GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA FONDATO E DIRETTO DA L. T. MIGRANO ed j[. 'MERI ANNO DICIASSETTESIMO GENOVA CENNI STORICI SUGLI STATUTI DI PlETRA, GlUSTENICE, TOIRANO ed altri paesi della Liguria La bibliografia degli statuti delle singole città e paesi della Liguria fu dottamente illustrata dal chiaro professore Gerolamo Rossi, tanto benemerito della storia ligure. Conscio dell’ importanza di siffatti studi e spinto dall’ amore verso le venerande memorie dei nostri maggiori, ho pensato di pubblicare a mia volta, e come contribuzione all’ opera stessa del Rossi, questi brevi cenni sopra gli statuti, tuttora ignoti, di tre paesi della Liguria occidentale, i quali tengono per fermo, nobilissimo luogo nella lunga serie dei gloriosi avvenimenti e miserande vicende che caratterizzano la storia del popolo ligure. Ho aggiunto alcune altre notizie inedite a complemento di quelle già pubblicate dal Rossi, intorno agli statuti di altri paesi, e due documenti del pari inediti, cioè gli atti di approvazione per parte della Signoria Genovese dello Statuto di Pietra e Giustenice e di quello di Toirano, ed un frammento di quest’ ultimo che ho avuto la fortuna di rinvenire nell’ Archivio di Stato in Genova. Pietra e Giustenice. — Salva qualche breve interruzione, causata dalle guerre civilj e dalle lotte intestine che travagliarono per tanto tempo la Repubblica Genovese, il dominio temporale dei castelli e borghi di Pietra, Giustenice e Toirano risiedette, sino all’anno 1385, nel vescovo di Albenga. 4 GIORNALE LIGUSTICO In quell’anno, con atto del 17 dicembre, essendo vescovo Gilberto Fieschi, il papa Urbano VI, in pagamento del debito contratto verso la Repubblica, la quale lo aveva liberato dall’assedio di Nocera, cedeva al doge Antoniotto Adorno, oltre ad altre terre e castella, i castelli e borghi della Pietra, di Giustenice e di Toirano con le loro ville. Dal secolo XIII infino allora queste comunità si erano governate con propri statuti, de’ quali aveano ottenuta dal vescovo-signore 1’ approvazione; e, come era debito , così appunto la chiesero a Genova dopo la cessione papale. Furono mandati, a tale uopo, oratori Antonio Ferrari di Pietra e Pietro lodo di Giustenice (1); e il doge e gli Anziani commisero l’esame dello statuto ad Antoniotto da Cingoli, vicario ducale, Biagio di Iacopo e Manuele Grillo, sapienti del comune di Genova. Quindi, a’ 23 marzo del 1386, la stessa Signoria: audita et insuper relatione hodie ipsis magnifico domino.... duci et consilio facta per prefatum vicarium ducalem, referentem se una cum dictis sapientibus communis dicta capitula omnia et singula diligenter vidisse et examinasse, ac cognovisse et cognoscere una cum dictis sapientibus communis ea omnia approbanda et ratificanda fore:.... omni iure via modo et forma.... dicta capitula seu statuta.... approbaverunt, etc. (2). Risulta da questo documento che Pietra e Giustenice avevano uno statuto comune; il quale constava di 77 capitoli e formava un volume scritto in pergameno, legato in tabulis e coperto corio albo, e che fu pubblicato manu Bartbolomei Solacii notarii. Durò questo statuto parzialmente in vigore per molto tempo, poiché se ne scorgono ancora tracce nel 1500; però le mutate condizioni ed il progresso materiale e morale esigevano nuove e profonde riforme. Varie modificazioni vi si ar- ti) Vedi documento, n. 1. (2) Vedi doc. cit. GIORNALE LIGUSTICO 5 recarono infatti nel secolo XVI, benché di lieve importanza; ma nell’anno 1611, ai 27 di aprile, il Parlamento generale approvò i Nuovi capitoli per il buon governo della Comunità della Pietra (1). Poi nel 1.680, essendo impossibile trovare ogni anno, come questi volevano, quaranta soggetti che avessero i requisiti necessari per comporre il Parlamento, e che non fossero stati in carica nell’ anno innanzi, parve indispensabile una nuova riforma la quale fu approvata dal Senato della Repubblica ai 2 dicembre , avuto il parere favorevole del Magistrato sopra gli affari delle comunità (2). Nell’ anno 1706 si addivenne pure ad altre riforme, occasionate dall’ostruzionismo che facevano nel Consiglio alcune nobili e potenti famiglie coi loro fautori e aderenti (3); i quali avendo impedita l’elezione dei nuovi magistrati, obbligarono Michele Lodo, Gio. Battista Bado e Giovanni Odisio, consoli uscenti di carica, a supplicare il Senato per gli opportuni provvedimenti. Identici disordini si rinnovarono ancora nel 1751, allorché, il giorno 8 settembre, si radunò il minóre Consiglio per procedere ad altra elezione di magistrati coll’ intervento di Lorenzo Curio podestà, il quale ordinò si votasse alla sua presenza. A questa intimazione, molti dei consiglieri con audacia et insolenza risposero di 110; e da ciò nacquero gli scandali che il podestà, appunto con talé ordine, si era immaginato di poter evitare. Radunatosi adunque di urgenza il Magistrato delle comunità, ordinava (28 settembre) al Curio di procedere ad una nuova elezione, dandogli le più ampie e straordinarie facoltà in proposito, ed aggiungendo la comminatoria di pene severissime contro i perturbatori dei pubblici (1) Archivio di Stato in Genova. Fogliazzo Confinium, anno 1611, i e 2. (2) Arch. cit. Comunità, usque ad Petram, n. 275. (3) Arch. cit. Fogliazzo Confinium, anno 1706. 6 GIORNALE LIGUSTICO ) suffragi. Questi provvedimenti però a nulla valsero; e solamente il 17 ottobre, essendo arrivato alla Pietra il nobile Domenico Invrea, espressamente mandatovi con ufficio di commissario generale e con buona scorta, si potè procedere all’ elezione. Intanto la comunità dovette sopportare le spese pel commissario e per la sua comitiva (1). Acciò i disordini non si rinnovassero ancora, s’incaricò poscia una commissione, composta del notaro Pietro Francesco Bado, di Valentino Cocchi e Pietro Basadonne, di compilare i nuovi capitoli che vennero subito approvati (2), e trattano: I. Del maggiore e minore consiglio. II. Dell1 autorità dei consoli e calcolatori. III. Dell’ autorità dei padri del comune e di concordia. IV. Delli proiettori della parecchia, ospidale e N. S. del Soccorso. V. Delli censori et altri magistrati. VI. Delle accuse e monti comunali. VII. Dell’ assessore. VIII. Del sindico 0 cancelliere. IX. Autorità dei P P. del comune. X. Dei conservatori delle leggi. ο O Si pubblicarono però in varie epoche altri capitoli relativi a materie e magistrati speciali. Così nel 1660 i censori ne pubblicarono, per mezzo di apposita grida, contro ogni uno che ha cantari, bilancie..... misure doleo..... vino, stari, mexjistari, moti ir ali, amole , mediamole etc., molinari, tavernari, rivendaroli, fornari, fornare....., patroni di rete, spioni, bordini et d’ ogni altraccio di rete, e loro agenti, fattori 0 pescatori (4); e così, a’ 26 maggio 1769, ne pubblicò per proclama il podestà Stefano Foglietta, specialmente contro li bestemmiatori e profanatori del Nome di Dio, della SS. Vergine e dei Santi, e contro coloro che non santificassero le feste e portassero armi senza permesso (4). Finalmente nel (1) Archivio Municipale della Pietra. Parlamentorum, sino all’anno 1777. (2) Arch. cit. Libro di varie provvidenze prese dalla Comunità. (3) Arch. cit. Libro dei Maestrali, anni 1660 in 1686. (4) Arch. cit. Diversorum, η. 9, 1768-1769. E. GIORNALE LIGUSTCIO 1741, ai 9 dicembre (1), furono approvati i Capitoli per la buona diretione del Monte, che si desidera erigere e constituire a favore della Chiesa di S. Nicolò di Bari del presente Borgho della Pietra. Toirano. — L’antico statuto di Toirano subì le stesse vicende dello statuto di Pietra e Giustenice. Venne anch esso approvato nel 1386, a preghiera dell’ oratore speciale Luciano Corso , dietro relazione dei citati sapienti. Constava di 88 capitoli cum emendationibus tredecim, ed era trascritto in un volume legato in tavole e coperto di cuoio bianco (2). Per quante ricerche io abbia fatto di questo statuto, non ho potuto mai averne contezza. Soltanto nello scorso mese di luglio, ne trovai un frammento nell’ Archivio genovese di Stato (3), il quale consta di due paragrafi, il primo acefalo, ed il secondo intitolato de non ludendo ad 'taxillos. Questo giuoco si trova pure proibito in altri statuti, per esempio in quello di Cosio (4), e le severe disposizioni che vi si vedono sancite ben dimostrano che doveva essere causa frequente di risse e disordini (5). Lo statuto di Toirano ebbe parimente diverse modificazioni. Nel 1605, addì 13 novembre (6), in sala domus Bartolomei de Guersio, coll’ intervento di Ottaviano Polidoro e Giorgio Sichero consoli, Simone Garassino e Bartolomeo Villani padri del comune, Napoleone Drago, Biagio e Alessandro Grasso, Nicolò e Giulio Reibaldo, Emanuele Coxe, Vincenzo Vara, Giacomo dell’isola, Gio. Andrea (1) Arch. cit. Libro del Monte, 1741. (2) Ved. documento I. (3) Ved. documento II. (4) Atti della Società Ligure di Storia Patria. Appendice al volume XIV, p. 72. (5) Vedi documento II. (6) Archivio di Stato in Genova. Fogliazzo Confinium, 1606-1607, 32-33· 8 GIORNALE LiGUSTICO Scofero, Battista Molle e Bernardo Richero consiglieri, si approvarono i Capitoli et ordini della Communità di Toirano fatti dal Molt’ III.'"0 sig. Vincenzo Botto Commessario del Ser.m° Senato e comprovati da essa Communità, concernenti il modo forma et governo con il quale si bavera da governarsi e reggersi in V avenire detta Communità; ed in favore di essi ottenne il beneplacito di Genova Giulio Reibaldo, ivi spedito il 28 aprile 1606. Questi capitoli constano di 70 paragrafi, senza titolo alcuno. Loano. — A quanto dice il prof. Rossi (1) circa gli statuti di Loano del 1602, è d’uopo aggiungere che allora il principe D’Oria, signore del luogo, fece scomparire dall’archivio 1’ unico esemplare esistente del vecchio statuto, e furono così obbligati i Loanesi ad accettare quei capitoli che al feudatario piacque d’imporre ai suoi vassalli. L’ antico statuto di Loano dovette essere pubblicato nel secolo XIV, poiché prima di quell’ epoca non se ne ha notizia alcuna. I gastaldi e sculdasci, tale era l’antico nome dei magistrati di Loano, entrando in carica dovevano prestare giuramento di osservare fedelmente lo statuto del comune. Nel maggio del 1619 la principessa Giovanna Doria Colonna approvava i capitoli per 1’ erezione del Monte di Pietà in Loano. Altre provvidenze furono emanate nel 1685 da Gio. Andrea Doria Landi per l’elezione del Savio del Consiglio. Nel 1715 furono fatte allo statuto nuove e profonde riforme. Bardinelo. — Gli antichi statuti di Bardineto portano la data del 1479. Io ho potuto rinvenire un frammento di questo statuto ed ho creduto pubblicarlo (2). (1) Atti cit., vol. XIV, pag. segg. Append. cit., p. 20. (2) Questo frammento fu da me rinvenuto fra molti documenti favoritimi con rara cortesia dall’ egregia signora Maddalena Garassini e figlio avv. Bartolomeo Garassini di Toirano, ai quali rendo vivissime grazie. GIORNALE LIGUSTICO 9 Borgio e Vere^i. — Questi due paesi della Podesteria della Pietra, per quanto mi consta, non ebbero statuto, nel vero senso della parola. Nell’ anno 1490, ai 22 settembre, in causa dei gravissimi disordini succeduti nel maneggio delle pubbliche entrate , gli uomini di Borgio e di Verezzi ricorsero al doge Agostino Adorno ed al Consiglio degli Anziani, chiedendo l’approvazione di alcuni capitoli già discussi e stabiliti concordemente dai due paesi. La Signoria incaricò Agostino Clavarezza e Raffaele Gentile di esaminare e riferire; ed essendo stata la loro relazione favorevole , furono questi capitoli approvati (1). Boissano. — Il Rossi cita i Capitoli politici e campestri di Boissano riconfermati l’anno iyiy (2). Io ho notizia di altri capitoli approvati nell’ anno 1614, agli 8 aprile, dietro parere favorevole di Ottavio Rossi podestà della Pietra (3). Pietra Ligure, agosto 1889. Avv. Paolo Accame. I. Approvazione degli Statuti di Pietra, Giustenice e Toirano, fatta dal Doge e dagli Anziani di Genova. MCCCLXXXVI, die XX11I marcii. Illustris et magnificus dominus Antoniotus Adurnus, dei gratia ianuen-sium dux et populi defensor, in presentia consilio consensu et deliberatione sui consilii quindecim antianorum, et ipsum consilium in sufficienti et legitimo numero congregatum in presentia auctoritate et decreto prefati magnifici domini ducis, et quorum qui interfuerunt nomina sunt hec: Dexerinus Symonis, notarius, prior. Stephanus Bochinus. Antonius de Gavio, notarius. Iacobus Porchetus de Vulturo. Antonius Bellonus. Petrus Can-tellus. Obertus de Planis de Pulcifera. Michael de Semino. Iohannes Sauli et Dominicus de Traxio de Bisanne. (x) Arch. cit. Fogliazzo Diverso/ nm, anno 149O) n· 47· (2) Appendice cit., pag. 16. (}) Archivio di Stato in Genova. Fogliazzo Confinium, anno 1614. IO GIORNALE LIGUSTICO Visi duobus voluminibus capitulorum scriptorum in pergameno et ligatorum in duobus libris cohopertis corio albo, presentatis coram ipsis magnifico domino duce et consilio per Lucianum Corsum syndicum universitatis et hominum Toyrani, Antonium Ferrarium de Petra, syndicum hominum et universitatis Petre, et Petrum Lodum, syndicum hominum et universitatis Iustenicis, supplicantes, dictis sindicatoriis nominibus, prefata capitula dictarum universitatum ligata in dictis duobus voluminibus per ipsos magnificum dominum... ducem et consilium confirmari; et que capitula, videlicet universitatis Toyrani, in unico ligata volumine sunt numero octuaginta octo cum emendationibus tredecim subscripta et publicata manu Bartholomei Solacii notarii: reliqua vero communitatis et hominum Iustenicis et Petre sunt numero septuaginta septem, subscripta et publicata etiam manu dicti Bartholomei Solacii notarii ; queque capitula seu volumina suprascripta per prefatos magnificum dominum duccm et consilium commissa fuerunt sapientibus viris Antonio de Cingulo, legum doctori et vicario ducali, et Blaxio de Iacopo ac Manueli Grillo legum doctoribus, sapientibus communis, videnda examinanda et corrigenda si esset opus; audita et insuper relatione hodie ipsis magnifico domino.... duci et consilio facta per prefatum vicarium ducalem , referentem se una cum dictis sapientibus communis dicta capitula omnia et singula diligenter vidisse et examinasse, ac cognovisse et cognoscere una cum dictis sapientibus communis ea omnia approbanda et ratificanda fore ; ideo, omni iure via modo et forma quibus melius potuerunt et possunt, nomine et vice communis Ianue, dicta capitula seu statuta in dictis duobus et quolibet eorum annotata voluminibus, cum additionibus emendationibus correctionibus et suppletionibus predictis, que in ipsis voluminibus scripte sunt et de quibus fit mentio, approbaverunt ratificaverunt et confirmaverunt, nisi quantum foret vel aliquod ipsorum capitulorum seu emendationum foret, contra bonum publicum communis Ianue vel contra presentem popularem statum pacificum, vel aliqualiter obviarent seu obviaret alicui capitulo vel ordini communis Ianue predicti condito vel condendo : mandantes pre-fati magnificus dominus dux et consilium, ratificationem et approbationem huiusmodi valere et tenere usque ad ipsorum magnifici donimi ducis et consilii beneplacitum et mandatum. Extractum est ut supra de actis publicis ducalis cancellarie communis Ianue, videlicet de cartulario diversorum negociorum. Petrus de Bargalio cancellarius (i). (i) Archivio di Stato in Genova : Paesi diversi § Giustenice. GIORNALE LIGUSTICO II II. Frammento dello Statuto di Toirano. .............terras duxerit. Et quod dictum dampnum actum in illis terris extimetur per extimatores comunis Toirani. Et specialiter cum consilio aliquorum bonorum hominum consciliatorum dicti loci vocati (sic) ad predicta. Et quod ille vel illi qui dictam aquam ducere voluerint per terras vicinorum suorum, ubi necesse fuerit ducendam, ducere non possint donec dictum dampnum fuerit soluptum datum illi cui erit terra vel concordes fuerint de ipso dampno. Et quidem si aliqua persona ut supra contradicere vel negare voluerit, solvat pro quolibet et qualibet vice solidos X Ianue. Et ei vel illis credatur cum iuramento ipsius vel ipsorum. Item statuerunt et ordinaverunt dicti emendatores communis Toirani quod si aliqua persona publica emerit aliquod pignus ad calegam communis Toirani, licitum sit illi cuius erit pignus recuperandi; sane intelli-gatur quod a die quo dictum pignus vendiderit licitum sit illis cuius erit pignus ipsum recuperare posse usque ad dies X post vendicionem factam, solvendo debitum et expensas factas pro pignore accipiendo. Et qui con-trafecerit sit ad bannum pro quolibet et qualibet vice solidorum sexaginta Ianue. Item statuerunt et ordinaverunt dicti emendatores quod quelibet persona vendens vinum in territorium et districtus Toirani ad minutum etiam facere debeat panem ad vendendum ad stanciam ordinatam per stanciatores communis Toirani, sub pena pio quolibet et qualibet vice solidorum \ Ianue. Sane intelligatur quod quum unus tabernarius haberet panem factum pro vendendo et alii tabernarii non haberent, quod aliquid solvere non debeant; et quod si aliqua persona emere voluerit de pane et non invenerit a dictis tabernariis pro emendo solvat et solvant dicti tabernarii vendentes vinum in Toirano et districtu, pro quolibet et qualibet vice, solidos Y Ianue, salvo et resservato quod quelibet persona Toirani possit et valeat vendere sine pena et banno vegetem unam vini sine pane faciendo pro quolibet anno unam vegetem vini (sic). DE NON LUDENDO AD TAXILLOS. Item statuerunt et ordinaverunt predicti emendatores quod nulla persona ludere debeat in terretorio et posse Toirani ad tassilos ad ludum denariorum, salvo ad tabulas, sub pena et banno pro quolibet et qualibet 12 GIORNALE LIGUSTICO vice solidorum V Ianue in die, et in nocte solidorum X Ianue. Ht si luderent vel ludent in domo alicuius hominis, quod ille cuius erit domus solvat in die solidos X Ianue et in nocte XX, pro quolibet et qualibet vice. Et de predictis quilibet possit esse accusator cum iuramento suo, et nichilominus magistratus Toirani ponere debeant omni anno cam-parios duos qui suo iuramento accusare debeant omnes ludentes ad tas-sillos ut superius continetur. Deo gracias, amen, amen (i). III. Frammento delio Statuto di Bardineto. DE NON VENDENDO TERRAS LIBERAS ET FRANCHAS. Item statuerunt et ordinaverunt quod aliqua persona de baldeneto aut extranea aut ibi habitans debeat nec possit ordinare relinquere de cetero aliquam posessionem aut piis locis seu personis exemptis franchis a fodro comunis et decimis dominorum dicti loci et hoc intelligatur quod ecclesia aut pius locus seu persona exempta teneat solvere fodrum decimam et alia debita ad que erat obligata dicta posessio et qui contrafecerit solvat pro banno soldos quinque curie totiens quotiens contrafecerint. LA SUPPELLETTILE SACRA NELLE CHIESE MINORI Continuez, vedi fase. XI-XII, anno 2889. II. Riassumendo il sin qui detto, fuvvi un tempo in cui tutte le arti nobili erano assoldate al servizio della Chiesa. Questa cattivavasi gli artisti così per la quantità e per Γ importanza delle opere che loro allogava, come per gli emolumenti onde ne retribuiva il lavoro. Agli architetti essa porgeva l’occasione e i mezzi di estrinsecare in grandiose e svariate costru- ii) Arch. e loc. cit. GIORNALE LIGUSTICO 13 zioni un concetto più originale del tempio cristiano , informato ai principii e rispondente ai bisogni del nuovo culto. Agli scultori consegnava il marmo e le pietre da convertirsi in capitelli, portali, altari, balaustrate, cattedre, pulpiti, battisteri, tabernacoli, arche, zofori, statue e nei tanti altri elementi figurativi e ornamentali della decorazione plastica così esterna come interna del tempio e degli annessi edifizi. Ai mosaicisti e ai pittori affidava le pareti, le vòlte, le travature, le invetriate; commetteva ai tessitori le stoffe degli indumenti e paramenti liturgici: occupava gli orafi nella confezione dei numerosi utensili del culto, e i miniaturisti nella illustrazione dei libri sacri. Era dunque una falange di artisti che quotidianamente, di generazione in generazione, lavorava agli stipendi e sotto la direzione della Chiesa; la quale sovraintendeva a tutto questo lavorio artistico, regolandone il processo con tale idoneo temperamento che nessuno dei molteplici rami d’ arte predominasse a scapito degli altri, guastando l’armonia dell’insieme. La Chiesa forniva agli artisti suoi dipendenti non soltanto i soggetti dei singoli lavori, ma anche i concetti a cui do-veano inspirarsi nella esecuzione, e quel corredo di nozioni archeologiche e scientifiche circa al soggetto da trattarsi, che, per quanto assai limitate, pur non sarebbe stato possibile in quei tempi procurarsi altrove che nei conventi. Fu allora che vennero fissati i tipi ideali dell’ iconografia cristiana, e si andò via via concretando quell’ emblematica razionale i cui motivi si sostituirono nel campo, dell’arte ai vieti simboli del gentilesimo (1). (1) Non era in arbitrio dell’ artista alterare a capriccio le forme tipiche; al qual proposito il secondo Concilio niceno (actio VI, col. 8;i, ap. Labbe) sentenzia: Non est imaginum structura pictorum inventio, sed eccJesiae catholicae probata legislatio et traditio. H GIORNALE LIGUSTIGO I primi artisti furono quindi di necessiti ieratici, e le loro opere si aggirano in un ciclo quasi esclusivamente religioso; al che contribuì non poco anche il fatto che per lungo tempo la Chiesa trasse dal proprio seno, che è quanto dire dai conventi — questi alveari umani del medio evo — i migliori elementi della sua falange artistica. II tempio, ossia la casa di Dio (per antonomasia domus, il duomo), fu in quell’ epoca 1’ ambiente in cui si unizzarono tutte le arti, l’incubatorio ove si schiusero i germi della cultura e della civiltà moderna. Esso era ad un tempo santuario, necropoli, scuola, accademia, museo, archivio, quartier generale del popolo in lotta coi feudatari, teatro dell’eloquenza sacra e civile, sede di tutti i gentili artifizi, a far capo dalla musica e venendo fino alle rappresentazioni sceniche. In tali circostanze, si comprende come la magnificenza della decorazione e la ricchezza della suppellettile nelle chiese maggiori, se non in linea d’ arte — chè noi consentiva la barbarie dei tempi — almeno dal punto di vista della materia raggiungessero delle proporzioni che sembrerebbero oggi incredibili se i dati relativi non fossero proferti da testimonianze attendibili. I Bizantini aveano sostituito in opera di decorazione all’ e-leganza la magnificenza, e al buon gusto lo sfarzo che abbaglia 1’ occhio. Furono essi che spinsero ad un punto non raggiunto da altri nè prima nè dopo, il lusso delle stoffe, dei metalli e delle pietre preziose. Nella chiesa di S. Sofia il coro avea delle colonne e delle grate d’argento. All’ aitar maggiore tempestato di gemme sovrastava un baldacchino d’ argento massiccio, da cui pendevano delle drapperie broccate in oro, scintillanti fra colonne d’ argento dorato. La balaustrata del coro, i capitelli dei pilastri, i fregi delle porte e delle gallerie erano di bronzo dorato. Il santuario conteneva quarantamila libbre di argenti; GIORNALE LIGUSTICO *5 i vasi e gli arredi sacri erano d’oro purissimo, arricchito da inestimabili gioie. Questi gusti depravati, così alieni dal sentimento estetico che avea inspirato i capolavori dell’ arte antica, si propagarono ben presto in tutto l’Occidente cristiano. L’ arte bizantina, infatti, aveva delle seduzioni irresistibili, in specie pei Barbari che avevano soggiogato 1’ impero occidentale. Essa faceva sfavillare ai loro occhi tutte le ricchezze, tutti gli splendori delle antiche civiltà dell’Oriente. Essa affascinava i loro sensi grossolani colle brillanti attrattive del colore e della precisione del lavoro che anche oggi si impongono alla nostra ammirazione. Ad un perfetto magistero tecnico, alle tinte vivide e smaglianti, al baglior delle perle, delle gemme, dei metalli preziosi e dei vetri policromi, i Bizantini aveano aggiunto 1’ uso di processi donde traevano nuovi partiti ; 1’ oro adoperato come campo, o sfondo, e come ornamento e riflesso nei panneggiamenti sui mosaici e sulle pitture; gli smalti colorati, i nielli, le filigrane etc., nei lavori d’ oreficeria. Sotto l’influsso immediato dell’ Oriente si cominciò anche nell’ Europa cristiana ad applicare le materie più preziose, 1’ oro, 1’ argento, le perle, Γ ambra, le gioie d’ ogni più rara specie, alla confezione della suppellettile sacra e al rivestimento degli amboni, delle imposte, degli stipiti e di altre membrature architettoniche. Anche qui il primitivo mosaico a fondo azzurro apparisce ormai troppo povero e freddo : perciò all’ azzurro si sostituisce il campo bizantino d’ oro, i cui innumerevoli cubetti frangono la luce, rimandandola dorata, vibrante e calda: le O 7 figure si ammantano, conforme alla prammatica orientale, di un costume di parata con vesti variopinte, screziate d’ oro, tempestate di gioie e cosparse di ricchi ornamenti. Una analoga tendenza al lusso, alla magnificenza e a colpir gli occhi ι6 GIORNALE LIGUSTICO dello spettatore piuttosto col giuoco dei colori che col magistero delle linee si rivela allora più o meno in tutti i rami dell5 arte ; le cui produzioni affettano quindi in generale un carattere più pittorico che plastico. Già S. Gerolamo stigmatizzava lo sfarzo decorativo in voga ai suoi tempi. « I libri, egli scrive, sono ricoperti di pietre preziose, mentre Cristo muore nudo dinanzi alla porta del suo tempio ». Nè meno esplicito sullo stesso argomento è S. Gian Crisostomo, il quale rimprovera ai suoi contemporanei di « riservare tutta la loro ammirazione per gli orefici e i fabbricanti di stoffe ». Le dotazioni di diritti, di privilegi e di beni temporali onde i re longobardi convertiti al cattolicismo e più assai gli imperatori carolingi furono larghi verso i vescovi e le abbazie, non fecero che accrescere i gusti sontuosi del-Γ alto clero, e conseguentemente alzare il diabctson della sua prodigalità nella decorazione delle chiese, la cui ricchezza materiale sorpassò in quell’ epoca talvolta i limiti del verosimile. Nell’antica basilica di S. Pietro in Roma si rivestirono di lastra d’argento finissimo le porte, e l’architrave del grande arco trionfale sovrastante all’aitar maggiore. Il suolo stesso della chiesa dinanzi alla confessione, o cripta di S. Pietro, fu pavimentato di lamine dello stesso metallo , mentre il suolo della cripta era ricoperto tutto quanto di lamina d’ oro. Le dodici colonne che racchiudevano il presbyterium erano sormontate da architravi rivestiti d’argento, su cui da una parte le figure del Cristo e degli Apostoli, dall’ altra quelle della Madonna e delle sante vergini. La trabes di fronte alla navata centrale sosteneva la statua d’ oro del Cristo fiancheggiata da tre angeli per parte, d’ argento dorato, e il gruppo intiero sottostava ad un grande arco dello stesso metallo. Il vestibolo era chiuso ai quattro lati da altrettante porte, e da GIORNALE LIGUSTICO I? griglie disposte fra gli intercolunnii, il tutto d’ argento. Sei colonne d’argento dorato, arricchite di rappresentazioni smaltate, fiancheggiavano la porta che dava sulla navata trasversa, e sul regulare d’ argento sovrastante a questa porta campeggiavano tre statue d’argento dorato, il Cristo fra gli arcangeli Michele e Gabriele; alle quali facevano riscontro sopra la porta opposta le tre statue analoghe della Vergine fra S. Andrea e S. Giovanni evangelista. All’ entrata del vestibolo era un bassorilievo d’oro rappresentante S. Pietro, dinanzi a cui ardeva una lampada d’oro cesellata e gemmata. Otto colonne d’argento attorcigliate e sormontate da archi di pari metallo riancheggiavano l’andito che metteva alla confessione, la cui porta a due battenti era d’ oro costellato di pietre preziose. Le pareti della confessione erano rivestite di bassorilievi d’oro; e d'oro parimenti, oltre al pavimento, era un gruppo del Cristo fra S. Pietro e S. Paolo. Per dare un’ idea della ricchezza della confessione, basterà dire che nella sua decorazione erano state adoperate più di 1254 libbre d’oro. Dalla confessione si saliva all’aitar maggiore per una doppia scalinata rivestita d’argento, e lungo l’emiciclo dell’abside, arricchito di bassorilievi policromi , ergevansi delle colonne di argento portanti arcate di ugual metallo, da cui pendevano tendinaggi di preziose stoffe. L’aitar maggiore rivestito di bassorilievi d’oro e d’ argento dorato con decorazioni in smalto, nella confezione dei quali papa Adriano aveva impiegato ben 597 libbre d’oro e 136 d’argento, era sormontato da un ciborio di 600 libbre di argento, decorato con grandi corone e sedici coppe d’ oro. Vasi d’ argento erano sospesi al di sotto del grande arco e fra le colonne dell’ arcata di mezzo. Dovunque 1’ occhio si volgesse era colpito del scintillio dell’ oro e dell’ argento, degli smalti e delle pietre fine. Dicasi lo stesso della Basilica di S. Paolo, dove il ciborio GIORX. ligustico. Anno XVII. 2 ιδ GIORNALE LIGUSTICO dell’aitar maggiore era composto di 946 libbre d'argento puro (1). Lo stesso spirito di pompa e di sfarzo presiedette al confezionamento della mobigliatura di chiesa e della sacra suppellettile; nella qual classe monumentale si riscontra come carattere predominante la stessa profusione delle materie più preziose. L'altare d'oro nella basilica di S. Ambrogio in Milano, eseguito da Volvinio nell’835 per commissione dell’arcivescovo Angilberto II, Pusterla, capolavoro singolarissimo la cui facciata anteriore è d’ oro, le laterali e la posteriore d’ argento, tutte istoriate di rappresentazioni figurate a bassorilievo con decorazioni di smalti tempestati di pietre preziose cabochons di gran mole ; e sovr’ esso un ciborio formato di quattro colonne di porfido sopportanti altrettanti archi a tut-tosesto sormontati da pigne e nei cui timpani figure dorate e colorate campeggiano in fondo azzurro; la pala d’oro di S. Ma reo in Venezia, meraviglioso monumento dell'arte bizantina nel secolo X, condotto in smalto variopinto su lastra d’oro e d’argento, decorato di ottantatre quadri 0 figure in Smalto staccantisi su fondo d’oro entro un insieme di motivi ornamentali eseguiti a cesello e costellati di 1339 fra perle e gemme (2), per tacer di tanti altri men noti cimelii, possono darci un idea dello spirito dei tempi e del grado di ricchezza e di magnificenza a cui fu portato questo genere, pur restando negli stretti limiti del dogma e del rito. (1) Intorno alla ricchezza delle chiese di Roma nel periodo di cui si tratta, veggasi il Liber pontificalis che contiene la vita dei papi da S. Pietro a Stefano V (·{· 891). (2) Prima del 1796 , data funesta pel Tesoro di S. Marco e per tanti altri in Italia, si annoveravano sulla pala d’oro 1300 perle, 400 granati, 90 ametiste, 300 zaffiri, 300 smeraldi, 15 rubini, 4 topazi e 2 cammei antichi, in tutto 2011 gioie. GIORNALE LIGUSTICO '9 Data da quell’epoca la costituzione dei più insigni Tesori nelle basiliche e nelle chiese abbaziali, al progressivo incremento dei quali concorsero molti e diversi coefficienti; dalle corone gemmate depostevi dai re longobardi e goti a titolo di omaggio e ad ostentazione di pietà ad un tempo e di potenza (i), ai gioielli prelevati sulla propria parte di bottino da un generale vittorioso, o da un principe crociato reduce dalla espugnazione di Acri, dalla battaglia di Antiochia o dal sacco di Costantinopoli ; dai superbi vasi ed arredi sacri offerti dalla munificenza di un comune, di un marchese o di un vescovo a commemorazione di un fausto avvenimento politico, domestico o religioso, al modesto anello o al vezzo nuziale donato dalla giovine popolana nella fiducia di scongiurare i pericoli a cui si trovava esposto lo sposo navigante sui mari del Levante; dal tributo del ricco mercatante scampato miracolosamente alle unghie dei Saraceni, al molteplice ex voto onde 1’ agiato cittadino attestava la propria riconoscenza per la recuperata salute sua o di persona a lui cara. Ciò stante, si intende come abbondassero nei singoli Tesori i cimelii che al valore materiale od artistico accoppiavano altri pregi peculiari, sia dal punto di vista dell’ archeologia, sia rispetto all’ agiografia o alla storia. La maggior parte di tali cimelii interessa bensì più particolarmente l’agiografia e la storia religiosa, in quanto che molti (i) Che le corone del Tesoro di Monza, come quelle della Fuente de Guarrazar, siano votive, è dimostrato anzitutto dalla croce pendente dal mezzo di esse, la quale avrebbe impedito di portar la corona sul capo : di che si evince che le corone stesse erano destinate ad essere appese mediante catenelle d’oro dinanzi all’ altare dei santi cui erano offerte per ricordare la pietà e la potenza dei donatori. Il carattere votivo delle corone è poi ribadito dalle iscrizioni di cui erano insignite quelle di Agilulfo, di Reccesvinto e di Sonnica, nelle quali tutte ricorre la formola offeret. 20 GIORNALE LIGUSTICO hanno una relazione più o meno diretta colla vita di taluno dei personaggi che la Chiesa venera sotto il nome di Santi. Tuttavia non è raro il caso che lo stesso cimelio, oltre l’agiografia, interessi ad un tempo anche l’archeologia, la storia e altre discipline scientifiche. Così, poniamo, la mitra di S. Severino, custodita nel Tesoro della cattedrale dell’ omonima città delle Marche, sarà anzitutto un documento agiografico, ma interesserà in pari tempo la storia locale, riferendosi ad un personaggio leggendario a cui non sconviene il titolo di eroe eponimo del paese ; nè minore sarà la sua importanza sotto il rispetto archeologico, in quanto che, se il cimelio è autentico, potrà all’ uopo fornire una preziosa testimonianza in ordine al costume episcopale nella metà del secolo V, e in particolare proiettar nuova luce su di un punto assai controverso fra gli eruditi, quale è quello relativo alla cronologia della mitra vescovile : volendo alcuni che 1’ uso della mitra, come insegna della dignità episcopale, non rimonti al di là del secolo X, non trovandosi traccia di tale copertura di capo nei monumenti figurati, nè menzione di essa nei sagramentarii dei papi S. Gelasio I e S. Gregorio I, nelle antiche liturgie, nei rituali o in altri documenti scritti di epoca anteriore ; mentre altri cita come prova in contrario la mitra di S. Silvestro (IV secolo), che dicesi conservata nel Tesoro di S. Martino ai Monti in Roma, quella di S. Agostino (secolo IV) a Valencia in Spagna, quella di S. Paolo II (secolo IX) nel Tesoro della cattedrale di Capua e altre parecchie, 1’ autenticità delle quali non sembra tuttavia superiore ad ogni eccezione (i). Certamente nei Tesori delle chiese, più che altrove, eransi coll’ andar del tempo insinuati degli elementi spurii, nè pochi (i) Cf. la memoria del eh. A. Angelucci, Da Roma a Santo. Firenze, 1873. GIORNALE LIGUSTICO 21 erano in essi i cimelii sulla età e sulla provenienza dei quali la critica odierna non si mostrerebbe punto disposta ad accettare per moneta corrente i dati proferti dalla tradizione. Però, anche spogliati della veste mitica e leggendaria che la fantasia popolare avea tessuto intorno ad essi, questi cimelii non cessano di avere una peculiare importanza, vuoi sotto il rispetto archeologico, vuoi dal punto di vista della storia del-1’ arte. Senza dubbio la critica si rifiuta a rilasciare una patente di attendibilità alla leggenda relativa alla celebre icona detta il S. Sudario, che si conserva presso la chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni in Genova, per dono del doge Leonardo Montaldo che P ebbe da Giovanni Paleologo imperatore d’ O-riente. Essa non può ammettere a verun patto che questa singolare effigie, dipinta a mano su pannilino finissimo addossato ad un asse indorato, abbia la miracolosa origine che le attribuisce la tradizione popolare: e nè tampoco può riconoscere alcun fondamento storico alla ipotesi escogitata recentemente da uno scrittore, competentissimo, peraltro, nella soggetta materia, che il dipinto stesso possa essere stato eseguito su di un fazzoletto che fu a contatto col volto di Gesù Cristo, dal pittore edesseno Anania , inviato, secondo una leggenda antichissima, a Gesù da Abgaro re di Edessa per ritrarne le sembianze. Ma se il gelido soffio della critica ha dissipato l’aureola di poesia onde la leggenda avea circonfuso questo, come tanti altri cimelii, non perciò il cimelio stesso ha perduto del suo interesse come oggetto d’ arte e di archeologia. Sfatata 1’ attribuzione ad Anania, come ad altro pittore determinato, nulla viene detratto al merito artistico del quadro, il quale si rivela eseguito da egregio pennello nei tempi migliori dell’ arte greco-romana. Non è più questione di opera prodigiosa ; ma non è men viva 1’ attrattiva che esercitano sull' artista e sull’ archeologo l’intonazione in- 22 GIORNALE LIGUSTICO descrivibile del dipinto e la tecnica misteriosa che ne caratterizza 1’ esecuzione. Se il quadro ha perduto il prestigio di ritratto archetipo, nulla ha per contro perduto del suo carattere come antichissima rappresentazione d’ un soggetto cristiano per mezzo dell’arte classica, e ierma rimane la sua prerogativa di costituire uno dei pochissimi esemplari conosciuti di quadro mobile dell’arte antica. Oltreché, il cimelio considerato dal punto di vista artistico consta di due diversi elementi ; il pittorico cioè, di cui ho ora toccato; e il plastico , assai posteriore , consistente nei singolari lavori d’oro e d’argento onde 1’imagine dipinta venne assai più tardi decorata a cura dell’imperatore Costantino Porfirogenito. Ora questi lavori, indipendentemente dall’ opera pittorica, costituiscono un inapprezzabile saggio dell’ oreficeria bizantina nçl secolo X, e mentre sotto il rispetto stilistico e tecnico interessano vivamente la storia dell’ arte in generale e della toreutica in particolare, offrono soggetto di studio eziandio al filologo nelle epigrafi che accompagnano le rappresentazioni figurate a sbalzo e a cesello, relative alla origine e alle vicende della sacra icona fino al suo trasporto in Costantinopoli (i). Che dirò finalmente dell’ interesse storico che nel materiale dei Tesori così spesso si associava al pregio artistico o archeologico? Ho io bisogno di qui ricordare alcuno irai tanti cimelii d’una importanza storica di primo ordine, che fecero, se ancor non fanno, parte della suppellettile dei nostri Tesori sacri? Piuttosto è il caso di osservare come l’interesse storico di cui si parla non avesse sempre un carattere onninamente (i) Veggansi in proposito le Considerazioni artistiche sull' icona edessena detta il S. Sudario, che si conserva a S. Bartolomeo degli Armeni in Genova, Genova 1877, del eli. prof. Giuseppe Isola. GIORNALE LIGUSTICO 23 religioso. Le corone dei re longobardi e gli altri insigni doni della regina Teodelinda nel Tesoro della Basilica di Monza, la croce che portava sul petto il re Berengario, dello stesso Tesoro, e di cui fregiavansi i re d’Italia nella cerimonia della loro incoronazione , quella dell’ imp. Lotario conservata ad Aix-la-Chapelle, il trono del re Dagoberto dell’ abbazia di san Dionigi (oggi nella Biblioteca di Parigi), sul qual trono i re dei Franchi aveano per costume di sedersi, dopo aver cinto la corona, per ricevere gli omaggi dei principi e dei grandi dignitari, la corona di Carlomagno già esistente nella stessa abbazia prima del 1793, e che serviva alla consacrazione dei re di Francia, e tanti altri cimelii dei Tesori di S. Pietro in Roma, di -S. Marco in Venezia, dell’abbazia di Montecassino ecc. ecc., interessano la storia profana non meno della religiosa. Certo fra i cimelii aventi carattere di documenti storici, i più numerosi e importanti erano quelli che interessavano più particolarmente la storia locale. Sotto questo rapporto si può asserire senza iperbole che ogni Tesoro di chiesa era un museo di storia patria; non essendovi in esso, a così dire, un cimelio che non si connettesse più o meno direttamente alla memoria di avvenimenti o di personaggi di qualche importanza nella storia locale. (Continua) Vittorio Poggi. UMANISTI GENOVESI DEL SECOLO XIV I. BARTOLOMEO DI IACOPO. Fra le Familiari del Petrarca la IV del L. XXI è diretta ad un Bartolomeo da Genova. « Nella lettera da te mandatami , così gli scrive quel preclarissimo ingegno, io veggo 24 GIORNALE LIGUSTICO rispecchiarsi Γ amico, che di persona ancora mi è ignoto. Florida ed intatta l’età; ardente, alacre, rapidissimo l’ingegno; lieta la mente e di sè stessa signora, largo il sentimento dell amicizia. Di tutti questi pregi niuno, ove 1’ ultimo tu eccettui, in me si rinviene. L’età già volge a ruina, come avvenir suole di colui che, superata a fatica la cima di petrosa montagna, principia la discesa e mentre gran pena s era dato per salire, non trova difficoltà veruna a ritornare in basso; tepente, presso che non dissi gelido, l’ingegno, oppresso e fiaccato insieme dal soverchiar delle cure; la mente e dall odio per il mondo e dalla cognizione del proprio stato inclinata a mestizia, non già da timore della vecchiezza vicina (la quale anzi mi è d’allegrezza cagione, annunziandomi prossima la liberazione dal carcere cieco, la fine dell’esilio tristissimo), ma perchè con troppa lentezza e troppo più tardi eh io non volessi, mi è avvenuto di rompere que’ lacci in cui la gioventù m’aveva impigliato. Non vedi tu, o amico, per quali diverse vie noi ci indirizziamo alla meta medesima! Vero è che camminiamo entrambi per la stessa strada; ma, come suole succedere, tu qua, io là, l’uno dall’altro lontano. Io mi son trovato un tempo dove al presente tu sei; tu giungerai a tua volta dove adesso io son pervenuto. Se la meta comune adunque contribuì a stringerci d’amicizia, la disparità del cammino diede indole diversa ai nostri affetti. A te il mio silenzio par strano, ed adduci a scusarlo, come è solito fare chi ama, ingegnosi argomenti; a me invece esso sembra non solo perdonabile, ma necessario; ed all’ opposto mi stupisco come in mezzo al tumultuare di tante cure riesca a trovar ancora un po’ di tempo per discorrere d’ altro. Non senza amarezza forse tu udrai queste mie parole; avanza pero con felici auguri e vivi. Quando giungerai al luogo che al presente io ho toccato, t’avvedrai da te che le cose stanno proprio come ti son venuto dicendo, ed a te stesso quindi GIORNALE LIGUSTICO 2S presterai quella fede che adesso a malincuore accordi alle mie parole. Quando io valga, giovati di me a tuo talento e mantieni certa fiducia negli amici ; compatisci la taciturnità mia, nè lusingarti per l’avvenire di ricevere da me lettere frequenti nè lunghe. Quante cose un giorno gratissime oggi mi son divenute penose! Ma cosi si mutano gli uomini. Addio » (i). Se qualcuno, bramoso di conoscere più davvicino il giovine genovese a cui quest’ epistola melanconica venne diretta, si rivolgerà all’edizione cbe dell’epistolario petrarchesco curò e diede in luce G. Fmcassetti, ei rimarrà deluso nella sua aspettazione. L’egregio letterato fermano non aggiunge verbo ne’ suoi commentari intorno a Bartolomeo, ma s’accontenta di giustificare il proprio silenzio, avvertendo come non abbia trovato argomento per conoscere chi egli si fosse (2). Magra scusa, a dir vero! Gli uomini dediti agli umani studi non erano in Genova sul cadere del secolo decimoquarto in tanto numero da rendere, non dirò impossibile, ma neppur molto difficile il ritrovar notizia di un personaggio quale doveva esser quello così apprezzato dal Petrarca. Vediamo or dunque noi chi sia stato costui, che con pochi altri suoi concittadini divide il vanto d’aver goduto l’amicizia del cantore di Scipione (3). (1) Quest’epistola è stata tradotta dal Fracassetti {Le lett. farti, di F. P. volg., v. V, p. 332); ma io ho preferito tentarne una nuova versione per restar fedele alla lettera dell’ originale, dalla quale il Fracassetti spesso e volentieri tende ad allontanarsi. (2) O. c., 1. c. (3) Fra costoro è da ricordare, perchè men noto, Marco Portinari, al quale sono dirette non soltanto la Ep. IX del L. XVII e la IV del XX, ma anche (come deduco dal cod. Gab. Λ. I. 20, f. 21 t. della Comunale di Bergamo, dove è intitolata : Epistola eiusdem domini francischi ad Marcum Potonarium de Ianua) la XIII del L. Ili, che il Fracassetti (O. c., v. I, 2 6 GIORNALE LIGUSTICO II. Da Chiavari, sui primissimi del trecento, venne a stabilirsi in Genova un Manfredo di Iacopo, il quale esercitava la professione del notaio. Nobile di sangue, dotato di pronto e scaltrito ingegno, egli non tardò a farsi conoscere nella sua patria d’elezione. La quale nè pochi nè lievi uffici amò affidargli: quello del cancellierato fra gli altri, eli’ei resse dal 1317 al 1320. Undici anni dopo sappiamo eh’ei partì per Napoli ambasciatore della parte guelfa a re Roberto. Morì, certo assai vecchio, nel 1363, e le sue ossa ebbero tomba onorata sulla porta del chiostro di S. Domenico (1). Di lui rimase un sol figlio, se i documenti compulsati dal Federici, nostra precipua fonte, non mentono, e questi fu appunto Bartolomeo, che’ postosi sulle tracce paterne, esordì a sua volta nella vita pubblica come notaio (2); ma poi, sentendosi chiamato a più alte cose, diè opera con maggior lena agli studi del giure, e si preparò così a conseguire il titolo di dottore di leggi. Il suo ingegno e la sua solerzia gli diedero del resto pronta occasione di farsi noto. Dal ’6o in poi non passa anno che non gli arrechi qualche nuova occupazione. Del ’62, lo troviamo fra gli Anziani; del '64 va ambasciatore al pontefice e, nello stesso tempo, in Avignone, a Nimes, a Montpellier assume la protezione p. 446) confessa di non sapere a qual Marco fosse inviata. Del Portinari non ci hanno conservate se non scarsissime notizie gli scrittori genovesi ; d’una compera fatta da lui nel 1368 dà cenno il Federici, Abecedario delle Fam. Nob. Genovesi (v. Ili, lettera R-N, p. 158, ms. presso la bibl. della Missione Urbana in Genova), che ricorda altri due individui dello stesso nome, fioriti 1’ uno nel XIII, P altro nel XV secolo. (1) Federici, o. c., v. II (Iett. F-M), p. 265. (2) Era notaio del Podestà nel 1360. GIORNALE LIGUSTICO 27 di certi mercanti genovesi, contro i quali non so che creditori volevano per concessione regia esercitare il diritto di rappresaglia (1). Ma l’anno seguente le sue peregrinazioni cangiano di meta: eletto console di Caffa, ei si reca sul Mar Nero, donde, scorso il tempo del suo ufficio , si affretta a partire per ritornare in Italia. In mezzo a tante faccende, fra le noie de’ viaggi, le preoccupazioni che gli arrecavano i pubblici incarichi e gli affari privati, Bartolomeo trovava pur sempre modo di non trascurare gli studi. A lui, come a molti altri fra i giureconsulti dell' età sua, che gli umanisti coetanei si son piaciuti dipingerci quasi nemici ignoranti e presuntuosi delle buone lettere, brillava invece dinanzi agli occhi della mente 1’ immagine maestosa dell’ oratore , quale avevanlo celebrato gli antichi, quale usciva fuori solenne e venerando dalle pagine eloquenti del grande Arpinate. Ei si ingegnava quindi di mettere in opera i precetti ciceroniani; si sforzava di ricoprire la deforme e squallida nudità della concione giudiziaria, come era ridotta dalie formole grette del diritto contemporaneo, collo splendido ammanto dell’ eloquenza romana. Questi suoi tentativi gli avevan presto procacciato fama non scarsa anche fuori di patria, in mezzo agli studiosi coetanei, talché se anni prima egli ne andava sollecitando l’amicizia, or li vedeva invece ricercare con desiderio la sua. E fra costoro merita particolar menzione il Salutati, che nel 1369, da Roma, ove allor si trovava ancora incerto del proprio avvenire e quasi sconosciuto, gli rivolgeva parole di entusiastica ammirazione: » Ser Stefano da Bibbiena, cosi incomincia Coluccio (2), indusse, anzi direi quasi sforzò la mano torpente e stimolò il (1) L. T. Belgrano, Della vita priv. dei Genovesi, cap. XXVIII,p. 128. (2) Cod. della Naz. di Parigi 8572, f. 20 t.; cfr. Bullelt. dell' Ist. Star, lt., n. 4, p. 190. 28 GIORNALE LIGUSTICO rozzo ingegno a scriverti, sebbene a farlo non occorressero stimoli per me, che gii da tante parti avevo udito suonar alte le lodi della tua mirabile facondia..... Sopra ogni altra virtù infatti io ho venerato costantemente la solida facoltà del dire; ma, rude ed incolto qual io mi sono, come potrò senza rossore venirti innanzi? Anche adesso la mano mi trema, mentre affido alla carta codesti disadorni concetti, e già son certo di porgere a te, cui , caso rarissimo ! Γ eloquenza si è concessa tutt’ intera, ampio argomento di riso..... Scusimi adunque, te ne scongiuro, Γ esortazione di ser Stefano e quella fede che mi sprona ad ammirare gli uomini degni. Esaltino altri le ricchezze, altri le dignità, questi la potenza, quelli gli onori, premi delle virtuose operazioni; a me la virtù sola parrà sempre meritevole d’ encomio, e fra tutte le doti, che la natura coll’aiuto dell’arte ha largito all’uomo, in singoiar modo l’eloquenza. Poiché se l’intelletto e la ragione ornano P uomo e lo avvicinano in qualche modo ai celesti, se la favella appunto lo distingue dai bruti; quanto non sopravanzerà i suoi simili colui che rifulge dello splendore dell’ eloquenza, a cui la ragione soprattutto è principal fondamento? Ed in te questo decoro dell’umano ingegno di si particolare virtù si riveste da far parer quasi incredibile che un uomo, dedito tutto agli studi legali ed imbevuto de’ loro dettami e nel loro esercizio intricato, abbia nella palestra dell’ eloquenza compiuta si eccellente fatica. Vero è che gran parte della scienza del dritto è 1’eloquenza; ma oggi si trattano le cause in maniera ben diversa da quella un tempo seguita. In antico il patrocinatore, riunendo tutte le forze della sua facondia, perorava la causa intera, non già citando de’ testi, ma argomentando copiosamente per mostrare che egli era un oratore, manifestare la verità di ciò che sosteneva e provarla, quand’ altri argomenti gli facessero difetto, per via di congetture. Ei distingueva poi il giusto dall’ in- GIORNALE LIGUSTICO 29 giusto e, finalmente se qualche cosa restava che potesse determinare il giudizio, cercava di espugnarlo non colla violenza delle leggi, bensì con artificiose persuasioni. Ma oggi tutto al giudizio si rimette; la trattazione della causa è caduta affatto in disuso. Tu pertanto, o mirabile ingegno, che le vigilie e gli studi tuoi hai dedicato a quanto i moderni ignorano, trascurano e disprezzano, scorri con serena faccia questa lettera, nè ti colga giammai de’ tuoi studi rincrescimento. Continua invece, te ne scongiuro, la tua via, e fa sì che in avvenire non trascuri, ma con maggior splendore prosegua sì glorioso esercizio. E di me, che son fatto dalla tua virtù tutto tuo, giovati, come ti piace. Da Roma, li sedici gennaio ». Alle lodi che si prodigavano reciprocamente questi buoni nostri trecentisti — mi è già avvenuto di ripeterlo più d’ una volta (1) — non si può, naturalmente, prestar piena fede. Preoccupati com’erano di scrivere sonanti periodi, essi si ineb-briavano di parole, e finivano per non serbar misura negli elogi, ingrandendo stranamente i meriti di coloro che volevano propiziarsi. Nè era brutta voglia di adulazione, come si potrebbe supporre, ma, nella maggior parte de’ casi, naturale conseguenza di quell’ onesto sentimento di fratellanza, che in mezzo ad una società tuttora indifferente, ostile, o beffarda, stringeva 1’ un l’altro gli studiosi e li spingeva a ricompensarsi degli scherni o del disprezzo dei profani colle miìtue dimostrazioni di stima caldissima. A volte, non si vuole nascondere, si vituperavan puranche colla stessa fastosa eloquenza che adoperavano ad encomiarsi; ma la gragnuola grossa delle invettive durava poco ed era sempre preferibile alla vigliacca malignità di cui troppe volte ci porgono esempio i tempi successivi. (1) Cfr. Giorn. Stor. della Leti. 11., v. XII, p. 190. 30 GIORNALE LIGUSTICO Io mi sento adunque in dovere di avvertire i cortesi leggitori che il buon Coluccio anche questa volta, esaltando P eloquenza del loro vecchio concittadino, si è lasciato trascinare dal piacere di far della retorica. Delle orazioni scritte da Bartolomeo una sola, eh’ io sappia, ci è conservata : un discorso fatto quando Pietro Filargo, vescovo di Vicenza, venne da lui « conventato » come allor si diceva, in diritto (i). Ora se le orazioni che gli avevano procurato si alto grido d’ eloquenza somigliavano a questa — e non veggo ragione di supporre il contrario — è forza confessare che esse non si allontanarono mai di molto dai sermoni degli altri giureconsulti contemporanei, nè posson darci quindi il diritto di collocar il Genovese più in su del Calderini, o del Gianfi-gliazzi, o dello Zabarella, per ricordare alcuni fra gli oratori più stimati d’allora. Tutti costoro sono infatti le mille miglia lontani dai classici modelli ; compongono i loro discorsi sulla falsa riga de’ sermoni medievali ; vanno a cercare le divisioni dell’orazione, non già ne’ trattati tulliani, ma nelle Somme di Guido Fava e di altri arringatores del sec. XIII. Ed in- (i) L’ho rinvenuta nel cod. Ambros. B. 116 sup., f. 23 r., dove porta questo titolo: Senno compositus per egregium legum doctorem dominum Dar-tholomeum de Iacopo in conventuando Reuerendum dominum episcopum Vicentinum. Eccone il principio : « Hic est discipulus ilìe qui testimonium perhibet de his. Iohannes, XI capitulo. Apud romane eloquentie capud disertissimus Lucius Crassus primo de Oratore, sortitus disceptationis dyalo-gum, Marchum Antonium et Sceuolatn, clarissima iuris lumina, sic affabatur etc. ». Riflettendo ai rapporti amichevoli che dovettero intercedere fra il di Jacopo ed il Filargo, m’induco a ritenere che di costui si tratti qui e non di qualcuno de’ suoi oscuri predecessori. Il Candiota occupò la sede episcopale di Vicenza nel 1388 e solo per pochi mesi (cfr. Ughelli, lt. Sacra, t. V, c. 1059 e sgg·; Cappelletti, Le Chiese d'It., v. X, p. 895) ; l’orazione dee esser stala scritta in questo tempo e quindi ritenersi uno degli ultimi lavori del di Jacopo. GIORNALE LIGUSTICO 31 fine coronano P opera, introducendo nelle loro scritture il cursus, quell' artificiosa consonanza e cadenza di parole che passava ancora per il sommo dell’ arte e che il Salutati, giustizia vuol che si dica, combattè sempre con ogni energia. Ma se Bartolomeo non è da collocar troppo in alto sui suoi contemporanei, egli merita però fra di loro un luogo ragguardevole. La sua cultura era certo notevolissima, e, se altri argomenti mancassero per rendercene accorti, ne offrirebbe una assai forte l’inventario de’ libri che gli si trovarono in casa quando fu morto. È indicata in questo documento non soltanto una copiosa scelta di opere giuridiche — esse erano, per dir cosi, i ferri di bottega —, ma insieme una collezione di autori classici e medievali quale raramente si possedeva a quei giorni da un semplice privato. Filosofi, storici, poeti ci si fanno innanzi in schiera numerosa, ed accanto ai monumenti più insigni dell’ antichità classica noi vediamo con compiacenza assegnato posto non infimo a quelli de’ tempi moderni; vicino alle opere di Cicerone e di Virgilio stanno degnamente la Comedia ed il de Monarchia, i trattati del Petrarca e i libri del Boccaccio (1). Ma è tempo di riprendere il racconto dell’ operosa esistenza del nostro giureconsulto, nella quale troviamo una lacuna dal 1366 al 1375, che non saprei come spiegare. Varchiamola adunque risolutamente, e veniamo ad uno de’ più notevoli episodi della sua vita politica, l'ambasciata a Firenze. Scrive P Ammirato, che allorquando Gregorio XI ebbe presa ai suoi soldi una compagnia di Brettoni, già famosa per rapine e crudeltà, coll’ intento di rovesciarla in Italia contro (i) 11 mio illustre e carissimo collega prof. Belgrano diede già un sommario, ma esatto ragguaglio di questo catalogo nel cap. XXVIII della sua o. c., e mi fu guida nel rintracciarlo. 32 GIORNALE LIGUSTICO le città ribelli, « volendo , ο per prudenza umana (mentre la compagnia fosse calata in Italia), ο per vera carità pastorale, proceder prima mansuetamente, mandò a Firenze, essendo già entrato Γ anno 1376, e preso il gonfalonierato Lapo Bucelli la terza volta, due suoi ambasciatori Niccola Spinello di Giovinazzo siniscalco di Provenza e Bartolomeo Giacoppi genovese dottor di leggi; per i quali fece profferire alla Repubblica la pace, contentandosi di lasciare in libertà Perugia e Città di Castello, pure che non procedessero più innanzi alla guerra e non molestassero Bologna ». Cosi il diligente storico fiorentino (1); ma altri e più precisi ragguagli intorno alle proposte che i due ambasciatori erano incaricati di fare ai Fiorentini noi troviamo in questa lettera, che il 21 marzo gli Otto Santi indirizzavano al loro alleato lombardo, Bernabò Visconti: Magn. et exc. domine, frater karissinie. Ut cognoscatis quecunque cum ambaxiatoribus domini Sancti Angeli, uidelicet domino Nichole de Neapoli et domino Bartholomeo Iacobbi tractantur, no-uerit excellentia uestra quod nundum cum ipsis ad aliqua specialia fuit processum , sed solum hinc inde verba generalia sunt collata. Sed per aliquorum intermedium dicitur quod ipsi ad alterum trium partitorum, si nobis uidebitur, condescendent. Videlicet primo facere treuguam cum magnificentia uestra et nobiscum et cum omnibus colligatis pro tempore quinque annorum, ita tamen quod terre rebelles soluant censum solitum et ordinatum. Secundo facere uobiscum et nobiscum pacem perpetuam et cum aliis colligatis treuguam quinquennalem cum census solutione prefata. Tertio facere pacem cum omnibus, ita tamen quod quid esse deberet de terris rebellatis cognoscatur per serenissimum dominum Regem Hungarie (1) Ammirato, Ist. Fior., L. XIII, p. 295; cfr. Perrens, Hist. de Flor., ■ V, p. 119. Anche Sozomeno da Pistoia e 1’ Anonimo Fiorentino ricordano quest’ambasceria (Muratori, Rer. It. Scr., t. XVI, c. 1096; Cron. dei sec. XIII e XIV p. 306). Sullo Spinelli ved. Tiraboschi, St. della Leti. It., v. V, p. 478 e sgg. GIORNALE LIGUSTICO 33 aut per Dominam Reginam uel per Commune Venetiarum uel per Dominum Paduanum; per illuni uidelicet qui per nos eligeretur. Hec sunt que hucusque fuerunt attitata. Quicquid sequetur latius curabimus explicare ( i). Tre adunque furono le proposte che, a nome del Pontefice, Bartolomeo ed il suo compagno rivolsero alla repubblica fiorentina ; ma i reggitori di questa, dubitando, e non a torto, della sincerità di Gregorio, finirono col respingerle tutte, ed il nostro giureconsulto si trovò costretto a ritornare sopra i suoi passi senz’ aver nulla ottenuto. I Fiorentini però vollero rendere giustizia alla purità ed all’ elevatezza de’ sentimenti , che P avevano indotto ad assumere Γ impresa poco avventurata. « Egli è un italiano (così scrivevan dessi ai Bolognesi, perchè concedessero a Bartolomeo il passaggio attraverso le loro provincie) che ha sommamente a cuore Γ onore d’ Ausonia. Solo la singolar affezione eh’ ei nutre per la pace e la tranquillità della patria lo ha in questo luogo guidato » (2). Restituitosi in Genova il di Iacopo ebbe tosto a rivolgere ad altre faccende le sue cure. Dell’ ’8o era chiamato ad emendare i Capitoli; l’anno appresso sedeva di nuovo fra gli Anziani. Dell’ '84 poi intraprendeva un altro faticoso viaggio in qualità d’ambasciatore ai re di Castiglia e di Portogallo: ma non dovette però trattenersi a lungo fuori di patria, perchè (1) R. Arch. di Stato in Firenze, Signori Carteggio Missive, Reg. 15, f. 54 r, Domino Bernabovi Octo. Cfr. Gherardi , La guerra dei Fior, con papa Greg. XI, in Arch. St. It., 3 ser., t. V, p. 72 e 75· (2) Antianis civitatis Bononie. Fratres karissimi. Scitis quod dominus Bartholomeus i ac 0 p pi ( corretto in i ac 0 pi) de Ianua prò parte R. P. domini Sancti Angeli pro bono pacis tractando Florentiam nuper accessit. Homo italiens est et gelator honoris Ausonie et eum Ime non impulit nisi singularis affectus quem ad quietem et tranquillitatem habebat etc. Arch. di Stato di Fir. Sign. Cart. Miss., Reg. 17, f. 5 r. Giorn. Ligustico. Anno XVII. 3 34 GIORNALE LIGUSTICO alquanti mesi dopo ci appare rivestito una seconda volta del-1’ ufficio d’ Anziano. Dall’ *85 in poi non si trova più veruna menzione de’ fatti suoi nell5 opera del Federici. Ma dal silenzio del diligente genealogista a torto si arguirebbe che Bartolomeo avesse verso quel tempo pagato alla natura il debito comune: esso non fa che confermare invece quanto ci viene da altra parte insegnato, che il di Iacopo erasi indotto ad abbandonare la patria per esplicare altrove la sua operosità. Mandato del-P *84 ambasciatore a Milano-egli aveva avuto campo di attirare sopra di sè l’attenzione di Gian Galeazzo Visconti, di quel principe accorto e prudente che amava circondarsi di quanti uomini illustri per dottrina e per ingegno fiorivano ai suoi giorni. Il conte di Virtù dovette sollecitarlo caldamente perchè, lasciata Genova, accettasse presso di lai il posto di consigliere, nè le sue sollecitazioni rimasero infruttuose. Del passaggio di Bartolomeo ai servigi di Gian Galeazzo ci dà infatti testimonianza certissima un contemporaneo, il giureconsulto lunigianese Giovanni Manzini della Motta, che in que’ giorni dimorava a Milano in qualità di precettore del figliuolo di Pasquino Capelli, l’onnipotente segretario del Visconti (1). Scrivendo a Ricciardo Villani, altro de’ consiglieri del principe , perchè implorasse la grazia di un suo stretto parente che Bernabò aveva perseguitato ed espulso (2), il Manzini si piace rievocare alla memoria dell’ amico un giocondo colloquio del quale era (1) Miscellan. ex Mss. libr. Bill. Coll. Rom., Soc. Jesu, t. I, Romae MDCCLIV, IoH. Manzini de Motta Epist. sei., p. 219; e cfr. Giorn. Star, d. Lett. Jt., v. XI, p. 293. (2) O. c., Ep. VIII, p. 208 e segg. Siccome in questa lettera si accenna alla caduta di Bernabò come a fatto piuttosto recente (cfr. p. 212), cosi mi par lecito affermare eh’essa sia stata scritta fra Γ’85 e 1”86. GIORNALE LIGUSTICO 35 stata il dì innanzi teatro la biblioteca del Castello di Pavia. Mentre il Villani ed il Manzini discutevano insieme con altri se maggiore fosse nell’ uomo o nella donna l’attitudine agli studi, sopraggiunse Pietro da Candia, « quel venerando prelato ( cederò qui la parola al lunigianese ), che Creta, isola nobile e famosa, ha largito, per onorarla, al-Γ Italia, teologo insigne, anzi unico », contro il quale il Villani, mutato discorso, prese a difendere « con piacevole discussione, rafforzata da solidi argomenti, » le « sacre leggi ». « O felice l’età nostra, esclama caldo ancor d’entusiasmo il Manzini, se avesse prodotti alquanti più di questi uomini egregi, come produsse te alla scienza del diritto, come colui, che di benefici mi ha ricolmato così che a me mancano per esprimerli le parole, il padre mio degno di ogni onoranza, il mio signore singolarissimo, Bartolomeo di Iacopo da Genova, dottissimo in qualsivoglia scienza, ma, se non mi fa velo alla mente Γ affetto, a niuno ne’ dì nostri paragonabile quale erede della tulliana facondia; come infine altri famosi sia per militari virtù, sia per la cognizion delle scienze e del diritto , che il serenissimo principe nostro ha chiamati al suo fianco » (6)! Alla corte viscontea, in mezzo a tanti illustri, concorsi da ogni parte d’Italia, in quelle sale fastose, ove si accoglieva una libreria che formava l’ammirazione di tutti gli studiosi, accanto ad un principe colto e liberale, il di Iacopo dovette trovarsi veramente al suo posto. Ma egli non godette a lungo dell’ invidiabile stato a cui i suoi meriti I’ avevano sollevato. Incerta è la data della sua morte; ma che essa debba essere avvenuta fra il 1388 ed il 1389 ce ne rende certi un documento che rinveniamo registrato nei suoi protocolli dal no- (6) O. c., p. 209. 3* GIORNALE LIGUSTICO taio genovese Oberto Foglietta; l’atto cioè con cui Martino da Gavi veniva, il 12 gennaio del 1390, delegato ad assumere la gestione dell’ eredità giacente del Nostro. L’inventario dei beni mobili ed immobili di Bartolomeo , che io credo utile pubblicare per intero come contributo non spregevole alla storia della cultura e del costume nel secolo decimoquarto, offre una prova eloquente che egli non fu davvero di quei giureconsulti, i quali, giustificando le vecchie accuse, si facevano dell’ esercizio delle leggi scala alla ricchezza. Il di Iacopo mori povero, come povero era probabilmente vissuto; non è questo forse il miglior elogio della sua incorrotta virtù? F. Novati. APPENDICE. INVENTARIO DELL’ EREDITA GIACENTE DI BARTOLOMEO DI IACOPO (12 Gennaio - 21 Aprile 1390) [R. Arch. di St. in Genova, Oberti Folìetae Sen. Notular1388-1392, Can. 12, f. ciiii iij t.]. In nomine domini Amen. d. Martinus de Gauio hodie per dominum Iudicem et Assessorem domini potestatis Jan. datus constitutus creatus et ordinatus curator bonis et hereditati iacenti condam domini Bartholomei de Iacop, ut de huiusmodi dationi cure constat publico instrumento, scripto manu mei notarii infrascripti modo paulo ante mox quam fuit datus : Priusquam — Volens — Constitutus in iure et in presentia sapientis uiri domini Iohannis de Tuderto in iure ciuili licentiati Iud. et Assessoris dni. potestatis Jan. predicti sedentis pro tribunale in loco infrascripto quem sibi ad hec pro iuridico ydoneo et competenti elegit, decreuit et causa plene cognita suam et communis Ian. auctoritatem interponentis pariter et decretum , necnon in presentia publicarum personarum, videlicet mei Oberti GIORNALE LIGUSTICO 37 Foliete notarii infrascripti scribentis et Dominici Iohannis de Finairio not. se subscribentis iussu et mandato dicti curatoris se subscribere perpe-diti, premisso prius manu ipsius propria venerabili signo sancte crucis +. Inuentarium seu repertorium de bonis dicte cure facere disposuit facere incohauit et fecit in hunc modum. In primis namque ponit in presenti Inuentario : bancam unam valoris denariorum sex. Item bona infrascripta que reperiuit in potestate et baylia domini Baptiste de Iacop filii dicti quondam domini Bartholomei tenentis ea tanquam sibi ypotheca[ta] et affectata pro iuribus quondam domine Saluagie, olim uxoris quondam domini Barth. et matris ipsius domini Baptiste et cuius ipse dominus Baptista est heres (i). Primo domos duas contiguas positas Ian. in parrochia Sancti Ambrosii, quibus coherent ab oriente domus qm. Antonii de Guascho not., ab occidente uero domus Rafaelis de Zoalio, a meridie domus habitationis Antonii Senestrarii et a setentrione via publica. In altera quarum domorum, vid. in maiori, sunt res infrascripte : Et primo in pacia vegetes quinque. Item carrateli duo. Item barrilia duo. Item Jarre quinque pro vino a bancha. Item Jarra una pro oleo. Item scaleta una da brace. Item calaste quatuor. In mezano. primo studium unum cum rota. Item lezille unum. Item banchalle unum pro libris cum duabus clauaturis. Item banche due. Item letera una. Item Capsa una magna de nauigando. Item capsa una de scriptis. Item bancale unum pro scribendo. In caminata, primo pauesia quinque. Item brazalia duo ferri. Item barbuta una. Item arche due. Item paria duo guan— torum de ferro. Item tabula una cum tripodibus. Item schamelini duo (2). Item carrega una magna. Item carrega una parua. Item donzelleta una cum uno bacile de ramo. Item segia una cum catia ferri. Item bancheta una. Item blandale unum. In camera domini. Primo leteria una. Item ban-chale unum longum. Item cofani duo magni. Item capsa una nuptis (3), in qua sunt coffaneti tres. Item capseta una. Item mayestas una. Perticha una pro pannis. Item boyda (sic) una. Item cortina una jalna. .Item stagnum unum. Item culcitra una plumarum cum cossino. In alia camera, primo leteria una. Item banchale unum de tribus clavaturis. Item suspiale (1) Come apprendiamo dal Federici (0. e,, 1. c.), la moglie di Bartolomeo, la quale parrebbe averlo preceduto nel sepolcro, era figlia di Giorgio Cardinali. INFEDERICI poi non ricorda affatto nè Battista nè altri figliuoli del Nostro. (2) Si tratta di « piccoli scanni ». (3) Sic. Forse il notaio volle scrivere nuptialis. 38 GIORNALE LIGUSTICO unum magnum. Item boia (?) una. Item oratorium unum. In oratorio. Primo sta (sic) scamelinum unum. Item arabicum unum. Item gagia una de pa-pagalio. Item lauexium unum magnum. Item paela una. Item bacilia tria cum brunzinis tribus. Item bacile unum stagni. Item tagerii viginti de ligno. Item platelli duo stagni. Item lanterneta una ferri. In pracia. primo banche due. In cochina, primo banchale unum cum duabus cla-vaturis. Item mastra una. Item parolium unum cum una cacia. Item tripodes tres. Item spectum unum. Item lauezium unum. Item catena una, mortarium unum. In alia domo minori sunt infrascripta : In stalla, primo mangiatura una cum rasteleria. In mesano. primo lecteria una cum cariola. In caminata. primo Jarre due pro oleo. Item mense due cum tripodibus quatuor. Item aste (?) quatuor. Item scatii tres. Item caldera una. Item panerium unum. Jarreta una parua. Item paela una. Item calderonum unum. Item selle due ueteres tales quales. Item sege tres. In Camela (sic), primo lecteria una. Item bancha una. Item suspiale unum. Item boia una. Item cariola una. Item stamelinum unum. Item capsa una sine coperchio. Item coratia una. Item claronum unum squarsatum. In cochina. Capsa una rupta. Item paria duo bezatiarum. Item coffa una pro armis. Arnexia subtilia in diuersis locis sunt, ut in primo gregetum unum de perle cccxxxx viiij de carati LÎiij. Item une. iiij et qr iij et carati iij de perle de carati xiij. Item bandiere iij francische. Item claronum unum magnum. Item tapeti duo magni. Item tapeti duo parui. Item copertorium unum panni rubei. Item cultris una cendati jalni. Item cultris una dimiti clemexi. Item pelanda una domini fodrata variis de paonatia. Item Mantelectum unum paonatii fodratum variis. Item manteletum unum rosee fodrata variis. Item pelanda una rosee fodrata cendati viridis. Item pelanda una camocati clemexi prò domina. Item pelanda una clameloti. Item pelanda una veluti. Item mantelum unum paonatie. Item mantelum clameloti virmilii. Item bacilia duo magna cum bronzinis duobus. Item conchete quatuor porcelete. Volumina librorum infrascripta. Primo Iosephus. Item Plinius. Item Psalterium glosatum. Item Dantes. Item glose Dantis. Item Confessiones Augustini. Item Eticha Aristotelis cum Boecio. Item alia eticha. Item Edigius de regimine principimi (i), Item de regimine regum in clonita (sic) martiniani (2). Item scriptum (0 Leggi Egiiius. (2) Leggi Chronica. GIORNALE LIGUSTICO 39 Thome super philosophia morali. Item scriptum retoricorum Egidii. Item Ouidius maior talis qualis. Item Plantus (i). Animalia uero infrascripta : Primo seruus unus, nomine Georgius. Item mulla una. Item equus unus. Item intellexit et dicit se intellexisse esse in civitatibus Mediolani et Papie aliqua bona mobilia ex bonis dicte cure, que bona ex riunc uult haberi pro appositis in presenti Inventario talia qualia et sicut ibi sunt et que distintius et nominatim specificabit in presenti Inventario, cum de eis specialiter notitiam habuerit. Die xx. prima Aprilis eiusdem Millesimi dictus dominus Martinus dicto curatorio nomine volens specifice declarare supradicta bona per ipsum apposita in presenti Inventario, que sunt Papie et Mediolani penes d. Baptistam de Iacopo, que erant dicti quondam domini Bartholomei, ea specificat et declarat ut infra : Primo. Volumina librorum infrascripta, videlicet: Decretum. Decretales. Sextus. Speculum. Rozarium. Innocentius. Digestum vetus. Codex, alius Codex. Infortiatum. Lectura Cini. Lectura Butrigarii. Digestum nouum. Volumen. Casus decretalium. Instituta. Dinus de regulis iuris. Somma Azonis. Vocabulistarium iuris. Lectura Abbatis. Ar-chidiaconus super sexto. Alius codex. Aliud digestum vetus. Somma Egidii. Somma decretalium. Biblia una magna. Opera Senece. Declamationes Quintiliani. Isidorus Ethimologiarum. Valerius unus paruus. Istoria ecclesiastica. Suetonius. Virgilius Eneydos. Seruius. Augustinus de duitate dei. Epistole Jeronimi. Petrus capuanus. Epistole Pauli. Oratius cum commento. Tullius de officiis. Liber philipicarum. Vegecius. Quintilianus. Apuleius. Alius Egidius. Duo libri Augustini. Magister sententiarum. Donatus. Ouidius epistolarum. Solinus. Concordatie (sic) biblie. Alter Oia-tius. Liber de Ingnorantia (2). Prosper, Esopus. Tulius de amicitia. Aneus Florus. Virgilius complectus. Augustinus super genesi cum alus. Orosius. Concordande Evangeliorum. Tragedie Senece. Rectoricorum Tulii. Timeus Platonis. Boetius. Lucanus. Biblia parua. Psalterium. Panteon. Istoria scolastica. Macrobius. Isidorus differentiarum. Libri ethicorum rectoricorum et politicorum Aristotelis. Tres deche Titiliuij. Alius Valerius maximus. Alie epistole Jeronimi. Opera Jeronimi et Augustini. Monarchia Dantis. Pii' (1) Leggi Plautus 1 (2) Probabilmente il trattato petrarchesco De sui ipsius et alsorum ignorantia. 40 GIORNALE LIGUSTICO nius de viris illustribus. Catulus. De lapillis preciossis (i). Martilogium. Policratus. Moralia Gregorii. Animalia infrascripta. Primo equus unus domini. Equus unus bajetus. Sclaua una nomine Catarina. Diverse res ut infra : Primo Safflrii duo et perla una pignorati sub flor. quadragintasex. Item alius Saffirius paruus. Item Adamas unum. Item Corniola una. Item confecteria una argenti. Item coclearia vigintiquinque argenti. Item une. lxyj argenti rupti. Item culteleria una. Item quos debet camera domini flor. lxxx. Item quos debet eadem flor. xxvj. Item in capsa flor, xl Item brente xxxv vini. Item modia xxiv frumenti. Item mastra una. Item mensure xxiiij lignorum. Item centanaria xx feni. Item scala una. Item brenta una vini. Item modium unum farine. Item fodra unius manteli dorsorum. Item fodra una dorsorum veterum. Item fodra una variorum. Item fodra una martirum. Item banche due mense due cum tripodibus quatuor. Item modia tria grani. Item credentia una. Item banche due. Item lecteria una. Item rasteleria una. Item banche due. Item cultra una scacata. Item lecteria una. Item straponcta una fustanij. Item lecteria una noua magna. Item cariola una. Item lecterie due parue. Item altare unum. Item lecteria una parua. Item lecteria una pro famulis. Item lecterie quinque. Item banche octo. Item mense tres et tiripodes (sic) sex. Item banchalia duo magna. Item cofaneti duo parui ferrati. Item capsie due. Item co-fanetum unum de oso. Item stagni duo. Item bacilia duo cum bronzino, uno. Item straponite quatuor de lana magne. Item culcitre tres piume. Item straponcte quinque parue. Item studium unum cum tribus Iecterinis. Item cultris una cum clauibus. Item copertorium unum rubeum depinctum. Item copertorii duo rubei laborati. Item copertoni duo panni rubei. Item tapetum unum paruum. Item tofania una de cana. Item spata una guarnita algenti. Item some sex laborate de seta. Item cultres due cum bastis largis. Item carta una pro navigando. Item copertorii iujor burdi. Item manteletum unum misti scuri. Item pelenda una a tubi. Item pelenda una misti scuri. Item pelenda una rosee fodrata cendati ialni. Item pelanda una paonatie. Item manteletum unum paonatie. ltem pelitia una magna. Item birrete quatuor. Item caputhea mj''r. Item petia una camolati. Item bancheria una parua. Item bancherie due tales quales. Item toagie due. Item guardanapi duo. Item toagioli vigintiquinque. Item toa-giole quattuor pro uultu. Item petia una tele. Item caputium unum camo- (i) Che si trotti del notissimo Liber lapidum di Marbodo? GIORNALE LIGUSTICO 41 cati cum frixio. Item corrigie tres cum fibulis argenti deaurati. Item sigillum unum argenti. Item vellata una magna, ltem pelanda una pani septe prò domina. Item alia pelanda panni sete rube[e] prò domina. Item pelenda una scarlate prò domina. Item zacheta una camocati cremexi prò domina. Item magestàs una parua. Item cultre tres albe subtiles. Item pairia lintheaminum iiij0' magna. Item paria lintheaminum octo parua. Item toalie sex ueteres. Item toagioli decem pro manu ueteres. Item guar-danapi octo ueteres. Item alia resteleria pro equis. Item pairolia duo. Item lebetes sex. Item scutelle duodecim stagni. Item taierii duodecim stagni. Item gradelini xij stagni. Item platelli tres stagni. Item mortarium unum. Item padcle due. Item brandales mj°r. Item tagerii de ligno xx. Item speti duo. Item vegetes septem. Item jarre due pro oleo. Item mastra una pro pane. Item banchale unum pro pane. Item scala una da brace. Item barrilia duo prò vino. Item sucule tres. Item rexen-tarium unum. Item capsie due ferri. Item cariola una. Item pertiche mj°r. Item rastelletti duo. Item catrede très. Item cadenas iiij". Spatium uero superius relictum est ut si quid aliud de bonis dicte cure memorie dicti curatoris occurrerint in presenti inventario addatur et pariter conscribatur. Cui curatori prefatus doininus iudex prò tribunali sedens ut supra adr ministrationem diete cure decreuit et decreta concessit dicens eidem : esto curator et de cetero administra. Actum in omnibus ut supra. VARIETA La Cattedrale di Sarzana. Fino dall’anno 1201, allorquando il vescovo di Luni fu costretto ad abbandonare Γ antica sede , e provocò da Innocenzo III il Breve col quale gli fu consentito nel 1202 di trasferire la residenza nel borgo di Sarzana, venne stipulata una convenzione fra il Vescovo ed il Capitolo, mercé k quale si concedevano ai canonici le pievi di San Basilio , e di Sant’ Andrea « sitas in Burgo Sarzane >y, con tutti) i beni e diritti parrocchiali ad esse spettanti, « ad costruendam- 42 GIORNALE LIGUSTICO cathedralem Ecclesiam » (i). Da ciò si rileva come già esistessero in quel borgo due pievi, e come si fermasse il proposito di fabbricare quivi la nuova chiesa Cattedrale. Ma ci mancano i documenti atti a testimoniare, e della sua erezione e degli artefici che vi lavorarono. È certo tuttavia che venne scelta la Pieve di S. Basilio, come sede del Capitolo, e sopra di essa costrutto poi il nuovo tempio ; di che ci dà prova oltre al Cerimoniale per l’ingresso del Vescovo nella Diocesi, il vedere denominata questa antica chiesa, or San Basilio , or S. Maria, ed ora con tutte due le appellazioni fino quasi al cadere del secolo XIII, mentre in processo di tempo le rimane la sola dedica alla Vergine , siccome memoria e seguito della primitiva Cattedrale di Luni (2). In ogni modo la fabbrica, incominciata molto probabilmente poco dopo il 1204, dovette condursi lentamente e trascinarsi innanzi per più anni e a lunghi intervalli, aspettando di accumulare a poco a poco il denaro necessario, che veniva ritratto così dai redditi dell’ Opera, come da largizioni testamentarie , le quali appariscono di già assai frequenti nell’ ultimo decennio del secolo (3). Pare certo che già fosse uffiziata nel 1225 (4), quantunque ancor assai lontana dall’essere compiuta. Poiché la nostra chiesa deve essere rimasta imperfetta per lungo volgere d’anni; nè si potea dire finita pur nell’interno l’anno 1331, se negli Statuti del Comune, che recano (1) Arch. Capit. di Sarzana, Cod. Pallavicino, c. 151. (2) Cfr. ad esempio , atto 16 ottobre 1225 in Cod. Pali., c. 26 ; atto 3 settembre 1230 in Monum. Hist. Pat. (Torino), Chart., II, 1369; atto 5 luglio 1235 e 30 marzo 1249 ne^ Rei· vecchio, Arch. Comun. di Sarzana, c. xvii e xiv. Si noti che in un atto del 18 agosto 1318 si ha l’indicazione: « in sacristia Ecclesie maioris S. Marie ». (3) Arch. Not. di Sarzana, Atti di Parente di Stupio. (4) Ciò si desume da un atto del Cod. cit., rogato in quest’ anno apud Burgum Sarrane in Choro Ecclesie S. Marie et S. Basilii post missam. GIORNALE LIGUSTICO 43 questa data, si legge un capitolo intorno ai lavori da compiersi in S. Maria. Perciò non è a meravigliare che la facciata durasse disadorna fino alla metà del trecento , poiché la pietra onde è formato Γ architrave della porta reca la scritta seguente : mccclv. questa pietra fo misa qui sopra LA PORTA OPRARO MICiìELINO DE VIVALDO. Secondo il suo disegno primitivo, Γ edifizio aveva la forma di croce latina, ed era partito in tre navate, come si rileva anche oggi, sostenuta la centrale da colonne otta-gone di marmo bianco con capitelli lavorati elegantemente in foggia diversa, sui quali furono voltati, con bello ardimento, archi romani, aneli’essi, secondo apparisce da diversi indizi, di marmo, ricoperto poi da più strati di scialbo. La navata maggiore faceva capo al presbiterio di forma quadrata, ai lati del quale si aprivano due cappelle sormontate da archi a sesto acuto di marmo bianco e nero, esistenti tuttavia sotto alle opere soprammessevi più tardi ; e la crociera veniva determinata da due cappelloni eziandio d’ architettura gotico-lombarda. I muri laterali esteriori erano fasciati di pietra arenaria, con al sommo ornamenti di archetti vuoi di marmo vuoi di pietra, e quivi si aprivano alcune graziose finestre bifore ogivali. Davano adito alla chiesa la porta maggiore, che conserva ancora la sua forma e gli ornamenti antichi, e le due più piccole ai fianchi laterali accanto alle cappelle di crociera, di certo coordinate allo stile architettonico dell’edificio. Il soffitto era costrutto da robuste travature semplice-mente lavorate. Sulla fine poi del secolo XV riattandosi o rifacendosi il tetto, si dipinsero « li legnami » per mano di un maestro Gottardo (i). (i) Arch. dell’Opera, Libro di scritt. 1495-1516, c. 23 r. 44 GIORNALE LIGUSTICO Quel tanto d’ antico rimasto intatto , e ciò che ancora si vede sotto alle opere eseguite posteriormente, ci ha consentito di dare un’ idea generale del nostro Duomo , riferendoci alla sua primitiva costruzione ; altre particolarità si potrebbero certamente rilevare ove si praticassero opportuni saggi. Ma le nuove cappelle sfondate sul dechino del seicento nei muri laterali, tolgono quasi del tutto la possibilità d’indagare se qualche dipintura od altro ornamento quivi esistesse da antico , quantunque si sappia che il tempio era decorato così da una parte come dall’ altra di una serie d’ altari rispondenti in numero alle moderne cappelle. Anzi tre più, se si considera che antiche memorie ci attestano 1’ esistenza di due altari in fondo sotto all’ attuale cantoria, e d’un terzo posto lateralmente nella cappella della Purificazione. La chiesa rimase può dirsi nelle descritte condizioni fino al 1450, quando Andreola e Filippo Calandrini, madre 1’una e fratello uterino l’altro di Niccolò V, vollero dedicata a S. Tommaso, in onore del pontefice che portava appunto questo nome, la cappella a sinistra della crociera. La quale per opera de’ maestri Antonio Mafioli da Carrara, e di Benedetto Beltrami da Campione, venne alquanto allungata e tutta fasciata di marmo bianco all’ esterno con zoccolo, lesene, stemmi, cornici, archetti, e adorna di due eleganti finestre bifore (1). Nell’interno il cardinale Filippo fece collocare una insigne ancona di marmo, pregevole opera (1) Sforza, La patria, la famiglia e la giovinezza di Niccolò V, Lucca·, Giusti, 1884, pag. 246 e segg. — Benedetto di Beltrame aveva già lavorato nella Cattedrale negli anni 1440 e fu chiamato quando 1441 da Pisa per fare il « lastrico mandolato » del coro e ridurre in volta la cappella del Crocifisso, nelle quali opere ebbe compagno maestro Pietro di Giacomo da Como : anch’ egli è denominato Benedetto da Como. Arch. deH’Opera, Libro di cassa 1423-1466, c. 76, 154 e 155. GIORNALE LIGUSTICO 45 di Leonardo Riccomanni da Pietrasanta, già da lui eseguita negli anni successivi al 1432, a commissione degli Operai, per l’altare maggiore, dove fino a questo tempo era rimasta (1). Oltre all’ armonico insieme, e alla bellezza delle figure e degli ornati così in basso come in alto rilievo , è notevolissimo il gruppo centrale dell’incoronazione, che si porge all’occhio del riguardante, per dirla colle parole del notaro, « cum trono in medio, et figuris duabus, videlicet coronationis Virginis Marie per Deum Patrem. . . cum quatuor Evangelistis circumcircha dictum tronum. . cum paviglionO supra dictum tronum ; cum duobus angelis, et una capella aperta supra dictum paviglionum , et cum figura Dei Patris supra dictam capellam ». Opera condotta con singolare maestria, che ci ricorda la scuola di Iacopo della Quercia, alla maniera del quale sembra essersi rifatto lo scultore pie-trasantino. Ma poiché a cagione di questo trasporto dell ancona , restava spogliato 1’ altare maggiore , il cardinale Filippo provvide a farne eseguire un altra, per la quale si commise allo stesso artefice, che si associò per quest’opera il nipote Francesco nel 1463 (2). L’ancona riuscì più grandiosa della prima, così per ampiezza come per il numero delle figure, delle storie e degli ornati. Presentava nel centro l’immagine della Vergine col Bambino, ai cui lati stanno in alto rilievo, S. Andrea, San Marco, S. Giovanni, S. Pietro, S. Luca e San Niccolò, quindi negli scomparti sei storie in basso rilievo della Passione di Cristo, e al sommo altre figure di santi, vuoi sopra i colonnini, vuoi nelle medaglie a mo’ di cimasa. Il (1) Sforza, op. cit., pag. 266 e seg. Nel Libro di cassa cit. si legge sotto l’anno 1432 un pagamento fatto a maestro Leonardo « che deve fare Γ immagine di S. Maria » (c. 10). (2) Sforza , op. cit., pag. 263 e segg. 46 GIORNALE LIGUSTICO tutto coordinato e riunito per mezzo di lesene intagliate, cordoni, cornici, archetti, con ornamenti di frutti e fiori finamente lavorati. Sebbene questa pregevole scultura faccia degno riscontro alla prima , pur se ne distacca alquanto in ispecie per ciò che tocca alle figure, le quali già ci fanno sentire la maniera del Ci vitali, che a quest’ ora aveva incominciato le sue prove ; nè sarebbe forse lontano dal vero il supporre che pur egli ponesse la mano in questo nostro lavoro. Pensato cosi agli ornamenti interni , il Cardinale pose 1’ animo a dare definitivo assetto alla facciata. Già si è veduto come la porta maggiore fosse eseguita nel 1355 , e di poco posteriore deve essere la decorazione di marmo bianco, onde si abbella la metà inferiore della facciata. Il portale è adornato da tre svelte ed eleganti colonne, lavorate in varia guisa, per ciascuna parte, con graziosi capitelli di fino intaglio ; sopra questi si sviluppano nello stesso ordine i cordoni che danno vaghezza all’ arco tondo , determinato al di fuori da semplici cornici, le quali fanno bella armonia con le lesene di fianco. Se nella lunetta vi fosse eseguito qualche buon affresco , non saprei dire , quantunque sembri assai probabile; ma ho per documenti sicuri, che nel 1501 venne quivi dipinta una Nostra Donna, da maestro Andrea de P Aulla, il quale effigiava in un tempo la Pietà sopra una delle piccole porte di fianco, opera questa restaurata parecchi anni appresso e poi scomparsa, quando si esegui l’ingrandimento della chiesa (1). Ma la pittura sopra la porta maggiore doveva essere sui primi del secolo passato ridotta in pessime condizioni, se 1’ Opera deliberava di collocare in quello stesso luogo, un basso rilievo pur rappresentante la Vergine (2), il che non mi consta fosse mandato (1) Arch. dell’Opera, Libro scritt. cit. c. 47 r. e 58 r. (2) Arch. dell’ Opera , Libro delib. c. 79. GIORNALE LIGUSTICO 47 ad effetto: certo se vi fu collocato, venne poi rimosso, poiché a’ nostri giorni vi dipinse 1’Assunta, lavoro poco felice che pur oggi si vede, il pittore sarzanese Camillo Pucci. Il Calandrini deliberato a compiere la facciata rimasta a metà, diede incarico del disegno e della esecuzione a Lorenzo Ricomanni, il quale seguendo con buon accorgimento le linee architettoniche della prima parte, le ridusse nella forma presente, decorandola della finestra circolare vagamente ornata, sotto alla quale lasciò scritto o. f. m. lauren. de petra sancta ; e in alto lo stemma dei Calandrini con la data: a. n. d. mcccclxxiiii; nella fascia poi che ricorre lungo il cornicione del timpano si legge: phy. cardi. Bononiensis MAIOR. ΡΕΝΙΤΕΝ. DE FAMILIA CALANDRINA PATRIA SAR-ZANEN. HVNC (sic) FACIEM SVPRA MEDIVM AVXIT FENESTRIS ac STATVIS pie decorari fecit. Senonchè le statue, che certamente ebbe in animo di fare erigere, non vi iurono poste per allora, a cagione forse della morte del Cardinale, avvenuta nel 1476; solamente nel 1735 si mandò ad effetto dagli Operai il divisato disegno, facendo eseguire ed innalzare sul timpano le tre statue rappresentanti Sergio Ιλ , S. Eutichiano e Niccolò V (1). Nel 1504 per mano di maestro Bartolomeo della Crovara « maistro de lavorare de marmori », si fece « uno piano tanto quanto dura la facciata da uno canto all altro, et quatro scalini apreso de marmo », servendosi perciò del marmo ca-, vato dalle ruine di Luni; poi nel 1592 si dette opera a lastricare la piazza sottostante (2). A destra della chiesa sorge il campanile, solida torre quadrata con finestre bifore, trifore e quadrifore di marmo (1) Sforza, op. cit., pag. 268 e seg. (2) Arch. dell’Opera, Libro scritt. cit., car. 72j 79> 9°> Libro seritt. 1592-94, car. 6. 4S GIORNALE LIGUSTICO bianco, coronata da merli e sormontata da una piramide. \ enne ridotta nella forma presente per le cure dell’ Opera intorno al 1432, secondo accenna una scritta che malamente si legge sul marmo a foggia d’architrave della prima finestra, e che dice così : a. d. mccccxxxii hoc. campanile, fecit. fieri, ihoankes. iacobi. xptofari, ed un’altra parola guasta e inintelligibile, ma che deve essere: operarius, vedendo appunto in questo anno Gio. Iacopo del fu Cristoforo, nella sua qualità di operaio della Cattedrale, stipulare il contrattp con Leonardo Riccomanni per l’ancona innanzi accennata. La maggior campana, che pur sempre vi esiste, reca la data del mcccclx, quantunque si abbia memoria che un’ altra n’ avea fusa Bartolomeo da Pisa, quando il campanile venne rifatto (1). La parte interna del tempio non subì nel corso dei secoli xv e xvi sostanziali cambimenti , quantunque venissero eseguiti alcuni parziali lavori cosi nel coro come nelle cappelle laterali, nel presbiterio e nella sacrestia: era riserbato alla barocca smania innovatrice del seicento rompere malamente le armoniche linee di questo edificio. Già fino dal 1599 veniva chiamato da Genova maestro Battista Cantone architetto, affinchè presentasse un modello per ingrandire il coro e la sacrestia, senza che per allora il disegno fosse mandato ad effetto; nel 1616 però si riprese a discutere sulla convenienza di erigere una cappella speciale per raccogliervi le reliquie, e venne domandato al Governo della Repubblica di Genova il permesso di giovarsi a questo fine dei redditi dell’ ospedale, il che essendo stato acconsentito, si fece venire da Genova maestro Gregorio Storace per dar mano alla cappella, che, giusta la deliberazione, doveva essere murata (1) Remondini Antiche iscrizioni liguri, Genova, tip. Arcivesc. 1882, pag. 186 e 189; Arch. dell’Opera, Libro cassa cit., car. 10. 49 sotto all’ altare maggiore ed al coro in forma di cripta. Ma Γ anno successivo si mutò divisamento, e fu deliberato ricostruire all’uopo la cappella a destra dell’altare maggiore dedicata a S. Niccolò e S. Lucia, secondo il disegno di Giacomo e Michele Guidi scultori carraresi, ai quali venne affidato il lavoro (i). Questa cappella, che oltre ai due santi sopra indicati apparisce dedicata altresì a S. Basilio, forse in memoria dell’ antica pieve, era di giuspatronato della famiglia Griffi, notevole in Sarzana, in ispecie per i molti notari dati alla patria, i quali lasciarono copiosi ed importanti no-tulari: quivi nel 1541 Filippo Griffi dottore e chierico cappellano, volle porre ad ornamento un’ancona che commise « M. Antonio olim Io. Marie de Carpena habitatori Spedie depintorc », che è il lodato artefice conosciuto col nome di Carpenino, certamente da Carpena sua patria in quel di Spezia (2). Ora i Patroni, secondando la richiesta degli (l) Arch. dell’Opera, Libro scritl. 1599-1610, car. 31; Libro delib. i6io-)9, car. 40. 43 ; Libro istrum. 1601-1679, car.74 e 76. fi) Arch. notarile di Sarzana, Attidi Francisco Montano, Fil. 6, 13 febbraio 1541. Nel quadro doveva essere dipinta « figuram Virginis Mariae cum filio parvo in brachio, a latere dextro dictae Virginis figuram sancti Nicolay et sanctae Luciae, quae figura sancti Nicolay debet esse paratam ad habitum episcopalem, a latere vero sinistro figuram sanai Basili) cum habitu episcopali et etiam figuram sancti Antonij de Padua in habitu sancti Francisci cum igne manibus, et a pede dictae anconae et quadri dictae anconae fig'iram ipsius R. domini Philippi a latere dextro, et a latere sinistro figuram seu imaginem ser Augustini Griffi fratris ipsius domini Philippi supplices et tendentes manus ad imaginem Virginis Marie genibus flexis; superius medium tondum cura imagine Pietatis Christi in sepulchro, cui Pietati a latere sinistro pingere et adiungere debeat imaginem sancti Francisci genibus et a latere sinistro imaginem sancti Jeronimi stantem in penitentia cum ornamentis aureis finis ubi videbitur expediens dicto M. Antonio, cum cornisonis et cornicibus auratis in sestum acutum ». 11 prezzo è di 20 scudi d’ oro del sole. La quitanza fu Cio*·. Lujcttico. Anmo XVII. 4 50 GIORNALE LIGUSTICO Operai, concedono si possa erigere la nuova cappella, purché non sia pregiudicato alcun loro diritto, e vi si facciano dipingere da buona mano i santi Niccolò e Lucia (i). Ciò fu eseguito assai più tardi, poiché troviamo soltanto nel 1626 dato Γ incarico al pittor Domenico Fiasella di dipingere sulla tela nei quadri laterali, lasciati a questo fine, da una parte S. Lucia con a destra S. Appollonia, ed a sinistra S. Barnaba, dall’altra S. Niccolò in mezzo a S. Giorgio e a S. Lazzaro. Giovanni Francesco Galeotti ebbe il carico degli affreschi della volta , e in seguito Francesco Agnesino scultore, lavorò le due piccole figure rappresentanti S. Lazzaro e S. Andrea collocate ai due fianchi dell’ altare. Le lunette soprastanti ai quadri menzionati rimasero vuote fino all’anno 1653, in cui si commise pure al Fiasella di apporvi due tele, dove fosse dipinta la strage degli Innocenti e il martirio di S. Andrea (2). Anche il coro dovette subire nel 1640 la forma moderna, secondo il disegno di maestro Niccolò Bardi, nella quale opportunità rimossa la grande ancona di marmo, venne trasportata nella cappella destra di crocerà dedicata alla Purificazione; ma poiché i devoti domandavano a gran voce fosse rimessa all’ altare maggiore Γ immagine della Vergine, si spiccò barbaramente dal suo luogo per collocarla nell’alto del coro, sostituendovi un goffo bassorilievo rappresentante la Purificazione, opera di Domenico Sarti da Carrara (3). rogata il i.° dicembre 1541 Ha Francesco Bottari (Fil. 2). Del Carpe-nino discorrono lo Spotorno, Slor. Leti, di Liguria, IV, 209. Gerini, Meni, stor. di Lunig., I, 275 e Alizeri, Prof, del diseg., Ili, 429 e segg. (1) Arch. dell’Opera, Libro delib. cit, car. 50. (2) Ivi, Libro delib. cit. car. 98, 108; Libro delib. //^9-72, car. 2, 59. (3) Ivi, Libro delib. cit. car. 4 e 6 ; Neri , Scrìtti di storia patria, Genova, Sordo-Muti, 1872, pag. 37, 52. GIORNALE LIGUSTICO Rotte oggimai le antiche linee con questi lavori eseguiti per amore di modernità, sorse naturalmente il desiderio di dare nuovo assetto alla Cattedrale, e si chiamò all’uopo da Genova 1’ architetto milanese Luca Carloni. Ma prima che questi avesse presentato il disegno, e il Senato ne consentisse all’Opera l’esecuzione, passarono ben dodici anni; pur finalmente, ottenuto il decreto nel maggio del 1663, si mise mano al lavoro, che in ispecie procurò al tempio il soffitto di legno intagliato con molta maestria, secondo il gusto del tempo, da Pietro Giambelli pisano, quello stesso che aveva eseguito consimile lavoro nella chiesa di S. Maria dei Servi in Lucca (1). A questo fine si dovettero riformare le parti superiori delle navate, donde ebbero origine le prime deturpazioni che tolsero a poco a poco il carattere primitivo al monumento. Infatti nel 1678 si ridusse alla stessa forma dell’ altra , detta delle Reliquie, la cappella del Crocifisso a sinistra del presbiterio, alla quale la munificenza del cardinale Casoni dette più tardi ornamento di marmi e di pitture; poi nel 1682 fu rifatto interamente l’altare maggiore per mano dello scultore Isidoro Baratta; e in fine Tanno 1694 si mise mano, sui disegni di Francesco Antonio Milani sarza-nese, alle cappelle sfondate nei muri laterali (2), le quali come portarono P ultimo colpo alle linee architettoniche interne, cosi guastarono la severa ed elegante semplicità della facciata e dei fianchi, secondo ognuno può vedere anche oggi. Tanto più che una indecente casipola addossata alla base del campanile, venne in seguito a deturpare la prospettiva della chiesa. Gli ultimi lavori accennati ebbero per conseguenza ulte- (1) Arch. dell'Opera, Libro delib. cit., car. 56, 123, 124, 128, 134, 138, 141, 142, 147, 160, 163, 164. (2) Ivi, Libro delib. 1672-1720, car. 33, 48, 105, 106, 119. 52 GIORNALE LIGUSTICO riori opere al grande arco del presbiterio, a quelli minori delle vicine cappelle e del coro : onde vennero nascoste sotto alle nuove lesene di calce quelle preesistenti di marmo bianco con i relativi capitelli e basamenti, poste in armonia alle colonne della navata (i); scomparvero, quantunque pur sempre esistano, per entro agli archi tondi e pesanti di canniccio intonacato, quelli a sesto acuto delle due cappelle; il presbiterio fu caricato nelle volte di goffissimi stucchi dorati; e il coro perfine ebbe un macchinoso ornamento intorno all’immagine della Vergine, eseguito da Giovanni Cibei. Sopra al cornicione che ricorre lungo i lati della chiesa venne collocata, con poco buon senno, una serie di statue di non felice lavoro, per le quali gli Operai si commisero nello scultore carrarese Baldassare Casoni (2). Oltre alle opere singolari innanzi citate, di che si adorna il nostro tempio, come le ancone scolpite e le dipinture del Fiasella, conviene ricordare la tavola insigne sulla quale si ammira il Cristo dipinto da Guglielmo nel 1138; una Visitazione pur colorita dal Fiasella; il S. Antonio di Cristoforo Roncalli detto il Pomerance; una tela con i santi Eutichiano, Lazzaro, Lorenzo, Filippo Neri, e santa Lucia eseguita da Francesco Solimene ; la santa Barbara di Sigismondo Boc-caccini; il quadro dei santi Giuseppe, Lorenzo e Giambattista di mano dello Spagnoletto ; finalmente la statua di S. Agostino lavorata da Giovanni Cibei, e quella della Concezione pregevole opera di Giuseppe Franchi. Sopra la porta maggiore s’innalza la cantoria, assai goffa e pesante, con l’organo eseguito modernamente dai celebrati Serassi di Bergamo. (1) Di recente, facendosi un restauro alla lesena sinistra, se ne constatò P esistenza. (2) Arch. delPOpera, Libro delib. 1710-1759, car. 97, ιοί, 104. GIORNALE LIGUSTICO 53 Anche i paramenti, i sacri arredi, i libri e le reliquie arricchivano notevolmente la nostra Cattedrale, secondo ci manifestano alcuni antichi inventari (i), ma per mala ventura troppi degli oggetti quivi indicati non esistono più, o dispersi, o mal custoditi, oppure indegnamente venduti. A. N. APPENDICE. I. In nomine Domini amen. Anno a Nativitale Domini 1405 die Martii Ind. f. — Hoc est Inventarium honorum S. Marie de Soriana repertorum in sacristia diete Ecclesie S. Marie de Sarrana, prout injerius per ordinem apparebit. Bibia una que incipit: In principio It. Bibia i. que incipit: Parabole Salomonis. It. Bibia X. que incipit : In principio creavit. Item Bibia 1. que incipit: Liber Job. It. Bibia I. que incipit: In principio creavit. It. Expositio i. Augustini super Psalterio in duobus voluminibus, quorum primum incipit: Beatus vir, et secundum: Voce mea. It. Liber 1. seu Moralia S. Gregorj qui incipit: Reverendissimo et santissimo. It. Passionale 1. quod incipit: Beatus Petrus. It. Passionale 1. inchoans : Pasio S. Andree. It. Humiliaram 1. S. Johannis inchoans : In principio erat verbum. It. Liber 1. sermonum qui incipit: Sanctam et desiderabilem. Item Liber 1. sermonum qui incipit: Sciendum imo est. It. Sermonale 1. sic incipiens : Passionem et Ressurectionem. It. Sermonale 1. quod incipit: In illo tempore abeuntes. Item Liber unus seu Expositio Numeri qui incipit: Locutus est Deus. It. Liber unus S. Gregorj super Hesechiele qui incipit : Dei Onnipotentis. It. Martirologium quod incipit: Ubi aeque multe. It. Quidam liber sine tabulis qui incipit : Fratres Presbiteri saccrdotes. (1) Cfr. Appendice. Li debbo alla cortesia dell’ erudito arcidiacono Mons. Luigi Podestà. 