G IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dir etto da ACHILLE NERI è da UBALDO MAZZINI ANNO IV igo3 Fase. 1-3 Genn.- Febbr. - Marzo SOMMARIO G. Sforza, Un feudatario giacobino, pag. 5 — U. Mazzini, Una contesa letteraria sulla Mitologia, pag. 47 — F. Gabotto, La fondazione della Biblioteca dei Domenicani in Torino, pag. 64 — VARIETÀ: A. Neri, Un corale genovese, pag. ^3 — F. Podestà, I Voltresi e le « conesse », pag. 77. — A. Scrocca, Di una fonte del carme « La bellezza dell’ Universo », pag. 79 — ANNUNZI ANALITICI: Si parla di: C. Contessa, G. Sommi Picenardi, O. Bacci, A. D’Ancona, G. B. Ferracina, G. Boffito, P. Tacchi Venturi, G. Cogo, C. Masotti, S. Debenedetti, F. Flamini, pag. 83 — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 90 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 95. DIREZIONE Genova - Corso Montana 43-12 LA SPEZIA Società d’Incoraggiamento editrice Tip. di Francesco Zappa AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Giornale storico e letterario DELLA LIGURIA DIRETTO DA ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI VOLUME IV LA SPEZIA SOCIETÀ D’ INCORAGGIAMENTO EDITRICE MDCCCCIII : ■ r. UN FEUDATARIO GIACOBINO Azzo Giacinto Malaspina nacque a Mulazzo in Valdimagia il 23 decembre del 1746 dal Marchese Carlo Moroello e da Caterina de marchesi Melilupi di Soragna. Era il primogenito e per conseguenza il solo erede del feudo. Bambino fu menato da’ genitori in Sicilia, presso il viceré Fogliani, suo prozio materno, che lo fece educare a Palermo nel Collegio de’ Nobili, nel quale conseguì il grado di Principe nell’Accademia degli Argonauti (1); poi lo allogò alla Corte de’ Borboni di Parma. Capitano delle Guardie Reali nel 1763, ebbe nel '70 la chiave di ciamberlano dal Duca Ferdinando I. Presa in uggia quella Corte, ridotta una sagrestia dopo la caduta del Dutillot, decise dimettersi e correre in America a guerreggiare contro °Ή Inglesi sotto le bandiere di Spagna. Il padre ne fu afflitto, e con ogni potere si dette a sconsigliarlo. « Alla mia morte », gli scriveva il 17 agosto del '71, « avrete un reddito annuo tra le diciotto e le ventimila lire, senza aggravi nè di fratelli, nè di (i) Sono a stampa le Theses ex universa philosophia selectae in Carolino Nobilium Collegio Societatis Jesu, che Azzo Giacinto svolse e propugnò a viva voce nel 1763 ; anno in cui uscì dal Collegio e, da Palermo, passò a Parma. 6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sorelle. Seguitando a stare a Parma, sarete vicino al vostro feudo, delizioso per una villeggiatura, insoffribile per una continua, necessaria e forzata dimora. Questo era il mio sogno ; voi lo riducete ad un chatean en Espagne. Io n’ ho un estremo rammarico; voi soffrirete il danno, io piangerò, ma inutilmente. Per quanto gravissime le circostanze che vi obbligano a lasciare codesto servizio; circostanze che io non so, nè cerco sapere; la risoluzione adesso parrà sempre inopportuna al vostro decoro: non ostante, dopo un momento di riflessione, prendete quel partito che più vi piace, ed io prenderò quello che mi rimane, unicamente di consolarmi di avere esattamente adempite le parti di padre amoroso ed interessatissimo ai vostri vantaggi; se non vi sono riuscito sarò compatito, ma da nessuno temo di essere condannato ». Lì per lì si acquietò. Avendo poi risoluto di tornare tra le mura domestiche, il padre saltò sulle furie, come si rileva da questo biglietto: ♦ Ricevo le vostre due lettere quasi contemporaneamente. La seconda, che ricerca casa a parte dal padre vivente, è temeraria. Io partirò in breve con la famiglia per Firenze, ove avrete letto, tavola ed assegnamento proporzionato al misero stato di un padre carico di famiglia; qui » [a Mulazzo] « non avrete nè asilo, nè mantenimento. Imparerete un giorno ciò che voglia dire Γ abusarsi della piacevolezza di un padre, li cui pensieri ed aspettative avete tradito, e che si prevarrà di mezzi ben più alti per reprimere un’ audacia che non ha esempio et una madre villanamente negletta. Cominciate da quest’ora a conoscermi per vostro padre ». La severa lezione, per allora, produsse il suo frutto ; ma nel ’74 essendo stato conferito a un altro il grado di maggiore delle Guardie Reali, che era vacante e che agognava, se ne tenne offeso come d ingiustizia patita. Sperando ammansirlo, gli fu dato il rango di tenente colonnello di fanteria, ma senza soldo: s’inviperì più che mai, e chiesta udienza al Duca, domandò la sua licenza, che gli venne accordata il 16 di marzo. Mortogli il padre il 28 giugno di quell' anno stesso, gli succedette nel feudo; del quale, fin dal 25 settembre del 1771 erano state vendute al Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, per lire toscane 270,263, sette soldi e quattro danari, le tre terre di Calice, Veppo e Madrignano. Per conseguenza, allora si riduceva GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 7 alla piena signoria di Monteregio e Pozzo e alla metà del Marchesato di Mulazzo e Parana (i), appartenendo l'altra metà al suo consanguineo Cesare di Gio. Cristoforo Malaspina (2). Appena ebbe assunto il comando, prese a fare utili riforme a vantaggio de’ sudditi. Amico e ammiratore di Pietro Leopoldo, ne segui 1’ esempio con abolire il foro ecclesiastico, sottrarre le confraternite laiche alla dipendenza del vescovo e de’ parrochi, vietare alle manimoite gli acquisti, riservare al popolo l’elezione de’ suoi pastori spirituali. Permise la caccia, salvo in alcune bandite marchionali; lasciò libera la pesca, fin allora vietata; fondò un archivio per i contratti notarili. Il catasto può dirsi avesse vita da lui. Frenò l’abuso dell’andare armati, cagione di ferimenti e di risse; proibì a’ figli di famiglia il far contratti rovinosi; riformò l’amministrazione de’Comuni e volle che ogni anno con pubblici affissi rendessero conto dell' entrate e delle spese; protesse « i sacri diritti della civile libertà del commercio » ; informava i suoi rescritti alle dottrine del Beccaria, e in uno di essi cita il libro famoso De' delitti e delle pene. Finì con P accordare a’ suoi popoli una specie di costituzione, che disgraziatamente è perita, e che mosse a sdegno gli stupefatti feudatari vicini, un de’ quali, il marchese Alessandro Malaspina di Podenzana, gli scrisse da Vienna Γ8 giugno 1780, che invece di concedere a’ sudditi delle larghezze conveniva ridurli semplici enfiteuti. Ben disse di lui Cammillo Cimati: « se la sorte avesse posto Azzo Giacinto a capo di uno Stato di qualche importanza, con le leggi e gli ordinamenti da esso largiti a quel guscio di noce del suo feudo di Mulazzo, non (1) Nel 1797 Mulazzo faceva 120 fuochi e 250 anime, Parana 31 fuochi e 180 anime, Monteregio fuochi 101 e anime 469, Pozzo fuochi 32 e anime 140; in tutto 284 fuochi e 1039 abitanti. (2) Cesare di Gio. Cristoforo Malaspina, il 30 marzo del 1773, per esser « debitore di negletta investitura », fu spogliato del feudo ; del quale l’imperatore Giuseppe II ne pigliò possesso 1’ n maggio del 1776, affidandone 1’ amministrazione al marchese Azzo Giacinto. Lo riebbe, peraltro, di lì a poco, per intercessione del granduca Pietro Leopoldo. Morto Cesare 1’8 giugno del 1794 a Firenze, sua abituale dimora, Azzo Giacinto tornò a esserne cesareo amministratore. Cfr. Branchi E. Storia della Lunigiana fendale; I, 339*34°· 8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA. solamente avrebbe lasciato traccia luminosa di sè, ma anche un’impronta geniale nella storia della legislazione » (i). Per desiderio d’ istruirsi, intraprese lunghi viaggi. Nel 1777 percorse la Francia e la Svizzera e con alcuni giovani amici andò a Ferney a visitare il Voltaire. Furono introdotti in un ameno giardino e lì fatti aspettare fino alla tarda ora del pranzo. Ecco allora comparire il filosofo, con a fianco un ex gesuita, suo segretario, che teneva un gran libro sotto il braccio. Seduti a mensa, costui prese a leggere fin che durò il pranzo la vita del santo che cadeva in quel giorno. Nell’ alzarsi, il Voltaire, che non aveva mai aperto bocca, li accomiatò con dire: adieu, etndìez mes enfants. Nel 1792 andò nella Spagna, e fu ricevuto e onorato dal Re Carlo IV. Vi tornò l’anno dopo per rivedere il fratello Alessandro. Imbarcatosi a Genova, sopra una nave svedese, il 30 di ottobre, prese terra a Ivica, isola « che porta l’impronta della miseria e della dabbenaggine » ; scese pure a Cartagena e a Malaga, non già a Gibilterra, « le di cui fortificazioni » riconobbe, « col cannocchiale, formidabili »; il 21 di novembre sbarcò a Cadice. Il 31 decembre era di ritorno a Genova, avendo impiegato nel viaggio ventisette giorni (2I. In compagnia del bailo di Venezia si recò poi nella Grecia e ne visitò 1’ arcipelago. Si spinse a Costantinopoli, e il Gran Sultano Selim III lo regalò d’una stupenda pelliccia. Fu anche nella Germania e a Vienna, dove l’imperatore Francesco II lo creò suo ciamberlano. Durante questi viaggi, ora da una città, ora da un’ altra, per lettera, ne scriveva estesi ragguagli a’ parenti e agli amici, poco occupandosi de' costumi, molto del commercio e dell’agricoltura, con osservazioni che mostrano acume d’ingegno e spirito indagatore. La Rivoluzione di Francia lo contò tra’ suoi ammiratori in tutto quello che ebbe di alto, di nobile, di generoso. Festeggiò nel 'φ le vittorie di Bonaparte, inalberando sulle ròcche di Mulazzo la bandiera tricolore francese, e insieme co’ Marchesi di Tresana e di Fosdinovo lo mandò a complimentare. Più tardi, si recò egli stesso a Montebello a fargli visita. Quando il Lannes il (i) CIMATI C. Nuovo contributo alla biografia di Azzo Giaciuto Malaspina Marchese di Mulazzo, Pontremoli, tipografia di Raffaello Rossetti, 1897; in-8, di pp. 4. — (2) Appendice η. I. GIORNALE SPORICO E LETTERARIO UKLLA LIGURIA 9 30 di giugno occupa Massa, e i feudatari della Valdimagra son forzati a giurar fedeltà alla Francia e vengon manomessi e tartassati con le co:.tribuzioni, ad Azzo Giacinto e ai suoi due compagni non è torto un capello, anzi hanno un ampio salvacondotto. I popoli cresciuti in mezzo alla tirannide (e quella de’ Malaspina di Lunigiana, viziosi, numerosissimi e poveri, fu quanto di scellerato si possa pensare e immaginare); quel branco di schiavi restano stupefatti, confusi, sbalorditi ; per loro la parola libertà non ha senso, nè significato. Pochi perversi rifanno ciò che avean fatto i Malaspina, pigliano a vivere di rapina, e le terre sulle quali con avidità maggiore spiegano le unghie son quelle particolari degli esautorati feudatari. Carlo Emanuele Marchese di Fosdinovo (il condiscepolo e l’ospite di Labindo) a nome suo e de’ compagni se ne richiama agli agenti militari della Repubblica Francese a Massa. Il 27 gennaio del '97, pur a nome suo e d’Azzo Giacinto e di Tommaso Corsini, Marchése di Tresana scrive al Bonaparte: « Noi vi domandiamo, cittadino generale d’inviare nelle nostre contrade un degno repubblicano, vostro allievo, che sappia fare amare la libertà, e non la fare odiare presentandola sotto la sembianza della licenza e del potere arbitrario. Vi chiediamo che gli abitanti de’ feudi sien convocati legalmente e secondo le maniere stabilite dalla Repubblica Francese, e noi andrem fra loro per rinunziare solennemente ai nostri diritti ». Il 2 di luglio, Chabot, per incarico del Bonaparte, aboliva i feudi imperiali della Lunigiana, aggregandone il territorio alla Repubblica Cispadana. Azzo Giacinto, che, pure abitando una gran parte dell’anno a Mulazzo, fin da quando salì al potere aveva casa aperta anche a Firenze (1) e a Pisa, in tutti e tre que’ luoghi si trovò a disagio; a Mulazzo, perchè la popolazione ripagava con l'ingratitudine più sfacciata la saggia dolcezza del suo paterno governare; a Firenze e a Pisa, perchè un feudatario giacobino era oggetto d’ esecrazione e di scherno ; comprò da’ fratelli Salvioni un casino presso Massa di Lunigiana, sul colle amenissimo dove sorge la chiesuola della Madonna delle Grazie, l’ammobiliò e l’abbellì evi pose la sua dimora. Fin dal 15 ottobre del 1796 aveva in Pisa fatto il testamento. Ordinava: (1) Teneva a litio una villa a Ricorboli ne’ dimorili della città. IO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA « manchi io in un paese ο dove la religione e le leggi accordano la tumulazione nelle chiese, o dove non l’accordano, prego la podestà secolare, alla quale incombe, di farmi tumulare di notte, senza il più piccolo accompagnamento ecclesiastico, fuori del segno ordinato dalla religione cattolica, che professo, ad un camposanto qualunque, ma non mai in chiesa; ed in quel giorno sarà distribuito a cento de’ più poveri del paese, quattro de’ quali prego portarmi alla sepoltura come un loro eguale, la somma di lire venti di Parma per ognuno.... A forma della costituzione feudale, non potendo io disporre, come vorrei, a favore del popolo del prodotto de’ torchi e mulini di Mulazzo, Parana, Monteregio e Pozzo, se questi fossero alla mia morte tuttavia soggetti ad una privativa feudale (Io che spero non accadrà) voglio che gl’infrascritti miei eredi prelevino dalla parte di mia eredità, il cav. Luigi (i), al quale ricadono i diritti feudali e giurisdizionali, un fondo capace dell’annuo prodotto netto di scudi di Parma quattrocento, ed il cav. Alessandro (2) un fondo capace dell’ annuo prodotto di scudi dugento, e questi a loro piacimento, acciò detti fondi restino in perpetuo sotto 1 amministrazione de’ Magistrati Comunitativi di Mulazzo, Parana, Pozzo e Monteregio, ed il prodotto annuo vada in perpetuo per dotare sei povere ed oneste fanciulle de’ feudi, a cento scudi per ognuna. .. Prego inoltre il cav. Luigi, subito che lo potrà, ad assolvere i sudditi dalle avarie, ed a permettere loro di farsi de’ torchi e mulini in proprio, e macinare e frangere dove vorranno; due articoli che egli sa quanto mi stiano a cuore, e che, se vivrò ancora due anni, farò io stesso in mia vita, in quanto potrò, senza di lui pregiudizio; e mancando il cav. Luigi senza figli, faccio la stessa preghiera al cav. Alessandro; assicurandoli che, con questo tratto di equità e di amore per i po- (1) Luigi, fratello di Azzo Giacinto, nacque il 18 settembre 1753- Era cavaliere dell’Ordine di S. Stefano di Toscana. Morì il 21 febbiaio 1817 a Pontremoli, dove nel 1805 si era fabbricata una casa col pietrame dell avito castello di Mulazzo, dicendo che voleva vivere e morire tra’ suoi sassi. (2) Alessandro, altro fratello di Azzo Giacinto, nacque a Mulazzo il 5 novembre del 1754 e morì a Pontremoli il 9 aprile del 1809. È il celebre e infelice navigatore, che fu per lunghi anni prigioniero degli Spagnuoli nel castello della Corogna. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I I poli, renderanno un’ eterna testimonianza de’ savi principii che li animano, al pari di me, per la vera libertà civile ». Il primo germinale dell’anno VI repubblicano [21 marzo 1798] revocava e annullava in Massa queste disposizioni, « forzato », come scrisse, « dalla più nera ingratitudine » de’ suoi « concittadini » di Mulazzo, Parana, Monteregio e Pozzo. Nel nuovo testamento è notevole questo tratto: « In qualunque paese io finisca la mia carriera mortale, sia servendo la Patria fra le armi, o negli impieghi politici, o privato, voglio essere tumulato, senza il benché menomo segno di culto, sebbene io professi la religione cattolica, e senza il menomo accompagnamento, o in un camposanto, o in un giardino, o a piè d’un albero; caricando però il mio infrascritto erede a distribuire nel giorno della mia morte a cento miei fratelli d’armi dei più bravi, o a cento dei più poveri del luogo, lire venti di Parma per ognuno, acciò abbiano la memoria del loro fratello ed amico ». Non avendo il proprio fratello Luigi bisogno del suo aiuto, istituì erede l’altro fratello Alessandro, il celebre e infelice viaggiatore: « istituisco mio erede universale il cittadino Alessandro, mio fratello, brigadiere alla marina di Spagna ed ora prigioniero di Stato per effetto del dispotismo ministeriale, il quale mi ha dato costanti segni della sua confidenza ed amicizia verso di me ». Nè scordò le sue due figlie naturali, anzi accrebbe ad esse l’elargizioni già fatte nel suo precedente testamento. Erano l’Annamaria Giovannacci e la Giacinta Chelussi, che fece educare e dotò; rimeritando pur anche le cure di quanti lo avevano con fedeltà servito. Vi si vede l’uomo di cuore, che tutti ricorda con gentilezza d’affetto, e nessuno dimentica. Per un istante gli balenò il pensiero di pigliare la carriera delle armi; ma il trovarsi sui cinquant’anni glielo fece smettere. Ad uno de’ suoi amici scriveva nell’ottobre del '97: « Si j'avais eu 25 ans et assez d’argent pour me faire tuer à mes dépenses tu verrais passer un grand hussard a cheveux ronds; mais à 50 il faut payer et faire dessouhaits à côté de son feu pour l’etablissement de la liberté et des lois ». La sua ambizione, il suo sogno era la diplomazia. E il Belleville, console di Francia a Livorno (1), a Paolo Greppi, che glielo aveva caldamente raccolsi; Callo Gollifredo Redon di Belleville, nato a Thouars il 2 gennaio 12 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mandato, fin dall’ lì marzo del medesimo anno 1797 dava questa risposta: « Je vous l'ai déjà dit, je ne puis croire que le Directoire consente aujourd hui à abandonner l’Italie à la vengeance de ses anciens maîtres.... Elle serait trop déshonorante et je ne veux point établir mes calculs dans l’avenir sur une pareille base. Quoiqu’ il en soit, il me semble qu’ il y a tout à gagner pour M. Malaspina à suivre avec dignité et franchise le parti du peuple. Quand on a comme lui le sentiment de sa force personnelle, il n’est pas si pénible de seconder et de jeter loin de soi ces enveloppes 'étrangères qui souvent sont communes à l’homme de mérite qui les décore et au fat qui les deshonore. Le diamant n’a pas besoin d’être monté pour avoir un grand prix. Ses concitoyens et les français le dedomageront 1748, prima studio ingegneria, poi medicina e finì per chiedere un impiego nella marina. L’ottenne invece al controllo generale, poi, al demanio; nell’8o fu fatto segretario dell’ Intendente generale delle finanze. Un fiero alterco che ebbe con un potentissimo personaggio tra le quinte del teatro nell’ 88, lo forzò a pigliare la via dell’ esilio, e si ridusse in Italia, soggiornando successivamente a Roma, a Napoli e a Firenze. Entrò nelle grazie del Granduca di Toscana, che si valse di lui per progetti d’ agricoltura e di finanzi, e a ogni costo lo voleva al proprio servizio. P'orse avrebbe finito coll’ accettare, se il desiderio di rivedere la patria e d’ offrirle il suo braccio non lo induceva a partire. Sorpreso da una tempesta, la feluca che lo traspoi tava fa naufragio ed esso perde ogni avere. Si ferma a Genova, e trova un impiego presso la famiglia de’ Cambiaso, che lo mandano in Normandia ad amministrare i loro vasti possessi. Ecco che la Repubblica è proclamata in Francia, e il Saint-Just, che teneva il portafogli degli affari esteri, invia il Belleville a Napoli con una missione difficile, delicata e pericolosa: quella di far riconoscere dal Re il nuovo Governo. La flotta, sotto gli ordini del Latouche-Tréville, incrocia minacciosa davanti a Napoli, e il Belleville sbarca solo, vestito da guardia nazionale parigina; la folla gli si accalca ostile intorno, e lui la sa tenere in freno col suo contegno calmo e dignitoso ; entra nella reggia, s’abbocca col Re, minaccia un bombardamento, non gli dà che poche ore a decidersi, detta legge, e la Francia è riconosciuta. Vien allora mandato a Venezia e a Roma; ma Venezia rifiuta di riceverlo; il Papa 1’ accoglie con cortesia, e niente conclude. Torna in Francia. Nel giugno del 1796 è mandato Console a Livorno ; posto al quale le mosse militari de’ Francesi in Italia davano allora grande importanza. Fu lì che rivide Io scoronato Pio VI e cercò, per quanto poteva, di consolarne e alleggerirne le disgrazie; fu lì che conobbe Bonaparte, col quale poi di continuo rimase in carteggio. Nel set- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 1 3 de ce léger sacrifice, les uns par leur confiance, les autres par leur estime. Appelé par le voeu de ses égaux à la représentation nationale, il y defendra les droits de sa nation. Cet honneur, le seul qui soit vraiment désirable, vaut bien celui que donne aux yeux des insenses toutes ces babioles, toutes ces croix dont tant d’imbéciles se font chamarrer pour couvrir leur nullité. Quoique j 'aie du plaisir à croire que ce soit par goût et par s.entiment que M. Malaspina adopte le parti dont vous m’avez informé, j ’y trouve moi une très bonne spéculation d’intérêt en finance et en considération. En effet s’il renoncoit à la cause du peuple, je le verrai obligé de s’affubler de toutes ses décorations de théâtre et d’aller ainsi masqué jouer la comédie dans une Cour d’Allemagne ou d'Italie. Mais ses principes bien manifestes lui préparent évidemment au moins un froid accueil. Tous ces messieurs qui sentent sa supériorité lui reprochent jusqu 'a ses connaissances et refuseront de le voir et je ne connais rien de plus humiliant que d’avoir à dévorer 1 orgueuil des courtisans. D’un autre côté le peuple ne lui pardonnerait pas de l’avoir abandonné et il prendrait peut-être les biens qu’ il possède sur les territoires nouvellement répu-blicanisés, et puis pourrait-il, au milieu de ce vide déchirant que laisse l’oisiveté des Cours, échapper au remords d’avoir tembre del '97 venne nominato Console generale di Genova, e concorse con tanto zelo e sagacia alla spedizione d’Egitto, che da Malta Bonaparte gliene espresse la soddisfazione più viva. Nel '99 cambiò la carica di Console con quella d incaricato d’ affari, e molto giovò a mantenere in buona amicizia la Repubblica Ligure col Piemonte. Dal Primo Console è rimandato a Livorno nel novembre del 1800 col titolo di Commissario generale delle relazioni commerciali e con una giurisdizione che si estendeva da Napoli alla Spezia. Il 1801 lascio per sempre 1 Italia. Di recente venne raccolto e stampato il suo carteggio ; ricco, tra le altre cose, dell 'Histoire financière de la campagne d'Italie del 1796 e 1797, che dà luogo e modo di studiare quel fatto, così grande per sè e anche per gli effetti che produsse, da un lato affatto nuovo. Cfr. Notes et correspondance du Baron Redon de BELLE-VILLE, Consul de la République Française à Livourne et à Gênes, du 1 7 pluviose an IV au 21 f-uctidor an X, réunies et mises en ordre par son petit-fils H. Du Chanoy, avec une préface de M. Germain Bapst, Paris, Libraire Techener, 1892; due vol. in 8° di pp. xvm-378 e 214, con ritratto e fac-simili. 14 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA menti à la vérité et à sa propre conscience ? quel tourment ce serait pour lui d’entendre à chaque instant un troupeau de fainéants vanter les droits du throne et insulter à la majesté du peuple ! le suis né dans la classe du peuple, ainsi je parle ma langue maternelle; mais j 'ai pourtant bien vu très-souvent des hommes qui l’on appellait les grands du monde; à rares exceptions très bien peu etaient dignes d’estime. Je persiste donc à penser que M. Malaspina perdrait beaucoup à conserver ses titres et qu’ il y a pour lui un très grand bénéfice à les oublier pour jamais. Ceux dont il s' est fait volontairement l’égal sauront bien le remettre à sa place par 1 opinion: les diplômes qu’elle donne ne s’achètent qu’avec du mérite. Et puis en tout événement, seront-ils tous pendus par les despotes les républicains qui connaissent la conduite et la moralité de M. Malaspina. Saliceti, qui marquera dans la révolution française, Suchet, qui deviendra un homme interéssant, le général Vaubois, dont les vertus civiques et guerrières seront un jour mieux recompensés, Bonaparte lui-même dont le témoignage sera toujours d’un grand poids, et tant d autres que diront-ils par ce qu’ ils ont vu? La république ne devra-t-elle pas appui, asile et considération à ceux qui l'auront aimée et servie? et ces trois ou quatre millions de français, qui ont fondé la liberté, ne s’ empresseront-ils pas d onorer leurs rangs pour y recevoir leurs amis, autant pour acquitter la dette de la reconnaissance, que pour reparer les pertes de la guerre et de l'humanité? Tout ce que je vous bavarde là vous le savez mieux que moi, aussi si je me laisse entraîner par le plaisir de causer avec vous, c' est parceque la cause est belle et que votre ami est intéressant ». Azzo Giacinto, il 24 decembre del ’gj, scriveva al Greppi: « Un milanese, recentemente tornato dal Levante, so che ha travagliato in Genova presso Faypoult per la missione che mi proponi ; d’ altronde, a parlarti schietto, io vedo così poca apparenza che i rapporti politici e commerciali fra la Porta e la Cisalpina, priva d’ influenza marittima, possano divenire interessanti; e conoscendo d’altronde coi propri occhi la preponderanza che avrà sempre sul Divano la Russia e l’Austria, ora divenute despote del destino della Turchia europea, non mi saprei persuadere alla mia età a rinunziare ai costumi, alla GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 15 società ed alla vita europea. L’ ambasciata di Roma forse sarà data; quella di Napoli va ad aprirsi. Io prenderei più volentieri quella di Firenze, dove il nostro amico (1) non ha punto incontrato con i patriotti ; nè credo che a ciò s’ opponesse l’avere io de’ redditi sulla cassa del Principe, dopo essermi emancipato con l’atto solenne della rinuncia della chiave di ciambellano e dopo avervi sofferto in Pisa una oscura ed indiretta persecuzione per le mie opinioni politiche » (2). Bell'uomo e scapolo, non gli mancarono avventure in amore. Sembra spingesse gli occhi fin sulla capricciosissima Maria Amalia, Duchessa di Parma, che era moglie di Ferdinando I di Borbone, e viveva, quasi separata da lui, nel casino de’ Boschi presso Sala, in mezzo a’ suoi cani, co’ quali mangiava e dormiva; in mezzo alle Guardie del Corpo (una delle quali fu appunto Azzo Giacinto), tanto da lei predilette ; in mezzo a’ suoi staffieri, co’ quali giuocava a mosca cieca, dando loro ogni sorta di confidenze. Per corteggiarla, il Marchese di Mulazzo si recò a posta nell’ 80 a Verona, dove essa si trovava; come si raccoglie da una lettera d’Alessandro Malaspina di Podenzana dell’ 8 ottobre, nella quale afferma netto che il suo congiunto n’era invaghito. Fatali poi gli riuscirono gli amori con la Cassandra Mari, la futura eroina della reazione toscana del 1799· Era figlia di un ricco macellaio di Montevarchi, detto il f ini, e sposò Lorenzo Mari d’Arezzo, al quale Azzo Giacinto ottenne da Ferdinando III (3) il grado di capitano de’ dragoni. Il cav. Augusto Guglielmo Windham, già ministro del Re d’Inghilterra alla Corte granducale, strinse anch’ esso relazione con lei, e, superando il Malaspina per galanteria e splendidezza, fu il prediletto, con rabbia dell’ingelosito Marchese, il quale a’ (1) Giammaria Belmonte Stivivi di Rimini, ministro della Repubblica Cisalpina presso la Corte granducale di Toscana. (2) Soggiungeva però : « Vi sarebbe una proposizione da farsi, che sarebbe quella di liberare dalle prigioni politiche-ingiustissime il nostro detenuto [Alessandro Malaspina], anche con perpetuo esigilo, e farlo nominare alla commissione di Costantinopoli, dove le di lui cognizioni pratiche sul sistema delle Indie e dell’Asia potrebbero giovare moltissimo alla stessa Nazione Francese». (3) Molto era nelle grazie di questo nuovo Granduca di Toscana, che il 22 giugno del 1791 lo nominò suo ciambellano. ι6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Bagni di Pisa ebbe con la Mari un alterco, e l’amore si convertì da entrambe le parti in odio violento. Seguita la sconfitta della Trebbia, saltò ad Azzo Giacinto il capriccio d’andare a Firenze. Dalla gradinata del palazzo Strozzi vide l’ingresso delle torme reazionarie degli insorti Aretini, con alla testa la Mari, a cavallo, che teneva in mano sguainata la sciabola e aveva al fianco, da un lato il Windham, dall'altro un giovane e grasso frate zoccolante di Monte S. Savino. Adocchiò essa il tradito amante, e fissato che Γ ebbe con fierezza sdegnosa, susurrò all'orecchio dell’inglese alcune parole. La notte la sbirraglia accerchia la villa del Marchese, ne perquisisce le carte e insieme col cameriere lo trae in carcere, urlandogli sulla faccia: « vieni con noi giacobin fottuto >. Ebbe per compagno nella segreta Γ ex vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci. Il cameriere, che si chiamava Vincenzo Bianchi ed era pistoiese, in un’altra segreta godè la compagnia di due ladri e d'un prete giacobino. Il primo a essere interrogato fu il Bianchi. Gli domandarono se mangiavan di grasso ne’ giorni di magro e se sentivan la messa le feste. Lo misero in libertà, esiliandolo a dieci miglia di Firenze. Anche Azzo Giacinto uscì di segreta, avendo prestata mallevadoria per lui il fratello Luigi. Chiese e ottenne d’ aver con sè il cameriere; e invece di lasciar subito Firenze, come costui, presago di mali vicini e maggiori, lo consigliava, volle restarvi, per non dare noie e impacci al fratello. Finì con 1’ acconsentire alla fuga. Mentre la stavano tramando, ecco, di notte, un ufiziale a intimargli l’arresto. Gli chiese: « Come si può far prigioniero in Toscana un ciambellano dell’imperatore? » — « É quegli appunto che si cerca », fu la risposta. Venne chiuso nella Fortezza da Basso, e il Bianchi ebbe licenza di visitarlo, presenti le guardie (i). Gli austriaci il 2 decembre del ’99, a sue spese, lo trasportarono a Mantova in una carrozza, che egli stesso pigliò a nolo dai Fenzi (2). Nel luglio (1) ÜGGERI E. Biografia inedita di Azzo Giacinto Malaspina Marchese di Mulazzo; nel Giornale Ligustico, anno XXII [1897]; pp· 182-191. 21) Il 20 decembre del 1799, nelle prigioni di Mantova, revocò, con atto rogato dal notaio Basilio Sproni, il mandato di procura al fratello Luigi, fatto nelle prigioni di Firenze il 28 ottobre del medesimo anno, e conferì questo mandato, con le più ampie facoltà, al marchese Azzolino Malaspina di Fosdinovo e all’ avv. Francesco Antonio Raffaelli di Bagnone. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 17 del 1800 fu condotto a Verona, e di là a Venezia. Dall’isoletta di S. Giorgio, il 5 settembre, scriveva a Don Carlo Martini di Massa: « Totalmente dimenticato da un fratello al quale ho fatto tanto bene e che ha tutto il mio nelle mani ; nulla più sapendo del mio cameriere Vincenzo, che rimandai da Mantova fin dal 17 aprile con la massima parte del mio equipaggio e con del denaro per coadiuvare ai miei affari ed a quelli del povero Alessandro, mio altro fratello di Spagna, figuratevi la mia situazione fisica e morale... . Aspettai inutilmente Vincenzo, con denaro, o senza, fino al 20 luglio, epoca in cui mi fu intimato dal comando militare di dover partire a tutte mie spese fra poche ore per Verona. Essendo arretrato di tre mesi d’assegno ed avendo data quella poca scorta che avevo a Vincenzo per far fronte ai diversi affari addossatili, figuratevi come questo nuovo colpo mi afflisse. Pure convenne lasciare a Mantova la carrozza, abbandonata in un’osteria per causa di Vincenzo, ed altre mobiglie, e andarmene a Verona, e dopo tre giorni, sempre a mie spese e quasi senza equipaggio, venirmene qui, dove sono stato messo in un quartiere di soldati, con sentinella, mancando di servizio e di tutto. Sia fatta la volontà di Dio; non perciò avrò riparo, nè morrò meno innocente.....Io sperava, ogni momento, o in forza della mia riconosciuta innocenza, o del trattato di Alessandria, di ricuperare la libertà e venirmene di volo a seppellirmi, come faceva prima, fra i miei libri e il mio orto e rivedere lo stato delle cose mie domestiche, di cui nemmeno il cav. Luigi si degna darmi la menoma cognizione; ma, lo dico con dolore, comincio a dubitare del mio ulteriore destino, e pur troppo se all’apparire del freddo il mese venturo non sono libero, temo che non ci vedremo più se non nella valle di Giosaffatte, sentendo la mia stanca salute che deteriora ad ogni istante..... Io sono persuaso che se il cav. Luigi si fosse portato a Firenze presso il generai Sommariva ed avesse fatto quei passi che doveva per la mia libertà, a quest’ora sarei libero, o almeno saprei perchè sono in ferri e chi mi ci tiene dal 12 ottobre [1799] in qua; cosa che ignoro affatto. Se non vi è luogo per ora alla mia liberazione, fate almeno in modo o che Vincenzo, con gli opportuni passaporti e con tutti i fogli che gli consegnai, con poca roba da vestirmi, non avendo più nè biancheria, nè abiti, nè vedendo più denaro dalle mie en- Giorn. Sì. e Lett. della /1 g uria 2 l8 GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA trate di Mulazzo, si porti qui, coll’ annuenza del cav. Luigi, alla fine del presente mese; e se le circostanze impedissero lui, procurate che venga qualche altro; ma qualunque egli sia, con viene che passi di Firenze e si procuri per questo comando militare un indirizzo dal generai Sommariva. Vi avverto che l’agente Casini, nel mandarmi centoventi zecchini (l), mi scrisse che non aveva denari di mio nelle mani, e che poi aveva ordine senza Γ annuenza del cav. Luigi di non pagarmi un soldo. A chi devo dunque ricorrere? Vedete la mia orribile situazione. Iddio vuol così. Raccomandatemi al Signore ; fate che codeste Religiose (2) facciano altrettanto. Non mi abbandonate anche voi ». Luigi, il fratello, uomo venale e di cuore cattivo, che ha nelle mani le sostanze tutte d’Azzo Giacinto, pensa a godersele; Vincenzo, il cameriere, piglia moglie, mette su casa, apre una bottega a Massa, c senza potersi congetturare da dove avesse tratto tutto questo denaro » (3). Intanto il disgraziatissimo Marchese di Mulazzo, abbandonato da tutti, trova finalmente riposo nella sepoltura Vuole il Litta, « che colla rottura d’un'inferriata, tentasse la fuga e annegasse nella laguna » (4); altri che « morisse sotto il bastone d’un aguzzino ». Nè mancò chi affermasse averlo vedut ) nel 1814 gravemente infermo in uno spedale dèlia bassa Germania 15), « estratto poco innanzi », appunto per quella infermità, « da una profonda prigione » (6). i Gli ·Ί>νκϊ ai primi d* agosto, col mezzo ilei generale Sommariva. i2 I.e monache del convento delle Grazie, presso la sua villa a Massa, appartenenti alla Regola di S. Francesco di Sales. ì 3 Lettera del marchese Alessandro Malaspina, fratello di Azzo Giacimi.. all’auditore Gioacchino Grossi, scritta da Massa il 7 giugno 1803. 4) Litta P. Famiglia Malaspina ; tav. Vili. (5) Sforza Gio. Contributo alla biografia di Azzo Giacinto Malaspina Mnn h, \f,l1 Mutano; nel Giornale ligustico, ami. XXII [1897], pp. 171-182. (6) Vincenzo Bianchi, camerieri di Azzo Giacinto, l’j aprile 1801, scriveva al marchese Alessandro Malaspina: « Mi dispiace al sommo d’averli cagionato disturbo per tre notizie datoli del suo fratello Giacinto, ma come far di meno? Vorrei poter consolarlo, ma mi si rende ogni dì più difficile ad onta ancora delle più minute ricerche. Un amico suo e compagno di disgrazia ritornò sono pochi giorni dalla bassa Ungheria, ove tutti questi disgraziati frano stali tradotti, ed avendoli io scritto per sapere qualche no- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA •9 Nessuno di tutti questi racconti ha ombra di vero. NeU’ÆY vu nommé avec Arena et Pompei à la nouvelle législature. Si ses ennemis ne l’entravent pas, il pourra faire beaucoup de bien à l'Italie, puisqu’ il a plus d’energie et de conséquence dans son caractère, que dans celui de bien d’autres. Si je ne me trouve pas ( I ) Il Dipartimento di Luni aveva Massa per capoluogo, e si spartiva in due Cantoni : quello di Massa e quello di Carrara. Il Cantone di Massa, oltre Massa « con i suoi borghi e cure », si componeva de' villaggi del Mirteto, di Castagnola, -li Pariana, di Altagnana, dell'Antona, di Lavacchio, di Bergiola e del Forno. Il Cantone di Carrara, la qual città era la « residenza de’ tribunali », si componeva di Carrara, Avenza, Gragnana, Colonnata, Moneta, Sorgnano, Torano, Miseglia, Codena, Castel|w>ggio, Bedizzano e Fontia. Cfr. Tabella dei Dipartimenti e Cantoni prmn'isionati, con le laro sezioni, o siano parrocchie, del territorio della Repubblica Cispadana, In Modena, per gli eredi Soliani, [1797]; pp. 3-4. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA engagé pour demain à tâcher de reunir les esprits de nos égoïstes pour fixer un chef-lieu au nouveau département, que les fiefs se proposent de demander, je serai volé chez toi pour voir Saliceti, à qui je dois toute ma reconnaisance. J’ espere qu' il s’arrêtera jusqu’ à mardi le soir et qu’ en arrivant chez toi le matin vers trois heures j’ aurai le bien de le revoir. En tout cas souhaite-lui tout le bonheur qu’ il mérite, et si sur la route de Pise à Lerici il voulait bien s’arrêter un moment ici chez mon cousin, bon et loyal républicain, qu’ il vit a Tortone, ce serait un véritable bonheur pour lui. Il trouvera à son passage per Massa ses prières. Sarzana, 16 settembre. Calani n’est pas arrivé (i), retenu à Genes par les événements; il m’avait proposé d’aller avec mes amis l’attendre à sa charmante campagne du golphe; mais je profiterai de son éloignement pour faire quelque autre course dans ces montagnes. Mulazzo. 23 settembre. Après avoir reçues à Sarzane les deux lettres du 18 et 20 courant, j ’en suis parti sans voir Calani, qui n’ était pas encore arrivé de Gênes. Me voila, mon cher Greppi, dans la plus per-faite solitude, tâchant de mettre la dernière main à un arrangement de finance avec cette Municipalité, qui se trouve avec le reste du peuple dans le plus malheureux état d’anarchie et de désorganisation. Les intrigants, soit royalistes, qui sont les plus forts, soit terroristes, qui sont le plus adroits, se partagent déjà d’avance la proie du possesseur. Ainsi, mon cher Greppi, imagine-toi quel est mon état. Malgré tout cela, ferme dans mes principes, je parcourerai toujours au péril de ma vie et de ma fortune, le chemin de la véritable liberté, et je ne serai pas, ni la première, ni la dernière victime du dévouement à la cause de l'humanité.. .. Je suis toujours dans l’espoir à la mi-octobre d’avoir arrangé bien ou mal mes affaires et de pouvoir demé-neger à la sourdine. Je ne suis pas encore décidé dans quel angle de la terre je passerai mon hiver, mais il y a toute probabilité que ce sera à Massa, si je peux obtenir une petite maisonnette de campagne y attenante où il y aura pour loger deux au trois amis en anachorètes. (i) Il marchese Agostino Caiani di Sarzana. 36 GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA Mulazzo, 26 settembre. Nous avons un temps de loups. Je suis ici comme une anachorète, seul, au milieu du desordre et de 1’ anarchie. Mulazzo, 30 settembre. Tu m’ as rendu à la vie, mon cher Greppi, m’ envoyant les nouvelles de notre malheureux ami (1), à qui je réponds à la leste dans le ci-joint griffonage, que tu pourras enfermer à l’adresse que tu croiras. Comme je m’imagine que, n ayant plus Ferrand (2), tu n’auras plus tenu copie de la lettre, je te la remets en original pour pouvoir la lire à Γ ami Belleville, qui se charge de la correspondance et te regler dans les démarches auprès de B. et de S. (3) Voila, selon moi, le moment de battre 1’ enclume. La Cisalpine a besoin d’un homme de mer. Le général Bonaparte ne doit pas perdre cette occasion en devenant le libérateur des opprimés; s’il est possible d’augmenter quelque chose à sa gloire, de délivrer aussi un homme dans son genre aussi celebre que La Fayette. Si Ioseph B. (4) voulait bien m'envoyer pour moi des lettres pour son frère au sujet, je ne difficulterai pas per la voie de Parme de passer vers la fin d’octobre à Udine ou ailleurs. Je laisse à toi de diriger l’idée et de prendre en conséquence tes mesures, même si tu le crois en communiquant à M. qui doit être flatté de voir son nom et qui peut me procurer un passeport français, si le Ministre Cisalpine n’ est pas venu et reconnu. Je suis en traité d’un hermitage au golphe. Mulazzo, 7 ottobre. Je suis d’accord avec toi par rapport à la démarche préliminaire à faire auprès d’Azara pour appuyer la demande du Général en chef. La circostance que tu me marques des noces semi-royales vient fort à propos; ainsi il ne faut pas que notre malheureux ami s’ endorme, et comme il faut espérer que par l’entremise de l’ami Belleville la lettre lui parviendra même et vite, il faut que de ton côté tu avertisses des démarches Saliceti, pour que dans le même temps il tâche de faire entrer dans nos vues La Revèilliere, qui peut ordonner à Talleyrand, ou h son successeur, d’en écrire soit au Général en chef, (1) Alessandro, suo fratello. (2) Era un francese mezzo emigrato e mezzo impiegato al servizio del-Γ esercito. Dopo aver fatto un poco il giornalista a Roma, il Greppi lo prese come suo segretario. (3) Il generale in capo Bonaparte e Antonio Cristoforo Saliceti, commissario del Direttorio presso 1’ armata d’ Italia. (4) Giuseppe Bonaparte. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 37 comme d un Cisalpin, soit directement au Prince (i). Toutes ces démarches, grâce à ton activité, à tes moyens et à ton amitié, peuvent nous donner quelque resultat sûr dans un mois d ici, époque que j’ avrais fixé pour présenter moi-même mes instances au Général en chef, tâchant de mettre quelqu ’un du Directoire Cisalpin dans mes intérêts pour la gloire et l’avantage de la nouvelle République. Te voilà mon plan i peu près développé. .. Si le temps sera moins affreux je me propose, tout en chassant et en bon piéton démocrate de traverser les hautes montagnes qui me séparent de la mer et aller visiter un her-mitage que l’on me proposé au golphe, auprès de la charmante campagne de Calani. Bagnolo del Golfo della Spezia, io ottobre. Certo Petracchi, a me ben noto e forse a te per le sorelle romane, stato a Genova in casa di.... (2), che non ha gli anni di domicilio stabilito dalla Cisalpina ai forastieri, mi scrivono nominato da questa a Genova per Ministro. Dunque Genova sarebbe decisa? Indovinalo. Mulazzo, 14 ottobre. Je suis de retour ici depuis hier, J’attendrai dans son temps le résultat de tes démarches amicales en faveur de notre ami, et si les lettres de recommandation pouvaient m’ être remises au plus tard vers la moitié de novembre, et m’en procurant pour Faypoult à Gênes et pour les membres du Diréctoire à Milan, aussi bien que pour les Ministres des affaires étrangères, de la guerre et des finances, je m’ embarquerai pour Gênes et, passant de là à Milan, je me rendrai au quartier général, si les evenements ne le reculent, 011 ne le rapprochent trop. Prends donc là-dessus tes mesures. Mulazzo, 11 novembre. Je plie armes et bagages pour m’ aller établir pendant quelques mois à Sarzane dans un très petit logement que pour (1) Il Principe della Pace. (2) C’è una parola illeggibile. Angelo Petracchi nel 1798 fu mandato alla Corte di Firenze a rappresentare la Repubblica Cisalpina. Le sorelle di lui son ricordate dall’ abate Luca Antonio Benedetti nel suo Diario, tra « le pedine » che, « in mancanza di dame », intervennero al ballo in casa Colizzi, insieme con « la solita Chiaveri, le Corona, le Fornati, la Bensì, la Bischi, la Lepri e le Tarnassi ». Cfr. SlLVAGNI, La Coite e la società romana nei secoli XVIII c XIX; I, 506 e seg. 38 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA surcroît d’embarras, je dois méubler. Je compte d’y être jeudi 16, et, après un jour ou deux, je passerai à Massa, pour tâcher de faire entendre raison à la centrale, qui s’ est arrogé le pouvoir judiciaire dans toutes les chicanes que les Municipalités encouragées sous main donnent aux ex-féodataires, même sur leurs propriétés. Si la chose ne tourne pas au mieux je serais oblige de faire une course à Milan, mais en tout cas tu en seras prevenu de Massa.... Ne parlons plus d’événements politiques: toute le prévoyance, les calculs et les principes de morale et de bon sens se trouvent en défaut. Sarzana, 17 novembre. Sono qui da ieri sera fra i fagotti in una pessima casa, che manca assolutamente di tutto, ma che pure è la sola che Caiani mi ha saputo trovare. Mando Vincenzo (1) a Pisa per caricarmi una barocciata di cose più necessarie per accomodarmi alla meglio fino a che l’orizzonte sìa più sereno, che non pare voglia esserlo così presto da tutte le apparenze. Amico mio, non cerchiamo di togliere maggiormente il velo del quadro di orrori, di immoralità e d’impolitica, che ci mostra in questo momento la povera Italia. Chi verrà dopo potrà meglio di noi far giustizia degli uomini che ora sono i più forti..... Abbiamo nel centro dei nostri sconvolti paesi un nuovo organizzatore. Dimmi se conosci un certo Nicolli, commissario di finanza venuto a Massa, milanese ; e un Mariani, cremonese, pure venuto commissario di polizia. Tutti questi.... (2) approfittano della ignoranza popolare e seguono l’impulso che ricevono dagli intriganti, per tormentare i patriotti. Addio. Abbraccio Casti (3); a te dico: salute, fratellanza, amicizia. Sarzana, 18 frimale anno 6.0 [9 decetnbre]. Non risposi alla tua, scritta per altra mano, perchè la ricevetti nell’ istante che mi rendevo a Massa, dove mi richiama ad ogni istante la necessità di difendere le proprietà contro gli attacchi non interrotti degli-intriganti e degli anarchisti. Voglia il cielo che il poter legislativo si occupi di preferenza nel richiamare i diversi poteri istallati all’ ordine ed ai principii costituzionali; ma giova egli sperarlo leggendo le prime sedute del corpo (1) Vincenzo Bianchi di Pistoia, suo cameriere. (2) Parola illeggibile. (3) Il famoso poeta Giambattista Casti di iMontefiascone, che morì d’ot-tantadue anni nel 1803. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 39 legislativo? Munck (i) ti saluta e ti ringrazia di quanto ti sei dato la pena di operare per lui. Egli ha comperata una bella (1) Il conte Adolfo Federico Munck, esule svedese, da qualche anno aveva presa stabile dimora a Massa ; e appunto da Massa, il 24 gennaio del 1797» scriveva a Gustavo IV, Re di Svezia: « Je suis suédois, et, sans montrer un fol orgueil, je puis dire che que je porte un nom connu en Europe. Un homme qui a été revetu de la dignité de Président en Suède et que Gustave III, de glorieuse mémoire, avoit décoré de ses ordres, n’ est pas un personnage vulgaire ; et les bienfaits que ce monarque avoit repandus sur moi sor.t une preuve honorable de mes services. L’ epoque de sa mort fut celle de mes malheurs ; et dépuis lors jusqu’ à ce jour proscrit sans être condamné, réputé coupable quoique innocent, malgré mes vives instances et au mépris, même de nos loix ne pouvant être admis à me justifier, j’ ai traîné dans 1' éxil une vie obscure et infortunée, mais sans tâche. Sans qu’ un jugement légal ait constaté le crime dont mes énnemis m’ accusent, j’ ai dû céder à 1’ autorité qui me menaçoit, et abbandonner la Suède en 1792, muni cépandant des passeports du gouvernement et de la police. Des promesses flatteuses qui n’ ont jamais été effectuées devoient adoucir mon sort dans les pays étrangers. Mais quelle a dû etre ma douleur, Sire, quand j’ ai appris que deux ans après mon départ, sans qu’ on daignat 111’ ajourner, sans qu’ on consentit à mé entendre on prononçoit arbitrairement ma mort civile en rayant mon nom de la liste des chavaliers du Séraphin ! Un pareil acte de diffamation ne pouvoit s’ executer qu’ en vertu d’un jugement rendu en conformité de nos loix ; et ce jugement n’ a pas eu lieu. Des lors, Sire, j’ ai fait entendre mes plaintes et je n’ ai cessé de demander à comparoitre en personne devant mes juges naturels, pour être condamné si je suis coupable, et absous si je suis innocent , c est ce que je n ai jamais pu obtenir. On me fit en reponse des propositions pecuniaries qui pouvoient faiblement me dedomager de la perte que j ai faite de tous mes biens, mais à des conditions humiliantes, que mon honneur dut rejetter ». A propria difesa stampò a Massa, co’ torchi de’ Frediani, in quello stesso anno 1797, tre opuscoli: Réclamations du comte Munck; in-8, di pp. XXII — Au Roy de Suede; in-8, di pp. IV _ Suite de la Correspondance du Comte AÎunck avec Al J Lagersverd chargé d'affaires de S. M. le Roy de Suede en Italie; in-8, di p‘p 30 A p 20 di quest’ultimo opuscolo si legge: « M.r Lagersverd ayant reça ordre du Regent de me proposer une pension annuelle et viagere de mille sequins et la somme, une fois payée, de de mille sequins, si je consentais à un acco-modement avant 1’ époque prochaine de la majorité du Roy ; voici la reponse par écrit que je lui donnai à Gênes [29 octobre 1796], ou je m’étais rendu d’après une invitation indirecte qu’ il me fit faire ». Segue la dichiarazione seguente : « Je soussigné souscris de nouveau aux propositions, que j’ ai adressées par écrit à son excellence le Baron de Reuterholm le 24 janvier 1796 avec la clausole que mon nom sera remis sur la liste des chevaliers du Séraphin d’ou il a été rayé au mépris de toutes les loix en 1794. Je demande en outre le remboursement de 1400 sequins que j’ ai dépenses pour faire imprimer 1’ histoire de 1’ odiense persécution que j’ ai essuyée, plus une compensation de 100 sequins que je déboursai lorsque je quittai mon établissement à Pise. Avant toute chose, je préféré d’obtenir ìa permission de retourner en Suede, mais non comme un prisonnier ; que là 011 y instruise, en conformité de nos loix, mon procès contre les véritables falsificateurs de la mou-nove Suédoise et Russe ; ainsi que contre ceux qui les ont protégés et les protègent encore; et pour donner de la solemnité à mon voyage, je desire « 40 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA villa per pochi soldi (i), ed io ero in grado di fare altrettanto, se la legge del Direttorio del 12 novembre non venisse a scomporre le idee filosofiche e tranquille di un povero Ex, con ordinare che dentro sei decadi tutti i cittadini assenti rientrino, sotto pena di confisca..... Ho avuto risposta e passaporto dal nostro Ministro; non so ancora decisamente se sarò obbligato a passare nel nuovo anno a Milano, giacché dagli agenti secondari nulla di buono può sperarsi.. . Le voci di un prossimo cambio fra Lucca e l'oltre Serchio con la Lunigiana toscana e il Pietrasantino si accreditano. In verità, la cosa così non può andare innanzi, nè per noi, nè per la Toscana, onde speriamo su di un vicino nuovo ordine di cose.... Oh che buon pesce si mangia qui a pochi soldi la libbra, ma poi manca la società, l’istruzione e cento altre cose necessarie per viver bene. qu’ on veuille publier dans nos papiers nationaux et dans les gazetes publiques, que le Comte Munck, président et chavalier des Ordres de S. M. le Roi de Suède, a été ajourné à comparoître, dans le terme de quatre mois, au Tribunal de Stockolm pour y être jugé ». A me non è riuscito di trovare VHistoire de V odieuse persécution, la cui stampa costò al Munck la bellezza di 1400 zecchini ; pubblicazione probabilmente da lui fatta a Pisa, dove passò il primo tempo dell’esilio. Nato il 28 aprile del 1749, entrò come paggio alla Corte di Svezia nel 1765. Dieci anni dopo ebbe il grado di luogotenente ne’ dragoni della guardia e nel 1776 quello di maggiore. Prefetto di Upsal nel 1778, e membro della Reggenza nel 1789, ottenne nel 1790 la croce dell’Ordine del Serafino. Fin dal 1778 era stato creato barone; conte fin dall’ 88. Perdette tutte le cariche e venne cacciato in esilio nel 1792, sotto l’accusa d’ aver emesso in circolazione de’ biglietti falsi. Fu un pretesto per sbarazzarsi di lui. Gabriello Anrep nelle sue Tables ge'nêalogiques afferma : « Est réputé avoir été marié en secret avec la Reine Sophie Magdalene et être pére de Gustav Adolphe IV ». Corre voce che come aiutante del Re spingesse i suoi servigi fino a rimaner terzo nella camera nuziale per eccitare Gustavo III a congiungersi con la moglie Sofia Maddalena ; molti, peraltro, pretendono che il figlio nato finalmente (il futuro Re Gustavo Adolfo IV) fosse dovuto più che ai suoi insegnamenti alla sua opera personale. Morì a Massa il 18 luglio 1831. (1) La villa de’ Cibo, presso Massa, nella località chiamata Sopra la Rocca. La Camera Ducale 1’ aveva prima data in affitto al colonnello Antonio Wisard e dopo la sua morte ai fratelli Domenico e Carlo Giosuè Marchelli per 1’ annua somma di quarantadue zecchini gigliati. Il conte Munck la comprò, insieme col diretto dominio di 199 staia e tre quare di grano e di sei paia polli ; e la compra venne poi ratificata dall’Haller, Amministratore delle contribuzioni e finanze della Repubblica Francese in Italia, non che dal generale in capo Bonaparte, il 16 novembre 1797; e il Permon, Agente delle contribuzioni e finanze in Massa, il 25 del mese stesso gliene dette il possesso. Venne poi messa all’ asta e fattane la vendita giudiziaria da’ creditori ipotecari del Munck ne' giorni 7, 13 e 20 gennaio 1829 « per il prezzo di stima in francesconi quindicimila quattrocento uno e crazie sei, pari a massesi lire dugento trentamila sedici, soldi due e denari otto, da pagarsi a.pronto contante ». Cfr. Supplemento alla Gazzetta di Firenze, 11. 157, 30 decembre 1828. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4I Sarzana, 11 decembre. Si è parlato e si parla contradittoriamente sulle gazzette delPrincipe della Pace. I nuovi ministri sono opera di questo nume, che vuol così rendersi più assoluto e meno responsabile, o lo sono di un partito potente, che lo vuole rovesciare? Tu mi annunci che il nostro disgraziato amico deve sperare da questa mutazione. Ti prego parlarmi più chiaro per mia norma; mentre, caduto il colosso, io sono sempre disposto alla primavera di passare in Ispagna. Ti prevengo altresì che Gallo (i), passando da Bologna, mi ha fatto dire che aveva ricevuta la lettera del nostro amico, e ohe in conseguenza aveva impegnato Γ Imperatore a di lui favore e aveva fatto incaricare il Ministro di Vienna a Madrid di domandarne la liberazione, facendo anche forti uffici con l’Am-basciatore di Spagna a Vienna. Io non amo questo giro che potrebbe incrociarsi con quello di Bonaparte e di Manfredini, che mi scrivi averne resi intesi. Ti ringrazio del passaporto domandato per Fosdinovo. Se le cose nostre ex feudali non migliorano, prevedo che alla metà del venturo sarò forzato di andare a Milano, ma o verrò prima a vederti, o ti ecciterò a fare con Casti una rapida corsa dall’ amico Munck per intenderci. Sarzana, 24 decembre. La tua amicizia è instancabile e non ne abbisognavo di ulteriori prove, che pure vuoi darmi nella grata tua dei 22. Sul dubbio che non avesti ritenuto copia della lettera del navigatore [Alessandro Malaspina], io te la rimandai con la mia risposta, per mezzo di Azzolino di Fosdinovo (2). Non ci stanchiamo di travagliare per un infelice; e ti rimando la lettera con la memoria da mandare in Spagna e quel di più che la tua esperienza e i tuoi talenti sapranno suggerire per il migliore esito dell’ affare. ( i 1 Ambasciatore del Re di Napoli. (2) Azzolino Malaspina, nato a Lucca il 26 luglio 1755, morto a Fo-sdinovo il 26 giugno 1720. Era fratello di Carlo Emanuele, l’ex feudatario di Fosdinovo. 42 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA III. Documenti riguardanti l’abolizione de’Feudi imperiali della Lunigiana. N.0 i. La Municipalità di Massa agli abitanti de’ così detti Feudi Imperiali esistenti nella Lun'giana. Il Generale in capo della valorosa Armata d’Italia, l’eroe Bonaparte, dopo aver uniti alla Repubblica Cispadana i Popoli di Massa e C arrara, perchè corressero con essa il destino grande a cui è chiamata, ha voluto unirvi ancora gli abitanti de’ così detti Feudi Imperiali esistenti nella Lunigiana, i quali da questo momento formano parte integrante del suo territorio. La nostra Repubblica, fondata su i principii della giustizia eterna, su i principii della Libertà e della Eguaglianza, non riconosce giurisdizione feudale direttamente opposta ai diritti imprescrittibili del- 1 uomo. Quindi il Congresso Cispadano abolisce i nominati Feudi Imperiali e dichiara perfettamente libere le popolazioni dianzi soggette a questo assurdo Governo, confermando provvisoriamente le autorità costituite delle Municipalità, de’corpi amministrativi e del potere giudiziario. Finché poi venga accettata la Costituzione proporrassi alla sanzione del popolo, e siansi organizzati il Corpo legislativo e il Potere esecutivo, il Congresso ha stabilito che le popolazioni per gli affari governativi si debbano dirigere alla nostra Municipalità come capoluogo del Dipartimento di Luni, la quale insieme con la Municipalità di Carrara si darà tutta la sollecitudine onde provvedere, per quanto è in lei, ai bisogni urgenti degli abitanti del paese; farà loro amministrare esatta giustizia e renderà ad essi comuni in seconda istanza e nelle così dette cause privilegiate indistintamente i Tribunali di Massa e di Carrara. I cittadini Marchetti e Vacca, Deputati carraresi, sono autorizzati dal Congresso ad organizzare le Municipalità sopra luogo, dove occorra. Popoli della Lunigiana! Noi ci rallegriamo di poter dividere con voi la felicità che la generosa Nazione Francese ci prepara per mezzo del prode Conquistatore d’Italia. Ne’ pochi giorni che rimangono all’ accettazione dell’ atto costituzionale noi prenderemo in nome del Congresso tutte le misure perchè nessuno ardisca turbare tra voi l’ordine e la tranquillità, perchè siano rispettate le persone, le proprietà, i costumi, la Religione. G. D. Prugnoli Presidente. B. Borghini Segretario. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA N.0 2. Libertà Fraternità Eguaglianza Ai Popoli degli addietro Feudi della Lunigiana in Val di Magra. La Municipalità di Massa non ha, se non con il più vivo sentimento di gioia, ricevuto l’atto pronto, franco e spontaneo della vostra unione alla Repubblica Cispadana. Considerandovi quindi per una porzione ben cara della grande famiglia, come parte integrante del Dipartimento di Luni, si affretta essa ad inviare nel vostro seno de’ suoi cittadini incaricati di fraternizzare con voi e di presentarvi quel Piano Costituzionale che solo è capace di fissar 1’ epoca avventurosa della vostra rigenerazione. Bravi abitatori delle montagne! Un barbaro sistema di governo, una macchina mostruosa di finanze furono sin qui i ferrei cardini che vi assicurarono l’infelicità e l’oppressione; ma il termine del dispotismo era marcato nei Cieli ed era destinato che il Genio della Libertà dovesse un giorno succedergli. Or questo giorno è per voi pure arrivato: l’ora della vostra libertà è ormai suonata..... Affrettativi dunque a sanzionare una Costituzione che fondata sulle basi inconcusse della Libertà e dell’Eguaglianza proteggerà inviolabilmente i vostri diritti (i). Eccovi intanto quella ( i ) In un proclama del Congresso Cispadano ai Popoli della Repubblica, in data del i. marzo 1797, si legge: « due importanti oggetti per i quali destinaste i vostri rappresentanti, Popoli Cispadani, sono interamente soddisfatti. La unità e indivisibilità della vostra Repubblica fu stabilita in Reggio; il piano di vostra Costituzione è terminato in Modena. Cessa quindi il fine dei nostri mandati, e perciò il Congresso dichiara sciolte le sue sedute. Prima però che noi ci disuniamo, a dover nost*o massimo ascriviamo il notificarvi che la Costituzione medesima si è da noi inviata ai respettivi Governi Provvisori nella Repubblica, unita ad altro proclama, col quale saranno i medesimi invitati a spiegare i mezzi più convenienti perchè i cittadini si adunino ed esercitino il libero e sacro diritto di approvare quella Costituzione, che deve formare la stabile loro felicità e dare alia Repubblica Cispadana politica immancabile consistenza. Questa Costituzione, impressa colle stampe, sarà ben presto di pubblico diritto ed ognuno di voi potrà maturamente considerarla. Intanto rendendosi necessario che quando i primari comizi avranno sopra il Piano proposto dato il voto, si possa colla maggiore esattezza e celerità sapere da tutti il resultato della pubblica opinione derivante dalla maggiorità dei suffragi, il Congresso ha destinato un Comitato di verificazione, composto di sedici cittadini, i quali si aduneranno in Bologna ed ivi riceveranno i processi verbali delle respettive sezioni o parrocchie nelle quali si saranno tenuti i Comizi primari. Sono essi i cittadini Bertolani, Cassiani, Duri, Gavazzi, Guerra, Isacchi, Isolani, Lamberti, Mancurti, Medici, Montanari, Paradisi, Re, Sacchetti, Salina, Sarti. Avutosi dai medesimi il totale delle operazioni seguite e fattane la 44 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA norma prescritta dal Congresso per formare in ogni parrocchia degli Stati il rispettivo registro civico, ossia nota dei cittadini che avranno diritto di votare nei comizi primari intorno all’accettazione dell’atto costituzionale. I. Ogni uomo, nato e domiciliato negli Stati, il quale attualmente dimori nella parrocchia e che abbia compito l'età di anni venti. II. Ogni uomo ancora il quale sia nato accidentalmente fuori degli Stati, ma che abbia gli altri sovra esposti requisiti. III. Ogni straniero che già sia stato legalmente ammesso alla cittadinanza, voglia continuare a dimorare negli Stati ed abbia gli altri sovra espressi requisiti; purché questi indicati nei numeri I, II, III non siano : I. Mendici e vagabondi. II. Interdetti giudizialmente per furore, demenza e imbecillità. III. Falliti dichiarati formalmente. IV. Posti in stato d’accusa, o condannati anche in contumacia per delitto che porti pena afflittiva o infamante. V. Addetti all’ altrui servizio personale con salario. VI. Consanguinei di qualche Principe fino al sesto grado civile o affini. VII. Naturalizzati in paese estero. VIII. Affigliati a qualche incorporazione straniera, che supponga nobiltà, o richiegga giuramento. IX. Professi in qualche Ordine religioso regolare. X. Pensionati da Governo estero. Si raccomanda l’esecuzione di questo registro con quella maggiore esattezza che permettono le angustie del tempo alla conosciuta diligenza di tutti i parrochi di questi Stati e al loro amore per la causa comune. Sono essi invitati ad aprirlo sollecitamente nelle rispettive loro parrocchie acciò possa essere prontamente terminato. G. D. Brugnoli Presidente. B. Borghini Segretario. più scrupolosa verificazione, si prenderanno essi Ja sollecitudine di rendere noto ai Popoli della Repubblica Cispadana la volontà generale e di fare tutt’ altro che alla più sollecita attivazione della Costituzione stessa possa convenire ». Il 17 di marzo la Municipalità di Massa invitava il popolo della città e della campagna a presentarsi la prossima domenica, che cadeva nel giorno 19, « a prestarsi allo scrutinio sulla accettazione della suddetta Costituzione ». La Municipalità di Carrara, alla propria volta, fece un uguale proclama. Il 26 di marzo il Comitato di verificazione annunziava ai Popoli Cispadani che la Costituzione era stata accettata « dalla grande maggiorità de’ cittadini ». GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 45 N.o 3. Armée D’italie Division PATRIE LIBERTE’, EGALITE’, FRATERNITE’ Au Quartier General de Massa le 14. Messidor Γ an cinquième de la Republique Française une et indivisible LE GENERAL DE DIVISION CHABOT Comandant a Modène, Reggio, Massa di Carrara et les Fiefs Impériaux y reunis Ayant été instruit qu’ il existe dans les susdits cydevant Fiefs plusieurs contestations sur les pétitions des Citoyens envers les cydevant Feudataires; Considerant que les dites contestations ne peuvent que troubler l’ordre public et allumer des haines particulières; et voulant regler avec justice les interets des deux parties, qui devant la Loi on les mêmes droits, pour établir dans ces contrées le regne de la Fraternité et de la Paix, qui doit caractériser un Gouvernement Républicain; Ordonne ce qui suit I. Tous les cydevant droits Feaudeaux, et ceux qu’y sont relatifs, sont et demeurent annules dans les cydevant Fiefs Impériaux, à compter du jour ou par ordre du General en Chef ils ont été reunis a la Republique Cispadane. II. En execution de l’article cy contre les cydevant Feudataires ne pourront plus exiger des habitans des dits Fiefs qu’ ils fassent moudre leurs grains, presser leurs olives, ec. dans les moulins a eux appartenans; les dits habitans étant libres de faire moudre et presser leurs denrées ou bon leur semblera. III. Les moulins â poudre appartenans aux dus Feudataires ne pourront être rétablis a moins d’une permission particulière du Gouvernement. IV. Tous les droits des Douanes, Patentes, et de Regale sont supprimés. V. La Justice devant être renduë par le Gouvernement aucun droit ne pourrà être perçu pour cet objet. VI. La Pêche et la Chasse est permise a chaqùn sur son territoire. VII. Tous les droits de garde personelle, tous ceux de cul- 46 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEI,I.A LIGURIA ture de terre, transport de denrées et autres de ce genre, des cydevant Seigneurs sont abolis. VIII. Enfin les Citoyens cydevant Feudataires ne pourront percevoir aucun de leurs anciens droits de quelqu’ espèce qu’ ils soient; le commerce et l’industrie des hommes devant etre sans bornes dans toute l’etendue de la Republique, et les impositions ne devant être payées qu’ aux Gouvernemens. IX. La suppression des droits que percevoient les cydevant Seigneurs des Fiefs ne doit nullement autorisèr les habitans des dites contrées à troubler dans la possession de leurs propriétés patrimoniales les cydevant Feudataires. Chaque Citoyen étant également protégé par la Loi, leurs terres, chateaux, usines, moulins et autres etablissemens â eux appartenans doivent être respectés comme ceux des autres particuliers, et ils pourront en disposer comme bon leur semblera. X. Tous ceux qui oseroient se permettre d’enfreindre le presént ordre seront arrêtés et traduits devant les Tribunaux comme perturbateurs du repos public, et ennemis du Gouvernement Républicain XI. Le prèsènt ordre serà lû, publié et affiché dans toute l'etendue des cydevant Fiefs sous la surveillance du Coman-dant Militaire de Massa di Carrara, qui serà chargé d’en maintenir l’execution. Il prendrà aussi tous les moyens qu' il croira convenable pour assurer 1' ordre public des dites contrées ou il protegerà tous les vrais amis du Gouvernement Républicain Le General de Division CHABOT Article àdditionel Le General de Division n’entend point priver les ex Feudataires par l’ordre cy dessus de la faculté d’adresser au no-veau Gouvernement leurs réclamations pour obtenir s’il est possible une indemnité proportionnée aux circonstances et à leur position. CHABOT (i). (i) Luigi - Francesco - Giovanni Chabot, nato il 26 aprile del 1757, fece le sue prime campagne negli eserciti del nord, e il 19 aprile del 1794 venne nominato generale di divisione. Con quel grado, nel 1796, passò all’armata d’ Italia. Ebbe il comando della prima divisione, che strinse Mantova d’ assedio, e sottoscrisse la capitolazione di quella fortezza il 2 febbraio del 1797. Per ordine del Bonaparte si condusse poi in Lunigiana. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 47 UNA CONTESA LETTERARIA SULLA MITOLOGIA Il padre Giuseppe Maria Salvi, somasco, di Novi, poeta lirico e tragico a’ suoi tempi in qualche rinomanza (i), fu tra i più valorosi campioni che nel secolo xvm combatterono 1’ uso delle favole mitologiche nella poesia; precursori della scuola romantica che nel secolo seguente portò
  • , proponeva di sostituire alla Mitologia, « che da tanti secoli offre a noi le stesse cose, e che per ciò dovrebbe essersi resa ornai stucchevole », la Storia, la quale « ne’ vari, e molteplici suoi eventi assai più erudisce, e diletta; agli Eroi favolosi di quella gli uomini illustri di questa; ai fatti iperbolici, ed ideali dell’una i fatti veri o verisimili dell’altra, » (pag. 22). « E a dir vero di qual esimio pregio non sarà mai 1’ ornamento di lode, che poetando per l’avvenire renderassi a Medici eccellenti, a magnanimi Guerrieri, a industri Artefici, a sublimi Poeti, a Prencipi saggi, a Femmine o scienziate o venuste, traendosi questa da paragoni di veri personaggi, che la passata età illustrarono.... piuttostochè dalla somiglianza cogli Dei, e Semidei dell’Antichità, Personaggi 0 del tutto aerei, oppure sconci, e travisati a capriccio o a noi presentati dalla Mitologia, adorni nel tempo stesso di belle doti, e deformi da orridi vizi? » (pag. 23). La Dissertazione del Salvi destò assai rumore fra gli accademici, e fra i letterati; ed ebbero ad occuparsene i giornali. Negli Avvisi (1787, n. 37, p. 290) comparve una lettera di Alessandro Tonso tortonese, autore delle Antichità dei Liguri, in lode ed a rincalzo della Dissertazione, e nel numero successivo dello stesso foglio un anonimo censurava la suddetta lettera come mancante « di stile e di raziocinio ». Le critiche fatte al nostro ribelle per la sua innovazione lo mossero a seguitar la polemica, e neH’aprile del 1797 egli mandò a Giorgio Viani, con preghiera di darla alle stampe, una Lettera ragionata in sequela della Dissertazione. In quella egli prendeva in esame le GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA critiche mosse al suo sistema, le quali a tre principali si potevano ridurre: che egli voleva cioè bandire affatto dalle scuole la Mitologia; che intendeva privare la Poesia della sua ricchezza e tesoro, che volendo sostituire il linguaggio storico al favoloso pretendeva una cosa malagevole troppo e difficile. La prima, rispondeva il Salvi ai critici, è contraddetta dalle parole istesse della Dissertazione, e dal fatto che egli stesso aveva esposto al pubblico componimenti mitologici. Per rispondere alla seconda censura, il Salvi instituiva da principio due lunghe disamine: intorno cioè alle fonti della Mitologia e all’abuso che di essa si è sempre fatto, per concludere con questa domanda: « Or questi favoleggiamenti....... dovran chiamarsi dovizioso ornamento della Poesia capace a renderla più pregevole, più vivace, e non piuttosto 1 obbrobrio d un’arte sì bella, e un pericoloso inciampo anche a dì nostri per l’innocente età, la quale in mezzo a tante favole succhia un mortale veleno valevole a corrompere il buon costume, e a promuovere il libertinaggio ? » Quanto alla terza critica: « Mancano forse libri storici », domandava il Salvi, * a somministrar fatti, tradizioni, avvenimenti, spettacoli, che abbiano del piacevole, e del brioso, dell’ammi-rabile, e del grande? Forse ne offre a noi maggior copia la Mitologia, che la Storia? Forse la Fantasia del Poeta nello storico resta cosi stretta al vero, che non possa spaziare nel verisimile? Oppur legata così al patetico, e al grave, che uscir non possa quando voglia coll’uso delle figure e dei tropi in un vivace entusiasmo? Forse gli argomenti storici isteriliscono così, o inceppano l’umano ingegno, che ogni lena egli perda per i poetici voli? ». « Donde deriva adunque la tanto decantata difficoltà? », si domandava concludendo il Salvi; e rispondeva: € non già dal dovere abbandonare un pugno di Dei; ma piuttosto in alcuni da un naturai controgenio ai mezzi un po’ più faticosi in vista de’ men difficili, e in altri da una mera apprensione. Ma tanto i primi, quanto i secondi debbon riflettere, che l’usar poetando il linguaggio istorico piuttosto che il mitologico, altro poi non è finalmente, che sostituire nomi veri a nomi finti, fatti storici a fatti favolosi con frasi, e concetti ad essi corrispondenti ». E chiudeva la lettera pregando il Viani di proteggere quel suo sistema, di promuoverne le ragioni; e insieme gli mandava uno Sciolto, in cui erano espressi quegli stessi suoi desideri. 52 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ma il Viani pare non si desse molta fretta nel mettere alle stampe la Lettera ragionata ; la quale nel settembre era sempre inedita quando comparve una Lettera, in risposta alla prima Dissertazione del Salvi, del cavaliere Gaspare Mollo, pure diretta a Giorgio Viani, che l’aveva esposta al suo giudizio. Intorno a Giorgio Viani e a Gaspare Mollo non occorre qui spendere molte parole. Il primo (nato alla Spezia nel 17Q2, morto in Pisa nel 1816) giovanissimo, aveva già dato prova del suo valore con la pubblicazione del Saggio poetico (i).e di Glicera (2); doveva poi abbandonare le Muse, per applicarsi a seri studi di erudizione, che gli avrebbero procacciato fama più salda e sicura se la sua vita non avesse avuto un fine così triste e immaturo (3). Gaspare Mollo, duca di Lusciano, cavaliere napoletano (1754-1823), notissimo a’ suoi tempi come poeta (1) Saggio poetico di Giorgio Viani fra gli Arcadi di Roma Ormeno Co-ricio, Londra [ina Finale], MD C C L X X X1111. [Fu stampato M DCC LX XXIII, ma poi fu aggiunto un I, che in alcune copie manca] in-8, di pp. 133. (2) Glicera, Berlino [ma Lucca] M.DCC.LXXXV, in-8 di pp. XLVil, [op. anonima]. (3) Fra le opere principali di storia e numismatica del Viani si citano : Memorie della famiglia Cybo e delle monete di Massa di Lunigiana set il te da G. V. socio di varie accademie e pubblicate in Pisa con le stampe di Ranieri Prosperi nell* anno i\I. I) C C C. Vili, in-4, di pp. 242 e XIII tav. [La stampa àç\V Appendice dei Diplomi ed altri monumenti citati nelle Memorie ecc. fu interrotta, per la morte dell’A., al foglio.y (pag. xlviij) e non fu mai divulgata] — Della Zecca e delle monete di Pistoia, lettela di G. λ . ecc., Pisa, co’ caratteri di Didot, MDCCCXIII, (Stamperia Rosinij, in-8, di pp. V-42, e II tav. (2.a ediz.). La prima volta fu stampata da Sebastiano Ciampi in appendice alle Notizie inedite della Sacrestia Pistoiese dei belli arr.edi, del Camposanto Pisano, e di altre opere di disegno dal sec. XII al XIV, Firenze, 1810, in-8. Per le notizie biografiche del Viani cfr: Sebastiano Ciampi, Notizie della vita letteraria e degli scritti numismatici di Giorgio Viani, con la risposta alle censure fatte dal sig. D.r Lodovico Costa all'operetta del medesimo sulla Zecca e le monete di Pistoia, con altre interessanti numismatiche illustrazioni, Firenze, Ciardetti e C., 1817, in-8 di pp. 65; ANGELO BertacCHI, Storia dell’Accademia Lucchese, P. I, in Memorie e documenti per servire alla Storia di Lucca, Tomo XIII, P. I, pp. cvil-cxxn. Ivi si può anche leggere in nota (pp. cvm-cxi) l’Elogio che del \^iani fece il Cav. Giulio Cordero dei Conti di Sanquintino all’adunanza del giorno 5 dicembre 1816 dell’ Accademia lucchése. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 53 improvvisatore e celebrato ne’ salotti della nobiltà, lasciò stampate molte poesie liriche e sacre, e alcune tragedie. Ma sì l’uno che l’altro legarono il loro nome a una satira delle tragedie alfieriane, la quale, quando comparve nel 1788 anonima e con la falsa data di Londra, menò subito grande rumore fra i nemici e gli ammiratori del tragico astigiano: voglio dire del Socrate, tragedia una, parodia immaginata in Genova, nei salotti della Marchesa Teresa Pallavicini nata Lomellini, dal Mollo e dal Viani insieme con Gaspare Sauli (1). Il Mollo adunque indirizzò al Viani una lettera sotto la data del 14 settembre 1787 (2), con la quale si proponeva di combattere il nuovo sistema propugnato dal Salvi, ergendosi a paladino di tutti gli Dei mitologici che di leggiadre Fantasie già fiorir le carte argive E le latine. L’autore del Sermone ebbe nel Mollo un precursore altrettanto appassionato. Egli cominciava la sua risposta cort una tinta marcata di ironia, che dovette indispettire il Salvi, principalmente perchè (1) Socrate di Vittorio Alfieri da Asti, tragedia una. Londra, per G. Hawkins at Milton ’s Head between thè Thwo Temple-Gates Fleet-street, 178S, in-8, di pp. LXI. Intorno al Socrate cfr.: Orazione del prof. Gio. Resini detta il dì ri nov. 1852 nell’ Aula. Magna dello Studio pisano, in Annali della Università toscana, P. I. T. 3., Pisa, Nistri, 1854, n. a pag. 58; Tragedie per ridere, in G. Mazzoni, In Biblioteca, Appunti, Roma, Sommaruga, 1883, pp. 68-73; Alfieri, Lettere inedite alla madre, a Mario Bianchi ecc., Firenze, Le Monnier, 1864, p. 208 e segg. — Confr. pure le biografie del Viani citate nella nota precedente. , 2 ) Lettera del Signor D. Gaspare Mollo de’ Duchi di Lasciano al Nobile Signore Giorgio Viani. In risposta alla Dissertazione del P. D. Giuseppe Maria Salvi So/nasco intitolata : La Fantasia del Poeta risorta dal suo avvilimento· s. n. t., in-8, di pp. XXXV. [In fine] : Si vendono in Genova presso Felice Repetto in Canneto. La lettera porta la data del 14 settembre 1787, e termina a pag. xvi ; seguono, da pp. xvii a fine alcuni Versi del medesimo autore, preceduti da un’avvertenza dello stampatore. I componimenti poetici sono i seguenti : Alla Pace, inno ; La morie di Virginia, sonetto ; Per la nascita dell’ Arciduca Carlo d’ Austria, sonetto ; 54 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mostrava nel critico assai poca intenzione di prendere sul serio il suo sistema : « Queste di lui proposizioni », son parole del Mollo, « le crederei dette per celia, se non vedessi che da senno da lui sono state al Pubblico manifestate con la stampa, e direi che non da uomo di rare doti e di dottrina fornito fossero dettate » (pag. iv). Poi, entrando in argomento, mostrava quali idee, quali sentimenti, quali virtù e quali vizi, quali leggi di natura fossero personificate o adombrate in ciascuno degli dei dell’ Olimpo, in ciascuno dei miti della pagana teogonia ; tal che il poeta adoperandoli nel comporre non fa un vano abuso di più vani nomi o similitudini; ma descrive « con imagini grandi e con idee chiare le verità morali e le naturali teorie » e mostra « più al vivo quelle nude verità morali, fisiche e metafisiche che oscure e noiose pel volgo sarebbero » (p. vii, vm). I nuovi concetti che il Salvi vuol introdurre nel poetare, non saranno mai atti, secondo il Mollo, a formare vera poesia: « ....queste idee dette in astratto non formeranno mai Poesia; ma bensì vari trattati di Morale, di Legislazione, di Nautica, di Astronomia, di Fisica, ecc. ». II poeta non è uno scienziato che dev’essere nel suo linguaggio semplice e conciso; « quindi avviene che dovendo [il poeta] rimuovere una nazione dagli odi domestici non userà le sole voci dell’Etica, ma dipingerà in un evento della più famosa antichità (qual sarebbe la morte di Eteocle, e di Polinice) gli effetti delle vendette fraterne sotto le mura di Tebe, e tutte le gravi disgrazie, l’ire e le guerriere contese personificate negli Dei, che a tal luogo sommamente convengono e che qual già dissi, equivalgono agli Enti che il P. Salvi vorrebbe sostituir loro, nei quali non rinverrà mai la grandezza che l’opinione di tanti secoli à accordata alle mitologiche divinità » (pag· xi). Credendo di aver distrutto in questo modo il vantaggio che il Salvi sperava di aver introdotto, il Mollo passava a dimostrare la insussistenza dell' altro argomento avversario, che cioè « seguitando il nostro secolo nelle scienze e nelle arti, la moda, Ad Amore, ode I; Palinodia, ode II; Versione dell’ Idilio 30 di Teocrito stilla morte di Adone ; Scherzo 'poetico, in occasione d’una mascherata eseguita in Napoli di Vecchie che volevano emulare le Giovani, canzone. L’opuscolo fu impresso con i torchi di Felice Repetto. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 55 debba perciò abolire le anticaglie mitologiche ». La moda ha il suo regno nelle cose disgiunte dalla natura ; ma qual novità si potrà mai introdurre nella descrizione del cuore umano che dai Greci e dai Latini non sia stata esposta ? « Qual personificazione che la Mitologia non rappresenti? Qual similitudine tratta dai naturali effetti delle produzioni immense della macchina Mondiale, che dai Greci, e dalla Mitologia non sia stata esaurita ? Ben prima che Ossian cantasse i suoi eroi e spiegasse il volo Poetico, le armi di Patroclo avevano eccitato lo sdegno di Achille; l’ombra di Ettore avea gridata vendetta ; la spada di Agamennone avea invitato Oreste allo sdegno: le piante parlato aveano ; le belve, e gli antri avean recato fatidiche risposte, e le bellezze de’ fiori, del mare, de’ ruscelli, della neve, e degli astri erano adoperate a paragonarsi alle Donne leggiadre che decantar si volevano » (pag. xii-xiii). « Ardisco dire », seguitava il Mollo trasportato dalla foga de’ suoi mitologici entusiasmi, « che la Mitologia è tale da anteporsi ad ogni altro qualunque sistema simbolico, e che sono pronto a dimostrarlo qualora vogliano oppugnarlo, avendo troppi argomenti da chiaramente farlo credere » (pag. xiv). E concludendo, toccava di Ossian che il Salvi avea tolto, come s’è visto, a modello: « Mai Ossian formerà un Poeta.... Ossian accanto ai Greci, ed ai Latini è qual fanciullo che voglia cimentarsi ai giuochi olimpici col più valoroso Atleta; ripetuto nelle sue immagini, duro e contorto nel dire, misero e limitato ne’ voli, altro non ne insegna, che la vendetta e la strage ». Questa lettera, pubblicata per le stampe, indispettì il Salvi; tanto più che il Viani non aveva messo in luce la Lettera ragionata mandatagli fin dall’aprile; la quale, spiegando meglio il suo sistema e rispondendo a certe critiche mossegli, avrebbe forse reso in qualche parte meno aspra ed ingiusta la censura del Mollo. Pare ne scrivesse al Viani, lagnandosi dell’ indugio : e ne abbia avuto in risposta l’assicurazione che la seconda Lettera avrebbe presto veduto la luce. A tale promessa si acquietò, e ai 25 di ottobre dell' anno stesso mandò al Viani un’ altra lettera, nella quale, riconfermando le ragioni addotte a sostegno del suo sistema, ribatteva alcune delle critiche mossegli 56 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dal Mollo, verso il quale protestava nel tempo stesso il più grande rispetto e la massima considerazione (i). Questa lettera, eh’ io mi sappia, non fu mai pubblicata dal Viani, nè era destinata dall’autore alla pubblicità ; in essa pregava 1' amico tutt’ al più di farla leggere agli amici, perchè comprendessero bene qual’era veramente il suo intendimento, e non si lasciassero trarre in inganno dalle critiche del Mollo, non basate sul vero. Stimo opportuno stampare ora per la prima volta questa lettera, che completa, mi pare, la contesa, lasciando al Salvi per ultimo la parola. Eccola, come 1’ ho tratta dall’ autografo che ho presso di me: Preg.mo Sig.r Giorgio, II timore di perdere in lei un valido Promotore del mio sistema mi ha fatto trascorrere nelle dubbiezze, delle quali ella si lagna, come offensive dell’amicizia. Or leggendo il suo foglio, in cui mostrami costante l’intenzione di stampare la nota lettera ragionata, disdico ogni dubbio, e vengo a ringraziamela distintamente. La prego però a farla stampare colla data del mese, e del giorno, in cui a lei l’ho spedita (2), perché non possa credersi composta in sequela della lettera del sig. D. Gaspare Mollo, non volendo io, come le scrissi nell’altra mia, instituire un litigio letterario e per il rispetto, che ho per il suddetto cavaliere, cui non voglio pubblicamente contradire, e perchè per questi litigi vi vogliono buona testa, e buoni denari, cose che mancano a me. Ho con maggior quiete considerato il contenuto della lettera surriferita (3), e per lasciar da parte il titolo, in cui dir non si dovea Iti risposta etc., ma bensì sulla Dissertazione etc., non avendola io diretta che a Ili sig.ri accademici Industriosi ; dico in primo luogo, che siccome è vero che gli antichi a-dopravano alcune delle finte Deità per simboli nei loro discorsi o poetici componimenti; così è vero ancora, che nella nostra età, generalmente parlando, queste Deità s’intromettono nella poesia o per imaginato vezzo, o per servile imitazione, e non per simboli, i quali dalla maggior parte non son neppur conosciuti per più motivi : dico in secondo luogo, che io nella mia Dissertazione ho nominato, e lodato Ossian per formare a favor della medesima un (1) Il Salvi e il Mollo erano in qualche rapporto di amicizia, come si vede anche nell’ ultima parte di questa lettera inedita. A Sua Eccellenza il Sig. Gaspare Mollo d/ Duchi di Lasciano celebre Improvvisatore, e Poeta, dedicò poi il Salvi una canzone, stampata nel secondo volume delle sue Rime (pp. 20 e segg). (2) Nella stampa la lettera è datata: Ncn 59- /6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cenni biografici della loro abilità d’artisti, ma essi entrano di pien diritto rispettivamente fra i maestri scrittori e miniatori. Possiamo inoltre determinare come e quando venisse loro commesso il lavoro. 11 padre Giacomo Giustiniani, che fu generoso largitore del convento, fino a donare tutto quanto possedeva in Genova, in Roma o altrove, e denari e libri, consentendo si spendessero alcune somme a lui pertinenti per accrescere di una nuova ala il monastero, volle che cinque ducati fossero impiegati nell’acquisto di « una Bibla cum glosa ordinaria prò libraria », il che venne deliberato nel consiglio dei padri il 12 marzo 1500. « Insuper decreverunt quod aliquis bonus magister scribat unum psalterium in cartis caprinis, lit-tere grosse, pro officio nocturno celebrando : attento quod duo parva non sufficiunt, et quia sunt scripture parve. Infra solutionem dicti psalterii dictus p. fr. Jacobus Justinianus est contentus quod vendatur quidam calix quem ex Chio detulit, et pretium detur scriptori dicti psalterii » (1). A noi sembra di vedere in queste parole designato chiaramente il nostro corale, poiché il tempo della sua esecuzione, il formato, la materia e la lettera rispondono con mirabile concordia al riferito documento. Nè i « duo parva » che mal servivano al desiderio e all’uopo dei padri ci sono rimasti ignoti, sebbene ormai esulati chi sa dove e per quali mani. Ricordiamo infatti benissimo che un diciotto anni a un bel circa, da un rivenditore di libri vecchi, di quadri, di mobili e cose simili, il quale soleva distendere la sua merce sotto gli archi, oggi scomparsi, precedenti la porta, pur distrutta, di S. Stefano, trovammo appunto due corali membranacei, in-4, provenienti da S. Maria di Castello, secondo diceva una scritta nella prima carta, e confermava la rappresentazione in alcune graziose capitali miniate, di frati domenicani. Anche in quelli, se la memoria non ci tradisce, gli adornamenti e le miniature delle capitali erano della maniera medesima che in questo più grande si riscontrano. Ci mancò in quel punto il tempo di più accurato esame, cosa che ci proponevamo in una nuova visita a quello strano arsenale, dove pur tante curiosità ci sono venute alle mani; e vi tornammo due giorni appresso; ma i corali non c’ erano più, acquistati da un ignoto, a quanto ci disse il monocolo vecchio mercante, scomparso lui pure da parecchi anni. Non sarebbe al tutto fuor di luogo l’ipotesi che fossero anch’essi scritti e miniati dai due domenicani che hanno lasciato lor nome in quello che ha dato argomento a questa notizia. Il quale può dirsi davvero eseguito da un buon maestro d’arte calligrafica, così per la forma e disposizione delle lettere come della notazione musicale e delle rubriche; scritto in quelle « littere grosse » richieste dal consiglio de’ frati. E « bonus (i) Viona, Op. cit., 1. c., 36, 37, 373. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 77 magister > vorremo anche dir Γ alluminatore, perchè, se la correttezza del disegno lascia qualche cosa a desiderare, vi è per compenso una grande fantasia nella varietà delle composizioni, bella maestria di partiti nei diversi motivi ornamentali, e quel sicuro magistero d’intonazione nel distribuire i colori che appaga l’occhio ed il gusto dell’osservatore. Ma intorno a ciò meglio potranno giudicare gli intelligenti, noi ci stiamo paghi a rilevare che è questo un de’ non comuni monumenti in cui il calligrafo e il miniatore hanno ben determinata l’opera propria, ed in così scarso numero di esemplari firmati dai rispettivi artefici, è per ora, se non erriamo, quel solo che ci porga sicurezza d’essere uscito dalle mani di due liguri, il cui valore artistico era fino a qui sconosciuto. Achille Neri I VOLT RESI E LE « CONESSE ». Preziosissimo e noto ai cultori della nostra Storia è lo Statuto dei Padri del Comune che si conserva nell’Archivio municipale, e che, pubblicato a spese dell’ erario civico, fu dottamente illustrato dal compianto Avv. Cornelio Desimoni. Fra i molti decreti che vi sono trascritti e che rispecchiano 1’ ordinamento amministrativo del nostro Comune dal secolo XV al declinare del XVII, havvene uno che muove la curiosità dello studioso per la citazione che fa di un vocabolo tuttavia sconosciuto nella classe delle imposizioni: la « Conessa ». Esso infatti ha per titolo: Quod Vulturienses non possint exigi conessas. Reca la data del 3 dicembre 1520 e accenna ad un altro decreto fatto poco prima in conferma di un anteriore emanato il 13 marzo 1503, con che già fin d’allora era stato proibito ai Voltresi 1’ esazione delle dette « Conesse ». E perchè non ostante quel divieto essi continuavano nondimeno ad imporle e ad esigerle, il Governo commetteva ai Padri del Comune di provvedere a che il decreto del 1503 ed il successivo di conferma, fossero pienamente osservati. Al quale effetto munivano i Padri stessi della piïï~ampia autorità di sentenziare e di punire i contravventori mercè di multe, il cui importo doveva essere esclusivamente erogato nel perfezionamento del Ponte di Cornigliano. Eccone il testo esatto : 1520 die 3 Decembris. Illustris et excelsus dominus Octavianus de Campofregoso regius lanuen-sium Gubernator etc. et magnificum Consilium dominorum Antianorum Communis lamie in legitimo numero congregatum. Memores paulo ante condidisse 7§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA decretum comprobationis scilicet alterius decreti acti anno de r 503 die 13 mar-tii super revocatione exactionis conesse Vulturi, et scientes etiam non obstante revocatione ipsa continuasse homines dicte potestatie in hujusmodi conesse exactione. Que quidem res postpositis aliis damnis et incommodis cessit in grave dedecus publicum. Et propterea volentes respectu inobservantie preteriti temporis in quo ab exactione hujusmodi conesse non se abstinuerunt dicti Vul-turienses aliquo modo providere. Examinata prius re, omni jure, via, modo et forma quibus melius et validius potuerunt et possunt, commiserunt et virtute presentis committunt spectatis et prestantibus viris Patribus Communis : quatenus respectu inobservationis decreti supra scripti conditi anno de 1503 videant et intendant et, si quos condemnandos esse judicaverint propter inobservantiam prodictam, condemnent in omnibus et per omnia secundum et prout ipsis videbitur, et condemnationes exigant. Volentes et decernentes quod quicquid exigetur aut elicietur ex similibus condemnationibus id totum erro-gatur et convertatur in perfectionem constructionis pontis Corniliani, neque in alios usus quovis modo distribui possit, et predicta decreverunt non obstantibus obstantiis quibuscunque. Copia, Ambrosius de Senarega Cancellarius. Come si vede, il decreto tratta delle « Conesse », della esazione che, contro i divieti già fatti, ne pretendono e percepiscono i Voltresi; ma che cosa fossero esse, in che consistessero, su che venissero imposte, non un accenno che lo lasci intendere. E ove lo studioso ne cercasse il significato nel Glossario che il Desimoni dettava a schiarimento delle voci non comuni, le quali si incontrano nel prezioso codice, non ne avrebbe nemmanco la spiegazione ; imperocché vi si legge soltanto questo: « Conessa; specie di esazione pretesa dai Voltresi ma non permessa. Il suo significato non si sa spiegare. Il Piaggio nel Ristretto scrive invece ripetutamente Concessa ». Quindi il lettore chiude a malincuore il libro, restando sempre ignaro del significato di quella voce. E così avvenne a me. Senonchè pensai tosto che se il decreto del 1520 è muto sulla natura delle « Conesse », egli è perchè, riferendosi a quelli fatti anteriormente, tornava inutile il dirla; mentre era invece soltanto necessario il toccare al fatto della indebita esazione e non alla cosa o sostanza. Convinto di ciò mi posi a ricercare il decreto del 1503, che trovai fortunatamente indi a poco in uno dei Registri dello Archivio di Stato che vanno distinti col nome Diversorum di Cancelleria, e precisamente in quello segnato col numero generale 170 e che contiene Atti dall’anno 1503 al 1506. Il decreto, come ho detto, è in data del 13 marzo 1503. Ha per titolo: Annullatio Conesse Vulturi ed è emanato in nome di Filippo de Clèves, Governatore allora pel re di Francia, e del Consiglio degli Anziani. Da esso si rileva che erano comparsi Cipriano de Mari, Ottobono Lomellino, Angelo, Giovanni e Francesco di Compiano, parecchi altri cittadini e non pochi del borgo di Sestri e di altri luoghi della Podesteria di Voltri, lamentando, com’essi dicevano, la mala consuetudine dei Voltresi di voler esigere quamdam mensuram de omni quantitate frumenti que in eo loco GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 79 deportatur, vel que per ipsum locum transitum facit·, quam vulgus conessam appellat. Era dunque la « Conessa » una certa misura che i Voltresi trattenevano su di ogni quantità di grano che si importava o si faceva transitare per il loro borgo. Imposizione che i reclamanti dicevano un vero abuso, di danno ai consumatori, indecoroso e di pessimo esempio. Il perchè supplicavano venisse vietato agli uomini di Voltri di più oltre pretendere siffatta esazione, condannandoli inoltre a restituire quanto avevano percepito. E il rescritto fu che i Voltresi non pretendessero più la esazione della « Conessa » da chi si fosse, nè direttamente, nè indirettamente ; sia che il frumento si scaricasse in Voltri o vi facesse transito, e ciò sotto pena della restituzione e della multa del dieci per uno sulla quantità percepita. Non risulta dal decreto il tempo da quando i Voltresi cominciassero ad esigere la « Conessa » ; della quale, come essi affermavano, avevano avuta la concessione in anni anteriori. Se ciò è vero, non è improbabile che un giorno venga alla luce il decreto che la consentiva loro. Il che mi auguro, imperocché dallo stesso oltrecchè il tempo e il motivo della sua istituzione, verremo eziandìo a conoscere quale era la quota, o, come in oggi direbbesi, la percentuale dovuta su di ogni mina di fru-mento e forse ancora l’origine del vocabolo Conessa. Frattanto stiamci contenti di sapere che la Conessa era un diritto che i Voltresi esigevano in natura sul frumento che veniva introdotto in quel luogo o che transitava per esso ». Francesco Podestà DI UNA FONTE DEL CARME « LA BELLEZZA DELL’ UNIVERSO ». Nel breve canto del Monti, così intitolato, a prima vista si scopre alcunché di sproporzionato e di disuguale ; e nel lettore, che a un tratto passa da cose grandi e universali a piccole e particolari, si disperde il diletto e la meraviglia. C’è, come altrove nel Monti, una parte che mal s’ accorda col disegno e col titolo. Grandi, amplissimi questi; ma il non sobrio discorso degli Arcadi, della Roma di Pio, e dei Braschi, non si confà a quella ampiezza e grandezza. Fu solito il Monti ordinare alle occasioni gl’impeti della fantasia, nutriti di reminiscenze o forse mossi da queste, e accordare l’utilità sua col decoro poetico. Nel carme eh’ io dico, un tema di alta e universale importanza è asservito a un fine piccolo o impari: il che disdice alla buona arte, e spiace a un senso delicato. Non è così nella descrizione, piena e magnifica, che fa di simili cose il Milton nel libro settimo SO GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA del suo « Paradiso Perduto ». Nel poeta inglese, la grandezza e bellezza del soggetto, descritta in luogo opportuno e per un alto fine, risplende tutta; e nulla c’è che discordi, nulla che richiami a cose vili o meno nobili il pensiero e 1 occhio di chi legge, pieni di quelle viste, di quei concetti sublimi. Senonche il Milton intese fare una compiuta e propria descrizione dell’opera creatrice; e questo chiedeva Adamo all’angelo ospite suo; il Monti, invece, fu contento a contemplare nelle cose create la bellezza. Gli bastò, quindi, della creazione fare un cenno generalissimo ; nè tenne dietro, in ogni punto, al racconto biblico, come opportunamente fa il Milton, che lo ritrasse fin nella enumerazione dei successivi giorni compiuti. Anche è da notare nel Monti che ei non serbò l’ordine dai libri sacri assegnato all’opera divina. In quelli, prima fattura di Dio, dopo il cielo e la informe materia, è la luce; nei successivi giorni, per ordine, il firmamento, le erbe ; e finalmente, nel quarto giorno, il sole, la luna e le stelle. Con questo stesso ordine canta il Milton; ed è bellissima immagine il dir così della luce che, « etereo spirto, vivido, puro », ..........dall’ imo fondo Emerse, e per lo folto aereo buio Dal nativo oriente il cammin prese Conglomerata in radiante nube ; poi, creato che fu il sole, .... sgorgò dal nubiloso albergo E corse, qual torrente, in seno al grande Astro del dì, che insiem poroso e saldo L’ assorbì, la ritenne, e fu di lei Sfavillante palagio......(t). Il Monti fa che, innanzi tutto, Iddio creasse gli astri e la luce; e segue, parlando alla Bellezza: Quindi alla terra indirizzasti 1’ ali Ed ebber dal poter dei tuoi splendori Vita le cose inanimate e frali ; cioè le erbe, i fiori, gli alberi, che dice poi. Perchè così mutasse l’ordine della creazione descritto nel Genesi, non so vedere. Fu disavvedutezza e negligenza? Fu il non curare che quell’ordine appunto si tenesse in un carme, che non la creazione veramente, ma la bellezza delle cose create, celebrava? Stranissima, se mai fu, la prima ragione; vana la seconda, non bisognando a quel fine la dimenticanza o il dispregio del racconto biblico. Anche, noverando le cose nelle quali sin da principio la Bellezza usò (i ) Dalla traduzione di Lazzaro Papi. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 81 la sua arte, tace qualcuna in cui questa arte pare più manifestamente che in altre: cioè non dice la creazione degli uccelli; ma ricorda, fra gli animali marini, le orche e le balene. Nè gli aspetti, in cui ravvisa più profonda e più intima l’opera della Bellezza, son tutti quali egli dice: come il fiammeggiare dei vulcani, e l’infuriare della tempesta. Questi veramente sono spettacoli sublimi, non belli; sebbene il poeta affermi che. a riconoscerli belli, non vale il « debil lume del vulgo », ma bisogna « l’acume di Sofìa ». Le differenze che ho notate, e altre che si possono scoprire, fra il modo che il Monti usa trattando 1’ arduo tema, e il modo del Milton, non tolgono la verità di ciò che, primo, notò Bonaventura Zumbini (i). L’illustre critico afferma che il Monti, scrivendo quel suo carme, s’inspirò nel Milton, e dell’esempio dato da costui si valse nel dir le origini della bellezza nell’ universo, e fece sua la immagine miltoniana del Verbo creatore. Verissime cose : sebbene il concetto che informa il lavoro del Monti, e gli dà il titolo, non sia espresso nel Milton, nè trattato di proposito; come ho detto in principio. Onde il carme italiano (se da altra fonte non procedesse) ne ha un aspetto di novità e di originalità. Senonchè, anche in questo particolare uso ed atteggiamento del tema, il Monti fu imitatore, e tolse largamente da altri. Quel concetto, della Bellezza autrice e vivificatrice dell’universo, e, sopra tutto, certe particolari immagini e concetti che dirò poi, sono in una orazione accademica che Francesco Maria Zanotti recitò in Campidoglio, l’anno 17 50: strana orazione, con la quale 1’eruditissimo autore volle dimostrare che le tre arti del disegno son da preporre ad ogni altra arte, scienza, disciplina (2). Vi si discorre della Bellezza; e si dice: « Non è ella questa (la Beltà) una perfezion somma, la qual sussistendo già per se medesima fuor d’ogni luogo e prima di ogni tempo, si diffuse poi per tutte le opere che e nel tempo e nel luogo facendo venne l’onnipotente Natura, e belle le rese, e vaghe et ornate, e degne di quella mano che le creò?... La Beltà scorse i cieli, e pose ai loro luoghi le stelle; la Beltà discese in terra, e d’erbe e di fiori vestilla (3); la Beltà pas-seggiò i mari, e variò le forme dei pesci, e tutto il mondo adornò d’animali e di piante, cangiandone per infinite maniere le figure, i colori, gli aspetti. Quanta vaghezza, quanta grazia, (1) Studi sulle Poesie di Vincenzo Monti. Firenze, Lemonnier, 1894. (2) Lo Zanotti disse questa orazione in lode delle belle arti, per incarico di papa Benedetto XIV : così si soleva fare ogni anno, da quando il papa Clemente XI aveva istituito la dotta festa. Lo Zanotti stesso scrisse poi una seconda orazione contro la prima, e una terza in difesa della prima ; ma delle due ultime, impresse in Bologna, non si confessò autore. (3) Qui il vario operare della Bellezza è posto nello stesso ordine (quanto alla creazione degli astri, e poi delle erbe) che nel canne del Monti; il quale, dunque, seguì lo Zanotti anche in questo. Giorn. St. e I.ett. delta I igni ta 6 S2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA quanta avvenenza non comunicò ella poscia all’uomo.... ». Ciascuno può, nel carme del Monti, trovar concetti simili a questi. Ma ciò che, nel Monti stesso e nello Zanotti, è similissimo, e differisce solo per la forma, che nell’uno è poesia, sono alcune particolari immagini e concetti intorno all’ esserci la Bellezza in cose e luoghi riposti, e al ritrovarla studiosamente gl’ingegni umani. Ecco le parole dello Zanotti : « Questa (la Beltà) trovano i notomisti nella struttura degli animali ; questa i botanici nella tessitura dell’erbe; questa i chimici negli elementi dei corpi; questa i meccanici nelle leggi della gravità e del moto; questa gli astronomi nella disposizione e nel rivolgimento degli astri ». Chi ricorda le terzine del Monti, non negherà che esse sono nuli’ altro che una esposizione poetica di quella prosa. Eccole : Nel danzar delle stelle armoniose Ella (Sofiaì ti vede, e nell’ occulto amore Che informa e attragge le create cose. Te ricerca con occhio indagatore, Di botaniche armato acute lenti, Nelle fibre or d’ un’ erba ed or d’ un fiore. Te dei corpi mirar negli elementi Sogliono al gorgoglìo d’ acre vasello I chimici curvati e pazienti. Ma più le tracce del divin tuo bello Discopre la spanila Anatomia, Allorché armata di sottil coltello I cadaveri incide...... Nè è strano che, di un autore insigne per dottrina e per fama, e da un discorso solennemente detto in Campidoglio, il Monti, venuto giovane in Roma, e accintosi non molti anni dopo a scriver la cantica laudativa dei Braschi, raccogliesse quei concetti, e li usasse. Il che fece con gran bellezza di stile, e molta eloquenza: onde è da aver cara la fedelissima imitazione. Egualmente vivo, facondo, ma più libero forse che non sia in questa parte derivata dallo Zanotti, è nelle altre derivate dal Milton: evidentissima fra le quali, come nota lo Zumbini, quella dove descrive il primo venir fuori delle belve, atteggiate ciascuna secondo l’indole sua. La qual parte, bella nel Milton, non ha minor pregio nel Monti : gli atti di qualche animale (del leone, ad esempio) sono, nel poeta italiano, che ha pure aggiunto di suo la rappresentazione, leggiadrissima, del cavallo e del bue, una pittura assai viva. E senza dubbio, il Monti, benché traesse ispirazione da ogni parte, usava bene la cosa imitata, e le dava, se non un aspetto nuovo e proprio, eleganza di atti e varietà di linguaggio; e se pur gli mancava la virtù di « slanciarsi sopra l’originale », com'egli dice (i) dover fare (i) Nota J5 al c. 2. della Bassvilliana, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 83 1’ ottimo imitatore secondo il precetto di Quintiliano, sapeva andargli vicino e farlo piacer nuovamente. Qui, in questo carme, anche in quelle parti dove la materia dei due poemi, italiano ed inglese, è similissima, c’ è nel Monti qualche immagine che al Milton manca, ed è bella, come nei versi: Di sua vaghezza inutile parea I.agnarsi il suolo, e con più bel desiro Sguardo e amor di viventi alme attendea. La immagine del mondo fin qui creato, cioè prati, acque e piante, non pago della sua esistenza se non ci vengano forme di vita più alte a cui possa piacere e servire, è nuova nel Monti e conforme al concetto che i poeti degni di questo nome usano esprimere, della sovranità debita all’uomo su tutte le cose. Ben altrimenti immagina il Milton, dove si entra a narrare la creazione dell’uomo: vi si dice che la terra, adorna del suo ricco abito, amabilmente sorrideva. Ma più opportuno sarebbe stato nel Monti, la immagine che ho lodato, introdurla più innanzi, quando comincia a dire dell’uomo; non mentre s’accinge a dire degli animali. La quale ultima cosa fa non brevemente: poi segue, con rapimento lirico, il discorso dell’uomo e d’ogni suo pregio. Lo Zumbini biasima che il poeta esalti anche quei membri che son comuni all’ uomo con gli animali, e sono in questi forse più destri. A me pare che, a far compiuta la descrizione delle umane bellezze (in un lavoro che ha questo scopo appunto), bisognava dire anche del corpo. Nè so giudicare che i membri, comuni a noi con gli animali, non abbiano un proprio valore, non sieno indizio o argomento in noi di superiorità su quelli; perchè, scbben simili, sebbene forse meno agili e meno gagliardi, prendono valore e utilità maggiori dall’ esser parti di una natura più piena, dal servire a forme di vita più alte, a fini di gran lunga più nobili. E qui concludendo, si può dir che il Monti, poetando della bellezza dell’universo, ebbe innanzi agli occhi due esempli, e li congiunse e indirizzò al suo intento: il che potè essere senza alterazione o dell’uno o dell’altro. La qual maniera di poetare imitando, fu solita in lui, che natura non fece ricco di facoltà inventiva e d’ingegno, ma atto a gustare e intendere le altrui invenzioni, e giovarsene con felicità di stile e di immagini che le fa parer nuove. Alberto Scrocca ANNUNZI ANALITICI. Carlo Contesso. Note e relazioni del marchese di Paulmy dall'Italia. 1 745'! 746■ Da un manoscritto della Biblioteca dell’Arsenale di Parigi. Torino, Civelli, 1901 ; in-8, di pp. 125. Precede una succosa notizia intorno 84 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA al marchese di Paulmy, l’iniziatore di quella importante biblioteca nella quale si conserva il manoscritto donde fu tratta la materia di questo libro. Seguono i cenni storici riguardanti le cose politiche, e i fatti militari di questo periodo, che è così notevole in quella lunga ii musicali di Carlo Goldoni. Appunti bibliografici ~ cronologici del dott. Cesare Musatti. Venezia, Visentini, 1902 ; in-8, di pp. 45 (Estr. dalVAteneo -veneto, a. XXV, vol. I). - Il diligente a. ci aveva già dato 1’ elenco ragionato dei Drammi musicali tratti dalle commedie del Goldoni, di cui si fece già una seconda edizione ; ora qui ci mette sotto gli occhi i drammi musicali scritti dal Goldoni stesso, secondo l’ordine cronologico di composizione, aggiungendo i maestri che li rivestirono di note, e parecchie utili annotazioni bibliografiche.-In un bel preambolo, dettato con piena competenza, rende conto storicamente di questa non spregevole produzione dello scrittore veneziano, la quale non foss’ altro attesta una volta di più la sua mirabile fecondità, e 1’ abito di cogliere dal vero certi tratti, certe macchiette con intenzione urbanamente satirica. In un’ appendice ha raccolto le giunte al primo suo lavoro innanzi ricordato. L’ indice cronologico è fatto con molta cura, ed è ricchissimo trovandovisi 88 drammi che dettero luogo a 181 spartiti ; poti anno venir fuori nuovi drammi o nuove edizioni da aumentare questa messe ; per esempio potremo un giorno sapere il titolo di quei tre mandati a Lisbona nel 1764-65, di cui per ora siamo all’oscuro. Resterà poi sempre da chiarire un punto curioso. La buona fìghno/a maritata si deve credere proprio sua dal momento eh’ egli con una lettera pubblica ne lia fatto solenne rifiuto ? O la lettera si deve ritenere apocrifi. ? Vedano i goldonofili. Noi vorremo per ultimo che il M. quando gli avvenga di ristampare uniti insieme i due lavori, faccia a questo secondo una giunta che ne sarà utile compimento; ci dia cioè la bibliografia delle diverse edizioni eh’ ebbero i drammi uniti in volumi, rilevando quelli in esse non accolti, e le varianti che vi fossero state introdotte. Come appendice si potrebbero poi stampare le prefazioni del Gol-doni ai diversi libretti originali. Benedetto Varchi provenzalista. .Vota di Santorre Debenedetti. Torino, Clausen, 1902 ; in-8, di pp. 19 ( Estr. dagli Atti d. R. Accad. d. Scienze go GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA di Torino, XXXVII). — È questo'un utile contributo alla storia degli studi provenzali in Italia nel cinquecento. In quella schiera di letterati e di eruditi che raccolsero in quel secolo libri e manoscritti v’ hanno certamente di coloro che meglio si potrebbero dire bibliofili, desiderosi cioè di possedere una ricca collezione di cose rare e curiose ; ma altri vi furono, i quali si volsero a radunar materiali per i loro studi linguistici. Fra questi è da annoverare il Varchi, la cui autorità nel fatto della lingua era grande a’ suoi dì, e appunto perchè seguiva e integrava l’opinione del Bembo rispetto all’origine della nostra favella, si occupò di studiare i provenzali, donde stimava fossero attinte molte voci e modi del volgare. L’ a. in questa nota, rifacendosi a quanto eia stato già detto in generale intorno agli studi provenzali nel tempo suindicato e del Varchi in modo particolare, giovandosi inoltre di due lettere inedite assai notevoli del Castelvetro, e ricercando con assennata indagine i codici var-chiani esistenti o perduti, viene a dimostrare qual parte abbia avuto Per,udito fiorentino in quel movimento letterario, per giungere alla plausibile conclusione che, « esaminando il particolare aspetto » delle « sue ricerche » si rende probabile il proposito « che egli mirasse ad eseguire il disegno di una edizione di testi provenzali accompagnati da biografie e forse dalle grammatiche ». Francesco Flamini. Storia della letteratura italiana. Livorno, Giusti, 1902 ; in-16, di pp. VI-104. — Abbiamo già avuto occasione di parlare con meritata lode della storia della letteratura italiana dettata dal F. nella seconda edizione (II, 349). Ora egli ce ne dà un sunto che viene ad arricchire l’utile biblioteca degli studenti messa fuori con buon criterio dal solerte editore livornese. Questi riassunti onde codesta raccolta si compone, servono in ispe-cial modo per richiamare alla mente degli alunni la materia di una data disciplina svolta nel corso scolastico, e perciò da parte degli autori si richiede molta avvedutezza per far sì che in breve sia richiamato tutto quanto servì d’ argomento alle lezioni ; e ciò con metodo esatto e forma piana e perspicua. Queste doti si incontrano nel libretto che ora annunziamo, il quale deve riuscire accetto a docenti e discenti, e si fa leggere volentieri in quella sua serrata esposizione da ogni colta persona. SPIGOLATURE E NOTIZIE. .·. Un libro assai interessante, pieno di curiosità aneddotiche, di riferimenti biografici, di giudizi e d’ impressioni sull’ Italia, la politica, la letteratura, gli uomini e le cose nel primo ventennio del secolo XIX, è quello uscito or non ha molto per le cure di L. G. Pélissier, erudito ed operoso amico del nostro paese. Con il titolo Le portefeuille de la comtesse d'Albany (Paris, Fonte-moing, 1902) egli pubblica una bella raccolta delle lettere indirizzate alla celebre donna. Altri avrà certo modo e ragione di spigolare in questo carteggio tutto quanto può servire a rilevare e colorire 1’ impronta e il carattere del tempo ; noi ci restringiamo a porgere quelle notizie che toccano in qualche guisa la nostra regione. Si leggono in queslo volume dodici lettere del conte Lazzaro Brunetti di Massa, valente diplomatico, nel tempo eh’ ei si trovava alla corte di Madrid incaricato d’ affari dell’ Impero d’Austria, e insieme agente delle città anseatiche, di Modena e di Parma. Lettere importanti perchè rivelano la natura dell’uomo, la sua cultura, lo spirito d’osservazione; documenti utili per la biografia di questo lunigianese non ordinario fra i contemporanei. Troviamo un accenno alla dimora in Genova del realista cavaliere Francesco di Sobiratz nel 1809. Jìgli si lagna della sorveglianza politica GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA QI a cui si vide sottoposto tornato a Carpentras, e soggiunge: « Cet étrange exposé étoit, m’at — on dit, motivé sur nies liaisons à Gênes. Or je vous dirai que j’ ai resté a Gênes quinze jours pendant lesquels je me suis occupé de comptes pécuniaires, de relations littéraires, et pardessus tout du soin de conserver quelques serins huppés que j’ avois apportés de Florence et qu’on m a ensuite laissé périre pandan la traversée de Gênes a Marseille » (p. 57). In una lettera di lady Jane Davy, la moglie del celebre chimico sir Humphrey, sr tocca del suo passaggio a Genova nel 1815, e di quello successivo verso il dicembre di madama di Staël, avviata a Roma (p. 264;. Ne troviamo cenno anche nella Gozzetta di Getiova (1815, n. 89, 8 novembre): « Trovansi in questa città la celebre Baronessa Mad. di Staël Holstein e Madamigella sua figlia, venute qua da Milano il 3 corrente per ammirare ciò che vi ha di più capace ad appagare 1’ erudita curiosità delle persone più illuminate, quali sono certamente queste due donne ammirate da tutta Europa ». E dieci giorni dopo (,n· 92> 18 novembre) : « La signora Baronessa di Staël continua il suo soggiorno in Genova, ammirando quanto di antichi e nuovi monumenti presenta questa città, ed ammirata ella stessa da tutti coloro che hanno la sorte di avvicinarla. Si osserva in questa donna illustre eh’ ella riesce ad essere in società qual è nelle sue opere. Trovasi in sua compagnia il sig. cav. de Schlegel, nome classico nella letteratura tedesca, e reso anche più celebre recentemente per la influenza benefica che hanno prodotto nell’ opinione del Pubblico i suoi scritti contro il sistema di Bonaparte ». Il menzionato cavalier di Sobiratz era in corrispondenza con madama Brignole (Anna Pieri, madre del diplomatico Antonio 1 assai nota nel periodo della rivoluzione e del primo impero così fra noi come in Francia; essa era del pari in relazione con la contessa d’Albany. Questo apprendiamo da un brano di lettera del Sobiratz del 1809 (novembre), là dove scrive: « M.l,,e Brignole doit-être actuellement à Paris. S’il vous est commode et utile de la voir, daignez me rappeller très spécialement à son souvenir. Elle m’ écrivit une fois de ne pas la juger sur son silence. Aussi, quoi qu’ il soit très prolongé, je m’ en tiens là et j’ aime, bien mieux me ressouvenir de ce que sait dire une dame qui parle si bien que de penser à ce qu’ elle ne dit pas » (p. 67). Qualche altra notizia rileviamo intorno ai Brignole, Antonio ed Artemisia Negrone sua moglie, quando nel 1819 andarono in Spagna, avendo il giovane diplomatico sostituito a quella corte il conte Balbo. Si recarono a Madrid verso il giugno di quell’anno, e il Brunetti, che già ne aveva accennata la prossima venuta (p. 407), tocca il 30 giugno del loro arrivo : « I Brignole sono giunti ». Ed erano giunti di fatto il 15, secondi) ci avverte la Gazzetta di Genova pure del 30 giugno (1819, n. 52), dove è la seguente notizia: « Con lettera da Madrid del 16 corrente abbiamo inteso con piacere che S. E. il marchese Brignole-Sale nuovo ambasciatore di S. M. presso la Corte di Spagna, era giunto felicemi nte la sera innanzi in quella capitale, unitamente a S. E. la signora Marchesa Artemisia sua consorte, e una loro figlia ». Aggiunge il Brunetti: « La loro amabilità e la loro moderazione lor fa dissimulare la trista impressione che ha prodotto in loro il paragone che fanno ogni giorno tra 1’ Italia e la Spagna, tra Firenze e Madrid » ;p. 4221. Manda poi « mille ossequi » (p. 423) alla contessa da parte della Brignole, dandoci così certezza della loro conoscenza. Il che ci viene confermato da quest’ altro curioso brano del Brunetti : « Le accludo qui una lettera della marchesa Brignole. Son persuaso che non le scrive per farle 1’ elogio di Madrid. Essa detesta ogni giorno più questo soggiorno. Questo abborrimento del quale non fa mistero, e soprattutto la facilità con cui si lascia condurre dal suo genio a far degli epigrammi sopra le persone e sopra le cose, ha fatto che non piaccia nella società spagnuola quanto essa merita » ^p. 444). Tuttavia dopo un anno a 92 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA quel soggiorno pareva acconciarsi ; « la marchesa Brignole », cosi il Brunetti, « sta bene, e mi sembra che non trovi più la Spagna sì detestabile quanto per lo passato » - p. 472). Ma questa doveva essere 1111’illusione, perchè al cadere dell’ anno medesimo egli scrive : « La marchesa Brignole vede con piacere avvicinarsi il momento della sua partenza da Madrid qu ’elle ne regrettera pas et où elle ne sera pas regrettée » (499). Ci piace infine notare che il cardinale Spina nel settembre del 1821 incarica ai bagni di Lucca il suo vecchio amico marchese Lucchesini, « de le rappeler », come questi scrive alla contessa, « à votre souvenir » (p. 527 '; e che il marchese di Breme manda alla stessa un esemplare in argento, e alcuni altri in bronzo della medaglia coniata in onore dell’Alfìeri, il cui « type en or fut adjugé à Μ. 1’avvocai Marrè » (p, 499) per la nota sua dissertazione sul merito tragico del poeta astigiano presentata all’Accademia delle Scienze di Torino, come svolgimento del tema da questa proposto. Per non trascurar nulla, e a dimostrare che così i diplomatici come le pseudoregine si piacciono d’ occuparsi a tempo perso di piccola gente, chiuderemo con questa notiziuola che scrive il marchese Lucchesini il 7 giugno 1819 : « J’ai vu hier ici deux seigneurs génois qui connaissent le futur de MJ'e Corsi. Sa richesse est positive et supérieure à ce qu ’on disoit même a Florence. Elle est le résultat des excessives épa-ragnes d’un père avare, qui 1’ a, diton, transmise à ses deux fils, avec un caractère peu liant et ennemi de la société. Mais MJle Corsi et sa harpe sauront 1’ apprivoiser ; et pour une dame italienne, la grande affaire est de trouver un mari, quel qu’ il soit » (p. 418). Lasciando tutta la responsabilità delle informazioni ai due genovesi, e degli apprezzamenti al diplomatico lucchese, aggiungeremo che il 7 ottobre 1819 avvenne in Firenze il matrimonio di Teresa Corsi con il patrizio Domenico Pallavicini. .·. Nel bellissimo e sopra ogni dire diligente volume di Cosimo Stok-ììajolo, Codices Urbinates Latini, vol. I. Romae, typis Vaticanis, 1902, spigoliamo alcune cose che si riferiscono alla nostra regione. Al numero 1 51 è registrato un codice membranaceo del sec. XV, che contiene alcuni trattateli! di Francesco della Rovere (Sisto IV), sono: De sanguine Christi -De potentia Dei — De futuribus con ting en tibus. Ha delle miniature molto belle ; notevole 1’ effigie del papa sedente sul trono in atto di benedire. — Un altro cod. miscellaneo pur membranaceo dello stesso secolo (n. 227) contiene il trattato De vitae felicitate di Bartolomeo Fazio e la sua lettera apologetica a Roberto Strozzi ; così fra le lettere di Enea Silvio Piccolomini nel ras. 403 appartenente al medesimo tempo, ve ne ha una dello stesso Fazio, del quale si legge la nota istoria De rebus gestis ab Alfonso I in un successivo ms. quattrocentino in cartapecora segnato col 11. 496. Cose tutte già edite; del pari pubblicata è la traduzione di lui dell’opera: Arriani, de rebus gestis Alexandri Magni, accompagnata dalla lettera di Jacopo Curio che figura nella presente raccolta in uno splendido cod. del quattrocento in membrane (n. 415 1, con bellissime miniature ; notevole quella che rappresenta re Alfonso e il Fazio. — Del celebrato medico Simone da Genova 1 altrimenti detto Monaco, o Cordo) Pescetto, Biogr. med. ligure, Genova, 1846, I, *4 sgg·) sono registrate più opere ne’ codd. 238, 243, 246 tutti membranacei, i due primi del sec. XV, il terzo del XIV. — Alla storia genovese appartengono due manoscritti cartacei; il n. 494 (sec. XVI-XVII) che reca la cronaca di Jacopo da Varagine ; e il n. 495 del cinquecento, contenente le cronache di Cafaro e continuatori, alle quali si accompagna il commentario di Bartolomeo Senarega, e precedono scritture e documenti disposti nello stesso ordine in cui si veggono nel cod. B. VII. 4 della biblioteca Universitaria di Genova. — Notiamo al 11. 465 una Predica del card. Visconti fatta quando era vescovo di V'entuniglia alla sua Chiesa sopra I' Oratione. — Fermano GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 93 finalmente la nostra attenzione alcune note che si leggono in due manoscritti del quattrocento. 11 primo miscellaneo di scritti matematici ha quanto segue: « Nota quod ego magister Lucas de Nigriis incepi regere scollas Arisinetice in Janua una cum G. Nicholao feo die novera aprilis MCCCCLV. — Liber mei luce de Nigris de medioUaao Arismetice et geometrie. — Extimo presente libro vallere per la soa bontate ducati dexe e più a chi se deletta del trattato maxime a maestri de la preditta Arte. — Questo libro è de maestro Lucilo de Negri maestro di Aritmetica e geometria in gienova ». In fine al membranaceo segnato col n. 299: Valla, Linguae latinae elegantiarum, si legge : « MCCCCLTIo anno ab dominica incarnatione XYiil die mensis Maii et eo tempore quo Romam Serenissimus Romanorum Rex Federicus Applicaverat : ut a summo Pontifice sui imperii diadema exoraret. Pont, domini nostri Nicolai papae V anno sexto. Ego baptista Lunensis existente domino Petro Lunensi eiusdem summi pontificis Secretario nec non scriptore apostolico hunc librum omnipotentis divina clementia pariter et gratia transcripsi et ad exitum usque perduxi. Finis. Amen ». Altra volta ci è accaduto di registrare il nome di questo Pietro Lunense (Giornale, II, 470); or ecco un Battista scrittore in tempo di papa Niccolò V, forse suo parente. Sarebbe mai questi il B. lunensis autore degli esametri pubblicati dall’Amaduzzi e che vuole attribuiti a Bartolomeo Fazio? (Cfr. BraGGIO, Bartolomeo Fazio e le Site opere minori, in Atti d. Soc. Lig. d. stor. pat., XXIII, 230). Non sappiamo se il primo possa identificarsi con Pietro da Sarzana già da noi accennato, o con quel Pietro da Noceto eh’ ebbe ufficio di segretario del pontefice, sebbene a rigore non potesse dirsi lunense, essendo nato presso S. Donnino, diocesi di Piacenza. A proposito poi di quel Pietro sarzanese amico dell’umanista Giovanni Toscanella, che lo rammenta come dotto per molte lettere, ci piace tener noti, per possibili identificazioni, di un omonimo che ricorre in un codice dell’archivio di stato genovese (Diversorum, X, 115 1 ) nella « Conventio cum magistro Petro de Sarzana rectore scholarum », del 15 gennaio 1441. .·. F. ed E. Gnecchi hanno pubblicato in questi giorni nella serie dei Manuali Hoepli la quarta edizione notevolmente accresciuta della Guida numismatica universale, dalla quale spigoliamo le notizie che riguardano le collezioni numismatiche esistenti in Liguria. Per Genova sono elencate le seguenti raccolte : 1 1 Galleria Brignole — Sale Deferran al Palazzo bianco, collez, legata dalla Duchessa di Galliera, cui fu unita la piccola raccolta di monete e medaglie liguri e romane della R. Università ; 2 Soc. Ligure di storia patria, monete e med. spec. genovesi; 3) Eredi del March. Adorno, piccola ma importante collez, di monete di Genova con specialità per quelle dei Dogi Adorno ; 4) Ing. Gabriele Carpaneto, Monete genovesi con specialità per quelle della famiglia Spinola ; 5) Princ. Giulio Centurione, Monete dei principi Centurione coniate a Campi, fra cui alcuni pezzi unici ; 6) Giovanni Gaudino, Monete ital. spec. pontificie; 7) Prof. Eugenio Maritarlo, Mon. romane, italiane, medaglie, tessere e sesi (circa 2 mila pezzi) ; 8) Guglielmo Obermiiller, Mon. romane, pontificie, ital. medioevali circa 7 mila pezzi' ; Q D.r Antonio Sellatati, Monete, oselle e tessere venete; med. del risorgimento italiano — Fuori di Genova si notano le seguenti raccolte: Savona: i> Museo Civico, monete italiane ed estere legate da (t. P. Lamberti (più di 2 mila pezzi con qualche rarità) ; 2) Società Archeologica, Monete Romane e Liguri — La Spezia : Eredi del March. Baldassare Castagnola, Coll, di mon. ital. medievali e moderne, « una delle più ricche coll, private italiane, e primeggia fra le altre per la serie delle monete di Genova e della Liguria, fra le quali si trovano pezzi di esimia rarità od unici » — Sarzana ; March. Giacomo (i/opalio, coll, di monete 94 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA romane — Le Carcare : Collegio delle Scuole Pie, monete romane consolari, imperiali e medaglie, coll, iniziata dal P. Ighina — FlNALBORGO ; March. .Vico/ino Piuma, Monete imperiali romane e genovesi, con ricca biblioteca numismatica, specialmente relativa alla Liguria — A queste notizie sulle raccolte numismatiche liguri aggiungeremo la menzione delle raccolte, specialmente di monete romane, del Conte Carlo Del Medico e del Comm. Carlo Fabbricotti di Carrara. .