GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA FONDATO E DIRETTO DA L. T. 11 Cosìche .... 251 » 11 per sedersi, . . per sedersi ; 252 “ 17 da simili .... . da tali " *S4 » 13 casi proibiti . casi W 259 » 4 più compressa è più compressa , * 261 u 6 Ponteficj · Pontificj " 261 n 7 Gasaci .... Ca^acd " 461 u 9 alle loro botteghe . delle loro jbottcglw " 264 » 5 degli archivi, degli archivi ; 26 s » 15 Ga^acà . Casacà » 266 14 sua gloria ; sia . . sua gloria. Sia U 321 » 16 questa larghezza . tanta larghezza * 332 " S come..... . si come 332 13 mancò fuori. manco fuori l> 336 19 del secondo . . del secondo , 0 337 B i venisse meno venisse a mancare 338 » 17 segno, del vero. segno del vero * 340 U 6 lasciarci . * 341 ° 11 ma fu riammessa . . e fu riammessa 342 * 10 essere autentico. essere sicuro LA GIOVINEZZA DI CARLO EMANUELE I DI SAVOIA NELLA POESIA E NEGLI ALTRI DOCUMENTI LETTERARI DEL TEMPO i) Mentre le altre parti d’Italia giacevano avvilite e prostrate nel turpe servaggio di Spagna o sotto le domestiche tirannie nella vecchia terra subalpina s’ afforzava nell’ amore de’ sudditi e colla creazione di milizie nazionali un’antica dinastia di principi generosi ed arditi. Il Piemonte, teatro d’immani lotte lunghe e sanguinose, dove, freddi e impassibili spettatori le gigantesche Alpi nevose, si urtavano in un cozzo terribile le maggiori potenze d’Europa, dove tutti, dal sovrano aH’ultimo cittadino, erano soldati della patria, animati da un solo pensiero, la conservazione della propria indipendenza; il Piemonte, forte e fiero, non pareva, nella sua beotica gagliardia, campo acconcio allo svolgersi delle lettere e dei buoni studi. Ma perchè una letteratura non può esistere se non la crea potenza di sentimento o affetto intenso di patria, la terra (i) È la prima parte d’un più ampio lavoro che s’intitolerà: La vita di Carlo Emanuele lei' idea, italiana nella poesia e negli altri documenti letterari del tempo suo. 4 GIORNALE LIGUSTICO subalpina in due momenti solenni fu nobile rifugio ai più robusti ingegni di pensatori e di poeti, che, ispirandosi a quella ingenua maschiezza del carattere piemontese, formarono tutta una letteratura civile. Cosi nel periodo che corre all’incirca tra il ijSoeil 1630, da un principe sabaudo parte il grido d indipendenza e di libertà; e Carlo Emanuele I, poeta della patria egli stesso, raccoglie intorno a sè una splendida corte letteraria dove tema prediletto è l’Italia, pensiero dominante la sua riscossa contro lo straniero. Allo: a tutta la letteratura politica, tanto in poesia quanto in prosa, si raccoglie intorno al suo nome ed esplica in ogni parte la sua vita, le sue azioni, il suo pensiero. Allora quel-P anima sdegnosa di Alessandro Tassoni fulmina le Filippiche e il Manifesto, e Traiano Boccalini ancor egli nella Pietra del paragone politico e ne’ Ragguagli di Parnaso tuona contro l’oppressione di Spagna e ai popoli meravigliati della nuova audacia addita Carlo Emanuele I come unica speranza e salute d’Italia. E quello stesso cavalier Marino che in molli versi cantava le lascivie di Adone, e quel Murtola che s’accapigliava con lui in meschino pettegolezzo, e il debole Fulvio Testi che malediceva la servitù delle corti e non sapeva staccarsene, e l’altro grande poeta del tempo, Gabriello Chiabrera, e poi tutta una pleiade di scrittori minori, l’Ancina, i Bucci, il D’Agliè, Lodovico Della Chiesa, Raffaello Toscano, i due Braida, il lloveda, Pompilio Regnoni, i Germonii e altri ancora parecchi inneggiavano concordi al principe guerriero e intuonavano la canzone della patria, mentre Giovanni Botero s’ispirava al governo piemontese nel suo libro Della Ragion di Stato. Carlo Emanuele I, accoppiando l’azione al pensiero, il braccio alla penna, resisteva solo a Francia e Spagna potentissime, e sul campo di battaglia e ne’ trattati di pace teneva alto 1’ onore d’Italia. E tutto questo tra le discussioni scien- GIORNALE LIGUSTICO 5 tifiche, tra le caccie, le feste, le rappresentazioni dramatiche, i numerosi e facili amori: Proteo multiforme dai mille aspetti grandeggiante in ciascuno ed in tutti. Tale si presenta quella potente figura a chi non ne studi la vita nei soli documenti diplomatici o militari, ma voglia ritrarla ancora secondo le poesie e gli altri documenti letterari del tempo. Allora quella personalità, già grande nel solo aspetto politico e militare, viene mirabilmente compiendosi, e Carlo Emanuele I si drizza in tutta la sua grandezza, quasi a dominare due secoli di vergogna e di servaggio, e ad attestare al mondo che l’Italia non fu mai priva affatto di gloria, e che Γ antico valore non fu spento giammai. I. Il momento era solenne, e quell’insolita agitazione chela notte del 12 gennaio 1562 regnava nel castello di Rivoli non era vana nè ingiustificata. Quella sera la buona duchessa Margherita era stata sorpresa dai primi dolori del parto, e dalla nascita di quel bambino di cui era incinta pendevano i destini della dinastia di Savoia e con essi l’avvenire d’Italia. Emanuel Filiberto era l’ultimo rampollo legittimo del vecchio ceppo sabaudo, e poco importava che il giovane duca avesse più volte, con indomito coraggio, posta a repentaglio la vita per debellare ne’ campi di San Quintino la brillante cavalleria del Montmorency, poco importava che l’abilità dei negoziatori piemontesi avesse ottenuta ne’ difficili trattati di Cateau-Cambresis la restituzione di gran parte dello Stato al proprio sovrano, se poi la mancanza d’un erede incontestabile avesse nuovamente aperta la terra subalpina alle ambizioni di Francia e di Spagna, avide sempre e sempre pronte a cogliere ogni occasione e ogni pretesto per ghermirne un 6 GIORNALE LIGUSTICO qualche brano. La dinastia di Savoia aveva fatto suo il cosi detto principio della legge salica che escludeva le donne dalla successione al trono, cosichè a rassicurare e principe e magistrati e popolo era necessario che la duchessa si sgravasse d’un maschio. Di qui un’ ansietà vivissima in tutta quella splendida corte che Emanuel Filiberto e Margherita di Valois avevano raccolto intorno a loro nel castello di Rivoli, in quella folla di gentiluomini e di dame, dove spiccavano gli ambasciatori di Venezia e di Malta, i presidenti della Camera dei Conti e dei Senati di Piemonte e di Asti, il cardinal Ghislieri che fu poi papa Pio V, la bella contessa Beatrice di Langosco e molti altri cavalieri e gentildonne: era un agitarsi, un interrogarsi, un attendere tanto più impaziente quanto più grave era la circostanza. La speranza e il timore si disegnavano sul volto di tutti, e principalmente era in affanno il duca, sempre in piedi a correre e a ritornare dalla camera della moglie. Per quella stessa ragione che agiva così potentemente sulla corte sabauda si preoccupavano di quell’ avvenimento i ministri francesi, e, più sospettosi stavolta degli spagnuoli medesimi, avevano mandata la dama di Carnivalet ad assistere al parto della duchessa, in apparenza per onore, ma in realtà per impedire qualunque possibile sostituzione (i). E frattanto i deputati di quella corte inviati a negoziare con Emanuel Filiberto lo sgombro delle città piemontesi tenute ancora dalle truppe di re Carlo IX, andando per le lunghe, a bella posta (i ) L’Ulivo// prodigioso //historia panegirica// del gran //Carlo Eman. I // Duca di Savoia // Pubblicato sotto i benignissimi auspitij // del glorioso // Carlo Eman. 11 // Duca di Savoia, Principe di Piemonte, // Re di Cipro, etc. // dall’ illustre, e molto reverendo // D. Antonio Agostino Codreto // da Sospello // Dottore nell'una, e nell’ altra Legge. // In Torino, per Bartolomeo Zavatta, mdclvii, Parte I, p. 9. GIORNALE LIGUSTICO 7 rimandavano di giorno in giorno la conclusione del trattato per vedere se mai la nascita d’ una femmina aprisse Γ adito ad un nuovo intervento nelle cose d’Italia (i). Finalmente nel cuor della notte nacque un figlio maschio, che fu Carlo Emanuele (2). Tosto la notizia si sparse pel castello e anche fuori se n’ebbe sentore, sicché molti cittadini furono all’ albeggiare alle porte del castello per accertarsene. Per strada incontrano il Duca accompagnato da due alabardieri che andava in chiesa a ringraziare Iddio, siccome colui che era religiosissimo, per quella buona fortuna; egli confermava loro la fausta notizia. « Tosto », scrive Ercole Ricotti (3), « questa vola di bocca in bocca, tutti traggono al palazzo: il duca va loro incontro, gli abbraccia, gl’introduce nelle camere più interne, gli riabbraccia; poi, fattosi recare il bambino, e mostrandolo ad essi: « Eccovi, esclama, questi sarà il vostro principe e patriota ». Le lacrime e il rispetto soffocano a’ riguardanti gli evviva ». Cosi la poesia della gioia, non scritta, non pensata, ma sentita, ma in azione, prorompe rapida prima d’ogni poesia letteraria e cortigianesca, e in quelle parole esultanti del principe e padre felice: « Questi sarà vostro sovrano e patriota » si preconizza quasi 1’ alto destino del fanciullo e si accoppia fin dalla nascita al suo nome quello della patria italiana. (1) Ricotti, Storia della monarchia piemontese, IV, 4, t. II, p. 211-212, Firenze, Barbèra, 1861. (2) Su questo nome cosi bisticciava il poeta francese Vasserot in una poesia del Codice 297 della Biblioteca di S. M. di Torino (Poesie francesi dedicate a Carlo Emanuele I): Son nom en Italien justement Contornò Rapporte ces beaux mots: Nel vero calma, bonne Conversion de nom que le ciel lung ordonne. (3) T. II, p. 213. 8 GIORNALE LIGUSTICO Non mi fu dato trovare alcun saggio di poesia scritta in occasione dei natali di Carlo Emanuele I, il che non vuol dire che altri non possa essere più fortunato di me e tanto meno poi che quelli non siano stati celebrati in prosa ed in verso. Fin d allora Emanuel Filiberto aveva preso vivo in:e-resse agli studi e, sebbene non letterato egli stesso, amava circondarsi di scrittori e di letterati. Ancora nel 1559, subito dopo la pace di Cateau-Cambresis, aveva fondato in Nizza a mare un Collegio di giurisprudenza e l’anno seguente aperto in Mondovì quello Studio Generale che poi, trasportato a Torino nel 1566, sali presto in gran fama (1); per opera sua era venuto di Firenze a Torino lo stampatore Torren-tino (2) e s’ era incominciata in Vercelli una biblioteca con Lodovico Nasi per custode (3); segretari ducali erano i dotti Fabri e Ferrerò, e già teneva posto considerevole in corte Federico Asinari di Camerano, l’autore del Tancredi, che il Ricotti (4) dice « non meno egregio poeta che uom d’armi e di affari ». Nè men di lui preoccupavasi dei buoni studi la duchessa Margherita, la quale attese mai sempre, più che donna, alle lettere volgari, greche e latine, ebbe a segretario Michele de 1’ Hôpital e ad institutore l’Amiot, che per ordine suo tradusse in francese Plutarco, e favori sempre i begl’in-gegni che la celebrarono in prosa ed in versi acclamandola (1) Vallauri, Storia delle Università degli Studi in Piemonte, II. 1, t. II, p. 7, Torino, Stamperia Reale, 1846. (2) Cibrario, Dei governatori, dei maestri e della biblioteca dei Principi di Savoia fino ad Emmanuele Filiberto e d’una enciclopedia da questo principe incominciata, Documento XII, p. 32, Torino, Stamperia Reale, 1839. (3) CiBRARio, Op. cit., p. 17 e Documento XVII, p. 37. In quest’epoca Emanuel Filiberto ebbe pure relazioni col Mutio Iustinopolitano. Vedi CiBRARio, Op. cit., Documento XIV, p. 34. (4) T. II, p. 212. GIORNALE LIGUSTICO 9 fin « decima Musa » e « Pallade francese » (i). Tuttavia questi componimenti per la nascita di Carlo Emanuele I, seppur ve ne furono, come pare probabile, non dovettero essere nè molti nè molto importanti, se ora sono tutti quanti perduti o almeno smarriti e non se ne ha neppure notizia, e quei versi stessi del cavalier Marino che potrebbero sembrare un accenno ad una fioritura di poesia in quell’occasione: Quanto valor, quai pregi Stupidi gli augurar ne’ gran natali Del futuro fatidici e presaghi Gli stranieri indovini e i patrii Maghi (2), molto più probabilmente si riferiscono alle predizioni degli astrologhi, che furono, al solito, grandi e mirabolane (3). (1) Ricotti, t. II, p. 559. Cfr. Pastorales// sur h baptesme //de Monseigneur Charles// Emanuel, Prince //de Piémont// pari. Grangier, Lorrain. //Avecques un Recueil de quelques Odes et // Sonnetζ faicts par le mesme aucleur. //Imprimé a Chambery, par Francois Pomar l’eynè // 1568, p. no, nella Nazionale di Torino, R. VI. 121: Des grands Dieux elle est fille, et seur, et mère et tante, L’Olive d’Europe, et l’effroy d’ignorance: Le rcpoz du Piedmont, seule en son heur contante, Admirable en son sexe, et la Pallas de France. Su Margherita di Valois, duchessa di Savoia sta scrivendo un libro la gentile signora Maria Savy Lopez. (2) Il Ritratto del Serenissimo Don Carlo Emanuelle Duca di Savoia, Panegirico del Cavalier Marino al Figino, st. 33, in Venetia, mdclxxv, presso Gio. Pietro Brigonci. (3) Prima ancora della nascita di Carlo Emanuele I si diede in corte grande importanza ad una frase sfuggita a papa Pio IV nel sottoscrivere il breve di dispensa pel matrimonio del Duca. Vedi Ricotti, t. II, p. 207. S’aggiungano come schiarimento maggiore le parole del Gioffredo , Storia delle Alpi Marittime, col. 1525, il quale racconta come fu chiamato da Emanuel Filiberto presso alla moglie il famoso Nostradamus e come egli « dopo averla visitata in qualità di medico, perchè essa aveva poca u> GIORNALE LIGUSTICO Del resto non è mai in questo genere di poesia per natali che bisogna cercare 1 esplicazione d’ una forte coscienza italiana e d un caldo sentimento nazionale: se allo storico può incombere il dovere di prenderla brevemente ad esame, è solo pei constatare questa dolorosa mancanza. Però convien notare un latto che non è senza importanza per la storia dello svolgimento del pensiero e dell’ idea italiana rispetto a Carlo Emanuele I e al Piemonte: noi abbiamo un documento Ietterai io almeno ha la pretesa di esser tale — che segna appunto il principio di quel sentimento che fece poi tener sempre rivolti gli occhi dei patrioti alla terra subalpina e alla stirpe sabauda, di quel sentimento che andò a poco a poco impossessandosi di tutti gli animi, che dal guardiano dell*Alpi inclinazione ad ascoltare astrologhi, disse.... che partorirebbe un Charles qui feroil beaucoup de Charolois ». Cfr. Codreto, Op. cit., p. 7, che vi si distende assai, e così pure il Panegirico// al gran //Carlo Emanuele// Duca di Savoia // Nell anniversario sessantesimo sesto// della sua Nascita //di Don Valeriano Castiglione// Milanese. //In Genova, e ristampato in Torino// Appresso gl’Heredi Pizzamigli stampatori di S. A. S. 1627, nella Miscellanea R. VI, 155 della Nazionale di Torino. 11 Castiglione parla pure di molti altri pronostici avvenuti alla nascita di Carlo Emanuele I. Eccone le parole (p. 6): * Fuggì allo splendore del vostro Nascimento ne gli angoli del Cielo più remoti ogni stella infausta. Comparvero nell’ hora quinta della Notte oltre 1’ usato più luminosi i Pianeti favorevoli quasi sovrane faci ad illuminare quell’ aria, a cui apriste gli occhi, e a presagir quei fuochi, che annualmente in segno di singoiar gioia e giubilo dovevano accender le città a voi soggette. Schierò l’im-peradrice Luna nel vasto campo del firmamento l’esercito numeroso delle stelle guernite d’armi dorate, additando eh’ entrar dovevate in questa bassa Terra per esser seguace di Marte, con ordinar squadroni, con esercitar battaglie, riempiendo d’ humani tronchi il suolo, accrescendo col sangue nemico i fiumi, inalzando monti di cadaveri, seminando d’ossa insepolte i campi, acquistando insegne, incatenando Duci, e abbattendo fortezze », e così di seguito per parecchie pagine che mostrano come questo panegirico sia qualcosa di secentisticamente strano ed assurdo. GIORNALE LIGUSTICO dipendesse la pace e fosse in lui P avvenire d’Italia. Questo documento in verità non accenna punto a Carlo Emanuele I, perchè anteriore anzi di un anno alla sua nascita. Ma poco importa che il principe a cui si rivolgono gli sguardi e i cuori italiani si chiami Carlo Emanuele od Emanuel Hliberto: poiché si tratta sempre di un principe sabaudo, il riguardare all’uno è nella, storia della idea italiana il principio e la condizione necessaria della gran fede e della grande speranza che poi si riporrà nell’ altro. Il componimento in questione è opera di un nobile vercellese , Messer Bernardino di Pellippari (i), uno di quegli encomiatori della duchessa Margherita cui accennavo poc anzi, ed ha , o almeno vorrebbe avere , forma dramatica , perchè s’intitola comedia e fu in realtà recitata nel 1561 in occasione della venuta a Vercelli del duca Emanuel Filiberto e della sua consorte. Le « persone che intervengono nella comedia » formano uno strano miscuglio di uomini, di deità mitologiche e di personificazioni allegoriche: v’hanno Audace e Naufragio cugini, poi Italia, Giove, Vinegia, Siena, Mercurio, Caronte, Cloto servitore della barca, Pregioniere che va passar alla barca, Napoli, Genoa, Piemonte, Vercelli, Tregua, Pace, e da ultimo Duca di Savoia e Paggio di Vercelli. Il poeta — poiché la produzione è in versi — non ostante l’ingenuità del principio dell’Atto I dove Audace esce a dire: Insomma quella Italia è un bel paese, (1) Italia // Consolala, // Comedia del Nobile // M. Bernardino di Pellip//pari ; composta nella venuta // dei Sereniss. Prencipi Duca // e Duchessa dì Savoia // nella Mag. Cità di Vercelli // Dedicata alla Serenissima Madonna //Margherita di Francia, Du//chessa di Savoia et di Berrì.// Stampata nell’antica città //di Vercelli nelle stampe di Sua Altezza. L’anno //1562. Opuscolo rarissimo di fogli 35 nella Miscellanea R. V. 31 della Nazionale di Torino. I 2 GIORNALE LIGUSTICO e '1 cugino Naufragio gli risponde: Certo ch’egli è cosi, cugin mio caro, ha la convinzione d’aver fatto un gran bel lavoro e crede che Alto è il nostro soggietto, almo e pudico Tal che Minerva e le Sacrate Muse Par che dittata l’abbiano, si come Prestandovi silentio, udir potrete. Poiché 1 autore è morto da trecent’anni, lo si può lasciare in pace e finger magari di credergli: a noi le ingenuità e le sciocchezze abbondantissime non importano punto. Ma ciò che importa e che compensa il resto è il sentimento che vi predomina, il concetto che l’informa e che traspare fin dalle prime parole della dedica, le quali stavolta non sono retorica, ma espressione sincera d’ uno stato reale di cose che non era difficile riconoscere e proclamare, che il Piemonte ed i suoi signori erano ormai fatti gli arbitri della pace e dell’ avvenire di tutta Italia. « Considerando, Divinissima Signora », egli dice a Margherita di Valois, « come per mezzo dell’invitto et pudicissimo animo vostro la misera Italia, anzi la maggior parte dell’ Europa, han conseguita quella ferma et tranquilla pace che tanto da gli afflitti popoli era desiderata... mi sono acceso in un desiderio tale d’inchinarmivi et adorarvi, che forse in cuor humano maggior non s’accese nè si accenderà mai fiamma di santo amor più vivace, nè più nobil di questa ». E difatti il matrimonio di Emanuel Filiberto con Margherita di Francia era stato un mezzo, e non degli ultimi, a decidere o almeno ad affrettare la conclusione della pace generale, ed è importante constatare per bocca del Pelli ppari come questo fatto fosse riconosciuto non solo dalla diplomazia, ma, quel che più monta, anche dall’ opinione pubblica di cui il poeta non è che interprete fedele. Certo egli t GIORNALE LIGUSTICO I 3 non giunge ancora a vedere la possibilità che la casa sabauda unisca in lega tutta Italia contro lo straniero, e tanto meno poi arriva al concetto unitario allora e per tre secoli ancora di là da venire, ma già qualche accenno vi si riscontra qua e là, e non tanto ne’ versi quanto nell’insieme della comedia, dove Italia madre conviene con le città figliuole dinanzi a Giove e questi la consola de’ mali passati invitando tutte quelle città alla concordia nelle braccia della gran genitrice e additando come difensore della sua pace Emanuel Filiberto, il quale protesta : Nè questa madre mia, regina e duce Del mondo, potrà mai di me dolersi Però che sempre saldo mi vedrai A difensarla ne’ travagli suoi, In disparte lasciando ogn’altra cura, mentre l’Italia gli risponde : nell’ aria tua sola respero E sol con gli occhi tuoi comprendo il giorno (i). Un principio di pensiero e di coscienza nazionale, benché informe e rudimentale ancora, si trova già nel Pellippari, ma quand’ anche egli si limitasse a cantare l’influenza del Piemonte nelle cose d’Italia, sarebbe già molto notevole, perchè questo concetto è come la base su cui viene innalzandosi tutto un grande edilìzio, è il punto di partenza dell’esplicazione dell’idea italiana in rapporto colla dinastia di Savoia, idea che pigliando le mosse da Emanuel Filiberto ingigantisce poi straordinariamente con Carlo Emanuele I. (i) Foglio 31 verso. >4 GIORNALE LIGUSTICO II. Finora non abbiamo incontrati ancora documenti letterari consacrati al giovane principe di Piemonte o nei quali di lui si taccia menzione. I primi che ci capitano dinanzi sono quatti o odi latine e tre italiane di un altro lodatore della duchessa Margherita, Giovenale Ancina fossanese (i), prete, medico e poeta, che dovremo incontrare ancora altre volte e che fu poi da Clemente Vili fatto vescovo di Saluzzo a richiesta appunto del duca di Savoia da lui encomiato fanciullo (2). Ma qui pur troppo facciamo un passo indietro: di idea nazionale e di coscienza italiana neppur la minima traccia. Attraverso alla magniloquenza secentistica della forma, del resto non del tutto spregevole perchè ΓAncina non fu un cattivo poeta, non traspare che una grande vacuità di concetto; la gonfiezza della frase mal vela la povertà del pensiero, e tutta quella mitologia profusa a larghe mani per lodare un fanciullo di tre anni a chi cerchi nei documenti letterari di quella età un sentimento più nobile e più elevato, come quello della patria, fa precisamente 1’ effetto pericoloso d’ una doccia gelata. Nè in realtà molto di più, benché qualcosa certamente, si trova nei numerosi componimenti pel battesimo di Carlo Emanuele. Per un complesso vario di circostanze esso era (1) Iuvenalis Ancinae fossanensis, De acade mia subalpina libri duo ad Serenissimum Emanuelem Philibertum Allobrogum Ducem; eiusdem oda quatuor ad sereniss. princip. (Carlo Emanuele). Item ad Serenissimam Margaritam Valesiam carmen. In Monteregali apud Leonardum Torrentinum, 1565. — Tre odi di Giovenale Ancina fossanese al Serenissimo Carlo Emanuele Principe di Piemonte. In Mondovi presso Leonardo Torrentino, 1565. (2) Carlo Lombardo, Vita delTAncina, Napoli, 1656. GIORNALE LIGUSTICO 15 stato differito e rimandato varie volte dal Duca e dalla Duchessa « sì per diversi impedimenti di loro stessi, come de i signori mandati da’ Prencipi per Compadri », e solo ebbe luogo il 9 marzo 1567 quando già da oltre due mesi il principino era entrato nel sesto anno dell’ età sua. Fu celebrato con molta pompa e con molte feste : Emanuel Filiberto diede egli stesso le disposizioni per la cerimonia e special-mente per la processione, che fu splendida per l’intervento di ambasciatori, cavalieri e prelati (1), e per il lusso ancora sfoggiato in tal circostanza da tutta la corte. Ce ne resta la descrizione fatta pochi giorni dopo dal torinese Agostino Bucci (2), « pregato », com’egli scrive, « e sollecitato di scrivere succintamente il successo » da molti suoi amici e dallo stampatore Torrentino, descrizione minuta, ma interessante, che non trascura nulla, dai padrini che furono il Papa (rappresentato dal cardinal Crivelli), il re di Francia (rappresentato dal marchese di Villars) e il gran maestro del-1’ Ordine di Malta (rappresentato dal commendator Raschieri, ricevitore della religione stessa) fino al palazzo « in ogni parte adornato di bellissimi e ricchissimi tapeti et il celato de’ luoghi principali di nuovo ricoperto di vaghi et bei colori con fioroni et altri ornamenti lavorati a oro », alla chiesa maggiore di San Giovanni « similmente ornata di tapeti molto belli... di panno d’ oro et di veluto chermisino con una im- (1) Ordine del Batesimo del Serenissimo duca Carlo Emanuele I. Ms. nella Miscellanea R. IV. 102 della Nazionale di Torino. È una copia firmata all’ originale Emanuel filibert. (2) 11 Battesimo // del Serenissimo // Prencipe di // Piemonte, // fatto nella città di Turino // V anno mdlxvii il ix di Mar^o J/ Aggiùntivi alcuni componimenti Latini e Vol//gari di diversi, scritti nella solennità di // detto Battesimo. Nella Stamperia Ducal de’ Torrentini, mdlxvii. Rarissimo opuscolo nella Miscellanea R. IV. 102 della Nazionale di Torino. ι6 GIORNALE LIGUSTICO presa d una sfera fatta a maglie d’oro et d’argento battuto », e all entusiasmo popolare che prorompeva al grido di « Viva il Serenissimo Prencipe di Piemonte Carlo Emanuel », quando il fanciullo meravigliosamente rispose in latino a tutte le domande che gli furono rivolte. Quest Agostino Bucci, d’una famiglia di letterati e poeti, non era affatto un uomo da nulla, anzi ebbe le lodi di Torquato Tasso e 1 onore di essere da lui finto interlocutore con Antonio Forni di due suoi dialoghi (i) e ricordato più d’una volta nelle sue lettere non meno che negli scritti di Girolamo Fracastoro (2) e di Cinzio Giraldi (3). Medico e poeta, « filosofo peripatetico, ma filosofo che non aveva giurato nelle parole del maestro » (4), autore di opere svariatissime, un’Amedeide in ottava rima (5), un Trattato del Principe (6), un Reggimento preservato™ dall’influsso delta peste (7), e poi orazioni e poesie parecchie, era una delle più notevoli per- ii) De la nobiltà e De la dignità. (2) Vesme , Torquato Tasso e il Piemonte, Torino, Paravia, 1887, p. 40 e seg. (3) Hecatommithi, Parte li, nel Monteregale, appresso Lionardo Torren-tino, mdlxv: Et il giovane Bucci, che camina per la strada d’ onor seguendo il padre. (4) Vernazza , Vita di Agostino Bucci, Ms. nella Biblioteca di S. M. di Torino. Immenso è il materiale ordinato e disordinato lasciato dal Ver-nazza intorno alla Storia letteraria del Piemonte. (5) Ms. nella Nazionale di Torino, N. VI. 42. (6) Ms. nella Nazionale di Torino, cod. cit. (7) Di M. Agost. Bucci // Re g gi//mento preserva//tivo degli huomini// luoghi et città dalT inj//lusso della peste al ' mollo // ili. et ecc. sig. Cassiano Dal //Ροχχο Primo presidente// per S. A. di qua da monti et //agli altri sig. conserva//tori della sanitade de//lla città di Turino// et della patria //di Piemon//te. // In Turino, appresso Martino Cravoto, MDLXIIII. GIORNALE LIGUSTICO *7 sonalità letterarie del Piemonte a’ tempi di cui discorriamo, e più tardi fu anche oratore ad Enrico III, re di Francia, ed ebbe vari incarichi delicati da Carlo Emanuele I. Alla descrizione del battesimo del principino egli credette allora opportuno unire le poesie scritte in quell’occasione e quelle ancora da lui raccolte ; e tra esse, bisogna dirlo a suo onore, un sonetto suo è di quelle che paiono ispirarsi a un più alto pensiero, a un più alto sentimento di patria. Ma dico « paiono », giacché è molto probabile, per non dir certo, che quella sia tutta retorica a cominciare dal pronostico che il fanciullo sarà il terzo Carlo alto e lodato eh’ afFrenerà la bella Europa in pace co ’1 chiaro Gallo e col famoso Ispano. Quel bimbo non poteva ancora dar segno di emulare Carlo-magno o Carlo V: almeno fosse sincero il sentimento che il poeta riproduce nei suoi versi, e pensasse realmente alla povera Italia augurandosi che fosse nato chi di pietà, di valor, di ferro armato, vindicarà il glorioso impero! Ma non c’è a sperarlo troppo, come non c’è a sperarlo neppure nel sonetto di un altro poeta, Claudio di Buttel, gentiluomo savoiardo, dove però, se non altro, c’è una forma migliore : Comme un feu de seurté, quand la mer sent la rdge Des foudres et des vents, serein apparoissant Sur le mast tout rompu, Charles tu fus naissant, Et vins voir des discords tout le commun dommâge. Ton pére, un second Mars des Princes de nostre âge, Bien instruit en conseil, est en armes puissant; Ta mére digne fleur de clair lis fleurissant, Reluit par l’Univers de la vertu l'image. Gioì». Ligustico Anno XVI. , iS GIORNALE LIGUSTICO Cellui là que le Ciel à ton sacré Batesnie T’ a donné pour Parrein, orné du diadesme Et du sceptre François, est un Roi triomphant. O prince fortuné, les signes qui ne mentent Comme un secours venu au monde te présentent (Pour luy rendre son heur) heureux sur tout enfant. Mentre l’entusiasmo popolare si manifestava potentemente schietto, e la balda coscienza piemontese sentiva già nel figlio di Emanuel Filiberto il suo futuro Duca che 1’ avrebbe condotto più tardi alle battaglie ed ai trionfi e plaudiva perciò di gran cuore, non senza un pensiero di patria, anzi animato fortemente da esso, perchè nell’animo del popolo subalpino patria e dinastia s’identificavano in un solo concetto di diritti e di doveri, Filiberto Pingone, valente antiquario e letterato di qualche nome (i), e Niccolò Calleo, studente in diritto civile e canonico, non sapevano far di meglio che seguir l’andazzo del tempo e rimpinzare di mitologia i loro carmi latini in occasione d’una cerimonia cristiana, e Filippo Bucci, fratello d’Agostino, fingevasi, massimo ideale, che il giovane principe sabaudo fosse 1’ estirpatore dell’ eresia (2) ; e, segno chiarissimo della mancanza di spirito patriottico e (1) Claretta, Degli storici piemontesi e specialmente degli storiografi di Casa Savoia, Torino, Paravia, 1874. (2) Felice lui, che nell’ eti fiorita Fiero con mano armata, e co Ί conseglio Spinto de santo e pietoso sdegno Lieto caminarà dove 1' invita Et lo spirito santo, e’I padre c’I figlio Per spegner 1’ Hydra e Ί fiero mostro indegno. Questo concetto domina pure nella prosa e nei versi che formano le citate Pastorales sur le baptesme de Monseigneur Charles Emanuel prince de Piémont di I. Grangier, dove il battesimo del principino è narrato in forma di romanzo pastorale con poco buon gusto dello scrittore e molta noia del lettore , almeno moderno, ma dove pure sotto altri punti di vista si possono pescare utili notizie; del che ebbi io stesso a far l’esperienza. GIORNALE LIGUSTICO 19 nazionale in quasi tutta quella poesia cortigianesca, delirava sopra ogni altro Giambattista Giraldi Cintio. Il Giraldi, insigne letterato e umanista, autore degli Ecatommiti e di molte altre opere e per sè e per la storia letteraria di quella età importantissime, ingegno senza paragone superiore a tutti gli Ancina e i Bucci presi insieme, il Giraldi, che aveva gusto fine e senso d’ arte squisito quando trattavasi di critica e ha pur lasciata qualche poesia di freschezza mirabile, non sapendo che dire e pur volendo scrivere qualcosa, stranamente gonfiava come la rana della favola e da ultimo usciva a dire , quasi un Preti o un Achillini, che il Po Alzò dal letto suo superbo il corno Et con viso via più che mai sereno Disse, gioire hora ben posso appieno, Et starmi altier fra quanti fiumi ho intorno... Et, questo detto, si attuffò nell’acque ! dopo i quali versi non si possono più credere ispirati questi altri : Il valor tuo, fuor del comun costume, La fama porterà, con voce chiara, Da l’indo al Mauro, a l’uno e l’altro polo, e questi ancora: Tu di seguir le sue vestigia vago (1), Da Calpe te n’ andrai a i liti Eoi Cinto di Rai di Sempiterna gloria. Cosi per poco non sarebbe a gettar la penna e buttare i libri al vento, acquistata la convinzione che i poeti ciarlatani furono in gran numero in ogni tempo, e il più delle volte dove si cerca Orlando vien fuori Pulcinella. Ma per fortuna in quel freddo mucchio di retoricume c’è pure un componimento che s’ispira a più alti pensieri. Un (1) Sue, cioè quelle del padre. 20 GIORNALE LIGUSTICO Onorato Dracone o Drago, senatore, uomo colto, ma non letterato di professione, e perciò dal sentimento più schietto, più affine alla coscienza del popolo, fatti appena i complimenti d’uso, tosto dichiara che non vuol tessere le lodi del giovanetto e, domandatogli scusa e di ciò e della rozzezza del carme Princeps, ego mihi veìim Parci, si breve sil carmen, et baili satis Tornatum bene, quod profero; si praeteream tui Nunc laudes generis, tibi Quae natura dedit munera, quae poli Eventura tibi, quae facere et te inclyta nunciant, passa presto a rivolgergli consigli sul modo di governarsi per riuscire buon principe e ad indicargli le qualità che deve studiarsi di acquistare, i difetti che deve cercar di fuggire: Quin a patre Deo adcipe Et serva, ut populis grata benignitas Semper conciliet te, mereas de omnibus optime. Et fraterna imitatio Servet te placidum mitibus; haud tuo Agnoscare datus, sed populi tu mage commodo. Te diva aura suo movens Exemplo, moneat, quam sit amor potens, Ut tal non facile hic efficiat, quod fieri nequit. Custos pacis, idoneus Et bellum gerere, et vincere proelio Subiectis facilis parcere; amans ingenii probi (i). Forse Carlo Emanuele I non lesse mai questi versi, allora perchè bambino, più tardi per non essergli forse mai caduti sotto gli occhi, ma non per questo essi sono meno notevoli come Γ espressione più sincera del sentimento che animava (i) Tutte le poesie citate nel testo pel battesimo di Carlo Emanuele I sono tolte dal libro citato del Bucci. GIORNALE LIGUSTICO 21 i buoni Piemontesi nel festeggiare il battesimo del principino, e della poesia patriottica ch’era nel loro cuore. Furono quegli stessi principi che il Drago poneva nella sua ode latina, quelli che instillati dalla madre, dal padre, dai precettori, nell’animo di Carlo Emanuele fecero più tardi di lui un buon principe pieno di nobili idee e grande, massimo rappresentante del-Γ idea italiana nel secolo XVII, ispiratore di tutta una poesia, anzi di tutta una svariata letteratura informata a quell’ idea della patria, a quel grandioso concetto dell’ Italia (i). (i) Riguardo ai principi morali, eh’erano guida e norma ai sovrani della casa di Savoia nel governo dello Stato, si può consultare un curioso libro di quest’epoca medesima ed istituire un utile paragone colla poesia del Drago ora esaminata. Il libro s’intitola: Clarissimi // luris-con//sulti D. Hieronymi // Cagnoli, equitis et // Subalpini Ducis // Senatoris, // De recta Princi//pis institutione, // liber, // Ad Emanuelem Phi-libertutn Sabaudiae // Principem. // Coloniae, // Apud Ludovicum Alecto-rium, et haeredes Iacobi // Soteris, Anno mdlxxvii. Ne esiste un esemplare nella Nazionale di Torino segnato R. Vili. 148. Cosi fra le Poesie francesi a Carlo Emanueie I, Ms. nella Biblioteca di S. M., cod. 297, L. Vasserot in una poesia dal titolo Souhaits chrestiens, en forme de priere, pour son Altesse S., dove s’introduce Carlo Emanuele I, già Duca, a pregar Dio, sono posti in sua bocca questi versi: Donne moy des amis assurez et constans , Zélateurs de mon bien, maison, femme et enfans , Non amis simulez qui de bouche, et de mine. Monstrent tout le rebours qu’ilz n’ont en la poictrine : Mais donne m’en dç ceux, qui m’ayment d’une ardeur Telle que je les ayme et d’esgalle rondeur, Fermes iusqu’au tombeau dans la flamme sincère , Plus qu’en prospérité en temps sinistre esclaire Donne moy le pouvoir iustement repoulser Les efforts des méchants, qui voudront m’offenser En mes biens, mon honneur, ma personne et ma vie, Mais de me vanger d’eulx fay moy perdre l’envie : La vengeance est a toy, et ie te la remets , Car pour nous, mieux que nous, tòst ou tard tu la fais. Donne moy fc courage aux malheurs invincible, Aux travaux indompté, aux vices inflexible. Donne moy le moyen, tel que i’ay le désir, 22 GIORNALE LIGUSTICO III. Riportando alcune frasi della descrizione del battesimo di Carlo Emanuele I fatta da Agostino Bucci ebbi già ad accennare come il principino , in età appena di cinque anni, rispondesse in latino a tutte le domande che in quella circostanza gli vennero mosse, dal che si scorge come fosse già incominciata e ben avviata la sua istruzione ed educazione. Difatti gli era subito stata assegnata come aia la bella e grassona Barbara d’Annebault (i), di antica e nobile famiglia normanna e figlia ella stessa d’un maresciallo e grande ammiraglio di Francia, la quale, venuta prima in Piemonte ad accompagnarvi una nipote che andava sposa al marchese Gabriele di Porporato, sposava poi il cognato Girolamo, diventando così una delle dame più cospicue della corte ducale (2). Divenuta cara alla duchessa Margherita, di cui era compatriota, Digne elle trouva Chariot venant au monde D’avoir soing de ses iours, car à nulle s’esgalle En soing, en diligence, en prudence, en faconde, N’y ne cede a nully son ame liberalle (3). De recognaitre ceux qui m’auront fait plaisir: Et garde que jamais mon âme ne demeure Tachée vers aucun d’un ingrate failleure; Mais sourtout, o mon Dieu, ne permets que ie sois Mescognoissant des biens que de toy ie recoys, etc. Vedi anche Corbellini, Imagine del vero Principe, Ms. nella Nazionale di Torino, N. Ili, 42; e l’opera capitale di Giovanni Botero, Della ragion di Stato. (1) Grangier, Pastorales, p. in, la dice appunto « ronde et magnanime». (2) Grangier, /. c. (3) Pio Occella, I letterati alla corte del duca Carlo Emanuele il grande di Savoia, in Gaietta Letteraria, t. II, p. 105, Torino, 1878, ristampato con poche modificazioni in Poesie Spagnuole di Carlo Emanuele I duca di Savoia, Torino, Unione Tipografica, 1878, per nozze Weil Weis-Weil. GIORNALE LIGUSTICO 23 Dopo di lei, l’educazione del principino fu affidata ad Elena di Tournon, contessa di Montrevel, e a Maria di Gondy, sorella del famoso cardinale e sposa, in seconde nozze, di Claudio II conte di Pancalieri, 1’una e l’altra di chiaro lignaggio e delle più virtuose e colte di quella schiera nobilissima di gentildonne dove brillavano inoltre, partecipi alla festa del battesimo di Carlo Emanuele, la « benigna e graziosa » Anna di Montilard, Margherita di Saluzzo vedova del marchese di Termes, P « affabile e modesta » Francesca di Carnesay carissima a Margherita di Valois, Catterina Tor-nabuoni che l’aveva accompagnata in Piemonte, Lucrezia d’Ayelle, Antonietta di Montaffier di Stroppiana ed altre ancora parecchie (1). La Gondy era sopra tutte la favorita della Duchessa: « estoit touiours », dice il Grangier che la conobbe in quella circostanza (2), « comme une autre Nimphe aux pieds de sa Diane » : L’ardent zèle et l’amour qu’ elle porte à sa saincte Est si vive en son âme et d’une force telle, Que quiconque vouldra la trouver sans ce zèle Que premier il la cerche en une tombe estaincte. Non più di prima giovinezza, la sua bellezza non era ormai che un avanzo dell’ antica, e nondimeno era ancor fresca ben conservata nelle sue austere e matronali fattezze (3). Sotto la cura di queste dame e della madre crebbe nei primi suoi anni Carlo Emanuele, I e la buona Margherita, (1) Ocella e Grangier , II. cc. Cfr. Manno, Studi principeschi in Piemonte, p. 22, Torino, Bona, 1876, già pubblicato in Curiosità e ricerche di Storia Subalpina; t. II, puntata 7. (2) Loco citato. (5) Come si scorge da una medaglia che ce ne resta. Vedi Vernazza, G. B. di Savoia, pp. 4 e 7. 24 GIORNALE LIGUSTICO vedendolo di complessione gracilissimo, ne aveva riguardi infiniti e fin pregiudizievoli, a gran stento concedendogli un po’ di passeggiò in giardino ne' dì più sereni, dandogli mangiare a peso, e dopo il pasto facendolo star seduto per ore intiere, nè lasciandogli toccar frutta o confetti, sicché il povero fanciullo intiSichiva quasi di fame e di tedio. Tuttavia fu in questi primissimi anni della vita sua che gli capitò un curioso caso che lasciò molte traccie nella letteratura cortigianesca del Piemonte. Standosi un giorno in giardino alquanto lontano dalle governanti, da un cespuglio uscirono due serpi — probabilmente due innocue biscie, ma notiamo subito che se ne fecero poi delle vipere, dei serpenti e degli angui —: il fanciullo e col piede e con un bastoncino che teneva in mano le schiacciò. Cosa per sè insignificante e neppur segno di coraggio, chè a quella età non si ha coscienza di nessun pericolo e quindi è ignota ai più la paura, ma si gonfiò il fatto, e bisogna leggere le ampollose pagine che gli consacrano il Codreto nel suo Ulivo prodigioso (i) — 1’Ulivo prodigioso, s’intende, è Carlo Emanuele I — e gli altri panegiristi e scrittori di corte per farsi un concetto delle strane esagerazioni circa l’adulazione in quel tempo. Ad ogni modo 1’ eco di quel fatto si ripercosse largamente nella letteratura, e l’argomento fu trattato anche dal Marini che cosi lo descriveva: Ben dimostrossi all’ hor del gran lignaggio Del Guerrier dalla clava inclito germe, Quando da prima in loco erto e selvaggio Inesperto fanciul, soletto, inerme Prese là fra le spine e fra gli sterpi Pargoleggiando a strangolar le serpi. (i) P. 15 e segg.. GIORNALE LIGUSTICO 2 S Sedeasi al rezzo de Γ ombrose fronde Lungi da’ servi e da le fide ancelle, Et ecco vede attorte in livid’ onde Strisciarsi a’ piè due vipere gemelle, Che svincolando il flessuoso seno Spiravano mortifero veneno. Io non so se Medusa o se Megera Sì rigide dal crin mai se ne svelse; O se la bella Egittia prigioniera Sì crudel per uccidersi ne scelse : O pur se Palla in atto fiero, e strano Le spinse incontro al consiglier Troiano. In squallid’orbi e ’n lubrici volumi Vibran se stessi fulmini del bosco. Rosseggianti di morti ardono i lumi, Gonfio dall’ira irrigidisce il tosco. Lancian tre lingue, e 1’una e l’altra bocca Gravi d’aura Tartarea aliti scocca. Di ceruleo squalior, d’aurate squamme Ricche, e d’orgoglio tumide e superbe. Coi fiumi de le fauci, e con le fiamme De gli occhi annebbian l’aure, e seccan l’herbe. Ergono i colli, e spiegano i colori De le fronti spietate horridi horrori. Fan de la spoglia lor dipinta e liscia Lecando l’aere al Sol pompa crudele. Solcando il suol con lunga obliqua striscia, Spuntano in verde spuma accolto il fiele, E sollevando le cervici infette Fan di se stessi a un punto archi, e saette. Traggon là dove il regio Infante scherza, Nè ritardar le spire, i tratti e i guizzi; Et a legar con duplicata sferza Vanno il tenero piè pria eh’ei si drizzi, Le pungenti arrotando armi lunate De Γ ingorde voragini dentate. 2 6 GIORNALE LIGUSTICO Nè mai per Γ arenosa arida sabbia Le verdi scaglie, e le sanguigne creste Armando di furor, con tanta rabbia Scagliossi al peregrin Libica peste, Con quanto allhor gli si avventaro, e quali I sibilanti ed animati strali. Ma Ί feroce bambin, novello Alcide, Deludente serpentin non teme il rischio, E de le gole spaventose irride Pien di morbo mortale il fiato, e’I fischio, Anzi dal piè, benché tenaci e doppi, Si snoda ardito i venenosi groppi. E le teste, e le code immonde, e sozze, Si preme al petto, e strettamente abbraccia, E le profonde, e smisurate strozze Tra le picciole palme afferra, e schiaccia: Cosi scoppiata alfin con man di latte La pestifera coppia a terra batte (ij. Per poco non pare una parodia; ma non c’ è neppure a pensarvi, e il Marino scriveva con egual serietà queste sestine e tutto il resto del suo Ritratto Panegirico di cui fanno parte. Anzi più tardi, quando già Carlo Emanuele, divenuto Duca, s’era acquistata grande riputazione per la guerra contro Francia e pel suo primo atteggiarsi risolutamente contro la prepotenza della Spagna e dell’impero, per un bisogno divenuto allora vivissimo di trovare delle nuove espressioni, qualunque esse fossero, del sentimento nazionale, si prese a considerare il caso delle biscie come un pronostico mirabile, e quelle, già fatte vipere e serpenti ed angui, vennero a raffigurare le due case d’Austria e di Francia, alle quali vitto- (i) Marino, Ritratto Panegirico cit., sest. 40-49. GIORNALE LIGUSTICO 27 riosamente resisteva il principe sabaudo, sicché Giovanni Boterò scriveva: Aurea quassatas Gallorum lilia: sistis Nunc Aquilam; tilulis fulgeat illa licet (1). Dapprincipio però non si era data tutta questa importanza a quel fatto, e la sola persona che se ne occupò e preoccupò forse fu la madre, la quale dovette raddoppiare la vigilanza e tener sempre più a regime il fanciullo. Il quale, non ostante quella vita ripugnante alla sua natura, d’ ingegno pronto e svegliato, imparava a meraviglia, disegnava bene, parlava varie lingue, ballava con leggiadria e in ogni gesto mostrava grazia con dignità (2); e se non vi avesse probabilmente posta la mano il maestro, sarebbero davvero meravigliosi i disegni di diversi vasi che un manoscritto della Biblioteca di S. M. di Torino dice « inventione del S.m0 S.r Principe di Piemonte, del 1568 » (3). Precettori di Carlo Emanuele furono Antonio Goveano portoghese, insigne giureconsulto e professore nell’ Università di Torino (4); Francesco Ottonaio fiorentino , matematico ed astronomo (5) , e quel Giambattista Benedetti, nato a Venezia di padre spagnuolo, e astrologo riputatissimo, il quale pure morì dodici anni prima di quel che aveva egli stesso predetto (6); qualcuno v’aggiunge anche, ma non sembra troppo probabile, Giambattista Giraldi Cintio (1). (1) Botero, Carmina, p. 8. (2) Morosini, Relazione, p. 171, in Albéri, Relazione degli ambasciatori veneti. (3) Due facsimili furono pubblicati dal Manno, Op. cit., p. 25. (4) Vallauri, Storia delle Università, t. I, p. 192-194, il quale però tace la qualità di precettore di Carlo Emanuele data dall’ Occella, 1. c. (5) Vallauri, Op. cit., p. 192. (6) Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, t. VII, parte III, pagine 776-778; Vernazza, Vita di Bartolomeo Cristini, p. 16 e seg. 28 GIORNALE LIGUSTICO E il fanciullo faceva rapidi progressi, e intanto continuavano gli encomiatori e gli adulatori che lo esaltavano e levavano a cielo. Nel 1573 era volta di Anastasio Ger-monio, allora appena ventenne, ma gii arciprete e poeta, il quale più tardi acquistò grande riputazione come canonista e fu da papa Clemente Vili aggiunto alla Congregazione per la compilazione del settimo libro delle Decretali e da Francesco Maria II, duca d’ Urbino, e da Carlo Emanuele I adoperato più volte come ambasciatore, morendo anzi nel 1617 nella legazione di Spagna (2). Il Germonio, che tu in vita sua un gran consumatore di carta e buttò giù vo-lumoni latini sulle Sacre immunità, sugl’ Indulti, sul Quinto libro delle « Decretali », parecchi libri di Osservazioni di Diritto civile e canonico, gli Atti della Chiesa di Tarantasia, di cui fu arcivescovo, due libri di Lettere pastorali al clero e al popolo della stessa provincia, molte poesie e una curiosissima opera dove cercava dimostrare la primazia della lingua latina sull’ italiana e adduceva a difesa del suo teorema, cosa singolare e curiosa, l’antica ipotesi di Leonardo Aretino sulla derivazione dell’ italiano dal latino rustico oggidì ripresa e fatta prevalere dai filologi nostri (3); il Germonio faceva allora soltanto le sue prime armi, ma dotto nell’ arte d’ arrampicarsi — non aveva studiato il diritto canonico per (1) Occella, 1. c. (2) Vallauri, Storia delta poesia in Piemonte t. I, p. 192 e segg., Torino, Chirio e Mina, 1841. Idem, Delle società letterarie in Piemonte, Torino, Favaie, 1844. (3) Pomeridianae sessiones in quibus linguae latinat dignitas adversus eos defenditur, qui cum ea Hetruscorum idioma non modo conferre, sed et anteponere audent, ad Serenissimum Carolum Emmanuelem Italiae Subalpinae principem, in Opera, t. II. Questo libro fu molto lodato dai letterati della corte piemontese, fra gli altri dal Fabri, da Fabiano Mazono, e da Carlo Pascal. Sono quattro dissertazioni dove 1’ autore a provare il suo asserto si serve specialmente di argomenti giuridici, a cominciare dalla legge GIORNALE LIGUSTICO 29 nulla — tributava lodi larghissime alla Duchessa, e non solo come a figlia di Enrico II e moglie di Emanuel Filiberto, ma ancora come Et mater Caroli tempore Principis isto magnanimi, quem colit haud Padus solum, sed quoque fines omnes educit unda quas Nili dividitur (1). Egli si volgeva poi in particolar modo al principino in una altra ode, dove lo diceva mandato dal cielo per la gloria del suo paese: Et simul cantare velini camoenas Principis laudes Caroli, Deorum qui fuit missus solio ex supremo hanc in regionem (2). Tutte ciancie e vana retorica, ma che per altro non doveva restare neppur essa senza frutto, perocché a questo modo s’ andava formando ogni di più nel Piemonte un centro di coltura e di vita letteraria e si preparava conseguentemente 1’ attrazione in quest’ orbita di molti letterati e poeti d’ingegno ben maggiore, i quali venendo ad incontrarsi con un principe ardito, per natura inclinato nello stesso tempo agli studi ed all' armi, e con un popolo forte e tenace nell’ a-more dell’ indipendenza, dovevano naturalmente affrettare la formazione dell’ idea nazionale italiana e consacrarla con 1’ opera loro. Iudices del titolo De Sententia di Arcadio e Onorio. L’ argomento della derivazione dell’ italiano dal latino rustico citato nel testo si trova nella sessione seconda. (1) Anastasii // Germonii Sallarum // Archipreshiteri // Marchionatus Cevae // De Academia Taurinensi Carmen // Ac carmina diversi generis //... vi cal. aprilis mdlxxiii, in 4. Opera rarissima di cui esiste un esemplare nella Biblioteca di S. M. di Torino. Il passo citato è a p. 15. (2) Ìbidem. 30 giornali; LIGUSTICO Nè Emanuel Filiberto mancava di concorrere aneli’ egli a questo fine: certo esso era troppo remoto, perchè il Duca vi potesse pensare ed avesse piena coscienza di quanto faceva ; egli non mirava che a scopi più vicini, da un lato afforzare meglio il suo Stato, dall’ altro renderlo più splendido ed onorato. Ma il risultato era il medesimo, ed Emanuel Filiberto faceva opera italiana quando promoveva gli studi, come quando cercava di ottenere da Enrico Ili, re di Francia, le fortezze di Pinerolo e di Savigliano che ancor restavano nelle mani di quel monarca. Enrico III era divenuto re di Francia per la morte inopinata del fratello Carlo IX: la notizia gli giunse in Polonia, donde fuggì abbandonando quei suoi popoli e quel suo regno per un altro maggiore, ma non più quieto. Emanuel Filiberto gli andò incontro fino a Venezia (i), per quali ragioni ha già spiegato il Ricotti (2), e di là tornò con lui in Piemonte entrando con gran pompa in Torino il 14 agosto 1574, arringato brevemente dal dodicenne Carlo Emanuele e più a lungo e gonfiamente dal solito Agostino Bucci, che in nuli’ altro fu pronto più che in istampar subito il suo discorso con tre sonetti italiani piuttosto cattivi e uno francese un po’ meno detestabile (3). (1) Grandi feste gli furono fatte in Venezia. Vedi, oltre le note stampe del Sansovino e del Benedetti (Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, 2.* ediz. Torino 1880, p. 336), Relazione dell’ingresso di Enrico III a Venezia Ms. nella Nazionale di Parigi, cod. 1494, p. 45-52, e le Feste et trionfi fatte dalla Signoria di Venetia nella felice venuta di Henrico 111, in Cod. 799 (1047-5) della Nazionale di Parigi, f. 1-28. Vedi pure Graf, Attraverso il Cinquecento, p. 217 e segg. (2) Op. cit., t. II, p. 3S3 e segg· (3) Oratione // di M. Agostino // Bucci, lettore di // filosofia , et oratore // Del Sereniss. Sig. Duca di Savoia // Per la entrata di Henrico III // Christianiss. Re di Francia, // et di Polonia // in Turino // Con quattro GIORNALI- LIGUSTICO 31 Il Duca scortò poi Enrico III con 5000 fanti e 400 ca-valleggieri fino a Lione, dove continuavano le feste. Ma ecco in quel mezzo giungere triste novella della malattia di Margherita e di Carlo Emanuele. Il 14 settembre Emanuel Fi-liberto partiva da Lione alla volta di Torino, ma giunse qui troppo tardi, chè se il figlio stava meglio, la sua povera moglie era già morta. (Continua). Ferdinando Gabotto. DEL SEGNO DEGLI EBREI (Continuaz. v. pag. 331, anno 18S8). Nelle terre per virtù propria prospere ne’ traffici non ebbero gli Ebrei gran fortuna. Tuttavia in Genova, emporio della Liguria fino dal tempo di Strabone (1), essi soggiornavano di già nel secolo quinto e prima, posciachè Teodorico confermò i privilegi che vi godevano dall’ antichità, e pro- sonetti // del medesimo, parte in lingua Italiana, // parte in Francese, // Stampata in Turino , Et ristampata in Milano per Va- // lerio et Hie-ronimo fratelli da Meda, 1574, nella Miscellanea G, Vili. 16 della Nazionale di Torino. I sonetti non furono notati dal Vallauri nella bibliografìa delle opere poetiche del Bucci. Vedi Storia della poesia in Piemonte, t. I, p. 270-271. Ecco i titoli di questi sonetti: Sonetto al Po sopra T im· barcamento di S. Maestà Christianis sima nel ritorno di Polonia passando in Francia per Vinegia, Lombardia e Piemonte, che incomincia: Hor di vittoriosa e sacra fronde ; A Sua Maestà Christianissima, che incomincia : Non forza, arte, fortuna, o van disegno ; Sonet à la France en vers Alexandrins, che incomincia: Voicy venu le temps, heureux peuple de France ; Alla Serenissima Madonna, che incomincia : Cessate ornai dall’ angoscioso pianto. (1) Geografi, lib. V. 3 2 GIORNALE LIGUSTICO mise di conservarli illibati per Γ avvenire (i). Lo stesso Re condiscese che rifacessero una lor Sinagoga rovinaticela, ma perchè, scaduti quali erano dalla grazia divina , non montassero in superbia sopra i Cristiani, pose condizione che la nuova non fosse più ampia dell’antica, nè vi si aggiungesse ornamento da renderla più ragguardevole (2). Condizione o norma che non sembra particolare di quel Re, o meglio di Cassiodoro suo Cancelliere, ma generale, ordinata dai Canoni o stabilita come consuetudine; stante che gli Ebrei di Castrogiovanni avendo impetrato da Fede-rigo III nel 1361 di abbattere la loro Sinagoga, danneggiata dalle guerre civili della Sicilia, e d’innalzarne un’ altra, il Re deputò un Frate de’ Minori a vegliarne la costruzione , e questi impose che fosse piuttosto angusta e disadorna affatto, altrimenti 1 avrebbe gitata a terra (3). Se poi nel territorio Ligure si volesse comprender Luni, perché l’opinione comune che arreca quella città all’ Etruria non ha miglior fondamento che un decreto di Augusto, gli Ebrei possidenti nell’ agro Lunense all’ età di San Gregorio Magno, registrati sotto Firenze , dovrebbero passare sotto Genova, in conto della Liguria (4). Questo è quel più d’ antico che posso fornire. Nel secolo dodicesimo si veggono sottoposti gli Ebrei ad una tassa per la luminaria della Cattedrale genovese di S. Lorenzo (5) ; donde si potrebbe inferire , che i loro privilegi se n’erano iti od almeno in gran parte, per l’obbligo di sup- (1) Cassiodori, Variarunt, IV, 53: Genevae, 1664. 2) Id. Variar, cit., II, 27. (3) Zunz, Storia degli Ebrei in Sicilia, tradotta dal tedesco da Pietro Perreau , pag. 74 (nell’ Archivio Storico Sicilùmo, pubblicazione periodica della Società Siciliana di Storia Patria, Nuova Serie, ton1. IV). (4) Vedi sopra nel discorso di Firenze. (5) Staglieno, Gli Ebrei in Genova, pag. 176 (nel Giornale Ligustico, A. 1876;. GIORNALE LIGUSTICO * 33 plire la spesa d’ un culto da loro avversato. E di fatto poco appresso furono mandati via, e loro non si lasciò di trattenersi in Genova più che tre giorni (i). Se non che cacciati gli Ebrei dalla Spagna sulla fine del secolo quindicesimo, dopo spenti alcuni nel viaggio dalla fame e dal travaglio del mare e non pochi sommersi iniquamente dall’avarizia de’ marinai, una grossa brigata di questi, nel 1492, approdarono in quella città, e più morti che vivi vennero raccolti nelle vicinanze del molo, dove, nonostante la legge de’ tre giorni, la pietà cittadina acconsenti che vi restassero tanto da rifarsi un poco dai patimenti e riparare le navi per proseguire (2). Ma per impedire che altri ne capitassero, nel 1493 si decretò che niuna nave ne portasse, nè approdasse con essi in tutta la costiera ligure, salvo che per bisogno di vettovaglie o per soccorsi di salvamento, guardando però che intanto gli Ebrei non conversassero colla ciurma (3). De’ primi arrivati forse non tutti, qual ne fosse la ragione, ripartirono insieme. Essendoché il 5 aprile 1501 il Governatore pel Re di Francia comandò agli Ebrei il Segno giallo tondo e largo almeno quattro dita, senza dispensarne nè pure i medici (4). E quindi si trova l’Ufficio per gli Ebrei, il quale, raffermato 1’ ordine del Segno, ricordò la dimora degli Ebrei non poter passare i tre giorni, se non volevano essere venduti come schiavi; e dopo non molto, cresciuto 1 appetito, proclamò lo sfratto generale, a pena della schiavitù, della vita e dell'avere (tutta questa roba affastellavano insieme per più fracasso), eccettuati i forniti di salvocondotto ed i medici (5). Questi ordini si replicavano (1) Id. loc. cit. (2) B. Senaregae, Annal. Gen. A. 1492, in Muratori, R. I. S. vol. XXIV. (3) Regulae Patrum Comunis, pag. 162: Genova, 1886. (4) Regulae cit., pag. 161. (5) Staglieno , op. cit., pag. 394. Giorv. Ligustico. Anne XVI. 34 GIORNALE LIGUSTICO spesso , perchè non si osservavano mai interamente. Intanto che verso il 1550 largheggiavasi nei salvacondotti per poter stare in Genova e permettevasi agli Ebrei di soggiornare in alcune terre della Liguria cinque e sei anni, e con facoltà di tener banco di presto e trafficare liberamente, senza legame di Segno, nè d’ altro (1). Con questo andare si giunse tranquillamente al 15S7, quando, per l’opera segreta dell Arcivescovo, prima che fossero spirate le convenzioni, e contro la tede pubblica, si rimise il Segno, un nastro giallo in capo, uomini, donne e fanciulli ; dopo pochi giorni, non in capo, ma in petto e non in viaggio; escluse le donne, perche 1’ acconciatura del capo delle Ebree era sufficiente a diesarle dalle Genovesi (2). Non rara allora questa nazionale distinzione delle donne ebree, e usata tuttavia in Algeri, dove elle si cuoprono, a differenza' delle paesane, la testa con un gran berrettone cilindrico appuntato, portato dalla Siria, che poi tu delizia delle donne francesi e fiamminghe nel secolo quindicesimo insieme colle corna (3). Da questa improvvisa severità si venne nel 1598 ad un altra cacciata, a cui aveva disteso 1’ arco la gente che si dice pia, donde si ritornò a’ salvocondotti, e chi sa quanto sarebbe durato quel vivere propizio agli arbitrii ed alle guadagnerie (4)· Se non fosse stato -che nel 1648 instituitosi in Genova un Portofranco proragabile di dieci in dieci anni, per tutte le merci e tutte le nazioni, il Governo saviamente comprese fra queste l’ebrea. Da ciò essa poteva stanziare in Genova sicura colle sue robe, senza molestie particolari, (1) Staglieno, op. cit., pag. 394. (2) Staglieno, op. cit., pag. 395. (3) G. D’ Èze et A. Marcel, Histoire de la coiffure des femmes en France, ch., V : Paris, 1886. (4) Staglieno, op. cit., pag. 397. GIORNALE LIGUSTICO 35 manco del Segno ripristinato nel 1629, perchè chi voleva scambiarlo in tassa di otto reali il mese, potevalo, ad incremento dell’opera, incominciata nel secolo sedicesimo, di purgare di mendicanti la città (1), comecché lo scambio contrastasse alla intenzione de’ Canoni. Ma non volse gran tempo e la Signoria ricadde in altre e maggiori debolezze. Ingiunse agli Ebrei di assistere alle prediche della quaresima forzati e scherniti ; montò il testatico ad uno scudo d’ oro 1’ anno e rinnovò il Segno (un nastro verde) per la cui esenzione era stata creata quella gravezza ; promise di assegnare un luogo per la loro Sinagoga (1’ avevano a’ tempi di Re Teorico e prima, e nel diciasettimo secolo non più!); permise che comprassero un pezzo di terreno per farne lor cimitero; ordinò il Ghetto, dove gli Ebrei fabbricassero la Sinagoga, e vi stessero chiusi con due cancelli di ferro da un’ora di notte al mattino e tutto il giorno di giovedì, venerdì e sabato santo; il quale Ghetto si aprì sul finire del 1660, intesa la parola nel senso di vera e regolare reclusione ; vietò di tenere balie cristiane senza licenza ; gli Eccellentissimi di Palazzo essere i loro Protettori ; e questi capitoli durare dieci anni dal primo gennaio 1659 (2). Come si vede i capitoli erano piuttosto duri che no; ma non fu dura l’esecuzione; essendoché dall’ angustia del Ghetto, alcuni de’ più agiati ottenevano di star fuori; moltissimi dispensati dal Segno ; e negli ultimi anni non si parlava più di prediche (3). Stava per finire il decennio , e la parte nemica agli Ebrei, per varie colpe apposte loro, benché poscia riconosciute false, e per intromettersi nella faccenda i pregiudizi religiosi, e le gretterie mercantesche , essa brigava caldamente affinchè (1) Staglieno, op. cit., pag. 398. Vedi Magistrato de’ poveri. (2) Id. op. cit., pag. 390. (3) M. op. cit., pag. 406 e 407. 56 GIORNALE LIGUSTICO fossero sbanditi, od almeno i nuovi capitoli si stringessero di più. Ed il Governo prese il secondo partito, cioè confermò i capitoli antichi, con variazioni grandissime; chè converti il Segno del nastro verde in un cappello giallo , tanto più molesto quanto più ridicolo; impose una tassa scalata per testa, estensibile a cinque scudi d’argento l’anno, assai grave ; impose una predica al mese, anche peggio (i). Nondimeno il Governo continuando il suo modo, da una parte cedeva agli Ecclesiastici nell’ordinare e dall’altra cedeva agli Ebrei nell’eseguire. E cambiò il cappello in nastro giallo da portarsi in petto, e le prediche cessarono. Ma 1 incertezza delle sue leggi doveva procurargli le querele della Podestà ecclesiastica, donde era difficile il difendersi ; sicché impacciato nelle sue contraddizioni e ravvolto da’ maneggi, fu trascinato nel 1737 a cassare i capitoli ed intimare agli Ebrei di sgombrare la città entro sei anni. Per tutto ciò gli O . Ebrei poveri finalmente se n’andarono dalla disperazione, ed i ricchi minacciavano di andarsene invitati dalla 1 oscana. Allora il Governo, per non perdere tanta ricchezza al mercato genovese, si riscosse, e primieramente acquetò gli Ebrei ricchi con blandimenti e largo soggiorno; e nel 1754 8^' assicurò con nuovi capitoli, ne’ quali non più prediche, non più Segno, non più Ghetto (2). Incominciava a spirare non lontana l’aura messaggiera della vita nuova. In Lucca, simile ad altri luoghi, prima erano cittadini quelli che facevano 1’ arte del prestare ad usura , standosi a loro banchi pubblici 0 casone quali si dicevano ; dove costumavano emolumenti, che il terminarli nello Statuto della Gabella maggiore del 1372 in quaranta per cento l’anno, (1) Staglieno, op. cit., pag. 409, 410. (2) Id. op. cit., 411. GIORNALE LIGUSTICO 37 parve alla Repubblica grande moderazione (i). Ma al tempo di Paolo Guinigi tale esercizio si diede per monopolio ad alcuni Ebrei chiamati a posta da Forli, dacché i cittadini, meglio avvisati o già bene ingrassati, s’ erano ritratti da quella industria (2). Ora a questi Ebrei dopo poco cadde sul capo il passaggio per Lucca dell’imperatore Sigismondo, il Princeps pacis dell’Apostolo, sceso dall’Alpi per reconciliare omnia (e guadagnarvi su), che poi non riconciliò nessuno e non riesci nè pur mediatore, preferiti a ciò i marchesi Niccolò d’Este e Luigi di Saluzzo suoi vassalli. Prodigo anziché liberale, egli spesso non poteva condurre a termine le operazioni che aveva alle mani (3); e come prodigo nel dare, necessariamente era avido nel ricevere. Da tali strettezze egli forse si trovò tormentato in Lucca; onde per rifornirsi alla giornata pensò ad un modo quale si fosse, pure di non destare l’avversione della turba, ma più presto l’applauso e l’invidia dell’imitazione. Il modo ci rimane descritto da un poetastro contemporaneo in versi pessimi, chè non valeva meglio il goffo scherno e la turpe rapina di Cesare ; però ne riferisco sol quanto abbisogna : Riposalo più giorni a parlar prese Lo Imperador e disse, io vorrei Che voi mandaste sen{a più contese Per quelli i quali va' chiamate Judei, Fate che vtgnan qui a me palese Isti qui sunt nisi giura Dei (?). Mandato fu per lor senζ’ altro dire E fur davanti allor fatti venire. (1) Bongi, Inventario del R. Archivio di Stato iti Lucca, I, 210. (2) Id. loc. cit. (3) Leon. Aretini, Comment, col. 936 (Murat., R. I. S., XIX}. 38 GIORNALE LIGUSTICO Essendo avanti a lui quei Giudei tristi Lo Jmperador cominciava a parlare : Voi si dicesti in Passione Christi, Che solo Cesar ha sopra voi a fare: Da che voi siete sotto i miei conquisti Mille ducati fate di portare. Maticho Conte (i) chiamò sen^a lena E dice facias ibi bastalena (2). I tristi Ebrei a questa argomentazione dovettero chinar la testa e sborsarono i mille ducati all’ Imperatore, oltre cento per soprammercato al Conte che aveva eseguito 1’ ordine di Sigismondo a bastalena. Però eglino, tra per la soperchieria sostenuta e per le nuove tasse del Comune, vedendo pericolanti i loro negozi, avevano preso il partito di andarsene se la Repubblica non li rafforzava con patti gagliardi. Onde il Comune per trattenerli acconsenti a’ loro desiderii, e nel 1432 provvide ampiamente alla sicurezza loro e di tutti gli Ebrei che per l’avvenire sopraggiungessero. L’estrema altezza dell’usura stabilita ne’ capitoli di quell’anno fu del 33 ’/s per cento, pertanto di 6 j/ì meno dell’assegnata nel 1372 a prestatori Cristiani ; il che mi pare osservabile e da potersene trarre molte considerazioni (3). E cosi procedette quella industria venti e più anni, quando gli Anziani facendosi finalmente coscienza del commercio cogli Ebrei e dell’ usura riconosciuta da loro e favorita, si risolvettero d’implorare dal Papa l’assoluzione del malfatto ed il paterno riguardo nelle condizioni temporali de’ loro cittadini. Papa (1) Questo Conte Maticho potrebbe essere il Conte Mattillo de Tol-lonictz, che apparisce con altri baroni del seguito di Sigismondo nel diploma lasciato al Marchese di Mantova il 6 maggio 1422 (Lunig, C. D. I., 1376). (2) Streghi Alessandro, Il Piccinino, Poema, st. 38, 59 : ms. Bibliot. Lucca, n. 912. (3) Bongi, op. cit., pag. 21 r. GIORNALE LIGUSTICO 39 Niccolò V rispose da pari suo colla Bolla incominciante : Quamvis nprobanda sit Iudeorum perfidia , utilis tamen est, ipsorum conversatio Christianis, prout hoc tempore experientia teste comprobatur; unde cum sint ab omnium Creatore creati, non debent a Christi fidelibus evitari. (E con questa dichiarazione si mantenevano i Ghetti !). Il Papa assolvette i Lucchesi dalle censure e sentenze incorse, e loro permise di tenere uno o più prestatori Ebrei, a cui potessero appigionare case, e con quelli conversare per le loro faccende, sol procurando che il peso dell’usura fosse al possibile leggiero (i). Anche Pioli fece le stesse larghezze a Venezia (2). Ma nel 1487 , per P asssidua opera d’ un buon Frate che de’ Monti di Pietà aveva fatto l’impresa della sua vita, uno di questi si fondò anche in Lucca. Di che lo stato de’ prestatori Ebrei diventò difficile. Sorsero processi e dispareri. E per troncare ogni differenza, o meglio perchè non avevano più bisogno di loro, il Consiglio Generale, che gli aveva prima chiamati, nel 1372 li scacciò da tutto il territorio, ordinando da quindi innanzi non potessero trattenervisi più di quindici giorni e colla licenza degli Anziani, pena agli uomini maggiori di anni diciotto scudi dugento e, non pagando, la galera per tre anni, ed alle donne e minori d’ anni diciotto scudi cento e, non pagando, la scopa (3). D’allora in poi la troppa frequenza degli Ebrei , ossia la troppa correntezza della licenza, parendo pericolosa, si aggiunse che gli Ebrei dimoranti in Lucca colla licenza non albergassero se non nelle pubbliche osterie e ad un’ ora di notte fossero alle loro camere; si parlò ancora del Segno, ma trattandosi di breve soggiorno non se ne fece caso (4). Nel 1699, la licenza fu de- (1) Nicolai P. V, Butta XII kalendas sfptenibris 1452. (2) Pii P. II, Bulla XV hai. januarii 146}. (3) Cotis. Gen. Lucch. Delib. 29 febbraio IS72. Ms. Arch. Lucch. (4) Id. Delib. 23 luglio 1687. Ms· Arch. Lucch. 40 GIORNALE LIGUSTICO terminata a sedici giorni, da non potersi passare per nessun rispetto, eccetto pe’ venuti a’ bagni, a’ quali si concedette il tempo necessario alla cura (i). Gli Ebrei non fecero mai più nido in quella città, ed anciie oggi pochi vi abitano. — Degli Ebrei di Mantova , movendo dal secolo XV che incomincia a chiarirli, eglino in quel tempo per virtù della Bolla di Martino V del 6 giugno 1423, non avevano il precetto del Segno, erano bene co’ Cristiani, potevano giovarsi di levatrici, balie e famigli cristiani, insegnare a’ Cristiani il ballo, il suono ed il canto, ;d i loro medici curarli, potevano esercitare uffici pubblici ed acquistare terreni anche a livello; bontà della Casa Gonzaga, la quale si adoperò eziandio a salvare dai furori della Inquisizione i libri ebraici, e quindi le buone e belle edizioni che se ne fecero in quella città ne’ secoli XV e XVI si debbono a lei (2). Ma nel secolo XV Γ venendo sempre più ad angustiarsi generalmente lo stato degli Ebrei pel sentimento pubblico che affascinato incominciava ad avversarli, Guglielmo Gonzaga che non voleva bandirli e non ' o o poteva trascurare quell’ avversione, per non lasciarsi sopraffare dispose che ad aevitandum scandala, quae ex mutua criOia-tiorum et hebreorum conversatione in dies occasione predicta or ire possunt, fosse proibito a qualunque Israelita di tenere a fìtto o colonia qualsiasi stabile; annullò tutte le scritture anteriori; e prescrisse agli Ebrei, da lui tollerati, come dichiarava bonamente, per la comodità de’ sudditi suoi, il Segno 0 meglio due, di panno rancio, mezzo braccio 1’ uno, da portarsi palesi sopra il saio o giubbone vicino alla bottoniera, sotto la pena di trenta scudi e della berretta gialla 0 rancia veneziana, scambio di quel panno (3). Le cose erano mutate. Ma al- (1) Id. Delib. io giugno 1699. Ms. Arch. Lucch. (2) Rocca, Cenni sulla Comunità Israelitica di Mantova, pag. 187 (Annali di Statistica, Serie III, vol. IX). (3) Grida del 28 aprile 1577. Ms. Arch. Gonzaga Mantov. GIORNALE LIGUSTICO 4* meno sarebbero andate per la piana e fin dove piaceva al prudente principe di andare, se non veniva a precipitarle il predicatore Fra’ Bartolomeo Cambi da Salutio di Toscana, uno di quelli a cui non sembra che il Vangelo sia fatto anche per loro. A lui parevano troppo riguardose quelle restrizioni, e poiché del bandire assolutamente gli Ebrei era nulla, il 7 agosto 1602, raccolta in piazza una udienza di più migliaia di gente, il Frate folgorò e tonò con quanta lena si avesse contro gli empi costumi degli Ebrei e contro la vita beata che loro s’imbandiva in Mantova come in Terra di Promissione dove scorreva latte e miele ; e conchiuse che ogni lor compagnia e famigliarità fosse rotta coi Cristiani, si rinchiudessero tutti insieme gli Ebrei, come .si meritavano, in luogo a parte, e portassero il Segno ordinato nel 1577 (onde sembra fosse dismesso) ; troppo manifesto, egli diceva, esser costoro nemici nostri dichiarati, ma prima nemici di Gesù Cristo e de’ suoi Ministri (2). Alla domanda della chiusura il Principe, benché ne avesse datò qualche speranza al Papa, tuttavia non vi si acconciava di buon animo. Forse abitando gli Ebrei in contrade particolari ed appartate, ciò non gli pareva atto necessario od almeno non urgente se altro non interveniva. E in ogni modo prima di porvi mano egli doveva provvedere al disturbo inevitabile da quella chiusura così agli Ebrei come a’ Cristiani, e non correre a disgustare alle grida sudditi fedelissimi e numerosi, la quinta parte della popolazione di Mantova quanti erano allora gli Ebrei in quella città; i quali, dacché i nobili, gonfi di stolta superbia, non degnavano le piccole aziende del loro Signore, gli Ebrei esercitavano le gabelle del Ducato, come spesso in Inghilterra, più anticamente i banchieri intaliani, ed insieme i commerci abbandonati e le (2) Vigilio, Cron. Mantov., cap. 138. Ms. Arch. Gonz.: citata dal Carnevali, Ghetto di Mantova, Mantova, 1884. 42 GIORNALE LIGUSTICO arti, con grande utilità e benefizio del Comune (i). Vero è che il Concilio di Màcon del 581 aveva proibito di mettersi le imposte nelle mani degli Ebrei; ma quando questa usanza era quasi generale, quando anche le tenute particolari de’ Principi erano condotte da quelli, ed in Ispagna anche i proventi degli stessi Regolari, non accade negare che questo monopolio , non avesse radice profonda nello stato economico e civile de’ popoli, a cui con un tratto di penna non si poteva presumere di rimediare senza dissesti ed ingiustizie (2). Ma il Frate, che non aveva altro che pensare, senza tante considerazioni voleva il Ghetto e subito. In questo egli accadde troppo opportunamente che alcuni Ebrei fossero abbominati di avere contrafatto in Sinagogna il Frate ne’ suoi esercizi sacerdotali. Ciò fu olio nel fuoco del Predicatore, che se ne giovò mirabilmente al cospetto del popolo, mettendo in compromesso, non che tutta l’Università ebraica, lo stesso Principe. Il quale, come favoreggiatore degli Ebrei già sospetto al Papa , e più al Predicatore, se ne spaventò, e cercò di uscirne, dando un infame contentamento al Frate, col sacrificio delle vite di sette Ebrei giudicati colpevoli, Dio sa come, del misfatto predetto; prima accoppati coll’accetta dal boia e poi colla berretta rancia in capo impiccati per un piè; banditi in perpetuo (orribile a dirsi) le mogli e i figliuoli innocenti e tutti i discendenti loro; e bandito e confiscato chi gli aiuta\a e raccettava (3). E nondimeno il Frate per questa pro\a sanguinosa di coscienza cattolica data dal Duca, non si placò, (1) Albèri, Rclai- Ven^ Ser. II, vol. V, pag. 367. MacphessoN, Annah of Commerce, I, pag. 487 ed altrove. (2) Concil. Matiscon., A. 581, cap. 35. Caraccioli, De Inquisitione, Epistola, col. 96 (Muratori, R. 1. S., XXII). Hurter , Storia di Papa Innocenzo 111, lib. Ili: Milano, 1839, trad. Toccagni. {3) Decreto del Duca Vincenzo Gonzaga, del 14 agosto’ 1602, citato dal Carnevali. GIORNALE LIGUSTICO 43 perchè vedeva fuggirglisi di mano o non affrettarglisi il trionfo della missione del Ghetto impostagli da Roma. Per che tutto invelenito, nell’addio alle migliaia di mantovani, che pende-devano estatici dalle sue labbra, accumulò furore con furore, e tanto si riscaldò ed impazzò, che nella rabbia del discorso maledisse con terribili imprecazioni il Principe, la sua famiglia, i ministri suoi, il Vescovo (uno de’ Gonzaga) e perfino gli elementi che non si prestassero docili all’ adempimento della sua stoltizia. Intanto i muti parlavano , i sordi udivano, gli storpi si raddirizzavano, gli indemoniati racqui-stavano la libertà, i ciechi vedevano (2). Che maraviglia se in tanta commozione di spiriti, il popolo sbalordito perdette aneli’ egli la vista e minacciò di fare a fatti quello che aveva udito per le parole consacrate da’ prodigi? E già egli ronzava intorno alle case degli Ebrei in procinto di violenze. Sicché al Duca convenne prendere un partito gagliardo : ai sudditi cristiani pose la forca e la confiscazione de’ beni, se in qualunque modo molestassero gli Ebrei (3); ed al suo Agente in Roma commise di praticare che il Predicatore fosse degnamente punito. Il Frate, dopo una giravolta a Rimini, per non parere fuggiasco, ne andò a Roma e prese albergo nel Convento di S. Francesco, non uscendone mai che per dir messa (4). Ma il processo contro di lui incominciato e sollecitato andava per le lunghe , giacché a Roma si usa pigliar le lepri coi carri, scriveva 1’ Agente mantovano (5) ; e tanto per le lunghe, che alfine la cosa si risolvette in fumo, come doveva accadere, essendo stata privata (2) Arrigoni , Corrispondenza Diplomatica nell’Archivio Gonzaga cit. dal Carnevali. — Vigilio, Cron. Mant. loc. cit. (3) Bando del 14 agosto 1602, cit. dal Carnevali. (4) Arrigoni, Corrispond., cit. (5) Ivi. 44 GIORNALE LIGUSTICO dal Papa d’ ogni importanza col mettere egli in canzone il Frate ed i suoi miracoli strampalati (i). Così sbrigato il Papa dalle giullerie del Frate, si restrinse alla pratica del Ghetto che gli stava nell’animo, ed un giorno egli disse all Agente del Duca : Stiamo aspettando ad intendere che S. A. abbia dato principio a ristringere gli Hcbrei et a frenare questa canaglia come merita et come si conviene, el confidiamo che S. A. non ci mancherà della promessa fattaci ; ma quando non ci servasse la parola, havressimo ben giusta cagione di dolerci di lui; et scriveteci (sic) da parte nostra, perché v’incarichiamo (2). Queste parole spiegano il fatto del Frate, ordito da Clemente VIII contro il Duca di Mantova, di cui egli aveva malissimo concetto quale uomo di cattiva volontà e poca coscienza, secondo scriveva Giovanni Dolfin, ambasciatore di Venezia, alla sua Signoria, quantunque ciò non lo sturbasse dal permettere a Gian Francesco suo nipote da lui prediletto che coltivasse il pensiero di dare al Duca irreligioso una figliuola, per illustrare la sua casa (3). La conclusione fu infelice, quale era da aspettarsi in que’ tempi, e fu che il Ghetto tanto combattuto si vinse, ed insieme che gli Ebrei fossero privati di possedere beni stabili, i loro medici non potessero curare Cristiani senza la licenza del Duca, ed i loro artisti senza la stessa licenza non insegnare a’ Cristiani il canto, il suono ed il ballo, e furono nuovamente obbligati di portare il nastro giallo (4). Il nastro fu tolto da Maria leresa nei 1781 ; e nel 1798 la rivoluzione francese atterrò, all’ombra della bandiera tricolore cisalpina, i portoni del Ghetto (5). (1) Corrispondente, Arch. Gonz. Busta E, n. 3 ; citata dal Carnevali. (2) Arrigoni, Corrisp. cit. Lettera al Duca, del 14 settembre 1602. (3) Alberi, Retai. Vtn-> Ser‘e H» vol. IV, pag. 477. (4) Grida del 24 febbraio 1612, cit. dal Carnevali. (i) Carnevali, op. cit., pag. 9, 12-42. GIORNALE LIGUSTICO 45 — Egli è certo che gli Ebrei ebbero posta ferma in Milano sotto Re Teodorico, il quale là, come in Genova, confermò i loro privilegi (i); e prescrisse, secondo una Cronaca milanese allegata dal Muratori, che, sì come nel culto, così nell’abito dovessero contraddistinguersi da’Cristiani; forse ammaestrato da qualche Concilio a noi ignoto (2). Ma per trovare in Lombardia altri vestigi di Israele, di vetusta importanza , bisogna discendere più giù nell’età del Ducato, cioè nel 1387. Nel quale anno Galeazzo Conte di Virtù, pregato per alcuni Ebrei di lasciarli soggiornare nelle sue terre , benignamente lo consentì mediante certi capitoli che in quel paese, forse, sono i primi, però più utili a sapersi. Esenzione dalle gravezze reali, personali e miste, eccettuati i dazi e le gabelle; facoltà di prestare danari con interesse libero; facoltà di vendere, comprare e trafficare come gli altri cittadini; come questi, mercato senza differenza di prezzi; e senza differenza di leggi, giustizia ; scartata la giurisprudenza di S. Nilo, che valutava la testa di un Cristiano a quella di sette Ebrei. Oltracciò concessione d’un Cimitero fuori di Città, e case da abitare pei loro danari; non forzarli a battezzare fanciullo minore di tredici anni, prima che sapesse quel che si facesse; non impedirli nelle loro consuetudini; e quando passassero ad altre terre, il Signore desse loro scorta e salvacondotto (3). Altri Capitoli ci rimangono in servigio d’una brigatella d’Ebrei chiedenti di fermarsi in Como dieci anni a fare il presto, per il che ottennero nel 1435 l’interesse gravissimo di denari sei per lira al mese; alleggerito nel 1472 a nove soldi imperiali per fiorino; colle (1) Cassiodori, Variarum, V. : Genevae, 1664. (2) Muratori, Antiq. m. aevi, Dissert. XVI. (3) Muratori, loc. cit. Gsio, Documenti diplomatici, tratti dagli Archivi Milanesi, I, 229: Milano, 1865. GIORNALE LIGUSTICO stesse immunità antiche; solo aggiuntovi il peso di lire venticinque l’anno all’uopo del Comune, cresciute acento nel 1475. Ma i Comaschi, cordialmente ostili agli Ebrei, non seppero grado di quella comodità per i loro negozi al Principe; il quale, non volendo turbarne la coscienza, si contentò che dovessero sovrapporre alle loro vesti un Segnale che li separasse da’ Cristiani (1). Sarà stato scelto da’ Comaschi stessi, come cosa loro particolare, non essendo, a quel che sembra, diventato generale se non pel Decreto del 31 agosto 1473; dove si comandò a ciascun Ebreo del Dominio milanese di portare un O giallo nel petto, grande da distinguersi a prima vista da’ Cristiani; sotto pena di quattro tratti di corda, e di mille ducati d’ oro per giunta (2). Ancora avevano a Como , gli Ebrei, diritto 0 tolleranza di / O ' possedervi beni stabili, al vedersi colà nel declinare del secolo XV un’ Ebrea costretta a vendere la sua casa a certe monache, non per possesso illegittimo che ella ne avesse, ma sì per iscorgersi da quella le faccende monacali entro il convento (3). Malveduti erano pure gli Ebrei in Lecco, donde colui che vi teneva banco , per le vive istanze della popolazione e le persecuzioni dei predicatori, fu cacciato (4). E malveduti in Lugano, al pari di quelli di Como, ma franchi dalle gravezze, ed oltre questo in tempo di guerra e di pestilenza abilitati sotto sicurtà a portar fuori della vallata, in qualunque sito del Vescovato Comense, i pegni de’loro debitori senza dazio, che fu privilegio d’ altri luoghi (5). Nè (1) Motta, Ebrei in Corno e in altre città del Ducato milanese, pag. 6 e 10, nel Periodico Comense. — Io cito Γ edizione di questo scritto, fatta a parte. (2) Morbio, Codice Visconteo-Sfor\esco, pag. 418 : Milano, 1846. (3) Motta , loc. cit. (4) Id. op.. cit., pag. ri. (5) Id. op. eie., pag. 10. GIORNALE LIGUSTICO 47 in Pavia ebbero grata convivenza, e nè in Cremona. In Cremona, già prima del 1420 occupavano quattro strade per sè, e ne volevano di più sulla metà dello stesso secolo; di che la cittadinanza cremonese supplicò Bianca Maria Viscont di non lasciarne venir altri, essendo la città piena di questi, infedeli, come dice la petizione (1). Cremona era ancora delle città lombarde quella dove si ammassò più grandissimo numero di libri talmudici, credendosi che in Lombardia fossero più sicuri dalle voglie dell’ Inquisizione, quando quel-1’ammasso doveva piuttosto aguzzarle. Difatti, nel 1559, Paolo IV avendo decretato un Catalogo di libri proibiti, dei contrari alla Religione e di moltissimi altri condannabili solo perchè stampati da questo o quello stampatore od anonimi, in quella sola città , dicono, si buttassero alle fiamme centoquarantaquattromila volumi, se non si aggrandisce (2); e Γ incendio si apprendeva alle altre città lombarde, se il Governatore spagnuolo ed il Senato milanese non lo impedivano (3). Similmente in Firenze Cosimo I vi pose un de’ modi che sapeva lui, lasciando bruciare i libri giudicati anticristiani e contrapponendosi per gli altri, massime per gli stampati in Germania, Parigi e Lione, la cui letteratura il Papa mirava a distruggere principalmente (4). Accadde pure in Cremona un fatto di grandi conseguenze. Un Cristiano fanatico ammazzò proditoriamente un Ebreo : era già il secondo caso; il primo impunito, non mai scoperto l’autore; di questo, scoperto il reo, fu impiccato e (1) Pesaro, Cenni sull’ ex-Comunità Israelitica di Cremona, nel vol. XXX del Vessillo Israelitico, pag. 303. (2) Ghedalia Jachia, Catena della tradizione, appresso il Natali , Il Ghetto di Roma, I. 83. (3) Pesaro, op. cit., pag. 303. (4) Galluzzi, Stor. Tose., II, IX. 43 GIORNALE LIGUSTICO trascinato a coda di cavallo per le vie. La severa giustizia dispiacque forte a’ Cremonesi, i quali se ne inquietarono si fattamente, che decisero di chiedere la cacciata degli Ebrei dalla loro terra, e lo stesso i Pavesi dalla loro; collegati insieme dall’ odio comune , per più forza avere nelle pratiche. Solo la carestia sopraggiunta e 1’ opera avveduta degli Ebrei ad alleviarla, sospesero il colpo. Bollivano intanto le pratiche da ambedue le parti. Gli Ebrei mandavano loi" messaggeri a Madrid , esponendo tutto il bene fatto in soccorrere più volte all’ erario nelle urgenze delle guerre, e più volte ai bisogni della cittadinanza nella fame; ondechè non potendosi per loro attendere nell’ esilio alla riscossione di essi crediti, ricadrebbe sullo Stato, dicevano, l’obbligo di soddisfarli in una cogli interessi. Cotale ragionamento fece 1’ effetto e fruttò altra sospensione. Ma i messaggieri Cremonesi e Pavesi, convenuti anche loro presso la Corte, dove già avevano operato per un bando generale, risposero, si bandissero gli Ebrei ed offrirono la somma occorrente al pagamento del debito. Filippo II, anche pe’ consigli del suo confessore, non si tenne più, e nel marzo del 1596 bandi gli Ebrei dalla Lombardia. Per altro con insolita umanità, dando tempo allo sgombro, aiutando nelle spese del viaggio, provvedendo alla sicurezza de’ viaggianti, e poscia pagando puntualmente le somme ond’ erano creditori verso il pubblico (1). In contrario a questi umori popolari non sempre ingiusti, la città di Parma, nel darsi a Francesco Sforza duca di Milano, capitolò nel 1479, che i privilegi da lei prima concessi agli Ebrei chiamati a prestar danaro fossero saldi, e si assicurassero nella roba e nelle persone cosi i presenti, come i capitati di nuovo. Il Duca accettò la dedizione e i capitoli nel 1473, e pose pena venti- (1) Pesaro, op. cit., pag. 304-306, 339-340. GIORNALE LIGUSTICO 49 cinque lire imperiali, a chi offendesse un Ebreo come che sia, gravando il padre pel figliuolo e il padrone pel servo, e li sciolse dall’ antico sfregio dell’ O sugli abiti. Fu molto sollecita e benigna la Signoria Sforzesca, inverso di loro; di maniera che, il Duca avendo saputo che i magistrati suoi nel giudicare non tenevano la bilancia pari fra Ebrei e Cristiani, e questi restavano sempre di sopra, avocò le controversie fra gli uni e gli altri alla cognizione del suo Referendario (i). Non perciò gli Ebrei potevano in Parma posseder beni stabili, bensì potevano dedicarsi a qualunque arte liberale pagando la tassa annua di lire millecinquecento (2). Nel 1488 fondatosi il Monte di Pietà anche in Parma uscirono dalla città i prestatori ebrei, ed insieme cogli altri di Piacenza, di cui è compagna la storia, andarono poi di mano in mano ricoverando ne villaggi vicini', dove meno avevano a temere il paragone del Monte (3). Ma il malanno più grande fu la mutazione del Governo in quello di Don Filippo Farnese, il quale nel suo apparire nel 1749 mandò via stabilmente gli Ebrei dalla città, e non permise che vi si fermassero di passaggio più che venti-quattro ore e colla licenza, minacciando ai contravventori la multa, il carcere e peggio, ad arbitrio del Governatore. Gli Ebrei sotto quella mala Signoria non potevano far contratti senza il beneplacito suo; e le pene correnti erano la perdita della roba contrattata, multa, carcere e frustate, tutto sempre ad arbitrio. Tre Gride Farnesiane del 1714, 1753 e 1762 comandano a Cristiani di non oltraggiare gli Ebrei nelle mascherate carnevalesche e nelle esequie de' loro morti ; di che si argomentano due vecchie ignoranze delle nostre (1) Ravà, Gli Ebrei nelle Provincie Parmensi, nelle Marche e nelT Um-Iria (Annali di Statistica, Sez. Ili, vol. IX pag. 201). (2) Ravà, op. cit. pag. 202. (3) Id. ivi. Giorh. Ligustico. Anno XVI. SO GIORNALE LIGUSTICO plebi, oltre a quella di tramestare i Cimiteri, alle quali la luce della civiltà non era ancora approdata (i). Ed invero, per venire a’ fatti, l’anno 1470 in Piacenza la notte del 21 gennaio alcuni Ebrei conducevano a seppellire il loro padre morto; e furono d’improvviso assaltati e combattuti nella opera pietosa da’ Cristiani ; un Ebreo vi rimase ferito grave; ed il caro corpo convenne abbandonarsi da’ figli al pubblico ludibrio e darsi in rotta (2). Nel 1669, nella stessa Roma, che avrebbe dovuto essere face e specchio nitido alle altre città. Cristiane , numerose mascherate giranti per le vie ponevano in osceno dileggio le cerimonie, i riti, i salmi, e le cose più sacre della Religione istraelitica. E nel 1709 vi si rappresentò colle maschere la pompa funebre d’un Rabino ed il suo seppellimento nell’ ortaccio, quale chiamavasi in Roma il Cimitero israelitico, a nulla essendo giovati gli umili prieghi e lamenti degli Ebrei; anzi, per istanza del principe Alessandro Sobiescki, figlio del gran Giovanni, quella disonestà fu replicata al Pincio e alla Trinità de’ Monti a suo bel diletto sotto le sue finestre (3). Forse 1’ ultima di queste profanazioni avvenne più volte sul chiudersi del-l’altro secolo in Milano, la cui plebe educata alla scuola spagnuola, si disfaceva dalle risa al vedere recato in sulle scene il Baruccabà, commediaccia di penna ignota, nella quale con istrazio indecente s’immitavano tutte le cerimonie del matrimonio ebraico. E questi brutti fatti abbondano ; ma chi vorrebbe udirne di più? Continuando l’argomento di Milano dove incontrammo, molto antichi gli Ebrei, quivi pure (1) Ravà, loc. cit. (2) Motta, op. cit., pag. 35. (3) Silvagni, La Corte t la Società Romana ne' secoli XVIII e XIX, tomo II, pag. 64: Roma, 1883. GIORNALE LIGUSTICO 51 eglino saranno andati soggetti alla prammatica dell’ O giallo, non meno che gli altri del Dominio, per virtù del Decreto del 1473 già menzionato. San Carlo Borromeo nel 1565 conformò il Segno alla costumanza romana in un berretto o cappello croceo gli uomini, in un panno in capo di color simile le donne (1). Pochi anni dopo, nel 1576, gli Ebrei vennero espulsi da tutto il Milanese, grassante peste, credo io, per la fama di sporcizia che essi avevano universalmente (2); come furono le meretrici da Mantova, certamente più assai pericolose alla salute pubblica (3). Quel medesimo s’impose in Piemonte ne’ Capitoli del 1430. All’ incontro in Lugano, usciti dalla terra dovevano restare co’ pegni entro il Vescovato. Cacciati prima per la peste, e quindi tenuti lontani dal bando generale del 1596, provocato dai Cremonesi e Pavesi, il 30 giugno 1633 furono riammessi (4). Del Ghetto milanese non ho notizie; solo mi è noto che in quella città molti Ebrei abitavano nella strada o stretta al Bottonuto, detta in passato degli Ebrei. Nel 1463 gli Ebrei dimoranti nel Ducato di Milano pagavano alla Camera Ducale tremila lire imperiali l’anno; poi seimila, poi settemila, all' ultimo ventimila (5). — Non si conosce la vita antica degli Ebrei in Modena; solo si può credere che vi soggiornassero agiatamente fino dal secolo quartodecimo e si fossero (1) Synodus Provincialis Mediolanensis, pag. 50 (Acta Ecclesiae Mediolanensis a Sancto Carolo Cardinali S. Praxedis Archiepiscopo condita: Mediolani, 1843-46). (2) Questo documento è citato nell’indice generale delle carte spettanti al Consiglio Generale di Milano, alla voce Ebrei, ma non trovasi nella filza. (3) Grida del 27 aprile 1506. Ms. Arch. Gonzaga Mantov. (4) Anche questo documento, benché citato nell’ Indice, manca nella filza. (5) Motta, op. cit., pag. 4. 52 GIORNALE LIGUSTICO accattata la generale benevolenza. Del che sta fermo documento il finto di essa città, quando, nella sventura toccata nel 15io alle armi estensi contro alle papali, prevedendo ella la sua espugnazione, pensò esser meglio di darsi in braccio al Papa volontariamente in apparenza ; e pose certi patti, che egli accettò subito. Ne’ quali, oltre alla amministrazione libera del Comune e ad altre cose pubbliche, la città ottenne che la illustrissima Casa Rangona gli fosse raccomandata ; e dopo questa famiglia, quasi sovrana, prima ancora che gli stessi cittadini e contadini, che gli fossero raccomandati gli Ebrei: Item (cap. Vili) qitod Hebrei Mutine et omnia bona penes eos... salva sint similiter et omnes cives et co-mitaiini et eorutn bona salva sint (1). Non altrimenti che fece Parma, nel darsi a Francesco Sforza l’anno 1449 (2), e che Fano al Papa nel 1463, stipulante con lui fossero i suoi Ebrei esenti d’ogni taglia e reputati veri cittadini di Fano (3). Gli Ebrei allora in Modena possedevano beni stabili in tutto liberi; compravano, vendevano, mercatavano ogni sorta roba pubblicamente; andavano e venivano a lor piacere : non avevano Segno, non Ghetto; e se talvolta, non per ordinario, assistevano alle prediche cattoliche, non è chiaro che vi fossero forzati dalla Podestà, e, comunqne sia, la plebe il rispettava e teneva come suoi (4). Guadagni avevano molti; favori, ancora; i ricchissimi abbondavano. Fra questi il banchiere Buonaiuto ; il quale nelle nozze del figlio, ammogliatosi ad una Ebrea ferrarese con duemila cinquecenro scudi di dote, fece tal festa, che per apparati, imbandigioni ed ogni più eletta suntuosità, (1) Vacchetta dei partiti Comunali, a. 1510. Arch. Com. Moden. (2) Vedi quello che si narra di Milano in questa Illustrazione. (3) Ugolini, Storia dei Conti e Duchi d’Urbino, I, 428, 429. Firenze, 1859. (4) De’ Bianchi Tommasino, detto de’ Lancellotti, Cronaca modenese, I, 452; VII, 76; Vili. 59. GIORNALE LIGUSTICO 53 poteva soddisfare un principe; presente il fiore delle gentildonne e dei gentiluomini modenesi, ma non sedenti al convitto per rispetto a’ Canoni (i). Non era per altro che questa pace e prosperiti gradisse a tutti, specialmente per la moltitudine cui erano essi cresciuti, tratti a quel vivere riposato da’ paesi vicini; de’ quali avversari fu Tommasino Bianchi de’ Lancel-lotti, cittadino stimato ed onestissimo, il quale credeva di buona fede potersi tutte le sostanze degli Ebrei volgere al Monte di Pietà senza scrupolo, imperciocché l’assegnazione pia cancellava la rapina (2). Di siffatti uomini venuta a comporsi la maggior parte de’ Conservatori della Comunità, nel 1524, fu proposto e vinto fra loro di dare commissione al Governatore (Francesco Guicciardini) ed al conte Guido Ran-goni d’adoprarsi efficacemente appresso il Papa, che cacciasse di Modena tutti gli Ebrei, eccettuati i prestatori; per la ragione che facevano rincarare i fitti delle case ed alteravano i prezzi delle mercanzie; oltrecchè eorum mulieres in domibus civium male et inhoneste se habent cum mulieribus in damnum et dedecus magnum civium huius civitatis (3). Delle due prime ragioni ognun sente il peso: non si voleva tollerare la concorrenza ne’ commerci, nè apprezzare la generale utilità del movimento economico, per infingardaggine ed avarizia. Nè più notabile è la terza, specificata da Pio V nella sua bolla Hebreorum gens sola; dove egli accusa le femminucce ebree d’insinuarsi per le case, sotto vari pretesti, messaggiere di amori e spaccia-trici di malie amatorie ; frutto dell’ignoranza e corruzione ebrea e cristiana in tutti i paesi e in tutti i secoli, compreso il nostro (1) Condì. Aurelianens., a. 538, can. 16. Bianchi, Cron. cit., Vili. 316, 317. (2) Id., Ili, 424. (3) Vacchetta Comun. Mod., a. 1524. 54 GIORNALE LIGUSTICO sotto gli occhi nostri (i). Se il Guicciardino ed il Rangone si facessero sostenitori di quelle allegazioni dinanzi al Papa, è ignoto: e pure ignota è la risposta che n’ebbero. Ma per certo non fu favorevole. Dappoiché gli stessi mercanti pusillanimi, che, temendo il paragone, volevano nel 1524 cacciati gli Ebrei, si ritrovano nel 1541 a tempestare, per mezzo della Comunità, il Governatore contro agli Ebrei rivenditori de’ panni in Modena, accusandoli di comprare cose rubate; a cui egli rispose che gli Ebrei avevano capitoli dal Duca di poter comprare e vendere ogni cosa pubblicamente; che se fossero in dolo di furto, li gastigherebbe secondo ragione; e però non sapeva che fare delle loro querele (2). Dissi che gli Ebrei in Modena non avevano Segno. Ma un cronista si prese la cura di avvisarci, che nel 1527 il Duca di Ferrara ordinò per lettera al Governatore di Modena di contrassegnarli, e che il Governatore non ubbidì (3); la quale inosservanza non è da ammettersi leggermente; ma sì che il Duca, meglio informato dal Governatore lasciò cadere il suo ordine. Piuttosto egli è certo che nel 1531, volendosi finire la lunga controversia d’armi e di pratiche fra il Papa ed il Duca, per la contesa città di Modena, depositata nelle mani dell’Imperatore quale arbitro, un Predicatore agostiniano pensò di saggiare intorno agli Ebrei il nuovo Governo; ed un giorno nella sua predica si pose a confortare il Governatore cesareo presente, che facesse portare il Segno agli Ebrei, senza rispetti, non lasciandosi corrompere per danari. Tanto infiacchito era il sentimento morale, che un predicatore potesse a pieno popolo gittare in viso ad un Governatore cesareo di non barattare per moneta il suo onore e la sua dignità; ed egli non dargli quello che (1) Aretino, Ragionamenti, Parte II, Giornata III. (2) Bianchi Cron. cit. VII, 76. (3) Id·/ IH, 223. GIORNALE LIGUSTICO 55 ben gli stava; anzi, finita la predica, andargli, dietro in canonica e scusarsi con esso lui, che dovendo consegnare la città di Modena a cui fosse giudicata dall’Imperatore nel suo lodo, egli non poteva propriamente introdurvi mutazioni civili (i). Più fortunato dell’agostiniano, fu lo zoccolante Bartolomeo Cambi, quel desso, se la identità de’ nomi non inganna, che poco dopo fece le mirabili prove nella piazza di Mantova; imperocché avendo lui predicato, il 28 luglio 1602, nella piazza di Modena la grande utilità del Segno degli Ebrei, nello stesso giorno uscì una grida Ducale che prescriveva agli Ebrei il Segno giallo, agli uomini sul cappello e alle donne nel busto (2). In su questo andare, nel 1638 il Principe impose ancora il Ghetto chiuso nella strada che da S. Francesco conduce alla Pomposa, ordinando che ne uscissero i Cristiani e vi si raccogliessero gli Ebrei, e si serrasse con un portone alle spese di loro stessi, nulla curando le rimostranze della Comunità, pel pregiudizio che veniva al pubblico da quella chiusura (3). I portoni poi crebbero a quattro, essendosi congiunte al Ghetto altre contrade; e furono levati l’anno 1797 (4). — Gli Ebrei nella regione napoletana hanno a gran pezza maggiore antichità che non Federico II, il quale (1) Bianchi, Croit, cit. Ili, 223. (2) Atti Comunali, a. 1602. Sfaccini, Croit. Mod. Ms., a. detto. Ve-driani, Stor. Mod., par. II, pag. 612: Modena 1667. (3) Atti Comunali, a. 1638. Il Conte Luigi Francesco Valdrighi, nel suo Dizionario storico etimologico delle contrade di Modena a spazi pubblici, scrive che il Ghetto chiuso fu cominciato nel 1630 col favore speciale della Duchessa Laura, già Laura Martinozzi nipote del cardinale Mazzarino. Ma gli Atti comunali, come dissi, pongono per quel cominciamento il 1638, e non si può dubitarne. Ancora non s’intende come la Duchessa Laura nel 1630 potesse favorire il Ghetto, ella che fu maritata al principe ereditario d'Este nel 1655 e non divenne Duchessa prima del 1662. (4) Ravatti, Cron. Mod., Ms., a. 1797. 