54 GIORNALE LIGUSTICO It. Quidam liber sine tabulis quid incipit : In Christi nomine. It. Liber unus super tractatibus Cecili qui incipit : Evangelica precepta. It. Homeliarium i. quod incipit: In vigilia S. Andree. It. Sermonale i. quod incipit: Dominica prima de Adventu. It. Antifonarium i. de nocte novum quod incipit : Sacerdos. It. Antifonarium i. de nocte novum quod incipit: Aspiciens a longe. It. Antifonarium novum de die quod incipit: Dies ire dies illa. It. Quinque Antifonaria de nocte vetera que incipiunt: Aspicientes a longe. It. Antifonaria duo de die vetusta que incipiunt : Ad te levavi. It. Missale i. novum secundum Curiam romanam quod incipit: In solemnitate Corporis D.ni N.ri Jes. Chr. Item sex Missalia vetera. Item duo Epistolaria. Item Psalteria duo vetera parva. Item Psalterium unum novum. It. Quaternus unus de Corpore Christi. It. Liber unus in quo stant scripta Aniversalia. It. Missale i. novum secundum Curiam romanam Cappelle Cichini Abbatis. It. Missale i. novum secundum Curiam romanam Cappelle Nicolai de Forlivio. It. Missale i. secundum Curiam romanam Cappelle Coradini de Griflis de Sarzana. It. Missale i. secundum Curiam romanam Cappelle olim D.ni Baptiste de Marsasjo. It. Missale i. votivum Cappelle Margarite Benedicti. It. Missale i. votivum Cappelle D.ni Tomaini. It. Missale L votivum Cappelle Francischoni Corvetti. It. Missale i. votivum Cappelle D.ni Jacobi De Castro. It. Breviarium secundum Curiam romanam quod incipit : In Festo Trinitatis. It. Statuta Capituli. It. Pontificale i. cum quo datur oleum sanctum vetus. It. Liber unus secundum Curiam romanam pro baptizando et oliando. It. Quaternus r. pro baptizando, vetus. It. Quaternus unus Mortuorum. It. Missale i. secundum Curiam romanam Capituli Lunensis. GIORNALE LIGUSTICO 55 Infrascriti sunt calices sacrestie. Calicem unum argenteum cum sex snialtis super pedem cum arma Comunis Sarzane, tres stelle, et cum litera quando factus fuit idest 1346 et patena cum smalto Dei Patris. It. Calicem unum argenteum cum tres smaltis super pedem cum una arma Comunis Sarzane et stella una. It. Calicem unum argenteum cum sex smaltis parvis super peaem cum una arma que vocatur aquila bicipes. It. Calicem unum argenteum in pomo calicis cum sex figuris, scilicet figuris Crucifixi, S. Marie, S. Johannis Evangeliste, S. Francisci, et Sancti cujus nescio nomen. It. Calicem unum argenteum cum arma Comunis Sarzane, una stella ct uno leone in pomo Calicis. It. Calicem unum argenteum parvum, cum quatuor gemmis annelli super pedem Calicis. It. Calicem unum argenteum cum tribus armis super pedem in ista forma lt. Calicem unum argenteum cum sex smaltis super pedem, videlicet cum Crucifixo, S. Maria, S. Johanne Evangelista, et S. Francisco, S. Juliano et S. Johanne Baptista. lt. Calicem unum argenteum cum arma domini Tomaini de Fosdenovo, cum tribus armis, pro Cappella S. Nicholai. It. Calicem unum argenteum pro Cappella domini Iacopi de Castro. It. Calicem unum argenteum sine patena fractum, cum arma de Pezza mezzana. lt. Calicem unum argenteum cum arma Francesconi de Corveto, quem dominus Episcopus habet in domo. It. Navicellam unam argenteam parvam. It. Crucem unam argenteam magnam cum quinque reliquiis, videlicet de ligno Crucis, S. Andrée, S. Mathei apostoli, sanctorum Geminiani et Lucie, et S. Dominici. It. Crucem unam argenteam cum duobus reliquiis. It. Cruccm unam argenteam parvam cum uno bothono de cristallo. It. Cruccm unam parvam argenteam cum duodecim reliquiis. A carte 98 tergo dello stesso Libro N. sono notati, sotto la data del X.· agosto 143^/ altri 3 calici così descritti. Calix unus argenteus magnus cum arma de Bonaparte in tribus locis, et unum smaltum cum Annuntiatione et Angelo in patena. GIORNALE LIGUSTICO It. Calix unus argenteus magnus cum quinque Angelis in una parte et cum una arma montis, et unum smaltum cum Deo Patre et S. Maria incoronata in patena. It. Calix unus parvus argenteus cum una arma in uno scuto et patena cum smaltu. E a c. 2j recto leggesi questa nota: 140S, die 24 Febntarj. Bernabos q. Iacobi dedit Capitulo Lunensi duo piviali.-!, paramentum unum tolcitum, guanzialia duo, et Crucem unam parvam argenteam cum sanctis reliquiis, que est sine Crucifixo: Carta facta manu ser Iohanis De Pezza mezana de Sarzana. II. Descrizione degit oggetti che appartenevano alia sagrestia della Cattedrale di Sarzana, come rilevasi da un allo del )0 maggio ijof registralo nel libro K dell’ Archivio Capitolare. Et primo veniendo ad libros de proprietate ipsius sacristie, inventi fuere sequentes videlicet. Prima pars Bibliae in volumine magno de carris membraneis de literis antiquis cum suis tabulis copertis corio rubro, quae incipit: in rubro: Incipit Epistola S. Hieronimi, ex cartis 195. Item secunda pars Bibliae in simili volumine et carta et colore coperta cum suis corrigiis quae incipit: Viginti et duae, ex cartis 275. Item tertia pars Bibliae in simili volumine et copertura, cartis 212, quae incipit : Incipiunt capita Iesechielis Prophetae. Item Liber unus Passionum et victarum sanctorum in carta membrana, qui incipit : Reverendo sacerdoti. Item Decretalis una antiqua cum suis glossis in carta membrana, que incipit : Gregorius Episcopus. Item Graduale unum magnum pulefum. Item Graduale aliud magnum et pulcrum cum armis domini Papae Nicolai. Item aliud Graduale a resurrectione Domini usque ad Adventum. Item aliud Graduale magnum copertum et ornatum, utendum a festo S. Andreae usque ad festum Assumptionis. Item aliud Graduale copertum et ornatum, utendum a festo Assumptionis usque ad Adventum. GIORNALE LIGUSTICO 57 Item aliud Graduale comune sanctorum per totum annum. Item aliud Graduale in forma mediocri per totum annum copertum suis tabulis. Item Antiphonarium unum per totum annum in forma mediocri quod incipit: In nomine Domini amen, Incipit Antiphonarium. Item Breviarium unum magnum notatum et completum in literis magnis. Item Missale unum factum in stampa in carta membrana copertum suis tabulis. Item aliud Missale in carta membrana. Item aliud Missale elargitum per q.m Antonium Gyanotta. Item aliud Missale in carta membrana elargitum per magnificum dominum Ludovicum Campofregoso. Item aliud Missale in carta membrana, elargitum per dominum Andreotum de Gandulfis praepositum. Item aliud Missale in minori forma in carta membrana, elargitum per dominum Oryolum olim canonicum. Item Missalettum unum parvum copertum tabulis, in carta membrana. Item alius liber homiliarum et sermonum in carta membrana ex literis antiquis, qui elargitus est per reverendum dominum Cardinalem Bo-nonicn (i). Item alius liber homiliarum et sermonum in carta membrana et in forma mediocri, antiquus. Item alius liber magnus sermonum et homiliarum, antiquus, in carta membrana. Item unus liber in carta membrana et in parva forma, cum comuni sanctorum et suo calendario et Officio mortuorum, qui incipit: Christe Redemptor omnium. Item alius liber parvus salmorum cum comuni sanctorum, qui incipit : Primo dierum. Item liber pontificalis in carta membrana cum suo calendario. Item liber unus in carta membrana in forma mediocri intitolatus: Summa fratris Monalidi cum Clementinis. Item alius liber intitolatus Summa Abbatis in carta membrana in parva forma. Item alius liber pro homiliis in carta membrana cum literis magnis, antiquus. (j) Il Cirdtn»lt Filippo C»luxdriai. SS GIORNALE LIGUSTICO Item Crux una magna argentea deaurata cum Crucifixo cum pomis suis excepto uno, et cum smaltis, ponderis librarum septem cum dimidia. Item alia Crux aliquantolum minor argentea deaurata cum suo Crucifixo et pomis et smaltis, uno pomo tantum deficiente, librarum septem et untiarum duarum. Item alia Crux parva argentea deaurata cum suis smaltis et pomis, et cum 12. reliquiis, librarum duarum et untiarum duarum, sine Crucifixo. Item alia Crux parva argentea deaurata antiqua cum duobus Crucifixis smaltatis, uno vivo et alio mortuo, cum ligno S. Crucis in fine, et in capite cum una cruce de cristallo, et in fine cum uno pomo de cristallo et suo pede argenteo, librarum trium. Item Crux una de lotono mediocri. Item Tabernaculum unum magnum argenteum deauratum cum una cruce in capite et suis ornamentis ad portandum Dominicum Corpus. Item Turibilo uno argenteo librarum duarum et untiarum octo. Item Navicella una argentea cum suo cocleario, ad retinendum thus pro incensando, ponderis untiarum octo. Item Tabernacolum unum parvum argenteum deauratum pro portando Corpus Domini infirmis. Item candelabra duo argentea ponderis librarum novem que elargitus est d.nus Andreas de Gandulphis praepositus. Item Pax una argentea deaurata cum ymaginc Salvatoris benedicentis, in vitrio aliquantolum fracto in fine, et cum suo manicho. Item alia Pax de argento deaurato et anielato cum figuris Anumptia-tionis Beate Virginis, et cum figura Jesu Christi in culmine, et in fine cum duobus angelis, et in medio transforata, et in qua in medio est Agnus Dei intus, quas duas Paces elargitus est reverendus d.nus Cardinalis Bononien. Item alie due Paces argento intus, et cum smaltis cum figuris Pietatis et ab extra de octono. Item Navicella una argentea in forma arcae transforatae, in qua est unum tabernacolum parvum cum sanguine Salvatoris, aliud tabernacolum parvum in quo est de capillis Beatae Virginis, et una Cruce de argento parva in qua est de ligno verae Crucis Domini nostri Jesu Christi (i). (l) Ia altri inventari del 1550 e del 1575, che trovanti nella Filia I dello steuo Archivio capitolare , si dice che nella medesima umetta a forma d' arca v’era un* ampolla col sangue preziosissimo di Cristo, altra Ampolla con de' capelli di Μ. V. ed altra con una S. Spina, e forse con maggiore esattezza. Le quali tre Insigni Reliquie colle ampolline che le contenevano GIORNALE LIGUSTICO 59 hem 1 abernaculum unum parvum argenteum cum digito S. Andreae. Item Coffanetum unum de gesso in quo est unum vas parvum vitreum quo sunt plures reliquie sanctorum. Item Cassetta una de corio nigro in qua est unus coflanetus de ebore figuratus de figuris relevatis per Annumptiationem Beatae Virginis et Nativitatem Domini, circumdatus de argento deaurato, cum suis clausuris et clavis, et cuifi quatuor pedibus de argento in figuris Angelorum et cum lapidulis vitreis colore turchini et cum suo manicho de argento, in quo est unum vas parvum cristalli fulcitum de argento in quo est de spina seu de ligno s. Crucis. Item tabernaculum unum de ebore ubi est imago Beatae Virginis cum suo Filio in brachiis, et a partibus S. Antonj et S. Bernardi, et in capite cum uno Angelo numptiante Beata Virgo. Item Ampoline duo de argento prò vino et aqua dandis, ponderis libre unius. Item Pastorale unum de ramo cum suo baculo ligneo diviso in tres partes. Item Pueri tres sive figure tres parve cum figura Domini nostri Jesu Christi cum suis vestibus de setta. Itera Calix unus magnus pulcer cum sua patena et cum suis smaltis de argento deaurato elargitus per prefatum reverendum dominum Cardinalem , ponderis librarum duarum et untiarum undecim. Item Calices decem et octo cum patenis sexdecim. Item Tabulae duae copcrue de argento. Item Frixium unum magnum ab aluride argento cum roxis 15. de argento et smaltis 9. cura diversis figuris et crucibus duabus et foliis quindecim ac fioramis octo magnis, et uno scuto ad formam unius castelli super vcluto nigro. Item Anulos septem aureos et sexdecim argenteos. Item una vestis corporalium de sericho rubro ab una parte et ab alia rechamata de certis perlis et figuris quando Christus oravit in orto, cum pomis octo. Item alia vestis corporalium de sericho rubro ab una parte et ab alia de celesti sericho figurato et aurato, cum pomis quatuor de sericho viridi. furono poi riposi» io «Ircttanti piatoli tabernacoli 4' argento 4’ egregio lavoro e d'elegantissis-sima formi, (illi eseguire da! MigiUrito della Comuniti di Sirau, c da esso solennemente consegnati, assiema ad altri dot contenenti parìe 4' un pannolino della B. V. e due denti di S. Apollonia, al canonico custode della sacristia Paolo Beociti, il io gennaio téjo. 6 ο GIORNALE LIGUSTICO Item alia vestis corporalium de sericho rubro ab una parte et ab alia de sericho celesti figurato deaurato, cum pomis quatuor de sericho viridi. Elanetæ. Pianeta una alba brocata auro cum aliquibus floribus paunatiis et azurinis cum armis d.ni Nicholai Papae quinti, cum frixio deaurato valde pulcro, et fodrata de brochatino albo, quam dedit d.nus cardinalis Bononien. Item Pianeta una de brocato veluti cremexini pavonatii cum sua dalmatica et funicella ejusdem brochati, quas donavit predictus Cardinalis suae Capellae. Item Pianeta una de cremixi cum suo frixio dalmaticha et tunicella ejusdem veluti cum frixiis et aliis ornamentis, cum armis d.ni Cesaris et d.nae Catherinae. Item Pianeta una de cremexi rubro cum suo frixio, et est capellae S. Augustini. Item Pianeta una de damaschio rubro cum sua dalmaticha et tunicella, cum suis frixiis et ornamentis, cum arma d.ni Andreae. Item Pianeta una damaschini albi cum suo frixio, quam donavit d.nus Cardinalis. Item dalmaticha una et tunicella de cetanino raso albo, veteres, et cum armis prefati d.ni Andreae. Item Pianeta una damaschi albi figurati cum suo frixio, cum armis duabus a parte retro circha finem, que habita fuit a ser Piero Bertoni cive fiorentino. Item Pianeta una de cremixi figurato cum frixio sanctae Catherinae a flores, quam donavit d.na Margarita quondam Hectoris. Item Pianeta de veluto celesti plano cum suis frixiis et aliis ornamentis, quam donavit d.nus Magnificus de Parentucellis. Item Pianeta una de veluto nigro plano cum sua dalmaticha et tunicella, frixiis et aliis ornamentis, quam donavit d.nus Cardinalis. Item Pianeta una brochati veteris de azurro cum armis domus paternae Sylvestri Antonj de Griffis data Capellae S. Nicolai. Item Pianeta una de cetanino raxo crocei coloris. Item Pianeta una de veluto nigro figurato sine frixio. Item Pianeta una de zameloto nigro de veluto cum frixio zameloti de cremexi et cum sua dalmaticha et tunicella quam donavit d.nus Joannes de Griffis. Item Dalmaticha una de sirico raso azurro, et cum suis ornamentis de cremexi. GIORNALE LIGUSTICO 6l Item Tunicella una antiqua de veluto viridi. Item Pianeta una veluti celestis raxi cum frixio et insignis illorum de Bonaparte. Item Pianeta una damaschini figurati deaurati cum roxis, violis, mali-bus etc., cum frixio in quo in parte est depicta Anumptiata et in parte sancta Catherina. Item Pianeta una antiqua de veluto plano' celesti cum frixiis deauratis. Item Pianeta una antiqua de damaschino raso celesti cum leonibus albis et frixio et imagine Beatae Virginis cum suo Filio in brachijs. Item Pianeta una antiqua veluti nigri plani cum frixio rubro de sirico rubro. Item Planetae duae antiquae de zameloto cremixino quas donavit r.dus d.nus Cardinalis. Item Planetae duae de fustaneo albo usatae. Item Piviale unum magnum de cremexi rubro figurato cum suo rixio pulcherimo, quod donavit d.na Catherina de Callandrinis Item Piviale unum autiquum de veluto brocato nigro cum armis Fre-gosis, habito a magnifica d.na Catherina de Campofregoso. Item Piviale unun damaschini albi figurati, curii suo caputio et frixio et cum frangis rubeis albis, quod donavit d.nus Andreas. Item Piviale unum de siricho celesti plano cum suis frixiis et caputio, quod donavit d.nus Nicolaus Parentucellus. Item Piviale unum nigrum de veluto plano cum suis frixiis et caputio, quod donavit d.nus Cardinalis. Item Camixia quatuordecim cum suis fulcimentis. Un Conservatore Genovese Se nel secolo passato vi furono uomini che accolsero e caldeggiarono le nuove idee, sospinti da quello spirito largo e liberale onde ebbero lievito e principio gli odierni ordinamenti politici e sociali, altri rimasero fermi nelle loro opinioni con grande tenacia, deplorando continuamente quel passato che man mano andava cancellandosi, senza che le imposte restaurazioni, parvenze più che altro di vieti organismi, avessero virtù di arrestare il moto in:ominciato. Certo i primi 6 2 GIORNALE LIGUSTICO in generale ebbero dote di ingegno maggiore, d’ animo fermo e di singolari ardimenti, e nella loro schiera si noverano i più valorosi e i più colti, mentre gli altri, sempre desiderosi di calma e di pace, abborrenti dalle lotte, e usi alla vita uniforme e tranquilla, palesarono insieme alla limitata levatura, animo timido e imbelle. Non già che mancassero fra costoro gli arditi e i battaglieri, ma i più sol capaci di solitari rimpianti si chiusero in una sterile acquiescenza, sfogando nel segreto delle mura domestiche Γ amarezza dell’ animo, spettatori, meglio che attori, nella scena del mondo. Tuttavia anco i giudizi e le opinioni di questi rappresentanti del passato, per chi ben guarda, non son privi d’importanza, perchè ci manifestano il pensiero di una parte di cittadini certamente assai numerosa, ma che appunto per la propria e speciale natura, subisce gli ordinamenti degli arditi novatori, e pur dolorando vi s’ acqueta. Un di costoro, vissuto nella seconda metà del secolo passato e nei primi trent’anni del nostro, incontriamo appunto in Genova, che fu teatro principalissimo di movimenti repentini e di inattese trasformazioni. Egli è Luigi Balestreri, un onesto notaro, di scarsa cultura, d’indole quieta e bonaria fin quasi alla ingenuità, onde fu vittima più d’una volta di burle bizzarre e salaci per opera de* suoi amici, allegri buontemponi, che frequentavano la vecchia farmacia Cavanna. Assunto qualche volta, nel primo periodo di sua vita, all’ ufficio di cancelliere in alcuno de’ minori magistrati della Repubblica, seppe cattivarsi la fiducia de’ patrizi, ai quali più spesso servì come amministratore sollecito e geloso di ingenti aziende, costituite dalle aggregazioni di famiglie, conosciute sotto nome di alberghi. L’affetto e la reverenza sua per la vecchia Repubblica ben si manifesta dal fatto che, volendo ricordare gli avvenimenti più notevoli de’ suoi tempi, incomincia col novero di GIORNALE LIGUSTICO 63 tutto Γ ordine dei Dogi, autorità suprema e veneranda in cui si assomma la potestà e la rappresentanza del Governo (1). E al nome di chi fu innalzato a quell’ufficio accoppia il breve ricordo d’alcun avvenimento che, nella sua intenzione, meritava non cadere dalla memoria; ma è curioso e singolare il linguaggio che adopera a quando a quando, or giudicando con parola cruda ed incisiva, or con tono di evidente ironia. Giunto, per via d’esempio, al dogato di Francesco Maria Imperiale, dopo aver riferito che Genova venne bombardata « con scandalo di tutto il mondo cristiano », rammenta il viaggio del doge a Parigi « a ringraziare il re del buon trattamento fatto alla sua Repubblica » ; così al 17 *5 non tralascia di ricordare la morte di Luigi XIV « benefattore dei genovesi, e creduto dai suoi adulatori immortale ». E come aveva registrato sotto il Governo di Oberto Torre il vano tentativo del ministro francese di « estorquere qualche retribuzione», così pochi anni più tardi, nel biennio di Francesco Invrea, ricorda che gli spagnuoli, « sotto pretesto del prezzo del sale accresciuto estorquono sessanta mila scudi». Nota la diuturna ribellione de’ corsi, il breve regno di Teodoro, « vile vagabondo ed insigne truffatore», Γ intervento de’ francesi, la loro partenza « dopo aver coperto di cenere il fuoco della ribellione », la quale si riaccende subito da essi « fomentata secretamente » per quei fini riposti, onde poi 25 anni più tardi diventarono padroni deir isola, mercè di quel celebre e vergognoso contratto (1) È un ms. recentemente acquistato dalla R. Biblioteca Universitaria di Genova, che reca in fronte queste parole: « In questo libro si contengono tutti li Dogi della Repubblica di Genova da Simone Bocca Negra, sino al 1797, e tutto quello è occorso negli anni successivi, e cambia-nienti di Governi in Genova » 64 GIORNALE LIGUSTICO che il Balestreri, forse rispecchiando il senso di stupore prodotto nell’ universale, qualifica di « mirabile ». Fa menzione, nel 1744-45, della <( cometa crinita con coda in forma di spada > comparsa « sopra Genova, presagio delli malori doveano succedere»; ma poi tocca appena ed alla sfuggita della cacciata dei Tedeschi. Nè manca di tramandarci certe notiziuole curiose, come là dove, accennando al dogato di Matteo Franzone, esce in questo ricordo : « Pretese questo Doge che li sacerdoti si levassero il cupolino allorché passava; praevaluit in vanitate sua·, ma morto fu interrato che pioveva, onde oltre il cupolino portarono anche il cappello » ; oppure quando riferisce che il nuovo doge Brizio Giustiniani, eletto nel 1775 , rimise l’uso del banchetto di gran lusso soppresso già innanzi, e « furono fatte le dodici livree a’ paggi ducali, cosa non praticata dall’ antecessore, il quale si servì di quelle del defunto Giambattista Cambiaso ». E a proposito del pranzo rammenta quello dato nell’incoronazione di Raffaello De Ferrari, assai splendido, « ma però non molto ben diretto, e non ben serviti i commensali » ; quindi la magnificenza dell’ altro nella solenne e pomposa incoronazione del doge Michelangelo Cambiaso, dove convennero ben 422 persone, fra le quali, « con ammirazione di tutti », ventisei « non invitate ». Non poco notevole è poi il fatto che uscito, nel 1795, dall'ufficio pel compiuto biennio Giuseppe D’ Oria, invece di presentarsi, come prescrivevano le leggi, entro otto giorni al Magistrato de’ Supremi, per farsi assolvere dal sindacato, se ne va a San Pier d’ Arena in villa resistendo alle « persuasioni de di lui amici e parenti», e dopo alcuni mesi all’improvviso si conduce avanti i Supremi, e in mezzo alla generale ammirazione, si fa assolvere con « una parlata degna del suo talento ». Segno significante de’ tempi; chè la rivoluzione oggimai batte insistentemente alle porte. GIORNALE LIGUSTICO 6 5 Ben lo sente anche il nostro notaio , diventato più verboso man mano ch’egli entra nel pieno de’ suoi tempi, e registratore più minuto dei fatti; non avverte però il tuono lontano, neppure accennando ai rivolgimenti francesi del 1789. Ricorda bensì asciuttamente la decapitazione di Luigi XVI « attesa la rivoluzione di tutta quella Monarchia », e poi il supplizio di Maria Antonietta con una nota di compassione e di sdegno. Egli però non avverte l’avvicinarsi della tempesta, e neanche mostra di prevederne l’imminenza; nè le rappresaglie degli Inglesi contro le navi di Francia, avvenute nel dominio della Repubblica e le conseguenze immediate, nè il contegno del ministro francese e il fermento della cittadinanza avevano virtù di porre nell’ animo suo , troppo fiducioso nella forza organica della Repubblica, il sospetto che questa potesse a lungo andare sfasciarsi d’un tratto. Anco gli parve che il processo politico del 1794 contro i Serra, il Sauli e parecchi altri, e poi la esclusione di que’ patrizi dai pubblici uffici, avesse posto freno ai ribelli. Venne poco stante la rivoluzione, ed egli, che fu spettatore di tutto quel tumultuoso rinnovarsi, tien nota particolare dei fatti oggimai ben conosciuti all’universale. Ma con un certo senso-d’amarezza vede scomparire le testimonianze della vecchia Repubblica; sì demoliscono sotto i suoi occhi « tutte le armi, stemmi ed emblemi, ed a quelle della Repubblica è levata la corona »; sono bruciati « con giubilo di molto popolo » sulla piazza dell’ Acquaverde « i Libri della Nobiltà, i così detti Libri d’ Oro, il Bussolo del Seminario, i baldacchini ducali, la Bussola, la toga della incoronazione » e tutti gli altri segni del governo oligarchico ; si atterrano le due statue dei D’ Oria ; vengono « levati i diversi troni » esistenti nelle varie sale del Palazzo Ducale. Tolto ogni apparato fastoso « il Governo Provvisorio si raduna nella sala del Minor Consiglio senza trono alcuno , seduti sulle Gioì*. Ligustico, Anno XVII. 5 66 GIORNALE LIGUSTICO carreghe usuali, essendo state deposte quelle senatorie » ; e quivi alle udienze « si sta col cappello in capo senza distinzione alcuna, e si parla dando del voi cittadini ». Anche il vestire dei magistrati secondo Γ antico stile è stato abolito, e adottati solamente alcuni distintivi ; così i membri del Governo «vestono come vogliono, portando però attorno alla vita una gran fascia di seta bianca e rossa a modo di cintura » ; i giudici criminali portano nel cappello un nastro rosso con un fiocco grande e due più piccoli bianchi e rossi, e quelli di pace una fascia interamente bianca alla vita. I comandanti « della forza armata » si distinguono per « una sbarra a modo di bandoliera di seta bianca e rossa », e gli aiutanti con « un nastro simile legato al braccio destro senza obbligo di uniforme », Infine « sono state abolite le parrucche a tre tomi, ed ognuno va vestito a suo modo anche coi capelli tagliati al di dietro, compreso i pubblici ministri ». E questo più che altro cuoceva al buon notaio, il quale dovette a malincuore abbandonare la sua parrucca, salvo a riprenderla poi incontanente alla restaurazione. Ma se P esterno costume avea subito modificazioni profonde, anche il vivere civile era diventato difficile e pauroso, presentandosi via via più fosco agli occhi del conservatore tenace ; onde con vero dolore ricorda che « un solo sospetto, oppure impostura contro di qualche ex-nobile o cittadino, è sufficiente per farlo arrestare e condurre in carcere. Si scrive e si stampa liberamente contro ogni ceto di persone , compreso ancora Monsignor Arcivescovo. Degli ex-nobili se ne parla alla peggio, a dettame della rispettiva passione e vendetta, come pure degli altri individui di ogni ceto ». Messo così sulla china, carica le tinte del quadro, e perde eziandio il senso della misura quando esce a dire : « Il libertinaggio, e la scostumatezza trionfa, i birbanti e processati per ladri nd altri delitti dall’ antico Governo, oggidì regnano e coprono GIORNALE LIGUSTICO 6? gl impieghi da’ quali hanno procurato, con suscitare dei malviventi, scacciare i legittimi ed onesti occupatori : infine non vi è più nessuno che possa esser certo di vivere tranquillamente, perché con proclami ed editti si esternano sentimenti di eguaglianza, unità e fraternità , ma poi si opera diversamente con opprimere e confondere il galantuomo col maldicente, ladro, malvivente, e simili persone di tal natura. La città per Γ uomo onesto è un orrore, non sa come vivere per esser tutto a caro prezzo 0 per il timore di qualche sinistro». Sfogo acerbo che trova il suo riscontro nella lagnanza , più volte espressa, degli uffici assegnati a gente nuova e plebea, mentre gli « ex-nobili e notari di Collegio sono le persone più abbiette ed oppresse », escluse perciò dagli impieghi, di che hanno premio i primi, per «essere stati del partito rivoluzionario », ed invece « l'uomo onesto 0 che pensava al buon ordine, 0 che era indifferente, e cosi di niun partito, se non che per la quiete della città, ora è avvilito ed oppresso e quasi ridotto all’ indigenza ». Come si vede, è imperioso in lui il desiderio della pubblica tranquillità, tanto che come deplora i turbamenti recati dai rivoluzionari, non risparmia il suo biasimo per i fautori della controrivoluzione ; e mentre si compiace che i « bravi patrioti » abbiano debellato coraggiosamente gl’insorti della campagna, approva la carcerazione de’ preti e dei nobili sobillatori, i quali « pagheranno il fio, unitamente ai loro soci, per aver messo in costernazione e pericolo tutta la città, che era alla vigilia di organizzarsi, e così restare tutti tranquilli, che molto si desidera dalle persone oneste, e che bramano la pubblica quiete ». Era questo un periodo di crisi assai grave, e i danni si manifestavano chiarì e aperti dovunque. « La città e riviere » dice il nostro notaro, «spirano tristezza, i viveri carissimi, 1 guadagni sono mancati, e molti onesti cittadini senza im- 68 GIORNALE LIGUSTICO piego, tanto più quelli che sono riputati per aristocratici. Le arti languiscono, perchè nessuno compra, nessuno fa travagliare, e così chi ha capitale vive economicamente. Le case delli nobili, alcune, anzi le più ricche, hanno abbandonato la città e dominio, e quelle rimaste sono quasi ridotte alla miseria per le gravi imposizioni loro fatte, e perciò sono cessate le grandiose limosine che esse facevano. Il commercio è sospeso, che è F unica sorgente di questo territorio. Il lusso è terminato, perchè non vi è più nobiltà ; così moltissima servitù licenziata , gli sartori non travagliano più livree, chè questo era un grande oggetto per gii stessi. I parrucchieri alla miseria, perchè si va alla democratica, e sono in oblio le pettinature tanto delle donne che degli uomini, e chi non ha necessità non porta parrucca, perchè serve il berrettino anche per le donne. L’unica arte che agisce è quella del calzolaio, non ostante le strettezze, perchè ognuno va calzato ». Meno male, che in mezzo a tanti guai, la rivoluzione provvide almeno per questa parte all’ igiene ed alla pulizia. Vuol dire che per F innanzi il popolo non portava le scarpe, costume di che si vedono ancora le testimonianze in certi bassi quartieri della città, e che perdura qua e colà nelle riviere. Men acerbo si palesa allorquando nel 1802 il Bonaparte restaura il Governo con qualche somiglianza alF antico, e si ha nuovamente il Senato presieduto dal Doge, che riprende il vecchio costume d’ intervenire alle solennità in San Lorenzo ; onde vengono riposti nel Duomo i due baldacchini come prima del "97. Veste il Doge un « abito porporino ricamato in oro, con sciarpa di seta bianca e rossa, e gran coccarda nel cappello » pur degli stessi colori. Uguale coccarda portano i senatori « vestiti di nero con sciarpa », in abito « corto e coda alli capelli ». Pur ugualmente vestiti di nero i componenti la magistratura, ma senza alcun distintivo. GIORNALE LIGUSTICO 69 Tutto ciò non accontenta pienamente il buon notaio, il quale trova che in questo apparato « veramente spira democrazia », e nulla ha d’ imponente, in ispecie « perchè i membri componenti il Senato e le magistrature sono persone d’ ogni ceto, e pochi nobili ». Tuttavia riconosce che « il Governo prende un poco più di sistema, si civilizza ; la giustizia viene amministrata mediocremente bene», non spadroneggiano più i così detti patrioti, « anzi vengono un poco tenuti in freno »; nonostante diffida ancora, vedendo gli uffici occupati « da persone aderenti al sistema democratico », e pochi i nobili e gli aristocratici innalzati al pubblico reggimento, piuttosto per « palliatura » e senza esser posti in luogo da figurare. Come si vede, le caste sociali con le loro distinzioni e competenze ab origine esercitavano tanto potere nell’ animo suo, che gli sembrava delitto il solo pensare a mutamenti; i nobili per diritto comandavano, i plebei per dovere erano tenuti ad obbedire; applicazione rigorosa del principio assoluto d’ autorità e del diritto divino. Nel triennio che corse dal 1802 al 1805, alla riunione cioè della Liguria all’impero francese, registra gli avvenimenti con calma studiata, nè ha parola men che conveniente per Napoleone ospite di Genova. Solamente due volte esce dal suo riserbo : la prima quando vede accordare dal morente Senato, a titolo d’indennità per danni politici patiti, egregie somme a parecchi cittadini, fra’ quali nota il Roggeri e il Marchelli, insigniti di pubblici uffici nel periodo rivoluzionario, elargizioni eh’ ei chiama « un vero furto alla pubblica cassa »; l’ altra nella promulgazione del decreto che obbligava i not.iri a scrivere gli atti in francese, « cosa che inorridisce il pretendere 1’abolizione della lingua nazionale». Ma la patria oggimai asservita allo straniero, la vana speranza d’ un ritorno ai vagheggiati ideali del passato, la gloria e gli splendori del nuovo monarca, che pur recava 70 GIORNALE LIGUSTICO la tabe della sua origine, fecero cadere la penna di mano al cronista, il quale, ricordato, il 15 Dicembre 1805 , uno dei troppo frequenti Te Deum cantati' per le vittorie napoleoniche, avverte : « Per non rammaricarmi e stomacarmi sospendo di qui rapportare gli altri successi ». E mantiene il suo proposito fino alla caduta del gran colosso, ben augurando allora delle truppe alleate che « vengono in Italia per liberarla » dai francesi « e rimetterla in libertà e governo primiero ». Onde vede con piacere instaurarsi, per opera del Bentinck « un governo repubblicano secondo le antiche leggi di Genova », quantunque fosse poi in effetto « assai diverso da quello si osservava prima del cambiamento della Serenissima Repubblica ». Un’ acerba ferita fu al suo cuore la cessione della Liguria al Piemonte, come quella che rompeva brutalmente ogni via all’ agognata restaurazione ; cessione « comprata » dal re di Sardegna « a caro prezzo per mezzo delli ministri Castle-reagh inglese e Metternich austriaco, calpestando le leggi divine ed umane » , allorquando il popolo genovese, assicurato da Bentinck, « si faceva più che sicuro di riprendere la sua natia libertà»; mentre «ad un tratto la perde e viene posto sotto il dominio di una nazione sempre odiosa ai genovesi, e che in ogni secolo ha visato sopra questo territorio ». Era dunque deciso. L’ autonomia del Genovesato veniva in questo punto a cessare, ed era tolta ogni più lontana speranza che potesse tornare a rivivere Γ antica e deplorata repubblica. I politici raccolti a Vienna stimarono questo ottimo espediente a dare assetto, secondo i loro fini, all’ ordinamento di una parte d’ Italia, e inconsciamente gettavano le basi dell’ unità ; poiché appunto il nuovo Stato ingrandito doveva esser leva potente ai futuri destini della patria, primo laceratore di quel patto, in virtù del quale gli era stata cresciuta potenza. GIORNALE LIGUSTICO 71 Il buon notaio dovette acconciarsi ai nuovi padroni, pur soddisfatto di poter vivere almeno tranquillo sotto un governo regolare e più fermo. Ma innanzi eh’ ei chiudesse i suoi giorni dovette esser fatto spettatore per due volte ancora di politiche turbolenze promosse « dalli cosi detti liberali» unitamente ad «altri malintenzionati», che costituivano il partito costituzionale, « persone senza senno e senza riflessione». E se ebbe agio di riferire particolarmente i noti casi del 1821, non gli bastò la vita per tener nota delle rivolture un decennio più tardi, chè morì appunto nel 1831. A. N. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA E. Musatti. — Storia di un lembo di terra, ossia Vene^ia ed i Veneziani. — Padova, tip. del Seminario, i8b8; 6 voli, in 8.° gr. — pp. 302; 292; 301; 336; 354; 175. Passarono già alcuni mesi, dacché Γ istancabile cav. Musatti, tra gli studi vari e frequenti onde va illustrando 1 uno 0 1’ altro punto dell’ amplissima storia veneziana, ha messa in luce, con modificati criteri, una novella edizione del ponderoso volume per la prima volta pubblicato un paio d’anni or sono. Mercè cure indefesse e lena superiore ad ogni aspettazione, nel più breve corso di tempo fu ideata e divenne atto quella ristampa per la quale 1’ opera riappare indubbiamente ampliata e ricostruita in gran parte. — Orbene, intorno a codesto lavoro unico del genere nel più prossimo movimento storico riguardante Venezia (i), in cui è pur (1) Sebbene non privo qua e là di nuove ed utili notizie, non è paragonabile nè per le proporzioni, nè per il metodo, nè per lo scopo, il Piccolo Florilegio di Storia Veneziana (Venezia, Cordella, 1887) offerto dal prof. L. Perosa ai meno dotti e specialmente al popolo, per divulgazione dei fatti principali e meglio fecondi di ammaestramenti. 72 GIORNALE LIGUSTICO tenuto molto conto degli ultimi risultati , poco o nulla ancora si è scritto e fu lasciato libero il campo a quei sommari giudizi che corrono sulle bocche del terzo e del quarto c non concludono sul reale valore di un libro. Proviamo adunque noi di proporre a qual patto ci sembri debba la critica considerare una tanta fatica. Quando Giuseppe De Leva, maestro insigne e venerato, in luttuosa occasione, ahimè non lontana, ebbe a toccare dell’opera di Samuele Romanin, pur encomiandola, diceva, con giudizio altrettanto severo quanto degno di nota, che se il benemerito storiografo molto fece, avrebbe potuto assai più, ove troppo non avesse abbracciato, cioè la storia intera dalle origini fino alla estrema caduta (i). Senonchè il Romanin, malgrado il molto ingegno, il grande amore e la bella preparazione, apparteneva, ancor abbastanza, a quella prima eletta falange che spinta da carità patria, pose a cimento pazienza e volere, lottò contro difficoltà infinite e soltanto con sacrifici riuscì.a rettificare alcuni tra i vecchi errori, a demolire certe favole spacciate da stranieri, a chiarire talora fatti e notizie su cui pesava 1’ oblio od il silenzio di chi avrebbe dovuto parlare se i tempi fossero stati quali noi posteri li vorremmo, non quali furono, tempi, in cui, per esempio, la ragion di Stato quantunque non vincolasse le penne a mentire, le ratteneva a tacere. Mutate le condizioni stesse degli studi, fu il campo veneto fregiato dall' attività di Rinaldo Fulin, dottissima, indefessa, fertile di efficaci conseguenze. Quegli, sopra ogni altro, ispirò e diffuse i’ardore per la ricerca, indicò la strada per esercitarla , mostrò che eziandio fra noi il novello lavoro doveva essere di rinnovazione e la fiaccola della critica andava (i) Della vita e delle opere del prof. Ab. R. Fulin; Venezia, Anto-nelli, 1886 . pag. 9. GIORNALE LIGUSTICO 73 nutrita col valido alimento dei documenti per giungere alla conquista della verità, nel rifare passo passo le fasi della nostra storia. Ma anche dopo tutto ciò, diremo oggimai giunto il tempo, nel quale le vicende della forte e sapiente Repubblica possano essere nel loro ordinato complesso largamente narrate ? Converrà rispondere di no, se il De Leva, massimo apprezzatoli del Fulin e dei suoi continuatori, che alla storia di Venezia dette pure contributi di grande rilievo, nella stessa maniera con la quale si palesava contrario agli intendimenti del Romanin, aggiungeva che quanto non era stato possibile allora, non sarebbe nemmeno per lunga serie di anni avvenire. E perchè ? Per due principali ragioni, Γ una del metodo nuovo che fa crescere smisuratamente il materiale storico, esigendosi per esso che sia compiuta Γ indagine dei fatti, e questi non si studiano più come per lo innanzi disgiunti fra loro, nn in tutto lo spatio ed il tempo in cui si produssero; V altra della grave responsabilità che oggi è fatta agli scrittori dall3 essere la storia, che Cicerone chiamava maestra della vita, divenuta veramente fonte di vita per ogni scienza morale (i). Non vi è dubbio, la storia vuol essere scritta quando sia già fatta, non mentre si va facendo, epperò le idee dell’ illustre uomo, alle quali ci riportammo, sono generalmente sentite e riconosciute. Invero se c’ è storia che ancora voglia essere molto elaborata, è quella di Venezia. Quante leggende da sfatare, quante incertezze che aspettano di essere risolte! Le carte pubbliche e private non sono rese di comune ragione in così gran numero, da licenziare gli studiosi a pronunciarsi sui più contrastati momenti sia delle continuate gioie che del finale dolore, nè Γ intimo esame della vita politica che prepara i fatti e determina cause ed effetti (ciò che più monta) (i) Op. cit., pag. cit. 74 GIORNALE LIGUSTICO fu tale che il narratore non solo possa sicuramante esporre, ma anche sicuramente giudicare. A quanto abbiamo discorso fin qua è adunque corollario che si dovrà ritenere come anticipato altresì il lavoro del Musatti, il che non equivale tuttavia a chiamarlo inutile o peggio, tanto meno poi se il non aver colto nel segno non gli esclude, per molti rispetti, il diritto alla maggiore considerazione. Il nostro autore impiegò invano la sua attività solamente, perchè, lungi dal conseguire quello che si era prefisso, bisogna si appaghi della gratitudine di cui sono degne le lodevoli intenzioni. Il Musatti, pregiato scrittore di speciali monografie, è anzi tra i più competenti per raccogliere ed esporre anche gli studi di altri, per mettere in comune i frutti del molteplice lavoro sparso in libri e periodici: ma perchè non si accorse della inopportunità di scegliere tutto il vasto territorio, in cui se abbondano i risultati, le infinite lacune rendono prematura la sintesi ? Nel sempre crescente rigoglio dell’ analisi è cosa necessaria e piuttosto importante tratto tratto, divulgare, fondere, vagliare quanto arrecano le indagini altrui, quanto si ricava dalla autorità delle testimonianze che vengono in luce, riassumere i fatti secondo la versione meglio accertata e rintracciarne le più vere ragioni. Ma per tutto questo conviene fissare dei limiti e procedere magari con saggi saltuari, pur di avvertire gli errori e distogliere il pubblico largo dalle calunnie che sì facilmente in esso si fanno strada e sì difficilmente si sradicano. Di quale vantaggio non sarebbe un libro a linee generali, che sfiorasse i punti dubbi, accennando forse alla varietà di opinioni, ed intanto presentasse in assieme tutto ciò che è positivo e solidamente fondato ! Se non altro, il capitolo che spetta all’eccidio di Venezia meriterebbe ormai una coscienziosa trattazione che facesse dimenticare le opere del Mutinelli, del Dandolo e molte di GIORNALE LIGUSTICO 75 oltralpe, laddove anche in pubblicazioni modernissime, le quali vanno per la maggiore, o si affastellano comunque capitino e senza discernimento notizie e giudizi, ovvero su ben strane teorie si basano argomentazioni critiche parimenti strane. E per sentenziare sulla morte, l’unica via è consultare profondamente la vita anteriore in tutti i suoi istanti! Ma il Musatti al proposito precipuamente informativo del-l’opera, ci pare abbia mancato per altra ragione. Egli, ricercatore indefesso, lo è anche stavolta, onde ti aggiunge spogli di nuovi archivi, che spesso poi hanno appena il risultato pratico di far conoscere nuove fonti. L’ attingere qua e là a cotesti documenti non mai adoperati, toglie al modo con cui il lavoro è redatto. Nel gran tempo speso a quello scopo, gli possono essere sfuggite alcune pubblicazioni, come 1’ ansia palese di radunare il più copioso materiale , s’impone alla riposata cura dell’ordinare e del condensare, in una parola alla maggior esattezza possibile. Le note, le citazioni, le avvertenze innumerevoli, gli innesti frequenti intralciano la lettura e non costituiscono la vera forma popolare, alla quale, certamente , non è compenso quella preoccupazione che il Musatti dimostra nel fermarsi a spiegare le più elementari nozioni della più elementare e generalissima cultura. Prescindendo invece dalla questione generale dell’ indirizzo dell’ opera, i difetti si attenuano di assai ed emergono indiscutibili pregi. Il Musatti ha saputo mettere insieme da solo ciò che molti avrebbero probabilmente stentato : quindi non senza frutto lo studioso può ricorrere a quella ricca messe di materiale. Faccia fede della affermazione, la varietà delle cose contenute, giacché oltre gli avvenimenti storici fino ai tempi moderni (voi. i a 4), non manca nel IV voi. il repertorio dei Dogi, e nel V, dopo buoni indici per materia e per nome, troviamo notizie sulla nobiltà, sul popolo, sulle lettere, scienze ed arti, sui viaggi, su feste e spettacoli, 76 GIORNALE LIGUSTICO leggi, economie; nel VI stanno dichiarati, i diversi uffici dello Stato e vi fa appendice uno scritto sul Doge, dove è riassunto l’encomiato studio dello stesso autore, che porta a titolo « Storia della Promissione Ducale » (Padova, tip. del Sem. ’88). In conclusione il lavoro aggiunge onore all’indefesso storiografo, sebbene per ragioni interne ed esterne non risponda ad un intento, che come è nobile e bello, così ad essere raggiunto domanda od altre misure od altro metodo o tempi più maturi, rimanendo forse anche allora troppo superiore alla operosità, per quanto energica, di un solo. Ottobre, 1889. C. Magno. SPIGOLATURE E NOTIZIE Nella proprietà Porro, nel piano di Nervia (Ventimiglia), vennero ritrovate le seguenti due epigrafi sepolcrali incise sul marmo. Nella prima di m. 0,30 x 0,22 leggesi : » i’Ds'Mx’Ss' FORTVNATE L · MVMMIVS MA XIMVS COIVGI BENE · MERENTI FECIT La,seconda di m. o, 10 x 0, 22 reca: IVLIA · 3 · L IANVARIA V · ΑΝ · XXIII (Notizie degli Scavi, Aprile 1889). * * * A proposito della patria di Colombo, e delle ridicole pretese di Calvi in Corsica, Henry Harrisse ha pubbicato una notevole lettera diretta all’abate Casabianca, l’autore del libro di cui si è parlato nel fascicolo antecedente (XI-XII, pag. 470). È riprodotta nella Revue historique, t. XLII, pag. 182, e a parte con alcune giunte. GIORNALE LIGUSTICO 77 * * Nella Illustrazione Italiana (1889, n. 49) Giuseppe Fumagalli pubblica un diligente articolo intitolato : Pel centenario di Cristoforo Colombo , nel quale accenna i più recenti studi sul grande navigatore , toccando specialmente de’ punti controversi della sua vita. * + * A Firenze presso il libraio Dotti si trovava testé in vendita un Portolano membranaceo sottoscritto: Ioannis (sic) Oliva Fecit in Nobili urie Messanae. Si compone di 13 grandi fogli contenenti un Mappamondo con le 4 parti del Mondo, undici carte con in dettaglio le coste; l’America è minutamente delineata occupando essa sola 4 carte. Nella 13 si trova in alto miniata la B. Vergine con in braccio il S. Bambino, assisa su di una nuvola, e a fianco i SS. Giovanni e Paolo. In basso, pure miniato, uno Stemma inquartato con quello della Città di Genova sormontato dalla corona Ducale. La famiglia Oliva messinese, oriunda forse dalla Liguria, ebbe parecchi cartografi. Il più fecondo fu appunto Giovanni (Cfr. Amat di S. Filippo, Studi biografi e bibliografi sulla storia della geografia in Italia, Roma, Tip. Romana, 1882, vol. II). * * * Antonino Bertolotti, oltre ad una lettera di Frà Benigno da Genova, Generale de’ Minori Osservanti, al Duca di Mantova, ne pubblica un’altra di esso Duca alla Repubblica di Genova (Miscellanea Francescana, IV, 113), che reputiamo utile riferire, con la nota illustrativa che la segue: « Ser. Doge et Ecc. Signore La particolare confidenza c’ho nell’humanità di V. A. e delle Ecc.' VV. mi muoue a pregarle con ogni spirito di rimettere nella buona gratia loro il Signor Giacomo Durazzo, dalla quale, uenendogli benignamente condonato il tempo che le soprauanza del bando, resti abilitato a poterlo spendere con sua maggior soddisfatione nel seruizio dell’A. V. e delle V. Ecc. e nel godimento di cotesta sua Patria e del loro felice Dominio. E perchè con più efficace espressione le uenga rappresentato che il fauore sarà da me stimato in grado corrispondente alle molta premura che ne tengo, ho particolarmente incaricato il Padre Francesco da Man-toua capucino di portarsi a significarla con la uiua uoce a V. A. ed alle Ecc. V., onde a lui rimettendomi intorno a questo proposito le assicuro che degli effetti della loro humanità, quali in riguardo dell’ intercessione mia si compiaceranno di compartire al Signor Giacomo, io ne restarò 78 GIORNALE LIGUSTICO molto obbligato a V. A. ed alle Ecc. V. come procurarò di dargliene ogni maggior segno nell’occasione di sentirle; delle quali perciò uiua-mente pregandole, bacio loro con affetto la mani. Di Mantoua li 20 settembre 1651. Al seruiggio di V. A. e dell’Ecc. V. 11 Duca di Mantoua Al Serenissimo Doge ed Ecc. Signori Gouernatori della Repubblica di Genoua ». « Giacomo Durazzo nobile genovese era stato relegato in Spagna per sospetto che avesse dato avviso a Gio. Paolo Balbi che la Repubblica faceva pratiche di farlo carcerare dal Governatore di Milano, pel quale avviso sarebbe fuggito dalle mani della giustizia. Il Duca provò Γ innocenza sua , tuttavia sul sospetto fu rilegato a Madrid , d' onde invocò la protezione del Duca di Mantova Carlo li. Questi, come abbiamo veduto, spedi il padre Cappuccino mantovano per intercedere meglio la grazia al Durazzo. Il Cappuccino si diportò assai bene , come il Duca ebbe a manifestargli la sua soddisfazione; quantunque la grazia per allora non si potesse avere, perchè la Repubblica Genovese dimostrò che non si poteva accordarla prima che non tosse trascorso metà del tempo della pena ». • • · Nel Bollettino della Società Geografica Italiana (dicembre 18S9, p. 1036), rendendosi conto della missione eseguita in Ispagna dal Dott. Cesare De Lollis, per incarico della R. Commissione Colombiana, si annuncia : « Tra i documenti raccolti dal De Lollis, uno ve ne ha che merita in special modo di esser segnalato fin d' ora, e perchè tuttavia inedito e perchè da esso emana nuova luce sulla vita intima del Colombo. Inten-tendiamo parlare delle istruzioni che il grande Navigatore lasciò a suo figlio Diego, prima di partire per la terza spedizione al Nuovo Mondo. Si trova nel voi. 54 della grande collezione del Vargas Ponce, conservata nella R. Biblioteca della R. Academia de Historia a Madrid. » Da esso, in modo ancora più esplicito che dalle parecchie lettere autografe conservateci nell’Archivio Veragua, appare a quali principi il Colombo desiderasse vedere informata la educazione del suo primogenito. Nei suoi consigli egli contempla le relazioni di suo figlio colla propria famiglia, coi Sovrani e colla società in genere. Con parole di profonda tenerezza gli raccomanda Beatrice Enriquez, madre di Fernando, ordinandogli di pagarle una pensione annua di 10,000 maravedis: e lo esorta inoltre ad avere in ispeciale considerazione suo fratello Diego e sua 79 cognata Violante Muni/.. Verso il Re e la Regina gli raccomanda obbedienza c devozione, nonché moderazione nel sollecitare. In nome di Dio gli ordina di esser buono e caritatevole col prossimo, e di trattar tutti egualmente bene, dal più forte al più debole. Più determinatamente anzi gli ingiunge di distribuire ai poveri bisognosi e sofferenti il decimo del denaro di cui egli potesse disporre, qualunque fosse la provenienza di quello. Aggiunge infine dei consigli circa il modo di condurre la propria azienda: c a tal ptoposito gli ordina di redigere mese per mese un registro di tutte le spese e di attenersi in tutto e per tutto ai saggi consigli del suo prediletto amico, il frate Gaspare Gorricio. » li documento in questione, che disgraziatamente ci è conservato in una copia pochissimo accurau, vedrà la luce integralmente nel Corpus che questa R. Commissione si propone di pubblicare. Abbiamo creduto intanto opportuno di farne qui un breve cenno anticipatamente ». • * Dal Giornale itili Libreria, la Cultura (t-15 ottobre 1889, pag. 614) riferisce la seguente notitia di una edizione, sconosciuta prima d’ ora , della lettera di Colombo a Louis de Santangel. e È noto che non vi sono forse fra i libri antichi libri più ricercati e pagati a più caro prezzo degli antichi libri sull’ America ; e fra questi sono veramente rarissime le antiche edizioni delle lettere con le quali Cristoloro Colombo dava notizie delle isole da lui scoperte nel primo viaggio. Il testo più conosciuto 4 la versione latina, latta da Alessandro Cosco, della lettera indirizzata a Raffaele Sanchez, tesoriere della Corona, della quale si hanno fin qui sette edizioni latine, fatte tutte probabilmente nello stesso anno M95, unta era la curiosità destata in ogni paese di Europa dal racconto di quei memorabili avvenimenti. Assai più rara però è l'altra lettera a Louis de Santangel, escribano de racwn, con la data del 15 febbraio 149}, e un poscritto del 14 marzo, di cui non si ha che l'originale spagnuolo. Per molto tempo non si è conosciuto di questa lettera che una sola edizione, che si conserva nell’Ambrosiana di Milano fra i libri lasciati nel «8μ da Pietro Custodi: é un opuscoletto in-4 piccolo, di quattro sole carte, in carattere semi-gotico, con la data 1493, e senz’ altra nota, ma stampato certamente in Spagna a Barcellona, o in Portogallo a Lisbona, e di cui il marchese Girolamo d’ Adda pubblicò, nel 1866, un’edizione in facsimile. Adesso in Spagna si è scoperto un prezioso esemplare di un' altra edizione della stessa lettera, che è un piccolo in-(olio, in caratteri gotici, di due soli foglietti, senza nessuna nota, 47 righe per pagina, meno la quarta che ne ha soltanto 16. Il So GIORNALE LIGUSTICO Maisonneuve di Parigi, che possiede questo cimelio, lo ha messo m vendita in un catalogo testé pubblicato (Catalogue de quelques ouvrages rates et precieux sus l’Amérique, 1869, nos. 153), notandolo al prezzo incredibile di 65,000 franchi! Questo è il prezzo più alto che finora sia stato chiesto per un libro stampato; e meritava di essere ricordato in un Giornale della libreria. Di questa plaquette, il Maisonneuve innanzi di porla in vendita , ha fatto fare dalla eliotopia Dujardin un’ accurata riproduzione in facsimile, tirata su carta d’Olanda , a soli cento esemplari numerati, che l’editore pose in commercio al prezzo di 50 franchi ». BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Parrocchie dell’ archidiocesi di Genova, Notizie storico-ecclesiastiche per 1 fratelli sacerdoti Angelo e Marcello Remondini; Genova, Tip. delle Letture Cattoliche, 1888-89. Tre altri volumi sono usciti di quest’opera benemerita, dopo quelli già annunziati da noi (1); ed illustrano le regioni quinta, sesta e settima, cioè: rada di Chiavari, seno di Mone glia e valli contermini, valle di Vaia coi vicariati di Carro, Maissana e Varese. Copia di importanti documenti, abbondanza e diligenza di notizie dappertutto, ancorché queste non si possano dir sempre attinte a fonti egualmente sicure; ma gli autori (anzi 1’ autore, da che, mancato ai vivi 1’ ottimo D. Marcello, uno solo è rimasto a continuare il lavoro) hanno buona scusa nella lunga via che li sospinge. Un po’ di critica più severa potranno adunque esercitare qua e colà gli studiosi di un punto determinato; ma i lettori, scambio di lesinare la lode, vorranno far plauso a chi, non sorretto che dalle proprie forze, e coi soli propri mezzi pecuniari, sa arrecare un così ampio contributo alla storia ecclesiastica e civile della Liguria. A pp. 84 della Regione settima, vediamo opportunamente sostenuta la denominazione di Lago contro la moderna innovazione di V Ago. A buon conto i vecchi documenti non iscrivono mai che de Lacu ; e Lago è nome tipico di più località, distinte da un aggettivo particolare, come Lacus marcinus, Lacus draconarius, ecc. (1) Cf. Giorn. Lig. a. 1888, pp. 478. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 8l NUOVI DOCUMENTI INTORNO ALLA DOMINAZIONE DEL Duca d’ OrLÉANS IN SavONA (1394-7)· La vita politica di Luigi di Orléans, che si svolse tra gli anni r372 ^ scritta in questi ultimi mesi dalla penna di uno scrittore erudito e geniale, E. Jarry; mentre, valendosi di molti documenti raccolti nei nostri archivi, A. de Cir-court, nella Revus des questions /oistoviqties, narrava con tutta diligenza ed esattezza le imprese in Italia di quel principe; delle quali la più memorabile certo è quella contro Savona e Genova (1). Però alcune carte degli archivi di Savona, già note al Cii court e poste dall autore con altre in appendice al suo libro, non furono usufruite: altre, trovate in diversi archivi italiani, ed unite allo studio del Jarry, possono offerire a noi ben maggiori particolari che non hanno dato allo scrittore di un libro di indole generale. Un giornale di storia ligure può ben raccogliere dunque in breve queste più minute notizie di storia Savonese, ed illustrare così in qualche modo alcune carte relative ad Enguerran de Coucy che, sfuggite finora alle ricerche degli studiosi, si conservano negli archivi del Comune. Al duca d’ Orléans, che già pensava alle cose d’Italia, l’impresa di Genova fu suggerita, nella metà dell’ anno 1393, dall’ invito di nobili genovesi, che per le discordie dalle quali (1) E. Jarry, La vie politique de Louis de France duc d’Orléans. Paris. 1889. Albert de Circourt, Le duc Louis d’Orléans frère de Charles VI extrait de la Revue des questions historiques, 1889. GIORN. ligustico. Anno XVII. £ 82 GIORNALE L1GUSTIGO era travagliata la loro città, furono spinti a ricorrere alla Francia. Questa del resto prendeva già gran parte alle cose della penisola per causa dello scisma d’ occidente. L Orleans accettò l’invito. Genova sarebbe stata la base delle sue operazioni in Italia; Savona, facile conquista certo perchè divisa anch’ essa da fazioni, ed insofferente del dominio genovese, avrebbe facilitato le comunicazioni di Asti, dominio dell Orléans, col mare. E tosto, per mezzo del suo governatore in Asti, entra in relazione con Antoniotto Adorno pei stabilire le modalità dell’ impresa (i). I preparativi sono presto fatti; sebbene debbano essere tali da rendere inutile i soccorsi di Gian Galeazzo: non pochi nobili di Genova, 1’ Adorno e Carlo del Carretto marchese di Savona, tosto si uniscono a lui: quest’ultimo anzi gli fa omaggio dei suoi dominii della riviera ligure; quegli accetta di essere a capo delle milizie del duca contro Savona. (2) L’impresa però sarà diretta da Enguerran de Coucy, il quale, con lettere dell’otto luglio 1394, riceve pieni poteri diplomatici e amministrativi di luogotenente e procuratore generale del duca, per trattare con tutti gli ufficiali, ecclesiastici e laici della repubblica di Genova e della città di Savona e Albenga, assumere a nome del duca il governo di tali luoghi, riceverne giuramento di fedeltà (3). Solo Enguerran de Coucy poteva dirigere con senno l’impresa d’Italia: «eguale ai principi per nascita, più illustre dei grandi ufficiali della corona per il rifiuto fatto della spada di connestabile ; perfetto cavaliere, esempio di lealtà, conoscitore profondo del carattere degli (1) Circourt, II, pag. 27-34. (2) Id., II, pag. 45· JaRRY, pag- 142. (3) Circourt, doc. Ili, pag. 137. Jarry, doc. XX, pag. 438. Questi però ne pubblica una copia più tarda ed incompleta. GIORNALE LIGUSTICO 83 italiani », (1) egli doveva trovare in Italia facili vittorie. Da Avignone pel Monginevra, Susa e Torino viene in Asti il 20 settembre 1394. Dà così nuovo impulso all’assedio di Savona condotto debolmente da Antoniotto Adorno. Il marchese di Monferrato non rifiuta all’ Orléans la sua alleanza (2) : ^Firenze, con un linguaggio degno di considerazione, si dichiara neutiale, ma gode in cuor suo di ogni vittoria nuova delle armi Francesi: certa sit supereminentia vestra, quod nostra devotio mchil posset audire gratius, nichilque videre iucundius quam exaltationem regii sanguinis et amplificationem gloriosissimi regni vestri..... Propter quod certissima potest esse vestri culminis altitudo quod humilitas nostra nunquam contra vestros vestro-rumque conatus qui ad hec que premisimus ordinentur, etiamsi detur facilitas, obviaret. Nec sit dies qua videri possit quod nostra devotio contra sacratissima lilia et Francorum potentiam se opponat, nec erit profecto, sicut speramus; nec nos posset utilitas aliqua ab huius intentionis proposito removere, persuadereque nobis quod contra gloriosissima vestra signa, que post Deum veneramur in terris, et a quibus confirmationem libertatis et statum omnem ei habuimus hactenus et habebimus per Dei gratiam in futurum quicquid ingruat veniamus (3). L’impresa in breve è condotta alla fine; chè il 12 novembre già cominciano i preliminari della resa. Deputati speciali sono nominati dal duca a trattare coi messi di Savona: essi potranno assicurare la città che le saranno conservati i suoi diritti, le sue immunità, i suoi privilegi e le sue speciali giurisdizioni, che avrà nuoye concessioni e prerogative, che il duca ne assumerà la tutela contro qualunque principe o signore: faranno, se si conchiuderà, il trattato, lo strumento della resa e ne giureranno la (1) Circourt, III, pag. 5. (2) Jarry, pag. 145, 147-8. (3) Jarry, do c. XIX, pag. 436-7. 84 GIORNALE LIGUSTICO scrupolosa osservanza a nome del duca (i). Così la capitolazione che avviene il 27 novembre, non porta patti ignominiosi pel vinto; e la lunga convenzione stipulata col duca, che determina le modalità del nuovo dominio, resta a dirci quale nobile fierezza conservasse Savona anche nel momento della sconfitta. La città infatti, accettando il protettorato dell’Orlèans, dichiara di voler conservare la sua indipendenza all’ interno^ e la libertà di azione all’ esterno : Ciuitas Saone· cum partibus maritima et modulo ac cum castris et fortaliciis in dicta civitate et posse constitutis cum toto eius posse ac nemoribus, stratis, silvis et cum omnibus hiis pertinentiis spectet, perhneat et spectare et pertinere debeat, et pleno ture remaneat franca, libera et absoluta communi et hominibus Saone cum omni iurisdictione et cum mero et mixto imperio ei cum omni preheminentia et superioritale et cum omnibus redditibus, introitibus, fructibus, gabellis et maxime gabella salis,.... et emolumentis quibuscunque cuiuscunque generis speciei et nominis sint, ac pedagiis. fta quod de ipsis omnibus et singulis dictum Commune et homines Saone possint facere et disponere pro eorum libito voluntatis, omni impedimento et omni contradictione cuiuscunque cessantibus et reiectis, ac etiam cum omnibus et singulis iuribus, privilegiis competentibus et competituris dicte civitati et comuni Saone, et maxime hiis iuribus dicte civitati competentibus et que alias competierunt, et presertim quod possint capitula, leges municipales sive statuta condere, tollere et cassare predicti communis Saone libito voluntatis, que omnia spectent et remaneant integra ipsi communitati Saone intacta protinus et illesa, non obstantibus aliquibus... ac etiam officia et officiales omnes et singuli dicte civitatis et posse, tam antiani quam alii cuiuscunque nominis et speciei sint et esse debeant ac remanere, et cum potestate constituendi et faciendi omnes et singulos (1) Cfr. in fine doc. η. I. t GIORNALE LIGUSTICO 85 officiales in dicta civitate et posse Saone cum potestatibus et baijliis suis prout fuit hactenus consuetum, et prout dicto comuni Saone videbitur et placuerit (1). Di tanta libertà concessa alla vinta rivale si duole altamente Genova, che per bocca di Antoniotto Adorno, restituito fin dall’agosto al dogato, e già lieta dei progressi delle armi sue vittoriose (2), invita ora il governatore di Asti a togliere a Savona ogni libertà di azione: Bonum est, scrive, quod ordinetur quod illi de Saona non faciant amplius novitates vicinis suis subdictis comunis Ianue (3). E questo scrive mentre una galera sua, violando i patti stipulati dal duca con Savona, fa rapina a danno della città vinta. Ma la risposta del governatore non è quale la vorrebbero i desideri dell’Adorno: essa anzi suona amaro rimprovero alla condotta del doge: Scientes quod a gentibus prefacti dicti domini mei ducis existentibus in Saona fuit michi significatum quod quedam galea vestra,postquam dicta civitas cum suis castris et districtibus ad manum domini mei pervenit, multa dampna intulit et per eam gentes vestre comitunt cotidie inferre subditis prefati domini mei ducis Aurelianensis, quod non credo provenire de vestra voluntate.... rogo vos quatenus taliter dictam galeam vestram ordinare velitis quod aliqua dampna seu impedimenta dictis subditis domini mei aliqualiter non inferant, aliter necessario opporteret me providere de remedio oportuno (4). E quasi a conferma di tale ordine, lo stesso Enguerran de Coucy, il 27 di novembre, prescriveva a tutti di rispettare (1) Circourt, III. doc., pag. 88. È qui pubblicata tutta la covenzione, che si trova pure negli archivi di Savona nel secondo dei Registri a catena. Tale convenzione si trova già riassunta nell’ opera di T. Tor-teroli, Storia del comune di Savona, Savona, 1849, a pag. 234-6. (2) Circourt, doc. pag. 159. (3) Id. doc. pag. 140. (4) Id. doc. pag. 141. 86 GIORNALE LIGUSTICO nel nuovo dominio del duca di Orléans la libertà personale e le sostanze e il commercio, tale essendo la volontà del suo signore (i). Il 30 novembre 1394 la capitolazione era ratificata dal luogotenente del duca e dai messi di Savona. Restava ad Enguerran Γ impresa di Genova, più difficile certo e più lunga di quella di Savona. Ma fatte alleanze e preparativi proporzionati alle difficoltà della cosa, egli potè tosto prendere Pareto e bloccare nel dicembre la città di Genova (2). Invano Antoniotto Adorno cercò un accomodamento: molti volevano in città la sua caduta, e più la desideravano i suoi avversari che si erano uniti all’ Orléans, gli antichi dogi Antonio di Mòntaldo e Antonio di Guarco. L’ azione di questi due anzi pareva che avesse a sostituirsi a quella del duca: essi aveb-bero condotto Genova al duca. L’ antico suo protettore Gian Galeazzo Visconti Γ aveva esso pure abbandonato, ora che il pericolo era maggiore. Solo due valenti condottieri gli restavano, Romanzotto della Niella e Facino Cane, passato a lui quest’ ultimo, dopo aver lasciati gli stipendi del fratello di Carlo VI. L’ esito non poteva dunque essere dubbio per Enguerran de Coucy, ed egli già a buon punto aveva condotta l’impresa di Genova, quando il 15 marzo del 1395 gli fu dato annunzio che il duca d’ Orléans aveva abbandonato al re suo fratello le sue conquiste d’Italia, e che due altri avrebbero presa con lui la direzione dell’ esercito francesce sotto le mura di Genova, Pietro Fresnel vescovo di Meaux e Giovanni le Sénéchal. Fu grande la meraviglia di molti alla notizia; nè si compresero bene mai le ragioni che potevano avere indotto 1 Orléans al gran passo. Ma Savona aveva con occhio vigile (1) V. doc. η. II in appendice. (2) Circourt, III, pag. 27-32. Le notizie che seguono sono ricavate da questo pregevole lavoro, quando non è data indicazione di altre fonti. GIORNALE LIGUSTICO 8? seguito ogni atto del re e del duca, e conosciuto il pericolo di vedere rotta la convenzione del 1394 aveva pregato Γ Orléans di non abbandonarla al dominio della sua rivale (1). E fu felice il risultato di tali pratiche; chè quando a Savona giunsero i messi del re ed un nuovo capitano, Guglielmo di Meullon, si sostituì all’antico nella direzione delle milizie, si seppe che Savona doveva mantenere verso il re quella stessa relazione che aveva mantenuta verso il duca. Ma ciò non piacque a Genova: miglior occasione di questa per ridurre la sua rivale nell’ antica dipendenza non si sarebbe offerta forse più; e poiché le ostilità col re eran momentaneamente sospese, perchè si eran aperte trattative, Genova assediò tosto Savona colle schiere di Romanzotto della Niella e di Facino Cane; che devastarono largamente la terra nemica. Nè fu temerario l’atto di Genova; chè privi di denaro e circondati da mille difficoltà i due messi del re si ritiravano appunto allora dall’impresa, ed obligavano anche il Coucy a seguirli. Ma fu fatto appello alla generosità di Gian Galeazzo per avere sussidio à benefìcio di Savona, si radunarono gli amici e i vassalli di questa città : e bastò. Quando il Coucy si mosse, nel giugno, per soccorrerla, seppe che 1’ assedio già era stato tolto. La città restava dunque ancora all’obbedienza di Francia, tanto più che il luogotenente del duca d’ Orléans faceva subito una tregua con Genova, obligandola cosi a posare le armi (2). Manca forse agli archivi di Savona questo patto di pace, nel quale doveva essere parola della giurisdizione che Genova avrebbe voluto esercitare su Savona. Una carta però di questo tempo, scritta a nome dello stesso luogotenente del duca, ci permette di dire che in qualche modo si era contravvenuto (1) Jarry, pag. 16b. V. pure Torteroli, op. cit., pag. 242. (2) Circourt, III, pag. 57. 88 GIORNALE LIGUSTICO con tal patto alla convenzione generale stipulata nel 1594, e specialmente al capitolo del sale; e che i Savonesi reclamarono come era loro diritto ed ebbero quella risposta che giustizia voleva fosse loro fatta : restassero cioè immutate le disposizioni accettate dalle due parti nel patto del 1394 (1). L’Adorno dovette dunque occuparsi solo delle cose di Genova, e per provvedere a queste si vide costretto a convocare nel novembre il consiglio del comune. Si doveva mantenere la costituzione antica o accettare la protezione di un principe? E in quest’ultimo caso a chi la si doveva richiedere? All’imperatore o al re d’Inghilterra o al re di Francia? Questi fu il preferito (2). Egli lo seppe dai messi tosto mandati a lui, e a Genova notificò i suoi sentimenti con un’ambascieria che vi giungeva nel maggio del 1396. Si trattava ancora una volta della indipendenza di Savona; e la città vegliava. Ma fino a qual punto avrebbe essa potuto frenare la volontà del re, quando quegli avesse dimostrato di voler trascurare i trattati già stipulati dal duca ? Ora il re gradiva molto il dominio di Genova; ma la città avrebbe voluto dare a lui solo Γ autorità di doge, e mantenersi i suoi consigli: di più essa dichiarava che nulla avrebbe con-cesso se prima non fosse restaurata nel dominio di Savona. Grandi difficoltà si opponevano dunque alla conclusione del nuovo patto, perchè pareva che meno di ogni altra concessione si potesse fare a Genova quella del dominio di Savona. Si prese un provvedimento che non doveva piacere a nessuno: i soldati del duca d’ Orléans sgombrarono Savona. Ma non basto: si stipulo allora questo patto: che otto castelli, compresi quelli di Genova, passassero al re; ma dovessero (1) V. doc. η. III. in appendice. (2) Circourt, III, pag. 59. Jarry, pag. 175. GIORNALE LIGUSTICO 89 tornare al comune se entro quattro mesi il re non avesse ridotto Savona (1). Con questo però non era risoluta ogni difficoltà: qualche punto 0 restava nell’oscurità assoluta o non era abbastanza in luce, per volontà forse dello stesso Adorno, che cosi sperava forse di mutare le parti all’ultimo momento e di tenere per sè quell’ autorità che si voleva in Genova dare al re di Francia. Ma finalmente si fece un accordo definitivo. Il 4 novembre 1396 Francesco di Chaussenage e Arnoul Bouchez, messi del re, fecero nuovo strumento col-l’Adorno, e ne ebbero in consegna la sua città (2). I diritti di Savona non eran salvi: onde il duca d’ Orléans non ratificò il trattato. Ciò non tolse però che il conte di Saint Poi, governatore del re in Genova fin dal marzo del 1397, si presentasse nell’ aprile dello stesso anno sotto le mura di Savona per prenderne possesso a nome del re. Respinto due volte, accettò la mediazione del duca d’ Orléans. Sospese le ostilità, gli anziani di Savona accondiscesero di nominare (il 21 aprile) speciali ambasciatori che furono Giovanni Lapacio, Giuliano Foricherio, Giovanni Vegerio e Rafaele de Riario, col mandato di trattare col governo del re in Genova di ogni cosa relativa alla cessione di Savona, ed alla giurisdizione pretesa da Genova sulla loro città; con pieno potere di comporre, transigere, pacificare e far compromesso, secondo che paresse loro più conveniente alla salute ed alla dignità dei loro concittadini. (3) Ed i messi di Savona nel consiglio (1) Circourt, III, pag. 67. Jarry, pag. 177. (2) Circourt, III, pag. 73. Jarry, pag. 177-8. (3) Reg. a catena η. I. dell’ arch. comunale di Savona, c. xxxxim. È riportato lo strumento del 26 aprile 1327, che dà ai messi di Savona plenam largam liberam et generalem administrationem potestatem auctoritatem et bayliam ac posse et plenissimum mandatum. L’ opera di questi ambasciatori è ricordata brevemente dal Circourt, III, pag. 136, in una nota posta in appendice al suo studio. 90 GIORNALE LIGUSTICO degli anziani di Genova alla presenza del conte di Saint Poi (i), presentarono ed accettarono alla loro volta nuovi patti, il cui tenore ci è noto, e che completano o correggono le convenzioni del 1394. Savona promette per bocca loro di tornare in pace ed accordo col governo di Genova, nelle relazioni cioè in che era prima della guerra (2) ; di eleggere, prima del 4 maggio venturo, a podestà un cittadino di Genova, lasciandogli tutti i diritti inerenti alla sua carica; di ricevere da Genova un gabellotto per la gabella del sale, cui sarà consegnato il sale giacente nei depositi della città, affinchè egli amministri la detta gabella a nome di Genova, come avveniva prima della guerra cominciata nel '94 (3); di restituire e far restituire al comune (1) Ibid. c. xxxiii. Concordium factum inter comune Ianue et comune Saone tempore dominacionis regis francorum. (2) Ib. « promiserunt se reducere et se reduxerunt et reducunt dictum comune et universitates et homines dicte civitatis Saone et districtus ad illos statum condicionem et gradum et ad bonam pacem et concordiam et bonam gratiam amicitiam et benivolentiam dictorum illustris domini gubernatoris consilii antianorum et officiorum predictorum nomine et vice dicti comunis Ianue in■ quibus et in omnibus et per omnia prout et sicut erant ante presen-tem guerram et discordium supradictum. » (3) Ib. « promiserunt habere recipere et tenere gabelotum gabelle salis Saone pro comuni Ianue et per dictum comune transmitendum et eidem consignare salem presentialiter in dicta gabella et magasenis Saone et claves ipsius gabelle dictumque gabelotum et successive alios gabelotos et pro comuni Ianue irans-mitendum permitere vendere et gubernare ac tractare salem et dictam gabellam prout et sicut ante presentem guerram et discordium faciebant.... et servare decreta ita quod sint et esse debeant in onmibus et per omnia in eo statu et gradu quibus erant [ante] presentem guerram et discordium supradictum, hoc tamen aucto quod pro presenti sale tantum nunc existenti in Saona liceat et licitum sit dictis saonensibus seu comuni Saone tenere unam clavim magaseni vel magasenorum in quo vel quibus presentialiter est sal, et gabelotus comunis Ianue aliam, et precium sive precia que redigetur ex precio dicti salis GIORNALE LIGUSTICO 91 di Genova ed a qualunque privato cittadino ciò che fosse stato da quelli perduto durante la guerra, ed ora si trovasse in Savona o su navi Savonesi (1). Dall’ altra parte il governo di Genova accettando tali offerte, accondiscende a ricevere di nuovo nella sua amicizia e buona grazia la città di Savona; a restituirle il denaro 0 la merce che in Genova avesse avuta prima della guerra, 0 importata durante le ostilità, dichiarando di dimenticare, come dimenticano i messi di Savona, tutte le ingiurie, le offese ricevute nel tempo della discordia (2), sotto pena di 10 mila fiorini d’oro a chi contraverrà a tali patti. Risoluta così la maggiore contesa e riconciliate le due città nemiche, restavano a chiarirsi molte questioni minori; mentre si sarebbero stabilite anche le modalità per la esecuzione del patto prima conchiuso. E nella disposizione d’ animo in che eran sempre l’uno di fronte all’altro i rappresentanti di Genova e Savona, non pareva cosa tanto facile appiamre vendendi per dictum gabelotum Ianuensium, et quod sal vendatur et vendi debeat per dictum gabelotum deponatur nomine comunis Ianue et comunis Saone in uno bancho vel pluribus in Saona, vel penes ydoneam personam elligendo vel elligendam per ancianos dicti comunis Saone, risico et periculo dicti comunis donec et quousque deliberatum- et declaratum fuerit per illustrem dominum regiam gubernatorem ianuensem predictum arbitrum et arbitrator em et comunem amicum dictarum parcium ellectum seu eiligendum inter dictas partes super precio dicti salis. (1) Ib. « ..... valorem et extimacionem ..... et tam salis et procesus ipsius quam aliarum rerum ... et alias quascunque oneratas in aliquibus navigiis saonensium et etiam in quodam navigio castellano conducto per Damiamtn de Marinis que in comune Saone vel aliquos saonenses pervenisset... » (2) Ib. « ..... salvis omnibus et singulis supradictis dicte partes remiserunt et remittunt ad invicem una alteri et altera uni omnes iniurias offensas homicidia crimina contumelias et delicta per partes vel alteram earum erga aliam »..... 92 GIORNALE LIGUSTICO ogni controversia. Genova ha recato gran danno a Savona nel periodo delle ostilità, con le sue navi, co’suoi mercenari, coll’esercito di Romanzotto della Niella e di Facino Cane; questo danno di oltre cento mila fiorini è dessa pronta a ripararlo? Savona ne esige il risacimento dovuto. E così vuole che Genova restituisca ai Savonesi quelle terre che i Savonesi hanno nel territorio di quella città, ed al comune le navi catturate o le merci depredate durante la guerra. Vuole che si risolva a suo vantaggio la questione dello stipendio da darsi a Giorgio Turco, di Asti, già podestà di Savona, e prima del termine della sua carica dai Genovesi cacciato dal suo ufficio; che Genova le paghi il prezzo del sale portato a Savona durante la guerra e giacente tuttavia in città, se vuol avere il diritto di venderlo; e finalmente cancelli certe gabelle che i Savonesi dovevano pagare in Genova per certe merci, non pagate più nel tempo delle ostilità e gravosissime ora a’ Savonesi già esauriti dai tributi imposti loro dal comune (i). Le domande di Genova non sono meno esigenti di queste. Savona, in guerra con lei, le ha tolto navi, merci ed averi; se ne è servita: renda ora tutto o risarcisca il danno; e così indennizzi ogni cittadino di Genova, di Varazze, Celle, Albisola e Quiliano e qualsivoglia altro suddito di Genova, del danno patito; e la repubblica del danno avuto dalla gabella del sale in Savona durante la lotta (2). Fu necessario nominare un arbitro con larga autorità, per risolvere tali litigi come meglio a lui paresse, purché non fossero violati i privilegi da papi, imperatori o principi concessi nei tempi anteriori alle due città. E tale arbitro fu lo stesso conte di Saint Poi, in qualità non di governatore regio (1) Ib. c. xxxxx. (2) Ib. GIORNALE LIGUSTICO 93 di Genova, ma di privato cittadino ed amico comune (i). Le due parti dichiarano che accetteranno la sentenza dell’ar-bitrù e non domanderanno mai che sia revocata, sotto pena di dieci mila fiorini d’oro: in pegno ipotecano i loro beni. Si stabilisce che tale compromesso valga per un mese; passato tal tempo se non sarà data sentenza dal Saint Poi le due città riprendano la propria libertà di azione o rinnovino il compromesso. Il desiderio della pace fece preferire a Genova e Savona questa seconda via, quando il 25 di maggio, non uscita ancora la sentenza arbitrale, si videro entrambe sciolte dal patto reciproco : il compromesso fu prorogato fino alla fine del mese (2). E bastò. Il 30 maggio il governatore di Genova promulgava la sua sentenza, e la contesa era così definitivamente risoluta. « Poiché le due parti hanno ricevuto danni dalla guerra, nessuna abbia diritto di reclamare indennizzo: si divida tra Genova e Savona, col criterio nella sentenza stabilito, il denaro ricavato dalla vendita del sale giacente in Savona: nessuna delle due città domandi risarcimento del perduto frutto delle terre situate nel territorio della rivale, Ib..... se se compromiserunt et compromissum largum et generale fecerunt de predictis omnibus et singulis ac dependentibus emergentibus accessoriis et conexiis ab his videlicet in prefatum dcminum Valerandum de Luceburgo comitem Liney et S. Pauli gubernatorem Ianue tamquam in singularem et privatam personam videlicet tanquam in eorum arbitrum et aroitratorem et amiccibi-lem compositorem..... et comunem amicum dictarum partium et cuiuslibet earum. (2) Ib. c. xxxxvii t. Licentia prorogandi compromissum, c. xxxxviii. Prorogatio compromissi .... nolens (sic) dicte paries quod effectu termini in dictis instrumentis compromissi contenti dicte cause questiones seu controversie remaneant indecise ymo pocius cupientes quod per viam arbitralis seu arbitra-mentalis sententie sive arbitramenti transacionis et composicionis dicti magnifici domini compromissarii fine debito terminentur sponte et unanimitate et concorditer et omni via iure modo et forma quibus melius potuerunt et possunt nominibus supradictis prorogaverunt et prorogant tempus et terminum dicti compromissi usque per totum mensem presentem maii .... 94 GIORNALE LIGUSTICO fino al 26 aprile dell’anno corrente; delle gabelle ricavate dalle merci introdotte in città durante la guerra, Savona nulla debba dare a Genova: paghi invece la tassa dovuta pel tempo passato dal febbraio 1394 al principio della guerra, e pel tempo che segue all’aprile 1397. Del salario da darsi a Giorgio Turco, già podestà di Savona, determinato in 1000 fiorini, due quarti si paghino in ragione di uno per ciascuna parte dal duca d’Orléans e da Savona; gli altri due,nello stesso modo, dal re e da Genova» (1). E tale sentenza il conte di Saint Poi pronunziava in Genova tre giorni dopo di aver preso possesso di Savona in nome di Carlo VI di Francia. Giovanni Filippi. I. 1394, 12 Novembre. Nomina di procuratori per trattare, a nome del duca d’ Orléans, la resa della città di Savona (2). Inguerranus dominus de Conciaco, comes Suessionis, ac locumtenens procurator et commissarius generalis illustris et excelsi principis et domìni (1) V. doc. η. IV in appendice. Di tutto questo periodo di lotte 1’Abati, scrittore di cose Savonesi, e vissuto nella prima metà del secolo XVI, dice poche ed inesatte parole: le riporto qui, ricavandole dall’originale delle sue Memorie (c. 96), conservato ras. nella Biblioteca della Regia Università di Genova, noto dopo le notizie datene da A. Neri in questo giornale, an. 1875, pag. 462. « Lo dito ano de 1397 lo re de Franza si fece signore de Genova e lo duca de Oriens che era suo fratelo gli dete tute le razone che lui avia in la cita de Saona, e lo re di Franza fece Antonioto Adorno gubernatore di Genoa, quale Antonioto Adorno ne andò in Saona con una galera per ridurre Saonesi a la obedientia, chi fu questo a li 4 de aprile de 1397, e Saonesi non volsero obedire; poi a li 27 de aprile li Saonesi venero a lobedientia de la republica di Genoa ». A. M. de Monti, nel Compendio di memorie historiche della città di Savona etc., Roma, 1697, a pag. 107, accenna appenna alla contesa tra Genova e Savona risoluta cosi dal co. di Saint Poi. (2) Arch. comunale di Savona. Registro di pergamene non ancora spogliate, n. i*. GIORNALE LIGUSTICO 95 nostri domini Ludovici regis francorum filii ducis Aurelianensis comitisque Valesie et Bellimontis ac domini Astensis, ut de nostris commissionibus et mandatis apparet per litteras dicti domini nostri datas Parisiis die octava Iulii anno domini millesimo ccc nonagesimo quarto (i), sigillo magno ipsius impendenti cera rubea sigillatas, sponte consulte mature et ex certa nostra sciencia, ex potestatibus et bayliis nobis in hac parte attributis et omni alia via iure modo et forma quibus melius et validius fieri et esse potest, fecimus constituimus substituimus et ordinavimus, facimus constituimus substituimus et ordinamus dicti domini nostri ducis Aurelianensis et nostros actores procuratores factores et negociorum gestores et nuncios speciales spectabilem militem dominum Iohannem de Garenteriis dominum de Croysiaco cambellanum regium ac domini nostri ducis Aurelianensis predicti, et egregios et prudentes viros dominos Petrum Beauble utriusque iuris doctorem ac serenissimi principis et domini nostri regis ac prefati domini Aurelianensis consiliarium, Ieronimum de Balardis legum doctorem, Aymonetum Richardi dictum Nurry capitaneum Claraschi et Brayde et Luchinum de Murris domicellos , licet absentes , tamquam présentes, ita tamen quod si ipsi quinque ad infrascripta simul interesse non poterunt, tres vel quatuor ipsorum infrascripta inchoare mediare firmare et terminare valeant cum effectu, ita tamen quod occupantis sive occupancium melior condicio non existât. Spetialiter ad firmandum conveniendum tractandum iniendum et concordandum ac faciendum, nomine et vice dicti domini nostri ac commissario et procuratorio nomine eius, cum communi Saone, seu cum presidentibus dicto comuni, cum ancianis, officialibus provisionis et guerre, rectoribus gubernatoribus sindicis et principibus dicti communis Saone et quolibet ipsorum ac aliis personis quibuscumque cuiuscunque condicionis existant, civitatis territorii ac districtus Saone, convenciones pacta obligaciones adherencias coligaciones et confe-deraciones, et ad suscipiendum et recipiendum, vice et nomine dicti domini ducis et heredum suorum, a dicto comuni Saone sive dictis eius officialibus et procuratoribus, omnes obligaciones ypothecas promissiones stipu-laciones et iuramenta ac tradiciones consignaciones, vel quasi, quarumcumque rerum et omnium penarum adiectiones et omnia beneficia atque gratias, et eciam ad faciendum iniendum et firmandum, vice et nomine (t) Questa carta si trova pure, in doppio esemplare, in ciascuno dei due grandi registri di pergamene non ancora spogliate. Non la pubblico qui perchè edita già dal Circourt e dal Jarrt, ed usufruita nella introduzione a questi documenti. 9 6 GIORNALE LIGUSTICO dicti domini nostri ducis et heredum suorum et nostro, dicto comuni Saone, sivi dictis officialibus sindicis et procuratoribus sive aliquibus ipsorum, omnes promissiones solempnes et vallatas ac obligaciones stipulaciones convenciones et pacta, et spetialiter ad obligandum personam res et bona dicti domini nostri ducis et suorum heredum et nostra, in et super quibus dictis procuratoribus aut illis qui interesse poterunt pro ut supra videbitur et placuerit. Item ad donandum dandum et promittendum de here (sic) et pecunia dicti domini ducis dicto comuni, sive ipsis officialibus vel aliquibus ipsorum, eciam usque ad magnam et imensam quantitatem, et prout et sicut ipsis procuratoribus aut illis qui poterunt interesse ut supra videbitur et placuerit. Item ad relaxandum et conservandum ipsi comuni, sive dictis officialibus Saone, omnia iura immunitates privilegia iurisdiciones imperia et libertates ac gabellas pedagia vetigalia et omnia quecumque regalia, et eciam ad concedendum dandum et prebendum dicto comuni, sive officialibus procuratoribus sive sindicis, cmnia privilegia gratias immunitates prerogativas favores et beneficia de quibus ipsis procuratoribus, sive illis qui interesse et adesse poterunt prout supra, videbitur et placuerit. Item spetialiter ad obligandum ipsum dominum nostrum ducem quod tuebitur defendet et manutenebit dictam civitatem et homines Saone cum toto eius posse et districtu et pertinenciis, presentibus et futuris, contra et adversus quoscumque dominos principes et barones, ac contra quodlibet corpus comune collegium et universitatem, pro ut ipsis procuratoribus, aut illis qui adesse poterunt ut supra, videbitur et placuerit. Item ad conficiendum et confici faciendum et iubendum publica instrumenta de omnibus et singulis de quibus dictis procuratoribus et prout supra videbitur et placuerit, cum penarum adiectionibus eciam magnis et immensis, et cum renunciacionibus promissionibus obligacionibus ypothecis et cum aliis solempnitatibus et cautelis de quibus ipsis procuratoribus, vel ipsis qui poterunt interesse, videbitur et placuerit. Item ad iurandum et iuramentum prestandum et subeundum quodcumque et cuiuscumque generis sacramentum in animam et super animam dicti domini nostri ducis et nostram, ac eciam ad omnia facienda gerenda tractanda firmanda et administranda, sive sint generalia sive specialia, que nosmetipsi facere possemus si présentes essemus, etiamsi talia essent que mandatum exhige-rent speciale. Item ad fideiubendum et cavendum ac fideiussores et cauciones prestandum ac constituendum quoscumque reos sive coreos ac tamquam debitores principales et intercessores pro dicto domino nostro duce et nobis ipsis comuni ac officialibus procuratoribus sive sindicis Saone in et super premissis, dantes et concedentes dictis procuratoribus, ac eciam GIORNALE LIGUSTICO 97 illis qui solum poterunt interesse, plenum largum latum et generale mandatum, cum libera potestate et administracione in omnibus et singulis supra-scriptis et in dependentibus emergentibus accessoriis incidentibus et co-nexiis predictis sive a predictis et quolibet predictotum et eciam ultra, atque eciam mandatum speciale in casibus in quibus mandatum speciale requiratur; qui casus speciales habeantur in presentibus nostris pro expressatis spetialiter et nominatim. Promittentes et solempniter convenientes Iohanni Sicardi, notario publico et prefati domini nostri et nostro secretario, tamquam publice persone et afficio publico, agenti stipulanti et recipienti vice et nomine dicti comunis officialium et hominum Saone, ac omnium illorum quorum interest et quomodolibet in futurum poterit interesse, nos perpetuo habere et tenere grata rata firma omnia et singula suprascripta, ac eciam omnia et singula fienda firmanda administranda et tractanda atque promittenda et obliganda per dictos procuratores, sive per illos qui adesse poterunt prout superius, et nos, facturos et curaturos dicto procuratorio et commissario nomine quod dictus dominus dux ac omnia et singula attendet complebit et observabit; et hec omnia sub pena ypotheca et obligacione omnium rerum et bonorum ipsius domini nostri ducis habitorum et habendorum. Datum Ast, sub sigillo nostro proprio, die duodecimo mensis novembris MCCCLXXXXiin, secunda inditione. Per dominum locuntenentem Ficart. II. 1394, 27 Novembre. Ordine del luogotenente del duca perche si rispetti la città di Savona (1). Inguerranus dux de Conciaco, comes Suessionis, ac locumtenens illustris principis et domini nostri domini Ludovici regis quondam irancorum filii, ducis Aurelianensis comitisque Valesie et Bellimontis ac domini Astensis etc., universis et singulis quibus présentes litteras pervenerint seu fuerint prelibatam salutem. Cum de unanimi et comuni concordia ac consensu civium civitatis Saone et nomine prefati domini nostri ducis Aurelianensis sumpserimus dominium protectionem deffensionem et guber- (1) Reg. di pergamene non spogliate, n. 2. GlORN. ligustico. Anno XVII. 7 98 GIORNALE LIGUSTICO nacionem predicte civitatis Saone et sui districtus, vos omnes et singulos benivolos et amicos dicti domini nostri et nostros ex parte prefati^ domini nostri requirimus et ex nostra attente rogamus, subditis vero dicti domini nostri et nostris precipiendo mandamus quatenus civitatem predictam eiusque castra villas opida atque loca cives incollas ipsius civitatis et tocius eius districtus prelibati, ac eorum res et bona, prelibati domini nostri et nostro intuitu contemplatione et amore, ubique recomissos et recomissa habeatis, nullam eisdem seu eorum alteri realiter vel personaliter quovis-modo molestiam inferendo, victualiaque dictis civibus et incolis dicte civitatis et districtus competentibus pretiis aministrando et aministrari faciendo, viasque et stratas appertas tutas et securas quibuscumque vittualia merces tarnagia (?) seu quecumque alia bona ad ipsam civitatem et eius districtum ducentibus seu duci facientibus tenendo et teneri faciendo, quibuscumque viatoribus equestribus vel pedestribus ad ipsam civitatem et districtum accedentibus et proinde recedentibus salvum et securum conduttura receptum et comititiam (?) et alia eis........... ipsorum tamen sumptibus moderatis prebendo, ac eciam ministrando taliter in et super premissis benivoli et amici prefati domini nostri et nostri, si placet vos, habentes quod vobis teneamur ad rependia meritorum vos subditi non valeatis de vestra obedientia commendari. Datum Ast, sub nostro proprio sigillo, die xxvn mensis novembris mccclxxxx quarto. Per dominum locumtenentem. Ficart. III. 1395, 6 Ottobre. Ordine dato dal luogotenente del duca perchè si rispetti la convenzione del 1394 (1). Inguerranus dominus de Conciaco, comes Suessionis, ac locuntenens illustris principis incliti domini nostri domini Ludovici ducis Aurelianensis —(1) Registro di pergamene non spogliate, n. 2. Ve n’ha copia pure nel Registro a catena, n. //, c. clxxvi, con queste aggiunte : in principio : « Hoc est exemplum cuiusdam patentis littere responsatis certis litteris nostris transmissis per ancianos et officiales guerre civitatis Saone domino de Conciaco, per quas litteras dicti domini anciani et officiales guerre protestando responderunt quod non intendunt consentire treuge facte per eum in capitulis contradicentibus conventionibus factis per comune cum ipso domino de Conciaco nomine domini ducis Aurelianensis, maxime contra capitulum salis. Cuius quidem littere tenor sequitur ut infra». In fine: « que quidem presentata fuerunt per strenuum militem d. Amedeum de Mirabello dominis ancianis hoc anno xxi octobris ». GIORNALE LIGUSTICO 99 comitisque Valesie et Bellimontis Ast etc., universis présentes licteras inspecturis salutem. Cum nos prelibati domini nostri ducis civium incolarum et districtualium civitatis Saone et aliorum subditorum vassallorum adherencium colligatorum amicorum et confederatorum suorum utilitate pensata, et pro evitandis dampnis et periculis ex guerra pro tunc verisimiliter imminentibus, partibus loqucionis et tractibus habitis inter nos et gentes dicti domini nostri pro se saonensibus et aliis subditis vassallis et adherentibus suis, ex una parte, et magnificum et providos viros dominum Antoniotum Adurnum ducem ac consilium ancianorum et officium provisionis comunis Ianue, eorum et dicti comitis et vassallorum adherencium «amicorum et confederatorum suorum nominibus, ex altera; habita super hac deliberatione matura, certa abstinenciarum et cessacionum offensarum fieri et firmari mandaverimus capitula, quorum quintum in ordine tenoris sequentis existit. Item quod illi de Saona, presenti cessatione durante, non possint conducere sal in Saona nisi pro usu suo et sui territorii. Propter quod capitulum, sicut intelleximus, prefati saonenses dubitant ne si prefatis cessationibus seu offensionibus obtemperent in eorum preiudicium et pactionum et conventionum que et quas sibi nomine dicti domini nostri fecimus nunc vel aliis futuris temporibus esse possit, notum facimus et in testimonium veritatis quod faciendo et fieri faciendo dictas abstinendas nostre intencionis non fuit neque est prefatis saonensibus neque prefatis eorum convencionibus seu iuribus in aliquo preiudicare sibi, tenore presentium quantum opus est, nomine dicti domini nostri, concedendo quod profatum capitulum seu eius observancia nullum sibi preiudicium afferre valeat in futurum. In quorum testimonium présentes fieri fecimus et sigillo nostro proprio sigillari. Datum Ast, die sexta mensis octobris anno domini mccc nonagesimo quinto, tertia indictione. IV. 1397, 30 Marzo. Sentenza arbitrale del conte di Saint Poi, governatore di Genova (1). Sententia lata inter comunia Ianue et Saone occasione damnorum inde datorum. In nomine Domini amen. Nos Valerandus de Lucemburgo, Liney et Sancti (1) Registro a catena, 11. I, c. xxxxvin. 100 GIORNALE LIGUSTICO Pauli comes, locumtenenes serenissimi principis domini regis Francorum domini Ianue in partibus citramontanis, et pro ipso domino rege gubernator Ianuensium et comunis et populi defensor, arbiter arbitrator arbitra-mentator amicabilis compositor et comunis amicus electus et assumptus inter partes infrascriptas, vigore instrumenti compromissi in nos ut in privatam et singularem personam facti, de quo apparet duobus publicis instrumentis eiusdem tenoris, scriptis uno manu Antonii de Credeticia notarii et comunis Ianue cancellarii et altero manu Nicolay Rusche notarii civis saonensis infrascripti, die vigessima sexta mensis aprilis proxime preteriti, ac etiam vigore publicorum instrumentorum prorogacionis termini dicti compromissi prorogati per ipsas partes, scriptorum manibus notariorum predictorum, die vigessima sexta mensis presentis maii. Super certis differendis controversiis et discordiis restantibus inter comune universitatem et singulares personas· civitatis Ianue ex una parte, et comune universitatem et singulares personas civitatis Saones ex parte altera, de quibus facto concordio inter ipsas partes super principalibus earum questionibus se se compromisserunt partes predicte in nos arbitrum et arbi-tractorem supradictum ; visis dicto compromisso et ipsius prorogatione predicta, ac auditis dictis partibus sive sindicis ipsarum, visis eciam auditis et intelectis racionibus earundem, consideratisque et actentis circa hec actendendis et que pro bono pacis et concordie ac pro victandis discens-sionibus et scandalis animum nostrum movere poterant et debebant. Habito insuper consilio et deliberatione cum pluribus prudentibus et peritis, sequentes formam dicti compromissi et bailie nobis concesse et atribute vigore instrumentorum compromissi predictorum, nec non sumentes viam arbitratoris et amicabilis compositoris, Christi nomine invocato et eum semper habentes pre oculis et in mente, sedentes pro tribunali in loco infrascripto, per nostram arbitralem et arbitramentaleni sententiam dicimus declaramus pronunciamus ordinamus sentenciamus, arbitramur et arbitra-mentamur diffinimus absolvimus et condempnamus ut infra. Primo de dampnis incendiis guastis prédis et robariis ac aliis violenter tam per mare quam per terram, guerra durante inter dicta comunia, hinc inde illatis perpetratis et extorsis et per dictas partes hinc inde petitis et cetera, ordinamus sententiamus pronunciamus, arbitramur et arbitramentamur quod neutra dictarum pardum in comuni aut particulariter possit aliquid petere seu exigere a comuni seu singularibus alterius partis, ymo quelibet parcium predictarum in comuni et particulari respectu alterius, videlicet comunis seu singularis alterius partis, intelligantur esse et re vera sint plenarie absolute. Secundo super precio salis reperiti in Saona tempore giornale ligustico ΙΟΙ dicti concordii, quod petunt saonenses eisdem dari per comune Ianue ad rationem eius quod venditur in cabella comunis etc. Pronunciamus et sententiamus, ordinamus arbitramur et arbitramentamur, quod ultra verum precium pro quo dicti saonenses dictum sal emerunt, et sumptus navigii et aliis racionabilibus expensis pro dicto sale factis et usque ad vendi-cionem faciendis, saonenses habeant mediam partem emolumenti seu lucri superhabundantis quo sal venditur seu vendetur in cabella Saone, et ianuenses aliam medietatem, sine tamen preiudicio iurium seu possessionis utriusque partis in dicto aut alio sale vendito seu vedendo in dicta gabella. Tercio quod de proventibus et redditibus locorum que habebant saonenses in comperis et aliis locis comunis Ianue et que petunt a dicto comuni, ac aliis proventibus quos petunt dicti de Ianua a saonensibus , premissis actentis pro bono pacis ut supra, ordinamus sententiamus pronunciamus arbitramur et arbitramentamur quod neutra partium ab inicio dicte guerre, usque ad vigessimam sextam diem aprilis anni presentis nichil omnino petere possit ab alia parte. Quarto super duganis et gabellis pro rebus et mercibus delatis per mare per dictos de Saona tempore dicte guerre ad quas seu que petunt dicti de Saona pronunciari et declarari se non teneri et non esse obligatos comuni Ianue nec eorum deputatis, pronunciamus sententiamus ordinamus arbitramur et arbitramentamur quod pro anno millesimo trecentesimo nonagesimo quarto, incepto in kalendis februarii, usque ad inicium dicte guerre, dicti de Saona collectoribus dicte dugane vel cabellarum more antea solito plenarie satisfacere teneantur, et quod ab inicio dicte guerre usque ad diem vigessimam sextam aprilis anni presentis sint et remaneant dicti de Saona absoluti. Salvo quod si in eotum navigiis et mercibus habuerint merces pecuniam seu alia bona ianuensium, de ipsis ipsi aut ianuenses quorum merces fuerint comuni Ianue aut colectoribus dicte dugane et gabellarum pro toto dicto tempore satisfacere teneantur. Quinto de salario Georgii Turchi, olim potestatis Saone, iudicum et officialium suorum, super quo petunt dicti de Saona quod dicti de Ianua ipsos reddant penitus indempnes etc., ordinamus sententiamus declaramus arbitramur et arbitramentamur quod dictus Georgius, pro indempnitate et expensis suis ac iudicum et officialium suorum, habeat florenos mille, de quibus illustrissimus dominus dominus dux Aurelianensis et comune Saone, quilibet pro equali porcione, solvant medietatem, et serenissimus dominus noster rex et comune Ianue, quilibet pro medietate, solvant aliam medietatem. Et predicta omnia sententiamus pronunciamus arbitramur et arbitramentamur, dicimus et mandamus observari debere ut supra per dktas partes et quamlibet earum, sub pena in dicto compromisso 102 GIORNALE LIGUSTICO apposita et contenta et ex omni potestate et bailia nobis concessa et atributa vigore dicti compromissi et ipsius prorogationis prefacte. Lata data et in hiis scriptis sententialiter pronunciata et promulgata fuit supra-scripta sententia per prefactum illustrem et magnificum dominum arbitrum et arbitratorem, et lecta et publicata per me Nicolaum Ruscham, notarium saonensem, ac Antonium de Credencia, notarium et comunis Ianue cance-larium infrascriptum, quibus comissuni et mandatum est de predictis conficere debeamus duo et plura eiusdem tenoris publica instrumenta, in civitate Ianue, videlicet in palacio comunis in quo habitat dictus dominus gubernator, in camera paramenti dicti magnifici domini gubernatoris ex qua inspicitur in plateam dicti palacii, anno dominice nativitatis millesimo trecentesimo nonagesimo septimo, inditione quarta secundum cursum Ianue, quinta vero secundum comune cursum, die mercurii trigesima marcii in vesperis, presentibus testibus ad hec vocatis spetialiter et rogatis, egregiis viris domino magistro Petro Beauble, domino Bartholomeo de Scartabonibus de Viterbio, vicario prefacti magnifici domini gubernatoris, et domino Iacobo de Provinciali de Ebredunio legum doctore, nec non magistro Roberto Wailleti secretario supradicti domini regis gubernatoris. Nicolaus Ruscha notarius publicus imperiali auctoritate, notarius sao-nensis, predictis omnibus interfui, et una cum dicto Antonio de Credencia notario et comunis Ianue cancellario rogatus, iussu dicti magnifici domini arbitri et arbitratoris, suprascriptum presens instrumentum composui et scripsi. GIOVANNI COSTA E IL DUCA DI MANTOVA Scarse notizie ci porgono gli storici ed i biografi liguri dello scrittore genovese Giovanni Costa. In poche righe ne fa cenno lo Spotorno (i), seguendo il Soprani e il Giustiniani, (ij Storia Leti, della Liguria, Genova, 1826, IV, 19. — Nell’ opera La Ligurie Françoise di L’Heremite de Souliers (Arles, Mesnier, 1658) si discorre ampiamente della famiglia Costa e si tocca degli antenati di Giovanni, quantunque anziché figlio si affermi nipote di Benedetto; viene giudicato fra a les plus braves de la Republique, ayant accompagné sa GIORNALE LIGUSTICO e ricorda quelle scritture, che di lui si hanno alle stampe, mentre tace della Istoria della guerra genovese del 1625, rimasta manoscritta, della quale ha dato contezza Γ Olivieri (1). Comparisce la prima volta il suo nome come autore di versi latini nel 1585 fra i molti che lodarono Uberto e Paolo Foglietta, l’uno scrittore, l’altro editore delle istorie di Genova (2). Due anni appresso gli è dedicata da Giulio Guastavino la stampa genovese de Le Lagrime di S. Pietro del Tansillo (3), con lettera assai onorevole e degna; dove, ricordata la nobiltà della famiglia, soggiunge : « Ma voi stimando poco doversi prezzare la nobiltà della stirpe, quando altri con le proprie virtù non la nobilita, vi sete di queste maravigliosamente ornato;.perciò che oltre i bellissimi costumi 1’ humanità e cortesia, onde havete 1’ animo abbellito, possedete quelle discipline che a vero gentilhuomo sono richieste ; quindi e delle matematiche bonissima parte intendete, e delle historié tanto antiche quanto moderne havete piena contezza, dalle quali molta prudenza havendo raccolto, si sente con quanto giudicio siate solito a discorrere in tutte le occorrenze ». Ma i suoi studi erano più tosto volti alla storia ed alla politica. Di che abbiamo testimonianza nelle valeur d’une rare conoissance des belles lettres ». Si accenna al suo matrimonio con Leonora, figlia di Vincenzo da Rapallo, il 22 agosto 1570. — Il Cavalli nel suo recente lavoro: La scienza politica in Italia (Memorie Istit. Veneto, XVIII, 42) ne ha fatto tutt’ uno con Gio. Andrea nominato dal Giustiniani (Scritt. Lig., Roma, 1667, p. 306), ed erra nelle indicazioni bibliografiche delle sue operette. (1) Carte e Cronache manoscritte per la storia genovese esistenti nella Biblioteca della R. Università ligure, Genova, 1855, p. 24. (2) Folieta, Historia genuensis, Genuae, Bartolum, 1585. (3) È stampata da Girolamo Bartoli, 1587. 