso ha in Biblioteca la segnatura ji. D.b" 6.5.11. G. B. Relatione del successo nell’ acquisto della villa e Castello di Ottaggio fallo dall’A. Ser.ma di Carlo Emanuele Duca di Sauoia li n queste come in altre ricerche per illustrare la storia della Biblioteca, potè facilmente, mediante le sue estesissime relazioni coi dotti e cogli eruditi d’ogni parte d’Italia, cavarmi ben presto d’impiccio. Il testamento lu trovato. Nel frattempo io aveva continuato le mie ricerche sul Rossi e sul Cesari. Nacque il Rossi a Colla o, come si disse dopo il 1858 , a Coldirodi, paesello della Liguria occidentale, ed ivi mori il 7 luglio 1857 dopo una vita avventurosa ed attivissima. Sostenute con onore varie cariche e missioni politiche sotto i precedenti pontefici, fu da Pio IX, dopo la restaurazione del dominio papale, nominato dapprima preside della II Camera nel I ribunale supremo di appello e GIORNALE LIGUSTICO l6> Commissione criminale della Sacra Consulta ; da ultimo, per i buoni nffici del cardinale Antonelli, fu inviato delegato apostolico a Ravenna, dove si adoperò affiché quel teatro si dedicasse all’ Alighieri, le cui ossa appunto colà giacciono, e dal quale pure s’intitola la piazza vicina. E fu appunto in Ravenna eh’ era riserbata a monsignor Rossi la soddisfazione di poter erigere un. sontuoso monumento sepolcrale al padre Antonio Cesari. Come sia morto il Cesari, giova qui appena ricordarlo. Quando reggeva il Collegio di Ravenna Pellegrino Farini, uno dei più eleganti scrittori di questo secolo, il padre Cesari volle andarlo a visitare; ma sorpreso da subito malumore mentre da Faenza avvicinavasi alla villa suburbana di S. Michele, ove coi suoi alunni ospitavalo il Farini, aggravatosi il male, moriva di una sinoca il i.° ottobre 1828. Fu quello un giorno di lutto per Ravenna, la quale mentre si era fatta lieta di accogliere nelle sue mura P egregio chiosatore di Dante, dovette invece riceverne le spoglie mortali. Sorse subito l’idea di innalzare al defunto un monumento, mentre si depositava la salma del Cesari « chiusa in duplice cassa di piombo e di quercia » nella chiesa urbana di San Romualdo di Classe , eh’ era in antico la tomba dei monaci Camaldolesi. Il progetto del monumento illanguidì per le vicende del 1831 e 1832, e quantunque non del tutto posto nel dimenticatoio , si fini col riporre solamente 1’ effigie del Cesari in quella Accademia di Belle Arti. Ma quando monsignor Stefano Rossi andò, come si è detto, delegato apostolico a Ravenna, volle egli mettere in esecuzione il progetto accennato, ammiratore com’ era del Cesari e delle cesariane eleganze imitatore, come si scorge dalle sue prose. E fu commesso ad Enrito Pazzi il monumento che veniva più tardi inaugurato nel 1853. Ma poiché occorreva prima togliere i resti mortali del Cesari da un avello comune, annuente 1’ autorità municipale e l’arcivescovo Falconieri, fu sul vespero del 27 maggio 1853 estratto il feretro del padre Cesari dalla sepoltura dei monaci ove giaceva da cinque lustri e dove in quell’ anno di soverchie pioggie lo stesso piombo s’ era per 1’ umidità ossidato e corroso. Il Rossi fece tosto cercare ai fianchi ed ai piedi del defunto se eravi tubo che contenesse qualche carta scritta, ma indarno. « Volle allora — scrive la Gaietta di Bologna 1’ 8 luglio 1853 — che quelle venerande ossa coperte della sacra tonaca dei figliuoli di S. Filippo Neri fossero legalmente riconosciute da tre persone clic nel tempo della morte V avevano coi proprii occhi veduto a seppellire in quella doppia cassa e con quel vestimento ed in quel luogo, e recitate le esequie e ribenedettele coll’ acqua lustrale, accompagnolle al nuovo apposito e ben murato avello. Adagiate costì GIORNALE LIGUSTICO anche le casse e messovi a piedi entro un tubo di vetro fasciato di bandone una pergamena riferente le memorie di quella traslazione , con lem piò egli per V ultima volta il teschio in cui s’accolse tanto senno, e la bocca donde uscì tanta evangelica sapienza e tanta copia di care eleganze di nostra favella, ed in ultimo velò colle sue mani, merci un bianco pannolino, il volto dell’ uomo famoso, tributo estremo di religiosa figliale pietà ». E fu certamente in questa occasione che Γ entusiastica ammirazione di monsignor Rossi verso il Cesari raggiunse il delirio del fanatismo sino a trascinarlo ad un atto che a me sa di sacrilega profanazione : quello di recidere al morto appunto quella mano destra che tante dotte pagine aveva vergate in vita. Dice appunto il testamento del Rossi : v Lascio alla Biblioteca Civica di Genova la mano diritta del ch.mo P. Antonio Cesari da Verona, e che io presi dal suo corpo quando fu traslato e riconosciuto il cadavere sotto il monumento che gli alzai in Ravenna nella chiesa del collegio nel 1853 (1) ». Dopo queste mie ricerche credo (e con me lo crederà , spero , anche il Biadego) che resti assodata 1’ autenticità della mano , la quale si conserva alla Beriana. Piuttosto mi domando ora : È proprio una Biblioteca il deposito adatto ad una tale reliquia ? È vero che la Mediceo-Laurenzana di Firenze conserva anch’ essa, e sotto identica campana di vetro, qualche cosa di simile : il cervello di Niccolini, se ben ricordo. So però che a me, frequentatore, in tempi ora pur troppo lontani, dell’insigne biblioteca fiorentina * (t) Si confrontino i seguenti* brani della discussione avvenuta per questa clausola nel Consiglio Municipale di Genova nel 1857 e 1858, che vennero a nostra conoscenza più tardi e troncano ogni dubbio sulla questione (Cfr. Processi verbali del Municipio di Genova, 1857 ΡΛδ· 39 e 2S7)· « Si legge una relazione del Sindaco con cui si fa conoscere al Consiglio ebe Monsignor Stefano Rossi ha legato alla civica Biblioteca la mano destra del dottissimo padre Antonio Cesari colla condizione di nna lapide marmorea che ricordi il dono, senza del che il legato passerebbe alla Laurenziana di Firenze Il Sindaco mentre adduce le ragioni che devono persuadere il Consiglio ad accettare con riconoscenza, salvo l’autorizzazione superiore, questo prezioso avanzo dell’illustre restauratore della lingua italiana nel nostro secolo, fa però osservare che finora non ha potuto avere, sebbene ne facesse richiesta dall’ esecutore testamentario, una copia del testamento di Monsignor Rossi. Il Cons. Crocco si unisce al Sindaco per raccomandare al Consiglio 1’ acccttazione del legato ricordando anche 1’ esempio del dito del Galilei che religiosamente si conserva nella Magliabec-chiana di Firenze. Ma, avendo il Cons. Accame osservato che prima di avere sott’occhi il testamento non è conveniente di prendere deliberazione alcuna, ii Consiglio alla maggioranza di 17 voti contro 8 adotta la proposta fatta dal medesimo di soprassedere fino a che noa si sia ricevuto la copia del testamento GIORNALE LIGUSTICO ■ 67 qnella campana faceva sempre una brutta impressione : non minore nè certo più favorevole moto dell’ animo provo ora alla vista di questa che ci conserva ischeletrita la destra del Cesari. Girolamo Bertolotto. * * * Queste ricerche furono avvalorate da altre testimonianze espresse dal Signor Federigo Fabbri, in una lettela diretta a Luigi Lodi, direttore della « Nuova Rassegna » , della quale riportiamo alcuni tratti, fra i meno violenti contro Mons. Rossi. * Monsignor Stefano Rossi disse il vero quando, testando, affermò di avere mutilato il cadavere del Cesari, profanandolo indegnamente. Perché appena conosciuto il testamento ed il lascito fatto da costui, il Gonfaloniere di Ravenna, che era allora , se non erro, il conte Giuseppe Pasolini, divenuto poi senatore e ministro degli affari esteri del Regno d’Italia, protestò altamente e purtroppo inuti'mente contro la profanazione, ed invano chiese a Genova che la re-furtiva fosse restituita. Del resto che monsignor Stefano Rossi, delegato apostolico, fosse uomo di pochi scrupoli, è provato anche dal modo da lui tenuto per raccogliere il denaro necessario a erigere il monumento al padre Cesari. Mandò egli, capo onnipotente e temuto della Provincia una lettera circolare ai sindaci, scritta con istile pomposo e ricercato per affermare il dovere Il Cons. Crocco dice che, per quanto possa parere bizzarra Γ idea di Monsignor Rossi di m'i-tilare il cadavere del P. Antonio Cesari per conservarne una memoria, ciononostante non si potrebbe rifiutare il legato senza mancare ai riguardi dovuti ad una persona che morendo volle mostrare il suo affetto per la nostra Città, legando alla Biblioteca Civica una per lui preziosa reliquia, alla Biblioteca dell’ Università dei pregevoli ni inoscritti e all’ Accademia delle Belle arti dei quadri di distinti pittori. Il rifiuto d’altronde potrebbe essere sinistramente interpretato, quasi si facesse poco cale delle reliquie di un uomo illustre, il quale ripose 111 fiore lo studio del nostro bello idioma. Se nella Laurenziana (?) di Firenze si conserva con venerazione un dito di Galileo, la nostra Biblioteca si può ben onorare di possedere una mano del P. Cesari, quantunque questo ultimo sia molto distante dalla grandezza del filosofo Toscano. Il Cons. Federici sarebbe d’ accordo col Cons. Crocco se la destra del P. Cesari fosse stata legata da lui medesimo alla Civica Biblioteca; ma partendo invece il legato da un altro che »’ impossessò della sua mano in un modo che tutti non possono applaudire, gli pare che non abbia quel valore. 11 Cons. Crocco, dopo alcune parole del Sindaco con cui viene a confortare le «ue, propone 1’ accettazione del legato di Monsignor Rossi alla condizione dal medesimo scritta nel suo testamento; e questa proposi» viene approvata alla maggioranza di 17 voti contro 12 ; un Consigliere essendosi astenuto dal votare ». r GIORNALE LIGUSTICO che s imponeva a tutti i cultori delle lettere italiane, di concorrere a questo omaggio a colui che aveva ricondotto alla sua purezza 1’ eleganza della lingua di Dante, e chiedendo che questo dovere fosse soddisfatto, lui iniziatore, dai Comuni posti sotto la sua tutela. Inutile dire che tutti mandarono obbedienti il denaro ; la qual cosa non impedì all arguto prelato, dettando l’iscrizione da scolpirsi sul monumento di dire che in quello riposavano le ossa di Antonio Cesari da Verona, da lui, pioprio da lui Stefano Rossi, fatto innalzare aere suo !..... DoP° avere indicato le prove della profanazione della tomba del Cesari, non ho inteso certo di sostenere che quella profanazione sia riparata..... ..... con°bbi molte gesta di questo uomo, e mi sono passati sotto gli occhi i documenti del suo governo in Romagna. Il futuro biografo potrà leggerne una parte nella raccolta che ne fece il Gennarelh nel 1860 per incarico del dittatore dell’Emilia. Luigi Carlo Farini. E.... io fui della commissione incaricata di raccoglierli. Federico Fabbri. * * * Luigi Lodi concludeva con queste parole : Senza voler prolungare la discussione, noi non possiamo non tener conto della onesta e raccomandabile intenzione da cui il Bertolotto fu ottenere, cioè, che quella mano sia restituita alla bara donde fu e rimanga insieme a tutto ciò che avanza dello scrittore veronese, a venta si tratta di far rispettare — per quanto tardi — la santissima legge del rispetto ai morti ». Il « Ligustico ». PER ANTONIO BONOMBRA VESCOVO DI ACCIA (1467-1480) Alla dimanda del Ligustico se vi sia qualcuno tra i lettori che sappia dar notizie di questo personaggio, che non figura nella serie dei prelati che cinsero Γinfula episcopale di Accia, rispondo avere racimolato da parecchio tempo alcuni documenti, alcuni dei quali furono da me comunicati a nostro egregio Marchese Marcello Staglieno, che a sua volta li trasmise al Padre Pierling. Il primo atto che riguarda, il benemerito Vescovo è una procura stipulata 1 30 Gennaio del 1454. Da essa emerge che Venerabilis Vir dominus Frater GIORNALE LIGUSTICO 169 Antonius Bonumbra Archipresbiter ecclesiarum Sanctorum Ióhannis et Salvatoris de Vado saonensis diocesis ordinis Sancti Augustini elegge suo procuratore il sacerdote Bartolomeo da Lonato della diocesi di Vercelli e domiciliato in Genova !i). Quest’ atto pone in rilievo che il Bonombra apparteneva al clero rego-golare e precisamente all’ ordine che reggeva l’Abbazia di Oulx, dalla quale dipendeva la chiesa di Vado. Ad un processo redatto il 7 Settembre del 1459 Bartolomeo Pammoleos Prevosto di S. Pietro di Banchi d’ ordine del pontefice Pio II per collazione della minuscola chiesa rurale di S. Luca di Albaro è presente quale testimone discreto viro domino Antonio Bonumbra Archipresbitero ecclesiarum de Vado (2). Segue un terzo documento dell’ 8 Luglio 1461. Sotto tale data Leonardo de’ Fornari dottor di decreti, canonico della cattedrale di Genova (più tardi Vescovo di Mariana), Vicario di Paolo Campofregoso Arcivescovo di Genova, dichiara aver emanato il giorno 12 Giugno alcune lettere monitorie subscriptas manu Antonii Bonumbra apostolica auctoritate notarii perchè sotto pena di scomunica non si trattenessero alcune somme appartenenti ai nobili Fieschi. (3). Un quarto atto infine del 9 Ottobre del 1462 fa conoscere qualmente l’Arcivescovo Paolo Campofregoso conferì 1’ ospedale coll’ annessa chiesuola di S. Biagio di Rivarolo, fondato dai nobili Leccavela .... dilecto nobis in Christo venerabili viro Antonio Bonumbra Archipresbitero ecclesiarum Sanctorum Ióhannis et Salvatoris de Vado Saonensis diocesis a monasterio Uìciensi ordinis Sancti Augustini Thaurinensis diocesis dependentium (4). Il compianto sacerdote Angelo Remondini che lasciò manoscritta la Cro-notassi dei prelati liguri (5) parla del Bonombra in questi termini: « Fr. Antonio Bonumbra Vescovo d’Accia 1451. Il Simidei in quest’anno 1451 segna ad Accia l’elezione di Mons. Antonio. In un documento di Venezia fu trovato al 1472 un Antonio Bonombre ligure Vescovo d’ Accia. Il Belgrano assevera che il casato Bonombre nel XVI secolo era in Vado. Al 1480 ha il successore Pamoleo. Il Gams però (1) Atti del Not. Andrea de Cairo, filza io, foglio 35. Archivio di Stato in Genova. Sala 6.*, Scanzia 72. (2) Not. idem, filza 15, foglio 266, 1. c. (3) Not. idem, filza 17, foglio 179, 1. c. (4) Not. idem, filza 18, foglio 160, 1 c. (5) Trovasi ora nella Biblioteca dell'Istituto dei Figli di Maria. 170 GIORNALE LIGUSTICO al 1451, 17 Marzo ha Fr. Antonio d.i Omessa O. S. D. traslocato ad Atene e lu il successore Paolo Fregoso nel 1452 ». Fin qui il Rcmondini, il quale ebbe in parte questa comunicazione dal compianto Prof. Belgrano. È inutile far noto che l’anno 1451 attribuito all’elezione del Bonombra è errato, unto più che ebbi la buona ventura di trovare la bolla del Pontefice Pio II, diretta il 17 Gennaio del 1461 all’Arcivescovo di Genova, in virtù della quale veniva eletto alla sede di Accia Fr. Gio. Andrea de’ Bussi di Vigevano, Abbate Benedettino di S. Giustina di Sezzè, essendo rimasta vacante la sede per morte del Vescovo Angeletto (1). Lo stesso de’ Bussi in un altro atto dell’ 8 Luglio 1466 è chiamato Vescovo di Accia, vicario lateranense e commendatore della chiesa di S. Marco in Genova (2). Egli perdurò nella sede sino al 1467 essendo traslato alla sede di Aleria. Rimasta vacante la cattedra di Accia, il Pontefice Paolo II volse lo sguardo al nostro Bonombra e il 4 Maggio su relazione dell’Arcivescovo di Avignone, lo eleggeva in Vescovo di detta sede, come risulta dalla seguente nota comunicata dallo stesso P. Pierling al Marchese Staglieno. « Obligationes t. 85, p. VI tergo Acciam Arch. Vaticano. Eadtm die et consistorio (4 Maii 1467) idem Sanctissimus D. N. ad rela-t onem Rev.m’ Domini Avinionensis promovit ad ecclesiam Acciensem Domtnum Antonium de Bona Umbra Archipresbiterum Vadi vacantem per translationem R.m‘ Patris Domini Ióhannis Andree ad Ecclesiam Aleriensem ». Il Principe Colonna Cesari-Rocca , il quale su collezionando un codice diplomatico corso, mi diede avviso aver tolto da schede dell’Archivio Vaticano, sotto la Rubrica Corsica, l’elezione fatta nel 1470 del nostro Antonio Vescovo di Accia a collettore di tutte le decime dovute alla camera apostolica nell' Isola dì Corsica. Si consideri questa missione e 1’ altra che il Bonombra ebbe dal pontefice savonese Sisto IV, di accompagnare cioè nel 1472 la principessa Zoe Pa-Icotoga, che andava sposa al re di Mosca, e di leggieri si conoscerà la stima e la fiducia che questo prelato godeva presso i pontefici Paolo II e Sisto IV. Il Bonombra mori prima del 15 Aprile 1480, come appare da quest'altra nota dovuta alla gentilezza del prelodato p.tdre Pierling. O) Aiti 4«i N i! AnJrc-t de Cairo, Alta iS, loglio 104. (i) K01 kJct.. fila ai. foglio 17 . GIORNALE LIGUSTICO '71 « Obligationes t. 83 p. 66 t. Accien. Arch. Vaticano. Eadem die (Veneris XIII mensis aprilis 1480) et consistorio Sanctissimus D. N. ad relationem Rev.'"' Sancti Georgii providit ecclesie Acciensi de persona Rev. P. Domini Bartholomei Pammoles vacantem per obitum domini Antonii Malubra (sicj extra romanam curiam deffuncti ». Con questa data s’accordano pure 1’ Ughelli (i) e il Gams (2). Nel Rev. Sancti Georgii dei documento devesi riconoscere il Cardinale savonese Raffaele Riario, che appunto in quel tempo possedeva il titolo di S. Giorgio in Velabro. In quanto alla patria del Bonombra mi pare che la dichiarazione rilasciata dal Belgrano al Remondini e il documento di Venezia, che lo dice ligure, sia valida prova per chiamarlo benemerito figlio di Vado. Se il Belgrano asseri che nel secolo XVI il casato Bonombre era in Vado, non ha certamente parlato a casaccio e qualche atto notarile, attinto al nostro Archivio di Stato, l’avrà messo in grado di pronunciare tale asserzione. Arturo Ferretto. CONTRIBUTO ALLA BIOGRAFIA DI AZZO-GIACINTO MALASPINA MARCHESE DI MULAZZO Il conte Pompeo Litta Γ11 aprile del 1844 scriveva ad Eugenio Branchi, in quel tempo Auditore del Tribunale di Prima Istanza di Pontremoli: « Gli ultimi « [Malaspina] di » Mulazzo sono tre fratelli. Il primo, marchese Azzo Gia-» cinto, fu deportato dagli Austriaci, siccome partigiano di » repubblica, a Sebenìco nel 1799. Sono incerto sulla di lui » fine. A me pare che fosse tradotto in Venezia, rinchiuso » in S. Giorgio in Alga, e che calatosi con una fune, per » fuggire, annegasse. Però non sono certo. Comunque sia, η amerei di verificare la sua morte, e mi pare che in Pon-» tremoli si possa, più facilmente che in qualunque altro luogo, (1) Ugbclli, luti» Sieri, vol. IV, . Ed il tenente rispose : « è quegli appunto che si cerca ». S’impadronisce della sua scrivania, ma vedendo l’impossibilità di trasportare i fogli, la sigillò, e poi rivolto al cameriere gli disse : « Voi resterete responsabile della sicurezza di questi sigilli ». Il cameriere che penetrava potessero esistere dei fogli pericolosi al suo padrone, studiò il modo di aprire la scrivania dalla parte di dietro, e levati e bruciati quei fogli che credette, la riportò al suo luogo. Nella mattina susseguente una Commissione s’impadroni dei fogli restanti, e furono portati in Firenze. Il Marchese fu posto nella Fortezza da Basso e fu permesso al cameriere di visitarlo in presenza di guardie. Ebbe il permesso di scrivere pei suoi affari, colla presenza di un uffiziale, e colla rivista delle lettere fatta dal Generale. Il detto cameriere, di ordine suo, si portò in Lunigiana, e mentre esso si trovava a Mulazzo, il suo padrone fu trasportato a Mantova. Non tardò il Bianchi di portarsi in quella città, ma il rigore col quale era guardato il Marchese lo pose nella disperazione di non più vederlo. A forza di denaro gli riuscì guadagnare un secondino , e gli venne fatto di scriverli, e riceverne le risposte. Per scrivere gli fece avere del latte e della china in polvere. Non potei però sapere sopra che si raggirasse il carteggio, dicendomi il Bianchi che questo era un segreto che depositava nella tomba. Insistei, facendogli conoscere che erano cose ormai remote, ed esso mi rispose: vivono molti ancora, ed io stesso sono vivo. 190 GIORNALE LIGUSTICO Da Mantova tu trasportato a Venezia. Qui pure lo voleva seguire il fido , e ricorse al fratello Marchese Luigi per aver mezzi per portarsi colà, ma sebbene non li fossero negati, la lentezza con cui si procuravano determinarono il cameriere a rivolgersi al Marchese Azzolino di Fosdinovo ed al Caiani di Sarzana, che immediatamente gli procurarono una cambiale indefinita per Venezia, oltre avergli dato del denaro per il viaggio. Vi si portò di fatto, ma nulla potè rinvenire in quella avveduta città, e Γ oro non servì a ottenere la benché piccola notizia, e soltanto gli fu detto che era fuggito. Dopo molte ed inutili premure, rese inefficaci, il Bianchi, temendo della avvedutezza di quel geloso Governo , pensò cosa prudente ritornare in patria, non avendo punto profittato della cambiale ricevuta. Dalla sortita da Mantova in poi non è stato più possibile avere alcuna notizia sul di lui destino, a meno che vaghe ed insussistenti. Aveva il Marchese nel primo germinale , anno 6 della Repubblica, fatto il suo testamento in Massa, consegnato al notaro Rocco Vaccà, pure di Massa, il 2 fruttidoro, anno suddetto, quale conteneva diverse disposizioni, fra le quali la revoca delle disposizioni fatte in Pisa nel 15 ottobre 1796 a favore dei suoi popoli, attesa la più nera ingratitudine dei suoi concittadini di Muletto, Parana, Monter eggio e Ρο^ζο. Ordina che morendo, o fra Γ armi in soccorso della patria, 0 in impieghi politici, di essere tumulato in un giardino a pie’ di un albero, senza il benché minimo segno di culto, o accompagnamento ; lasciando ai suoi fratelli d’ arme i più bravi lire venti per cadauno in memoria del loro compagno ed amico. Lascia alla sorella Matilde vedova Recupito 60 zecchini, ed all’altra sorella donna Giulia nelle Murate zecchini 20. Lascia alcuni legati alla Chelussi, sua donna di governo, ed al Loren-zelli suo agente. Al cameriere Bianchi un assegno vitalizio per averlo seguito in lunghi e pericolosi viaggi, ed il suo orologio GIORNALE LIGUSTICO d’ oro. Ai Gnetti 1’ anello colla sua cifra e contorno di brillanti. Nomina erede il cittadino Alessandro Malaspina, suo fratello, brigadiere alla marina di Spagna, e prigioniero di Stato per dispotismo ministeriale. Dichiara che la Chelussi non possa conseguire i legati, se non se stando separata dal marito; e riunendosi, che s’intenda priva. Esecutore testamentario nomina il suo buon amico Agostino Caiani di Sarzana, incaricando il suo erede di fargli un regalo con tutta delicatezza e generosità. A PROPOSITO DELLA « STORIA DELLA MARINA ITALIANA » dal 1453 AL 1573 C1) Uno dei periodi storici più momentoso e più denso di fatti è quello che muove dalla caduta di Costantinopoli, e si chiude con la battaglia di Lepanto, perchè determina il sorgere ed il costituirsi in Europa di una nuova potenza, la quale per origine, per indole, per condizione politica e religiosa essendo in aperto contrasto con tutte le altre nazioni, accende una lotta viva, continua ed audace, i cui effetti si fanno sentire anche oggi. La sua conquista, agognata da secoli e sempre invano, le dà modo di assidersi immediatamente arbitra sui mari interni, donde traggono vita economica, sostegno e preponderanza politica quelli stati eh’ ebbero il massimo impero sul mediterraneo, e tennero alto e rispettato dovunque, col vessillo delle città marinare, il nome italiano. Senonchè la ragione principale del fatto che colpì direttamente l’Italia, e commosse l’Europa, va appunto ricercata nella politica egoistica e bruttamente interessata, seguita in ispecial modo da (1) Manfroni , Storia .della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma, Forzani e C., 1897 in 8.° di pp. XVII-534. 192 GIORNALE LIGUSTICO quelle repubbliche; le quali per i possedimenti coloniali in oriente, e per la grande influenza commerciale esercitata in que’ territori, avrebbero dovuto e potuto, opporre un argine termo e sicuro alla espansione degli infedeli. Ma ad esse mancò la concordia: e la sete smodata del lucro le indusse a farsi anzi ausiliatrici delle imprese, per le quali fu segnata la loro decadenza, e che le trassero poi a miseranda rovina. Perchè i turchi, quando ebbero posto piede sul continente europeo, e in una posizione di tanta importanza, cercarono immediatamente di impadronirsi de’ maggiori empori commerciali, non solo per far lor prò’ delle ricchezze e ingrandire il dominio, ma per togliere eziandio a coloro che ben prevedevano avrebbero avuti nemici implacabili, i cespiti principali della vita economica. Nè, d’altro canto, i cristiani minacciati seppero opporre alla nuova ed inaspettata baldanza tanta virtù di senno e di virili propositi, da allontanare un pericolo, che doveva tornare cosi esiziale ai loro interessi, fino a veder annullata quasi interamente la potenza e la signoria del mare, onde per 1’ innanzi aveano tratto e fama e ricchezza. Perciò non approdarono a buon fine le imprese tentate, e i disegni maturati; perchè mancò innanzi tutto la chiara visione delle forze che scendevano a combattere, e la tabe delle reciproche gelosie rese gli animi tiepidi e paurosi, inchinevoli più presto a blandire ed accarezzare il nemico in pro’ di particolari interessi, anziché stretti lealmente nell’ intento di vincerlo e debellarlo. Così venne rapidamente accrescendosi il dominio dei turchi, i quali, pur non abbandonando que’ metodi di guerra che furono sempre lor proprii, seppero tuttavia dar nuovo assetto all’ armata, rendendola, per numero e qualità di navi, per fornimenti ed ordinanze, per accortezza ed audacia di capitani, poderosa e temuta. Onde non è meraviglia se nella lotta per la egemonia, accesasi fra le potenze occidentali, entra per gran parte, GIORNALE LIGUSTICO 193 ed ha sì gran peso la influenza e la supremazia acquistata dai musulmani, in ispecie quando, con l’occupazione dell’Egitto, vennero a minacciare l’equilibrio del mediterraneo, che doveva d’ indi in poi essere teatro delle fortunate loro imprese. Imprese fortunate non tanto per il loro valore, ma più e meglio per la gelosia e la discordia delle potenze cristiane, per una politica tortuosa ed imbelle, per la inazione o 1’ i-gnavia nelle opportunità più favorevoli, donde lo scredito e la corruzione dello spirito militare e quindi il convincimento della propria pochezza di fronte nd un nemico invincibile. Unico fatto grande e generoso la vittoria di Lepanto, tanto più celebrato, quanto meno preveduto ed aspettato. Utile certamente , perchè rialza gli animi abbattuti e ripristina la coscienza della propria forza; sterile nelle conseguenze per il malvolere degli alleati, e le infeconde contese dei capitani. Chi si fa a considerare con occhio vigile ed acuto gli avvenimenti che si svolgono in questo periodo d’oltre un secolo, rileva assai facilmente quale e quanta parte in essi competa alla marina italiana, la quale pur troppo volge a decadenza, dopo avere esercitato una vera e propria preponderanza quando più luminosa rifulse la stella di Venezia, o quella di Genova. Perciò lo storico della nostra marina, dopo aver denominato da quelle due città gloriose i primi periodi dei suoi fasti, deve riconoscere che il terzo, di cui abbiamo sopra toccato, vuoisi necessariamente chiamare della preponderanza ottomana, come il seguente, fino a’ nostri giorni, potrà dirsi del risorgimento. Questo lo schema che il recente storiografo della marina italiana si è proposto; il quale, mentre s’appresta a colorire il vasto disegno, or ce ne porge una parte; quella cioè che, e per opportuna preparazione, e per compiutezza d’indagini, e per studi speciali da lui stesso pubblicati, gli parve abbastanza matura, e tale da affrontare con sicurezza il giudizio Giorni. Lioumco. Anno XX//. *5 194 GIORNALE LIGUSTICO della critica. Anche questo tratto ha in se una partizione necessaria, che emana naturalmente dallo svolgersi dei fatti , dalle cagioni onde derivano, e dal concetto politico intorno a cui si aggruppano. Era d’ uopo innanzi tutto determinare in qual guisa i turchi salirono a così alto grado di potenza da rendersi padroni di Costantinopoli, ricercandone le intime cause nella condotta politica delle repubbliche marinare, che con le fiorenti loro colonie esercitavano in oriente una vera e propria egemonia. Esse stesse cospirarono alla loro rovina, nella quale più presto si videro travolte le Genovesi anziché le Veneziane; e ciò per due ragioni; la prima vuoisi riconoscere nella posizione geografica di quest’ultima, la seconda nella maggiore forza e vitalità della repubblica di S. Marco a petto alla sua rivale, stremata dalle fazioni intestine, e minacciata da esterni nemici. D’altra parte se l’una poteva vantare ancora un’armata propria e sempre assai poderosa , 1’ altra ne era affatto priva, nè le restava in quelle distrette danaro bastevole a procurarsi le galee de’ privati. Ecco perchè nei tentativi con i quali s’intese a combattere , mercè alleanze non sempre leali e felici, i musulmani, il vessillo di Venezia tien sempre il primato, come quello che solo è rimasto in questi tempi calamitosi a rappresentare il simbolo della marina italiana. Ma se Genova, invano lusingata, vide andare a vuoto tutte le sue pratiche, non sempre dignitose, per tenersi amici gli infedeli, e s’ebbe presto ad accorgere in qual conto dovesse tenere la lor fede, Venezia nulla ottenne con le imprese di guerra, dalle quali uscì diminuita d’importanti possedimenti e fu costretta a subire una pace onerosa. Di qui le nuove bramosie degli audaci nemici, fatti minacciosi all’ Italia sull’ Isonzo e nel mare Adriatico. Senonchè a questo punto, là dove sul declinare del secolo si chiude la prima parte dell’ opera sua, lo storico sente la necessità di arrestarsi nel racconto dei fatti militari, poiché GIORNALE LIGUSTICO 19 5 alla sua mente s’impongono altri avvenimenti grandiosi, i ■quali, preludendo ad un’ epoca nuova, esercitano non piccola influenza sulle condizioni politiche generali e speciali, e svolgendosi anch’ essi sul mare, non possono sfuggire alla sua osservazione. Intendiamo accennare alle grandi scoperte, onde si aprono nuove vie alle espansioni commerciali. Esse spostando interessi di capitale importanza, vengono d’ un tratto a diminuire la già scarsa potenza delle repubbliche marinare italiane, mentre accrescono a gran pezza quella delle monarchie occidentali. È quindi opportuno considerare quali fossero le condizioni del commercio degli italiani durante il quattrocento, affinchè più chiari appariscano gli effetti che derivarono dalle scoperte in ispecie del Capo di Buona Speranza e dell’ America, seguite da tutte quelle altre in cui Γ ingegno e 1’ attività degli italiani ebbe così larga parte, e, pur troppo, non a benefizio della madre patria. Nè meno importa conoscere i mezzi dei quali si giovavano i navigatori, sia che si apprestassero a solcare i mari per ragione di commerci, sia che armassero naviglio in guerra, chè legame assai stretto intercede, singolarmente in questi tempi, fra la marina mercantile e quella di combattimento. Perciò utilissime le notizie sulle diverse modalità delle navi, sulla ioro struttura e sulla potenzialità ; intorno all’ armamento ed all’ approvigionamento; sulla formazione dell’equipaggio e delle ciurme; sopra i sistemi d’ appalto ; infine sull’ arte del navigare. Notizie tutte le quali rendono più chiari nel loro svolgimento i fìtti marinareschi, e danno lume a giudicare delle forze de’ combattenti, del-1’ordine delle battaglie, della distribuzione del naviglio, del-l’impiego del materiale. Ed ora torniamo agli avvenimenti politici, ne’ quali non è a riscontrare una qualsiasi soluzione di continuità, ma da riconoscere invece quella trama che li governa e li ricongiunge. Noi abbiamo veduto come, ad onta delle sue molte e gravi h;6 GIORNALE LIGUSTICO traversie, 1' unico stato che ancora rappresentasse propriamente la marina italiana tosse Venezia, alla quale era serbato il triste ufficio di muovere per la prima gli appetiti di Francia e schiudere cosi la via all’ intervento straniero ; colpa politica pagata assai cara, quando vide contro a lei cospiranti le maggiori potenze, aizzatrici palesi o coperte a suo danno del signore di Costantinopoli. E tu jattura gravissima, perchè a quella repubblica soltanto, e per tradizioni gloriose, e per interna consistenz.i, e per liberi istituti, e per compagine schiettamente italiana, poteva ancora spettare il compito generoso di man tenere e sviluppare fra noi il principio della indipendenza. Condannata per contro ad esiziali destreggiamenti, costretta ad una inazione pericolosa, chiusa in una disdicevole neutralità, 0 tratta ad alleanze da cui uscì quasi sempre diminuita, andò incontro da se stessa alla fatale decadenza, onde non ebbe modo di rilevarsi. Certo contribuì a ridurla in si fatta condizione la politica provocatrice da lei seguita , il desiderio di allargare il suo dominio in terraferma, la mancanza di fermezza e di propositi virili in momenti supremi ; e intanto le sfuggiva il dominio del mare, e veniva perdendo il primato a cui, mercè tante e si splendide prove, era salita. Di qui gli insuccessi, di qui la sfiducia infiltrarsi a poco a poco nell’ a-nuno dei suoi uomini di mare, che corrompe e discredita 1 armata, a gran gioia de’ suoi emuli, i quali, gelosi da lunga mano della potenza sua, son fatti si ciechi da non vedere come dall’abbassamento di lei debba specialmente derivare I ardito accrescimento dei musulmani, che scendevano poderosi a contendere il dominio del mediterraneo. Ed appunto per rintuzzare la loro audacia fortunata si combatterà per tutto il secolo X\ I, a line di ristabilire sul nostro mare l’equilibrio fatalmente perduto. Intorno a questo concetto storico si raggruppano principalmente tutti gli avvenimenti che porgono argomento alla se- GIORNALE LIGUSTICO I97 concia parte della storia della marina italiana ; italiana non già perchè sia mossa da un alto sentimento nazionale e drittamente levi le armi a conseguire un fine patriottico ; ma perchè in gran parte italiane sono le galere che costituiscono Γ armata, e d’italiani in buon dato sono guernite pur quelle apprestate dallo straniero cui P Italia soggiace. Se non che la lotta che si combatte sul mare si collega e si compenetra nelle sue fasi, con quella durata sì lunga fra le due maggiori monarchie occidentali per la supremazia europea. La Francia, impossente a contendere con la rivale, specie dopo la perdita di Genova e del D’Oria, stringe alleanza col turco, il quale in questa guisa si sente più forte e acquista il diritto di far pesare la sua spada nelle acque del mediterraneo. Ed ei se ne giova per allargare i suoi dominii non solo nell’ Egeo e nell’ Ionio, ma sulla costa settentrionale dell’Affrica, dove non valgono a snidarlo le imprese di Carlo V ; eccolo perciò minaccia continua alla Spagna e all’Italia, ed è gran mercè se non ardisce gettarsi sulla Sicilia e sulla Sardegna. Tace Venezia, che ha ripiegato il vessillo, assistendo passiva allo svolgersi degli avvenimenti ; paurosa di rompere la pace ricercata e ottenuta dagli infedeli a stento e con suo danno ; diffidente delle arti onde e Francia e Spagna tentano trarla a loro prò’. Nè senza ragione, chè allorquando pur alla fine è trascinata, nolente e suo malgrado, a rinnovare la guerra, entrando in lega con l’imperatore, si vede, con inqualificabile inganno, abbandonata alla Prevesa e prova duramente qual fede meriti la politica spagnuola trescante, pe’ suoi fini particolari, col temuto e corruttibile pirata. Perchè ormai si disegnano ben chiari ed aperti gli interessi peculiari onde e la Spagna e Venezia son mosse a desiderare la disfatta del comune nemico ; interessi che avrebbero dovuto congiungerle strettamente in un intento, in uno sforzo supremo, e invece per il geloso egoismo, per le incertezze paurose del poi, le tengono disgiunte e in 198 GIORNALE LIGUSTICO contrasto ; all’ una importa sopratutto riprendere in oriente il dominio perduto, all’altra spazzare dall’Affrica il nuovo ed incomodo padrone. Di qui le contese , le discordie , le arti ignobili, le viltà. Intanto il fatto avea reso manifesto che i cristiani erano fuggiti al cospetto dei turchi, e nell’animo dei marinai s’era radicata la persuasione che costoro fossero invincibili. Perciò, mentre Venezia, tradita in un tempo da Spagna e da Francia, piega il capo ad una pace gravosa, e si ritrae dalla lotta, ben ferma a guardarsi con più oculata vigilanza dagli inganni di amici e nemici, fallisce alla Spagna l’intento di ristabilire sul mare il desiderato dominio, ma frattanto rafferma la sua preponderanza in Europa con la sovranità di possesso e di influenza che in virtù dei trattati esercita in Italia. L’infausta rotta delle Gerbe, esempio insigne d’imprevidenza, di pochezza e di avvilimento, apre quest’ ultima parte della storia marinara, persuadendo alla Spagna che le sue forze non valgono a contendere il dominio agli infedeli, e getta il disordine, lo sconforto e lo scredito nell’ armata raccogliticia degli italiani. I pirati solcano a lor posta il mediterraneo, danneggiano il commercio, recano il ferro, il fuoco e la strage dovunque lor talenti d’investire le coste. A Costantinopoli intanto si affilano le armi, e si disegnano nuove conquiste. Malta questa volta è il punto a cui mirano i turchi ; ma la strenua difesa dei cavalieri, e l’ausilio dell’armata cristiana,, dove rifulse singolarmente il valore e l’ardire degli italiani, mandarono a vuoto l’impresa, ringagliardendo gli animi e dando buona speranza per 1’ avvenire. E 1’ avvenire si presenta fosco quando \7enezia alle intimazioni del sultano non può più sfuggire la guerra, resa ormai necessaria eziandio dal disagio in cui politicamente e commercialmente si trova ne’ suoi possessi marittimi. La guerra di Cipro pone la repubblica nella necessità di stringere alleanze , di ricercare aiuti ; ma se le prime non sono sollecite e leali , i secondi si chiariscono GIORNALE LIGUSTICO 1 99 insufficienti e studiosamente inefficaci. La fatale politica tenebrosa di Spagna, secondata dalle gelosie, dalle rivalità, dagli odi vecchi e nuovi, paralizza ed annulla i generosi conati, le gloriose speranze. Intanto gli infedeli s’avanzano e vincono, e sul punto in cui Venezia sta per accogliere proposte di pace mercè la mediazione francese, si riesce a Roma, non senza fatica e superando difficoltà gravissime, a conchiudere finalmente la lega alla quale era riserbata una splendida vittoria. Le arti di Filippo II e de’ suoi ministri per ventura si infrangono dinanzi alla baldanza giovanile, al desiderio di gloria del supremo capitano, e 1’ animo fieramente commosso dalle stragi inaudite di Famagosta chiude l’orecchio agli astuti avvolgimenti d’interessata politica, acceso soltanto dalla sete di vendetta. I turchi 'sono sgominati. Ma la disfatta non è completa; nel concerto delle forze navali un de’ comandanti ha defezionato, ponendo a grave rischio la riuscita della memorabile impresa ; egli solo in questo frangente ha obbedito alle istruzioni del re che lo paga, e non ha voluto combattere Γ infesto pirata, col quale già correva trattato segreto, perchè abbandonasse il sultano. È la ripetizione della Prevesa ; i personaggi sono gli stessi, soltanto i nomi diversi: là si chiamavano, Carlo V, Andrea D’Oria, e Barbarossa; qui Filippo II, Gian Andrea D’ Oria, e Ulugh-Alì. Se gli entusiasmi furono grandi, nessun frutto si ritrasse da sì fatta vittoria; le discordie fra i collegati ebbero maggior vampo di prima, si fecero più acute, e mandarono in miserando sfacelo la poco salda allea nza I vinti ne trassero astutamente lor prò’ aiutati da Francia, cui premeva indebolire la rivale; Venezia ne fu la vittima. La pace fermata col turco tolse alla sua corona la più splendida gemma ; Cipro andò perduta, nè fu il solo sacrificio : essa vedeva ormai aperta quella via che, malgrado gli eroismi e le generose riscosse, doveva condurla ad uscire dal novero delle potenze marittime. 200 GIORNALE LIGUSTICO La battaglia di Lepanto segna nell’ ordine de’ fatti marinareschi un punto importante e decisivo; poiché mentre da un lato riconduce negli animi de’ cristiani la fiducia e la coscienza della propria forza, dall’ altro determina la fine di quella egemonia che gli ottomani s’erano venuti arrogando nel mediterraneo ; può quindi con essa considerarsi chiuso, per rispetto della nostra marina, un periodo storico che porta con se nell’ ultima evoluzione i germi di una nuova era, i quali, lentamente svolgendosi, daranno luogo al risveglio fecondo di utili risultati nel lontano avvenire. Un quadro così vasto e complesso, in cui tanti elementi diversi si trovano in giuoco, domanda una mente equilibrata e serena, la quale sappia disciplinare la materia; una mano sicura atta a convenientemente colorirla. E innanzi tutto importa la piena, la lunga, paziente preparazione , affinchè allo storico nulla rimanga possibilmente sconosciuto di quanto concerne l’argomento del suo racconto, e non solo rispetto ad alcuni avvenimenti più notevoli o rumorosi, ma altresì a que’ fatti di minore importanza che nelle loro fasi particolari e minute possono apparire trascurabili, mentre valgono invece a dare ai primi rilievo, e ben spesso porgono il filo per meglio intenderne le cause, e riconoscerne le relazioni. Nè basta, chè in questa grande congerie la critica severa ed equanime deve, con l’opera luminosa dei confronti , dei richiami e dell’ interpretazione, sceverare tutto quanto cospira a dar risalto e piena di luce alla verità , dalla parte men buona e non accettabile. Donde la necessità di mettersi all’ opera con la visione chiara e ben determinata dei mezzi e del fine, senza preconcetti come senza pregiudizi, spogli d’ ogni passione, non legati a scuole o a sistemi, ossequienti all’autorità altrui fin dove non contrasti alla ragione ed al vero. La storia della marina italiana come è stata immaginata dall’ autore nel suo complesso, e nel notevolissimo saggio che ne ha dato, GIORNALE LIGUSTICO 201 risponde secondo il nostro parere a questi intendimenti, segue gli accennati dettami. Sono state con ogni cura ricercate le fonti dirette e indirette, non trascurando le indagini d’archivio, e su d’esse venne eseguito uno studio diligente e metodico, a fine di vagliarle in ogni minima parte e trarne affermazioni econseguenze plausibili e sicure. E poiché l’autore si è trovato più d’ una volta dinanzi a scrittori, pur gravi e rispettabili, i quali hanno voluto far servire i documenti e le prove a certi speciali preconcetti, egli ha pazientemente riscontrate le citazioni, spesso riconosciute manchevoli, infedeli e fallaci. Nè men guardingo gli fu d’uopo procedere in mezzo a narrazioni contradditorie, a pareri diversi, a speciosi giudizi, affine di non essere quasi inconsciamente trascinato ad errori di fatto e di raziocinio. Perciò egli non ha esposto soltanto gli avvenimenti, secondo gli sono apparsi alla mente nella loro essenza e nell’intimo legame, ma ha stimato suo debito corroborarli mediante argomentazioni critiche, le quali discutono largamente le ragioni per cui fu indotto a scegliere quella via , a fermarsi su quei risultati. Non è quindi a meravigliare se 1’ opera sua assume un carattere polemico, qualche volta troppo ampio e sottile, perchè alcuni punti capitali si presentavano pur sempre, malgrado fossero già da altri trattati, o appunto per questo, assai controversi o non sufficientemente chiariti. E convien confessare come in generale egli abbia dato prova di acutezza, misura, ed equanimità. Merito non lieve, in quanto che riesce assai diffìcile allo studioso, per quanto faccia, di sottrarsi ad un certo senso di simpatia per l’una o l’altra parte, dal quale alcuna volta vien trascinato ad uscire, suo malgrado, da quella imparzialità che si è proposta ; or qui questo difetto non apparisce, quantunque rimanga nell’ animo del lettore l’impressione di una tal qual benevolenza per Venezia, che invero è giustificata dalle condizioni e dai fatti : anch’ essa tuttavia è fatta segno al biasimo che le spetta. 202 GIORNALE LIGUSTICO Non pochi sono i punti storici che ricevono lume dal metodo critico seguito dall’autore, e lasciando stare quelli di minore importanza, ci piace additarne in ispecial modo tre, i quali, e per la grande influenza che esercitano sullo svolgimento della marina italiana, e per essere stati argomento di studi e di dibattiti anche recenti , avevano d’ uopo di una trattazione più accurata e più ampia. Intendiamo delle due imprese della Prevesa, delle Gerbe, e della battaglia di Lepanto. Ormai i risultati ci sembrano tali da ritenere che sia detta 1’ ultima parola. Potranno forse venire alla luce nuovi documenti, ma o serviranno a maggior conferma dell’ assunto , o, come è avvenuto, a dar ragione ad ipotesi felici ; che se anche modificassero alcuni dei particolari, non romperanno la saldezza delle linee generali e delle illazioni definitive. E ciò che si dice dei fatti deve altresì applicarsi agli uomini ; esempio Andrea D’ Oria. Egli, che ha riempito del suo nome quasi tutto il suo secolo, esce da queste pagine alquanto diminuito; ma se perde una fronda di quella corona che l’adulazione dei contemporanei e la vanagloria dei posteri si compiacque d’intessere pomposamente intorno al suo capo, acquista in compenso una personalità più vera, più consentanea ai tempi, all’indole sua, all’ambiente in cui trasse la maggior parte della sua vita. E qui cade in acconcio un’ osservazione. Il racconto dei fatti attinenti esclusivamente alla marina militare riuscirebbe monco e incompiuto, se lo storico si argomentasse di non dover tenere nel debito conto le condizioni politiche generali, a cui essi si riferiscono, e dalle quali sovente son mossi. Errore in cui per lo più caddero coloro che si tennero paghi del campo ristretto e limitato alle imprese marinaresche, si curarono delle minute descrizioni, della strategia, degli ordini militari, e simili, ma trascurarono di ricercare la ragione degli avvenimenti, le intime relazioni, le ultime conseguenze. GIORNALE LIGUSTICO 203 In ciò meglio avveduto il recente scrittore, pur non allontanandosi dal suo tema, ha tenuto sempre presente gli andamenti della politica europea, che determinano , spiegano ed illustrano le fasi diverse delle azioni navali. Quindi la sua esposizione per omogenea fusione, e per non ordinaria compiutezza assume un carattere nuovo , originale, donde ritrae indiscutibile importanza. Allorquando il proposto disegno sia condotto al suo termine, e con le altre parti ricomparirà pur questa, curata anche ne’ minimi particolari (1), l’Italia potrà compiacersi di possedere, come altre nazioni, la storia della sua marina (2). Achille Neri. (1) Indico qui alcune piccole sviste 0 scorrezioni tipografiche. A p. 60 n. 3 non è detto da qual’opera del Sansovino è tolta la citazione; a p. 203 n. i il duca Gonzaga, va corretto in marchese, e poi da p. 253 n. 3 il duca di Modena in di Ferrara e cosi sempre; a p. 256, il 1617 in 1517, a p. 291 il 1430 in 1530, a p. 299 n. 5 il 1530 iti 1533, a p. 300 η. i il 1531 in 1533, a p. 416 il 10 mar-φ in maggio; a p. 397 n. 4 in luogo di traduzione di Belgrano, deve dire di Wolf, come a p. 9 n. 2. L’indice alfabetico andrebbe rifatto, mettendo la paginazione. (2) Sarebbe vivamente desiderabile che il governo incoraggiasse l’autore al compimento di un’ opera così ampia ed importante, promuovendone egli stesso la stampa. [Ci consta che il desiderio espresso dal signor A. N. è stato esaudito ed è in via di attuaiione. N. d. R.]. Ad un prossimo fascicolo; una recensione del bel volume ultimamente pubblicato dal ncstro A. Ferretto sopra il Santuario di Montallegro. 204 GIORNALE LIGUSTICO IL DUOMO DI S. LORENZO A TRAPANI GIÀ CHIESA NAZIONALE DE’ GENOVESI Le cappelle degli Anfusso, dei Vento, degli Arecco o dei Recco e la cappella di S. Giorgio. Visitando il duomo di Trapani dedicato a S. Lorenzo mi colpi un quadro rappresentante il solito S. Giorgio a cavallo che ferisce il drago, sull’altare di una cappella a sinistra. Entrato in quella cappella osservai che sopra uno dei lati figurava lo stemma di Genova sormontato dalla corona ducale non chiusa e sostenuto dai grifoni , il tutto a basso rilievo sulla pietra. Certo ormai che quella cappella dovea in altri tempi esser stata proprietà dei nostri cittadini ne chiesi informazioni, ma non potei apprendere se non che la tela rappresentante San Giorgio era fattura del Carreca , buon artista siciliano che dipinse fra lo scorcio del XVI ed il principio del XVII secolo e potrebbe anche discendere da una delle varie famiglie Carrega che altre volte vivevano, e alcune tuttora vivono in Liguria sia nel patriziato che nel popolo. Cercai allora notizie su quella cappella negli annalisti trapanesi le compilazioni dei quali si conservano manoscritte in quella Biblioteca Fardelliana, e talune, come il Sorba ed il Nobile, furono anche pubblicate, e qualche informazione ho potuto raccogliere. GIORNALE LIGUSTICO 2O5 Premetto che le relazioni di Genova colla Sicilia dopo il mille e sino a tutto il XVIII secolo erano molto più importanti di quello che non furono al principio del secolo attuale. È un soggetto che meriterebbe ampio trattamento; qualche cosa ne scrisse, bene e con molta benevolenza verso di noi, il signor Fodera nelle Nuove Effemeridi siciliane (Serie 2.% Vol. I, sett.-dic. 1874), ma l’argomento è ben lungi dall’essere esaurito. Trapani, di cui la monografia del Fodera non s’occupa specialmente, oltre all’importanza che aveva pel commercio del Mediterraneo all’ epoca delle Crociate ed in generale per le relazioni colla Tunisia frequenti e cordiali, sinché quella regione non cadde in potere dei turchi, ne avea una specialissima pei genovesi che coi Serenissimi re di Tunisi della dinastia degli Hafsidi conservarono buoni rapporti di amicizia, solo interrotti per brevi tratti e tosto riannodati (1) e che (1) È noto che i genovesi furono malcontenti allorché seppero che la spedizione di S. Luigi dovea dirigersi contro Tunisi per timore che ciò potesse arrecar danno ai molti loro compatrioti colà stabiliti. Per giudicare dell’ importanza, nel medio evo, di quella nostra colonia ed in generale di quella del commercio italiano in Barberia è utile consultar un fascicolo di atti conservati nel nostro Archivio e rogati a Tunisi nel 1288-89 da un notaro Pietro Battifolio genovese. Dagli stessi scorgesi che colà trova-vansi veneziani, pavesi, fiorentini, lucchesi, pistoiesi, siciliani, che vi aveano consoli, il re di Sicilia anzi un inviato (misaticus), fondaci ecc. Per quel che riguarda la colonia genovese particolarmente, troviamo che in quell’epoca, a breve distanza dalla infelice crociata, il 15 gennaio 1289 Forchetto Pignolo, nostro ambasciatore, avea potuto concludere un vantaggioso trattato con quel re, assicurando ai negozianti genovesi il diritto d’importar merci senza pagar dogana se entro sei mesi non eran state vendute, d’estrarne senza sottostare a diritti d’uscita; al nostro console, allora Ballano Embrono, concesse due udienze reali ogni mese. Vediamo che presso il console v’ era un consiglio della colonia, che un genovese, Beltramino Ferrario, avea la gabella magna dei vini per la quale corrispon- 206 GIORNALE LIGUSTICO già ai principi della seconda metà del secolo XV possedevano il castello di Marsacalexi (già Mars - al - Kalex degli arabi , ora La Calle) dove avevano un governatore per F appalto dei coralli (i). Più tardi, dal 1541 e per due secoli, speculatori genovesi furono proprietari di Tabarca. In seguito, a datare dalla prima metà del XVII secolo, il gruppo delle Egadi o di Favignana, proprio in faccia e a poche miglia da Trapani, fu possesso successivamente di due famiglie genovesi , i Brignone prima che 1 ebbero per poco tempo con titolo baronale (2), i deva ben 18 mila bisanti alle truppe cristiane del re mussulmano, che i genovesi possedevano a Tunisi due fondaci, il vecchio ed il nuovo , e nel primo di essi una chiesa propria con diritto di sepoltura, dedicata alla B. Maria, della quale era allora cappellano un prete Tealdo; che vi si trovavano contemporaneamente due notari nostri oltre questo di cui sono i rogiti, i notari Leone Sigembaldo e Mervaldo de Paxano, che la colonia infine era numerosissima e vi figuravano membri delle più illustri famiglie di Genova: oltre i nominati, Cibo, Signorando, Vedereto, Balbo de Castro, Tavani, Drago, Embriaco, Traversio, Alardo, Auricola, Fornario, Vento, Pedicola, Panzano, Ususmaris, Porco, Negrono, de Vineis, Riparolio, Figaio, de Monella, Carenzono, Caparagia e di parecchie altre famiglie ancora. (1) A Marsacalexi trovai sopratutto liguri della riviera di ponente , da Varazze a Diano e Porto Maurizio. (2) Vedi nel Villabianca, Sicilia nobile, Vol. II, pag. 245 , l’inscrizione sepolcrale in S. Antonino dei PP. Riformati a Palermo a Jacopo Brignoni genuensi, Favi g itane, Formiche, Levansi etc. primo baroni, morto di 5 5 anni nel 164... Un Giacomo Brignone, forse lo stesso, è notato fra gli oblatori all’Annunziata di Trapani « per un’annello del valore d’onze 13 ». Ma la famiglia dovea esser già stabilita colà da qualche tempo perchè nel 1600 ve n’è uno fra i giudici. Colla data del 1619 nel chiostro della detta chiesa della Annunziata leggesi un’iscrizione così concepita: Ad hoc unde mater domini mei veniat ad me Franciscus Brignoni, con uno stemma portante un albero sostenuto da due leoni affrontati senza indicazione di smalti; potrebb’essere d’un Francesco Brignoni che il Fardella nota fra i giudici del magistrato nel 1643. GIORNALE LIGUSTICO 207 Pallavicini in seguito che ne furono investiti con titolo comitale e solo se ne spogliarono per vendita non son ancora molti anni. Perciò si comprende che antichissime e frequenti, più che con altre regioni d’Italia, siano state e siansi conservate le relazioni di Trapani con Genova. Infatti trovo numerosi nostri cittadini stabiliti colà in tutte le epoche e non mancano trapanesi a Genova, ove pure venivano colle loro navi i Fardella , i Catalano ed altri. E Γ amicizia con quella città premeva tanto al nostro comune che nel 1406 il maresciallo Boucicault a nome dello stesso spediva un grosso donativo alla Madonna dell’ Annunziata , il palladio dei trapanesi, i quali impadronitisi, nel duecento, di quel simulacro trasportato ivi da un tempiario pisano di nome Guerraccio, più noi vollero restituire e lo conservano tuttora nella grandiosa chiesa omonima, poco distante dall’antica cinta murale. Ma delle relazioni fra Genova e Trapani e della famiglie genovesi che vi si stabilirono accennerò altra volta: per ora mi limito ad alcuni cenni sull’ antica chiesa o cappella dei genovesi in quella città, dedicata a S. Lorenzo , che, molto più antica della chiesa di S. Giorgio a Palermo , ebbe sorte tanto diversa : sicché, ristaurata ed ampliata, divenne chiesa vescovile quando sul principio di questo secolo la diocesi di Trapani venne separata da quella di Mazzara. Gio. Francesco Pugnatore 0 Pognitore, nella sua Historia di Trapani {MS. Biblioteca Fardelliana di quella città), nella parte III, cap. VIU, scrive ehe il consolato dei genovesi si stabilì colà fin dal tempo del re Ruggiero insieme con 1’ ospedale , la cappella e la loggia: « il console genovese, egli dice, aveva » la casa presso la chiesa di S. Lorenzo, la qual allora era » la sua cappella, si come in fin hora (terminò di scrivere » nel IJ91 circa) ne mostrano segno le croci della loro » insegna, che son rosse in campo bianco, dipinte in alcuni 2oS GIORNALE LIGUSTICO » capitelli di travi, che il tetto vecchio sostengono, dove » tuttavia quell’ altra cappella pur loro di S. Giorgio ancor » era che ivi hoggi si vede. Ma non era la loro principale » (la cappella di S. Giorgio) siccome credono alcuni essendo essa » sì piccola che restava incapacissima dei molti genovesi che allora » in Trapani stavano ». A questo punto però devo notare che non trovai alcun cenno della chiesa di S. Lorenzo dei Genovesi negli atti notarili rogati in quella città, a Trapena come dicevano i nostri, sullo scorcio del 1270 e nei primi mesi del 1271 da un notaro genovese, che pare essere il notaro Rollando di S. Donato, il quale accompagnava Tarmata nostra a servizio della crociata di S. Luigi (1) ; abbiamo anzi due redazioni del testamento di un Guglielmo Malfarne, uno dei genovesi eh’erano stati a Tunisi con quella spedizione, in cui dispone per la sua tumulazione nella chiesa di S. Francesco dei minori osservanti di Trapani, ma non fa il minimo cenno della cappella di S. Lorenzo. Per contro in quel testamento e in parecchi altri degli atti sopra indicati sono citati il console dei genovesi, la loggia: logia januensium, la centrata logie januensium ed anche solamente centrata januensium (2). Che l’attuale chiesa di S. Lorenzo, qualunque sia pure la data della sua fondazione, fosse 1’ antica chiesa della colonia genovese di Trapani, già fin d’allora dedicata a S. Lorenzo, (1) Questi atti rogati a Trapani son frammisti a quelli del notaro Gioachino Nepitella; una 2.* copia del testamento del Guglielmo Malfarne trovasi nella filza 35 .* dei notari ignoti. 2 Particolare curioso : l’antica contratti logie januensium successivamente ampliata tanto da diventar la principale di Trapani, conservò il nome di logia sino a che, pochi lustri or sono, fu ribattezzata Corso Vittorio Emanuele, pur continuando a chiamarsi la loggia nell’ uso popolare. In un’ atto notarile rogato da un not. genovese a Trapena nel 1414 è menzionata la logia januensium sita in carrubeo redo diete terre. GIORNALE LIGUSTICO è un fatto confermato da tutti i cronisti trapanesi (i); certo fu poscia successivamente ampliata: Γ Orlandini (Trapani descritta, pag. 20) citato dal Can. Mondello (Le iscrizioni delie Chiese in Trapani, ms.), dice che « le cronache cittadine » riferiscono che ove oggi esiste la chiesa di S. Lorenzo » sorgeva nel 1129 la loggia del consolato de’ genovesi col-» Γ annessa cappella dedicata all’ illustre martire. Abbandonata » dal console di quella nazione, questa loggia fu convertita » in casa spettante a Giacomo Orlandini come ricavasi da » autentiche scritture pubbliche degli anni 1462-64; passò » dippoi alla famiglia Struppa e finalmente divenne proprietà » dei Gerbasi ». L’Orlandini a quanto dice il Fardella (Annali di Trapani, MS. Biblioteca Fardelliana), scriveva nel 1576 e da quel che dice parrebbe che prima di diventar, da chiesa de’ genovesi, chiesa parrocchiale di Trapani, quella di San Lorenzo fosse soltanto una modesta cappella; ma la sua asserzione non è molto attendibile perchè già quando non era che chiesa nazionale dei genovesi vi troviamo vari altari o cappelle, tre almeno, di proprietà di famiglie private: locchè dimostra che l’antica chiesuola, se pure in principio modesta, avea ricevuto dagli stessi genovesi considerevole aumento. E la testimonianza del Pugnatore già riportata, che 1 attuale cappella di S. Giorgio non fosse che piccola parte del tempio genovese, è confermata dal fatto stesso, della esistenza in questo di varie cappelle particolari. Basterebbe d’ altra parte considerare che quella chiesa potè essere convertita in pairocchia senza che occorressero immediati ampliamenti per convincersi che doveva già sin d’allora essere un locale vasto abbastanza e non una semplice e modesta cappella. (1) V. anche D. Vinc. Nobile, Il tesoro nascosto, a pag. 723 « S. Lorenzo, » chiesa un tempo di consoli di Genova la cui cattedrale è consacrata al » medesimo santo, ecc. ». Gh»n. Ligustico. Ληηο XXII. 210 GIORNALE LIGUSTICO Secondo gli annali del Fardella, il re Alfonso d’Aragona avrebbe fatto erigere la chiesa di S. Lorenzo in parrocchia a petizione dei giurati e del popolo trapanese nel 1435 , precisamente P anno della battaglia di Ponza, allorché il console dei genovesi per la guerra scoppiata fra questi ed il re d’Aragona si ritirò da Trapani. L’annalista siciliano asserisce di aver appreso il tatto , del resto probabilissimo , « dalli » manuscritti del Cav. Porto e Cav. Nobili, esistenti presso » il Cav. Gius. Sieripepoli, barone di Rabici, vivente al pre-» sente 1810 », epoca in cui scriveva il Fardella. E così dal 1435, o all’incirca, i nostri cittadini cessarono di possedere una chiesa propria a Trapani e soltanto, quasi un intero secolo più tardi, ottennero di nuovo una modesta cappella nell’ antica chiesa già esclusivamente loro. Prima di occuparmi di questa nuova cappella dei genovesi dedicata a S. Giorgio, spenderò qualche parola sulle tre cappelle 0 altari di proprietà privata dell’ antica chiesa di San Lorenzo, delle quali già ho fatto cenno. La prima cappella in ordine di data di cui trovasi menzione è quella già appartenente ad un nobile Graziano de Anfuso, che nel suo testamento dell’anno 1402 dispone perchè sia celebrata settimanalmente una messa sopra un’ altare di sua proprietà nella chiesa di S. Lorenzo. Il testamento e trascritto nel Rollus privilegiorum Civitatis Drepani che si conserva presso il municipio di Trapani e che è una copia eseguita d’ufficio nel 1601 d’altro volume più antico. Sia pel fatto della proprietà di un’ altare nella chiesa di S. Lorenzo, sia per quella d’ una sua pntia (bottega) menzionata pure nel testamento e che 1’ Anfuso possedeva incantu la logia di li ginuisi di la parte di livanti, non mi par dubbio che lo stesso fosse di famiglia oriunda ligure. Gli Anfusso, Anfussio, Anfnsio, originarii probabilmente di Taggia, ora Anfossi, dei quali un ramo entrò, nel sec. XIV, nell’ albergo giornale ligustico Italiano poi Interiano , sono antichissimi a Genova : già nel 1181 è menzionato Paulo de Anfussio banchiere a Genova (MS. Cicala, arch. municip.). Ritengo genovese almeno di origine quel Comes Anfussus (1) che nel 1204 con Gio. de Turca, Ugolino di Levanto, Guglielmo Porco, Gio. da Camulio e molti altri mercanti genovesi concorse ad armare la squadra •che sotto gli ordini di Enrico conte di Malta, altro oriundo genovese, battè i pisani e quale anche più tardi è menzionato come stabilito a Messina e gran favoreggiatore dei genovesi. Nel not. Simone de Albario, vol. I, trovo nominato un Gio. de Anfusio che nel 1291 possedeva stabili in Sicilia, a Salemi; nel 1313 (Not. Gioach. Nepitella, vol. II), un Guglielmo de Podio banchiere nomina suo procuratore per certo contratto di granaglie col re Federico, un Gabriel Anfussus cittadino genovese , il qual pertanto probabilmente dovea dimorare in Sicilia. A titolo di curiosità aggiungo che fra le tombe di S. Giorgio a Palermo ve ne ha una del 1749 di un P. Nicola Anfossi, palermitano, già cappellano di quella chiesa : ove era T uso che il cappellano di S. Giorgio, se non cittadino genovese, fosse almeno di famiglia oriunda del genovesato. Un’ altra cappella privata nella chiesa di S. Lorenzo , intitolata a S. Stefano, sul principio del secolo XV, possedeva Francesco Vento q. Lanzone, signore di Bordino, senatore di Trapani più volte, capitano di Monte Erice nel 1415 e 1419, (i) Cardinale, Marchese {Marchese in volgare e non soltanto Marchio per Melchio, come appare dai rogiti di Giov Scriba) Marchesina, Cojite, Contessa, Contessimi e Visconte sono prenomi abbastanza comuni in Liguria, nel medio evo in vece dei patronimici battesimali e divennero occasionalmente cognomi di famiglie che nulla aveano di feudale ; Γ ultimo anzi non è ancora perfettamente dismesso. Un Comes Anfussus, trovasi pure nella genealogia dei Conti di Venti-miglia pubblicata dal Desimoni in appendice alla sua memoria sulle Marche (Atti St. Patr., vol. XXVIII). Qui invece par si tratti di titolo e non di prenome. -12 GIORNALE LIGUSTICO Portulano nel 1421, Ambasciatore al Viceré nel 1423. Dagli Annali del Fardella, apprendiamo ch’egli dotò tal cappella nella quale erano sepolti i suoi maggiori. I Vento, una delle più illustri nostre famiglie consolari , padroni per qualche tempo di Mentone e di Roccabruna, si diramarono in Sicilia e in Provenza (1). Colla Sicilia furono dei primi, tra i nostri, ad aver rapporti; già un Guglielmo Vento è nel 1156 fra gli ambasciatori al re Guglielmo che ne ottennero franchigie pei genovesi. A Trapani se ne stabili un ìamo con Nicolo e Ricardo Vento, questi castellano di Monte Elice pel re Pietro II, l’altro ammiraglio a Trapani pei Doria, grandi ammiragli del regno di Sicilia. Così parte della famiglia rimase siciliana e parte genovese; nel 1414 Nicola Vento di Trapena è console dei genovesi in quella terra, nel terzo decennio del secolo XV un I-rancesco Vento cittadino trapanese è console a Trapani dei genovesi e un Giorgio Vento cittadino genovese è il console del re di Castiglia a Genova al quale ricorre fra gli altri un Fardella di Trapani. Delle vicende dei Venti diventati siciliani a Trapani ove ebbero molte cariche e la baronia della salina di Reda non è qu: il caso di occuparmi, noterò soltanto che la famiglia s’estinse in qnella città nel XVII secolo con un D. Gaspare \ ento, vicario generale della diocesi di Mazzara e parroco precisamente della chiesa di S. Lorenzo, l’antica chiesa dei suoi antenati genovesi. L’essere 1 Vento di Trapani diventati cittadini trapanesi salvo la loro cappella dalla sorte di quella di cui parleremo appresso e la loro scacchiera, argento e rosso, figura tuttavia nell’attuale cattedrale scambiata da taluni per quella dei Pe-poli, argento e nero. (1) Nel secolo XVI trovai un Vento con un Levanto ed uno Altoviti fra gli scabini di Marsiglia. GIORNALE LIGUSTICO 213 Un’ altra cappella particolare esisteva infine certamente nella chiesa di S. Lorenzo prima che cessasse di appartenere ai genovesi: quella degli eredi di un Cristoforo de Arecco di di cui troviamo menzione nel 1438 o 39. Gli Arecco sono antica famiglia genovese, tuttora abbastanza numerosa nella Liguria, che prese il cognome (come gli Anfossi, i Capurro, i Bonaparte e tante altre) dal prenome di un’ ascendente , Arech nel caso nostro : prenome non raro nel genovesato nel medio evo, sebbene poi (appunto come Capurrus e Bonapars) caduto in disuso. La cappella di Cristoforo Arecco soffrì maggiori peripezie delle due precedenti. Il re Alfonso, a quanto pare, sempre scottato dalle battoste toccate a Bonifacio ed a Ponza, spogliò della cappella gli eredi di Cristoforo Arecco, facendone dono alla città di Trapani; il rescritto relativo, controfirmato Roggero de Paruta e datato da Palermo, 8 dicembre indiz. II, è trascritto nel già citato Rollus privilegiorum al foglio 114 e dice testualmente: « attendentes juspatronatus cappelle q. Xfori » de Arecco (2) site in ecclesia S. Laurenti diete terre (2) Una copia di quel rollus (volgarmente il Registro rosso dei privilegi) che conservasi nella Bibl. Fardelliana, dice invece Xfori de Avretto ma mi attengo alla dizione della copia esistente nell’Archivio Comunale sia perchè ufficiale sia perchè de Avretto in Liguria, non ne conosco nemmeno fra le famiglie estinte. — Devo però notare che inclino a ritener sbagliata anche la lezione del testo municipale e che parmi invece di Christoforus de Arecco debbasi leggersi Christoforus de Recco, errore facile sia da parte dell’amanuense trapanese, come anche del cancelliere palermitano trattandosi nel primo caso di famiglia estinta a Trapani, nel secondo di nome forestiero. A ciò mi induce il fatto che fra i nomi di moltissimi mercanti genovesi stabiliti a Trapani nel 1414 che trovai in alcuni atti rogati in quella città (Filza Not. Gio. Balbi) non vi è nessun Arecco, ma vi è invece un Xforus de Recho che per l’epoca combinerebbe precisamente col nostro. — I Recco com’ è noto son famiglia popolare che trasse origine dal borgo omonimo, cominciò ad elevarsi nel XIV secolo e nel 1528 ebbe vari suoi membri aggregati nell’albergo Cibo. 214 GIORNALE LIGUSTICO » (Trapani) ex quo heredes ipsius q. Christofori quibus spec-» tabat sunt januenses inimici regie majestatis fuisset et esset » regie curie devolutum tamquam bona regiorum inimicorum » et volentes prout equum est opus pium et ecclesiasticum piis » actis deputare tenore presentibus providimus et ordinamus » quantum ad nos spectat quod de cetero cappella ipsa et » sepulture et fovee in ea existentes deputantur et servient » in sepultura fidelium Christianorum peregrinorum. Ita quod » deinceps fovee ipse elargiantur ad arbitrium vestrum (dei » giurati, magistrato municipale di Trapani) in sepultura » peregrinorum predictorum et propterea ut premissa valeatis » habeatisque prosequi et adimplere omne jus quem (?) et » quod regia curia habuit et habet et habere potest in cappella » predicta et jure patronatus ipsius vobis dictis juratis nomine » et vice et pro parte dicte universitatis ejusdem terre (Tra-» pani) quo melius possumus et volumus concedentes etc. ». Così il rancore dell’aragonese si sfogava anche sulle povere ossa degli antichi patroni della cappella che doveano esser dissotterrate per far posto a quelle dei pellegrini e 1’ ultima traccia di possesso genovese nella chiesa di S. Lorenzo per lunghi anni scomparve. Nè pare che le antiche amichevoli relazioni sieno state riprese tanto presto; anzi un’annalista locale nota che non ostante non vi fosse guerra nel 1480 alcune navi genovesi fecero atti d’ ostilità contro trapanesi nelle acque di quella città. Osservo tuttavia che il Fardella all’anno 1496 nota che un negoziante genovese, G. B. Truppiano, (?) si stabilì colla famiglia in Trapani, locchè farebbe supporre rapporti meno tesi. Ma il ristabilimento del consolato genovese a detta dello stesso scrittore non avvenne che nel 1526. È positivo che dopo che Genova, regnando Carlo V, s’ accostò alla Spagna, le relazioni fra essa e la Sicilia ripresero frequenti ed anzi gran parte delle famiglie originarie della Liguria che s’innestarono, GIORNALE LIGUSTICO 215 nella aristocrazia siciliana, molto più numerose di quanto si crede, lo fecero sotto la denominazione spagnuola, nei secoli XVI, XVII e XVIII. Non possiamo qui occuparcene di proposito ma nemmeno nascondiamo che, se Γ antica emigrazione genovese anteriore al sec. XVI si può ritenere abbia giovato all’ isola, non cosi può dirsi di questa più recente. I rappresentanti della'Liguria in Sicilia negli ultimi tempi non sono più gli energici mercanti guerrieri dell’ XI, XII e XIII secolo e nemmeno gli arditi negozianti del XIV, XV e anche del secolo XVI. Poco a poco fra essi s’infiltrano speculatori che cercano trar profitto dalle spogliazioni degli spagnuoli ; questi studiavano ogni mezzo per spillar denaro e perciò imponevano tasse ed infeudavano borghi e citta sempre state iegie cioè libere, diritti, privilegi, tutto, anche uffici pubblici (1) e poi ogni cosa vendevano coll’aggiunta d un titolo nobiliare, gli speculatori genovesi anticipavano le rendite delle tasse, acquistavano feudi e titoli, industriandosi poi per ricavar il maggior frutto possibile del denaro speso, tosando di seconda mano in nome di S. M. cattolica e mungendo pertanto inesorabilmente le popolazioni. Discendenti delle antiche famiglie nobili alcuni, altri membri del nuovo, molto eterogeneo, patriziato instituito nel 1528, di famiglie che s’elevavano allora dal popolo, della borghesia come si dice ora, i più. Marassi, Schiattino, Castello, Massa, ecc. entravano nell’aristocrazia siciliana dissimulando l’origine modesta sotto i nuovi manti ducali e principeschi, magari profittando di un’omonimia di cognome per appiccicar la loro genealogia a quella di antiche famiglie illustri genovesi; ma questa trasfusione di sangue nuovo e popolare nelle classi dominanti della Sicilia non fu a \antaggio (1) Un Gaetano di Lorenzo q. Gio. Batta Celesia genovese acquistò, nel 1650 circa, in feudo la carica di notaro del senato di Palermo; è l’antenato dell’ attuale cardinale arcivescovo di quella città. 2 I 6 GIORNALE LIGUSTICO dell isola disgraziata , chè i nostri concittadini all’ avidità dei guad-igni, che non di rado adombra le belle qualità dei liguri, nel mutato ambiente aggiunsero il fasto e Γ albagia dei dominatori spagnuoli. Ad ogni modo la colonia genovese di Trapani sotto la dominazione spagnuola, pur mantenendosi abbastanza numerosa lino alla fine del secolo scorso, non raggiunse più Γ importanza dell antica: arrogi che per gli interessi generali di Genova 1 rapani avea perduto gran parte del valore che aveva avuto sotto i Normanni, gli Svevi, gli Angioini e anche sotto gli Aragonesi nel primo periodo di questi, perchè cessati, o quasi, i commerci nostri colla Tunisia dacché questa era caduta in mano dei turchi, malsecuro il mare per Γ infestar dei pirati barbareschi, gli interessi privati di qualche famiglia , come quelli dei Lomellini a Tabarca e dei Pallavicini a Favignana, non bastavano da soli che ad alimentare una corrente meno importante d’emigrazione e scambi (i). Pertanto se « venuto il regno di Carlo V i genovesi che » ne seguivano le parti tornarono a mandare a Trapani ed a » ritenervi al modo di prima una consolar propria casa , la » qual posero rimpetto alla chiesa di S. Lorenzo e quasi in » quel medesimo luogo dove pure la tenevano in prima (2) », non vi riebbero tuttavia nè 1’ ospedale , nè la loggia e tanto meno la chiesa la qual era diventata parrocchia e qualche 1) Non è a tacer tuttavia che qualche famiglia genovese continuò ad acquistar importanza nel commercio a Trapani, cito fra le altre una famiglia Carrosio che nel secolo scorso diede il suo nome, tuttora conservato, ad una strada Le antiche relazioni furono interrotte del tutto allorché il Genovesato, prima come Repubblica Ligure poi come parte dell’impero, passò sotto il dominio francese, mentre la Sicilia, ove s’ era ridotta la dinastia borbonica, rimase sotto l'influenza inglese. Nò più mai si riannodarono tanto strette come lo erano state nei secoli precedenti. (2) P0GNIT0RE, già citato, parte V, cap. Vili. GIORNALE LIGUSTICO 217 anno più tardi, nel 1571 fu ampliata; ma questa volta con denaro dei fedeli trapanesi. Ottennero però, piccolo compenso, i genovesi la restituzione della cappella già di Cristoffaro Arecco, o Recco, o almeno l’uso della medesima « sulla qual chiesa di S. Lorenzo », dice sempre il Pognitore « ebbero da trapanesi licenza di poter i giorni » della sua festa celebrare le solennità loro dentro la cappella » di S. Giorgio posta nella chiesa medesima, massimamente » per essere tale cappella stata ad altri tempi quivi da un » suo nazionale fondata ». È probabile che da quell’epoca dati la intitolazione di quella cappella a S. Giorgio, contemporanea pressapoco all’ erezione dell’ altare del Gaggini a Palermo, dedicato allo stesso loro patrono; certo vi collocarono i genovesi, dopo che n’ebbero ripreso possesso, il loro stemma in pietra ed il quadro di San Giorgio che ne decora Γ altare, dei quali accennai in principio. Tranne questi due ricordi e lo scudo dei Vento, nessun’ altra traccia dell’antico possesso genovese potei scorgere nell’attuale duomo di Trapani; aggiungerò anzi che forse più scarse che in altre chiese della stessa città vi trovai le tombe di famiglie liguri; non ricordo che quella del 1769 di un Gaetano Maria Clavica, cav. dei SS. Maurizio e Lazzaro, di un ramo della nostra antica e distinta famiglia omonima che stabilitosi prima a Marsala poi passò a Trapani ove s’estinse (1). In questi ultimi tempi poi ben pochi anche, a Trapani, sanno che 1’ attuale cattedrale è 1’ antica chiesa nazionale dei genovesi. E nella chiesa stessa la cappella di S. Giorgio, non ostante la nostra croce e l’immagine tanto famigliare a noi del martire della Cappadocia, non ferma quasi mai 1’ attenzione dei genovesi che si trovano a Trapani! U. A. (1) Trapani nello stalo presenti· del P. Benigno Agostiniano (MS. Bibliot. Fardelliana). -18 GIORNALE LIGUSTICO COMUNICAZIONI ED APPUNTI Nella Chiesa del SS. Gio. Battista e Domenico in Savona si sono testé intrapresi importanti lavori di restauro. Questa chiesa, fondata per cura dai RR. PP. Domenicani del 1567 e, dopo la prima soppressione delle Corporazioni Monastiche, divenuta parrocchiale, è ben conosciuta dagli intelligenti per i preziosi cimelii d’ arte che in essa si ammirano; come la celebratissima tavola dell’Alberto Durerò rappresentante i Tre re Magi, 1’ altra dell’Antonio Semino della quale il Lanzi ci lasciò scritto : « Convien vederne la Natività che dipinse a S. Domenico di Savona, per restare convinto che egli emulò anco Ferino e Raffaello islesso », la Madonna del Rosario di Teramo Piaggia della scuola del Brea e condiscepolo del sullodato Semino, diversi quadri ad olio del Domenico Piola, del Robatto, del Bruschi e di quest’ ultimo gli affreschi del Sancta Sanctorum , dipinto che a ragione ritiensi uno dei migliori di siffatto genere esistenti in Liguria nostra (che pur di affreschi è tanto ricca) lavoro di cui forse mi permetterò intrattenere altra volta i benevoli lettori dell’ Arte e Storia. Già nel 1880 questa Chiesa veniva corretta ed abbellita nella sua architettura; ne era rifatto il pulpito ed il pavimento, il tutto sotto la direzione e su disegni dei compianti Architetti cav. Giuseppe ed Angiolo Cortese padre e figlio che, con amore e disinteresse, gratuitamente avevano prestata Γ opera loro. Orbene questa Chiesa, tranne nel Sancta Sanctorum era scialba e priva nelle volte delle tre navate di qualsiasi ornamento, onde la Fabbriceria diede incarico al pittore prof. D Buscaglia di presentare un progetto di dipinto per la nave principale e tal progetto non solo venia studiato , ma ora è in corso d’ esecuzione. La composizione è dello stile della Chiesa medesima cioè del 1600, ispirato sulla scuola dei fratelli Carloni, del Deferrari, del Seghezza e del-l'Ansaldi. Comprende questa tre tavole, due di M. 4. 