56 GIORNALE LIGUSTICO statuì ut in differentia vestium eglino λ Christianis discernantur (ι). Ma la distinzione non si manifesta se non per carta degli 8 giugno 1307, in cui Roberto Duca di Calabria, vicario di Carlo II d’Angiò, prescrìsse agli Ebrei che il maschio dovesse portare m amplitudine pectoris circulum duorum latitudinis digitorum, citius girus duorum palmorum recta divisione claudatur; e la femmina l’amìto (2). Pe’ tempi angioini bisogna aggiungere che in un diploma della regina Giovanna II, del 3 maggio M27> il Segno prescritto è il Jhau, che vuol dire una berretta o cappelletto tondo senza falde, e di circonferenza alquanto maggiore nella cima (3). Questa Giovanna, al pari degli altri Angioini, fu asprissima verso gli Ebrei; e da prima li voleva mandare alla malora per le usure smodate che ris-cotevano; ma poi pensò più utile di smungerli, come fece, con un testatico della terza parte di uno scudo, maschio e femmina similmente, che gittò grande somma, da poterne pagare tutti i suoi debiti, non pochi (4). Il Beato Giordano da Rivalta, nella predica del 9 novembre 1304, racconta ancora un’ altra valentia ben maggiore di que’ Principi, la quale sarebbe stata che appresso il mal consiglio d’un frate, re Carlo II, che per gli antichi privilegi non poteva di ragione accomiatare gli Ebrei, un di li fece tutti pigliare e menare a sè, e loro appose di aver crocifìsso un Cristiano in ispregio della Passione di Cristo, cosa che, secondo il predicatore non poterono negare. Onde il Re disse loro: (1) Richardus de S. Germano, Chron., a. 1221 (Mon. Gemi. Hisl., SS. XIX). (2). Syllabus membranarum ai Regiae Siciliae Archivium pertinentium, tom. II, pars. II, pag. 182. Neapoli 1824. (3) Massonio, Vita del B. Francesco da Capistrano. : Venezia 1627. (4) Baldacchini, Storia napoletana deiïanno //47, Iib. III ; Napoli 1872. Spanò Bolani, I Giudei in Reggio di Calabria (Ardi. Stor. Nap., a. VI, pag. 338). GIORNALE LIGUSTICO 57 Or vedete; delie due l’ima, o tutti morire, o voi vi convertite alla fede Cristiana, e pcrdonerovvi questa offensione. Gli Ebrei, a questi argomenti si convertirono, e furono più di ottomila (i). Ma per buona ventura, finché non si trovi scrittore di purgato giudizio, che confermi il fatto, si potrà lietamente risparmiare questa nuova pagina ai grossi volumi delle violazioni della libertà di coscienza. Venuta di seguito la signoria Aragonese, Ferrante I consenti nel 1495 a’ Napoletani che gli Ebrei portassero un Segno di distinzione; e quel medesimo si ripete ne’ Capitoli dell’anno dopo, eccettuando dall’ obbligo odioso messer Davit e sua famiglia (2) : poscia una Prammatica del 12 gennaio 1509 volle che il Segno fosse rosso (3). Non però di meno molti i privilegi e le grazie godute dagli Ebrei, e ad alcuni invocate amorosamente dagli stessi Popoli. Così in Lecce delle Puglie eglino avevano l’esenzione dal dazio dell’olio, delle vettovaglie e delle porte, e non valeva a lor danno la dilazione quinquennale comune pel pagamento dei debiti, nè il benefizio della cessione dei beni fatta sul lastrone (4). In Brindisi, venutivi ad abitare gli Ebrei alle istanze de’ cittadini, furono sciolti da qualunque gravezza (5). Lo stesso in Tropea di Calabria, al pari degli altri forestieri (6). Altresì nella Basilicata, come in Oria, patria dello ebreo Schabthal Donnolo, prodigioso di svariata sapienza nel secolo X (7). Laonde per la popo- (1) Fra Giordano Da Rivalta, Prediche, tom, II, pag. 351 : Milano 1839. (2) Capitoli e Privilegi conceduti da Re Ferrante I d’Aragona ai napoletani nel 149;, tom. I, pag. 35. (3) Pragmatica Regni Neapolitani, tit. De Judaeis. (4) Codice Aragonese (1421), III, 43. Napoli 1866 e seg. (5) Id. (1491), III, 64. (6) Cod. Arag. cit. (1493), III, 387. (7) Cod. cit. (1491), III, 64. Perreau, Educazione e coltnra degli Israeliti in Italia nel medio evo, pag. 5 e seg.: Corfù, 1885. 58 GIORNALE LIGUSTICO lare benevolenza che loro si portava, non si ebbe a meravigliare che Re Alfonso II, nel 1498, creasse cittadino napoletano maestro Davit, ebreo, medico ed astrologo ; certamente quello che vedemmo lui e i suoi nel 1491 esentati dal Segno (1). Le condizioni degli Ebrei nel resto della Calabria si assomigliavano gran parte a quelle d’altri paesi. Specialmente non arte liberale permessa, nè uffizio pubblico gratuito o pagato; obbligo del Segno, che era il Tbati, e del Ghetto; tassato Γ interesse della prestanza non maggiore di cinque tornesi; facoltà di possedere beni rustici ed urbani, forse il solo diritto civile lasciato loro (2). Oltre alle faccende de’ presti, colà gli Ebrei si esercitavano largamente nel traffico della seta, derrata divenuta molto copiosa in quel terreno che si accomodò alla coltivazione de’ gelsi, e ingenerò l’allevamento de’ bachi per opera loro principalmente (3). Ma del traffico facevano come di cosa propria, in questo uscendo dal giusto. Imperocché anticipavano a’ coltivatori le spese dell’ allevamento de’ bachi, quale caparra della vendita e tiravano dal danaro prestato l’interesse di quattro tari sul prezzo di ogni libra di seta loro consegnata (4). Ella era una vera incetta sopraggravata dal-Γ interesse della caparra, e recava nelle mani loro tutto il guadagno. Di che facevano grande strepito i Genovesi e i Lucchesi, allora frequentatori delle fiere della Calabria, i quali per quel giuoco si trovavano costretti di comprare la seta dagli Ebrei e pagarla il prezzo che volevano (5). Però, inveleniti, ricorsero al Governo, che liberasse la Calabria da tanta servitù, ma in verità per sedersi loro alla mensa degli fi) Motta, Ebrei in Como, pag. 27. (2) Spanò Bolani, op. cit., pag. 338, 340-42, 346. (3) Id. op. cit., pag. 339, Perreau, op. cit., pag. 18. (4) Spanò Bolani, op. cit., pag. 339. (5) M., pag. 345. GIORNALE LIGUSTICO 59 Ebrei e cacciarne quelli. E tanto si travagliarono, massimamente i Genovesi favoriti dal Viceré e da parecchi Baroni, che spossata ogni resistenza, finalmente vinsero l’avara pugna. Il giorno 25 luglio 1811. gli Ebrei, benché molti di loro già cittadini per nascita, per diuturna dimora e per successione di famiglie, dovettero dire addio alla Calabria, il cui suolo essi avevano arricchito col loro danaro e col loro ammaestramento, pognamo che abusassero poi del benefizio; ma il benefizio niuno poteva ornai più torre, e Γ abuso potevasi correggere (1). Banditi dalla Calabria, e banditi dalle Puglie, non perdonandosi nè meno a molti Ebrei battezzati (2), gli Ebrei restavano tuttora in Napoli. Carlo V era disposto a tollerarli, purché abitassero una contrada medesima, non si mescolassero coi Cristiani e portassero un Segno sul cappello. Per tal forma sarebbero lasciati stare. Se non che alla sua partenza dalla grande città i Baroni alzarono tal fracasso di querele contra di loro, che l’Augusto, trattandosi di Ebrei, non guardò più addentro, e li mandò via anche da Napoli. Li cacciò principalmente per le usure ingorde de’ prestiti; e i Cristiani, succeduti nel mestiere a’ cacciati, si palesarono più Ebrei degli Ebrei (3). Nel discorso della Sicilia dirò di Carlo III, che inteso a restaurare i commerci e le industrie in quell’isola, invitò senza accettazione gli Ebrei a riprendervi stanza. Gli invitò ancora per Napoli, anzi fu un solo invito, posciachè egli regnava ambedue le Sicilie. Ed i privilegi quali furono promessi col proclama del febbraio 1740, concedevano la libertà di esercitare la medicina pure sopra i Cristiani coll’ assistenza d’ un medico cristiano, di possedere (1) Spanò Bolani, op. cit., pag. 345, 346, (2) Zunz, Storia degli Ebrei in Sicilia (Arch. Stor. Sic., N. S., a. IV), pag. 109. (3) Baldacchini, loc. cil. 6o GIORNALE LIGUSTICO beni stabili insino a5 feudi, di tenere Cristiani e Turchi al loro servigio, di abitare dovunque volessero, di usare bastone e spada, e non portare il Segno (i). All’ opposto che in Sicilia, per Napoli le profferte furono accolte. Ma prima di aprire i fondachi, gli Ebrei, per esperienza diffidenti, mandarono alcuni di loro a spiare gli umori del popolo ; quattro de quali portavano spada ed uscivano imprudentemente per la città col codazzo di quattro servi (2). Il peggio fu che andavano dicendo, e la malevolenza aggrandiva, che eglino avrebbero ben saputo supplire a quello che i Napoletani potevano fare, ma pare che non sapessero da sè (3). Queste vanterie burbanzose ferivano al cuore Γ orgoglio paesano e molestavano la naturale ritrosia di disagiarsi per sostenere il contrasto co’ forestieri; e gli ecclesiastici confermavano cogli argomenti religiosi i pregiudizi. Essi declamavano per le chiese, capitano il gesuita Pepe molto innanzi nella Corte, contro il Proclama reale, calpestandolo senza alcun rispetto; talmente che un cappuccino, più sbarbazzato degli altri, disse al Re di porre giù ogni speranza di successione maschile, se prima non istracciava il suo decreto. Intanto la plebe sfrenata insultava e minacciava gli Ebrei ; e nella festa di S. Gennaro promise di sterminarli tutti, se Γ ampolla del Santo non bolliva in quel dì secondo l’usato, ciò reputando ad ira celeste per avere albergato i nemici della fede. Cosicché gli Ebrei spaventati, senza aspettare il peggio chetamente fuggirono da Napoli, prima che il Re, spaventato anche lui, non revocasse il primo decreto con altro del 30 luglio 1747 (4). Ma (x) Muratori, Annali, a. 1740. Zunz, op. cit., pag. in. (2) Muratori e Zunz, loc. cit. (3) Muratori, loc. cit. (4) Muratori, loc. cit. Collezioni delle Prammatiche di Napoli, IV, noi Napoli 1804. GIORNALE LIGUSTICO 6l non ostante la deliberazione tardiva, non gli mancò il premio, posciachò la Regina presto s’incinse in un figliuol maschio , e lo partorì con giubilo straordinario il 14 giugno 1741, nominato Filippo Antonio Gennaro (1). Infelice principe, a cui 1* origine vantata miracolosa non valse a salvarlo dalla imbecillità della mente, onde per giudizio collegiale fu dichiarato incapace di succedere al trono (2). (continua). G. Rezasco. VARIETÀ PER I VERI AUTORI DEGLI SCHERZI DELLA CORONA D' APOLLO Con buone ragioni il prof. Severino Ferrari, contro l’asserzione del signor Niccolò Giuliani (3), dubitò che tra i cinquantatre scherzi compresi nella Corona d’Apollo (4) fossero inserite le nove canzonette inviate dal Chiabrera, nel 1594, al pittore Bernardo Castello (5). Non si potevano accettare le conclusioni del Giuliani, il quale affermava avere il Chiabrera fatte pubblicare quelle canzonette sotto il nome qualunque d'un Accademico Trasformato « chè non sarebbe stato bene a un uomo di più che cin-quant’anni, da poco tempo sposo di una fanciulletta, che il (1) Muratori, An. a. 1747. (2) Coppi, Ann. It., a. 1760. (3) Ansaldo Cebà (Giornale Ligustico, 1882-84). Lo studio però non è stato condotto a termine dall’autore. (4) Della Corona d’Apollo composta del più vago de’ fiori di Permesso da Piergirolamo Gentile. Parte seconda, in Venetia, appresso Sebastiano Combi, M. dc. v. (5) Gabriello Chiabrera e la « Corona d'Apollo » (Giornale Ligustico, luglio-agosto 1888, pg. 466). 6 2 GIORNALI· LIGUSTICO dì delle nozze ne aveva sedici soltanto, far pompa delle galanterie amorose della scorsa gioventù » ; se non altro, perchè è noto che nello stesso anno in cui vedeva la luce la Corona d’Apollo, cioè nel 1605, il raccoglitore di queste poesie, lo stesso Piergirolamo Gentile, curava anche Γ edizione delle rime del Chiabrera (i). Ora, gli scherzi della Corona d’Apollo erano dedicati dal Gentile al signor Paolo Vincenzo Ratto addì 2 del mese di aprile 1605; invece gli schermi pastorali, inseriti nelle rime del Chiabrera, erano dal Gentile dedicati al signor Agostino Balbi con lettera del i.° gennaio 1605, cioè appena tre mesi prima che uscissero alla luce gli scherzi della Corona d’Apollo. Naturale quindi che il raccoglitore accennasse, nella lettera premessa a tali scherzi, al nuovo metro della canzonetta introdotto dal Chiabrera in Italia, metro già commentato dal Fabri in fondo all’ edizione delle rime del poeta savonese impresse nel 1604; ed il Gentile poteva scrivere « che seguendo la tessitura degli scherzi del signor Gabriello Chiabrera, tanto suo amico (del Ratto) pareva se non ragionevole, che non dovessero restare privi della protezione di V. S. » Per qual ragione poi doveva il Chiabrera celarsi sotto il soprannome d’un qualche Accademico Trasformato, se nello stesso anno, pubblicando gli scherzi pastorali, inseriti come ho detto nelle rime raccolte dal Gentile, e non dissimili nel sentimento erotico e nella forma dagli scherzi della Corona d’Apollo, non si peritava di farli liberamente circolare nel pubblico col vero nome del loro autore? Ma, revocata la paternità, che si voleva attribuire al Chiabrera di quelle nove canzonette, era naturale che si ricercassero gli autori di tutte le cinquantatre canzonette che com- (1) Rime del signor Gabriello Chiabrera, raccolte da Piergirolamo Gek-TILE, in Venetia, appresso Sebastiano Combi, 1605. GIORNALE LIGUSTICO 63 pongono i L scherzi della Corona d’Apollo; e cosi il Ferrari dimostrò che sette di esse appartengono ad Isabella Andreini (1) (scherzi χχχι, χχχπ, χχχιπ, χχχιπι, xxxv, xxxvi e il settimo, senza numero, Con quai giri lascivetti)·, quattro al Rinuccini (2) (scherzi χπ, χνιπ, xix e il quarto, senza numero, Rubinetti)·, tre a Francesco Cini (3) (scherzi xm, xv e il terzo, senza numero, Clori amorosa); ritenendo altresì che gli scherzi xi e XLini non si potessero evidentemente attribuire al Chiabrera, « perchè, per testimonianze interne, di lui non sono certo ». Rimangono adunque altri trentasette scherzi, dei quali si devono ancora ricercare gli autori. * * * Comincio coll’ osservare che alcuni di questi scherzi devono attribuirsi al Rinuccini, perchè, non ostante il diligente esame della stampa giuntina, da parte del Ferrari, una canzonetta della Corona d’Apollo, lo scherzo xxvii, Affetti di Amante: Dolci sospiri, Dolci martiri, Dolci gridate, Mercè, pietate, Ohimè, gridate forte Ch’io son ferito a morte. corrisponde alla canzonetta che trovasi a pag. 191 delle rime del Rinuccini, e trovasi anche nel codice palat. 250, il (1) Rime tT Isabella Andreini comica gelosa, dedicate aH’Illustriss. et Reverendiss. sig. Il Cardinal S. Giorgio Cinthio Aldobrandini. In Milano, appresso Girolamo Borzone, et Pietromartire Locami compagni, m. dc. i. pgg. 22, 49, 50, 72, 86, 115, 163. (2) Poesie del Ss Ottavio Rinuccini, alla Maestà Cristianissima di Luigi XIII Re di Francia e di Navarra, in Firenze, appresso i Giunti, M. oc. xxii , pg. 197; e per gli altri quattro scherzi vedi Ferrari, loc. laud. (3) Ferrari, loc. cit. 64 GIORNALE LIGUSTICO quale, come disse il Battoli, in parte è autografo del Rinuccini, e in parte è tutto corretto dallo stesso autore (i). Ma 10 scherzo xxvn è di Melinone Accademico Trasformato, ed altri tre scherzi vanno sotto questo nome; sì che, seguendo 11 metodo gii adottato dal Ferrari, e che credo giusto, perchè sino ad ora non ha dato luogo ad eccezione alcuna, possono attribuirsi al Rinuccini altri quattro scherzi (xxvi, xxvii, xxvin e xxix). Nè questi sono i soli che ancora devono darsi al poeta fiorentino, perchè nel codice palat. 250, da me già citato (2), trovasi la canzonetta: Amor, ch’attendi? Amor, che fai? la quale è attribuita al Rinuccini, ptfr non essendo inserita nella stampa giuntina delle rime di questo poeta, stampa eh’ io credo sia Γ unica, o almeno la più completa, delle rime rinucciniane. A tale canzonetta fa riscontro lo scherzo xxi della Corona d'Apollo attribuita a Fenico Accademico Trasformato (3); sotto questo nome stanno però nella collettanea altri quattro scherzi (xxii, xxm, xxim e xxv), sì che, in totale, nella Corona d’Apollo ben tredici scherzi sono del Rinuccini. Come si vedrà in seguito, io non ho la fortuna di rintracciar gli autori di tutti gli scherzi della Corona d’Apollo, (1) Indici e Cataloghi, Codici Palatini della R. Bibl. Ναξ. Centr. di Firenze, Roma, 1887. fase. 5.°, pg. 385. « Dalla carta 71 in poi — dice il Bartoli — è tutto autografo di Ottavio Rinuccini; le carte precedenti (salvo due o tre) sono in copia calligrafica d’altra scrittura, ma anche qui 1’ autore vi fece parecchie correzioni di sua mano ed inoltre vi aggiunse ne’ margini qualche intero componimento ». (2) Bartoli, loc. land. (3) In tal modo il Rinuccini avrebbe quattro differenti nomi tra gli Accademici Trasformali: Mennont, Linceo, Cigno e Penteo. GIORNALE LIGUSTICO 65 e in tal modo non posso precisare quante veramente siano le canzonette da attribuirsi al Rinuccini. Nella Trivulziana esistono i celebri codici Rinucciniani, che, per le condizioni oggi speciali di quella preziosa biblioteca, mi rimasero inaccessibili, e loi se non sarà impossibile che molte altre canzonette del poeta sieno state inserite nella collettanea (i). * * * Gli scherzi n, m, vi, vii, vm, rx, xli, xlii, xlv, xlvi, xi.vii, xlviii, xlix e l sono del Soranzo, trovandosi essi inseriti nella raccolta delle rime del poeta veneziano (2). Nella Corona d’Apollo il Soranzo è celato sotto il nome di Ulisse Accademico Trasformato, e contribuisce più degli altri, almeno per ora, nel numero degli scherzi inseriti in quella raccolta di poesie. Le canzonette comprese nella raccolta delle rime del Soranzo, che prendono anche qui il nome di scherzi, sono diciannove, e quattordici solamente comuni a quelle della Corona d’Apollo. Non credo però inutile esaminarle partitamente, anche perchè ne’ confronti olirono notevoli varianti. Scherzo II. Loda le bellóne della sua donna. 0 begli occhi, che zaffiri. È a pg. 196 delle Rime del Soranzo, da cui si rileva che lo scherzo è diretto alla signora Ortensia Torriglia. Scherzo III. Si tra nube> e nube il Sole. (1) Cfr. Porro, I manoscritti trivul{iani, 1885, pag. 56. Sono i codil. 1004, 1005 e 1006 cartacei del sec. xvn in 8.'’ (canzonette poste in musica). (2) Delle Rime di Giovanni Soranzo, seconda parte, al Serenissimo Carlo Emanuel Duca di Savoia, et Principe di Piemonte, ecc. dedicate. In Milano, per 1’ her. di Pacifico Pontio, et Ciò. Battista Picaglia, m dc. vi. Gioì*. Licuitico. Amo XVI. . 66 GIORNALE LIGUSTICO È a pg. 213 delle Rime del Soranzo, Nella Corona d’Apollo la quarta strofa suona così : Quale scorgo 1’ alma Dea Citerea Genovese con sua luce, Che d’araor tutta fiammeggia, Che lampeggia, Di mill’ alme fatta Duce. Ma il Soranzo, inserendo questa canzonetta nella edizione delle sue Rime, che furono stampate, come ho detto, l’anno dopo a Torino, cambiò quel Genovese in Torinese. Scherzo VI. Loda una statua di Venere, eh’è nello studio di Proteo. O gran gioia, 0 gran piacere È a pg. 181 delle Rime del Soranzo ; nella Corona d’Apollo la canzonetta è dedicata al Gentile, il collettore degli Scherzi, e termina: O Gentil tu se’ felice Che a te lice Vagheggiar cose si care. O Gentil in questo stato Sei ben nato C’ hai con che 1’ alme far chiare. E nell’edizione delle Rime è dedicata « al sig. Lazaro Marsupini » si che 1’ ultima strofa è così mutata : Marsupin, tu se’ felice Che a te lice Vagheggiar cose sì care. Marsupin, tu ’n questo stato Sei beato, C’ hai con che gl’ altri beare. Scherzo VII. Nella caduta di Madonna. Tu cadesti, oltraggi, ed onte. GIORNALE LIGUSTICO L a pg. 196 delle Rime del Soranzo, dedicata alla Signora Ortensia Torriglia. Scherzo Vili. Loda una statua di Cupido, eh’è nello studio di Proteo. Pargoletto, È a pg. 217 delle Rime del Soranzo, in cui la canzonetca è dedicata « Al Clariss. Sig. Jacopo Vico Residente Veneto Appresso ΓΑ. A. S. S. di Toscana »; mentre che nella Corona d’Apollo è dedicata al Gentile. Donde le varianti : Per saperlo Per vederlo Al mio Vico faccia istanza ; Che tenerlo Nel suo studio (io l'ho veduto) Caramente ha per usanza E tal vista mi fé muto. e Per saperlo Per vederlo Al Gentil ne faccia istanza ; Che tenerlo (Et hollo io tal’ hor veduto) Nel suo studio ha per usanza E tal vista mi fè muto. Scherzo IX. Per un pe^o d’ ermesino, che teneva Madonna sopra il fronte. Angioletta, È a pg. 200 delle Rime del Soranzo, diretto alla Signora Ortensia Torriglia ed offre notevoli varianti di lezione. Scherzo XLI. Piacere Amoroso. Dolce è l’ardore, È a pg. 288 delle Rime del Soranzo, dedicata al sig. Decio 68 GIORNALE LIGUSTICO Roncale; sì che, mentre nella Corona d’Apollo la prima strofa suona così: Dolce è Γ ardore , Che cova il core, Ma più dolce è ’l martirio, Ch’ io sento quando Languendo , e amando Giovane bella io miro, nelle Rime è scritto : Dolce è l’ardore, Che cova il core, Ma più dolce è ’l martirio, Ch’ io sento quando Roncale, e amando, Giovane bella io miro. Scherzo XLII. Varie definizioni d’amore. Quest’ amore, Quest’ arsura, È a pg. 231 delle Rime del Soranzo, in cui lo scherzo è diretto al signor Francesco Bernardino Sessa. Per conseguenza la seconda strofa che nella Corona d’Apollo suona così: Questo amore, Questo affaiino, Che lusingo, o Sessa, in seno, Un signore , Un tiranno, È, che m’empie di veleno, nelle Rime del Soranzo è cambiata nel modo seguente: Questo amore, Questo affanno, Che lusingo, e covo in seno, ecc. Tutto lo scherzo poi offre varianti notevolissime nel confronto delle due edizioni. GIORNALE LIGUSTICO Scherzo XLV. Loda la beltà d’una fanciulla. Fanciulletta Vezzosetta L a pg. 183 delle Rime del Soranzo, diretto alla signora Elena Serona. Scherzo XLVI. Loda il signor Cipriano Baldi, fanciullo di ottimi costumi (sic). Fanciulletto, Tutto amore, e tutto foco, È a pg. 18 j delle Rime del Soranzo. Scherzo XLVII. Al sig. Gio. Francesco Alamanni. Alamanni, il bel topazio, È a pg. 188 delle Rime del Soranzo. Scherzo XLVIII. Nelle noige della Signora Margherita Con-falonieri Maggio. Margarita , Più gradita È a pg. 205 delle Rime del Soranzo. Il confronto delle due edizioni offre alcune varianti. Scherzo XLIX. Al signor Emanuel Filiberto Rovara Conte di Roviasco. Filiberto, quella vostra, È a pg. 208 delle Rime del Soranzo. Le due lezioni sono identiche. Scherzo L. Alla signoia Virginia Ramponi Andreini. Deh Florinda , gratiosa, È a pg. 221 delle Rime del Soranzo, in cui lo scherzo non è più in lode della celebre e bellissima moglie dell’autor àe\Y Adamo, Giambattista Andreini, ma è diretto a Licori. Deh Licori, graziosa, C’ hai negli occhi amor dipinto, 70 GIORNALE LIGUSTICO * * * Così adesso si conoscono gli autori di ben trentasette scherzi della Corona cTApollo, e volendo aggiungere a questi ultimi anche que’ due che dal Ferrari furono riconosciuti non potersi attribuire al Chiabrera, « serbano l’incognito » altri quattordici scherzi. Si potranno trovare anche di quest’ultimi i veri autori? Non posso veramente dir di no, ma la cosa è difficile assai. Ho esaminato accuratamente in questi giorni un centinaio e più di canzonieri del Seicento, e senza frutto. Una cosa poi di non dubbia gravità è che alcuni scherzi della Corona d’Apollo si incontrano nel codice magliabechiano 2868, messo in luce dal Ferrari nella sua Bibliotecii di letteratura popolare (1), e, come si sa, in tal codice le canzonette sono adespote, e di esse si sono trovati gli autori, quando costoro le hanno date alle stampe. Ma, osservo, come si potrà fare, se, trovando le rimanenti canzonette della collettanea in qualche codice anch’ esso adespoto, si vorranno trovare i loro veri autori? Mario Menghini. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Ottavio Varaldo. Rime e lettere inedite di Gabriello Chiabrera.— Savona, Bertolotto 1888, in 8.° di pp. 71. Da manoscritti, per lo più autografi, esistenti nelle Biblioteche di Firenze e di Roma sono tratte le nuove poesie e le lettere del poeta savonese, che qui vedono la luce. Inoltre una sua supplica al Senato di Genova, che pur si produce, sta nel R. Archivio di questa città, e più altri documenti prodotti nella prefazione vennero esemplati sugli originali conservati e nel citato Archivio, e in quello Comunale di Savona. La prefazione giova appunto a porgere le notizie biblio- (1) Vol. I, pag. 129-265. GIORNALE LIGUSTICO ?! grafiche, e a dar contezza di alcuni incarichi, affidati al Chiabrera dalla sua città, per certi pubblici negozi da trattarsi con il Governo genovese. Le rime sono di vario metro; uno sciolto per le nozze di Federigo Ubaldo della Rovere d’Urbino, e poi canzonette, sonetti e madrigali. Delle lettere, oltre la ricordata supplica, ve n’ha ventiquattro indirizzate a Roberto Titi, due a Giambattista Strozzi, una a Urbano Vili, e una a Jacopo Gaddi. Tutte per varie guise notevoli; ma importanti assai, la maggior parte di quelle al Titi che corrono dal 1593 al 1606. Salvo la supplica, della quale si tiene discorso nella prefazione, le altre non hanno illustrazione di sorta (1). A dir vero Γ editore non ha usato quella diligenza che si richiedeva; onde numerose sono le inesattezze nei testi, prodotte vuoi da errori tipografici, vuoi da affrettata o cattiva lettura. Eccone le prove; Lett. II, lin. 6, contro — ms. conira, 1. 9, salutarla,, e pregarla — ms. salutarla e riverirla, e pregarla, 1. 17 d.re — ms. di y.l,c: lett. III, 1. 28 , potrebbero — ms. potrebbono, 1. 33, ma avuti — ms. ma aiuti, 1. 47, 0 no giustamente — ms. giustamente 0 no, 1. 48, non ocorre — ms. non vorrei, 1. 50, come pur -r- ms. come più, 1. 56, questo — ms. quel: lett. IV, 1. 5, Hora non so — ms. Hora sono non (1) L’editore, toccando nella prefazione delle lettere a Roberto Titi, scrive: « Ma perchè di queste lettere non offro qui la serie intera, e perchè m’è noto che verranno poi ampiamente illustrate da Achille Neri, così trascorro oltre » (p. 6-7). È vero, io stavo radunando i materiali necessari a pubblicare illustrato questo importante carteggio, e perciò non nascondo la dolorosa impressione cha mi ha fatto il vederne qui pubblicata la maggiore e miglior parte (le lettere ancora inedite sono 15). Non è in verità la più bella testimonianza di onestà letteraria, perchè l’editore, che ha avuto da me liberalmente indicazioni e notizie, le moltissime volte che ha discorso con me della presente pubblicazione alla quale attendeva, mi ha costantemente nascosto il proposito di mandare in luce le lettere al Titi. Dico questo, perchè le sopra citate parole potrebbero aver 1’ intenzione di far credere al mio consentimento 72 GIORNALE LIGUSTICO so, 1. 20, il R.° — ms. il S.r : lett. V, 1. 3, mali sucurrere — ms. mali miseris succurrere, 1. 28, V elesia — ms. Vestesia, 1· 36, Oggi chi — ms. Oggi dì chi, 1. 37, e cosa — ms. se cosa, 1. 38 antichi? — ms. antichi, 1. 40, i Tasso — ms. il Tasso, 1. 46, movere — ms. morire: lett. VI, 1. 37, sei — ms. seco, 1. 46, de servire — ms. che scrive, I. 47, la poesia ms. in poesia: lett. VII, 1. 12, essere — ms. per essere, 1· 19, sji ms. si, 1. 22, non ho — ms. io non ho, 1. 23, si possa ms. si debba: lett. IX, 1. 7, ghe le — ms. glie le, 1. 11, a 29 — ms. a 19 (1); lett. X, 1. 9, questa — ms. cotesta, 1. 12, il viaggio — ms. il mio viaggio, 1. 13, il voler ms. ne farò il voler: lett. XI, 1. 13, ritenga — ms. riten-ghi. 1. 20, compongo — ms. componga, 1. 25, forse — ms. forte, 1. 3 i, del mio — ms. dal mio, 1. 34, appagare al — ms. appagare il: lett. XII, 1. 12, dessi — ms. deesi, 1. 16, di più — ms. di qui, 1. 24, sia — ms. sì, 1. 27, ne so — ms. ne ho: lett. XIII, 1. 3, io an^i — ms. ma io an^i, 1. 5, mi prego — ms. vi prego, 1. 8, amici — ms. novi: lett. XIV, 1. 22, si assolva — ms. mi assolva, 1. 32, de’ — ms. deh, ivi, Da per caso — ms. Di più caso: lett, XV, 1. 7, di gran — ms. con gran, 1. 11, lettera — ms. hora, 1. 22, aiuti — ms. aiuto, ivi, lettera — ms. hora, 1. 23, ijpj — ms. ijyy (2): lett. XVI, 1. 11, la lettera — ms. la sua lettera, 1. 15, eh’ è — ms. et è, (1) Questa data è anche accertata dalla lett. LXI al Castello (Lett. di G. C. a B. Castello, Genova 1838, p. 126) scritta da Savona « il dì del Corpus Domini 1595 », cioè il 25 maggio. (2) Il testo di questa lettera chiarisce abbastanza che non appartiene al 1595, e la peste del Piemonte quivi accennata ci richiama agli anni 1598 e 1599 in cui questa regione fu invasa dal contagio; al 1599 appartiene veramente. Del resto se l’editore avesse osservato che la lettera era diretta al Titi a Bologna (e avrebbe fatto bene a non trascurare l’indicazione del luogo) dove egli non andò prima del gennaio 1597 (cfr. lett. xxi), non l’avrebbe ascritta al 1595. GIORNALE LIGUSTICO 73 1. 16, a far — ms. a venir a far : lett. XVII, 1. io, a Pasqua ms. e Pasqua, 1. 13, 25» — ms. iy (1): lett. XIX, manca Molto III. Sig”, 1. 11, essa — ms. ella: lett. XX, 1. 12, mio obligo — ms. il mio obligo: lett. XXI, 1. 4, perchè — ms. Il sonetto a me piace perche, 1. j, Dio mio — ms. Di mio: lett. XXII, 1. 11, son pronto — ms. sarò pronto: lett. XXIII, 1. 9, ha discorso — ms. mi discorse, 1. 10, lo trattato — ms. l’ho trattato, 1. 14, degna da lui — ms. degno di lui, 1. 15, sarò ms. sara: lett. XXIV, 1. 3, erami — ms. emmi, 1. 4, nelle ms. mille, 1. 5, da Firenze — ms. di Firenze, 1. 6, V A-scanio ms. S.r Ascanio, 1. 14, troppi—ms. troppo, 1. 25, cantare ms. cantarsi, 1. 27, concetti familiarissimi — ms. concetto familiarissimo, in questa stessa linea vi è ripetuto per eriore tip. ho pensato, 1. 31, alcune — ms. alcuno, ivi, deciderà ms. desterà, 1. 33, di suo — ms. 0 di suo, 1. 37, P. Zoppio — ms. 5/ Zoppio, 1. 38 , d.n — ms. 7.^: lett. XXV, 1. 8, tolto già — ms. tolto giù, 1. 20, Dirassi — ms. Giungo: lett. XXVI, 1. 10, i cari — ms. sì cari, ivi, son biasimevole — ms. non biasimevole: lett. XXVII, 1. 15, in secondo — ms. non secondo, 1. 30 e 32, versi sciolti — ms. verso sciolto, 1. 38, desidero — ms. destino. Quantunque io non abbia avuto modo di accertare meglio la lezione della lett. XXVIII, pur credo che alla 1. 5, 'essi indi trovato, si debba leggere: èssi mai trovato, e alla 1. 22, invece di riverito — ricevuto. Cosi ad esempio nelle poesie al v. 4 del son. X, è da leggere : sol e non solo; e ai vv. 364 del mad. XII forse: mentre io te bacio e eh’i tuoi, anziché: mentre te bacio, e ed i tuoi. Certamente poi al v. 4 del son. VII l’autore scrisse: spirti, e non spiriti, e ai vv. 7 e 8: de V Esperia a gli Ottoman, e non dell’, e agli. (1) Nel testo si dice: « hora su li 20 di marzo le nostre montagne sono ripiene di neve », è dunque del 19. 74 GIORNALE LIGÙSTICO Rilevo poi, per esattezza bibliografica, che il cod. donde sono tratte le lettere allo Strozzi reca il n. 1399, mentre il n. 973 appartiene alla vecchia numerazione della Strozziana, così l’indicazione data dall’editore per il cod. dove sta la lett. al Gaddi si riferisce alla antica libreria di questa famiglia, avendo nella nazionale la segnat. 11, IV, 544, e la cassetta nella quale si contengono le lettere al Titi ha il n. 3 e non il 2. Finalmente era da avvertire che il brano della lett. 28 giugno 1623 allo Strozzi, che comincia: Ho pensiero di stampare, e termina con le parole, il suo vero verso, era già stato prodotto dal Paolucci nella edizione delle Rime chiabreresche da lui curata (1). A. Neri. SPIGOLATURE E NOTIZIE La « Dichiarazione poetica dell’inferno Dantesco » di Frate Guido da Pisa viene dedicata dall’ autore ad nobilem virum dominum Lucanum de Spinola de Ianua con questi versi : La gran devotione e ’l grande amore che tu dimostri, Spinola Lucano, in ver lo gran maestro e ’l grand’ autore, ciò è inver Dante poeta sovrano, lo qual d’ ogni ben far mostrò la via per lo camin divino et per 1’ umano, m’ induce che de 1’ alta Comedia i’ ti dichiari ogni profondo testo secondo la sufficientia mia Ricevi dunque il mi’ chiarar eh’ é quçsto. (1) Rime, Roma 1718 , I, xxi. A proposito di questa lettera noterò che nel testo dato dal presente editore alla lin. 26 si legge: « che si dovesse fare de popolari », espressione che cambia affatto il sentimento dell autore, il quale vuole affermare che il verso « senza rime ubligate » è da adoperarsi in poemi non popolari. Se non che l’originale ha: « che si dovesse fuori fare de’ popolari » ; 1’ editore ha creduto vi fosse errore, e ha omesso il fuori (il Paolucci corresse malamente farsi fare) ; ma basta leggere: fare fuori e tutto è accomodato, considerando come nella sollecitudine dello scrivere siano facili le trasposizioni, tanto più per analogia di suono. GIORNALE LIGUSTICO 75 Questo Lucano era figlio di Gregorio del ramo di S. Luca, e si hanno sue notizie in atti del 1323 al 1347. Forse egli fu scolaro di Guido. (Cfr. Il Propugnatore, Nuova Serie, I, 62, 339 e seg.). * * * Il Schaube in un importante monografia sopra I consoli del mare a Pisa (Staatsund Socialmssenschaftliche Forschungen, Vili, 2) studia largamente questa istituzione in confronto di quelle delle altre città marittime come Ancona, Genova, Montpellier ecc. * * * Fra le Carte Slro\%iane notiamo nel cod. cccxxiii: « Strumento della tenuta presa dal procuratore di Giovanni de’ Medici della terra di Aulla in Lunigiana, del 5 marzo 1523. Lettera originale di Adam Centurione al Principe Francesco de’ Medici di Genova 23 marzo 1566, relativa alla vendita dell’ Aulla e di Bibola — Relatione di quello che ho speso per l Avula, Bibola et sue Ville. Allegato alla lettera precedente — Lettera di prete Lodovico Corbani a Adam Centurioni marchese dell’ Aulla. Da 1 Aulla 15 luglio 1542. Tratta della vendita di quel luogo. Originale — Pianta della giurisdizione di Colechia e Olivola rispettivamente del Granduca e del marchese Troilo Malaspina. Disegno a penna del capitano Paolo Seragli con la dichiarazione a fronte ». Nel cod. cccxxiv: « Ambasceria della Repubblica di Genova al Gran Turco nel 1666. Porta la data di Costantinopoli 25 novembre 1666 ». Nel cod. cccxxviii vi è questo opuscolo: « Relatione/ del successo/Nell’acquisto della Villa, e Ca-/ stello d’Ottaggio, fatto/ dall’Altezza Sereniss./di Carlo Emanuele/ Duca di Savoja etc./ Li 9 Aprile 1625. (Fregio composto, che in un cerchio in mezzo ha la veduta di un castello con le lettere C. L.) In Turino, et in Venetia, ad istanza di Giulio,/ et Compagni 1625./ Con licenza de’ Superiori ». Quattro carte in 12.°. Esistono altresì, nel codice cccxxix, la « Lettera responsiva della Repubblica di Genova a quella di Venezia in occasione dell’interdetto di Paolo V » uscita più volte per le stampe ed apocrifa; e nel cod. cccxxv il « Caso dal Signor Gian Luigi Fiesco » narrato in una lettera al Varchi da Giulio Fiesco, e pur stampato. * * * È comparsa nell’ultimo fascicolo della Revue des questions historiques (Janvier 1889' una monografia di Ludovico Seiout intitolata : La République Français et la République de Gênes 1794-1799. Le fonti delle quali 1’ autore si è giovato sono i documenti conservati nell’ Archivio del Mi- 76 GIORNALE LIGUSTICO nistero per gli Affari Esteri di Francia , e rispetto all’ Italia della Storia di Carlo Botta, trascurando il molto materiale dei nostri archivi, e, che *■ Peon'°! alcune importanti pubblicazioni contemporanee, pur venute fuori in Francia. * * * Il prof. Giovanni De Castro pubblica nella Rassegna Nazionale (i Gennaio, p. 3), una monografia intorno a Genova e Tripoli. Per l’opera del ch. Canale su lo stesso argomento cfr. il Gior. Lig., a. 1887, pag. segg. * * + Nell adunanza 9 dicembre 1888 tenuta dall’ Accademia delle Scienze di Torino, « il prof. Fabretti presenta alla Classe (Scienze morali, storielle e Filologiche) una statuetta di bronzo acquistata di recente dal Museo di Antichità di Torino, proveniente a quanto pare dal territorio dell antica Libarna, la cui sede fu stabilita presso Serravalle-Scrivia. Parecchi bronzi e molti altri oggetti di antichità vennero fuori da quella regione, i quali si trovano descritti in due opuscoli pubblicati dallo scultore Santo λ arni. La statuetta di buonissimo stile , alta cent. 26, è mancante della testa e delle braccia : rappresentava una Vittoria volante , che recava probabilmente la palma nella destra. Si riconosce il punto d’attacco delle ali, e più in basso quello di un sostegno , che doveva porre la Vittoria in attitudine di non toccare coi piedi la terra, nudo suspenso pede. Bella è la forma e fine il lavoro : la veste è gonfiata dal vento, e la tunica serrata al petto da farne meglio risaltare le forme, quantunque non abbia cintura, che la stringa alla vita ». (Atti, XXIV, 144). BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO C. Cipolla e C. Merkel. Una iscrizione del 1236 e la origine di Fotsano. — Bocca. Torino 1889. Pag. 38 con tavola. Questo studio intorno all’ origine del comune di Fossano era stato promesso da uno dei due autori in un altro suo lavoro, diretto a lumeggiare la vita dei Manfredi Lancia, noti nella storia d’Italia dei secoli XII e xiii (1). Esso ripiglia quindi la questione, che aveva allora un’importanza secondaria, e che dal giovane autore opportunamente era stata lasciata insoluta. Del resto l’origine di Fossano è questione vecchia, dicono ora i due A. e non ancora ben risolta; e ciò perchè l’iscrizione (1) Carlo Merkel. Manfredi I e Manfredi II La-.icia. Torino, Loescher 1886, pag. 63-4. GIORNALE LIGUSTICO 77 cie lede argomento alle discussioni, non è chiara nè finora fu ben etta. Pei ciò essa è qui per intero ripubblicata, con ampio corredo di pananti tratt0 dai vari storici di cose piemontesi i quali in genere « forse an ripetuto l’uno la edizione dell’altro, senza fare alcun controllo, piuttosto che ricorrere all’epigrafe » (pag. 9). E l’esame paleografico accuratissimo cui essa è sottoposta, oltre ad un’esatta lezione della epigrafe conduce gli A. a questa conclusione importante anche storicamente, e che ci dimostra pur l’autorità della iscrizione, che cioè rispondendo i car.itteii suoi all’età alla quale essa è attribuita, l’epigrafe può riguardarsi come press’a poco contemporanea all’anno che porta (pag. 7). Il significato suo fu oggetto di disputa. Essa evidentemente fu collocata sulla porta Sarmatoria di Fossano, per ricordarne la fondazione (pag. 13). Parecchie considerazioni però conducono gli A. a credere che non solo questo abbiano voluto ricordare i Fossanesi, ma che in quella erezione abbiano essi inteso di vedere la dichiarazione della origine della città stessa, del locus Fossani (pag. 14-15). Non è accettabile quindi 1’ opinione di quelli scrittori che vorrebbero credere Fossano, almeno come centro abitato, anteriore al 1236. Basti il dire che mancano totalmente, prima di tal anno, documenti che si riferiscano non solo alla storia interna di Fossano, ma quel che è più alle relazioni che Fossano avrebbe dovuto mantenere coi comuni vicini, già potenti prima del 1236, e ricchi di carte anteriori a tale età. Solo dopo quest’anno dunque principiano gli atti che ricordano Fossano, il suo comune e i suoi magistrati (pag. 25). Però « non è a credere che il 7 dicembre 1236 sia stata finita la costruzione materiale della città, e colla costruzione materiale sia stata anche compiuta la sua costituzione sociale e civile. Fossano aveva due reggitori ed un giudice assessore: qualche forma di comunità quindi esisteva, sebbene essa non fosse così perfetta come la troviamo nel 1237, quando cioè il comune di Fossano ha oramai il suo podestà. L’iscrizione significa che quel giorno fu offi- cialmente proclamata la costituzione del nuovo corpo sociale, dopoché_ come è a ritenere — ne furono condotte a termine le mura » (pag. 26). In simile maniera sorse pochi anni dopo la città di Cherasco, popolata anch’ essa in buona parte da uomini fuggiti dai comuni vicini. Quelli che vennero a popolare Fossano, fuggiti da varie ville soggette quale ad Asti, quale al marchese di Saluzzo 0 ad altri minori fondatori, non seppero trovar miglior mezzo per avere una prima difesa che quello di mettersi sotto la protezione imperiale (pag. 30). E Fossano nel 1236 è sotto il governo di Manfredi Lancia : non si discerne bene però se questi sia ricordato come feudatario 0 come ufficiale imperiale: feudatario pare, quando si noti che egli non è ancora rivestito di alcun ufficio: ufficiale dell’ impero invece, ove si osservi che egli è ricordato col castellano di Annone, che appunto era un ufficiale dell’imperatore (1). (1) Carlo Merkel, Manfredi I t Manfredi II Lancia. Torino, Loscber, 1886, pag. 76. 78 GIORNALE LIGUSTICO Alcune carte, qui esaminate, ci danno in breve la storia del nuovo comune nei suoi primi anni: « in quattro anni esso entra nella categoria dei comuni maggiori, ed appropriatisi i diritti di far pace, guerra, cavalcate, contrae obblighi cogli altri comuni, senza far riserva per nessuna autorità, neppure quella degli ufficiali imperiali e dell’imperatore stesso » (pag. 34). Ma non basta; un documento del 1253 ci dice che ancora esistevano in gran numero uomini che avevano fondato Fossano: la città era dunque di fondazione recente : e si ha anche per questo ragione di credere vera la iscrizione, quando essa dice che Fossano fu fondata nel 1236 (pag. 35). Giovanni Filippi. AlessXndro Bedetti, Juvtnilìa. — Ancona, G. Morelli, 1888. È alla memoria del morto fratello che PA. dedica la sua raccolta di versi, la quale, ove fosse sfrondata almeno di un terzo, dei sonetti cioè a rime obbligate, delle poesie scritte in occasione di genetliaci o d’onomastici, di tutti i componimenti infine che 1’A. chiama « disadorni e meschini perchè dettati in fretta e in furia, senza nemmeno l’attenuante dell' ispirazione » ci guadagnerebbe un tanto. Ma speriamo che in una 2.* edizione egli vorrà tener conto dell’ appunto che ci siamo permessi di fargli, con grande vantaggio suo e de’ lettori. I principali tra i componimenti del volume, come ad es.: Una zisita al camposanto, e Carme a Vittorio Emanuele II, vennero scritti e pubblicati quando Γ A. era ancor giovanissimo, e gli meritarono le lodi della stampa, siccome quelli che provavano la felice attitudine di lui al poetare. Nella loro qualità di componimenti giovanili per altro non andavano esenti di mende, che l’Autore cercò più tardi correggere, riuscendovi in parte, sebbene anche sotto la nuova veste, in cui ce li presenta ora, appaiano spesso prolissi, stentati, e serbino traccia dalle reminiscenze lasciate nella mente di lui dalle molte e diverse letture. Non mancano tuttavia qua e là i versi caldi e robusti, che ci fanno dimenticare i difetti degli altri, e augurar bene dell’Autore. Quanto alle poesie erotiche, esse vengono « rimesse trepidando all’indulgenza delle gentili lettrici anconitane », le quali, speriamo, vorranno far come noi; passar sopra cioè alle molte arcadiche, sentimentali, vaporose, in grazia delle poche in cui 1’ Autore sa mostrarsi originale e scrivere con verità e naturalezza. Il seguente gentilissimo quadretto basterà certo a provare che quand’egli lascia in pace i leffiri, gli eden, U visioni eteree, i profumi sabei, le cetre, iflebili soggiorni ecc., riesce a dettare cosuccie assai carine. « Tacqui ed attesi trepidando. Il volto » avvampante di subito rossore »' la vergine chinò : frequenti palpiti » agitavanle il seno.... eppur tacea 1 » La desiata mano allor le presi » soavemente e me la strinsi al core. «> Ratta la sciolse con terror; ma intanto » con eloquente ma furtivo sguardo » il primo delirato almo sorriso « d’ amore lampeggiò. Fu quello il primo » giorno felice dell’ età mia verde » (pag. 70). GIORNALE LIGUSTICO 79 Passando adesso a parlare della parodia che trovasi a pag. 134, non saremo certamente noi gli acidi critici, come si compiace chiamarli malignamente Γ Autore, che l’accuseremo d’irriverenza per aver osato parodiare i versi di Dante, convenendo anzi con lui che le alte e gloriose concezioni del genio hanno sempre avuto l’onore della parodia. Del rimanente quando la parodia si propone il nobile scopo di correggere e migliorare, come in questo caso, in cui l’A. cerca mettere in rilievo la misera condizione del maestro elementare, per la quale tanto si è gridato in questi ultimi anni e quasi sempre inutilmente, benvenuta anche la parodia ! Benvenuta, specialmente quando lo scherzo riesce urbano e l’arguzia felice come riescono quasi sempre all’Autore..... Abbiamo detto quasi sempre, perchè pur troppo qualche volta anch’egli rasenta la volgarità e qualche altra volta casca in essa a dirittura. Ma dallo schermo gentile e decoroso allo scherzo grossolano e triviale non c’ è che un passo: merita pertanto venia l’Autore, se non sempre ha saputo evitare il difficile e pericolosissimo scoglio. Concludendo, se « Juvenilia » non rifà la gente, come il Giusti voleva dei libri in genere, ha però buon numero di pregi da contrapporre ai difetti di cui non è scarso, e può riuscire una piacevole lettura a quanti, in questi tempi di prosa prosa e prosa, amano ancora deliziarsi in compagnia delle muse. A. G. F. Luschin von Ebengreuth (A.), Das deutsche Kaufhaus in Venedig (Il Fondaco dei Tedeschi in Venezia); nel Zeitschriftfùr Geschichte und Politile, 1888. Il ch. Professore di Graz rammentando gli scritti di Heyd , di Thomas e d’ altri sul medesimo soggetto, si dimora a ragionare, compendiandolo, del lavoro più recente pubblicato nel 1887 in due volumi dal dott. Enrico Simonsfeld, il valente indagatore dei manoscritti di Marin Sanuto il vecchio e di altre cronache e studi veneziani. Questi vi ha tratteggiato la storia del Fondaco tedesco, illustrandola con un migliaio di documenti dal 1225 al 1653. Pare, ma oscuramente, che questo edifizio sia cominciato verso l’anno 1200; il primo documento però non data che dal 1228. Bruciò novanta anni dopo e bruciò ancora nel 1505, spento soltanto il secondo giorno coll’ aiuto degli arsenalotti. Ad ogni volta il Governo di Venezia spese grandi somme per la ricostruzione , alla quale nel se- · colo xvi si aggiunsero splendide opere d’architettura e d’arte, compresi gli affreschi di Tiziano e di Giorgione. Per tale guisa il Fondaco divenne come una piccola e bella città, con cortili, stanze per commercio e per abitazione. Sventuratamente era allora appunto che il commercio cominciava a scadere, attesa la nuova via all’india scoperta dai Portoghesi. La Repubblica, a cui veniva a mancare il monopolio delle spezie e delle merci orientali, il più vivo fonte della sua ricchezza , faceva del suo meglio per 8o GIORNALE LIGUSTICO trattenere i Tedeschi; e vi riuscì ancora relativamente fino a mezzo il secolo xvi, specie colle città d’Augusta, Ulma, Norimberga, Vienna; ma era impossibile andare innanzi. Tuttavia il Fondaco tedesco si conservò fino al cadere della indipendenza , ma solo come ombra dell’ antica grandezza. L’amministrazione di quell’ emporio era tenuta entro limiti rigorosi: i Tedeschi non poteano abitar fuori, nè uscirne per commerciare, acciò i ricchi dazi che si cavavano dalla entrata ed uscita non fossero frodati, nè poteano introdurvi merci inglesi, fiamminghe o altre, nè inoltrare Je proprie all’ Oriente. Viceversa i Veneziani viaggiando in Germania non poteano provvedersi d’ altro che di cavalli, armi, o pel loro sostentamento. Sembra che questi ed altri simili impedimenti avrebbero dovuto stancare la pazienza tedesca; eppure no; il guadagno glieli faceva sopportare. D’altra parte coi costumi d’ allora, le difficoltà de’ viaggi e delle strade, nemmeno nei paesi propri aveano troppa libertà di movimenti ; Venezia dal suo canto, colla proverbiale prudenza, cercava addolcire in pratica le durezze senza danno della sostanza , e col continuo provare e riprovare si riusciva ad avere il tesoro pieno, il popolo ben nutrito e i forestieri soddisfatti. Il ch. Simonsfeld ci apprende le città che convenivano a Venezia, i dazi che pagavano, gli oggetti d’importaziooe e di esportazione , gli ordinamenti interni del Fondaco; ma mentre il Luschin Io loda di ciò, trova qualche cosa ad appuntare in quanto agli apprezzamenti di lui sulle monete correnti ne’ diversi tempi: e veramente si sa che il professore di Graz è antico e profondo maestro in tale materia. Egli quindi rettifica certe spiegazioni, tra le quali (ristringendoci alle sole monete italiane) nota che i danari da 20 e da 22 sono un moltiplico di pigoli ("piccoli) veronesi, e non si hanno a confondere i scellini (soldi) con que’ pigoli come li ha confusi il Simonsfeld. Nè è da ammettere il ragguaglio che questi ha fatto del soldo di que’ tempi a cinque centesimi italiani : stima troppo bassa, anche badando al solo valore del metallo fino,, peggio se si badi al valore estrinseco o commerciale. Difatti pigliando a base il ducato corrispondente a grammi 3,44 in oro fino, un soldo del 1356 risulta in oro fino gr. 0,078 , il soldo del 1437 a gr. 0,032, laddove centesimi cinque italiani non equivalgono che a gr. 0,0029. Le quali rettificazioni mi paiono giuste e tanto più lodevoli, in quanto i nummograti quasi generalmente tralasciano di somministrare allo storico ed all’ economista i mezzi per calcolare gli effetti degli atti pubblici e privati sulla prosperità dei popoli. C. Desimoni. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 8l LA GIOVINEZZA DI CARLO EMANUELE I DI SAVOIA nella poesia £ NEGLI ALTRI DOCUMENTI LETTERARI DEL TEMPO (Continuaz. e fine; v. fase. I-II pag. 3, 1889). IV. La buona duchessa Margherita fu sinceramente rimpianta: da un lato quella morte toccava ad un tempo nel cuore e nell interesse molti di quei letterati, che adulandola nei loro canni e nelle dediche loro erano man mano riusciti ad acquistarne il favore; dall’altra colpiva dolorosamente un marito affezionato — non ostante le scappate con la bella Beatrice di Langosco e la civettuola Lucrezia Proba e la disgraziata Giacomina d’Entremont (1) — e un figlio vissuto sempre presso di lei e da lei amato teneramente. Questi due fatti di natura così diversa vennero però a congiungersi insieme, per promuovere seritti in onore ed in compianto della morta ducchessa : i letterati avevano acconcia occasione di sfogare il loro rammarico per la perdita della protettrice e di provvedere ad un tempo al loro vantaggio, traendo partito dal dolore del duca e del principino per guadagnarsene l’animo con scritti d’occasione. Così faceva un (1) Litta, Famiglie celebri d’Italia: Casa Savoia; Ricotti, VI, I, t. II, P- 417 e segg., e XII, 2, t. IV, pp. 370 e 444 e segg. Sugli amori di Emanuel Filiberto con la D’Entremont furono sollevati alcuni dubbi. Per maggiori notizie vedi Claretta, Giacomina d’Enlremont, Torino, 1881, estr. dalla Nuova Rivista, anno I. Giorn. Ligustico. Anno XVI. r 82 GIORNALE LIGUSTICO prete cortigiano, Marc’ Antonio Bobba, singoiar figura d’uomo e di letterato che meriterebbe uno studio speciale. A’ suoi dì godette di grande riputazione: vescovo d’Aosta nel 1557, era stato mandato da Emanuel Filiberto suo ambasciatore al concilio tridentino (1), poi papa Pio IV l’aveva creato car-dinaie del titolo di S. Silvestro (2), il Ciacconio (3) loda-valo come insigne poeta (4) — giudizio sul quale il dabbene abate Crescimbeni metteva più tardi la sabbia , e Girolamo Catena ed altri letterati lo colmavano aneli essi di grandissimi elogi (5). Il Bobba, morto l’anno dopo, 1575» e quindi allora in età già avanzata, dedicò appunto a Callo Emanuele I una poesia in morte della madre, nella quale, lodate le sue grandi virtù , veniva poi confortando 1 afflitto figliuolo ed esortandolo a por fine ai pianti e alle lacrime: Tandem querelis pone modum tuis et matris ultro sidereas domos tenentis, incassum quietos desine sollicitare Manes. Constanter actae non sine gloria vitae innocentis praemia nunc capit ; Et laeta post multos labores colloquiis fruilur Deorum. Perspectus almae iam satis est tuus dolor parenti: Carole, turgidos absterge ocellos, et iubenti cede volens, generose, fato. (1) Pallavicino, Storia dei concilio tridentino, XIX, 15, § I· Cfr. Ray-naldi, Annales Ecclesiastici, ad annum 1563. Il Bobba lesse in concilio un discorso molto applaudito, cui rispose Bartolomeo Serigo vescovo di Castellaneta. (2) Vitae pontificum, p. 1674 e segg. (3) Commentario della volgar poesia, t. V, 1. II, p. IH. (4) Tenivelli, Biografia piemontese, decade li, p. 235 e segg. ; Ray-naldi, Annales Ecclesiastici, ad annum 1565; Ughelli, Italia Sacra, t. IV. (5) Vallauri, Storia della poesia, t. I, p. 188. giornale ligustico 83 Fletas mane comprime, et inclyta hac stirpe digne indice spiritus et mente coelorum virili, disce, puer, penetrare sedes. Insigne mater, quam prcpere nimis nobis adeptam conquereris, suae virtutis exemplum reliquit, quod studio mediteris omni (i). Nè il Bobba era il solo; chè anche un Papirio Massono deplorava in un lungo carme la morte di Margherita nel- 1 età ancora fiorente di cinquantasei anni, e gravemente cantava : Diva, sub hoc tumulo cuius nunc ossa quiescunt, in ripa vixit Duriae parvae tua. Ipsa Subalpinis pacem, terrasque marito, haeredis partu restituisque genus. Lugebit Taurinus ager fata ultima, fata inveniet domina nec pietate parem (2). Però il Massono, come altri, non si volgeva allora a Carlo Emanuele : riserbava 1 incenso a migliore occasione. Intanto la morte della madre portava un grave e radicale mutamento nella vita del principino : Emanuel Filiberto, toltolo a quell’ educazione molle e delicata troppo, lo fece bruscamente addestrare all’ armi, alla ginnastica, agli affari. Allora cominciarono in Val di Lanzo le caccie all’ orso ed al (1) Delitiae // CC Italorum // poetarum, huius su- // perioris aevi // illustrium // Collectore // Ranutio Ghero // Prostant in officina Ionae Rosae // mdcviii, p. 441-443. (2) Tumulus // Margaretae i/ Valesiae Taurinensium // Dominae // Quae obijt mense Septembri // mdcxxiv// Papirio Massono // Autore // Parisiis , mdcxix , p. 7-8. II Tumulus Margaretae fu pubblicato molti anni dopo la sua composizione da Giambattista Massono, fratello di Papirio. 84 GIORNALE LIGUSTICO cinghiale, che poi Carlo Emanuele amò tanto ad esempio dei padre, ma risparmiando nelle gride che vietavano quel divertimento agli alpigiani i tratti di corda minacciati da Emanuel Filiberto (i); allora cominciarono pure gli esercizi di scherma e di nuoto, il frequente cavalcare, insomma tutta una nuova maniera di vita, che fece robusto e gagliardo quel corpo già debole e gracilino (2). Il Marini ricordava appunto questi anni della vita di Carlo Emanuele I, quando scriveva; Crebbe e tra pigri sonni e molli vezzi Otioso marcir non si compiacque. Schivi del lusso, a le fatiche avvezzi imitò gli avi, onde discese e nacque, e con aspre vigilie, ovunque fusse, le forze ammaestrò, le membra instrusse. Fùr del guerriero ingegno i primi studi (nonché le damme imbelli) affrontar 1’ orse ^ spesso contro i cinghiali ispidi e crudi lo spiedo maneggiò, 1’ arco contorse ; nè tal già Sparta Epaminonda vide, nè tal mai Tebe il giovinetto Alcide. Talor per campo aperto o chiuso agone animoso destrier volse e rivolse, e in lieta giostra 0 in orrida tenzone rapidissimamente il fren gli sciolse, indi nel petto altrui con forte destra fiaccò nodosa rovere silvestra. De lo scoppio avventar piombate palle, spada rotar con man spedite e pronte, lieve col salto superar la valle, col corso il pian, con la salita il monte, romper col nuoto i rapidi torrenti: cosi s’ esercitar gli anni crescenti (3). (1) Maria Savy Lopez, Le valli di Latino, p. 459 e segg. (2) Ricotti, Op. cit., VI, I, t. II, p. 418. (3) Ritratto panegirico, cit., sest. 50-53. GIORNALE LIGUSTICO 85 Né tuttavia per gli esercizi ginnastici e militari trascurava gli studi, chè anzi andava ogni di facendo nuovi e maggiori progressi. Papirio Massono, quello stesso che abbiam veduto scrivere un lungo carme sulla morte di Margherita di Valois, ci fa sapere come Carlo Emanuele, il quale fin da bambino aveva imparata la lingua latina, come già ci disse il Bucci, € con essa anche Γ italiana e la francese e la spagnuola, in questi suoi anni giovanili vi si era sempre meglio perfezionato, e inoltre attendeva agli studi di matematica e di storia (1); e il buon abate benedettino Don Valeriano Castiglione nella sua Historia inedita (2) cosi scriveva degli studi giovanili di Carlo Emanuele I : « Era già istrutto nella varietà delle lingue per servirsene con gli Ambasciatori, poteva fin air hora discorrere perfettamente delle conditioni de Regni, delle qualità degl’imperi, Stati, Repubbliche, Principati , delle descrittioni e siti de’ paesi , de’ costumi de’ popoli, delle forze, ricchezze, governi, religioni di varie provincie; era di già insomma l’intelletto suo un Archivio perfetto di storie sacre e profane, un emporio di arti liberali, et un’imagine dell’assoluta Enciciopedia ». Espressioni dove c’è evidentemente dell’esagerazione, ma (ì) Elogia // Serenissimorum // Ducum Salaudiae // Papirio Massono I/ Auctore // Parisiis // Apud Iacobum Quesnel, via // Iacobaea , sub signo duarum columbarum, mdcxix , p. 125: « Antequam pubertatem attigisses, et Latine loqui didiceras (quod in Principe his temporibus maximum est) et Gallici Hispanique sermonis delicias plane noveras. Pubes autem Mathematicarum artium secessus atque abdita penetrasti, quae et oblectationis et utilitatis plurimum Principibus viris afferre solent... Venationi et aucupio deditus etiam fuisti et in equo esse summa tibi voluptas fuit s. (2) Archivio di Stato di Torino: Real Casa: Categoria III, mazzo XIV, p. 25. Cfr. Gabotto e Badini, Dodici poesie inedite di Carlo Emanuele I Duca di Savoia, p. 6, Torino, Baglione, 1887. 86 GIORNALE LIGUSTICO che rispondevano tuttavia fino ad un certo punto ad uno stato reale di cose; chè Carlo Emanuele I rivelava fin d’allora quelle tendenze che formarono poi il carattere di tutta la sua vita, l’amore delle armi e l’amore delle lettere insieme congiunti, nobili sentimenti entrambi che agevolmente apparecchiarono in lui la formazione del principio della idea nazionale, della quale si fece più tardi strenuo campione e propugnatore. Emanuel Filiberto, ancorché non fosse principe molto letterato e si lasciasse anch’ egli travolgere dai sogni dell a-strologia e dell’alchimia (i), continuava tuttavia a proteggere e a favorire gli studi, ottenendo privilegi pontifici pel tipografo Bevilacqua (2), lasciandosi fare academico affidato di Pavia (3) e ampliando sempre più la biblioteca: usava poi-farsi leggere durante il pranzo o la cena qualche compendio storico o 1’ Etica di Aristotile, e s’ intratteneva volontieri in conversazioni scientifiche col suo Benedetti e coll’ ingegnere Orazio Paciotto da Urbino, dottissimo matematico da non confondersi con Γ altro Paciotto pesarese difensore della Canace. dello Speroni (4). Carlo Emanuele, ancorché giovanissimo, prese ad imitare fin d’ allora il costume del padre, e come fece poi sempre per tutto il suo regno, teneva a tavola discorsi scientifici e letterari. Bernardo Trotti, letterato di qualche nome a quel tempo, professore all’ Università torinese, autore di libri italiani e latini sull’amore, sul matrimonio e sulla vedovanza molto curiosi e per lo più in forma dialo-gica con interlocutrici Barbara d’Annebault ed altre dame della corte sabauda, per l’eterno mutuo incensamento levato (1) CiBRARio, Governatori e maestri dei principi di Savoia, p. 15—16. (2) Idem, Documento XIII, p. 3;. (3) Idem, Documento XV, p. 35. (4) TiRABOSCHi, t. VI, parte V. p. 1725. GIORNALE LIGUSTICO 87 a cielo dal Germonio (1) e da altri poeti e scrittori piemon-testi di quella età, chiaro ancora per la illustre prosapia alessandrina da cui discendeva, parla a lungo di queste conversazioni che si facevano alla mensa del Principe di Piemonte (2) e così le descrive : « Il Serenissimo Carlo Emanuele, Prencipe di Piemonte, oltre molti altri mezzi che egli ha per imparare, suole nell’ hore del pasto virtuosamente dilettarsi di sentire ragionamenti vaghi di molti dotti huomini, 1) Anastasii // Germoni Saliarum // Archipreshiteri // Marchiona-tus Cevae // De Academia Taurinensi Carmen // Ac carmina diversi generis, p. 9: Quid memorem Troium nulli virtute seeuudtim ? In quo regales virtutes quippe refulgent quaedam; nee clauso is nobis est ore silendum qui illustri genere, et claris natalibus ortus, atque vir illustris, summa et virtute decorus, laude quidem duplici quam maxima fama coronat. Ipse docet primum iuvenes, docuit que per annos sublapsos multos Augusti dogmata clari ; atque suum faciet melius mox ire per orbem nomen. Nec minus hoc est: nam ratione gubernat Taurinum recta, magno ac veneratur honore. Nec cives ipsi summo componere vellent nil nisi consilio Trot i, cui nomen semper cura fuit populum totum praeslare perito. Quis magis hoc Troto lites impellere quaerit cordibus ex pravis hominum, quam maximus ille Beni ardus Troius ? Sed erit sua fama perennis, perpetuaque illum post mortem in sede locabunt. Notisi eh’ era uno studente che lodava il suo professore. — Sul Trotti danno maggiori notizie il \ernazza, nelle sue schede ms. nella Biblioteca di S. M. di Torino, e il Chenna, Memorie degli uomini illustri per santità, per Dignità Ecclesiastiche e per la letteratura Alessandrini. Ms. nella medesima, N. 429. (2) Discorso del Sig. C. A. Bernardo Trotto sopra la grandma della Terra e dell’ Acqua, e della lassera e altera d'esse, nel libro Dialoghi del //Matrimonio, // e vita vedovile, // del Sig. C. A. Bernardo Trotto. // Di nuovo ristampati, con nuove aggiunte, e correttioni. // Et nel fine un lellissimo trattalo della grandma dell’ Acqua, // et della Terra, dello stesso Autore. // Dedicati all’ Eccellentissimo Sig. il Sig. // D. Felice di Savoia. // In Torino, Appresso il Pizzamiglio, Stampator Ducale, 1625, p. 2-3. 88 GIORNALE LIGUSTICO eh’ ivi secondo il tempo si ritrovano, et quando essi sono ritenuti dal rispetto, egli con piacevoli dimande gl’ invita a ragionare. Et essi tanto più volontieri ragionano, quanto veggono, eh’ egli gradisce i discorsi loro. E perchè i tempi, le persone, e le occasioni sono diverse, così diversi sono i sogetti, dei quali si tratta. E siccome il sapere è uno bene che di sua natura, come il lume, sempre cerca di dimostrarsi, e difondersi: così questi huomini saputi, tocchi dal Prencipe, come instrumenti musici bene accordati, subito rendono ciascuno il suo suono con le parole, et quanto meglio possono procurano d’essere intesi discorrendo, e di dar diletto con le buone ragioni , et anco di tirare gli altri al suo parere, come ad una consonanza della verita : perchè ognuno dice quello ch’egli sa, o crede almeno sia vero. E quindi si veggono trattare hor cose naturali, hor morali, hor mathematiche. Sì che egli quasi come uno Apolline si può dire, che sta fra le Muse, intorno al fonte, che uscì dal colpo del piede del cavallo alato ». Nè le notizie che ci restano sono soltanto d’indole generale, chè di parecchie di quelle conversazioni conosciamo più precisamente 1’ argomento. Così una volta Carlo Emanuele ne incominciò una sulla grandezza della terra e del mare e sull’ altezza e bassezza delle acque, a cui presero parte Francesco Arma, G. B. Benedetti e Antonio Berga filosofo peri-patetico, la qual conversazione fu scritta poi d’ordine del principe dal ricordato Bernardo Trotti. Un’altra sulla salsedine e sul flusso del mare e sui generi dei sapori ricorda Agostino Bucci (i), nominando come interlocutori, con Carlo (i) Augustini // Bucci //Taurin. Philosophi // et medici// philosophiae q· in Acad. // Docloris primant // De sede animae, sive de partium corporis Prinllcipatu nobilissima // disputatio // Taurini // apud haeredes Nicolai Bevilaquae// mdlxxxii, p. 7: Inter multa et praeclara excellentis virtutis GIORNALE LIGUSTICO 89 Emanuele, Antonio Bocchi, Giorgio Argenterio, Stefano Gi-nodio, medici ducali, e Francesco Ottonaio e Giambattista Benedetti, matematici e precettori del Principe di Piemonte;’ e così una terza di queste conversazioni — che il buon Bucci paiagona ai simposii platonici — gli porse argomento a scrivere in proposito una lunga e pedantesca dissertazione sul· 1 anima che assume addirittura le proporzioni di un libro (1). testimonia, quae Carolus Em. Sab. Dux Serenissimus, non minori hominum commendatione quam admiratione ah ineunte aetate semper c'edit, id vel omnium praecia] issimum mihi visum fuit, quod literatorum hominum sermonibus et congi essibus adeo fuerit oblectatus, ul illius prandia, et coenae, astante semper eruditorum hominum corona Platonicorum symposiorum speciem quandam praebuerint. Quibus cum et nos interdum eiusdem principis humanitate interfuissemus, postque varias et reconditas quaestiones, de Maris salsedine atque aestu, deque saporum generibus diutius iam inter viros eruditissimos Antonium Bocchium, Georgium Argenterium, lo. olim Argenterii clarissimi nominis medici, amicique nostri diarissimi fratris filium , eiusque gloriae aemulum, Stephanumque Ginodium Principis medicos praestantissimos, Francis-cumque Ottonarium et lo. Baptistam Benedictum philosophos celeberrimos iactatus, obiter de membrorum corporis principatu, animaeque sede sermo incidisset, etc. (1) Vedi la dissertazione citata nella nota precedente. Dalla prefazione dedicatoria « Carolo Emanueli Sabaudiae Duci Magnanimo et Serenissmo » si scorge come fosse stato appunto Carlo Emanuele a suscitar la questione e come quasi ordinasse al Bucci di metter poi in iscritto la discussione. « Nemini magis quam tibi, Carole Em. Sab. Dux Magnanime » , egli dice, « nostra haec de Animae sede partiumque animalis principatu disputatio inscribi iure optimo debui. Non modo enim tu fuisti, qui cum p*-o veteri illo tuo de rebus arduis sciscitandi more, eruditissimis viris astantibus, tamquam Gordianum nodum solvendum proposuisti; verum etiam unus inter nostrae aetatis principes hodie emines, qui bonarum omnium artium et lite-rarum fautoris liberalissimi magnam praebes expectationem. Cuius etiam au-spicijs renovatam iri speramus foelicem eam Platonis Remp. in qua Principes philosophentur. Quamobrem hanc ipsam, vel eo maxime nomine, Principi viro dicandam, quod de Principatu sit, te audiente agitari coeptam, tuo-que consensu et iussu a me scriptis exaratam accipito ». 90 GIORNALE LIGUSTICO E vi si trattava ancora probabilmente di archeologia , della quale sappiamo che Carlo Emanuele si dilettava assai, come 10 dimostra Γ invio fattogli dal cardinale di Mondovi di una medaglia trovata in Roma da Raffaele Aquilino (i) ; e forse anche la questione del primato della lingua latina sull'italiana, trattata dal Germonio in quelle sue curiose Sessiones Pome-ridianae cui ebbi già ad accennare, fu prima discussa alla tavola di Carlo Emanuele, tanto più che appunto a lui è dedicata quell’ opera (2). Ma Γ amore di Carlo Emauuele I per gli studi, l’interesse che fin da questi suoi anni giovanili prendeva alle lettere ed alle scienze non meno che ai loro cultori, è dimostrato ancora meglio dall’accoglienza fatta in Torino a Torquato Tasso. Questo grande alienato, del quale studiò recentemente 11 soggiorno in Piemonte Alessandro Baudi di Vesme (3), venne a Torino nel settembre del 1578, essendosi già fatto precedere da una lettera ad Emanuel Filiberto (4), in cu’ gli offriva la sua servitù e devozione come (- al primo e al più valoroso e al più glorioso principe d’Italia » protestando di pregare « il Signor Iddio per la felicità sua e del serenis- (1) Vedi Breve dichiaratione sopra una medaglia trovata da M.r Rafaele Aquilino mandata dal cardinal di Mondovi al S.’"° Duca Carlo Emanuele I di Savoia, ms. nella Nazionale di Torino, N. VI, 68, con premessavi una lettera di Giovenale Ancina in data 2 gennaio 1584. (2) Fors’ anche la disputa sulle prime ragioni delle leggi scritte dal Bucci e dedicata a Cesare Cambiano, presidente del Senato di Torino, entra in questa categoria di conversazioni tenute alla tavola di Carlo Emanuele, sebbene il Bucci non vi accenni. Vedi il libro Augustini /''Buccii// Taurinsensis // Philosophi et Medici// Philosophiaeq. in Acad. // Doctoris Primarii // De primis legum causis, // et an iuris disciplina possit ahsoluta me//thodo comprehendi compendiaria // disputatio // Taurini // apud haeredes Nicolai Bevilaquae// mdlxxxii. (ì) Torquato Tasso e il Piemonte, Torino, Paravia, 1887. (4) Guasti, Lettere di Torquato Tasso, n. no, Firenze, Le Monnier. GIORNALE LIGUSTICO simo principe suo figliuolo », parole tutte, nota il Vesme (i), che non devono considerarsi come frasi di cortigiana adulazione verso potente signore di cui si ambisce la protezione, ma sono piuttosto Γ espressione dell’ opinione generale degl Italiani di quel tempo ». Il Tasso, già benevolmente accolto da Angelo Ingegneri veneziano, letterato di qualche nome, traduttore in giovane età dei Remedia Amoris di Ovidio e poi autore di una tragedia Tomiri e di opere curiose contro l’alchimia e contro il Pastor Fido (2), e con lui ancora dal marchese Filippo d’Este, fu da quest’ultimo presentato a Carlo Emanuele, del quale ammirando Γ alto spirito che l’animava tutto, scrisse questo sonetto: Signor, eh’in picciol corpo animo chiudi immenso, e cogli, amor tra’ fiori e l’erba frutto senil ne la tua etade acerba d’alti e chiari intelletti e di virtudi non dona i premi a te di doppi studi Marte, 0 Bellona col flagel superba, ma Palla armata gli propone, e serba a te mille e mill’aste, e mille scudi. Vedi ch’intreccia insieme alloro e lauro, vedi Nettun che col tridente a prova fa nascere il cavallo : odi i nitriti, e mentre il ciel per te le antiche liti, vago pur d’onorarti, ojjgi rinnova, vola Vittoria a te con l’ali d’auro (3). Carlo Emanuele gradì molto gli elogi del Tasso e cercò trattenerlo al suo servizio, adoperandosi anche, insieme col (1) Op. cit., p. ;. (2) Per maggiori notizie vedi Tiraboschi, t. VII, parte VI, p. 1985 e segg. Cfr. anche Rossi, Battista Guarini ed il « Pastor Fido » , p. 243-244, Torino, Loescher, 1886. (3) In Vesme, Op. cit., p. 31. 92 GIORNALE LIGUSTICO padre, per fargli riavere il manoscritto della Gerusalemme da lui lasciato a Ferrara. Ma nonostante tutti questi favori e Tesser forse Torquato intervenuto alle conversazioni della mensa del Principe di Piemonte, dove alcuni vogliono che questi gli abbia domandato « come potesse fare per non rimanere ingannato dalle varie passioni e lusinghe dei suoi consiglieri » avendone in risposta che « s’apprendesse al consiglio de’ morti ([cioè dei libri) , perchè senza rispetto e senza interesse alcuno dicevano il vero (i) », non fu possibile a Carlo Emanuele di ritenere presso di sè il grande ed infelice poeta. Il quale nel febbraio del 1579 abbandono Torino ed il Piemonte, ma portò seco cara memoria di quel principe e a lui tenne spesso rivolta la mente nelle sue sciagure. Nè Carlo Emanuele si mostrò indegno degli elogi di tant’uomo ; e non tardò a darne prova l’anno seguente, quando mori Emanuel Filiberto ed egli sali al trono sabaudo. V. La morte di Emanuel Filiberto avvenuta il 30 agosto 158° ebbe anch’ essa i suoi poeti, fra i quali il più notevole è il savoiardo D’ Allymes (2). Questi scrisse due poesie in latino traducendole poi in francese, ma non senza molta libertà ed imprimendovi un più spiccato sentimento nazionale che nella maggior parte dei poeti che abbiamo fin qui considerati. Ed era naturale: col rapido progredire dei tempi, i germi latenti cominciavano a svolgersi ed a manifestarsi. Nè fa meraviglia che in queste condizioni il D’Allymes non iscrivesse le sue poesie in italiano : perocché nulla importava (1) Serassi, La vita di Torquato Tasso, t. II, p. 35, Firenze, Barbèra, 1858; Vesme, Op. cit., p. 32 e segg... (2) Ms. nella Biblioteca di S, M. di Torino, codice 297. GIORNALE LIGUSTICO 93 allora a distinguere le tendenze d’ uno scrittore piemontese, la lingua da lui usata: troppo più comune era in Piemonte e in Savoia particolarmente il francese che l’italiano, perchè il poeta piemontese o savoiardo animato da più forte sentimento nazionale e più informato alla idea italiana credesse di venir meno ai suoi principi scrivendo in francese : egli non aveva molte volte neppur la coscienza di ciò che colpisce tanto noi modernissimi, e se l’aveva, spesso ancora per l’ignoranza dell’ una, doveva a suo dispetto servirsi dell’ altra lingua. Niuna meraviglia dunque se in queste poesie del D’ Ally-mes, e in una di esse specialmente, si riscontra un forte-sentimento che vuol essere rilevato : Le grand Emanuel a termine sa vie, le ferme boulevard de toute l’Italie , protecteur de la foy, l’entretien, la surtè de l’agreable paix, l’honneur de Chrestienté. Le grand Emanuel a terminé sa vie qui tenoit et la France et l’acorte Iberie en estroicte union conjoinctes d’un lien plus fort et plus serré que le nod gordien. — Egli ricorda le imprese e i trionfi di Emanuel Filiberto e i campi jonchés pêsle-mêsle des corps des cheveaux renversés et des gendarmes morts, e le opere pacifiche e la grande riputazione per aver saputo far sì che durante il suo regno l’Italie en haute paix a ésté mantenue ; e mostra così di possedere un’ esatta coscienza dell’ opera di Emanuel Filiberto, quella pace di raccoglimento che rese possibili le imprese ardite di Carlo Emanuele I. La vita del quale assume ora un nuovo carattere, entra in una fase di gran lunga più importante che comincia appunto col suo avvenimento 94 GIORNALE LIGUSTICO all’ antico trono sabaudo e si può designare genericamente col nome di politica antifrancese. Unito a Spagna e poi solo, Carlo Emanuele I mira ad ampliare i suoi domini e la sua potenza a spese della Francia, e combatte contro gli Ugonotti prima e poi contro tutta la nazione raccolta sotto Enrico IV, finché ottenuto quel Marchesato di Saluzzo che era lo scopo principale di quelle sue imprese, egli si stringe ad Enrico IV medesimo e inizia la gloriosa lotta contro la tirannica dominazione spagnuola, diventando veramente il centro delle aspirazioni prorompenti d’ ogni cuore italiano. Torino, 6 luglio 1888. Ferdinando Gabotto. ARCHITETTI, INGEGNERI, MATEMATICI IN RELAZIONE COI GONZAGA SIGNORI DI MANTOVA NEI SECOLI XV, XVI E XVII Ricerche archivistiche mantovane di A. Bertolotti. (Continuazione, v. pag. 393 annata iSSS). Fausto Rughesi, architetto di Montepulciano, nel marzo I597> offriva al Duca un mappamondo da lui disegnato ; ma intagliato, e miniato da altri. Alcuni suoi autografi produssi nel mio libro sugli Artisti in relazione coi Gonzaga Signori di Mantova, edito nel 1885. Cesare d’Este, da Modena, il 23 luglio 1598, avvertiva il Duca di Mantova che « il Pugliani mio ingegnere se ne viene dall’A. V., mandato da me per le cagioni eh’ ella così compiacendosene intenderà dalla voce di lui »; e prega per l’udienza. Era Cosimo Pugliani, architetto sanese, morto poi nel 1618 , .secondo il Campori (Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi). Del seguente scrittore sulle fortificazioni ebbi più notizie -dalla cortesia del signor Leone Germain, ispettore archeologico GIORNALE LIGUSTICO 95 a Nancy, che le trascrisse dalle storie della Lorena. Orfeo Galiani fu tra quegli ingegneri militari italiani, chiamati a Nancy durante il regno di Carlo III. Oltre di esso vi furono Baldassare Padovani, Ambrogio Principiano, Antonio di Bergamo, Gerolamo Citoni e G. B. d’Estabili. Orteo Galiani di antica famiglia lombarda, era nato a Lodi; si distinse al servizio dei Duchi di Parma e di Baviera e del gran Duca di Toscana, qual maggiore militare specialmente nelle guerre di Kandra. Il Duca di Lorena lo trasse presso di sè facendolo colonnello e consigliere di Stato. Ebbe incarico di visitare le fortificazioni, e portò molte riparazioni a quelle di Nancy nel 1603, che costarono ingenti somme. Passò di poi al servizio del Papa Clemente III. Restò ucciso all’assedio di Canisa, mentre era generale d’artiglieria, a di 3 ottobre 1611, nell’età di anni 50. Lasciò due figli, Enrico e Massimiliano: il primo ucciso nel 1620 in Boemia, il secondo, pure militare, continuò la famiglia in Lorena. I figli avevano eretto un ceno-tafio al loro padre in una chiesa di Nancy, il cui epitafio fu pubblicato dal Lionnois nella sua Histoire de Nancy. Serenissimo mio Signore, Con Γ ochasione de un suo vasallo che se ne retorna a Casalle, ven-gho con questa mia a farli riuerenza e offrimele al solito suo aff.mo seruitore. Avendo ali giorni pasati, per non sapere che fare, scrito certi discorsi sopra de le fortificatione, solo quel tanto che a me mi pare che sia bene, e questo sia senza preiudicio de chi l’intende altramente. Questa non è per dar lege nè obligho a nesuno ; ma solamente a suplichar a V. A. S. de acetar il presente dischorso in bona parte come cosa de uno suo umille seruo non guardando al pocho sugeto, che abia di essere acetato dal alteza sua, abiamo acompagnato il deto discorso de altri libri, li quali non se mandano a la S. V. A. per riguardo de le molte figure e machine e inventione usate non tanto da amici come da nemici, e doue e chi l’à inuentate, questo darà luce ad ogni uno a chi andari asalir forteze come anche al difendere. Il terzo libro trata ed insegna a un capitano a spugnar una fortezza , 96 GIORNALE LIGUSTICO il quarto trata de Γ arteraria de la sua qualità come ad essere, il quinto insegna al gouernatore a difendere la sua tortezza con li remedi che ò visto usare quando siamo ritronati asalire diete forteze. Io pero intendo che non uadino in stampa , quando le diete fighure sarano fatte al suo tempo se farano recapitar a V. A. S. esperendo che quelle li piacerano e li saranno de utile e profitto..... Ch’è quanto li posio dire a V. A. S. con inchinarmi a farle riverenza e da Dio pregar ogni suo contento. De Nancy a dì 12 de Agosto 1598. Di V. S. Umilissimo Servo Orfeo Galian. A S. A. S. Signore. Il Signor Ducha de Mantua e Monferrato mio Signore. Mantua. Da altra lettera apprendiamo che aveva dedicata la sua opera al Duca di Mantova, da cui ebbe 100 ducati in danaro e una cortessima lettera. Di Pietro Paolo Mariani milanese, ingegnere del Duca di Mantova, avremo occasione di parlare nel secolo XVII ; intanto dobbiamo notare che era già in servizio nel 1599 > e<^ otteneva, il 25 luglio, privative per anni 9 delle sue invenzioni sul modo di cavar acque per alzarle in alto ad uso di irrigazione, e su nuove forme di fontane ed armi militari (R.° Decreti 1596, i6oj, fol. ijj). Con lui non potrei finire meglio il secolo XVI. Abbiamo veduto la Corte Gonzaghesca chiamar da Roma, Urbino, Firenze, Venezia e da altri grandi centri i più famosi architetti ed ingegneri, quali Giulio Romano, Girolamo Genga, Francesco di Volterra, i Vanocci, Traballesi, Paciotti ecc., 1 quali formarono eccellenti allievi, come il Bertani. Se già nel precedente secolo abbiamo visto essere ricercati in Mantova ingegneri idraulici da varie corti, si verifico la stessa cosa in questo ; di più abbiamo appreso che gli ingegneri militari italiani erano ricercatissimi all’estero, perchè valorosi e dotti, come ci narrano le storie specialmente delle GIORNALE LIGUSTICO 97 guene contro i Turchi e di quelle nelle Fiandre, e come piovano le stesse loro pubblicazioni sull’arte militare. Queste soventi erano offerte in omaggio ai Duchi mantovani, pei chè conosciuti quali strenui duci, e generosi mecenati in tempo di pace. Eglino resero la loro metropoli sempie più decorosa per edifizi, come ne sono tuttora attestazioni il palazzo The, la chiesa e campanile di santa Barbara, le rovine e le memorie scritte di ville deliziose, di forti ìocche, e le carte cosmografiche, fatte eseguire in Venezia. Secolo XVII. Seguendo le orme degli architetti, dei quali abbiamo già conoscenza, noterò che Felice Pacciotti da Urbino scriveva, il 4 luglio iéoi, al Duca di Mantova: « Con la presente occasione de la venuta del Conte Carlo mio nepote, mandato dal serenissimo patrone alii servitii dell’ A. V., mi è parso di farle riverenza con la presente lettera e ricordarle ancora l’antica servitù mia e di più altri miei alla casa serenissima di Lei ». Della medesima data Vittoria Farnese, Duchessa di Urbino, scriveva al Duca mantovano: « Confido che il conte Pacciotto si meriterà la grazia di V. A., col servirla con quella fede et con quell’affettione che potrà maoojore desiderarsi da lui »; così glielo raccomanda. Di questo Carlo vi sono lettere al Duca del io gennaio 1603 e agosto 1605, in cui sempre si offre di servirlo per qualsiasi impiego. Inutile il ricordare che Felice era fratello del famoso Francesco architetto, e che Carlo era figlio degnissimo di questo. Secondo il conte Carlo d’Arco, Paciotto sarebbe stato impiegato in Mantova per eseguire dei lavori, in occasione di feste e di tornei. Di Gabriele Bertazzolo produrrò pochi documenti, rimandando per quelli riguardanti il suo grande lavoro alla stessa Giorn. Ligustico. Anno XVI. η 98 GIORNALE LIGUSTICO sua opera intitolata : Discorso al Duca Vincenzo intorno al nuovo sostegno rii Governalo. Mantova, Tip. Aurelio et Lodovico Osanna fratelli, 1609, con ristampa del 1755, e all’opuscolo del signor Davari : Cenni tratti da lettere inedite di Gabriele Berta^oli che possono chiarire la vita ed i suoi principali lavori. Mantova Tip. Mondovi, i8y2. Comincierò da questa lettera inedita, che gli torna in onore. fc> Serenissimo Principe, Sono già molti mesi et poco meno che un anno che ΓΑ. ΛΓ. ci concesse per singoiar fauore che l’ingegniero Gabriele Bertazzoli ci uenisse a seruire in certe fabriche d’importanza grandissima per duoi o tre mesi. Qual però non è mai uenuto. Et noi più che mai n’ abbiamo bisogno. Supponendo dunque l’A. V. si contenti di fauorirci, come noi à qual si uoglia sua occorrenza si mostreremo altre tanto pronti : mandiamo quello che pur l’A. V. ci concesse nel bisogno della nostra infirmità ; acciò di nouo in ciò prieghi V. A. et a bocca più a lungo et più caldamente esponga il desiderio et necessità nostra come quello a cui solo sono fidati questi tali negotii: essendo da noi stato conosciuto per huomo fedele, et degno d’essere stimato, et di assai ualore nella sua propria professione principalmente , et poi in molte altre non uolgari qualità. Sperando che l’A. V. permetterà all’istesso di ritornar insieme col Ber-tazzoli. Non hauendo noi altra persona che più di lui sia di cotesti nostri afari informata. Promettendo che subito spirato il tempo dal A. V. già promessoci; ambidui ritorneranno a seruir ΓΑ. V. alla quale da Dio preghiamo ogni felicità et contento. Da Stutgarte il 13 Giugno 1600 Di V. A. S. Aff.mo parente Fridric. Al Ser.mo Sig.r et parente nostro carissil sig.r Duca di Mantova. Era Federico Duca di Witemberg, che così scriveva, e nuovamente,il 23 gennaio 1601, si meravigliava della non venuta del Bertazzoli. L'inviato a Mantova per condurgli il Bertazzoli era un medico, che il Duca di Mantova gli aveva spedito. Da lettera di aprile 1602 del Duca Federico si conosce che il GIORNALE LIGUSTICO 99 Bertazzoli ritornava a Mantova dopo aver molto soddisfatto ■allo stesso per disegni che compì poi a Mantova, facendo aveie un suo discorso e disegni in lingua latina sulla navigazione da Canstadt fino ad Albrum. Egli, il 25 luglio 1602, presentava al Duca due mostre, domandategli, e assicurava che avrebbe .poi tato « la prima parte di quelli disegni che S. A. mi additando che facessi ». Il ij agosto spediva un disegno delle fosse di Pozzolo e della Gardesana. A nome del Duca Vincenzo I, Eleonora sua consorte firmava, a dì 19 Giugno 1603, un decreto così concepito: « Havendo noi comandato al Nobile Gabriele Bertazzuoli, nostro ingegnere , che ci faccia il disegno di tutto questo nostro Stato, et perciò , facendo di bisogno che egli si trasferisca di luogo in luogo per pigliare le mesure delle strade, fiumi, confini et altro, die secondo la di lui diligenza (della quale molto noi confidiamo) giudicherà esser espediente », si comanda a tutte le autorità dello Stato di presentarsegli (R.° Mandati 1598-1606 fol. 289). Egli, a dì 23 maggio 1606, mandava a Fabio Gonzaga, Generale delle milizie del Duca, un disegno della Rotta di Regone. Nel 1607 compì vari lavori nella cittadella di Casale Monferrato, specialmente per la diversione delle acque del Po. Provò la sua perizia piroctenica nel 1608, allorché avvennero le nozze di Margherita di Savoia col Principe Francesco Gonzaga. Fu chiamato a Firenze per occasione consimile, ove preparò splendidissima luminaria. Era anche dotto archeologo e, a dì 4 novembre 1609, presentava al Duca « un capitello Jonico antico di marmo di Carrara, che togliessimo doue era altre uolte la città di Bondincomago per memoria, essendo egli un chiaro segno che da quelli abitanti era conosciuta la vera e buona architettura ». L’otto di marzo di detto anno aveva avuto luogo il principio della sua grandiosa opera a Governolo, mercè la quale era assicurata la libera 100 GIORNALE ligustico navigazione e il mantenimento delle acque dei laghi a tale altezza da preservare la città da miasmi. Negli anni 1610 e seguente ebbe incarico per lavori nel Monferrato. Gabriele Bertazzolo, G. B. Bertazzolo e Antonio Maria Viani, a di 4 maggio 1612, riferivano al Duca intorno ad un progetto , presentato da un prigioniere per preservare la rocca di Ostiglia dal Po per mezzo di speciale macchina, con la spesa di scudi 1500. Il prigioniero progettista, cosi si era firmato nella proposta : « Federicho Jori orefice di Grosaria ». Si offriva anche al Duca per costrurre fontane nei giardini ducali; ma nel 1624 era ancora in prigione, se non fu pella seconda volta. Dal 1613 al 1616 sono frequenti le lettere di Gabriele Bertazzolo per lavori idraulici, partico-lamente a Governolo, notando in una che ha cento uomini da pagare e da due settimane, indi la somma urgenza di a-vere danaro dal tesoro ducale. Le guerre, in cui era involto il Duca, non permettevano grandi spese ; perciò il ritardo e le piccole tratte di danaro, finché nel 1615 le cose volsero in meglio ; ed ecco che, dopo molte ansie e superati non pochi· pericoli, finalmente annunziava il compimento della sua opera con la seguente lettera, offrendo al Duca anche un suo lavoro letterario sull’ albero genealogico dei Marchesi del Monferrato : Serenissimo Signor mio Sig. e Padron Coil.'"0 Nuova mia barchetta che più non ha solcato le onde del Iago di Mantova, et la prima che habbia esperimentato la nuova navigatione dell’hormai famoso sostegno di Governolo, conduce a V. A. giouinetta mia figlia, o per dir meglio nuova mia compositione, qual tutta rippiena di Reale Maestà , e risplendente del glorioso nome di V. A., di cui con supremo onore ne sta segnata in fronte, viene con somma riverenza per essere anco dal Sere.™0 suo aspetto honorata. È questa 1’ arbore de’ Signori Marchesi di Monferrato, il quale al mostrare l’intera genealogia di quei grandi et magnanimi Heroi, spiega anco. GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ con buonissimi elogi la uita, et le gloriose imprese di ciascheduno di loro. E opra nuova, e non più ueduta, nè meno con alcuno conferita. So però che come informe parto del mio debole ingegno prodotto, quando non fosse dallo splendore de’ Signori Marchesi suoi predecessori illustrato, sarebbe del tutto indegno di uenire nel cospetto di V. A. e d’andare per le mani degl intendenti. Ma essendo e dalle sublimi imprese di questi, e dal glorioso nome di V. A. soprammodo auualorata, spero non debba essere dall A. V. nè da gl’intendenti rifiutata: tanto più che per quella conosceranno che se bene io me ne sto a Governolo, lungi da lei, che nondimeno ricordeuole del suo seruigio, non manco in quel poco di tempo che posso sottrahermi alle principali mie occupationi, che tutte anco sono negocii di V. A., di affaticarmi in cose che possino essere di suo utile, di suo gusto e di sua riputatione. Gradischi dunque V. A. questa mia debole fatica, et accetti, leuato il soggetto, che per sè è incomparabile, più la buona volontà che la debolissima mia compositione, mentre che io li vò preparando cose, come io spero, maggiori. Gli auguro perciò intanto dal cielo somma felicità. Di Governolo li 12 febbraio 1618. Di V. A. S. Umil.™° et fidelis.™0 servitore Gabriele Bertazzolo. L’espressione fiorita dimostra che era letterato di qualche merito; infatti egli è autore di commedie e di melodrammi, e fin dal 1614 aveva pubblicato: Breve descrizione della vita di S. Leone I. Pontefice e di Attila flagello di Dio, in cui si narra il miracolo occorso vicino alla terra di Governolo , il qual lavoro fu ristampato nel 1727. Ed ha pure i lavori seguenti: Descrizione delle allegrezze fatte in Mantova per le nozze delle Maesta di Spagna e Francia (1615). — Breve relazione del nobilissimo trionfo e della sontuosissima festa celebrata in Mantova per la elezione di S. M. Ferdinando arciduca d’Austria all’impero. — Relazione intorno all’ acque della Gusolina. Nel 1624 era delegato nel Monferrato per scavi di pietre ad uso di decorazioni di fontane, e presentava al Duca un suo progetto di navigazione da Venezia a Riva di Trento. Stampava nell’anno dopo la sua relazione sul matrimonio di 102 GIORNALE LIGUSTICO Leonora Gonzaga coll’ Imperatore Ferdinando II, m descrizione dei fuochi trionfali e una breve relazione delle allegrezze per la coronazione dell’imperatrice. Nel 1626 era occupato a grandi ristauri del sostegno in Governolo, e nell’anno successivo, avendo avuto l’incarico di visitare tutti gli argini del Po, riferiva che ovunque « si lavorava alla gagliarda ». Ripigliava il disegno dello Stato mantovano, correggendolo e unendovi il Monferrato. Disegnò ed intagliò in rame anche-la carta della città di Mantova. L’invidia gli dava grandi dispiaceri, cosi domandò di esser messo fuori servizio, tanto più che quantunaue avesse soltanto 54 anni, era molto affranto dalle fatiche. Il Duca Ferdinando, accordandogli l’opportuno decreto, così notava (19 maggio 1625): Il nobile Gabriele Bertazzoli nella lunga seruitù di 34 anni ^a ^u' così in uita dei serenissimi signori Duchi nostri, padre e fratello di gloriosa memoria, come anco dopo la morte delle loro Altezze, prestata alla casa nostra, a sua domanda di esser liberato dal carico di superiore, delle acque di questo nostro Stato , si accorda fissandogli una pensione annua di scudi 200 da lire sei sopra 1’ entrate dell’ edificio et sostegno della chiusa, opera che egli con meraviglioso ingegno et giuditio et con somma utilità del pubblico et singolare sua lode inventò et ha ridotto a perfettione (R.° Mandati 1618 - 26, f. 250). Egli si era già innanzi, con lettera 3 aprile 1624, lamentato vivamente del troppo modesto trattamento accordatogli Pubblicava ancora una brevissima relazione di fuochi artificiali in Mantova il 5 aprile 1626, nelle nozze dell’arciduca d’Austria, Leopoldo. La seguente minuta di lettera ducale farà conoscere una onorificenza del Bertazzoli : GIORNALE LIGUSTICO IO3 A Monsignor Vincenzo Bianchi Pakoiogo G. Maestro della Religione di S. Giorgio. Mantova, a 2 Giugno 1626. L’ honore che V. S. ha conferito alla persona di Gabriele Bertazzolo , creandolo Cavaliere della religione sua di S. Giorgio, è collocato in persona di merito, et a me molto cara; onde tanto più volentieri sarò disposto a dargli l’abito. La memoria dei Paleologi è cosi commessa meco che non se ggiace a dimenticanza, et la conoscenza, che dalla persona di V. S. mi si è offerta con tanta opportunità, mi renderà sempre più disposto a comprovarle con affetti l’ottima mia volontà. Cosi vogliono il valore di lei, la nascita, et quell’amorevole affetto, ch’ella mi dimostra in raccomandarmi la sua religione de’Cavalieri. Il ricercarmi poi V. S. la protettone col esibirmene presentemente la patronanza, sono termini che mi costituiscono seco in straordinaria obbligatione. Non sapendo io dunque ricusare quello eh’ ella m’ offre, non debbo neanche restare di ringratiar-nela per ora con tutto l’animo, riserbandomi ancora di farlo con più vive demostrazioni, affinchè ella conosca che la gratitudine mia verso di lei non sarà mai disgiunta. Et con esibirmi a V. S. di buon cuore per qualsivoglia occorrenza, le auguro da Dio felicità. Risultò poi che quel Paleologo era un intrigante, il quale era riuscito ad ingannare Gio. Angelo Bertazzoli, cugino dell’architetto, spedito in Roma dal Duca per un negozio riguardante la Religione di San Giorgio. Moriva il Bertazzoli, a di 30 ottobre 1626, cinquantenne, non ricco e ben poco compensato delle sue grandi fatiche ; quantunque un mese prima della sua morte, per ordine del Duca, preparasse ancora una macchina pirotecnica, abbruciata il 25 settembre, che dovè dirigere, facendosi portare in lettiga, perchè affranto da’ malanni. Non lasciò prole. Giovanni Battista fu l’ultimo dei Bertazzoli, che ebbe l’ufficio di prefetto delle acque; e compì nel 1608 la restaurazione del ponte de mulini, come già aveva ideato e iniziato suo zio Giov. Angelo. Il 27 aprile 1624 era spedito dal Duca alla visita per riparazioni contro il Po. Il primo gennaio 1627 fu delegato dal Duca a portarsi sopra il fiume 104 GIORNALE LIGUSTICO Oglio per conferire con il Prefetto delle acque di Cremona e concretare il transito a mezzo di barche. Fu molto stimato anche all’estero, e morì nel 1630 di peste. Gli era premorto l’unico figlio Agostino; e così ebbe ad estinguersi questa famiglia benemerita dell’ architettura. Il V iani, che già conosciamo, costrusse la villa ducale a Maderno, il palazzo a Bosco Fontana, la cripta della Basilica di Sant’Andrea, e nel 1608 la chiesa di Sant’Orsola. Fei dinando duca di Mantova gli rilasciava la seguente conferma : Continuando Noi uerso Antonio Maria Viano, prefetto delle nostre fa-briche, 1 effettuale buona uolontà che per il buono servigio di lui ha meritato dalla felice memoria del signore nostro Padre et fratello, et tuttavia meritando appresso noi per le sue molte fatiche. In uirtù delle presenti nostre, gli confermiamo a nostro beneplacito la donatione et assegnamento della pensione di scudi 100 annui, che paga il massaro dell’ Archivio nostro degli Instrumenti de Notari morti di questo Stato, sì che detto Viano possa essigerla a suoi tempi, come sin hora ha fatto et farne lo debito qualunque ad esso massaro. In fede di che, queste saranno da Noi firmate et sigillate del nostro sigillo. Da Mantova, a 30 di luglio 1613. Ferdinando. Francesco Cuppus Cancellarius. (R. Mandati 1612-18, fol. in). Nel 1616 gli donava parte di una casa in via Pusterla (i?. Decreti 1612-1621, fol. 131). La seguente lettera, diretta a qualche consigliere o ministro del Duca di Mantova, ci fa conoscere il suo stato: Molto Illustre Signore, Non mi manchano le tribulationi di circondarmi, e con la morte di una figliola e con ereditare dei nipoti e con l’infirmità pericolosa della moglie, disturbato di lite ingiusta dal signor Bochamagiore et altre tur-bolencie importanti riserbate nel mio petto rinchiuse; ma quello che più GIORNALE LIGUSTICO IO5 mi afanna il cuore è tremarmi pouero et inpotente e non auere tanto di scorta da potermi riparare, se in alchuno io auessi tanto di potere quanto comporta il bisogno le supererei con mancho mio disturbo : in somma non ui è altro rimedio che la santa paciencia. Io la prego però e su-plico fauorirmi in doue la può con la sua autorità appresso al sig. Caua-gliero Giorgio, che in efetto possiamo ottenere quelli benedetti dinari fauoritimi con una sua lettera appresso al sig. Gran Cangeliere , con farli sapere la mente di S. A. la quale mi fece dono di una condanna di ducati 60 esigibile, che io spero mediante la sua lettera di bon inchiostro otenerà la gratia desiderata in tanta mia necessità. Et con fine gli desidero ogni bene et di nuouo me li raccomando. Di Mantoua, a dì 12 luglio 1624. Di S. Μ. M. Seruo aff. Ant. Maria Vianino. Il 14 agosto 1624 preparava i disegni per lavori al castello di Mantova, e si vien a conoscere un suo figlio per nome Pietro. Carlo I duca di Mantova, a dì 10 luglio 1628, gli concedeva quanto segue, che è una conferma di precedente concessione : Continuando noi uerso la persona del diletto nostro Antonio Maria Vianino, prefetto delle nostre fabriche, quella buona uolontà et affettione che li serenissimi signori Duchi nostri precessori a lui portauano, et ciò in riguardo del suo merito et ualore, ci siamo di buona uoglia compiac-ciuti di confermargli... in uirtù delle presenti, a nostro beneplacito, che a lui et a Madonna Laura sua moglie furono rispettiuamente concessi et confirmate dai signori Duchi Ferdinando e Vincenzo II.... sotto il dì primo Decembre 1625 e li 5 Xbre 1628, et nelle quali lettere fu al medesimo Vianino fatta mercede durante la di lui uita naturale d’una pensione di 5 scudi al mese.... con facoltà di transferire detta pensione nella persona di detta sua moglie. (R. Mandati 1628-36, fol. 28). Morì nel 1629, lasciando tre maschi: Pietro, Giovanni, Alberto e la figlia Daria. Ed ecco altra concessione alla prole: io 6 GIORNALE LIGUSTIGO Maria ecc., Il merito che con lunga serie d’anni s’ acquistò Antonio Maria Via-nini, mentre essercitando la carica di Prefetto delle fabriche di tutto questo Stato serui a serenissimi nostri antenati, muoue hora l’animo nostro a mostrare anco alla posterità di quello uiui effetti della memoria che ne teniamo; che però sperando noi che Alberto Vianini, ad imitazione del suddetto Antonio Maria suo padre, sia per poriarsi nel seruitio del Duca nostro figlio con quella fede, dilligenza et diuotione che si conuiene, et atteso massimamente la sicurtà dal medesimo fatta di 5000 scudi di Mantoua di ciò farci, F habbiamo elletto et deputato, et in uirtu di queste lo eleggiamo et deputiamo a nostro beneplacito, granaiolo ducale in luogo di Carlo Allario.... 