104 GIORNALE LIGUSTICO due operette mandate in luce negli anni 1610 e 1615 (1). La prima è un ragionamento intorno alla tregua dei Paesi Bassi conchiusa nel 1609, che egli scrisse per gli eccitamenti di un amico « essendo da private sollecitudini libero ». Ha voluto usare la forma del dialogo, fingendo che alcuni genovesi « cittadini per nobiltà, per ricchezze, per ingegno, e per autorità nella Repubblica eminenti, ridotti secondo Γ usato loi costume in casa d uno di essi », poiché « sogliono i Signori genovesi nel tempo d’inverno ridursi insieme innanzi cena, in più luoghi a conversazione et a parlar di varie cose », abbiano tenuto discorso di quell’avvenimento, discutendo le cagioni che lo produssero e gli effetti che ne sarebbero derivati. Nell’altra tratta della pace e libertà d’Italia, e de’ modi di conservarle, nel tempo appunto che la « troppa continuanza del contendersi del Cattolico e del Duca di Savoia » gli faceva sospettare il nascere « d’una inopinata e dannosa guerra », onde si propone « di rappresentare a’Sommi Pontefici, a Re Cattolici, e a Principi Italici l’origine, e cagione della pace e liberta » che allora regnava in Italia, « e dir li modi da conservarla; acciocché essi possano da questo e da ogni altro sopravvegnente pericolo avvisatamente liberarla ». Si ripromette sarà il nuovo suo scritto ben accolto come fu l’antecedente « da’ primi principi della Cristianità, e particolarmente dal Cristianissimo Arrigo Quarto Re di Francia e dal suo Consiglio di Stato letto e ascoltato ». (1) Ragionamento sopra la triegua de' Paesi Bassi conchiusa in Anversa l’anno MDC1X. In Genova, Appresso Giuseppe Pavoni, MDCX. — Trattato della pace e libertà d’Italia e de’ modi di conservarle, In Genova, Appresso Giuseppe Pavoni, MDCXV. La prima operetta è dedicata al Gran Duca di Toscana, il che ci fa credere a relazioni continuate con questa Corte, esistendo alcune lettere di lui al Pichena del 1601, in cui offre 1 suoi servigi come relatore degli avvenimenti politici della sua patria (Arch. di Stato, Firenze, Cartegg. Univers., Fil. 896). giornale ligustico 105 Non si dissimula la difficoltà della materia, tanto più non essendo egli « compiutamente esercitato nello scrivere cose di sì alto affare », quantunque si « vegga alquanto a ciò naturalmente inchinevole ». Ed in vero buona è in generale la sua trattazione, dettata con ordine e con lucidità. Le quali doti si riscontrano altresi nell’ operetta più propriamente storica intorno alla guerra del 1625 (1). Da queste scritture soltanto possiamo rilevare i pochissimi accenni dalla sua famiglia. Egli si dice in fatti figliuolo di Benedetto , nobile e antico cittadino genovese, e riferisce la sua agnazione a quell’Alamanno della Costa, capitano marittimo, che fu assai infesto ai Pisani, s’impadronì di Siracusa, e ne venne eletto conte, fino a che non gli fu tolto il feudo da Federico II, alcuni anni dopo eh’ egli era caduto nelle mani dei Veneziani (2). Ma il nostro Giovanni oltre alle opere divisate , aveva posto mano intorno al 1617 alla storia delle guerre del Monferrato e del Piemonte, e desideroso di trarne utile dai principi che v’ aveano interesse, cosa molto comune a tutti gli istorici a quei dì, volle mettersi in relazione a quest’ uopo con il Duca di Mantova. Lo supplicò adunque, per mezzo di monsignor Giulio Cesare Alberigli!, agente ducale in Genova, di inviargli « una vera e compita relazione » degli avvenimenti per la parte che egli vi aveva preso, di che il Duca diede incarico al conte Annibaie Chieppio. Ma passato un anno, senza che fossero pervenute nelle mani dello scrittore le richieste notizie, instava nuovamente per ottenerle, poiché ove egli non sapesse « la narrazione, la ragione e la cagione delle cose, certo sarebbe impossibile che ne » potesse (1) É rimasta manoscritta, di che vedi Olivieri, 1. c. (2) Cfr. Giustiniani, Annali d. R. d. G., Genova, 1854, 1, 295, 299, 308, 318, 325. ιο6 GIORNALE LIGUSTICO « la verità al mondo manifestare » (i). E il Duca ringraziando della usatagli deferenza, dichiaravasi soddisfatto che il Costa volesse sapere da lui « la verità per caminar più sicuro nelle cose » che intendeva « far passare alla posterità; ma perchè « il soggerire tutto il seguito in una guerra di sei anni sarebbe opra di longo tempo et di gran farragine di scritture », lo invita ad « inviare quei particolari appartenenti al successo di detta guerra ne’ quali desidera maggior chiarezza », ed egli farà del suo meglio per « illuminare Γ historié » e lo scrittore ; dubitando che « una contezza generale » mal si potesse convenire al suo bisogno, « et portar troppo in longo l’ultima mano delle sue fatiche » (2). Mandò immediatamente il Costa una specie di quistionario dei fatti intorno a' quali desiderava essere chiarito, e fu sul cadere del 1618; ma il i.° di febbraio dell’anno successivo non aveva ancora ricevuto riscontro, onde, dubitando che si fossero smarrite le lettere nel viaggio a Roma fatto in quel tempo dal Duca, tornò a spedire una seconda copia delle domande, pregando di risposta sollecita (3). Le prime lettere però aveano raggiunto a Firenze il Duca, che non credette forse di dover per allora rispondere; anzi alle nuove istanze parve seccato, e recando in mezzo il pretesto delle molte occupazioni riteneva sarebbe andata in lungo assai la cosa, e la storia avrebbe sofferto un non piccolo indugio. « Onde », cosi conclude, « mi conviene di riportarmi a quanto da altra banda ne potrà V. S. ritrarre, dovendo (1) Lett. del Costa al Duca 5 sett. 1618, edita da Antonino Berto-lotti nel Bibliofilo, A. IX, p. 183. Non è esatto che nelle carte mantovane non vi sia « dopo altra traccia di lui », come egli asserisce; poiché esistono altre lettere, a me comunicate dalla cortese e sollecita amicizia dell’ egregio Davari, le quali porgono argomento a questo scritto. (2) Arch. Gonzaga, Minute di lettere, 2 ottobre 1618. (3) Ivi, Carteggio Rub.a Genova, 1.° febbraio 1618. GIORNALE LIGUSTICO IO7 credere che di buon luogo vadda pigliando lume d’ historia moderna, et che è freschissima nella memoria d’ognuno » (1). Era questo il modo più chiaro di levarsi d’impaccio , e togliere animo allo storico importuno d’insistere nuovamente. Se non che Γ accorto genovese, il quale non voleva gettate indarno le sue fatiche, alla ricordata lettera molto asciutta, così rispose (2): Ser.mo Signore Avendo io già stimato alcuno come male informato , e dall' altrui autorità indotto, le cose, che sono ultimamente nel Monferrato, e Piemonte avvenute, in pregiudicio delle ragioni, e riputazione di V. Altezza scrivere; supplicai a V. A., che mi volesse quelle verificare, ma saviamente V. A. mi comandò, che gli particulari miei dubbi le significassi, li quali io subito per ottenerne chiarezza Γ inviai : e avendole di ciò con mie lettere la memoria rinovato, ancorché monsignore Alberighi m’abbia spesso accertato doverne Γ informazioni ricevere, non ho in fino a questo punto, che sono quattro mesi passati, veduto cosa alcuna. E se bene io penso esser V. A. in altri grandi affari occupata, pure essendo ciò suo servizio, e dovendo io ad un ordine, alla presente storia toccante, dal signor Antonio Arostigni per parte di S. Maestà Cattolica mandatomi, soddisfare, prego instantemente di nuovo V. A., che si compiaccia la risposta sopra le mie domande, la relazione della persona, e intenzione della prima ambasciata, eh’ ella fece far per cagion di guerra dal Re Cattolico con sua risposta e qualche grazioso segno della sua benigna volontà, inviarmi. Acciocché un gran travaglio per voler ogni cosa a’ suoi tempi, e luoghi framettere, restandomi, possa (1) Arch. Gonzaga, Minuta cit., 18 febbraio 1619. (2) Ivi, Carteggio cit. ιο8 GIORNALE LIGUSTICO più arditamente dare alla cominciata opera il dovuto compimento. E a V. A. felici, prodi e fortunati avvenimenti pregando, con ogni reverenza me Γ inchino. Di Genova a di 20 di Aprile 1619. Di V. Altezza Ser.roa Umilissimo Servitore Giovanni Costa. E qui comincia appunto a mostrarsi il desiderio dello scrittore di aver « qualche grazioso segno della benigna volontà » del Duca ; frase, per chi intende il gergo d’ allora, assai chiara, e che significava un buon regalo di quattrini. Ma i suoi desideri non vennero appagati; neanche le notizie giungevano mai ; perciò nell’ ottobre tornava prima a sollecitare il Duca, e poi il segretario di Stato, Giovanni Magno, perchè avendo divisato di recarsi « presto alla Corte del Re Cattolico », voleva « portare la storia compiuta » ; e non vedendo subito riscontro, nel timore che la sua lettera si fosse smarrita, instava da capo nel novembre per la domandata informazione, la quale, « come splendidissima gioia », non doveva mancare al suo lavoro, « acciocché la verità delle cose, e la memoria del famoso e chiaro nome » del Duca potesse con i « suoi scritti conservare » (1). Questa volta non si fece troppo aspettare la risposta ducale , che annunziava già « evacuati molti di quei capi » intorno a’ quali egli richiedeva schiarimenti, ma, soggiungeva, « le altre gravi occupationi che si framettono ne ritardano Γ ultima mano », prometteva tuttavia la maggior possibile sollecitudine (2). Anche il segretario gli aveva pur scritto sullo stesso tenore, (1) Arch. Gonzaga, Carteggio cit., 26 ottobre, i.° novembre e 9 novembre 1619. (2) Ivi, Minute cit., 18 novembre 1619. GIORNALE LIGUSTICO IO9 e il Costa, che non voleva lasciar cadere la cosa, si affrettava a rispondere subitamente così (1): Molto lll:c Sig:e La lettera di V. S. de’ dicinove, che mi diede Monsignor Alberighi con la lettera di S. A. Ser.ma, mi è stata oltre modo cara. Perciò delle scuse, che V. S. fa meco circa lo indugio nel rispondermi, come vero effetto della sua cortesia, la ringrazio. E dell’accertarmi della buona volontà di S. A. verso di me, così me le sento tenuto, come desidero , in quel che V. S. se disponerà di comandarmi, di servirla. Ora avendo io, quanto per me si è potuto, riveduta e finita la storia ; e non altro mancandole, che porre a suo luogo , ciò che mi sarà da S. Alt. imposto; prego V. S., come mi ha monsignor Alberighi per suo avviso ricordato, che voglia inviarmi quelle risposte, a’ quali ha già S. A. dato compimento; acciocché io possa, non avendo tempo comodo, proseguir la mia fatica; la qual cosa certo non sarà cagione di poco travaglio. Prego ancora io V. S., che voglia con gentil maniera, com’ ella sa, e può meglio di me , supplicare a S. A. che si compiaccia farmi al presente qualche cortese segno della sua benignità, perchè or così la fortuna mia richiede; e acciocché con più mio acconcio, e ardire, dia compimento a questo ultimo travaglio, che ho per servizio di S. A. impreso. Ma quanto tocca al titolo del molto Mag. Sig. , quale m’ ha già S. A. due volte scritto, avendo già il Signor Duca Vincenzo usato di scrivere a’ Nobili Genovesi con titolo d’illustre, e di Molto Illustre, e’I presente Sig.r Duca non sol fatto lo stesso, ma alcune persone eziandio più inferiori, parimente onorato, mi par eh io possa con ragion (i) Arch. Gonzaga, Carteggio cit. no GIORNALE LIGUSTICO della mia sorte lamentarmi. E quando pur S. Alt. così mi trattasse, come suo servidore, ancorché di nobile, e antica casa io sia, dovrei gloriarmene. Ma se ciò per veruno altro rispetto avviene, non so, che dirne più a V. S., perocché la Ser.ma Madalena Arciduchessa d’Austria, il Gran duca di Toscana, molti Principi, cavalieri, e Ministri del Re Cattolico, differentemente mi scrivono. Nè li Potentati d’Italia, e particolarmente il Sig.r Duca di Savoia , nè li signori Cardinali negano il titolo d’illustre a verun nobil Genovese. Pur se V. S. conoscesse, così S. A. compiacerse, non volendo io al suo parere contrariare, ad ogni sua volontà mi acqueterei. E in tanto pregando V. S. che voglia per la sua cortesia scusar questa mia libertà di scrivere, e conservarmi nella grazia di S. A., perchè chi spregia fama, spregia virtù, le prego dal Cielo ogni compita felicità. Di Genova a dì 25 di novembre 1619. Di V. S. Molto Illu.re Prontissimo servidore Giovanni Costa. In un medesimo tempo ringraziava il Duca della sua lettera, e pur sempre pregandolo di far sì che fosse affrettato il compimento delle informazioni, aggiungeva : « Acciocché io possa per servigio di V. Alt. e della verità, condur ad animo riposato gli miei scritti a perfezione, supplichevolmente la prego, poiché così richiede il mio presente stato, che voglia ora far verso di me, come suo divotissimo servidore, qualche minimo segno dell’innata sua liberalità » (1). Ora dunque il nostro storico parlava assai più chiaramente, e scopriva senza mistero che desiderava un compenso a fine di dire la verità; doveva essere quindi una verità pagata in contanti, de’ quali (1) Arch. Gon/.aga, Carteggio cit., 15 novembre 1619. GIORNALE LIGUSTICO IH però non si contentava, a quanto pare, questo nobile genovese, ma voleva altresì il titolo che secondo la prammatica gli si spettava. Intanto gli veniva spedita buona parte di quella informazione che richiedeva, onde sollecitava il rimanente, e al segretario ducale rammentava « le due particolarità » delle quali aveva scritto, « aspettando la sperata risoluzione » (i). Ma alla Corte Mantovana non si voleva sentire da questo orecchio; quindi dopo due mesi di silenzio, ecco sui primi di febbraio pervenire al Costa « il restante delle risposte » ai suoi quesiti ; le quali stimava « essere così vere , come discrete e prudenti », e si apprestava a disporle nell’opera sua « come la ragione e il desiderio » che aveva di servire il Duca gli consigliava. « Ma », seguitava a dire al segretario, « avendo io già a S. A. supplicato che volesse qualche segno della sua benignità dimostrarmi, e a V. S. di ciò, e del conveniente titolo ragionato, sperava qualche effetto comprenderne, over, come V. S. m’ accennò, dell’ inclinazione, e della buona volontà di S. A. per mezzo di V. S. certificarmi. Perciò prego or caldamente V. S. che per farmi particular grazia, si compiaccia toccar di ciò un motto a S. A., acciocché io con maggior mia soddisfazione, finito che averò la storia, possa seguir il mio viaggio » (2). Se non che incalzando il bisogno, e pur cotinuando per questa parte il silenzio della Corte, dopo aver mossa qualche lagnanza un po’ acerbetta col Magno, perchè vedeva frustrate le promesse più volte ripetute, si rivolgeva al Duca stesso proponendogli, ove ne fosse desideroso, di spedirgli intanto il primo libro della sua storia, affinchè lo rivedesse ; e poiché doveva « andare alla Corte del Re Cattolico », essendo egli « nobile (1) Arch. Gonzaga, Carteggio cit. 14 dicembre 1619. (2) Ivi, Carteggio cit., 7 febbraio 1620. 112 GIORNALE LIGUSTICO Genovese povero sì, ma divoto e sincero servidore », supplicava che si degnasse « con alcuni denari » soccorrerlo (i). Accettata 1 offerta, mandava poi il manoscritto accompagnandolo con la seguente lettera (2): Ser.'"° Signore S io sarò stato il primo, che con qualche ragionevole ma-niera e con osservanza de’ tempi, abbia cavato fuor delle tenebie delle differenti relazioni, la storia del Piemonte e Monfenato, ciò si dovrà più alli saggi e veridici avvertimenti di V. A. che al mio debole ingegno attribuire. Io però ne mando il primo libro a V. Alt., acciocché ella innanzi ad ogni altro Principe, degnandosi di leggerlo, voglia comandarmi, che accrescili, sminuisca, 0 temperi qualunque sua parte, che giudicherà d’ ammenda bisognosa. E se V. A. ordinerà, che presto mi sia questo rimandato, procurerò avanti che di qui mi parti, d’inviarle il secondo. Ben’ora supplico a V. Alt., che secondo per un’ altra mia lettera, le ho richiesto, voglia in questo mio gran bisogno con alcuni denari soccorrermi, acciocché si come questa storia dalla sua sincerità prende vigore, così io nel condurla a fine, per la sua liberalità mi rinforzi. E pregando dal Cielo ogni vero contento a V. A. le faccio umil reverenza. Di Genova a dì 27 di febbraio 1620. Di Vostra Altezza Ser.ma Umilisi.0 e divot.’"0 Servidore Giovanni Costa. Il Duca si mostrava grato della « confidenza » dimostratagli dal Costa nel sottoporre alla sua revisione il primo libro della sua storia, e si proponeva di corrispondergli (1) Arch. Gonzaga, Carteggio cit., 15 febbraio 1620. (2) Ivi, Carteggio cit., e lett. al Magno di pari data. GIORNALE LIGUSTICO II3 « colla medesima sincerità, rilevando che negli avvenimenti in esso narrati non sarebbero riuscite inutili le sue avvertenze, per la parte eh’ egli ebbe a quei successi ». Intanto lo avvisava : « Ho di già mandato ordine perchè V. S. habbia caparra della mia afïettionata volontà verso di lei et voglio credere si sarà complito » (1). Queste communicazioni del Duca, accompagnate da quelle del segretario, riuscirono gratissime all’ animo del nostro scrittore, il quale ne porgeva grazie con vera effusione ; tanto più che non era soltanto data esca alla sua borsa, ma 1’ amor proprio rimaneva interamente pago per il desiderato titolo compartitogli (2). Tuttavia se potè compiacersi subito di questo, non fu così del danaro, chè gli ordini del Duca, a quanto pare, non venivano eseguiti. Di che si lagnava il Costa, ed anche del ritardo a restituirgli il manoscritto con le richieste osservazioni; onde nuove e più vive istanze muoveva alla Corte (3). Alla fine giunsero i quattrini, insieme ad una copia dell’ordine ducale, e forse, come sogliono i principi, non sarebbe dispiaciuto al Signore di Mantova che si conoscesse da tutti la sua liberalità, e la protezione conceduta allo scrittore ; ira ciò non tornava al nostro genovese : scrisse quindi questa lettera assai singolare (4): Ser.’"° Signore Avendo io da una copia d’un ordine di V. Alt. scorta la dimostrazione fatta da lei verso di me, ho stimato convenirmi come a suo divoto servidore, non doverla pubblicare. Imperciocché se 1’ onore e autorità de’ Principi dalla fama (1) Arch. Gonzag., Minute cit., 9 marzo 1620. (2) Ivi, Cartegg. cit., 14 marzo 1620. (3) Ivi, Cartegg. cit., 4 e 11 aprile 1620. (4) Ivi. Cartegg. cit. Giorn. Llgustico. Anno XVII. 8 ίΐ4 GIORNALE LIGUSTICO dipendono, che si direbbe di V. Alt. che già è usata di far atti non sol dritti, ma generosi, se or si sapesse, che V. A. avesse me, cittadino nobile e antico di Repubblica, si differentemente trattato, perchè io nello scriver de’ maggiori affari di V. A., e d’altri grandissimi Potentati, francamente difendessi le sue ragioni, e non comportassi, ch’altri il suo nome oscurassero? Quanto diletto ne prenderebbono gli emuli di V. A. se ciò intendessero? Quanto mal ciò senti-rebbono li discreti cavalieri : in che poco pregio sarei io presso gli huomini? Prego io adunque V. A. che le dette cosa ben considerando, voglia in miglior modo alla conservazione della sua riputazione, e del mio nome provvedere. Perchè a principii delle cose agevolmente si ripara ; ma la fama poi divolgatane, inrevocabile diviene. E a V. A. facendo umil reverenza, le prego da Dio somma felicità. Di Genova a di 25 d’ Aprile 1620. Di V. A. Ser.ma Umiliss.’"0 e divoiiss”'0 Servidore Giovanni Costa. Il proverbio dice che la fame viene mangiando, e pare proprio sia il caso del Costa, il quale non contento di quel eh aveva imborsato, si fece da capo a domandare ancora un altro compenso. Parve questa per avventura una indiscrezione al segretario, che neppur rispose alla sua lettera, con la quale lo pregava ad essergli di valido aiuto presso il Duca ; ed egli dolendosene, non senza petulanza, dichiarava: « A disiderare a chieder ciò a S. A. più son sospinto dal suo servigio e riputazione, che dalla mia particolare soddisfazione ». E con fina accortezza, nell’intento di rendere più agevole il compimento de’ suoi desideri, quasi volesse far balenare innanzi agli occhi del Duca una minaccia, soggiungeva: « Il Sig.r Claudio Marini m’ha fatto richiedere da giornale ligustcio 115 Torino una copia della mia storia, e penso d’ordine del S.1 Duca di Savoia, perciò vorrei che V. S. ciò considerando me ne dicesse la volontà di S. A. » (1). La cosa poteva pur essere verosimile, considerando che il Marini, genovese, ma entrato a servigio del re di Francia, reietto quindi dalla patria, era allora ministro francese a Torino (2). A Mantova si capì probabilmente a che mirassero le alzate del Costa e non risposero; onde egli spazientito, scriveva d’ aver deliberato, se non avesse ricevuto il suo manoscritto coll’ordinario successivo, di finire senz’altro la storia; di che dava avviso, affinchè il Duca non dovesse poi dolersene; quantunque gli sarebbe pure stato gradito che questi « alla sua richiesta compiacendo » gli « desse Γ ultimo spirito e ardire di scrivere compiutamente le ragioni » a lui spettanti (3). Ma perchè il Magno gli replicava che fra non molto avrebbe ricevuto il suo libro con le osservazioni del Duca, il quale però lasciava in suo « arbitrio il disporre della storia », credeva utile avvertire, come avendo saputo che il Marini stava per « comporre un’altra somigliante opera », egli non pensava « soddisfare alla sua curiosità » comunicandogli il lavoro già da lui condotto ben innanzi (4). Donde apparisce meglio Γ espediente al quale aveva creduto ricorrere con la prima affermazione per raggiungere il suo fine, mentre ora ripeteva furbescamente il giuoco, dando forse ad intendere che proponeasi di scrivere la storia di quel medesimo periodo, chi per la sua condizione dovea ben chiarirsi contrario agli interessi di Mantova. (D Arch. Gonzag., Cartegg. cit., 6 giugno 1620. (2) II Marini fu poi dichiarato ribelle nel 1625 (Cfr. Casoni, Annali di Genova, Genova, 1800, V, 102, 104). (3) Arch. Gonzag., Cartegg. cit., 20 giugno 1620. (4) Ivi, Cartegg. cit., 11 luglio 1620. GIORNALE LIGUSTICO In questo mezzo gli veniva notificato lo smarrimento del manoscritto e delle osservazioni già apparecchiate. Se ne commosse il Costa, e, supponendosi vittima di un intrigo de’ cortigiani, prese animo a scrivere al Duca così (i): Ser.’"° Sig.r‘ Già ringraziai V. A. del caro dimostramento dell’ animo suo fatto verso di me; e per più miei prieghi e lettere, le supplicai, che per confermare in me la special divozione, eh’ io ho al servigio di V. A., volesse farmi qualche nuovo segno d’accrescimento di sua cortesia, ma non avendone mai avuto risposta alcuna, sono in dubbio, se ciò sia a sua notizia pervenuto. Perciò nuovamente prego V. A. che per non isminuire la reputazione d’ un suo fedele e leal servidore, anzi per provvedere a qualche suo necessario bisogno, voglia compiacermi, acciocché io per questo nuovo beneficio grato, col laudare e riverire questa sua vera generosità, possa volgere gli onorati e degni miei travagli nel chiaro ossequio di V. A. Or, ancor che il mio libro, e le disiate note di V. A. si siano smarrite, spero pur che essendo sotto la sua protezione, massimamente con le diligenze che si usano, si debba ritrovare, e per ciò Γ aspetto per proseguir la mia storia. Con che .η V. A. inchinandomi, le prego ogni bramata felicità. Di Genova a dì 25 di luglio 1620. Di V. Altezza Ser.raa umilis.0 e divotiss.'”0 Ser.iort Giov. Costa. Faceva conoscere in un tempo al segretario il suo gran dispiacere per lo smarrimento del libro, toccando del sospetto « eh’ altri v’ abbia fatto su disegno » ; ma intanto lo impe- ti) Arch. Gonzag., Cartegg. cit., e le», di pari data al Magno. GIORNALE LIGUSTICO II7 gnava a favorirlo presso il Duca per il compenso che richiedeva. E poiché il manoscritto non si trovava più forti si radicavano i sospetti nell’ animo del Costa, che non mancava di farli sentire alla Corte ducale (1); pur non disperava affatto di raggiungere i suoi fini, per il che indirizzò al Duca questa lettera (2) : Ser.mo Sig.,e S’io fossi stato certo, che V. Alt. m’ avesse sotto la ducal sua protezione ricevuto, oltre che la mia fortuna si sarebbe in luogo stabile fondata; non mi sarei dello smarrimento del mio libro grandemente afflitto. Or perchè un buon pezzo mi ritrovo senza comandamento di V. A. e senza lettere del Sig.r Segretario Magno, io temo, e sto pensoso. Nientedimeno essendo io tenuto a servire a V. A. e parimente sforzato a riformar il principio della storia, che mi manca , mi son diliberato di far sapere a V. A., che se di questa mia lettera non avero al più prossimo e convenevol tempo risposta, non potrò valermi del libro, che già le ho mandato, nè di qualunque osservazione, che sopra di questo si fosse fatta. Confidandomi io adunque della benificenza e bontà di V. Altezza , spero che col suo favore e aiuto mi debba ogni cosa felicemente riuscire. E a V. A. come io devo inchinandomi, le prego dal Cielo ogni compiuta soddisfazione. Di Genova alli 19 di settembre 1620. Di V. Altezza Ser.ma Umil.m0 e divot.'”0 Servidore Giovanni Costa. Il silenzio serbato in seguito alla lettera riferita dalla Corte Mantovana, deve aver fatto intendere al nostro scrittore come (1) Arch. Gonzag., Cartegg. cit., 8 agosto 1620. (2) Ivi, Cartegg. cit., e lett. al Magno di pari data. 118 GIORNALE LIGUSTICO fosse ormai vano Γ insistere più oltre, poiché nè il libro sarebbe tornato in suo potere, nè avrebbe ottenuto altro sussidio di denaro. Tuttavia venuto il dicembre di quel medesimo anno, col pretesto di augurare al Duca le buone feste, tentò di riappiccare la corrispondenza, mostrandosi dolente che nell’animo del suo Signore fosse cancellato quell’affetto, che pur rimaneva vivissimo in lui; al che avendo quegli replicato, cortese ma asciutto, essere certo di questi sentimenti, che ei ricambiava, offrendogli « all’ incontro ogni dimostra-tione » della sua « buona corrispondenza » (i), il Costa, forse preso animo da quell’ ultima frase, volle saggiare il terreno scrivendo così (2): , Ser."'° Sig.rc Non mi poteva or certo occorrer cosa che più contento m’ apportasse, che ’l benigno dimostramento, che V. Alt. ha fatto dell’ animo suo verso di me. Imperocché ella non sol m ha privato d’ogni sospetto, che m’avesse oscurato parte della sua gratia, che grandemente pregio, ma mi ha in quella, come mi scrive, sommamente riposto. Perciò io non potendo con altro miglior modo ringraziamela, che con essertene grato, ne conserverò graziosa memoria. E mentrechè io la mia storia emendo, e penso tra pochi dì di farla copiare, se mercè di V. A. sarò fatto avveduto, ch’io la possa servire, m’ingegnerò di soddisfare in qualche parte al debito mio, e pregando a V. A. compita felicità, umilmente me 1 inchino. Di Genova a dì 3 di gennaio 1621. Di V. Altezza Ser.ma Umilis.’"0 e àivot”10 ser.Ji" G10. Costa. (1) Arch. Gonzag., Minute cit., 28 dicembre 1620. (2) Ivi, Cartegg. cit. giornale ligustico 119 Ma furono parole vane; ormai il Costa dovette persuadersi che a Mantova avevano deliberato di troncare ogni relazione con lui. Cessa quindi a questo punto il carteggio, e manca altresì ogni ulteriore notizia del nostro scrittore, il quale rientra nella numerosa schiera di coloro che, pur dotati d'ingegno e di sapere, mettevano la penna al soldo de’ principi, sacrificando, alcuna volta all’avidità del danaro, spesso albi-sogno, la verità della storia. Nè della sua opera sulle guerre del Piemonte e del Monferrato ci è rimasta alcuna traccia ; convien dire ne sia andato disperso l’intero manoscritto, come quella prima parte mandata a Mantova; la quale, 0 per deliberato proposito 0 perchè davvero ita in sinistro, non tornò più mai nelle mani del suo autore. A. Neri. GIOVANNI TOSCANELLA Giovanni Toscanella nacque nella città etrusca, dalla quale desunse il cognome. Il tempo della sua nascita si può determinare approssimativamente. Egli fu scolaro di Guarino a Firenze (1). A Firenze Guarino insegnò dal 1410 al 1414; supponendo che il Toscanella sia andato a studiare quand’era in sulla quindicina, collocheremo senza molto discostarci dal vero la sua nascita verso il 1395. Il Toscanella dunque abbandonò il suo paese natio, « l’amatissima madre, i carissimi fratelli, le graziosissime sorelle, gli amici », e si recò a Firenze a sentire le lezioni di umanità di Guarino. In paese fu veduta di malocchio quella risoluzione. Perchè non si era invece applicato alla giurispru- (1) Secondo la testimonianza di Lodovico Carbone nell’ orazione funebre per Guarino. 120 GIORNALE LIGUSTICO denza, al diritto canonico, alla medicina, che impinguavano la boisa? con le belle lettere si muore di fame. Ecco il ter- I ibile bivio, dinanzi al quale si trovarono quasi tutti gli umanisti, quand erano giunti all’ età della toga virile : o arricchirsi facendosi medici e avvocati, o deliziarsi nelle serene soddisfazioni dell arte stentando la vita. La via dell’ umanismo fu piefei ita ancne dal Toscanella, il quale seppe difendere strenuamente la propria scelta contro quelli che in paese lo biasimavano e che cercavano di distogliernelo. E ora facciamo un piccolo salto, trasportandoci col pensiero a Bologna nel 1425. Anno memorabile fu quello per Bologna e pei 1 umanismo ! Era vescovo della città Nicolò Albergati r ° 5 amoso non tanto per sè , quanto per un segretario che si teneva in casa: Tomaso Parentucelli, il futuro papa Nicolò V. II Paientucelli era un appassionato umanista, un instancabile livellatore di codici. Alla metà del 1424 era capitato a Bologna da Costantinopoli 1’ Aurispa, il quale fu condotto in quello studio come professore di greco nell’ anno scolastico J424 " I425· Nel ^25 vi giunse il Panormita a terminare i suoi studi di giurisprudenza : e intanto dava gli ultimi tocchi all Et mafrodito, che usci alla luce sul finire del 1425 0 nei primi giorni dell’ anno seguente. Nel 1425 predicò a Bologna un celebre monaco minorità, allievo di Guarino, Alberto da Sarzana, che dovea poi diventare uno dei più fieri persecutori del Panormita. Intorno a questi personaggi maggiori si raccoglie una schiera di altri minori : Bartolomeo Guasco, genovese, e Tomaso Seneca da Camerino, due dei più singolari maestri vaganti di quel secolo; Andreozio Pie-ìucci senese, Andrea da Rimini, Giovanni di Luni, il Rinucci, il grammatico Antonio, Berto Ildebrando e altri (1). (i) Per questo circolo umanistico si veda p. e. la lettera di Alberto da Sarzana (Ambr. Traversari, Epistolae, ed. Canneto, XXV, 4) che è del GIORNALE LIGUSTICO 121 In questo centro di umanisti troviamo nel 1425 anche Giovanni Toscanella, il quale probabilmente era andato a Bologna a sentire le lezioni dell’ Aurispa e forse ritornò con lui a Firenze, quando 1’ Aurispa vi fu chiamato a insegnare per l’anno scolastico 1425-26. Ad ogni modo rincontriamo il Toscanella a Firenze nel 1429. In quell’ anno si recava a Firenze a studiarvi il greco un ligure , Bartolomeo Fazio , il quale si fece dare alcune commendatizie dal Panormita; e il Panormita lo raccomandò al Niccoli, al Marsuppini e anche al Toscanella (1). Nell’estate del 1430 il Toscanella si ricoverò nel territorio di Luni, a Sarzana: senza dubbio per fuggire la peste che infestava Firenze. La sua dimora in Sarzana è attestata da una lettera del Panormita a Santia Ballo , della quale reco alcuni passi (2): « Ea quae ad dignitatem meam spectant accipies ab Augusta meo....... Glelmus una cum Ruffo Gon- zago balneas colunt apud Pisas... Tuscanella noster Sarzanae degit, Philelfus adhuc Florentiae est, Gasparinus hic (Papiae) senio iam et invalitudine confectus ». Se Gelmo e Ruffo stanno ai bagni, siamo d’estate. La dignitas a cui accenna il Panormita è la nomina di poeta ducale, che gli fu data dal Visconti nel dicembre del 1429 (3). Dall’ altra parte vive ancora Gasparino (Barzizza), il quale mori nel febbraio 1431. L’anno della lettera è pertanto il 1430; allora il Toscanella stava a Sarzana: Sarranae degit. 1425; più il seguente passo di una lettera del Guasco al Panormita: eius disciplinae, quam apud te, Aurispam, Pontanum, Toscanellam interdum et propere quidem mendicatam, ut sic loquar, accepi (Misceli. Tioli, XXIX, p. 221). (1) A. Beccatelli, Epistolae, Venetiis 1553, f. 85.^ 86/ (le due lettere sono del 1429). (2) A. Beccatelli, Epist., f. 62Λ (3) Ramorino, Contributi alla Storia biogr. e crii, di A. Beccadelli, p. 77-78. 122 GIORNALE LIGUSTICO Lo stesso Toscanella del resto accenna il suo soggiorno in Sarzana in una lettera, che riporto per intero: Doctissimo et praestantissime iureconsuito d. lohanni de Anagnia Iohannes Tuscanelìa s. p. d. (i). Obsecro te per deos immortales, praestantissime Iobannes, causam meam suscipias susceptamque tuearis, si quis forte mihi culpae ascribat quod tam sero venerim. Celerius enim venire haudquaquam potui. Nam cum loca, quae ex agro Lunensi recta Florentiam ferunt, omnia propter Lucense bellum infesta essent, consilium mihi caoiundum fuit, ut ex Macrae ostio Pisas usque traicerem. Ad eam autem rem opus fuit prosperum et navigabile tempus expectare, praesertim cum non nisi parva et ventis non magnopere credenda navigia habere quirem. Dii dederunt ut proximis diebus mira in mari tranquillitas esset. Itaque celocem sumpsi et prospere Pisas navigavi. Ibi cum essem dedi operam ut sarcinulae meae, quae tum quoque Pisis erant, celeriter mihi Florentiam mitterentur. Ego vero repente iter ingressus sum Florentiamque deum benignitate perveni atque haec raptim perscripsi, quo te omni de re facerem certiorem. Quare, praestantissime Iohannes, audacter omnibus nuntiato ut me prope diem, hoc est cum primum sarcinulas meas accepero, sine ulla dubitatione expectent. Ceterum ex Francisco Philelfo v. cl. et mihi amicissimo, qui proximis diebus e Bononia Florentiam rediit, certior factus sum Thomam nescio quem ludi magistrum profiteri ausum ac palam multis audientibus dixisse se mane lecturum et tamquam in armorum certamine mecum concursurum. Id ego non tam proinde graviter fero, quod diffidam huic summo omnium Homero me obsistere haud posse, quam quod turpe arbitror hominem flagitiosum non solum mihi concurrentem dari , verum etiam a tam nobili civitate audiri. Utinam haec falso ementirer. Sed ita sunt in promptu omnibus, ut vehementer admirer nullum huiuscemodi rumorem ad Bononienses viros modestissimos ac prudentissimos pervenisse. Non possum adduci ut credam hanc rem a Bononiensibus neglectum iri, quos audio honestati in primis semper consuluisse. Haec te propalam in vulgus edere non postulo; cupio tamen iis, quos nunc Sapientes nunc Reformatores appellant, non ignota esse. Fac ut valeas et me cum ceteris Bononiensibus, viris lectissimis, tum d. Carolo Ghisilerio equiti ornatissimo etiam atque etiam commendes; ad (i) Misceli. Tioli, XV, p. 529. GIORNALE LIGUSTICO 123 quem libenter equidem scripsissem, si angustia temporis mihi scribendi libertatem omnem non eripuisset. Iterum vale. Ex Florentia vii kal. novembris (1430). La lettera ci fornisce un nuovo argomento per la data, la menzione del Lucense bellum; la guerra di Lucca ebbe luogo appunto nel 1430. Il Toscanella dunque da Sarzana dovette pigliare la via del mare, perchè le vie di terra erano molestate dalle soldatesche. Si imbarcò alle foci della Magra e approdò a Pisa ; di là passò a Firenze, aspettando il bagaglio per trasferirsi a Bologna , dove gli premeva arrivar presto, avendo inteso che un certo Tomaso si preparava a fargli concorrenza alla cattedra. Il Toscanella insegnò a Bologna soltanto l’anno scolastico 1430-1431 (1), poiché già nel 1431 lo troviamo in Ferrara. Il Panormita infatti in una lettera del 1431 enumerando gli umanisti che erano stati chiamati a Ferrara dal marchese Nicolò d’Este, nomina anche il Toscanella (2). A Ferrara il Toscanella ottenne la medesima posizione di Guarino e dell’ Aurispa; gli fu cioè affidata l’educazione di un figlio del marchese. A Guarino fu affidato Leonello, all’ Aurispa Me-liaduso, al Toscanella Borso. In Ferrara il Toscanella si piantò stabilmente e vi prese moglie. Sul qual proposito reco un passo di una sua lettera al marchese Leonello, dove gli domanda un sussidio per il corredo : loannes Tuscanella ili. principi Leonello s. (3). . . Sponsam per supériores dies accepi Christianam , idest honestam vitam ducentem. Eam propediem, si per gratiam tuam liceat, domi ducturus (1) La prolusione al suo corso in Bologna si trova nel cod. Lauren-ziano XC. 55 f. 90' e nel cod. di Agram 17-17, VIII, 285 f. 150'. (2) È la stessa lettera citata da R. Sabbadini, Guai ino Veronese e gli archetipi di Celso e Plauto, p. 49. (3) Misceli. Tioli, XV, p. 525. 124 GIORNALE LIGUSTICO sum. Verum cum tenues mihi facultates sint neque ei vestem ceterumque muliebrem mundum pro coniugii nuptiarumque dignitate satis suppeditare queam, ad te confugio, abs te opem peto..... Leonello è marchese di Ferrara; perciò la lettera cade tra il 1442 e il 1450, periodo del governo di Leonello. Nel 1444 si celebrarono in Ferrara le nozze di Leonello con Bianca Maria d’Aragona. Le feste del matrimonio furono minutamente descritte in una lettera del Toscanella all' Aurispa , della quale , per esser troppo lunga , qui non riporto che il principio. lohannes Tuscanella Aurispae v. cl. s. (1). Cum per superiores dies otiosus essem et nuptias, quae a Leonello Estensi, optimo prudentissimoque principe, magnifico omnium rerum apparatu , incredibili gentium concursu , magna ludorum copia factae sunt, spectarem, ut aliquid de iis ad te scriberem duplici me aere alieno, teneri facile intellexi. Primum quod quatuordecim iam per annos tot tantisque beneficiis a Borsio Estensi, Leonelli fratre, viro optimo ac iustissimo affectus sum ; ipse vero Leonellus interea ea me benivolentia complexus est, ut eis non modo studia cogitationesque meas omnes ad eorum laudes celebrandas, verum etiam pro eorum salute vitam quoque a me deberi existimaverim. Deinde quod tuus erga me amor ita summus ac singularis semper fuit, ut me abs te non diligi solum sed etiam amari et in fratris locum haberi tuorum erga me officiorum multitudine manifesto perspexerim....... Ferrariae kalendis iuniis (1444). Qui apprendiamo dalla testimonianza del Toscanella stesso, qual fosse la sua posizione in Ferrara e da quanto tempo egli vi stesse: da quattordici anni, vale a dire dal 1431. Ora reco un’ altra sua lettera del medesimo anno, al Panormita : (1) Cod. Ambrosiano F. S. V. 18 f. 53.v / GIORNALE LIGUSTICO 125 loannes Tuscanella Antonio Panhormitae poetae cl. s. (1). ^Lectitanti mihi nuper litteras tuas et nostrum scribendi usum , quem libenter usurpare consuevimus, iampridem intermissum esse dolenti mirum quoddam tui videndi loquendique desiderium subrepsit. Rediit enim mihi in mentem eius consuetudinis quam multos iam annos diligentissime coluissemus (2). Itaque humanam illam sortem, quae amicos saepe non tam animo quam corpore disiungit, quin accusarem facere non potui. Incommode enim, ne dicam impie, id plerisque amicis usuvenit, ut praesentes esse non possint. Quod contra in amicitia optandum est, ut dies noctesque sese videntes atque adloquentes accessionem aliquam amoris facere contendant officiumque amicitiae alter in alterum semper exercere sit paratus. « Amantes enim, Catullo auctore [LXVI 31], non longe a caro corpore abesse volunt ». Itaque opus non est ut me per Theodorum (3) obtesteris. Satis enim superque amicabilis, ut tu ais, Iupiter ad ea, quae a me voles, impetranda semper poterit. Est enim amor erga te meus summus et ut verum tibi ingenue profitear singularis ac paene incredibilis. Semper enim te plurimi feci faciamque dum vivam ; neque erit quicquam quod tu de me amicitiae iure non possis. Commentarios (4) autem quos postulas quando tuae mihi redditae sunt librarius nondum absolverat, absolvet autem post nuptias (5) quamprimum. Mitto igitur ad te per Salernitanum principem (6) excriptos quinterniones quatuor et viginti. Duos autem qui ad totius operis summam desunt cum primum librarius excripserit Romam ad Aurispam mittam, ut inde ad te recta celeriter dimittantur. Emendandorum vero Commentariorum per has nuptias tempus non fuit. Feci autem quod potui. Primum enim a librario ea quae digniora commemoratu erant in marginibus singula notari feci. (1) Misceli. Tioli, XXIX, p. 212. (2) Si allude all’anno 1425 in cui si erano incontrati a Bologna. (3) Teodoro Gaza, che era in Ferrara. Questo cenno è di gran valore per la biografia del Gaza ; cfr. Γ errore del Voigt, Wiederlelelmng, I, p. 569, η. i. Vedansi del resto nell’Epistolario del Filelfo (Venetiis 1502) le lettere a Catone Sacco del 1440, f. 28.' 28.v 29/ (4) I Commentari dì Cesare. (5) Le nozze di Leonello; con ciò si determina l’anno della lettera. (6) Il principe di Salerno avea accompagnata da Napoli a Ferrara la sposa Bianca Maria d’Aragona. 12 6 GIORNALE LIGUSTICO Dein ego « Belli Gallici » maiorem partem sine ullo exemplari percurri, ut tibi si non omni, aliqua saltem ex parte satisfacerem. Reliquum est ut persuasum tibi habeas te a me etiam atque etiam amari; quod ut tu quoque erga me facias vehementer te rogo. Vale. E Ferraria pridie kal. rnaias (1444) raptim. Si me amas, fac ;egiae maiestati me accuratissime commendes. Nel 1447 il Toscanella lasciò il servizio della corte di Ferrara e passò al servizio di Nicolò V. Ciò è attestato da una lettera del Filelfo allo stesso Toscanella (1): « Gratulor fortunae tuae, rai Tuscanella, iuxta atque virtuti, quod locum nactus es ornatissimum apud Nicolaum quintum pontificem maximum..... Ex Mediolano idib. iuliis 1447 }> (2)· Nell’occasione che il Toscanella si recava a Roma al nuovo ufficio, Guarino lo muniva di alcune sue commendatizie , in una delle quali cosi presenta il suo raccomandato: Est d. Ioannes Tuscanella, magister epistularum, quem cancellarium appel-lant, ili. d. Borsii Estensis. Donde ricaviamo che il Toscanella dopo di essere stato institutore di Borsa, fu il suo segretario. D'ora in poi lo perdiamo di vista, ma probabilmente passò gli ultimi suoi anni sempre nella curia pontificia. Certo non era più vivo nel 1461 (3). (1) Philelfi, Epistolae, Venetiis 1502, f. 40/ (2) Il Toscanella praticò anche prima la corte pontificia. Cosi egli era a Firenze nel 1439 tempo del concilio. Vi era anche 1’ Aurispa , che , pur occupando una stabile posizione a Ferrara, bazzicava spesso nella Curia. Cfr. Philelfi, Epist., f. 20.v : lettera all’Aurispa, che stava a Firenze: a Petis a me Dionaprusa ensem (leggi Diona Prusiensem)..... ibit codex ad te mutuo non dono..-.. Tuscanellam nostrum opto bene valere. — Ex Ticino id. dee. 1439 ÿ· (3) In due atti dell’ Archivio di Stato in Modena (Camera ducale. — Registro di investiture, X, f. 277/ 277.V) del 3 giugno 1461 si parla di Teodosia del fu Giovanni Toscanella, moglie del ferrarese Michele Arienti. Essa fa quietanza di 50 ducati a Nardo Palmieri di Aversa, cognato dell’ Aurispa. GIORNALE LIGUSTICO 127 La vita del Toscanella si divide nettamente in due periodi: nel primo, che va sino al 1430, egli abitò parte al paese natio, parte a Firenze, dove studiò e poi insegnò, e parte a Bologna, dove frequentò quel circolo d’umanisti. Nel secondo periodo visse, meno l’anno di insegnamento a Bologna (1430-1431), per la maggior parte a Ferrara, sino al 1447, indi alla curia di Roma, sino alla morte. Del primo periodo abbiamo un gruppo di cinque lettere di lui, le quali vengono qui appresso riportate. Furono trovate nel cod. Marciano XII, 139 dal prof. Francesco Novati, il quale gentilmente me le trasmise. Tutte cinque sono scritte da Firenze e con ciò vanno collocate tra questi due limiti estremi: il 1410 , l’anno in cui Guarino andò a insegnare a Firenze e il 1430, l’anno in cui il Toscanella abbandonò Firenze. Esse poi forniscono indizi per un limite cronologico più determinato. La I ci mostra il Toscanella arrivato da poco a Firenze, a studiare; essa perciò cade tra il 1410 e il 1414, gli anni in cui Guarino insegnò nello studio fiorentino. Nella II vive ancora Ambrogio Traversai, il quale mori nel 1439 ; ma più importante è l’altro indizio offertoci dalla menzione di Tomaso Fregoso, tuttavia doge di Genova. Noi sappiamo che Tomaso cessò di esser doge nel 1421, per effetto dell’ occupazione Viscontesca. La lettera è dunque anteriore al 1421. Press’a poco del medesimo tempo è la III, perchè in essa come nella II vediamo il Toscanella istitutore dei figli di casa Fregoso. La IV, al Poggio, e la V, a Cencio de’ Rustici, trattano del medesimo argomento e con le medesime frasi: sono dunque scritte nel medesimo giorno. La IV fa il Poggio a Roma. Ora il Poggio si trovò in Roma con la curia pontificia dal 1411 al 1413 e dal 1423 in poi. Infatti dal 1413 al 1420 la curia stette fuori di Roma e il Poggio non la raggiunse che il 1423, di ritorno dall’ Inghilterra. Io preferirei collocare le due lettere verso il 1424. 128 GIORNALE LIGUSTICO Le tre prime sono importanti: la I per la lotta vittoriosamente combattuta dal Toscanella fra le sue tendenze umanistiche e le tendenze, diremmo così, utilitarie dei suoi parenti. La II e la III sono importanti per il metodo didattico del Toscanella: è il metodo guariniano, salvo che più tardi Guarino leggeva meno Plauto e più Terenzio. Queste due lettere sono anche importanti per la storia di Genova ; ma qui io cedo il campo agli studiosi delle memorie liguri. Remigio Sabbadini. I. (i) I[OANNES] T[USCANELLA] DOMINO ERRICO VIRO RELIGIOSISSIMO P. S. D. (2). Etsi quasi nihil hoc tempore haberem (3) quod ad te scriberem ma-gisque (4) in tanta rerum mearum ignoratione (5) litteras tuas expectarem, cum Antonius et Marcus Agnellus, duo fratres, conterranei tui, viri optimi, Florentiam ad me venissent, omnino mihi visum fuit moribus et studio meo convenire his fratribus mearum litterarum aliquid dare et, quamquam subhoneste tacere possem, ex industria abundantius aliquid scribere. Nam quandiu litteras expectabo tuas, quandiu desiderium meum suspendes ? O summam atque ingratam negligentiam , exclamare enim licet, nil ei scribere cui summa necessitudine coniunctus sis, ex quo frequentes epistolas acceperis, a quo pro multo (?) distes. Quid poterat mihi esse iocundius diu et multum id desideranti quam epistolas tuas lectitare et de rebus meis, quas adhuc ignoro, certum aliquid audire? Enimvero certior ex te factus essem quid carissima mater, quid suavissimi fratres ac dulcissimae atque bellissimae sorores, quid propinqui, quid familiares, quid amici, denique quid tota ea patria mea (6) Tuscanella facit. At tu neque quicquam eorum scribis et contra me stomachum opponere (1) A piè del testo segno le principali lezioni erronee del codice. Le parti supplite chiudo tra [ I (2) F. 67.V. (3) Habeam cod. (4) Magis quam cod. ($) Ignorantie cod. (6) Ea patria mea] compatrimonio cod. GIORNALE LIGUSTICO I29 videris , quasi vituperandus sim quod litteris graecis et humanitatis studiis me destinaverim, proinde quasi multis epistolis non probaverim recte me et sapienter egisse. Utinam Florentiae esses et me videres ! tu quidem opinionem istam falsam praesertim deponeres et propositum meum laudares et bis tanto amares quam prius. Interroga istos iuvenes, quibus has litteras credidi, quibus ego longo tempore (1) sum usus, qualis vita nostra praesens sit, qualis gloria, qualis spes fortunae felicioris. Audi ; obsecro, eos haec tibi referentes et denique bonum erga me animum suscipe; fave studiis meis, adiuva, et bonam in me spem pone; neque velis inconsulto tam subito desperare. Nihil potest esse molestius (2), nihil gravius quam tales rumores audire , quippe qui te a teneris , ut aiunt, unguiculis (3) colere atque observare solitus sim. Mirum quidem est quantum apud me auctoritate valeas, quantum voluntate; nihil sequerer quod tu me sequi dissuaderes ; nihil vellem quod tu me nolle perrogares. Id propositum et antehac serva semper et posthac sustentare paratus sum ; tu vero id velle animo debes ; ad id me hortari atque rogare, quod vobis honori atque utilitati, mihi vero etiam iocunditati maximae sit. Id est, quod tu me rogare debes ; neque putare non sane neque commode me fecisse, nulla audita ratione; enim vero quis unquam ausus est bonarum artium studia vituperare, nisi qui tardus, qui ignarus, qui illitteratus omnino (4) sit? Laudant plerique iuris civilis scientiam quod maxima inde emolumenta consequantur, plerique ius pontificium, nonnulli medicinam ; cur non potius alia artificia atque artifices, « lanios cocos cetarios cuppedinarios omnes » (5) et in primis mercaturam? Ex hac enim plerique grandem pecuniam compararunt. Quia, inquies, honore aut nullo aut non magno haec artificia et quaestus non habentur ; doctrina vero bonarum artium nonne maxime egregios viros facit ? Potest haec , mihi crede, ad honorem plurimum, potest ad utilitatem [conferre]. Possum tibi commemorare magnos quosdam et praeclaros viros, qui his artibus divitias maximas sunt adepti ; ex his ego mihi spem pono si id assequar quod sequor. Non desunt praemia virtutibus, modo ne desint virtutes ; forti vero universus orbis patria est. Ergo si hae artes vituperationi dandae non sunt, quod gloriosos, quod divites viros faciunt, restat nihil (1) Tempore [sermone cod. (2) Modestius cod. (3) Ungulis cod. (4) Animo cod. (5) Terent. Enn. 256-57. Giorn. Ligustico. Ann* XVII. 9 GIORNALE LIGUSTICO me praeter sententiam tuam fecisse; tantummodo forte admonendus fueras, sed verebar ne me optime deliberantem atque agentem impedires. Plura in hanc sententiam scriberem, si viderem institutum meum persuadere posse; sed cum saepenumero argumentis te vicerim, persuadete tamen non potuerim, plura inde loquens [desinam et te et] me obtundere; illud vero omnino te movere velim : quicquid ad te scripsi , te me comprobaturum. Vale. II. Claro principi d. To[mae] de Campofregoso I[OANNES] T[USCANELLA] P. S. D. (i). Etsi nihil ante vererer , princeps clarissime, quin meum in tuos nepotes studium gratum admodum tibi futurum esset, cum et ex iis , qui aut ad te proficiscuntur aut aliquid scribunt, intelligeres me in eis erudiendis atque instituendis nullum omnino laborem recusare , tamen nunc certior factus sum es his litteris, quas pridie idus decembris ad me dedisti, quae quidem adeo me ad hoc beneficium cumulandum implendumque cohortantur (2), ut cum tui omnes abunde eis me facere satis dicant, ego, quia maiora quaedam mente concipio, satisfacere mihi minime possim. Tanta est enim mea in te observantia, tanta in nepotes benivolentia, ut etsi aliorum iudicio non parva sint quae agam , tamen pro satisfaciendi voluntate minima mihi esse videantur (3). Atque utinam curae et cogitationes meae eum exitum quem expecto et, si quid futurarum rerum certi est, vera ratione futurum video, consequantur, ut scilicet et nepotibus tuis ego tam diu legere et ipsi me tam diu quantum sat erit audire possint; perspicies (4) enim non mediocrem eos apud me ex humanitatis studiis utilitatem consecutos fuisse; nam quod scribis, meum de eorum ingeniis iudicium magno te gaudio affecisse (5), velim scias me quod sentirem quidve de eis sperarem ingenue ad te scripsisse, neque putes me id tuis auribus dedisse. Perridiculum enim esset si, tuorum nepotum gloriae studens, meam ipse existimationem negligerem, cum praesertim omnia in apertum non longo post tempore ventura sint, (1) F. é$v. (2) Coarctantur cod. (5) Videntur cod. (4) Perspiciens cod· (5) Effecisse eoa. giornale ligustico 131 eoque minus meo nomini consulerem (1) , quod cum eos doctrinae atque eloquentiae causa ad me, ut tute scribis, Florentiam miseris, haud parvum non dicendi solum, sed etiam consulendi munus suscepisse videor ; quas ob res, quo maiorem iudicio, quod pridem dedi, fidem auctoritatemque adhibeas, frequentius litteris id confirmare institui. Quid igitur dicam? nempe ea quae ut vera sic omnibus perspicua sunt, nepotes scilicet tuos et magnis ingeniis praeditos et humanitatis studiis deditissimos esse. Quod scribis ut crebro [te] de eorum profectu certiorem faciam, tuae morem voluntati gerere curabo ; sed antequam ad eam rem veniam, in primis omnis tibi consilii mei ratio explicanda videtur; ita enim fiet ut et probare quae tuae rationi non repugnabunt et corrigere quae non placebunt facillime possis. Antequam quicquam tuis nepotibus legere coepissem , princeps clarissime, non solum quid primum lecturus essem (2) ipse mecum cogitavi, verum etiam, quod ex Petro Sarzanensi scire potueris, Ambrosium monachum, virum omnibus humanitatis studiis (3) eruditissimum, ad consultandum adhibui; is autem consilium meum (4) adeo probavit, ut ne minima quidem parte ab opinione mea (5) discreparet; et recte meo quidem iudicio. Nam cum ingenia nepotum tuorum tamquam in trutina suspendissem et quantum oneris eorum humeri ferre possent multo ante vidissem , facillime quid eorum aetati accommodissimum esset iudicare (6) poteram. Animadverti igitur proprietatem varietatemque verborum eis plurimum deesse; quo circa, Ambrosii sententia atque auctoritate confirmatus , linguae latinae docendae (7) causa Virgilii opera sumsi mihi explicanda; tanta est enim in eis verborum proprietas, ut, quemadmodum est in Saturnalibus (8) a Macrobio scriptum, « haec in Virgilio laus esse iam desinat » ; ea autem, [ut] est apud Fabium, omnibus qui sermonem curae habent debet esse communis; in ea enim est elegantia, quam omnes vel praecipuam in oratore laudem esse dicunt. Deinde Officia Ciceronis, non modo ad linguae observationem (est enim idem fere in omnibus locis Cicero), sed et ad mores multo etiam magis, plurimum conferre posse (1) Consulere cod. (2) Esse cod. (5) Studium nome di donativi, dagli statuti della città stessa di Nizza, ed in ultimo dalla presente raccolta. La quale propriamente concerne quella parte della contea ven-timiglbse, che passò (come ben dimostra lo stesso Cais, contro le erronee affermazioni dell’ Alberti) nel 1257 e 58 alla casa degli Angioini, in virtù della cessione loro fatta dai conti Gu-glielmino, Bonifazio e Giorgio, e dal trattato di Aix ^ del 22 luglio 1262 venne a quella casa legalmente riconosciuta. Così nacque la vicaria angioina, che ebbe la sede in Sospello, e si intitolò del comitato di Ventimiglia e della valle ώ Lan-tosca: formola troppo estesa, osserva il Cais, e mal rispondente alla verità ; ma chiara enunciazione delle pretese dei nuovi signori sovra la città stessa di Ventimiglia e sovra 154 GIORNALE LIGUSTICO quelle altre terre, rispetto alle quali i cedenti si erano pure spogliati di ogni diritto eventuale. Certamente, nei secoli anteriori — al contrario del comitato di Nizza, dipendenza dell’arcivescovato di Embrun — la contea di Ventimiglia fu interamente italiana. Ma essa non fu egualmente da antico una « dépendance de l’archevêché de Gènes » (pag. 7) ; anzi la Chiesa ventimigliese e la genovese rilevarono ad un modo, fino al 1133, dall’arcivescovato di Milano; e da esso i vescovi di Ventimiglia continuarono pure a rilevare fino agli inizi del secolo presente. Del resto, la storia che precede la cessione fatta dai conti di Ventimiglia a quelli di Provenza, gli atti che vi si riferiscono e le vicende della vicaria, fino al suo trapasso nei conti di Savoia su lo scorcio del secolo xiv, vendono riassunti 7 O o analizzati dal Cais con bell’ordine e diligenza. Gli Statuti e Privilegi si conservano in un codice membranaceo in foglio dell’archivio torinese di Stato; e l’importanza loro è esattamente determinata dallo stesso editore. « Lungi dall’essere così completi ed interessanti come gli statuti di Nizza, hanno però il merito di completarli, e quello special-mente di dare notizie molto preziose sopra la costituzione della vicaria, sopra gli officiali di essa e le loro attribuzioni, sopra i parlamenti ed i ricorsi al sovrano, sopra l’amministrazione della giustizia, sopra le mancanze e le concussioni delle quali gli ammistratori si rendeano spesso colpevoli; infine, ci ragguagliano intorno a qualche usanza e a qualche nome non ancora conosciuti per documenti pubblicati su Nizza » (pp. 22). Del che tutto discorre di mano in mano il Cais, indagando altresì quali capitoli del Codice veramente appartengano all’età della vicaria, e quali da antecedenti redazioni vi sieno derivati. In complesso i capitoli giungono al numero 132; ma il solerte editore li ha fatti seguire dalle rubriche di altri 44, GIORNALE LIGUSTICO ISS che rappresentano le disposizioni emanate più tardi dai principi di Savoia, e sono contenute del pari nel codice torinese. In fine è una appendice di quattro documenti inediti, de’ quali il Cais ragiona nella Introduzione. Ma noi, e certamente altri studiosi con noi, avremmo desiderato che il volume si chiudesse con un indice dei nomi e delle cose, che è sussidio troppo necessario a questo genere di pubblicazioni, e del quale più vivamente sentiamo la mancanza, pensando allo esempio che l’editore ce 11e avea dato nel Cartulario nicese. Rammentiamo da ultimo che la edizione degli Statuti, nitida e corretta, del fonnato in 4.0, su carta a mano, fa onore alla Tipografia del nostro Istituto dei Sordo-Muti. L. T. B. SPIGOLATURE E NOTIZIE Dal terzo fascicolo (testo) della relazione di rnons. Tsidoro Carini su gli archivi e le biblioteche di Spagna, che fu distribuito di recente, abbenchè sulla copertina porti la data del 1884, leviamo notizia di non pochi documenti genovesi (1). Tra le carte rimesse all’Archivio di Simancas dalla Segreteria di Stato nel 1826, sono corrispondenze concernenti la repubblica di Genova dal 1706 al 1788 (pag. 340). Nella Negociacion de Espaiìa si conservano « scritture, che riferisconsi ad ostilità commesse da’ Genovesi contro sudditi della Corona di Spagna (1690-94) » ; e « vi è pure alcun documento relativo a Colombo « (pag· 345 —46). Nella Segreteria di Stato d’Ilalia, appartengono a Genova i legajos 1362-1437, 1951-36, 3590-3645 (pag. 364-65). Nella Soprintendenza di Azienda « un expediente del 1782.... riguarda il reclamo di un credito tatto alla repubblica di Genova » (pag· 3^7)· Nella serie delle cronache dell’Escuriale, si incontrano: Capitoli del principe D’Oria pel riacquisto della Corsica; Discorsi su la repubblica di Genova, uno de’ quali è di Bernardo Giustiniani (pag. 431-32). Inoltre vi ha un nis. riguardante l’ingresso del re di Spagna in Genova (pagina 434) ; e vi son carte concernenti la « venuta in Ispagna del pittore geno- (1) Cfr. pei fascicoli I e II, Giorn. Lig., a. iS8>, pp. I5> segg. · a· l88é> PP· ‘79 segg. i56 GIORNALE LIGUSTICO vese Luchetto (Luca Cambiaso), per dipingere la chiesa dell’Escuriale » (pag. 435). Tra i mss. Escurialesi citasi un esemplare del Cbronicon del Varagine in cod. menibr. del sec. χιν o xv (pag. 441). Un altro cod. cartaceo dello stesso tempo, e di provenienza catalana, « contiene una accolta interessante di documenti, fra i quali parecchi riguardano Genova, Venezia » ecc.; per es., una lettera di Clemente VI regi Ar agonum super pace ineunda cum Ianuensibus (pag. 446-47). Un cartaceo miscellaneo del sec. xv ha varie; epistolae di Giovanni de’ conti di Ventimiglia (pag. 463). Nella biblioteca Provincial di Toledo sono memorie circa la « consegna di certi galeoni presi a’ Genovesi » e circa « l’impresa di Genova », nonché un « registro di lettere scritte in Genova da D. Juan de Elizando al marchese Grimaldi (1715), relative ad affari di Spagna (pag. 498 e 504). Infine tra i mss. di Valenza è un poema di Giorgio Fieschi , ad Ferdinandum Siciliae regem. E noi aggiungiamo che è V Euboidos, in due libri, il quale fu anche recentemente creduto inedito (1), ma di cui esiste invece una rarissima stampa di ff. 19 citata già da Michele Giustiniani (Scritt. Lig., pp. 293), poi da Lorenzo Giustiniani attribuita all’officina tipografica di Sisto Riessinger (cfr. Saggio star. crii, sulla Tip. d. regno di Napoli, PP· 65), e descritta dall’Hain (Rep. Bibliogr., ed. 1827, n. 7132). Il quale nota che il poema è preceduto da una elegia di nove distici, che comincia: [S]aepe licet nostros tentarint carmina sensus Visaque sint nobis dicere tolle chellym. Inoltre il poema principia con questo verso : [B]ella per euboycos ludo mine aspera campos. * * * Nel Bulletin de la Société normande de Géographie, di Rouen, novembre-dicembre 1889, pp. 349, R. Francisque-Michel riproduce a facsimile un dispaccio del re Giovanni III di Portogallo a don Antonio Dataida, suo ambasciatcre straordinario presso Francesco I, in data del 7 luglio 153x. Vi si parla di Gaspare Palha, addetto all’ambasciata di don Antonio, e si avverte che dovea recarsi a Genova per terminare del tutto il negozio di Leone Pancaldo, il ben noto viaggiatore savonese. * * * Nel primo fascicolo della Rivista Italiana di Numismatica del corrente anno (pp. 91 segg.), Solone Ambrosoli illustra una patachina savonese inedita di Filippo Maria Visconti. La piccola moneta, di cui egli dà anche la riproduzione eliotipica, si conserva nel Medagliere di Brera. (1) Cfr. Arch. Stor. liai., serie III, vol. IX, 221. GIORNALE LIGUSTICO IS? * * * Il Prof. Alfonso Corradi ha stampata nel Bultettiuo delle sciente mediche di Bologna (serie VII, vol. I) ed in estratto (Bologna, 1890) una Nota sopra L'Influenza: origine e fortuna della parola; serie cronologica delle epidemie d'Influenza in Italia (488 av. Cr. — 1847-48;; la grande epidemia del 1580. La malattia fu portata in quest’anno da Genova nell’isola di Corsica; nel 1626 travagliò Sarzana; e di nuovo si sparse in Liguria nel 1803, 1805-6 e 1837. * * * I documenti dell’Archivio Milanese di Stato ci dicono che maestro « Bartolomeus de Comacio laudensis ingeniarius » stava a Genova negli anni 1471-73 dove era inviato nel 1471 a richiesta del governatore Gio. Pallavicino per fortificarvi il Castelletto. Vi fu poi mandato di nuovo nel marzo del 1474 insieme a Danesio dei Maineri e a Giovanni da Solaro per l’ampliazione di quelle fortezze. Nel 1476 si trova ancora a Genova, alla Spezia ed a Savona; in quest’ultima città era stato già nel 1473 per opere concernenti la darsena e la fortezza dello Sperone. Alla cittadella di Genova trovavasi nel novembre un « magister Iacobus de Co-matio ducali singignerius » (Bollettino Stor. della Svizzera Ital., a. XII, 38). * * * Vengono in luce per le cure di P. M. Perret alcuni documenti veneti riguardanti l’ambasciata di Giovanni de Chambes a Venezia nel 1459 (Bibliotb. de l'écoledes chartes, L. 359), intorno alla quale altri documenti di fonte francese erano pure stati pubblicati nel 1841 (Bibl.,111, 183). Interessano la storia Genovese, perchè 1’ ambasciata aveva per fine , fra l’altro, di conoscere l’animo della Signoria di Venezia rispetto all’avvenuta occupazione di Genova. * * * Il Duca di Mantova con sua lettera 15 ottobre 1583 ringraziava Domenico I.eoni, dottore di filosofia e medicina a Bologna, di una sua opera inviatagli, che è 1 'Ars medendi edita appunto in quell’ anno (Bibliofilo, a. XI, pag. 37). Il Leoni medico reputato, nato a Zuccano presso Sarzana, studiò a Bologna dove si stabilì e trascorse tutta la sua vita, tanto che gli venne conferito il patriziato (Cfr. Gerini, Meni. Lunig., II, 76 e Fantuzzi, Scritti Bolognesi, V, 58). * * * Segnaliamo l’importante monografia di Camillo Boito, Il Palazzo di San Giorgio in Genova (Nuova Antologia, Terza Ser., XVI, 119), che è i58 GIORNALE LIGUSTICO un acuta disamina della quistione ormai felicemente risolta. Si tiene conto delle risultanze a cui fu condotta la Commissione eletta dal Ministro dell’ istruzione , della quale faceva parte Γ illustre scrittore. Di non minore importanza è l’altra scrittura di Guglielmo Berchet, Cristoforo Colombo e Venezia vi, pag. 130), dove si esamina quanto possa esservi di vero negli scrittori, i quali affermarono che Colombo abbia ricorso a Venezia per aver aiuti alla sua impresa. L’A. con diligente acutezza rileva non esistere documento di sorta in prova dell’ asserto, anzi sfata come apocrifa la lettera di Colombo che si asseriva scritta ai Signori Veneziani , e dubita della esistenza degli altri documenti citati da alcuno, i quali fino a qui non si sono potuti ritrovare, nonostante le più minuziose e diligenti ricerche. * * * A Monaco di Baviera presso il libraio Lodovico Rosenthal era recentemente in vendita una bella carta (portolano) del Mediterraneo, Spagna, Francia e Olanda « di mano di Carlo da Corte, fatta in Genova l’anno 1592 ». Un foglio di pergamena oblungo disegnato e colorito a mano. Crediamo sia quella stessa che già fu di Carlo Morbio (Cfr. Desimoni, Elenco di carte in Giorn. Lig., II, 63). Il prezzo attribuito a questa carta è di L. 125. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Rapallo. Spigolature storiche per Arturo Ferretto; Genova, tip. della Gioventù, 1889. Ha mosso 1’ autore a mandare in luce questo opuscolo, la lettura di quello scritto dal generale Faustino Lencisa intitolato; Rapallo ricercata stagione invernale, di cui si ha una seconda edizione (Verona, Franchini, 1889) « riveduta ed ampliata ». Il fine che questi si proponeva era quello di far conoscere brevemente Rapallo e le sue adiacenze « ai numerosi forestieri » che si recano a soggiornare in quella città. Non ha dunque il lavoro alcuna pretesa storica, nè per il suo carattere richiede particolari troppo minuziosi ; ma si tiene contento a notizie generali, soltanto proprie di una guida. Ci sembra perciò che il F. non sia rimasto in quei confini che erano richiesti dalla opportunità della critica; onde può dirsi egli abbia tolto come pretesto quel libretto per far conoscere agli studiosi delle patrie memorie il frutto delle sue ricerche intorno alla sua città natale. Infatti ha posto in fronte al suo lavoro il titolo di Spigolature, a fine di giustificare in precedenza la mancanza di organismo che hanno tutte le notizie da lui prodotte, le quali, quantunque poste in un qualsiasi ordine cronologico, pur appariscono disgregate e frammentarie. Meglio GIORNALE LIGUSTICO T59 avrebbe provveduto al suo intento, raccogliendo in ben ordinata esposizione tutte quelle note più o meno ampie, siccome nuovo contributo alla storia rapallese. Con ciò non vogliamo dire che il materiale postoci innanzi dal F. sia cattivo; che anzi riconosciamo in lui buone attitudini alle ricerche nelle carte, e sufficente diligenza nel far suo prò’di codeste indagini; ma non ha ancora quella sicurezza di metodo e quella maturità che si acquistano soltanto con lo studio e con la pratica. Infatti se da un lato riconosciamo il buon uso ch’egli fa delle notizie tratte dai documenti notarili, da lui citati con ogni cura, dall’altro non possiamo ammettere citazioni di questo genere: Caffaro, Annali genovesi (p. 13), o Stella, Annali genovesi (p. 19), inesatte rispetto alla forma ad al richiamo, come se gli fosse ignoto dove si trova il testo del Caftaro, mentre poco innanzi (p. 12) ne recava un brano, senza avvertire che era tratto dal Cronista, sol pago di mettere in nota l’indicazione del vol. VI della raccolta Muratoriana senz’ altro. Confessiamo poi la nostra maraviglia, quando giunti a tempi a noi vicinissimi, ci siamo avvenuti in queste parole: «Nel 1797 erasi costituito il governo napoleonico democratico » (p. 25); e poco dopo: « I rivoltosi strappavano le coccarde imperiali dal petto dei democratici » (p. 28). Non vi è bisogno di rilevare l’enormezza di questi spropositi. Badi inoltre il F. che la lettera di Bonaparte, da lui prodotta frammentaria in italiano, non è indirizzata alla « Centralità di Rapallo » (pag. 28); ma al Governo Genovese, siccome si vede dall’originale (Corresp. ile Napoléon, III, 383)· In ultimo consigliamo 1’A. a curare un po’ meglio la forma, ben spesso irregolare. Ad esempio, a pag. 13 : « Ed il nostro governo consolare del sec. XII? Inutile il trovarne qualche parola » ; a pag. 31: « Accenneremo pure che quei di Monti coltivavano lo zafferano, da cui poi, o per manifestatasi malattia di quella pianticella, o perchè non ne ritraessero abbastanza lucro, affatto se ne rimasero»; a pag. 33: « Di altri piccoli nei non diamo colpa all’autore, perchè di certe costumanze, andate in disuso, i suoi vecchi forse non gliel’ avran ricordate »; e il periodo che segue ancora è scorretto; a pag. 43: « Nel 1582 questo oratorio veniva visitato da Monsignor Bossio (sic) vescovo di Novara, e sopprimeva uno dei due altari ». Cencio Poggi. Gli introduttori dell' arte della seta in Como. Cenni storici, Como, tip Ambrosoli. — Lapide cristiana scoperta a Cortabbio, Como, tip Longati. — Ragguagli del Civico Museo di Como, Como, tip Longatti. — Como 1848. Spigolature storiche. Como, Tip Longatti. Tutti questi opuscoli di materia storica, che è venuto pubblicando man mano l’autore, ci manifestano lo studio amorevole ch’egli pone nelle ricerche, atte ad illustrare quella città da lui scelta come sua ferma e abituale dimora. Il primo è invero assai notevole così per le notizie onde va ricco, come per il metodo adoperato nella esposizione. Il P. ha i6o GIORNALE LIGUSTICO studiato con amore e con pienezza il suo argomento, e nulla v’ha di trascurato cosi rispetto alle fonti edite, come a quelle donde lia tratto per la prima volta alla luce documenti e notizie importanti. Un sobrio e garbato riassunto intorno all' arte serica in Italia gli apre la via a discorrere del modo come si introdusse e vigoreggiò nel Comasco. Dove, sfatata con buone ragioni e al lume delle prove Γ opinione di chi volle far credere troppo antico il setifìcio colà, s’introdusse nel principio del secolo XVI per opera di Pietro Boldoni; al quale altri seguirono subita-tamente ; e s’accrebbe l’industria per il volgere de’ secoli successivi, chè larghissime campo avea preso sullo aprirsi del nostro , procacciando lavoro in buon dato e ricchezze e benessere al paese. Quante volte ricorre il ricordo de’ Genovesi in queste pagine, tenuti maestri allora in quest’arte oggimai ridotta al nulla ! Con la breve notizia sulla Lapide cristiana il P. ci risospinge al secolo V, e rileva giustamente una omissione del Bernasconi, il quale nel 1861 scrisse appunto particolarmente intorno a queste iscrizioni. Dimenticanza tanto più deplorevole e perchè era pure stata ricordata in altre opere e dette argomento ad una speciale memoria di Francesco Roncalli stampata nel 1760, e perchè sarebbe la più antica lapide cristiana rinvenuta nella provincia di Como. L’ amore che il P. ha palesato per gli studi storici e archeologici, gli ha procurato il carico di segretario della Commissione del Museo Civico Comense; nè egli ha voluto fosse solamente un ufficio onorifico. Ce lo dicono i rapporti che invia da due anni alla Rivista archeologica. Noi non abbiamo sotto gli occhi che quello dello scorso anno, il quale soddisfa interamente la curiosità di chi tien dietro con desiderio all’ accrescersi di quelli importanti depositi, che sono principalissime fonti della nostra storia, formano il lustro delle città che li posseggono e sono 1’ orgoglio de’ cittadini. In verità leggendo le sollecitudini della Commissione e le favorevoli deliberazioni di quel Municipio per dotare di nuove stanze il Museo , sale al viso il rossore della vergogna, se si pensa che una città la quale si arroga il vanto di superba è priva d’ alcuno di quelli istituti onde altre minori si decorano. Meglio assai la mischianza degli oggetti lamentata dal P. per ristrettezza temporanea di spazio, anziché la dispersione, e, peggio, la dimenticanza e il disprezzo. Ma a più geniale argomento ci richiama 1’ ultimo opuscolo annunciato. Sono memorie di quei giorni fortunosi in cui Γ Italia con mirabile accordo si mosse contro lo straniero, ad ottenere in un tempo la indipendenza e la contesa nazionalità. Nelle molteplici poesie (inni, satire, canzoni) possiamo cogliere ancora la condizione degli animi, degli intendimenti, del cuore. Sentiamo nella narrazione episodica il furor della battaglia, il grido de’ caduti, l’inno dei vincitori; e nelle memorie di un prode contemporaneo vediamo uno specchio fedele delle audacie, dei fermi propositi, delle titubanze, de’ disinganni. Anche questo ricorso ad un tempo, che nel vertiginoso volgersi de’ casi noi stiamo per chiamare antico, è frutto del Museo di cui sì è innanzi toccato, poiché con lodevole pensiero una sezione è appunto destinata a raccogliere tutte le memorie locali del patrio risorgimento. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 161 SEGNO DELLE MERETRICI (*). La ragione di questo Segno voleva essere di svergognare le male femmine ed avvisare la gente della loro presenta per isfug-girle, laddove il disonesto spettacolo ne accresceva la procacità e dava ricapito di esse ai dissoluti ed agli inesperti. (I Bolognesi nel 1250 prescrissero che in luogo di Segno le Meretrici andassero ammantate d’ una clamide lunga fin sopra i nodelli delle gambe, con isparato nel petto, chiuso da un nastro, senza collare, legata su i fianchi (1). Dietro la quale, i Preti, che costumavano parimente quella veste, insieme co’ secolari, Imperatori e Re, mettevano un cappuccio, larghissimo i Preti, di colore biavo o nero 0 altro colore scuro , e sopravi il tabarro o mantello (quello che il Prete di Varlungo lasciò in pegno alla Belcolore), eccetto che dentro i confini della Parrocchia, dove potevano farne senza (2). Sotto la clamide era lecito a quelle femmine portare guarnacca, giubba o gonnella che toccasse la terra, od avesse lo strascico o rigoglio, secondo il parlare bolognese, maggiore di mezzo braccio, contro il generale divieto rafforzato alle donne oneste colla minaccia di perder la dote e dove colla scomunica (3). Ma le donne non fecero mai caso delle pene nelle loro albagie; ed i Fiorentini nel 1330 dovettero approvare due buone braccia di strascico in quelle stesse leggi dove intendevano recare (*) Nuovo articolo del Dizionario del ling. ital. stor. e amministr. La Direzione. (1) Statuta Bononiae (1250), li, 52. Mi valgo eziandio dell'antico e rozzo disegno di Meretrice che fa corredo al capitolo dello Statuto. (2) Boccaccio, Decam. VII, 2. Muratori, A. M. E., dissert. III. (3) Statut. Bonon. loc. cit. Breve Pisani Comunis (1286), III, 65. Giorn. Ligustico. Anno XVII. 11 GIORNALE LIGUSTICO al convenevole le spese disordinate del vestire (i). Similmente in Perugia nel secolo sedicesimo esso era siffatto, che il panno strascicato per terra dalle donne vantaggiava tutto il vestimento (2). Almeno le Veneziane studiarono di scemare il danno del logoro, e fecero lo strascico, come spesso le maniche, separate dall’ imbusto, da potersi cambiare logorato 0 stracciato, e non tutta la veste insieme (3). Quella clamide durò più d’un secolo a portarsi dalle Meretrici bolognesi. Nel 1382 venne ordinato che niuna di loro ardisse di abitare fuori della contrada detta il Casleìlmiù 0 Castelletto (così ancora il postribolo in Venezia, in Città di Castello ed in Genova), chè prima erano loro interdetti solo alcuni luoghi o troppo frequentati, 0 prossimi a Chiese 0 a Monasteri, e si atterravano lietamente le case de’ luoghi vietati che le raccettavano ; nè potessero andare per la città se non il sabato; nel quale giorno dovevano portare una tunica aperta tessa (fissa') davanti, ed in testa un cappuccio con legato un sonaglio sonante, affinchè la conoscenza di quelle disgraziate entrasse per Γ udire e per lo viso (4). A questa accessione di stolto rigore subentrò una di estrema rilassatezza, posciacliè nel 1525 tu sostituito a! sonaglio una banda gialla lunga due braccia e larga uno, pendente da una spalla, e loro fu data libertà d ogni sorta veste, logge e gale d’oro e d’argento, e così andassero spettorate e sgolate a lor piacere (>). Questa licenza argomenta, a mio senno, P inasprimento (1) Villani G., X, 150. (2) Graziasi, Cron. Perùig. pag. 566: Firenze, 1850. (3; Cecchetti, Vesti de' Veneziani, nel 1500: Venezia, i8S6, 74,75. (4) Statut. Boiion., loc. cit., Muzi, Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello, I, 230. Mazzoni-Toselli, Raccolti iterici estratti dall'archivio riminale di Bologna, 11, 25S: Bologna, 1872. (5 Mazzoxi-Toselli , op. cit., I, 565. r GIORNALE LIGUSTICO 163 della sodomia, in Bologna, nefandezza che si credeva medicare con altra nefandezza, quale praticarono largamente i Lucchesi e i Veneziani, se è vero che questi permettessero alle baldracche di stare la sera lascivamente scoperte alla finestra al lume di lucerna per farsi ben vedere (1). Ma le Meretrici Bolognesi, indiscrete o più avvedute, si dettero a preferire alla nudità sazievole i drappi bianchi propri delle vergini; del quale inganno il Reggimento le rampognò forte e nel 1545 per vendetta le vestì di giallo, che era il colore più dispregiato, esponendole alle baie della piazza, onde poche si attentavano di mettere il capo fuori dell’ uscio, e questa vestitura cadde presto (2). I Ferraresi, per vivere secondo il tempo, vollero anch’eglino nel medesimo secolo quattordicesimo abbottonare al collo delle loro Meretrici, già confinate in una contrada, un pannolino bianco con un sonaglio come agli astori ; che poi si tolse nel 1434 ponendosi in luogo suo la banda gialla de’ Bolognesi senza il ciondolo sonoro ; ma insieme elle furono proibite di abbigliarsi di drappi e broccati d’ oro e d’ argento, di usare il colore cremisino e alcun velo 0 drappo di seta sul capo, e nel 1610 di andare in carrozza (3). Nè i tempi repubblicani fiorentini ebbero per questo lato da invidiare alle asprezze degli altri paesi. Incominciò il Duca d’Atene, il quale facendo le più laide cose per sè pubblicamente sopra donne e donzelle , e patendo che ne facessero altrettante i suoi, pure egli ebbe scrupolo de’ fatti delle Meretrici, e nel 1342 le raccolse tutte in un luogo comune. La quale opera, che allora pareva buona, forse si sarebbe tenuta. Ma fattane bottega in benefizio del suo Maliscalco, cacciato che fu il Duca, la bottega fu chiusa (1) Galliccioli, Memorie Venete, lib. Ili, cap. 2: Venezia, 179 5 - (2) Raimieri, Diario di Botbgna, pag. 881: Bologna 1887. {3) Cittadella L. N., Notizie di Ferrara, pag. 290, 261: Ferrara, 1864. i64 GIORNALE LIGUSTICO e le Meretrici si sbrancarono per tutta la città (i)· Nello Statuto del Potestà volgarizzato nel 1350 si vede poi che quelle femmine abusarono della libertà presa 0 data, e che i Padri temettero non la vita loro svergognata pregiudicasse a’ costumi pubblici. Laonde ordinarono in esso Statuto che nessuno tenesse nella città in casa sua od in altrui alcuna Meretrice o pubblico bordello presso a Chiesa per certo spazio, nè tampoco presso a molte vie quivi nominate, promettendo di abbattere da fondamenti hi casa, la quale albergasse di quelle svergognate nei luoghi vietati ; la stessa pena de’ Bolognesi, nel secolo tredicesimo. Donde le Meretrici non potevano entrare 0 stare in Firenze per loro necessità eccetto il lunedi (altrove il sabato), sempre astenendosi dagli atti disonesti. Si provvedere nel medesimo tempo , che nessuno entro la città aprisse bordello, e si annullarono tutte le carte e obbligazioni onde quelle femmine avessero legato il corpo e P anima ad alcuno per cagione di tenerle in bordello 0 in taverna a peccare a suo prò, ed ancora per via di debito che avessero con lui, sotto gravissima pena di moneta al colpevole, e ricadendo, in quella del fuoco (2). Per un paragone, in Ferrara, dove la lordura del Ruffiano eri severamente proibita a’ cittadini, chi ne fosse reo e punito la seconda volta, per un Bando Ducale del 1462, gli era tagliato il naso, il piede 0 la mano, oltre al bando della vita (3). Nel 1384 nell*occasione che si rifecero in Firenze alcuni ordinamenti delle Pompe delle Donne si pensò parimente di racconciare quelli delle Meretrici, poiché questi Statuti andavano spesso di coni- (1) Villani G., XII, 8. Ammirato, Stor., lib. IX. (2) Statuii dtl Podestà di Firenze 11550), lib. III, rubr. CLXI: ms. Arch. Fior. , (5) Cittadella L. N„ op. cit., p. 285. GIORNALE LIGUSTICO 165 pagnia. E si determinò anche là di pigliare Γ usanza antica di altre terre, imponendo alle Meretrici di portare sempre per via un sonaglio in capo appiccato dietro al cappuccio , alla cappellina od al cappello, che si vedesse e udisse da tutti e fosse una continua berlina, in servigio degli sbadati (1). Vollero pure che elle avessero sempre le mani inguantate, prova che a que’ tempi i guanti, benché insegna cavalleresca e dottorale, in Firenze alle donne pudiche non convenivano (2). Vietarono altresi alle Meretrig le pianelle, unam vel plures (ma a che una o più di due alla volta?) (5). Imperocché le pianelle donnesche antiche non erano le moderne , ancorché colle suola di legno al pari delle nostre. Fu un tempo che avevano i tacchi alti un palmo, che non permettevano andare senza puntellarsi nel braccio di alcuno o senza tenergli una mano sulla spalla, come usavano le Cortigiane verso i loro più favoriti (4). Ma piuttosto rassomigliavano ai calza-retti o coturni greci, e coturni si appellarono dai Cancellieri letterati (5), vestendo essi anche una parte della gamba. (1) Ordinamenti sunluarii fatti dalla Signoria Fiorentina e suoi Collegi il 2] aprile 1384, rubr. XVIII: ras. Arch. Fior. (2) Ivi. Dicono che le Donne nel presentarsi a Pio IX non potessero portar guanti. (3) Ivi, rubr. XVIII. (4) Aretino, Ragionamenti piacevoli, Parte II, Giornata II e III: ed. 15^4-Belgrano, Vita privata de’ Genovesi, pag. 271 : Genova, 1875. Il Doni narra d’ una gentildonna che si storse una mano nel cadere a terra da una pianella (I Marmi, II, 28: Firenze, 1863). E Franco Sacchetti canto: £ tai si son vedute Incespicare andando a petto tese, Che d' un palchetto par ch’e’ sien discese. Canz. contro alle portature delle donne fior., ediz. Carducci. (5) Colurnos, vel, ut vulgo loquimur, pianellas, dice una Legge Genovese del 1449 (Arch. Stat. Genov., Diversor. X, 978). Una carta Veneziana del 1459: Zocholi alti molto.... \oi pianelle (Cecchetti. Vest. Ven., cu. p. 65). 166 GIORNALE LIGUSTICO Onde si facevano per lo più di drappo o velluto e ricevevano ogni sorta ornamenti, ricami, frange e fregi di seta, oro e perle, alla usanza romana antica: quelle che portava in piè la Lucrezia Borgia quando andò sposa al primogenito del Duca di Ferrara valevano ducati più di tremila ; e le donzelle modenesi, pure cosi modeste, le ricamavano di seta e d’ oro (i). Furono adunque proibite le pianelle in Firenze alle Meretrici come calzatura muliebre signorile, indegna di queste femmine (2); e per .simile i Lucchesi le vietarono alle loro contadine (3). Ma per rabbonacciarle di tanti smacchi, i Fiorentini le lasciarono padrone di vestire drappi d’ oro e d’ argento di qualunque maniera e ornamenti d’ oro e d’argento di qualunque peso e fattura; del che stessero sull’avviso le donne dabbene, di non esser tolte in cambio alla scorza (4). Succeduta poi la Maggioria di Lorenzo il Magnifico che cullava il popolo coi carnasciali, compiuti colla Mandragola, non è a credere, che le Meretrici fossero mai aspreggiate. E piuttosto si potrebbe estimare che in quei tempi di filosofia spensierata e di leggiadria il barbaro sonaglio appeso per Segno alle Meretrici della Repubblica, sotto di lui cadesse a terra dimenticato. Perlochè nel 1527 riassunta la Repubblica, il Gonfaloniere devoto che ne teneva le briglie, per fortificarla contro i vicini pericoli non credette il meglio (1) Plinii, Hist., IX, 35. Bianchi T., Cron. Mod. XII, 74: Modena, 1862-84. Aretino, Ragionavi, cit., I, 1. Matarazzo, Cron. Perug., pag. 188 : Firenze, 1851. Cenni storici e Leggi circa il Libertinaggio in Venezia nel secolo decimoquarto, pag. 34: Venezia, 1886. (2) A contrario, le pianelle degli uomini si facevano di montone 0 di vacchetta, ed erano aperte come quelle de’ Frati Minori (Breve de' Calcolai di Pisa (1334), cap. XLVI. Sacchetti, Op. div., p. 133: Firenze, 1857;. (3) Statut. Luc. (1473), ms· Arch. Lue. (4) Ord. Fior. (1384), loc. cit. GIORNALE LIGUSTICO 167 che di ritornare all’antico senza considerazione, come se il mondo non si fosse mosso, e altre opinioni, altri disegni non fossero sorti, e non volessero diversi provvedimenti; e scacciò gli Ebrei, serrò le taverne, pose un più duro morso ai bestemmiatori, raffazzonò le pompe alle oneste ed alle disoneste: ma con tutto ciò egli non s’ ardi di rifondere il Sonaglio alle Meretrici. In cambio pe’ Consigli Opportuni egli fece stanziare che niuna di quelle non potesse andar fuori con cioppa, o gamurra di nessuna ragione, e se pure volesse portare detta cioppa alla usanza delle cittadine, per cernersi da queste si ascondesse il capo con un velo quadro almeno d’un braccio , rosso , verde, giallo o sbiadato a suo piacere. Medesimamente non potessero le Meretrici usar veste di drappo, salvo che un paio di maniche, nè abitare in Firenze fuorché nelle vie assegnate loro dai Conservatori di Legge, e dentro quindici giorni si facessero tutte scrivere all’ Ufficio dell’Onestà (1). Dopo questo assetto erano scomparsi dieci anni e con essi la Repubblica, coronata di tanta gloria, che fu l’onore d’Italia. Cosimo l, che prese la monarchia di Firenze, tra le alte faccende del nuovo Stato, anzi fra le prime divisò di regalare alle donne ed agli uomini un suo escogitato modello di vestire. E quanto alle Meretrici le spogliò delle vesti di drappo e di seta d’ ogni ragione, permettendo loro quante gioie , ori e argenti si avessero ; ma dovessero portare un velo o sciugatoio 0 fazzoletto o simile pezza in capo con fregio d’oro 0 altra materia gialla, per Segno del mestiere; intendendosi Meretrice quella giudicata tale dal Magistrato che ne avesse la causa dinanzi (2). Non si aveva adunque in Firenze compiuta e sicura una lista delle Meretrici e s’im- (1) Prov. fior. 15 e 16 giugno 1527: ras. Arch. Fior. (2) Cantini, Legislazione Toscana, 16 ottobre 1546. ι68 GIORNALE LIGUSTICO prese in que’ giorni a comporla. Ora disgrazia volle che il Magistrato, finte sue ricerche, credette di annoverare nella lista la Tullia d’Aragona, mentre scampata dalle nemiche rivolture senesi, se ne stava tranquilla sotto l’ombra medicea, in mezzo ad una corte fiorita di letterati, di guerrieri e di uomini qualificati per uffizi e per nascita, ammiratori ed amanti. Di che la Tullia non potendo acconciarsi allo scorno di quel marchio, e piuttosto a partirsene che tollerai lo, ricorse, per consiglio del giovane Don Pedro di Toledo, alla duchessa Eleonora zia dì lui, che le impetrasse grazia dal marito; e Cosimo, che volse sempre contentare la moglie, dice il Cellini (i), rescrisse: Fossili gratia per poetessa. La quale derogazione, conceduta alla Tullia in riconoscimento della stia rara scienza di poesia e filosofia onde era riguardevole intra le altre donne, come scrive il proemio del decreto del di primo maggio 1547 (2), forse fu l’unica cosi pomposa e solenne per tale causa. Sebbene intorno alla metà del kegno di Cosimo non fossero poche le Cortigiane in Firenze; quali si dimostrarono in una Gara 0 Trionfo di quaranta delle più osservabili, dove rimase lodata sopra tutte la magnanima e valorosa signora Venera; e la Susanna, che si vantava di avere latto piangere d’ amore il Delfino in Lione, le presentò in nome delle compagne un sonetto per onoranza (3). Ma se a niuna Cortigiana toccarono esenzioni cosi onore\oli e formali come alla Tullia, molte altre ne ebbero delle meno solenni, ma ugualmente efficaci. Lo attestano i (1) Cellini, Vita, III, 29: Milano, 1821. (2) Bongi, 11 Velo Giallo (dalla Rivista Critica itila Litteratura Italiani!, anno III). (3) I Germini, sopra quaranti Meretrici della città di Fiorenza; dove si conviene quattro ruffiane, le quali danno a ciascuna il trionfo che è loro conveniente, dimostrando di ciascuna il suo essere. In Fiorenza l’anno MDLI1I. GIORNALE LIGUSTICO 169 Canti Carnascialeschi, ne’ quali una brigata di Meretrici stando sul partire cantano per le strade a’ Fiorentini: L’ abito e ’I velo e ’l cappel vi dimostra L’arte che noi facciamo; Or per isdegno della legge vostra Altra stanza cerchiamo; Perchè ci pare strano, Che molte nostre pari, Per aver più danari Non vestan come vuol vostra Fiorenza. Le Meretrici non ricche, in questo lamento, non ricordavano che nel paragone del mondo la povertà ha sempre svantaggio. E per giunta allegavano che essendosi grandemente moltiplicate le Meretrici casalinghe, infino alle fanti, toglievano loro il credito ed il pane (1). Nel 1569 si scopersero meglio i modi praticati in questa lubrica faccenda delle esenzioni. Posciachè tutte le Meretrici della città e delle vicinanze, come Empoli, Figline e Prato, ed in cui c’era gente di tutta Italia e di Spagna e di Germania, furono spartite in ricche, in mediocri, in povere ed in pevere affatto; e ciascuna qualità aveva pari tassa ordinaria. Ma le ricche e le mediocri rispondevano d’una giunta più grave della derrata; che parte andava al Monastero delle Convertite e parte all' Ufficio del-Γ Onestà pel salario de’ Ministri e per le spese dello Scrittoio. Sopra la quale lista il Magistrato determinava la strada dove ciascuna Meretrice dovesse abitare e proponeva le ricche e mediocri meritevoli di esenzioni alla Pratica Segreta potentissima, la quale deliberava; spesso il Principe, tagliando corto, ordinava che questa 0 quella si lasciasse stare, e voleva dire fosse libera dall' abitazione imposta e dal Segno, e il Magi- (i) Canti Carnascialeschi, II, 532: Cosmopoli, 1750. 170 GIORNALE LIGUSTICO strato non la molestasse (i). Le cose pervennero a tale che nel 1614 Monache delle Convertite di Firenze supplicarono al Gran Duca di moderare la nuova lista che si stava compilando, perchè molte delle ricche, per non esservi inchiuse e con ciò dichiarate Meretrici, se ne andrebbero via o si convertirebbero nella condizione più comoda di casalinghe o ritornerebbero coi loro mariti cansando ogni tassa e tenendo la stessa vita, e ad ogni modo le tasse non correrebbero più; pei lo che sarebbe il meglio, dicevano le Monache, di escludere affatto dalla lista e quindi dal governo del Magistrato tutte le Meretrici che lo domandassero, facendo loro pagare venti scudi per una volta sola nelle mani della Badessa (2). Vedi come le opinioni anche presso le Religiose s’erano rammorbidite quando l’interesse stringeva i cintolini ! Co-taLhè il velo giallo di Cosimo, incominciatosi a malmenare e squarciare da lui stesso per falsa divozione, per avarizia e per altri fini, presto si assottigliò in un cordone 0 nastro giallo intorno al cappello che allora si usava assai dalle donne; poi in un nastro giallo sulle trecce 0 in altra parte apparente; insino a che i successori di Cosimo barattarono il Segno in tassa, che diventò fiscale e a gran pezza più immorale che non fosse avanti; e nel secolo diciassettesimo uno scrittore contemporaneo affermava che le Meretrici non si conoscevano pia se non alla loro sfacciataggine (3); il che sarebbe dovuto bastare in Firenze ed altrove anche prima. Un altio sonaglio dello stesso secolo de’ precedenti ci porge (1) Gallico, Documenti inediti riguardanti la prostituitone tratti daìTArchivio centrale di Firenze, pag. 9-21: Milano 1869. (2) Gallico, Op. cit., pag. 7 ed 8. (3) Commedia senza titolo del secolo XVI, Atto II, Scena 7: ms. Bibl. Naz. Fior. VII, i0) 43. Rinuccini T., Usanze Fiorentine del secolo XVII, cap. 27 (Nel Borghini, tom. I). GIORNALE LIGUSTICO I7I Mantova, portato dalle Meretrici quando dal postribolo di Redevalle, dietro le mura, e poi da quello dietro lo spedale grande, andavano in procaccio per la città; il quale pendeva dalla parte dinanzi della breve clamide di pannolino 0 pigno lato bianco (1), sovrapposta agli altri panni. Ma nell’uscire (1) Pignolato pannolino grosso, operato a pignoli. Dico pannolino, ammaestrato dallo Statuto mantovano riformato da Francesco Gonzaga : Claviidem brevem (imposta alle Meretrici) pani liny seu pignolati albi; e dalle parole dello Stratto delie gabelle fiorentine del secolo XV riferite dal Fanfani nel suo Vocabolario: Né di patini lini (si paga gabella) ro\xi 0 sucidi, veli, bende, pignolati; i quali si mandassero.... a imbiancare. Dico panno grosso perchè ne’ tempi de’ severi costumi, quali erano quelli di Federico II, le donne italiane generalmente erano contente alle tuniche di Pignolato, ancora nell’andare a marito (Ricobaldi, Chron., in Murat., R. 1. S., IX, 287): ma in Padova, vinta la tirannia di Eccellino, poco dopo, le donne ringentilite o insolentite rifiutarono il pignolato e presero una cotta de tela lini subtilissima .... crispata (Tractatum de. Generatione aliquorum civium, appresso il Muratori, A. Μ. E., II, 317)· Altre ragioni. Il Pignolato era bianco ordinariamente, ma talvolta colorato o vergato, e quest’ ultimo nel secolo quattordicesimo e nel seguente serviva in Venezia ed in Bologna specialmente a formare i gusci (intime, in Venezia ed in Liguria) de’ materassi e de’ guanciali da letto; in Venezia ancora il Pignolato si trova scambiato col Fustagno in vestirne i poveri per carità; in Mantova vestiva, come vedemmo, obbligatamente le Meretrici (Inventario del mobile deputato al servigio degli magnifici Signori Atiliani di Bologna del 1448, pag. 229 uel vol. V della terza serie degli Atti della Deput. Stor. Patr. Romagtt. Cecchetti, Vesti de’ Veneiiani del ijoo cit., p. 6 e 7). Ciò mi sembra bastevole a provare la qualità sua di grosso o reggente; che altrimenti non sarebbe valuto ai servigi a cui si adoperava. Pel grande uso che se ne faceva moltissime le sue fabbriche per tutta Italia, delle quali ricorderò solo alcune meno conosciute; quelle di Pontremoli, di cui non rimane odore, i cui Pignolati, come ancora i Baracani, erano noti al commercio italiano fin nel secolo quattordicesimo, noti a Venezia, particolarmente, a Pisa ed al Porto di Cagliari (Breve Consulum Curiae Mercatorum Pisanae civitatis (A. 1305) pag. 119: Firenze T 857. Breve dei porto di Cagliari (A. 1318), cap. 55. Cecchetti, Op. cit., ι η2 GIORNALE LIGUSTICO di casa elle erano avvertite di non andare ad alcuna testa, a chiesa o luogo in cui fosse convegno di Matrone, nè a mescolarsi con esso loro in alcun modo (i). Nel 1506 furono cacciate dalla città nel termine di un giorno, pena la forca, non per altro se non perchè il Cardinale Gonzaga, Tutore insieme colla Marchesana, del Principe minorenne, una bella mattina compresero chiaramente che senza aiuto di medici il principal rimedio a liberare la città dalla pestilenza che allora la travagliava fosse il bando di quelle femmine. E furono cacciate (2). Ma dopo non molti anni elle vi ricomparvero, e sì numerose che le donne oneste in certe vicinanze per non trovarsi confuse e scambiate con quelle erano obbligate di non andar più fuori. Onde i Tutori ducali provvidero che nessuno accomodasse ad affitto 0 livello, 0 in altra guisa, alcuna di quelle triste in casa sua 0 d’ altrui senza licenza, sotto pena di perdere esse case; manco male che non le distruggevano come in antico (3). Oltre a questo pag. 52). Per converso alcuni estimano il Pignolato una cosa col Fustagno, e quindi fosse di bambagia. La quale opinione io non condanno affatto avvisandomi uno Statuto Padovano del 1265: Pignolati..., io farei tutta la mia vita e spenderei tutto il mio tempo » dolcemente nelle accademie degli uomini virtuosi ». Quindi frequentavano i suoi ritrovi letterari e musicali, oltre al Tintoretto, Domenico Veniero, a suoi tempi poeta stimatissimo, Federico Badoaro, Sperone Speroni, Dionigi Atanagi, Girolamo Muzio, Paolo Manuzio, Girolamo Parabosco ed altri molti. Nè le mancarono protettori possenti, quali il Duca di Mantova, il Cardinale d’Este, da lei lodatissimo , Luigi figlio d’Èrcole II; ed al Duca e al Cardinale intitolò sue opere. Fra questi ella annoverò ancora Enrico III di Francia, il quale passando per Venezia, tratto alla fama della Veronica volle visitarla; ed ella gli promise di dedicargli un suo libro ed intanto gli mandò in Francia due sonetti (che non sono una gran cosa) ; nel primo de’ quali ella paragona la visita del Re a quella onde Giove una volta degnava in terra qualche rara mortale; e nel secondo manifesta il desiderio di esaltare sopra il cielo mercè le sue lodi il giovane eroe, In armi e in pace a mille prove esperto (1). Per la sua stima agli uomini virtuosamente operanti, egli accadde che un giovincello soro spasimante di lei ed ella ri- (i) Graf, Op. cit., pag. 220, 221, 296, 298, 304, 343. 2l8 GIORNALE LIGUSTICO fiutandolo risoluta, infine lo consigliò a moderare questi suoi ardori, dando opera piuttosto agli studi onorati, ne’ quali avrebbe veduto volentieri il profitto che andrebbe ottenendo; chè questo solo poteva offerirgli ragione a sperare; altrimenti lo terrebbe per giovane odioso e vano, inclinato alla ruina dell’ appetito, più che alla edificazione della ragione (i). Era buona e francamente soccorrevole alle miserie altrui, e colle sue amicizie, colla sua autorità ed anche colla sua borsa s’adoperava quanto più poteva ad alleviarle per suo contentamento, non per dimostrazione (2). Era assai gioviale di natura e piena della sua arte e de’ suoi secreti magistrali in quella, di cui menava vanto, passi se in colloqui intimi, per ischerzo, ma lo faceva da senno, in iscritti poetici, oltre al dicevole in donna pur Cortigiana (3). Tuttavia presto fu udita rammaricarsi dell’empio stile della sua fortuna; e scongiurava con passione una madre di non mettere a guadagno la sua figliuola non essendovi vita più misera e vile della Cortigiana.....colla certezza della dannazione eterna (4). Nel 1580 sapendo le difficoltà contro al ravvedimento delle sue compagne immaginò per loro conforto un asilo, dove elle potessero senza durezze claustrali ricoverarsi , lasciando il mal costume, in santa vita, coi loro figliuoli insieme (5). Donde s’inferisce che ella si rese a Quei che volentier perdona essendo ancora nella verde età di trenta-quattro anni; e morì nel quarantesimo quinto (6). Più fortunata della Tullia d’Aragona, la quale dopo essersi quasi purificata in Firenze nel Dialogo della Infinità d’amore e pienamente (1) Id. pag. 380. (2) Id. Op. cit., pag. 341, 346-48. (3) Id. pag. 304. (4) Id. pag. 340, 341. (5) Id. Op. cit., pag. 343. (6) Id. pag. 345. giornale ligustico 219 nel Guerrin Meschino, tornata in Roma, cadde in via colla seconda soma (1); e la Veronica non tolse più gli occhi dal cielo. Colla loro morte, la Tullia nel 1556 e la Veronica nel 1591 segnarono la decadenza palese ed il tramonto della Cortigiania; sopravissero le semplici Meretrici e le Cortigiane ritornate Meretrici e con esse confuse per un pezzo. Il numero delle Cortigiane e delle Meretrici in Venezia non credo possibile di accertarlo in nessun tempo. Alcuni lo fanno maggiore di quello che fosse in Roma (2). Carlo de Brosses a mezzo il secolo diciottesimo contava in Venezia due tanti più Cortigiane che in Parigi, proprio due tanti (3). Un altro nel principio del secolo antecedente voleva che fossero trentamila, tra in città e nelle vicinanze (4). Questo solo dice che erano molte.