50 X M. 4. 00 sulle teste, ed una di M. 9. 00 x 5.00 nel mezzo. GIORNALE LIGUSTICO 219 I temi delle due minori sono la Visitazione di M. SS. a S. Elisabetta, la Decollazione del Precursore e, della principale, il battesimo di G. C. L’esecuzione venne allogata al pittore storico Savonese, prof. Lazzaro Demaestri, che con tutto impegno ne va compiendo gli studi. Quattro grandi figure di Profeti fanno parte della composizione ornamentale ed otto gruppi di angeli nelle lunette rompono la severità delle linee prospettiche e della intonazione generale delle tinte, armonizzando con molta leggiadria col colorito delle medaglie. Tali angioli sono stati già eseguiti da un distinto allievo del Barabino, il prof. Luigi Gainotti da Genova il quale ne riscosse l’approvazione degli intelligenti, che amanti di primizie, si sono dati vaghezza di salire fin d’ora, sull’ impalcatura. Speriamo che nella prima metà del venturo anno 1’ opera sarà compiuta e non mancherà di dorature negli stucchi della trabeazione, dei capitelli e delle imposte, dorature che contribuiranno all’ accordo generale dell’ opera. Scoperta artistica. — È ancor fresca la notizia data della scoperta di dipinti architettonici sepolcrali nella Cappella del SS. Sacramento in S. Lorenzo , ed ecco che altre decorazioni architettoniche del secolo XV a zone di marmo bianco e nero sono comparse negli assegni testé praticati togliendosi Γ intonaco dal frontone della Cappella a sinistra di quella monumentale di S. Giambattista della stessa chiesa. Noi facciamo voti che, tenuto conto dello stile delle nuove decorazioni, nonché dei ricordi storici associati alla Cappella che le riguarda, di gius-patronato della nobile famiglia de Marini, la Commissione preposta al restauri della Metropolitana vorrà conservarle nella loro integrità, e non permetterà che vi si apportino modificazioni o si nascondano sotto altri fregi come pur troppo, con dolore di tutti gl’ intelligenti, si ebbe a lamentare di quelle della Cappella del SS. Sacramento state nuovamente celate alla vista del pubolico colla sovrapposizione di quadri. Altra scoperta artistica veline fatta verso la metà di maggio u. s. nel palazzo Forcheri in piazza De Ferrari, sull’angolo di vico del Fondaco, della quale dovrà certamente occuparsi la nostra Commissione provinciale per le belle arti e la conservazione dei monumenti. Eseguendosi attualmente dei restauri alla facciata di quasto palazzo, vennero in luce due medaglioni in alto rilievo, condotti in gesso con rara perizia, dalla mano di un artefice del quale fino adesso è rimasto ignoto il nome rappresentanti due amazzoni a cavallo. Siccome pare che altri rilievi ed ornati fregiassero anticamente 220 GIORNALE LIGUSTICO tutta la facciata, il signor Forcheri fa proseguire lo scrostamento con molta cautela, per non guastare le opere d’arte che si trovassero ancora eventualmente coperte. Questo palazzo che appartenne anticamente ai Doria e che emergeva sopratutto per uno stupendo loggiato, apparteneva ancora, nel 1742, alla marchesa Livia Oriettina Doria fu Cesare Lamba, moglie del marchese Francesco Serra-Gerace; nel 1814 il palazzo venne ereditato dal marchese Domenico Carrega, che lo vendette nel 1826 a Francesco Peloso fu Giovanni Matteo, con rogito del notaro Centurini; passò, nel 1834, per eredità, a Giambattista Peloso fu Luigi, forse nipote del Francesco precedente. Nel 1864, con rogito del notaro Ravenna venne acquistato dai fratelli Giacomo e Giovanni Chiarella, quest’ultimo ancora vivente e proprietario del Politeama Genovese; nel 1872 diventò proprietà, per divisione di eredità, delle sorelle Camilla ed Eugenia Chiarella (rogito notaro Paladino) e finalmente nel 1884 lo comperò, dalle sorelle Chiarella, il signor Giambattiste Forcheri, negoziante sarto in piazza Fontane Marose, e stese l’atto di compera il notaro Carosio. * * * A proposito di questa scoperta, l’amico nostro cav. Angelo Boscassi, civico archivista, ci comunica gli appunti che seguono. 11 21 luglio 1827, il signor Francesco Peloso, proprietario del palazzo in principio a Salita del Fondaco, presentava domanda e disegno dell’ architetto Ippolito Cremona, per il restauro della faeciata di detto palazzo. Il disegno recava fra gli ornati i due medaglioni rappresentanti amazzoni e due nicchie sottostanti, nelle quali dovevano essere collocate le statue di Ercole e Diana. L 8 agosto 1827 il Consiglio d’ ornato municipale, esaminata F istanza e il disegno, trovò i restauri poco confacenti alle regole artistiche, e vi si dichiarava contrario. Fu allora che il signor Francesco Peloso, il quale nel frattempo aveva già fatto eseguire i medaglioni, li fece coprire con calce e mattoni. La Società storica Savonese tenne il 2 giugno 1897 una sedata nella quale presiedeva l’on. deputato Paolo Boselli ed erano presenti i soci comm. Poggi, cav. prof. Foldi, cav. avv. Cappa, prof. G. B. Garassini , dott. G. Solari, cav. prof. Castelli, cav. F. Bruno, cav. magg. Pasquali, cav. prof. Angeli, cav. uff. Brignoni, prof. Buscaglia, march, dott. Assereto, prof. Richieri, P. Lamberti, cav. Bruno. GIORNALE LIGUSTICO 22! In seguito alla riforma dello Statuto della società, si procederà all’ elezione delle cariche, e Γ amministrazione, secondo il risultato delle votazioni fatte in parte per acclamazione, in parta a schede, risultava cosi composta nel sessennio 1897-1903: Presidente: Comm. Deputato Paolo Boselli; Vice Presidente : Comm. Vittorio Poggi ; Segretario generale : Cav. Agostino Bruno; Vice Segretario generale: Prof. G. B. Garassini. Consiglieri: Cav. Uff. avv. Brignoni, Cav. Federico Bruno, Cav. canonico Andrea Astengo, Cav. avv. Francesco Cappa, Capitano G. B. Minuto, Avv. E. Pessano ; Cassiere : Dott. G. Solari. Il segretario generale presentava quindi una pubblicazione storica del distinto avv. F. G. Bigliati, porgendo un cenno informativo sul nuovo lavoro. Accennava come il eh. autore si presenti ora per la prima volta nell’ arringo storico con profondità di studio, con assennato giudizio. Indagando colla scorta di documenti e dei più celebrati scrittori 1’ origine, il carattere ed i rapporti tra loro dei due enti feudi e comuni nel Monferrato, egli ne trae argomenti giuridici in ordine ai Comuni di Pareto e di Pon-tinvrea, tra i quali verte quisjione da lungo tempo per divisione di beni non unica in Italia dopo le molteplici vicende politiche ed amministrative che modificarono grandemente l’jus primitivo di taluni istituti sotto Γ influenza d’una nuova vita. Il Bigliati ha saputo valersi di tutto quanto poteva chiarire i punti oscuri od indeterminati nella storia del diritto, e ne ha tratto conseguenze che costituiranno una base apprezzabile nelle disquisizioni di simil genere. Corretta è la forma del lavoro, sebbene essa ritragga alquanto dell’ aura forense, cosa naturalissima, quando si sappia che l’idea del lavoro medesimo venne all’ autore, come egli stesso afferma, e che è un distinto avvocato, da uno spoglio che gli occorse fare dei documenti bine inde prodotti nella quistione anzidetta. Si procedette qu indi alla nomina a soci effettivi dei signori : prof. Luigi Marenco, Antonio Meinardo, dott. Gaetano Bernardini, Antonio Pessano. Si dà partecipazione di un recente assegno ottenuto testé presso il Ministro dell’ Istruzione dell’ onor. Presidente a favore della società. Ed in ultimo l’Assemblea, apprezzando la mozione di alcuni soci, esprime voto che vengano ricordate sopra pubblica lapide le attestazioni di Diego Mendez, Rodrigo Barreda ed altri, fatte con solenne giuramento nel-l’anno 1535 in Madrid, ed affermanti la savonesità di Cristoforo Çolombo (1). R** (1) Venivitamen dico xobis. . . Non sarebbe tempo dì lasciare in pace i « Cavalieri di Santiago » e il loro estimatore chiarissimo, signor Uhagon? S’ è forse cavato un ragno da un buco con tutte codeste testimonianze giurate..... nel 1535? 222 GIORNALE LIGUSTICO Una poesia storica del 1654·. — L’ egregio avvocato F. G. Bigliati, ci ha gentilmente favorito un piccolo manoscritto in 4.° della seconda metà del secolo XVII proveniente dalla privata libreria dei signori Castiglione. Esso contiene uno scherzo in dialetto presentato nel 1654, in occasione della sua incoronazione a Doge, al serenissimo Alessandro Spinola , e da questo, a quanto pare, molto aggradito. È intitolata appunto così : * Nella Creatione del Serenissimo Duce Alexandro Spinola | Polonia Bada in lingua de Pontezeillo ò Ravecca ». La poesia, irta di frasi ed espressioni tolte al gergo più serrato del vernacolo secentista parlato nelle pue popolarissime località sovraccennate , contiene molte allusioni ai principali personaggi (specialmente nobili) di quel tempo. Interessantissime sono queste venti ottave dal lato dialettologico. La scrittura è faticosa a leggersi per Γ esiguità dei tratti calligrafici ; appena il tempo e lo spazio ce ne offrirà agio la pubblicheremo. Intanto abbiamo depositato l’originale alla Biblioteca Civica Berio col duplice intento di assecondare il voto dell’ egregio donatore e di invogliare qualche studioso della dialettologia genovese a consultare il curioso poemetto. Storie genovesi di Giannozzo Manetti. — Nelle « Vite di Uomini illustri del secolo XV » scritte da Vespasiano da Bisticci, rivedute sui manoscritti da Ludovico Fratti e pubblicate nella « Collezione di Opere inedite o rare ecc., · dal Romagnoli-Dall’Acqua di Bologna (1893), a pag. 195 sgg. è dato il catalogo degli scritti di Giannozzo Manetti (morto nel 1459). Pra essi si trovano indicati : a) una Lode de’ Genovesi mandata a messer Tomaso da Campo Fre-goso. Lib. I. b) una Istoria de’ Genovesi mandata al detto. Lib. II. Ora uno studioso fiorentino si è rivolto al nostro giornale per avere notizie più ampie sopra quelle due opere. Si sono fatte nelle biblioteche genovesi e presso i nostri eruditi accurate indagini, ma da nessuna parte si è potuto saper nulla. È credibile quindi che quelli scritti non siano stati mai pubblicati, e giacciano ignorati fra i manoscritti di qualche privata libreria. Saremo grati a chi potesse darci informazioni in proposito. Per Arcola. — Dal chiarissimo signor cavaliere Angelo Boscassi, archivista al Municipio e nostro carissimo collaboratore, riceviamo e pubblichiamo di tutto buon grado : GIORNALE LIGUSTICO 223 Illustrissimo signor Direttore, Fra le carte vecchie ritirate dai fondi del palazzo detto « la Colombiera » in Vezzano ligure (1), già del compianto Marchese Giovanni Ricci, ora proprietà del Municipio di Genova, fu trovato uno zibaldone di ricordi casalinghi, in assai cattivo stato di conservazione. In esso, fra varie note di poca importanza ed altri scritti curiosi relativi a maniere di preparare composte di frutta, salcicce, ecc., rinvenni la seguente memoria che non è priva d’interesse, specialmente per la data storica della consacrazione della Chiesa di Arcola. Si è per questo che io credo utile di comunicarla alla S. V. 111. pel caso che la giudicasse degna di essere pubblicata sul « Giornale Ligustico ». Con distinta considerazione Genova 5 Maggio 1897. Suo devotissimo Ang. Boscassi. Yhs Sia nocto et manifesto a chi lezerà la presente come a di VIII de zunio del 1534 nostro S.r Episcopo lunense et sarz.s' vene a Archula a sacrar la eccl/ nostra sive S.1" Margarita aut S.t0 Stephano et postea vene a dexinar dentro in la terra in casa nostra, et poi dexinar a recresemar tutto il populo in la clexia de S.'° Nicolao; et patrini furno a la cresema Jo. Jacomo figlio de Jeronimo de S. Pelegro, et Ant.° figlio de Johan Dom." de Senexo, et la mogliera de m.' Simone de pasquale de Pinelli et il figliolo de Joh.” Ant.° de la casa de Pinelli. Ego Petrus de Visdomini de Archula scripsi manupropria. Un autografo del Borgo al Federici. — Pietro Battista Borgo è ricordato dallo Spotorno (Storia lett. d. Liguria III, 51) fra li storici del secolo XVII per i suoi « Commentarii de bello svescico » : di lui parla altresì fra gli scrittori politici di quell’età, insieme a Federico Federici, per aver composto l’opera De dignitate Genuensis reipublicae, pubblicata nel 1646, e l’altra De Dominio Reipublicae Genuensis in mari Ligustico impressa a Roma nel 1641. Si riferisce appunto a questo ultimo volume una lettera autografa che (1) Vedi Ligustico XXI, p. 466. 224 GIORNALE LIGUSTICO accompagnava l’invio di un esemplare al dottissimo Federico Federici, alle cui pubblicazioni di storia patria allude chiaramente l’Autore. La lettera è ora alla Biblioteca Beriana, donde la trascriviamo. ni."'0 sig. e P(adro)ne Col."“> Inuitano le dottissime compositioni di V. S. Ill.ma, date in luce in prò della Patria, 1’ animo di ogni cittadino bene affetto a militar sotto la sua insegna, et a magnificar le gloriose imprese de nostri maggiori. Ho hauuto ambitione di essere annouerato tra quelli che ammirando in V. S. 111."“ una profonda dottrina, et una eloquente eruditione, congiùnta con un ardente zelo di giovare alla Patria procurano di seguire le sue orme, e seruir anche essi alla Rep(ubblica); e p'er)ciò ho scritta 1’ operetta, che le inuio, del Dominio del mar Ligustico, nella qfua)le hauerà V. S. 111.™* occasione di condonare col desio che ho di seruir alla Patria e molti a molti errori, che hauerò commessi. Gradisca V. S. 111.1”* questo piccolo dono di chi desia sopratutto essere ammesso tra ’l numero dei suoi più devoti serui(tori) mentre le faccio humili....... 2 Settembre 1641 Di v. s. m.- Hutn. et obl."'° serui{dore) Pier Batta Burghi. Mercoledì 9 giugno cessava di vivere il prefetto della nostra Provincia Comm. David Silvagni. Fu un patriota nel più puro senso della parola , un funzionario imparziale e sagacissimo in momenti difficili nella stona del patrio risorgimento. Alieno da qualunque partito, egli tenne il governo della Provincia per poco più di un anno, ma in cosi breve tempo seppe cattivarsi la simpatia e la stima universale. Fu cittadino esemplare ed egregio cultore delle discipline storiche, cui dedicò con vivo interesse le poche ore che le sue gravi occupazioni politiche ed amministrative gli lasciavano libere. I suoi dotti volumi sulla Corte Romana degli ultimi secoli scorsi, sono ricercatissimi, ed era nel desiderio di molti che presto ne uscisse una nuova edizione. Recentemente era stato nominato Socio Onorario della Società Ligure di Storia Patria. L’ accompagnamento della salma alla Stazione Principe ebbe luogo 1’ 11 giugno in forma privata per desiderio dello stesso estinto. V’ intervenne la Scuola Magistrale con bandiera, un pelottone di Guardie Municipali, una squ.idra di Fattorini notturni ed il clero. Il carro di prima classe a quattro GIORNALE LIGUSTICO 225 cavalli era seguito dai figli dell’ estinto, dalla Magistratura, dai generali di divisione e di brigata, da ufficiali d’ ogni arma , dal Sindaco assessori e Consiglieri comunali e provinciali, dai Sindaci della provincia, dai Deputati e Senatori presenti a Genova, dal Questore e da numerosissimi amici. Venivano inoltre sette carri di corone. Alla stazione parlarono: Lanzara, per la magistratura; Chiappori, perla provincia ; il Sindaco Pozzo, per la cittadinanza e De-Benedetti, capo gabinetto, che ringraziò gli intervenuti a nome della famiglia. La salma giunse a Roma alla Stazione di Termini alle ore 11. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Notes et correspondance du Baron Redon de Belleville , Consul de la République française à Livourne et à Gênes du 17 pluviose an IV au 21 fructidor an X, réunies et mises en ordre par son petit-fils H. Du Chanoy , chevalier de la Légion d’honneur, avec une préface de M. Germain Bapst, membre de la Société des Bibliophiles françois. Paris, Librairie Techener [Chateandun, imprimerie J. Pigelet], 1892. Due vol. in-8.° di pp. XVIII — 378, 214, con ritratto e fac-simili. La Correspondance de Napoléon I.!r, che fu pubblicata, per comando del nepote, durante il secondo Impero, ha fatto cadere in dimenticanza un’opera, per più conti notevole, stampata a Parigi, per cura del Panckoucke, ne’ primi tempi della Restaurazione : Correspondance inèdite officielle et confidentielle de Napoléon Bonaparte avec les Cours étrangères, les Princes, les Ministres et les Généraux français et étrangers en Italie, en Allemagne et en Egypte. È una dimenticanza giustificata soltanto in parte. Certo, le lettere di Napoleone I non sono più a cercarsi, nè a consultarsi nell’edizione del Panckoucke; bensì nell’edizione imperiale, tanto più copiosa e accurata. Ma le lettere a Napoleone non si trovano che lì, e vi si trovano con un’ infinita quantità d’ altre, prezioso elemento di storia de’ tempi napoleonici. In quella raccolta parecchie se ne leggono anche del Redon di Belleville, di cui appunto addesso è venuto fuori il carteggio; ricco, tra l’altre cose, dell’ « Histoire financière de la campagne d’Italie » del 1796 e 1797, che dà luogo e modo di studiare quel fatto , così grande per sè e anche per gli effetti che produsse, da un lato affatto nuovo. Giorn. Ligustico. Anno XXII. 15 226 GIORNALE LIGUSTICO Il 1821 1 Huët di Coëtlissan ne fece questo ritratto: « M. de Belleville » avait reçu de la nature et recueilli d’une éducation soignée toutes les » qualités qui réusissent dans le grand inonde et tous les talents qu’exigent » les grandes affaires: un esprit vif, une tête ardente, un coeur généreux » et un âme élevée, un jugement sain, un coup d’oeil rapide, l’amour de » 1 ordre et du travail, de la fermeté sans rudesse, de la prudence sans hé-» sitation, de l’activité sans turbulence ». Nato a Thouars il 2 gennaio del 1748, studiò prima ingegnerìa, poi medicina, e finì col chiedere un impiego nella marina. L’ ebbe invece al controllo generale, poi nel demanio, nell 80 fu fatto segretario dell’ Intendente generale delle finanze. Un fiero alterco che ebbe con un potentissimo personaggio tra le quinte del teatro nell 88, lo forzò a pigliar la via dell’ esilio , e si ridusse in Italia, soggiornando successivamente a Roma, a Napoli, a Firenze. Entrò nelle grazie del Granduca di Toscana, che si valse di lui per progetti d’agricoltura e di finanza, e a ogni costo lo voleva al proprio servizio. Forse avrebbe finito coll’accettare, se il desiderio di rivedere la patria, d’offrirle il suo braccio, non lo induceva a partire. Sorpreso da una tempesta, la feluca che lo trasportava fa naufragio, e lui perde ogni avere. Si ferma a Genova e trova un impiego presso la famiglia de’ Cambiaso, che lo mandano in Normandia ad amministrare i loro vasti possessi. Ecco che la Repubblica è proclamata in Francia , e il Saint-Just, che teneva il portafogli degli affari esteri, manda il Belleville a Napoli con una missione pericolosa, difficile e delicata : quella di far riconoscere dal Re il nuovo Governo. La flotta, sotto gli ordini del Latouche-Irèville, incrocia minacciosa dinanzi a Napoli, e il Belleville sbarca solo, vestito da guardia nazionale parigina; la folla gli si accalca ostile intorno, e lui la tiene in freno col suo contegno severo e calmo ; entra nella reggia, s abbocca col Re, minaccia un bombardamento, non gli dà che poche ore a decidersi, e detta legge, e la Francia è riconosciuta. Vien allora mandato a Venezia e a Roma; ma Venezia rifiuta di riceverlo; il Papa l’accoglie con cortesia, e niente concede. Torna in Francia. Nel giugno del ’gó è mandato Console a Livorno, posto al quale le mosse militari de’ Francesi in Italia davano allora grande importanza; fu lì che rivide lo scoronato Pio VI e cercò per quanto poteva di consolarne e alleggerirne le disgrazie; fu li che conobbe Bonaparte, col quale poi di continuo rimase in carteggio. Nel settembre del 1797 venne nominato Console generale di Genova, e concorse con tanto zelo e sagacia alla spedizione d’ Egitto, che da Malta il Bonaparte gliene espresse per lettera la soddisfazione più viva. Il '99 cambiò la carica di Console in quella d’incaricato d’affari, e molto giovò a mantenere in buona amicizia la Repubblica Ligure col Piemonte. Dal Primo Con- GIORNALE LIGUSTICO 22η sole è rimandato a Livorno nel novembre del 1800 col titolo di Commissario generale delle relazioni commerciali e con una giurisdizione che da Napoli si stendeva fino alla Spezia. Il 1801 lasciò per sempre Γ Italia. La corrispondenza del Belleville è divisa in tre parti. La prima abbraccia il suo primo soggiorno a Livorno dal 17 Piovoso dell’ anno IV al Vendemmiale dell’anno VI; la seconda il suo soggiorno a Genova dal 18 Vendemmiale dell’anno VI al 7 Brumaio dell’anno IX; la terza e ultima il secondo soggiorno a Livorno dal 7 Frimaio dell’ anno IX al 9 Pratile dell’ anno X. È. una corrispondenza del più vivo interesse, che sparge nuova luce sulla conquista d’Italia fatta da’ Francesi, e principalmente sulla campagna famosa del 1796, della quale (giova ripeterlo) con questi documenti si rifà addirittura la storia. Splendida è 1’ edizione ; ricca d indici e fac-simili, fatti con squisita-bravura. Giovanni Sforza. Filippi Giovanni. —Studi di Storia Ligure. I. (Savona), Roma, 1897. — Un libro nostro, proprio nostro per l’argomento di cui tratta, per gli intenti a cui mira, per tutto il complesso di fatti ed avvenimenti storici che ci narra o sui quali indaga, è il votume che il prof. Giovanni Filippi ha pubblicato col titolo : Studi di storia ligure, per cura della benemerita Società Editrice Dante Alighieri di Roma. L’ autore, un simpatico subalpino che con mano felice 1’ on. Galimberti scelse a far parte dell’ eletto personale nel suo Gabinetto di sotto-segretario pel ministero della pubblica istruzione, ha raccolto in questo volume parecchi studi già pubblicati qua e là in riviste e atti di Società Storiche; li ha ritoccati e ordinati e ce li presenta unitamente ad un suo lavoro nuovissimo relativo alla cessione della Liguria, fatta da quella buona lana di Luigi XI, re di Francia, a Francesco Sforza, duca di Milano. Con pensiero gentile e di devota amicizia, il proi. Filippi dedica il volume all’ on. Galimberti. E non potrebbe essere meglio scelta la persona intelligente a cui dedicare scritti storici riguardanti una regione come la nostra Liguria; giacché fu appunto fra noi, a Savona, dove il Galimberti compiè gli studi giovanili, lasciando di sè tanto grato ricordo fra maestri e condiscepoli. Il Filippi fu pure insegnante in quello stesso Liceo, e raccolse appunto colà, nella storia scolastica di quell’ Istituto, il vivo perenne omaggio che a sè aveva saputo cattivare il Galimberti. Cosi lo studente d altri tempi e il professore del liceo di Savona sono avvinti, mercè gli studi e gli affetti, alla ridente regina del Letimbro. I diversi lavori riuniti dal prof. Filippi nel suo pregevole volume comprendono pagine storiche pochissimo note e sulle quali ha portato luce di 228 GIORNALE LIGUSTICO nuove indagini 1 autore paziente, erudito, compulsatore di archivi. Ogni studio io lo definirei brano interessante di un mosaico costituente nel suo complesso 1 intera, grande pagina della storia ligure, segnatamente della occidentale. La lettura del libro è, a diversità di quella di tanti e tanti libri del genere, interessante, non avendo la plumbea gravità accademica nè l’aridità quasi indivisibile ai lavori storici o di critica storica. Epperò leggonsi seguendole con attenzione le narrazioni delle contese tra Genova e Savona nel secolo decimoquinto, delle relazioni tra Savona e Firenze nell’anno 14S7, del convegno in Savona tra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII. E a>n interesse vivo si leggono i capitoli sull’ arte della lana in Savona (già pubblicati in questo Giornale Ligustico nel 1896) e sugli Statuti degli s: eziali, nonché la storia della terra di Vezzi che ·« tanto a lungo e senza contrasti restò sotto la giurisdizione di Savona, alla quale fu sempre, per varia ragione, proficua ed utile. » Corredano il volume parecchi documenti, dall’autore estratti con diligenza paziente dai nostri ricchi, inesauribili archivi liguri e dagli Archivi di Stato di Milano. Colla sua pubblicazione il prof. Filippi ha compiuto un’ opera benemerita per gli studi storici che hanno fra noi valenti e coscienziosi cultori. Egli, modesto e studioso, dalle native sue balze subalpine ha portato la pertinacia intelligente, fecondata all’aure dolci e gentili di Liguria e di Toscana ove lu parecchi anni insegnante discipline storiche nei licei; e ci ha dato pregevoli lavori illustranti periodi di storia locale. A Savona specialmente, dove da Giuria a Boselli, a Bertolotto ed altri e£regi> il culto della storia Ligustica rifiorisce gagliardo, questo libro del- 1 ^egio autore sarà degnamente accolto. Ed in questo augurio si abbia il prof. Filippi il plauso di un ligure riconoscente. F. O. Roma, 17. VI. ’97 Eugenio Branchi. — Stona della Lunigiana feudale. Volume primo. Pistoia, Beggi Tommaso, editore coi tipi di G. Fiori, 1897, in-16.0 di pp. XVI-690. L opera sarà compresa in tre volumi e questo è il primo. Ultimata che sia, ne faremo soggetto di una rassegna coscienziosa e diligente. Per adesso basti il dire che il volume presente abbraccia la Parte I e il principio della Parte II. La Parte I tratta « del governo feudale in Italia e dei primi feudatari della Lunigiana », e si spartisce in due libri; il primo de’ quali si occupa GIORNALE LIGUSTICO 229 « dell’ origine de’ feudi in Italia e loro politica costituzione » e il secondo « dei primi e più antichi feudatari della Lunigiana ». La Parte II ha per soggetto i « Feudi della Lunigiana (destro lato della Magra) sotto i Marchesi Malaspina dello spino secco » ; e de’ VII libri, in cui è spartita, dà intanto i tre primi, de’ quali il primo e il secondo si occupano del feudo di Mulazzo ; il terzo de’ feudi di Gionagallo, Godano e Bolano, Calice e Veppo e Madrignano, Groppoli, Monteregio e Pozzo ». G. S. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Ecco 1’ elenco dei nuovi Soci entrati a far parte della Società : Comm. Dott. Angelo Verdese. — Avv. Cav. Enrico Brusco. — Cav. Avv. Ugo Carcassi — March. Avv. Giulio Cattaneo. — Tomaso Ghiglino <21 Aprile 1897). — Conte Carlo Alberto Solaroli. — Italo Molfino (29 Aprile 1897). — Francesco Fontana. — Società del Casino di Ricreazione (3 Giugno 1897). ASSEMBLEA GENERALE. Tornata del 2 5 Aprile 1897. — Presidenza - Barrili - Vice presidente. La seduta è aperta alle ore 14, 25 dal vice-presidente comm. prof. Anton Giulio Barrili, assistito dai membri del Consiglio Direttivo Sigg. Avv. Giulio Balbi, prof. cav. Luigi Beretta, segretario generale ; prof. cav. Girolamo Bertolotto, bibliotecario della Società. Consiglieri : Avv. Pier Giulio Breschi, prof. Gio. Campora, comm. avv. L. Centurini, cav. Luigi Augusto Cervetto, comm. Francesco Costa, signor Arturo Ferretto, sig. Francesco Podestà, march, cav. uff. Marcello Staglieno (Tesoriere), march, avv. Paolo Spinola (delegato alla contabilità). Il vice-segretario fa 1’ appello nominale dei soci presenti. Dichiarata valida l’adunanza, il Presidente invita il Segretario a leggere il processo verbale della seduta antecedente, che è approvato. Il Presidente, comunicato il bollettino medico della salute del marchese onor. Imperiale, s’alza in piedi e pronuncia le seguenti parole : '/ « Non vi vorrete maravigliare se oggi presiederò io l’Assemblea Generale della Società. Son certo che ognuno avrebbe desiderato di rimandare 230 GIORNALE LIGUSTICO Γ odierna adunanza, e lo avremmo fatto se ce lo avesse permesso lo Statuto Sociale che deve essere scrupolosamente osservato da chi amministra una Società. A malincuore piegammo alla sua ferrea disposizione, desiderosi di ritardare, anzi avvolti in ansie dolorose per tanti giorni intorno alla salute del nostro illustre ed amato Presidente, ansie dolorose cui partecipò l'intera città e che m’è ora sommamente grato poter annunciare essere ormai cessate. Lieto di tali notizie son certo di interpretare i vostri sentimenti facendo voti che non pure ricuperi la sua preziosa salute, ma possa presto tornare ai nostri lavori ed a quelli più momentosi cui il voto solenne di Genova lo ha recentemente chiamato ». // Le parole del Presidente sono accolte da vivissimi, unanimi applausi. Il socio Garibaldi crederebbe opportuno di inviare a nome della Società affettuose felicitazioni per Γ avviata guarigione , esprimendo il pensiero di rivederlo presto alla Direzione della Società. La proposta è approvata per acclamazione. Dopo la commemorazione dei soci defunti, on. comm. D. Berti senatore del Regno (corrispondente) e cav. prof. G. Chinanti, e dopo alcune altre comunicazioni della Segreteria, il Presidente avvisa che si dovrebbe passare alla nomina di un Vice-presidente della Società : crederebbe però opportuno di rimandare questa pratica come atto di deferenza verso il march. Imperiale. L’Assemblea approva questa proposta all’ unanimità. Il Presidente invita quindi il Delegato alla contabilità a dar lettura del Bilancio consuntivo e della Relazione che precede il bilancio, ed i Revisori dei conti a dar lettura della loro Relazione (Gerolamo De-Ferrari relatore). Si approva senza discussione). Il Presidente esprime infine le pratiche fatte dal Consiglio per 1’ erezione in ente morale della Società : La cosa prima necessaria è il voto dell’Assemblea generale. A questa importante pratica prendono la parola il Consigliere Balbi ed il socio avv. Gaetano Poggi facendo delle opportune proposte che sono mandate a studiare al Consiglio. L’Assemblea ad unanimità dà parere favorevole all’ erezione in ente morale della Soeietà. Dopo di che essendo esaurite le pratiche iscritte all’ ordine del giorno la seduta è tolta alle ore 16, 15 * * * Per deliberazione del Consiglio direttivo della Società è stata rimandata a Novembre la solenne Commemoratione della Repubblica Genovese, che GIORNALE LIGUSTICO 23I doveva fare nel grande salone del Palazzo Ducale il comm. prof. Anton Giulio Barrili. * * * Gite archeologiche. — Per la prolungata malattia del Presidente della Società non si è potuto ancora effettuare la annunciata gita archeologica a Noli che il Consiglio fu costretto di rimandare al prossimo ottobre. Verranno però nel frattempo fatte alcune gite di minima importanza dirette alla ricerca di monumenti ed avanzi romani che sono numerosi nella Liguria. * * * Per la morte del prefetto, comm. David Siivagni il Consiglio di Presidenza tenne seduta il 10 corrente giugno e deliberava: 1.° Di mandare una lettera di condoglianza alla signora Marianna vedova Silvagni. 2.° Di inviare una corona funebre in onore del defunto. 3.° Di fare rappresentare la Società al Corteo dal march, cav. ufficiale Marcello Staglieno. _ G. 13. L. Siamo lietissimi di annunciare che Γ on. marchese Cesare Imperiale di Sant’Angelo, Presidente effettivo della S. L. d. S. P. è guarito dalla lunga malattia da cui era stato colpito. Egli si ritirerà per qualche tempo in campagna allo scopo di completare la convalescenza e riacquistare quella robustezza alla quale specialmente, oltre alle cure assidue dei dottori, della consorte e della famiglia, deve la riportata vittoria sul grave morbo che per tanto tempo tenne in pensiero la cittadinanza. 24 Giugno '97. N. d. D. OPERE PERVENUTE AL « LIGUSTICO » [Le recensioni ai prossimi fascicoli] Cravino (dottor Donato). — Saggio d’una storia dei volgarizzamenti d’ opere greche nel secolo XV. — Napoli, tip. Giannini, 1896. In memoria di Gian Carlo Desimoni. — Genova, tip. Sordo-muti, 1897. Guarnerio (Pier Enea). — Gli apparecchi fisici ed il loro ufficio nello studio storico della parola. — Genova, Ciminago, 1897· Claretta (Gaudenzio). — Di alcuni agnati di Antonio Rosmini a Torino sul principio del secolo XVIII. — Torino, Clausen, 1897. 232 GIORNALE LIGUSTICO Bigliati (F. G.). — Feudi e Comuni nel Monferrato e le vicende storico-giuridiche di Pareto e Pontinvrea. — Casale, tip. Bertero, 1897, Parodi (mons. Domenico). — La quistione portuaria al Municipio di Genova. — Genova, tip. delle « Letture cattoliche », 1897. Saccheri (Alessandro). — Patrioti e Briganti. — Genova, tip. di Gio. Sambolino. Agatone (Iereo). — Gli italiani e la indipendenza del Papa, — Genova, tip. della Gioventù', 1897. Mencioni (Enrico).—Medaglioni. — Firenze, R. Bemporad e figlio, 1897. Cimato (Domenico). — Saggi di critica [Emilio Zola - La sua arte -Lourdes - Roma: L’evoluzione della poesia e la scienza - Cosmopolismo e razionalismo in arte], — Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1897. Della Rocca (Generale Enrico). — Autobiografia di un veterano. — Ricordi storici e aneddotici (1807-1859). Con ritratto dell’ autore e due carte. — Bologna, Zanichelli, 1897. De Amicis (Edmondo). — Gli azzurri e i rossi. Con disegni del pittore Raffaele Faccioli e numerose fototipie. — Torino, F. Casanova, 1897. Finali (G.). — Cristoforo Colombo e il viaggio di Ulisse [nella Collezione di opuscoli Danteschi inediti o rari fondata e diretta da C. L. Passerini, 1I.°, 23]. — Città di Castello, S. Lapi editore-tipografo, 1896. Montanari (Antonio). — Lezioni sulla filosofia della storia che precedono lo studio comparativo delle tre grandi civiltà mondiali. — Bologna Zanichelli, 1897. Vi viglio (Alberto). — Come si parla a Torino — Impressioni e scandagli. — Torino, S. Lattes e C., 1897. Gatta (avv. Lodovico). — Milano e i nomi delle sue vie, personaggi illustri e benemeriti, momenti storici. — Milano, Fratelli Bocca, 1897. Filippi (Giovanni). — Sjudi di Storia Ligure (Savona). — Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1897. Vaggioii (Don Felice). — Il santuario di Maria Pia, ossia Cenni storici di Nostra Signora di Finalpia nella Liguria Occidentale. — Savona, tip. Bertolotto, 1897. La Marmora (Alfonso). — Un episodio del Risorgimento Italiano [I moti di Genova nel 1849]. — Firenze, Barbera. Lorigiola (dottor Gualtiero). — [Dottor Walter]. Cronistoria documentata dei fatti avvenuti in Genova nel Marzo-Aprile 1849, corredata da oltre 300 documenti inediti. — Sampierdarena, G. Palmieri e figli [in continuazione, a dispense]. Caprin (G.). — Il trecento a Trieste, con illustrazioni policrome. — Trieste, G. Caprin, 1897. Harrisse (Henry). — John Cabot thè discovery of North-America and Sébastian his Son. A chapter of thè maritime history of England under thè Tudors 1496-1557. — London, 1896. Ferretto (Arturo). — Codice diplomatico del santuario di Montallegro. — Genova, 1897. (Continua). Prof. Girolamo Bf.rtoi.otto Direttore Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO i' LA CADUTA DELLA REPUBBLICA DI GENOVA NEL I797 Und das Band der Staaten war gehoben, Und die alten Formen stürzten ein. Schiller. Le ricerche d’archivio, fatte da valenti italiani e stranieri, continuano a gettar luce su quest’ importante periodo della storia italiana col quale si chiur-e il secolo decimottavo, e i! fervido ridestarsi degli studii intorno a Napoleone e ai tempi suoi meglio ne mette in chiaro i pensieri, i sentimenti, le responsabilità rispetto ai varii Stati in che dividevasi l’Italia, patria nostra e sua. Si ha, in questi ultimi tempi, ripreso in mano il grande , il sempre più grande incartamento di questo processo per trarne la verità o nel complesso, o per quanto riguarda qualche fatto speciale. Il Bonnal ha dettata la migliore monografia sulla caduta della repubblica di Venezia: la caduta della repubblica di Genova non tu ancor narrata (1) in uno studio completo e protondo come Γ argomento richiederebbe. (1) Un racconto aneddotico del grande avvenimento, scritto da un contemporaneo e testimonio oculare di molte scene ivi descritte, sebbene non scevro da parzialità, abbiamo nel manoscritto che si conserva alla Beriana (n. 107 (D.Ws 2, 5, 54), Storia /filosofica ed imparziale / della Rivoluzione di Genova / li 22 maggio 1797 / E de’ fatti pili rimarchevoli, che V hanno preceduta; col Diario della Controrivoluzione / de’ 4 e f Jtre detto anno / Opere / Corredate di fatti e documenti autentici (Cartaceo , sec. XVIII-XIX . voi. i.° ; in 8.° (21 ‘/2X15 ’/k cm.) cn. 180. Esso è proveniente dalla collezione dell' avv. Avignone, ben noto cultore delle patrie indagini. È adespoto, e, a quanto ho potuto assodare, ignoto sin qui agli studiosi. Altri manoscritti, di minore importanza, si trovano alla stessa biblioteca, sul medesimo argomento. [Nota della D ]. Giorn. Ligustico. Anno XXII. 1 ^ 234 GIORNALE LIGUSTICO Le vive pagine delle Imbreviature (2) fecero sperare per poco che il Belgrano avrebbe potuto accingersi all’opera; ma troppo attraeva le sue simpatie l’età di mezzo, e la mano del valentuomo ricadde moribonda sulle prove di stampa del secondo tomo del suo Caffaro. Attendendo che siavi chi voglia dare tempo e lavoro a quest opera fruttuosa, non parmi inutile far conoscere alcuni documenti inediti dell’ archivio genovese che servono a rischiarare le cose del 1797 e a far comprendere e sentire meglio i sentimenti e i pensieri d’ un secolo fà. Le lettere di G. B. e di Gerolamo Serra, eh’ io vi taccio seguire, ho tradotto dal mancese, nè ho soppresso ogni francesismo per lasciarvi certo colore del tempo; 1 edizione Panckoucke della corrispondenza napoleonica non è molto famigliare tra noi, e non dispiacerà ai lettori del Giornale Ligustico udire i più illuminati e indi-pendenti dei novatori di Genova, come si rivolgessero al generale Bonaparte, che cosa da lui aspettassero per Genova non solo, ma per 1 Italia tutta. Non è forse Giambattista Serra che il sei Messidoro (24 Giugno) scrivendo a quello che Mêlas chiamerà 1 uomo del destino, cosi s’esprime: « Secondo i vostri consigli noi non stabiliremo da noi società popolari, imiteremo in ciò la costituzione francese. Esse non ci potrebbero essere utilissime che in un caso: quando avessimo bisogno di vincere i pregiudizi di campanile per riunirci al resto dell Italia libera, supposizione ancora lontana, ma che il vostro genio potrebbe accelerare?» (1) E il diciassette di Messidoro (2) Belgrano. Imbreviature di Giov. Scriba. Genova, Tip. Sordo-muti, 1882, pp. 99-166 col titolo Aneddoti sugli anni della repubblica di Genova. (i) Questo periodo della storia italiana, intorno a cui dettò eloquenti pagine il Carducci nella prefazione al 1.· volume delle sue Letture del Risorgimento Italiano (Bologna, Zanichelli, 1896) (v. specialmente tutto il j 111 da p. XXVI a p. xxxvn), « dev’essere oggetto di attento e minuto studio per chi ami rintracciare, nelle sue origini psicologiche, la storia del patrio Risorgimento ». Cosi diceva ultimamente il Franchetti, da cui si GIORNALE LIGUSTICO 235 (5 Luglio) non termina egli 1’ altra sua lettera, scritta egualmente da Genova, con quelle parole: « Mi lusingo che non sareste malcontento in mezzo a noi; voi vi confermereste nell’ idea che gli Italiani non sono quali i pregiudizii gli dipingono , ma se quest’ idea non può realizzarsi non dimenticate che se la Cisalpina è la vostra figlia primogenita, la Liguria è la vostra Beniamino., o piuttosto fate in modo che le due sorelle non vengano prese da uno spirito di reciproca antipatia. Io lo temo questo spirito che ha perduta Γ Italia nel medio evo? » Nè io voglio dire che nel 1797 fosse solo Giambattista Serra a cosi pensare, anzi dirò meglio a così italianamente pensare, nè a ricordare : « Quanto ai nomi, è buono in tempo di rivoluzione cangiarli, perchè gli antichi essendo avviliti non hanno il rispetto della moltitudine che delle cose giudica dal nome », o a confessare (preziosa confessione anche per capire la storia che va dal 1815 al 1848) che « 1’ Italia non ha saputo fare ella stessa una rivoluzione ». Le condizioni di Genova, che erano, con non grandi differenze, quelle dell’ Italia, Giambattista Serra le intuiva, o piut- attende con desiderio Γ edizione nuova della Storia dal 1789 al i8Sp per la Italia del Vallardi. V. Le relazioni diplomatiche fra la Corte di Napoli t la Francia dal 7791 al ijg) », nei fascicoli VII ed Vili della prima annata della Riv. Stor. del Risorgimento Italiano. Le monografie dello stesso autore nella Nuÿva Antologia del 1889 completano utilmente quanto è narrato nel primo volume della Storia citata. Chi scrive se n’ è giovato anche in un opuscolo del 1891 dal titolo « Un corrispondente napoletano di Francesco Apostoli », che qui si cita perchè a pag. 5, n. x v’ha accenno alla propaganda del famoso Tilly che era console di Francia a Genova, e a cui « facevano capo tutti i novatori d’Italia » (Venezia , Visentini, 1891). Detta Rivista del prof. Manzone e la Biblioteca storica del Risorgimento, e i lavori del Casini e del Fiorini, senza dimenticare i molteplici scritti di Alberto Lumbroso, molto contribuiscono a rischiarare il periodo che va dal 1789 al 1815 come preparazione all’opera d’indipendenza e d’unificazione della penisola. Nè spiaccia che qui io citi le pubblicazioni fattesi pel centenario del tricolore, nè eh’ io ricordi la compartecipazione di Genova ai festeggiamenti, se a Reggio e a Genova hanno, per questa solennità, parlato Giosuè Carducci e Anton Giulio Barrili. GIORNALE LIGUSTICO tosto le aveva studiate anche sotto il rispetto della religione e delle temute innovazioni: «Alcuni dei miei colleghi, ch’io ho già veduti, sono d’unanime avviso di non toccare affatto la religione nemmeno indirettamente, perchè a Genova siamo in una situazione unica: o sì è cattolici o filosofi. I primi, com’ è naturale, vogliono il solenne esercizio del loro culto che è il solo seguito dalla massa (voglio dire la universalità della nazione); gli ultimi, liberi dagli impacci d’un governo bigotto devono sorridere e non urtare di fronte la superstizione popolare, e rispettano nella religione la morale su cui è fondata , e veggono inoltre nell’ esercizio del culto cattolico uno spettacolo innocente che diverte il popolo senza alcuna mala conseguenza immediata. I nostri preti e monaci non sono ricchi, per fortuna ; essi non saranno decisamente contro la rivoluzione , se non nel caso che noi andiamo a imbarazzarci colle quistioni teologiche, sovra tutto se noi accordiamo ai preti e frati che lasciano Γ abito, i diritti civili, mentre ne saranno privi quelli che entreranno negli ordini dopo la costituzione ». Quanto alla prima lettera di Girolamo Francesco Serra, che incomincia coll’ esprimere il suo entusiasmo per aver apposto il suo nome accanto a quello del pallido generale sulla convenzione di Montebello, e termina col fare la storia e chiedere l’annessione dei feudi imperiali, essa è scritta da Milano Tir Pratile (30 Maggio), ossia tre giorni appena dopo della convenzione stessa; d’essa notò l’importanza non solo il nostro Franchetti, ma anche il Sorel nel secondo degli articoli da lui pubblicati or son due anni nella Revue de deux Mondes: è infatti molto caratteristica. Leggendola e penetrandone l’entusiasmo si comprende coire il vincitore di Lodi abbia potuto confessare che a Montebello appunto sentì prima accendersi nell animo la favilla della sterminata sua ambizione. « Epaminonda , Milziade, Senofonte hanno combattuto per piccole repubbliche e i loro nomi stanno alla pari (sic) cogli eroi GIORNALE LIGUSTICO 237 dell’impero romano; vincitore dei Piemontesi e degli Imperiali, pacificatore dell’ Europa questi titoli vi son assicurati e vi eguagliano o vi mettono al disopra di ciò che 1’ antichità ha di più grande ». Non par d'intravedere fin d’ora il bronzo olimpico di Antonio Canova nel palazzo di Brera ? La seconda lettera di Girolamo Francesco Serra a Bonaparte reca la data del i.° Vendemmiaio (22 Settembre); per poter meglio apprezzare cosi questa che le precedenti di lui e del fratello, conviene richiamarsi alla mente il modo com’ era avvenuta la rivoluzione di Maggio e quali erano stati 1 primi atti del Governo Provvisorio. Io dovrò dunque rifarmi un poco addietro, e procurerò, nell’esposizione dei fatti precedenti, di riassumere rapidamente i più noti, rettificando la narrazione di certi particolari avvenimenti quando mi pare di poterlo fare colla scorta dell’epistolario napoleonico, degli Avvisi e di documenti inediti o poco noti. Ingrossare questo studio ripubblicando , per esempio, tutte le carte giustificative che servono d’ appendice alla tendenziosa Relazione di Stefano Poussielgue, parvemi perfettamente inutile; ma dal Poussielgue, e dal Bastide, e dal suo traduttore e dal Desodoards e da altri contemporanei sceverare la verità, ho creduto si potesse (1). M’hanno a ciò grandemente giovato i documenti dell’Archivio nostro che do in Appendice e che, (i) Relation de la revolution de Gênes (Gênes, I. B. Caffarelli 1797» ari· ror de la Liberté). Dalle iniziali sottoposte alla perorazione con cui si chiude : E. P. apparisce chiaro che 1’ autore è il segretario del Faypoult, cioè il ben noto Stefano Poussielgue. I documenti giustificativi vanno da p 43 a 72. V. per l’attribuzione al detto autore: A. A. Barbier. Dictionnaire des œuvres anonymes, tome IV, col. 217 (Paris, Fechoz e Lethouzey, 1882). Rendo grazie di questa e d’altre indicazioni, utili per questi appunti, al chiar.""’ Cav. Pagliaini e all’egregio sig. Luigi Neri, della R. Biblioteca Universitaria di Genova. Eguali grazie qui mi è caro rendere al Comm. De Simotai, al Cav. Grillo e agli altri preposti all’ Archivio di Stato in questa città. 238 GIORNALE LIGUSTICO quantunque io ben sappia che sono appena una parte di quelli onde si servirà chi voglia dettare una completa monografia, V. pure: Libere riflessioni sulla rivoluzione di Genova, tradotte dal francese con annotazioni e aggiunte del traduttore, Parigi, 1768 (La data è falsa e deve leggersi invece : Genova). La nota del traduttore a p. 49 ne indica ΓΑ. che è il Bastide, accusato da quello di calunniare tutti i consoli di Francia che, essendo a Genova, non si son serviti di lui e di sparlare di Genova per non essere riuscito, a spacciarvi, lui un autore di 600 volumi! la sua ciarlatanesca letteratura. V. sul Bastide stesso e sulla sua « Storia... di Genova » più sotto, p. 244, nota. G. Gaggiero. Compendio della storia di Genova dal 1777 al 175;17 (Genova, tip. Como, 1851). Questo valente e sincero continuatore deH’Accinelli fu pubblicato dall’ Oulif e dall’Alizeri. Nè di questa, nè della precedente opera, ci consta che molti scrittori italiani e stranieri, i quali hanno trattato l’argomento, si siano serviti. Desodoards Antonio. Istoria della Repubblica di Genova (Genova 1799), e Storia filosofica ed imparziale delle rivoluzioni di Francia, di Venezia, di Genova (Genova, Delle Piane, 1798-1802), volumi 22 di cui il 15.°, che contiene molte aggiunte del traduttore, trovasi pure indicato col titolo del-1’ opera precedente. Clavarino. Annali della repubblica ligure (1797-1805). Genova, Botto, in 5 volumetti. Mi astengo dal citare i luoghi particolari del Botta e del Coppi. Ricorderò il Tivaroni , autore di libro , com’ egli modestamente disse, fatto sui libri ma poderoso e importantissimo, Storia critica del risorgimento italiano. L'Italia durante il dominio francese, tomo I; l’Italia settentrionale (Torino, Roux, 1887), pp. 493-503 e il Franchetti nella prima edizione della già citata Storia d’Italia ecc. (Milano, F Vallardi, senza data', p. 22, 79-80, 265-268, e il più recente ma meno completo, per l’assunto da lui preso a trattare, Carutti, Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l’impero francese (Torino, Roux, 1892). Le notizie date dal Carutti, come dal Bianchi e da altri storici della monarchia di Savoia, hanno spesso importanza per essere state tratte dagli Archivi di Torino; i giudizi sulle cose genovesi non sono, pur questo è noto, sempre imparziali. Voi. (, p. 60, 206-207, 243 ) 275-286, 296-297 e 307-313, 397. Non indicherò i compendiatori più o meno felici ed esatti fra i quali il Gaffarel, Bonaparte et les républiques italiennes, 1796-1799, Paris, Alcan, GIORNALE LIGUSTICO 239 offro per ciò che possono valere, e licenzio queste pagine come omaggio a una cara memoria (1) e come contributo alla commemorazione centenaria che la Società Ligure di Storia Patria ha stabilito di fare della caduta della repubblica aristocratica di Genova. Poiché la Repubblica Francese per bocca di Danton aveva proclamato eh’ essa faceva la guerra ai re e non ai popoli. interpretando alla lettera poteasi credere che nulla da parte della Francia avessero a temere le repubbliche nostre, avanzi . del medio evo tuttora sopravviventi nel secolo di Giuseppe II e di Rousseau. Democratica la minuscola San Marino; aristocratiche: Lucca, Venezia, Genova. Lucca ove « il Senato sedeva a permanenza anche la notte, per decidere se si dovesse 1895), che della Repubblica Ligure e della sua fondazione s occupò nel secondo capitolo del suo volume (Vedine un nostro cenno critico nel fascicolo 3-4 della citata Riv. Stor. del Risorg. Ital, pp. 361-362. Ivi fu pure per la prima volta da me citato ΓAvviso genovese anonimo pervenuto ai Sigg. Sindacatori il 26 maggio 1797 che qui ora si pubblica). Meritano invece menzione, tra i Francesi che s’occuparono della caduta della repubblica di Genova, il Pellet in uno dei volumi delle sue Variétés révolutionnaires scritto breve che non conosco ma , conoscendo 1 A utore, credo encomiabile, e Ludovic Sciout , La république franç. et la république de Gênes in Revue des questions historiques, Janv. 1889· ^ ■ pure dello stesso i sottocitati luoghi del vol. II della sua opera in corso di pubblicazione . Le Directoire (Paris, Didot, 1895) Lo Sciout è fieramente antinapoleonico, egli è veramente agli antipodi del nostro Silvagni ; ma i documenti da lui pubblicati sono importanti. Quelli adoprati o pubblicati da noi in appendice son tratti dall Archivio di Stato di Genova. Sala, 50; 494. F (Repubblica Ligure) altri degli Appunti storici e documenti citati dal Belgrano e che si serbano nella Biblioteca della Università, altri da altre fonti che saranno, a mano a mano, indicate per non fare più lunga questa nota, che lo è già abbastanza. (1) La memoria del prof. Lamberto Bigoni , fratello dilettissimo, a cui questo Studio è dedicato. (V. l’epigrafe dedicatoria negli estratti). 240 GIORNALE LIGUSTICO oppur no pensionare un sergente » (1). Venezia ove il Furlan salito alla dignità dogale pareva ai rappresentanti della nobiltà antica indizio di prossima fine, Genova dove c’era più ricchezza di capitali e maggiore gagliardia di fibra , ma dove pure l’edifizio eretto dal Doria sotto l’alta protezione di Spagna, mostrava d’ ogni parte le crepe, e Francia da più che cinquant’anni subentrata a Spagna in quella protezione, prima alleata e tutrice nella guerra contro gli Austro-Sardi , alleata poi a domare i Còrsi ribelli e occupatrice della fiera isola a tempo indeterminato, poteva diventare esigentissima e prepotentissima, anche senza darsi la pena di salvare (come si dice) le forme. Il governo non aveva forza, non aveva militare ordinamento, due gravissimi difetti con quelle tempeste che il secolo cadente preparava; se fino a tutelare i liguri commerci dalle rapine barbaresche si ricorreva a Francia, come non vedea la repubblica che questa si sarebbe fatto pagar caro il servizio, secondo che già aveva fatto in Corsica ? È vero che il governo, se da un lato era premuto dalla Francia, lo era dall’altro dall’Inghilterra e, debole tra i forti, nè armato d altro che del suo buon diritto contro le prepotenze che minacciose incombeano per mare e per terra, provvedeva volta a volta non senza dignità, non senza abilità, ma scendeva sempre più mostrando viemmaggiormente che una forte scossa l’avrebbe senz’altro fatto precipitare. La mano poderosa che diede questa scossa fu precisamente la mano d’ un Còrso, nè si deve dimenticare che il padre di Napoleone Bonaparte era stato segretario di Pasquale Paoli. « Teatro primo delle sue vittorie » (2) si compiacque egli (1) F. S. Nini. La trasformazione sociale, nelle conferenze fiorentine La vita italiana durante la rivoluzione ecc., Vol. II, p. 294 (Milano, Treves, 1897). (2) A. G. Barrili, Napoleone in conferenze succitate, Vol. I, p. 119 (ediz. cit.). GIORNALE LIGUSTICO 24I più tardi chiamare la Liguria, e se contro Γ annessione all’ Impero di Francia un no si registrava, quello d’Agostino Pareto, e da Amburgo giungeva a Genova una protesta sdegnosa, quella di Don Eustachio Degola, il Doge e i Senatori ripeteano compiacenti il motto di Cesare, delle cui vittorie era stata la Liguria primo teatro, e chiedeano come grazia quello che Cesare aveva imposto: Genova diventasse parte della Francia, così questa avrebbe avuto de marinai. Erano lontane ancora nel 1796 queste cose, nè prevedibili tutte; nel 1797 a Mombello chi avesse potuto scrutare la faccia misteriosa del giovane generale, senza lasciarsi vincere dal fascino che n’emanava, avrebbe potuto prevederne parecchie , specialmente se avesse avuta in mente la carta geografica e avesse ridato un’ occhiata al trattato di Cherasco. La guerra contro gli Austro-Sardi aveva già vessato in cento modi la riviera di Ponente, anche quando le milizie di Francia erano comandate dallo Schérer. La neutralità disarmata lasciava esposta la repubblica a sopportare gli orrori della guerra nelle terre esposte verso la contea di Nizza, conquistata dai Francesi per ridare alla Francia le frontiere naturali; quanto poi alla spontaneità con cui quelle popolazioni , e così pure quelle della Savoia , aveano votato 1’ annessione alla Francia (quantunque di recente n’ abbia la terza repubblica francese celebrato il centenario), avrebbe potuto dirne qualche cosa il Saliceti ai suoi amici che aveva non iscarsi a Genova: Gaspare Sauli, il futuro giornalista della rivoluzione genovese, e Gian Carlo Serra e il vecchio farmacista Morando e i medici Figari e Mongiardini e Vaccarezza e Repetto coi loro soci. Alcuni di questi aveano a Genova stessa subito il processo e la cattura nel 1794 per avere scoperti troppo quei loro maneggi col Saliceti e col famoso Tilly, ma, del resto, breve era stata la pena e grande il clamore che se n’era fatto perchè il governo era debole, arditi i novatori e il Tilly 242 GIORNALE LIGUSTICO astuto e insolente con diplomatica insolenza. A mano a mano che i Francesi vinceano, e particolarmente dopo la battaglia di Loano, la occupazione militare aveva un altro effetto nel Ponente: quello di diffondere qua e là, dove trovava il terreno adatto le nuove idee della democrazia francese ; così era per il governo doppio il pericolo. Le filze Diversorii ni della Sala Serenissimi Collegi nel nostro Archivio di Stato, parecchie delle quali, che si riferiscono a questi anni, mi furono liberalmente comunicate dal marchese Staglieno, contengono rapporti in gran numero di Vincenzo ■Spinola, Commissario Generale a S. Remo, di Ignazio Reggio da Albenga, di Gaspare Galliani da Pietra, di Ferdinando de’ Marini dal Finale che si riferiscono alle prepotenze soldatesche dei Francesi alle « penose circostanze di questi popoli » quantunque il Reggio il 10 dicembre 1795 comunicasse un proclama del Generale Schérer che minacciava gravissime pene ad ufficiali e soldati indignato che « molti di questi si fossero disonorati con eccessi di furto, d’incendio e con cattivi trattamenti verso le donne » (1). Cosi la neutralità, in difesa della quale aveano si vigorosamente perorato al cospetto del Drake, fin dall’Ottobre del 1793, i due Serra: Gian Carlo e Girolamo con Nicolò Grillo Cattaneo, Giorgio Doria, Bernardo Pallavicini e Nicola de Mari (2), lasciava svolgersi (1) Diversorum cit., Anno 1795 in Filza 3."; 10 dicembre 1795. V. dello stesso il dispaccio 29 luglio 1795, in Filza 2.* e quello 19 dicembre 1795, in Filza 3.*. Vincenzo Spinola protesta da S. Remo contro la pretensione dei soldati d’aver alloggio in case particolari il 16 dicembre 1795. Ibi, filza 3.*. — Il 29 maggio del 1797 il Reggio era ancora Commissario a San Remo come risulta dal documento che diamo in appendice. (2) V. la Memoria da loro sottoscritta a proposito del famoso fatto della Modesta. Pareano presaghi quei patrizi genovesi che la Francia se ne sarebbe lungamente ricordata e avrebbe, finché il governo non fosse caduto, inveito, a tempo e luogo, contro « les oligarques qui laissèrent égorger la GIORNALE LIGUSTICO 243 la guerra e la diplomazia a beneplacito di Francia. Anche la diplomazia, perchè, quantunque Bertrando Barère avesse dichiarato alla Convenzione che « quella scienza menzognera ed astuta doveva sparire davanti al diritto eterno delle nazioni e gli imperiosi bisogni della libertà » (1) la Convenzione prima e il Direttorio poi, spinti irresistibilmente dalla guerra difensiva all’ offensiva e dai confini naturali della Francia alla conquista al di là delle Alpi e del Reno, aveano anche pensato che quella scienza menzognera ed astuta potesse preparare la vittoria non meno che il valore de’ soldati e la perizia dei generali. Anacarsi Clootz poteva proclamare lui pure la fine del diritto internazionale; il Direttorio s’ispirava piuttosto alle necessità pratiche de’ suoi rapporti cogli Stati nemici e neutrali, e continuava, anche diplomaticamente per quella via che gli uomini di Stato, pur nel periodo convulsionario della rivoluzione, non avevano mai perduto di vista (2). Consoli o inviati straordinari sono diplomatici non novellini che vengono mandati a Genova e, si capisce bene, con assai più larghi intenti che quelli di tutelare le relazioni commerciali. Sfilano parecchi che son tutti notevolissimi : il Sémonville respinto da Napoli e cui l’Austria prepara la cattura di Chiavenna e il carcere di Mantova, a lui eh’ era uno Modeste » V. la lettera di Bonaparte a Faypoult del 12 Germinale (1 Aprile 1796) (ed. imp„ vol. I, N. 113). Detta Memoria che protesta contro la vigliaccheria e l’atrocità dell’attentato si legge nei sottocitati Appunti storici e documenti ms. nella Biblioteca Universitaria VI, p. 118 e segg. (1) V. la relazione della seduta 26 Germinale, Anno II, nel Journal des Débats et des Décrets. An. II, p. 427. (2) Sui diplomatici della rivoluzione e sul Dipartimento degli affari esteri in quel periodo sono noti gli importantissimi studi di F. Masson. V. le citazioni in Franchetti , op. cit. passim e specialmente p. 13, dell’ estratto Le relazioni diplomatiche fra la Corte di Napoli e la Francia , cit. a p. 234, n. i. 244 GIORNALE LIGUSTICO de’ gran confezionatori di progetti per la liberazione d’Italia; il Tilly l’ex nobile che verrà richiamato da Genova per avere speso troppo e forse per avere scoperto troppo il suo giuoco, sia di fronte alla Serenissima che al re di Sardegna; e poi Doroteo Villars che procede più cautamente perchè la Francia vuol avere Genova amica e fedele finché non sia ben avviata la guerra contro gli Austro-sardi; finalmente Faypoult o Fai-poult, l’amico di Bonaparte, il fidissimo suo, astuto come una volpe e destinato a comporre poco onoratamente nella bara, secondo l’ordine venuto da Mombello, l’aristocrazia genovese. Il suo panegirista egli l’ha trovato; è quel Gian-francesco Bastide che ha voluto, poco prima di passare a miglior vita, scrivere il ducentesimo de’ suoi opuscoli intitolandolo Libere riflessioni sulla rivoluzione di Genova; ma nelle bibliografie francesi cerchiamo invano, fra le congerie d’ altri scritti che gli piovevano dalla penna e da cui sperava indarno 1 immortalità, l’indicazione di quest’operetta. Il Belgrano, di sulle notizie raccolte all’Archivio di Stato dal march. Staglieno, l’ha quasi completamente identificato questo letterato faccendiere, e nelle lodate Imbreviature ha pure trattato d’un certo suo disegno per costituire una Società o Circolo. I Serenissimi deliberarono colla nota formula: Nil actum, cioè colla rejezione pura e semplice (i). Che peccato non poter adoprare quella formula anche contro Bonaparte ! (i) Il nome Gianfrancesco, che non trovo nel Belgrano e che permette di identificare il Bastide e distinguerlo dai molti altri letterati francesi di quel cognome. V. in cit. Diversorum 1795, filza 2.·; istanza del 17 giugno e deliberato. V. per la biografia e le altre pubblicazioni del Nostro (nato a Mar-siglia, 1724 e morto a Milano, 17981, i Siècles littéraires (ed. d. 1800) e la Biografia Universale (Venezia, Missiaglia) advocem. Quanto alla Storia di Genova da lui scritta nel 1794-1795 e che fu tosto tradotta dal francese in italiano, è vero che nel frontespizio essa è dedicata ai Sig. Volontarii (?) (V. la cit. in Belgrano, op. cit.). ma il terzo volume, che fu pubblicato nel 1795, porta GIORNALE LIGUSTICO 245 Tra il Bastide e il suo traduttore non si peritano di lasciarci uno schizzo semi-satirico degli ultimi Dogi : Michel Angelo Cambiaso « benefico,.... destinato dalla natura a vegetare in un’ aurea mediocrità » , Giuseppe Doria » superbissimo onest’ uomo, superbo dei natali e più dei parenti,... in un Tilly che minacciava un d’ Oria non vide più che un suo nemico personale e un’ audacia soggetta al suo giusto risentimento », Giacomo Maria Brignole « poco spirito coll’aria d’ averne molto... probità sterile. Nessuna dignità nei discorsi ; una ributtante alterigia 0 una giovialità buffonesca; doge quasi ridicolo ». Nè s’ignora che il Doria avea « più giorni rifiutato il dogato, una resistenza affettando alle comuni preghiere che avea sembianza d’oltraggio » (1). Infatti s’aveano dovuto mandargli gli alabardieri alla villa per farlo decidere, e per poco non si dovette ricorrere a questo spediente estremo anche col Brignole, quando si pensò — poiché nessuno voleva addossarsi il grave pondo — di far doge lui, che nuovo non era all’ufficio. Cosi, per la prima volta dopoché fu, come dice Γ iscrizione sepolcrale di lui , trasferita 1’ autorità dogale dal popolo ai patrizi (2), l’impari uomo nuovamente si trovò invece la dedica ai Signori della Società Patria che —- dice modestamente ΓΑ. — « potevano — quei fatti — scriverli meglio di lui ». Termina detto volume colla pace d’Acquisgrana (17481 e quantunque sia detta storia « molto enfatica e punto critica » (come ben disse il Belgrano) non mancò il traduttore italiano di aggiungere ai fatti della memoranda guerra , con cui si chiude il volume, qualche rettifica e ricordo personale. Ma il traduttore chi è? È il traduttore stesso delle Libere riflessioni? È forse lo Sbertoli seniore ? Sono costretto, per ora, a rivolgere io stesso queste domande agli eruditi lettori del Giornale Ligustico. (1) Libere riflessioni cit. (Bastide I, pp. 36-39, 68-69. (2) M. Staglieno. L’epigrafe sepolcrale dell’ ultimo Doge della Serenissima in questo Giornale Ligustico (Nuova Serie) I, 3, pp. 22-24. Nato a Genova nel 1724 mori il Brignole monaco a Firenze nel 1801 « Ducis — dice 246 GIORNALE LIGUSTICO rivestito del sommo potere. Nè è a dimenticare un altro punto sul quale concordano tutte le fonti contemporanee. I patrizii che il Gaggiero chiama « devoti tutti, tenacissimi de’ proprii titoli e poco intenditori dei tempi nuovi » (1), ripugnavano dalle innovazioni perchè traevano dai privilegi politici vantaggi economici molteplici e importantissimi. Il Cambiaso è accusato d’aver « tirata a Palazzo la celebre Banca dello Sconto », il Brignole « riguardava con orrore la rivoluzione di Francia perchè serviva d’intoppo all’ avidità del Commercio, la quale favoriva doppiamente la sua », il governo malgrado tutto si stava cucito a doppio filo colla Francia, perchè i traffichi con quel paese erano frequentissimi nè si voleva, con aperta guerra, vederli tronchi d’ un tratto. L’ avidità della classe dominante destava l’invidia dei nobili poveri a cui, ceduta la Corsica, erano venuti a mancare uffizi ove disfogare alla lor volta la duplice smania di prepotere e di arricchire. Destava poi la comune indignazione la venalità nei giudizi civili e criminali « l’impunità all’ ordine del giorno in modo che era proverbio che bisognava essere grandemente disgraziato 0 aver commesso cento assassinii per incorrere a subire la pena capitale ». Le quali ultime parole sono di quel Domenico Sbertoli che ha lasciato manoscritto nella Biblioteca della R. Università di Genova un importante Diario delle cose avvenute nella città gli anni 1814 e 1815 (2) e vi ha premesso, l’iscrizione — bis Genuensium, quod post rempublicam a popularibus ad optimates translatam nulli alii contigit ». Invece Γ ex-doge Michelangelo Cambiaso, che in età giovanile era stato avviato per la via ecclesiastica, terminò marito, padre e conte dell’ Impero creato da Napoleone. (1) Gaggiero. Op. cit., p. 88. (2) Memorie storiche per servire a un Diario dei successi (sic) in Genova negli anni 1814 e 1815 compilato dall’Aw. Gio. Domenico Sbertoli, ms. in Biblioteca Universitaria, B. V. 30. Il figlio Abate Pasquale Antonio Sbertoli (Giornale degli Studiosi, diretto da L. Grillo, Anno II, 1870, GIORNALE LIGUSTICO 247 sulle cause del 1797 alcuni cenni che mirabilmente concordano con quelli famosi che inserì nel suo testamento il corrispondente di Voltaire, 1’ex-ministro di Genova a Torino: Girolamo Gastaldi (1). p. 225 e segg.), dettando un cenno biografico sul famoso Accinelli, dice che suo padre « sebbene nato in paese estero allo Stato della Repubblica di Genova, era qui venuto a dimorare per attendere allo studio del diritto, presso il celebre giureconsulto abate Francesco Maria Camosci e dove solennemente conseguì il dottorato nella chiesa Metropolitana di S. Lorenzo e viveva tuttavia a quel tempo I’ Accinelli ». Ci ha detto altrove egli stesso che questo mori in Vico Tacconi nel Borgo di Prè il 7 ottobre 1777» dunque da oltre vent’ anni trovavasi lo Sbertoli seniore a Genova quando scoppiò la rivoluzione. Il figlio fu più tardi proposto da Girolamo Serra per un posto alla Segreteria della Società Ligure di Storia Patria, secondo che abbiamo dai documenti del Serra pubblicati dal Belgrano nella sua monografia. (1) Achille Neri. Un corrispondente genovese del Voltaire in questo Giornale Ligustico (Anno XI, 1884, p. 442 e seguenti). La conoscenza di questo pregevole opuscolo mi mette in grado di rettificare qualche notizia e supposizione sul Gastaldi da me trasmessa a un amico sulla fede del zibaldone di Giuliano Nicolò. Albo letterario della Liguria (Genova, Marzo, 1885) ad vocem; quantunque sia vero che il Giuliano è, in questo punto, meno inesatto e incompleto dello Spotorno. V. sul Gastaldi, in Arcadia Sinopio Atteo, e su altri poeti genovesi del tempo: E. Bertana. Gli sciolti sulla Guerra di G. Parini in Giorn. stor. della letter. ital. (voi. ΧΧλ II, p. 344 e segg.). Non aveva dubitato il Gastaldi d’ evocare « il memorabil ponte. E Sala-mina e le famose strette » cantando lui pure, come parecchi altri del tempo, l’insurrezione di Genova contro l’Austria , per cui tuttora celebra la città la data del 10 dicembre. Delle poesie scritte per la fausta occasione già dava un saggio il compianto G. De Castro nel suo libro su « Milano nel settecento » a pag. 170. Il Gastaldi, avvocato e venuto a Genova dalla nativa Taggia, successe al Villavecchia come Ministro alla Corte di Torino, ove stette dodici anni dal 1754 al 1766, tutelando gli interessi non meno che la dignità della Repubblica. Già vecchio, aspirando ad uno de' posti vacanti di Segretario, s’ acconciò con denaro prestatogli dagli amici a tòr di mezzo un compe- 248 GIORNALE LIGUSTICO Anche lo Sbertoli aggiunge alle anzidette cause di discordia, la questione grave che avvenne per certa ereditiera che avrebbe dovuto andare sposa ad uno dei figli di Giacomo Serra, uno dei dotti, come li chiamavano, della Porta di Vacca e invece era stata maritata in casa Pallavicini. Questione d’ eredità e di maritaggi, non meno di quello che fosse avvenuto a Firenze nel secolo XIII fra Buondelmonti e Amedei, nel XV fra Pazzi e Medici. Ma i tempi « più leggiadri e men feroci » non ci faranno assistere ad ammazzamenti e a sanguinose congiure. Bensì il traduttore del Bastide aggiungerà a quel conflitto, di cui parlano i cronisti tutti, un altro analogo: « Sedotto male da queste idee (che poco valessero i nemici dell’ aristocrazia) il cittadino G. B. Grimaldi q. Pierfrancesco, ricusò dar per marito ad una delle sue figlie, il cittadino Gianluca Gentile di Pietro, perchè si diceva aver questi delle idee men favorevoli al metodo aristocratico ». Ciò pareva più strano perchè pochi anni addietro aveva data 1’ erede primogenita al maggiore Γ O DO appunto di quei fratelli Gentile, e aveva detto dapprima ai suoi famigliar! che riteneva potersi fare anche il secondo matri- titore cui premeva più la pecunia che 1’ ufficio. E di questo lo biasimerei, ciò che il Neri non fa, e più sinceri e giusti mi suonerebbero i rimbrotti contro la classe dominante eh’ egli inserì nel famoso suo testamento. Certo egli ricordava che oltraggiato da un Senatore mai aveva potuto ottenere giustizia, onde sciamava « in questo paese l’amicizia non si estende oltre certi nomi ; e fuori del libro d’ oro natali, probità, talenti nulla giovano per mettere al coperto d’ una certa differenza di modi e di vocaboli che offende gli animi delicati. Il vizio accompagnato colla nobiltà , colle ricchezze non è mai posto a conto di demerito e la violazione delle leggi e la oppressione non rende gli uomini odiosi, nè gli allontana dalla dignità patria » v. Appendice alle Libere riflessioni cit. (Bastide) p. 75 e seguenti. Ottenne sì il Gastaldi Γ ambito posto, e morì in carica nel marzo del 1772. Quanto alla profezia contenuta nel suo testamento e alla pubblicazione di questo rifatta nel 1797, vedi più innanzi p. 310 e nota 2. GIORNALE LIGUSTICO 249 monio. « Ecco così aggiunta alle prime un’ altra Elena nuova e fortificato il partito... dell’accorto Giancarlo Serra ». Nè mancavano a soffiare nel fuoco altre bizze e invidie donnesche; venuta da Toscana colla bellezza, la maestà, la dolcezza dell’eloquio Anna Pieri Brignole, incatenava tutti gli uomini e delle donne parecchie, ma non quelle che mal sofferivano sentirla chiamare « la regina Arnia » (1) e le erano ne-miche furiose. Primeggiava essa nel gentil sesso, come nell’altro Giancarlo Serra, il maggiore dei Gracchi. Perchè anche questo litro soprannome aveano per distinguerli dai ricchi, 1 figli di Domenico, futuri conti dell’impero Napoleonico e senatori del Regno di Sardegna prima, e d’ Italia poi. Di questi Serra dotti e liberali è tempo che si dica ora qualche cosa, con minor brevità; chè se di Giambattista non molto fu potuto raccogliere, ben più certo intorno a Giancarlo e Girolamo il primo ed il secondogenito; taccio degli altri tra i quali Vincenzo che fu poi Rettore dell’Università di Genova e che (quantunque già ventenne) non ebbe parte ne’ rivolgimenti della repubblica di cui stiamo parlando (2). Erano stati i due fratelli inscritti nel Libro d’oro il 12 Settembre 1783, essendo di soli ventitré anni Giancarlo e di (1) Libere riflessioni cit. (BastideI, p. 65. (2) Oltre alla monografia del Belgrano su Girolamo Serra, alla quale rimando specialmente per ciò che riguarda gli anni posteriori al 1798, λ', le notizie comunicate dal benemerito Luigi Grillo al Boccardo per la Enciclopedia — ad voces - ma poiché leggonsi in questa mutile e, in qualche luogo importante, sconciate (p. e., nel titolo dell’ opuscolo polemico di Giancarlo sull’ autorità papale), conviene completarle colle biografie dettate dal Grillo stesso nel citato Giornale degli studiosi nel N. 4 del 1869 quella del Giancarlo, nel N. 5 dell’anno stesso quella di Girolamo; nel N. 21 del 1870 quella di Vincenzo. Interessante per noi è pur quella del Patrizio Avvocato Luigi Carbonara nel N. 14 del 1870. Altri articoli del Giorn. Ligustico. Anno XXII. .17 250 GIORNALE LIGUSTICO ventidue Girolamo, già stimati per il casato, per gli uffizi sostenuti dal padre Giacomo (i) ch’era stato e dei Protettori delle Compere e degli Inquisitori di Stato e dei Supremi Sindacatori della Repubblica, e più che tutto per gli studi che avevano fatti a Milano prima e poi al Teresianèo di Vienna; è pur da notare che a Milano aveano avuti maestri tre exgesuiti de quali uno solo : il Pozzo milanese, gli altri due stranieri, cioè il Calmont francese e greco il Delenda, sbalestrati probabilmente nella metropoli lombarda dalla tempesta antigesuitica del secolo; due della falange che ultimamente tu studiata anche in Italia per il vantaggio che ne ritrassero le lettere nostre. medesimo periodico , più importante che conosciuto , ci hanno servito e a mano a mano saranno indicati. Alcuni di questi erano stati già prima dal Grillo stesso in altra forma disposti nell 'Abbono di un calendario storicoletterario. V. a p. 289-291 di questo, p. e. la iscrizione sepolcrale di Giancarlo a Dresda che, del resto, trovasi riprodotta anche nel Belgrano. (1) Giacomo Serra (1729-1810) ebbe da Laura Serra una numerosa iìgliuolanza. Qui noteremo ; Gian Carlo n. 29 Agosto 1760 m. 27 Ottobre 1813 Girolamo Fr.sco Luciano » 22 Luglio 1761 » 31 Marzo 1837 Gio. Batta » 16 Maggio 1768 » 24 Ottobre 1855 Vincenzo » 17 Luglio 1778 » 19 Ottobre [846 Fu Vincenzo il solo di questi che abbia contratto matrimonio e lasciata discendenza. Ultimo di quei fratelli e degli altri, che non furono sopra menzionati e chiamavansi Giampietro, Francesco e Ambrogio, sopravvisse Giambattista che morì nel 1855 ed è l’autore di due delle lettere a Bonaparte che qui si danno in appendice e che di solito i biografi trascurano di ricordare. L’antico «segretario di Robespierre», così a Genova lo chiamavano, lasciò poi sostanza e carte, forse molto importanti per la storia, ad altra famiglia dalla sua, dice il Grillo, ma quale sia questa non sappiamo finora. Certo gran peccato è che Girolamo non abbia dettata quella vita del fratello Giancarlo che aveva disegnato e non abbia lasciato della parte rappresentata da lui e dagli altri fratelli in sulla fine del passato secolo qualche più diffusa notizia. Forse qualche considerazione politica non fu estranea a questa trascuranza così di Girolamo che di Vincenzo- GIORNALE LIGUSTICO I rapporti cogli stranieri, la dimora in Vienna, i viaggi in altre regioni della Germania aveano aperto altro orizzonte alla mente de’ due giovani; di spiemonti^arsi e disvassallarsi non aveano bisogno come Γ astigiano, nè Genova città di mare e di commerci era si chiusa a ciò che fuor s’agitava quanto il Piemonte, ma certamente quando i due Serra tornarono in patria erano più maturi assai che Γ età non comportasse; a cose di marina e di guerra più inclinato il secondo, il primo più a studii di diritto e di politica ; colle muse amoreggiavano ambedue, più dolce il secondo anche verseggiando in italiano; il primo, d’ ebraico e di greco intenditore e maestro, non isgradevolmente dettava versi in queste lingue, mentre nella lingua del Petrarca e deH’Ariosto non gli riusciva di scrivere che aspre strofe; della storia appassionati ambedue e il Botta che le cose genovesi seppe e appuntino dal Littardi, il genero di Luigi Corvetto , ben disse che aveano Γ animo più da storico che da poeta. Qui dovrei parlare dell’ opuscolo di Giancarlo pubblicato a Vienna l’anno precedente alla sua inscrizione nel Libro d’Oro, cioè nel 1782. S’intitolava: « Est-ce que c’est que le pape n’est rieni » par Jean Prion; egli aveva voluto grecizzare almeno nel pseudonimo, eh’ era poi la versione del suo cognome, e polemizzava col canonista Giuseppe Valentino Eybel, che aveva sostenute le idee giusep-pine in altro opuscolo dal titolo « Ouest-ce que c’est que Je pape? » Mi sarebbe stato caro render conto di quell’ operetta del giovane Serra il quale ebbe l’onore di vederne impedita la diffusione per ordine dell’ imperatore sagrestano; ma finché non sia riordinata la Biblioteca della Missione Urbana di Genova, ove se ne trova una copia, dobbiamo stare col desiderio così io che il benigno lettore. Dirò pure che m’ era cresciuto il desiderio di leggere Γ opuscolo dopo studiata la corrispondenza del Degola, del Solari e degli altri sacerdoti, specialmente liguri, e tutti ricciani e giansenisti del tempo, secondo che la GIORNALE LIGUSTICO trasse il De Gubernatis di sulle carte serbate da Fanny Mas succo Degola, chè molti di quelli che chiameremo col De Gubernatis preti costituzionali erano non meno avversi ni principio (non dogma ancora) della infallibilità pontificia che fanatici delle riforme giuseppine. Sicché anche su questo punto pare che il Serra facesse parte da se stesse, come su altri punti di politica. A suo tempo sarà quest’originalità che gli conci lierà « la maggiore stima e il più gran attaccamento » del primo console , secondo che scriveva il Fravega a Genova il i.