30 marzo 1641. (R. Mandati 1656-43, fol. 126). Mori nel 1659 monizionero di Corte, lasciando due maschi e una femmina. Suo fratello era sacerdote. Ricordando le lettere di Giulio Cesare, 0 meglio Cristoforo Muzio, figlio del celebre Girolamo Muzio Giustinopolitano qui lo faremo meglio conoscere, presentandosi vari documenti che lo riguardano. L’ ambasciadore mantovano, fino dal 20 aprile 158)5 faceva sapere al Duca quanto segue: « Mutio Iustinopolitano... è un ceruello heteroclito eh’abbraccia assai et stringe poco et ha seruito al Gran Duca, qual si crede che n’ haurebbe fatto più stima s’hauesse trouata la metta della scienza in lui che fa professione d’hauere d’ingegnerò mirabile, et hora è a torno per uoler fabricar un molino per tener in una fortezza di castello, che con doi caualli commodamente macinarà 20 sarchi di formento tra il giorno et la notte.... Intendo ch’egli ha modelli di molte belle cose...., ma veggo questo homo tanto in mal arnese, che non so che mi dire, nè che credere di lui se non eh’ è tenuto un bel intelletto se lo sapesse adoperare ». In altra lettera del 27, gli fa conoscere che si portò dal Muzio che stava a casa del procuratore Buon, e lo trovò molto infuriato, perchè non aveva ricevuto risposta diretta dal Duca, GIORNALE LIGUSTICO IO7 notando che ne aveva avuta da Principi di Italia e dal Re di Spagna. Gli fece vedere i modelli, ma non volle nominare l’ingegnere che aveva proposto al Duca. Il Muzio stesso più anni dopo, cioè a dì 25 settembre iéio,cosi scriveva al Duca: « L’artigliere et ingegnere è Eugenio Gentilini, non è persona di eloquenza, ma bensì di approbata scienza nel suo genere, e tale l’opre sue lo manifestano al mondo, nè tampoco di bella presenza, ma bene è di tale esperienza nelle difese che forse ha pochi pari. V. Al. vederà le sue fatiche stampate e farà quel giudicio del valore di lui e di loro ». Finisce di scrivere, che lo tolse ad altri Principi per offrirlo a S. A. Il 10 giugno 1613 presentava al Duca un instromento campale per sicurezza di fortezze e di soldati. E una specie di carro falcato con artiglierie, da quanto posso capire dal disegno annesso alla lettera. Ricorda in questa come da ? adre del Duca era stato trattenuto in Mantova per 15 giorni. Ecco nella seguente l’attestato di un capitano sull’importanza delle opere militari del Muzio. Serenissimo Signor, Mentre F Altezza V.r* habbia pensiero di corere li pericoli della guerra uegga l’Alt.a V.» di hauer 1’ opere militari del Cav.« Iulio Cesare Mutio Iustinopolitano, figlio del famoso Duelista ; perchè assicuro V> A. sopra. l’honor mio, quando uedesse detti modi, resterebbe merauigliato, sicome: il medesimo anche ha fatto il Gran Duca di Toscana, Giambattista da Monte, Anibaie Gonzaga, Conte Francescho Martinengo, Paulo Sauello , Iulio Cesar Gonzaga, Francescho dal Monte et altri soldati, et per me confesso hauer, imparato più in due uolte che ho ueduto dette Inuen-tioni, che non ho fatto in anni uenti sei che io uo alle guerre, et Iddio uolesse che noi hauessimo hauuto sotto di Canisia un huomo tale; perchè quella piaza sarebbe stata in poter nostro. Però ho noluto notificarlo a V. A., perche uegga se po hauere dette Inuentioni ; perchè hauen-dole et militando con esse, potrà esser sicuro di esser sempre superiore al suo inimico, il che le apporterà molta gloria; et se a me non prestasse-quelLi fede che ricercha cosi importante materia, commetta al suo segretario di qui che le uegga, a lui con qualche soldato intendente, acciochè- ioS GIORNALE LIGUSTICO Γ Altezza V.ra possi esser sicura che io le scriuo più che il uero. Et le bacio le serenissime mani. Di Venetia, li 5 Gennaro 1602. Di V. A. S. Devotissimo Servitori Il Capitano Celio Pompei. Al Ser. tuo mio Sig. Il Sig. Ducha di Manto ua. Nulla so di questo capitano Pompei. Abbiamo finito il secolo antecedente con Pietro Paolo Mariani : riprendendo ora il filo delle sue vicende, avremo nuove prove della grande stima che godeva presso le corti estere. Ferdinando arciduca elettorale, da Gratz il 7 aPr*le ï^oo, scriveva al cugino Duca di Mantova : « Non mediocre è stato il fauore dell’Altezza V.a di mandarmi il latore della presente, ingegnere esperto, per seruirmi in questa occasione delle mie nozze. Et mi sarebbe stato di singoiar contento il haueimi potuto preualer dell’opera sua; ma essendo egli gionto per questo effetto troppo tardi et non avendolo potuto impiegale per hora in cosa di momento, mi ha parso rimandarlo ». Ed anche 1’ arciduchessa accompagnava l’ingegnere Mariani ai questo suo attestato : Serenissimo Prencipe figliolo diarissimo, Volendo ritornare il lator della presente Pietro Paolo Mariano Ingegnerò al seruitio di V. A., Γ ho uoluto accompagnare con la presente, a questo effetto principalmente che egli non ha osseruato il tempo della sua licenza, ma s’ ha tratenuto in queste parti nelli affari occorsi del mio diarissimo figliolo Ferdinando, sì che hauendo egli preterito detta sua licenza, mi ha parso escusarlo, pregando 1’ A. V. di non pigliar per ciò sdegno alchuno contro esso, anzi hauerlo nelle cose lecite per raccomandato -con benigna protettione. Con che fare, auguro a V. Al. ogni prosperità. Da Gràz, alli xv di luglio MDC. Di V. A. nff.ma madre Maria. Al Serenissimo Prencipe Il Sig. Vincenzo Duca di Mantova et Monferrato figlio diarissimo. GIORNALE LIGUSTICO IO9 Nell anno dopo aveva anche la imperiale soddisfazione così espressa : Rudolphus secundus, diuina fauente clementia electus Romanorum Imperator seniper Augustus. Illustrissime Consobrine Princeps diarissime. Venit ad nos superioribus mensibus Petrus Paulus, qui varias inuentiones ingeniosas profitetur, ut nobis earum aliquas ostenderet. Is cum nobis satisfecerit, nostroque permissu domum reuertatur, eum dilectioni tuæ commendamus ut eum eidem ïam ante acceptum intelligamus, acceptior deinde nostra causa sit. Nos dilectioni tuae gratum facere qua possimus occasione cupimus. Datum in Arce nostra Regni Pragae, die quinta mensis maij, anno Domini millesimo sexcentesimo primo: Regnorum nostrorum Romani vigesimo sexto, Hungariae vigesimo nono et Bohemiae itidem vigesimo sexto. Rudolphus. Ad mand.m S. Cas., M.tis proprium ... „ ’ Io. Baruitius. lll.mo ViMCEXTio duci Mantuae Monferrato Consubrino ct Principi nostro diarissimo Nel luglio il Mariani era già in Mantova, e il 29 si presentava al Duca con molte lettere. E poi da Mantova gli indirizzava la seguente : Serenissimo signor Duca mio signor Colendi."0 et patrone. Avendo inteso che V. Al. uol uedere quelli edificii, ò uolsuto cort questa mia mal scrita auixar Γ AI. V. che essendo spirato il termine del luoco qual aueua tolto afitto per deti edificij, m’è conuenuto disfarli ; però si poseno d’ognora acomodare, sì che io pregho V. A. che ordeni un loco doue gli possa metere, che subito io gli pianterò, et staranno apa-regiati sempre alla requisicione della comodità sua. Et oltra questi edificij d’acqua et molinj di gran marauiglia, ho fatto ancora alcuni modelli da armi militarij di grandissima importanza, et molto utili agli bisogni di guerra et altre occasione, et per dimostrar il mio bon animo mi son spoliato la mia pouera borza et facultà per beneficio di quella alla qual con umiltà.... Supplico a 1' Al. V. farmi gracia ordinare che me sia datto qualche aiuto de dinari per potermi aiutarmi delle spese che i’ ò fatto, ateso che I IO GIORNALE LIGUSTICO non ho abitacione alcuna, saluo che una camera loccante, doue oltra quello che ò patito per il pasato patisco ancora per il presente gran dano. Con ciò spero, conforme la solita benignità di V. A., qualche soccorso, et a ciò per clementia sua mi posso rimettere; alla quale con humilissima riue-renzia mi inchino etc. Di V. A. S. humilissimo fedelissimo. In Mantova, a dì 2 7bre 1602. Serùitore Pietro Paolo Mariani Ingegnere. Al Str.ino Gran Duca di λίαηΐονα et di Monferrato S.or mio e patron Col.mo. A dì 20 marzo 1604 da Roveredo scriveva a Fabio Gonzaga in Mantova, avvertendolo che prima di partire in fretta di colà lasciò un memoriale per scusarsi della improvvisa partenza; domanda perdono di ciò, essendo che sua figlia, nel partorire una creatura morta, restò molto ammalata; spera di salvarla e ritornar subito a Mantova agli ordini della casa Gonzaga. Infatti nel giugno era già di ritorno, e Fabio Gonzaga, mastro generale delle milizie, con sua lettera del 22 scriveva al Duca in Casale che doveva ■arrivarvi il Mariani, il quale avendo servito per cinque anni S. A., fatte alcune spese e lasciati certi modelli per dono a S. A., lo raccomandava nelle sue pretese. Il Duca gli rilasciava una patente (23 giugno 1604) di buon servizio prestato, specialmente con i suoi segreti per Γ elevazione dell’ acqua; e con tale documento lasciò lo Stato del Duca. A di 8 agosto 1604 scriveva da Parigi a Fabio Gonzaga, che presto sarebbe partito per la Fiandra, essendo stato ricercato, e di colà darà notizie della guerra. Infatti da Bruxelles, il 16 gennaio 1605, gli scri" "veva una lunga lettera, facendogli conoscere che era al servizio dell’Arciduca Alberto d’Austria con buonissima provisione qual ingegnere di campo, ove preparava molte sue invenzioni, fra cui un ponte meraviglioso. Spera di far fortuna, il che sarà per ricompensa del tempo che ha perduto in Mantova. Pubblicai la lettera a pag. 148 del libro: GIORNALE LIGUSTICO I I I Artisti in relazione coi Gonzaga signori di Mantova. Sono contento di aver potuto mettere in luce questo ingegnere militare ed idraulico; poiché fu dimenticato non soltanto dal Promis, ma anche dal diligentissimo Zani. Poco fortunato in Mantova, ebbe all’ estero giusto apprezzamento che lo compenso, come ben egli scrive, del tempo perduto a Mantova. In un autografo del Savorgnano abbiamo veduto accennato un ingegnere Cogorano; ecco una commendatizia a suo favore : Serenissima Signora Sorella mia oss.m" Claudio Cogorano, ingegnerò molto pratico, et che ora si troua nel mio servitio con intera sodisfattione, mentre che agli anni passati si trovava in Ungheria, accomodò in prestito certa somma di danari al Marchese Germanico Savorgnano, et di poi ne ha recuperato parte di essi; ma l’altra parte non recupera egli così facilmente, se V. A. con la sua autorità non comanda che le sia fatta sommaria giustitia ; che perciò uien lui medesimo a suplicare 1’ A. V., et io le raccomando molto affettuosamente la causa et interesse suo così per la buona et fauorita giustitia, come anco per la speditione, acciò se ne possa tornare in qua alla sua carica. Et a V. A. bacio la mano, con pregare Iddio che la conservi et prosperi. Da Firenze, il dì 8 di luglio 1601. Di V. A. Aff.mo χΐο et seruo Il Gran Duca di Toscana. Alla Serenìssima Signora mia Nipote oss.ma Madama la Duchessa di Mantova Claudio Cogorano da Parma, era nato nel 1575. Di lui il Promis (Biografie di Ingegneri militari italiani) pubblica alcuni autografi. Servì per dodici anni il Duca Alessandro Farnese nelle Fiandre, si portò dopo in Ungheria qual ingegnere generale dell’ imperatore nella città di Vaccia, allorché per ordine dell’ Arciduca Massimiliano, a dì 12 settembre 1596, fu destinato ad Agria. Lasciò manoscritta una Narrazione della perdita d’Agria... che atti 13 ottobre i;p6 per accordo cadette I 12 GIORNALE LIGUSTICO in potere de’ Turchi. Passò dopo a servizio della Corte Toscana; ma nel 1603 la lasciò per qualche tempo, per servir il proprio principe alle fortificazioni di Borgo S. Donnino e di Parma. Ritornato in Toscana nel 1610, propose la costruzione di un nuovo molo in Livorno. Il progetto, esaminato da Buonaiuto Lorini, fu poi eseguito. Nel 16Γ4 era al soldo degli spagnuoli nelle guerre contro il Duca di Savoia, e molto fu apprezzato. Le ultime notizie sono del x 618, quando egli era arrivato in Parma. Ricorderemo Bernardino Facciotti architetto, che accennava in una sua lettera il figlio; forse era Girolamo, che troviamo in questo secolo seguir l’arte paterna; se non tale, dovè per lo meno esser della famiglia. A di 4 marzo 1603 Tullio Pe-trozani, segretario di Stato, al segretario del Duca di Mantova partecipava : « È arrivato questa sera il Facciotto di Monferrato con certi dissegni, quali 1’ ho esortato a portarli fuori ove S. A. con maggior commodità potrà vederli, 1 accompagno raccomandando che sia presto liberato non essendo spesato ». Egli, a dì 15 maggio 1647, faceva presente al Duca : « Ritrovandomi io Girolamo Faciorti, prefetto delle fabbriche di V. A., per la mia età di anni ottantadoi et mia continua infermità inabile al servitio da me sempre cutn ogni fedeltà per sì lungo tempo servita, et desiderando che lesti dopo la mia morte le carica a persona pratica et fedele, accio che ne continui a comodo et utile de suoi interessi, conoscendo in Francesco Perina homo a ciò fare abilissimo et esercitato in simile materia », lo raccomanda per successore alla sua morte. Infatti il Perina, nel settembre 1648, rivolge-vasi al Duca, essendo morto il Facciotti, per averne il posto , che gli fu accordato con patente del 14 stess0. Egli, come abbiamo veduto, da più di dieci anni era venuto ad abitare in Casale con tutta la sua famiglia, dove i Francesi lo impiegarono in tutte le fortificazioni, e ne ebbe poi la GIORNALE LIGUSTICO I 13 cittadinanza. Il Faciotto, secondo il Conte d’Arco, non avrebbe lasciato discendenza. Ed 01 a verranno soggetti nuovi, cioè quelli che compaiono per la prima volta in questo secolo. Pompeo Targone ingegnere in Mantova, a di 23 luglio i6or, fa conoscere « come ha trovato una inventione di far lavorare continuamente li molini delli Apostoli, quali stanno tre et quattro mesi dell’ anno soffogati », e si obbliga di far l’espe-a pioprie spese. La sua proposta fu fatta esaminare dal Duca di Mantova; ma non risultano gli effetti. Nelle sto-ìie delle guerre di Fiandra si trova spesso cenno di questo Taigone ingegnere romano, figlio di un orefice veneziano, nato nel 1575, inventore di macchine guerresche e di stratagemmi militari, anche eccellente nell’idraulica e nell’oreficeria. Nel 1606 era in Colonia, donde scriveva che « attendeva a far diverse provissioni e macchine per uscire in campagna, et in particolare 60 mulini per condurli sopra carri, che li ma-cinaranno cavalli con una straordinaria prestezza e facilità; poiché designandosi entrar dentro le viscere della Frisia, il nemico romperla tutti li mulini per farci patir del vitto ». Nel 1607 venne in Roma, chiamato dal Papa. Nel maggio 1608 da Roma passo a Ferrara e poi ad Urbino. Le ultime notizie che lo riguaidano sono del 1630, e tutte furono raccolte dal Promis. Della sua invenzione sui molini guerreschi fu stampata la relazione. Fortunato Cardi, cancelliere ducale, così riferisce al segretario ducale sui.lavori di parte dell’antico castello (22 agosto 1601): « La fabrica di Cortevecchia ua innanzi a gran passi, et già sono posti a suo luogo i traui armati che hanno da sostenere il copeichio; le facciate sono finite di dipingere, et hanno disscoperto una gran parte di quella fabrica che deue essere gettata a basso, si che, se si ua continuando a questo modo, spero che uedremo in breue la fabrica finita; essendosi Giorn. Ligustico Anno XVI. „ ΓΙ4 GIORNALE LIGUSTICO anco dato principio a fare uerso S. Barbara, dietro a questa altra facciata, il poggio o sia corritore di marmo stimato da tutti, quando sarà finito, molto bello e di spesa ». E il 5 settembre: « Alla fabrica di Cortevecchia si attende indefessamente et già è coperta, essendosi dopo la partita di S. A. fatto certo molta opera; hora vanno gettando a terra quelle parti di fabrica che era in capo del cortile ». Il cav. Gabriele Ughi fiorentino fu architetto e pittore, morto nel 1629, dopo essersi trovato a molte guerre. Nel 1595 era in Ungheria, nella guerra contro i Turchi. Egli da Anversa, il 7 marzo 1602, scriveva al Duca di Mantova, che, animato dalla buona accoglienza che aveva avuto un suo disegno dell’ accampamento intorno a Canisa , gliene mandava altro dell’ assedio di Ostenda. Diverse tavole cosmografiche spediva Γ ambasciadore Mantovano in Anversa (12 aprile 1602) al Duca di Mantova, che pure altre ne ebbe il 20 ottobre 1603 da Guglielmo fiammingo, trombetta a Busquoy. Giovanni Altoni così scriveva : Serenissimo Signore, Havendo dato in luce alcune mie fatiche militari dell’ uso delli antichi, secondo usavano i Greci et i militi romani, con alcune inuenzioni, iiiu^. tate da me, essendo tutte cose che ho giudicate possino esseie Oioue uoli et di molto vantaggio da seruirsene, come dalla lezione di esso libro appare, et se in esso ci sarà cosa di buono sarà da V. A. S., conosciuta stimata, cosi se per mio poco sapere ci fusse cosa che mancasse spero nella sua clemenza et umanità V. A. S. si degnarà scusarmi, atteso che tutto ho fatto per giovare all’Universale, si come ancora per esser cono sciuto fra Principi et imparticolare da V. A. S., come principe sin0ula rissimo et stretto parente de miei naturali patroni; come tal me li largisco et offero, pregandoli dal cielo ogni maggior contento et felicità. Di Fi renze, il di ?o d’ Aprile 1604. Di V. A. S. . Devotissimo et Umilissimo seruitore Gio. Altoni. giornale ligustico Tanto questo Altoni quanto il Lorini, l’Ughi e il Lupicini, erano di quelli ingegneri eccellenti, che Cosiino I Gran Duca di Toscana tenne a suo servizio. D un altro scrittore di cose militari abbiamo la seguente: Serenissimo Signore, Hauendo io messo in luce la presente opera apartenente alla nobilissima militare disciplina, che è propria a V. A. quanto a qualsiuoglia altro principe, ne mando un libro a V. A., come è debito mio, per il desiderio di ueder la moderna militia italiana in quel grado d’ eccellenza che già antica romana è stata: degnesi per ciò per sua demenza riceuerla, si-come io la suplico, con desiderio che mi tenga in sua buona gratia é comandi. Da Fiorenze, il 2 di giugno 1604. Di V. A. S. humilissimo seruitorc Imperiale Cinuzzi. Si tratta dell’ opera : La vera militare disciplina antica e moderna del^ capitano Imperiale Cinu^i Sanese, Siena , Salvestri e Marchetti, 1604.. Era dedicata a Cosimo de’ Medici. Nella dedica, 1’ autore si sottoscrive ardito intronato. Il libro porta il ritratto del Cinuzzi in età di anni 48. Fino dal 3 settembre 1605. l’ambasciatore mantovano in Roma scriveva alla Corte ducale: « Invio un altro memoriale di questi Ramenghi, che desiderano una uera rappresentatione del]l Statl di Mantua et Monferrato, perchè douendosi partir tosto per Fiandra, a fine di dar principio a quest’opera cosmografica, possano haver con loro i disegni secondo desiderano La seguente potrà dar lume sull’opera che intendevano pubblicare i Fiamminghi: III."10 sig. et Pad.' mio Colend.° Io partij da Roma alli doi di novembre prossimo passato, et la partita mia fu si al improuiso che non hebbi tempo di venire a basiare le mani di V. S. 111. con darli auiso del mio partire. Hora questa seruirà per auisare V. S. come che hauemo comminciato a stampar il Theatro del Mondo di Abramo Ortellio in lingua italiana, di che ho ragionato varie GIORNALE LIGUSTICO volte con V. S. ; perciò la prego che voglia mandarmi per la posta il desegno cosmografico del Stato del Duca di Mantua et del Marchesato di Monferrato, ogni una per se si se pole, si non tutte doi insieme, con la sua breue historia se la è finita, si no prego V. S. che la solleciti, acciò questo libro non sia priuo di carta cosmografica di sì belli Stati, et anche acciò sì belli Stati non restino prilli di quello honore che hauemo fatto quasi a tutte Γ altre prouincie de Italia, non senza nostra grandissima fatiga spesa et diligentia ; et con questo fine starò aspettando risposta, basciando humilmente le mani a V. S. 111. Di Anversa, questo dì 5 fe-braro 1606. Di Y. S. 111. hum.mo seruitore Gasparo Viuario. All’ Ill.mo Sig. et Proti, e mio Col en. Il Sig. ambasciador del Ser.mo Duca di Mantoua in Rovi a. Questo Vivario negoziante dJ Anversa, specialmente di libri, morì poi in Roma di anni 52 nel 1616, come apparisce dal-l’epitafio postogli da Nicolò Vivario nella chiesa di S. Maria in Campo Santo. Ora viene un progetto di render Mantova inespugnabile e nello stesso tempo con ottime condizioni atmosferiche: Serenissimo Signore, Il nobilissimo sito della città di Mantua si può render molto più inespugnabile che di presente non è, riducendosi ancora 1’ aria in tutta per-fettione, con augumento di entrate col modo qui da basso. La fortificatione della città sarà molto più inespugnabile ogni uolta che si potrà allagare la spianata dalla parte dal Te e dalla parte di Porto a piacimento del defensore. L’aria serà del tutto sanata ogni uolta che 1’acque del Mincio haranno moto e non resteranno impadulate, sicome si ueggiono per la maggior parte di presente, il che è tutto facile da effettuare, come occorrendo mostrerà 1’ esperienza. L’entrate si augumenteranno in due modi, prima nel cultivare 3000 biolche di terra, le quali hora son del tutto inutili et impadulate, et le quali essendo in sito basso, si potranno ad ogni bene placito adacquare. Secondo nel ualersi di tutte le acque del lago di sopra, facendoli diuersi GIORNALE LIGUSTICO 117 edifitii, doue che di presente ua a male di dette acque la metà in circa senza profitto alcuno. La spesa de tutte queste fatture importerà ducatoni 3,600, cioè ducatoni 600 si spenderanno nel dar principio alle bonificationi dell’ aria e duca-toni 3,000 si spenderanno nel fortificare, fabricare e cultivare. E questo è quanti) per hora mi occorre dire intorno a simile materie, riseruandomi a dimostrare il tutto con effetto. E per fine fo humil riuerenza a V. A. S., augurandole da N. S. Dio ogni maggior felicità. Dato in Mantoua, il dì 16 giugno 1605. Di V. A. S. Devotissimo et humil. servo Antonio Lupicini. Il Duca prese in considerazione il progetto. Dalla seguente del Gran Duca di Toscana al Duca di Mantova apprenderemo a conoscere che il Lupicini erasi portato presto in Firenze: Serenissimo sig. mio nipote os.”° Io ho ricevuto la lettera che V. A. mi ha scritto con 1’ occasione del ritorno del Lupicino ingegnere, et ho hauuto molto contento di sentire eh’ egli Γ abbia seruita con suo gusto et sodisfatione, il che mi accrescerà quella buona inclinatione che io ho hauuto verso di lui, et che egli ha meritato da me per la lunga et buona servitù che mi ha fatto. Non lo potrò già compiacere nella richiesta di mettere una sua figliuola nel monastero che egli uorrebbe, poiché egli non doueua sapere che quel luogo si gouerna con le medesime regole della Religione di Santo Stefano, et son necessarie le medesime prouanze di nobiltà, il che non sarebbe mai lecito di dispensare. Ma in ogni altra occasione egli conoscerà quanto io stimi le raccomandationi di V. A. alla quale io basio con tutto 1’ animo la mano. Dal Poggio a Caiano, li 2 di novembre 160$. Di V. A. aff.mo χίο et senatore il Gran Duca di Toscana. Altra consimile risposta dava il Gran Duca a Fabio, Gonzaga generale delle Armi e governatore di Mantova, che pure avevagli raccomandato il Lupicino. Antonio Lupicino ritornò a Mantova e, del 18 marzo e 15 aprile 1606, si hanno sue lettere da Ostiglia, in cui ragiona di ripari fra detta terra e la Rocca, da lui praticati contro il fiume. Da ciò si vede iiS GIORNALE LIGUSTICO errata la data della sua morte che il Promis mette verso il 1598. Forse suo figlio sarà stato un Giovanni Lupicino, che, a di 29 agosto dell’ anno 1624, invocava dal Duca di Mantova qualche disposizione, appoggiandosi al lungo servizio prestato, ricordando specialmente i5 estrazione dei risi. Il Duca \incenzo, il 2S giugno 1607, rilasciava il ben servito seguente : « i.iuendo noi riceuuto buona, fedele et diligente seruitù da Gio Maria Lupa.i lerrarese» i. quale c: ha per il spatio di quattro anni in circa semita ccn la uirtù sua d: Ingegnere> cosi gliene rilascia soddisfacente dichiara. 3. tr.snJsti 160J-1611, /->/. 119) Non è accennato dal Cittadella nè da altri. Gandolfo Stondrato, cremonese, da sua lettera al Duca di Mantova, in data del penultimo marzo 1607, apparisce ingegnere idraulico, che allora operava molto in Roma, lamentandosi che un suo disegno, mandategli per impedire le mi-naccie uel Po a Casale, fosse stato variato dall’architetto casalasco Baronino. Nè di lui fa parola il Grasselli ne! suo abecedario biografico degli artisti cremonesi. Ln Giuseppe Buscai da Ragusi scriveva da Verona, il 5 maggio 1613, al Principe Gonzaga per offrirgli « un granassimo segreto » atto a diieniere città e castelli ; ma pare iosse un sogno di utopista. Egli è ignoto. Stefano Storace., architetto del comune di Genova, a di 24 aprile 1615, fece avere al Duca di Mantova un'opera ur..:ssima per servizio delle fortezze. II Duca accettò; e lo Storace, venuto a Mantova nel maggio, ripartì per Genova nel luglio a colmo di mille gratie e fauori riceuuti dalla Corte » come risulta da altre lettere. Ebbe l’incarico di far il disegno di Madrignano, che esegui assai voluminoso. Non è accennato dal Soprani, nè dal Ratti, che registrano gli artisti genovesi e quelli che operarono in Genova. GIORNALE LIGUSTICO U9 Ln matematico fiorentino indirizza al Duca la lettera seguente : IH.“° e S." sig. Duca e P.ron Col.“ Negli anni cella mia fanciullezza detti opera alle scienze mathematiche, sia a Euclide come a molte altre parti, e nella mia giouentii seruii in sa la guerra per ingegnere in Fiandra infino a tanto che si dette soccorso a Parigi e a Roano; dopo la morte del mio principe, venni in Italia oue ho composto e stampato in Roma molte opere, cioè: Il Principe difeso, che tratta di fortificazione et espugnazione. Il modo ni me!tire in orJi-r.ari'j gli eserciti. — La regia matematica, che tratta del :euare le piante delle tortezze da lontano. — Il Principe Cristiano guerriero, che tratta -i mettere in ordine una guerra — e Quesiti m:htjri. E troaancotni in Paucua per ricuperare la sanità di tre anni di malattia come ho tatto, e trottandomi obligato alla buona memoria del suo padre, i! quale senza conoscermi scrisse e mi fece scriuere dalla buona memoria del signor Carlo Gonzaga, non ho uoluto mancare ricordarmeli servidore, minimo in potere, ma principale in uolere, con l’occasione che m; s ; porge adesso de l'opera d’uno eh’ è tenuto in concetto di uaient’ nuomo Cc! significato ce pianeti, la quale gliene mando acciò possa uedere quello dice, se bene dt futuris ::r. tingentibus etc., pure sarà curiosità ci principe 1 atteri a cista. Viva felice lungo tempo. Di Paioua, il di 22 di giugno 1615. Di \. A. S. servitore cblig.mo Giouan F?.. Fiuoìeixi fiorentino matematico Sta annesso a questa lettera r « Discorso della qualita de Pianeti, oue si ritroveranno nel” ora del. ingresso del sole nel Ariete a! meridiano di Roma, che hanno dato causa dei la "esente guerra, e se alcuno ce’ Principi hanno ragione e se 5: accomoderanno, onero anderi alia peggio e se iaranno guerra sunerale » ; del quale è autore Benedetto A.tau'.la patrizio vicentino. Il Fiammelli fiorentino è autore di più libri, figlio di ua capitano, fino da ben giovane trovoss: a più battaglie. Xel 1579 era ingegnere in F anera nella celebre espugnazione ci Maastricht; nel 1592, per ordine di Alessandro Farnese, 120 GIORNALE LIGUSTICO portossi a riconoscere l’accampamento di Enrico IV sotto Roano, riuscendovi benissimo. Alla morte del Farnese venne a Roma, ove diedesi alla meccanica. Dopo aver preso parte alla campagna di Ferrara, ritornato a Roma vestì l’abito di Scolopio. Dopo il 1606, essendo vecchio e povero., si ritirò in Padova insegnando privatamente meccanica e fortificazione ; e quivi pare morisse verso il 1620, lasciando opere inedite di scienza militare. Nicolò Sebregondi della Valtellina, secondo il Zani, prima si distinse nella Fiandra, qual ingegnere militare ; di poi venne in Roma, donde il Duca Ferdinando Gonzaga lo trasse in Mantova. Di lui ci porgono parecchie notizie le carte mantovane. Ecco intanto una sua lettera: 111."° et R.ra° Sig. P.ron mio Col.m° Il disegno che V. S. III. mi ordinò auanti la sua partita per il Posseuino io 1 ò fatto e consignato già al suddetto signor Posseuino, e credo 1’ aura mandato qui a S. A. S. ; però pregilo V. S. 111. uolermi auisare se in ciò S. A. desidera altro, che io starò attendendo quanto mi comanda. Circha alla fabrica della Favorita, l’auiso che è coperta tutta, et il uolto della sala da basso è già a bonissimo termine, sì che spero infalibilmente darla fenita dauanti le feste di Natale: resta solo che V. S. 111. si adoperi in benefitio della suddetta fabrica, conforme il suo solito, acciò potiamo andar auanti, e questa estatte la potiamo compitamente godere. Circha 1 ordine che S. A. S. dette all’Aueloni del mio caualerato, che scriuesse al signor Ruberto Primi che douesse comprare il suddetto caualerato, l’auiso che sin’adesso non si è auto risposta nessuna, però quando V. S. 111. mi uolesse far grada a ricordarlo a S. A., me ne farà fauore grandissimo ; e con questo faccio fine, facendole riuerenza. Di Mantua, questo di 28 novembre 1616. Di V. S. 111. umilissimo seruitore Nicolò Sebregondi architetto. Era cavaliere lauretano. Il 27 settembre 1617 partecipava che era ammalato. GIORNALE LIGUSTICO 121 ^la Canobi, occupato dei Giardini della Favorita, così il 24 novembre 1618 riferiva al Duca: « Si è portato a visitare il signor Nicolò architetto, il quale subito ha 01 dinato le misure e del disegno e delli quadri secondo gli 01 dini di S. A. Non mancherà di presentarglieli quanto prima, con tutto che la ricascata del male et i nuovi accidenti successeli di alcuni acutissimi dolori lo tenghino e trauagliato e D D serrato in casa ». E il 27 novembre: « Giachè il signor Architetto prima che da hoggi a otto non puoi mandar il disegno della Fauorita desiderata dall’A. V. S., comincerà a mandar le misure. Il fontaniere, 0 ingegnere di acque, mise giù il disegno del Peschierone... essendo si gran machina e delle maggiori che siano in Italia ». Quindi il 12 dicembre: « L architetto lavora sempre al gran disegno della Fauorita ». Il Duca, a dì 17 settembre 1619, ordinava al tesoriere di saldare ogni conto dello Sebregondi e dargli di più 50 scudi in dono (Conto di tesoreria 1615-20). Era però sempre occupato intorno alla Favorita, di cui il 21 maggio 1624, riferiva al Duca, e il 15 giugno nuovamente notava: « Mando a V. A. S. la pianta del Palazzo della Favorita, disegnato nel modo e forma comandattomi da V. A. S. ultimamente auanti la sua partenza ». Il 15 luglio si dichiara travagliato da terzana, ed il 6 agosto presenta il disegno della facciata del Palazzo della Favorita. Partecipa poi che i Padri dell’Oratorio di Casale lo richiedono colà, per visitare la loro fabbrica; ma egli non può andarvi, così domanda 15 giorni di licenza. Nell’agosto domandava di poter sposare « una putta figlia del defunto Ottaviano Asserb, che ha in dote 3,000 scudi ». Essendo morto Gabriele Bertazzoli, lo Sebregondi ne domandava le cariche: « Serenissimo Signore, Nicolò Sebregondi architetto, diuotissimo seruo di V. A. S., humilraente li espone, come per la morte del signor Gabrielle Bertazzoli uacò alcuni 122 GIORNALE LIGUSTICO officci, cioè 1’ aparatto de fochi, et le liuellationi de acque, fra quali è ancora uacatto la caricha della fabricha del sostegno di Gouernolo, la quale per essere detta caricha attenente alla proffessione di detto Sebregondi, suplica V. A. S. uolere restare servitto gratiare il suddetto Sebregondi di detta fabricha, che oltre promette seruire con ogni suo pottere la S. V. S., li resterà anco perpettuaraente obbligattissimo. Et per che il suddetto Sebregondi ha pressentito che V. A. S. sta in forssi se egli sia prattico di liuelatione o decliui di aque, a questo risponde con ogni humile riuerenza che non solo piglierà qualsiuoglia de-cliuo di aqua et farà qual si uoglia liuellatione di esse; ma di più nello istesso tempo che farà detta liuellatione piglierà insieme la pianta esattissima di qualsiuoglia sitto, con rapressentare in disségno la tortuosità de fiumi, i giusti confini de pianure con qualsiuoglia casamento, strade e boschi et altre cose nottabili che ini si trouerano, sicome più uolte li è occorso in Roma nell’ocasione del [nondattione del Teuere, essendo statto tra li elletti d’ ordine di Sua Santità a pigliar piante, a livellare, a fondar fabriche et ordinare il rimedio di detta Inondatione, sicome apare per un disseguo che tiene il suddetto Sebregondi presso di lui. Il suddetto Sebregondi. Rescritti Ad consultationem Ebbe quanto desiderava. A dì 30 maggio 1630 moriva di anni 20 Ippolita sua moglie, ed egli sposò una Grignani. Il seguente è un attestato di aver supplito bene nell’opera della Chiusa in Governolo: « Maria ecc. Li fedeli e diligenti seruitii prestati per longo corso d’ anni dal diletto Nicolo Sebregondi a ser.mi nostri maggiori di gloriosa memoria, nella di lui professione d’ architettura, et il saggio ultimamente datoci con molta sua lode nella perfettione della Chiusa di Gouernolo dopo hauerui affat-ticato non poco, attesa l’arduità dell’opera tentata da altri, ma non già ridotta come hora si troua, la Dio mercè, in stato sicuro, ci mouono ra-gioueuolmente a dargli in alcune parti delle industri sue fatiche il guiderdone, affinchè maggiormente possa prendere animo pel seruitio cosi del Duca nostro figlio come del pubblico ; onde in uirtù della presente facciamo al medesimo Sebregondi, lui uita durante, benigna mercede et retributione di cento scudi annui sopra il dacio et augumento del sostegno giornale ligustico 123 suddetto di Gouernolo, da essergli pagati di mese in mese le rate dalla Camera ducale o dalli conduttori che di tempo in tempo piglicranno ad affitto il dado suddetto senza ueruna contr'adicione 0 repugnanza. Comandando perciò al presidente del maestrato et ad ogni altro ministro a cui spetta di puntualmente far rispondere la suddetta prouisione al medesimo Sebregondi, altro nonostante. Di Mantua, il primo di maggio 1639. Maria. («. mandati 16)6-164j, fol. gì). Eia nel 1645 ancora occupato di lavori alla Chiusa, come risulta da sua lettera del 19 agosto. Da altra dell’ aprile 1647 si rileva come fosse in fine di vita; nota che le malatie gli consumarono quanto ricavava dalle sue cariche, e raccomanda la prole « i cari pegni delle viscere, alla protezione del Principe». Morì di quell’anno lasciando due figli; Francesco morto nel 1686 e Carlo nel 1706, ed una figlia per nome Francesca sposata al Conte Cocastelli con la quale si estinse la famiglia. Per patente del 1666 erano confermati scudi 100 annui sopra il sostegno di Governolo, e altri 100 mensili sopra i comuni di Rodigo e di Marcoria alla prole dal Sebregondi come godeva questi alla sua morte. Il Conte d’ Arco scrisse che presso al tempo in cui visse lo Sebregondi, alcuni altri architetti operarono in Mantova, come il ferrarese G. B Aleotti per un cavo presso Mellara, Alfonso Rivarola, detto il Chenda, e Carlo Pasotti architetto, chiamati per lavori in occasione di feste e di tornei; ma io non ebbi a trovar documenti dei medesimi. Del primo, detto l'Argenta dalla sua patria, morto celebre nel 1630, il Cittadella dà più cenni; il secondo era fiorentino, fu anche pittore ed ebbe qualche fama, morì nel 1640: l’ultimo deve esser Carlo Pacciotto, di cui abbiamo fatto parola. Un Claudio del Cairo gentiluomo francese, non so se ingegnere, otteneva, a dì n gennaio 1611, privativa per trenta anni dal Duca di Mantova per invenzioni di certi forni più 124 GIORNALE LIGUSTICO economici per far pane e biscottini (R. mandati 160J-1611, fol. 2)6). Altro francese , cioè Andrea Peris da Marsiglia, aveva consimile privilegio per invenzione di far molini, sopra 1’ acqua morta, ossia che non correa, a dì 26 ottobre 1616 per trent’anni (Idem 1612-18, fol. iSj-6). Scrittore di cose militari fu il Melzi , che indirizzavasi al Duca in questo tenore : Serenissimo signor mio signor Pron.' Col."', Fra pochi giorni si dourà publicar una mia scrittura sopra il gouerno e seruitio della caualleria ; poiché il S."° Arciduca, essendosi degnato di uederla, s’ é compiacciuto insieme di commandarmi che io lo faccia stampare. Di questa mia debole faticha prendo ardire di mandar un uolume a V. A. S., alla quale deue esser noto ogni auuenimento che tocchi la mia persona , cosi richiedendo 1’ antica mia singoiar deuotione uerso di lei. Nella presente dimostratione supplico V. A. a degnarsi di riconoscere un picciol segno del uiuo desiderio c’ ho di poter segnalare appresso di lei la seruitù mia più degnamente con l’opera. Le bacio a V. A. S. con ogni humiltà le mani. Di Brusselles, li 5 di Gennaro 1612. Di V. A. S. Deuolissimo Seruitore Lodovico Melzi. Ebbe ringraziamenti, e il 2 maggio si dimostrò contento dell’aggradimento. Il 17 maggio si condolse della morte del Duca col figlio successore, offrendosi continuo servitore intimo. Il 30 dicembre partecipa che fu da S. M. onorato « d’ un luogo del Consiglio secreto di Milano » e qui, il 19 novembre 1613, scriveva al Duca di Mantova partecipandogli il ritorno in Italia, e offrendosi sempre qual servitore per qualunque occasione. L’ opera summenzionata del Melzi porta per titolo « Regole militari sopra il governo e servitio della Cavalleria ». Anversa, 1611 ; in folio, con figure. Morì l’anno 1617. Fu cavaliere gerosolimitano e famoso nelle armi e nelle lettere. Non meno dei Melzi furono celebri i Montecuccoli nelle guerre. Ferdinando Duca di Mantova, a dì 24 ottobre 1616, GIORNALE LIGUSTICO 12 J concedeva una dichiara di ben servito al Conte Luigi Mon-teuiccoli « pella seruitù prestatagli per lo spatio di alcuni anni», accordandogli una pensione di annui scudi 100 d’oro pagatili di tre in tre mesi. (R. mandati 1612-16iS, fol. 248). Il servizio sarà stato nell’ artiglieria, benché non sia notato. Alessandro Striggi, ambasciadore mantovano in Milano, il 26 giugno 1617, cosi scrive al Duca di Mantova: «Ho buscato un disegno di Vercelli et del campo che lo circonda, fatto da Baldouino ingignero di S. M., il quale mando a V. A. qui congiunto, dicendole però che essendo il primo et non riuisto ancora, non è senza qualche mancamento ». Può trattarsi di Gaspare Baldovini, architetto militare modenese, registrato dal Vedriani (Raccolta di pittori, scultori et architetti Modenesi più celebri)·, il quale nota che morì a Torino, ove era stato chiamato a servizio del Duca di Savoia. Unico ricordo del barone De Groote ci rimane la seguente lettera: Ser.”° Sig.” Hauendo io col più diligente studio, che ho potuto fare, et con Γ osservanza di segnalatissime et diuerse imprese, che da trentacinque anni in qua ho uisto in Fiandra, Francia, et Allemagna, raccolte uarie consideratione, che rendono questa mia opera d’una nuoua maniera di fortificare più sicura men costosa et di maggior utile di quella che uulgar-mente si dice Reale, l’ho fatta stampare et con l’annesso libro, ch’io mando a V. A., le invio giuntamente un testimonio della singolare devotione, ch’io le professo, et anco della molta stima eh’ io faccio della sua gratia et patrocinio, presuponendo di meritarmi 1’ una et 1’ altra col zelo particolare eh’ io mostro in quest’ azione al serenissimo suo servicio et del suo stato, per 1’ utile che può operar dai mezzi gioueuoli, eh’ io propongo, far benefitio et difesa di esso in ogni occorrenza. Et humil-mente bacio a V. A. le mani. Di Monaco, a 28 di ottobre 1617. Di V. A. Humiliss.™ 11 obbligatìss.”10 ser.m° Il Barone De Groote. Al Ser.mo Sig. Il Sig. Dueλ di Manloa et Monferrato mio Signor 126 GIORNALE LIGUSTICO Carlo Hausman de Namedi scrive da Venezia, il 6 gennaio 161S, al Duca, ricordando le cortesie e il dono di 30 scudi pel pagamento dell’ oste, medico e speziale quando fu in Mantova; arrivato di Alemagna, prega S. A. di ricevere une mappe ou carte de toute l’Allemagne, qual piccolo dono d’ occasione. Nell'aprile domanda scudi 45 in prestito per andar alla Madonna di Loreto, e pare gli abbia avuti, poiché il 13 settembre ringrazia del favore. A dì 9 maggio 1620, sempre da Venezia, sottoscrivendosi « gentilhuomo tedesco del stato dell’Elettorato », avvertiva aver spedito a sua altezza da oltre un mese e mezzo « duoi libretti » cioè Mare liberum Hugonis Grotii e Manuale Catholicum, ambedue tatti da eretici. Intanto supplica per una sovvenzione essendo poverissimo. Il Cav. Giovanni Roberto Villani da Napoli, trovandosi il I3 maggio 1620 in Parma, scrive al Consigliere ducale di Mantova raccomandando una sua invenzione per schiodare i cannoni, esperimentata in Fiandra nel 1603. Venne in Mantova e scrisse più volte al Duca, ma pare senza nulla ottenere. Pubblicai negli Artisti in relazione con i Gonzaga signori di Mantova due lettere del celebre architetto romano Gerolamo Rainaldi, di cui parla il Milizia. Egli era venuto in Mantova nel giugno 1620 con lettera di presentazione di Rannucio Farnese, poiché il Duca di Mantova a lui si era rivolto , il 23 maggio, per aver l’architetto in Mantova. Il Farnese gli nota: « Credo che V. A. restarà contenta di hauer fatto elettione del suddetto Rainaldo, perchè qui ueramente si è portato di maniera in quello che ha fatto sin’hora, che non ha lasciato che desiderare nè al signor Cardinale mio fratello nè a me, onde siamo sodisfattissimi di lui ». Il 16 dicembre dello stesso anno il Rainaldo era già di ritorno a Roma, portando gratissimo ricordo di Mantova, come egli narrava al Papa stesso. GIORNALE LIGUSTICO I27 Il Cardinale de Medici, da Firenze, il 7 di maggio raccomandava a sua sorella Duchessa di Mantova « il Pieroni mathematico del serenissimo Gran Duca », che doveva passar a Mantova per portarsi a servire S. M. Cesarea. Di Giovanni Pieroni matematico ingegnere discorre il Baldinucci nella vita di Baccio del Bianco. Un iscrizione, riportata dal Conte d’Arco, già esistente nella chiesa del Borgo di S. Giorgio, distrutta, ricordava Quintilio Corsini prefetto delle fabbriche ducali, sepolto colà il 17 maggio 1624, ma di lui altro non si conosce. La famiglia Corsini era in Viadana fino dal principio del secolo XVI. La lettera seguente è del Tensini, nato in Crema nel 1581 , il quale si distinse nelle guerre di Fiandra, Alsazia , Boemia e del Piemonte, qual ingegnere militare: Serenissimo Prencipe, Hauendo io stampato uno mio libro militare, et contenendo in esso il mio modo di fortificare con li balouardi in Isola, come noue anni sono io consigliai S. A. di accomodare la citadella di Casale, riducendola la maggior fortezza; ma ciò che più importa a potterla guardare e diffen-dere in ogni occasione con la metà manco gente del ordinario ; perciò mi è parso di mandarli uno de detti libri, nel quale oltre alla fortificatione, se S. A. S. si degnarà di leggerlo, ui trouerà assaissime mie nuove inuentiotii. Sono sette anni che per mia mala fortuna io adimandai licentia al sig. Duca di Bauiera per uenire a seruire questo mio ser.rao Signore, nè ho potuto andar a seruir S. M. Cesarea in queste ultime guerre e come ne fui ricercato dal ser.ra° Arciduca Leopoldo per essere obbligato qua per sette anni, li quali fra un mese sono feniti. Suplico S. A. S. di agradire il piccolo dono in ricompensa del molto desiderio che io ho di seruirla, et io starò pregando Nostro Signore che conceda a l’A. S. il colmo d’ ogni felicità e grandezza. In Venetia, li 5 feb. 1624. Di S. A. S. Devotissimo et seruilore Il Cav. Francesco Tensini. GIORNALE ligustico L opera suddetta era appuntò stampata di quell’ anno in λ enezia; e se ne fecero più ristampe. Il 5 aprile 1628, da Crema, rispondeva al Duca di Mantova di non poter partire, prima del!’ arrivo della licenza della Repubblica Veneta ; ma avutala, subito partirebbe per Mantova. Morì, secondo il Promis, nel 1630. Bernardino Morioni da Verona (26 marzo 1626) presentava al Duca di Mantova disegni per unir una fabbrica nuova alla reggia, offrendo dopo, di ritorno da Bolzano, i rispettivi calcoli per la spesa. Mi è sconosciuto questo architetto. Parlando dello Serbegondi occorse il nome di Fra’ Zanobi. Egli era di casato Bocchi e di patria fiorentino, minore osservante; chiamato a Mantova alla direzione dei Giardini, si iermò per molti anni, anzi credo fino alla sua morte. Soprain-tendeva anche ai lavori edilizi e delle fontane ; perciò credo meritar qui posto un suo autografo diretto al segretario ducale: III."· Signore, Mando a λ . S. 111. la carta della diuisione del Giardino disposta in modo non mai più usato da nessun semplicista nè da luogo di studio, qualunque l’ha uista l’ha tenuta curiosa, e S. A. S. l’ha gradita contro ogni mio merito, e con tutto che la sij fatta per il Giardino di Mantoua, ad ogni modo per le regole generali che ci sono e l’applicatione de Pianeti , può seruire ad ogni protessor di medicina. Mi costa però uint’ otto scudi, li quali metto in compagnia de quelli che spesi in stampar el libro della lettione deIl’Ecc.mo Signor Dottor Palpera, tirandone 1’ utilità di qualche d’uno che potesse dire: Fra Zanobi è un ualent’ homo; del resto non aspetto altro, come pouero forastiere e disgraziato che sempre fui ; e con tal fine facendole humilissima riuerenza finisco. Di Corte di Mantova, alli 30 Giugno 1626. Di V. S. 111. Aff.mo seruitore Suo Fka Zanobi. Il Duca Ferdinando Gonzaga, a dì 3 settembre 1626, faceva scrivere al suo ambasciadore in Roma, affinchè ottenesse giornale ligustico 129 da chi spettava, che il Bocchi restasse incorporato nella provincia religiosa mantovana; perchè avendo servito per 27 .inni la sua famiglia qual semplicista, essendo finalmente aggradito dalla podagra e vecchio, meritava esser messo a riposo, e tuttavia non amava che si allontanasse da Mantova « essendo huomo di ualore già stato predicatore ». Carlo I Duca di Mantova, a di 7 luglio 1629, concedeva il benservito al Capitano Angelo Rodari, per averlo seruito « nella carica d’ingegnere dell’artiglieria in campagna » per sei mesi, dando prove della « sua sufficienza et ualor suo ». (R. mandati 162S-36, fol. 87). Non è fatta conoscere la patria di questo ingegnere. Moriva a di i.° febbraio 1630 alla corte di Mantova il Capitano Pietro Nani d’Urbino, in età di anni 55 per febbri. (Necrologio Mantovano) ; ma non potei conoscere se fosse ingegnere militare. E nemmeno dell’ autore della seguente lettera potei scoprire qualche cosa: Ser.“° signor e P.ron. Coll.m° Come che conosco certissima la grandezza delle mie obbligationi uerso 1’ Al. V. S., così bene mi assicuro della gratia di lei nel uedermi fauorito de suoi commandi, per la riuscita felice de’ quali ho negociato con li signori Proueditori di questa città per la licenza di Pompeo Frassinelli architetto, et spero di ottenerla di breve per quello giorno ; onde potrà poi egli tranfserirsi ai cenni di V. A. S. per obedirla; et mentre riuerente l’esibisco me stesso, Le fo humilissima riuerenza. Da Verona, 5 feb. 1632. Di V. A. Devotiss.mo et oblgat.mo seruitcre Giouanni Emiglij. Un Leonardo Vilière, nel 1633 da Parigi, scriveva al Duca di Mantova che un cosmografo parigino desiderava di essergli servitore, e perciò lo raccomandava; ma non risulta se sia venuto. Giorn. Ligustico. Anno XVI. 9 ISO GIORNALE LIGUSTICO La Duchessa Maria, il primo giugno 1639, concedeva quanto segue : * Essendosi offerto Tomaso Rondanini-Sangiorgio da Brisighella, luogo nella Romagna, di ridurre con artificio di sua inuentione nuovo et con maniera facile e presta nè più usata da altri, di ridurre a buona cultura i terreni palludosi. .. rendendoli coltiuati e fruttiferi con poca spesa in riguardo al molto utile », mentre si obbligava di dare il quarto degli utili alla Camera ducale, gli si concede privativa per sè, figlioli ed eredi (R. mandati 16)6-4), f°1· 87-8). « Scipione da Mimo cittadino di Casale, humilissimo et tedelissimo suddito » indirizzava una supplica, a di 19 di aprile 1646, a Carlo Duca di Mantova per esser poi successore al Faciotto architetto, quando ne avvenisse la morte, avendo questi già 77 anni d'età. Notava che da 29 anni serviva la casa Gonzaga nella carica di soprastante delle fabbriche e fortificazioni della cittadella di Casale, e specialmente l’avea servita in tre assedii con pericolo continuo, benché non retribuito. Egli era in età matura con moglie e prole, e con pochi beni di fortuna. Per rescritto sta segnato : Habebitur ratio. 11 famoso matematico Kircher, gesuita, nato a Fulda e morto poi in Roma nel 1682, scriveva : Serenissimo Principe, Ho finito l’opera intitolata Ars magna consoni et dissoni ovvero Mti-surgia universalis, et considerando V. A. come patrone e fautore unico de’ letterati, non ho voluto mancare della mia parte con questo picciolo dono benché indegno della grandezza dell’ ingegno di V. A., tuttavia pieno d’ affettione a testificar la stima grandissima conceputa dalle sue heroiche virtù: cosa più degna non ha havuto la sostanza della mia povertà. La pregho d’accettarlo con quell’ affetto con che l’offerisce l’autore. Se questa mia povera oflerta a V. A. sarà gradita, non lascierò di mandarle quanto prima l'orca Musurgica, che contiene 1’artifizio nouo di comporre qualsivoglia sorte de’ compositioni da ognuno, benché non habbia veruna giornale ligustico 131 notizia delle cose musicali ; et con questo gli fo profondissima riuerenza, pregandole dal cielo ogni ben bramato. Roma, 10 di febbraio 1650. A. Servo bumilissimo Athanasio Kircherio. A dì 26 gennaio 1657, Gio. Paolo Zaccaria era soprain-tendente generale alle digagne. (R. mandati 1657-1667, fol. 41). Carlo II duca di Mantova, a dì 12 gennaio 1658, nominava Giuseppe de’ Fogliatti comandante della fortezza di Goito « pella molta prattica eh’ egli ha in oggetto di fortificazione », dimostrata al servizio di Casa d’Austria e di altri principi (R. mandati 1657-62, fol. 12). Lo stesso Duca, il marzo 1659, ordinava il pagamento di scudi mensili 50 da lire 6 a favore di Daniele Wandendeych suo ingegnere e di scudi 30 a Carlo Badallini Marangone. Vi sono varie lettere di questo ingegnere dal 14 settembre 1657 al 166 r, da cui apparisce direttore generale dei lavori in Marmirolo e come fosse egli stesso pittore. Fin dal 1660 cominciano le relazioni della Corte Gon-zaghesca con Francesco Geffels pittore e architetto. A dì 4 aprile 1663 , fu nominato successore al defunto Daniele Wandendeych con stipendio di scudi 40 al mese. La patente rilasciata da Carlo II così principia : « Siamo restati così sodisfatti dell’ habilita e peritia di Francesco Geffels, pittore fiammengo, nella congiuntura che ci siamo ualsi dell opera di lui in uarie cose di sua professione, che hauendo noi conosciuta la uirtù e sufficienza del medesimo non meno in essa che nell’ architettura e prattica nelle inuentione di macchine , habbiamo risoluto di condurlo al nostro attuai seruitio. Per dargli dunque uiui segni della nostra gratitudine, in uirtù delle presenti lo eleggiamo .e deputiamo nostro pittore et architetto, ossia prefetto delle nostre fabbriche e fortificazioni et ingegnere del nostro gran I32 GIORNALE LIGUSTICO teatro ». A dì 12 novembre 1663, soddisfatto di lui qual pittore e architetto, gli accordava a sua domanda per cinque anni « di hauere et esercitare il spacio et speditione delle mercantie di questa città e Stato » (R. mandati 1662-7 , fol. 21 e Architettò il palazzo posseduto dai Sordi, e fece testamento il 15 febbraio 1669, instituendo erede de’ suoi averi la Confraternità del SS. Sacramento nella chiesa di S. Martino in Mantova. Si hanno di lui disegni di catafalchi, eretti nella Chiesa di Santa Barbara, assai ricchi. Antonio Prestinari aveva,a dì 30 marzo 1667, conferma di agrimensore camerale della Duchessa Isabella Clara (R.° mandati 1662-7, fol. I94)· A ^ 23 gennaio 1672, oltre detta carica, ebbe quella di sopristante delle ducali fabbriche per patente di Ferdinando Carlo (Idem 1667-73, fol. 149)· Del Prestinari non trovai altro ; ma del seguente vidi un cenno nelle Vite dei pittori, degli scultori, et architetti veronesi di Fr. Bartolomeo Conte Dal Pozzo, in cui si nota il grande ingegno e Γ abilità del veronese Bianchi : Ill.m° et Ecc.n» Signore Signor Patron Colt."10 Dal signor Gabrielle mi è stata resa la gentilissima di V. E. ed insieme rappresentato il suo desiderio in soggetto del disegno per il portone del suo palazzo. Mi ha fatto uedere anco un disegno quale mi è parso un poco tozzo, non so se così il sito lo permetta. Sarebbe necessario che io fossi sopra il sito, per uedere se in qualche maniera si potesse fare un disegno che mostrasse l’opera più suelta ed insieme magnifica. Per seruirla cercarci di essere in Mantova quanto prima a ricevere i comandi di V. E. alla quale facendo riverenza humilissima resto Di V. E 111. Verona, li 14 agosto 1668. humiliss.mo et obbl.rao Servitore Giov. Battisa Bianchi. Il Dal Pozzo nota che fu adoperato anche in Germania questo architetto, essendo pure scultore. GIORNALE LIGUSTICO x33 Morto 1’ agrimensor ducale Alessandro Casalieri, si nominava in successore, il 13 maggio 1675, Giovanni Fantelli (R.° mandati 1673-81, fol. 63). E Federigo Carlo Duca, il 30 ottobre 1683 > nominava sopraintendente generale delle fortificazioni Ercole Botrigari gentiluomo bolognese (Idem 1681-7, fol. 77). Moriva in Mantova, a dì 30 gennaio 1687, Alfonso Mosca-telli-Battaina, 0 Battaglia, prefetto delle acque di tutto lo Stato mantovano e ingegnere di S. A. S., per febbre e doglie, di anni 60 (Necrologio Mantovano). Egli si era distinto anche in Venezia. Suo figlio Doricillo, a dì 30 gennaio 1698, ebbe le cariche paterne. Nel 1706 disegnava un tipo di Goito e delle sue fortificazioni. Dal 1718 al 1728 restaurò i palazzi del Te, della Ragione, la Cattedrale, ecc. Si hanno di lui pubblicazioni di soggetto idraulico. Morì nel 1739. A dì 18 ottobre 1687 Bortolo Aragona, avendo servito « qual ingegnere delle nostre fontane », vien nominato perito idrografo e sovrintendente alla edificazione (R.° mandati 1688-93, fol. 97). Troviamo nel 1689 il seguente decreto: Ferdinando Cario, ecc. La cognitione che possiede Pietro Breuil francese in molte scienze ed arti, primieramente degli elementi di Euclide, geometria, fortificazione, aritmetica, geografìa, scienza heraldica, prospettiua, pittura in olio, miniatura e smalto, con altre uirtù, delle quali si mostrò idoneo a dare i documenti, eccita in Noi la propensione uerso di lui, stimandolo meritevole di far godere in questo concetto gli effetti della nostra benignità, atteso etiamdio l’ossequio deuotissimo che egli ci professa; onde rissoluendo di ammetterlo al nostro seruitio, in uigore della presente lo eleggiamo e dichiariamo nostro matematico, affinchè in tal qualità abbia ad esercitarsi ad instruire quelli che gli fossero da noi commessi; volendo che uenga trattato, riconosciuto e rispettato come nostro seruitore attuale, e goda di tutti gli honori, grade, prerogatiue e preminenze spettanti a simil grado, col stipendio di quattro doppie da essergli mensualmente corrisposte da chi 134 GIORNALE LIGUSTICO ne riceuerà l’ordine nostro, con scuti 50 moneta in appresso annue per fitto di casa, quale vogliamo che allo stesso Pietro siano per metà di sei in sei mesi anticipati pagati, comandando ai ministri ufficiali e maestrali nostri gli osservino e facciano inviolabilmente osservare il tenore di queste medesime per quanto stimino la gratia nostra. In fede. Di Mantova, li 27 marzo 1689. Ferdinando Carlo. (X. mandali 16SS lè'jj, fol. 64). A dì 18 aprile 1689, otteneva patente di soprintenente generale delle strade il conte Giovanni Magni (R.° mandati 1688-9h f°l- 3?)· Successore a Bortolo Aragona, accennato qual ingegnere delle fontane, fu Domenico Bendini, a dì 3 maggio 1698 (Idem 1693, I702> f°l- 118-9). Il 9 aprile 1699 era confermato qual architetto ducale Fabricio Carini-Motta, che aveva servito per 50 anni e particolarmente qual pittore (Idem. 169S-1704, fol. uf Egli aveva pubblicato in Guastalla un Trattato sopra la struttura dei teatri e scene. In Mantova costrusse un teatro, detto Fedeli-Gonzaga. Altro ne disegnò Ferdinando Bibiena, architetto, che nel maggio 1706 era presentato al Duca di Mantova da quello di Parma e Piacenza, secondo l’espressogli desiderio, come da lettere che per brevità non espongo. Prima di chiudere questo lavoro, che dovrebbe veramente non andar oltre il confine proposto, voglio dare ancora alcune note sopra la famosa Chiusa di Governolo, per chi intendesse proseguire gli studi in discorso. Nel 1670 il magistrato Comunale faceva compilare una estesa relazione sui lavori in essa praticati, proponendone altri al suo mantenimento. E tre anni dopo l’ingegnere Moscatelli presentava un progetto per riattarla, combattuto dall’ingegnere G. B. Barattieri di Piacenza. Nel 1687 il magistrato domandò il parere all’ ingegnere Francesco Alberti ai servizi della Repubblica di Venezia intorno al progetto Moscatelli, il quale nel 1724 presentava GIORNALE LIGUSTICO I35 all’imperatore Carlo VI una sua dotta relazione sui lavori compiuti. L’ingegnere mantovano Antonio Maria Azzolini, prefetto delle acque, si occupò nel 1752 di un nuovo progetto per altro sostegno con annesso edifizio; ma egli morì nel 1754, e il capitano ingegnere Nicolò Baschiera, e Francesco Cremonesi prefetto delle acque, ebbero la sovrintendenza dei cominciati lavori, sospesi pure nel 1760. Il Cremonesi era discepolo dell’Az-zolini. L’anno dopo il magistrato comunale presentava vari quesiti al matematico Padre Antonio Lecchi milanese (1702-1776), all’ingegnere Filippo Antonio Grilanzoni, al colonnello Baschiera ed al Perito della Sezione Camerale Giuseppe Bisagni, sull’utilità di proseguire i lavori iniziati dall’Azzolini. Il Baschiera nel 1767 presentò altro progetto, dimostrando la necessità di riedificare la Chiusa in altro luogo. Il matema- ico Teodoro Bonatti di Ferrara, interpellato dal detto magistrato nel 1771 sul progetto Baschiera, l’approvò. Nel 1774 Michel Angelo Ferrarmi, vice prefetto delle acque, aveva l’incarico di far la livellazione, le piante ed i profili, secondo il nuovo progetto della Chiusa. Il chiarissimo colonnello ingegnere Maria Antonio Lorgna, capo degli ingegneri al servizio della Repubblica veneta, nel 1778 riconobbe in una elaborata relazione la necessità della costruzione del nuovo sostegno in altra località; ma differente dal progetto Baschiera in quanto al luogo. Altri, se crede, prosegua le vicende della Chiusa di Governolo fino ad oggi, io manco di documenti. Do ancora posto al seguente, in onore di un architetto mantovano. Maria Teresia, Il Conte Governatore Luca Pallavicini. Il Conte Cristiani ecc. Con vostra rappresentazione del 9 ora spirante, avendoci voi umiliata la consulta del Vice Governatore di Mantova Conte Cristiani, e di quel Magistrato Comunale, relativa al progetto stato presentato dal Pittore GIORNALE LIGUSTICO Cadioli Architetto ili que’ Ducali nostri Teatri, per l’istituzione colà di una Accademia di Pittura e Scoltura ; Ci è risultato dall’esame di tutto 1 esposto molto commendevole il zelo del suddetto Ministro, secondato anche dal vostro per promovere un’ opera tanto vantaggiosa a que’ nostri sudditi : Quindi, anche per lo stesso provvido fine che ci ha indotto ad approvare e proteggere la novella colonnia d’ Arcadi che va a fondarsi in quella città, Ci degniamo non solamente d’applaudire il suddetto progetto, ma altresì di accordare alla prefata Accademia cogli augustissimi Nostri Auspici il luogo pure a tal uso divisato in quel nostro Ducale Palazzo, non che le prime indicate spese, e l’annuale progettato assegno per la di lei manutenzione: lasciando alla vostra prudente disposizione Γ addossare predette partite sul fondo delle spese forzose state ritenute opportunamente destinate nel bilancio, o in qualunque altro, che colla previa intelligenza del summentovato Vice Governatore trovasse più proprio, e conveniente a non alterare quel sistema Camerale. Vienna, 2 ottobre 1752. Quantunque nel secolo XVII le arti, a cominciar dall’ architettura, decadessero assai, tuttavia presso i Duchi di Mantova si distinsero non pochi architetti, ingegneri e matematici, fra i quali primeggiano Gabriele Bertozzoli, il Viani cremonese , Nicolo Sebregondi, G. B. Aleotti d’ Argenta, il Chenda, il professore di matematica Magini, Gerolamo Rai-naldi, i Lupicini, ecc. I Bertozzoli e il Mariani furono ap-prezzatissimi all’ estero. Gli scrittori dell’ arte militare, Tangone, Ughi, Altoni, Ci-nazzi, Fiammelli, Melzi, Tensini, ecc., fecero omaggio di loro opere ai Duchi mantovani. La Chiusa idraulica a Governolo fu la principale opera che i Gonzaga promossero in questo secolo , passando sopra a ville, come ad esempio la Favorita, vero luogo di delizie , ora affatto distrutta. Seguirono a procurarsi carte cosmo-grafiche non soltanto da Venezia e da Milano , ma ancora dall’ estero. L’assedio e saccheggio di Mantova nel 1630, l’estinzione del ramo Gonzaga, tanto benemerito alle arti belle ed alle GIORNALE LIGUSTICO I37 lettere, resero il raccolto archivistico pel secolo XVII più povero dei precedenti; ma tuttavia sempre sufficiente per buoni materiali agli studi sugli architetti, ingegneri e matematici, provando vieppiù quanto un competente autore scrisse: « Tale mi viene per sommi capi la storia della moderna fortificazione, e questi sono i nomi degl’ illustri italiani che la inventarono. Nomi così noti per merito e tanto copiosi per numero , che della sola metà tutto il resto del mondo civile potrebbe andar lieto. Essi con la propria persona o co’ libri, coi disegni e cogli allievi , cersero ? Europa appresso agli eserciti di ogni altra nazione; essi lasciarono opere permanenti dall’ Oceano di Handra infino alle coste di Siria : essi sul tipo della lingua italiana composero quel tecnico lin-guaggio della fortificazione, che dura tuttavia in ogni altro paese; quantunque non abbia nè analogia, nè radice nelle lingue strane la nostra nomenclatura » (A. Guglielmotti — Storia delle fortificazioni nella spiaggia Romana.... dal ij6o al JS7° > Pag. 41). GIUNTE Giov. Maria de la Girola ingegnere idraulico. — Da Inspruck, il 16 luglio 1501, Bianca Maria Romanorum regina domanda per piacere al Marchese di Mantova, Giovanni Maria de la Girola, essendogli necessario per arginature a canali. Il 5 ottobre ringraziavalo di averglielo spedito; e lo rimandava il 31 dicembre ben soddisfatta, domandando scusa di averlo trattenuto a lungo. ' Nicolò Maria e Gerolamo Arcati architetti. — Il Marchese di Mantova, a dì 4 dicembre 15 10, scriveva al Conestabile della Rocca di Lonato che dovevano arrivare in essa « M. Nicolo M.a e Hieronimo nostri architetti, per poner ordine di i38 GIORNALE LIGUSTICO fabricare in quella nostra Rocha ». L’Arcari morì il 29 agosto 1526. Alessio Beccaguto e Carlo Nuvoloni ingegneri militari. — Da documenti pubblicati dal signor Davari risulta, che le fortificazioni di Mantova dal 1519 al 1528 erano dirette dal capitano Alessio Beccaguto; uli vero rei militaris scientissimo. Gli successe il capitano Carlo Nuvoloni, fino al 1540. Gw. Maria Pinato. — Era geometra, e morì di anni 40 a dì 10 gennaio 1532 in Mantova. Battista da Covo ingegnere. — « A dì 17 novembre 1546 M. Batista da Couo, incigner » in contrada del Corno, morì di postema, dopo 6 mesi di infermità, nell’età di anni 60. Il Necrologio Mantovano nota pure la morte di Matteo de Chono muratore, avvenuta il 3 marzo 1516. Palladio e Bernardino Chiavella architetti. — Pompeo Strozzi, ambasciadore mantovano in Venezia, partecipava al consigliere ducale in Mantova, a dì 6 luglio 1580: « Ho tenuto sollecitato il Palladio, acciò, oltre Sciciliano di Bologna, trouasse qua alcun altro de la professione, che S. A. informato poi di tutto potesse far electione di uno. Mi ha molto lodato un M. Bernardino Chiauelli, se ben mi ricordo il cognome, veronese, huomo secondo il suo parlare fatto a posta per il bisogno di S. A., col quale essendomi io aboccato et tenuto seco longo proposito, inanimandolo a uenire, con ogni riserua però che pari suoi non manchino all’A. S., mi ha mostrato desiderio di saper de la prouisione. Io so bene eh’è loo scudi..... che haueua il Pedemonte, nondimeno li risposi di non sapere quale essa si fosse, ma lo persuasi a uenir meco fino a Mantova..... tanto più che il suddetto Palladio me lo celebra per molto a proposito et migliore di quell’ ultimo, dicendo esser di quelli di sua professione principale et naturale l’architettura, dell’altro la pittura, tenendo però anco quello in grado di ualore et inteligenza dell’archi- giornale ligustico !39 tettuia molto principale. Messer Bernardino ha dato dunque paiola di venire, il quale col proto de la stampa condurrò a Mantoua ». E il 9, annunziando la partenza, aggiungeva: « Dell architetto veronese..... da molte altre strade, oltre al testimonio del Palladio, ho informacioni buonissime, è huomo che non porta seco riputatione, mostrando desiderio di poter trauagliare nel suo essercitio ». Il Dal Pozzo, che trattò degli architetti veronesi, non ha il Chiavella nè altro di nome e cognome consimile, e nemmeno lo Zani lo registra, il quale non ha neppure il Siciliano di Bologna. Nè di questo fa parola il Conte Gozzadini nella chiusa delle Note.... per studi sull’architettura civile in Bologna dal Secolo XIII al XVI. Giacomo e Giorgio Baleari architetti. — Furono veramente due distinti architetti col soprannome comune di Fratino, come dimostrò il signor Emilio Motta nel Ballettino storico della Svicela italiana, anno X, 1888, num. 12, a cui mi riferisco per le giunte. Giulio e Germanico Savorgnano. — Giulio Savorgnano, da Venezia, il 22 dicembre 1590, ricordava al Duca di Mantova che fino dal 1526 aveva servito Casa Gonzaga, prendendo parte a tutte le guerre di quel tempo. Ringrazia del dono della medaglia con la fortezza di Casale, battuta a Brescia per la fondazione della stessa. Lo ringrazia della protezione data al nipote Germanico, non ostante fosse stato bandito da Venezia. Questo Germanico nel 1588 (12 ottobre) era in Colonia, donde mandava al Duca di Mantova una pianta stampata di detta città, disegnata per arte mia. Girolamo da Feltre. — L’ambasciadore mantovano in Venezia, a di 8 settembre 1590, scriveva al Duca di Mantova che: « Girolamo da Feltre ingegnerò et intagliatore, del quale S. A. fece pigliar informatione li giorni passati, s’offerisce di uenir a dar proua all’A. V. della sua industria et sufficienza. 140 GIORNALE LIGUSTICO Io lo stimo persona che non possa esser di molta spesa a l’A. V., et poi eh’ egli si rimette all’ esperienza, s’ ella ha bisogno di simil soggetto, credo non saria male a provare ». Risulta che il Duca non 1’ accettò. Giuseppe Moiette matematico. — Oltre quanto fu detto, aggiungiamo che egli era di Messina, e nel 1576 era stato chiamato in Mantova a spiegar Euclide al principe Vincenzo Gonzaga. Passato poi professore di matematiche dell’Università di Padova, vi moriva nel 1588. Da Padova, l’ultimo settembre 1584, taceva conoscere al Duca di Mantova che ritornerebbe volentieri al suo servizio, quando gli fossero assicurati 200 scudi di pensione la quale potrebbe servirgli di ragione per abbandonar Padova, ove era molto onorato e « con molto maggior prouisione che la lettura per se stessa non porta ». L’archivio Gonzaga possiede diverse lettere del Moletto, specialmente dell’anno 1580, che trattano di un suo « libretto della riforma dell’anno », premiato dalla Repubblica Veneta e molto lodato a Roma ove erasi il Moletto portato. Clarici G. B. ingegnere urbinate. — Dal carteggio dell’am-basciadore mantovano in Milano risulta che il Duca di Terranova, nel febbraio 1587, concesse che il « Clarice d’Urbino ingegnerò regio » venisse a Mantova per disegnar lavori al lago. Infatti il 20 dello stesso giunse in Mantova da Milano, passando per Montechiari. Egli non potè fermarsi che pochi giorni, promettendo di parlare a’ suoi colleghi in Milano, affinchè ne fosse venuto uno ad eseguir 1’ opera da lui disegnata. Egli stesso, a dì 24 marzo, da Milano, scriveva al Duca di non esser riuscito a trovare un impresario per l’impresa della Conca del lago e davagli consigli per trovarlo. Magini Gio. Antonio astronomo padovano. — Di questo professore di matematiche si occupò il signor Favaro in una specia opera, cui offrii qualche documento sulle relazioni che GIORNALE LIGUSTICO 14 I ebbe con la Corte di Mantova. Noto qui brevemente che la Duchessa di Mantova, a dì 5 novembre 1604, scriveva al suo ambasciadore presso l’imperatore per raccomandargli « il Magini lettore delle matematiche nello studio di Bologna et molto amato per le sue virtù dal signor Duca nostro et da Noi, aggiùnto il merito della servitù che ha fatta in questa casa nell’insegnare in diversi tempi a nostri figliuoli ». Segue a incitarlo, affinchè Γ aiuti « per certo specchio concauo d’insolita grandezza et bellezza » che presentò a S. M. CORREZIONI Pag. 353 linea 10 Bonchelli leggi: Bonebelli » 355 » 25 'la » al » 357 » ult.a Prezo » de Rezo » 361 » 3 Gumago » Gusnago » 365 » 3 1449 » 1499 » 368 » 25 1474 » 1484 » 372 dopo la linea 9 fu ommesso nell’impaginatura quanto Secolo XVI. Cominceremo con un architetto, di cui abbiamo già fatta conoscenza nel precedente secolo, poi passeremo a coloro che per la prima volta si presentano in questo. Notammo Bernardino da Piacenza, il quale abbiamo sospettato esser Bernardino Ghisolfi. Questi, a di 11 aprile 1506, cosi scriveva al Marchese di Mantova: « Ill.mo et Ecc.mo Signor mio. Notifico a V. S. come la logia del pa-lacio suo de S.“ Sebastiano è tuta ingessata, et se-cominciarà tirar gioso de liste le camare, et sotto si è dato de colla: ala faciata luni proximo che vene se cominciarà a lavorar a far il cornisone et spero a la venuta de V. S. la ritroueri le cose in bono termine. Lorentio Costa lauora e bene et a quella se arecomanda. M.r° Francesco de Verona è per fornire il cenacolo, a tutte le predicte cose non si mancha de sollicitudine.... ». Pag. 375 linea 14 referende » » » ï 5 fides s> » » 16 olete leggi: referenda » fidem » oleti 142 GIORNALE LIGUSTICO Pag· 375 linea 16 MDXXXÌj leggi MDXXÌj » » » 18 Pii » Ph. V>-> » 4 I521 )) 1525 00 » 380 » 7 perche )) perhò » » » IO più » qui » » » 15 1586 » 1536 » 381 » ult.* tntransituram » intransitu » 382 » 2 in )) a )) » » 3 fidem et seduitate )) fide et sedulitate » » » 4 se » re » » » 7 hene... velis... qua » lane... velit... quo » Λ » 31 indrizo » indrizzo » 386 » 20 J531 » 15 51 » 389 » 6 guisa » giuso » 391 » ult.3 porto » parto » 392 » 15 dir » die » » » 17 venerino )) receuero » » » 21 Alta )) Alba » » » 23 Morelia )) Morcho » 402 » 3 1599 » 1579 » » » 4 1569 )) 1579 » 419 » 14 suocera » serua NECROLOGIE Il Conte PAOLO RIANT Il fascicolo di febbraio del Polybiblion (partie littéraire, pp. 17SJ, reca una necrologia del Conte Paolo Riant, dell’Istituto di Francia, che ci onorò lunghi anni della sua illustre amicizia, de’suoi sapienti aiuti e consigli, e qualche volta anche della dotta sua collaborazione. Era nato a Parigi nel 1836; ed apparteneva in qualità di membro onorario alla Società Ligure di Storia Patria, dove la sua immatura e dolorosa perdita avvenuta a Saint-Maurice (Svizzera) il 17 dicembre GIORNALE LIGUSTICO I43 PP·, fu commemorata nella generale adunanza del 30 stesso mese (1). La sua vita di erudito rimarrà esempio d’attività meravigliosa nel campo degli studi storici; dove il suo alto valore s annuncio subito, colle due tesi di dottorato da lui sostenute nel 1865. L’una s’intitola \ De Haymaro monacho, archiepiscopo Caesariensi et postea Hierosolymitano patriarcha ; l’altra: Expéditions et pelerinages des Scandinaves en Terre-Sainte au temps des Croisades. — Questi brillanti principi nella storia dell’ O-riente Latino, non poterono a meno d’incoraggiarlo a seguitare animoso per una via allora in specie così poco battuta; ed il favore con cui furono successivamente accolte le sue numerosissime pubblicazioni, gli crebbero di mano in mano la stima e poi anche l’ammirazione degli studiosi. (1) Chi scrive, presiedendo a quell1 assemblea, nell’ assenza del presidente- marchese Gerolamo Gavotti, disse queste parole : » Ho il dolore di comunicare un telegramma pervenutomi or ora dalla cortese sollecitudine del cav. Vincenzo Rossetti. Questo telegramma reca la infausta notizia della morte del conte Paolo Riant, membro dell’istituto di Francia, fondatore e precipuo sostegno della Società dell’Oriente Latino, e da vari anni nostro socio onorario. Egli è morto il 17 del cadente mese nella sua residenza di Saint-Maurice, dopo una lunga e penosa malattia, nella quale gli furono di costante conforto 1’ affetto esemplare della Famiglia, gli studi coltivati con grandissimo onore, la religione altamente e serenamente professata in tutto il corso della sua nobilissima vita. » Non è questo il momento di aggiungere alla mesta comunicazione altre parole di compianto per la memoria dell’ Uomo illustre, a cui mi stringeano particolari vincoli di reverenza e di gratitudine: me lo interdirebbe in ogni modo l’animo profondamente commosso. » Il Conte Riant, colla vasta erudizione non eguagliata fuorché dal sentimento e dalla pratica di una liberalità squisita, ha benemeritato in guisa veramente straordinaria delle storiche discipline; ed ha del pari apportato un operoso e sapiente contributo ai lavori della nostra Società, dove la sua morte lascia un vuoto che non si potrà colmare giammai ». 144 GIORNALE LIGUSTICO Nel 1875 fondò, con alcuni amici, la Société de VOrient Latin, della quale erasi caldeggiato ad un tempo il disegno al di qua e al di là del Reno; perocché, fortunatamente, la scienza, levandosi al disopra degli interessi politici, non conosce confini. Così, animati da un medesimo sentimento, si univano al Riant , il marchese de Vogüe, Carlo Schefer, E. de Rozière, Leopoldo Delisle, Egger, Luigi de Mas Latrie, Vittorio Guerin, Tito Tobler e pochi altri. Ma il Conte Riant, direttore, segretario, banchiere della Società (così scriveva nell’83 il Geffroy), mostrò d’allora in poi, e sano e cagionevole di salute, quanto valesse la sua direzione scientifica. Di concerto con lui, e il più di frequente sopra le indicazioni da lui fornite, i collaboratori che la Società ebbe quasi da per tutto, eseguivano le più minute e coscienziose indagini nelle biblioteche e negli archivi; egli era il centro cui facevano capo le corrispondenze, prestamente salite ad una cifra enorme; ed il suo studio si sarebbe detto un ufficio d’informazioni e d’istruzioni, le quali si incalzavano senza tregua : un ufficio, il cui titolare avea alle mani le fila di tutto un piccolo mondo di segretari, agenti, amanuensi, trascrittori e collazionatori di carte e di codici, correttori di stampe, ecc. (1). Il gradito soggiorno della sua deliziosa villa di Rapallo, che egli amava alternare con quello di Monthey e di Saint-Maurice, e la grande stima nella quale meritamente aveva il nostro cav. Luigi Ferrari, consigliarono al Riant di affidare allo Stabilimento genovese de’ Sordo-Muti la edizione degli Archives de l’Orient Latin: buoni modelli di nitidezza e correzione tipografica, onde uscirono già due grossi volumi (1881 e 1884) e trovasi oramai bene avviata la stampa del terzo (2). (1) Geffroy, Une enquête, française sur les Croisades et l’Orient Latin;' nella Revue des deux mondes, a. 1883, vol. VI, pp. 610. (2) Alcune edizioni di date anteriori agli Archives, che il Polyhiblion riferisce a Genova, vanno restituite a Ginevra. giornale ligustico x45 Ed è precisamente in quei volumi che il Riant produsse molti monumenti ed inseri parecchi de'suoi lavori di critica severa e inappuntabile: i. Inventaire critique, des lettres historiques des Croisades (a. 768-1100) — 2. Inventaire sommaire des manuscrits de l’« Eracles ». — 3. Dépouillement des tomes XXI-XXII de l’(( Orbis Christianus » de Henri de Suare— 4. Lettre du clerc Nicétas à Constantin VII Porphyrogénète sur le feu sacré (avril 947)· — 5· Six lettres relatives aux Croisades. — 6. Indulgences octroyées par Galerand, évêque de Béryte (12^5). _ 7. Privüeges octroyés aux Teutoniques. — 8. Les archives des établissements latins d’Orient, à propos d’une publication récente de l Ecole de Rome. — 9. Inventaire des matériaux rassemblés par les Bénédictins au XVIII siècle, pour la publication des « Historiens des Croisades ». — 10. Inventaire sommaire des manuscrits relatifs à l’histoire et à la géographie de l’Orient Latin. ii. Invention de la sépulture des patriarches Abraham, Isaac et Jacob à Hebron le 2; juin iu9. — I2. Pièces relatives au passage h Venise de pèlerins de Terre Sainte. — 13. Une lettre de l’imperatrice Marie de Constantinople. — 14. Voyage en Terre Sainte d’un maire de Bordeaux au XIV siècle. — 15. Bibliographie de VOrient Latin, 1878-1880 et 1S81-1883. Egli pubblicò inoltre nel nostro Giornale, per tacere di varie brevi communicazioni: La date exacte de Γarrivée à Genes des reliques de Saint Jean Baptiste, 6 mai 1098 (a. 1884, pp. 132-38). E già vi avea ristampato dalla Revue des questions historiques (XXII, pp. 71-114): Le changement de direction de la quatrième Croisade, d après quelques travaux récents (a. 1878 pp. 443-98). Finalmente negli Atti della Società Ligure diede il primo saggio de suoi Études sur l histoire de Bethléem, col titolo; ΓEglise de Bethléem et Varale en Ligurie (a. 1886; vol. XVII, pp. 543-705); rifondendoli di poi nell’unico tomo comparso dell’opera generale, egualmente pei tipi de’ Sordo-muti, verso la fine dell’anno passato. Giorn. Ligustico. Anno XVI. GIORNALE LIGUSTICO A ragione il Polybiblion si augura che questo ampio lavoro del Conte Riant, possa, coll’aiuto deH’immenso materiale lasciato dall’autore, essere da altri ridotto a compimento ; e per conto nostro sollecitiamo eziandio coi più caldi voti la comparsa del tomo V (par. II) degli Historiens des Croisades (Historiens Occidentaux), ne’ quali, tra più altri monumenti, furono da lui inseriti il libro del nostro Caffaro: De liberatione civitatum Orientis, e le leggende di Jacopo da Varagine e di Nicolò della Porta: De translatione reliquiarum sancti Joannis Baptistae Genuam. Mancano le prefazioni, che, or fan pochi mesi, 1’ illustre Uomo ci scriveva di avere tuttavia delineate nella sua mente. Conchiudendo, non possiamo non associarci per la lunga esperienza che ne abbiamo fatta e con l’animo tuttora commosso , a queste parole dell’ egregio periodico francese : « M. le comte Riant est mort..., laissant un renom de bonté et d’affabilité très-reconnues, et une réputation d’érudition de prémier ordre, se signalant par trois grandes qualités: ordre et clarté dans 1’ exposition , rigueur irréprochable dans 1 argumentation , et soin méticuleux dans l’établissement des textes » (i). L. T. Belgrano. AGOSTINO ALLEGRO. Nacque in Genova il giorno 8 giugno 1846, e vi morì il giorno 19 marzo 1889. In tutta la sua vita mostrò d’essere uomo di principi giusti, di carattere fermo, di onestà incomparabile, di cuoi e (1) Dopo scritta la presente, abbiamo ricevuto il bel Discours de m. le marquis D’Hervey de Saint-Denysf président de TAcadémie des inscriptions et belles lettres, pronunciato in commemorazione del Conte Riant nella seduta del 28 dicembre e stampato a richiesta della medesima Accademia (Paris, Typ. Firmin-Didot et C.u). GIORNALE LIGUSTICO I47 sensibile, come artista fu studiosissimo del vero, e ad un tempo delle più grandi opere che le nobili discipline del elio hanno prodotte. Egli era erudito; ed ogni suo lavoro anifestava il pensiero profondo che l’avea ispirato. Quando da giovinetto volle sacrarsi all’arte, capì che oltre gli studi propri di essa, bisognava un’adeguata coltura; e questa procurossi coi più grandi sacrifici e la più sagace tenacità. L Accademia Ligustica lo accolse come allievo; e nelle sue scuole egli si distinse fra i migliori, cogliendo attestati d incoraggiamento e premi. La prospettiva e 1’ anatomia ebbero da lui particolare predilezione; ed in queste materie si lese capacissimo di insegnare ad altri. Vinse a concorso la pensione istituita dal benemerito marchese Gian Luca Durazzo; e da ciò ebbe modo di trasferirsi a Roma, e di soggiornarvi quattro anni facendo progressi notevolissimi. Tornato a Genova, insieme all’esercizio della scoltura attese a quello dell’architettura; e nell’una e nell’altra diede prove luminose della sua capacità. Il S. Giovanni Battista scolpito per la chiesa di S. Teodoro, i monumenti eseguiti per la Necropoli cittadina, valgono a testimoniare il valore dello statuario; il progetto d’ingrandimento della Necropoli stessa, arte greca, che gli valse l’onore del premio a concorso, il progetto di restauro del- 1 avancorpo del Palazzo delle Gompere di S. Giorgio, arte medioevale, il progetto di facciata per la chiesa della Annunziata, arte del XVII secolo, testimoniano il valore dell’architetto. Ma sopra tutto spiccatissimo emerge il valore dell’architetto e dello scultore nella sontuosa cappella di S. Pietro, da lui eseguita per la famiglia Gambaro nella chiesa dell’immacolata. Ivi si appalesa difatti mirabilmente trattato lo stile del XVI secolo, così nelle linee come nella ricchissima e 148 ben appropriata decorazione ; ivi ammiransi le maestose statue dei SS. Pietro, Paolo e Giovanni, nonché alcuni bassorilievi di putti ed un altro bellissimo intaglio con la testa del Precursore. Scrisse di cose d’arte con plauso generale; e dettò con profondo amore la vita del suo amico Carlo Filipp0 Chiaf-farino, scultore valentissimo, rapito immaturamente alla famiglia ed agli amici (1). È a dolere che egli non abbia potuto curare la pubblicazione del suo Trattato della prospettiva applicata di bassorilievo, nel quale si manifesta in modo evidentissimo il dispo-samento delle ragioni della scienza con quelle dell’arte, per lo addietro non determinate. Ma è sperabile che gli amici del defunto cureranno essi la edizione di quest’ opera, la cui teoria non poteva avere maggiore risultato di quello che ne diedero le ammiratissime composizioni del sopracitato Prof. Chiaffarino : i gladiatori alla meta sudante, ed il quadro di Cimabue portato in trionfo per le vie di Firenze alla chiesa di S. Maria Novella. Il nome di Agostino Allegro figurava nell’albo degli accademici di merito della Accademia Ligustica, in due classi: quella di scoltura e quella d’architettura. Egli era membro della Commissione consultiva per la conservazione dei monumenti, della Commissione municipale pel restauro della Porta Soprana di S. Andrea, della Società Ligure di storia patria; e per i suoi complessivi meriti, segnatamente per essere riuscito vincitore nel concorso per l’ampliamento della civica Necropoli, fu sulla proposta del ministro Baccelli insignito della croce di cavaliere della Corona d’Italia: onorificenza, che, con una lettera del sullodato ministro ad Anton Giulio Barrili, venne da questi comunicata all’artista, in (i) Cfr. Giorn. Lig., a. 1888, pag. 400. GIORNALE LIGUSTICO M9 mezzo al plauso di molti amici ed ammiratori, che lo avevano convitato a fraterno banchetto. Gli uomini dotati d’ingegno non comune, gli innovatori nel senso del vero e del progresso, vanno sempre incontro a lotte che non è possibile evitare. Agostino Allegro le ebbe queste lotte, e le sostenne con coraggio e con fermezza; pero non senza risentirne quelle amarezze, che ebbero non poca influenza sulla sua vita fisica e morale. Ma ad onta di ciò l’uomo e l’artista ebbe veri amici e grandi estimatori, i quali come l’onorarono vivo, così gli diedero in morte solenni prove del più sincero affetto. T. Luxoro. VARIETÀ IL palazzo fieschi in vialata. È nota la descrizione che di questo splendido palazzo, distrutto per ordine pubblico dopo la congiura del 1547 , ci ha lasciata Giovanni d’ Auton , proprio su i principi del secolo XVI (1). Ma altri accenni descrittivi, di poco posteriori, si possono raccogliere dalle Carignane di Paulo Pansa (2), rimaste finora sconosciute a’ nostri bibliografi , e possedute dall’egregio marchese Gaetano Ferraioli di Roma, in codice cartaceo del secolo XVII, che egli ci permise non solo di esaminare a nostro agio, ma ci concedette liberamente in prestito per lo studio e la pubblicazione che vorrà imprenderne la Società Ligure di storia patria. Tutti sanno del resto (1) Cfr. Jean d’Auton, Chroniques ; Paris, 1835, vol. II, pp. 221 segg;. (2) Di Paolo Pansa, precettore di Sinibaldo e degli altri figli di Gian Luigi Fieschi il seniore, rimasto nella loro casa fino all’ eccidio della famiglia, si veggano le notizie fornite dallo Spotorno, Stor. Letter. delh Liguria, IV, 147 segg. IJO GIORNALE LIGUSTICO che il march. Ferraioli, oltre allo avere adunata nello splendido suo palazzo di piana Colonna una elettissima biblioteca^ ed al coltivare con operoso e felice amore le buone lettere, è anche la cortesia fatta persona. Le Carignane, dedicate dall’autore ad uno Spinola dei signori d’Arquata (del quale si tace il nome), con lettera « da Genova a di 4 d ottobre mdxxiiii », sono in sostanza un Ragionamento, che fingesi tenuto dal Pansa e da Idalio con tre giovani gentildonne, nell’ ameno giardino del palazzo di Vialatà; ed i cenni che di quest’ultimo vi si fanno in alcune pagine meritano di essere qui prodotti, perchè ci vengono da un autorevole testimone di veduta. Ecco adunque ciò che scrive il Pansa: « Carignano ... è un luogo situato nell’ uno delle corna di Genova, verso la parte orientale, di circuito poco più d’un miglio, di assai uguale pianezza, et presso che ritondo per ciascun lato, il quale come che nel giro della città rinchiuso si vegga, con ciò sia cosa che da una parte cerchiato dall’istesse mura si difenda, riguardatore di verdissimi orti et del corrente fiume (1), e dall’ altra miri 1’ ampissima larghezza del soggiacente mare, nondimeno a guisa di dilettevol poggietto divisamente inalzandosi fuori delle cittadinesche habitationi, di be’ palagi, di leggiadre ville, di amenissimi giardini, di fresche fontane et di profundi pozzi tutto è ripieno. Quivi sogliono i patroni (com’ è costume de’ nostri cittadini), lasciando nella città l’ambitiose cure, gli affannosi traffichi, le competentie de’ magistrati e li strepiti dell’ odiose liti, nel tempo che ’l sole con più lunga dimoranza comincia a scaldar la terra, quasi in sicura piaggia e tranquillissimo porto, ritrarsi; ove, distolti da civili tumulti, gioievolmente, quanto la state ha di spatio, fruiscono l’aria più libera, più pura et più gratiosa. Ma fra gli altri tutti, di molti belli e maravi— gliosi che vi ci sono, alquanto più eminente, più magnifico et più maestrevolmente fabricato pomposamente come più degno, e capo de gli altri, si vede il palazzo del Conte da Fiesco, di sale, di camere, di loggie. (1) Il Bisagno. GIORNALE LIGUSTICO d’archi, di colonne, di cortili, et di più foggie di pratelli adornato, com-munamente da ciascuno, per ciò che di tutte generationi di viole pallide, vermiglie, gialle , bianche et perse , quasi ad ogni stagione dell’ anno è donatore abondantissimo, chiamato il Violaro (i), avegna che altri troppo sottili diffinitori altrimenti sognando ne istimino. Un giorno adunque..... quivi Idalio, giovane in fra gli altri suoi coetanei . . . vertuoso e gentile, meco... riduttosi..., amendue tutti soletti, scese le scale et passati i portici del cortile coperti d'uno ombroso et verdissimo pergolato, entrammo nel odorifero giardino, dove.....in uno de’ canti, sovra un cespuglio di minutissima herba et verde tanto, che quasi nera parea, si assentammo , che ombreggiava folta schiera di aranci et di cedri insieme tenuti con stretti abbraciamenti di odorosi et spessissimi ghielsomini, et di bianco e vermiglio rosaio, intorno a’ cui pedali inacquando , hor alla spiccata hor obliquamente se ne già con lento et gratioso mormorio, per diversi canaletti di candidissimo marmo, un picciol ruscelletto di liquida e di chiarissima acqua, tutta di puro argento, che artificiosamente fuori d’una cisterna occultamente uscendo, tutto il giardino rallegrava » (fol. 2- 3). Segue dipoi il Pansa , narrando una visione avuta in sogno , mentre che egli e Idalio dormivano nel giardino. « Mentre che Idalio et io a cotal guisa dormivamo, sette donne vaghe, nobili e per chiarezza di sangue et per ornatezza di loro virtuosi costumi, ciascuna per sè leggiadra et avvenevole, andando per aventura sopra portanti e politissime mule, ad un propinquo tempio di sacre religiose (2) », arrestaronsi « alla primiera entrata del Violaro ed invitatesi 1’ una l’altra di gire a vederlo, perciochè, oltre che il sito sia ameno e piacevolissimo, le stanze, già per calamitosi tempi di guerre ruinose et incolte , nuovamente con maestrevole ornatura eransi raddificate, tutte insieme verso colà . . . inviaronsi, dove dalla Madonna delle case (3) e dalle sue damigelle .. . furono lietamente ricevute ». La contessa, il cui marito era andato a Montobbio « per vedere certi lavori di quella sua rocca » , invita a rimaner seco le dame, che accet- (1) È la sciita etimologia sbagliata dei nostri Cinquecentisti, i quali dimenticano la bella chiesa gotica di S. Maria in Via Lata, costrutta in obbedienza delle ultime volontà di Luca Fieschi, cardinale di quel titolo, poco avanti la metà del secolo XIV. (2) La chiesa di S. Leonardo, con monastero di Clarisse; da quasi un secolo ridotto a caserma. (3) Maria Grasso della Rovere, moglie del conte Sinibaldo Fieschi. GIORNALE LIGUSTICO tano ; e « presone due per mano di brigata saliron le scale. Hor quw mentre che questa di stupor piena mira i dorati tetti,, e i pavimenti di colori diversi, e l’altra attonita per gli ricchi apparati si' fa maraviglia, et delle istraniere pietre gli lavori per man di Fidia o di Lisippo intagliati considera (i), et mentre alcuna 1’ historia di Florio et Biancifiore in panni di seta e d’oro tessuti, e che altra gli vaghi errori della troppo credula Psiche con lo stile d’ Apelle fatti vivi contemplando , e di varie pitture 1’ animo pascendo (2), et di una in altra camera va trapassando, tre di loro... da una loggietta di bianchissimi marmi ornata.. · Per una piccola fessura del pergolato videro il dormiente Idalio ...» (foglio 6-7). Le tre dame scesero allora in giardino ; dove, dopo vari piacevoli scherzi e folleggiamenti, si intertennero in lunga conversazione, specie sui costumi del loro tempo. E questa finita, rimasero presso la contessa, cogli interlocutori, a lieta cena. L’ ARTE DELLA SETA PORTATA DA UN GENOVESE A REGGIO D’ EMILIA. Da un avviso dell’ editore Leopoldo Bassi, rileviamo che si appresta la seconda edizione dell’erudita opera del prof. Naborre Campanini, pubblicata l’anno scorso col titolo: Ars Siricea Regij (un voi. 8.°, di pp. 344); nella quale si descrivono le vicende di quell’ arte in Reggio dell’ Emilia dal secolo XVI al XIX. Sapevamo già dal Cittadella che Urbano Trincherio , genovese , unitamente a tre altri suoi concittadini, avea recata nel 1462 in Ferrara la tessitura dei drappi di seta a più colori, e dei broccati d’oro e d’argento; e che n’erano stati singolarmente onorati (3). Or ecco, per gli studi del chiarissimo Campanini, messo in aperto come un altro genovese, (1) É noto che il conte Sinibaldo aveva adunata nella sua residenza di Vialata preziose anticaglie. Cfr. Giorn. Lig., an. 1885, pp. 218. (2) Per altri dipinti, cfr. Belgrano, Vita privata dei Genovesi, 2.a edizione, pp. 55. (3) Cittadella, Noti{ie relative a Ferrara, pp. 502. GIORNALE LIGUSTICO I53 trasferisse la medesima industria da Ferrara a Reggio. Il fatto è noto per una lettera di Lucrezia Borgia al capitano ducale ed agli ufficiali di quella comunità, datata dal 2 agosto 1502, e cosi concepita: Magnifici viri, amici nostri carissimi. Essendo desideroso mastro Antonio sedajolo da Zenua, citadino ferrarese, presente exhibitore, exercitare apreso de questa magnifica comunità el magisterio et arte sua, et haven-done noi per fide degna relatione testimonio de la sua vertù et sufficentia, ve lo riccomandamo volentieri, corno quella che desiderando non meno el commodo et honore vostro chel proficto del dicto : et cossi ve pregamo quanto magiormente possemo, che, tanto per nostro respecto quanto per satisfatione del desyderio del dicto mastro Antonio , lo vogliate recevere gratiosamente : per che de ogni beneficio che farete ad esso ne prenderemo complacentia singulare; ultra che ve rendemo certe del servitio suo ve ne trovarete ben contenti. Ofìerendoce de continuo per gli honori et comodi vostri; et bene valete. Ex palatio Belfloris, die ij augusti 1502. Lucrecia Estense de Borgia. ChRISTOPHORUS PlCININlj. (Direzione) Magnificis viris nolis delectis capitaiiio, officialibus comunitatis civitatis Regii (1). Il voto della bionda e bèlla signora, la quale stavasi nel palazzo di Belfiore in attesa di divenir madre, fa pei governanti la comunità di Reggio un comando. « D’ altra parte (soggiunge il Campanini), la coltura di lei, il genio per l’arte e pel disegno, notissimi, il fine gùsto di ricamatrice onde aveva maravigliata la corte Ferrarese e di cui novella era giunta anche a Reggio, non lasciarono dubbio sul valore di mastro Antonio, eh’ essa riconosceva e lodava » (pp. 4). Rispondevano adunque a lei il giorno 7 dello stesso mese, che mastro Antonio da Zenua, il quale era venuto in persona (1) Archivio del comune e del reggimento di Reggio: Registri delle lettere, 1501-1503, car. 41. — Campanini, pp. 271. r54 dORNALE LIGUSTICO a presentar la lettera, lo havemo riceuto et conducto mollo vo-lontiera, sì come desiderosi de introdure questa arte et exercitio in questa cita ad honore et beneficio universale (pp. 272). Eleggevano quindi un apposito magistrato, detto dei Soprastanti dell’Arte Serica; ed ottenuta poscia dal duca Ercole I, a mezzo del suo consigliere Gian Luca da Pontremoli, la deroga necessaria da certe prescrizioni degli statuti (pp. 273 e 275), stipulavano coll’ industre genovese i patti della sua condotta, quali si leggono nel privilegio ducale del 21 dicembre (pp. 8). Frattanto maestro Antonio, tornato a Ferrara , avea di là scritto il 25 dell’ottobre antecedente ai Soprastanti per avvertirli di tener bona quantità di seda e metterla a ordine; e, perchè al presente no haveria cui sapese lavorare a Re^o dita seda, fra Zprni quindese vero a Reio... et menarò la mia dona, la qualle lavorar à et inchanerà, cernirà et abinar à, et insignarà a cadauna doni e pitta che vorà imparare. — Ad ogni modo (concludeva), voglio che le vostre magnificencie veda a queste feste de nudale prosime veludi tassi et dalmaschini fati in Re%o ; et spero, Deo dante, perseverare ogni dì de bene in meio cum hutile et honore de questa vostra magnifica citade (pp. 275-78). Se il valoroso maestro mostrasse davvero a dicembre quanto prometteva in ottobre « non è provato per documenti ; ma é probabile di sì, perchè lo sviluppo rapido e grande che l’industria della seta ebbe tosto, lascia credere pronto fosse.., a tenere la promessa » (pp. 9). Nè di lui è negli archivi Reggiani più altra notizia; nè pare vi si rinvengano carte dell’ industria serica (ove si eccettuino i provvedimenti per la coltivazione del gelso dal 1509 in appresso) fino al 154r, cui appartiene una provvigione di quegli anziani, laddove rammentano che alle sollecitudini de’ loro predecessori molto obbligata rimanea la città per l’introdottovi esercizio della seta : artem vero et seti potius universitatem superinde, nequaquam GIORNALE LICUSTICO T55 nemine ipsam procurante credavi fuisse , sed quisque solutus legibus prout sibi libuit in eodem profecit exercitio; al che appunto si voleva ora, con appropriati statuti, mettere un freno (p. 2S4). Ho detto però « negli archivi Reggiani », da che sembra che a questi solamente, e pubblico e privati, abbia 1’ egregio Campanini limitate le sue ricerche; le quali ove si fossero estese al! archivio Modenese di Stato, avrebbero forse fruttati ulteriori documenti di maestro Antonio, o almeno fornita all'Autore l’occasione di menomare quella grave lacuna di circa quarant’ anni che nell’ erudito suo volume si incontra. Ma noi non intendiamo di imprendere qui Γ esame del libro intero; chè questo hanno già fatto egregiamente i chiari prof. Augusto Montanari (1) e Luigi Alberto Gandini (2), quegli specialmente con molte lodi, e questi con un buon corredo di nozioni anche tecniche. Bensì, cercando in esso qualche altra indicazione genovese, amiamo riprodurre il vantaggioso paragone che l’autore vi istituisce dei drappi di Venezia e di Genova, de’ cui rapporti artistici nella materia dell’ industrie tessili avrebbe giovato, per avventura, chiedere ragguagli anche all’ opera diligente del nostro Alizeri (3). — « Genova fu più pronta ad accogliere i mutamenti che la rinascenza portò nella decorazione dei tessuti ; e quando Venezia era tuttavia immobile nell’ imitazione dell’ opera e dei disegni orientali, gli artefici genovesi, perfezionata Γ arte di tagliare e contratagliare i velluti di rilievi sovrapposti a più tinte, riconquistarono vittoriosamente il primato, e mandarono pel mondo quei drappi dove il disegno, svolgendosi (1) Consideranioni sul libro « Ars Siricea Regij » etc.; Reggio d’Emilia, 1888. Estr. dall’ Italia Centrale della Domenica. (2) Bibliografia; Modena, 1888. Estr. dalla Rassegna Emiliana. (3) Notizie dei Professori del Disegno in Liguria, dalle origini, ecc. ; volume II, pp. 452 segg. 156 GIORNALE LIGUSTICO dai tipi orientali che il medio evo aveva più amati e imitati, si trasforma e si rinnova con fortunati ardimenti, e dove la varia disposizione dei colori, che sfumano i lembi, distaccano i contorni, ingrossano Γ ossatura delle foglie e il convesso dei fiori, ri lie va con grazia sui fondi opachi leonati e bianchi, o sui lucidissimi intrecciati d’oro e schiacciati d’argento, mirabilmente armonizzando con la queta morbidezza delle ombre e la pompa gloriosa de’ sbattimenti » (pp. 33)· Ancóra. — A mezzo il Cinquecento, accorsero da Genova, e da più altre città, nuovi artefici a Reggio; « e fabbricarono i velluti bianchi, le trasparenti tele d’argento, i drappi di seta vergati d’oro, i damaschi e le sete intessute di stelle d’argento che figurarono nell’apparato celebrato per la prima venuta di Alfonso II » (pp. 66). L. T. Belgrano. SPIGOLATURE E NOTIZIE Il primo fascicolo dell’ Historische Zeitschrift (München und Leipzig) pel 1S89, contiene un cenno favorevole di F. Hirsch sulla pubblicazione del dottor Edoardo von Heyck, ora privato docente nell’Università di Friburgo, dal titolo: Genua und seine Marine im Zeitalter der Kreuxjùge (Genova e la sua Marina al tempo delle Crociate); lnnsbruck, 1886; in 8. Lo stesso D.r Heyck ha ora pubblicato, premettendovi una dotta introduzione: Nicolai episcopi Botrontinensis Relatio de Heinrici VII imperatoris itinere italico (lnnsbruck, 1888, in 8.°). Vi è fatta più volte memoria anche di Genova, come è naturale, ma sempre alla sfuggita ; la morte dell’imperatrice Margherita è appena accennata con queste parole: Ibidem (Januae 1 mortua fuit regina et apud minores sepulta (pp. 36). * * * A Parigi Γ editore Ern. Leroux ha pubblicato : Les Giustiniani dynastes de Chios. Étude historique par Karl Hopf , traduit de T allemand par Etienne A. Vlasto; Non abbiamo il libro , ma ne caviamo la notizia dalla Rassegna Nazionale, che ne ha reso conto nel suo fascicolo del 16 febbraio (pp. 687) ; ed altresi ignoriamo se il traduttore francese era informato della versione GIORNALE LIGUSTICO I)'? italiana di Alessandro Wolf, stampata nel nostro Giornali ed a parte fino dal 1882. * * * Il fascicolo IV della Rivista Italiana di Numismatica, pel 1888, contiene una appendice dei fratelli Gnecchi alle Monete inedite e sconosciute della lecca di Scio. Descrive alcuni grossi gigliati del tempo di Galeazzo Maria Sforza, maonesi, maonesi-ducali anonimi, e gigliati di Luigi XII di Francia. Infine, riferendosi ad una piccola recensione già comparsa nel nostro Giornale (a. 1888, pag. 393), dice che « la prima lettera della leggenda del dritto nel matapane descritto al imm. 1, da quanti esaminarono la moneta , fu senz’ altro giudicata una P » ; ed accetta la lezione dell’altro matapane (num. 2) come da noi fu avvertita: v. ipatoi, pur rilevando le notevoli differenze che distinguono il rimanente della scritta nell’ esemplare della Rivista da quello dato dal Promis. * * * Nello stesso fascicolo IV e nel I dell’ anno corrente, sotto la rubrica Annotazioni numismatiche genovesi, Giuseppe Ruggero illustra: i.