· Però tutti vanno dietro a Marino Sanuto, il quale assevera che l’anno 1509, fattasi la descrizione delle persone di Venezia per causa della Lega di Cambray, in un popolo di 300 mila anime, senza i Frati e le Monache, le donne di partito montavano, egli scrive, a 11654(5). Ma se è vero com’ io tengo, che senza essere avvenuta ragione alcuna di morìa straordinaria la popolazione della città si trovò recata nel 1552 a 158069, e nel 1555 a 159467, onde il numero delle 300 mila persone nel 1509 apparisce inesplicabile ed incredibile, similmente sarà lecito dubitare della numerazione delle Meretrici che riuscirebbe a quel ragguaglio estremamente mostruosa (6). Anche Luigi Napoleone Cittadella (1) Bongi, Vel. Giall. cit. (2) Cenni cit., pag. 55. (3) Graf, Op. cit., pag. 288. (4) Ivi. (5) Sanuto, Diar. Ven., cit, Vili, 414. (6) Cecchetti, loc. cit. 220 GIORNALE LIGUSTICO dubitò del conto del Sanuto (i)„ Nell’ultimo censimento il numero delle Meretrici di Venezia è portato a 185 (2). Ma non ricompensa la perduta grandezza. Giulio Rezasco. VARIETÀ. Epistole di Antonio Astesano a genovesi. É noto che il poeta e cronista Antonio Astesano, fuggendo dallo studio di Pavia, nel 1431, per cagione della peste, si arrestò a Genova, dove si fermò alcuni mesi. Di quella sua breve dimora egli fece menzione nel suo Carme De varietate fortuna et gestis civium Astensium ac vita sua (3), nel quale inserì una notevole descrizione della città, toccando curiosi particolari dei costumi genovesi. Ma quello che è men noto si è che, assai più tardi, egli desiderò di ritornare a Genova, ed aspirò d’andarvi ad insegnare rettorica ed eloquenza. Egli stesso rivela questo episodio della sua vita, nelle poesie conservateci dall’ unico manoscritto della Biblioteca civica di Grenoble. Nella dedica del libro terzo delle elegie a Teodoro di Monferrato, l’Astesano riferisce com’ egli avesse avuto quel proposito, e già fosse sul punto di partire, quando la venuta del duca d’Orleans in Asti e la fortunata accoglienza trovata presso di lui volsero altrimenti le sue sorti. Il poeta espone il fatto in questi versi: lampridem totis quæsivi viribus, atque ad multos scripsi carmina multa viros , Ut pro lectura caperet me Genua vatum atque oratorum, premiaque apta daret, (1) Notizie Ferrar, cit., pag. 291. (2) Censimento del 1881 cit., pag. 569. (3) Muratori, R. 1. S., Tom. xiv. GIORNALE LIGUSTICO 221 Ut quoque majorum cantarem gesta suorum, quæ liquet in toto magna fuisse mari. Cumque illo tandem statuissem accedere, moxque essem abscessurus, resque librosque ferens Aurelianensis dux has pervenit in oras. I molti versi, che Γ Astesano dice di aver scritto in quella occasione, avevano per fine di sollecitare la protezione e P aiuto d’illustri personaggi genovesi, per raggiungere il suo intento, e sono appunto le venticinque epistole ch’egli raccolse nel terzo libro dei suoi componimenti poetici, non volendo che andassero perdute. Ne tamen ipsa illa quæ scripsi carmina causa depereant, statui mittere cuncta tibi. Se pur la sorte avesse altrimenti disposto, ed i molti carmi del poeta d’Asti fossero andati perduti, certo la repubblica delle lettere non avrebbe patito grande jattura. Ma forse non del tutto così devesi dire per la storia, alla quale può importare di conoscere quali fossero i personaggi di maggiore autorità e potenza, ai quali il poeta raccomandava la sua causa, tra gli anni 1446 e 1447, di vedere con quali blandimenti diversi egli cercasse di guadagnarsene il patrocinio, e di non lasciarsi sfuggire qualunque accenno, per quanto piccolo, alle qualità ed alle inclinazioni particolari a ciascuno di quei personaggi. Questa, se non m’inganno, è l’importanza che hanno le epistole dell’Astesano a Genovesi, e che m’indusse a trarle dalla copia del manoscritto di Grenoble, che si conserva nell’Archivio di Stato in Torino, con altre due epistole indirizzate ugualmente a Genovesi nello stesso intento (i)> inserte (i) Qualche altra lettera scrisse ancora l’Astesano a personaggi genovesi, ma esse sono estranee a questo suo progetto di andare a stabilirsi a Genova. 222 GIORNALE LIGUSTICO nel libro quarto dello stesso manoscritto. Ove poi paresse che manchi a questi componimenti ogni ragione di pregio storico, valgano essi almeno a tare onorevole ricordo di cittadini illustri, eh’ ebbe Genova alla metà del secolo xv. Pietro Vayra. I. Ad dominum Baptistam Goanum Genuensem Jureconsultum clarissimum. Quamvis forte memor non sis, Baptista, Ticini, attamen ipse tibi notus in urbe fui. Illic te novi: nec non vehementer amavi, summæ virtutis motus amore tuæ, Nec mirum. Siquidem virtus assuevit amorem gignere, qua melius nil neque amabilius ; Tanta autem virtus in te est, ut dicere nunquam ullis carminibus nostra Thalia queat. Sed licet in multis actis sit cognita postquam te cepit doctum patria læta virum, Non experta tamen virtus tua apertius unquam est quam dum, te medio, pax generata fuit. Inter aragonium per te pax optima regem atque tuos cives firmaque facta fuit. Quid laudabilius potuisti aut clarius unquam efficere ? aut magno dignius ipse viro ? Si quis discordes casu concordet amicos atque novos hostes, laude canendus erit, Ergo tibi major laus est tribuenda profecto, quem veteres hostes conciliasse ferunt. Semper Aragonii fuit hostis Genua regis, quos opera feris conciliasse tua. Sic etiam anguigeri pacem quesiisse Philippi diceris, omnino pax ut in urbe foret. Ergo tu sanctæ vehemens es pacis amator, ergo divinus jure ferendus homo es, Nam res domina est pacem generare per hostes, hoc nichil est melius. Sanctius hoc nihil est. giornale ligustico Hoc facit ut nunc sit magna istic copia frugum quæ raro in nostro tempore visa fuit. Quid mirum si magna colit te Genua? Sique committit dextræ grandia facta tuæ? Quid mirum si te vester dux inclitus ille diligit? atque opera fruitur usque tua? Novit enim quantum sis prudentia præstans, quamque tuis extes equiparandus avis. Quam patre sis dignus, qui vir præclarus in ista extitit urbe, suo tempore multa regens. Scit verbum quod qui gallinæ filius extat, semper naturæ cogitur esse suæ. Scit quoque si quæ bona est arbor et semine primum nata bono fructus quæ facit illa bonos. Si michi quod cupio contingat tempore quoque, si votis unquam perfruar ipse meis, Inter magna tuæ patriæ et fortissima gesta teque, tuumque genus carmine ad astra feram. Si cupis ergo tuas æterna in secula laudes mandari, cceptis auxiliare meis. II. Ad Antoniotum Grillum adolescentem· splendidum. Splendide Grille, meas pervenit nuper ad aures quod tu præstanti clarus es eloquio, Quod totus studis humanis deditus extas, quod virtute tu dignus es ipse patris. Hoc michi tam gratum fuit, ut non dicere possim. Faverunt votis numina sancta meis. Si nescis, genitor quondam tuus agnitus atque non minimo nobis junctus amore fuit. Cui suasi quod te doctrinæ traderet, atque curaret doctum reddere posse virum. Quod fecisse illum nunc demum intelligo ; nec non gaudeo: collaudans numina cuncta deum. Tu quoque si mentis digna est tibi cura paternæ, me quære in caris anumerare tuis. GIORNALE LIGUSTICO Qui tuus existo; cupio qui pectore toto rem facere acceptam, splendide Grille, tibi. Si fortasse meis faveant pia numina votis, aspectu ut Grilli perfruar ipse mei. Crediderim summum contingere vertice cælurn, et cursu celeres exsuperare canes. Tunc tibi mille jocos, tunc dicam mille fabellas, tunc faciam arbitrio carmina mille tuo. Teque super nitidos conabor tollere cælos, extollamque tuam carmine ad astra domum. Ergo des operam quo tecum vivere possim, et jocunda tibi carmina mille dare. III. Ad Octavianum Vivaldum virum gravissimum. Audivi quantum pro me, Vivalde, laboras, audivi quantum tu michi fautor ades, Quamvis nulla mei meriti tibi causa supersit, nec me luminibus videris ipse tuis. Ergo dum vivam tibi me debere fatebor, et cordi officium semper habebo tuum. Si placeat superis ut consequar ipse quod opto cantabo in laudem carmina mille tuam, Tociusque tui generis preconia dicam, carminibusque tuum nomen ad astra veham. Qui pius et justus, qui prudens atque modestus. qui summa rerum cognitione vales, Quique es magnanimus, qui forti pectore constans, quique Deum mira relligione colis. Denique qui tantis præstans virtutibus extas, ut sis romanis equiparandus avis. Si vis ergo tuas æterno carmine laudes cantari, et generis nomina clara tui, Fac nostram optatum navem contingere portum, atque sibi remis auxiliare bonis. Tum quæcumque voles michi tu, Vivalde, jubeto, semper mandatis obsequar ipse tuis. giornale ligustico 225 IV. Ad Magnificum Genua Capitancum. Si michi tu laveas, vir maxime, non erit unquam immemor obsequii nostra camena tui, Sed tibi perpetuam nitetur tradere famam, atque illustre tuum nomen ad astra feret. Si cupis ergo tuas, non parvo carmine, laudes cantari, musis auxiliare meis. V. Ad Baptistam Spinulam virum clarum. Pervenit nostras, Baptista insignis, ad aures quam clarum est ista-nomen in urbe tuum, Quam sis humanus, quam sis et justus et æquus, quam mira superis relligione datus. Quam pius et prudens, quam constans atque modestus, quam sis ingenio clarus et eloquio. Quam sis magnificus, quam fortunatus abunde, quam sis insigni nobilitate satus. Quam sis illustri dignus virtute parentis, qui probus et magnus civis in urbe fuit. Quam fueris magno quondam donatus honore octo inter tanta lectus ab urbe viros, Denique quam cunctis naturæ dotibus, atque fortunæ praestans civis in urbe tua es. His igitur causis magno tibi iunctus amore, ignotos virtus cogit amare viros. Hoc ad te parvum volui perscribere carmen, quod nostri erga te pignus amoris erit. Ergo cape hoc, læto, Baptista amplissime, vultu, et lege perplacido' pectore quicquid inest, Ac tibi persuade quæ pro virtutibus istis sum totus studiis deditus ipse tuis. Optoque fortunam nostræ concedere menti rem facere acceptam posse aliquando tibi. Giokn. Ligustico. Anr.o XVII. 15 226 GIORNALE LIGUSTICO Ergo tuum est operam dare quo te visere possim, atque ista vitam ducere in urbe diu. Quod si tu facies, te laude ad sidera tollam, perpetuoque tuus tempore servus ero. VI. Ad Caccinimicum Spinulam ginuensem, virum spectatissimum. Caccinimice, licet magni sim certus amoris, quo probitate tua iunctus es ipse michi, Nostra tamen voluit paucos tibi scribere versus musa et currenti subdere calcar equo. Audio quam vestram cupis ut traducar ad urbem, quo valeam natos instituisse tuos. Rem facis egregiam, sapienti patreque dignam, hæc est res magno digna putanda viro. Quid laudabilius virtute, quid altius ipsa speret quis natis linquere posse suis? Sola etenim virtus hominem non deserit ullo tempore, fortunæ cætera serva jacent. Arguit hoc Ithacus cui virtus sola remansit naufragus, egregio dignus honore tamen. Quis non ergo putet summa tc laude ferendum, qui cupias natum me docuisse tuum? Qui cupias ipsi virtutem linquere quam se cognoscis nullo perdere posse modo. Nec secus esse potest, nam qui est virtute probatus est opus ut natos optet habere pares. Sed velut hoc optas animo vehemens et arden* sic monstres opera, Caccinimice, tua. Non satis est aliquid animo cupiisse nisi illud res probet, ergo operam, vir generose, dato Ut possim ad vestras aliquo donatus honore oras, cumque aliqua comoditate, vehi. Quod michi si facies, ut fido, ero tempore nullo immemor obsequii, Caccinimice, tui, Atque tui nati tam curam ardenter habebo, ut non ingratum muneris esse putes. GIORNALE LIGUSTICO 227 VII. Ad magistrum Antonium Marengum genuensem prœclaruni et philosophum, et medicum. Si perpauca modo scripsi tibi carmina, quaeso da veniam musis, clare Marenge, meis, Nec minus assueto totum michi cede favorem quem potes, in patriam quo trahar ipse tuam. Nil ea prodessent quæ tu bona plurima quondam fecisti magno tactus amore michi, Ni nunc effectum res consequerentur ut opto, ni ratis in portum tenderet ista suum. Nunc opus est velo, nunc, optime p'nisice, remis, Omni nunc opus est auxiliantis ope. Nunc igitur totis pro viribus, oro, labora, ut tuus efficiar, clare Marenge, comes. VIII. Ad insignem Ducem Genuensium. Dux excelse, meas unum pervenit ad aures quod fixit telo pectora nostra gravi. Audivi siquidem quæ sunt contraria multa, quæ sunt imperio multa inimica tuo. Quamvis sis justus, quamvis dux rectus et æquus, qui virtute omni, qui probitate vales. Id reor invidia contingere quæ solet ipsam virtutem multis excruciare modis. Nulli magna potest obtingere gloria rerum quin illum livor concomitetur edax. Ut sequitur ferrum mordax rubigo vetustum, virtutem livor sic solet ipse sequi. Hinc merito præstans mira virtute putatur quisquis ao injusta carpitur invidia, Idcirco hanc animo minime patiaris iniquo quandoquidem magnis est comes ipsa viris. 228 GIORNALE L1GUSTIGO Sed spera tandem victor certaminis esse, sancta etenim virtus vincere cuncta solet. Ante oculos propone tuos exenipla virorum quos demum invidia suppeditasse liquet. Plurima perpessus livore adverso Camillus, quo nullus civis major in urbe fuit. Postremo tanta laude est donatus, ut alter Romulus is fuerit dictus ab urbe sua. Ille Cato major tanta vexatus ab atra invidia est, ut non dicere posse putem. Tanta tamen virtus fuit illi ut vicerit ipsam optimus et tota dictus ab urbe gravis. Maximus invidia Fabius laceratus ab ipsa est dictus cunctator, segnitixque datus, Qua virtute tamen prxstabat cognita demum fecit divinum dicier esse virum. Possem præterea multorum exenipla virorum addere, quos nimium longa referre mora est. Cur igitur pariter non speres vincere posse quos hostes livor fecerit ipse tibi ? Livor hic haud solum tibi; verum prxbet amicis damna tuis et qui teque tuosque colunt. Hic mea te vetuit tractare negocia livor, hic memorem facti te vetat esse mei. Hic livor tantas tibi dat, dux optime, curas ut nunc sint animis ocia nulla tuis. Cum tamen a tanto requies tibi cessa labore ulla erit, ut nostri sis memor ipse rogo. Attrahe me vestras, o dux insignis, ad oras, facque quod obsequiis tradar, ut opto, tuis. Quod si tu faves, scribam tua splendida gesta, et versu laudes concelebrabo tuas, Unde tibi xternum cedet, dux indite, nomen, accedetque urbi candida lama tux. Adde quod istius pueris optantibus urbis artem rhetorices eloquiique dabo. Si qua est ergo tux, dux humanissime, laudis, si cura xterni nominis ulla tibi, GIORNALE LIGUSTICO 229 Si qua reipublicæ cuius moderaris habenas, denique si prolis est tibi cura tuæ, Effice ut optatum valeat contingere portum auxilio dextræ, nostra carina, tuæ. Sic tibi dii cedant hostes evincere cunctos, imperioque diu non sine pace frui. IX. Ad magnificum Genua Capitaneum. O qui gesta facis divino carmine digna, auxilium musis trade, vir ample, meis Ut celebrare tuas æterno carmine laudes, Virtutesque tuas commemorare queam. Nil poterit præter musas afferre perenne nomen in æterna posteritate tibi. Quid melius quisquam vir, quid praestantius unquam, quid longa fama majus habere potest? Ergo ut eam nostræ valeant tibi ferre camœnæ, attrahe me in patriam, vir generose, tuam. X. Ad Octavium Vivaldum getiuensem, virum prudentissimum. Qui virtute tua jam me vehementer amare coepisti, constans sis in amore rogo, Nec tibi vela meoe sat sit juvisse carince, ni facias portus intret ut ipsa suos. Nunc opus auxilio. Nunc, vir clarissime, pugna, nunc fac ut in patriam protrahar ipse tuam. Nunc illuni monstra quo me amplexaris amorem, sic tibi perpetuo tempore servus ero. 230 GIORNALE LIGUSTICO XI. Ad dominum Baptistam Goanum genutttsem jureconsultum clarissimum. Quin tu nulla meis ferres responsa tabellis, quas ad te pridem, clare Goane, dedi, Credebam quod jam vel nostri oblitus amoris, vel nostri facti non memor ipse fores. Mens erat ergo meis cœptis imponere finem, nec tibi ob id posthac impedimenta dare. Atque meam ventis alijs committere puppim, qui veherent alia carbasa nostra via. Nostra tamen vehemens angebat pectora moeror, linquere quod coeptum cogerer ipse meum. De quo precipue longo me tempore certum reddideram, auxilio fretus, amice, tuo. Est etenim gravius coepto desistere, quam non incoepisse, et spem non habuisse rei. Tam magnas imo versanti pectore curas, astitit ante oculos pulcher Apollo meos. Ille deus vatum qui nostra adversa fovere, qui semper nobis gaudia ferre solet, Talis erat qualem pinxerunt carmine vates, cum nulla hunc ipsum commovet ira deum. Non arcum armata, non acria tela gerebat, tractabat doctx fila sonora liræ. Et vultu mitis, cultu et spectabilis illi aurea cesaries, aurea vestis erat Hac est ille meum salutatus vocc dolorem, ille michi placidus talia verba dedit : O tu, qui magnas vertis sub pectore curas, teque procul voto credis abesse tuo; Atque rei culpam Baptistæ ascribis amico, quem facti immemorem conijcis esse tui, Falleris ; ille tui memor est, nam semper amoris, et tua fixa imo pectore vota gerit, Intenditque tuam penitus subducere navim, cuius temonem deserit ipse nichil. Quod si tam raptim tibi non confecit, ut optas, culpa quidem non est attribuenda sibi, GIORNALE LIGUSTICO 23I Sed gravibus potius curis, quibus ille tenetur, pro duce, proque urbis commoditate suæ. Ille reipublicæ multas in pectore curas sustinet, atque sui grandia facta ducis. Ut decet, ille bonis privatis publica præfert, ' ut decet illustres ille imitatur avos. Non igitur mirum tibi sit, si forte nequivit jam finem votis imposuisse tuis. Tu tamen haud expers culpæ es: si vera fateris qui tantum lentus tam fuerisque piger, Ut jam pene anno multis jam mensibus actis Baptistae dederis carmina nulla tuo, Quæ sunt grata sibi, quibus oblectatur, ut aequum est, digna sacro siquidem carmine gesta facit. Emendes igitur defectum temporis acti, et nonulla sibi carmina danda putes. Remorum auxilium ventis afflantibus adde, addeque currenti vertile calcar equo. Sic tua felici ducentur lintea vento, sic tanget portus ista carina suos. Hæc cum vose michi Phebus dixisset aperta, cessit; ego statui mox sua jussa sequi, Hosque, licet paucos, ad te perscribere versus, ut solita optati sit tibi cura mei. Fac finem optatum possint attingere quae sunt exacto auspiciis tempore coepta tuis. Non qui rem coepit sed qui perfecit habetur laudandus, finis comprobat acta rei. Quando erit id tempus, quo non modo carmine grates, sed viva possim dicere voce tibi? Auxilio cuius vestram sim tractus ad urbem auctus diviciis, auctus honore quoque. Tunc me crediderim cervos evincere saltu, et cursu lepores exsuperare leves. Tantum vera michi dabitur tamque ampla voluptas tradentur cordi gaudia tanta meo. Hæc igitur nostræ cura dare gaudia menti, si, veluti fido, me vehementer amas. 2j2 GIORNALE LIGUSTICO XII. Ad Jacohum Bracellum eloquentissimum Genu.c Cancellarium. Si faveas nostris, preclare Bracelle, camœtiis non potero officii non memor esse tui, Sed tua perpetuo cantabo nomina versu, si tantum faveat pulcher Apollo michi. Præterea quantum tribuent michi numina vires conabor natos ipse docere tuos. Tu modo quæso tuam dignare imponere dextram ut vestra auxilio ponar in urbe tuo. Quod te sponte tua facturum intelligo, cum affectus doctis semper amore viris. Nec tamen est mirum. Nam qui doctissimus extas est opus ut doctos excolat ille deos. Est opus ut totis pro viribus ille poetas auxilio semper, consilioque juvet, Qui non ingrati, divino carmine magnas ipsius laudes commemorare solent. Mecenas ideo Flavi fuit atque Maronis fautor et hi nomen concinuere suum. Tu quoque si nobis faveas, ut spero, perenne versiculis poteris nomen habere meis. Nam quamvis nequeam veterum vestigia vatum ex omni nostro carmine parte sequi, Ille tamen magnus quo sum tibi junctus amore, ingenii poterit vim superare mei. Nam si fors nescis virtutum fama tuarum cogit ut ardenti jungar amore tibi. Ergo vale et nostram , velo remisque, carinam sustenta ut portum tuta subire queat. giornale ligustico 233 XIII. Ad doctissimum et clarissimum virum dominum Nicolaum de Campo Fulgoso genuensem. Audio te tantis præstantem laudibus esse, ut mea non possit musa referre satis. Audio præcipue veteres quod sæpe poetas, atque oratores perlegis ipse libens. Quodque colis pariter si qui sunt tempore nostro, atque omnes doctos tu vehementer amas. Hinc fit ut afficier magno tibi cogar amore, quisquis amat musas hunc ego semper amo. Hos igitur statui paucos tibi scribere versus, quo fieri possim cognitus ipse tibi. Ut tamen inter nos major coniunctio posthac fiat, opem rebus da, Nicolae, meis, Quo, veluti cupio, vestram conducar ad urbem et sua perpetuo carmine gesta canam. Quod si tu facies longam tibi tradere famam nitar, et æterno carmine dignus eris. XIV. Ad Calanium Dernisium genuensem. Demisi, nostris faveas si forte camoenis semper ero studiis deditus ipse tuis, Extollamque tuum super aurea sidera nomen ut possis longa posteritate frui. Curaboque tuum doctum tibi reddere natum, quem summo ingenio fama valere refert, Tamque tuus totus fuero quam grandis in omne tempus ut obsequiis ipse fruare meis. Utque brevi expediam, studio curabimus omni reni facere acceptam semper, amice, tibi. Ergo tuum est totis operam dare viribus, ut res possit ad effectum nostra venire suum. 234 y GIORNALE LIGUSTICO XV. Ad Matheum Lomeììinum genuensem. Qui, Lomellinæ non parva es gloria prolis, accipe versiculos, dare Mathæe, meos. Sed factos inter curai variosque labores, inde nec ornatu nec gravitate valent. Tu tamen aftectum debes advertere mentis, cum sim jam magno junctus amore tibi, Cum jam jocundam tibi rem fecisse peroptem nec non et nato, clare Mathee, tuo. Qui virtute sua sequitur vestigia patris, nec vult a fama degenerare tua. Ut majore quidem cupio perscribere versu, si vestra longam fecero in urbe moram. Ergo michi vestrum dignetur uterque favere, ut frui officiis possit uterque meis. XVI. Ad insignem Triolum Auriam genuensem. Salve, progenies, meritum cui nomen ab auro fertur ab antiquis patribus esse datum, Nam velut ipsum aurum preciosa et splendida res est, quæ crebro dignos reddit honore viros, Sic tu colluces ; sic præstantissima flores, sic decoras urbem stirps generosa tuam, Non secus ac magnam proles Cornelia comam et multe gestis excoluere suis. Istuc ipse tuo si ducar forte favore, quod michi concedant numina sancta rogo, Fortia majorum describam lacta tuorum, atque feram laudes sidera ad usque tuas. Nitar et xternum versu tibi tradere nomen, si tanto ingenio præstet Apollo meo. Non me fallit enim quid gesserit auria proles, aut quam nunc armis floreat atque toga. GIORNALE LIGUSTICO Ergo si longi cura est tibi nominis ulla affer opem causæ quam potes ipsam meæ. Sic tua perpetuo faciles dii vota secundent, sic faveant statui sidera cuncta tua. ( Continua) SPIGOLATURE E NOTIZIE Giovanni Ridolfi fiorentino ha lasciato memoria di un viaggio fatto nel settembre del 1480 da Milano a Genova. ìie riferiamo dal Zibaldone (Firenze 1888 , pag. 48, 53 e segg.) quel tanto che riguarda la nostra Liguria. Passato Pasturana trova « Tasseruò, è uno castelieto o più tosto villa discosto a Pasturana miglia 2. Gavi è un buon castello discosto a Tasseruò miglia 3, posto in su ’n uno monte altissimo con un borgo a piè del monte, murato et lì a piè passa ancora un fiume chiamato Lemmo et è questo castello a divotione del Duca, perchè è di M. Antonio Guaschi che lo comprò da un genovese, tanto che gli viene oggi di XV mila ducati et tranne mille ; et lì a dì 8 desinamo. Voltabio è un castelieto discosto a Gavi miglia 5. Il Castel del Borgo di Fornè discosto a Voltabio m. 5. Buzalla è un castello discosto a Fornè un miglio che è degli Spinoli, dove a dì 8 detto alberghamo. Genova è una città bellissima discosta a Buzalla miglia 15 , dove a dì 9 giugnemo a ora di desinare, et passasi il giogo discosto a Buzalla 2 miglia circa, che è molto facile, et poi entri per la valle del fiume Pozevero per insino a Genova, dove furono rotti i franzesi da’ genovesi, nella quale valle sono assai case di cittadini che hanno poco terreno, cioè giardini, tutti murati intorno che paiono quei muri su per que’ colli di qua et di là un labirinto, et ciascheduno colle sue mulette a ora di desinare et di cena se ne vanno a’ giardini et poi tornano nella città alle lor mercanzie ; chè non hanno se non muli et mulette, et in queste debbe essere il valsente di circa XXV mila di ducati, et cavalcano le donne tutte come gli uomini a cavalcione et hanno migliore tempo che gente del mondo, onde è un proverbio che dice : asini d’Alessandria, preti d’Inghilterra et donne genovese hanno più bel tempo che gente del mondo, perchè gli asini portano le selle et son cavalcati et vezegiati come son qua i cavagli ; i preti là (in Inghilterra) possono torre moglie, et le donne genovese hanno gran libertà, et ogni cosa vanno a comprare da loro pe’ loro bisogni. Comunemente portano guarnegli bianchi et cingonsi in su le poppe con collari alti, et il culo et i fianchi grossi et 236 GIORNALE LIGUSTICO senza pianelle, o basse basse ; scarpette rosse, calze nere, le gamurre corte una spanna, più lunghe dinanzi che di drieto in modo, che paiono scregnute. Mai si portano assai gioie, et gli uomini vanno qui tutti vestiti di nero o di bigi forestieri, tutti zuconi et collari a doccioni et ciope a meza gamba piegate, 0 catelani pur lunghi. Et come s’ esce del fiume Pozevero s’entra in un borgo e più di un miglio, et entri poi nella città, la quale è posta per lo lungo et da man ritta ha la marina et il porto con un bel molo, il quale, quando trae il vento provenzale, non è sicuro, onde il venerdì sera , per fortuna di altro vento , vi vedemo annegare una nave de Marini di 2000 botte, suvi 200 uomini 0 più, che s’ era armata per andare in aiuto di Re Ferrando contro a’ turchi, et morivi da 25 o 30 uomini, et il commissario M. Ghirardo Lomellino genovese ; et da mano manca ha i poggi altissimi, dove sono le mura fatte a spinapesce, et è fortissima perchè ha le vie molto strette et le case comunemente tutte alte et fa dell’ anime 90 mila 0 più, et è benissimo artigianata. i> Oltre a di questo hanno il duomo loro, titolato San Lorenzo, che è piccolo, dove hanno il corpo di San Giovanni Batista in cenere, il corpo di San Sì (Siro) loro santo, et una croce molto bella, et un vaso tutto di smeraldo fine d’un pregio che non truova paragone,· che dicono essere il vaso stato di Cristo, dove lui mangiò. Evi ancora la chiesa di San Si quasi nel mezo della città, et sopra a quella, più su , in sul monte, la chiesa di San Francesco molto bella et sopra San Francesco poi il Castelieto che è piccola cosa, ma è forte, con 4 torrioni et con un rivellino atorno di 3 muri, ripieni poi in que mezi di terra, che son lunghi più di 10 braccia, il quale fece il duca Galeazo, che è quella cosa che lo fa forte, et al dirimpetto ha una tortezza che fece fare il duca Francesco, che si chiama Lucheri (1) donde si può bombardare il Castellcto, che è presso circa a un trar di balestra. Et poi su alto in sul monte ò una altra fortezza fuori delle mura della città, che si chiama il Castellacelo, che è come una bastia. Et è divisa la terra in due parti, le quali sono queste: Adorni, Cappellacci e Spinoli gentiluomini da una parte ; dall’ altra parte Fregosi, Cappellacci et Doria gentiluomini. Poi sono i Fieschi gentiluomini CO Meglio · fece rifare » ; giacche la Torre di Luccoli, die «orge*» superiormente al monastero di S. Caterina, c presto la quale pattava un braccio dell' acquedotto , e nota per documenti molto anteriori al tempo cui appartiene la tignoria di Francesco Sforza in Genova, durante la quale forte fu rittaurata. Altri rejtauri ebbe certamente nel 1470. Cfr. PontsrA, L'Acquedotto di Genova, pp. ta, 19, it, i~. GIORNALE LIGUSTICO 237 et ricchi, i quali son per loro, e dove e’ pendono, quivi danno il tracollo, onde oggidì, perchè esistono acostati a’ Fregosi, regnano loro, ed è doge M. Batistinc de’ Fregosi. Et lui et M. Bietto de’ Fieschi si son divisi in questo modo : che il doge tiene San Francesco e il Castelleto , et M. Bietto tiene Lucheri e il Castellacelo, et 1’ altra parte degli Spinoli et Adorni se ne trovano fuori. Et evi nella terra molto buoni mercanti et nostri amici e Centurioni, et ancora gli Spinoli, et questo è quanto a Genova, della quale partimo a di 16 doppo desinare per Milano et per altra via, che non andatilo, et prima trovamo: Buzalla, la quale, come I10 detto, è degli Spinoli discosto a Genova miglia 15, dove a dì detto alberghamo. Scrivia è uno fiume repentino che passa da Buzalla, e vassi su per quello insino a Tortona. L’Isola è una villa discosto a Buzalla miglia 6 dove udimo messa a dì 17 che fu domenica. Arquà è uno castelieto discosto a l’Isola m. 7, che è degli Spinoli. Serravalle è uno buono et forte castello discosto a Arquà miglia 2, che è di M. Franco Anguino figliolo di M. Biagio (1) che prese il re Alfonso, onde il duca Filippo gli donò questo castello, et tamen egli è feldatario del duca di Milano, ove a dì 17 detto desinamo ». BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Lettere edite ed inedite di Vittorio Alfieri, a cura di Giuseppe Mazza- tinti, 1890, L. Roux, Torino. Ad una opera utilissima ha dato compimento l’egregio editore, il quale già si era reso assai benemerito degli studi alfieriam pubblicando i noti lavori sugli importanti manoscritti di Montpellier. Per raggiungere il fine che si proponeva era necessaria una diligente e buona preparazione, accurata e sottile ricerca, conoscenza piena della materia. La presente raccolta mostra appunto che egli s’ avea procacciato quanto faceva d uopo a ben riuscire. Perchè, senza contentarsi di riprodurre le lettere tali e quali si trovano impresse nelle svariatissime pubblicazioni da lui avute a mano, si pose alla ricerca degli autografi, e porse al lettore, per quanti gli fu possibile trovarne, la vera, originale e genuina lezione. Così rimangono integrate lettere messe in luce mutile, e si fa giusta ragione ai personali intendimenti dell’autore, il quale invero non credeva che alcuno avesse tanto d’audacia da rifargli il latino. Nè basta, chè per (1) Biagio Aiscrcio. 238 GIORNALE LIGUSTICO maggi°i ventura ha potuto aggiungere a quelle che già si conoscevano ben ventinove lettere affatto inedite, e alcune veramente importanti. Forse altre ne esisteranno, e stampate per entro a volumi inesplorati, e inedite presso raccoglitori gelosi; senza dar nota di negligenza all’editore perchè non ebbe a ritrovarle, c’è da far voti che siano additate agli studiosi e possano entrare in una seconda edizione dell’ epistolario. Ben condotta è altresì la parte illustrativa, cosi dal lato bibliografico, come dal lato critico. Quelle note che seguono ciascuua lettera hanno, secondo 1 casi, maggiore o minore estensione; non v’ha sfoggio soverchio ed inutile di erudizione, come nulla si mostra trascurato. Anche qui troviamo alcun che di nuovo rispetto alla corrispondenza del poeta, e del pari buone e copiose notizie. La difficoltà che si presentava a chi voleva rifarsi allo studio dell’uomo e dello scrittore, quella cioè di andar ricercando in molti luoghi la materia meglio adatta e più importante, ora è tolta, trovandosi qui ordinato tutto quanto si richiede a meglio determinare quella singolare individualità. u puoi seguire agevolmente lo svolgimento dei suoi pensieri, scrutarne 1 animo, renderti ragione degli intendimenti, del carattere. Senza ambagi, senza ipocrisie egli tutto ti si apre, e tu rilevi la continuità de’ fatti seguendo 1’ ordine di tempo onde sono disposte le lettere. È vero, qua e cola si riscontra qualche lacuna, che potrà anche venir riempiuta quando che sia; ma l’editore sovente con buono accorgimento sussidia il lettore con il corredo di quelle notizie, le quali giovano a chiarire il difetto. In fine ripeteremo che l’opera è davvero utilissima, ed è stata condotta assai bene. Parrocchie dell'archidiocesi di Genova, per Angelo e Marcello Re-mondini; Genova, Tip. dei Tribunali, 1889 (1). Eccoci all’ottavo volume, e con esso alla Regione ottava, in cui si racco Igono le notizie delle Valli di Garilaldo, Starla, Borgonovo e Boria,u lavoro procede adunque speditamente; ed a ragione se ne compiace il superstite D. Angelo, scrivendo: «... benemeriti cooperatori ci vengono in soccorso col risultato delle loro pazienti investigazioni, e ’l buon qualche eh" “ nell’aVanZaU eÜ' e ci Perme“< «plorare ancora q chiesa non vista negli anni trascorsi , (pp. 2η1). n voIurae di. (>) Cfr. a pp. 80. giornale ligustico fatti, nel quale è raccolta una ricca messe di memorie dei Benedettini, cui appartennero in origine parecchie delle chiese illustrate, ha copia notevolissima di documenti inediti, c di epigrafi quasi sempre riscontrate con diligenza sopra gli originali od i facsimili. Fonte abbondante di sicure notizie continuano pure ad essere il primo ed H secondo Registro Arcivescovile, cui le Parrocchie vengono a loro volta in aiuto colla esatta dichiarazione di molti nomi topografici: e non iscarso sussidio derivano altresì dal Registro delle lettere pontificie, del Desimoni. L’inedita iscrizione del 1587, che leggesi a pag. 11 e ricorda il canonico Pellegrino Broccardo, è l’accenno meno antico che da noi si conosca di questo ardimentoso ligure, il quale nel '56 viaggiò e descrisse l’Egitto (1). Che dei sinodi genovesi riferisse « ultimamente » la nota il Poggi nella Descrizione di Genova del 1846, non è esatto: vedasi quella che ne danno gli Alti della Società Ligure, τοί. XVI (1878), pp. 120 e segg. Cosi è il prodotto di un mero equivoco quanto scrive a pag. 45 D. Remondini, allegando il Banchero, cioè « che nessun documento mostra l’esistenza (in Genova) d’una chiesa anteriore al 980 ». Il Banchero dice invece che al 9.80 appartiene « il più antico documento in cui vien fatta espressa menzione dei canonici » di S. Lorenzo. Su l’autenticità della lapide di Garibaldo, prodotta a pag, 48, altro che esservi « molto da dubitare » ! È una impostura degna di Nanni da Viterbo, della quale, nondimeno in questi ultimi anni si eseguirono varie copie in marmo (una era nello Studio di Santo Varni), per nobilitare il castello di Busceta in Pontori e guarentirgli le origini della famiglia di Giuseppe Garibaldi. A colorir meglio la frode s’inventò persino la scoperta, nel medesimo castello, di una tomba scavata nel vivo sasso, che si suppone quella di Garibaldo, e se ne diede partecipazione alla Commissione conservatrice dei monumenti ! Lo storico « Caffaro», il quale cessò di scrivere nel 1163 e morì nel '66, non poteva «parlare» sotto il 1171 del castello di Zerli (pp. 62) ; ma ne parlò invece il primo de’ continuatori di lui, Oberto Cancelliere ; e noi aggiungiamo che nel codice degli Annales Genuenses n. 10136, alla Nazionale di Parigi, il castrum Zerli é figurato con due torri. Nè taceremo che un documento, pubblicato adesso in questo Giornale (pp. 139), conterma le nostre induzioni circa le origini dei signori del citato castello dai Bianchi, già prima dominanti a Levaggi (2). Inoltre non si può ammettere, che fossero « dei (t) Cfr. Atti Soc. d. Lig. di Storio Patrio, vol. IV, pp. 495 seg. ; Giani, Lig., a. 1875, p. 60. (a) Cfr. Tavole Genealogiche a corredo della Illustradel Reg. Arciv., η. λ II. 240 GIORNALE LIGUSTICO Ravaschieri ramo dei Fieschi » (pp. 209) i signori di Cogorno ; de’ quali nacque 1 abate Pagano di Borzone, che riproduce nel proprio nome quello del suo capostipite; ma discendeano aneli’essi dai Bianchi, ramo de’conti di Lavagna (i), donde pure spiccaronsi i Fieschi, cui due pontefici e di-gnità e ricchezze singolari levarono in fama sopra tutti i lor consanguinei. Infine due novità ci arreca il presente volume, la mutazione cioè della Tipografia, senza che ne venga detrimento alla uniformità esterna dell’opera, e la riproduzione di un bel disegno ddl’Abbazia di Borzone, che il compianto D. Marcello Remondini esegui dal vero sino dal 1869. Siamo anche avvertiti che il volume IX, « in corso di stampa, avrà quello di una graziosa chiesuola di Fontanabuona ». Henry Harrisse, Christophe Colomb, les Corses et le Gouvernement Français; Paris, H. Welter éditeur, m.d.ccc.xc. È una lettera indirizzata all’abate Casabianca, autore dell'opuscolo Le berceau de C. C. et la Corse, di cui rese conto a suo tempo il nostro Gior- (1), e compane da prima nella Revue Historique, gennaio-febbraio 1890, pp. 182-84. Ma in questa nuova edizione fanno seguito alla lei-tera: ,^ Notes et preuves documentaires; 2.» Documents intrinsèques et no-impostura e 1 ignoranza sfacciata ne escono bollate con marchio rovente; e anche il Governo di Francia, che incoraggia « de pareilles umister.es », ci può trovare tutto il fatto suo. Conclusione, « qui est sormais incontestable et prouvé par cinquantedeux actes notariés absolument authentiques: » Domenico Colombo, tisserand génois, père de Christophe Colomb, est ne à Quinto, à quelques kilomètres de la ville de Gènes. » Il a vécu costamment dans l’enceinte de la ville de Gènes depuis au moins le i avril 1439 jusqu’ au 28 septembre 1470, et après. usanna Fontanarossa, épouse du dit Domenico Colombo et mère de Chr. Colomb, est née au Bisagno, dans la banlieue de Gènes. » Chr. Colomb, leur fils aîné, naquit dans Γ enceinte de la ville de Genes, entre le 2I octobre i446 et le 3, octobre 1451. » Voilà la vérité, toute la vérité, rien que la vérité ». (1) Cfr. Tav. Gcn. cit., VI. (2) A. 1889, PP· 470 scgg. Pasquale Fazio Responsabile. giornale ligustico 241 TOMMASO STIGLI ANI CONTRIBUTO alla storia letteraria del SECOLO XVII. I. Della vita di Tommaso Stigliarli di Matera, cavaliere di Malta, poeta e critico del secolo xvn (1), si hanno notizie scarse e confuse. Nessuno degli storici della letteratura ha saputo indicare Γ anno della sua nascita (2); eppure se qualcuno avesse dato uno sguardo all’ epistolario dello Stigliani (3) (1) Nel Mondo Nuovo (C III, st. 57) lo Stigliani dice: ......di Malta il segno: Malta de’ cavalier famosa sede, Che sotto bianca croce han bianca fede. E nelle Lettere, pag. 255 « Onde io....... essendomi ridutto in fortuna assai più scarsa, che non si conviene ad un Gentiluomo, e eh’ habbia indosso l’abito di San Giovanni ». (2) Nella Nuova Crestomazia Italiana dei proff. Tallarigo e Imbriani (Napoli, Morano, 1884, vol. IV, pg. 414) si fa nascere lo Stigliani «forse circa la metà del secolo precedente (decimosesto) »; il Torraca (Manuale della lett. Hai., Firenze, Sansoni, 1887, vol. III, pg. 49) dice che il poeta è nato a Matera, « non si sa quando ». Il Casini (Man. d. lett. Ital. Firenze, Sansoni, 1888. vol, III), che dopo l’anno di nascita mette un segno dubitativo, propone il 1570, avvicinandosi più degli altri al vero. È inutile poi risalire al Tiraboschi, al Quadrio, al Ghilini, al Crescimbeni e agli altri storici della letteratura, perché tacciono aneli’essi in modo reciso. Lo stesso può dirsi del conte Gattini, che nella sua Storia della città di Matera (Napoli, Pellegrino, 1887) poteva offrirci notizie più minute sopra un de’ suoi più limosi concittadini. (3) Lettere del cavaliere fra Tomaso Stigliani, Roma, Manelfi, 1651. La seconda ed. (Roma, Bernabò, 1664) non è che la semplice riproduzione della prima, combinando tanto i tipi quanto l’impaginatura. Giorni. Ligustico. Anno XVII. 16 242 GIORNALE LIGUSTICO avrebbe facilmente potuto rintracciarlo, perché il poeta in una lettera al prìncipe di Squillace, del 2 febbraio 1652, scrive: « Onde essendomi io finalmente svegliato da questa lunga tra-scuraggine, quasi da un lungo sonno, mi trovo esser divenuto vecchio di più di sessant’ anni, e ridutto in fortuna assai scarsa, che non si conviene ad un Gentiluomo (1) »; e in un’ altra lettera, diretta al principe di Castellanetta a Napoli, con la data del 20 aprile 1650: « Ma la piggiore infermità eh’ io abbia, e che maggiormente accresce l’altra, e che distrugge me, si è una che si chiama seltantasetle c che Γ anno che verrà si chiamerà settantotto, purch’io non muti Mondo avanti che ella muti nome » (2). Da ciò si raccoglie che lo Stigliani nacque nel 1573, anche se si consideri che nella lettera al principe di Squillaci il poeta afferma d’ esser vecchio « più di sessant’ anni ». Ma come 1 anno della nascita, cosi quello della morte è rimasto ignoto agli storici della letteratura: alcuni la pongono, con manifesto errore, nel 1625, altri nel 1646; ma un documento officiale, il registro dello stato civile di Matera, Γindica con tutta esattezza, sotto il 27 gennaio 1651 (3); non raggiunse adunque lo Stigliani quel scttantottesimo ottavo anno che gli faceva tanta paura! Ancor giovinetto, a quanto sembra, il poeta si condusse a Napoli, dove alla splendida corte del principe di Conca, glande Ammiraglio del Regno, conobbe G. B. Marino e più utilmente Torquato lasso; il quale, come aveva spronato il Marino a proseguire gli studi poetici, predicendogli un avvenire fortunatissimo, ammoniva altresì lo Stigliani gio- 0) Stigliasi, Lettere, pg. (2) lbid, pg. 26 j, (?) Gattini op. cit., pg. 424. GIORNALE LIGUSTICO 243 vinetto a studiare con amore le lettere; (x) e a lui (non ancor ventenne) indirizzava un bel sonetto. Stigliar), quel canto, ond’ad Orfeo simile, Puoi placar l’ombre dello Stigio Regno : Suona tal, ch’ascoltando ebro ne vegno, Ed haggio ogn’altro, e più ’l mio stesso a vile. E s’autunno risponde ai fior d’Aprile, Come predice il tuo felice ingegno : Varcherai chiaro, ov’ erse Alcide il segno Ed alle sponde dell’estrema Tile. Poggia pur dall’ umil Vulgo diviso L’ erto Elicona, a cui se’ in modo appresso, Che non ti può più ’l calle esser preciso. Ivi pende mia cetra ad un Cipresso. Salutala in mio nome, e dàlie avviso, Ch’io son dagli anni, e da Fortuna oppresso (2). E lo Stigliani, riconoscente e commosso a tante lodi, rispondeva con un sonetto, nel quale dice d’essere scolaro d’illustre maestro : Come sali tant' alto il suono umile Dell’ arpa tosca, di’ io si mal sostegno , Ch’a te giungesse? e come poi fu degno Di sembrarti si chiaro, e si gentile? Le lodi, ond’ a me fai ricco monile, E n’orni, e fasci il mio difetto indegno Son tue, Torquato, né pregio altro io tegno, Ch’ esser stato materia a tanto stile. (1) Lo Stigliani volse però i suoi primi passi allo studio della medicina. « Che quantunque — scrive il poeta ad un suo amico, — da fanciullo io studiassi in Napoli un tantino dell’Arte (medica) sotto Latino Tancredi, famoso Lettore allora, e’di gran credito ». Lettere, pg. 191. (2) Abbiam seguita, nella trascrizione di questo sonetto , l’ed. del Canioniero di cui vedi la nota seguente. Lo stesso sonetto, con notevoli varianti, si legga nel volumetto L’ A minia e Rime scelte di T. Tasso, per cura di F. S. Orlandini, Firenze, Barbèra, 1862, pg. 359. 244 GIORNALE LIGUSTICO Si come imprime del tuo proprio viso Il Sol vii acqua, e si compiace spesso Di vagheggiarsi in lei dal Paradiso; Cosi m’hai tu della tua luce impresso, Che mia poi chiami, e finto altro Narciso, Nella roza mia fonte ami te stesso (i). Sembra però che lo Stigliani facesse breve dimora a Napoli, e non sappiamo qual vita vi conducesse : dalle sue rime per altro si può arguire che incontrasse parecchie avversità. Infatti in un sonetto dove « loda la Verità in occasione d una sua persecuzione » il poeta esclama : Coprasi pur di sé, mentre n’ha campo L’ avversa Frode, e '1 tuo candor d’intorno Di mentita negrezza adombri, e fasci (2). In un altro « lamentasi in una solitudine per la medesima persecuzione »; e impreca contro: ........l’empia sorte ancor non stanca Di aver tatto di me si lungo scherno Confortandomi sol nel senso interno De l’innocenza mia limpida e bianca {3). Ma la solitudine lo fa essere triste, e gli suggerisce amare riflessioni: Ma che rileva in solitario speco C.elarmi, ahi lasso, e con si ardente lede Chieder, del mio non fallo, al Ciel perdono (4)? (1) Tale è il sonetto nella ed. delle rime dello Stigliani con la data del 1623; ed. che illustreremo a suo tempo, e che seguiremo per tutto il presente studio, perché lo Stigliani stesso avverte che la prima del 1601, della quale dovremo or ora occuparci, fu da lui « completamente purgata dalle incertezze giovanili ». (2) Stigliasi, Can\onitro , pg. 26. (3) Ibid. pg. 450. (4) Ibid. pg. 450. giornale ligustico 245 Questa solitudine, cui accenna il poeta, dovette esser Matera, come appare dal sonetto dove ei descrive « il suo ritorno in patria »: Ecco veggio il bel colle, in eli’amor suole Spiegar l'alta sua gloria: ecco pur torno, Peregrino infelice, ove ha soggiorno Beltà, eli’altrove mai non vide il sole. Poggai d’onor le vie romite, il sole; Né trovandovi possa, or far ritorno Là ’ve de l’aria del bel viso adorno Nodrisca il cor, che cibo altro non vole. E quasi schivo Augel, che i lievi imperi Fuggì del Signor suo, sperando audace Spaziarsi da l’indo al Mauro lito: Famelico aifin chiuso i vanni alteri E scendo stanco al dilettoso invito De 1’ esca usata, e soffro i lacci in pace (1). Altrove, « scrive al Signor Celio Magno (2), pentendosi degli studi poetici, come di poco vili », e, sempre riferendosi alla persecuzione di cui si credeva vittima, nota: Quand’io dal poco mio, che m’ è concesso, Dovea cor di sostegno alcuna spica, Trovo aver seminata ogni fatica Sovra l’arida sabbia di Permesso (3), e tutto questo perché: Sa l’Invidia trovarmi, ov’ io non sono, E lascio l’orma, ove non posi il piede (4). (1) Jbid, pg. 93· (2) Il Magno, sul quale il compianto Zanella scrisse una breve monografia , che non potemmo leggere, fu anche egli poeta del secolo xvii- (3) Jbid, pg. 467· (4) Loc cit. 24 6 GIORNALE LIGUSTICO Non sappiamo dire poi se lo Stigliani ritornasse a Napoli o da Matera si recasse direttamente a Roma, dove, con grande probabilità, si può supporre che il poeta giungesse negli ultimi anni del secolo XVII, tra il 1395 e il 1598. « A Roma io feci la mia prima gioventù — scrive lo Stigliani a Pier Giorgio Lampognani di Parma — vi fo la mia ultima vecchiezza (1) ». E cosi può dirsi che il Marino e lo Stigliani, amicissimi in gioventù, e vicini ad esser divisi da una grande rivalità, cangiatasi poi in odio acerrimo, giungessero a Roma quasi contemporaneamente : l’uno sfuggendo al capestro, l’altro per cercarvi onori e ricchezze. II. A Roma il nostro Stigliani si fermò per poco tempo, e nel giugno del 1600 trovavasi a Milano, dove dava a stampare al Ponzio un poemetto pastorale in ottava rima, intitolato il Polifemo. (1) Stigliani, Lettere, pg. 9. Se poi si deve credere allo Stigliani, il Tasso lo spronò a raggiungerlo in Roma, e cosi potrebbesi far retrocedere la data da noi avanzata come la probabile. Ecco del resto il sonetto, intitolato « Visita fatta dallo Autore al Tasso ». Pas.e a te, che chiarissimo, ed intatto Steso hai quel nome, in eh’ io mi specchio, c tergo, Da i liti d’India insin là dove il tergo Stanco d Atlante è sostenendo fatto. Tu col canto, appo cui resta ad un tratto Ogni cigno gentil palustre mergo. M hai dolcemente dal mio patrio albergo, Quasi Sirena, a queste sponde tratto. Né per altro io varcai colli, e torrenti, E fanciul venni al re d’ ogni altro rivo, Che per far mici desir di te contenti. O quanta ovunque luce il biondo Divo Invidia avranno le future genti Agli occhi miei, che t* han veduto vivo. GIORNALE LIGUSTICO 247 Un esemplare di questo poemetto, sconosciuto ai bibliografi torse perché di un’ estrema rarità, è posseduto dalla biblioteca Alessandrina di Roma tra le sue preziosissime miscellanee antiche (1). Precede le stanze pastorali una lettera del poeta a Ferrante Gonzaga, principe di Molfetta, in data del primo di giugno: da questa lettera appare che in quel tempo il poeta andava cercando una « servitù », per studiare e per vivere (2) « Sono molti anni — scrive lo Stigliani — ch’io desidero sommamente prender servitu con V. E. appieno istrutto delle sue reali qualità, cosi per quanto me ne dice la pubblica fama, come per quello, che già particolarmente n’ intesi dal signor Tasso di gloriosa memoria (3). Ma perché non ebbi mai, per mia mala ventura, cotale introduttione appresso lei, ho voluto alla fine maturare il mio intento nella presente guisa e di indirizzarle, come fo, questa poetica Espressione dello amor di Polifemo, famosa favola de’ Gentili, (1) Il Polifemo / Stante pastorali/di Tomaso Stigliani./All’Illustriss. et Eccellentiss./Signor D. Ferrante Gonzaga Principe/di Molfetta, tee.// In Milano./ Nella stampa del q. Pacifico Pontio, Impressore Archiepiscopale. 1600/Ad istanza dell’herede di Simon Tini, et Gio. Francesco Besozzo (32 pagg. in 4.0 dìcc.) (2) Era lo Stigliani di famiglia poverissima. Nel Mondo Nuovo, in cui il poeta si nasconde nel cavalier Calvo, scrive (C. XXI, st. 99)! Povero nacqui sotto ’l ciel latino, Bench’ ora poco men sia, che mendico ; Di che si meraviglia ogni vicino, Che san quanto in buon’ opre io m* affatico. Io per me vo’ incolparne il mio Destino, O pure il secol di virtù nemico : Lasciando, che color, eh’ a nascer hanno, M* incolpino dapoi ciò , che vorranno. (3) Di quest’amicizia col Tasso, della quale menò sempre vanto in vita sua, i nemici del poeta ebbero qualche volta a dubitare e a deriderlo. Vedi il sonetto (Canioniero, ed. del 1625) intitolato Una visita al Tasso. 248 GIORNALE LIGUSTICO e non lungo tratto lontana dal vero, nella quale mi son sforzato di vivamente ritrarre la rozzezza del soggetto, avvegna che picciola favola habbia in ciò havuto il mio stilo per esser di sua natura rozo anch’ esso ». Aggiunge che ben sa di portare legna al bosco « donando versi a V. E. che n’ è sì perfetto facitore »; tei ne però che non saranno rifiutati « come appunto avviene dei fiumi i quali, tutto che rechino acqua al mare, vengono nondimeno cortesamente da lui ricevuti ». Ferrante Gonzaga, principe di Molfetta e signore di Guastalla, stato protettore e vero amico del Tasso (1), e di poi del Baldi (2), il quale gli dedicò la Nautica, era illustre e generoso mecenate. Non lo adulava lo Stigliani a chiamarlo « buon facitore di versi », perché scrisse poesie ed una favola pastorale, celebrata per cosa stupenda dal Tasso. Ma il Gonzaga, se ricevè il poemetto, non accolse però l’autore fra i suoi famigliari. Molto più significativo è a questo proposito il silenzio dell’ edit. delle rime dello Stigliani con la data del 1601, dove non appare alcuna lode pel Gonzaga, ed anzi le rime son dedicate al card. Cinthio Aldobrandini (3). Ma, per ritornare al Polifemo, diremo che fu ristampato nello stesso anno 1600, e poi, insieme a poche altre rime, dal Ciotti di Venezia nel 1601 (4); si che può affermarsi (1) A. P. Serassi, La Vita di T. T., 3a ediz., Firenze, Barbèra e Bianchi, 1858., pg. 76 e passim. (2) Versi e prose scelte di B. Baldi. Firenze, Le Monnier, 1859. Lettera in data del 6 giugno 1585. (3) Solo nel 1605 lo Stigliani dedicava una piccola parte delle sue rime, quella degli amori marinareschi, al Gonzaga, cui scriveva: « Non mi sono già uscite di mente le mie obbligazioni verso lei: ma non poco fa chi fa quanto può ». Cfr altresì nei soggetti eroici, altra divisione delle rime nell’ ediz. del 1605, un sonetto al medesimo signore. (4) Non ho potuto esaminare le altre edd. del Polifemo, da me accennate; tolgo questa notizia dalla prefazione che Francesco Balducci scrisse giornale LIGUSTICO 249 che questo poemetto pastorale tu accolto con certo favore. Esso è, come avverte l’autore, tutto un lamento del Ciclope all indirizzo di Galatea. Consta di sessantadue ottave, e, ad eccezione delle due prime, si assiste ad uno di quei lamenti cosi frequenti nelle composizioni poetiche di quel tempo; quando cioè al canto lirico ed elegiaco subentrò quello pastorale e idillico. Del resto poi la materia del poemetto è ricavata, in massima parte, dalle Metamorfosi (lib. XIII) e il poeta confessa da sé l’imitazione, perché dice che « non discordando dalla favola degli antichi, introdduce il Ciclope a pregare amorosamente Galatea » (1). Ecco come lo Stigliani descrive Γ aspetto del Ciclope : Quand’ ecco dalla riva il gran Gigante, Che della vaga ninfa ha l’alma accesa, Apparve a lei con la sua greggia avante, L’un per lagnarsi, e l’altra a pasco scesa. Avea di cento canne il fiero amante Smisurata sampogna al fianco appesa, E in spalla un pino, ed adeguava il monte. Mostro , eh’ un sol grand’ occhio ha nella fronte. e similmente nelle Metamorfosi: Huc ferus ascendit Cyclops, mediusque resedit; Lanigerae pecudes, nullo ducente, secutae. Cui postquam pinus, baculi quae praebuit usum, Ante pedes posita est, antemnis apta ferendis, Sutnptaque arundinibus compacta est fistula centum, Senserunt toti pastoria sibila montes, Senserunt undae. al Canzoniere dello Stigliani, stampato a Roma, come avrò campo di Ja vedere in séguito, nel 1623. « Dovete sapere, benigni lettori, scrive il Balducci, che essendo nell’anno 1600 stato stampato più volte il Polifemo del Signor Cavalier Stigliani in Milano dal Ponzi, dal Tini, e del Besozzi, e poi ristampato nel 1601 in Vinegia dal Ciotti, ecc ». (1) Vedi 1’ediz. delle rime dello Stigliani stampata a Roma nel 1623, Pg· >57- 250 GIORNALE LIGUSTICO Anche Γ ottava, in cui il Ciclope rimprovera a Galatea la sua durezza di cuore, Né quella Galatea se’ tu, che pare Ma serpe la più rea, che 1’ Afric’ aggia. Serpe che sotto forme umane, e care, Dur’alma celi, e mente empia, e selvaggia. Da te sua crudeltade apprende il mare, E sua sterilità la nuda piaggia; Per te son’io si stranamente avvezzo, Che ciò, che non è pena, odio, e disprezzo. rammenta le Metamorfosi: Saevior indomitis eadem Galatea iuvencis, Durior annosa quercu, fallacior undis, Lentior et salicis virgis et vitibus albis, His immobilior scopulis, violentior amne, Laudato pavone superbior, acrior igni, Asperior tribulis, foeta truculentior ursa, Surdior aequoribus, calcato inmitior hydro, Et, quod praecipue vellem tibi demere possem, Non tantum cervo claris latratibus acto, Verum etiam ventis volucrique fugacior aura! E, per terminare, Ovidio dice: Certe ego me novi, liquidaeque in imagine vidi Nuper aquae ; placuitque mihi mea forma videnti. Aspice, sim quantus. Non este hoc corpore maior Iuppiter in caelo: nam vos narrare soletis Nescio quem regnare Iovem. Coma plurima torvos Prominet in vultus, humerosque, ut lucus, obumbrat. Nec mihi quod rigidis horrent densissima saetis Corpora, turpe puta. Turpis sine frondibus arbor: Turpis equus, nisi colla iubae flaventia velent. Barba viros hirtaeque decent in corpore saetae. Unum est in media lumen mihi fronte, sed instar Ingentis clipei. Quid? Non haec omnia magno Sol videt e caelo. Soli tamen unicus orbis. 25 I E lo Stigliani: Soglio col rastro pettinarmi il crine, E colla vanga tergemi ogni dente. E nella barba opro la falce, affine Che nelle gole mie penda egualmente. Poi nelle limpid’ acque cristalline Mi specchio, e mi vi lavo anche sovente. Che non è degna d’ apparirti avante Figura immonda di mal culto amante. Un occhio ho si, ma in guisa e’ me ne duole, Che non invidio ad Argo i cento suoi Chi più bello del ciel, da cui si suole Ogni bellezza derivar fra noi? E pur ha un occhio in faccia, io dico il sole, Cori cui mira da'mari a’ lidi eoi. Egli nel mare, io nel mio scoglio il celo Egli gran Polifemo, io picciol cielo. E cosi pure la descrizione che il Ciclope fa di un dono per Galatea: Tutta di molle intaglio in lui si vede Sculta la pastoral vita serena. Qui si munge, là pasce, altri qui siede A l’ombra, altri là danza a suon d’avena. Su l’orlo è un’aspe, eh’ in sè stesso riede, Anzi è l’orlo egli, e compie il giro a pena, Ch’inarca il collo, e dentro a ber s’abbassa, E bello, e strano manico fuor lassa. è imitata dalla prosa XI dell’ Arcadia, in cui Ergasto dona a Selvaggio, vincitore di un giuoco « un bel vaso di legno di acero; ove, per mano del padoano Mantegna, artefice sovra tutti gli altri accorto ed ingegnosissimo, eran dipinte molte cose; ma tra Γ altre una Nympha ignuda, con tutti i membri bellissimi dai piedi di fuori che erano come quegli dele capre.......... Ma al di fuori del vaso correva adtorno, adtorno una vita cariche di mature uve, e ne l’un de’capi di quella 252 un serpe si avvolgeva con la coda, et con la bocca aperta venendo a trovare il labro del vaso, formava un bellissimo et strano manico da tenerlo » (1). Del resto, poi il poemetto, preso nel suo insieme, rammenta anche Γ elegantissime stanze del Molza, la Ninfa Tiberina, in cui, come nel Polifemo, un pastore sfoga il suo amore mal corrisposto (2); di più osserveremo che alcune ottave del Polifemo ricordano i nostri canti popolari, e basti citarne a questo proposito alcune stanze: Tutta l’alma natura in se raccolse Ciò ch’avea sparso di leggiadro, e vago, Nelle create cose, e farti volse Quasi del mondo una picciola imago. Dalle stelle del cielo il guardo tolse, E dalla via del latte il petto vago, E dal capo del sole il biondo crine, E le man bianche dalle nevi alpine. Tolse la fronte da' più be’ cristalli, Da’ ligustri le gote, e dalle rose, Da’ pomi il mento, i labbri da’ coralli. I denti dalle perle preziose. (1) Arcadia di Iacoio Sannazaro, ed. Scherillo, Torino, Loescher, 1888, pgg. 250-251. Né questa è la sola imitazione dell 'Arcadia. Nella VII prosa Sincero riceve in dono da Clarino una sampogna « ove non creda che voce giamay pervenisse di matutino gallo, che di suono privata la havesse ». E similmente lo Stigliani : Non giunge qui, che di tuon priva l’aggii, Voce giammai di matutino gallo. Cfr. altresì Stigliani, Lettere, pg. 251, in cui il poeta confessa la fonte da cui tolse il soggetto della immagine. (2) Poesie del Molza, raccolte dall’ab. P. A. Serassi, Milano, 1808. Vedi altresì qualcosa di simile nel Tirsi del Castiglione (in Teatro ital. dei sec. XIII, XIV e XV a cura di Fr. Torraca, Firenze, Sansoni, 1885, pgg· 414,430)· 253 Ed eletto l’argento in fra i metalli, Mirabil fabbra, il bel corpo compose. Quinci avvien, che dovunque io vada, o stanzi Mi veggio Galatea sempre dinanzi. dove 1 intonazione della musa popolare è più manifesta, sebbene rinfrancata e rassettata dall’ artificio di scuola (i). • III. Il Polifemo adunque ebbe fortuna e procurò allo Stigliani fama di buon letterato, tanto che nel 1601 il Ciotti, editore senese, residente a Venezia (2) stampava la raccolta delle sue rime (3). Scrive il Ciotti nella prefazione , che le rime dello Stigliani « sono, come dico, primitie et acerbità della sua gioventù: tuttavia tali, ch’io l’ho più volte udite dalla universal voce de’ Letterati, non solo commendare per eccellenti, ma ammirare per singolari, e senza paragone in questo genere di poesia. Del che, cioè che cosi sia, m’ha dato grande argomento il vederne per le mani di tutti gli studiosi (1) La poesia pop. ital., Sludj di Al. D’Ancona, Livorno, Vigo, 1878, pg. 253 e passim. (2) Il Ciotti fu se non il più fortunato, certamente il più ardito e intelligente editore del seicento. Le edizioncine da lui procurate delle rime del Guarini, del Casoni, dell’Ongaro, del Marino, dello Stigliani e di tanti altri poeti seicentisti, sono veri gioielli cosi per parte della correttezza tipografica, come per i tipi adoperati. In sua gioventù era in società con i Giunti. Abbiam detto non il più fortunato, perché lo Stigliani, lamentandosi con ragione di lui, scriveva a Vincenzo Molino: «Iniquità della quale egli fu punito dapoi dal giusto Iddio, evidentemente in questo mondo medesimo. Perché avendo lasciata la compagnia dell’ Arte, eh’ avea co i Giunti, trasportò la bottega in Sicilia, e là nello stretto spazio di sei mesi fallì, impazzò, accecò e mori ». Stigliani, Lettere, pg. 166). (3) Delle Rime/del Signor/Tomaso Stigliani,/Parte Prima. //In Venetia. Presso Gio. Battista/Ciotti, al Segno della Minerva. 1601. in-i2u. GIORNALE LIGUSTICO gran moltitudine di copie, non altrimenti che se già fossero stampate ». Avverte altresì i lettori che lo Stigliani fin d’allora aveva in animo di stampare alcuni canti del Mondo Nuovo; « et aspettate fra pochi mesi termina l’editore, — la seconda parte (delle rime) et forse anco qualche Canto del Poema del Mondo Nuovo, eh’esso Sig. Stigliani compone al presente con altissima aspettatione d’ogni virtuoso ». Se si deve poi credere allo Stigliani, le rime dell’ edizioni Ciotti furono pubblicate a sua insaputa « senza suo sapere », com’egli diceva nel 1605, pubblicando un nuovo volume di poesie (1). Ma queste germinelle, non sappiamo se trovate dagli autori o dagli editori, furono in voga nel seicento, forse per richiamar 1 attenzione e la curiosità del lettore su le produzioni letterarie del tempo. Un celebre marinista, 1’ Aleandri, che fu il primo bibliotecario della Barberiniana, nella prima parte della Difesa dell’Adone scrive che innanzi che lo Stigliani pubblicasse quelle poche rime, le aveva date al Marino perché le rivedesse ed emendasse. Il Marino gentilmente si prese la briga di correggerle « e tanto fu il miglioramento che ne riportarono, che quanto (1) Ecco una parte della prefazione del libro, che a suo tempo illustreremo: « Avviso poi i Lettori che di quel Testo delle rime stampato dal Ciotti nel 1601 e piti volte ristampato sotto la stessa data, vanno approvate quelle sole compositioni, le quali essendo poi da mestate rifatte, e limate, si troveranno hora sparse per entro al presente Volume. L'altre che rimangono fuori (perché esso libretto fu pubblicato senza mio sapere) da me si rifiutano, e sconoscono per mie ». Infatti il Ciotti nella prefazione alle rime pubblicate nel 1601 dice che non badò né a tempo né a fatica perché fossero raccolte le rime dello Stigliani « in diverse mani confusamente sparse ». E aggiunge: « È vero che ultimamente me n’è capitata una intera copia astratta dal proprio originale: se non che ha dipiu le dichiarazioni de’ sensi sopra ciascuna composisione, fatte dal signor Scipione Caleagnini ». giornale ligustico 255 di buono vi si scorge, tutto usci dalle mani del Marino, il quale non seppe poi tener la lingua fra’ denti, che no ’1 comunicasse a qualche amico. E la fama che se ne sparse , origino lo sdegno, e l’odio dello Stigliani contro di esso, e que’ mali trattamenti, i quali la sentenza autenticano di quel prudente scrittore, che non si paga un gran debito se non con moneta di grande ingratitudine » (1). Cosi 1 Aleandri : ma tutta questa storia, che torrebbe assai di merito poetico allo scrittore materese, è, secondo noi, pretta invenzione dell’Aleandri, perchè mal si sarebbe piegato l’orgoglioso Stigliani ad affidare la correzione delle sue poesie al Marino, eh’ egli non istimava non superiore a sé per ingegno e per coltura. Del resto, francamente, non si può vedere la maniera del Marino in coteste rime, anche se non si voglia considerare che appena un anno innanzi il fortunato napolitano aveva pubblicato la sua prima raccolta di rime, e in quel tempo non s’era ancora procacciato quella celebrità, che avrebbe potuto allettare lo Stigliani a cercare 1’ aiuto e 1’ approvazione ai suoi versi. Il volumetto delle poesie dello Stigliani, edito dal Ciotti, contiene sessantadue sonetti, nove madrigali e tre canzoni, oltre al Polifemo, di cui abbiam discorso; è dedicato « all’illustrissimo et Reverendiss. sig. Cinthio Aldobrandino, cardinal di San Giorgio », quello stesso che aveva chiusi gli occhi al povero Tasso, quello « al cui merito, et magnanimiti, pare, che horamai si debbano, come di obbligo, le più eccellenti opere di questo secolo ». Come si vede, la raccolta è meschina, specialmente se si consideri, che lo Stigliani pubblicava le sue rime quando già era quasi trentenne, e da tempo il Tasso ne aveva lodato l’ingegno poe- (1) Difesa dell'Adone, poema del Cav. Marini di Girolamo Aleandri per risposta all’ Occhiale del Cav. Stigliani. In Venetia, M DC XXIX, pg. 31. 2)6 GIORNALE LIGUSTICO tico. Anche il Marino fece uscire le sue rime all’ età di trentatre anni; ma Γ edizione fu copiosissima e divisa in due volumi : si rifletta poi alla vita relativamente tranquilla trascorsa sino a questo tempo dallo Stigliani e a quella tempestosissima del Marino. Le cose migliori della raccolta sono alcuni sonetti di vivace colorito, tra i quali riferiamo per esempio questo ove il poeta imita alcune preghiere cantate da un pastore alla sm Ninfa : Qui mosse il bosco, e legò in aria il vento Damon cantando; e’n questo istesso rio L’ amata Garamantide vid* io Specchio a sé far del fuggitivo argento. O bella, o cruda (inver la Ninfa intento Diceva) o del mio cor dolce desio: Se muoverti non puote il pianger mio, Movati almen questo infelice armento. Che negli amari suoi muggiti ogni hora Per me ti prega: e se parlar sapesse, Ti canterebbe il mio penoso stato. Qui il suon fermava e ’l bianco Tauro alhora Mugghiando rispondea, quasi dicesse: Rendimi, cruda, il mio custode amato. E quest altro, che, come vedremo, fu lodato anche dal- 1 A leandri, divenuto celebre nel seicento, e per il quale lo Stigliani contese col Marino rispetto alla priorità dell’ invenzione; il sonetto e sopra un orologio, nella cui polvere finge, che sia trasformato un Amante, incenerito per troppo ardore: Questa, in cavo cristallo, accolta arena, Che Γ ore addita, e la fugace etade, Mentre ogni hor giù, quasi filata, cade Rapidamente per angusta vena : Era un tempo Aristeo, ch’amò Tirrena, Tirrena, che come Angelo in beltade, Cosi parve in orgoglio e ’n crudeltade Libica serpe, o fera Tigre armena. GIORNALE LIGUSTICO 257 Amolla, e n’era il misero deluso: Fin che dall’ aspro incendio addutto a morte, Disfessi in polve e fu da lei qui chiuso. O crudel degli amanti, e strania sorte, Serbali l’arse reliquie anco il prim’uso: Travagliar vive e non riposar morte (1). È noto però che lo Stigliani rimproverava al Marino d’aver rubato senza coscienza le invenzioni a molti poeti, specialmente ad un grande meridionale, il Tansillo. « A queste tante disgrazie, ch’egli (il Tansillo) ebbe, s’aggiunse per sigillo, che poi venne il Marini, e colla sua garbata ronchetta gli carpi tutti i suoi migliori concetti. Non dico solo dalle prefate Rime impresse, ma da alcune canzoni, et capitoli non pubblicati, i quali esso Marini buscò in Nola manoscritti. Questi egli non si occupò di sfiorare, ma occupandogli intieri, gli registrò per suoi, e seminògli nelle sue opere tutte, ma più nel primo, e secondo Volume » (2). Lo Stigliani a questo proposito cercava, è vero, il fuscellino negli occhi altrui, e non vedeva la trave nei suoi, perchè egli, più che il Marino, imitò il Tansillo, ed anzi in certi sonetti molto derivò di pensieri e di locuzioni da quel poeta ch’egli credeva superiore al Petrarca. Per esempio, il sonetto (1) Però questo sonetto è la traduzione di un epigramma del celebre A leandro (il vecchio) intitolato appunto Horologium Pulvereum, e che suona cosi : Perspicuo in vitro pulvis, qui dividit horas, Dum vagus angustum saepe recurrit iter, Olim erat Alcippus, qui Gallae ut vidit ocellos, Arsit, et est caeco factus ab igne cinis. Irrequiete cinis, miseros testabere amantes More tuo nulla posse quiete frui. Trium fratum Amaltheorum Carmina, Venetiis, m.dc.XXVH, pg. 50. (2) Stigliani, Lettere, pg. 119. oiojtN. ligustico. Anno XV11. *7 GIORNALE LIGUSTICO in cui lo Stigliani parla col Mare assomigliandogli il suo stato amoroso : Ben de la vita mia 1’ aspro tenore Teco, o Mar, si rassembra e si conface. Tu celi, e copri nel grembo vorace Possenti Rivi, ed io nel petto Amore. Tu duri scogli hai dentro, io saldo il core Tengo alla guerra, che ’l crudel mi face, E qual la spuma tua, sorta si sface, Tal, nato appena, il mio diletto more. Tu righi indarno l’ infocata arena, Io piango senza frutto. In te 1’ armento Pasce di Proteo, in me feri desiri. Ma pur tra Tonde hai tu la tua Sirena, E la mia lungi, e tu talhor col vento, Io tregua non ho mai co’ miei sospiri (i). è un’ imitazione, pel finire evidentissima, di quello del Tan-sillo, in cui il poeta rassomiglia il suo stato amoroso al-lOceano: Simile a l'Ocean, quando più freme, È la mia vita. A lui contrari i venti Fan cruda guerra; io da sospiri ardenti Son combattuto e da contraria speme. Crescono l’onde in lui, si che l’estreme Sponde risonali lungi: in me correnti Fiumi di pianto al suon de’ miei lamenti Fanno un concerto doloroso insieme. Corron di là le navi a gran periglio; Meco fanno i pensier mortai viaggio : Ei si conturba; il petto mjo si sface; A lui s’asconde il sole, a me il suo raggio. In questo, ahi lasso! sol non lo somiglio Ch’ ei si tranquilla, ed io non ho niai pace (2). (1) T. Stigliani, Rime, pg. 25. (2) Poesie liriche edite e inedite di Luigi Tansillo, con prefazione e note di Fr. Fiorentino, Napoli, Morano, 1882, pg. 75. giornale ligustico 259 E molta somiglianza v’è ancora tra questi altri due, che sviluppano lo stesso concetto, il pentimento d’aver posto tropp alto il loro amore. Il Tansillo aveva scritto : Amor m’impenna l’ali, e tanto in alto Le spiega l’animoso mio pensiero , Che, d’ ora in ora tormentando, spero A le porte del eie) far novo assalto. Temo qualor più guardo, il voi tropp’alto, Ond’ ei mi grida, e mi promette altero, Che se dal nobil corso io cado, e fiero, L’onor fia eterno, se mortale il salto. Che s’altrui, cui disio simil compunse, Dié nome eterno al mar col suo morire, Ove 1’ ardite penne il sol disgiunse, Il mondo ancor di te potrà ben dire : Questi aspirò a le stelle, e s’ ei non giunse, La vita venne men, non già l’ardire (1). e lo Stigliani, con manifesta rimembranza: A cosi eccelso, et elevato segno La mercé de’ miei affanni appena veggio, Che, non che ’l tocchi, a pena anco il pareggio Con gli occhi, e de la fronte, e de 1’ ingegno. Pur tolto il piano del mio stato a sdegno, Vesto l’ali d’amore, ed oltre ir chieggio: Lasso, né di cadtr sempre m’ avveggio Nel mar de’ proprij pianti Icaro indegno. Qual fanciul, eh’a le stelle il guardo intende: Ed invaghito di toccarle, in elle La semplicetta destra a voto stende : Tal io la speme a le contrade belle, Drizzo invan sempre ove tropp’ alto splende Un sol diviso in due lucenti stelle (2). (i) ibid pg. 13. (2; T. Stigliani, Rime, pg. 43· 26ο GIORNALE LIGUSTICO Né queste sono le sole imitazioni che si trovano nel canzoniere dello Stigliani, né solo il Tansillo fu il suo modello; nel sonetto sopra la timidità del suo amore: Se dentro avvampo, e fuor, da tema astretto, Par, eh’anzi agghiacci tacito, e tremante; Scritto ho Γ ardor su ’l pallido sembiante, Che da gli occhi leggiadri anco fia letto. Mal può fiamma amorosa in casto petto Arder si chiusa di modesto Amante, Che non traluca a bella donna avante: Per 1’ aria fuor del desioso petto. O se l’incenso de’ sospir miei spessi, E la mirra del pianto unqua otterranno, Ch’ a la beltà adorata un di m’appressi: Con gli occhi narrerò l’occulto affanno: Gli occhi accorti d’amor facondi messi, Che non han lingua, e favellar pur sanno fi). che non è senza qualche leggiadria di verso e dolcezza d’ espressione, specialmente nel fine, è imitato da quello del Tasso, che comincia: Io veggio, o parmi, quando in voi m’ affiso, Un desio che v’accende e v’ innamora, E quel vago pallor che discolora Le rose e i gigli del fiorito viso (2); e dall’altro, pure del Tasso: Io non cedo in amar, Donna gentile (j). Nel seguente madrigale dello Stigliani, sur una farfalla che muore per essere volata negli occhi della sua Donna : Misera mia Rivale, Che vaga de’ begli occhi, entrarvi osasti, E ’l viver vi lasciasti, Scotendone due lagrime con l’ale. (1) T. Stigliani, Rime, pg. io. (2) V Aminta e Rime scelte di Torquato Tasso, per cura di F. Orlan-dini, Firenze, Barbèra, 1862, pg. 145. (3) Ibid, pg. 147. GIORNALE LIGUSTICO 261 Frenato havesti il volo, Se da 1’ alto periglio Chiedevi al cor consiglio, Al cor mio, che peri d’ un guardo solo, Ma tanto più di te misero, e quanto, Ch’ei n’ ebbe il riso, e tu ne traggi il pianto (1). Il Tasso ha un madrigale del tutto simile ; è vero che la farfalla muore al calore d’ un lume che non è se non iperbolicamente quello degli occhi; ma gl’intendimenti e gli effetti sono i medesimi (2). Cosi anche il sonetto in cui io Stigliani prega il vento che porti le sue parole, dove è la cosa amata : Aura, 0 Aura, che la piaggia herbosa Rincrespi in onde, e spoglila d’ odore, E quasi spirto, e senso abbia d’Amore, Baci i fioretti e fai l’herba gelosa : Cosi mai non conturbi ira orgogliosa D’ostro, o di borea, il tuo tranquillo errore; Ma in te ia man che mi distringe il core, Sciolga la pompa de’ bei crini ascosa : Reca i lamenti miei sopra la verde Riva Tirrena, ove col molle piede Liri il mar trova, e se medesmo perde. Quindi adduci a me poi con dolci prede L’ odor de’ labbri, ove la rosa perde, Ch’ in un fatica, e ti sarà mercede (3). ricorda quello del Tasso su lo stesso soggetto: Aura eh’ or quinci scherzi, or quindi vole Fra ’l verde crin de’ mirti e degli allori, E destando ne’ prati i vaghi fiori, Con dolce furto un caro odor n’ invole ; (1) T. Stigliani, Rime, pg. 24. (2) T. Tasso, Rime, pg. 283. Cfr. altresì due sonetti (xv e xcii) del Petrarca sullo stesso argomento. (3) Τ. Stigliani, Rime, pg. 48. 2Ô2 Deh ! se pietoso spirto in te mai suole Svegliarti, lascia i tuoi lascivi errori, E colà drizza l’ali, ove Licori Stampa in riva del fiume erbe e viole : E nel tuo molle sen questi sospiri Porta, e queste querele alte amorose Là ’ve già prima i miei pensier n’ andaro. Potrai poi quivi alle vermiglie rose Involar di sue labbra odor più caro, E riportarlo in cibo a’ miei desiri (i). Insomma, nelle rime giovanili lo Stigliani si mostra buon verseggiatore, facile nell’ assimilarsi le invenzioni altrui, capace di dar loro nuovi atteggiamenti, temperato nel parlare figurato molto più che la maggior parte de’ suoi contemporanei, e si può approvare il giudizio dell’ Aleandri, che le stimò le migliori di tutte le composizioni poetiche del ma· terese. Infatti ha qualche cosa della correttezza e gentilezza de’ migliori petrarchisti, e può, sotto questo riguardo, aggiungersi alla schiera dei rimatori del cinquecento che maggiormente imitarono le forme poetiche del grande maestro. Nello Stigliani manca quell’ accento infocato, quella sensualità calda e vibrante eh’ è la nota caratteristica delle poesie del Marino; quando rimprovera la sua donna non la colma (i) T. Tasso, Rime, pg. 183. Veramente il Tasso copiò, 0 meglio tradusse qui un brano dell’ecloga Corytìon di Giovanni Amalteo: Felices aura e, quae circum roscida culta Mollibus incintac Zephyris, et vere perenni Aeternos alitis flores, et amoena vireta, Vobis Idalia est myrto, ac Peneide fronde Constituit lucum, viridique est cespite ponit. Septem aras Corydon muscosi fontis ad undam. Vos lenite aestus, atque alludente susurro Mulcete ardentis radianta lumina Solis, (Cfr. Trium Fratum Amaltheorum Carmina, pg. 66). giornale ligustico 263 d’improperi; per lei non ha rimproveri, non la mette alla gogna come il suo rivale, bensì le domanda: Come calcar con le maligne piante Puoi ’l lito, che ti diè la cuna e ’l latte, Alma crudele, hor c’ hai sciolte, e disfatte D’ Amor le leggi inviolate, e sante? Egli è un poeta seicentista, è vero, ma con buon fondo di studi classici: a trent’anni i suoi contemporanei inondavano Γ Italia di canzonieri sterminati e noiosi: lo Stigliani invece dà alle stampe appena una manata di versi, e di questi non si contenta nè meno, tanto è vero che dopo cinque anni egli gli sconfessa. È un fatto che ammirò le prime rime del Marino, ed egli stesso ne fece la confessione (1); ma prima di esser poeta e di gustar poesia egli fu studioso della lingua e della rettorica, e si può affermare che in questi primi versi si dimostrò tale; prima di licenziare alla stampa un suo sonetto, un madrigale, lo sottoponeva ad una fredda e rigida elaborazione, e di ciò non era ancora soddisfatto; onde venne al suo stile quella qualità notata dal Quadrio, che affermò essere le rime dello Stigliani qua e là sparse di molte durezze e bassezze e abbondanza di termini antiquati (2). Lo Stigliani tende a sottilizzare nel sentimento, che, appunto per ciò, riesce freddo e compassato, e si preannunzia quel grammatico che noi dovremo considerare tra breve. (Continua). Mario Menghini. (1) In un importante ms. inedito dello Stigliani, che tra breve esamineremo, è scritto: «Ma sappiasi primieramente che sotto questo nome di Marinisti io non intendo tutti coloro, a cui piacciono le scritture del Marini (che aneli’ io sarei compreso in tal numero in quanto al piacermi in gran parte le sue prime rime), ma solo intendo alcuni vani poetastri ... . (2) Della Storia e della Ragione d' ogni Poesia, Bologna, m.dcc.xxix, iv, pg. 686. 264 GIORNALE LIGUSTICO LA SUPPELLETTILE SACRA NELLE CHIESE MINORI (Continuaz. vedi pag. 25). III. Nè i Tesori delle Chiese si limitavano ad accogliere le produzioni dell’ arte contemporanea 0 posteriore alla data della loro fondazione, e ad esibire una ricca collezione di preziosi elementi per la storia delle arti industriali, specialmente nell’ epoca medioevale e del Rinascimento. Nei tempi in cui non 63Ϊ5ΐελΜηο musei di antichità, le chiese ne fecero per qualche rispetto le veci: e come nelle biblioteche dei conventi trovarono un sicuro asilo contro la barbarie dei tempi i venerandi avanzi dell’ antichità scritta, così non pochi monumenti dell’ antichità figurata ebbero ricetto nelle chiese e nei loro Tesori; dove sarebbe superlativo il dire che rimanessero sepolti, giacché nelle grandi solennità anche la suppellettile sacra veniva esposta al pubblico. È curioso a pensare come rappresentazioni di soggetti desunti dalla storia e dalla mitologia grecoromana si trovassero quivi pacificamente a contatto colle imagini del culto cristiano. Questa intrusione di elementi pagani fra i prodotti dell’ arte cristiana erasi dappprima effettuata quasi inconsciamente. Si comprende agevolmente come l’arte cristiana, allorquando il cristianesimo trionfante sotto Costantino fu libero alla perfine di affermare la propria esistenza anche nel campo dell’ arte, non potendosi creare di punto in bianco una nuova tecnica, abbia adottato lo stile dell’ antichità nello stato di decadenza in cui allora si trovava, e non abbia fatto altro, in- giornale ligustico 26·) somma, che modificare i soggetti, pur continuando a rimanere pagana sotto il rapporto della forma e dell’ esecuzione. Nei sarcofagi del III e del IV secolo, che costituiscono i più antichi monumenti della scultura cristiana , soggetti ed emblemi mitologici si mescolano a rappresentazioni attinte alla Bibbia ed al Vangelo. Il grande sarcofago in porfido di Costanza figlia di Costantino, nel museo vaticano, è decorato di bassorilievi rappresentanti una vendemmia allusiva alla vigna del Signore, ma eseguiti nello stile delle scene bacchiche. Una analoga decorazione di Eroti vendemmianti ricorre su insigne sarcofago marmoreo del museo cristiano lateranense colla rappresentazione del Buon Pastore : e su quello ove riposarono dapprima le ossa dei papi Leone II, III e IV, la rappresentazione di Gesù fiancheggiato da apostoli è accompagnata da motivi ornamentali con figure e simboli pagani. Chi non ricorda il rovescio d’ una moneta di Costanzo, dove Γ imperatore è incoronato dalla Vittoria alata, mentre sostiene colla destra il labaro? Come nei titoli sepolcrali dei primi cristiani, continua ad essere in uso la forinola Dis Manibus, cosi nelle produzioni dell’ arte cristiana primitiva persistono gli usi e i costumi dell’ antichità classica. Sul sarcofago di Giunio Basso nelle orotte vaticane, il Cristo è in tunica di cittadino romano e o 1 siede fra i suoi discepoli su di una sella curulis. La statua di bronzo di S. Pietro nella navata di mezzo della basilica vaticana e quella in marmo di S. Ippolito nel museo cristiano di Laterano, ambedue del V secolo, hanno tutto il carattere delle antiche statue di senatori romani. Nè Γ arte cristiana si contentò di appropriarsi una quantità di motivi e di forme, e di esprimere i propri concetti mediante simboli della mitologia grecoromana; ma si impossessò addirittura di soggetti della leggenda pagana, che introdusse di pianta nelle proprie composizioni. 266 GIORNALE LIGUSTICO Non soltanto le antiche personificazioni del Sole e della Luna, del Giorno e della Notte, delle Montagne e dei Fiumi, delle Città e delle Provincie, vennero a prender posto in rappresentazioni di soggetto cristiano; ma noi troviamo Amore e Psiche abbracciantisi fra simboli cristiani, come il tipo di Orfeo che ammansa gli animali selvaggi col suono della lira costituisce il motivo di uno dei più interessanti affreschi delle catacombe di S. Callisto. Più tardi, l’abbandono degli studi classici e lo spegnersi per conseguenza d’ ogni cultura letteraria ed artistica, fecero perdere il senso della simbolica e dell’ iconografia antica, ond è che si attribuiva in generale agli emblemi e in particolare a molte rappresentazioni dell’ arte classica un significato ben diverso dal proprio. Così la scena del supplizio di Marsia veniva interpretata con un po di buona volontà per un martirio di S. Bartolomeo; il simplegma di Bellerofonte in lotta colla Chimera, passava facilmente per un S. Giorgio debellante il dragone infernale; Ercole che sbrana il leone nemeo o il citeroneo, Teseo alle prese col toro di Maratona, erano identificati in buona fede col Sansone della Bibbia. Arrogi che per 1 inabilità dell’ arte medioevale, non dico ad emulare la classica, ma ad estrinsecare alcunché di paragonabile, vuoi sotto il rispetto della forma, vuoi sotto quello del magistero tecnico, alle mirabili produzioni dell’ antichità, le chiese si inducevano volentieri a far ricerca di queste, per servirsene, adattandole a nuovi usi, conforme alle esigenze del culto cristiano. Il cristianesimo trionfante avea adattato con poche modificazioni al nuovo culto una gran parte dei templi pagani; oltreché aveva impiegato nella costruzione di nuove chiese una quantità di materiali architettonici e ornamentali detratti da edifizi religiosi e civili. Colla stessa logica e per gli stessi GIORNALE ligustico 267 motivi si destinavano ora moltiforrai oggetti della suppellettile religiosa e domestica del mondo pagano al servizio della liturgia cristiana. Le colonne di porfido, di basalto, di granito orientale e di marmi esotici che sostengono le volte delle navate di tante chiese di Roma possono dar la misura del contributo fornito dai monumenti pagani al nuovo culto. La porta di mezzo di S. Giovanni in Laterano che la tradizione afferma detratta dalla Basilica Emilia, e quella, pure in bronzo, dell’ oratorio di S. Gio. Battista nel Battistero dello stesso tempio, che il papa S. Ilario tolse dalla terme di Caracalla, rimangono ad attestare come le chiese cristiane prendessero gli elementi della loro decorazione ove meglio li trovavano. Il fonte battesimale in basalto verde della stessa basilica Lateranense e quello in porfido di S. Maria Maggiore, per citare a caso, furono certamente eseguiti per un uso assai diverso da quello a cui vennero poi adibiti. Lo stesso successe altrove: e basterà accennare al Battistero di Pisa, dove i capitelli, non meno che le colonne, sono in parte antichi, non solo, ma perfino istoriati di soggetti mitologici, come la caccia di Meleagro e simili. Il fonte battesimale del Battistero di Ravenna serviva originariamente da vaso per Γ acqua lustrale nel tempio di Giove a Cesarea, parte della città antica; e ad analogo ufficio fu a suo tempo adibita nelle cerimonie della liturgia pagana 1’ urna di porfido che contiene 1’ acqua battesimale nella cattedrale di Amalfi. Ciò stante, non c’ è di che stupire se utensili antichi , spettanti specialmente alla categoria dei donarii 0 a quella dei missoria, come catini, pelvi, lances, patere, paropsidi, figuravano fra il vasellame sacro esposto in cornu epislolae, nelle grandi solennità della chiesa: nò sembrerà strano che un monile lavorato a cesello da un orafo dei tempi di Pericle, o un paio d’orecchini etruschi in filigrana e reniglio ornassero 268 GIORNALE LIGUSTICO l’icona d’ una Madonna bizantina, e che gli olii santi fossero custoditi in un unguentario di agatonice orientale che in altri tempi avea servito alla toilette di una principessa della Siria, di Pergamo o del Ponto. Vasi di materie preziose che avevano figurato sulle mense dei Lagidi e dei Seleucidi, o fatto parte della dattilioteca di Mitradate trasportata a Roma da Pompeo, furono adoperati durante il medio evo come ampolle nelie messe pontificali, come brocche e bacili per le abluzioni rituali del vescovo pontificante. Il famoso carchesion bacchico in sardonica orientale a dodici strati, oggi nel gabinetto delle antichità della Biblioteca nazionale di Parigi, dove è conosciuto sotto il nome di coppa dei Tolomei (i), venne nel IX secolo convertito in calice da messa, e, come tale, regalato da re Carlo il Calvo al Tesoro dell’ abbazia di S. Dionigi col rozzo distico: Hoc vas Christe tibi mente dicavit Tertius in Francos reamine Karìus (2) ; e il non meno celebre intaglio in acquamarina, riproducente il busto di Giulia figlia di Tito, e firmato dal litoglifo Evodo (3), (1) Chabouillet, Catalogue général et raisonné des camées et des pierres gravées de la Bibliothèque Imperiale, n. 279. (2) Questo superbo vaso dell’epoca dei Diadochi, lavorato a cammeo e istoriato di attributi bacchici, è munito di due grandi anse ; ma questo particolare non ha potuto opporre un serio ostacolo alla sua destinazione a calice da messa , potendosi citare altri esempi di calici medioevali ansati. Un calice di questa forma fa parte dei doni offerti dalla regina Teo-delinda alla basilica di Monza, quali appaiono rappresentati nel bassorilievo in marmo oggi murato al di sopra della porta maggiore della chiesa stessa. La montatura in oro colla quale il carchesio greco era stato ridotto a calice più non esiste, essendo il cimelio stato rubato nel 1804, poi ricuperato bensì in Olanda, ma senza Γ oro, che era stato fuso al crogiuolo dall’ autore del furto. (3) Chabouillet, op. cit., 2089. giornale ligustico 269 brillava alla sommità di un reliquiario d’oro gemmato, noto sotto la qualificazione di « scrigno di Carlomagno » perchè decorava la cappella particolare di questo imperatore, d’onde passò al Tesoro dell’abbazia di S. Dionigi per dono dello stesso re Carlo il Calvo. Ho già parlato più sopra dei dittici consolari antichi; e come essi venissero nel medio evo adibiti ad usi diversi, e più specialmente a coperture di evangeliari e d’ altri libri liturgici. Sta in fatto che la quasi totalità dei dittici consolari fino a noi pervenuti proviene dai Tesori delle chiese (1). Per effetto di questi e di altri adattamenti, si trovarono allora a far parte di uno stesso cimelio monumenti diversissimi tra loro, e si videro a contatto, quasi meravigliati di tale compagnia, soggetti sacri con soggetti profani e mitologici. La croce dell imperatore Lotario (-j- 855) nel Tesoro di Aix-la-Chapelle, in oro gemmato con decorazioni a filigrana e smalto, porta incastrato su uno dei lati un cammeo in cristallo di rocca ritraente un busto diademato e drappeggiato all’ antica colla leggenda xpe adivva hlotarivm reg (Christe adtuva Hlotarium regem); e più in alto un bel cammeo in onice, antico, col busto di Augusto. La croce pettorale di Berengario (915), tutta d’ oro finissimo, arricchita in fronte di 127 fra gemme e perle, e costellata nella parte posteriore di tredici nicchie destinate a custodire sacre reliquie-cimelio donato da questo re al Tesoro della basilica di Monza, dove è conosciuto sotto P appellativo di crux regni perchè credesi venisse appesa al collo dei re d’ Italia nella cerimonia della loro incoronazione in Monza, porta attaccato mediante catenella d’ oro un intaglio (1) Cs. Gori, Thesaurus veterum diptychorum. GIORNALE LIGUSTICO antico in ametista porporino rappresentante una divinità mitologica femminile (i). Una copertura di evangeliario in oro con gemme, magnifico lavoro di gioielleria bizantina custodito parimenti nel Tesoro di Monza, è guarnito su ognuno dei due lati di quattro cammei antichi (2). Anche la pala d’oro di S. Marco in Venezia, fra le tante gioie onde è tempestata, porta incastrati due cammei antichi. Vennero poi le Crociate, che furono causa e occasione per cui affluì nei Tesori delle chiese occidentali una grande quantità di cimelii antichi, specialmente glittici. E noto che nell’antichità i vasi in materie dure, gli intagli e i cammei del periodo greco e del successivo ellenistico-orien-tale erano per la massima parte confluiti a Roma sullo scorcio della Repubblica come bottino di guerra (3) e da Roma, in un (1) Il Frisi la battezza per una Diana, ma la descrizione che ne fa non giustifica punto questa attribuzione. Un disegno assai imperfetto di tale intaglio vedesi riprodotto nella lettera iniziale alla prefazione del tomo III delle sue Memorie storiche di Μοηχβ e sua corte, Milano 1794. (2) Due di essi essendo stati rubati, vennero sostituiti nel 1773 da due cammei moderni in diaspro sanguigno. (3) Scauro figliastro di Silia (Plix., Hist. nat., XXXVII, 6) fu il primo a mettere insieme una dattilioteca in Roma colle spoglie d’ Oriente. Ma di gran lunga più insigne fu il contributo per parte di Pompeo Magno, che nel suo trionfo su i pirati, sull' Asia e sul Ponto consacrò in Campidoglio il Tesoro di Mitradate VI Eupatore re del Ponto. La dittilioteca che Mitradate aveva costituito nel suo Tesoro in Talamide doveva essere straordinariamente ragguardevole, dacché dal racconto di Appiano (De bello Miihr.) sappiamo che i Romani vi trovarono non meno di duemila vasi di calcedonio legati in oro, oltre ad una enorme quantità di altre gemme. Di questo Tesoro una parte era provenuta a Mitradate dal re Dario figlio di Istaspe; un altra dal famoso Tesoro dei Tolomei dato in pegno da Cleopatra agli abitanti di Coo, e da questi consegnato a Mitradate; oltreché Mitradate stesso aveva largamente contribuito ad arricchirlo, giornale ligustico colle mirabili produzioni della glittica e della lapidaria del— 1 epoca imperiale romana, erano stati esportati col tesoro imperiale a Costantinopoli quando ebbe luogo la traslazione dell’ impero. tu da Costantinopoli che durante il medio evo molti di questi cimelii emigrarono in Occidente. Gli ambasciatori spediti dai diversi principi d’ Europa agli imperatori bizantini non si dipartivano mai da Costantinopoli senza riportarne magnifici presenti, fra cui figuravano spesso vasi antichi in sardonica, in agata, in diaspro, in lapislazuli, in cristallo di rocca e altre materie preziose. Questi cimelii, e così quelli che gli inviati bizantini apportavano alle corti d’ Occidente a nome dell’ imperatore, andavano per lo più a finire nei Tesori delle chiese. Ma il maggiore incremento in latto di insigni cimelii antichi derivò ai Tesori per opera delle Crociate, e più particolarmente pel sacco di Costantinopoli nel 1204. Insieme ai tanti preziosi cimelii di oreficeria bizantina che, a far tempo dal secolo XI, vennero ad arricchire i Tesori delle chiese occidentali ; fra cui citerò di passata la corona dell’ imperatore Leone VI il Filosofo e il calice dell’ imperatore romano Lecapene, del Tesoro di S. Marco in Venezia, il reliquiario del Tesoro di S. Croce in Limburg (Nassau), che porta i nomi degli imperatori Costantino VII Porfiro-genito, Romano II suo figlio e Basilio Proedro, quello della metropolitana di Gran in Ungheria, 1’ altro, donato dal re Luigi il Bonario alla cattedrale di Hildesheim, la croce delle nota essendo la sua passione per la magnificenza e pel lusso in ogni cosa, e in particolare per le gemme lavorate. Sull’ esempio di Pompeo, il dittatore Giulio Cesare depositò a sua volta sei dattilioteche nel tempio di Venere Genitrice sul Foro (Plin., Hist. itat., XXXVll, 6. Sueton., Caes., 47); e un’altra ne consacrò Marcello figlio di Ottavia nella cella del tempio di Apollo sul Palatino. 272 GIORNALI· LIGUSTICO religiose di N. S. di Namur, etc. etc.; una grande quantità di vasi e di gemme incise antiche venne a prendere posto nei Tesori delle chiese e perfino sugli altari. Il vaso di calcedonio e il sacro catino del Tesoro di S. Lorenzo in Genova (1); il grande vaso di agatonice in forma di animale fantastico, già nel Tesoro della cattedrale di Magonza; i molti e superbi vasi in cristallo di rocca, in calce-donia, in porfido, in sardonica, in giada e altre materie preziose che nel secolo XII possedeva l’abbazia di S. Dio-nigi (2), alcuni dei quali trovansi oggi nel gabinetto delle medaglie della Biblioteca nazionale di Parigi, altri al museo (1) 11 sacro catino ebbe a fo nire argomento di molte inesattezze ai giornali, nella recente occasione in cui tu oggetto di vivo interesse da parte di S. Μ. 1 imperatrice di Germania transitante per Genova nell’ottobre ultimo scorso. Questo cimelio è una coppa di forma esagona, munita di due anse tagliate nella materia e ornamentata a file di puntini a cavo. Essa non è altrimenti di smeraldo, come fu ritenuta per sei secoli, bensì di vetro colorato; il che nulla detrae al suo valore, dal punto di vista storico, come monumento del dritto di prelezione esercitato da Guglielmo Embriaco duce dei Genovesi sulle spoglie opime di Cesarea espugnata dall azione comune di tre popoli crociati ; nè alla sua importanza archeologica, come campione dell’alta perfezione che gli antichi seppero asseguire nella tecnica di lavorare e colorare il vetro. 11 sacro catino fu per lungo tempo stimato la gemma delle gemme, e servi, come tale, di pegno per somme ingenti : nè mancò la leggenda, che ne fece uno dei presenti della regina Saba al re Salomone. All’ epoca del dominio francese , quando furono *.....degl’itali ingegni Tratte l'opre divine a miseranda Schiavitude oltre l’alpe », emigrò, con tanti altri cimelii nostri, a Parigi, e del suo soggiorno colà riportò tracce indelebili, tornando nel 1816 a Genova in pezzi, onde si dovette con pietosa cura provvedere al suo restauro, mediante rilegatura in oro. (2) L abate Sugero fece montare in oro alcuni di questi vasi. Uno di essi, in sardonica, è riprodotto neU'Album dell’opera del Labarte (pi. Xl.V). GIORNALE ligustico 273 del Louvre; sono altrettanti cimelii antichi depredati dai crociati a Cesarea, a Tolemaide, a Costantinopoli ed in altre città dell Oriente. Il Tesoro di S. Marco a Venezia è ricchissimo in questo genere di cimelii, che i Veneziani trasportarono da Costantinopoli, dopo di essersene impadroniti nel 1204. Ma i monumenti antichi più ragguardevoli, dal punto di vista dell’arte, che affluirono in quell’epoca nei Tesori delle chiese furono gli intagli e i cammei. Si può affermare con fondamento che i più insigni ornamenti delle dattilioteche odierne provengono dalle chiese medioevali, ove furono deposti da crociati reduci d’Oriente 0 da chi li ebbe da questi. Il famoso cammeo di Vienna, rappresentante 1’ apoteosi d’Augusto, proviene dall’abbazia di Poissy; come il più grande di tutti i cammei conosciuti, quello del cardinal Carpegna , colla rappresentazione di Bacco e Cerere su carro tirato da quattro Centauri, due maschi e due femmine, proviene dalla Biblioteca del Vaticano. Ho altrove accennato come il gran cammeo in sardonica a cinque strati del Gabinetto di Francia, celebre sotto la denominazione di achates Tiberianus e rappresentante la famiglia dei Cesari P anno 776 di Roma, facesse parte del Tesoro della S. Cappella di Parigi, dove era qualificato per una rappresentazione del sogno di Giuseppe ebreo. Ora questa superba gemma, dalle mani di Baldovino II, che Pavea portata da Costantinopoli, era passata in quelle del re S. Luigi, il quale, a sua volta, ne avea fatto dono alla S. Cappella. E ho del pari accennato in quell’ occasione come un’ altra famosa gemma dello stesso Gabinetto, dico il cammeo in onice colla testa di Germanico e di Agrippina, firmato dai litoglifi Alfeo ed Aretone, provenga dal Tesoro dell’abbazia di S. Germano di Pres, e possa annoverare fra le peripezie della sua fortunosa esistenza storica anche quella di essere stata per diversi secol ioggetto di venerazione nella chiesa di un Gio*m. Liovstico. .hino XVII. '8 274 GIORNALE LIGUSTICO monastero di Francia, incastonata in un anello ritenuto per quello con cui S. Giuseppe disposò la B. Vergine; del che porta evidenti le traccie, avendone i baci dei devoti logorato a lungo andare le parti più prominenti, cioè i capelli di Germanico e il diadema di Agrippina (i). L’intaglio in onice del Gabinetto di Vienna, col busto di Achille (?) galeato e corazzato (2), era dapprima in uno dei Tesori della Collegiata di S. Pietro e S. Stefano di Troyes, dove era stato portato dal vescovo Garnier di ritorno dalla crociata, in seguito al saccheggio del Tesoro dell’imperatore bizantino nel 1204. Allora più che mai (1’ arte di incidere le pietre dure non essendo ancora risorta in Italia, e tanto meno altrove) le gemme antiche incise vennero adibite, e talvolta con profusione, a decorazione dei sacri arredi; nè fu raro il caso che una testa turrita di Cibele, il busto galeato 0 diademato di un Diadoco, 0 la maestosa figura d’ un Bacco indiano dalla barba inanellata, figurassero in qualità di Santi e di Sante nella mitra d’ un Vescovo, sulla rilegatura di un passionarlo o su di una teca da reliquie. Il calice di S. Remigio, nel Tesoro della cattedrale di Reims, d'‘ oro massiccio decorato di smalti bizantini, di perle e di pietre fine, porta nel piede quattro intagli antichi, rappresentanti il Capricorno col timone, noto emblema oroscopico di Augusto, la Fortuna, Apollo radiato e Mercurio. Simili gemme incise antiche trovavansi incastonate in altari, tabernacoli, paliotti, reliquiarii, stauroteche e vasi sacri ad Aix-la-Chapelle, a Xanten in Germania, a S. Dionigi, a S. Genoviefìa in Francia, e così pure in Inghilterra, in Spagna (1) Vittorio Poggi, La gemma di Eutiche, p. 26. (2) Arneth, op. cit., taf. XIV, 5. giornale ligustico 275 e sopratutto in Italia. Ma il monumento più ricco in questo genere è senza forse la cassa dei tre Re Magi nella metropolitana di Colonia, dove, frammisti alle tante altre gemme, brillano non meno di duecentoventi fra intagli e cammei antichi, fra cui un’apoteosi di Augusto in figura di Giove, seminudo, coll’ egida sul petto, sedente in trono sotto il quale è un’ a-quila con scettro in un artiglio e un aplustre nell’altro, mentre una divinità femminile vestita di lungo chitone e pallio, tenendo il cornucòpia colla sinistra, è in atto di incoronarlo colla destra (1). Finirò ricordando come non è gran tempo che nel Tesoro di S. Colombano in Bobbio si conservasse una croce di argento di insigne lavoro medioevale, con incastrato in essa un cammeo antico portante un’ iscrizione « di colore oscuro » intorno a due teste coniugate, una maschile e 1’ altra muliebre. Queste furono sempre venerate dai monaci per sacre imagini, finché il Mabillon non credette di ravvisare in esse un Serapide e una Iside, e posteriormente il Paciaudi l’imperatore Leone III coll’ imperatrice Irene sua consorte. Essendo oggi scomparsa la croce e con essa il cammeo, non oserei pronunciarmi in merito alle due diverse attribuzioni. A giudicarne però dalla epigrafe, 0 almeno dalla trascrizione che di essa ci ha lasciato il p. Rossetti (2) e che mi ha Γ aria di esser poco attendibile, sembrerebbe trattarsi piuttosto di una gemma gnostica. Sono semplici accenni che faccio a caso, e che potrei, volendo, moltiplicare all’infinito, infiniti essendo i cimelii an- (1) Collection des pierres antiques dont la chasse des SS. trois Rois Mages est enrichie dans l'eglise métropolitaine à Cologne. Bonn, Imprim. Electorale de la Cour, 1731. (2) Benedetto Rossetti , Bobbio illustrato. Cf. Marcello Remondini , Memorie intorno alle iscrizioni antiche di Bobbio, p. 27. 2-6 GIORNALE LIGUSTICO tichi che giunsero a noi di contrabbando, passando, come si dice, a ufo coli’ etichetta della suppellettile sacra. Sopraggiunse finalmente il risveglio degli studi classici, e con esso di pari passo Γ affinamento del sentimento estetico. Quella passione che portò il Petrarca, e dopo di lui le più cospicue personalità del Rinascimento, a raccogliere e studiare con intelletto d’ amore i monumenti scritti e figurati dell’an-tichità greca e romana ebbe il suo contraccolpo nelle chiese. Le pareti dei chiostri si tappezzarono di lapidi e di bassorilievi antichi ; busti, statue e medaglioni antichi presero parte, come elementi decorativi, nelle membrature architettoniche delle chiese e dei monasteri. _ Entrate nel chiostro della basilica di S. Paolo in Roma, e vi troverete in un museo di iscrizioni e di sculture pagane, fra cui attirerà la vostra attenzione uno stupendo bassorilievo colla storia di Apollo e Marsia. A S. Vitale in Ravenna, a destra dell’ aitar maggiore ho visto murato un bassorilievo in marmo di Paros, proveniente da un tempio di Nettuno : dei gemetti e degli eroti portanti una conca e il tridente al piede del trono del dio. Il vestibolo della sacrestia è decorato di un eccellente bassorilievo romano coll’ apoteosi di Augusto in dignità di Giove. Nella cattedrale di Amalfi fanno bella mostra di sè due sarcofaghi istoriati, uno colla rappresentazione del ratto di Proserpina, 1’ altro con quella delle nozze di Peleo e di Teti o, come altri vogliono, di Marte e di Rea. Dietro 1 altare della cappella del Sacramento nella chiesa di S. Francesco d Assisi in Messina, al di sotto del monumento che racchiude i resti di Federico III d’Aragona e della sua famiglia, è un sarcofago antico sulla cui fronte ammirasi rappresentato a bassorilievo parimenti il ratto di Proserpina. Il tourist che entra nel Duomo di Pavia vede con sua sorpresa incastrato nella parete a destra, di fianco ad una cu- giornale ligustico 277 riosa Madonna del quattrocento, un cippo antico colla figura, se mal non m’ appongo, del Bemynthius Attis. E chi non ricorda come ancora ai nostri giorni campeggiasse nella sacri-stia del duomo di Siena il famoso gruppo marmoreo delle tre Grazie nude, trovato sotto Pio III Piccolomini ? Ho io bisogno, del resto, di qui ricordare come oggi stesso continuino ad essere, non pure elementi di decorazione, ma sto per dire oggetto di culto su altari cristiani, delle rappresentazioni figurate il cui soggetto è attinto al ciclo della mitologia greco-romana ? Non è la prima volta che mi accade di trattare questo argomento , e potrei riferirmene a quanto ebbi occasione di dire pochi anni addietro illustrando l’umetta contenente i resti di S. Limbania, ora nella chiesa della Visitazione in Genova; nel qual marmo, innalzato dalle vicissitudini della sorte agli onori dell’ altare in un tempio cattolico, additai pel primo una urna cineraria bisome, spettante a due ignoti coniugi dell’ epoca romana imperiale, raffigurando nelle rappresentazioni onde è istoriata a bassorilievo un soggetto della mitologia greca (1). (Continua). Vittorio Poggi. (1) Vìttorio Poggi, L'urna di S. Limbania in Genova, nel periodico Arte e Storia di Firenze, 1885, p. 50; e nel Giornali Ligustico, 1885, p. 48. 