° Novembre del 1800 (1). Il Governo che mandò precisamente 1’ autore di detto opuscolo , Giancarlo Serra , con tre galere e una feluca nel golfo della Spezia il febbraio del 1784 a incontrare Giuseppe II (2) pare che avesse maggiore stima del fascino·del giovane patrizio che non della memoria dell’ Imperatore. Fatto sta che questi, aborrendo il mare, si fece scortare per terra dalla Spezia a Genova, dove arrivò il 1 5 di quel mese; alloggiare volle alla locanda di Santa Marta vicino al palagio dei Serra eh’ era ed è tuttora a Santa Sabina, la sera andò al teatro S. Agostino nel palco della Marchesa Angelina Serra in Durazzo (3) e quando poi lasciò Genova , si diceva per la città che non aveva fatto a Giancarlo alcun dono, nemmeno d’uno spillo. (1) Belgrano. Imbreviature cit., p. 248-249. (2) V. Avvisi del 14 febbraio 1784· (3) Delle sorelle dei Serra, Vittoria (n. 1762) andò sposa al marchese Giuseppe Cassine d’Alessandria; Maddalena in. 1764) al march. Lodovico Centurione; Giovanna al marchese Marcello Durazzo fn 1771). Angelina Serra in Durazzo, di cui gli Avvisi, probabilmente apparteneva alla casata dei Serra ricchi. — La araldica e le ricerche storiche annesse intorno alla nobiltà di Genova sino a’ tempi attuali, ossia anche dopo il bruciamento del libro d’oro, verranno illustrate ben presto da apposita opera del march. Marcello Staglieno, che qui, per l’aiuto datoci in queste ricerche con singolare competenza e squisita cortesia, nuovamente ed espressamente ringraziamo. GIORNALE LIGUSTICO 25 3 Scoppiata la rivoluzione di Francia furono tra i patrizi Gaspare Sauli ( i j e Giancarlo Serra quelli che specialmente se ne accesero. Questi meditò pure promuovere nei Consigli tumultuariamente un mutamento della costituzione che meglio rispondesse ai tempi nuovi e conveniva , in parecchi punti, coi medici e gli altri borghesi della spezieria Morando. È noto che il Governo fece chiudere questa, processare e imprigionare anche parecchi de’ morandisti. Ma tocco a Giancarlo miglior sorte che al Contarini, al Querini, al Pisani, agli altri giacobini di Venezia forse perchè Francia era a Genova più vicina e la voce di S. Just che aveva fatto revocare a Genova il Tilly (2) vi giungeva più minacciosa. Giancarlo passava (1) Achille Neri. Un giornalista della rivoluzione genovese in N. Bernardini. Guida della stampa periodica (Lecce, 1890), p. 437· V. pure Libere-riflessioni (Bastide) p. 31. — Ivi è un ritratto, utile a leggersi, del Sauli, a cui il traduttore aggiunse : « G. Sauli non avrà certo a dolersi del nostro autore. Non si poteva dire di più. Ma chi lo ha conosciuto ben davvicino e seguitato mai sempre in tutte le sue vicende, ha preteso di vedere in lui il carattere d’ Ottaviano Cesare in miniatura ». (2) Franchetti. Storia d’Italia cit., p. 137, n. 3, e il passo colà riferito dalle memorie importantissime del Costa de Beauregard sull’ opera di Tilly a Genova e su quello che l’ex-nobile aveva lasciato sperare. Il Bastide (op. cit.), p. 24-29 riferisce un aneddoto caratteristico a proposito d’un pranzo dato dal Sémonville promosso ambasciatore a Costantinopoli, la piccola figlia del quale, eccitata dal Bastide stesso, scherzava per la nera parrucca del Tilly e questi era a lei indicato dal Bastìdc per homme-tnarin ou homme malin. Scoppiettio di spirito francese nelle sale che udivano il gobbo Gianni e il famoso Mollo gareggiare d’improvvisi e, poco dopo, il giovane Corvetto ripetere verso per verso quanto avean quelli improvvisato. Di volterianesimo discreto sa pure la novella di Kurli ^?) « dalla storia segreta di Agra « : Kurli uno degli Omrah che doveva aver salva la vita fu soltanto bandito per lo spirito della Sultana che disse : « Kurli è troppo goffo per essere molto malvagio; nondimeno saria meno malvagio se fosse ancor meno goffo ». Ma era francese o genovese questo signore indicato col nome di Kurli ? 254 GIORNALE LIGUSTICO a Milano donde sarebbe tornato il 27 Novembre 1796 a Genova, e questa volta scortando non più il sacro romano imperatore d’ ordine del Governo, ma di sua volontà accompagnando Giuseppina Bonaparte. Quante cose in quei due anni fra il processo e il ritorno ! Aveva ben avuto ragione Fra Benedetto, vescovo di Noli, di scrivere al padre Tommaso Vignoli , in quella primavera appunto del 1794 « non possiamo contare sulle deboli forze della Repubblica, che forse partecipa al nostro pericolo anche per la propria esistenza » (1). Le riviere, l’una perchè confinante con Francia timorosa del re di Sardegna, occupata in parte da Francesi; l’altra perchè volta verso Toscana, desiderosa di traffici maggiori, attaccata ai Serra e al partito loro, indignata contro i governatori della tempra di Francesco Maria Spinola che erano cosa dei Pallavicini e del partito conservatore; le due riviere, dicevo, ambedue davano segno d’impazienza e di agitazione. Intanto gl’ Inquisitori si affaccendavano intorno a certi sonetti « empi e scandalosi » che giravano per la città e che tutti attribuivano al poeta Gianni precettore dei nepoti del cavaliere Di Negro, ma s’affaccendavano senza venir a capo di nulla. (1) Per alcuni punti importanti, che riguardano lo stato del clero in Liguria ne’ primi anni che precedettero il 1797, e in quelli che successero per un quarto del secolo nostro, riteniamo utilissimo il già citato libro del De Gubernatis, che di solito si studia solo nella seconda parte che si riferisce alla conversione della famiglia Manzoni: Eustachio Degola, il clero coitiluiionale e la conversione della famiglia Manzoni (Firenze, Barbera, 1882). V. per la menzionata lettera colla data: Noli 23 Aprile 1794, p. 186· Per la discussione sul principio dell’ infallibilità papale e sulle riforme giusep-pine passim ma specialmente, a p. 245 e segg., la lettera diretta al Degola dal famoso prof. Tamburini a proposito « dell' idea di Giuseppe II di stabilire un Seminario generale di tutti i chierici della Lombardia sulla (sic) Università di Pavia ». GIORNALE LIGUSTICO 2)5 Il poeta avea tanti protettori! (i). Leggo una sua lettera apologetica stampata a Genova appunto nel 1795 e vedo che tra sè e i suoi nemici egli chiama giudici Giancarlo Serra e l’avvocato Corvetto. Apro il volume fiorentino delle sue poesie complete e leggo non senza diletto degli orecchi e della fantasia (il cuore e la ragione lasciamoli lì) Beverley 0 il giocatore, tema proposto da Giancarlo Serra, la battaglia di Maratona da Michelangelo Cambiaso Γ ex doge, la distruzione di Cartagine da Doroteo Villars, inviato straordinario di Francia : tutti nostre vecchie conoscenze ! Nè mancavano Anna Pieri Brignole la bella dei saluti che gli dà per tema dell’improvviso la morte di Beatrice Cenci, e Camilletta (Lilla) Cambiaso che, indulgendo alPArcadia della scienza (2), lo fa poetare sulla elettricità. E scorrendo il detto volume altre notevoli figure genovesi di quel tempo ci tornano al pensiero, tra cui Giuseppe Cambiaso, che in onor del poeta dava così sontuosi ricevimenti nella sua villa di Sestri, e Luigi Serra, l’olivetano che a suo tempo gitterà la tonaca e diventerà l’innograto (1) In parecchie delle citate filze, Diversorum Serenissimi Collegi del 1794 e 1795 sono documenti che riguardano il famoso rivale del Monti: in filza i (1 marzo 1795) un anonimo avverte gli Inquisitori che i sonetti sono a lui attribuiti. In filza 2.* (11 Maggio) questi dichiararono di non esser giunti a scoprire il vero autore e nella stessa (22 giugno) la bolletta di soggiorno è prorogata al poeta per cui non il solo Di Negro, ma tutta Genova, quella almeno che si moveva intorno al Serra e alla futura dama di Maria Luisa Imperatrice, stava garante. V. pure L. Vicchi. Vincenzo Monti ecc. (Sessennio 1794-1799, volume IV), sul soggiorno del Gianni a Genova pp. 195-315 e Gianni. Galleria dei ritratti poetici (1796, 24 pp. in 24. Luchi di Firenze, libraio in faccia al fisco) e Poesie (voi. 3 , in uno ; Firenze, Ciardetti, 1827). V. pure da p. 50 a 63 dell’opuscolo anonimo, ma che certamente è di lui : Agli autori delle lettere sulla prefazione degl’ improvvisi di Francesco Gianni (Genova, Tessera, 1795). (2) Veramente Arcadia nella scienza la chiamò il citato mio amico E. Bertana nell’ importante e curioso suo libro sull’ argomento. 2)6 GIORNALE LIGUSTICO della libertà di Giano e il satirico dei Novemviri (i). Questi salotti e queste figure e figurine genovesi, che nelle scritture del tempo appariscono cosi vive, si protraggono fino al terribile milleottocento, quando i lurori della fame e della guerra sono impotenti a distruggere l’estro e le grazie del capitano Ugo ι,ι) Tredici sono i citati Ritraiti poetici in tredici ottave, a cui altri tre tengono dietro in altro metro , e sono tutti di donne , toltine quello del poeta, del Cav. Venturi, del Cambiaso e del Serra, i quali ultimi due trascriviamo qui in nota, e faranno riscontro in due che ci lasciò in prosa il Bastide : del Serra e del Pareto : Per il Cambiaso : Vasto di mole, d’animo gigante, Fronte solcata dai pensier d’Astrea, Occhi cilestri, sguardo fiammeggiante Di quell’ ira immortai che Flacco ardea, Bocca dond’ esce limpida e sonante Eloquenza che abbatte, annulla e crea, Virtute ond’havvi universa! penuria; Il Demostene tuo vedi o Liguria. Per D. Luigi Serra : D’ alta statura, di capegli neri, Fronte accigliata dove han fermo loco D’Archimede e d’Apolline i pensieri, E guance tinte del color del foco , Labbri del vero interpreti sinceri, Libero cor che pago è sol di poco, Zoroastro cosi Fama dipinse, Fortuna il vide e di rossor si tinse. Sul Cambiaso (1741-18261 v. pure il citato Giornale degli studiosi tan. II, ■870, p. 97 e segg.). Sul Serra passim tutte, si può dire, le carte genovesi e le stampe del tempo. Traccia d' un suo discorso per una festa nella metropolitana di S. Lorenzo nell’estate del 1796 è nei citati Diversorum (ad annum, 30 agosto 1796). Affatto deficiente, e si capisce, sul Serra come giacobino è Γ Elogio dettatone in lingua latina da Niccolò Ardizzone nel 1813, quando l’ex frate mori, essendo stato nell’ultimo decennio (1803-1813) professore di matematica e geografìa commerciale nella Università (Genova, Bonaudo, 1814). Sulla Lanterna Magica e sui manoscritti Novemviri, V. più sotto p 288; nota 1. GIORNALE LIGUSTICO 257 Foscolo, di Angelo Petracchi, che nella Galleria Ligia e ci lascierà i ritratti di ventuna beltà della superba, e di quel Giuseppe Ceroni, veronese, che nel Pappagalletto altre di quelle belle atteggierà con satira fra graziosa e mordace (1). Aspetto interessante e pieno di vita de’ costumi italiani durante la rivoluzione, che Ferdinando Martini a torto ha trascurato nell’arguta, ma incompleta conferenza da lui tenuta sull’argomento (2). Fra quelle figure e figurine (e non neghiamo che ci fosse anche qualcuna simile più ad ombra che a cosa salda) Giancarlo Serra, che il Bastide ha cosi delineato: « uno spirilo... freddo per la buona opinione di sè medesimo , ostinato e decisivo per quel coraggio di spirito che eccita 1’ alterezza dell’ animo, repubblicano in ispirilo (ter) come in politica, moltissimo lìlosofo, di mire elevate, di sentimenti veri, lontanissimo dalla falsa importanza , dalla puerilità dei piccoli pregiudizi, dalla (1) Il Pappagalletto, v. ripubblicato con note, senza le quali mal si comprenderebbero le allusioni, nelle citate Imbreviature. Sul Ceroni è ben importante la monografia di Guido Mazzoni, Un commilitone di Ugo Foscolo in Alli del R. Islil. Veneto, 1892-93. Vol. I, p. 321. Non mancano accenni a cose genovesi anche nella successiva monografia dello stesso sul Gaspa-rinetti. Un altro commilitone di Ugo Foscolo in Atti del R. Istituto Veneto, 1893-94; vol III, p. i)32. D’ un quarto veneto che era pur cultore di lettere, se non di poesia, amico de’ sullodati poeti-soldati, e morì a Genova aiutante generale (propriamente all’ assalto di Coronata il 2 maggio 1800) fu la memoria da me ravvivata in questa città, festeggiandosi il centenario del tricolore nazionale. Mi sia permesso qui ringraziare la Spettabile Giunta Municipale che dal nome di Giuseppe Fantu\ji acconsenti che, in questo anno 1897, una via della città fosse denominata. V. su di lui il Giornale Ligustico (Nuova serie), II, fase. 1-2, pp. 69-71. (2) V. il cit. vol. II, Delle conferente fiorentine, p. 339 « Donne, salotti e costumi » di F. Martini. — Nel volume successivo, che è da pubblicarsi fra poco, può darsi che la lacuna sia stata, per qualche parte, colmata dal Masi e dal Chiarini, che hanno rispettivamente trattato del Monti e del Foscolo. 258 GIORNALE LIGUSTICO tirannia delle piccole e grandi cariche ; che vedeva la sventura del suo paese e il bisogno d’una rivoluzione, che era capace di rischiar tutto per renderla possibile; ma che la voleva da cittadino, non da cospiratore, per patriottismo non per ambizione, che conosceva la necessità della moderazione, della dissimulazione della pazienza. Il suo carattere freddo , osservatore e malizioso gli facilitava quella condotta composta di cui conosceva il bisogno ». E Agostino Pareto, secondo il traduttore, « pieno di fuoco e di matematica, avidissimo di comparire nell’ ampia scena del mondo , e perfettamente montato (sic) sul moderno tuono stranissimo della più vasta dottrina, entro ancor egli in quel ballo (1) e con i suoi greci elementi, colla finezza dell’algebra, colla sottigliezza della metafisica e con un pronto soccorso d’ antica storia e moderna, giovine ma dignitoso, cerimonioso ma cauto, spedito e pronto, ma esatto... figurò molto bene e... acquistò molto credito ». Meno famigliare anzi più schivo di questi circoli, tra mondani, politici e letterari, dove il Brusasco accompagnava col suono gl’ improvvisi del Gianni, Giancarlo Serra usciva dal-l’abituale silenzio per dire ch’era tempo pensassero a destarsi anche gli Italiani tutti e non i Genovesi soltanto, poiché Francia colle nuove idee rinfocava le vecchie smanie di conquista europea; Girolamo Serra socio e presidente d’accademie, versi e prose dettava, dissertava sulla nuova invenzione (1) V. Libere riflessioni cit. Aggiunte del traduttore p. 66; il ballo di cui si parla è certa unione di Anna Pieri Brignole colle due Terese: la Doria c la Pallavicini. — Ma le allusioni a bizze donnesche, di cui abbondano così il Bastide che l’ignoto suo traduttore, non sono facili a cogliersi. Il Bastide esagera probabilmente anche Γ influenza attribuita da lui alle varie mogli dei Consoli di Francia. Curioso l'accenno a ripicchi tra la moglie del Faypoult e quella del segretario Poussielgue, perfino nella famosa Relation di questo, che tanto soddisfece il Bonaparte. V. Relation cit. p. 20; nota e più avanti in questo studio, nota 2 a p. 303. GIORNALE LIGUSTICO degli areostati, pur quella francese, e delle cure della marina e della milizia, si confortava con questo (i). Ingegno meno potente di quello di Giancarlo, indole aveva più atta a conciliarsi le simpatie di tutti, e gli erano grati a Genova che, mentre il fratello spesso faceva sbalorditi gli ascoltatori lasciando capire più che non isvelasse la sterminata vastità de’ suoi disegni, egli nelle tradizioni del suo casato e nelle storie della Liguria antica e della repubblica, cercasse i titoli de’ suoi remoti concittadini alla stima dell’ Europa, e insieme i moventi a progredire, secondo ch’esigevano i tempi; perchè se (caduta la Bastiglia) un’ óra nuova sorgeva nella storia del mondo , vi sostenesse la patria sua quella parte che un glorioso passato imponeva come un dovere. E non dissimile dai patrizi antichi della repubblica aveva Girolamo in quegli ultimi anni più volte incrociato colle galere genovesi sulle coste di Barberia per tutelare i patrii commerci dalle continue piraterie. Nel 1793 tenente colonnello del nuovo qorpo dei Cacciatori, nel 1794 mandato alla Spezia col titolo di Commissario Generale del Golfo e dei Porti, in quello e nell’ anno successivo aveva con energia imposto agli Inglesi e particolarmente all’ ammiraglio Hotam di rispettare la neutralità della repubblica. Probabilmente (1) V. oltre alle fonti citate per la sua biografia : Snggio delie poesie dei poeti liguri viventi del Giacometti (Geuova, Scionico, 1789) e Versi scelti di poeti liguri viventi nell’ anno ιη8<) raccolti da Ambrogio Balbi (Genova, 1789, per Gio. Franchelli. Stamperia Camerale). Non si dimentichino queste parole di Girolamo Serra, in fine d’ un iscrizione latina da lui dettata per Jacopo Serra cardinale di Santa Chiesa (1570-1623) la quale leggesi sotto il busto del cardinale in una villa dei Serra a S. Jacopo di Cornigliano. Esse si riferiscono all’ uso del latino e ricordano il famoso sonetto del Foscolo 0 Te nudrice alle Muse.....»: « principalmente non disdire agli italiani l’uso d’una favella, la quale in ogni suo detto ricorda ciò che esst furono un tempo, e che potrebbero essere ancora ». V. Belgrano, monografia cit., p. 156. 260 GIORNALE LIGUSTICO fra gli studii e le armi più si trovava a suo agio che nel Minore Consiglio e nel Collegio dei Magnifici trenta (i) dove le idee di riforma ch’egli vagheggiava e che gli pareano le sole che, attuate, avrebbero salvato Genova dall’imminente pericolo, trovavano una indomabile opposizione e per averla voluta superare il suo amato Giancarlo era stato sottoposto a processo e, se non fuggiva a Milano, sarebbe anche stato condannato (2). È noto che quelle idee d’una riforma democratica della costituzione erano vecchie di mezzo secolo almeno , e che il tentativo di attuarle si connetteva con quell’ episodio che è il più fulgido non solo della storia genovese del secolo passato, ma della storia italiana di molti secoli e , per molti tratti, sembra quasi un’ eroica anticipazione delle insurrezioni di un secolo di poi. Onde l’autore del Panegirico di Napoleone, parlando del ministero civile delle arti nell’Accademia di Bologna il 26 Giugno 1806, « non ritenni — esclama — le lagrime vedendo la imagine del fortissimo e della patria amantissimo giovinetto Pietro Canevari che lietamente cadde vincendo presso la ròcca di Torriglia, non ancora compiuti (il Eleggeva questo ogni anno i membri dei Consigli della repubblica. Gian Benedetto Pareto, di cui il documento XI da Novi, appartenne a tal Collegio nel 1796. (2) La difesa di Giancarlo assai voluminosa e molte lettere di lui e di Gaspare Sauli, nonché del Robespierre il giovane e d’altri agitatori che corrispondevano da Nizza col Sauli e con altri, v. in cit. Appunti storici e documenti in Biblioteca Universitaria, tomo ΧΠ. Fin dal 1794 in certe anonime accuse che colà si leggono a p. 55, Giancarlo è accusato d’ ambizione e indicato per Giuliano il filosofo (l’apostata imperatore « Serenissimi Signori terminava l’anonimo — siamo alla vigilia d’una guerra civile e, se non si rimedia, saranno VV. SS. Serenissime tutti scannati chi da un partito, chi da un altro; chi chiama alcuni di VV. SS. Serenissime oligarchici, chi democratici e chi imbecilli e pusillanimi ». V. pure più avanti in questo studio p. 297 e nota. GIORNALE LIGUSTICO 261 ventidue anni », e, dopo ricordato l’atto eroico di Giacomo Lomellino proteso innanzi alla bocca del cannone che la plebe inferocita avea puntato contro il palazzo reale, « discorsi prosegue — nella mente i più gloriosi tempi di Grecia e di Roma ; quale troverai che vada innanzi al Canevari ? e che stia appresso al Lomellino ? E non sono da lontana fama aggranditi, ma propinqui alla memoria nostra e quasi ancora sugli occhi di non pochi ancora viventi; chè a me, a me stesso furono Canevari e Lomellino raccontati da coloro che li videro; onde pur mi giova avere il materno sangue di quella città che sino agli estremi tempi raccese alcuna face di virtù italiana..... » (1). Nè dimenticava la cacciata degli Austriaci Francesco Apostoli, veneziano, dettando dal suo > carcere di Corcira le Epoche politiche dell’èra volgare (2) e augurando agli Italiani del suo tempo che combattevano contro l’Austria pari fortuna a quella dei Genovesi nel 1746. L’ esempio dei quali è pur additato in certo Discors en rima e lingua milanesa riferito dal De Castro affinchè tutti, pur donne e fanciulli e preti, insorgessero e cacciassero via questi avi ovì. Sì precisamente quelli che , parlando la lingua d oil spadroneggiavano nel bel paese, Francesi adesso, anziché Tedeschi come quelli del Botta Adorno, ma tut^i stranieri e contro tutti dunque s’ aveva a trarre , come aveva detto Alfonso d’Este alla battaglia di Ravenna. Così dall Adriatico all’Olona i fasti genovesi del 1746 erano ricordati e ammirati. Il governo cercava farli dimenticare; qualcuno appena di fronte alla burbanza di Lavallette cercherà ricordarli, ma sarà troppo tardi. Non voleva il governo mostrar di favorire , con quelle (1) In cit. Letture dei Risorgimento del Carducci, vol. cit., p. 279. (2) Cod. Cicogna, N. 2307, nel Museo Correr di Venezia. V. pure la sua « Rappresentazione del secolo XVIII » Milano 1801. Vol. II, p. 63 e il citato mio opuscolo sull’autore, p. 15-16 e nota. 2 62 GIORNALE LIGUSTICO storiche evocazioni, i risentimenti contro il re di Sardegna o contro Γ Impero ; meno ancora di favorire il risveglio della democrazia che aveva fatto temer tanto le classi privilegiate mezzo secolo innanzi. Dei magnanimi del Quartier Generale del popolo non uno ricordato; il Canevari solo, patrizio e figlio d un ex doge (i). Bensì la storia deH’Accinelli, bruciata in piazza per mano del carnefice il io gennaio 1752, secondochè volle ed ottenne il marchese di Sartirana, Ministro di S. M. il re di Sardegna (2). Sequestrate le copie tutte d’ un opuscolo dell’abate Del Vecchio, che dallo studio de’ fatti del 1746 era salito a considerazioni di filosofia politica ed aveva affermato, ben prima che si pubblicasse il Contratto Sociale, la dottrina della sovranità popolare. L’autore imprigionato poco mancò non lasciasse in prigione la vita. Certo iMaggiolo « pure passando per indiavolato ed ossesso tentò ravvivarne le idee » ; la famiglia di questo, anziché corda e capestro, ebbe carezze e lusinghe; ascritta alla nobiltà dopo il 1780 diede, innanzi al 1797, un senatore ed un vescovo (3). Cosi disar- (1) V. cit. Imbreviature del Belgrano conclusione del citato capitolo; e il tratto riferitone in questo studio; p. 311, nota. (2). F. Ai. Accintili di Pasquale Antonio Sbertoli in citato Giornale degti studiosi (Anno II, 1870), p. 230-231. (3) Queste curiose notizie a pp. 59-63 delle Aggiunte del traduttore alle citate Libere riflessioni (Bastide). Sul Del Vecchio, un cenno anche nel citato articolo del Neri che tratta dal Gastaldi. V. retro, p. 247, nota. Sulle carceri di S. Domenico dell’ Inquisizione, Sbertoi.i seniore, Diario ms. cit. (Bibìiot. Universitaria) p. 10. Ivi si parla anche del famoso medico Riva di Sestri Ponente, di cui il Lalande nel suo Viaggio in Italia, e del monaco di S. Bernardo : il Ricolti da Castellato Ponente, detto il Bernar-done; di questo pure il Poussielgue. Relazione cit. p. 13 ove però è chiamato erroneamente Ricorsi. Più tardi questo Ricolti prese moglie e propriamente sposò una Franzoni nata Doria, secondo che riferisce il Clavarino — Che, per economia, la Inquisizione cedesse parecchi de’ suoi detenuti al governo perchè gli imbarcasse sulle galere è cosa che su più documenti dell’Archivio fu accertata dal march. Staglieno. 263 mati gli avversari del governo e gl’ inopportuni rammentatori del quarantasei, gli uni colla prigionia e le minacce, gli altri colle lusinghe e gli onori, la ruota andava ancor nel suo giro, ma nessuno sapeva prendere provvedimenti per i tempi grossi che s’ avvicinavano, e il rimbrotto che avea fatto il Foscarini a Venezia , al ritorno della Dalmazia sulla « comune sonnolenza di chi presiede alla repubblica », se non poteva in tutto applicarsi al governo di Genova, si poteva però dire anche di questo, ciò che del veneziano scriveva il Gòthe ai 29 Settembre del 1782: « come ogni altro essere, cede alla forza del tempo ». E la forza del tempo, nel 1796 si chiamava Bonaparte e con questo, irritata da nuove prepotenze britanniche che più odiose rendeano le nappe nere (1), senza far amare le tricolorate (chè a Genova dilettissimi a lungo rimasero i due vecchi colori guelfi , bianco e rosso, e pur in questi si tinse quel famoso palo che Pietro V'erri non capiva che cosa ci avesse a lare colla libertà), trattò la Repubblica per mezzo di Vincenzo Spinola, già ai Francesi non isgradito fin da quando era Commissario a San Remo, cugino dei Serra, che nella sua villa appunto sulle Mura di S. Chiara in Carignano nel Novembre del 1796, invitarono la cittadina Bonaparte ad una sfarzosissima e lietissima festa. Il Cattaneo stesso, reduce da Mombello, primeggiava insieme coi Serra fra coloro che faceano liete accoglienze alla moglie del petit ginèral e tra le dame primeggiavano Lilla Cambiaso e Annetta Brignole Sale, maestosa, altera del nome e degli studii precisamente come la canterà il Ceroni nel Pappagalletto. I morandisti (cosi si chiamavano i democratici) mostravano pur nel costume certa tendenza a gallicizzare, e s’ aggiravano fra i nobili del Portico (t) Su queste nappe, e sulle dimostrazioni ostili alle contraddanze, che si chiamavano inglesi, fin dal 1794, v. Gaggiero, op. cit, p. 102-105. 264 GIORNALE LIGUSTICO vecchio e del nuovo coll’ aria d’uomini che s’accingono a guadagnare il tempo perduto (1). Al Villars, dopo breve tempo in cui l’ufficio fu sostenuto dal Cacault (2), era successo il Faypoult come Ministro di Francia (3). Bonaparte se ne fidava moltissimo, ed era questa una ragione, che la repubblica moltissimo ne avesse a diffidare, ma era il diplomatico d’ una così straordinaria abilità e cosi bene sapeva insinuarsi presso i Serenissimi di qualunque colore (1) Nell Archivio di Stato (Sala cit., 494, 3, F.), V. le richieste di passaporti per M.a Bonaparte e la sua famiglia. Ibi poi Diversorum etc. cit. 1796 (5 dicembre) N. 394, sono notizie sull’arrivo a Genova in quel giorno di Giuseppe, il fratello maggiore del Generale , e sulla festa da ballo che il Faypoult dava in suo onore. Il palazzo Spinola della legazione di Francia era quello di Piazza Fontane Marose ov’è ora la Società di Letture. Vedasi PoussiELGUE, Relazione cit., p. 26. (2 ; È abbastanza singolare che dal famoso Tilly e dal Sémonville , che poi l’Austria dovea rinchiudere a Mantova nella stessa stanza del castello, ove fu rinchiuso l’Apostoli (v. la IV delle Lettere Sirmiensi) fino al Cacault, passino per Genova parecchi di quei tali che nel 1794 e lì intorno erano andati a gara ad ideare disegni per la liberazione d’Italia. È noto che fra questi c’ era anche il giovane generale protetto da Robespierre e che Madame di Stael chiamerà a suo tempo dal nome del terribile protettore. Franchetti. I popoli d'Italia ecc., cit. in N. Ant, 16 dicembre, 1889. (3) V. in Appendice storica e documenti, ms. nella Biblioteca Universitaria citata, Supplemento I, p. 431 , il discorso tenuto dal Faypoult all’udienza del doge il giorno 5 Aprile 1796 (16 Germinale dell’anno IV). Le citate Libere riflessioni (Bastide) a p. 52 contengono un elogio entusiastico di lui come a p. 39-42 hanno elogio non meno vivo del segretario del Tilly « furente amatore di libertà, un Seide meno il pugnale », il Villetard che tanta parte ebbe e non tutta ignobile nella caduta dell’ altra Serenissima. Il Botta che lo amò e lo ammirò n’ ebbe notizie importanti sulle cose veneziane, come sulle genovesi n’ ebbe dal Littardi. Sull’ autorità del Botta per la storia di questo tempo, e sui documenti di cui si è servito, vedansi le giustissime osservazioni del Franchetti. Storia cit., p. 307, n. 2. — Vedasi anche la nota 2 a pag. 290 di questi appunti. GIORNALE LIGUSTICO 265 essi fossero, così bene sapeva mostrare che quanto avveniva dipendeva dalla forza delle cose, non dalla volontà del Generale di cui egli era esecutore, che la sua finezza, non meno che le intimazioni del Murat (16 Giugno) e le fucilazioni del Lannes nei feudi imperiali, doveano per diversi mezzi condurre allo scopo stesso « lo stretto vassallaggio con cui, dice bene lo Sciout, la repubblica spera aver allontanato ogni pericolo mentre non ci ha guadagnata che una dilazione d’alcuni mesi » (1). È vero che cogliere bene il pensiero di Bonaparte rispetto a Genova, sia nelle lettere ufficiali eh’ egli scrive al Direttorio, sia in quelle confidenziali che dirige al Faypoult, non è molto facile; ma bisogna tener conto di due cose: cioè che nella primavera del 1796 in sul principio della campagna egli si preoccupa solo di questo: d’aver i genovesi amici; e se esce in qualche scatto furioso (come quello riguardante il Girola, Ministro Imperiale a Genova, o i feudi imperiali), è soltanto coll’ intenzione di facilitare le operazioni dell’ esercito e a questo stesso mostrare eh’ egli può imporre a’ governi tentennanti non lascino assassinare i suoi soldati alla spicciolata (2). (1) Sciout. Op. cit., p. 62. (2) Nella lettera al F. da Tortona 27 Pratile (15 Giugno 1796), scrive che manda Murat a Genova colla famosa lettera della stessa data perchè « il est nécessaire d’établir une communication plus prompte qui électrise davantage ces messieurs ». Continua poi « Faitez placer à Novi un gouverneur militaire meilleur que celui qui y est. Je n entends pas que le Sénat laisse assassiner nos troupes en détail. Je lui tiendrai parole ». E nella lettera succitata che il Murat recò al Senato diceasi « che il cadavere d’un solo francese assassinato avrebbe recato sciagura agli interi comuni che non 1’aveano protetto ». V. Corrisp. (ed imp.), T. I, nn. 640-641. — 11 proclama ai Feudi stessi, che leggesi in quel tomo della Corrispondenza al n. 654, comprende sei articoli, l’ultimo de’ quali minaccia di fuoco i villaggi che entro ventiquattr’ ore non si sarebbero arresi, e ordina siano immediatamente spezzate le campane che hanno suonato a martellò contro Giù**. I-ievvrico. Λη»ύ XXII. lS 266 GIORNALE LIGUSTICO Poi che in sul principio della campagna egli non sa ancor bene quali siano , rispetto a Genova, le idee del Direttorio e, non avendo ancora debellato il nemico, non è sicuro ancora di poter imporre al Direttorio le proprie. Ecco quindi che scrivendo al Faypoult da Bologna il 22 Giugno 1796 (4 Messidoro), vuol essere « instruit dans le plus grand détail de ce qui concerne notre position avec le Sénat de Gênes » e nello stesso tempo dice di conoscere « trop bien l’esprit du perfide gouvernement de Gènes » (1). Nel Settembre di quell’anno scrivendo invece al Berthier, dopoché la Repubblica ha stretto per mezzo dello Spinola l’accordo, vuole ch’egli rassicuri i negozianti genovesi che si sono rifugiati a Milano, e che ordini loro di uscire tosto dalla Lombardia , assurda essendo la corsa voce ch’egli avesse in mente di bombardare Genova. Notizia questa non senza importanza, ove si pensi che vivi erano tuttora a Genova i ricordi di quel terribile bombardamento d’un secolo innanzi per opera d’un altro despota francese. « Al bravo popolo di Genova — continuava Bona- i francesi. Al n. 280 leggiamo una lettera diretta al F. da Acqui tino dal 12 Fiorile (1 Maggio 1796), la quale comincia a dire che « Beaulieu fait si vite que nous ne pouvons l’attraper » e conclude col farsi mandare « une note géographique, historique, politique et topographique sur les fiefs impériaux qui avoisinent Gênes » e poi altra nota d’opere d’arte contenute a Milano e nelle città dell' Emilia fino a Bologna compresa. Fortuna che, per il momento, pensava sì a far comprare a Genova i pezzi e le munizioni delle batterie francesi stabilite sulla Riviera (v. la lettera al F. del 15 Giugno), ma non a ruberie d’ opere artistiche da farsi nella superba. Più tardi ci penserà pur troppo , per mostrare il suo gradimento che la città sia entrata a far parte dell’ Impero ! V. Le spoglie della Liguria a Parigi nel secolo XIX, in cit. Giornale degli studiosi ove credo che gli articoli anonimi , come questo, siano del Direttore L. Grillo. (Anno I, 1869, N. 25). (1) Corrispondenza (cd. e T. cit., N. 671). GIORNALI? LIGUSTICO 267 parte in quella lettera al Berthier — Γ armata d’Italia ha obbligazioni essenziali sia per i grani che ci ha procurati in momenti di strettezze, sia per Γ amicizia che da tanto tempo ha mostrato alla Repubblica ». Cacciato, Girola, chiusi i porti agl’ Inglesi « ils ont des droits plus particuliers à la protetion de la République » (1). Il fatto era che « i! tempo di Genova non era ancora venuto » e che il Faypoult doveva « endormir le Sénat, jusqu’au moment du réveil » (2). Abbiamo detto che, per far questo, era il Faypoult un’artista consumato. Quanto al Doge, se egli non era svenuto, come Ludovico Manin, al momento dell’ elezione, però sappiamo con quale riluttanza aveva assunto l’ufficio e poteva dire, come il suo collega di Venezia, di avervi sempre avuto una « nota insuperabile alienazione ». È interessante vedere che fin dal 18 Novembre del 1795, il Doge, eletto la vigilia, rinnova la domanda d’essere dispensato dall’ alto uffizio per la malferma salute, e adduce la fede medica relativa del dottore Giambattista Schiaffino; e nella primavera di quell! anno 1796 si concedeva al Doge stesso, di cui era stata respinta la più grave istanza precedente, la facoltà d’ uscire due volte la settimana in carrozza « per una (1) Corrispondenza (ed. cit., T. II, N. 1037). Data da Milano 6 Vendemmiaio (27 Settembre 1796). Sul Girola « animai senza spirito, un povero untorello per cui s’era fatto sì gran fracasso. V. un accenno nel solito stile in Libere riflessioni cit. (Bastide), p. 56; nota dell’Autore. Quanto all’occupazione di Capraja per opera del Nelson, che così protestava contro il nuovo accordo franco-genovese. V. Gaggiero, op. cit., p. 128, ov’è detto che il Commissario dell’ isola Airoli, il maggiore Bossi del Reggimento Reai Palazzo e la guarnigione dell'isola, appena sbarcarono, vennero tosto, per ordine del governo, tenuti prigioni. (2) Corrispondenza (ed. cit., T. I, N. 753) Bonaparte a F. 213 Messidoro fu Luglio 1796). 268 GIORNALE LIGUSTICO gita in. qualche luogo riservato in città per passeggiare » (i). Gran cure richiedeva la salute malferma del Doge, e il Faypoult per lui e per i Serenissimi tutti , preparava gli oppiati secondo le istruzioni che venivano dal teatro della guerra. In questo teatro decideasi una grossa partita, decideasi pure quando sarebbe venuto per il Governo di Genova « le moment du réveil », quel tale momento di cui avevr parlato la lettera dell 11 Luglio. E allora sarebbe stato un brutto risveglio ! I Serra desiderosi d’un mutamento di governo secondo i principii del 1789 appariscono sempre più, come dice il Botta, abbagliati da quella gloria di Bonaparte. Aveano accolto, dicevamo sopra , nella villa di Vincenzo Spinola ove davasi festa in onore della cittadina Beauharnais moglie del Generale, parecchi de’ morandisti a’ quali, colla convenzione ultima, il governo avea dovuto concedere amnistia completa. E fra questi, accanto al vecchio speziale, appariva influentissimo, e pieno di meridionale eloquenza e slancio e sottili artifizi certo Vitaliani, napoletano, del cognome stesso e delle stesse idee di quel Vincenzo che col De Deo e il Giuliani, fu uno de’ primi martiri del 1793 (2). Cosi il mezzogiorno, che avea mandato a Genova l’improvvisatore Gaspare Mollo de’ Duchi di Lusciano a gareggiarvi col Gianni e col Cambiaso, mandava ora un’altra testa (1) Diversorum. Filza cit. nell 'Archivio di Stato, 18 Novembre e 24 Novembre 1795 (Filza 3.· ad annum) e 9 Maggio 1796. 11 Doge doveva uscire di Palazzo per la Porta di San Domenico in‘portantina, e salire poi in carrozza Doc. cit. del 9 Maggio. (2) G. Pompili. La repubblica partenopea in Conferente fiorentine cit. II, p. 240 « tre innocenti, colpevoli solo di speranze e d’ opinioni, Vincenzo Giuliani, \incenzo Vitaliani, Emanuele de Deo, la cui memoria non morrà sopra quella terra che uno di essi baciò prima di salire il patibolo ». V. pure il Colletta nel luogo citato dal Vannucci. I martiri della libertà Italiana (Livorno, Poligr. italiana, 1849), P· 16-18. GIORNALE LIGUSTICO 269 calda, e a quel fuoco s’ accendeva pure un giovane dei Doria, d’altro casato, come sembra, da quello del Principe, e destinato a crudel morte dalla controrivoluzione genovese del Maggio 1797 (1). Ben uniti con questi stavano i condannati del 1794, che la Francia aveva fatto amnistiare, un Valentino Lodi, un medico Bonomi, qualche abate o prete come il Cuneo e il Giustiniani (2). Gente questa amantissima di novità, continuamente catechizzata dal Saliceti, che Bonaparte avea mandato perchè, non essendo rivestito di carica ufficiale, potesse operare più liberamente. Per mezzo loro affluivano da Milano stampe e termometri e mercurii d’ ogni maniera e qualcuno con supplementi speciali per Genova ed aggiungevano (1) È curioso che a Venezia P imposizione al Doge di rinunziare all’ ufficio nel Maggio 1797 venne da un Zorzi, di famiglia che aveva dato dei dogi (egli almeno a quella diceva d’appartenere) e di professione era, come il Morando, speziale. Altri più riscontri fra le cose genovesi e le veneziane si potrebbero fare , se non fossero già troppo lunghi e il testo e le note Meridionale e propriamente siciliano dal cognome e dall'uffizio parrebbe pure quel « citoyen Romei ancien chancellier du Consulat de France à Paierme » che andò latore di pericoloso messaggio dalla Legazione a Palazzo il 22 Maggio 1797. Poussielgue. Relazione cit., p. 17. — Del professore Sanseverino e del Mollo dicevasi che fossero segretamente attaccati alia regina di Napoli e all’Arciduca di Milano. Non giacobini dunque questi ultimi secondo le Libere riflessioni citate (Bastide), p. 59; ma piuttosto complici del Girola. È noto che nel 1785 la Regina e il Re di Napoli erano stati a Genova sfarzosamente accolti e. fra altre feste, aveano anche assistito all’Acquasola a una gara del pallone, quel nostro gioco che Edmondo de Amicis vuol richiamar in maggior onore coll’ ultimo suo libro; v. Gaggiero, op. cit., p. 36 e segg. (2) Il cognome di quest’ultimo nel Tivaroni, op. cit., p. 497, il quale però si fida troppo del non imparziale Varese. Un sacerdote, Michele Giustiniani, è indicato nei citati Appunti storici e documenti (Ms. cit. della Bibl.: Univers.) (XI, 37) a proposito della deposizione ch’egli fece di discorsi' sovversivi pronunciati da Emanuele Scorza e dal medico Repetto. Probabilmente è la stessa persona. GIORNALE LIGUSTICO esca al fuoco. Si ripubblicavano alla macchia i vecchi opuscoli sovversivi cento volte bruciati, e le scritture che erano state dettate pei mostrare i diritti del portico nuovo contro le usurpazioni del vecchio, rivedevano la luce per spargere disprezzo ed odio sovra tutta la nobiltà. Nelle riviere preti e frati perseguitati da qualche Commissario più duro e alle novità contrario si buttavano a predicare democrazia ed eguaglianza \olute cosi dalla Francia che dal Vangelo; le dottrine pistojesi come le chiamavano dal famoso Scipione dei Ricci, aveano sedotti paiecchi de più illuminati sacerdoti che aborrivano i gesuiti soppressi come ordine, ma non come individui ; e insieme avrebbero voluto che una bolla o un decreto abolisse molti antichi privilegi e molte più antiche arroganze del patriziato (i). Alcuni de’ preti stessi non erano immuni dal sospetto di « insinuare ai penitenti massime contrarie alla quiete pubblica del paese in cui Iddio li ha fatti nascere e innalzati alla dignità sacerdotale ». Cosi almeno conclude una notevole lettera di fra Benedetto Solari, vescovo di Noli, che all abate Eustachio Degola scriveva fin dal i Giugno 1793: « Ringrazio V. S. di quel poco che ha aggiunto al mio sfogo intorno 1 educazione dei figli di mio fratello. Qualche righe del secondogenito aggiunte nelle lettere che ricevo dalla di lui madre in questo tempo d’ assenza di mio fratello dalla città, che esageravano le notizie favorevoli a’ francesi, mi avevano messo in sospetto di ciò che V. S. a voce ha potuto meglio scoprire. Dissimulando ciò che ho da V. S. (1) Lo Sbertoli, Diario cit., ms. nella Biblioteca Universitaria, nota che i birri, grandemente aborriti dalla plebaglia , erano spesso con famigliarità trattati dai patrizi che « li faceano fino sedere vicino a loro a prendere il cioccolatto » e questo urtava molto i non nobili, come visibile segno che gli agenti della pubblica forza erano veramente gli agenti della sola classe che aveva nelle mani il governo, p. 9 e 10. GIORNALE LIGUSTICO inteso, ho solamente comunicato a mia cognata il mio sospetto, insinuando alla stessa di far apprendere al figlio, quando trovi sussistente il mio sospetto , la deformità morale de principii che portano presentemente molti saputelli a lodare la democrazia francese, e le tristi conseguenze che se ne possóno temere. Non credo che i maestri ex gesuiti e il canonico Ferri, del quale non conosco i sentimenti teologici, loderanno l’eguaglianza ». Cosi il Solari nel 1793; nel 1797 democratizzata la repubblica, per salvare la religione s acconcierà lui stesso a lodare l’eguaglianza, e il Degola sani della Deputazione de’ missionarii italiani (1). Se lo spazio ci avesse consentito di trascrivere tutta quella lettera e altre di sacerdoti di quel tempo che indichiamo, nel citato volume, a chi voglia di ciò tare uno studio speciale, avremmo potuto notare anche meglio come la vecchia lotta fra giansenisti e gesuiti non terminata colla bolla di Clemente XIV nel 1773, e la scissura fra l’alto e il basso clero abbia, fra noi pure, non meno che in Fiancia, quantunque con altre maniere, contribuito alle rivoluzioni politiche che sconvolsero la patria nostra in sulla fine del secolo passato. Del resto, tutto sommato, la popolazione rimaneva in Genova devota al Governo e i patriot ti cresciuti di numero e più di baldanza, doveano però andare guardinghi e star attenti alla parola d’ ordine del Faypoult che raccomandava prudenza fino al momento opportuno. Ma gli imbecilli fanatici. come li chiamerà senza cerimonie un agente del Direttorio, sarebbero stati sempre obbedienti? Ne’ corpi stessi de’ Cadetti, de’ Liguri, dei Castellani, de’ Merciai specie di guardie civiche istituite nel 1791 sotto la sorveglianza de’ Collegi, le idee nuove aveano fatto qualche strada , e spesso (i) De Gubernatis, op cit., pp. 158-159 e Grillo. G. Carlo Serra articolo citato; in nota, ove sono tutti i nomi di detti Missionari; essi doveano portare sospeso al collo un crocifìsso con nastro bianco e rosso. 2η2 GIORNALE LIGUSTICO dove faceano le esercitazioni, qualche improvvisato tribuno, come il Sauli, avea perorato in loro presenza perchè colà si adunasse l’assemblea del popolo Ligure (i). Qualche strofa del Ça-ira e della Marsigliese veniva canterellata sotto voce dalle milizie che andavano a montare la guardia al Ponte Reale o alle fortificazioni; cresceva l’inondazione di scritti incendiarii, divorati specialmente da giovani ; e da Milano aveano un doppio scopo mandandoli a Genova per rivoluzionarla (era il gergo del tempo): rendersi accetti alla repubblica madre e spiare, quando fosse avvenuto un rivolgimento, 1’ opportuna occasione per distendersi (ad esempio) attraverso Modena e la Lunigiana, fino a Spezia e alla Riviera di Levante: tutta o parte. E non si può dire che mancassero ai cisalpini le notizie geografiche come al Direttorio , che in certe sue meditate combinazioni dimenticava gli stati intermedii d’Italia, per sognare la fusione de’ più lontani. È vero che la spada di Bonaparte colmò parecchie di quelle lacune geografiche colla soppressione degli intermedii, e parecchi di quei sogni fece diventare realtà; ma il desiderio della Cisalpina rispetto alla Spezia rimase insoddisfatto (2). La fulminea rapidità delle vittorie del Generale, il dilagare per le provinole conquistate d’ idee e di costumanze tutte contrarie alle antiche , e possenti per fervore di giovinezza e bizzarra novità che feriva le fantasie, anche quando non con-vincea le menti e non rnettea radice nella vita de’ popoli (1) Carte sul Sauli già citate in Appunti storici e documenti della Biblioteca Universitaria. Il luogo era la Cava, di triste memoria dopo il 1830 per i martiri della « Giovane Italia ». Vedasi su quei corpi di milizie Gaggiero, p. 50-Ì4 e sulle gelosie dei Castellani Libere riflessioni ìBastide', note e aggiunte del traduttore, p. 71-72. (2) λ eJansi i tratti della Jettera del Faypoult a Bonaparte contro la cessione della Spezia (2 Pratile) 21 Maggio 1797, piti srtto p. 304, nota. GIORNALE LIGUSTICO 27 3 italiani (i) (cosi li chiamo ancora, chè il popolo italiano del Lomonaco e dell’ Alfieri è ancora in via di formazione), non poteva in quei primi mesi del 1797 lasciare tranquilli i governanti di Genova, malgrado le dolcezze del Faypoult, che in tutto erasi attenuto alle istruzioni del generale (11 Luglio 1796) e non avea « dimenticato circostanza alcuna per iar rinascere la speranza nel cuore del Senato ». Fin dal 24 Dicembre (4 Nevoso) del 1796, agenti del Direttorio annunziavano che, malgrado il trattato di Ottobre, il governo era tornato all’ antico , amico e fautore de’ cittadini più noti per l’avversione loro alla Francia aveva riammesso alle cariche perfino Agostino Spinola di Arquata, già dannato dal Lannes alla fucilazione, che era poi stata commutata nel bando per la insurrezione ne’ feudi imperiali (2). Meno d un quarto erano (poteva dirsi) gli amici della Francia nel Collegio dei trenta e nel Consiglietto. Dal quale rapporto e dall’ esame di molti documenti di questo biennio 179179V c' Pare di poter concludere che ne’ Collegi stessi la parte conservativa era molto più numerosa a Genova che a Venezia, e se era « poco intenditrice de’ tempi nuovi » come dice il Gaggiero appunto per questo, co’ suoi vivamaria energicamente ed abilmente diretti avrebbe potuto se non vincere la Francia , almeno prolungare il conflitto. Certo, per questo conveniva appoggiarsi all’ Inghilterra e disdire ogni accordo stipulato (1) V. retro n. 2 a p. 267. (2) Tarda resipiscenza del Governo che lasciando condannare da Francesi, su territorio genovese e con legge marziale un suo feudatario avea dato, della sua debolezza un documento, che Bonaparte dovea ricordare anche troppo! V. il documento citato a filza 3.*, 66 in Sciout; op.cit, p. 62-63. Su trenta probiviri ne notava 1’ agente segreto sette soli all opposizione e sui duecento del Consiglietto appena 40 amici di Francia. Indicava fra i riammessi alle cariche per la convenzione d’ Ottobre solo due buoni (secondo il p.irer suo) Felice e Stefano Origo (0 Carrega?). 274 GIORNALE LIGUSTICO dallo Spinola. Ma forse non sarebbe stata la risposta logica alla slealtà e alla prepotenza dell'ara des hommes, come lo chiamava in quest’ anno l’autore di Paolo e Virginia, di Bonaparte insomma che appena caduta Venezia aveva scritto al Faypoult: « La piena caduta del governo di Venezia deve trarsi di dietro quella dell’ aristocrazia genovese, ma conviene aspettare quindici giorni finché le faccende di Venezia siano ultimate? » (i). Ahi, restano le lettere immortali di Jacopo Ortis a dire come furono queste faccende ultimate ! E il Direttorio? Il Direttorio avea trattato nel 1796 anche con Carlo Emanuele IV, per trafficare il territorio di Genova, precisamente come trafficò Bonaparte coll’Austria rispetto a Venezia. Facesse pure il Generale purché la Francia, acquistata la Lombardia, non perdesse il Belgio, chè questo era il punto essenziale. Del resto se non il Sièyès, come voleva il Bonaparte, il Talleyrand gli teneva pronti sempre de’ valentuomini confezionatori di costituzioni, p. e., Beniamino Constant, perchè egli potesse di lor confezioni fare dono grazioso alle repubbliche di recente fondate o democratizzate ! Genova si apparecchiava purtroppo ad entrare in quest’ ultima categoria. Le notizie di quello eh’ era avvenuto a Venezia giunsero fulminee ad accendere nei pochi audaci smodate speranze; gli altri (1) Corrispondenza citata (ed. imp.j, III, N. 1801, p. 48. È sullo scorcio del 1797 (19 Settembre ossia 3 complementare) nella famosa lettera al Talleyrand (Ibi, n. 223, p. 417) ch’egli insiste sulla necessità di dare alla Cisalpina ed a Genova una costituzione che loro convenga anche perchè se no « la France n’en tirera aucun avantage ». Per questa costituzione dell Italia « plus analogue aux moeurs de ses habitants, aux circonstances locales et peut-être même aux vrais principes » Bonaparte trovava oltremodo opportuno in Italia la presenza di Sièyès. È innegabile la giustezza e larghezza di concetti che apparisce dalla maggior parte delle lettere del Generale quante volte non vi si opponga la sua ambizione e l’interesse della Francia. GIORNALE LIGUSTICO 275 stavano perplessi, il Governo ordinava tridui e divini uffizii e accresceva i poteri agl’ Inquisitori di Stato ; tardivo rimedio questo e imprudente perchè bastò che questi acciuffassero il bel Vitaliani, che, come addetto all’uffizio della sua ambasciata, il Faypoult lo fece scarcerare. Del resto, quando avea lasciato venire le cose a tal punto, qualunque cosa avesse fatto il Governo, sempre avrebbe dato alla Francia il desiderato pretesto di intervenire. Stavano le faville per dar fuoco alle polveri. Avrebbero i giacobini di Genova lasciati passare i quindici giorni di cui parlava il 15 di Maggio Bonaparte ? È vero che egli preparavasi a recare in Francia, oltre al testo del trattato di Campoformio, anche la Geometrìa del compasso del Mascheroni, ma poteva darsi che cosi lui come il Faypoult, il caro Faypoult a cui, dopo Lodi, avea mandati in regalo due cavalli e serbava una spada, avessero commesso un piccolo errore di calcolo (1). I partigiani del vecchio speziale erano capaci di tutto, anche di alzare il sipario prima del tempo, e inalberare coccarde francesi lasciando credere (2) (vedi suprema menzogna !) che (1) Corrispondenza cit. (ed. imp.) Milano 2 pratile (21 Maggio). I cavalli erano « pour le dissiper des énnuis et des étiquettes du pays ou il était n. È noto che quando messere Faypoult se ne andò da Genova fu detto — e trovasi riferito nel Verri — eh’ ebbe il donativo d’ un milione. La Repubblica Ligure sarebbe stata pur larga ! Ben più anzi di Bonaparte. La cosa però non ha prove finora. — Larghezza nell’ edificare non ebbe, ben diversa in ciò dall’ antica repubblica e dalla moderna Genova. Per quanto riguarda l’edificio ad uso di pubblico lavatoio in via dei Servi, mi basta rinviare a quello che ne ha detto nella Storia di Genova scritta nei suoi monumenti (ingl.) il chiariss. Sig. E. A Le Mesureur. Genoa. Her history as written in her buildings. (Genova. Donath, 1889), p. 183. (2) Che a Londra p. e. lo si sia creduto, e a ragione allora e poi, appar chiaro dalla lettera del Borgo successo a Cristoforo Spinola, Ministro di Genova presso il governo britannico. Lettera 22 Agosto 1797 (D°c- XV, in Appendice, Archivio di Stato di Genova, loco ibi cit.). Quanto alla rapidità 2?6 giornali; LIGUSTICO in quel tumulto per democratizzare la repubblica c’ entrasse per qualche cosa la Francia e il suo Ministro! Il 18 Maggio in seguito a rissa e tumulto avvenuto all’Acquasola fra alcuni giocatori di pallone e altri che giocavano alle barre, fu arrestato certo Isolabella e un altro de’ morandisti (i). Si diceva apposta provocato il tumulto per dare principio alla rivoluzione; cresceva per la città il fremito e il governo deputò Gianluca Durazzo e Francesco Cattaneo a cercare aiuto in que’ frangenti proprio là ov’ era stata 1’ officina prima, e non in tutto segreta , de’ moti rivoluzionarli. Era il sabato 20 Maggio. Il 21 e il 22 la città venne funestata da quei fatti sanguinosi che la penna del Botta ha con eloquenza grande e grande efficacia narrati, e che qui non è il luogo di ripetere. Filippo Doria venne ucciso e sconciamente poi dilaniato e tratto, trofeo cruento, per la città da una folla che gridava Viva Maria e che, colla lettera del beato Leonardo, sperava avere sovrumana forza a vincere i suoi nemici. Ma il governo che nel 1746 era parso incerto se chiamare amico o nemico il Botta Adorno, ora lo era rispetto a Faypoult e alla Francia, tanto più che la flotta di questa nazione era in vista, e solo con cui in città di commercio, venivano dai corrispondenti di fuori le notizie politiche ; v. la giusta osservazione del Poussielgue. Relazione citata p. 8 « Aucune ville n’est plus promptement et plus généralnient instruite des événements intéressants qui arrivent que Gènes ; c’est une des premières Banques de l’Europe; presque tous ses habitants sont ou banquiers, ou négociants ; le succès de leurs spéculations , l’art de les bien combiner, tiennent à ce qu’ils soient instruits avec autant de célérité qui d’éxactitude, de tout ce qui peut influer sur leur commerce ; ils ont de correspondants par tout ». (1) Botta. Storia d’Italia dal 17S9 al 1S14 (Italia MDCCCXXIV) tomo II, parte II, p. 297. V. pure un articolo commemorativo di P. G. Breschi. La caduta della Serenissima (14 Giugno 1797) nel Secolo XIX del 14-15 Giugno 1897. GIORNALE LIGUSTICO 277 per interposizione del Faypoult stesso s’ allontanò un poco se non del tutto. La conclusione del moro galeotto : Cristiani star matti, appariva molto sensata se si pensa che in due giorni, malgrado P imprudenza de’ patriotti, tutto si può dire , era stato deciso, perchè Bonaparte, dopo i fatti del 21 e 22, si era determinato a quella intimazione di cui il Lavallette fu latore, e alla quale egli ben sapeva che il governo non avrebbe resistito. Come avrebbe resistito se il Faypoult, che al dir del Gaggiero « di bei modi non aveva penuria e nel porgere graziosamente poteva dirsi piuttosto inimitabile che solo », aveva ottenuto, a mano a mano, tutto quello che aveva richiesto, perfino la liberazione dei carcerati ? A quella umiliazione ultima di confessare che i Francesi non avevano avuta parte nel tumulto del governo, per vero non aveva dapprima voluto discendere, e aveva mandato Cesare Doria e Gerolamo Durazzo a Mombello. Ma il Generale irritato che i patrioti di Genova si fossero cosi mal condotti, secondochè scriveva il Faypoult, che per poco poteva dirsi che erano stati essi la causa della controrivoluiione (queste erano le parole d’un agente secreto del Direttorio ed esprimeano il comune sentimento) (t), (1) La lettera dell’agente colla data 10 pratile (29 Maggio) si riferisce all’ invio di Stefano Rivarola inviato straordinario che la Repubblica mandava a Parigi; mentre al Bonaparte aveva inviato i patrizi suindicati con certo Calvi, negoziante, su cui vedansi i documenti in appendice. Archivio di Stalo, Diversorum cit., anno 1797 filza ultima, 29 Maggio. « Si faccia al Minor Consiglio la proposta di accordare al Magnifico Stefano Rivarola il titolo di Patrizio Deputato e di deliberare al Medesimo la somma di L. 20,000 su f. b. Per Serenissima Collegia ad calculos Mox Approvato dal Μ r C.0 — Si rimetta la suddetta deliberazione del M.' C' agli Ecc.™1 Camerali Deputati alla scrittura per la di lei esecuzione. Per Ser."· Collegia ad calculos. Francesco Maria (Ruzza). Ora 1’ agente del Direttorio scrive d’ aver profittato della partenza del 27S GIORNALE LIGUSTICO mandò, come il Junot a Venezia, il Lavallette, latore di tale superbo messaggio che, lettolo, il Faypoult stesso esitante ebbe a dire che mai innanzi a’ Collegi erasi data lettura di tali documenti. E a lui il Lavallette diede quella risposta caratteristica, che mai nemmeno erasi udito dire che non fosse eseguito un ordine di Bonaparte. E l’ordine fu eseguito di fatti. Ma in quel funesto giorno 29 di Maggio il punto dell’ arresto dei colpevoli : Nicolò Cattaneo e i due Inquisitori di Stato, Francesco Maria Spinola e Francesco Grimaldi (colpevoli li chiamava Bonaparte), sollevò ■— come scrisse all’ indomani lo stesso Lavallette — gravi dibattiti, a Le bruit public est que le conseil a dit que les charbonniers ayant bien pu en 1749 (sic) chasser de Gênes 70,000 Autrichiens, ils pourraient bien en faire autant des français et il s’est écrié assez fort pour être entendu des gens de dehors: ci batteremo » (1). Sciaguratamente, come avea scritto a metà di Marzo da Ministro Straordinario per mandare al Moniteur (colla data di Milano) una relazione degli avvenimenti. « L’expérience a prouvé ce que j’avais toujours dit que les patriotes Génois n’étaient pas en état de faire une révolution par eux, et que les amis de Morando qui s’étaient érigés en chefs étaient encore moins en état de les conduire. Si la France ne vient à leur sécours direct ou indirect, il sera vrai de dire que ces imbecils fanatiques ont fait une contrerévolution ». Sciout. Vol. e loc. cit. Il Rivarola poi e Vincenzo Spinola vennero dal Governo Provvisorio richiamati da Parigi, lasciando colà il già ricordato Boccardo. Su ciò il Botta era ben informato, come apparisce da una lettera di Bonaparte al Ministro degli Esteri. Corrispondenza cit. (ed. imp.). Milano, 24 Messidoro (12 Luglio), N. 2006, p. 236. (1) V. lettera 30 Maggio (11 Pratile), .1 p. 334 del volume IV, della Corrispondenza (ed. Panckoucke sottocitata). Bonaparte lanciò rimbrotti al Faypoult, nello sdegno vero o simulato ond’era preso, quando seppe che questi avea mandato il Console Lachèze al Bruyes perchè la flotta francese si scostasse. Il Botta è dunque esatto anche in ciò come apparisce dalla lettera di Bonaparte del 25 Pratile (13 Giugno). Corrispondenza cit. (ed. imp.). GIORNALE LIGUSTICO 279 Judenburg il Generale all’ altra Serenissima « non eravamo più ai tempi di Carlo Vili » morto era Pier Capponi, morti gli altri della sua tempra; alle frasi non rispondevano i fatti; taceano le campane in sulla torre del Comune e se i carbonaj inferociti andavano per afferrarne le funi, il Governo faceva uscire addosso a loro le guardie per punirli col carcere di aver potuto credere che si vecchi e tarlati edifìci per forza d’ uomini e di carattere si potessero salvare. Con un degno mezzo bensì avea pensato il Governo che ciò si potesse fare, tanto perchè il famoso tentativo del nobile Querini presso il corruttibilissimo Barras, avesse un suo lontano riscontro anche a Genova. Certo negoziante, Adamo Calvi, suggerisce ai Serenissimi, che temono ad ogni momento gli sbari delle armi francesi (meno per timidità come a Venezia, che pel disturbo avrebbero recato ai loro lavori e commerci) due spedienti : chiamare al Governo i rappresentanti delle Arti e della cittadinanza borghese, e « trovare qualche meigo pecuniario d’affezionarsi quelle persone le quali potessero coadiuvare l’intento ». Si sapeva che tra queste avrebbe potuto essere perfino la cittadina Bonaparte. Non adoprava essa la boìle da viaggio, che già aveva Maria Antonietta di Francia donata a Beatrice d’Este e che questa, fuggendo da Milano col marito Ferdinando, colà aveva lasciato ? Il cittadino Calvi doveva « spendere per detti oggetti fino alla somma di lire centomila » (1). Infatti egli andò a Mombello coi Magnifici Durazzo e Doria; doveano questi mostrare « che è contro tutti i diritti e i ragionamenti il pretendere che si pongano in libertà i detenuti, qualora tos- Tome IIP, N. 1912; p. 153. — Il generale che avea recato a Venezia la terribile lettera del 20 Germinale, la quale ricordava che « non eravamo più a’ tempi di Carlo VIII ». (Tivaroni, op. e vol. cit., p. 435), era Junot; la voce Augerau come leggesi nel Franchetti. Storia cit., p. 266, è dovuta certamente a un lapsus calami. (1) V. Appendice a questo studio: Documento I (26 e 27 Maggio 1797). 2§0 GIORNALE LIGUSTICO sero rei, perchè ritornassero a praticare i commessi eccessi ». Le ragioni esposte nel Minore Consiglio dall’ Eccellentissimo Michelangelo Cambiaso doveano essere corroborate dalle centomila lire già accennate. Bonaparte rispose mandando il Lavallette che due giorni dopo era a Genova; non pure liberare i prigionieri doveasi, ma imprigionare gl’Inquisitori e — diceva ormai chiaramente il Faypoult, come avea suggerito il Calvi, forse indettato da lui — dare adito ai popolari di partecipare al Governo. Resistette due giorni la Serenissima, mentre venivano dalle riviere e da oltre Gioghi novelle gravi, e le fantasie e le lingue compre o interessate, più gravi ne foggiavano e diffondevano. Pronti i cavalli e i bagagli teneva il Ministro di Francia per abbandonare la città se gli ordini di Bonaparte non erano eseguiti; non avea bisogno di ricordare ai Serenissimi la conclusione della famosa lettera, chè questi l’aveano fitta in mente con chiodi, quasi fossero parole dell’ antico Pericle. Milizie s’ appressavano da Cremona e dal Piemonte, ormai essendo anche i soldati di Carlo Emanuele IV a discrezione di Bonaparte; il Bruyes colla flotta non s’era tanto allontanato da non accrescere que’ già grandi timori. Savona, Finale, Portomaurizio, i luoghi che da più tempo erano stati preparati dalle milizie di Francia , innalzano 1’ albero della libertà. Il 29 Maggio da Albenga il capitano Lorenzo Di Negro parla dell’ albero stesso che fu piantato alla Pieve, e il Governatore di San Remo, Ignazio Reggio, comunica correr voce che scendano quattro o cinque mila armati verso il Finale. Il dì dopo uno dei feudatarii, Giovanni dei Signori della Lengueglia (1), segnala da Alassio la venuta di truppa da Ceva diretta a Pornassio, da Cosio e Mandatica riferisce che gli si domandano rinforzi per fronteggiare bande di ribelli che pullulano da ogni parte per quei monti. « Serenissimi (1) Lengueggia in dial. genov. ; oggi Laigueglia. GIORNALE LIGUSTICO Signori — egli conclude — il fuoco è troppo esteso e merita li più grandi provvedimenti »; gli spiace « osservare in quei luoghi del Dominio un’ inerzia pericolosa » chiede aiuti e senza indugio, come per espresso già altre volte in que’ giorni gli ha richiesti (i). Giambenedetto Pareto manda da Novi quella stampa caratteristica che colà è stata affìssa sovra il proclama del Doge e nella quale si reclama il potere usurpato dai patrizi per il popolo non di Genova sola, ma di tutto lo Stato : a Desideriamo che il popolo si governi da sè come una volta, che l’abate di Polcevera e di Bisagno entrino anch’ essi nel Governo, come prima » (2); forse era stata diffusa anche a Novi la ristampa del famoso opuscolo dell’ Accinelli su\YArtificio con cui il Governo democratico di Genova passò al l'aristocratico (3). Certo l’oligarchia era da cento parti aggredita in prosa e in versi ; 1’ abate Cuneo e Γ ex olivetano il famoso Luigi Serra, come invasati e istancabili, all’avida folla davano un diluvio di discorsi e di strofe. La folla s’inebriava; era quella istessa che in grandi applausi erasi sfogata quando s’era assicurata che il Faypoult non partiva, e mentre si dissellavano i cavalli e si ritiravano i bagagli dalla Piazza Spinola , entro il palazzo dell’ ambasciata , aveva assordato l’aere gridando evviva a Faypoult, alla Francia, a Bonaparte. Sì, era veramente così. Il Governo aveva ceduto; andavano Luigi Carbonara, Gerolamo Francesco Serra e Michelangelo Cambiaso, già intermediari fra il Senato e il Ministro di Francia in quelle tristi giornate di Maggio, andavano a Mombello a prendere ordini per modificare la Costituzione. (1) V. Appendice, documenti IX, X da Albenga, da Alassio. (2) Ibi. Documento XI da Novi. (31 (Genova, per il Como, stampata dal cittadino Giuseppe Tubino, 1797). Non è senza significato che il Dagnino ne abbia fatta una edizione nuova nel 1849. Giorn. Ligustico. Aune XXII. l9 282 GIORNALE LIGUSTICO « È il tempo — scriveva un anonimo ai Signori Sindacatori fin dal 26 Maggio (1) — di gittare lo sguardo prudente su dei buoni cittadini , su dei cittadini fedeli , forniti di giusta dottrina e profondi nel sapere, prima che gl’intricanti facciano loro la scelta, e servirsi dei medesimi... occupandoli al ben pubblico... aggregandoli al corpo legislativo, se abbisogna, e con questi levare le tanle zucc^e 0 affamati che al presente governano seduti ai vari Tribunali ». Non si può dire che l’anonimo non parlasse chiaro; esaltato non era, come quel tale della stampa di Novi; « sono — diceva e possiamo credergli nella sua rozzezza — cittadino affezionato , aborro la superbia, Γ oligarchia egualmente che la troppa libertà ed innovazione, vizi tutti che alla fin fine conducono al precipizio e all’ esterminio ». « Questo è il tempo di pensare a cose grandi, a pensare a mettere in attività il vasto mare che possediamo ed ivi impiegare i molti oziosi che qui molestano », nel che 1’ anonimo si palesava più sensato e patriotta di Bonaparte, che i duecentomila poltroni d’Italia (2) voleva impiegare, ma per farne soldati che s’ ammazzassero servendo 1’ ambizione sua e le smanie conquistatrici della grande nation. « Monopoli, estorsioni, inganni della Curia..... la strettezza delle abitazioni in città, l’enormità delle pigioni di casa » sono punti gravi a cui egli vuole che il Governo provveda, e « protegga il commercio e lo renda florido ed imponente, dipendendo da questo la felicità della patria » (3). E queste, sì erano quasi 11) Ai Supremi Sindacatori fa elogio anche lo Sbertoli, Diario cit. p. 8. Dice che essi vegliavano che gli altri governanti giudici e funzionari non eccedessero i loro poteri, e che · il corpo dovea riconoscersi composto « d’uomini d’esperienza e probità eminente ». V. l’anonimo docum. IV, in Appendice. (2) Barrili, Conferen\u cit., p. 99. (31 Appendice, doc. IV, p. 319. GIORNALE LIGUSTICO 283 le parole della lettera che Bonaparte diresse al Governo Provvisorio il 16 Giugno (28 Pratile) secondo che più sotto vedremo. Altri biglietti di calice, intorno a quei giorni, insistono su argomenti già toccati da quest’ anonimo, come il caro dei generi di prima necessità, l’errore di provvedimenti che danno vantaggio ai rivenditori anziché ai consumatori, e tornano sovra un punto che dallo Sbertoli non fu trascurato e nemmeno da certi marinai, che di ciò ebbero a discorrere nel 1798 col poeta Casti che veniva a Genova sul loro naviglio: « Si amministri — dicesi in uno di quelli che con altri meno importanti, ma caratteristici, il lettore troverà in appendice — la giustizia prontamente e rettamente e segnata-mente dai Giusdicenti delle Riviere, varii de’ quali smungono il povero ; che non si commettano tante angherie dai birri e inservienti delle gabelle, che le pigioni dei poveri siano diminuite e che finalmente si castighino li perturbatori della vita e sostanze dei cittadini ». Questi anonimi erano più assennati e più pratici del famoso Serra Luigi a cui bastava che « il cittadin rinato in tal momento » giungesse « dei Bruti ad imitar l’esempio » (1); più assennati e pratici del minorità Cesare Cerruti, che con Gaspare Sauli era « instancabile dicitore delle turbe festanti » e di quel prete Filippi che « dopo aver fatto tanto tribolare i frati e rovinato il convento di Noli » voleva rizzare l’albero a Riva di Taglia (1) Inni ed inscrizioni patriottiche pe.r il giorno 14 Luglio (Genova, Caffa-relli, 1797). (Musica del maestro Stefano Cristiani, cittadino bolognese). Il sonetto onde sono le frasi citate è quello « Occhi miei non vedrete in cielo sorta » e vi è premessa questa nota : « L’ autore degli Inni colpito da un accesso penoso di flussione d’occhi non vedrà il giorno 14 ». Sull’autore, v. retro n. a p. 256. 284 GIORNALE LIGUSTICO e « s arrabbiava di non essere stato a Genova coi rivoluzionarli » (1). Il Serra (Girolamo), il Carbonara, il Cambiaso erano partiti per Mombello il 31 Maggio per accordarsi col Generale. Infatti il Direttorio due giorni prima (10 Pratile) aveva mandate al Faypoult istruzioni, non si frammettesse nelle cose interne della repubblica; salvo che ciò avesse importato alla salute dell esercito; « à la distance où le Directoire se trouve placé il lui est impossible de lui tracer exactement la route qu’il doit suivre;... il compte beaucoup sur sa prudence et sur celle du général Bonaparte avec lequel il aura soin de se concerter le plus fréquemment possible; que le Directoire ne peut empêcher Γétablissement de la démocratie représentative dans Gênes, attendu qu’elle est dans ses principes, mais qu’étant en parfaite neutralité il ne peut prendre part au mouvement insurrectionel, ni s immiscer dans les affaires de Gènes, à moins que la salut de l’armée ne pût être compromise..... quant à la cession de la Spezzia le Directoire s’ en rapporte à sa prudence et à celle du général Bonaparte » (2). È chiaro che queste istruzioni lasciavano ogni libertà al Generale di far nascere 1’ occasione d intervento; e ne trasparisce ben chiara pur quella che egregiamente il l·ranchetti ha chiamato « contraddizione inevitabile fra la prima idea universale d’una rivoluzione umanitaria, rimasta ornai soltanto ne’ manifesti e discorsi pubblici, e la (1) V. in Appendice il citato doc. VI, anonimo « Non si firmiamo (sic) conclude — perchè lo stesso è il pronatore (forse napoletano per eccitatore) di questi banditi e ci farà levare la vita sapendolo » Riva di Taggia, 29 Maggio. Il Governo rimise la cosa al Governatore «li S. Remo perehè assumesse informazioni. La indicazione del Cerruti è negli Avvisi ad ann. p. 187. (2) \. in nota a p. 304 la lettera del Faypoult e i consigli da lui inviati *1 Generale su quest’ultimo punto. GIORNALE LIGUSTICO 285 ragione di Stato che aveva preso il sopravvento e regolava gli atti del Governo ». Non ,è che tenendo conto di questa contraddizione che si possono conciliare i dispacci del Direttorio al Clarke , nel Novembre del 1796 , con questi al Faypoult del 1797. Ne’ rapporti con Genova poi, come con Venezia, altro elemento perturbatore, senza tener conto del quale sarebbe impossibile raccapezzarsi, la volontà di Bonaparte: calcolo ed impeto insieme che lasciava stupiti i contemporanei quasi fenomeno nuovo e sovrannaturale (1). Il 5 e 6 Giugno (17 e 18 Pratile) da Bonaparte e da Faypoult per la Repubblica Francese e dai Delegati del Minor Consiglio per la Repubblica di Genova, venne firmata la famosa Convenzione di Mombello (2), Gerolamo Serra nella entusiastica sua lettera al Generale, avea affermati i titoli de’ Genovesi alla preferenza del « Pacificatore dell’ Europa » « per i principii di libertà che hanno sempre serbato fra un servaggio quasi generale, per la forza del loro carattere e i vantaggi della loro posizione » e mentre gli parea venir meno, come in principio fu detto, « per Γ inatteso onore di apporre alla Convenzione la sua firma accanto a quella del Generale » non dimentica rivelandosi in questo, si come il suo tratei maggiore, storico più che poeta, di chiedere l’arrotondamento degli Stati genovesi coll’ annessione di « quegli abitanti degli Appennini che il dispotismo ha cacciati tra i feudi imperiali... misere castella delle nostre montagne » a cui furon dati nomi superbi di contee e marchesati, « e d’ allora P aquila bicipite prese il posto delle insegne della libertà ». « I Signori fecero omaggio delle loro terre all’ Impero, e Genova, dila- (1) Le lettere di Girolamo e di G. B. Serra uomini, il primo specialmente, tutt’ altro clic esaltati, ci ponno dare la misuri di questo stupore e di questo entusiasmo. (2) Corrispondenyï cit. ;ed imp.), Tome III', N. 1869, p. 12? e segg. 286 GIORNALE LIGUSTICO niata dalla discordia, non seppe impedire lo smembramento de suoi Stati » Erano questi feudi che la repubblica democratica chiamerà monti Liguri : Ottone, Carrega e Croce ; Garbagna, Rocchetta ed Isola; S. Stefano, Cabella e Ronco; Torriglia, Mongiardino, Roccaforte ed Arquata. L’Agosto di quell anno, qnando consenti il Generale l’uriione di quei domini alla Repubblica e questi mandarono i loro deputati per fare adesione al nuovo Governo, un gran banchetto fu dato in quella stessa villa di Vincenzo Spinola sulle Mura di Santa Chiara in Carignano, di cui fu parlato a proposito delle leste in onore della cittadina Bonaparte ; la sera vi fu anche ballo grande, e tutta Genova seppe che, per segno di democrazia, s erano adoprati nel banchetto solamente i cucchiai di legno! Torniamo a cose più serie. Girolamo Serra era fin dal 22 membro di quella giunta di patrizi, che coi delegati de’ negozianti doveano provvedere al governo in quel periodo confuso, che non si sapeva allora, ma si vide ben presto a che doveva condurre. Erano gli altri Gianluca Durazzo, Gerolamo Durazzo, Giambattista Serra di Domenico e Gerolamo Balbi. Questa Giunta con quella de negozianti, cinque essi pure, tra cui primeggiavano Emanuele Balbi e Giambattista Rossi che crebbero poi anche più di nome e di importanza durante il Governo democratico, col nome collettivo di Giunta Provvisoria, insieme col Doge e coi due Senatori residenti a Palazzo esercitarono il Governo fino al 14 Giugno « cessando per sempre Γ autorità del Minor Consiglio e dei Col- legi » (1). Così potevasi dire veramente che la parola libertas dello (1) Gaggiero , op cit., p. 160. Da p. 166 a 169 puoi leggervi anche la versione italiana della citata Convenzione. GIORNALE LIGUSTICO 287 stemma genovese aveva assunto un nuovo e inatteso significato (1). Di Prè 1’ antico borgo Il ciel conservi in pace, Di Libertà la face Qui splende e splenderà ! Cosi un vecchio nonagenario cantava : il reverendo Giacomo Grasso detto il Prete del popolo. Nè mancava chi desse alla voce Libertà il significato d’ indipendenza : Sul torbido Danubio Pende l’austriaca spada, Nell’ itala contrada Mai più lampeggierà (2). E qui dicevasi precisamente itala e non genovese , il che significa che Giambattista Serra, nella lettera citata in principio di questo studio, non era il solo che da Genova allargasse il pensiero alla patria tutta, intendendo per nazione, lo diremo coll’ Alfieri « una moltitudine d’ uomini per ragione di clima, di luogo, di costumi, di lingua fra loro diversi; ma non mai due borgherti o cittaduzze che per essere gli uni pertinenza ex gr. di Genova, gli altri di Piemonte, stoltamente adastian- (1) È curiosa l’impressione che si riporta esaminando il Calendario genovese del 1797 improntato a tutti gli uffici e caratteri della costituzione del 1576, e mirando in testa al ben adorno frontespizio il doppio stemma: la croce guelfa da un lato e dall altro la fascia trasversale colla parola stessa che leggiamo tuttora sullo stemma di Bologna. V. « Calendario di Genova sopra l’anno /797, contenente le Notizie ecc. ecc. Nella stamperia Fruconi sulla Piazza della Posta Vecchia con privileggio ». (2) P. A. Sbertoli, scrit. cit. in Giornale degli Studiosi (li, anno 1870), p. 228 e 237. Notevole copia di consimili strofe, fra cui un sonetto di ringraziamento al Faypoult, leggesi in fondo al citato tomo del Desodoards. Per Giambattista Serra (1768-1855) del quale, con nostro dispiacere, non restano notizie biografiche, ci sembra che le sue idee concordino con quelle di Giancarlo. V. retro in questo studio p. 234-238 e le due lettere nella seconda Appendice. 288 GIORNALE LIGUSTICO dosi fanno coi loro piccioli, inutili e impolitici sforzi ridere e trionfare gli elefanteschi lor comuni oppressori » (i). (i) V. Alfieri. Il MisogciUo (Londra, 1799). Prosa I, p. 12 nota, v. pure la nota - j p. 13, o\ è detto che « per quanto si vadano aborrendo fra loro ex gr. i Genovesi e i Piemontesi, il dire tutti e due Si li manifesta entrambi per italiani e condanna il loro odio ». De’ sanguinosi episodii, a cui quest odio ha dato luogo nel 1798, nella recente sua opera ha toccato il Carutti (loco sovraccitato) e già aveva, tra altri, trattato il Bianchi, op. sottocit., tomo II. cap. XVI che s’intitola « Trame cisalpine, liguri e francesi nel 1798 ». V. pure la strofetea messa in bocca al Boccardo, uno dei Novemviri nell’omonimo dramma eroico-comico del P. Luigi Serra: Voi reggerete il trono Le leggi meditando, Coi miei mostacci e il brando II trono io reggerò. Di mille rischi a fronte Nel ligure Ponente L’impeto mio bollente Piemonte assai provò.' Altri de’ novemviri sono il Cuneo, il Gianello, il Tanlongo , il Ruzza, il Montebruno personaggi di cui in questi appunti o nei documenti è qualche notizia. Detta Commissione dei nove è quella succeduta nel Dicembre 1799 al Direttorio. Il dramma, mordacemente satirico com’è, non fu stampato che nel 1865 in una strenna, ma più copie manoscritte se ne trovano nelle biblioteche genovesi ; nemmeno sembra che mai sia stato rappresentato. Questo è — scrisse Ernesto Masi. Parrucche e sanculotti (Milano, Treves, 1886, p. 338) — « uno ilei pochi esempi del teatro giacobino ribellantesi al proprio governo ». La gazzarra dei nove chiudesi colla venuta del Massena e con quelle parole di Giacinto Gianello : ... via gente scellerata, Questa b . . . a alfin é terminata ». Anche in questo dramma certamente si meritò il Serra il doppio rimprovero che gli fa il Clavarino per la Lanterna Magica (op. cit. V, p. 140), ma è innegabile che di molte figure e figurine del tempo ci lasciò de’ ritratti satirici molto utili a chi li prenda non come storia, ma come s;> GIORNALE LIGUSTICO 289 Senza elevarsi a quest’ altezza il popolo applaudiva la rivoluzione avvenuta per le quattro ragioni che il Casti udiva dai marinai nel 1798 : primo, perchè non sarebbe stato più pelato dai nobili mandati a governare le riviere ; secondo, perchè a ognun de’ loro figli era dato salire alle somme cariche alle quali (si noti) era annesso un pingue emolumento; terzo, perchè sarebbe cessata la sfacciata venalità de’giudizi ; quarto, perchè « non essendo stato trovato alcun denaro nelle case di S. Giorgio, aveano tutti per articolo di tede che tra loro se lo fossero spartito gli ex-governanti ». Questo gl’ importava : eguaglianza, finanza, amministrazione, giustizia; del resto i rappresentanti del Governo Provvisorio scrivessero come il Bonelli da Udine che l’Austria non lo volea riconoscere, o come il Borgo da Londra, che le male lingue svisavano il carattere della rivoluzione di Maggio, o come il Conti mandassero relazione intorno alla rettifica del confine cogli Stati di Sua Altezza Serenissima il Duca di Parma, questo non gli premeva gran fatto (1). Il clero, toltone pochi invasati che, imitando gli esempi di tira. V. p es. questo del Corvetto con cui terminiamo la nota già troppo lunga : Corvetto ognor mellifluo È un fiorellin di Maggio Cangiante, carezzevole, Che agli altri soprastà ; In molle arena — non mai sirena Muovere ingannevole (sic) Fu vista b. .. ar con maggior grazia ; Sempre a prometter facile A mantener difficile, Fa bella colle lagrime La sua mobilità. (ii V. in Appendice i documenti XIV, XV e XVI del 9 e 22 Agosto e del 2 Settembre. 