° un minuto colla leggenda ianva · e[vam] · d[evs] · p[rotegat] riferendolo alla signoria di Carlo VI di Francia; 2° un ducato del governatore ducale Agostino Adorno e quattro minuti, de’ quali tre appartengono allo stesso governatore e l’altro è riconosciuto più antico ; 3.° alcune monete del cardinale-governatore Paolo Campofregoso ; 4.0 un minuto del doge Antoniotto Adorno. * * * Parimente nel citato fase. I, Umberto Rossi illustra la Zecca di Tre-sana, feudo dei Malaspina. * * * Rileviamo da una nota communicata ai Lincei da Gilberto Govi, intorno ad alcuni Nuovi documenti relativi alla scoperta dell’ America (Rendiconti, IV, 409) le due lettere seguenti : 111.0 p. et ex.° dno dno Francischo Marchioni Mantue etc. Dno meo singularissimo etc. « 111."0 et Ex."° Signor mio etc.* - V.* S.* può auere inteso chôme qui e letere che auendo mandato el re di Spagnja alqunj legnj oltre al mar di spagnja che in tempo di 16 giornate schoperxono cierte ixole, in fra le altre verxo loriente una ixola grandisima la quale aueua grandisimi fiumi e teribile montagnie e molto fertiliximo paexe e abitato da begli homenj e donne, ma uanno tutti igniudi da cieto che alquni anno vna foglia fato di chotone denanzi al menbro genitale, e che el paexe e ab-bondantisimo doro e sono perxone cortesi del loro avere e che eie elio- i58 GIORNALE LIGUSTICO pia di palme e de pin di 6 spezie e alberi aitixitnj a marauigl'3/ e c'l1e sono più ixole de le quali na nominate 5 e una quaxi grande chôme italia e che que fiumi menano oro e che ano rame asai ma non ferro e molte altre marauiglie e che non si uede nel polo articho ne lantarticho...... . . . Data in Firenze a lopera de Seta liperata 22 aprile x493· V.° fidel seriudor Lucha ingieniere A la mia IH.™ Madonna Marchisana de Mantua in Mantua. « A lo fato de Spagna nouamente, uno chiamato columbo, si atrouato una certa isola per lo Re de Spagna in la quale ge sono homini de statura uaria, ma sono beretinazi et ano lo naso como simia, et lo primo de loro sia atachato in lo naso uno pezo de oro che gie copri , la bocha e largo 4 dita e le donne anno la faza larga corno una rutella, e tutti uano nudi, uomini e donne, e ne ha menato a lo Re de Spagna 12 e 4 donne, e sono tanto deboli de natura, se ne infirmo 2 in Siuillia per modo che li medici non intendono sua infirmita e non ge trouano polso e sono morti, li altri sono uestidi e corno uedeno uno ben uestito ge mettano li man per adosso e se baseno le mane, che ge piace, poij li ano amaij-strati, et ano cognoscimento, e sono cemolezij (sic?) e nisuno non intende de suo lenguazo, pur manzeno a la tagola e manzeno de ogni cosa e non ge dano vino, in la loro parte manzeno radice derbj, et vna certa cosa che pare como peperò grossa corno vna nose che da grande sustanzia e così ui-ueno, et soto li lor sassi leuandoli se ge troua tanto horo assaij che bello non mancha se non a purgarlo, per altre darò auiso quelo seguirà. Data in Ferara a dj ij zugno 1494 Moreleto ponzone de Cremona Ser.” BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Sac. Fedele Savio , Gli antichi Vescovi di Torino, dal principio sino al 1300; Torino, Speirani, 1888. L’ egregio autore di questi Studi storici, il quale ha già saputo farsi tanto apprezzare con le sue erudite memorie sui primi conti di Savoia, su Guglielmo il vecchio marchese di Monferrato e su Bonifacio del Vasto, toccato de’ vari scrittori che avanti di lui trattarono lo stesso argomento, così conclude la prefazione : « Esaminando la serie dei Vescovi torinesi, quale risulterebbe dai lavori finora descritti, e sforzandomi di colmare GIORNALE LIGUSTICO I59 le deficienze e le lacune in essa incontrate , è sorto il presente libro, che, se 1’amor proprio non m’inganna, abbraccia tutto ciò che i documenti storici noti fino al corrente anno 1888 ci permettono, intorno alla medesima serie, di ritenere per vero e provato ». Comincia egli pertanto dal rifiutare il preteso vescovato di Vittore, dell’anno 310, mostrando invece ragionevole l’ipotesi che il vescovato di Torino fosse istituito per opera di S. Eusebio di Vercelli tra il 356 ed il 370. Però il primo nome sicuro, che s’incontra nella serie, è quello di San Massimo, di cui l’A. pone gli inizi « nell’ ultimo lustro del secolo iv » ; sostenendo poi con valide e stringenti ragioni che un solo pastore cosi chiamato ebbe la sede di Torino, e fu il celebre scrittore di omelie, non già due, come altri sostennero seguendo il Meiranesio. Il quale, perchè non può ricordarsi senza sentirne ripugnanza, osserveremo qui di passata col Savio che nel Pedemontinm sacrum, « salvo forse in un caso o due » si astenne dalla smania delle falsificazioni, riescite così funeste ad ogni altra parte della storia piemontese. Anche del vescovo Ursicino, già illustrato dal Cibrario , 1’A. ha soggiunte cose nuove; e di varie notizie conosciute ha date interpretazioni migliori. Del resto la diligenza delle ricerche e l’uso della buona critica, sono pregi di questo come dei precedenti lavori del Savio ; e se di parecchi altri fra’ Vescovi da lui registrati scarseggiano tuttavia le memorie, ciò vuol dire semplicemente che alla Chiesa di Torino vien meno quell’efficace sussidio di monumenti storici che sono per molte altre, come per quella di Genova, i registri o cartarii, in grazia dei quali si possono seguire passo passo gli atti degli antichi pastori. Il Savio anzi non ha mancato di aggiungere da canto suo alle citazioni dei documenti editi, il testo di undici carte inedite; oltre di che, in una appendice ha riprodotto dal Cartario d’ Oulx un importante placito segusino, accompagnandolo da opportuni commenti; ed in altra ha discorso di un vescovo di Ventimiglia legato pontificio in Piemonte nel secolo XI. Questa seconda appendice interessa anche la storia ligustica, e merita di essere attentamente esaminata. L. T. B. Alessandro D’Ancoka. L’Italia alla fine del secolo xvi, giornale del maggio di Michele Montaigne in Italia nel 1580 e 1581. Nuova edizione del testo francese ed italiano con note ed un saggio di Bibliografia dei Viaggi in Italia. Città di Castello Lapi, 1889. L’ opera dell’ arguto e fine scrittore francese, uscita postuma, non era fra noi troppo conosciuta, a cagione in ispecie della sua rarità, poiché non riusciva gran fatto agevole agli studiosi il procurarsela, onde fu certamente buonissimo pensiero quello del prof. D’Ancona, di procacciarne ΐ6θ GIORNALE LIGUSTICO una nuova edizione. Ed era giusto uscisse in Italia, e perchè i 0 " lavoro appunto discorre delle regioni nostre visitate da quell amabile filosofo, e perchè buona-parte è scritta in lingua italiana, es^r,C1Z1 infelice d’ uno straniero, rara avis, che tanto s’immedes.ma nell empiente in cui vive per alcun tempo, da riprodurne non solo, mere a ces zione, la fisionomia, ma persino la lingua. L’Italia alla fine del cinquecento non poteva esser meg io rappreseli tata ; la penna del Montaigne, mentre dà vita e movimento a tutto quan o si porge agli occhi dell’ autore, sa altresi mettere in rilievo^ e cose meglio colpiscono, e trarne argomento ad utili osservazioni. erto se all’autore fosse stato consentito di pubblicare 1 opeia sua, noi aviernmo avuta sicuramente più compiuta , e meglio accomodata alla ragione e ^ 1’ arte, ma forse meno originale e spontanea. In ogni modo anc le cosi come ci è pervenuta, possiamo ben dirla la relazione più note\o e e ca ratteristica fra quelle dei molti viaggiatori discesi fra noi. Senonchè 1’ egregio editore moderno ha voluto con un lavoro proprio, paziente, minuto, e, non occorre aggiungerlo, erudito, accompagnare l’opera del Montaigne; ciò è un commento continuo ad illustrazione e a schiarimento del testo. Quindi chi legge nulla deve desiderare per ben intendere gli accenni a città, terre, villaggi, persone, costumanze, poiché tutto ed ampiamente con indagini sapienti o con induzioni felici, ha saputo chiarire il D’Ancona, non senza utilissimi rilievi e riscontri , desunti da moltissime scritture importanti, ed atti a render ragione delle cose vedute, e delle quali tiene diligente ricordo il viaggiatore francese. Nè deve dirsi di minore importanza il Saggio bibliografìco , posto a corredo assai opportuno del volume ; poiché quivi il D’ Ancona non se n’è stato pago alla indicazione de’ libri di viaggi degli stranieri, ma gli è parso ben fatto aggiungere quei libri affini dettati in lingue straniere intimamente legati con i viaggi, ne’ quali si discorre delle cose e delle costumanze italiane. Nè il lettore trova qui solamente il titolo dell opera ; ma sovente, specie per le più importanti, v’ ha una succosa notizia del contenuto, e delle più curiose e spiccate particolarità. Sì fatti lavori non possono mai dirsi compiuti , e perciò 1’ autore ha presentato questo suo lavoro come un semplice saggio; ma saggio assai ricco e tale da dare sicurezza che in un tempo più o meno lontano, potrà diventare una vera e propria bibliografia. In fine non è da passare in silenzio la breve, ma garbata prefazione, dove molto acconciamente viene studiato lo spirito del Montaigne nelle sue opere, rilevando singolarmente la sua natura di acuto ed imparziale osservatore, spoglio da qualsivoglia prevenzione individuale o da invente-rati pregiudizi. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO RELAZIONI TRA SAVONA E FIRENZE NELL’ANNO 1477 La notizia che il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza era caduto sotto il pugnale de’ congiurati, non era stata accolta in Genova da tutti con ugual sentimento. Il governo degli Sforza contava molti avversari in quella città, special-mente tra i popolani, de’ quali alcuni, da gran tempo, si dolevano che il governo della pubblica cosa fosse quasi intieramente nelle mani de’ nobili (1). In Genova quindi, dopo F inutile tentativo fatto dal governatore di persuadere i cittadini che il duca non era morto e che si sperava ancora della sua guarigione, ritornarono, sperando vantaggi, i capiparte già esuli volontari 0 costretti all’ esilio dai duchi di Milano: Tommaso e Paolo Fregoso , Carlo e Prospero Adorno, Obietto Fieschi (2). Così la città si trovò da una parte minacciata da questi ambiziosi, fatti più arditi dalla debolezza del governo di Milano affidato ora alla reggente Bona e dal favore che rapidameute riacquistarono tra i popolani nella loro città; e dall’altra parte dalla duchessa e in genere da tutti gli Sforza, che certo non avrebbero abbandonato senza lotta un dominio così prezioso come Genova (3). Infatti cadeva la balia degli otto cittadini formata all’ annunzio della morte di Galeazzo Maria, e veniva eletto un magistrato (1) Uberto Foglietta, Delle istorie di Genova, Genova, Bartoli, 1597, pag. 526. (2) Girolamo Serra, St. della antica Liguria. Capolago, 1835, t. Ili, pag. 240. (3) U. Foglietta, op. cit. pag. 530. Gioì». Ligustico Anno XVI. n i62 GIORNALE LIGUSTICO supremo di sei plebei col titolo di capitani di libertà (i), intanto che il popolo in armi si dichiarava pronto a combattere per Obietto Fiesco e Paolo Fregoso. E Bona, vista la necessità di intervenire, « giudicando spediente combattere Genova con le sue proprie armi » (2), vi mandava coll’ esercito milanese, Prospero Adorno, « tornato a Milano perchè non compreso nei capitani di libertà » (3); il quale ebbe larghe promesse dagli Sforza, e giovò a calmare in breve tempo la rivoluzione di Genova. Ridotta un* altra volta questa città all’ obbedienza dei duchi di Milano, sulla fine dell’ aprile, Prospero Adorno ne era fatto governatore per conto degli Sforza (4). Durante questo moto si era temuto un momento per Savona, dove la insurrezione di Genova avrebbe potuto trovare aderenti : perciò qui erano stati mandati soldati e commissari per difenderla se in pericolo, e ricondurla all’ ordine se ribelle (5). Ma Savona non doveva disertare ora la causa dei duchi di Milano. Passata nel loro dominio 1’ anno 1463 Per cessione di Luigi XI di Francia, si era rallegrata già nel 1466 della esaltazione al ducato di Galeazzo Maria (6), e così, ancora alla morte di questo duca, aveva promesso con giuramento fedeltà ed obbedienza al successore ed alla reggente (7). Infatti essa fu fedele agli Sforza. Firenze era alleata coi duchi di Milano; Lorenzo de’ Medici, anzi, raccomandava nell’ aprile di quest’ anno 1477» ^ (1) G. Serra, loc. cit. — Compendio cronologico dell’istoria di Savona, Ms. della Biblioteca comunale di Savona, all’an. 1477· (2) U. Foglietta, op. cit. pag. 530. (3) G. Serra, op. cit. pag. 241. (4) Muratori, Annali, an. 1477. (5) Torteroli, Storia del Comune di Savona, Savona, 1849, pag. 3Γ9· (6) Compendio cronol. ecc. ad an. 1463-4-6. (7) Torteroli, op. cit. pag. 318. giornale ligustico i63 giovane figlio di Bona alla protezione di Luigi XI (i); fu dunque contrario alla rivoluzione di Genova. Ed i Genovesi coi loro navigli, avendo incontrate nel mare di Savona due galee fiorentine cariche di mercanzie, che tornavano di Catalogna , le perseguitarono, tentando di depredarle, finché quelle, per avere salvezza, si rifugiarono nel porto di Savona. Ma qui pure avrebbero forse patito ingiuria da’ Genovesi , che cercavano di sorprenderle, se « con quella fede che avevano » (2), i Savonesi non le avessero protette ed accompagnate nel viaggio verso la Toscana. Firenze fu perciò grata a Savona ; e mentre in Genova si alzavano querele contro tale intervento armato dei Savonesi a beneficio dei Fiorentini (3), questi, sotto il gonfalonierato di Giovanni di Antonio Lorino ricambiavano il beneficio avuto da Savona concedendole solennemente la cittadinanza Fiorentina (4). E tale cittadinanza offerivano come il massimo (1) C. Cipolla, Storia delie Signorie Italiane, pag. 579. (2) Compendio cronol. ad an. 1477. (3) A. M. de’ Monti, Compendio di memorie historiche della città di Savona, Roma, MDCXCXII, pag. 137. — Comp. cronol. loc. cit. (4) A Firenze, nella famosa badia di Fiesole, trovasi tuttora questa iscrizione, che ricorda il gonfaloniere Giovanni Lorino, e gli atti principali del suo governo : IOANNI . LORINO . ANTONII F. OMNIBUS HONORIBUS . DOMI . MULTIS . FORIS PRAEFECTURIS . FUNCTO . BISVEXILLI FERO . SAVONENSIBUS . NOBILIBUS . OB. EGR EGIA . IN . REMP. . MERITA . GRATISSIME CIVITATIS . NOMINE . IN FLORENTINAM NOBILITATEM . COOPTATIS . FELICISS-A SENECTUTE . MCCCCLXXXII . VITA CUM . MORTE . CUMMUTATA . N. N. LORINII TANTAE . VIRTUTIS . MEMORES . PROAVO DILECTISSIMO . P. P. OBIIT. Questa epigrafe fu già pubblicata dal D.r Giacomo Cortese sul giornale « XX Settembre » di Savona dell’a. 1884. La ripubblico qui in considerazione della poca diffusione che ebbe il giornale di interesse puramente locale, ed anche della rarità degli esemplari che di quello ancora si conservano. 164 GIORNALE LIGUSTICO dei doni, dato per il massimo dei beneficii: nos profecto, essi dicono, dare maius nihil potuimus, nihil enitn habemus civitate patriaque carius; e ancora nihil honestius, nihil pulchrius, nihil quod plus benevolentie testaretur (1). Gli storici Savonesi hanno narrato tutti, con evidente compiacenza, questo fatto; ed hanno 0 riassunto, 0 riportato per intero, in modo per altro non interamente esatto, la lettera della repubblica Fiorentina (2). Ma nessuno si valse, o m’inganno, del diploma che si accompagna a quella lettera e che contiene appunto la deliberazione solenne della Signoria, che concede ai Savonesi la cittadinanza co’ privilegi propri de’ Fiorentini (3). Per altro tutti ci dicono che Savona rispose concedendo toito a Firenze la cittadinanza Savonese. Or bene questo non è. La lettera che il Comune di Savona scrive alla repubblica Fiorentina non fa cenno di tale concessione, e neppure ve n’ ha cenno nella lettera scritta da Savona al duca di Milano, o nella risposta di quello. La prima lettera dice solo che Savona accettando 1’ excelso, amplo et preclarissimo munere, a render grazie del quale occorrerebbero Ciceronis et Demosthenis eloquium, atque Crassi divitias, dà tosto partecipa- (1) V. doc. che seguono. Essi appartengono all’ archivio comunale di Savona, abbastanza ricco di carte concernenti la storia Savonese. Sono, con molti altri, trascritti in copia autentica nel I dei due grossi volumi, noti col nome di « Registri a catena ». Il Cav. A. Bruno, segretario del Comune ed egregio scrittore di storia locale, ne ha dato uno spoglio diligente nel I.° volume degli Atti della Società Storica Savonese. Egli mi volle facilitare le ricerche di archivio, con ogni modo di aiuti e di consigli, dei quali, qui pubblicamente, gli rendo vive grazie. (2) Monti, loc. cit. — Torteroli, loc. cit. — G. V. Verzellino, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona, pubblicate da A. Astengo, Savona, 1885, Vol. I, pag. 353 e seg. A. Bbuno, Storia popolare di Savona, Savona 1882, pag. 43. (3) A. Bruno solamente lo ricorda come esistente negli archivi di Savona nel piccolo libro : Gli archivi del comune di Savona, 1884. GIORNALE LIGUSTICO zione dell’ onore ricevuto ai suoi duchi, senza permissione dei quali, come non avrebbe difese le navi de’ Fiorentini, cosi ora non può accettarne la cittadinanza : quandoquidem deceat fidelibus quecumque contingant aut felicia, aut infdicia eorum principibus comunicare. Domanda infatti al suo duca que hisce in rebus observanda sint. Come supporre che Savona avesse già di suo arbitrio concessa cittadinanza a’ Fiorentini ? Ed ove l’avesse concessa, sarebbe essa stata valida tale disposizione, senza il consenso del duca di Milano? E neppure fu ben compresa, da chi la conobbe, la risposta del duca. Poiché questi non si congratula già dell’ operato da’ Savonesi, ma lo approva ; approva cioè la risposta data da questi alla repubblica Fiorentina; poiché ad aiutarne le navi essi erano stati anteriormente autorizzati : difatti scrivono : cum huiusmodi munus absque vestrarum celsitudinum consensu non exegissemus. Ma ben poteva cadere in tale inesattezza il Torteroli, che ripetè la notizia data da altri storici relativa alla cittadinanza concessa da Savona a Firenze, quindi chiamare bugiarde le congratulazioni del duca che stava appunto per cedere Savona a Giovanni Fregoso (i). Per altro Firenze ricordò a lungo il beneficio ricevuto, e mantenne vivo questo sentimento di simpatia per Savona. Se è vera la testimonianza del Verzellino, che qui cita di Francesco Albertini le Cose mirabili di Roma vecchia e nuova (2), i Fiorentini ritennero Giulio II come loro concittadino, sebbene Savonese, appunto in virtù della cittadinanza concessa da Firenze a questa città nel 1477 : e, secondo l’autore del Compendio cronologico delle istorie di Savona (3), tale essi lo dichiararono nell’ ambasciata man- (1) Op. rii, pag. 321. (2) Loc. cit. (3) Loc. cit. ι66 GIORNALE L1GUSTIGO data a lui nell’ occasione della sua incoronazione. Ma è lecito muovere un dubbio a questo proposito. In legazione a Roma, mandato dai dieci di Firenze, andava il 24 ottobre I5°3 Niccolo Machiavelli, che nei suoi dispacci non fa accenno alcuno a tale pretesa dei Fiorentini, alla quale Giulio II avrebbe ben dovuto rispondere in qualche modo (1). E così nulla dice a tale proposito nei suoi dispacci il Giustinian, il quale, non è dubbio, ne avrebbe informata la sua Signoria, che tanto aveva desiderata la elezione di Giulio II, se l’ambasciatore di Firenze avesse chiamato suo concittadino il nuovo pontefice. Invece nei suoi dispacci 1’ambasciatore Veneziano ha un solo accenno a Savona, colà dove ei dice che Marco \ergerio di Savona, fu fatto castellano di S. Angelo (2). È certo però che dell’ amicizia passata tra Savona e Firenze si ricordò più tardi il pontefice Leone X, scrivendo al doge di Genova, Ottaviano Fregoso, una lettera che è nota; dove egli dice : quoniam Saonense oppidum municipesque illos vd quia cum eorum plurimis magnus mihi usus intercessit, vel quod iis omnes vetero instituto civitatem Florentinam sunt adepti, mirum in modum diligo, non solum te hortor sed etiam valde rogo saonensium fortunas municipiumque ipsum et cives omnes habeas etiam meo nomine cariores, eosque ita tractes ut intelligant meam apud te commendationem magno illis usui fuisse (3). (i ; Cfr. Opere complete di N. Machiavelli, Napoli, Bideri, 1878, Vol. II, « Legazione alla corte di Roma ». Nulla dice il Guicciardini, Storia d’Italia ; nulla I. Nardi, Istorie di Firenze, 1858 ed. da A. Gelli, dove pure a pag. 266 del vol. I sono riportate due lettere del Machiavelli relative all’ elezione di Giulio IL (2) Dispacci di A. Giustinian, ed. da P. Villari, Firenze, Le Monnier, 1876, vol. II, pag. 287. (>) Verzellino, loc. cit. — Monti, loc. cit. — Comp. cronol., loç. cit. GIORNALE LIGUSTICO 167 Cosimo de’ Medici, granduca di Toscana, confermò di poi Γ antica cittadinanza data a Savona dalla sua città, nel novembre del 1550 (1). Giovanni Filippi. I. Exemplum litterarum illustrium et excelsorum dominorum Flor entier orum ad comunitatem Saone occasione in ipsis litteris contenta (2). Magnifici domini amici nostri carissimi, salutem. Merito vos semper fecimus maximi et fraterno sumus amore prosecuti. Fortunam enim nostram communem putavistis et dedistis per omnia tempora apertissima amoris veri et benivolentie documenta. Et quod nuper dedistis beneficium et duas naves nostras mercatorias in portu vestro salvas a furore atque igni ianuensium reddidistis, eiusmodi est ut superet, ut videtur nobis, omnem facultatem referendi gratias; obnoxios tamen nos reddidistis vobis, et populum omnem ex natione fiorentina ut que referri non potest quantum durabit florentinum nomen grata merita habeatis. Ad hec visum est ut aliquod fiat a nobis documentum quantum gratum extiterit beneficium. Donavimus ergo saonenses tales amicos ita benemeritos de nobis et nomine fiorentino civitate, neque putavimus quicquam posse facere convenientius. Non enim visum est ut aliter nos, florentinam rem, tutati sitis et defenderitis dignitatem nostram ac si florentini cives exititeritis. Velimus et petimus a vobis maiorem in modum ut gratum habeatis hoc munus nostrum qualecumque est, impar certe a vobis acceptis beneficiis. Nos profecto dare maius nihil potuimus, nihil enim habemus civitate patriaque carius. Utimini ergo civitate, agro, omnibus nobis, omnibus rebus nostris, ut civitate, ut agro, ut civibus ut rebus nostris. Nihil poterimus intel- (1) Verzellino, loc. cit., dà la data del 10 novembre. — Monti, loc. cit, 19 nov. — Comp. cronol., 14 nov. (2) Registro I.° a catena, c. 96. 168 GIORNALE LIGUSTICO ligere gratius quam si cognoscemus non ingratum vobis hoc munus nostrum extitisse. Valete. Ex palatio nostro di XIIII septembres MCCCCLXXVII. Priores libertatis et I ίr ... } populi fiorentini. Vexillifer ìustitiae 1 (a tergo). Magnificis dominis d. offitio antianorum civitatis Saone amicis nostris carissimis. II. Exemplum civilitatis qua Saonenses omnes donati sunt ab excelsa comunilate florentinorum (i). In dei nomine amen. Anno ab incarnatione millesimo quadringentesimo septuagesimo septimo, indictione decima, et die quarto mensis sep-tembris, in consilio populi, die sexto mensis eiusdem in consilio comunis, ac die duodecimo eiusdem mensis septembris in consilio dei cento, mandato magnificorum dominorum priorum libertatis et vexilliferi iustitie populi fiorentini officio presidentium precona convocatione campaneque sonitu more solito congregatis, quorum dominorum priorum et vexilliferi nomina sunt ista videlicet Ieronimus Bernardi Thomasi de Corbinellis , Giampaulus Pauli Ridolfi Lotti, Niccolaus Laurenzi, Niccolaus Antonii Pieri Lapari, Ieronimus Benci Niccolai Benci, Paulus Borgiannis priores libertatis et Iohannes Antoni Lorini vexillifer iustitie et per ipsa consilia in numeris sufficientibus congregata in palatio populi fiorentini totaliter approbata admissa et acceptata fuit infrascripta provisio facta et edita super et infra proxime adnotata et scripta. Et provisum et ordinatum est quod in his et super his omnibus et singulis infrascriptis procedatur et observetur firmetur et fiat et firmum et stabilitum esse intelligatur et sit in omnibus et per omnia secundum et prout inferius continebitur. Cuius quidem provisionis tenor talis est videlicet, non ignari magnifici et excelsi domini priores libertatis et vexillifer iustitie populi fiorentini quod cum due florentinorum triremes onerarie que superioribus diebus ex cathalonia redierunt predivites, circumvente essent a Genuensibus in (i) Id. c. 96'. GIORNALE LIGUSTICO portu Saone fasces et ignem inferre paratis, iamque in periculo constitute viderentur amice aeque oportune auxiliantibus saonensibus nostri imminens et grave periculum evaserunt, animo volvebant quidnam efficere possent quod et gratum saonensibus sperarent futurum et simul ostenderent tum gratum fuisse populo fiorentino saonensium operam bene navatam nostris hominibus, tum id beneficium nobis ex animo nostro excidisse. Cogitantibus autem illud potissimum occurrit nihil honestius nihil pulchrius nihil quod plus benevolentie testaretur prestare illis posse quam privilegium eis indulgere civitatis modo infrascripto. Quapropter ut hoc illis veluti magni pignus amoris et benivolentie conferatur habita primo super infrascriptis omnibus et singulis die tertio mensis septembris anni MCCCCLXX septimi indictione decima inter se ipsos dominos priores et vexilliferum in sufficienti numero congregatis in palatio populi fiorentini deliberatione solemni et inter eosdem facto solemni et secrete scrutinio et misso partito ad fabas nigras et albas et obtento secundum or-dinamenta dicti comunis et postea successive ipso eodem die sequente et facta deliberatione inter eosdem dominos priores et vexilliferum et ghon-falonerios societatum populi et duodecim bonos viros dicti communis so-lemniter in sufficientibus numeris et in palatio antedicto congregatos facto prius proposito super predictis et infrascriptis omnibus et celebrato inter ipsos omnes solemni et secrete scrutinio et misso partito ad fabas nigras et albas et obtento secundum ordinamenta comunis predicti. Ipsis tamen omnibus et singulis infrascriptis diligenter prius examinatis ac firmis per spectabiles viros Iohannem Giani Buonacchursi Berardi, Nic— colum Andreuoli Niccoli Sacchetti , Antonium domini Alexandri de Alexandris de numero collegiorum et dominorum , Angelum Laurentii de Stufa, Bernardum del Nero Philippi del Nero , et Franciscum Berti Zenobii Carnesecchi de offitio conservatorum legum dicti communis ad hec examinandum debutatos secundum ordinamenta communis predicti pro utilitate communis eiusdem eorum proprio motu et omni modo via et iure quibus magis et melius poterunt providerunt ordinaverunt et deliberaverunt. Quod in posterum quicumque Saonensis civis possit et debeat in omnibus curiis et iudiciis civitatis comitatus et districtus Florentie et cuiuslibet terre et loci in qua et quo populus et comune Florentie iurisdi-ctionem vel preheminentiam haberet tractari et haberi pro cive Florentino ac pariter ut Florentinus civis in omnibus et per omnia et quo ad omnes et omnia et ut verus civis Florentinus potiatur et gaudeat omnibus et singulis privilegiis immunitatibus et favoribus quibus et 170 GIORNALE LIGUSTICO prout potiuntur et gaudent et potiri et gaudere unquam potuerunt quicumque veteres et veri cives civitatis Florentie, duabus rebus exceptis hoc magistratibus et facultate ius aliquod aquirendi super monte aliquo quocumqne nomine. Età ita observetur et executioni mandetur ab omnibus et singulis quorum interest aut quomodolibet intererit iure fideliter aeque omni cavillo et contradictione remota, et predicta fiant et facta in-telligantur et scripture restituantur dictis Saonensibus. Non obstantibus in predictis aut aliquo predictorum aliquibus legibus statis ordinamentis provisionibus aut reformationibus consiliorum civitatis Florentie vel aliis quibuscumque obstaculis seu repugnantiis etiam quan-tumcumque derogatoriis penalibus vel precisis vel etiam si de eis vel ipsorum aliquo deberet fieri specialis mentio et expresse spetialiter ac generaliter derogatum. (S. N.) Ego Petrus olim Ser Philippi de Landinis de Vulterris imperiali auctoritate iudex ordinarius notariusque publicus florentinus coadiutor pectabilis et egregii viri ser Iohannis ser Bartholomei ser Guidonis de Guidis officicialis notarii et scribe reformationum consiliorum populi et communis Florentie predicta omnia et singula ex libris dictarum reformationum in palatio suprascripto penes dictum ser Iohannetn existentibus fideliter sumpsi, scripsi, et publicavi ideoque me subscripsi et signum meum apposui consuetum. IU. Exemplum litterarum magnifice comunitatis Saone ad excelsam comunitatem Florentie responsurarum eis litteris quas misit ad comunitatem Saone cum privilegio civilitatis suprascripto (1). Ill.mi et excelsi domini nobis honorandissimi atque observandissimi. Attulit ad nos tabellarius vester cultissimus atque humanissimus donationum vestrarum litteras quibus accepimus id amoris inditium quod in protegendis triremibus vestris superioribus diebus erga Florentinos demonstravimus, dominationibus vestris adeo pergratum extitisse ut annuentibus universi senatus et populi vestri solemnibus deliberationibus Saonenses omnes dignissimo atque splendidissimo excelse civititatis vestre munere donare dignati fueritis cum nullam digniorem neque cariorem rem pa- (1) id. c. 97. GIORNALE LIGUSTICO I?! tria vestra habeatis quod quidem per solemnem provisionem et privilegium inde confectum clarissime deprehendimus. Qua in re existimantes fale semper fuisse Saonensibus erga Florentinos amoris vinculum, ut quod ad tutandas triremes egimus merito facere videremur accedente ad hoc precipue ea coniunctione que vobis cum ill.mis principibus nostris viget, non potuimus tam amplo tam excelso atque preclarissimo munere plurimum non gaudere, quod nobis et universis civibus nostris eo iucundius atque pergratius accessit quod nobis non exigentibus neque ad hoc meritis nostris accedentibus donationes vestre solita earum maxima liberal itate ad amoris erga nos et caritatis inditium id facere dignati sitis, que nos et civitatem nostram maiorem in modum sibi debitores faciunt quod nos amplissimo munere liberalissime donantes id nobis gratum exti-tisse certiores fieri desiderant. Que est enim civitas, qui populus, qui princeps, qui huiusmodi munus amplissimum tanta liberalitate donatum non caripendat, maximi faciat, atque inter pretiosisssima privilegia connumeret, et quemadmodum hoc ipsum nobis iucundissimum fuit ita id ill.mis nostris principibus significandum esse nobis visum est , quandoquidem deceat fidelibus quecumque contingant aut felicia aut infelicia eorum principibus communicare, et illorum ordines atque mandata minime preterire quos speramus maiorem in modum hoc ipsum gratum habituros quod tale munus nobis Saonensibus factum extitit qui etsi aliis pluribus’ eorum subditis facultatibus inferiores sumus nullis tamen fide erga eos atque devotione cedimus. At vestris donationibus quales agamus aut referamus gratias ignoramus, cum ad id et Ciceronis et Demosthenis eloquium deficere atque Crassi divitias satis esse non posse compertum habeamus. Ea tamen vobis omnibus semper habebitur gratia ut quoad Saonensis civitas durabit Florentinum nomen nulla unquam oblivione delebit. Reliquum est ut si quid valemus nostris rebus Florentini omnes non secus ac suis utantur quorum statum et salutem altissimus conservare dignetur. Saone die XXVIII septembris MCCCCLXXVII. Antiani civitatis Saone. (a tergo). Ill.mis et cxc.sis dominis d. prioribus libertatis et vexillifero iustitie populi Florentini dig.mis nobis col.m“. ιη2 GIORNALE LIGUSTICO IV. Exemplum litterarum comunitatis Saone ad ill.mos duces Mediolani quibus significatur excelsam comunitatem Florentie creasse cives sne ch itat is omnes Saonenses (i). III.™1 principes et ex.mi domini d. nobis observandissimi. Quod presti-timus superioribus diebus Florentinorum triremibus auxilium, eorum senatui et universis civibus adeo pergratum fuit ut publica institutione saonenses omnes florentie cives creaverint. Quod quidem nobis eorum litteris significarunt et antenticam inde provisionem per expressum tabellarium ad nos misere, verum cum huiusmodi munus absque vestrarum celsitudinum consensu non exegissemus ita illud sine earum voluntate per solemnem et publicam senatus deliberationem acceptare inconveniens iu-dicavimus, quamquam nobis id gratissimum et iucundissimum fuisse respondimus, sicuti ex nostrarum literarum exemplo excellende vestre cognoscere poterunt. Quod simul cum excerptis eorum deliberationis ac litterarum ad nos missarum per presentem tabellarium mittimus vestras igitur celsitudines oramus ut que hisce in rebus a nobis observanda sint significare dignentur ut sicuti fide ac devotione nullis nos inferiores esse non ignoramus, ita nihil preter earum voluntatum aut errore aut ignorantia committamus. Saone die XXVIII septembr/s 1477. Humillimi servitores Antiani civitatis Saone. (a tergo). Ill.mis principibus et ex.mis dominis d. Bone et Iohanni Galeatio Marie Sphortie vicecomitibus ducibus me-diolani papié anglieque comitibus ac Ianue et Cremone dominis dignissimis. (1) Id. c. 97·. GIORNALE LIGUSTICO J73 V. Duces Mediolani Papie Anglerieque comites ac Ianue et Cremone domini (i). Dilectissimi nostri. Accepimus per tabellarium vestrum litteras vestras una cum exemplo privilegii civilitatis qua universos Saonenses donavit ex.sl respublica Florentina pariter et literarum ab ipsa republica ad vos scriptarum et responsi item quod eidem ipsi fecistis. Quibus omnibus lectis et diligenter animadversis commendamus que per vos acta sunt, et precipue responsum vestrum ad prefatam ex.sam rempublicam, quod quidem et accommodatum et prudens iudicavimus. Hec est ut vobis aliud in presentia superinde dicamus , ex mediolano die tertio octobris MCCCCLXX septimo. (.a tergo). Nobilibus viris antianis Saone nostris dilectissimis. I CANTI POPOLARI DEL PIEMONTE (2) I. II ch. conte Nigra, amoroso quanto dotto cultore di studi demopsicoJogici, ha pubblicato da poco in un bel volume un’ ampia raccolta di questi canti, di cui importanti saggi già si erano avuti nella Rivista Contemporanea ed in altri periodici. La pubblicazione del Nigra, cui sono indispensabile complemento le due del Ferraro per Γ alto e basso Monfer- (1) Registro I.· a c. 97.' (2) C. Nigra, Canti popolari del Piemonte, Torino, Loescher, 1888. — Ferraro, Canti Monferrini (Alto Monferrato), Torino 1870, — Id. Canti popolari del Basso Monferrato, Palermo, Pedone Lauriel 1888. 174 GIORNALE LIGUSTICO rato, abbraccia quindi tutta la fioritura popolare poetica Piemonte, non senza aggiungere, quando pareva opporr ^ le lezioni di altre provincie italiane o straniere che °’ stavano importanza dal raffronto. È insomma um ' ^ ,. ... , . ua pagina di stona intima che l’illustre raccoglitore ci presenta questo volume, storia, ignorata ancora per molti rispetti d' •un gran cuore, perchè formato da tutto un popolo che consente negli stessi pensieri ed affetti e li ripete in voce di canto, talora lieto e beffardo, le più volte involuto di malin conia. Va innanzi alla raccolta un dotto studio sulli no*·,, « .. m tui a della poesia popolare italiana ; e scopo precipuo dell’ Autore in esso è di determinare i caratteri della produzione poetica nell’ Alta Italia al confronto dell’ Italia inferiore. _ « poesia popolare, egli osserva, è creazione spontanea della razza che la canta, risponde al sentimento poetico ed estetico proprio di questa razza e costituisce un carattere etnico speciale della .medesima » (i). Ora, come nella penisola trovasi il substrato di due razze distinte, la celtica nell’ Italia superiore, la latina nell’ inferiore, così devono trovarsi corrispondenti due forme di poesia popolare, narrativa oggettiva la prima, lirica soggettiva la seconda; più artificiosa colorita musicale questa, quasi canto di bucolici antichi, più schietta quella di sentimento e compenetrata di una serietà più affettuosa. I massimi rappresentanti di queste due specie sono lo strambotto e la canzone, separati tra loro dalla linea geografica ora accennata, senza pregiudizio, s’intende, delle immigrazioni che lo strambotto e lo stornello fecero nell’alta Italia e la canzone nella media ed inferiore. Più numerose, per vero, le prime che le seconde, conservando ciascuna (i) Disc, prelim., p. χιχ. I seguenti passi virgolati senz'altra indicazione, sono tolti dal medesimo discorso. GIORNALE LIGUSTICO *75 specie, nel trapiantarsi fuori della sua sede naturale, visibili ed evidenti i segni della provenienza, ossia per lo strambotto i versi con desinenza ordinariamente piana; per la canzone la metà almeno dei versi con desinenza tronca. E quanto alla loro trasmissione, il Nigra stabilisce la seguente regola generale : — « Una data materia poetica può benissimo passare con facilità da un paese all’ altro e trasmettersi successivamente a popoli di lingua e di razze diversi, quand’ anche continenti e mari li separino, ma se quella materia poetica è giunta a fissarsi nel verso, nella strofa, se è giunta a modellarsi in una forma determinata più o meno perfetta, il novum opus che ne risulta non si trasmette più , di regola generale, in questa sua forma, se non a popolazioni omo-glotte, parlanti cioè idiomi identici o molto simili. Le eccezioni a questa regola, quando esistono, hanno una ragione storica accidentale e non possono invocarsi contro questa regola generale ». L’Autore passa quindi al contenuto poetico dello stornello e dello strambotto, e la questione proposta tocca, come egli osserva benissimo, direttamente Γ essenza e l’origine di questo doppio componimento. Poesia antica e tradizionale , che rispondeva stupendamente al carattere etnico del popolo latino, essa con successione non interrotta si svolse tra noi fin da epoca remota. Ma questa tradizione è interamente popolare? L’artificio, e la raffinatezza che si palesa in molta parte di poesia prodotta dalla Sicilia e dalla Toscana contrastano a siffatta affermazione. iMa pur riconoscendo gli influssi che la poesia d’ arte esercitò sulla popolare, sarebbe grave errore il credere che questa sia nata da quella. Prima ancora che presso il popolo romano si levasse a perfezione quella poesia che, secondo il Nigra, è peculiare al suo genio poetico, poesia essenzialmente soggettiva, di contenenza amorosa e morale, in Sicilia era fiorito il canto più 176 GIORNALE LIGUSTICO antico e più popolare che l’Italia abbia avuto, ossia il canto bucolico amebeo. Da esso provennero 1’ egloga latina e, come lontana propaggine, lo strambotto e lo stornello moderni. Passando alle canzoni, il Nigra le divide in storiche, romanzesche, domestiche, religiose, e viene alla conclusione che cotesta forma è speciale al popolo dell’ Italia superiore ed agli altri popoli romani, escludendone, come già fu detto, le altre provincie italiane, presso cui non sia perdurato un substrato celtico. È questo per il dotto critico un fatto etnico. — « La poesia epico narrativa, egli dice, ripugnò al genio latino e fu invece prediletta in ogni tempo all’imaginoso temperamento dei Celti, soliti convertire la storia in leggende e non aventi anzi anticamente altra storia che le leggende tradizionali messe in versi e recitate o cantate — Avvertenze, ben inteso, che vanno riferite alle canzoni storiche. Quanto alle romanzesche o domestiche che, come da per tutto, costituiscono anche per il Piemonte la serie più numerosa dei canti popolari, alcune sono originarie e indigene dell’ I-talia superiore e non si cantano che là, eccetto le poche che furono accidentalmente trasportate in altre parti d’Italia. Ma molte sono comuni all’Italia superiore, alla Provenza, alla Francia, alla Catalogna e, dentro certi limiti, al Portogallo. E quando si dice comuni, vuoisi intendere non solo per l’identità del contenuto, ma anche per Γ identità o quasi identità della forma, cioè del metro e della rima. Il Nigra chiama questa poesia, posseduta in comune da parecchi popoli, celto romanza, perchè essa appartiene per contenuto e per forma identica esclusivamente a quelle popolazioni romanze che furono anticamente celtiche. Quanto poi alla prima origine di quei canti, si può ammettere teoricamente che ciascuno dei paesi che li possedono abbia potuto dar loro nascimento, trasmettendoli in seguito ad altri popoli omoglotti. Nella pratica, per altro, conviene GIORNALE LIGUSTICO I77 accontentarsi di vedere come la trasmissione può essere avvenuta. — « Il modo e la via di trasmissione, in circostanze simili, devono servirci di criterio per determinare, se non il luogo di origine- della canzone, almeno la sua provenienza immediata ». E in alcuni casi la ricerca è facile. Se, per un esempio, una canzone si trovi identica nell’Italia, nella Provenza e nella Catalogna, questa circostanza non basta ad accertarne Γ origine, ma certo la trasmissione ebbe a farsi per la Provenza, regione intermediaria tra la Catalogna e l’Italia continentale. E quando si tratti di canzoni comuni all’ Italia superiore e ad altre regioni celto romanze, si verifica sempre l’intermediario forzato della Francia della lingua d’oc, e della lingua d’oil. Ma si limita essa a trasmettere, 0 adempie ad un ufficio assai più importante, quello di creare ? Gli indizi che si ricavano dalle canzoni più note, come per es. quella di Clotilde, 0 la sorella vendicata, degli scolari di Tolosa, dell’ occasione mancata, 0 del matrimonio inglese, stanno in fa- ' o * vore della Francia, sia essa di lingua d’ oc, o di lingua à’oil. E un altro argomento in suo favore si ricava altresi dall’influenza che quelle due letterature esercitarono , assai per tempo, sugli altri popoli. La lirica d’arte provenzale irradiò della sua luce l’Italia non solo, ma le stesse lontane rive portoghesi, ed anche più forti e durevoli furono gli influssi della letteratura francese. Se questo avveniva per la poesia d’ arte, è pur naturale che la popolare, coeva 0 preesistente a quella, si diffondesse con eguale rigoglio nei paesi vicini. Per ciò che, in fine, riguarda più specialmente il Piemonte, i rapporti suoi colla Francia sono troppo numerosi e frequenti, perchè la produzione popolare di quel paese non fosse assai presto importata tra noi. Il Vallese e la Savoia, che congiungono geograficamente e linguisticamente il Piemonte colla Francia della lingua d’oil, e dall’altra parte il colle di Giorn. Ligustico. Anno XVI. ,, i78 GIORNALE LIGUSTICO Tenda e le valli delle Alpi Marittime e Cozie per la Provenza, divennero da tempo antico il mezzo facile ed aperto di una copiosa trasmissione, ed i segni dell’ origine straniera appaiono visibili in molti canti piemontesi. Manca per contro , ad eccezione di qualche caso sporadico, ogni traccia di provenienza diretta latina, o greca, o germanica, o tanto meno araba. II. Il dotto critico passa quindi a considerare il periodo genetico de’ canti popolari, notando giustamente che esso ha sempre alcun che di misterioso. Questa ricerca non può farsi, con qualche criterio di attendibilità, che per le sole canzoni storiche. Per tutte le altre bisogna restringersi a congetture, e il Nigra ne produce alcune. Cosi il Moro Saracino, per es. « potrebbe essere contemporaneo nella sua originaria formazione alle prime escursioni dei Saraceni sulle coste del Mediterraneo e quindi risalire al IX secolo. Le canzoni cavalleresche, del periodo in cui questo sentimento fu più predominante nel mezzodi ed occidente d’Europa, le pastorali, durando la maggior fioritura della lirica provenzale ». Ma per le storiche egli non dubita che siano ordinariamente coeve col fatto narrato e portino quindi con sè, per così dire, il loro atto di nascita. Nella sua prefazione, il conte Nigra è per altro alquanto più riservato su questo punto che non lo sia poi nella illustrazione dei canti, e singolarmente del primo : Donna Lombarda. Nella prefazione egli ferma, opportunamente a parer mio, il seguente principio : — « Per le canzoni storiche in generale si deve presumere che la loro creazione sia dovuta all’ impressione contemporanea. Ma nulla ripugna a supporre GIORNALE LIGUSTICO I79 che 1 impressione contemporanea del fatto possa essere talora sostituita dall’ impressione· d’ una narrazione posteriore orale o scritta ». Per Donna Lombarda invece, affrontando quella che egli stesso dice grossa questione, ritorna alle antiche conclusioni, malgrado Γavviso contrario del d’Ancona, ed opina che la redazione originaria di quel canto risalga all epoca del fatto, ossia al VI secolo dell’ era volgare. Tuttavia un critico acuto come il Nigra non poteva nascondersi le obiezioni, che naturalmente insorgono, e le più forti paiono due. Tenuto conto della incontestabile concordanza fra la canzone e le cronache di Paolo Diacono e di A-gnello ravennate, nnn è egli possibile che la canzone sia opera di un tardo lettore de’ due cronisti? — La seconda riguarda il linguaggio. Difatti abbiamo qui un canto dialettale anteriore d’assai allo svolgimento dei volgari italici. Quanto alla prima obiezione, il Nigra si contenta di rispondere che ne mancano le prove; ma, anche convenendone, il dubbio non resta con ciò eliminato. Sulla seconda si ferma, e qui ci troviamo tra i due corni di un dilemma. O ammettere, come con la solita chiarezza notava il prof, d’ Ancona, che il canto durasse lungo tempo nella forma di barbara latinità e più tardi, dopo parecchi secoli, venisse trasportato ne’ vari dialetti d’Italia, 0 in quell’uno donde passò poi agli altri; o ammettere che fin dal VI secolo esistesse di già un volgare abbastanza polito da narrare con forma poetica il truce fatto che aveva commosso la popolare fantasia. A quest’ ultima conclusione s’attiene il conte Nigra. Egli crede che i Celti abi-tori della valle padana parlassero fin da’ primi tempi della dominazione romana un latino con indole dialettale, e che fin dal VI secolo conteneva, non soltanto in germe, i principali caratteri del dialetto moderno. — « Non vi fu mai tempo » egli soggiunge « dopo l’epoca romana, in cui gli idiomi parlati dalle plebi dell’ Alta Italia e non fissati dalla scrittura ι8ο GIORNALE LIGUSTICO potessero dirsi nuovi. Tanto dovettero essere insensibili, benché continue, le trasformazioni » (i). Sarà, ma bisognerebbe provarlo. Il Nigra è in questa parte assai più assoluto del Pitré, che s’ accontenta di far risalire un cantare siciliano ai tempi di Guglielmo II il Buono (2). Frattanto però gli scarsi documenti di indole quasi popolare, pur di qualche secolo posteriori, ci testimoniano bensì P uso di un latino spropositato che nascondeva in sè il germe di una profonda mutazione, ma nulla che comprovi Γ uso di un vero dialetto in componimenti poetici. Man mano che ci andiamo avvicinando al Mille, le parole italiane si vengono sovrapponendo alle latine, ma sono sovrapposte, non fuse insieme, non così in somma da dar luogo ancora ad una parlata nuova che fosse addestrata all’ espressione letteraria di sentimenti ed affetti popolari. Figuriamoci poi nel VI secolo! — La canzone dei soldati di Luigi II per la prigionia beneventana di questo imperatore, risale al secolo IX, e a giudizio del Bartoli il latino è — « così fatto da escludere ogni idea che 1 autore del canto popolare avesse studio di grammatica e di lettere » (3). Ma però è latino. Se ne vede una prova ancora nel secolo XII, all’alba del risveglio italiano. Se c’è alcuno che tolga arditamente a scrivere in un dialetto italico è un tio-vatore, un poeta d’arte, Rambaldo di Vaqueiras; il povero cantastorie lombardo o veneto invece, che si faccia a narrare in piazza, alterando, inventando, alcuna delle cannoni di gesta, tiene come un obbligo di scartare, 0 almeno di ridurre quanto può, il suo idioma domestico perchè troppo rozzo, di fare altrettanto del latino, perchè ormai logoro ed a lui per giunta troppo difficile, e di parlare, per diritto 0 per traverso, (1) Nigra, op. cit. p. 27. (2) G. Pitré; Studi di poesia popolare, Palermo, Pedone Lauriel, p. 43· (3) Bartoli, Storia della lett. ital., Firenze, Sansoni, I, 69. GIORNALE LIGUSTICO in francese. Ne sia es. il Macaire, il cui autore nessuno dubita che fosse un popolano. Certo egli narrava in quell’ ibrida mescolanza di francese e di veneto per rendersi più chiaro ed intelligibile a tutti, non per diventar più oscuro. Si vorrà ora rispondere che quale sia la lingua volgare usata per la trasmissione del Canto poco importa, purché il fatto siasi avverato? Ma in una canzone che ha per sua patria originaria la valle del Po, sarebbe strana la lingua francese che i nostri usavano nel racconto di imprese cavalleresche del ciclo carolingio. Insomma, o fin dal VI secolo si cantava questa canzone, come vuole il conte Nigra, e la lingua in essa adoperata ebbe ad essere un volgare nostro, ed è inoltre necessario ammettere tutto un ciclo di canti popolari nello stesso dialetto — non sarebbe ragionevole il supporre che Donna Lombarda sia un fenomeno isolato — o questo pare un po’ forte, come veramente è, ed allora bisogna ridursi a credere in una tradizione del fatto, che siasi perpetuata tra i volghi dell’ Alta Italia durante i secoli dal VI al XII, e svoltasi poi in voce di canto, quando quei volghi dispersi ebbero una persona civile e una lingua definitivamente costituita. A siffatta conclusione pareva accostarsi lo stesso conte Nigra, quando toccò la prima volta questo argomento nella Rivista Contemporanea. — « La coevità, egli scriveva allora , non vuol essere intesa in senso assoluto, nè si deve pensare che il canto storico esca, subito dopo 1’ evento a cui si riferisce, perfetto e finito. Per le canzoni storiche, non meno che per le altre, esiste sempre un periodo più o meno lungo d’incubazione, al quale succede una continua elaborazione che si va perpetuando con fasi diverse ». E della stessa opinione è pure il Prof. d’Ancona, il cui valore in questi studi è noto. Egli crede che anche per Donna Lombarda — « certamente delle più antiche fra le canzoni po- i82 GIORNALE LIGUSTICO polari, debba ammettersi cotesto tempo di segreta maturazione, e che la sua data di origine abbia da porsi non prima del generale e contemporaneo ridestarsi dell’ intelletto, della lingua e della persona civile del popolo italiano » (i)· III. Sarebbe superfluo eh’ io mi distendessi più oltre a notare la mirabile erudizione, l’intelletto d’arte con cui il raccoglitore ha saputo illustrare, quasi per intero, la ricca fiorita di canti piemontesi che ora ci presenta. 11 nome del conte Nigra non è nuovo ed e la migliore malleveria per i lettori. Mi restringerò piuttosto ad alcuni di questi canti, e per informale dei risultati cui è giunto nelle sue ricerche l’illustre critico, e per fare, occorrendo, qualche osservazione. Di Donna Lombarda che apre il volume già abbiamo par lato. Il Nigra produce parecchie altre lezioni, oltre quelle già (i) D’Ancona, La poesia popolare italiana, p. 118. A proposito del-1’ amante seduttore in Donna Lombarda, indicato quale re di Francia, come osserva il Nigra , in dieci diverse lezioni, tra cui lina del ®ass0 Monferrato (Ferraro, op. cit. p. 3), ne aggiungerò qui, come variante un undecima da me raccolta udendo cantare questa canzone tre anni sono a Bergamasco (Alto Monferrato). Essa differisce alquanto da quelle portate dai Nigra: in queste la donna stessa dice di bere il veleno e di mo rire per amore del Re di Francia, ovvero che ne avviserà il Re di Francia e poi morirà. In quella che presento invece è il marito che rinfaccia alla donna Γ amore per quel Re e si avvicina quindi alla variante ricordata dal Ferraro (loc. cit. p. 5). Cito gli ultimi versi : An bivinda la prima sgutta Dona Lumbarda cambia culur. An bivinda la sgunda — Caro mari, mi avricumand. — Ricumandeve a lo re di Fransa L’ è sempr sta ’l vost prim’ amant. (Cantata da contadine)1. GIORNALE LIGUSTICO 183 date da lui anni passati nella Rivista contemporanea, ed amplia e completa le sue indagini comprovanti, cosi da non poterne dubitare ormai, l’identificazione di Donna Lombarda con la storica Rosmunda regina de’ Longobardi. V’ è poi una serie di canti che credo fermerà Γ attenzione dei lettori; poiché si riferisce ad un tipo comune per tutti, e che fa pure le spese di molti racconti devoti e profani e leggende agiografiche nel Medio Evo. \^oglio intendere la donna perseguitata e indegnamente maltrattata dalla suocera 0 'dal marito, o da un amatore respinto. Rientrano, più o meno strettamente, in questa specie di ciclo popolare poetico la Sposa Porcata, la Sorella vendicata, gli Anelli, Un eroina. E in un qualche rapporto con questa, sta pure un’ altra serie su cui cade 1’ attenzione anche del raccoglitore , ossia quella che ha per tema mogli 0 fidanzate uccise dai mariti 0 dagli sposi. Cominciamo dalla Sposa Porcata (1). Le sue attinenze con il tipo suaccennato appaiono evidenti. Ecco P argomento del canto, come è riassunto dal Nigra. — « Il marito prima di partire per la guerra raccomanda la sua sposa alla madre. Non le faccia fare il pane nè il bucato. La tenga in camera a cucire e ricamare. Ma appena il marito è partito, la suocera manda la nuora a pascere i porci e le impone di filare tre 0 sette fusate e di portare a casa una fascina di legna. La nuora passa cosi sette anni senza ridere e senza cantare. Il primo giorno che canta, suo marito, che è arrivato, l’ode, l’incontra, apprende i cattivi trattamenti usatile dalla suocera, va a casa, passa la notte colla propria moglie e il mattino rimprovera acerbamente la madre. D’ ora innanzi la suocera servirà la nuora. E se non fosse sua madre, dice lo sposo, le avrebbe tagliato la testa ». (1) Nigra, op. cit. p. 320. 184 GIORNALE LIGUSTICO Il popolo ha smussato le angolosità, smorzato ciò che eravi quindi in vivente di Cristoforo Colombo, fanciullo ancora era venu.o a Genova e vi era dimorato fino al 1516, e successivamente dal 1538 al 1550, comincia non pertanto il capitolo *_he tratta della scoperta con queste espressioni: « Era m Ca stiglia un uomo di nome Amerigo che possedeva una grossa nauc... e conchiude nel modo che segue : « E il nome di colui che scoperse questa terra era Amerigo, e da lui fu fi minata America ». Questa ignoranza è tanto più singolare inquantochè Joseph-ha Cohen deve aver avuto cognizione del ptimo Salterio poliglotto, che compilato da un Genovese venne stampato in Genova nel 1516 (1). Or ivi in correlazione al Salmo « Coeli enarrant » trovasi un’ accurata descrizione delle scoperte eh’ ebbero luogo per opera di « Cnsto-phirits cognomento Columbus patria Genuensis... ». Osserviamo altresi che Joseph-ha-Cohen aveva studiato in modo affatto speciale la storia d’ America, poiché si ha di lui una traduzione ebraica rimasta inedita della Storia Spagnuola di Ferdinando Cortes, la quale non può essere altro che la Historia de la Conquista de Mexico di Lopez de Gomara. È verisimile altresi che anche altri scrittori Orientali al non si trovino altrove sono quelle che questo Rabbino riferisce a riguardo del pane degli isolani il quale « aveva l’aspetto del biscotto che si prepara a Pisa » e sulla loro lingua : « Gl’ indigeni, egli afferma, intendono poco della lingna d'Israele. Egli è meglio istrutto riguardo al Messico ed alla spedizione di Magellano. in Agost. Giustiniani ; Psalterium htbraeum, graecum, arabicum e chdl-daeum ; in-fol.; B.; A.; V. n. 88 bis. GIORNALE LIGUSTICO 217 par di quelli di cui abbiamo fatto cenno poc’anzi (1), abbiano, almeno occasionalmente fatto parola di Colombo o delle sue scoperte, nel che forse secondo il costume del tempo essi gli collocavano d’allato il Vespucci : ma noi non conosciamo che una sola opera di questo genere che sia specialmente dedicata alla scoperta del nuovo mondo. Essa appartiene per la compilazione alla fine del Secolo xvi e per la stampa soltanto al secolo scorso. È questa lo Hadisinev (2) : scritta in lingua turca ed il cui titolo arabico può forse venir così riassunto : Nuova narrazione: Storia della scoperta delle Indie Occidentali accompagnata da una mirabile descrizione di questi luoghi. Costantinopoli dai tipi del (Rinnegato) Ibrahim Eflendi. Terminata di stampare il 3 Aprile 1730. Questo libro è uno degli incunaboli della stampa Ottomana ed è 1’ opera dello scrittore turco Katib Thchélebi più conosciuto sotto il nome di Hadji Khalifa o Khalfa che visse sotto il governo del Sultano Murad III (1574-1595). Hadji Khalifa non aveva derivate le sue informazioni da sorgenti (1) Per memoria facciamo menzione di un’ opera che venne annunziata in Madrid nel 1881 soto: Origen de los Americanos.... rcimprcsion del libro de Menasseh Ben Israel sobre el origen de los Americanos publi-cado en Amsterdam, ;410 (1650). È superfluo 1’ osservare che Menasseh ben Joseph ben Jsrael non iscrisse alcuna speciale opera sull’ origine degli Americani. Su questo argomento non si hanno di lui senonchè Riflessioni contenute nel suo mp» in occasione del « admirable espar\imiento de los diez Tribus ». (2) In 40 piccolo, fogli senza paginazione per la prefazione e 91 flfc. in recto pel testo, 13 tavole intercalate, un foglio doppio fuori testo per una carta sferica del globo, un foglio doppio per una carta elitica del globo un foglio doppio per un certo che, eh’ io non saprei con sicurezza qualificare, una grande tavola piegata per Io Zodiaco (Bibliothèque de l’Ecole des langues orientales vivantes, in Parigi). 2ï8 GIORNALE LIGUSTICO orientali. Egli stesso dichiara che aveva preso per norma 1 ragguagli contemporanei e le carte diffuse presso dei franchi. Poiché esso intendeva il latino e fece uso per un altro lavoro che porta per titolo la Guerra marittima dei Turchi, delle carte e dei lavori geografici di Mercatore, si ha fondamento per ritenere eh’ egli abbia anche desunto gli elementi principali della sua descrizione dall’ atlante di questo grande geografo. Per quanto concerne gli ulteriori particolari esse possono provenire da qualche cosmografia del genere di quella di Sebastiano Münster. A ciò devesi aggiungere il Tdrikhi amerika keshfi, ossia Storia della scoperta dell’America, edita in Costantinopoli, dalla tipografia del Dsevâïb, nel 1297 (1880) in turco, ed in 216 pagine (1). Noi crediamo che d’ allora in poi, in Costantinopoli ed altrove in Oriente, sieno stati pubblicati alcuni lavori in lingue Orientali del genere di quello di Hadji Khalifa e forse sul fare dei compendii di Washington Irving. Non avendo noi po tuto rinvenire alcun titolo di simili scritti, saremo riconoscenti ai bibliofili, bibliografi e bibliotecari se a compimento delle scarse notizie da noi sopra recate vorranno comunicarci quello che essi conoscono sopra questo interessante soggetto. Henry Harrisse. (1) Iournal Asiatique, t. XIX (1882) p. 188, n.° 103. GIORNALE LIGUSTICO 219 IL FRAMMENTO PAPAFAVA ED I SUOI RAPPORTI COLLA POESIA EROTICO-ALLEGORICA DEL SECOLO DECMOTERZO Nell’ esplorare il domestico archivio de’ conti Papafava al signor Vittorio Lazzarini è venuto fatto di rimettere le mani su quello strumento, rogato nel 1277 da un notaio padovano, a tergo del quale costui o un suo ignoto collega s’ era piaciuto alquanto tempo appresso ricopiar quel notevole documento della nostra antica poesia che va sotto il nome di Lamento della sposa padovana (1). La scoperta inattesa era tale da riuscir gradita agli studiosi, ed il signor Lazzarini si è affrettato a renderla loro profìcua, divulgando sollecitamente per le stampe una nuova e fedele riproduzione del-l’importante componimento, accompagnata da un facsimile (per verità non riuscitissimo) e da poche ma giudiziose osservazioni (2). Eccoci or dunque in condizioni quanto mai favorevoli non solo per cercar di risanare alcune delle molte piaghe che deturpano il testo e che certuni coi malcomposti em-piastri avevano inciprignite ; ma per tentare altresì (e questo soltanto io voglio fare) di sciogliere il quesito che da un bel (1) Poiché il carattere in cui è scritta la poesia richiama assai quello dell’ istrumento, non è vietato congetturare che l’una come l’altro sian opera della penna medesima. (2) II Lamento della Sposa Padovana nuovamente edito di su la pergamena originale, Bologna, Fava e Garagnani, 1889, pp. 13 (Estr. dal giorn. Il Propugnatore, N. S., V. I, P. II, iasc. 5-6). 220 GIORNALE LIGUSTICO pezzo in qua i critici si sono proposti ; quale sia cioè il contenuto di codesta poesia, che io, non potendo proprio iassegnarmi a chiamare più a lungo col vecchio ed incongruo titolo, dirò d’ora in poi semplicemente il frammento Papafava. Che si tratti infatti d’ un frammento di maggiore scrittura niuno dubita ormai (i). Ma di quale scrittura? Su questo proposito se ne son dette parecchie: oggi però l’opinione prevalente è quella che il degno ser Alberto, chiamato Trogno, ci abbia conservato ne’ suoi rogiti un lacerto di poema dram matico o narrativo (2). Codesto non è tuttavia 1’ avviso e Lazzarini. Il poemetto, secondo lui, piuttosto che dramma tico o narrativo potrebbe esser stato morale 0 didattico. Ed in esso a dovea trovar luogo l’assempro di (C ^on '1 » çilosia », di perfetto amor coniugale, di cui ci resto a » nel discorso della sposa che risponde alla proposta di donn » Frixa ora perduta; esempio onde poi, nella seconda part » del frammento è ricavata, al solito, una moralità per ^ ^u0 » pellegrino ». « La figura della donna fedele, continua il Lazzarm, » non propriamente storica, sembra certo ispirata a recent » ricordi d’imprese cristiane in Pagania; il pellegrino m » vece e i suoi amori, più che a una realtà, direi che ac » cennino ad un significato morale (3) ». (1) Cfr. Lazzarini, 0. c., p. 6, il quale, pur tessendo un diligente elenco di quanti si occuparono della poesia, non rammentò come anche il nier abbia sostenuto vigorosamente che il preteso Lamento non era un frammento € senza capo nè coda » , in un suo articolo inserito n Giorn. Stor. della Lett. Ita!., IV, p. 423. E poiché le osservazioni ivi espo ste indussero il Gaspary a modificare nella edizione italiana della sua Storia alcuni apprezzamenti da lui prima formulati sull’ indole del coni ponimer.to, anche per questa ragione meritavano d’ essere menzionate. (2) Cfr. Bartoli, Stor. della Lett. hai, V. II, p. 98 e Renier, 1- c· (3) 1. c., p. 6-7. GIORNALE LIGUSTICO 221 L’opinione qui esposta dal giovine critico, sulla natura del componimento a cui il frammento appartenne, è fuori di dubbio la più verisimile fra quante son state emesse sin ad ora; ma ne consegue eh’ essa sia per l’appunto la vera? A me Γ attenta lettura del frammento suggerisce invece un’ altra ipotesi, e l’ipotesi si è questa: che i centotto versi, giunti per mero caso fino a noi, siano stati staccati da un poema, non già narrativo o morale, ma tale che offriva fusi insieme questi due caratteri ed accoglieva ad un tempo altri elementi; insomma, per farla corta, da un poema allegorico-amoroso. Sedotti dall’ ingenua freschezza (così ben rilevata dal Bartoli) dell’ episodio colorito ne’ primi cinquanta versi del frammento; dal grazioso quadro della pura e tranquilla esistenza, che conduce nella sua « camerella » la sposa fedele, dedicata tutta al culto d’un affetto prepotente, ma casto ; i critici (parlo in generale) si sono troppo poco curati di quanto l’autore passa a dire dopo aver mostrato come la virtù della moglie costante trionfi degli insidiosi sofismi della enimmatica donna Frisa, consigliera scervellata, se non disonesta addirittura (i), Ed essi hanno avuto gran torto, giacché, come diceva maestro Janotus de Bragmardo a Gargantua , ibi jacet lepus. Proprio nelle ultime due serie di versi che chiudono il frammento, noi dobbiamo ricercare gli elementi per risolvere la questione. Quando adunque la sposa saggia ha terminato di lavar il (i) Curioso nome questo di « donna Frixa » ! Nulla però permette di dubitare che esso non sia stato un vero e proprio nome di persona, quando si rifletta che documenti veneti del sec. xi e xn ci fanno conoscere de’ Flamengi, Torengi, Brabanxpni, Ungari, e cosi via. Vedi Rajxa, Contrib. alla Stor. delT Epop. e del Rom. Medioev., VII, in Romania, XVIII, p. 53· 222 GIORNALE LIGUSTICO capo a donna Frisa, il poeta si affretta a riprendere la pa_ rola per dipingerci l’impressione fatta da que’ semplici? ma efficaci ragionamenti sulle donne che le stavan intorno. Niuna fra esse, egli dice, trovò che la leggiadra propugnati ice dell amor coniugale avesse torto; ma tutte invece giudicarono mirabile 1 accordo che regnava fra lei ed il suo sposo; D . accordo così profondo, che, avvivato com’ era dal caldo desiderio di piacersi reciprocamente, valse a mantenerli sempre lontani da ogni contrasto, ed impedì che niuna nube, se non lievissima, venisse ad offuscare la inalterata serenità della loro vita (i). E il sentimento delle donne è condiviso dal pellegrino. 0 chi è questo pellegrino eh’ esce fuori così inaspettato per noi, ma del quale il poeta parla come di personaggio già ben noto ai suoi lettori? Tale evidentemente che nella por zione del poema ora perduta rappresentava una parte di sin golare importanza: anzi, debbo arrischiarmi a dirlo? forse addirittura quella del protagonista. Ma proviamoci a rileggere, prima di giustificar codesta asserzione, i versi che lo riguardano : Questa fo bona çilosia ke ’l fin amor la guarda e guia; 75 e questa voi Io pelegrino aver de sera e da maitino, e an’ no i ave desplaxere s’ ella volesse ancora avere en verso lui nochan....... k’ ancora un poco li revella {2). (1) vv. 51-72. (2) Codesti quattro versi (77-80) son stati cosi maltrattati dal copista che riesce più che difficile, non dico restituirli a corretta lezione, ma intenderli anche all’ ingrosso. Se io ne propongo quindi un’ emendazione GIORNALE LIGUSTCIO 223 80 Mai el à si ferma sperança ke ’l ere’ complir la soa entendança e far si k’ eia Γ amerà e fe’ liai li porterà (1). Eia li sta col viso claro quan’ li favela; mai de raro i aven quela rica aventura, k’ el’ è sì alta per natura ke quando el è da lei apresso 90 de dir parole sta confesso (2) alquanto radicale me ne verrà accusa di temerario? Il testo si potrebbe modificar così a mio credere: E an no i ave desplaxere se Ila volesse ancora avere en verso lui [la donna bella??] k’ancora un poco li rebella; cioè a dire ; « e anche non sarebbe dispiacente [il pellegrino] se la bella (e qui forse c’ era un nome proprio) che gli resiste ancora, volesse avere per lui quella «buona gelosia», da cui sono scaldati i cuori della donna saggia e del marito suo ». Di rebellare = resistere, far contro, si hanno esempi antichi. (1) Se io non m’inganno sopra codesto verso deve fondarsi chi voglia restituir il senso ai v. 55 e segg.: e si la tene, si liale cum’ bona dona e naturale; k’ eia tendè tanto al mario ke ’l so deserio fo compì io ecc. Ma non basterà correggere l’inintelligibile e si la tene, si liale in e si la tene fe Itale, se si lascia qual’è il verso che segue. Io non capisco infatti che lode sia per una donna il chiamarla « naturale ». Non si dovrà quindi interpretare è come verbo e legger in conseguenza: e sì la tene fè liale, cum bona dona, è naturale, k’ eia tendè tanto al marìo ecc. ? (2) E qui pure quale singolare espressione! 0 che vuol dire sta confesso ili parlare? Io ci perdo il latino. Non sarà quello sta un intruso dovuto al sta contento del v. seguente? Ma del confesso, che ci è attestato legittimo dalla rima, cosa ne facciamo? 224 GIORNALE LIGUSTICO e sta contento en lo guardare: altro no i aolsa demandare. E si i avravel ben que dire! querir mercé, marcé que(ri)re 95 mille fiae e più ancora se ’lli bastas’ e tempo e ora. E ki credi vu k* ella sia? Eia è de tal beltae compila k ’el no è miga meraveia 100 se ’l pelegrin per lei se sveia (i). An’ no devrav’ el mai dormire, mai pur a lei mercé querire, mercé k’ ella el degnase amare ke malamentre el fa penare. I05 Mai el non osa el pelegrino; tutora sta col cavo enclino: mercé non quere, mai sta muto; sospira el core e arde tuto. Qualcuno si è domandato se il pellegrino sia innamorato della sposa fedele, e se la ferma speranza che gli sorge in cuore di potere « complir la soa entendança », sia quella di riuscire là dove donna Frisa ha avuto la peggio; ad indurre cioè la moglie fedele nella risoluzione di ricompensare i suoi sospiri, rompendo fede al consorte lontano (2). La domanda a me pare, per non dir altro, bizzarra. Come mai si può pensare che l’avversaria di donna Frisa e l’oggetto dell’a- (1) Parrebbe adunque che si fosse antecedentemente parlato di un sonno del pellegrino. O che il pellegrinaggio stesso avvenisse in sogno? Non ci sarebbe da stupirne. (2) Cfr. Renier, 1. c., il quale ammette che « la donna cantata nell’ultima parte dal pellegrino., sia la sposa che si lamenta prima ». Ne dubita invece il Gaspary [Stor. della Lett. hai., V. I, p. 97), il quale espone pure in forma interrogativa l’opinione che a me sembra la sola accettabile. GIORNALE LIGUSTICO 225 clorazione del pellegrino siano una sola e medesima persona ? Ma se basta legger con qualche attenzione il frammento per rimaner subito persuasi del contrario ! Oggetto di invidiosa ammirazione per il pellegrino è la « bona çilosia », creata e guidata da amore, che unisce la saggia sposa al marito; da uguali sentimenti ei vorrebbe veder animata a suo riguardo colei che sta in cima di tutti i suoi pensieri, giacché senza gelosia non esiste amore (1). E sebbene a giudicarne dalle apparenze, non ci sia grande probabilità che i suoi voti vengan presto esauditi, pure ei non dispera di arrivare, o prima o poi, a « complir la soa entendança » ; intanto si nutre della speranza e della contemplazione della sua donna, quando codesta « ricca avventura » gli è concessa. E davanti a lei, tanta ne è Γ eccellenza, la sua vita si raccoglie tutta nello sguardo; il cuore gli manca, il labbro ammutisce. Quante ardenti preghiere vorrebbe innalzarle! Quante e quante volte chiederle mercè ! Ed invece anch’ egli, come l’amante di Torquato, Brama assai, poco spera e nulla chiede. Or come si fa, domando io, a non riconoscere in questa descrizione dello stato d’ animo in cui versa il misterioso pellegrino alla presenza della sua donna, un esempio dei più caratteristici degli effetti dell’ amore, quali si piaceva rappresentarli la poesia erotica e cortigiana del tempo; a non rinvenirvi le tracce di quel sentimentalismo di convenzione (ignoto sempre alla musa popolare), che l’imitazione dei provenzali aveva introdotto nella poesia nostra, ed al quale un poco più tardi la cognizione e lo studio della produ- (1) Qui non \elat amare non potest ; è regola d’ amore formulata in una lettera della contessa di Champagne presso Andrea il Capellano ; vedi E. Trojel , Middelalderens Elskovshoffer (Kjobenhavn, 1888), p. 158. Giorn. Ligustico. Anno XVI. 226 GIORNALE LIGUSTICO zione allegorico-amorosa di Francia avevan dato quasi una seconda vira, impulso più gagliardo e giovanile vigore ? O non son qui forse rappresentati i rapporti dell’ amante e dell’amata secondo i precetti più rigorosi della scienza erotica cortigiana; non è questa oggetto d’un culto nebuloso, astratto, che la trasforma in essere impalpabile, di natura incerta, a metà donna, a metà visione; non è quello il solito « servo d’amore », che si pasce di lacrime e di sospiri, che affronta con instancabile rassegnazione ogni male, ogni pericolo, che supera tutti gli ostacoli, sostenuto dalla ferma speranza che giorno verrà in cui de’suoi affanni gli sarà concesso il compenso ed egli otterrà quella « mercè », che non ha mai cessato di chiedere ; la « mercè » che è lo sguardo, il sornso, il bacio, tutto (1)? Alziamogli dunque il cappuccio a codesto pellegrino; o che ci troviam sotto se non un amante? E ce ne farem noi meraviglia? Tutt’ altro. Basterà infatti che voi-giamo uno sguardo in giro per convincerci che codesto travestimento non ha nulla di inusitato. L’idea di riavvicinare il pellegrino, che intraprende un lungo e disastroso viaggio per recarsi al santuario dove sciorrà il suo voto; che nella sospirosa attesa della meta lontana va, va, dimentico o inconscio delle noie e del male del cammino; all’amante, il quale assume ei pure ogni più ardua impresa, sia materialmente che moralmente parlando, pur di giungere all’ acquisto della donna amata, si presentava troppo spontanea, troppo piena di attrattive alla mente dei poeti medievali perchè essi rinunziassero ad approfittarne (2). Gli esempi che potremmo addurre son tanti, (1) Cfr. Ronconi , L'amore in Berti, di Ventadora e in Guido Cavalcanti (Propugn., V. XIV, P. I. p. 55) e Trojel, 0. c., p. 137- (2) E prima che i poeti d’amore l’avevano sfruttata i moralisti. Raoul d’ Houdan cosi scrive la Voie d’Enfer e la Voie de Paradis (Paris, La Littér. Fr.mç. au. M. A., pp. 161 e 228), poemi accolti con tanta festa GIORNALE LIGUSTICO 227 che se c’è imbarazzo per noi, esso sta nella scelta. Ma uno soprattutto non conviene dimenticarlo; giacché ce l’offre quel fonte da cui « molti rivi sono stati dedutti », e delle cui acque i poeti erotici di Francia e d’Italia hanno « bevuto a satietà », come direbbe messer Mario; il Roman de la Rose. Allorché la fortezza è crollata sotto i dardi infocati di Venere, l’amante non si trasforma forse in pellegrino per cogliere la Rosa ? E la Rosa non si tramuta ella stessa, metaformosi bizzarra si, ma indispensabile, nel Santuario al quale il nuovo palmiere si reca? (1) E come nel gran poema di Jean de Meung, che bentosto per la stessa strada si mettono Rustebeuf e Baudoin de Condé. I quali sognano tutt’ e due di andarsene in paradiso in assetto di veri e propri pellegrini : Pris oi bordon , Eschierpe, si comme chil autre Pelerin. ; s’oi chapiel de fautre E boin tabart, si que n’ en mente, Bon dras lignes et chaucemente, Et deniers dont mestier avoie; si dà cura di dirci molto ingenuamente Baudoin (Dits et Contes de Baud. de Condé, ed. Scheler, V. I, p.267). I preparativi di Rustebeuf sono più spicci : En sonjant escharpe et bordon Prist Rustebues et si s’ esmeut ; Or chemine et si ne se muet.... (.Rustebuef’s Gedicbte, ber. von A. Kressner, p. 145). I tre Pèlerinages di Guillaume de Deguilleville , dai quali trae probabilmente origine il celeberrimo Pilgrim’ s Progress di John Bunyan (cfr. Paris, op. c., p. 228) sono ispirati al Roman de la Rose per ciò che spetta all’ architettura dell’opera. (1) Tantost comme bons pèlerins’ Hastis, fervens et enterins De cuer, comme fins amoreus, Vers Γ archière acueil non pèlerinage... E port 0 moi par grant esfort Escherpe et bordon grant et fort. (Le Rom. de la Rose, ed. F. Michel, V. II., p. 337: e cfr. ibid., p. 518). 228 GIORNALE LIGUSTICO Γimmagine del « Pellegrin d’amore » si offre in molte altre composizioni che da quello hanno, più o meno direttamente, tratta l’ispirazione. Pellegrino è Niccolò di Marginai, quando per conseguir il possesso dell’amorosa pantera si ieca l’inaccessibil dimora di Fortuna l’avventurosa (0> Pe^e grino diviene, e non una sola volta, Francesco nostro da Barberino (2). E qual duro pellegrinaggio è quello intra preso nella parte decimasesta del suo Reggimento dal giure consulto toscano ! Paga qui un passaggio. Avanti; avanti. To’ qui una scorta. Or passa come puoi. Guardati qui! Vedi una gente armata, Vedi colui che chiama li scherani? Or fuggi qui; trapassa quanto puoi; Et nota qui ! Or passa quel gran fango. Mangia di questo pane di castangnia. Quest’ è mal letto ; or pur non ti langniare. Armati ben di drappi a questi venti : Bei di quell’ acqua, che non ci è del vino. Leva per tempo; non churar del freddo; Entra illa nave, non temer dell’ onde ; Dio sia con teco. Già par tu smarito? (3) Che più? Se dal tempo di cui discorriamo passiamo al secolo decimoquarto ecco il Petrarca lagnarsi ancora che Amore g abbia fatto cercare deserti paesi Fiere e ladri rapaci, ispidi dumi, Dure genti e costumi (1) La Panthere d’Amors, ed. H. Todd, Paris, 1883, v. 1294 e segg. (2) Del Reggimento e Costumi di donna, ed. Baudi de Vesme, P· VI, IV, 4° e segg.; P. IX, VI, 61 e segg. (3) Op. cit., P. XVI, II, 100-12. Ma è da legger tutto il cap. II che descrive da cima a fondo 1’ allegorico viaggio. GIORNALE LIGUSTICO 2 29 Ed ogni error eh’e’ pellegrini intrica; Monti, valli, paludi e mari e fiumi (1); e se procediamo anche più in là, noi ritroveremo sempre i poeti affaccendarsi con singoiar compiacenza a trasformare Γ amante, soprattutto se disavventurato, in romeo : Un bordon, un cappello, un fiaschettino voglio portare e gir pel mondo errando, chè per amor son fatto peregrino. Valete, amici; a voi mi recomando. Non vo cercando nè pane nè vino, ma il mio ben, il mio amor vado circando, il qual fin ch’ i non trovo, a capo chino, Siempre piangendo 1’ andarò chiamando. Così canta Panfilo Sasso (2) ; e nelle tranquille sere estive le belle odono ancora, per quanto dura il cinquecento, sonar sotto le loro finestre il lamento appassionato dello Sventurato Pellegrino: Nigra voglio la schiavina, Portarò il negro bordone; Dar mi voglio desciplina, Sempre stando in ginocchione; Chi me haverà compassione A questo mio pianto doglioso? Mai non voglio haver riposo Fin che ho fatto il mio camino (3). (1) P. II. Canz. VII, 4. Cfr. anche P. II, Canz. V, 2. Ed ogni lettore ripeterà adesso fra sè il celebre sonetto (P. I, XII) in cui il poeta paragona sè stesso, errante in cerca della « desiata forma vera » ■ della sua donna, al « vecchiarei canuto e bianco », il quale si reca a Roma per venerar 1’ effigie di Cristo. (2) Strambotti in Ferrari, Bibl. di Lett. Pop., V. I, p. 293, n. LVIII. E cfr. anche il n. LIX. (3) Intorno alle ristampe di codesta poesia, che conservava ancora la sua popolarità sui primi del sec. xvn, ved. Bibliofilo, a. VIII, n. 5, p. 66. In una stampa veronese del 1609 essa è seguita da una seconda barzel- 230 GIORNALE LIGUSTICO Ed ora parrai lecito il tentativo di rivestire di forme più concrete e più determinate la mia ipotesi. Io suppongo adunque che il poema, di cui il rogito padovano ci ha serbato una parte probabilmente piccolissima, avesse larghe proporzioni (i) e fosse consacrato a descrivere i travagli d’ un amante, che aspirava al possesso d’ una beltà inaccessibile o quasi. Mancano i dati per decidere se codesta beltà fosse nel concetto del poeta una donna in carne ed ossa, o una semplice astra- letta della stessa indole composta sul cader del Quattrocento da Giorgio Sommariva, patrizio veronese, e caduta bentosto nel dominio popolare (cfr. un bell’ articolo del mio Neri in Propugn., V. X, P. 1, p· lS3 e seëS·)’ la quale comincia : Per il mondo tapinando Voglio gir ala ventura , Poiché ’l ciel e la natura La virtù rilassa in bando. Per il mondo tapinando. Faccio far 1’ abito mio Che portar propongo in dosso ; Come è fatto, amici, a Dio, E parentia più non posso; Nè mia polpa, nervo e osso Vedrà mai più creatura , Poiché ’l ciel e la natura La virtù rilassa in bando. Per il mondo ecc. Pellegrino è adunque anche costui ; ma la sua miseranda ac dolorosa p^e-grinatio, com’ ei la dice, non ha per cagione amore. (i) Cfr. anche le osservazioni del Renier, 1. c. E dell’indole del poema ci è testimonio la stessa forma metrica, che può parere alquanto strana. Ma essa ad ogni modo non ha nulla a che fare col Serventese duplice, al quale ricorre per spiegarla, non so perchè, il Lazzarini (op. c·, p. 8). GIORNALE LIGUSTICO 23I zione (1); ma non si può invece dubitare che l’amante fosse messo in scena sotto le spoglie d’ un pellegrino, che andava errando per rintracciare colei di cui era preso. Ed in questo suo vagabondaggio non gli dovevano certo mancar avventure, ne occasioni di incontrarsi con altri servi d’amore, dame 0 cavalieri ; i quali gli eran larghi (come vediamo succedere al buon Francesco da Barberino (2) ) di consigli, di conforti e d’aiuti. Talché forse appunto per dar soddisfazione ad una domanda da lui fatta sulla natura d’ amore e sull’ eccellenza sua, erasi accesa dinanzi ad un assemblea di donne (3) la controversia tra Frisa e la sposa fedele, in cui si ripete evidente, a mio avviso almeno, il dibattito fra la dama folle e la saggia, così grato ai poeti francesi (4). Nè mi pare di camminar (1) Che gli amori del pellegrino siano allegorici sospetta il Lazzarini (op. c., p. 7): e la cosa è tutt’ altro che improbabile. (2) Cosi nella P. IV del Reggimento (III, 19 e segg.) Francesco chiede notizie della sua bella a certe donne che vanno « alla festa », e ne ottiene ragguagli soddisfacentissimi. Nè meno cortesi gli si mostrai) i cavalieri ai quali si abbatte nel suo terzo viaggio (P. IX, VI, 13 e segg). Che più? Perfìn gli animali proteggono il pellegrino d’ amore ; e quando egli si aggira spaurito fra sassi e ruine giunge inattesa un’ orsa a trarlo d'impaccio (ibid., 61 e segg). (3) « Troppe ipotesi! » dirà forse qualcuno. E ne convengo ancor io; necessità vera di supporre che « le donne » descritteci dal poeta come spettatrici del contrasto abbiano formato una specie di concilio, di tribunal d’ amore non c’ è. Ma d’ altra parte con questa supposizione non si spiegherebbe ottimamente la presenza del femminile uditorio? Nè si può obbiettare che le adunanze festose in cui si proponevano dubbi e quesiti amorosi fossero ignote alla società elegante italiana del sec. XIII, giacché e l’antico Giudizio d!Amore edito dal Mussafia e gli esempi testé raccolti dal Renier (Gìorn. Stor., XIII, 382) offrono agevolmente maniera di sostenere il contrario. (4) Alludo ai contrasti La Folle et la Sage e Gilote et Johane, editi dal Jubinal nel Nouv. Ree. de Contes, ecc., V. II, p. 28 e segg., 73 e segg., sui quali cfr. anche Hist. Litt. de la Fr., XXIII, 260. 232 GIORNALE LIGUSTICO fin qui del tutto fuori dal terreno solido de’fatti. Accennando alle sorti che (certo parecchio tempo dopo che il contrasto era a\venuto (i_)) toccarono alla moglie costante, il poeta esce a dire eh’ ella • · . . tendè tanto al mario ke 1 so deserio fo complio (2). Ma anch essa dunque, come il pellegrino, aveva un intento da 1 aggiungere, volea « complir la soa entendanca »; e questa non potea essere se non quella felicità amorosa, che a donna Fusa, secondo che esigeva la sua parte, dovea parer impossibile si trovasse nel matrimonio. Ma, concesso che il frammento Papafava sia residuo d’ un poema erotico-allegorico quale io me lo raffiguro, d’ un Pellegrinaggio d amore., come si potrà più a lungo riconoscervi il frutto d un ispirazione originale, popolare, affatto scevra da ogni influenza di scuola? Come ammettere che prima di essei fissato sulla membrana di ser Trogno esso sia stato, cosi suggerisce il Lazzarini, « abbastanza divulgato nel popolo » (3) ? Il Gaspary, alla cui perspicacia non poteva sfuggire il carattere così apertamente aulico delle ultime strofe, afferma che il frammento è forse il solo fra i tentativi poetici che conosciamo dell’Alta Italia, il quale si avvicini di (i) A me (1 ho già accennato) par evidente che il poeta voglia sbarazzarsi della sposa saggia, messa in scena nell’episodio precedente, riassumendo in pochi tratti le vicende della sua vita, dopoché il ritorno del consorte le ebbe ridata la felicità e la calma. Quando invece si creda, come altri ha fatto, che coi v. 55-72 l’autore rievochi inquadro delle gioie domestiche gustate dai due sposi prima della loro separazione, caschiamo in un inestricabile ginepraio. (2) Op. c., vv. 57-8. (3) Op· c., p. η. GIORNALE LIGUSTICO 233 più alla lirica cortigiana : ma, egli aggiunge subito, nella prima parte esso è però popolare ed originale (i). Oia in che consiste questa popolarità ed originalità della prima parte del frammento , che nella seconda è tutto pregno di convenzionalismo scolastico? Evidentemente in questo soltanto che per bocca della sposa fedele vi è celebrato l’amor coniugale; e che questo, secondo le teoriche della scienza d amore divulgate dalla lirica occitanica ed anche dalla francese, non può esser mai vero amore (2). Via, quest’è un esagerazione; esagerazione in gran parte provocata dalla felsa credenza che il frammento nostro fosse una lirica. E del resto se la poesia antica non rivolge abitualmente le sue simpatie all amor coniugale, ciò non impedisce però che essa faccia parecchie eccezioni. Accanto agli adulteri, più o meno pudichi, che essi celebrano, quante coppie felici, legate da legittimi nodi, non troviamo noi esaltate nei poemi anche più avventurosamente cavallereschi? O dove le lasciamo tutte le principesse e, se Dio vuole, anche le fate de’ romanzi del ciclo brettone che coronano le loro incredibili peripezie amorose con un buon matrimonio? E non è iorse proprio colà dove le teoriche dell’amore cavalleresco sorgono e fioriscono più rigogliose, in Inghilterra, alla corte del primo Enrico, che noi udiam celebrarsi la prima volta colei che diverrà Griselda e si offrirà attra- (1) Stor. della Lett. liai., trad. Zingarelli, V. I, p. 97. (2) Cfr. la celebre lettera già sopra citata della Contessa di Champagne, chiamata a giudicare utrum inler conjugatos amor possit hahere Jocurn (Trojel, 0. c., p. 157). La dama decide negativamente per varie ragioni, fra le quali è da notar questa: quia vera inter eos ^elotypia inveniri non potest, sine qua verus amor esse non valet. È quasi inutile osservare che nel nostro frammento quel che distingue 1’ amore dei due sposi è per l’appunto la « bona çilosia » I 254 GIORNALE LIGUSTICO verso i secoli modello meraviglioso di affetto coniugale? (i) In Italia d’atronde e a mezzo il dugento (giacché io non so vedere alcuna ragione di far risalire più in alto la composizione, da cui il frammento nostro venne avulso (2)) la corrente in favore del matrimonio è fors’ anche più forte che altrove. Leggasi il Reggimento, troppo poco studiato fra noi; si pensi che è opera del poeta forse più profondamente imbevuto de dettami-delia poesia provenzale che sia apparso in Italia nella seconda metà del secolo xiii, e si dica poi s’io albia torto ad esprimermi in questa maniera. Insomma, io non trovo punto strano che in un poema erotico ed allegorico del secolo xiii si sia dato luogo alla celebrazione dell’amore fra marito e moglie; nè posso credere che per esso il poema stesso venga a cangiai natura, e che in mezzo alle acque stagnanti derivatevi dai fonti oltre montani, si debba in conseguenza additarvi una vena fi esca di (1) Alludo, come ognun intende, al celebre Lai de Frêne di Maria di Francia; il cui soggetto venne poi così abilmente sviluppato da Renaud in quel vero gioiello che è il Roman de G alerent, scoperto dal Boucherie e dato soltanto lo scorso anno alla luce. Cito di preferenza codesti poemi, perchè gli autori non possono esser sospettati di celebrar 1’ amor comu gale per intenti morali, come è il caso di Matfre Ermengaud e di qualche poeta francese, Jean de Condè, per esempio. (2) Io non so proprio vedere su quali basi poggi l’opinione invalsa che il frammento Papafava abbia ad essere molto più antico del rogito che ce 1’ 'na conservato. Nè la lingua nè lo stile hanno nulla d arcaico. Talché ove si insistesse a voler vedere nell’augurio di vittoria che la sposa fa al marito recatosi « in Pagania » un’ allusione esplicita a qualche avvenimento storico, io non avrei veruna difficoltà a metter m^ nanzi la spedizione in Egitto di Luigi di Francia (1249), alla quale 1 Veneziani efficacemente cooperarono (cfr. Romanin, Storia docum. di Venezia, t. II, p. 250). E se qualcuno volesse risalire a tempi anche più recenti e credere che il poeta abbia alluso all’impresa di Tunisi (127°)» per la quale anche Rustebeuf aveva elevati fervidi voti e che finì cosi male, io non vedrei motivo di oppormi. GIORNALE LIGUSTICO 235 ispirazione popolare. Il popolo qui non ha proprio nulla a che vedere. L’importanza del frammento Papafava non sta dunque, a mio giudizio almeno, nell’ accozzo quanto mai ibrido ed inesplicabile di elementi aulici con altri di origine popolare che esso offrirebbe, se dessimo retta a cenuni; ma bensì in ciò che esso è probabilmente uno de’ primi frutti di quell’ ammirazione, della quale eran divenuti oggetto fra noi il Roman de la Rose e tutta quella produzione poetica che intorno ad esso s’ andò rapidamente formando. Di codest’ ammirazione, che si risolve nell’ imitazione più 0 meno pedissequa, porgonsi documento in Toscana il Fiore e quel curioso Detto del fino amante, che coll’ opera del gran poeta di Meung ha rapporti forse men immediati di quel che generalmente si creda (1). Nell’Alta Italia di questo movimento letterario, che del resto era naturalissimo vi nascesse, non avevamo indizio sin qui; io sarei quindi ben lieto se gli studiosi si accordassero con me nel rinvenirne un primo e notevole vestigio nel frammento Papafava. Genova, 20 Maggio 1889. Francesco Novati. (1) Cfr. Gorra, Introd. al Fiore, in Mazzatinti, Invent. dei mss. delle Bibl. [tal. di Fr., V. Ili, p. 608. Si potrebbe qui ricordare anche II bel pome, corona di nove sonetti allegorici evidentemente ispirata dal Rotti, de la Rose ad un poeta del sec. xiv (cfr. Giorn. Stor. della Lett. It., VI, 223 e segg.). 236 GIORNALE LIGUSTICO SPIGOLATURE E NOTIZIE Una recente monografìa del di. nostro collaboratore . magg. Vittorio Poggi CO, ha messo in rilievo la peculiare importanza della chiesuola ai S. Pietro in Albisola Superiore dal punto di vista della storl.an 6 r? l’archeologia locale. Situata al centro degli avanzi dell’antica Alba Uo-cilia, e della curva descritta allo sbocco di Val Sansobbia dall andamento della via Aurelia, la chiesuola di S. Pietro è l’anello che collega le memorie dell’epoca romana, rappresentata dalle grandiose r°vin®, , Alba Docilia ond’ è cosparso tutto all’ intorno il terreno , a quelle 1 1’ epoca feudale , evocate dal turrito castello i cui ruderi incoronano vetta del colle che le sta di fronte. Unico superstite fra tante ruine,’· riporta al periodo di transizione fra Γ oppido romano e la villa ™arcl naie. Ciò che rimane della sua primitiva ossatura lascia intravec“erf:.r ■ costruzione del secolo vili basata su fondamenta romane. L e 1 porta le traccie di una ricostruzione posteriore, la cui data seni ra p tersi far risalire al secolo xn. . :] E tradizione accreditatissima che la chiesuola di S. Pietro siar?“.fia primo edificio eretto per l’esercizio del culto cristiano in Alba Do j ed abbia costituito la parrocchiale di quest’ oppido durante più s600..1’ ç a che, sorta verso il Mille la moderna Albisola sulle falde del colie stellare, la parrocchialità venne incorporata nella nuova chiesa 1 Nicolò, il cui campanile, infatti, porta la data del 1067. La ctu. r_ S. Pietro passò allora, coi beni annessi, nel patrimonio privato dei ‘ chesi di Albisola, e come tale figura in atto del 1x22. Molte altre vi e trasformazioni subì 1’ edificio nei secoli posteriori. La cappella g in forma di quadrilatero non è che una superfetazione relativa moderna, poggiata sulle rovine della chiesa antica. . .037; Anche questa cappella fu ridotta a mal partito dal terremoto e ond’è che per lodevole iniziativa del tanto benemerito prev°st° ^ Tstru-can. Giovanni Schiappapietra, venne testé presentato al Ministero e zione Pubblica un ricorso diretto ad invocare l’aiuto del · tant0 una congrua restaurazione della vetusta chiesa, e ad_ ottenere 1 -one l’autorizzazione di procedere coll’ opera dei parrocchiani alla dem delle mura pericolanti. _ . , cap. Il Ministro fece buon viso alla instanza, e promise di provve e · piamo che fu spedito sul luogo per la parte tecnica 1’ ingegn® . a Giordano, e che venne in pari tempo ufficiato il lodato magg. se ^ riferire circa all’importanza storica ed archeologica del monurne ' n_ prevosto fu autorizzato a por mano alla demolizione deIle mur quassate dal terremoto; e l’illustre archeologo comm. D Anf °,ja sta elaborando, d’incarico del Ministero, il disegno del monurne j ricostrursi nello stile originario delle reliquie superstiti. * * * In Lodi dalla Tipografìa Quirico e Camagni è uscito il seguente libro* Fontanabona. Luigi, Conventi Francescani della Liguria Orientale (ioooj. (1) Vittorio Poggi, Albisola. — Appunti archeologici, storici ed artistici. Savona, 1888. GIORNALE LIGUSTICO 237 Nel Bollettino storico della Svinerà italiana (A. XI, n. 3-4, pag. 93) è pubblicata una lettera (già edita nel n. 4 dell’ Indicatore Mirandolese) di Carlo Amoretti scritta P8 settembre 1806 da Isolabella al padre Pompilio Pozzetti. * * * Il sig. Pier Luigi Gelmi in occasione delle nozze Solerti-Saggini pubblica il canto proemiale del poema di Bartolomeo Gentile Falamonica. L’editore non dice donde l’abbia esemplato, anzi indicandolo come « proemiale del volume i> del nostro poeta genovese, potrebbe credersi sia stato appunto tolto dal volume mandato in luce nel 1877 (Genova Tip. della Gioventù) per le cure del prof. Giuseppe Gazzino, dove si legge per intero il poema. Cade quindi il sospetto messo innanzi ne La Letteratura (A. IV, n. 10) che quel canto «sembra più probabilmente fattura dell’ editore ». * * * Nel Giornale storico della Lett. liai. (XIII, 321) si pubblica un articolo bibliografico sopra alcuni manoscritti autografi di Gabriello Chiabrera posseduti dal marchese Gaetano Ferrajoli di Roma. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Giuseppe Sanesi. Stefano Porcari e la sua congiura. Studio storico. Pistoia. Fratelli Bracali. 1887; pag. 156. Riunire tutto ciò che si sapeva del Porcari; stabilire certi fatti che prima erano dubbi 0 appena accennati, valendosi di documenti nuovi ed esaminando il maggior numero possibile degli scritti antichi e moderni intorno al cospiratore, per poter così rischiarare, almeno in parte, il mistero nel quale si trovava avvolto il Porcari; e questo poi scagionare da alcune taccie che gli venivano apposte; mettere insomma in una luce più vera e l’autore della congiura e chi ne fu l’oggetto, troppo fin qui calunniato il primo, troppo lodato il secondo; ecco lo scopo del libro, dichiarato dall’ autore nella breve prefazione. Nè altro fine poteva proporsi chi si era accinto a scrivere la storia del noto cospiratore romano, del quale molti hanno parlato dal secolo xvi a noi, non sempre in modo esatto ed imparziale, e di cui ancora restavano ignoti negli archivi di Stato e nelle biblioteche di Bologna e Firenze, molti documenti importanti per la sua vita politica. Poche pagine riguardano i primi anni di vita del Porcari, non ben nota anche dopo gli studi del Tommasini e del De-Rossi. Nel 1427 è capitano del popolo di Firenze, dove egli, come lo dice il Gregorovius (St. di Roma, VII, pp. 115) « di mente fantastica e di coltura classica, smanioso di gloria, entusiasta dell’idea dei tempi scorsi, dei suoi inesperto », tenne viva con eloquenti orazioni la scintilla della libertà, ed entrò nel circolo dei più famosi umanisti. Poi, dal novembre 1432, per la durata di sei mesi, è podestà di Bologna, sotto il pontificato di Eugenio IV. Stanco, termi- 238 GIORNALE LIGUSTICO nato l’ufficio, si ritira a Camaldoli; ma ne esce nel maggio del 1434 Per andare podestà a Siena; colà gli arriva l’eco dei moti republicani di Roma contro Eugenio IV, ond’egli si offre di essere mediatore tra le due parti. L· respinta dal papa la sua offerta: ma non perciò cessa di essergli amico. 10 prova 1 interesse mostrato da Eugenio IV per lui quando egli è condannato dai sindaci eletti ad esaminare la sua amministrazione come podestà di Firenze; lo prova meglio ancora la nuova carica che il papa gli dà, di Rettore e Podestà di Orvieto, nel 1435, dove Monaldeschi Muffati e Monaldeschi Melcorini si guerreggiavano senza tregua. E là, mentre cerca di ricondurvi la pace, attende a compilare i capitoli di una nuova costituzione. Poi non si sa più nulla di lui fino al 1447, nel quale a“no muore Eugenio I\ . Allora, prima che venga eletto il nuovo papa, il Forcari pronuncia nella chieaa di Aracoeli una notevole orazione, nella quale ricorda l’antica e libera Roma, e propone che i Romani vivano d allora in poi «a capitolo coi pontefici, come facevano ogni altra piccola borgata », ma tu interrotto: e le sue parole caddero nel vuoto: L’a. crede perche si ripercossero nel cuore di pochi: non e tolto tuttavia con ciò ogni valore all’ osservazione già fatta dal Gregorovius (Vili. 117) e dal Cipolla (Signorie, p. 447) sull’autorità dell’Infessura, che cioè « se anche i avessero nutrito il pensiero di seguirne i suggerimenti, c’era a Ίινοι, fin dal principio di gennaio Alfonso di Aragona venuto cola, non si sa prebbe ben dire, se per aiutare altri o per avvantaggiare se stesso ». Il nuovo papa prese il nome di Nicolò V. Della sua vita anteriore al pontificato, dei suoi studi e della sua coltura umanistica l’a. discorre a lungo per poterci presentare meglio il carattere del suo reggimento, del qua e poi discorre non brevemente anche per il tempo anteriore alla congiura del Porcari (1). Fu pontefice lodato da tutti; il suo nome fu avvicinato per certi rispetti, a quello di Leone X: ma quanta cura si diede egli e suo popolo? Lo migliorò? La corruzione era profonda ed egli non la combattè: la miseria grande e generale ed egli fu benefico non verso di tutti. Su questo punto non è esatta dunque la testimonianza di Nicolò de a Tuccia, del Piccolomini, del Ciacconio, del Platina. Un esame accurato de a « Conformatio Curiae Romanae » impedisce di credere che ei fosse pel suo popoli^ quel principe che avrebbe dovuto e potuto essere. Nè gli scrittori contefnporanei gli fanno merito di quelle qualità cha il nostro a. gli ne®a,' a che dunque ricorrere, per averne nuova testimonianza, all’opinione de Cantù, che nega a Nicolò V l’amore per i suoi sudditi? Anche questa opinione non ha valore se non in quanto è ricavata essa pure^ dag 1 storici più autorevoli , e dalle carte che ci parlano del cospiratore romano. Il nuovo papa, che delle idee del Porcari sapeva qualche cosa dopo la famosa arringa della chiesa di Aracoeli, lo manda governatore della Campania e della Marittima con residenza in Ferentino. Dopo breve tempo, restituitosi a Roma, il P. ne è cacciato in esilio a Bologna ; ciò avviene, secondo l’a. tra il 1449 e il 1450. La ragione non appare ben chiara all a. 11 quale non accetta la testimonianza di Nicola della Tuccia, che il Porcari cioè si sia reso colpevole per aver invitato il popolo Romano ad insorgere quando fosse a Roma l’imperatore, come quella che toglierebbe (1) È a dolere non abbia conosciuto il libto importante di Giovanki Sforza, La p*atria, la famiglia e la giovinc^a di Niccolò V. Lucca, Giusti, 1884. Avrebbe di certo modificato alcune· sue opinioni espresse nel testo e nella nota a pag. 44 del suo libro. GIORNALE LIGUSTICO 239 ogni valore, egli dice, alla dichiarazione del Tuccia, secondo il quale Stefano rimase a Bologna u circiter annos tres ». <1 Allora, scrive il Sanesi, non che tre anni Stefano non sarebbe stato in Bologna neppure uno ». Ma perchè? Federigo III non fu forse a Roma nel 1452? -È non eran passati allora appunto tre anni dal principio dell' esilio del Porcari che l’a. stesso colloca tra il '49 e il '50? Intanto, nel 1452, scoppia di nuovo la guerra tra Milano e Venezia: con quella si unisce Firenze, Napoli con questa; pare che il papa favorisse la causa dei Visconti: Stefano che secondo i cronisti dell’ età, nell’or-dire la congiura ebbe l’appoggio di qualcuno più potente di lui, fu egli con Firenze? Lo scrittore della cronica di Bologna (Cipolla. Signorie. 