278 GIORNALE LIGUSTICO INTERPRETAZIONE DI DUE INSCRIZIONI ETRUSCHE Nonostante i lunghi e accuratissimi studi fatti dai più sapienti filologi sopra le inscrizioni dei monumenti etruschi; nonostante la moltiplicità degl’ idiomi da essi chiamati in aiuto per afferrarne il significato; bisogna pur sempre venire a questa conclusione sconfortante: che le inscrizioni etrusche non sono state ancora in modo soddisfacente interpretate. La qual conclusione potrebbe forse condurre anche ad un’ altra alquanto severa: che dia indizio di soverchia presunzione colui il quale non avendo raggiunte le alte cime della filologia comparata, si attenti ad entrare in un arringo che apparisce orinai tanto scabroso e diffìcile a superarsi. Senonchè riflettendo che spesse volte ciò che prima sembrava inesplicabile cessa quasi ad un tratto di esser tale, allorché per una circostanza qualsiasi arriviamo a trovare la chiave della spiegazione, io stimai anche da un filologo di bassa sfera, e per così dire dilettante, si potesse giungere alla spiegazione del- 1 enigma etrusco, se egli fosse stato così fortunato da venire in possesso di quella chiave. Cotesta chiave diciamolo subito, io credo che si trovi nella lingua greca: probabilmente l’etrusco non è che un dialetto misto dei dialetti dorico ed eolico, il quale nelle antichissime immigrazioni, 0 pelasgiche, 0 tirrene che dire si vogliano, si modificò per l’influenza esercitata su di esso dagl’ idiomi dei popoli italici di già stabiliti nella nostra penisola, 0 fors anche di altri popoli che si avanzarono di conserva con quelle immigrazioni; si modificò, dico, ma molto limitatamente però, e serbando sempre una prevalenza assai spiccata sugli elementi eterogenei che vi si erano GIORNALE LIGUSTICO 279 introdotti. Ma a questo punto sento dirmi sorridendo da molti: oh la bella novità spiegare P etrusco col greco !.... ma se Γ etrusco poteva spiegarsi con questo mezzo, già da gran tempo sarebbe stato spiegato per opera di tanti valentissimi ellenisti che v’ impiegarono tutti i loro sforzi e tutta la loro sapienza linguistica !.... Rispondo, prima di tutto, che col dire che la spiegazione dell’ etrusco si deve cercare nel greco io non intendo di disprezzare affatto il sussidio delle altre lingue italiche, e sopra tutte l’antichissima lingua sanscrita, la quale se non può dirsi la madre del greco e del latino , è, come dice Max Miiller, la loro sorella maggiore. E qui mi piace di aggiungere che, oltre i confronti con le lingue antiche, non sono certamente privi di utilità per lo studio della lingua etrusca i confronti coi moderni dialetti d Italia, e più specialmente con quelli parlati in Toscana, dove moltissime parole e maniere dell’ uso che non hanno la loro etimologia nel vocabolario latino, 1’ hanno invece chiarissima nel greco, circostanza, come osserva il Balbo, molto notevole, e che può indurre a ritenere che quelle parole siano un avanzo dell’antichissima lingua degli Etruschi. In secondo luogo rispondo che la valentia degli ellenisti è, nel caso nostro, un argomento di un’ importanza molto relativa, poiché qui non si tratta d’interpretare qualche passo controverso ed equivoco di antichi scrittori, ma si tratta semplicemente di trar fuori dei vocaboli greci dall’involucro di un’ortografia monca e in qualche parte anche errata, e di ricostrurli colmando le lacune sia nel mezzo, sia in principio e in fine delle parole da interpretarsi; e aggiungasi poi che in parecchie inscrizioni molte di coteste parole sono formate a piacimento dell’ interprete, il quale deve cavarle dalle lunghe linee che procedono interrottamente da un lato all altro delle inscrizioni stesse, impegnandosi cosi in un lavorio più da filoioga indovino che da filologo sapiente, e al quale, com’ è facile 28ο GIORNALE LIGUSTICO comprendere, può giovare assai più l’acutezza della vista che la profondità della scienza. Valga d’ esempio il sig. Alfredo Maury, uno dei più eruditi archeologi contemporanei, il quale nelle sue ricerche intorno all’ etimologia di varie parole etru-Sche, mentre ha accordato non piccola parte alla lingua greca, non ha, per quanto mi sembra, saputo trarne quel profitto che avi ebbe potuto. Egli infatti fi risalire all’origine celtica la paiola etrusca f,alando, che gli scrittori latini ci dicono a\ere significato coelum, e la riporta al gaelico fiaitheas, firmamento (i) ; io credo invece che debba anche questa ricer-caj si nel gte^o, facendola derivare dal verbo φάλυνω, rendo splendente, o da un tema φάλοω non giunto fino a noi, donde forse φάλαινα, lucciola, e fors’anche φαλανθος, calvo. Gli Etiuschi, secondo quello che ci riferisce Festo, scrivevano sulle loro case le parole arse verse, che egli traduce cosi: Arse verse averte ignem significai. Tuscorum enim lingua arse averte, verse ignem constat appellari; unde Afranius ait: Inscribat aliquis in ostio arse verse. II sig. Maury accettando la spiegazione di Festo, ma invertendo però, sulla scorta, a quanto sembra, di Giuseppe Scaligero, il significato di queste due parole, crede trovare in arse la radicale di ardere, derivato dal scr. ard come includente l’idea di distruzione; e nella parola verse, nel significato di averte, non solamente un verbo composto con la medesima radicale, ma un imperativo della stessa iorma. Ora confrontando la parola verse col gr. §ρση, ίερση, εΐεραη, col lat. ros che sta per vros, rugiada; e col scr. varsba, pioggia, apparisce molto probabile che la voce etrusca verse abbia con quelle una stretta parentela. Confrontando poi l’altra parola arse col gr. ipòoi, fut. άρσω, irrigo, (i) Tolgo queste notizie da una nota che il sig. Nòel Des Vergers ha inserito nella sua bellissima opera L'Étrurie et les Étrusques. GIORNALE LIGUSTICO 281 la inscriz. riferita da Festo potrebbe voler dire <Χρση Fépar), che scorra la pioggia, parole che gli antichi avrebbero scritte sulle loro case a guisa di scongiuro contro gl’ incendi : superstitio veterum, dice lo Scaligero commentando il passo di Festo, qui ad, deprecandum incendium inscribebant in ostio nescio quid, quod ad eam rem faceret. La interpretazione non è certa, ma fondata, se io non m’inganno, sopra etimologie molto più verosimili. Un ultimo esempio, e questo non desunto dall’ etrusco, per dimostrare come talvolta anche i filologi di vaglia fanno naufragio, come suol dirsi, in un bicchier d’acqua. Nel ricercare l’etimologia del nome Mefistofele molti dei filologi suddetti sono caduti in un mondo di assurdità, mentre 1’ etimologia di questa parola si trova chiara e lampante nel greco. Secondo i vocabolari πιστοφύλαξ significa custode della fede.....dunque μη-πιστο-φύλαξ sarebbe il suo contrario, vale a dire il custode della miscredenza. Passando però nelle regioni nordiche questa parola, giusta le regole stabilite dal Grimm, ha cambiato la tenue π nell’ aspirata φ. Animato adunque dalle convinzioni che ho esposto di sopra, stimai di poter fare anch’ io un tentativo d’interpretazione, del quale mi si permetta di dare un piccolo saggio col presentare al pubblico una versione della inscrizione incisa sulla statua detta dell’Arringatore, e dell’altra, di una sola parola, incisa sulla figura della Chimera, due bronzi esistenti, come ognuno sa, nel Museo Etrusco di Firenze. Sul lembo del pallio dell’Arringatore è incisa l’inscrizione seguente: · 3ì * MN3+3W · ΙΜ3ΊVfl 3)3t · ΜΒ93Ί8 · 113) · ΙΜΜ3Ό M3MOV+ · 3MM3+ · ΊΜΜΑ2 Μ)ΙΉ2ΙΫ 282 GIORNALE LIGUSTICO che quasi tutti gli etruscologi leggono: Aulesi · Metelis · Ve · Vesial densi · cen · phleres · tece sansl · tenine · tuthines chisulics e che io trascrivo cosi in greco : ΑΪΛΕΣΙα · ΜΕΤΕΛΙΕ · FESIS . FESL4L ΚλαΝESI- ΚΛΙΝω · ΦΙΕΥΕΞ · ΤΕθ-ειΚΕ ΣελΑΝSL · TEMNES ■ ενΤΑΪΘΙΝES ΧΕΡΣνΣΛΕΞεων e così traduco in italiano: Aulesia di Metello Vesio della famiglia Vesia nella ricorrenza della festa d’Apollo pose il dono propiziatorio annuale di questo spargitore di parole (oratore). Per chiarire questa traduzione, è necessario adesso procedere all’analisi delle parole componenti l’inscrizione che ci occupa, analisi che mi accingo a fare colla maggiore brevità che mi sarà consentita dall’intricatissimo soggetto. Aulesi — Dal confronto di moltissime inscrizioni etrusche risulta che i nomi propri terminanti in i sono, per la maggior parte, nominativi sing. femminili: in ciò sono concordi tutti gli etruscologi. Forse questa desinenza non è che un accorciamento della desinenza intera ia. Bisogna però osservare, rispetto a questa parola, che Aulesi potrebbe anch’essere un dat. sing. maschile del nome etrusco Aule, gen. es, dat. esi; ma ciò nella presente inscrizione mi pare escluso dalla parola successiva. Metelis — che sarebbe un patrocino femminile - Μετελλις -di Μετελλος. giorna le ligustico 283 Ve — Abbreviazione di Vesis, patronimico femminile di Feptoç. Questa abbreviazione è spiegata dalla parola V e s i a 1 — agg. gentilizio col suffisso al (lat. alis) esprimente il rapporto di appartenenza, e ritenuto comunemente di origine celtica, ma che potrebbe anche avere il suo riscontro nel gr. άλής. CI ensi — Questa voce si trova pure nel cippo perugino preceduta, come qui, da un nome gentilizio - arcuai densità è probabilmente una variante delle voci clan, eiaζ, cani, clanie, che ricorrono in moltissime inscrizioni etrusche, le quali voci mi sembra che abbiano una grande somiglianza col celtico clan, tribù, e col gr. κλών e κλάδος, ramo, derivanti dai verbi κλάω e κλαδεύω. Dal verbo κλάω, grecobarbaro κλάνω, si sarebbe formato dunque un verbale κλάνος, etr. ciane, es, esi; e densi non sarebbe che il dat. sing. di questo: danesi raccorciato in densi. Si noti che questa voce si trova anche in un’ altra inscrizione etrusca, dove è susseguita dalla parola cerimi, che io spiegherei col gr. γερήνιος, antico, spettabile. Si noti ancora che in alcune inscrizioni etrusche a riscontro della voce clan si trova l’altra etera: letbial clan e lethial etera (gr. έταιρα società); e che in altra inscriz. si legge velcialnal phulu (gr. φυλον, gente, nazione; φυλγ, tribù; φυλλας, fronda). Cen — Ritengo che sia un’abbreviazione di centi, parola che si riscontra nel cippo perugino = centi expie =, e che spiego col gr. καινον, rinnovazione, ritorno, ricorrenza. P h 1 e r e s — Intorno a questa parola sono stati sparsi fiumi d’inchiostro: chiedo il permesso di fare scorrere anch’ io il mio rigagnolo. Non mi par dubbio che phleres sia un genitivo sing. di phlere. Infatti in uno specchio etrusco si legge la parola phlere scritta presso la figura di una divinità che ha dinanzi a sè un’ara, e che ha un serpe al collo. In molte inscrizioni di statuette etrusche si legge poi la parola phleresy 2§4 GIORNALE LIGUSTICO e fra le altre in una che ha tutte le apparenze di Apollo la inscrizione incomincia così: Mi · phleres · sfulare.....che io traduco: Me statua metallica (σφυρήλατον) di Apollo ecc. Phlere io la deduco dal gr. φιερός, nitido, splendido, cambiato in φλερος per rinforzo di pronunzia, e corrisponderebbe al φοΐβος dei Greci, epiteto di Apollo, che fu poi così chiamato per antonomasia. A schiarimento di questa interpretazione, aggiungerò che nella inscrizione segnata nel Glossario del chiariss. prof. Fabretti col num. 267 leggo: Miphieres.....ithiiai (?), e che in un5 altra inscrizione segnata nel Gloss. suddetto col num. 1929 leggo: phle^ru, 0 phledru che è lo stesso; la quale ultima parola troverebbe il suo commento nell’ Etimologico del Lennepp laddove è detto: Nesychius prò φιαρός habet quoque φίδρος. Questa parola potrebbe anche confrontarsi col greco φλεγυρός, e col tedesco frieren, ardere. Te ce — Abbreviazione di τεθ-εικε, pose. Sansl — In una inscrizione incisa sopra una statuetta ritrovata nelle mura di Cortona (inscriz. segnata nel Gloss. del prof. Fabretti col num. 1052) si leggono insieme ad altre parole queste due: seansl · turce\ ond’ io ritengo che sansl non sia altro che un’abbreviazione di selansl, la quale parola cercheremo dunque d’interpretare. Tolto il suffisso /., che indica 1’ astenenza, rimane la parola selans, ben diversa, secondo me, da sethlans (1), nome etrusco di Vulcano. Tutte e due queste parole non sono che participi presenti dei loro verbi con forma più simile al latino che al greco, e nei quali la s finale sta forse a rappresentare un antico t. Ma da qual verbo potrà dedursi il participio selans ? La derivazione più (1) Sethlans io la deduco dal verbo αίΗλοω, abbruciare, annerire, col-Γ aggiunta del σ iniziale, il quale si potrebbe spiegare ritenendo che il verbo αί9·άλοω avesse cambiato lo spirito aspro in lene. Cfr. Curtius, Griech. Etym. GIORNALE LIGUSTICO 285 facile sarebbe dal verbo σελαω, risplendere; ma siccome una tale derivazione male si accorda con Γ interpretazione complessiva data da me alla inscrizione che sto esaminando, cosi ritengo più opportuno il dedurla dall' antico verbo έλω (αφεω) nel significato di cattivarsi V animo, rendersi propizio. Di maniera che, aggiungendo il suffisso ì, la parola selans-l verrebbe a significare la cosa proveniente da colui che vuol rendersi propizio qualcuno, verrebbe insomnia a significare il dono propiziatorio. Cfr. ίλαω, κηλεω, κηλαινω — Cfr. pure l’inscrizione 1930 del Gloss. Fabretti = Phleresdecsanslcuer = (gr. κορος - etrusc. cuer - lat. puer). T en in e — che traduco annuale, non è, secondo me, che un aggettivo formato dalla voce ενός, anno, nello stesso modo che dalla voce ετος, anno, si è formato 1’ agg. τετινος. Tut hin es — Genitivo sing. di tuthine, che io deduco dal gr. ένταυθ-ινος, aggettivo che non si trova nei vocabolari, ma che facilmente si forma dall’avverbio ενταΰθ-α. Da ενταυθ·ινος poi sarebbe per aferesi venuto ταυθινος, se pure questa voce non ha una derivazione primitiva comune con 1’ avverbio εν-ταΟθ-α. Corrisponderebbe al moderno toscano questo qui, questo eh’ è qui. Cfr. Γ inscriz. 1055 del Gloss. Fabretti. Chisulics — È questa, secondo me, una parola composta del verbo χέω e del nome λέξις: chisu-lics. Chisu sarebbe un’abbreviazione di χέΡυσαντος, genitivo sing. del part, aoristo i. χέυσας: da χέΡυσ.... si sarebbe, per facilitare la pronunzia, fatto χέσΡ, ο χίσΡ. Parimente lies non sarebbe che un’ abbreviazione di λέξεων, gen. pi. di λέξις. Cosicché, alla lettera, si potrebbe tradurre : spargitore di parole, ossia oratore abbondante. Cfr. il fundere verba di Virgilio. Compiuta cosi questa rapida analisi della inscrizione del-YArringalore, passiamo ad interpretare 1’ altra inscriz. della Chimera. La figura di questo animale favoloso porta incisa j86 GIORNALE LIGUSTICO sopra una gamba la parola tinscuil, che io traduco l’assalitore, Y abbrancato™. Osservando che questa parola si legge sopra altri bronzi etruschi raffiguranti animali in atto di slanciarsi, io non trovo difficoltà a dedurla dal gr. είσκυλίω nel significato d’investire e avvolgendo atterrare. Tinscuil sarebbe un verbale abbreviato di είσκυλιω, il quale sarebbe divenuto per trasposizione, secondo l’uso etrusco, είσκυιλφ; e con ciò si spiegherebbe anche la presenza del digamma nella voce La t iniziale poi non sarebbe altro che P art. n. xò unito per crasi al nome. La quale unione apparirà tanto più probabile, ove si osservi che in una inscrizione etrusca riportata nel citato Glossario sotto il n. 1050 si legge la parola inscurì senza la t in principio. Nello stesso modo, per la crasi, cioè, delP articolo, si può interpretare la parola tinta, nome etrusco di Giove, vale a dire tò τείναι, l’essere, il Dio che dà l’essere alle cose. Io non so se questo metodo d’interpretare le inscrizioni etrusche incontrerà il favore dei dotti; ma se per avventura non fosse stimato indegno della loro attenzione, ho ferma fiducia che qualche valente filologo possa ricavarne un frutto molto maggiore di quello che ne ha ricavato un semplice spiegatore d’ enigmi. _ Antonio Pacini. VARIETÀ Epistole di Antonio Astesano a genovesi (Continuai, e fine ved. p»g. ijj) XVII. Ad dominum Iohannem Odonem jureconsultum prœstantissimum. Si michi tanta forent ut possem scribere versus ocia, cantarem carmina mille tibi, Conarerque tuas efferre ad sidera laudes, quo longa notus posteritate fores, giornale ligustico 287 Qui cum sis sacri velut alter Scevola juris interpres miro præditus eloquio. Et tamen humanus, tamen es mitissimus , atque auxilio cunctis, consilioque faves, Dummodo justa petant et honesti nomine digna : hinc tua fama volat clara per ora virum. Inde fit ut magno te jam complectar amore, et cupiam nomen tollere ad astra tuum. Inde fit ut nostrx fidam te ferre carinæ auxilium portus intret ut ipsa suos. Ergo si nostrum non indignaris amorem, si cura est longi nominis ulla tibi, Affer opem nostris, jurisconsulte, camenis, ut vestra auxilio collocer urbe tuo. Fac possim in vestris tibi gratificarier oris, atque tibi semper deditus esse. Vale. XVIII. Ad dominum Baptistam Cicallam genuensem jureconsultum clarissimum. Candida virtutum fama est, Baptista, tuarum, qui claro eloquio, consilioque vales. Qui valde ingenio praestans es et moribus, et qui cælicolas mira relligione colis. Quique Anchisiaden sequas pietate, Camillum justicia: Curium, Fabriciumque fide, Quique æquas magnum stabili gravitate Catonem, et Laertiadem calliditate ducem. Denique tam multis ingens virtutibus esse diceris, ut possit nemo referre satis. Quo factum, ut crebro regesque ducesque potentes usi sint opera, dare Cicalla, tua. Ergo tibi afficier magno compellor amore et raptim hæc ad te carmina pauca dare, Quæ nullo ornatu, nulla gravitate redundant, scripta super flexo dicit ut ille genu. Si tamen ipse tuo vestram traducar ad urbem auxilio, scribam carmina multa tibi, 288 GIORNALE LIGUSTICO Atque efferre tuas enitar ad ethera laudes cantando generis splendida facta tui. Si cupis ergo tuum mandari in secula nomen affer opem nostræ magnæ, Cicalla, rei. XIX. Ad magnanimum et inditum militem dominum Iohannem Antonium Fliscum. Si tam multa meis nunc essent ocia musis, ut possem laudes commemorare tuas, Niterer ipse tuum mandare ad sidera nomen, clara tua heroicis acta canendo modis. Necnon majorum cantarem gesta tuorum, illustrisque tuæ splendida facta domus, Quæ pene innumeros et bello et pace potentes heroas, summos pontificesque tulit. Sed quia tam variæ versant mea pectora curx , ut nunc sint musis ocia nulla meis, Hæc linquam atque preces fundam tibi pectore ab imo ut faveas causæ, vir generose, meæ, Quo sat honorifice possim ista vivere in urbe, artem rhetorices eloquiique docens, Scribensque heroico fortissima prælia versu quæ quondam in multos Genua vestra tulit. Id si tu facies, scribam tua fortia gesta, teque domumque tuam carmine ad astra feram. Hrgo tanta tuum si tangit gloria pectus, Antoni, musis auxiliare meis. XX. Ad magnanimum Genuce Capitaneum. O tu qui clara digno es donatus ab urbe officio, placidus carmina pauca lege. Dignus es egregio celebrari carmine, verum nunc nimiæ curæ pectora nostra premunt. Si tamen, ut spero, vestram traducar ad urbem et dentur musis ocia grata meis, Nitar ferre tuas numeris ad sidera laudes, nitar ego vestræ gesta referre domus giornale ligustico Quæ sunt et bello, quæ sunt et splendida pace, quæ sunt perpetuo carmine digna cani. Ergo des operam vestram ut conducar ad urbem, si cupis æterna posteritate legi. XXI. Ad Senatores et primiores Cives Genuce. Magnanimi cives, longo jam tempore sensi officii fructum vos cupiisse mei, Et me jocundum vobis gratumque futurum, si vestros natos instituisse velim, Nec solum historicos his aut legisse poetas, rhetorice pariter sed documenta dare. Vestræ igitur cupiens ego gratificarier urbi, quam mea non modicum patria tota colit. Offero me vestris natis præbere paratum artem rhetorices eloquiique simul, Nec minus historicos veteres, veteresque poetas, aut oratores quosque docere velim. Si vos me tanto patres donatis honore, proque labore michi premia tanta datis, Ut cum prole mea, comitatus conjuge, vestra semper honorifice vivere in urbe queam, Non ego dedignar: michi tanta superbia non est, ut michi discipulos turpe docere putem. Plutharcus docuit Trajanum, ortumque Philippo magnus Aristoteles, cur michi turpe rear? Præterea vestræ si res accepta sit urbi scribam vestrorum marcia facta ducum. Scribam vestrorum majorum splendida gesta , gesta Maroneo carmine digna cani. Nam me non fugiunt quæ fortia prælia quondam gessit in hostiles Genua magna duces. Præsertim in Cypri regem quem cepit et ad se, conjuge cum gravida, classe vehente, tulit, Tempore quo fertur natus sibi filius istic qui vestra dictus Janus ab urbe fuit. Giorm. Ligustico, Anno XVII. 290 GIORNALE LIGUSTICO Cum Famaugustam, quæ Cypri clarior urbs est, addidit imperio Genua vestra suo. Gessit et in Venetos acerrima bella potentes Genua, dum vires vult cohibere suas. Gessit et in Pisas illo sub tempore magnas, deque ipsis victis clara trophæa tulit. Quorum nunc etiam restant monumenta cathenæ, quas publice positas cuique videre licet. Transeo Aragonio cum rege asperrima bella commissa et victas Marte favente rates, Præcipue quando media inter prælia portum vestra Bonifacium Genua nacta fuit. Hæc ego gratidisono canerem carmine; nec non cætera quæ vestra urbs, bella relicta, tulit. Magna exempla forent vestris dignissima natis, quo virtutis eis major inesset amor, Quo conarentur fortissima gesta suorum majorum multa non sine laude sequi. Ut solet audito sonitu'et clangore tubarum incendi ad pugnas fortis et acer equus, Sic animus juvenum trahitur virtutis amore quando majorum splendida gesta legit. Tali quippe modo virtutem est Scipio nactus majorum cupide grandia lacta legens. Idcircoque omni studio quæsivit ut ejus scriberet acta suis Ennius ipse modis. Ex quo promeruit calabris in collibus agros Ennius adjunctos, Scipio, clare tuis. Hæc igitur moneat vestras affectio mentes, qua laudabilior nulla subesse potest. Ut vestros almæ virtuti dedere natos quæratis, nec non artibus ingenuis, Virtutem cunctis cives præponite nummis. Aeterna est virtus, nummus at ipse perit. Id suadet vobis ingens prudentia vestra, suadet et utilitas, suadet et urbis honor. Namque ex felici sic felicissima fiet Genua, cui faveant numina cuncta precor. GIORNALE LIGUSTICO Sed ne longa nimis dent vobis tædia verba, expromamque animum sub brevitate meum, Si vobis gratum est ut vestra commorer urbe, in qua jam dictis perfruar officiis, Significate michi quo sim functurus honore, et qua vobiscum commoditate fruar Ut, cum vestra michi sit nota int:ntio, possim commodius rebus consuluisse meis. Tantæ namque viæ nolim perferre laborem aut sumptum, nisi sim certior ante rei. Præcipue cum sim satis amplo ornatus honore, satque ampla potiar commoditate modo. Vos autem tanta rerum puto mole gravari vertere, ut hic vobis ocia nulla vacent. Namque reipublicæ major vos cura fatigat in tanto rerum turbine quantus adest. Quocirca vereor si hac tempestate venirem, ne frustra tantum conficeretur iter. Quo si forte etiam vobis hos scripsero frustra versiculos, certe damna minora feram. Perdere enim malo versus, quam perdere tempus aut sumptum, siquidem perdere verba lene est, ■ Non fortuna michi qua, dijs sit gratia, fungor , deficiet ; nullum dedecus inde sequar. Ergo michi, insignes, veniam concedite, patres, si non veni ad vos, sed mea scripta dedi. Ille tamen vestra meus est germanus in urbe, cui super hac re mens est mea nota satis. Is referet vobis (ipsum si forte rogetis), quo pacto vestra degere in urbe velim. Quam preco:' ut vestro servare augereque voto dignetur rerum conditor ipse Deus. XXII. Ad clarissimum et gravissimum virum dominum Thomam Genuensem, Thoma , qui Ligurum nunc es vir clarus in oris, quos magnum potuit nomen adire tuum , Fies in toto certe clarissimus orbe, et famam illustrem tempus in omne feres, 292 GIORNALE LIGUSTICO Si tantum nostris mox auxiliabere musis, si tantum nostræ faveris ipse rei, Ut quod percupio vestram traducar ad urbem, qua totam vitam degere posse velim. Namque tuas tali mandabo ad sidera laudes versu, ut Virgilium sic cecinisse putes, Non quia vini tantam dederit michi pulcher Apollo, aut regina sacri Callyopea chori, Sed quia flagranti tibi sum devinctus amore, atque tuam summo dignor honore domum. Tantum enim magnum poterit me reddere vatem qui fragili vires addere fertur amor. Jamque vale et nostram, Thoma clarissime, navim quo valeat portum tuta subire juva. XXIII. Ad magnificum Ducem Genuensium, Audio quod tantas clarissima Genua laudes attribuit factis, dux aminose, tuis, Ut jam nemo tuum non tollat ad ethera nomen, gaudeat et tanto quantus es ipse duce. Diligit et colit nec non observat abunde te dux et cunctos Genua tota tuos. Te seu plebejus vir seu sit nobilis istic quisquis adest toto pectore civis amat, Et cupit ut longo tuearis tempore vestram urbem, quod tribuant numina quæso tibi. Dent optata tibi cælestia numina quæso, servent quæso tuam numina cuncta domum Et tibi concedant, ut te duce, Genua fiat felix et vires augeat ipsa suas, Haud secus atque Alba, Tullo sub rege subacta, exauxit vires aurea Roma suas. Quod se velle tibi concedere numina clare coepere indiciis significare bonis, Cum nuper vestra urbs deperdita multa recepit oppida, progenie bella gerente tua. GIORNALE LIGUSTICO 293 Dij tibi dent igitur tantam, dux inclite, palmam quantam ulli veterum contribuere ducum, Quod tibi continget, si longam numina vitam dent tibi, quo virtus sit tua nota magis. Det Deus ergo tibi longævos Nestoris annos, et romanorum grandia regna precor. Det tibi perpetuam fortunam et prospera bella Regis Alexandri, det quoque Xersis opes. Denique, ut exiguis amplectar plurima verbis, omnia quæ posces det tibi quæso Deus. Detque michi tantas celebrari sub carmine vires, tradat et ingenio robora tanta meo, Ut, te fautore, vestram traductus ad urbem sat possim laudes commemorare tuas. Quod confido michi, dux præclare, futurum, auxilio si me juveris ipse tuo. Ergo tuum nobis non inficiare favorem, qui laudanda solet facta juvare. Vale. XXIV. Ad Matheum LotnelUnum Genuensem virum magnum et gravissimum. Lomelline, meæ si suffragabere causæ, ut vestra auxilio ponar in urbe tuo , Non ingratus ero, verum tibi deditus omni tempore, virtutes commemorabo tuas. Teque domumque tuam super aurea sidera tollam carmine, si tantum nostra camena potest. Jam tamen ingentes habeo tibi dicoque grates, quem sensi facto velle favere meo. Sed tam laudando noli desistere ccepto, ni tangat portus ista carina suos. Rem sanctam facies et dignam laudibus illis quas de te summas publica fama retert. GIORNALE LIGUSTICO XXV. Ad strenuissimum et doctissimum virum Dominum Nicolaum de Campo Fulgoso Genuensem. Si, Nicolae, tuum jampridem nactus amorem essem, nunc ad te carmina multa darem, Quo præstare tuum michi dignarere favorem, tangeret ut portus nostra carina suos, Præcipue cum nunc videatur poscere tempus remos et fausto carbasa plena notho, Non aliter quam dum per mille pericula navis lapsa, cito portus est subitura suos. Sed cum magna meis dederis suffragia musi?, dum mea laudasti carmina voce tua, Non dubito quin hoc pariter in tempore cedat auxilium linguæ, mi Nicolae,· tuæ. Linguæ, qua non est facundior altera ; qua non doctior, aut veterum plus studiosa virum. Eloquio miro Cæsar valuisse putatur, sed reor eloquii non minus esse tibi. Maximus historias Fabius bene noverat omnes, te tamen historias non puto nosse minus. Ille Themistocles quo belli principe Xersi ostendit vires Græcia tota suas, Ingenio memori multum valuisse refertur, sed minus ingenii non reor esse tibi. Transeo quod tanta belli virtute valere ferris ut hac quoque sis æquiparandus ei, Has ego cum reliquæ quibus undique præditus ipse heroico laudes carmine ferre velim, Si fortuna facit vestram ut traducar ad urbem , auxilio vocis, mi Nicolae, tuæ. Quo me pollicitus quondam donare fuisti cum uno alloquio fungerer ipse tuo. Nunc promissa igitur, vir præstantissime, serva, compensa dictis optima facta tuis ; Nec patere ut nostro quicquam te solvat amore, ’ non amor alterius, alteriusve preces. GIORNALE LIGUSTICO 295 Doctior ad vestram forte aut facundior urbem aut vir majoris nominis ire potest; Verum me nemo veniet, michi crede, futurus utilior publicæ, commodiorque rei. Nemo etenim tantum feret erudiendo laborem, nemoque scribendi pondera tanta feret. Nemo tuis etiam servire paratior ibit obsequiis, domui deditiorque tuæ. Hæc animadvertens, totis incumbere debes viribus ut vestra publice ab urbe trahar, Meque aliis qui fors istuc accedere quærunt hac causa verbis praeposuisse tuis. Quod te spero tua.facturum sponte profecto, ergo tibi dicant carmina nostra vale. XXVI. Ad dominum Manuelem Scarampum jureconsultum , Magnifici Genuensium Ducis Vicarium. Audivi quanto Manuel fungaris honore, quod tribuit cordi gaudia magna meo. Nam multis causis ego te compellor amare, tum quia tu ferris compatriota meus, Tum quia prædaris præstans virtutibus extas, tum quia sum fratri iunctus amore tuo. Ipse tuum fratrem magno complector amore, meque tuus frater Bartholomeus amat. Ergo te cogor, Manuel, vehementer amare et totus votis deditus esse tuis. Tu quoque amiciciam noli contemnere nostram, qua tecum pariter iunctior esse velim. Me donare tuo quæso digneris amore, digneris voto quæso favere meo. Ut nostra optatum possit contingere portum puppis , da nautis vela secunda meis. Quod si tu factum, Manuel doctissime, reddes, carmina mille tuis laudibus ipse dabo. 296 GIORNALE LIGUSTICO XXVII. Ad, magistrum Paulum Papiensem phisicum, civitatis Genuce habitatorem. Qui fueras teneris multum michi iunctus ab annis, qui michi amicitiæ foedere iunctus eras, Si non es nostri post illa oblitus amoris tempora, nunc musis auxiliare meis. Auxiliare meis, carissime Paule, camenis, Uu suadet noster jam veteratus amor. Si cives aliquos virtus tibi fecit amicos, hos etiam musas coge juvare meas, Quo possim tecum tam clara vivere in urbe, quæ res magna quidem gaudia utrique dabit. Gaudia magna dabit, nec non et commoda multa, ni forte augurio fallor ab ipse meo. Nam velut ipse meis poteris prodesse camenis voce tua laudes accumulando suas, Sic et ego potero medicas extollere laudes, et qua divina præditus arte vales. Adde quod haud solum nobis erit utilis hæc res fiet cum publicæ commoditate rei. Ergo operam naves, ut tecum vivere, nec non afferre huic urbi commoda multa queam. Il Registro della Camera di Nicolò V. Dalla bella e recente opera del dottore Adolfo Gottlob, Aus der Camera Apostolica des /5. Jahrhunderts (Innsbruck, Wagner, 1889), che contiene molte e preziose notizie sulla organizzazione e la storia della Camera Apostolica e in generale sulla amministrazione delle finanze presso la Corte Romana, traduco il capitoletto (pagg. 39-43) relativo ai Registri di Papa Nicolò V, pel quale si possono rendere più agevoli le ricerche sulla vita e sul governo di quel Pontefice. GIORNALE LIGUSTICO 297 Devo, a maggiore intelligenza dei lettori, notare che i conti presso la Camera apostolica si tenevano dai tre uffici nei quali essa era divisa, cioè dalla Camera propriamente detta, dalla Tesoreria e dalla Depositeria, così che, quando per avventura non vi sieno delle mancanze, e queste sono molte, si ha il vantaggio di potere controllare le spese nei tre Registri. Per questo nell’ Indice dei volumi si troveranno dei numeri racchiusi da una graffa, il che significa che sono paralleli e di eguale contenuto ; di questi poi quelli contras-segnati dall’ asterisco appartengono alla Depositeria e sono scritti in italiano. G. Papaleoni. La· serie degli Introitus et Exitus di Nicolò V (6 marzo 1447 (1) — 24-25 marzo 1455) consta di 16 volumi, i numeri 414-429. Essendo tuttavia il voi. 426 composto di vari frammenti, in ispecie di un mutilato registro speciale della Tesoreria provinciale di Borgo S. Sepolcro, si può dire che in fatto appartengano a quella serie solo 15 volumi (2). Dei « Libri mandatorum 0 bullettarum » si conserva disgraziatamente solo un volume, e i Registri delle Annate di Nicolò pare che sieno andati completamente perduti ; per lo meno mancano nell’ Archivio di Stato. Quanto ai registri delle Crociate, dei quali ci si presenta qui il primo frammento, ne trattiamo più particolarmente di sotto. In (1) Sul giorno della elezione di N. V, vedi Pastor Storia dei Papi, (ed. ted.) I. 279 nota 2. È inoltre questa annotazione del voi. 412 (413) foglio 99 degli Introitus et Exitus :«.... die lune VI marcii extunc immediate sequente (scil. 1447) S. D. N. D. Nicolaus divina prov. papa V tunc d. Thomas Card.lis Bononiensis fuit ad summi apostolatus apicem assumptus et die xvim. eiusdem in basilica S. Petri coronatus ». (2) All'epoca del trasporto nell’Archivio Vaticano (1613) i volumi erano 18. 298 GIORNALE LIGUSTICO oltre il catalogo di Michele Lonigo menziona un « Liber provisionum » e due volte un « Liber obligationum Nicolai V et Callisti III ». La tabella annuale degli Introitus et Exitus si forma cosi: voi. 414) » 415} aPnle H47 - agosto 1448. » *416ì » 417S settembre 1448 — marzo 1450. » 418) » 419I » 420} niarzo r45° — Ottobre 1451. » 422) novembre 1451 — settembre 1452. » *423) » 424) aprile 1453 — marzo 1454. » 425) » ^427) » *428) aprile 1454 — marzo 1455. » 429) I volumi 414, 418, 419 e 422 provengono, secondo le note iniziali, dagli atti del Cardinale Camerlengo; i corrispondenti volumi paralleli 415,417, 420 e 421 all’incontro appartengono al Tesoriere. Potremo avvalorare questo fatto, quando tratteremo della tenitura dei libri e del controllo. Il volume della Depositerà 416, per quanto corrisponda ai due numeri seguenti, va solo fino al marzo 1449 ; per l’anno seguente dunque fino al marzo 1450 dovrebbe essere esistito uno speciale volume della Depositeria, che pur troppo andò smarrito. Nel registro 422 mancano il foglio del titolo e i primi 49 fogli. La numerazione comincia col foglio L., il testo con 1’ « Introitus mensis Octobris 1452 ». Gli « Exitus» all incontro, che cominciano a pagine 101 col novembre 14 51, sono interamente conservati. Nel voi. 429 mancano alcuni quinterni nel mezzo, cosi che gli « Exitus » dei mesidi aprile GIORNALE LIGUSTICO 299 e di maggio 1454 sono scomparsi, e questi cominciano col giugno. Nei volumi 424 e 425 manca il foglio del titolo, che si trova solitamente negli altri volumi. Il volume 426 , del quale dicemmo che in massima parte proviene da una tesoreria provinciale, merita una speciale osservazione. È scritto in italiano ed ha questa intitolazione : « J. H. S. mccccliiii0. — Al Nome. Sia. De Dio. Omnipotenre et de la sua matre Madonna sancta Maria et de li beati apostoli etc... — Qui in questo libro se scriverà tucta lentrata et uscita aparte-nente per lo conto delegente darme et fanti apie che condocte arano dal prefacto N. S. per lanno presente M°CCCC0LIIII°, il quale libro sie covertato di corame rosso coniarmi di fuori di sancta chiesa (1) et di sopra conlectere scricte Entrate, et Uscita et de dinumero de fogli centotantocto cominciando dal presente foglo cioè da numero 1 a numero clxxxviii scricto et tenuto per mano di me Francesco di Benedecto dal Borgo Santo Sepolcro famiglo del prefato N. S. et per la Sanctita sua in nome di Nello de Bartholomeo de Bologna suo commissario et depositario come apresso seguirà. — Signato: A ». Le iniziali J. H. S. e la data dell’ anno sono scritte su ogni lato. La registrazione delle entrate comincia col 18 dicembre 1453 e va fino al principio del 1455* Allontanandosi dalla ordinaria disposizione dei registri centrali, vi ha qui invece una positiva partizione in « Entrata de Sale, Entrata de Dogane » ecc. come pare sia stato di solito e forse sempre iì caso nei registri provinciali. Le entrate sono specificate : « Da la communita de Aspra delisola » ; e poi sempre col prefisso « dala communita » di Posi, Frascati, Civitavecchia, La Rocca, Monticello ecc. Alle entrate doganali seguono i fogli bianchi 81-133; al foglio 134 comincia Γ Uscita (Exitus), che, concordando con quanto è espresso nel titolo, consiste (1) La legatura odierna è, come negli ultimi volumi, in cuoio bianco. 300 GIORNALE LIGUSTICO quasi esclusivamente in spese per arruolamento di truppe e dei « conductores » o capitani. La registrazione di queste si chiude con una esatta nota di controllo della Camera di Roma del 1455 (foglio 179). Il volume dei Mandati porta a tergo la scritta « Diversorum Nicolai V., 1447-1452 ». Sul frontispizio si legge: « Liber primus bulletarum Romane Ecclesie et Sedis apostolice ac S.m' in Christo patris et domini domini Nicolai div. prov. pape V. inceptus in primordiis assumptionis ipsius.....die Lunae mensis a. 1447 » ecc· II primo frammento della serie dei Registri delle Crociate ci è conservato nell’ ultimo fascicolo del già ricordato volume 426 degli « Introitus et Exitus ». Questo però non ha che un suboi dinato carattere di conto speciale , giacché la separazione della amministrazione delle Crociate delle Camera generale non si riscontra che sotto i successori di Nicolò. Anche sotto di lui nei registri generali si trovano mescolate con gli incassi e con gli impieghi d’ ogni genere del denaro, le spese che egli, dopo la caduta di Costantinopoli, fece per lo ariuolamento di truppe, la costruzione di navi, 1’ordinazione di bombarde e di materiale da guerra, e dall’altra parte i nuovi cespiti di entrata che procurò a vantaggio della Crociata. Non si esclude però con questo che già da allora non si tenesse una speciale serie di secondari registri per la Crociata, ai quali dovette avere appartenuto anche il citato volume di Nicolò V. Questo è legato col tomo 426 degli « Introitus et Exitus », ma è di formato un po’ più piccolo e porta 1 originaria segnatura 2381. Essendo i collettori, i commissari, i depositari, cosi come i capi della Camera apostolica, gli stessi per ambedue le amministrazioni, anche il nostio Registro è scritto in italiano e dalla stessa mano del volume 426, e perciò anche quando si venne ad una generale innovazione delle legature fu considerato come ap- GIORNALE LIGUSTICO 3ΟΙ partenente a questo. Vi sono registrate le decime per la guerra contro i Turchi pervenute da tutti i prelati, beneficiati e officiali della Camera, e da tutte le persone che si trovarono in qualsivoglia maniera al servizio di questa o che almeno ne dipendevano direttamente. Nel frontispizio è scritto: « J. H. S. — MCCCCLIIII0. — Decime. — Al nome sia » ecc., come nel titolo del volume 426, e poi: « Qui in questo libro covertato di corame rossio sarano scricti tutti li denari che in questo tempo si rentra-rano di decime di prelati e benefiziati e ofiziali e salariati de la Camera apostolica per lo novo imposto facto per lo prefacto N. S. per contro li prefacti turchi, e simile uscita di quanto per decta cagione si paghera, il qual libro sie scricto e tenuto per mano di me Francesco de Benedecto dal Borgo Sansipolcro famiglo de la S.u de N. S. e per la pre-facta S.ta sua in nome de Nello de Bologna suo commissario e depositario e sie de numero di fogli centonovanta quatro cominciando da numero 1 e. fenendo (—finiendo?) quanto sequita. — Signato: A. ». Ora il frammento non ha pur troppo che 13 fogli, dei quali solo sei sono scritti. Seguono a questi 3 altri fogli, dei quali due sono scritti, ma non hanno nulla a che fare coi precedenti. E anche quei sei fogli non sono che dei frammenti dell’entrata, mentre manca appunto l’uscita. Vi sono notate le decime per la guerra contro i Turchi pagate dal Capitolo di S. Giovanni Laterano, dal Monastero diJSanta Maria in Campo Marzo, dall’ Abbazia di S. Paolo fuori le mura, dalle Monache di S. Silvestro in Capite, in Roma, e fuori dal Convento e dal Chiostro di Subiaco , dalla Diocesi di Velletri, dalla Chiesa di S. Maria in Ceri, dalla Chiesa di S. Maria in Castelnovo, dalla Diocesi di Lucca , dalle Diocesi di Città di Castello, da Tivoli e Cervetri, dalla Tesoreria del Patrimonio (1. « Decima di tutti ofiziali; 2. D. di 302 GIORNALE LIGUSTICO prelati e benefiziati indecta provincia »), dall’Abbazia di S. Martino in monte presso Viterbo, dalla Tesoreria di Campagna e della Maremma, dalla Tesoreria di Ascoli (« prò.....decima di l’ofiziali e salariati dalla Camera da- scoli »), poi dai Banchieri della Camera Tomaso Spinelli & C.°, Piero e Giovanni de’ Medici & C.°, finalmente dal « Mastro » dei corrieri della Camera, Francesco d’ Arrigo da Pisa, e dai sei corrieri della Camera, Giovanni di Piemonte, Bianco Lombardo, Battista da Rimini, Piero da Bologna, Ongaro Tomaso e Bernardo Lombardo. Prepotens Genvensivm Presidivm. In una mia nota al libro di Caffaro De liberatione civitatum Orientis (i), ho rilevato come il testo dell’iscrizione che i Genovesi fecero murare l’anno 1105 nella tribuna del S. Sepolcro di Gerusalemme ci sia fortunatamente pervenuto nel Liber Jurium, dove fu copiato, di certo a fac-simile (2), da una pergamena che ancora a’ tempi dell’ annalista Giustiniani serbavasi nel pubblico archivio (3). Ma ho pur soggiunto come Giorgio Stella ', oltre al darci notizia di quella lapide, nella quale era sommariamente riferito il diploma poc anzi conceduto a’ nostri dal re Balduino I, ci informi di una leggenda che anche allora sarebbe stata posta colà ad (1) Cfr. Annali Genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, vol. I, pp. 115, Genova, Sordo-muti, 1890; nelle Fonti per la storia d’Italia pubblicate dair Istituto storico italiano. (2) Cfr. la riproduzione da me data ivi, Tav. VII, pp. 114. (3) Dico questo, perchè il Giustiniani stesso, dopo aver data la traduzione della epigrafe, che egli scambia però, come i più fanno, col testo di un privilegio Baldoviniano, avverte: « E si serva questo privilegio in 1’ archivio della città, ed è etiam registrato nel libro del Comune». Ctr. Annali della Rep. di Genova, I, 160. GIORNALE LIGUSTICO 3°3 onore de’ medesimi Genovesi. Ecco infatti le sue parole : In muro arcus super altare templi ... sancti Sepulchri, literis aureis scriptum fuit: Prepotens Genvensivm Presidivm (i). Donde lo Stella abbia tolto questo particolare, poi ripetuto con grande cura da’ nostri storici e statisti, io dissi già e ripeto di non sapere con precisione ; ma forse lo trovò registrato in quelle antiche pagine della sagrestia di S. Lorenzo, dalle quali egli stesso, e molto prima di lui Jacopo D’ Oria ed il Varagine cavarono la storia delle reliquie della croce custodite nella nostra cattedrale (2). Non è adunque su la verità della leggenda in sè stessa , che io intendo qui di muover dubbio. Ma gravi dubbi mi parve all’ incontro che si potessero sollevare circa 1’ autenticità di una circostanza che vi si riporta, e che leggesi narrata da fra’ Cherubino Ghirardacci nella prima parte della sua Historia di Bologna (3), laddove sotto l’anno 1119 scrive così: « Roberto et Rengherio fratelli (bolognesi) in questo tempo habitavano in casa di Tancredi et Boemondo signori d’Antiochia . . .; et Rengherio fu quello che, della scultura dilettandosi, ad instanza di Balduino intagliò le lettere sopra l’altare del Santissimo Sepolchro, che è di marmo , cioè : Praepotens Genvensivm Praesidivm ». Pensai perciò di esporre i miei dubbi a chi per ufficio e per istudi avesse famigliari le storie bolognesi, chiedendo anche se, a parte l’aneddoto dell’epigrafe, si avessero documenti sicuri dei due personaggi ricordati dal Ghirardacci, od almanco ne apparisse qualche memoria in cronisti meno discosti dal loro secolo, che il Ghirardacci non sia. Ora la risposta di cui mi fu cortese l’illustre comm. Carlo Malagola, benemerito di- ti) Cfr. Muratori, S. R. I., XVII, 981. (2) Cfr. Annali Genovesi, cit., pp. xcis. (3) Bologna, Rossi, 1556, pp. 63. 3 04 GIORNALE ligustico rettore dell’ Archivio di Stato e professore dell’ Università di Bologna, mostra ben chiaro come lo storico mentovato abbia di sana pianta inventati i nomi ed il fitto; e però, ottenuto il gentile assenso del dotto autore, sono lieto di pubblicarla integralmente, affinchè possano con me essergli grati quanti amano vedere in fondo nelle quistioni della nostra storia. « Per iscoprire la fonte, donde il Ghirardacci potesse aver tratta la notizia della iscrizione che avrebbe inciso ReDghiero Renghieri sul Sepolcro di Gerusalemme, e della esistenza di questo personaggio, ho spogliato e fatto spogliare colla massima diligenza tutte le cronache bolognesi clic possediamo nelle due nostre pubbliche Biblioteche, e che sono anteriori al tempo in cui scriveva il Ghirardacci, lusingandomi che da queste lo storico nostro avesse potuto attingere le notizie che Ella desiderava di verificare. Ma, anteriormente al Ghirardacci, non si trova alcuna menzione nè di Ren-ghiero Renghieri, nè della iscrizione che avrebbe incisa. Sono state a tal fine spogliate (senza ricordar le cronache pubblicate dal Muratori e le altre non poche che non toccano il 1119) le cronache seguenti: a) Della R. Biblioteca Universitaria: la Cronaca Rampona, dal principio del mondo al 1346, la Cronaca del Villola, che è il prototipo delle bolognesi e che va dal 1163 al 1376, quella del Tagliacozzi che termina al 1404, quella del Le Tuatte, che termina nel I$ll, del Sec-cadinari, che arriva al 1521. b) Della Biblioteca Comunale: una Cronaca anonima dal noi al 1345» la Somma otur cronica dall'anno 700 al 1350, altra anonima dal 1057 al 1355, altra pure anonima dal ui6 al 1402, ed un Diario, anch’esso anonimo, dal 305 al 1586. A queste cronache si aggiunga il Compendio dèli' origine delle famiglie senatorie di Bologna di Valerio Rinieri, contemporanco del Ghirardacci, dove si hanno le notizie della famiglia Renghieri, ma dove non si fa menzione nè dell’ iscrizione nè del suo presumo incisore. Prima del Ghirardacci adunque nè Γ iscrizione, nè i due fratelli Roberto e Renghiero sono nominati nelle nostre fonti. Posteriormente invece a Fr. Cherubino il fatto e le persone si trovano ricordati, ma la fonte è sempre quest’ unica. Intatti, cominciando da Gian Francesco Negri (autore di un libro sulla Prima Crociata, edito a Bologna da G. B. Ferroni nel 1658) che mori nel 9 e lasciò gli Annali di Bologna dal noi al t6oo, troviamo in questi L. T. Belgrano. GIORNALE LIGUSTICO SOS ultimi, nel tomo II, sotto l’anno 1113, la seguente narrazione, con qualche frangia, ma che corrisponde in sostanza ai tre fatti asseriti dal Ghirardacci, della coabitazione cioè dei fratelli Renghieri con Tancredi, della iscrizione, e dell’arme donata: « Morto il principe Tancredi, Reingerio a e Roberto della Renghiera, bolognesi, che stavano in sua corte, passarono » a Gerusalemme ed hebbeno trattenimento dal Re Baldovino; e dilettan-» dosi Reingerio dell’arte della scultura, volle sua maestà che facesse un a ornamento di marmo intorno alla capella del santissimo Sepolcro, nel » quale, havendo ricevuto ottimo servizio dall’armate di mare della Re-» pubblica Genovese, quale nel corso di quindici anni 1’haveva aiutato a agli acquisti di Gerusalemme, Antiochia, Mamistra, Laodicea, Gibello, » Baruti, Tircosa (1), Tolemaide,· alla cui impresa rimase ucciso Ugone » Grimaldi, Gibelleto minore, Cesarea, Assur, il Zaffo (2), Sidone, Tripoli ed » altri luoghi, volle, oltre il nobile privilegio che si conserva nell’Archivio » di essa Repubblica, registrare a più pubblica memoria l’obbligo che » doveva havere la pia cristianità all’ armi e valore de’ Genovesi, che » Reingerio intagliasse nel fregio di esso ornamento la seguente iscrittione : » — Prepotens Gemensium Présidium — acciò servisse di raccordo a’ pelle-« grini che visitavano la sacra tomba di Cristo, come per 1’ opportuno » aiuto mandato da quella natione, s’ottenne la vittoria con l’acquisto » della santa città. Ma poi, 0 per Pinstanze che ne facessero altre nationi, » che pretendevano haver dato non inferior soccorso alla degna impresa, s o per antipatia ch’avesse Almerico, sesto re di Gerusalemme, con i Geno-» vesi, fece egli levare queste lettere come anco una lastra di marmo un » poco disgiunta, dove appariva il ristretto delle convenzioni fra il regno d di Gerusalemme et il Senato di Genova. A questi duol fratelli dalla » Renghiera donò il re Baldovino la testa del cigno armata, esposta al-» 1' onda del mare per insegna da porre sopra l’antico cigno intiero, arme » gentilizia della famiglia Renghieri ». Nel medesimo secolo XVII in un’altra opera bolognese si ricordano queste cose, cioè nella Cronologia delle famiglie nobili di Bologna (Bologna, G. B. Ferroni, 1670, pag. 644), dove si cita il Ghirardacci quasi ripetendosene le parole : « . . . Roberto e Rengherio fratelli (scrive il Dolfì) che es-» sendo all’impresa di Terra Santa, Rengherio fu quello che della scul-» tura dilettandosi, ad istanza di Balduino intagliò le lettere sopra 1’al- ti) Tortosa. (2) Giaffa. G Io»*. Ligustico. .Imo Xi'Il. 3o6 GIORNALE LIGUSTICO » tare del Ss. Sepolcro, Praepotens Genuensium Praesidium, a’ quali fratelli » fu poi donata l’arma di una testa di Cesare armata, esposta all’onde » del mare, che poi col tempo fu in cigno cangiata, in campo azurro » con i gigli sopra, come usano di presente ». Anche il canon. Anton F. Ghiselli, morto nel 1730, e che compose una cronaca di moltissimi volumi, spogliando tutte le altre bolognesi che potè avere alle mani, narra nel vol. I, a p. 218, sotto il 1119, copiando ad literam quasi tutte le parole del Ghirardacci: « Renghiero e Roberto Rin-» ghieri si ritrovavano all’impresa di Terra Santa, e Renghiero dilettan- 0 dosi di scoltura, ad istanza di Balduino intagliò le lettere sopra l’altare » del santissimo Sepolcro eli'è di marmo, cioè — Prepotens Genuensium » Présidium — a quali fratelli fu poi donato l’arma d’una testa di Cesare » armato esposta all’onda del mare, che poi col tempo fu in cesano overo cigno cangiata ». Anche il nostro bolognese Pellegrino Orlandi, nell'Abcceilario Pittorico (Venezia. G. B. Pasquali, 1755, pag. 444) ricorda le cose narrate dal Ghirardacci, citandone il volume e la pagina. Invece il Momeiani Caprara, morto sul principio di questo secolo, nelle sue Genealogie di famiglie bolognesi (ms. nella Bibl. Universitaria, fam. Ringhicri), ripete le solite cose, citando esattamente gli Annali, già indicati, del Negri. Queste unicamente le fonti di storie e di cronache e di genealogie. Ma non mancai di far spogliare anche gli Indici dei documenti dcU’Arcbivio di Stato, però senza alcun frutto. Ritengo quindi che il Ghirardacci abbia dato la notizia per un falso sentimento di gloria cittadina, inventandola, a meno che — dato il silenzio delle fonti bolognesi anteriori a lui — non la avesse desunta da fonte non bolognese che non conosciamo. È però assai grave la irreperibilità di notizie dei due fratelli Roberto e Renghiero, che si presumevano di una famiglia nobile ed abbastanza illustre come fu la Renghieri. Carlo Malagola. Atto di Consegna del Sacro Catino. In altra delle annotazioni al citato libro di Caflaro (pp. 117), io ho pur fatta parola del Sacro Calino toccato ai Genovesi come loro parte nel bottino di Cesarea Γ anno noi, e da essi stimato di smeraldo, fino a tanto che trasferito nel 1812 in Parigi e rotto in più pezzi, venne, mediante analisi, ricono- GIORNALE LIGUSTICO 307 sciuto di semplice vetro colorato. Ma per la storia del singoiar monumento, di cui, probabilmente pel primo, diede un disegno il P. Gaetano di S. Teresa, in virtù di permesso concedutogliene dal Senato nel giugno 1726 (1), non sarà discaro 1’ aver sotto gli occhi il verbale della consegna che ne fu fatta in nome del Re di Sardegna alla Potestà ecclesiastica di Genova il 14 giugno del 1816, quando il pregevole oggetto venne restituito dalla Francia. Contiene il detto verbale alcune particolarità curiose, e supplisce al silenzio che intorno a questa restituzione serbò allora la Gaietta di Genova, benché due giorni avanti avesse descritte le feste celebrate dai parrocchiani di S. Stefano, pel ricupero dell’ insigne quadro di Giulio Romano (2). L. T. Belgrano. Sia noto a chi fia d’ uopo che Sua Maestà Vittorio Emanuele Re di Sardegna , nostro clementissimo Sovrano, dopo di avere fin dalla metà dello scorso Aprile, fatto trasportare, e consegnare alli Stabilimenti Pubblici de’ suoi fedeli ed amati sudditi Genovesi li quadri e bassi rilievi stati asportati nel 1812 dai Commissarij del già Governo Francese, per essere riposti e collocati nei siti medesimi dove esistevano prima del-1’ asportazione anzidetta, nella certezza ora di far cosa maggiormente grata a questi suoi nuovi sudditi, gloriosi di coltivare e conservare la Santa Religione Cattolica avuta in retaggio dagl’ insigni loro Progenitori, abbia lo stesso piissimo Reale Sovrano determinato di fare restituire agli abitanti di Genova il Sacro Catino (testé ricuperato, e trasmesso dal Sig.r Avvocato Lodovico Costa, Dottore Coleggiato della Facoltà d’ ambe le leggi nella Regia Università di Torino, applicato ai Regj Archivi) di Corte, e commissario di S. M. in Parigi pel ritiramento degli Archivj , (1) Cfr. Gaetano da S. Teresa, II Catino di smeraldo orientale ecc., Genova, 1726. (2) Cfr. Galletta di Genova, 12 giugno ibi6,n. 47. L’atto è trascritto dall’originale che si conserva nell’Archivio di Stato, fra le note delle carte trasportate a Parigi ecc.; e me ne favori copia egregio sovrintendente comm. Desimoni. f j08 GIORNALE LIGUSTICO libri e capi d’arte spettanti ai Regj Dominj da restituirsi dalla Reai Corte di Francia) che come preziosa reliquia custodivasi religiosamente dal passato Governo di questo Ducato, affinchè venisse rimesso nel Deposito nel quale in addietro si conservava gelosamente, ed abbia perciò stimato di specialmente incaricare ad un tal fine il Sig.r Stefano Lago-marsino, applicato ai preriferiti Reali Archivj di Corte (il quale durante l’esercizio d’impieghi conferitili nel passato Governo Genovese fu a portata di vedere più volte da vicino e distintamente la preacennata Sacra Reliquia, ed è per tal guisa in grado di ravvisarne, ed attestarne l’identità), acciò accompagnasse e custodisse dalla città di Torino alla presente di Genova intatta la cassa segnata col n." 153 dell’ultimo convoglio dei 25 dello scaduto aprile, contenente tra gli altri oggetti la suddetta Reliquia, e quindi la consegnasse (attesa l’assenza di Sua Eminenza Rev."* il Sig/ Cardinale Giuseppe Spina, Arcivescovo di Genova, attualmente in Roma per doveri del suo ministero) a Monsig.' Vicario Generale di questa Diocesi, per riporla nel consueto luogo in cui già si conservava, con intervento di Sua Eccellenza il Sig.' Governatore Generale di questo Ducato , incombenzato da S. M. di assistere all' apertura di detta cassa ed alla ricognizione del Sacro Vaso con lettera della Regia Segreteria di "Stato per gli affari interni del giugno corrente sottoscritta dall’ 111.“ 'Sig.’ Conte Borgarelli reggente della medesima. Adempiendo adunque il Sig.' Lagomarsino Regio Comissario in questa parte ai Sovrani comandi sovratenorizzati, previo trasporto, fatto seguire d’ordine di Sua Ecc.* il Sig.' Fungente le veci di Governatore Generale del Ducato, della mentovata cassa 153 in questa Sagristia attigua alla Chiesa Cattedrale dedicata in onore del glorioso martire S. Lorenzo, devenne all’ apertura della medésima cassa fortemente inchiodata, munita tutto all’ intorno di sufficiente paglia insaccata in tela, accerchiata di forti corde aventi nel nodo loro appeso il bollo in piombo della Regia Dogana di Parigi, e trovò esistente nella medesima cassa i seguenti effetti, secondo la nota pervenuta dal Sig.' Dottore Costa, e rimessale in un colle opportune instruzioni da S. Ecc.’ il Sig.' Conte Gio. Francesco Galeani Napione di Cocconato , consigliere di Stato di S. M., membro dell’ Ecc.*" Magistrato della Riforma degli studi nella Regia Università di Torino, revisore de’ libri e delle stampe per la Gran Cancelleria dello Stato, Presidente capo e sopraintendente ai Regi Archivj di Corte, particolarmente incaricato della direzione della commissione apoggiata al predetto Sig.' Avvocato Costa : I.® Tre libri manuscritti e 27 stampati da restituirsi alla Biblioteca GIORNALE LIGUSTICO de’ Sacerdoti della Missione Urbana di S. Carlo in Genova, statine asportati come avanti. 2.° Un libro appartenente alla Biblioteca della sudetta Regia Università, ed un pacco spettante aU’Archivio di Corte, da riportarsi entrambi a Torino, per il che furono messi in disparte. 3.0 E finalmente una cassetta di legno bianco fortemente inchiodata, esattamente ricoperta di tela cerata, e cordelliata strettamente a forma di croce per ogni lato, sopra il coperchio della quale si è osservata scritta la parola Fragile. Fatta schiodare ed aprire questa cassetta, vi si rinvenne dentro un competente, anzi piuttosto abbondante riempimento di carta ritagliata in minuti pezzi, quale alzato à più manipoli lasciò scoprire una teca, o vogliam dire custodia, coperta di pelle detta marocchino in color verde dignitosamente dorata sui profili ossiano estremità , circondata pure di tal carta triturata, alla vista di quale custodia si mise il Sig.r Lagomarsino ad esclamare non i più quella, osservazione confermata, e ripetuta da Domenico Tasso, portinajo della Cattedrale di San Lorenzo dopo 45 anni circa, ivi presente. Si fece quindi dal Sig.' Lagomarsino Γ estrazione dell’ accennata cassetta della riferita custodia, la quale aveva una piccola fascia di carta bianca fissa con suggello di cera lacca nel centro al di sotto, le cui due estremità risvoltavano ad un terzo di larghezza sulla parte superiore, e vi stavano fermate con altrettanti suggelli simili, sui quali videsi l’impronta dello stemma gentilizio del Sig. Avv.° Costa, che si riconobbe intatta da tutti gli astanti, non meno che la custodia stessa, la cassetta e la cassa. Passò poscia il ridetto Regio Commissario, lacerata la fascia, ad aprire coll’appesa chiavetta la teca verde sull’orlo laterale alla di lei serratura, ed elevato il coperchio fisso della medesima , foderato di raso in color celeste imbottito, come tutto il suo intorno, e toltene dal di sopra, particolarmente nella cavità, le cartoline fine triturate, rimirò comparire il Sacro Vaso, non ancora tutto scoperto da queste, circondato da foglietti di carta a diversi suoli, che partivano da sotto il medesimo e si stendevano al di fuori sull’orlo circolare della teca, dopo averli aperti dal centro dell’interno di essa sopra le cartoline, e prononziò É quello, voce ripetuta dal suddetto vecchio portinajo, come altresì da Sig.ri Canonici nella detta Cattedrale, Nicolò Silvani preposto, Tommaso Saporito curato, e Tommaso Negrotti ; e tale Vaso di figura sessangolare aveva fissi ai due manubrj laterali un cordoncino di seta rosiccia con oro, e fiocco simile all’estremità di mezzo fasciato di carta rivoltato in detta cavità. Sio GIORNALE LIGUSTICO Ma quale non fu la dolorosa sorpresa espressa con malinconioso am-mutolimento degli astanti tutti, e perfino accompagnata da lagrime di talun di loro, un solo attimo prima ansanti e rifulgenti nelle pupille, allorquando si vidde inaspettamente infranta in parecchj pezzi la venerata Reliquia dal canto della serratura della teca. Essendosi alla perfine calmate le ben giuste esclamazioni, dettate dal cordoglio sensibiliss;mamente provato per Γ impreveduto caso singolarmente capace di ferire in dispiacevol modo il grande animo dell' amorosissimo Re Vittorio Emanuele, riconoscenti per altro i Genovesi astanti, ed ossequiosi a questo nuovo tratto della sua paterna bontà, si addivenne dall’ Ill.m° e Rev."° Sig.' Vicario Generale di questa Diocesi, canonico Giuseppe Giustiniani, a chiudere nella ridetta teca il Sacro Vaso, e, ricevutala dal Regio Commissario, a portarla divoiamente nel ripostiglio, ossia scurolo solito a conservarla, scavato e praticato nel maschio principale del muro costrutto tra la Chiesa e la Sagristia di straordinario spessore, avente all’ ingresso due porte fasciate di ferro con tre chiavi per ogniuna, poi un rastello di grosse bacchette pure in ferro con due serrature, ed inoltre tutto all’ intorno, e persino al volto, inferriate forti e grosse anche di ferro, nel quale scurolo è situata una larga cassa di terrò fuso dello spessore a tutti i suoi lati di più d’un oncia ; avendo il prefato Sig.r \ icario Generale riposto nel descritto cassone la pervenuta reliquia dentro la custodia sopra denominata, poscia chiuso il coperchio del medesimo cassone, quindi il rastello e le due porte fasciate di ferro per mezzo delle loro serrature in numero di sei, or aJatte all'uso, le chiavi delle quali furono ritirate, affine di custodirle in avvenire nel modo seguente, cioè due di esse presso Sua Eccellenza il Sig.· Governatore Generale , due presso l’III."· e Rev.·· Sig.· Vicario Generale a nome di Sua Eminenza il Sig.' Cardinale Arcivescovo, e le due rimanenti presso 1 111.“° Sig. Marchese Paulo Girolamo Pallavicino, Sindico della presente Città, come rappresentante il corpo dei Decurioni della medesima, stato espressamente invitato da Sua Eccellenza. Fa.to il presente atto questa sera dei quattordici giugno, I' anno del Signore mille ottocento sedici, nella Sacristia della Chiesa Cattedrale di S. Lorenzo della città di Genova, al cospetto di Sua Eccellenza il Sig.' Barone Don Giorgio Andrea Des Genejis, Cavaliere gran croce dell' Ordine militare de’ Santi Maurizio e Lazzaro, Generale nelle Regie Truppe, Capo squadra della Reale Marina, fungente le veci di Governatore Generale del Ducato di Genova per S. M., ed in presenza di Sua Eccellenza il Sig.' Marchese Don Gio: Carlo Brignole .Ministro di Slato di S. M., Cava- GIORNALE LIGUSTICO 3*1 liere gran croce del prefato Ordine, Capo del Magistrato della Riforma degli Studj nelle Regie Università di Torino, e di Genova , e dell’ 111.“° Sig.r Conte e Cavaliere Don Alfonso Castellani Tettoni Intendente Generale per S. M. in questo Ducato di Genova , essendovi pure presenti (oltre i nominati nel corpo dell’ atto) gl’ 111."1 Sig.” Carlo Doria, Filippo Raggio e Marco Lomellino, Decurioni di questa 111.”* Città, e parecchi altri individui delle Famiglie nobili della medesima. Di quale atto se ne formarono cinque originali firmati dalla prefata Sua Ecc.* il Sig.r Barone Des Geneis, dal Sig.r Canonico Giustiniani Vicario Generale, dal Sig. Sindaco Pallavicini e dal Sig.r Lagomarsino , uno dei quali originali da rassegnarsi a S. M., altro da ritenersi presso il Governo Generale del Ducato , un terzo nell’ Archivio arcivescovile , altro nell’ Archivio di questa 111."' Città di Genova , ed il quinto finalmente nell’ Archivio del R.”° Capitolo della Cattedrale di S. Lorenzo. A. Des Geneys. G. C. Giustiniani Vic.° G.u March.' Palla vicini. Stefano Lagomarsino. Gius.' Castagnola Cane.' Arciv.1' Epistola di A. Astesano a Carlo VII, re di Francia, di congratulazione per l’ acquisto di Genova. Nell’ occuparmi del poeta e cronista Antonio Astesano, mi occorse più di una volta di ricorrere al quanto dotto altrettanto gentile signor Magnien, bibliotecario, conservatore del medagliere e delle antichità della città di Grenoble. E quando, in ultimo, lo richiesi di alcune informazioni suil’epistola del-PAstesano a Carlo VII, per l’acquisto di Genova, componimento, che manca nelle copie del manoscritto di Grenoble esistenti a Torino, egli volle avere la generosa cortesia di farmene, di sua mano, una copia. L epistola dell umanista d’Asti non ha, letterariamente, miglior pregio delle altre sue opere, ma come documento storico può essere di qualche valore. Mi parve perciò che potesse stare con le altre epistole 312 GIORNALE LIGUSTICO di lui, ad illustri personaggi genovesi, da me pubblicate nel Giornale Ligustico. Il merito però, di farla conoscere ai cultori della nostra storia, spetta intiero al chiarissimo signor Magnien: io sono solamente lieto di potergli attestare pubblicamente i sensi dell’animo grato per la squisita cortesia di cui egli mi fu largo. P. Vavra. Ad serenissimum et christianissimum Francorum regem Karolum septimum Antonii Astesani, civis asternis, fait statis sue secretarii, Epistola de acquisitione Genue congratulatoria incipit. Non possem paucis, Rex invictissime, verbis: Nec possem minus commemorare meis : Quanta meum nuper subierunt gaudia pectus. Dum Maiestatis Genua (acta tue est. Venit ad optatura clarissima Genua Regem, Quod nutu summi credo fuisse Dei. Nam licet hac in re fuerint contraria longo Tempore, et inceptis multa inimica tuis, Res est facta tamen divino numine tandem, Et navis portum contigit ista suum. Invitis multis prohibere volentibus istud, Cura quibus publice non erat ulla rei. Qui licet hac essent cives ex urbe potentes, Sed mandarat eos livor in exilium. Non tamen optabant, veluti suadebat honestas, Et decus et patrie commoda ferre sue, Sed solum quod fert sua depravata voluntas. Quo suus urget eos impetus ire volunt, Et quod deterius quam tanta potentia rerum, Quum tantus populi non lavor esset eis Lt sua ad optatum possent perducere finem Vota: et concives suppeditare suos, Protinus auxilium petierunt atque favorem Armatasque rates Regis Aragonii, Sperantes eius sesc mediante favore Atque armis, cepium rumpere poMe tuum. GIORNALE LIGUSTICO 313 Quod sibi promisit Rex is, non motus amore Ipsorum, quorum parvula cura sibi est: Sed prohibere volens, ne transferretur in istas Genua terra potens classe virisque manus, Neve augeretur tantum alta potentia gentis Gallorum, ut statui posset obesse suo. Non ignorat enim quod Regis iura Renati Regnum Parthonopes Scicilieque tenet, Quod consanguineus, quodque est Rex ipse Renatus Affinis magno iunctus amore tibi. Idcirco metuit, ne si tibi Genua subsit Classe hostis vires augeat illa sui. Precipue si sit Genuensi rector in urbe Pro te Dux Calabrum, sensit ut ille fore Quocirca auxilium belli promisit eisdem Exulibus classis ductor Aragonie. At Deus assuetus iustas defendere partes, Nec non inceptis semper obesse malis , Providit quod ei publicum fuit utile visum. Quod petiit populi portio maior eum, Nam cum Dux Calabrum generatus Rege Renato, Cui per tc fuerat tradita cura rei. Et non immerito, quum sit cautissimus heros, Magnanimus, lingua magnus et ingenio, Cuncta in Massilie portu opportuna parasset, Et staret iussu classis itura suo, Solum expectabat zephiros ad vela secundos Mitti per summi numina sancta Dei. Parte tuis alia cupiens obsistere ceptis: Inque alia Genuam ponere posse manus. Gens inimica tibi pariter iam classe parata In portu hostili tempus in illud erat: Expectans Euros velis spirare secundos, Ut Genuam celeri posset adire rate. Rumor erat quodque prior illam classis ad urbem Tenderet, et Cereris munera ferret eo, Imperium tante leviter supponeret urbis Cogeret et cives subdere colla iugo: Quum tunc frumenti tanta illic esset egestas. 3H GIORNALE LIGUSTICO Ut referant multos interiisse fame. Nullum autem fallit quod ad omnia cogit egestas, Et nullam legem fertur habere fames. Tum clare patuit cui numina sancta faverent, Cuius causa foret iustior et melior. Expectatus enim zephirus prior extulit alas, Impulit et Calabri vela parata ducis. Impulit hec adeo ut quamvis intrare Sagone Portum predictus constituisset herus, Hunc intrare tamen vento prohibente nequiret, Sed versus Genuam vi celaret iter. Massilia Genuam paucis advecta diebus Intravit portum classis amica suum. Dein, quum nona dies maii iam mensis adesset, Ac sol occiduis proximus esset aquis, Iocundo vultu leta quoque mente recepit Illustrem Calabrum Genua clara Ducem, Huicque tuo raptum sub nomine contulit urbem, Et Maiestati, Rex animose, tue. Ipseque Fregosa, Petrinus stirpe creatus, Qui Dux urbis erat, fortia castra tenens, Omne Duci Calabrum castellum tradidit ultro, Sic Maiestati sunt data cuncta tue. Nec mora. per cunctos cerealia munera cives, Dux Calabrum spargens pellit ab urbe famem : Namque suis multum frumenti providus heros Atque futura videns, navibus attulerat. Dicitur a populo celorum gratia Regi Ac Maiestati, Rex generose, tue. Atque Duci Calabrum: qui sustinuisse labores Fertur : ut in portum tenderet ista ratis. Quorum opera est depulsa fames a paupere plebe, Que cogebatur morte perire gravi. Ipse quoque ingentes nequeo non dicere grates Celorum Regi, celicolisque suis. Ad quos iampridem multas e pectore voces, Ut tibi pareret Genua sepe dedi. Quod novisse satis potuisti ex versibus illis, Quos alias misi, Rex animose, tibi. GIORNALE LIGUSTICO Et suin numinibus tandem exauditus ab ipsis: Cum subiecta tibi Genua pulchra fuit. Post vero paucis quam sunt hec acta diebus, Quum restaurata Genua tota foret, Villamarinus init pelagi genuensis in undas Ductor Aragonie classis et arma movet; Cum quo proscripti sunt cives bella iuvantes: De quibus est nuper mentio facta michi; Arma movet sperans Genuensem subdere gentem. Sed spe falletur, sicut opinor, ea. Dum collecta seges it tardus messor ad agrum. Uvis collectis grando nocere nequit. \illamarine, tuas redeas exhortor ad oras, Et classi queras altera lucra tue. Nam licet egregius classis sis ductor et audax, Feceris et forti grandia facta manu: Hic tamen, ut video, mandabis semen harene, Et perdes operam littus arando tuam. Crede michi, quanto fiet mora longior abs te Hic tanto maius dedecus inde feres. Dum potes hinc salvo cedas exhortor honore, Et repetas patriam, Villamarine, tuam. Quandoquidem cernis que in hac re rector Olympi Gallorum Regem sustinet atque suos. At vos exilium, qui vestra sponte subistis, Cives, Fregosa predominante domo, Nunc, postquam iusto subiecta est Genua Regi Francorum, vestras quisque redite domos. Quisque potest tali sub principe vivere tutus, Vivere quisque sua tutus in urbe potest. Hic Rex non partem sed cives diligit omnes; Est carus Regi quisque fidelis ei. Quicquid preterito fecistis tempore parcit, Venturo fidi tempore sitis ei. His missis ad te vertam, Rex inclite, verba. Ut Maiestati gratuler ipse tue. Gratulor ergo tibi: michi gaudeo, maxime princeps, Quod subsit sceptro Genua clara tuo, Quod tua per Latias extendere lilia terras 316 GIOROALE LIGUSTICO Incipiant flores ramiculosque suos. Quos precor hic tanta radice aliquando teneri, Quantam habuit magnus Karolus ille tuus. Qui quamvis Rome foret induperator (sic), eodem Iuditio tamen es non minor ipse meo. Nec minus insigni tollendus laude videris, Si tua gesta mea mente voluto. Vale: Atque inter curas interque negocia factis Plurima, versiculis supplico parce meis. Quos etsi variis distringerer undique curis, Me mandare tamen compulit acer amor Quo sum iampridem tibi summe affectus et erga Felix Imperium, Rex animose, tuum. Ex urbe Astensi die xxuj Maij. Anno Christi Millesimo quadringentesimo quinquagesimo octavo. STUDENTI E MALE FEMMINE IN TORINO NEL SECOLO XV. Il signor Giulio Rezasco, in quel suo egregio studio intorno al Segno delle meretrici inserito nel Giornale Ligustico, anno XVII, fase. V-VI, ricorda (p. 177) come Amedeo VIII Duca di Savoia decretasse « che le femmine traviate si caricassero di un altissima cuffia 0 altra sfoggiata copertura di testa, armata di due corna lunghe mezzo piede », ma non dà altre notizie intorno alle male femmine in Piemonte, alla loro condizione, ai casi loro. Ricerche fatte nell’Archivio Comunale di Torino mi permettono di supplire a quella lacuna per ciò che riguarda appunto Torino nei secolo xv ; spero più tardi poter aggiungere qualche cos’altro pel Cinquecento ed oltre (1). (1) Per non moltiplicare le citazioni, avverto una volta per tutte che le notizie qui raccolte sono interamente desunte dalla categoria Ordinati di detto archivio. GIORNALE LIGUSTICO 3Ï7 I. Non a caso nel titolo di questa nota sono accoppiati studenti e male femmine. Nel 1412 Lodovico di Savoia, principe di Acaia e di Piemonte, si proponeva di dar nuova vita allo Studio torinese, e s’iniziavano quindi le trattative tra il Signore e il Comune, per disporre acconciamente ogni cosa. Addi 8 maggio per Γ appunto il Consiglio, riunito con tutte le consuete solennità, affidava, tra le altre cose, ai chiavari di cercare una casa atta ad postribullum, e ciò precisamente ad causam studentium. E difatto le questioni delle case per gli studenti e per le male femmine procedono di conserva per tutto il Quattrocento, e sono una delle preoccupazioni costanti e capitali degli onorevoli consiglieri della città di Torino. Il 17 aprile erano eletti Sapienti a tassare la pigione delle case degli studenti e a ritrovarne una per le donne pubbliche; il 29 maggio 1416 si provvedeva di nuovo a cercare abitazioni per coloro che venivano di fuori a frequentar ΓUniversità torinese ; Γ 8 agosto dello stesso anno si ripensava alla casa del postribolo; altre delibeiazioni nel primo senso si pigliavano il 14 agosto 1416 , il 13 aprile 1417 , il 29 agosto 1425, il 13 ottobre 1436, ecc.; nel secondo il 16 aprile 1420, il 4 novembre 1422, il 29 giugno e il 27 luglio 1430, ecc. Curiosa sopratutto la seduta del 31 agosto 1446, in cui si discuteva e provvedeva ad un tempo riguardo allo stipendio dei professori dello Studio e alla casa del lupanaie. Pare che il ritrovare un luogo adatto per questo fine fosse molto difficile, tantoché Γ 8 marzo 1423 il Comune venne in deliberazione di comperar case per stabilirvi il bordellum; e, perchè dalle male femmine agli ebrei si faceva allora poca differenza , si pensò anche a quelli, e il 24 settembre 1425 dispose di cercare un altro luogo dov essi fossero tenuti ad 3i8 GIORNALE LIGUSTICO abitar insieme : la ragione od il pretesto era che così si potrebbero meglio sorvegliare affinchè non prestassero a mutuo con usure illegittime. Ma perchè lo Studio dal 1421 era di fatto passato da Torino a Chieri, nonostante il continua richiamarsi dei Torinesi al Duca Amedeo Vili, molto probabilmente la decisione dell’ 8 marzo 1423 non ebbe seguito. Tanto è vero che da ordinati posteriori si scorge che dopo nuove ricerche di una casa da affittare, nel 1431 si doveva far costrune di pianta. Il i.° settembre di quell’anno il Consiglio comunale eleggeva Sapienti affinchè provvedessero al compimento del postribolo e stabilissero ordinamenti sulle meretiici. Anche stavolta però le deliberazioni furono meglio prese che eseguite : nel settembre del 1437 il bordellum minacciava rovina e bisognava farlo riparare. Nè siffatta riparazione era senza rapporto con gli studenti : allora appunto lo Studio era restituito da Savigliano a Torino, non senza che i cittadini, i quali avevano voluta la restaurazione dell’ Università con istanze reiterate, dovessero presto dolersi delle medesime e subirne le dolorose conseguenze. Imperocché se già precedentemente gli studenti avevano fatto più volte tumulti, accompagnando le domande loro intorno alle case, alla pigione, alla campana, colle consuete grida e violenze tantoché dopo avere nel settembre del 1416 eletti Sapienti per accontentarli, bisognava poi qualche mese dopo, il 27 agosto 'I417 , vietar loro anzitutto di passare oltre il ponte di Po e quindi prendere più gravi provvedimenti. Ora le risse e gli scandali notturni crescevano tanto da costringere il Comune torinese ad ordinare, il 12 dicembre I44^> una guardia di venticinque uomini per ogni quartiere a fine d’impedire quei disordini. GIORNALE LIGUSTICO 319 II. Il postribulum era allora affittato od appaltato che dir si voglia ad un certo Antonio, cognominato variamente in diversi ordinati Valter, Valle, Della Valle. Il 20 giugno 1447 il Comune rinnovava la convenzione con lui, e qualche anno più tardi, nel maggio del 1463, erano a richiesta del medesimo fatte nuove riparazioni. Ma le meretrici non erano sempre, nè tutte, rinchiuse nella casa infame : prima del 1456 giravano liberamente per la città , facendosi vedere nei pubblici ritrovi, commettendo scandali notturni con gli studenti e sopratutto passeggiando fuori di Porta Susina, come le oneste matrone. Soltanto allora cominciarono per esse le durezze anche in Torino e le dovettero pure ad un frate. Frate Giacomo, dell’ ordine degli Agostiniani, era in odore d’uomo santissimo, efficace, anzi violento predicatore contro le vanità e la corruzione mondana. Fu per opera di lui, che il 19 luglio di quell’anno 1456 fu divietato alle donne pubbliche il passeggio fuor di Porta Susina 0 in altri onesti ritrovi, come pure in seguito a prediche del dabben’ uomo si ordinava consulto intorno alle vestimenta muliebri nella seduta del 13 marzo 1458, e si emanavano quindi provvedimenti contro i bestemmiatori e le meretrici in quella del 28 successivo. Erano imposte ai primi pene assai gravi, ingiunto alle altre di dimorare nel postribolo e, a’ 10 di aprile, di portar anche sulla manica una stringa o fascia gialla. Persino riguardo al vitto le disgraziate erano messe fuori della legge comune : solamente cinque anni dopo, il 14 febbraio 1463, si permetteva all’ appaltatore del lupanare di comperare sul mercato pubblico le cose necessarie alle abitatrici del luogo infame. Nel giugno 1469 accadde un incendio nel postribolo : il 320 GIORNALE LIGUSTICO *· Comune procedette contro P appaltatore e quindi Γ affittò ad un altro. Ma, profittando probabilmente della circostanza che il luogo era diventato temporariamente inabitabile, le meretrici tornarono ad uscirne liberamente e si sparsero anzi per tutta la città, dove nel 1464 studenti, chierici e frati — ben diversi dall’ agostiniano Giacomo — avevano commessi tali eccessi da richiedere di nuovo una guardia di cinquanta uomini per tenerli in dovere. Contro le donne pubbliche si presero allora parecchie volte provvedimenti, sia riguardo al segno, sia riguardo alla dimora nel postribolo, com’ era prescritto : si hanno atti del 2 dicembre 1468, 7 gennaio 1469, 29 gennaio e 26 aprile 1471. Ma se le meretrici si addatta-vano senza gravi difficoltà e riluttanza al segno, mal si piegavano alla schiavitù del lupanare ; epperò si ricorreva ad una via indiretta per costringerle, vietando il 20 settembre 1480 di affittar loro camere. Ma che i provvedimenti presi fossero inefficaci sempre, lo prova il vederli continuamente rinnovati: 28 marzo 1482, 9 aprile 1483 (anche contro i bestemmiatori), 13 febbraio 1489 e ancora 3 giugno 1499, alla fine di quel secolo xv a cui si sono per ora ristrette le mie ricerche. Ferdinando Gabotto. SPIGOLATURE E NOTIZIE Nel fascicolo dell Arcadici, dell’aprile p. p., il prof. Vincenzo Prinzi-valli, a proposito dei Viaggiatori italiani nell’ Asia, discorre di Andalò Di Negro e di altri genovesi. * * * La. Miscellanea Francescana (voi. v. fase. 1, pp. 4) pubblica una comunicazione del can. Andrea Vernarecci riguardante S. Leonardo da Porto Maurilio a Fossombrone, ed una sua lettera inedita (da Bologna, 8 luglio ^747)) a Candida Gioacchini monaca in S. Agata di Fossombrone. + * * Nel Cosmos diGuido Cora , il contrammiraglio G. B. Magnaghi pub-blica la Batometria del Mare Ligure e Canale di Corsica (con tavole). Pasquale Fazio Responsabile. giornale ligustico 321 L’ULTIMO VENTENNIO della vita di MANUELE CRISOLORA (1396-1415) Sul Ciisolora furono in questi ultimi anni pubblicati documenti nuovi e nuovi studi. Fra i documenti va ricordato anzitutto il volume VII dei Documenti di storia italiana (1) e 1 epistolario di Pier Paolo Vergerlo (2). Fra gli studi nomino un mio articolo nel Giornale storico della letteratura italiana (3), dove io ho pubblicato una lettera latina inedita del Crisolora e mi sono giovato dell’epistolario del Vergerlo, che non era ancora stampato, traendolo dal cod. 1203 del Museo di Padova. Biografie del Crisolora hanno scritto il Legrand (4) e il Klette (5). Con questi nuovi sussidi e con altro materiale inedito, che io ho nel frattempo raccolto, cercherò ora di fissare meglio che si possa la cronologia degli ultimi anni del Crisolora, in modo da non lasciare nessun grave dubbio almeno sui punti capitali di essa. E comincio dalla prima venuta del Crisolora in occidente. Qui le testimonianze dei più antichi scrittori sono molto discordi. Non parlo di Pontico Virunio, uomo che non aveva il minimo senso della cronologia, il quale fa venire il Cri- (1) Firenze 1881.1 Documenti furono raccolti e pubblicati dal Gherardi. (2) Epistole di Pier Paolo Vergerio, Venezia, 1887. (3) Notizie sulla vita e gli scritti di alcuni umanisti, V, p. 148-156. (4) Em. Legrand, Bibliographie hellénique, Paris, 1885, I, p. XIX segg. (5) Th. Klette, Beitràge \ur Geschichte und Litteratur der italienischen Gelehrtenrenaissance, I, Greifswald, 1888, p. 47-54. Giorn. Ligustico. Anno XVII. li 322 GIORNALE LIGUSTICO solora in Italia dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, quando il Crisolora era morto da 38 anni. Una certa apparenza di veracità ha il racconto del Giovio, il quale pone la venuta del Crisolora verso il tempo che Tamerlano fece prigioniero Baiazeth (1); ma il Giorgi (2) dimostra che questo avvenimento, al quale allude il Giovio, è del 1402, quando il Crisolora stava in Italia da parecchi anni. Raffaele di Volterra scrive che il Crisolora venne in Italia al tempo di papa Bonifacio IX: Chrysoloras . . . sub Bonifacio IX in Italiam venerat (3). La notizia è vera, perchè Bonifazio IX fu papa dal 1389 al 1404 ed in questo intervallo cade appunto la venuta del Crisolora. Ma il male è che questa notizia fu capricciosamente alterata e abbellita dal Lambecio, il quale, citando il Volterrano, scrive : Romae principio pontificatus Bo-nifacii IX substitit (Chrysoloras) (4). Come si vede, la venuta del Crisolora in Italia è trasformata in una venuta a Roma e a sub Bonifacio IX è sostituito principio pontificatus Boni-facii IX. Il Lambecio da nuovi documenti, eh’ egli avea trovati, sapeva di una dimora del Crisolora a Roma e la fissò senz altro sotto Bonifazio IX. Non è a dire quale confusione abbia portato nella biografia del Crisolora questa testimonianza del Lambecio, accettata anche dai moderni, come il Legrand (5), il Klette (6). La migliore testimonianza rimane ancora quella del Bruni, il quale scrive (7): obsessa a Turcis patria Venetias (1) P. Iovius, Elogia, Basileae, 1596, p. 41. (2) Calogerà, Opuscoli, XXV, p. 267-270. (3) Raph. Volaterranus, Commentar, urban., Basileae, 153°» f. 245. (4) Lambecius, Biblioth. Caes. Vindobon., VI, p. 276. (5) Op. c., p. XXIV. (6) Op. c,, p. 53. (7) Citato p. e. da Humf. Hodius De Graecis illustribus, Londini, i742> P· 17· Combina perfettamente col Bruni la notizia del Manetti, citato dal GIORNALE LIGUSTICO 323 mari delatum (Chrysoloram), mox audita eius fama invitatum fuisse salario publico Florentiam. E il Bruni, alunno del Cri-solora, poteva essere sul conto di lui meglio informato di qualunque altro. Egli dice dunque che il Crisolora venne a Venezia nell occasione di un assedio posto dai Turchi a Costantinopoli e che da Venezia fu invitato a insegnare a Firenze. Sicché le prime due tappe del Crisolora in Italia furono Venezia e Firenze: basta ciò solo a sfatare la fiaba del Lambecio, il quale lo fa capitare subito a Roma. Sul numero e sulla data degli assedi di Costantinopoli di quel tempo le notizie sono controverse; a noi basta sapere che sino dal febbraio 1396 il Crisolora stava certamente in Venezia (i), che il 28 marzo di quell’ anno stesso ebbe da Firenze l’invito di insegnar greco nello Studio per un decennio (2), che il dì 11 decembre gli fu rinnovato l’invito, ma per un quinquennio (3), e che egli si presentò a Firenze il 2 febbraio 1397 (4). Lo stipendio era stato fissato in 150 scudi annui, ma nel 1398 gli fu elevato a 250 (5). Non vi finì però il quinquennio, giacché dopo tre interi anni di insegnamento partì da Firenze. Quali le cagioni? Il Bruni e il Filelfo sparsero Klette, p. 47, n. 5. . . . Chrysoloras . . . obsessam a Tureis patriam suam cernens ... se in Italiam primo, deinde in Etruriam conferret .... Cfr. Philelfi Epist., Venetiis, 1502, f. 259 v. (1) Ciò risulta dalla lettera del Salutati a Demetrio Cidonio, del 15 febbraio 1396 (Klette, p. 48, n. 1. F. Novati, Epistolario di Coluccio Salutati, estratto dal Bullettino dell’ Istituto storico italiano, p. 41, n. 300) e non del 20 febbraio 1395, come erroneamente calcolò il Mehus, Vita A. Traversar!, p. 356, seguito dal Voigt Wiederbelebung, I, p. 227, n. 1. (2) Documenti etc., p. 365. (3) Ι[3·, Ρ· 367· (4) Ib., p. 368. (5) Ib., p. 370. GIORNALE LIGUSTICO più tardi la voce che il Crisolora partisse da Firenze per le brighe del Niccoli (i). Qui ci è dell’esagerazione; ma che dissapori tra il Niccoli e il Crisolora ci siano stati, appare incontestabilmente da una lettera del Bruni (2). Scrivendo infatti il Bruni al Niccoli, nella supposizione che il Crisolora passasse, l’anno 1407, da Firenze per recarsi presso la Curia, lo prega di accoglierlo benevolmente : Si (Chrysoloras) per Florentiam iter faciet, censeo illi per te benigne occurrendum, omissis causis indignationis, quae cum leves sint, tum etiam ineptae. Rancori ad ogni modo di poco conto, nè tali da costringere il Crisolora ad abbandonare Firenze. Una delle vere cause fu l’epidemia scoppiata in Firenze sin dagli ultimi mesi del 1399. Infatti il 31 ottobre 1399 gli ufficiali dello Studio, considerantes quod de epidemia plurimum dubitatur, concessero al Crisolora facoltà di partire da Firenze; ed egli ne partì il 10 marzo 1400 (3). Un’ altra causa fu che proprio in quel tempo era capitato in Italia l’imperatore di Costantinopoli Manuele Paleologo, al cui seguito si uni il Crisolora. Qui è il luogo di recar due lettere del Vergerlo: I. Non antea constitit mihi restitisse te in Italia, quam huc accederet vir probe eruditus Lucas Cretensis, a quo primum id accepi, nam certus antea mihi videbar ex iis quae a compluribus audissem abiisse te trans Alpes, dum romanum imperatorem, qui te evocarat, in Gallias sequereris. Ex illo autem cognovi, quod ita ab amicis tuis qui sunt Venetiis audierat, substitisse te Ticini, ubi praecipuum locum et honoris et è'ommodorum (1) Voigt, op. c., I, p. 229, n. 3. Wotke, Beitrdge \u Leonardo Bruni in Wiener Studien, XI, 1889, p. 296. (2) Cod. della bibliot. Comunale di Palermo, 4 Q. q A 8 f. 179'· (3) Documenti etc., p. 372-373. GIORNALE LIGUSTICO nactus esses. Quae res magnae profecto mihi voluptati cum tua causa, cui omnia cupio, tum et mea fuit; dum enim permaneas in Italia spero me vel absentem posse per te proficere in graeca oratione. Nam ego quod in me est nullam intermitto diem quin aliquid de graecis legam. Sed illud utique et praevidi et tibi, si meministi, cum esses abiturus praedixi (i), certum habere me si illuc isses splendidum locum, ea est illius principis (2) φιλοτιμία, esse tibi paratum. Quod ita evenisse gaudeo, nam et honorem plurimum et σύνταξιν non exiguam habere te audio. Quae tamen omnii si ad meritum tuum comparentur exilia sunt nulliusque momenti. Sed hoc satis. Pallas est Bononiae (3), ut nuper huc veniens accepi. De ceteris autem graecae scholae consortibus nihil hactenus comperi. Ego ubique tuus sum, cui plurimum debere me sentio, tum ob doctrinam insignem benivolen-tiamque tuam in me, tum maxime ratione summae integritatis amplis-simaeque eruditionis tuae (4). II. Scripturus ad te fueram per magistrum Lucam de Candia, quo referente primum mihi compertum est resedisse vos Ticini apud illum illustr. principem, qui probos viros et honoribus exornare et cumulare praemiis non minus vellet quam posset. Sed accidit ut cum ille huc accessit ego abitum pararem. Nam invalescente hic acrius peste, quo illam declinarem, ut superioribus anni$ egeram, in Istriam patriam meam me contuli, ubi sex integris mensibus perstiti: moleste sane, quia omni consortio doctorum hominum carebam, ut est ibi talium summa penuria, sed me uti poteram libris et litteris consolabar et maxime graecis, quibus plurimum et studii et temporis impendi. Itaque multa ex Plutarcho, quaedam etiam ex Thucydide, qui nescio an ornatior sed certe gravior historiae auctor mihi visus est, Gorgiam (5) bis ex integro evolvi, in quo audeo illud dicere, praeterisse me pauca quae non intelligerem. Odysseae Homeri bonam (1) Qui si allude ai primi mesi del 1400, quando stavano per partire ambidue da Firenze. (2) Gian Galeazzo Visconti. (3) Molti fiorentini si rifugiarono a Bologna nella peste del 1400. Muratori, Rer. Ital. Script., XIX, p. 921. (4) Epistole di P. P. Vergerlo, n. LXXXIII. Il n. CXVI è la prima bozza della lettera. Le due lettere sono anepigrafe, ma è evidente che sono indirizzate al Crisolora. Non so che dire su quel Luca Cretese o di Candia. (5) Il ■< Gorgia » di Platone. 326 GIORNALE LIGUSTICO magnam que partem legi adiutus interpretatione Leontii, quam mecum detuleram. Miraris forsitan unde hos libros coegerim ; dicam sane. Pneter Odysseam, quam a Pailante, et Gorgiam, quem a Iacobo (1), cetera a Petro Miani (2) veneto habui. Neque enim est animus mihi id graeca-rum litterarum, quod gravi labore et multa sollicitudine didici, negli-genter habere. Quod ut intelligas, mitto ad te poetica quaedam et item alia ex Platone, quorum interpretationem mihi velim edisseras. Sum hic octo ferme diebus et veni mansurus, tametsi non sit civitas haec prorsus a peste libera. Cum scivero qua via possim ad vos perscribere, crebro a me litteras habebitis. Vale et Emanueli viro doctissimo (s. p. d.) (3). L’anno delle due lettere è il 1400. Il Vergerlo era stato alla scuola del Crisolora a Firenze negli anni 1398-1399; si erano lasciati nel marzo 1400, fuggendo di là per salvarsi dalla peste: il Crisolora riparò a Pavia, il Vergerio a Padova. La presenza del Vergerio in Padova è accertata negli ultimi di aprile 1400 (4). Ma anche là scoppiò la pestilenza ed egli si rifugiò in Capodistria, sua città natale, dove stette sei mesi. Era di ritorno a Padova sicuramente nella prima metà di decembre del 1400 (5). La seconda lettera è posteriore di più che sei mesi : la prima va collocata approssimativamente nel maggio del 1400, la seconda nel decembre. Il Crisolora dunque si accompagnò con Γ imperatore di (1) Giacomo di Angelo della Scarperia, alunno del Crisolora. (2) Pietro Miani (Emiliani) conosceva il Vergerio fino dal 1391 ; probabilmente studiarono insieme a Padova. Questo patrizio veneto era in rapporto con la società fiorentina e col Bruni, e possedeva molti codici greci. Fu nella Curia sotto Gregorio XII, il papa veneziano, presso il quale ebbe agio di conoscere i letterati del circolo pontificio. Se ne allontanò nel t407, quando o r'o XII cominciò a tentennare nella faccenda dell’accordo con Benedetto XIII, e si ritirò a Venezia. Poco dopo fu nominato vescovo di Vicenza. (3) Epistole di P. P. Vergerio, n. CXXXIV. La lettera è indirizzata ad uno del seguito del Crisolora, probabilmente a Demetrio Cidonio. Come si vede i progressi del Vergerio nel greco sono abbastanza rilevanti, in poco più d’ un anno che frequentò la scuola del Crisolora. (4) Ib. n. LXXXI con la data: Paduae pridie kaì. maii 1400. (5) Ib. η. XXXIV con la data: Paduae Vili id. dee. 1400. GIORNALE LIGUSTICO 327 Costantinopoli, il quale giunse a Pavia nel marzo del 1400 (1). Il Crisolora si fermò a Pavia, ma Γ imperatore passò le Alpi e si recò presso alcune corti di Europa, come quella di Inghilterra e quella di Parigi. Era a Cantorbery nel decembre 1401 (2). Fu a Parigi nel 1403; veramente il Crisolora dà il 1404 (3), ma si tratta di un leggero errore di calcolo, perchè l’imperatore tornò in Grecia nel 1403 sulle navi dei Veneziani, come racconta il Sanudo: « [ 1403J In questo mezzo venne a Venezia Manuele imperadore di Costantinopoli, stato lungamente in Francia da quel re, per avere aiuto di danari da poter fare la guerra contro i Turchi, che voleangli togliere l’impero, e fu molto onorato. Gli andò incontro il doge col bucintoro; alloggiò nella casa del marchese di Ferrara e gli furono fatti assai presenti. Era in Costantinopoli vice-imperadore suo nipote Caloianni, il quale stette due anni. Ora i Genovesi gli diedero tre galere da tornare a Costantinopoli. Così i Veneziani determinarono di darne altre tre, capitano Lorenzo Mocenigo, al quale fu commesso che giunto a Costantinopoli nel ritorno andasse a trovare il capitano Zeno e stesse alla sua ubbidienza » (4). Uno scolaro del Crisolora a Pavia tu Uberto Decembri. Pier Candido, figlio di Uberto, allora fanciullino (5), era il trastullo del Crisolora (6); Pier Candido se ne rammentava, come scriveva più tardi al Traversari : Memini me puerulum (1) Corio, Patria historia, Milano, 1503, f. A. IIIIS: [1400] al primo de martio lo imperatore Constantinopolitano venne a Venetia et inde a Pavia dal duca, quale con assai humanicade et honore lo ricevette. (2) Hodius, De Graecis illustribus, p. 14. (3) Nella soscrizione greca che sarà citata più sotto. (4) Muratori, Rer. ital. script., XXII, p. 789. (5) Nacque nel 24 ottobre 1399. (6) Laxamentum curarum mearum, nella lettera del Crisolora citata più sotto. 328 GIORNALE LIGUSTICO adhuc Emanuelem Chrysoloram saepe admiratum esse, cum litteras gì aecas hac in urbe edoceret. Fuit illi cum patre meo summa familiaritas. Tanta itaque illi virtutis aemulatio, bonorum caritas, litterarum studium inerat , ut non hominem videre sed angelum quempiam intueri atque numen existimarem (i). Si sapeva che il Crisolora era a Pavia ancora nel febbraio del 1402 (2), dalla testimonianza di Guarino (3) ora apprendiamo che egli rimase colà fino alla morte di Gian Galeazzo Visconti, la quale avvenne nel settembre del 1402. Da Guarino apprendiamo inoltre che il duca aveva invitato il Crisolora ad insegnare a Milano sin da quando esso stava nenze e che pei allora il Crisolora non potè accettare ma che accettò più tardi, per intercessione di Manuele Paleologo. < partenza del Crisolora da Pavia non seguì però subito P «i moite del duca, ma egli vi si trattenne probabil-ente anche tutta la prima metà dell’anno seguente, 1403. etti nel luglio di quell’anno lo troviamo in viaggio con '1 Γ n°, ^°^°§na a Venezia (4). È naturale pensare che iso ora raggiungesse 1 imperatore a Venezia e di là tornasse con lui a Costantinopoli. 827 \ r RAVERSARI> Epistolae, XXIV, 69; anche nel cod. Riccardiano simn γ^λ t I ^nv^ce ^ at1ue numen si legge saepenumero. Nel mede-fratelln A ’ t é una lettera con la quale Pier Candido manda al AìvùiuC US< 0.ε\’®ρα,τ^α™ Crisolora copiati dal padre Uberto: /· aiUeriUS ^ ^eîert Erotimata graeca. seu inavis latine interrogationes genitoris nostr' V' ^marnaient Chrysoloram et transcriptas marni (2) Voigt, op. cit. I, p. 230) n_ 5_ (3) Cod. Harleian, 2580, f. 80 r. dimostra · °^mano’ 33 E 27, f. 21 r; cod. Harleian, 2580, f. 79r. La trova η Ζ1°η6· 1 qUeSt° PUnt° m‘ Porterebbe tr°PP0 in lungo; essa si net miei studi Guariniani. GIORNALE LIGUSTICO 329 Da Costantinopoli di quando in quando il Crisolora ricomparisce a Venezia come ambasciatore del suo sovrano. Così da Venezia scriveva a Innocenzo VII in data decembre 1404 (1). Era parimente a Venezia in qualità di ambasciatore nel gennaio del 1406 (2). Doveva essere a Costantinopoli quando Giacomo della Scarperia gli annunziava la elezione di papa Gregorio XII (3). Eccoci ora all’ ultima venuta del Crisolora in occidente. Una prima notizia di questa venuta l’abbiamo dal Bruni, il quale così scrive al Niccoli : Manuelem Chrysoloram audivimus Venetiis applicuisse et inde ad summum pontificem esse venturum (legatum) imperatoris Constanlinopolitani pro causa unionis.... XVI Kal. ianuar. Senis (1407) (4). Doveva perciò essere arrivato a Venezia o alla fine di novembre 0 al principio di decembre del 1407. Un’altra lettera del Bruni (5) la fa a Venezia ancora nel gennaio 1408. Di là il Crisolora era aspettato alla Curia, ma egli invece prese altra via. Intanto riportiamo una sua lettera: (1) Agostini, Scrittori vinifiant, II, p. 35. (2) In data 1406, indict. XIV, III ianuar. il Crisolora era fra i testimoni al ricevimento dei procuratori di Padova, che faceano atto di sottomissione della loro città alla Serenissima [R. Predelli]. 1 libri commemoriali della repubblica di Venezia, Venezia, 1883, tomo III, lib. X, 14. (3) Hodius, op. cit., p. 62. Gregorio XII fu eletto il 30 nov. 1406. (4) Cod. della bibliot. Comunale di Palermo 4 Q.q A 8 f. 179e. L’anno che manca nel codice è il 1407, perchè il Bruni era a Siena con la corte pontifìcia; a Siena la corte si trattenne dal settembre 1407 al gennaio 1408 (Raynaldi, Annales eccles., anno 1407, n. 11-14; 18-34). (5) L. Aretini, Epistolae, II, 15. 350 GIORNALE LIGUSTICO Emanuel Chrysoloras Uberto Decembrio sai. (i). Vir optime, frater amantissime. Putabam post liberationem illius impiae detentionis infestam fortunam vobis reconciliatam iam fuisse et hoc praeteritorum molestiam consolabar. Sperabam vos in sanitate corporis et in bonis exterioribus post illam calamitatem nullam amplius passum fuisse molestiam, quin potius praeteritorum angustias sequentium prosperitate relevari; nam hoc et ab aliquibus audiveram, quos de statu vestro saepius sciscitabar. Nunc vero cum per litteras vestras contrarium intellexerim, quae fortunam adversus vos adhuc saevientem enarrarent, valde dolui do-leremque magis, nisi vos scirem haec cum patientia ferentem. Illa enim quae in calamitatibus maxime necessaria sunt, videlicet tolerantiam et cognitionem humanarum rerum et generositatem animi, apud vos maxima semper fuisse scio neque harum rerum auferendarum fortunam dominium habere. Scio etiam pios viros tandem Deum non derelinquere, sed probatos in patientia exaltare. Quibus et me consolor et vos consolatum esse puto. Amicorum etiam praesidia, quos plurimos pietatem vestram et acquisi-visse et habere puto, non spernenda sunt, prout vos dicitis, quamvis hoc munus his temporibus, quae gravissima sunt, et paruiîi vigeat et non personarum potius quam commoditatum et divitiarum videatur. Nam et qui valent praesidia praebere amicis indigentibus non faciunt; et qui forte, si valerent, praebuissent, hoc facere non possunt. Raro enim in quibuscumque rebus bonorum voluntas et potentia conveniunt. Non tamen spernenda sunt praesidia amicorum prout dicitis. Filiorum etiam bona indoles atque eruditio, quibus vos ipsos ornastis, et iam provecta aetas non modica est consolatio. Non enim poterit simul vobis omnibus fortuna adversari, etsi suos mores servaverit, quae hucusque vobis aspera fuit, de cetero levis atque placida et tibi et ipsis erit; quorum pro vita ac eruditione vobis congratulor atque summe gaudeo. Dedistis enim eis quod fortuna auferre non possit ; et ex amissione aliorum ipsi quoque possunt perpendere quale munus, quod fortunae (non) subiacet, a patre habuerunt. Divitias enim seu dominia si dimitteretis eis, non magis ipsis quam illis qui possent ab eis ipsa auferre , aliterque res fragiles relinqueretis; scientiam vero eis dimettendo, si eam conservare velint, rem inviolabilem et quae alia quoque possit acquirere et fortunae molestias placare, eis relinquitis. (i) Questa lettera fu già da rae pubblicata nel Giornale storico della leiter. ital., V, p. 153' GIORNALE LIGUSTICO De transmissione vero nostri Petri Candidi , laxamenti olim curarum mearum, ut dicitis, ad romanam Curiam et de aliis quae ibidem continentur, velim in tali statu esse ut cum certus essem ei bona facere ipse ego ipsum a vobis requirerem. Quid enim iocundius, quam filiis amicorum ipsis quoque bonis prodesse? Vellem etiam Curiam romanam in tali condicione esse, ut ipse sponte non solum de uno, sed de ambobus ad ipsam mittendis seu in praesentia seu in absentia mea vobis consulerem. Mune vero et Curia in quo statu est forte cognoscitis et informari ab aliis ac vos imaginari potestis. Et ego in ea parum possum, imrno potius nihil possum. Nihil enim officium in ea habeo nec habere hucusque proposui, sed ab initio missus ab imperatore ad romanam Curiam et ad bonae memoriae dominum Alexandrum (V), qui et ipse suis litteris me accersitus fuit, quem mortuum reperi, postea a praesente domino nostro pontifice, cum vellem tunc statini posteaque recedere, manere persuasus maneo, eo modo quo apud vos etiam aliquando mansi. Cum ab initio eo dicente et persuadente speraveram boni aliquid ex mea praesentia erga illas orientales partes, et quoad unionem ecclesiae et quoad infidelium oppressionem, ferre, nunc vero mansio mea non certa est; nullum enim eius fructum video. Ideo de missione Petri Candidi consulere non possum, praecipue quia erga eum, quem aliquis valde diligit, nollet quod aliquo modo causa detrimenti vel in suspicione solum foret. Hoc dico, quod alias etiam nostro Modesto similia scribenti meis litteris respondebam, quod si ex vestra deliberatione Petri transmissio fuisset vel postea fuerit, si ego hic fuero, in quibus possem eum iuvarem et in quibus non possem dolerem, quia filium amici, ipsum quoque dilectum et ex pueritia notum, non valerem in agendis dirigere. Quod possum, semper seu hic seu alibi, vobis et sibi offero. Deliberatio vestra erit, qui et de condicione rerum hic existentium scire poteritis et de condicione illarum rerum apud vos existentium melius potestis scire. Sicut autem promovere non audeo nec deterreo, sed opto ut quod sit utilius eligatis, me in possibilibus mihi auxiliis semper offero paratum. Quia de meis, qui et vestri sunt, scire cupitis, dominus Ioannes nepos meus, cuius litteras saepe recipio, gratia Dei bene se habet, iam quattuor liberorum pater. Patria illa semper ab incursionibus infidelium affligitur : ideo necesse est et illum simul cum aliis molestias experiri. Dominus Demetrius (Kydonius) semper mecum fuit, qui vos cum reverentia salutat. Ego quoque saluto Modestum et Petrum (Candidum) vestros et totam familiam, quam Deus vobis in prosperitate conservet. Data Florentiae die 24 augusti (1413). 