290 GIORNALE LIGUSTICO Lombardia e di Venezia, aveano gittata la veste e il nicchio, e irrompeano come liberati da strette catene nelle cosi dette feste patriottiche, era avverso alle cose nuove. Alcuni bensì non mancavano che salutassero con sentimento più degno la democrazia e la religione strette in un vincolo solo, come il vescovo di Noli, Benedetto Solari, una lettera del quale sulle processioni non sarebbe forse inopportuno ripubblicare anche oggi (0> e come il Degol.i che dal Giugno del 1797 al Dicembre 1799 pubblicò quegli Annali politico-ecclesiastici che contengono notevoli documenti e « in cui tolse principalmente, a dimostrare che i migliori ordini civili trovano valido puntello nelle dottrine cattoliche ». « Messosi dalla parte dei moderati, vide con lieto animo quel rivolgimento da cui sperava che dovesse venire nuova prosperità a tutta la Liguria, predicò unione e concordia, s’adoperò a reprimere odii e a conciliare opinioni ». Ardua opera questa, nella quale non pare che lo aiutassero molti, almeno in sulle prime. A quest’ opera sarebbero stati pari gli uomini del Governo che, a modo francese fu detto Provvisorio, e alla testa dei quali il Generale, anche a Genova come a Venezia, avea voluto 1’ ex-doge Giacomo Maria Brignole ? Erano essi ven-tidue e salirono poi a ventitré. Il Botta (2) gli disse « uomini (1) Du Gubeknatis, op. cit, p. 209 e seguenti. Pastorale del cittadino Vescovo colla data 5 Giugno 1798 anno primo della Repubblica e l’intestazione solita : Libertà, eguagliatila e fraternità. (2) Mentre ripulisco questi appunti trovo l’opuscolo Lettere di Carlo Botta al conte Tommaso Littardi (Genova, Sordo-muti, 1873,1 ove 110,1 pure leggesi nuova protesta per le « ampie e scellerate cose fatte da lui (Bonaparte) in Italia, massimamente contro Venezia e contro Genova » ma abbiamo la prova dei volumi della Corrispondenza di Bonaparte nell'edizione 1 anckoucke, e delle annate della Gaietta di Genova e d’ altre carte geno-\esi che il genero del Corvetto mandò all’insigne storico a Parigi; vedasi passim, ma specialmente pp. 15, i7, 19, 20, 51 e su Napoleone, tutta la GIORNALE LIGUSTICO 29I prudenti e lontani da voglie estreme » (1). I loro nomi sono ben noti: Giacomo Maria Brignole, Doge e Presidente; Carlo Cambiaso, Luigi Carbonara (2), Giancarlo Serra di Giacomo, Francesco Cattaneo, Stefano Carrega(3), Luca Gentile, Agostino Pareto, Luigi Corvetto, Francesco Maria Ruzza (4), lettera XIV, p 80 e segg. Altre carte ebbe il Botta da Giovanni Grocco il fondatore della Gazzetta stessa e già autore d’ un’ ode non cattiva fra le innumerevoli sul soggetto: « La nascita del re di Roma ». V. sul Grocco pure Cantù. Monti e l’età che fu sua (Milano, Treves, 1879), p. 74 con alcuni versi di detta ode. (1) V. pure la lettera di Bonaparte al Direttorio nel 15 Pratile (3 Giugno; Corrispondenza cit, ed. imp., n. 18601. Egli vi dice ripromettersi di comporre le cose genovesi cosi che dalla parte di Genova tutto fosse ormai tranquillo e non fossero più a concepirsi timori. (2) Luigi Carbonara (1753-1826) già Senatore e Protettore di S. Giorgio, iamosissimo avvocato; più tardi Conte dell’impero e Consigliere della Corte di Cassazione. Casato estinto. m Questi è certamente 1 'Origo di cui l’Agente francese del Direttorio (V. retro nota 2 a p. 273). Ben supponevamo errore di cognome. D’ un Felice Carrega la villa in Albaro trovasi indicata negli scontri di guerra contro gli insorti del Bisagno nel mese di Settembre. Felice è 1’ altro Origo ivi menzionato e che dapprincipio mi aveva fatto pensare ad un Orengo. (4) È questi il Segretario di Stato da cui sono firmati alcuni dei documenti da noi dati in Appendice. Nato nel 1737, aveva sessant’anni dunque al tempo di cui parliamo. AH’Archivio di Stato [Diversorum cit., anno 17921 filza 1), v’ è un grosso pacco di carte che si riferiscono alla sospensione dall’ufficio (forse per sospetti politici?) da cui fu colpito in quell’anno. NeWArchivio Municipale di Genova pure si serbano due volumi di sue lettere di ufficio. Il Ch.m“ Sig. Prefetto Comm. Colucci che, sappiamo, attende ad un lavoro sulla storia diplomatica di questo tempo, potrà darci maggiori notizie di questo e d’ altri uomini genovesi del principio del secolo, che più meritano d’essere conosciuti. Felice Giacinto Gianelli (o Gianello) di cui si toccò sopra, parlando de’ Novemviri e su cui vedasi anche Poussielgue , op cit.. Pièce 8, a p. 49-51, era egli pure segretario o reggente. Nei documenti che leggonsi in fine del tomo XV della citata edizione italiana del Desodoards è chiamato: Felice Giacinto Gianelli Castiglione. Di Corvetto e Pareto, come ben noti, è inutile qui far altre parole. 292 GIORNALE LIGUSTICO Emanuele Balbi, Agostino Maglione, Gian Antonio Mongiar-dino medico, Francesco Pezzi ufficiale del genio, G. B. Rossi, Luigi Lupi, Gianfrancesco De Albertis, Bacigalupi tenente colonnello del Reggimento Sarzana, Giuseppe Assereto di Rapallo, G. B. Durand di Porto Maurizio, l’avvocato Bertuccioni di Sarzana, il capitano Ruffini da Ovada che fu ammesso in luogo di G. B. Ceruti, e finalmente Marco Federici della Spezia (1). Quest’ultimo, secondo che scrive il Ghirardi in certe sue inedite Annotazioni, che sfortunatamente cessano col 22 Giugno del 1797, « era nelle viste di Bonaparte, ma con intelligenza coi deputati della Repubblica (Carbonara e Serra che avevano firmata la Convenzione), di poterlo escludere » (2). Era sincero Bonaparte accordando questa facoltà d’ esclusione, dopo udite le rimostranze dei due patrizi genovesi ? O conosceva il suo uomo e sapeva eh’ egli conscio « d essere nelle viste del Bonaparte » non si sarebbe lasciato escludere ? Fatto sta che avendo il Generale intimato al Doge Presidente che pel 14 Giugno il Governo fosse insediato, si raccolsero i membri alle sei pomeridiane del giorno 13 e la seduta durò fino alle otto della mattina successiva. Non si i) Non mi fu sinora possibile, nemmeno per mezzo dell’ erudito signor U. Mazzini, della Spezia, che qui ringrazio, vedere i cenni sul Federici che il Belgrano scriveva essersi pubblicati anni addietro nella Strenna di quella città detta il Battiston. \ . intanto 1 opuscolo di A. Neri. Aneddoti Sar^anesi nel tempo della Repubblica Ligure. Sarzana, lip. Lunense; p. II, pp. 19-22 e passim 12) V. Appunti storici e documenti cit., ms. nella R. Biblioteca Universitaria di Genova. Suppi. I, p. 473. Sul privilegio onorifico a Luigi e Benedetto figli di Carlo Ghirardi. V. Diversorum cit., filza 3 (Anno 1793). Anzi ivi si parla anche della stessa concessione fatta a quel Tanlongo che fu pure dei novemviri. Quattro anni prima detto onore era stato conferito al Corvetto. v. M. Staglieno. Appunti e documenti intorno a L. Corvetto in questo Giornale (fase. 3-6 del 1897), p. 136 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 293 può dire che non cominciassero ad attendere seriamente alle cure dello Stato. Il Còrso gli avea svegliati tutti, anche quelli che avrebbero preferito dormire. Si radunarono al Palazzo Reale detto poi Nazionale, nella sala d’udienza del Doge e di là passarono nel salotto grande del suo appartamento « essendo il Doge vestito coll’ abito ducale » ma invece del robone portava la robetta. Entrando a palazzo aveano potuto ancora i nuovi governanti ammirare le statue colossali dei due Doria che faceano guardia, con fiero cipiglio, all’ingresso, nè prevedeano che due giorni dopo esse sarebbero state dalla turba furibonda abbattute e tratte per la città a ludibrio, e le marmoree teste di Andrea e Giovannandrea offerte quasi trofeo del « dispotismo debellato » a’ piedi dell’ altare della libertà ( 1). (1) V. A. Neri. La statua e una medaglia di A. Doria nel Giornale Ligustico, I, Serie, XIV (anno 1887), p. 22. È ben nota la lettera di Bonaparte al Governo Provvisorio colla data del r.° Messidoro (19 Giugno , (Corrispondenza cit., ed. imp., n. 1938), che fu dal Neri riscontrata nel nostro Archivio (Governo Provvisorio, mazzo 13). Voleva Bonaparte fosse nuovamente innalzata la statua dell’ uomo che fu « gran marinaio e grande uomo di Stato », asseriva che « Γ aristocrazia era la libertà del suo tempo » si offriva a sopportare parte della spesa. Per le lettere del Faypoult che hanno lo scopo di giustificare il Governo Provvisorio se non aderisce al desiderio di Bonaparte, v. Corrispondenza (ed. Panckoucke, V ol. IV , P· 3)4 357; U Neri ha rettificato a questo proposito le osservazioni del Petit e dimostrato che la lettera del Faypoult concorda con quella mandata dal Governo e che fu veramente scritta dal Corvetto. Il governo deplorava 1’ accaduto, ma mostrava a Bonaparte che sarebbe stato inconsulto, in quel-l’eccitamento degli animi, istruire il popolo a rovescio delle lezioni che da un decennio quasi gli avevano impartito i banditori della nuova democrazia; mostrargli che libertà fosse quella che il Fieschi aveva voluto, distinguere nel Doria il padre della patria dal fondatore della aristocrazia. Più tardi, in più tranquilli momenti, anche la statua del Doria, opera egregia del Montorsoli, avrebbe potuto essere da altro scalpello riprodotta e, insieme a quella del Colombo essere innalzata a perpetuo decoro di qualche pub- % 294 GIORNALE LIGUSTICO Durava nel salotto grande dell’appartamento ducale la seduta; non era Ira i convenuti il Federici, ma inviava frequenti istanze adducendo d’avervi diritto. Conoscendone le gesta giacobine nella riviera di Levante, molti lo volevano escluso e adduceano esservi incompatibilità, poiché era egli vice console di Francia. Ma finalmente si presentò lui stesso a palazzo con gran corteo di seguaci che gridavano e plaudivano, nè dovea parergli piccol segno de’ tempi mutati ch’egli fosse anche nella superba cosi acclamato come alla Spezia. Dichiarò eh’ egli avea rinunziato all’ ufficio di vice console e venne tosto introdotto e sedette nel Governo Provvisorio. Fra le deliberazioni prese in quella notte memoranda sopra il Mercordi 14 di Giugno fu l’amnistia per i prigionieri politici, gran parte de’ quali erano addensati in una chiesa (difficilmente quella di S. Andrea, ancor unita , mediante un voltone e un passaggio coperto, al reale palazzo; più probabilmente quella inclusa nel bastione che chiudeva il cortile del palazzo stesso); ma provvedendo agli spari delle artiglierie e alle pompe della festa della libertà, il Governo avea dimenticato di stabilire le norme con cui eseguire 1’01 dine d’amnistia, e si ebbe poi funestata la sera del giorno quattordici da qualche cosa più grave che non i bruciamenti innocui di Piazza Acquaverde : voglio dire la blico edificio. Quanto alla statua di Giannandrea, opera quell.1 di Taddeo Carlone, non ne parlava il Bonaparte e tanto meno quindi il Governo. I resti mutilati delle due statue furono, com’ è noto, dopo mezzo secolo, ricovrate p.r cura dei Doria, nel chiostro della Chiesa gentilizia di San Matteo, dove narra acconcia iscrizione Γ abbattimento e il lungo ludibrio e Γ ultimo rifugio. I vuoti piedistalli in sulla fronte del Palazzo Ducale attendono ancora quelle statue del Caffaro e dell’ Embriaco che ben augurava Anton Giulio Barrili avessero a sorgervi per narrare le più antiche, le più pure glorie del Comune di Genova. Sull’ abbattimento della statua di S. Giorgio a Sarzana nel di 20 Giugno, λ'. A. Neri. Aneddoti cit., p. 11. GIORNALE LIGUSTICO 295 liberazione dei prigionieri a forza di popolo. Fu questa , insieme all’ abbattimento delle statue dei Doria , la parte fosca di quella giornata : piccola parte e che attestava civiltà molta del popolo, se la paragoniamo alle scene sanguinose d’altre città e regioni d’Italia in questo periodo. Quanto ai roghi dell’Acquaverde e al decreto (8 Giugno) per fare della casa dello speziale Morando nazionale monumento, come aveano tatto gli Svizzeri della casa di Guglielmo Teli, le chiamò il Tivaroni « fanciullaggini adottate da per tutto da popolo inesperto, d’improvviso chiamato a stato nuovo» (1). Però non (1) Tivaroni, op. cit., p. 500. Il Desodoards (tomo XV cit. della trad. ital. p. 95) riferisce l’iscrizione che fu apposta alla casa del Morando. V. pure A. Neri. Gli alberi della libertà a Genova nel !’]<)'], in questo Giornale Ligustico , Anno 1876, p. 391. Per la festa del 14 Luglio sappiamo chi forni il legname, cioè il cittadino G B. Gambaro e lo Sbertoli nel suo Diario ha notati 22 luoghi o piazze dove le antenne furono innalzate; ma quattro antenne furono prese di sera, altre ne’ giorni festivi ; e il cittadino Gambaro, che tenea deposito di legname, non sa dove queste abbiano precisamente servito. Per l’albero innalzato nel gran cortile dell’ Università, possiamo leggere un’ode del prete Bertora, professore di Grammatica nell’Università stessa, in una Miscellanea della Biblioteca della Missione Urbana (30, I, 44). Nella Miscellanea stessa è pure un Cantico del cittadino Ambrogio Viale. (In Genova, 1797. Presso il cittadino G. B. Caffa-relli), che si chiude, dopo fatto 1’ elogio de’ generali di Francia, coi versi : E te dirò, per cui tanti fur porti Mai visti esempi alla stupita terra, N011 minor Bonaparte, onor dei forti Astro di pace e fulmine di guerra. Tra le fanciullaggini noteremo questa riferita dal Poussielgue (Relai- cit., p. 36, n. 2), mentre i vestiti di parata del Doge si recavano in Piazza d’Acquaverde poi detta della Libertà : « Lorsque le cortège passait, un homme très bien mis fût touché par les habits du Doge qu'on portait sur un brancart. Sur le champ il défit son habit, et le jetta sur le brancart en disant qu’il ne voulait pas être souillé par le contact de ces restes impurs de l’oligarchie expirante ». , Parla il Varese , nella Storia della repubblica di Genova dalla sua 296 GIORNALE LIGUSTICO vi difettava certa poesia (1), nè mancò un tratto caratteristico di Genova, quando sottratti al rogo l’ombrellino del Doge e lo scettro e la spalliera del trono ducale, fu stabilito che avessero questi a recarsi pel divin culto alla cattedrale; e in fatto l’ombrellino ducale servi non più a covrire magistrato o principe, ma bensì il SS. Sacramento. Del Governo assistevano all’Acquaverde due soli , e ambedue della Riviera di Levante : il Bertuccioni di Sarzana e il famoso Federici della Spezia. « Il giorno sedici - opportunamente conclude il Clavarino -si vide sminuire sensibilmente quel grande entusiasmo e si ricominciarono i lavori ». Se ancora scoppiò qualche disordine e la Guardia Nazionale, per la provvisoria sua organizzazione, si mostrò inabile a domarlo da sola, essa fu aiutata — possiamo crederlo all’ annalista — dalla popolazione e particolarmente da quella Giunta commerciale di cui si è già parlato e della quale fino dal 5 Giugno facevano parte, oltre ad Emanuele Balbi e Giambattista Rossi saliti poi al Governo, Venceslao Piccardo, Emanuele Scorza ed Emanuele Gnecco. Il decreto che vi si riferisce si troverà fra i documenti in Appendice. Una Giunta criminale composta di cinque avvocati : Langland, origine sino al 1S14 (Yves Gravier libraio. Genova 1838). Tomo Vili, p. 307, di certo notaro già beneficato dai nobili e a questi già devotissimo, che a nome del popolo chiese a Palazzo il Libro d’oro per portarlo a bruciare. Chi era costui? ti) V. p. es. l’episodio degli schiavi barbareschi liberati nella festa del 14 Luglio coll’imposizione del berretto frigio. Sventuratamente il bey non volle rendere il contraccambio, dicendo che a lui erano ben utili i prigionieri cristiani ! Cosi il comico succedeva al drammatico, come in molti episodi di quegli anni fortunosi, v. L. Grillo. I Turchi liberi e i Genovesi schiavi. Episodio storico del 14 Luglio 1797, in citato Giornale degli Studiosi, IV (1872), p. 401. GIORNALE LIGUSTICO 297 Costa, Sartorio, Laberio e Rivara dovea vegliare insieme al Comitato di polizia e procedere con giudizio marziale contro chi attentasse alle persone 0 alle proprietà, particolarmente poi al Palazzo Nazionale o alla Casa di S. Giorgio. Il Comitato degli esteri era composto di Carbonara, Ruzza e Corvetto; quello di polizia di Cambiaso, Mongiardino e Pareto. Perchè questa esclusione dei Serra e particolarmente di Giancarlo? Sopra, per difetto di spazio, io non ho indicati i membri di tutti i comitati, ma soltanto de’ principali dove avremmo dovuto trovare i rappresentanti di quella famiglia, che avea singolarmente primeggiato nel promuovere le novazioni e che s’era in quest’ opera, cosi negli anni che precedettero come nei mesi che seguirono la rivoluzione del 21 e 22 Maggio, attirate simpatie grandi e diffidenze ed odii anche maggiori. I nobili minacciati fin dal 1794 d’andar tutti scannati, come diceano i citati biglietti di calice, perchè odiati tutti « o come aristocratici o come democratici, o come imbecilli e pusillanimi » (1), accusavano i Serra e principalmente Giancarlo, l’amico di Robespierre il giovine, d’aver contribuito a fomentare 1’ odio e il dispregio contro tutta la classe loro. I borghesi, gli avvocati, i commercianti volevano l’eguaglianza, ma per tradizione aveano maggiore rispetto pei Doria ed i Brignole, l’uno dei quali con esempio unico nella storia della Repubblica aristocratica, era stato Doge due volte, che non per i giovani Serra, teste calde che lavoravano contro l’interesse del ceto loro. I nobili aderenti a Francia e a Bonaparte mal vedevano l’ambizione di Giancarlo che, accusato in altro tempo come nuovo Duca di Orleans, ora aveano in timore e dispetto quasi s’atteggiasse a Robe- (1) Appunti storici citati, ms. nella Biblioteca Universitaria , tomo XII, n 26, p. 55. Giorn. Ligustico. Anno XXII. 20 29S GIORNALE LIGUSTICO spierre e, non meno de’ conservatori, gli auguravano forse in cor loro di iar la fine dell’uno e dell’altro. Bonaparte, conoscitore acuto ed estimatore degli ingegni, apprezzava il Serra, ma faceva conto anche più della concordia nella repubblica beniamina, e il suo uomo lo troverà, non nel Serra, ma in quell’altro ingegnoso, maneggevole e duttile : l’avvocato Luigi Corvetto (1). Non erano dunque concordi nemmeno i novatori, e ciò dava tanta maggiore forza al rappresentante della Francia, che era uomo avuto in conto d’ abile diplomatico dal Bonaparte più del Clarke e del Miot — secondo che egli stesso ebbe a confessare — voglio dire il famoso Faypoult o Faipoult, come è sempre scritto nel Panckoucke, le lettere del quale da Genova nel 1796 e 1797 non sono meno importanti a consultare , P abbiamo già detto, che quelle del Bonaparte stesso per capire la politica del Generale e del Direttorio rispetto alla Serenissima Repubblica di Genova e poi al Governo Provvisorio (2). La lettera di Gerolamo Francesco Serra del i.° Vendemmiaio (22 Settembre), prega il Generale perchè « il Faypoult si ristringa all’ esercizio delle sue funzioni » Giambattista o anche Giancarlo , di cui io credo , quello che era entrato nella Commissione Legislativa, interpretava le idee, 1) Sul Corvetto abbiamo più scritti, ma tutti poco si diffondono sulla opera sua (diciamolo col tempo) in democrazia v. p. e. Baron de Nervo. Le Comte Corvetto etc. (Paris, Lévy, 1869), in principio e le osservazioni sull’ opera stessa del Belgrano in Archivio storico ital. Serie III, tomo XI, parte I. — Documenti importanti per la biografia diede ultimamente in luce, in questo Giornale Ligustico, il march. M. Staglieno secondo che sopra fu detto. (2) Non sia discaro al lettore lo spoglio delle lettere al Bonaparte non pure dei Serra, ma del Faypoult, del Lavallette e dei due generali Duphot e Lannes che riguardano le cose genovesi del 1797. Mi servo del IV volume del citato Panckoucke « Correspondance inedite officielle et confidentielle de Napoléon Bonaparte avec les Cours étrangères, le princes, les ministres et les généraux etc., en Italie, en Allemagne et en Egypte. Paris, c. L. F. Pan- GIORNALE LIGUSTICO i quali meno temeano lo scendere a quistioni di persone, e parlavano ben chiaro anche in casi siffatti, avrebbero accusato senz’ altro il Faypoult d’ inframmettenza e di complicità col ckoucke, 1819», vol. IV, livre troisième. Affaires particulières de Gênes et d’Italie, p. 293-414. Faypoult 2 Pratile Ann. V 21 Maggio p. 312 » 3 Y> » 22 » » 316 )) 4 ') » 23 )) » 320 » 4 )) » 23 )) » 321 » 4 » )) 23 )) )) 322 » 7 )) » 26 » » 323 » 8 » )) 27 )) » 326 )) 9 » )) 28 )) )) 329 » 11 »> )) 30 )) » 332 Lavallette 11 )) )> 30 » )) 334 Faypoult 12 » » 31 )) )) 338 (*) G. F. Serra II >) )) 30 » » 340- •42 Faypoult 25 )) » r3 Giugno » 342 » 29 » )) 17 1 » 345 (*) G. B. Serra 6 Messidoro » 24 )> » 347- 54 (*) Faypoult IO » » 28 » rt 354- 57 (*) G. B. Serra 17 » )) S Luglio » 357- 59 » r9 Fruttidoro » 5 settembre » 359 )) 20 » » 6 « )) 360 Duphot 20 » » 6 » » 363 Faypoult 2? » » 9 » )) 365 Duphot 25 » » II )) » 366 Faypoult 27 » » 13 )) » 367 Lannes 28 » » 14 » » 369 Faypoult 4 complem. » 20 » » 372 O G. F. Serra I Vendemmiajo Ann. VI 22 » )) 376- 78 Faypoult 7 » )) 28 » » 379 » 12 » » 3 Ottobre » 381 » 23 » » 14 > )) 383 » !3 Brumajo » 3 Novembr. » 403 » 5 Annebbiatore » 25 )) )) 413 Le lettere dei fratelli Serra qui tradotte in Appendice ho segnato con 300 GIORNALE LIGUSTICO Duphot nel reprimere nel sangue le rivolte non sapute prudentemente prevenire. Ma il Faypoult era a Bonaparte carissimo; Gerolamo Serra che lo sapeva, e forse dalla bocca dello stesso Generale l’avea sentito dire a Mombello, usò frase più diplomatica; ma il senso tornava lo stesso. I Serra volevano trasformato il governo, ma ristretto e temperato; entusiasti del Bonaparte ma gelosi dell’ indipendenza dello Stato, volevano serbarne alcune delle forme e delle tradizioni in cui stava il suo carattere, non che tutto andasse travolto da quella furia di distruzione del passato eh’ era stata così terribile nella Francia. L’idea di Giancarlo Serra (i), di far predicare il verbo democratico da preti liberali mandati al popolo de’ villaggi e de’ paesi su per le tre valli e lungo le due riviere, quasi la spiegazione del vangelo, dopo le religiose funzioni di ogni domenica, poteva essere discussa; in pratica si mostrò cattiva e provocatrice di disordini essendo il popolo, specialmente nelle campagne, irritato per altre novità decretate dalla Costituzione : cioè che alla nazione spettavano i beni ecclesiastici e che doveano esser tolte alle curie le facoltà di ordinare gli ecclesiastici e di conferire i beneficii. Ma i disordini erano scoppiati nelle valli ed erano stati repressi fieramente dal Duphot per più profonda causa che non le coc- un asterisco così pure quella del Faypoult alla quale si riferiva il Neri nel suo articolo sulla statua di Andrea Doria. (V. retro nota a p. 293). (1) V. quel che n’ è detto nella lettera di G. B Serra (II, in Append. II) e V. pure : Piano della missione patriotica da eseguirsi nella città e nelle riviere di G. C. Serra approvato dal Governo Provvisorio nella Sessione del 4 Luglio e firmato dal Corvetto. 11 25 di quel mese fu introdotta la Deputazione dei missionari nazionali fra cui erano (abbiamo detto) il Degola e il Montebruno. — In quest’ anno abbiamo pure di G. C. Serra il Discorso sullo stabilimento della municipalità provvisoria di tutta la Repubblica Ligure stampato dal Governo Provvisorio. Era la primavera del favore di Giancarlo, che svanì ben presto. GIORNALE LIGUSTICO 3OI carde de’ delegati governativi volute dal Serra; al più potrà dirsi che questa era stata la scintilla che aveva fatto divampare l’incendio. La ragione era che dei quattordicimila fusili tratti via dallo arsenale di Palazzo, nella rivoluzione di Maggio, ben pochi erano stati riportati, quantunque il Governo avesse promesso quattro lire per ognuno. Il fremito dei vivamaria non erasi ancora chetato fuor di città dov’ era maggiore il fanatismo, minore l’assiduità al lavoro e la preoccupazione degli interessi economici. Parte , diceasi, dei fucili erano stati venduti a padroni di bastimenti che gli aveano recati a Livorno, molti distribuiti per le valli dove vegliavano i paesani armati ed attoniti vedendo, per il momento, i loro nobili e i loro preti fraternizzare coi moran-disti e coi giacobini, cogli accoliti del Saliceti e del \^italiani ; stavano ad osservare ove andasse a finire simil gioco, e diffidavano molto. Che eccitatori vi fossero fra i patrizi stessi spogliati del potere non esiteremo a crederlo. In sui primi di Giugno, Francesco Cattaneo, che il Governo per compiacere al Faypoult teneva guardato in casa, elusa la sorveglianza della polizia, era corso in Portoria a distribuire denaro a’carbonari per eccitarli a nuova rivoluzione e , catturato era venuto in tanto furore che aveano dovuto legargli, non pure le mani, ma anche le braccia stesse ; eravi dunque ancora nel patriziato qualche amatore feroce della costituzione antica che avrebbe voluto muovere il popolo, e contro i Francesi fare nel 1797 quello che cinquantanni prima erasi fatto contro gli Austriaci. Ma 1’ aristocrazia non feroce nel suo complesso come chiamavaia Labindo, F amico de’ fratelli Boccardi (1), ma insipiente, (1) Belgrano. Imbreviature più volte citate, p. 144 nota e passim. Di Antonio e più di Bartolomeo Boccardo « uomo di non mediocre ingegno » come diceva il Botta, successo al Massuccone quale Ministro di Genova a Parigi, diede parecchie notizie il Belgrano. A Parigi questi aveva, egli dice « zelati più gi’ interessi della democrazia, che quelli della nobiltà » GIORNALE LIGUSTICO come la chiamò, correggendo, il Belgrano, avea perduta ogni ragion d essere ed ogni forza dopo la Convenzione di Mom-bello. Poteano insorgere bensì i valligiani del Bisagno alla voce di Marcantonio da Sori e tentare gli insorti di Polce-vera d aggredire la batteria di S. Benigno ; Duphot batteva gli uni e gli altri ad Albaro, allo Sperone e alla batteria stessa. Onde i conservatori furono del tutto disanimati, erano i primi del Settembre , e rimaneva padrone della situazione , non il partito dei Serra ; ma bensì quello di Ruzza, Corvetto e Carbonara a cui aderiva Michelangelo Cambiaso l’ex-Doge. Molti scrittori lo chiamavano partito francese; più esatto sarebbe il dire che questo partito riteneva tanto migliore il Governo se fosse stato più largo e avesse lasciato alla borghesia il modo di ritemprare col suo vigore la invecchiata macchina governativa; riteneano d’altra parte che se era vero, e lo era pur troppo, che comandava ora la sciabola de’ generali francesi, meglio valeva cercare di tenergli amici, e colle blandizie impedire le prepotenze e i danni che coi dispetti e la resistenza sarebbero stati maggiori. Onde contro i Serra e specialmente Giancarlo rinfrescavano le vecchie accuse e nuove ne avventavano; tra le vecchie quella dei settantaseimila franchi guadagnati nell acquisto d’una fregata inglese, nel- 1 anno 1788, acquisto fatto di sotto mano per mezzo di terzi affine di rivendere poi la fregata alla Repubblica (1); fra le Di ciò avevasi sentore a Genova e il 29 Maggio, fondandosi sulla fuga di un altro fratello Boccardi, di nome Francesco, Direttore dell’ Ufficio delle Poste si trattò di richiamare il Boccardi da Parigi. V. in Appendice il documento III, ove parlasi anche d’ un altro Boccardi loro parente. Noterò pure che nel documento il cognome è sempre dato nella forma Boccardo, non in quella che trovo nel Belgrano. V. anche retro, p. 277-278 in nota). (1) Gaggiero , op cit., p. 54. L acquisto della fregata faceva parte d’un complesso d’armamenti fatti nel 1788 per le minacce del re di Sardegna alla Riviera di Ponente. GIORNALE LIGUSTICO 3°3 nuove quella di aver fatto sospendere in quel Settembre 1797 il processo contro il figlio dell’ ex-Doge Francesco Brignole , compromesso gravemente nei moti dei valligiani di Bisagno e di Polcevera. Erano il Ruzza e il Corvetto stati mandati a Bonapaite per dargli ragione de’ tumulti destati a Genova dalla nuova costituzione. Possiamo argomentare dalle lettere di Bonaparte, che leggiamo nelle due collezioni, che cosa rispose il Generale ai due deputati. Non credessero eh egli favorisse i disegni ambiziosi del Serra, se pur questi ne avea, si fidassero del Faypoult, uomo amantissimo di Genova non meno che della Francia e fossero concordi (1). « La république de Gênes n’existe que par le commerce, le commerce n’existe que par la confiance. Il n’y a pas de confiance sous un gouvernement faible, il n’y a pas de confiance dans un pa}s ou il y a des factions ». Raccomandava energia e avvedutezza paragonando il giovane stato a vascello sbattuto dai flutti, se parte del carico andava perduto, egli ne avrebbe dato colpa a chi stava al timone. Quanto a’ pirati barbareschi avrebbe pensato la flotta francese a purgarne il Mediterraneo, e assicurare i liguri commerci. Non aveva egli mandato a Malta appunto Poussielgue lo storico o cronista, che lo volessero chiamare, della rivoluzione genovese (2) per vedere quali disegni (1) Convien dire che ben s’apponeva Bonaparte nel raccomandare agli italiani due cose di cui massimamente difettavano : armi e concordia. Le parole trascritte sono nella lettera da lui diretta al Governo Provvisorio il 28 Pratile (16 Giugno). V. Corrispondenza cit. (ed. imp.), n. 1933- (2) <1 Je connais, scriveva Bonaparte al Poussielgue parlando della sua Relation de la revolution de Gênes, peu d’ouvrages aussi simples, aussi vrais et aussi persuasifs » Ibi, n. 2169, colla data 23 Fruttidoro (9 Settembre). Colla stessa data (Ibi, N. 2170), Bonaparte scrive al Faypoult d’acquistarne cinquecento 'copie « Je vous prie d’envoyer les trois cents autres à tous nos ministres en Europe, à tous les ministres de^ affaires étrangères des gou- GIORNALE LIGUSTICO convenisse colorire rispetto a quella importantissima posizione ? Si rassicurassero che, quantunque per un verso Sardegna ambisse impadronirsi della riviera di Ponente, e la Cisalpina per 1 altro ( i) nientemeno che della Spezia, egli vegliava vernements italiens, aux membres les plus marquants de tous les partis du Conseil des 500, des 250, aux Congrès des Grisons, aux principaux Cantons de la Suisse et à nos principaux consuls en Espagne ». È questa la Relation di cui fu parlato di sopra a p. 237 in nota). (i) Fin dal Settembre del 1796 Clarke a nome del Direttorio avea trattato per vendere Genova al re di Sardegna contro quest’ isola e una grossa somma di denaro. Ma questa pratica non ebbe seguito. Sciout, op. cit., Il, P' e seoo· Quanto alla Spezia (che in queste lettere francesi è sempre chiamata Spezzia) interessantissima è la lettera del Faypoult a Bonaparte del 2 Pratile (21 Maggio) (Corrispondenza, ed. Panckoucke, IV, p. 312, la prima del quadro suesposto). Ne traduco qualche tratto : «... altro aspettando v intratterrò, generale, della vostra idea d’ annettere il golfo della Spezia alla repubblica lombarda. Io capisco quanto sarà prezioso per lei d avere la posizione più magnifica che possa trovarsi per un porto militare e commerciale. Ma se voi le date Venezia, ovvero de’ porti suU’Adriatico, non sarà questo sufficiente per la necessità indispensabile delle sue comunicazioni marittime ; e aumentando gli organi di queste comunicazioni non darete voi a questa repubblica (che presto o tardi dovrà inghiottire il Piemonte e Parma) i mezzi d’ alzare un giorno sul Mediterraneo una bandiera che sugli scali del Levante acquisterebbe una considerazione troppo grande per il nostro commercio di Marsiglia ? Se il commercio marittimo della Lombardia resta un po’ ristretto, facile sarà a Marsiglia di mantener lei 1 approvvigionamento delle popolazioni dell" Insubria colle derrate del Levante e d America. — Se all’ incontro la Spezia si alza ai successi commerciali che e lecito presumere per lei, la navigazione lombarda appoggiata su due mari, potrà rivaleggiare col mezzogiorno nostro e bastare da sè per importazioni, che, senza di ciò sarebbero, in parte, rimaste in nostra mano. Ecco, generai mio , delle considerazioni commerciali sulle quali darete la \ostra decisione, come su ogni altra cosa; perchè si sa per prova che nessun argomento è nuovo o arduo per voi ». In una delle lettere successive il Ministro gli scrive che sarebbe il Ponente più incline a darsi a Francia, ma il Levante no ; an\i dicono alla Spezia che vogliono sovra tutto GIORNALE LIGUSTICO 30) in favore della Liguria e ciò non si sarebbe fatto mai. Egli aveva dovuto confessare anche l’anno precedente che « a Genova il Governo avea più nerbo che non si credesse » (1) non per merito dei governanti, chè erano stati pessimi finché l’aristocrazia non era caduta, ma perchè la città era prospera, laboriosa e ricca. « Venezia — ha scritto il Thiers, fondandosi sulle memorie del Conte di Montholon — non ispirava alcuna stima a Bonaparte sotto un rapporto molto essere italiani. Le quali parole ricordano il giudizio già pronunciato dal Lachèze nel Vendemmiajo del 1796 sui patriotti genovesi (V. Archives nationaux, A F.3, 66 cit., in Sciout, op. cit., II, pp. 61-62 e segg). Sulla cessione della Spezia desiderata dalla Cisalpina. V. pure Sybel, op. cit., V, p. 159, ove citasi il documento in parte sopra tradotto. Quanto poi alle considerazioni commerciali, esse permanevano tali nel 1798 e il nostro Franchetti ha daW Archivio di Genova tLett Ministri. Mazzo 29, Cat. 348, disp. 12 Febbraio e 31 Marzo 17981, tratti i dispacci che, quasi con identiche parole, mandavano ai governi loro il λ isconti Ministro della Cisalpina e il Massuccone Ministro della Repubblica Ligure a Parigi. « Il Direttorio voleva bensì spargere in Italia le massime del repubblicanismo, ma non mai lasciarvi formare una repubblica sola e potente , capace col tempo di gareggiare nelle armi e nel commercio colla repubblica I-'nmcese ». È noto che tale fu pure il concetto del primo Console e dell’ Imperatore, e alla futura Napoleonopoli, che dovea sorgere presso le Grazie nel golfo della Spezia, egli soltanto pensò dopoché anche la Liguria fu annessa all’Impero. E dell’annessione (25 Maggio 1805) grande manipolatore fu il Saliceti, che avea ben lavorato a rigenerare Genova anche nel 1797, un Còrso lui pure come Bonaparte. Veramente ha singolari vendette la storia! (i) V. lettera al Direttorio dell’8 Germinale, anno IV (28 Marzo 1796). Corrispondenza cit. (ed. imp.), N. 94. La lettera è scritta da Nizza, e il Generale la conclude annunziando che entro quattro giorni avrebbe trasportato il suo quartier generale ad Albenga. Allora probabilmente aveva apprezzato le larghezze usate a’suoi soldati da Vincenzo Spinola e ben lo ricordava oltre un anno di poi (V. la lettera al Faypoult del 15 Vendemmiajo, 6 Ottobre 1797, che sarà citata più sotto). 3o6 GIORNALE LIGUSTICO importante a’ suoi occhi: la potenza » (i). Questa potenza a Genova c’ era ; era rappresentata da’ suoi commercianti e da’ suoi banchieri ; per ciò il Generale le usò sempre certi riguardi. Il Corvetto avvocato, specialmente reputato appunto nelle cause commerciali « ingegnoso - come dice il Botta -e giusto estimatore delle cose del mondo » seppe avveduta-mente confermare questa idea nella mente del Generale e nel Gennaio del 1798, quando la costituzione fu cangiata, il Presidente del Direttorio fu appunto lui. Che un mutamento nella costituzione fosse necessario lo vedeva anche il Generale. Molti degli inconvenienti che Gerolamo Serra lamentava nella lettera del 22 Settembre, che qui si ripubblica, erano reali e non immaginarli. Errore e non piccolo era stato certamente quello di tassare le casate antiche : Doria, Pallavicini, Durazzo, Fieschi, Gentili, Spinola, Sauli, ecc. ecc., per i quattro milioni che il Governo aristocratico aveva pagato alla Francia, come indennità in seguito all’ incidente della Modesta. Questa personale responsabilità che il Governo Provvisorio addossava a tutti i componenti la vecchia aristocrazia per una deliberazione regolarmente presa e riguardante cosa di Stato, questa retroattività, per cosi dire, data alla pena, questa minaccia di confisca contro coloro che, non pagassero era esplosione di vendetta, pericolosa perchè le vecchie casate aveano numerose clientele e ne doveano derivare — pensava Bonaparte — i torbidi che di fatto seguirono. Cinque dei Durazzo e quattro dei Doria (2), oltre a qualcuno di tre altre antiche famiglie, (1) Thiers. Histoire de la révolution française, livre XXXVI; tome V, p. iy6(ed. Bruxelles, 1846). A p. 178, il Thiers notava come Bonaparte compiacevasi d avere ridestato lo spirito guerresco fra gli italiani. V. pure p. 80, sulle repressioni di Duphot a Genova e sui consigli di Bonaparte al Governo Provvisorio. (2) È curiosa la notizia che troviamo nel citato libro del Cantù : che il famoso Salfi, a Milano, non si salvò invece dalla bordaglia reazionaria, che lo voleva morto, se non facendosi credere un Doria di Genova. GIORNALE LIGUSTICO 307 erano stati arrestati per i tumulti destati dalla proclamazione della costituzione democratica; ma la radice prima della loro opposizione stava precisamente in quella impolitica e vendicativa decisione del Governo Provvisorio. Occorreva dunque un più savio procedere, occorreva, com’egli aveva scritto al Governo stesso fin dal 28 Pratile (16 Giugno), non prendere consiglio che dalla salute pubblica e dall’ interesse della patria. E al Governo medesimo scriveva il 24 Fruttidoro ( 10 Settembre) (1), da Passariano nello stesso giorno in cui rispon- (1) Corrispondenza cit. (ed. imp.) N. 1933 e N. 2182. A proposito della lettera del Bonaparte all’arcivescovo Lercari, si noti che anche nel 1796 a proposito del vescovo di Bergamo, egli aveva lodato il clero italiano e dichiarato che se tale fosse stato il francese « la religion n’aurait subi aucun changement en France ». Egualmente lodava il cardinale Mattei e i vescovi di Bologna e Modena, Pavia e Pisa, discorrendo coi quali eragli sembrato trovarsi « au première siècles de l’église ». La pastorale del Lercari è riprodotta in parte nel Clavarino. Ann. cit., appendice al vol. V, p. 18. Nella citata risposta di Bonaparte, verso la fine, egli parla di altri prelati che, alla pari dell’ arcivescovo Lercari « ispiravano il rispetto, obbligavano i nemici a stimarli, ad ammirarli », « Vous convertissez —continuava — même l’incredule. J’espère sous peu être à Gênes; un des mes plus grands plaisirs sera de vous voir. Un prélat comme Fénelon, l’archevêque de Milan , l’archevêque de Ravenne rend la religion aimable en pratiquant toutes les vertus qu’elle enseigne, et c’est le plus beau présent que le ciel puisse faire à une ville et à un gouvernement ». Quanto, scrivendo queste verità, egli fosse sincero è un secreto che è rimasto fra il grand’ uomo e Dio. Malgrado tanti documenti esplorati, la certezza eh’ egli fosse costantemente menzognero e intento a servirsi di tutto, anche della religione, per il suo scopo d’ ambizione, non Γ abbiamo acquistata. Certo in questa sua prima maravigliosa campagna del 1796 l’ambizione non l’aveva ancora del tutto acciecato, nè pareva così sordo come fu poi a « quelque criaille d’italiens » secondo che cinicamente s’ esprimeva Talleyrand a proposito del trattato di Campoformio. « Nous l’avons vu naguère — scriveva il Sybel (ed. e trad. cit., p. 408) concludendo quello che riguarda la politica di Bonaparte rispetto alla Chiesa — qualifier le sentiments religieux de faiblesse dont un souverain habile pouvait tirer parti pour s'emparer des 3o8 GIORNALE LIGUSTICO deva la lettera famosa a Monsignor Lercari, Arcivescovo di Genova, compiacendosi della sua pastorale dove avea « cru entendre un de douze apôtres ». Raccomandava al Governo agisse con forza, facesse disarmare i villaggi ribelli, arrestare i principali colpevoli : « faitez remplacer les mauvais prêtres, ces lâches qui au lieu de prêcher la morale de l’Evangile prêchent la tyrannie : chassez les curés , ces scélérats qui ont amené le peuple et armé le bon paysan contre sa propre cause; que l’archevêque nous fournisse des prêtres qui, comme lui, nous rétracent toutes les vertus des Pères de l’Église ». E su questo punto di dare al popolo de’ buoni curati egli torna il 15 Vendemmiaio (6 Ottobre), ricordando al Governo che se a Genova egli metteva « la religion , je dirai même plus, la superstition aux prises avec la liberté, la première l’emportera dans l’esprit du peuple ». L’idea stessa e colle stesse parole egli esprimeva, scrivendo nel medesimo giorno al Faypoult; e in questa lettera gli raccomandava Vincenzo Spinola, ricordando che, quand’ era governatore di San Remo, era stato largo di denaro coi soldati della Repubblica. Egli non obliava i servigi e siccome ne aveva avuti anche da Faypoult, rimproverava perfino Lannes , mandato a Genova a occuparla militarmente dopo l’insurrezione dei paesani, perchè aveva trattato con poco riguardo il ministro di Francia, amico del generalissimo. Ma se Girolamo Serra diceva del Duphot che « abilissimo per organizzare milizie, non è fatto per il posto che circostanze imprevedute gli hanno assegnato » hommes et les diriger ». « Il n’avait que du mépris pour les idéologues qui pensaient que le droit et la liberté, loin de nuire au pouvoir souverain, ne pouvaient que le consolider ». Senza sconoscere la giustezza di queste osservazioni e delle altre da noi stessi fatte nella nota alla seconda lettera di G. F. Serra, ci sembra che la malattia di quell’anima non fosse ancora cosi grave nel tempo del quale stiamo parlando. GIORNALE LIGUSTICO il Lannes alla sua volta scrive a Bonaparte dichiarandosi pronto a far il generale dove e come gli si comandava, ma non a governare quella gente ingovernabile ». Perchè la trovava tale 1’ antico esecutore delle feroci sentenze di Bonaparte, ad Arquata e negli altri leudi imperiali ? Per « le caractère italien, dont il faut toujours se méfier » come confidenzialmente avea scritto il 23 Fruttidoro (9 Settembre) il Generale al Faypoult (1), lui che pure italiano era di nascita e di schiatta, nè prevedeva che il Michelet e il Taine, a’ nostri di, andassero fantasticando per lui non so che origini puniche e saracene ? Perchè, confessava fin dal Termidoro del 1796 il console Lachèze al Direttorio « noi siamo entrati da loro da conquista-tori e padroni , gli spogliamo del loro oro e dei loro monumenti artistici e, ciò che ancor più gli rivolta, essi sono in preda alle concussioni dei nostri agenti militari ». Intatti il 17 Nevoso del 1796 avendone il Bonaparte trovato uno d’onesto « S’il y avait — aveva scritto — à l’armée une quinzaine de commissaires de guerre comme celui là, vous pourriez leur faire présent de cent mille écusà chacun et nous aurions gagné une quinzaine de millions » (2). « Odiando — ripigliava il Lachèze — le nostre persone, essi non sono portati ad ammettere i nostri principii ». E il 20 Vendemmiaio (li Ottobre 1896) esprime lo stesso concetto del Lannes che a dir vero onora la popolazione di cui parlavano e mostrava che se non era libera in fatto , come diceano a parole, non (1) Corrispondenza cit. (ed. imp), N. 2168. (2) Da una lettera del tomo II della Corrispondenza cit. (ed. imp.), p. 230, citata in Sciout , op. vol. cit., p. 133. La corruzione dilagava da Parigi seguendo il triplice esercito : della Sambra e Mosa, del Reno, delle Alpi. La condotta di Barras e il famoso episodio Querini-Barras sono troppo noti. Sulla venalità a Parigi, vedasi pure Nicomede Bianchi. Storia della monarchia piemontese dal 177} al 18S1, tomo II, p. 453-457. Λ 310 GIORNALE LIGUSTICO languiva no, ma fremeva , secondo che voleva , in un suo famoso verso, il fiero Astigiano. « Bisognava diffidare della energia popolare — continuava il Lachèze — come se prevedesse che alla voce di Marcantonio da Sori , avessero potuto ripetersi altri Vespri o altre Pasque funeste ai Francesi; contare sovra un partito a Genova era un errore, ostili i nobili, scoraggiati i commercianti, gli stessi patriotti gridano : siamo prima Genovesi, e Francesi poi » (i). E qui, commentando, lo Sciout s’affrettò a concludere che è per questo che il rovesciamento dell’ aristocrazia era stato differito. Noi abbiamo invece veduto che era nella mente di Bonaparte cadesse prima 1’aristocrazia di Venezia e poi quella di Genova, tutto ciò poi era subordinato all’esito della campagna contro l’Austria. Caduta Mantova, molto, tutto poteva ottenere una semplice staffetta dagli avviliti governi, alla testa de’ quali stavano Lodovico Manin e Giacomo Maria Brignole. Non accuseremo il Lachèze di non essere salito dove saliva l’occhio di Bonaparte, lo loderemo d’avere — e convien dire che anche il Faypoult non è affatto indegno di questa lode — parlato de’ diritti delle popolazioni e degli Stati d’Italia con accenti che lontanamente sì, ma pure ricordano quelli del Foscolo e del Barzoni; gli terremo conto d’aver preveduto la furia dei vivamaria e temuto che essa potesse essere per gli stranieri più lunga e terribile. Lo sarebbe stato con un Governo che meno avesse temuto il ripetersi del 1746, che meno si fosse meritate le accuse che, morendo, gli moveva nel suo testamento il segretario Girolamo Gastaldi. « Va la ruota ancor nel suo giro, ma solo va per la spinta che le fu data a principio e langue ormai nel suo moto » (2). Non somigliano queste (1) Sciout, opera, luogo e documento sopra citati. (2) V. Appendice alle Libere riflessioni cit., p. 78 e segg. « Mi saranno perdonati — diceva con profetico accento il Gastaldi nel testamento — GIORNALE LIGUSTICO parole d’ un commentatore del famoso testamento , a quelle che, della Repubblica di Venezia, avea dette Paolo Renier? Il 29 di Maggio di quell’ anno memorando, quando il Senato e il Doge ricevettero il Lavallette latore della intimazione del Bonaparte, temettero d’ aver addosso precisamente « l’armée » di cui avea parlato il vincitore di Arcole e di Rivoli: « une simple éstafette à Gênes vaudra la présence d’une armée ». E se l’inviato uscendo dalla sala dove avea letta la irriverente epistola potè udire anche le gagliarde parole « ci batteremo », queste veramente non erano nè le parole , nè il sentimento della maggioranza. Il Doge non si lasciò no sfuggire il femmineo lamento di Lodovico Manin, gli apparve forse lo spettro di Pier Maria Canevari (1), forse gli echeggiò pure nell’animo la voce lontana di Giovanni Carbone, quel garzone d’ osteria questi liberi sentimenti nel momento in cui è permessa la libertà. Se si pon freno alla prepotenza, alla smania di governare , al sordido desiderio di arricchire sarà questo un governo felice ; in altro modo i Genovesi, infelici al di dentro, diverranno l’obbrobrio di tutte le nazioni ». Sul Gastaldi vedasi pure indietro, p. 247 , n. 1. (i) Belgrano, op. cit., p. 164-166, concludendo il capitolo « I giacobini liguri », nota che nei moti del 1746-47 non poteva disconoscersi « un tentativo d’allargamento del governo , chiamandovi il popolo a parteciparne ». « Anzi cotesti moti riguardati da questo punto di vista farebbero cessare le meraviglie di quanti non sanno spiegarsi perchè la Signoria sovvenisse tiepida e più per mostra che per realtà il popolo insorto. Cosi egualmente si spiegherebbe perchè gli attori precipui di quel dramma che valse la liberazione di Genova, venissero taciuti o quasi nelle pubblicate carte, tanto che sarebbero rimasti come miti nella tradizione pop .ilare, se dalla studiata dimenticanza non gli avesse ristorati largamente quella che il Botta, con giustissima espressione, chiamava la penna di ferro dell’ Acanelli. Un’eccezione fecero i governanti e fu a prò’ di Pier Maria Canevari che pugnò invero da eroe, ma apparteneva al patriziato ed era figlio un doge ». Un busto del Canevari, opera e dono dello scultore Cevasco. adorna oggi il superiore loggiato di palazzo Tursi, sede del Municipio di G.nov.i. 312 GIORNALE LIGUSTICO che le chiavi ricuperate dal popolo avea riconsegnate a Palazzo nel 1747; ma la decisione fu che conveniva sottomettersi, e se Bonaparte voleva repubblica su modello francese, così si facesse. Il leone di S. Marco avea ben voltata la pagina del Vangelo per farvi leggere al popolo rigeneralo (1) le parole del verbo nuovo; così volevano i fati; anche la Repubblica di S. Giorgio confessava di non essere abbastanza gagliarda per resistervi. Ecco perchè quando leggiamo nel Botta: « a questo modo periva l’antica Repubblica di Genova, feroce, animosa, sanguinosa ed impaziente, non umile, non lacrimosa come la Veneziana », ci pare che il desiderio di scrivere una bella antitesi abbia spinto lo smrico non a falsare, ma a caricare le tinte. Bensì, come vino troppo forte per disavvezzi organismi , la libertà toglieva senno a molti in piazza ed in curia. Sulla fine di quell’anno 1797 ebbe Giancarlo Serra a provare più acerbamente la furia de’ suoi avversarli, la cecità della plebaglia , 1’ arresto che lo indusse a volontario esiglio donde, ch’io sappia, a Genova non è più tornato (2). La vigilia del (1) Volente o nolente fu cosi, per opera di Bonaparte, rigenerato anche il popolo della piccola repubblica di Noli, che pure a Bonaparte, venuto a recare libertà a tante genti, chiedeva « serbare volesse a Noli la libertà di cui godeva ». Prevalse anche qui la volontà di Bonaparte e (diciamolo pure) la forza dei tempi mutati. V. gl’ interessanti cenni dati dal Bertolotto nel Giornale Ligustico del 1891 (p. 311)) riferendo sopra un opuscolo stampato per le nozze di Cesare Salvarezza con Angela Boccalandro. (2) Girolamo pure venne bandito, dopo la partenza di Bonaparte per 1’ Egitto e tornò a Genova solamente durante il Consolato. Se poi Luigi Bossi aiui alludesse, o a Carlo, o a Battista, parlando di coloro che nella primavera del 1799 in Francia e a Genova anelavano all’unità della patria. « Cicognara, Serra, S. Angelo, Dandolo, Alessandri ecc. », non saprei ora. Melzi. Memorie e documenti, I, 231. Certo che unitari erano tutti tre, ma specialmente Giancarlo e Giambattista del quale ultimo, sventuratamente , sappiamo appena quel tanto che basta ad acuire il desiderio del rimanente. GIORNALE LIGUSTICO 3 1 3 21 Dicembre all’uscire dalia cattedrale per recarsi a Palazzo (aveva assistito alla funzione religiosa come membro del Governo Provvisorio) (i) venne egli dalla folla minacciato e insultato. Un Calafatti, ottuagenario, prete e già rinchiuso nell’ospedale de’ pazzi, istigato dal medico Trucco aveva pubblicato certo anonimo libello col titolo Le prime fila della controrivoluzione del 4- / - 6 Settembre dove , con iscandalosa menzognera stoltezza, accusavasi Giancarlo come istigatore del moto de’ paesani. L’ex nobile Vincenzo Lomellini era pure coinvolto nell’ accusa. La sera, in piazza della Libertà, oratori invasati e faziosi eccitarono la folla a chiedere al Governo, com’essi dicevano, giustizia, e il Trucco poi senza altro tentava di spingere la masnada contro il palazzo dei Serra a Santa Sabina per recarvi fuoco e saccheggio (2). Il Governo fece arrestare i due ex-nobili, Serra e Lomellini, e l’accusatore Trucco insieme. Nel Grillo troviamo pure riferiti i nomi dei componenti la Commissione che dovea giudicare, e tra questi era l’abbate Nicolò Mangini, che di Giambattista Serra era collega nella Commissione Legislativa e sapeva qual fosse la mente, quale il carattere di lui e dei fratelli. Rimase agli arresti Giancarlo dal 23 Dicembre al 13 Gennaio; in quel giorno finalmente la Gaietta Nazionale annunziò che la Com- (ij Giancarlo Serra Dominici era invece della Municipalità e del Comitato di Pubblica beneficenza. Questo è il ramo decorato di corona comitale da Napoleone, e che tuttora possiede il palazzo in Via Nuova, il quale già fu del mentovato ambasciatore Cristoforo Spinola. Alizeri, Guida di Genova (Genova, Sambolino, 1875), p. 182-185. (2) Palazzo dei discendenti di Vincenzo Serra, fratello dei Gracchi di cui abbiamo parlato, e che Giacomo loro padre « intorno al 1780, coi tipi del Pellegrini . . . avanzò di vastità e d’ eleganza, per ciò solo che ai figli piacesse abitarvi in comune ». Alizeri, op. cit., p. 404-405. Sui ricordi e le effigie dei nostri Serra, ivi serbate, v. Belgrano, monogr. citata p. 124 e passim. Giorw. Ligustico. Anno XXII. 2j 3 Μ GIORNALE LIGUSTICO mission z per atto di mera giustizia 1’avea prosciolto dall’arresto e decretato che dovesse rientrare nel Governo (i). Egli invece lasciò Genova e la casa che il padre Giacomo avea fatta più ampia ed adorna « per ciò solo che piacesse ai figli abitarvi in comune », andò in Francia e colà rappresentò la Repubblica Ligure, più crediamo per volere di Bonaparte, il quale molto 10 stimava ed amava, che non della Repubblica stessa, e fu con questo stesso ufficio alla Corte di Spagna. « Postremo quum rerum potiretur Napoléon — come lasciò scritto il fratello Girolamo — apud Sarmatas, Vindelicos, Saxones », rappresentò P Imperatore, e per lui P anno delle battaglie che da Dresda appunto e da Lipsia presero il nome, « labente imperii fato » essendo Dresda assediata dai coalizzati, non seppesi nemmeno se di ferro o di veleno, fu spento: il 27 Ottobre del milleottocentotredici. Insigne per virtù d’ingegno e d’animo e degno di quell’antica Repubblica di cui il fratei suo tracciò la storia , raccomandò (nel vano turbinio di fatti e di nomi di quel periodo dominato dal Còrso), la sua fama ai due Commentarii « de bello Germanico », « de bello Sarmatico » ove ben gli parve usare la lingua di Cesare e di Tacito a incidere le belliche imprese dell’ Imperatore (2). (1) Nella citata sua lettera del 30 Giugno 1798 il Casti fa a G B. Rossi quondam Valentino, già menzionato e che scherzosamente chiamava sè stesso Ministro della Miseria anziché della Finanza, 1’ elogio d’ essere stato sempre « moderato . . . uno di quei pochi che impedirono il massacro dei sessanta nobili chiusi nel Palazzo per ostaggio il dì 4, 5 settembre e che 11 popolo fanatico voleva assolutamente massacrare prima d’andare a combattere i contadini sollevati dagli ex nobili e dai preti ». Questo tratto, che la riscontro all’ episodio riguardante Ginncarlo Serra, si chiude con una osservazione caratteristica: « nonostante, in un rovescio, sarà uno dei primi ad essere sacrificato ». (2) Commentariorum De b. G. Partes duae. Auctore J. C. Serra. Parisiis Excudebat P. Didot MDCCCVII. — Id. De b. S. Liber unicus (senza nome d’A ), Dresdae. Typis Gàrtnerianis. Edebat J. B. Costa. Nelle observations GIORNALE LIGUSTICO SIS Le imprese genovesi del tempo meritavano , ahimè ! altra lingua e più dimesso stile. Ai cittadini e ai deputati delle riviere che venivano a fraternizzare nell’ antica dominante , il Governo Provvisorio s’era rivolto dicendo che solo restava « a fabbricare sugli avanzi della debellata aristocrazia, Γ edificio immutabile della pubblica felicità: la nostra costituzione ». Quanto all’ immutabile cosi andarono le cose , che in seguito ai fatti del Settembre, la costituzione fu modificata sopprimendo Doge e Senato e dando il potere esecutivo a un Direttorio (1). Fu nelle popolari assemblee votata questa nuova costituzione secondo la libertà consentita dai fucili e dai sur Vouvrage en général, che tengono dietro a un breve dizionario de’ nomi geografici adoperati, parlando della riuscita dell’opera « il faudrait — egli dice — l’attribuér uniquement a ce que l’histoire présentait pour ainsi dire, sur le même plan, les Scipions donnant la paix à l’Asie ébranlée et Napoléon recueillant à la fois l’admiration et la réconnaissance de l’Europe qu’il pacifiait à Tilsitt » (De b. S., pp. 77'78)· 11 Cantù che nella citata sua opera sul Monti (p. 83), parla di più latinisti del tempo, e nemmeno dimentica quel Gagliuffi, che in versi latini ridusse il codice napoleonico, non ricorda il nostro Giancarlo. Dal quale non vogliamo staccarci senza dare, non l’epigrafe che Francesco Carrega dettò per la tomba di Dresda e che il lettore può trovare nel Belgrano , ma l’indicazione della n uscita trascritta dal Libro d’ Oro nella Biblioteca della R. Università (Liber aur. nob. Genuae, a P. Didaco Maria Clavarensi Min Obs.) _corretto da Nicola Melchiorre Longo con quello dell’Eccell."· Giovanni Torriglia quondam Paolo Gerolamo — ad vocem Serra « Jo. Car. Franc, nat. et baptiz. domi de licentia 29 Aug., et suppletae sacrae ceremoniae in ecclesia parochiali S. Siri, 6 Septembris 1760». Segue la stessa indicazione per Girolamo: « Hier. Franc. Lucianus, n. 22 et baptiz. Julii (sic) 1761 in ecclesia etc. ut supra ». (1) Senza dimenticare sulle costituzioni italiane di questo tempo i dotti e precisi articoli inseriti nella Nuova Antologia da Luigi Palma, attendiamo da Tommaso Casini la pubblicazione : Governi e assemblee in Italia dal 1796 al 1814, che sarà il volume 8.“ della utilissima Biblioteca storica del risorgimento italiano, edita dalla Società editrice « Dante Alighieri ». 3ι6 GIORNALE LIGUSTICO cannoni del Lannes, e i due Consigli nominarono il Direttorio nel Gennaio del 1798. Fu Presidente Luigi Corvetto e de’ personaggi che conosciamo salirono ai ministeri : G. B. Rossi del q. Valentino per le finanze o miserie, coni’ ei soleva chiamarle, Marco Federici per la guerra e marina, Francesco Maria Ruzza per gli affari esteri e la giustizia. Ma quanto riguarda le vicende del nuovo Governo esce dai limiti che ci eravamo imposti ; e qui, per ora, dobbiamo arrestarci. APPENDICE I.* DOCUMENTI I (i). Vengono suggeriti dal Sig. Calvi due espedienti da prendersi dal Ser."° Governo per impedire che dal Generale Bonaparte venga spinta truppa verso Genova. Il primo : di chiamare li Consoli delle Arti ed altri Deputati per parte dei Cittadini per interpellare li medesimi se il popolo desideri cambiamenti nel Governo e quali, e per rimettere poi al detto Generale il risultato. Secondo : di trovare qualche mezzo pecuniario d’ affezionarsi quelle persone le quali potessero coadiuvare 1’ intento. 11 suddetto procurerà la dilazione di qualche mese alle risoluzioni di detto Generale. 26 Maggio. Si propone di mandare al Generale Bonaparte il negoziante Calvi con un patrizio e col Cav. Lomellino, oppure solo, affinchè il Generale Bonaparte non prenda ingerenza relativamente al Governo della (1) Arch. di Stato di Genova. Sala 50 (494). Rcg. 5 : Scansia F. GIORNALE LICUSTICO 3 '7 Repubblica di Genova, per ottenere che non venga da esso Generale spedita truppa verso Genova « restringendo a questi due soli soggetti tutte le incombenze del patrizio e del negoziante Calvi, oltre il Complimento per la Pace. E di autorizzare detto negoziante Calvi a poter spendere per detti oggetti sino alla somma di Lire cento mila ». Si propone poi « di aggiungere nella istruzione la informazione della pratica portata questa sera al Min. Cons.° corroborandola colle ragioni del discorso dell’ Ecc.m° Michel Angelo Cambiaso (i), facendo valere anche che è contro tutti i diritti e ragionamenti il pretendere che si pongano in libertà i detenuti qualora fossero rei, perchè ritornassero a praticare i commessi eccessi ». II. 27 Maggio. Al Sig. Generale in capo della Repubblica Francese, Il governo della Serenissima Repubblica di Genova ha deputati li patrizj Gerolamo Durazzo e Cesare D’ Oria e il cittadino Adamo Calvi con incarico di portarsi appresso il Sig. Generale in capo per rinnovare un atto di rispettoso attaccamento ed amicizia verso la Repubblica francese ed insieme dell’alta considerazione che professa verso il di Lei grande Generale (2). (1) Già doge; personaggio di cui fu più volte parlato. Mori Γ anno stesso di G. C. Serra (1813). Casato estinto. Era stato nominato Senator Deputato a Bonaparte nel Giugno 1797. Con suo biglietto al Doge del 13 di quel mese prega d’ esserne esonerato « per la imminente cessazione dell’ attuale governo e per la podagra da cui era travagliato » (Arch. di St. di Genova, loc. cit.). Noteremo che il Brignole continuò a chiamarsi Presidènte-doge soltanto sino ai primi del mese successivo annunziando gli Avvisi dell’il di Luglio che da alcuni giorni aveva smesso quell’ ultimo titolo, ormai superfluo. (2) V. il testo a p. 279-280 e sull’ esito della missione la lettera di Bonaparte al Direttorio del 13 Pratile (1 Giugno) Corr. cit. (ed. imp.) N. 1853; pp. no-m del vol. III. Il generale vi unisce anche copia d’ una lettera che il Senato di Genova scriveva ai deputati inviati a lui e che era stata intercettata a Milano (!) « MM., continua, Doria Durazzo et le négociant Calvi sont venus pour me sonder de la part du Sénat. Je leur ai dit que l’intention du gouvernement français n’était pas de souffrir que 318 GIORNALE LIGUSTICO Sono altresì incaricati di rappresentare al Sig. Generale alcuni oggetti che formano le attuali sollecitudini del Governo Serenissimo, e per ciò il sottoscritto ha 1’ onore di pregare lo stesso Sig. Generale di accogliere suddetti Deputati con la già sperimentata sua begninità, e di prestar piena fede a quanto essi saranno per esporre in nome della Repubblica di Genova. C. Francesco M. Ruzza Segretario di Stato, III (i). (28 Maggio). Rilevato nel circolo Serenissimo che tra li detenuti per i fatti occorsi il giorno 22 e 23 corrente si ritrova un Boccardo che è parente immediato del Magnifico Bartolomeo Boccardo, Ministro in Parigi. Essere voce comune che il M.c0 Francesco Boccardo direttore del-l’Uffizio delle Poste e fratello di detto Ministro Boccardo siasi assentato dalla città senza sapersi il luogo ove siasi rifugiato, che tale assenza seguita immediatamente dopo la nota Rivoluzione dava fondato motivo di credere che detto Magnifico Francesco possa aver avuto parte nella medesima e che tale era 1’ opinione generale : che pertanto les petites puissances d’Italie continuassent plus longtemps à manquer à la grande republique, que le sang français avait coulé dans les rues de Gênes, que l’on n’avait rien fait de ce qu’il fallait pour donner satisfaction au Ministre Faipoult; que le peuple maltraitait dans les rues les Français, d’où il fallait conclure ou que le Gouvernement était sans pouvoir, ou qu’il avait des mauvaises intentions et que, dans l’un et l’autre cas, il fallait 10,000 français en garnison a Gênes. » Una lettera che è falsa tutta, fuorché nella conclusione che a Genova egli voleva mettervi soldati francesi. E lui stesso che la cacciata del re di Sardegna dal Piemonte attribuiva se non erro , « alla differenza delle organizzazioni fisiche » d’un pigmeo che trovisi alle prese con un gigante! Come il Saint Pierre non vedeva Hobbes qui dentro? (1) Fu di questi fratelli Boccardi toccato nel testo. Qui si dirà solo che Francesco erasi riparato sotto la robusta egida di Faypoult nel palazzo Spinola Poussielgue, Relat. cit. pag. 28 e che nelle più volte citate filze Diversorum (Sala Serenissimi Collegi) è un documento che comprova l’arresto di Antonio Boccardi, il terzo fratello che era da poco tempo (10 Giugno 1797) Commissario al Lazzaretto del Varignano. Arrestato per rivoluzionario, colla data suesposta si deliberò che fosse rilasciato (Filza ult. ad annum). GIORNALE LIGUSTICO si faceva riflettere non essere assolutamente conveniente la continuazione del Magnifico Boccardo in Parigi in qualità di Ministro della Serenissima Repubblica. Propongo di deliberare, atteso di aver terminato il Magnifico Boccardo il tempo prefisso dalla legge, che si rimandino al medesimo le di lui lettere ricredenziali motivando al Magnifico Boccardo la trasmissione di suddette lettere con il motivo di sgravare la Camera da una doppia spesa visto che il pubblico Errarlo deve supplire alli due Μ. M. Commissarii che si trovano in Parigi. Francesco Maria (Ruzza). IV (i). « Pel Magistrato Illustrissimo dei Signori Supremi Sindacatori da comunicarsi ai Serenissimi Collegi ». (26 Maggio 1797). Per abbuso di fatto in Genova tutto si adula, mai sinceramente si manifestano 1’ un 1’ altro le proprie salutari riflessioni, tanto più se queste ragirar si devono in cose critiche e dolorose , non si vuole per carattere melanconico proprio dei Genovesi, Signori, non si vuol sentir ragionare di cose triste ne di guai. Eppure e necessario anche di questi ragionare; per difetto di costume ogni cosa si termina con lusinghe : non è più questo il tempo di lusingarsi, è necessario pensare, riflettersi, risolversi. Tal pratica di lusinga è generale, lo vediamo fare tra privati ed ugualmente si osserva nel governo. Così si ragiona in quella casa dicendo 1’ amalato non si frastorni, non si agitino tutti i suoi di casa, forse risanerà, stiamo a vedere; e con tale pratica il medico medesimo 0 tace, o lusinga, e frattanto il malato si agrava e muore, senza avvedersene. L’istesso che accade ad un privato riguardo alla propria salute, accade al governo per la salute pubblica. Per questa non tutti i tempi sono di salute, vengono gli attacchi, le malattie sue proprie, e a queste non si pensa, rincresce discorrerne, (1) V. il testo a p. 282. Sui Supremi Sindacatori v. l’opinione dello Sbertoli alla nota i della stessa pagina. 320 GIORNALE LIGUSTICO crescono le medesime, e non si riparano ; si fanno gravi, occupano il cuore, melanconizzano ma non se ne vuol sentir parlare, ed il rimedio altro non è se non che quello di sempre ripetere. Forse non sarà nulla, voglio lusingarmi che non accadrà. Amano d’essere lusingati ed ingannati nel proprio male, ed in tal modo la malattia cresce, di maniera che è impossibile a ripararla, per cui ben presto vittima si resta della medesima senza avvedersene, indebolisce il governo e perisce. Che lusinghe! che speranze! vi vogliono delle risoluzioni, dell energia ! È necessario vedere, sentire, riflettere, scrutinare ed indi deliberare e riparare. Energia per un pronto provvedimento; energia per un giusto e ragionato stabilimento. Lungi da noi 1’ oligarchia, il barbarismo, la vendetta; si cerchi l’equità, la giustizia, la ragione, ed ecco ben presto la malattia risanata, il popolo contento e più che mai attaccato al suo governo. Questo è il tempo di risolversi ion fermezza; è tempo questo di gittare lo sguardo prudente su dei buoni cittadini, su dei cittadini fedeli, forniti di giusta dottrina e profondi nel sapere, prima che li intricanti facciano loro la scelta, e servirsi dei medesimi cittadini fedeli, occupandoli al ben pubblico e a vantaggio del Governo aggregandoli al corpo legislativo , se abbisogna, e con questi levare le tante zucche, o affamati che al presente governano seduti a varii tribunali. Questo è il tempo di pensare a cose grandi, a pensare a mettere in attività il vasto mare che possediamo, ed ivi impiegare i molti oziosi che qui molestano; si renda il medesimo utile e potente, come lo fu nei tempi antichi, e ne saremo contenti. Questo è il tempo di por fine alle vere oppressioni che soffre il popolo, di por fine e riparare all’ avarizia e all’ ingordiggia estrema dei ricchi e possidenti usata a danno del popolo suddetto, di sollevarlo dalle angustie che soffre; bisogna far seria riflessione sulla strettezza delle abitazioni in città, sull’ enormità delle pigioni di casa che ogni giorno crescono e ripararvi. Questo è il tempo finalmente di proteggere il Commercio, di pensare a renderlo florido, ed imponente, dipendendo da questo la felicità della Patria. Questo è il tempo di sistemare ogni cosa la più trasandata, ed ordinare un ribasso di tutti quei generi di prima necessità, incariti al- 1 eccesso e quasi divenuti, pel loro prezzo, come cosa di lusso. Questo GIORNALE L1GUSTIGO 321 sì, questo è il tempo ancora di togliere di mezzo tanti monopogli e tanti intrichi, estorsioni ed inganni della curia. Aprite gli occhi una volta ed agite con lume, con cognizione, con saggezza, con risoluzione e con disinteressamento, energicamente. Stabilite insomma un governo che sia fermo, retto ed imparziale; e senza dubbio tutto il Mondo sarà vostro ; dico 1’ affezione avrete di quei popoli regolati dalle vostre leggi ; e con ciò riprenderete quella salute, che ora andate perdendo, e non avrete più timore di perderla. Non sono un nemico della Patria io che parlo, ma son cittadino affezionato, abborro la superbia, l’olligarchia, ugualmente che la troppa libertà ed innovazione; vizii tutti che alla fin fine conducono al precipizio, all’ esterminio. Ponderate seriamente quanto sopra ed ho finito. V. Biglietto di calice. prima del 6 Giugno. Quei cannoni postati alla porta di mezzo inquietano ogni ceto di cittadini e devono maggiormente inquietare VV, SS. ; già due volte è venuto il momento di farne uso per sbaglio. Riflettano al pericolo. Si faccia intendere all’ lll.m° Generale di dare gli ordini alli Ufficiali di Palazzo di non dover far uso dei cannoni che si trovano posti all’ imboccatura del Rastello se non che nel caso dell’ ultima necessità, e di non abusare della miccia ad ogni piccolo momentaneo incidente che occorre. Felice Giacinto (Gianello'). VI (c. s.). prima del 6 Giugno. La diminuzione, Serenissimi Signori, delle Gabelle non è quella che faccia il vantaggio del popolo minuto, ma forma utile alli rivenditori come s’ è veduto nell’ adizione delle Carni ; è stata utile invece la diminuzione nella vendita dell’ oglio, del vino , ed il crescimento del pane ; che si amministri la Giustizia prontamente e rettamente, e 322 GIORNALE LIGUSTICO segnatamente dai Giusdicenti nelle Riviere, varii dei quali smongono il Povero, che non si commettino tante angherie da Birri ed inservienti delle Gabelle, che le pigioni dei poveri siano diminuite e che finalmente si castighino li Perturbatori della vita e sostanza dei cittadini. Serenissimi Signori. — Se non si riscuotono le gabelle non è in caso la repubblica di mantenere li inservienti sì militari che civili e fare le continue spese che occorrono giornalmente. La cessazione dei dazii impossibilita 1’ amministrazione pubblica a mantenere fede verso particolari per corrispondere gli annuali frutti e loro capitali e Luoghi di S. Giorgio (i). « Rilevato che le Gabelle per quanto necessarie, poiché costituiscono il patrimonio del principato, pure converrebbe che si diminuirebbero (sic) quelle che cadono sopra li generi di prima necessità, e specialmente del grano e del vino, col 'caricarsi invece le altre che percuotono gli articoli di lusso ». « Si rimetta il biglietto e le carte annesse ai Deputati agli affari delle Serenissime Compere di S. Giorgio, affinchè colla Giunta provvisoria prendano le opportune deliberazioni ». VII (c. s.). Si sente che il Magnifico Bendinelli Negrone sia per organizzare pur esso una pattuglia. Se questo possa convenire i Serenissimi Signori lo giudicheranno. Si teme pure che dopo pranzo debba esservi una nuova rivoluzione da cominciare all’Acquaverde; prevediamo (?) questa fosse cosa d’alcun effetto, ma ci vuole precauzione e prudenza. (i) Nel 1798 il Corvetto pubblicò il suo Saggio sul Banco di S. Giorgio al qual Banco avrebbe dovuto serbarsi un miglior avvenire. GIORNALE LIGUSTICO 323 4 Giugno. Si comunichi codesto biglietto al Generale il quale, fatto chiamare il Magnifico Bendinelli Negrone gli dirà esser mente dei Signori che non si formi alcuna pattuglia. Quanto alla seconda parte del biglietto il Sig. Generale prenda intelligenza dai Commissarii del Quartiere di Prè e faccia girare anche in questo dopo pranzo verso 1’ Acquaverde tutte quelle Pattuglie che crederà opportune a riparo di qualunque inconveniente. Vili. Riva di Taggia 29 Maggio. Al Serenissimo Doge ed Eccellentissimi Governatori per la Serenissima etc. Le facciamo presente come 1’ ex fratato Prete Agostino Filippi di S. Stefano, quello che ha fatto tanto tribulare i frati e rovinato il convento di Noli, tenta di far partito nella Riva per alzare 1 albero della Libertà francese (1). Lo stesso dice male e del Governo e del Principe e dei Senatori, e si arrabbia di non essere stato in Genova con questi rivoluzionari. Lo facciamo pertanto presente a Loro Signori acciò le prendano pronto riparo. Non si (sic) firmiamo perchè lo stesso è il prettatore di questi banditi e ci farà levare la vita sapendolo e con profonda stima siamo Dev.’"’ et Aff.”" N. N. Su questa e altra del giorno 28 che denunciava detto prete per Giacobino è notato il provvedimento. 2 Giugno. Sua Serenità e gli Eccellentissimi di Palazzo hanno ordinato : si rimettano suddetti anonimi all’ Illustrissimo Sig. Governatore di S. Remo incaricandolo ad assumere le opportune cognizioni di cui sopra. (1) Sugli atteri a Genova V. la nota a p. 295 del testo e sulla pratica corsa fra il Conti Ministro di Genova in Toscana e il Fossombroni per certo albero, di cui quelli di S. Stefano di Magra minacciavano i toscani di Albiano, V. il documento XIII. 324 GIORNALI· LIGUSTICO IX (i). (Da Albenga 29 Maggio). Il Cap. Lorenzo di Negro informa i Serenissimi Signori della fuga di due suoi figli da Pieve, essendo stato colà innalzato l’albero della Libertà. Il Comm." Governativo Reggio (2) conferma tale notizia, ag-giunge inoltre di aver saputo dai giovani Di Negro che nelle vicinanze di Pieve sono stati osservati 250 uomini armati, e che si vociferava poter scendere 405m. uomini verso Finale. Avvisa inoltre d aver avuto notizia dal Borghetto di un prete con coccarda francese il quale spiava la batteria di S. Spirito. X. (Da Alassio jo Maggio). Domenica or scorsa alle ore 23 ricevei lettera dal mio luogotenente di Cosio datata in Pornascio a’ 28 Maggio, e fu riscontrato che per espresso venuto in quella notte da Ceva erano colà arrivate truppe dirette per Pornascio ; novità che si intese da varie parti facendosi anche ascendere a migliaja li soldati esteri; stimai dunque spedire su quei passi per essere meglio assicurato dell’ ingresso di suddetta truppa e già si facevano nei miei feudi regolari pattuglie dirette alla vigilanza e al buon ordine. Alla volta di detto giorno di Domenica circa le ore due ritornò uno di quelli da me spediti ai passi, assicurandomi essere giunti in Pornascio da circa 200 francesi provenienti dal Piemonte, che dicevano di venire nel paese Genovese per il buon ordine promettendo di fucilare sul campo chi si fosse dato ai saccheggi. Stimai dunque di assentarmi dai feudi per certe risse politiche, lasciando però gli opportuni ordini al mio Commissario d’invigilare alla pubblica tranquillità con quella prudenza e delicatezza che esigevano le circostanze. Ieri poi ebbi avviso dal mio Commissario suddetto, dai Μ. M. Consoli della Pieve, e da varie parti, che la detta (1) V. per i documenti IX, X e XI a pag. 280-281. (2) V. suoi rapporti del 1795 cit. a pag. 242 del testo. GIORNALE LIGUSTICO 325 truppa non era altrimenti francese ma collettizia assoldata dai nuovi Ribelli, che Cosio e Mandatica erano già alle prese con quei perversi pregandomi di mandar colà di rinforzi, la qual cosa mi vien replicata con altro espresso in questa notte per parte dei Consoli stessi di Cosio e Mandatica, come meglio SS. VV. Serenissime potranno rilevare dalle acchiuse copie. Serenissimi Signori, il fuoco è troppo esteso, e merita li più grandi provvedimenti e già ho rassegnato con altri espressi a VV. SS. Serenissime un tal punto. Riparto ora per i feudi per assicurarmi se possa fare la spedizione richiesta anche prima di avere quelle istruzioni, che ho addimandate , spiacendomi intanto di osservare in questi Luoghi del loro Dominio un’ inerzia pericolosa e con profondo rispetto ho 1’ onore di essere D. VV. SS. Serenissime Ufttil.0 Dev.mo Obbl.mo Servitore Fedelissimo Servitore Giovanni de’ Signori della Lengueglia. (Accluse le copie di tre lettere pervenute al Lengueglia su quei fatti). Retro 31 Maggio. Letta ai Serenissimi Colleggi, per il solito mezzo si risponda al Conte Lengueglia essergli già state partecipate le deliberazioni di Lor SS. Serenissime le quali gli vengono adesso confermate , e se gli segni in qualunque caso di andare d’intelligenza col-Γ 111." Governatore di Albenga e anche con quello di Finale che restano instruiti opportunamente, avendo altresì date le opportune istruzioni agli altri Giusdicenti finitimi alla Pieve e Pornassio. Si rimetta alla Ecc.~ Giunta de' Confini perchè ne abbia parte, e si legga al Maggior Consiglio. 326 GIORNALE LIGUSTICO XI. 4 Giugno. Affisso a stampa inviato da Gian Benedetto Pareti da Novi ov’ era stato applicato la notte sovra il proclama del Doge così da coprirne il titolo. Avviso Ai buoni Genovesi Libertà Eguaglianza Noi non cerchiamo altro che di restituire al buon popolo di Genova e delle Riviere i diritti che i nobili gli hanno usurpato. Desideriamo che il popolo si governi da sè come una volta, che 1’ Abate di Polcevera e di Bisagno entrino anch’ essi nel governo come prima. Si devono levar tante gabelle che i Nobili hanno messe. Non vogliamo più nobiltà. Viva il popolo di Genova ! Viva il popolo di tutto 10 Stato! Uniamoci tutti assieme, non ci lasciamo vincere dal denaro e dalle buone parole. I Nobili cercano tutti i mezzi di disunirci. Attenti buoni Genovesi! XII (i). ç Giugno. In seguito dell’invito fatto da Sua Serenità in questa mattina ad un numero di Negozianti, affinchè si portassero in San Siro all’ oggetto di coadiuvare al buon ordine di una radunanza di cittadini che correva voce andasse a formarsi, si sono presentati al Serenissimo Doge 11 negozianti Vincislao Piccardo, Emmanuele Scorza, Emmanuele Gnecco ed Emmanuele Balbi i quali rifferiscono che in detta radunanza sono stati li medesimi eletti unitamente al negoziante G. B. Rossi q.” Va- (i) Questo Avviso è dato pure nel Poussielgue, Relat. cit. Pièce N. 15, p. 61-65 voluto letteralmente in francese. Qui é riprodotto di sul testo originale italiano. In testa reca le parole « Doge, governatori, procuratori della Rep. di Genova. ». GIORNALE LIGUSTICO 327 lentino per servire da organo intermediario da conciliare le inquietudini del Ser.m° Governo colli desiderii ed ansietà dei cittadini sul-1’ oggetto della pubblica tranquillità e sicurezza delle persone. Informati Noi, per parte di Sua Serenità, di quanto sopra, abbiamo deliberato anche ad istanza dei suddetti Deputati, che chiunque commetterà violenza od offesa contro le persone di cittadini ed abitanti, o manometterà le loro proprietà, sarà immediatamente arrestato e punito more militari sino alla pena di morte inclusivamente dalla nuova Ecc.m* Giunta Provvisoria, a cui se ne conferisce la coerente facoltà. Rendiamo inoltre noto che non cessiamo di occupare seriamente dell’ ulteriore rilascio di tutti coloro che, arrestati nei passati giorni, risulteranno incolpevoli degli occorsi disordini. Notifichiamo altresi che vanno a formarsi ad istanza dei medesimi Deputati colla maggior celerità altre Compagnie di buoni Cittadini intenti anch essi alla custodia della città e al mantenimento del buon ordine e della pubblica tranquillità, quali Compagnie e loro Ufficiali da approvarsi dalla suaccennata Ecc.mi e M. Giunta Provvisoria resteranno sotto 1 ispezione dell’ 111 m° Generale delle Armi. Finalmente per far noi conoscere quanto concorriamo alla confidenza dei Deputati dei Cittadini, invitiamo ed autorizziamo i Deputati medesimi a conferire ed unirsi colla suddetta Ecc. M. Giunta Provvisoria per gli oggetti suindicati. Dato dal nostro Reai Palazzo li 5 Giugno 1797. Francesco Maria (Ruzza Segr.). XIII (1). Relazione presentata al Fossombroni il 21 Agosto. Con lettera del 14 Agosto s’è avuto notizia che verso le ore 9 */a della sera del giorno (sic) precedente trenta o quaranta persone di (1) Questo documento XIII e l'altro al N.