482 n. 2) dice che cosi si sospettò. L’a. nostro invece sulla testimonianza di alcune lettere di Girolamo Machiavelli, ambasciatore fiorentino a Perugia, crede che ciò non si possa annettere: a lui pare piuttosto che il Porcari trovasse appoggio nel re Alfonso di Napoli. Certo è che il P. in Bologna preparò la congiura: ed alla fine, nel dicembre del 1452, se ne fuggì a Roma, facendo meravigliare del suo ardimento il cardinale Bes-sarione, che ne diede tosto avviso al papa. Angelo di Maso accolse col P. quelli che gli si erano uniti per tentare il colpo nel di, da loro stabilito, dell’Epifania. Ma la trama fu scoperta e il delitto punito prima ancora che compiuto. Allora il papa si trovò in mezzo a due opposti partiti: quello dei curiali stranieri, che facevan gran colpa a Roma di tale cospirazione, e l’invitavano ad uscirne, provocando magari uno scisma : quello degli Italiani che 1’assicuravano invece della fedeltà della maggioranza dei sudditi, e gli consigliavano quindi la clemenza ed il perdono. Quale lo scopo della congiura? dalle « depositiones Stephani Porcarii λ l’a. ricava che il P. avrebbe voluto prendere il papa coi cardinali e prelati presenti nella chiesa di S. Pietro la mattina del 6 gennaio, durante il pontificale e, se facessero resistenza, minacciarli, percuoterli, ucciderli. Allora gli sarebbe stato facile avere Castel S. Angelo; in seguito avrebbe preso altre deliberazioni opportune. Il documento non dice ciò che ei volesse poi fare di Roma. L’essenziale dunque delle confessioni del P. fu taciuto: ed allora la fantasia di molti si sbizzarrì a traversole ipotesi più fantastiche, le quali presero poi sembianza di realtà. La posizione del P. venne aggravata: privo dell’aureola del martire egli doveva comparire come un volgare masnadiero. Da ciò forse deriva la disparità dei giudizi dati su di lui dai vari scrittori, ed il dubbio dell’autore degli Annales for 0-livienses, il quale scrive: « fama est ipsum Stephanum offectasse Romani ad pristinam libertatem seu imperium velie reducere, clericos dominio temporali liberando ». Cosi ancora un’ altra grande congiura, ispirata, come quelle del Pazzi, dell’Olgiati, del Boscoli, e di Lorenzino dei Medici, da idee umanistiche, era riuscita a male, perchè « il P. non conobbe le condizioni di tutta Italia, nè conobbe che il popolo non avrebbe risposto al suo invito o avrebbe ben presto ricondotto sul trono il pontefice ». Tale è il cammino, certo malagevole, percorso con grande abilità dal giovine a. il quale, avendo saputo opportunamente tenere in relazione la storia del P. con quella di Roma e dei pontefici, è riuscito a darci una bella narrazione della importante congiura romana, senza obbligare il lettore ad essere, come fu ben detto da altri, collaboratore con lui. Giovanni Filippi. 240 GIORNALE LIGUSTICO Curiosità Foscoliane in gran parte inedite a cura di Camillo Antona Ira versi. Bologna, Zanichelli, 1889. Segue 1 editore con questo volume quel suo febbrile proposito di raccogliere, quanto più può, documenti, notizie, scritture d’ ogni ragione atte ad illustrare la vita e l’ opera letteraria del Foscolo. Nella lunga e un po’ larragginosa prelazione si discorre delle vicende che subirono i manoscritti e le carte lasciate dal poeta, toccandovi anche di quelle attualmente in possesso di persone private; inoltre si discute intorno ai criteri de’primi e ltor‘ delle opere, donde si passa a ragionare degli autografi e del di--ltt0 Ùn ProP.riet^> digredendo prolissamente sul responso de’ tribunali nella causa Drambilla-Sforza-Carrara, in ordine alle note lettere Manzoniane. titolo di curiosità ci dice da se che tutto quanto viene qui raccolto non presenta una grande importanz 1, nè tutto è inedito; ma poiché maagevole potrebbe riuscire allo studioso il ricercare in pubblicazioni perio-lc/e 0 occasionali di tempi diversi alcune di quelle cose Foscoliane, possono tornare non inutili insieme riunite ed accompagnate da nuove indicazioni od illustrazioni. Torna anche opportuno il confronto di certe scritture già edite del Foscolo vuoi in versi vuoi in prosa, che sono qui aate secondo gli autografi o le stampe prime, non pervenute a notizia a altri prima d’ora. Cosi recano qualche buon contributo alle vicende e opera e degli scritti Foscoliani alcuni documenti nuovi che sono posti in luce solamente in questo volume. μ ^ Ugo Foscolo schema di una tragedia inedita, ora la prima volta pubblicata a cura di Camillo Antona Traversi. Città di Castello, Lapi, 1889. D.il noto Piano di studi del Foscolo avrebbe potuto apparire che egli avesse già bell’ e composto per la scena 1’ Edipo; ma veramente non ne rimane se non un abbozzo della prima idea, e per soli tre atti, con alcuni frammenti; il tutto disteso in prosa. L’autografo esiste a Livorno fra 1 manoscritti molteplici del nostro poeta conservati nella Biblioteca Labronica ; e di qui lo ha tratto il Traversi. Egli rende conto di ciò nella prefazione, dove si distende ad esporre lo svolgimento della tragedia omonima di Sofocle, a fine di rivelare, per quanto è possibile dall’ informe schema rimastoci, la diversità d’ intendimento che muoveva il Foscolo a riprendere quell’antico e leggendario argomento. Forse l’editore ha voluto porgere un saggio del lavoro a cui attende intorno alle tragedie foscoliane, eh’ ti si propone rimettere in luce. Camillo Antona Traversi. Il Catalogo de’ manoscritti inediti di Giacomo Leopardi sin qui posseduti da Antonio Ranieri. Città di Castello, Lapi, 1889. Narrate da prima le vicende di queste carte dopo la morte del Ranieri, e toccato della causa civile alla quale han dato luogo, rispetto alla rivendicazione di proprietà da parte degli eredi del poeta recanatese, produce il catalogo, compilato per uso legale. Quantunque sia semplicemente descrittivo e non bibliografico, pure porge indicazioni abbastanza diligenti e non prive d’interesse. Notevoli gli inserti dove si conserva una parte del carteggio ricco di bei nomi, e dove lo studioso potrà spigolare certamente con molta utilità. Pasquale Fazio Responsahile. GIORNALE LICUSTICO 24I La VIA AURELIA ED IL POLLUPICE NEL TERRITORIO DI PIETRA LIGURE Alle egregie cose che compirono in guerra, i Romani fecero corrispondere insigni opere di pace. Le costruzioni romane hanno un’ impronta di grandiosità, degna veramente di quel popolo. Gli anfiteatri, gli archi, gli acquedotti, le terme e le strade, che ancora esistono e sfuggirono alle ingiurie dei secoli e degli uomini, ne sono una splendissima prova. Le strade romane, come è noto, erano pubbliche, private e vicinali; quest’ultime erano quelle che guidavano ai vichi. Le vie pubbliche si distinguevano in militari, consolari, pretorie, e via dicendo. Le vie se erano selciate si dicevano strate, se no terrene; glareate erano quelle coperte di ghiaia. Lungo le strade e per i campi ad esse adiacenti erano i sepolcri, ove si ponevano i cadaveri 0 le ceneri dei cadaveri cremati. In agris sepulchra fuisse iuxta militares et publicas vias ; in quibus cadavera, ac si cremata essent, cineres ponebant (1). Le leggi delle XII Tavole vietavano si seppellissero i morti in città : In urbe ne sepelito, ne urito. Fu derogato a questa legge dal Senato Romano, soltanto per le ceneri degli imperatori, dei (1) Plutarco, Rtr. Roman. Giokn. Ligustico. Anno XVI. l6 242 GIORNALE LIGUSTICO trionfatori dei nemici, e delle vergini vestali, che si seppellivano nella città, rinchiuse in apposite urne. Datimi autern decreto Senatus his qui triumphassent, et cum eorum corpora cremata essent, in urbe ossa et cineres referrent, humique mandarentur (i). Secondo Varrone, ponevansi i sepolcri lunghesso le strade, affinchè servissero ad ammonire i passeggieri che tutti siamo mortali. Talora, nelle iscrizioni mortuarie, si faceva appello alla pietà dei viandanti affinchè mandassero un saluto al defunto e gli rendessero propizie le divinità infernali (2). Due descrizioni di tutte le strade sono pervenute a noi; 1 Itinerario di Antonino e la Tavola Teodosiana o Peutinge-riana, le quali oltre le città, notano le mansioni e le mutazioni che s’incontravano lungo le vie ed erano state istituite da Cesare Augusto. Mansioni dicevansi i luoghi dove erano stabiliti edifizi pubblici per accogliere e ricoverare gli imperatori, gli ambasciatori, i legati, e quartieri per dare ricovero ai soldati. Ne avevano cura i mancipii 0 stazionari, i quali dovevano invigilare che non si recasse danno alle vie, tenere in freno i ladri e i vagabondi, e procurare che non fosse turbata la pubblica quiete. Le mutazioni erano luoghi destinati allo scambio dei cavalli. Ecco che cosa ne dice il Cam-den (3) : Ad has vias militares locatae sunt civitates atque mansiones, quae manendi et quiescendi causa hospitia necessariis ad vitae usum instructa habuerunt, et mutationes : sic enim vocavit illa aetas, ubi veredos, iumenla et vehicula mutarunt pere-grinantes. Le mansioni erano per lo più distanti fra loro, ο da una città, sedici miglia; ma in Italia comunemente non oltrepassavano le dodici miglia romane. (1) Cicerone, De legibus, lib. II. (2) Bergier, De publicis et militaribus Imperii Romani viis. (}) Britannia, pag. 41. GIORNALE LIGUSTICO 245 Dal militario aureo, posto nel mezzo del Foro romano, partivano tutte le strade in diverse direzioni per le provincie dell Impero. Fra queste era la via Emilia, detta anche Jure-lia, per distinguerla dall’ altra via omonima che conduceva a Rimini e di là, per la Gallia Cisalpina, sino ad Aquileia. Fu questa via costrutta dal censore Caio Aurelio Cotta , donde appunto il suo nome di Aurelia. Però anche prima delle vie romane, si rammentano strade in Liguria; ed una di esse, che passava pel colle di Tenda, vuoisi fosse aperta dai 1emosfori, coloni fenici, che si dedicavano all’estrazione dei metalli, i quali allora non facevano difetto nella regione delle Alpi marittime (1). Ma più sicura è la notizia fornitaci da Tito Livio, di una altra strada per la quale passò il cartaginese Magone, durante la guerra mossa dagli Ingauni agli Epanterii. E, se mi fosse lecito esprimere il mio avviso e la convinzione profonda attinta dall’ esame accurato dei luoghi, aggiungerei che altra ve n’era la quale da Toirano, paese e vico antichissimo, portava alla Gallia Cispadana. Emilio Scauro, nell’ anno 645 di Roma, costrusse tutto il tratto della via Emilia, che da Luni portava ai Vadi Sabazì; e la strada fu poi prolungata dai Vadi sino alla Gallia per opera di Augusto. Disputano gli eruditi se questa via passasse lungo il litorale fra Genova e i Vadi; nè vale a togliere la loro discordia l’autorità di Strabone, interpretato finora in diverso modo a seconda delle rispettive idee sulla questione. Nondimeno pare a me, che giovino a dirimerla poche e semplici riflessioni. Non vi è dubbio che, secondo V Itinerario, strada litoranea fra Genova e i Vadi non v’ era, mentre invece essa è segnata nella Tavola con tutte le stagioni. Ma l’itinerario e la. Tavola (1) Celesia, Porti e vie strate dell' antica Liguria. 246 GIORNALE LIGUSTICO Borgio, paese antichissimo, fin dal 1076 donato ai monaci benedettini di S. Pietro di Varatella dal vescovo d Albenga Deodato. Ce ne convince l’esame dei luoghi e la menzione spesse volte fatta della via romana, nelle visite dei confini che, per ordine della Repubblica di Genova, si eseguivano, di tempo in tempo dal Podestà della Pietra. Fra le varie v'‘ site ne ricordiamo una, fatta dal podestà Bernardo Bossa-rino, nella quale appunto si descrive il percorso di questa ■via che viene chiamata strada romana (1). Alle falde del monte di Verezz], negli scavi fatti per la costruzione di una palazzina, attualmente di proprietà del signor Bernardo Sta ricco sindaco di Borgio, si rinvenne una tomba della quale parleremo fra poco. Da questo punto la strada continuava in direzione di Borgio, traversava il rivo di Bombano e si internava nella regione detta della Falle, fra la chiesa vetustissima di S. Pietro, ora di S. Stefano, antico ospizio dei PP· Benedettini, ed il monte Grosso. E seguitando la direzione dell antica strada, che tuttora esiste, traversava la proprietà del signor Francesco Devincenzi di Antonio, ove pure si rinvennero sepolcri; poscia spingendosi nella regione detta del- l Arbasco, veniva a sboccare precisamente dinanzi all antica cappelletta di N. S. del Soccorso. Nell archivio parrocchiale e municipale, negli atti notarili, e tatta più volte espressa menzione di questa strada col nome di romana (2). Dalla chiesuola di N. S. del Soccorso, la strada volgeva pressoché nella direzione attuale, ma assai più bassa, al torrente Maremola, che però attraversava alquanto più in su dell’ attuale ponte vecchio. Sul torrente Maremola· (1) Archivio di Stato in Genova. Fogliazzo Confinium, anno i$9^· (2) Archivio Parrocchiale. Libro dei legati e memorie Borro; PaNERI, Sacro Giardinetto ecc. — Archivio Comunale. ?arlamentorum a. 1777 > Libro dell' Amministrazione Centrale, pag. 51. GIORNALE LIGUSTICO 247 era un ponte, il quale esisteva ancora nel 1216 (1), poiché se ne trova espressa menzione nell’ istrumento di retrocessione del castello della Pietra, fatta dal marchese Enrico II di Savona al vescovo Oberto II di Albenga, in seguito a sentenza dei consoli di Genova, colla quale il marchese Enrico era condannato a restituire il detto castello al vescovo. Traversato il torrente Maremola, la strada volgeva a mezzogiorno, passava alle spalle del borgo e delle mura della Pietra, sopra le ultime pendici del monte Trabocchetto; ed è ricordata, varie volte, nel libello spiccato dal detto vescovo contro il marchese Enrico nel 1216; quindi scendeva al torrentello dei Ponci 0 Ponti poc’ anzi già ricordato. Dal rivo dei Ponti, e precisamente nell’attuale direzione, saliva sul poggio dei Cortesi; e presso la terra, attualmente di proprietà del signor Giuseppe Negro fu Damiano , formava un bivio dove era posta, come di consueto, una edicola dedicata ai Lari Compitali, la quale venne più tardi sostituita dalla pietà dei fedeli con una imagine di S. Antotonino. Da questo punto la strada correva nella stessa direzione dell’ attuale via dei Cortesi, presso della quale, nella villa del dottore Nicolò Bosio, si rinvenne una lapide che mi fu gentilmente donata; indi proseguiva verso Loano, passando sotto il poggio di Monte Carmelo, c, volgendo a mezzogiorno, su due ponti che tuttora esistono a Loano, lungo Γ attuale via provinciale ; dei quali ponti uno, evidentemente romano sul fossato dei Prigliani, tuttora conserva il nome di Pontasso. Traversata la pianura del Borghetto ed il torrente Varatella, nella regione detta dei Ponti, la strada saliva il capo d’An^io, ora S. Spirito, ove si rinvenne una lapide alle dee Matrone. Da questo punto infine la strada si dirigeva verso Albenga. (1) Archivio di Stato in Genova, Paesi in lettera — Pietra. 248 GIORNALE LIGUSTICO La lapide sopradetta tu rinvenuta sul capo S. Spirito nel 1 ^79 5 anzi, volendo essere precisi, si rinvenne un cippo di pietra con la seguente iscrizione: MATRONIS P. DIDIVS CAI II NICVS V. S. L. L. Presso 1 epigrafe sterraronsi non poche monete d’ argento e di rame coll’effigie di Vespasiano, di Antonino Pio, di Marco Aurelio e di Faustina, e diversi cocci di tegole, anfore e frammenti di vasi di vetro (1). Queste matres 0 matronae, erano deità tutelari tenute in grande venerazione. Un cimelio, trovato a Cemenelo, è dedicato da un tale Publio Enostalio Matronis Vediantibus. A Brescia si rinvenne una lapide, che conteneva la condanna di Tertulla ad essere sepolta viva, da parte delle dee Matrone, perchè era venuta meno ai suoi sacri doveri di sposa (2). L’iscrizione, da noi riportata, formò oggetto di una comunicazione del dottissimo abate Sanguineti alla Società Ligure di Storia Patria (3). Si tratta di un voto che P. Didio Callinico scioglie alle dee madri. Le sigle V. S. L. L. non sono conformi alla solita forinola con cui si chiudono queste epigrafi votive, la quale suole esprimersi con V. S. L. M., cioè votum solvit libens merito. In questa in vece dell’ M vi è un altro L. Si potrebbe leggere lubentissime, ma, come osservava il prelodato ab. Sanguineti, non si deve dissimulare che in questo significato si sogliono i due L rappresentare uniti. Quindi F unica interpretazioue che si possa dare è di leggere: libens (1) Vedi Fanfulla della Domenica, 23 novembre 1879. (2) Celesia, Teogonie dell’ antica Liguria, pag. 92. (3) Seduta del 20 aprile 1883 : Sezione di Archeologia. GIORNALE LIGUSTICO laetus. Si è visto che presso questa iscrizione si rinvennero monete coll’ effigie di Faustina. Sono due le Faustine, divinizzate dopo morte dal Senato Romano, che ebbero presso di noi culto ed edicole. L’ una fu moglie di Antonino Pio e detta maggiore, Γ altra figlia di questa e moglie di Marco Aurelio, detta minore. In Pietra Ligure rimangono tuttora traccie del culto della Faustina maggiore, essendo scolpita la testa di lei in un disco, infisso nel frontone del palazzo municipale con la scritta: DIVA FAVSTINA. A complemento di quanto abbiamo detto, sul percorso della strada, osserviamo che essa, sboccando dalla forra di Bollavano si dirigeva verso la Pietra, e che il castello di questo nome fortissimo arnese di guerra nel medio evo , fu sempre la chiave di questa strada. Nel 1240 il marchese Lancia, vicario imperiale di Federico II, mosse da Alessandria appositamente per assediarlo. Più tardi, in una lettera, del doge e degli anziani di Genova a Gerolamo Cattaneo, commissario nella Riviera di Ponente, troviamo fatte vive istanze allo stesso affinchè persuada gli Albinganesi ad aiutare i Pietresi nel riattamento delle mura, poiché la Pietra è la chiave dell’ agro albinganese : Nani is est aditus propter quem hostes in agrum albin ganensem transire possunt, quo clauso et munito, tutiores erunt in suis finibus (1). Descritto il percorso della strada, vediamo che cosa sia questo specioso Pollupice, che Γ Itinerario fissa a dodici miglia da Vado e ad otto miglia da Albenga. Il Serra (2) fa derivare la parola Pollupice dal greco, πδλύ (molto) e πείκειν (scardassare); e vuole àie Pollupice, come pure Andora, traessero la loro origine e fondazione da colonie greche venute nei (1) Archivio di Stato in Genova Registro. Litterarum ann. 1451-1458, n.° 18, 1794. (2) Storia dell'antica Liguria, vol. I, p. 96. 250 GIORNALE LIGUSTICO nostri paesi. Ma come si può parlare di etimologia quando non si è ben sicuri del nome stesso, trovando talora scritto invece di Pollupice, Pollticipe, Lollupice, Sollupice e Polubice? Gli eruditi poi spropositarono a man salva su questo Pollupice; alcuni, come Carlo Stefano (1) e Abramo Ortelio, ne fecero una città grandissima ; altri, come il Garoni (2), lo ridussero alle misere proporzioni di un torrente. Per noi, altro non era che una delle solite mansioni lungo la via militare. Nè meno spropositarono gli eruditi, specie i tedeschi, quando si trattò di fissare un luogo moderno corrispondente all ubicazione del Pollupice; poiché loro si acconcia l’acuta osservazione del Durandi, veramente conforme ai dettami del-P esperienza e della ragione: « Per lo più (egli scrive) l’erudizione non basta, per discoprire vari popoli e luoghi rammentati dagli antichi. Vi si vuole insieme una cognizione locale e la combinazione vi si vuole di varie notizie doventi minute ed oscure che s’ acquistano sul luogo » (3). Fra gli eruditi, primo Simler (4) collocò il Pollupice in Finale, senza citare le ragioni di così gratuita asserzione; e dopo di lui Ves-seling (5) e tutti gli altri tennero per fermo che Finale corrispondesse all5 antico Pollupice. Ora è ovvio ritenere che questa mansione fosse sulla via romana ; e siccome Finale è molto distante dalla via Aurelia; la quale sappiamo che passava per Orco e Feglino, cosi siffatta ipotesi cade di per sè stessa , senza bisogno d’ulteriori confutazioni. L’ opinione poi di alcuno, che il Pollupice fosse Γ attuale Finalmarina, sfugge all’ assurdo soltanto per cadere nel ridicolo. (1) Dictionarium historiarum. (2) Codice diplomatico della Liguria, p. 79. (3) Il Piemonte Cispadano antico, p. 1. (4) De Alpibus commentarius, p. 225. Elzevir del 1633. (5) Vetera Romanorum itineraria. GIORNALE LIGUSTICO 25I Ma Cluverio, antiquario dottissimo ed acuto critico, riferendo Γ opinione di Simler e degli altri geografi ed eruditi precedenti, non si perita di affermarla falsa e priva di fondamento (1). Il canonico Navone (2) stabilisce il Pollupice in Toirano; ma egli è autorità troppo sospetta, poiché siffatta sua gratuita affermazione ad altro non mira che a rendere più probabile la storiella della venuta di S. Pietro sul monte Varatella per fabbricarvi la celebre basilica a lui dedicata. Il Celesia (3) fissa il Pollupice in Giustenice; e il Durandi (4) lo colloca presso il torrentello di Bottanano, che divide il territorio del comune di Pietra Ligure da quello di Borgio. Però queste due ultime opinioni si conciliano benissimo, come vedremo, con quanto noi sosteniamo. Finalmente Reichard, Lapie, Fortia d’Urban (5), Valchenaer (6), Zuc-cagni-Orlandini (7) e molti altri , concordemente fissano il Pollupice nel territorio di Pietra Ligure. Il Garoni (8) sostiene che il Pollupice altro non è che il torrente Pora, cosicché la parola Pollupice risulterebbe composta di pora e pie, 0 picco 0 pice, e vorrebbe dire torrente delle rupi; ne trova le relique nel Portio, e cita un documento del Liber iurium in cui è nominato il portus Vosarum et Varinoti. Dal nome di quella regione, detta Porupicia, sarebbe derivato Porupitio, quindi Porutio e finalmente Portio. Queste sono stravaganze filologiche paragonabili soltanto (1) Italia antiqua, p. 70. (2) Dell’ Ingaunia, vol. II, p. 19. (3) Il Finale Ligustico. — Fanfulla della Domenica, 23 novembre 1879. (4) Op. cit., p. 92. (5) Entrambi furono sui luoghi, e per conto del Governo francese misurarono le distanze. (6) Géographie ancienne, vol. I, p. 294. (7) Corografia dell’ Italia, § Pietra. (8) Op. cit., p. 79. 252 GIORNALE LIGUSTICO al fatto di quel capo ameno che fece derivare la parola wo lino da Baldassare. Ma il Garoni va per la maggiore e trincia sentenze con una sicurezza piuttosto unica che rara. Egli (1) dice : « la presenza dell’ uomo non perisce mai affatto nei luoghi dove egli è vissuto : le grotte rendono le ossa e armi fossili, i laghi e le terre palustri scoprono le Pa a dell’età della pietra, dappertutto dov’ebbero sede uomini 10 mani di qualsivoglia generazione si trovano anticaglie 1 ornane, o tante, 0 poche, o di grande 0 di piccolo pregio ; m Vado e in Albissola, come in Ventimiglia e in Albenga e in Ge nova. Nelle molte città e nei moltissimi paesi marittimi popolano le spiaggie fra Vado ed Albenga, e nemmeno in in Finalmarina (menomale!), la terra non ha mai ieso ne una moneta, nè una scodella, nè una pietra qualunque ro mana ». Ora come può il Garoni affermare ciò con tanta sicurezza? come può egli, senza tema di errare, assenre . ri Al- in tutti i paesi che popolano la spiaggia fra Vado e benga, la terra non ha mai reso nè una moneta nè una pietra romana? Nel territorio di Pietra Ligure si rinvennero anticaglie romane non poche e di singolare pregio , che P1U sotto saranno descritte. Senonchè, ritornando al Pollupice, un primo importantis simo argomento a nostro favore sta nella distanza che esi steva fra esso e Albenga e i Vadi. U Itinerario fissa il lupice a XII miglia da Vado e a VIII da Albenga. Volere o no, dodici miglia romane, partendo dal Vado antico, coni putando il miglio romano a metri 1481, 20 e tenendo conto della direzione che aveva la strada, ci portano assai più occidente di Finale, come pure le otto miglia da Albenga, per cui, anche tenuto conto di qualche errore in più ° in meno, per le maggiori tortuosità della strada, bisogna convenire ii) Op. cit., P. 77. GIORNALE LIGUSTICO 253 che Pollupice era situato nelia pianura la quale si stende fra Pietra Ligure e Borgio. L'importanza di queste distanze non poteva sfuggire ai partigiani del Finale ; per cui alcuni, tra essi il Garoni, presero a sostenere che le lettere Μ. P. significano plus minus e non millia passuum, come è da tutti gli eruditi concordemente ammesso. Basta infatti ricordare che ad ogni miglio ponevansi pietre, dette appunto milliari, per convincersi del niun fondamento di siffatta ipotesi. Inoltre il Pollupice era a tre quinti di strada da Vado per andare ad Albenga ; Finale si trova invece situato in proporzione inversa, cioè a due quinti di strada da Vado e a tre da Albenga. Ciò fu riconosciuto in una risposta a stampa del Comune di Finalborgo contro Finalmarina (1) Ma il Cellario (2) va più oltre, ed invertendo audacemente le distanze dell’ Itinerario fissa il Pollupice a Vili miglia da Vado e a XII da Albenga. Quando si è obbligati a ricorrere a simili mezzi per sostenere un’ opinione, questa è senz’ altro condannata. A confortare maggiormente la nostra conclusione, descriviamo diverse anticaglie dell’epoca romana che in quest’ ultimi anni si scopersero nella nostra regione. A questo effetto è d’ uopo premettere che nel nostro territorio si rinvennero reliquie dell’ uomo, che risalgono a quelle età litiche le quali sfuggono inesorabilmente all’ impero della storia. Ed anzi, se si potesse ritenere che l’uomo stampasse le sue orme sulla terra anche nell’ultimo periodo dell’età terziaria, cioè nel pliocene, non mancherebbero elementi per arguirne l’esistenza eziandio nel territorio di Pietra Ligure (3). Ad ogni (1) Errata-Corrige della Memoria ecc. Genova, Ponthenier, 1832. (2) Notitia oriis antiqui, lib. II, capitolo IX. (3) Issel, Resti di un antropoide rinvenuti nel pliocene a Pietra Ligure; in Boll. Società Geolog. Ital., anno 1886, fase. 30. 254 GIORNALE LIGUSTICO modo ascie di pietra levigata, ascie, piastrelle, freccie ed altri oggetti di bronzo, presso di noi rinvenuti, attestano luminosamente la presenza dell’ uomo nel progressivo svolgimento di quelle età remotissime. Ma per la questione attuale è sufficiente ricordare che in molte grotte si rinvennero reliquie dell’epoca romana, e specialmente in quella detta di Vai (i), che fu un sepolcreto di Liguri dell’ epoca romana. Lungo il percorso, da noi tracciato, della strada romana, alle falde del monte di Vere^i, il giorno 8 gennaio 1885 , scavandosi il terreno per la costruzione di una palazzina, alla profondità di circa sessanta centimetri, si rinvenne un vaso di terra cotta, ossia un’anlora, posta in senso orizzontale, in direzione da nord a sud e rotta all’estremità, dalla parte del suo orifizio, della lungezza di 1, 15, compresa 1 imboccatura, e di 0, 90 sino al punto della rottura e del diametro massimo di 0,47. Dentro di quest’anfora era uno scheletro umano, in perfetta conservazione, appartenente ad un individuo già adulto, e posto in modo che la testa, il torace e il bacino erano protetti dall’anfora medesima, mentre, invece, le estremità erano protette dai cocci di un’altra anfora, di forma sferica, assai più ventricosa, di minore capacità, lunga 0,50 e del diametro massimo di 0,49. I cocci che difendevano le estremità dello scheletro erano posti a modo d; embrice. Il collo dell’anfora maggiore, con due anse foggiate a guisa di auricola pertusa, era posato sopra di essa. Sopra del sepolcro erano piantati alberi di ulivo grossi ed annosi. Le radici degli alberi si erano disposte a modo di un ventaglio attorno all’ anfora maggiore e l’avevano tenuta così stretta, nel loro secolare amplesso , da ridurla in (1) Fu descritta dal prof. Issel in un opuscolo che intitolò : Caventi ossifere del Loanese e del Finalese. Cfr. Boll, di Paletnologia, anno XI, luglio e agosto 1885. GIORNALE LIGUSTICO 255 minutissimi pezzi, i quali erano però tutti al loro posto. Dentro nessuna moneta, lucerna 0 vaso di vetro. Sotto all’anfora il terreno era annerito, probabilmente, dalle parti decomposte e putrefatte del cadavere, che si erano sprigionate dalle crepature del vaso. È questo evidentemente un sepolcro dell’ epoca romana, qualunque sia il nome con cui lo si voglia caratterizzare (1). Non manca chi attribuisce questi sepolcri ai Gallo-Romani, che vissero prima del terzo secolo della nostra era ; basandosi sul fatto che questo strano costume di seppellire i morti entro un’ anfora segata e rotta per metà, fu comune in Liguria ed in Provenza. Il signor Brun ed il colonnello Gayan citano vari esempi di così fatti sepolcri (2). Per noi questi sepolcri, altro non sono che tombe degli indigeni Liguri, i quali, sotto Γ influenza romana, modificarono in parte i loro usi funerari, prendendo dai Romani molte delle loro costumanze e riti funebri. Però molte delle loro consuetudini mortuarie, furono pure da essi conservate, rifuggendo, a cagion d’esempio, dall’ abbruciare i cadaveri, come per lo più solevano fare i Romani. Nè deve recare sorpresa il fatto che presso i Liguri e i Galli fossero in vigore gli stessi usi e riti funebri, perchè è noto che assai prima della dominazione romana in Liguria, i Liguri popolarono la Gallia, dando così origine ai popoli conosciuti col nome di Celto-Galli: Galli a Liguribus non genere sed loco differunt (3). Continuando per la via Aurelia, oltrepassato il rivo di Boi-tafano, nel territorio di Pietra Ligure, vari anni or sono, in (1) I due vasi ed il cranio dello scheletro formano parte del prezioso museo del mio amico Don Nicolò Morelli, dottore in scienze naturali ed appassionato paletnologo. (2) Issel, Caverne ossifere, ecc. (3) Polibio , Historiae, Kb. II, p. 103. 256 GIORNALE LIGUSTICO un terreno di certo Giovanni Demaria fu Carlo, si iin''enne un’ urna formata con tegoloni romani (pentadore) con entro residui di cenere, una lucerna di terra cotta, un vaso di vetro ed altri oggetti. Il fatto di essersi rinvenuti in questa tomba dei vasi di vetro, induce necessariamente a ritenere che le ce^ neri, trovate nell’urna, fossero di personaggio insigne e 1 considerazione, poiché è noto che il vetro era rarissimo e pre zioso, tanto che Tiberio ne proibi Γ uso , temendo che 1 troppo pregio del vetro non scemasse valore all oro ed a Γ argento, e che, sotto Nerone, due calici di vetro, furono venduti seimila assi. Una tomba consimile, lungo la via romana, si rinvenne in un terreno di proprietà del signor Francesco Devincenzi Antonio. Consisteva in una specie di cassetta formata con tegoloni romani, la quale conteneva reliquie di ossa combuste, alcuni vasi di argilla, una piccola lucerna pure di terra cotta, di forma assai rozza, e qualche altro fittile. Queste tombe sono evidentemente romane ; ed è notevole la differenza fra di esse e Γ altra superiormente descritta. Inoltre nella stessa località si rinvennero mattoni romani, (tetradori), come pure in altre località della predetta pianura, e monete romane, fra le quali una coll’ effigie di Marco Aurelio. Seguitando la strada romana, ad occidente di Pietra Ligure, nella regione Chiappe, si rinvennero reliquie romane nella proprietà del signor Giuseppe Ghersi, fra le quali molte di quelle pietre, a poligoni regolari, che servivano a selciare le vie, e monete coll’effigie di Nerone. Ma importantissimo è il sepolcro rinvenuto, vari anni or sono, nella villa del dottore Nicolò Bosio di Pietra Ligure. Lunghesso la strada romana, ora dei Cortesi, in una sua villa, detta Chiappe, alla profondità di circa un metro, il dottore Bosio rinvenne avanzi di tegoloni romani (pentadore) e reliquie di ossa umane combuste, oltre una lapide di marmo bianco GIORNALE LIGUSTICO 257 lunga 0, 245 e larga 0, 28 e dello spessore di o, 02. Dopo attento esame potei decifrarne il tenore che è il seguente: . D . . M . SEVERAE CHRESIMVS CONSERVAI KARIS SIMAE QVAE VIXTT ANN. XXI Come si vede si tratta di un sepolcro sacro agli Dei Mani di Severa, compagna carissima di servaggio di Cresimo, la quale visse anni venti.... Oltre alla forma delle lettere, ci dà un idea chiara dell’antichità della lapide il genitivo arcaico conservai; e questa parola ci fa pure conoscere la condizione servile dei detti due individui. Quel nome di Cresimo svela evidentemente un’ origine greca; ed è nome che s’incontra in altre lapidi, fra cui una riferita dal Grutero (1), dall* Orelli (2) e dal Sangui-ned (3). Si tratta adunque di una persona morta in giovane età, poiché dopo i due X, si scorge la lettera I, la quale non concede di oltrepassare il numero di XXIX anni. Altre antichità romane si rinvennero nel paese stesso di Pietra Ligure. Visitando il castello in compagnia del rev. Don Vincenzo Bosio, trovai in un oscuro andito dei mattoni romani, il tetradoro di Vitruvio. Lungo la via dietro il paramuro, al disopra della quale passava la strada romana, esistono tuttora molti di questi mattoni ; ed altri eguali si rinvennero pure (1) Inscriptionum Romanarum corpus absolutissimum, pag. 1006 n. 2 e pag. 1063 n. 4. (2) Vol. I, n. 1277. (3) Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. Ili, p. 150. Giorh. Ligustico. Anno XVI. I7 258 GIORNALE LIGUSTIGO nella casa di Giuseppe Ghirardi, mentre la si riattava in seguito ai danni del terremoto , come pure in diversi altri luoghi. Tutti questi sepolcri ed anticaglie confermano l’ipotesi nostra, che il Pollupice fosse situato sul territorio di Pietra Ligure. Esso era in sostanza la stazione di Giustenice, paese antichissimo, distrutto ed abbruciato, dopo le guerre Puniche, dai Romani guidati da Aulo Postumio ; il quale paese, in causa della sua posizione, era lasciato iuori dalla strada. Non mancano esempi di altri paesi antichi che esistevano all e-poca dell’ Itinerario, e che non vi figurano perchè fuori di strada; basta infatti ricordare Y oppidum Savane, ove, secondo Livio, Magone depose la preda fatta nel saccheggio di Genova (1). Dal Pollupict, probabilmente, un ramo di via municipale conduceva a Giustenice, ove nella piarci del Costino, sopra quel rozzo sasso che tuttora esiste, i Mancipii teneano ragione, e più tardi gli altri magistrati che ad essi succedettero. Dal rendersi in esso giustizia agli abitanti dei vicini paesi, trasse appunto Giustenice il suo nome (ius. tenere'). Conchiudiamo dicendo, che la distanza da Vado e da Albenga del Pollupice, portata dall’ Itinerario di Antonino, fissa ineluttabilmente il Pollupice nel territorio di Pietra Ligure, nella pianura che si stende fra questo paese e Borgio, conosciuta nel medio evo col nome di planus Malemule, e che le scoperte ivi fatte e i sepolcri rinvenuti illustrano e confermano la verità del nostro asserto. Paolo Accame. (1) Rocca, Op. cit. p. 4. GIORNALE LIGUSTICO 259 DEL SEGNO DEGLI EBREI (Contili, e fine v. pag. 61). Movendo da un punto fermo, in Orvieto veggonsi adoperati gli Ebrei per banchieri già nel secolo XII, e con privilegi a tempo; come nel 1297 per quattro anni (i), nel 1301 per sette (2) e via, secondo l’usato negli altri Comuni. Seguentemente questa gente si rinnalzò. Essendoché il Comune di Orvieto giacendo da molto tempo sotto il peso dell’interdetto per cagione di guerra latta al contado Aldobran-desco, desiderava venire in pace colla Chiesa , ed il Papa per l’assoluzione voleva danaro. Onde si andava facendo fra loro il solito giuoco d’ingrossare la domanda e di assottigliare l’offerta. Tantoché quando pareva in quella gara scandalosa di potersi fermare su i diecimila fiorini d’ oro , gli Orvietani assaltano e battono Montefiascone che predava le vettovaglie ordinate dai loro Ufficiali dell’ Abbondanza per isfamarli nella carestia. Il quale nuovo eccesso, come lo chiamo la Curia, fu tassato alt 11 diecimila fiorini. Montavano in tutto a circa venticinque mila, tra pel Papa, e per le mance ai Trattatori ed ai Curiali; di cui una parte era stata fornita in prestanza da’ banchi de’ Mozzi e de’ Sassetti di Firenze sotto malleveria de’ maggiori e più ricchi cittadini d’Orvieto, altra racimolata con balzelli e preste, altra con vendita di proventi. Restavano tuttavia a provvedersi quindicimila fiorini. (1) Riformagioni del Comune d’Orvieto, a. 1297, c. 32, Ms. Arch. Storico d’ Orvieto. (2) Id., a. 1301, c. 59 e seg, 26ο GIORNALE LIGUSTICO E bisognava finirla. Però il Consiglio delle Sette Arti e ^ Consoli delle Arti, superando le ripugnanze, determino ricorrere agli Ebrei assai doviziosi di Roma. Così iti racco la somma intera; se non solo pel cardinale Pelagiue> c0 missario dell’interdetto; al quale per mantenere il ^r0mejjor regalo di mille fiorini, convenne fare uno sconto, c°me ^ si diceva, de’ molti sbanditi, ladri, incendiari, falsali, mi pagandosi da loro la taglia di dodici lire e dieci sol ι Ρ ^ cento; forse senza che il cardinale ne facesse caso, usa ^ allora spesso quel ribandimento, ogni volta che 1 erario vuoto e le borse affaticate (i). Dopo tutto ciò il padre rn ^ Vescovo Sabinese, Legato della Santa Sede Apostolica, il 2 cernbre 1313, revocò la sentenza dell’interdetto e rilascio ^ le pene, mandans et jubens...... divina officia celebrari publiez voce, campants pulsatis et januis apertis. Gli Ebrei che intei venn ^ ^ in questo negozio ottennero la cittadinanza orvietana, e oltrac ^ potessero pignorare e prendere possesso de’ beni de e 1 > omesse le solennità di ragione; tener questi nelle carceii Comune finché pagassero; non aver carico di rappresa»^ per alcuno; non forzati a prestanza da chicchesia; muniti licenza delle armi da offesa e difesa; i quali privilegi e a minori dovevano aver vigore di legge e di Carta del 1 opo 0 ^ Ma questi benché autentici patti non furono fermi altr tanto, posciachè nel 130 vennero rimossi, e bisognò 1 ann · . -rr- Prefetto dopo tutta l’autorità del principe Giovanni di Vico, di Roma e Signore d’Orvieto a ravvivarne la fede (3)· on dovevano quindi gli Ebrei esser correnti a prestare al (1) Dei, Cron. San., col. 60 (Murat., R. I. S., XV). Ner. Donat., Cron. San., col. 181 (Murat., ivi). (2) Codice Diplomatico della città di Orvieto, pag. 416-420: Firenze, 1884. (3) Riform. Orviet. cit., a. 1352, c. 27, 28. GIORNALE LIGUSTICO 261 mune, il quale per ciò non potendo avere lor danari d’ accordo, adoperava la forza; fra le altre nel 1342, che mancandogli centosettanta fiorini a farne un regalo al canonico Bernardo del Lago Capitano del Patrimonio, egli stesso distribuì quella somma fra loro di suo capo come balzello , promettendo il guiderdone di quattro danari per lira ogni mese ed assegnando alla restituzione la sua Colletta (1). Pure quel Comune dovette essere agli Ebrei migliore stallo che non Viterbo, al trovarsi nel 1396 una brigata di Ebrei Viterbesi accolti novamente in Orvieto con capitoli molto onorevoli : che fossero immuni dagli oneri e servizi personali; che potessero prestare a sei soldi di danari cortonesi, moneta usata in Orvieto, il mese, ogni fiorino; che il Vescovo e Tlnquisitore non potessero costringerli a prestar loro, eglino che recavano a peccato il dare usura non meno che prenderla , e il Comune li difendesse dalle loro violenze ; che fino alla valuta di un fiorino si credesse alla loro parola ; che possedessero pacificamente case, grotte, celiar], campi, orti ed altri stabili; che fossero esenti dalle rappresaglie per cinque anni ; Capitoli accettati dal Comune, a condizione che fra un mese gli Ebrei Viterbesi prendessero abitazione in Orvieto, e ripetuti per altri Ebrei nel 1407 (2). Lo Statuto Orvietano del secolo XIV, secondo il generale costume, per dare adito a’ forestieri, Cristiani ed Ebrei, che venissero a popolare la città, gli esentava dai servigi pubblici e loro accordava le immunità, per un numero determinato d’anni, ed a volte senza limitazione, massimamente se con essi s’acquistava qualche industria novella 0 qualche nuovo conforto alla salute umana; de’quali Ebrei si aveva nello stesso (1) Rifornì. Orviet. cit., a. 1342, c. 891. (2) Id., a. I396> H07» c· 244-47- 2Ó2 GIORNALE LIGUSTICO secolo in Città di Castello medici e chirurghi salariati (i). E gli esempi abbondano. Il forastiero faceva sua petizione a Signori, i quali considerantes legis beneficium generaliter indultum et civitas artificibus et accolis vigere, concedeva loro le immunità domandate e li faceva giurare, i Cristiani per 1 E-vangelio, gli Ebrei per legem Mois e, di stare ad abitare fermamente nella Citta di Orvieto (2). Si aveva ancora 1 avvertenza, per non allontanare i forestieri più modesti ed utili, di moderale le spese pubbliche e quindi anche le loro gravezze (3). Queste considerazioni e decreti sapienti, facevano i nostri buoni antichi, quando d’ economia politica non s’ insegnava per le scuole e non si parlava. Ora che la s’insegna e se ne fa pompa e strazio a buon mercato, ora credono in Francia di medicare 1 infeimo aumento della loro popolazione, nel 1886 calato da 108229 anime a 5560, chiudendo le porte a’ forestieri (4)5 perchè i forestieri si contentano di lavorare di più e d esser pagati meno. Iddio illumini quei nostri vicini. Ripigliamo il filo· Nel predetto secolo XIV, gli Ebrei vivevano in Orvieto mescolati co Cristiani ed in quanto pare agiatamente (5)· Ma nel *443 Frate Bartolomeo da Colle predicando nella quaresima ammoni i fedeli di non chieder più danaro in avvenire agli Ebrei, andandone la coscienza; ed il Consiglio, dietrogli, proibì 1 usura, ed assegnò saviamente ai bisogni dei poverelli un Monte detto di Cristo, che fu il secondo Monte di Pietà (1) Muzi, Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello, I, 227: Città di Castello, 1842. (2) Rifornì. Orviet. cit., a. 1364, genn. 24, magg. 13, a. 1396, I37°> 1371, 1364. (3) Id., a. 1325. (4) L’Economiste Français, i octob. 1887. (5) Riform. Orviet. cit., a. 1367, c. 53, 54. GIORNALE LIGUSTICO 263 dopo quello di Perugia (1). U11 Ebreo fu cittadino Orvietano nel 1334, se non è di quelli privilegiati nel 1313 (2); uno, Ambasciatore del Comune, nello stesso anno (3); altri, Collettori della lira nel 1347 e 1350; prova che gli Ebrei in Orvieto non avevano intero divieto dagli uffizi (4). Quanto al Segno, se, come è certo, nel 1428 gli Ebrei Viterbesi n’ erano immuni , si può stimare che ancora gli Orvietani (5): ma non dico sempre, non essendosene alla fine potuti difendere gli Ebrei ancora sotto il manto de’ Principi più discreti. Finirono in Orvieto per la Bolla di Clemente Vili 0 per quella di Pio V (6). — In Perugia erano annidati gli Ebrei nel secolo XIV, e già portavano il Segno dell’ esser loro negli abiti, con certi ordini cosi nell’ esercizio del prestare ad usura, come nel vivere. Ma in processo di tempo quegli ordini vennero dagli Ebrei trascurati, massimamente quello del Segno che più pesava; e nel 1432 non esisteva più. Laonde per riparare al male di questa mancanza, secondo le discipline della Chiesa, nel predetto anno il Vicelegato di Perugia, allora Vescovo di Forlì e i Priori e Camarlenghi del Comune provvidero e riformarono che ciascuno Ebreo, da otto anni in su, abitante nella .città, e contado perugino, portasse visibilmente cucito nel petto del mantello 0 sacchetto (preso il nome dai frati) un Segno tondo (1) Pii P. U, Brev. 3 jun. 1463. Antonio di Andrea di ser Angiolo dei Veghi di P. S. Angelo, Supplem. alla Cronaca Perugina del Gra\iani, pag. 637: Firenze, 1856. (2) Riform. Orvid. cit., a. 1334, c. 12. (3) Id., a. 1334. c. 85. (4) Id., a. 1347 e 135°· ($) Tuccia, Cronaca di Viterbo, pag. 53: Firenze, 1872. (6) Le ricerche nell' Archivio Storico di Orvieto, furono eseguite dal chiarissimo Cav. Fumi, a cui ne ripeto qui le maggiori grazie. 264 GIORNALE LIGUSTICO di drappo giallo, d’ una tale grandezza, alla pena di quindici lire di denari per ciascuno; e che 1’Ebreo forestiero capitato in Perugia avesse termine due dì a fornirsene anche lui. Quanto alle Ebree dovessero portare per Segno gli Anelli, in Ancona Cerchielli, alle orecchie e un mezzo mantello in dosso alla foggia antica, alla detta pena di lire quindici, salvo le vedove a cui era sufficiente il mezzo mantello di qualunque colore, eccetto nero, monachino e verde scuro, colori più nobili. Si riformò altresì di non tenere usci e finestre aperte di giovedì, venerdì e sabato santo fino che non sonassero le campane (1). Nel 1439 i Priori Perugini rinnovarono altri ordini vecchi contro gli Ebrei. Che eglino non sciattassero bestie (come si diceva dagli Ebrei per dissanguarle bene, secondo il loro rito), e non comprassero carne morta se non in due macelli a ciò deputati, fuori dei quali non potessero far fare veruna generazione carne di cui eglino abbisognassero pel loro vitto, nè potessero donare o vender sangue de’ loro macelli a’ Cristiani, essendo vile di cibar essi quello che per la loro legge rifiutavano gli Ebrei (2). Che nessuno Ebreo comperasse quantità di mosto se non tutto il tino, ed il Cristiano non gliene vendesse se non fino alla vinaccia. E che i detti Ebrei non toccassero veruna generazione frutti in mercato prima di averli comprati, esclusi aglio, cipolle, noci e d’ogni altro frutto di guscio duro (3). Quale sia la ragione di questi due articoli singolari traspare sopra tutto dalla leziosa delicatezza de’ nostri antichi nel fatto del mangiare. Davano 1’ acqua alle mani prima di sedersi a mensa, per timore che alcuno con mani (1) Amai. Decemvir al. Com. Perus. die x et xvn aprilis 1432: Ms. Bibl. Munie. Perug. (2) Levit. XVII, 12. (3) Annal. Decemv. die XII junii 1439, Ms. cit. giornale ligustico 265 non ben pulite toccasse le vivande in tavola, molto più s e fosse a tagliere con lui; prescrivevano per istatuto che nelle ceste del pane vendereccio si tenesse un bastoncello, col quale il compratore additare i pani che desiderava, multando chi li lasciasse brancicare; facevano giurare i fornai che nel fare il pane avessero le mani nette e le ugne tagliate e nitide, e noi mettesseso a lievitare sotto le coltri del letto dove erano stati a doimire ; non volevano che le treccole e fruttaiuole filassero alla rocca mentre vendevano, e in alcune terre che le donne filassero alla fonte o per via (1). Oia se questa schifiltosità passava fra Cristi.ni e Cristiani, di gran lunga aveva ad essere maggiore fra Cristiani ed Ebrei. Mentre la plebe cristiana credeva che eglino puzzassero del corpo, e i suoi savi che Marco Aurelio ed Ammiano Marcellino lo attestassero. Il che essere gastigo di Dio (che avrebbe dovuto bastare senza altro Segno) ; imperocché continuavano que’savi, coll’aspersione dell’acqua battesimale il fetore delle carni ebraiche issofatto cessava : si e vero che gli Agareni per cacciarselo di dosso si resero Cristiani (2). E puzzavano veramente non pochi Ebrei. Ma la miseria di ogni cosa e gli stenti, le prigioni de’ Ghetti, la più parte angusti, con poca luce e meno acqua, pessimo di tutti quello di Roma, e i sordidi traffici, dietro ai quali furono costretti il maggior numero a trascinar la vita incerta, come avrebbero fatto a’ Cristiani, cosi agli Ebrei non potevano contribuire alla sanità, nè alla nettezza, onde il gastigo divino era piuttosto ingiuria umana. Però niuno si meravigli se in taluni luoghi come in Perugia, e come nella stessa Parigi, nel secolo XII si mostrasse avere a schifo e (1) Statut. Pad. (1236), § 834. Vedi Ufficiali della Grascia. (2) Descrit. Rom. Ant. e Mod. loc. cit. Menocchio Stefano presso il Gregorovius, op. cit., pag. 87. 2 66 GIORNALE LIGUSTICO quasi a maluria il mettersi a bocca gli alimenti toccati da loro (i), e se ancora per malevolenza religiosa se ne facesse ostentazione per più smaccarli ed avvilirli nel pubblico. Quella profonda testa di Innocenzo III non isdegnò trattare anch’ egli del mosto degli Ebrei, ma almeno non ghiribizzò, come fece a’ tempi suoi il Sinodo Parigino del vescovo Odone in modo così poco decente che non vo’ dire (2); Innocenzo vietò agli Ebrei di pigiare l’uva e trarne il fiore, lasciando a’ Cristiani l’avanzo, perchè spesso servir doveva a consacrare il sangué di Cristo; donde si spiega, come che sia, la prescrizione perugina (3). Restano tre altri articoli di minor conto : non potere gli Ebrei dare i loro bambini a balia a veruna cristiana; non vendere nè trarre fuori dalla città pegno alcuno ; e non togliere in pegno croce nè calice, nè messale, nè camice e ninna reliquia appartenente all’ ufficio divino. I quali capitoli del 1439 fecero corpo insieme con quelli del 1432, e dovevano durare cinque anni (4); ma giunsero fino al 1462 quando eretto in Perugia il Monte di Pietà, che fu il primo in Italia, si tolsero a quegli Ebrei i (1) Adit. in Synod. Odonis Episcopi Parisiensis. Un viaggiatore francese in Italia , del secolo XVII, parla del puzzo degli Ebrei in questa forma: Les Juifs ont la plus part une mauvaise marque, qui est qu’il sentent fort mal d'un odeur Jade et penetrante, soit a cause des ails, dont ils usent an toutei leurs viandes, el pour autre raison secrette qu’ aucuns alleguent dont je me tairay, n’ estant chose bien assurée pour ne m’en estre bien informé. (Audeber, Le Voyage et observations de plusieurs choses diverses qui se peuvent remarquer en Italie, pag. 122: Paris, 1650). Però anche la Nanna dell’Aretino volle che sua figlia la Pippa, prima di rimescolarsi cogli Ebrei, sapesse che avevano un fetore addosso che ammorbava (Aretino, Ragionamenti, Parte II, Giornata 1). (2) Synod. Constitutiones Odonis Episcopi Parisiensi, art. 57. (3) Innocentii P. Ili, Epist. cit. X, 190. (4) Annal. Decetnv. loc. cit. GIORNALE LIGUSTICO privilegi del prestare ad usura (i), sottoponendoli alla sorte comune degli altri Ebrei delle terre ecclesiastiche. — Pel Piemonte, e principalmente per Torino, la legge civile più antica. che mi capitò su gli Ebrei sono gli Statuti del Duca Amedeo Vili del 1430. Molto onora quel principe la umanità di aver posto fra le prime disposizioni, Γ espresso divieto di trarre per forza alla nostra fede gli Ebrei, rifiutando gli esempi tirannicamente contrari de' vicini Re di Francia suoi amici; al quale divieto per altro in Piemonte si diede perfezione tardiva nel 1770, essendosi colà non prima dallora proibito di battezzare bambini Ebrei, servato il consentimento de’ genitori. Ancora nella segregazione degli Ebrei dal commercio e dalla famigliarità non necessaria coi Cristiani quel Duca seguitò le dottrine de’ Canoni ; ma nel rendere la segregazione più operativa le avanzò; essendoché prima che in Roma stessa egli costringesse gli Ebrei a stare tutti insieme in un luogo assegnato e chiusivi dentro, appellato da lui Giudaismo , donde non potevano uscire dal tra'-monto del sole all’ alba, sotto la pena di tre giorni di carcere a pane e acqua (2). Dove questa ingiuriosa chiusura non era, tuttavia gli Ebrei o volontari 0 forzati general- (1) Ann. Decemv. die XVI aprilis 1462. Dei Veghi, Cron. Perug., p. 637. (2) Statuta Amedei Vili, 17 jun. 1430, lib. I, ed Editto di Vittorio Amedeo del 7 aprile 1770.- Questi Statuti di Amedeo Vili sono un vero Codice, nel quale egli raccolse ed ordinò in cinque libri tutte le disposizioni de’ suoi antecessori e le sue, promulgandole in Chambery alla presenza di gran quantità di popolo. Il Borelli ne’suoi Editti de Sovtani di Savoia attribuisce quel Codice ad Amedeo VII, non per altro se non perchè nella lista numerica degli Amedei egli segue la cronologia degli antichi cronisti di Savoia, i quali designarono per Amedeo Settimo 1 Ottavo ed il Sesto per Settimo delle moderne genealogie ; però contano un Amedeo di più. Questa cronologia fu osservata da altri scrittori, ad esempio dal Pingone. 268 GIORNALE LIGUSTICO mente abitavano in compagnia per difendersi ed aiutarsi meglio, e per meglio difenderli la Signoria, nelle commozioni popolari quali si fossero, pur di allegrezza , perchè questi moti riuscivano frequenti ad altro fine che non erano cominciati. Per dimostrare allegrezza la plebaglia poteva su la Pietra del Comune bruciare per farne falò le panche degli artigiani e rivenditori della piazza, quelle delle scuole e delle chiese, compreso il matroneo del duomo co’ suoi stalli dove sedevano le donne, separate dagli uomini; bruciare gli odiati libri delle imposizioni , de’ maleficj e de’debitori pubblici; ed usava, alcuna volta, consenzienti i magistrati, rompere le prigioni a’ malfattori; spogliava ancora il palagio dello stesso festeggiato quando non si riscattasse, ed alla peggio essa voleva rifarsi sacheggiando le case degli Ebrei. Il quale rallegramento fra gli altri molti, accadde in Mantova per la nascita del primo Vincenzo Gonzaga, mentre la migliore popolazione faceva baldoria in piazza, e fu tentato in Modena per l’ascensione di Clemente VII al Papato (i). Sempre per la stessa segregazione e distinzione da una gente all’altra, quel Duca dispose altresi, per conformarsi ai precetti della Chiesa, che gli Ebrei avessero ognora visibile su la persona un Segno rotondo di panno, largo quattro dita, cucito su 1 panni davanti e dietro la spalla sinistra, color bianco e rosso bipartito, così gli uomini come le donne. Interdisse agli Ebrei i libri della loro legge prima che corretti dagli Inquisitori; alla quale prescrizione Carlo Emanuele nel 1603 diede miglior forma, non altrimenti che il Granduca di Toscana ed il Duca di Mantova, ponendo che gli Inquisitori destinati a quella (1) Vigilio, Cron. Mantov., capo III, ms. citato dal Carnevali nell’opuscolo: 11 Ghetto di Mantova, Mantova 1884. — Bianchi T., Cron. Mod., I, 268, III, 340: Modena, 1862-81. — Rodi, Annal. Ferrar., a. 1508, Ms., Bibl. Mod. GIORNALE LIGUSTICO 269 correzione non fossero mai Ebrei convertiti, dacché essi riuscivano assai più schizzinosi e meno conciliativi de Cristiani per nascita (1). Interdisse agli Ebrei l’usura. E li sottopose pel civile e criminale a’ giudici ordinari; meglio assai di Federico II che gli accomandò agli ecclesiastici (2). Nel 155° S1 introdusse in Piemonte l’ordine quasi comune delle Capitolazioni 0 Condotte, come dicevansi da’ Veneziani. Per le quali si permetteva ad alcuni Ebrei e loro famiglie e successori di soggiornai e un dato tempo sicuri nella persona e nella roba in tutte le tei 1 e piemontesi trafficando, negoziando ed usureggiando sul pegno, a ragione, in questi primi capitoli, di quattro grossi il mese, circa quaranta per centinaio l’anno (medesima usui a per messa dalla Repubblica lucchese a* banchieri ciistiani) con molti precetti e privilegi. Fra quali era data fede agli Ebrei dinanzi alle Corti giurando sul Testamento Vecchio alla loio usanza. Avevano giustizia sommaria pe’ loro crediti. Prendevano in pagamento beni urbani e rustici e li possedevano. Era loro permessa una sinagoga e tenervi ogni specie libri secondo il consueto. Permesso un cimitero fraterno. Ma dovevano vestire un Segno croceo o morello, e sgombrare dallo Stato portandosi seco i pegni non riscossi in caso di gueira o peste. Tutto questo col pagamento d un censo 0 provvisione maggiore o minore al Signore. Le Capitolazioni si conferma vano di mano in mano finite, alcune con qualche variazione. Alcuna volta gli stessi Ebrei che le avevano ottenute dal Prin cipe, affinchè i Cristiani si accostassero più confident, a loro banchi, impetravano dalla Camera Apostolica che le appio vasse, il quale atto dalla Cancelleria si chiamava To t (1) Pesaro, Appendice alle Memorie Storiche sulla Comunità Ferrarese, pag. 21: Ferrara, 1880. (2) Constit. Regni Siciliae, I, iS. 270 GIORNALE LIGUSTICO ran^a (i). Ne’ Capitoli del 1576 Γ interesse del denaro ebraico si recò a tre grossi per iscudo al mese, cioè al 32 per cento l’anno, ma col divieto di moltiplicare Γ interesse sopra Γ interesse , non potendo esso in qualunque evento ecceder mai la vera sorte. Massimo privilegio ottennero gli Ebrei da Emanuele Filiberto di non esser condotti in prima istanza nelle civili e nelle criminali, salvo che non fossero brighe religiose a danno della Fede Cristiana, se non dinanzi al loro Conservatore ; che era cristiano personaggio di grande stima, eletto in principio dal Duca, e nell’ altro secolo dagli stessi Ebrei; ma qualunque discreto non loderà in questo l’ottimo Principe, non dovendo mai cittadino alcuno differenziarsi dall’altro al cospetto della legge. Potevano ancora eglino e i loro famigliari portar armi non proibite in viaggio, privilegio che nelle Repubbliche era molto pregiato (2). Seguitando il tempo, nel 1580 il Segno si cambiò in berretto o cappello giallo agli uomini ed in un velo 0 zendado giallo in capo alle donne, secondo la costumanza Romana. Si ordinò che gli Ebrei non potessero estrarre dallo Stato denaro in qualunque specie e forma. E si fermò improvvisamente l’usura al dieci per cento l’anno (3). Di che avvennero disordini e strettezze gravi e le faccende non correvano più. Onde dopo poco l’interesse così abbassato senza il necessario raffronto colla pubblica ricchezza, convenne rialzarlo al quindici, ma e nè manco questo bastando si portò nel 1587 al diciotto, mediante l’approvazione del Papa a cui il principe ricorse per mettere in tranquillo la (1) Editto di Carlo Emanuele 1 del 31 maggio 1581. (Duboin , Leggi della Casa di Savoia, lib. II, tit. XIV). Tolleratila Pontificia data agli Ebrei il 25 ottobre 1584 (Duboin, loc cit.) (2) Editto di Emanuele Filiberto del 5 giugno 1576. Id. di Carlo Emanuele del 16 luglio 1605. Duboin, loc. cit. Ammirato, Ist. Fior., lib. XVIII. (3) Id. di Carlo Emanuele I del 25 ottobre 1584. (Borelli, Editti dei Sovrani di Savoia, col. 1226 e seg.: Torino, 1681). GIORNALE LIGUSTICO 271 sua coscienza, con poca riputazione de’ Monti di Pietà instituiti da più anni che non seppero provvedere al bisogno (1). La facoltà di prestare su gli stabili e prenderli a soddisfazione del debito data agli Ebrei e poi tolta, si riconfermò nel 1603 dallo stesso Principe che in vçro non si mostrava troppo risoluto in questi provvedimenti, benché di buone intenzioni e degli Ebrei benevolo. Egli ancora derogò alla sua recente proibizione agli Ebrei di metter su arme ed imprese, dacché eglino arricchiti si levavano in altura e già aspiravano a nobiltà. Concesse pure ai loro medici di curare i Cristiani colla licenza dell’ Arcivescovo. Ed in merito di queste amorevolezze, non tanto di cuore quanto di borsa, il censo 0 donativo nella Capitolazione del predetto anno fu ingrossato a scudi sessantamila da fiorini dieci l’uno (2). Come fosse m’è oscuro; ma il chiaro è che non ostante l’ordine del 1430 di abitare gli Ebrei un comune recinto chiuso, allora nomato Giudaismo e poi Ghetto, si andò fino al 1679, lo afferma la Duchessa Maria Giovanna Battista, ed eglino abitavano tuttora nella città frammischiati a Cristiani ; che Γ ordine del Ghetto non avesse passato i monti? Però ella comandò che al finire del 1680, dovessero tutti pigliare albergo nella casa dell’Ospedale 0 nelle vicinanze quelli che per avventura non vi capissero (3). Un altro e grave restringimento alle loro franchigie fu nel secolo seguente il ripristinato divieto di possedere beni stabili ; onde chi ne aveva, fallito il termine del riscatto dato a’ debitori da cui li aveva presi in pagamento, doveva venderli entro Γ anno senza remissione a persona capace, 0 altrimenti gli erano confiscati (4). Nè mai questo divieto cessò negli (1) Sixti P. V, 3 octob. 1587 (Borelli, loc. cit.), vedi Monte di Pietà (2) Editto di Carlo Emanuele J del is dicembre 1603 (Borelli, loc. cit.). {3) Id. di Maria Giovanna Battista del 2 agosto 1679 (Borelli, loc. cit.). (4) Id. di Vittorio Amedeo del 29 gennaio 1724 (Duboin, loc. cit.) GIORNALE LIGUSTICO antichi tempi, se non a beneficio degli Ebrei, accorsi nel nuovo Portofranco di Nizza per costruirvi case e fondachi da abitarvi e riporre loro mercanzie, i quali Ebrei furono esenti dall’ onere del Segno e del non uscire la notte dal Ghetto (i). Quanto al tributo o censo accresciuto nel 1797 dalle spese della guerra a cui gli Ebrei dovevano conferire, venne in quell’ anno scompartito fra le Università Israelitiche piemon-montesi in queste somme: Università del Piemonte lire due-centocinquantamila, quella del Monferrato lire centottantamila, quella d’Alessandria e della Lomellina lire settancinquemila (2). — In Sicilia il Segno ordinato nel 1221, come già dissi, da Federico II Augusto per le Province napoletane, medesimamente fu per le siciliane. Federico altresì, per una di quelle tante varietà d’opinioni e di atti onde è intessuta la sua vita fortunosa, assoggettò gli Ebrei alla giurisdizione ecclesiastica. Ma in quello stesso ei li pareggiò a’ cittadini ne’ privilegi e nelle grazie civili ; e 1’ ufficiale, cui si apparteneva di porre in nome del Monarca la defensa per 1’ immunità dalle offese, non poteva fare parzialità fra Cristiani ed Ebrei; nè quelli egli permetteva molestassero questi, essendo eglino bastantemente puniti colla esclusione dal Paradiso (3). Per altro quell’ ordine non venne effettualmente stabilito in Sicilia se non dopo circa settantasei anni, da Federico II d’Aragona (non III, come vorrebbero i legittimisti di quella famiglia) nel Parlamento politico di Piazza nel 1296 (4), e poco appresso (1) Editio di Re Carlo Emanuele III del 27 aprile 1750 (Duboin, 1. c.). (2) Id. di Re Carlo Emanuele IV del 6 ottobre 1797. (3) Constit. Regni Sic., I, 18. Di Giovanni, Ebraismo della Sicilia, I, V, η. I. (4) Lascio intera la controversia di questa data; intorno alla quale si può consultare ΓArchivio Storico Siciliano, Nuov. Ser. a. 1°, pag. 212 e seg. GIORNALE LIGUSTICO 273 da quello di Castrogiovanni, dove ancora si recarono in legge civile alcune disposizioni papali a fine d’invalidare in Sicilia la testimonianza giudiziaria degli Ebrei contra i Cristiani, e proibire a’ medici Ebrei di medicarli, ed a Cristiani di farsi medicare, punito l’infermo in tre mesi di carcere a pane ed acqua ed il medico nella perdita dell’ onorario e della spesa de’ medicamenti, a benefizio de’ poveri ; ancora si proibì agli Ebrei di portare uffizi pubblici (1). 11 Segno degli Ebrei siciliani era una fetta di panno rosso larga un palmo per gli uomini sotto la gola , per le donne sul petto, a foggia d’ un gran sigillo reale, in Palermo d’ un carolino ; non però ricevuto senza resistenza, al vedere che per assicurarlo convenne creare un Ufficiale particolare che vi attendesse di proposito. Procedendo per la sua via Re Federigo comandò nel 1312 che gli Ebrei di Palermo da quindici anni in su dovessero accasarsi in uno spazio fuor delle mura, che forse fu il primo Ghetto chiuso eretto in Italia (2); dal quale però eglino, ricchi e spenditori, poco andò che uscirono fuori e ritornarono liberi in città, lasciando il Serraglio abbandonato. Più grande privilegio e molto bramato toccò allora a quelli di Mazara di esser sciolti dalla giurisdizione ecclesiastica e congiunti colla secolare; benefizio che meglio di checchessia gli avvicinava alla cittadinanza comune. E così gli Ebrei di Siracusa non meno fortunati dacché per loro nel 1375 si raccorciò l’autorità tremenda dell’inquisizione ponendole a fianchi ne’ suoi maneggi speciali un giudice secolare, il Capitano e i Giurati che la guidavano; senza dei quali ella non poteva muovere processo a danno degli Ebrei. Ma tutti questi decreti di qualsivoglia podestà più alta non sempre valevano a riparare gli Ebrei validamente contra gli (1) Arci). Stor. Sic. cit., pag. 216. (2) Bozzo, Note Storiche Siciliane del secolo XIV, pag. 310: Palermo 1882. Giorn. Ligustico. Anno XVI. 18 274 GIORNALE LIGUSTICO impeti della fazione avversaria ; anzi più pericolo era appunto quando i privilegi venivano, tenendosi ella offesa del sollievo altrui. Imperocché, per dirne una delle molte, in San Giuliano dopo confermati solennemente i loro diritti, mentre eglino riposavano sulla fede pubblica improvvisamente aggrediti dal popolo tutti perirono in un gruppo, non uno di loro avendo patteggiato colla vita il tesoro della coscienza. Il governo di Alfonso V passò senza infamie popolari; per altro egli conservò il Segno, il Ghetto e niente meglio le prediche forzate di Nicola III, alle quali gli Ebrei dovevano assistere co’ Turchi e Mussulmani. Tutte le Comunità Ebraiche ne alzarono le grida, e fatto borsa fra loro, come sempre conveniva in quei frangenti, mandarono messi al Re ; e le prediche non ressero dinanzi agli oratori che avevano le mani piene. Nel 1448 altro si escogitò per ispremere danaro ; si mise fuori contro di loro uno dei soliti artifizi, accusandoli di orribili delitti e sopra tutto di usura. È veramente detestabile cosa F usura. Ma insieme non può negarsi che nella media età D’un medesmo peccato al mondo lerci furono Cristiani ed Ebrei, e questi spesso chiamati a soffocare le usure di quelli; furono cherici e secolari; e se ne giovavano poveri e ricchi, Papi, Monaci, Prelati, Principi, Baroni; l’agricoltore impegnava al prestatore l’aratro, il Barone le sue tenute ed il castello, il Principe i dazi pubblici, il Monaco e il Sacerdote gli arredi sacri della sua chiesa, il Vescovo fino all’anello suo ed alle vesti di seta: tutti concorrevano a quella fonte impura a dissetarsi, e per ciò la intorbidivano di più e partecipavano tutti alla colpa (1). Dovevasi adunque (1) Condì. Turonens., a. 1163, cap. II. Condì. Lateran., Ili, a. 1179. De Usuris, Pars. XVI, cap. 1, 2 segg. et De alienatione rerum Ecdesiae, Pars. XXIX, cap. I, Epist. Alexandri III. Ammirato, Ist. Fior., lib. XVIII e GIORNALE LIGUSTICO 275 non incolpare agli uomini i mali del tempo. Nondimeno delle nere imputazioni date agli Ebrei il Papa ordinò processo e , come era da aspettarsi, furono trovati rei, ma insieme capaci di ricattarsi; tanto che nel 1450, prima che sottoscritto il vergognoso contratto, gli Ebrei chiariti delinquenti, ricevettero in premio l’esercizio della medicina libero, e quelli di Palermo , più denarosi, vennero disobbligati dal Ghetto. L’aureo Decreto del perdono uscì l’anno 1453 e nel caldo della regale benevolenza oltre alle carezze sovracennate confermò agli Ebrei il diritto di possedere beni stabili, in Sicilia già goduto da secoli quietamente, in case, spedali, vigneti, ma non servi cristiani; vietò di costringerli a frequentare le prediche e lor diede facoltà di fabbricare Sinagoghe quante e come volessero ; ma il Segno fu immobile; e quel più che di ciò si potè avere fu che il Viceré non avrebbe fatto guardare nel sottile se per caso una piega dell’abito lo ricoprisse. Io lo dirò pure. La tolleranza e la pietà verso gli Ebrei generalmente si misurava col passetto dell’ utile e ogni concessione e larghezza rispondeva a moneta di cui erano bisognosi ed avidi i Governi. Con tutto ciò, dovendosi accettare il mondo quale è, l’assetto siciliano era buono e non mancava che dargli piena legalità e maggiore fermezza. A questo si adoperò il Comune di Palermo. Il quale nel 1491 venne colla Giudeca della stessa città ad un solenne e perpetuo Concordato, presente ed approvante il Rappresentante della Podestà suprema. Aggiustate anche le differenze fra le due parti il Concordato determinava che la Giudeca ogni anno pagasse al Comune Palermitano once venti sopra tutte le sue entrate, cessando forse il testatico 0 la Gusla che non si nomina nel XX. Muratori, A. M. Æ. diss. XVI. Hurter, Storia à’ìnnocen%o III, lib. Ili : Milano 1839, traduzione Taccagni. Perreau, Gli Ebrei in Inghilterra nel secolo XI e XII, pag. 7: Trieste 1887. 276 GIORNALE LIGUSTICO contratto. E per ciò vennero francati gli Ebrei da qualsivoglia angheria pecuniaria e dalle personali, alle quali come Servi della Regia Camera, che si dicevano, erano soggetti, e molte erano: sonar le campane a’ Cristiani, nettare le fonti, spazzare le corti de’ pubblici edifizi, purgare dal fango le strade, trasportare da un luogo all’ altro gli scrittoi degli Ufficiali e simiglianti ; oltreché anche i Comuni pretendevano a’ quei servigi gratuiti e gli aggravavano. E così conchiudeva : Li dicli Spectabili et Magnifici Ufficiali (del Comune) per ipsi et loro successuri siano tenuti et cussi oromectino tractari la dieta Judeca x et Judei di quilla a lo modo et forma corno tractano li citadini christiani maxime circa li immunitati et privilegi di la citati (1). Questo atto di civile sapienza, pensato da un Municipio ed esempio che sarebbe stato imitato dagli altri si fermava ed approvava il 2 novembre 1491. Ed il 21 marzo 1492 Re Ferdinando di Spagna, geloso della gloria de’ Re Francesi, sbandeggiava gli Ebrei dalla Monarchia Spagnuola ed intimò la loro partenza pel 2 agosto , giorno ad essi di digiuno e considerato nefasto; se non che nel succedente (scrive il Dottor Zunz, di cui seguo le pedate), ritornò la consolazione agli afflitti, benché non ancora palese. Il 3 agosto Colombo imbarcossi per iscoprire un nuovo mondo e fondare* una nuova civiltà. Quanti ebbero sensi di pietà e di giustizia maledissero alla orrenda barbarie; nè se ne ritennero, se lor batteva il cuore, gli stessi Panegeristi dell’odioso Principe, de’ quali uno, Tristano Caracciolo, scrive: Et si honesti rectique forsan proposita fuerit inventum, tamen exequendi modus crudelitatis et avaritiae nomen indidit (2). Quegli infelici, circa ottocentomila, un popolo intero, partirono e vennero rove- ri) Archiv. Stor. Sic., Nuov. Ser. a. I, pag. 459 e seg. (2) Caraccioli, De Inquisitione, Epist. (Murat, R. I. S., XII). Il Caracciolo fece un panegirico pel re Ferdinando. GIORNALE LIGUSTICO 277 sciati sulle coste degli stati vicini. L’ editto feroce subito fu bandito a suon di tromba nell’ isola. I cacciati dovettero comperarsi come malfattori la invita partenza e riscattarsi colla taglia di centomila fiorini. E perchè dai tributi annuali degli Ebrei lo Stato si vantaggiava grandemente, per altro assassinio fu studiato di averli perpetui mediante un capitale fruttifero non restituibile del quattro per cento da loro fatto depositare. Il termine della partenza differito al 18 dicembre per la mancia di cinque mila fiorini si prorogò all’ ultimo giorno dell’ anno 1493. Che Iddio non faccia provare a nessuno il dolore di baciare 1’ estrema volta la tomba de’ suoi diletti. S’imbarcarono circa centomila, e i più posero nelle Puglie, nelle Calabrie ed in Napoli, dove li attendevano, come si narra nel discorso delle terre napoletane, altri dolori. Ma il tempo porto la vendetta. Imperocché le condizioni economiche della Sicilia si risentirono alla mancanza di quella gente e delle ricchezze loro, che essi sapevano moltiplicare con giovamento comune. Onde Carlo II per rimediarvi ofterse agli Ebrei nel 1695 la stanza di Messina, purché non rifiutassero il Segno e la notte 1’ albergo fuori della città. Condizioni più larghe nel 1728: avrebbero potuto trattare negozi in tutte le terre dell’ Isola, abitare entro la città, rizzar Sinagoghe, praticare la loro religione quietamente ed esercitare la medicina. Ma fu nulla. E la stessa sorte toccò alle proposte più larghe ancora fatte da Carlo III nel 1740; non tornò testa d’Ebreo in Sicilia. Tanto è vero che i commerci e le industrie , come gli studi, è più agevole spegnere che richiamare (1). — Gli Ebrei in Venezia non ebbero mai diritti civili, se non (1) Questa narrazione è tessuta massimamente sull’ ordito dell’ operetta del Dott. L. Zunz , Storia degli Ebrei in Sicilia, recata in italiano dal Comm. Pietro Perreau e stampata nell’ Arch. Star. Sic., a. IV. 2^8 GIORNALE LIGUSTICO la giustizia eguale nelle Corti comuni, il Cimitero proprio e la facoltà di trattare P esescizio e la mercatura delle arti piccole non aggregate in collegio, e di fare prestanze e contratti sopra le case date loro ad abitare, secondo la loro Condotta (i). Condotta, come già toccai, domandavasi colà il contratto o capitolazione, onde per certi patti ivi descritti (fra quali sempre una tassa talvolta (nel 1385) di quattromila ducati), si concedeva agli Ebrei di fermarsi un tempo (cinque o dieci anni) nella città, massime per prestarvi sul pegno a poveri (2); nè la loro dimora entro Venezia ebbe mai altra forma d’incoiato che questa; e così vedemmo in altre città e provincie. Frequenti i bandi, frequenti e diversi i ribandimenti nel variare delle opinioni correnti; i quali ultimi spesso s’intermettevano coi salvacondotti di quindici giorni (3). All* opposto in Terraferma gli Ebrei godevano sempre abitazione continua, per legge del 1463, e potevano trafficare di tutto (in questo simili a’ cittadini), dalle biade in fuori; salvo che in Treviso, Bergamo, Brescia, le quali città chiesero ed ottennero a tempi differenti di esserne prive (4). Nel 1394 si diede loro il Segno, l’usato O di panno giallo, da portarsi apparente sul petto, quantitatis unius panis quatuor denariorum (5); legge conforme alle altre, facile a trapassarsi, se si pone mente che dal 1394 al 1495 la si trova ripetuta ben nove volte , tra dal Maggior Consiglio, dal Senato e dal Consiglio de’ X, come se fosse cosa nuova (1) Cecchetti , La Repubblica di Venezia e la Corte di Roma, I, 480, 481. Ferro, Dizionario del diritto Comune e Veneto, I, 651: Venezia 1840. (2) Sen. Ven., 21 febbraio 1509 ms. Arch. Ven. Cecchetti, Op. cit., I, 487. (3) Ferro, Op. cit., I, 651. Rocca, Cenni Storici sulla Comunità Israelitica di Vinezia, pag. 170 (Annali di Statistica, Ser. Ili, vol. IX). (4) Ferro, Op. cit., I, 653. Rocca, Op. cit., pag. 172. (5) Sen. Ven., 27 agosto 1394, Ms. Arch. Ven. GIORNALE LIGUSTICO 279 0 non mai eseguita a dovere (1). I Segni ancora si rassomigliavano troppo da un paese all’ altro e quindi ΓΟ giallo nel 1496 ebbe cambiamento in una berretta gialla, over altre fo%e de testa (2), più abborrita di tutti; e dopo diversificò in un cappello rosso. Ma 1’ appunto della nascita di questo cappello chi aveva alle mani l’Archivio Veneto e sapeva cavarne con tanto magistero i segreti, noi trovò. Tuttavia io prima stimava che fosse introdotto sulla metà del secolo XVII, avendo letto in Lettere Ducali del 1664 al Podestà e Capitano d’Este e a quel di Padova, che eglino obbligassero gli Ebrei a portare il cappello rosso a distinzione de’ Cristiani (3). Ma poi l’Archivista egregio lo trovò menzionato nel 1616, sicché esso era già costumato da’ Veneziani ne’ primi di quei secolo, come pure da’ Fiorentini e da’ Genovesi (4). Chi erano mai in quella Repubblica se non i suoi ufficiali stessi, i quali facevano spalla ai trasgressori delle leggi, qual ne fosse la causa? Lo palesa un decreto del Senato del 1680, il quale commetteva a’ Giudici del Cattavere d’inquisire contro i loro Ufficiali che avessero dato favore agli Ebrei in ciò che questi ardivano impunemente di usare il cappel negro dal che potevano nascere gravi inconvenienti (5); che Iddio ce ne scampi. E nel 1724 si vede che il modo di gabbare la legge era di coprire il cappello rosso con una tela incerata nera, così che, que’ trafurelli degli Ebrei si occultavano alla vista di tutti nè potevano più essere (1) Magg. Cons. Ven. 3 aprile 139;, Id. 3 maggio. 1409, Id. 3 novembre. 1426, Id. 22 gennaio. 1429, Id. 28 maggio. 1430, Sen. Ven. 12 aprile. 1443, Cons. X, 26 ottobre. 1480, Id. 23 luglio 1495, Mss. Arch. Ven. (2) Sen. Ven, 26 maggio 1496, Ms. Arch. Ven. (3) Senato Terra, reg. 169 e 466, Ms. Arch. Ven. (4) Fra Paolo, Consulti, n.° 12, Consulto del 20 dicembre 1616, Ms., Arch. Ven. Da lettera privata del compianto comm. Cecchetti. (5) Sen. Id. reg. 201, c. 366 t. ms. Ven. 28ο GIORNALE LIGUSTICO contraddistinti (r). Del rimanente gli Ebrei non istavano meglio ne,!a proibizione del possedere beni stabili, nella quale per altro riscontravano co forastieri cristiani, in tutte le Comunità italiane. Nel 1423 si fece la giunta di non poterli tenere, neanco per livellimi, fendimi, in pignus vel aliter (2). Nulla d’insolito nella Condotta del 1508; se non che i beccai vendessero agli Ebrei senza differenza di prezzo la carne macellata a forma de riti mosaici; e che eglino dovessero starsene ritirati in casa, el %uoba santo fino al sabato da una campana all’altra (3), giusta il consueto antichissimo già notato. Prescrizione 0 meglio precauzione non soperchia se si considera che in Pavia , il venerdì santo, popolo e studenti facevano stormo sotto le case degli Ebrei e qualche volte ne avrebbero rotto le porte e fatto sangue e sacco, se le milizie del Duca di Milano, per cui si teneva la città, non fossero accorse a fre-naili (4). E tale in Novara e da per tutto; in Savona, anco nelle Pasque, quando in quelle solennità intervenivano le predicazioni specialmente de’ Regolari, i quali per instruire il popolo dicevano degli Ebrei: Se voriano ama^are et pigliarli tutte le loro robe , et se faria sacrificio a Dio (5); questo da’ Francescani, Domenicani ed Agostiniani ; sempre non avvertenti che i grandi Pontefici avessero posta la scomunica per siffatte nequizie e dichiarati gli Ebrei creature di Dio non meno degli altri Cristiani e meritevoli della protezione della Chiesa madre universale (6). Anche per Venezia venne la sua volta di credere necessario di assicurare l’abitazione se- (1) Sen. Terra, f. 1621. (2) Sen. Ven., 26 settembre 1423, Ms. Arch. Ven. (3·) Id., 29 marzo 1508, Ms. Arch. Ven. (4) Motta, Ebr. Com. cit, 31, 36. (5) Id., loc. cit. (6) Vedi quel che si disse di Innocenzo III e d’altri Pontefici. GIORNALE LIGUSTICO parata fra Ebrei e Cristiani. Ed ecco le contrade scelte a quest’ uso cingersi di mura con due porte che si aprivano al sonare della Marangona e si chiudevano la sera; guardate notte e dì da custodi Cristiani e da barche dalla parte del- 1 acqua, gli uni e le altre alle spese degli Ebrei; e quivi entro si ridussero tutti, allora sparsi per la città, pagando delle nuove case un terzo più di fìtto di quello che i padroni erano soliti cavarne, sotto pena di multa a trasgredire (i). Questo recinto, presso la chiesa di S. Girolamo, prese il nome di Ghetto, ed al suo esempio tutti gli altri d'Italia; originato dall’essersi fatto in quel luogo il getto e fusione del rame e poi delle bombarde nelle fornaci già esistenti in quel terreno; quindi Getto da principio e poco appresso Ghetto (2); contro l’opinione dell’ Osservatore Fiorentino e del Gregorovius, che fanno derivare questa voce dalla ebraica Ghet che suona separazione (3). Nello stesso anno fra le discipline della nuova Condotta fuvvi quella di scemare le molte Sinagoghe alla sola di Mestre, come prima della lega di Cambray(4); compiacendo alla Chiesa avversa ad aumentare queste scuole d’insegnamenti contrari. Ma nel 1600 si allargò, che eglino potessero esercitare i loro riti privatamente entro il Ghetto; nè mai fossero costretti a cosa ripugnante a quelli, nè pure alle prediche cristiane, dalle quali erano già stati scusati nel 1570; laonde avendo gli Ebrei mosso querela al Consiglio de’ Dieci contro il Santo Ufficio di Padova, che li voleva obbligare ad udirle, e contro il predicatore del duomo di quella città (1) Sen. Ven., 29 marzo 1516. (2) Nella sovraccitata deliberazione senatoria si legge: In Geto appresso San Hieronymo. E poi : Fu presento che tuti gli hebrei abitanti in diverse contrade, dovessero andar ad abitare midi nel getto. (3) Osservatore Fiorent., IV, 280. Gregorovius, Ricord. Stor. cit., I, 78. (4) Sen. Ven., 29 marzo 1516. 282 GIORNALE LIGUSTICO che aveva detto parole ingiuriose a loro danno, il Consiglio ordinò a’ Rettori Padovani d’ ammonire sì l'uno e sì 1’ altro a non far novità ; che per V ordinario..... dal procedere con fai modi violenti, nella materia di religione specialmente, viene più presto ad esasperare gli animi che edificarli (1). Il Santo Uffizio avrebbe fatto altro vantaggio alle anime ed onore a sè più che non fece, meditando su queste parole. Per la stessa ragione della tolleranza, onde è degnissima sopra tutte la religione nostra, e della filosofìa cristiana che ne è la scienza, non molti anni dopo il Senato Veneto riconfermava espressamente agli Ebrei il libero, quieto e imperturbabile esercizio de propri riti e della loro religione; e minacciava pena a’ Cristiani che senza V assenso dei loro genitori riducessero al battesimo figli e fighe di Ebrei, minori di età d’anni quattordici (2); dottrina cattolica, da cui ritraeva Fra Paolo scrivendo : È opera d’ ingiustizia, et peccato che merita castigo il battezzare creatura incapace ancora di ragione (3). E ciò basti senza ricordare i fatti contrastanti con quella dottrina. Dissi di sopra che gli Ebrei in Venezia non avevano libertà di esercitare, oltre al banco , se non gli esercizi minuti, non aggregati in Collegio, con più gelosia che nella stessa Roma. E nè tenere scuola di danza e nè tampoco di musica, a cui erano e sono essi naturati potentemente, come mostrano gli alti Maestri del loro sangue (4). Nelle feste per le nozze di Ferdinando d’Aragona con Isabella di Castiglia celebrate in Palermo 1’ anno 1469, fu ammirata fra le bellissime cose una squadra di quattrocento cantori e danzatori de’ più avvenenti Israe- (1) Cons. X Secreti, reg. 9, pag. 113, Ms. Arch. Ven. (2) Sen. Ven., 5 giugno 1788, Ms. Arch. Ven. (3) Consulto cit., dal Cecchetti, Op. cit., I, 483. (4) Ferro, Op. cit., pag. 652. GIORNALE LIGUSTICO 283 liti (1). Ma nella Condotta del 1566, per essersi caricati gli Ebrei della tassa di cinque mila ducati, vennero ricompensati, undici anni più tardi che in Roma, colla Stracceria, o commercio degli stracci, abiti e soppellettili usate e vecchie, stato loro proibito severamente l’anno 1497: e finalmente ebbero la facoltà di tenere in Ghetto bottega da speziale (2). E gravissime furono le contribuzioni per assicurarsi la stanza in quella Repubblica; quali ducati venticinquemila pel Taglione annuale, altri venticinquemila per la Decima sopra le case, duemilaseicentoventuno per le Milizie di Mare, cento per la escavazione dei canali, diecimila in tempo di guerra, dodicimila pel mantenimento de’ Banchi, oltre all’obbligo di tener sempre depositato un milione e mezzo di ducati, di cui riscuotevano interessi variabili. Ma nondimeno al tempo del Leti, che fornisce queste notizie, gli Ebrei si erano tanto avanzati nella estimazione pubblica, che tra Cristiano ed Ebreo, secondo egli scrisse, non passava altra differenza che di cappello; onde se alcuno li molestava trovavano sempre protettori autorevoli, specialmente per la rara virtù loro di tener la fede del segreto ; di che erano pochi i Gentiluomini che non avessero un Ebreo per confidente (3). Durante il rivolgimento del 1797 gli Ebrei in Venezia furono agguagliati agli altri cittadini; perdettero questa eguaglianza sotto il Governo Austriaco e la riebbero dal Regno Italico. Nel 1814 ricaddero sotto gli stranieri, ma allora gli Austriaci erano cambiati, e fecero gli Ebrei poco meno che cittadini, solo esclusi dalle congregazioni municipali e dall’esercizio della farmacia. Il 4 agosto 1866, il Governo Italiano proclamava l’uguaglianza di tutti i cittadini (1) Zunz, Ebr. Sic. cit., cap. II. (2) Sen. Ven., 2 febbraio 1496 e 2 aprile 1566, Ms. Arch. Ven. Rocca, Cenn. Isr. cit., pag. 182. (3) Leti, Italia Regnante, Parte I, lib. 3.0: Valenza 1671. 284 GIORNALE LIGUSTICO dinanzi alla legge (1). E qua al termine del ragionamento, non credo di lasciare indietro una considerazione generale che mi appare sempre utile, se non nuova. Ciò è che fatte le ragioni e data a ciascuna provincia la sua parte di colpe inverso agli Ebrei del male che loro facemmo in nome della religione, l’Italia ne esce evidentemente la manco aggravata, od una di quelle, non ostante che sedia del Papato e talvolta perchè tale. Massime al paragone delle monarchie straniere, più potenti, le quali delle violenze religiose, come delle altre molte, fecero ordine fìsso di governo, e talune abito di popolo, che regge tuttora alla civiltà e alla dottrina preminente; sicché pure a’nostri tempi ne vedemmo i tristissimi effetti. Dove in Italia , con tanto meno fortuna e se vuoisi con meno dottrina, ma con temperie di spiriti più felice, se certuni tratto tratto pigliano a scalmanarsi in evocare dai sepolcri le antiche gelosie e gli odi antichi fra le due stirpi, qui nessuno risponde, e ciò basta a lor pena. Poiché gli Italiani si sentono oggimai con sicurezza tutti un popolo , votato alla libertà e all* unità e si manterranno. Giulio Rezasco. (1) Decreto 4 agosto 1866. GIORNALE LIGUSTICO 285 NUOVI DOCUMENTI SU BERNARDO BELLINCIONI Tra que’poeti, poco superiori per grado e per dignità a; paggi, ai nani, ai buffoni, che frequentavano le nostre corti del rinascimento, pronti in ogni istante ad accarezzare colle più sfacciate adulazioni il signore che li manteneva, ad esaltarne ogni azione 0 buona 0 cattiva che fosse, a preparargli feste e rappresentazioni suntuose, a rallegrarne gli ozi coi loro scherzi sguaiati e con gare di improvvisazione, tiene un posto segnalato, per la copia, se non per la qualità dei suoi componimenti a noi giunti, Bernardo Bellincioni. Gli studi che in questi ultimi anni si sono venuti facendo sulla corte letteraria di Lodovico il Moro, cui egli servì (1) , e la puDblicazione di una serie di sonetti diretti contro di lui (2), ne hanno posta in evidenza la figura e meglio determinato il carattere. Ma quasi nessuna notizia di fatto fu aggiunta alle poche raccolte fin dal secolo scorso dal Mazzuchelli (3) e dal Tira- (1) Vedi Renier, Gaspare Visconti, in Archiv. stor. loml·. XIII (1886) pp. 509-62 e 793-824.· per il Bellincioni specialmente le pagg. 809-11. Vedasi pure Lochis, Guidotto Prestinari e di un codice delle sue poesie, Bergamo, 1887, pp. 43-5 (estr. dall’almanacco Notizie Patrie), confrontando Giorn. stor. della letterat. ital. IX, 321. Allo studio dell’importanza politica delle rime del B. in relazione col Moro e con Giangaleazzo Sforza dedicò uno speciale articolo L. Dina, nell’ Arch. stor. lomb. XI (1884) pp. 716-40. (2) Pistoia, I sonetti giusta l'apografo trivul{iano, ed. Renier, Torino, 1888, pp. 61-7. Cfr. Prefazione, pp. XXXIII-IV ed il Propugnatore, N. S., I, pp. 261. (3) Scrittori d’Italia, vol. II, P. II (Brescia, 1760), pp. 680-82. 286 GIORNALE LIGUSTICO boschi (i), come nessuno rivolse ancorala sua attenzione al primo periodo, che potrem chiamare fiorentino, della vita di lui. A questo appunto si riferiscono i documenti , che mi fu dato raggranellare e dei quali intendo qui render conto, nella speranza di non fare cosa sgradita ai cultori della storia letteraria del nostro quattrocento. Tra le poesie del Bellincioni raccolte da prete Francesco Tanzi Cornigero, un gioviale e dabben dilettante di letteratura (2), e pubblicate a Milano nel 1493, alcune ci provano come Bernardq abbia fatto parte di quella nobile e cortese brigata, che nel palazzo di via Larga o nelle ville medicee di Careggi e di Cafaggiuolo si raccoglieva intorno al magnifico Lorenzo. Anch’egli scambiò col Franco qualche sonetto (3) (1) St. d. lett. ital. vol. VI, P. Ili, lib. Ili, cap. Ili, § 9. Non dicono nulla di nuovo intorno al Bellincioni nè il Salvini nelle Giunte agii scrittori fiorentini del Negri (cod. Marucell. A. 183), nè il Cinelli, La Toscana letterata (cod. Mglb. IX. 66), nè il Biscioni, Scrittori fiorentini in aggiunta al Cinelli (cod. Mglb. IX. 71). Delle notizie tratte da documenti milanesi e comunicate nella Rivista storica it iliana ed in un giornaletto torinese, quando questo mio articolo era già composto , parlo più innanzi. Dalla lettera del Bellincioni a Lodovico il Moro, pubblicata dal cav. Ghinzoni nel suo articolo Un prodromo della riforma in Milano, in Arch. stor. loml·. XIII, 89-90, non s' ricava nessuna informazione biografica: essa serviva solo a determinare che il 14 maggio 1492 il poeta era ancora in vita, ma ormai questo dato riesce, come vedremo, superfluo, (2) Vedi intorno a lui, Renier, Op. cit., in Arch. stor. loml·. XIII, 817, η. i. (3) B. Bellincioni, Le rime riscontrate sui mss. emendate e annotate da P. Fanfani, Bologna, 1876-78, I, pp. 201-4. Cito sempre questa ristampa dell’edizione milanese del 1493, la quale fa parte della Scelta di curiosità letterarie, disp. 151 e 160. Non credo che nessuno abbia finora osservata la presenza in questa edizione di sonetti, che probabilmente non appartengono al Bellincioni. I dubbii — e per me sono più che dubbii — cadono sui sonetti che cominciano Natura per sè fa il verso gentile (II, 53), Piangendo rido e sospirando godo (II, 95), Veggio del tempo esperienza GIORNALE LIGUSTICO 287 e sul Franco esercitò pure la sua lingua mordace e male-dica (i), come non risparmiò un altro dei frequentatori di troppa (II, 112), Onestà in bocca e castità negli occhi (II, 196), Nova influentia dalle muse piove (II, 197), Quando fia el di che amore el freddo petto (II, 201). Essi infatti si trovano nel codice Laurenz. PI. XLI, 34 della seconda metà del quattrocento (cfr. Bandini , Catalogus, V, 146-53) attribuiti a Bernardo Pulci: di là appunto trasse alcuni versi del quinto e del secondo Francesco Flamini nel suo lavoro su La vita e le liriche di B. Pulci, in Propugnatore, N. S , vol. I, P. I, pp. 221-242, n. 1. Per i sonetti primo e quinto, la lezione del codice (cc. 109 r-v) non differisce da quella della stampa bellincioniana se non in minuzie di nessun conto. Diversità notevoli, talvolta di intere serie di versi, presentano invece gli altri sonetti (cod. cc. u6v, uyr, 113 r, 119?·); il sesto anzi scambiò le terzine con quelle del sonetto Saper vorrei, natura, onde pigliasti, che si legge a c. 117 v del codice. Se ora si pensa che questo è certo di patria fiorentino e contiene una raccolta copiosa di rime del Pulci, se si pensa che uno dei sonetti in questione, il quinto, doveva accompagnare, come dedicatoria al Magnifico, una serie di sonetti amorosi, e che nel eodice lo troviamo appunto in testa ad una serie di tal genere , mentre nella stampa esso compare inaspettato nel bel mezzo di una serie di sonetti amorosi e non amorosi (II, 175-201), così che, mentre là è al suo vero posto, qua è un intruso, se d’altra parte si rammenta che la stampa bellincioniana uscì postuma e che il Tanzi confessa di aver dovuto molto sudare nell’ ordinarla « per aver trovato queste rime molto confuse, senza ordine et senza tituli overó argumenti et in tante diverse carte quanti erano li sonetti », sembrerà naturale il prestar maggior fede all’ attestazione del codice, che a quella dell’ edizione. Il Tanzi trovò probabilmente fra le carte del Bellincioni, forse trascritti da lui, quei sonetti del Pulci e senza badare più che tanto li inserì nella sua raccolta : chi sa che ulteriori ricerche non costringano l’un Bernardo a restituire all’altro anche altri sonetti, che ora passano sotto il suo nome. (2) Rime, I, 180-81, II, 254. Per le relazioni del Franco coi Medici si vedano specialmente le due belle pubblicazioni di I. Del Lungo , Un viaggio di Clarice Ormi de’ Medici nel 1485 descritto da ser M. Franco, Bologna, 1888 (Disp. 98 della Scelta di cur. lett.) e Una lettera di ser M. F., nell’ Arch. stor. ital. S. IIJ, T. IX, P. I (1869), pp. 32-52. 288 GIORNALE LIGUSTICO quei lieti ritrovi, Baccio Ugolini (i), mentre di lontano inalzò un inno di lodi sulla tomba di Luigi Pulci (2). Singolarmente copiosa è la serie dei sonetti da lui diretta a Lorenzo, copiosa ed importante , come quella che ci assicura avere anche il Bellincioni goduto di quelPamicizia, della quale il grande e geniale mecenate onorava, non meno per isquisito e spontaneo sentimento dell’animo che per fine arte di governo, eruditi, artisti, poeti. A Bernardo egli affidava una volta un incarico di fiducia, dandogli in un curioso sonetto le necessarie istruzioni; rispondeva per le rime il poeta, promettendo di fare ogni diligenza, di metter in opera l’astuzia più raffinata per raggiungere l’intento: Al naturai parrò la poesia, Darò spesso de gli agli col confetto, Farò el bono, el discreto, el giusto, el netto, Per fargli uscir poi qualche traversia. E secondo con chi, farò el da poco, Et or l’ardito, el timido, el rimesso, Dopo cena aggirargli a ciance al foco. A ciascun varie cose arò promesso, Cercherò d’aver grazie infin col cuoco, Dirò : Lorenzo è uom.... taccianne adesso. Vo’ parlar d’ogni sesso, Per essermi con tutti accomodato : E per chi ben mi fa sempre ho studiato (3). Reduce da Napoli sul principio del 1480, Lorenzo, burchielleggiando, salutava l’amico e questi burchielleggiando gli rispon- (1) Rime, I, 159-60, 180-81, II, 104-6. Vedi intorno a Baccio Ugolini, Affò, Osservazioni sopra varii luoghi dell’Orfeo, pp. 176-80 della ristampa datane dal Carducci nel noto volume poimanesco, e Del Lungo, Prose volgari e poesie latine e greche del Poliziano, Firenze, 1867, p. 53* n‘ I* (2) Rime, II, 122-3 Cfr. anche I, 81-2. (3) Rime, II, 56-57. GIORNALE LIGUSTICO 289 deva (1). Era del resto abitudine di Bernardo indirizzargli versi scherzosi, coi quali 0 derideva un poetastro da beffe (2), o dileggiava qualche tristanzuolo stolto, petulante, malizioso (3), o narrava di certa colazione di cattiva memoria da tal Bencino imbandita a Querceto (4). Con un sonetto accompagnava a Lorenzo, indisposto a Careggi , il dono di susine prima-ticcie (5), e burchielleggiando procurava alleviargli la noia del male (6). Ma più spesso avveniva che il Bellincioni si rivolgesse al protettore per averne aiuto nelle sue strettezze economiche, od appoggio presso i giudici, 0 perchè gli ottenesse il perdono di qualche scappata. Ci si offrirà più innanzi opportuna occasione di trattare questo argomento; qui ci interessa mettere in evidenza un sonetto, il quale reca nella stampa questa didascalia: A Lorenzo de’ Medici per Marcinone, che disse al Bellincioni che Lorenzo voleva fosse confinato per certi sonetti, e non era vero. Quantunque riesca a noi difficile il raccapezzare un senso di mezzo alle frasi burchiellesche, delle quali il componimento è intessuto, certo si è che Bernardo vi e-sprime la sua soddisfazione per essere stato liberato , grazie alla bontà di Lorenzo, da un imbarazzo in cui si trovava od in cui quel Marcinone voleva fargli credere che fosse caduto: Ma quel ch’è più cortese d’un pitocco Mi trasse dalla mente ogni disagio (7). Senza dubbio alla stessa faccenda si riconnette la letterina, (1) Rime, II, 58-59. Cfr. anche II, 78-9. (2) Rime, I, 213-4. (3) Rime, I, 216. (4) Rime, II, 96. (5) Rime, II, 66. (6) Rime, II, 65. (7) Rime, I, 215. Giorn. Ligustico. Anno XVI. 290 GIORNALE LIGUSTICO che qui vede la luce per la prima volta e colla quale Bernardo accompagnava a Lorenzo il dono di una viola , testimonianza del suo animo grato. Ybs a di VII1J di luglio 147η Reverendissimo quanto padre, in voi albergho ogni mia speranza; ricordandomi tutta volta de’ beneficii, m’avete fatti, tanto più mi honoscho a voi ubrighato , massime quando fu ’l chaso di ser March ione, che m’aiutasti come fedelemente vi schrivo. Insomma vi priegho accettiate per mio amore questa vivuola, la quale vi dono, el quale istormento chredo sommamente vi piaccia : altro non diho. V.o Bernardo di Ciridonio. Bellincioni (i). Delle relazioni amichevoli del Bellincioni con altri personaggi della famiglia medicea rimangono pure le traccie nelle sue rime. La pia e gentile Lucrezia Tornabuoni, come il gioviale cantore del Morgante, così il Bellincioni deve aver confortato della sua stima e della sua protezione. Egli scherzosamente le scriveva da Fiesole, pregandola a mandare lassù provvigione da bocca per la sua compagnia (2) ed ella ne lodava in un sonetto le rime (3) e gli affidava i manoscritti (1) Arch. di Stato di Firenze, carteggio Med. innanzi il Princip., F‘. XXXV, lett. 610. Il Bellincioni doveva trovarsi a Firenze, quando scrisse questa lettera, poiché la data di ricevuta segnata a tergo è pure 9 luglio 1477. A chi studia storicamente la pronunzia del dialetto fiorentino, può forse interessare di sapere che, come in tutto il resto, mi sono scrupolosamente attenuto al ms. nella trascrizione del suono di c gutturale. (2) Rime, II, 88-9. (3) Il sonetto della Tornabuoni non ci si è conservato, si bene la risposta, che sulle stesse rime le fece il Bellincioni (Rime, II, 88). Senza dubbio è dovuta ad un errore, facilmente spiegabile colla contiguità dei due componimenti e coll’ accidentale identità delle rime dei primi versi, l’attribuzione alla Tornabuoni che il Salvini, postillando l’esemplare ora riccardiano GIORNALE LIGUSTICO 291 delle proprie poesie. Quest’ultimo fatto ci è attestato da una lettera inedita di Bernardo, il quale, il 22 agosto 1479, le scriveva : « Reverendissima tanquam madre : io ό fatto a « sichurtà del vostro libro, chôme d’ogn’altra simile vostra « opera: eli’è piacciuta asai a chi la desiderava vedere », seguitando poi a parlare di certo tavoìaccino o servo de’ signori, che dalla buona Lucrezia pare fosse stato raccomandato (1). Quando poi nel marzo del 1482 ella venne a morte, il Bellincioni univa alle altre voci di rimpianto la sua e della deiunta diceva le lodi in un assai brutto sonetto (2). Similmente sulla tomba di Giuliano, il cavalleresco giovane caduto sotto il pugnale di Bernardo Bandini in Santa Maria del Fiore in quell’infausto 26 aprile 1478, aveva sciolto un lungo epicedio, lamentazione del morto ed esaltazione insieme del fratello salvato (3). La congiura de’ Pazzi fu, coni’ è ben noto, il segnale di una lunga e disastrosa guerra, nella quale Firenze si trovò di fronte le forze alleate di papa Sisto IV e di Ferrante d’ Aragona , e che non finì se non quando, sulla fine del 1479, Lorenzo con una mossa da abile politico, variamente giudicata allora e dipoi (4), si messe coraggiosamente nelle mani di Ferrante, dell’ edizione milanese , appose al sonetto immediatamente precedente a codesta .risposta (Rime, II, 87). Che però Lucrezia oltre alle laudi e alle Storie bibliche, abbia composto de’sonetti, ci è attestato anche da una lettera del Poliziano (ed. Del Lungo, p. 72): cfr. G. Levantini-Pieroni , L. T. donna di Pietro di Cosimo de’ Medici, Firenze, 1888, pp. 77-83. (1) Arch. di Firenze, Cart. Med. inn. il Princip. F.