33 2 GIORNALE LIGUSTICO Sulla detenzione di Uberto Decembri, alla quale la lettera allude, reco la notizia che ne dà lo stesso figlio Pier Candido: « Cum Iohanne Maria (Vicecomite) natu maiore, quem unicum fratrem legitimum habuit, primo concorditer et amice vixit (Philippus Maria), cum separatim hic Papiae ille Mediolani moram duceret; mox suggerentibus aemulis ad bellicas contentiones usque descendit, quae res non mediocrem calamitatem utrique attulit. Quippe Facinus (Canis) temporum commoditate percepta cum Mediolani urbem per factionem recepisset, conversis signis Papiam occupavit. Captus est ea tempestate et bonis omnibus exutus Ubertus Decembrius genitor meus, Iohannis Mariae secundi Mediolanensium ducis secretarius; nam cum herum suum cum Philippo fratre conciliare cuperet, litteris a Facino interceptis, custodiae immittitur » (i). Modesto, primogenito, e Pier Candido sono figli di Uberto Decembri. Modesto era andato con una commendatizia del padre presso Alessandro V appena eletto (perciò nel 1409), per ottenere da lui un impiego (2). Anche Pier Candido, come si vede, domandava di essere occupato presso la Curia. L anno della lettera si determina esattamente. Alessandro V non è più vivo e siamo perciò dopo il 13 maggio 1410. Dall altra parte il Crisolora si trova con la Curia a Firenze e la Curia si rifugiò da Roma a Firenze nel 1413; la lettera pertanto è del 1413. Dalla lettera risulta che il Crisolora fu mandato a chiamare da Alessandro V, ma che quando arrivò lo trovò morto. Ciò significa che il Crisolora giunse a Bologna, dov’era la (1) Muratori, XX, p. 1000. (2) Lettera di Uberto Decembri ad Alessandro V, nel cod. Ambrosiano, B 123 sup., f. 2}2\ GIORNALE LIGUSTICO 333 corte pontificia, verso la metà del 1410 ο poco dopo. E intanto dov’ era stato ? Sino al gennaio 1408 l’abbiamo veduto a Venezia. Di là andò a Parigi, come attesta egli stesso in questa soscrizione : Το παρόν βιβλίον άπεστάλη παρά τοΰ υψηλοτάτου βασιλέως και αύτοκράτορος 'Ρωμαίων κυρίου Μανουήλ τοΰ Παλαιολόγου εις το μοναστήριον του αγίου Διονυσίου το έν Παρυσίου της Φραγγίας ή Γαλατίας από τής Κωνσταντινουπόλεως διά έμοΰ Μανουήλ τοΰ Χρυσολώρα πεμφθέντος παρά τοΰ είρημένου βασιλέως ετει από κτίσεως κόσμου έξακοσιοστώ (leggi έξακισχιλιοστψ) ένηνεκοστω καί δεκάτω. από σαρκόσεως τοΰ Κυρίου χιλιοστω τετρακοσιοστοί όγδόφ, δστις είρημένος βασιλεύς ήλθε πρότερον εις το Παρύσιον προ ετών τεσσάρων (ι). Da Parigi passò in Inghilterra. La sua presenza a Salisbury è attestata dal Poggio (2); la sua presenza a Londra da lui stesso nella Σύγκρισις, nella quale dice di esser stato a Londra due anni innanzi. Siccome la Σύγκρισις fu composta nel 141 1, così la presenza del Crisolora a Londra cade nel 1409. Dall’Inghilterra passò nella Spagna, dove gli amici suoi della Curia lo presupponevano nel febbraio 1410 (3). Finalmente giunse a Bologna nel 1410. Sul tempo di questo arrivo e su qualche vicenda di quell’ anno dà notizia la (1) Andres, Anecdota graeca et latina, Neapoli, 1816, p. LXXIII. (2) Poggii, Epist.,1, 10. Anche Battista Guarini parla delle ambasciate del Crisolora ad Gallorum et Britannorum reges. Lettera al padre nel cod. Harleian, 2580, f. 83'. (3) Leonardi Aretini, Epistolae, III, 14· Il mese della lettera si ricava dal contenuto di essa. L’anno non può essere che i! 14^> perchè il Bruni arrivò a Bologna con la corte pontificia il 12 gennaio 1410 (Ray-naldi, Annales eccles., anno 1410, n. 17, 19) e ne riparti prima della fine dell’ anno stesso, essendo stato invitato a reggere la Cancelleria di Firenze. 334 GIORNALE LIGUSTICO lettera del Crisolora al Bruni (i), della quale reco i passi che hanno importanza biografica. (p. 214) Έγώ γάρ πρός σέ, τάληθές είπεΐν, βαρέως μέν εφερον καί τόν παρελθόντα χρόνον καί σφόδρα έδυςχέραινον πρός την τύχην, δτι δη, δτε σοι διά τοσούτου χρόνου πρός μικρόν ’εξεγένετο συγγε-νέσθαι, αυθις διά τον λοιμόν φυγήν καί την άπό τούτου διάστασιν έμβαλοΰσα ούκ ειασεν ήμάς τής άλλήλων συνουσίας καί δμιλίας άπολαΰσαι . προσεδόκων δέ όμως, του κακοΰ τούτου παυσαμένου, αυθίς σοι συνέσεσθαι καί συνδιατρίψειν . και καθ’ ήμέραν παρ' ών ήλπιζόν τι περί σου πυθέσθαι ήρώτων . πότε δε ήμΐν ο καλός Λεονάρδο5 άφίξεται ; καί την απαλλαγήν τής τότε κατεχούσης φθοράς ού μάλλον δι’ αυτήν ή διά την άφιξιν ηύχόμην. Ότε δε ένόμιζον ήδη μετ’ ου πολύ σε όψεσθαι καί μόνον ούκ έν χεροίν εχειν σε ήγούμην, ακούω τήν έκλόγην καί τό σε πέμψαντας μετακαλεΐσθαι καί το σε έν μέρει τούτοις κατανεύειν...... (ρ. 217) . . . δτε γάρ παρά τω πολιχνίω του αγίου Πέτρου διετρίβομεν, εύρον έκεί των φίλων τινός έχοντας παρ’ έαυτψ ούκ όλίγας τινάς των σών έπιστολών . ταύτας λαβών καί εύθυς μερίσας καί έκδούς, έκγραφήναι παρά πολλών έποίησα . καί νυν εχων ταύτας παρ’ έμαυτώ συνεχώς τη έκείνων άναγνώσει πρόσκειμαι . καί ώσπερ αυτός έν μια λέγεις έκείνων, έστιν δτε καί αύτός λυπηρός τοΐς οικείοις γίνομαι, υπό τής περί τήν άνάγνωσιν τούτων ήδονής τον τοΰ δειπνείν καί υπνοΰν χρόνον έμαυτοϋ κάκείνων παραιρούμενος (2)... Καί τών σών έρμηνειών έκγραφήναι' τινας πεποίηκα, ώσπερ τήν τοΰ περί Στεφάνου καί τον Αίμυλίου καί τόν Γράκχων βίον . . . (1) Cyrillus, Codices graeci mss. regiae biblioth. Borbonicae, Neapoli, 1832, II, p. 214. (2) La frase, alla quale qui il Crisolora allude, si incontra nella lettera citata più sopra del Bruni al Niccoli in data XVI lai. tannar. Senis {1407); ivi si legge: Eas (Ciceronis Epistolas) nunc lego quottidie earumque elegantia mirifice delector, ut etiam familiaribus molestum sit quod LEGENDI CUPIDITATE PROTRACTUS CENANDI TEMPUS PLERUMQUE OBLIVISCAR. GIORNALE LIGUSTICO 33S Ισθι δέ xòv έμόν άδελφιδοΰν (figlio del fratello) (ι) διά των πρός έμε γραμμάτων, α διά των τής Βενετίας τριήρων παρ’ έκείνου νυν εκομισαμην, γνησίως σε προσαγορεύοντα..... Δεκεμβρίου κθ(= 29) έν Βονωνία (1410) (2). Qui si parla della nomina del Bruni alla cancelleria di Firenze, che avvenne nel 1410 (3); perciò la lettera è del 1410. Dice il Crisolora che il Bruni lasciò Bologna, perchè vi si era sviluppata la peste; e ciò fu appunto del 1410, nel quale anno di ottobre morirono di peste, come narra il .cronista bolognese (4), Azzone Torelli e suo figlio Andrea. Un altro cronista bolognese (5) racconta che nel 1410 dal 14 settembre al 14 novembre papa Giovanni XXIII stette a Castel S. Pietro di Bologna. Questo fu naturalmente per tenersi lontano dal centro del contagio e qui la notizia coincide con ciò che dice il Crisolora, ch’era stato pure a S. Pietro, senza dubbio presso la corte pontificia. Il Bruni dovea dunque esser partito da Bologna verso 1’ agosto. Stando alle parole del Crisolora, dopo l’ultima volta che si erano incontrati (a Firenze negli anni 1397-1400), si rividero a Bologna, ma per poco, per indi ridividersi. Se fu breve il tempo che si trovarono insieme a Bologna, convien conchiudere che il Crisolora non vi sia arrivato che alla metà del 1410. Una volta giunto a Bologna il Crisolora, il papa Giovanni XXIII lo volle con sè e da allora in poi non abbandonò più la Curia, eccetto che per un’ ambasciata a Costan- (1) Giovanni Crisolora. (2) Il VoiGT (Wiederhelebung, I, p. 231) fraintende stranamente questa lettera, supponendo che la peste si sia sviluppata a Roma e che il Crisolora per fuggirla si sia ricoverato a Bologna. (3) Buoninsegni, Storie della città di Firenze, p. 2. (4) Muratori, Rer. Ital. Script., XVIII, p. 218. (5) Muratori, ib., p. 599. 536 GIORNALE LIGUSTICO tinopoli (i). Seguì pertanto il papa nell’aprile 1411 a Roma, dove il Crisolora entrava per la prima volta. Ivi compose la Σύγκρισις, della quale mandò una copia a Guarino a Firenze. Guarino rispose con ietterà del 6 ottobre 1411 e il Crisolora replicava con la sua del 25 gennaio 1412. Il Crisolora è presupposto a Roma anche dalla lettera del Bruni del decembre 1412 (2). Nel 1413 lasciò Roma in compagnia della Curia e con essa stette alcuni mesi a Firenze. Andò finalmente a Costanza, dove morì il 15 aprile 1415. Riassumiamo. Il Crisolora comparisce per la prima volta in Venezia al principio del 1396. Dal febbraio 1397 al marzo 1400 insegnò a Firenze, dal marzo 1400 alla prima metà del 1403 a Pavia. Nel luglio 1403 tornò a Costantinopoli col seguito dell imperatore. Resto in patria sino al 1407, ma qualche volta ricompare a Venezia come ambasciatore, p. e. nel decembre 1404 e nel gennaio 1406. Verso il novembre 1407 venne in occidente per l’ultima volta. Si trattenne qualche mese a Venezia, certo fino al gennaio 1408; di là passò a Parigi, dov era nel 1408; a Salisbury e a Londra, in Inghilterra, dov era nel 1409; in Spagna, dov’era nei primi mesi del 1410. Verso la metà del 1410 arrivò a Bologna, dove si unì alla Curia, che non abbandonò più. La seguì nel 1411 a Roma, nel 1413 a Firenze e di là a Costanza, dove morì nel 1415. Catania, 10 agosto 1890. Remigio Sabbadini. (1) Dell ambasciata fu incaricato dal pontefice. Andò in Costantinopoli negli ultimi giorni della vita del patriarca Matteo: περί τ« τέλη της πατριαρχείας τοΰ άγιωτάτου πατριάρχου κϋροδ Ματθαίου. Il patriarca Matteo morì nel 1410. Legrand, Bibliogr. hellénique, I, p. XXV-XXVI (2) IV, i. GIORNALE LIGUSTICO 337 UNA CONTESA TRA GENOVA E SAVONA NEL SECOLO XV Una nuova pagina aggiunge Savona, sul principio del secolo XV, alla storia delle sue lotte incessanti con Genova. Cadute appena, entrambe le città, negli ultimi anni del secolo antecedente, sotto la dominazione della Francia, che tra noi aveva mandato a guerra di gloria e di conquista uno dei più arditi cavalieri del secolo XIV, esse si disputano allora il possesso di Quiliano, terra posta nelle vicinanze di Savona, che era stata nei secoli antecedenti dominio successivamente dell’ una e dell’ altra. E la questione, durata più di due anni, si risolve quando interviene come arbitro il governatore francese in Genova. Per comprendere però la natura e le ragioni di tale contesa, bisognerà, risalendo più in alto nella storia di Savona, accennare alle relazioni di questa città colla ca-stellania di Quiliano dalla fine del XII al principio del XV secolo (i). Nell’anno 1191, che segna il principio delle libertà comunali di Savona, il marchese Ottone del Carretto, cedendo ai consoli della città#molti suoi domini, ritiene ancora per sè (1) Gli storici di Savona, compreso l’Abati (Bibl. Univ. di Genova, ms. E. IV, 30) taciono di tale contesa. Fonti di questo breve studio saranno dunque unicamente le carte dell’Archivio comunale inedite ancora, e quelle edite in passato specialmente nel Liber lurium della repubblica di Genova (Mon. Hist. Patr. Chartarum). Giorn. Ligustico, Anno XVII. 22 338 GIORNALE LIGUSTICO la castellania di Quiliano (i). La ragione di tale riserva non è nota. Essa dovette però venir meno ben tosto, perchè l’anno seguente, lo stesso marchese vende al comune di Savona anche quest’ ultimo suo possesso « castro villa et curia sive pertinentiis Quiliani » per cinque mila lire genovesi, ed i consoli della città ricevono tosto giuramento di fedeltà dai nuovi soggetti (2). Purché mantenga salvi i diritti ed i possedimenti dei castellani, Savona, è detto nell’ atto di cessione, ha facoltà di fare nella terra di Quiliano ciò che essa reputerà conveniente « castella vel alias quaslibet forcias vel municiones aliaque sibi utilia ad libitum suum ubicunque voluerit ». E l’anno di poi, 1193, pagata al marchese Ottone la somma dovuta per questa compera, Savona incomincia il suo dominio legittimo e incontrastato sulla castellania di Quiliano (3). Tale dominio durerà molti anni. Basti ricordare, col soccorso delle carte che ancora si conservano nell’Archivio comunale di Savona, la conferma, che con suo diploma del 1222, l’imperatore Federico II fa alla città, di tutte le terre ricevute dal marchese del Carretto, compreso Quiliano (4); ed il giuramento di fedeltà che nel 1238 alcuni cittadini di quella castellania fanno al capitano imperiale del comune di Savona, riconosciuto ancora legittimo signore di (1) V. Giulio dei co. di S. Quintino, Osservazioni critiche sulle storie del Piemonte e della Liguria, Torino, 1851, doc. η. XXXIX. Questa carta venne ultimamente, con maggior esattezza paleografica , ripubblicata da A. Bruno nel suo studio: La giurisdizione possessoria dell’ antico comune di Savona, in Atti e memorie della Società Storica Savonese, vol. II. (2) Registro a catena, η. I, c. XXII1 « Carta vendicionis Quilliani », edita ora da A. Bruno, op. cit. (3) Reg. a cat. η. I, c. V ,« Carta precii dati vendicionis Quilliani ». (4) Questo diploma di Federico II, dato da Brindisi, « VII Kl. aprilis » del 1222, è inserito in un altro privilegio di Enrico VII, dato da Genova, «Vili Kl. decembris» del ni i, che trovasi tra le Pergamene sparse dell’ Arch. com., ai n. 17 e 18. GIORNALE LIGUSTICO 339 tal luogo (i). Così dice il diploma Fridericiano : « Ad maiorem fidelitatis observantiam confirmamus ipsi civitati et eius comuni et civibus emptionem quam cives eius fecerunt de pedagio porte et ripe Saone et de Legano et Lavagnola et de Quiliano et Vezio et Cossegola et eorum pertinendis ab Ottone marchione de Carreto ». E se il Barberino (2), che nelle sue memorie ci dà una brevissima « Cronaca castri et ville Ouiliani », ha attinto a buona fonte , altri privilegi imperiali, appartenenti agli anni 1211, 1226 e 1246, avrebbero riconosciuto i diritti di Savona sulla terra già ricordata. Dell’anno 1246 l’archivio comunale Savonese conserva bensì un diploma Fridericiano, noto già per 1’ edizione datane dal Winckelman, e per una recentissima edizione critica condotta sull’originale finora sconosciuto (3); ma questo non pare sia (1) Reg. a cat., η. I, c. XXXIIII. Giurano di più « ad sacra Dei evan-gelia reddere ei prò domino imperatore et tamquam capitaneo Saone nomine comunis Saone dictum castrum scaricum et guarnitura quotiens requisitum fuerit per dominum imperatorem vel eius nuncium sive per comune Saone vel nuncium eius ». (2) Arch. com. di Savona. Antonio Barberino, Memorie. È un piccolo volume parte ms. parte stampato. Stampate dal Silva, nel 1503, come è detto a c. 38, sono alcune convenzioni fatte tra Genova e Savona, negli anni 1251 e 1532, edite anche, come si dirà a suo luogo, nel « Liber Iurium » di Genova. Manoscritte invece sono le convenzioni del 1410 col marchese Teodoro di Monferrato, alcuni privilegi dei re di Francia e di Spagna, come quelli, ora editi, di Luigi XII e di Ferdinando il Cattolico dell’anno 1507, e in fine la Cronica castri et ville Quiliani che riassume brevemente le vicende di tale castellania, ma che poche volte ha servito ai fonte a questo studio. Federico Bruno ne ha riprodotto i luoghi più notevoli nell’ introduzione da lui fatta agli Statuti di Ouiliano dell’anno 1407, editi nel vol. II degli Atti e memorie della Società Storica Savonese, e ricavati dal Reg. a cal. η. I. (3) Cfr. C. Cipolla e G. Filippi, Diplomi inediti di Enrico VII di Lussemburgo e Ludovico il.Bavaro tolti dall’Archivio comunale di Savona. Estr. Atti e memorie della Società Storica Savonese, doc. η. II. 340 GIORNALE LIGUSTICO il privilegio cui accenna il Barberino, perchè annunzia solo ai Savonesi che Γ imperatore prende sotto la sua protezione la città loro con tutte le sue dipendenze, senza discendere a nessuna specificazione. Neanche durante la guerra combattuta tra Genova e Savona negli anni 1250 e 51, Quiliano si sottrasse all’ antica dominazione. È detto espressamente nell atto di pace stipulato tra le due città, che non sarà mutata la loro giurisdizione se non per ciò che riguarda il possesso di Al-bissola, la quale dovrà essere di Genova, e che sebbene a questa città sia lasciato il diritto di impadronirsi dei forti delle terre Savonesi, i proventi delle terre resteranno, come pel passato, a Savona. Ecco il capitolo della convenzione, violato poi da Genova: )(< Item quod comune Ianue de consensu et voluntate comunis Saone habeat teneat et capiat ad suam voluntatem fortia castrorum Saone tam interius quam exterius. Et salvo quod iurisdictio hominum et introitus et proventus predictorum castrorum ad comune Saone pleno iure pertineat secundum quod pertinere consueverunt et ipsam iurisditionem et ipsos introitus et proventus dictus comune Saone habeat teneat et percipiat secundum quod habere tenere et percipere consuevit, excepto de castro Albizole et de territorio et pertinentibus ad ipsum castrum. Et salvo quod comune Saone ad predicta fortia tradenda non sit obbliga-tum » (1). Il Barberino dice ancora nelle sue Memorie che l’anno 1256 Quiliano fu usurpata violentemente da Odoardo Spinola, cittadino di Genova. Egli non specifica se tale usurpazione lo Spinola abbia fatto pe sè 0 per la sua città, e se di tutta 0 parte solo della castellania quello si sia impossessato. Certo è — e lo dimostrano le carte degli anni seguenti — che Savona non fu neanche dopo dell’ anno indicato, dichiarata (1) Liber Iurium, T. I, c. 1044-1054. Questa convenzione del 1251 trovasi in copia del 1265 nel Reg. a cat. η. II, c. XIIII e seg. GIORNALE LIGUSTICO 34r decaduta dall’antico suo dominio. Infatti nel 1260 Raimondo di Quiliano presta giuramento di fedeltà ancora al podestà di Savona, dal quale dichiara di tenere come feudo tutto ciò che possiede in Vecio e in Quiliano, ed al quale promette « quod ad defendendum et manutenendum terras et possessiones quas nunc dictum comune habet tenet vel possidet et eas quas de cetero Deo propitio poterit adipisci suum pro posse prestabit consilium auxilium et favorem » (1). Ancora, nel 1267 davanti al giudice del podestà di Genova si presenta dal sindico di Quiliano una protesta, contro il comune di Savona, accusato di voler impedire agli abitanti della ca-stellania di pascolare, seminare, e far legna nel bosco posto in quelle vicinanze, diritto riconosciuto in passato agli abitanti di Quiliano. Il bosco, dice la protesta « coheret superius iugum Altaris, inferius vallis de rivo Cornario, ab alio boschus hominum de Albuzola ». E Quiliano, così come Savona, nomina in tale occasione due cittadini, che trattino davanti al giudice, il podestà di Genova, la questione che turba le relazioni di amicizia tra i due luoghi. La sentenza è favorevole a Savona; chè il podestà assolve il comune « a dicto libello et a dicta petitione » (2). Questi atti però , se spiegano come Savona continui nel possesso di Quiliano, dimostrano pure come con essa si occupi già degli interessi di quella castellania la città di Genova, ritenuta, perchè più forte, arbitra nei momenti di contesa, ed in condizione di aumentare col tempo la sua influenza nella castellania stessa. (1) Reg. a cat., η. II, c. XXXII'. « Instrumentum fidelitatis Raymondi de Quiliano ». (2) Ibid., c. CXVIIII. « Sententia de nemore comunis Saone lata in Ianua inter comune Saone et homines Quiliani. — Instrumentum sindicatus hominum Quiliatii facti occasione nemoris comunis Saone. — Instrumentum sindicatus comunis Saone facti occasione nemoris ». 342 GIORNALE LIGUSTICO La convenzione del 1251 non le aveva forse offerto il modo di impadronirsi, cogli altri, anche dei luoghi torti di Quiliano? E si può egli credere con ragione che Genova fosse così scrupolosa osservatrice dei patti giurati da non impossessarsi, come voleva il patto di pace, se non di quelle fortezze che le fossero consegnate da Savona? Cresciuto con acquisti fatti nel 1289 il suo dominio diretto su terre della castellania, che essa acquista da Brancaleone d’Oria (1), Genova è infatti, nei primi anni del secolo seguente, così forte in Quiliano da provocare le ire di Savona, gelosa dell’ autorità che essa dice usurpata dalla sua rivale. Cosicché per due volte, nel 1303 e nel 1306, il comune di Savona protesta davanti al podestà di Genova perchè, violata la convenzione del i25i,chenon ha tolto a Savona neppure uno dei suoi domini, i Genovesi sono oramai di fatto quasi interamente padroni della castellania già nominata (2). Nell’agosto dell’anno 1311 Odoardo Spinola cede a Genova egli pure i suoi possessi in Quiliano ed Albisola (3). Ma non per questo Savona ne è del tutto spogliata. Un privilegio dell’ imperatore Enrico VII, del dicembre di quello stesso anno, conferma infatti a benificio di Savona il già noto diploma di Federico II relativo ai domini del comune stesso (4). Non basta. Apriamo gli statuti noti col nome di « Antiquissimi », la cui ultima redazione appartiene all’anno 1345 (5), e che contenendo immutate molte disposizioni (1) Liber Iurium, II, c. 391, 1289, 4 marcii; c. 195, 1289, 4 marcii. (2) V. doc. η. I, in appendice. (3) Liber Iurium, II, c. 448, 1311, 4 augusti. (4) V. nota n. 3 a pag. 339. (5) Cfr. G. Filippi, Statuti degli Speziali in Savona dell’ anno 2, in Atti e memorie della Società Storica Savonese. In una breve appendice si ricerca la data della redazione a noi pervenuta dei più antichi statuti del comune. GIORNALE LIGUSTICO 343 proprie degli anni antecedenti, possono considerarsi come il codice di leggi di tutta la prima metà del secolo XIV ; e noi troveremo in essi chiare prove dei diritti che Savona rivendica ancora a sè sulla castellania. Secondo tali statuti , il podestà di Quiliano, che durava in carica sei mesi, doveva essere cittadino di Savona, ed era tenuto in modo particolare a mantenere salvi ed immutati i diritti della città sopra Quiliano. Di più : ammaestrata dal suo passato , Savona decretava che due cittadini, appositamante eletti, dovessero sempre ricercare le ragioni che essa poteva avere su queste o quelle terre della castellania, cedute ad altri da privati cittadini. Lo statuto non parla qui di Genova; ma è evidente che si vuole alludere appunto anche ai possessi che quella città poteva avere in Quiliano. Ancora: entro un mese dacché aveva assunto il suo ufficio, doveva il podestà invitare tutti gli uomini della sua castellania che avessero raggiunto una data età, a prestare giuramento di fedeltà al comune di Savona (1). Erano cautele queste non inutili certo in tempi di rivolgimenti continui; e che, se dimostrano il timore che Savona aveva di perdere tutto o parte del suo possesso di Quiliano, provano però chiaramente come essa ancora non ne fosse spogliata. Però quando, sottrattasi alla prima e breve dominazione Viscontea, Savona per effetto di tumulto popolare cedette , come Genova, nel 1339, alla volontà di Simon Boccanegra , (1) Cfr. doc. η. II in app. Altre rubriche relative a Quiliano troviamo in tali statuti: Liber I. R. L. « Quod quelibet persona habens questionem sub potestate Quiliani possit appellare ». R. LI. « De electione scribe potestatis Quiliani ». R. LII. « De fodro et albergarla ab hominibus Quiliani accipiendis ». R. LIII. « De non vendendo gabella Quiliani et de ipsa colligenda ». R. LIIII. « De duobus hominibus eligendis qui inquirant terras et possessiones castellante Quiliani ». R. LVI. « De costringendis castellanis Quiliani ut civibus faciant rationem ». 344 GIORNALE LIGUSTICO creatosi doge col favore popolare (x), essa vide soggetto direttamente alla sua rivale il possesso di Quiliano. E tale stato di cose, ad onta dei riconoscimenti fatti dagli imperatori del diritto dei Savonesi, restò fino alla fine del secolo. Scoppiata allora, nel 1394, la guerra che doveva dare al duca Luigi d’ Orléans ed al re di Francia, il dominio di tanta parte della riviera ligure (2), Savona, liberatasi dal giogo Genovese , ripigliava la sua libertà di azione, e tra i suoi domini antichi anche Quiliano. E segnando col duca la nota convenzione, volle che in quella fosse chiaramente indicato che essa doveva restar libera coi suoi castelli e con tutte le sue dipendenze, e che il duca aveva obbligo di aiutarla a riacquistare le terre e le giurisdizioni perdute, e di non cedere poi ad altri alcun suo diritto con danno del comune (3). Così avviene che il 29 di novembre del 1394 i cittadini di Quiliano ripresentano giuramento di fedeltà a Savona (4). Ma allorché nel marzo dell’ anno seguente 1 Orleans cede al re suo fratello le sue conquiste d’Italia (5), Genova, valendosi dell’opportunità assedia con milizie mercenarie la citta di Savona, ed Antoniotto Adorno s’impadronisce colle armi di Albenga e Quiliano a nome di Ge- (1) P. Gioffredo, Storia delle alpi marittime, in Mon. Hist. pat., Scriptores, pg. 168. (2) A. de Circourt, Le due Louis d’ Orléans frére de Charles VI. Extrait de la Revue des questions historiques. 1889. E. Jarry, La vie politique de Louis de France duc d’Orléans, Paris, 1889. (3) Circourt, op. cit., III, pg. 88, 94, 96. Riproduce la convenzione fatta nel 1394 da Savona col duca d’Orléans, e che si conserva ms. in Reg. a cat. n.° II. c. I e seg. (4) Reg. a Cat. η. I. c. L. « Fidelitas facta comuni Saone per homines ville Quiliani ». Sono 195 cittadini che giurano fedeltà a Savona. (5) G. Filippi, Nuovi documenti intorno alla dominazione del duca di Orléans in Savona, in Giornale Ligustico, an. XVII, fas. Ili-IV, 1890. Pg· 6-7. GIORNALE LIGUSTICO 345 nova (i). Savona ha così ancora una volta perduto il suo antico possesso; è invitata anzi ad indennizzare gli abitanti della castellania, come cittadini di Genova, dei danni da loro sofferti durante la guerra (2). Solo nel marzo del 1397, dopo la promulgazione della sentenza arbitrale del conte di S. Poi governatore regio in Genova, eletto arbitro delle due città, ha fine la contesa che tanto è durata (3); e Quiliano resta alla più forte. Per quali vie cercherà Savona di riaverlo? Le carte degli archivi comunali taciono per parecchi anni a tale riguardo: questo solo sappiamo che nel 1404 la città ha già riacquistato e di nuovo perduta la terra di Quiliano. Era stato esaudito dunque il veto dei Genovesi che volevano essere rimessi in possesso di quel luogo, usurpato, dicevano essi, e fortemente occupato dalla sua nemica (4). Però all’anno 1404 una lunga serie di atti, scritti dalle due parti intorno alla questione che ci occupa, e che Savona volle con precisione trascritti e con gelosia custoditi in mezzo ai suoi atti publici, ci dice che la lite allora è già ricominciata (5). Infatti Giovanni Vegerio è da Savona nominato procuratore a trattare il seguito della causa, ed a fare, ove sia possibile, un compromesso (6); e Corrado Mazurro, notaio e cancel- (1) Liber Iurium, II, c. 1216, 1395 24 maii. (2) Cfr. Nuovi documenti etc. pg. 12. (3) Ibid. pg. 14 e doc. n.° IV a pg. 19. (4) Liber Iurium, II. c. 1316. 1402, 15 martii. (5) Reg. a cat. n.° II. c. CCLII. e seg. (6) Ibid. « Instrumentum sindicatus Iohannis Vegerii sindici comunis Saone super petitorio castri et castellarne Quiliani contra comune Ianue ». L del 10 settembre 1404. Vi si dice che il Vigerio è nominato « spetialiter ad causandum et prosequendum litem et questionem vertentem inter comune Ianue ex una parte et comune Saone ex alia occasione castellarne Quiliani et pertinentiarum ac dominii proprietatis et iurisdictionis ipsius, et ad compromitendum de iure et de concordio et instrumentum compro- 346 GIORNALE LIGUSTICO liere di Genova , riceve dal suo comune il medesimo incarico (i). Nel novembre questi procuratori deliberano di affi dare al governatore regio di Francia, il Lemeingre , come già erasi fatto altra volta , Γ incarico di decidere della questione, concedendo a lui, come luogotenente del re e come amico delle due città, piena ed assoluta autorità di giudicare; ed impegnandosi ad accettarne , qualunque abbia essa ad essere, la sentenza, sotto pena di 5 mila fiorini d’ oro. Ed intanto dispongono perchè il territorio di Quiliano , con tutta la sua giurisdizione, fino a tutto il maggio vegnente — poiché tanto tempo appunto si concede al governatore di Genova per risolvere la contesa — resti nelle mani del governatore stesso (2). Le ragioni di Savona sono esposte in un breve memoriale (3), che si può riassumere così : « Da lungo tempo la città ha comperato il castello e il territorio di Quiliano con tutte le sue pertinenze, dal signore legittimo, il marchese del Carretto, che poteva disporne a sua volontà; e d’allora essa Γ ebbe per lungo tempo in suo pieno ed incontrastato dominio, ricevendone fedeltà, imponendovi tasse, ed in ogni modo esercitandovi i suoi diritti di Signore. Anche nelle missi plenum et largum de alto et basso faciendum cum penis vel sine et compromissum factum seu fiendum prorogandum semel et multociens quotiescunque dicto Iohanni sindico ut supra videbitur expedire, accessores vel accessorem petendum et si eidem videbitur recusandum medios et bonos viros eligendum et etiam recusandum si eis vibebitur____ (1) Ib. c. CCLII.' a Instrumentum sindacatus Conradi Maturi sindici comunis Ianue ». Si trova pure in Raccolta, II. pergamena n.° 32. È del 26 settembre 1404. Questa raccolta di pergamene dell’ Arch. com. di Savona è descritta nell’introduzione ai Diplomi inediti di Enrico VII e Lodovico il Bavaro. (2) Ib. c. CCLI1I.' « Instrumentum primi compromissi super dieta questione ». È del 29 novembre 1404. (3) È inserito dentro la sentenza data poi dal governatore stesso. Ha la data esso pure del 29 novembre 1404. V. doc. n.° III, in appendice. GIORNALI- LIGUSTICO 347 convenzioni stipulate alla fine delle guerre combattute con Genova, fu riconosciuto a Savona il diritto di tenere tutte le sue terre e i suoi castelli, tranne quello di Albisola. Solo dunque col diritto del più force, senza nessuna giustizia, Genova spogliò Savona di tale suo possesso. Per mezzo del governatore regio ora i Savonesi sperano di riavere quello che loro appartiene di vero diritto, e di essere per di più indennizzati dei danni patiti durante Γ usurpazione dei loro nemici ». Ma alla fine del maggio la sentenza non è pronunciata ancora, ed allora le due parti, di comune accordo « scientes prefatum illustrem et magnificum dominum arbitrum et ar-bitratorem comode et mature non posse infra tempus dicti compromissi questiones ipsarum partium terminare » (i), e riconoscendogli necessario un tempo più lungo per poter pronunziare il suo lodo arbitrale, prorogano il già fatto compromesso fino alla fine prima del luglio, poi dell’agosto, e poi del settembre (2). Ed intanto le due città, perchè i due procuratori prima eletti non restino soli nel disbrigo di una faccenda cosi grave, l’una nell’agosto stesso, l’altra nei primi giorni dell’ ottobre, danno incarico, Savona a Battista Natono e Antonio Grifio, Genova ad Aldebrando di Corvaria, di trattare della questione di Quiliano in unione con Giovanni Vegerio e Corrado Mazurro (3). Ma fino alla fine dell’ ot- ti) Ib. c. CCLIIII.' « Prima prorogatio dicti compromissi ». È del 27 maggio 1405. (2) Ib. « Secunda prorogatio eiusdem compromissi ». È del 28 luglio 1405. c. CCLV. « Item tertia prorogatio eiusdem ». L del 27 agosto 1405. In Raccolta II. perg. η. 49 v’ ha « Ratifficatio prorogationis compromissi pro comune Saone ratifficate. È del 29 agosto 1405. (3) Ib. c. CCLV.· « Instrumentum sindicatus Baptiste N atoni et Anthonii Griffi sindicorum commis Saone super eadem materia ». L· dell 8 agosto 1405____quod unus ipsorum inceperit alter mediare possit prosequi et 34« GIORNALE LIGUSTICO tobre tace il Lemeingre. Così Genova e Savona possono ancora, quella riconfermare al Mazzurro l’incarico affidatogli (i), questa , per mezzo del consiglio generale, aggiungere nuovi deputati ai già eletti procuratori (2). L’ultimo giorno del mese di ottobre è pubblicata finalmente la sentenza. Il governatore Lemeingre, apprezzate le ragioni esposte dai Savonesi nella loro protesta, come giudice inappellabile nella questione, stabilisce che la castellania di Qui-liano debba da ora in poi appartenere di pieno diritto al comune di Savona. Genova gliela renda tosto, senza perdere tuttavia nessuno dei diritti che essa può avere acquistato in passato sui cittadini 0 terre 0 giurisdizioni dell’ episcopato di Savona. Però Savona paghi ogni anno al comune di Genova lire quattrocento genovesi: questo se ne servirà per coprire le spese che sostiene nel custodire i forti di Savona, finire non propterea derogando in aliquo baylie alias per dictum comune super inde lohanni Vegerio de Saona concesse... c. CCLVI.' « Instrumentum sindicatus Al debrandi de Corvaria sindici comunis lanue ». È del 3 ottobre 1405. (1) Ib. c. CCLVIII. n Tertius sindicatus dicti Conradi Maturi sindici comunis lanue super dieta questione ». È del 29 ottobre 1405. Vi si legge ____Attendentes plura compromissa iam dudum facta per sindicos co- munitatum lanue et Saone in illustrem et excelsum dominum Iohannem Lemeingre.... que ob earum multitudinem, intricationem et hesitationem lorsan possent adducere in futurum , et attento quod negotium ipsarum questionum et differentiarum est in carculo ferende sententie sive laudi, volentes propterea involutionibus huiusmodi quantum possunt et in eis est obviare , confisi plenarie de diligentia legalitate et prudentia discreti viri Conradi Mazurri----lo confermano procuratore di Genova. Questo atto è pure in Raccolta, II. perg. n. 45. (2) Ib. c. CCLVIIII. « Reformatio consilii civitatis Saone ». È del 29 ottobre 1405. Seguono queste due carte : « Ultimus sindicatus Baptiste Natoni et Antonii Griffi sindicorum comunis Saone » e « Instrumentum ttltimi compromissi facti per dictos sindicos nomine dictorum comunium super questione predicta » del 31 ottobre 1405. GIORNALE LIGUSTICO e, quando cessi tale onere, a beneficio della città stessa come meglio crederà. Savona potrà però liberarsi dall’ obbligo di questo annuo pagamento, dando a Genova tale territorio che frutti annualmente le lire quattrocento che essa deve sborsare. Altre disposizioni, a complemento di queste, il governatore si riserva di prendere in seguito , in virtù dell’ autorità che gli è stata concessa dalle due parti (i). La sentenza è accettata ed approvata dai procuratori e dai consigli delle due città (2). Una difficoltà resta tuttavia a risolversi, chè Corrado Mazurro, come rappresentante di Genova in tale questione, non vuole abbandonare immedia-tamante la terra di Quiliano, mentre i procuratori di Savona intendono di riprenderne il possesso tosto « die crastina vel sequenti....... et per eos seu per dictum comune Saone non stetit stat nec stabit quominus predicta omnia et singula per eos et dictum comune Saone exequantur et observentur et fiant ». Savona fa per questo una protesta solenne al comune di Genova, richiamandosi alla sentenza del governatore, e ricordando le pene da quella minacciate ai trasgressori del suo decreto (3). Risponde il procuratore di Genova che la sua città non intende punto di disobbedire all’arbitrato del governatore : ma essa vuole che Savona le dia sufficiente garanzia del pagamento che ogni anno regolarmente le dovrà fare: « ante restitutionem dicti castri et loci Quiliani per (1) V. doc. η. Ili, in appendice. (2) Ib. c. CCLXIII.* « Emologatio diete sententie sive laudi immediate facta per partes » del 31 ottobre I4°5· — c· CCLXIIII « Emologatio eiusdem sententie sive laudi facta per consilium et comune Ianue » del 3 novembre i405. — c. CCLXV « Emologatio eiusdem sententie sive laudi facta per consilium et comune Saone » del 30 novembre 1405· (3) Ib. « Protestatio facta sindico comunis Ianue ut observet arbitramentum predictum » del 12 novembre. - c. CCLXVI « Alia protestatio super eadem materia » del 13 novembre. 350 GIORNALE LIGUSTICO dictos Saonenses seu comune Saone sit taliter cautum comuni lanue quod ipsi Saonenses dent et solvant dicto comuni lanue libras quadringentas lanue annuatim et quolibet anno secundum ordinem et formam dicte arbitralis sententie ». E soggiunge — non senza evidente speranza che la sentenza contraria ai Genovesi venga corretta più tardi — che « predicta dicit sub reservatione iurium competentium comuni lanue vigore reservationis facte in dieta arbitrali sententia, in qua continetur quod prefatus dominus Iohannes gubernator lanue possit corrigere et emendare atque de novo mutare dictam arbitralem sententiam usque ad unum annum , ita quod in dicto iure possendi corrigere et emendare dictam arbitralem sententiam per presentem responsionem dicto comuni lanue nullum preiudicium generetur nec preiudicatum intelliga-tur » (i). Genova cercava modo adunque di tener Quiliano ancora per tutto Γ anno che al governatore era lasciato di tempo a mutare o riformare interamente la sua sentenza che l’aveva condannata. Ma Battista Natono, procuratore di Savona, replica che la sua città non è tenuta a dare tale garanzia. Disposta essa ad obbedire scrupolosamente al prescritto del governatore, offre tosto al Mazurro le quattrocento lire che deve pagare, in tanti scudi d’ oro, ed a lui ancora dichiara che pagherà il suo debito in avvenire se egli avrà dal suo comune il diritto di farne ricevuta. « Si que alia restant, aggiunge, prò parte dicti comunis Saone vigore diete sententie facienda vel observanda, requirunt dictum Conradum dicto nomine ut illa nominet et exprimat quoniam ipsi dispositi et parati sunt et se offerunt ea omnia facere et penitus adimplere nichil de contingentibus obmittendo ». Insiste quindi per essere messo in possesso di Quiliano il giorno se- (i) Ib. « Responsio ad superius protestata » dello stesso giorno. GIORNALE LIGUSTICO 35I guente (1). Ed il Mazurro cede: e poiché non ha dal comune di Genova diritto di far quietanza della somma che riceve da Savona, le dà garanzia nella persona di Gotifredo de’ Vivaldi, potente e ricco cittadino Savonese, e promette di fare sì che il comune suo rispetti in tutto il lodo pronunziato dal Lemeingre e ceda tosto il dominio di Quiliano (2). Infatti Casano de Mari, podestà di Quiliano a nome di Genova, riceve subito ordine dal luogotenente regio di lasciare quella terra e trasmetterne il governo alla città di Savona; ed i cittadini di quel luogo, hanno, dallo stesso Lemeingre, invito di prestare giuramento di fedeltà al nuovo signore , mantenendo però immutati i diritti che può avere nel territorio stesso di Quiliano, la città di Genova : « Reservatis tamen iuribus, si dice, comunis Janue per ipsum comune quomodolibet acquisitis in bonis iuribus hominibus villis per-tinentiis et iurisditionibus episcopatus Saone , que iura quo ad dictum comune Janue et quo ad dictum episcopatum seu eius episcopum remaneant intacta et illesa et in eo statu et gradu quo erant ante latam dictam sententiam » (3). E Γ ordine viene prontamente eseguito; Casano de Mari cede al rappresentante di Savona la terra che egli aveva per qualche tempo governata, e lo investe dell’ autorità giudiziaria : « relaxavit ac restituit dicto comuni Saone, seu ipsi Baptiste eius nomine, secundum quod etiam sibi pridie in Saona commis-serat dominus gubernator predictus, castrum Quiliani eiusque villas pertinentias curiam iurisditionem ac merum et mixtum imperium castellarne predicte et hominum ipsius sub reserva- (1) Ib. c. CCLXVL* « Replicatio ad dictam responsionem» dello stesso dì. (2) Ib. c, CCLXVII. « Duplicatio ad predieta et solutio prime paghe librarum CCCC ianuinorum» dello stesso giorno. Segue subito: « Alia protestatio facta sindico comunis lanue ut observet dictum arbitramentum ». (3) V. doc. η. IV, in appendice. 55 2 tionibus de quibus idem dominus gubernator, ut premittitur, hominibus et universitati dicti loci Quiliani scripsit et in omnibus et per omnia prout in dictis laudo sententia sive arbi-tramento continetur. Et in signum dicte relaxationis restitutionis et traditionis possessionis eorum idem Casanus per manum accipiens eurndem Baptistam dicto sindicario nomine ipsum ascendere fecit et sedere ac intronizavit in sede et pro tribunali ubi iura hominibus dicte vallis Quiliani reddebantur » (i). Ed intanto tutti gli abitanti superiori ai quattordici anni di età, giusta il prescritto degli statuti « Antiquissimi », invitati pel giorno di poi, 15 novembre, a convenire nella curia per prestare a Savona giuramento di fedeltà (2), rispondono all’ invito ricevuto, e giurano ancora una volta obbedienza all’ antico loro signore (3). Due anni più tardi, cioè nel 1407 , sorge qualche dubbio sull’ interpretazione della sentenza del governatore francese. Essa dava autorità a Savona di liberarsi dall’ obbligo dell’annua retribuzione di lire quattrocento col cedere a Genova terre i cui proventi annui ascendessero alla somma dovuta. Ora, si domandano i procuratori delle due città, ove Savona ceda — e (1) Ib. c. CCLXVI1I. « Restitutio Quiliani facta per dictum potestatem sindico comunis Saone ». (2) Ib. c. CCLXVIII.' « Requisitio facta hominibus Quiliani ut facerent fidelitatem comuni Saone ». In fine di questa carta è detto : « Quibus peractis prefati domini antiani officiales et sindicus superius nominati nol-lentes locum et villas predictas incustoditas et sine alicuius rectoris presidio dimittere, constituerunt eorum dicto nomine et comunis Saone vicarium et officialem Petrum de Raynoldo de burgo Quiliani predicto presentem et acceptantem pro parte dicti comunis Saone et eius nomine officium supradictum quo ad usque per dictum comune Saone diete castellarne provisum fuerit de rectore ». Questa carta, con quella che immediatamente la precede, si trova pure, insieme col doc. η. IV pubblicato in appendice, riunite in una carta sola in Raccolta II. perg. n. 53. (3) V. doc. η. V, in appendice. GIORNALE LIGUSTICO 353 Genova accetti tale cessione — un territorio la cui rendita annua sia, nel momento della trasmissione del possesso, appunto di lire quattrocento, ma diminuisca più tardi, dovranno i Savonesi pagare poi tale differenza e darne garanzia? (i) Il dubbio è sottomesso all’ antico giudice della contesa, il Lemeingre. E quegli saggiamente decreta che debba tenersi conto del valore e della rendita che i luoghi ceduti a Genova hanno nel momento della consegna; e quindi Savona non abbia in nessun modo ad essere garante presso dell’ altra città della costanza nella rendita di quelle terre, nè pagarne, ove scemi, la differenza in denaro (2). ____Giovanni Filippi. (i) Raccolta II. perg. n. 72, 13 luglio 1407. _ (2) Ib. perg. n. 73, 30 luglio 1407.... « dicimus sententiamus pronunciamus declaramus arbitramur et arbitramentamur quod, facta datione sive * tradditione seu consignatione per dictum comune Saone sive eorum sin-dicos et procuratores vel habentes mandatum sufficiens ab eis dicto comuni Ianue seu eius sindico vel habenti causam a dicto comuni Ianue tot locorum in comperis comunis Ianue, quos dictum comune vel alius eius nomine habens mandatum legitimum iam elegerit vel eliget in futurum ante tradditionem et consignationem factam dicto comuni Ianue, quorum locorum redditus et proventus ascendat ad quantitatem librarum quadringentarum ianuinorum in anno tempore assignationis et consignationis predicte, quod tunc dictum comune Saone et eius sindici sint, facta assignatione predicta, penitus liberati ab annua prestatione in dicta sententia contenta, et ex tunc liberati esse intelligantur a dicta prestatione in dicta nostra arbitrali sententia contenta. Et condemnamus dictum Con-radum Mazurum dicto sindicario nomine, et per ipsum dictum comune Ianue, ad liberandum absolvendum et quitandum dictum comune Saone a dicta annua solutione dictarum librarum quadringentarum ianuinorum in dicta nostra sententia arbitrali contenta, facta dicta traditione seu consignatione per dictum comune Saone sive eius sindicos dicto comuni Ianue seu eius sindico de dicti locis in comperis comuni Ianue eligendis per ipsum comune, quorum proventus et redditus ascendat ad dictam quantitatem dictarum librarum quadringentarum ianuinorum. Cum hoc quod licet dictum comune, iam elegerit comperas in quibus dicta loca per dictum comune Saone assignari debebant, nichilominus possit dictum comune Ianue et eius sindicus de novo eligere in quam comperam seu quibus comperis velit dicta loca consignari per dictum comune Saone dicto comuni Ianue ». Giorn. Ligustico. Anno XVII. 354 GIORNALE LIGUSTICO I. 1303. Giugno i. Protesta dei Savonesi fatta davanti al podestà di Genova, perchè, violando le convenzioni prima stipulate, i Genovesi usurpano il possesso di Quiliano (I). Fredericus Babus et Percival de Albizola sindici comunis Saone, ut de sindacatu apparet per publicum instrumentum scriptum manu Paulini Rizardi Albertengui sacri palatii notarii mccciii ind. 1, die prima Junii, proponunt coram vobis domino Guillelmo Turcho de Castello cive Astensi potestate Janue, quod inter comune Janue ex una parte et comune Saone ex altera, tempore pacis inite inter utrumque comune, facta fuit convencio inter ipsa comunia in qua ultro citroque multa promissa et conventa fuerunt et inter cetera actum fuit expressim quod comune Janue habeat teneat et capiat ad suam voluntatem fortia castrorum Saone tam interius quam exterius, eo salvo quod jurisdicio hominum introitus et proventus ipsorum castrorum pleno iure ad comune Saone pertineant secundum quod pertinere consueverunt, ita quod ipsam iurisditionem et ipsos introitus et proventus dictum comune Saone habeat teneat et percipiat secundum quod habere tenere et percipere consuevit. Salvo et excepto quod in dicta conventione actum fuit de castro Albizole et territorio et pertinentibus. Verum potestas olim Janue, sive alius pro comuni Janue seu ipsum comune Janue, contra ipsius conventionis tenorem possessionem vel quasi penes comune Saone tunc constitutam et quam dictum comune Saone tunc habebat, iurisditionis hominum et introituum et proventuum castri Quiliani et ad ipsum castrum Quiliani pertinentium quod erat ex castris Saone et quod tunc comune Saone habebat et possidebat cepit et captam tenet, ita quod comune Saone ipsam possessionem vel quasi non habet nec de facto habere potest, sed eam habere impeditur (t) {Raccolta, I, perg. n. 189). La protesta, con leggere mutazioni in principio ed in fine, ma identica nella sostanza e per lunghissimo tratto anche nella forma, si ripete il 29 gennio 1306 (Ibid., perg. n. 190) ed il 19 febbraio 1306. (Ibìd., perg. n. 194). GIORNALE LIGUSTICO 555 per comune Janue. Unde cum iurisdicio hominum introitus et proventus pi edicti loci sint comunis Saone et ad ipsum comune Saone pertineant, iure dominii vel quasi et etiam ex tenore conventionis predicte, postulant predicti sindici nomine comunis Saone quatenus pronuncietis et per sententiam declaretis, dictam iurisditionem hominum introitus et proventus predictos dicti castri Quiliani esse comunis Saone et ad ipsum comune Saone pertinere iure dominii vel quasi, et ipsi comuni Saone dictam iurisditionem et introitus et proventus predictos per comune Janue restitui debere et dimitti, et ut ipsam iurisditionem introitus et proventus predictos dicti castri Quiliani habere et tenere permittatis, et quod comune Janue id permittat comuni Saone habere tenere et percipere sicut consuevit ante id tempus quo per comune Janue, sive per potestatem olim Janue vel alium pro -comuni, dicta possessio vel iurisditio capta fuit. Et ut dictam conventionem observantes predicta omnia dimittantur et restituantur per comune Janue comuni Saone secundum tenorem convencionis predicte, et dictum comune Saone non esse impediendum quominus ipsa iurisditione et aliis supradi-■ctis libere utatur. Que omnia postulant dicti sindici nomine comunis Saone pronunciari et fieri tam ex forma conventionis predicte quam omni iure quo uti possunt, non obstante contradictione comunis Janue , et sin-dici comunis Janue que super hiis ad defendendum comune Janue super presenti petitione et ad respondendum ipsis sinJicis comunis Saone de iure per comune Janue et consilium comunis Janue creari et constitui postulant et requirunt nomine comunis Saone et ipsum sindicum comunis Janue nomine ipsius et per ipsum dictum comune ad predicta condempnari. Agentes et petentes ut supra nomine comunis Saone omni iure quo uti possunt. Dum autem predicti sindici obtulissent supradictam peticionem dicto domino potestati, dictus dominus potestas eam admittere noluit nisi primo servaretur forma capituli quod est in magno volumine sub rubrica de aliqua persona movente causam contra comune non audienda, et incipit : Ego non audiam etc. Et de predictis dictus dominus potestas iussit fieri publicum instrumentum. Actum Janue, in palacio comunis ubi regitur curia dicti domini potestatis , anno dominice nativitatis millesimo trecentesimo tercio, ind. xv, die xmi Junii post vesperas, presentibus testibus domino Guillelmo de Ponciis iurisperito, magistro Jacobo de Bar-'tholomeo fisico, Johanne clavonerio et Obertino de Domoculta executo-ribus comunis Janue. (S. N.) Januarius de Monleone notarius, iussu dicti domini potestatis, ut supra rogatus scripsi. 356 GIORNALE LIGUSTICO IL 1345 (i). Dell’ elezione del podestà di Quiliano e di due cittadini che ricerchino le ragioni che Savona ha su quella castellania. Statuta Antichissima. (Lib. 1. R. xxxxvilll) De electione potestatis Quiliani facienda. .....Quod ibit Quilianum pro lacienda ratione cuilibet postulanti quatenus in quolibet mense sue potestacie et pluries si necesse fuerit. .....Et quod custodiet et salvabit omnia iura et omnes rationes que et quas dictum comune habet vel habebit in Quiliano et posse Quiliani per totum tempus sue potestatie, nec ipsa iura diminuet vel diminui consentiet nisi in ordinamento consilii civitatis Saone..... Lib. I, R. lv. De duobus hominibus eligendis qui inquirant iura que comune Saone habet in Quiliano. Item infra mensem unum post introitum mei regiminis eligi faciam in consilio duos bonos homines et legales, quos iurare faciam ut diligenter inquirant omnia iura et omnes rationes que et quas comune Saone habet vel solitum est habere in castro curia et castellania et castellanis atque hominibus Quiliani. Et [si] invenerint aliquem aliquid de bonis vel rebus, vel iuribus pertinentibus ad dictum comune habere, totum illud recuperabo ad opus comunis predicti et tenebo ; et de toto eo quod recuperaverint dabo eisdem inquisitoribus pro qualibet libra denarios duodecim. Item infra mensem unum post introitum mei regiminis ibo Quilianum cum quatuor vel pluribus sapientibus Saone et duobus notariis, et faciam fieri fidelitatem comuni Saone ab omnibus hominibus castellante et curie Quiliani et Vecii maioribus annis xxv usque in septuaginta. (1) Questa è la data che si deve assegnare alla redazione ultima degli Statuti che contea-gono queste rubriche, le quali possono quindi anche essere anteriori. GIORNALE LIGUSTICO 3 57 1405. Ottobre 31. Sentenza arbitrale del governatore francese che obbliga Genova a restituire Quiliano a Savona. Instrumentum sententie sive laudi late seu lati inter comunia predicta super dominio et proprietate castri et castellarne Quiliani. In nomine Domini amen. Anno eiusdem salutifere nativitatis millesimo quadringentesimo quinto, indicione terciadecima, die ultima mensis octobris hora none, nos Johannes Lemeingre dictus Bouciqaut mareschallus Francie locumtenens regius et Januensium gubernator pro serenissimo domino nostro rege francorum domino Janue, arbiter et arbitrator amicabilis compositor et ainicus comunis comuniter electus deputatus et assumptus a Conrado Mazurro notario cive Januense sindico et procuratore et sindicano et procuratorio nomine comunis Janue ex una parte et Johanne Ve-gerio de Saona sindico et procuratore et sindicario et procuratorio nomine comunis et hominum civitatis Saone ex altera parte, ex compromisso per ipsos dictis nominibus in nos facto, de quo late patet instrumento rogato et publicato manu Antonii de Credencia notarii et cancellarii anno domini millesimo quadringentesimo quarto indictione duodecima die sabati vigesimo nono novembris in tertiis, et prorogato pluries, de quibus prorogationibus patet manu dicti Antonii de Credencia, una videlicet facta de anno presenti currente millesimo quadringentesimo quinto die vigesima septima mensis may, alia scripta manu eiusdem notarii anno presenti die XXXII mensis julii, alia scripta manu eiusdem notarii anno presenti die xxvii mensis augusti, et de alio compromisso etiam secundario in nos facto per Aldebrandum de Corvaria sindicum et sindicario nomine dicti comunis Janue et Antonium Griffum de Saona sindicum et sindicario nomine comunis Saone scripto manu eiusdem Antonii de Credencia notarii hoc anno die tertia octobris, ac etiam ex potestate et baylia nobis hodie paulo ante concessa per dictum Conradum Mazurum dicto nomine sindicario et procuratorio dicti comunis Janue plenum habentem mandatum ad predicta et speciale, ut constat manu dicti Antonii de Credencia anno de millesimo quadringentesimo quinto die vigesima nona presentis mensis octobris, et per Baptistam Natonum de Saona sindicum et procuratorem 358 giornali: ligustico et sindicario et procuratorio nomine dicti comunis Saone habentem plenum mandatum et speciale ad bec, ut patet manu Nicolay Natoni de Saona notarii anno de millesimo cccc”“ quinto die vigesima nona dicti niensis octobris, ex compromisso in nos per dictos sindicos et procuratores dictis nominibus facto hodie ultima mensis octobris, prout patet manu Gotifredi de Beffignano et mei notarii inirascripti, super causa et qufstione vertente inter dictas partes de castro Quiliani eiusque villis territorio pertinentis curia mero et mixto imperio et iurisditione et super omnibus et singulis dependentibus emergentibus et conexis eideni. Et in qua quidem causa et questione alias iam diu comunia nobis exhibita et producta fuit per dictum Johannem Vegerium diete nomine petitio tenoris iufrascripti. In nomine Domini amen. Coram vobis illustri et magnifico domino domino locumtencnti regio arbitro et arbitratore elecio et assumpto imer Conradum Mazurrum sindicum et sindicario nomine comunis Janue ex una parte et Johannem \ egerium sindicum comunis Saone nomine et vice dicti comunis ex alia, ut de sindicato ipsius jobannis patet publico instrumento scripto manu {channis Armoyni notarii anno Domini mccccuq ind. xn die x septembris, et de dicto compromisso seu arbitramene) patet tenore publici instrumenti scripti manu Antonii de Credencia notarii et cancellarii dicti comunis Janue hoc anno die xxvui noverabris in tertiis, seu coram vobis dominis comissariis eie. constitutus supradictus Johannes Vegerius dicto nomine dicit et exponit verum esse quod cum longevis temporibus iam elapsis dicium comune Saone titulo emptionis emerit et aquisiverit castrum villam et territorium ville Quiliani cuiu pcrtincutiis suis a vero domino et possessore, et ab eo quod ius vendendi habebat dictam villam Quiliani, ex quo successivis temporibus dictum comune Saone dictam villam cum pertinenuis suis cum iurisditione ipsius pleno iure possessionis proprietatis et dominii tenuit et possedit scu quasi, videlicet ibi exercendo iurisditionem, recipiendo fidelitatem ab hominibus ibidem habitantibus, exigendo impositiones et alias (actiones quas soliti sunt subditi dominis suis, scilicet per spatium decem vigiliti triginta quadraginta et quinquaginta annorum et ultra, taliter et tali modo quod ab ibidem ha· bitantibus tractabatur dictum comune pro vero possessore ct domino ipsius ville cum pertinentiis suis. Et sit verum quod vigentibus aliquibus disceo* tionibus inter dicta comunia a tempore pacis et concordi) et conventionum inhitarum inter ipsa comunia actum fuit specialiter et conventum quod iurisditio omnium castrorum et villarum dicti comunis Saone ad ipsum comune Saone libere pacifice et quiete expcctarct et pertineret, salvo de castro Arbizolc etc., prout in dictis conventionibus expressius continetur. GIORNALE LIGUSTICO 359 Que quidem conventiones ut iacent ad literam tempore dominii serenissimi domini nostri domini Regis Francorum fuerunt confirmate et approbate prout et sicut in ipsis reperitur descriptum ; post quas quidem conventiones per aliquod tempus et non modicum dictum comune Saone tenuit et possedit dictum castrum et villam Quiliani libere pacifice et quiete sine aliqua molestia, exercitando ibibem iurisditionem ac merum et mixtum imperium et gladii potestatem, recipiendo ab eisdem habitantibus fidelitatem prout facit dominus a subditis suis. Verumtamen quod dictum comune Janue seu présidentes eidem propter eorum potentiam et per impressionem ipsorum et de facto potius quam de iure, tamquam potentiores quam comune Saone, sine aliqua iusta causa et rationabili titulo de dicto castro et villis et ceteris pertinentibus ad predictum castrum Quiliani spoliarunt dictum comune Saone, et de possessione seu quasi eorundem, occupando et turbando ipsum comune Saone in eius pacifica possessione et dominio preter et contra voluntatem dicti comunis potius per violentiam et impressionem ut supra quam aliter. Et ob hoc dictum comune Saone sentiens se spoliatum successive per diversa tempora ipsi comuni Janue sic indebite detinenti querelam movit. Et sepe et sepius protestatum fuit et protestationes solempnes fecit contra comune Janue de tali violentia seu usurpatione. Et quod de directo dictum comune Janue ob talem occupationem et iniustitiam veniebat contra conventiones inhitas inter dicta comunia interrumpentes prescritionem si qua currere potuisset, et iam licet de iure currere minime potuisset ut demonstrabitur in processu, super quibus omnibus multa et diversa hactenus coram vobis actitata fuerunt seu commissariis vestris. Item dicit dictus sindicus dicto nomine quod cum ultimate possessio dicti castri cum pertinentiis iuridice provenisset ad dictum comune Saone et super eo continue vexaretur pro comune Janue, dicta comunia fecerunt compromissum in vos prefatum dominum et lo-cumtenentem regium, qui propter occupationes et recessum vestrum non potuistis super dictis iuribus super predictis diffinire. Verumtamen inter cetera pronunciastis et arbitramentastis quod possessio dicti castri etc. ultimate perveniat et permaneat apud vos tamquam locumtenentem regium donec super predictis iuribus potuerit plene discutere et diffinire. Demum post vestri reditum dicte ambe partes, videlicet dicta comunia seu dicti sin-dici dictis nominibus, de novo compromissum fecerunt in vos occasionibus premissis plenum et liberum, in quo inter cetera continetur quod possessio dicti castri Quiliani cum dictis pertinentiis eodem modo permaneat penes vos prout antea erat, videlicet sub sequestro, donec super predictis iuribus proprietatis et dominii per vos fuerit diffinitum, ut de predictis omnibus j6o patet latius publicis instrumentis scriptis manu Antonii Je Credencia notarii et cancellarii comunis Janue ad que se refert. Quam ob rem volens et intendens dictus sindicus iura dicti comunis prosequi et cupiens finem dicte cause et questionis videre, agit idcircho petens et requirens per vos et vestram sententiam arbitralem seu arbitraiuentalem pronuntiari et declarari atque deffiniri dictum castrum seu villam Quiliani cum omnibus pertinentiis iurisdictionibus emolumentis suis spectare et pertinere ad ipsum sindicum dicto nomine et per ipsum ad dictum comune Saone tamquam ad verum dominum dicti loci etc., ipsumque ponendum esse in possessionem ipsius ville cura dictis pertinentiis ad ipsam et cum omnibus iu-risditionibus et iuribus et cum mero et mixto imperio, ipsumque comune Janue non esse audiendum amplius in turbando et molestando dictum comune Saone in predictis iuribus et circha predicta. Item etiam ad observantiam iudicati dictum comune Janue compelli iustis remediis et opportunis. λ erum quod dictum comune Janue et présidentes eiusdem, indebite usurpando tenendo et occupando dictum locum cum suis pertinentiis, habuit et recepit obventiones et introytus annuos ex dicto loco et pertinentiis processos per plura et diversa tempora, ipsos in utilitatem comunis Janue violenter ed indebite convertendo. Idcirco petit dictum comune Janue condempnari et condeinpnatum compelli eidem sindico dicto nomine et per ipsum dicto comuni Saone ad predicta omnia solvenda seu ad debitam extimationem eorum quam extimat in florenis.... (t). Salva tamen vestra taxatione. Et predicta petit et requirit omni iure via modo et forma quibus melius de iure potest et debet, non in modum solempnis libelli sed simplicis requisitionis etc. Salvo sibi iure declarandi interpretandi et aliam peticionem de novo faciendi et ceteris iuribus sibi competentibus et competituris dicto nomine. Non proptcrca se astringens ad aliquod superfluum ; protestons de expensis factis et fiendis. Mccccim die xi Julii, deposita in iure et in presentia domini vicarii illustris et magoifici domini gubernatoris etc. et vicarii domini potestatis Janue commissariorum etc. per dictum Johannein Vegetiam dicto sindicario nomine. Qui domini vicarii et commissarii admitentes predicta si et in quantum de iure tenentur, manda\erunt citari Conradum Mazurrum sindicum comunis Janue pro die lune proxime ventura, per totam diem, ad respondendum et contradicendum quicquid vult dicte petitioni. Visis igitur dictis compromissis in nos factis et potestate nobis attributa in eis per panes predictas et quamlibet carum, visa etiam (l) Ia bileco nel nu. GIORNALE LIGUSTICO dicta petitione et contentis in ipsa exhibita et producta per dictum Johannem Vegerium dicto nomine contra dictum comune Janue et eius sindicum et procuratorem, responsionibus et contradicionibus factis per dictum Conradum sindicario et procuratorio nomine dicti comunis Janue. Visis etiam iuribus instrumentis et privilegiis per dictas partes dictis nominibus et quamlibet ipsarum productis coram nobis hinc inde, titulis et testibus productis et examinatis in dicta causa pro utraque ipso-rumque publicatione et toto processu, auditisque verbotenus que dicte partes et quelibet ipsarum dicere et exponere voluerunt coram nobis etiam ultra contenta in dicta petitione. Visis etiam et auditis omnibus que dicte partes dicere proponere et allegare voluerunt tam oretenus quam in scriptis, tam per se ipsos dictis nominibus quam per eorum advocatos, participatoque super predictis colloquio cum nonnullis legum doctoribus advocatis et iu-risperitis. Et demum visis et consideratis omnibus que videnda et consideranda fuerunt maxime quibusdam que animum nostrum movent. Et super omnibus habita plena matura et solemni deliberatione. Volentes atque cupientes finem imponere dictis litibus, ne partes predicte continue vexentur litium laboribus et expensis, cum de ipsa questione et causa iam diu simus per omnia plenissime informati, Christi eiusque piissime matris virginis gloriose nominibus invocatis eosque semper habendo pre oculis et in mente, sequentes et sequi volentes in predictis et circha predicta formam et viam arbitratoris amicabilis et compositoris et amici comunis partium predictarum, pro bono pacis et concordie ipsarum partium et cuiuslibet earum, subtilitate et austeritate iuris et capitulorum et ipsorum subtilitate et observantia obmissis, talem inter partes predictas sententiam arbitralem et arbitramentalem laudum declarationem diffinitionem arbitrium seu arbitramentum, sedentes pro tribunali in loco infrascripto, damus atque proferimus in his scriptis et in hunc modum. Videlicet, quod dicimus sententiamus pronunciamus declaramus arbitramur laudamus diffinimus et arbitramentamur dictum castrum Quiliani cum omnibus suis villis pertinendis curia et iurisditione ac mero et mixto imperio pertinere et spectare, et quod in futurum pertineat et spectet et pertinere et spectare debeat dicto comuni Saone et dictis sindicis et procuratoribus dicti comunis Saone dicto nomine pleno iure dominii proprietatis et possessionis. Et per consequens condempnamus dictum Conradum Mazurrum sindicum et procuratorem predictum, et per ipsum dictum comune Janue, ad dimictendum ei libere relaxandum et restituendum dicto comuni Saone, seu dicto eius sindico et procuratori dicto nomine, dictum castrum Quiliani et eius villas et per-tinentias curiam et iurisdictionem ac merum et mixtum imperium. Ita 362 GIORNALE LIGUSTICO tamen quod per predicta nullum preiudicium generetur comuni Janue in aliquibus iuribus per ipsum comune quomodocunque acquisitis in bonis iuribus hominibus villis pertinentiis et iurisditionibus episcopatus Saone ; que iura, quo ad dictum comune Janue et quo ad dictum episcopatum seu eius episcopum, remaneant intacta et illesa et in eo statu et gradu in quo erant ante latam presentem sententiam. Item volumus ordinamus et arbitramur quod dictum comune Saone et dicti eius sindici dictis nominibus perpetuo omni anno dent et solvant et dare et solvere teneantur dicto Conrado Mazurro dicto sindicario nomine et per ipsum dicto comuni Janue libras quadringentas ianuinorum sive monete Janue, quas dictum comune Janue convertere debeat in solutionem onerum que dictum comune Janue substinet pro custodia castrorum et fortiliciorum existentium in civitate Saone, et cessante quomodocunque dicto onere ipsas convertere possit in utilitatem dicti comunis Janue prout de ipsius processerit voluntate. Et dictos sindicos dicti comunis Saone dictis nominibus et dictum comune condem-pnamus, laudando ed arbitrando, ad dandum et solvendum dicto Conrado dicto nomine et per ipsum dicto comuni Janue dictas libras quadringentas ianuinorum perpetuo omni anno prout supra ordinatum est per nos. Ita tamen quod quandocunqee per dictos sindicos comunis Saone, vel per alium nomine dicti comunis, seu per ipsum comune Saone assignarentur traderentur et tradentur dicto Conrado dicto nomine, et per ipsum dicto comuni Janue seu ipsi comuni Janue, tot loca in locis comunis Saone quorum proventus ascendat annuatim ad dictam quantitatem librarum quadringentarum ianuinorum 111 illis locis que dictum comune Janue ele-geret, ipsis locis datis traditis et assignatis dicto comuni Janue, dictum comune Saone et eius sindici, ex tunc prout ex nunc et ex nunc prout ex tunc, sint penitus deliberati et absoluti a dicta annua prestatione dictarum librarum quadringentarum ianuinorum. Et interim donec dicta loca assignata et tradita fuerint nichilominus dictum comune Saoue teneatur ad dictam prestationem annuam dictarum librarum quadringentarum ianuinorum. Ab aliis vero contentis in dicta peticione producta pro parte dicti comunis Saone dictum Conradum sindicum et procuratorem prcdictum, dicto nomine, et dictum comune Janue et in his scriptis per hanc nostram sententiam arbitralem seu arbitramentalem reddimus absolutos, salvis tamen et firmis supradictis in hac nostra arbitrali seu arbitramentali sententia contentis. Item dictas partes et quamlibet ipsarum, et dictos eorum sindicos dictis nominibus, propter iustani causam litigandi et quod nobis ita visum est, absolvimus ab expensis factis in dicta causa. Item quod omne et totum quod dictum castrum Quiliani et homines dicti castri et eius giornale ligustico 363 villarum et pertinentiarum curie et iurisditionis tenerentur solvere prò avariis oidinariis duorum annorum proxime preteritorum, quod avarie dictorum duorum annorum sive ipsarum quantitas sint et esse debeant in declaratione nostra et pertinent et spectent dicto comuni Janue. Et ipsi comuni Janue universitas dicti castri villarum curie et iurisditionis solvere teneatur iuxta dictam nostram declarationem quo ad quantitatem debitam pro dictis avariis dictorum duorum annorum. Reservantes nobis, ex potestate nobis concessa in dictis compromissis vel altero ipsorum, potestatem et bailiam iterum iudicandi super non decisis per hanc nostram sententiam, et super decisis et decidendis iterum et de novo iudicandi et arbitramentandi ea que decisa et terminata mutandi corrigendi cassandi tollendi annullando interpretandi et declarandi usque ad annum venturum proxime sequturum prout in dictis compromissis seriosius continetur. Mandantes expresse hanc nostram sententiam arbitralem et arbitramentalem per dictas partes et utramque ipsarum inviolabiliter observari et debere emolagari infra tempus et terminum quindecim dierum in qualibet parte sui, sub pena et ad penam in dicto compromisso contentam. Et predicta dicimus sententiamus laudamus declaramus condempnamus arbitramur arbitramentamur pronuntiamus diffinimus absolvimus et reservamus omni iure via causa et forma quibus melius possumus et debemus, salvis semper conventionibus initis inter comune Janue et comune Saone, quibus nollumus per hanc sententiam in aliquo derogari. De et super quibus omnibus et singulis dictus illustris dominus locumtenens arbiter arbitrator predictus, ac etiam dictus Baptista Natonus sindicus et sindicario nomine dicti comunis Saone, preceperunt et rogaverunt fieri publicum instrumentum seu duo publica instrumenta eiusdem tenoris per nos Gotifredum de Beffignano et me Nicolaum Na-tonum notarium infrascriptum. Lata et data seu datum latum et prolatum fuit dicta sententia seu arbitramentum per supradictum illustrem d. dominum Johannem Lemeingre dictum Bouciquaut marescallum Francie lo-cumtenentem regium et gubernatorem Januensium arbitrum et arbitratorem ut supra pro tribunali sedentem super quodam bancho posito in camera cubiculari dicti d. gubernatoris, videlicet in domo Simonis Dondi sita in burgo Varaginis, presentibus dictis Conrado et Baptista sindicis et sindi-cariis nominibus quibus supra approbandi et emologandi ipsam sententiam cx potestate et baylia quibus possunt, et presentibus testibus venerabili viro d. Johanne de Lineriis legum doctore arcipresbitero aurelian^nsi, d. Amico de Ripatrasonis legum doctore vicario d. potestatis Janue, spectabile milite d. Hugone Choleti d. Petrose, Baptista Lomelino, Georgio Adurno et Joanne Lomelino filio Nicolai Andree civibus Janue, ac Michaele Cie- 36 4 GIORNALE LIGUSTICO mentis secretario dicti d. gubernatoris vocatus et rogatus spetialiter ad predicta. Anno mense inditione die et hora quibus supra. IV. 1405. Novembre 8. Il luogotenente regio in Genova invita il podestà di Quiliano a cedere la sua terra, e gli abitanti a giurare fedeltà a Savona. a) Presentano litterarum exequtionis dicti arbitramenti facta potestati Ouiliani regenti dictum locum per dominum gubernatorem. In nomine Domini amen. Anuo eiusdem nativitatis millesimo quadringentesimo quinto, indit, decima tertia, die decima quarta novembris. Universis et singulis ad quorum noticiam presens instrumentum publicum devenerit, eius serie fiat notum quod anno inditione mense et die descriptis superius, serenissimo principe et domino nostro domino Karolo dei gratia rege francorum regnante, existentes et personaliter constituti in burgo Quiliani, diocesis Saone, circumspecti viri domini Nicolaus Natonus et Antonius de Bruschis duo de offitio antianorum civitatis Saone, nec non Baptista Natonus sindicus et sindicario nomine comunis hominum et universitatis dicte civitatis Saone, de cuius mandato constat tenore publici instrumenti recepti et subcripti per eundem Nicolaum Natonum notarium hoc anno die vigesimo nono mensis octubris, ac Jacobus Paternoster con-sotius dicti Antonii de Bruschis, ambo deputati per dictum comune Saone super negotiis Quiliani, idem Baptista dicto sindicario nomine ipsis dominis antianis et officialibus Quiliani ordinantibus et mandantibus manua-liter presentavit et tradidit pro parte illustris et magnifici domini domini Johannis Lemeingre dicti Bouciquaut marescalli Francie, locumtenentis citra montes prefati regis domini nostri et pro ipso gubernatoris civitatis Janue et districtus, nobili viro domino Casano de Mari civi ianuensi eius commissario et rectori vallis Quiliani, cui hactenus ipse dominus locurn-tenens castrum et castellaniam Quiliani villas curiam et iurisditionem ac merum et mixtum imperium ipsius regendum et gubernandum commiserat tamquam depositarius et sequester nec non arbiter et arbitrator assumptus et electus per sindicos comunitatum Janue et Saone in causa et questione vertenti inter dicta comunia occasione dominii et proprietatis castri et castellarne Quiliani et aliorum dictorum superius, videlicet quasdam lit- GIORNALE LIGUSTICO 365 teras eiusdem domini locumtenentis sigillo impresso in cera rubea munitas subscriptas manu Gotifredi de Beffiignano notarii Janue tenoris in omnibus et per omnia et continentie infrascripte. Marescallus Francie locumtenens regius et Januensis gubernator. Carissime, in observatione cuiusdam sententie per nos late hoc anno die ultima octubris inter comunia Janue et Saone de castro Quiliani etc., comi-timus vobis quatenus ipsum castrum Quiliani eius villas pertinentias curiam iurisditionem ac merum et mixtum imperium libere relaxetur comuni Saone, sive Baptiste Natono sindico et sindicario nomine dicti comunis, sub aliquibus tamen reservationibus de quibus hominibus dictorum locorum scribimus seriose. Datum Varaginis mccccv die octava novembris. (a tergo) Nobili viro Casano de Mari potestati Quiliani nostro dilecto. Marescallus Francie locumtenens regius et Januensis gubernator. b) Presentatio litterarum hominibus Quiliani. Et subsequenter etiam presentavi Conrado Derate, Conrado Borgono , Bartholotneo Pellerio, Philippo Jacobe et Nicolao Guelfo loco Antonii Guelfi, quinque ex octo consiliariis dicti loci, absentibus tribus de dicto consilio qui sunt de terris episcopatus Saone, cum plures non essent ibidem ex hominibus castellarne predicte, loco et vice et nomine omnium et singulorum hominum universitatis castellarne Quiliani predicte, alias litteras eiusdem domini locumtenentis etc. eiusdem sigilli impressione munitas tenoris et continentie subsequentis. Nos Johannes Lemeingre dictus Bouciquaut marescallus Francie, locumtenens regius et Januensis gubernator pro serenissimo francorum rege domino Janue nostro domino. Cum per nos, velut arbitrum et arbitratorem inter comunia Janue et Saone seu eorundem sindicos, lata fuerit quedam sententia hoc anno die ultima octubris scripta manu Gotifredi de Beffiignano notarii, in qua condempnavimus sindicum comunis Janue ad dimi-tendum et libere relaxandum dicto comuni Saone, sive Baptiste Natono sindicario nomine dicti comunis, castrum Quiliani et eius villas pertinentias curias iurisditionem ac merum et mixtum imperium, sub certis tamen reservationibus, mandamus universitati hominum dicti loci Quiliani et villarum quatenus iuramentum et fidelitatem debitam faciant dicto comuni Saone ipsumque recognoscant pro eorum domino. Reservatis tamen iuribus comunis Janue per ipsum comune quomodolibet acquisitis in bonis iuribus hominibus villis pertinentiis et iurisditionibus episcopatus Saone. Que iura quo ad dictum comune Janue et quo ad dictum episcopatum seu 366 GIORNALE LIGUSTICO eius episcopum remaneant intncta et illesa et in eo statu et grada qao erant ante latam dictam sententiam iuxta formam et tenorem ipsius sen-tentie. In quorum testimonium has patentes litteras nostras iussimus nostri sigilli impositione muniri. Datum Varaginis mccccv die octava novembris. V. 1405. Novembre 15. Gli abitanti della castellania di Quiliano giurano fedeltà al comune di Savona. Sacramentum fidelitatis presti te comuni Saone per homines Quiliani. In nomine Domini amen. Anno eiusdem nativitatis millesimo quadringentesimo quinto, inditione tertiadecima, die quintodecimo novembris, circumspecti viri domini Nicolaus Natonus et Antonius de Bruschis, duo ex antianis civitatis Saone, nec non Baptista Natonus sindicus et sindicario nomine dicti comunis Saone, ac etiam Jacobus Paternoster et Stephanus Ghigeta una cum dicto domino Antonio de Bruschis deputati ad negotia Quiliani. constituti et prò tribunali sedentes nomine et vice dicti comunis Saone in bancho ubi potestas dictevallis Quiliani ad iura reddendum solitus est sedere, presentibus et assistentibus eis dominis Nicolao Multedo ■et Ugolino de Bruschis legum doctoribus, ac presente et stante ibidem congregata multitudine hominum dicte castellarne, de mandato ipsorum dominorum offitialium predictorum ad présentes diem et horam ad actum fidelitatis infrascriptum spetialiter peragendum. Et ad hoc citati per su-pradictum Jacometum Cazurrum nuntium publicum,. prout idem nuntius ibidem retulit supradictis dominis offitialibus et nobis notariis infrascriptis, requisiverunt iterato nomine et vice dicti comunis Saone universos homines dicti loci ibidem existentes quatenus ipsi et unusquisque ipsorum in observationem sententie sive laudi lati inter comunia Janue et Saone super dominio et proprietate etc. castellarne Quiliani predicte per illustrem et magnificum dominum dominum Johannem Lemeingre marescallum Francie, locumtenentem regium citra montes, que omnia ipse in eius arbi-tramento predicto adiudicavit comuni Saone et ad ipsum pleno iure pertinere et spectare decrevit. Et etiam in observationem litterarum die heri presentatarum ccnscilio dicte ville per sindicum comunis Saone prodictum, GIORNALE LIGUSTICO 367 debeant atque velint comune Saone recognoscere pro eorum domino et superiore, et dicto comuni Saone sive ipsius stipulantibus nomine et vice comunis predicti prestent iuranientum et faciant fidelitatem debitam tamquam eorum domino ut tenentur. Qui homines ibidem congregati, quorum nomina inferius describentur, audita requisitione predicta, dixerunt et responderunt quod iuramentum et fidelitatem ab eis ut premittitur requisitam per ipsos libenter parati erant facere et subire in observatione dicte sententie et litterarum dicti domini gubernatoris de quibus superius mentio facta fuit. Et subsequenter incontinenti omnes et singuli homines inirascripti de castellania Quiliani, unus post alium singulariter et per se ac etiam nomine et vice universitatis hominum dicti loci, sponte et ex certa sciencia recognoscentes rectores civitatis Saone et comune ipsius civitatis in eorum et uniuscuiusque ipsorum dominos et superiores ab antiquo et etiam vigore sententie late nuper inter comunia Janue et Saone per illustrem dominum Johannem Lemeingre marescallum Francie, locumte-nentem regium et Januensem gubernatorem, super questione vertente inter comunia Janue et Saone ad invicem contendentia de et super dominio et proprietate castri et castellarne ipsius loci Quiliani, iuraverunt et unusquisque ipsorum iuravit ad sancta Dei quatuor evangelia, tangendo manua-liter scripturam in missali ecclesie Sancti Laurentii dicti loci, et in manibus circumspecti viri domini Nicolai Natoni unius ex antianis dicte civitatis Saone, et promisserunt ac promissit unusquisque ipsorum singulariter et per se supradictis dominis Nicolao Natono et Antonio de Bruschis duobus ex antianis dicte civitatis Saone, nec non Baptiste Natono sindico dicti comunis, ac etiam supradictis dominis Antonio de Bruschis Jacobo Paternostro ac Stephano Ghigete civibus Saone offitialibus per dictum comune hactenus constitutis super negociis Quiliani, et nobis Simonino Bernade et Petro Triavie notario de Andoria, tamquam comunibus et publicis personis agentibus stipulantibus et recipientibus nomine ac vice et ad partem et utilitatem comunis hominum et universitatis dicte civitatis Saone et nostram cuilibet singulariter et per se, in omnibus et per omnia prout infra. Videlicet quod ipsi homines nominati inferius omnes et singuli et unusquisque ipsorum ab hac hora in antea erunt fideles dicto comuni Saone eorum domino, eiusque potestati antianis rectoribus offitialibus represen-tantibus comune predictuni. Et quod non erunt in conscilio nec in facto ut présidentes vel officiales dicte civitatis vel quicunque civis vel distri-ctualis eiusdem vitam perdant seu perdat aut membrum vel capiantur mala captione. Conscilium quod eis et cuilibet ipSrum dictum comune Saone seu présidentes predicti per se ipsos aut per litteras vel nuntium manife- 368 GIORNALE LIGUSTICO stabunt ad eorum vel dicti comunis dampnum nemini pandent, dictumque comune Saone et eius offitiales atque cives et iura quecunque dicti comunis adiutores erunt ad deffendendum et retinendum contra omnes homines ; vocati ad potestatem vel antianos dicte civitatis venient nisi legitimo impedimento fuerint prepediti ; officiales et nuntios dicti comunis Saone, quos certos esse cognoverint, in eundo et redendo honorifice tractabunt, et dictum comune Saone in suis necessitatibus adiuvabunt. Et omnia et singula facient et effectualiter observabunt que in capitulis fidelitatis novis et veteribus continentur. Sic eos Deus adiuvet et hec sancta Dei evangelia. (Seguono i nomi di coloro che giurano fedeltà). Quibus peractis, prefati domini antiani sindicus et offitiales qui supra imposuerunt et mandaverunt Francisco Bomporto cintrago et preconi publico comunis Saone presenti et audienti quatenus ibidem et in continenti sono cornu premisso alta et intelligibili voce cridet et precipiat eorum parte quod omnes et singuli homines de villariis castellarne Quiliani, qui non interfuerunt hodie ad prestandum iuramentum fidelitatis comuni Saone, venire debeant ad civitatem Saone hinc ad diem veneris proxime futuram per totam diem ad domum antianie dicti comunis ad prestandum iuramentum fidelitatis et faciendum fidelitatem comuni Saone prout fecerunt alii superius nominati, et nec in manibus domini prioris offitii antianorum dicte civitatis. Sub pena ab uno floreno usque in decem ab unoquoque inobediente dictorum dominorum antianorum arbitrio aufferenda, ea die et in continenti. Supradictus Franciscus Bomportus preco et cintragus comunis Saone retulit eisdem dominis offitialibus se de ipsorum mandato cridasse et pre-cepisse alta et intelligibili voce sono cornu premisso, dixisseque et fecisse in omnibus et per omnia prout superius proxime ab eisdem habuit in mandatis. De et super quibus omnibus et singulis supradicti domini antiani officiales et sindicus, nomine et vice comunis Saone, rogaverunt fieri publicum instrumentum per me Simoninum Bernadam notarium infrascriptum. * giornale ligustico 3 69 TOMMASO STIGLIANI contributo alla storia letteraria del secolo XVII (Continuaz. vedi pag. 263). Però Io Stigliani, come il Marino (1), il Chiabrera, il Testi, e come tutti in genere i poeti del Seicento, ha ancor egli la smania di crear cose nuove, e dove non arriva con la immaginazione tenta giungere con 1’ artifizio delle forme metriche, creando, o meglio affermando di creare, nuove testure di canzoni. (1) Il Marino, ad esempio, scriveva al Sanvitali, dopo aver stampato il Panegirico al Duca di Savoia, che è, come si sa, in sesta rima: « Piacenti, che il mio caro signor Stigliani si sia compiaciuto di seguitare la maniera da me tenuta nel Panegirico, e me ne glorio sopramodo ; ma ho ambizione eh egli mi onori di tanto nelle sue stampe, dichiarando esser quello stile introdotto da me » (Marino, Lettere, pg. 30). Il conte di Rovigliasco poi, nella lettera (che fu evidentemente scritta dal Marino) con la quale dedicava il poemetto al principe di Piemonte, figlio di Carlo Emanuele I, diceva, tra le altre cose: « È componimeoto nuovo, anzi, e per lo genere del poema, e per la maniera della testura, il primo, che si sia ancora nella nostra lingua veduto; componimento, e per la novità della inventione, et per l’artificio dell’ordine, et per 1’argutia dei concetti, et per la coltura, gravità et dolcezza dello stille (sic) meraviglioso». (Il Ritratto del serenissimo Don Carlo Emanuello, Duca di Savoia. Panegirico del Cavalier Marino, Torino, 1608). In una copia delle lettere del Marino, la quale porta in margine alcune note autografe dello Stigliani, è scritto, di fronte al brano di lettera al Sanvitali, ora citata: « Questa testura di sesta rima non è introdotta dal Marini, ma dall’autore della Leandra ». È noto che tale poema, composto da Durante da Gualdo, e stampato a Venezia nel 1508, è in sesta rima (Cfr. Melzi-Tosi, pg. 248) ; ma lo Stigliani sbaglia nel credere il Da Gualdo il primo inventore della sesta rima, la quale già apparisce nella Laus pro defunctis scoperta dal Monaci nell' Umbria (Cfr. Giornale di Filologia romanza, I, 367). G ou», ligustico. Αηλο XVII. 14 370 GIORNALE LIGUSTICO Una di queste testure è la canzonetta, eh’ ebbe tanta voga in Italia nei secoli xvii e xvm e che fu il metro prediletto della poesia melica, e perciò sdolcinato e svenevole, fino al Parini, il quale, come osserva il Casini, le restituì il suo carattere lirico e con la serietà del contenuto la rinnovò interamente (i). Ormai è ammesso da tutti che la canzonetta melica ci è pervenuta dalla Francia, quando il Chiabrera « tutto intento a rinnovare il teatro italiano, anche nel metro, sulle orme dei greci, introdusse, specialmente per gli schermi, quella stessa misura, per la quale era divenuto in Francia celeberrimo Pietro Ronsard alla corte dei Valois » (2). È noto altresì che uno dei commentatori del capo della Plèiadi fu Marcantonio Muret, il quale, insieme a Sperone Speroni, fu di guida al Chiabrera negli studi poetici (3); e il savonese imparò da lui ad ammirare il vandommese, la poesia del quale non era, quando il Chiabrera la studiava, ancor caduta vittima — complice innocua la strofa di una poesia popolare, — della secca grammatica malherbiana (4); infatti fu dal Ronsard che il Chiabrera imitò il metro delle sue canzonette, una delle quali, Belle rose porporine, era già in voga sin dal 15S9, mentre solo (1) Delle forme metriche italiane, notizia di Tommaso Casini, Firenze, Sansoni, 1884, pg. 21. Chi non ricorda le bellissime odi Alla rima del Sainte-Beuve e del Carducci? (2) Cfr. a questo proposito uno studio sul Cebà del sig. N. Giuliani, (Giornale Ligustico, IX). (3) Ho sott’ occhio 1’ edizione in cinque volumi delle opere del Ronsard, pubblicate a Parigi nel 1609, in cui il commento a una parte delle rime è appunto del Muret (Les Oeuvres de Pierre de Ronsard, gentilhomme vandosmois Prince des Poètes françois, reveues et augmentées, à Paris Chez Barthélémy Macé au Mont S.‘ Hilaire à 1’ Escu de Bretaigne, m.dc.ix); però vi sono edd. anteriori. (4) Les Historiettes de Tallement des Réaux (Hist. de Malherbe). GIORNALE LIGUSTICO 37I undici anni dopo il Rinuccini componeva F Euridice , in cui il metro della canzonetta appare si di sovente (1). Ma il Ronsard, o meglio i poeti della Plèiade, non furono gl inventori del metro della canzonetta, e sembrerà strano a molti che il più antico vestigio di questa svelta ed agile strofa debba trovarsi nei misteri. Infatti essa è comunissima ne’ misteri francesi del secolo xv: cosi nella Destruction de Troie, nella Passion del Greban, nel mistero di Saint Didier e in un altro messo in luce dal Vallet de Viriville (2), per non citarne molti altri, s’incontra il metro della canzonetta, tal quale come nel Ronsard. E se in quello pubblicato dal Vallet de Viriville la rima trovasi molto impacciata, ciò non avviene per gli altri (3), tanto che può arrischiarsi il giudizio, che (1) Riferendosi al Chiabrera Γ amico Ferrari osserva : « Pure artista vero della parola fu spesse volte ia quelle odicine che indubbiamente derivò dai congegni metrici del Ronsard » (Gabriello Chiabrera e la Corona d’Apollo, in Giornale Ligustico, XIII, fase. 7-8). (2) Notice d un mystère par personnages représenté à Troyes vers la fin du XV siècle (Bibliothèque de l'École de Chartes, T. III, pg. 448). Cfr. anche Sainte-Beuve, Tableaux historique et critique de la Poésie française et du théâtre français au XVI siècle, Paris, Charpentier, s. a., pg. 89. (3) Nel mistero rappresentato a Troyes, Marie Jacobé emette questi lamenti a piè della croce del Redentore : O doux Jhésu que feray Où iray • Ed ma dure dcsplaisance ? En la defiaulté raorray Et cherray Ha piteuse doléance ! Nella Destruction de Troie: Ils ont ma cité ravye Et saisye En la force de leurs bras ; Ils ont fait grant villanie Par envye, Et vous ne Γ ignorez pas. (Les mystères, par L. Petit de Julleville, Paris, Hachette, 1880, II, pg. 286). 372 GIORNALE LIGUSTICO nel primo mistero la strofetta sia in istato di formazione. Regolarmente dovrebbe essere di sei versi, tra ottonari e quadernari avvicendati e rimati aabccb, mentre che la rima nel mistero francese è aabaab. Ogni impaccio però cessa nella strofetta usata da Clément Marot, nelle poesie del quale essa appare agile, svelta e distrigata dagli ultimi impacci per quanto si riferisce alla rima ; si che può dirsi che nel 1539, quando il Marot attese alla traduzione dei salmi di David, egli ridusse a vera forma letteraria il metro della canzonetta , che ricavò, secondo me , dai misteri (1). Di esso metro s’impadronirono pili tardi il Ronsard, il Belleau, il Du Bellay, ecc.; e quando la corte francese si foggiò sull’ italiana — specialmente ai tempi di Caterina e di Maria de’ Medici, — avvenne il passaggio della canzonetta in Italia per opera del Chiabrera, (1) Oeuvres complètes de Clément Marot, Paris, Marpon et Flammarion 1883, V. IV, pg. 116. È la traduzione del XXXVIII salmo, e comincia: Las ! en u fureur aigüe Ne ra’ argüe De mon faict, Dieu toutpouissant : T on ardeur un peu relire, N’ en ton ire Ne me puniz languissant. Può facilmente osservarsi che il metro della poesia del Marot, e lo stesso può dirsi per quella del Ronsard, non è identico alle canzonette del Chiabrera: la francese è composta di settenari e ternari, mentre che l’italiana è formata di ottonari e quadernari ; ciò avviene naturalmente per la struttura fonetica delle due lingue. Che poi, come ho detto, il Marot conoscesse i misteri da me citati, è fuor di dubbio, perché in quel verso : Les deux Grcban ont le chant honore e nell’ altro : Les deux Grcban au bien résonnant style accenna ai due fratelli, Arnaldo e Simone, scrittori di misteri. GIORNALE LIGUSTICO 373 del Rinuccini, del Cebà, e di tanti altri poeti (i). Dopo ciò appar chiaro 1 errore dello Stigjiani nell’affermare che una sua canzonetta, intitolata Invito amoroso, che comincia : Dolce Lidia, Lidia bella Sporgi quella Bocca, ov’ habita il mio core, Ch’ io farò de’ labri bei Poppe a’ miei Vera pecchia di tal fiore. sia una « testura nuova ». Un altra testura di canzone, che lo Stigliani afferma d’aver inventata è la quarta rima, usata dal poeta in una poesia in lode « della Fontana di Leinate, del signor Conte Pirro Visconte ». Il Quadrio concorda con lo Stigliani nell’affermare che la quarta rima non fu adoperata dagli antichi. « Ma fuorché presso al Baiberini dLe il dotto gesuita, — in autori dei primi secoli esemplo alcuno non si trova ». Ma anche nel Barberino la quarta rima è ancora imperfetta, perché la rima della prima quartina si rinviene nelle altre, a mo del sirventese. La differenza del resto è quella stessa che intercede tra la sesta rima di Arnaldo Daniello e quella italiana. Pero lo Stigliani non può dirsi l’inventore di quella testura; il Rinuccini, che già un anno prima avea pubblicata la Dafne pe’ tipi del Marescotti, sebbene tale dramma fosse stato composto sin dal 1594, 0 nel 1589, come vuole Γ Inferrigno dell’Accademia della Crusca (2) , il Rinuccini, adunque, adopera la quartina rimata ABBA, come lo Stigliani (1) Poeti erotici del secolo XVIII, a cura di G. Carducci, Firenze, Barbèra, 1868. pg. XI. (2) Descrizione dell' apparato e degl' intermedi fatti per la Commedia rappresentata in Firenze nelle nozze dei Serenissimi Don Ferdinando Medici e Madama Cristina di Loreno Gran Duchi di Toscana, Firenze, per Antonio Padovani, 1589. 374 GIORNALE LIGUSTICO e prima di lui. È Ovidio, che parla nel prologo del melodramma, e che dice: Da’ fortunati campi, ove immortali Godonsi all’ ombra de’ frondosi mirti I graditi del Ciel felici spirti, Mostromi in questa notte a voi, mortali. Qual mi son io, che su la dotta Lira Cantai le fiamme de’ celesti amanti, E i trasformati lor vari sembianti, Soave si, eh’ il mondo ancor n’ ammira (i). E giacché sono a parlare di nuove forme metriche italiane, che lo Stigliani dice di aver introdotte, accennerò anche alla « testura saffica rimata », la quale, afferma il poeta, « è cosa nuova nella lingua italiana » ; com’ è noto, invece, la strofa saffica volgare è molto più antica e gli esempi di essa risalgono al secolo xv (2). X Tornando alle vicende dello Stigliani, è da ricordare che secondo il Tiraboschi egli passò al servizio del duca di Parma, Ranuccio Farnese, nel 1603, come si raccoglie « da due lettere inedite, una di lui in quell' anno scritta a Ferrante Gonzaga, duca di Guastalla, e Γ altra a lui inviata in risposta dal duca stesso » (3). Queste lettere, come assicura il Tira-boschi, sono inedite, e infatti non compariscono nell’ epistolario a stampa del poeta; dal quale epistolario risulta che, scrivendo una lettera al signor Pietro Antonio Castaldi a Milano (1) La Dafne di Ottavio Rinuccini, Firenze, nella stamperia di Bor-gognissanti, m.dcccx. (2) F. Torraca, Discussioni e ricerche letterarie, Livorno, Vigo, 1888, t>g. 189. Cfr. altresì R. Renier, Saggio di rime inedite di Galeotto del Carretto (Giornale stor. d. lett. ita!., VI, 243). (3) Tiraboschi, St. d. lett. ital., IV, pg. 550. I GIORNALE LIGUSTICO 375 la segnava da Parma con la data del 13 gennaio 1604 (1); ma non è men vero però che nel marzo di quello stesso anno lo Stigliani era nuovamente a Roma, donde « ad istanza del signor Giulio Angiolelli » scriveva ima lettera a un Fabio Pisani a Napoli (2). Forse si sarà condotto a Roma per accomodar definitivamente i suoi affari, perché il 7 aprile 1605 il poeta trovavasi di nuovo a Parma, come appare da una lettera indirizzata ad Andrea Gussoni a Venezia (3). In quell’ anno « egli medesimo — scrive il Balducci nella prefazione alle rime dello Stigliani, — per comandamento del signor Duca di Parma mise insieme quelle (4), ed altre composizioni giovenili, che si trovava insino allora aver dettate ». E fattone un volume « ed ordinatolo con quella sua perfetta division di libri (la quale in poesia è stata veramente la prima, eh* abbia sotto un determinato numero di diversi membri abbracciata interamente tutta la materia lirica (5)), lo mandò dopo alcun mese in istampa pur in Venezia presso al medesimo Ciotti. Ma appena Γ opera si fini di stampare , che fu sospesa dal Pontefice per alcuni indovinelli del quarto libro, i quali nel sentimento letterale parevano lascivi, mediante gli equivoci e le metafore, di che per lo più eran composti. Per la qual cosa non possendo il volume andar liberamente attorno, non potè dall’ universal numero di voi esser veduto, per li quali era stato principalmente fatto, ma solo s’ andò segretamente spargendo fra i poeti, e fra coloro, che compongono, a’ quali Γ ottener licenza di legger poesie (1) Stigliani, Lettere, pg. 334. (2) Op. cit., pg. 259. (3) Op. cit., pg. 261. (4) Le Rime, nell’ed. del 1601. (5) Anche di questa innovazione del divider le rime per soggetti non è inventore lo Stigliani, com’ ebbe già ad avvertire l'acutissimo Aprosio. 376 GIORNALE LIGUSTICO vietate è men difficile, eh’ a voi, per lo pretesto, eh’ essi hanno dall’ imparare, e dell’ avanzarsi nel mestiere ». Ma, secondo un altra versione, di bocca dello Stigliani, il divieto fu promosso dal Davila, col quale egli poi attaccò una lite tremenda. Al cardinale Cinzio Aldobrandini, infatti, raccomandandosi pei che il divieto della stampa del suo libro fosse tolto, scriveva: « Dalla lettera immediata di V. S. 111.®*, e dall’altra fattami scrivere in suo nome per lo signor Nores, ho saputo duplicatamente 1 assicurazione, eh’ ella mi ha impetrata per la persona, non ostante la questione che feci costà (i), e saputo ho anco la ristampa, che a suo tempo mi impetrerà per lo Cançoniero, non ostante la seguita sospensione di quello per accusa dell istesso avversario, con eh’ io venni alle inani ». Cosi 1 opera non potè vedere tranquillamente la luce del sole, sebbene lo Stigliani, per bocca del Balducci, afferma « che la soppressione delle sue fatiche è stata dall’ autore, non solo con animo tranquillo tollerata, ma ad arte mente-r.uta », perché avrebbe potuto facilmente purgare 1’ opera e farla ristampare « in virtù d’ un decreto che di ciò gli ottenne il signor Cardinale di S. Giorgio, della Sacra Congregazione dell Indice, si come fa fede una lettera di esso signore,.eh io ho veduta, e si come ancora n’apparisce vestigio nel primo volume dei libri purgati del Brisighella, ove il presente è mentovato non per proibito, ma tra quei, che son da purgarsi ». È chiaro che la lettera dell’Aldobrandino, cui accenna il Balducci, è quella citata dallo Stigliani nella (i) Altrove riprodussi quasi per intero la lettera con la quale lo Sti-gliam ragguagliava il Duca di Parma della lite avuta col Davila (v. La Vita « le opue di Giamb. Marino, pg. 282). Lo St., poi, appena guarito, scappò Napoli, forse perché il Duca era sdegnato con esso lui per i fastidi che gli da\a. E infatti all Aldobrandini scriveva da Napoli la lettera da me ora citata, con la data del 7 ottobre 1606. giornale ligustico 377 lettera che ho riportato più sopra ; non senza interesse poi « la soppressione delle sue fatiche » fu dallo Stigliani « ad arte mantenuta ». Infatti in una lettera del poeta a Domenico Molino, dolendosi del Ciotti, che istigato dal Marino, ruppe ogni trattativa per la ristampa del Mondo Nuovo, scrive : « Ma in nessun modo io saprei scusare il Ciotti, che essendo già stato mio caro amico e beneficato da me per molte vie, ma in particolare dall’ avere egli guadagnato mille scudi dalla soppressione delle mie rime compiute, dette ora Can%oniero, da lui vendute tutte a dodici lire il pezzo (come fa fede una sua lettera da lui medesimo scrittami di sua mano), volse alla fine privarsi de’ nuovi guadagni mercantili, per non iscom-piacere ad un mio emulo, e per dannificar le mie fatiche , e rumarle » (i). Donde risulta che non meno di cinquecento copie del libro proibito furono vendute, con guadagno certo non indifferente dell’ autore. Però è bene notare che il Canzoniere del 1605 è di una certa rarità (2): la Biblioteca Alessandrina di Roma ne possedeva una copia, ora perduta; un’ altra si conserva per fortuna nell’Angelica, e di essa mi valgo per farne la descrizione (3). Il Canzoniero, adunque, è diviso in otto libri : Amori civili, pastorali, marinareschi e giocosi, e soggetti eroici, funebri, varii e famigliari. Ogni libro è dedicato ad un personaggio diverso ; cosi gli amori civili son dedicati al cardinale Cinzio Aldobrandini, con lettera del i.° agosto 1605; i pastorali al duca don Virginio Orsini, i marinareschi a Ferrante Gonfi) Stigliani, Lettere, pg. 163. (2) Come avrò occasione di notare, i marinisti, capitanati dal Loredano, e, forse, dall’ Achillini, tentarono di distruggere tutte le copie delle opere dello Stigliani. (3) Il Nicodemo, Addizioni alla Biblioteca Napoletana del Toppi, pg. 239, accenna ancor lui a questa edizione, la quale fu proibita cor. decreto della Sacra Congregazione dell’ìndice in data 16 dicembre 1605. 