° XVI trovansi nell’Arch. di Stato alla stessa Sala 50; ma al N. 495 Reg. 2.°; Scuisia F. 0 Missione del C.° Paolo Conti per la demarcazione de* confini ». Ivi è pure un biglietto del Conti da Firenze riguardo 3 28 GIORNALE LIGUSTICO S. Stefano, luogo del Genovesato limitrofo alla Toscana, s’incaminas-sero con urli e canti verso Albiano e retrocedessero poi, in sequela (dicesi) dell’ avviso stato recato loro che gli abitanti di Albiano allarmati si fossero posti in stato di difesa. Non si sa qual fosse 1’ oggetto che s’erano prefisso quelli di S. Stefano, ma è da avvertirsi che prima si era sparsa la voce che alcuni di quegli abitatori avessero manifestato la loro idea di voler piantare 1’ albero di libertà in Albiano e che la mattina del 14 suddetto vi fu chi si portò in Albiano per assicurarsi se sussistesse che la notte precedente vi fosse stato eretto 1’ Albero di Libertà da quelli di S. Stefano, come era stato supposto. XIV (i). Dall incaricato Bonelli da Udine. L)a tutto quanto è fin qui accaduto parmi risultare ad evidenza che il Ministro Imperiale ben lungi dall’essere in disposizione di riconoscere il Governo Provvisorio della Ligure Repubblica ha preso perfino tutte le misure per impedire all’ incaricato d’affari della medesima di arrivare a Vienna e presentarsi a quel Regio Ministro. La Corte Imperiale si è egualmente ricusata di riconoscere il nuovo governo dì Venezia. 11 R.“ Ministro ha ricusato assolutamente di ricevere le credenziali del Cittadino Gradenigo Incaricato di Affari per il Governo di Venezia. Udine q Agosto '97. a certo frale Pc^uolo che badando alla data (9 Settembre) potrebbe essere quel parroco d’Albaro (cosi alcuni lo chiamano) che con arringhe aveva eccitato ad insorgere i Bisagnini. · Per convenzione del 178} le città di Genova e Livorno sono eccettuate dall’ estradizione ... se s’inoltrasse in altre parti del Granducato furono dati ordini alla Polizia s’ arresti e sia a disposizione della Rep. Ligure ·. Stavano per cominciare quelli che in detta sala al N. 550. Scansia F si chiamano • tempi vivi dal 26 Ottobre 1797 al 15 Gennaio 1798. · (1) Per i documenti XIV, XV, XVI, Vedi p. 289 del testo. GIORNALE LIGUSTICO 329 XV. Dal ministrò Borgo da Londra. 22 AgOStO I797. Non posso tralasciare di far noto al commitato che si è qui cercato di snaturare la gloriosa nostra rivoluzione con spargere non essere la stessa stata 1’ opera della nazione, ma 1’ effetto dell’ imperiosa influenza del Generale Buonaparte e del Ministro Faypoult, volendo far credere che il popolo non voleva alcun cangiamento e vantando per un atto di spontaneità 1’ operato nel giorno 21 e 22 Maggio della turba prezzolata e delusa. Non ho mai mancato di smentire pubblicamente questa falsa ed assurda asserzione artificiosamente messa in circolazione. C. Angelo Borgo Ministro genovese a Londra. XVI. Missione del C’ Paolo Conti per la demarcazione dei confini Proclama. Il Governo Provvisorio della Repubblica Ligure intento a conservare la integrità del di lei territorio come la buona amicizia e corrispondenza verso i popoli che con essa confinano, e passato a ratificare la Convenzione colla Reai Corte di Parma del tenor seguente : La linea di demarcazione dei due Stati è fissata nella sentenza del 1611 e, in sostanza, come segue: La linea di confine descritta in detta sentenza incomincia al termine del Monte Cento Croci, ascende al Poggio di Santambrogio poi al Foppo di Bella Fantina e continuando per costa di monti e per i luoghi chiamati Arseggie, Pianazzo, Pescino e monte Collero arriva al termine di Pian Pintardo. Da questo discende ai due termini situati ai Borri, entra nel rivo Rerario sino al Taro e, passato questo fiume cammina al sito detto il Pontone dal quale ascende alla pietra dell’ Altare, poi al termine del colle di Nassea, e proseguendo per la Giorni. Ligvitico. Anne XXI. 22 330 GIORNALE LIGUSTICO costa del Rivo Setterone arriva al termine del piano di Cosina, dal quale ascende a Montenegro e quindi passando per i luoghi il Pozzo e Colle del Sambugo arriva alla sommità della Penna donde discende al Monte Cavallino, poi nel Rio Ravezza sino in Taro, per il qual fiume continua all’ insù fino al rio Chilinello. -Da detto Rio ascende per la costa di Monte Pelano e di Monte Dè, arriva al colle dei Caprioli, e passando per la costa Cavanuzza portasi alla linea segnata dai tré termini esistenti al di sotto della strada che va da Varese a Montemoggio e , seguendo per detta linea fino al rio di Malanotte discende per questo sino alla Tarola ov’ esiste il cosidetto Lago Pagano e finalmente ascendendo per detta Tarala e quindi passando per i Prati Frigidi, per la costa di Groppo Marcio e di Costa Gro-parola arriva al sito denominato il Bocco. Chiavari 2 Settembre 1797. Andrea Gambini Comm.° Incaricato per il G.° Provv.° della Rcp.‘ Ligure. Giuseppe Cocconcelli Cap.° Ing.* c 00111111.° per la Reai Corte di Parma. APPENDICE II.·' LETTERE DEI FRATELLI SERRA AL GENERALE BONAPARTE 1. DI GIROLAMO FRANCESCO SERRA (i). Milano 1i Pratile anno $ [30-5-97] Ho 1’ onore di rimettervi i due esemplari della convenzione segreta. Avrete la compiacenza di firmare e rinviarmi la copia che dobbiamo spedire al nostro governo. Il nome di Bonaparte unito al mio, in una carta da cui dipende il destino della mia patria ! Questa idea (1) Le indicazioni del volume (Panckoucke) da cui sono prese le quattro lettere, V. nella nota a p. 298-299. GIORNALE LIGUSTICO 33I così grande, così inattesa da parte mia, s’impadronisce di tutta la mia anima e ingrandisce la sfera delle sue facoltà. Quando si nuota nell’entusiasmo, si perde la coscienza de’ rapporti individuali e si parla ai grand’ uomini come se loro si rassomigliasse. Scusate dunque la mia temerità e degnatevi di leggere tutta intera la mia lettera. Voi non siete fatto, generale, per la prosperità d’un solo popolo, e la differenza fisica delle nazioni non può influire sui vostri sentimenti. Epaminonda, Milziade, Senofonte hanno combattuto per piccole repubbliche e i loro nomi stanno alla pari (sic) cogli eroi dell’ impero romano ; vincitore dei Piemontesi e degli Imperiali, pacificatore del-1’ Europa questi titoli vi sono assicurati e vi eguagliano o vi mettono al di sopra di ciò che 1’ antichità ha di più grande; ma altri godimenti vi sono per voi, cioè di fare altri felici. I Genovesi meritano forse la vostra preferenza per i principii di libertà che hanno sempre serbato fra un servaggio quasi generale, per la forza del loro carattere e i vantaggi della loro posizione. Voi state per dar loro un nuovo governo ; aggiungete qualche cosa che faccia loro tener cara quest’ e-poca, arrotondate uno stato che non ha forma, unite a loro quegli abitanti dell’ Appennino, che il dispotismo ha cacciati tra i feudi imperiali e che la natura ha circondato di montagne e di mari, affinchè formassero cogli altri Liguri una sola famiglia. Traccierò in poche parole la loro origine. I barbari che invasero 1’ Italia dopo aver soggiogate le provincie dell’ impero Romano non poterono stabilirsi nella Liguria marittima. Parecchie città elessero loro magistrati, altre si diedero a signori. Genova, la più potente di tutte, cominciò ad avere dei vascelli, essa divenne bentosto una potenza marittima. Le altre città a lei s’unirono, parte per timore, parte per interesse. I signori fecero omaggio dei loro feudi e divennero cittadini. Tutto ciò che ora chiamasi col nome di feudi imperiali, tutto ciò che tiene al presente il re di Sardegna al di là della Scrivia e della Bormida, fece parte della repubblica di Genova. Bentosto le fazioni de’ Guelfi e dei Ghibellini richiamarono gl’imperatori tedeschi in Italia, i pre-giudizj più che la forza dell’ armi sostennero le folli loro pretensioni. Essi diedero il nome di contee e di marchesati alle misere castella delle nostre montagne, e d’ allora 1’ aquila bicipite prese il posto delle 3 32 GIORNALE LIGUSTICO insegne della libertà. 1 signori fecero omaggio delle loro terre all’ impero e Genova, dilaniata dalla discordia, non potè impedire lo smembramento de’ suoi stati. È tempo chela Francia, che il capo dell’armata d’ Italia, che un politico illuminato come voi siete, mio generale, ristabilisca le cose sull’ antico piede. Oso lusingarmi che voi me ne darete 1’ assicurazione ; i miei colleghi, buoni patriotti quanto me e infinitamente più illuminati e più saggi, l’attendono con impazienza dalla vostra generosità. Voi non ismentirete quel carattere di franchezza e di vera grandezza che è indipendente dagli avvenimenti, e che maestosamente sorpassa tutti gli ostacoli. Ho 1’ onore di essere, etc. IL DI G. B. SERRA. Genova 6 Messidoro anno 5 [24-6-97J. Crederei di mancare alla riconoscenza che ogni buon Genovese deve al generale Bonaparte, s’io tardassi a testimoniargli 1’ espressione de’ miei sentimenti individuali. Pareva che dopo aver forzato 1’ Imperatore alla pace, e liberata una parte della bella Italia, nulla più vi restasse da fare ; al vostro genio e all’ ascendente del vostro nome era serbato d’ operare la più bella delle rivoluzioni. Non una goccia di sangue ha lordato il cambiamento d’ un governo che durava da secoli e fondavasi su inveterate abitudini. I combattimenti, gli assassini , il terrore quasi da per tutto precedono e seguono il momento della catastrofe ; la felice Liguria è libera tra le feste e 1’ allegrezza universale ed è a Bonaparte eh’ essa deve il suo felice cambiamento. Da dieci giorni nulla ha alterato il raro spettacolo di un popolo libero senza licenza. Una fratellanza che aveva i segni tutti della sincerità animava tutti i cittadini; gente che appena si conosceva, s’abbracciavano gli uni gli altri e si felicitavano d’ una così completa metamorfosi. 1 tre quarti dei prigionieri, che la falsa voce d’ un’ amnistia generale avea lasciati evadere, si sono da sè costituiti in prigione, circa centodieci su centosessanta che potevano essere in tutti, GIORNALE LIGUSTICO 333 e con rassegnazione attendono ciò che la saviezza del governo deciderà sulla loro sorte. L’ avvenire ci presenta una prospettiva altrettanto soddisfacente. Il lavoro ed il commercio hanno ripreso la loro solita andatura ; tutto va in ordine ; alcune pattuglie qua e là più frequenti, alcuni corpi di guardia rinforzati rassicurano quelli che non possono ancora concepire come un così grande cambiamento abbia potuto farsi senza scosse. Gli stemmi abbattuti per fare omaggio alla sovranità del popolo annunziano all’ estero che 1’ eguaglianza s’ è assisa per sempre fra le nostre mura. Il Governo Provvisorio, che continua a godere la fiducia della nazione, lavora senza cessa a provvedere a tutto ciò che 1’ antico governo aveva negletto o lasciato interrotto. Alcuni nobili recenti dimenticando che, per il momento, essi debbono usare grande circospezione nella loro condotta, s’ erano lasciati imprudentemente nominare capitani di certe compagnie; fra questi erano alcuni mostratisi sempre nemici della repubblica francese; ciò ha dato occasione ad alcuni lagni da parte dei patriotti. Il governo ha rimediato a questo inconveniente adottando un modo d’ organizzazione militare che non lasci presa all’intrigo e alle antiche abitudini; alcune teste ardenti avrebbero voluto che facesse anche di più, ma finalmente hanno inteso la voce della ragione e la persuasione ha preceduto 1’ autorità. Il popolo genovese, maturo per la libertà, desidera la rivoluzione piena ed intera, ma la vuole spogliata di quei mezzi odiosi, che in Francia hanno procurati tanti nemici alla più bella delle cause. Il vostro nome e le conosciute vostre intenzioni ; la saggezza e 1 ingegno del cittadino Faypoult, che di giorno in giorno si rende più benemerito del popolo genovese ; l’egida potente della repubblica francese ci garantiscono la durata della felice nostra situazione. La commissione legislativa è stata nominata, mi si ha fatto 1’ o-nore di chiamarmi fra i suoi membri ; cercherò di giustificare meglio che mi sarà possibile la confidenza de’ miei concittadini. La nazione tutta s’ attende mutamenti grandi nelle sue leggi politiche civili, cii-. minali, economiche. Domani comincieremo a tenere la prima nostra seduta e poi lavoreremo per finire al più presto, nel termine prescritto il codice rigeneratore della patria nostra. GIORNALE LIGUSTICO Intanto io ho alcune idee a sottoporvi che mi sembrano essenziali per il successo dell’ importante nostro compito. Alcuni de’ miei colleglli, ch’io ho già veduti, sono d’unanime avviso di non toccare affatto la religione nemmeno indirettamente, perchè a Genova siamo in una situazione unica : o si è cattolici o filosofi. I primi, com’ è naturale, vogliono il solenne esercizio del loro culto che è il solo seguito dalla massa (voglio dire la universalità della nazione); gli ultimi, liberi dagli impacci d’un governo bigotto, devono sorridere e non urtare di fronte là superstizione popolare, e rispettano nella religione la morale su cui è fondata e veggono inoltre nell’esercizio pubblico del culto cattolico, uno spettacolo innocente che diverte il popolo senza alcuna mala conseguenza immediata. I nostri preti e monaci non sono ricchi per fortuna ; essi non saranno decisamente contro la rivoluzione se non nel caso che noi andassimo a imbarazzarci colle questioni teologiche, sovra tutto se accordiamo ai preti e frati che lasciano 1’ abito i diritti civili, mentre ne saranno privi quelli che entreranno negli ordini dopo lo stabilimento della costituzione. Secondo i saggi vòstri consigli noi non stabiliremo da noi società popolari, imiteremo in ciò la costituzione francese. Esse non ci potrebbero essere utilissime che in un caso; quando avessimo bisogno di vincere i pregiudizj di campanile per una riunione col resto della Italia libera, supposizione ancora lontana, ma che il vostro genio potrebbe accelerare (i). Quanto all’oggetto essenziale della istruzione della parte del popolo non illuminata, io avrei un’idea che vi presento, buona o cattiva eh’ essa sia. Sarebbe che in ogni circoscrizione municipale, i giorni di Domenica, dopo la messa, cioè dopo mezzodì, alcune persone incaricate dal governo, ma volontariamente facessero per la repubblica e la rivoluzione quello che i curati fanno ne’ loro sermoni e altre cerimonie per la religione ; oltre un discorso civico, si potrebbe leggervi una (0 Nei ben noti Studii retrospettivi. Unità e Federazione del D’ Ancona in Varietà ♦ stor. e letter. (Milano, Treves, 1885), Serie II.*, p. 509 e segg. ov’é l'esame di più stampe genovesi del tempo e de'.!’ opuscolo sulla « Lega Italica » di Benedetto Boselli da Savona, non trovo fatto cenno di quest’ importante lettera di G. B. Serra. GIORNALE LIGUSTICO 33 5 gazzetta istruttiva o degli estratti di libri interessanti; si comincierebbe e finirebbe con un po’ di musica ecc. Ciò diffonderebbe senza spese e personalità le idee democratiche e, con uno spettacolo istruttivo, farebbe attaccato il popolo alla repubblica. Le persone colte, anche quelle che non sono straordinariamente disposte verso il nuovo ordine di cose, augurerebbero che la commissione legislativa avesse la facoltà di non tenersi rigorosamente agli articoli della convenzione di Montebello. i) È impossibile a un piccolo paese come il nostro d avere una rappresentanza di quattrocentocinquanta persone, che bisogna pagare bene o male, sotto pena di sostituire l’ autorità delle ricchezze a quella della nobiltà ereditaria, e se si compone la rappresentanza nazionale di persone non pagate, non vi saranno che alcuni negozianti in picciol numero e alcuni borghesi che vorranno entrarvi; quelli delle riviere non verrebbero senza un’ indennità, e se venissero, le riviere a capo d’ alcuni anni perderebbero tutta la gente agiata che le abita e non potrebbero , dopo tre o quattro anni, dare più rappresentanti. La prima vostra idea di stabilire uno de’ consigli di sessanta e l’altro di trenta era eccellente; il numero è proporzionato alla nostra popolazione e ha la comodità grande di essere multiplo di tre , e questo ci permette di rinnovare per terzo, che è una delle idee migliori della costituzione francese. Sarebbe oltremodo vantaggioso che fosse il multiplo tre anche pelle altre magistrature meno numerose, e questo sarebbe facilissimo portando il numero dei membri del potere esecutivo da tredici a quindici. Quanto ai nomi è buono in tempo di rivoluzione cangiarli, perchè gli antichi essendo avviliti non hanno il rispetto della moltitudine, che delle cose giudica dal nome. Per ciò noi vorremmo sostituire altro nome per i membri del potere esecutivo. Rimpiango il nome di Senato che la Romana repubblica ha reso sì maestoso ; ma cercheremo, intanto, un’ altra denominazione, salvo a rialzar quella quando Bonaparte avrà rigenerata e unita tutta l’Italia. 336 GIORNALE LIGUSTICO 2) V’ è un altro punto anche più importante ; ed è quello che riguarda il porto franco e la banca di S. Giorgio. Troppo duro e ingiusto sarebbe per le riviere di dover pagare le imposte come la capitale, e continuare ad esser prive dei vantaggi de’ comuni. Metà della riviera di Ponente in virtù d’ antiche convenzioni, godeva d’ e-senzione di quasi tutte le imposte ; se essa ha da pagare in proporzione de’ suoi cólti e della sua ricchezza territoriale, bisogna ch’ella trovisi compensata dalla sua compartecipazione al commercio fin qui esclusivo nella capitale. Osservate ancora che Genova non può retrocedere ; al contrario essa sta per diventare più fiorente che mai, per 1 influenza che avranno i negozianti nel governo, e per la franchigia della bandiera, che con alcuni sacrifizj pecuniarj e la protezione della più grande repubblica possiamo ottenere , sovra tutto se Bonaparte vuol continuare a favorire il popolo Genovese come ha fatto fin qui. Credo che, nell’ alto destino che vi è preparato, vi si riserba, come a Pompeo, di purgare il Mediterraneo dai pirati. Sarebbe fare il bene del commercio in generale, e nello stesso tempo il vantaggio delle coste d’ Africa che il commercio arricchirebbe molto più della còrsa infame che le disonora. E così dicasi della banca di S. Giorgio. Nel suo stato attuale essa adempie tre distinte funzioni; serve da banca di deposito, da banca di trasferta e da compagnia finanziaria. Eccellente sotto i due primi rapporti, semplificandola, essa non potrebbe continuare a tiranneggiare il nostro sistema economico come ha fatto sinora, senza perpetuare un’ aristocrazia peggiore di quella che avete distrutto e senza mettere un ostacolo ad ogni idea rigeneratrice. Era uno stato nello stato, che 1’ ignoranza degli scrittori superficiali e stranieri ha preconizzato senza conoscerlo etc. Finisco la lunga mia lettera con un voto che è mio personale. Vorrei, dopo aver contribuito a rigenerare la costituzione gotica della mia patria e a redigere un codice di leggi che possa fare il benessere de’ miei concittadini, vorrei dico venire vicino a voi per iscrivere la vostra storia da filosofo indipendente. Molti francesi lo tenteranno con più o meno talento; ma non ci sarà che un italiano senza pregiudizio che potrà bene scriverla senza passione o adulazione. GIORNALE LIGUSTICO 337 Io non ho senza dubbio i talenti che occorrebbero per ciò ; ma avendo avuto il vantaggio di conoscervi da lungo tempo davvicino , essendo stato in grado di vedervi in una grande varietà di circostanze, io ho alcuni dati più che gli altri. Del resto la vostra vita non è ancora terminata ; pensate che vi sono ancora assai belle pagine da riempire ; voi grandissime cose avete fatte, noi ancora più grandi ne attendiamo da Bonaparte. III. DI G. B. SERRA. Genova 17 Messidoro. Anno 5 [$-7-97]· La nostra rivoluzione continua a presentare lo spettacolo interessante d’ un popolo libero senza licenza. Finora 1’ aristocrazia umiliata non ha tentato d’ arrestare i progressi della rigenerazione genovese. Le teste calde sono contenute dalla grande maggioranza dei buoni cittadini, che sentono vivamente il bisogno dell’ ordine e della tranquillità in un paese che vive di commercio e d’industria. Tutti attendono con impazienza che la commissione legislativa abbia finito il suo lavoro ; secondo tutte le apparenze noi avremo finito nel mese che la convocazione di Montebello aveva prescritto. Noi abbiamo seguito in gran parte la costituzione francese. La sola differenza essenziale è nel potere esecutivo che è più numeroso che non nella costituzione francese , ciò che meglio conviene alle nostre abitudini. Secondo la larghezza che il cittadino Faypoult ci ha accordato, da tredici noi siamo saliti a quindici ; così il terzo può esattamente cambiarsi ogni tre anni. Noi avremmo anche voluta provare una giuria costituzionale, istituzione che sarebbe forse essenziale per decidere delle contestazioni che ponno sorgere fra i due poteri ; ma finora niente v’ ha di deciso. Secondo i saggi vostri consigli abbiamo adottati gli articoli della costituzione del 1795 sulle società popolari e così pure sugli assembramenti. Ciò è tanto più essenziale nel nostro paese ove la bontà del clima offre ai predicatori il mezzo facile d’ avere degli ascoltatori, ai quali 53^ GIORNALE LIGUSTICO si può, o per calore o per cattiva intenzione, suggerire le misure più illegali. Io spero che tutto in quindici giorni sarà terminato. Resterebbero a esaminarsi due punti estremamente essenziali, sui quali io sarei ben lieto d’ udir 1’ opinione di colui a cui noi dobbiamo la nostra rigenerazione, e che ci ha risparmiato tante sciagure che ci minacciavano : 1’ uno sul modo di accettazione e 1’ altro sulle prime elezioni : due punti estremamente delicati. Quando il nostro lavoro sarà finito, noi ci faremo un dovere e un piacere di presentarlo, per mezzo d’ uno di noi, al liberatore del-l’Italia. S’ è sparsa a Genova una voce che m’inquieta : la supposizione del prossimo vostro ritorno in Francia. Ve lo confesserò: sarebbe troppo prematuro ; poiché 1’ Italia non ha saputo fare ella stessa una rivoluzione, è più utile che mai che voi terminate l’opera vostra. Voi avete ben distrutte le aristocrazie e cacciati i barbari dalla bella Italia ; ma due re occupano ancora le estremità e ponno minacciare la culla ondeggiante ancora delle nuove repubbliche. Genova farebbe voti di veder il generale Bonaparte accompagnato soltanto dalla sua gloria; io da parte mia mi lusingo ehe voi non sareste malcontento in mezzo a noi ; voi vi confermereste nell’ idea che gl’italiani non sono quali i pregiudizj gli dipingono ; ma se quest’ idea non può realizzarsi non dimenticate che se la Cisalpina è la vostra figlia primogenita, la Liguria è la vostra Beniamino, o piuttosto fate in modo che le due sorelle non vengano prese da uno spirito di reciproca antipatia. Io lo temo questo spirito che ha perduta 1’ Italia nel medio evo. IV. DI GIROLAMO FRANCESCO SERRA. Genova i vendemmiajo. Anno 6 [22~7bre-’97] Quando ho avuto l’onore di scrìvervi la mia prima lettera, quando la calma più perfetta pareva regnare nella mia patria, io era ben lungi dal prevedere i guaj che doveano scendere sopra di lei. Il fanatismo gli ha fatti nascere, il fanatismo gli alimenta e vorrebbe GIORNALE LIGUSTICO 339 perpetuarli per arricchirsi e regnare. Io non ve ne farò la dolorosa enumerazione ; ma chi potrebbe tacere che un ministro repubblicano e francese, che un generale della vostra armata, malgrado le lezioni sublimi di moderazione e virtù che avrebbe dovuto apprendere da voi (1), protegge un partito disorganizzatore e impedisce il ritorno dell’ ordine e della tranquillità ? Degnatevi, cittadino generale, di occuparvi di noi, e ancora una volta la mia patria sarà salva. È indispensabile, è urgentissimo di dar forza al Governo Provvisorio ; esso avrà forza appena voi gli avrete testimoniata pubblicamente la vostra stima, e fatto intendere al ministro Faypoult di ristringersi all’esercizio delle sue funzioni, e avrete richiamato il generale Duphot. Questo generale, abilissimo per organizzare milizie, non è fatto per il posto che circostanze imprevedute gli hanno assegnato. Non c è tempo da perdere ; la spada degli scannatori pende già sulla testa degli uomini per bene. Le misure da me indicate sventeranno i loro progetti sanguinarj. Al più è utilissimo, come voi 1’ avete osservato, che la costituzione sia differita sino al vostro ritorno da Udine. Quantunque sia quella il grido di collegamento degli esasperati, molta gente crede con me che bisognerebbe correggerla sotto molti rapporti. Mio fratello Giambattista non fu ascoltato, e i suoi colleghi legislatori hanno seguito ciecamente le tracce d’ una costituzione straniera o urtato di fronte i principii più chiari di politica e morale ; senza finanze non v’ ha stato, e il governo costituzionale costerà un milione duegentomila franchi mentre 1’ antico non ne costava la sesta parte. Senza governo vigoroso non c’ è stato, e la costituzione stabilisce un Direttorio di quindici membri. Senza un giuri costituzionale, non libertà; una rivoluzione ne segue un’ altra e una reazione continua (i) Se lo spazio consentisse molti luoghi di questa e delle tre lettere precedenti avrebbero ad essere commentati, e con frutto lo sarebbero. Queste « sublimi lezioni di moderazione e virtù » di cui il Serra loda il generale nell’ anno del trattato di Campo-formio (taccio la Convenzione di Mombelio) provano solo che abbagliati erano in ciò i Serra, come ben diceva il Botta; e assai, assai più Girelamo che Giambattista e Giancarlo; forse per ciò appunto fu più crudele poi la delusione del primo che non dei due suoi fratelli. 340 GIORNALE LIGUSTICO demoralizza il popolo e fa tacere le leggi. Questo deplorevole vuoto della costituzione francese è stato gelosamente serbato nella nostra. Debbo io aggiungere che il milionario spergiuro potrà assidersi sul banco direttoriale e il milionario onest’ uomo ne sarà per sempre escluso ; che la sposa feconda avrà una piccola porzione dei beni del marito e la donna avara che avrà soffocato i germi della sua fecondità ne inghiottirà la metà ? Io non ho bisogno di scendere a maggiori particolari; mio fratello Giambattista ve li darà a viva voce, e se mai vi gradisse udirli da me, se poteste aver caro di conoscere le mie idee su una costituzione, io avrei ben presto 1’ onore di sottoporvele. Ciò eh’ io più desidero, cittadino generale, è che una pace gloriosa o una rapida vittoria a noi vi ravvicini. Se voi vi affrettate ad esaudire i miei voti, un colpo d’ occhio basterà per sostenere e abbellire 1’ opera vostra. Già gode la Francia il frutto della vostra devozione, 1’ Europa pacificata raccoglierà quello delle immortali vostre vittorie, e tutto 1’ antica Liguria attende dalla vostra saggezza. LA STRAGE DE’ MARCHESI MALASPINA DELLA VERRUCOLA (1418) Nel giugno del 1418 cominciò a correre il grido per tutta la Lunigiana che Bartolommeo Malaspina Marchese della Ver-rucola e di Fivizzano fosse stato ucciso a tradimento, insieme colla moglie Margherita Anguissola, che era gravida, e con due o tre de’ suoi figlioletti. Dell’ atroce misfatto si designavano autori Leonardo Malaspina Marchese del Castello dell’ Aquila e il suo fratello Galeotto. Si diceva essere soltanto scampati alla strage, ma prigionieri degli uccisori, il vecchio padre della vittima e i due figli di essa, cioè Spinetta, che aveva venti mesi e si trovava a balia, e la Giovannina sio- 7 1 O GIORNALE LIGUSTICO 34I vinetta sul fiore dell’età, che Leonardo, a quanto sembra, vagheggiava far moglie di Galeotto; si aggiungeva che in mano di costoro erano cadute le terre e castella che formavano il feudo marchionale della Verrucola. Alta pietà e vivo raccapriccio destò per ogni dove il ferocissimo caso. Il Comune di Firenze vi pose risolutamente le mani, e gliene correva non solo il diritto, ma l’obbligo. Signore delle terre di Caprigliola, d’ Albiano e di Stadano, che erano la chiave della Valdimagra, cercava con ogni potere di estendere la propria influenza nel resto della Lunigiana, e così controbilanciare, e all’ occorrenza sorpassare, quella che vi esercitavano i Visconti, alleati di parecchi de’ Malaspina ; dei quali fino dal 29 settembre del 1417, Firenze, che de’ Malaspina di parte guelfa era stata sempre protettrice ed amica, aveva preso sotto la sua accomandigia e protezione appunto il trucidato Bartolommeo e l’ottuagenario padre di lui Niccolò, l’arcivescovo Aragone, Azzo e Bartolommeo di Malgrate, Antonio Alberico di Fosdinovo, Bernabò e Niccolao di Filattiera, Gio. Lodovico e Bernabò di Castiglione del Terziere, e lo stesso Leonardo di Castel dell’ Aquila e il suo fratello Galeotto (1). Pertanto il 7 di luglio inviò in tutta fretta in Lunigiana Guidaccio Pecori e Felice Brancacci con queste istruzioni : « Sarete con Antonio Alberico Marchese Malaspina da Fosdi-» novo, et con Alberigo Malaspina del Terxiere, et con gli » altri loro congiunti guelfi, et di messer Niccolò, et con loro » vi dorrete, dietro delli saluti et conforti fatti per parte della » Signoria nostra, delle crudeltà et tradimenti fatti per Lio-» nardo Marchese et per gli altri contro a messer Niccolò et » figliuolo et nepoti; confortandogli et ammonendogli viril-» mente alla conservatione et mantenimento dello stato et (1) Guasti U. 1 Capitali del Comune di Firenze, inventario e regesto; 1. 666 e seg. GIORNALE LIGUSTICO honore loro et della loro casa. Et che per questo vogliano fare ogni cosa possibile, et per la liberatione delle persone del Marchese ÌSiccolò et de’ nepoti nulla lasciare, chiarificandoli della nostra perfetta et buona dispositione. Et insieme con loro conferite di modo che sieno utili per lo effecto detto et » per la recuperatione delle castella et cose occupate, et ingegnandovi havere da loro il più che potrete intorno a ogni parte. Et mostrerete loro, come veduta la crudeltà et tradimenti usati verso messer Bartolommeo et figliuoli, siamo stati sospesi più dì ad examinare quale sia più utile via per gli decti effecti; et che ultimamente, dubitando della vita di messer Niccolò et de’ nepoti, è paruto più utile et di meno pericolo con parole cortese la liberatione de’ predetti et la recuperatione delle castella et cose occupate per Lionardo et per gli altri ; chiarificandogli, che ove per questa via non venissono a fare quello di che gli richiederete, con forza et per ogni altro modo noi siamo disposti per gli effecti predetti et per honore nostro, il quale vogliamo per ogni modo conservare, nulla lasciando adietro. I subditi, huomini et luoghi di messer Niccolò conforterete conservarsi alla devotione, obedientia et fideltà sua et de7 suoi nepoti, et commenderetegli della loro buona fede, certificandogli che da noi saranno conservati et aiutati, et simile della nostra intentione in fatto di messer Niccolò et de’ nepoti et de’ luoghi occupati. In quello luogo vi parrà utile per la Signoria nostra, et per quello havete a fare et parerà, voi v’ingegnerete operare con Lionardo Marchese et con gli altri. Et con loro vi dorrete delle cose scellerate et abominevoli per essi loro facte in loro infamia et vituperio sempiterno; mostrando loro quanto appresso Dio et a tutto il mondo sono in odio. Et con quelle parole, et altre che vi parrà, gli conforterete et richiederete che prestamente voglino et debbano liberare et relasciare messer Niccolò et suoi nepoti, et mettergli in loro GIORNALE LIGUSTICO 343 « libertà; et le castella et altre cose iniustamente occupate » restituire. In fine certificandogli ove non venissono a fare » quanto sopra diciamo, saremo costretti, per nostro honore » et debito, fare ogni cosa et nulla lasciare adietro perchè la » nostra iusta et honesta intentione et volontà abbia perfec-» tione. Et se a loro, o altri, dispiacerà, non sarà nostro » difetto, ma essi del tutto saranno cagione, et a loro defetto » sarà imputaro, et noi in etterno nel cospetto di ciascuno » iustamente saremo commendati d’ avere fatto quello richiede » la iustitia, la fede, il nostro debito et honore ». Inoltre or-dinavasi ai due ambasciatori: « Nel paese domanderete della » conditione di Gianpiero da Rivo da Verrucola, Cancellieri » di messer Niccolò Marchese, il quale qua abbiamo detenuto; » et se si sente lui essere colpevole in alcuna cosa, et in che, » et di tutto subito ne avisate (i) ». L’otto di luglio si misero in viaggio, e il 20 il Brancacci tornò a Firenze riferendo alla Signoria: « Lionardo rispuose » non essere vivo messer Niccolò, nè’l fanciullo, ma si la » fanciulla; la quale a lui più che a niuno altro s’aspettava » la cardia e la cura; e che l’aveva promessa dare per sposa sei anni la sovraintendenza dello Stabilimento Metallurgico industriale in » Sampierdarena, e presto lo condusse a tale da gareggiare coi più rino-» mati di Francia e d’Inghilterra. Da Re Vittorio Emanuele meritò segno » di onorificenza: da’ concittadini, fino dal 1848, voto concorde e ripetuto » perchè siedesse nel Consiglio Comunitativo, dove integro e franco mostrò » perizia d’ingegno e bonti di cuore. Fu pensatore profondo; dicitore netto » e stringente: di parole e di modi dignitoso, modesto e soave. Mori con » pubblico dolore di 40 anni appena il 27 aprile 1859! » 352 GIORNALE LIGUSTICO Dice infatti una postilla del verso: sera turchesca = scrittura turchesca ! Io ho dunque potuto esaminare, a tutto mio agio, l’originale e trarne notevoli varianti, di cui diro poi. Ma anche prima di avere sotto occhio l’originale, non appena lessi il testo dato dal Müller ed il lemma appostovi da lui e accettato dal San-guineti, non potei a meno di arrestarmi insospettito davanti a quel cognome Cacallaro, che sarebbe un’ assoluta novità nel- 1 onomastica ligure, nonché genovese. L ispezione accurata dell’ originale mi fece accorto che la parola precedente il nome di Guglielmo non è affatto un cognome, ma titolo di dignità o cavalleresco. Invece di Κακαλ-λαριος bisogna leggere Καβαλλάρως. L’errore commesso dal Müller deriva dal solito scambio di un K con U, forma che assume il β nel minuscolo corsivo (i), per lo meno sino dal IX secolo in giù e che si adoperò poi promiscuamente coll’altro tipo. 11 documento è dunque un passaporto rilasciato ad un genovese cavalier Guglielmo perchè induca alcune navi genovesi a mettersi al soldo dell’ imperatore, colle stesse condizioni offerte agli altri latini. In che senso s’abbia a prendere quell’ignoto « cavaliere » c’è da scegliere fra queste tre accezioni in cui è usato quel vocabolo nell’idioma greco bizantino. — O è titolo professionale, trovandosi Kαβαλλάρως *= Caballarius = eques, nel senso di colui che sta a cavallo: il lessico manoscritto di Cirillo (di cui tanti esemplari ebbi occasione di collazionare, nei bei tempi giovanili, alla Mediceo Laurenziana di Firenze) spiega appunto καβαλλάριος = Ιφιππος, ó έν Γππω καθήμένος, Κάβαλλος γάρ δ ίππος. 2. Ο è in senso militare (in opposizione a πεζός) Καβαλλάριοι = milites seu militari cingulo donati, francese (i) Cfr. Gardthausen ; GriechiScbe Paleo graphie, tav. 5. GIORNALE LIGUSTICO 353 chevaliers; ed in tal senso l’adopera appunto Anna Comnena (lib. 13, p. 411): 'όσοι oà άπώσι των ήμών ιππέων καί οπλιτών οδς Καβαλλαρίους σύνηθες καλοΰμεν. 3- — Ο come titolo puramente di dignità (1) trovandosi in Georgio Pachymeres (lib. 4, c. 31) ricordato un Καβαλ-λάριος Αλέξιος, άνηρ γεννάδας και ανδρικός che verrebbe proprio in buon punto a fare il paio con il καβαλλάριος Γιλίελμος del nostro documento. E, in questo ultimo caso, codesto antico « cavalier Guglielmo genovese », che si fa intermediario fra i proprii concittadini e l’imperatore, richiama alla mente 1’ uffizio non molto differente assuntosi nelle ultime imprese africane da un altro cavaliere-moderno. In altre parole, chi non vede nel cav. Guglielmo un cav. Felter dell’antichità? Ma chi era l’imperatore che concesse al nostro concittadino il suo salvacondotto? Ecco un’ altra domanda che non si è fatta il Sanguineti il quale ha accettato, ad occhi chiusi, la data del 1201 e il nome dell’ imperatore Alessio III fissati dal Müller. In verità, dall’ originale non mi sembra che noi possiamo ricavare nè la prima nè il secondo. Infatti a) Manca il nome dell’imperatore ; b) Manca l’indicazione dell’ anno ; c) Abbiamo solo l’indizione 4, il mese (Aprile). Ora se noi avessimo il nome dell’anno (che in tal caso nel testo greco dovrebbe essere ,ςψθ') dato l’anno e l’indizione, noi potremmo dedurne il nome dell’imperatore allora regnante. Cosi pure, se avessimo nel documento il nome dell’imperatore, dalla indizione potremmo inferirne l’anno. (1) Ducange; Καβαλλάριος recensetur 87 inter Dignitates Palatinas in Catalogo Offic. Palat et ms. Reg. sed quale illius fuerit munus, non liquet. 354 GIORNALE LIGUSTICO Ma mancando uno di questi dati , necessarii alla soluzione del problema cronologico, non mi sembra possibile , o io m’inganno, che dal solo accenno al mese e all’ indizione si possa fissare Tanno e l’imperatore. Nè la scrittura presenta, come già ho detto, peculiari particolarità paleografiche per cui non possa anche assegnarsi ad un secolo anteriore come al posteriore, potendo essere tanto della fine del XII quanto del principio del XIII. Del resto, che il Müller abbia dovuto leggere il documento con molta fretta (ed era scusabilissimo trovandosi a Genova di passaggio) mi viene ora accertato da persona degnissima di fede, sotto i cui occhi egli decifrò e trascrisse rapidissimamente l’originale greco; ed alla fretta sono pure da imputarsi altre inesattezze di lezione, di cui risente anche la traduzione del Sanguineti. Il salvacondotto è rilasciato dall’ imperatore a Guglielmo come a persona presente έπεδόθη σοι. Nel testo del Müller manca il σοι e il Sanguineti traduce sigillum traditum est Guilelmo, mentre va tradotto traditum tibi Guilelmo ecc. Cosi nell’ultima riga έπεδόθτ) αϋτω va letto έπεδόθτ) σοι, e la traduzione va modificata. Più sotto è fatta menzione di κουρσαρικών κατέργων γεννουιτικών καί [των] πλοίων. L’articolo è ommesso dal Müller, che inoltre trascrive con κατασκευάστε il chiarissimo παρασκεύασες dell’ originale. Più sotto ancora noto un διαβατικών dove è da leggersi διαβατών e anzi è degno di rilievo che in questo vocabolo il β ha la stessa forma di u che presenta il καβαλλάριος letto κακαλλάριος dal Müller. Stabilite queste varianti, ecco la versione più cauta che a me sembra possa darsi al nostro documento. Giacché la Mia Maestà ha appreso che dalle parli della Sicilia hanno salpato navi e triremi corsare genovesi malintenzionate contro le terre del Mio Impero e contro la Romania e miranti a danno GIORNALE LIGUSTICO 3 S 5 di esse, il presente Sigillo della Mia Maestà e stato rilasciato a Te, cavaliere Guglielmo Genovese, affinchè alla presentazione di esso tu passi liberamente per ogni dove e senza impedimenti lungo il percorso in tutte le terre dell’ impero della Mia Maestà, e cerchi e trovi i còmiti di codeste triremi corsare genovesi e delle navi, e ti accinga a ridurli del tutto alla Mia Maestà e ottenere contratti annuali, come gli altri di stirpe latina che obbediscono per patti alla Mia Maestà. Non debbano alcuni di quelli che hanno uffici nelle terre della Mia Maestà o da coloro che da essi dipendono fare a Te impedimento nè esigere da Te alcuna cosa, a titolo di passaggi o di tragitti. Siano anzi date a te bestie, per cambio, di provincia in provincia da coloro che hanno uffici, e inoltre anche veicoli, se abbisognerà, per trovare più presto codeste navi e triremi genovesi c addurle alla Mia Maestà da quelle parti dove navigano esse. Osando alcuno di agire contro il contenuto del presente sigillo della Mia Maestà tema da essa terribile sdegno. Giacché a tale scopo questo sigillo della Mia Maestà è stato consegnato a Te. Nel mese di Aprile indizione quarta. E il lemma dovrebbe venir modificato così: Anno ? — Un imperatore greco dà a un cavaliere Guglielmo genovese un salvacondotto perchè tragga al servizio di Sua Maestà alcune navi e triremi corsare genovesi, che erano nel mar di Sicilia. Per le condizioni fissate a codesto assoldarsi di genovesi nell’ armata bizantina, può servir di commento la Convenzione fatta dai genovesi con Demetrio Metropolite (o Macrembolite) a nome e come ambasciatore di Manuele Comneno, imperatore di Costantinopoli, nel 1155 (1): « ... quod omnes ianuenses qui in terris imperii inventi fuerint debent intrare in galeis imperatoris cum soldis quos latinis dare solitus est et (1) Arch. ii Stato, Materie Politiche, mazzo I. Cfr. anche Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. XXVIII, pag. 346. GIORNALE LIGUSTICO ire contra stolum ac servicium illud complere exceptis hominibus viginti qui pro custodiendis navibus remanere debent sicut convenisti illud et in grisoboli logo continetur expresse illud complere possis et firmare... ». Torriglia, 24 Luglio 1897. Girolamo Bertolotto. AGOSTINO FALCONI DI MAROLA E I SUOI SCRITTI EDITI E INEDITI Il 26 febbraio del 1882, colpito da congestione cerebrale, cessava di vivere Agostino Falconi. Al tristo annunzio , sentii una stretta al cuore. Povero Agostino ! Mi par di vederlo anche adesso: basso e tarchiato, con un pizzo e un paio di baffi lunghi, folti, candidissimi, che facevano apparire più brune le maschie fattezze del volto, su cui lampeggiavano due occhi , pieni di fuoco e di vita. Era sempre in moto ; intrecciando nuovi progetti d’ escava-zioni di marmi, collo scrivere nuove poesie, col rovistare archivi e biblioteche; continuamente in traccia di notizie, per illustrare la storia del pittoresco Golfo della Spezia, che stava in cima ad ogni suo pensiero e che gli fu un culto d’amore per tutta la vita. Vide la luce a Marola 1’8 gennaio del 1816 da Domenico Falconi e Laura Mori; e nella vicina Spezia fece i primi studi, che seguitò poi a Sarzana sotto quel valentuomo di Barto-lommeo Gessi, e compì a Genova. Datosi al commercio de’ marmi, scoperse nuove cave sui monti Spezzini; e per « ammazzare il tempo », come confessava lui stesso con ingenua schiettezza , si mise a comporre versi , senza mai per altro diventare poeta , sebbene l’Arcadia 1’ accogliesse nel proprio GIORNALE LIGUSTICO 357 grembo col nome pastorale di Eucrute Dasèo ! Povero d immaginazione e mancante d’eleganza nella forma, ne suoi versi affogava sempre il pensiero in tale e tanta erudizione storica e con nudità così aperta, che il conte Tullio Dandolo nelle sue Corse estive alla Spezia li ebbe a chiamare « versi archeologici » ; definizione giusta e spiritosa. Il Falconi era ricercatore diligente, appassionato e amoroso di storia, e appunto come studioso di cose patrie ha un qualche valore ; e se avesse lasciato in pace la poesia per consacrarsi esclusivamente all’ erudizione, meglio provvedeva alla propria fama. Il suo primo lavoro fu la canzone intitolata : Un idea del Golfo di Spezia. La mise alla luce nel '45, ed ebbe quattro edizioni. Recatosi ali’ Vili Congresso degli Scienziati italiani, che fu tenuto a Genova il 1846 , nell adunanza de 21 di settembre vi lesse una Memorili sulle rovine della chiesa di S. Pietro di Portovenere e nell’ adunanza del 25 del mese stesso una Memoria storica sul castello di Lerici. Tutte e due vennero fuori il medesimo anno in un volume di Rime , che stampò a Lucca; e ne fece anche una tiratura a parte. Invece restò inedita un’altra Memoria, che pur lesse al Congresso genovese, quella sulla scavazione del marmo mischio di Portovenere (1). Essendo peritissimo della lingua inglese, che a testimonianza degli inglesi stessi (in questo non facili lodatori), parlava e scriveva con proprietà elegante, pregato da Odoardo Lester, Console generale degli Stati Uniti d America in Genova, dettò in quella lingua una descrizione del Golfo della Spezia e la pubblicò col titolo : Sea-turn about thè Gulf of Spezia, originally discribed en thè englisch language. Gli Americani vagheggiavano allora il disegno di mettere nel Golfo uno stabilimento per le loio navi da guerra; disegno (1) Cfr. Mazzini U. Agostino Falconi, memorie biografiche e critiche, La Spezia, Tipo-Litografia F. Zappa, 1894; p. 19. 358 GIORNALE LIGUSTICO che poi non ebbe effetto , e fu bene. Lontani sempre gli stran ieri ! Nel 1850 stampò a Torino un volumetto di Rime inedite, da cui trasse poi L’Addio del Crociato di Marola, che riprodusse, con correzioni e aggiunte, nel '55; e nello stesso anno pubblicò la Raccolta delle iscrizioni del Golfo di Spezia, della quale fece poi a Pisa, nel '74, una seconda edizione, molto accresciuta. L· questo uno de’ lavori migliori del nostro Agostino ; ma non manca di difetti. Spesso non è fedele nel trascrivere le iscrizioni, come ebbe dottamente a provare il compianto archeologo Marcello Remondini , che nella sua Interpretazione di due antiche epigrafi esistenti a Trebbiano ed alla Spezia, impressa nel Giornale Ligustico [II, 277-295], ne reintegra parecchie che nell’ edizione falconiana erano spropositate a segno che non se ne ricavava senso alcuno. E poi, tra le iscrizioni, varie ne alloga Agostino, che mai non si sono sognate d’ esser tali. Divisava di far seguire alla Raccolta una serie di Lettere esplicative « allo scopo » (son sue parole) « di mettere le iscrizioni in correlazione colla storia e di far « meglio conoscere gli avvenimenti ai quali si riferiscono ». Era un pensiero felice, ma pur troppo non lo pose a effetto; come non tirò a fine nè le Memorie sulle fortificazioni del Golfo della Spezia, nè le Notizie relative al cappuccino fr. Fe'ice Maria da Marola, nè la raccolta de’ Documenti relativi alla chiesa parrocchiale della Spezia, nè la Memoria sull’ubicazione di Ti-gulia, nè la Storia de’ Pisani a Levici, nè le Memorie sulle cave marmoree del Golfo della Spezia , nè le Notizie relative a S. Venerio, eremita sull’isola del Tino, nè la Storia di Marola e della sua giurisdizione, nè le Ricerche sull’ antico porto di Luni ad oriente del Capo del Corvo , nè la raccolta de’ Documenti relativi al Golfo della Spezia, nè la Memoria sulle strade romane tra Luni e Genova, nè le Lettere critiche sugli errori pubblicati intorno al Golfo della Spezia, nè la Memoria sull’ eversione di GIORNALE LIGUSTICO 359 Càrpena, nè YApologia di Bartolommeo Fazio : lavori in parte ideati soltanto , in parte appena abbozzati. Il ’ j6 pubblicò a Genova l’ode: Una scena nel Forte Santa-Maria al Golfo di Spezia; e nel '59 la canzone: Orlando da Lecca, prigioniero nel Castello di Lerici. L anno dopo , chiamato a far parte della Giunta di statistica, compilò le Notizie statistiche circa la popolazione del Comune di Spezia, con un cenno storico intorno alle parrocchie che lo compongono; e n’ebbe in premio dal Governo una medaglia d’argento. Il '63 dette mano a un’opera di lunga lena: le Memorie sui monumenti del Golfo di Spezia, e ne incominciò la stampa a Massa; ma troppo ristretto fu il numero degli associati, e ne uscì un solo fascicolo di trentadue pagine. Ritentò la prova a Sarzana il '69 ; e al secondo fascicolo , scorato e deluso per l’incuria del pubblico, bisognò di nuovo lasciasse in tronco il lavoro, che era pur frutto di lunghi sudori ! Doveva spartirsi in due volumi. Nel primo si proponeva d’illustrare i monumenti occidentali del Golfo, dal promontorio de Cappuccini fino allo scoglio del Tinetto ; nel secondo quelli del lato orientale, dal promontorio stesso fino a S. Croce in bocca di Magra. Sorte infelice ebbe pure un’ altra sua opera : le Effemeridi del Golfo di Spezia, di cui intraprese la stampa, per associazione, a Genova nel '66 e a Pisa nel '75; tutte e due le volte non mandandone fuori che il primo fascicolo per saggio. Delle Effemeridi, per altro, non è da rimpiangere la perdita. Il raggruppare sotto mesi e giorni avvenimenti di epoche svariate, è un capriccio , una bizzarria. La storia vuole che il racconto sia filato, che da un fatto si passi cronologicamente a un altro : altrimenti come si fa a intenderne le cause , a vederne gli effetti? Il '66, co’ torchi modesti d’una tipografia sorta pur allora a Ponzano Superiore, stampò una Raccolta delle descrizioni poe- 360 GIORNALE LIGUSTICO fiche del Golfo di Spezia; nel ’68 , ripresa tra mano la vecchia Ode: Una scena nel Forte Santa-Maria, la rifuse, l’ampliò, la corresse. È quella che fece la sua comparsa a Carrara col titolo: Fasti Liguri. L’anno appresso volle tentare di scrivere poeticamente nel vernacolo nativo, e la prova riusci bene. É la preghiera d’ una ragazza di Marola alla Madonna , perchè le faccia trovare marito. Sento proprio la voglia di riprodurne qualche strofa : Madòna, a ve l’ho ditto, A vò retorno a dì : Eh femela sta grazia, Mandème ’n po’ mari. E eh’ a ve’ n diga n’ atra ? (L’è vero, stè segura) En letto cosi sola Ho fina ’n po’ paura. Pazienza, s’ô n’è ricco, Pazienza, s’ò n’è beo, Pazienza, s1 ô ne porta A 1’ orza o sè capéo. Pazienza, s’ò ne batta En po’ de fantasia. Mandèmelo, mandemelo Ch’ Ô sia come se sia. Nel dialetto di Marola tradusse anche la novella IX della giornata prima del Decamerone. Il '71 stampò a Prato Cinque odi e cinque sonetti; e l’anno dopo le Fasi della giurisdizione di Spezia; breve sommario delle vicende di quel paese , divenuto di un umile villaggio una fiorente città, che ha innanzi a sè un brillante e lusinghiero avvenire. Con parola fatidica scriveva Michele Erede nel '49: « Il gran concetto di Napoleone I, che voleva fare del nostro Golfo il secondo porto militare della Francia, va GIORNALE LIGUSTICO 361 ad attuarsi sotto migliori auspici, e fra pochi anni sulla ròcca, compita, della Castellana sventolerà il vessillo tricolore, indicante che P Italia de’ secoli è finalmente risorta ». La serie degli scritti a stampa di Agostino Falconi si chiude con una breve Memoria sulla condizione della famiglia di Bar-tolommeo Fazio e colla Parte I della sua Guida del Golfo di Spezia. Pochi giorni innanzi di morire mi scriveva : « Sono » attorno a ristampare i Fasti Liguri, con aggiunte e molte » note. Presto ricomincierò la pubblicazione delle Effemeridi » e quella delle Lettere esplicative delle iscrizioni del Golfo. Sto » compilando la Storia della Fortezza di Santa Maria ». È morto sulla breccia, da buon veterano. La Lunigiana ha perduto un tìglio operoso. Giovanni Sforza. Elenca degli scritti di Agostino Falconi 1. — Un’idea // del // Golfo di Spezia // canzone // di // Agostino Falconi // da Marola. // Spezia 1845. // Tipografia Provinciale di Giovanni Argiroffo // con permissione. — In-8.° di pp. 20. 2. — Rime /I di // Agostino Falconi // da // Marola. // Lucca // coi tipi Baccelli e Fontana // 1846. — In-8.° di pp. 304. 3. — La // chiesa di S. Pietro jj ed // il castello di Lerici // nel Golfo di Spezia. // [In fine:) Lucca//Tipografia Baccelli e Fontana// 1846. — In 8.° di pp. 24. 4. — Sea-turn // about // thè Gulf of Spezia // originally described // in thè english language//by//Augustin Falconi//of Marola.// Lucca II Printed by Baccelli and Fontana// 1846. — In-12.0 di pp. 120. * A p. 48 termina la descrizione in lingua inglese del Golfo della Spezia e segue con frontespizio a sè: U11' idea // del // Golfo di Spezia Il Canzone // di // Agostino Falconi // da Marola // — // Seconda edizione // con varie aggiunte. // — // Lucca // Tip. Baccelli e Fontana lj 1846. * (ìiorn. Ligustico. Anno XXII. 362 GIORNALI-: LIGUSTICO 5. — Rime inedite // di // Agostino Falconi // di Marola // socio ordinario dell’Accademia Serravezzese // degl’ Iniziati // corrispondente dell'instituto de’ Filomati di Lucca // e fra gli Arcadi // Eucrate Dasèo Il membro della Giunta di Statistica // della Provincia del Levante // luogotenente nella Guardia Nazionale. // Torino // Tipografia Ca-stellazzo e Degaudenzi // 1850. — In-12.0 di pp. 44. 6. — Raccolta // delle // iscrizioni / del golfo di Spezia // opera // di /I Agostino Falconi // da Marola // membro de’ Congressi scientifici italiani // socio delle Accademie letterarie // di Serravezza e di Lucca I/ e fra gli Arcadi romani // Eucrate Dasèo // membro della Giunta di Statistica // della Provincia di Spezia //. Lucca//dalla tipografia Baccelli // 1855. — ln-8.° di pp. 58. 7. — Una scena // nel // Forte Santa-Maria // al Golfo di Spezia // ode // di,// Agostino Falconi // da Marola. // Genova // Stabilimento Tipografico Ponthenier// 1856. — In-12.0 di pp. 32. 8. — Orlando da Lecca // prigioniero // nel castello di Lerici // canzone // di // Agostino Falconi // da Marola // fra gli Arcadi romani /I Eucrate Daséo // Genova // Tipografia di G. B. F. Dagnino // 1859. — In-16.0 di pp. 18. 9. — Notizie statistiche // circa // la popolazione del Comune //di Spezia // raccolte // da // Agostino Falconi // membro // della Giunta di Statistica. // [segue la citazione: Scire tuum ιιι/ιιΐ est, nisi te scire hoc sciai alter. // /ί. Pers. Sai. /.] Spezia, 1860. Tip. di I· ran-cesco Argiroffo. — In-8.° di pp. 16. 10. — Sui // monumenti / del // Golfo di Spezia//memorie//di// Agostino Falconi. // Parte prima // volume primo. // Massa-Carrara // Regia Tipografia Frediani// 1863. — In-8.° di pp. 32. * Restarono in tronco al principio del capitolo X. * 11. — Effemeridi // del // Golfo di Spezia// per ( Agostino Falconi. // Genova // Tipografia di Gaetano Schenone // 1866. In-8. di pp. 16. * Restarono in tronco, per mancanza d’associati. Nella Biblioteca del R. Archivio di Stato in Massa se ne trova un esemplare, pieno zeppo di postille e correzioni autografe dell’Autore. * 12. — Fasti liguri // canzone // di // Agostino Falconi // da Ma- GIORNALE LIGUSTICO 363 rola I/ fra gli Arcadi romani // Eucrate Dasèo. // Carrara // Stabilimento tipografico il Carrione // 1868. — In-12.° di pp. 36. 13. — Per le fauste nozze//di Giovanni Sforza coll’Elisa Pie-rantoni // omaggio // dell’Arcade Eucrate Dasèo. // Sonetto. // Pisa, Tip. Nistri [1869]. — In-8.“ di pp. 4 n. n. 14. — Sui // monumenti // del // Golfo di Spezia // memorie // di Agostino Falconi.//Parte prima // Volume I.//Sarzana//Tipografia Civica di Giuseppe Tellarini // 1869. — In-8.° di pp. 48. * Rimaste in tronco, al solito, per mancanza d’ associati. * 15. — Descrizioni // del // Golfo di Spezia //raccolte e commentate Il da// Agostino Falconi. // Prato // Tipografia Bruzzi// 1870. — ln-8.° di pp. 16. * È il primo fascicolo soltanto. L’ opera doveva dividersi in due parti. La prima contenere le descrizioni del Golfo, scritte a tutto il secolo XV1I1 ; la seconda quelle uscite a stampa nel secolo che corre. * 16. — Sul // Golfo di Spezia // canzone // di // Agostino Falconi //fra gli Arcadi romani // Eucrate Dasèo.//Edizione quarta//con aggiunte e variazioni.//Prato //Tipografia Bruzzi // 1870. — In-16.0 di pp. 40. 17. — Saggio del dialetto // di Marola // antico paese del Golfo di Spezia.//(/« fine:) Sarzana, Tip. Civica di G. Tellarini//[1870]. — In-8.° di pp. 4 n. n. 18. — Cinque odi // e // cinque sonetti // di // Agostino Falconi // fra gli Arcadi romani // Eucrate Dasèo. // [Segue la citazione] : // tempo j/ In qualche onesto studio si converta // Petrarca. // Prato // Tipografia Bruzzi// 1870. — In-8.° di pp. 62. 19. — Fasi// della // giurisdizione di Spezia // per // Agostino Fai.CONI. // Genova //Tipografia di Luigi Sambolino// 1872. — In-12.0 di pp. 64. 20. — Iscrizioni // del // Golfo di Spezia // raccolte per cura // di Agostino Falconi. // Pisa // Tipografia Ungher // 1S74. — In-8.° di pp. 126. 21. — Effemeridi storiche // del // Golfo di Spezia // per // Agostino Falconi. // Parte prima // contenente i mesi // di gennaio, febbraio, marzo, aprile, // maggio e giugno. // Pisa // Tipografia Ungher // 1875. In-8.° di pp. 16. 364 GIORNALE LIGUSTICO * Pubblicazione rimasta in tronco e che contiene le sole effemeridi de’ giorni 1-10 gennaio. * 22. — Cinque odi // e // cinque sonetti // di // Agostino Falconi // fra // gli Arcadi romani // Eucrate Dasèo. // Pisa // Tipografia Ungher // 1875. — In-12.0 di pp. 64. * Ecco il titolo delle odi : L'addio al Crociato, Orlando da Lecca, La vedova del naufrago, La partetiza, Il riso del dormiente. I sonetti hanno per soggetto : Il vertio, La primavera, Francesca da Rimini, Onori postumi, e La storia. * 23. — [La novella IX della Giornata prima del Decamerone di Giovanni Boccacci tradotta nel dialetto di Marola]. = nell’ opera : I parlari italiani in Certaldo alla festa del V centenario di Giovanni Boccacci omaggio, di Giovanni Papanti, In Livorno, coi tipi di Francesco Vigo, 1875; pp. 232-233. 24. — Strenna // del // Golfo di Spezia // per // 1’ anno bisestile // 1S76. // Spezia // Tipografia Monticoni // 1875. — In-16.0 di pp. 48. * Ne fu editore il Falconi e vi raccolse scritti d’altri e suoi. Questi ultimi tutti già stampati, all’ infuori dell’ Imitazione della descrizione del Golfo di Spezia fatta in versi esametri da Ventura Peccmi, che è a pag. 39. * 25. — Descrizioni poetiche // del // Golfo di Spezia // raccolte per cura // di // Agostino Falconi. // [Segue la citazione : Dulcis amor Patriae /] Ponzano Superiore // Tipografia dell’ Immacolata // 1876. — In-8.° di pp. 20. 26. — Guida // del // Golfo di Spezia // per // Agostino Falconi. // Parte prima. // Torino // Tipografia Roux e Favaie // 1877. — In-i6.° di pp. 142. 27 — Sulla // condizione della famiglia // di // Bartolomeo Fazio // di Spezia H memoria jj di // Agostino Falconi. // — // Dedicata all’Onorevole Signor Marchese //Baldassare Castagnola Deputato al Parlamento. // Spezia 1878. /I Tipografia del Circondario degli Eredi Argiroffo. // Via del Prione, n. 37. — In.8." di pp. 36. 28. — Guida // della // città di Spezia // e de’ luoghi del suo golfo Il per // Agostino Falconi. // Spezia // Associazione mutua tipografica I/ 1879. — In-8.° di pp. 16. * Al solito, dopo il primo foglio, ne fu smessa la stampa. * GIORNALE LIGUSTICO 365 AGGIUNTA AGLI APPUNTI intorno a LUIGI CORVETTO La pubblicazione dei precedenti Appunti (1) intorno al conte Luigi Corvetto, mi ha procurato alcune osservazioni da parte di amici e benevoli miei, i quali mi mostrarono desiderio sia di conoscere ancora altre particolarità della vita di quel dotto giureconsulto e statista, sia di aver qualche notizia sopra i suoi ritratti. Procurerò con questa breve aggiunta di soddisfare, in qualche modo, agli espressimi desiderii ; devo però, .prima di ogni cosa, dichiarare che con quello scritto non fu mia intenzione di scrivere una biografia completa del Corvetto, ma soltanto di accennare, colla scorta di documenti, ad alcuni punti della sua vita poco noti od affatto ignorati, e di pubblicarne gli atti dello Stato Civile. Per la qual cosa a chi desidera maggiori notizie sopra del medesimo, specialmente per quanto riguarda la sua vita pubblica, non ho che ad indicare i libri che trattano di lui. Ecco pertanto la lista dei medesimi: Elogio del Conte Luigi Corvetto.....scritto dal senatore Cotardo Solari. 1 volume in 8U di pag. 131, Genova, stamperia Pagano mdcccxxiv. Di questo Elogio fu fatt;i una seconda edizione , lo stesso (1) Cfr. pag. 136 del presente Giornale. Intanto segno alcuni errori ed inesattezze che scivolarono nei suddetti Appunti : Pag. 139, lin. 9: Marianna Schiaffino, meglio Anna Schiaffino. » 143, lin. 5: nove anni, leggi otto anni. « 143, lin. 22: qm. Antonii, correggi in qm. Dominici. » 147, l'n· 20 : parrocchia di N.S. delle Vigne, correggi della Maddalena. 366 GIORNALE LIGUSTICO anno 1824, dalla medesima tipografia Pagano, coll’aggiunta del Saggio sulla Banca di S. Giorgio, in un volume in 8° di pagine 119, e col ritratto inciso in rame, di cui parlerò in appresso. Nella Biographie nouvelle des contemporains etc. etc. . . . par M. M. A. V. Arnault.....A. Say.....E. Jouy..... I. Norvins.....pubblicata a Parigi dal 1820 al 1825 in 20 volumi in 8° con ritratti, dalla stamperia De Plasson, a pagina 74 del volume V, trovansi alcuni cenni biografici del Corvetto. Un altro breve cenno biografico è nel Discorso per l’annuale apertura del Reai Senato di Genova, (novembre 1823), del Conte Gio. Batta Somis di Chiavrie. Quel discorso, che ha per titolo: Dello allegare nel foro i dottori, ofi're, nelle note dei brevi cenni biografici dei più distinti giureconsulti genovesi, e forma un volume in 40 di pagine 115, pubblicato in Genova dalla tipografia Ponthenier cioiccccxxm. Il cenno sul Corvetto vi si legge a pagina 53. L’avvocato Antonio Crocco, come già dissi, scrisse VElogio del Corvetto stampato nella Raccolta degli Elogi e Ritratti di Liguri illustri, cominciata dal Gervasoni nel 1823 e continuata dal Ponthenier nel 1830, in un grosso volume in-folio, senza numerazione e con ritratti in litografia. L’jElogio fu ristampato nella seconda edizione di detta Raccolta, fatta da prete Luigi Grillo in 3 volumi in 8°, i primi due stampati a Genova dalla tipografia Ponthenier nel 1846, ed il terzo a Torino dalla tipografia Fontana, pure nel 1S46. In questa Y Elogio si trova a pagina 180 del terzo volume, ed è seguito dalla epigrafe in latino del prof. Faustino Ga-gliuffi, preparata pel monumento che dovevasi erigere al Corvetto nella chiesa di Nervi, e che non fu poi eseguito. Il Barone De Nervo raccolse con molto affetto e pazienza le notizie sul Corvetto, specialmente per quanto si riferisce GIORNALE LIGUSTICO 367 all’opera finanziaria di lui in Francia, le quali pubblicò a Parigi presso i fratelli Lévy nel 1869, in un grosso volume in 8° di pagine 784 e con ritratto in fotografia. Il volume è dedicato alla città di Genova e porta il titolo. Le comte Corvetto ... sa vie — son temps — son ministère. Di questo lavoro fece una relazione il già nominato Antonio Crocco, letta nella adunanza della Società di Storia Patria li 11 febbraio 1869 e pubblicato poi nella Rivista Universale, ed il prof. Belgrano, nelle due adunanze della suddetta Società, delli 11 e 15 gennaio 1870, ne lesse una recensione, la quale vide la luce nell’Archivio Storico Italiano, serie III, vol. IX, parte I. Anche il marchese Massimiliano Spinola fece alcune osservazioni al lavoro del Nervo, le quali lesse nella tornata della suddetta Società del 5 marzo 1870, muovendo alcuni appunti alla vita politica del conte Corvetto, che furono, seduta stante, combattuti dai socii Antonio Crocco, avvocato Enrico Peirano e marchese Antonio Carrega. Queste osservazioni ed appunti furono pubblicati poi, col titolo 1 Studio intorno alla vita politica del conte Luigi Corvetto, in un fascicolo in 8° di pagine 51, Genova, tipografia Sordo-muti 1870. Nella suddetta Società di Storia Patria, in sua adunanza del 30 luglio 1870, il marchese Antonio Carrega lesse alcuni Accenni sul conte Luigi Corvetto, ed ugualmente fece nella adunanza delli 11 marzo 1871 1 avvocato Enrico Bensa. A complemento di queste notizie bibliografiche aggiungerò ancora: Y Elogio funebre scritto dall’avvocato Nicolò Ardizzoni, manoscritto in 8° di pag. 26, cioè facciate 52, esistente nella Biblioteca Fransoniana. L’Ardizzoni era professore di Pandette nella R. Università di Genova, ed aveva avuto l’incarico di scrivere l’elogio del Corvetto dall’ Ordine degli avvocati. Ma questo suo lavoro non riuscì di alcuna importanza storica, non essendo che una raccolta di frasi comuni di encomio, adattate al soggetto. 368 GIORNALE LIGUSTICO Una nota apposta in capo del frontispizio segna la provenienza del manoscritto dicendo : Ex dono rev.’"' domini Laurentii Biaìe, canonici Praepositi Metropolitanae Ecclesiae Janiiensis. Ora ai ritratti. La seconda edizione dÛY Elogio del conte Corvetto , scritto dal senatore Cotardo Solari, oltre che del Saggio sulla Banca di San Giorgio, opuscolo del Corvetto, divenuto rarissimo, fu pure accresciuta del ritratto di lui, come rilevasi dalla prelazione. Ma questo non fu fatto incidere proprio per quella edizione, perchè venne adoperato un rame intagliato qualche anno prima, e del quale eransi tirati diversi esemplari su foglio a grande formato, distribuiti fra gli amici ed ammiratori del Corvetto. Esso era stato inciso da Giuseppe Piaggio nel 1819 sopra disegno di Delpino, che lo trasse dal ritratto dipinto da Quaglia, il tutto come dice la scritta che corre intorno al medesimo. Il ritratto poi, grande all’ incirca come la suddetta incisione, è una splendida miniatura fatta da Ferdinando Quaglia, piacentino, valentissimo in tal genere di pittura, e che stabilito a Parigi vi eseguiva quelli dell’ imperatrice Giuseppina e di altri illustri personaggi. Oltre che al Corvetto, il Quaglia faceva pure il ritratto della moglie di lui, della figlia Anna Catterina, e del genero conte Tomaso Littardi. Essi ora sono presso dell’ egregio magistrato, cavaliere Giovanni Diomede Badano, consigliere della nostra Corte d’Appello, il quale come erede della marchesa Teresa Sauli nata Littardi, possiede molte carte, diplomi, medaglie, decorazioni, ed altri cimelii appartenenti al Corvetto, nonché al suddetto genero di lui, che invero potrebbero formare un Museo. Tutti i ritratti che si conoscono del Corvetto furono cavati GIORNALE LIGUSTICO 369 dalla suddetta miniatura del Quaglia, o dall’incisione del Piaggio. Tale è quello che vedesi di fronte ai sopra citati cenni biografici inseriti nel volume V della Bibliographie. Universelle des contemporains, inciso a contorno da Fremy, quello in litografia nella prima edizione della Raccolta degli Elogi di Liguri illustri edita da Ponthenier e Gervasoni , disegnato da Daniele Del Re, e l’altro in fotografia per l’opera del barone De Nervo, pubblicata a Parigi nel 1869, accennato più sopra. Il ritratto del Corvetto in un busto in marmo fatto eseguire dal governo francese fu, come dissi negli Appunti collocato al Ministero delle Finanze a Parigi con quelli dei più illustri finanzieri della Francia. Ma credo che ora sia perduto, giacché 1’ antico palazzo del Ministero delle Finanze in via Rivoli venne distrutto, incendiato dalla Comune di Parigi, nel maggio del 1871. Un altro busto pure in marmo ne fu eseguito dal distinto scultore Salvatore Revelli, per commissione del conte Littardi, genero del Corvetto e mecenate dello scultore , e trovasi a Porto Maurizio presso del sopra citato consigliere Badano. Un terzo poi esiste in Genova nel palazzo di Città, fattura dello scultore Gio. Battista Cevasco, il quale ne faceva dono al Municipio nel dicembre del 1869. Ed in tale occasione veniva stampato un opuscolo in 40 grande di pagine 12, col titolo: Il conte Luigi Corvetto, busto in marmo di G. B. Cevasco, dal medesimo offerto in dono al Municipio di Genova; Genova, tipografia Lavagnino 1870, nel quale opuscolo sono pubblicati la deliberazione del Municipio in data 27 dicembre 1869 con cui accettava il dono dello scultore Cevasco, ed altri documenti relativi, ed è adorno della riproduzione del busto in fotografia. Ma già da quattro anni, e precisamente sotto la data del 6 luglio 1865, la Giunta Municipale aveva deliberato di intito- 370 GIORNALE LIGUSTICO lare al nome del Corvetto la nuova piazza in fondo di via Assarotti, la quale poi, accresciuta in gran parte dell’area risultante dai demoliti arconi dell’Acquasola , e convenientemente sistemata, riuscì una delle più belle di Genova. Anche il Comune di Nervi non immemore di aver ospitato Γ egregio personaggio diversi mesi prima della sua morte , e di conservarne nella chiesa parrocchiale le spoglie, addì 16 novembre 188* , voleva fregiata col nome di lui la strada, nel centro dell’abitato, già distinta coi nomi della Posta e di Ponticello, e che da piazza Cavour s’incontra col viale Vittorio Emanuele. E qui farò punto, ben lieto se con queste nuove notizie ed indicazioni avrò appagato 1’ onesta curiosità di chi me ne fece richiesta. M. Staglieno. CRISTOFORO COLOMBO NELL’ODE DEL PARINI SULL’ INNESTO DEL VAIUOLO Sembra destino che del Colombo non si possa scrivere senza alcun grave errore. (Spotorno, Delie orìgini e della patria di C. Colombo, Genova, Frugoni 1819, a pag. 43). La critica storica non crede ai poeti, giudica e manda secondo che i documenti impongono. (Chinazzi, Del luogo di nascila di Colombo. Conferenza, Genova, Ciminago 1895, a pag. 12). Gioachino Ponta, genovese, chiaro naturalista, autore del noto poemetto in sei canti in ottava rima II trionfo della Vaccinia, Parma, Stamperia Reale, 1810, nella nota 12 al canto IV di quel suo elegante lavoro accenna a Savona quale patria di Colombo, e ad una lezione originaria GIORNALE LIGUSTICO 371 diversa nel primo verso della celebre ode del Parini sull’ innesto del vaiuolo. Ecco la nota: 12) « Letimbro fiume che lambe le sponde occidentali di Savona, » patria di Colombo, benché altri lo vogliono nativo di Cogoleto, picciol » paese distante di Savona quattro leghe, altri di Cogoreto (sic) in Pie-» monte ma senza1 alcun fondamento. Dai documenti che io ho raccolto » io lo credo di Savona e tale lo chiama (sic) Parini nella sua bellissima » Oda sull’ innesto del vaiuolo : 0 Savonese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne ? Or noi non vogliamo indagare quali potrebbero essere e di qual valore i documenti da lui raccolti che lo trassero nella convinzione che il Colombo fosse nato in Savona, ma vogliamo soltanto rilevare la sua affermazione che il Parini abbia chiamato Savonese il Colombo. Questa recisa affermazione del Ponta non sappiamo se abbia richiamato 1’ attenzione dei savonesi e dei critici di quel tempo, ma certo pose sull’avviso alcuni savonesisti dei nostri giorni, i quali, trovato nelle edizioni posteriori alla morte del Parini stampato 0 Genovese invece dell’ 0 Savonese segnalato dal Ponta, incolparono di quel cambiamento i polenti che la vincono sui deboli .... caso che si verificò per il celebre Giuseppe Parini, il quale scrisse e si stampò nelle prime impressioni delle sue classiche opere che il Colombo era savonese, e tale lo chiamava, mentre si vide poi nelle edizioni posteriori alla sua morte il Savonese cambiato in Genovese. (Vedansi Crist. Colombo e la sua patria per G. A. R., Savona, Ricci, 1892 a pag. 9-10; le Osservazioni intorno alla patria di C. Colombo del canonico Saonino, Savona, Bertolotto 1892 a pag. 74 in nota; ed ibid. in fondo alla pag. 89 il passo non sempre i potenti .... di Paolo G. del Letimbro). E qui non v’ ha dubbio che data la verità della accennata sostituzione di parola sareobe questa una slealtà altamente riprovevole. Ma non sarebbe questo un caso uguale a quello del famoso dente d’oro? Prima dunque di discutere sul processo della sua formazione constatiamo 1’ esistenza di questo dente singolare, verifichiamo cioè la prima impressione di questa ode del Parini, e le successive edizioni delle sue Odi raccolte in volumetti speciali tutti anteriori alla sua morte e vediamo se quelle prime impressioni leggono veramente 0 Savonese. Il Parini compose questa Ode nel 1765 e l’indirizzò manoscritta al medico Bicctti dei Buttinoni che fu a quel tempo tra i primi sanitari di Lombardia a diffondere quel nuovo trovato preventivo contro il vaiuolo ; 372 GIORNALE LIGUSTICO ed il medico ben grato alla gentilezza del poeta prepose quell’ Ode in capo ad un suo opuscolo sull’innesto del vaiuolo, Milano, Galeazzi 1765. E noi abbiamo avuto la soddisfazione per cortese premura del Sig. Bibliotecario dell’Università di Pavia di avere in mano quel raro opuscolo e di constatare coi nostri occhi che la lezione originaria era O Genovese. Eguale testimonianza ci venne contemporaneamente dalla Biblioteca comunale di Bologna ove si conserva un altro esemplare di quell’ opuscolo del Bicetti come sopra, Milano, Galeazzi, 17Ò5. L’intestazione dell’ Ode è questa : Al Signor Dottore Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni Che Con felice successo Eseguisce e promulga L’innesto del vaiuolo Canzone Di Giuseppe Parini. Ma non soffermiamoci a questa prima impressione del 1765. Trascorsi venticinque anni comparve in Milano una raccolta di Odi del Parini, fatta per cura di Agostino Gambarelli, col titolo di Odi già divolgate, Milano, Marelli, 1791 ; ed in quella prima edizione della raccolta l’Ode sull’innesto del vaiuolo comincia appunto coll’ 0 Genovese proprio come nell’ o-puscolo del Bicetti del 1765 (1). Se non che nell’ indice alla fine del libricciuolo si leggono diverse annotazioni dell’ editore Gambarelli fra le quali la seguente relativa all’ O Genovese : « Cristoforo Colombo quantunque nato in Savona viene qui giudiziosa-» mente (sic) per maggiore nobilitazione (sic) denominato dalla metropoli » a cui era suddito ». Evidentemente 1’ editore Gambarelli non aveva letto sul Colombo che la Canzone del Chiabrera; ma questa sua stessa noterella è una prova che il Parini ha scritto proprio 0 Genovese e non Savonese, e che il Ponta ha preso una lucciola per una lanterna. (1) Un esemplare di quella prima edizione delle Odi si conserva nella Biblioteca dell’ Università di Bologna. GIORNALE LIGUSTICO 373 Di quella prima edizione delle Odi del Parini, colle annotazioni del Gambarelli, se ne fecero subito tre ristampe: Piacenza r791 ; Parma 1791; ed una terza alla macchia senza data di luogo e d’ anno della quale evvi un esemplare nella civico-Beriana qui in Genova, e tutte tre coll O Genovese (1). Se ne ha poi una quarta di Milano presso il Belzani senza data di anno (come ne accerta il Melzi nel suo Dizionario delle opere anonime, Vol. Ili, supplemento pag. 289), e coll’aggiunta delle tre Odi a Nice, a Silvia, e alla Musa, composte dal Parini la prima nel 1793 e a^re due ne^ 1795 > ma in questa quarta ristampa non sappiamo se il Belzani abbia conservato 1’ 0 Genovese, ma non esitiamo a crederlo perchè il Melzi fa osservare che il Belzani riproduce la raccolta del 1791 Gambarelli colle sue annotazioni. Finalmente una quinta ristampa è quella del Pirola, Milano 1799> c^e c' vien segnalata dal prof. Alfonso Bertoldi a pag. 120 delle Odi del Parini, da lui illustrate e commentate, Firenze, Sansoni, 1890. Ma il Bertoldi ci assicura che anche questa è una riproduzione esatta della raccolta Gamba-relliana del 1791 colla aggiunta delle tre ultime Odi come sopra. Passiamo al secondo periodo. Il Parini morì in Agosto 1799. Due anni dopo il noto critico^ Reina intraprese la sua splendida edizione di tutte le opere in prosa e in verso dell’illustre poeta, Milano, volumi sei, 1801-1804; e circa le Odi egli ci avverte in una sua prefazione di aver seguito religiosamente una scelta m. s. autografa del poeta che doveva servire di testo per una prossima pubblicazione che volea fare il poeta stesso. Or bene il Reina nel primo verso dell’ Ode sul vaiuolo ripete la lezione O Genovese come la trovò nell’autografo e della noticina del Gambarelli non ne fa conto alcuno. Silenzio eloquente. L’ingenua trovata adunque che i potenti genovesi abbiano indotto il Reina e gli altri editori posteriori a correggere il preteso 0 Savonese del Parini resulta destituita di fondamento e ci si permetta dirla — abbastanza amena! I summentovati critici savonesi del 1892 riconoscano almeno di aver bevuto troppo largo alle affermazioni del Ponta. Ma con ciò non intendiamo che Γ apostrofe del Parini O Genovfse avvalori le ragioni di Genova nella questione della patria di Colombo; Mai nò — i genovesi non hanno bisogno di testimonianze di poeti. (1) Di ciascuna delle due ristampe di Piacenza e di Parma se ne trova una copia nella Biblioteca comunale di Bologna, e quella di Parma abbiamo avuto il piacere di averla sott’ occhio per cortesia di un amico di colà. 374 GIORNALE LIGUSTICO Or qui poniam fine a questo cenno bibliografico delle prime impressioni dell’ Ode in discorso, segnalando al lettore il caso singolare del P. Spotorno che nel suo aureo libro Della patria di C. C., 1819, mentre contrappone ai partigiani di Cuccaro e di Piacenza un elenco di circa duecento scrittori che dicono il Colombo nativo del Genovesato si lascia sfuggire il nome del Parini; e del Ponta ne tocca soltanto di volo in una noticina appiè della pagina 37. Però è giusto soggiungere eh’ egli se ne ricordò nella sua Storia letteraria della Liguria, Vol. V postumo, Genova, Schenone 1858, a pag. 14 in nota. « Premetto, ivi dice a proposito delle surriferite parole » del Ponta, che nel Parini si legge O Genovese, e poi osservo che il » Ponta dimentica Genova quasi nessuno le avesse mai attribuito quello » Eroe, e crea un Cogoreto nel Piemonte ignoto ai piemontesi. Ecco i doit cumenti raccolti dal Ponta ad onor di Savona: un luogo che non esiste » ed un verso infedelmente trascritto ». Genova, Luglio 1^97. L. C. LQ SCULTORE FERDINANDO PELLICCIA DI CARRARA Nella mostra di belle arti che fu tenuta a Roma nella primavera del 1832, sopra ogni altro lavoro, attirava lo sguardo degli intelligenti un Ciparisso, graziosa statua d’un giovane carrarese, che appunto in quel tempo faceva ritorno alla nativa città, dopo essersi perfezionato nell’ arte sotto il magistero del Tenerani. Era Ferdinando Pelliccia, che nato d’ un sangue in cui è tradizionale 1’ amore e il culto per la scultura si rivelava artista valente. Quel Ciparisso per Roma fu un avvenimento. Ne parlò con lode il Tiberino, giornale in voga a que’ giorni. Il Tenerani scriveva al Pelliccia : « non cesso mai di riscuotere per voi » i dovuti encomi, che si fanno continuamente alla nostra GIORNALE LIGUSTICO 375 » bella statua, ammirata da tutti per la più bella cosa del-» l’esposizione (i)»· Al padre di lui diceva in una lettera: « colla dolcezza del carattere il suo figlio si è acquistato » Γ amore di chi lo ha conosciuto, e colle sue opere la stima » universale..... Ha un figlio di costumi sì savio, e così esperto » nell’ arte da lui professata , da cui può attendersi ogni sorte » di consolazione » (2). A Ferdinando, venuto al mondo (3) il 24 aprile del 1808, pose in mano il mazzuolo Domenico Andrea Pelliccia , suo avo, autore della statua colossale del Granduca Pietro Leopoldo, che abbellisce il Lazzaretto di Livorno (4). Nel 1819 fu ammesso come alunno di scultura nella patria Accademia di Belle Arti. Per il disegno d’ una testa , fatta sotto la direzione del prof. Carlo Prayen, discepolo dell’Appiani, gli toccò il premio d’incoraggiamento nel primo anno di studio ; quattro ne guadagnò ne’ successivi. Nel concorso d invenzione del 24, il suo disegno, rappresentante la morte di Virginia, ebbe il (1) Raggi Oreste, Sopra due sculture del giovine Ferdinando Pelliccia; nel Tiberino, ann. I [1833], n. Di queste due statue, una è il Ciparisso, l’altra una Ninfa Cfr. anche: Ciparisso, statua del sig. Ferdinando Pelliccia da Carrara pensionato dall’ Accademia di quella città [disegno a contorni, con una breve illustrazione anonima]; nel Giornale di Belle Arti, di Roma, ann. 1830. pag 83. (2) X. Y. Z. [Giovanni Sforza] , Galleria de’ çontemporanei lunigianesi. VII. Ferdinando Pelliccia; nel giornale Sarzanese La Lunigiana; ann. XIII, n. 20, 14 maggio 1882. (3) Nacque da Carlo-Antonio di Andrea [n. 18 dicembre 1774; m. 20 dicembre 1851] e da Maria Caterina Olivieri; il 26 aprile del 1835 sposò Anna Micheli-Pellegrini. (4) La famiglia carrarese de’ Pelliccia, oltre Domenico Andrea e il nostro Ferdinando, conta cinque altri scultori, Andrea, Fabrizio, Matteo, Iacopo-Antonio e Carlo Antonio, il padre del nostro Ferdinando. Ctr. Campori G. Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori, ecc. nativi di Carrara e di altri luoghi della Provincia di Massa: Modena, Vincenzi, 1873 ; pp 170-180. 376 GIORNALE LIGUSTICO secondo premio della grande medaglia d’argento. Nel nono concorso del '27 meritò il primo premio della medaglia d’oro per il disegno che raffigura la difesa del corpo di Leonida al passo delle Termopili. L’anno appresso ottenne per concorso la triennale pensione a Roma; e l’ottenne col Giunio Bruto, che condanna a morte i figli ; basso rilievo d’invenzione che era una bella promessa e un lieto augurio per 1’ arte. A Roma fece dimora dal dicembre del '28 al maggio del ’32. E di là mandò all’Accademia, come primo saggio del suo progetto, un Fauno in riposo; poi il Ciparisso, già ricordato. Vi fece anche una Pastorella che s’incorona di fiori; e tanto piacque, che ben quattro volte la riprodusse in marmo; e di quattro esemplari, uno è in Austria, tre sono in Francia. Ritornato sulle sponde del Carrione, scolpiva per il duomo di Bastia S. Giovanni che battezza, il Salvatore ; per il palazzo deH’Ammiragliato a Sebastopoli diverse statue e bassi rilievi, che dopo 1’ espugnazione di quella fortezza, venner da’ Francesi portati a Parigi come trofeo di guerra. Lavorò pure una Baccante. (1) che suona il flauto , ed i gruppi la Creazione d’Adamo, 1’ Educazione materna e la Liberatione d'Italia. Maestosamente severa è nel primo di questi gruppi la figura del-1’Onnipotente, bellissimo di forme l’Adamo; nel secondo spira gentile e soave tenerezza la madre, la quale al figliolino, che tien seduto sulle ginocchia, accenna il cielo; nel terzo il Re Galantuomo spezza con uu colpo di spada le catene all’Italia. Singolare è il contrasto delle tre fignre che formano il gruppo: il croato, dal ceffo feroce; l’Italia piena di speranza e di fede, ma pur macerata da’ lunghi dolori ; Vittorio dalla maschia tempra di cittadino e di soldato. (i) Raggi Oreste, Baccante di Ferdinando Pelliccia, statura alta metri 1,48. (Nello studio dell’ autore in Carrara) ; nell’ Ape italiiina delle belle arti, di Roma, tom. II [1835], p. 19, con tavola incisa a contorni. 377 II Teneram (ed è bellissima lode) riguardava il Pelliccia non solo come il prediletto de’ suni scolari, ma come il migliore di tutti. Il merito, peraltro, di lui non consistè nel maneggiare con maestria lo scarpello; fu anche un valentissimo insegnante; e per ben anni seppe dirigere l’Accademia di Belle Arti di Cai rata con tale e tanto amore, con zelo cosi indefesso, intelligente e operoso da rendersene addirittura benemerito. L’Accademia stette sempre in cima ad ogni pensiero del Pelliccia, ad ogni suo Effetto; l’abile artista visse in lei e per lei. Fondata nel 1769 da Maria Teresa, ultimo fiato de’ Cybo, prosperò rigogliosa sotto la mano benefica di Elisa Baciocchi, che tanto ritraeva del fratello Napoleone ne’ lineamenti del volto, nell’animo e nell’ingegno. Durante il governo di essa, l’Accademia ebbe a maestro di scultura il Bartolini; per segretario, Labindo; per direttore, Lazzaro Papi, il traduttore di Milton; per allievi, Pietro Tenerani e Carlo Finelli. Fu un lampo di vera gloria. Peraltro, caduta Carrara negli artigli Estensi, 1 rancesco quarto, prima diminui il valore de’ premi, poi li tolse affatto; la pensione di Roma ridusse a così scarsa moneta, che era impossibile il viverci; a sè poi, non più agli insegnanti, la scelta del giovane da pensionarsi; non più 1 ingegno e lo studio titolo per conseguirla, ma le fedi del parroco e il benservito della Polizia (1). ( i) Lazzoni Emilio, Curi"tiru t iti sua Accademia di Belle Arti riassunto storico, Pisa, Nistri, 1869; in-8.” Atti della R. Accademia di Belle Arti di Carrara preceduti da un sunto storico della stessa Accademia e da altri componimenti nella solennità del suo primo centenario, Carrara, Stabilimento tipografico il Carriore, 1869; in-8.° Raggi Oreste, Della R. Accademia di Belle Arti di Carrara, memoria per la grande Esposizione di Vienna del 1873, con appendice di lettere inedite di famosi artisti e letterati suoi soci, Roma, tipografia di E. Sinimbergbi, 1873 ; in-8.· Giurn Ligustico. Anno XXII. 25 378 GIORNALE LIGUSTICO A questo erano ridotte le cose quando nel '46 il Pelliccia fu chiamato a dirigerla. Il primo suo atto fu di chiedere l’abolizione del Regolamento del 1832, che stabiliva tali enor-mezze; e se Francesco quinto, pur allora succeduto al padre, non cacciò via il Pelliccia per quella domanda, fu cosa benigna, e ne va lodato. Chiese pure il nuovo Direttore che nell’Accademia si aprisse una scuola serale di disegno per gli artigiani ; e che gli si desse modo di restaurarne il palazzo. Questo soltanto ottenne, ma con quella grettezza che era propria del Duca. Poi nel '47, a furia di chiedere, ebbe la consolazione diveder ripristinati i premi, e così ridestata l’emulazione, che è tanta parte degli studi. Nel ’6o potè ottenere dal Dittatore Luigi Carlo Farini che la pensione a Roma fosse quasi raddoppiata, e che le scuole serali più non fossero un desiderio. Due sole volte vide il buon Pelliccia la sua Accademia deserta, vuote e abbandonate le stanze. Non se ne dolse : ne provò invece una consolazione ineffabile. I suoi scolari, gettato via lo scarpello e afferrato lo schioppo , erano corsi a combattere per l’indipendenza d’Italia. È un’ idea del Pelliccia il monumento agli illustri carraresi, che abbellisce l’Accademia (1); merito suo se di essa fu celebrato il primo centenario; se il suo atrio è convertito in (i) Lazzoni E. Nell’occasione della solenne distribuitone de’ premi agli alunni della R Accademia di Belle Arti di Carrara e dell’ inaugurazione del monumento onorario innalzato nell' Istituto istesso ad onore dei glandi contemporanti carr.tresi Pellegrino Rossi, Angelo lìelliccia, Carlo F nielli, Pietro 'Tenerani, Emanuele Repetii, Domenico Cuccbtari discorso letto il 7 giugno iS6j, Massa-Carrara, Regia Tipografìa Frediani, 1863; in-S.” Raggi O. Di un monumento a sei celebri carraresi contemporanei innalzato dai loro concittadini, lettera al cav. Giulio Rezasco , Massa-Carrara , Regia Tipografìa Frediari, 1863; in-16.· GIORNALE LIGUSTICO 379 un Museo d’Antichità (i), dove campeggia il basso rilievo de’ Fanti scritti, a testimoniare come, fino dai tempi della vecchia Roma, Carrara fornisce il suo marmo alle arti (2). Cessò di vivere alle tre del mattino del 13 febbraio '92. » Amantissimo del proprio paese, schiettamente liberale, cre-» dente senza pregiudizi, nella sobrietà della vita, nella sem-» plicità dei costumi, nell’ intemerato candore del convivio » domestico, nell’assenza assoluta di ogni brama per lucri » affannosi, mise in mostra, non ricercata, tutto il calmo » splendore delle sue private virtù. Era una seconda famiglia, » per lui amata di eguale affetto, la variabile e lunga schiera » dei suoi discepoli, del cui profitto e della cui fortuna arti-» stica si compiaceva e gloriava come scintilla spiccatasi dalla » propria luce. Si dedicò all’ insegnamento come ad una » missione sacra, e le voci del dovere mancato non ebbero » mai suono nell’ animo suo. Insignito di onorificenze cavalle-» resche, socio dell’Accademia di S. Luca e di altri Istituti » artistici, mai non rivelò dall’ animo modesto nessuna vanità » di ambizione. Egli, dopo tanti anni di gloriosa carriera, » mostravasi soltanto preso dal nobile orgoglio di portare » splendente in fronte la mistica corona di Direttore della » R. Accademia, che cingeva come serto reale, ma non potè » sentir consolato il suo crine canuto negli ultimi giorni di » sua vita, senza che una mano infausta (3) non gli strap- (1) Cfr. Andrei Pietro, Di tre iscrizioni italiane del secolo decimoquarto in Carrara; nel periodico bolognese II Propugnatore, studi filologici, storici e bibliografici ; vol. II, pp. (2) All’Accademia il Pelliccia fece dono di quattro busti in marmo da lui scolpiti, che rappresentano il dott. Angiolo Pelliccia, Bernardo Fabbricotti, Oreste Raggi e Giovambattista Del Monte. (3) Al principio del gennaio del '92 gli fu intimato di dimettersi dall’ufficio di Direttore dell’Accademia; e ne provò un dispiacere così grande, che di 11 a poco cadde malato e più non si riebbe. Quel comando di dimet- 380 GIORNALE LIGUSTICO » passe quel serto, che dovea onorarne la tomba ». È il ritratto che fa di lui un suo concittadino (1); ritratto colto dal vero ! Ebbe splendidi funerali (2); e il 20 ottobre del 1895 gli fu inaugurato un busto nell’Accademia di Belle Arti. E là, dove ha speso la vita; là, dove ha legato il suo nome con nodo indissolubile, il ritratto dell’ operoso Direttore è nobile ricordo e imitabile esempio. Giovanni Sforza. tersi, non giustificato da una ragione al mondo, nascondeva sotto un turpe intrigo; e certo non torna a lode nè del Prefetto di Massa d’allora, nè di chi era allora Ministro dell’ Istruzione Pubblica 1’ avervi prestato mano. (1) Se ne legge una minuta descrizione nel n. 8 dell’ann. Vili dell’Eco del Carrione. Vi erano rappresentati gli Istituti di Belle Arti di Firenze, Roma, Lucca, Parma e Napoli, l’Accademia Albertina di Torino, I Accademia Ligustica di Genova, l’Accademia di S. Luca di Roma, le Accademie di Belle Arti di Modena e di Bologna 1’ Istituto Raffaello di Belle Arti d’ Urbino. Alla famiglia mandarono telegrammi di condoglianza il Ministro dell’istruzione pubblica Pasquale Villari, Cesare Cantù, Ettore Ferrari, G. Isola, Tullio Massarani, Stefano Ussi, Giovanni Capellini, Ettore Ximenes e altri. De’ discorsi pronunziati sulla sua salma videro la luce nel giornale carrarese Lo Svegliarino [ann. XVII, n. 8 21 febbraio 1892] quello del prof. Andre.* Frediani e quello dell’ ing. Ugolini. (2) XX ottobre MDCCCXCV. Inaugurandosi nella R. Accademia di Belle Arti di Carrara un busto alla memorili dell' esimio statuario comm. Ferdinando Pelliccia V amore della figlia Adele questi versi ispirava, Carrara, 10-95, Tip. D. Sanguinetti e figli; in 4° di pp. 4 n. n. Dott. Achilie Lombardini professore di anatomia nella R. Accademia di belle arti Commemorazione del prof. comm. Ferdiiuwdo Pelliccia, Milano, tipografia A. Lombardi di M. Bellinzaghi, 1897; ΐη-δ.1’ di pp. 16. GIORNALE LIGUSTICO 381 VARIETÀ PER GIOVANNI E SEBASTIANO CABOTO Come molti tra i nostri lettori sanno, è stato recentemente inaugurato in Halifax un monumento a questi illustri navigatori, improntato dagli stemmi di Venezia e d’Inghilterra. In tale occasione venne fatta preghiera alla Società Storica Savonese di occuparsi della controversia intorno alla loro patria; Savona negli anni scorsi dedicò, come si sa, una sua via a Giovanni Caboto, come a suo concittadino. L’ egregio cav. A. Bruno, a nome della Società di cui è segretario generale, ci comunica un suo scritto in cui rileva che la Società Storica Savonese « non ha mai dimenticato quella controversia, in merito alla quale si sono manifestati autorevolmente molti eruditi, tra i quali il D’Avezac, il Colucci, il Gennesi, il Desimoni : ma siccome la verità storica, più che dalle discussioni accademiche, deve emergere dai documenti, la Società è obbligata ad andare molto lenta nelle ricerche e negli studi, non avendo d’altronde mezzi adeguati per procedere come vorrebbe. L’intitolazione a Giovanni Caboto della via, che dalla piazza del Duomo va ad incontrare la via Giuria, data dal 1881, dopo una pubblicazione fatta dal chiarissimo Desimoni, che dimostrò essere i Caboti di origine ligure e probabilmente savonesi. La proposta di massima partì da Pietro Sbarbaro e dall’ on. Paolo Boselli : il consiglio comunale l’accolse con plauso, dopo le belle e degne parole della commissione incaricata di riferire in proposito, composta del senatore Luigi Corsi, del deputato Boselli e dell’arch. Giuseppe Cortese, alle quali fece eco con entusiasmo cittadino il compianto cons. Garibaldi. Ma contro alla probabilità di Savona stanno le pretese di Venezia: nè sono le sole, perchè anche gli inglesi entrarono nella contesa, la quale non potrà certamente essere risolta a forza di monumenti o di denominazioni. Vero è però che le ragioni dell’ una e degli altri nulla hanno guadagnato da molto tempo a questa parte, mentre quelle di Savona si avvalorano sempre più. Il Bruno ha raccolto importanti note sui Caboto di Savona, le quali potrebbero servire di elemento ad una completa monografia di quella famiglia nostrana, che se non è, forse, quella dei navigatori, ha indubbiamente stretta parentela con essi : ed in ciò diverge dall’ ipotesi 382 GIORNALE LIGUSTICO dell’ illustre Desimoni che pensa poter anche essere Cabotus un derivativo di Gavotus. Trovasi infatti, già sin dall’anno 1178 un Oberto Caboto possessore di terre a Legino, che avea un fratello di nome Giovanni, alcuni figli, e testò nel 1180. Nel 1181 esisteva in Savona un Giacomo Cabuto : e nel 1179 v’ era una torre di Caboto ed un castagneto nel contado colla stessa de-nominazicne. Saltando altre citazioni, è noto quel Sebastiano eh’ era fabbricatore di bombarde sotto lo Sperone tra il secolo XV ed il XVI ed ebbe diversi incarichi. Ma la quistione è per ora immatura assai : tanto più che nei registri di contabilità del comune, sotto l’anno 1468, si è rinvenuto un Giacomo Cabuto de sancto Benedicto, conduttore di bottega presso le porte di piazza Colombo, ciò che può mettere sulla traccia di altre e più promettenti indagini per chi avrà voglia e tempo di farle. La Società Storica non può effettuare i suoi studi come vorrebbe ; ed il motivo principale sta in ciò che il campo dal quale potrebbe trarre elementi utilissimi alla patria storia, al nome ed al decoro della città di Savona, è ancora disordinato. Infatti l'archivio degli antichi notari vorrebbe essere tolto all’ oblio in cui giace, perchè nello stesso sta sepolta la più bella ed onorevole parte della vita dell' antico comune Savonese. Non rimane perciò che a far voto affinchè abbia luogo finalmente il suo ordinamento, ed allora la Società Storica e qualunque studioso avranno mezzo di cooperare alla risoluzione di quella e di tante altre controversie le quali interessano ognuno che sente amore per la terra nativa. Sullo stesso argomento, riproduciamo ben volentieri il seguente articolo dell’amico cav. L. A. Cervetto : I giornali, annunziando il quarto centenario del celebre navigatore Giovanni Caboto, lo qualificano per veneziano, mentre egli invece è gloria della nostra Liguria. Dei Cabuti o Caboti si trova già traccia in Genova nel secolo XII ; Rubaldo e Guglielmo nel 1157 figurano tra i cittadini che giurarono l’alleanza con il Re di Sicilia, e nel 1188 sottoscrissero per la pace con i pisani. In un atto rogato nel 1160 dal notaio G. Scriba, Rubaldo e Guglielmo GIORNALE LIGUSTICO 385 compariscono quali testimonii e quale testimonio appare altresì Giovanni in un rogito steso nel 1162 dallo stesso notaro (1). Nel secolo medesimo i Cabuto compariscono nel territorio di Porto Maurizio, ed il compianto amico nostro avv. Doneaud, in un suo scritto, ricorda come un Bonanato Cabuto a dì 7 maggio 1252 venisse ammesso alla cittadinanza in quel Comune, e Giorgio, pure di Porto Maurizio, fosse eletto nel 1434 al-Γ uffizio di scrivano a Calvi in Corsica. In Savona i Caboti sono ricordati nel secolo XIV. Appaiono tra i mercanti e gli uomini di mare e i documenti fanno menzione delle navi da essi possedute. E, cosa strana, mentre in certi rogiti tu trovi individui appartenenti a questa famiglia appellati Cabuti, in altri li vedi nominati Gavoti o Gavotto, come Bernardo nel 1454, Lorenzo nel 1496, Nicolò nel 1439 e, 48. Negli atti del notaio Angelo Corsaro nel 1478 è menzione come Giacomo Cabuto, savonese, si obbligasse a consegnare a quel Comune quattro bombarde nei modi specificati nel contratto. I discendenti proseguirono 1’ arte del fonditore, come rilevasi dalle memorie che tuttora si hanno. Provata in modo così chiaro, così luminoso, l’origine ligure della famiglia in discorso, non si potrà dunque ascrivere alla Liguria il celebre scopritore del Labrador e di altre regioni dell’alta America settentrionale, Giovanni Caboto, contemporaneo di Colombo, che il Boccardo nella sua Enciclopedia disse veneziano ? — Sì, a questa domanda è facile dare risposta e dire : — Giovanni Caboto è non solo originario, ma nativo della Liguria. I documenti scoperti recentemente in Italia, in Ispagna, in Inghilterra e posti in bella luce dagli studiosi, comprovano tale affermazione. Giovanni Caboto, nella cui persona si riscontra tutto quell’ ardire, tutta quella tenacità di propositi, che formava la prerogativa dei marini genovesi nei secoli XIII, XIV e XV lasciata la natia riviera ligustica nel 1460 si recava ad abitare in Venezia, e dopo quindici anni profittando della legge veneta, che, al pari della genovese, favoriva le naturalizzazioni chiedeva il titolo e i privilegi di cittadino veneziano. (1) Fr« le istruzioni date aU'ambasciatore Grimaldi nella sua legazioni del 117+ è compresa una lunga lista di persone per le quali il Comune reclamava indennizzi dall’ Imperatore di Co-M.intinopoli. Fra queste troviamo : Pro Cabuto perperot cclxxv >juoì npud Costantinopclim perdidit. La lista, indicata ma ommessa nella pubblicazione del Sauli (Delle cohnie dei Genovesi in Galaia. li, 187) vede ora la prima volta la luce fri i documenti liguri bizantini raccolti dal compianto Abate Angelo Sanguineti ed a mia cura pubblicati nel vol. XXV111, fase. II degli Atti della Società l.^ure di Storia Patria, ora in corso di stampa (vedi a p.ig. S9S)· dtl D· 384 GIORNALE LIGUSTICO Esiste il decreto il quale reca la data del 28 marzo 1476 ed è cosi concepito : Quod fiat privilegium civilitatis de intus et extra Joani Caboto per habitationem annorum XV, iuxta consuetum. Erano presenti in Senato 14g, compreso il Doge, e i voti lurono unanimi, indizio della stima che i veneziani aveano per questo capitano ligure che andavano orgogliosi di considerare come cittadino Ora questo decreto, il quale viene precisamente a provare l’origine straniera del Caboto, poiché se fosse stato altrimenti, egli non avrebbe dovuto ricorrere al decreto per farsi naturalizzare, indusse più di uno scrittore a dire essere il Caboto d origine venet 1, ma mentre noi non contrasteremo alla regina dell’Adriatico il vanto di aver dato i natali ai figliuoli di Giovanni, tra cui al celebre Sebastiano, col De Simoni, con l’americano Harrisse, col tedesco Paschel, col francese D’Avezac, con lo spagnuolo Pedro d’Ayala, cogli italiani Luigi Hugues, A Zeri e professor Morchio, andremo lieti di poter dire : Giovanni Caboto appartiene alla Liguria. Intorno ai primi tempi della carriera marinaresca del Caboto, nulla è dato di conoscere; certo da quello che dopo compiè, è dato argomentare che egli fosse espertissimo alla navigazione sino dal principio. Le storie nostre raccontano come Γ attivo commercio tra la Spagna, le isole Britanniche, le coste dell’Asia e dell’Africa spingesse i liguri marini a guidare le prore delle navi cariche di preziose merci, in quelle spiaggie, in quoi porti, e il Caboto non può non aver seguito le tr.iccie dei navigatori suoi concittadini L’abate Raimondo di Sancir.o ambasciatore per il Duca di Milano alla Corte di Londra, in una lettera in data 17 dicembre 1497, parlando di Giovanni Caboto, dice che è un uomo di gentile ingegno e peritissimo nella navigazione « et che altre volte è stato alla Mecca, dove per carovane sono portate le speciaric ». Recatosi a Venezia sposava una veneziana, e nel 1496, come appare da documenti, avea già tre figliuoli, Lodovico, Sebastiano e Santo. In quei tempi le sorti delle repubbliche di Venezia e di Genova, a causa della perdita delle colonie del Levante, correvano poco propizie pei nostri navigatori, e il Caboto recavasi in Ispagna, ed avendo trovato, come opina il chiar Desimoni, fredda accoglienza a Siviglia e a Lisbona, dove il terreno-era già preoccupato da Cristoforo Colombo, con il quale nulla di più facile abbia egli conferito, p;r non intralciare i disegni del silo conn izionale, passava in Inghilterra dove ottenne l’agognato favore. Il t.-mu preciso in cui Giovanni Caboto si recò in Inghilterra non è ben indicato Probabilmente fu nel 1491, in cui comincia in quel regno la GIORNALE LIGUSTICO 38) serie delle sue escursioni. Pietro di Ayala, ambasciatore del re Ferdinando di Spagna alla corte di Enrico VII d’Inghilterra, in una lettera del 25 luglio 1498 informa il suo monarca che già da sette anni quei di Bristol vanno annualmente armando quando 2, quando 4 caravelle per andare in cerca del Brasile e delle sette città, scaldati dalla fantasia deste gerì ves corno Colon, il quale genovese era stato a Siviglia e a Lisbona, chiedendo favori al suo disegno, 0, come dice l’Ayala, procurando haver quien le ayudasse a esta invention Lo scopo principale del viaggio del Caboto era quello di scoprire il passaggio libero per mare alla Cina e alle Indie, da cui pervenivano la ricche mercanzie che egli aveva visto portare alla Mecca da carovane provenienti da lontanissimi paesi. La sua tenacità, veramente ammirabile, in mezzo agli ost.icoli, alle molteplici peripezie che dovette incontrare, ebbe un premio sul far del giorno 24 giugno 1494. Erano le 5 del mattino quando i marinai di vedetta gridarono: « Terra, Terra ». Difatti presentavasi agli sguardi dei marinai attoniti due isole, e in quel momento di sublime trepidazione, la mente del Caboto si elevò al cielo, e pensando che appunto in quel giorno corrcv.i la festa caramente diletta al cuore d’ ogni ligure, decise di appellare col nome di S. Giovanni Battista l’isola, sulla quale poneva piede; l’altra chiamava Prima vista. Come ò bello, come è caro il ricordare questi sublimi slanci di fede in uomini, il cui nome, le cui opere saranno in eterno ammirate ! Rimandando al pregevole volume che l'Harrisse pubblicò intorno ai viaggi di questo celebre navigatore, ed ai non meno pregevoli scritti che il Desi-moni stampò nel XV volume degli « Atti della Società Ligure di Storia Patria », i lettori che fossero vaghi di conoscere i viaggi e le interessanti scoperte operate da Caboto e dai suoi figliuoli, io sono lieto d’ aver qui ricordato come Giovanni Caboto sia gloria della nostra Liguria. L. A. Cervetto. * * * A questo articolo vanno aggiunti come appendice le seguenti osservazioni di A. Bruno predetto. * * * Il Secolo XIX accennando ad un articolo del chiar. L. A. Cervetto sul Cittadiuo di Genova a proposito del IV centenario di Giovanni Caboto, si mostra convinto, senz’ altro, della savonesità dello scopritore delle terre nord-americane, e desidererebbe che Savona, a mezzo della sua società storica, rivendicasse quella nostra gloria italiana. 386 GIORNALE LIGUSTICO Bisogna esser grati all’ egregio articolista del Secolo XIX per la sua benevola manifestazione verso questa città che annovera tante altre glorie marinaresche : ma ritenga il cortese scrittore che 1’ affermare al momento d’ oggi essere savonese Giovanni Cabotto è correre forse troppo , nè a ciò autorizza sinora alcun documento positivo. Vi sono induzioni, ma queste non bastano : ed infatti il chiar. Cervetto si è limitato solamente nel suo dotto articolo a dimostrare che il celebre navigatore appartiene alla Liguria, lasciando agli studi ed alle ricerche storiche le ulteriori notizie. Egli è d’ accordo in ciò coll’ illustre Desimoni, coll’ Harrisse c con quanti altri si occuparono assiduamente della questione: ma nessuno può sino ad ora andare più in là; e Savona sarebbe ben lieta e superba se, come avvenne nel 1892 coi documenti madrileni che dimostrano la savonesità di Cristoforo Colombo ( 1 ) si potesse oggi con un solo documento riconosciuto ed autentico come quelli, dimostrare che anche Giovanni Caboto è savonese. La società storica non può dunque, allo stato delle cose, che continuare nelle sue indagini, le quali le sarebbero agevolate assai dall’ordinamento razionale del prezioso archivio degli antichi notari, nella massima parte sinora inesplorato: ed anzi, a questo ultimo proposito, io sono lieto di poter affermare che un’ autorevole e dabben cittadino ha rivolto il pensiero a tale bisogna. Si vedrà dai risultati di quelle indagini e dagli studi che ne seguiranno come si possano combattere efficacemente gli errori di storie compendiose, di lessici e di enciclopedie, non solo intorno ai Caboto, ma a tante altre individualità che onorano la terra ligure ; e si potrà solo allora, giova sperarlo, dissipare tante nebbie che hanno regnato sin qui nel campo storico. E giacché ho preso parola, non tralascerò di rilevare in argomento come Γ accenno (atto dal Cervetto che i Caboto sono ricordati in Savona -nel secolo XIV non sia completo. Perchè, come ebbi occasione di affermare in altre circostanze, la famiglia dei Cabliti, che per me si tratta della stessa cognominazione, comparisce negli atti dei nostri notari sin dal secolo XII. Infatti, nella Carta Anseimi et IV. de Pand ulci dell’anno 1178 nel registro cumanense, figura come consenziente ad un atto di vendita di beni un Oberto Cabuto marito di MateUIa. Costui possedeva a Legino in costa Ale-xandrorum e ciò deduco dalla carta Gisulfi Bava dello stesso anno nel registro anzidetto. Mori nel n8o, lasciando prole. La carta Benvenute filie (1) Abbiamo gii altrove espresso la nostra opinione tuli' Autorità di coJctti documenti ma drilcni, Cfr. Ligustico XXII, p. 221 nota. N. d D. GIORNALE LIGUSTICO I87 q. IV. Pangioni è stipulata ante domum Cabuti, nell’anno successivo. È certo che 1’ Oberto aveva due fratelli, l’uno di nome Giovanni l’altro Giacomo, e ciò risulta dalla laus Oberti Spa\anlis , alla quale intervennero i consoli Arnaldo Labello, Ponzio De Guasco e Bonavida De Rustico; nonché dalla laus lacobi Cabuti con cui i consoli medesimi riconoscono ed approvano la. cessione dal Giovanni fatta al Giacomo di un oliveto con topiale, sito nella Fossavaria. Ma, a provare l’antichità in Savona della famiglia dei Caboti v’ ha di più, e cioè la denominazione identica di una torre nel tempo accennato, la qual torre giaceva ad portam buellariam, come apparisce dal testamento Pondi Cullianigra e dalla carta Engelfredi De Richi. I Caboti sono sparsi negli anni e negli atti successivi e, come si sa, oggi ancora abbiamo in Savona delle famiglie di tal nome, non credendo io che si possa notare differenza tra quello ed il moderno appellativo di Cabutti. Ma le linee discendenti dalli stipiti noti del secolo XII e loro attinenze collaterali sono ancora un segreto, nascosto probabilmente nelle filze polverose dello antico archivio, del quale converrebbe, per far più presto, esaminare per ora i cosidetti bastardella, spogliandone gli indici. L’archivio genovese al quale sopraintende il venerando Desimoni avrà certamente notizie importanti da far luce sulla questione : ma non si creda che per il fatto che i Caboti compariscono fra noi come uomini di mare e come mercanti, e perchè ebbimo nel secolo XV un Giacomo Cabuto fenarius e fabbricatore di bombarde sotto l’antico castello dello Sperone, nominato dal notaro Angelo Corsaro ed anche dal Tommaso Monelia, siasi a capo del gomitolo. Io posso aggiungere ehc nel cartulario de’ luoghi del comune savonese dall’anno 1468 sino al 1472 e cioè press’a poco nel tempo istesso, risulta un Iacobus Cabutus de Sancto Benedicto, il quale conduceva una bottega presso le porte della piazza Colombo, e credo si tratti dell’ identica persona. Noto che Caboto Sebastiano ebbe nel 1518 la riconferma dal comune del Γ affinamento d’ una bottega, non è detto dove : che lo stesso fu ascritto nel 1474 all’ ordine degli artisti, ed ebbe diversi incarichi pubblici, tali quello di ufficiale d'abbondatila, di regolatore dei capitoli dell’ arti, ecc. : e trovo anche che il comune nel 1550 concedette al costui figlio Bernardino un sito al molo per fabbricarvi la sua officina, esercitando come il padre l’arte di ferraio. A. Bruno. * * * Riferendosi alle feste pel centenario delle scoperte di Giovanni Caboto, qualche giornale si è occupato della patria del grande Navigatore, rivendicando quest’ altra gloria alla terra di Colombo. 388 Che Giovanni Caboto sia ligure ormai sembra fuori dubbio; 1’essersi sempre ritenuto figlio della Laguna dipende da ciò che egli, dopo 15 anni di domicilio , fu fatto cittadino veneziano. Questo errore passò accreditato fino ai nostri giorni, come si ritiene ancora dai più che i Caboto abbiano dato il nome alla parola cabotaggio, mentre questo vocabolo deriva dalla voce spagnuola cabo (capo, promontorio) sicché cabotaggio significherebbe, navigazione da capo a capo. Ma quale terra di Liguria ha dato i natali all’ardito esploratore? Finora sono a disputarsi questo vanto Savona e Porto Maurizio. Fin dal 1881 un nostro concittadino, appassionato indagatore delle patrie momorie, il compianto avv. Giovanni Doneaud — rinveniva in Genova , nell’Archivio di Stato, alcuni documenti comprovanti Γ esistenza della famiglia Caboto in Portomaurizio fino dall’anno 1252 e giù, per una serie interrotta di generazioni fino al secolo XV. Nel 1276 si trova nominato un Bonanato Caboto nell’ elenco delle famiglie che godevano per anni della esenzione delle tasse ed aggravi pubblici, per essere andate a stabilirsi nella colonia di S. Lorenzo. Nel 1425 un Giorgio Caboto di Porto Maurizio era cancelliere della curia di Calvi in Corsica e un Antonio Caboto, figlio del Giorgio, fu fatto prigioniero dai catalani, segno che navigava. Nell’ epoca in cui Giovanni salpava dalle coste liguri, Porto Maurizio era fiorente di esperti e valorosi uomini di mare: basti citare Pietro Alcardi, sopranominato Scarituio e Giacomo Rambaldi. In un libro pubblicato in Genova nel 1845, autore G. Banchcro, si legge: o Pietro Aicardi e Giacomo Rambaldi comandante di vascello ambi di Porto Maurizio, con molti marinai dello stesso luogo, si trovarono sulla flotta genovese (:; comandata dal celebre ammiraglio Asscreto, il quale sconfisse l’armata d’Aragona, liberando Gaeta dall'assedio ecc. ». E più oltre : v La marineria delle due riviere gareggiò in valore con quella della metropoli ; i detti capitani Aicardi e Rambaldi fecero abbassare le vele a molti legni nemici » — Il principe Giovanni d Angiò — scrisse il Ferrari — usando ogni suo sforzo prese al suo soldo Pietro Aicardi da Porto Maurizio e con 1’ aiuto di Rinaldo governatore d’Asti, si difese valorosamente dagli attacchi di Francesco Sforza e Pietro Fregoso, già doge della Repubblica, a E più innanzi: » Pietro Aicardi, uomo valoroso e molto esperto ed intendente delle cose marittime, che vi condusse due galee ca- (1) 11 comune di Porto Maurizio concorse più volte volontariamente nelle tpeve per Γ arma» mento della flotta genovese. GIORNALE LIGUSTICO 389 riche di gente avvezza tutta nelle battaglie, chè in quei tempi Porto Maurizio fiorì di uomini bravi nelle faccende di mare ». Dal qui esposto non si può dedurre che i Caboto di Porto Maurizio fossero della medesima famiglia onde nacque il Giovanni. Ma ho voluto che si sapesse che anche Porto Maurizio è candidato all’ onore di aver dato i natali allo scopritore del Labrador ed altre terre deU’America settentrionale. Credo inutile difendermi dalla eventuale accusa di voler fare de! campa-nalismo; la consorella Savona, patria di nobili ingegni, sarà ugualmente superba di questo figlio della Liguria nostra. D’ altronde, tali nomi irradiano sì viva luce da spandersi al di là dei’ confini angusti di questa o quella regione — la loro gloria è gloria della patria comune. G. Ricci. La polemica, a base di affermazioni gratuite, va continuando sulla stampa quotidiana della nostra Liguria, e troppo lunga cosa sarebbe il riportare tutti gli articoli pubblicati su tale soggetto da A. G. Rocca, ad un pseudonimo Sagone e all’ amico dott. G. B. Garannini, col quale concordiamo nel raccomandare ai bigotti della Savonesità di Caboto meno fretta nel progettar monumenti e più' zelo nel ricercar documenti. COMUNICAZIONI E APPUNTI. Per due cimelii artistici. — Un assiduo del Secolo XIX, con lodevole sollecitudine, segnalava nella prima quindicina del mese di Luglio di quest’anno, la scomparsa, dal luogo di origine, di due monumenti che hanno non piccolo interesse per la storia artistica della nostra regione. Il primo è un bassorilievo in pietra di promontorio del secolo XV, rappresentante un vescovo seduto in atto di scrivere (S. Agostino) che ancora due anni or sono, vedevasi murato sopra l’ingresso d’una bottega posta nella Salita Arcivescovile di proprietà del signor G. B. Testa fu Luigi, che procedendo al restauro di quell’ edifizio tolse da esso la scultura, in questione. L* altro consiste in una statuta di marmo rappresentante Orietta D’ Oria, fatta eseguire per ordine del Senato e murata nella casa di lei in capo alla scalinata di Morcento, ora in demolizione. 390 GIORNALE LIGUSTICO Possiamo assicurare i nostri lettori che i due frammenti d’ archeologia locale sono in sicura stanza allogati, lungi dalle ingiurie del tempo e del vandalismo moderno, e cioè al Museo Civico di Palazzo Bianco. Genova nel 184-9. — Coi tipi dell’ editore Palmieri di Sampierdarena sono testé comparse alla luce le prime dispense della Cronistoria documentata dei moti di Genova nel mar^o ed aprile 1849, scritta dal dottor Gualtiero Lorigiola noto nel campo giornalistico e letterario col pseudonimo di dottoi Walter. Le prime puntate contengono la cronologia degli avvenimenti politicomilitari svoltisi in Italia ed in ispecie a Genova dal primo gennaio 1848 al 25 marzo 1849. Al La Marmora che nel 1875 pubblicò il suo Un episodio del risorgimento italiano è stato mosso appunto di aver falsato cause ed effetti e di aver scritto poi più per lodare le proprie gesta che per esporre i fatti quali avvennero. Il dottor Walter, che potè trascrivere oltre a 300 documenti esistenti nell’archivio municipale di Genova, nonché i verbali delle sedute consi-gliari dell’epoca, si propone di ricostruire colla scorta di essi, con tutta imparzialità gli avvenimenti di quegli anni. Il volume, di circa 400 pagine in 8° grande, oltre alla premessa cronologia consterà di sei parti, così divise: 1.* Due parole per intenderci. 2." Cause ed effetti o uomini e fatti. 3.“ Il libro di Lamarmora. 4.” A Genova dal 26 marzo all’11 aprile 1849: ancora del libro di Lamarmora. 5.* Danneggiati ed episodio Pasini. 6.’ Strascichi e triste epilogo — Sentenze di morte. Le associazioni all’ opera si ricevono presso 1’ Editore Palmieri in Sampierdarena nonché presso la Libreria Sordo-Muti in Genova. — Il prezzo del volume è di L. 4. Monumento nazionale a Giuseppe Parini. — Nel sesto numero del giornale didattico La Scuola Secondaria Italiana il Prof. Avancinio Avancini pubblicava un articolo su Giuseppe Parini, invitando gli Italiani ad erigergli in Milano un monumento, nel i.° Centenario deila sua morte, che ricorre il 15 Agosto 1899. La stampa milanese accolse con grande interessamento la proposta e i giornali di tutta l’Italia le fecero eco, dimostrando quanta venerazione sia dovunque per 1’ autore del Giorno, per 1’ educatore della nostra gioventù e rigeneratore dei nostri costumi. GIORNALE LIGUSTICO 191 Animati da questo primo buon successo, i Redattori e Collaboratori della Scuola Secondaria si riunivano per costituire in Milano un Comitato promotore. Nella sua prima riunione il Comitato deliberava di costituire sottocomitati in tutte le provincie, e il lavoro ha proceduto e procede con molta alacrità, essendo universale Γ accordo perehè il primo centenario della morte del Parini non passi senza che lo scopo sia stato raggiunto. In pari tempo si stabiliva di mettere l’impresa sotto il patrocinio di un Comitato onorario composto dei signori: Visconti-Venosta nob. comm. Gino, Presidente, Brentari prof. dott. Ottone e Rostagno prof. cav. Luigi, V. Presidenti, Avancini dott. prof. Avancinio, Segretario, Pietrasanta prof. Pagano, Cassiere. Amati comm. Amato, Bara valle prof. cav. Carlo, Barbiera cav. Raffaello, Bardelli prof. comm. Giuseppe, Berti prof. Candido, Bognetti prof Giovanni, Campani prof. Annibaie, Carotti dott. cav. Giulio, Colombi dott. Gaspare, Concari prof. Tullo, Crepas prof, Emilio, De Castro prof. cav. Giovanni, Ferrari prof. Vittorio, Gabba prof cav. Luigi, Grassi prof. Francesco, Marcati prof cav. G. A., Martinazzoli prof. Antonio, Fanzini prof. Alfredo, Retali prof. Virginio, Ruggero magg. prof. cav. Giuseppe, Rolando prof. cav. Antonio, Ronchetti prof. comm. Anseimo, Scherillo prof. Michele, Vanni prof. Manfredo, Venturi prof. Giovanni Antonio. Ora il Comitato promotore si rivolge alla stampa perchè voglia iniziare pubbliche sottoscrizioni, avvertendo che le somme raccolte dovranno essere inviate all’ Economato del Collegio Nazionale Longoni e R. Liceo Parini di Milano; ed è convinto che nessun giornale italiano vorrà negar Γ opera sua a questo nobile intento, affinchè le onoranze da tributarsi al grande Maestro riescano solenni e degne non meno di lui che della patria. Per P. Giuria. — Il 3 giugno 1888 Savona vide sorgere un monumento ad uno dei più illustri suoi figli, Pietro Giuria, al quale già si era dedicata una via. La mas'chia figura del poeta, del pittore, del letterato, del filosofo, dell'integerrimo cittadino, dell’ottimo padre di famiglia e del coraggioso cristiano, sorge infatti nel giardinetto di piazza Sisto IV, all’ ombra di un alto eucalyptus e circondata da altre piante. Guarda sul Corso Principe Amedeo, e sul piedistallo porta la scritta seguente : A PIETRO GIURIA MDCCCLXXXVIII 392 GIORNALE LIGUSTICO Recentemente, con Reale Decreto, la nostra R. Scuola Tecnica, veniva denominata dall’illustre nostro concittadino. Municipio e Governo compresero adunque Pietro Giuria, e meritamente ne onorarono la memoria. Ora, non sia discaro ai lettori del Ligustico se, da quest’ ultimo omaggio tributato alla memoria del grande savonese, prendiamo argomento per e-sprimere un nostro voto, che è condiviso dai nostri concittadini Insigni personaggi affermarono che un altro bello ed elegante monumento, sarebbe la ristampa di tutte le opere bellissime del Giuria, talune delle quali affatto irreperibili ! Pietro Giuria, vero patriota e cristiano, consacrò l’ultimo periodo della sua vita in difesa di quei principii religiosi che soli possono garantire la pace e la prosperità della patria nostra. Egli scese animosamente a combattere il materialismo, l’ateismo e la libertà male intesa e peggio applicata, che era convertita in despotismo feroce. Propugnò 1 insegnamento religioso nelle scuole, condannò come Victor Hugo la scuola atea, combattè il socialismo, difese il Vangelo, fulminò la corruzione alta e bassa, inneggiò al vero amor di patria in molte cantiche e poesie liriche, come ne fanno fede le sue opere, delle quali meriterebbero speciale ristampa le seguenti : Poesie liriche — Cantiche e poesie liriche — Melodie sacre e profane — Inni italici — Racconti storici e romantici — Silvio Pellico e il suo tempo — L’ Uomo — Il Cristianesimo religione di progresso — La Civiltà e i suoi martiri — L’Austria e i trattati del 1815 — Storia aneddotica dell’occupazione austriaca in Piemonte nel 1859 — Storia popolare di Casa Savoia — L’Uomo nella creazione e il materialismo nella scienza moderna — L Uomo, la scienza e la società. — L’insegnamento religioso nelle scuole dello Stato — Necessità dell’ insegnamento religioso nelle scuole — Lettera agli elettori politici — Melodie sacre e profane della letteratura inglese — Rovine di antiche città — Monumenti di tutti i popoli — Capanna dello zio Tom — Bellezze del Bosforo — La Spugna — Guida di Torino. — Le opere di Pietro Giuria, se ristampate, colmeranno una grave lacuna, soddisfacendo nel tempo stesso al vivissimo desiderio dei concittadini nostri. Esse dovrebbero andare per le mani di tutti, ma specialmente dei giovani studiosi, insidiati tuttodì dai briganti della penna. Noi facciamo voti che la nostra benemerita Società Storica Savonese, della quale fanno parte tanti eletti ingegni, che già contribuirono potente-mente all’ incremento delle lettere e delle scienze, assuma 1’ onorifico in- GIORNALE LIGUSTICO 393 carico della ristampa delle opere dell’affezionato amico, al simpatico poeta saluzzese. Sarebbero cosi appagati i desiderii degli studiosi che vedrebbero tolti dall' oblio i pregiati lavori dell’ immortale cantore di Marco Botzaris, e la Società Storica Savonese, rispondendo ad un sentito bisogno, avrebbe il plauso e la lode degli ammiratori del nostro grande concittadino. G. E. Bazzano. * * * Scritti inediti di A. Manzoni. — Con un volume prossimo ad uscire alle stampe, si compirà la serie delle Opere inedite n rare del Manzoni pubblicate da Roggero Bonghi a cura del senatore Pietro Brambilla Questo volume, lasciato in tronco dal Bonghi, conterrà scritti sulla lingua italiana. Compiutasi questa serie, la quale, pur troppo! non ebbe tutte le cure che dal Bonghi potevansi e dovevansi aspettare, e che il Manzoni meritava, ne verrà cominciata un’ altra che il senatore Brambilla ha affidata al cav. uff. Giovanni Sforza, Direttore del R. Archivio di Stato in Massa, il quale già pubblicò diligentemente due volumi dell’Epistolario. L’Epistolario sarà riprodotto e accresciuto, con aggiunta di molte lettere al Manzoni; e comprenderà quattro volumi. Un altro volume conterrà un saggio della prima forma de’ Promessi Sposi quali furono scritti nel 1821, e della seconda, che servì poi, ma con modificazioni rilevanti, all’edizione del 1827: e ciò mostrerà, come a dire, il processo di formazione del libro immortale. Si raccoglieranno anche le Pastille ad opere storiche, varii motti per Album e le Iscrizioni. Si darà uno studio sui materiali che servirono alla Colonna infame, e un’ edizione critica della Lettera sul Romanticismo. Il saggio sulla Rivoluzione Francese verrà riprodotto con brani inediti : e così anche le Poesie giovanili, in sostituzione della stampa troppo affrettata fattane dal Bonghi, con aggiunta di cose inedite. Chiuderà la pubblicazione un volume di Memorie e documenti sulla vita e sulle opere del Manzoni. Noi ci congratuliamo col Brambilla di questa sua determinazione ; colla quale generosamente provvede alla gloria del suo grande concittadino e congiunto; e siamo sicuri che lo Sforza, compreso dell’importanza del-1’ opera a lui affidata, farà opera degna del nome del Manzoni Alessandro D’Ancona. * * * L’ispettorato governativo sulle biblioteche. — Dopo il rigetto del sistema di classificazione decimale proposto da Melvil Dewey e dopo l’approvazione di un repertorio a schede di tutti gli scrittori italiani, il primo Congresso Giorni. Ligustico. An no XXI. 26 394 GIORNALE LIGUSTICO bibliografico, testé chiusosi in Milano, discusse e fini col raccomandar al Ministero il ripristino dell’ ispettorato regio nelle biblioteche non governative. Veramente codesta questione era stata già discussa nel VI Congresso storico Italiano tenutosi a Roma nel 1895; ma la relazione, in allora stesa dal prof. Filippo Sensi, se era lodevole per diligenza e per erudizione, esprimeva tuttavia dei voti poco pratici. Ci sembrano invece molto più vicine alla realizzazione le proposte del Congresso di Milano, vuoi per l’indiscutibile competenza del relatore signor prof G. Fumagalli, vuoi per le qualità dell’uomo che presiedette il Congresso, e che è ben addentro alle segrete cose della Minerva (1). Il Fumagalli comincia a studiare la questione dal lato del diritto e indaga per quali vie il governo possa ficcare il naso in casa altrui, cioè nelle biblioteche non governative, entrandovi, quando non sia possibile per la porta, anche dalla finestra, e vedremo come siffatte finestre possano essere di varia specie. Il Fumagalli fa anzitutto un rapido confronto tra gli ordinamenti delle Biblioteche in Francia e quello delle biblioteche Italiane. In Francia recentemente il ministro Rambaud, stabiliva, con decreto del i.° luglio, che tutte le biblioteche comunali hanno per fondo principale un fondo di stato e che perciò il Governo ha il diritto di intervenir? per mantenere in quelle raccolte « 1’ ordine , Γ insieme e la regolarità » ; lo stesso ministro riconosce nei cimelii e nei manoscritti delle biblioteche il carattere di demanialità, cioè di beni imperscrittibili ed inalienabili, e si riserva il diritto di nominare delle Commissioni d’inspection et d’acbat per tutte le biblioteche pubbliche municipali e di mandarvi ispettori: esige che i bibliotecarii abbiano il diploma della Ecole des chartes, dimostrino per esame di essere idonei al loro ufficio. Questo in Francia; ma in Italia le cose sono ben diverse e, in massima, le biblioteche municipali sono libera proprietà dei Comuni, sulle quali non ha alcuna ingerenza neppure quella Giunta amministrativa stabilita dal-l’articolo 166 della legge comunale e provinciale. Sta bene: le porte son dunque chiuse al governo, ma gli restano aperti: delle finestre. (1) Le sedute pubbliche del Congresso nei giorni 23, 24, 25 settembre u. s. furono presiedute dall’ on. Ferdinando Martini, ex-ministro della P. Istruzione, che aveva a vice-presidente il venerando senatore e glottologo Graziadio Ascoli. Al banco della Presidenza e come segretari» sedevano il prof. cav. Caputo d-.lla R. Università di Modena c il dott. cav. Girolamo Bertolotto della Civico-Beruna di Genova. 1 co.igressisti erano circa 200. GIORNALE LIGUSTICO 395 Vi sono delle biblioteche provinciali e comunali che in origine erano governative e furono dal governo cedute sub conditione (ad es. quella di Mantova) e sono quindi sottoposte alla vigilanza ministeriale, quantunque quella testé citata non ne abbia bisogno. Vi sono biblioteche comunali che per effetto della legge del 7 luglio 1866 ebbero origine oppure forte incremento per la soppressione delle Corporazioni religiose. I comuni cessionarii assumevano all’ atto delle singole cessioni l’obbligo della conservazione ad uso pubblico della suppellettile libraria e si assoggettavano allo stanziamento annuo di una somma non inferiore alle lire 100 sotto pena della retrocessione del materiale depositato. Evidentemente su queste ha diritto di ispezione 1’ autorità governativa. Vi sono altre biblioteche pubbliche che fruiscono di un assegno governativo, come le biblioteche cosidette popolari e quelle delle varie Accademie. Oltrecchè si è indagato anche se non sia il caso di applicare alle biblioteche (come custodie di cimelii preziosi) le disposizioni vigenti intorno alla conservazione e alla tutela delle opere d’arte e dei monumenti storici e artistici; ma i diversi progetti per fissare in tal senso una legge unica (che è un obbligo d’onore per l’Italia nuova) non hanno approdato sin qui, benché sporadicamente vigano nelle diverse regioni ordinamenti speciali, come Γ editto del card. Bartolomeo Pacca per le provincie Romane, e nelle provincie Venete e Lombarde le Sovrane Risoluzioni del 16 e 17 febbraio 1819, modificate nel marzo 1827. Intanto per una delle finestre citate è già entrato il Ministero coll’ ispezione affidata nel 1888 al dottor Torello Sacconi che visitò quasi tutta la Sicilia, l’Umbria e la Liguria con risultati in massima buoni e beneficii notevoli. Ma l’ispettore di cui si propone oggi al Ministero il ripristinamento dovrebbe avere un mandato ancora più largo. Egli potrebbe studiare le speciali condizioni di origine e di incremento delle diverse biblioteche e più di una volta le tavole di fondazione, osserva il Fumagalli, e le successive vicende legittimerebbero una più diretta tutela. G. Libri. * La lapide dei Colombo di Palermo. — Come noi abbiamo in due note osservato, la spiegazione della lapide colombiana in Palermo data dal nostro collaboratore U. A. idi cui nel Ligustico di quest’anno a pag. 31 e 155) non é tale da persuadere tutti e per ogni verso. Noi opponevamo ragioni di prosodia e di latinità, più 0 meno offesa. Ma ora il nostro egregio cooperatore L. C., ristabilendo il testo della iscrizione quale è stato dato GIORNALE LIGUSTICO dal Villabianca, e rigettando la variante nepos, ci offre una interpretazione più convincente. « Io non mi preoccupo, egli scrive, della breve o lunga dell’ e di Nepos. « Uno strappo alla prosodia potrebbe tollerarsi, se questo giovasse qui a « render chiara la lapide ; ma questo ntpos o postnepos non mi pare adatto. « Secondo il mio avviso, il senso della lapide è questo: « Urbs Genue dedit principium [milii] de stirpe Columbi, qui tradidit « nova regna duci esperio. « Post natos liberos (Dopo che io ho avuto figli colà in Liguria) mihi « finis [fuit] in oris siculis — Sic ligur ex ortu, morteque sum siculus. « Nunc memor heu dulcis patriae et liberorum (qui pare che i figli siano « lontani da Palermo) ut siculus ligur claudor in aede ligurum Panormi ». Due manoscritti importanti. — Presso una primaria Ditta milanese tro-vansi in vendita due manoscritti molto interessanti per la storia di Genova. L’ uno è affatto sconosciuto anche ai più distinti bibliofili genovesi e porta questo titolo : Campostano M. Ant. , Descrizione dell’ origine della libertà di Genova, suoi diversi stati e successi fino alla guerra col duca di Savoja seguita nel 1695 (sic. 1625), in-fol. Pelle. Mss. di 245 pag. del sec. XVII. Un po’ di guasto negli ultimi 11 fogli. Nella prima carta su cui appare il nome dell’autore è detto che tale raccolta venne fatta per la Marchesa Balbi. L’ altro ha invece l’indicazione seguente : Roccatagliata Ant., Cronologia storica genovese dall’anno 500 all’anno 1528. Importante manoscr. cartaceo del sec. XVI in-fol. di 808 cart. Perg. Appartenne al celebre storico della Corsica Michele Merello. Buona conservazione. Forse il Michele Merello, che figura come uno dei possessori del Codice, deve essere l’autore dell’opera Della guerra fatta dai francesi, e dei tumulti suscitati poi da Sampitro della Bastiglia in Corsica, stampati in Genova dal Pavoni nel 1607. Era precisamente il nipote di Antonio Roccatagliata (come afferma il Soprani) e non è improbabile che il manoscritto sia l’autografo. Antonio era tutto inteso ad illustrare le memorie della patria, ed ebbe a questo suo desiderio assai propizia la sorte, perciocché essendo egli patrizio, e non scarso dei beni della fortuna, ed avendo per ben 13 anni GIORNALE LIGUSTICO 397 servito la Repubblica nel grado di segretario, potè penetrare negli archivi e da ogni parte raccoglier notizie: e quanto vi trovò di notabile lutto ristrinse in quattro grossi volumi, che segnati col suo nome si conservano manose ritti nell'archivio del ΡαΙαχχο Reale. Questo viene affermato dal Soprani e sulla autorità di lui ripetuto dallo Spotorno {Storia lei. di Lig. Ili, 48) il quale tuttavia pare che non abbia mai visto i quattro famosi volumi. * * * Sullo stesso argomento possiamo dare oggi ulteriori notizie, avendo avuto la sorte di consultare i due manoscritti. Da molti anni era ricercatissimo tra i bibliofili genovesi un manoscritto di Antonio Roccatagliata, cronista del secolo XVII, di cui sono a stampa gli Annali della Repubblica di Genova, dal 1581 al 1607, editi dall’editore Vincenzo Canepa nel 1873, a cura del marchese Marcello Staglieno. Invece il manoscritto di cui era così vivo il desiderio doveva contenere la cronistoria del 500 d. C. al momentoso anno 1528. Già fin dal 1896, per espresso desiderio del venerando comm. De Simoni e della Presidenza della Società Ligure di Storia Patria, si erano attivate indagini per la scoperta ed il ricupero del prezioso cimelio ; ma sempre con risultato negativo. In occasione della i.· Riunione Bibliografica di Milano (Settembre '97) il nostro Direttore potè aver indizii che il manoscritto tanto ricercato dovesse trovarsi a Milano, anche per certe indagini da lui intraprese in proposito, e specialmente presso la libreria antiquaria del comm. Ulrico Hoepli, della quale è direttore Γ egregio bibliografo signor Augusto Stulpnagel. Questi dà il manoscritto come già appartenente al celebre storico della Corsica, Michele Merello che di Antonio Roccatagliata fu nepote e segretario Ma, dopo aver visto il codice, poco crediamo a questo particolare. Dalla postilla scritta nel i.° foglio appare che (oltre il volume in questione) chi scrisse tale nota ne conosceva altri due. Probabilmente dovevano essi riempire la lacuna della cronologia (0 cronistoria) dal 1528 al 1581 , anno da cui cominciano, come si è detto, gli annali conosciuti a stampa. Tuttavia quando si pensi alle qualità del Roccatagliata, (rilevate del resto dal Soprani, dallo Spotorno e dallo Staglieno) che fu ricco di censo e patrizio e per tredici anni cancelliere e segretario del Comune, e che perciò potè attingere a fonti primarie, anche questo unico volume, ora ritrovato, 398 GIORNALE LIGUSTICO costituisce una vera preziosità per la nostra storia patria e saggiamente 1 autorità municipale ne ha deliberato l’immediato ricupero. + * * L’altro manoscritto, che dal catalogo di Hoepli è dato come opera di A. M. Campostano, tratta il periodo di storia genovese che va dal 1625 al 1633. Così, come è indicato e specialmente per il nome dell’autore, sarebbe un’ assoluta novità per la bibliografia genovese. Però abbiamo potuto stabilire (dopo pazienti ricerche) che — salvo molte e notevoli varianti — è la stessa opera registrata dallo Spotorno, nella sua Storia Letteraria della Liguria al tomo V, pag. 30, come opera di un A. M. Costa. Tuttavia il fatto che nell’esemplare della libreria antiquaria Hoepli si trova detto nome indicato colle iniziali A. M. C. : che una postilla lo dichiara esplicitamente composto dal Campostano per uso di una marchesa Balbi : che vi si scorge ancora il nome di un altro Campostano come possessore : tutto ci fa ritenere che quell’esemplare, invece di doversi considerare come un doppione, sia invece un libro tale da poter domani fornire oggetto di discussioni ; tanto più dopo che al recente Congresso bibliografico di .Milano si è deliberato la formazione di un repertorio generale a schede di tutti gli autori delle singole regioni d’Italia. Speriamo che anche il secondo sia ricuperato e conservato da Genova. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Girolamo Rossi. — Glossario Medioevale Ligure. — Torino, Stamperia Reale della Ditta G. B.. Paravia e C., 1896. È troppo noto nella repubblica letteraria e storica il nome del Prof. Gerolamo Rossi, Preside del Ginnasio di Ventimiglia, perchò con fronzoli io lo presenti ai lettori. Egli scaldato a quell’ amore nobilissimo di studi, che per varie guise levossi in questi ultimi tempi in Liguria, da parecchi anni si propose di arricchire lo storico patrimonio di questa elettissima parte d’Italia con una messe fruttuosa, che gli procurò il plauso universale. Le storie di Ventimiglia, Albenga, S. Remo, Dolceacqua, le monete del Principato di Monaco, gli Statuti della Liguria, le numerose monografie, illustranti con precisione fatti e cose della Riviera Occidentale, comparse ora negli Atti della Società Lig. di St. Pai., ora nell 'Archivio Stor. It. e ora in GIORNALE LIGUSTICO 399 altri periodici, fecero sempre conoscere come il Rossi si abbia fatta una divisa di quel detto del Sismondi e ripetuto in alt a forma dal Carducci, cioè che non potrà mai darsi una perfetta storia d’Italia, prima che ciascun Municipio non ne possegga una propria. Il più nobile contributo alla storia della Liguria, dello svolgimento curioso degli usi e costumi, della glottologia e filologia e della letteratura morta in questo ameno lembo d’Italia, ci è dato col sullodato glossario. Son quasi 2000 voci e locuzioni, che ci presenta l’autore, avendo tratta la maggior parte di questa suppellettile scientifica da rozze pagine di codici statutarii, 0 da rottami di atti notarili, voci e locuzioni che sfuggirono alle indagini di tanti altri studiosi, quali il Ducange, il Flechia, il Lagomaggiore, il Parodi ecc. ecc., e che se pure furono conosciute, passarono nel patrimonio raccolto con significato diverso. L’autore promise nella sua eloquente prelazione che ogni vocabolo avrebbe avuto a corredo uno o più esempi estratti da codici e carte inedite, poiché, a dirla con Emmanuele Rocco, un vocabolario di lingue, senza esempi, è come un’ accozzaglia d’ ogni specie di animali, gettati alla rinfusa e scom-pigliatamente, in cui si volesse che altri studiasse l'anatomia. La promessa fu mantenuta, onde al lettore resta cosi agevolato il modo di riscontrare i brani citati. Arrogi che all’ opera è aggiunta una raccolta di vocaboli del dialetto nostro i quali (son parole dell’autore) non ebbero più tempo di farsi latini, pel fatto, cioè, che essendo cessato per legge tanto nei tribunali quanto presso i mallevadori della fede pubblica Γ obbligo di valersi della lingua latina, tali voci, quali scorie del dialetto, rimasero nello stato embrionale senza forma e senza desinenze classiche, vedendosi in tal modo condannate a rimanere convolvi quelle che erano destinate ad esser gigli. Si trovano così riunite colle voci nostre, altre ancora che sono semivive e che possono giovare alla formazione di un vocabolario del dialetto ligure. Corona finalmente 1’ opera un indice dei vocaboli di bassa latinità, che si trovano negli esempi dall’ autore addotti, i quali, perchè già noti, servono per istudi comparativi con glossarii d’altre regioni italiche. In un lavoro di tanta mole era facilissimo cadere in qualche piccolo errore. Così non ci sembra troppo giusta la versione data al tubeta (pag. 10) in famiglio del magistrato, tanto più che il Rossi aggiunge che i Tubete ( Tubecte secondo il Ducange) doveano stare agli ordini del console ed aveano obbligo di suonare. Parecchi atti del not. Tommaso Casanova del secolo XIV son rogati in Genova in contrata tubetarum. 11 29 Marzo del 1438 un buon numero di tubete, quasi tutti forestieri, chiedono al Doge e al Consiglio degli Anziani di avere i proprii capìtoli come gii altri artefici (Diversorum Comuni Ianue, Filza 10, Arch. di Stato). Di alcuni vocaboli poi l’autore non pone l’equivalente corrispondenza, perchè di essi si smarrì il ricordo nella riviera occidentale, onde invano 400 GIORNALE LIGUSTICO cercheresti il signilìcato di rondinus (pag. 85) tolto dall’esempio pro duobus rondinis vitreis positis cancellis sale, mentre nei paesi della riviera orientale riondin suona ancor adesso per diminutivo di rotando e come tale è registrato pure dal dizionario genovese del Casaccia. Alla parola armorinus (pag. 20) che il Rossi traduce col nome generale di sorta di pianta selvatica corrisponde il nome particolare di armoin — corbezzolo, e che sentesi in parecchi villaggi della riviera orientale. Della parola bechunnus (pag. 2^) l’autore non ci dà il significato. Noi sulla scorta di atti notarili sfogliati all’Archivio di Stato, dei quali per ora non abbiamo in pronto un esempio, possiam assicurare che con tal nom: si indicavano le pelli del becco. Del resto questi piccoli nei non diminuiscono punto la bontà intrinseca e l'eccellenza del lavoro, frutto di lunghe ricerche e di pazienti studi, nello stesso modo che una nuvola non conturba la serenità di un ampio orizzonte L’autore con questa nuova opera ha fatto ancora emergere una volta il suo bell’ingegno e la sua infaticabile attività A. Feruetto. LIBRI PERVENUTI AL LIGUSTICO Bertarelli (Achille). — Gli ex-libris. Appunti biblografici. (Per la prima Riunione Bibliografica Italiana. Milano, settembre 1897). - Milano, tip. Bernardoni di C. Rebeschini e C. 1897 (Edizione fuori commercio) Bensa (prof. Enrico . — Il collegio dei giurisperiti di Genova. (Per la solenne aggregazione alla Facoltà di Giurisprudenza nell' Università di Genova) -Genova, F.lli Pagano, 1897 (*). Bruno (H. — I francesi tuli’ antico dipartimento di Montenotte. Note politiche ed amministrative dal 1805 al 1814. - Savona, tip. Bertolotto e C. '897 (*)· Biconi prof. Guido). — La geografia nelle scuole classiche. - Firenze, tip. Ricci 1897 Pianta di Milano, col piano regolatore e la nuova cinta daziaria. (Ricordo offerto alla prima Riunione Bibliografica Italiana dalla Ditta Antonio Vallardi, Milano). Cronache Savonesi dal 1500 al 1570 di Agostino Abate accresciute di documenti inediti pubblicate ed annotate dal dott. G. Assereto. - Savona, tip. Bertolotto e C. 1897 (*). (') La recensione al prossimo fascicolo. Prof. Girolamo Bertolotto Di'ettore Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO -(ΟΙ GIORGIO CRISTOFORO MARTINI DETTO IL SASSONE E IL SUO VIAGGIO IN ITALIA [1721-1745] Nell’autunno del 1743 il dott. Giovanni Targioni Tozzetti di Firenze (1712-1783), reduce dal suo viaggio scientifico per le alpi di Barga e Pietra Pania e per il capitanato di Pietrasanta , giunse a Lucca e vi si trattenne fino al 31 d’ottobre. « Gustosissima e molto istruttiva » gli riusci quella dimora « per le belle cose » che osservò e « per la erudita conver-« sazione » che godè di « molti letterati lucchesi », ma soprattutto del « sig. Cristoforo Martini, detto il Sassone dalla sua » patria Gothen, celebre pittore , e oltre di ciò adorno di ogni » più scelta erudizione; per le quali belle doti, e singolarmente » per la sua probità, era amato dalla Nobiltà Lucchese ». Racconta che il Martini « aveva fatte bellissime osservazioni fì-» siche, antiquarie e letterarie in tutto lo Stato della Serenissima » Repubblica di Lucca e le aveva registrate in forma di diario » nella sua lingua nativa ». E aggiunge : « vi aveva descritti e » disegnati in acquerello, tra le altre cose, tutti i più bei » ponti che sono nello Stato di Lucca, e che sono de più » bizzarri e belli che si possano vedere. Fra questi mi ricordo » vi era una veduta mirabile del Ponte a Moriano, coi monti » adiacenti, e col passo dell’ esercito tedesco, seguitovi poco » avanti ». Il « cortesissimo » pittore si prese « grande » incomodo » per mostrargli « quanto di più bello racchiude » in sè » Lucca; e « le sere a veglia » gli « fece godere quasi » tutte le belle descrizioni che egli aveva latte in tedesco » delle cose più notabili non solo della città, ma anche di Gio»*. Ligustico. Anno XX.II. *7 402 GIORNALE LIGUSTICO » quasi tutto il suo Stato. Egli con somma diligenza aveva » descritte e disegnate le fabbriche più ragguardevoli, si pub-» bliche, che private, le scolture, le pitture, ecc. Aveva » copiato le iscrizioni, ecc. Aveva, oltre di ciò, descritti e » disegnati gl’insetti terrestri, i pesci, i testacei, i fossili, ecc. » Sicché i molti suoi zibaldoni sono un tesoro di notizie » utilissime ». Gli mostrò pure diverse « produzioni pregia-» bilissime » ; e gli fece « vedere un gran numero di statuine » di bronzo antiche di Dei Lari, simili nella figura a quelle » rappresentate nel Museo Moscardo, ma assai più goffe, pic-» cole e sottili. Esse erano senza dubbio state tutte gettate » nella medesima forma, e siccome erano state tutte trovate » insieme in certe rovine sulla strada che da Pisa conduce a » Lucca per monte S. Giuliano, cosi egli pensava che là fosse >' stata qualche bottega dove simili idoletti si gettassero per » vendersi, come sarebbe presso a poco oggidì una bottega » di medagliai. Molti altri idoletti e molte medaglie aveva » comprate il medesimo sig. Martini, state trovate da conta-» dini nel territorio lucchese, ma non sapeva precisamente » dove » (i). Col Martini fu in carteggio un altro letterato toscano, 1’ab. Giovanni Lami (1697-1770), che di lui ci ha lasciato questo ricordo : « Cristoforo Martini di Sassegotta era un » eccellente pittore, il quale faceva la sua dimora in Lucca. » Ma egli per essere eccellente nella sua professione non si » contentò di saper disegnare e colorire, come fanno i pittori » dozzinali ; volle saggiamente congiungere alla facoltà di » dipingere la cognizione delle scienze più belle, e fu un » attento e acuto speculatore della natura. Pratico della storia (1) Targioni-Τοζζετπ G. Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa. 2.· edizione); V, 287; VII, 44, 81 e 86. GIORNALE LIGUSTICO 4O3 » e dell’ antica mitologia, godeva di raccorre i pregiati avanzi » dell’antichità erudita, e se ne dimostrava intendentissimo. » Fece egli diverse scoperte considerabili nella nostra Toscana, » e traile altre osservò le vecchie e dismesse miniere di » marmi del Monte Pisano; le vestigia del tempio d’Ercole » sulla marina tra Luni e l’Arno, commemorato da Tolomeo; » e dalla forma e dagli avanzi ravvisò 1’ anfiteatro che era in » Lucca, e dimostrò che in verità fosse tale. Io lo conobbi » in Lucca nel 1740, ed a mia istanza fece vari disegni di » antichi monumenti e di edifizi, e, tra gli altri, mi mandò, » in tre carte distinte, il disegno scenografico dell anfiteatro » lucchese, quale ora ci rimane , e il disegno dello spaccato » di una delle volte, che andando a scarpa verso il podio » sostenevano i sedili » (1). (1) Il Martini accompagnò a! Lami i disegni colla lettera seguente : « Intorno a quelle famose ruine, che le Prigioni vecchie oggidì si chia-» mano, è la quistione se sia stato anfiteatro, ovvero semplice teatro. I teatri » avevano un solo semicircolo de’ sedili, ma gli anfiteatri avevano i sedili w tutto intorno, e di là la lor forma specifica e nome traevano. I teatri, » destinati principalmente per le recite, avevano di bisogno del proscenio, » il quale era posto, come ancora si vede ne moderni teatri, incontro » all'udienza; a sedili tutt’ intorno invece gli anfiteatri, labbricati per » il giuoco de’ gladiatori, per le caccie delle fiere ed altri esercizi, » che potevano esser visti tutt’ intorno. Se dunque potremo mostrare ji clic la sopradetta ruina abbia avuto i sedili tutt intorno , io credo per » certo che per anfiteatro e non pir teatro si debba tenere. Ora quasi » tutt’in un lato della linea parabolica dell’ovato, forma solita degli anfi-» teatri, esistono ancora quasi tutte le volte, che andando a scarpa \erso » il podio sostenevano li questionati sedili, come lo spaccato di una di » dette volte rappresenta il disegno n. 3, con un sedile in cima, che è » l’unico che di tanti è rimasto al suo posto. Questo spaccato si vede » dietro al Fornaro sul canto del Buonvisi, e si accosta verso la parte ». appuntata dell’ anfiteatro che guarda la piazza di S. Frediano. Incontro « a questo spaccato, in casa d’ una tessitora, accanto a S. Sita , che si » accosta nell’ altra parabolica molto verso la punta dell istesso anfiteatro, 404 GIORNALE LIGUSTICO Di questi disegni, quello rappresentante « Γ avanzo meno » deformato dell’anfiteatro », dal Lami venne « gentilmente » favorito al Targioni-Tozzetti, che lo fece incidere in rame, per abbellirne le Relazioni de’ suoi viaggi ; nelle quali riporta anche un altro disegno del Martini, da lui pur fatto incidere in rame, l’alzata delle terme di Massaciuccoli (i). Il Lami prosegue; e si noti che scriveva nel maggio del 1747: « il Martini due anni sono, avendo già deliberato di » tornarsi alla patria , ci fu rapito dalla morte , non essendo » neppure in età molto avanzata. Benché avesse passata una si » gran parte della sua vita ne’ paesi cattolici, e fosse adorno » di molte laudabili qualità, pure morì protestante e nella » comunione de’ suoi maggiori » (2). Infatti cessò di vivere » si vede un’ altra vòlta, che scendeva verso il podio e sosteneva i sedili. » Le medesime vòlte si vedono alla parte appuntata, che volta a levante, » cioè opposta a quella sopradetta, che volta a S. Frediano. Questa parte » viene rappresentata dal disegno n. 1, dove si vede l’ingresso che negli » anfiteatri soleva distinguersi per un arco maggiore degli altri, come per » appunto questo supera gli altri quasi di due braccia, perchè per questo » arco i gladiatori, pomposamente vestiti, facevano il loro solenne in-» gresso. Ora tutto quel che si vede sul disegno, tanto sotto il n. 1, quanto » sotto il n. 2, non era mica la maggior circonferenza di detta maestosa » fabbrica, ma era solamente il corridore interno, come il principio degli » archi caduti, che guardano verso la strada, e sopra le lor imposte di marmo » posano, ci dimostra. Tutte le case, che oggidì fanno corona a questa » preziosa ruina, sono fondate sopra i fondamenti del recinto esterno del » detto anfiteatro, come in alcune ose i muri antichi ho osservato. Siccome » il corridore interno, come i vestigi mostrano, era tutto di marmo, ne-» ccssariamente il suo recinto doveva esser dell’ istessa materia : molte » colonne se ne vedono sparse per diverse chiese. La brevità del tempo » non mi permette di dame ulteriore particolarità, sottoponendo il mio » debolissimo parere al suo dottissimo parere #. (1) Targioni-Tozzetti G. Op. cit., I, tav. Ili, a p. 453; e Vili, tav. I, a p. 46. (2) Novelle letterarie del?anno MDCCXLVII, num. 19, del 12 maggio, cc. 299-30}. GIORNALE LIGUSTICO il 21 dicembre del 1745, e il suo cadavere fu trasportato a Livorno, dove gli vennero celebrati i funerali e data sepoltura nel cimitero protestante. Degli « Zibaldoni », ossia « Diario nella sua lingua nativa » tedesca », dove « erano molte cose degne della pubblica luce », al Targioni-Tozzetti non riuscì mai sapere « che uso ne sia » stato fatto dopo la di lui morte ». Ci mise subito su le unghie la Repubblica di Lucca, e anche adesso si conservano nel R. Archivio di Stato di quella città. E « questo deposito », per testimonianza di Salvatore Bongi, « fu eseguito probabil-» mente brevi manu e senza solennità, non essendoci riuscito » di trovarne il menomo cenno ne’ documenti. La tradizione » dell’Archivio è, che la Repubblica credette bene di ritirare » presso di sè questi manoscritti, perchè il Sassone vi aveva » largamente, e crediamo anche liberamente , discorso delle c' 7 » persone di Lucca, e aveva descritta anche col mezzo di » disegni accuratissimi dei telari e di altre macchine , 1 arte » della seta e della tessitura; tutte materie di somma gelosia » per quel governo ». Del manoscritto ne fa poi questa descrizione: N. 104.-106. [Tit. est.] Cristoforo Sassone, Viaggi, Descrizioni, ecc. Voi. I-III. — In fogl. Volumi tre, composti ed intitolati come segue: I. Reise tiac/i Italien [Viaggio in Italia]. Testo, pp. 175 numerale, e LXV figure. Con indice n. n. II. Ruck Reise (1) voti Neapolis nach Rovi [Viaggio di ritorno da Napoli a Roma]. Testo, pp. num. 268 e LXXX figure. Con indice n. n. III. Reise von Rom, nach Livorno und durch Toscana [Viaggio da Roma a Livorno per la Toscana]. Testo, pp. num. 342, e figure num. LXXVI. (1) Correggi: Rùckreise. 40 6 GIORNALE LIGUSTICO Oltre le tavole figurate e staccate dal testo, sono sparse nel mezzo a questo molte altre figure, disegni, schizzi, copie d’iscrizioni, ecc. Sono pure qua e là inserti piccoli fogli, con note, ecc. È tuttora pressoché sconosciuta questa relazione, che fece nella lingua nativa dei suoi viaggi italiani, la quale certamente meriterebbe di essere , non solo consultata , ma fatta soggetto di particolarissimo studio. Anche esaminata , per così dire, esternamente , si scorge che l’A. vi trattò la sua materia nel modo più largo, avendo unito al racconto del viaggio la continua osservazione sopra le condizioni naturali e 1’ aspetto pittorico del paese , sopra i suoi edifizi, sulla storia e sulle antichità, sulle arti e le industrie, i costumi, le persone, la costituzione politica, ed ogni altra cosa insomma, che può interessare un viaggiatore avveduto e culto. A ciò si aggiunga, che essendo viaggiatore e pittore ad un tempo, potè il Sassone corredare l’opera di molte e belle figure fatte sul luogo, parte all’ acquarello , parte toccate a semplice matita. Da un’occhiata superficiale del libro abbiamo ricavato pure che esso entrava in Italia dalla parte del Tirolo nel 1721 [I, 71], e che da tal anno piglia le mosse il suo racconto, il quale poi seguita presso a poco per tutlo il tempo che l’A. rimase in vita. Nell’ ultimo volume tiene una parte prevalente la descrizione di Lucca e del paese vicino , che questi ebbe agio di conoscere appieno, per avere eletta la sua stanza fra noi, dove poi mori, lasciando 1’ opera interrotta. Non è a notizia nostra se in Germania, dove nacque e visse un tempo, e se nelle altre città d’Italia che visitò, siano rimaste memorie di questo tedesco, fra noi generalmente chiamato Cristoforo Sansone o il Pillor Sassone. In attesa che altri abbia tempo e voglia di cercarne informazioni, soprattutto in questi volumi, diremo brevemente ciò che ci è venuto fatto di saperne da altri documenti lucchesi. Si chiamava Giorgio Cristoforo Martini ed era nativo della piccola città di Lagen-saltz nel Ducato di Sassonia Gotha. Venuto in Lucca, aperse studio o scuola di pittura e vi esercitò 1’ arte , in cui pare, date le condizioni ed i gusti dei tempi, che fosse valente ; benché il Trenta, nella sua sciattissima e misera storia delle arti in Lucca, lo mentovi solo per dire che nel 1725 ebbe tra i suoi scolari Giuseppe Antonio Luchi I GIORNALE LIGUSTICO 4O7 detto il Diecimino (1). Da varie scritture dell’ Offizio sulle Nuove Arti, dell’anno 1745, s’ ricava che provvedeva alla scuola del disegno oggetti di studio , specialmente gessi e rilievi di statue antiche ; ma non apparisce se avesse altre ingerenze nell’ insegnamento pubblico. La sua dimora in Lucca non fu però costante, poiché per un tempo fu in Vienna insieme coll’ambasciatore Carlo Mansi, nella qualità di segretario (2). Non pare che avesse nè moglie, nè famiglia con sè, perchè furono eredi taluni di Langensaltz, che elessero per procuratore un tal Craffert, stabilito in Livorno; e questa eredità fu occasione che mandassero lettere alla Repubblica, Federigo III Duca di Sassonia-Gotha ed il Consiglio ed il Senato di Lagensaltz, i quali ultimi scrivevano in goffissimo e stranissimo gergo italiano (3). Fin qui il Bongi (4) ; il quale, per altro, ignora che il Martini non solo fu un pittore e un antiquario valente , ma anche un valente naturalista, e che ce ne ha dato un saggio, che è alle stampe. Infatti nel primo tomo delle Memorie sopra la fisica e istoria naturale di diversi valentuomini, che uscirono alla luce in Lucca il 1743, co’ torchi de Salani e Giuntini, si trova un’ Osservazione intorno ad una specie di cimici sabatiche non alate, del sig. Crisioioro Ma> tini di Saxen-Gotha. Nell’ avvertenza agli amatori della fisica e istoria naturale (1) Trenta T. Noti{ie di pittori, scultori e architetti lucchesi per servire alla storia delle belle arti ne' secoli XVII e XVIII; nelle Memorie e documenti per servire all’ istoria del Ducato di Lucca; Vili, 169. (2) Che il Sassone fosse segretario del Mansi a Vienna è ripetuto in più lettere che il Duca di Sassonia Gotha ebbe a scrivere a proposito della sua eredità. 