* LXXX, doc. 79. Questa lettera fu indicata dal signor Levantini Pieroni, Op. cit., p. 88. (2) Rime, II, 128-9. (3) Rime, II, 160-65. Un sonetto del B. a Giuliano è in Rime, I, 197. (4) Vedi Reumont, Lorenzo de’ Medici, Leipzig, 1874, 1,485-88; e Per-rens, Histoire de Florence depuis la domination des Mêdicis jusqu’à la chute de la république, Paris, 1888, I, 432-5. 292 GIORNALE LIGUSTICO recandosi a Napoli a trattare la pace. A Napoli appunto egli era, quando il nostro Bernardo gli indirizzava una lettera assai importante, come quella che sparge nuova luce sulla sua vita. Carissimo mio Lorenzo. Avendomi voi sempre mostro e in fatti e in parole eh’ i’ sono di quegli a chi volete bene, questa volta come 1 altre pigio sichurtà in voi: e per non tediarvi, facendo senza cirimonie, voi sapete, come vi dissi, el chancellero del magnificho Ruberto mi schrisse s io volevo stare in sua chorte per esercizio di tenere suo’ conti, che di questo, quando andai in champo alla sua, s’ avide di me qualche pruova e attitudine. Di questo mi chonsigliasti e domandane prima voi e questo perchè dissi alla sua richiesta, che farei quanto il mio magnifico Lorenzo nn chomanderebbe e hosì gli rischrissi. Di poi m’è paruto e pare sia raffredda la chosa ; colui s’è provisto o quello si sia non so. C’ora dipoi partisti m’è più necessità di qualche aviamento e questo alle chagioni di quel traditore di Piero del Tovagla, il quale per fidarmi troppo di lui, m à tolti anzi usurpati f. 400, come ò fatto intendere a m. Luchrezia vostra alla presenza di lui propio. E questo fu per una promessa feci d’ u’ mio fratello, ma detto Piero è quello che m’ à ingannato. Il modo di suo disegno è lungo e... (1), ma per farvi più inchrescere e per farvi conoscere quel frapaiore bugiardo di Piero e anco del figliuolo, a vostra felice, salutifera e disiata tornata lo’ ntenderete. Perdonatemi s’io diebo allungho che coll’amicho lo sfogliarsi è uno alleggerire la pena. Innefecto intendendo il grande onore e il credito avete da cotesti signori e massime dalla maestà de’ rre, il quale di qua n’ aquista benevolenzia grandissima a farvi quello vi fa, che se voi vi vedessi destro in qualche buono proposito di aconciarmi di chostà con qualche omo dabbene 0 signore, come paressi a voi, v’ aoperiate a questo. Voi saprete apresso quanto vaglo 10 ; mi racomando sommamente a voi. I’ non so se [sia] (2) stato presontuoso, perch’io mille volte il giorno spenderei la vita per voi, questo m’à fatto chredere metterete qualche parola per me, se vi fusse alcun che si dilettasse di versi 0 come dicho in tenere scritture, come mi voleva il (1) Qui è una parola abbreviata che non mi riuscì di decifrare. Si tratta forse di L con un 0 accanto alla sua estremità superiore : verrebbe spontaneo un largo, che però non oso accogliere nel testo. (2) Guasto nella carta. GIORNALE LIGUSTICO Sig. Ruberto da Rimini. Voi siate informato del mio bisogno e desiderio; o ghuadagno la vita mia e stia onorevolmente, mi basta, e sempre vi farò onore e basti. Nè più per ora: xpo vi ci rimandi sano e salvo perutile e onore di vostra patria. A dì vj di gennaio 1479 (st· fi°r·)· Vostro Bernardo di Ciridonio Bellincioni in Firenze (1). Questa lettera, saggio punto soddisfacente della prosa bellin-cioniana, riesce, nella sua sgrammaticata spontaneità, preziosa per la copia di notizie che ci fornisce. Infatti, mentre è nuovo documento delle relazioni intime, che correvano ira il Bellincioni e Lorenzo, mentre serve, come si vedrà, a dissipare pur l’ombra di quel dubbio, che qualche scettico potrebbe accampare contro l’identificazione del poeta con Bernardo di Ciridonio (2), essa ci permette di gittare uno sguardo nella famiglia Bellincioni e di vedere quale ne fosse la condizione. Un giorno il Magnifico, scherzando con Bernardo, gli disse con un’ allusione alle parole famose di Cacciaguida {Farad, xv, 112-4 e xvi, 95-99): « Dante fa menzione di casa tua » ed ecco il fiorentino burlone rispondere con un sonetto, nel quale , parodiando i versi danteschi, ride cinicamente della sua miseria (3). Non è probabile che il poeta plebeo del (1) Arch. di Firenze, Cart. Med. innanzi il Princip. F.* XXXVII, doc. 3. (2) Questa identificazione, alla quale io era giunto per via di ragionamento, accostando ad alcune poesie del Bellincioni i documenti da me ritrovati, ha ora la più assoluta conferma nell’ Elenco de' benemeriti del-l’Ospedai maggiore di Milano posto in luce fin dal 1887 dal sig. Pietro Canetta, elenco sul quale richiamò recentemente l’attenzione F. Gabotto nel giornale La Letteratura (IV, 8). Ivi infatti troviamo registrato il poeta sotto il nome di « Belincioni Bernardo di Celidonio, detto Belincioni da » Fiorenza ». (3) Rime, II, 92-3 GIORNALE LIGUSTICO secolo xv potesse a buon dritto far risalire le origini della sua famiglia alla pura e fida cittadinanza della prima cerchia, nè che a lui scorresse nelle vene il sangue de’ Ravignani. Già nella prima metà del trecento Jacopo della Lana, commentando i versi 97-99 del canto xvi del Paradiso, nei quali Dante « tocca de uno casato antico era, nome Bellincioni, » nobilissimi e grandi rettori di cittadi », soggiungeva: « ma » quelli, che sono oggi, avvegnaché abbiano il nome , non » discesero di quelli » (1). È certo però che storie e documenti dei secoli xiii e xiv ci parlano spesso dei Bellincioni e ce li mostrano non di rado avvolti nelle vicende politiche di quelle età fortunose (2). Eccederemmo i limiti del nostro ufficio, nè d altra parte potremmo arrivare a risultati sicuri, se dal povero verseggiatore quattrocentista prendessimo le mosse ad una lunga indagine genealogica, per determinare quali tra i Bellincioni ivi nominati si devano ritenere suoi antenati diretti. Esponiamo solo il dubbio, che egli discendesse di quel casato, cui la Riforma tristamente famosa di messer Baldo d Aguglione de’ 2 settembre 1311 condannava e poneva al bando tra i ghibellini del sesto d’ Oltrarno (3), dubbio, che sorge in noi dal trovare annoverato fra quelli, che alla venuta di Arrigo VII contro Firenze, si chiarirono suoi parti- (1) Bologna, 1866-67, Mi» 259· Per Ie questioni, alle quali la discendenza di Bellincion Berti dà luogo vedi Todeschini, Scritti su Dante, II, 418-20. (2) Vedi l’indice delle Delizie d. erud. tose. vol. XXIV. Un elenco dei Bellincioni, che tennero uffici pubblici nei secoli XIII e XIV, è nel Priorista Ricci alla Nazionale di Firenze, donde estrasse probabilmente il senatore Filippo Pandolfini quello che scrisse sul foglio di guardia dell’ esemplare palatino E. 6. 4. 112 dell’edizione milanese e che fu pubblicato dal Fan-fani (Rime, II, pag. VII). Questi però lo attribuisce erroneamente all’esemplare magliabechiano, il quale ne ha uno assai più magro di mano di Si-mone Berti, accademico della Crusca. (3) Del Lungo, Dell’esilio di Dante, Firenze, 1881, p. 124. GIORNALE LIGUSTICO 295 giani, un Mone di Bellincione del popolo di San Felice in Piazza (1), di quel popolo stesso, dove nel secolo xv troviamo essere dimorata la famiglia del poeta (2). Infatti nel 1427 una casa di Andrea di Giusto di Coverello, posta nella via della Piazza (3), era abitata da Ciridonio, da Giovanni e da Francesco, figli di Andrea di Bechino Bellincioni e dalle loro sorelle, oltre che dalla loro madre Margherita (1) Delizie erud. tose. XI, 80 e no. (2) Nello stesso popolo , precisamente in via di Sitorno abitava allora un’altra famiglia Bellincioni, sulla quale è d’uopo spendere qualche parola, imperocché credo che in un individuo di essa sia stato da alcuno ravvisato il poeta. Nel 1427 un Bernardo Bellincioni, nato intorno al 1395 , epperciò indubbiamente diverso da lui, presentava agli ufficiali del catasto la nota delle sue sustan^e e de’ suoi incarichi (Arch. di Firenze, Catasto , Gonf. Ferza, Quartiere S. Spirito, Portate, F.* 19, c. 480). Nel '57 egli aveva avuto da Felice sua donna due figli, Francesco e Giovanni (Portate, F.“ 791, c. 999), ciascuno dei quali impose nome Bernardo ad uno de’suoi figli; ma certo nessuno di questi due Bernardi va confuso col poeta, poiché Bernardo di Francesco nacque nel 1466 (Portate, F.* 907, c. 538), Bernardo di Giovanni nel 1475 (Portate, F.* 997, c. 209), e noi sappiamo, che nel 1474 il rimatore era già stato al servizio del vescovo Ludovico Gonzaga. Questa notizia data per la prima volta dal Ti-RABOSCHi, St. d. lett. ital. loc. cit., era però ignota al Manni , il quale, avendo probabilmente trovato nello spogliare 1’ archivio della decima , il primo di questi Bernardi, venutagli 1’ opportunità di nominare fuggevolmente il poeta, non esitò a chiamarlo Bernardo di Francesco (Osservazioni storiche sopra i sigilli antichi de’secoli bassi, vol. XV, Firenze, 1744, p. 42). Delle ricerche del Mauni in quell’ archivio restano frequenti trac-cie nel suo prezioso Zibaldone conservato nella Moreniana (cod. Bigazzi, 184), nel quale però non è parola del nostro rimatore. Più strano è che il Manni lo chiami « prete fiorentino ». Nè nel canzoniere di Bernardo, nè nei sonetti del Pistoia contro di lui v' ha nessun accenno a tale sua condizione : a me sta in mente che il dotto illustratore dei sigilli abbia qui confuso il B. col Franco, che come è noto, era canonico fiorentino. (3) Era così chiamata la via che dal Ponte vecchio metteva a S. Felice in Piazza (cod. Riccard. 2124, c. 39%’). 296 GIORNALE LIGUSTICO di Giovannozzo Biliotti (1). La famiglia viveva in una discreta agiatezza colle rendite de’suoi risparmi e coi proventi del-Γ arte di tintore esercitata da Ciridonio e probabilmente pure dai suoi fratelli ^2); nè le mancava una certa autorità fra’cittadini, almeno se dobbiamo giudicare dal fatto che Ciridonio fu dei priori per i mesi di gennaio e febbraio 1442 (st. fior.) e di luglio ed agosto 1449 (3). Nel 1451 lo troviamo solo capo della casa, essendogli morti negli anni precedenti i fratelli (4), sicché sulle sue spalle gravava tutto il carico di una numerosa famiglia. Quando nell’agosto 1469 egli presentò l’ultima denunzia de’ suoi beni (5), dichiarava (1) Arch. di Firenze, Catasto 1427, Gonf. Ferza, Quartiere S. Spirito, Portate, F. 19, c. 519. Un quarto fratello di nome Bernardo dovè morire prima del 27 , poiché di lui troviamo memoria sotto l’anno 1420 negli Spogli dell Ancisa conservati all’ Arch. di Stato fiorentino (A A, c. 541 r, G G, c. 574 r). (2) Nella portata del 1457 infatti si dice che Ciridonio « fa la tinta... insieme con altri » (Portate, F.* 790, c. 201). Dallo stesso documento impariamo che la famiglia poteva permettersi il lusso di possedere « una schiava raugea » e che nel 1442 donna Margherita aveva comperata la casa, dove abitava. (3) Gio. Cambi, Storia di Firenze, nelle cit. Delizie, XX, 241 e 270. Il Priorista Ricci, che assegna il secondo priorato di Ciridonio al 1446 » distingue i Bellincioni dai Bellicioni, ma le portate originali , dove troviamo promiscuamente usate le forme Bellincioni e Bellicioni, mostrano che questa distinzione non esisteva in realtà : si tratta soltanto di errori di scrittura. (4) Già nel 1433 non troviamo più Francesco (Portate, F.a 437, c. 406). Nella portata del 1451 Ciridonio nomina « Giovanni, che fu mio fratello » (Portate, F.1 690, c. 805). Quest’ ultimo aveva nel 1446 due figli, Antonia di sei anni e Bernardo di uno (Portate, F.“ 650, c. 605. (5) Catasto 1470, Campione, n.° 907, c. 338. Questa portata di Ciridonio, conservata solo in copia, manca della data di presentazione, ma non si cade certo in errore attribuendole quella che hanno tutte le altre portate, dove una data compare. Il catasto si intitola dal 1470, perché in quest anno si fece ciò che ora si direbbe la liquidazione delle tasse. GIORNALE LIGUSTICO 297 di dover pensare al mantenimento della vecchia madre quasi novantenne, della sorella Agnoletta, della moglie Marianna , e di cinque figliuoli, quattro maschi ed una bambina. Nel più giovane de’ maschi, nato verso la fine del 1452 e nominato Bernardo, riconosciamo appunto il personaggio, che porge occasione a questo scritto (1). Già nel 1433 Ciridonio lamentava gli scarsi guadagni e la (1) Nei necrologi dell’Archivio di Stato milanese si trova questa nota, della quale diede notizia il cav. Ghinzoni (La Letteratura, IV, 9) e che a me fu gentilmente trascritta dal sig. ingegnere E. Motta: « [Porta Ver-cellina, Parrocchia di S. Pietro al Dorso]. Bernardus Belingionus anno-» rum ex duplici tertiana et dyaria , juditio magistri Jo. Antonii de » Nigris, decessit ». Poiché essa reca la data 12 settembre 1492 , ne risulterebbe che il B. fosse nato nel 1445. Se non che i documenti fiorentini sono troppi e troppo autorevoli, perchè la loro attestazione possa essere scossa da codesta nota. Tre infatti sono le portate nelle quali Bernardo figura: la prima è del 23 febbraio 1458 (57 secondo lo stile fiorentino), la seconda dell’agosto 1469, la terza del 12 luglio 1480; esse gli assegnano rispettivamente 5, 17 e 28 anni, sicché, interpretandole alla lettera, dobbiamo risalire al febbraio 1453, all’agosto 1452 ed al luglio 1452; in altre parole tutte ad una voce ci dicono di collocare la nascita del poeta verso la fine del 1452. E si noti che codesti documenti ci porgono una guarentigia di esattezza nell’ ordine, con cui vi sono disposti i figli di Ciridonio: infatti se Bernardo fosse nato nel '45 egli sarebbe stato più vecchio di due tra i suoi fratelli, di Andrea e di Giovanni, e sarebbe quindi stato nominato prima di loro, mentre in tutte e tre le portate Bernardo è registrato ultimo tra i maschi. Inoltre, se l’errore della nota milanese è facilmente spiegabile, io non saprei comprendere come un padre potesse assegnare per errore cinque anni ad un suo figlio di dodici o tredici, il che appunto sarebbe avvenuto a Ciridonio nel 1458. Ma v'ha di più, v’ha la certezza che il 27 febbraio 1447 (46 secondo lo st. fiorent.) Bernardo non era ancor nato, poiché Ciridonio, denunziando in quel giorno le sue sostatile ed i suoi incarichi fa parola soltanto di due suoi figli, Francesco di quattro anni ed Andrea di sei mesi. Per me dunque resta provato nel modo più assoluto ed irrefutabile che Bernardo nacque verso la fine del 1452. 298 GIORNALE LIGUSTICO lentezza, colla quale i debitori soddisfacevano, in causa delle guerre, ai loro obblighi (1); prima del 1446 dovette alienare buona parte de’suoi beni; poi le cose andarono a rifascio per modo che egli morì nel 1470, indebitato fin sopra i capelli. I figliuoli ne rifiutarono P eredità (2), ma non per questo ebbero a trovarsi in condizione migliore. Nel luglio 1480, uno di loro, Andrea, languiva nelle Stinche, certo a petizione di quel Pietro del Tovaglia e di quel Baldassare Brunetti, che ai Bellincioni occuparono per ordine del podestà parte della casa in via della Piazza (3). Una lettera, scritta da Gio. Stefano da Castiglione più che un anno dopo la morte di Bernardo (4) e precisamente il 10 ottobre 1493, ci rende pienamente ragione di questi fatti ed illustra la seconda lettera di Bernardo da noi pubblicata. Andrea essendo andato in Fiandra, certo per ragioni di commercio, insieme con Pietro del Tovaglia, gli rubò una somma (1) Portate, F.a 437, c. 406. Ivi parlando dei guadagni fatti dal 21 dicembre 1432 al 28 maggio '33 Ciridonio diceva: « abiamo fato poco, che attendiamo a rischuotere per le guerre ». (2) Catasto 1480, Campione, n.° 997, c. 15. Ivii figliuoli di Ciridonio dicono: « abbiamo di sesto postoci dagli ufficiali del monte l’anno I47°> perchè rifiutamo la redità di nostro padre f. — lib. 2. n. 2 ». (3) Al Catasto del 1480 (Camp. cit. nella nota precedente) essi denunziavano fra’ loro beni la solita casa di loro abitazione posta nel popolo di S. Felice in Piazza « la qual chasa Piero del Tovaglia e Baldassarre » Brunetti ce n’anno ocupata una parte per l’ordine della corte del po-» desta di Firenze per cagione di debito ha con loro Andrea, nostro fratello, » che se ne truova nelle Stinche ». (4) Ciò è tanto manifesto che non si può a meno di restare altamente meravigliati al vedere il sig. Gabotto pubblicarla per provare che nell’ottobre 1493 Bernardo era ancor vivo (Rivista storica ital. VI 200-201, cfr. Giorn. stor. di letter. Hai. XIII, 462). Bisogna proprio dire che la bramosia di cogliere altri in fallo, gli abbia per un momento offuscato il senso comune. GIORNALE LIGUSTICO 299 di danaro, onde fu imprigionato. Bernardo per liberare il fratello promise di pagare il debito e Pietro ne ebbe in pegno la casa, che fu computata 400 ducati e della quale una terza parte fu lasciata a’ Bellincioni come di spettanza del terzo fratello Francesco. Morto Pietro del Tovaglia, suo figlio Angelo non desistette mai dal chiedere a Bernardo il totale adempimento della promessa, e, lui morto, faceva valere i suoi diritti presso chi ne aveva raccolto l’eredità, cioè presso l’Ospedale maggiore di Milano. Queste notizie fornite dai documenti possono indurci a compatire, se non a perdonare, la servilità di cui troppo spesso è macchiata la poesia di Bernardo e valgono ad illustrare e-gregiamente tutta una serie di sonetti, nei quali egli fa la figura d’ un mendicante stendente la mano alla generosità di Lorenzo. A questo or chiedeva un mantello (1), ora rivolgeva un ringraziamento per il dono di un vestito (2), ora rappresentava le sue miserevoli condizioni in quadretti , già tradizionali presso i poeti burleschi, ma ai quali la triste realtà aggiungeva efficacia e vivacità di colorito (3). I documenti ci dicono che gli ufficiali del Monte imposero ai figli di Ciridonio una tassa per il rifiuto dell’eredità paterna (4); ed il canzoniere di Bernardo ci ha appunto conservato un sonetto indirizzato « a Lorenzo de’ Medici quando 1’ aiutò con gli ufficiali del Monte » (5). Privo di ogni avviamento (6), costretto a lottare colla mi- (1) Rime, II, 53-5, 60-62, 82-83. (2) Rime, II, 79-80. (3) Rime, II, 92-3. (4) Cfr. qui addietro la nota 2 a pag. 298. (5) Rime, li, 94. (6) Questa parola, che già vedemmo nella lettera a Lorenzo del 1480, ritorna nelle portate dello stesso anno (Campione cit. nella nota a p. 298). 300 GIORNALE LIGUSTICO seria, Bernardo dopo la morte del padre procurò di guadagnre da vivere allogandosi presso qualche signore. Fu per alcun tempo al servizio del vescovo Lodovico Gonzaga, ma già sul principio del 1474 ne usciva accompagnato da una commendatizia per Niccolò da Correggio (1). Questi, occupato allora in imprese guerresche e continuamente lontano dalla sua città (2), non potè probabilmente accoglierlo, sicché il Bellincioni fece ritorno a Firenze, dove lo vedemmo nel luglio del 1477-due anni più tardi — lo ricaviamo dalla lettera testé riferita — tentava ogni via per entrare nella corte di qualche signore o come poeta o come computista. Per un momento credette di aver trovato il desiderato protettore in Roberto Malatesta, il quale, dopo aver prestato il suo braccio al papa contro Firenze, inasprito dall’ odio, di cui lo perseguiva Girolamo Riario, era passato nel marzo del 1479 al servizio de’Fiorentini. Nella state egli ottenne prosperi successi nell’Umbria e, vinti i nemici alla Magione, pose l’assedio a Perugia (2). Le notizie che di questi fatti giungevano a Firenze, destarono grandi speranze e commossero P opinione pubblica in favore del valoroso capitano. « Indubitatamente, ebbe a » scrivere il Guicciardini, eravamo al di sopra della guerra » e si faceva giudizio che la vittoria dovess’ essere dalla » nostra (3) ». In quell’ occasione Bernardo compose la sua canzone per Roberto Malatesta (4), di cui esaltava con iperboliche lodi la virtù e la destrezza, di cui profetava imperitura la gloria. (1) TlRABOSCHI, Op. tit. loc. CÌt. (2) TlRABOSCHI, Bibliot. moderi., II, 108. (3) Per questi avvenimenti vedi, oltre gli storici, anche Passerini, Famiglia Malatesta, in continuaz. al Litta, tav. XIV. (4) Storia fiorentina, nelle Opere inedite, Firenze, 1859, III, 50-4. (5) Rime, I, 115-19. GIORNALE LIGUSTCIO 3OI Firenze, gli dice, in figura di benigna e· graziosa donna, mostra il petto vulnerato, ma si rallegra di Veder per tua virtù fiorir le spine E d’ un principio amaro un dolce fine. E gli promette: Se ’l tuo valore la mia patria onora, Gratitudine amor mai non divide: Se pianse per altrui e per te ride, Seccheran-si di Lete le triste acque, Di che spesso n’ha sete umana turba, conchiudendo coll’ incaricare la canzone di dire a Roberto quanto Firenze attenda dal suo valore. Al più grato signor, canzone, andrai, Che nascer possa o mai vedessi il sole, E di’ quanto di ben ne aspetta e crede Colei che ’n sul bel fiume tosco sede, All’ombra del suo Lauro come suole, Che di Febo si duole, Con nove belle donne insieme e gode Ammaestrando il secol di tue lode. È naturale che noi riconnettiamo questa canzone colla visita, che Bernardo fece al campo del Malatesta, probabilmente sotto Perugia, e della quale ci informa la solita lettera. Cantando le lodi del capitano romagnuolo, egli volle forse richiamarne sopra di sè l’attenzione o volle ingraziarselo vieppiù, quando già Roberto gli aveva fatto proposta di accoglierlo al suo servigio. Se non che gli avvenimenti non favorirono l’effettuazione di questo disegno. I Fiorentini, battuti da’nemici in Valdelsa, vedendo minacciata la loro città, ordinarono al Malatesta di abbandonare P assedio di Perugia e di accorrere in loro soccorso. Obbedì a malincuore, ma, appena cessate le ostilità, lasciò Firenze per passare al soldo de’ Veneziani. Così an- 302 GIORNALE LIGUSTICO che il Bellincioni vide sfumare le sue speranze e dovette rivolgersi al Medici, affinchè cercasse di trovargli presso qualcne signore napoletano un buon collocamento. Frattanto in Lombardia, Lodovico il Moro andava rassodando la sua potenza. Entrato in Milano sul principio del settembre 1479, eg^ era ormai padrone dello Stato, quantunque lo tenesse come tutore del nipote, Giangaleazzo. In lui ϋ lincioni troverà, fra non molto (1), il desiderato suo protettore, poiché il Moro lo chiamerà presso di sè « acciocché per » Tornato fiorentino suo parlare e per le argute, terse e prompte » sue rime, la città di Milano venga a limare e polire il suo » alquanto rozzo parlare » (2), ed in Milano la fortuna lo compenserà delle passate strettezze e gli sarà larga di onori e guadagni. Altri potrà forse illustrare co’ documenti anche questo periodo della vita di Bernardo: a noi basti per ora averlo condotto fin sulla soglia di esso. Vittorio Rossi. fi) Quando precisamente il B. andasse a Milano non è noto: è certo però che egli vi era già nel 1483, come risulta dalla data di una sua lettera inedita, della quale mi dà gentile comunicazione l’amico Renier. I documenti editi non ci attestano la presenza di lui a Milano prima del maggio 1485 : il giorno 9 di quel mese infatti Giannantonio Aquilano e Francesco Tranchedini scrivevano di là a Benedetto Dei, che aspettava non so quale provvisione dalla corte lombarda , queste parole : « Et il i Bellinzone vostro sollicita et fa luy anchora l’officio del bono amico »; e novamente il 14 luglio il Tranchedini scriveva: « Et invero tutti » sempre hanno date bone parole, ma sopra tutti Paltri el nostro Byrin-» zona ha adoperata la sua viola cum tutti li concenti et armonie, che » havesser potuti fare Lino, Orpheo, Amphione, Daphnis e ’l Patareo » Apollo » (Vedi il periodico fiorentino Zibaldone, vol. I, n.° 11). (2) Prefazione di Prete Francesco Tanzi alle Rime, I, 5. GIORNALE LIGUSTICO 303 VARIETÀ Una lettera di Vanina d’ Ornano. Il notissimo fatto di Vanina d’ Ornano, moglie di Sampiero Corso, ci fu sempre narrato dagli storici secondo la versione del Filippini (Ist. di Conica, t. IV, pp. 316-319). Per via di segrete ambasciate e di persone devote, trovatesi presso Vanina a Marsiglia, mentre Sampiero cercava in Algeri e in Costantinopoli fautori della sua causa, Genova sarebbe riuscita ad indurre la moglie del suo famoso nemico a trasportarsi sul suo territorio insieme ai figliuoli. Ed essa, allettata dalle promesse lusinghiere, fra cui il perdono al marito, avrebbe ceduto , spinta più che da altro da amore per lui ; ma, giunta ad Antibo , ed ivi arrestata da alcuni fidi di Sampiero, tornava ad Aix poi a Marsiglia, andando incontro alla morte crudele che le preparava F odio inveterato del corso per Genova e i suoi partigiani. Nella narrazione del Filippini « un ceito Agostino Bazzica Lupo, il quale spesso praticava a Marsiglia, e prete Michelangelo Ombrone, di cui Sampiero molto si fidava », sarebbero stati gli agenti della repubblica nelle trattative con Vanina, persuasa da loro « come l’andata sua a Genova sarebbe infallibilmente l’origine di sua perpetua quiete e riposo, perciocché Sampiero aveva fatta vendita di due sue case in Genova di molta valuta e che per questo mezzo dell’ andata le verrebbe a riavere, e mediante questo andarvi era per ricovrar la già confiscata sua signoria, onde dopo la morte di‘Sampiero i figliuoli resteranno nel pristino stato di quella, e si poteva di più sperare che per intercessione sua un giorno facilmente potesse ottenere da quei signori il perdono 304 GIORNALE LIGUSTICO per Sampiero ». Insomma Vanina è accortamente tratta in inganno e s’ avvia per Genova fiduciosa di far non solo il vantaggio suo proprio e dei figliuoli, ma col tempo quello dello stesso marito. Di qui Γ aureola di martirio e la pietosa simpatia con cui il racconto dell’ atroce sua morte fu sempre ripetuto. Una lettera di Vanina d’ Ornano, da me recentemente trascritta dall’autografo (i), e che io ho ragione di ritenere inedita, potrebbe forse modificare in parte la storia delle relazioni tra Vanina e la Repubblica e scolpare per qualche riguardo Sampiero dell’ odioso delitto. Vanina, raggiunta al capo d’ Antibo da Antonio da San Fiorenzo ed altri corsi partigiani di Sampiero, è arrestata e sotto false denunzie detenuta nel-castello : donde riesce, non si sa come, perchè rigorosamente custodita, a far giungere nelle mani della signoria la lettera seguente, che io ricopio co’ suoi errori d’ortografia e la sua assoluta mancanza di segni d’interpunzione : Ill.me Ecc.me Sr patrn mie sempre serenissime. So più giorne che dal m.co sig. bertolomeo saivago vostra ili.ma signoria son stati ricercati a nome mio dotinere un salvo condutto per poter venir in questo loco di Gienova per far riverenzia alle ill.me signorie vostre erriconoscerlie per mie vere signore e patrone siendo stato tale Γ anima mia molte anne sono dove da quelle mi fu conciesso alle quale io pensava con la presenzia poterle ringraziare del bene si erano dengniate a farmi ma la mia trista sorte che non prencipia adesso anzi incomincio quando io ebbi a far con persone che per sua causa fui levata di sotto potestà di miei patrone e signore non ciessa mai per seguitarmi pero le ill.me s.re v.re arandasapere che subito che io ebbi detto salva condutto con licenzia del signor di Muglione governatore di Marsiglia io mi missi in cammino per venir a far quanto era il desiderio mio verso miei pa- (i) Collezione d’autografi Cossilla depositata presso il Museo civico di Torino. Busta 35. GIORNALE LIGUSTICO 305 troni vinendo in un loco nomato il cavo dantibo fui asasinata da uno Antonio di S. Fiorenzo poco servitore a questa ili.ma casa (?) e da 12 altri corse diciendo me esser stati mandati dal sig. conte di fiesco e dal sig. di carsi che come amici del col. sampiero non volevano chio andassi in mano de sue inimici dove d.o Antonio venne 304 volte per amazarme e dete di ferite alli povere servitore che eran con meco dopo che siamo state neloche (nel luogo, nella terra) dove io pensava poter dir la mia ragione ho fatto conoscier a tutto il mondo lasasinamento che miera stato fatto loro non sapiendo altro che dire dissino chio aveva fatto un tradimento a Marsiglia per dar la terra in mano de’ genovesi dove allora tutto il mondo mi era contrario dopo non posiendo aparire questo ano detto un mondo daltri cose a monsu de sumariva che sarebbe troppo gran discorso a volerli narare e in fra li altri lano deto saper per cosa cierta che li sig.ri di gienova per far disonore al coll, sampiero mi volevano rimaritare in un gintilomo genovese con un mondo dincariche che no so mai come il sud.o sig. de Sumariva conporte si andò dananzi a S. S. dove per conclusione io son qua prigione nelle mani del signor dantibo ben ristretta da non poter parlare a persona senza bone guardie e masimo a giente che vengano ho vadino in qua loco di gienova io non no sin qui scritto cosa nissuna alle ili.me s.rie v.re sia per non aver avuta comodità come ancor per non darli suspetto davan-taggio pero uidendo che adesso le cose vano alla lunga e che fra q.o mezo il collo potrebe ritornar dal suo viaggio che mi a figuro qual eror io avessi commesso contra di sua sig.ria mi sarebi perdonato ma questo di voler venir in questi parte lui non e mai per rimeterla dove mi la fara costar la vita pero mi e parso pigliar q.a resulezione ricorerme dalle ill.me s.rie v.re non già perche io meriti che quelle debano pigliar q.a pena di legier q.a mia lunga e malcomposta le-tera ma per saper quanto lor signorie sono inclinate a far bene a tutti quelle che si le ricorgano e masime a lor suggiette e vassal le mi a dato animo chio mi piglie tal ardimento di farli intender la disgrazia mia suplicandole che per lamor dedio de dengniarse scriver una lettera a monsu di sumariva e pregarlo sia contento lasarme seguir il mio viaggio pero parendo a v.ra ill.ma s.ria sia che sia a proposito farla che per non esserli più lunga faro con mie umil suplicatione fine pregando dio li félicité e prosperi lungamente dantibo adì 1$ ginaro del 1563. DI v.ra ill.ma s.ria. Vanina d’ Or.' Giorn. Ligustico. Anno XVI. 20 3o6 Questa lettera , sebbene non sia un miracolo di chiarezza, a me pare assai notevole. In primo luogo per quanto n guarda F arresto di Vanina ad Antibo per opera di Antonio di San Fiorenzo conferma il racconto del Filipp'11^ 0* cy con cui concorda , aggiungendovi anzi molti particolari nuovi. Poiché mentre il Filippini si contenta d'informarci che « An tonio di San Fiorenzo la sovraggiunse al cavo d’Antibo^ i stante da Marsiglia 150 miglia: di che accortasi (Vanina) della subita persecuzione fece la sua navigazione volgere a terra per salvarsi : ma non così presto che da Antonio non fosse presa e consegnata a monsignor d’ Antibo a nome del re di Francia insino a tanto che dopo la facesse portare a Zaisi dov’è la gran corte di Provenza », la lettera ci fa sa pere con quali strane calunnie Antonio e i suoi Corsi riu scissero a fare assicurare Vanina nel castello d’ Antibo. In secondo luogo, le espressioni ripetutamente usate nel corso della lettera verso la signoria di Genova fanno nascere il O . dubbio che il pensiero di rivolgersi ad essa per protezione nascesse spontaneo nell’ animo della Ornano o almeno la trovasse , quando si volesse credere istillatovi da altri, molto preparata ad accoglierlo con favore. Onde non è da stupire che ella abbia come un presentimento della vendetta del marito , disposto a perdonar qualunque errore eccetto quello di aver trattato co’ suoi nemici, e si raccomandi tanto caldamente perchè la signoria interceda a suo favore presso il Summariva. È una donna che agli occhi del marito si sente colpevole e non solo per eccesso di buon cuore o per spensieratezza, e cerca in ogni modo di muover a suo favore la Repubblica per sottrarsi alla sorte che potrebbe toccarle. Non ne verrebbe quindi attenuato alquanto l’orrore del delitto di Sampiero ? Questo semplice dubbio meriterebbe di esser meglio ponderato e chiarito possibilmente con altri documenti genovesi. GIORNALE LIGUSTICO 307 Non avendo io Γ agio di farlo, mi contento di comunicare la lettera di Vanina colla speranza che altri, meglio di me, sappia valersene. Giuseppe Robertl RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Novelle inedite di Giovanni Sercambi, tratte dal codice trivul-zjano CXCIII per cura di Rodolfo Renier. Torino, Ermanno Loescher [Stabilimento tipografico Vincenzo Bona], 1889; in-8°, di pp. LXXVI-436. [Forma il IV volume della Biblioteca di testi inediti 0 rari]. Il nome affatto dimenticato del lucchese Giovanni Sercambi, fiorito tra il 1347 (1) e il 1424, uomo di Stato, cronista, novelliere, poeta e commentatore di Dante , cominciò a rivivere nel secolo scorso, e in questo è rinverdito addirittura. A niente approdarono gli sforzi del iMuratori per aver copia delle sue Croniche de’ facti di Lucha (2), che abbracciano (1) A torto il Lucchesini (Storia letteraria del Ducato Lucchese,* nelle Memorie e Documenti per servire alla Storia di Lucca-, IX, 126) Io fa nato nel 1341, e il Bongi (Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca, IV, 343), senza dubbio per una svista, nel 1348. Che abbia veduto la luce il 18 febbraio del 1347 lo afferma il Sercambi stesso nelle sue Croniche. (2) Il Muratori scriveva a Gio. Domenico Mansi il 26 settembre del 1727: « Le Repubbliche di Venezia e Genova.... mi hanno data maniera di servire alla lor gloria con pubblicare le loro antiche croniche. Solamente Lucca non vuol somministrare neppure un foglio. Ho fatto chiedere una parte della Cronica di Sercambi, avendo io l’altra. Non l’ho potuta ottenere » (Lettere inedite di L. A. Muratori scritte a Toscani, Firenze, Le Monnier, 1854; p. 405). 3o8 GIORNALE LIGUSTICO le vicende di quella città dal 1164 al 1423; anzi quando la sospettosa Repubblica seppe che ne aveva trovato un frammento nella Biblioteca Ambrosiana, e che intendeva di pubblicarlo (come poi fece di fatto nel tom. XVIII, col. 797"^9^> de’ suoi Rerum italicarum scriptores), visto che tornava impossibile lo impedirglielo , per un momento pensò d inviargli una trascrizione di tutto il testo, « dopo averlo però ben bene purgato da ciò che potesse nuocere all’ interesse e all’onore » della città; disegno, che, come nota il Bongi, « fortunatamente fu abbandonato ». Del Sercambi mise fuori il Mansi i Consigli a’ Guinigi: Monita Guinisiis data; ma con tali e tanti spropositi, che a volte non vi corre neppure il senso. Di sfuggita il Tiraboschi lo ricordò tra gli storici del Quattrocento; biasimandone, per altro, il « rozzo stile italiano ». Nel descrivere i codici della Laurenziana, non mancò il Bandini d’ accennare La expositione del Paradiso dantesco, che sebbene il Nostro affermi « oe scripto io », in sostanza è una pretta copia del commento di Iacopo della Lana. Riguardo alla sua vita, il Muratori altro non potè dii e, che quello che il Sercambi stesso lasciò scritto di sè nel fi ani mento ambrosiano; niente aggiunse il Mansi sul conto di lui. Assai più largamente la illustrarono il Berti e il Ba roni; la rischiarò in qualche parte di nuova luce il Cianelli, ne discorse, sciattamente al suo solito, il Lucchesini ; con di ligenza il Minutoli, che ne dette una compita biografìa, due volte ristampata, e alla quale poco, forse, resta da aggiungere, per quello che riguarda i fatti. Delle Croniche vagheggiò un tempo la stampa il marchese Antonio Mazzarosa; Gio. Pietro Vieusseux voleva pubblicarle nella prima serie dell’ Archivio storico italiano, da lui fon dato, e le fece, in parte, trascrivere, non già però sull originale, ma sopra una cattiva copia del secolo scorso ; la R· Deputazione di Storia Patria per la Toscana, 1 Umbria e le GIORNALE LIGUSTICO 309 Marche deliberò di metterle in luce ne’ suoi Documenti di storia italiana. Tutte e tre le volte, ora per una ragione, ora per un’altra, il disegno non sortì l’effetto desiderato; e forse chi sa per quanto tempo ancora sarebbero rimaste inedite, se Γ Istituto storico italiano bravamente non allentava i cordoni della sua borsa, affidando la pubblicazione ed illustrazione del testo al comm. Salvatore Bongi, e 1’ incisione in legno delle molte e singolarissime miniature, delle quali è ricco il libro primo e ne formano la parte veramente caratteristica, ad un altro valente lucchese, il prof. Angelo Ardinghi. Ho veduto i fogli tirati fino a qui, e confesso con vera compiacenza, che sia dal lato tipografico , sia per la esatta e scrupolosa diligenza con cui è dato il testo, sia per la fedeltà e bravura con la quale sono riprodotte le vignette, riuscirà addirittura un’ opera da fare onore all’ Italia. Il Sercambi, anche come novelliere, ha trovato fortuna in questo secolo. Delle sue Novelle, per il primo ne pubblicò venti il Gamba nel 1816; dodici il Minutoli nel 1855 ; una il Pierantoni nel 1865; due il Neri nel 1871; nel qual anno venivano poi, all’infuori di queste due ultime, tutte quante ristampate, con dotte illustrazioni, dal prof. Alessandro D’ Ancona; e prima che si chiudesse quello stesso anno, il Papanti ne riproduceva una, tolta da un nuovo testo. Due affatto inedite ne dette fuori il Ghiron nel 1879; e undici, anche esse inedite, il D’Ancona nel 1886, che le accompagnò con la ristampa di quelle già pubblicate dal Neri, dal Papanti e dal Ghiron. Ecco che ora il prof. Rodolfo Renier, più fortunato di tutti e di tutti più benemerito, fa patrimonio del pubblico le molte che restavano ancora manoscritte, e così finalmente soddisfa un vivo e vecchio desiderio degli studiosi della nostra letteratura novellistica ; e lo soddisfa ponendovi in fronte una bella prefazione, dove prende a studiare il Sercambi come scrittore con molta bravura ed erudizione. jio GIORNALE LIGUSTICO Bernardino Baroni di Lucca, nelle sue preziose annotazioni manoscritte alle Memorie degH scrittori lucchesi del proprio concittadino P. Alessandro Pompeo Berti, afferma che il Sercambi « scrisse..... ad imitazione del Decameron del Boccaccio cento novelle », e aggiunge: « questo manoscritto codice che, forse unico ed autografo , si conserva presso di me , prego che sia guardato e custodito come cosa pregevole ». Che fino al 1793 fosse di fatto conservato da’ suoi eredi, lo prova una lettera scritta dal P. Luigi Baroni, dell’ Ordine de Servi, al bibliografo livornese Gaetano Poggiali, che porta appunto la data del 17 luglio di quell’anno, nella quale, nel mandargli in copia una di esse novelle, gli dice : « Il ms. del Sercambi ha per titolo : Novelliere di ser Giovanni Sercambi, lucchese. Lo scriveva nel 1374, come apparisce da una novella di un giudice, che comincia : In questo dì 4 aprile 1374 avvenne in Lucca che uno Giudice marchigiano, ecc. Sono cento novelle, con rime alla fine di ogni diecina, e dette novelle sono avventure accadute a suo tempo, nominando la famiglia e le campagne del lucchese Stato dove accadute ». Io ritengo che il titolo vi fu aggiunto probabilmente di sua mano da Bernardino; e può darsi sia lo stesso codice che nel 1426 era posseduto da Giannino di Bartolommeo Sercambi, uno de’nepoti ed eredi del novellista; il qual codice in un inventario giudiziario compilato in quell’anno è così descritto : « Uno libro di novelle fece Iohanni ». Al giorno d’ oggi il codice più non si trova presso la famiglia Baroni, e per testimonianza del Lucchesini già era sparito nel 1825. Probabilmente chi gli fece prendere il volo fu lo stesso P. Luigi Baroni. Era esso un appassionato raccoglitore di monete e di medaglie e ne adunò una bella collezione, che poi vendette alla Principessa Elisa Baciocchi, nel tempo che tenne il governo di Lucca. Nel contratto di GIORNALE LIGUSTICO 3 1 1 vendita ci volle un patto, quello d’esser nominato Conservatore del ricco medagliere, che venne allogato nella reggia colla magnificenza che era propria de’ Napoleonidi. Il P. Baroni ogni giorno andava a vedere le già sue monete e medaglie, e spesso se ne metteva qualcheduna in tasca e se la riportava a casa. Quando, nel marzo del '14, cadde il Governo de’ Baciocchi, il medagliere era quasi vuoto. L’ accorto frate se l’era ghermite in gran parte ! A sua scusa, anzi a sua giustificazione, bisogna peraltro confessare che il medagliere non gli fu mai pagato, e che se non avesse ripreso da per sè i pezzi più rari, il gabbato sarebbe stato lui. Nè dette fondo al solo medagliere; vendette anche parecchi de’ manoscritti domestici, che furono poi comprati dalla Biblioteca Pubblica di Lucca; la quale, in parte, ne fece acquisto il 1840 dal conte Leonardo Castracane di Fano, che n’ era il possessore, e in parte, pochi anni or sono, dal libraio Spithover di Roma. Disgraziatamente, il codice delle Novelle del Sercambi non fu tra quelli che Lucca potette ricuperare, e s’ignora dove sia andato a finire. L’unico codice di esse, che al presente sia noto agli studiosi, è quello che si conserva nella Biblioteca Trivulziana di Milano, di cui dette di recente una descrizione il compianto conte Giulio Porro, e sul quale il prof. Renier ha condotto la sua edizione. Un tempo fu creduto che il codice trivulziano e quello già appartenuto a Bernardino Baroni fossero una cosa sola; ma a torto, giacché il baroniano, per testimonianza dello stesso P. Luigi, si componeva soltanto di cento novelle, mentre il trivulziano ne contiene invece centocinquan-tacinque. Di più: manca nel codice de’ Trivulzio la novella del giudice marchigiano; e 1’ altra, di cui dal P. Luigi fu data copia al Poggiali, è differente per il dettato a quella che le corrisponde nel trivulziano ; codice pertanto di ben diversa provenienza e redazione. 312 GIORNALE LIGUSTICO Soltanto le venti novelle edite dal Gamba, le due pubblicate dal Ghiron e le ultime undici messe fuori dal D’ Ancona sono state trascritte dal codice milanese ; le altre tutte (tranne quella posta alle stampe dal Rapanti sulla copia che trasse dal proprio codice il P. Luigi) furono trascritte dalle Cianiche, nelle quali il Sercambi, gran sermoneggiatore, a quando a quando ne incastra qualcheduna, non tanto per rallegrare il lettore, quanto per rafforzare a furia d’ esempi i suoi predicozzi di moralista. Già sospettò il D’Ancona che il codice baroniano fosse « forse il primo getto », e il tri-vulziano « una più ricca e corretta forma »; congettura che il Renier rafforza con ingegnosi e sodi argomenti. Finge il Sercambi che nel 1374 per fuggire la moria, che imperversava a Lucca (1), una lieta brigata di donne e di uomini, tra’ quali parecchi ecclesiastici, facesse un giro per 1 Italia a fine di svagarsi e di pigliar bel tempo ; e che uno della brigata (che fu appunto lui, come confessa in uno scellerato sonetto acrostico), Γ andasse rallegrando col racconto di piacevoli novelle. Tra 1’una e l’altra l’autore pone degli intermezzi, « d’ordinario assai semplici e monotoni » ; e il Renier, appunto per questo, s’ è guardato bene dallo stamparli, e con ragione. Quasi sempre poi in siffatti intermezzi si scopre « l’intento morale, al quale mirano, secondo l’autore, anche le novelle più sconcie ». Del resto, « la brigata ci è descritta come delle più costumate. I sacerdoti dicono la messa, cui assistono gli altri ; non si trascura veruna pratica di pietà religiosa, si fanno astinenze e si mangia di magro nei giorni prescritti ». (1) Cfr. Corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850 ; Parte I, pag. 226 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 313 Il Boccaccio senza dubbio ha esercitato sul Sercambi una influenza grande; tutta boccaccesca è la cornice del libro; parecchie delle novelle di messer Giovanni, il Nostro le ha fatte sue, parte raffazzonandole, parte trascrivendole quasi alla lettera ; cosa però che confessa da sè, pur sempre cercando « di dare aspetto nuovo ai racconti, mutando i nomi delle persone e dei luoghi ». Vero è il giudizio che del Sercambi come novelliere dà il Renier. Mi piace di trascriverlo addirittura : « Di gran lunga inferiore per arte al Decameron, che imita, è per contenuto, se non per forma, superiore, non solo a Ser Giovanni, ma al Sacchetti. Le varie specie di novelle del Sacchetti, la anedottica borghese, la ridanciana e sguaiata, la arguta e popolare, hanno, è vero, nel novelliere del Sercambi le loro rappresentanti ; ma accanto a tutti questi racconti e pettegolezzi di cronaca cittadina v’ è la novella più elevata e complessa, attinta a fonti tradizionali. La estensione e la varietà delle novelle del Sercambi è maggiore persino di quello che hanno le novelle del Boccaccio. Non deve fare specie se egli copia parecchie volte quest’ ultimo..... e se talora copia sè medesimo. Ciò nulla toglie alla ricchezza dei suoi motivi di narrazione ». L’importanza delle novelle ser-cambiane non sfuggì ai cultori di novellistica comparata, e le poche già edite furono soggetto di studio al Liebrecht, al Landau e al Koehler. Quest’ultimo si propone anzi d’ illustrare quelle presenti; e vorrà certo riuscire un lavoro importante e curioso. Lucca, per lo più, è il luogo dove la novella nel Nostro ha la propria azione, poi vengono Pisa e Firenze; in molto più scarsa misura le altre città d’Italia; pochissime son quelle che trattano di casi seguiti oltre alpe e oltre mare. E valga il vero : delle centoventidue novelle che il Renier stampa per la prima volta (centotto delle quali nella loro integrità e quattordici in sunto, a guisa d’ appendice, in parte perchè « frammentarie », e in parte perchè 3H GIORNALE LIGUSTICO sconcissime) diciotto riguardano Lucca (i), quindici Pisa (2), quattordici Firenze (3), nove Roma (4), sette Venezia (5), sei Milano (6), quattro Pistoia (7), tre Genova (8), due per ciascheduna le città di Bologna (9), Spoleto (10), Perugia (11), Arezzo (12), Napoli (13), Parma (14), Verona (15)’ e ^an" miniato (16), due la Sardegna (17), una Siena (18), il Frignano (19), Ferrara (20), Prato (21), Luni (22) e Cor-niglia (23). Le rimanenti, ove se ne tolgano due frammentarie, (1) Sono quelle che il Renier ha contrasegnato coi numeri 2, 3> T4, 2i, 34, 44, 45, 46, 5°> Si» 63, 64, 73, 78, 82 e 83. (2) Hanno i numeri 13, 16, 22, 36, 47, 62, 66, 71, 81, 85, 96, 97> 105 e 107 del testo, e 2 dell’Appendice. (3) Son cosi numerate: 4, 15, 39, 65, 67, 68 e 106 del testo; e 1, 3» 6, 10 e 11 dell’Appendice. (4) Corrispondono ai numeri: 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 54· (5) Portano questi numeri : 60, 75, 88, 90, 91, 92 e 104. (6) Hanno la seguente numerazione: 5, 11, 53, 61, 99 e 102. (7) Num. 18, 52, 74 e 76. (8) Num. 17, 20 e 58. (9) Num. 7 e 23. (10) Num. 10 e 69. (11) Num. 19 e 7g. (12) Num. 49 del testo e 5 dell’ Appendice. (13) Num. 55 e 84. (14) Num. 70 e 100. (15) Num. 89 e 95. (16) Num. 98 del testo e 7 dell’ Appendice. (17) Num. 35 e 72. (18) Num. 37. (19) Num. 16. (20) Num. 59. (21) Num. 48. (22) Num. 14 dell’ Appendice. (23) Num. 80. GIORNALE LIGUSTICO 315 son di soggetto forastiero (i). Per la storia degli usi e dei costumi offrono un materiale prezioso; e se la ristrettezza dello spazio me lo consentisse, anderei qua e là spigOlando curiose notizie. Nelle tre novelle di argomento genovese si racconta un caso d’amore d’ Andriolo figlio di rnesser Adorno Spinola ; si celebra Γ onestà di Eleonora de’ Grimaldi, che fu occasione che lo scapestrato Silvestro de’ Fieschi miseramente perisse nel fiore degli anni; si fa parola di due fratelli, Bei-luccio e Bevitoro, che finirono la vita « a uno paro di forche ». È pure d’argomento iigure la novella che ha la sua azione a Corniglia, una delle Cinque Terre (2), « dove nasce vino preziosissimo ». Peccato poi che sia frammentaria 1’ ultima novella: De pauco sentimento domini, nella quale Fautore si propone di narrare come la città di Luni « decadesse dal suo primitivo splendore e fosse disfatta ». Il Sercambi, come avverte il diligente editore , « ci riferisce una leggenda intorno alla rovina di Luni, che Leandro Alberti riassume nella sua Descritione di tutta Italia (Venezia, 1588, c. 27 r). Tale leggenda riveste la forma della notissima tradizione medioevale intorno alla donna che si finge morta per fuggire col suo amante ; tradizione che da una branca della leggenda salomonica, in cui ha carattere turpe, si spinge fino alla gentile e pietosa tragedia di Giulietta. Carlo Brag-gio, che studiò la leggenda di Luni nel suo lavoro su Antonio Ivani, umanista del secolo XV (Genova, 1885, p. 100-106), menzionò gli scrittori più antichi che ne accennarono, Gio- ii) Si trovano ai numeri: 1, 12, 24, 33, 38, 40, 41, 42, 43, 56, 57, 77, 86, 87, 93, 94, 101, 103 e 108 del testo; e 9 dell’Appendice. Cfr. pure i num. 4 e 7. (2) Cfr. Guidoni G., Memoria sulla vite ed i vini delle Cinque Terre, Genova, presso Yves Gravier, 1825; in-8.° 3i 6 GIORNALE LIGUSTICO vanni Villani (Cron. L. i, cap. 50), il Petrarca (Itinerarium Syriacum), Fazio degli Uberti (Dittamondo, L. Ili, cap. 6). Ma tutti questi accenni sono assai indeterminati, nè parlano punto della morte fìnta. Il frammento della novella sercam-biana ci attesta come già nel Trecento la leggenda fosse conosciuta in quella forma in cui poscia la compendiava Γ Alberti ». Prima di deporre la penna voglio notare una cosa. Nella « prefazione » il Renier riporta il brano del Dittamondo di Fazio degli Uberti, che riguarda Lucca ; e lo riporta a seconda del testo datone nell’edizione del Silvestri; edizione piena zeppa di spropositi, ma disgraziatamente la migliore che si abbia fino ad oggi. Quel brano dice : « Andando, noi vedemmo in picciol cerchio Torreggiar Lucca a guisa d’un boschetto E donnearsi con Arno e con Serchio ». I buoni codici, invece di « con Arno », leggono « col prato » ; 1’ edizione del 1501 « con Prato ». Gli editori milanesi del 1826 furono i primi a sostituire « Arno » a « Prato ». E « prato » realmente scrisse Fazio, come già provò all’evidenza il Bongi (1). Infatti ne’ tempi di mezzo, in Lucca, dirimpetto al palazzo, che fu in antico de’ Re d’ I-talia e poi de’ Marchesi di Toscana, vi era un prato, di ragione pubblica, che si estendeva fino al Serchio, e serviva di passeggio a’ cittadini, vi si correvano i palii e vi si faceva la fiera di S. Regolo. Massa, 20 febbraio 1889. Giovanni Sforza. (i) Bongi, Bandi lucchesi dei secolo decimoquarto, tratti dai registri del R. Archivio di Stato in Lucca; pag. 340. GIORNALE LIGUSTICO 3 *7 SPIGOLATURE E NOTIZIE Ne Le Conversazioni della Domenica (A. IV, η. 18, pag. 141) Pietro Orsi pubblica, dall’autografo esistente nell’Archivio del Ministero degli Esteri a Parigi, la lettera seguente, 1 ottobre 1630, del Mazzarino al card. Richelieu , intorno alla morte del Marchese Ambrogio Spinola: « M’incresce di dover dire a Vostra Eminenza la morte del signor marchese Spinola seguita li 25 del passato a Castelnuovo di Scrivia. La sua infermità non è stata altro che disgusto e malinconia, parendogli haver persa la riputatione, mentre da Spagna gli era stata levata la plenipotenza col pretesto che l’haver facilitato troppo per l’addietro la pace n’ liavesse fatta svanir l’esecutione, e dell’apprensione del suo disgusto 10 ne sono stato a gran parte, mentre lo astrinsi a pubblicare tutto ciò eh’ egli teneva secreto con speranza che gli fosse confermata 1’ autorità di prima; 1’afflige va in estremo il pensiero, che la Francia havesse potuto formar sinistro concetto della sua integrità, mentre non condiscendeva a stringere la pace dopo haver conseguito quel tanto c’ haveva dichiarato pretendere da essa per farla ; et era maggiore il disgusto quanto faceva un gran capitale del credito c’ haveva in cotesto Regno, e se ne pregiava rammentando le gratie ricevute da S. M. Cristianissima, 1’ affetto di cui si stimava tanto favorito dal signor cardinale di Richelieu , e le cortesie fattegli da’ signori francesi, come ben ricordò al signor marchese di Brezè et a me, quando lo trovai in cosi male stato, e gli portai i capitoli della tregua sottoscritta, dicendogli che S. M. Cristianissima et signor cardinale di Richelieu molto volentieri erano venuti in rimettere a S. E. la città e castello, perchè ciò risultava in sua riputazione ch’essi amavano, e che V. Eminenza con l’istesso oggetto vi si era ben ado-prata; onde egli ne ricevè gran conforto, e mi domandò con segni di molta passione della persona ed essere di V. Eminenza, con i quali discorsi, tutto chè turbato di mente, parlando sempre di riputatione e trascurando di cibarsi, s’ avanzò la sua debolezza ad essere mortale, aggravato ancora dal rammarico di vedere a camminar così lentamente l’impresa di Casale, non potendo haver nessuna assistenza di gente dal signor Conte di Collalto, mentre questo haveva assodato il punto della propria riputatione con l’acquisto di Mantova. Che però con l’assistenza di tutto 11 Consiglio trasferitosi al campo sotto Casale, rinontiato con molta decenza al signor marchese Santa Croce (imperochè a D. Filippo suo figlio minore ha voluto obbedire), partì con qualche segno di miglioramento verso il detto luogo, dove ha terminata la vita più angustiato dai pensieri, che tocco di febre, della quale sino all’ultimo è stato esente. 318 GIORNALE LIGUSTICO « È morto con 28 mila scudi di rendita di 100 mila che n’ haveva quando cominciò a militare per il Re, ricordando al figlio di continuare il servitio con ogni fedeltà et affetto verso S. M. Havrà però difficoltà di farlo con la prudenza e valore del padre, essendo fra Γ altre cose odia-tissimo da tutte le nazioni ». •f * * Nota aggiunta (cfr. p. 297 n). — Sono lieto di potere, mediante un documento d autorità non sospetta, confermare e meglio determinare le mie induzioni riguardo alla data di nascita del Bellincioni. Il documento mi è fornito dal Libro dell' età conservato nell’Archivio fiorentino, libro sul quale ha richiamato la mia attenzione l’illustre comm. Gaetano Milanesi. Ivi infatti trovo registrato « Bernardo di Celidonio d’Andrea Bellincioni [nato] adì XXV dagosto MCCCCLII 1452 (sic) » (Lib. II, c. n r). E cosi la minuscola questione è chiusa definitivamente. V. Rossi. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Poemetti popolari italiani raccolti ed illustrati da Alessandro d’ Ancona ; Bologna, Zanichelli, 1889. Quattro sono i poemetti che vengono insieme riuniti in questo volume, de quali tre avevano già veduto sparsamente la luce, in edizioni limitate, onde piace averli dinanzi raccolti in bella ed appropriata veste, con la •giunta notevole d’ un altro. Eccone qua i titoli : La storia di S. Giovanni Boccadoro. — La storia della superbia e morte di Senso. — Attilla flagellum Dei. — La storia di Ottinello e Giulia. Il terzo di questi poemetti ha dato opportunità al D’ Ancona, come è noto, di dettare una vera e propria dissertazione intorno alle vicende della leggenda d’Attila, che era già stata molto apprezzata dagli studiosi, e ora volentieri si rilegge, notando qualche ritocco qua e colà, e alcune giunterelle. Anche gli altri due già prima pubblicati, e cioè il primo e l’ultimo , recavano innanzi una illustrazione ; ma questa volta 1' autore è ritornato sopra il suo lavoro , e facendo tesoro di nuovi studii e nuovi riscontri, ha, si può dire, in tutto rifatte quelle due prefazioni con più ampio corredo di particolari, e maggiore copia di utili osservazioni. Nuovissima è invece l’importante scrittura con la quale il dott. Kohler prelude al secondo poemetto, porgendo ampia e sapiente ragione degli atteggiamenti diversi che assume il fatto nelle varie letterature, delle più strette affinità, e delie maggiori divergenze, dovute a peculiari intendimenti dei narratori, 0 a contaminazioni leggendarie derivate d’altronde. A questo studio fa seguire il D’Ancona le indicazioni bibliografiche del poemetto nelle sue varie edizioni, ed è note- GIORNALE LIGUSTICO vole il rilevare come nell’esemplare della più antica, conservato nella Biblioteca Magliabechiana, venga attribuito, in una nota d’antico carattere, a Bernardo Giambullari. Come corredo seguono tre contrasti pur popolari o popolareggianti, che ..con la storia di Senso, hanno alcuni punti di contatto. Nell’ istesso modo l’editore ha fatto seguire il poemetto di Ot-tinello e Giulia da altre narrazioni strettamente a quello legate. E quivi è curioso il vedere come nelle novelle di Francesco Bello, episodio del suo Mambriano, e di Celio Malespini, che gli andò dietro, così il fatto come i principali personaggi si fingano genovesi. Vokalismus des Alt-genuesichen. lnaugural-dissertation von Heinrich Roettgen ; Bonn, 1888. La Romania (xvm, 745), annunciando questa dissertazione di laurea, si ferma solo sulla prima delle tesi orali, che appaiono registrate col semplice enunciato alla fine del fascicolo, ed esce in queste parole : « Les Génois, d’ après leur articulation, devaient être des Gaulois;voilà une application pratique assurément frappante de la théorie des substrata ethniques expliquant les diversités dialectales des parlers romans ; elle risque toutefois de paraître plus que téméraire aux celtistes, aux romanistes, et aux ethnographes , qui ont cru jusqu’ici devoir séparer les Ligures non seulement des Gaulois, mais des Celtes ». Non ci pare che così leggermente si possa sentenziare di una quistione così ardua ; è un fatto che più d’ una volta P etnografia ha avuto inaspettati aiuti dalla glottologia, e d’ altra parte essendo qui la tesi, come dicemmo, semplicemente enunciata, non dimostrata, amiamo lasciarla in disparte (1), toccando piuttosto della dissertazione del Roettgen sul Vocalismo del genovese arcaico. È questa una diligente classificazione dei fenomeni attinenti alle vocali, quali risultano dallo spoglio di tutti i testi genovesi dalla fine del secolo XIII al principio del XV, dalle Rime edite dal Lagomaggiore a quelle date fuori dal Parodi (Arch. glott. vii e x), dalle prose procurate dall’ Ive (Arch. glott. vili) alle Laudi del Crescini (Giorn. Lig. a. x, 321). Certo è che alle Annotazioni sistematiche fatte dal Flechia ai testi genovesi usciti neïï’Arch. glott., ha poco aggiunto il Roettgen, nè è forse questo il luogo di tenerne particolare parola. Solo è da lamentarsi che il Roettgen non conosca le Osservazioni che al Lessico genovese antico ha fatto il bravo Parodi in questo stesso giornale (a. xiii , pag. 1.), perchè avrebbe potuto giovarsene e rendere così compiuta sotto ogni rapporto la sua accurata monografia, che non potrà non interessare chiunque si dedichi allo studio dei dialetti italiani, e desideri acquistare conoscenza del genovese antico. P. E. G. (1) Cfr. ciò che ne dice il Gròher nella Zeitschrift f. d. roman, philolog., xii, 585. 320 GIORNALE LIGUSTICO Nuovi studi letterari di Camillo Antona-Traversi Milano, Borto-lotti, [889. L'autore anche qui, come in altri volumi recentemente pubblicati, ha suonato a raccolta, mettendo insieme parecchie sue scritture, le quali avevano veduto la luce vuoi per occasione di nozze, vuoi in giornali. Costituiscono la parte principale del volume, e possiamo ben dire altresì la più importante, le cose Leopardiane e Foscoliane, per le quali oggi-mai 1’ Antona-Traversi si è reso assai benemerito degli studi. I curiosi documenti, che egli illustra largamente, intorno a Monaldo Leopardi giornalista , sono un complemento necessario all’autobiografia già mandata in pubblico dall’ Àvoli, dove pur si toccava della Voce della Ragione, periodico creato e compilato da Monaldo. Ma qui ne abbiamo, si può dire, la storia intima, e veniamo a conoscere per quali cagioni dovette cessare la pubblicazione. E così questa monografia, come le lettere scritte da Monaldo al figlio Giacomo, e la scrittura giuridica morale con la quale egli condannava il matri 1 onio dell’ altro figliuolo Carlo con la cugina Paolina Mazzagalli, ci chiariscono meglio le opinioni, 1’animo e le condizioni famigliari di quell’uomo che venne giudicato sì diversamente, e spesso non senza preoccupazioni. Del pari abbiamo qualche maggior documento a conoscere la natura delle sue relazioni col poeta. Del Foscolo ci vengono poste innanzi nella loro genuina e primitiva lezione alcune poesie dettate sui quindici 0 sedici anni in morte del padre, e dedicate con pietosa lettera alla madre carissima; componimenti poetici de’ quali uno solo aveva veduto la luce, e cioè il noto sonetto . Era la notte. Materia questa degna di studio, per chi si piace indagare in qual guisa ebbero vita e svolgimento le facoltà poetiche del Foscolo, e come e per quali vie seppe egli avviarle all’ eccellenza con il magistero dell’arte. Anche i tre bigliettini amorosi dello stesso scrittore, ci porgono argomento , in modo più aperto che altri non avesse fatto fino a qui, a rilevare la fiamma amorosa sorta nell’animo ardente di lui per la Isabella Teotochi-Albrizzi. Come documenti intimi e personali dell’animo e de’ pensamenti politici di Francesco Domenico Guerrazzi sono notevoli le sue lettere scritte ad amici, e per la massima parte al padre dell’Antona-Traversi fra il 1861 e il 1869, utile giunta all’epistolario raccolto dal Carducci. Buone osservazioni trovansi finalmente nelle due scritture Manzoniane. Nell’ una si discute degli irrevocati di; parole che hanno dato origine a tante e così varie polemiche critiche; nell’altra si discorre a lungo, e spesso felicemente, per via di confronto, delle due edizioni dei Promessi Sposi, cioè la prima, e quella dove 1’ autore introdusse poi le note modificazioni linguistiche. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 321 LETTERE INEDITE DI GABRIELLO CHIABRERA I. Il poeta savonese ha avuto un biografo, pe’ suoi tempi, assai sufficiente, amoroso ed accurato nel p. Giambattista Spotorno. Il quale prima discorse di lui nella Storia letteraria della Liguria (1), e poi innanzi all’ Amedeide (2) con succosa brevità, recando particolari notizie tratte dalle schede del Belloro (3); in fine nelle annotazioni copiose apposte alla autobiografia ridotta a miglior lezione sui manoscritti, e nuovamente impressa in capo alle lettere scritte dal poeta a Bernardo Castello ; dove si legge altresì un primo tentativo di genealogia della famiglia Chiabrera, quasi eccitamento a lavoro meglio ordinato e più ampio (4). (1) Genova, Ponthenier, 1826, IV, 24-107. (2) Genova, Pagano, 1836, pagg. vii-xxxix. (3) Nella Biblioteca della R. Università di Genova si conserva il voi. de Le Lettere di G. C., Bologna, dalla Volpe, 1762, appartenuto allo Spotorno e tutto annotato di sua mano, con notizie copiose tratte dalle schede di Giambattista Belloro , il quale dettò l’ elogio del Chiabrera inserito nei Ritratti ed Elogi dei Liguri illustri editi dal Gervasoni (tip. Ponthenier) nel 1823 e quindi ristampato negli Elogi di Liguri Illustri, Genova, Ponthenier, 1846, II, 128. (4) Lettere di G. C. a Bernardo Castello, Genova, Ponthenier, 1838. Per la genealogia si giovò anche delle schede di Gian Tommaso Belloro. Un altro albero genealogico uscì nel seguente libro : Sentente morali di Giorn. Ligustico. Anno XVI. 21 322 GIORNALE LIGUSTICO Contuttociò, chi volesse, secondo gli intendimenti della critica moderna, parlare nuovamente della sua vita e delle sue opeie, pur tenendo in gran conto i materiali lasciati da quel dotto illustratore, dovrebbe rifarsi a studiare Γ argomento, giovandosi di tutto quanto si è pubblicato o di lui o intorno a lui a’ nostri dì, e dando opera in un tempo a quelle ricerche, onde può venir lume più chiaro alla figura deir uomo e del poeta. Nè gli archivi e le biblioteche pubbliche o private rispondono sempre negativamente alle indagini degli studiosi, di che son prova i documenti e le lettere e le poesie venute fuori in questi ultimi anni. Alle quali, specie per ciò che tocca le lettere, ci proponiamo aggiungere qualche cosa di nuovo, a parziale complemento e a conforto di quanto ha già veduto la pubblica luce. Ma prima di ragionare alquanto intorno a questa nuova particella della corrispondenza di Gabriello, vogliamo toccale di alcuni documenti che lo riguardano. È noto, per quel che ne dice egli stesso, come tornato in patria, dopo il caso sanguinoso seguitogli in Roma, onde dovette abbandonare quella ο ο σ 7 città, quivi pure « incontrò, senza sua colpa, brighe, e rimase ferito leggermente su la mano » (i). Questo avvenne nel 1581. In fatti il Podestà di Savona con lettera del 22 maggio informava il Senato genovese, che pochi giorni innanzi era insorta contesa per cagione di denaro fra Cesare e Giulio Pavese e Ottaviano Multedo, i quali venuti alle mani e alle minaccie co’ pugnali, s’ erano poi separati mercè l’interposizione di alcuni cittadini. Ma più tardi sopraggiunti G. C. tolte dal poema Γ « Amedeide » commentate dal prof. Costantino Coda, Torino, Bona, 1885 ; ed un terzo più ricco ne mandò fuori Girolamo Rossi nella sua monografia: Lo stipite dei Chiabrera in Savona nell Ardì. Stor. Italiano, Ser. 4.’, XVII, 286. (1) Vita di G. C. da lui stesso descritta, in Lettere cit., pag. 2. GIORNALE LIGUSTICO sulla piazza della Maddalena Gabriele Zabrera (sic), Benedetto Corso e Ambrogio Salinero amici dei Pavesi, il Multedo insieme col fratello Lodisio, vedutili, corsero in casa e armatisi di spada gli assalirono. In questa colluttazione il Chiabrera, che si difendeva colla spada statagli permessa dal Senato, ebbe le mani ferite. Il Podestà incominciò subito il processo contro i rissanti, e li citò a comparire, secondo gli statuti ; ma non tutti si presentarono , e Gabriele fu appunto fra questi (i). Ciò vuol dire che egli prese subito il largo, probabilmente perchè, vedendosi leggermente ferito, volle fare « sue vendette », secondo afferma, ferendo forse a sua volta in malo modo gli avversari, quantunque si fatta particolarità non risulti dalla lettera; unico e solo documento che abbiamo trovato, nonostante le più minute ed insistenti indagini, intorno a questo episodio. Certamente ebbe « a stare in bando » come sappiamo per sua confessione, ma ci è ignoto se per sentenza del magistrato , o per tema d’ esser sostenuto e sottoposto a processo. Però dovette star fuggiasco assai più dei « molti mesi » da lui asseriti, e veri-similmente fino all aprile del 1585, allorquando « quietossi ogni nimistà » con P istrumento di pace rogato fra i contendenti il 16 di quel mese in Mulazzano, e ratificato il 24 in Savona (2). Della sua condizione incerta e della vita randagia in questi anni, tocca egli stesso in una lettera al Castello del 1595, là dove discorrendo delle pittrice Sofonisba Anguisola Lo-mellini, ricorda la dimora da lei fatta in Savona « dodici e più anni » innanzi, quando era « pieno di mille affanni, di questioni di Roma, ed in patria pure aveva nimicizie, e stava (1) R. Archivio di Genova, Lilter. Senato, Fil. 122. (2) Vita cit., pag. 2. — Spotorno, Stor. Lett. cit., IV, 48, e Vita di G. C. premessa all’ Amedeide cit., pag. xi. GIORNALE LIGUSTICO quasi sempre in movimento » (i). Forse in Savona sara tornato più d’ una volta, ma di nascosto e alla sfuggita, sempre in sospetto della giustizia e degli avversari. Tanto più che non volevano sentir parola di pace, in ispecie dopo che Benedetto Corso, uno de’ rissanti, rimasto in patria sotto fede di sicurtà, aveva fatto sfregiare in viso Lodisio Multedo, e poi s’ era allontanato. Convien osservare tuttavia che anche i magistrati dimostrarono in questa faccenda tale e tanta correntezza, da palesare aperto il proposito di non procedei e contro que’ principali cittadini ; basti il dire che e il Podestà e il Senato, malgrado le insistenze de’ Multedo , avevano concesso già parecchie proroghe agli inquisiti, e gli atti contro il Corso, nel settembre dell’ 83 erano caduti per prescrizione. Intanto a mandare maggiormente in lungo il termine, mercè la pace, di queste inimicizie, che perduravano sempre vive, tenendo agitata la città, sopravvenne l’omicidio del capitano Bernardo D’Oria, accaduto per archibugiata nel febbraio dell’ 82 sulla piazza della Maddalena, del quale furono imputati i fratelli Multedo. Ottaviano fuggì, ma Lodisio venne messo in carcere. Fatto il processo al tutto indiziario, le risultanze posero nell’animo del giudice la quasi certezza che l’inquisito non si potesse tenere colpevole, onde proponeva fosse rilasciato in libertà. Con questa convinzione, e intanto che s’aspettava il consentimento del governo, si aderì alle istanze del prigioniero, il quale domandava una carcere migliore; ma non appena fu nella nuova stanza, rotta la porta, saltato giù da una finestra, e scalate le mura con una corda, prese bravamente il volo. Di che prima meravigliati i giudici, poi indignati, ritenendo questo fatto come prova del delitto, lo condanarono in contumacia (2). Le cose però deb- (1) Lettere a B. C. cit., pag. 13Θ. (2) R. Archivio, Litter. Senato, Fil. 124 e 127, GIORNALE LIGUSTICO 325 bono essersi chiarite in seguito, e i Multedo, assolti da ogni pena, riammessi in patria, se il 24 aprile dell’85 ratificano Tatto di pace. E qui è da avvertire come, dopo quanto abbiamo detto, si manifesti priva di fondamento la supposizione dello Spotorno, il quale attribuisce questa contesa a non so che gare (nè me n’ occorse memoria) suscitate in Savona dalla presenza di Isabella Andreini, che si condusse a recitare in quella città con i Gelosi nel 1584 (1). In quali luoghi abbia dimorato il Chiabrera nel lasso di tempo che corse fra il 1581 e il 1585, non si può per ora determinare con sicurezza. Egli ha fatto certamente delle apparizioni in patria, dove, a 1110’ d’esempio, potremo forse trovarlo nel 1584, quando vi stette la Andreini, ed ebbe luogo quello scambio di cortesie poetiche , che si leggono nelle rispettive raccolte di rime; ma noi crediamo del pari abbia dimorato alcun poco in Venezia nell’82 per mandar fuori il suo poema intorno alle Guerre de Goti : egli era poi a Mulazzano nell’aprile dell’85, e fra la fine di questo mese e il luglio successivo cade una sua gita a Firenze, secondo ci manifesta una lettera al Giacomini, della quale parleremo più innanzi. Calmàti, in seguito , mercè gli studi e Γ età , gli ardenti suoi spiriti, venne eletto più volte a rappresentare il Comune presso il governo Genovese ; come ben si può immaginare, allorquando le faccende da trattarsi assumevano tanta gravità che o gli Anziani stimavano opportuno mandare persona autorevole a negoziare verbalmente , 0 ne erano direttamente richiesti dal Senato. La prima volta che il nostro Gabriello apparisce investito dell’onorevole ufficio, si è l’anno 1593; ma per mala sorte, ammalatosi poco dopo il suo arrivo, non (1) Stor. Lett. cit., IV, 48, e Vita cit., pag. xi. 326 GIORNALE LIGUSTICO potè compiere all’incarico affidatogli (i). Nel settembre del— 1’ anno successivo ecco che noi lo vediamo di bel nuovo scelto, insieme a Galezzo Pico, a recarsi in Genova per cose riguardanti la pubblica amministrazione (2) ; e quantunque le carte non ci chiariscano la cagione dell’ invio , tuttavia non O ' è improbabile si trattasse ancora, come l’anno innanzi, della tassa imposta al Comune per le fortificazioni. Al che si riferisce altresì il terzo suo viaggio a Genova, in compagnia di Camillo Grasso, nel novembre del 1598 (3); poiché la Signoria, stanca di sollecitare i pagamenti rateali, cui, a quanto sembra, la Comunità si era obbligata, scrisse al Podestà di far mettere in carcere senz’ altro gli Anziani se non compivano al debito loro (4); donde la necessità di scongiurare il pericolo mediante l’opera savia ed autorevole d’alcuno de’ migliori cittadini. Se non che le gravi incombenze pubbliche non lo distoglievano dalle feste e dai sollazzi. Amava assai i divertimenti teatrali, e più d’una prova ne porgono le sue lettere. Sul cadere del ’93 egli era tutto occupato ad ordinare una commedia con balletti per intermedj, la quale doveva recitarsi nel prossimo carnevale, e s’ affrettava a richiedere il Castello di alcuni disegni così per la scena, come per il vestiario dei balletti, invitandolo ancora alla rappresentazione (5). Ma questa commedia , che doveva esser recitata dai principali gentiluomini (1) Varaldo, Rime e lettere inedite di G. C., Savona, Bertolotto, 1888, PaS· 1> 17· (Estratto dagli Atti della Società Storica Savonese, T. I.). A questo viaggio si riferisce ciò che dice il C. nella lettera XXX al Castello. (2) R. Archivio, Litter. Senato, Fil. 163, lettera degli Anziani 2 settembre. Cfr. lettera XLVII al Castello. (3) R. Archivio, Litt. Senato, Fil. 177, lettera degli Anziani 12 novembre. Cfr. lettera LXXXIII al Castello. (4) Cfr. lettere degli Anziani 12 ottobre e 3 novembre in Fil. cit. (5) Leti, cit., XXXVII, XXVIII, XXXIX, XL. GIORNALE LIGUSTICO 327 savonesi, fu, egli dice, « combattuta da varj accidenti ». Infatti il Senato con sua lettera del 28 gennaio ordinava al Podestà di proibirla, per ragioni di ordine pubblico, e il 31 era fatto divieto a chicchessia di rappresentare commedie o d’uscir mascherato (1). Nonostante la rappresentazione ebbe luogo il sabato grasso; ciò vuol dire che si riuscì ad ottenere dal governo il permesso, e a questo intento non saranno per avventura mancati gli uffici del Chiabrera stesso. Anch’egli ebbe parte a questa rappresentazione, come attore, di che già da lui abbiamo indizio in quel « reciteremo la commedia » scritto al Castello, ma ne siam meglio resi sicuri dal Carrega, il quale promettendo al Titi di mandargli « alcuni componimenti » di Gabriello « fatti nell’ occasione della Comedia che si recitò a Savona », aggiunge: « et egli fu uno dei recitanti » (2). I componimenti a cui si accenna debbono essere senza meno poesie per gli Intermedi, delle quali mandò copia al Castello (3), ed una, mandata dal Carrega al Titi, con la indicazione à’Intermedio e il titolo: Homero, è quella che incomincia: Dai campi Elisi, ove di gaudio intero (4), e comparisce nelle Opere recando in fronte le parole : Loda le Dame Genovesi (5). Forse lo stesso poeta rappresentava il grande epico greco. Passando ora ad un altro argomento, e cioè al favore ed alle larghezze che il Chiabrera trovò presso la Corte Me- (1) R. Archivio, Litt. Senato, Fil. 162. La lettera del Senato è citata in quella responsiva del Podestà, 30 gennaio; mancano i copialettere che ne dovevano recare il testo. (2) Let. 12 marzo 1594, nella Corrisp. del Titi, esistente nella Biblioteca Universitaria di Pisa. Cod. S. c. 2. 156. (3) Lett. cit., XLI. (4) Lett. 2 aprile 1594. (5) Opere, Venezia, Geremia, 1757, I, 70. 328 GIORNALE LIGUSTICO dieca, ricorderemo come egli stesso, manifestando le singola^ accoglienze e le cortesie ricevute primamente da Ferdinando h vuol farci sapere che dopo le feste del 1600, questi « commise ad Enea Vaino suo maggiordomo » di notarlo « fra’ gen" tiluomini con onorevole provvisione, senza obbligo niuno, e dimorasse dovunque egli volesse » (1). In prova di che possiamo produrre il decreto originale (2) : Don FerdinAo Medici G. D. di Toscana. Cav.r- Enea Vayni nostro Maiordomo, mettete a Ruolo Gabbriello Chiabrera da Savona a scudi Dieci il mese servendo o stando a casa sua e cosi eseguite non ost.'. Al Poggio li 30 ott.te 1600. Il G. D. di Toscana. Ne Cosimo fu da meno del padre, che anzi gli crebbe la provvigione, secondo si vede dal seguente documento: Ser.no Sig.'c Gabriello Chiabrera ha di presente s. 10 mese (sic) e se li pagano stia dove vuole, adesso cominciando il pr.m° ottobre se li crescerà s. 1$ servendo, che con li s. 10 saranno in tt.° s. 25, e questo si farà se V. A. non comanderà in cont.rl°. li 3 dicem." 1614. Utnil.m° e obh.mo Servo γ Iacopo Med.ci Maiord.°. 1. est. Così si faccia. Curtio Picchena X Die.' l6l4· Siffatto accrescimento di soldo era concesso nella considerazione che il poeta stava per venire a Firenze, dove si trattenne poi dal dicembre di quell’ anno fino al 15 di settembre 1615, perciò apparisce chiaro il significato della parola (1) Vita cit. pag. 7. (2) Questo e i documenti seguenti sono tratti dal R. Archivio di Stato in Firenze, Archivio Mediceo, Fil. 1839, e mi furono communicati per cortesia del compianto Cesare Guasti. Si noti che i due primi aveva già mandato in luce il Rossi nello Stipite dei Chiabrera cit., loc. cit., pag. 290 con qualche lieve varietà di lezione. GIORNALE LIGUSTICO 329 « servendo », sì come condizione posta alla durata dell’ aumento, fino a che cioè dimorava colà. Non è quindi a meravigliare se dopo il suo ritorno a Savona la provvigione venne ridotta. Ma il Chiabrera in questo mezzo era stato colpito da alcuni dissesti economici, la continuazione quindi della intera pensione diventava per lui una vera risorsa. A questo fine si rivolse al Granduca supplicando così: Ser.«io Gran Duca Gabbriello Chiabrera umil.mo s.r' di V. A. S. riceve per grazia da V. A. S. sino alla somma di s. 25 il mese di Provvisione per il tempo che egli dimora in Firenze. E per qualche sinistro accidente accadutoli supplica V. A. S. di lasciarli anco godere Γ istessa somma stando a casa sua, dove procurerà di servirla et esser pronto a ogni suo comandamento con pregarle da Ή. S. Dio felici. Il rescritto fu al tutto favorevole, ed è di questo tenore: Il maiordomo dia ordini al Pagatore Sacchett.ni che faccia pagare a lui o chi egli ordinerà la Provvisione di 25 scudi il mese anche mentre egli starà a casa e questo si intenda a beneplacito di S. A. S. Il G. D. di Toscana. CURTIO PlCCHENA 13 luglio 1616. Senonchè il « beneplacito di S. A. » dovette cessare forse alla morte di Cosimo, e si tornò a’ primitivi dieci scudi, se pure anche questi, nel tempo in ispecie della tutela, non ebbero qualche intoppo. Certo è che appena Ferdinando II tolse in mano le redini del governo, il Chiabrera dovette affrettarsi a fargli pervenire una supplica, la quale noi non conosciamo, ma che si rileva dal seguente rescritto: 25 9m." 1628. Si contenta S. A. in continuazione dell’ amore, et stima, che hanno portato i suoi Progenit.'1 al Chiabrera supp." che il Pagat." Guidetti seguiti 330 GIORNALE LIGUSTICO di pagargli ogni mese i dieci scudi, ancorché stesse assente , et mentre egli assisterà, et attualmente servirà gli aggiunga fino alla somma ài scudi venticinque il mese et di così il Maiord.* Magg." De dia gli ordio1 a chi bisogna. E la pensione in questa misura deve essergli stata mantenuta ne’ dieci anni che ebbe ancora di vita. II. Ed ora veniamo alle lettere. Muove la nostra raccolta dalla più antica che fino a qui si conosca di lui, la quale sta senza indirizzo nella collezione d’autografi Gonnelli (i) ; tuttavia riesce agevole rilevare dal testo come fosse scritta indubbiamente a Lorenzo Giacomini. Doveva essere inserita per avventura in quel codice Strozziano, donde Salvino Salvini trasse F altra che pubblicò per intero (2). L’anno onde si vede segnata la lettera, è appunto quello in che al nostro poeta fu consentito lo stabile e sicuro ritorno in patria, in seguito alla pace firmata per atto pubblico fra i diversi cittadini, che avevano voluto sfogare i loro rancori con insulti e ferite, secondo abbiamo accennato. La stima in che il Giacomini aveva il Chiabrera ben si pare dalla lettera edita dal Salvini, la quale ci manifesta come egli, inviandogli Γ orazione da lui composta in lode del Granduca, lo richiedesse del suo parere, specie sopra alcuni ri- (1) Bib. Nazionale, Firenze, Racc. Gonnelli. (2) Fasti consolari dell’ Accademia Fiorentina, Firenze, Tartini e Franchi, I7i7,pag. 271. GIORNALE LIGUSTICO 331 lievi fatti da uomini assai reputati; al che il nostro savonese risponde molto garbatamente e con retto giudizio (1). Volle (1) Credo opportuno recarla qui per disteso: Illustre Signor mio osservandissimo. Io ricevei l’Orazione di V. S. e seco la lettera, ove mi richiedeva il giudicio intorno all’Orazione, ed anco intorno ad alcune voci particolari. 10 già le risposi; ma essendo mal capitata la risposta, io pur ora farò risposta, avendo pregato il Signor Strozzi, che mi scusi con V. S. della colpa che veramente non è mia. V. S. ben mostra ricordarsi, che di presenza ragionando seco, io era molto poco scrupoloso intorno a’ vocaboli : perchè nella lettera mi fa motto. E veramente è cosi ; parendomi molto strano , che di una lingua viva i proprj e naturali Signori non debbiano avere possanza, non pure di lasciar trascorrere le voci come passeggiere, ma anco di concederne la cittadinanza alle peregrine, essendo tanto migliore la provincia, quanto è maggiore la copia degli abitanti. Ed io fermato in quest’ animo, non avendo posto cura in conoscere distintamente le voci fiorentine, male sono atto a discorrere sopra le straniere della sua Orazione, non ce ne conoscendo. Intorno a Dicchi, io son con Lei; perchè non comprendo esser -vocabolo in Toscana che significhi ciò che significa dicchi, se pur è vero eh’esso significhi difesa contra innondaxione prettamente. Ed essendo per le guerre frequentissimo l’uso e la stanza degli uomini nostri in Fiandra, stimo che non [sia] oscura la significazione di questa voce per l’Italia; e ne argomento dalla mia persona ; perchè vivendo in città assai remota, ed in questa assai remoto, pur intendo ciò che apporti alla mia mente dicchi. Quanto a tutto 11 corpo della Orazione, èmmi intervenuto cosa molto considerabile; perciò che volgendo l’animo a’ Maestri di quest’arte, parmi eh’essi comandino intorno alle sentenze ed intorno allo stile alcuna cosa varia da ciò che V. S. ha voluto fare; e perciò non mi acqueto disiderando scrittura più perfetta: quando poi volgo l’animo all’orazione, non conosco come si possa comandare da i Maestri cosa diversa da lei; e così non disidero scrittura più perfetta. Si che mi volgo solo a disiderare che V. S. ne scriva spesso delle simiglianti, e poi me ne faccia grazioso dono, acciò chè ne faccia regola a’ miei studj. E veramente essendo Γ arte del dire variabile per ogni circostanza, io non saprei dire se non che sommo 332 'GIORNALE LIGUSTICO poi rendere omaggio alla memoria dell’ erudito fiorentino dopo la sua morte con un epitaffio (i), dove ricorda come della rea conocchia Atropo disdegnata in sull’ estremo Per lui stame filò da non bramarsi, alludendo alle traversie che lo colsero sul cadere della vita. Ma, conclude volgendosi al « mortale peregrin del mondo », .....se dentro Firenze a chieder prendi Del Giacomin, non ti sarà celato, Ch’ella s’ornò di si sublime ingegno. Afferma il Chiabrera nell’ elogio di Alessandro Farnese (2): « Io non ho peli’addietro co’serenissimi Farnesi avuto cagione di chiamarmi servidore per modo, che scrivendo alcuna cosa del Duca Alessandro, ad altri paresse, che io parte volessi sciogliere degli obblighi miei ; e ciò dico recandomelo a disavventura, anzi che no ». E ben diceva, perchè nè egli di quei principi lasciò ricordo fra’ suoi benevoli nella auto-biografia, nè si trovano nell’Archivo Parmense documenti Oratore è quegli che persuade ; lasciando gl’ insegnamenti a quelli che imparano l'arte; ma a quelli che già l’hanno imparata e di essa sono padroni, com’ è V. S., mi pajono soverchi gl’ insegnamenti. £ questo dico io da buon senno , vedendo alcune cose così fatte in Cicerone, il quale parta forse non fa alcuna volta cose lodevoli; ma perciò che egli le fa lodevolmente, rimangono con buon’arte. E questo sia fine della mia risposta ; pregando V. S. a ricordarsi di me come di servo suo amorevolissimo; e dove posso, comandarmi, ed alcuna volta scrivermi, perchè oltra il conforto, me ne farò onore. Dio sia con V. S. Di Savona a 4 agosto 1588. Di V. S. Ill.ma . . . Servitore affezionatissimo Gabriello Chiabrera. (1) Chiabrera, Opere, Venezia 1757, Geremia, II, 184. (2) Alcune prose, Genova, Pagano (1826), pag. 5. GIORNALE LIGUSTICO 333 che lo riguardino; vi è soltanto la breve lettera del 12 aprile 1589 che noi produciamo, mancante però di indirizzo (r). Ma discorrendo in essa di versi laudativi, eh’ ei manda ad un personaggio di quella illustre famiglia, cui dà vanto di « gran Signore », e ritrovandosi nella raccolta delle Canzonette da lui pubblicate in Genova nel 1591 , due componimenti in lode appunto di Alessandro Farnese (2), con-vien concludere che eziandio la lettera sia diretta a questo gran capitano. Al quale il nostro poeta volle pur rendere omaggio, dicendone le lodi con quella prosa innanzi accennata (chè ha veramente forma di discorso recitato in pubblico),. assai probabilmente nell’ Accademia savonese degli Accesi, la cui istituzione vien notata dal Verzellino sotto il 1593 , ma della quale noi abbiamo ricordo fin dal l’anno innanzi (3). Infatti in una lettera del 19 giugno 1592 scritta da Genova a Roberto Titi da Niccolò Sauli Carrega, si legge (4): « Il nostro Chiabrera a Savona con quei SS.ri ha fatto un’Accademia, et si chiamano gli Accesi ». Ora essendo morto il Farnese nel dicembre del 1592, non è fuor di luogo il credere che il Chiabrera ne prendesse argomento al suo discorso; tanto più ove si consideri che l’elogio apparisce dettato subito dopo la morte, specialmente là dove sul fine si dice : « Ora di questo Cavaliero , se Italia ferma il pensamento in su la morte, doverebbe non meno, che madre disconsolata in su la bara del figliuolo, radersi le chiome » (5). Nè questo fu il solo tributo reso alla me- (1) Debbo questa lettera alla cortesia del comm. Ronchini. (2) Canzonette, Genova (Bartoli) 1591, pag. 38, 43. (3) Spotorno, Op. cit., IV, 254. Sembra però che questa Accademia già esistesse qualche anno prima; e forse non si tratta che di un risveglio. (4) R. Bib. Univ. di Pisa, Lettere a Roberto Titi, cod. S. c. 2. 156. (5) Alcune prose cit., pag. 17. 334 GIORNALE LIGUSTICO moria dell’ estinto, chè egli scrisse ancora un sonetto per il sepolcro di quel principe valoroso (i). La lettera diretta ad Angelo Capponi (2), figlio di Alessandro, lettore assai chiaro nello studio pisano, divenuto abbate di S. Zeno di Pisa dopo la morte del cugino Cappone rivestito di questa dignità (3), anziché a Firenze, suo naturai luogo, si conserva nell’ archivio di Mantova. La poesia in essa contenuta e quell’ « Ecc.m0 Sig.r D.n Ferdinando », per cui « commandamento » muove il poeta a verseggiare, ce ne dicono la ragione. Il principe Ferdinando Gonzaga dilettante appassionato di poesia e di musica, mentre era a Pisa agli studi, saputo come il Capponi avesse conoscenza col Chiabrera, lo deve aver pregato a procurargli una sua canzonetta per musica, la quale fu subito composta e mandata. Ma essendo per avventura partito il principe alla volta di Mantòva prima del 30 marzo (e il 25 scriveva al padre annunziando imminente il suo ritorno), il Capponi credette opportuno inviare colà senz’ altro la stessa lettera autografa. La quale fu scritta da Genova, mentre Gabriello vi dimorava per sovraintendere alla stampa delle sue poesie, e donde soltanto si mosse per tornare in patria nel mese successivo. La canzonetta, per quel eh’ abbiamo potuto vedere, è inedita. Non vuoisi poi dimenticare che al Capponi egli già negli ultimi anni del cinquecento aveva indirizzato una delle sue canzonette in quartine (4), eccitandolo alla caccia, mentre avvampa « di caldo sangue » Robusto i fianchi in su l’età gioiosa. (1) Opere cit., II, 257. (2) Archivio Gonzaga, Carteggio, Genova. Mi fu comunicata gentilmente da Stefano Davari. A proposito della dimora in Toscana del principe Ferdinando si può vedere le sue importanti 'Notizie biografiche di Claudio Monteverdi, Mantova, 1885, pag. 16. (3) Passerini, Famiglia Capponi, in Litta, Famiglie italiane. (4) Opere cit., 1, 288. GIORNALE LIGUSTICO 335 Fin da quando D. Giovanni De Medici militava nella sua prima giovinezza in Fiandra, venne lodato dal Chiabrera con i versi che si leggono a lui indirizzati nella ricordata stampa del 1591 (i), e forse da ciò fu indotto quel principe a scrivere al poeta quattro anni dopo, mentre si trovava a combattere i Turchi in Ungheria, domandandogli qualche suo nuovo componimento. Al che egli si affrettò di corrispondere, componendo « subitamente, perchè non era da indugiare », una canzonetta, che spedi con gran premura, senza averla « riveduta a sangue freddo » (2). Nè furono queste sole le poesie indirizzate da lui al Medici, chè più altre ve ne hanno ira le sue rime, e tutte encomiastiche, salvo quell’ ode elegiaca in quartine d’endecasillabi, per la morte del nipote Francesco, scritta evidentemente nel 1614 insieme alla canzone in cui piange quel giovane principe, morto a venti anni (3). Ora con la lettera, che vede adesso per la prima volta la luce (4), gli mandava il poema: Firenze, uscito appunto a quei di dai torchi fiorentini (5). Così nel marzo dell’ anno seguente 1616 pur accompagnava con una lettera a D. Lorenzo de Medici (6), quella (1) Pag. 46. (2) Chiabrera, Rime e lettere inedite, cit., pag. 30 — Al Castello (Lett. cit., n. XLIV), suggeriva nel 1594 come soggetto di pittura « la vittoria di D. Giovanni ». (3) Opere cit., I, 23, 28, 29, 31, 295, 209, 215. Nelle Opere, in tutte le edizioni esemplate su quella di Roma, viene data come diretta a D. Giovanni anche la canzone: Muse che palme ed immortali allori (già comparsa nella stampa delle Cannoni fatta a Genova nel 1586), scritta in onore del celebre capitano suo omonimo. Si noti poi che la canzonetta recata a pag. 209 è riprodotta nel vol. IV, 1, con alquante varietà. (4) R. Arch. di Stato Firenze, Cart. di D. Giovanni, Fil. 5140. (5) Varaldo, Bibliografia delle opere a stampa di G. C., Genova, Sordo-Muti, 1886, pag. 38, n. 61. (6) R. Arch. di Stato Firenze, Arch. Mediceo, Fil. 5171. 33^ GIORNALE LIGUSTICO canzone in cui celebra il torneo da lui combattuto nelle feste carnovalesche, che ebbero luogo in Firenze l’anno innanzi, mentre egli era colà, e delle quali comparve poi la descrizione per le stampe (i). Giovi a conforto il ricordo che ne ha lasciato nel suo Diario il Settimani: « Addì xi di febbraio 1615, giorno di berlingaccio. Sulla piazza di S. Croce fu fatto un bellissimo giuoco intitolato dal Granduca : Guerra d’ Amore, del qual giuoco furono capi il medesimo Granduca ed il principe D. Lorenzo. La festa veramente fu oltre modo bellissima, come si può leggere più copiosamente nella descrizione della medesima stampata i6 Pisa appresso Gio. Fontani 1615 » (2). A questo principe stesso dedicò il nostro poeta il poemetto : I presagi dei giorni. Fra i molti amici che il Chiabrera contava a Firenze, città a lui assai prediletta, va notato Niccolò Strozzi, che fu accademico della Crusca, canonico della Cattedrale, consigliere e ministro di Luigi XIV, prosatore e poeta (3); apparteneva a quella insigne famiglia che venne illustrata da tanti uomini celebrati, e che a’ tempi di cui parliamo noverava ancora solleciti e felici cultori degli studi d’ogni ragione. Con Niccolò (1) Opere cit., I, 92. (2) R. Arch. di Stato in Firenze, Settimani, Diario fiorentino, ms. VII, (1608-20) c. 284 t. Debbo la notizia al gentilissimo cav. Gherardi. Non conosco la stampa di Pisa, ma la seguente, che è opera di Andrea Sal-vadori: Guerra d’Amore \ Festa del / Serenissimo / Granduca / di Toscana / Cosimo secondo / Fatta in Firenze il Carnevale del 1615· / In Firenze / Nella stamperia di Zanobi Pignone l’anno MDCXV. / Con licenza de superiori. In 8.° di pp. 52 con tav. disegnate dal Callot. Nella giostra il Granduca rappresentava Indamoro re di Narsiaga, e D. Lorenzo Gradamelo re di Melinda (Bibl. Nazion. Firenze, Sez. Palatina, M. 1. D. 1521)· (3) Negri, Scrittori fiorentini, Ferrara, 1722, pag. 432. — Notizie lett. ed istor. intorno agli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina, Firenze, Matini, 1700, pag. 310. GIORNALE LIGUSTICO 337 strinse dimestichezza nella dimora eh’ ei fece in Firenze 1 anno 1615, di che ci porgono nuova testimonianza le lettere a lui dirette, le quali appunto abbiamo trovato nelle carte strozziane (1). Non sappiamo se i versi in lode del Chiabrera quivi accennati siano andati in pubblico; a noi rimasero ignoti; ma da parte sua non ha fatto mai ricordo di Niccolò, neppure ponendo il suo nome in fronte a qualche componimento. Vengono per ultimo le quindici lettere a Roberto Titi ancora inedite, che non ci è sembrato dicevole , per amore di ordine cronologico, disperdere fra le altre, tanto più giovando esse a compiere quel maggior numero che ne venne pubblicato testé (2). La corrispondenza e 1’ amicizia del letterato toscano, col nostro Chiabrera ebbe, come avviene sovente fra gli studiosi, un intermediario in Gio. Niccolò Sauh Carrega, cultore benemerito e sollecito della lingua e delle lettere latine (3). Egli aveva conosciuto il Chiabrera per (1) R. Arch. di Stato Firenze, Carte StroSer. II, cod. 240, cc. 124 a 126. (2) La corrispondenza del Titi constava di tre volumi, i quali appartennero a Francesco Maria Ceffini Lettore nello Studio pisano e scrittore della vita di quell’erudito (in Giorn. dei Letter. d'Italia, XXXIII, parte II, pag. 77 e segg. con la giunta di una accurata bibliografia). Ori due solamente se ne conservano nella Bib. Universitaria di Pisa segnati S. c. 2. 155, ! 56. Il Ferrucci (Otto lett. di Curilo Picchena a Roberto Titi, Pisa, Nistri, 1876, pag. xvii) ne ricorda uno solo. Ma le lettere del Chiabrera che vi si trovavano vennero, non so in qual modo nè in che tempo, spiccate dal secondo volume dove figurano nell’ indice, e stanno adesso nella Bib. Nazionale di Firenze, Sez. Palatina, cass. 3. Forse a questa manomissione va attribuita la mancanza di alcune di esse. Sono in tutto trentanove, più una di Domenico Chiabrera (18 ottobre 1596), nella quale avvisa che essendo Gabriello « occupato nella vendemia, non ha scritto alcuni giorni sono, ma sta bene». Ventiquattro furono pubblicate da Ottavio Varaldo in Rime e lettere inedite cit. (3) Cfr. Giuliani, Ansaldo Cebà, in Giorn. Ligustico, a. 1882, p. 391 e segg. Giorn. Ligustico. Anno XVI. 33§ GIORNALE LIGUSTICO mezzo del comune amico Lorenzo Fabri prete di Collodi nel lucchese (i), tipo singolare di proto, editore, libraio non privo di studi e di sufficiente coltura. Il carteggio del Carrega col Titi risale ai primi del 1592, mentre quello del Chiabrera muove dal settembre dell’ anno successivo. Fino dai primi tempi nelle lettere del Carrega è subito parola del poeta savonese, e s’ aflretta a procurarsi i versi che questi andava man mano componendo, per mandarli al nuovo amico, il quale di quando in quando ne lo richiedeva (2). Nel gennaio dell’93 il Titi aveva in una sua lettera lodato moltissimo il Chiabrera, e il Carrega, stimando far cosa grata all’ uno e all’ altro, Γ aveva passata al Fabri, allora sulle mosse per Savona, affinchè la ponesse sotto gli occhi del poeta. « Al S.or D. Lorenzo », egli scrive, « mostrai la lettera sua tutta piena delle lodi del suo S.or Chiabrera, e gli fu grandemente caro di vederlo appresso di lei in tanta stima, e non potei far di meno che non li lasciassi la d.a lettera per portarla a Savona al d.° S.or Chiabrera » (3). Tornato quindi il Fabri riferì « haver havuto grato », soggiunge il Carrega, « di legger la lettera di V. S. il S.or Chiabrera e che ne habbia di quella oppinione che dimostra per d.a lettera, e ringrazia assai V. S. e me ancora che sono stato cagione di farlo conoscere da huomini tali » (4). Recatosi poi il Chiabrera in Genova nel marzo visitò, com’ era debito, il Carrega, il (1) Sauli Carrega, Epistolae, Genuae, Pavonem, 1603, pag. 105. — Del Fabri si sa poco; per le sue relazioni intime col Chiabrera cfr. Ferrari , Gabriello Chiabrera e le raccolte delle sue rime da lui medesimo ordinate. Studio bibliografico, Faenza, Conti, 1888, pag. 10 e segg. (2) Bib. di Pisa, Cart. cit., lett. 27 febbr., 19 giugno, 12 dicembre, del 1592. (3) Lett. 16 gennaio. (4) Altra lettera 16 gennaio. GIORNALE LIGUSTICO 339 quale ne scriveva così: « Mi domandò di V. S. alla quale porta grandissima affettione, per il testimonio honorovole che di lui ha fatto in quelle lettere scrittemi e si raccomanda a V. S. strettamente » (i). Il Titi s’aspettava oggimai di ricevei e una lettera direttamente da lui, e ne fece motto al- 1 amico, che, a questo proposito, gli rispondeva: « Intorno al scrivere , mi pare che ella aspetti che lo faccia primieramente lui, ma non lo fara altrimenti; dico questo perchè V. S. tenga il suo decoro: basta che ama V. S. et desidera farle cosa grata, del che 1’ assicuro anche lui per parte di V. S. » (2). Queste parole colpirono il Titi, facendogli giudicare in modo poco benevolo il carattere del Chiabrera ; onde il Carrega si affrettò a chiarire le veramente infelici sue espressioni, così: « Non era mio intendimento che V. S. si persuadesse per il mio scrivere che il S.or Chiabrera fosse di tale natura, quale si ha persuaso, che ciò non volli in alcun modo dire. Dissi che non scriverebbe a V. S. altrimenti, perchè forse non ne havrebbe havuto ardire, non havendo ancora molta entratura con lei, se non quanto che per mezzo mio egli ha potuto conoscere che V. S. gli resta affettionato. Nel resto il S.or Chiabrera è persona cortesissima e non risguarda punto a precedentie, et insomma ha un proceder schietto, qual piace grandemente a V. S. et converrebbero bene insieme. Però se pare a lei di scrivergli, lo faccia, è quanto io adesso ne la lodo sommamente ; potrà mandar la lettera a me che glie la darò. E mi terrò buono di haver accoppiati insieme due animi così nobili e gentili » (3). Questi schiarimenti erano tanto più necessari , in quanto che il Chiabrera, nel viaggio a Loreto , al quale si (1) Lett. 27 marzo. (2) Lett. 17 aprile. (3) Lett. i maggio, 340 GIORNALE LIGUSTICO preparava, aveva deliberato di visitare il Titi a Firenze (i). Ma il proposito non ebbe effetto ; poiché partito da Savona il 7 maggio del *93 insieme con Giambattista Ferrerò, « non arrivò tanto innanzi, per la cattiva stagione non commoda al cavalcare, e rimase a Venetia, di dove se ne venne, e nel venire fece cammino tutto contrario a quello che prima si haveva proposto », e quindi non passò per Firenze « come grandemente desiderava » ; onde manifestava poi verbalmente al Carrega « gran cordoglio di questo fatto », augurandosi « altra occasione per adempiere detto suo desiderio » (2). Intanto egli primo rompeva gli indugi, e nel settembre mandava una sua lettera per il Titi al Carrega, il quale rimettendola al suo destinatario, ed offerendosi a recapitare « sicuramente » la risposta, soggiungeva: « E mi è caro che l’amicitia che era fra amendue per le mie parole solamente, hora si confermi con le lettere » (3). Cominciò dunque da questo punto il carteggio fra i due letterati, e alla prima lettera del Chiabrera rispose subito l’erudito toscano, giovandosi per la trasmissione del Carrega ; onde questi gli scriveva : « Manderò la lettera al S.or Chiabrera, il quale tra per li scritti di V. S. et per le parole mie, conosce si chiaramente le virtù et meriti di lei, eh’ altra testimonianza non gli bisogna. Et non è da dubitare che 1’amicitia loio durar non debba lungamente ; et io in me medesimo godo di essere stato mezzano di sì rara coppia d’amici » (4)· Non cessava tuttavia nell’ animo del nostro poeta il desiderio (1) Lett. 15 maggio. (2) Lett. 15 maggio e 7 agosto. (3) Lett. 25 settembre. Questo mi fa credere che la prima lettera al Titi, anziché datata del 29 settembre (Rime e Lett. ined. cit., pag, 18), sia del 19. (4) Lett. 9 ottobre. GIORNALE LIGUSTICO 34I di recarsi in Toscana a conoscere il nuovo amico, e già nel maggio del ^95 erasi condotto a Genova per seguitare poi suo camino, quando improvvise circostanze lo richiamarono a Savona, nè per tutto quell’anno gli fu possibile muoversi (1). Ben potè adempiere al divisamento nella primavera dell’ anno successivo, allorquando il Carrega scriveva al Titi: « Ga-brielem Chiabreram poetam egregium istuc venisse, et vos una esse intelligo. O dulcem congressum , cur mihi vestro aspectu, vestroque alloquio frui non datur? » (2). Al che ei rispondeva quasi con entusiasmo : « Chiabrerae praesentia non sine maxima mea voluptate aliquandiu fruor, uti-nam se quoque eodem pacto videri, et amplecti possim. Is homo est omnium, quos umquam noverim, eruditissimus, atque in pangendo etrusco carmine aequales paucos, superiorem certe habet neminem ; immo vero, si quid iudico, is unus hodie regnat, atque omnibus palmam eripit. Adeo ipsius suavissimos mores, et in amicitiis colendis egregium studium, quibus virtutibus omnium animos ad se amandum facile pertraxit. Me vero ita devinxit, ut nulla umquam temporis longinquitas, nulla locorum intercapedo tanta esse possit, quae me ab eius amore abstrahat » (3). Nè il Chiabrera rimase meno contento del-Γ amico, siccome riferiva il Carrega che lo vide al ritorno : « Resta tanto obbligato a V. S. che non si può dir di più, e vuole essere anche obbligato a me che sono stato cagione, per quanto dice, eh’ egli habbia fatto amicitia con V. S. » (4). Aveva dunque ragione il Carrega quando affermava che la loro amicizia non sarebbe mai venuta meno; e così fu, poiché la corrispondenza, alla quale dee mancare in fine come (1) Rime e lettere ined. cit., pag. 28, 29. (2) Epistolae cit., pag. 82. (3) Ivi» PaS- 85· (4) Lett. 23 agosto. 