·. Fra i libri del celebre artista di canto I. Mario de Candia, andati recentemente in vendita a Roma, troviamo alcune cose singolari che riguardano la nostra regione, e ci piace tenerne nota in servizio della bibliografia, pur deplorando che se ne vadano disperse chi sa dove, mentre avrebbero trovato lor naturale luogo in quella biblioteca dove è a desiderare una raccolta ligure, della quale si vede già un lodevole principio intenzionale nel catalogo sistematico. Fra i manoscritti ve ne lia uno del sec. xvn intitolato : De laudibus Christopilori Columbi, qui Americum invenit; e del medesimo secolo 11775): Vedova Carlo. Del seminario ossia Lotto ad uso di Genova. Trattato teorico-pratico-legale ; un terzo in membrana del sec. XV è così inscritto: Copies de plusieurs documents historiques intéressants pour I' histoire de la ville et du diocesi de Gênes, nessun’ altra indicazione dà il catalogo intorno al suo contenuto, e sappiamo solo che il voi. è in fol. e si compone di 82 cc. Degli stampati rileviamo in ispecie questi tre assai rari : 1) La geomance dìi seigneur Christofe de Cattan (Cattaneo) gentilhomme genevois.... mis en lumiere par Gabriel DE Preau. A Paris 1567* traduzione d’un’ opera italiana rarissima ; 2) La solenne victoria di Andrea Doria: contro l’armata del Turcho. La recuperatione della Cipta de Clissa con una prophetia de uno sancto huomo ritrovato in una foresta : Et altri aduisi bellissimi del signor de Clissa. M.D.XXXIJ. Data in Clissa al li XXVIII d’Agosto M.D.XXXII ; opuscolo di quattro carte; 3) Canzonette a tre voci di Bernardino Bori.asca nobil di Gavio genovese. Appropriate per cantar nel Chitarrone. Lira doppia. Cembalo, Arpone, Chitariglia alla Spa-gnuola, o altro simile {strumento da concerto ; coni hoggi vi si costuma nella Corte di Roma, Eoliamente composte e date in luce. In Venetia, G. Vincenti, 1611 ; partitura musicale di un maestro ligure sconosciuto. — In una ricchissima collezione di Cartes vues de villes, poste in vendita ad Amsterdam dal libraio Federico Muller, notiamo per Genova, oltre a parecchie altre più note, questo grande disegno originale all’ inchiostro della China : Dessein du feu d’artifice tiré a Gênes le 13 sept. /725 démonstration de réjouissance pour le mariage du Roy (Luigi XV) accompagnato da un foglio in cui sono le Inscriptions qui estoitent écrites dans les trois façades du feu d’arti fice ; e crediamo utile tener nota di una incisione di Wenc. Hollar eseguita circa il 1660, rappresentante: Lunensium lapidicinae. nobilissimo et vario marmore refertae, hodie Montagna di Cantra (sic) dictae, delineatio. .·. Fra i documenti esposti nella sala della mostra del r. archivio di stato in Siena si trova una lettera di Andrea D’Oria scritta il 24 agosto 1545 a don Giovanni de Luna inviato di Carlo V a Siena, nella quale gli raccomanda di terminare amichevolmente certe controversie che avevano alcuni cittadini genovesi e senesi per causa di rappresaglia. C’ è poi una vendita di panni francesi fatta in Genova il 15 marzo 1263 da Michele di Palmiere senese a Aldobrandino di Migliorato ; e una lettera scritta da Genova il 28 febbraio 1431 da Enea Silvio Piccolomini all’amico suo Tommaso della Gazzaia podestà di Piombino, nella quale lo ragguaglia del viaggio fatto per mare da Piombino a quella città (Cfr. La sala della Mostra e il Museo delle tavolette dipinte della Bircherna e delta Gabella, Siena, Sordomuti, 1903, p. 16, 18, 40). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 95 .·. l'rate I omaso Pallavicini, forse genovese, tenne Γ ufficio di generale dell’ordine di Monteoliveto nel 1503-1505; non è tuttavia ricordato fra gli olivetani liguri nei Saggi cronologici più volte stampati nel sec. XVIII. Ben vi figura frate Angelo Ceriari di Albenga, che fu compagno di studi a fra Luca Gargapelli il cronista dell’ ordine, del quale probabilmente seguitò il Necro/ognim, certo vi fece alcune annotazioni (Cfr. Lugano, Origine del-Γordine di Monteoliveto in Bollettnio senese di stor. pat., IX, 328, 335). .·. Nell’importante lavoro di Giulio Bertoni, La biblioteca Estense e la co!titra ferrarese ai tempi di Ercole / (Torino, Loescher, 1903) troviamo un accenno ai manoscritti che riceveva in prestito dalla biblioteca Galeotto Cam-pofregoso (p. 31, bO); si tocca poi del viaggio di Alfonso d’Este giovinetto per 1 Italia nel 1492 e della fermata a Genova accompagnato da Battista • inaiino, il quale ne scrive da Serravalle alla madre Eleonora, avvisandola che quando il figliolo « sarà ad Genua vole scrivere di sua mano » (p. 150 seg.). .·. Lo scultore Giuseppe Graziosi di Modena ha lavorato il busto e la lapide da collocare sulla tomba del compianto Arsenio Crespellani, che fu 1 operoso presidente della Deputazione di storia patria della provincia di Modena, e l’illustre, sebben modesto, archeologo a tutti noto. L’artista ha posto in quell’ opera il tesoro del suo bell’ ingegno e la gentilezza del suo cuore riconoscente. L’ uno e 1’ altra appariscono così nella figura principale, di sorprendente somiglianza, modellata con grande finezza e maestria, come nel bassorilievo allegorico, dove la Riconoscenza conduce alla tomba del defunto la Carità e il Genio recanti fiori ed allori. .*. La tipografia editrice L. E. Cogliati di Milano sta per pubblicare una importanre opera del prof. Alessandro Gianetti, di cui è prossima la comparsa del primo volume. Si intitola: Trentaquattro anni di Cronistoria milanese. L’autore, sebbene incominci dove lasciò Francesco Cusani, offre un lavoro completo, che può s are perfettamente da sè. Egli nana i fatti accaduti dalla metà circa del 1825 a tutto il 1838. Il racconto condotto sui fogli dell’ epoca, è corredato da documenti tolti agli archivi ed alle differenti monografie che furono pubblicate in proposito ; tutto fu messo a contribuzione perchè il lavoro, malgrado il modesto titolo di Cronistoria, possa interessare il lettore e dargli un concetto esatto della società milanese d’allora, forse un po ingiustamente giudicata. Alla pubblicazione di questo primo volume, terrà dietro prossimamente quella del secondo già in pronto, il quale sarà certamente più interessante, conducendo il racconto fino al 1848. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Anniversario (Nel primo 1 della morte di Giulio Beverini. XIII febbraio MDCCCCIII. La Spezia, per cura degli amici 1 Genova, tip. Sordomuti, 1903) in-4 di pp. 92 con ritr. ARzelà Cesare. Parole dette alla seduta inaugurale del XXI Congr. Geol. Ital. tenuto in Spezia nel sett. 1902, in-8, di pp. 2, s. 11. t. (Estr. dal Boll, della Soc. Geol. ital. vol. XXI, fase. III). Balbi Angelo. S. Marco al Molo (in 11 Secolo XIX, Genova, 1903, n· /3· Chonf. H. Die Handelsbezichungen Kaiser Friederichs II zu die seestadten Venedig, Pisa, Genua (in Historische studiai, Berlin, 1902. n. 32); in-8, di pp. VII-1 34. 96 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ci.ERIC! Enrico. Resoconto del XXI Congresso Geologico italiano tenuto in Spezia nel settembre 1902 pel segretario E. C., Roma, Cuggiani, I9°3> in-8, di pp. CLXVI, con tìgg. (Estr. dal Bollettino della Soc. Geol. italiana vol. XXI, 1902, fase. III). Figari Luigi. A riguardo del nuovo valico appenninico pel servizio del Porto di Genova, ivi. Ciminago, 1903, in-8, di pp. 8. Estr. dal Giornale di Geologia pratica, Voi. 1", fase. 1°). Fornara Domen.co. La ferrovia dal Piemonte alla prov. di Porto Maurizio per Valle Argentina e Sanremo. Saluzzo, Lobetti-Bodoni, 1902, in-4, di pp. 32 e i tav. Fumagalli Giuseppe. Di Demetrio Canevari medico e bibliofilo genovese e delle preziose legature che si dicono a lui appartenute (in Bibliofilia, vol. IV, p. 390). Sommario : I. Accenni alla storia della legatura in Italia nel sec. XVI e specialmente alle legature a cammeo. II. Le legature cosiddette Canevari. Loro descrizioni e pregi. Le falsificazioni. III. Indice delle legature cosiddette Canevari da me sconosciute. IV. Biografia di Demetrio Canevari. V. Le opere a stampa e i manoscritti di Demetrio Canevari. Giudizio sul loro valore. VI. Il testamento di Demetrio e il « sussidio Canevari ». VII. La libreria del Canevari dalle origini ai nostri giorni. VIII. Esame critico della tradizione Canevari. Conclusioni. Composizione con i due primi capitoli. Q[ueirolo] F[ederico]. La giovinezza di Mazzini (in Giornale del Popolo, Genova, 1903, n. 1182). I genovesi e le cinque giornate > ivi, 1191). Gnecchi (F. c. E.) Guida numismatica universale contenente 6278 indirizzi ecc. 4.** ediz. Milano, Hoepli 1903 in-16. [Contiene notizie delle raccolte numism. della Liguria]. King Bolton. Mazzini (in Accademy and Literature, 11. lòoo). Loreta U. Gli ultimi giorni di Mazzini (in II Resto del Carlino, Bologna, 1903, n. 69). Manacorda Giuseppe. Una causa commerciale davanti all’ ufficio di Gazeria in Genova nella seconda metà del secolo XIV ' in Studi storici, XI, p. 241. Si pubblicano qui i documenti; in altro fase, uscirà la monografia). Mattiauda B. Sulle origini di Noli (in II Secolo XIX, 1903, 791. Oxilia Giuseppe Ugo. Una lettera di Vittorio Emanuele II (in Rivista d’ Italia, A. VI, vol. I, pp. 291-96). E diretta allo scolopio p. Lorenzo Isnardi savonese, che fu precettore dei principi Vittorio e ferdinando figli di Carlo Alberto. Se ne danno alcuni cenni biografici. ROGGERO Egisto. Nel paese delle scogliere, in 11 secolo XX, anno II, N. 3, marzo 1903, pp. 243-250, con 18 vedute. [Paesaggi e marine della Riviera di Levante]. Rovetta Gerolamo. Mazzini a Lugano (in II giornale d’ Italia, Roma, 1903, n. 67). Ruge S. Columbus. Berlin, Hoffman, 1902; in-8, di pp. 214; con ritr. e carte. Studio etrinologico sulle origini di Noli [di] L. N. C. (in II Secolo XIX, 1903, n. 36). Zanichelli Domenico. Le lettere di Giuseppe Mazzini (in Politica e storia: discorsi e studi. Bologna, Zanichelli, 1903). Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE VITTORIO Lazzaretti. Le offerte per la guerra di Chioggia e un falsario del quattrocento. Venezia, Visentini, 1902. Luigi Alamanni (1495-1556) sa vie et son oeuvre par Henri Hauvette. Paris, Hachette, 1903. La sala della ìnostra e il museo delle tavolette dipinte della Birchcrna e della Gabella. Seconda edizione. Siena, Sordomuti, 1903. Sospensione di Ordinamenti Suntuari in Siena ( 1442) illustrata da Eugenio Casanova. Siena, Sordomuti, 1902. Ferdinando Gabotto. Un libro di « Conti » della occupazione sabauda nel Monferrato negli anni 1432-1435. Pinerolo, Chiantore-Mascarelli, 1903. FERDINANDO Gabotto. Estratti dai « Conti » dell’ archivio camerale di Torino relativi ad Aosta (1268-1350). Pinerolo, Chiantore-Mascarelli, 1903. Giuseppe Picinelli. Cenni storici sui privilegi e sulle prerogative della città e dei consiglieri di Cagliari nel sec. XIV. Cagliari, Valdés, 1903. AVVERTENZE Il Giornale si pubblica in fascicoli bimestrali o trimestrali. Il prezzo dell’ associazione annua è di L. io, e di L. 11 per 1’ estero. I soci della Soc. d’Incoraggiamento della Spezia e della Soc. Ligure di Storia Patria di Genova, godono di uno speciale abbonamento di favore a Lire SEI. Per quanto concerne YAmministrazione rivolgersi esclusivamente alla Spezia. In Genova il recapito deH’Amministra-zione è in via XX settembre, 16 presso la libreria Chiappori. L’Amministrazione concede ai collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti. Coloro che ne desiderano un numero maggiore possono trattare direttamente con la tipografia, che ha fissato i segg. prezzi : Da i a 8 pag. Da 1 a 16 pag. Copie 50 L. 6 Copie 50 L. 10 » 100 » 9 * 100 * *4 > 100 successive » 7 > 100 succ. > 11 In questi prezzi sono comprese le spese della copertina, della legatura e del porto a domicilio del committente. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO: L. 3 G IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA da UBALDO MAZZINI ' A z&z A. Ferretto, Don Giovanni d*Austria a Portofino, alla Badia della Cervara e a Genova nel 1574, pag. 97 — U. Mazzini, Un episodio della guerra fra Genova e il Duca di Milano (1436), pag. 128 — Q. Sforza, Le ?'clazioni di Alberico I Cibo Malasfiina Prive, di Massa con VAlgeria, il Fez, la Persia, /’ Inghilterra^ la Ciri a e il Giappone, pag. 139 — VARIETA’: A. Neri, A proposito del pittore Carlo da Mila7ioy pag:. 153 — P. Peragallo, Alcuni documenti inediti, pag. 155 — G. Sforza, Un pittore lunigia-nese del quattroce?ito, pag. 159 — IVI. L. Gentile, Una lettera medita di Bernardo Segni, pag. 161 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Vi si parla di: C. Sardi (A. N.) pag. 165 — ANNUNZI ANALITICI: Vi si parla di : L. Stafpktti, E. Celani, F. Donaver, P. Verrua, G. Flechia, G. Roberti, E. Gachot, \U. A.), A. Bernardi (/t. Piva), G. Ricciardi, A. F. Doni, V. Lazzarini, G. Cenzatti, F. Ga-botto, L. Ariosto, G. U. Oxilia, E. Casanova, C. Carnesecchi, G. Roberti, G. Picinelli, E. Panzacchi, F. Podestà, G. Assereto, P. Peragallo, P. Accame, P. Castellini, A. D’Ancona, G. Boffito, V. Fiorini, A. Pellegrini, V. Poggi, G. Graziano, C. Rinaudo, P. Ferrari, N. Lagomaggiore e N. Mezzana (G. Flechia), C. Salvioni, P. Segato (G. FI.) — SPIGOLATURE e NOTIZIE, pag. 185— NECROLOGIE: Agostino Neri (G. S.), Pietro Fraticini (G. S.), pag. 188 — APPUNTI DI OIBLIOQRAFIA LIGURE, pag. 189. Pubblicazioni ricevute, pag. 191. diretto da ACHILLE NERI e ANNO IV Fase. 4-6 1903 Aprile - Maggio - Giugno SOMMARIO DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-* 2 VV Hfc X V Ai *7 - LA SVEZIA Società d’ Incoraggiamento editrice La Tip. di Francesco Zappa AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA QJ DON GIOVANNI D’AUSTRIA A PORTO FINO, ALLA BADIA DELLA CERVARA E A GENOVA NEL 1574 Nell’ atrio del palazzo Municipale di Genova dal 1851 fan bella mostra cinque affreschi, dovuti al pennello di Lazzaro Tavarone, i quali, dice l’A1 izeri, « non sorprendono è vero per grandezza d’ operati e per espressione di gagliardi affetti, che tanto possono sulla fortuna d’un dipinto; ma fermano gli occhi del dotto colla evidenza, colla spontaneità, col distacco delle singole figure, onde pare che gli si muovano incontro, nè vi mancan dei pregi di quella varietà che parrebbe al tutto impossibile in siffatta eguaglianza di temi. S’ aggiunge un colorito nitido, brioso e fresco, una ricchezza d’abbigliamenti, una pompa d’accessorii e un accordo ne’ fondi che io non so se maggiore illusione possano avere gli occhi, mentre il cuore se ne parte digiuno ». Gli affreschi trovavansi nella volta superiore d’una sala del palazzo prima dei Grimaldi-Durazzo, poi dei Lomellino e in ultimo di Antonio Villa nella salita S. Bartolomeo (1). Uno degli affreschi rappresenta il doge che va ad incontrar D. Giovanni al suo arrivo in Genova nel 1574; l’altro rappresenta D. Giovanni che rende la visita al doge nel suo palazzo; * soggetto nuovo » esclama l’Alizeri, « che io non so in quale altro luogo o privato o pubblico si trattasse mai, e che piace il trovar quivi, benché altamente dispiaccia la memoria dei fatti ». (1) Questi il 21 febbraio del 1851 (come da carteggio gentilmente comunicatomi dal Cav. Angelo Boscassi) avvisava il Municipio che mediante un’ assai modica indennità avrebbe ceduto gli affreschi in discorso, onde il Sindaco con lettera dell’ 8 marzo incaricava il pittore Giuseppe Frascheri di esaminare i dipinti, dichiarati nella sua lettera di risposta « di meriti particolari onde aver posto fra i più preziosi____ abbiamo gli esatti costumi, le foggie, gli abbigliamenti e quasi direi il rituale delle principesche etichette sullo scorcio del secolo XVI____». Il 27 marzo del 1851 con privata scrittura il Sig. Ci. B. Banchero, mediante il rimborso di L. 2630, si obbligava di staccare nella loro integrità le pitture di Lazzaro Tavarone, divise in cinque parti, ponendole in quella località che gli sarebbe stata indicata. Gioì 7/. SI, c Leti, delia [ igni in 7 9s GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA L’ argomento adunque che io prendo a trattare, di cui tacciono i nostri annalisti, è l’illustrazione storica dei due affreschi in discorso, che il Frascheri desiderava messi in onore, giacché « non solo verrebbero computati fra i bei lavori di Lazzaro, ma eziandio fra i monumenti che interessano la storia ed i costumi patrii ». * * * La prima notizia d’un probabile arrivo di Don Giovanni d’Austria in Genova fu recata dal cardinal Pacheco (i), e dal Duca d’Alva (2), i quali trovavansi ancora in Genova il 26 febbraio 1574, ossequiati tra gli altri da Paolo Gigli, amLasciatore di Lucca (3). La Serenissima desiderava ardentemente questa visita, giacché erano ancora pendenti certe questioni, ventilate per la divisione del bottino, fatto alla battaglia di Lepanto Infatti in un memoriale, che il 4 febbraio del 1574 fu trasmesso a Madrid si esponeva : « Si fa intendere a V. Cattolica Maestà per parte della Rep. di Genova tanto a lei devotissima come Γ anno del 71 avendo il giorno della vittoria contra Turchi tre soe galee mandate sotto il governo dell’ Ill.mo Sig. Ettore Spinola combattuto come ognun sa e come ne constano le fedi del Sig. Don Gio. d’Austria preso tre galee e diportati tanto va- (1) Pietro Pacheco de Villena, spagnolo, creato cardinale del titolo di S. Balbina nel concistoro del 16 dicembre 1545- Il pontefice Gregorio XIII con lettera del 16 ottobre 1574 raccomandava al granduca di Toscana il cardinale Pacheco, che tornava alla sua chiesa di Bourgos ( Carte Strozziane, Firenze 1884, Vol. I., p. 157). (2' Ferdinando Alvaro di Toledo duca d’Alva. Il 17 febbraio del 1574 il Doge e i due governatori di palazzo ordinavano che si dessero quattro scudi d’oro a Gregorio e ad Alessandro Imperiale inviati a ricevere ai confini verso Lombardia il duca d’Alva ( Ordini di pagamento di Salarti di Stipendiati del 1574, Ms. al N. 238, Arch. di St. in Genova). Sotto la data pei del 3 marzo 1574 trovasi: Libre XVI, sol. XI et den. VI solute Marco Antonio de Grandis candelerio in Fossatello pro pretio brandonoinm quatuor cere albe in pondere Lib. 25.6 ab eo emptis alio die ex ordine magnificorum dominorum deputatorum ad visitandum Ill.mum dominum Cardinalem Pa-checum et Ecc.mum ducem Alve pro eis associandis cum erat in sero ( Car-tularium Impensae, Archivio di St. in Gen., Finanze An. 1574). (3) Litterarum, Reg. 71-1847, 72-1848 al 26 febbr., Archivio di St. in Gen. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 99 lentemente come si convenea al stendardo sotto ’l quale si militava, e perchè in quella giornata foron prese molte galee con loro artigliane et armamenti così molti schiavi di riscatto, per cui si supplica la Maestà Vostra sia servita conforme alla divot'one che detta Republica le porta comandare che per quelli più brevi termini possibili sia per giustizia data la parte sua a essa Republica così delli schiffi come de schiavi de riscatto e di più Γ artigliarle prese con dette tre galee si come hanno havuto li agenti delle sue Serenità Duca di Venetia e I )uca di Savoia, il che facendo reputerà a grazia signalata e gliene restarà come perpetuo obligo » (i). Era allora Doge della Serenissima il patrizio Giacomo Grimaldi-Durazzo, (eletto il 17 Ottobre 1573), uomo per la sua bontà e dolcezza di costumi universalmente grato. Questi, presa visura di una lettera scritta da Napoli il 2 marzo 1574 a Gio. Antonio Fabiano, e conoscendosi da essa « que se intiende de quel Signor Don luan se parteria para Ispania dentro de 15 dias » (2), elesse ambasciatori Cristoforo de Fornari. Stefano de Franchi, Stefano Pallavicino e Stefano Lomellino, dando ad essi la seguente istruzione: Duce Governatori e Procuratori etc. Magnifici Ambasciatori nostri. Aspettandosi come sapete di Napoli il Ser.mo Don luan dAustria habbiamo stimato che convenga alla nostra Republica inviare ambasciatori ad incontrare S. Altezza in mare ne confini della giurisdittione nostra. — Non entraremo a distinguervi li concetti e le parole onde haverete a riceverlo et honorario essendo tutti insieme et ognun di voi tali che saperete corrispondere alla dignità e splendore della persona di S. Altezza et haver insieme il dovuto riguardo alla dignità et riputatione nostra. Sodisfatto che harete a primi uf-ficii di riverenza e di crianza coperta che si sarà S. Altezza quando assai tosto non vi accenni che vi copriate da voi stessi vi coprirete per fugire l’indegnità, rinovando però tal volta il scoprirvi e di novo assai presto ricoprirvi, secondo che il ben nato animo vostro, il luogo, l’occasione et il risguardo della dignità vostra vi detteranno. — 11 Magnifico Cristoforo de Fornari doverà essere il primo a fare il personaggio con (1) Litterarum, Reg. 10-1967, Arch. c. s., e Litterarum, Reg. 72-1848, p. 6. (2) Lettere al Senato, An. 1571-1574, Filza al N. 175, Arch. c. s. IOO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA S. Altezza nel primo congresso in modo tale come è suo proprio che sì nelle parole come nei simbianti facci 1 ufficio in maniera che S. Altezza rimanga sodisfatto di quello honore et di quel ricevimento che gli è dovuto, e finito che hayerà di parlare essu Magnifico Cristoforo potranno poi gli altri tre di mano in mano secondo l'usato o soggiungere o confermare il detto. Fatto che harete li dovuti compimenti con S. Altezza doverete anco visitar quelli personaggi d'importanza che vi saranno, facendoli allogiar in terra, quando vi scendino sodisfacendo a questi inferiori ufficii variatamente tutti insieme o parte di voi secondo che, havuto risguardo alla dignità della republica, il giudicio vestro vi consi^lierà. Doverete anco d’ogni aviso che haverete della venuta dì S. Altezza et del giungere che farà a Ligorna e di mano in mano della navigatione darcene aviso in tutta diligentia. Di Palazzo a VI di marzo 1574 (7)· L’indomani il Senato indirizzava la seguente circolare a tutti i giusdicenti della riviera orientale : Duce Governatori e Procuratori etc. Aspettandosi di Napoli il Ser.mo Don luan d’Austria hab-biamo eletto ambasciatori nostri li Magnifici Cristoforo Fornari, Stefano de Franchi, Stefano Pallavicino e Stefano Lomellino per incontrar S. Altezza nelli confini della giurisdittione nostra e farli riverenza conforme a l’instruttione che gli habbiamo dato et acciò che possino provedere al bisogno di tutto ciò che giudicheranno necessario per honorare et ricevere et accarezzare personaggio di tanta qualità in vigor di queste nostre comandiamo a tutti li Capitani, Podestà o giusdicenti et altri qualsivogli ministri et officiali della riviera nostra del levante et a tutti li sudditi nostri di quei luoghi che osservino li predetti ambasciatori nostri et li obedischino in ogni cosa che da loro sarà comandata per conto di detta legatione et ricevimento di S. Altezza come dalla sua corte e comitiva in tutto e per tutto come fariano a noi stessi. Dal nostro Ducal palazzo alli VII di marzo 1574 (8)· Don Sancho Padilla, cavaliere dell’ordine di Calatra-va, che 1’ i dicembre 1573 era stato nominato ambasciatore in Genova per Filippo II (9), nulla sapeva ancora dell’arrivo, e non ne (7) Lettere del Senato, Filza dell’an. 1574, N. 18«, Arch. cit. (8) Lettere cit., Fil. cit.; Agostino FranzONE, Istruzioni ad ambasciatori, Vol. II, p. 1980, Ms. dell’Arch. cit. (9) Isidoro Carini, Gli Archivi e le Biblioteche della Spagna, Palermo 1884, p. 171. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 101 parla nella lettera dell’ 8 marzo, che indirizzava al Senato per ottenere 1’ esenzione dalla gabella per alcuni barili di vino scelto, che erano giunti in Genova dalla Spagna pei il marchese d’Aiamonte, governator di Milano (i). Don Giovanni però si fece attendere indarno, onde il Senato il q marzo scriveva ai quattro ambasciatori : Duce. Magnifici Ambasciatori. Perchè si è inteso da Napoli che il Ser.mo Don luan d’Austria non è anchora partito e che la sua partenza si differirà qualche giorni volendo noi darvi manco discomodo che sia possibile vi ordiniamo che quanto più presto possiate ve ne ritorniate qui poiché il dimorare vestro costì non è più necessario e tanto eseguirete. Di Genova alii VIIII di marzo 1574 (2). La lettera veniva trasmessa lo stesso giorno ai giusdicenti della riviera orientale con una circolare di questo tenore: Duce e Governatori della Rep. di Genova. Desiderando che le alligate lettere pervenghino con ogni prestezza alli ambasciatori nostri che habbiamo inviato a ricevere il Ser.mo Don luan d’Austria nel luogo nostro di Lerice perciò comandiamo alli giusdicenti nostri della riviera di Levante che di mano in mano mandino esse lettere co" ogni prestezza tanto che pervenghino nel detto luogo di Lerice senza alcuna intermissione et acciò si veda chi haverà usato negligentia ogni uno noterà sotto queste nostre Γ hora della ricevuta e l’ultimo poi ce lo doverà mandare. Di Palazzo alli VIIII di marzo 1574 (3). Contemporaneamente gli ambasciatori scrivevano da Porto-venere al Senato: Excellentissimo et Illustrissimi Patroni Osservantissimi. Hier sera all’ hore tre di notte giunsemo qui, nel qual luogo non habbiamo inteso nova niuna del Ser.mo Don Giovanni an-chorchè da Ligorna sii venuta la galera del Signor Nicolò Doria senza saperne noticia alcuna, nè mancheremo d’intenderne per tutti i luoghi nuova et di poi ne faremo avisati V. S. 111.me le quali saranno servite d’ ordinarne quello in ciò gli parrà che occorra. Et a V. S. 111.me humilmente baciamo le mani. Di Portovenere alli VIIII di marzo 1574 (4). (1) Lettere al Senato, Filza dell’an. 1574, al N. 189, Arch. cit. (2) Lettere del Senato, 1. c. — (3) Lettele del Settato, 1. c. (4) Lettere al Settato, Filza dell’anno 1574, N. 102, Arch. cit. 102 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Richiamati gli ambasciatori, altra nuova si sparse dell’arrivo di S. Altezza, onde l’ii marzo il Senato emanava quest’altro proclama : Duce e Governatori della Republica di Genova. Perchè di breve s’aspetta di verso Napoli il Ser.mo Don Giovanni d’Austria et desiderando noi che gli siano fatte tutte le specie d’ honori e tutte le dimostrattioni che vengono dovute a personaggio di tanta qualità, ci è parso inviar le presenti nella Riviera nostra di levante et ordinare come in virtù di queste nostre ordiniamo a tutti li Capitani, Podestà e giusdicenti nostri di detta Riviera, che diano nelli loro luoghi opportuno ordine acciochè nell’arrivare che farà S. Altezza luogo per luogo faccino quelle salve d’ artiglierie che maggior si possono, secondo la qualità rispettivamente avvertendo ognuno a compir in modo che ogni cosa si facci col debito tempo e che non habbino a darcene mala sodisfattione. In fede del che habbiamo comandato che sieno fatte le presenti segnate del nostro sigillo e sottoscritte dal nostro infrascritto secretaro, le quali doveranno con ogni diligenza esser mandate da luogo a luogo tanto che prevenghino al podestà nostro di Lerici il quale ce le doverà mandare con le sottoscrittioni di tutti li giusdicenti usando quella prestezza che maggior si può. Dal nostro Ducal Palazzo alli 11 di marzo MDLXXIIII a hore 19 e mezzo. Lo stesso giorno alle ore 23 le lettere furono presentate al podestà di Recco, a un’ ora di notte al podestà di Rapallo, alle 3 al capitano di Chiavari, e di borgata in borgata giunsero sino a Lerici (i). L’ ambasceria mandata ad incontrare D. Giovanni costò al-1’erario della Repubblica lire 412, soldi 15 e denari 6 (2). * * * La cittadinanza genovese era dilaniata da intestii.e discordie, quantunque Γ11 gennaio 1574 si scrivesse al protonotaro Sauli, agente a Madrid, che « si camina dalla Republica giustamente » (3), e ciò per paralizzare 1’ azione di Giovanni Idiaquez, cavagliere biscaglino, che Filippo II avea mandato il 26 settembre 1573 in missione straordinaria per calmare i (1) Lettere al Senato, Filza N. 188. (2) V. Appendice N. 1. (3) Litterarum, Reg. 72-184.8, p. 1. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 103 torbidi e per persuadere alla Signoria la quiete e l’unione. E la Signoria, scrivendo il 5 marzo 1574 all’agente Lomellino a Roma, non tralasciava di dire « Fu veramente buona risposta quella da V. S. III.ma e Rev.ma diede a S. Santità quando essendo in consistorio le domandò come passassero le cose della città et Republica nostra, perchè in vero procediamo quietamente et tutti conformi et risoluti alla conservatior.e della pace et del ben publico et così nel fare amministrare la giu-stitia come nell’ altre attioni publiche si può benissimo vedere che la mente et intentione universale è questa, ancorché sia cosa molto difficile et quasi impossibile il raffrenare le male lingue, et che la fama delli successi non vadi di continuo crescendo in modo che non si dichino alle volte molte cose non vere sichè dichino per lo mondo ciò che vogliono li spargitori delle novelle che la verità è questa e speriamo che lo tempo padre di essa verità debbi scoprirla a perpetuo stabilimento delle cose nostre » (1). II Senato poi mentre accarezzava il vescovo di Ventimiglia, cui con lettera del 4 marzo prodigava un elogio per il divieto fatto di ballare alla nizzarda (2), era in urto con Mons. Cipriano Pallavicini, arcivescovo di Genova, vuoi per certe botteghe, che avea fatto edificare di rimpetto al palazzo ducale, vuoi per il Sinodo diocesano, che il Senato pretendeva di sanzionare colla sua autorità (3). Dal cozzo del-l’autorità civile e religiosa nascevano guerricciole e dispetti, nè ci deve far meraviglia se un bel mattino di aprile del 1574 furono imbrattate con calcina le immagini di parecchi santi sul-l’aitar maggiore della chiesa di S. Domenico, cosa che tornò sgradevole al pontefice stesso, che fece le sue dimostranze per mezzo del cardinale di Pisa (4). La sicurezza pubblica era affidata ad un manipolo di mercenari tedeschi e svizzeri, mentre soldati e marinai genovesi, che meglio degli altri avrebbero conservato il fuoco del patriottismo, andavano altrove a prestare i loro servizi. L’ii marzo del 1574 il gran duca di Toscana scriveva al doge di Genova : (1) Litterarum, Reg. 71-1847, p. 21. (2) » » » p. 19 v. (3) » » » passim. (4) » » » PP· 38-39· 104 GIORNALE STORICO E LETI ERARIO DELLA LIGURIA « Essendo stato ricerco dalla maestà Cattolica di armare più galere che io possa per suo servitio di quest’ anno ho promesso di armarne fino ad otto parendomi non potere mancare a un servitio così publico della Cristianità », onde chiedeva il permesso di far assoldare i marinai della riviera ligure (i). Il 12 marzo dello stesso anno Luigi Mocenigo, doge di Venezia, ringraziava il dove di Genova per l’invio di 1200 soldati corsi e delle riviere, destinati, come altri chiesti il 13 febbraio I573> per il presidio di Candia (2). Mentre esulava la migliore gioventù genovese, i nobili del portico vecchio e del portico nuovo erano discesi in lizza, seguendo false immagini di bene, sicché la città era diventata il teatro funesto di continue scaramuccie. Filippo II avea nel frattempo amosso il suo ambasciatore in Genova Don Sancho Padilla, forse troppo condiscendente ai nobili del portico nuovo, del che con lettera del 10 marzo si dolevano i genovesi maggiorenti coll’agente di Madrid, pregandolo a far sì che non venisse nominato Don Francesco de Ibara « come tutto che sia consigliero honorato e di molta qualità, non si agiusti all’humore della nostra Republica » (3). Anche Massimiliano II da Vienna, deplorando le discordie intestine, e invitando alla pace, avea scritto una lettera alla Signoria inviando quale ambasciatore « in statu Finariensi com-missarium honorabilem et strenuum devotum ac fidelem nobis dilectum Cristoforum Sigismondum Rômer de Maretsch ordinis Sancti Iohannis Hierosolimitani commendatorem in Meilberg ac fratris nostri carissimi serenissimi Archiducis Caroli consiliarium camerarium et capitaneum tergestinum » (4). La Signoria genovese il 18 marzo scriveva al protonotaro Sauli, residente a Madrid, che in Senato era ieri comparso il Romero e * ci ha presentato lettere esortatorie alla concordia e molto amorevole sopra la qual pratica egli si è anco esteso a bocca con molta cortesia e prudentia et in somma ha fatto con noi il medesimo officio che fece Don luan de Idiaquez. Noi 1’ abbiamo alogiato honorevolmente e fattoli fare le spese. Domani matina si par- (1) Lettere di Principi, Mazzo XIX. (2) Lettere di Principi, Mazzo XXI. (3) Litterarum, Reg. 72-1848, p. 9. (4) Lettere di Principi, Mazzo I. GIORNALE^STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tirà » (1). Parimente il 22 marzo, dando avviso all’agente di Vienna di questa novella manifestazione di affetto, più 0 meno sincera, scriveva: « 1 altro hieri vene qui lo Commissario di i'male Cristoforo Sigismondo Romero, che ci presentò una lettera della Maestà Cesarea per la quale ci esorta alla concordia et alla conservazione della libertà et quiete et a bocca ci espose nella medesima sostanza a cui fecemo quello ringratiamento et risposta che parse opportuna, et subito che si ebbe noticia che il Commissario fu qui all’ hosteria mandamo doi gentil huomeni a levarlo et lo fecemo condure in un palazzo dove li havemo fatto preparare la stanza, et mentre che si è fermato qui se le sono fatte le spese per non mancare ad ogni specie di compimento » (2). Se non che il Senato, seguendo una tattica frutto del più fine accorgimento, non ostante « la incomparabile devotione con tutta casa d’Austria » (3), nel mentre con lettera del 18 marzo avea ringraziato l’accorto monarca, rinunciava gentilmente l’offerta, allegando per iscusa che tutti i cittadini erano concordi per il bene comune della patria, senza distinzione di parte, e che per essa avrebbero versato l’ultima stilla di sangue (4). L’ambasciatore fu trattato coi massimi riguardi e alloggiato da Gio. Giacomo Imperiale in Campetto (5). Sia col fermo proposito di fare, come Massimiliano d’Austria, il paciere non chiesto, o, per meglio dire, un nuovo atto di possesso in Genova, dalla Spagna agognata, sia per arrolare uomini e preparare nuove galee per fiaccare la baldanza dei turchi, già altre volte domata, D. Giovanni d’Austria si preparava a fare il suo ingresso nella riviera orientale. Ho accennato alla baldanza dei turchi. Il 1° m rzo del 1574 Don Giovanni scriveva da Napoli a Gian Andrea Doria: « son verdaderos los avisos, que por todas partes se tienen de que el Turco hase aparejar su armada tan numerosa y con tanta diligenda como escriven y yo ol tengo por cierto con grandissimo des contentamiento • (1) Litterarum, Reg. 72-1848, p. 11. (2) Litterarum, Reg. 71-1847, p. 29 v. (3) Da una lettera del 6 ott. 1575 scritta da Margherita d’Austria (Lettere di Principi, Mazzo XIX). (4) Littérarìim, Reg. 71-1847, p. 28- (5) Finanze, Filza al N. 43. Ιθ6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mio, anteveo que no pueden dexar de suceder grandes inconvenientes en los estados de su M.0* que quando se querran reparar sera fuera de saxon » (i). Il doge e i senatori non mancavano di prendere tutti i provvedimenti del caso, onde il 30 marzo scrivevano ai giusdicenti della riviera orientale ed occidentale di dar ordini affinchè le guardie venissero fatte con ogni diligenza « intendendosi che in Algieri et altre parti di Barberia è uscito un numero di vascelli di corsali » (2). Nel frattempo per meglio accapparrarsi 1’ animo di Don Giovanni, si ordinava ai Protettori di S. Giorgio di non riscuotere alcun diritto di dogana per le robe di Don Giovanni, trasmesse per lui da Milano nel palazzo di Gio. Andrea Doria (3). Il fastoso palazzo di Fassolo era apparecchiato; e mentre in Genova si stava in pensieri circa gli apparati turcheschi e le notizie giunte venivano comunicate il 15 aprile al protonotaro Sauli a Madrid (4). Don Giovanni, lasciati ormai gli ozi di Napoli, il 24 aprile 1574 trovandosi alla Spezia (5), scriveva al Doge e ai Senatori di Genova che, avendo lasciato il porto di (1) Lettere di D. Giovanni d’Austria a D. Giovanni Andrea Dona I, pubblicate per cura del principe D. ALFONSO DORIA PAMPHILI, Roma, lip. Forzani 1896, p. 54. (2) Lettere del Senato, Filza N. 189. (3) V. Appendice N. II. (4) Litterarum, Reg. 72-1848, p. 12 v. (5 i Ubaldo Mazzini mi comunica la seguente nota, riguardante 1’ arrivo di Don Giovanni d’Austria alla Spezia, di che lo ringrazio : « E a di ditto [30 apr.] L. 84 s. 8 tanti spessi in lo presente dal S.mo Gio. de austria qualli ne ha comodo m. Io. batista redoano apare poliza in detto in. gasparo masa in cte. 37, L. 84 s. 8. — d. Frediano alo in contro deauere L. 4. in tanti li ha pagati la ditta camera causa de letti datti alli agienti delli S. in basiatorj de gienoa per il S.mo don gio: de austria apare deliberacione L. 4. — E a di 30 ditto L. 84 s. 8 in contanti pagati a d. Io: Batista redoano dal quale furon comodati li Sindicij per fare il presente al S.mo Don Gio : de austria apare uno conto infilzatto a debitto della comunità a cte 40, L. 84 s. 8. (Dal libro dei Conti della Cm.tà della Spezia, 1573-74). — « die ea (30 aprilis). Prefatus magistratus aprobauit et aprobat munus factum serenissimo d. Ioanni de austria per dominos sindicos nomine comuni ta tis quod ascendit ad summam librarum prout in lista infilciata legitur. — vj< die ea prefatus magistratus ordinat fieri appodixiam de Io Bapta redoano (le libris 84. pro expensis circa munus factum Serenissimo d. loi. de austria et ila ca die GIORNALE STORICO E LETTERARIO UKUA LIGURIA 107 Gaeta per dirigersi alla volta di Spagna, avea ricevuto dal re l'ilippo II un dispaccio con che gli ordinava di recarsi a Milano, onde in esecuzione della regia volontà, avendo il giorno 21 lasciato il porto di Gaeta per andare in Lombardia, dava ora Γ annuncio del suo prossimo arrivo in Genova (i). Gli ambasciatori, già prima stati eletti andarono ad incontrare Don Giovanni, trasmettendo poi il 28 aprile da Portofino la relazione del viaggio : Excellentissimo et Illustrissiu/i Signori II tempo tristo n’ha tratenuti due giorni tra Portofino e Sestri, di dove hier sera alle due hore di notte, ancor che il tempo non troppo buono, si siamo partiti e nel far del giorno habbiamo incontrato sua Altezza nel sbocar di Porto Venere, al quale volevamo far quel complimento d’honore che da V. S. Illustrissime ne è stato ordinato, ma così presto della giunta sua Altezza ne ha fatto intendere che non si moviamo altrimente di galera sinché non giunga a Portofino nel qual luogo farà pausa et più sentirà quello che gli verrà esposto in nome di V. Eccellenza e V. S. Illustrissime da noi, nel qual luogo poi siamo gionti et fatto a Sua Altezza quelli compimenti dovuti, come più a pieno di pre-sentia narreremo a V. Eccellenza e Signorie Illustrissime, ne ha detto che si fermerà sino a domani qui et doppo pranzo si partirà per Genova, ne è parso dame notitia a V. S. Illustrissime acciò possino dar quell’ordine intorno alla sua venuta che gli pareranno necessarie et con questo fine pregando nostro Signore che le tenghi di sua mano. Di Portofino alli 28 di aprile 1574 (2). Lo stesso giorno scrivevano : Eccellentissimo et Illustrissimi Signori nostri osservantissimi. — Ritrovandosi Cristoforo Fornari alla Cervara, monsignor Mazza medico del Serenissimo Signor Don Gio\anni ragionando si è fatto cadere artificiosamente in domandargli se nel desim-barco che farà Sua Altezza alla scaletta del Signor Gio. Andrea [Doria] si metterà per terra cose di seta ovvero di panno et di che qualità. Detto Cristoffaro gli ha risposo che il Signor Gio. Andrea è cavagliero tanto compito che supplirà in questo, come facta appodixia in forma de L. 84.8 » (Dal Liber deliberationum M.ce C.tis Spedie, 15 73-1576V (i 1 Litterarum, 1571-1574, N. 1967 f. 10; Notae ex foliatiis Notariomm, Ms. al N. 349, p. 37. Arch. di St. in Genova. (2) Lettere al Senato, Filza N. 102. ιο8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA conviene, dovendo alloggiare in casa sua et siando il luoco del detto disimbarco membro di soa casa. Detto medico gli ha replicato che il sudetto Signor G:o. Andrea non è alla città et che il desimbarco poiché la Signoria Ilustrissima lo va a ricevere che non si può dire che questo particolare debba esser provisto dal sudetto Signor Gio. Andrea ma dalla Signoria Illustrissima Detto Cristofaro ha perseverato in rispondergli le istesse parole in sostanza, et poi ne ha dato a noi notitia del sudetto, et ci è parso esser debito nostro farne avisate le S.S. V.V. Illustrissime, accioche possino et considerare intendere et provedere quello che le parrà convenire, poiché par che prema et se le debba havere particolare consideracione il che sarà fin di questa con baciar a V. Eccellenza et Signorie Illustrissime riverentemente le mani et pregarle felicità. Da Portofino li 28 di Aprile 1574 (1). Il 15 aprile la Signoria genovese, perchè tutto procedesse con ordine avea nominato in podestà di Rapallo il patrizio Benedetto Doria e il 20 aprile in castellano di Portofino Antonio Lavaggio, consegnandogli apposito cifrario (2). Don Giovanni d’Austria era già stato a Portofino. Trovo infatti due lettere da Portofino da lui dirette a Gian Andrea Doria colla data del i° e 10 agosto 1571 (3). Prima adunque della battaglia di Lepanto, e mentre a Genova fervevano i preparativi il seno simpatico portofinese, per dieci giorni almeno, avea dato ricetto al futuro vincitore della celebre pugna navale. Parlando di Portofino non posso far a meno di riferire la descrizione che ne fa Gio. Battista Confalonieri, segretario del patriarca di Alessandria spedito collettore in Portogallo e giunto a Portofino l’ix novembre del 1592, giorno di S. Martino: « Questo Portofino è fatto dalla natura tra due monti, non è molto grande et è esposto alli sirocchi che travagliano quei vascelli che vi sono. È però assai vago per le case che vi sono attorno, vi trovammo un pane bianco come un latte, ma non ben cotto et era così caro che veniva a costare a ragione di Roma, 18 quattrini la pagnotta che non poteva essere più di quattro once ; i letti uno scudo per notte e faceano pagare non solo le stanze, ma l’aria stessa. Vi sono due chiese, la Pieve e (1) Lettere al Senato, Filza N. 102, v. Appendice III. (2) Lettere del Senato, Filza N. 189. (3) Lettere di Don Giovanni cit., pp. 19-20. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I0Q S. Giorgio, in cima di un alto monte dove dicono vi sia del corpo di esso Santo. Discosto da questo porto due miglia, vi è il monastero di S. Girolamo della Cervara, dii Monaci Cassinensi, quale è tanto bello e fecondo di ogni grazia di Dio che in quei sassi e monti sterili, non si può desiderar più; e hanno così gran giardini che mi maravigliai, da quali ne raccolgono grano, vino et oglio in tanta quantità che ne hanno da vendere, eppure vi stanno da 16 monaci » (i). Da Portofino alla Cervara è breve il passo. Don Giovanni d’Austria, allora ventisettenne, il 28 aprile 1574 fece col suo medico una breve visita alla Cervara, onde il P. Spinola, isto-riografo della celebre badia notava: « Alloggiò in monistero D. Gio. d’Austria di cui si legge nel libro 1570-1576 che lasciò due somme con queste parole : Ricevuto per ellemosine dal Signor Don Io. d’Austria quando sua Altezza fu qui in monastero L. 80 e più per tanti cioè scudi 16 avuti dal Ser.mo Signor Don Gio d’Austria, quando alogiò qui; altra notizia di lui non danno i libri della Cervara » (2). Alla corte di Spagna co-noscevasi la detta badia; se ne evocavano con orgoglio i ricordi, alla storia spagnola collegati. L’arrivo del prigioniero Francesco I nei primi di giugno del 1525, rammemorava la rotta di Pavia e la strepitosa vittoria di Carlo V. Nell’agosto del 1529 per quasi 11 giorni aveano soggiornato alla Cervara i cardinali Alessandro Farnese (più tardi pontefice col nome di Paolo III', Francesco Quignonès, spagnolo, generale dell’ordine dei Minori e Ippolito de Medici, nipote del pontefice Clemente VII, venuti in Genova d’ordine del papa, col mandato d’invitare Carlo V a Bologna, ove l’ anno seguente fu incoronato imperatore (3). Nel 1542 la Cervara ospitava pure Nicolò de Granvelle ministro e consigliero di Carlo V, come il paziente (storiografo ci lasciò scritto. Nulla di più facile che questi ricordi abbiano invogliato (1) Spicilegio Vaticano, Roma, tip. Loescher, 1890, p. 180. (2) Memorie Storiche del Monistero e Badia di S. Gerolamo della Cervara dell’ Ordine Benedettino Cassinense dall’ anno di sua fondazione / 360 al 1796, raccolte da don GIUSEPPE Spinola professo, decano e cellerario dello stesso Monistero, Ms. alla Bibl. della R. Università, p. '26. (3) Un libro di conti citato nelle Memorie della Cervara notava appunto le spese in pane, farina, olio e pesci salati, fatte per il prolungato soggiorno alla Cervara dei tre messaggi apostolici. IIO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V, a portarsi all’antico Cenobio, che si collegava a tante memorie della sua famiglia. Dalla Cervara Don Giovanni tornò a Portofino, di dove spiegò le vele verso Genova, arrivando il 29 aprile 1574, il giorno stesso in cui la Serenissima esultava per l’elezione di Don Giovanni di Idiaquez, ambasciatore spagnolo in Genova in luogo di Sancho Padilla eletto castellano di Milano, « il quale per il vero era et è in molta nostra satisfatione, essendo molto bene edificato verso la Republica e S. M. > (1). * * * Il Doge Giacomo Durazzo, avuto contezza del prossimo arrivo di Don Giovanni, mandò ad avvisare i patrizi Paolo e Luca de Fornari, Pier Maria e Battista Promontorio, Anfreone Sauli, Luca e Giovanni Grillo, Stefano e Giovanni Pallavicino, Giovanni e Gregorio Usodimare, Agostino e Battista Spinola, Alessandro e Gregorio Imperiale, Gerolamo e Stefano Doria, Paolo e Lazaro Grimaldi, Lorenzo e Francesco Negrone, Paolo Battista e Gerolamo Interiano, Gaspare e Stefano de Franchi. E ad essi scriveva la seguente il Cancelliere della Serenissima: Signori. Aspettandosi bora per hora il Ser.mo Don Gio. d’Austria sempre che sentirete sonare la campana grossa vi ritroverete in palazzo con le vostre cavalcature per far compagnia alli doi 111.mi collegi per ricevere sua Altezza e questo di ordine di sua Eccellenza et III.mi Signori. Di casa a di 25 aprile 1574 (2). Le maggiori gentilezze dovevano usarsi al fratello di Filippo II, e ai rappresentanti della Spagna in Genova, nè ci faccia meraviglia se ad istanza dell’ambasciatore Sancho de Padilla il 28 aprile i Procuratori della Repubblica davano ordine ai Protettori di S. Giorgio di non percepire alcun diritto sulla merce, spettante al marchese di Riamonte, governatore di Milano, e il 30 aprile chiedevano la stessa esenzione per la merce spettante a Don Michele de Moncada, che iacea parte del consiglio del re (3). (1) Litterarum, Reg. 72-1848, p. 15. (2) Senato, Atti non spediti, Filza N. 191. (3) Lettere del Senato, Filza N. 187. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA L1GUK1A III Ad incontrare Don Giovanni presso la spiaggia di Fassolo andarono il doge Durazzo e i patrizi, di cui sopra, e l’incontro festante fornì al pittore Tavarone il soggetto di uno dei quadri, che, come ho detto, ammirasi nell’atrio del nostro Municipio. La restituzione della visita al doge con la relativa presentazione delle credenziali di Filippo II forma il soggetto di un’altro dei quadri. Il giorno 29 aprile il Senato scriveva al protonotaro Sauli, ambasciatore a Madrid : « Il Signor Don Giovan d’Austria venne alla Spezza li 25 di questo et heri giunse a Portofìno, hoggi poi ha fatto la sua entrata qui di dove dovrà partirsi per Milano. Se gli è fatto quell’accoglienza et quelle dimostrationi che habbiamo potuto, le quali sono più secondo le forze che conforme al desiderio nostro. Sua Altezza ci ha fatto buonissima faccia et è alloggiato a casa del Signor Gio. Andrea al solito » (1). Un Diario prezioso, visto da Marcello Staglieno in casa Lomellini, e di cui s’ignora la fine, raccontava gli amori di Don Giovanni a Genova e come egli, invaghitosi perdutamente di una certa Galletta, dovette pagare a caro prezzo le grazie e i favori di lei. La signora Galletta è nominata in una lettera, scritta il 4 maggio del 1574 a Gio. Andrea Doria con queste parole : « la senora Galeta por tan hermosa che merezza ciento y tantos servidores que los tantos le bastaran si no fueran mu-chos, pero si lo fueran le sobraran cierto » (2). L’ augurio dei cento cicisbei partiva da un cuore esulcerato, tanto è vero che, ponendo la data alla lettera, Don Giovanni imprecava al mese di maggio, più brutto per lui: « De Genova a 4 de mayo el mayo mas mal gastado que he tenido ni tendre tan presto si ya no signe otro tras deste de 1574 *· Lo stesso giorno Don Giovanni rilasciava un certificato autografo in lingua spagnola, nel quale dichiarava che era di sua proprietà una quantità di oro filato, pervenutogli da Firenze, sicché 1 indomani il Senato comunicava ai Protettori di S. Giorgio l’ordine seguente: MDLXXIIII die V Maii Ambo Illustrissima Collegia etc. ad calculos mandaverunt requirendum esse prestantissimum officium Sancti Georgii ut (1) Corrispondenze di Spagna, Mazzo V; Litterarum, Reg. 72-1848, p. 15. (2) Lettere di D. Giovanni cit., p. 59. 112 GIORNALE STORICO E LEI ! ERARIO DELLA LIGURIA mandet expediri absque solutione alicuius drictus seu vectigalis capsietam unam cum quingentis usque in sexcentis ontus auri filati quod est Serenissimi D. Don Ioannis de Austria. Item etiam unam carrociam foderatam sete cum cohoperta corei que est prefati Serenissimi D. Don Ioannis. II 6 maggio D. Giovanni lasciò il sontuoso palazzo di Fassolo ed il Senato con lettera del 9 in questo modo dava laconicamente la notizia all’ ambasciatore genovese di Madrid : « Il Signor Don Giovanni d’Austria si partì di qui zobbia che fu alli VI di questo et se li diedero tutte le comodità possibili, in modo che crediamo che ne sia restato satisfatto ». Nello stesso tempo coglievano l’occasione di avvisarlo che « heri poi venne l’am-basador Padiglia in Senato e ci presentò Idiaquez in suo luogo al quale rinontiò il ministerio dell’ambaxada e lui prese licentia per doversi partire domani, anderemo gustando esso Idiaquez e dal suo modo del procedere il quale vogliamo credere che debba esser con bona satisfatione vi daremo aviso come ci piaccia sopra il che non ci pare per hora potervi affermare cosa alcuna » (i). A salutare Don Giovanni in Genova erano venuti gli ambasciatori di Lucca, che la Serenissima con lettera del 30 aprile, diretta agli anziani e confalonieri di Lucca, iacea conoscere di « aver veduto et udito con molto giubilo » (2). Erano stati alloggiati nella casa del capitano Bendinello Saoli, già illustratosi alla battaglia di Lepanto, e il 5 maggio son notate L. 95 per due pranzi, offerti a detti ambasciatori (3). La mensa fu adorna di fiori e in essa non mancarono i capponi, i piccioni, i carcioffì, la trippara, i piselli, le fragole, la lattuga con ravani per insalata, limoni, aranci, persicata, castagne, nocciuole etc. il tutto inaffiato con pinte di vino amabile (4). In Genova pure Don Giovanni apprese la morte di Cosimo de Medici, granduca di Toscana, (Φ 21 aprile) comunicata dal figlio Francesco per lettera del 24 aprile (5), recata dal nunzio Gio. Vincenzo Vitelli, a condolersi della qual morte presso il novello granduca il Senato il 5 maggio inviava il patrizio genovese Francesco Saoli (6). (1) Corrispondenze di Spagna, Mazzo V; Litterarum, 1. c., p. 17· (2) Litterarum, Reg. 71-1847, p. 54. (3) Cartularium cit. — (4) Finanze, Filza N. 45. (5) Notae ex foliatiis cit., p. 37; Lettere di Principi, Mazzo XIX. (6) Litterarum cit., p. 36; Franzone cit. pp. 1982-1983. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA "3 Da pochi giorni era partito Don Giovanni e l’ambasciatore spagnolo d’ Idiaquez con supplica del 13 maggio pregava il Senato a concedere 1’ esenzione dei pubblici balzelli per il vino e altra merce della galea patrona di esso principe (1). * * * Durante il soggiorno di Don Giovanni in Lombardia, i Genovesi furono richiesti dallo stesso di un certo numero di galee (2), onde il 24 maggio scrivevano all’ambasciatore di Spagna : « Si sono havute lettere da S. M. e dal Signore Don Gio. d’Austria per le quali ci han richiesto le nostre galee, sopra il che ci siamo risoluti di compiacerli temperando però in modo la cosa che sua Maestà habbi per bene che per li XV di settembre possiano dette galere haver licenza di ritornare acciocché con-duchino le sete delli nostri cittadini » (3). E lo stesso giorno trasmettevano a Peliegro Doria, residente in Milano, una lettera « per il Serenissimo Don Gio. d’Austria con la quale gli diamo noticia che se gli consentono le gJee della nostra Republica per questa estade, come ci ha richiesti » (4). Il 26 maggio il Senato scriveva di nuovo a Don Giovanni: Ser.mo Signore. Conforme a quanto S. Maestà e V. Altezza ci han richiesto con lettere habbiamo risoluto accomodarli le nostre galere per giontarle con le sue a Messina 0 dove da Vostra Altezza ci sarà significato, fra tanto le anderemo preparando al meglio che delle nostre deboli forze si potrà e tutto che la strettezza del denaro nella quale la Republica nostra si ritrova ci persuada, anzi ci induca a necessaria risoluzione di ritirarsi dalla spesa, tutta via la molta voluntà di fare ogni servitio a S. M. e a V. A. non solamente ci revoca da questo pensiero ma partorisce in noi desiderio di haverne maggior numero per poterli far servitio di maggior rilievo, la supplichiamo adunque ad accettare la voluntà, dove non giungono le forze et insieme a dar ordine che almanco per li quindici di settembre siano dette galere licentiate acciochè possiamo con esse a tempo debito levar di Messina qualche sete destinate per qui, le quali sono il mantenimento di tanto numero di persone del nostro stato che si vivono con l’industria di esse et insieme col nolito (1) Senato, Atti non spediti, Filza N. 191. (2) Con lettera del 22 giugno 1573 da Napoli Don Giovanni chiedeva ai Genovesi un numero di galee per il suo Re {Lettere di Principi, Mazzo XVIII). (3) Corrispondenze di Spagna, Mazzo V; Litterarum, Reg. 72-1848, p. 18. (4) Litterarum c. s. Giom. St. e l.ett. della I iguria S 114 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA in parte allegerire la Republica della spesa che gli vien causata dal mantenimento di dette galere, et in ogni modo, si come non possono esserli di molto uso rispetto al numero che ve n’ha S.M. così non gli doverà esser di gran descomodo il mancarne. Nel resto pregheremo Iddio che siccome le sue imprese son giuste e pie, così le conduca al desiderato fine, ornandola di quelle maggiori glorie e trofei de quali son meritevoli le sue splendide ed illustri virtù. Di Genova alli XXVI di maggio 1574 (*)· Oltre a ciò !a Signoria genovese il 26 maggio facea buon viso alla dimanda dell’ ambasciatore Idiaquez, il quale si raccomandava che i Protettori di S. Giorgio non riscuotessero somme per le 447 casse, ove erano 1000 archibugi, 300 corazze, 200 briglie per cavalli, armi e munizioni, il tutto spettante a re Filippo II, e proveniente da Milano (2). Don Giovanni trovavasi allora a Vigevano, di dove il 15 e 31 maggio scriveva alla Serenissima insistendo sempre per l’armamento delle gelee, destinate a risarcire i danni fatti dai Turchi. Il i° giugno scrivendo al doge di Genova deplorava la rissa, seguita in Sardegna tra la fanteria spagnuola e le genti delle galee di Marcello Doria, per cui, temendo che la vertenza potesse ostacolare i suoi propositi, il 2 giugno, trovandosi sempre a Vigevano, avvisava la Signoria genovese di prestare tutto il credito possibile all’ ambasciatore Don luan de Idiaquez, colla speranza che avrebbero accondisceso alla sua domanda e a quella del re (3), onde la Signoria il 7 giugno scriveva a Filippo II: Sacra Regia Cattolica Maesta. Le galere della nostra Rep.ca le quali V. M. ci ha richiesto per servirsene insieme con le sue contro il forzo dell’armata turchesca, saranno pronte per inviarsi a Messina o altrove tutte le volte che ci sarà significato dal Ser.mo Signor Don Io. d’Austria, in conformità di quel che la Maestà V. ce n’ ha scritto per le sue de 27 d’aprile e tutto che la strettezza del danaro nella quale si ritroviamo ci persuada anzi ci induca a necessaria risolutione di ritirarsi dalla spesa che ci vien causata dal mantener galere armate, tuttavia il desiderio eh’ abbiamo di servire a V. Maestà ci revoca da ogni altro pensiero e sicome la volontà in noi è maggiore che le forze così siamo astretti a supplicarla come facciamo che habbi per bene di dar ordine che al manco per li XV di settembre siano licen- (1) Litterarum, Reg. 72-1848, p. 19. (2) Lettere del Senato, Filza N. 187. (3) Lettere di Principi, Mazzo XVIII. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 115 tiate dette galere quando si possi farlo senza molta discomodità del servitio di V. M. acciochè possino a tempo debito levar da Messina le sete destinate per qui dalle quali riceve non piccolo sussidio una bona parte del nostro popolo; con che facendo fine basciamo le mani a V. M. pregando Nostro Signore Iddio che conceda prosperi successi alle sue giustissime imprese. Di Genova alli VII di giugno 1574 (i). Il Senato continuava a favorire l’impresa di Don Giovanni, e il 22 giugno, ad istanza dell’ ambasciatore, dichiarava esenti da qualsiasi tassa i 7o quintali di tonno, i 53 quintali di formaggio, i 160 barili di sardene, le 60 mezzarole di vino, i 12 barili di aceto e altra merce, che d’ordine di Filippo II e di Don Giovanni eran stati acquistati in riviera per la fanteria italiana, che dovea andare in Sardegna (2). Don Giovanni, temendo che le discordie dei Genovesi e la venuta del Duca ni Savoia a Savona, ivi giunto « a mutar aria per conto di sanità » (3) non facessero naufragare le belle promesse, scrisse di nuovo da Milano il 27 giugno, ricordando la data parola (4), tanto più che l’allestimento delle galee rendevasi più che mai necessario, giacché le notizie, che giungevano a riguardo dei Turchi, incutevano timore. Infatti il 5 luglio il doge informava il protonotaro Saoli, residente a Madrid, che « il correro di Napoli porta aviso che alli 19 di giugno l’armata turchesca partì da Zanto con 370 vascelli et è poi stata scoperta fra l’isola delle Stanfarie e Botronto che tirava alla volta di Barbaria » (5). Don Giovanni, oltre un numero di galee, avea chiesto pure l’artiglieria, al che il Senato rispondeva : Ser.mo Signore. Ancora ché l’arteleria della quale si accomodò S. M. Cattolica sia molto necessaria alla città nostra per il poco numero che ve ne habbiamo tuttavia non si può man-char di compiacerne V. Altezza ancora quest’anno, come in suo nome ci ha richiesto Don Gio. de Idiaquez, ben la supplichiamo (1) Litterarutn, Reg. 72-1848, p. 21. (2) Lettere del Senato, Filza N. 175. (3) Il giugno del 1574 venivano inviali ambasciatori a Savona Agostino Calvo e Nicolò Pallavicino (Franzoni, 1. r., p. 1984; Litterarntn, Reg. 71-1847, p. 71). (4) Lettere di Principi, Mazzo XVIII, (5) Litterarum cit., p. 24. I l6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che sia servita di ordinare che ne sia fatta la consignatione alle nostre galere al ritorno da Messina acciochè la possiamo conservare in servitio di S. M. Il dottor Naro de Puebla il quale fu inviato qui da V. Altezza si è spedito e noi gli habbiamo dato tutte le comodità che ci ha richiesto e si come conosciamo in V. Altezza quel zelo della giusticia che maggior si può, così la preghiamo a credere che dal canto nostro non si manchi a tutti li compimenti che si possono a fine che siano severamente castigati li insolenti e particolarmente per l’eccesso che seguì li giorni adietro al Molo contra quel spagnolo del qual ci ha trattato il detto Don Gio. non mancando noi tuttavia di proseguire li colpevoli in ogni maniera. Le fanterie italiane che hanno da passar nel nostro stato per navigare in Sardegna come il detto Don Gio. de Idiaquez in nome di V. A. ci ha richiesto potranno mettersi in viaggio per imbarcarsi qui nel nostro porto di questa città tutte le volte che saran pronte le navi o galere per riceverli nè si mancherà per parte nostra di darli le comodità et li agiuti che si potranno le quali saran più secondo la qualità del paese che conforme al desiderio nostro et accioche se gli possi più facilmente provedere delli bisogni necessarii siamo d’ opinione che si,.', meglio che V. A. comandi che siano inviati a parte a parte e non tutti in una volta. Guardi Nostro Signore la Ser.ma persona di V. A. et ce la conservi longamenti alli bisogni di tutta la cristianità. Di Genova alli VI luglio 1574 COSÌ avvicinava nel frattempo il ìitorno di Don Giovanni a Genova. Il 18 luglio Gerolamo Giustiniani commissario a Gavi, scriveva che tra Voltaggio, Gavi e circostanze non si potevano mettere insieme -20 muli per trasportare i bagagli di S. Altezza, la cui partenza era prossima come aveva appreso da un gentiluomo di S. A., col quale la sera innanzi avea pernottato a Busalla (2). Infatti il 27 luglio da Milano Don Giovanni avvisava Gio. Andrea Doria che l’indomani si sarebbe trovato- a Piacenza (3). Causa del-l’improvvisa partenza fu pure certo idilio amoroso che la Serenissima di Genova, non prevedendo gli effetti, andava tessendo col nuovo re di Francia Enrico III. Il 6 luglio questi scriveva da Cremona al Doge di Genova, raccomandandogli « certa expeditione » (4) che non riuscii a chiarire. Il 7 la Signoria genovese si congratulava col re « per essere stato chiamato dal- (1) Litterarum, Reg. 72-1848, p. 24 v. (2) Lettere al Senato, 1572-1574, N. 99, p. 24 v. (3) Lettere di D. Giovanni cit., p. 64. (4) Notae ex Foliatiis cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I I 7 l’altissimo Dio ad un regno tanto nobile e tanto grande » dichiarando che « il desiderio di servirla è infinito » (i) Come se ciò non fosse bastato, Γ8 veniva spedito Agostino Spinola in Venezia ambasciatore al re « offrendo a S. M. il transito per il nostro dominio.... offrendoli tutto quel che possiamo di comodità e per terra e per mare > (2). Il 24 il re da Venezia ringraziava il Doge e i Senatori genovesi per le congratulazioni fattegli del suo avvenimento alla corona di Francia (3). Queste carezze del figlio di Caterina de Medici, e presso la cui corte vivea ancora Scipione Fieschi, il fratello del triste eroe della congiura, non doveano tornar gradite a Don Giovanni d’Austria, che vedea in tal modo posta una barriera insormontabile ai suoi disegni. Pensò adunque di lasciar Milano. II doge Giacomo Du-razzo e i Senatori della Serenissima delegarono a riceverlo ai Giovi i patrizi Matteo Gentile e Gio. Giacomo Imperiale (4). Altre disposizioni venivano prese il 27 luglio dal Senato il quale avvisava ventotto tra i migliori cittadini colla seguente circolare : Le Signorie vostre insieme con altri sono state elette per andare ad incontrare il Ser.mo Don Gio. d’Austria sino a S. Francesco della Chiavetta, perciò quando sentiranno la campana grossa del consiglio si riduranno insieme e perchè li Magnifici Luca Giustiniano et Gio. Battista Pallavicino doi delle S. V. sono li maggiori di età, doveranno li detti doi haver par-ticolar cura di rivedersi insieme et dar ordine aciochè in tempo segua Γ effetto (5). Il 29 luglio ad altri cinquantotto veniva comunicato il seguente decreto : Le Signorie vostre sono state elette per far compagnia alli doi 111.mi collegi il giorno che anderanno incontra al Ser.mo Don Giovanni d’Austria, per ciò saranno contenti quando sentiranno la campana grossa di consiglio pubblico ritrovarsi a palazzo con le loro cavalcature per andarli (6). (1) Franzoni, 1. c., Tom. II, p. 1991; Litterarum, 71-1847, p. 82. (2) Franzoni, 1. c., p. 1989; Litterarum cit., pp. 84-86. (3) Notae ex Foliatiis cit. (4) V. Appendice N. IV. (5) Senato, Atti non spediti, Filza N. 191. (6) Senato cit. 118 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Il giorno 31 luglio Don Giovanni, col seguito di numerosi cavalieri attraversò Bolzaneto, Rivarolo, Sampierdarena e giunse a Genova, ospitato di bel nuovo nel palazzo Doria a Fassolo. Lo stesso giorno si scriveva ai nobili Bartolomeo Cicala, Paolo Vincenzo Lomellino, Nicolò Fieschi, Paolo Giustiniani e Agostino de Franchi: L’111 me Signorie Vestre saranno contente di ritrovarsi hoggi doppo pranzo a hore venti in Palazzo per poter andar a visitare 10 Ser mo Signor Don Gio. e questo d’ ordine di S. Eccellenza e dei due 111.mi Signori di Palazzo. In Cancelleria del Mag.co Antonio Giustiniano (i). L’ indomani i° di agosto il doge emanava il seguente proclama : Duceetc. Dovendosi condurre certi spagnuoli prigioni di verso 11 stato di Milano nel dominio nostro per ordine del Ser.mo Don Gioan d’Austria sotto la cura di Consalvo Riveres et Cristoforo Rosez ci è parso per buon rispetto accompagnarli con queste nostre in virtù delle quali comandiamo a tutti li giusdicenti ufficiali e sudditi nostri in qualsivogli logo del nostro dominio dove capiterano detti prigioni le dieno alli detti Consalvo e Cristoforo e suoi uomini ogni aiuto e comodità possibile acciocché possino condurli sicuramente..... (2). Il 2 agosto la genovese signoria scriveva a Frate Tommaso Spinola dei cavalieri gerosolimitani, già eletto con decreto del 30 giugno generale delle galee della Republica: Magnifico Multo R.do. Essendo noi stati richiesti dalla Maestà Cattolica di servirli per quest’estate con le nostre galere sotto l’auspicio dell’ IH.mo Sig. Don Gio. d'Austria, in quell’imprese et in quell’occorrenze, che da S. A. saran ordinate volentieri, e con ogni prontezza sì per sodisfare a noi stessi ne! desiderio, che habbiamo di farli servicio si per corrispondere in parte alli segnalati oblighi da S. Maestà riconosciamo, et acciò che il governo di dette galere riesca con la dovuta dignità e riputatione della nostra Republica et insieme partorisca quel servicio a S. Maestà che desideriamo et habbiamo appogiate sotto la sua cura, ben sicuri che con la sua prudenza et valore sostenirà questo peso con quel decoro e con quell’agevolezza che possiamo desiderarci (1) Senato cit. — 2) Lettere del Senato, Filza N. 187. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I tQ Nel maneggio dunque e servigio delle galere nostre doverà m tutto governarsi secondo il volere e satisfatione di S. A., par-en osi di qui seco e seguendolo poi ovunque anderà et in appresso e seguendo tutti gli ordini suoi a servicio di S. Maestà. quando cosa che non crediamo fossero le nostre galere gravate di far traffichi o passaggi di poca dignità e di molto risico si doverà modestamente .arne risentimento da S. A., dalla qua e siamo certi che s’ottenirà ogni comodo e favore, tuttavia come si sia si deverà conformarsi al suo volere. Sarebbero molte cose de raccordarle intorno alla precedentia, uttavia c è parso tralasciarle appoggiando tutto questo carico a a sua prudenza, essendo certi che debba porgere ogni studio in conservare la dignità nostra Non mancheremo di raccordarli che siamo avisati dal nostro Ambasciatore che risiede in Spagna S. Maestà haverli detto di dai ordine a S. A. che debba licentiare le nostre galere per li 15 di settembre e però doverà stare avvertito in pigliare licenza tanto anticipatamente che possino le nostre galere arrivar a Messina in tempo di levar la sete della nation nostra, cosa di tanto sovenimento e così importante alla nostra città, e poi venirsene quanto prima, avvertendo nel ritorno di navigar sicuro e pigliar scorta di una o due fregate che possino scuoprire et assicurarne il viaggio. Di Genova alli 2 di agosto 1574 (1). Prima della partenza Don Giovanni fu complimentato dalla Serenissima secondo il costume d’un cospicuo regalo di zuccheri, frutta, cibarie, pollami, carni ed altre cose (2). Con tutto questo ben di Dio, il giorno 8 agosto Don Giovanni diede le vele al vento colle tre galee della repubblica genovese, secondo si rileva dalla lettera g marzo 1575 in risposta al re di Spagna, il quale aveva chieste nuove galee: « Gli offeriamole tre galere con che l’abbiamo servita quest’anno adietro, assicurandola perchè per essere molto male ad ordine e per disgravare la Republica dalla spesa eravamo necessitati a disarmarle » (3). Il Senato genovese il 12 agosto 1574 scriveva al protonotaro Sauli, ambasciatore a Madrid, che « le galee alli 8 di questo sono partite di qui per Napoli col Ser.mo Don Ioan d’Austria » (4), (1) Franzoni cit., p. 1987. (2) V. Appendice N. V. (3) Litterarum, Reg. 72-1848, p. 47. (4) Corrispondenze di Spagna, Mazzo V ; Litterarum, Reg. 72 - 1848, p. 27 v. 120 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e il 13 a Giorgio Giorgi, ambasciatore a Vienna: « le nostre galere erano già partite col Ser.mo D. Gio. d'Austria alla volta di Sicilia con fantaria per le cose della Goletta e di Tunisi » (1). Lo stesso giorno il Giorgi avvisava da Vienna: « hieri arrivò un correro da Firenze che porta solamente le scaramuccie fatte da Turchi alla Goletta et a Tunisi e che i Turchi habbino havuto il peggio per 1’ aviso eh' ebbe il Duca di Firenze » (2). La peggio non l’ebbero i Turchi. Il fatto è narrato in questo modo da uno storico contemporaneo: « In quest’anno 1574 sde-gnato Selim imperatore de turchi che l’anno inanti Don Giovanni d’Austria havesse rimesso in Tunisi il Re dianzi scacciato da lui, mandò Sinan Bassa generale di sua armata a ricuperare quel regno et la Goletta il che gli riuscì felicemente sicché in 36 giorni fu Tunisi presa et espugnata la Goletta, nella quale si trovò infinità d’ arme d’ ogni sorte et di monicioni, con circa 400 pezzi d’artiglieria tra piccola e grossa che fu perdita inestimabile et fu biasimato di poco valore Don Pietro Porto Carrero che n’era governatore, et fu fatto prigione con altri rimasti vivi. Presa la Goletta fu combattuto il novo forte, fatto nello stagno, difeso per un pezzo valorosamente dal Serbellone et Italiani che v’erano dentro, ma essendo quel forte imperfetto, fatto di muraglia fresca et terrapieni deboli, mal atto perciò a resistere alla furia dell’artiglieria alla fine fu preso, con morte di molti valorosi capitani et soldati. Il Serbellone, fatto prigione con alquanti, fu condotto in Costantinopoli ; quei forti furono spianati et in tal modo perdettero Spagnoli la Goletta, da lor tenuta 39 anni, da che l’imperatore Carlo V 1’haveva conquistata » (3). Il Bizaro aggiunge che i Turchi, armata una flottiglia di trecento triremi e biremi, il 13 luglio arrivano presso la Goletta, la prendono il 13 agosto. I nostri fanno una rocca, ma il 13 settembre viene presa d’assalto dai Turchi, i quali fecero prigioniero il capitano genovese Pagano Doria, che fu poi decapitato (4). (1) Litterarum, Reg. 71-1847, p. 100. (2i Corrispondenze di Vienna, Mazzo IX. (3) Giuseppe Cambiano Historico Discorso, in Mon. IList. l'atr., Scriptorum, Tom. I, col. 1193. (4) Senatus Populique Genuensis llistoria, Antucrpiae 1579, p. 5^°· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 121 * * * I nostri annali non fanno cenno di questa venuta di Don Giovanni in Genova, mentre diffusamente pailano di quella del-1’ anno successivo, nè se ne trova cenno alcuno nella illustrazione del Palazzo D’Oria a Fassolo (i). I Commentarti delle cose successe a Genovesi dal Isino al ΐβ~/6 non parlano del bastardo celebre di Carlo V, e solo ricordano che Gian Andrea Doria « al principio d’ottobre (i 574) chiamato dal Sig. Don Gio. d’Austria se ne ritornò in Sicilia » (2). Gian Andrea, immischiatosi nelle gravi contese fra nobiltà vecchia e nobiltà nuova, avea offerto il destro a Filippo II e a Don Giovanni di porre piede in quella Genova, che l’avolo Andrea Doria avea tenuta sempre chiusa. I due fratelli d’accordo con Gian Andrea faceano forse in modo di privar Genova di galee per trovarla povera e indifesa, qualora avessero in seguito tentato un colpo di stato a prò della Spagna. I Genovesi però s’accorgevano delle mene segrete e viveano in sospetto, nè vollero più cedere il loro naviglio, che ormai andava in isfacelo. E quando il 2 agosto del 1 574 Massimiliano II chiese da Vienna una sola galea per accompagnare Ser.mum Regis Hungariae et Archiducis Ernesti supremi camerarium Woljfgangum Rumpff in Vichlross fidelem, ambasciatore a Filippo II, il Senato rispondeva negativamente, del che con lettera del 9 settembre l’imperatore dei Romani facea le debite doglianze (3). II colpo di stato, scongiurato nel 1574, fu posto in opera 1’ anno successivo, e allora il Doria, alla testa di Spagnoli assoldati, occupò Portovenere, la Spezia, assalì Portofino, Chiavari, Lavagna, Rapallo e Noli, con grave sospetto, osserva ben a ragione il Manfroni, che volesse consegnare le principali fortezze nelle mani del re Filippo (4). Arturo Ferretto (1) Merli e Belgrano in Atti della Società Ligi/re di Star. Patr., Vol. X. (2 \ Pubblicati per cura di Vincenzo Alizeri, Genova, Tip. Ferrando, 1838, P- 30. ^3) Lettere di Principi, Maìzo 1. (4) C. Manfroni, Gian Andrea D'Oria in Rassegna Nazionale, Fascicolo i luglio 1901, p. 17. 122 GIORNALE STORICO E LETTERARIO UELLA LIGURIA APPENDICE. I. Curiosa è la nota delle spese, come dalla seguente parcella: « MDLXXIIII a dì VI di marzo. Spese fatte per il viaggio delli Signori Ambasciatori Cristoforo de Fornari e compagni andati alla Spezza per incontrar il Ser.mo Don Gio. d’Austria. E primo per libre il onze 4 di caviale L. 7.74, e per tornila grassa libre 12 L. 3, e per libre 6 di tonina magra 0.18, e per libre 6 di botareghe 4.16, e per gombete 3 di amandole 0.18, e per gombete 3 di nisole, 0.15, per un fiasco da mettere dentro oleo 0.6, e per una pugnata 0.2 e per fighi libre 6 L. 0.16, e per dare a un bezagnino per caparro d’ insalata L. 0.8. — E a dì VII! detto. Per far imbarcar le robbe e farle portar al ponte L. 1.4, e più per pinte 5 di vino amabile e per il fiasco, 1.16, e per pesci compri a San Fritoso, 3.10, e per vino e pesci cotti per la cena compri a Portovenere L. 10, e più per collatione per il Signor Stefano di Franchi e suoi gentil’ huomini per collatione L. 3 havendo sbarcato sua Signoria in terra a far collatione L. 3, e per li letti de loro Signorie et de tutti quelli Signori che poi sbarcamo in terra L. 3, e per pane JL. 3. — E a dì VIIII detto. Per libre 29 de pesci compri a Portovenere L. 4.7, e per porpi et aragoste L. 2.4, e per pesci compri in galera L 2.18, e per pesci compri a Lerici L. 4.12, e più d’ ordine delli signori ambascia-tori alla patrona dove disnorno L. 4, e più pagate per pane et vino preso per la tavola delli signori ambasciatori L. 5.IO, e più pagati a Stephano da Nove per lino barile de vino per la ciusma della galea di ordine delli signori ambasciatori L. 7, e per legne compre per il disnaro per mano del servitor del signor Stefano Lomellino L. 1.4, e per oleo compro per il detto L. 1.6, e per carbone per mano del detto L. O.IO, e per aceto compro per il detto L. 0.6, e per pane per mano del detto L. I, e pagati a carnali per far portar robbe L. 0.4, e più per riso pestato compro per il detto 0.10, e per sale 0.4, e per oleo 1.6, e pagate all’oste per collatione che hanno fatto li servitori delli signori ambasciatori et di siio ordine 3.10, e per fiasche otto di vino mandati a donare alli signori ambasciatori di Lucca L. 27.12, per pane L. 3, per un barile di vino L. 7, per un leudo per andare alla Spezza per far apparecliiare o. 10, per liaver ispedito un liuomo a Sarzana L. 1.12. — E a dì X detto. Per libre 40 di pesci L. o, per pane L. 4.8, per un pescio li libre 9 i[2 L. 2, per pinte sei di vino amabile per la tavola L. 2.2, e per porpi et alagoste L. 2.4, per uno barile di vino L. 7, e pagati per uno pedone spedito a Lerice L. 1, e per oleo compro per mano del servitor del signor Stefano Lomellino in due partite L. 2.12, e per pugnate e tiani compri per il detto L. 1.10, e per amore e gotti et orinali per il detto L. 3.16, e per doggi compri L. 0.6, e per riso compro per il detto L. 0.5.6, e per damaschine secche L. 0.4, per legne L. 0.6.6, GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 123 e per pesci L. 3.14, e per funghi L. 0.10, e per aggio L. o.io, e per aceto L. 0.28, e per bertorelli L. 0.4, e per borasse e spaciure L. 0.2. — E a Jì XI detto. Per pesce 32 libre L. 4.16, per pane L. 4.8, per biscotelli L. i. i, per un barile di vino L. 7, per uno fiasco Ή amabile L. 1.15» Per haver spedito lino a Lerice agli ambasciatori di Lucca L. 1, per un altro spedito a Sarzana L. i.:o, per porpi et alagoste L. 2.6, per farina L. 1.5. — A dì XII detto. Per pane L. 4.8, per biscotelli L. 1.8, per un barile di vino L. 7, per vino moscatello per la tavola L. 2.2, per farina L. 1.8, per porpi L. 2.2, per pesci 45 libre L. 9, per alagoste L. 1.14. — A dì XIII detto. Per 24 libre de pesci havuti da Portovenere L. 4.16, per rubbi 2 di pesci grossi L. 7.10, per porpi L. 1.10, per aragoste L. 1.8, per un barile di vino nero compro da una barca provenzale L. 5.10, per amabile per la tavola L. 1.8, per mele L. 1.4, e più pagati <1 un marinaio de ordine delli Signori Ambasciatori per essere andato due volte a Portovenere per veder quel che fa il tempo L. 1.8, per pane L. 4.12, per biscotelli L. I.i, per 36 libre di farina L. 3.16. — A dì XIIII detto. Per un barile di vino L. 7, per pane L. 4.12, e più pagati al patrone della casa per una tazza che prestò' da bere alli signori ambasciatori che si è rotta L. 0.16, e più date a un sonatore de ordine delli signori ambasciatori L. 2, e per pesci L. 7.12, e per aver spedito un huoino all’111.mo Signor principe di Massa L. 4, e per aragoste e per porpi L. 3.15, e più date per mancia nelle case dove erano allogiati li signori ambasciatori L. 3.12, e per far portar robbe a galera L. 0.12, e più per speciarie diverse compre da Nicolò Merello spe-ciaro L. 25.18.8, e più per torchie e ceriotti L. 35.12.10. Anche il cuoco Filippo offerse al Senato la sua parcella di spese minute fatte per la cucina e nota « limoni, arenghi, lovasi e tregie, gronchi, spinassi, fenoggi, spareghi, sedani, 1500 lumasse, 25 canestrelli etc. etc. » [Finanze, A. 1574, Fil. η. 45> Areh. cit.). — I conti vennero poi liquidati colla data del 7 Maggio: « die VII Maii. -- Impense adventus Serenissimi Io. Austrie et prò Iacobo Pel-lerano misso alio die cum Magnifico Cristophoro de Fornario et sociis oratoribus missis Spediam pro excipiendo dictum Serenissimum Iohannem pro impensis per eum factis in primo viagio facto ut supra juxta computimi per eum traditum subscriptum per dictum Christoforum et Stephanum de Francis alterum ex dictis oratoribus revisum el subscriptum lib. CCCCXTI s. XV, den. VI » (Cartularium Impense, 1. c.). II. Erano 13 colli contenenti merci preziose. « I11 una balla signata N. i vi sono pezzi sei di tapezzaria di tabi cremesi ricamata d’ oro et argento con le frangie d’ oro et argento. Nella balla N. 2 vi è un letto di damasco turchino in undeci pezzi, ricamato pur d’010 et argento con frangie d’010 et argento, e più un para- 124 GIORNALE STORICO Ë LETTERARIO DELLA LIGURIA mento di chiesa, di tela d’oro incartato con un ricamo a cerco, il palio con il recamo separato in tre pezzi, la pianeta, un panno sopra 1’ altare col cru-cifisso et due figure, il camiso guarnito come va, la stola, il manipolo, I’àmito, la borsa dei corporali, il panno del sediale con un ricamo a cerco, due cos-sini pur della medesima maniera come di sopra cioè guarniti con sue frangie e fiocchi come vanno. Nella balla N. 3 vi sono pezzi dieci del letto di tabi e veluto cremesi ricamato a trofei come i panni della Camera. Nella balla N. 4 vi sono pezzi cinque tapezzeria di damasco turchino ricamati come gli altri già detli, e più due tapeti da tavolta, cioè il cremesi et il turchino, e più li due baldachini, 1’ uno cremesi, 1’ altro turchino et li loro cordoni di seta, e più una gualdrappa di veluto nero ricamata d’argento con le sue frangie d’angento. Nella balla N. 5 vi sono pezzi sei tapezzaria turchina di tabi ricamata come di sopra e più la coperta del letto di veluto cremesi ricamala. Nella balla N. 6 vi sono pezzi cinque tapezzaria di tabi cremisi ricamata ut supra e più un pezzo di panno della camera leonata ricamato a grotesche qual si manda per mostra a S. A. Nella balla N. 7 vi sono due cossinetti da posta uno di veluto leonato guarnito d oro l’altro regio guarnito d’argento, e più un fornimento da cavallo di veluto negro ricamato d’ argento con la sua almartiga, et più otto pomi per mettere in cima alli letti con quattro pennacchi per mettere alli pomi del letto cremesi. Nella balla N. 8 vi sono otto colonne dorate per li due letti. Nella balla N. 9 vi sono le tele d’oro cioè braccia 22 i[4 velo d’ oro rizzo et argento et inoarnadino, conforme la mostra mandata da S. A., e più braccia 23 velo d’oro e seta azurra con perle conforme la mostra, e più braccia 21 tela rizza d’oro e argento e seta negra, e più braccia 58 112 di tela d oro di diversi colori per giubboni e fodra di calze come S. A. comanda. Nella balla N. io vi è una lettiera et due telari e ferri per i due paramenti di letto. Nella balla N. 1 1 vi sono 1’infrascritte tele d’oro, cioè braccia 72 tela d’oro e argento di diversi colori per 18 giubboni, e più braccia 52 tela d’argento de diversi colori per quattro basquini conforme la lista mandata da S. A. e più braccia 26 tela d’ oro rizza conforme al detto ordine. Nella balla N. 12 vi è uno scrittoio. Nella balla N. 13 vi sono due armature. φ MDLXXIII1 die II aprilis. Illustrissimus et Magnifici domini Procuratores. Sub judicio calculorum mandaverunt requirendum esse prestantis-simum officium Sancti Georgii ut mandet expediri gratis et absque solutione alicuius drictus Ser.mo domino Don Ioanni de Austria res et bona de quibus supra. Et ita decreverunt. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 125 III. Le spese. dell’ambasceria raggiunsero L. 245, s. 13 e den. 10 e sono registrate nella seguente parcella : « hp 1574 a dì 26 d’aprile. — Spese fatte per il secondo viaggio fatto per li Signori Cristoforo de Fornari e compagni ambasciatori al Ser.mo Don Gio. d’Austria. E primo per caponi 2 a s. 50 al paro L. 15, e per polastri para 12 a s. 15 il paro L. 9, per ove 200 a denari 4 I’ uno L. 3.6, per uno prezuto in peso libre 18 L. 3.12, per salsisoni 2 grossi L. 3.5, per butiro libre 6 L. 1.10, per formaggio pia-xentino libre 10 i[2 L. 2.7.6, per vitella L. 10.4, per carne di manza L. 2.10, per grassa libre 10 L. 2, per recoli L. 2.12, per archicioche do-zene 14 L. 9.16, per pane L. 4.8, per mele L. 1.4, per cedroni et limoni !.. 1.8, per vino compro a Genova 30 pinte L. 4.10, per nisole, amandole et castagne L. 1.6.9 e Per fiaschi quattro L. 1.4 e per orinari quattro con le sue veste L. 1, per sale et formaggio salato L. 0.18.4, per cepole et anaci L. 0.16, per presinsole L. 0.12, per dare di ordine delli Signori ambasciatori alli frati della Cervara per haver accomodato de diverse cose I.. 8, pagati per far portar le robbe al ponte computato doi fachini li quali stettero tutta quella mattina a fardelli servizii portar le robbe al ponte L. 1.4, e più al lendo per farle portar in galera L. 0.8. — A dì 27 detto. Per pane L. 4.12, per una vitella L. 14.45, Per 1111 barile di vino L. 8.15, per capreti quattro L. 2.13, per vino greco preso per la tavola L. 1.4, per oleo L. 4, per pesci 25 libre L. 3.15. — A dì 28 detto. Per capreti quattro L. 4.16, per haver fatto collazione li signori delli Magnifici Stefano Doria e Stefano Lomellino in terra L. 1.5, per un barile di vino L. 8.10, per pane L. 4.8, per ove 150 L. 2.10, per letti per dormire li Signori L. 0.16, per archicioche dozine 4 compre a Rapallo per la tavola L. 3.4, e più do-zene 4 date d’ ordine delli ambaxatori al credenzero di Don Giovanni L. 3.4, per una dozena de polastri L. 3.18, per 8 gaiine !.. 6.8, per aceto e sale L. I, e per dare d’ordine delli ambasciadori alla chiusma della galera per comprare un barile di vino L. 10, e date a uno quale si mandò a Genova con una lettera alla Signoria IH.ma L. 2. — E a dì 29 detto. Per un barile di vino L. 8.17’ per 5 capreti L. 6, per vino greco per la tavola L. 1.10, per pane L. 4.8, e per dati d’ordine di questi signori a un liudo con 5 huomini quale portò a Genova (Giacomo) Pellerano per prender neve per il Serenissimo Don Giovanni L. 8, e più spesi per il vitto di detti huomini L. 2.10, pagati a un leudo quale fece doi viaggi a Rapallo per prendere vettovaglie L. 1.4, e più per speciarie compre a Genova come per la lista de lo spe-ciaro L. 9.19.7, e più per consumo di cera e ceriotti L. 9.2, e per la mercede del cuoco L. 8 » (Finanze, Fil. 45). IV. Ecco la parcella di L. 153-5-6 spese per questa ambasceria: « 1574 126 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA a per dozene 3 i]2 di perseghe L. 1.10, per 400 amandole L. 1.12, per pere 1.4, per una corba_____ per un tonno in peso 33 libre L. 5.15-6, per meloni L. 1.8, per dati a un camallo 0.4, per dati a nove persone per far chiamare li rettori della valle di Polcevera acciò facessero mettere in ordine 1’ arehibùggiarìa per far honor a Don Giovanni L. 1.16, per dati a uno il quale portò a Pontedecimo la corba piena con la provigione L. 2, per il disnaro che s’ è fatto a Pontedecimo L. 8, per la provenda delli cavali della mattina, e più per la cena computato la vettura delli cavali la quale se gli fece dar doppia L. 18, e per aver spedito uno per le poste de ordine de loro Signorie a Serravalle per intendere nuova di Sua Altezza L. 24, e per tar star un huomo a posta al piè del Giovo acciò desse nuova de Sua Altezza L. i, e per haver fatto collatione li servitori alla cima delli Zovi et in mezzo di Polcevera !.. 1.4, e per manchia a tre postigioni T.. 3, e per doi leudi da San Pier d’Arena a Genova I.. 2 » (Finanze, Fil. 46). V. Ecco la « Fatura del presente che si manda a Soa Altezza », cioè : « Doi casiete di pruni in zucaro, una casieta di pignolata, un' altra di amandorle in zucaro, un’altra di pignoli in zucaro, un’altra di nisole in zucaro, un’ altra de annexi in zucaro, un’ altra de colandri in zucaro, un’ altra de cinamoni in zucaro, un’altra di zucata in zucaro, un’altra in la quale sono pani N. 12 di zucaro, sei vittelle, sei pece di piaxentino, quatro barili di olive di Spagna in N. di 2800, quattro barili di tapanì, capponi N. 60 in tre gabbie, polastri N. 200 in quattro gabbie, gaiine d’ India N. 16 in una gabia, limoni una corba, meloni N. 50 in corbe 4, casiete 2 di torchie e due di cerioti in N. di 200 ». Segue la « Lista delli denari pagati per il presente fatto al Ser.mo Don Gio. d’Austria » cioè : « E prima pagati alle monache di S. Leonardo, S. Andrea, e S. Thomaso cioè L. 90.15 ad ognune di loro per precio di libre 33 di damaschene in zucaro per cadauno monastero L. 272.5, e più pagati a Sebastiano Strinca macelaro per pretio de sei vitele nostrate scuti 34 in oro L. 136, e più pagati a Nicolò Gallo bezagnino per pretio de 50 meloni a s. 9 1’ uno L. 22.10, e più pagati a Thomaso Isola reverendarolo per pretio di otto dozene di limoni a s. 10 la dozena L. 4, e più pagati a Gio. Battista Savignone speciaro per precio di L. 251.6. de diverse sorte confe-ture, cioè amandole, nisole, annexi, colandri, pignoli libre 35.10, di cinanomi libre τ 15, di suchata e pignolata tutto in zucharo e libre 200.6 di sucharo in pani dodeci et aggiostato tutto a s. 13.3 la libra una cosa per l’altra, quale partite ascendono a libre 602.10, e a detto predo montano L. 399.7.4, e più pagati a Michele Castagneto formagiaro per predo de libre 558 di for-magio piaxentino da lui compro in sei pecie L. 130.4, e più pagati a Gie-ronimo Aduario candelero per pretio de libre 348 i]2 de cera bianca da lui GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 127 compra e ricevuta in torcili e quaranta e serioti 200 a s. 10 la libra L. 226.10.6, e più pagati a Gio. Maria Carbone polarolo per pretio de gali 11e de India N. 16 da lui compre a L. 4.10 il paro L. 36, e più pagati a Pelegro Ferro per pretio de polastri sessantanno a s. 7 l’uno valendo lire 21.7, e a Gio. An fogo per pretio de polastri venti a detto precio in tutto L. 28.7, e più a Stefano Honeto per pretio di para 26 di caponi a s. 45 il paro montano L. 58.10, e più a un barcarolo con tre uomini per essere stato quatro ore per caricare il presente e discaricarlo L. 2.8, e più pagati a Simone Ra-vaschio per lui spesi e pagati per polastri, olive di Spagna, tapani, bancalari, per casie, ligaballe, ceste, gagie, corbe, caponi, camalli ed altre cose come in la lista sottoscritta per detto Simone nella presente lista infilata L. 140.3.9 ». (Finanze, Fil. 46). Somma liquidata 1’8 agosto (Carhilarinm Impensae cit). UN EPISODIO DELLA GUERRA FRA GENOVA E IL DUCA DI MILANO (1436) I. Siamo nell’aprile del 1436. Tommaso di Campofregoso ha già abbandonato Sarzana e rioccupato in Genova il dogato; Niccolò Piccinino nella Riviera di Ponente sparge il terrore, e si sforza invano nell’assedio di Albenga, donde partirà sul cadere dell’ anno ai danni dell' opposta Riviera e all’ acquisto di Sarzana, che si renderà a patti alle milizie duchesche. Ma fra tanto la Riviera orientale non è in quiete: agli estremi confini verso la Toscana e i Feudi Imperiali sono continui seri timori di pericoli; il governo della Repubblica manda nel Golfo navi, gente e munizioni da guerra e da bocca alla difesa della Spezia minacciata; qua e là appaiono le traccie di una vasta congiura allo scopo di dare per tradimento in mano del nemico i principali castelli della Repubblica, alcuni dei quali le sono effettivamente tolti. Ma su tutto questo negli storici è un silenzio assoluto; nè l’Archivio di Stato ci soccorre gran fatto con le memorie che ci serba intorno agli avvenimenti, perchè son così scarse ed oscure, che non danno modo di raccogliere le fila della trama. Vediamo che se ne può cavare. Da una lettera del Doge al Capitano Gian Luigi Fiesco, in data del 17 di aprile, si rileva che i nemici erano arrivati fino al piano di Migliarina, cioè a breve distanza dalle mura della 128 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Spezia : advisatì restamus etmilos nostros descendisse in loco Λ legi ari ne ; che ai podestà di Recco e di Rapallo e al vicario di Chiavari era stato comandato di mandare gente armata alla Spezia a lui, Gian Luigi; che la galea Giustiniana, sulle mosse per Pisa, si dovesse fermare nel Golfo, nè dal Golfo partisse l’altra di Raffaele Fiesco; che Francesco Spinola dovesse andare con la galea di Ottobono Imperiali a Levanto, a persuadere quei popoli a non ribellarsi, e rimanere in perseveratione et constantìa status nostri; che Matteo Lomellini dovesse recarsi in Firenze a far leva di mille fanti; ed altri provvedimenti relativi all' approvvigionamento della Spezia (i). Altra lettera del 23 allo stesso Gian Luigi avvertiva esser pronti trecento uomini sulle navi di Giacomo d’Oria e di Ambrogio Cattaneo iture Spe-diam quamprimum temporis tranquiUtas adsit (2). L’ approvvigionamento della Spezia era oggetto di cura grande e continua, nella tema, certo, di un imminente assedio. Al capitano Bartolomeo d'Oria scriveva il Doge di entrare nel Golfo con quattro navi per approvvigionare la Spezia di frumento « quia inimici nostri castramentantur locutn Ve za ni prope Spediam, et dubitamus ne torte opprimere studeant dictum locum.... ne necessitas victualium partibus in illis Spedie aliquod generaret sinistrum » (3). E nel ragguagliare il Commissario della Spezia Imperiale d’Oria degli ordini mandati al capitano Rartolomeo nelle acque di Albenga, e alle navi di Ambrogio Cattaneo e di Giacomo d’Oria, lo avvertiva d'aver appreso per lettera di Gian Luigi essere stati arrestati e trattenuti nella galea del Fiesco certo Giovanni Ambrosini insieme con alti i tre della Spezia qui proditionem proprie patrie tractabant; e gli comandava di custodirli con cura (4). (1) Arch. di St. di Genova, Litterarum, n. 1780. Provisum est etiam quod si Spedienses existentibus galeis nostris in gulfi mittere volent ad Flumen Maere pro victualibus emendis de eis habebunt libero in territorio nostro Sarzane etc. — Seguono le lettere, colla stessa data, a Tomaso Promontorio commissario di Chiavari perchè mandi gente ad sucursum loci Spedie et partium illarum, e ai podestà di Camogli, di Recco c di Rapallo per lo stesso motivo. (2) Id. ibid. (3) Id. ibid. lett. 23 aprile. (4) Id. ibid. lett. 25 aprile. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 2Ç Oltre Vezzano, anche Arcola era caduta in mano dei nemici. In fatto, il Doge con lettera del 27 aprile significava a Gian Luigi che stava aspettando « instrui quo tenderit campus Inimicorum et quales fecerint provisiones in locis Vezani et arcule e manibus nostris ereptis » (1); mentre invece Vallerano, Follo e Tivegna pare fossero salve per la sollecitudine di Antonio Fregoso, col quale il Doge si rallegrava (2). Fra tanto giungeva il grano alla Spezia insieme con le munizioni da guerra (3); e siccome il capitano Imperiale dOria aveva ottenuto licenza di recarsi in Genova, così il Doge scriveva al nipote Antonio Fregoso: « Sicut locus Spedie non bene staret sine rectore, volumus ut ante recessum dicti Iohannis Ludovici [de Flisco, il quale aveva assunto prò tempore le funzioni del Doria] vos transferatis personaliter Spediam, ibidem moraturus cum comitiva vobiscum deputata usque quo revertatur illuc Imperialis de Auria quem presto expedire curabimus >. Ma il pericolo imminente pare che fosse per allora cessato. Durante qualche tempo infatto non si trovano altre tracce di preparativi ; e a Genova si pensava già di far buona giustizia contro i ribelli che avevan macchinato contro lo stato: « Nostre est intentionis >, scriveva il Doge a Gian Luigi del Fiesco, « sedatis rebus riparie occidentis, bonam devolvere potentiam in Spedia pro corrigendis et castigandis his qui deliquerunt contra statum nostrum » (4). Ciò vuol dire che ormai le cose nella Riviera di levante erano pacificate; i nemici vinti e i castelli perduti rioccupati per parte della Repubblica. Ma la prudenza consigliava di stare in guardia ancora perchè ogni pericolo non era cessato; e il Doge scriveva a Imperiai d’Oria di tener la Spezia sotto buona custodia, perchè non era « utile consilium terram illam relin- (1) Id. ibid. (2) Id. ibid. lett. 27 aprile. (3) Fu mandata una barca con 250 mine di frumento a Giovanni Ambrosino e a Marco della Pogliasca (ch’erano due degli arrestati per tradimento, non si sa quando nè perchè rilasciati) affinchè lo vendessero, e più: « mitti .nus etiam in barca dicti Simonini per eum vobis consignandis veretonorum a tibia capsas sex et a zirela capsas iiij.ur pro munitione illius loci ». Arch. di St., Litterar. lett. 2 maggio ai due suddetti. (4) Id. Ibid. lett. 21 giugno. Giorn. St. e Lett. della / iguria 9 130 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA quere nisi prius intelligamus qualiter vivendum sit cum duce Mediolani » (i). Non tarderà in fatto il Piccinino a volgersi da questa banda, e a piombare con impeto sulla Lunigiana; si rinnoverà la paura dello sterminio, e si raddoppieranno le difese: la Spezia abbatterà perfino dalle fondamenta la propria chiesa maggiore posta fuori delle mura, per tema che il nemico possa collocare su di essa le macchine da guerra, con cui più facilmente ottenerla (2). Ma la bufera passerà oltre senza recarle danno. II. Chi erano quegli emuli così vagamente accennati nelle carte genovesi? chi aveva occupato i castelli della Repubblica, e per conto di chi avean macchinato tradimenti contro lo Stato quegli individui che il Doge si proponeva di punire così severamente? Tutte le milizie del Duca erano allora occupate nella Riviera di ponente; Firenze era alleata della Repubblica; e Lucca, per odio verso i Fiorentini, teneva bensì dalla parte duchesca; ma non si sa che facesse mosse d'armati contro lo stato genovese. Forse diligenti ricerche nell'archivio milanese potrebbero portar luce su questi fatti; ma frattanto nessuno dei documenti diplomatici pubblicati dall'Oslo ci permette di azzardare sia pure una congettura. Gli atti di un processo criminale che traggo dall'Archivio comunale della Spezia rischiarano gli avvenimenti del 1436; e possono aprire la via a nuove indagini. In fatto, ci fanno sapere che Vczzano, il quale, com’è accennato nei documenti 1) Id. Ibid. lett. 10 agosto. (2) Nel 1437 gli uomini della Spezia chiedevano al Doge di essere dichiarati immuni da avarie e gabelle per dieci anni aìlo scopo di rifabbricare la chiesa : « tempore guerranim preteritarum deuastata fuit ecclesia cathe-dralis dicti loci, que erat extra menia ipsius » Bibl. Coni, della Spezia, fura Spediae I, cte. 33V. sg. i ; e nel 1443 domandavano altro esenzioni per poter far fronte alle spese di riparazione della chiesa e delle mura: « Item petunt pro reparatione ecclesie maioris dicti loci Spedie que dirnipta fuit tempore guerre III. domini Ducis Mediolani pro salute huius loci quum timebatur quod supra illa ecclesia construeretur bastila, uel alia Instrumenta bellica ex qua parte faciliter potuisset capi ipse locus (Ibid. cte. 40'.). — Per 1’ impresa del Piccinino in Lunigiana cfr. A. Neri, Niccolò c Francesco Piccinino a Sarzana, in Giornale Ligustico, XV, 1888, pp. 161 sgg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 31 genovesi, i nemici della Repubblica avevano occupato, era stato preso da Azzone Malaspina di Mulazzo per tradimento. Che i Malaspina di Lunigiana fossero aderenti del Duca di Milano è noto, e lo conferma un documento pubblicato dal-l’Osio (x); da un secondo ricaviamo pure quanto i Marchesi di Villafranca fossero attaccati alla parte duchesca, per esplicita dichiarazione di Pietro Piazza a Simonino Ghilini, nell’occasione che il Piccinino aveva fatto prigioni due di essi, fratelli di Margherita di Landò (2). Bisogna adunque pensare che, mentre nell’ opposta riviera le soldatesche milanesi tentavano di ricondurre le terre genovesi alla obbedienza di Filippo Maria, da quest’ altra parte i marchesi, collegati del Duca, cercavano con ogni arte di far ribellare le terre al nuovo governo di Genova ; e non solo in profitto delle pretese ducali, ma anche a proprio vantaggio, se pure sappiamo legger bene in questi nuovi documenti. Esaminiamo adunque gli atti del processo. 11 giorno dieci di giugno dell’anno 1437 Damiano Lomellino vicario e podestà della Spezia comincia un’inquisizione contro certo Lorenzo del Prete di Mulazzo, già abitatore del borgo di. Vezzano di sotto. Questi è imputato di avere per tradimento messo quel borgo e la rocca in possesso del Marchese Azzone di Mulazzo. Dice l’atto di accusa che in un giorno di aprile dell' anno innanzi Lorenzo si recò insieme con certo Bellotto nel castello di Bolano, allora feudo non ancora diviso da quello di Mulazzo, oer un colloquio che doveva aver con quel marchese, dopo ver promesso con giuramento ad altri tre di Vezzano che avrebbe ad essi rivelato quanto in quel colloquio Azzone gii avrebbe detto ed imposto. Andò infatti, ed il colloquio avuto col marchese si riassume in questo breve dialogo conservatoci in atti : ( I ) Documenti diplomatici t rutti dagli archizj milanesi e coordinati per cura Ji Luioi Oslo, Milano, Bcrnardoni, 1870, in-4, Vol. 11, P. II, p. 348. (2) Op. cit., Vol. Ili, P. I, p. 140. Lettera del 4 maggio 1437: « Cum reverentia et cum fede dico clic sono de li anni XL ho praticato per drito et per traverso quelli de Lunesana, non vidi mai, nè cognovi in quello paese più fidelli homeni come sono stati li marchesi da Villafranca ; e tutti li altri sono stati o Fiorentini o Canipofregoso o Fiescho, ma questi sono stati sempre ducheschi ». 132 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA « Laurentij, tibi consignavi castrum meum et tu iurasti mihi reddere ». « Conveniens est veritatis ad vestrum libitum quod vobis reddam ». Parole che costituiscono invero un enimma; giacche a nessuno, credo io, è noto che i Malaspina abbiano avuto signoria di sorta nel '400 sopra Vezzano ; possesso secolare incontestato della Repubblica per legittimi acquisti dai Signori di Vezzano. Ma nella seconda parte del processo, là dove sono riassunte le circostanze emerse dalla istruttoria, è espressa soltanto la conclusione dei discorsi fatti fra il marchese e Lorenzo, con le parole di quest’ultimo: « Venite voi stesso, o mandate, ch'io vi darò la terra a vostro piacere ». Tornato Lorenzo in Vezzano di sotto, rivelò ai complici (almeno si dovrebbero creder tali, sebbene nel processo non compaiano) il concertato. E dopo otto giorni, di notte tempo, ecco che una mano di armati al comando di certo Marvasio di Mulazzo, creatura del Marchese, entra nella rocca all’ insaputa di ognuno, conniventi il Del Prete e il castellano. Occupata la rocca dalle milizie malaspiniane, Lorenzo ne esce, e s’avvia alla porta del borgo detta di San Giorgio, guardata da un solo custode. La scolta dà il chi va là?; e Lorenzo si fa conoscere dicendo che viene per aprire la porta nostris qui iverant in insidiis. Aperta la porta, il marchese Azzone, che stava lì fuori aspettando con gente .rmata, è introdotto da Lorenzo con le forme della immissione in possesso; e, corsa la terra, l’occupa in suo nome, disarmando gli uomini eh’erano agli stipendi della Repubblica, i Questo il fatto riassunto nell’atto di accusa. Il reo è confesso, senza tortura. Quindi il procedimento è semplicissimo: nemmeno un teste è sentito, perchè, giusta le teoriche d’ allora in materia di diritto criminale, la confessione del reo era la prova principe. Il tribunale gli concede un termine di quattro giorni per preparare le sue difese; ma (gli non se ne giova, e il giorno 24 di giugno è pronunciata la sentenza che lo condanna ad essere impiccato ; sentenza che viene eseguita subito, seduta stante, come risulta dagli atti. Ili Noterò qui alcune circostanze curiose. Il processo non GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 133 è scritto, come tutti gli altri, nel libro del vicario; è compreso invece in cinque mezze faccie di un foglio volante, che ho trovato fra i risvolti interni della fodera membranacea di quel libro (1); cosa che non dev’essere stata senza uno scopo. Ma più degno di nota è questo: che mentre nella prima parte della inquisizione non è fatto alcun mistero intorno alla persona del mandante, e il nome del marchese Azzone è chiaramente espresso; nella sentenza invece viene occultato, perchè ordini superiori lo hanno imposto per il meglio. In fatto, nel riprodurre l’atto d’ accusa, il cancelliere non dice più, come prima, che Lorenzo andò a Bolano inventum dominum Marchionem de Mulatto; ma bensì qttendam Marchionem. de lunesana, cuius nomini scilentium. imponitur pro meliori. L’ allusione per altro era sempre troppo chiara, e poteva, d’ altra parte, ingenerare equivoco sulla persona ; per cui, a maggior cautela, fu nuovamente imposto al cancelliere di essere più oscuro ancora, e di toglier via quel Marchio, che fu cancellato tre volte con sostanza chimica, e sostituito con quemdam hominem, illa talispersona, ecc.; ma non tanto bene fu eseguita la cancellazione, che sotto non appaiano in modo chiaro le primitive parole. Precauzione del resto affatto inutile, giacché il cancellier Ficasecca, ad arte o per caso, aveva lasciato vivere le prime esplicite menzioni del nome e delle qualità deJ « Marchio Azo de Mulatio » fatte nell’atto d’accusa. · Sarebbe ora da indagare lo scopo di voler mettere in tacere tutti questi fatti a carico del Malaspina, di cercare perfino che vada dispersa la memoria del processo contro il traditore, col non istenderne gli atti nel registro ordinario e affidandoli invece ad un foglio volante che è giunto per caso fino a noi. Ma chi riesce a veder chiaro, senza il lume di documenti, nella proteiforme diplomazia di quel tempo! Chi prestasse fede così alla leggiera ai genealogisti potrebbe pensare che riguardi di parentela, più che ragion di Stato, abbiano determinato il Doge a fare scomparire le tracce delle azioni del Malaspina contro la Repubblica genovese. In fatto, il Branchi (2), sulla testimonianza del Federici, dà per moglie ad Azzone una Sozanina sorella del doge Domenico di Campofregoso. Ma il Federici, precisamente (V) Arch. coni, della Spezia, Diversorum Vicariatus, I, 3, 3. (2) Storia delta Lunigiana Feudale, I, p. 230. 134 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA al passo citato dal Branchi dice così: « Azzo Malaspina Marchese di Mulazzo genero di Raffaele Montatelo per Sozanina sua moglie » (i). 11 Litta non registra il nome della moglie del marchese Azzone (2); ma dà d’altro canto per moglie al Fregoso Teodorina, sorella di Azzone (3); seguito in questo dal Branchi (4). Nel Ge rini invece questa Teodorina sarebbe soltanto nipote del marchese di Mulazzo, figlia cioè del fratello Moroello (5). Il Litta poi, dopo che nell’albero malaspiniano ha registrato Teodorina come moglie al Fregoso, nelle tavole di questa famiglia dà a Tommaso due mogli, fra cui non è la Malaspina, che sono Clemenza di Antoniotto Adorno e Marzia di Gianga-leazzo Manfredi signor di Faenza (6). In mezzo a tanta confusione bisogna adunque concludere che questo duplice vincolo di parentado se ne va in fumo. Non cercherò d’investigare dell’altro. Riprodurrò piuttosto nella sua integrità Γ interessante documento, che porta alla storia della Lunigiana nel secolo XV c a quella dei Malaspina un contributo non disprezzabile. Ubaldo Mazzini Documento. Hec est quedam Inquixitio que fit et fierj Intenditur er "regium et Sapientem virum dominum Bartholomeum de ciuitate castellj I.iti.rem et As· sessorem~\ (1) Xobìllem et egregium virum dominum damianuni lomellinum honorandum viearij (sic) et potestatem Spedie ex suo Arbitrio fortia et baylia contra et aduersus Laurentium quondam presbiteri de mulatio habitatorem ve- (1) Famiglie che sono state in Genova prima dell’ anno 1525, con molte altre delle due Riviere di Levante, e Ponente raccolte dall’ Archivij della Republica di Genova, e da scritture private, e da diversi Scrittori Historici per Federico ïedeiuci. Cod. della Biblioteca Palatina (fondo Graberg) presso la Nazionale di Firenze, T. II, p. 101. (2) Famiglia Malaspina, tav. VII. (3) Id. tav. VI. (4) Op. cit., Vol. I, tav. II. 1 5) Memorie storiche d’illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, Vol. II, pag. 306 e tav. II. (6) Famiglia Fregoso, tav. II. (1) Queste parole tra parentesi quadre sono cassate nell’originale. Il processo che doveva fare il giudice fu invece fatto dal vicario in persona. Il cancelliere, nel portare all’ accusativo le parole che seguono, lia dimenticato il vicarii. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 135 zanj Inferrioris in eo de eo et supra eo quod fama publica precedente et clamosa insinuatione subséquente non quidem a maliuollis nec suspectis sed potius ab honestis veridicis et fidedignis personis ad Aures et notitiam ipsius et sue curie non semel tantum sed sepius Auditu [pervenit] (i ) quod dictus lau-rentius spiritu diabolioso instigatus deum preocullis non habendo, sed potius humani generis Innimichum dolose scienter et Appensate ac deliberato proposito animo et Intentione prodiendj castrum vezanj Inferrioris et proditionem commictendj et perpetrandj quod de scientia Johannis quondam Ambrosi] Pa-ganinj Montanini et Ser Girardj omnium de vezano predicto luit bolanum Inuentum dominum Marchionem de mulatio eidem prius per ipsos et quemlibet ipsorum prestito corporallj Sacramento quod eis et cuilibet ipsorum re-uelaret et Manifestaret ea que dictus M. d. Marchio eidem diceret et imponeret et cum ipso luit bellotus (2). Item quod dum fuit in Rocha bolanj quod dictus Azo Marchio eidem dixit laurentij ego tibj consignauj castrum meum et tu lurastj michj reddere et quod eidem respondit conveniens est veritatis ad vestrj libitum quod vobis reddam, et quod hominibus predictis dum reddiuit vezanum predicta reuellauit et retullit. Et quod inde ad octo dies, noctis tempore prefatus M. dominus Marchio vezanum missit Maruasium de mullatio cum certis socijs Armatis quj Intra-uerunt rocham predictam sed nescit qualiter nec quomodo et quod nullus alius excepto ipso et Ser minus quj castellanus erat dictj castrj sciebat quod dictus dominus Marchio maruasium mietere deberet (3) ad faciendum Intractam predictam . Et quod postquam maruasius predictus cum socijs dicte roche fecit Intratam quod ipse laurentius exiuit rocham et luit ad portam sanctj Georgij burgj terre predicte. ubj erat tonus cichinj cuj dictus tonus dixit chiela (4) et dictus laurentius respondit sum laurentius. cuj dictus tonus dixit quo vadis et ipse respondit vado ad aperiendum portam nostris quj Iuuerant in Insidijs et dictis hjs aperuit portam predictam dicto d. Marchionj quj erat extra dictam portam et ipsum cepit premamibus in terra vezanj induxit quam M. comu-nitatj Ianue leuauit. Et cursa terra vezanj predicta pro se dictus M. dominus Marchio cepit Stipendiarios comunis Ianue illic ixistentes. Et predicta omnia et singula facta et commissa fuerunt de mense Aprillis die veneris in nocte Annj preteriptj per dictum Laurentium contra formam Iurjs et Statutorum comunitatis Ianue. [Predicta autem omnia et singula Suprascripta in dicta Inquixitione contenta ad banclmm Juris in lobia Spedie absque ulla tortura sed de (1) Manca nel testo. (2) La circostanza della compagnia di questo Bellotto fu aggiunta posteriormente. (3) Prima era scritto : « quod dictus Marvasius ire deberet ». (4) Leggasi: Chi è là? I36 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA plano Approbanti et dixit fore itera. Et hec in présent ία Antoni] cerdonnis de montibus et blasij barberij de ponzolo testium etc. Et quamplunmarum aliarum personarum ftdedignarum.· Cuj quidem laurentio presentj etc. prefatus domttius vicarius sedens etc. statuit terminum sex quinque (\) quatuor dierum proxime futurorum ad opponendum et contradicendum Inqui-xitionj predicte contra eum formate et ad faciendum omnem suam defensionem quam m predictis facere vult et Intendit Alioquin etc.] (2 ) Supra quibus omnibus et singulis suprascriptis prefatus dominus vicarius sedens etc. Intendit et vult procedeie Inuestigare et Inquirere et repertum culpabillem punire et condempnare et non repertum culpabillem Absoluere et liberare secundum formam Juris et capituliorum comunis Janue in predictis disponentium. Formata et Inchoata fuit suprascripta Inquixitio per supradictum dominum vicarium contra suprascriptum laurentium superius Inquixitum Sedentem pro tribunallj ad suum solitum luris banclmm de Anno a. N. d. M. ccccxxxvij de mense Junij die x. die lune 17 Junij Suprascriptus Laurentius Inquixitus personaliter constitutus coram prefato domino vicario sedente etc. lecta sibj vulgarj sermone Inquixitione suprascripta et in ea contenta de verbo ad verbum per me Petrum notarium iufradictum ad eius claram Intelligentiam volens dicte Inquixitionj intendere et ex certa scientia sponte el sine ulla tortura dixit et confessus fuit .omnia et singula in dicta Inquixitione vera esse et per eum commissa fore utsupra ponitur dictis Anno die et hora. Et hec ad banchum Juris 111 presentia Antonij cerdonnis de montibus et blasij Barberij de Ponzolo testium etc. et quam pluribus alijs ibidem presenti bus. Quj dominus vicarius sedens ad suum solitum Juris banchum hora causarum Juridica ut supra statuit terminum dicto laurentio presentj et Intelli-gentj dierum quatuor proxime fulurorum ad omnem eius defensionem faciendam de predictis. Quj laurentius constitutus etc. dicto termino et omnibus terminis sibj asignatis tam ex forma Juris quam ex forma statutorum comunis Janue sponte et certa scientia contumax fuit 111 defendendo se et nullam in predictis fecit defensionem. \_In nomine dominj- amen anno a Natiuitate eiusdem Millesimo ccccxxxvij Inditione xv die xxij Junij hec est quedam condempnatio corporallis et sententia condempnationis corporallis~\ (3). (1) Parole cassate. (2) Tutta questa parte in corsivo è cassata nel documento. (3) Queste parole sono cancellate. Si noti che in esse è contenuta una data riteren-tesi al procedimento, la quale negli atti 11011 compare più. Cioè, la data della sentenza era prima la stessa del 22 di giugno; ma si vede che fu poi corretta in xxijij. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 137 In nomine doroinj Amen Nos damianus lomellinus ciuis Janue vicarius et Potestas Spedie tempore regiminis I. d. d. thome de Campofregoso dej gratia Januensium ducis et eorum libertatis defensoris pro tribunallj sedentes ad nostrum solitum Juris banchum positum in lobia comunis Spedie ubj talles et similes condempnationes corporalles darj et proferrj consueuerunt. Intellectam sententiam et condempnationein corporallem contra laurentium Infra-dictum culpabili· ni repertum pro tradimentis culpis excessibus et delictis per ipsum factis commissis et perpetratis damus et proferrimus in hijs Scriptia in liunc modum videlicet. Laurentium presbiterj de Mulatio olim vezanj Inferrioris habitatorem publicum proditorem et clamosum malifactorem et pertractatorem hominem male conditionis conuersationis et fame et vite inhoneste ad hanc nostram sententiam Audiendam personaliter constitutus contra quem processimus per modum et viam Inquisitionis cx nostro nostre que curie officio Arbitrio Jurisditione potestate Auctoritate et Bailia in eo de eo et supra eo quod loco et tempore in dicta Inquixitione contentis fama publica precedente et clamosa insinuatione referente non quidem a moliuolis et suspectis sed potius ab honestis veridicis et fidedignis personis ad Aures et notitiam prefatj dominj vicarij et curie sue non semel tantum red sepe et sepius Auditu peruenit. Quod dictus laurentius spiritu diabolicho Instigatus deum preoculis non habendo sed potius humane nature Innimicum dolose scienter et Appensate animo et Intentione terram vezanj predictj prodiendj et M. comunitatj Janue leuandj prout fecit. luit bolanum nulla scientia facta predecessorj nostro nec hominem ab ipso ulla obtenta nec requisita licentia Inuentum quendam Marchionem (1) de lunesana cuius nominj scilentium imponitur pro meliorj, cum quo in rocha bolanj predictj habuit coioquiuin et castrimi et terram predictam vezanj dare promixit dicendo venite aut mictite ad vestrj libitum voluntatis quod illam illa tallis persona terram vobis dabo ex qua quidem promissione dictiis Marchio hinc ad octo dies noctis tempore missit socios quj Intrauerunt castrum predictum vezanj et ipse personaliter ex alio latere luit ad portam sanctj Georgij cum ccrtis socijs cuj laurentius suprascriptus non contentus de predictis p rsonaliter luit nullo alio de dicto loco secum esistente ad dictam Portam sanctj Georgij animo et intentione addendj mala malis super quam erat tonius cichinj de dicto loco vezanj quj dixit chiela et cui dictus laurentius respondit et dixit ego sum laurentius et dictus tonius dixit quo vadis cuj laurentius predictus respondit vado ad Aperiendum portam nostris quj luerant in Insidijs et quod dictis ille talli persone hijs dictam portam Aperuit prefato d. Marchioni quj terram vezanj predicti Intrauit et illam pro se tenuit et stipendiarios M. comunitatis Janue ibidem existentes cepit et ipsorum armis spoliauit et dictam comunitatem Janue de (1) La parola in corsivo fu cancellata con acido, ma apparisce chiarissimamente,· quella scritta