378 GIORNALE LIGUSTICO zaga, i giocosi al conte Fabio Visconte ; i soggetti eroici al duca Ranuccio Farnese, i morali al cardinale Odoardo Farnese, i funebri a Muzio Sforza marchese di Caravaggio e i famigliari al cardinale Ascanio Colonna, altro mecenate illustre del Seicento. Va innanzi al Can^oniero una avvertenza pei lettori, in cui lo Stigliani scrive: « In quella guisa ch’ai novello dipintore, per avvezzare il pennello a ben figurare, convien ne’ principij formar gran cumulo d’imperfetti abbozzamenti; cosi al Poeta, in molte cose al Dipintor somigliante, fa di mestieri, se egli vuol divenire eccellente, fabbricare alcune quantità di roze, e malfatte compositioni. A questi ebbi io riguardo, quando nella mia prima giovinezza sentendomi trar dal Genio più alla Poesia, che ad altre facoltà; e desiderando di esercitare tutti i possibili mezzi di fatica, e di vigilia , che potevano farmi atto a ordire un Poema Heroico : mi diedi, fra gli altri opportuni studi, a scrivere per alquanto tempo Sonetti, Madrigari, Canzoni, e simili scherzi : accioché, cosi faccendo, venissi ad allevare per la maggior opera, la coerenza, e prontezza dello stilo ». Aggiungeva che, dopo questo esercizio lirico, si pose « a fare in ottava rima il Mondo Nuovo », sopra il quale avea « sempre faticato fino hoggi » e condotto a tal termine che sperava « tra due anni (tale quale esso si sia) di darlo fuori ». Però le previsioni del poeta andarono a monte, perché non due, ma dodici anni dovette egli attendere, prima di dare alla luce i primi venti canti del poema. Dalla stessa prefazione si conosce che nella presente edizione sono rifuse molte delle rime comparse nel 1601; ed infatti vi si ritrovano, oltre il ^Polifemo, quasi tutti ; i sonetti e le canzoni. Però le nuove rime sono in molto maggior numero delle vecchie, perché ne’ soli amori civili i sonetti ascendono a ottantacinque e i madrigali a centoscssantotto; ma di essi amori io non mi occuperò: è la stessa maniera secentistica, della quale ho già dato esempi in un altro mio giornale ligustico 379 lavoro. È quel continuo sospirare un amore vano e leggiero, quel notare e descrivere ogni minimo movimento dell’ amata, e ogni oggetto eh' ella porti in dosso. Vi sono dei sonetti, in cui si fa allusione al nome dell’amata; alcuni descrivono gli occhi di lei, altri il viso, lo sguardo, i denti, e anche le parole; vi sono sonetti e madrigali sui veli, sul pettine, sulla cuffia d oro, sui guanti (che alla lor volta sono mandati, biasimati, furati, ecc.), sullo sciugaloio alla finestra, sui nèi, sui ventagli, sulle collane a foggia di serpe, e sin sulle mammelle; sonetti e madrigali in cui è descritto l’amante timido, o impaziente o scoverto, o chiedente aiuto; il fuoco amoroso, la pallidezza, le lacrime, i sospiri, la mezzana ringraziata (!), il sonno, la notte, il pappagallo intercessore, il sogno (alla sua volta grato, mandato, interrotto, narrato) ; la malattia dell amata, e la sua guarigione; lo sdegno, la gelosia, la lontananza: insomma il sentimento è soffocato , avvilito sotto una strana e spesso ridicola congierie di concettuzzi che fanno sorridere e pensare su questo periodo letterario. Non parlerò neanche degli Amori pastorali e marinareschi, tra cui pero si rinvengono madrigali e canzonette fresche e graziose: invece mi fermerò a preferenza su gli amori giocosi. Il Cian, pubblicando alcuni Motti del Bembo (i), ha dato cenni notevoli sull’ origine e diffusione degli indovinelli, quali sono quei sei del Bembo, pubblicati tra i Motti stessi. L’editore, accennando alla elaborazione di queste sconcie composizioni , dice che esse non ebbero metro speciale, perché da principio fu usato il sonetto, poi, più tardi, si adoperò la terzina, l’ottava, e persino la prosa (2). Fra gli scrittori di indovinelli od enigmi, fioriti nel secolo xvn, il Cian cita il solo Antonio (1) Motti inediti t sconosciuti di M. Pietro Bembo, pubblicati e illustrati con introduzione da Vittorio Cian, Venezia, Merlo, 1888. (2) Op. cit., pg. 48. jSo GIORNALE L1GUSTIGO Malatesti, il quale, come si sa, pubblicò i suoi nel 1683. Lo Stigliani occupa quindi un posto più notevole ancóra del Malatesti, anche perché, come ho detto, la pubblicazione de’ suoi indovinelli cagionò la proibizione delle sue rime. Il Rua però comprese l’importanza degl’indovinelli del nostro poeta, e di essi si occupò recentemente in un suo dotto articolo sullo Straparola e sugl’indovinelli onde sono infiorate le Piacevoli Notti (1); ma 1’ egregio amico ebbe presente la sola edizione delle rime dello Stigliani pubblicata a Roma nel 1623, nella quale, come vedremo, buona parte di questi componimenti, e i più sconci, sparirono. Tali indovinelli occupano quasi tutto il libro degli Avieri giocosi; a differenza del Bembo, lo Stigliani pone la chiave in testa al poetico indovinello, tanto per salvar la morale; ma inutilmente, perch’ essi sono talmente lubrici, che non è permesso riportarne qui alcuno (2). Tra questi amori giocosi (1) Intorno alle piacevoli notti dello Straparola (Giorn. st. d. lett. it., XV, Pg· 43)· Mi permetto qui indicare all’amico Rua che i Sonetti molto artificiosi composti da diversi authori, et stampati nuovamente in Bologna ad instantia di Damiano Fido Pastore detto il Peregrino (Giorn. st., pg. 149), si rinvengono col nome degli autori nel cod. Vat. Reg. 1591, il quale contiene la Cecaria dell’Epicuro, e molte rime del Casa, del Bembo, ecc.. Il cd. fu, come è noto, additato agli studiosi dal Palmarini (1 drammi pastorali di Antonio Marsi, detto 1’ Epicuro, Scelta di curiosità itiedite e rare, ecc. Bologna, Romagnoli, 1887), che però non fece cenno degl’indovinelli ivi contenuti. (2) Son dedicati, come si disse, al conte Fabio Visconte, e si afferma « che niuna classe delle sue Rime inviterà tanto efficacemente a sé la colonnia de’Maledici, quanto questa Giocosa». Volle ripararsi «sotto il riverito scudo della difesa » del Visconte, perché temeva la riprensione de’suoi nemici. Terminava col dire: « Perciocché alcuni danneranno la collocatione de’componimenti burlevoli fra i gravi, ed altri la poca honesta. Ai primi ella risponderà, che essendo la poesia lirica capace di tutti i suggetti, viene per conseguenza a essere capace di tutti gli stili. Ai secondi dirà, che Poema scostumato è quello, in cui l’interna elettione dello Autore si conosce vitiosa: ma nel vero sentimento degli enimmi, e delle altre compositioni essa non si conosce tale ». giornale ligustico son compresi alcuni epigrammi, di nessuna importanza. Eccone per saggio uno, che non è il più volgare : Sin, che la Nicolosa Durò giovine, e fresca A la fame amorosa Fu sempre facil’ esca. Hor, che per troppa etade Perduto ha la beltade, Per rassembrar honesta, S’ orna di bigia vesta. Credevi Ovidio havere Ciascuna metamorfosi trattata? Ecco una Vacca in Asina mutata. X Ho già detto che dopo la lhe col Davila, lo Stigliani dovette fuggire a Napoli, donde raccomandavasi al cardinale Ciuzio Aldobrandini per protezione. Questi sembra che accomodasse gli affari dello Stigliani, perché il poeta raggiunse ben presto la corte di Ranuccio Farnese, dove divenne un de’ personaggi più importanti, e gentiluomo e famigliare del Duca; il quale, avendo nel 1606 rinunciato al principato del-ΓAccademia degl’ Innominati di Parma, ebbe per successore il conte Pomponio Torelli. A quest’ ultimo , sulla fine di quello stesso anno, successe lo Stigliani, che da Piacenza , dove erasi condotto forse per combinar la stampa del Mondo Nuovo, ringraziò P adunanza di tanto onore « significando di essere stato dubioso se P accettarlo, a riflesso di non poter eguagliare la savia amministrazione del signor Conte Pomponio Torelli, Principe passato » (1). Fatto principe dell’Accademia degl’ Innominatij lo Stigliani desiderò che le adunanze dapprima bimensili, si tenessero ogni settimana, sperando che (1) Stigliasi, Lettere, pg. So. Cfr. altresi Affò, Sommario degli scrittori parmigiani, V. pg. 21. 382 GIORNALE LIGUSTICO in tal modo le sorti della poesia in Parma potessero sempre più migliorare (1); ed è curioso notare che ad una di queste adunanze intervenne il Marino, cui lo Stigliani lesse un canto del suo Mondo tìuovo « in casa del Conte Torelli, coll’intervento di Eugenio Visdomini, di Scipione Della Rosa e di Loienzo Smeraldi » (2). Infatti le relazioni fra i due poeti sino a un certo punto si mantennero amichevoli (3), perché della visita fatta dallo Stigliani in Parma il Marino, raggiunta la corte di Torino, scriveva come di cosa per lui graditissima, e accennava ai be’ giorni passati col suo futuro avversano. In séguito, dopo la pubblicazione del mariniano Panegirico al Duca Emanuele I, col quale l’autore credeva di aver introdotto per prima volta nella poesia italiana Γ uso della sestina, il Marino stesso scriveva al Sanvitale la lettera che ho citata più innanzi. In seguito poi il Marino, fatto segno degli attacchi del Murtola, componeva la Murtoleide, che volle tosse intitolata allo Stigliani, come appare da una copia manoscritta di detta Murtoleide, che trovasi nella biblioteca comunale di Cortona; e infatti il primo sonetto è diretto allo Stigliani, che il Marino altamente encomia (4). Quando poi (1) Op. cit., pg. 80. (2) Op. cit., pg. 81. (3) Sull antica amicizia avuta col Marino lo Stigliani cosi poetava: Sperai, mentre eh’ uniti amor ne tenne, Dar d’ amicìzia al mondo eterno esempio ; Si che d’Alcide ne patisse scempio L’ alta memoria, e di ch* il Ciel sostenne. Ma poi eh’ ogni bontà mise le penne, Partendo dal tuo petto iniquo, ed empio Mancò mia speme. (4) G. Mancini, I manoscritti della Libreria del Comune e del?Accademia etrusca di Cortona, Cortona, 1884, pg. 115: « La Murtoleide del Cav. Marini (Giovanni Battista) fischiate contro Gaspare Murtola dedicate al Cavalier Tommaso Stigliani, f.° 52 (Sonetti VLIl). Codice di 0,182 x 0,125 GIORNALE LIGUSTICO 383 il Murtola tentò di uccidere il Marino con una pistolettata (1), questi, che sospettava dapprima lo Stigliani non estraneo del tutto ai sonetti satirici che circolavano manoscritti per Torino contro di lui, si ricredette e riconoscendo d’ essersi ingannato, scriveva ancóra una volta al Sanvitale: « Desidero che si sappia dagli amici, e specialmente dal mio signor Stigliani, il quale ha da scusarmi, se trasportato dalla passione presi di lui quel sospetto, che presi ». (2) E poco dopo, avendo composto una lettera che diresse al Duca Emanuele di Savoia, nella quale narrava i fatti occorsi, il Marino, inviandone una copia allo stesso Sanvitale, dichiara: « Desidero che sia veduta, e se ne sparga copia : e il tutto faccio con consiglio del mio signor Stigliani, della cui gratia son gelosissimo, e ne vivo in qualche dubbio, poiché vedo, eh’ a tante mie raccomandationi, e salutationi né risponde, né corrisponde. Comunque sia, io non posso non amare e non istimare il con f.° 73 scritti nel sec. xvn ». Nell’ed. a stampa della Murloleide (in Spira, appresso E. Ilarhio, 1629) non appare vestigio di tal dedica ; v’ è però il sonetto allo St.: Stigliati, clic vai da questo polo a quello Spargendo del tuo nome alto rimbombo, Mentre celebri in versi il gran Colombo Ritrovatore d’ un mondo novello ; Perché non volgi al Murtola il cervello, Ch' io per lodar mi sfegato e dislombo; Il qual, quanto è più fin l’oro dal piombo. Tanto n’ ha ritrovato uno più bello. Ma poiché te con stil degno d* alloro Ti sci messo a compor la Colombeide Forse perché quel mondo ha più tesoro, Io eh’ ingegno non ho da far Eneide t Perché quest’ altro ha merda in cambio d’ oro -Mi son messo a compor la Murloleide. (1) MeNGHINI, Op. cit., pgg. I02-IIO. (2) Marino, Lettere, pg. 116. 3 84 GIORNALE LIGUSTICO suo valore singolare, e di gratia V. S. di ciò l’assicuri » (i). Infatti per dimostrare la sua amicizia allo Stigliani, gli dirigeva un sonetto lodando il Mondo Nuovo, e augurando che ben presto avrebbe veduta la luce (2). Dirigendosi poi direttamente allo Stigliani, il quale gli chiedeva il permesso di stampare in principio del Mondo Nuovo quel sonetto, il Marino obbiettava: « Non occorreva che Vossignoria chiedesse il consentimento mio in cosa di cosi piccola importanza, coni’ è lo stampare in principio del suo poema quel mio sonetto , Sciolse il Colombo ecc.. Si perché non ad altro effetto il feci (si come scrissi a quel Benamati) che per honorarne (i) Op. cit., pg. 27. {2) Questo sonetto fu dal Marino inserito nella Galleria, la quale, essendosi pubblicata nel 1618, quando cioè fra’ due poeti era rotta completa, non portò più la dedica allo Stigliani, bensì a Giovanni Villafranchi, autore anch’egli di un Poema su Colombo. Devo aggiungere ch’era in desiderio del Marino porre il sonetto nella Galleria con la primitiva dedica. « Né mi par, scriveva il Marino all’ amico suo, clie faccia bisogno mandarne altro esempio (del sonetto) di mia mano oltre quel, che già mandai al Ben’ amati, dal qual ella lo ha hauuto, quando fra pochi giorni (spero) potrà vederlo pubblicamente stampato nella mia Galleria ». Marino, Lett., pg. 58. Ecco del resto il sonetto: Sciolse il Colorabo de Γ audace ingegno Per arapio gorgo le felici autenne, Spiegai le vele anch’io, spiegai le penne Per lunga historia, de 1* ardito ingegno. De 1’ onde irate il tempestoso sdegno Il buon nocchiero intrepido sostenne, Me dal corso honorato a fren non tenne Di vigilia, o fatica aspro ritegno. L* un solcò d’acqua un mar, l’altro d'inchiostro, E ricchezze portammo al patrio suolo Io di carrai, e.....ci d’oro, e d’ ostro. Cosi del par con glorioso volo Dilatammo i confini al nome nostro, Ch’ era poco a capirlo un mondo solo. GIORNALE LIGUSTICO 385 lei, si perche ella ha il mero, e misto imperio sopra tutte le cose mie, le quali l’esibisco ad ogni suo beneplacito con quella prontezza e sincerità che mi insegna la simplicità della mia natura » (1). Poi, quando lo Stigliani lo ringraziò del sonetto, pregandolo a mandargliene un’ altra copia scritta di suo pugno, il Marino gli rispose: « Né mi par, che faccia bisogno mandarne altro esempio di mia mano , oltre quel, che già mandai al Benamati, dal qual ella lo ha avuto, quando fra pochi giorni (spero) potrà vederlo pubblicamente stampato nella mia Galleria » (2). Ma frattanto il Marino cominciava a dubitare dell’ amicizia dello Stigliani, perché al Benamati scriveva: « Tomaso Stigliani mi scrisse una lettera assai cortese, dove mi prega a mandargli una copia di mia mano di quel sonetto da me composto per lui. Io (per quel che da V. S. mi fu scritto) sono entrato in tal sospetto, eh egli non sia colui che va sparlando del fatto mio, con si poca modestia , che non solo non 1’ ho voluto consolare di questo, ma con destra digressionetta gli ho motteggiato d’ingratitudine , dicendogli che corrisponde malamente alla mia affettione, s’ è pur vero che dalla sua lingua procedano si fatte mormorationi. L· vero che non gli ho specificato nulla del particolare, ma mi son doluto con lui in genere, accen- (1) Marino, Lettere, pp. 116. In tutta questa faccenda il Marino però si condusse poco correttamente. Mentre scriveva al Benamati molte ingiurie e malignità sul conto dello Stigliani, con quest’ ultimo invece cosi si confidava: « Ma qui nel mentovar del Benamati mi è sovvenuto una cosa di che io havevo ad avvertirla. Di gratia non parli con esso lui delle risate, e motti, che costi facemmo delle sue compositioni acciocché esso non se ne turbi, perché quantunque egli vaglia poco è però da stimare Γ amicitia di tutti ». (2) Marino, Lettere, pag. 58. Questa lettera dev’ essere stata scritta non più tardi del 1615, perché nel 17 usci il Mondo Nuovo, e nel 18 la Galleria, in cui il Marino vendicavasi atrocemente dello Stigliani. Gioms. Ligustico. Anno XVII· 25 386 GIORNALE LIGUSTICO nando, che per relatione di molti amici me n’ era stata fatta fede. Se per avventura tenterà d’ esplorare da V. S. qualche cosa, di gratia, non si lasci uscir di bocca nulla di quanto io le scrissi, et dica non avermi mai scritto cosa appartenente a lui. Insomma insino a tanto eh’ io non mi chiarisca di questa verità, me ne starò con questa credenza, che quelle baie non possano essere uscite altronde; et questa mia dubitatione non è senza qualche fondamento di congettura possibile. Basta, io ho voluto avvisarne V. S. acciò che essendone informata, sappia ben dissimulare » (i). Non pertanto dunque il Marino voleva romperla con lo Stigliani; scusandosi anzi con lui per non avergli potuto mandare una copia delle Dicerie. Sacre, che furono impresse nel 14, lo spronava alla stampa del Mondo Nuovo: « Godo infinitamente, eh’ Ella si sia pur risoluta a darci qualche saggio della sua lunga fatiga del Mondo Nuovo, ed è ben tempo che si apra un più spazioso campo a quella gloria che fin da i prim’ anni si dimostrò cosi chiara, e cosi honorata ». Si noti poi che quando il Marino sostenne le fiere contese col Cataneo, col Vitali detto il Poetino, e con Margherita Sarocchi (2), gli amici gli avevano fatto credere che lo Stigliani avesse mano nelle questioni; onde, chiarita la cosa, il Marino si scusò con lo Stigliani: « Saluto Vostra Signoria di vivo cuore, né voglio , che la spada avvelenata di una lingua maligna vibrata dall’ invidia, e dalla calunnia possa rompere il nodo di quel caro amore, che le porto. Hanno procurato alcuni di far impressione nel-1’animo mio, eh’Ella mi voglia poco bene; che abbia tenuta corrispondenza di lettere col Murtola, e prima col Cataneo, e col Vitali; e che finalmente sia stata in parte consapevole della congiura orditami contra costi in Parma presso al (1 ) Op cit., pg. 226. (2) Menghini, op. cit., pgg. 102-108. GIORNALE LIGUSTICO 387 ri unal Sacro, ma mi vo accorgendo , che son ciancie di uomini inter essati, li quali per queste vie indegne s’ingegnano 1 seminar zizannie fra noi; né vorrebbono, che ci amassimo insieme, che siamo (sia lecito dirlo in segreto) i due luminari; molte cose accenno a Vostra Signoria, e molte ne taccio. Basta. Io le rappresento di bel nuovo la mia amicizia cosi limpida, e sincera come da prima glie 1’ offersi(1). È chiaro che la lingua maligna era il Benamati, il quale , posto dal Marino sulla via delle confidenze, avvertiva l’amico che lo Stigliani s esprimeva molto male riguardo alla terza parte della Lira allora pubblicata; ed il Marino rispondeva: « Circa il verso notato dal Genovese (2) nelle mie Rime, ben ha ragione, poiché, questo appunto è uno dei luoghi falsificati, et scorretti di tanti, et tanti, che ve ne sono ». Di più, allo Sti-gliani piacevano ne meno le Dicerie Sacre; naturalmente il Benamati ne ragguagliava subito il Marino, il quale , di rimando: « Che le mie Dicerie Sacre non piacciono a quel Tisicuzzo, non me ne meraviglio, poiché non ha naso per fiutar rose, et in si fatte materie scritturali egli non vi pesca ». (Continua). Mario Menghini. VARIETÀ Antonio Gallo e la famiglia di Cristoforo Colombo. Dal dotto mio amico, il commendatore De Simoni, sovra-intendente agli Archivi Liguri, veniva, or non è molto, invitato a far P esame di un codice rinvenuto in una sala del (1) Marino, Lettere, pg. 90. (2) Op. cit., pg. 250. Lo St., a margine di quella ed. delle lettere del Marino, da lui postillate, annota: « Il Genovese son io, e la scusa e la correzione son false essendo l’istesso enore in altri componimenti del medesimo autore ». 388 GIORNALE LIGUSTICO nostro Archivio di Stato, nella quale stanno molti volumi e filze di documenti relativi a privati, la massima parte dei quali giace ancora inesplorata (i). Ed il motivo per cui mi accennava questo volume, era perchè appartenente al notaro Antonio Gallo. A tutti coloro che si occuparono delle controversie sulla patria di Cristoforo Colombo, il nome di Antonio Gallo non è ignoto, imperocché di lui, assieme a diversi opuscoli di storia genovese, scritti in latino, si ha un Commentariolus sulle scoperte del grande navigatore, inserito dal Muratori nel voi. XXIII della sua opera Rertnn Italicarum Scriptorum. Oltre a ciò, è nel Manuale Litterarum (2), tenuto dal Gallo come cancelliere del Banco di S. Giorgio, ove trovansi le copie delle lettere dirette da detto Ufficio al suo amantissimo concittadino Cristoforo Colombo, ed al costui figlio, in risposta alla sua, datata da Siviglia il 2 aprile del 1502, colla quale Γ Ammiraglio partecipava le sue buone intenzioni di erogare delle somme a vantaggio delle gabelle sulle cibarie, ed a sollievo del popolo (3). U avere il Gallo detto nel suo opuscolo, in modo da non lasciar luogo ad equivoco, che Cristoforo e suo fratello Bartolomeo erano genovesi * e nati in Genova da umili parenti addetti alla tessitura di panni, fu il motivo per cui gli avversari di Genova cercarono in tutti i modi di infirmare le sue parole e la sua autorità, non tralasciando anche di emetter qualche dubbio sull’ autenticità di detto suo lavoro ; quasi (1) Archivio di Stato, sala 74; ora il codice fu trasportato nei manoscritti al n.° 711. (2) Archivio di Stato, sezione Archivio di S. Giorgio. (3) L’ autografo di questa lettera già nell’ Archivio di S. Giorgio, ora è nel Palazzo di città. giornale ligustico 389 che, togliendolo di mezzo, non sussistessero altre testimonianze di egual peso e valore. Ma che il Gallo scrivesse delle cose di Colombo, abbiamo accertato dal Giustiniani (1) e dal Foglietta (2), contemporaneo il primo e P altro vissuto poco dopo, i quali chiaramente lo dicono, come pure da tutti i nostri scrittori, che mai poseio indubbio 1 autenticità della narrazione pubblicata dal Minatori; ed in quanto alla sua veracità si argomentava e dalla sua condizione di notaro, persona godente allora della massima fede pubblica, e dall’essere cancelliere del Banco di S. Giorgio, 1 appartenere al quale in si delicato ufficio era un bello attestato di stima e di confidenza ; come pure dal-1’ essere contemporaneo di Colombo, per cui probabilmente doveva averlo conosciuto di persona, od almeno conosciuta la sua famiglia. Quest ultimo asserto pero era in via di induzione, e nonostante la sua probabilità somma, non aveva ancora raggiunto il grado di certezza e di evidenza; e il codice or ora trovato nell’Archivio, e da me subito esaminato colla più spande attenzione, ce ne porge la prova in modo che ormai non è più lecito dubitarne. Lo stesso è un libro di conti di famiglia che teneva il notaro, come vedesi dalla intestazione: Cartularium rationum privatarum mei, Antonii Galli, cancellarii magnificii officii S. Georgii mdiiii, scritta sulla prima pagina, e precisamente il libro manuale. Comincia col 1504, continuando per alcuni anni successivi, e vi sono trascritte le diverse rationes da cui, per diversi titoli, aveva entrata od uscita. Da esse si possono apprendere molte e non inutili cogni- (1) Annali della Repubb. di Genova, all’anno 1493. (2) Clarorum Ligurum Elogia, Roma, 1574, nell’elogio di C. Colombo. 390 GIORNALE LIGUSTICO zioni relative alla vita ed ai costumi delle famiglie agiate di quei tempi, delle quali tacerommi perchè estranee a questo mio scritto; solo dirò, per quanto riguarda la famiglia del Gallo, che essa era piuttosto numerosa, chè, oltre a lui ammogliato con certa Damianina, vedova de Boeto, vivevano le vedove dei suoi fratelli Gregorio e Barnaba, una delle quali con due figlie; che egli avea due figli, Paolo e Bernardo, il primo con moglie e bambini, e l’altro ammogliato più tardi, oltre a diverse figlie. Per cui nel manuale trovansi partite relative a tutti costoro, alle donne rispettive per le doti e spese personali, a’ figli che man mano nascevano, pe’ battesimi, pe’ baliatici, pe’ maestri di scuola, al Bernardo per il suo matrimonio, alla moglie, ad una cognata e ad una nipote, per la malattia, la morte, i funerali e la sepoltura. Si conosce pure che egli viveva in molta agiatezza, ma in mezzo ad affari di ogni genere, e che oltre i suoi guadagni ed emolumenti come notaro e cancelliere del Banco di S. Giorgio, in unione a’ suoi figli, facea commercio di legnami, mercanteggiava in generi diversi, come grano, olio, vino, sia delle sue terre come comprati e fatti venire da altre parti, aveva carati sopra bastimenti, alcuni dei quali erano tutti di loro proprietà, nè tralasciava di prender parte a società per appalti di gabelle, nè di far qualche pegno sopra oggetti preziosi. Godeva poi di redditi provenienti da diverse case presso Santa Croce, da una possessione con casa in Terralba, proprietà di sua moglie, da altra a santa Giulia di Lavagna, e da una di maggiore entità a Quinto, con abitazione ove andava a villeggiare, e per la quale spese di molte somme ricostruendo la casa, adornandola di colonne e di marmi, e dotandola di ampia cisterna. Da questa possessione ripete forse origine la sua conoscenza con la famiglia Colombo. Domenico padre di Cristoforo, era di quel luogo, donde si trasferiva a Genova verso il 1439; GIORNALE LIGUSTICO 391 ma continuo ancora per molto tempo ad aver rapporti di interessi colà, tanto più che Antonio suo fratello vi mantenne la dimora. Costui, come ben sappiamo, è il padre di Giovanni, Matteo, Amichetto e Tomaso, dei quali molti atti notarili si conoscono, ed è importante quello dell’undici ottobre 1496 a rogito del notaro Giovan Battista Peloso (1), ove i tre primi si obbligano a far le spese perchè il Giovanni vada in Spagna, ad inveniendum dominum Christophorum de Colombo armiratum Regis Ispanie. Di questi fratelli, il Matteo e l’Amichetto sono spesso notati nel manuale del notaro, e si apprende che erano in diversi e frequenti rapporti con lui e con la sua famiglia. La moglie dell’ Amico poi, nel volume quasi sempre detto Micho, certa Maria, tesseva tele per la famiglia del notaio e trovasi nei conti per queste in molte di quelle pagine. Appare pure che il Matteo, il quale nella sua giovinezza vedemmo accordarsi con un tessitore in seta (2), a Quinto faceva il tavernaio, e somministrò il vitto a qualche operaio, che lavorava alla cisterna 0 ad altra fabbrica del notaro in quella località, come dimostra una partita messagli a credito il 10 novembre del 1504. Oltre a questi, figura pure nel libro, sotto la data del 3 aprile 1504, una Bartolomea de Columbo che finora non ho potuto conoscere chi fosse, ma che certo appartiene alla stessa famiglia. Chiaro pertanto appare da tutto ciò che il notaro Antonio, Gallo quando cominciava il suo commentariolo de navigatione Columbi con queste parole: Christophorus et Bartholomeus Columbi fratres, natione ligures ac Geme plebeis orti parentibus, et qui ex lanificii, nam textor pater, carminatores filii aliquando juerunt, mercedibus viclilarent, sapeva benissimo quello che di- (1) Archivio di Stato, sezione Archivio Notarile, sala 6. Cf. Giornale Ligustico, fase. VI1-VIII, 1887. (2) In atto del notaro Giacomo Rondanina del 3 settembre 1471. Cf. Giornale Ligustico, fase. VII-V1II, 1887. GIORNALE LIGUSTICO ceva, che ne conosceva a fondo e da antico la famiglia, imperocché la possessione di Quinto Γ aveva avuta, come accenna nel libro, ex hereditate patema. Ciò per quanto riguarda la conoscenza del Gallo colla famiglia Colombo. Ma una nota nel citato registro ci conferma come egli si occupasse della istoria delle scoperte del sommo navigatore. E questa si trova sotto la data del io novembre del 1508, ed accenna alla spesa fatta di soldi dodici per alcunché di relativo alle stesse, ed è di questo tenore: Pro historia Colochut et Columbi prò capsia de lxxxxiiii s. s. xii , che espressa in buon volgare significa, aver incontrato la spesa di soldi dodici per la storia del Colocut e di Colombo, come appare dal libro di cassa a pagina 94. In che cosa siano stati erogati i dodici soldi non è detto, e bisognerebbe aver sot-t occhio il libro di cassa per conoscerlo; ma questo invano finora si è cercato in quella quantità non piccola di volumi. Bisogna pertanto ricorrere a due supposizioni. La prima che sia per acquisto di qualche libro sopra dette istorie; e 1 alti a per compra di carta o registro onde trascrivervi il commentariolo delle navigazioni di Colombo che abbiamo del Gallo, e 1 altro sulle navigazioni al Colocut che non conosciamo, sia perchè andato smarrito, 0 perchè da lui non più scritto. Vista però la tenuità della somma, giacché i dodici soldi d allora computati a tredici centesimi e mezzo d’oggi non corrispondono che a L. 1 e cent. 62, inclinerei a credere che fossero stati spesi in acquisto di carta o libro per trascrivervi le istorie dettate dal Gallo o che voleva dettare. E ini conforta in tale opinione il fatto che un libro scolastico, il Virgilio, comprato pel Giacometto, nipotino del notaro, costò lire una e soldi quattro equivalenti ad attuali lire 3 e cent. 24, per cui in via di paragone, non mi parrebbe ammissibile che solo la piccola somma di L. 1 e cent. 62 fosse costato uno giornale ligustico 393 dei libri, che correvano a quei tempi, sopra i viaggi al Colocut e le navigazioni di Colombo. Comunque però sia, dalla citata nota risulta in modo indiscutibile che il notaro Antonio Gallo si occupava dei viaggi di Cristoforo Colombo, come dagli accenni indicati che era in antica relazione colla famiglia di lui. A questo proposito aggiungerò ancora che il nostro notaro abitava nel borgo di S. Stefano. Infatti nel testamento di Damianina moglie del Gallo, redatto dal notaro Giovan Battista Foglietta nel luglio del 1506 (1), leggesi che fu redatto in contrata burgi S. Stepbani in camera caminate domus habitationis Antonii Galli; ed in una procura fatta, lui morto, dal figlio Bernardo, in data 12 febbraio del 1519 col ministero del notaro Vincenzo Molfino, al nome generico di borgo di S. Stefano si aggiunge il particolare della contrada di Rivotorbido, onde resta stabilito come la casa fosse nelle vicinanze di Ponticello. Tutti sanno che l’abitazione di Domenico Colombo era nel primo tratto del vico diritto di Ponticello; che l’altra di lui casa era in via divella a tramontana della chiesa di S. Stefano, e che il Bavarello, genero di Domenico e marito di Bianchinetta, aveva la sua bottega sulla piazza di Ponticello. Motivi tutti perchè fra il Gallo e la famiglia dei Colombo dovessero essere ragioni di conoscenza e di rapporti. A prova dell’ autorità grande poi del nostro notaro, oltre quanto ne dicono tutti gli scrittori, ed il Federici nel suo Abecedario (2), ove enumera le ambascerie e gli altri onorevoli incarichi da lui sostenuti, citerò, come cosa affatto ignota, una commendatizia di Agostino Adorno, allora governatore di Genova pel duca di Milano, diretta alla celebre regina Giovanna (1) Archivio di Stato, sezione Archivio Notarile, sala 6. (2) Biblioteca dei Missionari Urbani. 394 GIORNALE LIGUSTICO addì 7 settembre del 1495 (1). Essa è in favore di Paolo Gallo, figlio del nostro notaro, capitano di una grossa galea che doveva recarsi a comprar grano in Sicilia; e l’Adorno prende argomento per raccomandarlo alla regina, e dall’amicizia grande che lo legava a suo padre, e dai molti meriti e virtù di costui, e dalla condizione sua di cancelliere di San Giorgio. Conchiuderò pertanto con dire che il notaro Antonio Gallo, per quel che accenna relativamente al luogo di nascita di Cristoforo Colombo, sia nel sopracitato Commentariolus, sia nelle lettere che leggonsi nel Matinale Litterarum M. Officii S. Georgii, è un testimonio ineccepibile, le cui parole non possono essere messe in dubbio che per ignoranza o per mala fede- M. Staglieno. SPIGOLATURE E NOTIZIE Ancora del < Massamutino ». — L’egregio prof. V. Crescini ha diretta al prof. Belgrano la seguente, che pubblichiamo come contributo alla illustrazione di quella voce. Caro professore, So che il eh. Desimoni nel Giornale Ligustico (XIII, n. 1-2) spiegò cosi bene, come egli suole, la voce massamutino del contrasto di Cielo d’Alcamo, che prima non era stata intesa a dovere. Non ho sott’occhio l’articolo dell’erudito genovese; m’è quindi ignoto se della voce in discorso egli abbia recato l’esempio provenzale, che ora mi permetto di rammentarle. Nella Chanson de la Croisade contre les Albigeois, ed. Meyer, v. 1065, occorre il nostro vocabolo in questa forma: e Mot bon denier costcron c mota nusmutina ». Guglielmo di Tudela, l’autore della prima parte della Chanson, accenna qui alle saldissime mura del castello di Menerba, battute dai formidabili (1) Archivio di Stato, cod. Litterarum 1495-1496, n. 37. giornale ligustico 395 petrïei i del conte di Montfort, e soggiunge che eran costate molti denari e molti massamutini. Il Meyer ha spiegata esattamente la voce del glossario unito al testo. Ciò fin dal 1875. Se queste righe non sono affatto superflue, voglia Ella pubblicarle come postilla all’articolo del De Simoni. Di Lei, caro professore, Padova, 6 agosto 1890. Dev. affe\. V. Crescini. * * * A Cengio (circondario di Savona) si rinvenne un ripostiglio contenente circa 200 monete d’argento del secolo xiv, fra le quali si notano i dogi I (S. Boccanegra), III (G. Valente) e IV (S. Boccanegra). — A Luni il marchese Gropallo fece eseguire delle indagini in un terreno di sua proprietà, e si posero allo scoperto parecchi frammenti che si riferiscono ad edificio pubblico imperiale. Aspettiamo su questo proposito la relazione dell’egregio ispettore cav. Podestà (Notizie di scavi di antich., 1889, pag. 393, 1890, pag. 4). * * * Il i.° agosto 1496, il re di Napoli scrive a Battista Lomellino e compagni: « È de bisogno che in le occorrentie se recercano li amici. Et però, essendo già propinqua la festa felicissima dell’ assumptione de la corona de questo nostro regno: per la qual cosa la S.'* de N. S. manda lo R.m0 Cardinale Valentia legato de latere cum voluntà et consensu del collegio de R.m> signori Cardinali, non possendose mancare a la dignità de dicta (esta che non habiamo da comparere come se recerca, per tanto, essendo in vostro potere la joya nostra nominata lo fecato (sic), ve pregamo et stringemo vogliate per amore nostro prestarne dieta joya per octo di : la quale farite consignare in potere del magnifico messer Michele d’Aflìicto nostro consigliere et Thesorero generale, che vi pro-mittemo per la presente, sub fide et verbo nostris regiis, fornita dicta festa farla retornare in vostro potere, del che ne compiacente summamente ». (Cfr. Ardi. Slor. Napol., a. XV, p. 228). • • * Una curiosa notizia si legge nel conto del tesoriere della Casa reale di Torino sotto la data del 4 settembre 1724, ed è che «Davide Roman aubergista in Genova riceveva L. 320 a titolo di donativo et a cònside-ratione di avere il medesimo presentato a S. M. una trutta et accon- GIORNALE LIGUSTICO datala alla maniera di detta città per la tavola di S. M. ». Viene pubblicata dal nostro collaboratore Gaudenzio Claretta nella interessante monografia: Gli alberghi antichi di Torino (Cfr. La Letteratura, n. 19). * * * Segnaliamo un importante monografia di Pio Rajna , a proposito di quell’ Andrea Cappellano del quale fece cenno il Giornale annunziando uno scritto di Carlo Frati. Con ragioni assai concludenti egli rileva che l’Andrea, autore del noto Liber Amoris, non possa identificarsi con Andrea Fieschi cappellano di Innocenzo IV suo zio (cfr. Studi di Filologia romanza, fase. 13). BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Storia di Genova narrata alla gioventù e al popolo da Federico Donaver, con illustrazioni e 3 carte. — Genova, tipografia Sordo-muti. Prezzo L. 3·5°· Sono oggimai trascorsi parecchi anni dacché un nostro concittadino, valente quanto modesto, dettava un compendio della Storia genovese che ebbe meritata fortuna. Vogliamo accennare a Giunio Carbone, morto or non è molto a Firenze quasi al tutto dimenticato, eppur degno di ricordo, e per l’animo buono e per la soda erudizione ond' egli andava ornato. Il suo lavoro aveva Γ intento di far conoscere in modo piano e popo-lare gli avvenimenti di Genova, ed era scritto con giudizio e con molta chiarezza. Chi non voleva rifarsi agli annali del Giustiniani, alle istorie del Foglietta, del Bonfadio, del Partenopeo, del Roccatagliata, deH’Aci-nelli o d’altri siffatti, nè ricorrere alla bella narrazione di Gerolamo Serra, prendeva in mano volentieri i due volumetti del Carbone, dai quali poteva attingere piacevolmente una sufficiente conoscenza della storia locale. E ciò prima ancora che Giuseppe Canale si ponesse con animo deliberato a scrivere la nota sua opera, non certo ottima, ma considerati i tempi e la condizione degli studi, neppure spregevole. Altri dopo il Carbone aveva dato mano a compilare un qualche breve compendio istorico più specialmente destinato alle scuole, ma per mala ventura questi lavori riuscirono manchevoli e disadatti. Perciò abbiamo accolto con piacere 1’ annunzio di una nuova Storia di Genova, la quale ci ponesse sott’ occhio in modo sintetico gli avvenimenti dell’ antica e gloriosa Repubblica, tenendo conto degli studi più recenti, per mezzo dei giornale ligustico 39 7 quali vennero chiariti alcuni fatti particolari, e meglio si conobbero le cause donde essi derivarono. Il Donaver che ha compilato il libro del quale parliamo, si è proposto di fare opera utile alla gioventù ed al popolo, e senza toccare inopportune discussioni, o render grave la sua esposizione con un’ erudizione poco conveniente, ha voluto pur nonostante far suo prò’ degli studi, ai quali innanzi si accennava, rendendo così più veritiero e completo il suo lavoro. Il quale non poteva essere altro che una vera e propria compilazione, fatto cioè_,sopra il materiale precedente e già noto. Ma qui appunto doveva apparire il buon criterio dello scrittore, poiché era necessario saper scegliere bene e con avveduto discernimento, affinchè nulla d’importante fosse dimenticato, e il complesso dei fatti si manifestasse in quella bella unità che non lascia lacuna od incertezza. Dovrem noi dire che l’autore abbia raggiunto il suo fine, ottemperando in un tempo alle leggi del-1’ arte? Ciò appunto brevemente verremo esaminando. L’autore incomincia con le notizie topografiche di Genova antica, attingendo dalle fonti migliori e più recenti. Egli reca altresì due tavole, nelle quali viene rappresentata la città nel secolo XII e nel secolo XVII ; ma mentre la seconda riproduce una stampa contemporanea , Γ altra, quantunque discretamente riuscita, pure si rivela derivata piuttosto da argomenti ideali. La storia poi viene divisa in quattro parti ; nella prima si racchiude il periodo delle Origini e del governo consolare ; nella seconda quel lasso di tempo in cui Genova venne governata dal Podestà e dai Capitani del popolo; la terza va dall’elezione di Simon Boccanegra al 1528, in cui avvenne la trasformazione della Repubblica per opera del D’Oria; finalmente nell’ultima parte si narrano le vicende che si svolsero fra il 1528 e il 1814, non senza discorrere in ultimo della parte ch’ebbero i Genovesi ne! Risorgimento nazionale. Questa divisione ci sembra assai felice, considerando le diverse trasformazioni ch’ebbe a subire il governo genovese: infatti gli avvenimenti più importanti sono quelli cbe determinano il trapasso dall’ una all’ altra epoca storica, conferendo al complesso del lavoro quella dicevole economia che è tanta parte dell’ opera letteraria. Si aggiunga che non senza opportunità Γ autore si è fermato più lungamente intorno a certi fatti, toccandone appena altri che non avevano una diretta importanza nell’ organismo della storia genovese. Vero è bensì che alcuna volta, seguendo siffatta preoccupazione, troppo fugacemente sono accennati alcuni punti che pure valgono a chiarire fatti e conseguenze successive. Cosi alcuna volta il lettore s’avviene a qualche brusco interrompimento, e non 398 GIORNALE LIGUSTICO trova quel nesso naturale e spontaneo che pur si richiederebbe a fermare 1 attenzione sopra, diremo col Muratori, il massiccio dei fatti storici. Questa osservazione ci conduce a rilevare altresì, a quando a quando, un procedere un po tumultuario ed affannoso, quasi che l’autore sia costretto ad affrettarsi^ si trovi a disagio, sospinto dal lungo tema. Codesti difetti tuibano 1 armonia della narrazione, e la compattezza necessaria a dare unità a tutto il lavoro. Ma il buon discernimento del lettore passa sopra di leggieri a questi nei in grazia della bontà generale di tutto il libro, per mezzo del quale si compiace d’apprendere in modo piano e dilettevole la storia della nostra città. E se, come speriamo, sarà fatta una nuova edizione, noi consigliamo l’autore a ritornare un po’ attentamente sulla forma. V’hanno delle trasposizioni forzate, che rendono poco scorrevole il periodo; ci dispiace quel frequente andare a capo quando non è richiesto dalle leggi del discorso ; vorremmo espresse certe preposizioni, il cui difetto rende duro il dettato ; ci piacerebbe meglio osservata una legge costante e razionale nell’ uso dei verbi, vedendosi adoperato troppo spesso e senza necessità l’imperfetto in luogo del passato remoto che meglio s’addice allo stile istorico ; finalmente sarebbero da correggere alcune improprietà ed inesattezze che non giovano alla semplicità della esposizione. Giovanni Filippi. Il matrimonio di Bona di Savoia con Galeabo Maria Sforza. S. n. tip. (1890) (nozze Cipolla-Vittone). Ben si conoscono oggimai in ogni lor parte i particolari delle lunghe e travagliose pratiche che ebbero luogo per il progettato matrimonio di Galeazzo Maria dapprima con Susanna, poi con Dorotea figlie di Ludovico Gonzaga; ed ognuno sa come alla fine, per ragioni politiche, il duca, assunto il governo dopo la morte del padre, sposasse Bona di Savoia. Or le ragioni che valsero a troncare in modo poco dicevole le trattative, giunte molto innanzi, con i Gonzaga, vengono lumeggiate dal Filippi, con la scorta dei documenti. La potente alleanza con il re di Francia indusse il duca Francesco a scegliere Bona, come quella dal parentado della quale si riprometteva grandi vantaggi. Fermate le nozze si vollero rendere solenni e sfarzose, e poiché la Liguria era allora sottoposta allo Sforza, anch’ essa doveva festeggiarne l’arrivo, chi dalla Francia l.i sposa s’ aveva a recare in Genova, e quindi a Milano. Invano si cercherebbero ne’ nostri cronisti e negli storici le notizie di questo passaggio; qui ne abbiamo la prova e le particolarità. Gli agenti ducali s erano dati attorno accortamente e con sollecitudine a fine di preparare giornale ligustico 399 questi ricevimenti. Se Genova si prestò volenterosa all’ uopo, Savona non volle essere da meno, anche per le solite ragioni di rivalità, delle quali seppe far suo prò il commissario ducale. Due documenti manifestano appunto le buone disposizioni dei Savonesi, ed un terzo riferisce quanto avvenne nel viaggio da S. Remo a Savona, dove , dice Tristano Sforza , « da la comunità et antiani havimo havuto gratissime accoglienze. Et ne sono vuiuti incontro primo per il mare uno pezo con una nave grande et altri ligni con molta alegreza ; in terra poi sonno venuti tutti li gentil-homini et loro donne con la processione et baldachino ». Ατι ilio Bum. Di Luchelto Gattilusi trovatore genovese (nell’ Intermedio, n. 26-27, P· 573)· Il nostio Giornale s'ebbe ad occupare altra volta di quésto trovatore genovese, sul quale si avevano innanzi scarse ed incerte notizie. Altri studiosi poi in diversi tempi presero a discorrerne e produssero il frutto delle loro ricerche. Era quindi dicevole che alcuno raccogliesse tutto questo sparso materiale, mettendo in piena luce Γ uomo per pubblici uf- . fici assai notevole, ed il poeta. Questo ha fatto ora il Butti con molta diligenza e con metodo eccellente. Egli dà in principio le indicazioni di tutte le fonti donde si possono trarre le notizie pertinenti al Gattilusio , e sulla scorta di esse con buon giudizio ordinate e vagliate ricostruisce la vita di lui, del quale però rimane pur sempre incerta la data della nascita e della morte. Ne esamina quindi brevemente il valore poetico giovandosi dell’ unico componimento suo che abbiamo alle stampe, e deplora con lo Schultz che pur rimanga inedito l’altro esistente in un codice riccardiano, quantunque di poca importanza. Due inesattezze occorre rilevare, e cioè che i documenti riguardanti Luchetto donde si prova l’esercizio della mercatura non sono da ricercarsi nel Liber Iurium, nota raccolta edita da tempo , sì bene nell’ Archivio di Stato, sezione notarile; nè il vocabolo luoghi si deve interpretare per a campi, poderi e simili », ma significa le azioni del Banco di S. Giorgio, come è chiarito altresì dal Rezasco nel Dizionario del linguaggio ital. storico ed amministrativo (p. 581 e seg.). Dizionario degli artisti italiani viventi, pittori, scultori e architetti, per cura di Angelo De Gubernatis con la coopcrazione di Ugo Matini. Firenze, Le Monnier, 1890. Abbiamo annunziato questo nuovo lavoro dell’infaticabile autore, fino dalla comparsa del primo fascicolo. Ora siamo già al quarto, nè si smen- 400 GIORNALE LIGUSTICO tiscono in vero le promesse che furono fatte, quantunque non poche difficoltà s’ oppongano a rendere pienamente completa l’impresa. La quale come riesce sempre importante per le notizie artistiche , così apparisce lodevolissima nell’ intento. V’ è da augurare all' egregio autore che possa trovare maggior solerzia ne’ suoi corrispondenti deputati a raccogliere le notizie locali, e minori renitenze da parte degli artisti nel communicarle. Il quarto fascicolo giunge al principio della lettera N; e come nel primo, così in questi che ora annunziamo, si possono veder ricordati non pochi dei nostri liguri. Carlo Cipolla e Giovanni Filippi. Diplomi inediti di Enrico VII e di Lodovico il Bavaro tolti dall’ Archivio comunale di Savona. Savona, Bertolotto e C., 1890. I documenti che qui vedono la luce per la prima volta sono assai importanti, come quelli che recano nuovo lume sopra l’autorità imperiale esercitata in Liguria , e danno insieme utili notizie di storia locale, chiarendo le ragioni di certi diritti che si veggono poi tradotti nel giure statutario. Derivano da tre fonti distinte, e cioè da una Raccolta di pergamene legate in due volumi dove sono promiscuamente originali e copie antiche, dai Registri a catena che serbano man mano trascritti i documenti più importanti del comune, e dalle Pergamene sparse, collezione importante di no pergamene numerate e disposte cronologicamente in uno stipo. Otto sono i diplomi di Enrico VII, degli anni 1311 e 1312; dieci quelli di Ludovico, degli anni 1327, 1328 e 1331. Inoltre si veggono inseriti due altri diplomi reputati inediti ; il primo è di Enrico VI, 2 settembre 1196, 1 altro di Federico II, 26 febbraio 1219. Inutile 1' aggiungere che la pubblicazione è condotta con metodo eccellente, cosi rispetto alla trascrizione dei documenti, come all’ apparato critico e alle illustrazioni storiche. È questo un buonissimo saggio, che non solo ci fa desiderare il più ampio lavoro promesso dagli egregi editori intorno ai diplomi imperiali savonesi, ma quel codice diplomatico ligure, per il quale esiste un sì copioso e prezioso materiale. Stringendoci a più modesti confini, ci auguriamo intanto che qualche giovane volenteroso si ponga alla compilazione di un regesto de’ diplomi imperiali , tenendo presente come guida 1’ ottimo del Desimoni per i brevi pontifici. Pasquale Fazio Responsabile. 401 TOMMASO STIGLIANI CONTRIBUTO ALLA STORIA LETTERARIA DEL SECOLO XVII. (Continuaz. vedi pag. 387). Intanto, nel 1617 lo Stigliani dava a stampare al Bazacchi di 1 iacenza venti canti del Mondo Nuovo, ed univa al poema una lettera (2 marzo 1617) in cui tentava di difendersi dalle censure mosse all opera sua « per troppa durezza di versificazione e puerilità di concetto ». Lo Stigliani aveva mandato il manosa itto del suo poema ad Aquilino Coppini « Lettor pubblico d Humanità nello studio di Pavia », perché « severamente esso glie lo censurasse e glie ne dicesse il giudizio » ; e il Coppini gli aveva fatte queste osservazioni : « L’humiltà dello stile più degna di Romanzo , che di Poema Heroico , essendo più basso, che quel del Goffredo: la lunghezza dei Canti più appartenente a prosa d’ historia, che a verso di poesia, passando quasi ciaschedun canto di gran lunga le cento stanze: e finalmente la dissomiglianza dell5 invenzione, più convenevole a due poemi diversi, che ad un solo : essendo P opera troppo più dilettevole dal mezo al fine, eh’ ella non è dal principio al mezo ». Alle osservazioni del lettore pavese rispondeva la lettera. Senza esaminare per ora il poema, dirò solamente che questi primi venti canti sono dedicati a Ranuccio Farnese (1), (1) Ecco la dedica : li tu , che bcnch’ in pace a Parma in riva, Siedi, invitto Ranuccio, c più non t’armi: Pur serbi eccelso cor, nò a quel t’ arriva Più grato dir, e di tenzoni, e d’ armi : Odi, e proteggi, a ciò che il suon ne viva, Questi, eh’ io sacro a te, guerrieri carmi. In che narrar l'impresa alta si debbe Del Colombo, eh* al Mondo un Mondo accrebbe. GtoRW, Ligustico. Jnno XVII, 26 402 GIORNALE LIGUSTICO e verrò subito alle polemiche che ne sorsero, perchè il Mondo Nuovo, appena pubblicato, destò un vespaio. Nel Canto XVI lo Stigliani manifestamente alludeva in modo offensivo al Marino, che pensò subito alla vendetta; e di qui ebbe origine quella grande lotta tra i Marinisti e lo Stigliani, che durò sino al 1647, quando il padre Angelico Aprosio pubblicò Γ ultima sua opera difensiva. I versi, cagione di tante ire, erano i seguenti : In questo fiume, e per lo mar vicino Vive il pescihuom con sue mirabil membra, Detto altramente il cavalier marino, Verace bestia, bench’ al vulgo buoni sembra : Che nulla, fuorché 1’ alma, ha di ferino, E quasi a nostra immagine rassembra: Figlio della Sirena ingannatrice, Ed alla madre egual, se ’l ver si dice. I Cristiani veder non ne potero Altro, eh un morto, e poco pria pigliato Da un pescator, che non er’ anco intero, Ma già dal cinto in giù venduto stato. Esser devria quest’ animale in vero, Scimia del mar, più che pescihuom nomato: Poiché più a quella è simile, eh’ a questo, E ciò, eh’ altrui far vede, è a rifar presto (1). Il Marino, subito pubblicato il poema, prese la penna e scrisse i pungentissimi sonetti intitolati Smorfie, mentre tutti i suoi ammiratori non facevano che censurare lo Stigliani; il Forse in questo gran Duce una pittura Io veder ti farò de* pregi tui: E più al vivo il pon far per avventura I rozi versi miei, che i dotti altrui. Poiché meglio, eh’ un specchio, un' acqua pura Sa dimostrar 1’ imagini di nui. Dunque, Signor, io movo, e tu apparecchia, lo 1 umil canto, e tu Γ altiera orecchia. (1) St. 34-35. Nell edizione del 1628 le ottave sono al medesimo posto, ma il canto è invece il XIV. GIORNALE ligustico 4°3 quale , saputo che P anno appresso il Marino nella Galleria aveva inserito alcuni sonetti satirici contro di lui, spaventato volle riparare al male commesso, ma inutilmente. Scrisse al Marino una lunga lettera di scusa, cui lo sdegnoso napolitano rispose con poche righe, secche e minacciose (i). « Io non mi sono meravigliato punto — scrisse lo Stigliani al Marino, — che alcuni poetastri di Parma e di Bologna, interpretando falsamente per dette contra V. S. quelle tre stanze del mio Poema, le quali trattano del Pesciuomo (o diciamo Uomo marino) abbiano poi scritta la loro interpretazione a molti, ed in particolare a V. S. medesimo fino a Parigi. Poiché eglino oltre l’essere ignoranti, e d’ intelletto storto, e fatto a rovescio, sono anco si miei malevoli, che per lunga usanza hanno sempre cercato, e tuttavia cercano di nuocermi con varie invenzioni, ed insidie, quantunque insino a qui non ne sia riuscita veruna ». Si giustificava quindi coll’affermare che le stanze, tenute dal Marino per ingiuriose a sé, erano state composte prima che il Marino divenisse cavaliere. « Perché — aggiungeva lo Stigliani, — essendo ella di tenace memoria, com’è, si dovrà infallibilmente rammemorare, ch’io in Parma, molti anni sono, coll’ occasione di leggere a lei tutto il Canto preciso, le feci sentire ancora quelle stanze, e n’ebbi il suo applauso, e conseguentemente il suo consenso. Ciò fu in casa del signor Conte Pomponio Torelli (2). Per le quali cose da me fin qui (1) Stigliani, Lettere, pgg. 76-103. La lettera porta la data del 2 giugno 1619. (2) Su queste conversazioni che si tenevano in casa del Torelli, buon poeta e autore di drammi, cfr. Affò, Memorie, ecc. IV, pg. x, e la prefazione al Tancredi, tragedia dello stesso Torelli, pubblicata dal Cappelletti nella CXLVII Dispensa della Scelta di curiosità del Romagnoli (Bologna 1875). Il Torelli rinnovò anche Γ uso della ballata del tre 0 quattrocento; molti esempi di questo genere di componimento egli pubblicò nelle sue rime. GIORNALE LIGUSTICO narrate io mi do ora ad intendere di non meritar che da V. S. sia esercitato atto alcuno d’ostilità, o di nemicizia , verso la mia persona, si come nelle dette lettere esso Magnanini, ed esso Monsu d’Urfé (i) affermano, che in parte ella abbia già fatto nella Galleria, ed in parte minacci di voler fare nella Sampogna e nell’ Adone opere non ancora stampate (2), né finite. Oltre Γ avere apparecchiati alcuni sonetti satirici, intitolati le Smorfie, per pubblicarmegli contra, e fargli correre manoscritti nella guisa che fece i già composti contra il Murtola, chiamati la Murloleide ». Terminava infine dichiarando, con intonazione di vanto: « Questa volta V. S. non avrebbe da far con Gio. Battista Vitali, né con Tommaso Cotto, né con Lorenzo Cataneo, né con Gaspero Murtola, nè con Carlo Gianfattori, alias Ferrante Carli, né con alcuno degli altri, co’ quali ha fin qui impreso briga d’ingegno, e competenza di dottrina. Ma avrebbe a fronte Tommaso Stigliani, cui tra ’l peso, e ’l peso de’ suddetti ben sa ella, che si trova essere alcuna dramma di differenza ». Questa lettera, inserita nell’epistolario pubblicato nel 1651, fu da alcuni creduta un rimaneggiamento di quella che veramente fu inviata dal nostro poeta al Marino. Anzi, a questo proposito, lo Stigliani scriveva a Francesco Bescapé: « M’ha fatto ridere Γ avviso datomi frescamente da V. S., cioè quel Buffalmacco del dottor Graziano abbia detto la mia copia esser falsa, la qual va attorno manoscritta, della lettera soddisfatoria, ch’io inviai al Cavalier Marini in Francia, circa il pretender egli che da me sia stato mentovato il suo nome nel Mondo Nuovo, con detrazzione, e con maldicenza ». (1) Il celebre Autore dell’ Astrée, della Savosiade, della Bèroldide (inediti questi ultimi, nella Nazionale di Torino). (2) La Galleria fu stampata a Venezia nel 1618, la Sampcgna a Parigi nel 1620 e l'Adone, pure a Parigi, nel 1623. giornale ligustico 405 Vero o no, ad ogni modo il Marino non si persuase; invece, come ho detto, rispose seccamente: « Io feci intendere a V. S. per mezzo di una lettera scritta dal Magnanini al Magnani come non avea voluto rispondere alla sua finta discolpa per non trattar d’ amico chi avea trattato uno da nemico; di nuovo esso Magnani me n’ha importunato con un’ altra sua : onde io finalmente scrivo a V. S. non già per risponderle, ma per farle sapere, che non le vo’ rispondere se non in istampa. Addio » (1). * * * Giunti a questo punto, non si può più parlare dello Stigliani senza che il nome di lui sia unito a quello del Marino. L’odio letterario tra i due poeti continuò sempre sino alla morte, e specialmente lo Stigliani non si lasciò mai sfuggire occasione di pungere l’avversario (2), il quale per vendicarsi d’essere stato messo in ridicolo, parlava con disprezzo del Mondo Nuovo: « Per quanto al Mondo Nuovo — scriveva ad un suo amico, — vi dico che l’ho letto, et riletto con molta pazienza, et me ne sono rimaso atterrito, come sia possibile, che 1’ autore sia arrivato a tanto eccesso......... poiché par che a bella posta abbia voluto procacciare tutte quelle durezze, et bassezze, che potrebbono (1) Marino, Lettere, pg. 135. (2' Specialmente nel Can{oniero. Cfr. i sonetti A un amico traditore, parlando in persona delì offeso, e i madrigali sopra un libro goffo. Ved. altresì il seguente madrigale: Ad un calunnia/ore. Ch' io abbia, m’ accusate Mici versi ad altrui ascritto, 0 gran disparitate. Io non accuso vui, Che furate gli altrui. GIORNALE LIGUSTICO avvilir qualsivoglia altro poeta ». Accennando quindi alle ottave che lo ferivano, soggiungeva; « Circa quel che tocca al fatto mio, io me ne son riso, et me ne rido. È vero che nei furori di quel primo impeto, quando mi fu dato l’avviso ch’egli mi avea strapazzato, diedi di piglio alla penna, e sconcacai parecchi sonetti, intitolati Smorfie....... Ma poi mi son meglio consigliato, et ho determinato di non farne motivo, dissimulando il tutto. Scorrendo il libro [il Mondo Nuovo] ho notato in un loglio forse quattro o cinquecento scappate grosse grammaticali, per non entrare nelle sottilità delle dilicature poetiche. Quando mi sarò disbrigato d’alcuni affari, che mi premono, glie le voglio mandare, per mortificarlo alquanto. Nel resto mi basterà, che con la sepoltura della sua operaccia restino sepolte le ingiurie, che mi ha fatte ». Ma intanto nel 1619 lo Stigliani avea terminato di comporre il Mondo Nuovo, e divisava di far ristampare i primi venti canti già pubblicati insieme con i restanti quattordici. Era già in relazione col tipografo Luciano Borzone di Genova, che lavorava per conto del libraio Pavoni, quando i seguaci del Marino, fors’anche eccitati dal loro maestro, fecero del tutto per intralciar la stampa del poema. Lo Stigliani però se n’avvide, e, rimproverando al Borzone il ritardo frapposto alla stampa, gli scriveva: « Che alla fin delle fini, se la mia opera è tale che meriti la spesa del ristamparsi, ciò si farà un giorno senza mia istanza, non ostante le machina-zioni, che da un mio malevolo le sono state fatte in Venezia, ed in Napoli, e forse anche le si fanno ora costi. Il che non è in tutto immaginazion mia, ma ne sento qui alcun bucci-namento dai signori scolari della nazione genovese » (1). Il (1) Stigliani, Lettere, pg. 242. Lettera in data 25 marzo 1619. GIORNALE LIGUSTICO 407 Bolzone allora perfidamente si scusò con lo Stigliani, allegando die molti lavori già iniziati erano cagione del ritardo; ma 10 Stigliani, niente affatto persuaso, rispondeva: « Molto ben mi piace che le scritture di quel valentuomo (il Cebà) sian preposte alle mie; ma m’incresce, che questo contradice a quel clic V. S. ni’avea scritto nella sua del 2 di febraio, cioè che 1 detto carattere era in pronto per me, e non per altri. Pure anche di ciò io la scuso, perché questo si dovrà forse intendere di quei soli autori, e soli libri, che la bottega imprime a sue spese, e non di quegli altri, che pagano, i quali in virtù della moneta devono esser serviti prima » (1). Due mesi dopo, nel giugno cioè, « il libro di quel valentuomo », il Furio C.W1M0 di Ansaldo Cebà, fini di stamparsi, né 11 Borzone mise mano alla stampa del Mondo Nuovo, scusandosi ancora una volta con lo Stigliani, assicurandolo che per essere impazzito « il lavorante della stamperia », il poema non aveva potuto pubblicarsi. Allora il poeta fini per comprendere tutte le mene dei marinisti e le mezze frasi del Borzone, cui, sdegnato assai, scriveva : « Questa storia, se è vera , non viene a scolpare se non solo la cessazion d’alcuni giorni, o settimane, ma a scolpar la futura so, che non potrà stirarsi per nessuno modo, dovendo la stamperia pigliare operaio novello...... Già mi sono chiarito a bastanza dalla gran trasparenza della maschera, la quale essendo di vana ragnatela, non occulta quel che le sta dietro, che è la povera verità oppressa, e maltrattata. Veggo benissimo sotto l’invoglio di queste girandole la trama marinesca. Onde m’ accorgo che ’l vero pazzo sono stato io, e non il lavorante, mentre ho licenziati gli ottimi partiti offertimi in Roma dal Facciotti per attendere a questo del Pavoni, che mi propose V. S. (i) Stigliasi, Lttterc, pg. 2})· GIORNALE LIGUSTICO spontaneamente, e senza esserne da me ricerca, mettendomelo in mano per indubitato. Mentre io scrivo mi sopraggiunge una lettela del signor Francesco Giorgi, che a mia istanza s è informato di tutto il successo dal Pavoni medesimo. Dicenii egli, che quello ha concluso nuovamente con V. S. di stampare la Galleria del Marini, e che fra due giorni comincieri il lavoriero. Non occorre dunque, che di questo negozio io ne faccia più parola. Stiasene V. S. con la coscienza riposata, e senza rimorso alcuno (se ella può) godendosi tra se stessa la gloria delle sue leggiadre azioni. Che io cercherò per altra via di risarcire il meglio che posso la perdita eh’ ho fatta del tempo dietro alle sue promesse, per non chiamarle con altro più proprio nome ». E infatti lo Stigliani si rivolse al Ciotti, il suo antico editore, e la ristampa del poema era per effettuarsi, tanto che lo Stigliani erasi condotto a Venezia per concluder meglio l’affare. Ma anche questa volta il Marino (u informato della cosa, e rivolgendosi direttamente al Ciotti gli diceva : « Tutto il mondo mi scrive, che lo Stigliani è venuto a Venezia, a stampar libri contro di me. Vorrei pure averne qualche certezza, che quando ne sarò certificato, gl’insegnerò a procedere, et lo farò pentire di ciò che avrà fatto in pregiudizio della mia riputazione ». Poi nel 21 il Marino, pubblicando la Sampogna, nella lunga e celebre lettera preliminare, diretta all’ Achillini e al Preti, scriveva di non curare affatto « le velenose zanne de’ cagnacci arrabbiati », e non importargli « d' esser maltrattato ne’ Poemazzi Pasquinali, dagl’imitatori di Bovo, et di Drusiano » (1). (1) Nel secolo XVIII la poesia cavalleresca era tutt’altro che ammirata, anche dai critici di polso, come l’Aprosio, il quale spesso rimproverò allo Stigliani d’essere sceso a trovar le ispirazioni pel suo poema ai romanzi di cavalleria. Infatti, nella Sferza Poetica egli dice: « Inipercio giornale ligustico 409 E terminava col dire: « Ch’io mi sia figliuolo della Sirena, noi nego, anzi me ne vanto; ma coloro, che ciò mi rinfacciano per obbrobrio, vengono tacitamente a dichiarare, ch’essi noi sono. La somiglianza della Simia non so come mi si possa convenire, perch’io non mi son giamai piegato a contrafar loro, come eglino hanno contrafatto me ». Tutte cose che naturalmente si riferivano allo Stigliani, che il Marino metteva in ridicolo nella stessa Sampogna, adombrandolo in Lambnisco (1). L’anno dopo avuta, come ho detto, cognizione che il Ciotti, il quale doveva ristampare l’edizione parigina della Sampogna, aveva concluso con lo Stigliani la ristampa del Mondo Nuovo, il Marino scriveva al Ciotti stesso: « Mi rallegro poi delle buone novelle, ch’io intendo, cioè che voi ristampate il Mondo Nuovo dello Stigliani. Veramente oltre il guadagno, siete per cavarne gran riputa- che sarebbe una seccaggine il raccontare i semplici nomi come fa lo Stigliani nel Mondo Nuovo, che a pena dice una meschinella impresa, che sovra lo scudo era portato da loro. Osservi pure i buoni poemi, e non Buovo d’Antona, e [' Ancroja, che scorgerà, che io non dico bugia: ed imparerà il modo di raccontare » (pag. 57). Nell’ Occhiale Stritolato : « Se io stimasse, ch’egli havesse studio copioso di buoni scrittori, si come 1’ ha copiosissimo di cattivi, cioè della squadra di Buovo d'Antona » (pag. 33); e più in là: « Mi son meravigliato, poiché essendo il Morgante uno di quei poemi, che sono conformi al vostro genio (dello St.) e che solete leggere, è un miracolo, che non 1’ abbiate veduto » (pag. 47). (1) Cfr. il mio libro cit., pg. 289. Che il « saggio Alcippo », il quale, dice il Marino : in fronte baciommi, in sen mi strinse , lì pur di chiaro senno è vivo specchio. Questi poiché d’ alloro il crin mi cinse, Cosi pian pian mi disse entro Γ orecchio : Quanto a l'alto cipresso il giunco umile, Tanto a Γ emulo tuo (lo St.) cede il tuo stile. sia il Manso? Ad ogni modo non può essere il Tasso, come a prima vista potrebbe supporsi, perché la Sampogna pubblicossi nel 1620. 410 GIORNALE LIGUSTICO zione alle vostre stampe. Ma con tutto ciò io vi priego instantemente (quando questo sia vero) di non far tanto honore all’opere mie, che sieno impresse da quei medesimi caratteri, che deono arricchire il nostro secolo d’ un poema si singolare. Mi dicono, ch’egli scrive contro di me, rispondendo alla lettera della Sampogiia, e per cattivar la vostra buona gratia, mostra d’abbracciar la vostra protettione circa gli errori occorsi nella Galleria, dicendo, che son’io, e non i correttori, né gli stampatori. Questo è soverchio, perch’io ho già dichiarato, che in ciò voi non avete alcuna colpa. Ma staremo a vedere, et giuro a Dio, che se sarò stuzzicato in un pelo, gli farò scontare mille offese vecchie fattemi dalla sua malignità, et gli farò pelar la barba di disperatione; non già eh’ io mai abbia da degnarmi di repli-cargli; ma gli farò lavar la testa senza sapone, in modo che se ne pentirà, et se ne morderà la lingua, che nel resto, et egli, et io siamo conosciuti nel mondo » (:). Fiere parole in bocca ad un poeta della tempra del Marino; né il tempo corrèsse o affievolì quest’odio, che, fortunatamente per i due poeti, non usci dal campo letterario, e non terminò tragicamente come in altri casi. * * * Prattanto allo Stigliani non conveniva pili la Corte Parmense, dove trovavasi ancora nel gennaio del 1621. In quello stesso anno però ritornava in Roma, dopo diciott'anni di dimora in Parma, visibilmente scontento del duca. « Mi significa V. S. — scrive il nostro a Fortunato Manlio, — essere in cotesta città comune opinione, che non per altro io mi sia licenziato dal più servir cotesto Serenissimo, che per iscarsa soddisfazione avutane in materia d’ interesse. (i) Marino, Lettere, pg, 119. giornale ligustico 41 r Risponderò breve e schietto. La cagion vera, perché io ho lasciato il servigio di Parma non è stata per lasciare il servigio, ma per lasciar Parma. Il servigio mi spiaceva alquanto pei la poca provvisione, ma la stanza della città mi spiaceva molto per la poca riputazione, non potendo io ormai più tollerarmi se non con mio grave scorno la lunga persecuzione de miei malevoli » (1). Questa lettera mostra evidentemente che il Benamati e il Sanvitali, dimoranti a Parma, e grandi ammiratori del Marino, mettevano in opera ogni espediente per alienare allo Stigliani l’animo del duca Ranuccio. A Parma era sorta un’ altra Accademia, detta degl’ Indivisi, composta in massima parte di giovani amanti ed ammiratori della poesia marinesca : erano messi in burla dallo Stigliani che li chiamava i poetastri di Parma, e dal canto loro, a dire dell’ iroso poeta « con raggiri e catene gli aveano impedito di stampare a Parma due anni prima il Mondo Nuovo » (2). E se il poeta assicurava che a causa degl5Indivisi dovette abbandonare la corte parmense, è anche naturale l’immaginare che il Duca, fra tante dispute cominciasse a seccarsi e cercasse di liberarsi dai fastidi che il battagliero poeta gli procurava. Nò dobbiamo dimenticare che lo Stigliani, prima di lasciar Parma, che fu tra il 1620 e il 21, sostenne un’altra piccola questione, fortunatamente però in termini molto cavallereschi, con gli Accademici della Crusca, ai quali il poeta aveva sottoposto. perchè ne dessero giudizio quanto alla lingua, il suo Mondo Nuovo. Gli Accademici risposero consigliando molte correzioni da fare nel poema, ma lo Stigliani non seppe 0 non volle riconoscerle tutte per giuste, e in una lettera del 16 aprile 1619, rispondeva: « Di quei savi (1) Stigliani, Lettere, pg. 64. (2) Affò, Memorie degli scrittori c letterati parmigiani, vol. V, pg. 21. 412 GIORNALE LIGUSTICO avvertimenti, de’ quali le SS. VV. m’hanno favorito per lor lettere sopra il mio Mondo Nuovo, alcuni ho io già eseguiti, alcuni ho da eseguire, ed a certi non consento. E quantunque di questi ultimi io mi sia riserbato a divisar distesamente con esso loro in viva voce (costi di passaggio da Paima per Roma) nulladimeno io non mi son potuto contenere, che di presente non iscriva qualche cosa intorno ad uno d essi, il quale pare essere il più irrefragabile, e che non abbia risposta » (i). L’appunto fatto dagli Accademici era sopra una voce che trovasi nel C. VI, st. 7.% nel verso Roldano con mia man punir non volli; essi consigliavano di scrivere va’ti, ma il poeta non si rese al loio parere, poiché gli pareva d’aver ragione per tutto ciò eh egli allega nella sua lettera, contro la censura degli accademici. Ma questa volta la discussione non degenerò a disputa. * * * * Se passando da Firenze si fermasse a discutere con la Crusca intorno alla lingua del Mondo Nuovo non sappiamo; ma presto si recò a Roma, dove passò i primi tempi in miseria: (1) Stigliani, Lettere, pg. 206. Si può altresì notare die Io Stigliani, prima di abbandonare Parma, cadde gravemente malato. Addi 19 marzo 1615, rispondendo ad un invito fattogli da Piero Andrea Cannoniero di Milano, di comporgli cioè un discorso sopra un’impresa intitolata la « fedeltà amorosa per potersene nell'Accademia valere, ora clic a lui toccava la sua volta nel discorrere », si scusava di non poterlo contentare, trovandosi da oltre due mesi « in mala disposizione di salute, avendo una vena rotta nel petto, che gli faceva sputar sangue. Il che cagionava eh egli non potesse far fatica alcuna di studio, benché picciola, senza grave pericolo della vita ». Stigliani, Lettere, pg. 272. Cfr. anche il sonetto Già son io giunto all’ultima contrada e il madrigale Tu, eh’ad Adamo, ed a' nipoti suoi, a pg. 368 del Canzoniere. giornale ligustico 413 il duca Ranuccio gli aveva, è vero, assegnato una piccola provvisione, di cui godette per pochi anni, ma almeno sino al 26; pero lo Stigliani, appena giunto a Roma, dovette scrivere raccomandandosi al Magnani, medico del duca e amicissimo suo, affinché gli riscotesse e spedisse una certa somma di danaro di cui era creditore a Parma. E, ricevutala, rispondeva al Magnani: « Due 0 tre giorni eh’essa mi fusse giunta più tardi, m’avrebbe trovato disdanarato (per cosi dire) afìatto, stante il gran dispendio del viver di Roma, il quale per li forestieri non è massaresco, 0 casalengo, ma è giornale, e alla minuta. E dico forestieri, intendendo di quei soli, che v’abitano per poco tempo, come fo io, che sto in camere e locande » (1). In seguito le sue cose andarono (1) Stigliani, Lettere, pg. 15. Il Magnani, nella lettera ora citata, Stimolava il poeta a pensare al figliuolo Carlo, natogli a Parma pochi anni prima; a quel Carlo, del quale lo Stigliani diceva nel Mondo Nuovo (c. XXXiv, st. 115) che era di lui stesso amata parte e cara di sue viscere fattura; ma, diciamo, al poeta poco piaceva quell’intromettersi del Magnani nelle sue questioni di famiglia, onde rispondeva: « Non so poi se V. S. dica da dovero, 0 se voglia meco la burla, mentre mi riprende, ch'avendo io un figliuolo, come ho (il quale per la mia sciagura non può ereditar miei beni paterni) spenda tutta la mia entrata di Parma, che è vitalizia, senza avanzarne in capo all’anno alcuna parte per peculio del fanciullo.......... Ma perché insino a qui (0 sia per poco intelletto, sia per poca volontà, 0 pur per l’uno e per l’altro insieme) io veggio ch’egli per conto dell’impirare non mi mostra alcuna luce di profitto, anzi mi si fa conoscere per mezzo stolido, io spero di mandarlo un di alla guerra, ovvero d’aiutarlo di beni di Chiesa con farlo prete, se a Dio piacerà, ch'egli abbia vita ». Di questo disgraziato il padre ci diè in seguito cattivissime notizie. In una copia del Mondo Nuovo, con note marginali dell’ autore , che si conserva alla Vittorio Emanuele, e della quale parleremo a suo tempo, il poeta scrive : a Questo Carlo figliuolo dell’ autore fece finalmente pessima riuscita. Perché oltre il non aver mai voluto studiare fu traditore a suo padre, e tentò tre volte di ucciderlo, due con veleno, e l’ultima con ferro «. GIORNALE LIGUSTICO meglio; dapprima era stato vero ciò che il Marino scriveva da Parigi al Barbazza : « Dello Stigliani non occorre più parlarne. So benissimo ch’egli è a Roma, et mi dicono, che si muore di fonie. Io per me gli ho compassione, ma non lo merita per la sua malignità » (i); ma più tardi la generosità di Virginio Cesarmi tolse il poeta da quelle angustie finanziarie, perché con pubblico {strumento gli concedeva il quinto delia sua pensione di Spagna, il quale (a ragione de’ cinquecento ducati di Camera, eh’essa 'e tutta) veniva ad esser cento, cioè cento ducati annui, che erano somma ragguardevole (2). A questo tempo va riferito l’aneddoto narrato da Girolamo Aleandri nella Difesa dell’ Adóne (3); il Cesarmi che aveva preso a proteggere il Galilei, s’era assunto l’impegno di far stampare il Saggiatore, che infatti usci in Roma nel 1623 pe’ tipi del Mascardi. La cura della stampa fu data allo (1) Marino , Lettere, pg. 76. (2) Stigliasi, Lettere, pg. 52. Forse colà il poeta conobbe Francesco Balducci, il quale, come vedremo, scrisse tutte le prefazioni alle di lui opere, e sino alla morte del Cesarini occupò nella casa di costui il posto di Segretario. (3) Difesa dell’ Adone, poema del Cav. Marini di Girolamo Aleandri, per risposta all'occhiale del Cav. Stigliani, in Venetia, M. DC. xxix, appresso Giacomo Scaglia, pg. 396. « Stampato che fu il libro (il Saggiatore) — scrive 1’Aleandri, — e capitato in mano del Galilei, egli si dolse acerbamente......... Non haveva il Galilei mai veduto il Mondo Nuovo dello Stigliani, né si curava di vederlo, e quand’anche veduto l’havesse, si sdegnava d’esser tenuto per huomo di si poco sapere, eh’ avesse voluto accoppiarlo col divino Poema di Dante, e di questo modo di procedere, come detto habbiamo, fortemente si querelò. A me sovviene, che fin di quel tempo venne l’avviso in Bologna, e trovandomi appunto tra una nobile radunanza d' huomini dotti in casa del Rinaldi, osservai, che tutti quei valenthuomini udendo tal cosa mostrarono sdegno più di nausea, che di riso ». Cfr. anche il mio G. B. Marino, ecc., pg. 292. GIORNALE ligustico 4T5 Stigliani, il quale, secondo che afferma 1’Aleandri, in quel punto del libro, dove il Galilei aveva scritto: « Non solo si pei mette al filosofo di tramezzar talora ne’ suoi trattati alcune poetiche delizie, come fece Platone e come fanno molti oggi : ma si concede anche al Poeta il seminar alle volte ne suoi poemi alcune scientifiche speculazioni, come fece Dante nella sua Commedia », rimutò cosi: « come tra i nostri antichi fece Dante nella sua Commedia , e tra’ moderni ha fatto il Cavalier Stigliani nel suo Mondo Nuovo » (i)· E un aneddoto che dipinge 1’ uomo e i tempi. In quello stesso anno, dopo tante traversie, dopo che gli editori gli rifiutarono di ristampare il Mondo Nuovo, lo Stigliani, che non si perdé mai d’animo, fece stampare a Roma il suo Canzoniere, quel volume che, proibito già dalla censura ecclesiastica, era stato purgato degli erotici indovinelli, e poteva liberamente pubblicarsi (2). Come abbiam detto, scrisse la prefazione al Canzoniere Francesco Balducci, poeta anch’egli di grido a quei tempi, autore di un obliato volume di versi (5). (1) Nella prima edizione del Saggiatore (Roma, Mascardi, 1623) il passo allegato dall* Aleandri trovasi a pg. 113. (2) Il Canzoniere / Del Signor Cavalier / Fra’ Tomaso / Stigliani. / Dato in luce da Francesco Balducci. / Distinto in otto Libri, cioè/Amori Civili, / Amori Pastorali, / Amori Marinareschi, / Amori Giocosi,/ Soggetti Eroici,/ Soggetti Morali,/Soggetti Funebri, e / Soggetti Famigliar), / Purgalo, accresciuto, e riformato / dall’Autore stesso. / E dedicalo in questa nuova forma / aH’IIlustriss. e Riverendiss. Sig. / Card. Borghese. / In Roma, con Licenza de’ Superiori. / Per l’Erede di Bartolomeo Zannetti. 1623. / A istanza di Giovanni Manelfi. (3) Riine / del Sig.' / Francesco / Balducci. / Venetia / Per / il / Barba / 1663. Sarebbe curioso e importante tessere la vita oltremodo avventurosa di questo poeta, nato a Palermo sulla fine del sec. XVI, morto a Roma nel 16,)J. L’Aprosio (Grillaia, pg. 159), lo dice « degno di miglior fortuna per il suo letterario valore ». Per ora conviene rimandare 4i6 GIORNALE LIGUSTICO Da questa prefazione s’ imparano più cose che ci fanno meglio conoscere Γ indole del poeta. « Il signor Cavaliere Stigliani — scrive il Balducci, — (come ben sanno tutti coloro c’hanno con lui famigliarità, e come meglio so io, che ve l’ho domestichissima) fu sempre virtuoso a far l’opere virtuose, eh’a pubblicar quelle: e ciò nasce perché egli non solo non finisce mai di limarle per isquisite che siano, ma il lettore alle notizie che con qualche diligenza scrisse il Mazzuchelli. Nel 1655 Andrea Baba nella prefazione alla prima ediz. delle poesie del B. osservava eh’ esse a nacquero in Roma, dove ravvisarono effimeri gli applausi del genitore, se furono più divorate che lette »; e Arrigo Falconio, che curò la 1/ parte dell’ediz. del 1650 (Roma, Faccioni), indirizzandosi al lettore: « Queste rime, scriveva, sono quelle medesime alle quali anche tu nelle Romane Accademie non avrai negati gli applausi.....Ben è vero, che l’Autore porta di sé medesimo opinione molto rimessa. Ne sia testimonio 1 andar suo cosi ritenuto, in pubblicar i suoi parti ». Un util documento per la biografìa del poeta è un capitolo intitolato Viaggio di Roma (Rime,pgg. 449-53), che diresse al principe di Campofranco. Comincia: Voi bramate, Signor, eh' io vi racconte Quali del Tcbro a la famosa riva Sieno le meraviglie eccelse , c conte. E come vi pervenni anco descriva: Hor se Poi ironia a cotant’ opra arrìde Hoggi avverrà, che se ’n ragioni e scriva. Trattomi fuor di quelle sponde infide, Che forman Γ aurea Conca t ove risiede Chi i serpi allatta, e i propri figli ancidc Volsi sdegnoso il peregrino piede λ straniere contrade , e giunsi al lido, Cui 1' estinta Sirena il nome diede. Haciai quel suolo, et honorai quel nido Di unti Cigni ; e riverì) la tomba Di quel, eh’a Troia diè l’ultimo grido. £ '1 sasso di colui , per cui rimbomba L'Arcada Canna; ond’ egli il nome ottenne Vié più, che da la Lira, o da la Tromba. Quindi, per la via di mare, prese il viaggio per Roma; ma una fortissima tempesta lo mise in pericolo di vita, facendogli perdere ogni suo avere : Manca al Pilota alior 1’ ardire , e Γ arte , Vota la nave ; io le reliquie scorsi De le fortune mie per Γ onde sparte. giornale ligustico 417 anche poiché naturalmente, è sprezzator di gloria, si come quello, eh essendo liberissimo gentiluomo, e d’animo temperato a sofficienza, e tenendo assai dell’antica bontà stoica, suole in si fatti piopositi dire, che Ponoranze esteriori nulla possono aggiungere alla coscienza di chi opera virtuosamente, la qual s appaga solo da se medesima ». Cosi il Balducci affer ma che lo Stigliani « se bene somiglia ad un’ orsa nel leccare i suoi parti, somiglia poi al corvo nell’abbandonargli, e che quanto n è ingegnoso, altrettanto n’è ingrato padre »; che « porta si tiepido amore alle proprie cose che tutti i suoi su itti vorrebbe tener sepolti; destinandogli a stamparsi, non in altro tempo, che dopo la morte ». Ognun vede come mal si tenti di celare la vanità dello Stigliani in queste parole; egli, che si rivolgeva a molti librai d Italia (i quali il Ciotti di Venezia, il Pavoni e il Borzone di Genova) raccomandando loro la ristampa del suo poema, per bocca d’un amico faceva poi dire che « quest essersi continuamente opposto al comun desiderio degli studiosi, ora col negar del tutto la suddetta correzione, ora col differirla, è stata cagione che ’l suo libro sia lungamente durato in sospensione, senza ristamparsi, se non con peccato e con rischio degl’ impressori » ; che « vinto dalle lunghe richieste degli stampatori e de’ librai, e dai lunghi conforti di quanti tutti i più famosi letterati d’Italia, e da i lunghi stimoli di tutti gli amici; ed oltracciò dal grande e non mai cessato applauso d’esso libro: s’è risoluto di farlo reintegrare alla luce, e di darlo a rigodere al Mondo ». Nella stessa prefazione, che dovette essere composta all’incirca nel 1620 (1), lanciando una nuova frecciata (i) Infatti il Balducci in un punto di esso dice: « Se ben s’indusse [lo Stigliani] tre anni sono a dar anche iuori un’abbozzata, ed imperfetta parte del suo Mondo Nuovo * ; e ciò avvenne nel 1617. Ciò». Dcotnco, Λ»<ι« XVIII. 37 GIORNALE LIGUSTICO all’ indirizzo del Marino, lo Stigliani fa dire al Balducci che « niuno scrittore può, mentre che vive, superar affatto l’ostinato contrasto dell’invidia, se non procurandogli con pratiche segrete un gran numero di seguaci, e procacciandosi con manifatture occulte una gran copia di partegiani, coll’ aiuto dei quali egli venga a ricoverare altrettanta parte di lode, quanto gliene viene a torto tolta da i detrattori: e cosi si rimanga nel suo giusto capitale ». Tale arte era, a dir del Balducci, stimata dallo Stigliani « poco degna di valentuomini, e se ben ne’ nostri giorni s’usa comunemente, ed in particolare è stato soverchio usata da alcuni i quali (vaglia dire il vero) erano valenti; ma s’essi s’avessono, come si suole in proverbio dire, lasciate fare alla Natura, senza servirsi di questo artificioso espediente, non avrebbono creduto in vita P intero cumulo della gloria loro, la quale in gran parte fu posticcia, mentre eh’essi vissero, ed è vera ora eh’essi son morti, il che ci dà manifesto indizio il vederla minorata d’assai (i). Vediamo ora un po’ da vicino questo volume delle rime, nelle quali lo Stigliani afferma di a congiungere la purità e l’affetto del Petrarca colla vivezza delle arguzie moderne e (i) A questo punto il nostro non allude al solo Marino, perché, sempre nelle note marginali a quella copia del Cati{oniero che trovasi nella Vittorio Emanuele, egli scrive : a Di questi uno è il cavalier Guerini. Ma il Tasso fu di contrario parere a lui, perciò l’opera il Pastor Fido fu assai gloriata in vita dall’autore, che non in morte (quantunque anche adesso sia non poco lodata) e 1’ opera dell’ altro è più lodata dopo che lo scrittore è morto che non fu mentre viveva, sebbene anco allora fu stimata [e qui seguono alcune parole che non ci riesce poter decifrare], che (come dico) dall’industria dell’un Poeta e dalla negligenza dell’altro ». La cosa è chiara abbastanza per chi conosce la rivalità fra i due più celebri autori di pastorali. Cfr. V. Rossi, G. B. Cuarini e il P. F., Torino, Loescher, 1886, pgg. 55-61. GIORNALE LIGUSTICO 419 colla varieta dei soggetti ». Invece solo nel quarto libro, quello degli Amori giocosi, il poeta confessa di aver cambiato stile, perché in esso libro » vi sono alcune composizioni fatte a scherzo, per contrafare alquanti versificatori odierni, ma principalmente gl’idillianti ». Brevemente, nel quarto libro lo Stigliani mette in ridicolo il Marino e la sua scuola, scuola nella quale egli in gioventù avea fatte le prime armi, e che adesso, in odio all’ avversario, faceva bersaglio de’ suoi pungenti strali. Altrove (1) facemmo cenno de’ timori dello Stigliani circa quei poeti che scostandosi dal Petrarca e dai petrarchisti, dagli ultimi specialmente, e plaudendo all opera del Iassoni, chiamato dallo Stigliani « marinista e ignorante » (2), tentavano nuove vie. Tali timori egli partecipava al Marino, allora suo amico, che lo rassicurava dicendogli: « Questo è appunto il modo del poetare, che piace oggidì al secolo vivente si come quello, che falsamente titilla le orecchie dei lettori colla bizarria della novità tutto che alquanto pericoloso; e questo è parimenti lo stile, ch’io non niego essere secondo il mio naturai genio, ed a me (1) La vita e le opere di G. B. Marino, pg. 29. (2) L’Aprosio nel Veratro (pg. 192) allega un passo delle Considerazioni del Tassoni per confutar 1’ Occhiale. E lo Stigliani in una nota marginale : « Questo vostro Tassoni vi sia donato, perché io non ammetto citazioni di marinisti e di ignoranti » (!). Quest’ingiusto giudizio sul più grande de' poeti eroicomici non fu, del resto l’effetto di un momentaneo moto di sdegno da parte dello Stigliani, perchè a c. 14.* del cd. catana-tense E, v, 17, che contiene alcuni « notamenti di cose intorno all’ arte poetica da compilarsi », leggiamo: « Della poesia detta da alcuni eroicomici, cioè dal Tassoni, dal Ralli e da altri, provando esser cosa mostruosa e non potere stare si come specie falsa trovata da idioti che non sapevano la natura delle cose. Dicasi che questo abuso è nato da quella figura che fa tracollar la locuzione dall'altezza alla bassezza e che questa è buona solamente quando è vana ». 420 GIORNALE LIGUSTJCQ altretanto aggradire quanto a V. S. dà noia. Vuoisi egli, Signor Tomaso mio, se non lodar come buono, almeno tolerar come fortunato, condonando qualche cosa aH’universal gusto del mondo; il quale è oggimai stuffo di cantilene secche e non intende di approvare il muffo rito delle calze a brache. Se a Vossignoria pare, che quel che s’usa adesso nella poesia sia trito, e quel che s’usò in altre età sia buono, e se di più come lo crede in teorica, cosi l’esercita in pratica, gran torto le ha fatto la natura a farlo nascere a i nostri giorni, e non più tosto a tempo antico, dov’havrebbe havuto dalla sua parte, e Dante, e Petrarca, e fra Guittone, e tutta l’altra genia......... E se Vossignoria con un suo madrigale, che è tra le Rime (i) già biasimò nelle scritture del Lipsio quella melanconica imitazione degli scrittori rancidi e freddi, non approvi hora nelle scritture proprie, e de’ seguaci se non vuol essere troppo partial giudice di se stesso, e delle cose sue » (2). Ma le ragioni esposte in questa lettera non convinsero lo Stigliani, che non aveva poi tutti i torti ; egli perciò nelle liriche, specialmente amorose, si tien molto al Petrarca ed ai petrarchisti; credeva che i suoi contemporanei « volessero appresso al vulgo scavalcare il Petrarca, e ’l Casa, e ’l Bembo e gli altri (ij Ecco il madrigale, che si legge a pg. 414 del Can\onuro (edizione del 1605) tra ί Soggetti Famigliari: Scrittore noioso. Mentre ver j? hi aspre carte Con penna alpina , e discosceso inchiostro , Lipsio, che vuoi da P Arte? Accorger non ti puoi , Ch* empiendo i libri tuoi Di morte voci, e accenti sotterrati, Tu non scrivi ai presenti , ma ai passati} (2) Marino, Lettere, pg. 132. GIORNALE LIGUSTICO 42I somiglianti » e « dismettere la lettura de’ migliori libri di cavalleria » (1), perchè stimava « più mezza carta d’Amadis di Gaula, che non tutti insieme quei loro sciagurati scarta-belloni ». E infatti dirigendosi al Petrarca egli dice: I tuoi versi, Francesco, a ch’io m’inchino Come a oraeoi dell'arte, e ’l dir n’imparo: Cotanto in alto il tuo lauoro alzaro, Che ’l cipresso gli cede, e cede il pino. Non manca in quest’età stil peregrino, Che faccia il nome altrui scrivendo chiaro : Ma nel tuo dir merauiglioso, e raro, È un non so che di sacro, e di diuino. Crederò, che per man Febo t’addusse Negli antri d' Elicona : ond’ il tesoro Di si strana eloquenza in te rilusse. lì ben si convenia, Cigno canoro, Ch’egli a te più ch’altrui, cortese fosse, Poiché cantasti il suo diletto alloro (2). (Continua). Mario Menghini. FEDERICO GONZAGA E LA FAMIGLIA PaLEOLOGA DEL MONFERRATO (Σ5 rS-IS33)· Il matrimonio del quinto marchese e primo duca di Mantova Federico Gonzaga colle principesse Paleologhe, Maria e Margherita, non fu ricordato dai nostri storici che molto (1) Questo studio « dei vecchi libri di cavalleria » in quel tempo già messi in ridicolo da tutti, fu, oltre che una fissazione del poeta, anche un’ arma della quale i dilensori del Marino usarono per mettere in ridicolo lo Stigliani. (2) Can{onUro, pg. 433. 422 GIORNALE LIGUSTICO inesattamente e senza tenere nessun conto di tutti quei particolari che costituiscono la base storica del fatto che si vuole tramandare ai posteri. Tutte le vicissitudini attraversate da Federico per quei matrimonii, oltre che di peculiare interesse della nostra storia cittadina, lo sono anche per quella politica d’Italia, essendo essi avvenuti appunto in uno dei più importanti e combattuti periodi storici , pei quali si venne sostituendo alla preponderanza francese quella spagnuola; e Federico sia per Γ ambizione , da cui era dominato t sia per 1 incontestato suo valore militare, ebbe in essi non poca parte. Gli storici poi del Monferrato non sono meno riservati e incompleti dei nostri, tanto che stimai opportuno colla scorta dei documenti del nostro Archivio Gonzaga (i) di mettere in evidenza quanto mi fu dato raccogliere intorno a quei matrimonii del Gonzaga, che gli fruttarono il possesso dello Stato di Monferrato. I. Federico Gonzaga dopo essere stato tre anni — 1510-15 — presso la corte di papa Giulio II, quale ostaggio pel padre, il marchese Francesco, tornò nelle braccia paterne « cresciuto di bellezza e di cortesia, riportando dalla vita romana abitudini allo sfarzo, ai piaceri, generosità signorile, finezza di gusto artistico, ed anche purtroppo precoce licenziosità di costumi » (2). (1) Avverto fin d’ ora il cortese lettore, che di alcuni documenti pongo solo la data e la rubrica da cui sono tolti, essendo essi troppo copiosi a riportarli per esteso; altri li riassumo a pie’ di pagina, e in fine, i più importanti, li riferisco integralmente. (2) Aless. Luzio , Federico Gon\aga ostaggio di corte di Giulio II, — Roma, R. Società Romana di Storia patria, 1887, pag. 52. GIORNALE LIGUSTICO Tali pregi e tali difetti, e piuttosto questi che quelli, ebbero campo di sempre più svilupparsi nell’ animo del giovane Federico dopo che fu in Francia ospite festeggiato del cavalleresco monarca Francesco I. Il marchese Francesco non potendo pei suoi acciacchi re-carsi personalmente a Milano ad ossequiare il vincitore di Marignano, mandò in sua vece, sul finire d’ ottobre del 1515, il suo primogenito Federico con brillante seguito di gentiluomini ad offrire in dono al re di Francia quattro dei migliori cavalli della sua reputata razza (1). Ben presto egli seppe cattivarsi la simpatia del re e dei suoi cortigiani , specie di suo cugino il gran contestabile Carlo di Borbone e del marchese di Monferrato. Lo stesso re volle attestare a Federico la sua stima ed affetto col promettergli, l’ebbe l’anno dopo, una condotta militare di 60 lancie con pensione annua di sei mila franchi (2). Dovendo poi il re Francesco trasferirsi a Bologna, pel noto convegno con papa Leone, invitò Federico a seguirlo, manifestandogli anche il desiderio che lo accompagnasse nel suo ritorno in Francia (3). Non ò a dirsi quanta gioia provassero i genitori di Federico, sapendolo fatto segno a si cordiali dimostrazioni d’affetto per parte del potente re; ma se erano disposti di concedere al figlio che accompagnasse il re a Bologna, non erano però d’ avviso lo seguisse in Francia. Nel convegno di Bologna il marchese di Mantova si riprometteva, col mezzo del (1) 1515* 22 ottobre e 20 novembre, Milano — Lett. Federico G. al padre march. Francesco. (2) 1515, 29 ottobre, Vigevano — Lett. di Stazio Gadio alla marchesa Isabella G.-B., XXVII, 5. 1516, 23 maggio. (}) iS*S* 8 dicembre, Rcgg'° — Lett. Pa<*re *narc^· Francesco. 424 GIORNALE LIGUSTICO tìglio, di ottenere più facilmente indennizzi alle devastazioni patite dalle sue terre durante Γ ultima guerra e sopratutto per la perdita fatta di Asola. Per ciò, e per addestrare il figlio di buon ora negli affari di Stato, accondiscese ch’egli accompagnasse il re a Bologna. In quanto allo andare in Francia, il marchese stava dubbioso, perchè negando al figlio tale permesso temeva scontentare il re, il cui appoggio gli era indispensabile pei suoi tornaconti politici, accordandoglielo temeva compromettersi coll’imperatore. Ostava poi anche l’affetto paterno, chè a malincuore lo avrebbe saputo sì giovane in balia di se stesso in terra lontana e straniera. Per risolvere tali incertezze, il marchese incaricò il figlio che a Bologna egli stesso manifestasse al papa l’intenzione del re a suo riguardo, e conforme il consiglio di lui prenderebbe una determinazione. Giunto Federico a Bologna col re Francesco comunicò la cosa al papa e ai cardinali amici del marchese, ed essi tutti lo consigliarono di accettare la proposta fattagli dal re (i). Il giovane principe ottenuto dal padre il permesso di seguire il re in Francia, memore delle feste di Roma, fantasticava già sui piaceri e i divertimenti che presso quel re, di facili costumi e d’ indole gioviale, gli sarebbero riserbati. Nella stessa Alilano cominciò ad assaporare i piaceri della Lorte francese, e ad apprendere quali fossero i gusti del re col partecipare confidenzialmente, col suo regale amico, ai galanti ritrovi , alle feste e ai travestimenti per meglio coprire e godere i giovanili appetiti (2). « Se vostra signoria », (0 1S15» 10 dicembre, Mantova — Lett. del march. Francesco al figlio Federico. (2) 1515, 19. 23 novembre, 29 dicembre, Milano — Lett. del GrossiDO alla marchesa, 7 dicembre, Parma — Lett. di Stazio Gadio alla marchesa, 27 dicembre, Milano — Lett. di Federico G. alla madre «... Il re mi giornale ligustico 425 scriveva il Grossino alla marchesa di Vigevano il 7 novembre 1515, « vedesse il S.r Federico, diria ch’l fusse stato in corte de Francia pur assai. Hozi el si ha fatto conzar i capilli alla tranzosa vera, et porta una beretta negra con mezza piga alta, con un tondo d’oro dentro eh’l par uno franzoso naturale, e mostra haver assai più tempo, e ogn’uno che lo vede dice eh ’l sta molto bene. » Lo stesso Federico partecipava alla madre tutto il suo contento di poter seguire il re in Francia; ed essa accommiatavasi dal figlio al 31 dicembre con queste affettuose e veramente materne parole : «... Preparati di andare allegramente et di far bona ciera, che forse sarà la tua ventura; perchè N. S. Dio molte volte permette delle cose che a principio non piaceno, ma in fine si conosce che sono state al proposito. Conservati pur in timore et devotione di sua divina Maestà, et sii bono et religioso christiano, pigliando li boni exempli de Francesi, circa la devotione, et guardandoti da quelli di mal costume ha-vessino. Havemo inteso eh ’l Re te ha dicto ch ’l vole che facci lo amore cum Mad.‘ sua sorella, che molto ne piace, perchè è signo eh’l fa conto della persona tua, et serà cosa honorevole, et da intertencrti cum S. Maestà et cum la S.'* Regina et Mad.* sua matre, a quale basarai la mano in nostro nome quando sarai alla presentia sua. Si che vatene col nome de Dio, et cum la nostra beneditione. Non cessa-remo di far pregare continuamente N. S. Dio che te conservi sano et ti restituisca felice alla patria ». Agl’ 8 gennaio del 1516 parti Federico da Milano accompagnando il re Francesco nel suo trionfale ritorno in Francia; nella Provenza, a disse chc andando io in Franza ritrovarla delle inaniorate , et staria in piacere con quelle dime, quale intendano bene italiano, ma non voleno parlare, et chc io impararla parlare francese ragionando cum loro .. . » 426 GIORNALE LIGUSTICO Marsiglia, a Lione, ad Ambois e finalmente a Parigi, prendendo sempre parte ai prediletti ritrovi amorosi di quel re, e alle feste, alle caccie e ai tornei che quei popoli offrirono al glorioso loro monarca. Dalla regina, dalle dame e damigelle di corte si ebbe Federico le più liete e festevoli accoglienze (1) ; nè diversamente egli poteva essere accolto, adorno com’era delle più belle attrattive: giovane di sedici anni, bello di persona, perfetto cavaliere, abile schermitore, di svegliato ingegno e che già aveva facte le sue prime prove nei galanti convegni della corte di papa Giulio. Per ciò egli era il desiderato, il favorito di tutte le giovani dame della corte, quantunque non gli fosse troppo famigliare la lingua francese, la quale però venne apprendendo negli intimi conversari di quelle dame (2). Federico, pel lungo viaggio, per la grossa comitiva che aveva condotto seco e perchè la scialava da gran principe , non volendo essere da meno dei nobili del regno, aveva in breve dato fondo al peculio assegnatogli dal padre e incontrati debiti vistosi con gentiluomini di corte. La sua buona madre, sebbene si compiacesse nel leggere le lettere del fi-figlio e dei suoi segretari, che 1’ informavano minutamente del suo viaggio e della sua vita splendida ed allegra, spiace-vale eh’ il suo Federico non fosse sufficientemente provveduto per mantenere alto il decoro e il nome della Casa, motivo per cui si fece intermediaria presso lo sposo, affinchè questi sopperisse alle ingenti spese del figlio. Il marchese, il quale non meno della madre ambiva che il figlio suo figurasse degnamente nella corte di Francia, annui ai desiderii (1) Rub. E. VI, 3, 1516 — Lettere del Grossino, di Stazio Gadio e del Rozono ai marchesi di Mantova. (2) Rub. Francia, 1516, 18 maggio — Lett. del Rozono alla marchesa. GIORNALE ligustico 427 della sua sposa mandandogli grosse somme di danaro (1). Visto però che queste erano insufficienti ai continui bisogni e ai capricci del figlio e che appunto il decoro della Casa esigeva un pronto provvedimento, il marchese, d’ accordo colla sua sposa, prese la determinazione di far conoscere al figlio, che stante le misere condizioni economiche del suo Stato a motivo delle continue devastazioni arrecate alle terre mantovane dalle soldatesche ivi accampate e scorazzanti, era costretto di limitargli la sua troppo numerosa brigata, in 40 bocche e 35 cavalli, e di assegnargli una pensione annua di due mila ducati, oltre le entrate delle terre di Poviglio e Fossacaprara; al che aggiunti i 6000 franchi assegnatigli dal re, per la sua condotta militare, venivano a formare un appannaggio di 6500 scudi. « A tutto questo », scriveva Isabella al figlio, « il S.r tuo patre ha consentito voluntieri acciò possi farli honore et comparire da un figliolo de’ marchesi di Mantua... ». Regolata per tal modo la condizione economica di Federico egli continuò la sua vita splendida e gaia, prendendo parte alle caccie, ai tornei, alle feste, sempre distinguendosi pei suoi modi cortesi e cavallereschi, e cattivandosi ognor più la stima e Γ afletto di tutta la corte (2). (1) 1516, 8 febbraio, 22 aprile, 9, 29 maggio, Mantova — Lett. del marchese al figlio — 1516, 10 maggio e 22 giugno (Francia) — Lett. di Federico alla madre c al padre. «... Homai son giorno a tal termine di dinari, per haverne tolto in prestito di qua e di la, che se doverò vivere et satisfare alli debiti, serrà forza impegnar li argenti, se V. Ex. non mi soccorre presto de dinari, et in bona quantità ... ». (2) iS<7t JI gennaio, Remorantino (Francia) — Lett. di Stazio Gadio alla march. Isabella. «... Li dirò per contento suo chel S.' mio ha corso le sue lande cosi polito, iusto et forte come homo vi sia stato, et ha portato giusta laude da ogniuno, et de cinque lancie che ha corso , due botte hanno signato li iudici per lui bone. Due volte ha corso contra 428 GIORNALE LIGUSTICO ir. Durante lo splendido soggiorno in Francia di Federico , i suoi genitori concretarono di dare compimento al già da tempo vagheggiato progetto di ammogliare il loro figlio con Maria primogenita del marchese Guglielmo di Monferrato. Tale matrimonio fu da questi proposto al marchese Francesco fino dal gennaio del 1515 , ma perchè in quei giorni la marchesa Isabella trovavasi a Roma, non volle Francesco prendere impegno, se non dopo il ritorno di lei a Mantova. Se non che, per le vicende politiche , Francesco stimò più conveniente di soprassedere fino a tanto che non si fosse rischiarato 1’ orizzonte, e fossero cessate le cause che mantenevano incerti gli animi sull’ esito finale della guerra che si combatteva nelle terre lombarde. Dopo il convegno di Bologna il marchese di Monferrato fu a Mantova, allo scopo precipuo di ripigliare le interrotte trattative e di ottenere da Francesco l’assenso formale alla unione dei loro figli. Di comune accordo fu quindi stabilito, che appena il re di Francia avesse dato assetto agli affari di Lombardia e fosse seguita la pace con la maestà cesarea, avrebbero spediti a Parigi i proprii ambasciatori per chiedere il permesso, valendosi il Re, una contra il conte di Genevra , et due contra li altri lenenti, et detti una bona testata ad uno ancor chel non rompesse, rt fu signata per una bona botta. La quinta botta chel corse fu contra il Re, et per amor de dames, et roppe galantamente la lancia, et amor l’aiutò alhora. Ma poi combatuto con la spada con Mons.' Ladmiraglio, et si è portato valentemente quanto si potria desiderar , per far polito , et animosamente manegiando il suo cavallo benissimo, et batendo 1’adversario, dal qual era anche lui ben batuto. Dopoi si fece veder manegiar li soi cavalli saltatori, che le gente non si possevano satiar de laudarlo ... ». giornale ligustico 429 anche dei buoni uffici del duca e della duchessa d'Alençon sorella del re, e di Anna sposa del marchese di Monferrato. Frattanto il marchese Francesco fece consapevole il figlio del progettato suo matrimonio colla giovane Maria di Monferrato, non senza fargli conoscere tutta l’importanza politica che per tale unione sarebbe derivata alla casa Gonzaga ; per ciò confidava, che essendosi egli sempre dimostrato figlio obbediente ai desiderii paterni, avrebbe anche in questo volentieri annuito (1). Gli ambasciatori dei marchesi di Mantova e di Monferrato ai primi di febbraio del 1517 si presentarono al re, partecipandogli ufficialmente il vagheggiato matrimonio, e chiedendone il consenso. Tale progetto piacque assai al re di Francia, e personalmente ne manifestò al principe Federico tutta la sua compiacenza con lusinghiere e cordiali attestazioni, che gli furono poi confermate da tutta la corte (2). Per tali e tante simpatiche dimostrazioni, Federico comprese tutta Γ importanza dell’ atto che stava per compiere, e senz5 altro mandava al padre il suo consenso espresso in questi termini : «... Essendosi compiaciuta V. Ex.'* et la ili. S.r* mia matre di darmi per moglie la figliola primogenita dell’ 111. S.r marchese di Monferrato, io come obbedientissimo filiolo la certifico. clic son per contentarmi di ciò che piace a lei e a Mad.‘, et piacemi et mi contento summamente de questo parentato, si per rispetto della nobiltà antiquissima del p.to S/ marchese, si ctiam per amore della S.r* marchesa sua consorte, per la qual facio parentato cum li primi Signori de Francia, et per Γ amorevole parole che me hanno detto il Re, la Regina, Mad.*, Mons.r di Lanson et la S.ri Du- (t) Vedi documento I, 1517, 17 gennaio- (2 1517, «o febbraio. Parigi — Lett. di Stazio Gadio alla marchesa. 