342 GIORNALE LIGUSTICO altrove qualche lettera, si chiude nel 1608, circa diciotto mesi innanzi che avvenisse la morte improvvisa del Titi. In memoria del quale dettò un epitaffio, certamente con buona intenzione, ma con versi nella chiusa non troppo felici (1). III. Nel condurre questa pubblicazione ci siamo studiati di star fedeli agli autografi, usando però qualche ragionevole libertà. Mentre ci è parso dover mantenere in generale la grafia degli originali, abbiamo creduto opportuno aggiungere qualche apostrofe e qualche accento, e modificare l’interpunzione secondo i criteri più razionali e più ovvii. Essendo nostro intendimento di porgere soltanto non inutile materiale atto a colorire la biografia del poeta, ci siamo ristretti a quelle particolari illustrazioni che possono mettere in rilievo alcuni punti ignorati o mal noti della sua vita. Così le note strettamente necessarie poste a corredo delle lettere, seguono del pari siffatto concetto, senza avere alcuna pretesa d’ apparato critico ; questo è riserbato in ispecie a chi vorrà discorrere un giorno con larghezza dell’ uomo, della sua educazione letteraria, dei principi che lo guidarono nell’ arte del verso , dei risultati da lui ottenuti, della influenza subita ed esercitata , del posto che gli si compete nella letteratura; infine di tutta l’opera, molteplice, varia, dalla quale gli derivò non picciolo grido a suoi dì, e fama costante fino a noi. Ma quantunque sia più modesto, come abbiamo detto, il nostro proposito, speriamo che non tornerà sgradito ai veri studiosi, i quali sanno giudicare con equità d’ animo e con retto criterio. Achille Neri. (1) Opere cit., II, 185. GIORNALE LIGUSTICO 343 A Lorenzo Giacomini. Ill.m° Sig.re mio, Io partendomi di Firenze pregai il Sig. Gio. Battista Strozzi acciò che egli mi sovenisse in alcune cose, e tra queste era il compire almeno con parole a mio nome con molti Sig.ri E se bene della cortesia del Sig.re Strozzi io mi fido, parmi tuttavia che ciò potrebbe parere un fare sborsare alla sicurtà; però ho voluto fare al meglio che io so due righe a V. S. nelle quali significherei il molto obligo e la molta reverenza mia verso alla sua humanità, et alla sua singolare virtù, se in poca carta mi paresse tentare sì copiosa materia; ma nè io sarei sodisfatto di ufitio commune, nè ella molto manco, * però quel mio scrivere vaglia non a disobligarmi in alcuna parte; ma voglia a non obligarmi più, io voglio dire, che non dando novella alcuna di me, ben saria perdonato il mio errore dalla sua gentilezza; ma di questo perdono io rimarrei con obligo seco, e questo sì fatto obligo io volontieri schifo con lo scrivere mio presente. Hora se mi si dicesse: con questo tuo scrivere tu annoi altrui, io risponderei che di ciò è pure la colpa vostra, che faceste sì che io mi persuasi di partirmi da voi vostro servidore, tutto che cosi mal atto e così mal conditionato ; ma come crederò io che, non noto, sia stato da V. S. favorito, et hora per dimo-stratione aggradito, debba fare noiosa memoria di me? Ciò s’ egli avenisse sarebbe per parte di V. S. un disprezzare la sua creatura; la qual cosa non può cadere, o Signor Giacomino , nella vostra prudenza ; e poiché oggimai per forza V. S. mi dee amettere per suo, io di novo me l’offero, e se con le parole io sapessi dimostrare il cor mio , Γ offerta sarebbe caldissima e sincerissima; ma ciò che io non so prò- 344 GIORNALE LIGUSTICO vare Λ . S. il creda. Io per molte città ho cercato gli homini glandi e riguardevoli, a loro in ogni loco mi sono donato in tutto e per tutto ; lasciai Firenze per 1’ ultima, certo di tro-''.are in lei ciò che altrove non havessi potuto acquistare: quanto al trovarvi il mio pensiere non è fallito; dell’acquistare i non dubito, ricordandomi le cortesie ricevute. Hora per ι-he non paia che non sappia trovare il fine di questa lettera, così rottamente faccio fine e le bacio le mani. Di Savona a x di luglio 1585 Di V. S. IU. Servitore Gabriele Chiabrera. Ad Alessandro Farnese. III.”10 et Ecc.m0 Signore, Che io abbia tentato di porre in versi alcuna loda di V. Ecc.za Ill.ma a lei non parrà strano; perchè de’ soi pari per ogn’uno si deve scrivere: strano le parrà per ventura che questi versetti non degni certo di così gran Signore, io tuttavia gli mandi alla sua presenza, e veramente io non ardiva tanto, ma il Signor Pompeo Arnolfini me ne ha fatto animo. Con tutto ciò prego V. Ecc.23 111.™2 a perdonare il mio ardimento; et a ricevere con bon animo ciò che posso dimostrare in segno di devotione verso V. Ecc.21 Ill.mi, nella cui bona gratia humilemente mi raccomando. Di Savona a’12 di Aprile 1589. Di V. Ecc.2* Ill.ma Devotissimo Ser.re Gabriele Chiabrera. GIORNALE LIGUSTICO 345 All’Ab. Angelo Capponi. Molto IIIe Sig " Considerando sul comandamento dell’ Ecc.m0 Sig.r D.“ Ferdinando , io ho preso a far versi, i quali possano cantarsi con alcuno riguardo di me e del Ser.mo Padrone. E veramente in questa mia età non conviene più comandarmi madrigali a comporre. Io fingo dunque che in Livorno sia... (i) li schiavi del Sig.r G. Duca alcuno innamorato, come verisimil cosa è, che ci sia; e però ho posto i nomi mori; et ho tirato la poesia con alcuna lusinga del Principe. Se ciò sarà bastante a scusarmi della novità di simili componimenti 1’ haverò caro, se non sarà bastante, mi scuserà 1’ ubbidienza verso cotesto nobiliss.mo Sig.re. Ho poi fatta stampare la seconda parte delle mie poesie ; vado a Savona, e quanto prima potrò dar ordine che si stampi la terza, et a suo tempo manderolle tutte a V. S., alla quale di core mi raccomando. Di Genova li 30 Marzo 1606. Di V. S. Molto 111. Ser.re aff.m0 Gariello Chiabrera. i. Bella Inghilighighole, Vinto lo schiavo piè d’ aspra catena, Io su noiosa arena Piango degli occhi tuoi l’ardor gentile, Ma tu sul mar del tuo giocondo Algieri Pensi mai d’Amurat ai destin fieri ? Deh duratemi fidi occhi, ch’adoro: Così piangea dentro Livorno un Moro. (1) Corrosa la carta; deve dir e: fra. 346 GIORNALE LIGUSTICO 2 Dicea Mamud: duro destin crudele; A mia salute vani Sforzi di remi fur, sforzi di vele Contra il valor dei cavallier toscani ; Gita è la libertate E de’ nemici in preda è gito 1’ oro. O per cui vivo e moro, Mora, se vedrò mai tue luci amate, Fia del gran Ferdinando alta pietate. 3- Non ti contristi il cor cara Zulema, Dicea Sinan, se prigioniero io vivo ; Mora, di te son privo, Ma pena altra non é, che ’l cor mi prema ; Qui fier sembianti, et orgogliose offese Tra ferri io non sostegno . . . pur voci di sdegno, . . . ma vivo in servitu cortese (i); E di mia libertà non spero indarno; Sì magnianimo Re siede sull’ Arno. A Don Giovanni de Medici. Ill.mo et Ecc.”10 Signore, Mando a V. Ecc.21 111.”* il mio libretto per honorario, e per debito della servitù mia. Ella mi farà grana di leggerlo. Io sopra ciò non ho che dire, salvo che ciascuno fa quanto può; nè altro ho havuto in animo poetando, se non rapresentare (i) La corrosione della carta non consente di leggere le prime parole di questi due versi. GIORNALE LIGUSTICO 347 ana attione grande spedita da un homo solo; la quale unità se da Omero fino a noi fosse stata cara ad alcun poeta, io non havrei havuto cagione di scrivere; ma emmi paruto , che la lingua nostra possa havere non vile la poesia di una attione di uno, sì come ella a gran ragione tiene in pregio la poesia di molte attioni di molti, e di una attione pure di molti. Io son certo, che il mio poco potere farà danno alla forma del poema che per se piacque tanto ad Omero, et al gran maestro se non di lui, almeno di noi. E di ciò veramente ho da chieder perdono alla famiglia, di cui scrivo, e per conseguenza a V. Ecc.za che ne è sì riguardevole ramo ; alla quale in bona grada mi raccomando e faccio reverenza. Di Firenze li 29 Agosto 1615. Di V. Ecc.21 111."14 Devotissimo servidore G. Chiabrera. A Don Lorenzo de Medici. Ecc.mo Sig.” Le feste di S. A. Ser.ma delle quali V. Ecc.za fu sì gran parte, sono pervenute a' nostri paesi descritte; e perchè in atto furono ammirabili, par degna cosa, che la loro memoria passi molto avanti. Io secondo le mie forze per ciò mi sono faticato ; et in segno di devotione ho preso ardimento di presentare a V. Ecc.za la mia fatica. La suplico a gradirla fin che mi venga opportunità di meglio manifestare il conoscimento degli oblighi miei. E qui facendole riverenza prego Dio Benedetto che sia sempre sua guardia. Di Savona li 17 di marzo 1616. Di V. Ecc.za Devotissimo servidore Gabriello Chiabrera. 343 GIORNALE LIGUSTICO A Niccolò Strozzi. I. Molto III. Sig.or oss.mo 10 per obligo di tante amorevolezze ricevute da V. S. in Firenze, sono stimolato da giusto desiderio di mostrarle almeno prontezza di servirla; e perchè ella sappia dove co’ suoi commandamenti aprirmi la strada a cosa così cara, le dico come sono giunto in patria sano e bene stante per la gratia · di Dio; et qui dimorerò fino che l’amore et il desiderio di Firenze non mi tragga a sè. In questo otio rivedrò Γ Ame-deida per farla vedere una volta insieme con la Firenze, alquanto più compita, al mondo; e quantunque io quasi sia stanco di pensare su lei, per altro pure ricordandomi eh’ ella è stata cagione dell’ amicitia e servitù guadagnata di V. S. io la veggio con animo più amorevole. Hora io farò fine offerendomi lealmente e con tutto il core prontissimo ad ogni cosa di suo servitio, e pregandole felicità, e così piaccia a Dio Benedetto concedergliele. Di Savona li 8 ottobre 1615. Di V. S. Molto 111.' Ser." aff.™ Gabriello Chiabrera. II. Molto 111.e Sig.re OSS.mo 11 piego per Piemonte al Conte Lodovico (1) io l’ho bene raccomandato, quanto si può in questo paese, e sempre farò volentieri ogni cosa che sia servitio di V. S. Di suo ebbi (1) È Ludovico d’Agliè ministro di Carlo Emanuele, con il quale il Chiabrera era in corrispondenza (Cfr. Lett. al Castello, pag. 257, 272, 273 e passim). GIORNALE LIGUSTICO 349 una lettera da che mi mossi da Firenze e li risposi, et il S.r Strinati m’afiermò havere la risposta consegnata in mano di V. S. , sì che vegga se mi ha commandato cosa niuna e che la lettera sia mal capitata. Io sto sano per la Dio gratia ; vado pensando come fornire le parti, le quali mancano alla Firenze, e poi posarmi. All' Amedeida non penso , non ha-vendo più che far seco; et a V. S. bacio le mani pregandola a raccomandarmi, quando Γ incontra, al S.re Salvadori. Di Savona li 17 marzo 1616. Di V. S. Molto IIIe Ser.™ aff.™ Gabriello Chiabrera. III. Molto III. Sig.™ oss.no Sarebbe troppo che V. S. si ricordasse di me; ma consumare tempo e pensieri in compositioni per honorarmi, mi obliga soverchio; ho tuttavia caro esserle obligato per attione onde sono tanto honorato. Intanto ringratio V. S. Perchè spero sul principio di Novembre prossimo essere in Firenze non dirò altro, salvo baciarle le mani e pregarle ogni felicità. Di Savona li 22 7.bre 1616. Di V. S. Molto 111.® Serre aff.mo Gabriello Chiabrera. A Roberto Titi (i). I. Ill.mo Sig.r mio 0SS.mo Benché io debba la grada di tanto acquisto, quanto è la servitù del S.r Salviati alla molta gentilezza di quel Sig.re, (1) Le lett. I, II, III, IV, V, VI, VII, Vili, IX sono dirette a Firenze, le X, XI, XII a Bologna e le XIII, XIV, XV a Pisa. 350 GIORNALE LIGUSTICO tuttavia io mi confesso debitore a V. S. che quasi con sua mano me gli ha consignato, e giungerò questo agli altri debiti miei. Io non gli scrivo, stimando che la lettera già mandata aperta a V. S. debba bastare. Piacemi che con l’autorità di V. S. posso assecurare la fantasia mia intorno alle api, e veramente il luogo di Virgilio a me pareva ben chiaro, ma non fido di me medesimo. Hora V. S. m’invita; certo estremo desiderio io sostengo di Firenze et ho stabilito di venirmene questa quaresima, e vorrei da V. S. questo favore; io vorrei farvi Pasqua e però quantunque la cortesia e Paltre qualità di V. S. e del S.r Iacopo che mi hanno offerto stanza mi debban bastare, tuttavia io prego V. S. a secondare il mio apetito, il quale non nasce in me se non per vaghezza d’una certa libertà. Vorrei dunque che V. S. procurasse per amor mio un qualche prete o altro homo, che per il mio danaro sostennesse di tenermi seco quello spatio che io dimorerò costì; V. S. che è stato per li studii m’intenderà che io dico che vorrei una specie di dozzena; io lo scrivo tanto avanti acciò sia meno la noia di cercarmela. Io sarò a tutte hore con V.V. SS., ma vorrei quella poca stanza per me medesimo. Del S.r Fabri dico eh egli mi afferma havere ultimamente dato novelle di se ; egli sta sano, dimora in Genova, e per sua gran gentilezza è ben diligente in ricoverare le mie lettere; nè io ho mai cono-nosciuto che di V. S. se ne siano smarrite; sì che scrivendo a lui indirizzi le scritture. Altro per hora non dirò, salvo ben raccomandarmi in gratia di V. S. e chiederli perdono delle noie che gli do continuamente. Di Savona a’ 29 di Dec.re 1595. Di V. S. Ill.ma Ser.™ aff.mo Gabriele Chiabrera. GIORNALE LIGUSTICO 351 II. III. Sig.r mio, Ho la lettera di V. S. cara per le bone novelle di voi e di casa vostra; del negotio di Bologna piacemi che si tratti per mano di Sig.re che lo condurrà secondo il merito delle vostre qualità (i). Intanto V. S. dia uno sguardo agli inclusi versetti, e poi la porga al S.r Franceschi. Il decreto di Spagna (2) et una ordinaria querela, che sogliono fare i poeti, me gli ha tolti di testa, più che cagione alcuna. Altro per hora non giungerò a V. S. salvo raccomandarmi a lei. Di Savona al primo di Gennaio 1596. Di V. S. 111.™ Ser.™ aff.™o Gabriele Chiabrera III. Molto III.e Sig.re Sig.r Titi ; ognhomo erra; temo non havere commesso errore con voi altri Sig.ri dandovi titolo minore del dovuto, (1) Allude alle pratiche che si facevano dal Titi, per mezzo del Mercuriale, del Riccobono e del Cardinale Paleotto, a fine di ottenere la lettura d’Umanità, vacante a Bologna per la morte di Tomaso Correa (Cfr. Vita del Titi cit., p. 189). (2) Si accenna agli impedimenti posti dalla Spagna ai traffici ed ai cambi con la Francia per la guerra rottasi poco innanzi fra Filippo II ed Enrico IV. Gio. Andrea D’ Oria fece istanza ai ministri di Spagna perché si togliessero questi ostacoli al commercio (Cfr. Casoni , Ann. di Genova, IV, 205). Il danno che ne rintesero le piazze commerciali liguri e toscane fu grandissimo, e il poeta stesso accenna in altra lettera (IX) a quelli toccati a’ suoi amici. Anch1 egli per questo si trovò stretto da difficoltà finanziarie, come accennava al Castello (lett. LXXIX e LXXX). 352 GIORNALE LIGUSTICO però son certo non può credersi che io voglia poco hono-ìare co titoli, chi con ogni altra dimostratione procuro di honorare quanto so. Di gratia V. S. sene faccia venire opportunità, e scusimene con cotesti SS.ri, nè a me per amor di Dio s accresca titolo, che quello che mi si donò è troppo, nè si confa con la mia fortuna. De his hactenus. Non voglio che V. S. s angustii per iscrivermi più un ordinario che un altro; meco non si passano negotij che chiedino diligenza sì fatta. Ho la lettera del S.r Lorenzo; saperò grado anco a V. S. di servitù sì desiderabile , io rispondo ringratiandolo. Credo che a questa hora haverà havuto una mia, nella quale le donava noia di ricercarmi un albergo per questa quaresima; di novo ne la prego; e con questo chiedo in gratia che V. S. vegga e corregga una canzonetta che mando inclusa al S.r Ottavio. Di Savona x di Gennaro 1596. Di V. S. Molto 111.* Serv.™ aff.mo Gabriele Chiabrera. IV. Molto III.re Sigre Non havendo che dire a V. S. oltre allo stato mio per Dio gratia bono, le invio 1’ alligate, e la cagione si è, che sotto la lettera al S.r Corsi vi sono scritti alcuni versi, che io mando al S.r Cini, dal quale sa V. S. che così altamente fui honorato, io ho voluto mandarle una canzonetta, perchè dovesse rimanere con l’altro; che se scrivea altra maniera di versi, quanto al mio volere ella sarebbe perduta. Piacendo a V. S. di leggerli sciolga il filo; e poscia d’haverli letti, rileghi e dia le lettere al S.r Corsi; pregola a pigliar questa noia per amor mio; pregola ancora a baciar le mani al Sig.r Picheni, Naldi et Ammirato. Tutta la casa io saluto e pregole da Dio felicità, et insieme che mi commandino, assicu- GIORNALE LIGUSTICO 553 ìandogli, che migliore animo che ’l mio non troveranno; e lo crederete sapendo che sono ubligato ad esser tale. Di Savona a’ 21 di luglio 1596. Di V. S. Molto Ill.e Serv.re Gabriele Chiabrera. V. Molto Ill.e Sig.re Dovendo scrivere a V. S. e non havendo che, scriverò alcuna novella; certamente la armata inglese è entrata nel porto di Calis (1), et ha posto la città a rubba, e fatto riscotere i cittadini per la somma di centoventi mila ducati, appresso ha affondate molte navi, fra l’altre la Lomellina, Vassallo, e Coltellera; e perchè si dice ch’esse erano cariche, tutti i mercanti a suo tempo non doveranno ridere. Quanto al rimanente V. S. piglierà la noia di dare l’inclusa a] S.r Corsi; alla sua sono alligati alcuni versi per il S.r Oratio del Monte; V. S. havendo vaghezza di perdere un poco di hora sciolgali e leggagli, e poi li acconci di novo. Io passo i giorni con poco refrigerio e con infinito caldo; desidero spesso Firenze, e non potendo passeggiare per costà , m’ invio su Parnaso ; ho quasi tratto a fine un canto dell’ Amedeide ; •cotanto mi avete rimandato gravido. Io bacio le mani di V. S. et a lei et a tutta la casa bacio le mani. Se vede il S.r Massone, salutilo a mio nome. Di Savona a’ 30 di luglio 1596. Di V. S. Molto Ill.e Serv.re aff.mo Gabriele Chiabrera. Il S.r Fabri passa in Toscana, V. S. indrizzi le lettere al S.r Domenico Chiabrera. (1) Cioè Cadice, dove Γ armata inglese entrò sul cadere di giugno Cfr. Muratori, Annali, ad annum.). Giorn. Ligustico. Anno XVI. 354 GIORNALE LIGUSTICO VI. Sigs mio, Non darei noia a V. S. con questa otiosa lettera; ma essendo partito per Lucca sua patria il S.r Fabri nostro , io convengo dargliene notitia, acciò che scrivendo V. S. indirizzi le lettere in Genova al S.r Domenico Chiabrera. Poi che ho la penna in mano, io ringratio V. S. del desiderio, che ha di mie compositioni ; ma che vogliono più da me ? io sono dipartito spogliato affatto. Delle novamente fatte λ'. S. ne ha havute tre canzonette ; altro non ho composto, e veramente farò punto; perchè io voglio compilare un volumetto delle fatte men malamente, et istamparle una volta a mio modo ; non voglio tuttavia che in questo volumetto sia alcuna delle amorose, che a me sono uscite di mano per prova e per destare altri a così comporre. Sarà dunque queste volumetto di tre libri di lodi di principi e di due di versi morali, così l’età mia ornai vecchia non doverà arrossare per la materia, quantunque s’arrossi per l’ignoranza del verseggiare (i). Il tempo che mi rimane spendolo nell’ Ame-deide ; la quale io pure vorrei trarre a fine, e da che io sono in patria ne ho composto un canto, e perchè quasi è conce-puto sotto cotesto cielo io spero che a voi meno dispiacerà di cosa alcuna mia; a me certo piace egli, ma sono appassionato. Hora per non volgere carta a V. S. bacio le mani e agli amici. Di Savona a gl’8 di agosto 1596. Di V. S. 111.- Servit aff.m0 Gabriele Chiabrera. (1) La parte di questo periodo che incomincia dalle parole: io voglio compilare, fino al termine, era già stata prodotta da Severino Ferrari nello Studio bibliografico cit., pag. 4 e seg. GIORNALE LIGUSTICO 355 VII. Molto Ill.e Sig.™ Io son certo che noi siamo con avantaggio intorno al caldo, corrono giorni non estivi, ma vulcanali ; e quantunque hab-biamo la marina, come voi altri Sig.ri il bon padre Arno, non per tanto prendiamo refrigerio. E può esser cagione questa aridità che io habbia mal pensato intorno alle canzonette ; ma se io di cinquanta anni debba dare a leggere in stampa scherzi da giovinetto, sia giudicio di V. S. Io gli ho composti più veramente per prova di stile e modo di poetare che per altro ; e quando a penna sieno veduti per invogliare alcuno ingegno ad arrichire la lingua di si fatta forma poesie, io ne ho quanto ne desidero; se pure altramente vi parrà, io seconderò il vostro volere, e voi, come padroni, ne farete a vostro modo, senza mia scienza o commissione, et in tal caso darò il testo corretto a punto come dee secondo me rimanere. Ho fatto una canzonetta per il Re Cristianissimo , il volere fu bono, non so come saranno bastate le forze; mandola al S.r Rinuccini, V. S. di gratia faccia di vederla, e se le parrà che non esca , di gratia me lo scriva ; prego il S.r Ottavio che la tenga senza darne copia,' finché i miei amici non habbiano fatto quasi un collegio delle mie magagne. Io stimo eh’ ella non possa dispiacere, e maggiormente se si vorrà un poco considerare l’arte con che si dovea maneggiare un tal subbietto. Altro non dirò per hora, perchè non è stagione di faticare ■altrui con lunga lettera; solo dico che, com’è mio debito, rimango ad ogni suo servitio, e cosi Dio la faccia felice come io la desidero. Di Savona a’ 2 di settembre 1596. Di V. S. Molto 111.® Serv.re ajf.mo Gabriele Chiabrera. 356 GIORNALE LIGUSTICO Vili. Molto Ill.e Sig.re Io havendo riguardo solamente all’ intelletto di λ. S. e considerando i suoi studi, mi empio di gioia su la lettera (i) vostra, per la quale sono in isperanza, che ella cangiando i tribunali a gli studij publici sarà condotta honoratamente a Bologna. E perchè ho conosciuta la prudenza, io sono certo che ogni sua deliberatione sarà congiunta con 1 utilità, e peio tanto più me ne rallegro; vada felice, e con ogni tranquillità d’ animo lasci memoria del suo sapere si negl ingegni de0li scolari, e si nelle scritture. Io sono per dimoiale in patria, e se avverrà che me ne diparta farollo noto a V. S., accio sappia ove commandarmi, nè se ne ritenga pei niun tempo, che farà torto grande a se, ma a me infinito. Aitilo non posso soggiungere. Io sono efficacemente rivolto all Ame deide; vorrei condurre a fine una parte, acciò potessi lasciarla vedere agli amici almeno, e col consiglio loro mi governerei nel rimanente. E se Dio mi concede quiete, in poco spatio 10 fornirò questo di che parlo, et allhora V. S. havera stidio di leggerla: e perchè non sara il primo che io habbia dato, securo della sua cortesia, confidentemente glie e darò. E con questo io le bacio le mani e pregola, se incontra 11 S.r Pietro Strozzi, a dirgli che io sono creditoie della can zone che Sua Sig.ria promise mandarmi del S.r Gualterotti, quella ciò è in loda della Principessa Maria. Di Savona a 26 di Ottobre 1596. Di V. S. Molto IIIe Serv.re Gabriele Chiabrera. (i) L’autog. ha: sulla la Ira, con il primo l di sulla cancellato; 1 ul· tima parola abbreviata potrebbe forse anche dire: lettura. GIORNALE LIGUSTICO 357 IX. Molto IIU Sig.r mio, Essendo io dubbioso della stanza di V. S. ho tacciuto soverchio, e veramente io aspettava certezza eh’ ella tosse in Bologna, per colà inviare le mie lettere. Ultimamente in Genova Γ altro giorno il S.r Carrega mi affermò che V. S. era ancora in Firenze, ma tuttavia di partenza per Bologna; dunque su questa informatione ho voluto salutarla e darle le bone feste, e pregarla a darmi novelle di suo stato e di casa sua, la quale per vero debito debbo curare come mia. Di più V. S. haverà sentiti i movimenti dell’ universo con questi novi decreti di Spagna; noi qui siamo tutti smarriti, nè è homo che non vi habbia interesse, io credo che il mio Parnaso caderà per si fatto terremoto; tuttavia il pane ancora mi durerà. Sia lodato Dio. Ho affanno che di cotesta piazza ne sieno rimasi sotto i SS.ri Corsi e Rinuccini de’ miei amici, e de’ Sig.ri De Riccardi in Genova intesi come v’ erano di grossa partita. Di gratia V. S. me ne scriva il vero, che io prego Dio che gli habbia guardati. V. S. si conservi e mi commandi come a suo. Di Savona a’ 16 di Decembre 1596. Di V. S. Molto Ill.e Serv.re aff.mo Gabriele Chiabrera. X. Molto Uh Sig.re Ho una lettera del S/ Ascanio Persi (1), et egli mi dice che da V. S. mi è stato scritto intorno un suo desiderio di miei (1) Di Ascanio Persi da Matera ha scritto una diligente notizia biografica il Fantuzzi, Scrittori Bolognesi, VI, 372; e più receniemente Fran- 358 GIORNALE LIGUSTICO versi per una immagine della V. Benedetta , V. S. sappia che lettera di tal tenore non m’ è capitata alle mani ; solamente hebbi i versi fatti della Assuntione e non ho risposto per mille travagli publici della patria e miei della casa, non havendo otio da potere seco discorrere a mio modo. Ben le dico, che la poesia mi è piacciuta, perchè toccansi da lei t luoghi che al poeta s’appartenevano; in un luogo solo parmi che s’accosti al gentilesimo, il che non vorrei, et è là dove dice che nell’ inferno fu requie dalle pene; ma di questo altra volta. Hora solamente scrivo per iscusarmi seco e col signor Persi. Sig.r Titi io priego a man giunte gli amici, e n ho pregato i padroni, che non mi commandino a poetare in schiera, perchè io ho fantasia diversa, e contra grado non si può poetare. E con questo le bacio le mani. Scrivo corto perchè è il lunedi di Carnovale. Di Savona a dì 23 febbraio 1600. Di V. S. Molto Ill.e Servs* ap>'° Gabriello Chiabrera. cesco Fiorentino nella sua prefazione alla ristampa del Discorso intorno alla lingua italiana, operetta del Persi (Napoli, Morano, 1874). L amicizia eh’ egli ebbe col Titi, del quale fu collega nello studio di Bologna, e che risulta altresi da una lettera a lui indirizzata (Bulifon, Lettere memorabili, Napoli, Bulifon, 1693, I, 123), gli procacciò la conoscenza del Chiabrera, il quale ne intese poi dalla bocca del Titi stesso gran lodi (Cfr. Rime e lettere inedite cit., η. XXIII), onde recatosi a Mantova, dove il Persi si trovava, nel maggio del 1602, dimorò in casa sua. Ad istanza del nostro poeta deve poi aver scritto il Discorso Geografico intorno alla Città di Savona, che reca la data del 1602, (Cfr. Sabatia. Scritti inediti 0 rari con introduzione di G. Cortese, Savona, Bertolotto, 1885, pag. 3. — Verzellino, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della Città di Savona, Savona, Bertolotto e Isotta, 1885, I, 91)’ precisamente 1’ anno in cui il Chiabrera era ospite del Persi. GIORNALE LIGUSTICO 359 XI. Molto III.™ Sig.™ Perchè la stagione delli studi haverà fatto tornare V. S. di Toscana in Bologna securamente, io come certo della sua stanza, ho preso la penna per salutarla e pregarle da Dio ogni contentezza. E perchè da che la lasciai sono stati mesi pieni di ardori, e poi pieni di moto e di allegrezza , io ho fatte vacanze, sì che de’ versi non ho che dirle. Ben le dirò che sono ubligato a far compagnia ad una S.ra mia parente, la quale vuole visitare la Santissima casa di Loreto, sì che contra mia opinione io godrò della vista di V. S. in Bologna più per tempo che non sperava. Non so se in questi paesi possa accadere che io debba servirla, se è possibile V. S. non mi risparmi; sa che io l’amo, e che conosco il mio debito di amarla. Le raccomando l’incluse per Mantova, perchè io vorrei pure parere non morto a quei Sig.ri, nè ho via sicura da mandare lettere colà , salvo questa di V. S. assai lunga; ma assai si fa prestamente quando si fa bene. Io bacio le mani al S.r Zoppio et al S.r Campeggio e Caccianemici , quando occorra incontrarli ; mi tenga in bona memoria, che non mi parrà d* esserne poco honorato. A V. S. et al S.r Gio. Battista et a tutta la casa con tutta 1’ anima -mi raccomando. Di Savona li 29 ottobre 1602. Di V. S. Molto Ill.rc Servie aff.mo Gabriello Chiabrera. XII. Molto III.e Sig.r‘ Io spero accompagnare il S.r Gio. Battista Riario gentil-homo nostro e mio amicissimo, il quale viene a studiare 3<30 GIORNALE LIGUSTICO costi, e per questa cagione io non scrivo di cosa niuna a V. S. Ma per questo viaggio le fo una preghiera caldissima, e perdonimi s ella ne sentirà alcuna noia : vorrebbe costi un appartamento di tre camere, o almeno due; ma vorrebbe non haver molestia di cucinare; ciò si chiama in studio, se non mi sono scordato, o scotto 0 dozena, in somma il nostro concetto è di havere le stanze, e non obligo di cucinare. Il prezzo sia in mano di V. S., e se la commodità si trova bona, sia bono anco il pagamento; che tutto starà bene. Per mezzo ottobre egli fa conto di mettersi in camino. Di presenza, se a Dio piacerà, faremo lunghi ragionamenti; intanto a V. S. bacio le mani. Di Savona li 21 7.bre 1606. Di V. S. Molto Hl.e Serv.™ aff.m0 Gabriello Chiabrera. XIII. Molto Ill.e Sig.re Darò a V. S. le buone feste, ciò è pregherogliele da Dio, poi che altro non posso in suo servitio. Non ho novelle di lei da che ella è in Pisa (1), e pure la distanza è piccola; forse si smarriscono le lettere, il che suole avenirmi non rare volte, perchè in Genova non si usa diligenza in scotermele. Pure io spero vedere V. S. di corto, et un ragionamento varrà per mille lettere. Intanto in sua bona gratia mi raccomando. Di Savona il primo di Gennaro 1607. Di V. S. Molto Ill.e Servs* aff.m0 __Gabriello Chiabrera. (1) Sul cadere del 1606 il Titi era stato chiamato dal Granduca a leggere in Pisa, sostituendo Baldassarre Ansideo (Cfr. Vita cit., I, 88). Si veda a questo proposito le Otto lettere di Curzio Picchetta cit. dove si discorre dal Ferrucci nella prefazione della nomina del Titi a lettore in Pisa, e si recano parecchi documenti a ciò relativi. GIORNALE LIGUSTICO 361 XIV. Molto III.6 Sig.re Hebbi un viaggio non molto commodo, per le pioggie e per le fiumare grosse; tuttavia senza pericolo mi sono condotto a casa. Più reo 1’ ha havuto il nostro Sig.r Rasi , il quale hebbe mare grosso e con pericolo afferrò le montagne di Genova, tuttavia Γ habbiamo rinfrescato e poi inviatolo a Casale. Hora goderemo la stanza natia co’ libri e con le muse, le quali io non corteggio molto; pure per diporto di V. S. qui volgendo il foglio leggerà un sonetto scritto alla figliola di Giulio Romano egregia musica (1); e per hora le baderò le mani. Di Savona li 20 Dec.re 1607. Di V. S. Molto 111.' Serv.re aff.mo Gabriello Chiabrera. La man c’hor lenta, hor, quasi in aria un vento , Vibra le dita in su canoro legno , E fra bei tuoni ove le muse han regno Commanda a suo voler corde d’argento; E l’alma voce, il cui gentil concento D’ogni humano pensier trappassa il segno, Il Parnaso d’amor prendano a sdegno, Nè degnino di lui pace o tormento ; (1) È questa la celebre Francesca Caccini, intorno alla quale è da vedere Alessandro Ademollo, La Bella Adriana (Lapi, Città di Castello, 1888, pag. 142 e segg.). Il Chiabrera ha ancora una canzone al Bronzino per il ritratto della Caccini (Opere cit., I, 88). 362 GIORNALE LIGUSTICO Alza, Francesca, al ciel guerriere note E del novello Cosmo il nome honora; Che già d’alto terror l’Asia percote; Hier trasse Bona in duri ceppi, et hora Pensa rive assalir via più remote; La paterna virtù si l’avvalora. XV. Molto III.e Sig.re Ho letto più d’ una volta Γ oratione di V. S. (1), e sinceramente, ut amicum decet, le dico che ne sono rimaso sodis-fattissimo; et avegna che io non, m’intenda dell’eleganza latina, come homo che non ho mai scritto in quel linguaggio, pure Γ orecchia mia molto usata al dire di Cicerone suole accorgersi dello scrivere lontano da quello. La dispositione de’ concetti non può più piacermi di ciò eh’ ella si faccia, questo è vero ; ma è vero che poco dee montare il mio giudicio ; tuttavia hoglielo voluto scrivere. V. S. mi chiede componimenti. Ho mandato costi al S.r Riccardi una canzone per il Ser.m0 Gr. D., faccia di vederla; al presente qui scriverò un sonetto che mandai al Duca Doria quando gli nacque il primo maschio (2) ; altro non ho. Se vede il S.r Curtio Pi- (1) Oratio Pisis lmhita in exordio studiorum huius anni i(oj. Cui adjc cia est ejusdem Egloga quaepiam, Florentiae, Sermartellum, 1607. (2) È il sonetto che incomincia : Nè del fanciul vex^o materno acqueti, pubblicato, secondo la lezione data da questo autografo, come inedito, dal Varaldo {Rime e lett. inedite cit., pag. 64); sonetto che invano si cercherebbe nelle Opere, ma che si trova nella rara edizione Delle Poesie edita del Pa voni in Genova, 1618-19 (Parte Prima, pag. 29). Reca però alcune varianti, che sarà bene notare: v. 3, che s’induri al caldo; v. 9, Haggia fasce d’odor, piene e ripiene; v. 10, Chi dietro', v. 12, vostro, v. 13, Con fischi. Trovo in questa edizione altri quattro sonetti (Parte Prima, pag. 23, 31, 32), che non leggo nelle Opere. GIORNALE LIGUSTICO 363 chena V. S. me li faccia caro, poi che da prima me li fece servitore; ho obligo alla sua cortesia, e vorrei ch’egli il credesse; il che farà con la testimonianza di V. S. alla quale mi ìaccomando. Di Savona li 30 gen.r0 1608. Di V. S. Molto 111.' Serv.re aff.mo Gabriello Chiabrera. IL MATRIMONIO DI DOROTEA CONZAGA CON GALEAZZO MARIA SFORZA I. Il contratto matrimoniale ira Susanna Gonzaga, figlia de O ' o marchese Lodovico, e Galeazzo Maria Sforza, primogenito del duca Francesco, fu stabilito nel 1450, ma ratificato da ambe le parti soltanto nel dicembre del 1454 (1). In esso si diceva, che, non appena Galeazzo e Susanna, o Dorotea — D. Suxanam aut D. Dorotbeam — fossero pervenute alla età legale, si sarebbe contratto il matrimonio ; et in casu quo ipsa Ili D. Suxana, aliquo respectu, non esset habilis nec idonea ad (i) Dina, Qualche noti{ia su Dorotea Gon{aga, in Arch. Stor. Lomb., 1887, fase. Ili, p. 563 — Beltrami, L'annullamento del contratto di matrimonio fra Galeaiio M. Sforia e Dorotea Gonzaga, in Arch. Stor. Lomb., 1889, fase. I, p. 127. Queste due interessanti monografìe m’invogliarono a praticare diligenti ricerche nei documenti del nostro Archivio Gonzaga allo scopo di portare alla mia volta un po’ di luce su quello sgraziato affare. GIORNALE LIGUSTICO matrimonium contrahendum, si sarebbero effettuate le nozze con Dorotea (i). Col crescere di Susanna andavasi sviluppando in lei il difetto di gibbosità, tanto che i genitori suoi non seppero nasconderlo al duca Francesco, e di comune accordo si addivenne allo scioglimento di quel contratto. Quindi ottenuta la dispensa Pontifìcia, si formulò, nel 1457> un nuovo atto di promessa matrimoniale fra Galeazzo e Dorotea. Il precedente di Susanna deve aver messo in sospetto il duca Francesco, che tale difetto poteva essere comune ai figli di Lodovico e di Barbara, se, non solo, come nell altro contratto, si previde il caso di impotenza fisica nella ragazza per contrarre matrimonio, ma si volle anche inserire la clausola, che non ostendat in suam personam aliqualem gibositaUm, vel alium consimilem defectum, ex quo eius domine Dorothee persona redderetur seu reddi posset in posterum deformis (2). Qualunque sia stata Γ intenzione del duca Francesco nel volere inserta quella clausola, sta di fatto che essa fu il pretesto legale con cui più tardi il duca e lo stesso Galeazzo si sciolsero dagli impegni contratti col Gonzaga, per liberamente attendere ad un partito che meglio rispondeva alle loro mire ambiziose. Che sia stato un vero pretesto il motivo del difetto di Dorotea, accampato dal duca Francesco, e come non troppo liberamente, nè speditamente siano corse le pratiche del detto duca per imparentarsi col re di Francia, lo vedremo nello svolgersi di questi miei appunti. (1) D. Ili, 17, 1454, 20, dicembre — Contractus affinitatis intcr 111· D. Comitem Galeaxniariam et lit. D. Suxanam aut D. Dorotheam, cum ad legitimam etatem pervenerit. (2) D. III, 18, 1457, 2 luglio — Instrumentum promissionis facte per Ant. Guidobonum nomine III. D. Ducis Mediolani et comitis Galea^marie, quod idem D. Galeaζ traducet in suam legiptimam sponsam et uxorem 111. D. Dorotheam, cum in etate pervenerit. 1457, 9 settembre — Contractus affinitatis inter III. comitem Galeaxniariam, et D. Dorotheam. GIORNALE LIGUSTICO 365 II. Il matrimonio fra Galeazzo e Dorotea certo sembrava dovesse sortire un esito felice, sia pei buoni e cordiali rapporti che passavano fra le due case, sia per 1’ amore con cui mostravano essere avvinti i due giovani. Infatti, quando la marchesa Barbara, sposa di Lodovico, fu a Cremona nel novembre del 1458, per accompagnare Gabriela, figlia naturale del marchese, che andava a Milano a sposarsi col nobile uomo Corrado de Fogliano (fratello uterino del duca Francesco), oltre che una scelta comitiva di gentiluomini e gentildonne, condusse seco la sua Dorotea, essendosi lì appunto a Cremona dato convegno la duchessa Bianca col figlio suo Galeazzo, per ricevere e conduire a Milano Gabriela. Durante i quindici giorni che i due giovani stettero insieme a Cremona, fu per essi una continua festa, un continuo accarezzarsi l’un l’altro (1), tanto che di così lieto ritrovo dovettero serbarne cara memoria, se Dorotea sentì il bisogno di scrivere al suo promesso sposo, tosto che fece ritorno a Mantova, manifestandogli il dolore da essa provato nel lasciarlo, e il vuoto che sentiva nel suo cuore per essere da lui lontana. Non conosciamo veramente la lettera scritta da Dorotea, ma da questa di Galeazzo se ne può facilmente immaginare il contenuto (2) : Illustre et suvavissima la mia sposa. La littera de la S. V. quale Gio. da Milano me ha portato, me è stata gratissima per ogni rispecto, ma spetialmente perchè per averla lecta et relecta più de cento volte, me è (1) Copialettere ed F. Il, 6. — 1458, 14 novembre al j dicembre; e lettere dat. da Cremona di Marsilio Andreasi. (2) E. ΧΠΧ. 2, 1458. 366 GIORNALE LIGUSTICO parso di parlare assai con la S. V., del che niuna cosa n1’ P° eSS più iocunda ne piacevole, et in tal modo mi si è levato laffano alqua > quale in vero haveva preso grandissimo de sua partita da ni'· ^ cosa credo seria restato privo in tuto se per essa littera non havesse inteso quella essere in dolore, el quale dando a mi non mediocre passione, se per la presente non gli intervenisse già di poter levare per essere di mancho efficatia che la sua, pregola almancho che per mio respecto, quale non haverò mai l’animo quieto finché non intenda la habia caciato el suo dolore, si voglia ralegrare e vivere de bono anim , et confortare con quello rimedio che anchora mi facio, cioè credere cl ’ sia con la mente seco, corno per certo sono e sarò fin che la v‘ta basta, corno credo che essa sia con mi, el quale me è il meglio» conforto che me habia, e cosi prego Ia S. V. che anche lei, se non altro, pur per amor mio sel toglia. Le ambasate de la S. V. h° facto, sì che piaza ad quella de recomandarme a quelli 111. Sig., patre e matre, et a li comuni fratelli et sorelle nostre, et a vui dolce mio bene sempre n recomando. Cremona die xi decembris mcccclviii. Il vostro Galeazomaria se racomanda al anima sua bella, (fuori) III, ac Ex. domine sponse met precordialissime domine Dorothe Sjortie Vicecom. comitisse. Nel 1461 Galeazzo fu a Mantova, dopo essere stato col marchese Lodovico e col duca di Modena a cacciare sul territorio di questi; l’anno dopo vi ritornò, trattenendosi parecchi giorni nella nostra Corte appresso alla sua fidanzata, e così nel giugno del 63, per le nozze del principe Federico, primogenito del detto marchese, con Margherita di Baviera (1)· (1) Copialettere lib. 48. — 1461, agosto — 1462, novembre — M. lib· 41 — > 14 giugno — La marchesa al figlio Cardinale Francesco. «......Lo 111. conte Galeaz ancor si trova qui e monstra stargli molto voluntiera, e fa molte demonstratione e signi de bon amor verso la Dorothea. Hagli donato un zogliello de valuta de circa Vili ducati, e quasi ogni zorno la vole cum si a desenaré, 0 a cena, e certo non poria al parer nostro monstrarli de vederla più de bona voglia de quello se facia, nò fargli magior feste nè più acarezarla.....» GIORNALE LIGUSTICO 367 Intanto si avvicinava il tempo stabilito per effettuare le nozze, dovendosi esse appunto celebrare tosto che Dorotea avesse raggiunti i quattordici anni di età, e tanti ne veniva a compire il 7 dicembre del 1463. Sui finire dell’agosto, Vincenzo Scalona, ambasciatore del marchese di Mantova presso il duca di Milano, avvisa il suo signore, come nella Corte si stavano facendo le provvisioni necessarie per le nozze di Galeazzo con Dorotea, e che per tale motivo il duca mandava a Mantova il suo segretario Giacomo de Galerà, per prendere i concerti relativamente agli inviti da farsi, e per tutto quanto sarebbe stato necessario a solennizzare degnamente tali nozze (1). Lo stesso Galeazzo partecipava alla sua promessa sposa il proposito dei suoi genitori in questi termini (2) : IH consors mea precordialissima. Jacomo de Galera viene da quelli nostri III. Sig. patre et matre, et anchora da la S. V. cercha la conclusione delle no^.e nostre, le quale so certamente me pareno più longe che a nui. Cara la mia sposa, pregove gli voglia credere quanto a mi proprio, che per cento mille volte me vi recomando, pregandove che vogliade stare de bona voglia, et fare le usate mie recomandatione. Mediolani die xvii septembris 1463· Il vostro caro Galeazomaria de manu propria, (fuori) IH. et Ex. domine sponse met precordialiassime domine Dorothee Sfortie Vicecom. comitisse etc. Venne in fatti il Galerà il 21 settembre a Mantova ed espose la sua ambasciata alla marchesa Barbara, trovandosi il marchese nel suo castello di Gonzaga. Cominciò egli (come per coprire Γ amara sorpresa che serbava per ultimo) a parlare dei preparativi e degli inviti da farsi per le nozze, ma poi concluse, che sebbene il duca tenesse per certo non essere (1) Milano — 1463, 21 agosto — Lett. di Vin. Scalona. (2) D. IH, 18. — 1463, 17 settembre. 368 GIORNALE LIGUSTICO difetti in Dorotea, tuttavia — ad abundantem cautelam — stimava necessario, conforme al contratto stabilito, che essa Dorotea fosse visitata da medici, per constatare che sul di lei coipo non appariva alcun segno di gibbosità. A tale proposta la marchesa sdegnosamente meravigliata ìispose: Forse che Galeazzo non l’ha tocca e vista più volte, e lo stesso medico Matregnano non ebbe forse a vedei Do-ìotea si può dire in camicia? L’accondiscendere a tale atto sarebbe un disonore per la casa Gonzaga e una vergogna per Dorotea, che non era più una putta da lasciarsi cosi vedere; motivo per cui giammai sarebbesi acconciata a una simile proposta (i). Essa comunicò tosto allo sposo la lettera di Galeazzo e quanto aveva risposto al Galerà, ed egli approvandola pienamente, ordinò che Dorotea non rispondesse (2). Non a torto Lodovico faceva tale comando alla figlia, perchè egli stesso avrà rilevato facilmente come quella lettera non fosse altro che un tessuto di ipocrisie, non potendosi credere ch'egli ignorasse, come non ignorava certamente, le intenzioni del padre. La duchessa Bianca informata dal Galerà del modo sdegnoso col quale la marchesa aveva accolta la proposta del duca, le scrisse subito cercando di persuaderla che di quanto le riferì il Galera, essa non doveva prendersi « non solo affanno, ma pui uno minimo dispiacere, perchè tutto quello s* è detto non v è cosa si possa piliare se non in bona parte, et per bono effecto » (3). Non so come potesse la duchessa confortare (1) 1463, 22 settembre — Mantova, lett. della marchesa al marchese. (2) 1463, 24 settembre — Gonzaga, lett. del marchese alla marchesa. α.....Ve dicemo che gli haveti risposto in bonissima forma, e ri- cevemo piacere chel se ne sia andato. ...» (3) E. xLix. 2. 1463» 25 settembre — Lett. della duchessa di Milano alla marchesa. Dat. in castro Malegnani. GIORNALE LIGUSTICO Barbara a prendere in buona parte una proposta tanto lesiva al suo amor proprio di madre, se non ritenendo che essa stessa desse poco valore agli accampati pretesti, e non fosse (come credo) in tutto a parte dei maneggi del duca. A questi, ben più che alla sua sposa, premeva di venire a pratiche conclusioni, e perciò spedì nel novembre del 1463 alla Corte di Mantova, Gerardo de Colli quale suo procuratore, con mandato di trattare ufficialmente della richiesta della sposa, sotto però la condizione che essa fosse prima visitata dai medici, e nel caso di rifiuto, intendeva essere sciolto dalla fatta promessa (1). Quanto trattò il Colli presso la nostra Corte è pienamente posto in evidenza dal Beltrami, con documenti tolti da un codice Sforzesco della Biblioteca Nazionale di Parigi (2) ; ma perchè lo sgraziato affare non ebbe termine colla protesta del Colli, nè con quella del marchese di Mantova, ma si prolungò fino alla morte di Dorotea, così è mia intenzione, mercè i nostri documenti, di completare questo doloroso episodio. III. Quantunque la missione del Colli fosse riescita frustranea agli intenti del suo signore, pel formale rifiuto opposto dal marchese di Mantova, di sottoporre cioè la figlia alla visita medica, tuttavia F ambasciatore del marchese presso la Corte di Milano, Vincenzo Scalona, conforme alle istruzioni avute cercava di appianare le accampate difficoltà, col mostrare (1) D. in, 18. 1463, 16-29 novembre — Mandati di procura per Gerardo di Colli — « . . . . Quod si non permittet per medicos inspici in corpore Dorothee sit aliquod signum gibositatis, quod non intendit adimplere capitula et promissiones ei factas. ... « (2) Arch. Stor. Lomb. cit. p. 127 e seg. Giorn. Ligustico. Anno XPl. 370 GIORNALE LIGUSTICO erroneo il dubbio sorto sulla costituzione fisica di Dorotea, e che il procedere dei suoi signori era conforme alla lealtà del loro carattere, sapendo di non mentire. Avvisava anche lo Scalona, la marchesa del colloquio avuto con Galeazzo, e come questi gli protestasse, che sincere erano le intenzioni dei suoi genitori, ed egli non aveva avuto mai altro desiderio che di prendere Dorotea in moglie, « essendo però senza difetto » , perchè in realtà avea sempre detto di non poter contrarre simile parentado, quando non fosse di aggradimento dei suoi genitori (i). E come se tutto ciò non bastasse a manifestare palesamente la sua profonda indifferenza, in n|tr0 colloquio collo Scalona ebbe ad esprimersi in questi termini. « λϊη^ηζο, per ogni modo delibero che la amicitia usata perseveri, et se S. Ex. vole fare la prorogatione del tempo del parentado, col fare nuovo contratto, questa è la miglio via se possa pigliare, e col tempo si adattarà ogni cosa » (2)· Al marchese Lodovico tale proposta dilazione non piacque, perchè non toglieva il motivo del dissidio, che anzi, a quell Per nuova scadenza, egli era persuaso si sarebbe rinnovato, cui egli stette fermo nel suo proposito di troncare ogni iap porto in sifatta materia e di sciogliersi anche dall impegn0 della condotta col duca Francesco, come suo capitano gene rale, che egli stesso, a Milano, aveva trattata e sottoscritta (1) Milano, 1463, 9 dicembre — Lett. di Vin. Scalona alla marchesa Barbara Gonzaga. — « Haveria adviato anchoi questo cavalaro, se non che siando ritornato lo 111. conte Galeaz da Monza, el me disse dovesse andarlo a trovare dopo disnare alla camera, che me volea parlare. Oc corse, poi chel me disse questo , chel stette un gran pezzo da solo col 111. sig. suo patre in la camera del marmo, e parome comprhendere chel parlare me ha facto, come intenderà V. Ex., sia proceduto dal Sig. suo padre prefato. ...» (2) Milano, 1463, 11 dicembre — Lett. dello Scalona alla marchesa. GIORNALE LIGUSTICO nel marzo del 1463 (1). Infatti, perchè tali disposizioni fossero note al duca, il marchese invio a Milano come suo speciale incaricato Giacomo de Palazo, con queste precise istruzioni (2) : Tu dirai a lo 111. S.r Mes.r lo Duca de Milano, che ne rendiamo certi la sua IH. S.‘* habia veduto e compreso cum quanto amore e cum quanta carità e cum quanta fede gli habiamo servito e per guerra et essendo pace nel dubio se è havuto nella persona de quella, cum quanta sollicitudine habiamo postponute e roba et stato e la persona propria per far cosa che torni ad utile et onore de la Cel. sua. Et ècci accaduto el fiore della età nostra esser a li servicii de quella ; perchè quando nui se con-ducessemo cum la Ex. sua ne ritrovavano de xxxvm anni, hora habiamo passati li li, siché ne pare poter dire el fiore della età nostra; perchè fin lì 1’ huomo è tenuto troppo zovene, et hora siamo giorni ne'l tempo che meritamente dobiamo esser reputati d’esser vecchio. Hora è accaduto questo caso de questa separatione del parentà, come a la Cel. sua è noto, per la qual cosa parendone che la sua III. S.“ hora mai de nui non pigliarla più quella confidentia ha facta fin adesso , et anche nui hares-wmO una erubescentia grandissima a comparere dove fossero tanti notabili huomini che molte volte hanno de questo rasonato largamente, cusì vogliamo pregare supplicare a la Cel. sua che se ben Γ è stato alteracione ne le referme, in li pagamenti et in el parentà, piaccia a quella de bona volontà e senza alteracione e per rimovere ogni dubio remanere contenta che le obligationi le quali se contengono, hinc inde, siano de plano et equo dissolte, E certo ne pare la Cel. sua, nè possa, nè debba negare questa gratia, perchè la passerà cum molto manco carico de ciascheduna de le parte, e manco dico de ogni persona. E quando mai non gli fosse altro rispecto che questo, che ne riputeremo in gran renumeratione de (1) Copialettere, lib. 45 _ 1463, 14, 19, 23 marzo — Lett. da Milano del marchese alla marchesa, 31 marzo — «.....Questo di circha le xvii hore siamo rimasti dacordo cum questo 111. S. de facti nostri cussi circha li capituli como di assigni, et havemoli sottoscritti et sigillati Per hora non se extenderemo a la continentia, che venuto nui vi faremo noticia del tucto. ... ». (2) D. III. 18. 372 GIORNALE LIGUSTICO le fatiche e pericoli habiamo ricevuti per quella, la sua IH· S. meritamente deba de bona voglia e senza altra contentione condescendere a la domanda nostra, se gli parerà che habiamo meritato el soldo che quella ne ha dato e piaquegli satisfare di quello ne avanza cum el nome de Dio. — Ex. Burgoforti xi decembris 1463. Conosciamo il risultato di questa missione del Palazzo, dalla relazione che l’ambasciatore Scalona inviò alla marchesa, essendosi il Palazzo recato subito a Mantova a poi tare in persona la risposta del duca Francesco. Da essa apprendiamo che quella ambasciata, riuscendo a tutti inaspettata, piodusse un assai vivo malcontento; e che lo stesso Galeazzo, nell in tendere la risoluta determinazione del marchese « S1 Pose a lacrimare ». La duchessa, come quella che portava un sincero affetto a tutta la famiglia Gonzaga, non sapeva dai si pace, e chiedeva allo Scalona se egli era persuaso che il maichese perseverasse nelle sue determinazioni, e se credesse non fosse alcun difetto in Dorotea. Al che egli rispondeva. « om0 sei credo, el mio 111. S.re lo prothesta per scriptura autentica, et la mia 111. Madonna me lo sacramenta per sue lettere^a certo proposito, et se ne po dubitare? Pareria che la e delli prefati mei 111. S.re et Madonna non fusse in la usata integrità et sincerità quando se ne dubitasse, sichè, neduni lo credo, ma rendomene certissimo ». Al che soggiunse duchessa: « Se cosi è come tu dici, voria pur vedete ohe e cose passassero meglio » (1). (1) Milano, 1463, 17 dicembre. Lett. di Vincenzo Scalona alla nurch. a ... . Da Jacobo ho inteso la comissione chel ha, et quello che alla V. S. è parso dovesse fare etc. Questa ambasata al comprhendere ni 10 non se aspectava qui, et havendola lieri matina exposta Jacobo circa le xviii hore a questo 111. Sig., che gli era lo III. conte Galeazo, sua Ex* non volle rispondere alla parte principale, et disse de volerli havere GIORNALE LIGUSTICO 373 Il duca Francesco lasciava comprendere che non intendeva sciogliere il marchese Lodovico dalla condotta militare, e che se eranvi state delle divergenze in causa delle paghe, e se ancora ne era in credito, sperava in un componimento da ambe le parti. Ciica il matiimonio persisteva in quello di Dorotea, nella speranza che il maichese si sarebbe piegato a farla visitare dai medici, e assicurava il Palazzo, che non ebbe mai in animo di dare altra donna a Galeazzo, nè di aver fatto altre pratiche ; e ciò sacramentava sulla sua coscienza, confessando però essergli stata fatta altra proposta, ma di averla ricusata (i). Quanto fossero vere queste affermazioni del duca lo vedremo più innanzi. Sta di fatto, che mercè i buoni uffici della duchessa erasi venuto, nel febbraio del '64, a un compromesso, col far andare Dorotea colla madre a rispecto, et che poi responderia. Rispoxe alcune cose alle accessorie delle quali me rimetto a Jacobo. Se ne fa pur caso assai, ma come la debba terminare non si po intendere fin a qui. Siando heri questa 111. Madona andata al monastero di S. Chiara, el S.r gli mandò lo IH. conte Galeazo a significarli lambassata, et da esso conte proprio ho havuto che subito comenzoe a lacrimare, et ne rimase de mala voglia, la qual cosa ho etiam compreso siando hozi stato da essa 111. Madona a parlarglie, perchè se ne monstra tanto male contenta quanto si possa demonstrare. ... « (1) Milano. 1463· 17· dicembre. Vin. Scalona alla marchesa «..... Son certo che V. E. vederà quanto scrivo al mio 111. S.re, una sola cosa voglio tocare a quella, che notai nel ragionamento faceva questo 111. S.re sopra l’ambassada de Jacobo, che volendo S. Ed. confutare, che mai non habia havuto animo nè dispositione de dare altra donna al conte, nè facto pratica, perchè monstra havere inteso che là, sia dicto, che ha altra pratica de darli mogliere; el principioe a sacramentare et sconzurare sè medesimo et figlioli etc., che mai non hebbi altra intentione, trovandosi sana et senza diffecto, ni mai fin qui fece pratica alcuna de dare altra donna ad esso conte, et col tempo se intenderà meglio cussi essere stata la verità, che se per altri ge ne stato facto ambassata, sempre ha recusato de metterli orechie . . . . ». 374 GIORNALE LIGUSTICO Cremona, ove sarebbesi trovata la duchessa, ed essa _ sola avrebbe esanimata la figliola. Se non che, Galeazzo, que st’uomo sempre incoerente e senza cuore, quantunque pio testasse, che se dipendesse da lui ben volentieri avrebbe sposato Dorotea, « sana o non sana » che « ben la credev sana », ma che non voleva contradire il padre, « poiché ave ^ presa questa via » , così che egli pure desiderava fosse visi tata, ma dai medici, « che di sua madre non si fidava » (0 Una tale diffidenza nel figlio addolorò sopra modo la pover madre, e perciò sospese il divisato proposito. In tanto le pratiche con Savoia, che il duca di Mila faceva smentire Γ8 giugno del '64 (2), erano vere, e il det duca, come mentiva al suo ambasciatore Gerardo de '° > così deve aver mentito a quello del marchese di Mantov. , nelle assicurazioni superiormente ricordate. Inquantochè ^ poteva la duchessa Bianca partecipare all’ ambasciatore marchese, Vincenzo Scalona, il 13 di giugno (cinque g'° dopo), che Francesco Nori, era venuto di Francia con lette ^ credenziali di quel re e del duca di Savoia, per le quali (.1) Milano — 1464. 14. febbraio. Lett. di Giacomo Palazzo alla marche « . . . . El conte Galeazo disse, quanto era per lui torli d. Dorothe sana o no, perchè lui credeva che fossj sana, ma che non voleva coi dire al S. suo patre, il qual havea presa questa via . . . · 1° v0o^10 la sia veduta da ogni canto, corno è stato rigiesto, e se non ge trovato più difetuzo corno è una pulice, che sia dicto da chi se ,ie tende, sia da farne caso, non la voglio, e in questo me perdonerà mi matre, non me voglio fidare da lei perchè non se ne intende e se b^ne mio patre e mia matre volessero altramente non rimarò mai contento-Dicendoli mi, ma l’altro dì dicessove il contrario: habiate dicto quanto me voglia, questa è la mia intentione. Ben te disse perchè credeva che la fosse sana, havendo mi rispecto a quello che io te disse de haverU vista et tocha, ma ho inteso che dopoe è pegiorata ...... (2) Dina, op. cit., in Arch. Stor. Lomb, cit., pag. $66. GIORNALE LIGUSTICO 375 offriva una delle figlie di quel duca per Galeazzo (i), senza che le pratiche non fossero già state anticipatamente trattate. (i) Milano- 1464. 13. giugno. Lett. di Vincenzo Scalona alla marchesa Barbara Gonzaga. Di questa lunghissima lettera credo utile riportare testualmente questo brano. «... Poi sozunze de Francesco Nori chi haveva cum littere de credenza della M.tA del re di Franza, et del duca de Savoia parlato dominica col Sig.", et hozi cum sua S.‘% che fue heri quanto al dato de questa mia, el quale offereva el parentado de una delle due figliole del prefato duca per Galeaz, cum dote honorevole, et usò queste parole. HI Sig.r prima che Francesco sia stato da mi, me disse del ambassata gli haveva facto, et chel veniria etiam da mi, et quello gli responderia, et sapi che alhora disse al S.” de responderli, che queste erano cose da examinare bene, et se gli faria bon pensiero, et poi se responderia, chel me persuase a fare, dicendo haveva etiam facto el simile. Sichè siando mo stato da mi Francesco cum le littere de credenza, et dictome tante tose per parte del re per disponermi bene, chel se vole fare una cosa medesima cum tuti nui per questa via, et che questo saria el stabilimento del stato nostro, et altre cose assai: cussi dictomi della formosità delle figliole predicte, quanto sono mainerose, zentile de costumi et gratiose, te so dire a non saziarsi de predicare in sua laude. E perchè lha setiam facto intendere chel costume de là è de non dare le cose sue se la non se domandano, persuadendo chel S.r voglia, et cussi ancor mi mandare pei sona a ri chiedere una de queste figliole per Galeaz alla M.u del re, et al prefati, et se fatia a lui presta risposta de nostra intentione, che cussi ha ■commissione de sollicitare. A dirte il vero siando lanimo mio inclinato dove lè, non ho voluto domandarli della dote, aziò non paresse che e * consentesse al parentado, et gli ho risposto, che siendo la cosa portantia chel è, è condecente de farli bon pensiero, et gli biso0na\a poco de tempo, et poi se gli responderia. Et cussi per questa prima me sono stacata da lui. E poi son stata cum Pigello, el quale voria lui vedere chel parentado da Mantua se facesse, et non è punc opinione de questo Francesco, chi predica et magnifica questo e , per rispecto del re, et Ilio confortato chel veda di indure costui. . dare a Fiorenza sotto pretexto de dare tempo de pensare et minare la cosa. Et non lho facto per altro se non per metterli p mezo, et de vedere se interea madona marchexana sapesse tro q che bon mezo che potessemo in tuto aconzare queste nost 376 GIORNALE LIGUSTICO Nè è da credersi che quantunque fossero ottimi 1 rapp01tI P litici dello Sforza col re di Francia (r), abbia questi di p pria iniziativa spedite le credenziali sue e del duca di Sa > per proporre il suddetto matrimonio, senza preventivi conc La duchessa nel dare quella comunicazione allo Scalona, conosceva tutta l’importanza di un tal parentado, e festava, che era tal cosa da prendersi in seria considerazi Tuttavia ella non tralasciò di avvertirlo, come s* sare adoperata tosto che le fosse stato possibile per prolun-y tale pratica, essendo suo termo proposito, secondo ben saPe la marchesa, ch’avesse luogo il matrimonio di su0 Galeazzo con Dorotea. Ora poi che le pratiche del duca Milano erano, si può dire, ufficiali, la duchessa instava pi che mai nel suo primo proposito, di andare cioè a Cremon , per ivi colla marchesa cercare il modo di venire ad un pr tico risultato, che facesse entrambe consolate. Tanto più essa sperava nella buona riescita di tale colloquio, perchè da tal Giovanni Matteo, mandato, a quanto pare, app°sltanient a Mantova dalla duchessa, per esaminare da vicino Dorote., ebbe questa precisa informazione: « Haverla egli veduta iterato lacrimando disse: non potresti credere lo affanno che ne porto, et seguitoe, che Francesco haveva etiam littere de credenza al conte Ga leaz sopra questa materia, et haveva domandato licentia de presentarle et parlarglie. E concluse dicendo: tu vide Vincenzo le cose nel termine che sono; da luno canto me pareria de aspectare che madona marche sana per li rispetti ha tocato a M.« Iohane Matheo, me mandasse a dire quando gli paresse che andasse a Cremona che gli andana, da l’altro per el desiderio ho che le cose tra nui siano ben aconze, se la vedesse de poter fare fructo venendoli al presente, et me ne advisasse, io ancor me transferiria là senza indusio, a movermi de qua senza altro non me parerla ancor bene ...... (i) Carlo de Rosmini, Dell’Istoria di Milano, Milano, Tip. Man. e Riv. 1820, II, 498. GIORNALE LIGUSTCIO 377 cavallo, a pede, vestita, in mnntellino et etiam in carnora; chel è bella e fatta grande, et che lalteza della spalla è poca, che chi non lo sapesse non se acorzeria, et havendola ben examinata, non ha comprexo chel habia la spalla grossa, et ne dice bene assai ...» (i). Se non che la duchessa dubitava che il marchese si lasciasse piegare di acconsentire alla sua sposa di andare a Cremona, perchè dallo stesso Giovanni Matteo, seppe ch’esso marchese mostrava diffidare del duca: « Che se ben el la monstrasse, el mio S.re non la tuoria, et non mancaria fare che li medici dicessero a suo modo, benché perhò persevera in non volergela lassar vedere ». Un tale dubbio nel marchese io penso provenisse appunto perchè le pratiche del duca col re di Francia erano ad esso già da tempo note, avendone ricevuto informazione fino dal dicembre del 1460, da suo figlio, il protonotario Francesco, che era a quei giorni allo studio di Pavia (2), e per ciò riteneva con fondamento, un vero cavillo la pretesa del duca di volere che (1) Dalla stessa lettera di Viri. Scalona, 1463, 13 giugno. (2) 1460, 11 dicembre, Pavia. Lett. del prot.'° ap.° Francesco Gonzaga a suo padre il march. Lodovico. «... Heri de sero mes.r Bartholomio me disse bavere havuta una novella dispiacente assai, da persona dignissima, la quale per niente vole esser nominata, ma è affectionata a la III. S. V. La novella è questa: Che essendo ritornato mes/ Alberto Manetta dal ducha de Savoia, ha presentato una littera a lo 111. S.r Mes.' lo ducha de Milano, de questa sententia: che già avendo contrata affinità insieme esso duca de Savoia corno questo 111. S." per la fiola quale promise a Philipo, ora mai pareria tempo «infirmarla da vero in questo modo; che questo III.” S." tolesse quella fiola per lo 111. conte Galeaz, e che pur se doveria far altra extimatione del duca de Savoia, che del marchese de Mantua, et esso marchese volendo bene a questo 111. S." doveria essere contento e persuaderse, perchè de queste donne nate de sangue de gobbi, nasse altri gobbi, 0 de leprosi, come dice Avicenna et altri auctori de medicina. E dice Bartholomio, questo amico avire ditto che la littera fu letta pochi presenti . . . ». 37δ GIORNALE LIGUSTICO sua figlia Dorotea fosse visitata dai medici. Non pe1' tanto duchessa, in buona fede, faceva conoscere allo Scalona « come el signor marchese ha torto a credere chel S.r mio non la togliesse sei la lasasse vedere, che havendone parlato di nuovo cum la sua S.*% el trovò meglio disposto che mai a tuorla, purché la se trovi essere sana. E de Galeaz te voglio ancor dire questo; che etiam chel habia usato delle parole da zo vene, fin a dire cum Petro da Pusterla, chel non se fidaria de mi in questa cosa, perchè el sa lo amore et affectione porto a madona marchexana et la inclinatione ho al suo pa rentado, trovo, et cussi avendogene parlato novamente, che in tutto el se rimette a farne quello vorrà el S.r suo patre, et che vorò mi, et non si creda chel facia altramente, et Idio sa del animo che sono a questa cosa, ne ho uno affanno da l'altro mondo, perchè, non pensava mai in altro » (0* È certo che se fosse dipeso da lei sola la conclusione di questo matrimonio, avrebbe avuto effetto, perchè essa era convinta della sanità di Dorotea, e non dava troppa importanza al di fetto di avere una spalla leggermente un po’ più alta dell altra, e in questo affare agiva colla sincerità di un cuore affettuoso e senza preconcetti. Non così poteva dirsi del duca, a cui premeva, mere un cospicuo parentado, e tale non stimava quello di Mantova, di consolidare il suo dominio, e per questo con Savoia, che univa in stretta parentela la sua casa con quella del ie di Francia, avrebbe in tutto raggiunto il compimento dei suoi desideri. Il figlio suo Galeazzo, dal cuore di ghiaccio e dall ambizione smodata, non poteva non seguire i consigli del padie e uniformarsi in tutto e per tutto alla sua volontà. Di modo-chè tutta la buona volontà e sincerità della povera duchessa venivano ad infrangersi nei freddi calcoli politici del duca. (i) Dalla stessa lettera di Vin. Seal., 1463, 13 giugno. GIORNALE LIGUSTICO 379 IV. Intanto nella Corte di Milano non si parlava d’altro che del matrimonio di Galeazzo con Bona di Savoia, e dai consiglieri ducali si riconosceva essere quel parentado assai più vantaggioso per la casa Sforzesca che noi fosse quello di Mantova. Ben si ammetteva che per quel matrimonio l’onore del marchese veniva leso, ma credevano di salvaguardarlo col sostituire a Galeazzo il fratello Filippo, e si ripromettevano che lo stesso re di Francia avrebbe preso l’assunto della proposta (i). La duchessa, che non voleva mancare alla promessa fatta alla marchesa, e conosceva come più oltre non le sarebbe stato possibile porre ostacolo al desiderio del duca, instava più che mai presso lo Scalona, affinchè persuadesse Barbara di risolversi d’andare a Cremona con Dorotea, onde togliere ogni dubbio sul difetto che il duca e Galeazzo persistevano ad ammettere in essa. Se la marchesa mostravasi anche disposta « a questo tracollo », non cosi il marchese, che a nessun patto permetteva alla moglie di condurre la figlia oltre i confini del suo Stato (2). Per nulla scoraggiata la duchessa Bianca, prese la determinazione di mandare a Mantova, sul finire d’ agosto del '64, un tal Manuele de Jacobo, coll’ incarico di riferire a Barbara, essere le sue intenzioni e quelle del Duca e del figlio sincere, e perciò cercasse di persuaderla di recarsi a Cremona colla figlia per essere visitata, tosto che il marchese fosse ritornato dalla cura dei bagni. Dalla lettera che Barbara (1) Milano. 1464, 5 luglio. Lett. dello Scalona alla marchesa. (2) F. II. 6. 1464, 5 giugno, 16 agosto. Lett. del marchese e della marchesa. 380 GIORNALE LIGUSTICO scrisse allo sposo per informarlo di questa nuova missione, veniamo a conoscere in quali termini siasi ella espressa sul contegno di Galeazzo, col detto Manuele (1). « Galeaz ne fece pure un gran torto ad usar parole in dispregio di Dorotea, la quale etiam si sa lo amore gli ha portato, vituperandola e dicendo male di lei, e in casa e fuor di casa, e a la presentia de forestieri, cosa certo che non ni pareva ha\er meritato. Se havessimo compresa la mente del conte Galeaz essere sincera e buona, non se liaveria facto caso lassarla vedere a quella 111. Madonna, a la qual etiam altre volte se lassarono veder le altre a Casalmagiore, ricordandoli che la S. V. era stata la prima che aveva facto previste le Ex. sue de la Susanna, ma hora vedendo manifestamente la indisposi-tione del conte Galeaz, che se ne mostra in tucto alieno de volerla, non sapemo a che se dovesse ritornare de nuovo suxo quella novella e mettersi al dubbio, ultra il danno, de ricever ancor carico e vergogna ». L’incaricato ducale men dico alcuni pretesti per scagionare Galeazzo dalle taccie aper tamente manifestategli da Barbara; ma quale non fu la sua sorpresa quando vide Dorotea, bella, ben fatta e del tutto diversa da quello che andavasi dicendo a Milano sul conto dell’ infelice figliuola. La madre accortasi della favorevole ini- r·' X pressione che n’ ebbe Γ incaricato, gli disse : « Si, questa quella di cui se erano diete tante cose » ; e facendo voltare la figlia, affinchè egli potesse veder bene la parte posteriore del corpo, soggiunse: a Ben vedete che non è, nè gobba, nè storpiata come la fanno a Milano; et Manue.e la comendoe molto » (2). Quell’ incaricato avrà certamente riferito ai suoi (1) 1464, 27 Agosto. Lett. della march.* al march.· (2) 1464, 28 Agosto. Minuta e lett. della marchesa......Essendo in questo rasonamento sopravenne la Dorothea, la quale in anti se trovava in scola, et intrò ne la camera, pur cussi in un guarnello bianco a la GIORNALE LIGUSTICO 38i signori, al suo ritorno a Milano, queste gradevoli impressioni e quanto aveva detto la marchesa a carico di Galeazzo. Ma che importava loro dei rimbrotti di Barbara e del saper bella Dorotea? Oramai troppo apertamante sdegnavano il parentado di Mantova, e già molto inoltrate erano le pratiche col re di Francia per quello di Savoia , per cui nessuna stima avranno fatto il duca Francesco e il figlio suo delle parole della marchesa di Mantova. La sola duchessa Bianca avrà pianto e avrà sfogato il suo dolore, come era solita fare , coll’ ambasciatore mantovano, Vincenzo Scalona. V. Il Rosmini, seguendo i documenti (1), narra come nel febbraio del 1465 siansi trovate a Cremona la duchessa Bianca e la marchesa Barbara, e come dopo lunghi parlari e molti corrieri spediti al marchese, questi spontaneamente s’indusse a liberare il duca e Galeazzo suo figlio dalla data promessa, senza che si alterasse per conto alcuno l’amicizia e l’alleanza da °ran tempo mantenuta fra i due Stati. L’abboccamento a Cremona fra le due infelici madri, ebbe effettivamente luogo, e, come risulta dai suaccennati documenti (2), fu la duchessa ad invitare la marchesa, nè poteva altrimenti, dacché noi conosciamo con quanta insistenza nello scorso anno,‘ella cercasse d’indurla a quell’ abboccamento. domestica. Subito esso Manuele cominciò a guardarla, nè gli bateva li ochi da dosso, monstrando farsi una gran meraviglia che la fusse cussi bella e cussi ben proportionata, dicendo che mai non haveva extimato la fosse cussi facta, et che pagaria un gran facto quella 111. Madonna la potesse vedere.... » (1) Carlo de Rosmini, Op. cit., II, 500, Documenti inediti, pag. 28, 29. (2) C. de Rosmini, Op. cit., IV, Documenti, pag. 29. «... la 111. Mad. Biancha nostra consorte aveva deliberato andare a Cremona... ». 382 GIORNALE LIGUSTICO Ora poi, astretta come sarà stata dal duca a prendere una determinazione, non potendo, nè volendo egli più °ltre ritar' dare la spedizione delle proprie credenziali pel re di Francia, e riconoscendo ella esserle impossibile di trovare nuovi pie-testi per ritardarle, erasi perciò reso necessario il convegno di Cremona allo scopo appunto di prendere una definitiva risoluzione. La duchessa di Milano deve quindi aver portato alla marchesa di Mantova un ultimatum, espresso presso a poco in questi termini: O il marchese si risolve a lasciar visitare Dorotea ai medici, e vi prometto che il matrimonio avrà luogo, o non vi si risolve, e allora ciascuna delle parti restano sciolte e partiranno le credenziali del duca pel re di Francia a fine di concludere il matrimonio con Bona di Savoia. Doloroso dilemma era certamente questo per la duchessa, ma necessario allo stato presente delle cose. Che la duchessa siasi espressa in questi termini, lo argomentiamo dalla lettera di Lodovico alla moglie a Cremona, in data del 20 febbraio 1465· « Quando nui eravamo desiderosi di questo parentà, ugni cosa ne era in contrario, se veniva cum protheste , cum la mala >dispositione del conte Galeaz, cum el suspecto de questa zibosità, et di figlioli che havessero a nascere. Mo che nui non ne parliamo, lor instano, sichè, tanto che nui tiramo loro tiravano, corno alentassimo, loro lassariano. Questo non di-cemo perhò perchè sia nostra intentione de alentare, ma perchè non ne pare per alcuno modo mettere in questione Γ honore de casa nostra... ». Il che mi pare voler dire in altri termini : Ben volentieri faremmo il parentado, che fu sempre il nostro supremo desiderio, ma proponendoci cosa che è troppo lesiva al nostro onore, siamo costretti a rinunciarvi. La duchessa che dovette essere venuta speranzosa a quel convegno, a una simile risposta, che troncava ogni speranza, vedendosi costretta suo malgrado a rassegnarsi e GIORNALE LIGUSTICO 383 a sacrificare la propria inclinazione agli interessi di Stato, deve certamente aver sentito, nell animo suo gentile e affettuoso, una forte scossa che reagì sul suo fisico, tanto che ebbe ad ammalarsi (1). Se non che, oltre 1 affare del matrimonio, ebbe Barbara dallo sposo, 1 incarico di trattare e definire amichevolmente, anche quello della sua condotta militare col duca Francesco, che, come abbiamo visto , era rimasto sospeso fino dal dicembre del 1463, appunto quando il marchese si sciolse anche dall’ impegno del matrimonio. Forse più per questo motivo, che pei altio, Lodovico concesse alla moglie di portarsi al convegno di Cremona. Non avendo però la duchessa (come pare) istruzioni precise sull’affare della condotta, fu necessario mandare corrieri a Milano per spiegazioni, e così la marchesa a Mantova per lo stesso motivo (2). E perchè a (1) Cop. lett., lib. 52. La marchesa al marchese; 1465, 25 febbraio, Cremona. « . · · · Non fui heri da questa IH. madonna , perchè la stette là rechiusa, per non sentirse troppo bene, e questa nocte me pare che la sia stata pur meglio..... ». (2) Cop. lett., lib. 52. La march.* al march.'; 1465, 28 febb.fo, Cremona. « Perchè, come la V. S. haverà visto, io non son ancora venuta a particularitade alcuna cum questa 111. mad.* de quello voria la V. S., et parendome che la prefata mad.* non habia comissione alcuna, se non tanto quanto glie serà scritto o mandato a dir da Milano, non so ben come cominciare ad intrarli suxo, perchè corno la sa, la me comise, doppo anche me lo mandò a dir per Marsilio, che prima dovesse domandar fino ad un mese, doppo redurme ad v terzi, deinde ad v 4, ultimamente fin a 6 m., pur chel non venisse a remaner in camera più che 4 paghe, ne voleva as. (sic) per alcun modo a dover ino cominciar a 9 m. et che la Cel. sua scriva a Milano, conio dubito che la farà, doppo andarme, et conio che de volta in volta se bisogni scriver et aspectar risposta dal 111. S. lo duca, dubito che non passi meza quaresima prima, chel se vengi ad alcuna conclusione. E perhò liaveria a caro che la Ed. V. per sua littera me avisasse del modo e forma che gli pare habia a servare circa ciò, perchè se possa venire ad un fine senza perdere tempo..... » 584 GIORNALE LIGUSTICO Milano s’ebbe notizia del male della duchessa, e standosi ivi in dubbio che potesse aggravarsi, si rese indispensabile anche per ciò un andarivieni di corrieri (1). Ritornata a Mantova la marchesa Barbara il 5 di marzo, comunicò al consorte quanto fu convenuto fra essa e la duchessa, nei riguardi della condotta: e in base a tale commu-nicazione, formulò il marchese l’istruzione pel suo incaricato, Giacomo de Palazzo, che spedì tosto a Milano (2). Da tale istruzione ricaviamo eh’ egli di buon grado accettava di servire il duca « con diligenza, sincerità e fede » come fece pel passato, e così prometteva di fare fino alla fine della sua ferma; ma però quando il duca non credesse, e presto, di soddisfare ai suoi avanzi, che nei sedici mesi d’interruzione eransi venuti accumulando in quarantadue mila ducati, egli intendeva, che « con buona gratia e senza alterazione reciproca », lo sciogliesse dall’impegno; come ebbe già più volte a manifestargli. Perchè, soggiungeva egli, perdurando nella carica di capitano senza ricevere le paghe, era lo stesso che volere la propria rovina, stante le gravi spese che gli toccava sostenere nel mantenere pronte le truppe per un eventuale bisogno, conforme ai patti della condotta. La istruzione quindi determina il modo con cui il marchese intendeva gli fossero (1) Cop. lett., lib. 52. 1465, 28 iebb.'° La march." al march.', Cremona. «...Da heri sera in qua sono mollo spesegati li messi qui dal Sig.”; prima gli venne Brusio, dreto lui Francesco da Varese, doppo Theodo-rino, che me pare siano venuti per visitare la p.u III. madonna, havendo il p.“ Sigr inteso el dispiacere che la hebbe questi di, e monstra gravarsi, che non ne fosse avisato in tempo... ». (2) D. III. 18. 1465, 15 Marzo. Instructio Jacobo de Pallaio ad III. D. Ducem Mediolani. «...Tu dirai a la Ex. sua, che essendo nov.imente ritornata da Cremona la 111. nostra consorte, et havendo da lei inteso quanto è seguito tra la III. madonna duchessa et essa, ne parso mandarte a quella ... ». GIORNALE LIGUSTICO ratealmente pagati gli avanzi. Il Palazzo s’ ebbe in risposta dal duca delle buone parole, delle vaghe promesse, ma che stante i gravi impegni e le molte spese che aveva a sostenere, non gli era possibile al presente di soddisfare gli arretrati spettanti al marchese. Il quale non rimase punto soddisfatto ; chè già troppo vane promesse aveva avuto in passato, e senz’altro scrisse al suo incaricato, che vedesse di ottenere per iscritto dal duca un atto formale con cui lo sciogliesse dalla condotta; « acciocché ciascuna persona conoscesse che nella mente di sua Celsitudine, non fosse rimasto alcun rancore verso di lui » (i). Il duca Francesco, non volle accordargli tale licenza ; per la qual cosa, visto il marchese Lodovico che il dibattito sarebbesi prolungato senza risultato soddisfacente, ordinò al suo incaricato « che, per non moltiplicare inconvenienti, egli prendesse buona licenza da sua Celsitudine, da Madonna e da Galeazzo, e senz’ altro se ne tornasse a Mantova » (2). Per tal modo le relazioni ufficiali fra le due corti furono interrotte, e non è quindi vero che l’amicizia e l’alleanza siansi mantenute, dopo il colloquio di Cremona, come scrisse il Rosmini. VI. Nella Corte di Milano si celebrarono nel maggio del ’6j le nozze di Ippolita figlia del duca Francesco con Alfonso duca di Calabria, primogenito del re di Napoli (3). (1) D. III. 18. 1465, 2 Aprile. Responsio facta Jacoh de Paììatio per Ili. d.nurn nostrum. (2) Cop. lett., lib. 52. 1465, 13 aprile. Il marchese a Giacomo de Palazo. (3) C. De Rosmini, Op. cit., II, 503. Giorm. Ligustico. Anno XVI. 2t 3^6 GIORNALE LIGUSTICO Un tale avvenimento diede motivo ad un riavvicinamento famigliare, fra le due amiche principesse, che non potevano non sentire disgusto di quelle alterazioni, per le quali appunto non potendo la duchessa Bianca invitare ufficialmente a Milano la sua amica Barbara, affinchè assistesse alle suddette nozze, mostrò il desiderio che si trovasse a Parma pel io di giugno , ove sarebbesi incontrata colla sposa e con tutto il seguito. La marchesa di buon grado accettò Γ invito, previo l’assenso del marito, e da Parma accompagnò le duchesse a Re§§i°3 quindi a Modena, e di qui fino a Castelbolognese; e più oltre sarebbe andata la duchessa Bianca ad accompagnare la figlia, tanto era il dolore che provava nel doverla lasciare, se i parenti e gli amici non P. avessero trattenuta. A Castelbolognese quindi, e non a Parma, come scrisse il Rosmini (i), ebbe luogo, fra i più angosciosi pianti, il congedo fra madre e figlia (2). (1) Op. cit., II, p, 502. (2) Cop. lett., lib. 54. 146$, 26 giugno. Lettera della marchesa al figlio cardinale Francesco. «... Questi zorni non ve habiamo scritto cosa alcuna per non esser state in questa terra. Nui andassemo a Parma per visitare la 111. Mad."* Duchessa de Milano e la 111. Mad.* Duchessa de Calabria, sua figliuola, in questo suo passar ultra, et havendo facto instancia del 111. S.r mes.' lo duca de Modena cum la prefata 111. Madonna che volesse venir in le terre sue e pregatone che anche nui gli andassemo, tute de compagnia se conducessemo a Rezo, dove etiam venne Federico, sua mogliere et la Dorothea vostra sorella, Johanfrancesco e Re-dolfo erano in la compagnia nostra. Credendose de non passar ultra e volendo pigliare licentia bisognoe che anche se conducessimo a Modena, ma perchè gliera pur carestia de lozamenti, et nui cum Federico cremo una grossa comitiva che passavemo trecento cinquanta cavalli, remandassimo in dreto esso Federico cum sua mogliere, et cum parte de la comitiva nostra, e remanessimo solamente cum 70 cavalli. Quello zorno che se venne a Rezo glie zonse el conte Galeaz, el qual prima havea GIORNALE LIGUSTICO 387 Il marchese Lodovico, pei suoi buoni rapporti col re di Napoli, non poteva, senza mostrarsi scortese, lasciar passare appresso i confini del suo Stato, la nuova duchessa di Calabria e il principe Federico, secondogenito del detto re, da questi incaricato di ricevere e condurre la sposa a Napoli, sanza recarsi in persona o mandare messi condegni a porgere loro i propri ossequi. Per la qual cosa, presi i concerti col duca di Modena, mandò a Reggio il suo primogenito Federico colla sua sposa Margherita e Dorotea e gli altri suoi fiali Rodolfo e Gianfrancesco, con una brillante comitiva di oltre 3 SO cavalli. Avvisata la marchesa di tale disposizione del marito e premendole assai che la sua Dorotea figurasse degnamente a tale ritrovo, anche perchè formava parte della comitiva della duchessa di Calabria, il conte Galeazzo (che a Parma ottenne dal padre il permesso di accompagnare la madre e la sorella sul territorio del duca di Modena), e desiderando pure che il figlio suo Federico facesse le cose da tolta licentia de voler ritornare a Milano. Essendo pregate da la 111. mad.* duchessa, dal S.r mes.' lo duca de Modena, et da la 111. sposa che voles-semo retener la Dorothea e condurla cum nui la retenessimo , et è venuta sempre cum nui fino a Modena e Castelfranco de Bolognese, dove se compagnoe la prefata sposa, et in quello loco se faceno tanti pianti, che fu un gran facto. Retornassemo a Modena pur cum la IH. Mad.‘ duchessa e conte Galeaz; doppo se andoe a Sassolo deinde a Rezo, et lì pigliassemo licentia da la Ecl. sua , ka quale andoe a Parma et nui vencssemo a Gonzaga. La Dorothea certo è comparsa molto bene, e per quanto sè inteso da canto, la è molto piaciuta ad ogneuno, et maxime a questi napolitani, i quali la comendano assai, et la maior parte de lor la preponeno de beleza a la 111. mad.* duchessa de Calabria. Lo 111. conte Galeaz, che è stato continuamente cum noi in questo viazo, ne ha facto tante feste che è stato un gran facto, e monstra che. la dispositione sua non poria essere megliore, e se la cosa spectasse a lui non se ne fariano tante parole. Se queste cose procedano da bon non lo possiamo intendere se non per quanto se vede de fora via..... ». 388 GIORNALE LIGUSTICO perfetto cavaliere, si diede tosto cura di scrivergli questa graziosa lettera: Aciò che tu intendi il modo che hai a servare et corno governarti in questo tuo venir a Rezo, ce parso scriverti questa nostra, et avisarti che la 111. mad.a Duchessa ancor lei venirà fin 11, et è ordinato de venirli a disnare domane, però ne pareria che tu te levasse un pocho a bon hora cum la comitiva tua, et te ne venisse a Rezo a tal hora che tu ne potesti venire contra un pezo fora de la porta, facendo venire tuti li tuoi ordinatamente, ma di questo bixognaria tu te intendesti cum lo 111. S. mes.r 10 duca de Modena, dicendo a sua S.ia che in questo et in ogni altra cosa hai ad obedire la sua S.|J et far quanto per lei te serà comandato. E cussi parendoge che tu ne vengi contra cum tua mogliere e cum la Dorothea venirai; sichè non porai fallare a cerchare dessere domatina più a bon hora sia possibile, perchè ad ogni modo el S.' mes.' lo ducha vole che allozati la nocte dentro da Rezo, e venendoge a bonhora porai venirne tanto più contra, parendo cussi al pref.10 S.', corno è dicto, e questo anche ad nui piacerla assai. Sei conte Galeaz gli venirà non lo possiamo sapere, perchè sè mandato a dimandar la licentia a lo 111. S.r mes.' lo duca, et per tuto hozi se aspecta la risposta; benché più tosto se crede chel non debba venire, che se pur el venisse, ne pare che servadi questo ordine. Prima vene inanti le 111. madonne principesse cum lo 111. D. mes.' Federico a cavallo, corno li vederiti haveti a dismontare ti cum tua mogliere e la Dorothea e farnegli contra per tocharli la mane e farli reverentia e passar il mezo, se debe salvare el mettere el zenocchio a terra, ma ben farli reverentia a questa III. Madonna, et al 111. S.r mes.r lo duca de Modena. Doppo se a tochare la mane a Philippo Sforza e a mes.' Ludovico ; sei conte Galeaz ge sarà e che lui se mova a venir a tochare la mane, la Dorothea ge la debe tochare, facendoge reverentia e passando 11 mezo, ma se lui non se move essa non se deve movere a tochargela. Veniremo doppo nui in caretta cum questa 111. madonna, dovereti venir tuti tri per far reverentia a la Ex. sua. In el venir contra, la Dorothea se po metere il suo mantellino brochato darzento morello, o il creme-sino, over el recamato, qual più ge piacerà de questi tri. Tua moglkre nel tochare la mane a questoro porà tare quanto ge piacerà, perchè essendo gravida, come lè, serve che modo la se voglia, la se haverà per excusata. Vedi adunque tuor un poco de carico de questa facenda, et far intendere molto ben il tuto a la Dorothea, a ciò che la non pigliasse GIORNALE LIGUSTICO 389 qualche scapuzono. Se nui ge fossimo a presso quando ne scontrarete non bixognaria questo perchè ge faressemo intendere il tuto, ma se dubitamo per essere un pocho indreto cum la caretta non gli poremo essere cussi presso, che già hareti tochata la mane a tuti questi signori.... Parme 13 Junij 1465. Del convegno di questi principi, il marchese sperava approfittarne per riannodare i rapporti politici col du'ca di Milano , e mercè i buoni uffici del duca d’Este riavvivare le pratiche del matrimonio di Dorotea. Come poi il marchese potesse ancora nutrire buone speranze, dopo quanto era passato in proposito, non ce lo sappiamo spiegare. Sta di fatto, che la marchesa Barbara, questa donna, veramente modello di sposa e di madre affettuosa, ebbe dal marito quel preciso incarico, e sebbene il duca di Este non abbia mancato di trattare l’affare con calore appresso il conte Galeazzo, tuttavia, come scrive Barbara, « non si potè venire a costrutto alcuno » (1). Sembra però che Galeazzo abbia dimostrato in quella occasione, ottime disposizioni verso Dorotea, essendole sempre stato vicino e prodigatele molte gentilezze. I signori napoletani poi al seguito del principe Federico, commendarono assai la bellezza di Dorotea, tanto da preporla alla sposa, la duchessa di Calabria (2). Ma chi può credere fossero sincere quelle dimostrazioni d’ affetto manifestate da Galeazzo a Dorotea? Neppure la madre mostrava crederlo, così scrivendo: « Se queste cose procedono da buon non lo sapiamo intendere se non per quanto se vede de fora via » (3). E ben a ragione doveva Barbara, così esprimersi, (1) Cop. lett., lib. 54 1465, 17 giugno, Modena. La march.3 al march.' (2) Dalla riportata lett. 146$, 26 giug.° La marchesa al figlio cardinale. (3) Dalla riportata lettera 1465, 26 giug.0 della marchesa al figlio cardinale. 390 giornale ligustico conoscendo ella benissimo tutte le incoerenze, 1ε finzioni e la massima indifferenza fin qui manifestate da Galeazzo verso sua figlia. (Continua). Stefano Davari. VAR1ETA’ Lettere di Antonio e Gian Andrea D’ Oria. Girolamo Lippomano, ambasciatore della Repubblica di λ enezia, che finì poi così miseramente la vita, macchiando d un tratto le bella fama procacciatasi ne* pubblici uffici (i), aveva scritto, mentre rappresentava la sua patria presso il Duca di Savoia (2), ad Antonio D’ Oria per rallegrarsi della vittoria di Lepanto, che sgominò sì fieramente 1’ audacia dei Turchi. E il nostro capitano genovese gli rispondeva in questa guisa (3): Clarissimo Signore Se ben V. S. Clar.ma mi ha prevenuto con sua lettera in rallegrarsi meco della vittoria è piacciuto a N. S. Dio conceder alla Christianità dell Armata di mare ile’ Turchi, non è però stato, che prima io non habbia fatto questo ufficio per mezzo di Cesare mio figlio, a cui scrissi lo dovesse far con lei in mio nome. Non ne le scrissi allhora , non sapendosi ancora del ritorno in Italia, scrivendo a detto Cesare che ca-minava incerto dove, e quando lo dovesse ritrovar, pur ne le bascio le mani, certificandola , che la non s’inganna punto in creder , che niuno mi avanzi in desiderar il bene universale de’ Christiani, et in ispecie del (1) Diedo, Storia di Vene{ù, Venezia 1751, II, 364 e segg. A questo proposito è da vedere l’importante pubblicazione per nozze: Viaggio di un ambasciatore veneziano da Venezia a Costantinopoli nel jj opera di Simone non solo la lettera, ma anche gli adornamenti. La legatura altresì merita di essere ricordata, quantunque d5 assai posteriore al ms. È in tavola coperta di pelle nera sulla quale in rilievo si vede da un lato , entro a graziosa cornice figurata, un quadro diviso in otto scomparti rappresentanti alcuni episodi della vita di Gesù dall’ Annunciazione alla Risurrezione; dall’altro un vaso con fiori, volute e rabeschi entro a’ quali angeli in adorazione, e intorno, nella cornice, la scritta: Opus Viviani de Varixio cartarii in ca-rvbeo fili Jan (i). Il quale Viviano, come si sa per altri riscontri, esercitava la sua arte nei primi trent’ anni del secolo xvi (2), al qual tempo ci richiama eziandio lo stile del lavoro artistico. A. N. SPIGORATURE E NOTIZIE Come giunta alla Bibliografia Chiabreresca edita in questo Giornale per cura di Ottavio Varàldo (a. 1886 e 1888), diamo qui sotto una canzone del poeta savonese, la quale non si trova nelle varie raccolte delle sue Rime che noi abbiamo potuto consultare. Sta a pag. 10 del seguente libro : La Regina Sant' Orsola j Del Sig. Anirea Salvadori / Rappresentata nel Teatro del Sereniss. / Gran Duca di Toscana / Al Serenissimo Principe / (1) Cfr. Giuliani, Notizie sulla tipografia Ligure, in Atti Soc. Lig. di Stor. Pat., IX, 279. (2) Giuliani, 1. c., 397. Nell’ Arch. di Stato di Genova esiste una supplica di Bernardo Gatti contro Viviano di Varese cartario (Divers. Collegi, Fil. r$ 14-16, n. 60). GIORNALE LIGUSTICO 3 97 Vìadislao Sigismondo / Principe di Polonia, e di Svezia. / Et i fori del Calvario del medesimo / s. n. tip. (Cecconcelli, 1625, Firenze) in 12.0 Venne riprodotta dal Ciampi nella Bibliografia critica (III, pag. 5) essendo stata recitata in Firenze nel passaggio del Principe Ladislao di Polonia quando fece il viaggio di Roma. I vostri grandi, a cui rifulge in fronte Or di diadema egregio, Soleano i Cigni del Castalio fonte Haver quagiuso in pregio, Quanto sentiasi ornar dal nobil canto Lor proprio nome e de’ grandi avi il vanto. Da 1’ altra parte il popolar diletto A Clio solo permise Chioma d’oro cantar, che l’altrui petto Legasse in varie guise, O chiaro sguardo, che vibrasse ardori, 0 man di neve che rapisse i cori. Scemo Parnaso; hor al gran Re superno Non hassi a dar sua gloria? E de Io stato de’ beati eterno Non si dee far memoria? Non celebrargli a le devote genti? Non mostrar su la Scena i lor tormenti? Muse, al fallir che trapassava il segno Dite voi che si oppose? Certo fu Cosmo, al cui reale i.'gegno Nulla virtù s’ascose, Di cui l’altiera forma in guardia havete, E per cui non s’addensa ombra di Lete. Poi la gentil, cui par non veda il Sole, Donna che 1’ Arno affrena, E sen va cinta d’ammirabil prole, Berecintia Tirrena, Spose a’Teatri l’alta Istoria, e quivi Fu trionfato de’ coturni argivi. 598 GIORNALE LIGUSTICO Hor siasi in fondo, favoloso essempio Col caro Admeto Alceste; Siasi di Filomena il grave scempio, Siasi non men Tieste; Chi di cantata vanità s’avanza? Verità bella ha di giovar possanza. * ♦ * Nel render conto di Nuovi documenti Viscontei tratti dall’archivio notarile di Pavia, G. Romano ne accenna alcuni riguardanti le relazioni di Gian Galeazzo con la Repubblica di Genova e co’ suoi cittadini (Arch. Stor. Lombardo, a. XVI, pag. 301 e segg.). BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Dizionario degli artisti italiani vivenii. Pittori, Scultori £ Architetti. Per cura di Angelo de Gubernatis. Firenze, succ. Lemonnier, 1889. Non è ancora compiuta la stampa del Dictionnaire International des Ecrivains, che l’operosità straordinaria dell’egregio autore imprende la compilazione di questa nuova opera, nella quale si propone di raccogliere le notizie de’ nostri viventi artisti, considerando come italiani anche quelli stranieri che educati fra noi svolgono qui la loro attività e il loro ingegno. E senza avvisi preventivi 0 programmi isolati, ecco che pone innanzi al pubblico il primo fascicolo del suo lavoro come saggio e come promessa. Saggio invero notevole e per gli intendimenti onde muove, e in se intrinsecamente rispetto al contenuto. Infatti questo novero degli uomini che in qualche guisa si resero chiari nel campo fecondo delle arti, mentre addita una forza viva e fiorente, costituisce un materiale importante in prò’ del futuro storico, al quale verrà assegnato il compito d’una esposizione ragionata, e d’ un imparziale giudizio. Le notizie sono date per lo più con esattezza, cosi riguardo alla vita come alle opere degli artisti, verso i quali l’autore si mostra benevolo si, ma non esagerato incensatore. Nel fascicolo che abbiamo sotto gli occhi si raccolgono gli artisti che cadono nelle prime due lettere dell’alfabeto, e l’opera condotta per questa guisa attingerà, secondo le promesse, un bel volume di ben 800 pagine a doppia colonna (1). Le indispensabili mancanze che si riscontrano neces- (i) Ne sono editori a Firenze Luigi c A. S. Cornicili librai in via Ricasoti. GIORNALE LIGUSTICO 399 sanamente in siffatta ragione lavori, quando appaiono nel primo getto, verranno riempiute con un appendice o supplemento. Affidati all’esperi-mentato valore del De Gubernatis, possiamo fin d’ora ritenere che il nuovo libro da lui incominciato sarà veramente, condotto al suo termine, il Libro d'oro dell’arte iraüana. Un’ antica cronaca piemontese inedita pubblicata ed illustrata da Giuseppe C alligaris. Torino, Loescher 1889. Gli storici piemontesi si erano giovati parecchie volte della testimonianza di una antica cronaca, la quale recava il titolo : Cbronicon Abbatiae Fructuariensis, essendo stata compilata in servigio della celebre ed antica Abbazia di S. Benigno di Fruttuaria, da alcuno di que’ monaci. Quivi come avviene, non solo si registrarono notizie peculiari alla storia del cenobio, ma eziandio dei fatti e degli avvenimenti storici che alla regione in ispecial modo si riferivano. Tuttavia un documento di questa importanza era rimasto inedito fino a qui, perchè nessuno aveva pensato a studiare di proposito quel testo a fine di determinare le parti meglio attendibili, sceverandole dagli errori e rilevandone i rimaneggiamenti. A questa impresa si è posto uno de’ valenti alunni della scuola di Magistero della R. Università di Torino, Giuseppe Calligaris, ed è pienamente riuscito nel suo intento. A dar ragione del testo, che egli ha voluto fermare nel modo migliore, si è rifatto a parecchi manoscritti, vagliandone l’importanza rispetto al tempo ed al dettato. Scelto quindi quello che, in seguito ad una diligente e minuziosa disamina, gli è sembrato migliore, ha prodotto il testo giovandosi tuttavia con buona accortezza altresì di alcuni altri codici, specie d’uno assai pregevole, per correggere tutti que’passi evidentemente errati per opera dell’ indotto copista. Ma perchè la cronaca aveva subito patenti modificazioni e la narrazione dei fatti presentava caratteri promiscuamente di antico e di moderno dettato, l’editore ha, quasi diremo, anatomizzato codesta scrittura, e con finezza assai felice determinata la cronologia delle singole parti per quanto era possibile, dovendo star pago, alcuna volta di induzioni in vero plausibilissime. Del pari a noi sembra riuscito nell’ assunto di indicare con esattezza tutto quanto v’ ha di leggendario e di tradizionale, 0 di puramente storico. E sono in fine attendibili per ogni guisa le conclusioni alte quali giunge circa al tempo in che vennero scritte le diverse parti onde la cronaca si compone. Il testo è prodotto con molta cura e con buon metodo, poiché si esem- 400 GIORNALE LIGUSTICO pia il manoscritto scelto come guida, arrecandovi le correzioni necessarie, pur mantenendo il testo genuino, e ponendo a riscontro le varianti degli altri codici presi in esame. Elenco delle pubblicazioni di Cesare Guasti per cura di Alessandro Gherardi e Dante Catellacci. Firenze, Cellini 1889. È questo un bel tributo di riverenza e di affetto, che i due valenti ufficiali dell’ Archivio Fiorentino hanno voluto rendere al loro maestro ed amico. Ed è insieme una diligente bibliografia, la quale prova meglio di quello che non si sapesse, la straordinaria operosità dell’illustre erudito toscano, e la vita spesa tutta in prò’ della storia e della letteratura patria. A compilare questo elenco, che conta ben 489 pubblicazioni diverse, gli egregi editori si sono giovati di alcuni libretti dì memorie lasciati manoscritti dal Guasti, ne’ quali andava man mano notando i suoi lavori, tenendo conto altresi de’ giudizi che venivano dati dalla critica. La molteplice varietà degli argomenti trattati, singolarmente negli scritti stampati ne’ giornali, rende proficuo agli studiosi questo lavoro. E noi lo additiamo ai nostri lettori anche perchè ci sembra un bell’ esempio di utile ed interessante bibliografia. La pace Ira Firenze e Pisa nel 1364, documenti inediti pubblicati da Dante Catellacci. Firenze, Cellini, 1888. L’editore mandando in luce l’atto di pace fermato in Pescia nel 1364 fra i due Comuni, nel tempo in che Pisa era governata da Giovanni Dell’ Agnello, colma una lacuna del Diplomatario raccolto dal Dal Borgo. E fa inoltre cessare ogni incertezza sulla data precisa, avendo evidentemente errato si il Muratori, come 1’ antico cronista Roncioni nel riferirla in modo diverso, di che non si addiede nè manco il Bonaini. Anche il Tronci, il quale discorre assai largamente de’ fatti di quest’anno, ascrive la pace al 30 agosto anziché al 29 come ha il documento: apprendiamo nondimeno da lui che i brevi del Pontefice tanto per sollecitare a concludere il trattato, come per rallegrarsi del fausto avvenimento già erano stati posti in luce dal Vadingo ne’ suoi Annali. Fra i presenti in qualità di mediatori troviamo due genovesi insigniti dell’ufficio d’ambasciatori, Leonardo Drago e Andalone Pinelli. L’ editore ha fatto seguire al trattato due altri documenti pur inediti, da lui rinvenuti nell’Archivio Fiorentino, i quali ad esso strettamente si riferiscono. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 4ΟΙ IL MATRIMONIO DI DOROTEA GONZAGA CON GALEAZZO MARIA SFORZA (Continuazione e fine v, pag. 590). VII. Avvenuta la morte del duca Francesco, ai primi del mese di marzo del 1466, e richiamato Galeazzo dalla Francia, ove erasi portato nell’ agosto dell’ anno prima, con forte nerbo di truppa in soccorso del re Luigi XI, la duchessa Bianca e il nuovo duca Galeazzo, si trovarono nella necessità di rinnovare le relazioni ufficiali col marchese di Mantova, stante gli armamenti di Venezia, le discordie fiorentine e il complesso delle condizioni politiche d’Italia poco rassicuranti per la pace, e per consolidare il novello duca nel suo Stato. Non essendosi poi ancora concluso il matrimonio con Bona di Savoia, e non offrendo Galeazzo alcun precedente militare che desse garanzie ai suoi alleati, fu giocoforza eh’ egli assentisse ai desideri della madre, collo implorare il valido aiuto del marchese Lodovico. Questi ben volentieri si mostrò disposto ad assecondare i loro desideri, ma faceva anche conoscere come il suo tesoro fosse oramai esausto per le ingenti spese nel mantenere equipaggiate le sue truppe, senza ricevere dalle loro Signorie un centesimo da ventotto mesi, e per ciò non avrebbe, come era suo desiderio, potuto recar loro un valido appoggio; tanto più ch'egli era costretto di G10KX. Ligustico. Anno XVI. 26 402 GIORNALE LIGUSTIGO munire il proprio Stato, a fine di prevenire le mosse offensive della Signoria di Venezia (i). Il marchese Lodovico, che era perfettamente informato di tutte le mene politiche che andavano tramandosi nei vari Stati d Italia, e in ispecie delle intenzioni belligere di Venezia, non poteva non sentirsi a disagio e temere per la sicurezza del proprio Stato, senza cercare di avere sicuro appoggio in uno dei più potenti Signori confinanti colle sue terre. A tale scopo aveva già promosse pratiche col re di Napoli quale alleato dei Signori di Milano; ma sia che queste pratiche andassero un po’ troppo per le lunghe, o che avesse il marchese forti motivi a temere dalla Signoria di Venezia, stimo bene di inviare colà un suo agente fidato , per offrire a quella repubblica il suo valoroso braccio , con queste condizioni: i.° che essa accettasse la protezione dello Stato di Mantova; 2° che in tempo di pace gli fossero pagati 36000 fiorini doro all’anno, e in tempo di guerra 80000; 3·° c^ie se si fosse presa una terra vicina , questa sarebbe stata pel marchese (2). Pare che quest’ ultima condizione abbia for- (1) Cop. lett., lib. 55. 1466, 15 marzo. La marchesa a Marsilio An-dreasi a Milano. «... Visto quanto ne scrivi haverte dicto quella 111. Madonna, le dirai per parte nostra, che el servire a quella deve persuadere e confortare lo 111. S.r nostro consorte a la devotione di sua S.‘\ nè molto facile ad satisfargli, perchè nel vero el non ge poria essere più inclinato et disposto, purché potesse, ma lessere povero in el modo che facilmente po sapere e credere la sua Ex., et il vedere Bartholomeo da Bergamo, il quale ha lozato de li suoi a li confini nostri, et li mette in ordine, el fa pur star suspeso. Non di mancho la sua S.la comprendiamo essere disposta per conservatione de quello stato a fare tuto el possibile et mettergli la persona con il stato, cum ciò che poterà...». (2) 1466, 22 marzo, Venezia. Lett. di Carlo Brognolo al march." «... Questa matina sono stato a questa S.1*, la qual inanti che io andasse a loro, me fazevano zerchare cum instantia, secondo ho saputo da poi. Io ho attribuito questo suo farme zerchare, prima, che questa fazenda li piaza GIORNALE LIGUSTICO 403 mato ostacolo alla accettazione degli altri patti, ma il marchese vi avrebbe fors’ anco rinunciato, se proprio in quei giorni non avesse saputo da Napoli, che quel re lo accettava e nominava, anche pei Signori di Milano, per suo capitano. In fatti il primo d’aprile del ’66, turano sottoscritti in Mantova i capitoli della condotta militare del marchese Lodovico, da Bartolomeo da Recanati pel re di Napoli, da Antonio Guidobono pei Signori di Milano e dallo stesso Lodo-vico (1). Per tal modo il marchese di Mantova entrava terzo nella alleanza del re Ferdinando d’Aragona, col duca di Milano, e riceveva dal detto re dieci mila fiorini, come primo acconto della paga (2). Così la sua posizione politico-militare, e di stato intermedio, veniva assicurata da possibili mosse offensive della potente Signoria di Venezia. Pochi giorni dopo, come capitano regio, si portò il marchese a Viadana con summamente, laltro, che hanno ricevuto littera da Bartholomeo de Bergamo, secondo me dice Andrea suo canzeler, el qual Barth.° scalda e strenze molto questa cossa. Questa S.u me hanno ditto voler attendere al fato de la Ex. V. e de bona volgia, ma che voriano . intender da mi quello domanda V. S. ; e Dio volsi che heri B. Bonato me mandò le principal domande che fa V. S. E questo fo dopo io parlai heri con la S.1*, che sono queste 4. De la protection del stado de V. S. in ampia forma; item de li fiorini 36.m doro per pase; item de li 8o.m per guera; item sèi se aquistasse terra vicina con tutto el suo territorio, etc.* E allora si fece intendere ogni cossa. A me parse non facessero molta difficultà in queste cosse; e risposeme dicendo che la intention de questa S.u era perfectissima verso V. S. e che fosse certo che quella haveria da questa S.1* zo che ella voleva, ma che bisognava tome pur respecto per queste particular domande per essere con li dece.......Io sono certificato per uno amico, el qual io nominerò poi a V. Ex., che per niente questa S.u concederla a V. S. quella terra vicina, de che parlassemo. Dirò poi la casone a V. S. perchè me la specificata.....». (1) B. xxvi. 1466, i aprile. Lunig, Coi. Dipn IY, 619. (2) Cop. le»., lib. 57. 1466, 16 e 26 aprile. 404 GIORNALE LIGUSTICO 300 cavalli e 200 fanti, per sorvegliare da vicino la sollevazione di Parma, avvenuta per opera dei partiti ; e mandava in Parma stessa un suo fidato capitano con una compagnia di fanti, intimando ai sollevati in nome del re e dei Signori di Milano, di deporre le armi, adoperandosi assai per pacificare gli animi dei faziosi (1). Ormai il marchese Lodovico, coll’ appoggio del re di Napoli , per la morte del duca Francesco e per le condizioni politiche, che facevano ritardare se non anche compromettere le pratiche con Savoia, sperava di venire una buona volta alla conclusione del matrimonio di sua figlia col duca Galeazzo ; e per ciò, e per far ratificare la sua condotta, incarico Barbara di portarsi a Milano. Questa matrona, tedesca d origine (di Brandeburgo), fatta italiana alla scuola del dotto suo sposo, di fine intelligenza e d’aureo cuore, era sempre pronta a seguire i consigli suoi e a trattare per esso delicati e difficili incarichi. Riassumere le lettere che Barbara scrisse al marito, intorno a questa sua missione, specie sull’affare del matrimonio, mi sarebbe impossibile. Mi basta riportare testualmente questa del 23 aprile ’66, per rendere capace il lettore del contegno sleale e dell’ animo cattivo di Galeazzo verso la propria madre, la duchessa Bianca: 111.1* prin. et ex. d.nc d.ns ini singul."' Io non ho scripto altro questi zorni a la V. 111. S.1* de quello si sia seguito circa la facenda del parentado, perchè benché havesse da ogni canto bone parole, nondimanco non gliera perho cosa dove se potesse fare alcuno fondamento. La celsi."' vostra intese per laltra mia quello che circa ciò havea dicto questo Ill.m0 S·* quando venne a cena cum mi, quello che l’haveva etiam ditto a Zacharia, pur monstrando che la intentione sua fosse de tuore la Dorothea, doppo etiam me pare che lhavea usate queste parole al Mag.° conte Gaspar, cioè, chel (1) Cop. lett., lib. 57. F. II. 6. e Minuta. 1466, 13, 16 e 19 aprile. GIORNALE LIGUSTICO 405 cognosceva che facendo el parentado de Franza elseria casone de la morte de la 111. Madonna sua matre et chel deliberava ad ogni modo (aria contenta. Come sia passata la cosa non lo so, se non che havendo la prefata 111.“ madonna parlato sopra ciò cum el prefato Ill.mo S." dicendoli che l’haveria a caro el ge volesse dire largamente la intentione sua, et aprirgli lo animo suo, et ge facesse intendere sei deliberava fare el parentado nostro, o non, a ciò che la potesse mandarme contenta a casa prima che io me partisse de qua et chel metesse mente de non farge dire una cosa per un altra, perchè hora mai non era una putta da tenir in tempo cum bone parole, perchè cognosceva molto bene che quando havesse ancor aspectato cinque 0 sei mesi, se poria sempre dire chel parentado de Franza se facesse più al proposito loro chel nostro, et a trovarle qualche scuse, et nui seressimo in pezor termine che prima. El ge rispose doman-dandoge de gratia che la Cel. sua ge volesse dare termine da pensargli, che poi che ge risponderla, e cum questa se parti, et el giorno sequente andò a Monza. Lo tolse perhò per bon signo extimando chel fosse andato forsi per qualche indulgentia, perchè intendo che gliè una nostra donna de le gratie, forse che anche lo fece per non rispondere. La sera venne poi come scrisse a la V. S.1* a pregarme che volesse restare per lieri qui ; non lo vidi perhò più, me pare chel fosse molto occupato, ne anche fu da la IU.“* madonna sua matre. Me fece poi pregare che volesse restare fin facto el di de San Zorzo, come harà visto la Cel. vostra per la littera portata per Carlo da Rodiano. Cosi doppo disenare questa 111.°“ madonna me venne a ritrovare turbata et de malissima voglia, dicendome che essendo stato da lei Cicho e Mes." Alberico per alcune facende, esso Messer Alberico ge disse chel seria ben facto a rispondere a la M.tà del Re per quelle littere havea scritte, a le quale non se era data ancor risposta, e cusi sua Ex.1* ge rispose che gli piaceva, et chel se notasse la littera respondendo prima a molte altre parte, et che a questa del parentado se dicesse che assai presto se manderia a la M.u sua una persona de qua da la quale essa intenderla la dispositione de le Ex.1' sue, e questo faceva la prefata madonna per poter in questo mezo trovar qualche scusa legittima per far remaner contento el Re, rendendose certa chel prefato 111." S.” havesse pur lo animo a la Dorotea secondo chel havea dicto al conte Gaspar et anche a mi. Hora questa mattina esso 111.” S." fu in consiglio dove se trovorono questi ambassatori del Re, el conte Gaspar et Cicho e messer Alberico, dove fu notata questa littera, et perchè la prefata 111.*“ madonna havea ordinato che la se notasse et se monstrasse pur al S." e se la ge piaceva ge fosse dicto de monstrarla etiam a la Cel. GIORNALE LIGUSTICO sua, acciò non paresse che lei fosse stata quella che l’havesse commessa, fu Jacto cusì, ma notata in altra forma, perchè a la parte del parenta se diceva che esso S." voleva fare tutto quello piaceva a la M-tà del e· Volse esser mandata a monstrare a la prefata madonna per e* conte a" spar, el ricusò de portarla dicendo che l’havea in sacramento de non impazarse de quello parentado. La portò Cicho e messer Alberico, quando la Ex. sua la vide, non è da dimandare se la fu mal contenta ; 1<* cominciò a fulminare e a dire che questo non era già quello chel ge i'vea ^r° messo, et che per niente voleva che la passasse in quella forma da parte de la Ex.'* sua, perchè lera scripta in nome di tuti dui, se la voleva pur mandare la facesse in nome de lui solo, e cum questo me venne a ritro vare dicendome cose che non me pareno de metter a la penna, le reser varò a dire a bocha. Me pare comprendere che la faria ogni gran tracollo per sbaterlo un poco, parendoge che a bon hora el comenci a far pocha extima de la Ex.1* sua, perchè ne anche hozi ha voggliuto venir da quella benché messer Fabricio se ne sia affatichato assai, el dice in effecto chel non vole venir a contendere cum essa, e questo è quello che lacoia, pa rendoge troppo stranio che questi S.'1 ambassatori se trovano qui debano intendere che tra le Ex.1’ sue non sia bona intelligenti.!, ne se ne po dar pace. Dalaltro canto ge dole che essendo qui mi si debiano trattar simili cose, benché la dice che tanto glie starò non serà vero questa littera s mandi, se pur el perseverarà in questa opinione. El se trova instizato anche lui et hozi ha pianto da solo de stiza, secondo me dicto, ne vole venir da la prefata madonna, ne anche io da lunedi de sera in qua visto. Consideri la Cel. Vostra che cervello è quello de questui, lo sto mo anche in pensere de la ratificatione de li capituli de quella de farla sotto scrivere a tutti dui; io el disse laltro zorno essendo tuti dui in seme, esso rispose: Madonna mia matre la sottoscriverà, essa disse de farlo voluntera e cusi Iha sottoscripta. Non olso mo a farla sottoscriver a lui ne a farne altra instantia, perchè non voria, se pur accadesse qualche divisione tra le Ex.1' sue, come già me par veder el principio, non se venisse per questo ad essere obligato a luno et a laltro, ne se sapesse che fare, dalaltro canto non voria che sei mancasse questa III.”* madonna la V. S.1* non remanesse in sutta. Quella adunque ge po far un poco de penser sopra, perche io non ne farò altra instantia de tuor essa ratificatione, perchè la se poterà poi mandar a tuor e farla sottoscrìvere a lui, o lassar stare come parerà ad essa V. S.1*; se pur me la daranno la acceptarò senza dirne altro. Venerdì proximo vederò ad ogni modo de partirme se non serò altramente retenuta, perchè essendo la cosa in questo GIORNALE LIGUSTICO 407 termine, quanto più presto me ne levo tanto me par meglio. Domattina debe anche giùngere Guascone in seme cum un altro mandato da la M.tà del Re de Franza che me rendo certa scaldarà anche lui la materia, benché quando glie penso più, vedendo tanta varietade in lui, me confondo da mi istessa ne so quello me ne dica, se non chel non habia voglia de tuore nè la nostra, nè quella de Franza. Questo medesmo affirma el conte Gaspar et in mia prcsentia lo disse a questa 111.“* Madonna, chel credeva cusi. La littera se rietene nè si spaza, pur el non è fin qui mutata quella parte, ne credo se debia mutar; se non vedo altro e se la va in questa forma, se po dire quello parentado esser concluso, ne so cum qual colore el se ne volesse poi retrahere, salvo sei non pigliasse la excussa che non ge volesseno dare Aste et li denari promessi al I1L"° S.' passato. La Cel. Vostra intende tutto quello a che siamo, ne altro me accade che significarli se non che a la gratia sua de continuo me ricomando. Mandole alcuni pochi artichiochi che me ha mandati la Gabriella da Zenova. Mediolani 23 Aprilis 1466. Vostra Barbara cum recum.n‘ Essendo la marchesa tornata a Mantova, due giorni dopo aver scritta la suddetta lettera, non ci è dato conoscere ciò che ulteriormente siasi trattato. Se però dobbiamo giudicare da quanto ebbe a verificarsi in seguito, tutto farebbe credere che ogni cosa corresse propizia alla realizzazione dei lunghi desideri delle ottime madri e di Lodovico, col vedere cioè finalmente la loro Dorotea fatta duchessa di Milano. Se non che un improvviso accidente, troncò queste liete speranze. Vili. Avuto sentore il marchese Lodovico, che il duca Galeazzo doveva trovarsi a Parma col duca di Modena per iscopo politico , scrisse tosto al suo ambasciatore a Milano, Marsilio Andreasi, affinchè s’informasse della verità della cosa; e se Galeazzo fosse già partito, che lo raggiungesse, e cercasse di avere seco lui un abboccamento per intendere se realmente 4o8 GIORNALE LIGUSTICO lo scopo di quella sua andata a Parma era per trovarsi col duca di Modena. L' Andreasi raggiunse subito a Piacenza il duca Galeazzo, e da questi ebbe la conferma che appunto andava a Parma per aspettare il duca di Modena nel suo ritorno da Venezia, e anche per dare assetto alle sue terre di Lodi, Piacenza e Parma. Il marchese ricevuta tale assicurazione dall’Andreasi, gli scrisse, che avvisasse Galeazzo che egli pure sarebbesi trovato a Parma (i). Questo ritrovo di Lodovico con Galeazzo aveva due motivi, 1 uno politico, 1’ altro famigliare. Il primo era per persuadere il nuovo duca di Milano a non romperla col re di Napoli, come accennava voler fare (2). Il secondo per stabilire definitivamente il matrimonio di Dorotea con Galeazzo. Se non che, ora, proprio ora, che la lieta novella doveva (1) Cop. lett., lib. 59. 1467, 6 aprile. A Marsilio Andreasi, Piacenza. 1467, 7 aprile. Lett. di Mars. Andreasi. «...Cum questo 111. S. non è venuto, nè lo ambas." del Re, nè quello de’ Fiorentini, nel Mag.co conte Gaspar. Sono cum sua Ex. el duca de Bari, Mes." Lancilotto del Maino, Petro da Pusterla e Petro da Gallarate...». (2) F. Π. 6. 1467, 11 aprile. Lett. del march, alla march.· Dat. da Parma <.....Nui anchor non ve habiamo scripto altro de quanto habiamo facto qui. Ne pare bene che la venuta nostra deba pur aver zitato fructo, maxime havendo trovato questo 111. S.” molto mal disposto verso la M.stà del Re, et nui se siamo forzati persuaderli ad intendersi ben cum quella, allegandoli molti rispecti, che poi ve diremo a boca, e pare chel sia pur assai ben riducto..... ». Parma, 1467, 11 aprile. Lett. di Marsilio Andreasi alla march.* «... Come questo 111. S. era venuto qui al lozamento dell’111. S. mio, stetero pocho chel fu dato licentia ad ogni-uno, excepto a quelli intervengono al consiglio secreto, e cusi stetero in consiglio circha una hora, e quasi la maior parte del rasonamento fu de dolerse de la M.stà del Re. Lo 111. S.' mio glie dette molti recordi, pregando sua Ex. che per Dio glie volesse metter mente, perchè a la M.stà sua non manchereà bon partito quando se volesse ridurre a bona igentia cum la S.1* de Venezia, et esso 111. S.' remaria poi in sutta... »· GIORNALE LIGUSTICO 409 portarle il padre reduce da Parma (i), l’infelice Dorotea soggiacque al fato comune. Partendo il marchese da Mantova agl’ 8 d aprile, lascia\a la figlia con un po di febbre, ma per nulla sospettava che dovesse risolversi in una improvvisa catastrofe. La marchesa teneva informato lo sposo due volte al giorno sull’ andamento della malattia della loro figliola, ma poiché il suo male andava sempre più peggiorando, stimò bene la povera madre, di manifestare apertamente al marito, come i medici disperassero affatto di salvarla, e che per ciò vedesse di affrettare il suo ritorno a Mantova (2). Non è a dirsi lo (1) Parma, 1467, 12 aprile. Marsil. Andreasi a Dorotea Gonzaga « Adesso che la V. S. doveria star aiegra et di bona voglia prati-candose al presente per lo 111. S. vostro patre, che quello che già tanto tempo è stato desiderato per essa vostra S.1* e per tuti li suoi servitori, habia effecto et optato fine , come se tene firmamente qui per cadauno, intendo che quella se lassa haver male, che me rincresce troppo. Perhò la prego che la voglia confortarsi et attendere a farsi gagliarda, ne per alcun modo lassarsi più haver male, perchè a la venuta de lo 111. S. vostro patre, essa V. S. intenderà cosa che gli piacerà, et ne rimarà ben contenta e satisfacta. Nè dubito se gli scrivesse tuto quello che so, la non staria un hora in lecto; ma el gli è altro che vole la nunciatura, che me rincresce assai. Il perchè forzesi la V. S. fortificarse e non\se lassi cogliere in lecto a modo alcuno, chel ge seria carico se la non fosse aiegra, sana et de bona voglia quando el pref. IU. S. nostro se trovasse a casa. Aspecto adunche intendere cum gran desiderio la sua total liberatione per farlo intendere a cui so ne haverà gran piacere e consolatione.....». . (2) Lettere della marchesa allo sposo dal 10 al 14 aprile 1467· aprile : « Per il Bianchino adesso che sono passate le doe hore ho ricevuta la littera me scrive la V. S., a la quai non so ben che me spondere. Lè vero che la Dorotea sta gravissimamente, corno p^. mia V. S. è avisata, e in questi di è stata pezo da le xx hore fin a e 5, 0, 6 da nocte, chel parosismo gli è durato più che non è stata a tina. Me cognoscela bene, et attende a quello che dico, et etiam atten e adialtri 'se fi ben desedata e chiamata doe e tre volte, e attende meg .0 410 GIORNALE LIGUSTICO schianto provato dall’ infelice padre a tale notizia ; corse difilato a casa. Chi potrebbe descrivere il dolóre, 1’ ambascia al suo giungere al cappezzale della sua amata Dorotea? Un insperato miglioramento faceva tutti speranzosi di poterla ancora serbare al suo affetto (i); ma pur troppo quello fu il miglioramento che precedette di pochi giorni la morte ; e Γ amorosa, la buona, quanto infelice Dorotea, non ancora dieciottenne, spirò fra il 19 e il 20 di aprile nelle braccia degli amati genitori (2). Non per veleno, non in convento spirò la matina nanti principii lo parosismo, che non fa in esso. Da un canto non voria che V. S. pigliasse sinistro ni discunso per venire in freza, dal altro haria pur caro che ella la vedesse e cognoscesse prima che mancasse, che credo pur e cussi anche li medici, che la cognoscerà, maxime havendo tanto nominata e desiderata essa V. S. in questo suo affanno...». (1) Cop. lett., lib. 56. 1467, 17 aprile. Il marchese al duca di Milano. «... La V. Ex. debbe avere inteso dal spect. M.'° Boniforte suo medico, in che termine se trovava la Dorothea mia figliola, heri quando el se partì di qua. Doppo la partita sua, a la sera, et cusl tuta la nocte passata è stata più presto in pezorare che in megliorare, in tanto che tucti questi nostri medici e nui altri tuti non aspectamo altro se non che la passasse de questa vita. Hora, da questa matina in qua, contro la opo-nione de essi medici, benché la fusse in la quarta decima, la se reha\uta assai, et adesso che sono le xx hore, la se trova cum pocha febre, cum la virtute più forte del usato, cum lo intelictu megliore che la non ha havuto questi quatro zorni passati, et egli cessato un acto chel aveva de tirare a sè continuamente li lenzoli, et circar per il lecto cum la mane, che fa dubitare mancho di lei. Ma se la campa sarà proprio divino miraculo e non puncto per opera nè per virtude humana.....». (2) Cop. lett., lib. 56. 1467, 18 aprile. Il marchese al tiglio cardinale Francesco. «.... Nui habiamo tardato fin adesso a mandarvi uno cavallaro, aspectando prima vedere il (in della Dorothea vostra sorella. Essendo nui andati a Parma, zobia fureno octo zorni, a retrovare lo 111. S. lo duca, lasassemo essa Dorothea com la febre , non chel ne paresse cosa da farne caso. Ma dappò la partita nostra, secundo che de continuo me scriviva la III. nostra consorte, vostra matre, la perseveroe GIORNALE LIGUSTICO 411 adunque la promessa sposa di Galeazzo Maria Sforza, come scrissero i nostri storici e quelli di Milano, ma nella propria Corte circondata da tutti i suoi cari e affettuosi parenti. Pur troppo tutte le dolorose peripezie che ebbe a patire questa amorosa fanciulla, devono averla condotta alla tomba innanzi tempo. Nel fiore di sua giovinezza e col trasporto e la fiducia infantile ella aveva consacrato tutto il suo amore in Galeazzo, e questi la ricambiò coir indifferenza, con insulti e col disprezzo. Se quell’ uomo fosse stato capace di rimorso , ne avrebbe dovuto essere roso per tutto il tempo di sua vita; ma egli non era neppure capace di sentirlo pei un sol giorno, se alla notizia dell’ aggravarsi di Dorotea, non diede alcun segno manifesto di dolore (i); tanto che 1 ambasciatore Andreasi, se ne stupì oltre modo. Ben per lettere manifestava il dolore, 1’ affanno che provava nel saper Dorotea aggravata dal male (2) ; ma qual fede si debba prestare in pezorare, che essendo gionti qua mò è quatro zorni la trovassemo in caso de morte e da lhora in qua è pezorata per modo che de lei se perse ogni speranza....... ». Ragguaglia quindi il card.1' dell insperato miglio ramento, come nell’ altra lettera al duca di Milano. Dopo questa lettera del iR aprile, non ne trovai altre che accennino al male di Dorotea, cosi nessuna lettera di partecipazione della morte, quantunque dalla let tera di Marsilio Andreasi, del 22 aprile, risulti che siano state fatte duchessa e a Galeazzo. (1) Parma, 1467, 13 aprile. Lettera di Marsilio And. alla marc es «... El non me giova demonstratione, ne cosa se facia qui del ma e la ILI. madonna Dorothea. Credo de haverlo hozi facto intendere questa corte, e facta la cosa greve, e cum quelli praticano pre ^ questo IH. S.'\ non di manco non sento che per lui se ne acia un nimo moto , che non me posso imaginar dove proceda. A *1 zentilhomini ne rincresce e dole gramamente, e tanto più quanto c e a esso gli pareva le cose disposte in bon termine.....»· >/·ιΛ„η ι,\ V / ί r.leazzo M. Sforza duca di Milano (2) E. XLIX. 2. 1467, 15 aprile. Galeazzo al marchese di Manlova. « III." « um’ua” Ρ“" 412 GIORNALE LIGUSTICO alle sue lettere, lo abbiamo già dovuto constatare, e cosi come quelle, anche queste non sono da ritenersi che per un tessuto di ipocrisie di cui quell’ uomo doveva essere maestro. E apparente e non sentito dolore deve aver anco manifestato Galeazzo, quando 1’ Andreasi gli partecipò la morte di Dorotea. Infatti egli così scrisse : « Andai dopo dal canto del S.re, al quale dissi simelmente el caso. Sua Ex· volle vedere la littera e monstrò riceverne affanno assai, e cum erano in camera, che era lo ambassatore Fiorentino, ser Tristano, conte Gasparo e Gicho, se ne dolse, et de novo volse reveder la littera » (i). Questa freddezza nel voler veder la lettera in prima per persuadersi, e nel volerla rivedere poi per convincersi che Dorotea era proprio morta, prova a mio avviso, che Galeazzo, più che di dolore avrà sospirato'di contentezza, vedendosi finalmente, per quella morte, libero di raggiungere i suoi ambiziosi desideri. Solo la buona e In questo di havemo lettere de V. S. date ad Casalmaiore, heri con quelle gli ha scritto la 111. Mad.* Marchesana sua consorte, circa el stare de la 111. Madona Dorothea vostra figliola, havemo preso grand.”0 despia-cere intendere el grave caso et pericolo suo, et non manco del affanno che siamo certi prendono continue V. 111. Signorie. Pur ancora speramo in la gratia de nostro Sig." Dio chella debba restituire a la pristina sanità, et cosi averemo caro che V. III. S. non gli gravi darce aviso de quanto succederà, perchè non potressimo intendere cosa che più ne contentasse che la bona convalescentia dessa 111. Mad." Dorothea..... Parma XV apn- lis 1467 0. — « 111. et potent d."* tamquam pater noster car."* Habiamo recevuta la lettera de la V. S. de xvn del pref. et con piacere assai inteso lo adviso del meglioramento insperato seguito poi la extremità del male suo a la 111. Mad.* Dorothea vostra figliola, il che somnum.1' nhe stato grat.m° intendere, et ne rengraciamo la V. S. et Dio preghiamo facci perseverare la prefata nel bono meglioram.11’ per consolatione de V. S. et contenteza nostra, il che si cosi seguirà ne aspecteremo aviso da quella........... Parme xvm. Ap.‘* 1467 ». (1) Milano, 1467, 22 aprile. Lett. di Mars. Andreasi al marchese. GIORNALE LIGUSTICO 413 infelice duchessa Bianca, perché sinceramente amava Dorotea, al ferale annuncio ruppe in tali singulti da non poter articolare parola, e chiusasi nella sua stanza, si diede liberamente a sfogare la piena del suo dolore, come se le fosse morta una propria figliuola (1). Se è vero, come ne fanno fede questi documenti, che Galeazzo erasi deciso a sposare Dorotea, io chiamo avventurosa questa sua morte, perchè egli l’avrebbe sposata soltanto vinto dalle continue instanze della madre e indotto dalle condizioni politiche del momento; ma la povera fanciulla avrebbe di sicuro trascinato, al fianco di quell’ uomo, una esistenza piena di dolori e di amarezze (2). Stefano Davari. Mantova, Giugno 1889. (1) Lett. cit. «____Andai da questa I1L mad.* la quale come hebe inteso il caso non me disse altro se non che se serrò in camera e fe-ceme dire non me partisse, facendo dar licentia a quanti se trovavano dal canto suo, e qui se cominciò a piangere per sua Ex. et per tute le sue donne molto dirottamente, non altramente che sei fosse morta una de le fiole de la pref.* mad.* De li ad un pezo me fece dimandare, e volendome parlare non posseva per niente proferire parola, cussi gli abun-davono li singiozi, dicendome dovesse scrivere a la V. S. e cussi a la mia 111. mad.*, che lei obederia sempre le V. S.‘s in non mandar alcuno, ma che sei non fosse per acrescere dolore a dolore, lei medesma veniria a condolerse cum le V. S.", benché essa era quella che havea da dolerse, come quella haveva facta la perdita de una cussi facta fiola..... ». (2) Il Sig.' Diha giustamente si meravigliò, come da un documento dell’ Archivio di Stato di Milano, del 20 febbraio ’68 (Arch. Slor. Lovtb., cit., pag. 566, nota 4), risultasse che Galeazzo, apprestandosi al matrimonio con Bona di Savoia, cercasse al marchese di Mantova una terza sua figlia, Barbara. A complemento di quella notizia e a conferma della volubilità di Galeazzo, e diciamolo pure, dell’ ambizione di Lodovico, nel voler ad ogni patto che una sua figlia fosse duchessa di Milano, riporto questa lettera di Marsilio Andreasi, ambasciatore presso la Corte di Milano, alla marchesa Barbara, del 23 febbraio 1468 : «.....Essendo andato questa 414 GIORNALE LIGUSTICO LA SUPPELLETTILE SACRA NELLE CHIESE MINORI I. Sono noti per fama i cosidetti Tesori delle grandi chiese medioevali in Italia ed altrove, al cui contenuto la pietà dei devoti, la munificenza dei principi e dei patroni, non meno che lo zelo stimolato da vivo spirito di emulazione dei presidi e degli amministratori, avevano apportato nel volgere di più e più secoli un meraviglioso incremento. mattina dal canto del Signore, ritrovai chel haveva facto dar licentia a la brigata, et essendoli dicto che io era li, el me fece dire che non me partisse. Doppo venne lo 111. S.r conte de Urbino e dreto lui un came-rero del S.”, qual me disse per parie de sua Ex.u che io dovesse dire quella facenda che sapeva ad esso' S.r conte, e cussi fece tochandoli molto bene tute le parte et li dui obiecti accadevano in questa cosa., pregando la sua S.‘* che per lo amore et affectione chel portava a le V. S.u el volesse porgere questa facenda al S.", per forma che la Ex.1* sua rema-nesse satisfacta, et manifestamente comprendesse la sinceritade e fede del S.r mio et de V. S. El se offerse de farli de bonissima voglia, doppo mi disse queste parole proprie: Ben quando el parentado de Franza non seguisse, corno credo non seguirà, et che questaltro de Alemagna non ha· vesse effecto (*), e questo III. S.* non facesse caso del secondo obiecto, cioè del dubio de la persona de D. Barbara, per essere ancor in questa tenera etade (poiché adesso gratia de Dio la è sanissima) non se contentarla el S.r marchese de questo parentado? Ad che rispose, che la sua S.1* intendeva molto bene il motivo desso S/ mio che non procedeva se non da propria fede e sincerità, et che la sua S.1* posseva extimare che (*) Si intende il matrimonio di Barbara col duca Evcrardo di Vitcmbcrga, che ebbe luogo nel giugno del '74. GIORNALE LIGUSTICO 415 Questi tesori ripetevano il proprio appellativo, anzitutto dall’essere la suppellettile che ne formava il contenuto costituita nella sua maggior parte da oggetti d’oro, d’argento e di altre materie preziose: ma siffatto appellativo apparisce ora tanto più appropriato, in quanto che in tali cimelii al valore intrinseco della sostanza andava congiunto generalmente il pregio artistico della forma e del lavoro, al quale si aggiungeva non di rado anche un alto interesse storico o archeologico. ad esso S.r mio seria sempre singular gratia di far una sua figliola duchessa de Milano, ma che lera anche da contrapesar molto bene questo, che poria accadere, dii che esso S.r mio quando seguisse non seria mai più contento, e lo lassai cum questo. Dreto disenare essendo ritornato a corte ritrovai il dipintore che era per alhora giunto, e prima el S.” mandoe a dirle chel ge mandasse subito quella facenda, e cussi fece. Poco dretro lo fece chiamar dentrp dovei stete bon spacio, fin chel prefato S." venne fora per andar nel parelio a pede, et essendo presso el S.' conte de Urbino el me disse che havevamo facto il mal nostro, perchè havendo el S.” visto il retratto era remasto tuto impazato, ultra chel depentore gli havea dicto tanto bene de le beleze sue che non se ne poteria dir più. In questo mezo el S.” chiamoe el prefato S.r Conte et lo mandoe per la d. Duchessa de Calabria che venisse a veder volare li falconi; per questo linterlassoe il rasonamento, et andoe per la prefata madonna....... Como fureno smontati me acostai al prefato S.r Conte de Urbino per intendere quanto laveva facto col S." et come lera remasto satisfacto de la risposta. El me rispose, che aspectasse el campo a Mantua, perchel S." se prima haveva una scintilla de amore verso D. Barbara, adesso havendo visto el retracto ne era remasto pazo, et che la risposta del S.' mio glie satisfaceva molto bene, et che de questo ne fosse certo chel non diria la bosia a le V. S.ic, et parevagli che andassero sinceramente in questa facenda, nè volessero farli della bocca per lassarlo poi a sutta, et chel prefatto S.” me faria etiam vedere quanto se havesse de Franza e quello se respondesse, a ciò se vedesse manifestamente che anche la Ex. sua andava sinceramente in questa facenda, et che stesse sicuro che questa risposta intrava molto bene in mente ad esso S.r. et glie satisfaceva, ma che metesse pur da canto el secondo obiecto. In questo mezo le cose se intcndariano ogni zorno meglio... Dat. Papié xxni Iunii 1468 ». 4i6 GIORNALE LIGUSTICO Così, ragguardevole senza dubbio è il valore materiale degli oggetti che compongono il Tesoro della basilica di Monza: ma Γ importanza peculiare di essi dal punto di vista storico e archeologico è di gran lunga superiore, potendosi ritenere, senza uscire dai termini di una giusta apprezziazione, che il danno derivato al Tesoro pel fatto della sottrazione della corona di re Agilulfo, perpetrata dal Charlier sul principio di questo secolo, non verrebbe per avventura compensato a danaro moltiplicando per mille il prezzo che ne ricavò il ladro dopo aver fuso il cimelio (i). La suppellettile dei Tesori constava in generale di elementi molteplici e diversi: ma alcuni rami d’arte erano in essa più specialmente rappresentati. Le grandi opere di scoltura, pittura e mosaico erano in certo qual modo incorporate alla decorazione permanente delle chiese, dove formavano parte integrale di un tutto in (i) Quattro erano una volta le corone del Tesoro di Monza; la co rona detta di ferro, adibita per 1’ incoronazione dei re d Italia, quella della regina Teodelinda, quella di re Agilulfo e un altra, anch essa di oro e tempestata di gemme, della quale è menzione in parecchi docu menti scritti, oltreché vedesi riprodotta nel bassorilievo della porta della basilica di S. Giovanni. Quest’ ultima corona già era sparita dal Tesoro, non si sa come nè quando, molto anteriormente alla sottrazione di quella di Agilulfo av venuta nel 1804. Per fortuna, quasi a rendere meno sensibile la doppia iattura, venne esumato ai nostri giorni (1858) alla Fuenta de Guarrazar presso Toledo un deposito di ben nove corone appartenute ai re Goti, e per materia, destinazione votiva, stile e lavoro analoghe a quelle del Tesoro di Monza, ed a queste di poco posteriori, in quanto che una di esse porta inscritto nella dedica il nome del re Reccesvinto che regnò dal 649 ^72> e un altra quello della regina Sonnica moglie di lui. Queste corone gotiche, a cui andavano unite diverse croci parimenti votive, sono oggi conservate nel museo di Cluny. GIORNALE LIGUSTICO - 4*7 armonia colle linee architettoniche dell’edificio: ma il conte nuto dei Ί esori aveva un carattere essenzialmente particolare e accessorio, e i suoi elementi, da poche eccezioni in fuori, appartenevano più propriamente alla categoria dei prodotti delle arti industriali. La testoria vi esibiva dei superbi campioni, vuoi negli indumenti sacerdotali e più particolarmente nei ricchissimi ternarii in stoffe d oro e d argento, in broccati, sciamiti, rasi, velluti, di svariatissimi disegni e colori; vuoi negli arredi rituali, pallii, conopei, pale d’altare, baldacchini, rabescati e fiorati a trapunti e ricami in seta e oro; vuoi nei parati di damasco, drapperie, tappeti, arazzi istoriati e altri articoli di decorazione. È singolare come, ad onta della poca resistenza della materia, i Tesori delle chiese ci abbiano trasmesso in buono stato di conservazione molti oggetti di questa classe, sull’ alta antichità dei quali non può elevarsi alcun dubbio; mentre dei testili spettanti alla suppellettile civile, che figurano nelle collezioni pubbliche e private, appena è se qualche esemplare risale con certezza al di là di certi limiti di tempo relativamente recenti: ciò che proviene in parte dalle diverse condizioni d’uso e sopratutto dalla religiosa cura onde i testili pertinenti alla suppellettile sacra vennero custoditi e preservati da ogni causa di deperimento; specie quei capi che spiccassero per maggior pregio artistico, o che avessero qualche rapporto con avvenimenti o con personaggi storici. La dalmatica detta di Carlomagno, che fa parte del Tesoro di S. Pietro in Roma, ci dà la misura del grado di ricchezza e di magnificenza che il costume sacerdotale raggiunse sotto l’influsso bizantino, e dell’interesse archeologico di cui duò essere oggetto quest’ ordine di cimelii : il che sia detto senza pregiudizio della questione se Γ insigne cimelio a cui si accenna dati effettivamente dal secolo IX, secondo la volgare Gio»*. LiootTico. Anno XFI. 4i8 GIORNALE LIGUSTICO attribuzione, o non piuttosto dal XII, a cui per ragioni dedotte dalla stilistica del lavoro sembrerebbe potersi più plausibilmente riferire. Nella suppellettile del culto cristiano figuravano una volta in proporzione assai maggiore dell’ odierna gli oggetti d a-vorio. Questa nobile sostanza, cui Γ arte greca fin dai tempi fidiaci usava associata all’oro nei lavori di maggior momento, e non soltanto nelle statue ma eziandìo nei mobili d ogni genere fu uno dei primi materiali in cui si exercito la nascente arte cristiana. L’avorio era allora più che mai in gran pregio, e largamente adoperato a Roma come a Costantinopoli nella confezione di svariati oggetti di lusso, fra cui diffusissimi i dittici, che i consoli, i pretori, gli edili e altri alti magistrati erano soliti distribuire in dono con qualche profusione agli amici e clienti entrando in carica. Come niuno ignora, questi dittici constavano di due tavolette riunite mediante cerniere: la faccia interna era liscia e serviva di pagina da scrivervi; l’esterna fregiavasi di una rappresentazione a bassorilievo , il cui soggetto variava secondo la diversa specie dei dittici, e in quelli consolari, ad esempio, consisteva ordinariamente nella effigie del console in atto di presiedere dall’ alto la pompa circensis, le missiones o altre solennità rappresentate in un piano inferiore. L’ arte cristiana si impossessò ben presto di questo motivo, cambiandone la destinazione; e le tavolette pagane vennero trasformate in altarini portatili, in martirologi, in copertine d’ evangeliarii, ricevendo a tale effetto una decorazione appropriata, i cui soggetti erano desunti dal vecchio c dal nuovo Testamento. Delle due scuole in cui si esplicò l’arte cristiana primitiva, la latina cioè e la bizantina, spetta alla latina il più insigne monumento di scoltura elefantina a noi pervenuto, dico la seggiola episcopale di Massimiano conservata nel Tesoro GIORNALE LIGUSTICO 419 del duomo di Ravenna, opera della metà del secolo VI, che si lascia indietro a gran distanza ogni altra congenere produzione di quel periodo artistico, per la meravigliosa ricchezza delle rappresentazioni ideate e condotte con un fare tutto antico. Anche la scuola bizantina ci ha tramandato una quantità di opere analoghe, che si distinguono per precisione di lavoro e non son sempre prive di tono e di originalità; come ne fa fede, a tacer d’ altri esempi, la pisside cilindrica del museo di Cluny, che cito come il più ragguarvole campione, fra i conosciuti, di un gruppo di cimelii assai caratteristico (1). Più tardi ai due stili latino e bizantino, e ai frutti del loro serotino connubio si innestarono elementi barbarici, più specialmente germanici e franchi; e i prodotti di tali incrociamenti s’ incrociarono alla loro volta via via, svolgendosi cosi un nuovo processo artistico a cui si dà oggi il nome complessivo di arte romanza. Nel campo deir arte, infatti, non meno che in quello d’ogni altra manifestazione dell’umana attività, il medio evo si rivela come un prodotto di tre diversi elementi, che sono la civiltà romana, la barbarie e il cristianesimo. Aggiungerebbe un capitolo importante alla storia dell’arte romanza chi facesse soggetto di studio le condizioni della scoltura elefantina e le diverse fasi del suo sviluppo durante il periodo medioevale. Ora i materiali per questo studio potevano una volta raccogliersi appunto nei Tesori delle chiese ; dove i numerosi avorii — altarini a più scompartimenti e a più ordini di rappresentazioni figurate, ciborii, statuette, cro- (1) Se «e conoscono diversi esemplari, uno dei quali nel museo di Berlino c altri nella collezione di Fr. Hahn in Hannover, senza contarne parecchi di minor conto in altre collezioni pubbliche e private. 420 GIORNALE LIGUSTICO cefìssi, dossali d’ altare, pastorali, flabelli, e tanti altri utensili liturgici — costituivano una serie di documenti autentici, per la determinazione dei caratteri tecnici e stilistici che contrassegnano le produzioni di questo ramo d’arte nelle diverse circostanze di tempo e di luogo. Anche la glittica forniva un ragguardevole contributo alla suppellettile sacra, colle gemme incastonate negli anelli episcopali, nei sigilli, nelle mitre, nei fermagli dei piviali, nelle custodie di corpi santi, nelle corone e altri ornamenti, negli ex voto e nei più ricchi arredi del culto, colle onici orientali a strati di diverso colore , coi diaspri incisi a soggetti della leggenda biblica e della vita del Redentore, colle coppe e coi vasi in agata, in cristallo di rocca e altre pietre dure. È noto che la glittica, già sì fiorente nei primi secoli dell’impero (i), andò bensì travolta nella ruina generale delle arti, per quanto risguarda il disegno e lo stile , ma sopravvisse a sè stessa nella parte tecnica e meccanica; tanto che non si può dire esservi stata una soluzione di continuità nella sua evoluzione storica, neppure nei tempi più infesti al culto e all’ esercizio d’ ogni estetica disciplina. La causa di questa vitalità della glittica è a ricercarsi anzitutto nel fatto della sua stretta affinità con un arte che per sua natura ed ufficio non potè mai essere del tutto negletta, dico Γ arte di incidere i conii delle monete, colla quale come ebbe comuni i natali così ebbe poi sempre simili i destini e le vicende; poi nella passione pel lusso materiale, e più particolarmente per le gemme, che caratterizza le epoche di decadenza politica e civile. La passione per le pietre preziose giunse all* apogeo negli (i) Cf. Vittorio Poggi, La gemma di Eutichc, Genova 1884, pag. 34 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 42I ultimi tempi dell’impero romano (1); e difficilmente riusciamo ora a farci un idea del grado a cui i Bizantini spinsero il lusso dei tessuti, dei metalli nobili e delie gioie. Si capisce adunque come, ad onta della generale decadenza delle arti, le gemme continuassero ad essere lavorate con una certa abilità, per quanto non scevra dei difetti di disegno e di stile propri dell’epoca. Una prova della peculiare importanza che andava annessa all’ esercizio della glittica, si può desumere dal fatto che, fin dai tempi dell* imperatore Leone, è menzione di una categoria di litoglifi insigniti del titolo di Palatini artifices e, come tali, favoriti di speciali privilegi (2). La glittica cristiana lasciò preziose traccie di sè special-mente nel periodo detto dell’ arte cristiana primitiva, che intercede fra 1’ arte antica ormai esausta e la nuova non per anche matura, dal tramonto dell’arte classica ai primi albori della medioevale propriamente detta. Di questo periodo, che si inizia confusamente fra gli ultimi bagliori del genio romano e si chiude col secolo X , non molte ma assai interessanti sono le pietre incise a noi pervenute pel tramite dei Tesori delle chiese. Ricorderò an- (1) Eliagabalo portava ai suoi calzari delle gemme incise da artisti di primo ordine (Lamprid., 13). Circa all'uso delle gemme, specie dei cammei, applicato ai vasi, ai tempi di Gallieno, cf. Trebel., 16. Aureliano, vincitore di Zenobia, consacrò nel tempio del Sole delle vesti fatt e di tante gemme riunite (Vonsc., Aurei, 28). Claudiano descrive i vestimenti imperiali di Onorio brillanti di ametisti e di giacinti. (2) Codex, XI, ii. Si citano come litoglifi del basso impero Chere-mone, Foca, Niceforo, Zifia, Zosimo ecc.. i cui nomi figurano inscritti su gemme portanti i caratteri stilistici di quell’epoca. Ma questi nomi non è sempre certo che indichino gli artefici anziché i possessori di tali gemme. Fra le gemme più insigni del basso impero citerò a caso: l’imperatore Costantino a cavallo in atto di atterrare un nemico, sardonica 422 GIORNALE LIGUSTICO zitutto gli anelli segnatorii con soggetti simbolici (ί), o inscritti vuoi coi nomi del Cristo o della Vergine, vuoi con forinole sacre o acclamazioni ; poi le gemme adibite a ornamento della persona, delle vesti o dei mobili specialmente di uso sacro. Fra le quali sonvene delle ragguardevoli per bellezza e per mole, alcune con soggetti del vecchio Testamento (2), altre con scene della vita del Redentore, della Vergine e dei Santi, attinte talvolta ai pseudovangeli 0 a popolari leggende (3). I Bizantini eseguirono in del gabinetto di Francia (0. Muller, Handb. § 209, 7, n.); Costantino e Faustina, celebre cammeo in sardonica, museo di Pietroburgo (Monghz, Icon. rotti., pi. 61,5; Baumeinster, Denkmàl des klass. Alterili., 438); busto dello stesso imperatore, plasma, gabinetto di Vienna (Arneth, Die aulite. Cameett des k. k. Mün\— uttd antik. Cabin., taf. XVII, 5); Costantino II, grande agata onice (Lippert, Dactyl, III, 11,460); una imperatrice ignota, sedente, con tazza nella destra, figura in calcedonia, del gabinetto di Vienna (Arneth, op. cit., taf. XXII, 22); e più particolarmente, l’imperatore Costanzo alla caccia del cinghiale nei dintorni di Cesarea in Cappadocia, zaffiro già nella collezione Rinucci in Firenze (Fremer , Sapbirus Const. iinp. Banduri , Nurnism. suppl., tab. 12); e la singolare corniola col busto di Alarico re dei Goti (E. Q.. Visconti, Impronte Chigi, 498). Cf. Vittorio Poggi , La gemma di Eutichc. (1) Clemente Alessandrino ricorda che i primi, cristiani facevano incidere sui loro anelli l’imagine della colomba, del pesce, della nave a vele spiegate, della lira, dell’ancora, ecc. (Paedag. Ili, 11). (2) I soggetti preferiti erano Èva, Caino e Abele, Noè, il sacrifizio di Isacco, Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, Davide colla fionda, Giona colla balena, Giobbe, i fanciulli nella fornace, Elia rapito, Tobiolo col pesce. Non è gran tempo che ebbi presso di me un bell’ intaglio in diaspro sanguigno rappresentante Daniele nella fossa dei leoni, soggetto, anche questo, abbastanza ovvio nella glittica cristiana. (3) Tra i soggetti di nuova creazione trattati con predilezione dalla glittica cristiana primitiva, vuol essere ricordata la figura allegorica del Buon Pastore concepita nello stile dell’arte classica. Veggasi la gemma pastoralis nel Thes. gemm. astri/, del Gori, III, p. 82. GIORNALE LIGUSTICO 423 questo genere dei finitissimi cammei in onici e diaspri sanguigni (1). Più rare sono le produzioni della glittica medioevale tanto nel periodo romanzo quanto nel gotico. Anche queste sono a soggetti religiosi: alcune sono imitate 0 inspirate da modelli bizantini, e queste mostrano tuttavia una tecnica sicura di sè stessa; altre appariscono barbare e rudi con figure di I * · stile pesante e goffo, però * invenzione è in esse più originale e più fresca. Si capisce come la pittura a grandi dimensioni, il che fu già più sopra accennato, rimanesse estranea ai Tesori delle chiese, e non parlo qui soltanto delle sue maggiori estrinsecazioni nell’ affresco e nel mosaico, ma anche della nuova forma sotto cui si esplicò con tanto successo nel medio evo, dico la tavola d’altare a tempera. I trittici a fondo d’oro, su cui campeggiami le icone del Cristo , della Madonna e dei Santi protettori della chiesa, spettavano bensì alla decorazione interna della chiesa, ma non faceano punto parte del Tesoro propriamente detto. Havvi però un ramo minore di essa — la miniatura — che nell’ epoca medioevale ebbe un gran rigoglio di succhii, anzi offerse lo spettacolo di una lussureggiante fioritura nel momento appunto in cui era meno da attendersi un tale rin-novellamento di forze e di vita, quando cioè le altre ramificazioni dello stesso tronco più intristivano e deperivano. Questo ramo della pittura fu allora coltivato esclusiva-mente nei conventi, e i monaci arricchirono dei suoi preziosi prodotti a preferenza i Tesori delle chiese. Manoscritti su pergamena sacri e profani, corali, breviari, bibbie, uffizi, (i) Il gabinetto di Vienna ne possiede alcuni pregevolissimi, con soggetti religiosi. J. ArnETH, op. cit. taf. uehrsichtslìàlter, nn. 4, 5, 16, 19, 20, ai, 30. 424 GIORNALE LIGUSTICO messali, salterii, antifonarii, atti di Santi, passionarli, commisti a libri di letteratura e di scienza, ostentavano quivi le miniature finissime a smaglianti colori ond’erano illustrati. E quale e quanta varietà in queste miniature, secondo le di\erse scuole, secondo i luoghi e i tempi diversi! La miniatura latina si coltivava più specialmente nei conventi d Italia. Le sue produzioni conservano ancora nel disegno e nello stile i grandi caratteri dell’arte antica: alcuni insigni esemplari rimontano al V secolo (i). Parallela ad essa, ma dotata di maggiore vitalità è la scuola bizantina, di cui si può dire che toccò l’afelio della propria orbita quando le altre arti contemporanee si trovavano più o meno al perielio delle loro (2). Durante P epoca carolingia si prosegui nei conventi della Francia la grande tradizione latina, già impregnata però di bizantinismo e alterata per Γimbarbarimento della forma, effetto della generale depressione del senso artistico (3). Contemporanea alla franca, la miniatura dei conventi irlandesi rompe, invece, apertamente colla tradizione latina. È (1) Citerò fra i cimeli dii questa classe il Virgilio e il Tereniio della biblioteca Vaticana a Roma, e 1’ Omero della Ambrosiana di Milano. (2) Fra i più ragguardevoli campioni deila miniatura bizantina ricordo i Commentari di S. Gregorio Na\ian\eno, conservati nella biblioteca di Parigi (secolo IX), e il Manoscritto di Jesaia della biblioteca del Vaticano (X secolo). (3) I più belli fra i manoscritti franchi delle biblioteche di Parigi e di Treves risalgono tutti all’epoca di Carlomagno. Altri, miniati sotto Luigi il Bonario e Carlo il Calvo, già accusano un grande abbassamento tiel diapason del sentimento artistico, come può vedersi nell'Evangeliario del re Lotario conservato a Parigi. Quelli, finalmente, che, come la Vulgata di S. Callisto conservata nel convento dei Benedittini di S. Paolo a Roma, datano dai tempi di Carlo il Grosso, tradiscono non soltanto la cessazione completa d’ogni studio vivificante dal vero, ma anche la perdita di ogni abilità tecnica e quasi non dico d’ ogni nozione d'arte. GIORNALE LIGUSTICO 425 il genio del Nord, dice in proposito un odierno scrittore, che penetra con frattura nel dominio dell’arte cristiana (i). Accoppiamento di elementi fantastici coi reali, della natura umana colla belluina, sovvertimento di tutte le regole organiche dell’arte classica, motivi strani come i sogni di un fabbricitante, un delirio di linee che si inseguono, si attorcigliano, si intrecciano, si involgono e si svolgono senza posa; ecco le caratteristiche principali della scuola irlandese. La stessa figura umana vi è ridotta ad un mostruoso complesso di ghirigori calligrafici. Fra le franche e le irlandesi tramezzavano le miniature dei monaci anglosassoni, il cui stile è in generale quello del basso impero, senonchè gli ornamenti sono sobrii e razionali, e i motivi non privi di buon gusto. Nel ciclo dell’ arte romanza primeggiano, da una parte la scuola tedesca, che dopo aver subito per lungo tempo l’influenza del metodo bizantino (2), riesce finalmente ad emanciparsene nel secolo XII e ad aprirsi una strada propria verso nuovi ideali (3): dall’altra, la francese, che rilevatasi a poco a poco dallo stato di barbarie in cui era caduta dopo la dissoluzione dell’ impero di Carlomagno, inizia, anch’ essa nel secolo XII, il processo di un nuovo sviluppo artistico, imprimendo al suo stile un carattere proprio, non senza as- (1) W. Lubke, Essai d’hisitoire di l’art, irai, par Ch. Ad. Kollla, I, p. 288. Interessanti esemplari di questo genere sono V Evangeliario di S. Wilibrord (biblioteca di Parigi) del principio dal secolo Vili, e il Libro di Cuthbcrt (museo britannico), altro evangeliario dello stesso stile e dello stesso tempo. (2) Fra le opere capitali di questo stile primitivo primeggia Evangeliario di Egberlo vescovo di Treviso (fine del X secolo). (}) Apparteneva a questo nuovo periodo il famoso Hortus deliciarum, scritto e miniato nel 1175 da Herrada badessa di Landsberg, che fu distrutto nella biblioteca di Strasburgo durante l’assedio del 1870. 426 GIORNALE LIGUSTICO similarsi alcuni elementi orientali importati dalle Crociate (1). Sullo scorcio di questo stesso periodo, anche in Italia fiorisce una illustre scuola di miniatura. È un effetto di quel risveglio che si va qui accentuando nella pittura per opera di Guido a Siena e di Cimabue a Firenze: un preludio del grande impulso che spinge l’arte italiana sulla via trionfale che la condurrà, due secoli più tardi, al pinacolo della civiltà cristiana. È il tempo, per appunto, di fra Oderisi da Gubbio, Γ onor di quell’ arte Che alluminare è chiamata in Parisi ; il tempo in cui ridon la carte Che pennelleggia Franco bolognese. Il periodo dello stile gotico, col quale si chiude il ciclo dell’arte medioevale, è l’età dell’oro della miniatura francese, mirabile per la prodigiosa fecondità non meno che per lo squisito magistero artistico e per la perfezione elegante del lavoro. Anche la tedesca tocca il suo apogeo nel secolo XIV e nel seguente : meno accurata della francese nella forma, ha per contro maggior freschezza di sentimento e una grazia più spontanea e più schietta. Senonchè la miniatura in questo periodo ha ormai perduto quel carattere eminentemente religioso, che costituì per molti secoli una delle (1) Tra i manoscritti francesi del secolo X, la Bibbia di Noailles e quella di 5. Maritale di Limoges (biblioteca nazionale), che pur si citano come meno barbari, hanno tuttavia un carattere di estrema rigidezza scorrezione; fra quelli del secolo XI, il Sacramentario di Aetelgar (biblioteca di Rouen) si distingue per ornamenti assai belli, sebbene un po’ pesanti. Un esempio del carattere fantastico e strano dello stile inauguratosi col secolo XII ci è esibito dalle iniziali del Rotolo mortuario di S. Vitale , custodito negli archivi nazionali. GIORNALE LIGUSTICO 427 sue qualità essenziali. Essa si dedica di preferenza alla illustrazione di soggetti profani e più specialmente cavallereschi e amorosi, ed è coltivata in generale da artisti laici. Le sue produzioni non spettano più alla suppellettibile sacra : non son pm dunque i Tesori delle chiese che esse andranno ad arricchire, bensì quelli dei principi, le biblioteche nobiliari o gli archivi municipali. Le invetriate dipinte appartengono, come già si è detto dei mosaici, degli affreschi e delle tavole da altare, alla decorazione interna e permanente delle chiese, e nulla quindi hanno che vedere col contenuto dei Tesori. Con tuttociò la classe dei vetri era in questi degnamente rappresentata da più specie di vasi per Γ esercizio del culto. Eranvi i vetri incolori a graffiti; i monocromi con figure graffite su foglia d’oro; i policromi di Murano, istoriati a tinte vivaci in campo d’oro da artisti bizantini; gli smaltati ; altri a venature, a onde, a chiazze; e, nobilissimi fra tutti, quelli a due o più strati soprapposti di diverso colore, lavorati colla ruota a mo’ dei cammei. Dai vetri agli smalti è corto il passo; altro non essendo in sostanza lo smalto che pasta vitrea stannifera, colorata da ossidi metallici. Ora, la smaltatura, come tanti altri rami di arte, si esplicò per lungo tempo principalmente in articoli spettanti alla suppellettile sacra, ond’ è che delle sue migliori produzioni furono depositari durante più secoli quasi esclusivamente i Tesori delle chiese. A questi pertanto, anziché altrove, era d’ uopo far capo, per studiarvi su opportuni esemplari i diversi processi tecnici rispondenti ad altrettante fasi per cui questo ramo d’arte si svolse in determinate epoche: smalti bizantini a tramezzi (cloisonnés), nei quali le linee del disegno sono costituite da laminette d’oro o di rame saldate in costa sul fondo, mentre gli interstizi sono riempiti di smalto a vari colori; gli smalti occidentali, o medioevali che 428 GIORNALE ligustico dir si vogliano, a campo rialzato (champlevé), dove gli alveoli destinati ad accogliere la pasta vitrea sono scavati entro la lastra metallica per mezzo dell’ intaglio, onde le figure vi spiccano dorate fra le vivide tinte dello smalto ; translucidi del rinascimento ; i dipinti, che, dal luogo ove la loro produzione raggiunse la più alta cima di perfezione, sono conosciuti sotto il nome di limosini; quelli delle scuole di Colonia, di Siegburg e di altre fabbriche renane. Ma il contingente più copioso e più ricco era somministrato ai Tesori delle chiese dalla toreutica in genere, e più specialmente dalla oreficeria; la quale fu ab antiquo la madre della maggior parte delle arti grafiche e plastiche; tauto che fino a totto il Cinquecento lo stesso artista era ad un tempo scultore, cesellatore, fonditore ed orafo. Imponente pel numero e per le qualità intrinseche ed estrinseche dei coefficienti, era il materiale di questa classe accumulatosi nel volgere di più secoli e col favore di peculiari circostanze in taluno di quei depositi. Ostensorii, pissidi, calici, turiboli, navette da incenso, insieme a pastorali, mazze da pontificali, bastoni da cerimonieri; poi paci, croci stazionali e processionali, antependia; poi sacre imagini, figure simboliche, stauroteche, reliquiari; poi candelabri, lampade pensili, palloni, brocche, catini, bacili, tutto il vasellame di parata delle grandi cerimonie: lavori d'ogni genere; a tutto, ad alto, a basso rilievo, di getto, a sbalzo, a cesello, a graffito, in filigrana; con decorazioni in gemme, in smalti variopinti, a niello, a incrostazioni; con combinazioni di processi plastici ad un tempo e pittorici. L’n insieme di ricchezza materiale ed artistica, per trovare un riscontro al quale è d’ uopo risalire colla imaginazione agli όπισθ-όδομα e alle favissae dei templi greci e romani. Vittorio Poggi. (Continua) GIORNALE LIGUSTICO 429 LETTERE di Antonio Brignole Sale e di Gio. Cristoforo Gandolfi ad Antonio Mazzarosa Nella ricca corrispondenza dell’ illustre scrittore lucchese, v5 hanno alcune lettere di Antonio Brignole Sale e di Gio. Cristoforo Gandolfi, che la cortesia liberale del nipote e seguitatore, in un col nome, delle avite virtù, ci consente mettere in luce. La notorietà delle persone ne dispensa dal tessere qui nuovamente la biografìa così dell’ uno come degli altri, rimandando volontieri per le particolarità concernenti il Mazzarosa ed il suo carteggio alla pregevole pubblicazione del nostro collaboratore Giovanni Sforza, comparsa testé nel Giornale storico della Letteratura Italiana (1). Gli alti uffici sostenuti dal Brignole, lo rendono certamente assai più conosciuto del Gandolfi, che condusse una vita più modesta, ma rispettivamente non meno operosa. Perciò non sarà indarno se qui ricorderemo come egli, nato in Genova di famiglia Chiavarese nel 1787, seguì da prima gli studi della giurisprudenza, disciplina in che s’erano levati in fama due de’ suoi antenati, Angelo Domenico, e Giovan Cristoforo suo avo (2). Ma ben presto ebbe pubblici uffici in Chiavari dove s’ era ritirato, nel tempo in cui la Liguria era divenuta una provincia dell’ Impero Francese. E Γ ufficio di Maire a cui venne elevato tenne assai tempo, e così bene, che ne’ rovesci del 1814 e anco di poi, quando fatta Γannessione al Ci) XIII, }46. (2) Somis di Chiavrie, Dello allegare nel foro i Dottori. Discorso, Genova, Ponthenier, 1823, pag. 63 e segg. 430 GIORNALE LIGUSTICO Piemonte ebbe nome di Sindaco, gli fa mantenuto. Poi venne eletto Riformatore degli studi per la provincia di Levante, e nel 1834 Bibliotecario della R. Università. Da questo punto tornò a prendere stanza in Genova , dove chiuse la vita il 6 aprile 1852 (1). Uomo di svariata coltura e non iscarsa erudizione , attese in un tempo alle scienze economiche ed alle storiche, di che son prova i suoi lavori accennati nelle lettere. Le quali ci mostrano altresì come fosse apprezzato dai suoi contemporanei, e quale e quanta operosità adoperasse nell’ ordinare il Congresso scientifico riunitosi a Genova nel 1846. A. N. i. Pregiatissimo Signor Marchese, Io Le sono oltremodo riconoscente per la graziosa lettera che ha favorito scrivermi per accusare il mio Elogio di Fabrizio del Carretto (2), di cui aveva preso la libertà di mandarle un esemplare per mezzo del Cav. Trenta. Il modo con cui Ella si esprime riguardo a questo mio debolissimo lavoro è per me sommamente lusinghiero, e sebbene io sia lontano daU’ammettere ciò che la sua modestia vorrebbe stabilire in principio sulla pretesa di Lei incompetenza a giudicare delle produzioni letterarie , non sono per altro men persuaso che la naturale sua bontà ed indulgenza verso di me, hanno avuta grandissima parte nell’opinione favorevole che si è compiaciuta di emettere intorno al suaccennato mio opuscoletto. Ma, prescindendo da questo sentimento di parzialità, un uomo del di Lei merito, e conosciuto per tante stimabilissime produzioni e nelle Lettere e nelle Belle Arti, non può essere che un ottimo giudice. Mia Moglie gratissima alla di Lei cortese memoria , Le ritorna i più (1) Cfr. Necrologia in Gabella di Genna, 16 e 17 maggio l8;j, n. 114 c 115. (2) Edito a Genova nel |8}I dalli tip. Ponthenier in-<.'> come tegjito agli Elogi di Liguri illustri incominciati a pubblicare dal Gervasoni nel 181J. Si t poi ristampato negli Elogi di Liguri illustri, «econda eduzione, riordinata, corretta ed accreiciuta da D. Lctoi Guuo, Genera, Ponthenier 1846, I, 318. GIORNALE LIGUSTICO distinti suoi complimenti, ed io, bramoso di qualche suo gradito comando mi dò l’onore di rassegnarmi colla maggiore stima ed ossequio Di Lei, Pregiatissimo Sig. Marchese, Dev.mo Obb.mo Servitore A. Brignole Sale. Onoratissimo Signor Marchese, Io le sono vivamente grato per la bontà che ha avuta di ricordarsi di me, col tarmi dono della bellissima lettera pubblicata non ha guari dal Marchese Lucchesini ad illustrazione del nuovo monumento da Lei innalzato alla patria ed agli uomini illustri che 1’ hanno onorata (i). L’idea di erigere cotal monumento era ben degna di un ottimo cittadino qual Ella è e quale fu sempre, pregiatissimo Signor Marchese, nè punto mi sorprende che l’esecuzione abbia pienamente corrisposto a quanto erasi in diritto di attendere da un si distinto cultore delle Scienze e delle Arti belle. Il Marchese Lucchesini dice la pura verità in tutto ciò che narra di quel vaghissimo tempietto e di chi lo ha immaginato ed eretto, ma la dice con un aureo stile che veramente innamora, come aureo niente meno è lo squarcio sopra Castruccio Castracani ivi si opportunamente inserito (2). Ben ponderata poi mi sembra la scielta dei sei Uomini illustri, di cui nel tempietto son collocati i ritratti. In somma il tutto è bellissimo ed io ho letto quell’opuscoletto non meno istruttivo che dilettevole con gran piacere e col più vivo interesse. Gradisca, onoratissimo e chiarissimo Signor Marchese, i miei più sinceri augurii di felicità nella circostanza delle imminenti S. S. Feste e principio dell’Anno: mi comandi con tutta libertà, se posso in alcuna cosa servirlo, accolga i distinti complimenti di mia Moglie, e mi creda quale colla maggiore stima ed ossequio ho l’onore di rassegnarmi Genova 24 Dicembre 18j 1. Suo Dev.mo Obb.mo Servitore A. Brignole Sale. P. S. Se Cesare Trenta è a Lucca, La pregherei riverirmelo. (l) Lettera al sig. Giuseppe Maria Cordella, sopra a« Umpittto ad onore degli uomini illustri Lucchesi, innalzato da S. £. il Marciar Antonio Magatola nella sua villa di Segromigno. Lucca, Bertini, 1S31. Si riprodusse nelle Oprrt edile ei inedite del Lcccbesdu, Lucci, Giusti, 1851,1,81. (3) È il ritratto di Castruccio dettato dal Mazuxosu in ine al j.» libro della sua Storia di Lucca, communicato al Lucchesini nel manoscritto, chi l’opera vide la luce due anni più tardi (Cfr. M:hvtoli , Elogio del march. Antonio Madrosa, in Alti i. R. Accad. Lucci, in morte del march. Antonio Magatola, Lucca, Giusti, >8£i, p. 34). 432 GIORNALE LIGUSTICO Signor Marchese Pregiatissimo, Ho letto con infinito piacere l’Elogio da Lei scritto del Marchese Cesare Lucchesini (i), del quale ha favorito inviarmi un esemplare insieme al cortesissimo di Lei foglio del 17 corrente. Ella dice benissimo che la perdita di quell’illustre di Lei Concittadino dev’essere non solo dalla sua patria, ma da Italia tutta, amaramente compianta. Ella poi soffrirà ch’io aggiunga che e la patria e l’Italia e la Repubblica tutta letteraria devono essere riconoscentissime all’ esimio di lui lodatore, che con tanto vigore ed eleganza di stile, con tanta effusione di sentimento ha celebrato i molti e sommi pregi che adornavano l’insigne defunto. Sarebbe in vero da desiderarsi che le numerose e sì varie opere da lui pubblicate venissero prontamente raccolte e che vi si unissero ancora le altre tante lasciate inedite (2) e delle quali sì opportunamente Ella ha dato il catalogo in fine dell’Elogio, poiché tutto quanto è uscito dalla penna di un Uomo di sì rara virtù e di sì vasta dottrina merita di esser riguardato come un prezioso tesoro. Accolga pertanto, Signor Marchese gentilissimo, i miei vivi ringraziamenti; mi conservi la sua benevolenza, e me ne dia prove disponendo di me liberamente in ogni occorrenza, gradisca molti complimenti di mia Moglie, si compiaccia di presentare i comuni nostri all’ottimo suo Sig. Fratello e mi creda sempre qual con sentimenti inalterabili di distintissima stima ho l’onore di confermarmi Di Lei, Pregiatissimo Signor Marchese, Voltri 25 Settembre 1832. Dev.mo Obb.mo Servitore A. Brignole Sale. P. S. I miei saluti a Cesare Trenta quando abbia occasione di vederlo. Pregiatissimo Signor Marchese, Dal Commendatore Aaon mi è stato recapitato, insieme colla cortesissima sua del 18 andante, il primo volume della Storia di Lucca da Lei (1) È inserito negli Alti i. R. Atcai. Lucch. in merli iti rnauh. Cesari Luccbisini, Lucci, Bertini, 1831, e riprodotta nelle Operi del Maziaioìa, Lucca, Giusti, 1841, I, 199, omessa però la bibliografia. (2) Il Brignole ignorava ebe il suo desiderio gii aveva incominciato ad effettuarsi in quel· 1’ anno stesso, innanzi la morte del Lucchesini. L’ edizione toccava il quinto volume. GIORNALE LIGUSTICO 433 composta (i). I0 La ringrazio vivissimamente di avermi fatto dono di questo suo libro che leggerò col massimo interesse e come cosa che mi viene da persona che tanto e si giustamente stimo, e per l’oggetto stesso dell’opera. Sono anticipatamente persuaso che avrò nel leggerlo frequente motivo di ammirarne 1 esecuzione, come già ammiro profondamente il pensiero che l’ha ispirata, quel nobile sentimento di amor patrio che invade le anime gentili e le sprona alle imprese più utili e più generose. Ella ben comprende, onoratissimo Signor Marchese, che io intendo parlare deila vera e pura carità di patria naturalmente innata in ogni cuore onesto , non già di quel preteso amore di una pretesa, perchè non esistente , patria eh’ è alla moda al giorno d’oggi, e che ad altro non serve che a far velo all’ ambizione, all’empietà, alla cupidigia, ed ai più atroci delitti (2). Gradirò sommamente a suo tempo il secondo volume che ha la bontà di promettermi. In settembre appunto credo che sarò di ritorno da una gita che son per fare colla famiglia in Germania, per procurare di consolare mia sorella, la Dolberg, rimasta vedova ed addoloratissima. La prego voler ciò dire in un coi miei distintissimi e cordiali saluti al- 1 ottimo suo Signor Fratello, aggiungendogli che ho ricevuto la sua cortesissima risposta alla commendatizia che io gli aveva diretta per la famiglia inglese Boyle e che ne lo ringrazio moltissimo. Gradisca, La prego, molti complimenti di mia moglie e mi creda sempre quale pieno di stima, rispetto e gratitudine mi ripeto Suo Aff.mo Obb.mo Servo A. Brigkole Sale. Pregiatissimo Signor Marchese, A nuovi ringraziamenti mi richiama il cortese suo ultimo foglio del 19 corrente statomi ieri rimesso dal Tipografo SigDor Giusti, insieme col secondo volume della sua bellissima Storia di Lucca. Io leggerò questo tùli interesse con cui ho letto il primo, cioè grandissimo, anzi aumentato ancora non poco dal piacere che la lettura di quello mi ha cagionato sotto il triplice rapporto della materia, della critica e dello stile. Sono adunque ben contento, Signor Marchese onoratissimo, che Ella siasi ricordata di completarmi questo suo bel regalo, che mi terrò sempre ben (l) Ê U prima edizione uscita a Lucca per il Giusti nel 1833. (3) Queste parole si riferiscono agli avvenimenti politici degli anni 1831-33 , non approvati dal Brignole. Cion*. Ligustico. Amo XVI. . 434 GIORNALE LIGUSTICO prezioso e per intrinseco suo merito e per il Personaggio degnissimo, dal quale mi viene favorito. La mia assenza dalla patria fu di pressoché quattro mesi. Sei settimane passai in compagnia di mia sorella, la quale poi è passata di qua lo scorso mese per rendersi a Napoli presso della figlia, prossima al parto, ove dovrebb’ essere giunta a quest’ ora. 11 tempo non ha finora temperato punto la sua profonda tristezza ; ma di salute sta, grazie al Cielo, assai bene. La prego a voler restituire per me mille amichevoli saluti all’ottimo suo Signor Fratello e mio buon padrone ed amico, il Marchese Ascanio, non che gradire unitamente ad esso i sinceri augurii ch’io formo per la Loro prosperità e quella delle Loro rispettabili Famiglie nell’ occasione delle prossime Sante Feste e dell’Anno nuovo. E mi permetta che intanto coi sentimenti della più distinta ed ossequiosa stima io abbia l’onore di confermarmi Di Lei, Signor Marchese Pregiatissimo, Genova 23 Dicembre 1833. Dev.mo Obb.mo Servitore A. Brignole Sale. II. Eccellenza, Il Marchese Massimiliano Spinola {1 ; mi domandava dell insetto infesto ai nuovi getti delTUlivo, che V. E. denunziò al Congresso di Firenze (2); ed io gli risposi che avendo avuto l’onore di ossequiarla costì nell Aprile scorso, (,) È questi r illustre entomologo che ha lasciato cosi chiara fimi S Nato ia Tolosa nel 1-80, chiose i suoi giorni a Tiswrolo, castello «ito dell» ûmigUa, I’ «00 1857. Le sue scritti vennero tenute in gran conto dai dotti, ed il suo nome si vede regimato nel-Γ albo di molte accademie cosi d' Italia come di Francia e della Geremia. Fu vice presidente della Giunta provvisoria di Governo stabilita in Torino nei moti del tSll , e lobi il carcere -li. forterza d’ Alessandria in seguito ai fatti del 1835. L’Austria gli aveva vietato di recarsi ne· saoi domini, e occorse uno speciale permesso perché potesse prender parte al Congresso di Padova. Nel 1&4S venne eletto Senatore (Cfr. Ouviai, . -uA.fi- SfhoU, GtaoTi, Sorio-nsuii, 1860# p*g· 33 e (ί) Π llizzaros» ne parlò nell’adunanza del 37 settembre 1S41. e «aae fatto avi» ai Gin-doli di studiare l’insetto nel Gcnovesato ; incarico che egli accettò di booo grado · sempre eoe il manne»* Spinola · fosse ■ disposto a coidiuvarlo · (Cfr. Alti itila Ttr^t Rimww Afl· Scìngisi* IuL, Firenxe, 1S4I, pig· 7^ e **£·)· 435 mi disse occuparsene seriamente, e promisemi mandare gli individui che fossero comparsi nella primavera per istudiarli. Nulla capitò sin qui. Se questo indicasse una piena scomparizione, mi congratulerei ben di cuore Ecc. e con tutti cotesti proprietari pel cessato infortunio, ma tanto assoluta partenza è idea più lusinghiera che sperabile. Le serva dunque esser noi presti a lavorare qui tosto che Ella ce ne porgerà la materia, segnamente il prefato Sig. Spinola si propose intervenire al Con-giesso Padovano, pel quale però non conosco ancora avviso veruno perentorio. V. E. ne ha avuto? Giacché ho l’onore di scriverle, mi prendo la libertà di rassegnare a V. Ecc. un esemplare dell’ultima mia opera pubblicata, e che la prego accettare in argomento d’omaggio di mia rispettosa servitù. Il tema del mio lavoro è La moneta antica di Genova (i), che si può dire stesse affatto disconosciuta, per non dirla conosciuta male. Io lo credo assaissimo importante, ed anche perciò debbo confessare che fu vero danno sia capitato in tanto metto illustratore. È altresì molto ampio non solo per la parte dichiarativa, quanto per l’altra del combattere gli errori che ebbero corso. Vuol essere continuato, ma intanto essendomi già venuti due volumi d’ugual mole, che son quei delle mie Considera{ioni Agrarie Economiche (2j, non ho più voluto tardare a pubblicarli, anche per sentire sulle novità che capitò scriverci la pubblica opinione. Certamente che il nostro caro e comune amico Cav. di San Quintino mi farà brutto viso pel mio volere la moneta d’oro genovese innanzi al fiorino di Firenze, ma lo credo in pari errore che sull’origine dell’arco. Ei già non potè disconoscerlo in Lucca, ma io la fo rimontare anco più indietro. Sarebbe stato nei miei voti aver sufficente provvisione di materiali, e più naturai destro a dire maggiori cose su codesta antichissima e celebratissima Zecca, chè genovesi e lucchesi fummo sempre uniti d’anima e di corpo; ma tranne Tessermene valso quantunque volte mi tornava in acconcio, non potea fare di più. Ho detto non essere il mio lavoro che una introduzione richiedente un seguito, ma bramerei il giudizio del pubblico prima di seguitare, per insistere a correggere. Intendo con ciò del pubblico dotto, laonde special-mente oso rassegnare preghiera a V. Ecc. perchè voglia notarmi i suoi (1) Dilla monta antica di Genova, Libi II·', Genova, Ferrando, 1841, voi. ì. L’autore, quantunque nella lettera accenni ad una continuazione, pur nuli'altro scrisse sull’ argomento. (2) Alcune coniidcraponi agrario-economiche, Chiavari, Argiroffo, 18)7, voi. j. 436 GIORNALE LIGUSTICO dissensi ed assensi con ogni libertà. Potrò così giovarmene in progresso di lavoro. Il di San Quintino ripassò per Genòva sugli ultimi dello scorso maggio; lo vidi apppena, chè colla Marchesa Giovannelli Doria fummo a cercarlo all’ Ufficio del Velocifero, ove si era intanato preso da un forte mal di denti. Non ommisi fargli le doglianze di V. Ecc. per avere nel suo viaggio scartata Lucca. OD Pregola dei miei divoti atti di rispetto all’ottima Signora Marchesa Sua, seguitarmi il prezioso onore di sua graziosa benevolenza, e credermi quale con ogni ossequio pregiomi rassegnarmi Di V. Eccellenza Genova li 30 Giugno 1842. Dev.mo Obb.mo Obb.mo Servitore G. C. Gandolfi. P. S. Correzione. Questa mattina sendo a far il Revisore mi capitò l’introduzione pel fascicolo io.0 del Giornale dell’ Istituto Lombardo di scienze ecc. e svolgendolo, ci trovai che in data del 27 aprile è annunziato il 4-° Congresso pel 15 al 29 Settembre p. v. in Padova. Sospetto che tale pubblicazione abbia ritardato assai, chè quel Giornale non avrebbe aspettato ai 26 Giugno. Del resto, vedo sottratto un giorno ; forse perchè il 50 sarebbe stato Venerdì. Ciò per altro che mi spiace sopra tutto è quel prendere la seconda anzi che la prima metà di Settembre, per cui si rischia incontrarsi meglio nelle pioggie autunnali. Forse, chè non so ben lo stile padovano, si cade in un mucchio di giorni magri; ma ciò cui si dovrebbe avere speciale riguardo è che seguitando di tale tenore, si finirà per allontanare perpetuamente i più dotti fra gli agronomi dall’importante operazione della vendemmia, che resterà abbondonata ai castaidi, perchè quelli corrano a fare, spesso anco, delle chiacchere altrove. Perdoni se mi prendo due libertà con V. Ecc. Una è di mandarle i miei libri con poca buona grazia, cioè in rustico e tagliati, ma tanto mi si consiglia per rispetto alle Dogane. L’altra si è di pregarla di far pervenire l’acchiusa lettera e plico a cotesto Sig. Mingori. È tanto difficile aver mezzi a mandare costi comecché in tanta vicinanza di luoghi, che si è tenuti a cogliere ogni miglior mezzo possibile. GIORNALE LIGUSTICO 437 Eccellenza, L’ossequiata lettera di V. Ecc. in data del 29 dello scorso Agosto spira tanta gentilezza e bontà per me, che mi reputo in debito di rassegnarlene dei ben divoti ringraziamenti. Dal complesso della stessa parmi poterne rilevare che in generale Ella consenta meco nella condotta di quella mia opera sulla Moneta antica di Genova, per la quale m’intimorirono parecchie novità, che in corso di lavoro mi capitarono per mano, e credetti debito di pubblicare : fra queste primeggia per entità propria e per universale interesse la precedenza delle genovine e cosi delle monete auree di Lucca, di Venezia e di Pisa al fiorino di Firenze. Ed è principalmente su questo particolare che desiava saggiare il parere dei dotti; e se V. Ecc. concorre proprio in quella mia opinione, associandosi il valevole suSragio di Lei a quello già ricevuto da parecchi altri distinti, ne sarei grandemente rinfrancato nei miei timori. Il San Quintino non potè contraddire alle riferite autorità storiche e documentali, ma si riparava obbiettandomi l’uso opposto delle altre, perchè contemporanee, e la forma chiusa dell’a nella parola Conradus. Risposi alla prima obbiettandogli l’inammissibilità dell’ argomento, poiché proverebbe troppo; ed in vero mirerebbe a negar che niuno avesse mai potuto cominciare, e neppure i fiorentini nel 1253. Nego poscia il fatto in quanto alle zecche delle città più commerciali, ricordandogli gli esempli che ho riferiti a pagina 207, T. 2; e per rispetto alle altre zecche minori dimostrai-gli essere di niuna importanza nella quistione, perciocché veggiamo a pag. 220, che anco nell’anno 1254 ben 7 delle primarie città lombarde, ma niente più che agricole, non s’incaricavano ancora di battere in oro, comechè persino il fiorino fosse nato a quell’ ora; ed altresì notai quanto riferisce il Promis (Zecche dei Reali di Savoia) che anco del 1323 le monete d’oro non aveano corso legale in Piemonte, ma vendevansi a prezzo di metallo. Per la 2.* poi gli ho mandato molti fac-similé di marmi, e di altre scritture dell’ età della Janua, in cui le sconciature delle fogge letterali ci sono a bizzeffe. Nè so intendere, come quel dotto uomo, ma troppo ligio degli abbracciati sistemi, potesse scrivermi che la corruzione delle antiche forme cominciasse al 1270 solunto, mentre, non che in Genova, ne troviamo anteriori esempli ovunque. Cosa potrebbesi desiderar di più reo della scrittura che il Bonanno adoperò nelle sue pitture nel mezzodì di Sicilia, e che viene ricopiata dal Rosini nel Primo Volume della. Storia della pittura? 43S GIORNALE LIGUSTICO Non per un semplice onore municipale, ma pel sommo interesse che ne risente la numismatica dopo il mille, parmi che l’esistenza della lira aurea reale in Italia molto tempo innanzi al fiorino dovrebbe essere studiata ed accertata con ogni impegno. Ed in vero se nei secoli XII, e XIII conteggiavasi già prima del fiorino con tai lire reali, tutti i calcoli sui valori delle merci fatti per quello spazio di tempo, regolandoli sulla supposizione dell’antica lira di conto , cadono necessariamente. A dir vero sono di risultato così diverso fra i diversi monetografi, che da ciò solo indicherebbero posar sul falso. Ma occorre cercare il vero, perchè cotai vero, riflettendo ai tempi del rinnovellamento italiano, può dare molte preziose notizie archetipe in prò della stessa Economia politica. Ora se siffatto vero stesse nell’esistenza della lira reale fin qui disconosciuta, od in una novella lira di conto preveniente da questa , e cagionata dall'in· carimento dei metalli nobili, sarebbe necessarissimo fermarlo e predicarlo a piena gola. Io possiedo una Carta di corrispondente deW'Accademia dei Filomati di Lucca ; ma nella Guida di cotesta città da V. Ecc. rifatta, non ci trovo nominata che la R. Accademia Lucchese anticamente detta degli Oscuri, poi Napoleone. Dubito perciò sull’attuale esistenza della Filomatica, nè so crederle identiche. Son quindi in forse a far omaggio di una copia de’ miei libri, come debito d’ogni aggregato. Supponendo però che la R. Accademia sia cosa affatto diversa, ov’Ella volesse appoggiare del suo valevole patrocinio l’umile mia offerta, volentieri rassegnereile quell’ esemplare, unendovi la preghiera di voler fare una speciale disamina sul punto rilevantissimo dell’epoca della prima moneta aurea in Italia. Il voto dei dotti compilatori di quelle Storico-Archeologiche pubblicazioni preziosissime e delle quali già si contano 12 volumi (quali però si bramerebbero una volta seguitati fra loro) sarebbemi di massimo peso se favorevole, 0 di opportuno disinganno se contrario. Supplico la bontà di V. Ecc. a volermi favorire di un cenno di risposta su questa mia forse ardita domanda, perchè in caso di sua benigna adesione, provvederó all’uopo per quando sarà rimpatriata dalla corsa padovana. Al Cap. i.' del lib. IV, vi ho espresso il desiderio che i congressi scientifici vogliano occuparsi anco delle monete antiche; e dove osservi il programma dell’imminente Congresso di Strasborgo mandatomi coll’invito, trovo esserci destinata la 5.* sezione all’Archeologia ed alla Storia; e poi a pagina 5 leggovi descritti dei quesiti d’ interesse assai minore della monetaria. Per altro non ispererei troppo per un lavoro seguitato, quale occorrerebbe all’ uopo, da Corpi temporari, e tanto variabili di GIORNALE LIGUSTICO 439 sede, e pertanto non manderò i miei libri a Padova nè ci anderò io, giacché in ques’anno ho troppe pastoie a potermi muovere; ma invece fo delle pratiche in Firenze per vedere se si potesse formar ivi centro mo-netografo. Ne temo però molto, e mi pesa, perchè amerei che quella città s’indennizzasse della guerra fatta al suo fiorino. Egli è caso curioso; io l’attacco su questo punto, e intanto Santaremo (x) mi comunica un suo libro in cui l’attacca sul particolare del Vespucci. Ma Firenze ha bastanti glorie reali per non cercar le fittizie; nè tutti i Fiorentini son Canovai. Ma qui farò punto sul tema monetario chiedendo scusa della mia prolissità. Mi rallegro molto con loro per la scomparizione del malefico insetto, e ne ho dato notizia al Marchese Massimiliano Spinola (2), cui pure scrissi L saluti di S. Ecc. Ei sarà in Padova, che anzi ne ottenne l’assenso dal Governo dello Stato Austriaco, di cui prima non potea passare il confine. Colà vedano stabilir Genova per la 6/ Riunione. Dopo occupate le precedenti città, nel picciol numero di stati ammettendi, e non ripetere due anni di seguito nello stesso, parmi esser Genova anzi indicata di per se, che bisognevole d’elezione. Il principio di sua lettera mi addolorò forte, voglio però supporre oggidì V. Ecc più felice in famiglia, almeno a tanto mi spinge il caldo mio desiderio per la felicità d’un Personaggio sì meritevole d’ogni consolazione quale è l’Ecc. V., a cui godo potermi riconfermare con divoto ossequio e rispetto, Di V. Eccellenza S. Lorenzo della Costa (M.u di Rapallo). Addi 4 Settembre 1842 Dev.mo Obb.mo Obb.mo Servitore G. C. Gandolfi P. S. Degnandosi onorarmi dei suoi ambiti caratteri, seguiti a porre la direzione per Genova. (!) Ruberete! historiques, critiqua et bibliographiques, sur Anurie 1 etfmct et ses voyages. Parii (184*). (2) Cfr. a questo proposito Atti ielle quarta riunioni ìegìi scienziati italiani, Padova, 1843. p 221. Il Mazzarosa leu* alla R. Accademia Lucchese il >4 niarzo 1843 una memoria intorno a questo insetto (Cfr. Alti i. R- Aeeai. Luceh , XII, xxn) intenta poi nel T. XIII, p. 184 degli Aiti. 440 GIORNALE LIGUSTICO Eccellenza, Scrivo, perchè a quest’ora suppongo V. Ecc. reduce dalla Riunione padovana (i), che però dubito scapitasse forte dalla fiorentina. Desidero almeno che abbia potuto giovarle di qualche distrazione. Quanto più povero di meriti, tanto apprezzo meglio 1’ onor di Corrispondente a cotesta celebratissima Accademia R.le Lucchese venutomi dall’esimia bontà di V. Ecc., e ne professo la più viva gratitudine all'illustre Corpo Accademico, non che all’alto e benevolo intercessore. Non ricevetti ancora l’indicatami patente, ma dovendo mandar l’omaggio de miei libri a parecchie Accademie in Toscana, fra le quali (poiché Ella mi avvisa seguitare in fiore) cotesta dei Filomati, non vorrei lasciar in dietro la principale; mi vien quindi necessario supporre avuta già quella carta, cui fatta la risposta, che unisco, con lettera di stile consueto, ne aggiungo una seconda in accompagnamento de’ miei volumi, restando solo che V. Ecc. come le ne fo preghiera , voglia soffrir l’incomodo di apporvi una data, da star in armonia coll’invio lucchese. Vedrà che prego per un esame del mio lavoro, segnatamente sul particolare dell’epoca di prima uscita della genovina Janua e del fiorino d’oro. Bramo tale esame e giudizio accademico, perchè può importare molto, e lo spero dalla di Lei intercessione, e nell’interesse della scienza. I volumi deono già esser presso codesto R. tipografo Sig. Baroni, ch’è avvisato far consegna giusta noticina dell’autore che gli sia presentata; V. Ecc. la troverà qui unita per le due copie alla R. Accademia, ed ai Filomati. Mille, e genialissime congratulazioni alla Ecc. V. pe l’onorevole scelta in Lei fatta a Presidente Generale della prossima Riunione lucchese. Ognun la prevedea, perchè troppo indicata ; ma essa è caparra che non iscapiterà tale Riunione innanzi alle precedenti, bensì ne vincerà più d’una. Quanti studii e quante cure Ella porrà per ciò 1 e indi quanta nuova ri-conoscenza le ne dovrà la patria suai Parmi che se il Puccini differisse al fin d’Agosto la 3.1 festa delle Spighe in Pistoia, quella coincidenza in tanta prossimità di luogo, non che le finite bagnature estive in Genova ed in Livorno potrebbero apprestar molta gente a Lucca nella prima metà del seguente Settembre ; epoca per la lunghezza maggiore, e per la (1) 11 Mazzarosa non prese parte alia riunione padovana. GIORNALE LIGUSTICO 44I più sperabile serenità delle giornate preferibilmente acconcie alla Riunione; oltrecchè declina da parecchie inopportunità. Io scrivo da questa mia campagna, ma fra giorni passerò a Chiavari, e poscia pella riapertura dell’ anno scolastico alla mia biblioteca in Genova ; se non dovrò anche anticipare pel mio incarico di Revisore dei libri e stampa. Il presente plico procuro farlo passare pel messo di Sar-zana. V. Ecc. volendomi inviare quello del Diploma, se potrà farlo avere in quella città, od a quel Prefetto del Tribunale Sig. Avv. Giuseppe Castagnola ch’è mio cugino, od all’Avv. fiscale ivi, Sig. Avv. Carlo Parodi che è mio genero, mi sarà sicuramente ricapitato. Accetti V. Ecc. i miei più divoti atti di riconoscenza e servitù coi quali ho l’onore di riconfermarmi Dell’Eccellenza V. S. Lorenzo della Costa li 22 Ottobre 1842 (presso Rapallo). Dev.mo Obb.mo Servitore G. C. Gandolfi. Eccellenza, Credo che V. Ecc. abbia ricevuto la mia lettera del 22 scorso Ottobre, ina so invece aver prima assaissimo ritardato i libri mandatile, e poi esserne pervenuta una copia mancante del Primo volume, che si smarrì nei tanti giri da quella spedizione patiti. L’accompagno ora pertanto alla presente lettera per completare, non senza umiliare le mie scuse per le tante noie che oso recarle, e la rinnovazione delle preghiere già rassegnatele colla suddetta mia. Anche la R. Accademia delle Scienze in Torino degnossi onorarmi del suo favore (1). Di cotesta non ebbi ancora il diploma. Noto ciò a cautela. Penso conoscerà i recenti lavori del nostro comune amico, il Cav. di S. Quintino, da cui ricevetti ultimamente due sue lezioni numismatiche testé pubblicate (2). Di queste, se la seconda eccede la strettissima sfera di mie brevi cognizioni, assaporai con sommo gusto la prima, che certo riempie una importante lacuna nella Storia dei nummi pel medio evo. Non so quanto il Cibrario sarà contento delle cose dette a pagina 7.1”* (1) Nominato il 1$ dicembre 1841. (j) Sono le due Legioni pubblicate nelle Memorie iella R, Accademia delle Sciente di Torino, Torino, 1845, scr. ï.a, V, Par, i.a, psg. tjj, c ao}. 442 GIORNALE LIGUSTICO Brarro che anche in quest’anno manchi costì il consaputo insetto terribile agli ulivi; se per disgrazia ricomparisse, ne mandi un saggio d’individui, che il Marchese Spinola, ed io siamo ai di Lei cenni. Avrà veduto la grande opera (per la più parte postuma) di Audacin sulla pyrale vitana; veramente è riuscita magnifica, e degna del marchio di effettivo favore governativo che reca in fronte. Desidero ora, sia ugualmente utile. Penso che V. Ecc. sarà tutta occupata ai grandi preparativi per la p. v. Riunione Lucchese, quale, mercè le di Lei cure, confido riuscirà felice ; quanto a me Genovese della data antica, ne ho vivo desiderio per la memoria dell’amicizia già stata strettissima fra Lucca e Genova. Voglia accettare i miei divoti atti di ossequio e rispetto coi quali ho l’onore di riconfirmarmi Di V. Eccellenza Genova li 7 Febbraio 1843. Dev.mo Obb.mo Servitore G. C. Gandolfi. Eccellenza, Debbo pregarla d’un importante e grave lavoro pel prossimo Congresso in Genova; se non iscrivessi a un Mazzarosa premetterei scuse ed altre formole d’uso ; ma Ella le sgradirebbe, chè le attuaH Riunioni sono il suo amore. Comincio dunque senz’ altro. Questo Ecc.mo e dirò anche meglio ottimo Nostro Presidente Generale (1) brama che la Riunione Vili” riesca non solo solenne, ma normale; quindi vi pone ogni cura. Se non che, essendo per sua bontà incorso nell’errore d’onorarmi qual altro dei suoi Assessori, credo che questo sia l’unico ed ultimo. Desidero pertanto conoscere tutte le minute pratiche ed avvertenze che occorrono ad una Presidenza generale, pel retto ordinamento ed e-satta condotta dei Congressi. Io quindi, ad essergli meno inutile aiuto che per me si possa. proposi chiederne a V. Ecc., chè niuno è meglio acconcio per la Scienza, e per la pratica a dar norme sicure ed utilissime. Le rassegno adunque alcuni quesiti. i.° Riclamano i veri Scienziati contro le prodigate ammissioni che degradano l’istituzione. Qual tenore combinabile col Regolamento' proporrebbe a rimovere siffatto disordine? (1) Era Antonio Brignole Sale in questo tempo ambasciatore del Re di Sardegna in Francia. GIORNALE LIGUSTICO 443 2 In Milano pare s’intendesse a minorare il numero degli Amatori che in Firenze erano stati istituiti a scaricar quello dei membri effettivi. Per conseguir meglio quello scarico, non converrebbe anzi rialzar la condizione di quelli Amatori, rendendola in qualche modo più lusinghiera? Che ne penserebbe? qual tenore proporrebbe per ciò? Giova riflettere in ordine alle ammissioni dei membri effettivi che già invalse il mal uso; quindi se ora è il caso d’usar dei rimedii, è pur duopo sieno efficaci, ma scevri d’asprezza. 3. Altra querela è la vanità di molti lavori nelle sezioni, ed il poco prestabilito ordine loro, spesso anco non osservato. Da ciò un vagare per troppi nuovi argomenti, ed assai raro lo insistere e conchiudere so-vr alcuno che proprio importi. In Francia usano pubblicare anticipati programmi; ma poi quanti rimangono dimenticati! Ivi ed in Italia si rimandano ai futuri Congressi molte quistioni che di frequente non trovano sufficienti trattanti. Pare adunque siavi ancora da trovar molto su questo particolare. Arvebb’HIla pensiere veruno in pronto? 4.0 Qui la città assegnò una somma per le spese del Congresso ; chi spende ama pure maneggiare ; altresì torna bene che il pubblico prenda parte attiva. Gii fu stabilita una deputazione di due decurioni per la Guida, e certo se ne saran destinati per gli altri oggetti necessarii. Così fu praticato in alcune Città; costi però credo che V. Ecc. dovesse incaricarsi dogni cosa. In qualunque modo sieno, certo che le Commissioni per li preparamenti sono indispensabili; ma converrebbe fossero esclusive dell.i Città, 0 cumulative colla Presidenza Generale? In tal caso quali pratiche Ella conosce state osservate? Item salve le etichette. 5.* Il Sgretario Generale (che qui è il Marchese Francesco Pallavicino) ha, come una massaia in una famiglia, il carico d’ogni minuta cosa, lo che può aggravar troppo. A dargli degli aiuti che non sieno solo Scrivani, 0 Inservienti, ma persone rivestite d’ una qualche qualità, che lusinghi, senza dividere anticostituzionalmente la qualità e dignità del Segretariato, qual tenore potrebbe osservarsi? quali già si osservarono? Termino qui i quesiti, facendole però preghiera di volere aggiungere quanto altro credesse utile. Eccole poi un’altra preghiera, cioè di farmi una pronta risposta che possa aversi qui sabato mattina (29 corr.), perchè in quel giorno è fissata una seduta della Presidenza, ed importa non perder tempo, dovendo S. Ecc. il March. Brignole Sale restituirsi all’onorevole sua sede diplomatica in Parigi. Ho numerati gli Articoli e tenuta copia; basta perciò che le risposte seguano il numero. Anticipatamente ringraziandola molto, non che in nome pure di S. Ecc. 444 GIORNALE LIGUSTICO ma ben anco di îutti i premurosi per l’onore delle Riunioni Scientifiche italiane, passo col più profondo rispetto a sossegnarmi Di V. Eccellenza Genova li 25 Novembre 1845. Dev. Obb.mo ed Obb.mo Servitore G. C. Gandolfi P. S. Questo nostro storico Avv. Canale mi disse essersi messo in corrispondenza con Γ Ecc. V. ; io poi aggiungerò che rimane estasiato per le di Lei maniere gentilissime. Godo adunque essere stato l’anello di riunione per tale ricambio archeologico. Eccellenza, Non ho risposto prima all’ossequiosa e compitissima sua lettera del 28 p. p. Novembre colla quale si degnò darmi i savi e preziosi riscontri dei quali l’aveva pregata, perchè sperava poterla più presto informare d’ogni cosa predisposta in ordine aU’YUI Congresso. Molto lasciò fatto l’Ecc.” Presidente Generale prima di sua partenza, ma non si potè iermare definitivamente il giorno dell’apertura, perchè si aspettò sempre un pronto riscontro da Marsiglia sull’ epoca e durata del Congresso Francese in quella città nel 1S46. Del resto fu fatta la deputazione per le Commissioni, preponendosi altresì un ottimo capo ed acconcio a non lasciarle trascendere oltre il dovere. Ad imitazione di Milano, si sono per questo fissate delle norme, che tosto saranno messe in netto e le farò conoscere. Si è stabilita una Commissione per lo spoglio delle materie rimandate dalle varie sezioni dei passati ultimi Congressi ; si stabilirono aggregati alle Segreterie, uno dei quali molto acconcio sarà espressamente destinato a curar l’edizione del Diario, quale importa esca regolarmente e per tempo, e molte altre cosucce all’uopo furon fatte. Ora a procedere oltre si aspetta l’elezione dei nuovi Sindad, che appunto van rinnovati al cominciar del 1846. Occorreranno allora molte altre bisogne: ma per aver norme intomo a queste, sarebbe sommamente utile conoscere le dire dei diversi oggetti di spesa avvenute costi nel 1844. Gii da Milano si ebbe tal nota, coll’ indicazione degli articoli cui sopperì la Città, e