  • . La lettera dell’Ambasciatore, che portava la data de’ 19 agosto, più non si trova nel carteggio de’ Cibo. La risposta, alla quale accenna il Principe, è questa : Ecc.mo Signore, Con grandissimo contento ho inteso per la lettera di V. E. de’ 19 de! passato il sano arrivo suo in quella gloriosa e gran città del Re, mio Signore, e che Sua Maestà, come benignissima et che ben conosce i molti meriti della persona di V. E., lo habbi ricevuto con lieto volto, honorandola et accarezzandola quanto conviene alla grandezza di Sua Maestà. Me ne rallegro adunque di buon cuore con V. E. e prego Iddio che la conservi e guardi tanto quanto io, suo affetionatissimo, lo bramo et desidero. Prima havevo scritto a V. E., che a quest’ hora doverà esser capitata, confermando con questa medesima poi ch’io l'hamo et osservo et desidero che sempre mi comandi. Di me le dico che per mercè divina mi truovo sano, et con il primo buon tempo andarò per qualche mese al Stato mio di Massa a godere la campagna e le caccie, ma con desiderarvela con tutto l’animo, stando con gran martello di rivederla per meglio goderla et servirla ; et di là farò mio debito di scriverle et darle nova di me, come supplico lei a far f I ) Nel Cerimoniale si legge che l’Ambasciatore « fu da Papa Clemente VIIJ molto carezzato in Roma e vestito come venne qua » fa Genova] « e così tutti gli suoi huomini ; e gli fu dato interprete che andasse seco ed un canonico, prete spagnolo, perchè lo conducessero in Spagna e lo spesassero per viaggio con detti suoi servitori con duemila scudi d’ oro, che gli fece per ciò donare ». Si tratta dunque del canonico spagnuolo, da Alberico, per equivoco, chiamato vescovo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 143 il medesimo. E con baciare a V. E. le mani et a mons.r il Vescovo, non dico altro, che raccomandarla a Dio nostro Signore. E con questo faccio fine. Il Principe Alberico dalla sua piccola Massa spinse gli occhi anche sul Re di Fez, il quale di quando in quando mandava gli agenti suoi alla marina dell’Avenza a comprare e imbarcare de’ marmi di Carrara. La passione del Cibo per i cavalli arabi lo stimolò a scrivergli; ma sulla minuta della lettera « al Re di Fessa » aggiunse poi di proprio pugno questa nota: « quello che portava le lettere non arivò, che vi morì per il camino ». Ecco la lettera sfortunata : Serenissimo Sig.re oss.mo Essendo molti anni che quella Corona e particolarmente V M. si serve de marmo de una terra mia di questo Stato, ho desiderato sempre occasione di essere comandato da V. M., sì per detto comodo de’ marmi, come de alcuna altra cosa de suo comodo ; il che se ben più volte ho detto a questi Agenti suoi, nondimeno, doppo il baciare a V. M. le mani, ho voluto far questo medesimo ufficio con questa lettera mia. E perchè diletandomi molto di cavalli so io quanta stima si tenghino quelli dei regni di V. M., la supplico a favorirmene, acertandola che questo favore mi sarà tanto grato che ne terrò particolare obligo a V. M. E rimetendomi a quanto d’ avantaggio le potrà dire questi suoi Agenti di qua, non passarò in altro che in farle riverenza, con offerirmele in quello che potesse servirla da queste bande. Della terra mia di Carrara, li 15 di settembre 1594. Bacio a V. Maestà le mani. Suo aff.mo servitore Alberico Cybo Principe di Massa. Più fortunate furono invece le sue relazioni con Giacomo I Stuart Re di Scozia e d’Inghilterra; cordialissime poi quelle col barone Arrigo Lee, « cavaliero inglese catolico », al quale scriveva : Ill.mo Sig.re Certo che quando Italia venne favorita dalla vista di V. S. Ill.ma l’anno 1569, e particularmente il Stato mio di Massa e mia casa (1), che mi restò sì impresso nella mente la gentilezza sua, la dolcezza de’ costumi, 1’ amabile presenza con la gratia e dispositione della persona, che sempre mi deliberai tenere memoria di lei e continuo desiderio di servirla; se bene, I Nell’ indice al suo Copialettere Alberico scrisse di proprio pugno : « del 1569 fu 111 Italia et a Massa per molti giorni ». 144 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e con dispiacere mio, giammai mi fu dato occasione di poterlo fare. Ma fra me stesso godo della rimembranza di cosi qualifi-fìcato cavaliero e della prontezza mia, molto devuta certo, di honorario et amarlo, e perciò ho cercato, quando alle volte ho visto da queste parti cavalieri inglesi, intendere nuove di lei; ancor che siano molti anni che ne restavo senza e con martello non picciolo in vero. Però ha voluto la fortuna che quando men 10 credevo ne habbi havuto la contezza e compita relatione in questo giorno istesso dal S r Tomaso Cialonero della provintia di Bocongiani, Contea di Buckingam, quale è comparso qui per vedere questa città, veramente bella tra le belle d’Italia. Io don-que l’ho tenuto meco più hore ragionando con il gusto che devo di lei, et ho inteso essere sano et in diverse occasione haver mostrato il proprio del valor suo, così in guerra, come in ogni giuoco d' arme e di feste cavalleresche ; per le quali honorate prove e meriti delle virtù sue essere stata anco agregata fra i cavalieri della Giarattera, e vivere con molto splendore et reputatione insieme, di che ho preso non men contentezza che grandissima consolatione, onde ho stimato convenirmesi rompere questo sì antic o silentio; et tanto più quanto l’istesso gentilhuomo mi dice che sicuramente si può scrivere et havere risposta in breve tempo. Pregherò Iddio che a lungo la conservi e prosperi con sua Ill.ma casa e a me dia maggior larghezza di comodità nel tempo avenire di servirla che non ho possuto per 11 passato ottenere. Con questo, baciandole le mani, farò fine. Di Genova, alli 6 decembre 1597. Di V. S. III.™ Affett.m0 per servirla sempre Alberico Cybo Principe di Massa. Il Lee gradì l’atto cortese e lo ricambiò col dono di alcuni cavalli inglesi ; intorno a’ quali, in una lettera del Principe, sua « al S.or Ianus Grillo », del 27 aprile 1598, è detto: « Io ho già avuto risposta d’Inghilterra, con molta cortesia e prestezza, per le due chinee che desidero, le quali, preso che hab-bino I’ herba, che sarà da mezzo giugno, le manderanno a V. S.; e sperano che non bisognerà passaporto che sia, che per la parte di Medelburgo capiteranno sicure, e che se ne intenderanno con V. S.; la qual priego di nuovo a vedere che le fatiche d’haverle non sian buttate; e si contenti di scrivermi come pensarà di far a mandarmele, che non giunghino rovinate ». Ne tocca pure nella seguente, indirizzata al Lee: Ill.mo Sig.re Mentre mi trovavo ancora nel mio Stato di Massa, arrivorno in Genova le tre chinee, che alla molto cortesia di GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA V. S. Il!.,na piacque di mandarmi; e subito fui ricercato da Don Pietro di Mendozza, ambasciatore del Re di Spagna, mio Signore, di volerne una; al che, se ben mal volontieri me inducevo, nondimeno, sendomi fatta nova istantia, mi risolvei compiacerlo, e per ciò feci elettione della baia, che poi intesi per le sue amorevoli lettere che era la più stimata da lei. Gionsi poi io in Genova a baciar le mani alla Maestà della Regina et all Arciduca (i), e vidi e cavalcai le dua che mi erano rimaste, e trovai la picciola rovanella molto allegra e bonica e ben traversata, e piacque assai a tutti quei cavalieri che la videro, et in particolare al Principe d Oranges, molto amico e signore mio. L’ altra learda, alquanto lunga dalla man innanti, ho trovata es-ser gagliarda e di gran andatura et assai comoda e atta a fare °gni gran viaggio, che perciò m’ è carissima, se ben un poco ombrosa, che doverà lasciarlo et assicurarsi; come tengo certo che farà. Ho voluto darle relatione del tutto per mezzo di questa, scritta di mia mano, acciò che sappi il molto obligo che le tepgo et la stima che con ragion debbo fare del favor che s’è compiaciuta farmi ; et anco per tanto più pregarla a comandarmi, se per di qua posso esser giamai buono a servirla, che mi troverà non men pronto che desideroso sempre di mostrarle la volontà che tengo e la gratitudine che le mostrarò del favor fattomi, con tanta prontezza e prestezza. Nel resto, non ho che dirle, se non che dopo il ritorno dell’Arciduca me ne ritornarò in Massa e di là arrivare alli Bagni di Lucca, per certa indi-spositione di rene, o orina, che tengo; che del resto, per la Dio gratia, mi trovo sanissimo et amico della campagna. Il Marchese, mio figliuolo, con li suoi figli pur sta bene et è a Ferrara a certi suoi luoghi. V. S. 111.si conservi et mi dica se è più servitore di Dame, che io, in quanto a me, lo son più che mai, et in particolare con queste, molto leggiadre, se ben altiere assai. E qui finendo, resto con baciarle le mani et pregar Nostro Signore che la conservi a lungo e feliciti quanto desidera. Di Genova, li 16 aprile 1599. Di V. S. Ill.ma Servitore che 1’ ama di cuore Alberico Cybo Malaspina Principe di Massa. Da centodiciotto anni la casa de’ Tudor regnava in Inghilterra, quando il 3 aprile del 1603 venne a spengersi con la morte della regina Elisabetta. Le successe Giacomo VI, Re di Scozia, nato il 19 giugno del 1566 dalla celebre Maria Stuarda, la quale dopo avere sposato in prime nozze il 24 aprile del '58 (1) L’Arciduca « Ferdinando fratello della Maestà della Regina », come Alberico scriveva al figlio Alderano il 7 maggio di quell’ anno. Giorn. St. e Lett. della Liguria I46 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Francesco li, che sedè sul trono di Francia dal 10 luglio 59 al 5 decembre ’6o, si rimaritò con Enrico Darnley Stuart, da cui ebbe appunto il successore de’ Tudor, che prese il nome di Giacomo I e all’acquistato regno d’Inghilterra congiunse quello avito di Scozia, del quale era stato Re fin dalla culla per 1 assassinio di suo padre e la rinunzia forzata fatta dalla madre nel 1577. Dell'assunzione di Giacomo I al trono, Alberico ne tocca in questa lettera al Lee: Ill.mo Sig.re Ben ricordevole dell’antica amicitia e dell’obligo che tengo a V. S. Ill.ma vengo con questa occasione a baciarle le mani e dirle che, la Dio gratia, mi trovo sano, con il resto de’ miei figli e nepoti, e tutti prontissimi sempre a servirla Qua si è inteso la morte di quella Maestà e l’elettione del Re di Scotia, et si sta con grande desiderio aspettando et sperando che tutto il regno torni cattolico; che per certo, se così piacerà alla Divina Maestà e di darmi forza, io voglio venire a vederlo; e tanto più caro mi sarà per rivedere V. S. Ill.ma. Alla quale medesimamente faccio sapere che le due chinee, che mi restorno, stanno molto bene, da che la learda è ingrassata tanto che pare un corsiero, e la rovanella, alla quale ho posto nome Bizzarriglia, non si puoi vedere la più bella, essendo propriamente bizarra e vivacissima, e correndo par che voli, et è tale che molti hanno desiderato d’haverlada me, ma non sono per privarmene mai, per il favore che me ne ha fatto lei e per la bontà sua. E se da queste parte posso servirla in cosa che sia, la prego a comandarmi, che mi trovarà sempre prontissimo. E con questo fine le bacio le mani. Che Nostro Signore 1’ Ill.ma sua persona conservi. Di Genova, 15 maggio 1603. Di V. S. Ill.ma affetionatissimo per servirla Il Principe di Massa. Di lì a poco gli tornava a scrivere: Ill.m0 S.re oss.mo Non è molto che scrissi a V. S. Ill.ma con occasione d’una nave che di qui partì a quella volta. Hora faccio il medesimo per il cavaliere che ha mandato per Italia Sua Maestà; et, oltra al baciarle le mani e sempre tenermeli ricordato per affettionatissimo, la prego a presentar l’inclusa alla Maestà Sua, rallegrandomi con quella della devuta grandezza accresciuta di quel Regno, e dandomele per servitore humilis-simo, come lo fui della Regina di gloriosa memoria, madre di S. Maestà, in occasione che di poco era moglie di Francesco Delfino di Francia, dove mi trovai andando in Fiandra al servitio del Catolico, e mentre il Duca d’Alva era in Pariggi, per GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 147 sposare, a nome di S. M., la Regina francese. E come ch’ero parente e cugino della Regina di Francia, Catterina de' Medici, fui molto accarezzato in quella corte ; onde in quelle danze ballai con tutte quelle Regine, e in particolare con la infelice Regina di Scotia, che cusì si chiamava al’hora, et era gratiosissima tanto, che ne riportai il ritratto suo. Ritornai poi in corte doppo che il Re fu amazzato del colpo di lancia, con lettere del Re Catolico, e di nuovo ricevei molte gratie, et in particolare dalla nuova Regina di Francia; si che per tutte queste cagioni debbo essere servitore particolare della Maestà del Re, suo e mio Signore, che per ciò di nuovo prego V. S Ill.ma a poner-meli in gratia, e veder ch’io riceva suoi comandamenti, se per di quà havessi mai sorte di poterla servire, come desidero sopra modo. E se ne haverò risposta, mi sarà gratia, e ne restarò obligatissimo a V. S. Ill.ma; alla quale sempre m’ offero obbligatissimo, e le bacio di cuore le mani. Di Genova, 14 ottobre 1603. Di V. S. Ill.ma Servitore Alberico Cybo Principe del Sacro Imperio e di Massa. La « inclusa » lettera era di questo tenore : Al Re d’Inghilterra e di Scoda. Fu grandissimo il contento ch’io hebbi quando intesi che la Maestà Vostra restò erede et successore di quel famoso Regno d’Inghilterra, poiché non men e grande e famoso [era] il merito e valore della Maestà Vostra; e certo che tale allegra nuova riempì in particolare d’infinita contentezza tutta Italia, come quella che .ammira la bontà delle virtuosissime qualità della Maestà Vostra, già molto tempo fa chiare e notissime a tutto il mondo, ond’ ella et io, devotissimo servitore della Maestà Vostra, pregheremo per sempre N. S. Iddio per la lunga conservatione della persona di Vostra Maestà e de’ suoi felicissimi Regni, acciò eh’ ella ogni giorno più possa spiegare e mostrar vero effetto della sua gran giustitia e suo valore. In me poi s’ aggiunge doppio il contento di questa accresciuta grandezza di V. M., da che fui servitore della Serenissima Regina di gloriosa memoria, madre della Maestà Vostra, et ne ricevei molti favori, mentre ella fu Delfina di Francia e poi Regina, in occasione di andar in Fiandra al servitio del Re di Spagna, mio Signore, pur di felicissima memoria; et partecipai sempre della buona e mala fortuna di quella valorosa Regina, come conveniva alla devotione della servitù mia, ch’era, come ho detto, grandissima. Suplico donque, quanto posso il più, la benignità della Μ. V. a favorirmi di ricevermi in gratia e di havermi per servitore d'infinita affetione et humiltà, e come più difusamente le sarà narrato dal Baron Arigo Lee, cavaliero di molti anni amico mio; che di I4§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tutto per me si restarà obligatissimo alla gran cortesia e gentilezza di V. M. ; alla quale humilmente bacio la reai mano, e di nuovo la priego dalla Maestà Divina perpetua felicità. Di (lenova, alli 14 ottobre 1603. Di Vostra Maestà Devotissimo et humilissimo servitore Alberico Cybo Principe del Sacro Imperio e di Massa. Tanto dal Re Giacomo, quanto dal Barone, ebbe risposta pronta e cortese; ma entrambe si cercano invano nel carteggio de’ Cibo. Che cosa in quelle due lettere fosse detto si ricava dalla seguente di Alberico al Lee : Ill.mo Sig.re oss.mo La lettera della Maestà del suo Re e mio Signore con quella di V. S. Ill.ma m’ha trovato qui nello Stato mio di Massa. Da quella di Sua Maestà ho cavato grandissima consolatione, vedendo che si degna con tanta benignità favorirmi della gratia sua, ambita et stimata da me al pari della vita propria, onde mi resta infinito desiderio che mi si porga occasione in che possa servirla et obbedirla, come farò sempte; e dalla di V. S. Ill.ma ho ricevuto il contento che mi si conviene, havendo inteso che si conserva vivo, eh’ è quello che più desidero, augurandole vita lunghissima e che se possibil fusse si rinnovasse come la fenice, poiché a sì gran cavaliero, e tanto Signore mio, non potrei augurarle meno iL certo, Signore, che le tengo grandissima obligatione, poiché veggo che 1 onor sì grande e sì cortese che, mi fa Sua Maestà, tutto è causato dal mezzo suo e dall’ amore che mi porta, del quale ne haverà sempre V. S. Ill.ma ogni dovuto contracambio et ogni perpetua memoria in me e ne’ miei successori ; che così gli offero e imprometto. Io ho un ritratto della Regina, madre di Sua Maestà, di chiarissima memoria, di quei primi anni che fu maritata al Delfino di Francia; tutto simile, che portai meco quando in quei giorni mi trovai a quella corte così ben ricevuto et regalato. Se Sua Maestà lo gustasse, lo manderei; che però destramente potrà V. S. Ill.ma cercarlo d’intendere, et con tal occasione baciar per me, con ogni humiltà, le mani a Sua Maestà e supli-carla continuarmi la gratia sua. Et a V. S. Ill.ma bacio le mani. Che Nostro Signore la conservi felicissima Di C arrara, 26 giugno 1604. Di V. S. Ill.ma Per servirla sempre Il Principe di Massa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I49 Il Lee gli rispondeva il 30 di novembre: Illustrissime Princeps. Amorem tuum singularem Serenissimo Domino Regi meo studiose declaravi, quem (pro insita mansuetudine) animo propenso est amplexus et pari gratia benevolen-tiaque in posterum fovebit et conservabit. Animum etiam Regium pertentavi super imagine illa (beatissimae memoriae) Reginae matris, quo nomine nec minus pro eximio tuo amore plurimum se tibi velle debere Regia Maiestas profitetur. Atque in ea re sibi gratulatur serio quod (piissimae memoriae) Regina mater tui praesertim in Gallia delectum habuerit, apud quem tam insigne studiosae mentis deponeret pignus et monumentum. Cum igitur Celsitudini vestrae visum fuerit literas iterum ablegare et tabellam (quam tanta cum humanitate voluisti exhibere) mittendam curare ne dubites (quod et ego in me suscipio) quin Regias literas sua ipsius manu exaratas brevi sis habiturus, tam plena amoris et gratiae quam munus illud tuum candoris et benevolentiae est plenissimum. Ego vero quod meum est interim polliceor, omnia me studia officiaque praestiturum p-olixe quae ad gloriam dignitatemque nominis tui amplificandam possint pertinere. Pridie kal. decemb. Celsitudini vestrae addictissimus ........Lee (i) Alberico fece dono al Re Giacomo del ritratto della madre; e n’ ebbe questa risposta (2). Il figlio di Maria Stuarda non poteva esprimergli la propria gratitudine con più gentilezza d'affetto. Ecco la lettera : Giacomo per l’iddio gratia Re dell’Inghilterra, Scotia, Francia, Irlanda e difensore della Fede, etc. All’ Ill.mo et Ecc.™ Sig.·· D. Alberico Cybo, Principe del Sac. Rom. Imp. e di Massa, salute. Habbiamo ricevuto le vostre lettere, abondantissime d’amor e di cortesia, e con esse li gratiosi ritratti da voi mandatici; nè per hora sappiamo ritrovar modo con cui ve ne potiamo rendere le dovute gratie ; ma si come v’habbiamo altre volte significato la stima che facciamo de l’affettione et amorevolezza vostra verso di noi, e l’istesso habbiamo anco comandato che v’ attesti Henrico Lee, fidelissimo nostro servitore e suddito, e (1) Soltanto la firma è autografa, ma in gran parte indecifrabile. A tergo la lettera porta scritto : « Magnificentissimo et Illustrissimo Principi de Massa ». Ha il sigillo, in ceralacca, del Lee, col motto: Sero sed serio. (2) Il testo originale in latino è perito, ma ne resta la traduzione in italiano fatta fare da Alberico ; che appunto stampo. I 50 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di quanta consideratione sia appo di noi 1' antica vostra osservanza verso la Ser.ma Regina, madre nostra carissima, vivente, et la pietosa ed eterna memoria che havete dimostrato ritener di lei doppo il passaggio suo a miglior vita; così hora 1 istesso vi ratifichiamo di nuovo, assicurandovi che questo dono, e la imagine in specie di essa nostra madre, per esso rappresentata, viene da noi anteposto a qual altro ricchissimo presente e pretiosissima gioia; nè per rammentarsi l’affettuoso animo vostro verso di noi potevasi da voi inventare mezzo più significante et efficace di questo; onde sempre che ne occorrerà di rallegrarcene 1’ animo et la vista avverrà di ravvivarsi la memoria di chi ce l’ha donato; il che faremo sempre volentieri, con non men di buona voglia saremo pronti a rendervene dovuto merito all’occasione; e così vogliamo che la presente nostra, quasi ostaggio e mallevadore ne servi a confermarvi che lo riconosciamo e pienamente professiamo. Dal palazzo nostro di West-monasterio, li XX di febbraio 1’ anno del Signore 1607. Vostro amico amantissimo Giacomo Re. La ragione del tanto indugiare a mandargli il ritratto della madre infelice fu questa: l’esemplare, portato di Francia, s’era guasto « ob quosdam iniuria temporis contracta corrogionem labe » ; e tenutolo per modello, con diligenza e studio ne fece dipingere un altro « per antuerpianos tabellarios » (1). L ultima lettera di Alberico al Lee è del 12 agosto 1607. Con mesto affetto gli annunzia la morte del suo primogenito Alderano, Marchese di Carrara, avvenuta il 14 novembre dell’anno prima; lo mette a parte che Brigida Spinola (la moglie di Carlo, il primo de’ cinque maschi lasciati da Alderano) dopo quattro aborti, rimasta per otto mesi di continuo nel letto, aveva finalmente partorito un bambino il 23 dell’ antecedente mese di luglio, che, tenuto al battesimo dal Duca d’Urbino e dalla Granduchessa di Toscana, portava come lui il nome d’Alberico. E l’ultima gioia che prova nella sua tarda vecchiezza. Se non può dirsi che Alberico avesse relazioni con la Cina, ben n’ebbe nel Giappone. Per quel che riguarda la Cina altro non fece che raccomandare a Ferdinando I de’ Medici, Granduca di Toscana, un frate che v’andava a predicare il Vangelo. La lettera è di questo tenore : (1) Cfr. nel copialettere d’Alberico ciò che scriveva al Re Giacomo « tertio decimo kal. sextiles MDCVTI ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 51 Ser.mo Sig.re mio oss.mo II padre fra Felice Bargellini dell’Or-dine di Scalzi, di ritorno da Spagna, ben spedito et gratiato da S. M tà de’ negotii che ha trattato, come da esso V. A. potrà intendere, dopo essersi riposato qua da me alcuni giorni, se ne viene hora in Fiorenza, con ferma resolutione di passare quanto prima potrà in Gierusalem e poi al regno della China, per fermarsi qualche, tempo. E se bene mi ha detto che è conosciuto da V. A. et è stato sempre favorito et aiutato nei suoi dessi-derii, ho voluto nondimeno in questa sua lunga peregrinatione raccomandarli questo buono e devoto religioso ; et con tal occasione far humilissima riverenza all’A. V.,si come singularmente la stimo et osservo ; supplicandola a tener conservato nella sua gratia la vera servitù mia. Che N. S. accresca alla S. Ser.ma persona ogni maggior felicità. Di Genova, 14 luglio 1593. Di V. Altezza Devotissimo servitore Il Principe di Massa. Per quanto poi si attiene al Giappone, è nota 1’ amicizia e la riverenza che il Principe di Massa portò a Carlo Spinola, che in que’ lontani paesi trovò il martirio e venne poi dalla Chiesa ascritto tra’ beati (1). Metto adesso alle stampe questa lettera, interessante e curiosa, che svela la relazione sua (fino a qui ignorata) con un giapponese di sangue regio, che s’era fatto cristiano : Al S.or Don Mantio al Chiapone. Ill.mo et Ecc.mo S.re Gran sodisfatione deve essere quella di V. S. Ili ma poiché a Dio benedetto è piaciuto darli forza e salute d’ haver visto questa nostra parte dell’ Europa per molto meritevole, come ella sa: e anco con la medesima farla ritornare, dopo tante lunghezze e pericoli del viaggio, nella patria sua del Giapone, dove ella ha avuto più d’un Re per zio e parente ; che certo son gratie rarissime che Sua Maestà Divina conceda a’ suoi fedeli. E però, come cosa di maraviglia, oltra gl’ infiniti meriti della persona sua, ho sempre, da che io la conobbi qui in Genova nel suo ritorno da quelle parti, serbata particolare memoria delle sue rare qualità e gentilissime maniere, e desiderato per conseguenza di servirla sempre con ogni mio potere ; e però son passati tre anni che, sì per tenergli recordato questo mio desiderio, quanto anco per favorirmi de’ (1) Sforza G. Lettera inedita de! Beato Carlo Spinola ad Alberico 1 Cybo Malaspina Principe di Massa ; negli Atti della Società Ligure di storia patria; XXIII, 701-713. I 52 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA suoi avvisi e di sue lettere, io le scrissi con occasione d' un Portughese, nato in Machao et molto pratico in quelle parti; il quale, dopo avere scorso molte parti d’Italia, si fermò qui in mia casa alcuni mesi, per tornarsene in Machao. Ma poiché fin hora non ho ricevuto lettere di V. S. Ill.ma, vo dubitando che egli non sia arrivato costì, o che habbia perso per la lunghezza del viaggio le dette mie lettere; il che spero che non farà questo Padre Rinaldo della città di Peruggia, mosso non solo dalla ubbidienza de’ suoi superiori, ma da vera devotione e contritione d’ animo per servire al S.re Iddio. In così buona e santa occasione mi ha promesso di portare sicuro questa mia, e darla nelle istesse mani. E perchè esso Padre mi ha detto che V. S. Ili,na, posto da parte ogni ambitione mondana e ogni altro interesse del secolo, habbia voluto donarsi in tutto e per tutto al servitio di Sua Divina Maestà, col vestirsi del lor proprio habbito, e stando nella istessa religione con la medesima vita humile et esemplare che facino loro, ho voluto, con ogni mio affetto, rallegrarmi seco, e ponerle in consideratione, che si come ella servendo al secolo fu be n vista et honorata da tutti i Principi ( hri-stiani e sopra tutto dalla Santità del Papa nostro Signore, che tanto più lo sarà adesso, se ella facesse nova resolutione di transferirsi da Sua Santità, vero Vicario di Dio ; il quale, se bene non è quel pontefice che la raccolse così benignamente in Roma (i), è nondimeno un altro, quale è Clemente Ottavo, che non mancherìa di vederla volentieri e honoraria con ogni sorte di amorevole demostratione ; come largamente ho discorso di tutto con il presente Padre, portator della presente; al qual però mi rimetto, come anco del darli conto dell’ esser mio e pronto mio animo, sempre più vivo et affettionato al servitio suo; pregandola, ben affettuosamente e di buon cuore, che dopo di compiacersi di pregare Iddio per me, suo humil servo, si compiaccia ancora tenermi ricordato nella memoria sua, e dimostrarmelo con valersi di me in queste parti, e comandarmi sempre molto alla libera. Che con questo, a V. S. Ili.ma baciando le mani, le prego da Nostro Signore ogni compita felicità. Di Genova, li 28 aprile 1594. Di V. Ecc.·2* Vero affettionato e servitore Alberico Cybo Principe di Massa. Sulla minuta di questa lettera Alberico scrisse di propria mano: « non se n’ebbe mai risposta ». Giovanni Sforza il) Fu Urbano VII o Sisto V; ma più probabilmente quest’ultimo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 53 VARIETÀ A PROPOSITO DEL PITTORE CARLO DA MILANO. Nell’ opera recente di Francesco Malaguzzi Valeri intorno ai Pittori Lombardi del Quattrocento (i), è ricordato fra gli artisti minori Carlo da Milano sulla fede di una nota ritrovata fra le schede del Caffi, nella quale si indica sommariamente l’atto di promessa di un quadro che si doveva eseguire da lui per la chiesa di S. Maria degli Angeli in Promontorio, colle soprastante a Sampierdarena, senza dire donde venne tratta la notizia. Probabilmente il Caffi ebbe la comunicazione da Santo Varai, il quale fu primo a far conoscere questo pittore milanese operante in Genova nell’ultimo ventennio del secolo XV e sull’incominciare del seguente. Infatti egli pubblicò tre documenti che lo riguardano, e sono del 1484, quello cioè sopra ricordato, del 1497 per le pitture degli sportelli del nuovo organo di S. Lorenzo, e del 1501 per un altare in S. Teodoro (2). Più altre notizie, oltre al riferire quelle già messe fuori dal Varni, ci diede poi l’Alizeri, che giustamente lo identifica con quel Carlo del Man-tegna recato innanzi dagli antichi biografi e scrittori d’arte, al cui pennello era dovuto il S. Giorgio dipinto a buon fresco sulla facciata del Palazzo delle Compere e da assai tempo perduto (3). Il qual lavoro, secondo i documenti, fa risalire all’ anno 1481 la dimora in Genova di Carlo, il cui nome figura del pari nella matricola dei pittori. E alcuni di quegli atti ce ne dicono anche il casato, Bracesco ; da che è ovvio il dedurre come l’appellativo « del Mantegna » gli venisse certamente dall’essere stato de’ migliori allievi di quel celebrato maestro. Essi poi ci manifestano com’ ei nel 1482 convenisse di dipingere i vetri della cappella di S. Sebastiano nella Cattedrale, apprestati da Ambrogio dei Fiori da Pavia < magister vitriorum », e 1’ anno appresso di ornare la cappella medesima di figure; poi assumesse di eseguire nel 1492 una pala per la chiesa di S. Antonio di Belgan-dura. Di più ci fanno sapere che nel i486 abitava nella via degli orti di S. Andrea in una casa spettante al pittore Bartolomeo da Pavia, e nel 1489 prendeva « in ejus domo aut apotheca » un Pierino della Mirandola per istruirlo nell’arte pittorica. Nè de-vesi tacere che quel « doctor artium » onde si vede decorato dai notari, non solo può significare che fosse riconosciuto ottimo nel magistero dell’insegnare, ma che le sue cognizioni si allar- (1) Milano, Cogliati, 1902, p. 237. (2) Varni, Appunti artistici sopra Levanto con note e documenti. Genova, Pagano, 1870, p. 33, 75, 86, 88. (3) Alizeri, Professoi i del disegno in Liguria, Pittura, Genova, Sam-bolino, 1874; vol. II, p. 119 e sgg.; vol. Ili, p. 33 e sgg. 154 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gasserò oltre i confini della pittura e comprendessero altresì le altre parti della disciplina artistica. Ai documenti di già prodotti un altro ne possiamo aggiungere sfuggito alle diligenti ricerche dell’Alizeri. È il seguente (4): In nomine domini amen. Magister Carolus de Mediolano Artium doctor et pictor q. domini Ioahnis sporite promisit et solemniter convenit venerabili religioso domini fratri Nicholao Carreghe ordinis Sanclc Brigide et michi notario infrascripto tanquam persone pnblice officio publico stipulanti et recipienti nomine et vice Solomae uxor quondan Baldasaris Carreghe et lieredum suorum construere et fabricari altare unum et seu maiestatem unam cum ymagine Sancti Francisci recipientis stimata et aliorum Sanctorum de quibus videbitur et placuerit dicto domino fratre Nicolao illius altitudinis et latitudinis sicut et prout est altare Sancti Pantaleonis positi et existent! ad cape-lam eiusdem Sancti Pantaleonis ecclesie Sancte Brigide Janue ornatum et perfectum de omnibus suis necessariis silicet auro et alijs colloribus necessariis pro opera dicti altaris construendi utsupra et ipsum altarem et seu maiestatem consignare dicte Solomae et seu dicto domino fratri Nicolao pro ea infrascripta menses septem proximos venturos pro precio et mercede librarum octuaginta Janue quas dictus dominus frater Nicolaus dare et solvere promisit eidem Magistro Carolo prout idem Magister Carolus asserit ex quibus eidem Magister Carolus confessus fuit mihi jam dicto notario utsupra stipulanti habuisse et recepisse a dicto fratre Nicolao libras vigiliti quinque Jauue in pecunia numerata..... Actum Janue in sala Palacij Comunis vocata fraschea videlicet ad bancum mei notarii infrascripti anno dominice nativitatis Mcccclxxxx nono indictione prima secundum Janue cursum die lune XXVIJ maij paulo antea vesperas presentibus testibus ad hec vocatis et rogatis Anthonio de Pinu magistri axie q..... et Baptista de Martignono q. Dominici civibus et habitantibus Janue. Di quest’ ancona, che doveva trovarsi nella Chiesa di S. Brigida, non si riviene alcuna memoria neanche negli scrittori anteriori al 1797 in cui fu soppressa. Il Ratti, nella nota sua guida, ricordando i diversi quadri ancora in essa esistenti, accenna bensì a due tavole degli anni 1481 e 1484 con la firma del pittore Galeotto Nebia di Castellazzo ; ma non fa alcuna menzione dell’ altare di Carlo da Milano, donde si desume che sulla metà del secolo XVIII l’opera era già scomparsa. I lavori di Carlo Bracesco da Milano, che operò in Genova dal 1481 al 1501, e v’ebbe stabile dimora, sono andati tutti dispersi; ma se la critica, o qualche nuova fortunata scoperta, venisse a rincalzo d’una opinione, non destituita di fondamento, messa innanzi daH’Alizeri, ne resterebbe una sola veramente insigne. Il Varni toccando del tipo tradizionale del S. Giorgio al quale gli artisti dei secoli XV e XVI si sono attenuti, rileva che anche il celebre quadro, attribuito ad Andrea del Castagno, nella chiesa dei Francescani di Levanto « risente dell’affresco (4) R. Arch. di Stato di Genova, Atti di Ambrogio Garumberio, Fil. 7, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 5 5 di Carlo del Mantegna (per quanto se ne può giudicare dai resti) nella facciata del palazzo delle Compere » (i). Ora un documento del 1495, prodotto dall’Alizeri, viene a farci sapere che il Bracesco riceve in Genova a nome del Comune di Levanto lire quarantacinque, a compimento di cento ducati d’oro « pro precio unius majestatis per ipsum Carolum facte vendite et consignate dicte Comunitati seu Universitate hominum Levanti » ; per il qual lavoro egli si trasferì ed abitò per alquanto tempo in quel paese. Nè la maniera del dipinto, nè la cronologia si oppongono a identificare la maestà del documento, con il quadro mantegnesco del S. Giorgio; tanto più quando si pensi che la chiesa di S. Francesco, dove esso si trova, venne costrutta dal Comune nel 1449, e sia quindi ovvio il ritenere che seguitasse ad ornarla a sue spese. Escluso ormai in modo assoluto il nome di Andrea del Castagno come autore dell’ancona; fra il Sacchi, a cui alcuno per semplice induzione credette attribuirla, e Carlo da Milano a favore del quale stanno testimonianze documentarie di qualche peso, sebbene non risolutive, ci sembra per ora che le maggiori probabilità siano per quest’ ultimo. ALCUNI DOCUMENTI INEDITI PUBBLICATI DA PROSPERO PERAGALLO. I. Pactum et foedus coram Deo et Maria Virgine in aede Divi Michaelis ad Armigeros in Altare sibi victori perpetuo consa-cratum, fideliter percussum cum juramento inter venerandum Gonsalvum de Miranda Regium Capellanum Incliti Emmanuelis Regis Lusitaniae Persiae Ethiopiae, Irdiaeque, ac unici fidei Christianae propagatoris, et Joannem Marcum Cinicum cocleam Christi, Emmanuelis deditissimi mancipii. Completa Corona Sanctorum persuasione dicti insignis et venerandi Gonsalvi de Miranda, Jesu Christi famuli, et recte de fide sentientis, qui me nunquam deseruit, et invictum auxilium praestitit quantum potuit, voluit postmodum ut ego promitterem sub fide veri cynici et fidelis cocleae Christi ut Librum in scriniolo sigillatum suo sigillo, ut nemo eum videre posset, in domo Juliani Passari conservaretur, donec a Domino Rege Emmanuele litteras haberet quid facturus esset de Libro, an Regi mitteret, an Cinico restitueret; et fortasse nollente illum Emmanuele Rege, restitueret eum Cynico cocleae Christi, ut possit illum vendere alteri Principi pro maritanda filia. Et ego Joannes Marcus Cynicus libentissime sic polliceor (1) Op. cit., p. 27. 156 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA me servaturum dictum pactum, et juro per Immortalem Deum sine ambage servaturum : quamvis ut venerandus Gonsalvus potest reddere testimonium quemadmodum volui sibi libere dare Librum, sed nullo modo voluit donec manifestaret Majestati tuae dignitatem Libri, magnitudinem voluminis, ligaturam invisam mortalibus, miniaturas, pieturas, insignia Regalia coronata quin que cum Mysteriis, ut Deo dante videbis, et imagines omnium Sanctorum et Sanctarum Dei, aliaque memoratu digna. Ego si potuissem detulissem. Sed quotis horis expecto mortem: Dominus me conservet donectuum habeam responsum Amen. Miserere senis depositi, et filiolae nubilis et pulchricomae, quae ad te scribit paucula verba amabilia sua virginea manu, et mente impolluta, cum sit Doctrina Christiana plena, quam tuae Majestati ter quaterque commendo. Vale, vive, vince. Ego Joannes Marcus Cynicus eoclea Christi manu propria fateor sic esse (1). II. Magno Emanueli Lusitanie Persie Ethiopie Indieque Regi Joannes Marcus permensis Cynicus et Christi coclea plurimum se commendat et felicitatem dicit. Superioribus diebus Inclytissime Rex dum ex delubro sancti Jacobi in Compostella redirem, obviam habui venerandum Consalvum de Miranda Tue Majestatis Regium Capellanum qui dum vidisset me intentum huic operi Corone Sanctorum, tanta fuit sua persuasio in me ut monitu suo fidem exhibens coegit me ut tantum opus nemini ostenderem, dicens me beatum si id tue Majestati inscriberem se daturum operam erga Majestatem tuam ut honeste filiam meam marito copulare in Dei honorem et tue Majestatis gloriam quod mihi summopere placuit. Ego vero oppressus senio et decrepitus ad te venire non possum nec filiam relinquere valeo. Tu vero Regum optime crede eidem venerando capellano tue Majestatis et miserere mei quia decrepitus sum et pauperimus : et mitte auxilium tuum de sancto, et de Syon tuere me. Et quia Reges manus habent oblongas potes ignea celeritate et hirundineo volatu mihi egeno antequam migrem et miser moriar illico subvenire propter Coronam Sanctorum tuo immortali nomini inscriptam, in qua pabulum omni butiro et meile dulciorem degustabis. Vale et semper vive. Ex Parthenope nonis Junii MDXIIII. ----λ Si 6 (ii Dall’Archivio della Torre do Tombo. Gavela 15 Maço 9. N. 8. Nel dorso è scritto: « Concerto que fezimos Juan Marco coronisla e eu Gonçalo de Myran (sic) sobre o lybro que escreveu pera VossaAlteza ». La calligrafia è quella dell’epoca: la carta conserva vestigio di essere stata piegata in lettera, o come lettera — Il titolo sopra è come se fosse l’indirizzo della lettera. — Sarebbe mai la propria copia del contratto spedito a D. Emmanuele? Ci è annessa la versione in portoghese; e la calligrafia è pure dell’epoca stessa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 57 Ejusdem tue Serenissime Regie Majestatis indignus servus Joannes Marcus Cynicus et Christi coclea (i). III. Serenissime et Gloriosissime Rex, et Domine Domine Observantissime humiliter commendo premissis. Mitto Librum Musices nuper exaratum ad Majestatem Tuam, quo eum a rebus maximis animum affectum relaxare poteris. Est enim perjucunda Musices oblectatio, et curarum levamentum, ut cum Boetio loquar. Quare, et si donum hoc tenuissimum praesertim amplitudini tuae videri possit, obsecro tamen hilari fronte suscipere haud dedigneris pro tua humanitate, quae maxima praedicatione servitutem meam, animumque deditissimum Majestati Tuae saltem dignoscere vel hoc uno munusculo valebis. Si quid autem ex his regionibus exoptares, mihi curam id efficiendi mandes velim, non secus quod fidissimi caeteri desiderio tuo pro virili satisfacerem, semper equidem mandatis Majestati Tuae paratissimum invenies, cui humiliter me commendo, quod felicissime valeatis. Romae ex Palatio Apostolico, die decima Januarii millesimo quingentesimo decimo quinto. Excelsae Vestrae Majestatis Hu- (i ) Dall’Archivio della Torre do Tombo. Gaveta 15 Maço 9. N. 8 - . Ambedue questi documenti furono copiati, sopra mia indicazione ed istanza, dal-1’illustre amico mio, Sig. Josè Ramos - Coelho — Conservatore degnissimo del medesimo Archivio della Torre do 7'ombo —, sopra i documenti autentici esistenti in quell’Archivio. Il Mazzatinti (V. Manoscritti Ital. delle Bibl. di Francia, vol. I, p. XXXVI, Roma 1888) - parla di un Giovanni Marco Cinico, celebre amanuense e miniatore, il quale nel 1448 miniava un libro dì mascalcia e due Consulte ; e nel 1491 eseguiva un trattato di Manischalchia di maestro Facio. Dalla lettera a D. Emmanuele di Portogallo risulta che nel 1514 viveva in Napoli : e si capisce che dichiarasse di essere non pure vecchio, ma deerepito, e di aspettare ad ogni momento la morte. Risulta ancora che fece il pellegrinaggio a S. Giacomo di Compostella — ; che in tale occasione fece conoscenza col Gonsalvo di Miranda (Cappellano di D. Emmanuele) al quale mostrò il suo grande lavoro Corona Sanctorum - ; il quale stava preparando, e di cui magnifica largamente la bellezza. Se egli sia riuscito a far acquistare dal Re questo suo volume, 11011 mi constò. Nell’ inventario della Libreria di D. Emmanuele, publicato teste dal dottissimo amico mio Dr. Sousa Viterbo A Livraria Rial, especialmente no Reinado de D. Manuel — Lisboa 1901 ) non ho trovato menzione di questa Corona San-ctoru/n del nostro Scinico. Fa pena al cuore sapere che questo artista — benché sfinito per vecchiaia — oppressus senio . e poverissimo per giunta, la vorava tuttavia indefessamente, e cercava di collocare i prodotti della sua arte, col fine di assicurare una agiata esistenza ad una nubile sua. figlia. Credo che questi appunti gioveranno a chi farà una monografia dell’ artista, che il Mazzatinti encomia come illustre fra i suoi coetanei. I 5§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO UJSLLA LIGURIA milissimus Servitor Julianus Medices Sanctae Romanae Ecclesiae Capellanus Generalis (i). IV. Eccellenza Pr.™» Ho il contento di significar a V. E. in ubbidienza de’ suoi venerati comandi, che questo Sig. Dr. Antonio Dalla Bella (2) prontissimo si rassegna a servire codesto Real Collegio nella scuola della Filosofia Esperimentale, e per li primi del prossimo Agosto si porrà in viaggio per Genova. Spero che V. E. troverà nel soggetto la qualità che S. M. F. desidera, e ne vedrà presto gli effetti nel profitto di codesta studiosa gioventù, lo poi mi prostro ai· piedi del trono della M. S. ringraziandola della soma clemenza, con cui si degna di impiegar la mia tenuità; ed assicuro nel tempo medesimo V. E. che questa è la maggior consolazione della mia vita. M’umilio e riprotesto col più profondo ossequio. Di V.tra Ecc.za Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Ser.e V.° Jacopo Facciolati (3) Padova 12 Lug.o 1766. V. Clemens P. P. XIV Dilecto Filio Nobili Viro Marchioni de Pombal (4), Fidelissimi Regis Portugalliae Primo Ministro Salutem et Apostolicam Benedictionem. (1) Arch. della Torre do Tombo — Gavcta 10. Maço 5. N. 41. (2) Il Dalla Bella occupò in Coimbra la cattedra di Lente de physica expérimental nella Università; e vi insegnava ancora nello scorcio del secolo XVIII ; dacché il viaggiatore Link, che percorse il Portogallo dal I 797 al 1799, lo menziona fra i professori di quell’Istituto. (V. Voyageai Portugal, vol. i, p. 301. Paris 1803). Ne parlava anche il Conte Giuseppe Bernardi, console veneto in Lisbona, in una sua lettera del 3 luglio 1790 diretta a Venezia, informando come il detto professore aveva pubblicato varie opere in portoghese (V. Vincenzo Marchesi Le Re/az. tra la Rep. Vai. ed il Portogallo, p. 83, Venezia, 1882). Di lui sono a stampa; i’1 un Compendio de physica, che dedicò al Principe D. Joao, in tre volumi ; 2U una Memoria sobre a coltura das oliveiras em Portugal, offerecida a S. .4. R. o Serenissimo Principe do Brasi! (1786); 3” una Memoria sobre a Manufactura do azeite. Mori in Portogallo (non so bene se in Coimbra o in Lisbona) non prima del 1818. Secondo raccolsi da una notizia, però vaga, pare che sia invece morto nel 1825, avendo 97 anni di età. (3) Autografo nella Collecçao Pombalina — vol. N. 640 — foglio 157. (4) Il decreto reale, con cui, da Conte di Oeiras, fu promosso a Marchese di Pombal, è in data 17 Settembre 1770. giornale storico e letterario della ligturia 159 Dall’ amatissimo Sig.re Comendatore D. Almada ricevessimo nel prossimo scaduto Ottobre, mentre eravamo in Castel Gan-dolfo a respirare un poco d’aria,, due fogli, copie dei quali li compieghiamo qui acclusi, uno segnato colla lettera A, l’altro colla lettera B. Circa il primo servaremo l’inviolabile segreto, prescritto da Sua Maestà Fedelissima, sebbene mi rimane da dubitare dell’ esito, parendo un’ altra Corte non contenta. Circa poi il secondo foglio, segnato B, ci siamo edificati nel leggere il savio, giusto e vero sentimento del Ministro di co-desta Corte, residente in Parigi, come appunto ci siamo espressi col Sig.rc Comendatore D. Almada. Vogliono penetrare, e non indovinano; vogliono scrivere, e non sanno il vero. Quando sarà giunta la vera oportunità, si vedrà. Siamo soli a pensare: e siamo in grado di ringraziare V tra Ecc.za dell’avvertimento dato al mio Amatissimo Sig.re Almada, cioè che su di questo particolare lasciasse a noi soli la cura ed il pensiero. Vorressimo esserle vicino per palesarle la nostra condotta; e siamo sicuri che si compiacerebbe di approvarla. Le rendiamo grazie dell’amore con cui ella riguarda il nostro Nunzio. La supplichiamo de’ nostri paterni affettuosi sentimenti per le Maestà loro, e per tutta la Reale Famiglia, cui a larga mano diamo l’Apostolica nostra Benedizione, sotto cui comprendiamo V.ra Ecc.za da Noi riguardato con amore speciale. Datum Romae ex Quirinali die 6 Novembris 1771 - — P°n“ tificatus Nostri anno III (1). UN PITTORE LUNIGIANESE DEL QUATTROCENTO. Il marchese Giuseppe Campori tra gli « artisti estranei alla Provincia » di Massa e Carrara ricorda Gio. Giacomo da Pu-sterla e Iachetto da Monteragio. Di quest’ ultimo se ne sbriga con dire: « Iachetto q. Francesco de Monteragio, pittore e abitante in Massa, comparisce in un atto del notaio Vitali, 22 maggio 1471 ». Dell’altro scrive: « Gio. Giacomo da Pusterla del fu Francesco, pittore, ora abitante in Massa, vende terra, me- ^i) Autografo conservato nella Coileccao Pombalina della Biblioteca Nazionale di Lisbona, N. 040 — Miscellanea p. 368. In un’ altra lettera anteriore allo stesso, in data del 21 Marzo 1771 Apud Sanctam Mariam Majorent, il Papa gli aveva manifestato il suo desiderio di fare un viaggio a Lisbona : « Piacesse al Signore che a Noi fosse permesso d intraprendere il desiderato viaggio, mentre a quest’ora avressimo la sospirata consolazione di ritrovarci in Lisbona. Spesse volte palesiamo al Sig.re Comendatore Almada questo Nro desiderio, e sempre facciamo menzione della pregevole di Lei persona » (Nella Aliscellanea cit., p. 3°4) · ΐ6θ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diante rogito di Benedetto Vitali di Massa del 3 febbraio 1464. In altro atto di Gio. Domenico di Monzone, del 14 febbraio 1474, il medesimo dicesi ad praesens habitator in civitate Pisarum. Non altro sappiamo di questo pittore, probabilmente lombardo » (1). Il primo documento che il Campori cita, cioè 1’ atto del notaio Benedetto Vitali del 22 maggio 1471, è una vendita che fa Barone Giorgi dell’Antona a Benedetto Bondielli del Colle della metà di una vigna, per il prezzo di due ducati d’ oro ; vendita che ebbe luogo a Massa, nella contrada di Bagnara, presente, tra gli altri testimoni, « magistro Iachetto pictori quondam, Fran-cisci de Marciagio » (non Monteragio) « habitatori Masse » (2). Marciaso, frazione del Comune di Fosdinovo (3), risiede sopra uno degli sproni dell’Alpe Apuana carrarese, la cui base è lambita dalla parte di ponente dal canale Pesciola, che va a scaricarsi nel torrente Bardine, che resta dal lato di levante. Del secondo documento il Campori ha sbagliato la data: non è del 3 febbraio 1464, ma del 3 febbraio 1469. In forza di questo atto, « magister Iacheto pictor et Ianettus filii quondam Fran-cisci de Pusterla, ambo habitatores terre Masse », vendono ad Antonio Ambrogini di Gragnola la metà di un pezzo di terra, parte olivata, parte campiva e parte vignata, posto nelle vicinanze di Massa, nel luogo detto alla Cervara, per il prezzo di (1) Campori G. Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ec. nativi di Carrara e di altri luoghi della Provincia di Massa, Modena, Vincenzi, i873 : PP· 324 e 326. ,2) R. Aichivio di Stato in Massa. Sezione: Archivio Notarile di Massa. Contratti di Benedetto Vitali, reg. 1755, c. 142 tergo. (31 II P. Giacinto da Cantalupo \_Cenni biografici sugli uomini illustri della Francescana Osservante Provincia di Bologna ; I, 3 55‘356] così scrive d’un altro pittore fosdinovese: « Cherubino Ghelli di Fosdinovo, Francescano] Osservante], nel tempo della soppressione napoleonica costretto ad abbandonare il convento, si fermò in Busseto, ospitato dal sig. Orazio Gabbi. Nel ripristino del convento, fu il primo a rientrarvi. Era uomo di molta orazione e di belle virtù religiose, ricordato perciò dai Bussetani con stima e venerazione. Si dilettava di pittura; e sebbene i suoi lavori non sieno capi d’arte, ciò’nulla meno non difettano di un certo merito. Noi non conosciamo che i seguenti, i quali tuttora si conservano nel nostro convento di Busseto, ove sono stati dipinti, cioè: I. Quadretto rappresentante il S. Cuore di Gesù. II. Il B. Giovanni Buralli, quadro di circa due metri, con poca varietà dall’incisione premessa alla vita scrittane dal P. Affò. III. S. Margherita da Cortona, col crocifisso in mano ed a fianco un cagnolino. Dietro al quadro sta scritto: Flanc divae Margaritae tabulam a P. Cherubino de Fosdenovo pictam Ill.m‘ D. Andreae comitis Del Ferro pietas dicat in ecclesia FFj* Minorum Buxeti sibi tus usus cultui esto publico anno D."> MDCCC Vili. IV. S. Bernardino da Siena, quadro dell’altezza circa d’un metro e mezzo, dipinto nel 1800, per impulso del P. Bernardino Pagani di Cortemaggiore. Nel secolo il Ghelli abbe nome Pietro ; nacque 1’ 11 giugno 1747, vestì 1’ abito francescano 1’ 8 settembre 1765, e mori in Busseto il 21 febbraio 1825 v. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 161 ire trentasei e soldi nove imperiali (i). Nel terzo atto, che è * C febbraio I474i comparisce « magister Ioannes Iacopus quondam l· rancisci de Pusterla, ad presens habitator in civitate isana », il quale vende a Pietro * quondam Ioannis de Pusterla » (2), anch’esso al presente abitante in Massa, un pezzo di terra ortiva « in loco ubi dicitur al Prato », per quattro ducati e mezzo d’oro (3). E evidente. Iachetto, ossia Iacopetto, diminutivo di Iacopo, figlio di Francesco, è una persona sola con Gio. Iacopo, figlio di F rancesco. Quest’ultimo si designa come di Pusterla ; l’altro una volta di Pusterla e una volta di Marciaso. Pusterla o Posteria è un piccolissimo villaggio, che forma anch’ esso una frazione del Comune di Fosdinovo, e che risiede in piaggia alla sinistra del torrente Costia, confluente del Bardine. E’ a brevissima distanza da Marciaso, del quale può quasi riguardarsi come una dipendenza. Dal numero degli artisti estranei alla Provincia di Massa bisogna cancellare Iachetto da Monteragio, che non è mai esistito; e d’ora innanzi va inscritto tra' pittori della Lunigiana Gio. Giacomo da Pusterla, volgarmente chiamato Iachetto, che lavorò a Massa ed a Pisa. Giovanni Sforza UNA LETTERA INEDITA DI BERNARDO SEGNI. Negli ultimi anni del pontificato di Clemente VII non a Roma e a Venezia soltanto, ma anche a Firenze, nonostante il recente tragico avvenimento del 1530, molti solevano accoppiare le soddisfazioni intellettuali alla raffinatezza del senso, cercata nell’amore e nel culto delle cortigiane. Intorno a questo soggetto troppo si è scritto, sicché sarebbe superfluo il delineare qui il carattere proprio della cortigiana del Rinascimento (1). Dirò solo che fra le cortigiane fiorentine del Rinascimento, degne di gareggiare còli’Imperia'di Roma, colla Isabella di Luna, con Caterina di S. Celso e colla stessa Tullia d’Aragona, merita anche il suo posto l’Alessandra de’ Mozzi, moglie di Lamberto Sacchetti. La lettera del Segni, che io ora pubblico, la mostra una cortigiana non volgare, amante di Bartolomeo Lan-fredini depositario del Papa, e in relazioni molto amichevoli col (1) Contratti del Vitali cit. reg. cit. c. 16. (2) Questo Pietro in un atto del 14 ottobre 1474 è detto «aliter Piciolo». (3) R. Archivio di Stato in Massa. Sezione: Archivio Notarile di Massa. Contratti di Gio. Domenico Bortoli da Monzone, reg. 128, c. 129. (i) Cfr. Henri Estienne. Deux dialogues dou nouveaux langagefran-çois italianise'. Paris 1885. — ClAN. Galanterie italiane del sec. XVI. Torino 1888. — Graf. Attraverso il Cinquecento. Torino 1880. Giom. St. e Lett. della / iguria 11 IÔ2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nostro storico, a cui non doveva riuscire discaro 1 intrattenersi spesso con lei. In essa non si nomina espressamente Alessandra, ma è evidente che si tratta di lei, perchè in un punto si dice. « la facessi scavezare se altro huomo da Lamberto in fuori mai 1’havea abbraccata ». Lamberto è appunto il marito: Lamberto Sacchetti, di cui il Segni parla nelle sue storie (i). L’Alessandra s’intratteneva con Roberto di Filippo Strozzi, collo stesso Filippo, e in ultimo s’innamorò del duca Alessandro, il quale pare che dopo l’avesse abbandonato. Ella invece invaghitasene pazzamente per assicurarsi del suo affetto, si servì di uno di quei mezzi, a cui spesso suole ricorrere la credulità superstiziosa delle donne, cioè preparò « piuttosto con mente insana, che maligna » una certa vivanda incantata, che il cuoco doveva somministrare al duca. Sperava così ammaliandolo, di innamorarlo, come aveva fatto con Bartolomeo Lanfredini. Però ingeneratosi il sospetto che si trattasse di veleno preparato dagli Strozzi, si riferì questa cosa subito al duca. Tanto più s’insinuò un tale sospetto, in quanto che c’era la diceria di una rivalità amorosa fra il duca e Filippo Strozzi, affatto insussistente (2). Alessandra fu presa di notte dai fedeli cagnotti del duca, Giorno da Carpi e Giovanni detto l’Unghero, e imbavagliata fu condotta alle stalle del Maglio, dove fu tormentata con supplizii per tre giorni, affinchè le si strappasse la confessione, se Filippo Strozzi o alcuno dei suoi figliuoli l’avesse persuasa a quella impresa. Ella nobilmente sopportò ogni tortura, senza proferire verbo a carico di l'ilippo Strozzi. Nella lettera si parla di disgrazie capitate alla Mozzi. Evidentemente si riferiscono al fatto narrato nelle storie, cioè alle disgrazie toccatele da parte del duca. Ma ella con uno slancio di passione che rivela proprio uno dei caratteri della cortigiana del tempo, la quale pure amando tanti crede che ciò sia onesto, al Segni, che si condoleva delle disgrazie di lei, risponde « che le disgratie sue erano tali che tutte le gentili donne fiorentine le riputerebbono in somma gratia ». Ad alcuno può sembrare strano il luogo della lettera dove il Segni, dopo aver detto ch’ella amava il Lanfredini, soggiunge che si doleva che il suo caro Lamberto le fosse tenuto lontano per sì lungo tempo. La società moderna certo collocherebbe tali donne in una condizione abbietta d’inferiorità. Ma per intendere questo tipo di donne bisogna trasportarci a quell’età, ed esaminare gli elementi che costituiscono la società italiana del Cinquecento, piuttosto che accusare il pervertimento morale. Il fatto narrato dal Segni contribuì non poco a fomentare l’avversione del duca Alessandro verso Filippo Strozzi, la quale doveva condurre a un’ aperta inimicizia. Ma a salvare allora la posizione, poiché il duca voleva (1) SEGNI. Istorie Fiorentine. Firenze 1857; pp. 57-58. (2) Ferrai. Lorenzino dei Medici e la società cortigiana del Cinquecento. Firenze 1891, p. 141. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 163 fare arrestare Filippo Strozzi, giovò la prudenza di Alessandro Vitelli, capitano della guardia e suo compare. Siccome la lettera del Segni è del 28 marzo 1532, possiamo senz’altro credere die il fatto narrato nelle storie avvenisse poco tempo prima. I-a lettera e anche importante, perchè da essa si rileva come il Segni voleva essere a ogni costo servitore dei Medici, nonostante ch’egli non fosse « per trarne altro che quelle buone parole et offerte ». Naturalmente egli, figlio di Lorenzo Segni e nipote dal lato di madre del gonfaloniere Niccolò Capponi, i quali avevano esercitato un’azione importante negli avvenimenti che si svolsero a Firenze dal '27 al 30, ed erano con Filippo Strozzi ed altre nobili famiglie i capi del partito repubblicano-moderato, non poteva esser molto in buona grazia del duca. Ma non si creda che il Segni con questo desiderio di servire i Medici venisse a rinnegare le idee dei suoi parenti, idee che anch’ egli doveva nutrire. Noi sappiamo che la rivoluzione del 1527, sebbene fosse stata preparata da tumulti popolari, non ebbe per movente lo spirito democratico, ma la politica vacillante di Clemente VII, la quale poi finì col dan-neggiare economicamente molte famiglie fiorentine. Il popolo fu strumento di un gruppo di cittadini legati da interessi comuni, sacrificati appunto dalla politica del papa e desiderosi di vendicarsene, i quali miravano anche per effetto della rivoluzione intellettuate portata dal Rinascimento, a riformare lo Stato con ordinamenti repubblicani nuovi, che gli dessero stabilità e rispondessero alle esigenze della avanzata cultura politica (1). La fede nel principio democratico si andava sempre più affievolendo e specialmente restò scossa, dopo che il popolo esercitò la peggiore delle tirannidi alla caduta del Capponi. Naturalmente dopo queste male prove del governo democratico, alle generazioni nuove, le quali venivano educandosi alle dottrine del Guicciardini e del Giannotti, il complicato meccanismo della repubblica sempre ondeggiante coi soliti gonfalonieri, col Consiglio Grande, colla Balia, cogli Arroti, colle Arti Maggiori e Minori, non pareva più adatto a mantenere la compattezza dello stato. E così si spiega perchè il Segni non guardasse di mal occhio il sorgere del principato con Alessandro dei Medici. Ma se egli cercò di essere servitore dei Medici, e in seguito ebbe diverse commissioni e incarichi, fra cui quello di praticare con banditi e ribelli il 2 ottobre 1547 (2)> non fu un vero partigiano dei Medici, nè la sua storia rimane intaccata di partigianeria, come ha creduto Giuseppe Sanesi (3). Ma di questo tratterò in una mia monografia su Bernardo Segni ; ecco intanto la lettera: (1) Ferrai, op. cit., pp. 46-47. ^2) Vedi la notificazione di Tommaso Poggini, in Archivio di Stato di Firenze. Carte Strozziane 98, c. 248. (3) Vedi G. Sanesi. La Vita di Niccolò Capponi. Pistoia, 1895, lavoro 164 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Signor Dipositario (i) Ancor che alla partita di V. S. io fussi tractato da quella di sorte da ricordarmene in altro modo che scriverli, perchè in cambio di tochanni l.i mano quella mi segnò con la briglia del cavallo talmente che ancor me ne sento, nondimanco non voglio guardare a niente et pigliar in buona parte ogni cosa. Noi ci rimanemo tutto il giorno che V. S. si partì in Bologna et la sera havendoci fatto intendere il sig. G. (2) che andassimo a cena con sua S., non potemmo però dipartirci perchè Madonna volse o per forza o per amore che noi cenassimo con loro, dove non si ragionò per tutta seia ci a -tra materia, che di V. S. sempre in honorevolissimo modo. La mattina di buona hora partimmo et andammo al letto a visitare M. et M., la quale gratiosamente sollevando il capo mostrava il candido petto pur sempre con honestà, et con piacevoli parole dal canto suo et dal nostro così come a natura ci porge ne dipartimo offerendo l’uno all’ altro mille promesse le quali tutte credo che i venti non habbino a questa hora consumati. L’ultima mia actione furono l’ascoltarmi i preghi et il vedere le lagnine della afflitta Cammilla : la quale estimando forse più che non voi che io sia d’ aver honta a presso di Y. S. mi preghò strettamente che io la vi raccomandassi et ricordassili le promesse, il che io giusta mia possa non mancherò mai per nessuna mia letiera di eseguire. Il secondo giorno doppo l’arrivo mio pasando Lungliarno dal balcone di M. et salutandola io, quella mi chiamò in casa et sendo scesa rial balcone et di poi che fui entrato in casa et ella havendo la porta chiusa stemmo pei lungho diporto insieme in sul muricciuolo della corticina ragionando sempre in causa, dove io per vostra parte mi condolsi delle disgratie anzi per meglio dire dissi delle malattie sue, alla quale proposta mia ella rispose che nè disgrazia nè malattia le era incontrata et che se ella era stata in casa vi era stata per suo piacere et perchè così pareva a chi poteva, et che le disgratie sue erano tali che tutte le gentili donne fiorentine le riputerebbono 111 somma gratia. In ultimo stringendola io al particulare della iunctura mi disse che farebbe noto a ciaschuno il tutto quanto tempo fusse. Di poi entrandoli io pure per commissione vostra nella santissima honestà sua, dicendoli che al presente io era chiaro della buona et sola amicitia sua con V. S. mi li-spose che V. S. faceva il debito suo a non mentire di lei et che non havrà a far con voi altro che con un suo fratello. Et che la dama la facessi sca-vezare se altro huomo da Lamberto in fuori mai 1’havea abbraccata. Voleva pure oltra di questo che io le dicessi qual cagione vi havrà ritenuto dal non passare di Firenze. Et m’impose che io vi scrivessi questo che amore non havrà rispetto a niente et che se V. S. 1’ amava o vero diceva d amarla ch’ella non mostrava e altrui segni. In somma noi avemo vani et lunghi ragionamenti et tali quali meritava la dignità della persona sua et la mia bassezza. Et la conclusione fu eh’ ella vi amava et non era amata et di più si doleva chel suo caro Lamberto le fussi per tanto tempo tenuto lontano. Volendo pure che io le dicessi quel che io sperava di lui cioè se e sarebbe fatto ritornare o no, al che se mi risolvessi mai ben le dissi che io ne seri- ingegnoso, ma non punto convincente, e le Ossei~vaztoni intorno 01 tre storici minori in Arch. Stor. Ital., 1899, S. V., I. 23. (1) Bartolomeo Lanfredini, depositario del Papa, amicissimo del Segni (Storia fiorentina, ediz. cit., p. 218). ! 2) Giovanni Lanfredini, fratello di Bartolomeo, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 165 verei a V. S., preghandola che in quello le poteva in tal caso giovare non volessi inanellarvi. Al perfino si tenne di me ben servita al solito. Ho durato faticha a riconciliarmi seco. Slanci trovati a cena con dame et con altri intrattenimenti et passia tempo honestamente ricordandoci poco di V. S. di che non pensiamo essere cambiati. L’ amico nostro non si fece saio di velluto ancor che sia ito et vadi continuamente a spilazare (sic). Che diresti voi che a 19 soldi per lira m’indovinai di chi mi rubò il grano, spero che un giorno vedreno il ladro attaccato alle meritate forche. Se io sono stato un poco lunghetto 1’ ho fatto per bavere occasione di mandarvi tutto il foglio che sendo in viaggio V. S. se ne servirà a bisogni necessarii et leggendo la lettera in luogho arioso quando quella fussi stitica si ricorderà d’un suo buono amico a dispetto di V. S. Et son certo che ella mi raccomanderà al S. Presidenti se Sua Signoria si porterà appresso di N. S. et crederà che io voglio essere Servitore della casa dei Medici a ogni modo, ancor che io non fussi per trarne altro che quelle buone parole et offerte, che mi ha fatto N. S. al quale io sono et sarò sempre oblighato servitore et devoto benché V. S. non lo creda alla quale del continuo mi raccomando et offero. Et Dio felice la conservi del continuo. Di Firenze. Alli XVIII di marzo 1532. — B. Segni (i), Michele Lupo Gentile BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Cesare Sardi. I capitani lucchesi del secolo XVI. Lucca, Giusti, 1902; in-8, di pp. 118. Sono parecchi i capitani di cui l’a. qui ha raccolto con molta cura le notizie, desumendole per lo più da. cronache manoscritte e da documenti, non senza vagliarle al lume della critica. Tre di essi in ispecial modo sono per più ragioni da rammentarsi, come quelli che porgono al S. più ampio campo di trattazione. Essi sono Lorenzo Francesconi da Vorrio, detto il Perugino; Ambrogio Narducci. noto sotto il nomignolo di Brogio del Gobbo: Ventura Amerini di Lunate. Diremo subito che quest’ultimo interessa la nostra regione per essere stato padrino di Girolamo Montaldo genovese, alfiere delle guardie della repubblica di Lucca, in un duello che ebbe con Galasso Isnardi da Carpi a Villaf’ranca di Lunigiana nell’agosto del 1555. Di questo singolare combattimento se ne fece un gran parlare, e il Capitano di Sarzana ne riferiva ai Protettori deH’Officio di S. Giorgio il 2 settembre così : « Qui apresso a miglia XI11I a Vilafranca castello de Marchesi Malaspina, si è fatto un combatimento de un nostro Genovese nominato Gieronimo Montaldo che da cinquanta anni in qua non se n’è fatto un più honorevole, ne più favorevole e con concorso di tante (1) Lettere a Bartolo?neo Lanfredini dal 1521 al 1532, Biblioteca Na zionale di Firenze, maz. II, v. 23, f. 326. * l66 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA genti e cavalli da tutte le parti, che mai non ne fu visto tante Et ha combatuto con uno nominato il Capitan Galazzo da < arpi sostenuto dal figliuolo del duca di Ferrara et hano combatutto a cavallo con armi honorevoli e da cavaglieri. Il nostro Genovese il cavallo seli arbocò adoso e cascò; però la sorte e il cuoi suo li dete che restò in piedi e combattetelo con doe spade una per mano ai-mati il petto, e andò di novo a investire il nemico quale restava a cavallo e vigorosamente con doe sfocate lo amazò e lo lece cadete da cavallo e restò vittorioso, senza Ini essere offeso in parte alcuna che è stato un honorevolissimo combatimento, et detto giovene ge-noese era Alferes lionorevole delli soldati della piaza di Luca. Et e stato sostenuto e favorito dal S.or marchese di Massa, il quale pei rispetto della patria li ha fatto assai e speso più de d.u tremi!lia e fornitolo di ogni sorte de cavalli e fattolo accompagnare da Sig'.rl e Capitani assai in campo honorevolmente. E ritornato che e per qui a nome di Y. S. l’habbiamo fatto quello honesto e conveniente honore che m’è parso meritare v (1). Ma poiché i due primi, il Perugino e Brogio militarono con i fiorentini al tempo dall’assedio, cosi il S. prende le mosse da questo tempo, e nei primi quattro capitoli, discorre della politica della repubblica di Lucca verso Firenze, e del modo con cui seppe destreggiarsi in sì fatto frangente non volendo da una parte alienarsi 1 impero, dall’altra i fiorentini. È una bella pagina di storia che viene qui dall’ a. illustrata opportunamente con ricchezza d’informazioni ed importanti rilievi. Forse la repubblica lucchese, comportandosi m quella guisa, non fu estranea ad impedire che Pietrasanta cadesse in mano dei genovesi. Poiché costoro approfittandosi delle condizioni difficili in cui si trovavano i fiorentini, tentarono di toglier loro alcuni luoghi vicini, a fine di allargare il loro dominio. Il capitanò di Sarzana, che allora dipendeva dal Banco di S. Giorgio, fece pratiche per ottenere che gli uomini di Caprigliola e di Albiano si dessero nelle mani di S. Giorgio ; ma i Protettori piuttosto che a queste terre, le quali speravano sarebbero venute in loro potere agevolmente più tardi, posero gli occhi sopra Pietrasanta, la quale parecchi anni innanzi era già stata in loro dominio (2). Fino dall’agosto del 1529 (3) erano incominciate le pratiche a fine di prepa- (1) Arch. di Stato, Genova; Sez. S. Giorgio; Cariceli. Batt. Lomellino, Litter., a. I555- (2) Arch. cit. Cancell. Porta, Litter. a. 1529-30, dove si trovano tutti i doc. citati o prodotti. (3) I propositi di acquistar Pietrasanta già si rivelano nel marzo del 1527 quando essa fu sguernita per afforzar Pisa, nel timore de’ tedeschi che minacciavano scendere dall’appennino, e s’avviarono poi a Roma. (Cfr. Arch: cit., Cancell. Borlasca, Litter. a. 1527, lett. di Biagio Spinola da Sarzana 8 marzo). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGTURIA \6j iare l’impresa, caldeggiata in ispecie dal capitano di Sarzana, il quale per mezzo di emissari, aveva assunte minute informazioni sullo stato del luogo, e consigliava il modo migliore per impadronirsene, insistendo più volte, perchè i Protettori, i quali andavano a rilento, specie in verbo quattrini, si decidessero una buona volta, e cosi la cosa si protrasse fino al dicembre. Quando però intesero » che li Sig.™ luchesi hano pratiche strecte cum fiorentini per mezo de quelli fiorentini che sono in Luca che acadendo alli fiorentini abandonar Petrasanta del tuto la debeno far pervenire in detti lu-cliesi, li quali luchesi hano già havuto li contrasegni de la rocha », e che u diete pratiche de luchesi et fiorentini sono fate etiam con la volontà de la Cesarea Magestà per mezo de uno luchese secretano de Cesare chi sta a li rervizi del gran cancelero, il quale promete ho da ad intendere a dicti luchesi che Cesare li confirmerà tuto quelo harano facto mediante alcuni denari che li mantegnirà in posesione di dicto loco », allora, messisi d’accordo con Andrea D’ Oria, mandarono i denari e diedero istruzioni, affidando la commissione ad Erasmo D’Oria, secondo aveva suggerito l’ammiraglio. Ma mentre il capitano di Sarzana consigliava di occupare la terra anche con la forza, Erasmo, seguendo le istruzioni avute da Andrea, tento il mezzo pacifico della dedizione spontanea. Recatosi per questo a Massa ebbe un abboccamento, consenziente il Capitano di Pietrasanta, con Cristoforo Chiariti e un anziano, ai quali « ha facto intendere come luchesi desiguavano di haver epso loco de Petrasancta cum voluntà de fiorentini, et che per questo li confortava prendes-sino partito cum lo II 1 .re S.°r Cap. Andrea Doria, il quale prenderla la loro protetione e li diffenderia da ogni persona. E lor questo inteso li risposon esserli molto nova la detta pratica di luchesi, et che più presto si dariano ad ogni altra S.ria che ad epsi luchesi, et che loro g'uarderiano bene il lor loco di Petrasancta che detti luchesi non li intrerano, e che la voluntà era di non far alcuna mutatione di stato salvo se la forza non gel facessi fare, perchè loro non possono errare a tenersi, imperochè se fiorentini resterano vincitori resterano cum lor Signori, et se pur perdessino che resterano ad ogni modo cum Medici li quali serano pur anche fiorentini ». Allora finalmente si persuasero che occorreva adoperare la forza, e stavano sui primi di gennaio del 1580 provvedendo al da farsi, ma i terrazzani elessero di darsi nelle mani del papa, temendo il peggio dagli imperiali e dal D’Oria, già mosso alla lor volta con le galere, onde da Lucca v’ andò Palla Rucellai in qualità di commissario. Al quale Rucellai Filippo Strozzi scriveva le due seguenti lettere, che si riferiscono all’ultima impresa del Ferruccio: ι68 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Hag.c° Commissario La nova che, ’l ferrucoio sia ito alla volta di pescia si certifica per le allegate, et altre persone da Lucca venute, donde non bisogna più dubitare. Non mi pare per questo vi desarmiate che tra dua o tre giorni si doverà vedere se egli pasea avanti o impedito sta ieimo, o da adietro. Io andrò stasera insia a Iucca per essere più propinquo, e qui lascerò piero, e lione, sarò di ritorno in breve, ciò è come veggo 10 exito di questa cosa, non sarò più lungo, a voi mi raccomando, Dio vi guardi. A di p.° di agosto 1580 iti Oamaiore. V.ro Philipo Strozzi Mag.Cu Com.° El ferraccio allogiò beri sera a sam quirico contado di luca, sopra a pescia circa a sey miglia et p.a quando tu viccino a pescia mandò un trombeta alla terra a chieder vetovaglie le quale 11 fumo negate, luv non volse rapresentarsi alla terra altrimenti per non perder tempo, et judicando iabricio doverla, soccoiieie secondo haveva promesso a pesciatini et cossi prese la via di collodi supra la pescia et si fermò a rinfrescare al sopradetto loco, di poi è ito alla volta di calameche castello della montagna di pistola, et si vede disegnia solevare la fatione Cancellieri e cossi ingrossate. Di Fabricio non so se sia partito donde prima era che forsi aspecta il S01' Alexandro si coniunge seco, quale hieri sera parti da sancta Maria monti verso pistoia, et si dice ha secp li spagnoli che eiano in cassina. Altri particolari non ci sono. Bartholomeo Valori scrive di Campo che chi guberna in Firenze vorrebbe che soldati usciseno fori a combatere et che loro respondeno che non sono dispeiati fi sorte che non voleno ire apendersi al certo, unde spera in breve le cose habino a terminare bene. Parmi voj possiate hora rimandale le fantarie forestere et solum reserbare li hominj de la terra et iat fare qualche guardia alla nocte che costi non cognosco sia più periculo alcuno, et il consumare cotesta terra cum spexe supeifiue sa rebbe tropo gran peccato et. maxime possendo voy havere costi e. medesime forze da Massa sempre che bixognia ancora che tre [dij avanti sareti sempre advertito di tuto. La brigata mia rimandeio a camaiore et io penso revedervi in brevi, alla quale me tacomanfo. A di 2 di augt0 1530 in luca. V.ro Phii.ipo Strozi Le due lettere furono inviate in copia al Capitano di Sarzana, il quale subito le spedi ai Protettori. Accompagnando la seconda con sua in data del 4 agosto, aggiungeva : u Di nuovo scrivendo la presente è justrato qui uno correlo per il duca di millano expedito da la Signoria di luca, il quale reffere a boca che here il principe d’o-ranges cum 2000 fanti, il S°'· Alexandro Vitelli cum altri fanti et il marramao cum le sue gente che in tuto erano circa <000 persone andorno a trovare il ferruchio uscito 1’ altro jorno da Pisa sino in le montagnie di pistoia ed demum se sono atachati inseme et al principe d’oranges è tochato la prima bataglia, il quale è restato morto, et seguitando la bataglia tuti quelli del ferruchio, o la majoi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IÔQ parte, tagliati a pezi, et epso ferruchio morto per mano del marra-mao cum uno pugnale ne la gola ». Abbiamo creduto non inutile prendere argomento dalla monografia del S. per dar fuori queste notizie, le quali si riferiscono alla materia da lui trattata e possono dar luogo ad altre ricerche per vedere come la repubblica di Lucca si comportasse, nel caso speciale di Pietrasanta, rispetto a Genova, ai fiorentini ed al papa. Gli storici accennarono alla dedizione di Pietrasanta nelle mani del commissario pontificio, e toccarono di sfuggita alle galee del D’Oria (1); ma l’episodio riceve lume dalle carte genovesi, donde potrebbero trarsi eziandio buoni elementi a rilevare in qual modo Genova si governasse verso la repubblica di Firenze nel momentoso periodo dell’ assedio, e a che 1 rescissero i suoi tentativi di espansione nella Lunigiana e nella Versilia. A. N. ANNUNZI ANALITICI. Luigi Staffetti. Una sposa principesca nei cinquecento. Massa, Medici, 1902 ; 111-8, di pp. 84. — La sposa è Lucrezia figlia di Alberico Cvbo, che si maritò con il colile Ercole Sfondrati cremonese. L’ a. con copia di documenti racconta tutte le vicende di questo maritaggio, fino alla morte di Lucrezia. Venne stabilito in Genova, dove allora dimorava il principe Alberico, con scrittura del 10 settembre 1590, e mentre si attendeva il consenso del granduca di Toscana e si facevano le pratiche per ottenerlo sopravenne la morte di Sisto V, poi subito quella del successore Urbano VII, papa per tredici giorni, e quindi la elezione del cardinale Sfondrati che assunse il nome di Gregorio XIV ; di qui il desiderio della famiglia d’ Ercole, salita d’ un subito a si alto >tato, di matrimonio più cospicuo, e il destreggiarsi d’Alberico per far sì, ora più che mai, la promessa fosse mantenuta, e si affrettassero gli sponsali. E così accadde che per le sue vive insistenze, secondate dagli uffici di Toscana, il papa, vinto altresì dalla giustizia della cosa, diede la sua approvazione. E perciò il Cattaneo, che aveva trattata la faccenda in Roma, risparmiò ad Alberico, già arrivato a Viterbo per andare in persona a perorare la sua causa, di procedere innanzi e si ridusse invece a Firenze, dove nel conservatorio delle Murate si trovava Lucrezia sotto le ali della zia Eleonora la moglie dell’ infelice Gian Luigi Fieschi, tornata in quel ritiro dopo la morte del secondo marito. Trattati con ogni onore dal Granduca, superbamente regalata la sposa, non solo da questi ma dalla granduchessa, dal papa e dai parenti, partirono per Roma e si fermarono nel sontuoso palazzo degli Sforza alla Sforzesca, eh’ era il luogo di convegno. Infatti giunto indi a poco Ercole si fece il matrimonio. Quindi si avviarono tutti a Roma ricevuti con splendidezza grande, come a nipoti del papa si conveniva. Ma la letizia di codesti sponsali non fu troppo lunga. La carestia e la febbre petecchiale onde Roma fu afflitta amareggiarono il primo anno del matrimonio, e Lucrezia divenuta madre, ebbe il dispiacere di veder (1) Varchi, Stor. fior., lib. X, par. LXX1I. — Santini, Commentati s/or. sulla Versilia centrale, Pisa, iS5$, vol. II, p. 165 sg. I/O GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA allontanarsi il marito eletto dal papa a guidare le milizie mandate in 1 rancia a non felice impresa. Colpo peggiore, la morte di Gregorio XIV che gettava a terra tutte le nutrite speranze. Lucrezia si ritrasse sul lago di Como nei vasti possedimenti del marito, che non molto dopo la raggiunse. Fermarono la lor dimora a Bellagio, occupandosi principalmente delle cose domestiche, e di qui tenne Lucrezia per sedici anni continua corrispondenza col padre, interrotta soltanto dalla morte di lei avvenuta in seguito a parto il 6 ottobre 1607. Questo episodio narra lo S. con gran copia di particolari, confortati da riferimenti e riscontri eruditi. Pubblica a corredo le trentotto lettere di Lucrezia al padre « da cui traspira una gentilezza e una bontà spesso commovente », degne d’essere conosciute anche per la semplicità e la scioltezza della forma, e perchè infine rappresentano « la figura di una sposa gentilissima e di nobile prosapia, dedita interamente agli affetti e alle cure della famiglia, e pur legata da tan a tenerezza pel vecchio padre e per la sua casa primitiva ». Enrico Celani. Sopra un Erbario di Gherardo Cibo conservato nella R. Biblioteca Angelica di Roma. Genova, Ciminago, 1902, in-8, di pp. 46 (Estr. dal Malpighia, vol. XVI). — Di questo genovese del cinquecento botanico, raccoglitore d’ una biblioteca notevole e pittore invano si ricercherebbero notizie nei nostri libri di storia e di bibliografia. Figlio di Arammo Usodimare-Cibo e di Bianca Vigerio savonese, nipote perciò di quel Gherardo a cui andò sposa Teodorina di Giambattista Cibo divenuto papa col nome di Innocenzo Vili, trasse la sua vita fin dalla puerizia lungi da Genova dove ebbe nascimento nel 1512. Questo e il non aver lasciato alcun’ opera stampata, o manoscritta contrassegnata col suo nome, furono le cause principali dell’ oblio in cui è rimasto. lì C. deve quindi encomiarsi per questo suo lavoro che assume carattere di una vera e propria scoperta, doppiamente importante per la storia letteraria e scientifica. Un erbario anonimo per molto tempo rimasto negletto nella biblioteca Angelica, e di recente restaurato con cura sollecita per la sua conservazione, ha spinto 1’ a. a ricercare donde fosse provenuto e da chi fosse stato raccolto. Le sue indagini condotte con illuminato criterio sono riuscite felicemente a buon fine, ed ha potuto stabilire che il botanico a cui si deve quella importante collezione in cinque volumi è appunto Gherardo Cibo. Importava perciò far conoscere la vita di questo scienziato, di cui si era perduta la memoria, a fine di rilevarne i meriti personali, e il posto a cui ha diritto l’opera sua in ragione di tempo nella storia della botanica. Le pazienti ricerche del C. gli hanno dato modo di narrare, col sussidio di molti e notevoli documenti, i casi della vita di Gherardo, anch’ essa varia ed agitata, come il periodo in cui trascorse la giovinezza, e gli uffici che ebbe presso Francesco Maria della Rovere, e il card. Farnese; i viaggi compiuti con questi e col padre in Germania, 111 Spagna, in Francia, nei Paesi Bassi, e finalmente il suo ritrarsi a Rocca Contrada (ora Arcevia) dove mori il 30 gennaio 1600. Rileva gli studi fatti in Bologna sotto la scorta del celebre Luca Ghini ; fu in relazione con 1 Al-dovrandi, il Mattioli, il Bacci, e di questi due ultimi pubblica lettere in appendice, dove ha pur raccolto quelle di Gherardo al conte Landriano e al fratello Scipione. Il C. da biografo e da bibliografo ha ricostrutto in modo esauriente la storia di questo erbario, che è, dopo quello dell’ Aldovrandi, « il più vasto che a noi sia pervenuto e che rimonti ad epoca tanto remota », perciò appunto sta nell’ ordine cronologico innanzi a quello dell’ illustre bolognese. La illustrazione scientifica di questa raccolta, e quindi il suo vero valore rispetto al tempo ed alle condizioni degli studi botanici, si attende dalla dottrina del prof. Penzig. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 7 I FEDERICO Donaver. La madre santa. Medaglione con lettere inedite. Genova, Capurro, 1902 ; 111-8, di pp. 23. — Si discorre in questo elegante opuscolo nuziale di Eleonora Curio Ruffini, e si recano tre notevoli lettere di lei a Vincenzo Ricci (aprile-maggio 1848) mentre era ministro dell’interno. Ea bontà dell’ animo, 1’ amore alla patria, ed a’ suoi figli in esse spicca manifesto. In seguito all’ amnistia li aspetta con desiderio, pronta tuttavia anche al sacrifizio. « Essi sembrano determinali », così scrive, « a partire direttamente pel Piemonte onde raggiungere i fratelli al campo; nè 10 sono madre sì indegna da svolgerli da tale onorato proposito, me ne costasse la vila eh’ io trascino unicamente per essi ». Si addolora nel dubbio che Giovanni eletto deputato « suo malgrado » persista a non voler accettare ; ma è poi tutta giubilante nell’ annunziare che « vinte le ripugnanze di prima ha dato il suo consenso.... e sta preparandosi » al ritorno « lieta tanto più---- in quanto che il suo rifiuto cominciava a dar diritto a chi si piace d interpretare malamente le azioni degli uomini, di accusarlo di essere avverso allo Statuto fondamentale abbracciato volonterosamente da lutti i popoli che all’ Italia appartengono ». E ai destini della patria non lascia di volgere il pensiero. « Io temeva molto », essa dice, « che gli ultimi fatti di Roma nuocessero alla cosa pubblica e mi respira 1’ anima in uno di essermi ingannata. Voglia il Cielo ispirare sensi magnanimi a Carlo Alberto sicché finisca meglio che non ha cominciato, nè si renda inutile il sangue con tanto zelo versato a redenzione di questa bella e povera Italia. Pur troppo Ella dice il vero, nè l’Austria nè il Gesuitismo sono vinti ancora, e ovunque danno segno della loro infesta presenza ; ma se Dio è con noi, se 11 zelo generoso dei buoni non cede in faccia al sacrificio, i loro conati saranno inutili ». Pietro Verrua. Studio siti poema « Lo innamora mento di Lancillotto e di Ginevra » di Nicolo degli Agostini. Firenze, Ducci, 1901 ; in-8, di PP· 93· — Per la biografia di Nicolò degli Agostini. Firenze, Ducci, 1901 ; in-8, di pp. 22. — La ricerca intorno al poema dell’Agostini, il cui nome va legalo a quello del Boiardo, sebbene gli stia così lontano nel merito, per la continuazione dell’Innamorato, è condotta con molta cura e buon metodo. Il V. ne esamina il complesso, le parti, gli episodi, i personaggi ; la materia e la forma. Utile lo studio comparativo, e i molti rilievi sulle fonti alle quali il poeta ha attinto o direttamente o indirettamente. E ragionevole quel fermarsi a preferenza sulla indagine delle parti popolari, poiché [Agostini presenta spiccati i caratteri del rapsoda. Conclusivo il giudizio che chiude la monografìa, nella quale qua e là si riscontrano alcune inesattezze facilmente emendabili. — Dell’ autore poco si sa e coloro che hanno avuto occasione di nominarlo sono caduti in errori o rimasti incerti. Qui nel secondo opuscolo il V. non vuol rifare la biografia, ma rimettere a posto la verità e rilevare alcuni particolari. Rispetto alla patria prova che egli era veneziano, e non forlivese o di Ferrara; non appartenne, come altri ha voluto, all’accademia romana della virtù ; il Francesco a cui è dedicato il primo libro della continuazione dell’ Innamorato, anziché Francesco II Sforza, è il marchese (non duca come erroneamente scrive il V.) Gonzaga. Un apologo indiano tradotto da Giovanni Flechia. Nota di Giuseppe Flechia. Torino, Clausen, 1902; in-8, di pp. 6. (Estr. dagli Atti della li. Accademia delle Scienze di Torino, XXXVII). - r. il colloquio del dio Indre e del pappagallo tratto dal Mahàbhàrata ; leggenda buddistica di cui 1’ illustre glottologo aveva dato il testo sanscrito nella sua lodata grammatica con una traduzione latina. Qui si reca la versione volgare rimasta 172 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUKIA e inedita fra le sue carte, e ne cura la stampa il nipote, premettendovi alcune succose notizie bibliografiche. Giuseppe Roberti. Gli otto anni d’ ineducazione dì Vittorio Alfieri. Pistoia, Fiori, 1902; in-8, di pp. 16 (Estr. dalla Rassegna frazionate, a. XXIV, 10 die.). — Queste pagine geniali sono piene d’ interesse, perchè illustrano e commentano quella parte dell’ autobiografia in cui 1 Alfieri ìac-conta come procedesse la sua vita negli otto anni da lui passati in Accademia. Esse ci porgono notizia di parecchi particolari o taciuti o adombrati appena, con minute notizie intorno alla vita di collegio, al suo andamento, agli insegnanti e ai discepoli, alle condizioni economiche e morali. Ne usci, come è noto, alfiere del reggimento provinciale d’Asli, e qui vien dato fuori 1 inedito biglietto reale che a quel grado lo nomina. Giuseppe Flechia. Foscolo e Borsieri. Milano, Cogliati, 1902; in-8, di pp. 7 (Estr. à^W Arch. Stor. Lombardo, a. XXIX). — Il F. pubblica il brano di una lettera del Foscolo a Borsieri non privo d’interesse ; è da Pavia 5 maggio 1809, e lo trascrive Luigi Pellico in una sua lettera indirizzata al-1’ amico Stanislao Marchisio, poiché in esso brano viene lodato. Questa 1’ unica testimonianza dell’ amicizia passata fra il Foscolo e il Borsieri, mentre de’costui rapporti con Silvio Pellico ci offre testimonianza l'Epistolario. Il F. ha chiarito questo aneddoto con parecchi notevoli riscontri. Soiivaro'w eti Italie. Par Edouard Gachot. Paris, Perrin et (C.11 I9°3> in-8, pp. VI 496, con fìg. e carte. — Questo lavoro, di cui abbiamo ìecen-temente annunziato la pubblicazione, è uscito alla luce in un bel volume corredato di disegni, di piante e d’ una carta geografica dell' epoca del teatro della guerra. Cominciamo cl·>. 1 plaudire al concetto di aggiungere una calta di quell’ epoca, perchè volendo seguire le operazioni su carte più moderne molte volte si stenta a rendersene ragione, poiché queste, incomparabilmente superiori come esecuzione tecnica, 11011 ci rendono le condizioni dei luoghi nell epoca in cui si svolsero i fatti narrati, massime quando trattasi d’ una regione come la valle del Po, ove le comunicazioni dopo il 1799 furono tanto migliorate. Voler dare un concetto anche soltanto riassuntivo del lavoro del G. non sarebbe possibile nei limiti di un’ annunzio bibliografico : il suo racconto che comincia colla formazione della quadruplice alleanza contro la Francia, tei mina coll’autunno del 1799: i francesi battuti a Novi par abbiano perduto definitivamente 1’ Italia, trattasi perfino d’ abbandonar Genova loro ultimo ridotto. Ma all’ ultimo momento una notizia serpeggia fra quei valorosi abbattuti da tanti disgraziati combattimenti; rialza le energie, ravviva le speranze: Bonapaite è ritornato dall’Egitto, è sbarcato a Frejus ! Il racconto del G. per essere essenzialmente destinato ai militari non manca d’ interesse pel comune dei lettori. Il carattere stesso dello Souvarow, figura semibarbara che stuona nel-1’ ambiente della vecchia civiltà occidentale, attrae la nostra attenzione. Poi le condizioni delle popolazioni italiane oppresse dalla rapacità de’ proconsoli francesi, dalla violenza delle soldatesche, talune quasi selvaggie come i cosacchi, che scorazzano il nostro paese : le sommosse popolari e le sanguinose repressioni, tultociò forma un quadro (he interessa chiunque s’ occupa per poco di studi storici. D’altronde questa campagna del '99 ch’ebbe il suo scioglimento nel territorio ligure e terminò rumoreggiando quasi alle porte di Genova, è il proemio dell’assedio del 1800 di cui vive ancora la tradizione fra noi, e di cui pure il nostro A. prepara una nuova narrazione. Pertanto la lettera del lavoro che accenniamo è utilissima per chi s’ occupa di quel periodo della storia ligure (U. A ). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA A. Bernardv, Venezia e il Turco nella seconda metà del Secolo XVII. Con documenti inediti e prefazione di PASQUALE VlLLARI, Firenze, Civelli, MCMII, pp. 142. — La signorina A. Bernardy, con questo volumetto, ha voluto trarre dall’ oblio una pagina gloriosa di storia veneta (1644-1699). Ed è riuscita in mezzo a difficoltà non piccole, come la vastità e la varietà dell’ argomento e la mole del materiale manoscritto e a stampa, a scrivere una breve ma densa monografia, che appare subito 1111 saggio di squisito e acuto senso storico e di una larga coltura. Maneggi politici, fazioni militari, soccorsi ed insidie, previdenze ed errori, vittorie e sconfitte, laudi e satire, islam e cattolicismo, interessi dinastici e aspirazioni nazionali, diplomatici e soldati, re e sultani, dogi e papi, ministri e cardinali, ecco gli elementi del grande dramma, che la B. ha dovuto studiare, e, spogliando della parte ingombrante, disporre, come ha latto, con ordine ed economia nelle pagine del suo libro, dove spira un soffio di vita giovanile nelle immagini colorile e nelle ardite conclusioni, quasi sempre frutto di maturo criterio e di una acuta penetrazione dei fatti studiati. Mende se ne possono trovare qui e là. Si potrebbe notare che non furono compulsati altri archivi all’ infuori di quelli della Repubblica : ma chi pensi alle enormi difficoltà di attingere ai numerosi dej ositi di documenti dell’Italia e dell’estero, e d’ altra parte alle moltissime opere a stampa italiane e straniere consultate dall’A., che recano luce conveniente sull’ argomento, si può bene giustificare una tale lacuna. Noi piuttosto avremmo desiderato una breve e rapida rassegna retrospettiva dei rapporti fra la Repubblica e 1’ Impero turco, al fine poi scaturisse fuori chiara ed evidente la condotta dei Veneziani verso il nemico della fede cristiana e fosse giustificata un po’ meglio quella, che molti possono credere vera e propria impreparazione, ma che in fondo poteva essere un semplice, per quanto fatale, sistema politico di difesa contrapposto all’ irrompente impeto di conquista dei turchi. Cosi avremmo desiderato di vedere più sviluppato il concetto informatore della politica di conquista degli Osmani per sapere a quale forza obbedivano e, principalmente, se, dopo la conquista di Costantinopoli, aspirassero a tutte le terre dell’ impero d’ Oriente, compresa 1’ Italia. Nonostante gli appunti lievi, di cui è suscettibile qualche parte, il libro della B. è più che una bella promessa, un saggio di geniale dottrina e di eleganza di stile, una moderna creazione di uno spirito sano ed assimilatore, che alla storia porta, più che rancide citazioni, idee nuove e mature. (E. Piva). Giulia Ricciardi. Giuseppe Baretti e le sue lettere famigliali ai fratelli. Catania, Giannotta, 1902 ; in-16, di pp. 185· — L’ a. nel compilare questo suo libretto è partita da un falso supposto, e cioè che 1’ opera del Baretti : Le lettere familiari, « meriterebbe di esser conosciuta più ampiamente di quello che essa è ». Si domanda: da chi? Non dagli studiosi, perchè niuno mediocremente colto la ignora; gli altri è indubitato che hanno letto, almeno nelle sce'te, le lettere, mentre forse della Frusta 11011 sono andati più in là del frontispizio, ο 1’ hanno conosciuta, sol per 1’ espressione antonomastica onde vien per lo più indicato 1’ autore. La ragione apparisce evidente. Le lettere con le descrizioni, i ritratti, gli aneddoti divertono ed attirano 1’ attenzione anche di coloro i quali nella lettura ricercano il diletto e il sollievo dell’ animo ; la Frusta non ha per tal genere di lettori sì fatte attrattive ; quindi, secondo nostro parere, sono più popolari le prime anziché la seconda. Ma prendendo il lavoro come ci è porto, non ci sembra in tutto felicemente riuscito. Manchevole e poco conclusivo il primo capitolo intorno alle lettere familiari di viaggi in Italia prima del Baretti. Meglio fatta la biografia come esposizione condotta sulle molteplici pubblicazioni intorno a codesto argomento, sebbene non sia stato tenuto conto di tutto, e sia rimasto 174 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sconosciuto all’ a. il maggior volume ilei Piccioni venuto in luce due anni innanzi. Rispetto all’ economia del lavoro e al suo fine troppo ampia, e non interamente opportuna. Buono anche il sunto delle lettere sia nella edizione italiana, come nel rifacimento inglese ; qua e là osservazioni utili, ma non tutte attendibili. Il resto insufficiente. Ci duole il dirlo, ma il fine propostosi dall’ a. non è raggiunto. Anton Francesco Doni. Lettere scelte per cura di Giuseppe Petra-GLIONE. Livorno, Giusti, 1902 ; 111-16, di pp. XIV-95. — E’ questa una pregustazione dell’ epistolario Domano, non facilmente accessibile per la rarità delle edizioni in cui le lettere si trovano o insieme raccolte, o sparse qua e là. 11 P., a cui si deve uno studio assai buono sulle novelle d· 1 bizzarro fiorentino, dà fuori venlidue di esse lettere ai notandole con molta diligenza così dal lato storico, come da quello filologico, e va lodalo considerando le 11011 lievi difficoltà che s’ incontrano nel chiarire le allusioni a persone e cose nascoste in quel linguaggio furbesco pieno di espressioni strane e di figure singolari tutto proprio del Doni, il quale d’ altra parte è ricco di spigliata vivezza, di salace umorismo, di gioconda rappresentazione. Notevoli le sferzate contro la mala vita de’ frati e delle monache ; contro i pedanti e i poeti ; contro i da poco, i furfanti, i ciurmatori. C’ è una lettera amorosa 1 η. XV) a Madonna Alessandra, della quale parla in altri luoghi; sarebbe mai la nota cortigiana Alessandra de Mozzi moglie di Lamberto Sacchetti, allora già matura, di cui vuol burlarsi ? Rileviamo poi un ser Lazzero genovese pedante, conosciuto forse dal Doni quando fu a Genova nel 1541, e che, secondo asserisce, fu fatto bastonare da Gregorio Spinola (11. XI). Vittorio Lazzarini. Le offerte per la guerra di Chioggia e un falsario del quattrocento, Venezia, Visentini, 1902 ; in-8, di pp. 14. — Il documento qui pubblicato dal L. è importante, perchè viene ad. aggiungersi alle notizie date dai cronisti intorno ai cittadini che soccorsero la repubblica in quel triste frangente. Le tre carte membranacee in cui si contengono quelle offerte vennero spiccate dal capitolare dell’ officio dell’ armamento, per un fatto curioso. Uno scrivano dei Dieci di Rialto, Andrea Boltremo, vi aveva nel 1479 'n' terp lato una falsa offerta di due suoi antenati, affinchè servisse di prova delle benemerenze di sua famiglia, e gli fosse scala ad ottenere pubblici uffici. Scoperta la frode fu condannato. Gemma Cenzatti. Alfonso de Lamartine e Γ Lta/ia. Livorno, Giusti, 1903; in-8, di pp. 116. — Bella e ben condotta monografia, così nella sostanza come nella forma, se ne togli qualche inesattezza, alcune ripetizioni, e qua e là un fraseggiare alquanto esuberante. Le relazioni intime che il poeta francese ebbe con 1’ Italia sono qui ricercate e divisate con molta cura, di guisa che riesce agevole lilevare quale e quanta influenza abbia esercitato il nostro paese sopra il suo spirito, e si rispecchi perciò vivamente nelle sue opere. La C. dimostra una buona e salda preparazione, conoscenza larga della letteratura inerente al s .0 argomento, serenità ed equanimità di giudizi. Era naturale che nel colorire il suo disegno seguisse 1’ ordine cronologico ; ma con avveduta opportunità si ferma più ampiamente sopra quegli episodi della vita del Lamartine, i quali meglio concorrono a dar rilievo a quella che si potrebbe chiamare gistamente la sua italianità. Il libretto ha la bellissima dote di farsi leggere volentieri, e di essere accessibile ad ogni maniera di lettori, i quali se per caso non conoscono lo scrittore francese altrimenti che per il duello con Gabriele Pepe, di qui possono attingerne notizia più larga e più succosa, mentre appenderanno da queste pagine un tratto assai notevole e caratteristico della vita ilalinna nella prima parte del secolo decimonono. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 175 FERDINANDO Gabotto. Estratti dai « Conti » dell'Archivio Camerale di Tornio relativi ad Aosta (i268-/350). Pinerolo, Chiantore-Mascarelli, 1903; in-8, di pp. 96. — Un libro di « Conti » delta occupazione Sabauda nel Monferrato negli anni 1432-1335. Pinerolo, Chiantore-Mascarelli, 1903; in-8, di pp. 22 — Chi sa quale e quanto sussidio recano alla storia le notizie che si possono ricavare dai libri delle spese, stimerà utili sì fatte pubblicazioni. L e. da ragione di codesti estratti in una breve premessa all’uno ed all’altro opuscolo. F poiché il primo abbraccia materia più ampia, ha premesso l’argomento delle spese ai raggruppamenti cronologici, e corredata la raccolta di un indice di persone e luoghi. Le satire di LUDOVICO ARIOSTO con introdnzione, fac-simili e note a cura di Giovanni Tambara. Livorno, Giusti, 1903 : in-8, di pp. 178. — Si poteva credere che dopo le molte stampe uscite fuori dal 15 34 a' n°stri giorni di queste satire, non si dovesse sentire il 1 isogno di una nuova edizione, tanto più che la riproduzione a fac-simile del manoscritto ferrarese ritenuto costantemente per autografo, ci aveva posto sotto gli occhi il testo secondo le ultime intenzioni dell’autore. Ma il T. ha provato nel suo lavoro due cose importanti ; prima che tutte le stampe presentano diversità di lezione più o meno notevoli e spesso arbitrarie, poi che il manoscritto ferrarese non è autografo ; bensì una copia sulla quale l’autore ha fatto le correzioni di sua mano, e successivamente dopo la sua morte un altro correttore ha ardito porre la mano, e, seguendo certe dottrine grammaticali, v’ha sop-pramesso altri conceri i quali contaminano la genuinità del testo. Per giungere a sì fatte conclusioni il T. ha esposto in una lucida e ben ordinata introduzione, la storia delle impressioni che le satire hanno avuto, fermandosi sopra quei particolari comparativi, che meglio riescono a persuaderci circa al modo tenuto dagli editori nel produrre, secondo loro intendimento, i componimenti ariosteschi ; esposizione, la quale, mentre porge ampia notizia delle vicende bibliografiche, tratteggia la storia della fortuna che ebbero queste satire attraverso ai secoli nelle varie contingenze dei tempi. Quindi ha preso in accurato esame il codice ferrarese, e per via di opportuni confronti è venuto a dimostrare come la mano dell’Ariosto si debba riconoscere soltanto nelle correzioni appartenenti al primo gruppo, che si distinguono da quelle del secondo e per la diversità grafica, e per 1’ inchiostro diverso. Donde si trae la convinzione che il manoscritto fatto eseguire, forse sugli autografi, dall’ autore stesso da un copista, venne da lui riveduto e corretto, e rappresenta quindi il testo migliore e più genuino ; non tenendo conto delle correzioni seconde le quali sono più tarde e ad altri appartengono. Il T. perciò nel darci la sua edizione ha seguito quel manoscritto tenendo a riscontro le due migliori stampe del secolo XVI, per le ragioni da lui esposte. Alcune lievi e ragionevoli modificazioni che egli ha reputato necessarie, e che vantaggiano il s ipore e la lettura del testo, vengono chiarite nell’ ultima parte della sua introduzione. Aspettiamo ora dal T. quel commento di cui certo ha preparato i materiali, e che auguriamo degno compimento dell’ opera. GIUSEPPE Ugo Oxilia. Giuseppe Mazzini nomo e lelttrato. Firenze, Seeber, 1902 ; jn-8, di pp. 315. — Fa figura di Giuseppe Mazzini è certamente una delle più cospicue sorte e atteggiate nel secolo XIX, degna quindi per diversi rispetti di studio, ora che quietate in gran parte le passioni politiche è consentito un giudizio equanime e sereno. Ed è lodevole il proposito di riguardare complessivamente tutta l’opera mazziniana, ricercando e rilevando negli scritti, che sono specchio della vita, il carattere del-Γ uomo e 1’ indole del letterato. A ciò occorre mente comprensiva ed acuta, ι;6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA larga conoscenza della materia, informazione piena dei tempi e dell’ ambiente, ordine e metodo nel colorire il disegno, nel disciplinare le parti ; lucidezza e perspicuità nella esposizione. 11 libro dell’ O. non risponde in tutto, secondo nostro parere, a questi requisiti, sebbene sia buono il concetto fondamentale ed abbia in se molti elementi e rilievi importanti atti a lumeggiare il soggetto ne' diversi atteggiamenti onde si è proposto Γ a. di considerarlo. Egli ha diviso la sua trattazione in due parti ; nella prima intende a far conoscere il carattere e il cuore del Mazzini ; nella seconda studia il letterato mercè Γ indagine della sua mente e degli scritti. La prima parte nel concetto dell’ O. è preparazione alla seconda, la quale perciò si distende più ampia come quella che abbraccia tutto quanto il pensiero del Mazzini, e singolarmente si indugia intorno a certi giudizi letterari ricercandone la genesi, ed esponendone le fasi. Parecchie cose qui si ripetono, specie per quanto concerne il pensiero politico, già dette nell* altra, il che accusa un difetto di proporzione nella economia dell’ opera, al quale non era difficile ovviare. A questo difetto ne va un altro di conserva, ed è la mancanza di fusione, per cui il lettore si trova qua e colà dinanzi ad una serie di pagine le quali appaiono studi frammentari, quasi materiale preparato e raccolto in servizio del disegnato lavoro. In fine si desidera una dizione più facile e piana, uniformità di stile, e perspicuità d’ espressione. Non abbiamo voluto nascondere al giovane autore Γ impressione ricevuta alla lettura del suo libro, perchè ci è sembrato eh’ egli abbia scelto argomento degno ed importante, e dimostrato buone disposizioni in questa ragione di studi. Ce ne danno sufiìcente indizio le parti utili e ben fatte di questa sua prima prova, dove 1’ a. rileva efficacemente la figura morale e patriottica dell’ agitatore genovese, e ne scruta l'intelletto, per trarne deduzioni accettabili. Certo non potremo convenire in certi suoi metodi, e in alcune sue conclusioni ; ma se tornando sopra al-1’ opera di cui parliamo con maggior maturità di consiglio e di esperienza, vorrà correggerla nella sostanza e nella forma, noi siamo sicuri che riuscirà assai più accetta alla critica, e più agevolmente accessibile alla universalità dei lettori. Sospensione di ordinamenti suntuari in Siena (1442) illusti'afa da Eugenio Casanova. Siena, Lazzeri, 1902; in 8, di pp. 12. - Cosimo I e la sua legge suntuaria del 156- dì Carlo Carnesecchi. Firenze, Pellas, 1902; in-8, di pp. 51. — Documento notevole del costume è quello pubblicato dal Casanova, il quale con acconce osservazioni garbatamente lo illustra. Una denunzia obbliga il Capitano, sebbene riluttante, a sottoporre a processo le nobildonne senesi che s’ erano mostrate alla festa annuale della consacrazione del duomo, adorne di monili vietati dalle leggi suntuarie. Ma i mariti ricorrono ai Priori, i quali, in seguito al favorevole parere del Capitano, ottengono dal Consiglio generale di far troncare il processo, e considerare, per quel caso, sospese le disposizioni legislative in materia. — Più d’ un secolo dopo, ce ne informa opportunamente il Carnesecchi, il Commissario d’Arezzo prendeva anch’ esso la parte delle donne e de’ mariti a proposito della legge suntuaria che gli parve « istrictissima », ma ebbe dal Principe una risposta così fiera e risoluta che gli levò la voglia di criticare anche rimessamente gli atti e le prerogative sovrane. Poiché vigeva in Arezzo su per giù quella medesima Prammatica che Cosimo I aveva personalmente caldeggiata e promossa, mercè certe autografe istruzioni mandate all’ uopo all’ auditore Francesco Vinta nel 1562. Da questo documentò muove appunto il C. per esporre con numerosi particolari, e piacevole dottrina, le vicende di questa legge contro il lusso, facendone conoscere le modalità e tutte le parti singolarmente attinenti alle costumanze, toccando delle dispo- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA '77 sizioni precedenti, e delle susseguenti riforme. Curioso riscontro : l’ufficio di Balia di Siena nel 1568 invoca dal principe provvedimenti rigorosi atti a frenare « li sfarzi del vestire tanto sproporzionati al poter di ciascuno ». Giuseppe Roberti. La nascita ed il battesimo di Carlo Emanuele I. Roma, Colombo, 1903; in-8, di pp. 16. Da pubblicazioni contemporanee, e da una curiosa e interessante relazione d’ un paggio di corte, il R. toglie a narrare, con la sua consueta genialità, le vicende della nascita e del battesimo di Carlo Emanuele. Nascita ardentemente desiderata dal padre e da tutto lo stato, poiché era quella che doveva aver per effetto di togliere al Piemonfe 1’ occupazione francese, e dare ad esso l’avviamento a costituirsi forte ed indipendente. Feste perciò e grandi dimostrazioni di giubilo così quando nacque 1’ infante, come, più tardi, quando a Torino ebbe il battesimo ; chè sì fatta cerimonia si compì essendo egli in età di sei anni. Orazioni, poesie, vaticini non mancarono nella fausta opportunità ; ma questa volta era stabilito dai fati che 11011 dovessero essere solamente adulatorie profezie, le quali avrebbero trovato nel ducale bambino, senza che i poeti vi avessero nessun merito, pieno compimento. Giuseppe Picinelli. Cenni storici sui privilegi e sulle prerogative della città e dei consiglieri di Cagliari nel secolo XIV. Cagliari, Valdes, 1903; in-8, di pp. 25. — Succosa esposizione dei privilegi concessi, nel periodo del dominio aragonese sull’ isola, alla città di Cagliari in fatto di amministrazione civile e politica. E strettamente obbiettiva e documentaria, essendo desunta dalle pergamene che contengono quelli ordinamenti, i quali furono emanati via via che se ne presentava la convenienza e il bisogno. Di molte è data 1’ indicazione od un cenno, altre, considerate più rilevanti, sono recate per disteso. Dal complesso di tutte queste disposizioni, di cui il P. ci dà chiara notizia, si può agevolmente desumere come la signoria aragonese riuscisse benefica alla Sardegna, per aver rivolto le sue cure a dotarla di un ordinato governo. ENRICO Panzacchi. Il libro degli artisti. Antologia. Milano, L. F. Co-gliati, 1902.; in-8, di pp. 527. — Raccolta di scritti in prosa ed in versi che non ha compagne nel concetto e nell’ attuazione ; libro dunque nuovo, e diciam subito in generale ben riuscito. Chi credesse ancora che gli artisti, se spiccarono nel fatto del pennello, dello scalpello, o del compasso, furono per il restante uomini poco colti, dispettosi di studio e alieni da ogni cognizione letteraria, si persuaderà agevolmente con questo libro quanto erroneo sia il suo giudizio. Oltreché ad invogliare i giovani ad apprendere la storia del-1’ arte, anche questo fine si è proposto il P. e nella dimostrazione può dirsi pienamente riuscito. Molti sono i nomi di artisti scrittori, lasciando pur stare i più celebrati, che ci passano dinanzi agli occhi, e che per lo più ai non specialisti, tornano affatto nuovi. E con quanto brio, con quanta competenza, con quale felicità d’ imagini scrivono in verso e in prosa ! Esempi molti di spontanea espressione di forma naturale, ingenua, fuor d’ ogni preoccupazione letteraria. Nella stessa rozzezza suggestiva genialità. Ma non tutti i brani sono, a stretto senso, di artisti ; appartengono tuttavia a cultori che molto addentro nell’ arte sentivano, e integrano il quadro, e si prestano a confronti, e rappresentano il lor tempo. La disposizione è cronologica, e ben sta; ad ogni secolo va innanzi una breve, ma sostanziosa notizia dello svolgimento artistico. Degli scrittori è dato un cenno sufficente all’ economia dell’ opera ; poche annotazioni spiegano le cose più necessarie. Libro dunque utile e ben fatto, nè era da dubitarsi fidando sulla ben nota competenza, sulla larga Giorn. St. e Leti, detta I iguria 12 ΐ8θ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA buto allo studio della legislazione ligure medioevale, ed un eccitamento efficace alla pubblicazione degli statuti dei numerosi comuni di codesta nostra regione. Ci si consentano per fine alcune osservazioni. Il primo capitolo della dissertazione innanzi accennata che precede il testo degli statuti difetta alquanto di ordine e di chiarezza ; e vi si desidera in ispecie il metodo bibliografico rispetto alla enumerazione ed alla descrizione dei codici che hanno servito alla stampa. Del pari avremmo letta volentieri una più precisa e sostanziosa notizia intorno al modo tenuto dall’ a. per stabilire e precisare la lezione. Egli osserva poi ottimamente che nel succedersi delle riforme 1’ abbandono di certe disposizioni, e la giunta di altre determinano ed illustrano i tempi e le condizioni politiche e sociali della città ; ma qui a conforto sarebbe riuscito assai utile uno studio comparativo, anche sommario, secondo 1’ economia del lavoro. Avrebbero chiuso assai bene e utilmente quest’ opera un indice per voci (l’onomastico del secondo è poca cosa^, e un diligente glossario. Castellini Pietro. Mons. Luca Canepa vescovo di Galtelli-Nuoro m Sardegna. Genova, tip. Arcivescovile , 1903; in-16, di pp. 9. — L’a. prendendo argomento dalla elezione a quella diocesi di mons. Canepa, nato a Cagliari, di famiglia ligure colà stanziatasi, dà notizie della sua casata, e si rifà a discorrere della diocesi di Galtelli-Nuoro noverandone i pastori. Ricorda quindi i liguri che furono al governo delle diverse diocesi sarde. Commemorazione del socio straniero Gaston Paris Ietta dal socio Alessandro D’Ancona nella seduta del 15 marzo 1903 [della R. Accademia dei Lincei]. Roma, tip. dei Lincei, 1903; in 8, di pp. 11. — Sebbene questa non sia, nè doveva essere, una biografia, pure l’uomo e il letterato nelle principali e più spiccate caratteristiche apparisce rilevato con semplicità di parola, e con bella efficacia di contorni. Sono pagine ispirate all’ affetto, ed al merito indiscutibile di quell’ insigne erudito, a cui la letteratura italiana va debitrice di sì notevoli illustrazioni, così in studi che direttamente ad essa si riferiscono, come in altri che ne toccano per occasione ; mentre gli italiani hanno avuto apportunità in molte guise di rifarsi ai consigli suoi ed agli ottimi insegnamenti.. Giuseppe BoFFITO. Intorno alla « Quaestio de aqua et terra » attribuita a Dante. Memoria II. Il trattato dantesco. Torino, Clausen, 190.Ì * in-4, di pp. 86, con tav. — Abbiamo in questa seconda parte del lavoro, di cui già toccammo quando uscì la prima, la esatta e diligente ristampa del-1’ opuscolo pseudodantesco con un minuto e continuo commentario scientifico, nel quale 1’ a. ricerca le fonti ond’ ei ritiene possa essere derivata la dottrina esposta in quel trattato. Egli naturalmente tien conto dei rilievi e delle opinioni messe innanzi da coloro che intorno ad esso ragionarono porgendone la confutazione, e chiarendo tutti quei dubbi che potrebbero sorgere nell’ animo del lettore. La conclusione è quale era prevedibile, e già preannunziata nella memoria antecedente, che cioè il trattato non è di Dante perchè « collocato al tempo di Dante sarebbe con ogni verosimiglianza un anacronismo storicoscientifico ». L’ autore di esso si vale di opere le quali non appariscono note all’Alighieri ; esprime opinioni contrarie a quelle che da questi vennero scritte ; il suo metodo d’ argomentare è differente dal dantesco ; appartiene infine ad una scuola interamente diversa. Può dunque ritenersi o opera del Moncetti, o di un qualche altro agostiniano, forse Paolo Veneto, raffazzonata da lui e attribuita per sue personali ragioni a Dante. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 181 Dei lavori preparatori alla nuova edizione dei « Rerum Italicarum Scriptores ». Comiinicazione al Congresso Internazionale di Scienze Storiche (Roma II-IX aprile MCMII1) di Vittorio Fiorini. Città di Castello, Lapi, 1903 ; in-4 gr., di pp. 47. — E’ questa una chiara, lucida, e ordinata relazione, nella quale viene indicata tutta quanta la materia contenuta nei volumi muratoriani, con le notizie della parte di già pubblicata secondo il nuovo disegno, e di quella che ora si trova in preparazione, e per la quale moltissimi studiosi, stanno apprestando i materiali. Da quello che già vide la luce, e da quanto è detto qui dal Fiorini si può fin d’ ora argomentare della importanza di questa impresa, assunta da un coraggioso editore, intorno alla quale lavora una schiera si cospicua di studiosi diretta con tanto senno e tanta dottrina. Per nostra parte troviamo che la cronaca degli Stella sarà curata dal Manfroni, e quelle del Gallo e del Senaraga da Emilio Pandiani. Protocarta Comitale Sabauda. Torino, Stamperia Reale, 1903; in-4, di pp. 10, con tav. — Si produce in un felicissimo facsimile questo importante documento, del quale si dà altresì un’ esatta trascrizione. Sono premesse le notizie intorno ad esso ed alle sue vicende, siccome agli studi a cui diede luogo per la interpretazione e per la illustrazione. E’ una carta del 1003 dove si trova per la prima volta il « Signum Umberto comiti et uxori sua », identificato in Umberto Biancamano. Non è 1’originale ma copia appartenente al secolo XII. Se ne deve la pubblicazione alla r. Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie e per la Lombardia. Amedeo Pellegrini. Relazioni inedite di Ambasciatori lucchesi alla corte di Vienila (sec.' XVII - XVIII). Lucca (Siena, tip. dell'Ancora), Pellicci, 1902 ; in-4, c'' PP· ^3· — Alle altre pubblicazioni di questi'docu-menti diplomatici lucchesi, delle quali abbiamo già parlato, ha mandata compagna la presente che contiene le relazioni degli ambasciatori lucchesi inviati a Vienna in diverse opportunità, specie quando saliva al trono il nuovo imperatore. E la cagione di sì fatte ambascerie vien divisata dall’ a. nella dissertazione che precede i testi, dove discorre degli intenti politici per la stabilità e sicurezza dello stato a cui miravano, rispetto all’ impero, i reggitori della piccola repubblica. Sono otto le relazioni che gli porgono argomento di studio, e delle quali pubblica le parti più notevoli, ma non trascura neanche quelle meno notevoli, perchè ne dà conveniente notizia nelle note. Reca per ultimo come esempio la relazione d’ uno di quei gentiluomini onde la repubblica soleva far accompagnare i principi che visitavano la città e lo stato; ufficio chiamato de’ trattenitori. Le notizie che da questi documenti si apprendono intorno alle condizioni della corte di Vienna e della sua politica sotto i diversi imperatori, da Rodolfo II a Leopoldo II (1602-1791), giovano efficacemente alla storia particolare e generale, poiché gli ambasciatori lucchesi non solo rendono conto del cerimoniale (cosa importantissima a que’ tempi) ma e delle persone imperiali, de’ principi e de’ ministri, e de’ più rilevanti affari politici allora correnti, siccome delle feste, dei ricevimenti, dello spirito pubblico ed altre cose sì fatte. Giustamente il P. dà lode di finezza d’osservazione e di buon criterio politico ai gentiluomini scelti a quegli uffici, poiché sanno esattamente riferire 1’ indole delle persone e lo stato delle cose. I ritratti degli imperatori appariscono ben scolpiti nella loro vera essenza, e porgono argomento curioso di utili comparazioni e di retti giudizi. Vittorio Poggi. Gli statuti antichi di Carpas io (21 luglio r 433). Torino, Paravia, 1902 ; in-8, di pp. 38. — Con la consueta dottrina il P. discorre la storia di questo piccolo comune situato sulle Alpi Marittime, già appartenuto alla marca arduinica, indi passato sotto la signoria dei conti di lS2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ventimiglia. Alla loro dipendenza seguì le sorti del patrimonio feudale, fino a che per diverse vicende venne a far parte dei domini di casa Savoia e fu compreso per ultimo in quel principato che tolse nome da Oneglia. Lo statuto rimonta alla dominazione dei conti di Ventimiglia, e venne esemplato sopra un codicetto membranaceo, mutilo di due capitoli, esistente presso il maestro di Carpasio. Ritiene il P. che non sia questo 1’ originale, ma un apografo eseguito da poco esperto amanuense. Il testo è dato con ogni maggior diligenza, ed ha a corredo un glossario assai utile, che in un tempo serve da indice onomastico. Inventario del R. Archivio di Stato di Cagliari e notizie delle carte conservate nei più notevoli archivi comunali, vescovili, e capitolari della. Sardegna. Cagliari, Valdès, 1902 ; in-4, di pp. XXII-175. — Diciamo subito che 1’ importante volume è dovuto al solerte ed erudito direttore dell’ archivio Silvio Lippi, il quale ha discorso in una opportuna e succosa prefazione del modo onde si è venuto costituendo l’archivio stesso, e come venne razionalmente ordinato, e ha dato poi notizie della importanza che assumono tutti gli altri archivi speciali di cui ha voluto occuparsi. Nè questo può dirsi un elenco sommario dei depositi di carte, ma un lavoro storico assai notevole, perchè il L. ha man mano illustrato le sezioni onde si ripartisce il materiale archivistico, le classi e le singole categorie. In questa guisa s’ intende la ragion d’ essere d’ ogni singola raccolta, si spiegano le peculiari denominazioni, e si acquista la necessaria conoscenza de’ vari istituti e delle diverse magistrature. Le notizie degli altri archivi comunali, vescovili, capitolari del-1’ isola rilevano ciò che vi si contiene di più cospicuo) e sono aneli’ esse .come le prime ottima guida allo studioso. Giuseppe Graziano. Umberto I di Savoia. Bio-biliografia. Torino, tip. Sacerdote, 1902 ; 111-8, di pp. LXIII-292. — E’ questo 1111 bel volume di storia contemporanea, fatto con buon metodo, e molta diligenza. Quivi il lettore non solo troverà i fatti che si riferiscono personalmente a re Umberto, ma quelli altresì riguardanti lo svolgimento della vita politica italiana nei ven-tidue anni del suo regno. Raccoglie 1’ a. da prima le notizie in una introduzione storico-biografica che è come la sintesi di tutto il suo lavoro, esposta in modo piano e conveniente. Segue la cronologia, naturalmente divisa in due parti dalla nascita all’ assunzione al trono, e di qui alla morte ; cronologia assai particolareggiata e arricchita di documenti ; a cui tien dietro lo stato di servizio militare, e 1’ elenco dei ministeri durante il suo regno. Notevole la serie cronologica delle largizioni reali così per opere di beneficenza, come per incoraggiamento delle lettere delle scienze, delle arti e delle industrie. Le lettere, i telegrammi, i discorsi d’ occasione costituiscono la parte giustamente intitolata La paiola e lo scritto, la quale si chiude con alcuni squarci salienti desunti da parole da lui pronunziate in diverse opportunità ; massimario in-reressante e ben scelto. Compiono 1’ opera, oltre la diligente indicazione delle onoranze funebri, due saggi, nel primo de’ quali sono descritte le medaglie, mentre il secondo contiene la bibliografia accompagnata dall’ indice alfabetico. Costanzo RinaUDO. Atlante storico per le scuole secondarie. Parte Prima. Il mondo antico. Torino, Paravia, 1902; tav. 14. — I criteri che hanno guidato il R. nel sopraintendere alla formazione di questo atlante sono detti con chiarezza nella prefazione, dove si dà anche opporuna ragione delle diciannove carte comprese nelle tavole. Così si vede come 1’ a., ammaestrato dalla lunga esperienza dell’ insegnamento, abbia voluto dare ai discenti un utile sussidio alla più esatta conoscenza della storia da lui stesso in loro ser- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 183 vigio dettata. Per questo appunto, dopo la presente prima parte che riguarda i tempi antichi fino alla morte di Teodosio, seguiranno le altre due del medio evo e dei tempi moderni. Il lavoro ci sembra ben immaginato, e condotto diligentemente. Le carte sono assai nitide; ben distribuiti i colori; non confusi i nomi; appariscenti le divisioni; rilevata la delimitazione di confini. Vanno di conserva in questo lavoro la matura competenza dell’ a., e la vigile ed efficace opera dell’ editore. Prospero Ferrari. Annuario ecclesiastico delle due diocesi unite di Liuti-Sarzana e Brugnato. 1903. Modena, tip. Pontificia ed Arciv. della Concezione, 1902 ; in-8, di pp. 206. — Questo libretto compilato per uso speciale del clero, riesce assai utile per le molte notizie biografiche cosi rispetto al Supremo Gerarca della Chiesa e al Collegio dei Cardinali, come e principalmente per ciò che tocca le diocesi riunite di Luni-Sarzana e Brugnato. Infatti dopo i cenni biografici del Papa, dei Cardinali, e dei Vescovi della provincia ecclesiastica ligure, v’ ha la serie dei Vescovi che ressero la diocesi di Luni, divenuta quindi di I.uni-Sarzana, poi quelli di Brugnato, e finalmente gli altri delle due diocesi riunite fino ad oggi. Notizie utili possono ricavarsi altresì dalle indicazioni riguardanti i sacerdoti diocesani, e da altre parti dell’ annuario, fatto dall’a. con assai diligenza. Forse una succosa esposizione delle principali vicende delle diocesi avrebbe potuto esser posta a guisa di prefazione, accompagnata da un elenco bibliografico dei Sinodi a stampa tenuti da alcuni dei nostri vescovi. Se il dott. F. la crede conveniente ci pensi per 1’ anno venturo. N. Lagomaggiore e N. Mezzana. Contributo allo studio dei nomi ■volgati delle piante in Liguria. (Estr. dagli Atti della Società Lig. di Scienze Nat. e Geogr.). Genova, 1902. — A nessuno di quanti si occupano di dialettologia ligure o di flora popolare è certo passata inosservata l’importante monografia che sulla nomenclatura botanica della Liguria pubblicava fin dal 1897 il prof. Ottone Penzig negli Atti della Società Ligustica di Scienze Nat. e Geografiche. Al lavoro complessivo del Penzig si aggiunge ora questo notevole supplemento, dovuto a due chiari indagatori, l’uno (il prof. Mezzana) per la parte botanica, 1’ altro (il prof. Lagomaggiore) per la parte linguistica. Ed è soprattutto notevole questo supplemento inquantochè le nuove ricerche furono specialmente rivolte a quelle regioni della Liguria delle quali non era stato concesso al Penzig di tenere il debito conto : e così noi dobbiamo al M. le voci botaniche dei due territori di Sarzana e di Savona, e in particolare quelle di Sella, di Zinola, Vado e Bardineto ; al L. i nomi di piante dei circondari di Chiavari e di S. Remo, quelli di Sosaigua, del Finalese, di S. Bernardo ed altri di Savona. La copiosa e diligente raccolta è preceduta, a mo’ d’ introduzione, da un ampio ragguaglio dialettologico inteso specialmente a fermare 1’ attenzione su alcune peculiarità proprie dei suddialetti che offrirono maggior messe di voci, ed a porgere le necessarie avvertenze per il retto discernimento dei suoni, cui non fu potuto provvedere (ed è questo forse 1’ unico appunto che qualcuno potrebbe muovere al lavoro che annunziamo) con appositi segni tipografici. E’ inutile soggiungere che tale introduzione è dovuta al Lagomaggiore, al quale in fatto di dialettologia ligure nessuno vorrà negare quella competenza di cui diede così bella prova fin da quando (or fa un quarto di secolo) regalò agli studi romanzi le Rime storiche dell’ anonimo genovese scritte tra la fine del sec. XIII e il principio del XIV. (G. Flechia). C. Sat.Viont. Dì un documento dell'antico volgare mantovano. (Estr. dai Rendiconti dell' Istituto Lombardo, serie II, vol. XXXV, 19021. — Il do- 184 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cu mento è un’ antica traduzione volgare dell’ enciclopedia latina di Bartolomeo Angelico intitolata De proprietatibus rerum. Del traduttore, Vivaldo Belcazer, notajo mantovano morto intorno al 1310, e della sua opera letteraria, ha discorso recentemente con la solita competenza il prof. Vittorio Cian nel 5° Supplemento al Gtorn. Stor. della Letter. Ital. E fu appunto il Cian che scoperse nel nostro documento 1, già creduto opera originale) una traduzione, e che ne rintracciò nel Museo Britannico 1’ archetipo di notevole importanza, « trattandosi d’ un testo quasi autografo, sorto sicuramente a Mantova e per virtù d’ 1111 mantovano, con data sicura e relativamente remota (primo decennio del Trecento ». Osserva il S. che, sebbene nell’opera del Belcazer manchi in maggior misura che in Bonvesin e in Giacomino di Verona un risalto idiomatico locale (causa non solo la coltura del Belcazer, ma la materia trattata, l’influenza letteraria e forse anche la, natura della parlata mantovana tramezzante tra quelle che la circondano, sì da non presentarci, una caratteristica vera e propria), non ostante ciò, l’opera del Belcazer presenta al dialettologo il maggior interesse ; e nello scritto che annunziamo, il S., con una bella serie di osservazioni fonetiche, morfologiche e lessicali completa 1’ opera del Cian, studiando, con quella competenza che tutti gli riconoscono in fatto di dialettologia italiana in genere, alto-italiana in ispecie, i fatti di maggior rilievo della lingua del Belcazer e quelli che hanno particolare riferimento al-1’ odierna parlata di Mantova. (G. Flechia). Paolo Segato. A. Bitzius e la letteratura svizzera (Estr. dalla Rivista d’Italia, luglio 1902). Roma, 1902. — Dopo aver dimostrato, con una rapida corsa nel campo della letteratura svizzera del decimo secolo (quando i monaci di S. Gallo compilarono le famose glosse agli scrittori latini) fino ai maggiori romanzieri dell’ età nostra (quali 1’ Herr, lo Zahn e il Lienert) che essa ci presenta i prodotti più originali e forti che si conoscano, rispondenti al fine dell’ arte vera, che è di farsi interprete della natura e di ammaestrare, 1’ autore si propone di far conoscere agli italiani Alberto Bitzius, friburghese (1797-1854), noto più comunemente sotto lo pseudonimo di Geremia Gotthelf. Di questo scrittore, che nel secolo scorso, quando la letteratura era ancora sotto l’influenza del malnato romanticismo decadente insieme con Gottofredo Keller, Corrado F. Meyer e Bertoldo Auerbach, iniziò quella corrente salutare di fresco realismo, che determinò la nuovissima epoca fiorente della letteratura tedesca, il S. mette in rilievo (dopo brevi notizie biografiche) quegli speciali caratteri dell’ opera letteraria che fecero del Bitzius il caposcuola della letteratura svizzera posteriore. L’ opera letteraria di Alberto Bitzius (il cui capolavoro è UH il servo, uscito nel 1840) tiene, come dimostra il Segato, l’impronta del realismo più spiccato; essa ci dà figure così minutamente disegnate, da apparir innanzi vive, quasi palpabili ; scene della vita rustica giornaliera, riprodotte con la fedeltà più scrupolosa ; pittura d’ ambiente di tinte sobrie ma ricche di sfumature ; analisi psicologica profonda ; lingua che fa sentire i personaggi parlanti con gli idiotismi loro propri (come fecero da noi, con intendimento puramente artistico, il Verga, il Fogazzaro ed altri); insomma la bella verità tutta palpitante. E noi dobbiamo essere grati al S. di averci fatto conoscere questo simpatico figlio di quella terra feconda che diede alla letteratura francese il genio di Gian Giacomo Rousseau. VG. FI.). P. Segato. Una novella di A. Bitzius tradotta in vernacolo feltrino. (Estr. dall’Antologia Veneta, 1902, N. 3). Feltre, 1902. — Di Alberto Bitzius abbiamo detto poc’ anzi. Ci basti notare che la novella alla quale accenniamo appartiene ai Racconti e scene della vita popolare della Svizzera e che ebbe particolare rinomanza e diede argomento ad un’ opera musicale. GIORNALE STORICO E LETTERARIO PELLA LIGURIA i85 Il veneto di questa traduzione e quello del contado di Feltre e, con lievi differenze, di tutto il bellunese. Quale dialetto di montagna (aspro, forte, vibrato, significativo), parve al S. assai acconcio a rendere lo Svizzero. Le principali differenze fonetiche e morfologiche che distinguono questo dialetto dal veneziano e dalle altre parlate venete sono segnalate dall’autore nell’In troduzione. (G. FI.). SPIGOLATURE E NOTIZIE. .·. Da Castelnuovo di Garfagnana Livio Migliorini dà notizia 1 Arte e Storia, XX, p. 31) della scoperta di un sepolcreto sui confini di Villacol-lemandina, luogo detto Pian di Paolo. Sette sono le tombe ritrovate costruite di piastroni, entro alle quali si rinvennero nove vasi di terra cotta giallastra, più un vasetto lagrimale ; alcuni erano pieni di ossa cremate miste a ceneri e carboni, 111 altri frammenti di fibule. Secondo il parere di un archeologo consultato dal Migliorini si tratterebbe di un sepolcreto ligure, il che può avvalorare quanto sui liguri apuani scrisse il Micali, e più recentemente il Pieroni nel suo opuscolo : I liguri in Garfagnana (Padova, 1890). — Altri oggetti antichi con una moneta romana di Nerone Claudio si ritrovarono a Puglianella (Camporgiano). .·. Una relazioae anonima, ma ritenuta con buoni argomenti uscita dalla penna di Alessandro Tassoni (Santi, Alessandro Tassoni e il Cardinale Ascanio Colonna, in Atti e Meni, della R. Dep. di St. Pai. per le prò-vincie modenesi, ser. V, vol. II, p. 197 sgg.) narra il viaggio di Spagna del cardinale Colonna, segretario del quale era appunto il Tassoni, sul cadere del 1600. Il documento, ottimamente illustrato dall’editore, ha una singolare importanza per la vita del poeta-diplomatico, e per la politica del tempo. Per noi riesce di molta curiosità la minuta e particolareggiata narrazione del pas-saggio in Liguria del cardinale, tanto più che porge una concomitanza interessante, essendo avvenuto in parte con le medesime galere pontifice, le quali conducevano in Francia Maria de’ Medici, fresca sposa di Enrico IV, sul passaggio della quale in Liguria prepara una monografia il nostro cooperatore Arturo Ferretto. .·. Sono in corso di stampa i fascicoli 7-8 del Codice diplomatico dantesco, splendida pubblicazione a cui attendono il dott. G. L. Passerini, e il dott. Guido Biagi. In essi saranno riprodotti ed illustrati i documenti sarzanesi della pace conclusa, con la mediazione di Dante, tra i Malaspina e il vescovo di Luni Antonio de Camilla. .·. È nota nella storia del nostro risorgimento la bieca figura di un Raimondo Doria traditore e delatore dei patrioti italiani. Egli si pretendeva discendente della illustre famiglia genovese, e precisamente d’ uno Stefano d’ essa casata stabilitosi a Malaga. Ora le indagini accurate del senatore Ambrogio Doria nelle carte di famiglia rilevano a questo, che quel Raimondo fosse un avventuriero, il quale venuto, non si sa come, in possesso delle carte di Stefano, sfruttandole abilmente, abbia voluto intrudersi in quella famiglia per goderne i benefici morali e pecuniari. Di fatto riuscito ad ingannare i pretesi parenti per alcuni anni fu messo a parte di redditi dipendenti da lasciti e da dispense; ma scoperto forse, nel 1831 venne cancellato dalla famiglia (Barbiera, Passioni del risorgimento, Milano, Treves, 1903, p. 205 sgg.). Ci è venuto un sospetto ; fosse mai costui un figlio illegittimo di Stefano non riconosciuto? Si spiegherebbe più facilmente la sottrazione delle carte. lS6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGTURIA .·. Una bella e importante opera d’arte è stata collocata di recente nell*. Cattedrale di Sarzana. Si tratta di un’ ancona invetriata del tempo e della scuola dei Della Robbia, la quale da moltissimi anni giaceva negletta in una oscura sacrestia dell’ Oratorio di S. Girolamo, confraternita istituita intorno al 1471, e la cui chiesuola venne eretta poco dipoi. Alquanto danneggiata dal tempo e specialmente dall’incuria dei sarzanesi, venne ora fatta restaurare dai rinomati Cantagalli di Firenze, i quali hanno eseguito il lavoro con la consueta loro maestria. Ciò si deve alle sollecitudini del comm. D’Andrade direttore dell’Ufficio regionale dei monumenti e scavi; come anche l’opportuna collocazione, agevolata dal buon volere dei primi pcssessori, del Municipio, e dei preposti all’ amministrazione ed al culto della Cattedrale'. Con molto buon senno, a perenne ricordo del fatto altamente encomiabile, venne apposta sotto F ancona la seguente elegante iscrizione dettata dal canonico Ferdinando Podestà direttore del Seminario vescovile : Insigne. Opus. Robbianum In. Sacello, d. Hieronimo. s. Vetustate, iamdiu. neglectum. Nuperrime, curantibus Studiorum. Antistite Rei. Civicae, moderatoribus Huius, que. Aedis. Maximae, neocuris A. Cantagallis. Florentinis Affabre, expolitum Quo. magis Artibus, pietati, que. consuleretur Heic. con locatum A. D. MCMIII Di questa ancona aveva parlato Clinio Cottafavi nella sua monografìa : Del convento di S. Domenico in Sarzana e di una terracotta dei della Robbia. Appunti su documenti inediti. Sarzana, Tip. Lunense, 1892. .·. Un importante contributo alla biografia del trovatore genovese Caleca Panzano reca Arturo Ferretto con una serie di notizie intorno a lui ed alla sua famiglia, le quali muovono dal 1248 e vanno al 1313 (Studi di filologia romanza, vol. IX, fase. 26). Ben ventotto sono gli istrumenti che qui si producono, o per disteso o in sunto, desunti da notari diversi e si riferiscono ai commerci cui i Panzano, e singolarmente Caleca, davano opera. Così si viene meglio a conoscere la figura di questo nostro poeta di cui il Bertoni ha fatto di pubblica ragione i versi provenzali, e il Flechia poi incominciò a rilevarne con documenti la personalità. Il F. non solo illustra i documenti da lui nuovamente ritrovati, ma rileva acutamente un riferimento storico rispetto al componimento di Caleca edito dal Bertoni là dove parla di Corradino di Svevia, donde apparisce manifesto che esso fu scritto verso la fine del 1267. .·. Sotto il titolo di Cose d’ arte in Savona Vittorio Poggi discorre in Arte e Storia (n.i 10, 11-12 del 1903) di alcune sculture e pitture che esistevano, o esistono ancora in quella città, deplorando le dispersioni avvenute o per incuria o per avidità di lucro. Si ferma da prima intorno ai portali ond’ erano decorate molte case, e fa speciale ricordo di quello del palazzo Gavotto venduto or non ha molto; prende poi argomento dalla rappresentazione del S. Giorgio per toccare dei tipi in cui si concretò la leggenda del santo in sì fatte opere di scultura. Dei tanti portali di questa maniera già quivi ammirati tre 11e indica ancora esistenti. Ricorderemo che Gio. Agostino Abate richiamava fin dal suo tempo Γ attenzione sopra i « belli portali » delle case savonesi, e due ne distingueva scolpiti sul mezzo del GIORNALE STORICO E LETTERARIO υΚΙ,Χ,Α LIGURIA 187 sec. XVI apposti alle case degli Fnrici e dei Naselli. Descrive poi ed illustra il marmo sepolcrale unica reliquia del mausoleo eretto da Gian Giorgio della Rovere nella chiesa di S. M. Maddalena ora demolita ; opera pregevole del cinquecento di cui questa sola testimonianza rimaneva, andata an eh’essa venduta. Infine rileva la lode>ole conservazione ed il restauro di due pregevoli quadri, della chiesa di S. Giovanni Battista ; un trittico rappi esentali te l’Adorazione dei Magi con l’Annunciazione della Vergine, che egli ritiene di pennello fiammingo e forse di Quintino Metsys, per 1’ analogia da lui acutamente riscontrata col trittico del medesimo soggetto esistente in S. Donato di Genova attribuito a quel pittore ; la Madonna del Rosario dipinta nel 1436 da Teramo Piaggio. .·. Nel Ballettino della Società Dantesca Italiana (vol. X, pp. 121-177) Francesco Torraca esamina con larga competenza il volume, uscito postumo, di OuDONE Zenatti, Dante e Firenze - prose antiche con note illustrative ed appendici (Firenze, Sansoni). Quivi nella terza appendice il Zenatti tratta della autenticità della lettera di Dante a Moroello Malaspina, e ne produce il testo, traendolo da un codice vaticano-palatino, che è un zibaldone messo insieme dal Boccaccio nella sua giovinezza. Da ciò prende argomento il Torraca a discorrere della epistola stessa del tempo e del luogo in cui fu scritta, e del Moroello a cui venne indirizzata, e ritiene che alludendo alla corte di Arrigo VII, come ha inteso rilevare dall’ esame di alcune parole del documento, sia stata scritta nel 1311 dal Casentino. Il Moroello al quale Dante si rivolge sarebbe il irarchese di Giovagallo figlio di Manfredi ; il « vapor di vai di Magra », lo stesso che ospitò l’Alighieri, personaggio di grande autorità che fu a Brescia vicario imperiale nel 1311, il marito di Alagia del Fiesco ; poiché egli crede di dover escludere dall’onore di essere stato 1’ amico e 1’ ospite del poeta, 1’ altro Moroello di Obizzone marchese di Villafranca come altri hanno sostenuto. Lasciamo ai dantisti 1’ ufficio di pesare e di vagliare le ragioni assai importanti messe innanzi dal Torraca in appoggio della sua opinione, che è poi quella stessa sostenuta dal Gerini settantanni fa (Memorie storiche ecc., II, 48 sgg. 1 e aggiungiamo, come dato biografico, non rilevato, crediamo, fino a qui, che Moroello di Giovagallo morì a Genova 1’8 aprile 1315, poiché nel libro degli anniversari di S. Francesco di Castelletto si legge a quel giorno : Anniversarium honorabilis viri domini Murruelis marchionis malaspine M. CCC.XV (in Atti Soc. Lig. di St. pat., X, 404) il che sta in relazione col documento di quello stesso anno già citato dal Gerini (Memorie storiche ecc., II, 46) e recentemente dal Ferretto (Atti Soc. Lig. St. Pat., XXXI, p. XLIIi in cui Alagia comparisce come vedova. In quella stessa chiesa era sepolto il suocero Nicolò Fieschi, e Beatrice moglie di Arrigo VII. Nel medesimo libro comparisce eziandio al giorno 25 settembre: Nobilis viri domini Inchini quondam domini Murruelis marchionis malaspine M.CCC.IIII (Ivi, p. 413') ma la data è certo sbagliata, perchè del 1304 Moroello era sempre in vita e si ha memoria di Luchino fino al 1321 ; probabilmente è da correggere in 1322 o 24. .’. Segnaliamo i Documenti di storia sabauda dal 151° al I53^> pubblicati con un’ ampia e particolareggiata introduzione da Arturo Segre (in Miscellanea di storia italiana, Torino, 1903, vol. Vili) perchè contengono qua e là riferimenti e notizie che possono tornare utili alla nostra storia, riguardando il D’ Oria, e le mire della Francia sulla repubblica. Si tocca dei viaggi imperiali, e di altri principi in Liguria. (Perchè citare costantemente ASSERETO, Cronache Savonesi, mentre sono di Agostino Abate?). .·. Nella comunicazione fatta da Gabriele Monod degli appunti e note di Michelet sull’ Italia, con un bel manipolo di lettere tratte dalla sua cor- 188 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA rispondenza (Michelet et V Italie, in Rivista d’Italia, a. VI, maggio 1903), troviamo una notevole lettera di Giuseppe Mazzini, nella «piale parla di Goffredo Mameli e si ferina in ispecie sulla madre di lui. Porta la data 28 giugno 1850. .·. Segnaliamo come di grandissima importanza per la nostra storia genovese Γ erudita memoria di Ignazio Giorgi, Il trattato di pace e d’alleanza del 1163-66 fra Roma e Genova testé comparso nell’ Archivio della li. Società Romana di Storia Patria (vol. XXV, pp. 397-466 . Egli non solo ristampa con ottimo metodo dalla pergamena originale il trattato, primamente edito dal Cibrario (Hist. pat. mon., Chart., II, 997); ma vi manda innanzi altri tre documenti inediti che di quello sono la genesi. Aggiunge in appendice il trattato di pace fra i Genovesi e i Cornetani del 19 giugno 11 77· Larghissima ed esauriente 11e è la illustrazione storica, dove diligentemente e con gran copia di particolari e di acuti rilievi, sono esposte queste relazioni fra Genova e Roma, con speciale riguardo alle condizioni politiche comunali della seconda, a cui assai luce porgono i presenti documenti. .·. Nel giornale II Cittadino (1903, n. 173) sono pubblicati due documenti, i quali riguardano 1’ estensione a tutto il dominio genovese dell’ ufficio proprio e della messa del Preziosissimo Sangue che si venera in Sarzana, domandata dal Senato al pontefice. E’ il primo la lettera del p. Carlo Francesco da Sarzana guardiano cappuccino (della famiglia Martinelli) , con la quale dà notizia dell’ ottenuta concessione dal Papa, avendo così compiuta felicemente 1’ affidatagli commissione; 1’ altro, la lettera degli Anziani, i quali, accompagnando quella del p. Carlo con il rescritto pontificio, si rallegrano e ringraziano. Ciò nel 1749. E’ noto che 1’ ufficio proprio e la messa furono concessi ai sarzanesi nel 1747, e che lo stesso Benedetto XIV ne ritoccò e in parte ne rifece il testo. Dopo lunga e penosa malattia, il 5 di maggio, cessò di vivere a Poggibonsi, della qual Collegiata era Proposto, il canonico AGOSTINO Neri, nato nell’alpestre villaggio di Levigliani, frazione del Comune di Stazzema, nella Versilia, il 28 agosto del 1830, da Giambatista e Amata Barsottini. Fece i primi studi a Firenze presso gli Scolopi ; li continuò a Pisa nel Seminario arcivescovile, dove insegnò poi umanità per vari anni. Tornato al paese nativo, servì la chiesa parrocchiale come cappellano. Monsig. Giuseppe Targioni, Vescovo di Volterra, 10 fece vicario della parrocchia di Collalto ; monsig. Giovanni Pierallini, Vescovo di Colle, lo nominò proposto di Poggibonsi. Fu uno de’ fondatori della Società storica della Val d’ Elsa, e quando lo colse la morte già aveva adunato 11 materiale per tessere la storia di Poggibonsi (*) e stava compilando la storia di Terrinca, altro alpestre villaggio della Versilia, intorno al quale aveva raccolte copiose notizie ; frutto de’ lunghi studi fatti negli Archivi di Stato di Lucca, di Massa e di Pisa e in quelli comunali di Pietrasanta e di Stazzema. Lascia alle stampe: 1. Elogio del Proposto Bonucci, Siena, tip. S. Bernardino, 1877 ; in-8. — 2. Echi della mia lira, Siena, tip. di S. Bernardino, 1888 ; in-16, di pp. 392, con ritratto. — 3. Vita di S. Allerto, arciprete di Colle, Firenze, tip. Ciardi, 1890 ; in-8. — 4. Vita del B. Lucchese, primo terziario di S. Francesco d’Assisi e protettore di Poggibonsi, Assisi, stab. Metastasio, 1890; in-12, di pp. XVI-310. — 5. Novena del Beato (*) Bimbi G. Elogio junebre del Reu.mo Sig. Canon. Agostino Neri recitato in Poggibonsi nel giorno tregesimo della sua morte, Poggibonsi, Stab. tip. Cappelli, 1903 ; 111-8, di pp. 20. GIORNALE STORICO lì LETTERARIO DELLA LIGURIA Lucchese. Firenze, tip. Ciardi, 1891 ; in-12. — 6. Biografia di mous. Luigi Traversi, vescovo di Colle di Val d’Eisa, Siena, tip. S. Bernardino, 1891 ; in-8, di pp. 42, con ritratto. — 7. Cenno storico-artistico della chiesa di S. Lticchese presso Poggibonsi, Castelfiorentino, tip. Giovannelli, 1893 ; in-16. — 8. La Madonna del Homituzzo presso Poggibonsi, ricordo storico, Siena, tip. S. Bernardino, 1896; in-16, di pp. 40, con due tavole. — 9. Elogio funebre di Marino Marinelli, Proposto di Certaldo, letto il 27 febbraio 1897 trigesimo dalla morte, Poggibonsi, stab. tip. Cappelli e Marini, 1897 ; in-8, di pp. 32. —- 10. Giorgina Triglia e Gaetano Puc-cioni, ricordi, Poggibonsi, stab. tip. Cappelli e Marini, 1897 ; in-8. — I I . La Madonna a Querceta, memoria storica, Poggibonsi, stab. tip. Cappelli e Marini, 1897 ; in-12, di pp. XXIV-142, con la pianta della chiesa. — 12. Comunel/o e chiesa di Levigliani, cenno storico. Omaggio al nuovo Rettore Don Giuseppe Tognocchi nel giorno del suo possesso solenne XXV agosto MD C C CX C Vili, Poggibonsi, tip. Cappelli e Marini, 1898; in-8, di pp. VIIl-64, con tre tavofe. — 13. Descrizione storico-artistica del castello di Badia già di Mar turi a Poggibonsi, di proprietà del prof. Marcello Galli-Dunn, Castelfiorentino, tip. Giovannelli e Carpitelli, 1901 ; in-8, di pp. XIV-180, con sette tavole. — 14. Cenno storico-artistico della chiesa di San Lucchese presso Poggibonsi — Seconda edizione — Firenze, tipografia e Libreria Domenica, 1903 ; in-16, di pp. 74. — 15. Echi del cuore, poesie sacre e varie, Firenze, tip. di M. Ticci, 1902 ; in-16, di pp. VIII-360. __(G. S.) Il 29 di maggio morì a un tratto il cav. avv. Pietro Francini di Fi-vizzano, che nato nel 1835 e laureatosi in legge nell’ Università di Modena, spese la vita ne’ pubblici uffici, essendo stato Sindaco della nativa città, avendo seduto nel Consiglio e nella Giunta del Comune, nel Consiglio della Provincia e nella Deputazione provinciale, e fatto parte della Giunta amministrativa e della Commissione censuaria del nuovo Catasto. Bello e forte ingegno, mente lucida e serena, sempre equanime, lascia un vuoto nella Lunigiana, che ne apprezzò anche il sommo disinteresse e il grandissimo cuore. Quando Fiviz-zano nel 1884 fu colpito dal colera, il Prancini si trovava aU’Aulla. Accorse immediatamente nella sua nativa città a dirigere, a confortare, ad aiutare, vera suora di carità dove più incalzava il bisogno e più infieriva il pericolo. Questo fatto venne ricordato sulla sua bara, e il popolo a ripensarvi dette in uno scoppio di pianto. Uomo colto, si dedicò pure allo studio della storia e del-1’ erudizione patria, e raccolse libri, opuscoli, manoscritti, documenti, ricordi, memorie ; salvando dall’ andare dispersa e accrescendo una bella raccolta di statuti della Lunigiana, che è da augurarsi venga allogata nel R. Archivio di Stato. (G. S.) APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Am at di San Filippo Pietro. Indagini e studi sulla storia economica della Sardegna (in Miscellanea di storia italiana·, Torino, 1903, vol. Vili.) Notizie dei commerci dei genovesi, e dei loro stabilimenti colà, specie di Castel genovese. Atti del secondo Congresso regionale ligure di Ingegneria, Architettura e Costruzioni navali, civile e meccanica in Spezia. Ottobre 1902 — Spezia, tip. Zappa, in-4 pp. 27. 190 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Bologna Pietro. I vescovi appartenenti a famiglie