11 Mansi era stato ambasciatore residente a Vienna dal 1736 al 1742 e straordinariamente nel 1745. Negli atti pubblici non si ha traccia però di questo segretario; che (u probabilmente della compagnia privata dell’ ambasciatore, che se ne sarà valso soprattutto per interprete. (3) Questi carteggi degli anni 1746, '47 e '48, sono alla serie degli Anziani al tempo della Libertà, n. 567. (4) Bongi S. Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca; IV, 34I~343· 4oS giornale ligustico de collettori delle Memorie, di cui fu l'anima quel colto ingegno di Carlantonio Giuliani, le quali le intitolò a monsignor Gioacchino Fernandez Portocarrero, Patriarca d’Antiochia, si legge : « Del sig. Cristoforo Martini di Saxen-Gotha è la..... » Osservazione sovra le uova d’ una spezie di cimice salvatica » non alata. Vi si scorgeranno dentro alcune nuove scoperte, » che fanno conoscere quanto sia esatto e diligente in questi » studi, per mezzo de’ quali ha egli osservate alcune cose di » gran momento, che se acconsentirà di darle al pubblico, » gli acquisteranno un gran credito, e porgeranno non pochi » lumi per rischiarare una parte d’ un altro studio non per » anche ben delucidata » (i). (i) Memorie // sopra // la fisica // e // istoria // naturale // di diversi / valentuomini. // Tomo primo. // In Lucca ebb CCXLIII. // Per li .Salani, e Giuntini. Con Lie, de’ Sup. // Si vendono da Giuseppe Maria // Anto-netti Libraio. In-8.° di pp. xxxviii-322, con sei tavole. A pp. iii-ix si legge una lettera di Carlantonio Giuliani, con cui dedica la raccolta// Sua Eccellenza Monsignor Gioacchino Fernande1 Portocarrero, Conte di Palma, Marchese di Monte chiaro e di Almenara, Balio dell’Ordine Gerosolimitano, Grande di Spaglia, Patriarca di Antiochia, ecc., ecc., ecc.', a pp. xi-xxiv, Agli amatori della fisica e istoria naturale 1 Collettori; a p. xxv si trova un avviso di Giuseppe Maria Anto-netti a’ lettori; a p. xxvi l’errata-corrige ; a p. xxvii Vindice ragionato delle figure di questo primo tomo; a pp. xxviii-xxxvii la Dichiarazione necessaria di alcune figure; a p. xxxviii η. n. l’imprimatur. Seguono con numerazione separata : Petri // Tabarram // lucensis // observationes anatomicae jj in Bononiensi Academiae // Instituti Scientiarum Philosophico pri - / vaio conventu jam habitae, // modo vero ab auctore quibusdam aliis adau-l ctae & variis Annotatio - / tiibus illustratae ; pp. 1-62. Problema // mecanicum // de solido maximae attractionibus // solutum j a P. Rogerio Josepho // Boscovich // Soc. Jesu // Publico Professore Matheseos // in Colleg. Romano; pp. 63-88. Ragionamento // filosofico-pastorale // Recitalo in Arcadia // Nel risorgimento della medesima // il di 12. Settembre // dell’ anno /7;7 // dal P. Abate // GIORNALE LIGUSTICO 409 L’abate Giovanni Lami s’affrettò a farne gli elogi nelie Notizie letterarie che pubblicava a Firenze, e parlando di quel tomo, arrivato al lavoro del pittore e naturalista sassone , così prese a scrivere : « La settima Memoria contiene un » discorso intorno ad una spezie di cimici salvatiche non » alate, fatta dal signor Cristoforo Martini Sassegotta. Il » sig. Cristoforo Martini , che è pittore di professione, da » molto tempo fa la sua dimora in Lucca, ed alla pittura, » che possiede e che esercita in grado eccellente , unisce lo » studio di tutte l’arti liberali, compiacendosi anche non D. Diego Revillas // Geronimino // Professore di Matematica nella Sapienza // di Roma ; e membro della Regia Socie - // tà d’ Inghilterra , dell’ Accademia delle // Sciente di Bologna, della Regia Pe-/j lontana di Messina, e della Etrusca di Cortona; pp 89-121. Francisci Makiae // Mazzuoli // civis senensis lj Philosophiae, & Medicinae Doctoris I/ Academici Physiocritici // In Senensi Imperiali Universitate Histo— // ride Naturalis Publici Professoris // Dissertationes binae // Aha tumpe de Coralliorum Natura, // Analysi, & vero usu in Medicina : // Altera vero Epistolaris de Fungorum // origine // Italico sermone scripta; pp. 125-174. De quibusdam // Conchis // minus notis // epistolae binae //, Quarum altera // a Joanne Philippo Breynio , // Altera vero // a Jano Planco // conscripta. // Quibus accedit de ventriculis Bovis / accendio // Johannis Bianchi // ariminensis // brevis descriptio; pp. 174-211. Memoria // del signore // De Sauvages // intorno // a' Bachi // da seta // Ed alla maniera più sicura di // allevarli ; pp. 215-245. Osservazione // Intorno ad una specie di jl cimici selvatiche // non alate // Del Signor // Cristoforo // Martini di Saxen-Gotha; pp. 247-267. Discours II Concernant les différents change-// menti qui arrivent // a la circulation // du sang // du foetus // renfefmè dans le sein // de sa mere, // Par P. S. Rouhault // Chirurgien du Roy de Sardaigne, jj Professeur dans l'Universiti Ro-/l vale de Turin, Chirurgien Juré // de Paris, de l’Academie Royafl le des Sciences; pp. 269-296. Misura // della velocità, // e del tempo // In cui una data quantità d’acqua // non perenne di un L igo, 0 d’altro // ricettacolo esce dall’ Incile // del medesimo. Il Coll' aggiunta di altre considerazioni // intorno la stessa materia // del signor II Tommaso // Narducci Patricio Lucchese; pp. 297-322. 410 GIORNALE LIGUSTICO poco di quello dell’ antichità, avendo una non dispregevole raccolta di medaglie imperiali e greche e d’altre cose erudite. Ma principalmente egli si compiace nello studio delle cose della natura, e massimamente di quella degli insetti, su’ quali egli ha fatte molte diligenti osservazioni, alcune delle quali non erano note nemmeno a’ più diligenti osservatori del nostro secolo. Non si dee maravigliare alcuno che un pittore entri nello studio di tante cose, perciocché per essere valente in quella professione non basta saper conoscere dalla sola corteccia le cose, ma con occhio filosofo bisogna penetrare più addentro; e non solo nella mitologia e nella storia de’ fatti umani essere addottrinato, come il più de’ volgari dipintori fanno, ma bisogna sapere la notomia del corpo umano, la meccanica di esso e degli animali, Γ ottica, la prospettiva, insomma ogni altra scienza umana, fisica e morale. Di tal genere di scienza è da credere che fossero gli antichi Apelli e Zeusi , e cosi ne’ secoli a noi più vicini i Raffaelli di Urbino e l’immortale nostro Michelangelo Buonarroti; de’quali ora in Italia, per la diversità degli studi, premono le vestigia e il signor Ercole Lelli in Bologna e il nostro sig. Cristoforo Martini in Lucca Egli dunque qui ci dà una sua nuova osservazione intorno ad una sorta d’insetto, che egli chiama cimice salvatica non alata. Questo insetto getta le sue uova principalmente sopra Γ ontano , ossia Γ olmo de’ botanici, e ordinariamente ne getta 14 in un mucchio, dalle quali poi esce l’animale; il quale, per non aver ali, nè guscio duro, non si può riferire, nè alle mosche, nè alle farfalle, nè agli scarabei, ma giustamente, a cagione del puzzo che di lui viene nello schiacciarlo, dal sig. Martini alle cimici sabatiche non alate si riferisce » (1). (1) Novelle letterarie, n. 16, 19 aprile 1743, c. 246-247. GIORNALE LIGUSTICO 4II Il Sassone si recò in Italia in compagnia di tre de’ suoi « conoscenti e buoni amici », il « celebre pittore di miniature e di smalti» Mytens, svedese, il Trentwet figlio del pittore di Corte del Principe Eugenio, e l’orefice Weissbecker di Württenberg. Da Vienna presero la via del Tirolo, visitarono Venezia e si recarono a Napoli, toccando Bologna, Rimini, Ancona, Foligno, Terni, Civitacastellana e Pozzuoli. Napoli gli sembrò un paradiso abitato da’ diavoli ; e della plebe napoletana ne dice corna. Correva allora in proverbio che i flagellatori di Cristo fosser tutti di Napoli, ma specialmente delle Calabrie ; e trova cbe nessuna nazione al mondo sarebbe stata così adatta a quel turpe ufficio, quanto i napoletani, « vera schiuma di malfattori », « materia la più adatta a fare unguento da cancheri ». A Roma dimorò due anni e due mesi ; poi si ridusse a Livorno, non già per terra, ma per mare, che i vetturini colta P occasione del giubileo, invece de’ consueti nove scudi, ne volevano trenta per trasportare un viaggiatore da Roma a Firenze. S’imbarcò a Ripa grande sopra una tartana, e da Fiumicino a Livorno, dove giunse il 27 giugno del 1725, spese due scudi. Fa uua descrizione minuta di Civitavecchia e del littorale, poi molto si allarga intorno a Livorno, a Pisa, a Firenze. Finisce col mettere stabile dimora a Lucca, e prende a illustrare la città e il territorio. È curioso quello che scrive della Valdilina e della marina della Versilia ; parla anche di Massa, di Carrara, d’Avenza, di Luni e di Fosdinovo ; e a Luni soprattutto lo colpisce una fabbrica ovale in rovina, intorno alla quale si vedevano di qua e di là de’ sedili rotti, con uno degli archi tuttora in piedi ; fabbrica che, ingombra com’ era dalla terra e dalle macerie, restò in dubbio se fosse un teatro, o un anfiteatro, coni’è realmente. Tra le sculture cristiane attirò la sua attenzione un basso rilievo che raffigura i dodici apostoli ; nè 412 GIORNALE LIGUSTICO trascurò di pigliar nota delle iscrizioni che gli capitarono sotto gli occhi, o che ebbe in copia da amici (i). I Viaggi del Martini giacciono manoscritti e dimenticati nell Archivio di Lucca, ed è certo a rimpiangere che nessuno fino a qui gli abbia fatti soggetto di uno studio diligente, compiuto, accurato. È un pittore di vaglia che ha ritratto all acquerello e a matita gran parte dell’ Italia ; che ne ha descritto i monumenti, gli usi, i costumi; ne ha raccolto le vecchie iscrizioni; senza trascurare neppure gli animali e i minerali. Insomma si tratta di un abbondante materiale, affatto inesplorato , che può riuscir fecondo di nuova luce alle belle arti, all archeologia e alle scienze naturali. Massa di Lunigiana, 26 giugno 1897. Giovanni Sforza. APPENDICI I. Della Serenissima Repubblica di Lucca Potentis.™' IU.’m et Ecc.mi SS.ri SS.ri Anziani Gonfaloniere e Senatori. Nel presentar |a VV. EE. 111."· e Potentiss.™' questa umiliima et devotissima Lettera, intendiamo unicamente di dare a divedere a Loro la nostra ossequiosa venerazione che costantemente per li Vostri Potentiss.™1 et Ecc.rai Personi nudrischiamo e di sotisfare insieme al desiderio e prieghi istanti d’ alcuni nostri cittadini Giovanni Henrico Schumann e consorti. Questi nostri Cittadini ci anno rapportati et avvisati come nel 21 giorno del mese Decembre dell’anno 174$ passato sia stato morto in Lucca il S.re Giorgio Cristoforo Martini fa Secretario della sua Eccellenza d’Ambassadore del S ” Conte Manzi, di quale e li nostri Cittadini ed alcuni altri della Cività (1) In uno dei prossimi fascicoli tratterò delle varie iscrizioni lunensi dal Martini trascritte. GIORNALE LIGUSTICO 4*3 di Gotha, di Ohrdruff, di Erffurth et Illmenan sariano li prossimi e legittimi Eredi. Eglino e tutti gli altri Eredi del defunto Secretario Martini facevano i suoi ringraziamenti umiliimi all’EE. VV. 111.™' a causa di aver ben graziato commandati che 1’ eredità di detto Secretario Martini sia stata rendita al Matthia Beckmann mercante di Livorno nel raccommandando se umillamente alla buona grazia di VV. EE. 111.”1' Ma come sino adesso no averebbero ricevuti la detta eredità del Matthia Beckmann e come questo Beckmann la non voleva rendere a loro avanti di aver lui pagato 179 Lovis d’ors, ci anno pregati d’interpor i nostri ufficii per loro. Ci prendiamo dunque 1’ ardine d’interceder per loro con questa nostra umiliima lettera pregando le VV. EE. 111."° umillamente di compatirci gli favori e lasciarci informar: l.° Se et quanti dinari Matthia Beckmann di Livorno abbia paggato in Lucca. 2 0 Se le spese dei funerali del S." Martini abbia pagato il Matthia Beckmann overo siano rabbattato della somma di eredità. 3.° Quanto sia 1’ eredità del morto Sig. Secretario Martini nel inviandoci se compiace l’Inventario overo consignazione di eredità del Sig. Martini perchè il Matthia Beckmann afferma che non abbia ricevuto un inventario ma solamente 13 Balla con mobile. 4.0 Se queste Balle siano tradito al Matthia Beckmann sigillati o no. Potentisml IU.ml et Ecc SS." questa è la nostra umillima intercessione che ci facciamo per gli eredi di defunto Sig. Martini nel supplicar per loro di voler bene aver la grazia et commandar che ci saremo informati sopra sot delli 4 questioni affinchè possiamo sotisfar al desiderio et prieghi di eredi di Sig.” Martini. Del resto raccomandandoci nella buona grazia di VV. EE. 111."’· preghiamo solamente di perdonar Γ ardire che ci prendiamo con questa nostra umillima intercessione e lettera di preghiere, mentre baciandovi le mani profondamente con tutta la riverenza c’ inchiniamo. Potentis.”' 111."1 et Ecc.”‘ SS.'1 SS." Anziani Gonfaloniere e Senatori della Serenissima et 111.”1 Republica di Lueca. A di Langensalza li 13 Maggio 1748. Umil.”' Dev.”1 Obi.”1 Servitori Sig.ri* di Consoli e Senato di Langensalza Città della sua Reai Maestà del Re di Polonia et Elettore di Sassonia. Christiano Ludovico Thilo Dott." di Legge e Borgomastro m. p. Christiano Mentz Licentiato et Borgomastro m. p. 4M GIORNALE LIGUSTICO II. III.1"' SS.ri SS.rÌ Padroni col.'"1 Servendo io a questa Serenìssima Republica in qualità di Maggiore Cancelliero, ò l’onore di render risposta, in nome del Supremo Magistrato della medesima, al compitissimo foglio delle SS. VV. 111."· in data delli 13 maggio, con significarle che ad oggetto che possino le SS.rl' LL. 111."· restare pienamente informate dello stato dell’ eredità del fu Giorgio Cristo-fano Martini detto il Sassone, morto in questa città, si è stimato proprio di trasmetter loro un esatto inventario degli effetti della medesima, insieme con una memoria di quanto è accaduto dopo la morte del medesimo Martini, quali riceveranno con la presente (*), e dalla loro lettura potranno ritrarne quei lumi e chiarimenti che desiderano su questo affare. Si persuadono questi Ecc.mi SS.rl di detto Supremo Magistrato di avere in tal forma sodisfatto al desiderio delle SS.'1' VV. 111."· ; ed io, nell’eseguire una tale commissione, godo il vantaggio di poter rassegnare Loro i miei ossequiosi rispetti, e con la dovuta stima mi confermo Delle SS ri« LL. IH."· Lucca , 2 agosto 1748. Dev."° et obb."° servitore G. V. Nicolini Cancelliere Maggiore. (*) Dell’ inventario non si trova copia tra le carte del R. Archivio di Stato in Lucca. La memoria è del seguente tenore : « i. Mattia Beckmann non ha pagato, nè dovuto pagare in Lucca alcuna somma di denaro » per le spese occorse per la morte del Sig. Martini, o per debiti da lui lasciati, perchè con li » denari trovatisi nella sua eredità, esistente in Lucca , è stato sodisfatto a tutto. » 2, Li funerali al prefato Sig. Martini sono stati fatti in Livorno, dove da Lucca è stato » trasportato il suo cadavere ; e siccome un tal cadavere fu diretto al detto Beckmann, cosi » credesi che possa egli aver fatte le spese delli funerali occorse in Livorno. » 3. Quanta sia l’eredità del detto Sig. Martini lo dimostra l’accluso inventario, che si » trasmette ; assicurando che tutti li capi contenuti in detto inventario sono stati consegnati e » respettivamente ricevuti; anzi che dalli atti della nostra Cancelleria risulta che ad ogni capo » contenuto in detto inventario ne è stata fatta la ricevuta di mano e carattere del Sig. Lorenzo » Antonio Craffert di Livorno, come procuratore eletto dagli eredi, come tali dichiarati ed auto-» rizzati con lettera speciale del Sig. Duca di Saxengotta del mese di Xbre 1746. Non è però » a notizia nostra se detto Beckmann abbia ricevuto 11,0 13 balle di robe attenenti al detto Sig. » Martini,, poiché le dette robe sono state consegnate al suddetto Sig. Lorenzo Antonio Craffert » sciolte e non imballate, assieme con una nota, o sia copia dell’ inventario delle medesime. » 4. E però non sappiamo se le dette balle siano state consegnate al Mattia Beckn:ann » sigillate, o no ». GIORNALE LIGUSTICO 415 UNA RELAZIONE DI GIAMBATTISTA BALIANI SUL PORTO DI GENOVA Gio. Batta Baliani di Niccolò nacque in Genova nel 1582 di famiglia patrizia la quale si estinse nei figli di lui. Egli sorti da natura un ingegno superiore e fu tra i coetanei assai stimato per la perspicacia e la riflessione con cui scrutava le cause di ogni minimo fenomeno che gli cadea sotto i sensi e coll’acutezza della mente ne deduceva le leggi recondite stabilite dal Creatore. Di buon’ ora si applicò agli studi filosofici, prediligendo le scienze speculative e le matematiche, nelle quali riusci sommo. Sparsasi in breve la fama di sua capacità, fu dal governo del suo paese assunto a varie cariche importanti. Fu Commissario della fortezza di Savona; fece parte del Magistrato delle Galere e di quello dei Padri del Comune; fu anche Capitano di Polcevera e Sargente maggiore della Città, ne’ quali ufficii, rese colla sua sagace attività, servizii non comuni. È in Savona, mentre fungeva da Commissario nel 1611 ? O che, osservando il moto e la caduta dei proiettili delfartiglieria, intravvide la legge che regola la caduta dei gravi, di cui scrisse al Galilei prima che costui la illustrasse. Trovandosi nel 1637 al Magistrato delle Galere ideò una riforma, adottata dalla Capitana di Genova e quindi dalle galere di altre nazioni, colla quale si rendea più facile il remigare, aumentandone l’impulso. Egli fu autore di altre, e non poche, scoperte scientifiche: i suoi scritti potrebbero dirsi enciclopedici, tanti e di svariato argomento ei ne lasciò : dal libro de motu solidorum et fluidorum, al trattato della pestilenza, a quello sull’amicizia, sulle onde del mare, sulla lettera di cambio ecc., alla Relazione politica sul regno di Corsica, editi i primi, GIORNALE LIGUSTICO manoscritta quest’ ultima, allegata a un Codice della raccolta Molfino del nostro Archivio civico. Genova pianse la perdita di un cittadino tanto benemerito nel 1666. Tra le filze degli Atti de’ Padri del Comune si conservano di lui varie lettere e relazioni sopra negozii, che per ragione degli uffizii da lui sostenuti, gli occorse trattare. Citeremo fra altre, le lettere del 1642 circa l'argine o molo costrutto a Teglia, mentr’era Capitano di Polcevera e due relazioni del 1649 da lui scritte mentre fungeva da Sargente maooiore della città, sul restauro del Molo vecchio e sulla OO > necessità d’un molo in Bisagno a difesa delle nuove mura della Città. Sfogliando questi Atti c’ imbattemmo in una sua relazione del 1656, la quale, per l’argomento e pei dati preziosi che racchiude, nonché per le sue conclusioni, ci parve di non poco interesse per la storia del nostro porto. È innegabile che per Genova, tutto ciò che ha relazione alla conservazione del suo porto, è argomento di vitalità. Gli antichi Genovesi mostrarono di esserne ben convinti, colle vigili e indefesse cure da essi poste a mantenerlo e a renderlo comodo e aperto alla navigazione: epperò profusero tesori nella riparazione e costruzione de’ ponti, de’ moli e degli arsenali; nei ripetuti scandagli e nelle frequenti escava-zioni per tenerne il fondo libero dagl’ interrimenti. La relazione che più sotto pubblichiamo è appunto uno degli studi accurati di questo genere, affidato all’esperimentata competenza del nostro Baliani, profondo conoscitore d’ingegneria e d’idraulica. Ed è pregevolissimo il metodo da lui tenuto, del confronto degli scandagli operati in varii tempi per rassicurare il Magistrato de’ Padri del Comune, che non era poi tanto da allarmarsi se in un periodo di 60 anni, il fondo del porto non era, al massimo, cresciuto d’un palmo. GIORNALE LIGUSTICO 417 Singolare, non diremo, coincidenza, ma riscontro approssimativo, quello che corre fra gli scandagli d’allora, e i recenti compiuti dall’ Ufficio idrografico della R. Marina e pubblicati nel 1887! Singolare, ripetiamo, se vogliamo tener conto dei mezzi meschini d’una volta adoperati nelle escavazioni subacquee, in confronto dei moderni ordigni e macchine a vapore che operano da circa un trentennio nel nostro porto. E valga il vero : i rilievi recenti presi sulla stessa linea retta (ingegnosamente fissata dal Baliani) fra la piattaforma del Molo vecchio e il bastione di S. Tommaso (ora scomparso) vengono a superare di 6, di 8 0 10 palmi al più, la profondità media delPacque attuali in confronto de’ scandagli d’ una volta nel bacino del vecchio porto, reso naturalmente ora più ristretto nella superficie aquea, dalle grandi costruzioni di ponti e calate sortevi tutto attorno. Infatti riducendo le misure de’ rilievi attuali alla ragione di 4 palmi circa per ogni metro (1), si avrebbero i dati seguenti : Profondità dell’ acqua fra la calata del Molo vecchio e il Ponte Federico Guglielmo, in prossimità del quale, a levante esisteva il bastione di San Tommaso: (i) 11 palmo genovese secondo il ragguaglio colle nuove misure decimali adottato dalla Camera dei Conti di Torino nell’ anno 1818, dietro il parere avutone dall’ Accademia delle Scienze del 19 marzo 1816, corrisponde a m. 0,24.808 Gioì». Ligustico. Amo XXII. aS in metri in palmi 6,8 . 7 ■ 9.5 · 9.6 . 25.6 27.2 28 38 38.4 418 GIORNALE LIGUSTICO in metri in palmi 9.9......39· 6 9>6......38-4 9. 6......38· 4 9. 6......38· 4 8. 6......34-4 8......32 È quindi ben meritevole di venir dissotterrata dagli scaffali del civico Archivio una relazione che tanto illustra il ricordo di un chiarissimo nostro Concittadino, mentre ci porge tanta copia di dati, dal confronto de’ quali possiamo rassicurarci che il nostro porto, malgrado il periodo già trascorso di oltre due secoli e mezzo, può dirsi, nel fatto della sua profondità, non deteriorato ma migliorato assa. Genova, 4 novembre 1897. Angelo Boscassi. Ecco il documento tolto dalla filza 225 Pratiche pubbliche del Magistrato « Padri del Comune » degli anni 1649-56 N. 277 dal titolo: Scritto presentato dal Magnifico Gio Batta Ballano per riconoscere e ritrovare l’avanzo 0 discapito del porto dal 1595 in quà. La vera forma di assicurarsi della variatione che fanno i fondi nel nostro porto, stimo che sia, il farvi spesso i scandagli, dei quali io ritruovo esserne stati fatti dodici in vari tempi : cioè il primo l’anno 1595 e poi 1605, 7, 14, 18, 21, 33, 34, 48, 50, 54 et uno che non si sa quando sia fatto. Da essi ci verrebbe dato assicurarci della variatione, se non fosse che più volte non si è osservato di fargli sopra le stesse linee, e sopra gli stessi punti : oltre che alle volte non si fa mentione di quanto sia la lunghezza di dette linee, e quanto da un punto di esse all’altro, e se pur si dice esservi cento palmi, nell’istessa linea si ritrovano hor più, hor meno misure di essi cento palmi; il che è forza che dipenda, da che, nel misurar la fune, che forma la linea, si sian fatti i palmi, hora maggiori et hora GIORNALE LIGUSTICO 419 minori, per essere hor più lenta, hor più tirata. Onde ne nasce, che non possiamo assicurarci che i scandagli fatti in varij tempi siano tutti sopra gli stessi punti, come sarebbe necessario, a chi volesse saper precisamente il miglioramento o peggioramento de i fondi sudetti. Io pertanto, riveduti tutti i detti scandagli, ho scelto una linea, che è, si può dire, in tutti i scandagli sopra nominati, o poco diversa: perciocché comincia in ogn’un di loro dalla piattaforma, e nei nove primi va a terminare alla scaletta di Fassolo, e ne’ tre ultimi termina non molto da essa discosto, cioè al baluardo S. Tomaso, e per quanto ini hanno permesso gli errori sopra accennati, ho procurato di metter per ordine i scandagli fatti sopra essa linea in tutti i detti tempi; acciocché si possa vedere in un occhiata, in qualunque punto di essa, quanto ii fondo habbia variato, il che non sarebbe per avventura male, ordinar, che si facesse in tutte le altre linee : acciocché più agevole ei riesca, in qualsivoglia parte del porto, vedere qual variatione di fondo vi sia stato, in tutti quei tempi che si son fatti i scandagli. Si può intanto vedere che dalla diligenza usata intorno ai scandagli di questa sola linea, il porto non ha fatto quel peggioramento che altri crede, perciocché lontano dalla piattaforma 4 in 500 palmi (che è lo spazio ove sogliono dimorar le navi) a capo di 60 anni, il suolo si è innalzato pochissimo cioè un palmo o due (fuori che nel 1654 in tempo che il mare era più basso poco più di un palmo) più che nei scandagli precedenti. E se si usasse la stessa diligenza sopri tutte le altre linee, si verrebbe in cognitione della variatione del suolo in quella parte del nostro porto. 420 GIORNALE LIGUSTICO 1595 1605 1607 1614 1618 Acque basse 6. 2 4 l9 16. 4 9 (Ο 7 18 25.9 18 22. 2 29. 6 22 26. 7 27. 6 32 27 29. 6 26.6 25 32 30 30. IO 31.6 31.6 31 30. 6 33 31. 6 30.4 30. 8 29. I I 30. 6 29.4 30. 6 29. 8 28.6 29. 6 29. 2 30 29. 6 28.8 27. 8 28 28. II 27. 2 27. 6 28.3 27 26. 6 27 27. IO 28.6 27 26 26. 6 27 25 8 25.4 26 26. 7 27 25. 6 25 25 26. I 24. 4 24. 3 23 25. 6 23. 8 23 25. 2 25 23. 6 23. 6 23. 6 22. 6 24. 2 Λ 23.3 22. 6 24. 2 f 22. 8 23.4 22. 6 24 22. 6 22. 4 22. 6 23. I I 22 22. 9 22. 6 23. IO 24 22. 6 23. IO 21. 6 19.9 8.4 13.6 Tutte queste misure sono sopra una stessa linea, cioè : dalla Piattaforma alla scaletta, fuor che le 3 ultime. (1) Si noti che tutte le misure degli scandagli di cui sopra, sono in palmi genovesi. Vedi, nota precedente relativa alla corrispondenza metrica del palmo genovese. GIORNALE LIGUSTICO 42I 1621 1633 1634 1648 1650 1654 4 4.2 4 ‘Λ 3· 5 3· 5 4.6 18. IO 16.8 20 l9 19 9.8 22. 2 22. 8 22. 9 24 23 18 27.6 26. 6 28 26 24. 8 22. 5 V>J 28.8 30. 2 30 28 25 O OO 32.5 30. 2 31 31 30 27. 6 32. 6 30. 8 31· 3 31 30 27. 6 31.6 30.7 31 30 29.6 27 V-M 30. 2 29.5 29 28. 8 26.8 Ο O 30 29 28.6 29 28 26. 7 29 28 27. 8 28 26. 6 25.9 28. 5 27. 3 27 27 27 25.2 27. II 26. 6 26.2 27 26. 6 25. 6 27 25. 10 25.5 26 26 24. 8 26. 6 25.4 24.9 26 25. 6 24. 6 25. 8 24. 8 24. 2 25 25 to v» OO 25. 6 24. I 23. IO 25 24.6 23.4 24.9 23. 6 23.8 24 24 23 24.3 23.5 23.8 23 23.6 22. 8 24 23 23.7 23 23 22. 2 23. 8 22. II 23.4 23 23 21.6 29.7 23. 2 23.3 23 22. 6 20. II 23. IO 23.2 24.4 22 22 20. II 23. 5 25. 10 23 24. 6 20. IO 23.7 26. 7 24 24 20. io 25.2 24.9 23 22 19 24. 8 22 21 22. IO 24.5 21 19 20 24.5 .8 18 19. IO 19.4 17 18 16.8 i) 13 17 IS 8. 2 Queste tre misure sono dalla Piattaforma al baluardo di S. Tomaso. 422 GIORNALE LIGUSTICO 1656. 27 Genaro Letto il scritto sudetto presentato dal M.co G. B. Baliano, chiamato per consultare la forma de riparare il nuovo molo, e sentito anche tutto ciò che ha soggiunto in voce, si è deliberato che il Pr.m0 Sig. Gio Stefano Spinola facci fare le diligenze contenute in detto scritto, servendosi di quelli architetti che le parrà in quella maniera e forma che stimerà più a proposito sentito il d.° M.co Gio Batta. Per Ill.mo Ad calculos GLI STATUTI DEI CANONICI DI RAPALLO Vuoisi che Eusebio, il santo Vescovo di Vercelli, sia stato il primo che nel secolo IV abbia congregato il clero della sua città in una stessa casa e alla medesima mensa, e l’abbia istralato, con regole di austera disciplina, all’esercizio della virtù, onde i chierici suoi non erano da meno dei monaci e la sua casa si poteva ben dire un monastero. Come sia nato il nome di Canonici non si può facilmente dimostrare. Pensano alcuni che fossero cosi chiamati, perchè ascritti al canone, ossia alla matricola della chiesa e alimentati con le rendite di essa; pensano altri che abbiano assunto tal nome dalla rigida osservanza dei canoni, 0 delle regole canoniche, oppure perchè canonicamente, ossia regolarmente vivean la vita, per distinguersi dagli altri del clero , che, non obbligati da regola alcuna, vivevano nelle proprie case. A me basta di far conoscere che furon chiamati canonici coloro che professavano la regola dei chierici, facevano vita comune in un chiostro, cantavano in coro i divini uffizi e facevano le altre ecclesiastiche funzioni, rimanendo secolari e GIORNALE LIGUSTICO 423 non monaci, quantunque si studiassero di imitare in gran parte la vita di monastica disciplina. Pipino e Carlo Magno si studiarono bensì di estendere l’istituto dei canonici e di ben formare la loro vita, ma l’imperatore Ludovico Pio, figlio di Carlo, con singolare premura procurò di dilatare questa forma di vivere non solo per la Francia, ma anche per l’Italia. Tanta cura del piissimo Imperatore e la premura dei Padri del Concilio di Aquisgrana (an. 816) furono cagione che a poco a poco si istituissero anche in mezzo a noi collegi di canonici, sicché non vi fu col tempo cattedrale alcuna che non ne fosse decorata. In quanto all’ Istituzione dei Canonici di Genova così discorre il Negrotto : Vuole l’Accinelli che (l’istituzione) si debba al Vescovo Viatore di Genova il quale viveva nell’ anno 732. Abbiamo però monumento antico dell’ anno 1200, da cui si può inferire la loro istituzione anche forse prima dell’ anno 700, perchè fu in detto anno 1200 sentenziato a favore del Capitolo e canonici nostri contro l’Arcivescovo di Milano della prestazione di un annuo censo da darsi ai medesimi con la condizione che più non inquietassero gli Arcivescovi di Milano per la pretesa di certe pensioni di case del Brolio di S. Ambrogio, salve però tutte le ordinazioni state fatte nel 700 dall’Arcivescovo di Milano. Fa creder suddetto istrumento le condizioni contratte fra l’Arcivescovo e il Capitolo suddetto e già per conseguenza esistessero i Canonici della nostra Cattedrale (1). Ciò che però non è discutibile è un atto del 952> emanato da Teodolfo Vescovo di Genova. Egli, in virtù di detto atto, rivendica alla propria Chiesa una vigna, già da lui conceduta ne’ principii del suo episcopato a certo prete Silvestro, e posta (1) Negrotto, Notizie storiche della Metropolitana, pag. 41, M. S. alla Biblioteca della R. Università. 424 GIORNALE LIGUSTICO presso le mura e Γ atrio di S. Siro, facendo ciò in presenza di quattro canonici, tra i quali figura già l’arcidiacono (i). Non fu poi lieve impresa Γ istituzione di questi, molto essendo occorso pel fondo e per gli alimenti di essi canonici, ma i Vescovi di allora non dubitarono di spogliarsi di una parte delle loro rendite, acciocché si formassero sì lodevoli collegi, concedendo ad essi canonici, a titolo di benefizii, chiese di città e ville, cioè pievi, parrocchie e oratorii onde servissero loro di prebenda e di sostentamento della mensa comune. Or come le cattedrali, fra le altre appellazioni, ebbero non infrequentemente quella di cardines, che è quanto dire principali o primarie, cosi cardinales ed anche cardines o de cardine si chiamarono i preti o chierici costituiti negli ordini diaconale e suddiaconale, che ministravano al servizio delle medesime. Per ciò Teodolfo, Vescovo di Genova, nel 980 commette nostro cardinali presbitero Bruningo di stender Γ atto di concessione dei redditi della ■ villa Matuziana e di Taggia per i suoi chierici cardinali , o canonici, tra i quali son segnati i due che rivestivano la dignità di arciprete e di arcidiacono (2). Agli stessi canonici nel dicembre del 1087 il vescovo Corrado donava la chiesa dei SS. Genesio e Alessandro in Genova coi redditi e le oblazioni relative alla medesima (3), aggiungendo poi nell’agosto del 1116 il Vescovo Airaldo la (1) Deza, Monete della Famiglia Spinola, p. 313 ; Atti Soc. Lig. St. Pat., pag. 279, Vol I, e Vol. II, P. II, p. 412. (2) Liber Iurium Reipublicae Ianuensis, Vol. I, col 7 ; Banchero, Il Duomo di Genova illustrato e descritto, pag. 213; Atti della Soc. Lig. di St. Pat. Vol. II, Parte I, pag. 439 e Parte II, pag. 424. (3) Ughelli, Italia Sacra, Vol. IV, col. 846; Cappelletti. Le Chiese d’Italia, λ ol. XIII, pag. 293-294; Banchero, Il Duomo di Genova, pag. 215-216; Atti Soc. Lig. St. Pat. Vol. II, Parte II, pag. 442. GIORNALE LIGUSTICO 42J decima del sale da percepirsi sopra le navi provenienti dalla Sardegna o dalla Provenza (1). E allorché il 14 Aprile del 1150 il Pontefice Eugenio 111 prese sotto la protezione il Capitolo della Cattedrale, oltre a confermargli la donazione del Conte Raimondo di Barcellona, enumerava le chiese già fin d’allora spettanti al Capitolo, tra le quali notavansi S. Maria Maddalena, S. Salvatore di Sarzano, S. Giacomo di Carignano in Genova, S. Bartolomeo di Staglieno , S. Maria della Castagna di Quarto e S. Stefano di Panesi (2). Cosi stando le cose, nel Luglio del 1178 l’Arcivescovo Ugone della Volta stabiliva che i canonici non sorpassassero il numero di diciotto (3), quantunque più tardi il Pontefice Gregorio IX con bolla del 21 Aprile del 1233 confermasse lo statuto, fatto dal prevosto e dal capitolo, di dare cioè due delle prebende, istituite in cattedrale, a sei mansionarii, continua-mente deputati al servizio della chiesa, rimanendo i canonici in numero di quattordici (4). In tal modo cementossi il genovese capitolo, destinato a servir di modello a tanti altri capitoli minuscoli, che viveano (1) Cuneo, Memoria sopra l’antico debito pubblico, pag. 238-239; Cappelletti, 1. c., pag. 304-305; Banchero, 1. c., 232-234 ; Atti, 1. c., pag. 443. (?) Arch. S. Lorenzo, Cod. P. A. ro6, e Cod. Ρ B , pag. 33; Negrotto, 1. c., p. 167; Giscardi, Storia ecd. all’an. 1178. M. S alla Biblioteca dei Missionarii Urbani : Ughelli, Italia Sacra IV, 863 ; Migne, Patrologiae cursus Tom. CLXXX, p. 1411; Iaffè Regesta Pontificum, N. 6514; Iaffè-Lò-wenfeld, Regesta Pontificum, NI 9380; Desimoni, Regesti delle Lettere Pontificie, N. 119. (3) Negrotto, 1. c., p. 69. Lo stesso Arcivescovo stabili che 12 fossero i canonici di N. S. delle Vigne, il che fu confermato dal Pontefice Onorio III con bolla del 4 ottobre 1221 scritta da Laterano (Pressuti, Regesta Honorii III, Voi. Il, n. 3542) (4) Ughelli, Italia Sacra, IV, 885; Negrotto, 1. c., p. 259; Potthast, Regesta Pontificum, N. 9154; Auvray, Les Registre de Grégoire IX, N. 1249. 426 GIORNALE LIGUSTICO nei chiostri di pievi, le sole chiese, ove si amministrava il battesimo, e dette perciò battesimali (1), onde i Vescovi, come saggiamente osserva il Muratori (2), posero ogni studio, accio nelle città, nei borghi più insigni ed anche nelle campestri ville si fondassero nuove e sontuose collegiate, tanto più che nel Concilio Lateranense, seguito nel 1069, venne ad istanza di S. Pier Damiani proclamato un decreto, nel quale si comandava che i Chierici dovessero osservare una perfetta comunanza di studi e di vita , abitando un medesimo chiostro e seguendo le stesse regole d’interna disciplina. Lo stesso avea proclamato Papa Eugenio II nel Concilio Romano, da lui convocato nell’anno 826. .... necessaria res extitit ut juxta ecclesiam claustra constituantur in quibus clerici disciplinis ecclesiasticis vacent. Itaque omnibus unum sit refectorium et dormitorium (3). * * * Premesse queste osservazioni necessarie, parlerò degli Statuti dei canonici della chiesa dei SS. Gervasio e Protasio di Rapallo, non senza aver prima fatto osservare che l’ala edace del tempo ha coperto di un fìtto velame i primi fasti di questa Pieve, che una continua tradizione, alla quale i più vetusti documenti han dato il suggello di certezza, ci dice aver surrogata la prevostura di S. Stefano, prima chiesuola, che i Ra-pallesi dedicassero al primo martire della fede. Il Belgrano, cui pienamente aderisco, si compiace nell’affer- (1) Solo nel concilio romano tenuto nel’826 ed in quello ticinese del-1’ 875 sono ricordate le ecclesie baptismales que plebes appellant (Gerolamo Rossi, Il Rito Ambrosiano nelle chiese suflfraganee della Liguria, in Atti della Soc. Lig. di St. Pat. Vol. XIX, pag. 528). (2) Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, Disertatio, LXII, pag. 186 e segg. Tom. V. (3) Muratori, 1. c. GIORNALE LIGUSTICO mare che la pieve di Rapallo sia stata costituita nell epoca del soggiorno dei Vescovi Milanesi in Genova (An. 568-644) (1). L’antichità e importanza di essa emerge pure dal posto onorifico, che spettava al suo arciprete nei sinodi genovesi. Egli, dopo l’arciprete di Lavagna, avea la precedenza su tutti i parroci della diocesi genovese. Dalla suppellettile , che arricchisce l’Archivio parrocchiale nulla togliemmo, che faccia fede dell’ anchità del capitolo ra-pallese , e tutto forse andò preda del terribile incendio, che per opera dei Pisani desolò Rapallo nel maggio del 1079 (2). I Rapallesi però si diedero in breve a fabbricar la lor pieve, che veniva solennemente consacrata 1’ 11 Ottobre del 1118 dal Pontefice Gelasio II (3). (1) Atti della Soc. Lig. di St. Pat. Vol. II, P. I, p. 272. (2) An. MLXXVIIII... Pisani ad Rapallum viriliter perrexerunt et castrum igne succenderunt et plurimos corum gladio interfecerunt viros ac mulieres manibus post tergum ligatis captivos tripudiantes perduxerunt. Tunc hoc triumpho revertentibus Ianuensibus obviaverunt et pene usque ad domos eorum fortiter illos infugaverunt Hoc fuit II Id. Maii. (Cronache Pisane in Ughelli, Italia Sacra, Tom. X, pag. 98, in Muratori, R. I. S. Tom. VI, p. 108, in Arch. Stor. It. Vol. VI, P. II, pag. 6, in Pertχ, Monum. Germ. Hist., Tom. XVIII, pag. 239). (3) I Remondini (Parrocchie dell’Ardi /.diocesi Reg. IV, pag. 16) affermano che il Pontefice trovandosi il giorno 10 a Genova, dove consacrò la cattedrale, non poteva l’indomani trovarsi a Rapallo, essendo la funzione della consecrazione lunghissima e faticosa. Il Molfino, che fiorì nella 2/ metà del secolo XVII, dice che il tempio « è consecrato come si stima da Papa Gelasio II del 1118 d’Ottobre ». (Meni. Isloriche di Monte Allegro, Ragionamento, III, $ I, pag. 12). Il cronista Lamberto (Historia Mediolanensis in Perti, Monum. Germ. Hist.. Tom. XX, pag. 47) dice · · · Gelasius II cum navigio Pisas Ianuam pluresque civitates et loca super mare posita quesivit. 1 Regesti pontificii pubblicati dal Iaffè, dal Lòwenfeld e dal Desimoni non ci danno punti di fermata di detto Pontefice se non che Pisa, Lucca, Genova e Marsiglia; ma nelle parecchie città e luoghi posti al mare mi pare di intravedere Rapallo. Infatti una tradizione non mai interrotta, registrata 428 GIORNALE LIGUSTICO La jattura delle antiche memorie mi toglie di potere stabilire con precisione 1’ epoca, nella quale fa capolino il Capitolo della Pieve di Rapallo e solo qua e là in atti del secolo XII trovan-sene pallidi accenni. Dall’atto di ripartimento delle decime di Rapallo, fatto nel novembre del 1143, apparisce ben chiaro che i canonici godevano delle decime, delle quali una parte spettava alla pieve di Rapallo insieme ai Fieschi Conti di Lavagna , che le riscuotevano nel primo dei quattro quartieri in cui dividevasi il territorio di Rapallo, quartiere che andava da S. Pietro di Rovereto sino al fiume Memo, che con tal nome viene indicato il torrente di Monti, linea di divisione dell’odierno quartiere di Borzoli. E appunto nel quartiere di Borzoli trovavasi la terra, spettante ad una prebenda canonicale. Cosi nell’ altro quartiere, che correva dal fiume Memo ad flumen Bolagi (l’odierno Boeùgo) alla pieve spettavano parti 4 Σ/2 di decime e alla prevostura di S. Stefano 5 ‘/2 (1). E appunto in detto quartiere trovavasi la località di Casella, di proprietà di una altra prebenda canonicale. Parimente i canonici aveano diritto a quelle decime, che riscuoteva PArciprete a metà del secolo XII. L’Arcivescovo Siro, che sì largamente avea beneficato i suoi canonici di Genova, nel maggio del 1152 pensò alla pieve di Rapallo, onde a titolo di gastaldico locava a Giberto (2) Arci- pure da lapidetta, accomodata all’ architrave nella parte interna della sacristia della parrocchia, ci addita Rapallo, quale punto di soggiorno di detto Pontefice. (1) i.° Reg. Arciv, in Atti Soc. Lig. S. Pat. Vol. II, pag 16. (2) È il primo Arciprete di Rapallo, di cui si abbia contezza. Viveva ancora nel 1174, giacché il 3 luglio di detto anno insieme con prete Ottone, canonico di detta pieve, assisteva all’ imposizione della prima pietra della chiesa di S. Giacomo di Gattorna nella valle di Fontanabuona (2.° Reg. Arciv. in Atti Soc. Lig. St. Pat. Voi. XVIli, pag. 47). GIORNALE LIGUSTICO 429 prete la decima del mare, che la Chiesa genovese possedeva in Rapallo e principalmente quella che gli doveano gli uomini non rapailesi, ma che navigavano coi Rapallesi da Rapallo sino al Tevere e di ritorno facevano porto in Rapallo. Nello stesso tempo gli accordava la decima , che doveangli i Rapallesi, e quelli che con essi volevano andare in Provenza , Sardegna, Corsica, Messina, Napoli e in qualsiasi parte fuori detti confini e che al ritorno faceano porto in Rapallo. L’Arcivescovo gli ingiungeva di riscuotere le decime con fedeltà, cedendogli la decima parte, restituendo alla Curia le nove parti rimanenti. Lo investiva solennemente di dette decime , salvi però volendo i diritti di Portofino (1). Il documento ci fa pur conoscere il commercio, che fioriva in questo piccolo emporio ligustico, e le grandi relazioni, che correvano tra Rapallo e altre parti d’Italia. Canonico della pieve di Rapallo era certamente quel Raimondo , sebbene ami chiamarsi col semplice nome di presbiter plebis de Rapallo, presente all’atto, in cui Ottone Vescovo di Bobbio e Pietro Cardinale del titolo di S. Cecilia, il 16 Maggio del 1190 decisero nella lite vertente tra l’Arciprete di Nervi e i fratelli del S. Sepolcro (2). Da altro documento poi del 2 Dicembre 1209 si viene a conoscere che un tal Ferrario, canonico della pieve, teneva in prestito un Lucano (3), segno evidente che, se gli studi nel (1) i.° Reg. Arciv. in Atti Soc. Lig. St. Pat. Vol. II, P. II. Quasi tutto 1’ atto è a pag. 384 e la chiusa a pag. 404. (2) Originale in pergamena in Arch. di S. Lorenzo; Poch, Miscellanea. M. S. alla Biblioteca Civico-Berio, Vol. V, pag. 305 ; Pflugh-Harthung. Aita Pontificum Romanorum inedita, Vol. II, pag. 399. (3) « Ego Presbiter Guiliemus prepositus ecclesie sancti Stephani de Rapallo rerum mearum talem facio disposicionem. Iohanni canonico sancti Stephani dimitto lectum guarnitum de sacone et culcitra et copertorio et cosino et linteaminibus. Item dimitto ei Lucanum meum de quo Ferrarius 430 GIORNALE LIGUSTICO capitolo della cattedrale genovese erano affidati al Magiscola o maestro di scuola, nel nostro capitolo di Rapallo non erano del tutto trascurati, come trascurati non lo erano nella vicina prevostura collegiata di S. Stefano, come non lo erano in altre collegiate e monasteri di Genova nostra (i). Non è mio scopo di porre in rilievo gli atti della gestione del capitolo rapailese, che nel secolo XIII avea il diritto insieme coll’arciprete di eleggere tutti i parroci delle 17 chiese, che formavano allora la plebania di Rapallo, che estendeva la sua giurisdizione da Portofino a S. Pietro di Rovereto , nè canonicus plebis habeat licentiam operandi usque ad tempus quod Iohannes voluerit. Adalasie matri mee dimitto pelles meas blavas et guarnimenta mea et mantellum meum bruneti. Presbitero Andree dimitto capam meam blavam pro qua teneatur dicere pro anima mea missas centum. Actum in burgo Rapalli in domo dicte ecclesie An. MCCVIIII die II Decembris .... testes Guilielmus Archipresbiter Rapalli et Ferrarius canonicus plebis ». (Atti dei Not. Sapiente inseriti negli Atti del Not. Guglielmo di Amandolesio, fil[a segnata 12/7-1276, pag 90. Arch. di Stato in Genova). (1) Il 26 Settembre del 1235 il Prevosto di S. Maria di Castello in Genova consegnava alle mani del canonico Gaialdo in sulle mosse per recarsi all’ Università a studiare teologia , lire cinque genovine , e ciò in adempimento dello statuto della Collegiata, spettante agli studenti. (P. Amedeo Vigna, L’Antica Collegiata di S. Maria di Castello, pag. ipi). E il 25 settembre 1231 Balduino de Rodulfis, canonico di detta chiesa di Castello, dichiara di andare a Napoli a compiere i suoi studi (Poch, Miscellanea, Vol. V, pag. 361). Il 10 Agosto del 1289 il prevosto di S. Nazzaro (ora N. S. delle Grazie) permetteva a prete Pasquale, canonico di detta chiesa, di stare per sei anni a Bologna ad studium generale (Notari Ignoti, filza 20, Arch. di Stato in Genova). Il 13 Luglio del 1397 Fr. Giovanni da Montenegro e altri frati di S. Francesco di Castelletto eleggevano procuratore Giovanni delle Piane di Voltri, perchè sborsasse otto paghe a Fr. Giuliano Bono di Voltaggio ituro Angliam ad studium, e ciò per le saggie disposizioni di Luca de Carlo che avea lasciato un patrimonio, coi redditi del quale si mantenesse uno studente in Inghilterra (Not. Nicolò Fatinanti, Filza i-a pag. 148 e 151, Arch. di Stato).. GIORNALE LIGUSTICO 43I andavano esenti da queste giurisdizioni le chiese di Portofino, Nozarego (1) e Corte, quantunque dipendenti dall’Abbazia di S. Fruttuoso, il cui Abbate confermava 0 annullava l’elezione dei parroci di dette tre chiese, fatta dai canonici di Rapallo (2). Gli statuti di detti canonici, che sino al secolo XVII, si mantennero in numero di quattro, portano gran lume per la vita privata di quei tempi, che sono mondi ancora misteriosi, dei quali, malgrado le fatiche di tanti uomini dotti, non si sono scoperte se non che poche spiaggie, e queste eziandio non bene descritte. Gli Statuti hanno la data del 17 Gennaio 1264, ma in essi accennasi ad altri, compilati 10 anni prima. Sono del seguente tenore : φ Dominus Bernus (3) Archiprebiter plebis Rapalli presbiter Guilielmus Petrus Scarzella (4) Obertus canonici dicte plebis attendentes quod statutum (1) Infatti il 16 Luglio del 1257 verteva lite tra Aldebrando, arciprete di Rapallo, e Nicolò, Abbate di S. Fruttuoso per l’amministrazione di detta chiesa di Nozarego (Not. Durante Domenico e Oshergero Oberto, pag. 9, Arch. di Stato). (2) Anche l’elezione dei canonici spettava al Capitolo. Infatti il 16 Gennaio del 1320 l’Arciprete Vivaldo e i canonici eleggevano Federico figlio di Simone Fieschi dei conti di Lavagna in canonico della pieve, e il Pontefice Giovanni XXII, confermando con una bolla speciale (Datum Avinioni VI Id. Iunii Pontificatus nostri anno quarto) detta elezione, dichiarava che all’Arciprete e al Capitolo communiter de antiqua et approbata et haclenus tanti temporis spatio pacifici observata consuetudine cuius contrarii memoria non existit electio canonicorum ad prehendas ipsius plebis cum eas inibi pro tempore vacare contingit pertinet (Not. Leonardo de Garibaldo, filza 1.% parte II, pag. 144, Arch. di Stato). (5) L’ Arciprete Berno fu cameriere dell’Arcivescovo di Genova, sindaco, attore, procuratore e vice-domino del palazzo arcivescovile negli anni 1254-1274. (3.° Reg. Arciv. in Alt: itila Soc. Lig. di St. Pal. Vol. XVIII, p. 4S9 ai luoghi diati). (4) Pietro Scarzella di Rapallo era pure canonico della cattedrale di Savona. A lui scrisse il Pontefice Innocenzo IV il 13 Febbraio del 1254, perchè insieme col Vescovo di Savona decidesse in una lite, vertente tra il monastero di S. Benigno e l’Arcivescovo di Genova. (2.° Reg. Arciv. I. c. pag. 442). 432 GIORNALE LIGUSTICO decem annorum olim ordinatum in ipsa plebe per archipresbiterum et canonicos qui tunc erant in eadem plebe finitum erat per elapsum temporis volendo ad honorem dei et ad utilitatem eiusdem plebis ac eciam ad bonum ipsorum et formam negocia ipsius in melius aliter reformare de parte possessionum sepefate plebis que in quinque partes per ipsum archipresbiterum et canonicos sunt divise et que sunt per ipsos in sex libris pro qualibet ex-timate taliter inter se comuniter statuerunt. Videlicet quod Archipresbiter et quilibet canonicus de ipsis quinque partibus ut sunt inferius annotate habeat pro vestibus et companatico unam partem scilicet quod Archipresbiter habeat locum quem quondam Enricus tenebat cum ortis et terra vacua de prato, presbiter Guilielmus terram de claparello quam tenet Cachonus et illum que quondam fuit Biseste cum caneto quod est in pede prati. Dominus Montanarius (i) costam cum Casella (2) et podio sibi contiguo et cum caneto de linario. Petrus Scarzella terram de Borzuli cum decem soldis terre Enrici de Morello et cum duodecem soldis domorum Beliosi et Pichonis et Obertus habeat pastinum quem tenet Andreas cum ortis plani Caselle. Item quia si oportuerit quod domus vel torcular quam vel quod sit in aliqua istarum parcium hedificetur vel de novo restituatur illa opera fiant de omnibus expensis plebis. Alia vero minora opera sicut esset retectare domos vel aliquod lignum in domibus vel torcularibus permutare quilibet de proprio faciat in parte sibi contingente et si aliquis canonicorum habuerit necesse facere vindimiam suam in aliquo torculare alicuius canonici per illum canonicum cuius torcular fuerit hoc nec possit nec debeat alteri canonico denegari. Item statuerunt quod Archipresbiter de parte sibi assignata nullam teneatur massario qui pro tempore in plebe fuerit vel capitulo facere racionem sed ipsam integre pro vestibus et companatico percipere debeat sine diminucione aliqua et habere et ultra quadraginta soldos a massario annuatim sive pre-sens in plebe fuerit vel absens. Canonici vero de partibus ad eos provenientibus si in plebe continuam residendam fecerint (3) quilibet ipsorum simi- (1) Montanario della Torre dei Conti di Lavagna, canonico di Rapallo, è nominato in parecchi documenti dell’ epoca. (2) Col nome di Casella chiamasi tuttora una località in Rapallo ai Muretti, posta in un’amena spalliera alla destra di chi percorre 1’ antica strada romana che va a S. Anna. Il luogo era coltivato ad aranci, e i giardini che ivi esistevano e che trovansi nominati nel secolo XIV, formavano un ritrovo prediletto per i canonici nel tempo di estate. (3) Curiosa è la disposizione presa il 5 maggio del 1310 da Rolando, arciprete di Mongiardino, purché i canonici facessero residenza nella pieve. Egli dichiarava ad essi.....quod possitis nutrire porchos duos in dieta plebe de vestris porcis tantum per menses quatuor... Item medietatem fructuum servabilium videlicet nucum pirorum et pomorum\que nascuntur sive nascentur ibidem.... {Aiti dei Not. Leonardo de Garibaldo, Fil^a /, Parte I, pag. 52, Arch. di Stalo). GIORNALE LIGUSTICO 433 liter integre habeat partem suam pro companatico et vestibus ut superius est expressum. Si vero aliquis ipsorum absens fuerit vel tres menses in anno vel ultra continue vel per intervallum residendam in plebe non fecerit qualibet die absencie unum denarium et medium assignare et dare massario teneatur. Si vero per tres menses aut ultra continue vel per intervallum residendam in plebe fecerit et alias aliquando absens fuerit qualibet die absencie tantum unum denarium dare massario teneatur salvo et reservato quod quilibet canonicorum se possit quatuor diebus quolibet mense extra plebem pro suis negociis absentare sine solucione predicte absencie dummodo per tres menses continue vel per intervallum in plebe fecerit residendam (i). Item statuerunt quod omnes alie possessiones plebis que in supraditis quinque partibus minime includuntur decime oblationes et generaliter obventiones omnes iamdicte plebis remaneant in comuni et cum integritate et introitus earum ad manus massarii debeant pervenire de quibus introitibus semper debeat massarius habere panem et vinum in plebe ita quod ad certum pondus et mensuram panem et edam de oleribus cum condimento salis et olei semel in die per totum annum Archipresbitero et canonicis capellano clerico et alio sive aliis familiaribus qui présentes fuerint debeant ministrare èt dare de lumine in mensa et de lignis pro igne ad calefaciendum si opor-tune fuerit a festo omnium sanctorum usque Pasca maius et edam de lignis et sale ad aliquod coquendum ad usum et necessitatem canonicorum per totum annum. Et in quadragesima sive aliquo solemni ieiunio dare debet de duobus pulmentis (2) scilicet de aliquo genere leguminum seu de castaneis cum dictis oleribus secundum quod idem Massarius poterit et ei visum fuerit expedire et teneatur in fine cuiuslibet mensis canonicis pre-sentibus facere rationem nisi forte remaneret aliquo iusto impedimento. Panis vero qui esse et fieri debet in plebe sit in pasta decem octo unciarum pro quolibet et de panibus, dicti ponderis si Archiepresbiter fuerit presens in plebe habere debeat tres partes in die cum tribus pintis (3) vini et quilibet canonicorum duos cum duabus pintis vini et tantundem de pane et (1) Negli Statuti dei Canonici della Cattedrale di Genova, riformati nel 1278, e che ebbi la fortuna di compulsare meicè la gentilezza del M. R. Mons. Paolo Canevello, Provicario della diocesi, lesesi questa rubrica : « si quis fuerit absens extra mensem scilicet ultra dies triginta continuos vel fuerit in sacris ordinibus et habuerit integram prehendam teneatur inramento solvere Massario illius anni pro Capitulo infra annum itius Massarii denarios XIV pro quolibet die post absentiam primi mensis . . . Item qu>d quotiescumque aliquis predictorum redierit domum et in ea pernoctaverit diebus tribus possit abesse per menses sub prelieta pena scilicet denariorum XIIl ». (2) Pulmentum nel dialetto della bassa latinità significa pesce di stagno o di vivaio (Cfr Ducange, Glossarium mediae et infimae latinitatis'). (3) La Pinta era una misura d’ allora. Giorn. Ligustico. Anno XXII. 29 434 GIORNALE LIGUSTICO vino habere debeat Capellanus. Relique vero minores persone sicut est clericus et familiares habere debeant sicut fuerit per capitulum ordinatum. Si vero iamdicte persone absentes (i) fuerint nihil de pane et vino percipere debeant vel habere sed omnia domui remaneant et comuni ita quod absens intelligatur quicumque non comederit in comuni mensa plebis vel infra ia-nuas plebis eiusdem nisi forte esset in servicio plebis unde aliud pro expensis non haberet a plebe seu esset extra pro laboreriis sue prebende vel in aliquo loco alio esset honesto quia non possit venire in hora prandii et postea veniret et infra plebem vellet plandere ei panis et vinum suum nullatenus denegetur. Salvo tamen quod de gracia Archipresbiteri vel aliquis canonicorum si semel in qualibet ebdomada comedere voluerit extra plebem si pecierit panem et vinum suum pro una die continua pro duobus pastis videlicet ei extra plebem debeat errogari et illud idem in capellano totaliter observetur (2) Qj-iidquid vero superfuerit de introitibus et proventibus plebis prefate factis expensis huiusmodi nominatis omnes alie expense extraordinarie necessarie plebi de superfluo illo fiant et si forte non sufficeret illud superfluum ad expensas huiusmodi extraordinarias faciendas archipresbiter et quilibet canonicus de eo quod sibi assignatum est ad complementum pro rata addere teneatur et si quid residui fuerit in fine anni factis omnibus expensis tam ordinariis quam extraordinariis supradictis Archipresbiter cum concilio et voluntate capituli vel maioris partis de hiis ordinare et disponere teneatur vocatis omnibus qui debuerint et poterint comode evocari. Item statuerunt quod Archipresbiter et canonici possint permutare ad invicem suas prebendas eis pro vestibus et companatico assignatas si de eorum processerit voluntate. Item statuerunt quod veteres canonici possint habere prebendam cedentis vel decedentis canonici datam pro vestibus et companatico et dimittere suam (1) Più severi furono i canonici e il prevosto di S. Maria di Castello, i quali il 2 Settembre del 154S stabilirono che i canonici in caso di assenza pagassero L. 12 e il prevosto i6. (Vigna, >· c- pag. 4·). (2) Perchè si possa far un confronto, riferisco lo statuto dei canonici della cattedrale, edito Γ11 Ottobre del 1300, intitolato: De refectorio. (' Item statuimus aliqua persona preter canonicos in refectorio non comedat nisi de licentia preposti vel capituli vel illius qui maior esset in refectorio. Item servientes canonicorum non comedant in refectorio nec in prandio nec in cena neque familia comunis comedere possit de foris ante refectorium et non in caneva neque in pristino excepto loco qui possit comedere in pristino. Canevarius de quotidianis panibus fiat rationem et de singulis diebus. Item Canonici qui comedunt in refectorio habeant a kalendis iunii usque ad festum omnium sanctorum fructus recentes de hiis qui tunc inveniuntur. In Pasciute in antea usque ad festum sancti Andree in vigiliis sanctorum dentur canonicis ad prandium denarii pro fructibus unus scilicet denarius pro canonico tam comedente in refectorio quam extra » (Statuto dei canonici, Arch. capitolare della Cattedrale di Genova). GIORNALE LIGUSTICO 43 S novo canonico in plebe instituendo. Et si de habenda ipsa prebenda inter canonicos questio oriretur tamen per sortes datas illa questio sopiatur. Item statuerunt quod Massarius fiat in plebe de consensu et voluntate Archipresbiteri et capituli sine p.'eiudicio Archipresbiteri et capituli si massarius deberet aliter ordinari. Item statuerunt quod cedente vel decedente Archipresbitero vel aliquo canonicorum ille qui fuerit subitituendum teneatur resarcire expensas quas predecessor suus fecerit pro illo anno in laboreriis vel aliis utilitatibus dicte prebende quam debuerit obtinere. Item statuerunt quod aliquis non recipiatur in Archipresbiterum vel canonicum nisi primo iuraverit omnia statuta superius declarata attendere et per omnia observare sed ad ipsa eadem statuta et singula attendenda et non accipiendi ulterius de plebe quam in ipsis statutis sit ordinatum. Prestiterunt iam dicti Archipresbiter et canonici corporale iuramentum ita quod Archipresbiter cum capitulo vel cum maiori parte capituli vocatis omnibus presentibus canonicis et absentibus qui potuerunt comode evocari possit mutare dicta statuta in totum vel in partem addere minuere et super ipsis interpretari sicut de eorum processerit voluntate salvo quia cuilibet remaneat prebenda pro vestibus el companatico assignata in perpetuum nisi esset aliter per totum capitulum ordinatum. Testes Enricus de Morello notarius Olinus notarius Armaninus clericus sancte Margarite de Sauro. Actum in burgo Rapalli in dicta plebe in camera domini Archipresbiteri Millesimo ducentesimo sexagesimo quarto in-dicione VI die decimo septimo Ianuarii inter terciam et nonam (i). I nostri canonici facevano ancor vita comune presso la pieve nella seconda decade del secolo XIV. Infatti il 20 Settembre del 1325 la munifica famiglia De Podio fondava la cappellata di S. Giovanni Evangelista, e i canonici del capitolo di consenso di Vivaldo, arciprete di Rapallo, promettevano fra le altre cose di concedere al neo cappellano . cameram in qua possit convenienter iacere et dormire et locum decentem in coquina communi capituli ipsius ecclesie similiter aquiriolum et fogoranum in quo possit facere coquinam et focum et etiam locum de- (1) Atti del Not. Giovanni de Anundolesio. Filza 4.* segnata 1261-1269, pag. 47-4«, Arch. di Stato. 436 GIORNALE LIGUSTICO centem in refectorio comuni ipsius plebis in quo oneste et decenter possit comedere et ipsam cameram et locum pro comedendo quoties opus fuerit facere aptare reparare et cooperare ad expensas dicte plebis et etiam ministrare et dare qualibet die ipsi capellano de coquina hoc est de eo quod coquinatum fuerit in ipsa plebe pro ipso archipresbitero et canonicis prout et sic per dictum capitulum ministrabitur et dabitur alicui ex capellanis dicte plebis videlicet de erberiis et leguminibus et aliis similibus. Item dare ipsi Capellano prandium et cenam condecentem ad mensam archipresbiteri dicte plebis qui nunc est vel pro tempore fuerit si tunc ibi capitulum non ewet quolibet anno in diebus infrascriptis videlicet in festo Nativitatis Domini in festo Pasche Resurrectionis in festo Beatorum Martirum Gervasii et Protasii et solidos III Ianue quolibet anno in diebus infrascriptis videlicet in festo Nativitatis Domini denarios ianuenses duodecim pro pitantia. Item ministrare ipsi capellano quodeumque ei opus fuerit lumen hoc est candelas ad missas matutinum et ad alia divina officia tam nocturna quam diurna et etiam ceriolum seu brandonum de cera quando Corpus Christi levabitur et vestes et libros et ornamenta et alia necessaria ad missam et divinum officium celebrandum si capellanils predictus indigebit ipsis (i). Siccome i canonici trasportavano in dominio dei collegio tutti i loro beni mobili ed immobili ad imitazione dei monaci, godendone Γ usufrutto loro vita durante, così il Capitolo rapai-lese trova vasi dotato non solo di redditi vistosi, ma i suoi canonici venivano presi dai migliori soggetti del clero, tra i quali emerge quel Dino dei Conti di Radicofani, che fu prevosto della Cattedrale di Genova, di quella di S. Maria di Castello, cappellano pontificio e uditore delle cause apostoliche in Avignone. Egli rinunciato il 9 Novembre del 1332 il canonicato di Rapallo (2) veniva prescelto a reggere il patriarcato di Grado (1332-1336), traslato alla sede archiepiscopale di Genova (1336-1342) e poi a quella di Pisa (1342-1348). (1) Allegato in Arch. Parr. di Rapallo, estratto dal Not. Leonardo de Garibaldo. (2) Allegato in Arch. Parr. di Rapallo. \ OlORNALE LIGUSTICO 437 I canonici della pieve rapailese abitavano nel chiostro, (i) situato non lungi dall’ attuale campanile nei beni degli eredi Solari. La chiesa circondata da olmi, sotto cui facevansi d’estate le pubbliche radunanze, avea la porta maggiore dove ora trovasi il coro, essendo stata voltata sui primordii del secolo XVII. x Un ponte metteva in comunicazione la chiesa col chiostro, e sotto il ponte presso la strada romana esisteva una chiesuola. Parecchi atti del secolo XIII e XIV dei notari rapailesi Giovanni de Amandolesio, Corrado de Spignano, Filippo de Fasceto e Crescino de Arata, che conservansi all’Archivio di Stato, son rogati in ecclesia Beate Marie sub pontile canonicorum. I canonici di Rapallo il giorno di S. Stefano insieme col-1’ arciprete recavansi a pranzare nel chiostro dei canonici della prepositura di S. Stefano (2), dai quali ricevevano mazzi di rose e gelsomini, uso che praticavasi ancora nel secolo XVII dalla Confraternita dei Neri, che era subentrata nel possesso di detta chiesa. Questi pranzi fuor della pieve rapailese hanno un punto di contatto con quei che faceva il capitolo della cattedrale di Genova, il quale, oltre l’obbligo che già nel 1143 avea di invitar l’Arcivescovo a pranzo nel chiostro il giorno di Giovedì Santo (3), andava processionalmente alla chiesa dei (1) Il 9 Dicembre del 1240 Opizzo arciprete, Montanaro della Torre, Pietro Scarzella e Guglielmo canonici della pieve rapailese, offrono le loro persone e i loro beni a prò di Gregorio de Romania, spedito legato apostolico in Genova dal pontefice Gregorio IX per preparar le galee, che dovevano recare i prelati al Concilio, indetto contro Federico IL L’atto è rogato Rappalli in claustro dicte plebis. (Not. Lanfranco, Filza 2., Faite II, pag. 18]). (2) Il 2 Agosto del 1232 il prevosto e i canonici di S. Stefano fanno alcuni statuti per la divisione delle prebende. Si ordina che il prevosto abbia per il vestimento L. 3 secundum quod consuetuìii est a lungo tempore. (Atti del Not. Nicoloso de Beccaira, p. 45-46· Arch. di Stato). (3) in cena domini debel Arcbiepiscopus commedere in canonica cum tota curia sua (i.° Reg. Arciv. in Atti Soc. Lig. St. Pat. Vol. Il, P. II, p. 6). GIORNALE LIGUSTICO PP. Benedettini di S. Stetano nel giorno di S. Stefano, nella feria quinta dopo Pasqua, nella vigilia e nella festa dei SS. Giacomo e Filippo. In detti giorni ΓAbbate del monastero faceva preparare in refettorio prima di terza quattro capretti arrostiti, quattro spalle di porco salate e cotte, quattro polli arrostiti, pane e vino, nonché castagne (i) secche con iscorza per frutta e al dopo pranzo un buon numero di nebule o cialde, innaffiate con buon vino. Questa costumanza diè inquietudine ai monaci, onde nel maggio del 1145 o 1146 che sia, il Pontefice Eugenio III riprovò detta refezione come contraria alle regole di S. Benedetto , esortando Γ arcidiacono e il prevosto a volerla trasportare nel proprio chiostro o contentarsi di un compenso (2). Non mancavano nei nostri capitoli di Genova e Rapallo le opere di vera carità, e i numerosi Registri della Masseria del genovese Capitolo ci fanno ancor fede delle minestre , delle focaccie , del pane e del vino che veniva distribuito ai poveri nel chiostro di S. Lorenzo (3). (1) Le castagne verdi faceano pure parte dei frutti della prebenda dei canonici di Cicagna. Valga il seguente atto del 24 Maggio 1205 : « Ego Andreas Archipresbiter plebis Plecanie promitto et convenio dare tibi Bertholomeo canonico predicte plebis vel certo misso per me vel per meum certum missum annuatim donec ibis in scolis pro vianda quartinos Vili inter flumentum et castaneas et siliginem scilicet tertiam partem de flumento terciam de castaneis et terciam de siligine et soldos XL annuatim pro tuis vestimentis de bonis predicte plebis et quando non eris in scolis dabo tibi annuatim libras III pro tuis vestimentis et minas duas de castaneis viridibus negrixolis de bonis dicte plebis......(Atti del Not. Guglielmo Cassinense, fii\a i.’,pag. 259, Arch. di Stato). (2) Cod. P. A. p. 69. Cod. P. B. p. 35. Arch. di S. Lorenzo; Desimoni, Regesti etc. N. 115 e fonti ivi accennate. (3) Negli statuti dei Canonici di S. Maria delle Vigne in Genova, autenticati il 14 febbraio del 1375 dal milanese Andrea della Torre, Arcivescovo di Genova, leggesi : GIORNALE LIGUSTICO 439 Detti Registri meriterebbero di essere studiati, perchè contengono avanzi preziosi, nei quali si asconde la conoscenza intima di una società che non è più. Arturo Ferretto. COSTANTINO DA CARRARA E LA RIFORMA A LUCCA NEL SECOLO XIV La Riforma religiosa, della quale Martino Lutero si fece animoso ed efficace propugnatore in Germania, e Calvino in Francia, non mancò di avere seguaci anche nella nostra penisola e specialmente a Lucca. Anzi in quella città trovarono tale e tanto favore le nuove dottrine, che la Repubblica stessa finì col proteggerle e favorirle nel modo più aperto. Vennero tolte le prescrizioni rigorose sull’osservanza della quaresima; il Gonfaloniere e gli Anziani smisero d’intervenire alle funzioni sacre; con decreto de’ 19 novembre 1540 fu abolita l’osservanza di tutte le feste dei santi (1). .... Item statuimus et ordinamus quod in claustro sit unus porterius qui portam dicti claustri claudat et aperiat horis congruentibus panem pauperibus distribuat videlicet in die sabati claustrum semel in ebdomada niteat aquam pro omnibus sufficienter apportet latrinam purget lampadem claustri accendat et extinguat.... Carioso è il seguente squarcio, che riguarda i giuochi : Item statuimus et ordinamus quod prepositus vel aliquis canonicorum vel capellanorum non ludat in claustro ad aleas ossa vel scachos nec aliquem ad ludum inducat nec ad ludendum, tabulerium vel alia instrumenta ad hoc acta prestet sub pena soldorum sex pro qualibet vice.. (Gli Statuii dei Canonici di N. S. delle Vigne. M. S. in pergamena, Archivio della Curia Arciv. di Genova). (1) Ctr. Sforza G. Un episodio poco noto della vita di Aonio Paleario; nel Giornale storico della letteratura italiana·, XIV, 50-71. 440 GIORNALE LIGUSTICO Appena si sparse voce che in Lucca la Riforma cominciava ad aver seguaci, non tardarono a corrervi alcuni novatori, coll’intento di coltivare un terreno propizio e già preparato. Renata di Francia , calda fautrice di Calvino , vi mandò Celio Secondo Curione, che prese a insegnare le belle lettere in alcune famiglie private. Ma i veri propagatori li dettero i monasteri de’ Canonici regolari di Fregionaia e di S. Frediano; e alΓ opera efficacissima di costoro si unì quella, pure assai efficace, dell’ Ordine Agostiniano. Dalle carte del R. Archivio di Stato in Lucca si rileva come uno tra gli zelanti nel diffondere in essa città le dottrine di Calvino fosse il padre Costantino da Carrara. Ignoro a qual famiglia appartenesse ed in che anno sia nato; infruttuose sono riuscite le molte indagini che ho fatto per rintracciarlo. Era ascritto all’ Ordine de’ Canonici Lateranensi. ÎMel 1542 lo trovo Priore del Monastero di Fregionaia, e poco dopo di quello di S. Frediano , che per opera di esso e di Pietro Martire Vermigli (che da Napoli , dove aveva ammaestrato molti nelle nuove credenze, era venuto a Lucca col grado di Visitatore de’ Lateranensi) si convertì addirittura in un seminario di riformatori. Tanto il padre Costantino, quanto il Vermigli, coll’insegnamento, la predicazione, le scritture ed anche, a quanto sembra, con segreti convegni, si sforzavano d’insinuarsi negli animi dei cittadini; e lo facevano con tale arte e con tanto frutto, che la intiera città era edificata di que’ due monaci e immensa era la stima e il credito che godevano. Il pontefice Paolo III, inteso che ebbe come Lucca quasi del tutto fosse divenuta protestante, ricorse all’ imperatore Carlo V, il quale minacciò la Repubblica di consegnarla in mano di Cosimo de’ Medici se non tornava alla fede cattolica e cacciava via i novatori. Il Governo, messo alle strette, dovette piegare la testa. Il padre Costantino da Carrara, il GIORNALE LIGUSTICO 44I Vermigli e altri diciotto frati furono costretti a fuggire; molte famiglie delle primarie esularono dalla città; vennero ripristinate le feste de' Santi: istituito un Uffizio che si disse Sopra la Religione, collo scopo di perseguitare i seguaci della Riforma, che in perpetuo restarono banditi dal territorio della Repubblica. Il S. Uffizio residente in Roma citò avanti a sè e sottopose a processo i molti lucchesi che avevano abbracciato la Riforma e che appunto per questo erano fuggiti via dalla patria. La Repubblica risolvette di confiscare i loro beni e istituì un uffizio a bella posta. La qual cosa però fu piuttosto a dimostrazione che ad effetto , giacché dagli atti che rimangono è manifesto che tutti coloro che vollero mutare religione ebbero tempo e comodo di mettere in sicuro le proprie sostanze ; infatti alienarono , ipotecarono e cedettero sotto varie forme i beni stabili, ritirarono il contante ed i capitali; in una parola salvarono interamente le loro ricchezze e le portarono con sè. Ai dissidenti dalla fede dei padri convenne peraltro rinunziare per sempre al paese natale e cercar fuori d’Italia una patria nuova; fu loro vietato il carteggiare coi propri parenti rimasti a Lucca; il mantenere qualsivoglia relazione colla città. Del padre Costantino da Carrara non si trova più traccia nelle carte lucchesi. Suppongo che colla maggior parte de’ suoi compagni e proseliti si riducesse a Ginevra , dove un altro frate del convento di S. Frediano di Lucca, il padre Celso Martinengo, aveva fondato una chiesa italiana riformata coi dogmi di Calvino. Il dipendere la Chiesa di S. Andrea di Carrara da quella di S. Frediano di Lucca, il venire anzi governata dai Lateranensi, che tutti più o meno amoreggiavano colle nuove dottrine, mi fa nascere il dubbio che anche a Carrara potesse essere stata disseminata la Riforma e avervi qualche seguace. Questo dubbio e poi rafforzato dal 44 2 GIORNALE LIGUSTICO fatto di essere appunto di Carrara il padre Costantino. L’entusiasmo, con cui si schierò tra le file di Calvino, Γ ardore con cui si dette a propagarne le dottrine, la costanza colla quale perseverò nelle medesime, sono cose tutte che inducono a credere, che avrà fatto ogni sforzo per trovare seguaci anche nella nativa città, e che essa non sarà rimasta nè sorda, nè indifferente alla sua voce e ai suoi consigli. Giovanni Sforza. DELLE RELAZIONI TRA URBANO VI E LA REPUBBLICA DI GENOVA I. È risaputo che, dopo la morte di Gregorio XI, Γ8 aprile 1378 fu nominato papa Bartolomeo Prignano arcivescovo di Bari, il quale assunse il nome di Urbano VI (1). Risoluto di combattere la simonia e la vita corrotta dell’alto e basso (1) Sulla elezione pontificia di Urbano VI cfr. Raynaldi, Annales ecclesiastici, Lucae, typis Leonardi Venturini, 1752; t. VII, pag. 301 sgg. ; Teodorico Niem, De scismate universali, Argentorati, 1609, cap. II, pag. 3 sgg.; Gobelino, Cosmodromium, in Henrici Meibomii, Rer. German. tomus 1, Lipsiae, apud Iohannem Friedericum Gleditsch, MDCLXXXVIII, pag. 293 sgg.; L. A. Anastasio, Istoria degli antipapi, Napoli, Stamp. Muziana, 1754; t. II, capo XV, pag. 147 sgg.; R. Roncioni, Delle istorie pisane libri XVI, in Arch. Stor. Ital., t. VI (1844), parte I, lib. XVI, pag. 295 sgg.; R. Sardo, Cronaca pisana dall' anno 962 al 1400, in Arch. Stor. Ital., vol. VI (1845), parte II, cap. CLXXXVIII, pag. 200 sgg.; Th. Lindner, Geschichte des deutschen Reiches unter Kônig Wen%el, Braunschweig, C. A. Schwetschke und Sohn, 1875; vol. I, cap. V, pag. 72 sgg. C. Cipolla, Storia delle signorie italiane dal 1313 al 15)0, Milano, Vallardi, 1881, pag. 177 sgg.; L. Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio (trad. ital. di C. Benetti), Trento, Artigianelli, 1890; vol. I, pag. 94 sgg. GIORNALE LIGUSTICO 443 clero, egli, uomo di vivace ingegno e di puri ed austeri costumi, ma privo « di mitezza e di carità cristiana (i) », col suo carattere indomito ed imperioso, non seppe recare alla Chiesa quei beneficii che da lui la Cristianità si riprometteva (2). Scoppiato lo scisma d’ Occidente con la elezione, da parte di alcuni cardinali francesi, di Clemente VII (Roberto di Ginevra), Giovanna I regina di Napoli si pronunziò per Γ antipapa, sì che Urbano la depose dal trono e dichiarò devoluto alla S. Sede il regno di Sicilia, che, definitivamente, fu diviso da quello di Trinacria, e ordinò che l’uno e l’altro dipendessero dal pontefice (3). Non pareva però al papa d’aver vinto abbastanza, chè esortò Carlo III di Durazzo a muovere una crociata contro la regina ribelle alla volontà della S. Sede. È noto che il 1 giugno 1381 egli conferì a Carlo come feudo il reame di Napoli, del quale questi cinse, il giorno appresso, la corona, dopo aver giurato, però, di assicurare il possesso di Capua, Caserta, Aversa, Nocera e Amalfi al nipote del papa, Francesco soprannominato il Butillo, uomo scostumato (4). Se non che Carlo, conquistato il regno di Napoli, non attenne la fatta promessa, sì che Urbano, adirato, andò a Napoli per far ivi sentire tutta la forza della propria autorità. Il re dapprima lo trattò come prigioniero, poi lo assediò in Nocera, dove, dimentico dell’ alta sua dignità « tre o quattro volte il (1) Pastor, Op. cit., vol. I, pag. 97. (2) Cfr. N. Tommaseo, Le lettere di S. Caterina da Siena, Firenze, Barbèra, 1869; vol. IV, nn. 291, 302, 305, 346, 351, 364, 370, 371. Queste lettere riguardano tutte direttamente Urbano VI. (3) Vedi in proposito il dotto lavoro che di recente pubblicò il prof. G. Romano, L’origine delia denominazione « Due Sicilie », e un’orazione inedita di L. Falla, in Arch. Stor. per le Prov. nap., an. XXII (1897), fase. III, pag. 371 sgg., e, specialmente, pag. 382. (4) Cfr. Teodorico Niem, Op. cit., lib. I, cap. XXXIII, pag. 36. 444 GIORNALE LIGUSTICO dì usceva a la fenestra, e co la campanella e co la torcia malediceva et scomunicava l’esercito del Re (i) ». Il castello di Nocera resisteva ai soldati di Carlo III, il quale, per avere nelle mani il papa, fece pubblicare una taglia di diecimila fiorini d’ oro a favore di chi glielo consegnasse , vivo o morto (2). Le condizioni di Urbano intanto si facevano ogni giorno più gravi, quando terribile ed improvvisa gli giunse, per mezzo del cardinale Orsini di Manupello, la notizia che alcuni cardinali, stanchi della malsicura dimora in Nocera, non potendo più oltre tollerare la durezza ond’ erano da lui trattati, aveano incaricato il giureconsulto Bartolomeo da Piacenza di stendere un parere legale per frenare la violenza di Urbano. Secondo il parere di Bartolomeo piacentino, un papa poteva essere sottoposto ad uno o più curatori, quando la sua inettitudine al governo della Chiesa potesse recar pregiudizio agli interessi ecclesiastici (3). Urbano poi seppe ancora che quei cardinali aveano stabilito di intentargli un processo e, per mezzo di falsi testimoni, dichiararlo eretico, indi deporlo e bruciarlo vivo (4). Apprese queste notizie, adunò tosto in Nocera un concilio, nel quale, dopo di aver parlato della perfidia dei congiurati, disse che il cardinale Bartolomeo Cogorno (5) , Giovanni (1) Giornali ttapolelani, in Muratori, Rer. Ital. Script., t. XXI, col. 1052. (2) Cfr. S. Baluzio, Vitae Paparum Aveniotiensium, Parisiis, apud Fran-ciscum Mugu, MDCXCIII; t. II, col. 982. (3) Raynaldi, Op. cit., t. VII, pag. 481; Berault Bercastel, Histoire de l’Eglise, Paris, chez Moutard, 1782; L XIV, pag. 536; Muratori, Annali d'Italia, Milano, Soc. tip. dei Classici italiani, 1819; vol. XII, pag. 660-661 ; Pastor, Op. cit., vol. I, pag. 108. (4) Gobelino, Op. cit., pag. 301; L. A. Anastasio, Op. cit., ι. II, capo XV, pag. 180-181. (5) Bartolomeo Cogorno di Chiavari fu creato cardinale da Urbano VI nel 1378. Il Serra (La storia dell'antica Liguria e di Genova, Torino, Poraba, GIORNALE LIGUSTICO 44) Doria cardinale arcidiacono di Corfù, Ludovico Donati francescano, cardinale del titolo di S. Marco, Gentile de’ Sangro napolitano, cardinale arcidiacono di S. Adriano, Martino Giudice amalfitano, cardinale arcidiacono di Taranto, Adamo Eston di Herfort benedettino, cardinale arcidiacono di Londra, aveano ignominiosamente tramato una congiura contro di lui, e che, ad ogni costo, lo volevano prigioniero e bruciato vivo: occorreva adunque, per evitare un tanto pericolo, arrestare e severamente punire i nefandi prelati (i). Dopo di che, depose dalla porpora i sei cardinali e li diede in custodia al nipote suo Francesco, che, d’accordo con Basilio di Levanto (2), fece loro patire indicibili tormenti (3). 