45° GIORNALE LIGUSTICO chessa, monstrando una satisfatione mirabile de questo parentato... ». Non è a dirsi il contento e la gioia provata dai genitori di Federico nel leggere questa lettera del figlio ; essendo poi stato concluso quel matrimonio sotto così Fausti auspicii, ben a ragione Francesco riteneva che quel parentado dovesse apportare al figlio perpetua felicità e auguravasi di poter vivere tanto da goderne « i dolci frutti » (i). Pur troppo la morte lo <_olse troppo presto, e, come vedremo, « i frutti » furono ben diversi da quelli che si riprometteva il buon Francesco. Intanto questi, impaziente di rendere noto il matrimonio del figlio concluso a Parigi, prima ancora che fosse ufficialmente ratificato da ambo le parti, lo partecipò ai parenti e a tutte le corti d Italia (4). Per tale ratifica il marchese di Mantova spedi a Casale i suoi ambasciatori Luigi Gonzaga e Francesco Bonatto, col mandato di non fare atto solenne di matrimonio pel quale i figli dovessero vincolarsi , ritenendo che tale vincolo si dovesse da loro contrarre solo quando fossero in età più matura, stimando ora sufficiente l’obbligo morale dei genitori (3). Il 6 d’aprile del r517 dagli ambasciatori, col pieno accordo dei marchesi di Monferrato, furono stesi in forma legale i patti del contratto nuziale, stabilendo la dote in trenta mila ducati d’oro e dieci mila in gioie, e che Maria andrebbe sposa a Federico tosto che avesse compiti i 15 anni di età (4). In attestazione del (1) 1517, 18 febbrraio, Mantova — Lett. march. Francesco al figlio Federico. (2) Lib. cop. lett. lib. 249, 1517, i7 febbraio — Gio. Girelli, Rime t lettere inedite di Galeotto del Carretto, ecc.*, Torino, 1886, pag. 29. Per nozze Amosso-Bona. (3) Rub. D. II, 15, 1517, 25 marzo. (4) D. II, 15, 1517, 6 aprile. GIORNALE ligustico 431 contento provato dai genitori di Federico per tali auspicate nozze, regalarono alla sposina, il marchese Francesco, un collare d oro adornato di grosse pietre preziose, e la marchesa Isabella due braccialetti gemmati, il tutto del valore di oltre 1300 ducati (1). Federico , che già da oltre un anno trovavasi in Francia, prese licenza da quella corte dietro le vive istanze che gli venivano (atte da Casale, per visitare « la sua bella sposina », e da Mantova per salutare e abbracciare la madre prima che partisse pel suo viaggio di Marsiglia. Lasciò egli in fatti la corte di Francia il 23 di marzo (2) e agli 11 d’ aprile incontrato a Susa dallo suocero, il marchese Guglielmo, se ne venne con esso a Casale. Tale e tanta fu la gradevole impressione che Federico s’ebbe della sua promessa sposa e delle cordiali dimostrazioni d’affetto per parte dei di lei genitori , che lo determinarono (contro Γ intenzione suespressa del padre) di celebrare senz’ altro le sue nozze ; il che fece con tanta spontanea compiacenza, che meglio non si potrebbe esprimere, che con le stesse sue parole : « . . . Mentre sono stato qua mi hanno fatto tante amorevoli dimostrationi eh’ io resto satisfactissimo, ma più, di aver trovato qua quella con- (t) 1517, 6 aprile, Casale — Lett. di Luigi Gonzaga e Francesco Bonetto a Federico Gonzaga a Parigi. (ì) 1517, 23 marzo, Parigi — Lett. di S. Gadio al march. Francesco «... Il S.' mio si è aviato hor.i verso Italia, et se ne viene a V. Ex.u a consolar lei, mad.‘ III." et tutta quella terra, perchè el viene homo ben acostumato et savio, con modi da Sig." et non putto come el se parti da casa, et lassa uno bonissimo nome in questa corte, et di S. S. si ha grandissima et optima oppinione di savio, modesto, humano et gentilissimo, et de gran bontà, et a tutta questa corte rincresce chel se parti, perchè l'è amato et ben visto quanto sia mai stato signor fora-uicre in Francia ... ». 432 GIORNALE LIGUSTICO sorte che ini ha dato V. Ex.u ; persona di tanta mia satisfactione per li costumi, gratie et bellezza sua eh* io non saperla desiderare nè designarmi donna che più mi piacesse di lei ; e perho ne baso la mane a quella di havermi così bene accompagnato. Et perchè F ha ad essere la mia, et voglio che sia, ho voluto sposarla persuadendomi che la ne resterà contenta ; et questa dimonstratione ho fatto per satisfactione de li Sig.n miei soceri et mia ; et li modi et indole de la p.,a S.ra mia consorte mi danno tal speranza che quando la sarà in casa de V. Ex.,a ogn’hor più, lei, Mad.a et io se ne contenteremo . . . ». Se i sentimenti espressi da Federico in questa lettera al padre fossero perdurati, e se l’ambizione smodata e l’amore cieco da cui tu preso per la gentildonna mantovana Isabella Boschetto de Calvisano Gonzaga non lo avessero tiaviato, sì da macchiare il proprio onore, certo è che questo matrimonio avrebbe apportato « i dolci frutti » che si riprometteva il marchese ; quando invece fu causa a se di dolorosi disinganni e alla madre di ineffabili dispiaceri. Perchè, quest’ atto matrimoniale compiuto da Federico tanto spontaneamente, fu più tardi soggetto a non poche peripezie, pei suaccennati motivi, così mi piace fin d’ora richiamare su di esso 1’ attenzione del lettore, riportando anche la forinola precisa usata per tale connubio : « . . . lll.,e S-r Federico , seti contento pigliare per vostra legittima sposa et mogliera Mad.* Maria de Monferrato qua presente, et per parola de presente secundo che comanda la santa romana chiesa? Alla qual interogatione epso S.r Federico respose pubicamente, et audiente li infrascripti testimonij astanti, per parole, liberum consensum de presenti exprimcnte, monsignor sì ... ». Fatta la stessa interrogazione a Maria, questa pure rispose di si; e subito dopo Federico, baciando la sua sposa, giornale ligustico 433 le pose in dito 1 anello nuziale « nel dito de la man stanca » (i). Nessuno quindi avrebbe potuto impugnare quest’ atto ; nep-pure il pontefice poteva sciogliere questo matrimonio, perchè redatto con tutte le forme civili ed ecclesiastiche. Tuttavia vedremo più tardi il papa Clemente VII, per favorire i capi icci ambiziosi e libertini del suo protetto, sciogliere questo connubio, prima, sotto pretesto di veleno « causa veneni », (Breve 152S, 22 aprile), poi confermare ufficialmente lo scioglimento sotto altro pretesto, di matrimonio « rato e non consumato in causa della minore età della sposa » (Breve, 15 29 · 6 magg>°) > e da ultimo riconoscere per « valido e indissolubile » ciò che prima, pei suddetti pretesti, aveva sanzionato « nullo e invalido » (Breve 1530, 20 settembre). La marchese Isabella, partita da Mantova per Marsiglia, si fermo alcuni giorni a Casale, ove fu da tutti festevolmente accarezzata, provando somma compiacenza nel riscontrare nelle graziosa sposina eccellenti qualità fisiche e morali (2). Il re di Francia volle attestare al principe Federico il suo regale compiacimento, per le di lui nozze contratte a Casale colla principessa Maria Paleologa, fregiandolo dell’ ordine ca- (I) D. II, 15, 1517, 15 aprile — Iti saia deaurata arcis civitatis Casalis — Ex rogit. A miro . de Turri de Ripaìta , notarij Casalen . ac marchio . secret. — (ì) 1517, 28 aprile, Casale — La march. Isab. al marito. «... Smontata in castello ritrovai el S/ primogenito de questi 111.”1 S.re et S.” insieme con la dolce sposina nostra, et la sorella, quali tutti basai. Quello mi pare della sposina, et quanto mi satisfaccia la belleza et gentilissima gratia sua. so chc seria impossibile esprimerlo, però mi riservo a dirlo a bocha alla Ex.1* V. Li honori et carezze mi fanno questi S.ri veramente sono inestimabile, ne so a qual Re si potesse dimostrare più affectione di quello che a me et a tutti li mei se dimostrano qui, non solamente dalli S." ma da lutta la corte et cità ... ». G10**. Ltevmco. Anne XVIll. aS 434 GIORNALE LIGUSTICO vallefesco di S. Michele, e dando incarico al suo luogo-tenente mons.r de Lautrec di invitare Federico a Milano per consegnarglielo ufficialmente. La marchesa Isabella che nutriva pel figlio uno sviscerato amore, e che tanto si compiaceva dei suoi trionfi, ravvisando in essi Γ alta stima ed onore in cui era tenuto il futuro erede del principato di Mantova, pregò il Lautrec affinchè concedesse che tale onorificenza fosse data a Federico nella propria città. In latti alla mattina del 28 marzo, nella cattedrale di Mantova, alla presenza dei marchesi, di tutta la corte, dei cittadini e del popolo, fu solennemente per mons.r di Montello consegnato a Federico 1 ordine eavalleresco accordatogli dal re di Francia, facendo egli promessa di portarsi quanto prima a Milano per giurare nelle mani del Lautrec fedeltà ai capitoli dell’ordine (1). Che poteva desiderare di più Federico per soddisfare alla alla sua giovanile ambizione ? Ma altre e più solenni attestazioni d’ affetto riserbava il re Francesco I al suo giovane amico e parente; lo volle di nuovo in Francia, affinchè assistesse alle suntuose feste pel battesimo del Delfino e per le nozze di Lorenzo de’ Medici con Maddalena de la Tour de Auvergne. Sul finire di marzo del 1518 , Federico parti per Milano, e, dopo aver ivi prestato il giuramento di fedeltà ai capitoli dell’ ordine di S. Michele nelle mani del Lautrec, si avviò alla volta di Francia passando per Casale; dove si trattenne per due giorni in feste, accarezzando la sua giovane sposa, della quale mostrava apertamente di ognor più compiacersi (2). Per circa due mesi stette Federico in Francia, prendendo parte a tutte le teste e alle giostre che per le suaccennate (1) 1518, 23 e 28 marzo — Cop. lett. lib. 254. Federico al Lautrec. (2) 1518, η aprile, Casale — Lett. del Grossino a Toi. Spagnolo. giornale ligustico solennità si celebrarono in Ambois (i). Alla metà di giugno face va ritorno a Mantova, dopo essersi di nuovo fermato a Casale festeggiato come sempre dai nuovi suoi parenti, e cattivandosi pei suoi modi gentili e cavallereschi ognor più la loro stima ed affetto (2). « III. Un improvviso e sgraziato accidente chiamò pochi mesi dopo Federico a Casale. Il marchese Guglielmo era da qualche tempo travagliato da piaghe cancerose in una gamha, e le sue condizioni fisiche si erano per tale malore tanto aggravate da temere della sua vita. Niun conforto gli sembrava più caro che di avere vicino a se il suo giovane genero , perciò, gli fece scrivere dalla moglie che senz’ indugio si portasse a Casale (3). Il marchese Guglielmo provò indicibile conforto morale dalla sua presenza, tanto che anche fisicamente sembrava migliorasse; ma Federico era troppo giovane e troppo dedito ai piaceri per adattarsi al mesto ufficio di confortatore, di modo che, visto il miglioramento dello suocero, se ne andò a Genova per spassarsela allegramente con quel governatore (4). Presagendo Gugliemo l’imminente catastrofe e preoccupato della successione dello Stato, stantechè (1) 1518, 26 aprile, 4 maggio, Ambois. — Lett. di Federico alla madre e del Grossino alla march.' (2) 1518, ij giugno, Milano — Lett. di Federico al padre. (3) J518, 7 settembre, Casale — Lett. di Federico al padre, κ ... Io ritrovai il S.' marchese molto afflitto, et intendo hebbe la notte in and una gran febre. Ritrovandomi poi heri sera ad vederlo medicare, vidi che l’ha in uno pede uno buso grande quanto è uno mocenico, et un altro picolo aprcsso di mala sorte ... ». (4) t jtS, 9 settembre, Casale — Lett. di Federico al padre. GIORNALE LIGUSTICO suo figlio Bonifacio, di soli 5 anni d’età, trovavasi egli pure gravemente ammalato, e il fratello del detto marchese, Gio. Giorgio Paleologo, lasciava poca speranza di lunga vita a motivo di certo male interno che lentamente lo consumava, manifestò alla sua sposa come sarebbe sua intenzione di scrivere all’ imperatore per ottenere Γ investitura dello Stato di Monferrato in favore della primogenita Maria, sposa del diletto suo Federico. La marchese Anna, col cuore straziato al vedere lo sposo giorno per giorno deperire, si affrettò a richiamare Federico da Genova, non senza manifestargli i progetti confidatele dallo sposo a suo riguardo (1). (1) 1530, 2 dicembre, Casale — Lett. di Egidio Cattaneo a Coppino seg.*° du.1* (relazione di un colloquio che il Cattaneo ebbe nel 15 30 colla march.* Anna). « Quando la f. m. del S.' mio consorte (u in fin di vita mi chiamò e mi disse : Io mi trovo quasi vicino alla morte, ma a me pare che se io vedessi mio filiolo il S.' Federico, lui me alevierebbe tal affanno. Il che subito per lettera lo feci venire qui a Casale, e come l'hebbe visto se ne allegrò; poi dopo alquanti giorni mi chiamò e mi disse: veggo che più non camperò, e il filiol nostro, che allora era di cinque anni solamente, e similmente conducto a termine de non poter campare, cosi per mio contento voglio che adesso si scriva all’ Imperatore e al-1’oratore nostro, che preghi S. M.li, che mancando Bonifacio mio filiolo si degni investire di questo stato il S/ Federico mio filiolo. Non perdete tempo e fate che si trovino subito le investiture #. 151 ® > 11 settembre, Casale — Lett. di Federico alla madre. « Ho fatto intendere il tutto alla S/* Marchesa qual ne ringratia quella et la Ex. dii S." mio patre de le offerte sue, et mi dice che mai non cessarà finché la non faci cadere questo stato in man mie, et ha parlato con Mons/ presidente di comissione del S/ Marchese aciò che lui vedi che via si ha ad tenir ad far questo, et Mons/ presidente di volumi dii S/ Marchese forma la minuta di la supplicatione al Imperatore, di questo tenore, che accadendo chel suo unico figliolo mancasse di questa vita, et ritrovandosi unaltro figliolo, che sono io, suo genero, che non ama manco di laltro, supplica S. M.a li facci gratia di investire di questo stato la sua primogenita, con questo, chel primo figliolo suo sia nominato Marchese giornale ligustico 437 Il male del marchese faceva intanto rapidi progressi, sì che i medici, pur nella speranza di arrestarlo, vennero nella detei minazione di amputargli parte del piede. Per tale operazione sembrava che Guglielmo migliorasse, e Federico, lasciando ingratamente lo suocero in quelle tristi condizioni, se ne venne a Mantova (i), chè forse gli tardava di riab- di Monferrato, et levi larme di Monferrato, et che la doti la sorella di duxento milia ducati. Dii S.r Zo-Zorzo non si fa mentione alcuna nella supplicatione, nè credo sia compreso nella investitura dii S.r marchese, che Madama me Γ haveria detto, da la quale intendo chel p.*° S.r Z-Zorzo non po campar molto perchè è disordinatissimo, et beve assai, et si pensa sia marcido de dentro. Di queste cose Mad.* mi comanda che io pregi V. Ex. ad non fare motto con persona alcuna se non col Sig.", perchè alle volte non pervenesscro alle orecchie di Savoia, o di Salutio, o dii Si' Zo-Zorzo, quali sapendosi potriano contraoperar et romper la pratica et li disegni. Quella intendi chc Madama mi dice chel S.r marchese non sa chio sappi cosa alcuna, et havendoli dimandato si lei me Ihavea detto li resposc chc non, et che 11011 mi ne diria ne mi ne pariaria niente, et io mi monstro alienissimo di queste cose con ognuno ». (t) 1518, 25 settembre, Casale — Lett. di Federico alla madre. « Gionto qua dimandai dii stare dii S.' marchese, et intesi Γ era stato dece hore senza polso, abandonato et disperato da tutti li medici, pur alla giunta mia ritrovai che Γ liavca pigliato alquanto la virtù, la quale tutta via va crescendo, ma lentamente. 11 mal del pede è in tanto pessimo termine che l’è necessario tagliarli mezo il pede, et già li hanno tagliato uno dito, cioè quel di mezo, et dicono li medici non poter fare gran iudicio della vita sua finché non li hanno tagliato tutta quella parte del pede che si va marcendo.... Mi è detto chc Γè sepetie di mal di S.'° Antonio, che se a bonbora non provedevano di darli il focho et prohibir con remedij che ’l non passasse più ultra dreto la gamba, landaseva al core et subito l’ama-zava, chel non vi era riparo ». 1518, 26 settembre, Casale — Lett. di Federico al padre. « Heri sera li medici tagliorno al S.r marchese dui altri diti, clic lui non sentette niente, et cosi andrano tagliandoli a pocho a pocho. Questa notte ha riposato bene, et è stato inelio eh ’l sia stato gii quattro giorni, et anchor più piglia maior virtù, et spero che S. Ex. 438 GIORNALE LIGUSTICO bracciare la sua nuova innamorata, la ricordata Isabella Boschetto. Il povero marchese Guglielmo , otto giorni dopo, senza avere il conforto di dare Γultimo bacio a Federico che aïnava come figlio proprio, e gliene aveva data solenne prova, rese F ultimo sospiro (i). Per questa grave perdita, i marchesi di Mantova provarono indicibile dolore, e lo manifestarono pubblicamente col far celebrare solenni onoranze funebri nella chiesa maggiore della loro città, e ordinando di vestire gramaglia agli addetti della loro corte. La marchese Isabella si portò tosto a Casale per confortare l’afflitta vedova e anche per conoscere da vicino la volontà del defunto marchese (2). L’ improvvisa sua morte rese senz’ effetto il di lui vagheggiato progetto; e il principe Bonifacio fu dall’ Imperatore riconosciuto ed investito quale erede legittimo del marchesato, sotto la tutela della madre marchesa Anna. anderà de bene in melio, et io non havendo altro che far qua me ne ri-tornarò a far riverentia a V. Ex.1* ». (1) 1518, 4 ottobre. Casale — Lett. della march.’ Anna al march. Fran.0 Gonz.* a Advisola per le presente mie corno hogi, tra le quindece et sedece hore, lo 111.“° et Ex.1”0 S/ mio consorte, puoi che li sono havuti, cosi circa la cura dii corpo suo corno ancora del anima, tutti li remedij convenienti ad ogni fidelissima di la superna sede, ò mancato di la presente vita cum gran."* displicentia nostra ». Cronaca di Monferrato, di Galeotto del Carretto. Historiae patriae Monumenta. Torino, 1848, col. 1269. (2) 1518, 22 ottobre, Casale — Lett. della march. Isabella al marito. a Giunta in castello ritrovai il S/ marchese putino al pede di la scala, ove smontai, qual mi accompagnò in camera de la S.'* marchesa, ove gionta non udii altro che pianti di la adolorata Sig/* che mi mosse a gran compassione. Siamo ben stati alquanto insieme heri et hozi, et ha-vemo ragionato assai, ma sempre il generai, et ha monstrato çhe la venuta mia li sia stata molto grata et di gran conforto, nè ad altra particolarità siamo ancor venute ». giornale ligustico 439 IV. Circa sei mesi dopo la morte di Gugliemo, anche il valoroso e magnanimo Francesco soggiacque al fato comune, e Federico successe al padre nel governo dello Stato di Mantova sotto la cura della madre marchesa Isabella e dello zio cardinale Sigismondo. Ben presto però Federico si emancipò dalla tutela, chè troppo gli tardava di dare al suo governo quella impronta personale di fasto e di grandezza che nelle corti di Roma c di Parigi aveva contratto. Venuto al potere proprio in quei giorni in cui per la morte dell’ imperatore Massimiliano si iniziarono quelle lunghe e contrastate lotte per l’egemonia d’Italia, fra il re Francesco primo e il nuovo imperatore Carlo V, fomentate e mantenute vive dal-Γ ambizione di due papi, sotto la forma mascherata di una politica d’indipendenza nazionale, ma in fatto per accrescere quella pietra angolare del papato che fu il principato temporale, e per favorire e proteggere gli interessi delle loro case. Per ciò, alleati ora dell’uno ora dell’altro di quei potenti monarchi, secondo che a vicenda prepotevano o favorivano quegli interessi. In tali condizioni di cose al nostro giovane marchese preparavasi un largo campo in cui la smodata sua ambizione e il suo incontestato valore militare dovevano apertamente manifestarsi, e avere non poca parte in quel fortunoso periodo di lotte e di altalene diplomatiche, come cercheremo di mettere in evidenza. Il nuovo marchese di Mantova auspicò il suo regno col-Γ indire nel febbraio del 1520 un gran torneo, invitando cavalieri italiani e forestieri a prendervi parte, e notificando eh’ egli stesso ne sarebbe stato il mantenitore. La suntuosità usata dal detto marchese per tale trattenimento, e la magnanima cordialità prodigata ai gentiluomini, che da tutta Italia 440 GIORNALE LIGUSTICO e dalla Francia, accorsero a prendervi parte, fu veramente regale (i). Il posto d’onore in quella solenne circostanza deve certamente Federico averlo riserbato per la suaccennata Isabella Boschetto, moglie di Francesco Calvisano Gonzaga, figlio di Gio. Maria, morto valorosamente alla battaglia del Taro. Federico s’invaghì di questa giovane e bella dama mantovana vivente ancora il padre suo, e se prima usava un certo ritegno, ora, libero e padrone di se , non ne faceva mistero. Tanto quella donna ebbe a prepotere sull’animo di Federico, che per essa pospose P onore e il decoro della corte, da essere più tardi causa che la madre sua gli usasse un contegnoso riserbo. Se come principe ereditario poteva Federico accontentarsi di essere capitano di 60 lance del re di Francia, ora ch’egli era marchese di Mantova, poteva ben aspirare a titoli maggiori , seguendo del resto Γ esempio dei suoi antenati , che sempre offersero il loro valoroso braccio a potentati italiani e stranieri, ottenendone alte cariche militari e cospicui compensi. Iniziò infatti Federico, sul finire del 1520, attive pratiche presso papa Leone, col mezzo del proprio ambasciatore Baldassare Castiglioni, per essere creato capitano di santa Chiesa. Conoscendo Federico quanto fosse amato dal re di Francia, e come ottimi fossero i rapporti politici del papa con quel re, sperava, oltre che di ottenere da questi la sanzione della nuova sua carica, di essere anche nominato suo luogotenente generale in Italia, come lo era stato ii padre suo nel 1503. Domanda molto ardita fu certo questa del nostro marchese, che ben sapeva essere quella carica già occupata dal Lautrec, (1) Federico Amadei, Cronaca ms. — T. II, pag. 540. Presso il nostro Archivio. GIORNALE ligustico 441 tuttavia egli non si peritò di formularla nelle istruzioni date al suo ambasciatore Stazio Gadio, appositamente inviato alla corte di 1·rancia. La risposta che s’ebbe il Gadio dal re, così la riferiva al suo signore: « .... Il Re Chris.m0 disse queste formali parole : « Noi sapiamo che al S.r marchese non può mancare partiti honorevoli per essere egli e lo Stato suo di grande importantia, egli sa quanto noi lo amiamo, che si può dire averlo noi nutrito, ma con sommo nostro rincre scimento non possiamo accordargli il grado e dignità che desidera, col farlo nostro luogotenente in Italia, per havere quel posto Mons. de Lotrech. Ben però siamo contenti che il Papa crei per suo capitano il S.r marchese con la condotta che gli offre, perchè essendo unione e perfetta intelli-gentia tra noi e sua Santità, esso S.r marchese servendo questi serve noi stessi » (i). Federico nel luglio del 15 21 fu dal Papa creato suo capitano generale, con dodici mila ducati di provvisione e con riserva espressa nei capitoli, di non essere tenuto di combattere personalmente contro l’imperatore. Nel 1522 questi lo fa suo capitano di 100 lancie coll’assegno personale di dieci ralla franchi, e nell' anno dopo aggiunge al capitanato della Chiesa quello della repubblica fiorentina (2). Pei valorosi atti di coraggio e per la fine intelligenza nel-l’arte militare addimostrata da Federico a Parma, a Pavia, a Cremona, erasi cattivato tutta la stima e 1’ alta protezione di papa Clemente. Conscio il Gonzaga di tale protezione e della giusta stima che godeva come condottiero d’ eserciti, (1) 1520, 11 novembre — Minute della cancelleria — A Baldassare Calti glioni. (i) Rub. D., IX, 5 — 1 $21, i luglio. Breve di papa Leone X — 1522, 21 maggio. Privilegio di Carlo V — 1523, 22 agosto. Breve di papa Adriano — 1525, }t agosto. Lett. dei Priori ecc.* della repub. fior. 442 GIORNALE LIGUSTICO ebbe P ambizioso pensiero di ricorrere al papa per essere creato capitano generale della nuova lega che erasi indetta a Cognac a’ danni di Carlo V (i). Rimasto, per buona fortuna di Federico, inesaudito questo suo ambizioso desiderio, che lo avrebbe apertamente compromesso coll’ imperatore , s’ accontentò d’ essere dal papa riconfermato nel capitanato della Chiesa e della repubblica fiorentina (2). Così, non vincolato da impegni personali (1) 1526, i giugno — Minute della cancelleria — A Francesco Gonzaga ambasciatore a Roma. — « S. Exu supplica ben che andando inanci la lega, et dovendose fare Capitano generale de quella, la voglia dignarsi S. Bent" far opera che tal dignità sia data a S. Ex.1*; benché potria essere quello che la pensa, che non si havesse ad fare alcuno Capitano generale della lega ». — 1526, 9 luglio — Minute della cancelleria — A Francesco Gonzaga ambasciatore a Roma. — « Il Sig.' haverà piacere intendere da V. S., andando le cose de questi exerciti in sinistro , come hanno cominciato, quello che dirà il Papa; et se, come il dover voria, S. Beat.0' reconoscerà lo errore che la fece a non dare S. Ex.1* per capo a questa impresa, et se la restava per il respetto che la disse, potea procurare de farlo Capitano della lega, che la sa ben che Franza 1’havea remesso a lei. Et pur quando non le fosse piaciuto nè l’uno nè l’altro modo, pur che li havesse dato qualche auctorità, con farlo fare qualche bona summa de fanti, con titulo de fare tal provisione per def-fensione delle cose della Chiesa, et mandarle a Parma , o qualche altra cosa che P haveria potuto fare come Capitano della Chiesa senza sco-prirse contra l’imperatore, forsi 1’averia dato tanto caldo a questa impresa che le cose sedano andate per altra via ». — 1526, 3 agosto — Minute della cancelleria — A Francesco Gonzaga ambasciatore a Roma. — « 11 Sig.' lauda summamente il modo che usa V. S. in parlare al Papa et al Datario circa il capitanato della lega. Facino mo che scusa vogliono, S. Ex.1* reputa ben chel Papa habbi fatto peggio a se stesso che a lei in non fare che la habbi havuta superiorità in questa impresa, la quale non ruina per altro se non per non essere governata da un capo de auctorità ». (2) 1526, 5 settembre — Minute della cancelleria — A Lod. Guerrieri al campo cesareo. giornale ligustico 443 contio 1 imperatore, egli potè con fine accortezza e con molta abilita politica mantenere una certa qual posizione neutrale, durante 1 invasione fatta nello Stato suo dalle soldatesche imperiali e degli alleati, che lo salvarono dall’apertamente compromettersi coi due potenti rivali. V. « Tn tale tramestìo di guerre, di paci e di leghe, al marchese di Mantova non rimaneva certo il tempo e la voglia di pensare ai suoi impegni matrimoniali coi Signori di Monferrato. Fino dal 1524, conforme ai patti stabiliti nel 1517, Federico era tenuto condurre a Mantova la sua sposa Maria, chè appunto in quell’anno ella veniva a compire i 15 anni d’ età. Le occupazioni politico-militari del marchese non erano però i veri motivi che gli facevano ritardare Γ adempimento della sua promessa, iuquaotochè fosse bensì suo pensiero di ammogliarsi, ma con altra donna e di più alto lignaggio. Sta di fatto che fino dal 1522, Federico aveva iniziate pratiche col mezzo di Andrea Borgo, consigliere della maestà Cesarea, per avere in isposa una figlia del re di Polonia (1). Che Federico poggiasse tanto in alto i suoi desiderii, lo si capisce, ma che la madre sua la marchesa Isabella, dovesse più tardi farsi fautrice di un tale progetto, davvero che riesce inesplicabile. Ella che aveva in passato addimostrato tanto amore ai marchesi di Monferrato, specie alla marchesa Anna e che era impaziente di vedere la bella sposina nella propria Corte, rinunciare tutto a un tratto a questo suo giusto (l) D. Il, 15 a. — I $22, 7 agosto, Praga — Lett. di Andrea Borgo — I j22, η novembre — Copia di lett. del re di Polonia — 1523 , 2 febbraio, Praga — Lett. di A. Borgo. 444 GIORNALE LIGUSTICO desiderio, in veriti fa credere avesse , ella così austera , un serio motivo per agire così. Se ci facciamo a considerare la vita sregolata e libertina di Federico, e più di tutto i suoi impudichi amori con Isabella Boschetto, dalla quale fino dal 1520 ebbe un figlio, e come essa regnasse sovrana del cuore e della volontà di lui, non si è lontani dal vero nel credere che la marchesa, che pur tanto amava il figliol suo, cercasse, assecondando le di lui mire ambiziose di condurlo con quel matrimonio sul . retto sentiero. Ma si dirà, non sarebbe ella venuta allo stesso risultato con quello di Maria, quando ella avesse energicamente insistito ? Non lo credo , anzi tutto perchè la madre aveva perduto del suo ascendente sul figlio , e la Boschetto, padrona coni’ era del cuore del suo Federico , poteva facilmente accondiscendere eh’ egli trattasse per un matrimonio dirò così ufficiale, molto remoto e problematico, non così per quello di Maria, giovane, bella e di subita attuazione ; per essa quindi ella vedevasi minacciata di perdere tutto F affetto del marchese, che solo a se stessa voleva serbato. A questo matrimonio ella doveva infatti opporsi con ogni sua arte, come vedremo in appresso. Certo è che la marchesa Isabella partì da Mantova sul finire di febbraio del 1525 portandosi a Roma, ove si trattenne per tutto Γ anno seguente e non si parti, se non dopo il terribile sacco patito da quella città. Questa sua lunga assenza , quantunque giustificata dal motivo che ella colà cercasse di trovare un partito conveniente per 1’ altro figlio Ferrante e poi per ottenere dal Papa il cappello cardinalizio per Ercole, tuttavia il vero motivo di si lunga lontananza lo dobbiamo ascrivere più che ad altro al disaccordo che regnava tra madre e figlio a motivo appunto degli illeciti suoi amori colla Boschetto. Fu durante il soggiorno della marchesa a Roma che giornali- ligustico 445 le pratiche per la figlia del re di Polonia furono riprese , usandosi però della massima segretezza, affinchè i signori di Monferrato non ne avessero sentore. Il Papa, dietro le sollecitazioni della marchesa, s’offerse d’interporre tutto il suo valido appoggio per la buona riuscita del progetto (i) , inviando al re Sigismondo un suo famigliare, Nicolò Fabro, con mandato formale di chiedere al detto re la propria figlia primogenita in isposa al marchese di Mantova (2). Questi rilasciava al Fabro un ampio mandato di procura , affinchè trattasse in suo nome l’affare, dichiarando, che addiveniva a tale atto, « per soddisfare alle continue esortazioni del Papa e per appagare i desiderii dei suoi amici e del suo popolo chc gli mostravano sommo desiderio che procreasse alla casa sua figli legittimi (3). » Questa precisa dichiarazione di Federico, giustifica, a mio avviso, quanto dissi circa il contegno assunto dalla marchesa in questo affare della Polacca. Il messo pontificio dopo essere stato a Mantova per prendere gli accordi col marchese, giunse ai primi di gennaio del 1526 nella Corte Polacca, ricevuto assai cortesemente da quel re e regina, la quale mostrassi subito fautrice di tale proposta, ma confidava al Fabro che già da tempo eransi presi impegni col Duca di Moscovia, e il re gli dichiarava doversi ponderare bene tale proposta prima di prendere una risoluzione (4). Questa non si lasciò molto attendere, chè il Nunzio pontificio presso il re di Ungheria partecipò al Papa, U) 1525, }, 7, 9 novembre, Roma — Lett. dell’ambasciatore Francesco Gonzaga al segretario Calandra. (2j 1525, 14 novembre — Breve di Papa Clem. 7.0— a Nicolò Fabro. i)ì !>*$> 4 dicembre — Minute della cancelleria — A mes.r Nicolò Fabro. (4) Rub. E. VII, } — 1526, 10 gennaio, Petrocovia — Lett. di Nicolò Fabro. GIORNALE LIGUSTICO che F affare della figlia del re di Polonia potevasi ritenere completamente fallito (i). Non per tanto Federico, due anni dopo, d’ accordo col Papa, stava per riprendere le interrotte trattative, quando fu avvisato che il re Sigismondo era per concludere il matrimonio della propria figlia col duca Lodovico di Baviera (2). A Federico spiacque tanto veder fallito questo suo vagheggiato sogno, che ancora nel 1530 lo rimpiangeva col medico e consigliere della regina di Polonia, in questi termini : « Io non desiderai mai cosa al mondo più che di fare il parentato con S. Maestà, il che non è successo per mia disgrada, et per colpa dei miei ministri ». (1) 1526, 12 marzo, Roma — Lett. di Francesco Gonzaga al Calandra. « Mando qui incluso un capitolo duna littera che scrive il Noncio de Ongaria, per il quale il S." intenderà la exclusione de la pratica de la filiola del Re de Polonia, cosa che al Papa è despiaciuta summamente. » (2) 1528, 12 aprile — Minute — A Francesco Gonzaga a Roma. — « V. S. dica alla Santità di N. S. che quando paresse a quella , non spiaceria a sua Ex.h che se tornasse a praticare con la autorità di S. B."c la cosa della fìliola del Re di Polonia , la quale è anchora da marito per quanto 1 è avisata da messer Gio. A. Valentino medico e consigliere della Regina di Polonia, molto amico di S. Ex.11 ». 1528, 28 luglio — Minute — A Francesco Gonzaga. — « Hora havendo inteso per reporto d’ un hebreo venuto a Venetia di Polonia che si era in stretta pratica et quasi in conclusione del matrimonio della figlia di quel Re in el Duca Lodovico di Baviera.....Pare tanto più a S. Ex.'1 da considerare, perchè fin quando lo Abbadino era in Ongaria appresso al Re questo inverno passato, se disse a quella Corte di questa pratica col Duca de Bavera et tenevase per conclusa. Se non che li oratori di Polonia che allora erano venuti alla corte dissero che non era vero che fosse concluso, ma che ben n’ era stato parlato. » GIORNALE ligustico 447 VI. Le tiisti condizioni del Monferrato, quasi distrutto per 1 continue guerre, dovevano assai preoccupare la marchesa Anna, e per gli impegni politico-militari in cui sapeva involto il genero suo, ella avrà stimato conveniente di aspettare che più tranquille, se non completamente cessate, fossero le condizioni dei due paesi, per richiamare Federico al-l’adempimento dell’obbligo suo contratto nel 1517. Fu infatti solo ai primi di novembre del 1527 che Anna spedi a Mantova il suo gentiluomo Giovanni Rotario, appunto per accordarsi col marchese circa il tempo in cui andrebbe a Casale a prendervi la sua sposa. A ciò Federico non poteva rifiutarsi senza suo disonore ; quindi rimase d’ accordo col detto Rotario chc pel giorno 21 novembre, o egli avrebbe spedito a Casale un suo incaricato, 0 lo stesso Rotario sarebbe stato dal marchese richiamato per fissare ogni modalità, a fine di condurre a Mantova Maria. Il 21 passò e con esso tutto il dicembre senza che Federico pensasse di adempiere la sua promessa. Soltanto ai primi di gennaio dell’ anno dopo se ne ricordò, e così scrisse al gentiluomo monferrino : « Acciò che V. Mag.u non se maravigli che non li habbia fatto intendere altro, me parso per questa avisarla come quasi in quel dì proprio che era ordinato tra noi, vennero qui a me li oratori de li potentati de la lega, con li quali accadette a trattare cose di non poco momento, come havereti inteso. Da poi intendendo io la liberatione di N. S. mandai a sua S.tà messer Cappino mio gentilhomo per intendere la mente di sua Beat."e, acciò che. da quella potessi fare iudicio di quello che havesse ad essere de me; dal cui reporto conosco che io ho più presto da travagliare che quietare, et credo non starò a casa, et certo che di tradurre in qua la Ill.ma S.ri mia 44§ GIORNALE LIGUSTICO consorte a questo carnevale non vi è ordine per li tempi che correno, et per quello che haverò necessariamente da fare. Del che mi è parso dare aviso alla p.u Magnificentia vostra, mandando questo cavallaro a posta, acciò che la. sapia il tutto, et non se maraviglij se non lho mandata a dimandare, come farò quando me parerà tempo. Ella fra tanto farà mia scusa dove bisogna, et me terrà raccomandato alla Ill.ma Madama et alli Ill.ma Sig,ra mia consorte et Sig. marchese mio cognato, et alli suoi commodi et piaceri me offro dispostissimo. Mantuae VIJ Ianuarij 1528. » Può essere che questi motivi fossero veri, e in parte lo erano di fatto, ma in fine non era altro che un legale pretesto per prolungare a tempo indeterminato 1’ adempimento dei suoi impegni ; adempimento che la Boschetto deve aver cercato di attraversare con ogni sua arte femminea. Il di lei contegno non poteva non essere fatto segno ai severi biasimi degli onesti gentiluomini di Corte , che vedevano in quegli amori uno scandalo permanente. Il di lei marito, Francesco, non si sarà certo dissimulata la sua condizione , più che ridicola, indecorosa, nè poteva non sentirsene offeso, e per ciò dobbiam credere cercasse di reagire col togliere la causa del proprio disonore e della Casa di cui portava il nome. Fu appunto per tale respicenza nel marito e perchè ravvisavasi da quei gentiluomini, che l’irresolutezza del loro Signore, nel decidersi a condurre a Mantova la legittima sua sposa, proveniva dalle arti della sua favorita, la quale minacciava di privare la Casa Gonzaga di legittima discendenza, che nel gennaio 1528 fu ordita una congiura a capo della quale si pose lo stesso marito allo scopo di avvelenare 1’ adultera sposa. Se la Boschetto aveva dei nemici, aveva anche dei fautori e dei partigiani fidati, i quali dai favori della bella del loro Signore sapevano trarre larghi benefici; e fu per essi che si scoperse la congiura. GIORNALE ligustico 44 9 Federico considerando il criminoso attentato come fatto alla persona propiia, fece tosto incarcerare i cospiratori che non poterono a tempo fuggire dalla città, e Francesco, se potè sottraisi al carcere rifuggiandosi su quel di Modena, non potè però scampare il ferro del sicario che ebbe più tardi a freddarlo (i). In quello attentato, Federico, per insinuazione della Boschetto, volle coinvolgere le marchese di Monferiato ritenendole fautrici principali di aver voluto col veleno sbarazzarsi della rivale. Triste e infame episodio è questo della vita di Federico, che essendo egli ben certo che quella era una falsa accusa, non si ristette dal valersene come pretesto legale per chiedere al Papa lo scioglimento del suo matrimonio colla Pa-leologa. Che falsa fosse 1 accusa, e della Boschetto la maligna insinuazione (oltre che avremo motivo di vederlo più innanzi) lo prova il fatto che anche dopo 1’ attentato, i rapporti di hederico colla marchesa Anna erano eccellenti, poiché egli scriveva al conte di Caiazo, dietro istanza della suocera, che facesse cessare le depredazioni che i soldati spagnuoli andavano operando nello Stato di Monferrato, pregandolo di tenere la marchesa « in quel rispetto che si conveniva a una tal Madonna corno è lei (2) ». Ciò però che deve aver determinato Federico ad accettare il malvagio consiglio della sua innamorata, per troncare ogni rapporto colle Signore di (1) 1528, 13 gennaio — Lett. del march. Federico al Co. Roberto Boschetto. — 1528, 17 dicembre — Minute — Al duca di Ferrara. — Rub. D. XIV, i — 1531, 19 aprile — Rogito del notaio Sabino Calandra. — « Dixit et affermavit quod postea quam Mag. D.nus Franciscus praedictus eius maritus interfectus fuit, quod fuit de anno 1528 11. (2) 1528, 4 febbraio — Cop. lett. lib. 41 — Al conte di Caiazo — « La 111. Madonna marchesa de Monferrato mia socera et matre hono-rand."“ ha mandato qua ad mi un suo secretario. » Giokn. Ligustico, Anno XVIII. ay 450 GIORNALE LIGUSTICO Monferrato, deve essere stato P insistenza di Anna nel volere che Federico si determinasse a condurre a Mantova la sua sposa. Infatti egli aveva dovuto promettere al conte Giovanni Rovere che dopo la Pasqua del 1528 lo avrebbe chiamato a Mantova per mettere ordine e conclusione circa quanto sarebbe stato necessario per tradurre a Mantova la sua consorte (1). Questo non voleva Isabella Boschetto, perchè fin d’ ora ella doveva pensare al modo di far riconoscere il figlio per legittimo erede del marchesato di Mantova ; non lo voleva Federico, perchè cieco del di lei amore, favoriva forse quel progetto, o quanto meno sperava non lontana la realizzazione degli ambiziosi suoi progetti nello svolgersi e maturarsi di quelle contrastate lotte politiche di cui Federico conosceva tutte le intricate file. Deciso di valersi di quella pretesa complicità per far annullare il suo matrimonio , spedi senz’altro a Orvieto, ove da poco erasi rifugiato il fuggiasco pontefice , il suo cugino Francesco Gonzaga con istruzioni precise e immutabili per ottenere la desiderata dissoluzione. Ai 20 di marzo arrivò Francesco in Orvieto e presentossi tosto al Papa, menifestandogli la commissione avuta dal suo Signore ; ma quale non fu la sua meraviglia al sentire essere egli già informato della congiura, e come gli dichiarasse non poter credere che le marchese di Monferrato vi avessero preso parte e ritenesse senz’ altro falsa V accusa (2). Francesco (1) 1528, 2 marzo, — Asti Lett. del Co. Gio. Rovere al marchese Federico. (2) 1528, 20 marzo, Orvieto — Lett. di Francesco Gonzaga al Calandra. — « Certo è che S. Santità è ben informata de le cose di Mantua, dico talmente, che non ne son passato senza maraviglia havendome S. B.°' ditto del veneno, et molti altri particulari che dimostrano che ella habia bona instructione del tutto. Io ho atteso per questa prima volta a doe cose ; luna di fare constare a S. S.tà che le cose siano vere et non simulate, giornale ligustico 451 che era an abile diplomatico, e tenuto in molta stima dal Papa essendo egli stato per parecchi anni ambasciatore del mare lese nella Corte di Roma, usò di tutto il suo ascendente e della fine arte diplomatica per convincerlo della verità del fatto esposto e per ribattere tutte le obiezioni, mostrandogli in fine la assoluta necessità di addivenire alla ledale dissoluzione del matrimonio di Maria col suo signore, affermandogli risolutamente che il marchese Federico « restai ebbe di dare successione legittima alla sua casa piuttosto che pigliare quella donna. » Il Papa continuava tuttavia ad opporsi ai desideri del marchese, perchè in quel matrimonio ravvisava tutte le forme legali e canoniche volute per tale atto, ne avrebbe potuto acconsentire senza compromettere la sua dignità pontificia (1). Essendosi in quella congiura compromessi due distinti gentiluomini mantovani, i fratelli Gerolamo e Giovanni come (orsi è stato persuaso a quella, sì come comprendo per le parole sue; laltra, me son sforzato di indurla con quelle megliori ragioni che me sia stato possibile a non negare la grada che li è ricercata per il S. IH. ». 1528, 22 marzo — idem.— «Ho narato a S. S.tà distintamente lordine di quel processo, come sta a ponto, con reserva però di quello chel S." me commise, et me son sforzato quanto più ho potuto di certificare S. B.“', il tutto essere verissimo, et levarli da la mente che non siano favole, sì come ella dimostra essere impressa..... Ho usato quella maggiore industria che ho potuto per fare constare bene a S. S.'* quanto sia ragionevole la dispositione del S.", et come sia justo il desiderio di S. Ex.1* di fare questa dissolutione. » (1) 1528, 22 marzo, Orvieto — Lett. di Francesco Gonzaga al Calandra. — « S. S.li me ha replicato la difficultà che vi è per il consenso , per verba de presenti, che è intervenuto da luno et laltro canto, et se ben se dice che la donna non era in età quando il S.re prestò il consenso , che era in età lui, non resta il matrimonio non sia valido et indissolubile dal canto di S. Ex> , et tanto più essendosi continuato in questa opinione et chiamatose luno et laltro marito et moglie. » 452 GIORNALE LIGUSTICO Agnelli, e godendo il primo di molta famigliarità col cardinale Cibo, questi ricorse al Pontefice per ottenere col suo mezzo che il marchese Federico liberasse dal carcere i detti fratelli e fossero loro restituiti i beni confiscati. Il marchese si valse tosto di tale istanza per avvantaggiare la sua causa, facendo scrivere al proprio ambasciatore in questi termini : « Che la liberatione dell’Agnelo consiste in sua Santità, alla quale il Sig.re è sempre disposto a compiacere et obedire in tutte le cose possibili, et però V. S. la supplicherà di nuovo con questa occasione a voler compiacere S. Ex.u della aspettata dispensa alla dissolutione del matrimonio, la quale ottenuta, 10 Agnelo sarà liberato, et lui col fratello restituiti alla pristina gratia, per rispetto et reverentia di S. B.ne, quantunque 11 fallo sia stato grande et horrendo, et degno di severissima iustitia. Della quale dispensa ottenuta, S. Ex.ia sta però in speranza et aspettatione, perchè quando fosse altramente, et che non fosse per ottenerla, per essere S. Ex.u deliberatissima di non menare mai questa moglie, et di starsene più presto senza consorte, et senza curare altramente la posterità di prole legitima, li seria forza ritenere detto Agnelo et li altri complici » (1528, 29 marzo). Fu per tale obbrobioso compromesso che Clemente VII convenne coll’ ambasciatore del marchese di prendere una risoluzione per la quale egli non si sarebbe apertamente compromesso e il marchese avrebbe ottenuto l’intento suo. Il Papa per un Breve amplissimo accordava la facoltà ad una persona ecclesiastica, che in di lui nome potesse fare la dispensa di sciogliere il matrimonio contratto da Federico con Maria, adducendo a pretesto il tentato avvelenamento — causa veneni — (1). La persona, a cui il Papa voleva indirizzare il detto Breve, era il suffraganeo di Mantova, ma il marchese che lo sapeva (1) 1528, 3 aprile, Orvieto — Lett. di Francesco Gonzaga al Calandra. giornale ligustico 453 troppo intimo di suo fratello il cardinale Ercole , al quale, quantunque in quei giorni si trovasse in Orvieto presso il Papa, si ebbe la massima cura di tenere nascoste tutte quelle pratiche, volle che lo si indirizzasse all’ arcidiacono della Cattedrale, Alessandro Gabloneta, uomo di chiesa, ma molto mondano e di fine arte diplomatica. Mentre che Federico brigava presso Clemente a farlo capace della correità delle marchese di Monferrato , e già ne aveva ottenuto il Breve ove apertamente facevasi menzione e affermavasi tale correità (i) , la marchesa Anna, ignara di tutto, inviava di nuovo a Mantova un suo incaricato per richiamare ancora una volta Federico all’ adempimento dei suoi impegni. Questa insistenza per parte della marchesa deve averlo indispettito, e poiché aveva già nelle mani il Breve per 1 Arcidiacono, diede senz’ altro incarico a questi di portarsi a Casale con questa precisa istruzione : « Che facia la negativa con più modesto modo che sia possibile, et senza esprobatione della causa perchè si viene a questo divortio, la quale quando si instasse di volere sapere, non deve passare tanto oltre che puossi causare altercatione, ma rimettersi al petto del Sig.re conscio del tutto, et sopra tutto habbi da fare che sappino il matrimonio, incolumi amicitia, tra questa casa et quella, essere disciolto » (2). A tale inaspettato e sleale procedere di Federico la marchesa Anna deve aver manifestato all’ Arcidiacono le sue più (1) D. Il, 15 — 1528, 22 aprile — Breve di Cletn. VII all’ Ar<«jdia-cono mantovano. — « Tanien cum certificato fuit, ac luce clarius cognovit , quod praefata Maria et dilecta in Christo filia nobilis mulier Anna Montisferrati marchionissa eius genitrix procuraverant propinari venenum cuidam d.nae Isabellae, quam credebant impedimento esse, quo minus ipse Federicus marchio, matrimonium cum eadem Maria con-sumaret ». (2) 1528, 7 dicembre — Minute — a Francesco Gonzaga a Roma. 454 GIORNALE LIGUSTICO alte meraviglie, e deve aver sentito un ben profondo dolore alla atroce ingiuria lanciatale da colui che essa amava come figliolo. Ma che importava a Federico del doloroso affanno della suocera ? A lui premeva rompere ufficialmente le sue relazioni coi signori di Monferrato per attendere liberamente ai suoi ambiziosi progetti, e più ancora per appagare i disonesti capricci della sua cortigiana. Al punto in cui erano le cose, Federico riconosceva essere necessario che la determinazione presa di sciogliersi dagli impegni colla Paleoioga fosse resa nota ai propri congiunti se doveva realizzare i suoi nuovi progetti ; per ciò risolvette di rendere informato il fratello Ercole della determinazione presa , adducendo a pretesto le condizioni politiche, affinchè egli la comunicasse al Papa per ottenere la dispensa ufficiale di dissoluzione. Se non che dopo quanto abbiamo visto essere passato fra Clemente e Federico, per mezzo del proprio ambasciatore, la cosa non riusciva troppo facile, per cui egli ricorse a questo strattagemma. L’ambasciatore Francesco, di pieno accordo col Papa, fu incaricato di manifestare al cardinale le intenzioni di Federico in questi termini : « Il Sig.r suo fratello conoscendo in quanto travaglio et combustione siano le cose del mondo , et le gravi discordie che hanno in sieme questi doi potentissimi Re di Spagna et Franza, è parso a S. Ex.- essere in proposito, per la conservatione del Stato suo, ritrovarse libero dalla promissione che altre volte la havea fatto di pigliare per moglie la filiola della marchesa di Monferrato per poter disponere di se secondo che dalla occasione de’ tempi la verà consigliata, et che conoscerà tornare a beneficio delle cose sue ; però P havea determinato di venire al atto di questa dissolutione, et così mandava persona in Monferrato a tale effetto » (i). (i) 1528, 20 dicembre, Roma — Lett. di Francesco Gonzaga al Calandra. GIORNALE LIGUSTICO 455 Il Cardinale Ercole a tale inattesa partecipazione manifestò un profondo dispiacere, pur desiderando che il fratello si potesse accompagnare con donna di suo pieno aggradimento per utilità dello Stato e per dare posterità alla casa, accettò 1 incarico di manifestare quella presa determinazione del marchese al Pontefice. Questi, come se fosse stata allora la prima volta che sentisse parlare di quell’ affare, fingendo — e nel simulare Clemente era eccellente — (i) d’ignorare completamente ogni cosa, riconobbe giusti i motivi addotti dal marchese di Mantova, promettendo al cardinale tutto il suo appoggio, sia per trovare un partito conveniente per Federico come per rilasciargli il Breve di dissoluzione (2). VII. L’appoggio di Clemente VII non mancava di certo a Federico, che anzi si può affermare essere egli sempre stato il suo favorito, il prediletto, tanto che nel 1526, quando Francesco Sforza fu dichiarato ribelle all’ Imperatore e decaduto dallo Stato, Clemente, all’ insaputa di Federico sollecitava lui il possesso del ducato di Milano, contro le aspirazioni del Borbone (3), Ora poi per favorire i proprii scopi politici e (1) G. L. Leva, Storia document, di Carlo V, III, 109, Padova, 1875. — « Per eccellente che fosse il Pontefice nelle simulazioni ». (2) 1528, 20 dicembre, Roma — Lett. di Fran. Gonz. al Calandra. (3) 1526, 13 febbraio, Minute, a Fran.0 Gonzaga a Roma — « Il Sig." ha commisso che mandi a V. S. questi extratti de le zifre di messer Capino, per le quali S. Ex.'* si è molto maravigliata vedendo lei essere stata proposta al Imperatore per duca di Milano, senza che la ne habbi mai saputo parola ; conoscendo in questo la grandissima benevolentia che S.S.*4 li porta, et che ha cercato di farle reuscire un tanto ben senza che S. Ex.ia lo sapesse; acciochè il beneficio fusse tanto magiore venendo insperatp et inaspettato, termino veramente de vero patre ». — 1526, 21 febbraio, GIORNALE LIGUSTICO quelli del suo fedele capitano, gli proponeva in isposa la sorella del re di Navarra, non trovando egli in Italia nessun partito conveniente pel marchese (1). Fu appunto per attendere liberamente ai suoi nuovi progetti matrimoniali che a Federico premeva essere ufficialmente libero degli impegni col Monferrato, e per questo ricercò il suaccennato Breve, che potè avere soltanto ai 6 di maggio del 1529 (2). Le proposte di matrimonio non difettavano certo al nostro marchese, che un altro partito offrivagli il Vescovo di Trento a mezzo di Andrea Borgo, il quale già aveva negoziato quello di Polonia, nella figlia del duca di Baviera, bella, di 18 anni d’età e congiunta coll’imperatore per essere figlia di una sorella del defunto Massimiliano (3). Questi partiti matrimoniali rispecchiano e riassumono tutta 1’ altalena politica usata da Federico in quel lungo e fortunoso periodo di lotte, appoggiandosi or all’uno, or all’ altro dei maggiori con- Roma — Lett. di Francesco Gonzaga al Calandra. — « La littera de V. S. di 13, versa circa le nove di Spagna, et in specie de la propositione che fece il Papa al Imperatore di dare il stato di Milano al Sig.r 111."”· ; del che hoggi ho reso infinite grade a S. S.li, et me ha risposto che non accade rengratiare altramente, dolendosi che la cosa non habbia havuto lo effetto che essa desiderava..... Se accaderà occasione di poterne fare nove opere et officii la non mancarà con quella diligentia et cura che ri- cercha il supremo desiderio che la ne haveria, ma che ben la dubità che non vi sia ordine, per intendersi che lo imperatore è risoluio di darlo al duca di Borbone ». De Leva, op. cit., II, a pag. 397 « e chi farà le me- raviglie che anche il Borione odiasse sopra ogni altro uomo il Papa, dalla opposizione del quale credeva unicamente dipendere eh’ ei non fosse già duca di Milano ? » (1) 1528, io aprile, Orvieto — Lett. di Fran. Gonz. al Calandra. — 17 novembre, 23 dicembre, Minute — a Fran. Gonzaga a Roma. (2) Vedi Documenti — N.° II — 1529, 6 maggio. (3) 1528, 17 novembre, 23 dicembre, Minute, a Fran. Gonzaga a Roma — i dicembre, Roma — Lett. di Fran. Gonz. al Calandra. GIORNALE LIGUSTICO 457 tendenti e sempre col favore del suo alto mecenate pel soddisfacimento della sua smodata ambizione, sia rispetto alla persona che ambiva di far sua sposa, come pei titoli o per I ingrandimento del proprio stato. Onde, per 1’ amicizia del re di Francia, Federico, accarezzava il progetto della Nava-rese, per quella dell’ imperatore, l’altro di Baviera, subordinando cosi la sua scelta agli avvenimenti politici. Sul finire del 1528, dopo le rotte patite dai Francesi nel regno di Napoli e le misere condizioni di Roma e di Lombardia, e il sopravvento che ovunque accennavano prendere le forze imperiali, il Papa, pei noti suoi disegni su casa Medici , cercava rappatumare il re Francesco I con Carlo V. II nostro marchese da uomo molto accorto e sempre fìsso nei suaccennati suoi propositi ambiziosi, incaricò il suo gentiluomo G. B. Malatesta, abile e distinto diplomatico, di portarsi prima a Parigi poi a Toledo; a Parigi sotto pretesto di realizzare da quel re un vecchio credito del padre suo di 12,000 fr.‘, in fatto per negoziare il suo matrimonio colla sorella del re di Navarra e per ottenere favori, ricompense e grado. A Toledo per scandagliare quale fosse 1’ animo di Carlo V a suo riguardo, ricercandogli, se favorevole, come si riprometteva, onori, gradi e ricompense. Sopratutto poi che il Malatesta si informasse esattamente circa le iniziate trattative di pace fra il re cristianissimo e Carlo V, con facoltà di interporsi in nome del marchese a vantaggio di quella pace (1). (1) Le relazioni che il Malatesta spedi al Marchese di Mantova da Parigi e da Toledo intorno a quanto egli ebbe a trattare, mi sembrano di tale interesse storico, che stimo bene di riportarle in fine nella loro integrità. - Vedi Documenti, III, IV, V. — 1528, 6 novembre, 1529, 12, 24 febbraio. GIORNALE LIGUSTICO Intanto, come è noto, per opera principalmente di Luigia di Savoia, madre del re di Francia, e di Margherita zia del-Γ imperatore, fu trattata e sottoscritta a Cambrai la pace (7 luglio 1529). Per essa venivansi componendo i lunghi dissidii dei due rivali e più che tutto affermavasi la potenza di Carlo in Italia. Il marchese Federico dalla missione del Malatesta a Toledo ebbe a trarre non pochi vantaggi, tanto che il Caracciolo, per espresso incarico dell’ imperatore, venne a Mantova a partecipargli le proposte Cesaree, che il marchese si affrettò di comunicare al Papa, come parte interessata, per mezzo del proprio ambasciatore Francesco Gonzaga in questo tenore : « La Μ.'λ dell’ Imperatore ne offre con-dutta di docento lance, cinquecento cavalli legeri, et quatro milia fanti, et dece milia scudi l’anno per il nostro piatto, promettendo anche di provederne di honorato titolo accadendo a S. M.tà a mandarne in qualche impresa.....Fareti poi intendere alla S.tà di N. S., che tra le altre cose il Prot.'0 Cara-ciolo ne ha portato mandati nella persona nostra di potere accordare le cose dei signori Venetiani et dei signori Fiorentini et del signor Duca di Ferrara con S. Maestà ; decidere et componere, constituendone per commandatarij il signor Antonio de Leva et il Caraciolo, così che niuno di loro possi fare senza noi, et che cadauno de loro con noi possi intervenire, et li mandati sono tutti sparati, ma che noi agenti Cesarei havemo in commissione di non concludere nè terminare cosa che non sia di satisfatione di S. Maestà ». (1529, 16 luglio). Per queste larghe attestazioni di fiducia e di stima addi-mostrate dall’ imperatore al nostro marchese, ben si può dire che nessun principe d’Italia poteva vantare tanto ascendente sull’ animo di Carlo, e per ciò sempre più lusingavasi di ottenere altre e non men cospicue ricompense, tosto che egli fosse venuto in Italia. giornale ligustico 459 Vili. Alla prima notizia dell’ approdo della flotta imperiale sulla riviera ligure, Federico spedi subito il Malatesta, che era ritornato dalla sua missione nella prima metà di maggio (i), per riverire e presentare i suoi omaggi a Carlo V (2). Questi confermo al Malatesta tutta la sua buona intenzione pel marchese, come ebbe ad esprimergli a Toledo, incaricandolo di riferire al suo Signore, queste precise parole : « Io mi tengo molto obligato al signor marchese, et presto gli farò conoscere in effetto Γ animo mio, et voglio che siati certo che in cosa alcuna non ho mutato proposito dappoiché ve parlai ». (1529, 8 agosto). Lo stesso Federico poi tosto che seppe Γ imperatore arrivato a Genova, vi si recò ad offrire all’ eccelso monarca i suoi omaggi di vassallo fedele e devoto, e per conctetare personalmente tutte le sue aspirazioni e le larghe promesse testé riconfermategli. Fra le ricompense che Carlo V intendeva offrire al marchese di Mantova, eravi quella di dargli moglie. Per ciò egli desiderò anzi tutto conoscere dallo stesso marchese se era ancora legato alla sua promessa matrimoniale colla principessa di Monferrato. A tale richiesta Federico assicurò l’imperatore (1) 1529, 16 maggio, Minute — AS. M.li Cesarea. — « Dal Malatesta mio ambasciatore, tornato novamente da la V. M.tà, ho inteso quanto me ha exposto sotto la littera de quella, de xiij del passato, in la quale anche la si è degnata di significarme la benigna mente che la tiene verso di me, et la buona opinione che l’ha di me..... 11 preditto Malatesta, poi che hebbe parlato meco, andò de longo a Venetia dove è stato accarezato et ben visto, et ha cominciato a parlare col Principe et con quelli del Consiglio persuadendoli allo accordo et pace con V. M.tà ». (2) Vedi Documenti, N.° VI, 1529, 5 agosto. 460 GIORNALE LIGUSTICO essere libero e che ben volontieri avrebbe accettato per isposa quella che a lui sarebbe piaciuto destinargli. Incauta assicurazione , della quale ebbe più tardi a pentirsi amaramente. Coll’ animo pieno delle più liete speranze Federico se ne tornò a Mantova, ove pochi giorni dopo il suo arrivo ricevette da Monsignor di Pellux, il diploma imperiale che lo creava capitano generale dell’ esercito Cesareo in Italia, e gli comunicava le istruzioni avute da Carlo stesso circa le operazioni militari ch’egli intendeva affidare al marchese (1). A completare poi le promesse Cesaree, il Malatesta riferiva al suo Signore, che S. Maestà gli proponeva in isposa la figlia del Duca di Cleves, e che ella stessa prendeva impegno di scrivere a sua zia Mad.a Margherita, affinchè si adoperasse per tale matrimonio. Federico fece buon viso anche a questa proposta quantunque fosse da ritenersi di difficile riescita, perchè la giovane duchessa era già stata promessa al figlio del duca di Lorena ; e l’interposizione di Margherita era richiesta dal-Γ imperatore allo scopo appunto di stornare quella pratica per far riuscire quella di Mantova (2). Con queste ricompense gli ambiziosi desideri del marchese di Mantova non erano ancora tutti compiti, che rimanevagli Γ ingrandimento del proprio stato, e ciò sperava realizzare nel noto convegno di Bologna, ove appunto si doveva far ragione a tanti diritti offesi e a tante ambizioni insoddisfatte. Maggiormente egli sperava nella buona riuscita dei suoi intendimenti, che illimitata era la fiducia che godeva tanto dell’ imperatore come del Pontefice. (1) 1529, 12 settembre, Piacenza — Lett. di C. B. Malatesta al Marchese. — « L’Imp.r' ha espedito Mons/ de Pelu latore presente cum lo Privilegio del Capitanato et la instructione de la mente de la sua M.^ ». (2) 1529, 27 ottobre, Piacenza — 1530, 20 gennaio, Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al March.'. GIORNALE LIGUSTICO 46X Abbiamo più sopra ricordato come Clemente ricercasse per Federico da Carlo V il possesso del ducato di Milano; ora, memore di quegli uffici, egli sperava di vederne la realizzazione, tanto più che personaggi influenti come Andrea Doria, Antonio de Leva e il Vescovo di Vaison lo appoggiavano col far persuaso Γ imperatore come sarebbe stato di sua maggiore utilità che quel ducato fosse nelle mani del marchese di Mantova, anzi che in quelle dello Sforza, ammalato e di corta vita. Il De Leva ricorda questi uffici dei consiglieri imperiali per ottenere al Gonzaga il ducato di Milano, ma i nostri documenti ci offrono in proposito notizie più esatte intorno a questo tentativo del marchese di Mantova (1). Più che 1’ appoggio dei consiglieri imperiali egli aveva quello dell’imperatore e 1’assicurazione formale del Papa; di modo che il marchese, avute esatte informazioni dal Malatesta, suo ambasciatore in Bologna, del buon esito con cui procedeva 1’ affare, pensò egli stesso di portarsi colà per patrocinarlo in persona. Ma quale non fu la sua delusione nell’ apprendere che Clemente VII, solito com’ era a disvolere oggi quello che ieri voleva ; 0 meglio, come scrive il De Leva, « che aveva sempre riposto nella irresoluzione la prudenza e nel-1’ incostanza 1’ abilità » si era dichiarato apertamente per lo Sforza contro di lui. Per tale sleale procedere, Federico partì subito da Bologna (2). Fallita questa pratica, accampò, il Gonzaga, diritti di fatto da far valere nelle trattative di pace coi Veneziani, chiedendo a questi la restituzione di Asola, Lonato, Peschiera, Sermione ed altri castelli attigui, come terre già possedute dai suoi antenati e perdute nelle ultime guerre. Se parò tali pretese (i) De Leva, op. cit., II, pag. 588, vedi Documenti, VII, VIII, IX — 1529, 6-7 novembre e 7 dicembre. (2; Vedi Documenti, N.° X — 1529» 24 novembre. 462 GIORNALE LIGUSTICO fossero state causa di non sottoscrivere la pace, per la quale il nostro marchese adoperavasi sinceramente presso i Veneziani, conforme il mandato imperiale più sopra ricordato (1), Federico le abbandonava, chiedendo in compenso le terre cremonesi di Casalmaggiore, Spineta, Calvatone, Piadena e Ga-bloneta, confinanti collo stato mantovano, per poter con esse arrotondare il suo dominio (2). Assai s’illudeva il Gonzaga nei suoi alti appoggi per ottenere ricompense che urtavano troppo direttamente gli interessi di due stati ben più potenti che non quello di Mantova, come la repubblica veneta e il ducato di Milano. Per la qual cosa vide Federico completamente fallire tutte le sue accampate pretese di allargamento territoriale. Non pertanto confidava di riuscire nel suo intento valendosi di altre proposte matrimoniali che nuovamente venivangli offerte e dal Vescovo di Vaison e da Andrea Doria. Il primo proponeva al Gonzaga la nipote del Papa, facendogli sperare che porterebbe in dote il principato di Carpi ; il secondo, la figlia dell’ ex regina di Napoli, Giulia d’Aragona, coll’assicurazione che l’imperatore le assegnerebbe una cospicua dote e fors’ anco le terre del cremonese tanto agognate da Federico (3). L’ am- (1) Vedi Documenti. N.° XI, XII. — 1529, 24-28 novembre. (2) 1529, 24 novembre. Copia del memoriale all’Imp.", Minute — Nella lettera del March.' al suo Seg.'° Lod. Guerriero. (3) 1529> 6 novembre, Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al Marchese Fed.°. — « El S/ Andrea Doria, cominciò ad nararmi qualmente esso sia stato molto servitore al Re Ferrando, et ragionevolmente el sia anche alla moglie et figliuoli che furono di sua b. m., dicendome che in Bar- cellona ha ripreso lo duca di Calabria, perchel mostra tener cosi pocha cura della matre et sorelle, et che esso duca per suo ricordo le ha ricomandate strettamente allo Imperatore, et S. M.^ gli ha promisso gran cose; et in galea ha promisso similmente ad esso S.r Andrea. Et poi che le sonno qui, el S.r Andrea le ha ricomandate al Papa, qual ha promisso giornale ligustico 463 basciatore Malatesta a cui mettevano capo tutti quegli intrighi matrimoniali, doveva giuocare di fine astuzia or coll’ uno, or coll altto dei proponenti e mettere in opera tutta la sua abilità diplomatica per non compromettere il suo Signore, in quanto che sapeva benissimo che tutte quelle pratiche, e vecchie e nuove, le doveva mantenere vive e segrete per poter poi il marchese sciegliere a suo talento quella che più fosse per apportargli maggiori vantaggi. tavorirle et aiutarle. Et in alcuni raggionamenti che sonno poi passati tra S. B."0 et S.r Andrea, si è parlato che l'Imper.” farebbe suo debito ad maritare uua di quelle figliuole in la Ecc.“ V., et darli una buona dotte. Dice adunque il Ser.r Andrea. che se la Ecc.“ V. si contenta, che esso parlarà et con lo Papa et con lo Imper." di questo matrimonio, et haverà sugietto gagliardissimo con luno et laltro di confirmarli che si dij a lei 10 stato de Milano. Et prega quella chella si dispona a questo , perchè esso scia certo che la sera cosa che moverà assai l’imperatore, et sera un gran vinculo con S. M.ü ». — 1529, 7 novembre, Minnte — A G. B. Malatesta. — « Voi vedeti quanto se ne scrive per questa littera Marchionale , la quale il S.' pensa che fareti vedere al S.1 Andrea Doria. S. Ex.ia me ha commisso appresso che ve scriva, che ancor che non su-cedesse la cosa di Milano, li piacerla che se attendesse alla pratica della moglie, quando lo Imperatore sia per havere queste sorelle del duca di Calabria in la protectione che si spera, et che se ne habbia ad havere quella dote che si conviene. Et però attendendo a questa pratica, sopra-sederetti, il Signor Francesco, et voi, da quella della nepote del Papa, perchè questa senza dubio piace più con la conveniente dote, come è detto. Et perchè sapiati pienamente 1’ animo di S. Ex.la, ella dice che la voria che le succedesse la cosa del stato de Milano, et quando a questo fosse difficultà, et che la non potesse sucedere, desiderarla almeno Cremona in dote, 0 altramente. Et quando anche questo non potesse ottenerse voria che se vedesse di conseguire una entrata nel regno de x.m ducati, et che se applicassero a questo stato, separandoli da quello de Cremona, Casalmaggiore, Piadena, Spineta, Calvatone et Gabioneta. Voi che intendeti la mente di S. Ex>, attenderetti maximamente col mezo del Signor Andrea Doria a queste pratiche, con li gradi che vi sono proposti, cioè se non 11 primo, il secondo, se non il secondo, il terzo». — 1529, 10 novembre 4é4 GIORNALE LIGUSTICO Alla solennità dell’ incoronazione di Carlo V, a Bologna , intervenne, con somma sua compiacenza, la marchesa Isabella, ma Federico si scusò, quantunque ufficiato dall’imperatore, di non potervi assistere a motivo che in quella cerimonia davasi la precedenza a Bonifacio marchese di Monferrato. La vera causa era pei mali rapporti esistenti fra il detto marchese e Federico, temendo questi di sentirsi rimproverare da Bonifacio la slealtà commessa verso la madre e la sorella. Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al marchese. « La Signora Regina de Napoli heri sera visitò lo Imperatore, qual gli andò incontro sin nella salla, et essa era portata in lettica dalli Oratori de Napoli, accompagnata da molti di quello Regno. L’Imperatore gli fece molte amorevoli demonstrationi et larghe promesse, et la fece sedere, et honorò anche molto le figliuole ». — 1529, 16 dicembre, Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al marchese. — « Ricordai a S. B.“' dii nostro memoriale, et essa mi rispose che già tri giorni lhaveva ricordato allo Imper." di maritare le figliuole della Regina de Napoli, et dare la più giovane alla Ecc.za V., et S. Maestà disse haver animo di fare tal cosa , ma che la difficultà sta nella dotte, et a questo S. B.°' replicò che la potea dargli una parte del Cremonese, quella che confina con lo mantovano, et sarebbe per dotte et per ricompensa delle terre che tengono Venetiani, alla Ecc.za V., et S. M.li concluse che la farà qualche cosa, et io sorridendo gli dissi ; a me pare che lo Imper.re non curi se non lo suo particulare, et il Papa confirmò il medemo ». — 1529, 22 dicembre/Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al march.”. — « Questa mattina Vason ha mandato per me, et fattome uno preambulo della osservantia chel porta a V. E)..1* mi ha comunicato uno ragionamento che passò heri tra lui et lo Papa, di dare a V. Ex.1* per moglie la nepote di S. S.li, qual dice ha un stato in Franza, che rende xv.m ducati dentrata , et oltre quello si sforzarebbe di fare che V. Ex" havesse Carpi, 0 con dinari o con qualche altromodo ». — 1530, 20 gennaio — Istruzioni per G. B. Malatesta — « Circa la pratica della nepote de N. S. havemo scritto a messer Francesco, che quando vi sia certezza de havere Carpi, in caso chel non habbia a restare al duca di Ferrara, se attendi alla pratica, et quando non, che la se tronchi con bel modo, perchè senza Carpi non ce pare de fare altro ». giornale ligustico 465 Oltre di che non avra trovato opportuno di trovarsi vicino al duca di Milano, ben sapendo eh’ egli era informato delle sue aspirazioni e delle mene che ancora andavano facendo gli amici suoi e il proprio ambasciatore li in Bologna. Di più lo stesso Pontefice sconsigliava Federico di intervenire a quella solennità (1). (1) 1530, 21 febbraio Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al Calandra. — « Il Sig. Andrea Doria mi disse , che intese chel duca di Milano stava molto grave, et che per iudicio di un medico dello Imper.", quale inter- viene alla cura sua, il caso era molto pericoloso ; dove che quando succedesse la morte, non seria se non bene a pensare alla pratica che già fu fatta, per dare quel stato al Sig. nostro 111."0, et come quello che desiderava 1’ honore, benefìcio et exaltatione del preditto Signor nostro, ne ha-veva voluto farne questo motto, acciò che fossimo advertiti, et che sapessimo che dal canto suo non se mancaria mai di fare quanto fosse di potere et forza affinchè S. Ecc.21 ne fosse contenta ». — 1530, 21 febbraio Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al march." « Stando in questo ragionamento, sopragionse lo Archiepiscopo de Bari, el quale disse chel giorno avanti in lo consiglio, l’Imper." liavea conchiuso di non fare declaratione alcuna sopra queste differentie, ma che avrebbe molto a piacere che la Ex.1* V. vi se trovasse a questa coronatione ; et eso Bari, come fidelis.0 et ossequientis.0 di quella, lauderebbe molto che la venesse. Io subito liberamente gli risposi : che la non poteva venirvi con suo honore per infiniti rispetti, maggiormente consigliandola il Papa a non venire. Bari rispose : che certo questo rispetto sarebbe di molta importantia se S. S.‘i parlasse cosi chiaramente con lui 0 con l’Imper.". Io gli replicai, che non dubitavo, chel parlasse di altra sorte. Et ritornando ad parlare del precedere, io dissi, che Monferrato cedeva da se, nè si sarebbe venuto a questa disputa, se non fosse sucesso lo repudio della sorella. Alhora Bari, ingagliardito, si rivoltò ad dire, che l’Imper.” haverebbe in grandissimo a piacere, che questo parentato si ritornasse nelli primi termini, et così se pollerebbe ordine a molte cose. Io gli replicai, che questo era uno parlare dello impossibile, per gli mali et pessimi modi che sono stati usati da Monferrato contro la Ex.11 V., et che io non havea mai conosciuto che l’Imper.1' havesse ponto del desiderio che esso Bari dicea ». - 1530, 22 febbraio, Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al march.5' — Giorx. Ligustico. Anno XVIII. 3° 4 66 GIORNALI-: LIGUSTICO Tale assenza fu però giudicata dall’ambasciatore di Francia come manifestazione di deferenza verso il suo re, e senz’altro commendando egli tale atto col Malatesta, lo consigliò di scrivere al marchese, affinchè ripigliasse le interrotte trattative colla sorella del re di Navarra, assicurandolo che il suo re era sempre favorevole a quel matrimonio. Al che Federico, da avveduto equilibrista politico, faceva rispondere che le avrebbe ripigliate, « ma solo dopo che l’imperatore fosse partito d’Italia et non lo avesse proveduto di altra donna (i). Lo scioglimento di tutte queste lunghe e intricate pratiche matrimoniali era riserbato alla venuta a Mantova di Carlo V, il quale infatti ai 14 di marzo del 1530 vi fece il suo solenne ingresso, e con pompe e feste veramente regali fu accolto da Federico nella sua splendida reggia recentemente abbellita dalle opere d’arte dell’ imortale Giulio Romano. Qui Carlo adempiè alla promessa data al marchese di Mantova a Genova, offrendogli in isposa la suaccennata Giulia d’Aragona, non essendo riuscite le pratiche per la principessa di Cleves, « Tutti li ambassatori se hanno querelato del pocho ordine che è stato in questa cerimonia, et il pocho rispetto che gli è stato usato, et l’Am-bassa.” di Franza ha prothestato a Grenvella in mia presentia, che jovedi non vi ritornerà.....Questa mattina tutti gli ambassatori che sono alla Corte si sono ridutti alla camera dello Imper.” ove sono stati raccolti dal Granmaestro et altri Maiordomi di S. M.tà, et lei se ritirò in la guardacamera, ove erano gli suoi della camera et il marchese di Monferrato, che gionse qui hierisera in posta.....La calca delle persone et lo tumulto et disordine è stato tanto grande che gli Genovesi non se potettero pur apropinquare alla capella. Gli poveri vecchi Veneciani sono stati molto maltrattati, et quattro di loro restarono fuori della capella, et una hora dopo vi furono condotti strachi et sudati, che gli altri loro compagni cridavano ». (1) 1530, 22 febbraio, 8 marzo, Bologna — Lett del Malatesta al marchese. GIORNALE LIGUSTICO 467 nè quelle per la Bavarese. Federico posto alle strette dalle vive istanze dell’eccelso monarca, non curandosi di ottenere prima da esso 1’ assicurazione che le larghe promesse fatte a Bologna al suo ambasciatore Malatesta, sarebbero state mantenute, accetto e sottoscrisse 1’ atto nuziale, promettendo che pel giorno 29 di giugno dello stesso anno, avrebbe condotto a Mantova la sposa e solennemente celebrato il matrimonio (1). Prima di lasciare la reggia mantovana, volle Carlo mantenere la sua promessa data a Bologna al Malatesta, coll’ insignire Federico del titolo di Duca di Mantova (2), ricompensando così le larghe prove di fedeltà e devozione, e attestando al suo fedele capitano generale 1’ alta riconoscenza per la splendida accoglienza ricevuta nella sua Corte. Con questo titolo e col matrimonio di Giulia che assicuragli il valido appoggio imperiale, sembrerebbe che il novello Duca di Mantova avesse dovuto rimanere contento, vedendo per tal modo compiuti i suoi ambiziosi progetti. Ma così non fu, che anzi ora più che mai il nostro duca ne era scontento, non importandogli più che tanto della sposa quanto di ampliare lo Stato ; e Giulia, oltre non gli andava a genio che per 1’ età (38 anni) e per le sue qualità fìsiche, non gli portava in fine che quasi la stessa dote della Paleologa, e da (1) Rub. D. II. 16, b. — 1530, 6 aprile — Capitoli del matrimonio di Giulia d’Aragona col march. Federico Gonzaga. — 1530, 12 aprile, Venezia — Lett. di Giacomo Malatesta amb." al duca di Mantova « Heri fui in collegio et exposi a questi Signori il matrimonio contratto per V. Ex.'* in la figlia della Ser.ml Regina, nel modo che la me comise. Il Ser.'”° Principe et tutti quelli Signori mostrano haverne molto piacere et consolatione ». (2) 1530, 5 marzo, Bologna — Lett. di G. B. Malatesta al marchese. « Io parlai poi col Granvella del tramutare lo marchionato, nel Ducato, esso me rispose che in Mantua si farà questo et ogni altra cosa che piacerà alla Ex.“ V. ». — Rub. B. VI, 1530, 8 aprile, Diploma Imperiale. 468 GIORNALE LIGUSTICO questa aveva più a sperare che da quella nel tanto ambito conseguimento di ampliare il proprio Stato. Se Federico acconsenti a quel matrimonio (al quale erano anche contrarii la madre e il fratello Cardinale) fu solo per le pressioni, accompagnate da lusinghiere speranze, dei consiglieri imperiali e per non essergli bastato P animo di apertamente ricusare a tanto offerente. Questo matrimonio con Giulia d’Aragona, se non era per giovare, alla Boschetto, certo non la poteva nuocere ai suoi affetti; chè sapendo Giulia non bella e di età troppo avanzata, ripromettevasi che sempre sarebbe stato suo, e tutto suo, il cuore di Federico. Dal comune timore poi che da quel matrimonio fossero per mancare figli ad assicurare la successione dello stato, la Boschetto seppe trarre partito, inducendo il Duca a chiedere, come ottenne, dall’ imperatore due giorni dopo aver sottoscritto 1’ atto nuziale, che nel caso in cui da quel matrimonio venissero a mancare eredi legittimi, il Duca avrebbe potuto liberamente eleggere a sucessori figli naturali, ex quocumque damnato et illicito coitu procreatis (i). Isabella Boschetto valendosi appunto di tale disposizione Cesarea, cercò con ogni sua arte di indurre l’imperatore a riconoscere per legittimo il proprio figlio Alessandro, affinchè, verifica-tosi il probabile caso di mancata successione, egli potesse succedere nel dominio dello stato di Mantova. Ardito disegno (che però non conosciamo se approvato dal di lei amante) fu per certo questo d’Isabella ; se non che pervenuto alle orecchie della marchesa madre e del di lei fratello Alfonso duca di Ferrara, essi cercarono subito di chiederne informazione precisa allo stesso imperatore, il quale al predetto duca, rispondeva « che per tutto il mondo non faria tal (i) B. VI. i. 1530, 8 aprile, Decreto Imperiale dat. da Mantova. GIORNALE LIGUSTICO 469 villiacheria, e che per un altro reame non farebbe mai cosa tale » (1). Un fatto inaspettato sopravenne intanto a mutar faccia a tutte queste legittime apprensioni della marchesa Isabella, a troncare quegli insidiosi artifìci della avvenente cortigiana e a decidere improvvisamente Federico a ritornare su quella via che non avrebbe dovuto mai abbandonare, se il cieco amore per quella donna e la smodata ambizione di cui era dominato non ve lo avessero allontanato. (Continua). Stefano Davari. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Regesta comitum Sabaudiœ marchionum in Italia ab ultima stirpis origine ad an. MCCLI1Icurante Dominico Carutti. Torino. Bocca. MDCCCLXXXIX. p. x-413. Nessuno meglio dell’ illustre storico di Umberto Bianca-mano poteva tentare Γ impresa lunga e difficile di darci un regesto dei conti di Savoia nei primi due secoli della loro storia. Le carte già note che a quelli si riferiscono, sono (1) 1530, 27 giugno, Ferrara — Lett. di Alfonso B. de Trotti al Cardinale di Mantova. — « Alli giorui passati essendo in Mantua lo 111." Signor duca vostro zio et Madama 111. vostra matre, hebbero ragionamento in sieme de certa murmuratione che ivi era, de cercarsi dispensa per lo figliolo della Boschetta dallo Imperatore per poter succedere nel Stato. Per il che il pref.'° Signor Duca deliberò parlarne con lo Imper.", et soi consiglieri, et cosi fece.....Ma dopoi ritrovandosi anchora ambe sue S.ie a Venetia per la Sensa, Madama non ben contenta della risposta havuta a Mantua, et havendo anchora dopoi sentiti certi susuramenti sopra tale materia, pregò il Signor Duca che volesse scrivere al suo ambassatore in proposito per sapere la verità dai consiglieri ». 470 GIORNALE LIGUSTICO numerosissime; ma sparse in una quantità grande di pubblicazioni, non tutte di argomento piemontese: un centinaio circa ne ricorda l’a. come fonti della sua raccolta. Ma non meno numerosi e forse non meno importanti sono i documenti che restano o sconosciuti o mal noti nei nostri archivi; e di questi pure cercò il C. di dare quell’ elenco che potè maggiore. Ricorderò i cinque diplomi di Guglielmo re dei Romani, degli anni 1251-2, relativi alle chiese ed al clero di Ivrea e Torino (doc. n. 890, 891, 892, 893, 897); le varie carte riguardanti matrimoni di principi sabaudi (doc. n. 665, 668, 684, 756); e quelle relative a’ marchesi di Saluzzo (doc. n· 339, 437) 450, 474> 653> 957) (0· L’a. non presume tuttavia di aver fatto opera perfetta. « Faccio un indice, egli scrive, e vorrei dire un inventario delle carte pubblicate finora, e di quelle inedite che sono venute a mia notizia, indicando ove si trovano: e ciò coll’intento di aiutare lo studioso che voglia leggerle per disteso. Questo indice gioverà pure a promuovere altre ricerche e le cose trovate facilmente si potranno aggiungere ad esso » (p. vili. n. 1). Però i documenti indicati ammontano già ad un numero 'considerevole (2). La raccolta è divisa in otto parti. La prima riguarda gli atti della famiglia Umbertina (an. 902-1025) e quelli della (1) Perchè relativo alla storia di Savona, ricorderò qui anche il doc. n. 502, del 5 maggio 1227. « Amedeus filius et Vicarius domini Tho-masii comitis Sabaudiæ, vicarii et legati domini Friderici Romanorom imperatoris per totam Italiam et per marcham de Tregusio, et specialiter Saonæ et Albinganæ hominibus de Cruce ferrea, de Milleximo, et D. Hen-rici Marchionis Saonæ de Carcheribus et Bozili et Altaris concedit libertatem et franchitationem in Saonæ et posse, tamquam aliquis civis Saonæ civitatis. (E. R. Tab. Taurinensi, cam. comp. Titoli e scritture per feudi. Fase. P. Μ.) (2) Al numero di 971. giornale LIGUSTICO 471 famiglia Ardoinica; poiché, come è noto, pel matrimonio di Oddone, figlio di Umberto Biancamano, con la contessa Adelaide, figlia ed erede del marchese Olderico Manfredi, i domini dei principi di Savoia, fino al 1045 contenuti entro gli stretti confini della valle di Aosta, si estesero su più larga superficie a piè delle Alpi italiane. L’ottava parte (an. 1233-53) ci da raccolte le carte relative ad Amedeo IV. Coll’anno 1253 (che, per errore tipografico, sulla copertina fu mutato in 1753) ha fine il regesto, perchè alla morte di Amedeo IV, avvenuta appunto in tale anno, i principi sabaudi si divisero in tre rami, dei quali uno si fermò in Savoia, l’altro in Piemonte, ed il terzo nella regione Elvetica. Ma il C. ci dà più di quanto ha promesso nella introduzione al suo Regesto. In quella scrive: « non riscontro, non correggo, non illustro i documenti ». Sono invece una bella illustrazione di molti di essi i quattro Excursus che seguono alla raccolta: r) di Adelania regina di Borgogna e di Adelania moglie di Anseimo; 2) la croce bianca di Savoia; 3) degli antichi conti piemontesi e particolarmente dei conti di Lumello e di Ventimiglia; 4) del marchese Pietro I e di Agnese di Savoia. Nel primo Excursus nota come Γ omonimia di Adelania moglie e di Adelania 0 Aldein amante del re Corrado il Pacifico, di Borgogna, ha dato luogo ad un equivoco. Gingins la Sarraz infatti dice nel suo scritto su « Les trois Burcard archevêques de Lyon », che Adelania ebbe dal primo letto Burcardo arcivescovo di Vienna, e Anseimo II vescovo di Aosta; poi, vedova, prima ancora di essere moglie di Corrado, generò a Corrado stesso, Burcardo II arcivescovo di Lione, infine, moglie di Corrado e regina, ebbe Gisla madre poi dell’ imperatore Enrico VI, Ora il C. osserva che padre di Burcardo e Anseimo II fu un Anseimo grande di Borgogna; e quindi l’Adelania loro madre, siccome Anseimo vive ancora 472 GIORNALE L1GUSTIGO nel 1002, non può essere la sposa di Corrado il Pacifico. Un placito tenuto nel 1002 da Rodolfo III ci mostra che vi furono due Adelanie; una moglia di Anseimo, e l’altra regina, che nessuna carta ci dice vedova quando venne sposata dal re Corrado. Nel secondo Excursus, dopo di aver ricordato che Tommaso figlio di Umberto III, usò forse per il primo come sua divisa l’aquila, che il Manno dice stemma della contea di Moriana, nota come Pietro II, figlio di quello, deponga quell’arma, e metta sul suo scudo la croce che, — abbandonata ancora da Filippo I, il quale riprende l’aquila antica, — adorna di nuovo lo stemma di Amedeo V. Il C. spiega cosi la scelta fatta da questi principi. La croce bianca in campo vermiglio era l’insegna del Piemonte, ed il Piemonte era appannaggio di Tommaso di Fiandra. Questi ne aveva da prima allargati i confini, e aveva pure ripreso Torino, perduto da cento e cinquanta anni; ma poi dopo il 1250, caduto nella guerra contro Asti, aveva dovuto cedere molte terre, e tra quelle anche Torino, passate in seguito sotto la dominazione di Carlo I d’Angiò. Pietro dichiarò nulle quelle concessioni, e tra il 1256 e il. 1263 innalzò croce di argento per far salvo al cospetto dei principi e dei popoli il proprio diritto sui paesi ceduti. « Dismessa 1’ aquila, assumeva la croce, dice il C., che significò sovranità di Savoia pel Piemonte ». Cessate queste ragioni nel 1268 Filippo I riprese l’aquila: ma Amedeo, secondogenito di Tommaso, succeduto a quello dopo molti contrasti, inalberava di nuovo la croce, e ad impedire nuove divisioni e lo sminuzzamento dello stato, proclamava la indivisibilità di quello e la legge salica, prendendo la croce di Piemonte che indicava superiorità comitale sullo stato subalpino. Nel terzo Excursus l’a. discorre dei conti di Lumello e di Ventimiglia, lumeggiandone le origini, e dando degli uni e GIORNALE LIGUSTICO 473 degli altri un albero genealogico che, pei primi abbraccia i sec. X e XI, e per gli ultimi i sec. XI, XII, XIII. Nel quarto Excursus, combattendo l’opinione manifestata da Alberto Gerbaix-Sonnaz nel libro « Studi storici sul contado di Savoia e marchesato in Italia », sostiene che Pietro I è figlio primogenito di Adelaide, non secondogenito; e dimostra come ΓAgnese, ricordata dal Baldrico nei versi che Moriondo cita quando parla delle gesta di Burcardo signore di Montresor nella Turenna contro i Taurinenses (Turonenses, secondo il C.) nel sec. XI, non sia nè l’Agnese di Poitiers nè l’Agnese di Savoia, vissute in Piemonte tra il 1078 e il 1091, sì bene l’imperatrice vedova di Arrigo III, sbandeggiata dalla Germania dopo il 1062. Sono pubblicati in appendice due alberi genealogici : « Stemmata Sabaudiæ comitum marchionum in Italia et gentis Ardoinicæ taurinensis ». Giovanni Filippi. SPIGOLATURE E NOTIZIE , COMMISSIONE CONSERVATRICE DEI MONUMENTI PER LA PROVINCIA DI GENOVA (0 Adunanza del 4 Novembre 1890. L’anno mille ottocento novanta, ed alli quattro del mese di Novembre, nell'ufficio di Prefettura, si è radunata la Commissione Conservatrice dei monumenti nelle persone dei signori D’Andreis Comm. Avv. Gio. Antonio Consigliere Delegato pel Prefetto Presidente, Luxoro Cav. Prof. Tamar, Villa Cav. Prof. Gio. Battista, Bensa Cav. Avv. Enrico. (2) Gentilmente invitati a dar posto nel Giornale agli atti di questa Commissione, li pub-blickeremo d’ ora innanzi con tutto il piacere. La. Direzione. 474 GIORNALE LIGUSTICO Omissis : Il Sig. Presidente fa dar lettura della Nota del Ministero della Pubblica Istruzione in data 17 Ottobre p. p., N. 15373, colla quale premesso che la grande pala dell’ aitar maggiore della chiesa di S. Ambrogio di questa città, dipinta dal Rubens, avrebbe, a quanto gli fu riferito, manifestato in alcune parti un sollevamento dei colori che minacciano di cadere, chiede alla Commissione un ragguaglio in proposito. Lo stesso Sig. Presidente riferisce avere incaricato d’ una visita sul posto il Cav. Prof. Luxoro, e dà lettura della relazione dal medesimo fatta. La Commissione, confermando pienamente quanto risulta da detta relazione, dichiara essere necessario procedere alla rintelatura del quadro di cui trattasi, onde impedire ulteriori danni. Conferma pure 1’ osservazione fatta dallo stesso Prof. Luxoro riguardo all’altra tela dell’Assunta, opera pregevolissima di Guido Reni, esistente nella detta chiesa, e che trovasi nelle identiche condizioni di quella del Rubens, per cui necessiterebbe che fosse pure convenientemente riparata, onde assicurarne la conservazione. La Commissione osserva poi che questo secondo quadro appartiene probabilmente alla famiglia Durazzo, come quella che avrebbe la proprietà dell’ altare sottoposto. Pel Prefetto Presidente D’ Andreis. * * * La Rivista Pugliese (n. 20-21, 1890) pubblica uno scritto di A. Calenda di Tavani, nel quale si discorre dei Patrizi e popolani nel medio evo nella Liguria Occidentale. * * * Nell’Archivio storico dell'arte (III, 1890, 3-4) è notevole uno scritto di G. Frizzoni: La Accolta del duca di Galliera a Genova, e alcuni dipinti antichi a Levanto. * * ★ Col titolo : Inedita relazione dei tumulti napoletani del 1646 é pubblicata da L. Correrà nelYArchivio storico per le provincie napoletane una lettera scritta dal conte Sauli residente della repubblica di Genova al marchese Spinola intorno a quel memorabile avvenimento. Narratore imparziale dà ragguagli importanti e curiosi. È tratta da una copia esistente nella Biblioteca Barberiniana di Roma. GIORNALE LIGUSTICO 475 Nel ms. CCCLIII delle Carte strozzane nell’Archivio di Stato in Firenze, vi ha a pag. 31-46 quanto segue: « 1552. Cose intese a Genova da più persone, a dì......di novembre 1552». Sono notizie intorno ai fonditori e alla fusione delle artiglierie, alla fabbricazione del biscotto, all armamento, fornimento delle galere, al trasporto della vena del ferro dall Elba a Genova e alla gabella e agli appaltatori di essa vena. * * * Richiamiamo l’attenzione degli studiosi di storia genovese sopra una importante monografia che il duca Di Broglie va pubblicando sulla Revue des deux mondes con questo titolo: Fin de la guerre de la succession d Autriche. È un periodo notevole per gli avvenimenti genovesi del 1746-47. Di questi appunto, e della guerra a cui dettero luogo si ragiona dall autore, attingendo più specialmente ai documenti inediti degli archivi diplomatici francesi. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Carlo Merkel. Sordello e la sua dimora presso Carlo I d’Angiò. Torino, V. Bona, 1890, p. 32 (per nozze Cipolla-Vittone). Fonte principale degli studi intorno alla vita del noto trovatore mantovano, sono state fino a questi ultimi tempi le due biografìe provenzali, più volte pubblicate e pochi anni or sono edite ancora dal Chabaneau, ed i componimenti poetici del trovatore medesimo. Anche il Fauriel e lo Schultz di queste fonti particolarmente , per non dire quasi esclusivamente , si servirono nei loro studi intorno a Sordello. Ora il M. benemerito già degli studi storici del secolo xm per le sue varie pubblicazioni intorno alla dominazione Angioina in Italia, ha trovato di Sordello non pochi cenni nei documenti per tali ricerche esaminati da lui, ed ha fatto opera buona coll’ordinarli ed unirli alle notizie che già si avevano del trovatore mantovano. Per il periodo di tempo che corre dalla nascita di Sordello fino all’andata di questo in Provenza, il M. segue le due biografìe ricordate; scarsa ma unica sorgente di notizie per tale punto. Però ben presto gli offrono dati sicuri gli atti giuridici della storia Angioinica. Il Diez e lo Schultz hanno scritto che il Sordello passò in Provenza il 1229; il Fauriel invece 47 6 GIORNALE LIGUSTICO non prima del 1245. Ma il trovatore già compare nel 1241, come teste a Montpellier, in un trattato fra Iacopo di Aragona, Raimondo Berengario conte di Provenza e Raimondo di Tolosa. Sordello fu dunque in Provenza ancora ai tempi di Raimondo Berengario. Non vi restò a lungo però ; chè ben presto intraprese uno di quei giri per il mezzodì della Francia che i suoi biografi moderni collocano in altro momento. In Provenza torna al tempo di Carlo I d’Angiò, e va alla corte del nuovo signore: tant’è vero che egli compare tra i primi testimoni che firmano i due atti di sottomissione fatti da Marsiglia, ultima città domata dal-l’Angioino, nel 1252 e 1257; in questo secondo atto anzi egli scrive il suo nome subito dopo i più attivi uffiziali del conte: nel 1259 firma lo strumento di dedizione che Cuneo fa a Carlo, di se stessa, e vi precede non solo molti fidi cavalieri del conte, ma anche i due ammiragli Guglielmo Olivario e Iacopo Cais, che avevano efficacemente contribuito alla nuova conquista: ancora nel 1262 ricompare, con soli tre altri testi, nel trattato fatto ad Aix tra Carlo ed il Comune di Genova, per la contea di Ventimiglia. Dopo tale anno, col precipitare degli avvenimenti, crescono anche di numero e di importanza le notizie intorno al trovatore. Carlo preparandosi alla conquista del reame di Napoli, dopo il secondo invito che gli veniva da Roma, ottiene dai Torriani di Milano promesse di protezione in Lombardia: e l’atto, che ha per l’Angioino tanta importanza, porta anche il nome di Sordello. Disceso poi, coll’esercito di Francia, in Italia, il trovatore cade a Novara in grave e lunga sventura che la lettera di Clemente IV a Carlo I, del 22 settembre 1266, ricorda ma non precisa. Carlo l’aveva abbandonato. Solo quegli pensa a ricompensarne i servigi, dopo la disfatta di Corradino, concedendogli in feudo alcuni castelli e conducendolo quindi seco nel regno di Sicilia. Colà ei restò amico e consigliere del re: ciò mostrano i due serventesi, ora pubblicati dal Rajna e scritti dal genovese Lanfranco Cigala tra il 1267 e il 1273; e colà forse poco dopo tale anno, mori, se la narrazione dantesca è vera, per morte violenta. Il M. ripete in fine al suo studio la vecchia domanda, se l’Alighieri abbia a ragione rappresentato cosi grande il Sordello; e risponde che, i dati biografici finora raccolti, sebbene non bastino per far conoscere la persona del trovatore mantovano, tuttavia giustificano fino ad un certo punto il giudizio di Dante. Autore di un Ensenhamens e di molti serventesi politici; amico di Riccardo da S. Bonifacio, degli Ezzelini e di Carlo I; pronto di mano nella sua gioventù e ardito guerriero dell’ esercito GIORNALE LIGUSTICO 477 Angioino ancora nei suoi ultimi anni, egli non è certo del tutto indegno della lode datagli dall’Alighieri. È vero che tale elogio non gli tributano più i primi commentatori della divina Comedia ; ma « tra il secolo xiii e il χιν si successero tanti rivolgimenti, e le condizioni si mutarono con sì vorticosa rapidità, che non solo potè facilmente illanguidire la fama di uomini illustri, ma persino i più grandi avvenimenti storici, come la stessa caduta della casa Sveva, videro ben presto dimenticata la loro gravità e mutato il giudizio che ne avevano dato i contemporanei » (p. 22). Giovanni Filippi. * * * Gabriello Chiabrera, Lettere o poesie inedite e rare a cura di Ottavio Varaldo. Savona, Bertolotto, 1891. Ottavio Varaldo, Bibliografia delle opere a stampa di Gabriello Chiabrera (Supplemento Secondo). — Savona, Bertolotto, 1891. Il primo opuscolo contiene la riproduzione delle lettere di dedica preposta dall’ autore alle edizioni da lui curate, e sono le tre del Bartoli degli anni 1586, 1587, 1588; quelle del Pavoni del 1605, 1606, 1618 , 1619, Cuneo del 1608, del Pignoni del 1619, e del Ciotti del 1628. L noto come in queste scritture il poeta toccasse anche della ragione poetica, e perciò hanno una certa importanza. Le poesie sono spigolate in stampe piuttosto rare. Due sole veggono per la prima volta la luce, tratte da un codice Barberiniano ; consistono in due sonetti, 1’ uno intero , Γ altro frammentario. A questo pochissimo si riduce l’inedito, che davvero non giustifica appieno il titolo promettente. È da correggere un errore nel 4.0 verso del frammento V, là dove si deve leggere vero e non nero. Più utile certamente deve giudicarsi il secondo supplemento alla Bibliografia del Chiabrera. È noto come il lavoro che viene ora reso maggiormente completo, mercè questa pubblicazione, vide la luce nelle pagine di questo Giornale ed era debito di avvertirlo, ciò che l’A. non ha creduto di fare. Sono qui riferite parecchie stampe già notate innanzi sulla fede altrui, e che vengono ora descritte ampiamente essendo state vedute ed esaminate dall’ A. ; altre se ne aggiungono di nuovo. Possiamo anche noi suggerire qualche giunta. Ci è venuto a mano un esemplare delle Rime edite in Padova nel 1604 (Primo Supp., n. 3), nel quale sul frontispizio, in un carticcino applicatovi, dopo la parola Pavoni si legge: Aggiuntevi in questa nova impressione alcune cannoni. Ci sembra che questa stampa sia tutta una cosa con quella del 1601. Diamo l’esatta 478 GIORNALE LIGUSTICO indicazione del seguente libretto solo citato nella Bibliografia n. 40: Concerto / delle / Muse. / Ordinato secondo la vera / armonia de metri / da Piergirolamo / Gentile. / Nell' Illustrissima Accademia / de’ Signori Spensierati di / Fiorenza / Lo Sproveduto. / Al molto Illustre Signor Gio. J Battista Paggi- / Con licenza de' Superiori / et Privilegio. / In Venetia / Appresso Sebastiano Cambi / 1609.— È in 12.0; da pagine 320 a 376 sotto nome di Erato overo delle poesie del Sig. Gabriello Chiabrera, si legge La Giuditta e 11 Battista. — In fine era da non trascurare una canzone riprodotta in questo Giornale (1889, pag. 396), tolta dalla Sant' Orsola del Salvadori, e già edita prima dal Ciampi. E poiché vedo citato più volte il mio nome in questo opuscolo, mi si permetta di dichiarare come sia interamente falso ciò che dice Γ A. a mio riguardo a pag. 33 in nota; il che, per chi sa leggere, risulta altresì dal modo onde è compilata quella nota, quantunque con arte finamente gesuitica. Degli altri accenni non benevoli mi passo, fermo come sono di lasciar ampia libertà di apprezzamenti sopra quello che, bene 0 male, esce dalla mia penna: soltanto posso col noto poeta toscano, suggerire a qualche fegatoso : Un' oncia di rabarbaro pigliate. A. Neri. Pasquale Fazio Responsabile. INDICE DEL VOLUME DOCUMENTI ILLUSTRATI. XCenni storici sugli statuti di Pietra, Giustenice, Toirano ed altri paesi della Liguria (P. Accame) ..... Nuovi documenti intorno alla dominazione del duca d’Orleans in Savona (G. Filippi)........' Pag. MEMORIE ORIGINALI. La suppellettile sacra delle chiese minori (V. Poggi) . Pag. 12, 264 Umanisti genovesi del secolo XV. — I. Bartolomeo di Iacopo (F. Nevati)..........Pag. 23 Giovanni Costa e il Duca di Mantova (A. Neri) ...» 102 Giovanni Toscanella (R. Sabbadini)...... » 119 Segno delle meretrici (G. Reiasco)..... » 161 Tommaso Stigliani, contributo alla storia letteraria del sec. XVII (M. Meneghini).......Pag. 241, 369, 401 Interpretazione di due iscrizioni etrusche (A. Pacini) . ■ Pag- 278 L’ultimo ventennio della vita di Manuele Crisolara (R. Sab- badini) ......... » 321 Una contesa tra Genova e Savona nel secolo XV (G. Filippi) » 337 Federico Gonzaga e la famiglia Paleologa di Monferrato (S. Davari)......... » 421 VARIETÀ. La cattedrale di Sarzana (A. N.)..... ÀUn conservatore genovese (A. N.)..... Andrea Fieschi — Un documento del 1222 (L. T. Belgrano) Tumulti in Genova nell’aprile del 1392 (I. T. B.) Divisioni tra Fregosi nel 1462 (L. T. B.) Pag. 41 61 137 142 MS 480 GIORNALE LIGUSTICO Epistole di Antonio Astesano ai Genovesi (P. Vayra) . Pag. 220, 386 Il registro della camera di Nicolò V (A. Gottlob, trad. G. Pa- Ì. paleoni...........Pag. 296 Prepotens Genuensium Présidium (L. T. Belgrano) . Atto di consegna del Sacro Catino (L. T. Belgrano) Epistola di A. Astesano a Carlo VII per 1’ acquisto di Genova (P. Vayra).......... Studenti e male femmine in Torino nel secolo XV (F. Gabotto) Antonio Gallo e la famiglia di Cristoforo Colombo (M. Stagliene) ........... 302 306 311 316 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Musatti. Storia di un lembo di terra, ossia Venezia ed i Veneziani (C. Magno).........» 71 Quattro pubblicazioni del conte E. Cais de Pierlas (L. T. B.) » 151 Regesta comitum Sabaudiae curante D. Carutti (G. Filippi) . » 469 \ Pag. SPIGOLATURE E NOTIZIE. ì6> 155, 235, 320, 394, 473. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Parrocchie dell’archidiocesi di Genova di Angelo e Marcello Remondini, pag. 80. — Rapallo. Spigolature storiche per A. Ferretto, 158. — Cencio Poggi. Varie pubblicazioni, 159. — Lettere edite ed inedite di Vittorio Alfieri a cura di Giuseppe Mazzatinti, 237. — Parrocchie dell’archidiocesi di Genova, 238. — Harrisse, Cristophe Colomb, les Corses et le Gouvernement Français, 240. — Storia di Genova di F. Donaver, 396. — G. Filippi, Il matrimonio di Bona di Savoia, 398. — A. Butti, Di Luchetto Gattilusi trovatore genovese, 399. — Dizionario degli artisti italiani viventi di A. De Gubernatis, ivi. — C. Cipolla e G. Filippi. Diplomi inediti di Enrico VII e di Ludovico il Bavaro, 400. — Merkel, Sordello e la sua dimora presso Carlo I d’Angiò (G. Filippi), 475. — Varaxdo, Pubblicazioni Chiabreresche [A. Neri), 477.