  • e 38 tav. Ex-Stello [Girolano De Ferrari] Nobiltà e titolatura e titoli legittimi genovesi (in Gazzetta dei tribunali, 1903, n. 19). Ferretto Arturo. Notizie intorno a Caleca Ponzano trovatore geno vese e alla sua famiglia (1248-1313) (in Studi di filologia Romanza, Torino, 1903, IX, fase. 26). r — La Pasqua a Genova. Reminiscenze storiche (in Supplemento al Caf-faro, 1903, n. 101). Fumagalli Giuseppe. Di Demetrio Canevari medico e bibliofilo genovese e delle preziose legature che si dicono a lui appartenute — III. Ìndice delle legature cosiddette Canevari (in La Bibliofilia, vol. IV. pp. 390-400; V, 33-42)- Giorgi Ignazio. Il trattato di pace del 1165-66 fra Roma e Genova in Archivio della R. Società Romana di Storia Patria, vol. XXV, pp. 397-466). Imperiale Cesare. Il Comune di Genova nei secoli XII e XIII (in Rassegna Nazionale, 1903, 1.0 maggio). Impune (L’) Doria traditore della Giovine Italia (in II Giornale del Popolo, 1903, n. 1284). — L’articolo tratto dal libro del Barbiera, Passioni del Risorgimento, reca le iniziali A. M. Mannucci Franc. Luigi. Del Libro-de la misera humana condicione prosa genovese inedita del secolo decimoquarto (in Studi di Filologia Romanza, 1903, fase. 26). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I7 » 100 succ. » 11 In questi prezzi sono comprese le spese della copertina, della legatura e del porto a domicilio del committente. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO: L. 3 L f TORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA da UBALDO MAZZINI £z A. Neri: Genova e Vittorio Alfieri (con facsimile), pag. 193 — A. Solerti: Le « Favolette da recitarsi cantando » di Gabriello Cliiabrera, pag. 227 — G. Sforza: Il testamento di Spinetta Campofregoso signore di Carrara e la patria di papa Niccolò V, pag. 237 — G. Regis : Carlo Botta e Teresa Paroletti, pag. 243 — G. Flechia: Appunti lessicali genovesi, pag. 271 -- L. Staffetta: Tresana e l’ultimo de’ suoi Marchesi, pag. 279 — VARIETÀ’: U. M. Una lettera inedita di Lazzaro Spallanzani, pag. 319 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Si parla di O. Mantechi (G. Bigotti), PaS· 32 1 — ANNUNZI ANALITICI : Si parla di G. Senes (G. Flechia), pag. 324 — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 325 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 327. I LIGURIA diretto da ACHILLE NERI e ANNO IV Fase. 7-8-9 1903 Luglio - Agosto - Sett. SOMMARIO DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-12 LA SPEZIA Società d'Incoraggiamento editrice AMMINISTRAZIONE Tip. di Fkancicsco Zappa La Spezia - Amministrazione del Giornale AVVERTENZE Il Giornale si pubblica in fascicoli bimestrali o trimestrali. Il prezzo dell’associazione annua è di L. io, e di L. 11 per Γ estero. I soci della Soc. d’Incoraggiamento della Spezia e della Soc. Ligure di Storia Patria di Genova, godono di uno speciale abbonamento di favore a Lire SEI. Per quanto concerne l’Amministrazione rivolgersi esclusivamente alla Spezia. In Genova il recapito dell’Amministra-zione è in via XX settembre, 16 presso la libreria Chiappori. L’Amministrazione concede ai collaboratori 2 5 copie di estratti dei loro scritti. Coloro che ne desiderano un numero maggiore possono trattare direttamente con la tipografia, che ha fissato i segg. prezzi : Da i a 8 pag. Copie 50 L. 6 » xoo » 9 > 100 successive » 7 Da i a 16 pag. Copie 50 L· 10 » 100 » 14 » xoo succ. » 11 In questi prezzi sono comprese le spese della copertina, della legatura e del porto a domicilio del committente. PREZZO DEL PR.ESENTE FASCICOLO: L. 3 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IQ3 GENOVA E VITTORIO ALFIERI La prima volta che Vittorio Alfieri si recò a Genova contava appena sedici anni, e fu nell’autunno del 1765, quando s’incomincia a manifestare nell’animo suo quella irrequietezza che doveva poi sospingerlo ai frequenti viaggi, di cui egli stesso ci ha lasciato particolare ricordanza. Ed è curioso il rilevare come sì fatta frenesia di correre per le poste trovi in generale eccitamento e ragione nelle avventure amorose, o ad esse si accopì ; certo anche questo suo esodo, onde s’inizia la lunga serie degli altri, se non ebbe per movente l’amore, seguì nel tempo in cui i sentimenti affettivi per la donna si rivelarono novamente nel suo cuore, e si deliberò forse alla gita genovese fra l’altro, anche per correggere la « malinconia profonda e ostinata » che s’era impossesata di lui nel suo « primo amoruccio » (1). Si trattenne in Genova alcuni giorni, e ne ritrasse ottima impressione. « La vista del mare », egli scrive, « mi rapì veramente l’anima, e non mi poteva mai saziare di contemplarlo. Così pure la posizione magnifica e pittoresca di quella superba città mi riscaldò molto la fantasia E se io allora avessi saputa una qualche lingua. ed avessi avuti dei poeti per le mani, avrei certamente fatto dei versi » (2). Lasciamo stare l’esagerazione di queste ultime parole, perchè si potrebbe avvertire che di poeti, bene o male, conosceva di già l’Ariosto, alcuni drammi del Metastasio, la traduzione dell’ Eneide di Annibai Caro, e a far versi s’era provato in quel sonetto scritto tre anni innanzi « rifritture di versi o presi interi o guastati, e riannestati insieme » (3) dai due autori che più aveva letto ; e rileviamo piuttosto questi primi impulsi di tradurre in poesia le impressioni immediate colte direttamente dalla natura, le quali nel nostro caso dovevano atteggiarsi a lode della città e del suo mare, non senza secondare quello spirito melanconico onde gli uni e le altre avrebbero preso svolgimento e colore. L’idea tuttavia non andò perduta, poiché, come vedremo, fu tradotta in atto molti anni più tardi, quando il verso gli era divenuto famigliare, e (1) Vita. Firenze, 1861, pp. 5 1 -52. (2) Vita cit., p. 52. — (3) Vita cit., p. 37. Gìorn. St. e Leti, della Liguria '3 194 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGl'KIA 10 studio e Γ esperienza gli davano modo di esprimere giudizi sopra uomini e cose. Questa prima gitarella che nella sua < sregolata fantasia » e nella vanità quasi infantile gli parve una gran cosa, diventò • una babbuinata » (i), quando di ritorno in Accademia i compagni stranieri gli fecero capire, non senza canzonarlo, che da ben altri paesi essi venivano, e altri viaggi avevano fatti. Di qui quel nuovo furore di spiegare le ali a più ampio volo, e poi la partenza nell’ottobre del 1766 per quel viaggio di due anni che lo condusse nelle principali città d’Italia e quindi in Francia, in Inghilterra e in Olanda. Reduce dal veneto si ridusse nel giugno del 1767 « in Genova, città che da » lui « veduta alla sfuggita qualch’anni prima » gli * avea lasciato un certo desiderio di se » (2). Dove egli andasse ad albergo non dice ora, come non ha accennato due anni innanzi, ma ci sembra plausibile il credere ch’ei facesse capo a quella locanda di S. Marta, posta sulla piazza dell’Annunziata, la quale accoglieva i viaggiatori meglio provveduti e di maggior qualità, non esclusi i letterati come Giuseppe Baretti e gli avventurieri che scialavano da gran signori, de’ quali basterà ricordare Giacomo Casanova, che v’erano stati l’uno e 1 altro nel 1760 (3). Sentiamo in qual guisa l'AIfieri ci ha Lsciato notizia di questa seconda dimora a Genova: « In Genova, non vi essendo allora il ministro di Sardegna, e non conoscendovi altri che il mio banchiere, non tardai anche molto a tediarmi ; e già aveva fissato di partirne verso 11 fine di giugno, allorché un giorno quel banchiere, uomo di mondo e di garbo, venutomi a visitare, e trovatomi così solitario, selvatico e malinconico, volle sapere come passassi il mio tempo; e vedendomi senza libri, senza conoscenze, senza occupazione altro che di stare al balcone, e correre tutto il giorno per le vie di Genova, o di passeggiare pel lido in barchetta, gli prese forse una certa compassione di me e della mia gio- (1) Vita cit., p. 53. — (2) Vita cit., p. 70. (3) Belgrano, Aneddoti e ritratti Casanoviani, Torino, La Letteratura, 1889, p. II. Il RICHARD, Description historique et eritique de V Italie, Dijon, 1766, I, 123, accennando a quest’albergo soggiunge: « la meilleur de Gênes pour le logement, et qui jouit de cette réputation depuis plus d’un siècle », ed è vero perchè già esisteva fino dal 1600 condotto da un Domenico Brugnolo (Arch. di Stato di Genova, Senato atti, fil. n. 405). GIORNALE SI'OKICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 195 vinezza, e volle assolutamente portarmi da un cavaliere suo amico. Questi era il signor Carlo Negroni, che aveva passata gran parte della sua vita in Parigi, e che vedendomi cotanto invogliato di andarvi, me ne disse quel vero e schietto, al quale non prestai fede se non alcuni mesi dopo, tosto che vi fui arrivato. Frattanto quel garbato signore mi introdusse in parecchie case delle primarie; e all’occasione del famoso banchetto che si suol dare dal Doge nuovo, egli mi servì d’introduttore e compagno. E là fui quasi quasi sul punto d’innamorarmi di una gentil signora, la quale mi si mostrava bastantemente benigna. Ma per altra parte smaniando io di correre il mondo e di abbandonar l’Italia, Amore non potè per quella volta afferrarmi, ma me la serbò per non molto dopo » (1). Peccato che non ci abbia lasciato il nome di quel banchiere « uomo di mondo e di garbo » ; ma non ci sembra fuor di proposito l’ipotesi eh’ei fosse quello stesso Belloni, presso il quale aveva lettere di cambio il Casanova, e che, stando a quel che questi ne dice, poteva aver diritto all’appellativo datogli dal-l’Alfìeri (2). Del Negrone invece da lui conosciuto, e che gli fu così esperto consigliere, e utile compagno in quella opportunità, possiamo dir qualche cosa. Era nato da Bendinelli e da Teresa Spinola il 26 novembre 1720; passò parecchi anni della sua giovinezza a Parigi, dove il 26 febbraio 1757 prese in moglie, nella chiesa di S. Pietro di Montmartre, Francesca Alessia du Perier figlia di un ex ufficiale. Da poco tempo aveva fatto ritorno in patria, forse temporaneamente, se il 23 agosto del 1765 ebbe in Parigi il figlio a cui impose il nome del padre. Più tardi vi si ridusse in modo definitivo; infatti il 1773 è fra i 30 elettori per il Minor Consiglio, nel 1783 lo troviamo nel Gran Consiglio, e due anni dopo viene nominato fra i quindici per la elezione del nuovo Doge. Morì il 15 aprile e fu sepolto nella tomba gentilizia a N. S. del Monte dei Riformati di S. Francesco (3). Quando l’Alfieri giunse in Genova la città si trovava in un (1 Vita cit., pp. 70-71. (2) Casanova, Memoires, Paris, Garnier, vol. V, p. 112 sgg. (3) Notizie favoriteci da Marcello Stagiieno, e desunte dal Libro d’oro, dal cod. B. I. 50 della Bibl. Universitaria, e dagli Avvisi, Genova 1789, n. 16. IÇÔ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA periodo di feste, essendo imminente la incoronazione del nuovo doge eletto il 3 febbraio nella persona di Marcello Durazzo del fu Gian Luca, e il Lalande lasciò scritto non senza ragione: « Le tems le plus agréable pour voir la ville de Gênes, est celui du couronnement du doge; on voit alors les fêtes les plus brillantes, le luxe le plus magnifique » (1). Infatti il nostro giovane viaggiatore oltre ad essere stato introdotto nelle conversazioni più cospicue, fra le quali andava allora famosa quella di Lilla D’Oria nel palazzo da S. Matteo, potè assistere al banchetto sontuoso di prammatica nella sala del gran Consiglio, ch’ebbe luogo il 28 giugno, essendo seguita la solenne incoronazione il giorno innanzi. Ed è a credere si recasse poi la sera del 5 luglio con tutti i convitati a Palazzo per i soliti ringraziamenti prescritti dall’etichetta entro gli otto giorni (2). Ci resta poi un acre desiderio di sapere chi fosse la « gentil signora » che gli si « mostrava bastantemente benigna », e della quale, data l’età e la prepotente inclinazione, fu « quasi sul punto d’innamorare' ». Tuttavia non sarà inutile prender nota di due cose, e cioè che durante questa seconda dimora in Genova ebbe agio di osservare la città, e fu tratto egli pure a diventare cavalier servente là dove il cicisbeismo era divenuto proverbiale. La sua partenza dovette avvenire sulla metà di luglio; il mare però non volle con la sua calma secondare la fretta onde si sentiva sospinto in Francia, e la « feluchetta » che lo conduceva investita da un vento procelloso prese rifugio a Savona, dove il giovane impaziente fu costretto a fermarsi due giorni tappato in casa dalla rabbia, senza che gli venisse neanche voglia di dare un’ occhiata alla patria del Chiabrera (forse allora a lui ignoto), o visitare il famoso santuario (3). Si riposò a Genova tre giorni sui primi di maggio del 1772, reduce dalla Spagna, e rivide questa città di volo nel giugno del 1774,poiché quivi lasciato « l’abate compagno e il legno », corse a cavallo a Torino per riprendere la « vita serventesca » presso la Turinetti (4), avendo già inscritta al suo attivo la prima in- (1) Lalande, Voyage en Italie, Yverdun, 1788, VII, 31 1. (2) Le indicazioni della elezione del Doge e delle successive cerimonie si rilevano dall’Arch. di Stato, Cerimoniali, n. 8-481, p. 7 sgg. (3) Vita cit., p. 71. — (4) Vita cit., pp. 124-137. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 197 forme tragedia, e al passivo un capitolo di sfrenato cicisbeismo. Rotto finalmente l’incantesimo di quell’« odiosamata » che doveva più tardi « con crudele vendetta legare al disprezzo della posterità », e fermato ornai il proposito di diventare poeta tragico, già incominciato a mandare ad effetto l’anno innanzi in Toscana, nella primavera del 1777 mosse nuovamente da Torino con « più cavalli e più gente, per recitare in tal guisa le due parti che di rado si maritano insieme, di poeta e di signore », e giunse accompagnato da questo « treno » a Genova. Fece proseguire i cavalli per terra, ed egli s’imbarcò col bagaglio alla volta di Lerici in una feluca; ma il mare non gli fu clemente, e quando già era in vista della meta lo respinse indietro, costringendolo a prender terra a Rapallo; nè tornando così presto, come avrebbe desiderato, la calma montò a cavallo e per la via di terra « a traverso quei rompicolli di strada » si ridusse a Sarzana, dove trovò i suoi cavalli e dovette aspettare ben otto giorni prima che giungesse la sua roba lasciata in feluca. Come è noto la lettura delle storie di Tito Livio, prestategli dal prete Martinelli, fratello del maestro di posta, tanto lo infiammò da fargli ideare e stendere in ischema la Virginia, dalla quale apprendiamo che in Sarzana si trovava il 18 maggio(l). Nei cinque anni che corsero dal 1777 al 1782 ΓAlfieri aveva ormai trovato la sua via e divenuto autor tragico, ma nel tempo stesso ei s’ era indissolubilmente legato a quella donna che gli fu compagna per tutta la vita. Appunto per lei ora noi lo rivediamo in Roma, dove se ebbe soddisfazioni ed onori non gli mancarono amarezze. Quivi frequentando le più note e cospicue conversazioni fece conoscere le sue tragedie, e colse la buona opportunità di procurarne la recita. Era in Roma a quei dì in ufficio di ambasciatore di Spagna Paolo Girolamo Grimaldi di nobile casato genovese. Nato nel 1720 primogenito di Francesco Maria e di Giovanna Pallavicino, fin da giovinetto fu condotto in Spagna dal cardinale suo zio di cui portava il nome ; ben presto ascese ai primi uffici dello stato, che si giovò di lui come ambasciatore in Svezia, (1) Vita cit., p. 182 sgg. — Sforza, Vittorio Alfieri in Lunigiana e la sua « Virginia », in Dodici aneddoti storici, Modena, Namias, 1895, P· 43 sgg· IqS giornale storico e LETTERARIO DELLA LIGURIA nell’Annover, in Olanda, in Francia, e fu autore del celebre patto di famiglia stipulato nel 1761. Perciò salì a reggere gli affari politici internazionali, e tenne il ministero dal 1763 al 1777-Caduto poi in disgrazia del principe ereditario dovette abbandonare l’ufficio, avendo tuttavia ottenuto Γ8 aprile di quell’anno da re Carlo 'III la Grandezza con il titolo di Duca e una pensione vitalizia di ventimila doppie. Venne allora eletto ambasciatore a Roma piuttosto per forma che di fatto, poiché, a quanto si afferma, le cose pertinenti a politica erano trattate dall’agente de Azara (1). Uomo di gran mondo, di varia cultura:, amico d’insigni contemporanei, fra’ quali è da ricordare il celebre Linneo, di squisito sentire, d’animo grande e generoso, accoglieva nelle sale del palazzo di Spagna a sontuosi banchetti, a splendide conversazioni le maggiori notabilità di Roma, e dei convenuti d’altre parti d’Italia e d’Europa. Sul cadere dell’estate del 1782 aveva passato alcun tempo « con altri signori di sua comitiva » nella villeggiatura d’Albano, donde si era restituito a Roma il 23 settembre. Riaprì allora il palazzo di sua residenza ai serali ricevimenti, allietati dalle teatrali rappresentazioni (2). E così la sera del 2 ottobre « in una sala fatta preparare a guisa di teatro, fece rappresentare per divertimento » della « Nobiltà la commedia intitolata l’Eugenia intermediata da una ben concertata pantomina, che viene eseguita da diversi nobili dilettanti. Nella sera seguente di giovedì il detto Ambasciatore diede conversazione, dopo la quale fece imbandire una lauta cena composta di 50 coperti. La domenica sera fu ripetuta detta commedia con universale applauso della nobiltà, e indi fu bandito un Ambigu, ove restarono a goderne molti Signori, che erano intervenuti alla medesima ». Questi (1) Allorquando nel novembre del 1777 si stava attendendo in Roma il nuovo ambasciatore Grimaldi (Diario ordinario, Roma, Cracas, n. 284, p. 10) e ne era imminente 1’ arrivo, giunse « la notizia che il Monarca abbia spedito al Sig. Cav. d’Azara un onorifico diploma con il quale lo accredita presso Sua Santità per trattare tutti gli affari del suo ministero, che detto Ecc.mo Ambasciatore non potrà eseguire per sue indisposizioni o malattie, o per assenza da Roma » (Ivi, n. 302, n. 5). Arrivò poi la sera del 1 dicembre (Ivi, n. 306, p. 5). (2) Aveva già fatto rappresentare la farsa in musica di Cimarosa : L’ amor Costante (Diario cit., n. 744, p. 4). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ÎQQ divertimenti, segue il diarista, « dal succennato sig. Ambasciatore saranno dati per tutto il corso del presente mese d’ottobre distribuiti quando in conversazioni, e quando in commedie, le quali saranno rappresentate fino al numero di tre, che sono, la prima, come si è detto XEugenia, la seconda il Beverli, o sia il Giocatore in Campagna, e la terza il Barbiere di Siviglia, dopo le quali resterà sempre imbandito un Ambigù per tutti quei Signori che vi vorranno restare, e saranno imbanditi a seconda dell’ animo grande del detto signore Ambasciatore, come lo sarà la cena del Giovedì, che resta stabilita per il numero di 50 coperti » (1). Nello stesso tempo il residente della Repubblica di Genova Figari, scriveva: « Il sig. Ambasciatore Grimaldi ha preparato alla Nobiltà il divertimento di alcune recite teatrali, cui si diede principio mercoledì sera. Il Duca e la Duchessa di Zagarolo, il Duca e la Duchessa di Ceri sono i più cospicui recitanti, e circa quindici saranno le recite » (2). E di nuovo il diarista in data del 19: « La nobile Compagnia, che per dare un divertimento alla Nobiltà Romana, e un attestato di amicizia a Sua Ecc. il Sig. Ambasciatore di Spagna, rappresenta diverse commedie tradotte dal francese nel Teatro già in altra occasione fatto preparare dall’Ecc. Sua, va continuando regolarmente le sue recite la domenica, il mercoledì, e il sabato, con moltissimo piacere della Nobiltà predetta > (3). L’Alfieri assistendo a quelle recite, delle quali rammenta la tragedia di Tommaso Corneille il Conte d’Essex, gli « entrò in capo di voler provare con « quegli attori » una delle sue; scelse a questo fine XAntigone, e « la proposta fu accettata con piacere dalla nobile compagnia » ; egli vi sostenne la parte di Creonte, il duca di Ceri quella di Emone, la consorte di lui Argia, e la duchessa di Zagarolo Antigone. La rappresentazione avvenne la sera del 20 novembre con applauso grandissimo (4), e con questa, che cadde appunto in mercoledì, si chiusero forse i divertimenti drammatici. Il Diario non ce ne ha lasciato notizia diretta e (1) Diario cit., n. 809, p. 11 ; 812, p. 2. (2) Arch. di Stato, Lettere Ministri, Roma, M. 62. (3) Diario cit., n. 814, p. 19. (4) Vita cit., p. 212 sg. Cfr. anche le note opere del Silvagni e del VlCCHI. 200 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA speciale; soltanto nel riferire intorno all’adunanza tenuta in Arcadia il 5 dicembre, dove Giovan Gherardo de Rossi lesse la seconda parte del suo « Ragionamento sull’imitazione poetica », soggiunge: < Il principale assunto del dicitore fu di provare con esempi antichi, e recenti quanti vantaggi può ritrarre un bravo poeta da una libera maniera d'imitare. Quindi da ciò prese motivo di rilevare con evidenza e precisione i nuovi originali pregi che si sono ammirati neM’Antigone, tragedia ultimamente recitata con plauso universale da Cavalieri e Dame a gloria del chiarissimo Autore Sig. Conte Alfieri Arcade cotanto benemerito della più scelta letteratura » (1). L’anno successivo il Grimaldi abbandonava Roma e si ritirava in patria a onorato riposo. Grandissime benemerenze si acquistò presso i suoi concittadini, de’ quali seppe cattivarsi la stima e la reverenza. Molti consigli ei diede in fatto di pubblica edilizia per migliorare la viabilità, e concorse del proprio ad alcuni lavori ; si occupò delle fortificazioni ; promosse la Società Patria per le industrie, e l’Accademia Ligustica di belle arti; intese con illuminata larghezza alla beneficenza. Morì il 30 settembre 1789 prodigando le sue ricchezze a pubblico vantaggio. Ben meritò che Girolamo Serra parlando di lui alla Società ricordata e accennando al suo statuto dicesse : * Il primo a sottoscriverlo fu Girolamo Grimaldi con quella mano medesima che sottoscrisse la pace di tre monarchie ; uomo più grande nell’ultimo periodo di sua vita, quando lasciata una eminente carica abitò fra noi, che quando l’esercitò, sebbene reggesse all’ ombra di lieta pace e di virtù incorrotte, la Spagna » (2). Allorquando il Grimaldi giunse a Genova il 22 novembre del 1783, l’Alfieri se ne era partito da un mese per la Francia in unz piccola feluca che lo condusse in Antibo « rapidissimamente » ma non senza < pericolo ». Costretto a lasciar Roma (3) per le assiduità, ritenute scandalose, in casa della contessa, aveva viaggiato con animo insofferente ed inquieto (1) Diario cit., n. 830, p. 2. (2) Serra, Discorso recitato in un' adunanza della Società patria delle arti e manifatture li 23 giugno I7Ç0. Genova, Franchelli, 1791. {3) Partì la mattina del 2 maggio (Diario cit., p. 872, p. 3). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 201 in Toscana, in Romagna, nel Veneto, in Lombardia, in Piemonte per la via interna dell’appennino, ritornando poi a Siena a curare la stampa delle sue tragedie, il cui primo volume era uscito nel marzo di quell’anno, di che s’ affrettavano gli Avvisi di Genova a pubblicare la notizia il 27 così: « Dalle stampe Pazzini e Carli di Siena è uscito il primo volume delle Tragedie del signor Vittorio Alfieri, fra le quali è Y Antigone re.-citata in Roma con grandissimo applauso il p. p. Novembre » (1). Deciso quindi il nuovo viaggio per la Francia e l’Inghilterra, accompagnato dal suo Gori « verso la metà d’Ot-tobre » (forse il 10) partì da Siena e per Pisa e Lerici se ne venne a Genova (2). Del suo arrivo in questa città dovevano essere consapevoli a Torino, poiché il conte d’Hauteville scriveva il 15 ad Antonio Bossi residente di Sardegna presso la Repubblica : « Qui unita troverà una lettera per il sig. Conte Alfieri. Si compiacerà Ella di far costì cercar conto di lui e procurerà di consegnarla in proprie di lui mani » ; al che rispondeva tre giorni dopo il Bossi : « Ho rimesso in proprie mani al sig. C.te Alfieri la lettera pervenutami » (3). Non abbiamo elementi per indagare di qual lettera gelosa, a quanto pare, si trattasse, nè l’epistolario ci porge alcun lume; ma questi pochi cenni e l’indicazione apposta al sonetto che riferiremo stabiliscono la data precisa della sua ultima dimora in Genova, dove egli fu sul punto di tornare nel 1784, in que’ giorni nei quali fra il cadere di novembre e i primi del seguente, vi si trattenne la contessa d’Albany (4), ma poi le circostanze non gli consentirono questa gita, e più tardi lo avviarono per altra parte a ricongiungersi con la donna amata. * * * Se diciotto anni innanzi le impressioni provate nella nostra città gli fecero sentire il rammarico di non poterle tradurre in versi, ora che poeta era divenuto, ebbe modo di esprimerle nel seguente sonetto, che nell’autografo reca la data: « Genova 19 8^re » (5): (1) Avvisi, n. 13. — (2) Vita cit., p. 22b. (3) Arch. di Stato, Torino; Lettere Ministri Genova, M. 23. Notizia comunicataci dalla squisita cortesia del prof. Roberti. 14) Alfieri, Lettere edite e inedite, Torino, Roux, 1890; pp. 61,62,63. (5) Diamo la riproduzione a facsimile di questo e del seguente sonetto desu- -t'f &Η<ίt Λί/Tc n' a- Ì·' 4 »'·» /«».Λ·λ«/ιΙ «//««η ¥λ*>ϋο . C rt/ ^%/ >0 i* Te.' /««.J *' teismi, 4ar ΡΛ c^**·t« Λ cw/ (('roA: ‘ A 4-w •'UKfy ♦I /iiaft' » Λ 4* A) ^ “ ' ■ «-/.· ccm/ nj /*>f e'Ji*3+'<·, s. a yw»· —>Λ ' o #u ' * L u <ί· rt- t^u/Ze. COA,yi,tuji' /O. » **'**+. «/>« y **/' 9^*V*- •"-«'.'i··. v«.rt 1*'-"/ y.x„c/U ■ -^/il //*4' l.,'-S(\ # ^ Λ· , 1 i /i/*\ Q A*»c >1 a . y / J . ^7 ^*{ Hc^c·* 'Vt'/»4? tsoyl·'* i> sr y «'VU·// . C/crnLf*: l/'.u'/o Z J~ï* y+ft, cx^^o: ,,.,~ rtjtoir *-«.·fu«^/u jit*»* ..>*<« '7 *α·^ο « «/.W**' /rf/ ro^r- A> «/c^ìo Α*·αΜ,4/ a. v^j/i, ^"'A λ* ΛΣ» * ''4lì P·- fi.rt »■((/<) . «**« ,y o*·. / ·*/ν*Λ# ///(ίΗ/,·^β ,\~ï; 32, 35. Il Viani quando pubblicò la Gticera (Berlino [Lucca] 1785) scrisse al novellista fiorentino la seguente lettera, che, con altre due (una al Napione e l’altra al Lasinio), sì conserva nella Biblioteca Civica di Torino (Autografi, racc. Cossilla), e mi venne favorita dalla cortesia del dott. Ferdinando Neri : Signore La parzialità, con cui mi avete distinto nelle vostre Nmelle Letterarie allor quando vi annunziaste il mio Saggio, mi anima adesso a farvi presentale in mio nome una breve mià produzione. Questa si può dire scherzosa, ed è stata composta nel tempo di una villeggiatura : 1’ entusiasmo, che Γ ha prodotta è stato sincero, non so però se abbastanza vivo per farla piacere a tutti in un secolo così difficile. Ho procurato di dare al mio stile un tornio di novità, una condotta rapida, vibrata e concisa: ho accozzato insieme de1 versi, che formano alcuni metri nuovi, e mi sono sempre studiato di essere piuttosto concettoso, che fantastico. Io dovea schivare ciò che dice l’Orazio francese in que’ versi : Qui s’ affligent par art, et, fons des sens rassis, S’ érigent, pour rimer, en amoureux transis. Leurs transports les plus doux ne sont que phrases vaines : Il ne savent jamais que se charger de chaînes, Que bénir leur martyre, adorer leur prison, Et faire quereller le sens et la raison. Mi son dunque ristretto a parlar pîù spesso a Glicera che di Glicera lasciando cire una facile interpretazione del lettore supplisca al mio silenzio. Comunque sia, io mi terrò ben fortunato se voi mi darete su quest’operetta sinceramente il vostro giudizio. Non cerco lodi, ma la pura verità. Io sono in un’ età assai giovine, e il mio amor-proprio 111’ insegna a prezzare tutto ciò, che può contribuire al mio avanzamento. Giudicate or voi se sono con tutta ragione impaziente di sentire che ne pensate. Sono con tutta stima e rispetto Signore Dev.mo Obb.m° Ser.re Spezia 28 Febb. 1785 GIORGIO VlANI 212 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA zione di Teresa Pallavicini Lomellini (i). L' esame materiale del libretto, i caratteri, la carta ci persuadono infine che sia uscito in Genova dalla stamperia degli eredi di Adamo Scionico. Appartenevano il Viani e il Sauli all’ accademia degli Industriosi, quegli ascrittovi fino dal 17841 questo di recente, e tutti due vi avevano recitati componimenti poetici; il Mollo, cugino del Sauli, si trovava allora a Genova, dove nell’ agosto del 1787 aveva improvvisato nelle sale dello zio, Francesco Maria Sauli, sopra il tema : Agnese di Castro proposto dal Viani con un sonetto (2). Il Sanseverino, monaco di S. Benedetto, insegnava storia ecclesiastica all’ università, e quantunque costituisca un quarto collaboratore non ricordato dal Viani, pure si sa che frequentava la conversazione della Pallavicini (3), donde più tardi il Viani si dovette assentare, a quanto sembra, per non oneste ragioni personali, e per cause politiche (4). Lo scrittore delle Novelle che aveva lodato il Saggio poetico (1784, n. 52), lodò anche Glicera (1785, n. l6), servendosi della riferita lettera, in ispecie là dove rileva nella poesia « una cert’ aria di novità, una condotta rapida, vibrata, e concisa, e più sentimento che fantasia ». (1) Orazione in Annali della Univ. Tose., Ili, p. 58 in n· (2) Avvisi, 1784, n. 30; 1787, n. 32 ; 1788, n. IO. Nella Scelta di poesie liriche (Parigi, Didot, 1811) del MOLLO, a p. 282 si legge una poesia Per la vittoria delle galee genovesi su corsari algerini nell anno 1J88. (3) Libere riflessioni sulla rivoluzione di Genovà^tradotte dal francese con annotazioni ed aggiunte del traduttore. A Parigi [Genova] I79&, P- 65 sgg. (4) Quando nel luglio del 1798 il Viani venne eletto municipalista alla Spezia, e subito in una corrispondenza da quella città al Censore (Supplemento al n. ro8) lo si accusava d’ essere stato « processato per ladro » e di « accusatore infame dei patrioti nel 1794 »> comparve una sua giustificazione, alla quale seguirono due stampe anonime, l’una intitolata: / menti di Giorgio Viani esposti dai patrioti della Spezia al Direttorio esecutivo della repubblica ligure, Stamperia Nazionale ; 1’ altra : Tutti ladri, Stamperia Tessada. Nella prima è fra 1’ altro accusato di essersi appropriato un orologio della Pallavicini. Sembra abbia subito un processo che finì con un’ assolutoria. — Nel processo politico del 1794 figurò come testimonio d’accusa, e Gaspare Sauli, che fu uno degli imputati, ebbe per lui parole d’alto disprezzo (Cfr. Appunti storici e documenti, Mss. Bib. Università di Genova, vol. XI, XII, XIII ; e Neri, Un giornalista della rivoluzione genovese del 1797 in Illusi. Ital., 1888, p. 153 sgg., 173 sgg.). È noto che nel 1799 Scrisse alcune poesie reazionarie, fra le quali è un’ ode a Suwarow ; non ne GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 213 Questa la fucina dalla quale venne fuori il Socrate, mandato pur anche all’Alfieri, che ne scriveva al Bianchi e alla Mocenni: * Io l’aveva già ricevuto più di tre mesi fa, dall’autore, credo, da anonimo in somma, e non mi fece altro dolore che di a-vermi fatto pagare uno zecchino e più di porto. Ne lessi due pagine, una in principio e una in fondo, e vedendo che l’autore era abbastanza punito dall’ improba fatica che ci deve aver durato, e dal poco esito che può avere tale sciocchezza, ho risoluto di punirlo ancor doppiamente con un intero silenzio. La nostra Teresina carina ne ha portato appunto con le stesse mie parole lo stesso giudizio che ne aveva portato io. Che non è buono affatto come tragedia, e che non può essere mai creduta mia; e che è sciocco come satira, non vi essendo altro che una insulsa ripetizione esagerata di tu e d’ i\ e di altre simili inezie che son troppe per empirne tre atti > (i). Ma la parodia trovò favore ed è riconosciuta, anche per consenso dei contemporanei, arguta e fina critica al nuovo stile tragico al-fieriano, di guisa che il Ciampi la giudicava « censura non prodotta da disistima o da spregio ; ma più tosto un delicato rilievo di una qualche asprezza di stile adottata da quel grande ingegno »> e Giulio Cordero di Sanquintino, non dubitò di affermare che più d «ogni altra contribuì forse a migliorare lo stile di questo illustre suo concittadino, pungendolo vivamente > (2). conosciamo le prime impressioni, ma le troviamo raccolte in un opuscolo mandato fuori il 15 dicembre da Antonio Pevera ta e Compagni librai e stampatori in Pisa, 1 quali mentre stavano preparando « una bella edizione della Glicera e delle altre produzioni in versi ed in prosa di un Ligure Autore, che da qualche tempo dimora in questa Città », secondo 1’ avviso già pubblicato nel luglio, reputavano di far cosa non « discara agli amatori della Italiana Poesia » ristampando « le composizioni uscite dalla medesima penna in occasione delle vittorie ottenute dalle armi coalizzate in Italia ». (τ) Lettere cit., p. 184. (2) Ciampi, Notizie della vita letteraria e degli studi numismatici di Giorgio Via,ti, Firenze, Ciardetti, 1817, p. 9 sg. — Sanquintino, Elogio di G. Via,ti in Bertacchi, Storia dell’ Accad. Lucchese (in Meni, e Doc. per servire alla stor. di Lucca, XIII, Par. 1, p. cix). Cfr. anche Mazzoni, In biblioteca, Bologna, 1886, p. 90 sgg.; Renier nella pref. (p. lxxvii sg.) al Misogallo ecc. cit. La parodia ebbe due ristampe una colla data di Londra, 1796. Trovasi in Firenze presso Luigi Carlieri ; l’altra: In Venezia, 214 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ma più tardi egli doveva trovare in Genova uno strenuo difensore; intanto aveva incontrato a Siena un ligure erudito, col quale ebbe certamente corrispondenza epistolare, sebbene ne sia andata perduta ogni diretta memoria. Egli è Giuseppe Gregorio Solari delle Scuole Pie, nato a Chiavari nel 1737, di svariata cultura fornito, ben addentro nella lingua e nella letteratura greca e latina, traduttore illuminato di Virgilio, d’Ovidio, d’Orazio; il quale, dopo essersi procacciata rinomanza nell’insigne collegio Tolomei di Siena, si trasferì, invitato, a Roma, e accolto con gran favore. Quivi posto in carcere dai napoletani nella nefanda invasione del 1798, condotto quindi a Livorno, fu liberato, al ritorno de’ francesi l’anno successivo. Potè allora tornare a Chiavari, sua città natale, occupandosi delle scuole, e di qui venne poi chiamato all’ Università di Genova, ritraendosene per avanzata età nel 1810. Onorato dai contemporanei, ascritto a parecchie accademie, insignito della Légion d’ onore, morì in Milano nell’ otfobre del 1814 (1). Al Solari voleva 1’Alfieri fossero donati in suo nome nel 1785 i volumi delle tragedie, e quegli ringraziandolo con « una cortese letterina » gli mandava i « 110 versi primi d’Ottavia tradotti con molta bravura », onde il poeta suggeriva al Bianchi di farlo « incitare a tradurla tutta, e anche la Merope » (2). Sembra però che il Solari non conducesse a termine la traduzione dell’ Ottavia, nè si mettesse a quella della Merope, poiché fra le sue carte non ne è rimasto traccia, ben abbiamo tradotto l'Agamennone che si conserva a Montpellier (3). E certo però che 1’Alfieri soleva comunicare a quel nostro ligure poeta l’anno 1808, presso Antonio Rosa; sta a se, ma fa parte dell’Anno teatrale in continuazione del teatro moderno applaudito. (1) Laviosa, Elogio del p. G. G. Solari nel T. I de Le metamorfosi d’ Ovidio recate in versi italiani da G. S., Genova, Bonaudo, 1814. — SARTORIO, [Biografia] in Tipaldo, Biogr. degli ital. ili., IX, 220. — Gandolfi, [Elogio] in Grillo, Elogi di liguri illustri, Genova e Torino 1846, III, 132, ove è aggiunto un articolo di Felice Romani sul Solari. Sanguinetti, Elogio funebre in. morte del eh. Padre G. G. Solari, Chiavari, Stamp. Pila, 1814. — Gazzetta di Genova, 1810, n. 89 ; 1814, n. 83 e 85. Isnardi, Star, dell’ Univ. di Genova, Genova, 1861-67, II, 179. (2) Lettere cit., 73, 74, 79. (3) Μαζζαττινι, Ancora delle carte Alfieria?ie in Giorn. stor. d. lett. ital., IX, 75. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 215 i suoi componimenti, sì come ne fanno fede un sonetto composto nel 1792 (inserito nel Misogallo) di cui si ha la traduzione latina del Solari fatta in Roma nel I794> e un epigramma dettato nel 1797 pur serbatoci con la versione di lui dall’Alfieri medesimo (1). * * * Mentre a Firenze a Torino ed altrove si rappresentavano nel pubblico teatro alcune delle tragedie dell’Alfieri, non abbiamo trovato memoria che ciò sia avvenuto a Genova prima del 1797. In quest’anno, celebrandosi il 14 luglio la festa patriottica, si recitò la sera innanzi il Bruto primo, sì come rilevasi dalla Gazzetta Nazionale (2): c Una Società di giovani Patrioti Genovesi ha rappresentato nel Teatro da S. Agostino il Bruto Primo Tragedia di Vittorio Alfieri. Il concorso fu grandissimo. Gli energici sentimenti Repubblicani, di cui ridonda questa bellissima Tragedia hanno eccitato frequentemente i più fervidi applausi universali. Non può definirsi la vivacità del sentimento che anima i Genovesi per qualunque oggetto che presenti l’i-dea consolante della Libertà. Finita la rappresentazione gli attori medesimi hanno cantato una Canzone Patriotica accompagnata dall’ Orchestra e dal Coro del Popolo spettatore. Oh ! quanto è bello e grande questo spettacolo abbellito dalla gioia, e dall Universale entusiasmo d’ una Nazione rigenerata e felice; e quanto erano tristi al paragone quelle, che si chiamavano anticamente le Serate del Doge! 0 temporal 0 mores! ». La canzone, o meglio < inno patriotico » era stato composto dal « cittadino Paolo Bava » e si chiudeva con queste due strofe (3): Tutti eguali ci fe’ la natura, Non v’ è servo, padrone non v’è, Pera 1’ empio che folle congiura Le catene di renderci al piè. Ah ! pur troppo la ferrea catena Strascinammo col piede servii ; Genovesi cangiata è la scena L’ orgoglioso diventa il più umil. (1) Editi dal Renier nella cit. prefazione al Misogallo ecc. cit., p. xlii e Lxxxn. — (2) A. 1797, n. 5. (3) È stampato in un foglio voi. : Inno patriotico cantato dai cittadini 2l6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Venne poi replicato il Bruto al Falcone e al S. Agostino il io dicembre per beneficenza a prò dell' Ospedale (i). Altre tragedie dell’ Alfieri non furono recitate, a quanto sappiamo, nel periodo di quei commovimenti politici. Ben un nuovo Bruto comparve sulle scene dello stesso teatro nel carnevale del 1799; ma era nn dramma per musica nuovamente composta dal maestro Giuseppe Nicolini, e cantato da Giacomo David, Luigi Marchesi e Maria Marchesini. L’autore della poesia é Gaetano Marrè, il quale, anziché seguire la tragedia alfieriana, disadatta al melodramma per essere priva di donne e quindi d’ amori, si rifece a quella del Voltaire, di cui aveva tradotto in ottave, e poco innanzi pubblicato, il Candido (2). Giovane di ventisei anni, essendo nato il 7 giugno 1772, laureato in giurisprudenza a Siena, e poi di nuovo a Genova, secondo le patrie leggi, nel 1793, aveva accolto con gran favore le idee liberali, e fatto le sue prove nel Circolo Costituzionale, che teneva le sue adunanze nella chiesa dell’ università, dove con pensati discorsi sopra argomenti politici e morali, e con opportuni dialoghi catechistici si proponeva di rendere popolari i principi democratici, e di spiegare il linguaggio e la forma repubblicana di governo, si come avviamento a ben intendere la costituzione di recente promulgata (3). Fece parte del con- comico-dilettanti nel teatro da S. Agostino la sera dei 13 luglio 1797 1/1 occasione della tragica rappresentanza II Bruto. Dalla Stamperia del Cittadino Giambatista Caffarelli. (1) Il Censore, 1797, n. 14. (2) Bruto \ dramma per musica j in due atti | di Gaetano Marrè da rappresentarsi nel teatro da S. AGOSTINO | il Carnovale dell’anno 1799 j II della Repubblica Ligure | Stamperia Gesiniana. — Il Candido tradotto fu stampato in due volumetti dalla Stamperia Francese e Italiana degli amici della Libertà, Anno I della Libertà Ligure [1797-98], una ristampa ne procurò nel 1877 il prof. Francesco Carrara, nipote del Marrè, di sull’autografo, che comparve poi in vendita a Pistoia dal libraio Tomaso Beggi, nel suo cat. n. 151 del giugno 1893. Nella R. Biblioteca di Lucca si conservano dieci sue lettere autografe, (cfr. Eugenio Boselli, Francesco Carrara poeta, Lucca, Giusti, 1899, p. 30 sg., e AUGUSTO Boselli, Il Museo Carrara. Notizie. Lucca, Giusti, 1899, p. 7) sono collocate nella sezione Epistolario, vol. XII, η.· 23-32. Quasi tutte d’indole letteraria intorno alle poesie giovanili del nipote. (3) Circolo Costituzionale di Genova. Genova, Stamp. Francese e Italiana, 1798, pp. 68, 76, 152, 153, 154, 170, 219, 260, 302. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 21 7 siglio dei Giuniori, e venne in seguito chiamato nel seno del-Γ Istituto Nazionale (poi Accademia Imperiale e in fine Istituto Ligure). Non accettò nel 1804 1’ ufficio di supplente alla cattedra universitaria di belle lettere, ma nel 1815 fu proposto all’ insegnamento di diritto commerciale, e vi rimase fino alla morte avvenuta il 24 aprile 1825 (1). Le discipline giuridice da lui professate e che gli procacciarono bella fama, non gli furono impedimento allo studio delle lettere, ond’ ebbe varia e soda cultura, per cui il suo nome è rimasto in onore fra gli uomini chiari della Liguria. Le sue scritture intorno alla lingua ed alla letteratura italiana e francese che si leggono nei volumi dell’istituto, attestano quanto addentro sentisse alle dottrine letterarie ed alla lingua nazionale. Duole che non sia stato impresso un suo discorso intorno a Dante e nulla ci sia rimasto di quanto si proponeva scrivere sull’ opera del poeta, ma dal sunto che ne conosciamo, e da quanto si dice nel Prospetto delle vicende delle due lingue italiana e francese (2), ben si rileva com’ ei fosse studioso del divino poema, e come ad esso richiamasse gli italiani, perchè da quello doveva muovere ne’ suoi alti intenti 1’ educazione e la cultura della patria. L’anno stesso che l’Accademia di Lucca bandiva il concorso intorno al noto tema alfieriano, all’università di Genova veniva fra le altre premiata con medaglia d’ argento (premio istituito dal Lebrun traduttore del Tasso) una memoria dello studente Francesco Lencisa dal titolo: Confronto ragionato del nostro tragico Alfieri coi più celebri tragici della Francia (3) ; scrittura che ci dispiace non conoscere, perchè ci avrebbe manifestato i criteri ed i giudizi sull’opera dell’astigiano professati a quei dì dai cultori della poesia, considerando che insegnava belle lettere fino dal 1803 Giuseppe Solari, da noi già menzionato, a cui di fresco (1805) si era aggiunto Faustino Gagliuffi. Usciva intanto la dissertazione del Carmignani che (1) ISNARDI, Storia dell’Univ. cit., II, 187, 208, 263. — VINCENZO] A[lizeri], Gaetano Marre, in Appendice ai tre volumi della raccolta degli elogi di Liguri illustri, Genova, Molinari, 1873, p. 186 sgg., biografia comparsa prima nel Giornale degli studiosi, 1869, I, 339 sgg. — Gazzetta di Genova, 1825, n. 34. (2) Memorie dell’ Istituto Ligure, Genova, 1806, I, 72 sg., 136 sg. (3) Gazzetta di Genova, 1806, n. 71. 2lS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ottenne il premio e diede luogo ad una contesa letteraria durata più anni. Ad essa si propose rispondere il Marrè, ma Γ o-pera sua tardò assai tempo ad essere fatta di pubblica ragione e non vide la luce che nel 1818, sebbene già innanzi ne avesse letto alcune parti all’ Istituto Ligure, e stampato il confronto delle tre Meropi (i). L’ anno stesso 1’ Accademia Italiana propose un premio per una dissertazione intorno alle tragedie di Alfieri, e il concorso doveva scadere nel maggio del successivo anno (2): non ne conosciamo il risultato, ben ci è noto quello dell’ altro concorso bandito nel marzo 1818 dall’Accademia delle Scienze di Torino. Il marchese Ludovico Arborio Gatti-nara di Breme offrì all’ accademia di far coniare a sue spese una medaglia d’ oro del valore di trenta zecchini, da assegnarsi a quel lavoro sulle opere tragiche dell’ Alfieri che fosse giudicato il migliore. Accolse l’accademia sì fatta proposta, e una commissione, eletta dalla Classe di scienze storiche morali e filolofiche, composta di Vernazza, Saluzzo, Grassi e Biamonti, (che ne fu 1’ estensore) compilò il relativo programma, nel quale è detto: « Nessuna cosa più accende gli animi degli uomini alle grandi opere, che l’esempio, e massimamente di coloro che nati sotto lo stesso cielo giunsero ad acquistarsi perpetua fama o nelle armi o nelle lettere o in qualunque altra parte dell’ umano valore. Tra questi per tutta Italia è sommamente onorato il conte Vittorio Alfieri. Perciò l’accademia Reale delle Scienze, pensando che a lei principalmente e a tutta la nazione si conviene onorare la memoria di un tant’uomo, per contraccambiarlo dell’ onore eh’ egli ha fatto e fa al Piemonte, non altrimenti che la Città di Firenze veggendo dagli altri Italiani lodato attentamente il suo gran poeta Dante invitò i Toscani a mostrare i pregi del suo poema, tra i quali il Boccaccio fu il primo; così ella eccita i nazionali, cioè i sudditi e antichi e nuovi di Sua Maestà il nostro Re a quest’ uffizio debito insieme e glorioso: e propone una medaglia d’oro del valore di trenta zecchini a chi farà la migliore dissertazione sopra il merito tragico del conte Alfieri; mostrando in quale stato fosse la tra- (1) Vera idea della tragedia di Vittorio Alfieri. Genova, Bonaudo, 1817. — Memorie cit., Ili, 377 sgg. — Dell’ opera del Marrè diede favorevole giudizio Silvio Pellico nel Conciliatore (1818, nn. 2 e 8). (2) Gazzetta di Genova, 1817, n. 98. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2ig gedia Italiana, quando egli si diede a tal genere di componimento, e a qual grado di perfezione abbia innalzata questa parte, forse la più difficile, della poesia. E siccome novella-mente un celebre scrittore Tedesco ha fatto delle opere del Ί ragico Italiano una- rigida censura, così quegli che vorrà scrivere sopra questo soggetto dovrà esaminare i giudizi di quel critico; dei quali poiché alcuni derivano da un certo suo nuovo sistema sull’Arte Tragica converrà penetrare più addentro nei principii sui quali egli si fonda. Il che gioverà insieme a mostrare qual sia la vera natura della Tragedia in generale, e di quella che può solo piacere nel Teatro Italiano ». Allorquando il Marrè ebbe conoscenza del riferito programma scrisse al Segretario generale dell’Accademia Vassalli-Eandi, questa lettera: Ven.m0 Signor Professore, Per mano del S.r Marchese Nicolò Crosa, Ella riceverà un Esemplare dell’Opera mia sulla tragedia del Conte Vittorio Alfieri, e la prego a presentarlo in mio nome a cotesta R. Accademia, di cui Ella tanto meritatamente è segretario perpetuo. Ho veduto il programma da essa pubblicato in cui propone un premio a chi farà la migliore Dissertazione sul merito tragico del Conte Alfiieri, ed è questo appunto il tema da me diffusamente trattato. Fu pure mio scopo di mostrare qual sia la vera natura della tragedia in generale, e confutando il S.r Carmignani, credo di aver confutati, almeno indirettamente molti errori del Tedesco Censore, di cui non ho conosciuto 1’ opera se non dopo che già il mio manoscritto era in mano dello stampatore. Sono ben lungi però dall’ immaginarmi di aver adeguata 1’ intenzione della R. Accademia, e spero soltanto che per averla in qualche parte prevenuta, Ella accoglierà più cortesemente l’omaggio che mi glorio d’offrire al merito di tanti uomini illustri e grandi nelle scienze e nelle lettere, che la compongono. Oso soltanto supplicare la R. Accademia a degnarsi di assumere 1’ esame del mio libro, e di darne giudizio. In tal guisa, mentre altri più degni di me aspireranno al premio della medaglia d’ oro, io sarò contento di poter aspirare a quello della sola sua approvazione. La prego a farsi mio intercessore: profitto intanto di questa occasione per attestare a V. S. particolarmente, tanto a me nota per fama, 1’ alta stima che le professo, e la più distinta considerazione con cui mi dico Di V. S. Ven.mo Sig. Professore Genova 9 maggio 1818 Dev.mo Obb.mo Serv.re Gaetano Marrè. 220 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Sembra da questa lettera che egli non avesse in animo di presentarsi con un nuovo lavoro al concorso; ma, sia che ne fosse da altri eccitato, o vi ripensasse egli stesso, certo è che mandò in tempo utile il suo manoscritto contrassegnato dalle parole di Giovenale : tenet insanabile multos scribendi cacoethes. La Classe nella seduta del 25 giugno 1819, in seguito alla relazione di Giuseppe Grassi, a nome della giunta esaminatrice, giudicò che nessuna « delle dissertazioni » aveva « soddisfatto pienamente » alle prescritte condizioni ; riferendosi però a quella del Marrè, aggiunse che « Γ autore merita lode per aver esposti copiosamente molti pregi particolari delle tragedie del Conte Alfieri » ; il quale giudizio ebbe il 29 la plenaria sanzione dell’ Accademia (1). Il marchese di Breme rimasto possessore della medaglia ed arbitro quindi di disporne a suo talento, la rimise sul cadere del 1820 al Marrè (2). Il quale fece stampare nel seguente anno la sua dissertazione, che non risponde in vero al tema proposto dall’ accademia salvo che in parte, e cioè nella confutazione dello Schlegel ; sembra anzi sia stato questo il suo fine principale, quasi ad integrazione dell’opera antecedente (3). Ma 1’ annunzio di questo conferimento della medaglia, e le lodi al critico genovese, con evidenti e troppo vivaci allusioni al Carmignani (4), che stava (1) Questi particolari mi furono comunicati dal dott. Ferdinando Neri già ricordato, il quale, per gentile concessione dei proff. Ferrerò e Renier, ebbe agio di esaminare le carte nell’Archivio dell’Accademia. Cfr. anche Manno, Il primo secolo della R. Accad. d. Scienze di Torino. Torino, Paravia, 1883., p. 81. (2) Gazzetta di Genova, 1820, n. 97. (3) Sul merito tragico di Vittorio Alfieri. Milano, Silvestri, 1821. A p. 5 in n. è prodotto il giudizio sommario dell’Accademia. (4) Il Ricoglitore compilato per Davide Bertolotti. Milano, 1821, vol. XII, p. 59 sgg. Vi si legge : « Divisava [il marchese di Breme] di riaprire il concórso, allargando i patti e le ricompense, quando gli si presentò innanzi la bella e giudiziosa opera dell’ avvocato Gaetano Marrè, intesa a confutare la sì nota dissertazione sulle Tragedie dell’Alfieri, composta in Toscana, per cenno, dicono, di una principessa a cui non gradivano i forti pensamenti dell’Astigiano. Essa, dice il Marchese in una sua lettera a stampa, riempiva compiutamente il mio scopo, per essere scritta da un suddito del re di Sardegna (condizione del programma), e con qìiella cognizione dell’arte e prò- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 221 allora preparando la terza stampa della sua dissertazione, provocò una salace lettera pseudonima dove il Marrè non è risparmiato, quantunque lo si consideri per equivoco come morto (i). Egli tuttavia era vivo e vegeto, e fu anche a tempo di entrare a far parte dell’Accademia di Torino, come corrispondente, in seguito a proposta del Balbo presidente, il 18 marzo 1824. Della difesa dell’Alfieri fece poi ricordo una canzone consacrata alla sua memoria, co’ versi seguenti: Primo si schiuse il varco Al favellar d’ Alfieri il genio atteso, Onor d’ Ausonia e meraviglia insieme, Che fe’ dal delfic’arco Egli volar primiero L’italo strai fino alle prode estreme, E dono eterno a noi Fe de’ bei carmi suoi, Che nel tragico arringo ogn’ altro vinse, E l’invidiato invan lauro si cinse. Così scriveva Gian Carlo di Negro (2), il quale aveva conosciuto il poeta a Firenze, là dove s’ era trattenuto nelle sue peregrinazioni, siccome ci narra egli stesso in rima pedestre (3): fondita di criterio c di ertidizione da cui solo pub scaturire un giudizio, ancorché critico, assennato ed imparziale. A questo benemerito ed erudito Compaesano, vindice dell’ inclito Tragico, mi sono creduto in dovere di dirigere l'effigie del medesimo in oro ». — Biblioteca Italiana, 1821, vol. XXI, p. 256. (1) Lettera del signor Giuliano Ricci studente nell’università di Pisa al Ricoglitore milanese. Pisa, Nistri, 182 I. La Biblioteca Italiana (vol. XXIII, p. 274 sgg.) annunziando l’opuscolo, dice: « Esso è scritto con tanto amore per il sig. Carmignani, che pare del sig. Carmignani medesimo ; ma il più bello di questa controversia si è 1’ errore in cui è caduto 1’ autore credendo che il sig. Marrè sia morto, perchè tempo fa fu annunciata la morte di un avvocato Marrè, che non è però 1’ autore della Dissertazione ultimamente premiata colla medaglia fatta coniare a spese del sig. Marchese De Breme, nè 1’ autore dei due volumi apologetici deH’Alfieri ». (2) Odi alla memoria di alcuni ottimi suoi concittadini. Genova, 1829; Par. 2, p. 21. (3) Vita scritta da esso. Genova, 1854, p. 28, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ivi [godeva un placido riposo Alfieri, nostro tragico famoso, E, sua mercè, fui, (vanto inaspettato !) Dalla duchessa d’ Albany onorato. * * * Abbiamo veduto che dopo la comparsa per le stampe delle tragedie d’ Alfieri nessuna ne fu portata sulle pubbliche scene genovesi innanzi al 1797; ma non dobbiamo dire altrettanto per i teatri privati. Paolo Giacometti, parlando dell’ab. Gaetano Lavagnino, che fu chiamato intorno al 1828 ad insegnare poetica nel Collegio reale di Genova, dove promosse la recitazione delle tragedie alfieriane, racconta : « Convien sapere che il prof. Lavagnino era stato amantissimo del teatro in giovinezza, e buon filodrammatico, non essendogli mancato l’onore di recitare con Vittorio Alfieri in Genova nel palazzo della marchesa Luigia Pallavicini, (per la quale essendo caduta da cavallo sulla riviera di Sestri, dettava il Foscolo la magnifica ode, e nel cui teatro domestico recitò il Filippo lo stesso Vittorio Alfieri), sostenendovi la parte di Gomez. E fu a proposito di questa recita che il Professore raccontava un fattarello che io non penso di ommettere; ed eccolo qui. Sul principio del secondo atto, al finire della prima scena fra Filippo e Gomez tre versi esistevano in origine, che furono ommessi in seguito ; ed ecco qui. Dopo i versi ..........Vien la regina Qui fra momenti ; e favellare a lungo Mi udrai con essa : ogni più picciol moto Nel di lei volto osserva intanto, e nota : Affiggi in lei 1’ indagator tuo sguardo ; Quello, per cui nel più segreto petto Del tuo re spesso anco i voler più ascosi Legger sapesti, e tacendo eseguirli, qui seguitava: Carlo quindi verrà: perchè ad entrambi Il difidar di tua presenza io tolga, Prendi ; ma bada, il tuo dover qui cela. Dopo di che Filippo consegnava a Gomez un volume da leggersi a bassa voce, senza punto osservare i sopradetti per- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 223 s°naggi, tosto che fossero stati presenti. Ma la consegna del libro e la lettura del medesimo, non parve tragica all’ autore astigiano e soppresse i versi. Pareva al prof. Lavagnino che Alfieri avesse fatto male, e pare anche a me. Motivo per cui riportai i versi, dai lettori forse ignorati, e che un qualche attore, rappresentando il Tiberio delle Spagne, potrebbe utilmente riprodurre, certo come io sono che Vittorio Alfieri non gli sdegnerebbe se vivesse » (i). Se Γ aneddoto fosse in tutto attendibile, converrebbe ammettere una dimora dell’Alfieri a Genova, quantunque breve, fra il 1789 e il 1800, perchè appunto nel 1789 la Luisa Ferrari sposò Domenico Pallavicini (2), e se mai assegnarla al periodo corso dal 1793 al 1795 in cui il poeta entrò « in un nuovo perditempo, quello di recitare » e finì col rimanere, « quanto al teatro, morto da re » in Pisa nel Saul (3). Ma egli, così minuzioso in questi particolari, non ne ha lasciato ricordo nell’autobiografia, e d’altra parte il Lavagnino, morto nel 1845, in età di 47 anni (4), non poteva aver conosciuto l’Alfieri. In questo aneddoto la memoria non ha servito bene il Giacometti E certo tuttavia che il Lavagnino, secondo abbiamo per altri ricordi, frequentava la casa della Pallavicini e vi soleva condurre altresì de’ suoi alunni a recitare delle poesie, specialmente la nota ode del Foscolo (5), di che la gentildonna assai si compiaceva, e ciò dovette avvenire dopo il 1828, mentre insegnava nel collegio reale; il che darebbe ragione di credere che fin dalla sua giovinezza frequentasse quella casa, e vi prendesse anche parte a rappresentazioni, di cui in vero non è rimasta memoria, ma che si solevano fare nelle conversazioni del patriziato genovese. Ma se queste son dubbie, altre ne conosciamo per sicura testimonianza poiché un encomiaste del Lavagnino asserisce che « il chiericato romorosamente applaudivalo quando nelle rappreseniazioni dei drammi sacri di Pietro Metastasio e delle scelte alfieriane (1) Aleatorie ms. alla Bili. Civica di Genova, p. 329 sgg. (2) Belgrano, Jmbreviature di Giovanni Scriba, Genova, 1882, p. 286. ^3) Vita cit., p. 280 sgg. (4) Doria, La chiesa di S. Matteo. Genova, 1860, p. 183. Era nato in Sestri Levante il 24 novembre 1799. Cortese comunicazione dell’arciprete prof. Vincenzo Podestà. (5) Belgrano, op. cit.; p. 281. 224 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tragedie, che nella grand’ aula del Seminario, i giorni carnevaleschi si davano, egli sì bene le parti del protagonista adempieva, che attore compito, dagli esperti eziandio, poteva essere avuto » (ij. Quanto ai tre versi sopra ricordati possiamo asseverare non essere stati scritti dall'Alfieri, poiché non si trovano nelle prime versificazioni della tragedia, nè il concetto sostanziale si legge nella primitiva stesura in prosa. La consegna e la lettura del libro sono poi di quegli espedienti, che, come è noto, non potevano piacere al tragico astigiano, siccome la fattura dei versi non apparisce conveniente al suo stile. Noi crediamo che questa giunta non necessaria e inopportuna sia piuttosto da attribuirsi a qualche attore o al Lavagnino stesso, a cui parve dover giustificare in questa guisa la presenza insospettata di Gomez, in quelle due scene nelle quali suo ufficio è di osservare e tacere. Ma se le rappresentazioni ricordate dal Giacometti in casa Pallavicini sul cadere del secolo, presente l’Alfieri, non possono ammettersi, certo è che in altre case patrizie ebbero luogo. Ci soccorre in ciò la testimonianza di Gaetano Marrè, il quale nella dedicatoria, al marchese Brignole Sale del suo libro contro il Cnrmignani, lasciò scritto: « Voi, uscito appena dall’infanzia, cominciaste a discernere e a gustare le bellezze delle tragedie d’Alfieri. Voi, giovinetto, ne rappresentaste con arte ammirabile i principali personaggi sul vostro teatro nella magnifica vostra villeggiatura di Voltri, e in Genova sovr’ altri privati, eretti a bella posta » (2). (1) PlCCALUGA, Elogio dell’ ab. G. Lavagnino. Savona, 1845, p. IO. (2) Antonio Brignole Sale era nato il 22 agosto 1786. Egli deve aver conosciuto nella sua prima giovinezza l’Alfieri, come di certo lo conobbe sua madre Anna Pieri senese, la quale fu anche in relazione con la contessa d’Albany, secondo si rileva da alcuni accenni nel carteggio di lei testé pubblicato (PeliSSIER, Le portefeuille de la comtesse d’Albany, Paris, 1902), e nella corrispondenza con la Teresa Mocenni che il Pelissier si appresta a mandare in luce. La contessa mantenne le sue relazioni con Antonio e la moglie di lui Artemisia Negroni. Esiste ancora un dovizioso archivio Brignole, ma pur troppo inaccessibile. Non sappiamo se ad esso siano tornate le carte che dalle figlie di Antonio vennero consegnate nel 1867 a Don Giacomo Margotti che si proponeva di scrivere una larga biografia di quell' illustre genovese icfr. Giornale degli Studiosi, 1869, II, p. 348), proposito non mandato GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 225 Quanto è de’ pubblici teatri assai tardi troviamo memoria di codeste tragedie portate sulle scene. Infatti dopo la memorabile rapprerentazione del Bruto nel 1797, discendiamo al settembre del 1812 in cui si vede recitata nel teatro da S. A-gostino (ora Nazionale) la Rosmunda, poi in quello di Campetto il novembre dell’anno seguente V Antigone ; il marzo del 1814, nel primo, il Filippo, dove furono date quindi nel 1815 il Saul e \' Ottavia, e nel 1616 ancora il Filippo (1). L’anno successivo non ne comparisce alcuna, ma nel 1818, la compagnia Granara, alternando le recite nei teatri di Campetto e del Falcone, produceva le tre Meropi, del Maffei, del Voltaire, e del-l’Alfieri; rappresentazione comparativa certamente suggerita dall’ opera del Marrè uscita appunto nel febbraio di quell’anno medesimo. Seguirono poi il Filippo, V Antigone, il Polinice, il Sani, e la Mirra, più sere ripetuta, nella quale si distingueva la prima attrice Amalia Vidari (2). La stessa compagnia, dove faceva le sue prime prove Nicola Medoni, attore e scrittore al-fiereggiante, tornò 1’ anno appresso, e pur recitando le stesse tragedie consacrò al teatro da S. Agostino una speciale serata alla gloria del poeta astigiano. L’u dicembre la Gazzetta annunziava : « Oggi, festa destinata ad onorare la memoria di Alfieri, si darà la Sofonisba dello stesso autore, preceduta da un’ introduzione a forma di prologo, e cori in musica. Dopo la tragedia, altra azione spettacolosa: la scena verrà trasformata nel tempio della Gloria: e per ultimo una pioggia di poesie e di colombi. Il teatro sarà illuminato anche esternamente » (3). Con queste onoranze tributate in Genova alla memoria ed ad effetto. Intorno al Brignole «lire a necrologie e cenni in dizionari biografici non abbiamo che il breve Commentarius de vita Antonii Brignoli-Salii (Genuae, 1881), lavoro giovanile del prof. Angelo Sommariva. (1) Gazzetta di Genova, 1812, n. 79; 1813, 11. 95; 1814, n. 20; 1815, ■'· 53. 74 : 18ϊ6, 11. 58. (2) Gazzetta cit., 1818, 11. 18, 70, 77, 79, 83, 91, 93. 3 Ivi, i8'9, ii. 99. I.’ « azione spettacolosa » potrebbe essere la seguente : L’ apoteosi di Vittorio Alfieri : Dramma allegorico di GIOVANNI yUA/.ZI primo attore e tragico comico della Compagnia di Venier da rappresentarsi pei■ la prima volta nel teatro d'Asti li 21 giugno 1815, per la di lui beneficiata. Asti. Stamperia Pila, 1815. Non ne conosciamo che il ti- olo (Manno, Bibliog. Stor. d. Stati d. Mon, d. Savoia, II, 408). G torti. SI. e L,cit. della Liguria 14 226 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA alla fama dell’Alfieri noi chiudiamo la nostra rassegna teatrale, tanto più considerando che siamo ormai vicini a quel tempo in cui, costituitasi la celebre compagnia reale, si videro quindi innanzi sulle scene genovesi le tragedie che di quel grande essa aveva inscritte nel suo repertorio. Ben ci piace osservare che codesto risveglio fra noi del culto alfieriano, corregge in qualche guisa la trascuranza dimostrata dai giornali contemporanei all’ anuunzio della morte di Alfieri (i), mentre un modesto insegnante della finitima Lunigiana, Domenico Nardini, che aveva tentato il coturno, tradotta VAlzira e provatosi a dar veste italiana a Virgilio e ad Orazio, volgeva i suoi voti ad Igea, « aegrotante Alpherio », così (2): Aspice qui languet morbo correptus acerbo Præsidium Ausonii Alpherius lumenque Cothurni, Eximium ac Phoebi decus Aonidumque Sororum ; Aspice qui venis febrilis inæstuat ardor, Ut rugis ora ac macie juvenilia pallent ; Ut torvis oculis patientem extrema tuetur Et celeres tendit jam jam missura sagittas Mors arcum. O felix adsis, telumque repelle Lethiferum, ac aegrae redeat vis pristina menti Atque vigor lateri, praereptum ac faucibus Orci Oro suum Italicis Sophoclem columenque Theatris, Et serves animæ quæ pars est maxima nostræ. Qnod si contrigerit vim saevæ evadere Mortis, Marmore de Pario stabis nostro ipsa sacello, Hocque die nobis festo redeunte quotannis Debitus ante tuas agnus mactabitur aras. * * ·* Vittorio Alfieri, considerando i genovesi nella singolare loro essenza etnica, come fosse trascinato incosciamente da vecchi rancori regionali, trovò tale argomento di biasimo, da (1) Il Monitore Ligure reca (n. 82, 15 ottobre) con la data di Milano la notizia, evidentemente ritagliata dal Redattore Italiano ; e la Gazzetta Nazionale (n. 18), attingendo alla stessa fonte, se ne passa con poche righe di cronaca asserendo per di più eh’ ei morì a Milano ! (2) Saggi poetici e letterari. Massa, Frediani, 1823, p. 399. Per la biografia del Nardini cfr. Sforza, Cronache di Massa di Lunigiana, Lucca, 1882, p. vin sgg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 22J far sì che divenisse tagliente contro di essi la sua penna satirica. Ma allorquando il suo pensiero assurse alla magnanima visione della libertà dell’indipendenza e dell’unità della patria, prendendo forma insieme di monito solenne e di fatidica divinazione, sfolgorò con esempio significativo i diuturni odi fra Genova e il Piemonte, per rilevare quanto tornassero esiziali al gran concetto unitario (i). In quel punto parve persino gli risuonasse all’ orecchio, se non grata, certo meno ostica la « parti-colar melodia » del Sci genovese, comunque fosse un « bastardume » rispetto al si della lingua nazionale, ma non meno italiano per questo del piemontese, donde si fa manifesta la comunanza della patria: di quella « Venerabile Italia » cioè, la quale « inerme, divisa, avvilita, non libera ed impotente », dovrà pur « un giorno risorgere, virtuosa, magnanima, libera ed una » (2). Or quella Genova, con tanta violenza, che è quasi acrimonia, sferzata a sangue dal poeta astigiano, era destinata a togliersi memoranda e dignitosa vendetta, accogliendo e scaldando nel propio seno l’alto concepimento nazionale unitario da lui bandito, e a generare l’apostolo che raccolse e promosse con alfie-riana tenacia l’eredità politica di quel grande: Giuseppe Mazzini. Achille Neri LE « FAVOLETTE DA RECITARSI CANTANDO » DI GABRIELLO CHIABRERA I. Primo Γ Allacci nelle Apes urbanae (Roma, Mascardi, 1666) registrò tra le opere del Chiabrera sei composizioni: Amure (lì Misogallo, ed. ReX1 lik. p. 16. Ci sembra notevole il ricordare a questo proposito per affinità di concetto ciò che scriveva il Mazzini nel 1833: «Vedemmo Piemonte e Genova ostili per memoria di antica inimicizia fremere l’un contro 1’ altra sicché furono detti nemici irreconciliabili: ma quando? — quando da un lato stava una monarchia rapace e ingiusta, dall’ altro una aristocrazia gelosa e tirannica, e il popolo era nullo nei due paesi ». Ciò nello scritto memorabile Dell’ unità italiana. — (2) Misog. cit., pp. 13-15-16. 228 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sbandito, La pietà di Cosmo, Il Ballo delle Grazie, Orizia, Poli/emo geloso, Il pianto d’Orfeo facendo seguire a tutte il rimanente del titolo uniforme : Dramma musicale di Gabriello Chiabrera rappresentato innanzi all’Altezza di Firenze sotto nome di Vegghia, Genova, appresso Giuseppe Pavoni, 1622, in-8, (1). Evidentemente si doveva trattare di uno di quei volumetti venuti di moda nei primi anni del secolo decimosettimo, composti di più parti, ciascuna con proprio frontespizio, come appunto ne abbiamo un altro esempio nella edizione delle Rime dello stesso Chiabrera stampata a Venezia, per il Combi nel 1605. Dei due bibliografi liguri che stamparono le loro opere l’anno seguente 1667, il Giustiniani (Scrittori liguri ecc., Roma, Tinassi, 1667) che stampò in Roma ripetè l’indicazione dei sei drammi ma riferendosi all’Allacci; Raffaele Soprani (Li scrittori della Liguria, Genova, 1667), che forse non conobbe subito l’Allacci, quantunque genovese, nel breve elenco di scritti chia-brereschi non allega alcuno dei sei drammi. Poco appresso Agostino Oldoini (Athenaeum ligusticum ecc., Perusiae, 1670, pp. 213-14) nel crudo elenco chiabreresco cita i drammi in latino: Gratiarum saltatio Drama musicum, Genuae, 1622, e così di seguito Amor exui, Oritia, Luctus Orphaei, Polyphemus zelotypus: non dando quindi alcun affidamento di aver proprio veduto il volume stampato e trascurando La pietà di Cosmo. Anche 1’ ultimo bibliografo del Chiabrera, il Varaldo, non fa che riferirsi agli antichi sopranominati (2). Io ho ricercato l’edizione del 1622 non solo nei principali depositi d’Italia quali Firenze, Roma, Venezia, Genova, Napoli, Bologna, Torino, ma anche là dove per le corti esistenti in addietro e per le relazioni del poeta con alcune di esse era supponibile si potesse ritrovare, come Mantova, Parma, Ferrara e nella Reale di Torino; nè tra- fi) Nel rifacimento dell’Allacci (Dramaturgia, Venezia, Pasquali, 1755) le indicazioni sono mantenute, con 1’ aggiunta di un errore, e cioè per VAmore sbandito, per l’Orizia, per il Polifemo e per il Pianto d'Orfeo è detto che furono ristampati nelle collezioni chiabreresche di Roma, Salvioni, 1718 e di Venezia, Geremia, 1731, mentre invece non vi si trovano. (2) Bibliografia delle opere a stampa di G. C., Genova, Sordo - Muti, 1886; e Supplemento ecc., ib., 1888, e Secondo Supplemento, Savona, Bertolotto, 1891. — E da notare che per una confusione avvenuta il Varaldo cita due volte l’Amore sbandito al n. 79 e al n. 94. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 229 scurai Parigi, Londra, Berlino, Vienna, e l’esito fu interamente negativo: però è quasi lecito dubitare almeno dell’esattezza della prima registrazione deH’Allacci. Quattro, tuttavia, di questi drammi musicali ci furono conservati in altre stampe, anche queste di massima rarità; YOrizia, il Polifemo e il Pianto d'Orfeo, ciascuna precisamente con proprio frontispizio, formano il volumetto Favolette \ Di Gabriello | Chiabrera. | Da rappresentarsi cantando. | [impresa] | In Firenze, I Per Zanobi Pignoni, 1615. | Con licenza de’ Super.; (8° picc., pp. 45 più 3 bianche) (1); da sola invece fu impressa la Vegghia \ delle Gratie \ di Gabriello Chiabrera | fatta ne’ Pitti. I 11 Carnevale dell’anno 1615. | In Firenze, per G. B. Antonio Caneo | Con licenza de’Superiori ; (4°, pp. 13 e num. 3 bianche). E notevole che soltanto questo Ballo o Veglia delle Grazie passasse nelle varie collezioni delle opere del Chiabrera, insieme col Rapimento di Cefalo, altra favoletta stampata a Firenze, per il Marescotti, 1600 in due diverse edizioni, l’una in caratteri tondi, l’altra in caratteri corsivi, e subito riprodotta con le Rime, Venezia 1601 e 1605; indizio questo dell’estrema rarità dell’altro volumetto testé ricordato. La Pietà di Cosmo e VAmore sbandito sono pertanto smarrite, quasi senza speranza ornai di rintracciarle, come quella Rosalba che il poeta inviò a Mantova nel 1611 (2); al Neri dobbiamo invece l’identificazione della Galatea, apparsa anonima e come d’incerto autore registrata dall’Allacci, in un raro opuscolo nel 1614, e con mutazioni e accrescimenti ristampata, sempre anonima, nel 1617 (3). (1) Non se ne conobbe per gran pezza se non l’esemplare segnalato nella Nuova Serie de’ Testi di lingua italiana descritta dal cav. ANTONIO Bertoloni secondo la sita propria collezione, Bologna, 1846 (n. 333), dal quale ne fu tratta una copia ms. per l’Universitaria di Genova icfr. Varaldo, Op. cit., n. 57) ; ma dispersa la raccolta Bertoloni se ne smarrirono le tracce. Io ne ho trovato un altro esemplare dal quale le ho riprodotte ne’ miei Albori del melodramma, (Palermo, Sandron ), vol. III. (2) Cfr. Neri, G. C. e la corte di Mantorva nel Giorn. Stor. d. lett. italiana, VII, 337-340. — Anche l’Angelica in Ebuda fu prima, intorno al 1595, una favoletta (cfr. ib., pp. 332-333), ma divenne poi tragedia, e come tale stampata a Firenze, Pignoni, 1615 d’onde fu ripetuta nelle opere. (3) La Galatea | Favola maritima | [stema del card.le Ferd. Gonzaga] | In Mantova, presso Aurelio et Lodovico j Ostanni fratelli stampatori ducali | 230 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA Sono dunque di fronte ad una serie di operette del poeta savonese tutte assai rare, e, come la Galatea, quasi abbandonate da lui, il quale infatti fra il 1636 e il 1637 scriveva al Giustiniani : « In lunga età ho composte moltissime cose, parte per mia vaghezza, parte per tentare la liberalità dei Prencipi, parte per prova di studio, parte per musica e per compiacimento » ; e sono proprio queste ultime le abbandonate com' egli attesta all’amico in altra lettera del 18 luglio 1635: « V. S. sarà con scene e con tragedie ; piaceri e conforti da me provati, e finalmente disprezzati come ciancie » (1). II. Con tali « ciancie » e con simili « veglie » e balletti rappresentativi incominciò il melodramma; non è adunque inopportuno raccogliere le poche tracce che delle favolette ci sono rimaste. E la prima traccia, dopo il cenno aW'Angelica del 1595 già richiamato, io credo d’indovinarlo in una lettera che il maestro Marco da Gagliano scriveva al principe Francesco Gonzaga da Firenze il 3 dicembre 1607: « Fatto il Natale senza dubio alcuno mi trasferirò costì per servir S. Ec. 111.ma, e prima verrei quando vedessi necessità particolare, dicendoli come di continuo mi vo mettendo in ordine con opere convenevoli al tempo et al desiderio suo et in particolare avrò appresso di me una fa-voletta per recitar cantando, quando a S. Ecc. piacessi servirsene, opera da potersi condurre in breve e facilmente, e questo 1614. Con licenza de' Superiori; in-8, pp. 32. [Com.,e di Mantova — Vitt. Em.le di Roma]. — Gli amori \ d'Aci, e di Galatea \ Favola | maritima I [stemma] | In Mantova, | Appresso Aurelio et Lodovico Osanna fratelli, I Stampatori ducali ; in-8, pp. 40. — Cfr. NERI, La Galatea in Studi bibliografici e letterari, Genova, Sordo-Muti. 1890, pp. 129-152. — Anche questa favoletta, con i due testi a riscontro, fa parte degli Albori del tne-lodramma cit. (1) Chiabrera, Lettere al Giustiniani edite da G. F. Porrata, Genova, Pellas, 1829, pp. 86-87 e Ρ· 51· — ^ !4 ottobre 1636 alludeva forse ad una delle favolette scrivendo: « Quindi repente si sono fatte sentire bufere settentrionali spaventose et ancora non restano. Sembra che Borea sia invaghito di rapire alcuna novella Orizia » (ib., p. 84). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 23 I li accenno per farli vedere che non penso ad altro che a servirla » (i). Il Chiabrera già da qualche anno serviva i musicisti fiorentini di componimenti (2), e l’intitolazione di « favoletta da recitar cantando » è proprio sua; di lui inoltre sono note le relazioni strette e cordiali con la corte Mantovana, e però il Da Gagliano non poteva promettere cosa più opportuna e gradita; certamente il poeta avrà aderito con piacere a contribuire co suoi versi alle feste di quel carnevale del 1608 che si aveva ragione di fare maggiori del solito perchè il 24 dicembre 1607 era stato eletto cardinale Ferdinando Gonzaga grande amatore e cultore di lettere e di musica. Non è inopportuno ricordare che si aveva da lottare col confronto dell’anno precedente quando, oltre ad una commedia, si era rappresentato 1 Orfeo del Monteverde, sul quale allora non si poteva contare perchè tutto occupato nel-l’Arianna che si preparava per le nozze del principe Francesco nel prossimo maggio. Quando poi si consideri che il Rinuccini era nel dicembre ancora attorno al libretto de\VArianna, e aveva appena ampliata la Dafne che il Da Gagliano aveva di nuovo musicata, è facilmente provato che questa non poteva essere la « favoletta » preannunciata, opera da potersi condurre in breve e facilmente, perchè proprio perla recita della Dafne le cure furono minuziose e infinite, come narra lo stesso Gagliano nella ben nota prefazione allo spartito di essa. Inoltre è certo che appunto oltre la Dafne, data nel gennaio, ci fu un’altra rappresentazione musicale; poiché se una lettera del Peri al cardinale Ferdinando del 10 marzo contiene congratulazioni per l’esito della Dafne, da un’altra dell’8 aprile al medesimo apprendiamo che era « universalmente volato il grido a Firenze quanto allegramente e virtuosamente loro A.se S.me habiano passato i giorni carnevaleschi con le due feste recitate in musica con plauso di tutta Mantova e in particolare la Dafne..... » (3). (7) VOGEL, Marco da Gagliano in Vierteljahrsschrifi für Musikwis-senschaft, 1889, Doc. I. (8) Solerti, Le origini del melodrama. Testimonianze dei contemporanei raccolte, Torino, Bocca, 1903, p. 58 e 133. (9) Cfr. Davari, Claudio Monteverdi, Mantova, 1885, p. 14. — Anche in quella lettera del 9 marzo in cui il segretario Annibaie Chieppio annuncia la morte della famosa Caterina Martinelli si rammenta il merito di lei « nelle 232 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La mia ipotesi adunque che fosse allora rappresentata una favoletta del Chiabrera ha tutte le probabilità, tanto più che appunto il Chiabrera preparava per le feste del maggio seguente i famosi intermedi che ecclissarono 1 Idropica del Guarini e il cartello per il torneo, e che proprio in quel periodo di tempo egli era tutto inclinato a queste « ciance », come or ora vedremo. Il poeta, dopo aver partecipato alle feste nuziali di Mantova nel maggio e nel giugno, nel settembre era stato chiamato a Firenze per le altre nozze di Cosimo II con Maria Maddalena d’Austria che ebbero luogo nell’ottobre, in gara di magnificenza con quelle di Mantova. Il Chiabrera scriveva il 28 settembre al cardinale Gonzaga : « Ho composto una canzone sopra il balletto a cavallo..... particolare del Ser.mo Principe e perdo assai che V. S. Ill.ma non sia qui, perch’ella mi avrebbe fatta grazia di porgerla a S. A .... A S. A. apparecchio due favolette per doversi rappresentare cantando; una tutta lieta e festosa, e l’altra dolorosa; non so quanto sarò fortunato con le Muse questa volta che tanto m’importerebbe; è qui facendo fine umilmente faccio riverenza a V. S. Ill.ma e R.ma..... » (1). La canzone è certo quella Per lo balletto a cavallo fatto dal Granduca Cosimo nelle sue nozze, balletto che ebbe luogo il 27 ottobre (2); ora questa canzone comincia così: Poiché gli abissi di pregar fu lasso Della bella Euridice Il consorte infelice, Ver’ le Strimonie rive ei volse il passo ; Qui sotto 1’ ombra dell’ aereo sasso Ei lagrimò doglioso La beltà che perduta ancor 1’ incende E 1’ inferno accusò che non apprende Esser giammai pietoso. azioni che fece nell’ultimo di carnevale » (Adf.mollo, La betVAdriana, Città di Castello, Lapi, 1888, p. 42). (i) Questa e le lettere seguenti furono edite dal Neri nel Giorn. Stor. d. lett. ital. cit. 2) L’invenzione ne fu di [Lorenzo Franceschi], Ballo e Giostra | De’ Venti | .Velie nozze del Serenissimo Principe e della Serenissima Principessa I di Toscana, | Arciduchessa d’Austria. | [rosa dei venti] | In Firenze, Appresso i Giunti, 1608. | Con licenzia Superiori (sic); in-4, con una tavola. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 233 L accenno è chiaro: e io credo che precisamente il poeta abbia voluto alludere al proprio Itanto d'Orfeo, e che questa deve essere la favoletta dolorosa rappresentata in quell' occasione in una delle serate di corte. In tale credenza mi conferma anche il fatto che insieme con la canzone per il balletto sopracitato, fra le rime del Chiabrera corre un Pianto d'Orfeo che incomincia Numi d'abisso, numi e che non è altro se non il principio della favoletta in questione; vedremo inoltre più avanti ch’egli ricorda VOrfeo in un’altra canzone. L'altra lieta e festosa non è possibile identificarla: ma escludendo non solo per I’ argomento il Polifemo e VOrzia, ma anche perchè stampate nel 1615 debbono essere di quel tempo, restano Amore sbandito e La Pietà di Cosmo, e, dato il titolo, mi pare sia da propendere per quest’ultima : certo si tratta di una di queste due smarrite. Qualche tempo appresso, avendo voluto, non senza un certo senso di superbia, comparire distinto dalla folla, il Chiabrera inviò le composizioni fatte al cardinale Gonzaga e insieme mandò una terza favoletta al principe Francesco. Al primo scriveva: ♦ Essendo in Firenze, io aveva proposto di mandare a V. S. Ill.ma e R.ma alcuni miei versi fatti per uno di quegli spettacoli, poi mi ritenni, perch’io stimai che gran quantità gliene sarebbe mandata d’altri, et io temeva non m’affogare nella piena. Ora dovendo a V. S. 111. e R.ma pregare le buone feste gliene mando; ho fatto come ho potuto; ella gli scuserà per sua gran gentilezza..... Mando similmente una favoletta da cantarsi in su le scene al S.mo Principe. È l’amore di Galatea mal fortunato, e vi si piange la morte di Aci ; sono sì sciocco che mi conduco a dire eh’ ella non mi dispiace..... Di Savona, li 26 di dicembre 1608 ». E al Principe lo stesso giorno: « Se io ho ben compresa 1’ umanità di V. A. S., certamente ella non mi condannerà di presonzione, perchè le venga innanzi con queste lettere, et invero essendo io da lontano, emmi gran conforto poterle in alcun modo far riverenza. Ho preso anco ardimento di mandarle la presente favoletta, dono, il quale può ricevere alcuna grazia per la stagione festosa che s’ avvicina, quantunque per sè egli sia da disprezzare..... Di Savona li 26 di decembre 1608 ». È noto come della Galatea s’impadronisse il maestro di musica del Cardinale, il famoso Sante Orlandi, che la ritrovò nel proprio tamburo nel 1612; e il Neri narrò esaurientemente 232 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La mia ipotesi adunque che fosse allora rappresentata una tavoletta del Chiabrera ha tutte le probabilità, tanto più che appunto il Chiabrera preparava per le feste del maggio seguente i famosi intermedi che ecclissarono 1 Idropica del Guarini e il cartello per il torneo, e che proprio in quel periodo di tempo egli era tutto inclinato a queste « ciance », come or ora vedremo. Il poeta, dopo aver partecipato alle feste nuziali di Mantova nel maggio e nel giugno, nel settembre era stato chiamato a Firenze per le altre nozze di Cosimo II con Maria Maddalena d’Austria che ebbero luogo nell’ottobre, in gara di magnificenza con quelle di Mantova. Il Chiabrera scriveva il 28 settembre al cardinale Gonzaga: « Ho composto una canzone sopra il balletto a cavallo..... particolare del Ser.mo Principe e perdo assai che V. S. IU.ma non sia qui, perch’ella mi avrebbe fatta grazia di porgerla a S. A .... A S. A. apparecchio due favolette per doversi rappresentare cantando; una tutta lieta e festosa, e l’altra dolorosa; non so quanto sarò fortunato con le Muse questa volta che tanto m’importerebbe ; è qui facendo fine umilmente faccio riverenza a V. S. Ill.ma e R.ma..... » (1). La canzone è certo quella Per lo balletto a cavallo fatto dal Granduca Cosimo nelle sue nozze, balletto che ebbe luogo il 27 ottobre (2); ora questa canzone comincia così: Poiché gli abissi di pregar fu lasso Della bella Euridice Il consorte infelice, Ver’ le Strimonie rive ei volse il passo ; Qui sotto 1’ ombra dell’ aereo sasso Ei lagrimò doglioso La beltà che perduta ancor 1’ incende E 1’ inferno accusò che non apprende Esser giammai pietoso. azioni che fece nell’ultimo di carnevale » (Ademollo, La bell’Adriana, Città di Castello, Lapi, 1888, p. 42). (1) Questa e le lettere seguenti furono edite dal Neri nel tìiorn. Stor. d. lett. ital. cit. 2) L’invenzione ne fu di [T.oren/.o Franceschi], Ballo e Giostra \ De’ Venti \ Nelle nozze ile! Serenissimo Principe \ e della Serenissima Principessa I di Toscana. | Arciduchessa d’Austria. | [rosa dei venti] | In Firenze, Appresso i Giunti, 1608. | Con licenzia Superiori (sic); in-4, con una tavola. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 233 1/accenno è chiaro: e io credo che precisamente il poeta abbia voluto alludere al proprio lianto d'Orfeo, e che questa deve essere la favoletta dolorosa rappresentata in quell’ occasione in una delle serate di corte. In tale credenza mi conferma anche il fatto che insieme con la canzone per il balletto sopracitato, fra le rime del Chiabrera corre un Pianto d’Orfeo che incomincia Numi d’abisso, numi e che non è altro se non il principio della favoletta in questione; vedremo inoltre più avanti ch’egli ricorda VOrfeo in un’altra canzone. L’altra lieta e festosa non è possibile identificarla: ma escludendo non solo per 1’ argomento il Polifemo e YOrzia, ma anche perchè stampate nel 1615 debbono essere di quel tempo, restano Amore sbandito e La Pietà di Cosmo, e, dato il titolo, mi pare sia da propendere per quest’ultima : certo si tratta di una di queste due smarrite. Qualche tempo appresso, avendo voluto, non senza un certo senso di superbia, comparire distinto dalla folla, il Chiabrera inviò le composizioni fatte al cardinale Gonzaga e insieme mandò una terza favoletta al principe Francesco. Al primo scriveva : « Essendo in Firenze, io aveva proposto di mandare a V. S. Ili.rna e R.ma alcuni miei versi fatti per uno di quegli spettacoli, poi mi ritenni, perch’io stimai che gran quantità gliene sarebbe mandata d’altri, et io temeva non m’affogare nella piena. Ora dovendo a V. S. 111. e R.ma pregare le buone feste gliene mando; ho fatto come ho potuto; ella gli scuserà per sua gran gentilezza..... Mando similmente una favoletta da cantarsi in su le scene al S.mo Principe. È l’amore di Galatea mal fortunato, e vi si piange la morte di Aci ; sono sì sciocco che mi conduco a dire ch’ella non mi dispiace..... Di Savona, li 26 di dicembre 1608 ». E al Principe lo stesso giorno: « Se io ho ben compresa 1’ umanità di V. A. S., certamente ella non mi condannerà di presonzione, perchè le venga innanzi con queste lettere, et invero essendo io da lontano, emmi gran conforto poterle in alcun modo far riverenza. Ho preso anco ardimento di mandarle la presente favoletta, dono, il quale può ricevere alcuna grazia per la stagione festosa che s’ avvicina, quantunque per sè egli sia da disprezzare..... Di Savona li 26 di decembre 1608 ». È noto come della Galatea s’impadronisse il maestro di musica del Cardinale, il famoso Sante Orlandi, che la ritrovò nel proprio tamburo nel 1612; e il Neri narrò esaurientemente 234 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA come, forse dopo una rappresentazione lattane a Roma, fosse ripetuta a Mantova nel 1614, quando fu stampata, come addietro ho detto, quantunque della rappresentazione non rimanga notizia; e come certo fu rappresentata nel 1617 con aggiunte e modificazioni da parte dello stesso Cardinale. In quali « veglie > della corte medicea fossero rappresentate le altre due, il Polifemo e 1 Orizia, un prezioso diario di cui presto darò ampi estratti (1), non dice; ma bensì esso ci descrive la rappresentazione del Balio delle Grazie. Veramente di questo era notizia anche nelle lettere del Chiabrera al Castello; il 15 febbraio 1615 il poeta scriveva da Firenze all’amico pittore: « Di trastulli non ci sono gran cose: fannosi in palazzo alcuni balli e mascherate, de’ quali a suo tempo manderò a V. S. quel che si potrà avere, e di cuore me le raccomando ». E il 22 febbraio: « Degli altri affari io scrissi la settimana passata; ora io le mando una festa fatta in palazzo dal Gran Duca alla nobiltà di Firenze : mi comandò che introducessi il ballo e la mascherata con alcuna invenzione ; ciò che io ho fatto V. S. vedrà in disegno, ed ella come pittore argomenterà cosa fosse co’ suoi colori, cioè scena, musica e abiti, tutte cose veramente nobili. E perchè siamo nel carnevale non dirò altro, solo raccomandandomele.... ». Ma 1’8 marzo Io avvisava ancora dell’invio di « alcune canzoni composte per questa corte; an-deranno in mano del compare Borzone, quivi V. S. potrà averle » (2). Era certo l’opuscolo Alcune canzoni di Gabriello Chiabrera composte per la corte di Toscana, In Firenze, per Gio. Antonio Caneo, 1615, 40 ; e la prima delle tre ivi edite è appunto Per le dame che ballarono mascherate nella vegghia delle Grazie; comincia: Pitti, albergo de’ regi, Per le stagion festose Quai nelle notti ombrose Fûro i maggior tuoi pregi ! Quando udisti d’ Orfeo note dogliose Per la città di Dite ? (1) In un volume di prossima pubblicazione Musica, Ballo e Dramatica alla Corte Medicea dal 1600 al 1640 (Firenze, Bemporad). (2) Lettere a Bernardo Castello, Genova, Ponthenier, 1838, p. 238. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 235 O quando il piè d’ argento In te degnò mostrar l’alma Anfitrite? .14) O quando a bel concento Di tamburi guerrieri Fur tanti Duci alteri D’infinito ornamento? Quali siano state le componenti ia nobil squadra Di beltà femminile, Per sembianti gentile, Per abiti leggiadra, ci dice il diario dal quale ricavo la descrizione della festa: « Adì 16 febbraio [1614=1615] stando S. A. bene et volendo dare un poco di gusto a loro A. S., venuto le 22 ore, fece invitare una buona mana di gentildonne et condottole su nella sala delle Commedie nel Palazzo de' Pitti et entrate per la scala della ciocola (sic); alla cura della porta stava il commendator fra Inolfo de’ Bardi, cameriere di S. A. S., et accomodate a sedere in su gradi et i gentiluomini in su altri gradi, et entrati per la porta principale, et alla porta stava il capitano della guardia todesca con e sua soldati; c’era il Nunzio del Papa et l’ambasciatore di Lucca su in su’ gradi da per loro, et l’ambasciatore di Modona, che fu il marchese Manfredo Malaspina, stette da per sè a sedere in seggiola giù in basso dalla porta dove erano entrate le gentildonne: dicono l'ordinasse così l’Arciducessa; v’ era 1’ emir Caffardin con e’ suoi soriani su ad alto in su’ gradi con il Sig. Orazio della Rena segretario ; e su ad alto incognite v’ era le donne di detto emir Caffardini. Fu fatto davanti un poco di rialzo con tappeti e seggiole dove stava S. A. e la Ser.ma Arciducessa et il sig. principe Ferdinando et principe Gian Carlo vestito alla polacca. Era le signore principesse su ad alto in uno stanzino incognite, dove vedovono benissimo. Et dato principio alla festa fu a un tratto sparita la tela che (1) Allude di certo al proprio Pianto d’Orfeo, e poi, credo, ad una riuscitissima festa del carnovale dell’ anno innanzi, opera del Rinuccini, rappresentata nel carnevale del 1611 e ripetuta nel maggio del 1613 alquanto modificata, intitolata Mascherata di Ninfe di Senna; cfr. i miei A Ibo? i nel 'melodrcima cit., I, p. 261. 236 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA copriva la prospettiva e apparve Iride in una nugola che posò attraverso la scena; la qual scena rappresentava un prato in mezzo a un bosco con un fiume ed un ponte. Et il suggetto fu questo, composto dal sig. Gabriello Cebriera (sic) da Savona : Amore infermo è preso a recriarsi dalle Grazie con una veglia. Per invitare a così nobil festa mortali et immortali, Iride va parlando per l’universo; di qui le Ninfe di Pomona, lasciate le campagne, si inviano colà, et i numi di Silvano dolenti per non le vedere nelle usate foreste, sono dalla Fama informati perch’ elle siano partite e consigliandosi di raggiugnerle per via, et così fanno ; et raggiuntole vanno danzando alla veglia. Ciò tassi da sei donne et sei cavalieri in maschera convenevole a' personaggi rappresentati. Finito il loro ballo si danza nella sala et la danza è partita da duoi intermedi. Nominato il Ballo delle Grazie composto il ballo da messer Agniolo Ricci, di camera, e l’aria da Lorenzino del Liuto. Et finito il ballo si abbassò la tela et coperse la prospettiva; et ballato circa un’ora di nuovo s’alzò la tela et venne il primo intermedio, che fu la Gelosia scacciata da gli Amori; et finito, di nuovo la tela s’abbassò e s’ attese a ballare circa a un’ ora, dove ballò S. A. et la Ser.ma Arciducessa et tutti quei cavalieri e dame. E di nuovo la tela s’ abbassò e si fece il secondo intermedio, il quale fu La Speranza guidata da Mercurio; e di nuovo ripassò la nugola dove era Iride, sempre cantando in musica. Fu la musica composta da Jacopo Peri detto il Zazzerino. Et fatto questo fu portato una colazione di più di centocinquanta panierine di vinchi argentate, piene di confetti e confetture, portata dal cavaliere Gian Cosimo Geradini, scalco di S. A. S., e da’ paggi di S. A. S.: et fatto questo ciascheduno fu licenziato e S. A. se ne ritirò alle sue stanze e cenò ritirato. Nomi de’ paggi che fecero il balletto. Il sig. Piero del Monte a S. Maria Il sig. Nicolò polacco Il sig. Pavolo Scerenga Il sig. Arigo Montechier Il sig. conte Ludovico Giusti Il sig. Girolamo Colloredi GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 237 Signore dame che ballarono il balletto. La sig.™ Maria Rossi contessa di San Secondo La sig.™ Sofia, todesca La sig.™ Maria Medici La sig.™......Agostini, sanese La sig.™ Costanza contessa della Gradesca La sig.™........Geradi. Angelo Solerti IL TESTAMENTO DI SPINETTA CAMPOFREGOSO SIGNORE DI CARRARA E .LA PATRIA DI PAPA NICCOLÒ V Venuta che fu Genova in potere di Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, in forza del trattato concluso il 28 ottobre 1421 (1), allo spodestato duce Tommaso Campofregoso vennero « pagati per sua satisfazione trentamila fiorini d’oro, ed oltre di ciò, fu trasferito in lui, a’ ventiquattro giorni di novembre, la signoria di Serezzana e del distretto, ch’era della Repubblica di Genova; e a suo fratello Spinetta furono dati quindicimila fiorini per cagione della città di Savona; e fu accompagnato il duce da Guidone Torrello insino alla nave; e detto a Dio a’ cittadini, ai due di decembre s’imbarcò, e navigò verso Serezzana » (2). Il nuovo Signore di Sarzana (3), il 4 luglio del 1422, fu rice- I 1 Dumont J. Corps universel diplomatique du droit des gens, ou recueil des tractés de paix, d’alliance, etc. faites en Europe depuis Charle-magne jusqu’ à prisent, Amsterdam, 172b; toni. II, part. II, pp. 157 e segg. 11.0 C-CV. (2 1 Giustiniani A. Annali della Repubblica di Cenema, Genova, Canepa, [854: II, 296-297. ',3) Lippozzo di Cipriano Mangioni, che il 29 aprile del 1423 da’ Priori delle arti e dal Gonfaloniere di giustizia del Comune e Popolo di Firenze fu mandato ambasciatore presso Tommaso da Campofregoso. Signore di Sarzana, il 9 di maggio dava questi ragguagli di alcuni castelli della Valdimagra : 25S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vuto sotto Γ accomandigia e protezione del Comune di Firenze per cinque anni, con tutti i castelli, le fortezze e le terre, che possedeva, le quali (oltre Sarzana) erano: Sarzanello, Santo Ste- li Andammo a vedere il castello ili Santo Stefano, che è del declo messer Thomaso..... È posto in sulla Magra, ma è di qua, et è castello forte, et è ben posto et è in luogho che fa sì che se si perdesse Caprigliola et Albiano si potrebbe dire esser perduti, però che è posto in mezo tra Sarezana et loro. Xon vi trovai veiuno fante però che tutti gli tiene tra in Serezana et nell’Amelia, che è un castello che tiene di là da Magra, che era di Genova. Et di quindi partii..... et passatilo !a Magra et andamo ad Arbiano, nostro castello, che è presso a Sancto Stefano meno d’ uno miglio, dove io trovai Jacopo d’Arbianino d’Arbiano, nostro conestabile, con cinque paghe. Informatomi del decto castello, trovai che se fosse merlato potrebbe fare circa a 150 merli, et fa circa a huomini 50, et è forte di sito et anche bene murato; evvi una torre alta da terra circa a 14 braccia, che dicono eh’ è bene dieci anni che la cominciarono per loro cassaro et noli’ anno compiuta, et dicono' nolla compiono per povertà. Munitione di vettovaglia, nè d’ arme non v’ è ; gli huomini, secondo sentii, sono male armati; vorrebbero qualche 12 o 15 coraze, io o 12 palvesi et casse di verrettoni et qualche balestro. Trovai quattro bombarde, che la maggiore gitta forsi 12 libbre. Vorrebbono un poco di polvere da bombarde. Confina con Vezano, castello di Genova; et confina con Bollano, che è del Marchese di Mulazo, che è quello che tiene Villa-francha, cioè la metà: l’altra metà è di messer Azo Marchese di Potenzano. Partimi d’Arbiano et passai Magra et andai a Caprigliola, che v’ è presso a uno miglio, et è uno poggio, forte di sito, et evvi una rocha fortissima et bella, con una torre tonda fortissima. Trovai dentro el cassero sanza niuna munitione nè d’arme, nè · l’altro, salvo una bombarda, che gitta forse tre libbre; trovai nel cassero Santi da Castello con paghe sei; conto la sua persona ; et più Michele da Colle con cinque paghe ; conto la sua persona..... Et tutti questi undici stanno nel cassero. Nella terra trovai Giovanni di Schiappa da Santo Stefano con sei paghe; conto la sua persona. Et evvi Lionardo con due paghe ; conto lui ; sicché in tutto vi è paghe dicenove ; et è magiore che Arbiano bene d’un quarto, et fa huomini circa a 35. Confina colla detta Caprigliola, Arbiano, detto di sopra, nostro castello, et evvi in mezo la Magra, et evvi circa a uno miglio ; et confina di verso Sarzana con Santo Stefano, forse uno miglio ; et confina con Ponzano, che v’ è presso pocho più di uno miglio; et confina con Bibola, et evvi piesso a tre miglia; et confina con Avula a quattro miglia ; et tue ti sono di qua da Magra et sono queste castella del Marchese di Ponzano..... Dissomi gli huomini di Caprigliola vorrebbono per insino 12 coraze, altrettanti palvesi et balestre et tre casse di verrettoni et qualche fante a piè, per difendere el luogo, se bisognasse. Vettovaglia v’è pocha, perchè ne ricolgono pocho altro che castagne, che ne GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 239 fano, ( astelnuovo di Magra, Falcinello, e Ameglia (1). Il 18 luglio del 1448 vendette tutti questi luoghi, tranne l'Ameglia, al proprio nipote Giano, figlio di Bartolommeo, suo fratello, per il prezzo di diecimila ducati d’oro in oro (2). Venuto a morte Giano il 16 decembre di quello stesso anno, la" signoria di Sarzana e delle terre da essa dipendenti passò in potere della madre, del figlio Tommasino e del fratello Lodovico. La madre, Caterina di Giovanni Ordelaffi di Forlì, con due atti, uno del 16 agosto e uno del 7 ottobre 1458, rinnovò l'acco-mandigia co’ Fiorentini, e in questa nuova accomandigia furono comprese non solo Sarzana, Sarzanello, Santo Stefano, Castel-nuovo e Falcinello, ma anche Ortonovo, Ponzano, Aulla, Po-denzana, Madrignano, Calice, Tresana e Giovagallo; non che altre due terre chiamate nello strumento « castrum Ville » e « castrum Reccho » (3). Venuto a morte Filippo Maria Visconti il 13 agosto del 1447* istituendo erede della sola città di Cremona e suo distretto l’unica figlia Bianca, moglie di Francesco Sforza, e del resto del vasto dominio Alfonso V d'Aragona, Re delle Due Sicilie (4); strano testamento, « se pur fu vero >, come dice il Muratori (5); s’ accese una fierissima gara per conseguirne la successione. Di Carrara, con l’Avenza, Moneta e il rimanente di quella valle, ne agognava il possesso Tommaso da Campofregoso; ma glielo contrastavano i Malaspina. Terminò il litigio Giano Campofregoso, duce allora di Genova, che divenuto Signor di Sarzana il 18 luglio del 1448, concedè in feudo quelle terre al suo cu- vivouo la maggior parte del tempo ». [R. Archivio di Stato in l·irenzc. Signoria, Relazioni e Commissari^ rapporti d’oratori, n.° 3, c. 115]. Le fortificazioni di Caprigliola vennero poi restaurate e accresciute da Cosimo I de .Medici. Ne fa cenno Baldassare Tara vacci di Vezzano nella sua Topographia Lunensis orae co’ versi : Capreolam Cosmus cinxit quam moenibus altis Dum premit aequali colla superba jugo. (i) Guasti C. I Capitoli del Comune di Firenze; I, 551 e seg. 1 2 i Neri A. Relazioni di Sarzana, della Spezia e dei Marchesi Malaspina del canonico Ippolito Landinelli, Sarzana, 1871; p^>. 107-117· (3) Guasti, Op. cit.; I, 552'553- (4) ArGELATI Ph. Bibliotheca scriptorum mediolaneiisnim ; II, 1647. (5) Muratori L. Λ, Annali d’Italia [edizione di Monaco]; TX, 220. 240 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gino Spinetta, che era figlio d’un fratello di Tommaso, di nome Spinetta lui pure (i). In forza di quell’atto, che fu rogato alla Spezia « in domo Filipponi quondam Johannis Antonii olim Simonis de Spedia », il 12 agosto 1448, Gaspero Sauli di Genova, come procuratore di Giano, dette « in feudum nobile et gentile » a Spinetta Campofregoso « locum et oppidum Car-rariae, situm in partibus Lunexanae, nec non locum et oppidum Aventiae, in dictis partibus situatum, cum omnibus et singulis dictorum locorum et oppidorum territoriis et pertinentiis, iuri-bus, introytibus et redditibus ac gabellis ceterisque emolumentis aquarum, marmorum et omnium aliarum rerum..... et cum pleno dominio, mero et mixto imperio et omnimoda cladii potestate et iurisdictione et gubernatione » (2). Spinetta tenne pacificamente il governo di Carrara, del-l’Avenza e Moneta fino al 1470, in cui lo colse la morte a Gavi, altro suo feudo (3). In Gavi fin dal 12 decembre del 1464 aveva fatto il proprio testamento, istituendo erede Antoniotto, suo figlio ; il gentile poeta (4) del quale rinverdiva il ricordo Emanuele Repetti nella vecchia Antologia (5). Natogli a Carrara da un illecito amore, l’aveva fatto legittimare da Cesare De’ Nobili di Dallo, cognato di papa Niccolò V per aver tolto in moglie Caterina Calandrini, sua sorella uterina (6). Ma la legittimazione, fatta « per spectabilem Cesarem lucensem, comitem palatinum », era nulla per due ragioni : « ex defectu potestatis ipsius Cesaris, que ad filios baronum sive comitum legitimandos non extendebatur », e « ex defectu non expressi in specie saltem suf- (1) Tommaso fece governatore ili Sarzana il fratello Spinetta, il quale, a nome di lui, il 13 novembre del 1445 rinnovò 1’ accomandigia col Comune di Birenze. (2 R. Archivio di Stato in Massa. Malaspina di Fosdinovo Marchesi di Massa, ad.ann. ( 3I Dusimoni C. Annali storici della città di Gavi, Alessandria, Jac-quemond, 1896; p. 122. ('4) Cfr. Dobeixi DOTT. Antonio, L’ opera letteraria di Antonio Phi-leremo Fregoso, Modena, tip. (li A. Namias, 1898; in-8, di pp. 50, (5) Repetti E. Di Antoniotto Campofregoso Signore di Carrara poeta volgare; in Antologia, 11.0 XIII, gennaio 1822, pp. 177-186. 1 6 Sforza G. La patria, la famiglia e la giovinezza di papa Niccolò ìr, Lucca, Giusti, 1884; pp. 100-101. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 24 I ficienter status illegittimationis » per non avere esposto « quod , conceptus et natus erat ex dicto Spineta tunc coniugato (i) et Johanna de Carraria muliere soluta ». Federico III, imperatore, il 12 agosto del 1476 sanò la manchevole legittimazione di Cesare, supplendo « de novo in quantum expediat » (2). Il testamento di Spinetta, che ora vede per la prima volta la luce, è in volgare e lo scrisse di propria mano. Io Io tolgo da una copia fattane nel secolo XV, che si conserva nel R. Archivio di Stato in Massa : Non siando nisuna cosa più certa de la morte, nè più incerta de 1’ ora, io ho deliberato per questa, de mia mano, de ordinare quello che è mia intentione et voluntà, la quale è questa: quando a l’Altissimo Dio piacerà de levarmi dal mondo, la quale hora e punto è in sua possanza et bailia, dico et affermo et voglio che Antonieto, mio figio, alegitimato per man de messer Cesare luchese, cavaliere et conte, in questa materia, cioè de alegitimare, ha privilegii autentichi da la immortale memoria de la sanctità de papa Nicola, nativo de Sarzana, sia in tuto et per tuto mio universale herede, cusì del castello et tera de Gavi con tute le sue pertinentie, come etiam di Ca-rara, Moneta et Lavenza con loro pertinentie, et cusì d’ogni possessione, terre, ville, cose mobile et immobile, acquistate et che se aquistasseno per lo avenire ; salvo che io voglio la dote de Lucretia mia figlia e de l’Antonia mia consorte siano pagate, e che questo pagamento sia facto de mobili de casa, lo quale, a mio judicio e suso coscientia de l’anima mia, vaie lire vinti-millia de Zenoa; e questo dico al presente de lo governo de questo loco. Non seando Antonieto supradicto mio figlio ancora de età conveniente quando a Dio piacesse de disponere altro de la mia vita, voglio che ’l M.co messer Cico Simoneta di Calabria, Ducale Secretario, governi tutte queste castelle, ville, cose mobile et immobile fino a la età perfecta del dicto Antogneto, et quando el serà judicato havere tempo secondo le leze commune che ’l possa prendere veniam etatis; et questo sempre se intende siando intentione de lo Ill.mo S.ore Duca de Milano; et questo ponto sia inteso sanamente et in questa forma, cioè che dicto M.co messer Cicho non fusse inimico de dicto Ill.mo S.re cusì come scade che le opinione se variano: ma seando amico de sua Ill.ma S. etiam che ’l dicto messer Cecho non havesse (1) Fin dal 1463 aveva sposato Donella figlia di Lodovico de’ Fieschi e sorella d’ Ibleto protonotario apostolico. (2) R. Archivio di Stato in Massa. Malaspina di Fosdinovo Marchesi di Massa, ad ann. Giom. St. e Leti, della Liguria 15 242 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA el loco de Segretario, voglio et dispono che ’l governe come dicto è di sopra. Item, voglio che quando dicto Antognieto sera de anni 25, che a Dio piaza che ’l pervegna a dicto tempo et alla desiderata vechieza, etc. li sia dato et consignato ogni castelle et dominio et robe, come dicto è di sopra, in sua bailia et dominio per el dicto messer Cecho. Datum in lo castello de Gavi, a dì 12 de dexembre nel mille quatrocento sexanta quatro, in zobia, ad hore 22. Mi Spineta de Campofregoso ho scripta et sottoscripta de mia mano tuta questa scripta, et cusì affermo ogni cosa in questa continente; e a magiore cautella la ho legittimata del mio sigillo in doi logi. M.° cccclxmj, indictione duodecima, die tertiodecimo decembris, in castro, in camera munitionum, presentata fuit mihi per magnificum dominum Spinectam dicta eius dispositio ultime voluntatis, sigillata suis sigillis tanquam notario, et hoc in pre-sentia testium infrascriptorum videlicet: Jacomini de Palma quondam domini Odoni civis Janue, Nicolai de Bertono quondam Bertoni de Glandis castellani castri Gavii, Ansermini de Aimelio quondam Petri de Gavio, Luciani Bacini de Jusualla quondam Boniiortis et Bartholomei Qualie de Parma quondam magistri Jacobi, testium rogatorum per suprascriptum magnificum dominum Spinetam, dicens et protestans eis hanc esse suam ultimam voluntatem, quam valere vult iure testamenti et sue ultime voluntatis, quam dixit scripsisse manu sua propria. In nomine Domini, amen. Anno a nativitate Domini nostri Jesu Christi M.° quadringentesimo sexagesimo septimo, indictione quindecima, die sabati, vigesimo secundo augusti, in Gavio, ;n palatio Comunis, in sala, in presentia spectabilis domini Vicarii Gavii et Locumtenentis, sedentis pro tribunali, in quem locum prefatus dominus Vicarius et Locumtenens ad hunc actum pro idoneo et sufficienti elegit et deputavit in presentia testium infrascriptorum et notariorum, videlicet. Johan-nis de Azacho notarii quondam domini Federici, Francisci de Borlasca notarii quondam domini Antonii, Baptiste de Lerma quondam domini Johannis, Jeronymi de Bengassio notarii quondam domini Dagnani, Dominici de Bengassio notarii quondam domini Francisci, Melchionis de Cosia quondam Nicolle, Bartholomei Rapioli notarii quondam Bernardi, magistri Francisci de Rocha quondam Laurentii et Bartholomei de Aymelio quondam Petri de Gavio, ad hec vocatorum et rogatorum, aperta et dissigillata est suprascripta dispositio ultime voluntatis prefati quondam magnifici domini Spinete de Campofregoso, que per dictum magnificum dominum Spinetam presentata fuerat quondam domino Benedicto Scribe de Gavio notario publico per me Manuelem Scribam de Gavio, notarium publicum, penes quem suprascripta prothocolla et instrumenta predicti quondam do- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 243 mini Benedicti Scribe olim patris mei. Que dispositio ultime voluntatis scripta fuit propria manu prefati magnifici domini, ut in presentatio ipsius dispositionis ultime voluntatis facta predicto quondam domino Benedicto, patre meo, asseritur et descriptum est, et sigillata sigillis prefati quondam magnifici domini Spinete, que sigilla ostensa testibus suprascriptis non disigillata, nec machinata erant, sed prorsus omni vicio et suspicione carebant; et hoc ad instantiam domini Jeronymi de Palma, civis januensis, cancellarii prefati magnifici domini Spinete et etiam vigore li-terarum ducalium. Ego Manuel Scriba de Gavio filius quondam domini Benedicti, sacri Imperii auctoritate notarius publicus et scriba curie prefati domini Vicarii, et Locumtenentis, suprascriptam dispositionem ultime voluntatis scriptam et subscriptam propria manu prefati magnifici quondam domini Spinete de Campofregoso dum agebat in humanis, ut in presentatio facta predicto quondam domino Benedicto, olim patri meo, continetur, extrassi et exemplavi, nihil in ea addito vel diminuto, que mutet sensum vel variet intellectum, nisi forte punto vel sillaba, sed prout ad literam iacet et inveni, et in publicam formam tradidi de mandato spectabilis domini Vicarii Gavii et Locumtenentis, ad instantiam domini Jeronymi de Parma suprascriptis et attentis literis ducalibus, ut supra, cum qua ultima voluntate, scripta, sigillata et publicata ut supra correxi, legi et diligenter auscultavi, una cum Jeronymo de Bengassio, et quia utrumque concordare inveni, in fidem et testimonium premissorum me propria manu subscripsi, signo meorum instrumentorum consueto apposito, etc. (i). Al lettore non sarà sfuggito 1’ inciso : la Sanctità de papa Nicola, nativo de Sarzana. È una nuova riprova che Sarzana ha Γ incontestabile diritto di chiamare suo figlio quel grande pontefice. CARLO BOTTA E TERESA PAROLETTI (*) « I volgari riguardi non convengono a coloro che hanno amato come noi abbiamo amato e quando dico a tutto il mondo che amo, non credo di far torto nè a voi, nè a me, nè a nes- (i) R. Archivio di Stato in Massa. Malaspina di Fosdinovo Marchesi di Massa, ad ann. (*) Questo mio studio, trae la sua origine dalle lettere scritte da Carlo Botta a Teresa Paroletti. Di queste lettere, che in tutto sommano a tren-tatre, sei già videro la luce in raccolte di lettere bottiane a si riferiscono 244 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA suno » (i). Sotto l’egida di queste parole che il giovane ed ardente patriotta scriveva alla donna gentile, non parrà irriverenza l’unione di questi due nomi. Nessuna figura di donna ha più diritto di ergersi accanto a quella di Carlo Botta della figura di Teresa Paroletti che ha sorriso all’aurora piena di promesse del giovane, ha illuminato la sua prigione, lo ha seguito da lungi nelle sue forti sventure, nelle sue dignitose miserie ed ha gettato ancora gli ultimi sprazzi di luce nel solitario tramonto. Per più di quarant’ anni dura quest’ affetto, che, noto a pochi mentre lo storico era in vita, vive ancor ora nelle lettere scritte da Carlo a Teresa. Lettere poco numerose, le quali se pur ci permettono sino ad un certo segno la ricostruzione della storia di quest’affetto, non ci offrono tuttavia il modo di restituirgli qualche vivacità di colorito o qualche freschezza di sentimento. Le lettere giovanili a noi rimaste, dirette dal Botta a Teresa, sono pochissime — sei in tutto; più numerose invece sono le lettere ch’egli scrive senza interruzione dal 1832, anno in cui rivide Teresa per l’ultima volta, al 1837, anno in cui lo storico morì. Qui solo egli parla a lungo di questo suo affetto ed ama ricordare quando sorse, come giganteggiò, quali soavi frutti esso diede, come viva tuttora. Ma nella mente ormai stanca, le visioni se rapidamente si succedono, hanno pure in sè qualche cosa di leggermente vago e di dolcemente monotono. Alle visioni si accompagna un inno del vecchio cuore a colei che è stata fonte d’ogni sua virtù, d’ogni sua grandezza. Ma in tanto spazio di tempo anche i ricordi si son fatti meno vivi nella mente pur tenace dello storico. I desideri che Teresa un tempo ha fatto nascere nel suo cuore, la lotta che egli inevitabilmente ha dovuto sostenere con sè stesso, tutto ciò è dimenticato ora, dopo tanti altri desideri domati, dopo tante altre lotte combattute ; ond’ egli può esaltare F affetto agli anni giovanili del Botta; ventisette invece, tutt’ ora inedite, fan parte de! copioso carteggio donato dal commediografo Marchisio al compianto prof. Flechia e si trovano ora in possesso del dr. Giuseppe Flechia. Notisi però che non è facile stabilire se il carteggio Botta - Paroletti ci sia pervenuto nella sua integrità. D’altra parte nulla ci è rimasto delle lettere dirette dalla Paroletti allo storico canavesano. (1) Lett. a Teresa Roggeri-Paroletti — 7 piovoso anno 7 (26 genn. 1799) edita da Pavesio, Lettere inedite di Carlo Botta, Faenza, 1875. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 245 purissimo che nessun desiderio mai ha contaminato, che sorto ad un tratto in mezzo alle soavi dolcezze delle note musicali, si è conservato anch’ esso attraverso agli anni molti, come nota dolcissima, lunga nota che sorvive ultima e vaga sull’acquietarsi lento di tutte le note di mirabile orchestra. Per questo, le lettere che abbiam sott’occhio, sebbene un po’ stanche come voleva l'età di chi le scriveva, un po’ esagerate come voleva l’epoca in cui lo storico visse, hanno però un’ attrattiva singolare. È una storia vecchia vecchia e sempre nuova questa: che due giovani cuori si amino; ma che poi questi due cuori un tempo giovani, si ritrovino vecchi, dico vecchi perchè passati attraverso ad una lunga serie di vicende, e ritrovino i sogni e le parole d’un tempo, è questo uno di quei miracoli gentili che ci riempiono di stupore, come quando passando accanto ad un vecchio tronco che par vicino alla morte, sentiamo ancora in esso un sussurro di mille vite e fra le poche foglie un pigolar sommesso di nidiate. Così il Botta, settuagenario, vecchio tronco vicino alla morte, ha un ultimo rigoglio di vita pel quale egli colma d’un tratto lo spazio che 10 ha separato da Teresa, sorvola sugli avvenimenti tristi che hanno sconvolta la sua esistenza, si riattacca ai tempi felici in cui ha amato per la prima volta e ci dà modo dalle poche lettere dirette alla cara lontana e da pochissimi cenni agli amici, di vedere come sorse questa dolce passione, come si svolse e come finì, se pur la morte pone un fine a simili affetti. * * * Se diamo ascolto a ciò che Carlo Botta ricorda quarant’anni più tardi, noi dobbiam credere che il suo amore per Teresa sia sorto ad un tratto, mentre una sera in un concerto dato in casa d’un procuratore di cui il vecchio storico più non ricorda 11 nome, ma che abitava a Torino in via del Carmine, egli suonava il flauto. Ma questo, chi ben guardi, non fu certo che il divampare di un fuoco che già covava sotto le ceneri. La dolce intimità che da tempo legava il Botta alla famiglia Paroletti, 1’ amicizia profonda che lo univa ai fratelli di Teresa, giovani con lui d’ anni e caldi di uguali ideali per la patria, il coltivarsi che in quel gentil ritrovo facevasi della musica di cui Carlo era appassionatissimo, tutte queste circostanze dovevano esser propizie per far nascere un affetto di cui il giovane non s'accorse 246 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che quando già aveva messo nel suo cuore profonde radici. Per Teresa, trascorse egli i giorni più lieti della sua vita. Studiosissimo della botanica — ed è il vecchio settuagenario che lo racconta — egli recavasi tutti i giorni all’Orto Botanico del Valentino e tutti i giorni nel ritorno passava sotto le finestre di Teresa colla speranza o forse colla certezza di vederla e d’inverno le portava le mimose colte per lei nelle serre. « Tra voi e Linneo, scriveva egli quarant’anni più tardi, eravate allora tutti i pensieri miei. Le brutte cose che seguirono sono quasi intieramente cancellate dalla mia memoria » (1). Ma Teresa e Linneo non erano i soli pensieri del cospiratore e le brutte cose che seguirono lo dimostrano chiaramente. Non erano quelli i tempi in cui ad un’ anima nobile e forte fosse possibile goder tranquilla il presente e cullarsi in dolci sogni per 1’ avvenire. Chi già aveva udito, ed era degno di comprenderla, la voce del Parini e dell’Alfieri, 1’una che aveva parlato all’uomo, l’altra al popolo, non poteva pensare a sè solo; e chi udiva alle frontiere la voce formidabile della Francia, scossa ancora dal turbine che agitandola aveva sovvertito ogni cosa, come se solo dall’orrendo disordine dovesse uscire l’ordine vero, non poteva non aver nell’ animo suo più potente d’ ogni altro pensiero, il pensiero della patria da salvare e da rinno-vellare. Carlo Botta, fremente di ardore repubblicano, spinto dall’ età giovanile, prende parte alla celebre congiura che per strano ed inesplicabile caso doveva ricevere il nome da chi la tradiva: alla congiura di Barolo. Ma sventata la trama, i congiurati che non avevano potuto trovar scampo nella fuga, vengono tratti in carcere e processati. Quindici mesi dura la prigionia del Botta, il quale scampato dalla morte per mirabile zelo di amici e di concittadini si vede costretto all’ esilio. Prima di mettersi sulla dolorosa via, egli reca ancora un ultimo saluto a Teresa che, fattasi sposa pochi mesi dopo l’arresto del cospiratore, ad un amico di Carlo, al Roggeri (2), abitava allora alla Morra (3). Da quell’ultimo saluto doveva trarre il Botta il (1) Lett. a Teresa Roggeri — 27 Giugno 1836 — inedita. (2) Teresa andò sposa all’avv. Giuseppe Roggeri il 15 ott. 1794* (3) La Morra è il nome di un’amenissima terra situata sopra un alto colle sulla destra del Tanaro, a mezzodì di Alba, da cui dista cinque miglia e mezzo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 247 primo impulso alla composizione delle sue opere. Narra ciò lo storico più tardi, nè abbiam motivo per negar fede alle sue parole. Anzi, l’insistenza stessa con cui egli ricorda quest'ultimo colloquio, ci è prova che le poche parole scambiate allora dovettero, se non provocare, certo accompagnare una di quelle risoluzioni che maturatesi lentamente nell’ anima di un uomo, decidono poi dell’avvenire e di tutta la sua vita. Aveva il Botta nella profonda tristezza dell’ ora, confidato a Teresa l’unico desiderio che ormai gli rimanesse: il desiderio di comporre qualche opera per poter colla penna dare alla patria quell’ aiuto che più non gli era concesso di darle in altro modo. E Teresa, comprendendo forse, con quell’intuizione che assai spesso tiene nella donna il luogo del ragionamento, che la risoluzione del giovane più che essere il frutto di interni convincimenti era appena una vaga illusione ch’egli stesso poneva dinanzi a sè, come un raggio di luce a cui mirare nel tenebroso orizzonte, aveva allora risposto: « Non avete che ciancia ». Rudi ma magiche parole, che fissatesi nella mente del giovane nell’ ora più triste della sua vita, dopo aver provocato la fiera protesta di un’anima che sapeva di valer qualche cosa, dovevano più tardi accompagnarlo nelle ore febbrili del lavoro, nelle ore gravi della stanchezza, nelle ore penose di una forzata inazione e non dargli più posa finché lo storico non avesse visto crescere sotto la sua penna i volumi e non avesse sentito sfiorare il suo nome l’ammirazione dei molti e 1’ invidia dei pochi. Da allora — siamo alla fine del 1795 — (1) cominciano per il Botta le lunghe peregrinazioni prima nella Svizzera, poi, come medico dell’armata francese, in Francia, in Italia, nella lontana Corfù, e dappertutto, sia egli lacero girovago fra le vallate svizzere, o vigile guardia di soldati abbandonati in miseri ospedali, dappertutto lo segue l’immagine di Teresa e lo rattrista il pensiero ch’ella si dimentichi di lui. Fa fede di ciò una let- (1) Carlo Botta fu arrestato nella sera del 27 maggio dell’anno 1794 e riebbe la libertà non prima, se non dopo, il 15 settembre 1795. Reca me-. raviglia che tutti i biografi del Botta, compreso il Dionisotti, che con tanto amore ne studiò oltreché la vita, le opere, abbiano ignorata la data vera della sua prigionia e che la congiura di Barolo, pur notevole per tanti aspetti, sia stata sì a lungo poco conosciuta. 