1834; vol. Ili, pag. 25), il Semeria (Storia ecclesiastica di Genova e della Liguria, Torino, tip. Canfari, 1838, pag. 74-75), il Canale (Nuova istoria della Repubblica di Genova, Firenze, Le Monnier, 1864; vol. IV, pag. 117), ed il Dona ver (Storia di Genova, Genova, tip. Sordo-muti, 1890, cap. XVI, pag. 181), errano asserendo che il Cogorno sia stato arcivescovo di Genova. Cfr. P. B.' G a MS, Series episcoporum Ecclesie catholicae , Ratisbona, typis Georgii loseph Manz, 1873, pag. 815; G. Rossi, Un vescovo scismatico della Chiesa Ventimigliese, in Arch. St. Ital., 1895, serie V, t. XII, disp. Ili, pag. 139. (1) A. Schiaffino, Annali Ecclesiastici della Liguria, ms. presso la Biblioteca della missione urbana in Genova, n. 118, c. 429. (2) Su Basilio di Levanto cfr. Berault Bercastel , Op. cit., t. XIV, pag. 340. (3) Cfr. T. Niem, Op. cit., lib I, cap. XLV, pag. 49; Berault Bercastel, Op. cit., XIV, pag. 337 sgg. — 0 . . . Mense Augusti eiusdem anni [1384] Cardinalis de Sangro iterum examinatus et tormentis est subiectus, cumque ab amico hortaretur ut confiteretur si quid commisisset in Papam, ne in tormentis deficeret, « nescio quid dicam », respondit ; « fateor tamen haec » mihi Dei iudicio reservata esse, nam, cum legatione in hoc regno pro Ur- ii bano papa exercerem, archiepiscopis, episcopis, coeterisque regni praelatis 1> et clericis, ut Sanctitati suae in hoc placerem, non peperci ». Examinato et torturae flagello asperrime tormentato Cardinali de Sangro, iussit Urbanus Cardinalem Venetum examinari itidem et torqueri, tan diu donec ipse illius 446 GIORNALE LIGUSTICO A Landolfo Marramaldo, successore di Urbano nell’Arcive-scovato di Bari, venuto in sospetto del papa d’ essere complice di Carlo di Durazzo, fu tolta la Chiesa di Bari, deposto dalla porpora, dichiarato decaduto da ogni ufficio e maledetto (i). Quindi, sapendo il papa di essere favorito dal clero tedesco, nominò cardinali gli arcivescovi di Treviri, di Cologna, e di Magonza, i vescovi di Liegi e di Breslavia, e Pietro Rosem-bergh che rifiutarono la dignità loro offerta (2). Lanciò l’interdetto contro la città di Napoli ed invitò il re a recarsi al suo conspetto per render conto della colpa gravissima, d’avere, cioè, prestato mano alla congiura contro di lui (3). Il re, anziché presentarsi ad Urbano, costrinse alcuni teologi e dottori ad affermare che la sentenza pontificia non era tale da intimidire gli animi dei Napolitani, e disse loro che non osservassero l’interdetto, ma guerra spietata movessero ad Urbano (4). Il quale, pensando anche che un suo predecessore avea trovato in Genova, pochi anni innanzi, lieta ospitalità (5), scrisse al cardinale Lodovico Fieschi, a Iacopo eiubatum (sic) audiret, quare tortor immanis e carcere eum eripiens ad quandam arcis illius aulam perduxit, vestibus eum denudans , funibus in altum suspensis ad terram usque pendentibus ligavit, quem cardinalem, licet fractum, morbosum et senem et debilis complessionis, de mane tamen usque ad horam prandii in eculeo et crudelissime tormentavit; ille autem, quoties trahebatur in altum, repetebat versus illud: « Christus passus est pro nobis etc ». Coeteri vero Cardinales cruciatibus supra rglatibus omnes affecti sunt ». — Diarium Pontificum ah anno 1376 ad 1/9/; ms. dell’Archivio vaticano, segn. Pio, η. 290, c. 8Τ—y. (1) G. De Blasiis, Fabrizio Marramaldo e i suoi antenati, in Arch. Stor. per le prov. nap., anno primo, 1876, fase. IV, pag. 764. (2) Berault Bercastel, Op. cit., t. XIV, pag. 336-337. (3) Schiaffino, Annali cit., ms. n. 118, c. 430. (4) Schiaffino, Annali cit., ms. n. 118, c. 430. (5) Il predecessore sopra nominato di Urbano VI è Urbano V, sull’ arrivo del quale in Genova cfr. G. Β. Semeria , Secoli cristiani della Liguria, Torino, GIORNALE LIGUSTICO 447 Fieschi arcivescovo di Genova, e a Luchino Adorno arcivescovo eletto di Nicosia, pregandoli che s’ adoperassero per liberarlo dai nemici che lo tenevano prigioniero (i). Doge di Genova era allora Antoniotto Adorno: egli, sperando che il soggiorno del papa fosse di vantaggio alla sua città, stabili di venirgli in aiuto. Il i luglio 1385, Dexerino Fatinanti, Quilico Bon-denario, Leonardo Tartaro, Giovanni Massono, Riccardo Marino, Nicolò Guascono, Nicolò di Canicia, Antonio Noitorano, Federico di Prementorio, Oberto Stagno di Saulo e Giovanni di Rapallo del fu Emanuele, in nome del Comune di Genova, stabilirono di mandare dieci galee, sotto il comando di Clemente Fazio, a Napoli o alle terre e ai luoghi più vicini a Nocera per liberare Urbano e i suoi cardinali. Affinchè poi il Comune di Genova fosse compensato delle spese che dovea sostenere per la liberazione del papa, Γ arcivescovo Iacopo Fieschi promise che Urbano avrebbe pagato sessantamila fiorini d’oro; che intanto il Comune di Genova potesse tenere la città di Corneto appartenente alla S. Sede, fino a che quella somma fosse pagata (2). Così, il 7 luglio, Urbano, sconfitti, tip. Chirio e Mina, 1845, pag. 151-152; L. T. Belgrano, Delle feste e dei giuochi dei Genovesi, in Arch. Stor. Ital., serie III, 1871, vol. XIV, pag. 70. (1) R. Archivio di Stato in Genova, Materie politiche, mazzo X (1381-1398); doc. 3 aprile 1385. — Uno storico genovese, Carlo Varese, nella sua Storia della Repubblica di Genova (Genova, Gravier, 1835; t. Ili, p. 20), scrive che Urbano, pregando la Repubblica di aiutarlo, avrebbe promesso « all’Adorno di trasportar in Genova stessa la sedia degli apostoli». Non sappiamo, a dire il vero, donde il Varese abbia potuto trarre cotesta strana notizia che non è confermata da niun documento del tempo. (2) «... . Dexerinus Fatinanti prior, Quilicus Bondenarius, Leonardus Tartarus, lohannes Massonus, Ricardus Marinus, Nicolaus Guaschonus la-nerius, Nicola de Canicia, Anthonius Noytoranus, Fredericus de Prementorio; Obertus Stagnus de Saulo et lohannes de Rappalo quondam Manuelis, nomine et vice Comunis Ianue, .... omni via, jure, modo et forma quibus melius potuerunt, promiserunt et convenerunt prefato Reverendo patri do- 448 GIORNALE LIGUSTICO per opera di Raimondo del Balzo Orsini conte di Nola, e di Tommaso di Sanseverino, i soldati di Carlo III condotti da Pietro Tartaro abate di Monte Cassino, uscì di Nocera, protetto da Clemente Fazio, ed il 24 arrivò a Benevento , dove fu ricevuto col massimo onore , sotto uno splendido baldacchino , seguito dai cardinali ribelli, che, supra certos runcenos... ibant ligati, induti supparellis, discalciati et capite discuperti et ligati et bene custoditi (1). Da Benevento , in mezzo a molti mino Ianuensis Archiepiscopo antedicto presenti, recipienti et stipulanti, vice et nomine sancte Romane ecclesie et sepe dicti sanctissimi domini nostri pape Urbani sexti, de mense presenti, mittere galleas predictas [decemj in portu Ianue presencialiter existentes et prefatum dominum Clementem de Facio capitaneum ipsarum cum ipsis galleis bene armatis et munitis, more solito Ianuensium, ad partes Neapolis vel ad terras et loca maritima proximiora castro Civitatis Lucerie Christianornm predicte pro liberacione dicti sanctissimi in Christo patris et domini domini Urbani pape predicti..... Et versa vice...., prefatus Reverendus in Christo pater dominus Iacobus Archie-piscopus Ianuensis.... promisit et solempniter convenit prefatis Magnifico domino duci et consilio presentibus, recipientibus et stipulantibus , nomine et vice Comunis Ianue pro stipendio , expensis et armamento dictarum gal-learum factis et fiendis dare et solvere prefato Magnifico domino duci et eius consilio seu legiptime persone pro ipsis recipienti florenorum sexaginta milia boni auri et iusti ponderis de pecunia camere romane et sedis appo-stolice.... Pro quibus omnibus et singulis observandis et firmiter adimplendis, prefatus dominus Archiepiscopus obligavit et pignori ypotecavit prefatis Magnifico domino duci et consilio presentibus et. recipientibus nomine quo supra Terram Corneti, provincie patrimonij beati Petri in Tuscia ad sanctam Romanam ecclesiam spectantem let pertinentem et ad ipsum dominum nostrum papam cum omnibus et singulis juribus, introytibus, fructibus, redditibus, proventibus, obvencionibus et emolumentis quibuscumque et cum mero et mixto imperio et omnimoda jurisdicione dicto domino nostro pape et camere antedicte in dicta terra Corneti et eius territorio quomodocumque et qualitercumque spectantibus debitis et debendis..... » — R. Archivio di Stato in Genova, Materie politiche cit., mazzo X; doc. i luglio 1385. (1) Cfr. S. Borgia, Memorie isteriche della pontificia città di Benevento, Roma, Salomoni, 1769; vol. I, parte III, pag. 411. GIORNALE LIGUSTICO 449 pericoli, il papa arrivò a Genova il 23 settembre 1385 (1). A riceverlo furono incaricati dal Comune Annibaldo Lomellino, Domenico Doria, Iacopo da Campofregoso e Nicolò Giustiniano (2). Il papa scese alla spiaggia fra S. Tommaso e S. Giovanni, ed evitando il concorso del popolo, entrò nella Commenda di S. Giovanni di Pre, dalla quale non uscì mai durante la sua dimora in Genova (3). Vi si trovava da pochi mesi, quando Venceslao, re di Boemia (4), il 20 marzo 1386 scrisse una lettera al doge Adorno e al Comune della città esortandoli a tenere il papa sotto la loro protezione (5). (1) Sul viaggio di Urbano da Nocera a Genova e sull’arrivo di lui in questa città, cfr. : Stella, Annales Genuenses, in Rer. Ilal. Script., XVII, col. 1127; U. Foglietta, Historiae Genutnsium libri XII, Genue, apud Hieronymum Bartolum, 1585; lib. IX, pag. 164'; Gobllino, Op. cit., 305 sgg. ; L. A. Anastasio, Op. cit., t. II, capo XV, pag. 184; F. A. Becchetti, Istoria degli ultimi quattro secoli della Chiesa dallo scisma d’ Occidente al regnante sommo pontefice, Roma, Fulgoni, 1788; t. I, pag. 130-131 ; Serra, Op. cit., vol. III, pag. 25 ; Varese, Op. cit., t. Ili, pag. 20; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova, Ferrando, 1835 ; vol. II, lib. IV, pag. 161; Canale, Op. cit., vol. IV, pag. 116; A. Guglielmotti, Storia della marina pontificia nel medio-evo, Firenze, Le Monnier, 1871; vol. II, pag. 105-106; F. Gregorovius , Storia della città di Roma nel medioevo, Venezia, Antonelli , 1875 ; vol. VI, pag. 614; V. Persoglio, Sanf Ugo e la commenda di S. Giovanni Ji Pre, Genova, tip. Arcivescovile, 1878, pag. 386. (2) Belgrano, Delle feste e dei giuochi Genovesi, cit., pag. 71. (3) Stella, Op. cit., in Muratori, Rer. It. Script., XVII, col. 1127. (4) Sulle relazioni tra Urbano VI e Venceslao cfr. Raynaldi, Op. cit., t. Vili, pag. 94. (5) « Fidelitati vestre ad condignas gratiarum actiones merito obligemur ampliores.... quod in liberatione sanctissimi in Christo patris et domini nostri domini Urbani divina providentia pape sexti, quem alias per Carolum de Duracio olim Regem Sicilie multiplicibus affectum dispendijs et gravibus iniurijs lacessitum, cognovimus efficaces opem et operam impendistis.... Licet autem egere vos exhortationibus non credamus, tamen fidelitatem vestram studiose requirimus et rogamus desiderantes ex corde quatenus pre- Giorn. Ligustico. Anno XXII. 30 450 GIORNALE LIGUSTICO Dei sei cardinali che Urbano avea seco condotto da Nocera, solo ad Adamo Eston, per intercessione di Riccardo II d’Inghilterra, fu risparmiata la vita; gli altri cinque furono uccisi. Ma sul modo ond’essi vennero condannati a morte, varie sono le opinioni degli storici. Giorgio Stella, genovese, contemporaneo al fatto, dice : « Ipsos demum Cardinales quinque » [Urbanus VI] fecit in carcere morte occulta finiri (i) ». Onofrio Panvinio accenna soltanto alla morte di alcuni cardinali. Di Giovanni Doria nota che « a papa Urbano VI captus » est, omnibusque dignitatibus et cardinalato privatus, in » custodia mansit usque ad sequentem mensem Decembrem, » in quo, quum esset Genuam adductus, iussu pape Urbani » necatus est », e, quanto ai cardinali Marino di Amalfi e Gentile dei conti di Sangro, aggiunge che i loro cadaveri furono poi gettati in mare (2). Il Platina afferma che « ex » septem cardinalibus Nuceriae captis, quinque saccis invo-» lutos, in mare demersit (3) ». Lo stesso dice il Foglietta (4). Teodorico di Niem, quantunque facesse parte della curia romana, nulla sa dire di positivo: raccoglie le voci che cor- dictum dominum nostrum Regie contemplationis intuitu recommissum accipere benigne et, prò ut decet, Christi Vicarium honorificenter tractare, ab ipsius hostibus et emulis defendere ac in ipsius fidelitate et obedientia ad instar nostri persistere velitis ac etiam debeatis scitura pro firmo quod quid-quoque prefato domino nostro reverentie, honoris seu etiam servicij per vos ostensum fuerit, id ipsum maiestati Regie reputabimus fore factum ». R. Archivio di Stato in Genova, Antonio Foglietta, Notulario, sala 6, scanzia 43, parte I, c. 66r. (1) Op. cit., in Muratori, Rtr. It. Script., XVII, col. 1127. (2) Epitome Pontificum Romanorum a S. Petro usque ad Paulum IV, Ve-netiis, Impensis Iacobi Stradae Mantuani, MDLVII, lib. III, pag. 259, (3) De vilis ac gestis summorum Pontificum, Coloniae, apud Maternum Cholinum, MDLXII, pag. 238. (4) Op. cit., lib. IX, pag. 16j' - 164'. GIORNALE LIGUSTICO 45 1 re vano sulla morte dei cardinali infelici, e scrive. «......quadam » nocte [Urbanis VI], infra paucos dies ante quam de » Genua recederet, mense Decembri, ut quidam retule- » runt, securi eos percuti seu mactari jussit; aliqui autem » dixerunt, quod in mari eos precipitari fecit; sed qualiter- » cumque sit, utique ipsi quinque Cardinales postea non » videbantur. Fama erat, quod in stabulo equorum dicti Ur— » bani in quadam fossa repleta calce viva eorum corpora » projecta, et in ea totaliter combusta et in cineres conversa » fuerunt (i) ». II Ciaconio copia quasi alla lettera le parole del Platina (2). Nel Gobelino invece si legge quanto segue : « Dominus Papa » recessit de Ianua, et in recessu quinque Cardinales, quos » usque tunc in carceribus detinuit, ibidem mortuos reliquit, » sed quomodo aut quali morte vitam finierint, non plene » mihi constat » (3). Non abbiamo argomenti per stabilire se il Gobelino dica proprio il vero, ma in noi è, per lo meno, legittimo il sospetto ch’egli, amico di cardinali e di vescovi, addentro nei segreti della S. Sede e che in Genova fu sempre al fianco del papa, abbia forse cercato di attenuare il triste fatto (4). L. A. Anastasio si limita ad affermare che Urbano « perdonò al cardinal Eston di Londra solamente, e gl’altri...... » ritenne e sentenziò a merte (5) ». Secondo il Collenuccio, «.......essendo [Urbano VI] per » .viaggio, de’ sette Cardinali, i quali menava seco prigioni, (1) Op. cit., lib. I, cap. LX, pag. 67. (2) Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et S. R. E. Cardinalium, Romae, MDCLXXVII ; t. II, coi. 620. « Ex septem Cardinalibus» — egli scrive — « Nuceriae captis, quinque saccis involutos, quos diu in foedissimo » carcere clausos detinuerat, in mare demersit ». (3) Op. cit., pag. 310. (4) Cfr. Vita Gobelini Personae, in Rer. Germ. tomus I cit., pag. 55. (5) Op. cit., vol. II, capo XV, pag. 184. 452 GIORNALE LIGUSTICO » cinque ne fece mettere in sacchi, e buttarli in mare; gli » altri convinti giudizialmente in Genova in presenza del » clero, e del popolo, li fece ammazzare con una accetta; » poi fece seccare i corpi in un forno e servargli in certi » valigioni, i quali posti sopra muli, quando cavalcava, si » faceva portare innanzi con li cappelli rossi sopra i valigioni; » per ammonizione, memoria e terrori di quelli che contra » di lui volessero macchinare alcuna cosa (i) ». Questa strana versione sulla morte dei cardinali è data soltanto dal Colle-nuccio. Nel Bercastel trovansi, in parte, manifestati que’ dubbi che già vedemmo nelle parole di Teodorico di Niem (2). F. A. Becchetti dice solo che i cardinali « furono giusti— ziati (3) ». In questo secolo, gli storici genovesi ripeterono quanto scrissero coloro che sopra abbiamo citato (4). Uno storico tedesco, il Lindner, scrive: «.....appena in Genova » fu fatto il tentativo di liberarli, Urbano li fece uccidere e » sotterrare tutti meno uno che liberò dietro preghiera del » Re d’Inghilterra (5) ». Il Pastor della dimora in Genova di Urbano VI non parla affatto. Cose false asserisce F. Dobelli in (1) Compendio dell’istoria del regno di Napoli, Napoli, Gravier, 1771, t. I, lib. V, pag. 288, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’istoria generale del regno di Napoli, t. XVII (2) Op. cit., vol. XIV, pag. 347. (3) Op. cit, t. I, pag. 131-132. (4) Il Serra (Op. cit., Ili, 27), cosi poco sereno ne’ suoi giudizii e poco accurato nell’accertare i fatti, afferma senz’altro che, pei cinque cardinali « fu scavata una fossa nella scuderia, e in quella si collocarono occulta-» mente i loro corpi estinti «.Secondo il Varese (Op. cit., Ili, 20), furono fatti « strangolare in carcere e chiusi in sacchi seppellire ». Il Canale (Op. cit., IV, 116) scrive: « Secondo alcuni [Urbano VI] li fece entro dei » sacchi affogare in mare, secondo altri strangolare in prigione ». (5) Th. Lindner, Op. cit.; vol. I, pag. 254. GIORNALE LIGUSTICO 453 un libro infarcito tutto di retorica e scritto con niuna serenità di giudizio (i). Ben si comprende che una punizione cosi feroce, inflitta da un papa a cinque cardinali, abbia indotto qualche storico ad affermare, con animo passionato, sulla fede non sappiamo di quali documenti, cose che, fin d’ora, dichiariamo erronee. Vero è che, disgraziatamente, sulla morte dei cardinali non parlano affatto i documenti del R. Archivio di Stato in Genova nè quelli delPArchivio vaticano, dove, all’infuori del diario già citato, nulla esiste riguardante il nostro argomento. Tuttavia, esaminati i molti storici che trattarono della fine miseranda di que’ prelati, noi tendiamo a credere eh’ essi sieno stati uccisi nella prigione di S. Giovanni di Pre e che ivi sieno poi stati seppelliti. Lo Schiaffino infatti, raccoglitore diligente delle memorie ecclesiastiche, e che, fin dove gli fu possibile, ricorse ai documenti del tempo, avverte che i corpi dei cinque cardinali « furono sepelliti nella Chiesa di S. Gio-» vanni Battista ove stanziava il Papa,.... e nel riformarsi in » essa alcune antiche sepolture furono ritrovati i corpi loro, » che furono riconosciuti per tali dall’ insegne loro (2) ». II. Durante la sua dimora in Genova, Urbano, il 26 febbraio 1386, converti la chiesa di S. Martino de Via (alla Pace) e di (1) F. Dobelli, 1 papi da S. Pietro a Pio IX, Roma, Stab. tip. dell’Opi-nione, 1889; vol. II, pag. 302. (2) Schiaffino, Annali cit., ms. n. 118, c. 456-457. — Il Persoglio (Op. cit., pag. 387) afferma, sulla fede della Descrizione di Genova e del Gè-novesato ^Genova, tip. Ferrando, 1846; vol. Ili, pag. 171)1 °he, quando nel 1829 si smosse in quella chiesa una parte del terreno, « furono trovati cinque letticoli con ischeletrì, i quali, verosimilmente, erano quelli dei » cardinali suddetti». Certo è che la storia non ricorda altri prelati uccisi nella chiesa di S. Giovanni di Pre. 454 GIORNALE LIGUSTICO S. Croce di Sarzano in priorati (i): allargò, per aderire al Comune di Genova, la piazza del Comune, abbattendo alcune case spettanti all’Arcivescovato, ed altre, in compenso, ricevendone dal Comune (2); favorì la instituzione del priorato di S. Erasmo di Campi in Polcevera, che i Doria, fuggiti da Alghero in Genova, intendevano di innalzare in compenso del priorato di S. Maria di Alghero da loro stessi fondato sulla fine del secolo decimoterzo, ma che ora sfuggiva loro di mano (3); creò quattro nuovi cardinali, cioè, Angelo Acciaiuoli, Francesco Carbone, Marino Bulgaro e Francesco Castagnola (4); concesse P indulgenza plenaria a tutti coloro che nella natività di S. Giovanni Battista visitassero la chiesa di S. Lorenzo (5); una nuova tassa impose alla diocesi di Genova, la quale comprendeva trecentotrentatre chiese, vale a dire, duecentododici in riviera di levante, sessantanove in (1) R. Archivio di Stato in Genova, Antonio Foglietta, Nolulario cit., parte I, f. 82'. (2) A. Foglietta, Notulario cit., f. 83', 88*. (3) A. Ferretto, Lo scisma in Genova negli anni 1404-1409, in questo Giornale, an. 1895, fase. II—III, pag. 112. (4) V. Persoglio, Op. cit., pag. 388. (5) L’amico mio sig. Arturo Ferretto del R. Archivio di Stato in Genova, mi avverte che l’originale di questa bolla si conserva nell’ archivio arcivescovile di S. Lorenzo, dove io non ebbi la fortuna di poter entrare. Lessi una copia di cotesta bolla nel Cicala, Memorie della città di Genova, ms. n. 1251 dell’archivio municipale di Genova, ad annum, e nei citati Annali dello Schiaffino, ms. n.118, c. 457-458. — Il ch.m0 sig. Ferretto che, con altri, sta riordinando le carte dell’archivio arcivescovile di S. Lorenzo, ricercò, dietro mia preghiera, se vi esistessero documenti riguardanti le relazioni tra Urbano VI e la Repubblica di Genova: ma se le sue ricerche riuscirono negative. Ciò non mi dispensa dal manifestargli pubblicamente la mia sincèra riconoscenza. Egli pure, con gentilezza squisita, mi fu largo del suo prezioso aiuto nelle mie ricerche in questo archivio di Stato: anche per questo gli rendo ringraziamenti vivissimi. GIORNALE LIGUSTICO 455 quella di ponente, e cinquantadue dichiarate esenti dalla tassa (i). Ne venne destinato il prodotto a beneficio delle spese onde Urbano, in conseguenza delle guerre e degli scismi, si trovava allora gravato (2). Prima di partire da Genova, volle, per mezzo di Tommaso cardinale di S. Maria in Domnica, revocare alla S. Sede la città di Corneto (3). Questa però, finché il pontefice non avesse pagato i sessantamila fiorini, rappresentanti, come vedemmo, le spese che Genova avea sostenuto per liberarlo dal castello di Nocera, avrebbe continuato, ad onta di quel decreto, ad appartenere al Comune genovese. Non potendo Urbano’pagare quella somma, pur di revocare Corneto al dominio della S. Sede, cedette al Comune di Genova il (1) Cfr. F. M. Accinelli, Liguria sacra, ms. della Biblioteca civica di Genova, Dbis 2, 7, 22; vol. I, f. 429· (2) L’atto della tassa straordinaria imposta da Urbano VI sulle chiese e gli altri luoghi pii dell’Arcivescovato di Genova fu pubblicata dal Belgrano nel lavoro intitolato: Illustratone del Registro Arcivescovile, in Atti della Società ligure di Storia patria, Genova tip. de’ Sordo-Muti, 1871; vol. II, parte I, fase. II, pag 377 sgg. (3) « Thomas, miseratione divina sante Romane ecclesie, sante Marie in Domnica cardinalis, in partibus Tuscie patrimonij beati Petri in Thuscia vicarius .........Deliberaverimus Terram Corneti ad nos revocare........ cum omnibus redditibus, proventibus, gabellis, fructibus, utilitatibus, iuribus et iurisditionibus et alijs quibuscumque ab ea vel ipsorum quolibet dependentibus. Viro nobili Matheo nato condam domini Ióhannis de Ursinis , laico, domicello, sotio et consiliario nostro ac consanguineo et in hac parte comis-sario ad predicta spetialiter deputato recipienti et stipulanti, vice et nomine Sante Romane Ecclesie prelibate dicti domini nostri pape ac pro nobis et offitio legationis nostre affate..... comittimus totaliter vices nostras autoritate appostolica et qua in legatiofiis offitio fungimur inrevocabiter in predirti et in nostrum constituimus, facimus, ordinamus atque creamus procuratorem, actorem, factorem et numptium spetialem certum et certissimum atque negotiorum gestorem, ad dictam posessionem capiendam, intrandum, tenendam et possidendam et a te recipiendam, vice et nomine dicti domini 456 GIORNALE LIGUSTICO castello ed il borgo di Pietra con le sue ville, la villa di Borzoli e di Voracci, il castello ed il borgo di Giustenice, il borgo ossia il castello di Toirano con le ville di Patarello, Boissano e Braia, spettanti al vescovato di Albenga, la fortezza ed il luogo di Bergeggi appartenente al vescovato di Novi, la fortezza ed il borgo di Spotorno con le ville della Costa di Vado, Teazano, esse pure del vescovato di Albenga (i). Urbano parti da Genova il 16 dicembre 1386. La Repubblica allestì in suo onore due galee; fece stendere dei panni vermigli sulla via che doveva percorrere, e deputò parecchi cittadini ad accompagnarlo fino a Lucca, con seguito di sedici servitori e di ventiquattro cavalli (2). Che i Genovesi, seguendo una consuetudine dei tempi, facessero accompagnare solennemente fino a Lucca il capo supremo della Chiesa, è spiegabile; ma altrettanto facile a comprendere ducis et comunis Ianue........ prò santa Romana ecclesia et dicto domino nostro papa..... ». In fine di questo documento si legge: « Domini nostri » Ihesus Christi nativitate millesimo CCCLXXXVI. Die prima mensis.....», poi la pergamena è guasta in modo che non vi si può rilevare alcuna parola. Se, come siamo d’avviso, questa deliberazione fu emanata dal cardinale poco tempo prima della partenza di Urbano da Genova, si dovrebbe, nella pergamena, leggere decembris. — R. Archivio di Stato in Genova, Mciterie politiche cit., mazzo X, ad annum. (*) ...... Reverendissimus in Christo dominus noster papa......iussit fieri vendicionem et contractum vendicionis atque insoluptum dactionis prò summa et quantitate prefactorum sexaginta millium florenorum......videlicet castrum et burgum Petre cum villis suis, villam Borzori et Voraci, castrum et burgum Iustenexi, burgum sive oppidum Thoyrani cum villis Patarelli, Boyzanij, Braye, que sunt episcopatus albinganensis, fortilicium et locum Berzezii cum juribus et pertinentijs suis, quod est episcopatus naulensis; item forticilium et burgum Speotorni cum villis coste Vadi, Teazani que sunt episcopatus saonensis..... ». Materie politiche cit. ; mazzo X , doc. ι η dic. 1386. (2) Cfr. Belgrano, Delle feste e dei giuochi dei Genovesi cit., pag. 71. GIORNALE LIGUSTICO 4S7 è, che nessuna voce sia rimasta a testimoniarci del loro rimpianto per la partenza di Urbano. Accanto ad alcuni beneficii da lui ricevuti, essi aveano avuto una prova troppo eloquente del suo animo crudele. E così le speranze, che la Cristianità avea concepito di questo pontefice, andarono fallite, mentre egli avrebbe potuto recare alla Chiesa segnalati servigi, giacché in Urbano VI esistevano alcune doti morali ed intellettuali, che, sole, avrebbero bastato a fare di lui uno dei migliori papi del secolo decimoquarto. Genova, novembre 1897. G. Cogo. TRE LETTERE INEDITE DEL PROF. IPPOLITO ROSELLINI Il prof. Ippolito Rosellini di Pisa (1), che visse dal 13 agosto del 1800 al 4 giugno del 1843, come ebbe a scrivere Tommaso Gar, « con Champollion divide la gloria di avere sve-« lato il segreto dei caratteri scolpiti sulle piramidi e sugli « obelischi d’Egitto » (2). Allievo del Mezzofanti, prese a (1) Intorno al Rosellini sono da consultarsi: Bardelli Giuseppe, Biografia del prof. Ippolito Rosellini, Firenze, Piatti, 1843; in-8.° di pp. 40. Dei dott. A. Biografia del prof. cav. Ippolito Rosellini, Firenze, Tip. Gali-leana, 1843; in-8.° di pp. 16. Cantinius I. Ellogium Nicolai Hippolyti Rosellini, tubo plumbeo cum eius corpore conditum, prope parietem orientalem, in area ad S. Crucis extra moenia Pisarum, Pisa, Nistri, 1843; in-4.° di pp. VIII. (2) Gar T. Necrologi i d'Ippolito Rosellini; nell’ Archivio Storico Italiano; Appendice, tona. I, pp. 78-79. 458 GIORNALE LIGUSTICO insegnare lingue orientali nell’Università di Pisa il 1824; cattedra che poi il '40 mutò in quella di storia e archeologia. Quando la Francia, a proprie spese, spedi in Egitto Cham-pollion il giovane, perchè tirasse a fine la sua grammatica e il suo dizionario del linguaggio geroglifico, il Granduca di Toscana gli dette per compagno il Rosellini, e insieme con lui vi mandò pure il naturalista fiorentino Giuseppe Raddi. Salparono da Tolone il 31 di luglio del '28, e il 18 agosto sbarcarono ad Alessandria. « La copia dei monumenti e dei » disegni raccolti del Rosellini » (scrive lo Zobi) « superò » di gran lunga la messe fatta da Champollion nei quindici « mesi che si trattennero in quelle regioni. Estremi disagi e » fatiche sostennero, senza venir meno all’impegno di per-» correre 1’ Egitto intero , spingendosi lunghesso il Nilo fino λ a Syene e nella Nubia fino alla seconda cateratta. Visitarono » attentamente tutti i monumenti di Karnac, di Lugsor, » Ombas, Phile, Elefantina, Ibsambul, Kalamscich, Coneh, » Owadi - Halfa, e non senza grave pericolo cercarono anche » di penetrare nelle tombe di Dgizeb, Saggaroh, Hum-le-» Amor, Biban-el-Moluk, Gurnak e Syut. Non trascurarono » tampoco le catacombe di Filsilis , Makattam, Syene , ecc. » fecero tesoro di nuove scoperte e cognizioni » (1). Tornato in patria sulla fine del 1829, dette mano a stampare I monumenti dell’Egitto e della Nubia (2), e vagheggiò anche il disegno di pubblicare in Pisa un nuovo giornale letterario. M’ è capitato alle mani il primo sbozzo manoscritto del programma, che è questo: (1) Zobi A. Storia civile della Toscana; IV, 388-396; e Appendice 173-193. (2) I monumenti dell’ Egitto e della Nubia, disegnati dalla spedizione scientifico-letteraria toscana, illustrati dal prof. cav. Ippolito Rosellini, Pisa, presso N. Capurro, 1832 -1844. L’opera si divide in tre parti : I. Monumenti storici; II. Monumenti civili; III. Monumenti del culto. È compresa in 40 distribuzioni di tavole atlantiche e in 10 voi. in-8.° di testo. GIORNALE LIGUSTICO 459 Al colto pubblico italiano. I bisogni e le scoperte sempre crescenti delle scienze fisiche e naturali avendo determinato i professori dell’ Università di Pisa che le coltivano a dar maggiore estensione al Giornale, che, sotto il titolo di Nuovo giornale dei Letterati, dal 1822 fino al caduto 1839, è comparso, unitamente alla Parte Letteraria; i sottoscritti professori dell’ Università stessa si sono uniti per dar forma novella e novella distribuzione ad un’ opera periodica, dove si tratteranno esclusivamente le materie letterarie, morali ed artistiche e che avrà per titolo : Nuova rivista letteraria italiana. Sarà essa dettata e disposta a norma delle varie opere di simil genere che cominciarono a comparire in Inghilterra sul principio dello scorso secolo, che tanto innalzarono la fama dei loro autori; sicché i loro giudizi, meno poche eccezioni, rimangono sempre come norme presso a poco di quanto ha poi confermato la voce illuminata del Pubblico. Ad ottenere questo intento ci sembra che tre qualità siano principalmente necessarie : imparzialità, riflessione e giuste dottrine. In quanto alla prima, la riguarderemo come un dovere : in quanto alla seconda, siccome avverrà di dovere unire ai nostri anche articoli di autori estranei, sarà usata ogni cura perchè nessuno scritto siavi ammesso, se non elaborato per le cose, imparziale per le sentenze, conveniente pei modi. In quanto poi alle dottrine crediamo fermamente che se molto debbe concedersi alle opinioni del secolo, non mai debbe giungersi a quello che può condurre al decadimento e alla ruina dell’ arte. Seneca e Stazio fra i Latini, il Marino e 1’ Achil-lini fra i nostri ne sono una prova irrecusabile. In mezzo alla corruzione generale italiana, la Toscana so'a restò pura nel secolo XVIII, perchè non aborro dalle giuste dottrine. Per quante dispute siensi fatte e si vadano facendo, nessuno è venuto a capo, non diremo di provare, ma di produrre un tal principio di prova, per dimostrare, che le forme nelle arti d’imitazione sieno soggette a varietà, come sono le scienze e le opinioni. Le forme nelle arti sono immutabili come le leggi del raziocinio. Se ne faccia 1’ applicazione alle lettere, indi se ne tirino le conseguenze. Nè crediamo doverne dire di più, chè basta certo per chiunque 460 GIORNALE LIGUSTICO intende. Per chiunque intender non vuole, troppo antico è 1’ adagio : operam et oleum perdere. L’ opera nostra sarà divisa in tre parti. Nella prima saranno estratti di opere esclusivamente italiane che riguarderanno le scienze morali, le lettere e le arti. Nella seconda si daranno le notizie letterarie ita-taliane. Nella terza le straniere. [Seguono le condizioni tipografiche]. Sottoscritti: Bonaini, Direttore Carmignani Rosini Rosellini Capei Corradini Giorgini, Segretario. Ebbe vita di fatti, ma col titolo di Giornale toscano di sciente morali, sociali, storiche e filologiche, pubblicato da professori del-VI. e R. Università di Pisa (1); e ne fu direttore il Rosellini , sotto Direttore Francesco Bonaini prof, di storia del diritto, Segretario Flaminio Severi prof, aggiunto di lettere greche e latine ; collaboratori Pietro Capei prof, di diritto romano, Giovanni Carmignani prof, di filosofia del diritto, Federico Del Rosso prof, di pandette , Giuseppe Montanelli (1) Si stampò a Pisa dalla Tipografia Pieraccini. In sostanza era una continuazione del Giornale de’letterati, fondato in Pisa nel 1771 da monsig. Angiolo Fabroni [1732-1803], di cui ne uscirono centodue tomi, e che cessato il 1796, tornò a rivivere col titolo di Nuovo giornale de’ letterati il 1802; e cessato per la seconda volta col ventunesimo tomo il 1810, ebbe una terza risurrezione il 1822; poi il 1825 prese a stamparsi in due parti separate: letteraria, e scientifica. Finì per sempre il 1839 col trentanovesimo tomo. Per la parte scientifica ebbe a prosecutori dal 1840 al 1843 il Giornale toscano di sciente mediche, fisiche e naturali, poi le Miscellanee medico-chirurgiche-farmaceutiche, e le Miscellanee di chimica, fisica e storia naturale [1843], trasformate il 1844 nel Cimento, giornale di fisica, chimica e storia naturale, che ebbe lunga vita. Il 1846 principiarono gli Annali delle Università toscane, divisi in due parti: scienze noologiche e scienze cosmologiche, che proseguono anche adesso. GIORNALE LIGUSTICO 46I- prof. di diritto patrio e commerciale, Francesco Antonio Mori prof, di diritto criminale, Pietro Eliseo De Regny prof, supplente di economia sociale, Giovanni Rosini prof, di eloquenza italiana e il canonico Ranieri Sbragia prof, di teologia apologetica e supplente alla cattedra di storia ecclesiastica, tutti dell’Università di Pisa; non che Pietro Conticini prof, di diritto romano e di storia del diritto, e Giovambattista Gior-gini prof, di diritto criminale , tutti e due dell’ Università di Siena; e il dott. Luigi Borrini di Seravezza Segretario della Soprintendenza agli studi del Granducato. Tra le carte appunto del prof. Giambattista Giorgini ho trovato due lettere dell’illustre egittologo, che riguardano il giornale, e una che è un curioso commento al noto verso dantesco: Rafel mai amech %abi almi. Le stampo, certo di far cosa gradita agli studiosi. Giovanni Sforza. I. Pisa, il 16 gennaio 1840. Amico pregiatissimo, Mi richiedete della mia opinione intorno a quel famoso verso del XXXI.° dell’ Inferno; « Rafel mai amech zabi almi »; e se queste parole barbare abbiano veramente un senso nella lingua ebraica o nell’araba, come hanno asserito alcuni anche tra i più moderni espositori della Divina Commedia. Mi sovviene d’aver veduto fino a quattro interpretazioni di quel verso, ricavate dall’ ebreo, o dall’ arabo, e tutte attribuiscono alle parole di Nemrod un concetto totalmente diverso. Posso accertarvi che sarebbe facile di trarre dal medesimo fonte anche una dozzina e più di spiegazioni che potrebbero sembrare ugualmente probabili, benché significassero altrettanti differenti pensieri. E ciò non dee far maraviglia, se si considera che 462 GIORNALE LIGUSTICO le lingue dell’ Asia occidentale, chiamate volgarmente semitiche, hanno per loro natura un sistema vago e mutabile di vocali, che non si notano nella scrittura: e che per conseguenza lasciano un campo assai largo all’ immaginazione dell’ interprete, per ricavar sensi diversi dalla medesima parola, variandone quasi a suo senno la pronunzia. La quale operazione diviene anche più agevole , quando si tratti di voci trascritte per un altro alfabeto non proprio delle lingue semitiche. Imperciocché in tal caso il cambiamento delle vocali non è il solo mezzo di tortura che si faccia subire a quelle voci per forzarle a sensi predestinati; anche le consonanti, cioè le vere lettere scheletro della parola, si sottopongono al medesimo martorio. E abusando della regola di scambiamento tra loro delle lettere affini, o di un medesimo organo, si possono fare in questo genere i più strani giuochi del mondo. Ne accennerò un esempio sulla parola del nostro verso %abi. Il primo elemento, appartenendo alle dentali, potrà riferirsi a quattro almeno lettere diverse dell’ alfabeto semitico : al χαίη, al samech, al l^ade, al sin. Del suono a, come gutturale, potrà farsi hè, hit, o ain; e così presso a poco della labiale b, e dell’ ultimo suono vocale i. Vedete bène che la parola così contorta e dislocata si può prestar facilmente a più e diverse significazioni. E non potete figurarvi quanti scherzi e bizzarrie siensi fatte, in tempi più festosi che non è Γ età nostra, in grazia di questa licenza. Ricorderò soltanto (non è uno scherzo, ma una delle più improbe e delle più malaugurate fatiche dell’ umano intelletto) l’opera che, circa due secoli indietro, fu pubblicata dal P.e Tho-massin col titolo di Glossarium universale hebraicum. L’A. essendosi persuaso che tutte le lingue avessero le loro radici nell’ ebraica, volle dimostrare eh’ erano tutte derivate da quella. Vero è che il libro non incontrò gran fortuna nella sua totalità, ma pure ho notato che alcuni, anche recentemente, vi hanno pescato dentro per indagini parziali. GIORNALE LIGUSTICO 463 Dopo le cose dette, intendete bene, che io non ho alcuna fede nella pronunzia semitica delle parole proferite da Nemrod; nè concepisco per qual modo si possa credere che Dante sapesse d’ebraico o d’arabo; nè so persuadermi come gl’interpreti tutti non si sieno appagati della sentenza dei più, vale a dire, che quelle parole altro non sieno che suoni strani e vuoti di senso, quali si addicevano al principe di Babel, « cui non si convien più dolci salmi ». E parmi che Dante stesso ne abbia esposto per bocca di Virgilio il vero intendimento. « Egli stesso s’ accusa. Questi è Nembrotto per lo cui mal coto. Pure un linguaggio nel mondo non s’usa ». Ritraendo le sue parole degli elementi di tutte le lingue che allora nacquero, e significandone il trambusto e la confusione. Credetemi con sincera stima ed attaccamento Vostro aff.m0 amico Ipp. Rosellini. Sig. Dr. Gio. Battista Giorgini. II. Pisa, il 9 decembre 1840. Amico carissimo, M’ immagino che questa mia lettera ti troverà ancor gonfio degli applausi meritati (1), e anch’io ini unisco ai plaudenti (1) Di questi « applausi » fa pure cenno la seguente lettera del celebre Carmignani al Giorgini, che è inedita: « Mio caro amico e collega, » Ave caesar victor, gridava io di qua verso di voi allorché seppi i vo-» stri trionfi accademici, e gridava di cuore, vedendo avverati i presagii » eh’ io avea fatti sul conto vostro. Me ne congratulo con egual cuore r 464 GIORNALE LIGUSTICO con sincerità e con giubilo. Oggetto della presente è di mandarti una copia dei capitoli relativi al Giornale, che si discussero e approvarono in una generale adunanza. Dovrai rimandarmela firmata con la tua approvazione e con quella del Conticini, che, come vedrai, abbiamo posto nel numero dei soci. Io non sto a scrivergli direttamente, pregando te di farlo » con voi. Ma io vi vorrei nell’ anno venturo alla Filosofia del Diritto, la » quale, come le vecchie matrone , le quali si tuffarono nella fontana di » gioventù, non vogliono esser prese a inciambellamento di braccio da » vecchi, come sono io. » Le perplessità delle quali mi parlate sono la prova della tempra ori-» ginale del vostro ingegno — nullius addictus jurare in verba magistri — » Certo, che nelle cose di dominio della sperienza e di calcolo tra la forza » delle umane passioni e la prerogativa della ragione, 1’ età vale qualche » cosa, e il valore che può avere acquistato la mia è tutto a vostra dispo-» sizione. » La filosofia del diritto assorbisce tutte le mie forze e tutto il mio tempo. » Si va avanti, come dicono i contadini, dì per dì, ora per ora; nè vedo » il momento di aver compito almeno il testo latino. Le ingiustizie e le » imparzialità mi travagliano. Ma per ora non sono anche il vecchio Pompeo » nel senso in cui ne parla Lucano. Conto ben finir come l’Entello di » Virgilio, ma dicendo nel finir come lui. » Lo Sbragia! ehu quam mutatus ab illol II Bonaini è per ora colla sua » Storia del Diritto nell’Oriente, poco, a mio credere, quanto alle leggi, » dissimile dal moderno. Ha dovuto in ultimo seguire il mio consiglio e » leggere. » 11 sole dell’Autorità non risplende sopra di me: convien contentarsi » dell’ aura del pubblico. Alla calda stagione scioglierò il voto già fatto » di venire a sentire una delle vostre lezioni. Addio. » Pisa, li 29 del 1841 » Il vostro aff."10 amico » G. Carmignani. » Al Chiarissimo Sig. Professore Gio. Battista Giorgini Siena. i ’ rezi :tol Bi; 1 one ino û 1 'frar enti a « sso, I ar iezz <ì l’a ;ias no: ro tti. jtfii V-‘ off11 ìli* L GIORNALE LIGUSTICO 465 ;nsi f . rezi 1TOL Bi; !one ino si 1 frar jent; (la « >so, I ai iezz Vl’« çias no: ro '{ti, 3uti pr. OfW· acconsentire e firmare. Potrebbe egli pure dar mano a render conto delle cose tedesche, che io vi manderò se costì non le avete. Borrini ha acconsentito di buonissima voglia d’ esserci compagno. Io ho fede e speranza in voi quanti siamo giovani e schietti. Il Del Rosso ha avvalorato la mia idea di pubblicare le prolusioni delle nuove cattedre (1), e credo si troveranno d’accordo a farlo nel primo fascicolo, che potrebbe così offrire un bel programma del nuovo insegnamento universitario. Il Carmignani, che ne convenne nell’ adunanza , ora vi mescola difficoltà, semina dubbi, timori e intoppi d’ogni genere: 1’ idea che vi possano essere all’ Università altri professori, dei quali si applaudiscano le lezioni e gli scritti, turba il riposo delle sue notti. L’ Operaio soffia nel fuoco, e il povero Sbragia è conquiso tra i loro assalti. Accadono scene che farebbero ridere assai, se non compromettessero il decoro e 1’ utilità dell’ insegnamento. — Il Rosini dice aver da dare al Giornale molta materia sua e d’altri: ci vorrà gran temperanza nel riceverla. Ho voluto per ora la seconda parte del-1’art. 12.0 per remora a quella foga: vedremo che cosa ne nascerà. Ebbi da Sbragia e gradii molto i tuoi saluti. Segui, mio caro Bista, a farti forte del tuo bell’ ingegno e ad arricchirti sempre più di dottrina. Io non sarò degli ultimi tra i tuoi amici a provarne contentezza. Ti raccomando il Giornale, e tu raccomandalo, anche in mio nome, al Conticini, facendoli i miei saluti. (i) Nel Giornale Toscano furono non solo stampate le prolusioni delle <■ nuove cattedre », ma quelle pure delle vecchie. Infatti nel tomo I insieme con le prolusioni de’ professori Montanelli e Severi, si hanno le prolusioni de’ professori Carmignani, Bonaini c Rosini. Giorn. Ligustico. Anno XXII. 31 466 GIORNALE LIGUSTICO Ti prego de’ miei ossequi al Soprintendente (1), e mi confermo Tuo aff.m0 amico Ipp. Rosellini. III. Pisa, il 29 gennaio 1841. Carissimo amico, Mi facesti sperare con la tua ultima lettera che il Conticini mi avrebbe rimandato i capitoli firmati da te e da lui, ed io ho aspettato fin ora, per riscriver poi altre cose che occorrono. Ma non avendone saputo più altro, io faccio spietatamente il Direttor del Giornale, e riscrivo a te e per te a lui, onde temervi confortati a lavorare. Dal Conticini si aspetta uno o più articoli che rendan conto delle ultime opere tedesche sulla storia del Diritto, specialmente del Walter. Digli dunque, ti prego, che non cerco altro da altri in questa materia, e per sua regola, del Savigny se ne occupa il Del Rosso (2). Io non vi metto gancio alla gola, e da buon confratello vi dico che ho già la materia per il primo quadrimestre (3). Nel Giugno voglio irremissibilmente cose da te e dal Conticini. Ora ti domando che cosa si fa di queste Memorie Accademiche tedesche ! Mio caro Bista, io conto per questa parte in special modo sopra di te. Dimmi come intendi di (1) Il prof. Gaetano Giorgini, Soprintendente in quel tempo agli studi del Granducato di Toscana. (2) Il Del Rosso infatti a pp. 119-125 e 197-210 del tom. I discorse del Sistema del dritto romano attuale di F. C. di Savigny. Il Conticini però tradusse il Discorso del Savigny sulla vitalità del neonato qual postulato della sua capacità giuridica; traduzione che fu messa a stampa a pp. 141-161 del tomo stesso. (3) Al Giornxle Toscano prestarono poi la propria collaborazione Francesco Orioli, Domenico Valeriani e Giambattista Niccolini. GIORNALE LIGUSTICO 467 fare. Il meglio sarebbe di redigere un articolo che fosse una specie di Rivista delle cose più interessanti nei tomi degli ultimi anni, alla qual Rivista, che naturalmente si diffonderebbe più sulle cose di maggior curiosità o importanza, potresti innestare quello che già facesti sui Poemi d’ Omero. Insomma questa parte delle cose tedesche dovrebb’ essere cura speciale tua e del Conticini. Dimmi adunque se debbo mandar costà alcuno di quei volumi. i.° Febbraio. Avevo cominciato la lettera il 29 gennaio, e sono stato costretto a riprenderla tre giorni dopo, e anche adesso debbo strozzarla perchè manca il tempo di scrivere lungamente. Tanto si va per le furie in questo risuscitato Laboratorio della Sapienza ! Per tua regola non potrei menarti buona la ragione di esser troppo occupato, perchè so (e so di buon luogo) che non ne hai abbastanza per Siena! Coraggio dunque, mio caro Bista, e pensa al Giornale, che spero avrà vita utile e decorosa. Credimi di tutto cuore Tuo aff.mo amico Ipp. Rosellini. au' in.™ Sig. Professore Giovan Battista Giorgini Siena. COMUNICAZIONI ED APPUNTI Vescovi genovesi in Sardegna. — Trascriviamo la seguente lettera diretta alla Presidenza della nostra Società Ligure di Storia Patria e che 46 8 GIORNALE LIGUSTICO compendia in poche righe una pagina interessante della storia ecclesiastica della nostra regione. « Esaminando vari documenti storici riguardanti le nostre diocesi di Sardegna conobbi che una notevole parte dei loro pastori ci vennero dati dalla Liguria. Ora sperando di giovarle in qualche modo ho creduto conveniente spedirle la seguente lista dei Prelati sardi che ebbero i natali per l’appunto nella Liguria pregandola di mostrarla anche ad altre persone, alle quali potrebbe esser utile. Eccola : Pietro III della casa Spinola, nativo di Genova e dell’Ordine dei Benedittini fu Arcivescovo di Cagliari nella prima metà del sec. XV dopo essere stato Vescovo di Savona — Nell’anno 1415 gli fu concessa e confermata la terra di Santadi appartenente alla diocesi Sulcitana Iglesiense. Giuseppe Agostino Delbecchi, natativo di Oneglia (Liguria), nel 1751 fu eletto Vescovo di Alghero e nell’anno 1763 Arcivescovo di Cagliari. Prima di esser creato vescovo coprì la carica di Ministro Provinciale degli Scolopii in Sicilia e promosse la causa di Beatificazione di S. Giuseppe Calasanzio. Morì colmo di meriti l’anno 1777. Corrado da Cloaco, nativo anch’egli di Genova, fu Vescovo d’Iglesias sino all’anno 1390, nel qual’anno venne trasferito alla Sede Americana. Opizzo , nativo di Genova venne eletto nel 1230 Arcivescovo di Sassari. Nel 1231 non ancora consacrato sottoscrisse il diploma col quale Ottone arcivescovo di Genova scrisse dalla giurisdizione vescovile il Monastero di S. Catterina spettante alle Clarisse. Teodoro, nativo di Genova, fu creato arcivescovo di Sassari nel 130$ o 1306. Bernardino Ignazio Potario, nativo di Asti (Liguria) é dell’ordine dei Cappucini fu creato arcivescovo di Sassari nel 1730. Dopo due anni fu trasferito alla diocesi di Novara, però ritenne il titolo di arcivescovo. Ivi mori circa il 1747. Caplo Francesco Casanova, nativo di Pigna (Liguria) dopo essere stalo Vicario Generale del Vescovo di Rimini venne eletto Vescovo di Alghero il 27 Novembre del 1741 e poscia fu successore di Matteo Barbolini arcivescovo di Sassari. Francesco I. d’Auria, nativo di Genova, fu creato \,escovo dell’antica diocesi sarda Usellus il 1403. Appartenne all’Ordine Francescano. GIORNALE LIGUSTICO 469 Alcuni come il Lopes, il Ca valer ritengono che un certo Nicolò nativo di Genova sia stato anch’egli arcivescovo di Cagliari nel secolo XV. Della S. V. 111."·“ Cagliari, ìj Ottobre 1897. Dev.m° ed umil.m° servo Ch. Pintus Sebastiano Pro-Dottore in S. Teologia. Seminario Arcivescovile (Cagliari). Sulla caduta della Repubblica genovese nel 1797, di cui è oggetto l’interessante articolo comparso nel Ligustico di quest’anno (pag. 232 e sgg.), riceviamo dall’ autore di esso, l’egregio prof. Guido Bigoni, la seguente letterina che, di buon grado, pubblichiamo : Genova, 27 Dicembre 1897. Eg. Direttore, Alle domande contenute nelle note dell’articolo sulla Caduta della Repubblica di Genova molti cortesi lettori del Giornale Ligustico hanno privata-mente risposto, e io ringrazio tutti e prometto tener conto delle risposte in una seconda parte o in una seconda edizione dell’ articolo medesimo. Ma Le chiedo un po’ di spazio subito per far noto che il Sig. Niccolò Montereggio di Firenze crede ragionevolmente d’aver trovato il traduttore del Bastide nel padre Niccolò dalle Piane prof, di Logica e Metafìsica al-l’Università, presidente dell’Accademia degli Industriosi. Infatti dev’essere proprio la traduzione del Bastide quella che viene attribuita a detto Professore a pag. 203 del Tomo 2.° della Storia della nostra università del-1’ Isnardi (Genova, Sordo-muti, 1867). Il Sig. Ub.ildo Macini della Spezia ha in questo frattempo rintracciata anche una copia della strenna il Battiston coi cenni su Marco Federici che il compianto Belgrano deplorava non aver potuto vedere. Sono dettati da Serafino Pucci di Arcola e il volumetto che li contiene è propriamente un almanacco in 4° piccolo dal titolo : Un ni vu lunajo || de a Spila || Battiston || per l’ano 1S66 || Spezia || Tip. Artistica. Ahimè ! caro Direttore più che trent’anni son passati da allora ! Ma lasciamo le malinconie. Buon anno invece ai Sigg. Montereggio, Mazzini e a Lei. Mi creda Dev.mo Suo Prof. Guido Bigoni. 470 GIORNALE LIGUSTICO SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Ecco Γ elenco dei nuovi Soci entrati a far parte della Società: (io Giugno 1897) — Cav. Enrico Bellimbau. — March. Carlo Centurione di Enrico. — Cap. Cav. Uff. Antonio Mancini. — (22 Giugno) — Cav. Francesco Arpe. — Principe Scipione Borghese. — March. Ludovico Gavotti. — Comm. Erasmo Piaggio. — (1 Luglio) — March. Filippo Gentile. — Dott. Alfonso Lazzari. — March. Ambrogio Negrone di Francesco. — (20 Ottobre) — March. Eugenio Camillo Garroni, Prefetto di Genova. — (28 Ottobre) — March. Giuseppe Negrotto-Cambiaso. — (4 Novembre) — Prof Francesco Mango. — (11 Novembre) — Dott. Fausto Badano.— — Ing. Timoteo Rafanelli. — (26 Novembre) — Comm. A. De Faria. — (3 Dicembre) — Sig. Umberto Parodi. — Dott. Flaminio Pellegrini. — (4 Dicembre) — Avv. Emilio Marengo. — (24 Dicembre) — Avv. Alessandro Caveri. — (7 Gennaio 1898J — Sig. Alessandro Scaravaglio. — (14 Gennaio) — Avv. Paolo Bozano. — (21 Gennaio) — Sig. Raffaele Berninzone. — Mons. Bartolomeo Norero. — Avv. Francesco Puccio. — (28 Gennaio) — Sig. Michele Bruzzone. — Sig. Isidoro Ivani. — Rag. Giovanni Malerba. — Sig. Mario Segale. — (4 Febbraio) — Mons. Teol. Eugenio Bertucci. — Cav. Diego Bertucci. — Comm. Agostino Crespi. — Cannonico Stefano Cuneo. — Avv. Attilio Drovanti. — Prof. Gaetano Frisoni. — March. Gerolamo Pallavicino. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Camillo Manfroni, Lo scontro di Modone. Episodio dilla lotta veneto-genovese (1403), Roma, Forzani e C., 1897, pp. 49; estratto dalla Rivista Marittima, ottobre-novembre 1897. È risaputo come, specie in questi ultimi anni, la storia della Repubblica veneta abbia offerto materia a molte e pregevoli pubblicazioni. Mon mancano però coloro che, ancora oggi, narrano i fatti compiuti dalla Repubblica di Venezia con animo non sempre libero da passione. Che questo sia GIORNALE LIGUSTICO 47I un male gravissimo non occorre quasi avvertire, perchè, se è vero che nuoce alla serietà degli studii chi cerca di nascondere le colpe e gli errori commessi, nel volger dei secoli, dalla Repubblica di S. Marco, è altrettanto vero che non meno nuoce alla verità storica colui che, non sapendo o non volendo fare retto uso dei documenti, tenta di svisare i fatti e di presentare sotto una luce sinistra la savia politica di uno Stato potente. Pochi anni fa il signor Delaville Le Roulx pubblicò in Francia un lavoro corredato di molti documenti tratti dal R. Archivio di Stato in Venezia e dalla Biblioteca Nazionale di Paiigi, intesi ad illustrare, fra Γ altro, la breve lotta tra Genova e Venezia, che, scoppiata quasi all’improvviso nel 1403, ebbe il suo epilogo nel combattimento di Modone (1). Le con- . clusioni alle quali venne il dotto allievo della scuola francese di Roma, parvero false al prof. C. Manfroni, che senti il bisogno di ricorrere alle carte del R. Archivio di Stato in Genova e di prendere in nuovo esame le fonti già studiate dal Delaville. Frutto di queste nuove ricerche è appunto 1’ opuscolo che ci sta innanzi, dove 1’ opera del maresciallo francese Giovanni Le Maingre soprannominato il Boucicault, o (come lo chiamano i nostri cronisti) Boccicaldo, presentato dal Delaville, con soverchia indulgenza, come il modello di tutte le virtù civili e militari, viene esaminata con sicura dottrina e con animo spassionato. L’ A. divide il suo lavoro in quattro capi, nel primo dei quali tratta dei « primi malumori fra Genova e Venezia ». È noto che il Boccicaldo quando nel 1401 assunse, in nome della Francia, il governo di Genova, s’ adoprò subito per ridurre all’ obbedienza i vassalli della Liguria e delle colonie. Fra questi vassalli il più importante era Giano re di Cipro. Già sappiamo come e perchè da Giacomo, padre di Giano, i Genovesi si fossero /atti cedere in pieno ed assoluto possesso la città di Famagosta, recando cosi un grave danno al commercio dei Veneziani propensi ad aiutare il Re soggetto ora alla dominazione del Boccicaldo. Il M. tratta ampiamente delle relazioni fra la Repubblica veneta e Giano re di Cipro, delle trattative corse fra il Re e Venezia quando a Famagosta, come capitano e podestà di Genova, fu mandato Antonio Goarco, già doge e rivale di Antoniotto Adorno ; della diffidenza del Boccicaldo verso la Repubblica veneta, e dei fatti che tennero dietro al sequestro delle navi veneziane operato da Antonio Grimaldi, fino all’accordo preliminare (aprile 1403), (1) Dei a ville Le Roulx, La Franti in Orini au XIV' lire le , Paris, Tborin , 188É ; due volumi. 472 GIORNALE LIGUSTICO « pel quale Genova riconosceva le ragioni dei Veneziani e prometteva » di pagare un indenizzo e di impedire per il futuro il ripetersi di » simili atti di pirateria (pag. 12) »: in fine parla delle cause che determinarono Γ arrivo a Cipro del Boccicaldo e, da parte di Venezia, di Carlo Zeno. « Imprese del Boccicaldo sulle coste asiatiche » è il titolo del secondo capo. Uomo audace, violento, ambiziosissimo, tenta il Boccicaldo d’impadronirsi di Alessandria, ma inutilmente : riuscitogli vano anche il tentativo di prendere Satalia (Adalia) , piomba con 1’ armata su Tripoli di Siria per danneggiare, ad esclusivo profitto di Genova e di Famagosta, il fiorente commercio che su quella costa esercitavano i Veneziani, ma anche in questa impresa la fortuna gli è avversa. Il 10 agosto 1403 si presenta con la fiotta dinanzi al porto di Beyrut, divenuto allora 1’ emporio del commercio dei λ eneziani dopo la decadenza di Famagosta. « I Veneziani vi avevano molte » case di commercio fiorentissime; essi vi importavano merci dell’ Occidente » e ne esportavano annualmente ricchi carichi di spezie e d’ armi; ogni anno » si partivano da Venezia le galee da carico che prendevano appunto il » nome di galee ài Baruli e, scortate spesso da legni da guerra, si recavano » a trafficare in quel porto. Di Genovesi a Beyrut, per il periodo storico » che noi trattiamo, non s’ha memoria; e se gli atti notarili di Famagosta » pubblicati dal Desimoni, ricordano nel secolo precedente molte importanti » relazioni di commercio della Repubblica di Genova in quelle regioni, pos-» siam credere col Hcyd che ormai i Genovesi, dopo la presa di Famagosta » avessero abbandonati quei luoghi (pag. 24-25) ». I franco-genovesi presero Beyrut e misero a sacco i magazzini veneziani ricolmi di spezie. Essi « rubarono » — così scriveva al Senato veneto Bernardo Morosini, bailo di Costantinopoli — « balle 200 di boccasini (stoffe) e colli 200 in 250 di » spezie nostre, abbruciando le case dei nostri fattori, le quali prima furono » messe a saccomanno (1) ». Così il Boccicaldo sfogava la propria ira verso la Repubblica veneta, con la speranza di danneggiarne totalmente il commercio, a vantaggio di Genova. Allo scontro di Modone è dedicato il terzo capo, nel quale la narrazione di ogni fatto storico è avvivata da una critica diligente e giudiziosa, non di rado acutissima, qualche volta però un po’ troppo acre e pungente verso il Dela ville. Della condotta di Carlo Zeno, capitano supremo della flotta (0 Questi parole si leggono nella lettera che riferisce il Sanuto (Vite .lei dogi, i.i Muratori, Rer. Ital. Scrij)., XXII, col. 800 , e, opportunamente, fu riportata Jjl .NUnfroni, a p. 25-26. GIORNALE LIGUSTICO 473 veneziana, parla eloquentemente la relazione ufficiale del combattimento, che lo Zeno il 9 ottobre 1403 diresse al Senato veneto. Nel capo quarto « Trattative diplomatiche », L’ A., con l’aiuto di alcuni documenti inediti trovati nel R. Archivio di Stato in Genova, tratta delle pratiche passate fra Venezia ed il Boccicaldo per venire ad un accordo in seguito ai fatti svoltisi in Levante fra le due Repubbliche. Nel marzo 1404 sembrava che le due parti fossero convenute in un accordo, quando il Boccicaldo domandò a Venezia la liberazione dei prigionieri, al che essa accondiscese non appena i prigionieri trovarono, come Venezia desiderava, dei mallevadori. Ma il Boccicaldo, dando prova di una slealtà senza pari, non solo si rifiuta di firmare 1’ accordo, ma ordina ad un privato cittadino genovese , Nicolò de Moneglia , di partire con la sua nave , di entrare nel-1’ Adriatico, di catturare i bastimenti veneziani e di fare quanti danni potesse alla Repubblica. Ciò indignò il Senato veneto che mandò subito un’ ambasceria a Carlo IV re di Francia per lamentarsi delle continue violenze del Boccicaldo. Le cose andarono ancora in lungo, fino a che, il 9 agosto 1408, il duca di Savoia Amedeo VIII, nominato solennemente arbitro in cotesta questione, condannò « i Genovesi a pagare i danni sofferti dai Veneziani » per op Ί-a del Boccicaldo e dei suoi agenti, eccetto per alcuni titoli, pei » quali, in mancanza di documenti autentici che comprovassero il diritto » dei danneggiati, respinse le domande di Venezia (pag. 46) ». Cosi finì la lotta fra le Repubbliche di Genova e di Venezia, in danno della quale tanti intrighi aveva ordito un avversario sleale e crudele. Terminata in Genova, nel 1409, la dominazione francese del Boccicaldo, il Senato veneto, licto d’ essersi finalmente liberato da un pericoloso nemico, mandò un ambasciatore speciale a congratularsi coi Genovesi, e questi alla loro volta non pensarono più a sottrarsi al pagamento delle indennità, cui erano stati condannati dal duca di Savoia. Tale, per sommi capi, il contenuto del lavoro del M., nel quale domina la figura del Boccicaldo, esempio notevolissimo, più che di virtù vere, di prepotenza, di arroganza e di slealtà. È a desiderare che questo studio sia di utile ammaestramento a tutti coloro che troppo spesso dimenticano che ogni narrazione storica va fatta con piena serenità di giudizio e con soli intendimenti scientifici. Genova, dicembre 1S97. G. Cogo. 474 GIORNALE LIGUSTICO Pompeo Molmenti, Commemorazione di Federico Stefani, Venezia, tip. Ferrari, 1897, pp. 14 (estratto dagli Atti del R. Istituto Veneto di sciente, lettere ed arti, toni. IX, ser. VII, 1897-98). Della vita e delle opere di F. Stefani * dotto e operoso », il M. discorre con vero intelletto d’amore. Lo S. nacque a Cittadella in provincia di Padova e mori in Venezia il 2 agosto di quest’ anno, quasi settantenne. Dal 1889 era direttore del R. Archivio di Stato di Venezia, e del Nuovo Archivio Veneto. Con Arnaldo Fulin promosse 1’ instituzione della Deputazione di Storia Patria , di cui poi fu presidente , e col Fulin, col Bcrchet e col Barozzi iniziò la pubblicazione dei Diari di Marino Sanuto. Delle molte scritture dello S., che sono dal M. riferite in appendice, l’A. tratta con cura diligente e con quella forma elegante e garbata che gli è propria. In modo speciale esamina 1’ opera più importante dello S. intitolata: Le antichità dei Bonaparte con uno studio storico sulla Marca Trivigiana, Venezia, Cecchini, 1857, « frutto di bene eletti e bene ordinati studi, ricca » di documenti sapientemente illustrati e importantissimi allo svolgersi del-» l’elemento italico e del Comune ». G. C. — Le Cronache Savonesi di Agostino Abate, pubblicate dal Marchese G. Assereto. — Savona, tip. Bertolotto e C. 1897. « Per far compiuta e vera la nostra storia nazionale ci bisogna rifar » prima o finir di rifare le storie particolari ». Così Giosuè Carducci, in quella sua prosa magica per schizzi e scatti, intitolata Critica e tìrte. A tale concetto si è certamente ispirato 1’ Assereto nella sua nuova pubblicazione, che niun severo cultore della storia della Liguria potrà omettere di consultare. Ed è davvero ammirabile attività, la sua, la quale mentre gli consentiva di preparare i bei lavori onde s’ ornava 1’ Esposizione cittadina (1), non l’impediva, per contro, di curare l’edizione del presente libro, in cui, per le molte note di che lo volle illustrato, profuse tesori di diligenza e di erudizione. E 1’ apposizione delle molte note — giova riconoscerlo subito — fu provvido pensiero. Poiché non solo occorreva, per tener desto l’interessamento nel lettore, rinfrescargli la memoria degli avvenimenti cui 1’ Abate nel suo racconto si riferisce; ma anche era d’uopo riposare la mente del lettore stesso svariandola col porle innanzi altri periodi da quelli dell’ Abate, le cui memorie riuscirebbero, altrimenti, di lettura assai grave. Bastino, come saggio, le prime righe con cui ci si presenta : (1) Si allude alla recente Esposizione tenuta in Agosto a Savona e promossa da quella Società Economica, di cui è presidente 1’ on. P. Boselli. N. d. R. GIORNALE LIGUSTICO 475 « Al nome de Dio, io Joanne A gustine Abate, condam Leonardo, lano de ι$ηο » li $ de desembre, essendo de età de ani η5 e 3 mesi, non potendo più afa-» ticare, corno era solilo , per non slare alocio e per mio dileto abio tra me » ordinato de descrivere in questo mio libero alcune cose de la nostra cita e » de citadini de Savona degne de memoria , le quali saranno quaiji tute cose » che a miei iorni io le abio vedute coi miei ochi e locate con mie mani. » A giudizio di Achille Neri, niuno si riferì, prima del secolo XVII, ai manoscritti dell’ Abate, scrivendo della storia di Savona. L’ Assereto confuta tale asserto, urbanamente, come a un gentiluomo suo pari si conviene, e con la stessa urbanità combatte in varie chiose le opinioni di scrittori da cui dissente. Non è già, per altro, che la gentilezza della forma sia di velo al concetto dell’ Autore quando i suoi giudizi vogliono essere severi, anche se cadano su personaggi , per molte e buone ragioni, a lui cari. Così, per esempio, nella nota apposta al XIV dei documenti inediti, dopo aver accennato alla lega di Cambray, l’Assereto scrive: « Giulio II si caricò di una colpa non minore di quella onde si era » fatto reo Alessandro VI al tempo di Carlo Vili. Egli pose in giuoco » l’esistenza del solo stato d’Italia che fosse libero e forte, chiamò le » grandi potenze straniere dentro la sua patria , precipitò quest’ ultima in » un abisso di guerra senza fine. » Il che, naturalmente, non toglie che, nelle chiose alle Cronache, ove cada opportuno, sia largo d’encomi a questo grande pontefice, il cui successore, Leone X, gli fu assai inferiore, nè potrebbe competergli il d ritto di dar nome al suo secolo. Onde a ragione fu detto dal Villari che l’aspro e iroso Giulio II ebbe poco incenso di adulazioni e intessè le corone per recingerne la fronte del successore. Non è, per tanto , un omaggio jIla verità storica denominare dal breve regno di Leone X tutto un secolo di meravigliosa coltura. Ma di Giulio II più a lungo, e di proposito, ci discorrerà 1’Autore in un libro della cui prossima pubblicazione è data promessa sulla copertina delle Cronache, eh’ io volli, oggi segnalare all’ attenzione dei lettori. Come ben dice 1’Assereto, esse hanno l’impronta della verità, perchè narrate da chi fu testimone e attore degli avvenimenti narrati; e siccome questi portano nuova luce a bene intendere la storia di Savona, non mancheranno alle Cronache numerosi e intelligenti lettori. Meglio non si potrebbe chiudere questo mio breve cenno dell’importante libro ora venuto in luce che stralciando i seguenti periodi della prefazione: a Quantunque, come scrive Gino Capponi, nobili e popolani, Guelfi GIORNALE LIGUSTICO » e Ghibellini, Adorni e Fregosi, combattessero confusamente a pubblico » strazio, le interne forze non erano pur anche stremate, chè appunto » in quegli anni infelici la Liguria produceva le tre nature più vigorose » che avesse allora l’Italia : Cristoforo Colombo, Giulio II, Andrea Doria. » E fu in questo fortunoso periodo che Savona, destreggiatasi indarno, fra » tanto tramestio d’armi e di fazioni, a scuotere il giogo della potente » rivale, fini col perdere invece, coll’ultimo avanzo di sua libertà, quello » stato di floridezza e potenza a cui s’ era levata dopo secoli di virtù e » d’energia. Fu a lei fatale, dopo la morte del suo gran papa, la giornata » di Pavia, nella quale, per la sconfitta delle armi francesi, cui aderiva, » cadde senza difesa in piena balia di Genova, la quale, colto il momento » propizio, ebbe tutto l’agio di adempiere a suo danno l’antico voto........ » Delenda Saona! Auguriamo che questi avvenimenti riescano non pur » d’istruzione, ma di utile scuola. » P. Uu manoscritto autografo di un Campofregoso. — 11 Signor Postgate, ben noto filologo inglese ha pubblicato nelle Transactions of thè Cambridge Philological Society IV, una collazione di un manoscritto di Properzio, trovato a Norfolk. Il manoscritto porta la sottoscrizione seguente : M.° CCCCXXI0 DIE X° OcTOD. Hic tua properti perfeci scripta Iohannes Campofregosa stirpe pia genitus. « M. Postgate — scrive il chiarissimo dott. S. H. Gunning di Zwolle » (Paesi Bassi), che ci fa la presente comunicazione — ne semble pas se » douter de la valeur de cette subscriptioni il parle même assez dédai-» gneusement de « Giovanni of the pious stock of Campofregoso » Cepen-» dant quand je rapproche le nom de ce que M. de Nolhac dans son » beau livre sur Pétrarque et l’humanisme p. 397 sqq. nous rapporte » sur les livres de Pétrarque chez les Fregoso (Excursus IV) et princi-» paiement de ce qu’il fit sur Tomaso de Campofregoso et ses fils, il » me vient a l’esprit que notre Giovanni pourrait être un parent assez » proche de ce Tommaso. » Mais je n’ai aucun moyen à ma disposition de verifier cette hypo-» thèse ; je ne sais même pas s’il est croyable qu’un membre d’une si » noble famille lût-elle très littrée, se mit à copier des manuscrits, ou » s’il se peut que notre scribe fût un cliente des Campofregoso. » Pourrez-vous m’éclairer sur ces points et me procurer quelque donnée » pour identifier la personalité de notre Giovanni? J’aimerais même aller GIORNALE LIGUSTICO 477 » encore un peu plus loin. Avec le ms. de Properce est relié au ms. con- » tenant les épîtrcs latines de Pétrarque desinant au beau milieu de l’Africa, » et écrit de la même main. Dans le catalogue de la Bibliothèque de » Tomaso que donne M. de Nolhac, un Properce ne figure pas, mais ce » catalogue date de 1425 et le manuscrit de 1421. En admettant les » rapports entre Petrarque ou ses amis et les Campofregoso, qu’a éta- » blis M. de Nolhac, ne me semble-t-il pas probable que notre ms. ait » été copie soit sur l’exemplaire de Petrarque lui même, soit sur une » copie de cet exemplaire. Et en admettant que notre ms. a fait partie » de la bibliothèque de Tommaso, y aurait-il moyen de retrouver les » traces de ce manuscrit sur son voyàge de Gènes en Angleterre? Aurait » il passé aussi par Naples comme M. de Nolhac le suppose du Tite-Livie? Per ora possiamo rispondere al dotto Olandese che un Giovanni Campofregoso, figlio di Pietro, e morto nel 1468, figura fra le tavole genealogiche del Battilana e del Buonarotti (Ms. della Civica Beriana). Sarebbe quindi fratello del doge Tomaso, dello stesso casato, di cui, come di bibliofilo distinto ai suoi tempi, parla il Belgrano nella Vita privata dei genovesi, pag. 137-38. Non ci sembra giustificata la meraviglia del Signor Gunning che un personaggio di stirpe cosi nobile come « Fregoso » abbia potuto degnarsi di fare lo scriba o 1’ ammanuense: si potrebbero citare molti esempi analoghi. Che poi il Codice di Properzio sia andato a Napoli, prima di emigrare definitivamente in Inghilterra, è congettura probabile, ma non suffragata per ora da alcun documento. Torneremo su questa importante questione, se fra i lettori del Ligustioo qualche cortese studioso vorrà favorirci altri dati o indicarci altri documanti. Per la storia della Ceramica Ligure. — Il Signor Cav. Yeats Brown Montagu ha in questi giorni con un’ assiduità ed una competenza superiori ad ogni elogio compiuto 1’ ordinamento delle ceramiche nel museo di Palazzo bianco. La cittadinanza genovese dev’ essergli grata tanto della diligenza spesa nella classificazione quanto e più per il numero cospicuo di oggetti di cui volle con vera liberalità accrescere con nuovi doni il museo stesso, per modo che la sezione della ceramica genovese di Palazzo bianco è riuscita la più interessante e più ricca raccolta di questo genere che vanti la Liguria. Sappiamo che tanto la Commissione direttiva della Galleria Brignole 4/8 GIORNALE LIGUSTICO Sale-Deferrari, di cui il Cav. Yeats Brown Montagu è membro attivo e zelantissimo, quanto il Signor Sindaco a nome dell’ Amministrazione Civica gli esternarono le migliori attestazioni di ammirazione e di riconoscenza. La vita di Lodovico Ariosto. — De’quattro poeti maggiori d’Italia, la vita di Lodovico Ariosto, « il poeta nostro.... che più di tutti raccolse e rendè il genio, il sentimento, l’indole del popolo italiano » come disse Giosuè Carducci, è la meno conosciuta, anche perchè gli studi, sebbene molteplici intorno a lui, non sono riusciti a irradiarla tutta quanta sì da non lasciare desiderio di altre indagini e speranze di nuove scoperte A togliere questa mancanza, così grave e deplorevole nella storia della nostra letteratura, si sono accinti, e hanno condotto ornai l’opera a buon punto, i signori Angelo Solerti, professore nel R. Liceo Galvani di Bologna, Naborre Campanini, preside del R. Istituto tecnico di Reggio nell’ Emilia, e Giovanni Sforza, direttore del R. Archivio di Stato di Massa in Lunigiana. Così presto avremo, frutto di studi pazienti e di ricerche estese, diligenti, minutissime, una Vita di Lodovico Ariosto che potrà finalmente soddisfare appieno la curiosità e il desiderio degli studiosi, sia per il riordinamento e l’accertamento delle notizie già divulgate, sia per la copia grandissima di documenti nuovi che saranno pubblicati. L’opera in due volumi sarà divisa nel modo che segue: Volume primo : Notizie sulla vita, A. Solerti — Gli amori, N. Campanini — L’Ariosto diplomatico e commissario generale della Garfagn.ma, G. Sforza. Volume secondo : I. Lettere di L. Ariosto — II. Documenti per la vita — III. Carteggio e documenti riguardanti il commissariato di Garfagnana — IV. Edizione critica delle liriche volgari e Ialine — V. Bibliografia Ariostesca. Adorneranno 1’ opera grande copia di ritratti, medaglie, fac simili e illustrazioni d’ ogni sorta. Coloro che conoscessero o possedessero documenti che possano riguardare quest’ opera, affinchè essa riesca quanto è possibile compiuta, sono pregati di comunicarne notizia a qualcuno degli autori, e della cortese premura sarà da loro fatta menzione con la più viva riconoscenza. Prof. Girolamo Bertolotto Direttore Responsabile. INDICE Contributi al catalogo generale dei monumenti e degli oggetti d’arte e d’antichità della Liguria. — III. La Pala di fra Gerolamo da Brescia in Savona ( V. Poggi)...... Un’ opera inedita del P. Domenico Interiano (G. Sforza). . • Contributi alle relazioni tra Genova e Lisbona (A. Ferretto). Di una presunta edizione genovese della Divina Commedia del secolo XVI (U. Mazzini)........... XGli Svizzeri in Italia e Genova nel 1507 G. Manfroni) . . A Tombe dei Colombo di Genova a Palermo (U. A.) . . . . Di un altro Codice Benino de’ Trionfi del Petrarca (D. Gravino) Un gentiluomo piemontese della I/ metà del secolo XVI. — Giacomo Provana 'di Leyni (A. Segre)......» Dove è nato Antonio Bonombre ?. . ,...... La Società Storica Savonese........... In onore di Giuseppe Fortuzzi (Il Ligustico1 ..... Società Ligure di Storia Patria (G. B. C.)...... S Storia dell' insigne Santuario di Montallegro (P. Sturlest). Les origines de la domination française à Gênes (C. Manfroni) Le bandiere genovesi della battaglia del Finale nel 1746 al Santuario di Varallo (G. Claretta)........ Il lessicografo Francesco Alberti (G. Sforma)..... La rosa dei venti nel XIV secolo (U. A.)...... Appunti e documenti intorno a Luigi Corvetto (M. Staglieno) KU11 autografo di Nicolò Paganini (A. Boscassi) .... Un massese rinnegato ad Algeri (G. Sforma)..... L’antica cappella de’genovesi a Palermo (U.. A.) . . . \"La presa di Voltaggio nel 1625 (G. B.)....... Per un leone e per una mano (G■ Bertolotto)..... ^iPer Antonio Bonombra vescovo di Accia(i407-i48o)(A.'Ferretto) Contributo alla biografia di Azzo-Giacinto Malaspina marchese di Mulazzo (G. Sforza)........... ■ Biografia inedita di Azzo Giacinto Malaspina Marchese di Mu lazzo scritta da Eleonoro Uggeri . . ....... A proposito della « Storia della marina italiana » dal 1453 al 1573 (A. Neri) 11 duomo di S. Lorenzo a Trapani già chiesa nazionale de’ ge noves» (U. A.)........ ..... Nella chiesa dei SS. Gio. Battista e Domenico in Savona. Scoperta artistica............... Altra scoperta artistica............. La Società storica Savonese (Λ**]......... Una poesia storica del 1654........... S:orie genovesi di Giannozzo Manetti....... Pag. 3 Λ 8 » 12 » 20 )» 24 » 30 » 33 52-67-81 US » 68 )) ivi » 69 )) 72 » 76 » 78 » tl » 121 )) 134 » 136 - )) 147 )) I49 » ♦ I53- » 156 1 lèi » 168 )) 171 --- D 182 » I9I » 204 » 218 219 » ivi » 220 » 222- S » ivi 4§ο giornale ligustico Per Arcola (A. Boscassi)..............Pag. Un autografo del Borgo al' Federici..........» In morte di David Silvagni.............» Notes et correspondance du Baron de Belleville (G. Sforma). . » Filippi Ginvanni. Studi di Storia Ligure (F. 0.).....« Eugenio Bianchi. Storia della Lunigiana feudale (G. S.). . . » Società Ligure di Storia· Patria (G. B. C.)........» Opere pervenute al « Ligustico »...........» Λ-La caduta della Repubblica di Genova nel 1797 (G. Bigoni) . » " La strage de’marchesi Malaspina della Verrucola (1418) (G. Sforma).................., » Un genovese a Bisanzio. Guglielmo Cacallaro oppure Cavaliere? (G. Bertolotlo)..............» Agostico Falconi di Marola e i suoi scritti editi e inediti (G. Sforma). . . . ...............» Aggiunta agli appunti intorno a Luigi Corvetto (M. Stagliato) . » C. Colombo nell’ Ode del Parini sull’ innesto del vaiuolo (L. C.). » Lo scultore Ferdinando Pelliccia di Carrara (G. Sforma) ... » Per Giovanni e Sebastiano Caboto..........» Per due cimelli artistici..............» Genova nel 1849................» Monumento nazionale a Giuseppe Parini ... -.....» Per P. Giuria (G. E. Bazzano)............» Scritti inediti di A. Manzoni [A. D’Ancona).......» L’ispettorato governativo sulle biblioteche (G. Libri) .... » La lapide dei Colomao di Palermo..........» Due manoscritti importanti.............» Girolamo Rossi. Glossario Medioevale Ligure (A. Ferretto). . » Libri pervenuti al Ligustico.............» Giorgio Cristoforo Martini detto il Sassone e il suo viaggio in Italia [1721-1745] (G. Sforza).......... . » Una relazione di Giambattista Baliani sul porto di Genova (A. Boscassi)..................» Gli statuti dei canonici di Rapallo (A. Ferretto)......» Costantino da Carrara e la riforma a Lucca nel secolo XIV (G. Sforza).................» Delle relazioni tra Urbano VI e la Repubblica di Genova (G. Cogo)......................................» Tre lettere inedite del Prof. Ippolito Rosellini (G. Sforza) . . » Vescovi genovesi in Sardegna (5. Pintus)........» Sulla caduta della Repubblica genovese nel 1797 (G. Bigoni) . » Società Ligure di Storia Patria............» Camillo Manfroni. Lo scontro di Modone. Episodio della lotta veneto-genovese (1403) (G. Cogo)..........»■ Pompeo Molmetti. Commemorazione di Federico Stefani (G. C.). » Le Cronache Savonesi di Agostino Abate, pubblicate dal march. G. Assereto (P.)................» Un manoscritto autografo di un Campofregoso......» Per la storia della Ceramica Ligure..........» La vita di Lodovico Ariosto.......... . » ivi 223 - 224 225 227 228 229 231 233 - 340 347 365 370 374 381 389 390 ivi 391 $ 396 398 400 401 415 422 439 442 Ψ 467 469 : 470 ivi 474 ivi 476 477- 478