248 GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA tera di Carlo ad Angelo Paroletti, fratello di Teresa, suo caro e sventurato amico. « Colei che io amo e che sola sempre amerò scrive egli — dubito siasi affatto scordata di me. Quanto coraggio non mi darebbe un motto che la mi faccia parer viva e sana e ricordevole di me » (1). Ma Teresa tace e Carlo cui sta a cuore il destino della giovane donna, un anno dopo chiede ancora ad Angelo : « Ma perchè ella non mi scrive le lettere che sarebbero confortevoli ad ambedue? Senza di questo conforto molte cose degne forse della luce che uscirebbero da me saranno sepolte nell’ oblio. Come potrei navigare se non ispira il vento e non luce la stella del polo? Ella non sa, perciò sen tace » (2). Strane ed inevitabili contraddizioni del cuore umano! Pochi giorni dopo d’aver scritte queste parole, Carlo si reca a Milano dove pur trovasi Teresa; egli lo sa e vorrebbe vederla, ma non ne ha il coraggio; gira e rigira intorno alla sua casa e quando passa dinanzi alla porta gli pare che un vento gagliardo lo spinga dentro; ma resiste e se ne va triste della vittoria. Così senza vederla, parte per l’isola di Corfù, vasto campo di osservazioni acute e profonde per lo studioso medico. Nel suo non breve soggiorno in essa, il Botta vorrebbe pur talvolta aprire l’animo suo a qualche nuovo affetto, ma l’immagine di Teresa affacciandosi d’un tratto alla sua mente, fa siche l’idea dell’infedeltà si mescoli sempre ai suoi nuovi desideri riempiendoli d’un sentimento di amarezza. Per questo agli amici che scherzosamente gli domandano se le giovani greche non gli hanno intenerito il cuore, egli può ben rispondere senza tema di mentire: « Non si ama che una volta sola nella vita ». E vero però che egli stesso osserva che nell’isola gli uomini son belli e le donne brutte, il che potrebbe anche essere una delle ragioni, e non la più lieve, per cui il cuore di Carlo non si lascia intenerire; ma è pur vero che per Carlo ogni altro affetto per quanto potente — ed altri affetti ebbe più tardi — non doveva costituire che un piccolo episodio vicino a questo che occupò più di quarant’ anni della sua vita. Se talvolta nella solitudine gli sorride il pensiero di una (1) Ad Angelo Paroletti — Pavia, 19 agghiacc., anno 5 (9 die. 1796) edita da Pavesio, op. cit. (2) Ad Angelo Paroletti. 1 Termidoro: anno 5 (19 luglio 1797), op. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 249 buona compagna, è sempre l’immagine di Teresa che gli sorge dinanzi. « I’ aimerais beaucoup mieux une femme », scrive egli ad un amico, « que je n’ aurais acquise qu’ avec beaucoup de difficultés, qu’une autre que j’aurais obtenue facilment. D’ailleurs si ses parents avaient été dans le malheur, si elle même l’avait connu, si elle avait plus de tendresse, tenant même un peu de la mélancolie que de la vivacité, si elle touchait du piano, si elle chantait avec une jolie voix, je me dirais: hoc erat in votis » (1). Ed ecco dinanzi a lui Teresa, la fanciulla che ama la musica e le cose belle, la donna che ha conosciuto il dolore per gli altri ed anche per sè: per un sogno giovanile spezzato colla prigionia di Carlo, per una speranza infranta nel fratello Angelo, 1’ ardente repubblicano che il piombo regio aveva ucciso quell’ anno a Domodossola — era il 1798, anno lugubre e funesto. E sempre Teresa che gli sorride; e quand’egli chiamato a far parte del governo provvisorio stabilitosi in Piemonte pel trionfo delle armi francesi, riceve una lettera di Teresa che raccomanda all'amico potente alcuni compatrioti, Carlo esulta come già aveva esultato per la rivoluzione fatta in Piemonte e se allora il patriotta aveva scritto agli amici: « Salto dall’allegrezza » (2), ora egli scrive a Teresa: « Mi parve che mi si aprisse il cielo; avevo voglia di dirlo a tutti per farli giulivi con me e tra le più gravi cure del governo non ho pensato tutto il giorno che a voi. » e soggiunge con timida audacia: « Se non sapessi per esperienza che non volete scrivermi se non quando dovete parlarmi d’altri, oserei pregarvi di scrivermi di quando in quando » (3). E poiché Teresa scrive infatti, per raccomandargli qualche conoscente, per pregarlo di inviarle alcune belle poesie che si stampavano allora a Torino, Carlo ha modo di ricordarle il suo affetto, di darle notizie di un lavoro incominciato che conduce innanzi a poco a poco mor- ii) Lett. all’amico Villard, figlio; Pavia, 13 Brumaio, anno 7 (3 novembre 1798), op. cit. (2) Al cittadino Massaroli — Morbegno, 22 agghiacc., anno 7 (12 dicembre 1798), op. cit. (3) A Teresa Roggeri - Paroletti — Torino, 7 piovoso, anno 7 (26 gennaio 1799), op. cit. 250 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA morando a sè stesso: « purché piaccia a Teresa basta » (i). E questo forse l’unico sprazzo di luce che illumina l’orizzonte oscuro di Carlo: poi ogni cosa ritorna subito ad abbuiarsi. Una confusione terribile regna intorno al Botta ed ai pochi animosi che tentano con tutte le forze di raddrizzare un edificio che da ogni canto minaccia rovina. L’ odio pubblico è il frutto delle loro fatiche. Carlo se n’avvede, onde se nelle due prime lettere a Teresa vi è lo slancio di un’ anima in cui le speranze rifioriscono con forza, nelle altre che ci rimangono di quell’ anno stesso, assistiamo di nuovo al ripiegarsi di un’ anima su sè stessa nell acuto dolore di essersi un’altra volta ingannata. Rifiorisce sui colli torinesi la primavera. Cari·.), non più giovane ormai, sente rinnovarsi il suo affetto; ma col suo affetto per Teresa sorge il dolore acutissimo di Angelo morto, il cui ricordo li farà sempre tristi tutti e due (2). Egli vorrebbe ancora, se i mille affari non lo distogliessero, recarsi in quei boschi che rinverdiscono, come ad una festa di melanconia e di cupida tristezza per ricercarvi le traccie di coloro che colla patria furono gran parte, un tempo, della sua vita: Angelo e Teresa. Ma Angelo giace ora in un piccolo orto accanto al Valentino; le cure materne tengono assorta e lontana da lui Teresa; i lieti sogni per la patria già offuscati dalle ingorde mire di chi aveva avuto la pretesa di farla libera, svaniscono ora col giungere vittorioso delle armi austro - russe, che richiamano nel Piemonte il re sardo, costringono all’esilio chi aveva sperato in una repubblica. E la penna cade dalle mani del Botta. Un anno più tardi, da Grenoble, dove aveva ripreso il suo ufficio di medico dell’ospedale militare, dopo aver per cinque mesi battute le vie di Parigi e picchiato alle porte dei più potenti per tentare di ravvivar negli animi francesi qualche amore per la causa italiana, egli scrive ancora a Teresa. In Carlo, su cui grava ora più che il proprio destino, il destino di tanti altri esuli che egli ha intorno a sè, morenti di dolore ed anche di fame, ed il cui animo è sconvolto da violenta passione suscitata da una « testa romana, col viso bruno, i capelli neri e (1) A Teresa Roggeri - Paroletti — piovoso anno 7 — Torino (febbraio i 799), op. cit. (2) Lett. a Teresa Roggeri — 28 ventoso anno 7, edita in op. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 251 ricciuti, due occhi di fuoco » (1), è sempre il pensiero de 1’ amica buona che non ha mai suscitato tempeste nel suo povero cuore, quello che ritorna con insistente dolcezza, pensiero che Io induce a parlar di lei con chi lo ospita e che gli fa nascere un rimpianto mentr’egli si sofferma a lungo sulle note più sommesse del flauto : « povero cuore che cosa hai mai perduto che non ricupererai mai più! » (2). Ma il vuoto prodotto nel suo cuore doveva in parte venir colmato quell’ anno stesso dall’ affetto di colei che fu poi sua sposa, Antonietta Viervil, buona e forte, tenace nei propositi, originale nelle idee, che dopo aver vegliato con cura intelligente a fianco di Carlo quand’egli occupò nobilissime cariche in Parigi, già minata dal male, si staccò da lui quando s’ avvide che la mutata condizione delle cose più non permetteva la dimora nella costosa città, per recarsi in San Giorgio, paese nativo di Carlo, in una casa che non Γ amava, per morirvi di lì a poco senza più rivederlo, amareggiate le ultime ore dall’incerto destino dei piccoli figli che lasciava soli. Tuttavia nelle gioie e nei dolori della sua nuova vita, il Botta non dimentica mai l’amica lontana e di ciò fa fede una lettera a lei diretta, la sola che a noi resti nel lungo periodo che va dal 1800 al 1832. In essa lo storico, già famoso, della guerra dell’indipendenza degli Stati Uniti d America, ricorda a Teresa il disdegnoso: « non avete che ciancia », fiero (1) Riguardo a questa passione vedasi lo scritto del Roberti, Un anno della vita di Carlo Botta in Nuova Antologia, fascicolo 16 febbraio iqoi, pagg. 11-12. — Notisi, però, che il sospetto che la donna amata dallo storico fosse la moglie del Monti, sembra a noi cader del tutto dinanzi al modo con cui il Botta ne parla in una sua gustosa lettera all’ amico Balbis _ « C’ était une jeune italienne », dice egli fra 1’ altro, « que les malheurs de notre pays et le mien avait emmene ici. Eli a fini par courir après les muscadins ; j 'avais envie de me tuer : mais au bout de compte, son indifférence m’ a rendu a moi même et a mes amis ; car je t’ avoue que j’ étais devenu d’une humeur insupportable. Je ne suis pas encore entièrement 1e-tabli : mais je suis convalescent. Seulement quand un muscadin vient me demander un congés de convalescence ou autre, je le reçois comme un chien qu’ a faim. Le petit diable proméne encore ici, mais je ne la vois plus et ne veux plus la voir ». Lett. a Balbis — 28 ventoso anno 5 — 19 marzo 180O, inedita. (2) A Teresa Roggeri - Paroletti, Grenoble 1800, edita da C. Dionisoth, Carlo Botta a Corfii, pagg. 173-74· 252 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di poter provare che i fatti avevano smentite le parole pronunciate ventidue anni prima. Questa lettera, che porta la data del i° di novembre del 1817, ci lascia credere, dal modo stesso con cui è formulata, che sia stata la sola scritta dal Botta a Teresa nel lungo corso d’ anni. Il matrimonio, le cure dei figli, 1 esistenza sua sconvolta e turbata da una lunga serie di sventure, le opere cominciate con zelo e finite nello sconforto e quasi nella miseria, tutto ciò dovette togliere il modo e l’animo di comunicare coll'amica lontana. Ma nel 1817, quando da due giovani piemontesi di passaggio da Parigi per Londra, riceve i saluti di Teresa, egli nel risveglio di quei due santi e sempre vivi affetti: della patria lontana e di colei che fu il sogno più bello della sua giovinezza, non può trattenersi dal ringraziare la memore amica. Chissà? sarà ella felice? E questo il primo pensiero che s’affaccia alla mente di Carlo, cui la felicità ha arriso ben poco. « Dites-moi que vous êtes heureuse », scrive egli, « et ce sera une bien grande consolation pour moi ». Di sè egli dice con triste brevità: « Vous devez connaître les malheurs affreux qui me sont arrivés. Je n’espere plus aucun bien sur la terre. Il ne me reste plus que des devoirs à remplir et je tache de les remplir de mon mieux, malgré la fortune constamment contraire », e aggiunge ancora come una preghiera: « Je ne vous verrai plus, ma chère madame Roggeri, mais j’ ose croire que l’ancien ami de votre famille et le votre ne s'effacera jamais de votre souvenir ». Egli dal canto suo non la dimentica, no. Passano per il Botta i giorni sereni e laboriosi del suo soggiorno a Rouen ; ritornano i giorni travagliati ed inquieti della sua dimora in Parigi; muoiono accanto a lui gli amici; gli s’affollano intorno i conoscenti; crescono sotto la sua penna i volumi, crescono intorno a lui i bisogni. Parrebbe che in tanto succedere di anni, in tanto incalzare di avvenimenti, fosse in lui smarrita ogni memoria di Teresa lontana. Eppure; appena l’amico suo, il Marchisio, ricorda in una lettera quel nome: « Roggeri », lo storico afferra d’un colpo il tenue filo e con esso si riattacca ai giorni lieti della giovinezza, al giorno triste della rinunzia e della promessa. « Cari mi sono i saluti dell’avvocato Roggeri », scrive egli all’amico, « se, come credo, è quel della Morra. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 253 Avrei anche avuto caro di saper nuove della sua moglie; ma quest ultima Bibbia non la dite allo Spinoso, perchè mi strapazzerebbe come un cane, come ha già fatto tante altre volte (i). Chiamava il Botta, col nome di Spinoso (2), Luigi Rigoletti, colui che lo storico trovò sempre accanto a sè tacito e pronto in tutte le terribili circostanze della sua vita, onde quelle parole : « come ha già fatto tante altre volte » verrebbero ad un tratto a rivelarci che assai sovente amava ricordare Teresa lontana coll’amico, che pur doveva conoscere intimamente e fin dal suo nascere quest’affetto, se lo storico parlando del Rigoletti poco dopo la sua morte, scriveva al Marchisio: « Chente fosse, voi il sapete: quanto avesse fatto e tuttavia facesse per me, voi il sapete ancora. Ma forse non sapete tutto; domandatene a Madama Roggeri. Vedrete se mai fu un’amicizia come la sua » (3). Era morto, infatti, pochi mesi dopo le timorose parole del Botta, il Rigoletti ; e lo storico se apre la lettera con cui dà l’annunzio doloroso al Marchisio scrivendo : « La presente co-mincierà col pianto. E morto il mio e vostro amico Rigoletti » la chiude poi colle parole: « Carissime mi sono le nuove che mi date dei coniugi Roggeri ed egualmente cara mi sarebbe la pistoletta che mi dite, se me la scrivessero. Fate che me la scrivano. Fate loro le mie più affettuose salutazioni. Io diceva un giorno, or corre appunto il trentunesimo anno, a madama passeggiando con lei in un prato vicino ad un burrone alla Morra, che voleva fare qualche libro. Ella mi rispose queste parole: « I ]’avü mac d'ciancia » (4). E così ho voluto farle vedere che avevo qualche cosa di più che della ciancia; questa fu la mia musa; e quelle parole sempre ch’io lavorai o lavoro, mi furono e sono presenti in mente. Forse ella dirà che intendeva di buoni libri, non di cattivi; a questo sto cheto » (5). Ma non sta cheto e più volte ripete all’ amico le stesse parole, (1) Lett. a Stanislao Marchisio, 5 luglio 1826, ined. (2) Lett. a St. Marchisio, 10 febbraio 1825. Scrive il Botta: « Sapete a che somiglia il nostro Rigoletti ? Egli è un riccio tutto spine fuori e dentro carne squisita. Salutatolo e guardate che non s’ appallottoli e vi punga », ined. (3) Lett. a St. Marchisio, 27 ottobre 1826, ined. (4) « Non avete che ciancia ». (5) Lett. a St. Marchisio, 27 ottobre 1826, ined. 254 GIORNALE STORICO E LETTERARIO UEIA.A LIGURIA esprimendo il desiderio di rivedere ancora una volta la città di Torino e colei che un tempo colla sua presenza tanto abbelliva il soggiorno in essa; desiderio ch’egli potè soddisfare nel 1832. Allora l’Accademia delle Scienze si raccolse in seduta straordinaria per rendere onore allo storico d’Italia; Carlo Alberto gli accordò un colloquio speciale, i concittadini lo accolsero con gioia e con orgoglio ; ma nulla per certo avrà più potuto sull’animo suo della vista di Teresa, della donna che pareva compendiare in sè, i sogni e le cadute del Botta giovane, le amarezze e le vittorie del Botta vecchio. Ed un’eco della gioia vivissima provata allora doveva portare lo storico nella sua solitaria casa di Parigi. Sotto quest’eco vibrano le corde sensibili del vecchio cuore e la penna, come docile strumento, dà le ultime note, finché 1’ eco s’ acquieta a poco a poco forse solo per ridiventar più forte altrove. * * * « Non so se le anime abbiano diverse età, ma certamente la mia è ancor molto giovane » (1), afferma in una delle sue lettere a Teresa, il Botta che aveva allora sessantasei anni; E noi dobbiamo credergli senz’altro. Un’anima è sempre giovane finché un sentimento giovanile la tiene desta e la ravviva; onde se anche nelle lettere dello storico troveremo il ripetersi di una stessa frase più volte, con quell’insistenza che è propria del-l’età senile, se ci accorgeremo che il suo pensiero si fissa sovente nella vita futura con una serenità che l’età giovanile non conosce, tuttavia ci guarderemo bene dallo smentire queste sue semplici parole. Il viaggio per quanto rapido compiuto dal Botta nel 1832 da Parigi a Torino, poi al suo S. Giorgio, di là alla Morra, ha fatto risorgere d’un colpo un’infinità di affetti nell’animo dello storico. Le immagini dei luoghi e delle persone scolorite dal tempo, quasi cancellate dalla innumerevole sovrapposizione di altri luoghi e di altre immagini, riprendono le tinte vivaci d’una volta e rifioriscono d’una novella vita. L’aver riveduta Teresa, l’averle portato via quasi di nascosto, come un innamorato a vent’anni, un suo ritratto per farne eseguire una riproduzione e poter così averla costantemente presente, può ben farlo sor- (1) Lett. a Teresa Roggeri — 14 nov. 1832, inedita. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 255 volare su una quarantina d’anni. E che son poi quarant’anni per uno storico che in poco spazio di tempo ha colla mente abbracciato gli avvenimenti di più secoli? Egli ritorna qual’era quando abitava in Torino, quando passava sotto le finestre del-1’ amata, quando le portava i fiori delle serre e con lei si deliziava della musica di Paisiello. In tutte le lettere che ci rimangono dirette a Teresa, il Botta rievoca la vita d’ allora, rivive quelle ore. Spira in tutte, anche in quelle in cui predomina la melanconia, un’aura quieta di serenità; si sente la calma dopo passata la gran burrasca. Le opere sue a lungo meditate e per la cui sorte ha tremato come per la sorte di figli, sono finalmente compiute; han varcato i confini della Francia, son penetrate, coll’allegra audacia delle cose proibite, in Italia; si son disperse per l’Europa, sono entrate trionfalmente nella patria di Washington. L’avvenire dei figli —.altre opere — che dovranno più tardi illustrare la vita del padre — non è più incerto. L’ora tranquilla, l’anima giovane ancora, dettano al vecchio storico ie lettere a Teresa. Lettere che a tutta prima paiono a noi un po’ esagerate, un po’ goffe, come inchino sgraziato di vecchio premuroso dinanzi a donna giovane, ma che finiscono poi per farci spuntar sulle labbra un sorriso fine e punto malevolo. Noi ci accorgiamo che lo storico esagera quando scrive all’amica: « La vostra stella, dico la vostra cara immagine e la ricordanza del bene che sempre mi voleste e le altre vostre virtù mi sostennero nelle disgrazie e fecero che non solo onorato vissi, ma ad ogni modo vissi, perciocché senza di voi sarei morto non una ma molte volte » (i). Noi sentiamo ch’egli esagera ancora quando aggiunge : « Siate certa che voi siete quella che avete compiuto le mie opere, non io, per modo che se portassero in titolo il vostro nome invece del mio, parlerebbero con più verità: tanto fuoco mi veniva da voi benché di tanto spazio lontana » (2). E tuttavia noi siamo tratti a sorridere senza serbargli rancore alcuno, perchè comprendiamo che quell’esagerazione non nasce già dallo sforzo dello storico ricercante con cura le belle frasi sonanti, ma bensì dall’impeto stesso del sen- (1) Lett. a Teresa Roggeri — 6 marzo 1833, inedita. (2) Lett. a Teresa Roggeri — 4 ott. 1832, inedita. 256 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA timento. Il cuore del Botta rivive istanti giovanili; egli vuole esprimere, quasi fissare quegli istanti; ma la mente fatta ormai lenta e grave più non suggerisce le frasi agili e ridenti, ma ripete le solite cose, detta le parole d’amore collo stesso giro di frase, colla stessa collocazion di periodi, con cui ha dettato allo scrittore le togate pagine delle sue storie. Da questo contrasto, della vivacità del sentimento colla lentezza e gravità della mente a tradurlo in parole, nasce appunto 1’ esagerazione. Ma non da questo contrasto solo. Essa nasce ancora da un errore dell’immaginazione. Dinanzi a Carlo sorge ora improvvisamente non già la Teresa che può, tranquilla, aver ignorate tutte le sventure dell esule e che può, ora, per una leggera compiacenza femminile, sorridere buona al vecchio storico illustre ; ma la Teresa d un tempo, quella eh’ egli solo ha amato nella sua giovinezza e dalla quale ha attinto forza nella sventura, fede nel- 1 avvenire. Per questo errore si ritrae nell’ombra la bella, dolorosa figura di Antonietta Viervil alla quale un giorno Carlo scriveva : « Je me disais à moi même : tu as eu bien de malheurs, tu as essuyé des orages violents: tu ne croyais plus au bonheur : tu ne songeais plus qu' à vivre et n’ éspérais plus de sourire. Mais la presence d’Antoinette t’ a rendu une nouvelle vie » (1). Per quest’errore si ritraggono nell’ombra gli amici buoni, che sono accorsi a lui, al suo primo grido di disperata protesta contro l’avversa fortuna, che l’hanno seguito sempre agevolando 1’ opera sua. Resta solo Teresa alla quale, un tempo, egli portava le delicate mimose, ed alla quale, ora, fa omaggio delle sue opere — mimose coltivate anch’esse con cura, per la natura tutta, ma più ancora per lei. * * * Strana cosa! Vecchio lavoratore il Botta non parla a Teresa delle sue opere. L' unico lavoro sul quale si fermi ed insista è il Camillo o Veio conquistata, che stampatosi per la prima volta in Parigi nel 1815, ristampavasi allora in Torino per il troppo zelo di alcuni suoi ammiratori. Carlo ne fa inviare una copia a Teresa e vuol che lo legga, che lo mediti, che si commuova. Poiché il Botta, simile in ciò alle madri che prediligono i figli (1) Lett. ad Antoinette — 23 maggio 1800, ed. da Dionisotti, Vita di C. Botta, pag. 513. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2 57 più brutti per anima υ per corpo, anch’ egli predilige quest’opera che se non ha per nulla guastata la sua fama, per una pietosa riverenza dei critici verso lo storico grande, che non era poeta, non le ha tuttavia giovato affatto. * Se lo leggete, scrive egli a Teresa parlandole per la prima volta del Camillo, vi accorgerete che voi siete presente ad ogni verso e vi so dire che spesso avveniva che invece di scrivere Veio o Roma, mi veniva scritto casa Masino o casa Paroletti (!) e spesso dalla mia penna usciva Teresa in luogo di Venilia. Se qualche purità di affetto v’ è in questo poema, se qualche amore della virtù, se qualche incanto delle cose belle, tutto è dovuto ai sentimenti che voi mi inspiraste, allorché giovani ambedue essendo, le nostre anime si parlavano e così bene tra loro s’intendevano. Io questo poema il feci fra i rumori di guerra di Bonaparte, fra le incertezze del futuro destino della mia famiglia, fra i primi segni funesti anzi nell’ approssimarsi stesso della morte della mia povera moglie, insomma fra temenza e dolore (i). Sovente il cuore mi veniva mancando e disperava del poema e di me; ma quando più mi trovava in fondo, mi appariva la dolce immagine vostra che mi rimproverava la mia debolezza e mi sollevava e nuove forze mi dava per seguire l’opera incominciata, opera veramente ardua e più d’ogni altra difficile e faticosa. Così voi la feste, non io e questi sono i vostri miracoli » (2). Parrà irriverenza il credere che Teresa si sarà sbigottita di questo suo miracolo? — « Se avete pazienza di leggerlo >, scrive in un’ altra sua, « vi troverete ad ogni passo vestigi di voi, là dove nel terzo canto Giunone scesa all Inferno ridona la sanità e la bellezza all’ afflitta Didone e là dove nell’ ottavo (1) Nella lettera del 4 genn. 1833, scritta dal Botta a Gius. Gallo e stampata in fronte al Camillo nella nuova edizione, si legge : « Fra i rumori delle guerre bonapartiche, fra 1’ incertezza delle sorti future della mia carissima famiglia, fra i segni funesti della vicina morte della mia virtuosa moglie, nè potendo fra i rigori di quei tempi scrivere storie, in cui con sin-ceriti i fatti appartenenti all’ Italia si descrivessero, e pure il cuore pieno di non so che sentendomi, mi diedi a far versi e composi il poema intitolato il Camillo ». Queste' parole messe a confronto con quelle scritte alla Paroletti, potrebbero forse far nascere qualche riflessione. (2) Lett. a Teresa Roggeri — 19 die. 1832, inedita. Giom. St. e Lett. della Liguria *7 258 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Cosso si innamora della vergine Tiberina » (1). A chiunque s’armi di tal coraggio da leggere il terzo e l’ottavo canto di questo terribile volume, io credo che sfuggirà, com’è sfuggito a me, qualunque vestigio di Teresa, tranne che il Botta non voglia qui alludere a quella pietà per la quale l’adirata Giunone si muove a porre fra i beati la povera Didone, pietà che potrebbe essere stata suggerita al cuore del disgraziato poeta, dal pensiero della tranquilla e candida Teresa che col suo aspetto solleva pure gli animi e li purifica. Per la vergine Tiberina la cosa si spiega, perchè il Botta stesso aggiunge : « Quando scrissi questi passi io pensava appunto a voi, quando la prima volta sentii muovermi ad amarvi guardandovi dal bmco dei musici dove sonava il flauto, in un concerto dato in casa di un procuratore di cui ho dimenticato il nome, ma che stava vicino al Carmine » (2). Cosso, il fiero romano, che invece di tener fra le mani il flauto e di trovarsi in casa d’ un procuratore, sostiene il terribile scudo e si trova duce supremo in mezzo ad un accampamento, e Tiberina, che invece di essere la forte fanciulla che anima il patriotta deluso, è una vaga donzella, figlia di re, che in tutto il libro pare non abbia altro ufficio che quello di appendersi al collo dei genitori alzando altre strida e versando torrenti di lagrime, Cosso e Tiberina possono bene aver fatto palpitare l’anima dello storico col richiamargli un affetto sempre vivo, perchè amore è per sè atto a commuovere, qualunque siano le circostanze in cui si rivela, qualunque siano i cuori in cui s’ annida. E possiamo anche comprendere e compatire il poeta se parlando di Venilia, l’infelice giovinetta che affronta la morte pur di ritrovare chi ama — ed è questo l’unico episodio che offra una certa vivacità di sentimento — egli dice ancora u Teresa: « Abbiate pazienza, ma leggete il Camillo e troverete, spero, che quest’opera non è indegna di voi, checché ne dica il secolo che corre dietro alle rabbie, ai furori, ai rumori e se Venilia non vi tocca il cuore, vi dirò che non siete più quella d’una volta; ma son sicuro che ve lo toccherà e piangerete con me sulle sue sventure; imperocché nemmeno adesso che son (1) Lett. a Teresa Roggeri — 13 maggio 1833, inedita. 2) Lett. a Teresa Roggeri — lett. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 259 vecchio e pigro, posso leggere senza lagrime questa dolente istoria » (1). Nè si accontenta ancora, perchè nella lettera seguente, scrive di nuovo: « Troverete nel Camillo non poche battaglie perchè, come sapete, la smania degli uomini di ammazzarsi fra di loro, è cosa antica e credo che durerà per « omnia saecula saeculorum » come se la peste, il cholera e la febbre gialla e la rossa e la nera e tanti altri malanni non bastassero pei ammazzarci; ma vi troverete ancora molte cose di affetto tenerissimo e se ancora siete, come veramente siete, quella Teresa d’una volta, lagrimerete con quegli occhi che fecero versare tante lagrime. Ciò sarà sommo premio della mia opera perchè sarà prova che ho dato nel segno. Avrei caro intendere l’effetto che ne avrete sentito, perciocché se tal’è quale io m’immagino dover essere, crederò che le anime nostre suonino ancora del medesimo suono d’una volta. Ad ogni modo voi amerete il mio Camillo se non per altro almeno perchè siete voi che 1’ avrete fatto » (2). E per nulla sbigottito dal silenzio di Teresa, Carlo tenta ancora, più tardi: « Se avrete pazienza di leggerlo vi accorgerete eh’ei mi somiglia più del bronzo di Donadio (3); ma intendetelo per diritto perchè voglio parlare non dell’eroe Camillo a cui non son degno di 'essere, come si dice, il fattorino ; ma dell’opera, in cui mi pare di aver stillato tutti i sentimenti teresiani, cioè i vostri che mi avete inspirato infin dai più giovani anni. Tutte le mie opere le avete fatte voi ; ma questa più di tutte e lasciate pur mormorare i cuori di selce, le anime nobili e tenere saranno per me » (4). Infine dopo aver tentato umilmente ancora un giudizio un anno più tardi colle semplici parole: « Vi piace il Camillo, si o no? » (5) non ritorna più sull’argomento. Certo avrà egli sofferto per il silenzio di Teresa, come già aveva sofferto altra volta per il silenzio ugualmente ostinato degli amici suoi più cari ch’egli aveva richiesti d’un giudizio. Gli amici non rispondono, come non risponde Teresa. E ciò è (1) Lett. a Teresa Roggeri — lett. cit. (2) Lett. a Teresa Roggeri — 1 luglio 1833, inedita. (3) Donadio, noto incisore, come risulta da altre lettere del Botta, aveva riprodotto in medaglie di bronzo 1’ effigie dello storico. (4) Lett. a Teresa Roggeri — 30 agosto 1833, inedita. (5) Lett. a Teresa Roggeri 13 agosto 1834, inedita. 2ÔO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA indizio dell’ amicizia vera che li univa al Botta, amicizia che non poteva scendere ad una lode che sarebbe stata adulazione, o ad un biasimo che sarebbe stato crudeltà. E come evitar l'adulazione, volendo lodare un libro in cui tutto era mediocre, forma e sostanza, e come evitar la crudeltà nel biasimare un libro per il quale s’accorgevano che Carlo aveva una speciale predilezione, perchè esso era cresciuto a goccia a goccia quasi a sollievo delle ore più dolorose della sua vita ? Per le altre opere, nessuno di essi aveva risparmiato il suo franco giudizio, perchè se pur dovevano accennare a difetti, era impossibile poi che non avessero ad esaltarne i pregi. Ma in questo caso era meglio il silenzio. Lo storico aveva scritto il Camillo coll’ intento di ritrarre a più dolci studi ed a pensieri più quieti il suo secolo ambizioso e turbolento e lo intessè di lotte spaventose, brutali, in cui il sangue scorre a torrenti, le grida fanno rintronare il cielo e la terra, le saette offuscano il sole ; lo scrisse coll’odio in cuore per le nebbie erciniche e caledoniche e lo riempi di metafore stravaganti, d’immagini che ci fanno rabbrividire. Forse nessuno dei suoi amici e neppure la buona Teresa, in tanto fragore d’armi, in tanto turbinoso moto di numi adirati, in tanti rivolgimenti di uomini e di cose, ebbe il coraggio di dar l’assalto almeno al secondo canto. Solo l’ottimo Manzoni pare abbia affrontato quest’ardua fatica, poiché in una sua lettera al Fauriel scriveva fra l’altre cose: « I’ ai reçu le « Camille » de Botta avec reconnaissance, et je 1’ ai lu avec empressement. Si vous le voyez, veuillez bien le prier d’agréer mes remerciements et mes congratulations. Quand je vous écrirai la première fois et moins à la hâte, je me permettrai de vous communiquer quelques réflections sur le sujet plus pour vous proposer des doutes que pour dire mon avis. Au reste, il ne faudra parler a Botta que du plaisir que l’ouvrage m’a fait: car mes difficultés ne vaudront, peut-être, pas la peine d’être proposées » (i). Manca nell’epistolario, forse perchè mai scritta dal Manzoni, la lettera in cui egli propone i dubbi suoi al Fauriel; ma le poche parole riferite, mentre ancora una volta rivelano a noi la modestia e la squisita delica- (i) Lett. a Fauriel — 19 marzo 1817 — Epistolario di A. Manzoni per cura di G. SFORZA. Milano, 1882 ; vol. I, p. 151· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tezza dell’ immortale scrittore, avrebbero certo suggerito al Botta — qualora fossero state a lui note — qualche moderazione nelle sue critiche contro i Promessi Sposi. Quanto al Monti poi, che pur s’era proposto di far parola del Camillo nella Biblioteca Italiana, non mantenne la promessa per quanto in bel modo ne lo sollecitasse il Botta; il quale, alfine, vinto da tanta indifferenza di amici e di letterati italiani, si rattrista e questa sua tristezza manifesta a molti, ma più specialmente a colui che fu il suo miglior amico, a Luigi Rigoletti. In una lettera a lui diretta, dopo aver riferito gli elogi tributati al poema da uno scrittore francese e dopo aver notato come ben poche siano in Italia le persone che avendo ricevuto il Camillo gliene abbiano poi fatto in qualche modo parola, egli soggiunge: « Quant aux journaux italiens, tandis qu’ ils rendent compte tous les jours des moindres inepties étrangères ils ont garde de ne pas parler de mon poème. Il n’ y a que ce bon Bertolotti qui en a parler dans son « Spectateur » Encore a - t - il copié 1’ entrait d’un journal etrangér. le dis tout cela comme simple observation et non comme plainte. le ne me plains nullement. le savais très bien, quand j’ écrivais mon poème que cette manière d’écrire n’ est plus à la mode aujourd hui en Italie et qu 'elle ne peut y être apprécié » (i). Il suo modo di scrivere non era infatti di moda ailora, come non lo è nel tempo presente — e mai i quattordicimila ottocento versi del suo sciagurato poema, potranno valere in tutto le poche pagine dell’ episodio in cui lo storico rese alla patria 1 oscuro suo eroe, Pietro Micca. * * * E questa, del resto, l’unica opera della quale il Botta parli a Teresa; ed i ricordi della vita passata, le speranze per la vita futura, i pensieri dei figli costituiscono tutta la materia e la sostanza delle lettere. E ricordi antichi e speranze nuove, tutto si riannoda intorno alla figura di Teresa, la sua dolce amica. « Quando arrivano i vostri caratteri, scrive egli, oh! quanti affetti oh ! quali e quante ricordanze si svegliano nel mio cuore! » (2). Il cuore vecchio ha un palpito giovanile, il (1) Lett. a Luigi Rigoletti, 16 giugno 1816, inedita. (2) A Teresa Roggeri, 2 luglio 1836, inedita. 2Ó2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cuore solo dimentica la solitudine. Socchiudendo gli occhi Carlo può credere per un istante di essere a Torino, di passare sotto le note finestre stringendo fra le mani le delicate mimose. Ma qualche volta dopo aver chiusi così gli occhi ed aver vissuta un altra vita, egli si riscuote e par che conti intorno a sè i superstiti di quei tempi. « O guardate, Teresa mia, che cosa è diventata la felicissima ed amabile colonia di Porta Nuova! Chi è morto e chi è disperso; pochi rimangono in vita e voi ed io fra gli altri come quasi testimonii di un bene che non è più » (i). Ma subito gli sorride la speranza che si troveranno tutti liuniti in una vita futura: « Tanta bontà, dice egli, non deve restringersi fra gli angusti limiti della terra e sto per dire che in grembo a Dio non sarei felice se là fosse spenta la memoria della felicità di Porta Nuova. Noi poi, cioè voi ed io, canteremo quel dolcissimo duetto della Nma: « oh! momento fortunato! » gli angioli ci ascolteranno con diletto ed al nostro perenne affetto applaudiranno ». Ed ecco che lo storico non può pensare a Teresa senza che ritorni ai tempi passati; ma neppure può figurarsi la vita futura senza Teresa e senza la musica, tutto ciò eh’ egli ha amato ed ama coi figli. Se una nota della Nina di Paisiello gli ritorna alla mente, essa ridesta subito in lui l’immagine di Teresa, come se quella nota e quell’immagine fossero fra loro unite. Onde non si può credere che il Botta mentisca o si contraddica quando scrive di Paisiello, il maestro che nell’ultima metà del secolo diciottesimo sollevò intorno a sè non disprezzabile fama colle sue opere: « Forse ei fece tutto ciò eh’ io sono » — No. La musica di Paisiello che col Socrate immaginario commosse pure il sensibile animo di Leopardi, colla Nina pazza di amore sappresentatasi in Torino nel 1792, disvelò forse o diede maggior forza all’ affetto che germogliava nel cuore di Carlo, mentre d’ altra parte lo stato d’ animo in cui egli trovavasi allora, stato di sensibilità squisita, in cui ogni ombra si colora, ogni immagine si avviva, lo rese più atto a comprendere le note di quella musica che a lui parve divina e che dovette in seguito imprimersi in modo incancellabile nella sua mente. Il Botta per una speciale disposizione dell’ animo suo (1) A Teresa Roggeri, 11 aprile 1834, inedita. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 263 sentiva profondamente la musica. Già in una delle tesi sostenute con molta lode all’esame di aggregazione al collegio di medicina, aveva tentato di dimostrare l’efficacia di essa in alcune malattie. Suonava pure egli stesso assai bene il flauto e prima ancora che il primogenito nascesse, egli già aveva comprato, accarezzando chissà quali sogni, un violino di Stradivari che incontrò poi sorte uguale a cinquemila copie della sua storia d’America; queste vendute a peso ad un droghiere per far fronte alle spese di quel viaggio doloroso che più non doveva aver ritorno per la coraggiosa Antonietta, quello venduto per non morir di fame, mentre la mente dello storico si aggirava animandosi, esaltandosi, soffrendo, negli avvenimenti che avevano commossa l'Italia dal 1789 al 1814. Tuttavia il figliuol suo Paolo Emilio, 1’ archeologo ardito ritenuto per qualche tempo 10 scopritor di Ninive, che aveva ereditato dal padre l’amore ai forti e serii studi e dalla madre una certa riguardosa selvatichezza ed una fiera indipendenza di carattere, dovette più tardi alleviar egli pure colle note soavi le lunghe traversate sul mare e le faticose marcie della carovana attraverso i deserti dell’Arabia, portando colà una scintilla della passione paterna (1). Carlo Botta amava la musica; ma Paisiello che colle sue note aveva per così dire seguito tutto il nascere, lo svolgersi, 11 fiorire di quell’ affetto possente che doveva occupare più di quarant’ anni della vita dello storico, e ciò mentr’ egli era nel fiore dell’ età, quando le impressioni son più vivaci e non si cancellano più, doveva diventare per il Botta una specie di divinità, un genio tutelare di cui egli come già per Virgilio tiene in casa, qual cosa sacra, una piccola statua. Cresciuto con quella musica che ricorda la stessa scuola, gli stessi principii della musica del Cimarosa, che il Botta pure esalta, egli non comprese le supreme armonie del Rossini che col Mose e col Barbiere saliva allora ad altezze che la musica da tempo più non aveva raggiunto, ma come farebbe un antivagneriano (1) Lett. a Luigi Rigoletti — 15 aprile 1826. Parlando di P. Emilio che era partito pochi giorni prima per 1’ Egitto : « Il avait une seule inquié tude, c’était de ne emporter sa basse à la quelle il est fort attaché; mais le capitaine lui a dit que loin de lui defendre, il le lui permettait avec le plus grand plaisir____ Il a avec lui du Hayden, du Mozart, du Beethoven ». -·:----- 264 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA arrabbiato, egli gridava contro i reboantia deliramenta Rossinicae sectae e sosteneva di non poter in nessun modo assistere a tutta intera una rappresentazione del Mose o del Barbiere, perchè tutti i nervi della testa gli tiravano da non poter reggere e di quella musica nulla capiva (1). Capiva invece assai ed amava il Bellini, per un « certo avviamento che dava alla musica — così egli diceva — con tirarla di nuovo ad una grande espressione e con allontanarla dal tamburo e dal tamtam ». Ma il maestro che il Botta predilige è pur sempre Paisiello. E di Paisiello, mentre ancor negli ultimi anni chiede come una grazia che gli sia mandato da Napoli lo spartito del Socrate immaginario, già serba in casa sua lo spartito della Nina e lo dice a Teresa: « Avete a sapere che fra le più geniali cose ch’io mi abbia in casa è lo spartito di quella Nma e sovente ne vo canterellando fra me stesso o in casa o fuori, ora un pezzo ora 1 altro, chè la so tutta a memoria ; ma il più sovente mi fermo in quell’ultima finale che secondo me è quanto di più dolce, di più soave e di più affettuoso sia mai uscito da cuore umano. Voglio fare, se sia possibile, che quando sarò in punto di morte mi si suoni e canti in una camera vicina quel finale e poi in ultimo l’introduzione della medesima Nina che come sapete comincia colle parole: « Dormi o cara ». Molti diranno ch’io son matto, ma noi direte già voi, mia Teresa, la cui anima sa e sente che cosa siano queste cose » (2). E Teresa lo sa perchè anch’ ella si commosse alla musica di Paisiello e fu tra coloro che nel 1794 inviarono al maestro una lettera di ammirazione vivissima a nome della gioventù torinese. Teresa lo sente e Carlo talvolta si concentra in lei col mettersi a cantare colla sua voce stanca quel prediletto finale della Nina·. « Mi sento, oh Dio che calma! ». Così questi due affetti sbocciati quasi ad un tempo nell’ anima dello storico e conservatisi in essa in mezzo a tanti infuriar di casi, illuminano con blanda luce, gli ultimi giorni tristemente tranquilli di una vita dolorosamente agitata, dando ancora al vegliardo la forza di sognare. (1) Lett. a Luigi Colla — 20 die. 1829. Cibrario, Lettere inedite. Torino, 1861, pag. 345. (2) Lett. a Teresa Roggeri del 6 marzo 1833, inedita. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * * * E se la voce stanca dà tuttavia le ultime note come estremo tributo al maestro, anche l’anima dell’innamorato dà le ultime espressioni di amore. Come non sorridere a certe proteste a certe dichiarazioni? Come non sorridere quand’egli dando a Teresa notizie del figliuolo Paolo Emilio, che si trova nella patria di Cleopatra, e di Cincinnato, che si trova nella patria di Didone, soggiunge poi premurosamente : « Ma nè Cleopatra ne Didone non hanno che fare colla mia Teresa per bellezza, molto meno poi per virtù » (i). E Teresa aveva allora sessant’ anni ! Così lo storico che un tempo non poteva soffrire il Tanaro, fiume a lui funesto, ora ha fatto pace con lui e protesta che è bello e ciò non già perchè ha le rive risplendenti d’argento, ma perchè bagna le falde del monte dove Teresa fa telice ognuno che la circonda e si ricorda del suo amico Carlo. Teresa poi dal canto suo, per quella certa civetteria buona, se si vuole, che è in tutte le donne e che in molte di esse dura sino alla morte, si preoccupa assai del ritratto che Cario le ha portato via, quasi di nascosto, per farne ritrarre una copia a Parigi ed esprime il desiderio che il pittore la dipinga vestita in un dato modo ch’ella spiega. Botta afferma che sarà fatto come ella vuole: le dice il nome dell’artista, assicurandola che lo farà con amore perchè « sa che cosa siano queste cose ed è capacissimo di far bene » (2). Ma in una delle sue lettere egli si lascia sfuggir detto, che il pittore l’ha dipinta con volto un po’ più grasso, il che diminuisce in parte la leggiadria ed eleganza sua naturale. È vero che Carlo aggiunge subito che il difetto sarà corretto, ma in Teresa nasce il dubbio che il ritratto possa far torto all’ originale, onde premurosamente Carlo la rassicura e trova modo di ripeterle ancora una volta tenere espressioni di affetto (3). Certo egli ama la terrena veste di Teresa, che è impressa a note indelebili nel suo cuore; ma l’ama perchè essa è la perfetta immagine di quell’anima bellissima che le dà moto e senso; ed inganno è il credere che il tempo col suo maladetto rodere possa far dimenticare tanto (1) Lett. a Teresa Roggeri del 6 marzo 1833, inedita. (2) Lett. a Teresa Roggeri — 19 die. 1832, inedita. (3) Il Dionisotti nella sua Vita di Cario Botta, accennando brevemente 266 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA amore e tanta virtù, perchè l’amore di Teresa è fondato non su cose labili e passeggiere, ma su cose eterne, e credere che possano perire è sacrilegio. « Non lo sentite », scrive egli con giovanile vivacità, « non lo sentite voi in voi che ciò che dico è vero? Quell’amare e quel beneficare così profondo e così continuo che fate voi, non possono essere indarno ; opera eterna fate ed affetti eterni inspirate » (i). Teresa è fortunata perchè conosce il ben fare ed il ben amare e Carlo è fortunato e glorioso di aver per amica colei cui nessun afflitto trovò mai senza conforto, nessun povero senza soccorso. Egli la dice « provvidenza della Morra » (2), e dovendo augurarle il buon anno fa questa delicata considerazione : « Augurarvi un buon anno è lo stesso che augurarlo a tutti coloro clic vi conoscono, perchè la vostra felicità fa parte della loro e la loro fa parte della vostra » (3). Elogio più semplice ed insieme più grande di questo, non v’ha per una donna. Quando accade che le loro lettere s’incontrino per via, Botta esulta e chiama ciò « mirabile tratto della Provvidenza » (4), affermando che un Dio presiede alla loro amicizia. Un giorno è persin tratto a dire : « Se non fosse impertinenza somma, direi che voi ed io siamo due angeli, poiché ci parliamo ed intendiamo di lontano, la qual cosa se non m’inganno, i teologi chiamano « intuizione » e non ha luogo se non in paradiso » (5). Ma ciò è detto, come ben si vede, con quel tono leggermente alla Paroletti, dice in una nota : « Dal ritratto della Roggeri apparisce die era d’ una bellezza affascinante » (pag. 475 n. 2). Il Marchisio in un suo scritto, tuttora inedito, accenna pure alla dolce bellezza di Teresa ed alle squisite doti del suo intelletto e della sua anima. Nulla ci dice di lei il Tommaseo benché riferisca nel suo Dizionario estetico (Cap. Botta), le parole : « Ecco la^ sua ninfa Egeria » pronunciate dal Botta nell’ additargli il ritratto di Teresa. Ignorasi per altro dove ora si trovi il ritratto suo, che lo storico nel testamento aveva pregato venisse conservato dalla famiglia col ritratto della moglie e con quello dei figli ancora bambini. (1) Lett. a Teresa Roggeri — 30 agosto 1833, inedita. (2) Lett. a Teresa Roggeri — 25 dicembre 1833, inedita. (3) Lett. cit. 25 die. 1833. (4 ' Lett. a Teresa Roggeri — 6 marzo 1833, inedita. (5) Lett. a Teresa Roggeri — 30 agosto 1833, inedita. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 267 scherzevole che il Botta assume volentieri in molte lettere degli ultimi anni, i quali furono anche i soli tranquilli della sua vita. Mentre le annunzia con una certa compiacenza che il re di Svezia lo ha nominato cavaliere del suo ordine della Stella polare, egli non aggiunge solo, come fa cogli amici : « dunque vedete che ho tre cavalierati addosso », ma sì bene nota che ora ha due stelle polari: l’una è Teresa, l’altra è quella che viene da Stocolma, onde se ancora si svierà dalla diritta strada la colpa sarà tutta sua (1); e quella di Stocolma gli è cara perchè fu pure portata da Linneo, da quel Linneo che colla Teresa costituiva nei tempi giovanili tutti i suoi pensieri. Talvolta però il sentimento spicca un po’ troppo alto i! volo in quell’anima sempre giovane e trae ancora il vcchio storico a certe esagerazioni che ci richiamano il sorriso sulle labbra. Quando, ad esempio, apprende che Teresa legge la sua Storia d’Italia, egli nota: « Dovete sapere che quando la scriveva m’incontrai in tanti birbanti, che se non mi fossi ricordato di voi, sarei, credo, diventato birbante ancor io ». Teresa è quindi il suo angelo custode che lo ha allontanato dal mal volere negli anni suoi senili; come lo aveva allontanato nei giovanili. Ora basta pensare allo storico che appunto mentre si occupava di birbanti, con semplicità commovente e con fierezza sdegnosa rifiutava di piegarsi in alcun modo ai biechi voleri altrui, e che alle proposte di uno splendido avvenire pei figli — sua gioia e suo strazio — qualora avesse colorito in un dato modo le sue storie, rispondeva pur egli « non, merci », mentre intorno a lui rievocante grandezze di popoli, regnava la miseria dei poveri; basta pensare a ciò per comprendere come il Botta non avrebbe mai piegato dalla retta via, anche senza il lontano aiuto di Teresa. Ma nella mente del Botta ormai stanco, sfinito e quasi meravigliato che le forze lo abbiano sostenuto in tante burrascose vicende, tutto si ricollega all’ amica che gli è rimasta fedele e che un nonnulla basta per rievocare. Se giunge l’anniversario della sua visita alla Morra, egli scrivendo lo ricorda a Teresa ed intanto con tristezza la rimprovera del suo lungo silenzio, che ha fatto sì che mescolasse amaro colla ricordanza più dolce che gli potesse venire dal cuore. Se egli vede il figlio del Marchese (I) Lett. a Teresa — 2; giugno 1836, inedita. 26S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di San Tommaso che lo aveva ospitato durante il suo viaggio, subito la fantasia lo trasporta in quel castello donde aveva contemplato la Morra tutta bianca in quel momento per la neve caduta nella notte. Le visioni passano dinanzi agli occhi stanchi che tante cose hanno vedute, e popolano la solitudine ed allontanano la tristezza. E quanta tristezza! i mali che lo assalgono da ogni partee di cui non nasconde all’amica buona il nome: la morte vicina, i figli tutti lontani. Teresa con femminile delicatezza e con materna sollecitudine non omette mai di chiedere al padre notizie dei figli e il padre la ringrazia e gliene parla in tutte le lettere. Se da alcuni venne imputata allo storico una certa parzialità nel modo di giudicare i figli suoi — e di questa taccia tentò in ogni modo di scagionarlo il primogenito Scipione, che pure ha il torto di averne accolta 1’ accusa — questo rimprovero non trova appoggio nelle lettere a Teresa. Egli non trascura mai alcuno dei suoi figli e con un certo modo faceto dà notizie di Paolo Emilio, che è alla ricerca delle fonti del Nilo e che dà la caccia ad animali d’ogni sorta; del figlio Scipione che, dapprima presso il padre, in ultimo si reca a Torino come incisore; del terzogenito Cincinnato, che combatte contro gli Arabi ad Orano. Di essi, che sembrano portare col loro nome attraverso a tutta la vita dello storico come un riflesso delle sue fedi giovanili, il padre si mostra lieto tanto che in una lettera scrive : « Così me ne vado passando i giorni, più vivendo nel passato che nel presente, ed anche il presente mi consola perchè voi mi amate ed ho figliuoli che se non conoscono Teresa, sono degni di conoscerla » (i). Una volta sola lascia trapelare una qualche preoccupazione per l’irrequieto figlio Scipione, irrequieto più nella via da scegliere, che per carattere, perchè altrove lo dice onesto e virtuoso, ma selvatico e timidissimo, che ha bisogno di essere incoraggiato per mostrar ciò che vale, e vai molto, e per costume più monaco che giovane del secolo. Il padre manifesta questa sua preoccupazione quando parlando a Teresa dell’arrivo del figlio a Torino, dà a lei un tenero ufficio: « Se mai il mio Scipione capitasse alla Morra — egli dice — ricevetelo di grazia col viso sereno e fategli vedere le vestigia che suo padre impresse sui nostri colli. Fategli com- (i) Lett. a Teresa Roggeri 13 agosto 1834, inedita. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 269 prendere ch’io vissi faticando e che bisogna che anch’ egli viva faticando. Fortuna non ho, o poca, da lasciargli; poco altro avrà da me che il nome mio qualunque ei sia; lascierogli anche la memoria della sua virtuosa madre con quella di Teresa e con ciò sarà ricco se non di beni di fortuna, almeno di nobili esempi » (i). Era il suo testamento. Talvolta una certa segreta compiacenza pei figli audaci lo fa esclamare: « Oh! guardate come è dispersa la mia progenie! Ed io per essere stato in Isvizzera ed a Corfù mi pareva di essere stato al finimondo. Grandi cenci molli eravamo noi, e se la rivoluzione non ci avesse fatto trattar di forza, saremmo stati una cosa che non voglio dire * (2). Ma sovente quella gran solitudine gli pesa. Ha una breve lettera di una grande tristezza: « L’ arpa in questo momento rende mal suono. Il tempo è triste e buio e pioviggina come d’autunno: dalla chiesa vicina di San Sulpicio esce un mortorio, e vedo la gente piangere; il mio figlio Scipione è partito e lo so arrivato ieri a Torino, Paolo Emilio è arrivato ma è triste perchè odia la società ed ama i deserti dove vuol tornare, Cincinnato è sempre in quella maledetta spiaggia di Orano e sta poco bene. Io sono pieno di tristezza e mi getterei via se non avessi speranza che voi, Teresa mia, sempre dolce e cara amica, mi consolerete con qualche vostra lettera.... » (3). Solo le sue lettere hanno il potere di mettere in festa il cuore del settuagenario, sforzandolo ad aprirsi ancora qualche volta prima di chiudersi del tutto con quella lenta, dolorosa apatia dei vecchi ; solo le affettuose parole di lei hanno il potere di ridare un po' di forza al tronco che muore. Così la donna gentile aggiunge anella alla catena che aveva legato i loro cuori giovanili e che doveva prolungarsi sino alla morte e più in là, perchè il Botta sperava, se qualche segno si poteva dare senza spavento dall’ altra vita a chi vive su questa terra, di darne uno d amore a Teresa. L’ultima lettera di Carlo porta la data del primo dì dell’anno 1837 ed è ancora un ringraziamento per il ricordo che ella serba di lui, per il conforto che gli viene da tanta amicizia, (1) Lett. a Teresa Roggeri — 13 agosto 1834, inedita. (2) Lett. a Teresa Roggeri — 27 giugno 1836, inedita. (3) Leti, a Teresa Roggeri — 27 giugno 1834, inedita. 270 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ed ancora in quell’ultima lettera egli unisce i due nomi di Teresa e di Paisiello. Nulla lascia trapelare della disperata condizione della sua salute, forse perchè credeva in una prossima guarigione e credeva perchè sperava. Pochi mesi dopo egli era morto (i). Desiderava tanto di trascorrere gli ultimi giorni a Torino — « la città dell’amicizia » (2) — unite le due famiglie di Teresa e la sua; e morì nella grande Parigi. Desiderava tanto di rivedere Paolo Emilio, il figlio glorioso al quale aveva dedicato le sue ultime fatiche di scrittore (3) e non lo vide. Cincinnato solo trovavsi al suo letto e neppur più lo riconobbe. Nessuno vicino a lui fece echeggiare le note di Paisiello e neppure una voce cantò que! prediletto finale della Nina « mi sento, oh Dio, che calma » ; la calma era in lui ugualmente, terribile calma, e s egli più non rivide la patria, fu seguito, morto, da ciò che essa aveva allora di più santo e di più infelice: da esuli. Il destino aveva legato le anime di Carlo e di Teresa, ma un destino uguale aveva pur legato Botta e Paisiello. La musica di Paisiello, dopo aver commossi migliaia e migliaia d’animi, tacque a poco a poco, come se non costituisse che un piccolo gradino di un’infinita scala che l’umanità deve percorrere per giungere alla suprema bellezza. Le storie del Botta giganteggiarono d’un tratto e scossero popoli e principi ed animarono il vecchio ed il nuovo mondo; poi tacquero a poco a poco come se non fossero che un piccolo gradino di un’ infinita scala che 1 umanità deve percorrere per giungere all'ultimo vero. Non già ch’esse cedano il posto ad altre, ma restano fisse e l’umanità cammina. Il nome di Carlo Botta come quello di Paisiello è nella penombra, ora, che ciascuno nel proprio campo ha compiuto la sua funzione. Tuttavia la patria deve al suo storico una riverenza affettuosa, perchè egli l’ha amata quand’era delitto (f) Carlo Botta mori il 10 agosto 1837. (2) Nel testamento scritto a Parigi il 14 febbraio 1835 il Botta parlando dei suoi sentimenti di gratitudine « pour la ville de Turin » dice : « Je l’ai toujours appelée la ville de 1’ amitié, et je me plais à lui donner ce nom dans cet acte solennel de ma vie » (DlONISOTTI, Vita di C. Botta, pag. 490). (3) L ultimo lavoro del Botta fu la traduzione del Viaggio intortio al globo ecc. di Λ. Duhaut Cilly, opera nella quale si parla sovente con onore di Paolo Emilio. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 27 I l’amarla, come Teresa doveva all’amico l’amicizia sino alla morte, perchè Carlo solo l’aveva amata quando nessuno ancora aveva pensato a lei (i). Emilia Regis APPUNTI LESSICALI GENOVESI 1. — Baccu nel senso di « passo », « salto » è adoperato nel contado di Chiavari in frasi come questa: fassu iin baccu e passu de là (fo un salto e passo oltre). E un notevole esempio da aggiungere a quelli già studiati dal Parodi in Romania, XXVII, 198. 2. — Brenüssu, sorta di cappa che ricordano i vecchi, oggi caduta in disuso. Di questa voce non troviamo cenno se non nel Glossario medioevale ligure del Rossi, che cita bernuzzo dal-l'inventario degli arredi di Sinibaldo Fieschi del 1532* La data di questo documento suffragherebbe l’ipotesi che questo nome s’identifichi con quello di sbernia, nome d’un manto serico usato dalle donne genovesi nel sec XVI ricordato dal Belgrano ( Vita privata dei Genovesi, p. 266). Nel Glossario del Rossi si trova inoltre registrato bernoco, < sorta di veste ». (2) 3. — Brünia « barattolo, vaso di terra per tenervi conserve » (01:vieri). E voce propria non solo del genovese, ma del piemontese (burnia) e del siciliano (burnia, burniedda, burniuni) (3). E parola arabica venutaci senz’ alcun dubbio pel tramite della Spagna, dove suona albornia e vale, secondo 1’ Engelmann (4), < terrine à mettre du lait » e che il novissimo Diccionario del-XAcademia Espanola definisce « vasija de barro vidriado, grande y redonda en forma de taza ó escudilla » (5). (1) Teresa morì due anni dopo lo storico, alla Morra, il 24 maggio 1839. (2) [Bernusso è vivo ancora nel dialetto spezzino ed è propriamente il nome di una mantellina a cappuccio. U. Mazzini']. (3) Cfr. Gavuzzi, Vocabolario piemontese, Torino, 1901, p. 112 e Traina, Vocabolarietto delle voci siciliane, Torino, 1877, p. 101. (4) W. H. Engelmann, Glossaire des mots espagnols et portugais dérives de I’ arabe. Leyde, 1861, p. 17. ^5) Vedasi ancora A. THOMAS, Romania, vol. XXVIII, pag. 174. 272 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Oltre Γ aferesi della sillaba iniziale (come in Bròxu da Ambrogio, bricoccalu da albercocque, albicocco) il genovese brunia presenta la metatesi dell’ r come in drafin-derfin (delfino), screpihn (scorpione), strusciti (torso), ecc. 4. — Cantegua, « cantilena, canzonacela che cantano i contadini in alcuni luoghi della Liguria nella novena dei morti ». 11 Rossi (Gloss. cit., p. 33) riporta un passo delle Constitutiones synodales del vescovo Costa di Savona ove si parla di certe processioni non troppo edificanti, dette Cantegore, che si facevano nelle feste pasquali, « cantantibus puellis amatorias cantiunculas cum proximorum scandalo ». Etimologicamente cantegua non può essere che il normale riflesso del lat. canticula. 5. — Diette « ditole, funghi ». È un altro esempio da aggiungere a quelli studiati dal Nigra in Archivio Glottol., XV, 101. Diette è diminutivo di die (dita), plurale femminile del sing. masch. diti (dito). È ancora da osservare che altre sorte di funghi furono chiamate da parti del corpo, come lingua, orecchie, orecchione, manine, aretino pocdola da poccia (pupia) « mammella » (1). 6. — Ernengu dicono i contadini dei dintorni di Nervi il fieno, il grano e i frumenti in genere quando, causa le intemperie o qualche malattia, il raccolto si presenta scarso. I dizionari dell’ odierno genovese non dicono nulla in proposito. Che la nostra voce però provenga da inverno lo prova l’invernengo che accanto a marsengo trovasi registrato senza spiegazione nel citato glossario del Rossi e, accanto ad una notevole serie di voci sanrenesi uscenti in eneo, nel Saggio intorno al dialetto ligure di Stefano Martini (Sanremo, 1870, p. 27 n.). Circa 1 origine germanica del suffisso - engo, - ingo, proprio pure di oltre 200 nomi locali dell’ Italia superiore, principalmente del Piemonte e della Lombardia, sarà bene rimandare alla classica dissertazione del Flechia che si cita in nota (2). 7. — Giassu « giacitojo, strame ». Altra voce che manca ai dizionari del nostro dialetto, pur vivendo di vita rigogliosa (1) Vedasi Flechia, Rivista di filologia classica, vol. I, pp. 384-85. (2) GlOV. Flechia, Di alcune forme dei nomi locali dell’Italia Superiore, in Memorie della . R. Accad. delle Scienze di Torino, serie II, tomo XXVII, p. 366 (94 dell’ estr.) e segg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 273 nelle parlate dei contadini dell’Appennino genovese e che tuttavia non isfuggì alle indagini del Flechia, il quale la registra accanto al piem. giass, sic. jazzu, nap. jazzo, tose, agghiaccio, prov. jatz, catal. jas, riconducendoli al verbo latino jaceo. Accanto a giassu sono pur da mettere le voci jacium, jacina che si leggono a p. 57 del glossario del Rossi, come pure il verbo giassinare che co! significato di * raccogliere foglie da impatto » si legge negli Statuti di Monaco (cfr. Rossi, ofi. cit., Pag· 57)· 8. — Gussu, « battello, paliscalmo, barchetta ». Il Flechia, occupandosi del buzo delle antiche rime genovesi (1), nomedi una specie di nave rimasto poi enigmatico non meno al Parodi che a lui (2), ricordava Γ odierno genovese gussu, quasi sospettando che vi fosse relazione tra le due voci. Sennonché la minuta descrizione che del « bucius » ci dà il Belgrano (3) esclude in modo assoluto che si tratti della medesima cosa. Or non potrebbe per avventura questa voce esserci venuta dal linguaggio marinaresco della repubblica di San Marco? Non potrebbe essere infatti il genov. gussu aferesi di bargozzo o bragozzo, che il Nardo dice essere « nome d’ una barca peschereccia della laguna veneta » (4) e che il Boerio registra nel suo Dizionario veneziano (p. 97) soltanto sotto la forma di bragozzo ì 9. — Incabanase, « rannuvolarsi, oscurarsi », detto dell’orizzonte che minaccia il maltempo. Anche il monferrino ha se encabanà e il provenz. s’en cab and nella medesima accezione. Si suol farlo provenire da capanna (cfr. Azaïs, II, 42, Ferraro. pag. 29). ma sarà piuttosto da gabbano (genov. cabàn o gab'an) nel medesimo senso traslato del verbo incappellàse (da cappelloj, detto pure del tempo. Del resto, che veramente si tratti di gabbano lo dicono chiaro questi versi proverbiali : (1) Flechia, Archivio Glottol., Vili, 335. (2) Parodi, Archivio Glottol., XIV, 14. (3) T. BELGRANO, Documenti inediti riguardanti le due crociate di San Ludovico IX re di Francia. Genova, 1859, pp. 312 e segg. (4} G. NARDO, La pesca del pesce ne’ valli della veneta laguna, ecc. Venezia, 1871, pag. 100. Giorn. St. e Lett. della Liguria 18 274 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA u tempu u se mette u caban, se nu dove ankò, ciove duman, che suonano: « il tempo si mette il gabbano: se non piove oggi, piove domani ». io. — Leare, « concimare ». È negli Stai. Cuxii (v. Rossi, op. cit., p. 6). Se questa lezione è autentica, abbiamo qui un assai notevole continuatore del lat. laetari col significato di «concimare, ingrassare », quale ricorre in Columella e in Palladio. E nota l’etimologia che già gli antichi davano di laetamen: « quod facit laetas segetes ». L’antico volgarizzamento di Palladio (pag. 17 dell’ediz. di Verona) traduce colle parole « nello letaminare degli arbori » il lat. « in arboribus laetandis » (I, 6). ii· — Lettamme e liamme. Desta a tutta prima non poca sorpresa il trovar queste due parole adoperate entrambe con diversa accezione dai contadini del contorno di Nervi (1) riferendosi a due momenti, diciam così, della medesima cosa. Interrogate infatti un contadino e vi dirà che lettamme è la paglia, 10 strame che si mette sotto la bestia, mentre liainme è quello che si toglie. Ed ecco che il parlante stesso ci fa già avvertiti che lettamme, lungi dall’ aver a che fare col « letame », non è altro che un derivato di letto (cfr. i pur genovesi figgiuamme, ragazzaccio, quasi « figliuolame », dispregiai., e frecciamme, ritagli di ferro, ferraglia, che io interpreterei « ferracciame »), laddove liamme (letame, fimo) è il normal continuatore del lat. laetamen. 12. — Pâmentâ, « tappezziere ». Da paramentario,- ajo (cfr. caegà - caligarius), ossia « colui che fa paramenti ». 13. — Pataélu, « pezza: quel pannolino onde ravvolgonsi i bambini in fasce ». Così 1’Olivieri (Dizion. genov.-ital., p. 327). 11 Casaccia, per contro, non registra in nessuna delle due edizioni del suo dizionario questa voce che s’ode tuttodì a Genova e nel contado. E un diminutivo maschile (che nella sua integrità suonerebbe patarello) del nome femm. pata o patta, voce pur propria di altri dialetti alto-italiani, del tose., del prov. e del fr.; ed è, insieme col pur genov. pattun (scappellotto) un nuovo esempio (1) Gli esempi da me notati sono di Bogliasco, Pieve di Sori e Sori. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA da aggiungere alla bella serie studiata dal Nigra in Arch. Glott., XIV, 293-4 e fatta risalire a fonte germanica. l4- Réixe (1), « radice ». Oltrecchè nel senso proprio, questa voce nel genov. è pure usata figuratamente nel medesimo senso affettuoso che ha nel veneto raize e nell’antico piemontese rais: cosi, ad es., al nostro réixe du me ko (radice del mio cuore) detto dalle mamme ai bimbi corrisponde il rais del me cheur del Gelindo’ (2), che significa quasi « sangue mio, razza mia ». Parmi che questi esempi possano essere invocati, dal lato semasiologico, a suffragio della tesi dell’Ulrich che vorrebbe ricondurre 1 ital. razza a radica, radicem (3). Al qual proposito piacemi ancora far avvertire un bel riscontro che trovo nel greco, dove ί5ίζα « radice » corrisponde precisamente all’ital. « razza ». Questo riscontro ci è dato dal v. 755 (ediz. del Weil, Lipsia, 1899), dei Sette a Tebe ove il coro, parlando della discendenza di Lajo, dice che Edipo, divenendo sposo della madre dopo aver ucciso il padre, generò « una razza sanguinaria », ρίζαν αίματόεσσαν. Ι5· — Salabrium, « rete per pescare ». È registrata dal Rossi (op. cit., pag. 86) che la toglie da una carta di Monaco. Molto probabilmente è l’odierno salaju, che è precisamente il nome d una specie di rete (cfr. Olivieri e Casaccia). Di questa voce non saprei dire di più. I6· — Sciiiméa. Con questo nome viene designato per antonomasia nel dialetto chiavarese il fiume Entella o Lavagno, il medesimo che Dante fa ricordare con una perifrasi da Papa Adriano V dei conti di Lavagna come quello dal quale ^derivò il nome del suo casato (4). Di questa voce, che vale propriamente fiumara, è notevole il gruppo iniziale s’c che non può esser riflesso regolare (1) L’x ha qui suono palatale sonoro. (2) R. Renier, Il Gelindo, dramma sacro piemontese, ecc., Torino, 1896, p. 177. (3) Vedasi la 2a edizione del Lateinisch-Rom. Wòrterbuch del Kòrting, sotto la voce radix. (4) Purg., XIX, 100-103 : Infra Sïestri e Chiaveri s’ adima Una fiuviana bella, e del suo nome Lo titol del mio sangue fa sua cima. 276 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di fl che in genovese suona x (j palatale come nell’ italiano scena) (1). Converrà perciò pensare all’ azione analogica di s’ciiima, « schiuma ». Non a caso ho ricordato l’accenno che ne fa Dante. L’appellativo, infatti, di fiumana che il Poeta dà a questo corso d’acqua (che, a rigore, non è che un grosso torrente), parmi indicare chiaramente aver avuto Dante una informazione sicura della denominazione volgare del Lavagno. Nel che, parmi, si potrebbe avere un dato di più in favore della probabilità del passaggio di Dante per la Liguria (2). 17. — Sgarzellà. Il Rossi registra nel suo glossario il verbo scarsellare senza darne il significato e cita un passo di antica scrittura ove è detto « scarsellare le gumene ». L’odierno genovese ha un verbo, che non trovo nei vocabolari e che è proprio del linguaggio dei lanajuoli : sgarzellà (ad es., sgarzellà e cuverte), che significa, come ebbe a dirmi un operaio, « togliere il pelo cogli sgarzin », voce anche quest’ultima non registrata nei vocabolari, ma che senza dubbio si connette con garzo, sgarzo, cardo, cardare, ecc. Se 1’ antico scarsellare ha il valore dell’ attuale sgarzellà, viene tolta ogni oscurità nel passo citato. 18. — Sguattà, « razzolare, starnazzare ». Parrebbe a tutta prima tutt’uno col piem. sgaté, canav. sgatar, « razzolare », comasco scazar, pei quali si postula dal Nigra (3) una base * excap tiare. (1) Cfr. xii (florem), xaccà (fiaccare), ecc. (2) È noto che frate Ilario fa cominciare dalla Lunigiana il viaggio di Dante in Francia. E le argomentazioni, che a rincalzo di questa idea e contro i dubbi del Bartoli viene accampando il Bassermann, fondate sopratutto sugli accenni, che ricorrono nel poema, a Lerici, Sestri, Lavagna, Chiavari, Turbia, e sulla verosimiglianza che la fiera apostrofe di Dante contro i Genovesi (/«/., XXXIII, 189) debba la sua origine a dolorose vicende incontrate dal Poeta in Genova stessa (offesa di Branca d’Oria?) inducono a pensare che verso il 1308 il Poeta abbia rivolto i suoi passi verso Parigi seguendo l’antica strada maestra che costeggiava la Riviera. Vedasi per maggiori ragguagli Alfredo Bassermann, Orme di Dante in Italia, traduz. sulla 2a ediz. ted. di Egidio Gorra. Bologna, 1902, pp. 342-43 e 380-86. (3) C. Nigra, Arch. Glottol., XV, 276-7. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 277 Ma il genov. sguatià ha origine ben diversa. Esso non potrà disgiungersi da sguà (ex-volare), nella stessa guisa che il parallelo xuattd, vivo in buona parte della Liguria orientale, e significante esso pure « starnazzare, svolazzare, razzolare », proviene da xuà, allòtropo di sguà (i). Come sguattà esprime, al pari dell’ ital. svolazzare, il ripetuto sbattere delle ali, v’ ha poi il sostantivo sguattu, deverbale di sguattà, che vale « stormo », « sciame » (2), ancor esso sfuggito ai vocabolaristi. 19· — Sia. L’Ascoli, Archivio Glott., Ili, 125, mostra di considerare il genov. sia come allòtropo di sciguà, proveniente da « sibilare ». Credo che la definizione data dal Casaccia di questa voce abbia tratto il Maestro in errore. Dice infatti il Casaccia (p. 718 della 2a ediz. del Diz. genov) che il significato proprio di sia è quello di « chiamare una persona non già per nome ma con un certo sibilo ecc. » ; e fu certo la parola sibilo che suggerì alI’Ascoli l’uguaglianza or ricordata. Sennonché il vero valore di sia non è altro che « far tss », ossia far quel verso che tutti conoscono per avvertire una persona lontana che si vuol qualche cosa da lei o per chiamare un cane. Dal che si vede come questa sia una voce onomatopeica al tutto encorica che non ha punto a che fare con sibilare; e, come pia in genov. significa « far pi » (cfr. l’ital. pigolare e il lat .pipilare), così sid non è altro che « far tsss », con fenomeno identico a quello che presenta l’ital. zittire, cioè far tss. 20. — Sküottu : mdkurdì sküottu è detto il « mercoledì delle ceneri », e ciò perchè (dice il Casaccia) in tal giorno si puliscono (sknan) le stoviglie del grasso di carnevale. Il Rossi registra (p. 91) scurotus dagli Statuti di Albenga del 1519 dichiarandolo « la prima domenica di quaresima » Non la prima domenica, ma il primo giorno, come mostra chiaramente, oltrecchè l’odierno makurciì sküottu, lo stesso statuto che si esprime con queste pa-rele: « a die prima quadragesime que dicitur scurotus ». 21. — Stamegna, « impannata, telajo o chiusura di legno sportellato che si mette all’apertura delle finestre per chiuderle con pannolino o carta, invece di vetri ». Così i vocabolari del- (1) Sui riflessi alto-italici di ex-volare si veda Parodi, Romania, XXVII, pp. 238-37, ove però non sono registrati i genovesi xuattd e sguattà. (2) Es. : « 1’ è passóu fin sguattu de òxélli » (è passato uno stormo di uccelli). 278 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA l’Olivieri e del Casaccia. Per conto mio aggiungo che è voce che si va spegnendo, appunto perchè designa cosa caduta in disuso. Mi sembra debba esser una stessa cosa coll’ ital. stamigna « pezzo di tela rada per colare », donde il verbo stamignare « cernere », fr. étamine « petite étoffe peu serrée », prov., spagn., port, estamena, che già lo Scheler (1) connetteva con stamineus. Il nome accenna indubbiamente all’uso della tela in luogo del vetro, precisamente come l’ital. impannata accenna al panno adoperato un giorno per il medesimo uso. 22. — Chiavarese tèi, « tenete ». Come te’ vale « tieni », « prendi », così tèi vale « tenete, prendete ». Che la prima di queste due forme, propria, oltrecchè del ligure, anche del toscano e di gran parte degli altri volgari italiani (2), sia nul-l’altro che la seconda persona singolare dell’imperativo di tenere, è evidente. Se non che il dialetto chiavarese, il lava-gnasco ed altri limitrofi hanno per caratteristica il plurale tei, che non può certo fonologicamente ripetersi da tenete, che in genovese è tegni. Come spiegheremo dunque cotesta forma? Converrà pensare all’ azione anolagica di un’ altra particella imperativa, che è pur essa forma verbale, voglio dire dell’usitatissimo se’ (spesse volte col valore dei vernacolari ne' e ve’ « vedi »), che al plurale fa appunto regolarmente sei (3). Quindi tei plur. sta a te' singolare come sei plur. sta a se’ singolare. 23· — Xignurùn, « tignone : la parte posteriore dei capelli delle donne ». Così l’Olivieri e il Casaccia. Quanto al tignone italiano, dacché lo diedi a balia lo rivedo ora: ho interrogato il Fanfani, il Rigutini, il Viani, il Tommaseo, il Carena, il Petrocchi: bujo pesto. Venendo ora al nostro xignurùn, parmi un’alterazione del francese chignon (4), voce che dal primitivo significato di « vertebre cervicali » passò a indicare pure « les cheveux de der- (1) SCHELER, Dictionnaire d'étym franç., p. 123. (2) Cfr. Flechia, Arch. Glott., Ili, 157. (3) Sei « sapete » sta accanto alla forma meno alterata savci, come éi « avete » accanto ad ave’i. (4) Antico fr. chaaignon, pel quale si postula la base catena (Cfr. KoRTING, op. cit., s. catena). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 279 rière la tête » (1)· L’-r- del nostro xignurun, non essendo etimologico, è forse dovuto all’influenza di xignuru « signore ». 24. — Xònia, « fodera da guanciale ». Manca allOlivieri ed al Casaccia, ma vive nel contado, almeno indubbiamente nel contorno di Nervi (2). Il Rossi registra da un fogliazzo notarile xonia (np. cit., p. 106) nella medesima accezione. Donde cotesta parola? Giuseppe Flechia TRESANA E L’ULTIMO DE’ SUOI MARCHESI MALASPINA Tresana è posta sopra una collina sulla riva destra della Magra, fra i paesi di Groppoli e di Riccò, ed ha a maestro il castello omonimo e a libeccio Giovagallo. Dista cinque miglia a mezzogiorno da Mulazzo, tre e mezzo circa da Villafranca e due e mezzo da Lusuolo. Ristretto e con poche ville è il suo territorio e in principio fu parte del feudo di Mulazzo, poi di quello di Villafranca, in ultimo fin di Lusuolo. Queste, per sommi capi, sono le notizie topografiche date dal Repetti (3) e dal Branchi (4) su quell’antica terra di Lunigiana. Una descrizione dell’epoca di cui ci occupiamo, la metà del sec. XVII, ne dà questi particolari molto precisi: « La terra di Tresana, a benché sia poco distante dall’Alpi, si trova però in positura di sito che ha più della collina che della montagna e non senza qualche buona parte di pianura, particolarmente verso il fiume Magra, del quale gode il frutto della pesca e non resta esposta alle giatture dell’innondazioni. Tanto la pianura quanto il giro della collina è assai domestica, amena e fertile, imperocché rac- (1) A. Brachet, Dictioìin. d’étym. de la l. fr., p. 133. (2) Così a Sant’ Ilario, a Bogliasco, a Sessàrego. Nel contado della Spezia si ha sèma, come mi comunica U. Mazzini. (3) Dizionario geografico fisico storico della Toscana; Firenze, coi tipi di G. Mazzoni, 1843. Vol. V, pag. 596. (4) Storia della Lunigiana fendale ; Pistoia, Beggi Tommaso editore, coi tipi di G. Fiori, 1898. Vol. II, pag. 349. 28ο GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA coglie olii, castagne, vino buono, fromentone et altre biade di più sorti; gode aria ottima e nel suo distritto vi sono buonissimi pascoli per ogni sorte di animali, scorendovi un fiumicello nominato Osca, dal quale si prende qualche anguilla con altri pesci di poca considerazione. Nel mezzo della terra resta l’abitazione del Padrone, nella forma di Castello, assai male ridotto che minaccia ruina: è ben vero che con facilità, mediante qualche spesa, si potrebbe riparare, e, riparata, sarebbe di commo-dità e di sicurezza per esser fondata sopra sasso e per la difficoltà dell’accesso. 11 numero dei sudditi di tutto il Marchesato, comprese le ville et altre case sparse, arriverà a 250 fuochi, de’ quali si calcolano 200 uomini abili all’armi, molti de’ quali con l’occasione di averle adoprate tra di loro vivente il marchese Guglielmo, ultimo possessore, si son resi ammaestrati e coraggiosi da potersene valere in qualunque impresa. La communità di Tresana possédé alcuni molini da grano e da olio quali van macinando del continuo con l’acqua del fiumicello Osca, e paga annualmente al Marchese 12 mine (1) di grano et oltre queste lo provvede delle proprie boscaglie di legna sufficiente al suo bisogno. L’ intrata feudale è assai tenue, poiché la certa non passa dal sopra accennato e l’incerta non si può stabilire sicuramente, consistendo totalmente in quello si caccia dalle multe civili e dalle condanne criminali » (2). Dopo il 1815 Tresana, come ex-feudo imperiale, fece parte della provincia estense di Val di Magra e fu una delle tre giusdicenze in cui la provincia stessa spartivasi (3), comprendendo le quattro <~omunità di Mulazzo, Podenzana, Rocchetta e Tresana con ben venti parrocchie: Barbarasco, Beverone, Boia, Busatica, Careggia, Castevoli, Castagneto, Cavanella, Giovagallo, Mon-tedivalli, Montereggio, Mulazzo, Novegigola, Parana, Podenzana, Pozzo, Rocchetta, Stadomelli, Suvero e Villa (4). Oggi il comune di Tresana si compone di otto frazioni, ciascuna delle quali è parrocchia: Barbarasco, dove risiede il Municipio, ret- (1) La mina genovese, misura di capacità per le granaglie, comprendeva 4 stari di due quarti ciascuno ed equivaleva a Ettolitri 1,165318. (2) informazioni di Tresana, 165g. R. Arch. di Stato in Genova, Confinium, fogliazzo, 1659. (3) Le altre due giusdicenze erano Aulla e Fosdinovo. (4) Calendario Lunese per I' anno 1835; Fivizzano, Bartoli, pp. 217-218. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 28 I toria (col patrono S. Quirico)\ Boia, rettoria, (S. Brizio)\ Careggia, rettoria (SS. Prospero e Catérina)', Giovagallo, rettoria con titolo di vicariato, (S. Michele Arcangelo)·, Novegigola, rettoria, (_V. Lorenzo)', Ricco, rettoria, (5. Maria)·, Tresana, rettoria, (5. Giorgio), e Villa, rettoria, (S. Siro). Queste parrocchie, ad eccezione della prima, Barbarasco, che ecclesiasticamente dipende dall’Aulla, costituiscono il Vicariato di Giovagallo appartenente alla diocesi di Massa e comprendente, oltre le sette già ricordate, anche Montedivalli, arcipretura, (5. Andrea, apostolo), frazione del comune di Podenzana. Per quanto il rettorato di Giovagallo porti con sè il titolo di Vicario, può a questo ufficio designarsi anche altri, e, infatti, l’odierno Vicario foraneo di Giovagallo è il Rettore di Careggia. La frazione di Ricco faceva, per il passato, parte della comunità toscana di Terrarossa, cui era stata annessa nel 1833, togliendola dal Vicariato minore granducale di Bagnone : venne aggregata a Tresana quando il comune di Terrarossa fu soppresso, del 1869. La popolazione del comune di Tresana nel secolo testé compito fu in aumento costante: nel 1818 ascendeva a 2603 abitanti; nel 1833 a 3283; secondo il censimento del 1881 era salita a 4541 > °§8' ne conta 4638 così spartiti nelle otto frazioni: Barbarasco, 606; Boia, 444; Careggia, 505; Giovagallo, 431; Novegigola, 325; Ricco, 571; Tresana, 764; Villa, 992 (1). Per le divisioni del 9 gennaio 1560 fra Ercole e Guglielmo, figliuoli di Guglielmo Malaspina marchese di Tresana e Lusuolo, il primo ebbe in parte Lusuolo, Giovagallo e Riccò; all’altro toccò Tresana con le sue dipendenze. E poiché l'imperatore Massimiliano II, il 26 maggio del 1 565, concedeva l’investitura del feudo, con facoltà di tramandarlo di primogenito in primogenito, a Guglielmo, costui va considerato come il capostipite de’ Malaspina di Tresana (2). Successegli Francesco Guglielmo, detto anche Francesco, le cui dolorose vicende, per l’accusa d’aver fatto battere falsa moneta, fuorono lucidamente narrate da (1) M’è caro ringraziare l’egregio Sig. Rossi, Sindaco di Tresana. per le notizie statistiche cortesemente favoritemi. (2) Il diploma d’ investitura si trova, al dir del Branchi, nel R. Arch. di Stato in Firenze, Arch. Mediceo, Affari di Lunigiana ; filza 6. Branchi, op. cit., II, 277. 282 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Giovanni Sforza (ij. De’ varii figliuoli di Francesco uno, Alfonso, « andava vagando, ora qua ora là, male alla via » (2): un altro, Guglielmo, è quello con cui termina questo ramo della famiglia (3). Luigi Passerini, nella sua Genealogia e storia della famiglia Corsini (4), racconta che Bartolommeo, figlio di Filippo di Lorenzo Corsini e di Maddalena di Lorenzo Machiavelli, (nato il 1622 e morto il 1685), dopo essere diventato Marchese di Laiatico e di Orciatico nelle colline pisane, « a questi feudi altri ne aggiunse nella Lunigiana », cioè comprando Castagnetole, che il Marchese Ottaviano Malaspina aveva lasciato per eredità a Filippo IV, Re di Spagna, e Tresana e Giovagallo, che erano diventate proprietà degli Spagnuoli, nel 1651, « allorquando dai sudditi ribellati fu messo a morte il Marchese Guglielmo Malaspina ». Che l’ultimo dei Signori tresanesi della famiglia (1) Sulle zecche di Tresana e Fosdinovo ; in Atti della R. Accad. lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, vol. XXV ; (a parte) Lucca, Giusti, 1889 ; in-8, di. pp. 42. (2) Ragguaglio sui Marchesi Malaspina ; in Arch. Mediceo, Affari di Lunigiana, filza io ; cit. dallo Sforz a, op. cit., pag. 21, nota. (3) I genealogisti han fatto una gran confusione dei discendenti di Guglielmo, primo marchese di Tresana. Francesco Guglielmo è sdoppiato in due persone, poi confuso con il padre : il Branchi e il Litta, nelle Tavole della famiglia Malaspina, hanno lo stesso errore. Lo Sforza rimise le cose a posto (op. cit., pp. 17-22). Ecco un alberetto de’ Malaspina tresanesi, secondo il quale convien correggere il Litta ed il Branchi. Guglielmo, marchese di Lusuolo e Tresana. t 1527 i Ercole, Signore di Lusuolo, Guglielmo, primo Signore Giovagallo e Ricco. di Tresana e dipendenze. Francesco Guglielmo detto anche Francesco, + 1613 Guglielmo, ultimo Giacomo Alfonso, de’ Signori di Tresana, + 1650 t 1651 (4) Firenze, Cellini, 1858; pp. 15IM52. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 283 Malaspina sia stato assassinato dalla popolazione a lui soggetta, il Passerini non è il solo nè il primo ad affermarlo; già era stato asserito del pari, ma sempre a torto, dal Litta (i). « In collisione continua co’ vassalli », scrive il genealogista milanese, « si pose sotto la divozione e la salvaguardia della Corte di Spagna. Non ebbe dopo ciò più pace, mentre i vassalli incominciarono con contumeliosi lamenti, poi passarono alle molestie, alle ingiurie, e ribellatisi apertamente, nel 1651, il 6 agosto, lo uccisero con un’archibugiata. La Corte di Spagna, dipendentemente dalle antiche pretensioni di supremo dominio che, possedendo il ducato di Milano con investitura imperiale, voleva avere sui feudi de’ Malaspina nella Lunigiana, ricevè subito Tresana sotto la sua protezione, ma. non si occupò di punire il delitto ». La notizia, così precisa per conforto pure di data, 6 agosto 1651, fu accolta, oltre che dal Passermi, anche dal-Γ anonimo autore del Saggio sulla storia della zecca di Tresana pubblicato da Prospero Montanari di Reggio per le nozze Malaspina-Giacobazzi il 1887 (2), e ripetuta, con una lieve variazione di data: « i terrazzani gli si ribellarono nel 1651, e lo uccisero il 6 gennaio ». Ma donde cavò il Litta la notizia falsa addirittura? Da un’altra erronea tradizione. Domenico Maria Manni nelle sue tanto accreditate Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi (3), prese ad illustrare un sigillo del Marchese Francesco Malaspina di Tresana « che fiorì non molto avanti al tèmpo in cui, senza successione, mancò il Marchese Guglielmo, ultimo di questo ramo, credendosi che di esso fosse padre o sivvero avo il nostro Francesco ». Con una sì vaga e indeterminata conoscenza dell’ albero genealogico di questi Signori il Manni seguita a dire : « Il Marchese Guglielmo fu ambasciatore (1) Op. cit. l'av. Vili. (2) Reggio nell’Emilia, tip. Calderini. In-8, pp. 30. (3) In Firenze, nella Stamperia dell’Autore, 1739-1748; Tom. XIX, Sig. XVI e XVII, pp. 137-148. Eugenio Branchi illustrò anche lui un sigillo di Francesco Guglielmo di Tresana, che chiama figliuolo di altro Francesco Guglielmo, errore ripetuto nella Storia della Lunigiana feudale. Cfr. Illustrazione storica di alcuni sigilli antichi della Lunigiana, opera postuma del cav. avv. Eugenio Branchi edita da Giovanni Sforza ; in Giornale ligustico, anno X, 1883, pag. 255, Sigillo VI. 284 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per il Duca di Mantova alla Corte di Ferdinando II Imperatore, dal quale gli venne conceduto privilegio di legittimar naturali, di crear notai e di battere moneta. Seguì la sua morte verso l’anno 1580 quando, ribellatisi i sudditi suoi, si trovò barbaramente privato di vita da essi ; i quali datisi a Filippo III, Re di Spagna, furono da lui sotto la sua protezione ricevuti. Indi, essendo morto Ottaviano Malaspina Marchese di Casta-gnetolo, che lasciò questo feudo per testamento ad esso Re, esso concedè e questo e quel di Tresana alla Casa Corsini, che di presente ambedue gli possiede ». Per non fermarci a rilevare l’errore grossolano del diploma imperiale concesso, col privilegio di batter moneta, a Guglielmo, non da Ferdinando II ma da Massimiliano II, il 28 di ottobre 1571, nel passo citato del Manni è un viluppo di errori e fantasie, per modo che si fa estinto il ramo de’ Malaspina Tresanesi ben settanta anni innanzi della sua vera fine! Lo capì Guid’Antonio Zanetti, che nella magistrale opera sua sulle zecche d’Italia (1), trattando di quella di Tresana, si distese a parlare di quei Signori e ne pubblicò un albero, col solito errore della discendenza di Guglielmo di Lusuolo e Tresana. Ma corresse il Manni scrivendo così del Guglielmo che ebbe il privilegio di batter moneta: « La morte del Marchese, come si nota nell’albero, accadde nel 1578; ma il Sig. Manni crede che seguisse verso l’anno 15S0, quando, ribellatisi i sudditi suoi, si trovò barbaramente privato di vita da essi. Dubito però ch’ei prenda equivoco, e lo confonda con altro Guglielmo, ultimò di detto ramo, perchè dall’ albero abbiamo che a lui succedette nel Marchesato il figlio Francesco Guglielmo ». Così lo Zanetti, mentre correggeva il Manni, era occasione del novello errore che doveva esser poi ripetuto dal Litta. Nè, tornando sull’argomento, per quanto adducesse nuove prove in confutazione del Manni, si accorgeva di esser egli pure in altro errore (2). (1) Delle Zecche della Lunigiana e specialmente della famiglia Malaspina, pp. 449-475 del tom. V della Nuova raccolta delle monete e zecche d’Italia, Bologna, della Volpe, 1785-9. Tratta della zecca tresanese al cap. II, pag. 454 e produce 1’ albero de’ Marchesi. (2) Parlando dell’ultimo Guglielmo, op. cit., pag. 465, dice: « Nel predetto Marchese il ramo di Treggiana ebbe 1’ ultimo soggetto, di cui intende probabilmente di parlare il prefato Sig. Manni ove dice che ribellatisi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 283 Al Litta, dunque, non più uno, ma addirittura due Marchesi Guglielmi di Tresana comparvero dinanzi morti violentemente ed egli non solo fece morire per mano de’ sudditi l’ultimo di essi, come dicevamo da principio, ma anche il primo, cioè il Guglielmo di Tresana e Lusuolo, padre di Ercole e di Guglielmo. Infatti parlando di lui scrive (i): < Nel 1528, probabilmente, (forse anch’egli intravide l’errore!) per i suoi mali portamenti gli si ribellarono i vassalli di Giovagallo, di Barbarasco e di Tresana e lo uccisero (2). Che l’uccisione di questo primo Guglielmo per mano de’ sudditi sia una favola rilevasi dalle lettere che pubblichiamo in appendice, da cui appare com’ egli morisse naturalmente a Tivoli, nel settembre del 1527 dopo esser stato sempre a militare fra le genti dei signori Gonzaga di Mantova (3). I documenti provano che è favola anche l’uccisione del suo omonimo pronipote, da tanti attribuita a torto ai Tresanesi. i sudditi suoi lo uccisero e si diedero a Filippo III di Spagna. Ma ciò non può reggere, perchè Filippo III mori assai prima che fossero battute le suddette due monete (un cavallotto del 1623 e un’altra di bassa lega del 1625 i, e dall’albero rileviamo che il Marchese mancò di vita il 6 gennaio 1651 ». I Tavole della famiglia Malaspina, Tav. II. (2) Emanuele Gerini nelle Memorie storiche d’illustri scrittori e di uomini insigni dell’ antica e moderna Lunigiana; Massa, l·rediani, 1829, scrive anch’ egli che Guglielmo mori nel 1528 « perchè i popoli di Tresana, Barbarasco e Giovagallo, ribellatisi a lui, 1’ uccisero e si dettero al re di Spagna » ; tomo II, pag. 329-330. E il Repetti, op. cit., forse attingendo alla stessa fonte, ripete : « Dal Marchese Obiccino discese quel Guglielmo contro il quale, nel 1528, si ribellarono i vassalli di Giovagallo, di Tresana e di Barbarasco che 1’ uccisero. Superstiti al padre restarono i di lui figli. Carlo, Ercole e Francesco Guglielmo ». 13 Fin dal 24 di settembre del 1527 la notizia della morte del marchese Guglielmo era giunta a Sarzana. Difatti, quel giorno stesso il Commissario di Sarzana scriveva a Genova : « Per un figlio del marchese Antonio da Ponzano, venuto qui da Mantua, è stato detto che il marchese Guiliermo è morto e per questo haveva tentato qualche officiali del detto marchese Guliermo li consegnnsseno il castel de la Aulla et altre forteze, il che non li è reusito, e perchè potrebbe essere havessi vociferato cossi per compir il suo disegnio, non vi si presta fede ». E il i° d’ ottobre replicava : « Intendiamo la nova de la morte del marchese Guliermo esser st ta baia corno in effetto la estimavano ». Ma 15 giorni dopo era costretto a scrivere: « Avanti hieri. per lettere 286 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA E perchè la sua vita non è priva d’interesse, cercheremo di riassumerne brevemente le tumultuose vicende. Figliuolo di Francesco, che morì tristamente alla Mirandola il 1613, e di Susanna de’ Malaspina di Monteregio, sopravvissuta tre anni al marito, Guglielmo ancor minorenne successe al padre, nel governo del Marchesato, sotto la curatela materna. Il 14 dicembre del 1613 ebbe, in Milano, la investitura del feudo dal Governatore Marchese dell’Hinojosa, per conto del Re di Spagna Filippo III suo signore. Fin dal 1606 il Conte di Fuentes, predecessore dell’Hinojosa, avea investito del feudo di Tresana il Marchese Francesco, in nome di S. M. Cattolica, sia a causa della vecchia pretesa che la Lunigiana appartenesse alla Spagna come antica dipendenza del Ducato di Milano, salvo 1’ alto dominio della Maestà Cesarea dell’ Imperatore; sia perchè Francesco stesso, scomunicato da Clemente VIII per non aver obbedito alla citazione di comparire in Roma a scolparsi del-Γ accusa di aver fatto battere falsa moneta nella zecca di Tresana da Claudio Anglese, era stato costretto a mettersi sotto l’ombra della protezione Spagnuola, riguardato com’era di mal occhio da’ suoi sudditi, che d’allora in poi presero a tener alta, costantemente, la cresta (1). Le differenze fra i Tresanesi e il loro Signore continuarono al tempo di Guglielmo e diventarono più gravi pel carattere del nuovo Marchese, che non recedeva dalle più fiere rappresaglie per far valere la propria autorità. In diversi tempi i Governatori di Milano intervennero per rimettere la pace fra i contendenti, ma ogni pratica fu vana. Guglielmo, da una parte, si abbandonava a deplorevoli eccessi, inasprito anche dal contegno de’sudditi; questi, dal canto loro, non volevano più sentir parlare di lui e cercavano chi vo- sue del marchese di Fosdinovo) et per le lettere del locotenente del q. marchese Gulielmo, se siamo certificati de la morte del dicto q. marchese Gu-lielmo ». Conchiude raccomandandone i figliuoli presi sotto la protezione dal marchese Federigo Gonzaga di Mantova. R. Arch. di Stato in Genova, S. Giorgio, Cancell. Rorlasca, Litter. 1527. Cfr., in fine, i tre primi documenti. (1) Queste notizie rilevansi anche dalla Informazione che i Serenissimi Governatori della Repubblica di Genova assunsero sugli a (Tari di Tresana, quando incominciarono ad occuparsi di quella terra. R. Arch. di Stato in Genova, Confinium, 1647, n. 28. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 287 lesse prenderli in accomandigia. Ma le lagnanze de’ Tresanesi, per quanto avessero fondamento su giuste ragioni, non potevano trovare ascolto a Milano (i), dove non si volevano accogliere piati di sudditi messi dal Marchese in luce di ribelli: nè potea, invero, crearsi in Lunigiana un precedente pericoloso anche per gli altri numerosi feudatarii, sostenendo addirittura le proteste contro il legittimo governo, per quanto oppressivo. Finalmente della controversia furon tratti ad occuparsi il Granduca di Toscana e la Repubblica di Genova. Signora della Riviera di Levante, delle Cinque Terre, della Spezia e di tutto il Sarzanese, Genova aveva, lentamente, esteso la sua dominazione dalla valle della Vara alla valle di Magra superiore. Già nel medio-evo nobili famiglie della Superba godeano vasti possedimenti feudali nella Lunigiana: notevolissimi quelli de’ Fieschi che, oltre a Pontremoli, stendevano il loro dominio fino a Calestano nell’odierno circondario parmense. Ma nella stessa regione stabilivasi e cresceva, dal secolo XV, la potenza della Repubblica fiorentina. Come posto avanzato p;r difendere le vie di Genova e di Val di Taro, d’onde erano spesso venuti assalti di Lombardia, la Val di Magra era guardata, con gelosa cura, da Firenze. I Medici, più tardi, continuarono a mirarvi con desiderio di estendervi la ioro dominazione a scapito de’ Genovesi. E Cosimo I, il 1547, dopo l’insuccesso della congiura fieschina, domandava, per mezzo del suo ambasciatore Serristori, a Carlo V le terre confiscate ai Fieschi nella Lunigiana, perchè, « essendo Pontremoli vicino alle terre e luoghi nostri di Bagnone, di Castiglione del Terzieri e di Fivizzano, è la chiave del passo di Lombardia; la quale, quando fusse ben guardata, serrerebbe quello adito di tal sorta che non sarebbe possibile ad alcuno di potere per quella banda intrare a’ danni di Toscana, et oltre le prenominate terre nostre di Lunigiana, sarebbe lo autemurale di Pietrasanta, di Pisa, di Volterra et di tutta questa il) 1 Tresanesi ricorsero a Milano « per più sorte di eccessi, come di homicidii commessi, parte per il Marchese e per suo fratello, da banditi e persone facinorose che mantengono, d’ abbrugiamenti di case e di mille estorsioni et oppressioni in materia di giustizia, per le quali tutte cose pretendono sottraersi alla sua soggezione ». Dalla cit. Informazione del Governatore di Genova. Il Branchi, op. cit., enumera e narra parecchi di questi eccessi. 288 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nostra banda della marina » (i). Ma gli Spagnuoli preferirono tenerlo per sè. Quello che non gli riuscì avere allora, il Medici ricercò anche più tardi, sempre invano; nè abbandonarono la speranza i suoi successori, dopo che s’era slargata la dominazione fiorentina nella vai di Magra anche con un mezzo più spiccio, consentito dalle costituzioni feudali, comprare a contanti terre e castella, con riserva a’ Marchesi delle regalie e de’ diritti onorifici (2). Del 1633 Firenze stabiliva un Governatore di tutti i domini toscani in Lunigiana, a Fivizzano, con comando militare, e a lui cominciarono a far capo, perchè intervenisse nelle querele, tutti i malcontenti della regione, bene spesso con ogni mezzo subornati. Quand’ecco, improvvisamente, nel 1647, '1 Governatore di Milano Don Bernardino Fernandez de Velasco, co- (1) Staffetti, La congiura del Fiesco e la Corte di Toscana, Genova, Sordomuti, 1891, pagg. 9-10. Le pratiche durarono attivissime in Corte cesarea per mezzo di Bartolomeo Concino segretario dell’ ambasciarore Averardo Serristori. Fra il carteggio di Cosimo I, c’ è 1’ inserto seguente che tratta appunto di quelle richieste: « Del 24 luglio; (1547) d’Augusta. L’agente del Sig. Don Ferrante, trouandosi a questi dì col Concino, lo domandò quel che fusse seguito di Pontremoli ; al quale non potendo rispondere cosa alcuna, gli soggiunse : Io ti voglio dar una buona nuoua ; sappi certo che costoro sono risoluti di compiacerne el Duca tuo Signore di tutto o d’una parte, et di già n’ hanno excluso Don Francesco da Este che 1’ haueua domandato. Il Concino gli replicò che quando S. M. lo facesse, farebbe cosa degna di lei et della deuotion dell’ E. V., nè redunderia meno in servitio di Cesare che in satisfattione sua propria, sendo un passo da poter trauagliar un giorno Toscana et Italia, quando non si serrasse. Ma che pensaua che quel Dominio fusse sì poco che non si potesse diuider, et che hauendo a esserne compiaciuta V. E. non sapeua come se le potesse dar compagno. Et per quanto paresse al Concino, l’Agente mostraua di non essere punto perito di quello stato, et forse pensava che la petitione dell’ E. V. fosse del tutto..... Hora quando le paresse di mandar una bozza et informatione del esser et qualità di Pontremoli, a ciò che, bisognando, potessi mostrar che non è cosa diuisibile, me ne rimetto alla prudentia sua, perchè io non ne son molto informato. Hieri uisitando G. V. [Granvela] hebbi occasione di ricordargli le cose di Pontremoli, et mi rispose che ne sarebbe con S. M.tà et farebbe quelli offitii che si ricercavano alla servitù sua con 1’ Ecc. V. senza uscirmi ad altro particulare, forse per non essere ancora informato da Mons. d’Aras. (R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo, fil. 4304, Registro di Mons. di Furlì) ». (2) Divennero in tal modo possessi dipendenti dalla Toscana, Filattiera, Corlaga, Rocca Sigillina, Ricco, Lusuolo, Groppoli, Terrarossa e vari altri. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 289 stretto da gravi angustie finanziarie, vendè Pontremoli e il suo territorio a’ Genovesi per 200 mila pezze. Figurarsi lo sdegno del Granduca di Toscana Ferdinando II! Mise in opera ogni mezzo perchè il contratto non fosse ratificato alla Corte di Madrid. E ci riuscì. Di lì a tre anni otteneva l’ambito possedimento del Pontremolese; ma dovette pagarlo caro: 400 mila pezze, proprio il doppio di quanto avevano messo fuori i Genovesi, eh’erano stati più astuti negoziatori di lui (1). Ora ne’ tre anni che corsero fra il 1647 e ϋ 1650, mentre appunto Genova era Signora di Pontremoli, dove teneva un suo Commissario pel governo, scoppiò, più acuto che mai, il dissidio fra i Tresanesi e il Marchese Guglielmo. E poiché, a pochi passi da loro, c’ erano in gara due così potenti emuli, a tutt’ e due ricorsero i litiganti, e questa volta, necessariamente, Genova e il Granduca dovettero occuparsi di quella controversia di cui, altre volte, aveano sdegnato prendersi cura (2). E curioso seguire, specialmente con la scorta delle lettere dei Commissari Gio. Antonio Sauli e Giovan Battista Imperiale, le molte pratiche e i maneggi della Repubblica, la quale avea l’intendimento di sventare le mene ambiziose di Ferdinando II, ma non si volea mettere a grave repentaglio per una così meschina occasione. Dall’ altra parte il maestro di campo Giovan Paolo Pestalozzi, Governatore militare di Fivizzano, faceva gli interessi del suo Signore e riusciva ad aver dalla sua Guglielmo, che i Genovesi avrebbero voluto ricevere in accomandigia quando, per esser ridotto all’ estremo, non gli fosse stato più possibile vantare pretese. Il Branchi dall’Archivio fiorentino ha cavato tutte le notizie che riguardano i maneggi toscani; ma dell’azione genovese non tratta affatto. Di ciò appunto intendiamo special-mente occuparci, pubblicando, finalmente, ex integro anche i documenti di Firenze che trattano della morte del Marchese. * * * Dopo esser ricorsi alle armi e aver sparso del sangue i (1) Pietro Bologna, II possesso di Pontremoli preso in nome del Granduca Ferdinando II, dal Senatore Alessandro Vettori nel 1650. Firenze, Carnesecchi, 1900; per nozze. Cfr. recensione in questo Giornale, anno I, fase. 10, pag. 396, (ottobre 1900). (2) Fin dal 1617 cercarono i Tresanesi la Signoria del Granduca poi di Genova. Cfr. Branchi, op. cit., II, 388. Giom. St. e Lett. della Liguria 19 290 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Tresanesi, nell’ estate del 1647, avean chiesto al Governatore di Milano che volesse liberarli dalla oppressione del Marchese; ma il Conte Airola e il Senatore Ascanio Galli, mandati successivamente in Lunigiana, avean conosciuto impossibile ogni pratica per rimettere la pace fra i contendenti. Chè quei di Tresana non volean più Guglielmo per loro Signore e costui non intendeva rinunciare a’ diritti che gli spettavano. Nell’ autunno il Marchese ottenne da Milano il riconoscimento de’ suoi diritti. Allora i sudditi si rivolsero al Granduca, che era padrone della vicina terra di Lusuolo. Egli intese volentieri l’inchiesta e sodisfatto delle inclinazioni di quel popolo, mentre negava di riceverlo come suddito, gli offriva protezione e soccorso nel suo territorio (1). Ma i Tresanesi, non contenti, si rivolsero a Genova e, sul cader di dicembre di quell’anno 1647, in rappresentanza della loro volontà mandarono vari de’ maggiori co’ sindaci a Pontremoli presso il Commissario Gio. Antonio Sauli. Gli domandarono se, dopo l'investitura del feudo di Tresana fatta dal Conte di Fuentes nel Marchese Francesco, doveano considerarsi nella dipendenza dello Stato di Pontremoli e quindi compresi nella vendita che i ministri spagnuoli avean fatto alla Repubblica di quel territorio. Il Sauli rispose loro francamente che nell’istrumento di vendita non era menzione del loro paese. Si offersero allora addirittura come sudditi, e presentarono al Sauli un memoriale (2) dove cercavano di trovar legittimo l’intervento di Genova, padrona in quel tempo di Pontremoli, perchè il Podestà di Pontremoli prò tempore era giudice per le loro controversie coi Marchesi. Il Commissario, partecipando tutto ciò al Senato, mostrava più simpatia pel Marchese che per i Tresanesi e dichiarava che già da molto tempo quel popolo era sollevato contro il suo Signore e gli negava ubbidienza, anzi lo teneva assediato nel castello, e che essendosi già il Governatore e Sindaci di Pontremoli adoperati « per vedere di componere il Marchese col populo, trovorno il Marchese con una pronta et sommessa volontà, dichiarandosi che facessero presto, perchè non haveva di che potersi mantenere: all’incontro il popolo disposto di non volere altro agiustamento che (1) Branchi, op. cit., II, 398-399. (2) Vedilo, in fine, tra’ documenti, η. IV. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA il sottrahersi dal dominio del Marchese; con che senza frutto se ne ritornorno ». Non gli pareva di sprezzare l’offerta e così descrivea Tresana: « Questo è uno delli belli feudi di Luneg-giana, che consta del luogo e dieci ville, fra’ quali tutti passan di 200 fuochi (i), et fanno 350 buoni soldati da maneggiar l’armi. Confina con Giovagallo per la maggior parte e con il Granduca, et il Marchese Annibaie Malaspina (2), tutta buonissima e fertile giurisdizione. Il Marchese vi ha di rendita stara 40 di grano e tre possessioni allodiali. Per quanto ho inteso detto Marchese, non potendo reggerlo, si disporrebbe a venderlo a buon mercato e il popolo desidererebbe che V.V. S.S. Serenissime lo comprassero » (3). Questo era il punto importante! Ma trattandosi di un affare, i Genovesi voleano condursi con molta prudenza e non lasciar scorgere, per cavarne il loro maggior interesse, che lo facevano volentieri. Sicché quando due inviati straordinari di quella terra andarono fino a Genova per ripetere l'offerta fatta al Sauli, si mostrarono con loro amorevolissimi e generosi (4), ma quanto al riceverli per sudditi non dettero loro che buone parole, e a buone parole commisero li trattasse lo stesso Commissario di Pontremoli. Chè per la ragione stessa onde al Granduca non era parso conveniente accoglierne l’omaggio, l’accorta Repubblica non poteva accettarne la Signoria: nell’investitura data già dal Conte di Fuentes al Marchese Francesco, era detto ch’egli avea facoltà di eleggere gli ufficiali per l’amministrazione della giustizia indipendentemente dal Governo di Milano, sicché non per diritto de’ sudditi, ma soltanto per volontaria concessione del Marchese il Commissario di Pontremoli avrebbe potuto intervenirvi. Nell’investitura, poi, concessa a Guglielmo dicevasi chiaramente che la confisca del feudo a carico del feudatario non potea farsi se ( i) Nel 1618 contava circa 300 fuochi. Mss. Magliabechiani, cod. 75, classe Vili, car. 48. cit. dal Branchi, II, 390 e dallo Sforza, 20 nota 1. (2) Di Villafranca. (3) R. Arch. di Stato ili Genova, Confinium, fogliazzo 1647, n. 28. Il Commissario Sauli al Senato, 26 dicembre. 4) Con deliberazione del 3 gennaio 1648 i Collegi fecero pagare ai due Tresanesi pezze 50 da otto reali. R. Arch. di St. in Genova, Confinium, fogl. 1647, 11. 28. Sunto delle deliberazioni collegiali. 2g2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA non per il crimine di lesa maestà (i). Questa ragione, trattata dai Signori di Palazzo davanti ai Serenissimi Collegi della Repubblica (2), dovea esser sufficiente a far conoscer loro la illegittimità della pretesa de’ Tresanesi. Nè a Genova sarebbero stati così ingenui di voler fare acquisto di ciò che non era ben ceduto, sicché deliberavano si tenessero affezionati quei di Tresana, ma si desse incarico al Sauli di procurare l’assenso del Marchese Guglielmo. Così il possesso, concordi i due contendenti, avrebbe portato tutti i diritti che ad esso riferivansi. Gli accorti negoziatori eran di parere « non potesse esser solo che acertato l’applicar l’animo all’acquisto di detto Marchesato, massime che, confinando questo con Giovagallo e mediante esso con Bollano, giurisdizione della Spezza, sarebbe il tutto in ordine ad unir maggiormente col Stato della Repubblica il feudo di Pontremoli, oltre che poco denaro vi vorrà per l’impiego, atteso che tutti quasi li redditi feudali sono stati comprati dalla comunità »: ma comprendevano che il buon diritto di Guglielmo non potea mai venir meno; e poiché la investitura sua era caduca solo per crimine di lesa maestà, non sussistendo tal crimine era impossibile che i sudditi facessero valere lor ragioni, buone per sè ma di nessun valore legale in faccia al governo di Milano. « In ogni caso », conchiudevano, « volendosene far l’acquisto, stimiamo sempre più facile il conseguirlo, stante la buona disposizione de’ sudditi, col mezzo delle negociationi con l’istesso Marchese, che con altri » (3). Il Commissario Sauli si affrettò ad eseguire le istruzioni del governo e cercò di tastare il terreno per conoscere se il marchese Guglielmo fosse propenso alla cessione del feudo alla Repubblica. Ma costui, che in quei trambusti s’era, da Tresana, rifugiato ad Olivola presso i Marchesi suoi congiunti, avendo preso per moglie Anna di Lazzaro Malaspina d’Olivola, rispose alla richiesta del Commissario di Pontremoli con una lettera di complimento. L’accorto genovese, però, non si diede per vinto e (1) Cfr. il riassunto del diploma d’investitura anche in Branchi, op. cit., Π, 386-387. (2) R. Arch. di Stato in Genova, Confinium cit. Deliberazioni cit. de’ Collegi. (3) Cit. deliberaz. dei Signori di Palazzo, R. Arch. di Stato in Gonova, Confinium, fogl. 1647, n. 28. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 293 pensò procurarsi, per altra via, le notizie che desiderava. Fatti quindi chiamare i dottori Giulio Maraffi e Sforza Trincadino, di quella terra, amici, com’egli sapeva, del marchese Guglielmo, cercò di scoprir terreno col loro aiuto: un d’essi, infatti, rispo-segli che l'acquisto di Tresana sarebbe stato possibile, ma l’altro decisamente lo negò, adducendo l’opposizione che si sarebbe incontrata nel marchese Giacomo, il qu (i). Anche di qui è chiaro che il Sauli si mostra più propenso per Guglielmo che pei suoi sudditi. (i) Lett. del 21 genti. 1648, cart. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2Q5 * * * A Genova le pratiche del Commissario di Pontremoli erano continuamente trattate dai Signori di Palazzo ed esposte ai Collegi. Ma per quanto si avesse gran voglia di acquistare Tresana, si voleva arrivarci con le forme della legalità e con la maggior convenienza possibile. Accordarsi coi ribelli e dar loro man forte non si pensava nemmeno: ma tenerli a bada per determinare il Marchese ad offrir lui la vendita de suoi feudi a patti molto convenienti, ecco quello che si aspettava. Però ri-spondevasi al Sauli che tirasse in lungo la sospensione delle armi e delle ostilità più che fosse possibile (i). E costui, scaduto il (i) Una Relazione fatta dalli Eccellentissimi di Palazzo, il io febbraio del 1648, ci dà, appunto, questi particolari. Li Eccellentissimi Marco Aurelio Rebuffo e Gaspare Fransone, Governatori residenti nel Palazzo, dichiarano che hanno fatto « la dovuta reflexione » sulle lettere del Sauli: gli han commesso di trattar la vendita, come da sè, col Marchese Guglielmo, e di tenere a parole generali i popoli di Tresana. Il Sauli noi potè fare per una sua indisposizione ; hanno, quindi, deliberato, sapendo che il Marchese ha preso pratiche col Gran Duca, « si dovesse determinare se stii bene alla Repubblica, mentre non ha ancora il piè ben fermo in Pontremoli, intraprendere, per 1 occasione suddetta di Tresana, con la difesa di quei popoli, occasione di qualche disgusti che potessero seguire con vicini ». Per la negativa concorre il dover sostenere i sudditi contro il padrone, cosa che sdegnerebbe anche gli altri Marchesi, « e il prender briga col Gran Duca, che sotto apparenza di causa propria accalora gli interessi di Guglielmo ». Non si hanno ragioni perchè i sudditi possano legalmente darsi alla Repubblica. Per 1’ affermativa, « 1’ obbligo di conservare in quella comarca la Superiorità fin hora havutavi da chi ha comandato Pontremoli », 1’'essersi la Repubblica già interessata in quelle parti, il ricorso dei popoli per « sottraersi dalle tirannidi et oppressione che tanto notoriamente li vengono fatte da detto Marchese, le quali tutte rendono giustificata ogni assistenza », la vicinanza per Bollano, il poco conto fatto dal Marchese delle proferte del Commissario, « anzi l’abboccarsi colli Ministri del Gran Duca, quale, continuando ne’ soliti pensieri di farsi patrone di tutta la Lunigiana, non può sofirire gli avanzamenti della Repubblica in quelle partile perciò dà mano a tutto quello che può esserli di ostacolo o d’impedimento, e finalmente la premura che, per ragioni del buon governo, devono V.V. S.S. Serenissime di corrispondere all’ antica emulazione in quelle parti della nation Genovese e Fiorentina, e percio proteggere et accalorare, per quanto si può, quello che può essere di profitto alla Repubblica e d’ostacolo, all’incontro, a disegni d’altro Principe ». (R. Arch. di Stato in Genova, Confinium, fogl. 1648, n. 7). 2ç6 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA termine della tregua, la facea prorogare ancora di quattro giorni. Doveva essere pur penosa la condizione del Commissario di Pontremoli! Gio. Antonio Sauli, in quei rigori del verno lontano dalla superba Genova, relegato in una piccola terra, fra gente non tutta amica, in paese assai povero, costretto a fare incette coi mercanti e bottegai, tribolato dalle insistenze de’ Tresanesi, incalzato dalle richieste di Guglielmo e de’ suoi affini, non potea più durare in quel suo ufficio. Ai primi di febbraio tentò ancora un estremo espediente. I Tresanesi, proprio in quei giorni, gli dichiararono esplicitamente che non volevano aggiustamento di sorta: s’erano dati alla Repubblica, da questa eran stati accolti, mandasse, quindi, gente e soldati per loro tutela ora che il Marchese minacciava assalirli. Aveva un bel protestare che pazientassero ! Risposero risolutamente che non avrebbero aspettato più, ma bensì voleano andare a provvedere alle loro case. Si valse, adunque, di questa minaccia e scrisse addirittura al Marchese — che i suoi sudditi non volevano sentir trattare sorte alcuna di aggiustamento —, e però gli rendeva la sua parola di sospendere le ostilità. Sperava che, forse, ridotto alle strette, il marchese Guglielmo avrebbe avviate pratiche decisive per la cessione del feudo ai Genovesi. Ma, contrariamente alle speranze del Sauli, accadde un fatto che dovea crescere le sue già gravi preoccupazioni e rendergli addirittura insostenibile l’ufficio suo. Il giorno seguente a quello in cui egli avea scritto al Malaspina, ebbe invito urgente dal marchese Scipione di Villafranca di mandargli qualche religioso di sua fiducia, per potergli comunicare un affare di molta considerazione. Nel convento degli Agostiniani della Nunziata erano i più caldi fautori del dominio genovese a Pontremoli, e anche i Cappuccini, avendo per guardiano uno Spinola, erano al Commissario deditissimi. Egli, però, mandò, invece di un cappuccino o di un agostiniano, il notaro Ser Baldassarre Dolera, che avea l’ufficio di cancelliere. E seppe, così, che il Pestalozzi, governatore di Fivizzano, trattava, per mezzo di Spinetta Malaspina, marchese d Olivola, col cognato di costui marchese di Tresana per conto del Granduca. Il Pestalozzi, accortissimo negoziatore, s era spinto fino ad Olivola e qui era venuto ad abboccarsi con lui il marchese Guglielmo, portato in lettiga perche, per il suo maio stato di salute, non potea muoversi. Era GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2Ç7 stato largo di promesse il Governatore! Il Granduca avrebbe dato aiuto contro i ribelli: se poi il Marchese avesse ceduto il feudo, non sarebbe mancato a lui ed al fratello Giacomo un onorevole impiego per parte della Corte di Toscana. Cosi 1 opera del Sauli sortiva proprio un effetto contrario alle sue intenzioni. Vedendosi sfuggire la preda egli si affrettò a scrivere al marchese Scipione che la Repubblica avrebbe sempre fatto ogni buona condizione al marchese Guglielmo. Ma era tardi. Guglielmo, contro sua voglia, si vedea costretto a buttarsi in braccio al Pestalozzi: « Io ho affetto alla Repubblica e pure mi vado a perdere »; così avrebbe esclamato sul punto di recarsi al convegno col Governatore di Fivizzano (i). Già negli stati lunensi del Granduca si faceano armi. Spar-gevasi voce che n’era causa il voler punire Antonio, figliuolo del marchese Annibaie di Villafranca che, pochi dì innanzi, il 2 di febbraio, aveva ammazzato, a mezzogiorno, il bargello di Bagnone con molti sbirri; ma il Sauli stesso capiva che quelle armi moveansi per Tresana. In quei frangenti l’angustiato Commissario genovese non sapeva più a che santo votarsi: non rifiutò nemmeno di accoglier la proposta di un tradimento. A mali estremi estremi rimedi. Un Papirio Picedi, nipote del reverendo Giovan Carlo che avea seguito e aderenze a Tresana, offriva, d’accordo con lo zio, d’impadronirsi, con un colpo di mano, del castello, dove non erano, col marchese Giacomo, fratello di Guglielmo, più di quattro o cinque uomini, fra’ quali un bandito genovese, strumento designato alla ribalda impresa. I Picedi vantavano d avere il favor del popolo, e ci volea poco quando si pensi che al popolo di Tresana ogni mezzo sarebbe parso buono pur di liberarsi dagli abborriti Signori (2). Ma a Genova non si volevan commettere imprudenze: gli Eccellentissimi di Palazzo deliberarono si rispondesse al Com- (1) Per tutto ciò, lett. del Sauli, 4 febb. 1648, Loc. cit., fogl. 1648, n. 59. Oltre che per la cessione di Tresana il Commissario di Pontremoli trattava anche per quella di Madrignano « feudo delli belli et buoni che hab-bino questi Signori Malaspini, che consiste di ; ville et farà da fuochi 200 in più, paese domestico assai, che produce vini esquisiti ». Era vacante per la morte del marchese Giulio Cesare e il Granduca di Toscana, dal canto suo, praticava per averlo con Annibaie Malaspina che stava a Parma. (2) Lett. dell’ 11 febb. 1648, cart. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA missario, che la Repubblica s’era impegnata nella protezione dei Tresanesi, ma soltanto per l’aggiustamento col loro Signore. Quanto poi alle voci che correvano di armamenti toscani, disponevano perchè si desse lo stesso ordine di tenere, ad ogni evento, l’armi pronte a’ Commissari di Pontremoli e di Sarzana e al Capitano della Spezia, non con fine di muover guerra, ma per potere « con pari gelosia ingelosir il Granduca ». Nelle istruzioni al Sauli, poi, insinuavano che c forse il Granduca opererebbe anche senza maggior dimostrazioni a benefizio delli huomini di Tresana, perchè non risapendosi i fini di V. S. R.ma potranno darsi a credere che siano per proteggere essi huomini, e così, senza impegnarsi in niente, li terranno in devotione et in timore li Marchesi suoi patroni e perciò sarà ritenuto anche in intraprendere novità il Governatore del Granduca » (i). Ouesto troppo prudente ottimismo, che potea sembrare anche misurato artificio o calcolato disinteresse, rendeva insostenibile la posizione del Sauli, ed egli, infatti, già per troppe ragioni stanco del suo ufficio, il 15 di febbraio domandava il richiamo in patria, adducendo ragioni di salute. I Collegi acconsentirono e gli nominarono per successore Giovan Battista Imperiale, figliuolo di Michele, marchese d’Oria e Francavilla nel Regno di Napoli, che fu anche senatore. Sembra però che la prova di fiducia de’ suoi concittadini non lusingasse troppo l’insigne patrizio genovese. Certo non doveva piacergli mutare la dimora di Savona, donde la Repubblica mandò, nel febbraio, a levarlo appositamente una galera, col castello del Piagnaro, in capo aj-l’umido borgo dilungantesi fra la Magra ed il Verde. Ma con la Repubblica non ci voleano indugi, e i Collegi intimarono al-l’Imperiale di partire per il suo non chiesto nè gradito Commissariato sotto la pena di 1000 ducati se avesse contravvenuto (2). Seguitavano frattanto le pratiche del marchese Guglielmo col granduca Ferdinando II, e quei di Tresana, venuti a saperlo, vedendosi delusi nelle speranze riposte in Genova, pensarono a’ casi loro. Accordi col Commissario di Pontremoli per (1) Deliberazioni aggiunte sopra la lettera cit. 2) Lett. del Sauli del 15 febb., cart. cit., e delibera*. collegiali scritte sulla medesima. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2QQ tornare obbedienti al Signore non ne voleano stringere; aiuti da lui non erano riusciti ad averne: che fare? Pensarono rivolgersi novellamente al Granduca. Ma Ferdinando II, come i Genovesi, preferiva alle torte le vie dritte; e trasmetteva ordine al Pestalozzi che praticasse ogni mezzo per indurre il marchese Guglielmo a cedergli in compra o in permuta i propri diritti (i). Allora quei di Tresana, spinti dalla crescente necessità, si strinsero nuovamente a Genova, si ripresentarono il 20 di febbraio al Sauli chiedendogli aiuto di gente o almeno danari « per comprar roba da mantener quel popolo che ormai si muore di fame » e inviarono un’altra supplica alla Repubblica (2). Ma ai primi di marzo giungeva a Pontremoli il nuovo Commissario genovese Giovan Battista Imperiale, e il Sauli, il giorno dopo l’arrivo di lui, se ne partiva. Quei di Tresana an-daron subito dal nuovo inviato « ad esclamare che la Repubblica li tenea sospesi e che non sapeano come fare a vivere col non essere soccorsi nell’ estremo bisogno in cui si trovavano ». Uomo più risoluto del suo predecessore, l’Imperiale non volea seguirne l’esempio e dichiarava apertamente al Governo che il tenere a buone parole soltanto i Tresanesi « non solo non giovava, ma li rendea più mal soddisfatti » ; nuova strada bisogna seguire, egli dice alto e forte, non più quella fino a quel tempo battuta. Si rimetteva anche alle dichiarazioni che a’ Collegi avrebbe fatto lo stesso Sauli : una risoluzione era necessaria per non tenere più oltre sospesi quei popoli acciò non avessero a restare maggiormente mal soddisfatti. Proponeva dare un aiuto pecuniario : gli avean detto che 100 doppie sarebbero bastate a provvederli per due mesi ; si dessero quelle. A Pontremoli non avrebbero trovato neanche un picciolo, perchè sapendosi il dissidio de’ ribelli col Marchese, nessuno si fidava a far contratti obbligatori, sia di vendita sia di prestito, per timore che non avessero ad esser nulli mancandovi la ratifica del Signore! « Non lascio pur di dire », terminava l’imperiale, « che ho inteso che il Marchese di Treggiana mai si aggiusterà a cosa alcuna per rispetto dell’altri Marchesi, che non vorriano che li loro sudditi prendessero esempio; e dal- (1) Branchi, op. cit., pag. 400. (2) Lett. del Sauli, 20 febb. 1648, cart. cit. 300 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA l’altra parte li huomini di Treggiana mai faranno accordio alcuno col Marchese » (i). Posta così chiara ed esplicita la questione non si potea ripetere al Commissario Imperiale di procurar quell’accordo che, per sua dichiarazione, le parti seguendo le contrarie e opposte tendenze non avrebbero mai voluto conchiudere. Eppure i Collegi deliberarono..... cioè non deliberano affatto. Risposero genericamente che gli confermavano i dati ordini e, frattanto, seguitasse ad assumere informazioni! Se non che il novello Commissario voleva andar dritto allo scopo e, tolta di mezzo ogni tergiversazione, pensò valersi dell’opera del podestà dell’Aulla, Teramo Piaggio. Il padre di costui, Giovan Battista, aspirava al Vicariato di Pontremoli: il figliuolo, però, avrebbe desiderato ingraziarsi l’imperiale. Del Piaggio, confidente de’ Tresanesi, il Commissario si fece, quindi, un agente fido e sicuro che lo teneva al corrente di quanto accadeva a Tresana e di ciò che maneggiavano i ministri granducali. Con questo mezzo a Pontremoli il Commissario genovese potè essere al corrente degli avvenimenti assai gravi che si preparavano nella primavera e nell’ estate. * * * Esclusa ogni possibilità d’accordo (2), perduta ogni speranza di ripigliar le fila distese dal Sauli per guadagnare i Marchesi di Tresana « potendosi tener per certo che si sieno già sottoposti al voler del Granduca », l’imperiale, verso la metà d’aprile, seppe che il marchese Giacomo era andato a Firenze e n’ era tornato allegro. Guglielmo, da Olivola, ai primi di quel mese, era rientrato nel castello di Tresana. Le notizie del fido Piaggio eran giuste, 1’ allegria di Giacomo avea la sua ragione. A Firenze, come mandatario del fratello, avea stipulato acro-mandigia col Granduca e stabilito: Che il Marchese perdonerebbe ai ribelli, salvo il bando dei capi; che il Governatore granducale congregherebbe i sudditi per significar loro tal perdono e invitarli a deporre le armi riconoscendo con nuovo giuramento di fedeltà il loro Signore, minacciando, diversamente, d’intervenire con la forza; che il Granduca terrebbe un Podestà (1) Lettera dell’imperiale del 9 marzo 1648, cart. cit. (2) Il 14 aprile 1’ Imperiale scrive: « Per il detto fine 11011 ini par che mi resti da operar cosa alcuna ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3ΟΙ toscano nel feudo, da eleggersi dal Marchese (i). Che rimaneva a fare al Commissario di Pontremoli ? Intorbidare le acque al Pestalozzi e procurare, col concorso del Piaggio, di tener fermi quei di Tresana' nel proposito di non accettare neanche dal Granduca di ritornare sotto la detestata Signoria. Ma, lo ripeteva l’imperiale, ci volea più che parole. « Quel che si può cavare dal farli carezze et usar buone parole possono star quieti [i Signori Eccellentissimi di Palazzo] ch’io l’ho fatto e lo farò: ma il non restar soccorsi, come speravano, nel loro bisogno non so se potesse permettere che si tratti con loro cosa alcuna che resti utile ». Consigliava di cercare se avessero, almeno, potuto ottenere dai Ministri di Spagna lo ius sanguinis e il diritto di riconoscere le cause di pena di galera, spettanti, anche sopra Tresana, al Governatore di Milano. Era proprio un volersi attaccare a’ rasoi! Eppure, con indifferente tranquillità che potea essere prudente accortezza, i Collegi replicavano all’ intraprendente Commissario: « Per ora non occorre altro; continui a informarsi ». L’accordo intervenuto fra Giacomo e il Granduca dovea presto, per mezzo del Piaggio, esser noto all’Imperiale. Sul cadere d’aprile quattro degli uomini di Tresana che si sapevano meno feroci nell’opposizione al Marchese, furono chiamati a Firenze per trattare coi Ministri granducali. Fu promesso loro che il Granduca avrebbe scelto lui il Podestà; che sarebbero arruolati con le genti soggette alla Toscana, e che Ferdinando II li avrebbe soccorsi con la roba che aveva nella vicina Lusuolo. Promisero di accettare per sè, salva la ratifica della Comunità. Si aspettava, da un giorno all’altro, la venuta in Tresana del Pestalozzi il quale, dal marzo, trovavasi a Lusuolo, contrariamente all’abitudine sua di non lasciar Fivizzano. Ma ai Tresanesi non piaceva troppo 1’accordo, anche perchè dubitavano di diventare servitori di due padroni. Il Piaggio nel dare queste notizie all’imperiale, insinuava: « Sarebbe dannoso che Tresana venisse in mano de’ fiorentini perchè il sale che da Sarzana va a Pontremoli dovrebbe toccare il territorio fiorentino, ciò che ora non è. Per evitarlo converrebbe pigliare pei monti di Bolano » (2). Il 7 di maggio il marchese Guglielmo ratificava (1) Branchi, op. cit., pag. 401. (2 Lett. di Teramo Piaggio all’ Imperiale, 3 magg. 1648, cart. cit. 302 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 1’accomandigia fatta da suo fratello col Granduca (i): però, di lì a due giorni, furono a Tresana l’Auditore del Governatore di Fivizzano, un Capitano e un Notaro e, per ordine del Granduca, convocarono il popolo secondo quanto aveano concordato cogli inviati Tresanesi a Firenze. Concorsero 170 capi di famiglia; ma com’ebbero inteso il concordato fra il Marchese e il Granduca, all’invito di rendere obbedienza al Malaspina come dipendente e feudatario raccomandato di Ferdinando II, intrepidamente e di comune accordo si rifiutarono, nè si sgomentarono per le minacce di un intervento armato. Anzi, bell’esempio di fierezza in quel popolo stanco di una dominazione divenuta, per troppe ragioni, intollerabile, dichiaravano esser pronti ad ogni estremo cimento, poiché non avevano da morir che una volta ! Tanta energia indispettì il Pestalozzi che, dando parte del risultato della sua missione al governo toscano, consigliava addirittura l’uso della forza, col sacrifizio eziandio di qualche vittima ! per ridurre all’ obbedienza i ribelli di Tresana (2). Forse a mantenere così tenaci nel loro sdegno i Tresanesi non mancò l’opera dell’imperiale. Il Piaggio termina la relazione di quegli avvenimenti dicendo di que’ popoli: « Son fedeli alla Repubblica ». Infatti mandarono subito tre inviati a Pontremoli per dar parte al Commissario dell’accaduto, mostrandogli che avean paura il Granduca non mandasse gente a forzare la loro volontà. E il Commissario non mancò di far premura presso i Signori di Palazzo: li consigliava a prendere qualche risoluzione che mostrasse l’interessamento di Genova per quei miseri. I Collegi questa volta si mossero, ma con infinite cautele e re-strinzioni. Scriveano all’Imperiale che mirasse a tenere in fede i Tresanesi: intanto gli concedevano facoltà di poterli soccorrere. Mandasse 40 o 50 mine di segale e altre vettovaglie inferiori, ma non lasciasse di far obbligare la Comunità alla restituzione. Consentissse pure a que' popoli di trafficare nel dominio della Repubblica ma ponesse mente al caso, che forse non sarebbe ;i) Branchi, op. cit., pag. 402. (2) Tolgo i particolari dal Branchi, op. cit., che attinge alla lettera del Pestalozzi del 10 maggio; e da Lettera di Teramo Piaggio all imperiale, del 10 maggio stesso, cart. cit. dell’Archivio genovese. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 303 successo ma potea darsi, della cessione di Pontremoli per poter avere regresso di quanto ora si mettea fuori (1). Non doveano essere sconosciute, fin d’ allora, ai Genovesi le insistenti pratiche fatte dal granduca Ferdinando II presso la Corte di Madrid, per ottenere la rescissione del contratto di vendita di Pontremoli alla Repubblica (2), e, da accorti negoziatori, non volevano impegnare il loro danaro a fondo perduto. Il 13 di maggio il Pestalozzi ricevea l’ordine di assoldare 300 uomini delle bande di Fivizzano e di Castiglione del Ter-ziero e muovere, con quelli, sopra Tresana, evitando però di sparger sangue. Fatta massa delle sue genti a Terrarossa, il Governatore mosse contro i ribelli che, nominato console Andrea Andreani, rinnovavano la deliberazione di non voler più saperne del marchese Guglielmo, pur offrendosi e raccomandandosi alla benevolenza del Granduca. Il Pestalozzi, allora, occupò Tresana e Barbarasco, mentre gli abitanti con le donne e i fanciulli fuggirono ne’ monti vicini. Non si offese alcuno e il danno si limitò al bestiame razziato e al vino trovato nelle case, che fu fatto spandere per terra pur di mostrare un qualche segno di ostilità (3). L’Imperiale compassionando quei miseri, travagliati anche dalla fame, mandò il Podestà a Giovagallo, allora dipendente dalla Repubblica, perchè, senza compromettersi e con ogni prudenza, soccorresse i fuggitivi da Tresana riparati nella terra de’ Genovesi. Questa sua condotta era approvata dai Collegi che gli raccomandavano procurasse tenere in fede i Tresanesi, ma non facesse pericolose novità: desse pure agli sbandati soccorso di viveri ; ma quando s' accorgesse eh’ erano per piegarsi verso il Granduca rimanesse dall’ aiutarli. Così la ragione di stato avrebbe dovuto sopraffare le leggi dell'umanità. Veduto inutile ogni mezzo che non fosse violento per rimuovere quei di Tresana dal loro ostinato proposito, il Pestalozzi per non trasgredire gli ordini granducali, che vietavano uccisioni e ferimenti, anche perchè non trovava in un paese così impoverito dalla (1) Lett. dell’imperiale del 12 maggio. C’è trascritta, in fine, la deliberazione dei Collegi. (2) Per queste pratiche cfr. Bologna, op. cit., pp. 6 e segg. (3) Lett. dell’Imperiale del 19 maggio, loc. cit., e Branchi, op. cit., pag. 404. 304 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA lunga contesa il bisognevole per rifornir le sue milizie (i), se ne tornò nelle terre dipendenti dal suo governo, ma smanioso di fare un'altra spedizione e costringere con la forza all’obbedienza i ribelli. E il Gran Duca, sollecitato anche da’ Marchesi, lo autorizzò a procedere con rigore contro i capi popolo di Tresana più compromessi. Per provvedersi contro queste minacce coloro si rivolsero a Milano, dichiarandosi soggetti alla Spagna; e poiché, al cadere di luglio, s’era stabilito di scegliere un podestà ad arbitrio di Firenze « per far li processi, e che si habbino da far le sentenze in Fiorenza », col beneplacito di Guglielmo che dovea avere * dalli suoi sudditi li diritti del vassallaggio che li toccano, e nel resto non si possi intromettere in cosa alcuna », il Governatore di Fivizzano scelse lui il podestà. Fu Giovanni Baldassini da Stadano, suddito del Gran Duca, e il Pestalozzi ne annunziava la nomina a’ Tresanesi con un bando, nel quale diceva di sperare lo rispetterebbero e non gli farebbero offesa, minacciando, altrimenti, di farne « rigoroso risentimento ». Prometteva che S. A. Serenissima sarebbe stata sempre il loro protettore; ma non celava che, dove avessero durato nella passata ostinazione, doveano aspettarsi qualche grave pena addosso, « restando la grandezza del Serenissimo mio Signore offesa, mentre così poco vengono stimate le sue parole » (2). Da queste fiere minacce non si lasciarono sgomentare il Console e gli uomini di Tresana, che rispondevano come « per il giudizio che si tratta avanti li ministri di S. M. Cattolica a Milano » non poteano riconoscere persona alcuna dipendente dal Marchese per ufficiale : le ragioni e pretensioni loro ben conosceva il Granduca, quale non intendevano offendere: ma non avrebbero voluto patir da lui travaglio a torto. Concludevano dichiarando che non accettavano il podestà Baldassini, non per manco di rispetto al Granduca, ma perchè intendevano « difendere le nostre ragioni, sempre con li dovuti rispetti » (3). (1) L’Imperiale, nella cit. lett. del 19 maggio, scrive: « E come che non c’è da magnar, non credo che possino [i Granducali] essersi fermati più che per hoggi ». (2) Bando di Paolo Pestalozzi agli uomini di Tresana, del 28 luglio 1648, in copia nella lettera del Commissario Imperiale del 6 ag. 1648. R. Arch. di Stato in Genova, car. cit., fil. 7. (3) Risposta de’ Tresanesi al Governatore di Fivizzano, in copia nella cit. lett. dell’ Imperiale. Ibid. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 305 La scappatoia trovata da’ Tresanesi di chiamarsi sudditi di Spagna trattenne, per tutto il resto di quell’ anno, il governo di Firenze dal ricorrere a vie di fatto: bisognava procedere con circospezione e non dar ombra a Milano: chè se quei di Tresana avessero trovato ascolto presso quella Corte, le mene granducali rischiavano di fallire. Pure, nel dicembre, il Pestalozzi tornò con sue genti a Barbarasco e pubblicò gride di bando contro i capi della fazione più avversa al Marchese, dando il guasto a’ loro beni, incendiando e spianando le case. Nè per questo mostrandosi sgomenti i Tresanesi, nel successivo gennaio 1649 Pestalozzi fece massa a Lusuolo e con le sue genti passò nel Marchesato, facendo rappresaglie tali che commossero lo stesso marchese Guglielmo, il quale, colle lagrime agli occhi, si oppose alle tragiche scene che aveano immerso il paese nel lutto (1). E ciò mostrerebbe che il marchese Guglielmo non era poi quel perfido e scellerato tiranno che da taluno volea dipingersi. Il Governo di Milano, che realmente trattava Tresana come feudo imperiale e, dopo la morte di Guglielmo, la governò con autorità così sovrana come fosse proprio feudo della Camera ducale, tenendovi un Podestà giudice del civile e criminale (2), non potè indugiare più oltre a muoversi e fece sapere che avrebbe inviato a Tresana un suo Commissario. Il Granduca, davanti a questa superiore autorità, fu costretto a richiamar le sue genti: tornarono allora i profughi Tresanesi da Castevoli, dove col meglio delle roro robe aveano cercato scampo, alle loro case. Con cappe da battuti in dosso, come meschini penitenti, erano andati a Milano, e i loro reclami aveano pur trovato ascolto! Il 23 di febbraio del 1649 arrivò a Barbarasco il dottor Giulio Cesare Calvino, annunziando che avea avuto l’ufficio di Podestà nel feudo e che per ordine del Governatore di Milano avrebbe intese le doglianze del Marchese e de’ sudditi e cercato di accordarli. Il marchese Guglielmo tro-vavasi nel castello di Tresana: il Pestalozzi mise a disposizione dell’inviato da Milano le guarnigioni toscane eh’erano a Tresana e a Barbarasco. Dopo tre mesi di pratiche il Calvino fece, , 1 ) Branchi, op. cit., II, 408. (2) Informazione sul contenuto dell’istruzione mandata al Senato il 24 luglio 1659. In Informazioni ili Tresana, in Confinium, fogl. 1659. Giom. St. e Lett. della Liguria 20 306 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA il 9 di maggio, solennemente riconoscere per Signore il marchese Guglielmo da’nuovi ufficiali eletti per allora; ma impose anche a Guglielmo che il Podestà dovesse risiedere nella terra anzi che nel castello. Però queste deliberazioni scontentarono il Marchese e i Tresanesi e di tale malcontento seppe trar profitto il Granduca Ferdinando II, pei maneggi del quale venne richiamato a Milano il Calvino. Migliore successo non ebbe 1 opera d’un nuovo Commissario, Antonio Mesquide, che dopo aver condotto a Tresana un presidio di i8 soldati spagnuoli se ne partì, il 28 marzo del 1650, lasciando scontenti il popolo ed il Signore. Profittarono i più animosi nemici del governo marchionale di quella opportunità e una mattina, sulla levata del sole, nascondendoli una fitta nebbia, furon sotto le mura del castello e mentre il marchese Giacomo saliva per una scala esterna, gli tirarono un’archibugiata per cui, in capo a ventiquattr’ore, se ne morì. In queste ultime vicende Genova pare non prendesse parte alcuna. Ormai la Repubblica avea dovuto cedere Pontremoli al Granduca e, conseguentemente, non avea più ragione di preoccuparsi troppo delle cose di Tresana. * * * Sempre più infelici, frattanto, erano le condizioni del marchese Guglielmo, che gravemente malato e ridotto quasi alla povertà dovea star rinchiuso nel caste’lo per evitare che non potesse toccargli sorte uguale a quella di suo fratello Giacomo (1). La sventura e così la necessaria impotenza di lui davan nuova baldanza a’ Tresanesi, quando il 6 di gennaio del 1651, mentre era a tavola, lo colse un colpo apopletico, sì che perse la favella (2). Di lì a tre giorni morì. Subito i sudditi « si misero tutti in arme, e condotti alla terra assediarono il castello » do-v’ erano la Marchesa, vedova, il Marchese della Bastia e cinque (1) Quando, nel 1650, il Senatore Alessandro Vettori andava a prender possesso di Pontremoli per conto del Gran Duca, giunto a Terrarossa ebbe la visita della Marchesa di Tresana venuta a raccomandargli caldamente le ^niserie del marito. Cfr. Bologna, op. cit., pag. 47. (2) Vedi, in fine, lett. del Pestalozzi del 7 genn. -1650 (st. fior.;. Il Branchi, credendo le lettere toscane scritte colla data dell’ anno comune, riferisce questi avvenimenti al 1652 ; ma dalle corrispondenze di Gio. Carlo Picedi dell’Archivio genovese rilevasi l’errore. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 307 o sei servitori, senza viveri (i). Il governatore Pestalozzi « per ovviare a tumulti, et a richiesta de’ medesimi Signori Marchesi », mandò loro « un caporale con dieci o dodici soldati per salvaguardia di quel castello, e per tenerlo a devotione di S. M. Cesarea e dispositione del Serenissimo nostro padrone » ; ma i Tresanesi li respinsero, pretestando che essi stessi avrebbero tenuto e guardato il castello per S. Maestà. In questi estremi il Governatore di Fivizzano si preoccupava nuovamente di possibili ingerenze de’ Genovesi. « Io non mancherò di star vigilante », scriveva, « per osservare che a detti huomini non venisse voglia di dar quel luogo nelle mani della Repubblica di Genova o vero di altro Principe » (2). E veramente Gio. Carlo Picedi e Teramo Piaggio davan opera col Rivarola, commissario genovese a Sarzana, per ridestare le simpatie tresanesi verso la Serenissima, la quale, però non si volea più mettere in impicci (3). Ma per raccogliere l’eredità di Guglielmo, che non aveva lasciato prossimi parenti, privo di figliuoli e premortogli il fratello, corsero a Tresana il Marchese Spinetta d’Olivola che prese possesso dei beni allodiali allegando un testamento fatto da più anni dal defunto Signore, per cui istituivalo erede ; e il marchese Giovanni Battista di Lusuolo, che stava a Mantova, bandito dagli Stati granducali perchè avea scalato le muraglie della fortezza di Lusuolo (4) e che, per le antiche investiture, vantava il diritto di succedere, mancata la linea retta di Guglielmo I, come diretto discendente di Ercole suo fratello (5). Se non che a togliere ogni possibile discordia e contesa fra que’ Marchesi e la vedova di Guglielmo, ecco, il 25 di quello stesso gennaio, arrivare a Tresana Don Giovan Battista Secco Boccella, conte di Vimercate, inviato dal Governatore di Milano, che prese possesso del feudo in nome di S. M. Cattolica Filippo IV, re di Spagna e duca di Milano, ricevendo formale riconoscimento (1) Vedi, in fine, lett. del Pestalozzi del io genn. 1650 (st. fior.). (2) Vedi, in fine, lett. del Pestalozzi del 14 genn. ibjo (st. fior.). (3) Vedi, in fine, informazioni del Rivarola commissario di Sarzana, del 25 gennaio 1651. 14) Vedi, in fine, lett. del Pestalozzi del 19 gennaio 1650 (st. fior.), e cfr. 1’ alberetto riportato in principio a pag. 282, nota 3. 5 Informazione del 24 luglio 1659, già citata, dcll’Arch. genovese. 308 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dagli uomini ed università. Così i Malaspina perdevano anche questo marchesato ch’era stato eponimo d’una delle numerosissime loro diramazioni, e il Governatore di Milano ne pigliava il governo insieme con Castagnetoli, Busatica e Giovagallo, feudi imperiali compresi nella vendita di Pontremoli fatta a Genova ma eccettuati nella rivocazione di quella per il Granduca (i). Vi mandò un Podestà giudice del civile e del criminale che estendeva la sua giurisdizione, oltre che sulle terre già dette, anche sulle ville di Barbarasco, Careggina, Poppeto, cura di anime, Cornetta, Cattizola, Lorenzana, Boia, senza cure; cioè, con qualche altra piccola terra, per un giro di io o 12 miglia, e vi spedì, come Soprintendente generale al governo dei Marchesati di Treggiana, Giovagallo e Castevoli quel medesimo dottor Giulio Cesare Calvino che già, come paciaro, aveva fatto cattiva prova (2). Non andarono molti anni che la Camera Ducale, per le stesse ragioni per cui aveva alienato Pontremoli, ossia per bisogno di quattrini, volle disfarsi anche di quei possessi di Lunigiana, tanto più che costituivano piuttosto un aggravio che altro. Allora tornarono ad occuparsene anche a Genova e il Commissario di Sarzana si diede attorno a procurarsi notizie, valendosi dell’opera di Monsignore Spinola vescovo della diocesi. Le informazioni spedite da lui mettono in chiaro che a’ Genovesi dava, come sempre, ombra, lo stendersi del Gran Duca di Firenze nella Val di Magra, e che si desiderava trovar modo per impedirlo. Son queste : Informazioni pei feudi di Tresana e Castagnetoli. Che il Gran Duca con 1’ acquisto deili marchesati di Tresana e Castagnetoli resterebbe padrone di quasi tutta la provincia di Val di Magra, non solo per essere questi di gran considerazione, ma perchè con essi et l’altro suo stato soggetterebbe quasi tutti li feudi imperiali di quelle parti. Che li detti marchesati non li ha potuti fin qui conseguire perchè li Spagnoli negano volerli alienare liberamente. Che se sta attendendo l'occasione di qualche bisogno urgente della corona. (1) JBranchi, op. cit., II, 420. (2) Cfr. Bologna, op. cit., pag. 7. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3Ο9 Che il Presidente Arese, suo gran fautore, non preterirà oportunità alcuna per fargli conseguire l’intento, essendo quello che fece ogni sforzo per fargli havere Pontremoli (i). Che ogni benché minimo avanzamento del Gran Duca in quella parte pregiudicherebbe allo Stato della Serenissima Repubblica, che dovrebbe spendere qualsivoglia somma considerabile di danaro. Che vi è forma di potere assicurare che non vadino in mano del Gran Duca, benché li Spagnoli negano di volerli liberamente alienare, e questo senza spesa alcuna del pubblico, perchè saranno concessi in feudo regio a persona totalmente dipendente dalla autorità della Serenissima Repubblica come benemerito, con il mero e misto impero e gladii potestate, patto di esser preferito ad ogni altro in caso di allienazione del supremo dominio e per feudi hereditari ut transeant ad quoscumque haeredes et ad extraneos, con che li possano vendere, obligare, etc. Che la detta persona per fare questo acquisto desidera che la Repubblica li faccia trovare 20 mila pezzi da 8 reali a cambio, limitato per 25 anni, a quel minor interesse che sia possibile (2). La Repubblica di Genova, non che spendere qualsivoglia somma considerevole di danaro, pare non intendesse nemmeno di garantire il prestito alla fida persona per cui si chiedeva, talché quando nel gennaio del 1659 furon posti all’asta i feudi di Tresana e Castagnetoli, rispettivamente per il prezzo di 7 mila pezze da otto reali e di 5 mila pezze da otto reali, mostrò maggior desiderio di farne 1’ acquisto un fido suddito di Ferdinando II, Bartolommeo di Filippo Corsini, marchese di Laiatico. Il 2 di maggio il patrizio fiorentino ebbe in impegno per tre anni quelle terre, per garanzia d’un prestito di quindicimila scudi: il 7 maggio, poi, del successivo 1660 per lire 123200 ne otteneva i1 libero e pieno possesso, convenendo anche di acquistare il feudo di Giovagallo non appena il governo regio potesse disporne. (1) R. Arch. di Stato in Genova, Confinium, fogl. 1658, n. 49, inserto del fogl. 1657-58. (2) Vedi, in fine, la cedola di asta affissa in pubblico. 310 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA In tal modo Genova perdè ogni speranza su quei paesi, e alla Signoria de’ Malaspina su Tresana, su Castevoli e poi anche su Giovagallo fu sostituita quella de’ Corsini che la tennero fino a che il regime feudale fu spento, seguitando però, anche oggi, come titolo nobiliare, a fregiarsene la insigne casata di che meritamente Firenze s’onora e si giova. Luigi Staffetti DOCUMENTI. i. 1^* Archivio di Stato in Genova, -S\ Giorgio, Cariceli. Borlasca, Litler. 1527. 7 Ottobre 1527. Mantova Lettera patente di Federigo II Gonzaga, Marchese di Mantova, per la morte del Marchese Guglielmo I di Lusuolo e Tresana. iedericus Marchio Mantuae etc. S. R. E. ac Exme Reip. Floren. Caps Generalis. Essendo successa questi 31 passati la morte del q. marchese Guilelmo Malaspina allevo già di Casa nostra, nostro Carissimo gentilho[mo] et grandissimo servitore, ne havemo ricevuto quel gran dispiacere che ricercha una tanta perdita, quanto havemo fatto per il tristo et compassionevole caso suo. Et per che mai non siamo per manchar de ogni aiuto et favore nostro alli figlioli soi non essendo nui mai per scordarsi la longa et tìdele servitù et le molte fatiche eh’ esso ha passato non meno amorevolmente che diligentemente in servitio de la Casa nostra et nostro, volemo ni contentamo et ni piace pigliare, et cusi pigliamo la protectione loro de ogni loro beni et facultà. Et in virtù de la presente nostra rendemo testimonio a qualunche sarà exibita come havemo la detta protectione et la volemo tenire a comodo beneficio et sicurezza de essi figlioli soi cosi de li Castelli che hanno et possedeno al presente sotto qualunque titulo et per qualunque causa, come de ogni altra cosa che fusse del p.l° Marchese, almeno fin tanto che di ragion sii fatto constare detti castelli o parte di epsi dovere essere restituiti. Et accio che questa amorevole nostra deliberatione et protectione possi pervenire più facilmente a noticia di cescuno, siamo sta contenti che le insegni et arme nostre si pingano et ponino ne li lochi et castelli del p.>° marchese Guilelmo, certificando ognuno che di tuti li comodi et piaceri che serano fatti a li p.*' soi figlioli noi ne restaremo molto compiaciuti et gratificati da chi gli li fa-rano, si come non saremo per patire et molto ne rincrescerà de ogni disturbo et molestia che da qualunque contra ragione gli potesse esser dato. Al che noi non mancheremo di provedere a tuto nostro potere. Dat. Mantue sub fide nostri soliti maioris sigilli VIJ oct. 1527. Io. B. Marius Cancell. scrip. Calandra, i) (1) Allegata in seno alla seguente. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 311 II. R. Arch. di Stato in Genova, S. Giorgio, Cancell. Borlasca, Litter. 1527. 17 Ottobre 1527. Tresana Lettera di Alessandro Trenchedino per la morte del Marchese Guglielmo I. Mag.ci et ex.si D.ni D.ni obss.m> Credo che le S.rie V. haverano inteso per littere dii M.co Cap.° di Sarzana la dolente jactura del Sig.r Mar.se Gui-lellmo afficionatissimo servitore de quella Mag.ca Casa di S.to Georgio. Nientedimeno essendo io qua Comiss.0 et locotenente dii statto di S. Sig.ria m’ è parso debito mio per questa mia significargli la dolente morte sua, quale è sttato in Tivoli hauto prima li sacramenti di S.ta Matre chiesia. Son certo che le Sig.rie V. ne receverano dispiacere non picolo per molti respecti maxime sapendo quelle il R.d° amore et servitù che portava al M.co officio et la persona che era S. S.ria, de cui perdita non solum torna in danno a la Casa sua, ma tuto al paeso di qua. Resta la speranza de soj figlioli che si pole credere non degenerando la natura dii patre, et per le virtù e laudabili costumi e generosità sua è piazuto «.Ilo Ill.mo S. Marchese di Mantua pillare in protectione li p.ti figlioli et la patente 1’ ho mostrata al M.co Cap.° de Sarezana et alle S.rie V. ne mando la copia qui incluso, aciò che quelle ha-bino di megliore animo a pigliare in protectione essi figlioli, così come 1’ ha-vevano il p.to S.r loro patre, atento che perseverano in quella servitù et fede che haveva S. S.ria al Mag.co officio, et de le castelle et dominio loro, che confina con le terre de le S.rìe V., se ne potrano valere et disponere come de loro proprie. Per tanto prego le S.rie V. che vogliano abrasare la def-fensione de le cose loro che oltra favorirano li soi afficionatissimi servitori sarà exemplo a tuti li altri adherenti et recomandati a quella Mag.e3 Casa. Et per che la Mag.ca Consorte del p.to S.r Guilellmo con quelli che hanno la cura de li p.t' figlicli desiderano di sapere la bona mente de le S.rie V. verso essi, prego quelle vogliano significarla o al Mag.co Cap.o di Sarezana o a me come a esse parerà il meglio, acciò de tuto possi dare aviso a Mantua a la p.ta Mag.ca Consorte e tenire bene confortati tuti li subditi dii q. Mag.co Mar.se Guilellmo. E volendo le S.rie V. tenire per ricomandati diti figlioli come 10 credo certissimo che la tenirano, le prego a voler scrivere al Cap.o de Sarezana che habij a favorire le cose loro le quale si governano con il consiglio e parere dii S.r Mar.se Laurentio de Fosdenovo, vostro deditissimo et afficionatissimo. Et per che Sua S.ria mi fa instancia del resto de li denari che le S.rie v. debano bavere per conto del S.r Gioanino de Medici, io a questo facio intendere che le qualità de tempi hano prohibito il rescotere tali denari da le terre che sono obligatte per publici Instrumenti pagare, et ancho qualche persona maligna s’è sforzata et sforza con ogni opera et industria de fare che questi denari non se pagano ; ma ora spero mediante la iusticia et con il favore de lo Ill.'no S.r Marchese di Mantua et de le S.rie V. se re-scoterano questi denari et quelle con la S.ra de Massa serano satisfatte. Per 11 che le prego a volere suportare qualchi giorni per che di presenti non si possino exhigere per la morte del p.t0 S.r M.se mio, atento che tuti li contracti dicevano in sua S.ria et hora bisogna levar li tutori che facino novi ptocuratori, et fatto questo senza dilactione se "atenderà a riscotere. Et in bona 312 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gratia de le S.rie V. reverentemente et humilmente di continuo mi rac.do et offero. Dat. Sarzane die 16 8.bris 1527. M. et Ex. D. V. Affictionatiss .mus Servitor Alexander Trenchedinus Comissar. s et locutenens Trixanae. III. Arch. di Stato in Genova, S. Giorgio, Cancell. Borlasca, Litter, 15-7· 23 ottobre 1527. Fosdinovo Lettera del Marchese Lorenzo Aìalaspina di Fosdinovo. (omissis) A questi dì passati scripsi alle S. V. che se volesseno dignar de parlare allo 111. S.re Gub.re di Genoa in preghare S. S. che volesse cometter al Cap.o de la Spezza che ad instantia de li agenti et procuratori del q. Marchese Gugliermo havesse ad ministrar favorevole justitia contra li homini de Ponzano che capitassero nel suo Capitaneato, sicondo la forma de li contracti che haveveno cum il p.to Marchese, et quanto haverano le S. V. ottenuto da S. S. le prego me ne voglieno dar adviso, et quanto più posso racomando a quelle li p.ti figlioli. E perchè il Mar.se Antonio da Ponzano per non inanellar del suo naturai costume fa ogni opera accio che decti homini de Ponzano non habbieno a pagliar, forsi potria bavere mandato qualche falsa information al p.to S.re Gub.re che quando così fusse se manderia a fare intendere a S. S. le justification del q. Mar.se Guglielmo et consorti di modo che S. S. resteria certificata de la verità (1). M. et Ex. D. V. Deditissimus Laurentius Malaspina Marchio Fosdenovi. IV. R. Archivio di Stato in Genova, Confinium, fogliazzo n. 28. Dicembre 1647. Tresana. Memorialc de Tresanesi a Gio. Antonio Sauli, Commissario della Repubblica di Genova a Pontremoli. Ill.mo Sig. Comisario. La Communità et Huommini del Marchesato di Treggiana, humilissimi Servi di V. S. Illu.ma, li espongano siccome il Podestà di Pontremoli prò tempore era Giudice e Dellegato per le controversie che potessero vertire fra essi et li Sig.ri Marchesi Guglelmo et Giacomo, fratelli Malaspina, feudatarij di detto Marchesato, sopra le quali differenze essendo più che mai il litigio (i) Debbo la notizia della morte del Marchese Guglielmo a Tivoli e la comunicazione di questi documenti relativi, alla cortesia dell’egregio amico cav. prof. Achille Neri, direttore di questo periodico. Mi it cari) dirgli grazie. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 I 3 in piede, il quale viene lasciato alla descrizione di Dio per la vendita di Pontremoli alla Ser.ma Republica di Gienova, desiderando riparare alle rovine che li vengano minaciate di vita et di robba et estirpatione di case, conoscendo che la Serenissima Republica di Genova, come sucessa in luogo del Re Catolico, et alla quale si sarebero datti per sudditi, come fecero a Milano, se fusero statti nel dominio di Pontremoli come è hora, a Lei si aspetti la diffesa et protetione di quel povero popolo abandonato et dereietto, il quale per diffesa della vita e robba è statto necessitato ridursi chi in quà chi in là. Confidati nella buona giustizia, clemenza, benignità e misericordia con le quali hano visto in ogni tempo et età quella Regia Republica ha solevato i popoli oppressi, ricorano gienuflesi alla pietà di V. S. Ill.ma, quella humil-mente supplicandola a volere rapresentare alla Serenissima Republica il loro giusto sentimento di volere vivere sudditi di quella Serenissima Republica, et operare appresso di quella questa accetatione con la quale intendono cautelare la loro vita e robba, e che per 1’ avenire li venga administrato giustitia dal Illu.mo Signor Comissario prò tempore come facevano li Podestà di Pontremoli in Giovagalo; qual rimedio solo e unico a conservare questo Popolo in pace, offerendosi per il resto dare quelle satisfatione anualle alli Sig.ri Marchesi che di giustizia li pervengono ; che di tal gratia ne resteranno perpetuamente obligati a V. S. Illu.ma. Quod Deus etc. V. R. Archivio di Stato di Firenze ; Mediceo, Carteggio granducale ; Affari di Lunigiana, filza 29. 7-27 gennaio 1651. Fivizzano. Lettere del Governatore granducale di Fivizzano Pestalozzi al Bali Gondi, Ill.mo Sig. mio Signore Osserv.mo In questo punto, che sono 4 hore di notte, tengo avviso che al Sig. Marchese di Treggiana sia venuto un accidente a tavola, et che habbia perso la favella. Ho ordinato, caso che seguisse altro di lui, che si faccia intendere, con segretezza più che ordinaria, a quella Sig.ra Marchesa, che se li occorresse gente del Serenissimo Padrone, per mantenimento del castello a devotione di S. Maestà e dispositione dì S. A. S., lo faccia sapere, che sarà subito compiaciuta. Ne do di questo parte a V. S. Ill.ma acciò mi possa ordinare quello vuole che io faccia, e per fine con il mio dovuto ossequio a V. S. Ill.ma fo reverenza. — Fivizzano li 7 gennaio 1650 (St. fior.) (1). Di V. S. Ill.ma Devotissimo Obbligatissimo Servitor Paolo Pestalozzi Ill.mo Signore mio Sig. Osserv.mo Non dubito che al ricever di questa mia n’ havrà ricevuta altra, per la quale gli davo parte della indispositione in che si ritrovava il sig. Marchese di Treggiana. Et in questo punto tengo avviso che sia disperata la recupe- (1) È da intendersi, anche nelle successive, 1651. 314 GIORNALE STORICO E LETTERARIO UKl.LA LIGURIA ratione della sua sanità e si crede che per tutto domani non sia vivo. M’ è parso bene di dargli di ciò parte, acciò possa parteciparlo a S. A. ; cliè, dandosi il caso della morte, mi possa accennare il senso della prefata A., e come mi dovesse per servitio della medesima governare in questo particolare. Nè sendo la presente per altro, cordialmente la riverisco e bacio le mani. — Fivizano 8 gennaio 1650 (St. fior.). Dev.mo Obb.mo Servitore « Paolo Pestalozzi Ill.mo Sig. mio Signore Osserv.mo Con duplicate mia lettere de’ 7 et 8 stante, che credo haverà sino ad hora ricevute, ho ragguagliato V. S. Ill.ma dell’ indispositionc e disperata salute del Sig. Marchese di Treggiana che sia in cielo. Adesso, per staffetta espressa, le do avviso della sua morte, et inoltre come gli huomini di quelle Ville si sono tutti messi in arme e condotti alla terra, et hanno assediato il castello con non lasciare entrare nè uscire alcuno ; e solo in esso vi si ritrova la Sig.ra Marchesa, moglie del defunto, con il Sig. Marchese della Bastia, con cinque o sei servitori al più, senza viveri. Per ovviare a tumulti et a richiesta de medesimi signori Marchesi, ho mandato a quella volta un Caporale con dieci o dodici soldati per salvaguardia di quel Castello e per tenerlo a devotione di S. M. C. e dispositione del Ser.mo nostro Padrone ; ma non è stato lasciato passare ; solo quelli li hanno risposto che lo vogliano tenere e guardar loro per S. M. C., e per tutto oggi credo li riuscirà haverlo nelle mani, perchè quelli di dentro, per mancanza di viveri, furonno necessitati a consegniarli le chiave. Ne do perciò del tutto parte a V. S. Ill.ma acciò mi possa ordinare quello vuole che io faccia e come mi deva contenere in questo particolare, che starò attendendo, et a V. S. Ill.ma, con la debita mia osservanza, fo affettuosissima reverenza. — Fivizzano li X gennaio 1651. — Di V. S. Ill.ma Dev.mo Obb.mo Servitore Pauolo Pestalozzi Ill.mo Sig. mio Signore Osserv.mo Ricevo la cortesissima di V. S. Ill.ma de 12 stante, e circa li affari di ^reggiana non posso dirle altro che quello vedrà dall’ incluso originali di lettera che mi rescrive quella Commun ità, che vuol tenere quel Castello a devotione di S. M. C. Io non mancherò di star vigilante per osservare che a detti huomini non venisse voglia di dar quel luogo nelle mani della Repubblica di Genova o vero di altro principe. Dico bene a V. S. Ill.ma clic-questo è un Marchesato bello e buono e che confina in tre luoghi con il Serenissimo Padrone. Con questa occasione do parte a V. S. Ill.ma che havendo mercoledì prossimo passato fatto venire qua da me, per restare più appieno informato di tutto il seguito di Treggiana un tale per soprannome Guamellino, servitore del già sig. Marchese di Treggiana defunto, che si era trovato alla sua morte e doppo calatosi dal Castello con una fune, per paura di non restar morto da quelli della Terra nel riceverne il possesso, per havere esso ammazzato dua di quei ribelli che già li fumo brugiate le case ; fu da questo Bargello catturato senza sua saputa con protesto che fusse bandito sino al tempo del Iornaquinci .nio antecessore : che venutomi all’ orecchie e parendomi non fusse dovere che uno venuto sotto la mia parola per mezzo del Sig. Mar- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 315 chese d’ Ulivola, che di presente serve, per ragguagliarmi di quanto sopra, fusse catturato e ritenuto, sapendo ancora che 1’ istesso Guarnellino haveva trattato e bazzicato più volte con ogni domestichezza con il medesimo Bargello in Bagnone e che era stato più volte a Fiorenza con il sig. marchese Jacomo suo padrone e che non li era mai stato detto cosa alcuna ; ordinai al Bargello che lo relassasse di carcere, come fece, che però ne do ancora di questo parte a V. S. Ill.ma: accio che S. A. S. sia informato di tutto quello che è passato, e con rassegnarmeli la mia devotione le fo affettuosissima reverenza. — Fivizzano li 14 Gennaio 1651. Di V. S. Ill.ma Dev.mo Obb.mo Servitore Paulo Pestalozzi (Segue l’Allegato) Ill.mo Signore Habbimo rieevuto la gratissima di V. S. et visto quanto dice per causa di pigliare il possesso del Castello a nome di S. Maestà Catolicha, rispondiamo a V. S. che circa del dare il possesso al Caporale Matheo di Luxolo, la Comunità non pretende altrimenti darli il possesso, perchè di già la Comunità ha lei i! possesso in mano a nome di S. E. con il Stendardo et homini di Giovagallo, et il tutto a nome di S. M. C., così credo che V. S. s’ aquieterà ; mentre per fine a V. S. facciamo humilissima riverenza con pregarli dal Signore ogni felicità. — Dal Castello di Treggiana li 12 Ge-naio 1651. — Di V. S. Ill.ma D'-v.mi Servitori Li Consoli novo e vecchio a nome di tutta la Comunità Ill.mo Signor mio Signore Osserv.mo Il possesso nuovamente preso dal Sig. Marchese d’Ulivola de’ beni allodiali del Sig. Marchese di Treggiana defunto, in virtù di suo testamento più tempo fu fatto, nel quale era stato instituito suo herede, come ancora 1’ aspettarsi di corto il Sig. Marchese Giovan Battista in paese, che stava a Mantova e bandito dalli stati del Serenissimo Padrone, che ha pretensone sopra il Marchesato medesimo di Treggiana ; mi porgie adesso occasione di ragguagliare V. S. Ill.ma di quanto passa a questo conto e di ricordarmeli servitore di vivo effetto come fo con la presente : e le baeio cordialmente le mani. — Fivizzano li 19 Gennaro 1651. Di V. S. Ill.ma Dev.mo Obbl.mo Servitore Pauolo Pestalozzi Ill.mo Signore mio Signore Oss.mo Già haverà sentito V. S. Ill.ma per 1’ ultima mia il testamento fatto dal Sig. Marchese di Treggiana defunto e la venuta del Sig. Marchese Giov. Batta, che era a Mantova, con la sua pretensione di succedere in quel Marchesato. Adesso non ho altro da soggiungerle circa la cortesissima sua de’ 18 stante, se non che non muoverò una paglia senza espresso ordine della Corte, e con tal fine a V. S. Ill.ma fo devotissima reverenza. Fivizano li 22 Gennaio 1651. Di V’. S. 111.ma Dev.mo Obb.mo Servitore Pavolo Pestalozzi 3l6 giornale storico e LETTERARIO DELLA LIGURIA Ill.mo Sig. mio Signore Oss.mo Non ad altro servirà questa mia se non per accusare a V. S. Ill.ma la ricevuta della cortesissima sua de’ 25 cadente, et insieme soggiungerle che l’istesso giorno il Sig. Conte Vimercato arrivò a Treggiana, dove ancora si ritrova. Quanto al resto coni’ ho scritto di già a V. S. Ill.ma così si può promettere che non innoverò cosa alcuna nè farò motivo senza espresso ordine del Serenissimo Padrone o di V. S. Ill.ma alla quale rassegnando al solito la mia devotione fo affettuosissima reverenza. Fivizzano li 27 gennaio 1651. Di V. S. Ill.ma Dev.mo Obb.mo Servitore Pavolo Pestalozzi VI. R. Archivio di Stato in Genova, Confinium, fogliazzo 1651, fil. 18. z5 * 27 gennaio 1651. Lettere det Commissario di Sarzana ai Senato, di Gio. Carlo Picedi, e di Teramo Piaggio al Commissario di Sarzana sugli ultimi avvenimenti tresanesi. Serenissimi Signori Dalla lettera di VV. S.S. Serenissime de iq stante, vedo non esserle pervenute eccetto che due mie lettere, scritteli in proposito delli affari di Tre-zana, non ostante le ne habbi inviate quattro, et in particolare una con 1’ ordinario di Lione, che non vorrei fossero smarrite. Mi sono abboccato col R.do Gio. Carlo Picedi, e seco discorso a longo del negotio a VV. SS. Serenissime ben noto, e 1’ ho disposto a dover passare personalmente a Trezana per ivi trattare col Castellano Papirio suo nepote, e di ciò verrà a mia notitia le ne darò distinto ragguaglio. Intanto le serva che il stimato successore nel Marchesato di Trezana si ritrova a Mantova, et è ribelle del Gran Duca, per haver scalato le muraglie della fortezza di Luxolo, e per ciò può stimarsi poco adherente a quell’Altezza. II detto Castello si ritrova provisto di buon numero di soldati, fra paesani e di Giovagallo, ben munito de viveri e d’ ogni altra cosa appartenente alla buona custodia, e dicesi esservi giunto il Conte Vimercato per dar forma a quel governo, havendo quelli popoli mandato a Milano deputati con dichiarazione di voler continuare sotto Ia devotione di Spagna o sottoporsi a quella della Repubblica Serenissima e non di altro Principe. Che è quanto per hora posso rappresentare a VV. SS. Serenissime alle quali faccio humilie riverenza. Sarzana, li 25 Genaro 1651. Di VV. SS. Serenissime Devot.mo Servitore G. Rivarola, Commissario GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 17 Ill.mo mio Signore Padrone Colendissimo Giunto a Trexana ho trovato la casa preparata e il pranzo per questa mattina per il Conte Vilmercato, et havendo visto il Consiglio, li ho sogionto quanto è a me parso in matteria di stare saldi nella parola datami di non accettare altro Patrone che la Repubblica Serenissima, quali stanno più fermi che mai, nè comporteremo, per quanto potrano le nostre forze, che questo Stato vada da Spagna ad altra persona che alla Repubblica Serenissima, potrà di ciò assicurali. Ho ritrovato per stradda il Signor Marchese di l’odenzana, il quale desidera abbocarsi mecco per 1’ adherenza che già trattai con S. Signoria di commissione dellà, de questo. Trovai in detto Signore prontezza tale verso la Repubblica che mi disse che più tosto voleva essere povero Cavagliere sotto la Repubblica che vivere ricco titolato sotto il G. Duca. Essendosi dichiarato sino a questo segno mi par bene di non abbandonarlo, tanto più che daranno addito all’ altri di fare il medesimo, accertando questi Signori della buona volontà dell’ altri. Di quello seguirà darò parte a V. S. Ill.ma. Et è questo con che a V. S. Ill.ma faccio riverenza. Trexana, li 25 Gennaro 1650 [1651]. Di V. S. Ill.ma Devot.mo Servitore Gio. Carlo Picedi Ill.mo mio Signore Padrone Colendissimo Giunse il Signor Conte da Vilmercato mercordì a pranzo e subbito diede principio a prendere il possesso con quelli ordini che si suole fare, con rin-gratiare dell i fedeltà e prontezza con quale hanno strvito a S. M. Cesarea, e poi subbilo cominciò a fare descrivere i beni al Marchese, con prenderne 1’ attuale possesso. Ieri, che fu giobbia, fece giurare fedeltà al po| olo con molta allegrezza, e si sono cominciati i fuori di giubillo. Rende quel popolo mesto il dubio che hanno di diventare vassalli de’ Fiorentini, poiché havendo pregato il Conte a farmi gratia, in caso di alienatione, farmelo sap-pere, per un poco desiderio che ne ha il Cavagliere mio zio, mi promisse farlo, con dirmi che era necessaria prestezza. V. S. Ill.ma consideri queste parole e ne dii parte ove bisogna, stimando al certo che si farà corpo di tutti 3 i luoghi che tiene S. M. nella Lunegiana, stimando che non vi sii che possa prettendere detto feudo che S. M. Cesarea, poiché la prima genitura finisce nel marchese Gulielmo novamente muorto, essendosi falla divisione fra il marchese Gulielmo, avo di questo, (1) et il Marchese Hercole suo fratello, dove successe il Ludovico dal quale successe il Marchese Gio. Batta che alienò al Gran Duca. Mi ritrovo capitato in Vezzano per portare alcune scritture al detto Conte per servitio suo e mio ancora, e per dovere dimanimattina ritornarò a Trexana. Gionto a casa ho trovato havermi spedito la sua che per stiadda si siamo persi. Mentre ero in Trexana stavo considerando il posto di Monti, castello delli Signori di Podenzana e Stiverò, il quale, quando sii che si possa stabilire 1’ adherenza con la Repubblica Serenissima, potrano questi Signori difficoltare la stradda del sale per Pontremoli molto e non poco, per essere quel posto in mezzo a diversi Stati, perchè confina con I.izzana e Lauula di modo che resta a questi dua luoghi in mezo. Anderò di nuovo a Trexana (il Confermasi, da questo passo della lettera del Picedi, quanto s’è scritto in principio sui Guglielmi ed appare esatto Γ allieretto a pag. 2S2 nota 3. 318 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e starò tutto il tempo che starà detto Vilinercà, e del seguito gline darò aviso, che è quanto posso con questa dirli, e qui li faccio riverenza. Vez-zano, li 27 Gennaro 1651. Di V. S. Ill.ma Devot.mo Servitore Gio. Carlo Picedi Ill.mo Signor Padrone Colendissimo, Dalla gentilissima lettera di V. S. Ill.ma delli 25 stante intesi volontieri che havesse hauuto notizia da altra parte della volontà di quelli huomini di Γreggiana et che fosse 1’ istessa che le ho sempre segnato nelle mie lettere, et sono certo che haverà argomentato che sono frutti delle dilligenze che si sono fatte con il callore de’ suoi servi. E’ da aggiungere hora a V. S. Ill.ma che quel popolo nella consegna del possesso del Castello haveva dichiarata questa loro volontà in scritto et protestatosi di non voler adherire alle voglie del Gran Duca, ma sottomettersi alla devotione della Serenissima Repubblica o altro Cavagliere Genovese o Milanese quella volta che non li vorà Spagna, et così quel Signor Conte [di Vimercate] prese hier 1’ altro il possesso del Castello et hieri li prestarono il giuramento di fedeltà, servando che detto possesso è stato preso per capo di confiscatione etiam nelli beni allodiali, et ha destinato in quel Castello un capo con quindici soldati che attende di verso Milano ; che tutto serva a V. S. Ill.ma, alla quale rendo gratie humi-lissime delle continue gentilissime essibitioni sue in honorarmi, delle quali conserverò memoria, nè per hora io pretendo altro che la continuatione delli comandamenti di V. S. Ill.ma in tutto quello si possa rappresentare per il buon servitio pubblico et quello di V. S. Ill.ma, et qui facendo punto le racordo la mia singoiar osservanza et faccio riverenza. Aulla, 27 Gennaro 1651. Di V. S. Ill.ma, alla quale serva che quel Signor Conte farà presto partenza di ritorno verso Milano, et ha ricercato strada per andarsene senza toccar del fiorentino, per quanto intendo, et non so la causa. Stimo in ogni modo che prim i «ii partire debba arrivar qui alla Vulla, che cosi si c lasciato intendere. Se si sentirà altro V. S. Ill.ma lo saprà. Humit.mo et Obbl.mo Servitore Teramo Piaggio VII. R. Archivio di Stato in Genova, Confinium, fogliazzo 1659, n. 1. 9 gennaio 1659. Bando a stampa per la vendita che la Regia Ducal Camera di Milano indice al pubblico incanto de’ feudi di Tresana e di Castagnetoli. FEUDI DA VENDERE (arma) 1659. a di 8 Genaro Volendo 1’ Illustriss. Magistrato delle Reg. Due. Entrate Straordinarie, c beni patrimoniali dello Stato di Milano a nome della Reg. Due. Cam. vendere, in virtù della facoltà che ne tiene da Sua Maestà et da Sua Ecc., GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 319 gl infrascritti feudi e ragioni, che fumo altre volte delli Marchesi Guglielmo et Gio. Christoforo Malaspina, respettivamente sit. nella Luneggiana, adherenti allo Stato di Milano con tutte le sue ragioni tanto feudali come allodi; li annesse, come si dira da basso, et essendo stati abboccati come parimente si dirà da basso. Perciò in nome del pres. Illustriss. Magistrato si da notitia a qualunque persona, che voglia far acquisto di tali feudi et ragioni, et aggiongere al-1’ infrascritta oblatione, compara nel termine de giorni quindeci prossimi avenire a far la sua oblatione nelle mani del sottosignato Notaro Reg. Cam. certificando ogn’ uno che la mattina al luogo solito della Ferrata sit. sopra la Piazza de Mercanti della presente Città di Milano si principierà l’incanto de detti feudi et ragioni, nel quale si perseverar;! per tre giorni giuridici 1’ ultimo de quali che sara si verrà alla deliberatione di detti infrascritti feudi et ragioni a chi haverà fatto miglior oblatione, se cosi parerà al detto Illustriss. Magistrato. Quali Feudi e ragioni sono li seguenti, cioè : Il Marchesato di Tregiana col Castello e Ville di sua giurisdittione che sono Popetto, Lorenzana, Cattizola, Barbarasco, Corneda, Botica, Caregiola, Fontanetto et Groppo, con tutte le loro ragioni feudali et allodiali et ogni altra sua giurisdittione, datici, gabelle, regalie, honoranze, conventioni, pescagioni et ogni altra cosa nella maniera che lo possedeva detto Marchese Guglielmo, qual è stato abboccato in tutto per il prezzo di sette milla pezze da otto reali da lire cinque Imperiali 1’ una, che sono lire trentacinque milla. Il Marchesato di Castagnetolo col Castello, o sii Palazzo, et le Ville di Busatica, e Cassana di sua giurisdittione, et ogni altra ragione feudale, e regalie annesse al Marchesato fuori delle già vendute, nella maniera che le godeva il Marchese Gio. Christoforo, qual è stato abboccato in tutto per il prezzo di cinque milla pezze da otto reali da lire cinque imperiali 1’ uno, che sono lire vinticinque milla. Et tutto ciò in via di feudo col mero e misto Impero omnimoda facoltà e potestate gladij, e libero da maggior Magistrato ; riservato però 1’ alto Dominio e suprema potestà di S. M. et con patto della Regia confirmatione, et altri patti, e condittioni contenute nelle oblationi et accettationi, che sono presso 1’ infrascritto Notaro Camerale. Il Presidente e Questori delle Reg. Due. Entrate Straordinarie e beni patrimoniali dello Stato di Milano. VARIETÀ UNA LETTERA INEDITA DI LAZZARO SPALLANZANI. Del soggiorno di Lazzaro Spallanzani nel Golfo della Spezia, e dei suoi studi di storia naturale ivi compiuti ha scritto ripetutamente il senatore Capellini (1). Questa lettera finora inedita del naturalista reggiano mette in chiaro che la sua prima visita (I) Cfr. La Storia naturale dei dintorni del Golfo della Spezia, cenno storico del Prof. Cav. G. CAPELLINI. In : Atti della Riunione straordinaria di lla Società Italiana di Sciente Naturali tenuta n/la Spezia nei giorni iS, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA al Golfo ebbe luogo nel 1781, cosa finora rimasta in dubbio (1); e mostra eh’ Egli si proponeva di fare la sua seconda gita a scopo di studi naturalistici nelle vacanze del 1782: gita che in effetto poi ebbe luogo nell’ anno successivo. Prova inoltre la intima relazione dello Spallanzani con Luigi d’Isengard, il quale durante il soggiorno di lui a Porto Venere nel 1783 gli fu guida e compagno nelle sue peregrinazioni scientifiche per il golfo e sulle montagne della Spezia. Questo era noto, ma non n’era rimasta memoria negli scritti dello Spallanzani (2). Del barone Luigi d’Isengard è già stato scritto; ma non credo quanto basti a lumeggiare completamente la singolare figura e la vita avventurosa di questo bel tipo di rivoluzionario: soldato e magistrato, uomo di lettere e scienziato. Non è noto, per esempio, il suo arresto alla Spezia nel 1794, nè il conseguente processo per cospirazione in Genova, nè il suo progetto di rivoluzione a Lucca del 1797(3); non son ben note tutte le sue pubblicazioni letterarie, nè certi suoi ritrovati scientifici. Però meriterebbe conto che il suo degno omonimo pronipote, al quale debbo la cortesia di avermi comunicato questa lettera spallanzaniana, mettesse mano, come mi ha promesso, a completare quei suoi cenni biografici che altra volta ha messo alle stampe (4). E una notizia importante per la sua carriera scientifica è questa del fallito tentativo per il Museo dell’Università di Pavia. Il posto era occupato dal canonico Serafino Volta, ricordato nella lettera; quello stesso che pochi anni dopo, nel 1786, insieme con i professori Scarpa, Fontana e Scopoli dell’università ticinese, doveva lanciare per tutta l’Europa contro lo 19, 20 e 21 settembre 1865, Milano, Beniardoni, 1865, in-8, pag. 55 sgg. — Cfr. Sulle ricerche e osservazioni di Lazzaro Spallanzani a Porto Venere e nei Dintorni della Spezia, Discorso del Presidente G. Capellini (con allegati). In : Resoconto del XXI Congresso geologico italiano tenuto in Spezia nel settembre 1902, Roma, Cuggiani, in-8, pp. LXXV-CXVI. (Cfr. l’An-nunzio in questo Giornale, vol. III, 1902, pag. 460 sg.). (1) Capellini, Sulle ricerche, ecc., pag. 5 (dell’estr.). (2) Il Capellini (op. cit., pag. 7, nota 1·) scrive: Il barone L. d’I. aveva allora 29 anni e quantunque in nessun scritto, in nessuna lettera di Spallanzani mi sia riuscito di trovare ricordato chiaramente il suo nome, pure per quanto egli ebbe a narrarne più volte a mio padre e a Girolamo Guidoni, gli fu guida e compagno in alcune delle sue escursioni intorno al Golfo ». 3 1 Arch. di Stato di Genova, Governo Pronrv. Fil. 493. (4 Notizia biografica di Luigi d’ Isengard seniore scritta da Luigi d’Isengard juniore. In: L. d’Isengard, Riminiscenze africane, 2* edi?.. Milano, Cogliati, s. a., in-8, pp. 221-256. — Cfr. anche: G. Capellini, II barone Luigi d' Isengard e la sua Storia Naturale del Golfo della Spezia verso la fine del sec. XVIII. Genova, Sordo-Muti, in-8, di pp. 40. (Estr. dagli Annali del Museo Civico di Storia Naturale di Genova, Serie II, vol. XIL 24 febbr. 1892). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 321 Spallanzani l’infamante accusa di aver derubato quel Museo imperiale (1). Il De Nobili di cui si fa parola nella lettera spallanzaniana è Giuseppe Maria ( 1745“1815), dottore di leggi, discendente della cospicua famiglia dei Nobili di Vezzano. Studiò in Modena e fu discepolo dello Spallanzani quando questi insegnava in quell Ateneo (2), e molto probabilmente ospitò nel suo palazzo della Spezia l’antico maestro nel 1781 e nel 1783. U. M. Illmo. Sig.r Sig.’' Pron. Colm.o Gradito al sommo mi è stato il Foglio umanissimo di V. S. Ill.ma, e perchè mi richiama alla memoria quel giorno, in cui ebbi il vantaggio di conoscerla personalm.te, e di godere per qualche ora di sua amabile conversazione, e perchè mi fornisce una prova sicura che Ella benché lontana non lascia per sua gentilezza di avermi presente. Per questo potrà facilmente arguire che io mi farei un vero impegno di secondare le lodevoli sue brame coll’ appoggiarla presso i miei Superiori, se le presenti circostanze fossero per lei favorevoli. Ma ho il rincrescim.to di dirle che non sono tali, per essere stato appunto creato dalla Reai Corte di Vienna, e dal R.° Governo di Milano ne’ mesi scorsi un sotto - Presidente al Museo pubblico di Storia Naturale di Pavia, che è il Sig.r Can.co Volta Mantovano. Tutta via io non perdo di vista il pensiere da Lei confidentemente comunicatomi, e se non adesso, di qui a qualche tempo almeno chi sa che non si aprisse qualche altra carriera, che secondasse i dotti suoi desiderj. A buon conto può Ella restar certa che se mai si presentasse qualche occasione a Lei vantaggiosa io non la perderò sicuramente di vista. Al più tardi nel venturo Agosto avrò il bene di riabbracciarla unitam.te al Sig.r Giuseppe de’ Nobili, perseverando già nel pensiere di recarmi allora a Porto Venere, e di soggiornarvi due mesi circa, ad unico oggetto di osservar la Natura. Al nominalo Caval.re La prego di porgere i miei rispetti, come pure alla graziosa sua Dama, e alla sua Sig.ra Cognata. V. S. Illma. mi continui la sua preziosa amicizia, e mi creda con pienezza di stima, ed affetto di V. S. Ill.ma Um.° Obb.mo Servitor Vero Pavia 20 X.bre 1781: L.RO SPALLAXZANI (a tergo) AH’ Ill.mo Sig.re Sig.re P.ron Col.mo Il Sig.r Luigi Isengard Genova per la Spezia 1 l) Cfr. Storia documentale del Museo di Lazzaro Spallanzani narrata da Naborre Campanini, Bologna, Zanichelli, 1888, in-8, Cap. I. (2) Presso la famiglia De Nobili si conserva un volume manoscritto contenente le seguenti materie : I. Logica, et Methaphysica mihi data a Domino Lazzaro Spalanzao (sic) Lectore doctissimo in tota Philosophia, et praecipue in Physica expei intentali in Universitate Mutinensi, et scripta a me Josepho de Nobili anno MDCCLXV. — II. Trattato degCinflussi degl’astri ne Corpi terrestri dettato dal celebre Sig.r Dottore Spalanzani Lettore publico nell’ università di Modena nella campagna deli anno 1764. Giom. St. e Lett. delta Liguria 21 322 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Orazio Marucchi, Giovanni Battista De Bossi. Cenni biografici (Roma, Pustet. 1903). La prossima pubblicazione delle Pitture delle Catacombe Romane di Monsignor Giuseppe Wilpert può considerarsi, secondo che ottimamente scriveva Adolfo Venturi, come « il coronamento degli sforzi della legione degli studiosi, capitanata dal grande Giambattista De Rossi, per lo studio.... iconografico, artistico e storico delle antichità cristiane » (1). L’opera sarà dedicata al nuovo Pontefice Pio X che, alla pari dell’altro Pio, vorrà ajutare queste ricerche per le quali l’archeologia cristiana fu rinnovata dalle fondamenta, e promuovere l’incremento di quel Museo Lateranense, l’istituzione del quale fu a Pio IX suggerita dal De Rossi e « la visita è indispensabile a chiunque voglia poi visitare, in modo razionale e scientifico, le catacombe romane ». Sono queste ultime parole tolte dall’ elegante libretto che Orazio Marucchi pubblicò per narrare brevemente la vita operosa e gli studi del De Rossi, del quale col Wilpert appunto, collo Stornajolo, col Kanzler fu il Marucchi amato discepolo e, per ordine di tempo, fra tutti questi il più anziano, poiché immaturamente sottrasse morte alla bella schiera l’Armellini, lo Stevenson, lo Scagliosi. Molte pubblicazioni intorno al romano archeologo si fecero durante le feste internazionali del sessantesimo e settantesimo suo anniversario, molte dopo la sua morte, ma la vita sua e gli studii stessi poco sono conosciuti, fuori dell’ ambito ristretto degli eruditi. Ecco che il Marucchi provvide perchè vita e studii siano più noti anche al gran pubblico, e nella intimità delle domestiche conversazioni o nelle escursioni archeologiche la lunga famigliarità che egli ebbe coll’ uomo illustre tante notizie importanti, e poco o mal conosciute, gli consentì d’ adunare, così bene poi le riordinò e le lumeggiò, di tanto e non cieco affetto le riscaldò che si legge la biografia con piacere e con frutto. Si legge anche da coloro che, come il sottoscritto, non hanno simpatia per i libri di quelle case editrici che, alla pari del Pustet di Roma, recano sotto il monogramma tipografico la scritta : « Pro Deo et Principe ». Ma qual Principe ? Vittorio Emanuele III o Pio X ? Torniamo al De Rossi e riassumiamone, come in uno specchio cronologico, la vita : Nato il 23 febbraio 1822 a nella casa posta in Piazza della Minerva, dove oggi risiede il Ministero della Pubblica Istruzione » (i) Giornale d’Italia del 24 Agosto 1903. / GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 323 Studente di leggi alla Sapienza nel 1840, entra in relazione col dotto archeologo Giuseppe Marchi d. C. d. G. il quale fu il primo a dimostrare a l’origine esclusivamente cristiana delle Catacombe v. Unito al Marchi, ottiene da Pio IX, nel Luglio 1851. l’istituzione d’una u Commissione d’ archeologia sacra ». Ritrovamento della cripta di San Cornelio e del sepolcro dei Cristiani della famiglia Flavia, congiunti di Vespasiano imperatore. Visita del papa alle catacombe (Maggio 1852). Ritrovamento delle tombe di dodici papi del terzo secolo e nuova visita di Pio IX. (Maggio 1854). Disegno della grande pubblicazione a Roma sotterranea », a ove tutti i monumenti cimiteriali cristiani de’ primi secoli doveano essere pienamente illustrati n. Nel 1861 il De Rossi s’ammoglia (1), dopo aver per qualche tempo, appena mortigli i genitori, vagheggiata l’idea di farsi benedettino. Pubblicazione del primo volume delle Inscriptiones Christianae, frutto di vent’ anni di assiduo lavoro (2). Nel 1863: inizio di pubblicazione del Buìlettino d’archeologia cristiana, che durò fino al 1894, cioè sino alla morte del De Rossi (3). Nel 1864 a Castelgandolfo : esposizione fatta dal Pontefice di tutto il quadro del grandioso lavoro anzi ideato, e a cui doveasi dare lo stesso titolo dell’opera del vecchio Bosio u Roma sotterranea ·η. « Se io sono il vostro Damaso — disse il papa — voi sarete il mio Girolamo ». Dopo il iì cambiamento politico avvenuto in Roma nel 1870 » come il Marucchi lo chiama, rimane il De Rossi « sempre fedele al Pontefice, da cui avea ricevuto tanti contrassegni di stima e d’ affetto n, non accetta cattedre o altri posti ufficiali dal governo del Re, si mantiene però « nei migliori rapporti con i dotti di ogni partito non solo, ma con tutti i ministri che si succedettero nel regolare la istruzione pubblica : e precipua sua cura fu quella di ottenere, come era giusto, che la conservazione delle catacombe, insigni santuari del cristianesimo, restasse affidata alla Commissione Pontificia la quale già s’ era mostrata tanto benemerita per le insigni scoperte ivi fatte ». Partecipa alla fondazione della Commissione Archeologica Comunale e del Buìlettino Archeologico Comunale di Roma fin dal 1872. (1) Costanza dei Conti Bruni di San Giorgio fu sua sposa e gli sopravvive. Di due figlie la sola superstite è Natalia, che andò moglie al March. Filippo Ferrajoli. (2) Il secondo volume si attende dal Prof. Gatti, che fu per trent’ anni collaboratore del De Rossi. (3) Dopo quell’anno continuò per cura dei discepoli e tuttora continua col titolo di Nuovo Buìlettino d'Archeologia Cristiana. 324 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Col Marucchi. l’Armellini, lo Stevenson svolge dal primo circolo domestico la Società per le conferenze d’archeologia Cristiana, che fu dapprima presieduta dal barnabita Padre Bruzza ed attualmente pure perdura, presieduta da Mons. Duchesne (Dicembre, 1875). Fondazione del Collegium cultorum martyrum afiine di « ristabilire il culto ne’ santuari sotterranei abbandonati da secoli * e consacrati dal sangue di tanti martiri (1879). Festeggiamenti per il sessantesimo e settantesimo anniversario del De Rossi, colla collaborazione dell’ Istituto archeologico germanico e della Scuola francese di Roma (1882 e 1892). Morte del grande archeologo, ospite del papa, nella villa di Ca-stelgandolfo (20 Settembre 1894). Questi cenni cronologici mal possono servire a richiamare, nella sua interezza, alla memoria la immagine del De Rossi e della meravigliosa sua attività non solo nel suo prediletto studio, ma in quello pur anche della topografia romana antica e dell’ arte medievale. Nota p. e. il Marucchi le sue illustrazioni dei musaici delle basiliche romane particolarmente della Liberiana (S. Maria Maggiore), e le acute indagini intorno alle varie scuole di quei meravigliosi marmorari romani del Medio Evo che furono i Cosmati : precursori essi del Pisano e del Ghiberti, precursore in questo studio il De Rossi del Promis, del Boito, del Venturi e di altri ricercatori. Si procuri dunque il lettore l’elegante libretto del Marucchi adorno di molti (1) ritratti del De Rossi in varie età, d’interessanti disegni di cripte, di catacombe, d’iscrizioni, di pitture simboliche cristiane. Troverà delle pubblicazioni a stampa dell’ archeologo e dei principi dell’ archeologia cristiana quell’ analisi, che qui nemmeno abbiam potuto riassumere. Concluderà, speriamo, con noi dando ampia lode all’a. di questo libro in cui è così ben lumeggiato il grand’ uomo, onore d’Italia. Guido Bigoni ANNUNZI ANALITICI. G. SENES. Importanza scientifica delia lingtia e dialetti della Sardegna : una lezione di filologia al senatore Ascoli. Firenze, F. Lumachi ed., 1902, in-8, di pp. 80. — Dopo il giudizio che ne ha dato un giornale serio ed autorevole come il Fanfulla della Domenica dichiarandolo « un buono studio di Filologia, degno della più attenta lettura » (1902, N. 22), mette conto che diciamo anche noi qualche cosa dell’ opuscolo del dott. Senes. Il quale opuscolo consiste in una serie di articoli polemici pubblicati anteriormente nel Corriere Sardo, infiorati delle più volgari contumelie all’ indirizzo di un uomo venerando, dinanzi al quale tutto il mondo scientifico s’inchina (li Fin troppi ; uno è riprodotto due volte. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 325 riverente, e intesi a dimostrare che la Sardegna possiede una lingua letteraria « che non la cede in bellezza, eleganza e robustezza a nessuna delle lingue neolatine ». Ora, a parte le escandescenze contro l’Ascoli, a parte lo sproposito, che ricorre nel titolo stesso e che si ripete mille volte nell’ opuscolo, della parola filologia adoperata nel senso di glottologia, il che è come confondere la bomba con la bombarda, a parte questo, vi è nello scritto del SeiK-s una forza tale di argomentazioni ed una logica tale di ragionamento, che vai la pena di trascriverne un passo, senza mettervi nè pepe nè sale : « Mi sia lecito ricordare con orgoglio che la filologia deve mollo alla Sardegna, poiché il libro del barone Manno sulla Fortuna delle parole è ima intuizione sublime che a suo tempo e luogo si ebbe da Dante e da Orazio, i quali precisarono così distintamente la natura dell’ Evoluzione del linguaggio che finora nessuno seppe far di meglio nè più chiaramente. — Godo quindi anche potendo presentare come mio maestro di Filologia Dante Alighieri, il Salomone del Nuovo Testamento » (p. 13). Chi vuole imparare a ragionare, impari. Questo fascicolo, che a p. 7 1’ autore dice rivolto in particolar modo « agli studenti liceali ed universitari sardi », sarà presentato dal Senes « a S. E. l’on. Nasi, ministro della P. I., come tilolo onde ottenere la libera docenza di questa materia». La si accomodi, signorino! peccato che il suo maestro di filologia Dante Alighieri non possa mandare da Ravenna al ministro Nasi un bigliettino di raccomandazione in suo favore. (Giuseppe Flechia). SPIGOLATURE E NOTIZIE. .·. Il dott. L. Perroni-Grande, richiamando 1’attenzione degli studiosi sui protocolli degli antichi notari messinesi, come fonte della storia, rileva giustamente 1’ utile che se ne può trarre per la conoscenza delle relazioni fra la città di Messina, la Spagna, la Francia, e le varie regioni della penisola. « I genovesi », egli scrive, « vi venivano per i loro traffici fiorenti, ed una volta venuti nella città vi rimanevano con piacere, attratti dalle bellezze naturali del luogo e dalla riuscita degli affari. Rimanendovi ed imparentandosi coi messinesi richiamavano a Messina buon numero di compaesani, non dediti al commercio, ma pur capaci di farsi onore e di star bene nella patria d’ elezione. Qnd’ è che insieme co’ trafficanti venivano da Genova a Messina anche orefici, lavoratori di seta ed altri provetti operai, che da noi trovavano liete accoglienze. Di Genova fu, per esempio, un certo Giacomo de Rebrocco, orafo, il quale imparò a Pietro de Midina orafo messinese, 1’ arte « costruendi et conficendi intaglias de cassidonia » e insieme con io scolaro volenteroso si propose di recarsi a Palermo e a Napoli, per esporre in quella città i frutti dell’ arte propria » ( Per la storia di Messina e non per essa soltanto. Appunti d’ archivio con appendice di documenti su Costantino Lascari, Messina, d’Amico, 1903, p. 5. Estr. dall 'Arch. Star. Messinese, IV, fase. 3). I documenti de’ quali qui si fa cenno a proposito dell’orafo genovese, hanno veduto la luce per cura dello stesso Perroni-Grande. Essi sono l’atto 19 novembre 1470 con il quale « magister Jacobus de Rebrocco januensis aurifaber » si obbliga verso « magistro Perio de Midina aurifabro ci vi messanensi____ad docendum eum bene et diligenter et legaliter absque fraude artem construendi jntaglias de cassidonia » e ciò per il compenso di undici scudi veneti oltre la bottega e 1’ abitazione, con che però il de Rebrocco non avesse ad insegnare ad altri detta arte. E’ a credere fossero mantenuti i patti da ambe le parti e con reciproca soddisfazione, se dopo un anno, il 23 dicembre, costituiscono fra loro una regolare società per l’esercizio dell’arte d'orefice sia 326 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA in Messina, o in Napoli, o in Palermo, o in qualunque altro luogo (Un orafo genovese a Messina nel sec. XV, Messina, D’Amico, >903. Estr. dal-l’Arch. Stor. Λ fessiti., IV, fase. 1-2). .·. Nei Frammenti Sammarinesi e Feltreschi di Amy A. BERNARDI' (Arch. Stor. Ital,, ser. V, tomo XXXII, p. 170, 179) ci occorre il nome di un Simonetto di Campofregoso, capitano alla guardia del terrazzo ottagonale di S. Agata nel febbraio del 1509, probabilmente della nota casata genovese. Del pari si produce una lettera alla repubblica di S. Marino di Federico Fregoso arcivescovo di Salerno, e altra se ne cita. .·. Fra Alcuni documenti inediti sul conte Carmagnola (Arch. Stor. Lombardo, XX, p. 177) pubblicati da Antonio Battistella, e tratti dall’Archivio di Stato in Siena, si leggono due lettere del 1423 e 1424 con le quali, nella sua qualità di governatore ducale di Genova, raccomanda una causa di Luciano D’Oria per certi crediti eh’ ei doveva esigere da un cittadino senese. .·. Notiamo nella Rivista Dalmatica (Maggio-Giugno 1903) una importante lettera di Niccolò Tommaseo a Stefano Grosso da Firenze il 12 gennaio 1874 (p. 260). E in alcune lettere dello stesso a Gino Capponi, è ricordo del suo passaggio a Genova nel 1834 mentre si avviava esule in Francia. Scrive da Genova il 7 febbraio sul vapore che lo conduceva a Marsiglia ; e poi il 16 da Lione: « Genova mi gusta; città mercantile al modo italiano ; e non mi gusta Marsiglia, città mercantile al modo francese ». Vide quivi « comunicarsi a una messa più di sessanta » donne, e ne ricorda « molte a Genova nella chiesa de’ Gesuiti, che fanno faccende ». Più innanzi: « Nella biblioteca di Genova, trovai fra i manoscritti una descrizione della Corsica fatta da Luigi Benedetto Gentile ; e scopersi che i Gentile in antico si chiamavano Pepe, ed ebbero in feudale dominio il terzo dell’ isola. E lo Spotorno mi affermava che, dopo gli Spinola, i Gentile sono la più forte famiglia di Genova » (p. 223 e 225). .·. L’opera importante di Henri Hauvette intorno a Luigi Alamanni sa vie et son oeuvre (Paris, Hachette, 1903) contiene parecchi riferimenti a cose genovesi, dei quali dobbiamo tener nota particolare. Le prime notizie risalgono alla dimora deU’Alamanni in Provenza nel 1524, poiché quivi ebbe modo di conoscere la « Ligura Pianta », e cioè Batina Lercari vedova di Ottobono Spinola ; dama eh’ ei celebra ne’ suoi versi in più guise e che esercitò certo notevole influenza sull’animo, e sulla fantasia del poeta (p. 50 sgg. e 162 sgg.), il quale si rifece a ricordare le glorie della casata di lei, specialmente di quel Megollo Lcrcari intorno alle cui gesta si ha una copiosa letteratura (p. 163, 230), Egli intorno al 1526 strinse relazione personale con Andrea D’Oria, allora a’ servigi di Francia, ed è a credere fosse da lui associato al progetto, non posto in atto, di liberare Francesco I (p. 58). Codesta amicizia col D’Oria gli procacciò l’ufficio di commissario nel 1527, quando si ridusse a Genova (p. 67, 68), e dovette trattare con lui (74 sgg.). Col D’Oria si recò poscia a Barcellona, e al ritorno ebbe incarico di rappresentare la repubblica fiorentina presso 1’ Imperatore, venuto in Italia ; si trattenne quindi a Genova nelle difficili contingenze in cui si trovò la sua patria, adoperandosi in prò di lei (p. 81 sgg.). Di qui venne indi a breve espulso (p. 90 sg.). Si ritrasse in Francia e dal re Francesco I due volte ebbe ufficio d’ ambasciatore a Genova; nel 1544 (p. 131 sgg.) e nel 1551 (p. 140 sgg.). Tutti questi speciali episodi importanti nella vita del poeta, sono narrati con ampiezza di particolari, e sulla scorta di inediti documenti raccolti in speciali appendici, dove pure altri notevoli se ne recano, i quali suffragano tutte le notizie date nel testo, di cui abbiamo qui innanzi toccato. .·. Nella Fortezza di Savona, praticandosi alcuni lavori di sterro, sono stati messi allo scoperto avanzi di tombe, i quali esaminati da Vittorio GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 327 Poggi, 2^' diedero modo di constatare la presenza di un sepolcreto a inumazione deli’ epoca romana. Egli ha potuto ricostruire e descrivere la forma e la disposizione delle tombe, che, secondo suo parere, costituirebbero le prime traccio di un vasto sepolcreto che si distende nel sottosuolo dell’edificio e probabilmente anche del limitrofo piazzale. Esso si trova adiacente ad un’ antica costruzione a forma di padiglione, di cui si veggono le reliquie, e che deve probabilmente aver servito da Oratorio, riscontrandovisi il monogramma del Cristo con i simboli propri di sì fatta rappresentazione, la quale ci riconduce ai primi tempi del Cristianesimo (Cfr. Il Cittadino, Savona, 1903, η. 160). .·. Giovanni Livi ha comunicato al Congresso Internazionale di scienze storiche una relazione sommaria delle carte che si trovano ne L’Archivio di un mercante toscano del secolo XIV (Francesco di Marco Datini), che si conserva presso la Pia Casa dei Ceppi in Prato (Archivio storico italiano, XXXI, 4251 rilevando 1’ importanza grandissima di esso rispetto alla storia economica e commerciale. Quivi troviamo che dal Datini venne stabilito un fondaco a Genova nel 1388, e fra i carteggi mercantili si veggono quelli provenienti da Genova, da Savona, da Spezia. E’ noto che il prof. Enrico Bensa si è giovato dei documenti di questo archivio nel suo libro importante : Il contratto d' asssicurazione nel Medio Evo, ma egli sta preparando un più ampio volume che avrà per tilolo: Francesco di Marco da Prato, notizie e documenti sulla mercatura italiana del secolo XIV. .·. Francesco Torraca in un conclusivo articolo, intitolato « Sopra campo Picen » (in Rassegna critica della lett. ital.. Vili, p. I) corregge un eirore di Alfredo Basserman, il quale illustrando il noto vaticinio di Vanni Fucci, volle intendere che 1’ impresa di Moroello Malaspina cui in que’ versi allegorici si allude, sia da riferirsi all’ assedio di Pistoia del 1305-6 ; mentre ei proVa, dando più razionale interpretazione alle citate terzine, che è da intendersi invece della rotta data ai Bianchi nel 1302 a Strravalle, luogo posto « sopra campo Picen », ossia poco discosto da Pistoia. In questa impresa, e non già nella seconda, Moroello era veramente « capitano generale dell’oste », secondo si legge nelle Istorie Pistoiesi. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. A. F. A Soglio (in II Cittadino, 1903, 11. 266). Bozzola Vittorio. Paolo Giacometti (in Nuova Antologia, Ser. IV, vol. CVI, pp. 662-673). ■K Carraro Giovanni. Brevi notizie sopra l’antica ed insigne Abbazia di S. Onorato di Patrania. Genova, tip. della Gioventù, 1903, in-16, di pp. 59. C. P. C. [Castellini Pietro]. Memorie storiche: Cappella di S. Teren-ziano in Leivi (in II Cittadino, 1903, n. 231) — Santo Stefano in Val d’Aveto (ivi, n. 259). De Lollis Cesare. Vecchie questioni colombiane secondo nuovi documenti (con autografo). In Nuova Antologia, 1° ottobre 1903, pp. 367 sgg. Descalzi Lu. Storia di Noli dalle origini ai nostri giorni. Seconda edizione illustrata e notabilmente accresciuta. Savona, tip. D. Bertolotto e C., 1903; in-8, di pp. 54; con fig. e tav. Dona ver Federico. Vita di Giuseppe Mazzini. Firenze, successori Le-Monnier, 1903; in-8, di pp. IV-469. 328 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Dumortier F. La bienheureuse Marie-Victoire Fornari, fondatrice des An-nonciades Célestes (1562-1617). Laiigres, s. a. [1902]; in-12, di pp. VI-100. X Ferretto Arturo. Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321^- IJarte seconda, dal 1275 al 1281 (in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XXXI, fase. II). Gabotto Ferdinando. Il Visconti e la Casa di Savoia nelle discordie civili di Genova (dicembre 1417 - maggio 1419)· tE’ il cap. 3 della monografia: Contributo a!la storia delle relazioni fra Amedeo Vili di Savoia e Filippo Maria Visconti. 1417-1422; in Bollettino della Società pavese di storia patria, a. III, pp. 153)- Guyot R. Le Directoire et la Republique de Gênes 1795-1797 (in La Revolution Française, 1903, 14 mai, 14 juin, Γ4 juillet). Honig R Bologna e Giulio II, Bologna, Azzoguidi, 190+; in-8, di pp. 85. Manacorda G. Una causa commerciale davanti all’ Ufficio di Gazeria in Genova nella seconda metà del sec. XIV (in Studi Storici, Pisa, 1903 ; XII, fase. 2, pp. 171-205). Mazzini Giuseppe (Lettere inedite di) ad Ariodante Mambelli di Atri (in II Secolo illustrato, nn. 718 e 719, 18 e 25 ottobre 1903). Memorie storiche Chiavaresi : Chiesa di N. S. del Ponte — Casa Bot-teghi e N. S. del Ponte — Le Rogazioni in Chiavari — La cera di S. Giulia a Centaura — Oratorio della SS. Trinità in Lavagna — Chiesa di Corerallo in Borgonovo (in La Sveglia, Chiavari, I9°3> n· I0’ r9> 20> 22> 24> 25> 2^> 37)· Perroni-Grande L. Un orafo genovese a Messina nel se£. XV. Messina, D’Amico, 1903 ; in-8, di pp. 8. Podestà Ferdinando. Monumento Robbiano in Sarzana. Sarzana, Tipografia Lunense, 1903 ; in-8, di pp. 56, con tav. Poggi Vittorio. Scoperta di sepolture dell’ epoca romana nella Fortezza di Savona {in II Cittadino, Savona 1903, n. 160). Preda Agilulfo, Materiali per una fiorala della Palmaria (Estr. dal Nuovo Giorn. Botan. Ital. vol. X, n. 3, luglio I9°3> PP· 23)· Revel (di) Genova. L’ annessione del Genovesato al Piemonte (in Rassegna Nazionale, CXXXII, pp. 369-402 ). — Pio VII a Genova e Torino (ivi, CXXXIH, PP· 395-402)· Rossi Girolamo. Storia del Marchesato di Dolceacqua e dei comuni di Val di Nervia. Seconda edizione interamente rifusa a beneficio dell’Ospedale di Dolceacqua. Bordighera, Gibelli, I9°3 > 'n'8, di PP· 266, con tav. Torraca Francesco. « Sopra campo Picen » (in Rassegna critica della letteratura italiana, Vili, pp. 1-10) — A proposito di Moroello Malaspina. Villa Umberto. La città marinara, illustrata da P. Gamba. Genova, tip. del Successo, 1903, in-8, di pp. 207. Zini Zino. Un italiano caratteristico (in Gazzetta del Popolo, 1903, n. 208). Considerazioni sul carattere di G. Mazzini. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. * PUBBLICAZIONI RICEVUTE Federico Donaver. Vita di Giuseppe Mazzini. Firenze, Successori Le Monnier, 1903. Enrico Zanoni. Paolo Parala nella vita e nelle opere. Livorno, Giusti, 1904. Alessandro Gianetti. Trentaquattro anni di Cronistoria milanese. Voi. 1. (1825-1838). Milano, Cogliati, 1903. Edmondo Clerici. Il « Conciliatore » periodico milanese ( 1818 -181 g). Pisa, successori Nislri, 1903. D Ancona Alessandro. La leggenda di Leonzio. S. n. tip. (Estratto). Giuseppe FLECHIA. La disfida di Barletta (quattrocento anni dopo). Schio, Marii), 1903. Giovanni Flechia. JVote lessicali ed onomatologiche edite da Giuseppe Flechia. Torino, Loescher, 1903 (Estratto). Emilio Bertana. L’Ariosto, il matrimonio e le donne. S. 11. tip. (Estratto). La tragedia di Bergamasco 14 aprile 1686 narrata dal dott. Giuseppe GioRCELLI sugli atti del processo criminale. Alessandria, Piccone, 1901. Can.co Ferdinando Podestà. Monumento Robbiano in Sarzana. Sarzana, Tip. Lunense, 1903. Stillilo intorno alla vita di Carlo Botta tracciato con la guida di lettere in gran parte inedite. Memoria della dott. EMILIA REGIS. Torino, Clausen, 1903. Guido Bustico. Vittorio Alfieri nella poesia e nel Dramma. Cremona, Fezzi, 1903. GiiìOLASIO Rossi. Storia del Marchesato di Dolceacqua e dei comuni di Val di Neii'ia. Seconda edizione. Bordighera, Gibelli, 1903. R. IIONIG. Bologna e Giulio IL, Bologna, Azzoguidi, 1904. J.ICURGO Λ' ENDITTI. Giusto de’ Conti ed il suo canzoniere « La bella mano ». Studio storico-critico. Rocca S. Casciano, Cappelli, 1903. Gujdo Manacorda. Benedetto Varchi; l’uomo, il poeta, il critico, Pisa, X i siri, 1903. Qiornale storico E LETTERARIO DELLA da UBALDO MAZZINI À £z ANNO IV Poesie in dialetto Ubbiose del secolo XVII, pubblicate da E. G. Parodi e G. Rossi, illustrate da E. G. Parodi, pag. 329. — Appunti e notizie per servire alia bio-bibliografia di Bartolomeo Facio (con ritrattoJ, U. Mazzini, pag. 400. — Per la biografia di Lu-chetto Gattilusi trovadore genovese, F. L. Mannucci, pag. 455. — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Si parla di G. Scotti (L. Garello), pag. 460; G. Manacorda (.\f. Lupo Grillile), pag. 467; F. Donaver (A. λ7.), pag. 470 — ANNUNZI ANALITICI: Si parla di Lalla Paternostro, A. Gianetti, A. Segré, E. Bertana, pag. 473. — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 475 - NECROLOGIE, Stefano Grosso, F. .li. Parodi, pag. 476 — Indice del vol. IV. LIGURIA diretto da ACHILLE NERI e Fase. 10-11 -12 1903 Ottobre - Nov. - Die. SOMMARIO DIREZIONE Genova · Coreo Mentana 43-n LA SPEZIA Società il’ Incoraggiamento oliti ice AMMINISTRAZIONE I.a Spezia - Amministrazione del (giornale Tir. ni Krancksco Ζαγγα AVVERTENZE Il Giornale si pubblica in fascicoli bimestrali o trimestrali. Il prezzo dell’ associazione annua è di L. io, e di L. 11 per l’estero. I soci della Soc. d’Incoraggiamento della Spezia e della Soc. Ligure di Storia Patria di Genova, godono di uno speciale abbonamento di favore a Lire SEI. Pgj. quanto concerne 1 yiviifiimstrazionc rivolgeisi esclu-sivamente alla Spezia. In Genova il recapito dell’Amministrazione è in via XX settembre, 16 presso la libreria Chiappori. L’Amministrazione concede ai collaboratoi i 25 copie di estratti dei loro scritti. Coloro che ne desiderano un numero maggiore possono trattare direttamente con la tipografia, che ha fissato i segg. prezzi: Da i a 8 pag. Da 1 a Pa§· Copie 50 L· 6 C°Pie 50 L· > 100 >9 » 100 * ί » ioo successive >7 * 100 suc * In questi prezzi sono comprese le spese della copertina, della legatura e del porto a domicilio del committente. AVVISO In seguito agli accordi presi con la SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA, incominciando dall’anno 1504, il giornale, pur conservando la direzione e l’indirizzo presenti, diventa l’organo ufficiale della Società stessa, e perciò tutti i Soci onorari, corrispondenti, e ordinari, lo riceveranno gratuitamente. L’ AMMINISTRAZIONE GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 329 POESIE IN DIALETTO TABBIESE DEI. SECOLO XVII La Miscellanea LXVI. H. 13 della Biblioteca Universitaria di Pavia unisce insieme tre stampe, che sono tutto il bagaglio poetico, e probabilmente tutto il bagaglio d’autore, di Stefano Rossi, Dottore fisico, nato a Taggia e lettore di medicina a Pavia, dopo il 1630 (1). La prima stampa, certo la sola a cui il Rossi attribuisse vera importanza e la sola che per noi non ne abbia nessuna, è il poema Battista il Grande (2), cioè un brutto poema sopra San Giovanni Battista, del quale racconta in cinque canti, in ottave, la nascita, la vita e la morte, terminando coll’ elogio di Genova, che ne possiede per sua somma ventura le miracolose reliquie e le onora con feste splendide e solenni. II poema fu pubblicato a Pavia, 1’ anno 1640, ed è (1) Ricaviamo questa data dalle Memorie e documenti per la Storia dell’ Università di Pavia e degli uomini più illustri che v’ insegnarono (Pavia, 1878) : nel primo volume, o prima parte, che contiene la Serie dei Rettori e Professori, coll’ indicazione dell’ anno che cominciarono ad insegnare, si lfgge, a p. 137, questa notizia nuda nuda e sola sola: Rossi Stefano, (di) Pavia, ad lecturam Chirurgiae, 1631-32. Mi par difficile che non sia il nostro Rossi, e l'errore della patria si capisce troppo facilmente. Dopo, non sappiamo altro all’ infuori di quel tanto che ci dice il frontispizio del poema il Battista, che trascriviamo nella nota seguente. (2) Battista I il Grande | Poema | di Stefano Rossi di Taggia \ Dottor Fisico, e Lettore \ publico in Pania. || All’ Illustriss. Sig. | Agostino Pallavicino I Procuratore Perpetuo della \ Sereniss. Rep. di Genoua. |j In Pavia \ Appresso Gio. Andrea Magri 1640. Il primo quaderno, nelle sue otto carte non numerate, contiene la dedica e i componimenti italiani e latini, di cui diciamo sopra ; poi segue il poema in 170 pagine numerate, e altre tre pagine senza numerazione chiudono la stampa, con una lettera a 11’Amico lettore. Il poema ebbe, dicono, le lodi del P. Angelico Aprosio, ma non le merita in nessun modo, nè per la poesia nè per lo stile nè per la lingua. — Vogliamo ricordar qui che le prime notizie delle stampe del Rossi ci furono trovate dal prof. Neri ; e che il prof. Vittorio Rossi, la cui cortesia non è meno grande della dottrina, facendo conoscere al primo de’ due sottoscritti il contenuto della Miscellanea pavese con una minuta descrizione, lo mise in grado di valutare 1’ importanza della seconda stampa, prima che la Direzione della Biblioteca — alla quale pure vanno i nostri ringraziamenti — gliene concedesse il prestito. Giorn. St. e Lett. della Liguria 22 330 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dedicato in bello stile secentistico al patrizio genovese Agostino Pallavicino. Io mi sono indotto, dice il Rossi, a metter alla luce prima del tempo questo * piccolo e deforme aborto », e per mostrare la mia riverenza al Battista e per « far conoscere al mondo il molto che devo à V. S. Illustrissima, il cui fauore accompagnato da somma giustitia mi trasse da morte à vita, quan-d’ella con tanta sua gloria ed utile commune reggeua il So-premo Tribunale, e sublime Trono di cotesta Serenissima Republica. Esce perciò alla luce questo mio picciol Poema, anzi vien chiamato vita, acciò in segno di gratitudine porti nella fronte impresso il glorioso nome di chi all’Auttore di lui con-seruò l’innocente vita ». Il Rossi doveva aver sopportato qualche pericolosa burrasca, chi sa ? forse nell’ esercizio della sua professione di medico ; ma noi non ne abbiamo nessuna notizia. Alla dedica tengono dietro, insieme con un sonetto e un madrigale del Rossi a S. Giovanni Battista, alcuni componimenti italiani e latini di compatriotti dell’Autore, che ne cantano secentisticamente le lodi. Un suo scolaro di Pavia lo celebra in un sonetto come maestro e come protettore; un Iacobus Antonius Bertarellus, Canonicus Tabiensis, leva un inno all’uomo « cuius Gloria nunc terris tanta viget, Physico togato, Poetae pariter summo, ecc. », ed espressioni consimili son quelle d’un Giovanni Gregorio Ardizzone, « in almo Collegio S. Maioli Papiae causa studiorum commorantis ». Costui fu più tardi vescovo d’Ajaccio (i). Al poema, nelle ultime carte del volume miscellaneo, seguono le due rozze stampe, che formano l’argomento del nostro articolo. La prima è intitolata: L’antico valore \ de gli huomini I di Taggia. | Descritto in ottaua rima nella propria fauella. | Da Nofaste Sorsi; e qui una silografia che allude agli avvenimenti narrati nel poemetto. Il quale fu pubblicato In Pavia, | appresso (i) Il Canonico Bertarello è ricordato, sulle tracce di Michele Giustiniani, anche dall’ Oldoini, Athenœum ligusticum (Perugia, 1680), a p. 276, solo per questi suoi componimenti apologetici del Rossi. Si chiama essere fortunati I Ivi pure, p. 351, la notizia intorno all’Ardizzone ; e si confronti Girolamo Rossi, Taggia e i suoi cronisti inediti, nell’Archivio Storiro il., XXI (1875), pp. 441, 442, 443. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 33 I Gio. Andrea Magri, iôjç (i). È un opuscolo di dodici carte, non numerate, con segnatura A 2 — A 6; misura 165 χ ιοο. Nel verso della prima carta, quella del frontispizio, e nel recto della seconda si contiene la dedica « Al molto Illustre Sig. e Patrone mio Colendissimo, il Sig. Antonio Curio, del fu Sig. Odoardo » (2); la quale trascriviamo qui: Taggia, Castello insigne della Liguria, da scrittori frà più celebri d’Europa annouerato, produsse in ogni tempo huomini in Santità di vita chiari, in eccellenza di virtù illustri, e nel campo di Marte formidabili. Nè occorre, che à V. S. mi sforzi accennare ciò, ch’ à lei è chiaro, ed al mondo notorio, chiamandone in testimonio la celeberrima fameglia de RR. pp. Predicatori, specchio, ed essempio di tutte le Religioni, nel cui grembo fioriscono soggetti di nostra Patria così eminenti, che non minor splendore à quella recano, che da quella riceuino. Ammira in-uero il mondo tutto questa Patria producitrice di cotanti Heroi. Ammiro anch’io, il confesso, il valore de nostri Paesani; mà vagliami il vero, ammiro altresì, che frà tanti si celebri scrittori, e famosi poeti, niuno nè in prosa, nè in versi habbia palesato nella propria lingua alcuna prodezza di nostra Patria. Io don-que, che lontano da Taggia viuo in Taggia, nè d’altro mi glorio, che d’essere di Taggia, a V. S. eh’è di Taggia, invio questa mia opera in fauella di Taggia. L’hò composta in questa lingua per chiaro testimonio che sono di Taggia. Stimolato donque dal Sig. Pietro suo figlio, e quando era qui, ed hor che si troua in Roma, à darla in luce a V. S. l’inuio. Et godo hora più che mai d’essere stato il primo à scriuere in nostra lingua, puoco curando il cicalare di quei maligni, che biasimeranno questo stile, non sapendo loro, che gl’alberi producono frutti più saporiti nel natio terreno, che altroue traspiantati. A V. S. dunque l’inuio, acciò la sua protettione mi serua scudo contro gli assalti de maleuoli, imperoche l’autorità, che tiene nella Patria, e la chiarezza del suo sangue la rendono à maligni formidabile, à be-neuoli osseruabile, ed à tutti ammirabile. L’accetti dunque con quel cuore, che glie l’inuio, che li scuserà passatempo nè futuri caldi, quando dalle molte sue cure seuere cercarà ricrearsi. Mentre per fine li bacio le mani. Di Pauia à dì 18. Maggio, 1630. Di V. S. M. 111. Obbligatiss. seruitore Nofaste Sorsi ( 1 ) Pel pseudonimo Λ/ο faste Sorsi, il Rossi è ricordato come autore di quest’opuscolo dal P. Angelico Aprosio nel La Visiera alzata (Parma, 1689), p. 80. (2) Il patrizio Antonio Curio era figlio del rinomato giureconsulto 332 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Segue nel verso di A 2 questo sonetto : A VIRTUOSI DI TAGGIA l’Autore Spirti gentil, che d’ Elicona il Dio Traete à voi con vostro eterno honore, Ecco trofei superbi, alto valore, Felicità da mai porsi in oblio. Funesta strage ancor, crudel desio, Auenimento pien d’insigne orrore, Nunzio d’eternità di gran dolore, Oggi in moderno stil meschi v’ inuio. Riceuete perciò queste memorie, Ogni vostro pensier posato sia Sopra la lettion di queste historié. Sospendi alquanto ogn’ un la fantasia, Orecchia dand’ à udir Γ antiche glorie Della vostra diletta Patria, e mia. Le carte seguenti contengono il poemetto dialettale, tre ottave per facciata; e sono 60 ottave. L’argomento cantato dal Rossi è la difesa che Taggia oppose nel 1564 contro un assalto di predatori turchi; difesa che non costò la vita a nessuno dei prodi tabbiesi, ma dovette per lungo tempo riempire i loro cuori di legittimo orgoglio. Erano tempi sventuratamente assai difficili per la decaduta Repubblica di Genova, e poco potevano sperare da lei le città della Riviera contro la crescente audacia dei corsari barbareschi ; tantoché il Foglietta in uno di quei suoi quindici generosi Sonetti, che si riassumono nel patriottico grido « bisogna fabbricar galee », cominciava con questo lamento : Se duoe de Zena ra Riuera assè Perchè chiù da guardara à n’ ha garie, Ni chiù s’ode in Riuera cha stromie (1) E tamborin sona pe ri corsè. Odoardo, che avea seduto come Vicario del principe Doria nel feudo di Loano e aveva alzato e arricchito una cappella nella Chiesa dei Domenicani. (1 1 Per stromie vedi qui a p. oo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 333 Ni re gente de notte dorman moè (i), Che ghe fan Turchi, e Mori scorrarie, E s’e personne son troppo adormie Lighè se troeuan prima che descè, E streiti in brasso da ri corsè presto In fusta son porté figgie, e figgioe. E conchiudeva dolorosamente: Se Zena no fa legni arma Ghe conuen ra Riuera abandonà. Ma insomma a Taggia le cose per quella volta andarono bene, e il glorioso fatto fu tramandato ne’ suoi più minuti particolari, col nome degli intrepidi guerrieri, da un tabbiese, che aveva avuto suo padre fra i combattenti, il P. Nicolò Calvi, autore d’una Chronica del convento domenicano di colà (2). Che il Rossi intendesse di mettere in ridicolo 1’ eroismo de’ suoi concittadini, veramente non pare; ma l’uso del dialetto, suggeritogli senza dubbio dalla fortuna delle poesie genovesi del Foglietta e fors’ anche del Cavallo, inoltre la stessa tenuità dell’ argomento e l’andazzo dei tempi dovevano trarlo quasi a forza a dare al suo poemetto un colorito scherzoso, e quindi ad alterare i nomi de’ personaggi e ad atteggiare i fatti, in modo da raggiungere un effetto di comicità. Perciò è da credere che non tutti i tabbiesi restassero contenti della maniera che il loro concittadino raccontava le patrie glorie ; e anzi che non gli mancassero censori e censure più o meno ragionevoli e più o meno serie vedremo, parlando dell’ultimo opuscolo, (1) Si diceva regolarmente moè xcioè muœ’) per mai, da mœ, come spuaf per spàe spade, da spce', e come si dice sempre puaf per pæ(re) padre, ecc. e, nel contado, fuenti da fainti infantes (onde anche fiientn). Insomma, dopo una consonante labiale, si inserisce un u davanti ad ce’. (2) Della Chronica inedita del P. Calvi tratta lungamente Gerolamo Rossi, nello studio pur ora citato, pp. 270 sgg.; ov’è pur notizia, pp. 278 sgg., dei ripetuti assalti e danni die Taggia ebbe a soffrire dai pirati. Una specie di guida è 1’ opuscolo di Giacomo Martini, Taggia e i suoi din/orni (Oneglia, 1872) ; ma lo citiamo volentieri, perchè vi si trova un lungo estratto del passo del Calvi, che si riferisce proprio all’ avvenimento cantato dal Rossi, e inoltre vi sono illustrati alcuni dei luoghi, che il poemetto ricorda. 334 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che chiude il volume. Ma qui dobbiamo anzitutto sbrigarci d’una piccola questione, che riguarda il testo del poemetto. La sola edizione che di esso si conosca è la pavese da noi descritta, superstite ornai, a quanto sembra, in ben pochi esemplari (i). Senonchè uno dei due compilatori di queste pagine introduttive, quello a cui spetta l’esumazione dell’ignorato poemetto e la prima idea di pubblicarlo, il Prof. Girolamo Rossi, scovò tra le vecchie carte d’un ricercatore di memorie tabbiesi una redazione manoscritta del\'Antico valore, quando ancora non gli era nota la redazione stampata, e s’ affrettò a trarne copia. Codesto manoscritto, che ha un frontespizio identico a quello della Stampa, perfino coll’indicazione di Pavia, comincia pure colla Lettera dedicatoria ad Antonio Curio, ma a questa fa seguire, omettendo il sonetto, una Prefazion in vernacolo tabbiese, che alla Stampa è ignota, ed è singolare, perchè vuol dare al poemetto l’aria d’una composizione romanzesca, fingendo che l’assalto di Taggia avvenisse al tempo dei Mori e sotto la guida dell’ ariostesco Agramante. Si aggiunga che molti versi e anche intere ottave hanno subito un rimaneggiamento, che non di rado può considerarsi come un miglioramento; e che il numero delle ottave è salito da 60 a 63. Anche la forma dialettale appare leggermente diversa, talvolta sfuggendo certi peculiari fenomeni («per es. chiainto, depeinto, zointo sono scritti chianto, depento, zonto), più di rado rendendo con maggiore esattezza le peculiarità della pronuncia vernacola. Tutto considerato, noi non crederemmo inverosimile che il Rossi medesimo occupasse i suoi ozii nel correggere il suo poemetto, coll’intenzione di stamparlo una seconda volta; benché la forma in cui questo rifacimento è pervenuto a noi lasci scorgere l’opera non desiderata di copisti relativamente moderni. Che a quella sua operetta il Rossi ci tenesse tanto, da potersi anche dedicare a rifarla, bastano forse a dimostrarlo varii indizii : in primo luogo, l’allusione che fa ad essa nella prima ottava d;l Battista: (1) Oltre all’esemplare pavese, ne conosciamo solo altri due, uno a Lucca e uno all’Aprosiana di Ventimiglia. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 33 5 Non più lodi cantar caduche, e frali M’udrai, come solea, Patria diletta, Non più gloria dirò d’egri mortali, Che resta appo del Ciel vile, e negletta. E che trovasse degli ammiratori fra i suoi compaesani ci fanno credere i pindarici elogi, che al Battista precedono, se si può supporre che i loro autori avessero 1’ occhio anche al poemetto vernacolo (fino allora l’unico parto poetico del Rossi), e che anzi vi alludesse espressamente il Canonico Bertarello, nel verso: « Insuper te laudet Latium, linguaeque Bifrontis ». Ma non siamo ben sicuri del senso di questo verso. Finalmente è da tener conto anche delle parole che il Rossi medesimo scrive, in fine del poema italiano, rivolgendosi al-Vamico lettore: « ....Alle dette cagioni [che lo avevano spinto ad affrettare la stampa del Battista] se ve n’ è aggionta altra, la quale è, che essendosi l’anno passato 163g .sotto li 18. Maggio dato alle Stampe un picciol Poema in lingua Taggiasca, intitolato, ΓAntico valore de gli huomini di Taggia sotto nome di Nofaste Sorsi, si hanno molti persuaso, che fusse opera mia. Che che ne sia, mossi da ciò, e hauendo penetrato indi ad alcuni mesi, ch’io haueuo dato principio al presente Poema, m’hanno fatto più instanze à publicarlo.... ». Da una parte dunque gli amici speravano bene da chi aveva già dato un tal saggio del suo talento poetico; e, dall’altra, il Rossi non si lasciava mai sfuggire l’opportunità di richiamar l’attenzione sulla sua operetta. Ad ogni modo, poiché la nostra congettura, sia pur verosimile quanto si voglia, rimane una congettura, e poiché notizie precise intorno alla provenienza del manoscritto non ne abbiamo e neppur ci è dato di ricorrere di nuovo direttamente ad esso, crediamo buon consiglio di tenerci alla Stampa e di rimandare in nota le varianti del manoscritto (Mr), che ci pajano per un motivo 0 per un altro degne di ricordo. Nè riusciamo a liberarci in tutto dal dubbio che altri giudichi che, così facendo, abbiamo già fatto qualche cosa più del necessario. Intanto offriamo qui subito al Lettore l’inedita Prefazione manoscritta. 33Ô GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA RA PREFAZION. Agramante Re dri Moori dopo d’ avè scorragiao parmo per parmo tutta ra Spagna, tutti chelli monti cosci auti dri Pirinei, e tutta arrèo ra Franza cosci grande co re ciù belle vittorie dro mondo; o se ne passa in te l’Italia aa testa d’in esercito, che o faixeva tremorà tutti fin in tre unge dri pei, con intenzion de mèttira a ferro e a fogo, e fara tutta deventà pezo eh’ina sconscia. — Pensài in poco, com’ a po esse andà! Ma coixi vorrei? O no gh’è ancò arrivào che o l’ha pigliao de mira tutto ro Genovesato e in particolà ra Riveira de Ponente. Xicchè donca stracovai in te Monego da ina grosciscima borrasca de ma, coxi fen? I l’abbottinan asquaixi tutto, che dro restante i ghe portan in po respetto perch’i aveva coita de vegnì a San Remo. A Vintimiglia, a ra Bordighèa con tutte quante chelle vil-làtore i no ghe lasciàn manco ciù prea scin prea. Ma coglie! quando i fon in te San Remo, sto Pa'se o ghe piaixè; scicchè i ghe mettèn 1’ urtimo quartè d’inverno. In giorno Agramante mezo imbriago, descorréndo sto ladron co’ ina spia (che d’esti bifforchi o ghe ne sera de longo) ò senti, eh’ in po ciù in sciù, o gh’eira in Paìse ben grosso e ricco, come ra marina, e che o ghe faixeva dro vin bon; xicchè o ghe spedi subito tre miria zinquezento Saracin, e o s’i zernè tutti co ri mostazzi negri com ’o carbon, perch’ i n’ accomodasse daa parte de Dio, e ch’ i no ghe lasciasse manco ciù d' erba viva. I vegninse a Taggia; ma i poveri diavi i o pigliàn o faito so; i a gagnàn 1’anciòa — Lezèi in po ste tre o quattro ottave, ch’i sentirei de bello, e i virèi quanto onò i s’an daito i nostri antighi varcntissimi patriotti, e ciù de tutti Peiro-Zane Benaja e Zan’Antogno Calidon e so frai Zane Vinzenzo. Abbiamo già accennato che al Rossi non mancarono però nella sua Taggia critiche acerbe; e infatti c’informa egli stesso d’aver avuto fra mano lettere « chiene d’invidia e de mali-gnitae », scritte da codesti compaesani censori a1 suoi amici, cioè, parrebbe, ai Tabbiesi residenti in Pavia. Chi disapprovava l’uso del dialetto in un tale argomento; chi si doleva che delle molte imprecazioni in uso a Taggia il poeta non ne avesse fatto entrare ne’ suoi versi che solo una piccola parte ; chi si rodeva di non essere rammentato in quella gloriosa storia; chi infine giudicava tutto brutto senza dirne le ragioni. Il nostro medicopoeta, che, a quanto pare, viveva collo spirito a Taggia più che a Pavia e non aveva peli sulla lingua, mosso dalla stizza e certo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 337 anche dal desiderio di tener alto a Taggia il proprio nome, rispose a’ suoi detrattori, non senza grazia, ma senza nessuna misericordia. Figurarsi se si saranno divertite le brigate tabbiesi alle spalle degli incauti censori, e specialmente dell’arcipoeta mastro Zerbm, messo così ferocemente in burletta! Le risposte del Rossi (insieme con una delle solite canzonette d amore) sono contenute nell’opuscolo, che chiude la miscellanea pavese e che s’intitola: Lettera ( di \ Nofaste Sorsi, I Scritta ad un suo Amico. \ Con le risposte, che | Fa ad altre lettere scritte da' ma- | ligni à suoi amici, e mo- \ strate à lui. Una piccola silografia rappresenta un cane che abbaia ad una statua, dietro la quale appariscono dei tetti e dei campanili, quelli di 1 aggia, senza dubbio. L’opuscolo fu pubblicato in Pavia, per Gio: Andrea Magri 164.0. Il formato è uguale a quello dell Antico valore ; le carte sono 8, senza numerazione, colla segnatura A2 - A4. Riprodurremo fedelmente anche questa stampa (1), per amore del dialetto tabbiese; e dell'una come dell’altra conserveremo immutata l’ortografia, contentandoci di lievissimi ritocchi alla punteggiatura, i quali pur indicheremo in nota, quando abbiano un’ ombra d’importanza. Non fu nostra intenzione di raccogliere con ogni possibile industria notizie intorno al Rossi; ma ci siam venuti persuadendo che non è facile scovarne dell’altre. Dopo quello che ci dice da sè stesso, la fonte più antica e quasi sola è il Soprani (2), dal cui brevissimo e non felicissimo cenno apprendiamo ancora che morì « intempestivamente » a Taggia, lasciando incompiuto un poema: La Liguria trionfante. L’Ol-doini (3) non fa che copiare alla peggio il Soprani, e il Pescetto (4) questi suoi due predecessori, che non intende sempre bene: aggiunge però che il Rossi fu lettore di medicina a Pavia dall’anno 1630 al 1650 circa; e 1’esattezza di co-desta data 1630 ci incoraggia a credere esatto anche il 1650, e soprattutto poi il 1655, che egli pone come data della morte (1 ) Non ne conosciamo che questo solo esemplare. (2) Li Scrittori della Liguria (Genova, 1667) ; a p. 262 sg. (3) Op. cit., p. 506. (4) Pescetto, Biografia medica ligure (Genova 184b); vol. I, p. 272. 338 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del Rossi. Almeno un’ altra affermazione del Pescetto merita d’esser tenuta in conto; che cioè il nostro professor di Pavia « non abbia dato in luce alcuna produzione che giustifichi il suo medico valore ». I medici non lo conoscono come medico, dice egli dunque; ma, aggiunge benevolmente, fu senza dubbio molto apprezzato dai letterati : « pur non ostante fece conoscere in poesia l'altezza del suo ingegno con quel suo Poema religioso del Battista il Grande.., che tanto fu lodato dall’erudito P. Aprosio di lui compatriota, e da altri celebrati ingegni della sua età ». Il Pescetto, certo senza volere, rifaceva per conto suo, a proposito del Rossi, un ben noto epigramma. E. G. Parodi Girolamo Rossi L’ANTICO VALORE DE GLI HUOMINI DI TAGGIA (r) I. Re donne, ri huomi, e ri buzarri humoi Dra nostra Terra int’ esti versi canto : Ra raggia, re giasteme, e ri doroi, Ra stizza, ra pranetta, e ro gran chiainto; Ro barbotà de quei grossi buffoi, Digo de quei, che se vantavan tanto Per tutto dond’i n’eira, e int’ogni luogo De vorrè mette Taggia à sangue, e fuogo. II. Per zò, Madonna Santa de Caneo, (2) Zà che dro nostro luogo i sei sostegno, E San Beneito voi, ch’à 1’Ereixeo (3) Mr. I i orni (e così 7 lago, 8 fogo, e sempre insomma senza dittongo), 4 prenetta, chianto (e così sempre, IX 1 zontc, X 5 depetito, ecc.), 5 chei, 6 chei, ch’ i se vantava, 7 donde i eira. II 3 Benento, erexeo, 4 in arr. (e cosi sempre in per un, ina ecc.). (l'i Nella pubblicazione di qilesto primo testo, il prof. Girolamo Rossi mi giovò, non solo mettendo a mia disposizione la sua copia (Mr) del manoscritto, ma inoltre fornendomi la più parte delle noticine storiche. E. G. P. (2) L’ antica chiesa di S. Maria di Caneto con titolo di priorato si vede concessa in comando a D. Marco Bergonzio nel 1476, quindi a Gio. Gregorio Ardizzone vescovo di Ajaccio, e finalmente al cardinale Girolamo Gastaldi, tutti tabbiesi. (3) L’ invocazione a S. Benedetto, che si vuole della famiglia Revelli e che fu vescovo di Albenga, viene fatta perchè èra protettore della città, e si GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 339 Lasciassi un' arregordo cosi degno, Faime grazia, e fauò, si ben son reo, Che mi posce dì zò senza desdegno, Ch’ à ve prometto, e ve 1’ attenderò Vegniue à visità, com’ a porrò. III. E voi nostri parenti, e nostri amighi, Voi, che ra nostra Patria tanto amai, Ve prego à smentegàue ri aotri intrighi, E soramenti a zò stà apparegliai, E nò ve vegne in cuò noixe, ne fighi, O sean de l’Arma, ò sean d’horti, ò dri Prai,(i) O sean de Beuzi, ò dra Bruxà, ò dre Zotte, O berorfe, ò gianchette, ò brigliazzotte. IV. Nò stè à pensà ne à fighe, ne à castagne Nò stè à pensà ne à faue, ne à faixoi, Nò stè à pensà ne à torta, ne à lasagne, Ne à crosetti tirai, ne à maccarroi, Nò ve vegne in cuò 1’ aigua dre viuagne, Quando de stae fan quei grossi caroi, Mà ch’ i drizzai re oreglie, e ro ceruello, E lasciè andà ro resto à ro bordello.. V. Tegnì donca serrao tutti ro morro, E stai ben chiuti senza mai renzà; E s’ ò ghe fosse ben carche modorro, Che nò vorresse mia stà cousa fà, Cacciaighe zù dra gora un grosso porro, Per poèghe stoppà quella canà; Stai donca quei, che mi comenzo hauò Dra nostra Terra a’ dì ro gran varò. VI. Tutte re carte mi hò scartabello, (2) Per vè com’ a’ douea scriu’ esta historia, Autoi de tutte sciorte hò studiao, Per aguzzàme meglio ra memoria, Mà quando mi hò ben zò considerao III 7 B-ruixà, IV i Stai, 2 e 3 id, 7 Ma chi, 8 lasciai. V 2 zitti, renscià, 3 madorro. VI 3 a ho, 8 lengua. aggiunge la‘denominazione dell’ Ereixèo perchè in tale regione, distante un quarto d’ ora da Taggia, si vuole vedesse egli la luce del giorno, come ha lasciato scritto il canonico Lotti, nella Vita inedita di detto santo. (1) Diedi a prai una maiuscola, pel confronto di p. 355, v. 35. (2) Tra le Ri ni e del Foglietta, è un Sonetto, diretto a lui da ro Giurista Spinnora, che comincia : Mi che re carte ho ben scartabellaou Dri poeti latin, ecc. (p. 42 dell’ edizione citata qui a p. 363 n.). 340 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nò trouo mia d’ hauè chiù bella groria, Se nò, che zò, eh’ in Taggia eira seghìo. In ra lingua Taggiasca sea capìo. VII. Douei donca sauè, che dre garee Se ne vegnìn pe ra Riueira armae, Chiène fia à (ι) Γ orlo de persone ree, De gente crue, de gente accouentae ; A Monego den’ fondo inte què pree, E lì i beuen, e cosi inuriagae Vouzen re vere, e fan vogà ro remo Per arriuà quanto prima à San Remo. VIII. Mi nò ve stago à dì, chi sea esta gente, Per nò stà à refrescà re chiaghe antighe, Che ne vegnì cosi mattescamente Per vorrene robà re nostre fighe, Perche ro me caprizio è soramente Dì ro varò dre nostre gente amighe, Azzò eh’ assai da rente, e da lontàn Ra Patria sea lodà co ro Pantàn (2). IX. Zointe donca à San Remo i Γ abbotina, Imaginaiue voi zò, ch’ i ghe fesse. A Taggia despiazea, che ra veixina Terra, e amiga assai cosi se stesse, Mà pezo ghe sauea, che ra mattina Dro Γ un de man besuogna succedesse Un’ aotro caixo giusto, e foscia pezo A Taggia, s’ò no gh’eira un gran buon mezo. X. Ro buon mezo, eh’ hauè Taggia allantora, Eira 1’ aggiuto dro nostro Segnò, Ra Madonna dapoi nostra Segnora Mi no ve stago a dì dro sò amò. E perche Sant’Andrea (3) è depeinto fuora, IX 3 despiaixea, eh’ eira veixina, 4 Ma chi tutto ro ma o conscistesse ! 8 caixo inguale. X 6 O ti aggiuta elio asci monto alianti), 7 Benento. (i) Cfr. p. 369 n. (2 i L’antica Taggia era ristretta al quartiere appellato il Castello; e soltanto assai tardi fu tratta dall’ umile stato in cui giaceva la parte che tuttora si chiama il Pantan ; cioè il bel piano, dove si apre la via più signorile di Taggia, adórna di bei portici con nobili edifizi, di cui uno conserva considerevoli affreschi di Lucca Cambiaso. (3) S. Andrea si nominava un oratòrio costrutto presso le mura e che venne atterrato, quando si costruì la chiesa ed il convento dei Cappuccini. GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA 34 I No mà per zò, ch’ò fè per noi lantò ? San Beneito, elio è sì, eh’ in Taggia è nao, Ve lascio crè, s’ ò n’ hauerà aggiutao. XI. Ghe nasce ancora e si dra gente assai, Ra qua no teme fumo de crosetto, E no pensassi mia, ne eressi mai Dagh’ ad intende, eh’ una vexa è un petto, Mà mettemo à ra banda esti parlai, Perche ri Turchi n’ han visto 1’ effetto, E dri Turchi, e dri aotri, che mi taixo, I ghe ven presto si, ma parte adaixo (i). XII. Fen donca presto in Taggia parlamento, E se concruse de mandàghe à dì, Ch’ i no ne voglien dà tanto spauento, Perch’ à s’inzegnaremo de compì, Mà i no poèn rompi ro sò talento, Perch’ i voxen per forza esti vegnì, E recusàn ri patti, e ri dinai Criendo, à ve vorremo abbottinai. XIII. Quando ro parlamento intese zò, Tutti d' accordio s’ addentàn ro dio, Senza stà mia à cercà ne zò, ne lò, Senza stà mia à dì, daime da fio, Ma tutti co ra mente, e co ro cuò Comenz’ in zenoglion à pregà Dio, Che ghe voglie mandà quella giornà Vittoria contra gente si arraggià. XIV. E mentre i cercan de spartì ra gente, Per metterà a’ ri posti à guardià, Torna ra spia, dighendo, i son chi rente, Ο n’è chiù tempo, de stà chi à ciancià ; Tutti correli à cà subitamente, Chi piglia ra labarda, e chi ra spà, E chi ra frondorina, e cazzafrusto, Chi 1’ archebuixo, per tirà chiù giusto. XV. O che gran cuò dro nostro buon Benaia! (2). Subito, eh’ ò sentì sta bruta noua, XI 3 cresci, 4 pe ina vescia in p. XII 3 voglie, 5 poscie cangiò. XIV I zerca. (li Cfr. ottava LVI. È probabile che il Rossi alluda ad avvenimenti contemporanei: forse ai fatti d’arme del 1625, quando Amedeo di Savoia invase la Riviera occidentale e prese Taggia. (2 , Nessun segno d’ interpunzione. 342 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA L’insci de fuò, passand’ in trà sà braia, Per poèri attaccà derrè à ra coua; O se vouze in derrè, dixe, e una baia, Mi voglio esse ro primo à fane proua, Seghìme tutti, e no ve dubitai, Ch ’à ve ri dago ancuoi tutti amazzai. XVI. Quando barba Vincenso Calidon Vè, che Benaia è stao ro primo à insci, Comenza à giastemà Peiro de Gion (i), ’ Che ro vorreua à tutti muoi tegnì. O se ghe vouze, e ghe dà un mostazzon, Piglia, ghe dixe, e godiro per mi, Te mostrerò con chi hauerai à fà, Zà che de tanto honò me vuoi priuà. XVII. L’insci donca de fuò con tanta stizza, E si se vouze à quei, eh’ eiran con elio, Ghe dixe, mi ne voglio fà suscizza, Mi ri voglio scanà con sto cotello; No dubità, Zane Maria Pelizza, Metti buon cuò, stamene pù in ceruello, E se ti vouzi mai fazza in derrè, Mi te caccio stà spà d’in tro perè. XVIII. Te ghe ra ficco tutta, à ra fè santa, Se ti ei si matto de votà ra schena, Mi te passo ra ventre tutta quanta, E te ra garbo com’ una mezena ; No gh’ è nexun, che nò voglie aotretanta, S’ ò no seghe, prouà da este mae pena, E per nexun no ve ro mando à dì, Mà con ra bocca hà ve ro digo mi. XIX. O no besuogna fà de strechezon, O no besuogna mia zogà de testa, Ne besuogna mirà de sguerzezon, Se mi à buon’ hora v’ anunzio ra festa, E nexun vaghe là com’ un chiorlon, Mà tutti staghen co ra mente lesta, Che s’ à m’ accorzo, che se voute fazza Mi ve spetazzo com’ una fugazza. XVI 6 goodiro. XVII 2 a cliei ch’ i eira, 3 disce a n' oglio fa. XVIII 4 e te r' affetto come ra m., 5 sg. I purresci ben esse ciù d’ottanta, Guai a ro pritno chi me sgarra a rena. XIX 3 E no me stei a mirà de sg., 6 i staghe. (1) La St. gion. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 343 XX. Zane Maria Pelizza saota xù Con fase ben vegnì re vene grosse, Te pensi, dixe, d’ esse noma tù, Ch’haglie couèa de fa berrette rosse? Vircmo ancuoi, chi se mostrerà chiù Varente, e chi hauerà chiù buone posse, Oxù no chiù, ch’ à ro viremo ancuoi, Chi se serà portao meglio de noi. XXI. Andemo donca con gran vigorìa, Ch’à n’hamo tutti chiù che tù couèa; Ro campanin sonaua ra stremìa Per poè imbarlugà quella Louèa. I se ne van con una brauarìa Con l’arme in spalla, e ra spà à ra corrèa, E s’ acciatàn, senza parla, derrè De quella cà, eh’ è la à ro monastè. XXII. Vinticinque huomi soli eiran trà tutti Quei, che con Calidon fen Γ imboscà, E stauan quei, che pauan tanti multi Senza stà mai trà d’ elli a raixonà, Pensando de taglià come presutti Quella marmaglia cosi accouentà, E damentri, ch’ i pensa a sto lauò, I ri ven sparegà con gran furò. XXIII. Arriuai donca a Santa Cattarina (i) Maralaido veixin a ro fossao, De da a quelli menchioi grossa rouina Ogn’ un dri nostri assai s’è affatigao; In te quei vinticinque Cardellina Staua elio e si, come ri aotri, acciattao, A Benaia se vouze, e a Calidon Besuogna, dixe, adesso fà da buòn. XXIV. E cosi comenzàn tutti a sparà Contra quelli furfanti tradittoi, E parea giusto, che quello tirà Fosse rebombo de grossi canoi; I tornàn poi subito a carregà, E assai dre voute fen d’ esti lauoi, XX 3 pe/isci. XXI I andamo, 4 chella, 7 i s’ acc., 8 XXII i Vintiz,, 3 chei ch' i p., ó Chella. XXIII 6 elio asci, XXIV 2 che!li, 3 chello, 8 sveglie. chella. vooze. (1) Sartia Catterina, sita, dove nel 1633 per liberalità di Gio. Batta Reghezza fu eretto un monastero di religiosi. 344 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA E tanto fen, ch’ i n’ amazzàn pareglie De quelle gente re chiù asperte, e veglie. XXV. E quand’ i hauèn ben ben scaramuzzao, Tutti se retiràn verso ra Terra; I nostri montàn xù pe ro fossao Per finì con buon cuò que dì ra guerra, E dri Taggiaschi nexun fò afferrao Mà dri nemixi n’ andàn cento in terra, E s ’a diesse ben, eh" eiran de chiù, I ve ro poei ben crè, creiuero pù. XXVI. Corpo dra gatta : come s’ è portao Ro valoroso Moro Berrezin : Ve stupiressi d’ est’ huomo honorao, Che schiopettau’ attorno què camin ; L' è ben ra veritae, che ro fossao I ro pigliàn, perch’ i hauean dri veixin, Ch’ i ghe mostrauan’ com’ i deuan f a A quella gente tanto indiauorà. XXVII. L’ è ben ra veritae ancora e sì, Che chiù de cento ghe lascian ra pelle, Quand’ i hauèn faito esta cousa cozzi 1 s’inuiàn xù verso re capelle, E giastemàn squasi tutto ro dì Ro Sò, ra Luna, o Cè, l’Aria, e re Stelle, E ghe vegnì couèa de dà in derrè, Quando re porte i comenzàn a vè. XXVIII. No se pensauan mai, che Taggia hauesse, Ne re muraglie, ne ri bastion, Mà i se creuan seguro, ch’ a ne stesse Sempre à dormì com’ un gatto maimon, Mà quando i vèn da poi ch’ogn’un se messe A re muraglie con buoi moschetton, Se spauentàn, e se cagh’ in tre braghe, Quando ra Terra comenz’ à dì, daghe. XXIX. Con tutto zo’ cosi à ra baballà, Senz’ orde, e senza regola de guerra, S’ accostan tutti presto per montà Pe re muraglie xù dra nostra Terra, XXV 2 Tutti i se, 6 sento, 7 ch’ i eira, 8 poi, XXVI 2 Mastr Anto Tronchili, 5 sg. O andava arrecurando pe o fossao Ciorro come Radiccia e cian cianiti E 0 mostrava a ri antri come fa Con chella g. XX\ II 6 osé, Maometto c e st. XXVIII i pensava, 3 credeva eh’ ella a se, 5 i viscie. X.XIX I E cosci chella gente spaventa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 345 Mà nò ghe rescì mia sto sò brauà, Ch’ i smerigli ne messen cento in terra, Pareglie e si restàn co ro cù in xù, Parte a gambe leuàe cazeuan zù. XXX· Quand’ i ven zò restàn tutti confusi, E come fuora d’ elli imbarlugai, Re donne buttàn via re roche, e i fusi Per rompi ben re lerfe à sti affamai, E in scangio van porzendo ri archebusi E re arme besuognose à i paesai, Azzò eh’ i posce imbarlugà quei furbi, Cauàghe ri ogli à tutti, e fari lurbi. XXXI. E v’asseguro, ch’i no gh' amollàn, Creiuero, senza famero zurà, Perche tutli ri noslri paesan Se ne pigliàn una buona panzà De vendicàse contra de quei Can, Contra quella marmaglia aueninà, In fin tutti i fen ben ra parte sua Re donne, ri huomi, e ra gente menua. XXXII. O feggiedin : chi se porrà mai crè, E chi se porrà mai imaginà, Come se deportasse à esto mestè Messè Michè priò, con Perziuà? E se chiù per menùo vorrei sauè Zò, eh’ haiglie faito ra nostra Brigà Sacchiei, ch’ò n’ è mai stao nexun in guerra Chiù valoroso de Martegaterra. XXXIII. E què varente, e brauo Tomasin, Che da nor ro Buzarro se demanda, No paua foscia un d’ esti Palladin, Quand’ elio schiopettau’ in carche bandai Se retrouaua in tutti ri camin, Armao per daghe una mara vianda, Perch’ i pensauan tutti de sguazzà Esti chi à spese dra nostra Brigà. XXXIV. O che vegne ro secco: Hà ghe lasciaua, A ro corpo de mi, tutto ro bello, XXX I vien, confuixi, 3 fuixi, 5 archibuixi, 7 sg. ra turba Dri sa-raxin e fara vegnì birba. XXXII 1 0 fe de die ! 8 Masteg. Probabilmente 4 fart, è errore della Stampa. XXXIII 1 Tomaixin, 3 0 no paixeva foscia un P. XXXIV I O c’ o ghe vegne o fruscio ! 2 tutto ro meglio, 4 Ghe faixeua citi sgarbi eh’ a un zerneglio, 6 Cli 0 paixeva eli a guerra o fosse veglio. Giorn. St. e Lett. delta Liguria 23 346 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA O gh’ eira ro Marin, ch' i ghe brauaua, E v’asseguro, eh’ò ghe fè un capello, E cosi grosse archebuxae tiraua, Ch’ i no diressi mai, che 1’ eira quello, E no mancaua mai de desparà Per defende ra Patria menazzà. XXXV. Vegne ro morbo; s’ò no gh’eira Zan Què cosi brauo figlio de Simon, Ch’ ò strenzeua ri denti com’un Can, E semegliaua là giusto un Dragon, E ro paire dro paire de Mamàn O s eira armao giusto com’un Campion, Azzò che Taggia sua qnella giornà Poesse dì, Son Taggia consorà. XXXVI. Barba Tibaodo, Trippa e Bonanao, Boceiazzo, Carbiellon, Forza, e Barello, Formigora, Besazza, e Nicorao, Galonferro, Marghè, Frizza, e Babello, E Mastro Zorzo vorpe con Sciorao, Sem’ à sto chi tiraua, e sem’ à quello, Cosi'fè Stangapeiro, e Bene mollo Con Pasturè, Martin, Pitè, e Gianollo. XXXVII. Che direi voi de que’ Lucco peccion ? No follo brauo sorua tutti i braui ? Foscia, eh’ò no pareua un Sordaton A lanzà zù cantei, sbatte zù traui ? Poretto dra parola, e l’Ardizzon, Co ro Reghezza ne fen dotrei schiaui, E ri vorreuan mezi capuzzà, S’ à ro sò muoo i ri lasciauan (i) fà XXXVIII. Quello varente Barbao (2) de Borèo Che dro sangue nemigo faua Iago, No ri menaua squasi tutti à rèo, E attorno à quelli semegliaua un Drago ? O ne ferì chiù de trenta, me crèo, De muoo de quello sangue eli’ eira vago, E ghe fraccassà tanto quella scheira, Ch’ò ghe leuà d’in man ra sà bandeira. XXXV i Vegne ra gotta! XXXVI Parecchi nomi sono diversi. XXXVII 5 Poretto, Andre Pirolla, 6 dootrei. XXXVIII I Barba, 2 sgg. De quanti 0 ne scontrà ne fe in maixelo, E /Canonicato con Franzè Lareo I ri tagliava come ro tortelo ; Lorè Scingosci i ri menava arrco, E perchè in Alooro 0 ghe squarzà o capelo O gh’ andè addosso e 0 ghe frappò ra cieira E o ghe levò. (1) lasciuuan. (2) barba ? GIORNALE STORICO lì LETTERARIO UHLLA LIGURIA 347 XXXIX- Allantò gh’ eira in Taggia duoi barbei Braui, eh’ i parean tanti Scipioi, Montàn si na terrazza dri fornei A tiràghe dre prè, coppi, e mauoi, E desmuràn chiù de quattro maixei, Per poè rompi ra testa à quei menchioi, E poi criauan de si na terrazza, Arimo fazze ogn’un, amazza, amazza. XL. L’ insci de fuora Vincè de Baiardo, E Caregaira con dell’ aotra gente, Chiarauuglio elio e si (i), cosi gagliardo, Che tutti se portàn varentemente ; Un’ aotro Bastian chiamao ro Safdo Con Petacco, e Canè fen da varente, Bertram, Pesciada, Cocconè, e Binda, Rellorio, con Barbetta, e Pignattà. XLI. Como fossi voi brauo, ò Reuidon, Degno d’ esse honorao da tutti noi, Che staiui sempre xù ri bastion Armao co ri aotri vostri compagnoi, E n’ amazzassi tanti in concrexion Co ri vostri archebuixi così buoi, Che per voi Taggia, Patria nostra amà Può dì, da Revidon son liberà. XLII. Che se porrà mai dì de què Rollando Ch’ eira cosi varente, e si arimoso Ch’ ò fè chiù couse assai, che quell’Orlando, Che ven chiamao da tutti furioso ? O ri scorse de lì sempre amazzando Carcun de quelli, fin eh’ò fe reposo Da ro fossao dro Gombo, luogo aoto, Dond’ i prouàn de dà 1’ urtimo assaoto. XLIII. Corpo de deixe : ghe lascio ro meglio, Mi me desmentegaua de cointà, Che mastro Za^e quello franco veglio L’ inarimaua ra nostra Brigà, XXXIX 2 eh’ i asemegliava a ri Migoi, 3 sciù ra tarrazza, 7 tarrazza. XI, 3 Ce rave glia elio asci con Ce o boixardo, 4 E tutti. XLI 3 Voi stesci. XLIII 1-8. Chi o besogna eh’ a dighe in atitra cosa, Ch' a me de sin en tega ita de conta Che Mastro Zane li dond’ 0 se posa. Perdi 0 ri a-veva scioppo da sparò, Se fe da a sciabra da Giastè de Rosa, E 0 sparti in Turco con ina sciabrà, E sciù ra schena d' antri, tardi a fuze, Che fe ciù bolli, ch' o non ha Vancuzc, ( I) elio, e si c. 348 GIORNALE STORICO Ë LETTERARIO DELLA LIGURIA E fe dri garbi assai chiù eh’ un zerneglio A certa gente, che fò couentà, Dell’ inimigo, che fò tardi a fuze, Mà ghe leuà d’attorno elio ra ruze. XLIV. O come da conosce i son mai rei Dro Crestian ri sangui int’ este mene ; Una donna ghe fò, crè ro poèi, Che n’ amazzà chiù de quattro dozene ; Se chiama esta cozzi Scozzacanei, E mai ella à firà vosce hauè vene, Mà à lanzà prè, e a tirà dra terra Nò ne virei zà un’ aotra in tra sà Ferra. XLV. Ella messe dell’aigua in trà pairora, E si hà ra fè boglì forte à raveza, Hà ne voà buone cazzàe de fuora, E quella gente hà ra sboglientà meza, Si che ghe fè menà presto ra sora, E ghe messe ra poira in trà correza ; In fin trà prè, trà terra, e aigua boglìa Hà messe in te què Campo ra morìa. XLVI. I fen l’urtimo sforzo in tro fossao Dro Gombo, donde ghe è reparo aoto, De muoo, che elli hauen presto consumao, Ne manco poscen dà 1'urtimo assaoto ; Che Γ è staito est’ exercito sforzao In cinque rangapetti, e int’ un saoto A fà dro Petruscurrit, per schiuà Ra furia d’esta gente si arraggià. XLV1I. O tornà à insci fuora dra Terra armao Co ro barba Parmella Calidon Da ri aotri suoi compagni accompagnao E à matrattàri ghe zogàn da buon, XLIV I - 2 manca, 5 cosci Squarzacravei, 6 sgg. E chiù eh’ in omo a aveva grosse e vene ; A no po sta che co re mae, coi pei E d’in za e d’in la no se reviene, E daa tarrazza co in bon cu ( sic ; fr. coup?) de getta A. slanzà in Afooro co ra panza in terra. XLV 6 scorrezza, 7 a*gai ^ fe vegnì paregli in agonia. XI.VI 3 sg. Ma inutirmente se gl’è accoven/ao Ro Turco e poco o fe st' urt. a. XLVII 8 ra so, ra so. Dopo quest’ottava, il ms. ne ha due che mancano alla Stampa. XLVII a Benaja 0 criava sempre : ‘anon, chi veti ? Coo capelo a ra brava a mezzo a rea ? 'S' appunte 0 scorrezzin, se 0 stretize ben’. Poi disce a Calidon con Pranzi e Ica : ' O figli de bagasce ! E ehi me ten Ch’ a no ve passe con sta spa a correa ? GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 349 Mà quando vè, eh’ ogn’ un s’ è retirao A ra vouta dra sà saruazion, Elio e si se retira, e se ne và Co ra sa gente verso ra sà Cà. XLVIII. No besuogna zà di eh’in ra Tesaglia In ro confritto de què gran Pompeo, Dond’ eira gente armà con chiastra e maglia Seghisse caixo chiù crudele, e reo, Como fò faito contra esta canaglia Da ro puouo de Taggia, ò che trofeo, I ri fen fuze come cai leurei, De là dra giaira derrè quei cannei. XLIX. Ne manco i se fiàn de stà per li, Mà i se n’ andàn verso ro Castellà, E comenzàn de raggia esti cozzi, Quand’ i fon pe ra via à giastemà, E si i dixean, chi me gh’ hà fao vegnl, A v’ asseguro, eh’ ò ra pererà, Perch’ i n’ ha fao vegnì chi à ro maixello, Mà i haueran sa parte dro berzello. L. Chi se trouaua stroppiao d’un brazzo, Chi rango d’una gamba, e chi d’un pè, Chi bruxao se sentiua ro mostazzo Pe re gran bote, che Taggia ghe dè, Ghi gh’ haueua lasciao ro so penazzo, Chi 1’archebuixo : e chi se ro può crè? Fia ra bandeira ghe lascià esta gente, Ra qua ghe ra leuà Borèo varente. Vegnì : a passerò 0 primo, a porcili brutti, Andatnori a fignì, a amazzà tutti’. XI. VII b Quando i vièti ri nostri orni de Taggia Che cosci anco Benaja 0 giastemava, Chi se morde re die e chi s’ arraggia, Chi V un V antro re arme i s arrobava : I eira tutti imbriaghi da ra raggia. Tutti i piccava e tutti i scioppettava, In fin eh’ i ri scacciali mezzi storti (?) Mezzi ranghi, spellai e ben stramortì. XLVIII 5 Com’ o, 6 Da ro logo. XLIX 3-4 E appena i fon fora dre porte insci I tri accomenzan tutti a g., 5 Per cosci san, chi ne, 6 pagherà, 8 A sciappasse ra testa e ro zervelo. L I Stroppiato, 8 Ra qua Scingosci o ghe levò var. Dopo questa ottava, il nis. ne ha una tutta sua : L a In tra cà de Benaja i ra portati Co a nova eh’ o n’ 0 gh' e nisciuu ferio 350 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA LI. Tré miria cinquecento ghe vegnì, Migle ottocento giusti gh’ arrestàn, Chiù d’ ottocento se n' andàn ferì, Senza tant’ arme, eh’ elli ghe lascian ; Ghe fen honò, ch’ i ri fen sepellì Intro sagrao; mà tutti i ri accampàn Inseme, per poè d’esta vittoria Mostràne à tutti perpetua memoria. LII. Quei, che fuzeuan via criauan pù, O Taggia no t’ hauessimo mai vista, O quan o cara ancuoi ne costi tù, O che dì lagrimoso, e giornà trista, No te vegnìmo zà per vè mai chiù, Stateghe pù ben larga, e ben prouista, O n’ è ben parso doze, o che bordello, Esta vouta cozzi ro moscatello. LUI Se mi vorresse mai dì per menùo Ro varò eh’ hà mostrao ra nostra gente, Re cianchie ghe vorrea de Giamenùo, E ra loquella de Poretto Asdente, Me ghe sereua andaito chiù d’ un scùo D’inchiostro, e de papè seguramente. Basta, che ro Louetto, e mà dra Serra Criàn tutti a’ derrèghe quei dra Terra. LIV. Ro mà dra Serra, e ro mà dro Louetto ? Ghe vegne pù ro tirro, e ra seccaze, Ghe vegne pù ra rampa, e ro songietto Ghe vegne pù ra rogna, e ra grataze, Ghe posce pù crouà ro figaretto, Ghe posce pù vegnì ra barlugaze, In concrexion ghe posce pù schiattà Ra minza, ra teretta, e ra corà. Dri nostri patriotti, e i se ri andari Dopo ave V inemigo stramortio. E quando da ra so Braja i trovati Ro Genera eh* anco o moveva o dio, I se gh3 allanzan tutti come cai : ’ N oo vorremo ciù vesse de dettai3 (forse quest’ ultimo verso è da leggere : no voremo ciù vesce, dedenai ! LI I zinquez. o ne. LII 7-8 Ve g ni Agramante testa de coglion, Ch! o moscatello o te parrà ciù bon. LUI 7 ~ & Ma i savei ben, tutto o no se po dì In omo solo e un com a son mi. LIV 1-6 C1 o vaghe pu ro Turco mala detto, C o ghe vegne ro fruscio e 0 ma da prea, Ghe vegne pu ra rampa e ro songietto R o ma dro miserele a ra correa ; Ghe posse pu scioppà ro figaretto, Poscie fogo pigliò come ra tea. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 351 LV. Ghe vegne pù in tro corpo una Zagaglia, Ghe vegne pù re viue in tre bielle, Poscella esse bruxà quella canaglia, Poscella esse rostìa si ne grixelle, Poscella esse squartà quella marmaglia, Poscella esse mangià da re criuelle, E se ben de dì mà me ne fà fè, Ghe posce pù marzi tutto Γ affé. LVI. Ch’ imparen donca tutti i belli humoi, A spese d’esta gente accouentà, A vegnì a comenzà d’in tri vallòi, Per puoène poi meglio assassinà Quand’ i nt. fosson zoìnti a’ i bastioi Con tutte re se forze, e ra sà armà, Perch’ a ghe mostreremo à tutti quainti Ch’ han à fà con dri huomi, e nò con fainti. LVII. I se creuan sti nesci, e sti menchioi Vegnìne à scarpizà come ra terra, Mà à gh' hamo faito vè da Sordatoi Se l’è aotro, che portà poirotto, e serra. E s' ò n’ eira re donne, e ri figliòi, Che ciangean forte pe ra nostra Terra, Soro un de quei menchioi no ne scappaua, Mà tanto ciange assai ne desconzaua. LVIII. Se creuan sti sonagli, à dira giusta, Vegnì a brauà com’in tre aotre terre, Mà mi ve zuro ben, si à ra fè giusta, Ch’ i no vuon mai chiù fà d’este tae guerre. I se ne fuzèn via com'una fusta Xù verso re Bruxae, verso re Berre, (i) E poi passàn verso ro Castellà, Per vè s’ i se poean recouerà. LIX. Mà oxù de grazia mettemora lie, Mi vorrea soramenti in pò sauè, Che cousa i penseràn tra d’ elli e sìe, S’ o ghe fà prò d’ esse tornai in derrè, Mà 1’ è ben bella zò, 1' è ben da rie, LV 2 -vegne 1’ antimonio, 4 sciù re, 8 o co marzi con ro pere. LVI I impeti'*, 5 fosse, 6 re so, ra so, 7-8 I ave rea visto eh’ i ha da fa con Taggict E quanto a faccie fà, quand’ a s’ ortaggio. LVII 1 creva, 4 Ch’ a manezzamo a sciabra come a serra, 7 de sti ladroi no ne fuzzeva, 8 troppo ο n afflizzeva. LVIII 1 sti son. accoventai, 3 Ma cosci in coita i son ben eaminai, 5 /7 accciminendo i se ne son montai. ( I ) brtixae, ben e. 352 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA S’i ghe son restai mezi in fe de Dè, Mi m’intendo tramortì sepellì, Trà stroppiai, trà guerzi, e trà ferì. LX. Mà son zà stanco de tanto cantà, Per zò voglio finì per auò chi, Andemo donca presto à saruà Nostro Segnò co ra sà Maire e si, E Sant’Andrea, che n’ hà voxùo aggiutà Marauegliosamente infesto dì, E San Beneito nostro patrioto, Andemoghe à fà tutti carche voto. IL FINE. LETTERA DI NOFASTE SORSI SCRITTA AD UN SUO AMICO, CON LE RISPOSTE, CHE FÀ AD ALTRE LETTERE SCRITTE DA’ MALIGNI I. Lettera scritta all'Amico. Messè Prè Piro Zane à me rexouro Con voi, perch’ i me sei parente, e amigo, E me sei caro chiù eh’un motto d’ouro. Sacchiei donca, ch’ à son dentr’ un’ intrigo, 5 E no sò quando me ne leccerò, E me prego chiù tosto à coglie un Figo. Mi no poscio sauè se mi hauerò Ra patienza, che me ghe vorrea, Con tutto zò à soffrì m’inzegnerò. ίο E per no fà carche maccarronea, O carche grossa bestialitae Mi no porto de fuso a ora correa, Dre Lettere mi hò visto in veritae Staite scrijte cozzi à Paisai 15 Chiene d’inuidia, e de malignitae. Ra prima contegnìa dre chianchie assai, Che ra me historia n’ eira stizza bella, LX 2 fignì, 7*8 E andemw tutti a appende carche voto A San Benento nostro patrioto. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 353 Perche troppo l’hauea brutti parlai. E che sereua staito meglio s’ ella 20 Fosse staita composta à ra Toscana, Senza stà à di de quei dra Cittadella. O veramenti faita à ra Romana, Perch’ à sto muoo à ghe piaxerea, Mà à ro muoo, che Γ è faita à pà villana. 25 Ra seconda da poi così dixea, Che 1’ eira bella quanto se può dì, Ma che giasteme assai lasciao gh’ hauea. E che deueua azonzeghe ben mi A re giasteme anco ro mà dro buò, 30 E ro mà de San Lazaro anche sì. Ra terza, eh’ è vegnua puoi de de fuò Scrittame da un’ amigo affettionao Dixe, che Ser Zerbin vè no ra può. E quando quell’ amigo hà demandao 35 Cosa ghe manca, ch’à non ghe piaixe No gh’ à sapuo de xù buttaghe sciao. Ra quarta poi, eh’ assai me despiaixe Dixe, eh’ intro Porciè donde se balla, Se fè remò, ni mai se voxe taixe. 40 E ghe fò un eh’ hauè negro una spalla, Portando gran perigo esto cozzi De no poè mai chiù zugà à ra balla. Ra causa dro remò, che se fè lì Non è, così à ro vè, che se zugasse 45 Ni à Motta, ni à Mancauda, ò à Siribì; (i) Ma pà chiù presto, che se lamentasse Dra gente assai, chi se trouaua offesa, Ch’ in te 1’ historia à no ri mentouasse. I amighi poi, che voxen fà defesa 50 Dixen rà mè raixon con tanta stizza, Ch’ ò ne è vegnuo questa si gran contesa. Che ve ne pà Messè? gh’elio chi attizza Ro fuogo de buon cuò sottra paella Per frize ri frexuoi co ra panizza? 55 Ma à ghe n’hà dijto, che Vincè dra Bella Nò se ghe retrouà per quella seira, Manco ghe capità Vincè dra Stella. Vorreiu ben sentì sonà ra leira Chiù ben, che no sà fà ro siuorello 60 Imperià (2) sottri cettroi dra Teira. De chiù s’ ò gh’ eira Vincè Barixello Vorreiui vè carche persona morta, ^(1) Punto interrogativo la St. ,2) Imperiò, nome di persona; Teira, di persona o di luogo? 354 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA L1CURIA E se vorreua fà carche maixello. Eirelo, meglio, eh’ in tra Cà dra Morta 65 Mi fosse andaito à fa dro corpo duro, O mangià con Beglin formaggio, e torta? (1) O sereua ben staito chiù seguro De lascià andà re historié, e re lezende, E dighe à tutti, mi no me 11’incuro. 70 Perche s’hauesse atteso à re merende Senza vorrè cercà tante raixon Mi n’ hauerea nexun chi me reprende. Ma donde vago nè? mi son pù buon; Donca darò ad intende, eh’ hò pessè 75 Dre chianchie bestiae d’esti menchion? Dijghe da parte mea, caro Messè, Com’ i serei lazù si na vacchetta, Ch' i lascien stà s’ elli no ra vuon vè. E fai vegnì con voi Mastro Moschetta, 80 E Zouan Boarè, con Lazarin Ro Bresca, anco so frai Vincè Rauetta. E s’ò fesse besuogno anco Beglin, E Benaiotto, con Domè Ghirà, Bellocchio, Antogno Peiro, e Scattolin. 85 Andai con esti, e poi lasciai ragnà Chi vuò ragnà, perch’ esta compagnia Mi v’ asseguro, eh’ à ve seruirà. Perch’ i son tutti una figliola mia, Son Cricca da 1’ amigo, e me vuon ben, 90 E m’ han sempre mostrao gran cortesia. Lezeighe donca quanto se conten Int’esti versi c’hò scrijto de sotta; Ni ve pigliai fastidio de nien, Perch’ i vorrei sentì una bella botta. II. Risposta fatta alla prima lettera. Voi; che no ve piaixe Aigua dro Beo, Ni manco dro Bracchi, ni dra Fontana Dro Roglio, de Benaia, ò dra Soruana, Ni quella dro Pozuò, ni dro-Liccheo, (2) 5 Ni quella fresca de Giancolareo, Ni manco ve piaxe andà à rà chiana, Co ro battaglio grosso dra Campana Mi ve voglio inzuccà com’ un Craueo. Ch’Aigua (dimero un pò) vorrexi voi? ( i Allusione oscura. Pare voglia dire : non era meglio che morissi o, se non altro, che mi contentassi di pensare a spassarmela cogli amici, mangiando e bevendo ? — (2 Punto la St. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 355 io Quella dra Giaira de Firenza, ò pù Drò Teuere, eh’è la veixin à Roma? Ma i no viei Messei cucurucù, Che storbora è così st’Aigua, eh’ addoma Tutti ; e quella (i) vegnì fa ri doroi ? 15 O com’i sei menchioi. Sacchiei, eh’ à chi n’ è nao in quei paesi Ghe fà crià lanterne, e lumi appesi, (2) E ri fà stà destesi. Mi, quanto à mi, mi no ne vuoglio beue, 20 Ch’ à me farea bruxà chiù [che] ro pene, (3) E così ogn’ un fà deue. Ma voi, eh’i sei insciai d’ambition, I vorrei beue zò, che no v’è buon; (4) No starei mai in ton, 25 Che no gh’ è pezo com’ à varia Tutto ro dì ro beue, e ro mangià. (5) Corpo de Montemà, (6) I no viei (à ro vuoglio pù dì) Che tutti à ve fa stà descolorì 30 E pagliei reperì. Ma ve ro meritai, lerfe de cù. (7) Lasciai l’Aigua de l’Arno, e drò Perù, E dro Teuere pù, E re vostre Taggiasche apprexiai 35 Che fan fà grosse zucche in zù à ri Prai. (8) Se nò tanti parlai Conosce ve faran per gente doggia Ch’ i staghe un pò in Terrazza, un pò in ra loggia. De chiù con carche agoggia 40 Ve ponzeran ra lengua, e ve diran Chiù pezo eh’ i no dixe à Barraban, E ve stropieran S’ i ve mette à derrè Gianchina Porrà, Zezzeria, ro Mottina, e ra mè Borra, (g 45 Non ghe serà zà morra Ma mostazzi, e mascae d’un cantà l’una S’ ò ghe s’ azonze (10 e sì ra Pampaluna, (1) Leggerei qic ella, cioè eh’ ella. 2 Cioè: gli fa vedere le stelle pei dolori di corpo . (3 ! chili ro peuè la St.; ma è evidente Γ errore, anche solo dalla rima. ( 4 La St. solo virgola. 5; Virgola la St. 6) Luogo vicino, cfr. Ili 40. <’ 7 Virgola la St. (8) \'irgola la St. 1'q) Qui è una virgola, ma è luogo di difficile punteggiatura. : io Qui è una virgola. 356 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Mariora ra Bruna, Manuò Pauona, eh’ i pà una saetta, 50 E ra Perrotta, e Madan Sauolietta, E de chiù ra Gnaugnetta Ch’ è in colera con voi de veglio assai, Perch’ i fossi alianti) si accouentai, Ch’ i mettessi otto pai 55 A faghe dro pancotto à ro Mario, Una seira, che 1’ eira amarotìo. (1) Si ben la v’ hà sboìo, De chiù ve sboiran d’ accordio quando I saueran, che voi stai raixonando, 60 Per nò dì mormoirando Che ro parlà Taggiasco così bello V’ imbarlugha ra testa, e ro ceruello Chiù che ro moscatello. A ra fè nò, eh’ o n’ imbarluga mi, 65 Mi son Taggiasco, e ro voglio morì. (2) Che me poeiuo dì ? Ch’àdigo Paire, Maire, Frai, e Suo, Vincè, Domè, Lorè, Zane, e Manuò ? Mangio in tro me pairuò, 70 Ni fazzo come voi, eh’ hauei ra gora (E un dì ve vuò caccia tutti in malhora) Larga com’ una mora. Vorrei parlà (mi me ne rio pù) Con ceceri, e faggiolli, anco per più, 75 Daimene si no cù, (3) I no viei, eh’ i no parlai Roman, Ni Taggiasco, Zenese, ne Toscan; Ma parlai da Quanquan. Mi hò ben sentio dì che chi se veste 80 Drà robba d’ aotri presto se desueste ; De gratia notai este. Sauei zò eh’ una vouta dixe chiairo Messè Pouro Foglietta huomo sì rairo ? Ma de gratia notairo, 85 Chi con ra lengua d' aotri vuò parlà S’ assemeglia à una Donna inspirità. (4) (1) Nessuna interpunzione. (2) Nessuna interpunzione. (3) Cfr. p. 368. (4) ϋ noto il Sonetto del Foglietta, p. 71 g., contro 1’ italianizzàmento del dialetto genovese : Ri costumi, e re lengue homo cangiò Puoe che re Toghe chiù n’ usemo chie, Che galere dighemo a re Garie, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 357 III. Risposta alla seconda lettera. Mi no me maraueglio à ro boindena S’ allantò re me oreglie me cornaua, Quando così arraggiao mi giastemaua S’ a me sentia de chiù mangià ra schena. 5 No me ne maraueglio in fe de Dena, Perchè l’eira un che me mentionaua, Ch’ hò lasciao intra lezenda, ò s’ ostinaua, Dre giasteme Taggiasche una dozena. Ma menaimero à mezo esto cozzi, io Ch’ hà tanta vorontae, tanta couea, Che mi giasteme zìi à botte, e barrì. Che te vegne ro Zembo, e ra Louea, Zò eh’ à n’ hò faito à elli à vuoglio mi Fattero hauora à tù, ch’hai fazza ebrea, r 5 Che te vegne ra Prea. Te vegnisse ella pù de muoo tà, Che besuognasse, che barba Cottà Te ra vegnisse à trà. Che te vegn’ una ronca, e ri sehiatelli, 20 Và à cerca dri borei, e dri merelli, O xù pe ri canelli Và à coglie ri ramponzi, e re lumazze, O à portate à cà legne, e poazze, Mangiauò de fogazze. 25 Te vegne ra peuia, ro mà dro bò, Poscello gragnorà sor’ intro tò. Te piaxello hauò ? Senti mastro Cottà, mastro Ciamporna, Mi hò vorontae de rompete una corna, 30 O fatte andà à Ligorna. (i) E frad elli digheino à nostri frè. E scarpe aneon digheino à ri cazè E insalati,ma à 1’ insisamme assie____ Ma il Foglietta non parla di donna inspirila, nè qui nè in un altro passo di p. 43, che è nondimeno quello a cui allude il Rossi : Mi son Zeneixe, e Zena ho sempre amaou, Però parlo Zeneixe, in lingua mè, No in lengua d’ altri conio i inspritè. Cfr. il Rossi, ai vv. 65 sgg. — Sullo stesso argomento si può anche leggere, in fine della raccolta del Foglietta, pp. 185 sgg., una poesia di Todaro Conclietta (Giuliano de’ Rossi,'. (1) Forse è un modo popolare o gergale, d’un tipo assai connine, per dire : ‘voglio farti legare’. Vedi, nel Foglietta, p. 120, zeimo a Shzzttoe, da stizza goccia ; vale a dire : ‘pei la burrasca grondavamo acqua’. 358 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Eiritù sborgno, che ti n’ hagli visto, Pezzo de mascarzon, cieira de tristo, Se mi son staito auuisto A giastemari co ro mà dro bò, 35 E dre pezoe giasteme dighe ancò ? Ma zà eh’ à vego hauò, Che ti matezi, e sei senza ceruello Van' à piglià ro Sacco, e ro Rastello E così bello, bello, 40 Và xù in Giancolareo, ò a Montemà E lì comenza un puoco à giastenià ; Quando ra lenzorà Ti no porrai inchì, ò ro tò sacco, O vate à fa frustà da Andrea ro Bracco. IV. Risposta fatta alla terza lettera. Senti mastro Zerbin, vouzite in zà Tu che te pensi d’ esse Arcipoeta, E chiù sacchiuo, che Vincè Gaglineta, Che con tu voglio un poco raixonà. 5 Mi te voglio de cuò rengratia, Te voglio presentà mi una conchetta, (1) E un vernigao de buse con 1’ aigueta, E te voglio dà beue int’ un cozzà. A che scora eit’ andao ? dimero un pò, 10 Dimero se ti vuoi, mastro Zerbin, Per vita toa fame esto piaixè. Cagna ; t’ hai ben impreso dro latin, Ti ei deuentao chiù grosso, che ro bò ; E ti vuoi sindicà re historié me? (2) 15 Ma mettite derrè Sti tuoi sindicamenti, e ste ta raggia, Che ra me historia squasi a tutto Taggia Fia à quei, che dixen paggia A ra paglia (3) gh’ è tanto piaxùa, 20 Che portara con elli i 1’ han voxùa. Ma tu bestia cornua, Come puoi tu giudicà zò de drijto Se ti n’intendi stizza ro mè scrijto, E chiù dro brazzo drijto (1) Forse allude a un modo di dire, vivo tuttora a Genova, che si usa per schernire chi la vuol saper troppo lunga, e specialmente i bambini saccenti : t’ é u puéta Cunchetta, c’ tc I’ à missu V Umidita:’ int’ i pussi. (2) La St. Bò, Sindicà; e qualche majuscola ho soppresso anche altrove, ο 1’ ho aggiunta, per maggior chiarezza. (3) Vale a dire quelli che parlano il taggiasco con affettati genovesismi. GIOKNAI.E STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 25 Ch è quello, che fà fà re couse ben Essendo tu mancin non ne fai ren ? Per tà tutti te ten l\Ia pezo assai de chiù te tegno mi, ’Ch’ à te tegno per un così così, 30 Ma mettemora lì. (1) Vuoi tu, che mi te mostre una recetta? No stà a cercà chi hà ra camixa netta. (2) M’intendi tu, Stacchetta? T’ haueressi voxùo, che mi ro sò, 35 Che mi ri tuoi gh’ hauesse messo anco, Ma non farò zà zò. Pezzo de carne con duoi ogli, tera, Vate à sottera, ò vate à vend’in fera, O zogà à pè, ò mera. 40 Cieria de mascarzon, cieria de grotto, O vate à fà tra un boglio à Benaiotto, Pigliate un cauallotto Và là, eh’ à te ghe chiamo, o te vuò ben Leuàte re morette elio d’in sen. (3) 45 Zò, che hò dijto è nien Te voglio fà ascoxì, te voglio mette Gente à derrè, chi te farà desmette Tutt'este toe chianchiette. Te vegnirà à trouà ra (4) mè Baccialla, 50 Ra Gambetta, Cremenza, e ra (5) Costalia, Ra mogliè de Madalla Quella lengua affirà dra Reuidona, Ra Giachetta, Besina, e ra Micona, E ra mè Calidona 55 Ra Fighetta, Margheira. (6), e ra Pcttfa Ch’ eira mogliè de Dome Scogozìa, Che sempre ragna, e cria, E ra Gallona, e si quella gorazza, Ra Garra, Berreteira, e ra Besazza, 60 Te rompiran ra fazza. Pensa à li caxi tuoi, stà donca queo, O và à zugà à re biglie à l’Arbareo. ( I ) Nessun segno d’interpunzione (2) Nessun segno d’interpunzione. (3) Aggiungo il punto; ma questi λ-ersi non lasciano d’essere oscuri vocaboli c specialmente per le allusioni, che non intendo. (4) La St. ta. (5) Anche qui è ta. 11 t e il r sono molto simili nella St. (6) AJatgheira. 3ÔO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA V. Risposta fatta alla quarta Lettera. Mi poscio ben canta quella Canzon, Tu senza Paire, e mi senza Barban E Fermo senza Zucca, imperche fan Conseglio contra mi fi ri canton. 5 Massi m’intro Porciè barba Catton, Barba Firpo Venè, e Antò Tian, Perch’ i voxen menà tutti re man Senza pù stà à guardà s’ i hauean raixon. Seguro ghe vorrea ro libro grosso io De barba Peiro dra me Larietta, A di (ne ghe starea) zò eh’ è seghio. Ma mi ro dirò pù cosi à ra schietta: (i) Gh’ eira Giuda, Micon, Pouro ro grosso, E certi herei de barba Antò Moffio. 15 Gh’eira què reperio De mastro Zan Pecchion, gh’ eira ro Cierra Chi no lascia rien caze per terra. Se ghe trouà à stà guerra Golin, Domè ro Merlo, e Formaggietto, 20 Marchetto Borro, e Battestin Giacchetto, E ro Fi de Piretto, Ghigliè Cireisia e si què sperlenguao, Piron, Vincè Bodè, e Antò Corrao, Ro figlio de Sciorao, 25 Giacomadorno, e Zane P^ntasina, Lorè dro Veglio Fi dra me Maitina, E ro Fi de Pirina Dre neggie, che vendea ri canestrelli, Ro Fi de Zan Besin chien de schiatelli 30 Per tutto, e à ri parpelli. Filippo Gaglinè tutt’ arraggiao Descauzo vegnì lì, desgambatao, Si ben no può ro sciao. E assai dri aotri, che mi taixo hauora 35 Per no zogà ro mè, ne andà in malhora, Allargauan ra gora Dighendo, che mi hauea ben faito mà Gente de tanta sciorta, e de tà affà No ri mentionà. 40 Mà i attrouan ra scarpa da so pè, Che ghe fò fao tornà tutt’ in derrè, E ghe lascian dro pè. Ma vegnì un pò cozzi, perche vorrei, Se ro terzo de noue no fò trei, (1) Aggiungo i due punti. CIOKNALE STORICO E LETTERARIO UKLI,A LIGURIA 45 Come voi ben sauei, Che mi ve mentione intra lezenda ? A diuero 1’ è ben cosa stupenda, E què eh’ è pezo horrenda, Che dri vostri nexun mentri no gh’ eira, 50 No ri deueua mi metteri in teira. VI. Essortatione a Bellocchio. Un seruixo vorrea, Bellocchio caro, Che si na porta dra me Mariora I ne cantassi esto strambotto amaro, Che me pesa assai chiù, che grossa mora. 5 E cantaighe de chiù quella dro Maro, E fai che barba Antò què de Triora In gratia mea se posce adormentà Sorua dro vostro delicao cantà. VII. CANZONE, (ij Pigliai’ essa Giamenuo, Pigliat’ essa Antò Sagata, Ite atta interrogata, (2) Perche 1’ è boccon porpuo. 5 Pigliat’ essa Giamenuo. Quello Amò, che và imbindao Senza veste, e senza braghe, Sempre dixe daghe, daghe, Tanto 1’ è contra mi cruo. 10 Pigliat’essa Giamenuo. O se caccia intro ceruello Què Fraschetta, e què Piscè, Quello Guerzo, e què Caghè Quello, che sempre và nuo, i 5 Pigliat’ essa Giamenuo, Co re arme, e co re frecchie De vorrème bersaglià Rouiname, assassinà Esto matto forzeluo, 20 Pigliat’ essa Giamenuo. E se ben ò me ve affri-jto Se ne goude, e se ne rie (3) D’ este mee marenconie Esto lairo, esto stopuo (1) Questo componimento è quello annunciato dal precedente. (2) Così la St. — '3) Punto la St. Giot-n. St. e Lett. della Liguria 362 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 25 Pigliat’ essa Giamenuo. Sachie (1) pù chi me vuò ben, Che per esto gran tormento Che tutto ro dì mi sento, Com’ un fonzo à son vegnuo, 30 Pigliat’ essa Giamenuo. Che fareua à sto arraggaio, (2) Che fareua a sto merdoso, Che fareua a sto sbroglioso De spuà chiù dooze spuo ? 35 Pigliai’essa Giamenuo. No ghe crei s’ ò ve promette, Perch’ ò no v’ attenderà, Che così spesso à mi fa Che 1’ è un fantin de velluo ; 4° Pigliat’ essa Giamenuo. Re se gratie, i suoi fauoi O ri vende a peso d’ ouro E s’ ò da carche rexouro Ve ro vende a ro menuo, 45 Pigliat’ essa Giamenuo. Ve farà costà ben caro S’ò se muoue à xorta, e à caixo, E si ò ro farà à bellaixo S’ ò ve da carche saruo, 5° Pigliat’ essa Giamenuo. Zà, che donca esto nescieto M’ è contrario, à voglio andà A negarne a sotterrà Per esto becco cornuo, 55 Pigliat’ essa Giamenuo. Che s’ è cosi crùo garzon Che farà com’ elio è grande ? Voglio andane in aotre bande Ne chiù vè sto merdosuo, 60 Pigliat’ essa Giamenuo. IL FINE. (1) La St. sachiè. [2 1 Probabilmente arraggiao. \ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEL.LA LIGURIA 363 APPUNTI DIALETTALI (i). I· Ortografia. Suppergiù è F ortografia genovese, con le differenze rese necessarie dalle peculiarità fonetiche del dialetto. Il fatto più notevole è 1’ uso del dittongo uo, o talvolta del semplice o, pel suono o (eu francese). Nel genovese anteriore al secolo XVI, per o si adopera sempre o; nel Foglietta è grande 1’ oscillazione; per es., nelle prime pagine, me trouo io, confogo : fogo : logo il, fogo 12, moro 12, doggia 13, chioue : croue 14, ecc , accanto a fuò, può può, cuò cuore 11, duo dolore: fuò : cuò 12, e inoltre a sue suoi 9, puoe fuoego 10, cuoe cuore 11, ecc. Il Cavallo invece, fin dalla prima edizione della sua Cittara Zeneize, che è del 1635, adopera di solito oe, e talvolta eu, tioe ; e così in certe poesie manoscritte, e in gran parte inedite, del savonese Mulazzana, composte negli anni intorno al C1) Questo spoglio, e il Glossario che segue, non si rivolgono propriamente o solamente agli specialisti ; quindi non rifuggono dal ripetere cose note. Ad ogni modo, gioverà tener presenti e il lavoro del Flechia sull’ antico genovese, Archivio glottologico italiano, Vili e X ; e i miei Studi liguri, che comprendono 1’ esame delle antiche carte latine di Genova, il dialetto antico e il moderno, ibid., XIV, XV e XVI. — Per le citazioni che avrò da fare, avverto che gli esempi tolti dal poemetto L’antico valore, ecc., si riconoscono perchè seguiti soltanto da una cifra (arabica', cioè il numero dell’ ottava ; mentre gli esempi della Lettera, ecc., sono seguiti da una cifra romana e da una cifra arabica : il numero cioè del componimento e quello del verso. Pel manoscritto Rossi, mi servo della sigla Mr, accompagnata dal numero dell’ ottava ; ma basta un semplice Pr. per la Prefazion, riportata a P· 336- —- Aggiungiamo che 1’ edizione del Foglietta da me adoperata è quella di Forino, 1612, che s’intitola Rune diverse, in Lingua genovese, ecc.; e 1’ edizione del Cavallo è quella di Genova, 1665 : Ra Cittara Zeneize, Poexie de Gian Giacomo Canallo. In questa nuoeua restampa de chiù Poemi accrescioìia (sic). Se m’ accada di adoperare altre edizioni, lo dico espressamente. Con Gerusalemme, il numero del canto e dell’ ottava, si cita Ra Gerusalemme Deliverd dro Signor Torquato Tasso, tradùta da diversi in Lengua Zeneize; Genova, Tarigo, 1755. Qualche volta mi accadrà di ricorrere anche alle Rime genovesi della fine del secolo XIII e del principio del secolo XIV, cioè alle Rime del cosiddetto Anonimo genovese, la fonte senza paragone più copiosa e pura della nostra conoscenza del dialetto genovese e ligure nei secoli XIII e XIV. La maggior parte di esse furono pubblicate dal Lagomaggiore nel vol. II dell’Archivio glottologico italiano, pp. 161-312, e le cito con RL, il numero del componimento e il verso; le 364 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 1620, è appena possibile trovare due o tre 0, uo, per ò. Ciononostante io non dubito punto che nell’talvolta o, del Rossi sia da riconoscere un vero ò, eh’ è l’odierna pronuncia di Ί ag-gia: es. ancuoi 20 od. ancói, genov. anco, pair or a pajuolo: sora suola 45, puouo popolo 48, muoo modo 1 23, are. genov. mon, plur. muoi 16, buó bue I 29 (1), vuoglio 11 19, acc. a voglio li 65; IV 5, ecc. La riprova l'abbiamo nel fatto stesso dell alternarsi di ho con 0 : voglio, odierno vogliu, genov. vffggiu, coglie cogliere, od. cóglie, genov. còggie, e altre forme consimili, — nelle quali il dialetto ligure ha o davanti ad una palatale, mentre l’italiano conserva 1 '0 schietto aperto —, se veramente avessero avuto il dittongo uo, sarebbero state scritte sempre o quasi sempre con esso. Invece, mancando all’italiano un segno per I’ ò, il Rossi, come il Foglietta, e come in genere i primi poeti dialettali dopo il Rinascimento, adottarono all’ingrosso per le singole parole la grafia toscana: uo dove in toscano c'era uo (fuogo, luogo, cuò cuore, fuora, vuoi, ecc.), 0 dove c’era 0 (1voglio, coglie, ogli occhi, odierno ogli, genov. oggi, poi, od. poi, cfr. genov. dapo , otto II 54, pancotto II 55, mora mola II 72, genov. tuo a, da mòra, nome pr. altre furono pubblicate da me nel vol. X, pp. 109-140, c le chiamo RI' (non sarà inutile avvertire che in questa edizione del VArchivio glottologico tono comprese anche le poche poesie già pubblicate dal Bonaini nel 1847, nell Archivio storico italiano, e che 1’edizione del Bonaini non ha più nessun valore). — In fine di questa lunga nota, voglio ringraziare i cortesi che colle loro informazioni sul moderno dialetto tabbiese e su altri dialetti vicini mi diedero modo o di verificare in singoli punti Γ esattezza di certi miei antichi spogli, o di spiegare con sicurezza molte delle parole del Rossi, che vi\ono ancora. In primo luogo ricordo, per la loro inesauribile cortesia, il Sacerdote Prof. A. Vivaldi. Rettore del Seminario dei SS. Giuseppe e Antonio di Padova, in Arma di Taggia ; e il Dr. Enrico Ramondo, di Pomassio (Pieve di Teco , residente a Torino, valente cultore, non solo della medicina, ma degli si udii linguistici ; il quale mi procurò anche I’ aiuto del Prof. Bnzio, di Taggia, Direttore di Scuole Comunali, a Torino. Inoltre il mio insigne collaboratore, il Comm. Gerolamo Rossi, di Ventimiglia, e il mio vecchio scolaro e giovane amico, il Prof. Alfonso Lazzeri. (I) Son si può escludere però che in qualche luogo bui), o almeno bò IV 13, valga proprio bò. eh’è pur l’antica forma genovese (cfr. Ungua de bò, òggi de bò, che si dicon tuttora). Il plurale era bòi, donde si trasse anche il sing. bò, che potè per molto tempo coesistere accanto alla forma originaria. Oggi a Taggia bò, plur. bòi. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 365 Rellorio 40, cfr. genov. relòju, ecc.). Le oscillazioni sono dovute in parte all’ antica abitudine di scrivere 0 dappertutto, e questa abitudine può talvolta giovare a far parer buona all’occhio una rima cattiva per l’orecchio (faixoi 4: maccarroi: caroi; noua i 5 : prona, in rima con coua coda, cioè cuva; qui veramente influiva pure il desiderio di sfuggire grafie come pruoua, ecc.): cfr. § II. I^e oscillazioni del resto non mancano neppure all’italiano. È naturale però che da una tale varietà di procedimenti nascano incertezze e incongruenze; cosicché, per es., il Rossi scriverà sempre besuogna, per besogna, dove l'italiano ha 0, c anche besnognose, od. besogttuse; e arriverà perfino ad estendere 1’ uo a qualche vocabolo che ha uo in italiano, ma 0 schietto nei vernacoli della Liguria: huomo huomi, buon buoi, a Taggia sempre bon boi (genov. bun buin), probabilmente può I 26, oggi a Taggia pò, (donde anche all’atona puolue, 56, per pué ne, poterci); infine puoco III 41, dove si attenderebbe pouco (1). Si consideri che, essendo Γ o adoperato anche per I'« del dialetto, come si usa sempre anche a Genova {dorò cioè durü, dorai cioè durùi, so cioè su sole, ecc.), V uo poteva talvolta parere opportuno, non solo a rappresentare 1’ ò, ma anche io schietto 0. Più strano di tutti è duoi due 39, ora a Taggia dui; ma forse imita nella grafia il duoi dell'antico italiano (del resto il Cavallo ha vuoi per vui, curuoi, ecc. ; vedi mauoi § V 8). Si noti infine che Mr ha sempre soltanto il semplice 0. Altre particolarità grafiche meno importanti: ij pel semplice i, dijto I 55, affrijto VII 21, drijto IV 24: scrijto, dove pare si conservi la traccia degli antichi due i (dittu da dictu come faitu da factu): cfr. dtjghe I 76, dove ij rapprescnla anror più sicuramente due 1; anche oggi può scriversi tegniimt tenetemi, ma dittu scrii tu, ecc., si pronunciano con i breve, l.a grafia tj perdura a Sanremo. Cfr. p. 368 n. gl pel suono intermedio fra gl c j, che si sente a Taggia in meglio, ogli, ecc., cfr. § V 5. Anch’ io mi servirò di questa grafia. (l) Anche nei Sonetti vcntimigliesi del sec. XVII, pubblicati da AatlUÆ Seri, Studi bibliografici e lettera ri 1 Genova, 1890), *i trova puoco, p. 191, acc. a f>ouco. p. 192. In essi I* δ è scritto or, nonv : ont : chiome, votgtde; ma però Joglm, che nembra il nostro dòggia ,in rima con Paglia: aguglia: groglin gloria, cfr. qui il § II). Quanto a bon (benché rimi con macrorronj, ci dà l*csatn) rima con vocaboli in -uh, concruxon e raxort. Insieme colle poesie del Foglietta sono unite poesie di varii : una, d’ incerto, fa rimare pietosa con cosa, p. in (dove dunque è diversa e la vocale e la consonante, u: 0; s dolce: x aspro) ; Vincenzo Dartona, traducendo il primo canto dell'Or-lando Furioso, rima nò (cioè nu) con lasserò 144, rotta (cioè rutta) e sotta (cioè sufici) con botta, 145, ecc. Di simili inesattezze non è traccia nel Cavallo; ma la poesia genovese più tarda, così povera com’ è di coltura e di serietà artistica, fece suoi con lieto entusiasmo quei pochi esempi del Foglietta, e Martin Piaggio, ch'è considerato come la quintessenza di tutto ciò che può, nella sua grande umiltà, la Musa ligure, diede definitivamente la cittadinanza alle rime false di ó — u con ό — o (l). Che dopo il Piaggio si sia andati di male in peggio, non c' è forse bisogno di dirlo. Questo lungo preambolo vuol concludere che il Rossi è un pessimo rimatore : egli fa rispondere « ad 0, cosicché buon (cioè bon) rima con vocaboli in - un, Calidon, raixon, ambition, ecc., 23 ί 47 ϊ I 71 ; II 22 ! porro con morro (I. murtì) muso 5, morta con torta I 66; botta con sotta I 92, loggia (n) con doggia (η) Π 37, bò e tò con hauò (cioè arti ora) III 27 e 35, e sò con ancò (cioè ancu ancora) IV 35. Fa inoltre rimare 0 con 0: zò ciò: cuò (cioè co cuore) 13, e δ con u: noua: coua coda 15\ faixoi: maecarroi: caroi 4; ancuoi: noi 20; figliòt: menatoi 57; infine u con ti: sua (u) 31 : menu a (»). III. Fenomeni comuni col genovese del Sec. XVII. Alcuni dei fenomeni che troviamo in queste poesie del Rossi, erano sempre nel sec. XVII proprietà comune dei dialetti liguri, anche del dialetto di Genova. i. Il R semplice, intervocalico. Si conservò a Genova fino al sec. XVII, o almeno traccie sicure c copiose dell: sua caduta non si trovano nel genovese che un mezzo secolo dopo ; e nel sec. XVII ftioì a 1 I, cioè fi>ra fuori, vorremo vogliamo 12, /irà 14, mostrerò 16, Aora 19, cioè ura, ecc., si dicevano tali e quali così (I) Vedi anche la nota di p. 365. — Per fortuna, dietro I’ wtctnpio del Foglietta e del Cavallo, si continuarono a tenere distinti con Mifficente esattezza Ve chiuso finale, coni’è in i( ciclo, e 1’ e aperto finale, com'è in andia' andrei, cutr' voglia, ecc. ; e inoltre queste lunghe e le altre, dalle brevi : fri stri, tei »t, ecc., da fi ihi, fini finire. 3.68 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA anche a Genova (astrazion fatta da possibili differenze nella pronuncia del r, ch’era un r speciale, quasi senza vibrazione, com’è tuttora a Taggia e, più o meno, in quella parte di Liguria dove non è caduto del tutto). Ko stesso dicasi del r iniziale dell’ articolo, re donne, ri huomi e ri buzarri humoi i, e dell’articolo unito con preposizioni, co re ciù belle vittorie dro mondo Pr., in ra lingua 6, in ro confritto 48, pe ra via 49, sottra paella I 53, sottri cettroi I 60 (cfr. con ra fóssina Cavallo 81, dro vermasso 82, fin à ro fondo 83, intra Marinna 85, ecc.); e lo stesso ancora dicasi dei pronomi atoni, ghe ra lena 50, métterà metterla 14, creinero cre-detevelo 31, ecc. Ma, ripetiamo, mentre a Genova è caduto, a Taggia il r intervocalico si conserva sempre, colla sua caratteristica pronuncia, ed è caduto soltanto, fatto assai notevole, dopo un dittongo uscente in i: fora favola, sdxnru suocero, ecc., ma guai da guairi, merzaja, feja da feira fiera, pùja da puira paura, paje da paire padre, ciaju da cìairu chiaro, nòja da nòira nuora, ecc. — L’articolo è ora u, a, i, e, ma questa forma, tanto a Taggia come a Genova e in tutta la Riviera, fino a Mentone, risale, almeno in parte, a tempi molto antichi. In Mr la sua frequenza può attribuirsi al copista ; ma ricordiamo nelle Stampe si na terrazza 39, cioè scin (da sciün su, cfr. § V 9 a) a t., sulla terrazza, si ne grixelle 55, cioè scin e gr., sulle gratelle, iz' no cìi II 75, cioè scin o c., sul culo ; i quali son da confrontare coi modi genovesi in-u-Campu, ecc., già attestati fin dal sec. XI, Arch. glottol. it., XIV 12. 2. Gruppo NCT. Dal C si sviluppa un i (1), ciainto 1, da planctu, genovese del sec. XIII ciaintu, poi, riducendosi ai ad e, centu; zointe 9, e va qui anche cointà 43, perchè fu assimilato a questi casi; depeinto 10. Quest’ultimo fu propriamente tabbiese ; zuinte cuintà, come strapuinta, ecc., si sentivano a Genova ancora non molte decine d’anni fa e sopravvivono nei sobborghi; a Taggia tutti questi i sono scomparsi, zunte (1) Il CT è trattato a Taggia come a Genova, cioè diventa it : péitu petto, che era pur del genovese del sec. XIII, e così friiitu frutto : a Taggia si conservano, a Genova ci, ili si ridussero ad e, ü lunghi. Inoltre laite, che a Genova diventò, al solito, late. In tutto d’ accordo procedettero i due dialetti nel trattamento di OCT : prima oit, per es. oitu otto, poi otu, e finalmente, coll’ abbreviamento dell’ o, oitu. Ma a Taggia s’ abbreviò anche it, dittu, genov. ditu, cfr. § I, p. 365. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 369 depentu, ecc , inoltre cianto, e così ha sempre Mr. — Aggiungiamo qui il gruppo NT, seguito da un i finale: questo propaggina, come si dice, un altro i nella sillaba accentuata : quaintì 56, da qiianti, nel Foglietta quenti (cfr. centn), fainti, nel Foglietta foenti (ma al singolare, dove non c’è - i, solo fante; 1’ od. fuentu, del contado, è estratto dal singolare. Per \'u, vedi p. 333 n. 1). A Genova ora si sente ancora grendi (e insieme, il femm. grendè), ma regolarmente grande: a Taggia non c'è più traccia di questa propagginazione dell’/. Cfr. § V 6 (i). 3· Perfetto. È scomparso dal dialetto ligure. Nel nostro Piaggio era già soltanto un ricordo letterario; ora, poi, l’uso che continuano a farne nei versi è d’un’artificiosità irragionevole. — Perfetto debole: 3a sing. fraccassà leuà 38, voà sbo-ghentà 45, 3a plur. addentàn 13, s’acciattàn 21, comenzàn tornàn 24, anddn 25, ecc. E questa 1’ antica e regolare forma ligure, e in generale dell’Alta Italia ; e ancora non era abbandonata del tutto a Genova sulla metà del settecento, come si vede dalla Gerusalemme (s’inarboràn 12, 95, circondati: arizzàn 19, 99, dondn 19, 100). Di solito però, nella Gerusalemme, - ό -όη, accomodamenti letterarii, che allora già trionfavano della forma indigena, e che sono i soli adoperati nelle opere dialettali di Stefano De Franchi (Chitarrin zeneize, 1772, ecc.), benché non vi appaiano con così fastidiosa frequenza come nei poeti po- (1) Particolarità fonetiche meno importanti, ma tutte comuni un tempo. — Il genovese conservò a lungo Va finale, preceduto da œ ; ma dopo il secolo XVI lo perdette in alcuni casi, dove il tabbiese si mantiene alla fase originaria : genov. arcaico, imperfetto indicativo e condizionale, avœa, ecc., •vurcca, oggi ava; - ^nel contado'!, vitrice’; Foglietta corvea, oggi cuce', ecc. Nel Rossi, anca deuéa ecc., 9 ; 24 (cfr. auean, ecc.) ; vorrea 53, 59 ; sea, sia, 6 (cfr. a Genova cJii-se-sa·'), cotica Glossario. Ma si noti che questi sono a Genova tutti e aperti, a Taggia chiusi, e così dicasi di nmnœa, Taggia munéa, ecc. Per contro, si pronuncia aperto a Taggia Ve (e breve latino) di prèa, mentre a Genova era tanto chiuso che divenne i : prea, garea neH’Anoninio, ma già nel sec. XIV traccie di pria. — cosa ghe manca I 35, così anche il Foglietta (Curioso coxi o coixi di Pr., che deve significar ‘cosa?’ e forse è da cos’i, dove i sarebbe il pronome) — dctiea 6 ; remò I 43 ; V 11,1 de man g ; fia à ΐorlo 7, inoltre 50, IV 18 ; cfr. fi a ro di, fino al dì, Cavallo 130 : a Taggia da fi à s’ è fatto fia (ma il semplice fi V 4), e si dice ora fia Cavour perfino C., fia da terra perfino della t., ecc.; -orde, ordine, 29, perigo I 41; insci, uscire, 16, inguale Mr 9 ; mit00 modo, ecc. 3/0 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA steriori. — Anche lasciassi, lasciaste, 2, fossi foste 42, amazzassi 42, ecc., era forma comune a Genova. E così dicasi delle altre coniugazioni, nonostante qualche naturale varietà : haué I 40 hauen 25; 27, poèti 12, fuzc'tt 58, beuén 7, cfr. andé Mr 38; inoltre, insci 15, vegni 8, vegnin 7. Al genovese vi, vide, vin, risponde ve vén 28 e in Mr viétt 30; 49 (cfr. l’od. se ti viesci, viend/i). Identiche, almeno in generale, a quelle del genovese arcaico, sono anche le forme forti: fó 48 fón 49, de diede 50 dén T,fé feti 34, 4^1 dixe disse (I. dfsce) 1 5, vosce volle 44 vox en (cioè vóscen) 12, póscen 46, messe mise 44, messati 29, scorse inseguì 42, ecc. 4. Altre forme. — Frequente nel Foglietta, e dopo, 1’ uso del verbo, unito, nelle interrogazioni, coi pronomi personali enclitici, come in e'iio, sei tu? IV 9, che me poeivo dì? Il 66 (vo, cioè vu, forma enclitica di vài: antico genov. vu ed «): no follo brauo? 37 (cioè fit-lu), te piaxélto III 27; invece, con un a finale si conserva l’accento del verbo: eirelo I 64 (i), solo però col pronome di 3e pers. : eiritù III 31. — Desinenze: le 3e plurali in - en, dell’indicativo e del soggiuntivo, indie, córren 14, soggiunt. staghen 19, voglien 12, lascien I 78, appaiono ancora frequenti nel Foglietta (scorren 28, poeren, paiono, 83, in-duxen 109, ecc., e soggiuntivo possen 109, ecc.). Non so bene se un fosson, fossero, 56, sia iin errore di stampa per fossen. — Per puon, l’od. pon, vedi § I; ma vuon 58, ecc., è senza dubbio l'od. vón (dal sing. vuò, cioè vó, cfr. l’italiano arcaico vonno), e questo vón è nella Gerusalemme e in scritti posteriori. IV. Fenomeni comuni col genovese del sec. XIII e XIV. — Il tabbiese, come i dialetti suoi vicini, s' è mantenuto in generale più vicino allo stadio originario; cosicché nell'insieme potrebbe considerarsi come uno specchio abbastanza fedele del genovese, quale si parlava nei primi secoli di cui abbiamo documenti, il XIII e XIV. E cioè soprattutto pei fatti seguenti: i. 1 gruppi vocalici si conservano inalterati, col loro accento originario: -ài, pensai pensate, abbottinài messi a sacco 12, dindi, frài fratello I 81, cfr. Arch. glottol. it., XIV 107 n., ( l) Per eira - lu. cfr. por/rve ■ lo nel genovese del sec. XIV, Ardi, glottol. it., XV 2, e nel sec. XVIII tirila, coll’e passato in i, per analogia di altre forme. Ma erano intatti anche a Genova pigliate, rompete, come nel Kossi VII 5; III 29: oggi a Taggia pigliate si sente acc. a piglile. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 371 digita. 4, faito 27, paire 35, ora pajc, lairo ladro VII 24, giaira II io, genov. gicva, chiairo : rairo II 82, ora ciaju, ecc.; cfr. tnaistru, dell’ od. dialetto, con - ai (nel Rossi, stè, per stài, e lasciè, per lascia/, 4, paiono genovesismi) ; - de, bestiài, bestiali, I 75 (cfr. parole best/t Foglietta 135), in/briagtie, veritde 2 7, cfr., con aé, paélla I 53, vivo (il genov. passò da pala a pnvcla, — e chiuso —, eh’è già nel Cavallo: seppure non è un francesismo); - dii, agg/utdo: fido, nato, IO,fossào: affatigào 23, ecc., cfr., con a/t, /tatto hauora, mangiattó, benché abbiano tra le due vocali in jato inserito un v, § V 8; inoltre, se si vuole, ηιαήη mattone, genov. mttn : od. tabbiese pescati, ecc ; -éu, Boréo 38, da boletu, cartéo 2, Ereixéo 2, da ilicetu lecceto, mentre in genovese - eu passa, per via di - e/i, (cioè - éw), in - ioti (cioè propriamente -józv) fin dal sec. XIV: cantoti αχού, ecc.; cfr. le odierne forme tabbiesi tenzeti tesce/ί (trisillabi), e i loro femm. tenzeùja, ecc.;- - et, sacchiéi sappiate § V 9 b, lezéi ecc.. mentre in genovese si ha éj, lezéj, ecc.; e così dicasi di ut, genov. -ui (cioè -wi), nui, vài, curiti colori. 2. - i finale conservato tuttora : ti éi o // sèi, § V9 b, genov. ti è, pei piedi, bar bei 39; ancuoi, oggi, 20, genov. are. ancoi,figlioi 57, ecc. 3. Gruppi di L con dentale ridotti ad a e dentale, cioè ALT ad aut, ALS ad aus, ecc. In tabbiese si resta sempre a questo stadio: autn1, soudu ; invece già nel genovese del sec. XIV abbiamo traccie sicure del dileguo dell’» proveniente da L. Es. del Rossi : aotri 3, saota 20, Tibaodo 36, voute volti 19, voute volte 24, vouze volge 16, vouzen 7, ecc. (ma votà voltare 18, cfr. § V 3). 4. Il riflesso del C latino iniziale o posconsonantico, davanti ad e, i (per es. nei latini centum, vincis) era nell’antico genovese z aspro (cioè ts), che nel sec. XV s’era già mutato in s schietto. I-o stesso dicasi dei gruppi -CIA - CIO ecc., e inoltre dei gruppi - TIA - TIO, ecc. Adunque, nel genovese del sec. XIII, le forme, conservate tuttora dal tabbiese, zentu cento, cauzetta calia, buzzu pozzo, suonavano perfettamente identiche, ma presto si mutarono in seniu, càsetta, pussu. — Nella consonante sonora corrispondente abbiamo il fenomeno parallelo : al G latino, davanti ad e, i, rispondeva, come nell’odierno tabbiese, z sonoro (cioè ds), che presto si mu'ò in s sonoro; zeru (ds) io gelo, oggi a Genova ztu (s dolce; ma lo z, ora segno ortografico del j dolce, conservò attraverso i secoli la testimonianza della pronuncia originaria); 372 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA così leze leggere, ecc. Lo stesso dicasi pei gruppi - GIÀ - GIO, per es. in ciazza plagea. Anche la consonante latina J ebbe lo stesso risultato, genov. zaziinà jajunare, mazzu majus, e finalmente anche il gruppo DJ, rnezu mediu. — Qualche esempio del Rossi: z sordo, zerca cercare, zo ciò,fazza facies 19; - z sonoro, zìi giù, barlugaze seccaze, la cui finale è identica a quella del genov. rusazze, cioè russagine. (Ricorderò lo z dolce del-l'od. anze asino). 5. Varii fatti morfologici. — raventre 18, sempre in uso a Taggia, cfr. RP VII 87 * A la gora e a la ventre Se dan li orni maramente », e così IX 300. — Pronome elio IO; 23, ecc., con elio 17, tra d'elli 59, à elli III 13, te vegnisse ella III 16, ecc. — Possessivo mea, sua, ma cfr. § V 9 a. — Presente hamo abbiamo 21; 57, ma ce n’è ancora qualche traccia nel Foglietta, 38; 61 : cfr. § V 9 b. — s’in-zegnaretno 12, ma di solito -er-, cfr. Arch. glottol. it., XV 25. — Notevole s'a diesse se io dicessi 25, pel quale è da vedere Arch. glottol. it., XV 24 e 30: a Taggia si dice tuttora così. — Participio: stao 32, vivo, cfr. Arch. glottol. it., XV 27, e foggiato su di esso anche fao 49 (accanto al regolare faito 48, sul quale sono poi a loro volta rifoggiati staito I 19, andaito 53), 6. Per gli indeclinabili, ricordiamo che noma ‘se non’ ‘solamente’, 10, 20, da non magis, è frequente nell’Anonimo’, e intorno ad esso è da leggere la nota del Flechia, Arch. glottol. it., Vili 372 sg. — Anche damentri (che) 22 (oggi damentre intanto), forma più completa di mentri, mentre, V 49, appare nell’ant. genovese: domentre (ove la vocale è l’originaria, latino dum-interim) o deviente (che), Arch.glottol. it., Vili 344; XV 40; e del resto è comunissimo negli antichi dialetti: si veda, a tacer d’altri, pel lombardo e veneto, Seifert, Glossar zìi den Gedichten des Bonvesin da Riva (1), p. 27. — Lascio stare, ira gli avverbi, ancó ancora, e lascio stare anche 1’ -i della desinenza - menti, veramenti I 22 (cfr. il cit. mentri), che in genovese durò fino a molto tardi ; ma è notevole cozzi, qui, V 43, e anche I 14, ecc., esto cozzi costui I 41, ecc. Anche nell’ant. genovese si distinguevano nettamente il modale così e il locale cozzi, Arch. glottol. it., XV 39 sg.: ora entrambi hanno la forma cuscì, e in genovese il secondo sopravvive soltanto nei modi chicusci qui, lì cuscì costì. Va unito col fr. ici ecce-hic, ma pro- fi) Berlin, 1886. GIORNALE STORICO E LET I ERARIO DELLA LIGURIA 373 babilmente, come vediamo avvenire spesso nel latino tardo o volgare, si rinforzò ancora l’espressione premettendovi un altro ec-cum: quasi e c cu-e c c e-h i c, suppergiù come nel rumeno incoac'e. V. Fenomeni estranei al dialetto di Genova. In generale, son fenomeni comuni ai dialetti della Liguria occidentale e i più ci avvicinano alla Provenza. 1. L’ e chiuso accentato del latino volgare (proveniente da é lungo ed i breve classico) non si muta in ei; 1 'ei cessa poco dopo Savona: ave avere, savé sapere,piaixéW il, aueua serena, crenati credevano 57, pel genov. are. creivan, pi pero IV 39 e pé pelo V 42, mera mela IV 39, vere vele 7, offesa: defesa I 47, negro, ecc. È comune in quei dialetti seira I 56; II 56, e con esso anche zeira cera, tabb. od. seja, zeja; ma devono essere attratti dai vocaboli in - eira, di cui si parla al nm. 2: cfr. anche ttòirn, tabbiese noja nuora, e, a Bussana, a Sanremo, ecc., toira foira tavola favola, tutti con inserzione d’ i. Per eira erat vedi nm. 9 b. — Metterò qui anche il riflesso di plenus: chiene 7, genov. arc.c/»,ecc, ora a Genova solo pin. 2. Si conserva 1’ / di - eria: scheira 38, in rima con bandeira, cieira III 32 (o cieria IV 40, con grafia etimologizzante), Margheira IV 55, Berreteira IV 59, Riveira Pr. Oggi, secondo il § III 1, battei ef a, maineja, paneja, teja (prov. ti eira) fila, serie, ecc., ma il r perdura nella vicina Bussana : piatéira piattaja cafetéira, ecc. (1). — Unirò qui Peiro 16; 36 (ma all’atona perc,v. Glossario). Anche il genovese sviluppò - ir- da -TR -, ma solo dopo a, antico paire (dondepœre pticcre ecc.), come in tabbiese, §1V 1 ; o almeno -éir-, da - etr -, vi si ridusse ad - er - in tempo proletterario, Arch. glottol. it., XIV li, nm. 49. 3. Dal lat. AV si sviluppa oh (in genovese 0 lungo): ouro I 3; VII 42, me rexouro (re-ex)-auro I 1 e sostantivo VII 43, Pouro II 83 (ma all’atona Sciorao, n. pr., V 24, da ex-auratu, cfr. genov. scinoti), cottsa couse 27; IV 25, goude VII 22 (2). Non è mestieri dire che quest’ ou non ha nulla da fare col recente ou genovese di alcuni vocaboli letterari, couza, Poulu. In Mr ou è già sostituito da 0, e oggi a Taggia si dice mora fora (aula, da fabula, tora t aula, da tabula, roba,cosa,pocu-, ecc.; anche però, (1) Non ha nulla di caratteristico mormoirando II 60. (2) Ho già detto di puoco III 41, vedi p. 365 n. 3/4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEI.LA LIGURIA se non erro, cousa ouru. Nella vicina Bussana fonra, toura (anche foira, taira), aresciouru. 4. Un jr (frane, j) sviluppa davanti a sè un i: nel genovese ce n’ è forse un unico esempio, che ha caratteri speciali, antico quaixi ora quœxi. Es. del Rossi: squaixi Mr 27 (la St. squasi, letterario), caixo 9, taixo : adaixo 11, piaixe I 35 ; deixe dieci 43, Cireisia V 22 (1. - eixa), od. ciexa; noixe 3; archebnixo 14; 50, juixi: confilixi Mr 30; faixeva faixoi 4 maixéi 39 raixonà 22; veixina 9, Ereixeo 2 ; boixardo Mr 33, bruixao Mr 52, ecc. Questo fenomeno, caratteristico, in modo diverso ma in più ampia estensione, dei dialetti provenzali e francesi, è scomparso ornai a Taggia, ma è vivissimo nei dialetti vicini, e, col suono palatale del x, fino a Mentono: mentonese baixd, serieixa, ecc. A Mentone però, che risente del vicino provenzale, il fenomeno si estende alla sorda, graiscia, ecc. (nizzardo taizi, graissa). — Un esempio isolato è haiglie, abbia, 32, vedi qui sotto, e mi domando se è esatto (1). 5. I gruppi interni intervocalici LJ e CL, GL, si riducono a un suono di mezzo fra l’it. gl e un forte j, che nel nostro testo è rappresentato con gl (nei dialetti vicini abbiamo ora schietto gl, ora schietto j, ecc.) : meglio, voglie; veglio Mr 36, oreglie 4, ap-paregliai 3, in zenoglion 13, ecc. Ma haglie 20, hagh III 31 {haiglie, citato dianzi), che vive, fu rifoggiato su verbi come vaglie vòglie (2): infatti PJ e BJ, come PL e BL, son trattati al modo nostro: raggia rabbia, doggia (cioè duggia) II 37, dupla. — Palatizzato è il semplice - LLI - in Gaglineta IV 3, Gagliné V 31 (anche oggi gagima), cìr.fignì qui nm. 6; agg. migle 51. — Ricorderò infine que quei quee (cioè che chei ecc.), per ‘quello - a’ ecc., 37; V 22; i 21, ma anche quello - a - e. Non so se fornei 39 sia ‘fornelli’ o quasi fornieri, per ‘fornai’. 6. Tra i fatti che riguardano le nasali, — a tacere dell’e di bon boi, son suono, tron, genov. bun buin, ecc. — il più notevole è che il dialetto tabbiese, come in genere i dialetti della parte occidentale (e anche orientale) della Liguria, non conosce il suono del n gutturale, che a Genova e in tutto il centro della (1) Per le atone contigue allo x, ricorderò qui concrexion 41 ; 54 (ma Barixello I 61 ; grixelle 55, che in genovese non riesce chiaro, e vi è forse importato, ha accanto nexun). (2) Credo che scorraggiao Pr. sia erroneo; forse è da leggere scorragliào, che risponderebbe a un ital. scorracchiare (come bruciacchiare, ecc.). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 375 Liguria (come anche nel Monferrato e nel Piemonte) si ascolta soprattutto nelle finali - ANA - INA, ecc.: dunque al genovese lün-a (n gutturale seguito da un a) risponde il tabbiese liina, con schietto n italiano, cioè dentale. — Oltre a ciò è da ricordare la special forma dei plurali in - ni: il genovese passa per la trafila cani caini cain chen, (cfr. § III 2); il tabbiese invece, come in genere i dialetti di quella parte, sembra che palatizzasse il n di carni, giungendo a caigni caign cai (si può ricordar qui fignl finire Mr 25). Son forme vivissime, e con loro céi pieni. Es. del Rossi : cai \%,paesài 30 (e anche tnàe mani 18), buoi buoni 28, 41, cfr. § II, r.iaccarroi 4 menchioi 39 mauoi mattoni (da leggere mavài}) 39, antico genov. tuaiiin, oggi muin, ecc. In rima però si trovano anche i plurali paesàn : can (: amollàn) 31, bastion : mo-schetton (: gatio maimon) 28, menchion (: buon) I 75. Paiono rifatti in parte sul singolare, come 1’ od. genov. e »ian, che si adopera dalle persone civili, invece di mtien; ma soprattutto sul femminile, od. e stagiun, ecc., cfr. tante raixon I 71. 7. Gutturali: al qua - que- delle Stampe, risponde in Mrca-che -, che chei chella quello, ecc ; ma questa grafia più esatta non è dalle Stampe esclusa del tutto: carche 5 e I 10, vivo, come chelln; cfr. Γ od. zinche. E per la sonora: aiga, vivo, in Mr 45, ma in St sempre aigua (cfr. l’od. lengà)\ ma ora guagna,\>zx gagndn Pr. — Diverso il tipo di quei cheti 5, che in Mr è chei; di seghe segue 18 seghìme seguitemi 15.— Un caso di caduta del g intervocalico, in un'enclitica: mia mica 6; li; 13; 19, vivo. — Metterò qui anche il curioso g di ciattge ciangean 57, forma sempre viva, che forse ha la sua origine nel parlare infantile. 8. Qualche esempio di fatti fonetici più generali. — Estirpazione dell’iato, per mezzo d’un j, stroppiato Mr 52, unico esempio; per mezzo d’un v, avora havó, ora, 60; III 14 e 36, ant. genov. aura, od. oua, (ònva), che sarà un ad-horam; cova coda 15, genov. cùa e cfr. stracovh Gloss , crovà ib. ; probabilmente mauoi (cioè mavui, ma cfr. p. 364 sg.) 39; viangiauò (cioè - và) III 24. A proposito di quest’ultimo, è da ricordare che a Bussana il fenomeno s’è generalizzato nei plurali di tale tipo: pescavu - vài, prucüravii - vili, tenzevù, ecc. — Apocope : ro fi (figlio) de Piretto V 21, fi dra me Mattina V 26, e così V 27, 29, cfr. i toscani Fi-fanti, Firidolfi, ecc. — de nien I 93 ; IV 45 (in rima), e V 17. — Epentesi: San Benento Mr 2 (cfr. inguale, insci, p. 369 n.). 3/6 GIORNALE STORICO E LETTERA RIO DELLA LIGURIA — Assimilazione: tarrazza Mr 39; ciange, vedi nm. 7 (>n fondo anche Benento andrebbe qui, poiché il secondo n fu suscitato dal primo; e cfr. mima, milza, 54, che è pure dell’odierno genovese). — Dissimilazione: arìmo 39, arimoso 42, 1 ’inarimava 43, forma che si sente anche a San Remo, Mentone, ecc. — Metto qui anche bielle budella 55, probabilmeute da un beélle (come il genov. bêle), per assimilazione dell’<9 di botellus all’ e tonico; e poi i due e si dissimilarono in ie, come sembra regola, a giudicare da vici vedete, II 76, vièti videro § III 3. — Metatesi: aigna dro Bracchi II 2, genov. barchì vasca di fontana, fontana ; fontana dra Sorvana II 3, certo ‘della Soprana o Sovrana’, cfr. soma 37, anche genovese; e lascio craueo II 8, genov. crava, ecc. — Per la propagginazione dell’ i, oltre al citato e notissimo aigua, son da vedere gli esempi ricordati in questo paragrafo, nmm. 2, 6 (e, se si vuole, anche nm. 4). 9. a) Nomee pronome. — Mutamento di genere, riparpelli V 30, vivo. — Plurale amighi 3, e I 49; e pel resto v. § IV 1, 2, § V 6. — pezóe (1. pezûe) III 35. — Articolo: v. § III 1 ; in Mr in, ina, che è la pronuncia odierna, per Un Una. Pronomi : tu, cioè tii, si adopera anche all’obliquo, à tu III 14, con tu IV 4; pel pronome elio (oggi, di solito, veliti), v. § IV 5 ; aggiungiamo esto cozzi costui III 9, esta c. 44, esti c. 49, esta cousa c. 27. — Il pronome possessivo, è, come nell’ antico genovese e, in parte almeno, anche nel Foglietta, me (mei), femm. mea mee, (là) toi e femm. tua tue, (sci) sòi e sua sue: es. in gratta mea VI 7i d’este mee marenconie VII 23, e anche re historié me (1) (: derré) IV 14, à ri caxi tuoi IV 61, i suoi fattoi VII 41, per vita toa IV 11, Taggia sua 35. Oggi pare che a Taggia si adoperino prima del nome i singolari ambigeneri me (e chiuso), to so, che valgono anche pel femminile plurale; dopo il nome, sua ecc.; nel plurale maschile, mei to so, e dopo il nome toi soi. A Bussana in ogni posizione mea (o, prima del sostantivo, me), tua sua] masch. mé tóso, mei tòi soi. Nel Rossi troviamo anche, come forme atone, i femm. ta, sa se, sta tà raggia IV 16, co ra sa gente verso ra sa ch 47, re se forze 56, re se grafie VII 41. b) Forme verbali. — fuze 48, cfr. fuzeuan 52. — Desinenze: (1) Con - ee ridotto ad - e, come di regola : pré 39 ; 44 ; 45, per pree. Inoltre feri feriti ('■ vegtii), 51, feri: sepelli 59, descolori : reperì li 29. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 377 per amo § IV 5; andamo Mr 21 ; 48, manezatno Mr 60, vivi; imper. andemo 21 ; — congiunt. sacchiei sappiate 32 ; I 4, cfr. no me stei Mr 19; — imperf. (e condizion.) -eva-ea, § III 3, § V 1 ; con-tegnìa I 16; più notevole staiui, stavate, 41, sempre vivo (acc. a staxeivi), nato da stavi per attrazione della ia plurale, che, cadendo il v nello sdrucciolo, diveniva staimu: cfr. vorreiui \ 58 e l’odierno faxeitnu facevamo, onde faxeivi, per fax evi (ma faxeva). Così anche altrove, p. es. a Bordighera,gardaivi guardavate, ecc. Si spiega quindi anche etri, tu eri, eirith § III 4: esso fu attratto dagli altri verbi, anzitutto da quelli con e, aveimu aveivi, faxeimn faxeivi, che davano l'illusione fosse éi la vocale caratteristica dell’ imperfetto: adunque da érimu èri sorse eirimu eiri. Ma mentre non si arrivò mai ad aveiva faxeiva, perchè a conservare intatti aveva faxeva contribuivano parecchie circostanze, e fra queste la presenza delle forme parallele avea faxea, nulla vietava che, nell’ imperfetto di ‘essere’, 1’ i si diffondesse a tutte le persone: eira 1; 6; 9, eiran 17; 22. Oggi a Taggia si dice, secondo il § III 1, eja eji, ecc. — Gerundio: criendo 12, accaminendo Mr 61, tipo che vive, ma perde terreno, es. travagliendu, ecc. (ma, per contro, secondo 1’ antico tipo genovese, arrecurando Mr 26). — Singoli verbi: sei III 37, vivo, (ma ti éi 18; IV 13, genov. t’é); sera II 45 serena 53; eira, studiato or ora. — haglie, vedi nm. 5, e cfr. 1’ od. seglie sit; con essi va anche pagliéi, parete, II 30, vivo. — poscio I 7, che mi posce 2, ch'i posce 30, sempre vivi; pò pon § III 4; i poixéa potevano Mr 61 (la St. poeatt), il quale è foggiato sui regolari faixéa^dixéa: oggi puxéva, con cui viixeva, e così staxéva andixéva, vixeva vedeva, e, almeno a Bussana, axeva aveva. Anche paixèva, pareva, Mr 33; ma nella St. pana 33, pauan 22, che è tratto su stava dava, ecc. (come fava). Infin. poé potere 51 ecc., oggi purè, su vuré. 10. Indeclinabili. — Per damentri (che), per cozzi, ecc., vedi § IV 6. Qui rammenterò è sì, che appare solo nelle Stampe, ed è scritto così staccato, e di solito così accentato, in modo da far sospettare che la vocale iniziale si pronunciasse aperta. Oggi si pronuncia aperta la copulativa e, e senza dubbio la prima sillaba del nostro est fu presa per codesta congiunzione ; onde la strana grafia. Suppergiù è lo stesso vocabolo del nostro asci, prov. aissi ecc., da un aeque-sic del latino volgare; e oggi anche a Taggia si dice solo asci (talvolta però un sem- Giom. St. e Lett. della Liguria 378 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA plice sci, probabilmente da esci): questo asci già sostituisce esì dovunque in Mr. Mettiamo qui anche sì I 30. — Notevole è infine la negazione non...ren IV 26, che conosco viva almeno a Bordighera: naturalmente va col fr. rien, lat. rem. E rammentiamo anche l’altra negazione no....stizza, punto, I 17 (a Genova Una s tissa un poco; tnancu Una st. nè punto nè poco); e infine il troncamento nien, qui nm. 8. 11. Sintassi. — Pronomi personali atoni: à ve prometto 2, per vè covi a deuea 6, come dovevo, ha ve ro digo mi 18; -à s iitzegnaremo 12, a ve vorremo abbottinai 12, à ro viremo ancitoi 20, - 1 sei, siete, 2, 1 ve ro poei ben crè, 25 ; - i beuén 7, ro fossao I ro pigliàn, perch i hauean dri veixm, Ch’ i ghe mostrauan coni i deuatt fà 26; inoltre, eh’ 1 pà, le quali paiono, II 49, come tuttora i sun cose, ecc. La 3a singolare del verbo è adoperata spesso per la 3a plurale (di norma, anzi, in Mr, come nell’ odierno dialetto) : i l abbotina 9, zò ch' i ghe fesse 9, damentri. ..eh’ i pensa 22, azzò ch' i posce 30, ecc. — Quanto al pronome di 3a sing., o, non ha nulla di caratteristico, se non quando è neutro, s’ò ghe fosse 5, 0 n'è ehm tempo 14, 0 no besuogna 19, ecc., e anche in questo caso è di tutto il contado genovese e fu un tempo, in maggiore o minor estensione, anche della città. — Un esempio strano è: à ghe n’hà dijto I 55, ci han detto. — L’uso dell’enclitica ghe nel modo tutti a derrèghe, 53, ricorda l’ant. ital. in còrpo gli, ecc. ; cfr. Salvioni, Del pronome enclitico oggetto, suffisso ecc. (1). — Esempii sparsi: à tutto Taggia IV 17;- và à cerca III 20, vate à sottera IV 38;- daime da fio 13; son Cricca da Γ amigo I 89 ; te voglio dà beue IV 8 ; - ghe fo fao tornà tutt’ in derrè V 41, cfr. sopra à ghe n’hà dijto ; ecc. GLOSSARIO DELLE VOCI DIFFICILI O NOTEVOLI (2). abbottinà, metter a bottino, a sacco, Pr. e 9; 12. accampa, ammucchiare, 51 : così oggi, i arrecampa gran ; (1) Nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo, S. II, vol. XXXVI ( I 903Ί, pp. IO 12 sgg. (2) Se il Glossario è riuscito soverchiamente anipio, si attribuisca, in parte almeno, alla necessità di fermare, per mezzo della comparazione dialettale c GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 379 menton, campa amasser, rescampd ramasser, e così prov. mod. acampà ree. acciattàse, appiattarsi, 21. accoventao, accanito, fiero, feroce, o simili, 7, 22, 56, Mr 61, e lo stesso senso a un dipresso può avere li 53 î accoventàse Mr 46, inutirmeiite o se gh'è accoventao Ro Turco, cioè, a quanto pare, ‘ci s’è accanito’. Il semplice coventà 43, a certa gente, che fo couentà, Dell’ inimigo, che fó tardi a ftize, a certa gente del nemico, accanita a non fuggire. Anche in uno dei sonetti ventimigliesi del sec. XVII, pubblicati da Achille Neri, Studi bibliografici e letterari, (1) p. 191: e y bravait, e son tanto accoventai, Come s’ i no devessen insci mai D’Italia. E nel Foglietta, 11 I : No me vnoegio atiantà come ri foenti Fan spesso, ni vien fà T achouentok, cioè, intendo, ‘il prepotente’. Dovrebbe esser la stessa cosa il vocabolo accoventàse del Cavallo, 150: Non trotterei pescati grande 0 piccin Chi posse accouentàse con Balliti ; vocabolo evidentemente derivato dal participio lat. conventus (per la caduta del n, cfr. l’ant. genov. coven covenir). Il senso è ‘mettersi a paragone, a paro con uno’; ma è assai probabile che il nostro fosse in origine un vocabolo giudiziario (cfr. convenire, conventus, nel latino classico e medievale), e significasse : ‘essere, stare in giudizio contro alcuno’. I co-ventai sono dunque persone ‘che leticano insieme, che s’accaniscono l’uno contro Γ altro’ ; donde il senso aggettivale di questo participio: ‘accanito, prepotente’. Tutt’altra e ben più semplice è la storia del friul. coventà abbisognare, o dell’ant. francese coventer ‘fare una convenzione’, acoventer ‘accordare per via d’ una convenzione', ed è uno dei tanti casi in cui, partendo dal medesimo punto, si perviene a risultati opposti. addomà, domare, prostrare, nuocere, II 13. affé, fiele, 55, come nei dialetti vicini, nel mentonese, ecc.; dall’antico femminile la fé, come il genov. arfe (anche mentonese), cfr. fè. ancioa, acciuga, Pr., nel modo proverbiale: i poveri diavi... dell’etimologia, il significato di molte voci scomparse o a me non note dal’ dialetto ligure. K forse bene richiamar 1' attenzione dei lettori sulle molteplici relazioni del lessico ligure col provenzale moderno. (1) Genova, 1890. 380 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * a gagnàn Vancìoa, cioè, ironicamente: ‘ebbero quel che volevano’. È frase viva, anche nel piemontese. Nel provenzale moderno jougà o gagnà Γanchoìo vale ‘fare o guadagnar la scommessa’ : suppergiù è lo stesso senso. ancuze Mr 43, od. genov. anchizze, ma anticamente ancnzen, Arch. glottol. it., XV 45 : vive. anòn, orsù, Mr 48 : è il fr. allons (genov. alun, cfr. il suo sinonimo ale, da allez), accomodato sopra and andare. antimonio, ghe vegne Γant. intre biele, Mr 58. L’Autore si ricorda d’esser medico: l’antimonio entra nella composizione dell’ emetico. apbaregliai 3, ‘preparati’, col senso di ‘attenti’. arrecurando, correndo qua e là, su e giù, Mr 26. Cfi. § V 9. arrèo, à rèo, generalmente, alla rinfusa, Pr. e 38 ; dallo spagn. arreo (con arrear arredare) successivamente, senza interruzione, che si conserva intatto nel sardo. Ora a Taggia, a Pornassio, si ha solo a réu completamente (es. coglie e urive a réu, fino all’ultima): a Genova ho sentito de réu; ma ivi i modi più usati sono èse da réu (cioè d'ar.), essere un tomo, una buona lana, e inoltre fa réu far comparita. Nota il milanese fàarèd, ecc.; ma può esser più antico, cioè indigeno. ascoxì IV 46, genov. scôxî, ant. scoxir, Arch. glottol. it., XV 75. È l’ant. prov. causir chausir, esc., fr. mod. choisir, d’origine germanica, che significano propriamente ‘notare, distinguere’. Nella frase, eh’è a Genova tuttora la più usata,/«^ scôxî, il senso primitivo fu ‘farsi distinguere, farsi scorgere’, e quindi, con trapasso naturale, ‘farsi notar troppo (in modo da eccitare l’altrui maldicenza)’. E così finalmente il verbo anche da solo conservò il significato di ‘sparlare di uno’. avóra avó ora, § V 8. baballà, così a ra b., alla meglio, alla carlona, 29: vivo tuttora, per es. ad Oneglia, e noto anche al vocabolario italiano. barb'an, zio, V 2: vivo e a Taggia e qua e là, per es. a Pieve di Teco, a Costa d’Oneglia. L’antico veneto distingueva fra il sing. barba e il plur. barbani; cfr. Salvioni, Per i nomi di parentela in Italia, ecc. (1), a p. 9. (1) Nei Rendiconti del R. Istituto lombardo, S. II, vol. XXX (1897). Cito 1’ estratto. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 381 barlugaze, Ghe vegne pù ro tirro, e ra seccaze Ghe vegne ph ra rogna e ra grattaze,... Ghe posce pù vegnì ra bari., 54. Il tirro è certo il ‘tiro secco’ ; la seccaze, cui risponderebbe in italiano seccaggine, e a Sanremo significa ‘siccità della terra’, è qualche malattia che produce arsura (cfr. il prov. mod. secaresso, che vale anche ‘consunzione, marasma’); la grataze qualche malattia della pelle, con fastidioso purito; la barlugaze risponderà a vertigine o simile, come il diffuso barliigùn (cfr. il prov. mod. ave la barlugo, che è il fr. avoir la berhie, e inoltre barlugamen vertigine dei montoni); vedi imbarlugà. Per la forma dei tre vocaboli ricordati da ultimo, § IV 4. Barrabàn, Barabba, II 41. È forma comune nei testi antichi, e mi basterà ricordare RL XCV 164 e Iacopone da Todi. Nel latino medievale vigeva la regola che i vocaboli stranieri, quando si considerassero come indeclinabili, dovessero accentuarsi sull’ultima; cosicché il nostro famoso glossarista genovese Giovanni da Genova, nel suo Catholicon insegnava: « Item scias quod Barrabas Barrabe et Cayphas Cayphe penultimam gravant, similiter Ionathas Ionathe ; sed Ionatham Barrabam indeclinabilia acuunt ultimam » : cfr. il mio scritto La Rima e i vocaboli in rima nella Divina Commedia, p. 105 (1). Di Barraban, oggetto d odio e di scherno, per le funzioni religiose e le rappresentazioni sacre (come si vede anche dal nostro passo), il popolo fece un essere pauroso, simile all’orco della favola, da far star buoni i bimbi collo sgomento del suo nome. Poiché il ligure e provenzale barbàn non è altro che Barraban, come ho mostrato nella Miscellanea Rossi-Teiss (2), p. 343 sg. bellaixo, à, a bellagio, senza fretta, (cioè, infine, ‘poco 0 punto’), VII 48. E anche del genovese arcaico, per es. nel Sonetto di Bìixoto hosie de Reco a ro segnò Poro Poggetta, Foglietta 102 . Si ve sei lamentaou, Con di che ri me versi no ve chiaxo, E che à ca vie ghe vegnirei a bel axo. Beo, aigua dro B., II 1, oggi beju. È vocabolo diffusissimo per ‘canale di mulino; canale, ecc.’: fr. bief o biez, ant. fr. bied, cfr. Nigra, Arch. Glottol. it., XIV 358, XV 275, e inoltre Rossi, G/oss. (1) Nel 1Bulle/tino della Società dantesca italiana, N. S., III. (2) Bergamo, 1897. 382 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA med lig.{i), p. 26, sotto beudiis (falso latinizzamcnto di beu: dovreb-b’essere bedus, com’è nelle carte da me citate Arch. glottol. it., XIV 14), o anche p. HO, s. bìalera (che vive in piemontese) e s. bealera ‘acquedotto’, e s. bedale. 11 vocabolo sembra d’origine germanica: od. tedesco Bett letto ; per lo sviluppo del significato si veda il primo dei due articoli del Nigra. berorfn, o berorfe 0 gianchette 0 brigliazzotte, 3. Sono varie qualità di fichi, le gianchette, fichi albi, note anche a Genova, e così le brigiasotte brogiotte (are. genov. brilgias.; fr. bourjas-sotte, spagn. burjasota, ecc.). Le berurfe son piccoli fichi neri, che così si chiamano anche a Sanremo; a Taggia, secondo le mie informazioni, dicono ora beurfe: forse il r scomparve per dissimilazione. Grande sarebbe la tentazione di connettere questo vocabolo col piem. bur-enfi, gonfio, e risalire a un bnr-unfa, supponendo che cadesse anticamente il / di - unflus (per - tnflus enfio), cosicché più non s’avesse quel ber-unscia che ci attenderemmo (cfr. genov. insciu): esempi di tale caduta di l si vedranno sotto sconscia, e insieme con essi esempi di unflare per inflare. Da burunfa si sarebbe avuto bururfa per assimilazione sillabica (cfr. genov. ziàrdua, trottola, da ziràrdura, per zirandura) e infine berurfa, per un fenomeno de’ più comuni. Si pensi che nel moderno provenzale una varietà di fichi si chiama figo boudenflo [pud- equivale a bur - del vocabolo piem.), che li figo boudenflon significa ‘i fichi maturano’, e che bondenfià gonfiarsi, maturare, ha accanto la forma boudouflà (bud- uvflare). Ciononostante io dò questa etimologia solo come un incerto tentativo, perche be-rurfa, secondo Stefano Martini, Saggio intorno al dialetto ligure (2), significa a Sanremo anche ‘spelonca, covile, catapecchia’, ed io non so se col vocabolo precedente questo possa legarsi insieme (‘spelonca’ da ‘rigonfiamento’ del terreno? V. sconscia). Negli Statuti di Diano (3) si trovano ricordati gli eredi ( i 1 Cito cosi il Glossario medioevale ligure di GIROLAMO Rossi, (nella Miscellanea di Storia italiana, S. Ili, Tomo IX, pp. I sgg.). [orino, 1898. (In esso sono anche ricordati, benché la fonte sia tarda, alcuni vocaboli del poemetto sull 'Antico valore, coita, imbarlugà, lerfe, madorro, ecc. Son tratti da Mr.). (2) Sanremo, 1870. 13) Pubblicati da Girolamo Rossi, nella Miscellanea di Storia italiana, S. Ili, tomo VII, pp. 1 sgg. (Torino, 1902). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 383 Bonanati Birorfi, p. 59, o Berorfi, p. 92: sarà l’uno o l’altro de’ significati del nostro vocabolo? Mi par difficile che sia invece nome germanico. berzello, i haueran sa parte dro b., 49, la pagheranno anche loro. Non arrischio supposizioni intorno a un vocabolo di senso ignoto. boglio, O vatte a fà trà un b., IV 41. Non capisco :‘vatti a far bollire’? V. morette. boindena, à ro b , III 1. Forse è una delle tante alterazioni eufemistiche del nome di Dio, come il tose, per mio, o nel Foglietta, 23, znro a me', ecc. Adunque a ro bon Dé divenne à ro bondena (perchè boin - come in fe de De 59 divenne in fe de Dena III 5. L' esclamazione boudieu è frequente nel provenzale moderno. — Per 1’ aggiunta della sillaba - na, cfr. ital. deddina, venez, de diana, invece di de dia,-(in nome) di Dio, ecc. bolli, segni, impronte, ammaccature, Mr 43: vocabolo noto. Bordighea, ra B., Pr. L’italiano Bordighera è una falsa ri-costruzione : dovrebb’ essere Bordigheta boreo boletus, fungo rosso, III 20. È il genov. bunvów 0 bunvcEic, nel Foglietta boreao (leggi burów). Bracchi, aigua... dro Br., II 2, nome proprio; cfr. § V 8, e inoltre Rossi, Gloss. med. lig., no. braja 15, Mr 53. Significa ‘poderetto, campo’, come il ferrar. braja, e suppergiù l’ant. veneto braida, ecc. È vocabolo troppo noto agli studiosi di cose medievali. A Genova il nome della via, che si dice in - Abrcca (cioè in - a-bra>a) fu trasformato, italianizzandolo, in Brera, cfr. qui Bordighea ; meglio, caso mai, Breda, se non proprio Braida, com'è l’ortografia etimologica dello Statuto dei Padri del Comune (1), pp. 266, 329. Per altre notizie e per 1’etimo tedesco si veda Lorck, Altbergamaskischc Sprachdenkmdler (2), p. 210. buse, IV 7, v. vernigao. — 11 vocabolo busa (j dolce) ‘sterco bovino, e anche cavallino' (ora, a Taggia, piuttosto ‘cavallino’; per lo sterco bovino si adopera di solito biisazzi) è assai diffuso: coll’ ii si trova pure in Piemonte ; e cfr. busa e busazzo Rossi, Gloss. med. lig-, 30 e 112. Ci dà invece « schietto il ir. bouse, col quale s’ accorda V 0 chiuso del prov. bosa (ma menton, busa): (1) Edito dal Df. Simoni, Genova, i88t>. (2) Halle a. S., 1893. 3§4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA u è anche in siciliano. Infine c’è 1 ’ ò del genovese contadinesco bòza, cfr. monf. ho sia (e ambusiée); ma è senza dubbio rifatto su bò bue. Riesce probabile che la vocale originaria sia n (adunque o lungo od 11 breve latino), e che 1’//' ligure e piemontese sia un’alterazione posteriore, sorta forse dapprima in forme arizotoniche. Ma con tutto ciò l’etimologia resta sempre problematica, e solo bisogna convenire che si penserebbe volentieri a un derivato di bove, come sono i tose, bovina buina, o il bovatscha ladino, boascia boazza di dialetti italiani ; e che inoltre a supporre un boosu o anche un bosu, da bo(j>)osH, non s’ oppongono gravi difficoltà fonetiche, tutt’altro. Le difficoltà, gravissime, son tutte d’ordine morfologico e semasiologico, perchè un bo(v)osu, sul tipo dello spagn. loboso o del fr. poissonneux, vorrebbe dire 'fertile di buoi’, aggettivo che non potrebbe applicarsi se non ad una provincia, ad una regione, come lo stesso spagn. loboso. Ora, se da un simile punto di partenza si possa procedere via via, per ulteriori sviluppi del significato, fino all’odierno senso di bouse, ecc., io non m’arrischio a ricercare, per non accumular troppe supposizioni. cagké VII 13, anche nel Foglietta, 23 : E può che da ΜΙ' homo noi caghè Aura fà se lasciemo tente ojfeise, e 101 : esto caghè (l’Amore). Vedi pisce. cagna IV 12, esclamazione. Anche nel Foglietta 67: Cagna, dissi, se quando chioue forte, ecc. canelli, 0 xh pe ri canelli Va a coglie ri rajnponzi, III 21. L’ultimo vocabolo è pur genovese, ‘raperonzoli’ ; il primo fa pensare a ‘canna’ (sento che a Masone chiamati canelli non so che alberi dal fusto alto e liscio; œ Canelun-e il monte ove sono). Un esempio degli Statuti d'Albenga (1), p. 256, non m’ è chiaro. Ma ora a Taggia è soltanto nome d’un territorio, coltivato ad ulivi, e anche qui può esser nome locale. cantè, travi e cantei, 37 : latino mediev. canterium, monf. canté, mil. cantir, berg. bresc. canter, ecc., ‘correnti, travicelli del tetto’. capello, v’asseguro eh’ò ghe fè un c., 34, frase che a Taggia pare significhi : aggiungere, specialmente a parole riportate ; far commenti. Adunque, forse, suppergiù: diede loro il resto del carlino. (1) Nell’edizione dell’Avv. Paolo ACCAME, Legislazione medievale ligure: Statuti antichi d’Albenga (1288-1350'. Finalborgo, 1901. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 385 capuzzà, fare in minuti pezzi, tagliuzzar sul tagliere, 37, vivo. E 1’ant. prov. capuzar, odierno capìisà chap., ecc. cavallotto IV 42 : sembra la nota moneta. Chiarattuglio 40 : è un nome proprio, cioè un soprannome ; e pel suo antico significato si veda Rossi, Gloss. med. lig., 37. chiorlon, E nexun vaghe là com'un eh., 19, suppergiù ‘come un insensato, o un ubbriaco’. Il verbo ciurlà ‘succhiare, sorbire’, è nel Foglietta, 29: Se veiremo.... i osse e porpe deuord E ro sangue chiorlà; e 65: ro rosso (dell’uovo) bastaua a lò chiorlà. E ricorre, non più a Taggia, ma in molti dialetti italiani, in parmigiano, ferrarese, siciliano, suppergiù col senso di ‘succhiare’ e di ‘trincare ; inoltre nel provenzale moderno, chourlà churìà ‘sorbire d un fiato’ e ‘assaporare’; chourloun ‘fanciullo che beve volentieri’. Anche il nostro vocabolo significherà ‘beone’ 0 simile, colle accezioni metaforiche che hanno ubbriaco, brillo, ecc. ckizito, zitto, 5, cfr. ciiitu ! zitto! in piemontese. Parrebbe un incrociamento: zittu, miittu; ma cfr. il fr. chut, onomatopeico, ciorro, c. come Radiccia e cian cianin, Mr 26. Vive e significa ‘quatto quatto’, cium cium. Nei dialetti provenzali chourre vale ‘mortificato, avvizzito’, e probabilmente è lo stesso vocabolo; ma non è facile dire in che relazione stia col suo compaesano chourro ‘majale’ e ‘persona taciturna, burbera, di cattivo carattere’, o collo spagn. churre grasso, unto. coita (1. cuita), fretta, Pr.eMr6i. Va col prov. mod. cueita, ecc., da cogitare, e può anche paragonarsi col genov. contad. cuinta, probabilmente da compitare (per computare), Arch. glottol. it., XV 54. corrèa 21, Mr 48, 57: vive, col senso di ‘correggia, cintura’ e ‘(la parte) intorno ai fianchi’. Per la forma cfr. covea ; anche in nizzardo curéja come emvéja. La frase di I 12: mi no porto de fuso a ra correa, significa ‘non porto stile’, cfr. fuzello, negli Statuti d’Albenga, cit. dal Rossi, Gloss. med. lig., 116: « Per li fuzelli o sii stiletti ed altre arme proibite... ». correza 45, scherzosamente per ‘deretano’. cova coda, § V 8. covéa, voglia, 20, III 10, dal lat. cupedia’, Arch.glottol.it., XV 55, e cfr. qui § III 3. cozza IV 8 : di significato incerto. È però probabile che vada col taggiasco od. cozza, zucca che vuotata e fatta seccare si 3S6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA adopera come mestola per spander liquidi, specialmente concime liquido; cfr. il piem. cttssa zucca, eusse zuccajo, prov. mod. cosso, che sarebbe anche un utensile per annaffiare, fatto della metà d’una zucca disseccata. Forse adunque Mastro Zerbin è abbeverato in una simbolica zucca; se non proprio in un campo di zucche. cozzi qui, § IV 6. craueo, capretto, II 8, e, nel composto Squarzacravei, adoperato come soprannome, anche Mr 44. Questa forma singolare, che risale a un capretus,fu dell’antico genovese e lombardo ed è di dialetti viventi; cfr. Arch. glottol. it., XV 55, e inoltre Salvioni, negli Studi di filologia romanza, VII 228, Pellandini -Salvioni, Dialetto d’Arbedo (1), p. 19. Cfr. louea. crinella, Pose’ella (la marmaglia turca) esse mangia da re crinelle, 55. A Taggia e Pornassio crivéla, in piem. id., in monferr. crivéla chirv., in sicil. criveddu, in nizzardo escriveu, varie specie di falchetti, specialmente il gheppio e il grillalo : cfr. Giglioli, Avifauna italica (2), 233, 259 sg. (a Cuneo chiamai! crivéla il barbagianni e l’allocco; a Genova siettnei il gheppio, v. ib. 260, 537). 11 Mistral ci dà il provenz. mod. escreviéu, a Nizza escruvelet, che si adopera come sinonimo di esparvié espriviéu sparviere. Il Mistral pare anzi che li consideri un vocabolo unico, sotto diverse pronuncie; ma sarà vero soltanto che il popolo, confondendoli per conto suo, diede a un crevel cruvelet l’es - di esparvié. Il Ferraro, nel suo Glossario Monf errino (3), mostra di credere all’etimo corvus; e senza dubbio, fra i suoi molti tentativi di etimologia piuttosto allegroccia, questo è uno dei migliori; ma par difficile uscire da una base cribellu. crouà, cadere, 54, cfr. § V 8 : vocabolo notissimo e comunissimo, lomb. eroda, ecc., da co-rotare; come l’ital. crollare, 1’ant. fr. cr<)dler, ecc., da co-rotulare. damentri § IV 6. dedenai Mr 53. Secondo la mia correzione del passo, sa- (1) Glossario del dialetto d'Arbedo per V. PELLANDINI, con illustrazioni e itole di C. SALVIONI (nel Bollettino storico della Svizzera italiana, vol. XVI, anno 1895). Cito l’estratto. (2) Adopero la 2* ediz., Torino, Loescher, 1889. (3) Firenze, 1886. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 387 rebbe un’ esclamazione, e forse è da vedere ciò che si disse sotto boindena. desconzà, turbare, 57 : cfr. Arch. glottol. it., XV 57. desgambatao V 32. Vale ‘colle gambe stronche (dal gran correre)’, e ce ne persuade il provenz. mod. descamba privar delle gambe, - bà o - bat stronco per la corsa, s‘ escambatà. 0 se desc. correre a gambe levate. fè, me ne fa f., 55. Anche nella Gernsalenuue, 12, 51: 0 vi ammaççâ Arimon, ghe ne fé fè, gliene dolse amaramente. Cfr. affé, di cui è la forma originaria, rimasta irrigidita in una frase. feggiedin 32, stesso tipo suppergiù di fe de dena, vedi boindena. figarettu, fegato, 54, vivo, non forse a Taggia, ma a Sanremo e in gran parte della Liguria, nel monferrino, e, colla solita caduta di r, nell’ od. genov. fighartn. È un derivato d’un più antico fi gau o figàu. fio, daime da f, 13: pare ‘datemi tempo’. A Genova: u ria de fiu non gode fiducia. fiorò Mr 22 o furò St. : ant. genov. foror, cioè furnr, odierno fiii frastuono, rombo, susurro; cfr. Arch. glottol. it., XV 61. firexuò I 54, genov. friscio frittelle, da frixeolu. firondorina, piccola frombola, 14. frìiscio (u italiano), cacasangue, Mr 34, 57. Vivo anche a Genova, come nome d’una malattia infantile, in corso e in qualche dialetto toscano (contado senese: diarrea violenta de’ bambini). È il vocabolo medicale fluxus, fiuso, v. correa. garba 18 : ‘lacerare, facendo un buco', sembra qui senso sodisfacente. E sgarbo buco Mr 34, ghe faixeva citi sgarbi c/i a un zertieglio, più buchi che ad un crivello. Sono vocaboli noti e diffusi: monf. gherb buco, gherbura albero annoso e vuoto, piem. garbett-a vuoto in un albero. Anche come nome locale, u Garbu, vicino a Genova, e altrove. Infine un derivato di garba è, fra i tanti, il genov. sgarbelà graffiare. L’etimo è germanico. giaira II 10: propriamente ‘ghiaja’, poi ‘la ghiaia, cioè il letto del torrente’, infine il torrente stesso (o, come qui, il fiume, in genere). giusto, uguale, tale e quale, 9. gotta, vegne ra g., Mr 35: cioè ‘il mal di gocciola’. 388 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gragnorà grandinare III 26. grataze, v. barlngaze. grotto, cieria de mascarzon, cieria de gr., di grullo, IV 40. Si trovano due tipi: erotto, che sarà la forma originaria, e grotto. In toscano era gròtto (agretto, nel 300 anche anagròttolo), e in veneto vive groto, da onocrotalos, il pelecanus onocr. : in spa-gnuoio ocroto (non so se vadan qui nomi d’ altri uccelli, grot-taione, detto anche ‘tordo marino’; Giglioli, op. cit., 216; in bellunese grotón, il ‘colombaccio’ e la ‘colombella’, ib. 327 sg.). Gli uccelli acquatici hanno il privilegio di fornire aggettivi che indicano stupidità, balordaggine, p. es. oca; e quindi si comprenderebbe il senso di ‘grullo’, che ha in molti dialetti italiani (a Taggia è ora ignoto) questo nostro vocabolo erotto gr.; quantunque susciti la nostra diffidenza il fatto che sia divenuto così popolare, mentre non è popolare d’aspetto. Tuttavia l’alterazione potrebb’ essere avvenuta già nel latino. Sia come si voglia, ammessa almeno per ora questa etimologia, dal senso primitivo di ‘uccello acquatico’ si ricavano senza grandi sforzi i varii sensi del vocabolo: ‘uccelletto implume; il più piccolo uccello del nido, che è 1’ ultimo a metter le penne’, cria ; e poi gli altri significati molteplici, sia di ‘freddoloso, rattrappito, malaticcio’; sia di ‘senza barba, così da parere castrato; menno; grullo’. Ricorderò il ferrar, gròt o grutòn, col senso originario, e anche il senso di cria, il vicent. groto pulcino spennato, il friul. crott nudo, il romagn. gròt freddoloso, che si dice tanto di persona quanto d’una sorta di polli di poche penne e perciò freddolosi; infermiccio, cagionevole; il reggiano cròtt colui che per difetto di barba par castrato; menno; e l’identico vocabolo parmigiano, ‘spelato, sbarbato’, o cremasco bresciano, ‘menno; malaticcio', o veneziano (grótolo e ingrotio) e milanese [crott) ‘malaticcio’, o bellunese (grot) ‘rattrappito, mortificato, grullo’. guardia, star in agguato, 14, vivo a Taggia. imbarlugà abbagliare, v. lovea e lurbu, inoltre barlugaze. indù, empire, III 43, eh’è anche nel Foglietta; cfr. chiena, piena, § V 1. Al presente, enee, incuràse, curarsi, I 69. inzucca, Mi ve voglio inz. com’un craìieo, II 8: certo ‘voglio accopparvi a furia di colpi sulla zucca’. Ora, a Taggia (e Pornassio), inzüc“-se (ins.) ‘prendere un colpo di sole’. In lue- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 389 chese inzuccare vale ‘urtare, sbatter la testa', e il semplice zuc-care ‘cozzare’ (i). Lazaro, ro mà de San L., I 30. Sarà la lebbra. Si può vedere anche la rubrica degli Statuti d’Albenga: De infirmis morantibus apud Sanctum Lazarum, p. 307. /etra, vorreiui ben sentì sona ra /., I 58. Approssimativamente Letra significherà ‘urlata, fischiata, frastuono incomposto’. lenzorà III 42: ‘quanto contiene un lenzuolo’. lò nf zò ne lo, 13. louèa, Che te vegne ro zembo e ra Ili 12: uno dei tanti malanni che il poeta augura al suo censore : vedi qui sotto lovetto. Ma sembra vocabolo diverso louèa 21, Per poè imbarlugà quella l., cioè, senza dubbio, ‘per poter stordire, sgomentare quella masnada, quella marmaglia’. Il provenz. mod. loubado (0 loubatadó) significa ‘covata d’ una lupa’ e in francese gli corrisponderebbe louvée, che potrebbe essere di qualche dialetto e farebbe proprio al caso nostro. Vale a dire che luvéa, in origine ‘nidiata di lupi’ sarebbe un imprestito dal francese, del tipo assemblea, vallea, ecc. (2). louetto, ro mà dra Serra e ro mà dro Loti., 54, cfr. 53. — Con serra va l’imprecazione guascona, ricordata, senza poterne dire di più, dal Mistral, mau de serro que 71011m vire, ecc. Anche lu-vettu, nella forma mauloubet, o loubet senz’altro, è diventato nella Francia meridionale un’imprecazione generica; ma, a tacere che loubet o louet è una malattia de’ majali, e qua e là vale anche ‘carbonchio’ (cfr. louvet nel Littré), mau-loubet significa ‘cancro’ e ‘ulcera che viene alle gambe’. Nel nostro Cavallo, 55, mà de louetti; ora però nei dialetti liguri non conosco, di malattie denominate dal ‘lupo’, se non il genov. liippa, u l'à a /lippa, ha la fame canina, che ora si dice solo d’un mangione insaziabile ed è vocabolo di provenienza dotta: in milanese male de la loa, in italiano della lupa o del lupino. Il lucchese lupa è una malattia degli ulivi, che li rode dentro. Forse va con questi (1) Si veda il bel Vocabolario lucchese del Dott. Ildefonso Nieri; Lucca, Tipografia Giusti, 1901. (2) A rigore, non si potrebbe escludere una formazione tupcta, che a Genova darebbe luvaa, e a Taggia - éa. Forse craveu capre tu, fu in origine un tale collettivo ancor esso; vedi Salvioni, al luogo che abbiam citato sotto craveu. 390 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vocaboli, come pensava il Diez, anche il fr. loupe ‘escrescenza sotto la pelle, tumore indolente, di solito cistoso’, benché il Dictionnaire génét al lo dica d’etimologia ignota. lurbu (1. liirbu) 30, cfr. Mr ib. Vale ‘guercio’ ‘cieco’ ed è vocabolo vivo, sorto probabilmente da un incrociamento fra orbu e lürciu, tose, lurcio (lucchese), bilorcio, losco (cfr. piemont. biirb birbo, incrociamento di birbo furbo). In un recente e grazioso opuscolo, sui nomignoli che si danno fra loro e si contraccambiano amorevolmente gli abitanti di paesi vicini, le stra-nom d'j’ abitant i paìs d'Italia, an rime piemonteise (i), trovo, a p. 10, che Lurbi i ’s damo coni là d’ Rassa. maccarronea, sproposito, I 10; cfr. maccarron, marrone, strafalcione, del milanese gergale. maixè, i destnuràn chiù de quattro maixéi, 39. È il maschile del genov. maxéa, it. macera o maceria, muro a secco, all’aperto. Anche nel menton, maixiè. mancanda, che se sugasse.... a m., I 45. A Genova giocano a man cada i bambini, nell’inverno. mangia III 4: equivale al nostro smangia prudere. maralaido, a malapena, appena, 23, come nel genovese dei secoli XVI e XVII 1narelccde Nel dialetto del contado malèrdi, come in piemontese mariait, significa ‘un poco’: da‘male e laido’, come dimostra il mal e leid delle Farse astigiane dell’Alione. Si veda il mio articolo in proposito, nella Miscellanea Rossi-Teiss, P· 348 sg. tnerdosuo VII 59. mezzena 18, v. garba. Vale ‘lardone’, era dell’ antico genovese, Arch. glottol. it., XIV 20, ed è tuttora di molti dialetti. miserele, 0 ma dro m. a ra correa, Mr 57: ^ ma^ del m'se" rere, o volvolo, la ‘passio iliaca’, violentissima colica, in cui Γ intestino si torce. modorro 5 (Mr mad.). È lo spagnuolo e portoghese modorro ‘assopito’ e anche ‘stupido’ ; nel provenz. mod. moudourre, tnou-douire, ecc., ‘goffo, grullo, burbero, bizzarro’. morette IV 44, cfr. boglio. Che il modo ‘cavar le morette dal seno’ significhi ‘cavare il ruzzo dal capo’ r· mostazzo 50, come prima anche a Genova, ov’è ora mustasciu, (1) Torino, 1902. L’Autore si firma Arnobio. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3QI rifatto sul plurale. E 16 mostazzon ceffone; ma questo senso ha pure jMostazzi II 46. motta, I 45: mutta, la nota moneta? muoo modo (1. moti) I 23, III 16, è l’antica forma genovese. nien, de η., § V 8. noma, § IV 6. patruo pajuolo II 69, pairora 45; vivo. peuazzo 50: potrebb’essere ‘picca’ o simile, cfr. il genov. pe-naccu pennato, ecc. Ma penazzu a Taggia diconsi i ramoscelli di pino, co’ quali, legati a fascio, si formano scope grossolane pel forno ; e le scope medesime : scopaforno. perà: nella frase u ra pererà, 49, la pelerà, cioè, pare, la pagherà. pere, ventricolo, 17, Mr 58, cfr. il piem. firé ventriglio de’ polli (eh’è il senso primitivo) e il milan, prede, da petrariu, Nigra, Arch. glottol■ it., XV 120, Salvioni, Zeitschrift fxyr roman. Philologie, XXIII 524, e inoltre già Andrenvs, Phonétique men-tonaisc, nella Romania XVI (1887), pp. 544 e 555, e anche prima il Mistral, s. peirie. pessè, paura, I 74, vocabolo diffusissimo nella Riviera occidentale. Per pensé, dal provenzale? peuìa, pipita, III 25, forma più antica del genov. peja. Già in antichi glossarii latini si trova la forma pipita per pituita, cfr. il Corpus glossariorum latinorum, all’indice. Ma a taggia si dice ora perla, forse per attrazione dei vocaboli ricordati sotto repertu e, chi sa ? anche di pere. pisce, piscialletto, VII 12, anche nel Foglietta 67, 101. Il femm. piscerà nella Gerusalemme 12, 4. poazza III 21, Sarmento. Da potare; è genovese, monferrino, ecc. poirotto, p. e serra, 57. Sono due strumenti agricoli molto simili, a Bussana, se le mie informazioni sono esatte, il puirottu è più piccolo della messuira, falce, e la serra ha la costa tagliente. Il vocabolo puirottu deriva da potare, come il berg. podètt, il regg. podàj pennato, strumento da potare, il parm.^0-daja; e, più simili morfologicamente, il piem. e moni, puariti roncola, falciuoio, potatojo, il piem. poiress- ass. Ma potrebbe perfino rispondere proprio all’it. potatojo, cfr. prov. poudadouiro, con di più soltanto il suffìtto -otto (porremmo, ciò b, potatoriot u, donde, colla necessaria caduta delle due dentali intervocaliche, 392 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e la solita trasposizione dell’/, puauiròttupuir). Non è però necessario. Oggi si dicepujottu; accanto c’è pneja, § IH i, a Pornassio puéra puerìn; cfr. provenz. mod. (Varo) poudìero (e altrove pou-dadero). porpuo VII 4: anche nel Foglietta 57: lauoì chiù sodi, e chiù porpui. pranetta, ra stizza, ra pr. e ro gran chiainto, 1 (Mr pren.) : probabilmente ‘apprensione, paura’, ma è vocabolo che non si conosce più a Taggia nè altrove. presutto 22 : così anche il genov. arcaico. puouo, popolo, 40, come nell’ant. genovese pouo, ma utile a stabilire che anche questo si pronunciava pòva. Nel Mulazzana: voxe in pueo voxe e de Dio. rampa, crampo, 54, sempre vivo, e così a Mentone. rampo tizi, v. c anelli. rangapetto, in cinque rangapetti e m t'un saoto, 46 vale: tuttora ‘salto a piè zoppo’. Si sarebbe tentati di vedere in questo vocabolo un composto ranga - pé (sul tipo dei genov. punta-pe, schmca pe : si noti che un verbu schincà fu probabilmente imaginato pel composto); ç. rangapettu (pettu peto) sarebbe un’alterazione dovuta a scherzosa etimologia. Ma si attenderebbe piuttosto ran-cap. E meglio, credo, unire il vocabolo col prov. mod. ped ranquet (o ranguet, a Nizza), e supporre che un antico pé ran-ghettu si sia per metafesi reciproca (e attrazione etimologica) trasformato in rangapettu, quando formava già un unica parola, come p. es. il prov. parranquet (pas r.). raveza, boglì forte a r., 45, a scroscio: sempre vivo (z-ds). Abbiamo sicure traccie di un ravezza ‘corrente’ nel genovese del secolo XVI, per un atto del 1505, nel già citato Statilo dei Padri del Comune : « ex aqua publici aqueductus que cadit a ra-vezia darsine in trogium sub dieta ravezia et deinde defluit et decurrit, ecc. », p 169, e similmente a p. 170: « cognito quod... Consules seu homines dicte artis videntur sibi ipsis sive dicte sue arti velle appropriare dictam aquam dicte ravezie cadentem in dictum trogium.... ». II Desimoni commenta: « parrebbe significare la corrente rapida dell’aquedotto >, e certo non va lung: dal vero. Si ricordi 1’ it. ràpida (di fiume), e meglio ancora il suo sinonimo ràvia, nel dialetto d’Arbedo : il vocabolo ravézza, come l’ant. prov. rabeg (g palatale) o rabey ‘corrente, impeto (con cui GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 393 sSorSa un liquido)’, e il prov. mod. rabé rabech (ch per c palatale) ‘luogo dove il corso dell’ acqua è più forte', sono deverbali di un rapidjare, che mi par da riconoscere nel prov. mod. rabejà ‘sciacquare la biancheria o sguazzare un cavallo, nell’acqua d’un fiume o simile; grondare’. Nel monferrino c’ è ravüzza corrente forte e rapida, e in provenzale, accanto a rabejà, si trova raboujà: paiono scambi di suffisso, come si hanno nel lucch. mastucarez nel genov. mastrügâ (Casaccia) per masticare, nel genov. giasciügâ, accanto all’ it. biascicare, e in tanti esempi consimili (i). rea, Coo capelo a ra brava a mezzo a rea, Mr 48 : rea è forma assai diffusa per ‘rete’ (cfr. l’ant. genov. sea per ‘sete’ Arch. glottol. it., XV 16): qui sarà forse la reticella da tenere i capelli, alla foggia dei bravi. ren niente, § V 10. rena, Guai a ro primo eh’ o me sgarra a r., Mr 18. Il vocabolo rena vale tuttora ‘sentiero’, sgarra ‘erra’; dunque:‘guai a chi devia dal retto sentiero, a chi cambia strada’; e tutta la frase vive, con questo senso, anche a Sanremo. Il Rossi, Gloss. itted. lig-, 82, ha le forme reina e renna. Ricorda un po’ l’a. fr. rain ‘orlo o confine d’un bosco, frontiera’, che si suol unire col tedesco Rain ‘confine tra due campi, orlo d’una foresta, ecc.’, ant. alto ted. rein, oland. reen (femminile), ecc. renscià respirare, Mr 5 (renzà la stampa, cfr. p. 366 n.): da re-in fi are. come il genov. runfà da re-unflare (unflare per inflare è attestato da molti dialetti romanzi): per la caduta del / in runfà v. sconscia, e cfr. Caix, Studi di etimologia italiana e romanza, 51. reperto II 30; V 15. A Taggia si dice dei frutti, e principalmente delle zucche, quando, poco dopo uscite dal fiore, ingialliscono e avvizziscono. In una poesia di Bordighera si legge: e dati cattivu sangue sun mezzo arreperio; e arreperio nel libretto, dal quale traggo la citazione (2), vien tradotto ‘recroquevillé’. C’è (lì Posso aggiungere sulle bozze che a Taggia ravezza signifie» ancora ‘gorgo, di acqua che passa rapidamente per luogo stretto’ ; e che a Por-nassio il vocabolo (con s sonoro 1 è nome di località dirupata ed incolti. (2) CHRISTIAN Garnier, Deux patois des Alpes-Maritimes italiennes: Grammaires et Vocabulaires méthodiques des idiomes de Bordighera et de Realdo. Paris, Ernest Leroux, 1898. Vedi p. 56. Il titolo promette molto, ma il libro mantiene assai poco; senonchè bisogna dire che il povero giovane Giom. St. e Lett. della Liguria »6 394 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA anche il semplice periu, a Genova péju, col senso di ‘andato a male’; ora si dice specialmente delle noci. raglio, fontana dro R., II 2 sg. : è come un nome proprio, ma cfr. rogito ‘sbocco (dell’acque)’, Rossi, Gloss. med. lig., 124, e inoltre il genov. ruggiti d'œgna, getto, scaturigine, grosso zampillo. ronca, che te vegn una r., Ili 19. Qualche altro malanno; e, se non fosse l’articolo indeterminato, si penserebbe alla ‘raucedine’, pel cat. spagn. port, ronco rauco, ecc. sboglientà, scottare coll’acqua bollente, 45, anche in monfer-rino, provenzale moderno, ecc. sboì, spaventare, II 57, 58. Vivo a Ventimiglia, e per l’antico genovese v. Arch. glottol. it., XV 74- A Taggia ora sciabili. sborgno, guercio, III 31, cfr. il fr. borgne: molto incerta è l’etimologia che ne propugna il Nigra, Romania 26, 559. In lucchese sborgnare significa ‘sbirciare, intravedere’. sbroglioso, moccioso, VII, 33: genov. sbruggiu moccio. scarpizà, calpestare, 57. Se lo 0 fosse sordo, avremmo qui l’equivalente preciso dell’it. scalpicciare; ma è sonoro, perchè non raddoppiato (§ I) e soprattutto perchè sonoro si pronuncia a Ventimiglia. Quindi bisogna pensare piuttosto a una forma, come sarebbe un it. scalpeggiare. Certo, si dovrebbe avere propriamente scarpezà, ma forse influì 1 ’ - m - di pestisà ecc. schiatello (1. scciat.) III 19; V 29, da schiatta 54: sarà da intendere ‘crepatura della pelle’ o forse ‘bolla, furuncolo’. Cfr. il mod. prov. esclato crepatura delle mani, vaiuolo benigno, escla-tado gelone ulcerato, ecc., da esclatà fendersi, creparsi della pelle, ecc. sconscia, frana, Pr: quasi (s-)gonfìa, vocabolo vivo a Taggia e diffusissimo, con aspetti e significati non molto varii, nella regione alpina, soprattutto orientale, oltreché nella Francia meridionale. Il Mistral registra per questa gounflo couflo ‘rigonfiamento, che annuncia il prossimo staccarsi d una valanga’ : di qui era facile svolgere il senso di valanga vera e propria, e poi quello di frana, com’è nel tabbiese. Altrove il vocabolo vale mucchio di neve (di solito, accumulata dalla tormenta, come si chiama la neve stessa trascinata con furia dal vento) : e già che lo compilò mentre stava morendo, voleva far opera utile, non tanto ai dialettologi, quanto ai geografi. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 395 l’Ascoli, Arch. glottol. it., I 303, ricordava il valtellinese sgonflh, mucchio di neve, e l’Heim, Handbuch der Gletscherkunde,(\]^p.2^, raccoglie dalla Svizzera ladina gonfle sgulfogufla, accumulamenti di neve prodotti dalla tormenta. Finalmente il vocabolo passa a indicare la tormenta stessa, come negli esempi ricordati dal mio carissimo amico e collega Olinto Marinelli, nel bell’articolo, di cui mi giovo, Termini geografici dialettali raccolti in Cadore (2): gònfedo ad Auronzo, sgiònfedo nell’Oltrepiave, gonfet nello Zoldano. E si potrebbe continuare. Nei tre vocaboli citati da ultimo manca il l di conflare, come lo vedemmo mancare in runfà, da run-flare (vedi renscià): cfr. i lionesi regonfó sovrabbondare, a regonfa in abbondanza. Si direbbe che si tratti d’un’antica dissimilazione, avvenuta nel gruppo NFL, almeno in casi speciali, per es. dove era preceduto da un r; ma per ora non si può determinar nulla. Qualche relazione con questo fenomeno dovrebbe avere l’altro della trasposizione del l: piem. monferr. sccitmfé -fée scoppiare, ecc. Fenomeni consimili avvengono anche in qualche altro gruppo con l, specialmente GL: per forme di trangnttire, invece di tran-gluttire, vedi Lorck, Altbergam. Sprachdenkm., p. 180 (anche singuttire per singluttire) ; e qui poi le cose si complicano per qualche esempio di riduzione anormale del GL iniziale a L: per es., genov. lumescellu 0 rum., da glomiscillu (cfr. liimscé di Rossiglione e di Sassello, e colla caduta del l, scambiato per l’articolo, umiscellu a Taggia, Oneglia, o col l- passato per assimilazione in « e poi trasposto, miniscellu a Bussana ; invece giotnn nella Riviera orientale, da glomus, e gimiscellu vicino a Genova, a Zoagli): per le forme francesi, Thomas, Essais de Philologie française (3), 15, pp. 329 sgg. scorragiao Pr. Vedi p. 374 in n. seccaze, v. barlugaze. secco, tiro secco, 34. seme, una volta, 36: da semel. Fu già usitatissimo a Genova, cfr. Arch glottol. it., Vili 388, ma ora non rimane più che nel modo di dire de semni in sentu. serra, 57, v. poirottu;- e serra 53; 54, v. lovetto. (1) Stuttgart, 1885. (2) Estratto dalla Rivista geografica italiana, a. Vili, fascic. II e III (1901). (3) Paris, 1898. 39^ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sgarbo, v. garba. sgarra, v. reità. Anche in italiano: non la sgarri, non ne sgarra una. sgtierzezon, mirà de sg., sottecchi, 19. siribi, specie di giuoco, I 45. Potrebbe venire in mente il giuoco del biribisso, pel quale vedi i vocabolarii e anche Rossi, Gloss. /ned. lig., no; ma per me ha maggiori attrattive un riscontro del Foglietta, 73: Mi i homi de vint’ agni zà vist’ hò Che a ra lippa zughauan per re strè, A i amandore, a i osse, e cose tè Come megon megon, bedin bedò. O pù semel e bis, pittin pitò... Questo semel e bis, evidentemente un giuoco innocentissimo, potè venir chiamato a Xaggia siribi, per una delle trasformazioni, che facilmente subiscono i vocaboli non indigeni. smentegà-se, dimenticare, 3. sonaglio, sciocco, babbeo, 58 : è di molti dialetti, piemontesi, lombardi, emiliani. songietto, il singhiozzo, Mr 57, vocabolo vivo. Si potrebbe pensare a una semplice alternazione di suffissi, -ett- per -ott-, giacché la forma singlottu, per singultus, è nota e sicura, e -ott- ha accanto -ett- assai spesso. Ma se di queste condizioni è pur da tener conto, il vocabolo songtetto ha tutta 1 aria di essere sorto per metatesi reciproca di vocali, e... u in n... e, cioè s engin ttu in sungietto. Cfr. il piem. demoda lezione settimanale, per dómeda hebdomade, e gli altri esempi raccolti dal Salvioni, Kritischer Jahresbencht iiber die Fortsckritte der roman. Philologie, I 126, Zeitschrift fur roman. Philologie, XXII 466 s. carrôga (1). sor a, suola, 45. sparegà, apparire, 22. Anche nel Cavallo, e nella Gerusalemme, 14, 41: virei comme ghe spàrega ra luxe. È il lat. parere, col suff. - ic -. sperlenguao, affatturato, V 22, genov. perlenguóu (1. -wòw), derivato di lengua lingua. (1) Questo carròga è esso stesso un bell’esempio di metatesi reciproca: appartiene al sardo campidanese, e proviene dal lat. volg. cor naca cornacchia, donde corràga, secondo un noto fenomeno sardo, e poi, con trasposizione delle due vocali, carròga. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 397 spetazzà spiaccicare, ig: milan, spetascià, e cfr. Korting, La-tein. - jR.OT?iamsches Etimologisch.es Worterbuch, 2a ediz., nm. 7207. Ma non va dimenticato pestare. stizza, § V 10. stoppi 5 : propriamente ‘calafatare’, Arch. glottol. it., XV 78. È anche monferrino. stracovà, stracovai inte Monego da ina grosciscima borrasca, Pr. : ‘sbalestrati’. A Taggia non si dice più, bensì ad Arma di Taggia, straquà, ed esprime propriamente ‘l’azione del mare, quando spinge un corpo qualunque sulla spiaggia’; poi anche ‘portare, sbalestrare in genere’:- chi l’è chi te g’à straquàuì ‘Qual vento ti ha portato qui?’ Il primo senso, che può ben essere il senso originario, o vicino all’originario, si riconosce suppergiù anche nello straquare degli Statuti di Porto Maurizio, citati dal Rossi, Gloss. med. lig., p. 95 : « Quando cumque aliqua diluvia occurrerent in Portu Mauricio... et aliqua persona aliquas arbores, Iignamina vel fustes straquaret, vel aliquo modo caperet vel straquatum acciperet, non posset ea incidere, ecc. » : il Rossi spiega ‘ ritirar dalle acque ’. E meglio ancora si riconosce nello stracare (forse erroneo per straquare) dello Statuto di Calizzano, ib., p. 127: « I legnami saranno del padrone della possessione, ove l’acqua li avrà stracati ». Il Casaccia, nel suo Dizionario genovese, spiega il nostro straquà ‘rigettare, esser buttato alla riva del mare’ e ‘fluitare: esser trasportato dalla corrente’; nondimeno, fuori forse della gente di mare, si adopera piuttosto col significato più generico di ‘spingersi, cacciarsi’; per es.: a va à straqnâ dapertiitto, pe cujuzà; oppure: u Γé andœtu a str.fin-a lasciii. Nelle sue vecchie e sempre bellissime Postille etimologiche, il Flechia proponeva di unire il vocabolo genovese con altri, un po’ diversi, dell’Alta Italia, moden. stravacchlrs, ecc., e li traeva tutti da un lat. extra - vacuare, vedi Arch. glottol. it., III 149 sgg. ; ma credo che si oppongano recisamente a questa congettura e la fonetica e il senso. Purtroppo, non è facile trovare qualcosa che appaghi; e per ora io non saprei che avvicinare il nostro vocabolo all’ it. traccheggiare (che forse va unito con s- traccare), benché non sappia bene che cosa pensare del -qu-, ben fermo anche nel sicil. straquari, citato dal Flechia. Nel Cavallo si trova straque ‘stanche ’. Anche il v inserto del tabbiese stracovai non è del tutto normale. 398 GIORNALE STORICO E LETTERARIO UKLLA LIGURIA strechezon, 0 no besuogna fà de str., 19 : fà di strechezui (z sonoro) vive a Taggia, col senso ‘far degli atti incivili d’impazienza . stremici, ro campati in sonava ra str , suonava a stormo per la radunata, 21: cfr. i citati Statuti d’Albenga (del 1288): « Et si stermitam audivero, ad ipsam curram cum armis vel sine armis, secundum iniunctum fuerit », p. 226; e: « quociescumque... cridam audivero vel stremi tam quod debeam exire in exercitu generale vel speciale... >, p. 227. La forma originaria è strumia s tur mia, vedi stromia nel Sonetto del Foglietta citato a p. 332: vive anche nel contado genovese. Il corso stromiccia ‘rumore, tumulto’, Rossi, Gloss. med. lig., 127, è direttamente da stormo, pel quale vedi Arch. glottol. it., Vili 394; XII 434- suscizza, salsiccia, 17: vivo a Sanremo; ma a Taggia ora, per assimilazione, sciscizza, com’ è in Mr. tea, Posce fogo piglia come ra t., Mr 5 7: lat- ta ed a, che conserva tuttora entrambi i suoi significati principali nei riflessi de’ varii dialetti: anzitutto quello di ‘pino’, cfr. Arch. glottol. it., I 3g sg., in n., e 306, Salvioni, Postille italiane al vocabolario latino - romanzo, (i), e Romania XXXI 293. In secondo luogo vale il ‘pezzo di pino che serve di fiaccola’ e ‘fiaccola’, in provenzale (teso tedo teo lié), in spagnuolo, in dialetti liguri. A Sanremo, come nel provenzale moderno, si adopera questo vocabolo, parlando della pesca alla fiaccola; da Taggia mi si dà come suo significato ‘resina di pino'. teira V 50: certo non è ‘tela’, ma l’odierno taggiasco teja ‘fila, serie’, provenz. mod. tiero tièiro tètro, ant. prov. fiera, ecc., ant. fr. ti ere, d’origine germanica: antico franco ferì, od. ted. Zier. ter a IV 37: probabilmente ‘tela! va via!’ teretta 54. Diminutivo di ‘tela’; questo ha già da sè in spagnuolo, catalano e altrove il senso di ‘omento o simile; e il diminutivo teretta, oggi disusato a Taggia, vale a Sanremo ‘diaframma’, come il provenz. mod. teleto de l estouma. vernigao, v buse. — Il vocabolo vernigóu (cioè -ów) si legge ancora nei lessici del genovese moderno, col senso di ‘ciotola ; e pel genovese antico, oltre al Rossi, Gloss. med. lig., 110, è da vedere YArch. glottol. it., VIII 402, dove il Flechia lo spiega ‘do- ti) Nelle Memorie del R. Istituto lombardo, vol. XX, pp. 255 sgg. (Milano, 1897). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 399 tola, catinella’, e lo confronta co’ suoi affini, it. vernicato, napol. vernecale, venez, vernegal, ecc., attribuendogli l’etimo vermcare (vernice). Il prov. mod. bernigau barn, significa ‘ciotola per ricevere la crusca’, ecc., e perfino ‘vaso da notte’. — Il senso del nostro passo non è del tutto chiaro. Pare che il Rossi offra a Mastro Zerbin un pasto animalesco, anzi peggio che animalesco, una catinella di biise, ancora umide (o forse stemperate nell’ acqua, una specie di biuta, per dirla come i lucchesi). vexa i I, nel modo proverbiale : dagli’ad intende eh'una vexa è un petto. I due vocaboli si equivalgono. vianda, per daghe una mara v., 33: antica espressione, che si trova pure in RL, RP. villàtore, borgate, Pr. vine, Ghe vegne pù re v. in tre bielle, 55. Pare che risponda all’ ant. fr. vives, odierno avives, ital. vivale. zerneglio crivello, staccio, v. garbo. Vive nel contado genovese, serneggiu, e si trova nei testi antichi, Arch. glottol. it., Vili 338. zo, Γ è beit bella, zò, 59. Interiezione, zò (z sonoro), che si ode sempre a Sanremo e altrove: da jam -hodie, che, unito a magis, si riconosce nell’ant. genov. zomai oramai, nel Foglietta e ne’ suoi successori zoemuœ' (viuœ da magis, regolarmente, cfr. p. 333 n.): si veda anche Arch. glottol. it., Vili 405. zotta. Nel testo zotte, 3, è nome locale, ma zotta o zottu (z sordo ed o italiano) significa sempre ‘fosso, fossa’. Negli Statuti di Diano, il capo XCI s’intitola: c De fossatis et zotis non faciendis in viis publicis ed de non proiciendo aliquod turpe in iis »; solo si ammette « quod liceat fieri zotas in viis communis pro porchis pilandis, dum tamen dicta zota impleatur infra dies duos, ecc. ». Di altre zote, destinate ad altri usi, parla il capo XCII e il CXXV. Nel provenzale moderno, sot souot 0 chouot significa, in qualche luogo, ‘fossa, specialmente per deporvi il cadavere d’un animale’, e in qualche altro ‘buca d’un frantojo da olio’ (questo è proprio il senso che ha nel capo CXXV degli Statuti citati) e ‘buca in generale’; infine, nel Limosino, ‘solco’. Nel dialetto italiano d’Arbedo c’è zota ‘piota, zolla erbosa’, il quale può derivare dal ted. Zotte, essendo facile il trapasso da ‘ciocca’ a ‘ cesto d’erba’ e a ‘zolla erbosa’. Ma se il vocabolo d’Arbedo possa unirsi coi precedenti, è difficile dire. E. G. Parodi 400 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA APPUNTI E NOTIZIE PER SERVIRE ALLA BIO-BIBLIOGRAFIA DI BARTOLOMEO FACIO La biografia di questo umanista, per concorde giudizio de’ critici il più insigne che abbia prodotto la Liguria, è ben lungi dall’essere compiuta, e non tutto quello che di lui si sa è storicamente esatto. Specialmente oscuri ne sono ancora 1 origine e gran parte di quel periodo della vita che precede il suo stabilimento in Napoli presso la corte dell’Aragonese ; per il qual tempo assai scarsi documenti ci soccorrono, e le epistole di lui, principalissime tra le fonti biografiche, ci fanno difetto. E anche lo studio delle sue opere e della fortuna di esse, per mancanza di una diligente bibliografia, è tuttora imperfetto, quantunque, per questa parte, non molto resti a fare, dopo gli ottimi lavori del Braggio e del Gabotto. Portare, con la scorta di documenti inediti e col frutto di ricerche bibliografiche, qualche nuovo contributo alla vita e alla bibliografia di Bartolomeo Facio; solvere qualche dubbio, emendare qualche inesattezza ormai universalmente accettata è fine di questi brevi appunti. I. appunti biografici. Che Bartolomeo Facio (i) sia nato alla Spezia sono concordi quasi tutti i biografi nell’ affermarlo ; che fosse di nazione ligure non so chi possa averlo negato, dal momento che le prove son tante e così chiare; ma pure sembra che qualcuno l’abbia fatto nativo di Sulmona, a quanto ne dice Apostolo Zeno (2). Egli (x) Scrivo Facio e non Fazio, come generalmente è invalso l’uso, perchè Egli sempre si disse Facius, i documenti sincroni e i codici portano Facius o Faccius, e in tal modo è sempre indicato nelle sue opere a stampa. (2) Cfr. Giunte, ed osservazioni [di A. Zeno] intorno agli Storici Italiani che hanno scritto latinamente, registrati da Gherardo Giovanni Vossio GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4OÌ stesso, il Facio, dichiara in modo non dubbio la sua origine alla fine del quarto libro de’ suoi Fatti di Alfonso, là dove, ricordando la Spezia, dice : « unde mihi origo est, emporium portu ac mercatu nobile » (i); passo che il Mauro, traducendo, spiega addirittura: « la Specie, dove io Bartolomeo Facio nacqui; il qual porto è molto celebre, pe’l concorso de’molti mercatanti » (2). Chi ha lasciato in dubbio il luogo della sua nascita fu lo Spotorno; il quale, interpretando quell 'origo non nel proprio senso di nascimento, ma più tosto in quello di derivazione, ha scritto : « Bartolomeo Fazio trasse la sua origine dalla Spezia, così affermando egli stesso.... ; ma resta incerto il luogo preciso della sua nascita » (3). Questo non avrebbe scritto lo Spotorno, se avesse conosciuto le due epistole commendatizie del Panor-mita a Carlo Aretino e a Niccolò Niccoli; nelle quali, presentando il Facio che andava a Firenze per lo studio del greco, Io diceva spediensis (4) ; e P altra di Antonio Cassarino al Panor- fiel III libro de Historicis Latinis, etc. in: Giornale de’ Letterati d’Italia, Venezia, Tomo IX (1712) pp. 189 sgg. - Cfr. pure: Dissertazioni Vos-siane di APOSTOLO ZENO cioc giunte e osservazioni agli Storici Italiani che hanno scritto latinameate, rammentati dal Vossio nel III Libro de Historicis Latinis. In Venezia, MDCCLII, per G. B. Albrizzi, in-4, vol. I, pag. 62: u Chi lo ha detto nato in Sulmona si è di molto allontanato dal vero ». Il Niceron, traduce il passo dello Zeno : «.... naquit à Spezia petite ville de 1’Etat de Genes, & non pas à Sulmone comme quelques-uns l’ont prétendu sans aucun fondement. » {Mémoirespour servir à Vhistoire des hommes illustres dans la Repjtblique des lettres, etc., Paris, 1733, in-12, tome XXI, p. 316). (1) BARTHOLOMAEI FaCII de rebus gestis ab Alphonso primo neapoli-tanorum rege commentariorum libri decem. Io. Michâelis Bruti opera nutu primum in lucent editi, ac summo studio vetustiss. collatis exemplaribus emendati. Lugduni, apud Haeredes Sebast. Grvphii, MDLX, in-4, Pag· 102. (2) Fatti d’Alfonso Aragona, primo re di Napoli di questo nome; descritti da BaRTHOLOMEO FacìO genovese ; et nuovamente tradotti nella volgar l ingua da M. Mauro, dove s’ ha piena notitia delle cagioni della guerra tra Spagna e Francia, etc. In Vinegia, appresso Giovanni et Gio. Paolo Gioliti De’ Ferrari, MDLXXX, in-4, pag· !73· (3) Storia letteraria della Liguria, Genova, Ponthenier, 1824, in-8, T. II, pag. 31 sg. (4 ANTONII Beccatelli siculi cogna mento Panormitae Epist. Gallicarum Libri, in Lampas sive fax artium liberalium hoc est Thesaurus criticus quem ex otiosa Bibliothecarum custodia eruit et foras prodire jussit JaüOS 402 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mita medesimo, nella quale è chiamato allo stesso modo (i). Le due prime sono bensì ricordate dallo Spotorno, ma con citazione di seconda mano, dal Tiraboschi ; e quindi a lui non n’ era nota la lettera. Della condizione della famiglia del Facio pochissimo s’ è saputo finora; e quel poco incerto e contradditorio. Il Valla, fiero nemico del Facio, nelle sue Recriminationes gli scaglia in faccia la pretesa viltà de’ suoi natali, chiamandolo figlio di uno schiavo scita, che, vendicato in libertà, faceva il pescatore e il ciabattino de’ pescatori in un piccolo villaggio, viculus, della Liguria; donde avea tolto il figlio per acconciarlo in Genova presso gli Spinola in qualità di servo, veluti mancipium (2). Queste gratuite villanie che in quei tempi suonavano come una tra le massime ingiurie, furono in modo diverso accolte dai biografi. Alcuni de’ quali misero in dubbio la buona fede del Valla; come il Tiraboschi, il quale prudentemente così si esprime: < Forse ciò è vero, ma il Valla è scrittore, di cui si può sospettare, che abbia seguito la passione più che la verità » (3); e lo Spotorno, che pure dubita delle affermazioni di « quel furioso grammatico >, parendogli probabile che il padre del Facio non fosse Gruterus— Lucae, sumpt. Societatis, 17Ó7, infoi. T. Ili, pag. 195: « Bartholomaeus Facius Spediensis haud vulgari mecum benevolentia devinctus ». « Bartholomaeus Facius spediensis meus Anconem proficiscens, istac transitum daturus est ». (1) Miscellanea TlOLl, Ms. dell’Universitaria di Bologna, vol. XXIX, p. 78 : « Accedit etiam quod quom suavissimus Bartholomeus spediensis litteras ad me dedi set ». ,2) LAURENTII VaLLÆ in Barptolemaeum Facium ii git rem inuectivarum seti recriminationum libri. In : Laurentii VALLÆ Opera nunc primum non mediocribus vigiliis et indicio quorundam eruditisi, virorum in unum vol. collecta, etc. Basileae, apud H. Petrum, 1540, in-fol. Invect. I, p. 460: « Quamquam Ligures hunc non agnoscunt : etsi ex viculo non ex urbe est, sed ad Scythas ortum ipsius referunt : ut illud Ciceronis in eum aptissime cadat: quorum hominum esset nesciremus, nisi se Ligurem esse diceret. Nam pater Scythes esse fertur, necnon (ut Graeco verbo utar) Scyreus, id est, sutor : Piscatoribus, è quonim corpore ipse est, calceos faciens : a quo prae inopia vix puer hic, veluti mancipium, ut parens mancipium fuerat, Spinolae familiae traditus est ». 13) Storia della Letteratura Italiana, VII, P. II, p. 79 ,'Ediz. di Modena, 1772-82, in-4). GIONA LE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4O3 così vile come quegli lo descrive (i); ma non dice una sola ragione di quel suo parergli. Altri, rigettando in modo assoluto come gratuite le ingiurie del Valla, vogliono il Facio di famiglia cospicua, discendente, ad esempio, di un Bartolomeo di Fazio che fu podestà di Savona nel 1339, di un Clemente di Fazio, ammiraglio genovese nel secolo XV, di un Bonanato e di un Pasquale Fazio abati del popolo in Genova nello stesso secolo, e d’altri più o meno ragguardevoli personaggi (2); ma tutto questo senza il conforto di un documento, solo basandosi sopra la omonimia ; assai facile del resto ad incontrarsi, essendo, come ben osserva lo Spotorno, il cognome Fazio un gentilizio abbreviato del paterno Bonifacio (3). Tanto vero che il Federici, dovendo trattare della famiglia De Facio, non sa come attaccare ad un sol ceppo tanti disparati rami di quel nome, e si salva con questa scappatoia: « Questa famiglia è confusa di varie Linee, una meno antica dell’altra, e d’armi differenti; ad ogni modo ne discorrerò indifferentemente, lasciando l’identità al giudizio de’ Lettori » (4). Di quest’ultima maniera di critici è Agostino Falconi, che nel 1878 dette alle stampe un opuscolo Sulla condizione della fa7)iiglia di Bartolomeo Fazio, col quale si proponeva di « sbugiardare il temerario detrattore [il Valla], opponendo alle insulse fiabe di lui documenti positivi..... raccolti ad onor del vero ed a gloria del cospicuo nostro concittadino » (5). E difficile mettere insieme un lavoro più di questo destituto d’ogni critica; basti dire che i documenti positivi raccolti sono estratti di vecchie biografie già stampate, o brani di storie o di documenti (1) Op. cit. pag. 32. (2) Cfr. Gli scrittori liguri descritti dall’abbate MICHELE GIUSTINIANI patritio genovese de’ Signori di Scio e dedicati alla Serenissima Re publica di Genova, Parte I. [unica pubb.]. In Roma, appr. Nicol’Angelo Tinassi, 1667, in-4 pagg- 1 13 sgg. (3) Op. cit. pag. 32. 14) Federico Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica, Ms. della Biblioteca Comunale della Spezia, in-fol. cte. 286. ( 5) Stilla condizione della famiglia di Bartolomeo Fazio di Spezia, Memoria di AGOSTINO Falconi dedicata all’on. Signor Marchese Baipassare Castagnola deputato al Parlamento. Spezia, 1878, Tip. del Circondario degli Eredi Argiroffo, in-8, di pp. 34, pag. 3 sg. 404 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dov’ è ricordato alcuno dei Fazio cui è accennato più sopra. Trovato in un istrumento, in un libro qualunque un omonimo, il Falconi ne fa subito un antenato o un discendente dell’umanista ligure. E ben vero per altro che nell’opuscolo del Falconi sono, sparsi qua e là, alcuni brani di documenti tratti dall' archivio comunale della Spezia, che avrebbero potuto metterlo sulla buona via; ma egli non se ne seppe servire. Ultimamente il Gabotto in quel suo lavoro, che porta tanta nuova luce intorno alla vita del Nostro, si mostra disposto a prestar fede alle furiose affermazioni valliane, e accoglie nel suo libro che il Facio « era di umili natali, figlio, sembra, di un calzolaio che faceva le scarpe a’ pescatori.... accolto ed educato da qualcuno di casa Spinola, che ne conobbe l’ingegno e la tendenza naturale allo studio » (i). Il Gabotto, dissentendo dal Tiraboschi nel giudizio sull’umanista romano, osserva che questi conserva < nelle sue polemiche una calma relativamente maggiore, ed è raro che si possa cogliere a mentire scientemente » (2). Ma ciò si dovrebbe escludere, se in ogni altro caso si dovesse giudicare alla stregua di questo, in cui il Valla per 1’ appunto scientemente mentiva, inventando quella che sarebbe la più sciocca delle ingiurie anche se all’uomo fosse dato di eleggersi la cuna. E sono nel Facio un naturale risentimento dell’amor paterno offeso quelle parole della sua lettera a Gerolamo Guarino, cui promette di mandare le sue invettive contro il Valla « qui patris mei auctoritatem aspernatur, ac pro nulla habet.... omnes sibi inimicos esse vult, cum omnibus pugnat » (3). Bartolomeo Facio nacque nella Spezia da una famiglia in cui era ereditario 1’ officio di notaro, ed egli stesso fu tale. L’ origine adunque, e la condizione di lui, come del suo conterraneo Giacomo Bracelli, non furon diverse da quelle di un gran numero di dotti del suo tempo. La famiglia spezzina dei Facio discendeva da Fabiano, fra- ti) Un nuovo contributo alla storia dell’ umanesimo ligure di FERDINANDO Gabotto. In Atti della Società ligure di Storia patria, vol. XXIV, pag. 129 sg. (2) Op. cit. pag. 130, nota. (3) Bartholomaei Facii et aliorum ad ipsum Epistolae Ep. V. In : B. F. De Viris Illustribus, etc. pag. 86. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 405 zione del comune della Spezia, il cui centro dista dalla città poco più d’un chilometro, e sorge in amena posizione sopra un poggio del monte Santa Croce nella catena di colline che cingono il Golfo a sera. Ora conta 1627 abitanti (1), divisi in vari casali ; al principio del secolo XVI, secondo il computo del Giustiniani (2), non v’ erano in tutta la parrocchia più di 300 anime, e soltanto 12 foghi, cioè press’a poco sessanta abitanti, in Fabiano. L’ avo di Bartolomeo, un Ser Facius notarius de Fabiano, è il primo della famiglia, ed evidentemente l’eponimo, di cui si abbia notizia. E ricordato la prima volta in una sentenza d’immunità per gli uomini della Spezia del 3 novembre 1385 quale estensore di procura per gli abitanti di Coregna, di Fabiano e del Ceppo : « A Jacobo quondam Beneuenuti de corregno sindico et procuratore hominum et universitatis Corregni, Fabiani et Cepi ut de sindicatu constat publico Instrumento scripto manu facij de fabiano notarij dictis Millesimo et mense [3 marzo 1383] » (3). Altre menzioni di lui si trovano nel Liber deliberationum della Comunità della Spezia per gli anni 1403-1404, in un atto degli 11 marzo 1403, col quale si componevano certe differenze fra gli abitanti della Spezia e quelli d’isola (4); nella nota dei conti dello stesso anno (5), e nel Libro d'avaria del 1407 (6) nel quale sono descritte le quote d’imposizione che egli doveva pagare. Per ragione del suo officio questo Ser Facio dovette senza dubbio stabilire la sua residenza nella Spezia, che allora era già borgo fiorente, e importante per popolazione e per traffici mer- (1) Censimento del 9 febbraio 1901. (2) Cfr. la descrizione statistica dello stato' della Repubblica genovese, che precede i Castigatissimi annali---- dell'eccelsa et illustrissima Republica di Genova... per Monsignor AGOSTINO GIUSTINIANI, Genova, 1537, in-4, cte. XXI. (3) Tura Spedine, liber primus ex tribus. Cod. membranae, della Biblioteca comunale della Spezia, cte. 23-r-v. (4) Arch. Coni, della Spezia, Diversorum Comunis, Reg. 1, cte. iiij : « ut de compoxitione et pactus constat pubricho instrumento scripto manu ser facij notarii de fabiano hodie. » (5) Ibid. cte. lxj-w-lxij-;-. 1,6) Arch. Coni. d. Spezia, Avariaruvi, Reg. 1, cte. xxsij-v. 406 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA cantili (i), dal momento che i suoi figli si trovano spesso detti de Spedici; sebbene talvolta s’incontrino pure col predicato de Fabiano, nei quali casi per altro bisogna riferirlo al padre. Il quale morì verisimilmente tra il 9 di luglio e il 31 di agosto del 1419, se uno de’ suoi figli è ricordato in due atti di quell’ anno rispettivamente come Paulinns Facii e quondam ser Facii de Spedia (2). Se le carte dell'Archivio comunale della Spezia non fossero andate, per quanto riguarda il secolo XV, per la massima parte disperse, certamente si troverebbero altre notizie di questo soggetto, che, molto probabilmente, dovette coprire pubbliche cariche, e fors’anche essere stato cancelliere della Comunità. Figli di Ser Facio furono Andrea e Paolino. Andreas Facij era nel 1403 consiliarius della comunità della Spezia ; e si trova ricordato nel già citato istrumento di pacificazione fra gli Spezzini e quei d’ìsola insieme con i sindaci e gli altri consiglieri del Comune (3). Più volte si trova ancora rammentato nello stesso libro in atti dell’anno medesimo (4) e del seguente (5). Paolino di Facio, padre di Bartolomeo, fu pure notaio. Di lui si trovano frequentemente notizie, avendo egli ricoperto più volte (1) La Spezia fu creata sede di podestà nel 1343 sotto il dogato di Si-mone Boccanegra. Nel 1371 fu cinta di mura e venne ampliata la giurisdizione del suo podestà, che prendeva il titolo di Vicarius Ripperie orientis a Petra Colice usque ad Corvum et Spedie Potestas. Cfr. Giustiniani, Ann. Gen. cte. XXI ; Bra.CEI.li, Descriptio orae ligusticae a Flavio Biondo, e la Descriz. d’ Italia del Biondo stesso. S’ è veduto che il Facio dice la Spezia emporium portu et mercatu nobile. (2) Arch. Com. d. Spezia, Diversor. Cotnunis, Reg, 3, cte. 8-v. ; e : lura Spediae liber tertius cte. 20-r. : « Ego Paulus quondam ser facij de Spedia imperiali auctoritate notarius. » (3) « die xi marcii ) Infrascripti homines Sindichatus Spedie et Sindi-chatus Insolle pervenerunt et peruenisse confessi fuerunt ad pacta, compoxi-ciones et concordia et ad unum corpus et animum perpetuum duraturum et ad faciendum omnia et singula angaria et perangaria reales et personales custodias dioturna et nocturna Spedie et dictorum duorum Sindichatuum etc. nomina quorum spedie sunt hec I Petrus figoti | Anthonius bruneti | Snidici i Rolandinus Angelini | Paxinus Anthonj | Andreas tauani | Anthonius galoti I Andreas facij | Consiliarij ». (4) Cte. viij-r., x-r., xi-r : « Andreas Facij de Fabiano ». (5) Cte. xij-r., xiij-r., xv-r-v., xvj-r., lviiij-z/., lxviij-z/., lxviiij-?-., lxxxvij-z/. lxxxviij-r. GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELLA LIGURIA 407 pubbliche cariche, ed esercitato uffici d’importanza. Nel 1395 fu cancelliere del comune della Spezia, come appare dal libro de' conti del 1404 (1). Il primo di gennaio del 1404 lo troviamo consigliere aggiunto in una adunanza del consiglio della comunità (2); nello stesso anno, agli otto di febbraio, chiede al Consiglio che gli vengano pagate « varias pecuniarum quantitates pro temporibus retroactis tam caussa scripturarum quam caussa quia fuit scriba et dator custodiorum tempore quo guera vigebat » (3); denari che gli vengono pagati due anni dopo nella somma di lire venticinque (4). Nel 1407 fu altra volta cancelliere (5), e nello stesso anno fu uno degli eletti, insieme con Simonino di Bonandrea e Niccolosio di Gàggiola, a compilare gli Statuti degli uomini e dell’università della Spezia, che ebbero la sanzione del maresciallo Bocicaldo, governatore di Genova per il re di Fran-cia (6). Nel 1409 lo troviamo un’altra volta cancelliere della Co- 1 I) Divers. Coni. Reg. 1, cte. Lxxxiij-r. : « Mcccciiij die xxvj februarij —ut aparet per apodixiam scriptam marni paulini scribe comunis Spedie de anno de niccclxxxxv die xxvij Iullij. » Il volume Diversor. Comunis Reg. 1, degli anni 1403-1404, è il più anticoche si conservi nell'archivio comunale. (2) Id. cte. xij-r: «Deliberatum et ordinatum est per consilium Spedie et per homines ad Iuntos infrascriptos____ Paulinus Facij. » 3) Id. cte. XV-r. (4 1 Id. Ibid. : « mccccvj, die viiij Ian. Ser paulinus ser facij sponte confessus est habuisse et Recepisse] libras viginti quinque etc. ». (5) Arch. Coni. d. Spezia, Diversor. Comunis Reg. 3, cte. t> v. ·. « hodie (nona Iunii) deliberatum fuit per consilium Spedie in suo suficienti numero congregatum in ecclesia Sancti Antonij de Spedia more solito quod paulinus ser facij sit factus creditor in libro Iohannis Ambroxini massarij de libris quinque et solidis ad complementum librarum decem Janue pro salario scri-banie tempore domini Antonij de fo vicarij sive de 11. v. ». Antonio di Fo fu vicario e podestà nel 1407, come appare dal prologo degli Statuti. (6) Communitatis Spediae Legges ct Constitutiones, Cod. cart. della Bibi. Coni, della Spezia, cte. ι-r., : « Quoniam, secundum varietates temporum, variantur et mores hominum, renovantur leges, et gentes sibi rationem vivendi ordines regulantur ; idcirco Simoninus Bonandree, Nicolosius de Gagiola, et Paulinus Fatij de Fabiano Notarius, Burgenses Spediae, capitulatores praesentium ordinamenterum, capitulorum, seu statutorum, respicientes oculis linceis fidelibus intrinsecis et a corde, ac suum totaliter affigentes animum, et intentum, ad gratiam, et reuerentiam SS.mi nostri Domini Francorum Regem etc. » In altro cod, membr. della stessa Bibliot., contenente i me- 40S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA munita (i), e consultore e coadiutore del Vicario insieme con Oderico Biassa, Giovanni di Uguccione e Lodisio del Rosso (2); e nel 1410 ambasciatore al governo di Genova per trattare affari del Comune, insieme con Giovanni Ambrosini (3)· Le lacune nelle carte comunali ci portano al 1419- 'n cu' s' trova ricordato Paolino parecchie volte; una, fra 1’altre, come aggiunto di Consiglio (4). Nel 1420 fu uno dei maestri razionali del Comune (s); ed essendo affetto di podagra, il 12 di aprile chiedeva al Consiglio di essere dichiarato esente dalle angherie personali, non potendo prestare servizio; e chiedeva inoltre certe altre esenzioni da prestazioni reali e personali per i suoi figli Giovanni e Tedisio; il primo dei quali era notaio in Lucca; 1’ altro stava sulle mosse per andare a Pisa all’ arte degli speziali (6). Altre volte si trova menzione di lui nell’anno stesso; desimi capitoli, manca la menzione di Paolino di Facio, e il testo del Prologo offre qualche variante. (1) Arch. Com. d. Spezia, Diversor. Comunis Reg. 2, cte. I-r. Il cancelliere e scriba della Comunità cambiava ogni anno col mutare dei sindaci e dei consiglieri. (2) Id. cte. 4 r. Oderico Biassa, avo dell’ammiraglio Baldassare, essendo nel 1416 luogotenente del vicario della Spezia, fu fatto uccidere a tradimento da Gabriele Malaspina marchese di Villafranca. Cfr. U. Mazzini, Un Ma-laspina di Villafranca omicida, in questo stesso Giornale, vol. III (1902) pp. 28-44. (3) Id. cte. 6 r. : « die primo Januarij. Item Ellegerunt paulinum facij et Iohannem Ambroxini ad eundum Januam pro Ambaxatoribus ad dominum capitaneum et consilium Janue pro factis comunis ». (41 Arch. Com. d. Spezia, Diversor. Comunis Reg. 3, cte. \-v. <5) Arch. Com. d. Spezia, Diversor. Comunis Reg. 4, cte. 4-®. e 19-r. Ora si chiamerebbero revisori dei conti. (6) Id., cte. 5-r. : « Item audita requisitione dicti ser paulini asserentis se esse inhabilem de p[erson]a ad angarias et perangarias personales faciendas et quod Iohannes filius suus est Luce in officio, et Tedisius filius suus est iturus pisas ad artem speciarie. Ob quod requirit a dicto consilio se eximj a dictis Auariis (sic per angariis) et perangarijs personalibus et similiter dictum Iohannem filium suum similiter eximj et dictum Thedisium non ponj in Auaria. Omnibus consideratis presertim infirmitate podagre dicti ser paulini, dato partito supra hoc ad voces omnes deliberaverunt quod dictus ser paulinus non faciat custodias neque caualcatas. Ad factum Tedisij filij suj quod in Auaria non ponatur. Ad facium Iobannis filij sui quod soluat pro GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4O9 fra le quali una al 6 di novembre, in cui figura nella lista di coloro cui è imposto un mutuo per mandar gente armata in soccorso di Bonifacio (1). Nel 1428 Paolino era già morto, giacché ai 28 di ottobre, eleggendosi dal Consiglio della Spezia a cancelliere del Comune il figlio di lui Giovanni, questi è detto quondam Ser Paulini de Fàcio (2). L’altro figlio, Tedisio, che abbiamo veduto dover andare a Pisa ad imparare l’arte dello speziale, non trovo che l’abbia poi esercitata in patria, nè il suo nome è mai distinto col titolo di speciarius ; lo vedo bensì occupato spessissimo in pubbliche cariche. Non mi fermerò ogni qual volta m’imbatto nel suo nome sfogliando le carte d’archivio ; noterò solo che nel 1429, 2 di luglio, fu mandato a Genova per deliberazione del Consiglio per consegnare certi proventi di avarie (3); che nel 1430 fu sindaco della Comunità (4); che nel 1438 lo troviamo altra volta in Genova insieme con Battista di Galeotto, ambascia- auarijs personalibus et ab perangarijs (sic) et perangarijs non cogatur donec repatriauitur s>. (1) Id. cte. xv-r. Il governo di Genova aveva chiesto di far cerna in potestatia spedie de hominibus vigiliti ituris in succursum bonifacij, e il Consiglio della Spezia aveva già scelto i venti da spedire ; ma nello stesso giorno fu cambiato parere, e deliberato invece di mandare denari a Genova concernentes quod satis melius est dare pecuniam pro accipiendo homines ad stipendium, pro mittendo succursum bonifacij, quod mittere homines de cerna. E fu imposto un mutuo sopra parecchi burgenses per la somma di centotrè fiorini, due dei quali furono pagati da Paolino di Facio. Bonifacio di Corsica era allora assediato da Alfonso di Aragona, Cfr. Giustiniani, Aììnali, ad annum. (2) Arch. Com. d. Spezia, Diversor, Comunis Reg. 5, cte. ι-v. : « El-ligerunt constituerunt et ordinaverunt infrascriptos officiales ad infrascripta officia comunis Spedie deputatos et primo videlicet Iohannem quondam ser paulinj de facio de spedia notarium in scribam et prò scriba comunis Spedie cui constituerunt quod habere debeat pro eius salario libras decem Januinorum ». (3) Arch. Com. d. Spezia, Diversor, Comunis Reg. b, cte. xv-r. « Or-dinauerunt quod Tedixius ser paulinj debeat ire Januam causa portandi certas pecunias Auarie focalij etc. ». '(4) Arch. Com. d. Spezia, Diversorum Vicariatns Reg. 2, cte. 14-r.: « Iohanni quondam ambroxini et tedixio quondam ser paulini de Spedia Sindicis Spedie ». Giorn. St. e Lett. della Liguria 27 410 GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELLA LIGURIA tori del comuue della Spezia per la fabbrica della chiesa cattedrale (i); che nel 1443 tornò a Genova ambasciatore presso il doge Raffaele Adorno per chiedere in nome del Comune della Spezia la conferma dei privilegi e delle franchigie insieme con altre esenzioni, come appare dalla sentenza dogale del 18 febbraio di quell’anno (2); che nell’anno stesso fu uno degli aggiunti di Consiglio del Comune, trattandosi di raccogliere danaro per acquistare armi ad defensionem terre Spedie (3). Nessuna memoria relativa a Bartolomeo mi è accaduto di rintracciare nelle poche carte del secolo XV rimaste nell’archivio comunale spezzino. Mi soccorre invece un documento del-l’Archivio di Stato di Genova, che in modo chiaro riattacca Bartolomeo al padre e al fratello Tedisio. È una lettera del doge Tommaso Campofregoso a Damiano Lomellino capitano della Spezia, in data del 7 luglio del 1437, relativa ad una questione d’interessi insorta tra Tedisio e Bartolomeo di Facio, fratelli ed eredi del fu Ser Paolino di Facio, da una parte, e Laurentina vedova di Galeotto Verrina di Bonifacio e suo figlio (i'i Arch. di Stato di Genova, Dh'ersor. Comunis, fil. η. 10-3030. (2) hi ra Spediae I, cte. 38-1·. : « Raphael Adurnus dei gratia Januensis dux. Consilium antianorura in totali numero congregatum. Officium monete civitatis et communis Janue premisso calculorum examine secundum ipsius officij ordinem consuetum in sufficienti et legitimo numero congregatum. Cum redierunt nuper ad nos egregij commissaii nostri: quibus his proximis diebus pro eorum diligentia fide et prudentia pacificande universe orientalis Ripparie curam et prouintiam dederamus adduxerintquc secum ad presentiam nostram ex loco nostre Spedie dilectos nostros Dominicum tinctum de blaxio, Tedi-sium de facio et Guilielmum de torraca qui cum legitimis mandato et Balia asserunt huc ad nos venisse presentauerunt coram nobis requisitiones tenoris infrascripti, etc. ». (3 Arch. Com. della Spezia, Diversor. Comunis Reg. 8. : « Die penultimo augusti. Per suprascriptos consiliaros et adiunctos Infrascriptos constitutos in ecclesia sancte marie de Spedia in presentia S. viri domini Peliegri de Axereto Commissarij et locum tenenti m. d. Capitanej Spedie deliberatum fuit quod exigantur de libellis impositis certe quantitates peccuniarum a melioribus debitoribus pro emendo de armis necessarijs ad deffensionem terre Spedie. Nomina adiunctorum patent infra : M. Gabriel phisicus, Ioachinus de Massa, Bartolomeus de puliasca, Gulielmus de toracha, Tedixius de facio, Martinus de Murlo, Bartolomeus Arighinelus, Andriotus quondam Enrici ». GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 411 Antonio, eredi del detto Galeotto, dall’ altra (i). Il fratello Giovanni non è ricordato in questa lettera fra gli eredi di Ser Paolino; si può quindi supporre già morto. Il fatto che non si trova Bartolomeo nella già citata petizione del padre al Consiglio della Comunità nel 1420 insieme con i fratelli, e che questi gli sono premorti (2), ce lo può far credere il più giovane dei figli di Paolino. É assai probabile che egli abbia fatto i suoi primi studi alla Spezia, dove già in quel tempo pubbliche scuole erano mantenute a spese della Comunità (3); ma il silenzio delle carte locali sul suo conto ci fa con ragione supporre eh’ egli abbia lasciato assai per tempo la patria, e forse più non vi abbia fissato in modo stabile la propria dimora, dopo averla abbandonata per recarsi allo studio del notariato. I documenti che ora vengono in luce fanno adunque cadere del tutto la vecchia leggenda creata dal Valla intorno alla bassa origine del Facio; non solo, ma fanno per logica conseguenza 1) Ardi, di Stato di Genova, Litterarum, 4, 1780 fo. 441 -v., lettera n. 141 « Dui lanuen. el cons. Antianor. Civ. Ian. Nobili viro Damiano Lomellino vicario Spedie nob. car.mo. Nobilis dilecte noster. Comparait coram noliis Bertonus Bonfilij de Manarolia prourator et procuratorio nomine thedixij et Bartholomei de facio fratrum et heredum quond. ser paulini de facio.... ». 2) Bartolomeo mori del 1457 ; di Tedisio non si trovano notizie posteriori al «443. (3 Dovevano essere scuole di grammatica. Prima del 1438 non trovo notizie; ma ciò deve attribuirsi alla scarsità dei documenti. In quest’anno si trova un Antonius de losorto (Lusuolo?) magister scalarum, e il pagamento del fitto per la casa delle scuole (Arch. Com. d. Spezia, Diversorum Comunis Reg. 7 . Nel 1466, die. xij Januarii fu presa del Consiglio questa deliberazione : « Item deliberatum fuit quod Sindici et dicti de consilio possint providere habere et conduccre unum bonum magistram Scollarum in terra Spcdie cum minori expensa comunis quam facere poterint et prout iis melius videbitur expendere » Arch. Com. d. Spezia, Diversor. Comunis, Reg. 10, cte. q-r. . I£ ali’Il novembre: « Item.... quod conducatur unus magister Scol-larum pro comuni suffitiens et Jdoneus, etc. » i Id. cte. 29 Più tardi si trova il rector scholarum: un Maestro Simone da Cornano quondam francisci; e nel 1471 si approva il salario annuo di lire venticinque di Genova a maestro Baldassare di Licciana rettore delle Scuole (Arch. Com. d. Spezia, Diversorum Comunis Reg. 11 . 412 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mettere pure in disparte, come non attendibile, il preteso mecenatismo di casa Spinola verso l’umanista ligure, che potè dalla propria famiglia ottenere i mezzi per incamminarsi negli studi e attendere a crearsi una libera professione, se il padre era in grado, come si è provato, di mandare gli altri figlioli a Pisa e a Lucca ad apprendere ed esercitare arti liberali. Con ciò non si vuol naturalmente escludere che Bartolomeo abbia potuto avere presso alcuni soggetti degli Spinola ragguardevoli attinenze e fors’anche aiuti a proseguire nella sua carriera e a perfezionarsi negli studi: di ciò anzi avremmo una prova nel grande attaccamento che lo legò a Gian Giacomo. Ma da questo all’essere stato allevato in qualità di servo presso quella nobile famiglia, e di aver per merito di essa appreso i primi rudimenti delle lettere, ed essersi incamminato per la via degli studi, è gran divario, e non v’è chi non lo veda. Egli esercitò in Genova il notariato, trovandosi chiamato notarius publicus, e fu adoperato dal Governo della Repubblica in importanti uffici. Ricorderò a questo proposito una circostanza, trascurata finora dai biografi, che ci mostra il Facio cancelliere dell’ ammiraglio genovese Francesco Spinola nel 1441 nella conclusione della pace fra il Duca di Savoia e la Repubblica genovese. Scrive Pietro Gioffredo nella sua Storia delle Alpi Marittime, al libro XVI : c Si pattuirono queste cose li 23 luglio di quest’anno [ 1441 ] nel castello di Nizza..... presente Nicolò di Menton Governatore, rogandosene scrittura da Pietro di Leone cittadino di Nizza per parte del Duca, e da Bartolomeo Facio cancelliere di Francesco Spinola per parte di Raffaele Adorno » (1). Come estensore di quello stesso istru-mento è pure ricordato in altro atto di sua mano, rogato il giorno 27 successivo, col quale si confermano dallo Spinola i patti e i capitoli precedentemente fermati. Ivi è detto fra l’altro: « Constituta et conclusa fuerint quaedam foedera, et pacta per capitula descripta et recepta in formam instrumenti per Petrum de Leone, ac Bartolomeum Facium Notarios publicos » (2). I maggiori incarichi che ebbe dalla Repubblica genovese furono (1) In : Historiae patriae monumenta edita iussu regis Caroli Alberti, Scriptores, Aug. Taurin. 1839, in fol. Tom. II. col. 1075. (2) Gioffredo, op. cit. col. 1075-1076. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4 I 3 le due missioni in Napoli; la prima nel settembre del 1443 in qualità di nuncio all’Aragonese per avviare le pratiche di una tregua che doveva aprire la via alla pace, a stabilire la quale la Repubblica avrebbe poi mandato speciali ambasciatori; la seconda nel febbraio del successivo 1444, in qualità di cancelliere degli ambasciatori stessi. Di queste sue missioni il Facio parla diffusamente nella maggiore delle sue opere, e il Gabotto le ha largamente riassunte (1). Non occorre quindi ripetere qui cose già note; e però mi limito a riportare in nota i documenti che a quelle missioni si riferiscono; i quali, insieme con alcune circostanze nuove, ci fanno conoscere in modo preciso due date importantissime per la biografia del nostro umanista (2). (1) Op. cit. pagg. 132-135. (2 ! Ecco il decreto di noruiua del Facio a nuncio della Repubblica presso Re Alfonso (R. Arch. di Stato di Genova, Diversorum Comunis, filza 14): « In nomine domini Amen. Illustris et excelsus dominus Raphael Adurnus dei gratia dux Ianuensium. Et Magnifica Consilium Dominorum Antianorum et officium prouisionis comunis Janue in legitimis numeris congregata : Cui consilio interfuerant vndecim inferius nominati videlicet : | Antonius Carena pelliparus prior | Lodisius Grillo | Iacobus de Flisco quondam liectoris | Iacobus de Guiso | Basilius Asinellus | Nicolaus Spinula de Ronco | Christoferus de furnarijs | Benedictus de Xigro | Tomas pallauicinus j Dominicus Ceba et Iohannes Justinianus quondam Ambrosii | Absente Iohanne de ( )liua notario reliquo xii.° | Et octo Officialium prouisionis: qui omnes présentes fuerunt hec sunt nomina: | Lazarus de viualdis prior | Iacobus de passano notarius | Petrus Bordenarius 1 Saluagius Spinula | Francus Lomellinus | Iohannes Iustinianus de Campis | Bernardus de Zerbis et , Iohannes Ambrosius de Marinis | Agentes nomine et vice Excelsi Comunis Ianue : Nec reuocantes proplerea aliquem nuncium procuratorem aut coni-missarium ipsius comunis sed eum potius confirmantes : omni via modo forma quibus melius et validius potuerunt : creaverunt et constituerunt suum et ipsius comunis certum ac verum nuncium procuratorem et mandatarium et quicquid rectius esse ac nominari debet et loco sui posuerunt Circumspectum vi tum Bartolomeum facium Spediensem licet absentem tanquam presentem : Specialiter ad comparendum coram Serenissimo et preclarissimo principe et domino domino Alfonso dei gratia Aragonum Hverusalem et Sicilie Rege etc. Coranique Maicstatis sue consiliis commissarijs officialibus et alijs ab ea deputatis et deputandis: et cum regia Maiestate tractandum ineundum firmandum et concludendum sublationem cessationemque damnorum et offensionum inter Excellentiam suam eiusque regna ciuitates terras et subditos ex una parte: Ipsosque dominos Constituentes et comune Janue eiusque ciuitates terras et 4-14 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Cancelliere della Repubblica non fu nominato che all’atto della sua partenza da Genova per Napoli nel I444> insieme con Battista Goano e Battista Lomellino, ambasciatori ad Al- subditos ex parte altera : sub illis modis formis promissionibus obligationibus condictionibus et penis; quas existimauerit rebus convenire: Et pro ea tempora que sibi commodiora et aptiora materie videbuntur. Itemque ad pro mittendum nomine ipsorum dominorum Constituentium eosque et ipsum comune obligandum quod intra tempus de quo cum Regia sublimitate convenerit Ipsi domini constituentes et Comune Ianue ad eam mittent legationem cum sufficientibus mandatis super tractatu pacis cum sua sublimitate contrahende. Et in his omnibus et singulis inque dependentibus emergentibus accesso-sijs et connexis ab eis tractandum ieneundum firmandum concludendum promittendum obligandum et omnia faciendum que sibi expedientia videbuntur. Dantes et attribuentes eidem procuratori et mandatario suo in his omnibus et singulis et in dependentibus emergentibus accessorijs et connexis plenum amplum ac generalem mandatum et etiam speciale ubi specialius exigatur : omnia faciendi que rebus accomodata iudicauerit : Non aliter quam ipsi ijdem domini constituentes possent si rebus intcressent. Promittentes mihi notano et excelsi comunis Ianue cancellario subscripto ut persone publice officio publico stipulanti et recipienti nomine et vice eiusdem Excellentissimi domini regis omniumque et singulorum quorum interest intererit uel interesse poterii quo-modolibet in futuro se se eo nomine ratum gratum validumque habituros semper et omni tempore quicquid ab eodem procuratore et mandatario suo in his omnibus et singulis et circa ea inque dependentibus emergentibus accessorijs et connexis ab eis tractatum initum firmatum conclusum promissum obligatum factumve fuerit aut quovis modo procuratum : quodque contra ea uel eorum aliquod non facient uel venient aliqua ratione occasione uel causa que dici uel excogitari posset. Sub ipotheca et obligatione omnium bonorum suorum dicto nomine presentimi! et futurorum. | De quibus omnibus confici voluerunt hoc publicum documentum duos menses proximos duraturum et valiturum a me notario et cancellario infrascripto. | Actum Ianue in palatio publico in maiore camera que aule magne contigua est et inseruit estiuis mensibus con-cilijs celebrandis : anno dominice natiuitatis Mccccxxxx tercio indictione quinta iuxta morem Januensem die veneris vicesima mensis Septembris hora xvii.a presentibus egregijs viris Matheo de Bargalio, Nicolao de credentia et Prospero de Camulio cancellarijs comunis Ianue testibus vocatis et rogatis ». Circa questa prima legazione ad Alfonso, ecco alcune altre notizie tratte dall’ Arch. di Stato di Genova. Il 20 settembre 1443 è data al F. in partenza per Napoli una commendatizia per gli ambasciatori veneto e fiorentino presso 1’ Aragonese (Reg. Liti. n. 12, c. 429-»); il giorno seguente un’altra per Niccolò Piccinino, capitano generale al servizio d’ Alfonso (/vi, c. 430-2'.) GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 41 5 fonso (i). Ciò avvenne il 6 di febbraio, come resulta dal decreto di nomina, di pugno di Giacomo Bracelli (2). Ma il suo non fu che un cancellierato ad honorem, giacche non gli venne assegnato alcuno stipendio, « sine ullo tamen salario ». Parrebbe Nella lettera credenziale in data del 21 è detto, fra l’altro: «ad conspectum sublimitatis vestre properare iussimus circumspectum virum Bartholomeum facium Spedienseni ut et litteras domini ducis Mediolani Maiestati V. reddat, et in sublatione offensionum ceterisque eam materiam respicientibus regiam voluntatem exploret cui quum in eo negocio et arbitrium et mandata dedimus superest Ex.a V. precari ut habita relatibus suis indubia fide iubeat eum quambenigne ocius expediri » (Ivi. 430-w - 431-;·.). In lettera poi agli ambasciatori presso il Duca di Milano, in data dei 28 di settembre, si leggf : « Cupere videmini ut eum vobis nominemus quem ad Serenissimum dominum regem misimus. Vix vobis cognitus est Bartolomeum facium in adversis rebus semper nobiscum habuimus iuvenem profecto moderatum, qui id velit nolitque quod nos ipsi: si quo tamen studio agitur illi Illustrissimo principi affectus est. Nunc nos adregem Aragonum cum ducalibus litteris misimus, ut redditis litteris id petat quod liltere suadent, sublationem videlicet offensionum, cui sei vi rex assentiatur idem ipse promittat nomine huius reipublice. Peridoneum quippe negocio eum iudicavimus cumque eius discessus nullos rumores nullas fibulas excitabat, tuinque cum res populo innotescet nemo erit qui culpet vitam hominis quod nimio studio aliquarum partiu.n rapiatur » (Ivi, c. 436-w.)· Da una lettera ad Antonio [Ivani] da Sarzana, mandato per commissione al duca di Milano, in data del 26 ottobre, resulta che il Facio aveva scritto di essere riuscito ad ottenere a tempo la cessazione delle rappresaglie. {Ivi, c. 462-r. 1 Della relazione mandata al Doge Raffaele Adorno circa le cose trattate col re di Napoli ci parla il Facio stesso nel libro Vili della sua storia (Cfr. pag. 215 della prima ediz. lionese). (1) Cfr. FaCII De rei. gestis ab Alphonso primo, etc. I.ib. Vili, pagg. 2 if, 216 della prima ediz. lionese. (2) Arch. di St. di Genova, Diversor. Registi·, n. 38-533: « MCCCCXXXXIIII die vi.ta februarii. Illustris et excelsus dominus Raphael Adurnus dei gratia dux Januensium ct Magnificum Consilium dominorum Antianorum comunis Janue in legitimo numero congregatum, quorum tunc presentium hec sunt nomina Demetrius Cataneus prior Anfreonus Aspiranus Cataneus de Camilla Julianus de Panna Antonius Salvaigus Raphael de Marco Francus Spinula quond. Oberti Damianus Justinianus et Benedictus de Flisco Bartolomeus Imperialis Jacopus Musras notarius. 4IÔ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che a Napoli non andasse soltanto per affari di stato, ma per conto proprio, forse con la speranza, che poi si realizzò, di rimanere presso la corte del Magnanimo, che attorno a sè richiamava tanti eccellenti ingegni; e questo mi pare si possa arguire da quell’ etiam del decreto, che ci fornisce anche una plausibile spiegazione di quel sine nilo tamen salario. Tornò il Facio in patria? Non credo; e queste sue parole paiono escluderlo: « Quibus peractis... legati, cum bona regis venia, Genua reversi sunt » (i). E non è da supporre, come fa il Gabotto (2), che parlando del ritorno degli ambasciatori il Facio intenda anche del propno ; giacché egli non era veramente uno dei legati, ma soltanto cancelliere di essi, come ci è provato non pure dal citato decreto, ma dalle parole stesse del Facio; « Quibus ipse comes datus sum, ut essem, qui pro rep. nostra, quae de pace essent conficienda literis proderem » (3). Quel comes fu non esattamente inteso per collega dal Mauro, dilla cui traduzione si è valso il Gabotto. Il quale, affermando che il Facio tornò in Genova dopo quella sua seconda missione in Napoli (4), si basa sopra una frase del Braggio, là dove dice che « solo nel 1445 lasciò l’ufficio di cancelliere » (5). Ma il Braggio intese riferirsi al cancellierato presso il governo del re di Napoli, e non presso la Repubblica di Genova, togliendo evidentemente questa notizia dall 'Abbecedario del Federici, che a quel luogo non cita, ma che ricorda invece allo stesso proposito nella introduzione premessa alla Novella prima della Xa Giornata del Decameron del Boccaccio tradotta in latino dal Facio, e pubblicata dal Braggio nel Giornale Ligustico (6). In fatto, nel Fe- Non ignari doctrine raultarumque virtutum quibus vir egregius Bartolomeus de Facio excellit; eum nunc Neopolim etiam pro negotiis pubblicis accessurum; creaverunt et elegerunt cancellarium cxcelsi comunis Jaune sine ullo tamen salario. (1) Facii, op. cit. pag. 217. (2) Op. cit. pag. 136. (3) Op. cit. pag. 216. (4) Op. cit. pag. 136. (5) &■ Bracelli e V umanes. dei Liguri al suo tempo. In Atti d. Soc. Lig, di St. Pat. pag. 219. (6) Giornale Ligustico di archeologia, storia e letteratura. Anno XI, Genova, 1884, pag. 381. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 417 derici troviamo: « Cancelliero e sindico del Re Alfonso, 1443 e 1444, che lo ritenne appresso di se, e fu levato di cancelliero 1445 >(1)· Egli dunque rimase in Napoli; e poteva farlo, libero com’era d ogni impegno verso la Repubblica, che gli aveva dato un carico così poco rimunerativo. E a questo non rinunziò altrimenti, ma ne fu revocato con altro decreto dogale del 31 maggio 1446; con lo stesso decreto col quale si nominava nella carica medesima il suo amico e compatriota Giacomo Curio, il colto grammatico e valente miniatore e calligrafo, che poco appresso doveva raggiungerlo in mezzo alla schiera de’dotti di cui si attorniava l’Ara-gonese, e più tardi dar l’ultima mano alla versione di Arriano lasciata imperfetta dal Facio allorché fu sorpreso dalla morte (2). Della vita intima del Facio non si conosce quasi nulla. Ebbe egli famiglia? « Non si legge che avesse moglie » ha scritto lo Spotorno (3); ma si potrebbe quasi accertare il contrario, perchè quel « Mario di Fatio da Gienova » che nel 1460 figura nella lista della corte pontificale, e nel 1463 era scrittore di Pio II (4), : I) Cfr. Scrutinio delta nobiltà Ligustica, ms. già citato, pag. 283. Ma questi dati del Federici non sono attendibili, essendo, come è chiaro, in contradizione con quelli che si desumono dai documenti. (2) Arch. di St. di Genova, Diversor. Registri, n. 4: | 537: « die ultimo maij [1446]. Illustris et excelsus dominus Dux Januensis et magnificum consilium dominorum Antianorum in legitimo numero congregatum: dignis moti respectibus: elegei unt et constituerunt ac presentium tenore eligunt et constituunt virum Egregium Jacobum Curium in Cancellarium et pro cancellario ipsorum Illustris domini ducis consilij et comunis Janue: sine ullo salario et obventionibus cancellarie spectantibus: sed solum fruatur et gaudeat honoribus et dignitatibus quibus gaudent cancellarij comunis Janue: cum intentionis prefati Illustris domini ducis sil ipsi Jacobo providere de aliquibus scribanijs unde capiat emolumentum in premium laborum suorum. Revocantes electionem Bartholomei facij alias electi in cancellarium dicti comunis ». (3) Op. cit. II, pag. 51. 14) Cfr. Muntz et Fabre, La Bibliothèque du Vatican au XV siècle etc. pag. 124: « Parmi les copistes, nous relevons les noms d’Antonio de Sartcano et deux Génois, Francesco et Mario da Fazio ». E in nota è riportato il passo del documento: « 1463, avril » « Ducato uno dati.... a Mario di Fatio da Gienova scriptore di sua Santità ». Mario (Marius la-nuensis scriptor) figure en 1460 sur la liste des officiers de la cour pontificai (Marini, Archiatri Pontifici, 1. c, [Roma, 1784, t. II, p. 154J ». Il G.\-BOTTO (Un nuovo contrib. ecc., pag. 128 e indice) non ha rilevato che 4lS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA forse era suo figlio. Il Facio, scrivendo a Gian Giacomo Spinola, promette mandargli quanto prima i Commentari della guerra di Chioggia, tosto che li avrà terminati, scritti di mano di suo figlio: « Commentariolos meos quum exornavero, et expedivero ... mittam ad te pueri mei manu » (i) ; e più oltre si propone di mandargli altre cose sue, appena che il puer potrà trascriverle: « Alia vero mea, quae petis, imo, flagitas, quum primum puer potuerit, transcribentur, et mittentur ad te » (2). Ora, il trovare un Mario di Fazio genovese, copista, a pochi anni dalla morte di Bartolomeo, presso il papa Piccolomini, che era stato di quest’ultimo amico ed ammiratore, parmi dia argomento di credere si tratti di un’unica persona con quegli che ricopiava gli scritti del padre. Scrive il Gabotto verso la fine del suo studio sul nostro umanista: « Di molti letterati del Quattrocento e del Cinquecento è rimasto il ritratto o in pitture od in medaglie; non del Fazio, ch’io mi sappia, del quale si può dir soltanto fisicamente che era di statura piccolino e piuttosto magro, un omettino insomma, se il Valla lo chiamava inter minutissimos minutissimus » (3). In vero, un ritratto del Facio si trova pubblicato insieme con l’elogio di lui nella grande raccolta dei Ritratti ed Elogi de’ Liguri Illustri fatta dal Gervasoni ; un brutto disegno in litografia di Del Re, « ricavato », dice la lettera, « da busto » ; ma della attendibilità di quel ritratto è lecito dubitare, tanto più confrontandolo con quello, finora inedito, che è riprodotto nella tavola unita, tratto da una finissima miniatura del Codice Urbinate Latino 415 (membr. Sec. XV) contenente la traduzione faciana delle storie di Arriano (4). questo Mario è di e non da Fazio, come erroneamente interpreta il Müntz, e ha inavvertitamente confuso nello stesso cognome 1’ altro copista genovese Francesco, che nel documento citato dal Müntz è detto semplicemente «prete Franciesco Gienovese ». (1) Barth. Facii et alior. ad ipsum Epistola:, in seguito al De Viris illustribus del F. stesso pubblicato dal Mehus; Ep. I. pag. 80. (2) Id. Ibid. (3) Op. cit. pag. 179. (4) Cfr. Codices urbinates latini recensuit Cosi.'tUS STORNAJOLO, Romæ Typis vatie. 1902, in-4, ν°1· I, Pag· 499· La riproduzione fotografica è da un ingrandimento della miniatura fatto ad olio dal prof. Felice Del Santo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4IQ II. BIBLIOGRAFIA. 1. i. Bartholomaei II Facii De rebus ge-1| stis ab Alphonse pn - Il mo neapolitanorum || rege commenta - || riontm libri \ deceni. || Io. Micha'élis Bruti opera nunc primum || in lucerne-diti, ac summo studio || vetustiss. collatis exempla - || ribus είπε n dati. H Lugduni, apud Haeredes || Sebast. Gryphii, || MDLX. in-4, di pp. 312 più 16 n. n. in fine contenenti: una lettera di Antonio Grifio al lettore, X Errata, X Index rerum et verborum memorabilium, e l’impresa del Tipografo. Da p. 3 a 15 la dedica del Bruto ad Alberico Cibo-Malaspina principe di Massa e Carrara; a pag. 16 Barth. Facii vitae brevis descriptio·, da p. 17 a 18 la prefaz. del Facio (1). 2. Bartholomaei || Facii De rebus ge - || stis ab Alphonso pri - Il mo neapolitanorum || rege commenta - j| riorum libri j| decem. || Io. Micha'élis Bruti opera denuo in lucem || editi, ac sunimo studio vetustiss. || collatis exemplaribus || emendati. || His accessère Franc. Contar. V. C. De rebus || in lletruria gestis Comment. || Libri tres. || Lugduni apud Haeredes || Sebast. Gryphii. || MDLXII, in-4, di pp. 312 più 16 η. n. infine, come nella preced. In questa ed. la Barth. Facii vitae brevis descriptio è a pag. 2 ; la lett. del Bruto ad Alberico Cibo-Malaspina va da pag. 3 a 16, e, circostanza curiosa, porta la data XVII Calen. Apr. i$Ó2, mentre nella prec. la stessa lettera ha la data del 1560! Il resto dell’opera è stampato sulla stessa composizione dell’ediz. precedente, come ne fa fede XErrata posta in fine, identica all’altra; anzi, direi che non si tratta nemmeno d’una ristampa, ma che a un certo numero di copie del 1560 furono cambiati i fogli a e b. L’opera del Contarini, che segue, ha frontispizio e numerazione di pagine a sè, così: Francisci Contareni V. clariss. De rebus in Hetruria à senensibus gestis cum adite) sus Florentinos, tum adversus Ildibrandimtm Vrsinum Petilianen. comitem, Libri tres, a Io. Michaële Bruto nunc primum (1) II Bongi (Annali di Gabr. Giolito De Ferrari, ecc. Roma 1895, Vol. II, p. 370^ erroneamente attribuisce a questa i.a ediz. lionese la data dei 1568. 420 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA in lucevi editi. Lugduni, ap. Haered. Sebast. Gryphii, M.D.LXII, di pp. 106 più 8 in princ. e io in fine s. n. 3. Bartholomaei Facii de rebus gestis ab Alphonso primo etc. Lugduni, 1566. — Non m’ è riuscito di trovare questa terza edizione lionese, che registro solo per la notizia che ne dà A-postolo Zeno: « e quattro anni dopo nel 1566, se ne fece pur quivi [in Lione] una terza impressione » (1). E citata pure dal Niceron (2). 4. Bartholomaei || Faccii || De rebus gestis || Alphonsi || Aragonii || regis [| libri VII. || Gulielmo Gonzaga Primo, || Duce tertio; Mantuanus || et Monferatensibus [| Imperante. || Philoterpses et Clidanus | Philoponi Fratres; Mantuae excudebant. I! M.D.LXIII, in-4, d' cte· 84 P'ù 6 in principio s. n. contenenti: il frontispizio, una lettera di Francesco Filopono a Cesare Gonzaga, ed un’altra dello stesso a Ippolito Arrivabene mantovano. Il verso dell’ultima carta contiene un avvertimento del Filopono al lettore e X errata. 5. Bartholomaei Fa - || cii rerum gestarum Alphonsi || primi regis neapolitani libri X. Ext. cum: Francisci Guicciardini patricii fiorentini historiarum sui temporis libri viginti, ex italico in Latinum sermonem nunc primum & conversi, & editi, Caelio Secvndo Cvriore interprete. Ad Car olunt Nonum Galliae Regem potentissimum & Chri-stianissimum.... Basileae. Cum gratia & privilegijs Caesareae Maiestatis & Regis Christianissimi ad Decenniun, 1566. [In fine:] Basileae. Excudebat Petrus Perna suis et Henrici Petri impensis, Anno Salutis, M.D.LXVI. Mense Martio. — In-fol. di pp. 20 n. n. più 737, più 47 η. η. L’opera del Facio segue con numerazione a parte, e va da pag. i a 145. Da pag. 146 a fine (pag. 212) segue: Ioannis Ioviani Pontani De Ferdinando primo rege neapolitano Alph. F. ecc. 6. Bartho ì| lomaei Facii et || Io. Ioviani Ponta - || ni rerum suo tempore gesta- || rum Libri sex dee im || Quos idcirco cum Guic - H ciardino coniunximus, quia ubi Pontanus definit, Il Guicciardinus suam historiam inchoavit. || Basileae. || M.DLVI. (1) Dissertaz. Vossiane, I, p. 65. (2) Mémoires pour servir à l’histoire des hommes illustres dans le République des lettres, etc. Paris, MDCCXXXIII, in-12, Tome XXI, pag. 320. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 42 I [In fine:] Rasileae || Excudebat Petrus Perna suis et Henrici || Petri impensis Anno || Salutis || M.D.LXVII, in-8, di pp. 620, più 50 in fine s. n. contenenti l’indice. L’op. del Facio termina a pag. 406. Sebbene il titolo sia diverso, quest’opera non è altro che il De rebus gestis Alphonsi. Lo Zeno non vide questa edizione, ma la registrò dalla citazione che ne fa la Biblioteca Barberina, dicendola di un’opera a lui sconosciuta e sbagliandone la data, che non è 1597, ma 1567 (1). Il Fabricio registrando la Historia suorum temporum (alla quale assegna erroneam, la data di Basilea ifjjj invece che 1567) dubitava dell’identità di essa con la Vita di Alphonso: « non diversum, ut videbitur, ab opere superiore » (2). Il Gabotto pure suppose il vero (3). Quantunque questa edizione sia fatta, come la precedente, in Basilea, dagli stessi editori e nello stesso tempo, non è una riduzione di essa, essendo composta con caratteri aldini, mentre l’ediz. in-fol. è in caratteri romani. Anche le storie del Guicciardini tradotte da Celio Secondo Curione si trovano riprodotte in questo formato. 7. Bartholomaei Facii, || Reipublicae Genuensis a Secretis, Il De il Rebus gestis ab || Alphonso Primo || Neapolitanorum Rege, Il Commentariorum || Libri X. || Summo antehac studio, vetustissimis [| collatis exemplaribus, emendati, ac in lucem editi Il a II Ioanne Micliaele Bruto |i Editio Novissima, emendatior & auctior. H Lugduni Batavorum, || Sumptibus Petri Vander Aa, II Bibliopolae, Academiae atque Civitatis Typographi. S. a. [ma 1723], in-fol. di coli. 188, più 12 pp. in fine s. n. contenenti V Index nominum, rerum et verborum ; e 8 in principio contenenti: il frontispizio, una Praefatio huius novae editionis, gli Elogia auctoris ex Palili Jovii elogiis, l’elogio del Foglietta, 1’ estratto dell’ opera del Vossio De historicis latinis che riguarda il Facio, la prefazione del Grifio alla prima edizione lionese, la vita del Facio tratta dalla stessa ediz. e la lettera dedicatoria (1) Op. cit. I, p. 67. (2) Jo. Alberti Fabricii SS. Theol.D. et prof . Pnbbl. Bibliotheca latina mediœ et infimes œtatis. Hamburgi, sumtu viduæ Felgineriæ ex officina piscatoria, MDCCXXXIV-V, in-8, vol. II, lib. V, pp. 427-431. (3) Op. cit. pag. 167, η. 422 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del Bruto ad Alberico Cibo-Malaspina. Con tavv., incise in rame, di ritratti, cioè: pag. I, Ioanna Dyrrachina regina Neapolitanorum; pag. 6, Alphonsus 1, rex Neapolitanorum ; pag. 47, Renatus Andegavensis; pag. 127, Franciscus Sfortia. Extat in : Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae quo continetur optimi quique scriptores qui Campaniae, Neapolis, Magnae Greciae confinium que Populorum ac Civitatum Res antiquas, aliasque vario tempore gestas, memoriae prodiderunt..... Cura & studio Iohannis Georgii Graevii.... cum praefationibus Petri Burmanni. Lugduni Batavorum, Excudit Petrus Vander Aa, MDCCXXIII, in-fol. T. IX, P.e 3.=*. 8. Bartholom. Facii ;| De rebus gestis ab j| Alphonso Primo Neapolitanorum rege || commentariorum '| Libri decem I opera, & studio Io: Michaelis Bruti, vetustissimis collatis || exemplaribus, emendati. || Neapoli || In Typographia Ioannis Gravier MDCCLXIX. Sup. facultate. In-4, di pp. 272, più 28 s. n. contenenti il frontispizio, la dedica del Bruto al Malaspina, la vita del Facio, la lettera di Antonio Grifio al lettore, e Γ indice delle cose notabili. Extat in: Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell' Istoria generale del Regno di Napoli principiando dal tempo che queste provincie hanno preso forma di Regno, dedicate alla Maestà della Regina nostra Signora (D. G.), Tomo IV. 9. Fatti d’Alfonso d’Aragona, primo re |] di Napoli di questo nome-, || descritti da Bartholomeo il Facio genovese; || et nuovamente tradotti nella volgar | lingua da M. Giacomo Mauro i dove s’hà piena notitia delle cagioni || delle guerre tra Spagna e Francia, per il Regno di Napoli, e come Fran-1| cesco Sforza venisse al possesso di Milano, cose tocche dal Giou/o e dal Guicciardini, e passate con brevità da loro. Con privilegi. [Impresa] In Vinegia, appresso Giovanni, j| et Gio: Paolo Gioliti De’ Ferrari MDLXXIX. In-4, di pp. 492, più 20 s. n. in principio, contenenti la dedica del traduttore a D. Ferrante Carafa e la Tavola delle cose notabili. 10. Gli stessi, con la data del MDLXXX, che è la più comune. È perfettamente eguale alla precedente, ed ambedue sono stampate sulla stessa composizione. In fatto si riscontrano nell’una e nell’altra impressione i segg. errori di numerazione nelle pagine: la 50 è segnata 58, la 204 è segnata 206, le 342, GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELLA LIGURIA 423 343 non sono segnate, ripetendosi invece in esse la numerazione delle 344, 345; e così dicasi delle 346, 347 con ripetizione delle 348, 349. e della 482 con ripetizione della 484. Ma la pag. 101 che sta bene nella stampa del 1579 è errata in quella del 1580, che è segnata 201. Il Bongi (1), oltre gli esemplari con la data del 1580, ne ricorda altri con gli anni mutati nel frontispizio; cioè 1581 e 1582. Non ricorda però che se ne trovano con la data del 1590, uno dei quali si conserva alla Nazionale di Torino. Alla versione di quest’opera del Facio s’era pure accinto nel sec. XVI Marc’Antonio Terminio da Contorsi, il quale per altro la interruppe al terzo libro. Ce ne ha lasciato notizia Pier Francesco da Tolentino nella dedica di un'opera del Terminio a Vespasiano Gonzaga Colonna (2). S’ignora la sorte del manoscritto. Il primo libro delle Storie d'Alfonso fu pure voltato in italiano dal Rev. Benedetto Sanguinetti prete della Missione nel 1880; il manoscritto si conserva nella Biblioteca Comunale della Spezia. II. i. Bartholo- maei Facii, | De bello ve»e-\\ to clodiano I liber. Lugduni Apud Gasparem à Portonariis. jj m.d lxviil In-8, di pp. 122. A pag. 3: Ad loannem Iacobum Spinulam Proe-mium. A pag. 106: Sequitur aliud parvi temporis bellum venetum. Il Porro, parlando di un manoscritto della guerra di Chioggia che trovasi nella Trivulziana di Milano, cita, oltre questa prima edizione lionese del 1568, una ristampa del 1578 (3); ma non mi è mai occorso di trovare esemplari con quest’ ultima data. 2. Bartholomaei Facii, | Reipublicae Genuensis à secretis De Bello Veneto I Clodiano \ Liber; ' ut et \ \ Aliud parvi Temporis I Bellum Venetum. Editio novissima, priori auctior et emendatior I Lugduni Batavorum, sumptibus Petri Vander Aa, || Bibliopolae et Typographi Academiae et Urbis. In-fol. di coli. 34, più 2 pp. in principio s. n. contenenti il frontispizio, una Praeii) Op. cit. pag. 369. 2 , Apologia di tre segçi illustri di Napoli di M. Antonio TERMINIO da Contorsi. In Vcnctia appr. Domenico Farri, MDLXXXI, in-4. (3 iCfr. G. Porro, Trivuhiana. Catalogo dei codd. manoscritti, Torino 1884, pag. 154. 424 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fatto huius novae editionis, gli Elogia auctoris ex Aug. Oldoini Athenaeo Ligustico e ex Francisci Maurolyci Sicanicae Historiae Lib. IV, e il Proemio del. Facio a G. G. Spinola. In fine 3 pp. n. n. contenenti Γ Index rerum et verborum. Extat in : Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, quo continentur quique scriptores qui regionum et urbium juris veneti Confiniumque Populorum ac Civitatum Res Antiquas, aliasqne vario tempore gestas, memoriae prodiderunt..... cura et studio Ioannis Georgii Graevii.... cum praefationibus Petri Burmanni.... Lugduni Batavorum, Excudit Petrus Vander Aa, MDCCXXII. Infoi. Tomo V, P.e IV.a (vol. XII). 3. Bartolommeo Fazio I Della || Guerra di Chioggia || Versione \ di il Federico Alizeri. i| Genova II Presso G. F. Garbarino editore libraio | quattro canti di S. Francesco. (Sampierdarena 1859, Tip. Vernengo). In-16, di pp. 104. Pp. 3-9: Lettera del traduttore Al Chiar™0 e Rev.m0 padre il Cav.re Commendatore Lorenzo Isnardi. Pp. 11 - 14 Proemio a Gio. Giacomo Spinola. Pg. 91 a fine: Segue di altra guerra di poca durata. III. i. Bartholomaei Facii || De viris illustribus \ Liber\\ nunc primum ex tns. cod. in lucem erutus. |' Recensuit, praefationem, vitamque auctoris addidit ' | Laurentius Mehus 11 Etruscae Academiae Cortonensis socius, \\qui nonnullas Facii, aliorumque || ad ipsum epistolas adjecit. Florentiae. Anno MDCCXLV. | Ex Typographio Joannis Pauli Giovannelli. Praesidibus adproban-tibus. Prostant apud Caietanum Tanzini Bibliopolam Florentinus. In-4, di pp. XXXXVIII-108, con impresa, frontoni e capitali inc. in rame. Pg. 5-6: Dedica del Tanzini al Barone Carlo De Firmian. Pg. VII sgg.: Prefazione del Mehus. Pag. XXI sgg.: Vita Bartholomaei Facii. Pag XXXI sgg.: Bartholomaei Facii scripta. Pag. 479 a fine: Bartholomaei Facii et aliorum ad ipstcm Epistolae. 2. De viris illustribus [| Liber || Bartholomaei Facii. In Colonia, s. n. t. — E la medesima edizione di Firenze qui sopra citata. Che l’edizione con la data di Firenze sia l’originale, cui fu in alcuni esemplari mutato il frontispizio con 1’ altro recante la data di Colonia, se non fosse di per sè evidente, sarebbe confermato dal fatto, che la prima pagina dopo il frontispizio, avente la dedica al barone Carlo di Firmian, reca in entrambi gli esemplari il numero V: ciò che sta bene per 1’esempi, colla GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 425 data di Firenze, che ha, prima della pag. V, due carte, una per l’occhio, e una per il frontispizio; ma non per l’esemplare colla data di Colonia, che manca dell'occhio, ed ha una sola carta per il frontispizio. I caratteri del front, falsificato sono di tipo assai simile a quelli dell’ediz. originale ; la quale sembra essere sfuggita al Bongi, che si limita ad affermare che l’opera De viribus(sicl) illustribus « rimasta lungamente inedita » fu « stampata in Firenze, colla data di Colonia, nel 1745, in-4 » (l)· Una parte di queste vite del Facio furono tradotte dal ricordato rev. Benedetto Sanguinetti. Una copia di quella versione, che comincia con l’elogio di Giovanni Caracciolo, e va sino alla fine del libro, si conserva nella Bibl. Com. della Spezia. IV. i. Bartholomaei !| Facii genuensis, viri doctiss. De Vitae Felicitate, seti || Summi boni fruitione \ Liber. Qui ante annos qui dem plus minus centum \ | scriptus, nunc primum in locos com-il munes digestus, excuditur. Antuerpiae. || Ex Officina typogra-phica Christo-Il phori Plautini. 1556. ;| Cum Priuilegio.— In-8; cinque carte num. in principio contengono: cte. 1, il titolo e al verso il previlegio del Re all’Editore; cte. 2, una epistola dedicatoria di Cristoforo Plantin Magnifico D. Cristophoro Hal-ler, ab Hallersteyn, Caes. Ma. Consiliario, data vii idus ianuarii anno 1556, cte. 4-verso: la Epistola Apologetica del Facio a Roberto Strozza. Segue il Proemio ad Alfonso in tre cte. n. n.; al verso della terza: < Dividitur iste Facii Dialogus, in duas partes, quarum prima est, de vitae felicitate. Secunda vero, quid sit Summum bonum, & in quo consistat, ostendit. Dialogi autem persone, seu interlocutores sunt: Antonius. Guarinus. || Lamola ». Segue il dialogo in 70 cte. (fogli A-I). In fine altra carta s. n. contenente Vindex locorum communium in hoc Dialogo contentorum, e tre pag. bianche. 2. Bartholomaei Faccii De Humanae vitae | Felicitate ad Alphonswu A r agonum et Siciliae etc. \ Regem inclytum Liber incipit. Ext. in: De Regibus Siciliae et Apuliae in queis nominatim de Alphonso Rege Arragonnn, Epitome Felini Sandei ferrarien-sis. I. C. ad Alexandrum VI. Pont. Max. Nunc primum itt lucem edita. Item Parallela Alfonsina sive Apoplithegmata. ... Qui- I i Annali di Gabr. Giolito De Ferrari, Vol. II, pag. 370. G torti. St. e Lett. detta Liguria 426 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA bus accedunt Bartholomaei Facii Genuensis, De Humanae vitae Felicitate Liber, ad eundem Alfonsum Arragonutn ac Siciliae Regem. Item De excellentia ac praestantia hominis ad eutndetn Piavi II. P.P. E manusc. nuncprimum edita. Hanoviae, Typis Wechelianis, apud Heredes Joannis Aubrii, MDCXI, in-4, PP· 106-148. 3. Bartholomaei ;| Facii Genuensis, viri || Doctiss. de Vitae Felicita- \ te, seu Summi boni fruitione Li-1 ber. || Qui ante annos quidem plus |. minus centum scriptus, nunc\\primum in locos commu- nes digestus, excu- \ditur. | Lugduni Batavorum, | Ex officina Joannis Maire i| clo Idcxxviii. — In-32, di pp. 170. Pp. 3-7 Γ Epistola di Cristoforo Plantin a Cristoforo Hailer della precedente edizione di Anversa. A pag. 154 in fine : Laus Christo. Pp. 155-156: Index locorum communium in hoc Dialogo contentorum. A pag. 157: Dialogus an virtus doceri possit; e al verso: « Amice lector. Ne pagellae aliquot vacarent, visum fuit ex Stobaeo huic libello adiungere Dialogum An virtus doceri possit, vulgo Platoni asscriptum, qui sic se habet >. A pag. 170: Finis. — Di questa rarissima edizione di Leida, completamente sconosciuta a tutti i bibliografi del F., esistono esemplari nella Biblioteca della Missione Urbana in Genova e nella Palatina di Parma. V. Bartholomaei Faccii | De excellentia ac praestantia | hominis ad Pium Papam secundum Liber incipit. Ext. in : De Regibus Siciliae et Apuliae in queis et nominativi de Alfonso Rege Arragonutn, Epitome Felini Sandei Fer-rariensis I. C. ad Alexandrum VI Pont. Max. nunc primum in lucevi edita. Item Parallela Alfonsina Sive Apophthegmata.. . Quibus accedunt Bartholomaei Faccii Genuensis, De Humanae vitae felicitate Liber, ad eundem Alfonsum Arragonutn ac Siciliae Regem. Item De excellentia ac praestantia hominis ad eund. Pium II PP. E manus, nunc primum edita, Ex Bibliotheca Marq. Freheri, cum Praefatione eiusdem, & Notis. Hanoviae, Typis Wechelianis ap. heredes Joannis Aubrii, M.DCXI, in-4, pp. 149-168. È dimostrato (i) che il Facio non dedicò altrimenti, nè avrebbe (1) Cfr. Giorgi, Disquisii, in vita Nicol. V, p. 99 - MEHUS in Facii vita premessa al De viris illustribus, p. XXX, e p. XXXIX in Facii scripta, ibid. - Zeno, Dissert. Voss. I, 69. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 427 potuto dedicare questo suo opuscolo al papa Pio II, assunto al Pontificato dopo la morte dell’autore. Fu invece intitolato a Nicolò V, come del resto portano i codici, ed affermò Giannozzo Manetti nella dedicatoria del suo De dignitate et excellentia hominis ad Alfonso d’Aragona (i). Il Braggio, che primo ha preso in esame quel trattato, giudicandolo tale da far poco onore al-l’acume dell’ingegno dei suo autore (2), ne ha fissato esattamente la data della pubblicazione, assegnandola al 1447 o al principio del ”48, perchè di questo tempo è una lettera del Facio allo Spinola, nella quale gli scrive di inviargli l’operetta morale da lui edita poco prima de hominis excellentia. Ora abbiamo nuovi ragguagli intorno a questo lavoro e alla sua genesi. Esso fu scritto per invito di Antonio da Barga, e sopra una traccia da lui mandata al Facio: tal che di questi, più che la sostanza, è la forma in elegante e purgato latino. Nel primo volume dello Spicilegium Montolivetense editimi a monachis congregationis olivetanœ 0· 5. Β. il P. Placido Maria Lugano ha messo in luce una cronaca di Monte Oliveto che va dal 1313 al 1450, scritta dal padre Antonio da Barga, facendola precedere da una introduzione intorno alla vita e agli scritti del-l’jutore (3). Il quale, nato verso la fine del secolo XIV, entrò 11) Pg. 9 sgg. : « Quum enirn non multo ante Florentini populi nomine legati et oratores Neapoli apud te commoraremur, factum est, ut semel opusculum quoddam praecipuum et egregium, et magis insuper laudibus et memoratu dignum, cursim legeremus, quod a Bartholomeo Fatio viro eruditissimo simulatque elegantissimo, de eadem materia Nicolao quinto summo Pont, scriptum et dedicatum fuerat ». Nell’ elogio del Manetti il Facio De viris illustr. p. 19) dice che egli pure scrisse un trattato de dignità/e hominis non sapendo che egli stesso, il Facio, aveva già scritto sulla materia: « Scripsit item de dignitate homini quem librum Alphonso Regi dedicavit, nescius, ut ipse ait, de eadem re me paulo ante licet alio titulo scripsisse ». Ma ben conosceva invece il Manetti l’operetta del Facio, come appunto ipse ait con le su riferite parole della lettera dedicatoria ad Alfonso. Del resto, i punti di contatto fra i due trattati sono troppo evidenti per dubitare che Giannozzo non abbia arato dinanzi il lavoro del Facio nel dettare la sua trattazione (Cfr. Braggio, op. cit. pp. 221 sgg.) (2 Op. cit. pp. 220-224. , ^ Antonii BargenSIS, Cronicon Montis Oliveti <1313-1450) edidit Placidus M. Lugano. Florentia;, Cocchi et Chili, MCMI, in-8. pp. xxv li. 428 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nell’ ordine olivetano, e dopo aver peregrinato per diversi monasteri, fu negli anni 1445-46 priore del convento di Monte Oli-veto in Napoli; nell’anno seguente a Prato dove rimase fino al 1450, e finalmente nel convento di S. Miniato in Firenze, dove nell’ anno 1452 morì col titolo di abate. Egli fu congiunto di amizia con S. Bernardino da Siena, e con molti uomini letterati famosi del suo tempo; scrittore a sua volta di cose ascetiche e storiche, sulle quali l’editore dà il seguente giudizio: * eius scripta, quamvis inelegantia, satis tamen illius aetatis indolem redolentia, magis magisque nobis profutura existimamus ». Fra le attinenze del padre Antonio da Barga il Lugano non ricorda per altro quella di Giannozzo Manetti, nè conseguentemente 1’ aneddoto che racconta Vespasiano da Bisticci nella vita di Giannozzo; il quale, al colmodello scoraggiamento per le avversità della fortuna, fu confortato dal frate con sante parole a farsi animo e a non disperare (1). Nel tempo del suo priorato nel monastero di Santa Maria di Napoli il Bargense ebbe agio di conoscere il Facio, che da poco tempo era presso la corte dell’Aragonese, e con lui pare fosse legato da grande familiarità. Scrisse un trattato De dignitate hominis et de excellentia humanae vitae, e lo diresse al Facio « non compositum, sed aliqualiter, per aliquas distinctiones et capitula beviter digestum », affinchè egli « inter alios oratoriae artis.... non modo secundus, imino primum post Tuliiim », su quella traccia lo rifacesse: « tuum erit corrigere, emendare, ampliare, ornare, atque componere, quia datum est tibi desuper talentum tantae nobilitatis, idest tantae scientiae, quae solum cum moribus nobilitat hominem » (2). (1) Commentario della vita di Giannozzo Manetti scritto da Vespasiano da Bisticci. Torino, U. T. E. 1862, in-16, pag. 76. (2) Gioverà riprodurre qui per intero 1’ epistola dedicatoria : « Antonius Bargensis Monachus, dictus prior Montis Oliveti in Partenope salutem dicit Bartolomeo Facio, suo in Christo dilectissimo filio ; salutem et sospitatem præsentem, et in finem salutem et gloriam sempiternam. Quidam olim Innocentius Romanæ Ecclesiæ summus pontifex quendam libellum luculento sermone componens, in quo abundanter et copiose de humana miseria, et hominis vilitate disseruit, incipiens ab eiusdem hominis conceptione, nec destitit eius miserias atque infelicitates enarrare, quousque miserrimus perductus est ad infernum. Quem libellum ipse quoque beate memorie An GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 429 Dopo il prologo comincia a trattare l’argomento. « Ante ommia », principia, « enarrandum est quare Deus fecit hominem, et corporeum et incorporeum » ; e spiega « quid sit imago et similitudo Dei in homine ». Quindi passa a trattare della dignità ed eccellenza dell’uomo, riferendo varie sentenze dei Santi Padri, e soggiunge: « Et quamvis ipsa excellentia hominis sit listes intitulandum « de humana miseria, » non immerito esse putavit. In quo opere idem felicis recordationis Papa, pollicitus fuit sociale opus componere, quod e converso intitulari debuerat « de dignitate et excellentia humane vitee ». Sed nequaquam egit, nec ab alio priorum poetarum, theologorum, et rethoricoruin, tam eximio opere temporibus retroactis narratum esse reperto. Credo eumdem Innocentium in Ecclesiarum regimine constitutum, quem dominus speculatorem dederat domui Israel, atque dimicatorem contra inimicos Ecclesie, ut olim turrim David contra Damascum, uti hominem occupatissimun, quod olim promiserat, nullo modo implere potuisse. Quapropter, dilectissimi fili, et inter cæteros filios meos in Christo ut plurimum cordialissime, multifarie de tua dilectione et caritate confidens, non praecipiendo, non cogendo, sed dulciter supplicando, atque humiliter exhortando, te rogo quatemus eumdem libellum, a iam transactis temporibus ab illo summo pontifice olim promissum, exequi velis ad meam exhortationem, tuamque consolationem et merinur, omniumque Christi fidelium futuram instructionem perpetuamque salutem. Quare eumdem libellum tibi mitto, non compositum, sed aliqualiter, per aliquas distinctiones et capitula breviter designatum. Et quoniam, ut cernis, amantissime fili, iam in fine quadragesimæ, multis attenuatus ieuniis, vigiliis quoque, regularibusque observantiis fatigatus, nec non, proh dolor, exterioribus negotiis, pro defensione monasterii invite detentus sum, et post haec omnia, adhuc requirem 11011 invenio. Sed celebrato præ-senti ieiunio et Pasca futuro pro negotiis mei ordinis, obedientia et necessitate compulsum ad nostrum Capitulum generale, prope Senensem civitatem in proximo celebrandum, oportet me quantocius properare. Ideo his omnibus occupationibus praepeditus, ad opus præfatum decenter et morose vacare non possum. Sed gaudeo, sane, quia te, fili dulcissime, 111 arte oratoria eloquentis-simum repperi, qui inter alios oratorie artis, uti audeo dicere, non modo secundus, immo primus post Tulium, tulianam eloquentiam imitaris. Igitur quicquid per me invenies minus designatum (non erubesco, immo glorior de tanto filio), tuum erit corrigere, emendare, ampliare, ornare, atque componere, quia datum est tibi desuper talentum tantæ nobilitatis, idest, tantæ scientiæ quæ solum cum moribus nobilitat hominem. De quo laudes infinitas refero omnium Creatori, qui tam excellenti dono meum filium decoravit. Eia ergo, dilectissime, accinge fortitudine animum tuum, et tam nobile opus aggredi non formides, confidens in Domino omnium bonorum largitori, qui linguas 430 GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA incomparabiliter prestantior cæteris creatis, et magis sit ipse habilis adhaerere veræ beatitudini et capax sit omnium fruì, tamen duodecim erunt beatitudines, in quibus ipse totus homo, transactis erumpnis presentis sæculi, perpetuo, exuberabit ». Fatto ciò, prende ad illustrare le singole beatitudini dei celesti, che sono : I, Satietas sine infirmitate ; II, Juventus sine senectute; III, Satietas sine fastidio; IV, Libertas corporum; V, Pulchritudo sine malitia; VI, Impassibilitas et immortalitas; VII, Abundatia sine defectu; VIII, Pax sine perturbatione; IX, Pequies sine labore; X, Scientia sine ignorantia; XI Gloria et honor, quem omnes electi mutuo sibi prestant ; XII, Gaudium sine tristitia. Le quali beatitudini, secondo la mente del Bargense, con sei gaudii degli eletti si completano. Egli aggiunge infatto: « Scire namque debemus quod electorum gaudium in sex principaliter consistit », cioè nella visione e conoscenza della Santissima Trinità, nell’amenità del luogo, nella compagnia de’Santi ; nella glorificazione de’ corpi; nell’inferno e nel mondo. E spiega questi sei gaudii. L’operetta fu scritta dal Bargense, secondo egli attesta nel Prologo, prima delle feste di Pasqua. E che si tratti della Pasqua dell’ anno 1447 facilmente si rileva dalla Familiarum Tabula di Monte Oliveto. In fatti, il « capitulum generale prope Senensem civitatem in proximo celebrando » al quale il Bargense scrive di dover quanto prima recarsi, fu adunato il trenta di aprile, che fu la terza domenica dopo la Pasqua del I447> nel monastero di Monte Oliveto Maggiore presso Siena ; e fra i presenti è annoverato « fr. Antonius de Barga, prior monasterii napolitani ». E da ciò si rileva che 1’ operetta fvi scrtita dal Bargense e mandata al Facio nella quaresima del 1447 (i)i il che concorda con quanto il Braggio dedusse dalla lettera del Facio allo Spinola (2). Pare che frate Antonio mandasse un’ altra sua operetta al infantium facit esse dissertas, quod ipse omni bonitate et misericordia plenus largusque in muneribus, non negabit tibi quidquid ad laudem sui sanctissimi nominis, eiusque fidelium salutem et meritum humiliter postulaveris. Volo tamen libellum ipsum michi destinare non tardes, cum opitulante omnipotentis gratia, ad finem usque compleveris. » (pp. XXXVI-XXXVIII). (1) Cfr. Lugano, Cronicon Montis Oliveti, pp. XXXV sgg. (2) Op. cit. p. 220. CIORNAI-E STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 43 I l· acio, col medesimo intento che la mettesse in luce rifatta e ripulita. Sarebbe un trattatello intitolato Liber de Magistratibus et Prcelatis, il cui manoscritto, per la maggior parte mutilo, si conserva insieme con le altre opere del Bargense (i). Mancando il principio, non appare chiaramente a chi quest’ ultimo indirizzasse il suo lavoro; ma dalle seguenti parole che chiudono il libro il padre Lugano induce che esso fu diretto al Facio: « Te autem qui peritus es in divinis et humanis, et in praefectura et magistratu alios excellis, si in tali locutione bene locutus sum, vel non, tuum erit emendare, corrigere et limare; oramus ut de præfectura ct magistratu librum digneris componere, quia polles eloquentia et facundia dicendi, et in re publica in variis legationibus et præfecturis exercitatus es. Nos si bene locuti sumus, ornatum et facundiam non curavimus. Tu vere qui dives [es], vesti librum, vel libellum, sive epistolam de Magistratibus et Prælatis intitulatum ». Non si sa che il Facio componesse, dietro l’invito del Bargense, anche quest’altra operetta; ma non lo credo probabile giacché di essa non è cenno nelle sue lettere, e tutti i suoi biografi ne tacciono. A meno che, osserva il padre Lugano, « in latibulis bibliothecarum non lateat ». VI. —· De differentiis verborum. Il Braggio, prendendo ad esaminare il libro del Facio De differentiis verborum latinorum, dice di essersi valso di un codice della Biblioteca universitaria di Genova (Cod. mise. E. VIII. 37) che lo contiene. Ignorava quindi che quell’ operetta grammaticale fosse pubblicata per le stampe, come 1’ è in fatto e in p irecchie edizioni. Fu anzi la prima tra le opere del Facio che venisse stampata, e l'unica che vedesse in tal modo la luce nel secolo dell’ autore. E questo onore non le venne, com’ è chiaro, per il valore intrinseco dell’opera, ma unicamente dal suo carattere scolastico. Nessuno dei biografi di Bartolomeo ha mai fatto cenno di pure una di quelle edizioni; ma è da notare che il trattato De differentiis verborum si trova, in tutte le edizioni, meno una, stampato di seguito all’operetta spuria di Cicerone sullo stesso argomento; e che ne riesce quindi difficile la ricerca. Mons. G. B. Carlo Giullari nelle sue Edizioni di opere ve- 1 1) Cfr. Lugano, in Cron. Moni. Oliv. pp. XXXV e XLI sg. 432 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ronesi quattrocentine (i) segnava al n° 3S1 : « Ciceronis μ. T. De verborum copia, et de elegantia Lib. Il ad Veturium, Venetiis imp. Manfredi de Sustrevo et Gregori de Rusconibus .1500 die xii decembris, in 4. Si aggiunge un’operetta de differentiis Ciceronis in rebus dubiis; la quale deve giustamente ascriversi a Bartolomeo Fazio, come da una lettera che precede, ecc. ». Il Sabbadini, nella più oltre citata recensione del lavoro del Braggio nel Giornale storico della lett. ital. (2), ricorda questo cenno del Giullari ; e Girolamo Mancini in una nota della sua Vita di Lorenzo Valla rammenta, desumendolo dall’Audifredi, che l’operetta faciana iu impressa tre volte a Roma nel Sec. XV, e ne segnala un’edizione di Milano del 1507 veduta da lui (3). Le note che seguono delle diverse edizioni di quest’ opera furono in parte tratte direttamente dagli esemplari che ho potuto vedere io stesso; e in parte dalle opere che cito: 1. Cicero. Synonyma s. de proprietatibus terminorum. F. / a (c. sign. A): || Cicero Veturio suo salutem || (C) ollegi ea verba quæ pluribus modis dicere[n]tur, quo || etc. F. 20 b: || Finis. F. 27 a (c. sign. Diii). I De differentiis Ciceronis in rebus dubiis. F. 29 b: Finis. F. 30 a : H Bartholomeus Fabius (sic) Joanni Iacobo. Expl. f. 36 b. I 33: li deo debetur. Deinde subser.: Finis, s. I. a. et typ. n. r. ch. c. s. 3 col. 33 l. 36 ff. [Hain, R. B. n.° 5347]. 2. De verborum copia et elegantia libri II. In calce penultimi fol. : Impressum Romce per Honorabilem virum Magistrum Encharium Silber : alias Frank. Anno Domini Al. cccc. Ixxxvn. Quinto Idus lulii. (in-4.0 Par·)· Alter ex his libellis est sub nomine Ciceronis; alter sub nomine Barth. Fatii, cuius reuera est, cuiusque præcedit Epistolam ad Joannem Jacobum. De iisdem sic scribit Paulus Alxius [sic] Sulpitianus in Epistola, quæ legitur ultimo folio verso: [segue qui la lettera come nel-1’ediz. del 1491 (vedi n. 3), con questa aggiunta dopo judicio : « est improbandum, canina litera annota; si quid deprauatum, emenda. »j Hoc eodem folio recto habetur registrum ex quo (1) In II Propugnatore, studii filologici, storici e bibliografici di vari soci della Commissione pe’ testi di lingua, Bologna, 1874, voi. VII, Parte i.a, pag. 243. (2) Vol. XVIII, pag. 360-362 (3) Vita di Lorenzo Valla di Girolamo Mancini, Firenze, Sansoni, 1891, in 8, pag. 213, n. 2. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 433 colligitur volumen esse foliorum XLVIIl. Priori opuscolo praemittitur brevis Epistola cum hoc titulo: Cicero Veturio suo salutem: incipit Collegi ea verba, qua; pluribus modis dicerentur, quo uberior promptiorque esset oratio etc. Huic opuscolo aliud subjungitur inscriptum: De Differentiis Ciceronis in rebus dubiis. Volumen est hoc eodem charactere ac Vegetius &c. ; il-ludque olim commodatum habui a Bernardo Pockio [erudito sar-zanese] ; post cuius obitum, ex eius legato transiit in Biblioth. Collegii Urbani de Propaganda Fide. [(Audifredi) Catalogus historico ■ criticus romanarum editionum sa:culi XV..... Romæ, 1783, in-4 pag. 280]. Ne esiste un esemplare nella Nazionale di Palermo. 3. De verborum copia et de elegantia libri II. Cte. i-r, segn. a : Cicero Veturio suo salutem. (C) ollegi ea verba quae pluribus modis diceren II tur : etc. In fine etc. 46-r: Paulus Alexius Sulpitianus Lectori. S. Ilabes jam puer, duos tibi utilissimos, de verborum ; copia & elegantia libros : in quibus si quid tui recto praeceptoris iudicio est improbandum, emenda. Si quid ad I dendum uidebitur: signa in margine; ita ut nec Cice | ronis nec Fatii id esse appareat. Nunquid uero hæc | i quæ circumferunt Synonyma sint a Cicerone coi || lecta: & si certe iudicare non possumus :tamen vetu-1| storum inscriptio codicum: & Ciceronis adolescen- ;tia: in qua & rhetoricos non uirili aetate dignos edi-|i dit: magno sunt argumento: ut aut eius : aut alicuius ex Ciceronibus esse inficiari non audeam. Vale. [Quindi:] Impressum est opus Romæ per magistrum Ste phanum Plannck de Patavia : Absolutumq. || die. XXI. Martii. Anno domini M. cccc. xci. Register (sic) etc. — A cte 26-v. comincia l’operetta del Facio con l’epistola: Bartholomeus Fatius Ioanni la-cobo, e termina a 36-r, dove comincia: Sinonimorum principium. In-4.0 caratt. romano, senza numeri nè richiami, con segnature a-e quad. f. terno; linee 31 ogni pagina piena. — Ho veduto questa edizione nella Bibl. Centr. Vitt. Em. di Roma. É descritta pure dall’ Audiiredi (op. cit. p. 300), da un esemplare della Biblioteca Angelica, e citata dal Poken. (t). 4. De verborum copia et elegantia. In fine : Impressum est hoc opus Rovine per magistrum Stephanum Flannck Pataviensem: (i) P/ι ilo lo Giuda del Golfo di Spezia, p. 861 lo confermi. (i) Cito prima le fonti: poi trascrivo in ordine alfabetico il principio delle lettere col nome del mittente e del ricevente, abbreviando tra parentesi le fonti, così: Picc. — Æneae Sylvii Pii etc; Bar. ~ Francisci Barbari etc; Mhs. Barth. Facii Ep. ed. dal Mehus ; .Min. — Bibliotheca codd. ms. etc.; Gab. ~ Ferd. Gabotto, Un nuovo contributo, ecc. Il n. che segue la citazione corrisponde al n. progressivo che ciascuna lettera porta nella pubblicai. che la contiene. Non comprendo in queste lettere le epistole dedicatorie delle diverse opere, nè quella diretta a Roberto Strozza, che va sempre unita al Dialogo De vitti felicitate, ed è pure riprodotta dal Mehus in Scripta B. Facii pp. XXXIV sgg. . GIORNALE STORICO e LETTERARIO DEI.LA LIGURIA 441 dell'■ Umanesimo ligure. Appendice IV. In: Atti della Soc. Ligure di Si Patria, vol. XXIV, pp. 275-283. Sono otto lettere tratte dal cod. Vat. 3372. 1. Alteri molesta esset totiens facta de Hieronymi rebus. Guarinus Veronensis Bart. Facio. (Mitt. 15). 2. Attulit mihi Rodericus Vitalis. B. F. Antonio Panormitae. (Gab. 7.) 3. Cl. vir Antonius Panhormita. Franciscus Barbarus B. F. (Mhs. 7, e Bar.) (1). 4 Cum aliquid ad te scribere jamdiu. B. F Manfredo Spinulae. (Mitt. 2). 5. Cum tuae litterae mihi pergratae soleant afferri. Guar. Veron. B. F. (Mitt. 9). 6. Delectarunt me mirum in modum littere Poggius B. F. (Mitt. 9). 7. Delectaverunt me admodum litterae tuae. B. F. Mattiteli Guarino. (Mitt. 14). 8. De rebeus meis nil novi habeo quod scribam. B. F. Ant. Panormitae. (Gab. 5). 9. Eram in expectatione litterarum tuarum. B. F. Io. Iacobo Spinulae. (Mitt. 4). 10. Et litteras meas, Rev.me Pater. B. F. Aeneae Card. se-nensi. (Mhs. 15 e Piccol.). 11. Etsi jamdiu nihil a te litterarum accepi. B. F. Guar. Veron. (Mitt. 8). 12. Et=i literae quae ad Salvagium nostrum scribis. B. F. Io Iacobo Spinulae. (Mitt. 5). 13. Ex litteris tuis mihi redditis. B. F. Manueli Guarino (Mitt. 17). 14. Fecisti perhumaniter, atque optime. Poggius B.F.(Nhs.g). 15. Gaudeo valde et tibi gratulor. B. F Hieron. Guarino. (Mitt. 12). 16. Gratissima mihi fuit epistola tua. B. F. Poggio. (Mhs. 13). 17. Hunc tibi libellum quamquam incultum. B. F. Io. Ferverlo. (Mitt. 20). Γ i Quest’epistola del Barbaro al Facio si trova tradotta quasi per intero in· Francesco Colangelo, Vita dì Antonio Bcccadelli soprannominato il Panormita, in Napoli, nella tip. di Angelo Traili 1820, in-8 pp. 127-129. G ioni. St. r l-ett. della Uguria 29 442 GIORNALE STORICO E LETTERA1RO DELLA LIGURIA 18. Jocundissimae fuerunt nobis litterae tuae. Aeneas Card. Senensis B F. (Mhs. 16, e Piccol.). 19. Littere pro re domini Mattei, quod misisti. B. F. Ant. Panormitae (Gab. 8). 20. Magnam mihi voluptatem attulerunt litterae. B. F. Hieron. Guarino. (Mh. 5). 21. Magnam pluribus de causis voluptatem percepi Poggius B. F. (Mhs. 14). 22. Mihi quidem, ut scribis, nullus pro te. B. F. Guarino Veron. (Mitt. 16). 23. Multa sunt Antonii Panormitae in me officia. B. F. Francisco Barbaro. (Mhs. 8, e Bar.). 24. Nicolaum Strozam tuum libenter vidi. B. F. Guar. Veron. (Mitt. 10). 25. Non dubito quin non parva. Guarinus Veron B. F. (Mitt. 11). 26. Non parva fortassis commoveberis. Manuelis Guarinus B. F. (Mitt. 13). 27. Non scripsi ad te posteaquam relicta Romana Curia. Poggius B. F. (Mhs, 12). 28. Non utar multis in scribendo ad te navali victoria. B. F. Ant. Panorm. (Gab. 4). 29. Officium meum esse putavi. Io. lac. Spinula B. F. (Mitt. 6). 30. Quanti faciam iuditium tuum. B. F. Ant. Panorm. (Gab. 2). 31. Quas petis literas ad oratorem regium. B. F. Manueli Guarino. (Mitt. 18). 32. Quas requisistis literas. B. F. Manueli Guarino. (Mitt. 19). 33· Quum essem in expectatione litterar. tuarum. B. F. Antoniotto Grillo. (Mhs. 3). 34. Quum jamdiu cogitarem aliquid ad te scribere. B. F. Poggio. (Mhs. 2). 35· Quum tuas accipio litteras, Iacobe carissime. B. F. Ia Iacobo Spinulae. (Mhs. 1). 36. Reddita est mihi a te epistola quarto kal. B. F. Antonio Panorm. (Gab. 6). 37. Redditae sunt mihi nuperrime litterae tuae. B. F. Francisco Raimo. (Mhs. 6). 38. Redditae sunt mihi octavo praesentis. Io. Iacobns Spinula B. F. (Mitt. 3). GIORNALE STORICO E LETTERARIO PELEA LIGURIA 443 39. Rogo per amicitiam nostram, no me diutius. B. F. Iacobo Curio. (Mitt. 21). 40. Salvum te ad tuos revertisse gaudeo. B. F. Io. Iacobo Spinulae (Mitt. 7). 41. Scribis in epistola, quae mihi nudius-tertius. Poggius B. F. (Mhs. 10). 42. Scribit ad me amicus Virgilium illum. B. F. Antonio Pa-nortu. (Gab. 3). 43. Scripsi ad te superioribus diebus. Hieron. Guarinus B.F. (Mhs. 4). 44. Veniam dabis Io. Iacobe suavissime. B. F Io. Iacobo Spinulae. (Mitt. 1). 45. Vix evolvi tabellas decem. B. F. Ant. Panormitae. (Gab. 1). III. COSE APOCRIFE E SUPPOSTE. I. Bartholomaei Facii lunensis || carmen ad Iohannem Antonium II Campamim Episcopum aprutinum\\ex ms. cod. saec. XV. erutum. Extat in: Anecdota Litteraria ex 71/55. codicibus eruta. Romae, apud Gregorium Settarium ad insign. Homeri public, autorit. in-8, s. a., vol. III, pp. 425-436· — Precede (pp. 427-430): Iohan-nis Christophori Amadutii ad egregium virum Ianum Karolum Friderii ium Spediensem a notis arcanis 55.mi Domini nostri Clementis X/i/I Praefatio. Questo Carme non è del Facio. Già lo Spotorno ne aveva espresso il dubbio (1) con buone ragioni, citando un Blasius Lunensis ricordato in un cod. del 1457. Il Braggio si mostra invece inclinato a crederlo di lui, persuaso da quel lunensis che aveva appunto indotto lo Spotorno a supporre il contrario (2). Il Mancini nella sua Vita di Lorenzo Valla (3) attribuisce sen-z’altro questo carme a Battista lunense figlio di Pietro lunense, scrittore della Biblioteca Apostolica, nominato nel novembre del 1459 dal papa Pio II. Ed esclude che quegli esametri pos- (I Storia letl. d'ila Liguria, II. p. 49. 2) Op. cit. in Atti della Soc. Lig. di Storia patria, XXIII. pag. 230, n. 1. (3) Nota 6, pp. 275 sg. 444 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sano essere del Facio con queste parole: « Il Fazi nativo di Spezia non si sarebbe firmato Innense, eppoi il Campano ebbe gran nome quando il Fazi era già morto ». Ma quest’ultima non parmi obbiezione di troppa gravità, non essendo assolutamente necessario aver nel mondo grande rinomanza per vedersi dedicati dei versi. Piuttosto è da notare un’ altra circostanza, che esclude in modo non dubbio dal Facio la paternità di quel carme: esso è intitolato « ad Iohannem Antonium Campanum Episcopum aprntinum ». Ora, siccome il Campano non fu Vescovo di Teramo che nel 1463 (1); così è ovvio che il Facio, morto nel 1457, non poteva intitolare quei presunti suoi versi a lui rivestito di quella dignità. Che il carme sia di Battista lunense come vuole il Mancini e suppone Achille Neri (2), 0 sia invece di quel Blasius lunensis ricordato dallo Spotorno, è difficile mettere in sodo, e il farlo qui non sarebbe del tutto al proposito. Noterò solamente, a schiarimento di quanto scrisse l’autore della Storia letteraria della Liguria, che quel Blasius fu padre di un Ricardus lunensis, scrittore di codici, com’ egli stesso lasciò scritto in calce ad una copia del commento di Acrone e Porfirio alle Odi di Orazio (3). II. Apostolo Zeno, a proposito di una sconosciuta opera di Bartolomeo Facio, scrive: « Il Padre Labbe attesta ritrovarsi nella Regia di Parigi il Codice segnato num. 221, con questo titolo: Barthol. Facii de rebus Siculis, e il Montfaucon lo riporta altresì al Codice della medesima num. 8378, ma nè l’uno, nè l’altro ce ne dicono di vantaggio » (4). In fatto, tanto il Labbe (5) (1) Cfr.: Ughelli, Italia Sacra sive de Episcopis Italia:, Venetiis 1770, in-fol. tomo I, col. 369. (2) Cfr. Giornale storico e letterario della Liguria, IV, 1903, p. 93, nello spoglio del voi. di C. Stornajolo : Codices Urbinates latini, 1. (3) Explicit liber Aeronis super odas Oratii, scriptus a me Ricardo Lunensi, Blasii filio Lunensis, anno Domini MCCCCLVII, et die quarto mensis Maij, et hora prope XXIII et die Mercurij. S. Expletus Florentiæ. Ita scriptum est in fine Codicis. ( Catalogus codicum manuscriptorum qui m Bibliotheca Riccardiana Florentiæ adservantur____ Io. Lamio____auctore. Liburni. 1756, in-fol. pag. 237, n. 2.) (4) Zeno, op. cit. I, p. 68. (5) Philippi Labbei biturici soc. les. presb. Nova Bibliotheca Mss. Librorum, sive specimen antiquarum lectionum latinarunt et graecarum etc. Parisiis, ap. Io. Henault, M.DC.LIII, 111-4, p. 313. giornale storico e LETTERARIO DELLA LIGURIA 445 quanto il Montfaucon (i) registrano un’opera manoscritta del Facio sotto quel titolo. Ma il non averne trovato altrove menzione alcuna mi lece da prima supporre trattarsi di un lapsus calami del primo degli autori di quegli indici, il quale abbia trascritto de rebus siculis in cambio di de rebus gestis (Alphonsi), e che l’altro abbia da lui copiato l’errore. Ma la differenza nella numerazione del cod. che esiste fra il Labbe e il Montfaucon, m'ha fatto poi escludere quella ipotesi, lasciandomi qualche dubbio se quel De rebus siculis non fosse davvero un’ opera fa-ciana del tutto sconosciuta ai biografi dell’ autore, e ai bibliografi della Sicilia. Pertanto ne scrissi al cortesissimo sig. Henry Omont della Bibliothèque Nationale di Parigi, chiedendogli informazioni in proposito; e n’ebbi in risposta tali dati bibliografici da confermare senza alcun dubbio che si tratta di un codice (del sec. XV ο XVI) della Vita di Alfonso (2). III. Il Padre Agostino Oldoini nell’elenco delle opere del Facio ne rammenta due, che sarebbero sconosciute ai bibliografi, cioè un Commentarius in satyras Persii e un Elenchus scriptorum omnium (3). Ma l’errore dell’Oldoini è manifesto, e ( i ) Bibliotheca Bibliothecarum, mamiscriptorum nova, etc. auctore R. P. D. Bernardo De Montfaucon, Parisiis, ap. Briasson MDCCXXXIX, in-fol. tom. II, pag. 831 d. (2) Ecco le notizie favoritemi dal Sig. Omont, che vivamente ringrazio: « Le ms. auquel vous vous intéressez est bien conservé à la Bibliothèque Nationale, où il porte aujourd’ hui le n. 17150 du fonds latin. C’ est un in-folio mesurant o.m 392, sur o.m 270, composé de 165 feuillets de papier, dont les marges ont été attaquées par l’humidité, et qui est recouvert d’une Demi-reliure moderne. Le texte débute, au fol. 1, par le titre, en capitales rouges (écriture du XV-XVI s.) : « Bartholomei Facii re [rum gesta] rum Alfonsi regis liber p[ri]mus incipit feliciter. Etsi nonnullos viros ætas tulit qui prestanti ingenio atque doctrina præditi____ » Il finit, avec le livre X, au fol. 166-recto: « ...Nicolaus pontif. max., qui tum graviter aegrotabat e vita discessit ». Le volume porte les anciennes côtes de la Bibliothèque du roi, dans lesquelles vous reconnaîtrez facilement celles qui vous me citiez! « sept cents trente un », « 221 », « 8378 », qui correspondent respectivement aux anciens Catalogues de Rigault (1622), Dupuy (1645) et Clément (1682). Il n’a pas été compris dans le catalogue des mss. latins imprimé en 1744, parcequ’ alors il avait été, par erreur, inscrit au milieu des mss. français. » 13) Atheneum Ligusticum seu syllabus scriptorum ligunim. nec non 446 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA già 1’ aveva rilevato il Fabricio nella sua Bibliotheca latina med. etinf.aet.: « Commentarius in Persium, quem Oldoinus nostro p. 92 Athen. Lig. & ex eo Lexicon eruditorum, tertium jam Lipsiae editum tribuit, non Bartholomaei Facii est, sed Bartholomaei Fontii de quo infra. Puto etiam commentum esse quod Elenchus scriptorum omnium Facio apud Oldoinum adscribitur, qui in Lexico recte est omissus » (1). IV. L’ Index della Biblioteca Barberini nota, fra le opere di Bartolomeo Facio, la seguente: Historiarum et chronicarum (sic) mundi Epitome, ijjj Ibid (2). Lo Zeno, riportando la notizia (3), la dice stampata in Lione, ingannato certamente da quell’ Ibid. che egli interpretò come l’indicazione del luogo di stampa, per il fatto che 1’ opera faciana immediatamente prima notata nell’ Index è 1’ edizione lionese del De bello Veneto Clo-diano. Quell’ Ibid. invece non è che una semplice segnatura di posizione, per indicare che l’opera si trova legata nello stesso tomo con la Guerra di Chioggia. Cosi è, in fatto ; come si può vedere tutt’ ora alla Biblioteca Vaticana, che recentemente ha accolto tutto il fondo dell’antica Barberiniana. La presunta opera faciana non è altro che l'Epitome cronologica di Achille Pirminio Gassaro, condannata dall’ Indice (4), e però diventata rara, quantunque se ne conoscano parecchie edizioni (5). L’esemplare barberiniano di quest’operetta (probabilmente della sarzanensium, ac cyrnensium reipublicae gemiensts subditorum ab Augustino Oldoino S. I. collectus. Perusiae, ex typ. Episcopali... MDCLXXX, in-4 Pag· 92· (1) Vol. II, pag. 431. (2) Index Bibliothecae qua Iranciscus Barberinus S. li. E. cardinalis Vicecancellanus Magnificentissimus suae Familiae ad quirinalem aedes magnificentiores reddidit, lomi tres libros typis editos complectentes. Romae, Typ. Barberinis, excud. M. Hercules, M.DCLXXXI, in-fol. Tomo I, pag. 393. (3) Dissert. Voss. T. I. p. 07. (4) L’ Index librorum prohibitorum contiene: « Historiarum, & Chronicorum Mundi Epitome cum praefatione Achillis P. Gassali. Basileae 1532. App. Ind. Trid. » e « Historiarum et Chronicorum Epitome velut Index usque ad annum 34. App. Ind. Trid. » Si tratta evidentem, della stessa opera. (5) Oltre 1’ediz. di Basilea citata dall’ Index libr. prohib., in-8, se ne trova un’altra, pure di Basilea, 1535, in-8; una di Anversa, 1536, 111-8, con la continuazione ; una traduzione in francese, col titolo : Brief recueil de GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 447 prima edizione di Basilea) fu evidentemente mutilato, giacche manca dell’epistola dell’A. a Leonardo Baier, e comincia dalla pag. 7 dopo un frontispizio rifatto così : Histo \ riarum et chroni \ corum mundi epi | tome velut \ index | MDXXXIII. (i). Queste mutilazioni vennero fatte certamente in seguito alla censura; e il compilatore dell’Indice barberiniano, trovata l’operetta legata insieme con 1’ altra del Facio, e mancante degli elementi per determinarne 1’ autore, 1’ attribuì senz’ altro al nostro umanista. L’errore fu ripetuto da altri ; ma evidentemente il punto di partenza per dare al Facio la paternità dell 'Epitome fu sempre l'indice barberiniano. Così il Fabricio, il quale per altro, avendo avuto fra mano un esemplare mutilo dell’ edizione veneziana, notò bensì l’Epitome fra le opere faciane, ma lo dette come stampato in Venezia nel 1533, in-8.° (2). Altri poi copiarono da lui, o dallo Zeno, che, come s’è veduto dianzi, aveva fantasticato un’ edizione lionese (3). Il Gabotto (4) parlando di questa pietesa operetta faciana « che nessuno ha mai veduto » vorrebbe identificarla con un’al- toutes chroniques et hvstoires depuis le commencement du monde jusqu’ au présent, Anvers, par Martin Γ Empereur, 1534, in-8, caratt. got. ; e finalmente 1’ ediz. veneziana, di cui do una breve descrizione: Historia \\ rum et chronicorum Mvndi 11 Epitomes Libellus, Velut Index Accuratius recens reco- Il gnitus, Emaculatus, auctus & Locupletatus. || Ad maiorem instiper commoditatem ac- || cessit & Alphabeticus index. AID [Impresa di Melchiorre Sessa] XXXIII j j cum gratia & privilegio, ut ex decreto || Veneti Senatus apparet. [In fine, cte. 60-r :] Venetiis per Io. Antonium & fratres de Sa||bio Sumpto et requisitione D. Melchio||ris Sessae. Anno Domini j| MDXXXIII. [Nel retro altra impresa di Melchior dalla gatta]. In-8, di cte. 15 s. n. cont. il frontispizio, il privilegio e 1’ Index, una bianca, e 60 cont. l’Epitome, preceduto dalla dedicatoria: Achilles P. Gassarius Leonardo Bniero Eslingensi Patrino, et domino suo amantissimo. S. D., che termina : Lindauii mense Junio Anno domini MDXXXIII. E un compendio di cronologia, come del resto appare chiaramente dal titolo, che comincia dalla creazione del mondo, e termina con l’anno 1531. (1) È in-8, di pp. m e una in ultimo bianca s. n. (2) Bibl. lat. med. et inf. aet. T. II, pag. 430. (3^ Così ultimamente il Potthast (Bibliotheca latina medii aevi, JVeg-weiser durch die Oeschichtswerke des Europàischen mittelalters bis 1500... Berlin 1895, pag. 443) > copiando dal Fabricio, che cita. (4) Op. cit. pag. 166 sgg. 44§ GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LIGURIA tra, di cui ci ha lasciato memoria il Facio stesso in una sua epistola a Giovanni Ferrer, al quale la inviava: « Hunc tibi libellum quamquam incultum, mitto, quo orbis terrarum situs continetur, qualis nunc est, non qualis ab antiquis describitur » cioè, « iis nominibus adnotatus quibus hac aetate utimur » (i). Ma qui non si tratta di un’opera di carattere storico o cronologico : evidentemente ciò che mandava il Facio al Ferrer non era altro che un abbozzo fquamquam incultum) d’ una mappa del mondo, di una carta geografica, come il Voigt ben comprese, e notò : « Anche Barlolomeo Fazio fu in grado di mandare ad un suo amico una carta del globo coi nomi moderni. É verosimile che egli abbia potuto averla in Genova sua patria » (2). V. Nella recensione che il Sabbadini fece dello studio del Braggio nel Giornale Storico della letteratura italiana segnalava l’esistenza, nel Cod. Vat. 5197, di alcune lettere portanti il nome del Facio, le quali, se fossero state veramente sue (cosa che il Sabbadini metteva in dubbio), avrebbero sconvolto le notizie che comunemente del Facio si sanno (3). Il Gabotto ebbe tardi questa notizia, e dovette licenziare alle stampe il suo lavoro senza aver potuto conoscere quelle lettere. (4). Io ho veduto il codice e lette le lettere; e non esito ad affermare che il dubbio espresso dal Sabbadini è giustissimo. In fatto, nessuna di quelle lettere, portanti il nome del Facio, è sua, come deve apparir chiarissimo a chi conosce le vicende della vita di lui. Le notizie che si trovano in esse sono tali davvero che, se si potessero riferire all’ umanista ligure, ne sconvolgerebbero sicuramente la sua biografia fin qui nota. Ma sono invece di Gasparino Barzizza; e sarebbe curioso sapere come si abbia potuto attribuirle al Facio, dal momento che nulla in esse può farle supporre di lui. Quelle epistole sono venticinque; delle quali solamente cinque, cioè la quarta, la sesta, la settima, la ventunesima e la (1) Presso il Mittarelli, pag. 382. (2) Op. cit. vol. II, pag. 498. (3) Remigio Sabbadini, Recens, di : C. Braggio, Giacomo Bracelli e Vumanesimo dei Liguri al stio tempo, Genova, Sordomuti, 1891 (8-gr. PP· 295)· 1° Giornale storico della letteratura italiana, vol. XVIII, 1891, PP· 369-372. (4) Op. cit. pag. 129, 11. 8. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 449 ventiquattresima, in ordine di posizione nel codice, sono intestate Bartkolomeus Facius; le altre portano il solo nome di Bartholomeus. La maggior pai te di esse (quattordici di venticinque) sono indirizzate ad un T. ; lettera che non può essere iniziale di un nome, giacché dal testo di alcune di esse epistole appare a chi veramente sieno indirizzate. Così, mentre la prima è diretta ad un Giovanni, termina poi: Tu itaque mi T.; e la XXa, che è diretta suo T. principia invece: Exoptabam suavissime Nicolae. Nessuna lettera reca la data dell’ anno : la VII3 è data ex Muriani; la XXIa e la XXIIa Veneciis; la XXVa Patavii. Che siano veramente del Baziezza il vecchio è facile persuadersi per parecchie circostanze. L’ epistola IIa che è diretta a Nicolò (Barzizza?), quantunque non contenga alcun elemento di data, pure è evidentemente scritta da Venezia, dove il mittente si trovava precettore dei figli del Doge, e d’altri patrizi. Ora è noto che il Barzizza fu maestro di latino in Venezia due volte, nel 1407 e nel 1411 (i). Ma certo vi dovette tornare una terza, che fu questa, e forse con maggiore fortuna delle prime, come dalla lettera apparirebbe. Riferirei questa terza sua permanenza in Venezia al 1413, perchè l’epistola VIIa, dettata da Murano, parla con parole di molto dolore della morte testé avvenuta di Zaccaria Trevisani, che fu protettore del Barzizza, cui ottenne nell'Ateneo padovano la cattedra di rettorica e di filosofia morale (2); e si sa che la morte del Trevisani avvenne appunto nel 1413 (3). Così alcuni accenni al contagio che infieriva a Venezia (Ep. IVa, e Va), confermano che si tratta di quell’ anno (4). E la permanenza del Barzizza dovette prolungarsi anche nell’ anno successivo, giacché nella lettera XVIII è tutta una lunga descrizione dell’ arrivo colà del Duca d’Austria, reduce di Terra Santa, (l 1 GIORGIO Voigt, Il risorgimento dell' antichità classica, ovvero il primo secolo dell’ umanesimo, trad. ital. con prcf. e note di D. Valbusa, Vol. I, pag. 423. (2) Voigt, op. cit. I. p. 439. (3) Voigt, op. cit. I. p. 414, n. 3. (4) « Fu gran peste in Venezia in quest’anno [1413] dal Giugno fino all’Ottobre. Ne morirono persone 32000, e in Chioggia persone 800. Ed entrato l’Ottobre ne morivano due, tre, e otto al giorno. » (Marin Sanuto Vite de’ Duchi di Venezia, in MURAT. RR. II. SS. XXII, col. 883). 450 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e degli onori resigli dalla città; avvenimento che le cronache riferiscono al 1414 (1). Le circostanze di tempo e di luogo su riferite bastano di per sè ad escludere che le lettere del cod vat. 5197 siano del Facio, e a persuadere che facilmente possano essere invece del Barzizza. Ma la lettera XXVa, mentre è intestata Bartholo-meus suo Danieli, ed è diretta certamente a Daniele Vettori col quale lo scrivente si condole per la morte del fratello Andrea, termina poi così : Ille tuus Gaspar. Non può quindi sopravvivere il dubbio; tanto più che trovo una consimile so-scrizione in altra lettera dell’ umanista bergamasco a Zaccaria Trevisani, nell’elenco pubblicato dal Sabbadini : Tuus ille Gaspar. Perg. Amantissimus fui (2). Si aggiunga: nello stesso cod. vat. 5197 (fo. 120 r-v.) e immediatamente dopo la lettera XXVa ne seguita un’altra senza intestazione, che comincia: « Habui nuper a Daniele [Vettori] nostro litteras, quibus mihi significabat quo animo tulerit mortem optimi juvenis Andree fratris sui » ; la quale, non solo appare in chiara relazione con la precedente, ma è senza dubbio di Gasparino Barzizza, perchè la troviamo fra le epistole di lui edite dal Furietti, diretta ad Andrea Giuliano (3). Non occorre di più, credo, per dimostrare che veramente al Barzizza devono essere attribuite le venticinque epistole inedite del cod. vat. 5197 j c^e se fosse necessario aggiungere prove alle già addotte, facilmente se ne potrebbero trovare altre ancora, come le già accennate persuasive, se non altrettanto dirette; non tacerò, per esempio, la menzione che spesso occorre in quelle lettere di Cicerone, di Terenzio e di Plauto (4), dei quali autori è ben noto come fosse il bergomate studioso ricercatore (5). (1) Sanuto, op. cit. col. 889. (2) Remigio Sabbadini, Lettere e orazioni edite e inedite di Gasparino Barzizza. Milano, Tip. Bortolotli di Gius. Prato, 1886, in-8 di pp. 52 (Estr. àaWAreh. stor. Lombardo, anno XVIII, II, III, IVj. Lettera n. 22. (3) Gaspakini Barzizii bergomatis et Guiniforti filli opera quorum pleraque en MSS. Codicibus mine primum in lucem eruta recensait, ac edidit Ioseph Alexander Furiettus bergomas.... Romae, M.DCC.XXIII, ap. Jo. Mariam Salvioni, in-4, PaS- l71· (4) Ep. I, V, VI, VIII, IX, XII, XIII, XIX, XXI, XXII. (5) Voigt, Op. cit. I, 506, II, 380 - ld. II, 380 — Id. I, 258. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 45 I Ma non è mio intendimento occuparmi del Barzizza: porterà contributo non indifferente alla biografia di lui chi, con la opportunità e la competenza che a me mancano, vorrà studiare diligentemente queste nuove epistole. A me basta di aver mostrato, con una rapida scorsa al loro contenuto, che non sono del Facio, e di averle rivendicate al loro legittimo autore. IV. Lettere inedite di GASPARINO BARZIZZA attribuite a BARTOLOMEO FACIO. (Cod. Vat. Lat. 5197) (i). I. (fo. 92-r.) Bartholomeus suo fokanni clarissimo viro. — Cum in eum locum ubi plures || Vale mi et me semper ama. — Vuole aver seco i suoi vecchi amici, i libri ; e però prega di mandargli il Plauto. II. (fo. 105-v.) Bartholomeus Amantissimo Nicholao suo. — Etsi certo scio te in magna litterarum expetatione esse |j Vale animi mei pars meque uti soles cartina habeas. — Ha poco tempo da scrivere perchè sta presso il Doge, che gli ha affidato « tre eius ingenui ac preclarissimi liberi » da istruire, con un’annua pensione di quaranta ducati. Ha poi avuto licenza dal Doge di educare altri tre o quattro giovani patrizi « a quibus etiam plurimum utilitatis consequar ». Incarica di far sapere questo agli amici. III. l fo. 105-v.) Bartholomeus Andree viro optimo. — Cum mihi de te interroganti de tua valetudine 11 diligenter Vale. — Si rivolge all’amico con vive espressioni di amicizia, e si congratula per la nascita di un bambino, cui augura la fortuna e le virtù del padre. S’interessa vivamente alle condizioni di salute dell’ amico. IV. (fo. 106-v.) Bartholomeus faccius suo T. — Libet execrari hanc novam pestem || Illi et tibi gratias ago Vale. — Si duole che il nuovo contagio che affligge la città lo tenga separato da’ suoi familiari ; spera di continuare per lettera la relazione. Ho veduto tuo padre « et simul et tuam incolumitatem et tuam perdidici » [1413]. V. (fo. 106-r.) Bartholomeus optimo viro Nicolao. — Sepenumero pestem hanc detestatus sum || cotidiana saltem recordacione simul simus Vale. — Si duole che la peste lo tenga lontano da’ suoi, e crede che « eam [pestem]... invidisse studiis nostris, quibus aperam debas ut parvo tempore te ad hos Ciceronis haustus accessurum esse considerem.... » [1413]. VI. (fo. 106-v.') Bartholomeus faccius Anthonio suo. — Si quomodo tua de virtute persuaserim || alteri denegare 11011 posset Vale. - Ringraziamenti e congratulazioni all’amico : « perge vero, me lauda, me predica, meque per (1) Noto che il cod. è ili cattiva lettura, e il testo scorrettissimo. 452 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ora vivimi dissemina. » Che cosa egli può desiderare, meglio che esser lodato da chi è lodato ? VII. (fo. 109-r-v.) Bartholomeus faccius suo T. — Laudantur apud historiarum scriptores I] ccrtiorem me redde Ex Muriani. — La improvvisa morte di Zaccaria Trevisani lo ha addolorato moltissimo : « dolili, flevi, gemui ». Panegirico del defunto. Non si meravigli se la lettera 11011 è di suo pugno; il dolore l’opprime tanto da impedirgli di scrivere. Si congratula per le nozze della sorella [1413]. VIII. (fo. iio-r.) Bartholomeus suo T. Ut velocior ad scribendum essem 11 Valetudinem cura. — Invita l’amico alla campagna: «si ille noster dulcissimus Plautus atque haec nostra oratoria proloqui posset te peteret et accuracius invitaret ». IX. (fo. 110-r.) Bartliolomeus suo T. — Cuperem ex te feras || domi sum hoc mane venito cum voles vale. — Vorrebbe divertirsi con Γ amico, non a guisa del volgo che tende a godimenti materiali, ma con sollazzi onesti e con sobrietà esemplare. Lo invita a casa sua. X. (fo. iio-v.) Bartholomeus suo T. — Gratulatus sum mirum in modum Il me tuis epistolis excites. Vale. —Dichiara di volersi adoperare con tutte le sue forze, e di voler attendere con la maggiore diligenza a quanto ha intenzione di condurre a termine. Mentre ogni cosa è caduca, la sola arte oratoria ciceroniana concede la immortalità.... Consiglia infine l’amico a recarsi a Verona, se intende perfezionarsi 111 tali studi. XI. (fo. in-r.) Bartholomaeus suo Amantissimo 71. Ί'. — Clini plures dies preterierint mi frater dulcissime || improperati sunt mentiri faciam. Vale. — Chiede venia del lungo silenzio, adducendone quale motivo 11011 già la negligenza, ma le molte sue occupazioni e preoccupazioni ; poiché, lontano dalla città, dalla patria sua, dai fratelli e da tutti i suoi cari, è in preda sempre al dolore. Ma non può trattenersi dal riflettere che due cose special-mente danno gloria agli uomini: l’applicarsi indefessamente agli studi, o l’arte della guerra : « Duabus de rebus homines ad summam laudem, ad summos honores, ad summam denique potentiam perventuros, quorum una licterarum studia, altera res bellicae... ». Agli studi ormai rinunzia perchè avanti cogli anni ; ma non può dimenticar le armi, di cui nulla vi ha di più eccelso nè di più degno d’un uomo forte. I Romani 11011 sottomisero forse, in virtù di esse, tutto il mondo? Adunque con tutto l’animo, con tutte le forze si dedicherà alle armi, ed otterrà la gloria : « His igitur toto animo totisque viribus incubam et ad eam perveniam gloriam ». XII. (fo. ìii-v.) Bartholomeus Optimo Viro Andreae suo. — Quod superioribus litteris quas ad me per T. || mutuis licteris omnino finem faciemus. — Non rispose alle lettere dell’ amico perchè occupato e indisposto. Ma 1 amico sa che a lui nulla e più gradito che mandargli spesso sue lettere. E chi rinuncierebbe mai a tale sodisfazione, dal momento che l’arte dello scriver lettere, tanto celebrata, conduce alla immortalità ? Orsù, GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 453 è oimai tempo di metter line al silenzio e di inviarsi lettere reciprocameli te. ΧΙΓΓ. (fo. 122-r.) Bartholomeus suo T. - Cum nuper mecum cogitarem quantum a te iocundissime pater 11 suasve apud me quomodo libitum erit habeas. Vale. — Ringrazia 1’ amico per le lettere ricevute, da cui spera di ricavare grande vantaggio, perchè gli sarà possibile studiare la vita di uomini insigni. « Ceterum etsi non omnes possumus esse Caesares, Catones vel Ci-cerones », ma nondimeno v’ è sempre da ricavarne profitto. XIV. (fo. 112-V.) Bartholomeus Optimo et litteratissimo v. suo. — Eram nescius mi suavissime T. cum super vires meas epistolas tibi darem [ | le-ticiam gaudium prebeas et umanissimis studiis tuis officium prestes. Vale. — Esprime all’ amico il dolore e 1’ affanno provato sentendo che egli era travagliato da malattia ; gli raccomanda caldamente di aver cura di sè e con affetto gli ricorda la comunanza degli studi e 1’ amore reciproco ; nulla gli riesce più molesto che il non potere scambiar lettere con 1’ amico più caro, nè la vita gli sarebbe possibile senza di lui. XV. (fo. I 13-r-v.) Bartholomeus suo T. — Libentissime summa cum voluntate perlegi licteras tuas || et me tuum carum et me totum deinde accipias. Vale. — Manifesta all’ amico il piacere provato alla lettura del-1’ ultima sua e ne loda 1’ eleganza dello stile e la profondità delle sentenze. L’ amicizia fra gli uomini onesti deve spingere alla virtù, non al male. XVI. (fo. 113-v.) Bartholomeus suo. — Non possum non vehementer perturbari T. Carissime | Si romain proficiscar quod 11011 credo de nejocio te cerciorem faciam. Vale. -- Nonostante che dall’ amico lo separi una grande distanza, pure li uniscono vincoli di amore e comunanza intellettuale. Ogni momento si ricorda dell’ amico e 11e ha dinanzi 1’ immagine carissima, « edendo, dormiendo, ambulando, studendo, semper tecum ». XVII. (fo. 114-r-v.) Bartholomeus suo T. — Si ob meam in patriam redditum, tua primum coniunctione et memoria 11 nostre amicicie non consentaneum mirari aut suspicari possim. Vale. — E addolorato fortemente perchè l’amico suo diletto e gli altri che egli ama gli fanno desiderar troppo le loro lettere. Tale silenzio gli desta meraviglia e sospetto. Se per avventura fosse venuto meno ai doveri d’ amicizia, è pronto a farne ammenda, poiché se altri ambisce regno o ricchezze, a lui non sorride che la dolce amicizia. XVITI. (fo. 115-r-v.) Bartholomeus. - Ne tamdiu loqui desinamus frater unice II alterius scripte lictere utrique facere satis possit. Vale. — Descrive l’arrivo in Venezia del Duca d’Austria, reduce da Terra Santa, e gli onori resigli dalla Repubblica [1414]. XIX. (fo. I15-V- 116-r.) Bartholomeus suo T. — Fastidiosum si me diceres ac dificilem non errares || ultro pollicitus non omisisse Iterum Vale. — Prega l’amico, fra l’altro, di veder se si potesse acquistare un Terenzio corretto e di buona lettera : « si quis est ibi venalis Terencius pillerà licterarum forma et emendate transcriptus, 111e quamprimum precii admonitum facias ». 454 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI,A LIGURIA Lo prega pure di mandargli un suo studio su Marciano Capella : « Tui inventionem illam in m. cappellani (?) poetam quam ad te alteris petivi licteris obsecro te trascribi facias transcriptumque T. commictas ». XX. (fo. Il6-v.) Bartholomeus suo T. — Exoptabam suavissime Nicolae ut quemppiam cause || intelligas quem ut debes tantopere colis et deum facis. Vale. — Parla all’amico del comune precettore (Guarino?), certo di recargli gradimento : 1 presertim cum nullum gracius nuncium tibi exponi posse mìhi persuadali! ut de Immanissimo praeceptore intelligas ». XXI. (fo. 117-v.) Bartholomeus faccius suo T. salutivi plurimam dicit. — Si vales bene est ego quidem valeo. Quantum ego tuis ex litteris intel-ligere potui || prò quo beneficio tibi ymmo utrique liabeo graciam. Veneciis. — Parla dell’acquisto di un Terenzio. La peste desola Venezia ; il primo figlio del Doge ne è morto. Si rifugerà a Murano presso l’altro figlio del Doge [1413]. XXII. (fo. 117-v.) Bartholomeus suola. —Temporis brevitas et nuncii opportunitas || Vale anime mi salvi sint a me T. et T. mey Veneciis. — « In perquirendo Terendum fuisti et diligens et accuratus ». XXIII. (fo. 118-r.) Bartholomeus suo Viro T. — Cum sepissime antliac tum vero proxime ac nuper acceptis licteris 11 nulla enim mora vel tarditas quamvis longa aliqua molestia me afficiet. Vale. — Elogi alla modestia e alla virtù dell’ amico, cui tanto deve e che tanto stima e coi quale vorrebbe aver tutto in comune. XXIV. (fo. Il8-v.) Bartholomeus facius suo dulcissimo Iacobo. — Tuas accepi Iacobe mi licteras quibus meas || et amicis meis viserem, quos amo quos colo, quos oculis et mente complector. Vale. — Ringrazia 1’ a-mico per avergli offerto i suoi cavalli, il servo e 1’ aiuto suo, e gli esprime i sensi della più fervida amicizia. Avrebbe dovuto recarsi al luogo dove 1’ amico stesso si trovava, perchè il principe gliene aveva concessa licenza, ma fu trattenuto dal fratello del principe e gliene rincrebbe vivamente. XXV. (fo. 119-r-v.) Bartholomeus suo datiteli [Vettori]. —Quanto siili dolore affectus mi daniel |] Vale et memineris te danielem esse. Patavi ille tuus Gaspar. — Si condole con l’amico per la morte del fratello [Andrea] (1). Ubaldo Mazzini (1) Nello stesso cod. vat. lat. 5197 (fo. 125-r.) si trova una lettera del Guarino intestata: « Guariraus suo plusque destissimo suo [sic) bartholomeo », che il Sabbadini pose al n. 191 del suo elenco delle epistole guariuiane (Cfr. Guar. Veron. e il suo e-fiistol. ed. ed ined. Salerno, 1885, pag, 23). È da vedere se per caso questa epistola non sia diretta a Gasparino Barzizza. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 455 PER LA BIOGRAFÌA DI LU CRETTO GATTILUSI TROVADORE GENOVESE Di Luchetto Gattilusi trattarono il Belgrano (i) e lo Schultz (2) in modo da lasciar credere vana ogni ulteriore ricerca e composta ogni discussione intorno alla sua vita; tant’è che il Butti compendiò in una monografia quello che era stato scritto in proposito (3) e il Bertoni, nei suoi studi sui trovadori minori di Genova, si dichiarò dispensato dal fermarvici a lungo (4). Se mi tocca invece ritornare sull’argomento, non lo faccio purtroppo per aggiungere, come avrei preferito di potere, qualche notizia alle poche esistenti, ma per togliere a una di esse tutto il valore che le viene da un’interpretazione erronea di un documento sincrono. Occupandomi da parecchio tempo delle Rime genovesi del dugento e del trecento, e desiderando di mettere in luce la cultura di quel facondo poeta che le compose e che meritava certo maggior considerazione di quella che finora non gli abbia alcuno concesso, presi a dubitare che quel Luchino Gatilusio da lui menzionato in un brano latino posto a dichiarazione della poesia LVIIa (5), fosse, come scrissero lo Schultz (6) e il Bei-grano (7), il noto trovadore, massime dacché potei constatare che in pochissimi tra i luoghi ove si parlava di costui, compa- (1) L. T. Belgrano. Luchetto Gattilusio, in Giornale Ligustico, IX, P· 3 e sgg. (2) O. Schultz. Die Lebensverhàltnisse der italienischen Trobadors, in Zeitschrift fiir rom. phil., 1883, pgg. 223-5. (3) A. BUTTI. Di Luchetto Gattilusi trovatore genovese, in Intermezzo 1890, p. 573 e sgg. (4) G. BERTONI. Studi e ricerche sui trovadori minori di Genova, in Giorn. St. della Lett. It., 1900, p. 21. (5Ί Ediz. di N. Lagomaggiore, in Arch. Glott. It., vol. II, p. 243. (6) Op. cit., p. 224. (7) Op. cit., p. 8. 456 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI.A LIGURIA riva il nome Luchino, bensì quello di Lughetto (i) ° Luquet (2) o Luchetto (3) 0 Cucheto (4) o Zucheto (5). Per vero questa parziale diversità dei nomi non era argomento sufficiente per sentenziare che i due illustri studiosi mal s’erano apposti: poteva darsi cioè che il Gattilusi fosse chiamato privatamente Luchino e ufficialmente Luchetto o Zuchetto e così via, sempre con la terminazione et alla provenzale, quasi in omaggio alla sua valentia nel maneggio dell’arte occitanica ; ma subito dopo m’occorse di rilevare una svista materiale, nella quale, non saprei per che ragione, caddero entrambi, e lo Schultz e il Belgrano, senza che l’uno avesse notizia del lavoro dell’altro (6), e che fu causa della falsa conclusione che ne trassero. Lo Schultz infatti, dopo aver dichiarato, con 1’ appoggio di fonti insufficienti, di non prestar fede agli uffici tenuti da Luchetto Gattilusi in Milano, Lucca e Cremona, cui accenna il Desimoni (7), < dagegen », continua, · var er noch in Jahre 1300 Podestà von Savona, da es in der lateinischen Bcmcrkung, die dem 57. der Gedichte in genuesischer Mundart vorangeht, heifst: Dominiis Karolus frater regis Francorum venit in Tnxia ad partes (i) Crescimbeni. Storia della Volgar Poesia, ed. 1730, vol. II, p. I", p. 220. Il Nostradamus dà Lughetto Gattello. Cfr. Dksimom. Il marchese di Monferrato e i Trovatori provenz. alla corte di lui, in Giorn. Lig. 1878, p. 241. (2') Barbieri. Orig. delia Poe. rim., pubi, dal Tiraboschi 1 79°i ωΡ· X» p. 127. (3) Cronaca di Jacopo da Varagine. Mur., S., IX., 16 B· ; atti riferiti dal Belc.ranq (op. cit., p. 4) ; Bolla papale in Romania, X, p. 325. (4) Robolotti. Repertorio Diplom. Cremonese,... per cura del Municipio di Cremona — Cremona, Tip. Ronzi e Signori, 1878, p. 25t. (5) Ibidem. Tra Zucheto e Cucheto v’ ha solo differenza di grafia : in questo secondo nome fu dimenticata la cediglia sotto il C. Il nome Luchino si trova nelle Cronache del Muratori (S, vol. XVIII, 122 K, e, accanto all’altro, nelle Chroniques Grèco-romanes del MOPK, Berlino, 1873, p. 502. (6) Il lavoro dello Schultz usciva un anno dopo quello del Belgrano, ma è ovvio il supporre, poiché non lo ricorda, che fosse stato composto molto tempo innanzi. (7) Op. e 1. citt. Xon avendo il Desimoni citato le fonti, clic erano ancor manoscritte e note forse a lui solo, lo Schultz fu indotto a sfogliare gli atti e le cronache che trovò a sua disposizione (ad es., per Cremona, il libro inesatto e monco del Gavitelli), senza però potersi avvicinare al vero. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 457 Fioratile MCCC. Quidam de magnatibus Janue timens de facto tps/us quia videbatur nimis properari misit in Sagonam ubi eram pro Communi ad officium cabelle salis quendam nuntium domino Luchino Gatiluxio tunc potestati Sagone » ; e, poiché teneva altresì sotto mano la Storia Letteraria dello Spotorno, nella quale, giustamente, era dato il 1301 come anno della Podesteria savonese di Luchino Gattilusi (1), lo accusa senz'altro di inesattezza. Che uno straniero conosca così poco la storia del nostro paese da non sapere che Carlo di Valois venne in Firenze nella seconda metà del 1301 e da non esser quindi in grado di stupirsi di fronte a quel « MCCC », non è poi un fatto molto strano; strano è invece che egli, pur avendo a disposizione, oltre che l'edizione del Bonaini 2), quella del Lagomaggiore, non posasse bene gli occhi su! testo, che reca effettivamente la data « MCCC primo », e andasse così poco guardingo nel giudicare chi meglio di lui sapeva valersi delle fonti (3). Del resto anche il Belgrano, che riportò giusto il passo latino dcH’Anonimo, incorse nello stesso sbaglio cronologico, forse per la fretta con che scriveva. « Nella seconda metà del 1299 e nella prima dell’anno successivo » così egli si esprime, « Luchetto era Podestà di Savona, leggendosi fra le Rime istoriche ecc. .....: Dominus Karo/us frater regis Francorum venit in Tuxia.... anno ... 1301. Quidam de magnatibus ecc.... (4) ». Che il dottissimo scrittore avesse intenzione di collocare invece in epoca più tarda quell'ufficio (nella seconda metà del 1300 e nella prima del 1301) appar chiaro nel seguito del suo lavoro, specialmente là dove ricorda essere il Gattilusi passato « nello stesso anno 1301.... dalla podesteria savonese a quella di Cremona », ma intanto, per aver dato male la prima notizia, non seppe, tratto in inganno sua quaque culpa, giovarsi razionalmente di altri documenti rimasti ignoti allo Schultz e recanti il nome del trovadore. Per "conto nostro, senza mutare il passo latino o attingervi con trascuratezza, convien dedurre positivamente che un Domi- (1) Spotorno. St. Lett. della Liguria, Genova, 1824, I, p. 205. (2) Archìvio St. It. Serie I, Append. Vol. IV, 1847, p. 46. 5 Lo Spotorno dichiara d’ aver attinto alle Rime genovesi. 4 Op. cit., p- 8. Gtom. St. e Lett. detta /.iguha 3° 458 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nus Luchinns de Gatiluxis si trovava a Savona Podestà (tnnc potestati Sagone), quando nella Liguria era giunta contezza del-1’arrivo di Carlo di Valois a Firenze e tutti gli animi diffidavano della lealtà dei suoi propositi, ossia che vi si trovava ancor Podestà parecchi giorni dopo il i° Novembre del 1301, data dell’avvenimento. Per negar poi che questo Luchino sia il trovadore ci soccorre fortunatamente una prova d'alibi. Infatti il trovadore Luchetto Gattilusio, come vien dato di rilevare dal Codex di-plomatìcns Cremonae ed dall’Astigiano (1), meglio che dal Repertorio pubbl. dal Robolotti e citato, ma infruttuosamente, dal Belgrano, rimase, quale Podestà, in Cremona, dal Luglio a tutto il Dicembre del 1301, ed è ricordato, in più atti di quel tempo, esclusivamente con il nome suo proprio, Luchetto o Zuchetto, non Luchino (2). E quindi, più che lecito, necessario inferire che egli non era, in quei giorni di trepidazione, a Savona, ma a Cremona, e, potendo ammettere col Belgrano che tenesse, in quello stesso anno ( 1301 ), la Podesteria successivamente nelle due città — il che non è provato da alcun documento — affermare che aveva lasciatola residenza marittima per quella interna, prima del bruxor contraito in Tosecanna (3). Più difficile ci riesce stabilire qualche cosa di sicuro intorno a Luchino Gattilusi, a quell’altro de’Gattilusi, che davvero è stato, secondo l’inconfutabile testimonianza dell’Anonimo, Po- (1) Astigiano. Codex dipi. Cremonae, in .1/. //. /'., Serie II, T. XXII, p. 202. (2) L’edizione del Robolotti reca il nome di Luchetto dal l“ Luglio al 30 Settembre del 1301 e manca poi d’ogni altra notizia sui Podestà fino al '3 faggio 1302 I quella dell’Astigiano, rinsanguala con molte nuove fonti, ci avverte che, nel 21 Febbraio del 1302, un altro reggeva quell'ufficio, un pavese, Guglielmo Sigherio, ma anch' essa subisce un' interruzione al 30 Seti, dell’ anno precedente. Potrebbe allora sorgere il dubbio che fra il 30 Settembre 1301, ultima data degli atti, sotto la quale vediamo il nome di Luchetto, e il i. Novembre del 1301, data dell’arrivo di Carlo a Firenze, egli, il trovadore, sia passato alla podesteria di Savona. Per buona ventura invece si sa che Luchetto divenne Podestà di Cremona il 17 Luglio 1301, o non molti giorni prima, trovandosi menzionato in un atto del giorno 11 di quel mese stesso, come suo predecessore, Vanni de I.eazariis, ( Codex, ibid.) e che nell’alto ufficio dovea rimanere sei mesi (Codex, p. 334 , quindi a tutto il Dicembre compiuto. (3) V. la poesia genovese citata, versi 4-5. GIORNALE STORICO li LE Γ Γ ERARIO OKLLA LIGUKIA 459 desta di Savona e che fino ad oggi, senza colpa nè merito, passò per il poeta. Indubbiamente egli appartenne alla sua famiglia — e ci indurrebbero a crederlo la comunanza del luogo di nascita (i) e l'uguale ufficio conferitogli, che, anche in Stati retti con forma repubblicana, poche famiglie soltanto riescono a monopolizzarsi gli onori e le cariche —, ma non sapremmo con sicurezza dire se gli fosse parente stretto o lontano nè se sia da identificarsi con quegli altri funzionari, che, portando il gentilizio dei Gattilusi, furono distinti col nome di Luchino, anziché con quello di Luchetto (2). Comunque mi tocchi poi conchiudere, intorno a costui, nel mio studio sulle Rime dell'Anonimo genovese, non saranno inutilmente rese pubbliche queste righe, se chi si accingerà a rifare con più diligenza le vite dei tovatori genovesi, vorrà tenerne conto e non più credere e far credere che, nel 1301, fosse Podestà di Savona Luchetto Gattilusi, il tenzonatore con Bonifacio Calvo. Francesco Luigi Mannucci il} L' elezione di un Podestà genovese in Savona era stata imposta da Genova nel 1251. Cfr. G ARO NI. Guida Star. eeon. ed artist. della città di Savona —, Savona, 1874, p. 173, e Torteroi.I. Storia di Savona, Savona, 184g, p. 125-b. (2) Mi sia permessa un'ipotesi. Nella famiglia dei Gattilusi vi fu un Luchino, nipote di Luchetto il trovadore icfr. Ferretto. Cod. dipi, delle relazioni fra la Liguria, la Toscana c ta Lunigiana ai tempi di Dante, in Atti de Ih Soc. Lig. di St. /'al , vol. XXXI, fase. II, p. LVI , che po-trel’be anche essere il Luchino Podestà di Savona nel 1301, poiché da un atto gentilmente trasmessomi dal Sig. Ferretto, appare che il padre suo, Gattino Gattilusi, nel 24 Maggio del 1278, era procuratore e amministratore dt-i suoi beni, forse in seguito alla morte della madre (N. N. Buongiovanni di Langasco, Reg. L p. 326. Arch. di Stata genovese). Nel 1301, se si |>ensi che la tutela durava fino all’ età di anni diciotto, egli, Luchino, poteva contare dai trenta ai quarant' anni ed essere eleggibile. Va pur notato che il padre Gattino Gattilusi era stato Podestà di Savona nel 1299 (Cfr. V. POGGI. Series nobilium Gcnuensium qui potestatis.... munere functi sunt extra patriam, in M. //. Λ. vol. XVIII, ad a.) e che è probabile quindi venisse conferita, nel 1301, la stessa carica al figlio, dopo che per breve tempo ne era sialo investito Petrus de Vivaldo. - Ecco come deve 4Ô0 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Giulio Scotti. La Metafisica nella morale moderna. Milano, Hoepli, 1908; in-16, di pp. XV-348. “ Lì' vita, così faticosa talvolta e così dolorosa, vai proprio la pena d’essere vissuta? E a questa ò legata indissolubilmente un’altra domanda: per quali ragioni debbo io mantenermi onesto, sacrificare il mio piacere particolare, compiere alcune azioni ed astenermi da alcune altre? Onde il problema umano che non fu mai, come oggi, così vivamente sentito... n. Con queste parole Giulio Scotti, uno dei valenti cultori delle discipline morali, preludia ad una sua ampia dissertazione sopra i principii cui si informano i moderni sistemi di morale, allo scopo di ricercare e stabilire quale posto logicamente vi occupi il dato metafisico; o (se non vi sia stato dato alcan luogo) di determinare se veramente so ne possa fare a meno in una moiale che voglia riuscire pratica; o se il dato metafisico, bandito di proposito da tale o tal altro sistema, non si sia per avventura penetrato di straforo e contro la volontà stessa del pensatore, per 1 irresistibile violenza logi· a della verità che s’apre la via da se, mirabilmente, traverso ad ogni ostacolo. Il libro dello Scotti merita di essere analizzato e discusso non tanto perchè — dato il periodo di crisi che oggi attraversa la coscienza morale, incerta tra l’evoluzionismo di Spencer, il positivismo di Comte e Ardigo, il criticismo di Kenouvier e Bru.su. l’egotismo di Stirner, 1 amoralismo di Nietzche o il rinnovato spiritualismo di Janet e Vacberot — esso risponde ad una necessità psicologica, quanto perchè risveglia e tiene aperto il dibattito — eterno, cornile leggi della vita,— intorno al problema del bene e del male; intorno alla valutazione della vita, delle azioni umane, della natura e dell universo: dibattito che ebbe i suoi logografi ed i suoi poeti, rappresentanti di principii opposti o contraddi tori i. in tutte le epoche intellettualmente più progredite e che, a’ giorni nostri, ha inspirato la Laus Vitae di Gabriele D’Annunzio e la Meri una d’Arturo Grnf. essere accresciuto un ramo dell’ albero genealogico dei Gattilusi, che ci interessa (cfr. Hopk. Chroniques G reco- Roma /tes, Berlin, l8”J, p. 502): Jacopo Gattilasi Luchetto Jacopo Gattino ' _l I ! Nicolosio Luchino rranceschino Nicola Domenico Obertino GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA L’opera dullo Scotti prende le mosse dal sistema filosofico di Emanuele Kant. In brevi pagine tutto lo riassume, ponendone bene in evidenzn le linee fondamentali e tipiche; e spiegando le ragioni per cui il grande filosofo di Koenigsberg giunse ad ammettere il principio di libertà nel mondo noumenico ed il determinismo in quello fenomenico. Sarebbe stato desiderabile un cenno sulla volontà eteronomo,, di cui seppe tener calcolo il Biuso nel suo recente scritto sul Libero Arbitrio, cosi la critica del sistema kantiano avrebbe potuto riuscire più completa; ciò non di manco i dati metafisici posti in rilievo dallo Scotti sono abbastanza importanti e ponde-revoli. L’affermazione di Kant che il noumeno, oggetto della ragion pura, sia buono, porta come conseguenza la necessità di introdurre l’idea di felicità <> l’idea di legge, per conferire alla ragion pura un legittimo carattere di bontà: ma come può tale affermazione essere accettabile dal momento che, secondo la Critica della ragion pura, ci fu dimostrata l’impenetrabilità dell’intima essenza dell’uomo e dell’universo? Ancora: come si può asseriie che alla buona intenzione dell'agente morale s’unisca un sentimento d’obbligazione veramente soprasensibile e sopraintellettuale? Ed anche: nello stesso mondo noumenico chi ci può assicurare che vi sia la libertà? Non sono questi tutti dati metafisici introdotti a priori ed in modo illegittimo, nella morale Kantiana? Veniamo al sistema del Renouvier, il fondatore del u nuovo » criticismo. La disamina che fa lo Scotti del sistema criticista mi pare alquanto manchevole e ciò per due ragioni: prima, perchè l’A. esaminò soltanto la Science de la Morale del Renouvier; seconda, perchè fu troppo ligio uello accogliere le obiezioni del Fouillée il quale esaminò il sistema più tosto sotto l’aspetto polemico che sotto quello puramente obbiettivo e filosofico. Troppo in lungo mi trarrebbe l’argomento se volessi confutare molti degli appunti mossi dallo Scotti al filosofo francese, senza che essi abbiano a mio vedere la loro ragion d’essere. Il principale però, quello, secondo cui il Renouvier avrebbe fondata una morale dell’assoluto librata in mezzo al relativo, trova la sua confutazione nelle parole stesse dell’eminente criticista, là dove, trattando del concetto di misura della libertà e della conseguente responsabilità individuale, delinea la sua teoria della solidarietà: J'appelle solidarielé nodale.... le lien résultant de V ensemble de ces mobiles d' un acte libre qui se rattachent aux actes antérieurs répétés el habituels dans une société donnée, et aux maximes autorisées, et aux institutions et coutumes dont I’ expérience et la répétition mêmes sont les sources. Il y a aussi une solidarielé personnelle, ou de lu personne arec elle même, qui comporte une définition analogue : il suffit de substituer les actes anlrcedenls de celte personne cl les habitudes ou enga- 462 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gemente qui en procedent, aux actions anciennes ou présentes des autres hommes et au.r faits sociaux qui en sont des résultantes. Enfin, on peut ajouter, pour complete)· ces notions, à la solidarietà sociale la nature de V homme en generale, à la solidaritté personnelle le caractere natif de chaque personne (1). La solidarietà è dunque timi legge naturale, una legge in sostanza d’ordine biologico che deriva la sua origine dai fatti, dalle abitudini e dagli istinti. Essa u réclame et absorbe une part de tout mérite ou dé démérite, de tout bien ou de mal moral et personnel, en tant que certains mobiles essentiels des actes proviennent de causes étrangères à la coscience qui les admit ». Così egli ha quindi potuto salvare la libertà pratica, la quale, secondo il Brusa, ridotta dall’astrazione Kantiana ad una chimera nell’ordine storico, non poteva dar accesso ad un movente bastevole della vita senza trasformare insieme la nozione di libertà e la legge morale stessa quali furono concepite esclusivamente in astratto. Debbo per altro riconoscere, con lo Scotti, l’intrusione del dato metafìsico fatta dal .Renouvie’r circa la coscienza del dovere come ragione di determinarsi ad agire, ma smo anche tenuto ad aggiungere che questo dato soffre limitazioni notevoli dalla legge di solidarietà la quale porge una base sicura e ben determinata nel principio del calcolo delle probabilità secondo la esperienza. Migliore e più ampia è la critica fatta dallo Scotti al sistema etico di Schopenhauer. Costui può dirsi veramente, col Friso, il pontefice massimo del pessimismo metafisico. La volontà concepita come la essenza più intima, come il nocciolo di ciascuna cosa individuale; la libertà, come termine antitetico della necessità causale; il mondo come un cumulo di apparenze; i fenomeni del-1’ esperienza, una mera illusione, anzi, un sogno doloroso: e la stessa eutanasia della volontà prodotta dalla soppressione di ogni principio illusorio d’individuazione, sono altrettanti paralogismi metafisici che esorbitano da quella stessa metafisica immanente entro la cerchia della esperienza da cni il filosofo di Dnnzica non avrebbe mai voluto scostarsi. E la critica dello Scotti, ripeta, è eccellente. Passiamo ai rappresentanti dei sistemi induttivi : F. S. Mili, Sidgwich, Spencer e Ardigò. La dottrina utilitaria dello Stuart Mili, seguace dichiarato della scuola induttiva, finisce, anch’essa, per accogliere nel suo seno intuizioni metafisiche sia mediante l’affermazione della qualità dei piaceri, raiutati secondo la loro nobiltà o dignità, e correlativi ad una specie di gerarchia di facoltà negli individui, (i) Rf.nouvikr, Introduction è h philosophie analytique de t histoire. Pai is 1864 : pati- 33· GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 463 aia mediante il principio della spontanea formazione del sentimeuto morale, o quello della subordinazione allo elemento eudemonistico nelle azioni degli individui o quello infine della sostenibilità d’una credenza in una destinazione dell’ uomo dopo la morte, pur ammettendo l’agnosticismo intorno all’idea della divinità. Nò altrimenti Sidgwich il quale, disperando di poter conciliare l’interesse particolare col generale, è costretto a ricorrere ad un vero atto di fede, facendo un gran salto dall’ utilitarismo al campo trascendentale per mettere a profitto anche l’istinto metafisico. E veniamo al più grande de’ filosofi moderni : Herbert Spencer. Allo stato delle attuali investigazioni, fornite non solo dal Maestro ma da tutti i discepoli della scuola spenceriana, possiamo noi affermare che non sia principio metafisico quello della persistenza della forza che costituisce il corrispjndente soggettivo della materia? E dove lascio quello delle intuizioni morali spiegate mediante l’ereditarietà? Dove, quello della transitorietà relativamente all’obbligazione morale ? Così del pari non ci sono ancor note totalmente tutte le condizioni volute per ammettere che la sanzione morale possa derivare dall’accumularsi nell’organismo dei risultati delle esperienze fatte dalle passate generazioni, intorno alle conseguenze necessariamente susseguenti 11 certe azioni. In ultimo: collo stabilire che norma di condotta per lo stato di vita attuale debba essere da un lato l’indagine storica e biologica del nostro passato e dall’altro la contemplazione ideale dello avvenire, se non si ;nclude nella teoria il noumeno Kantiano, come vorrebbe lo Scotti, certo di molto gli si avvicina. Anche la concezione etica di Koberto Ardigò, per quanto rispecchi, più ampiamente d'ogni altra, i caratteri particolari della scuola positiva, urta involontariamente, in quei dati metafisici che invano si vollero evitare. Tra il principio che pone P idealità sociale come fine morale ed il corollario che afferma preferibile il bene sociale all’individuale, manca, secondo lo Scotti, nel sistema dell’Ardigò il termine medio. Per qual motivo, in vero, ed in nome di qual fatto mi si potrà imporre, o piuttosto potrò imporre a me stesso, interiormente, che io debba preferire o scegliere il bene altrui, sacrificando il mio? E l’ideale, io aggiungo, l’ideale che per l’Ardigò si impone assolutamente al volere dell’uomo, e ne domina le tendenze egoistiche, non é già di per se stesso, inteso con caratteri così generali, un postulato trascendentale e metafisico? Anche l’idea _ ]’ jdea forza — concezione geniale del filosofo mantovano — diffusa quindi ed ampliata dal Fouillée, senza pur indicarne la fonte costituisce una deroga a quei principii rigidamente positivi che PArdigò professa, perche — in tutti i casi - l’idea non è tra- 4^4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ducibile a movimento nò ad una traduzione simbolica ed esatta del movimento. Lo Scotti si sofferma quindi ad esaminare, per ultimi, i sistemi di Rosmini, Wundt, Fouillée e Guyau. Del Rosmini è nota la teoria dell’Essere, specialmente dopo la splendida illustrazione analitica tattane dal Benzoni. Ora, se noi ammettiamo il principio dell’Essere, affermato come universale ed oggettivo, distinto da noi e dal mondo, il sistema rosminiauo si regge perfettamente in piedi; ma questa premessa, come osservava acutamente Gaetano Negri, non è, e non può essere, che una petizione di principio; ed ha per ciò ragione lo Scotti di dedurne che sopra di essa non può ricevere solido fondamento una morale che voglia essere scientifica. L’etica di Guglielmo Wundt ha le sue basi sopra fatti -*ompro-vati dall’esperienza quotidiana e dallo studio storico della vita ma anch’essa abbandona il campo sperimentale per elevarsi alle regioni ipercosmiche allorquando il Wundt allo scopo di conciliare la causalità colla finalità, pone l’ideale morale non come precedente ed anteriore al processo evolutivo, ma come una meta futura dell’evoluzione universale. La sua finalità, scrive lo Scotti, è immanente e dedotta da proprietà generali; cioè dall’accrescimento dell’energia psichica e dall’eterogeneità degli scopi; onde un fine s’innesta in altri successivi, formando una serie non interrotta, rivelantesi nel suo insieme come un ordinato disegno, e diretto con ascensione indefinita verso l’ideale morale. Ed è questo per l’appunto il dato metafisico che infirma la teoria Wnndtiana ; dato metafisico che, se necessita alla ginstifieazione della legge interiore coordinatrice degli scopi vari, germoglianti per eterogenia l’uno dall’altro, non trova del •pari la sua dimostrazione positiva, dovendo esser questa energia psichica primordiale nelle coscienze e nel mondo. Altredo Fouillée, il campione dell’idealismo naturalistico, volle tentare una conciliazione fra la_ scienza positiva e un’obbligazione morale veramente efficace, senza ricadere nell’antica metafìsica; ma anch’egli, prendendo la coscienza come fonte unica e misura dalla realtà, finisce per rendere soggettivo il suo ideale restrittivo e persuasivo. Anche la teoria delle idee-forze, cui egli diede un cosi ampio e complesso svolgimento; teoria, secondo cui le idee vengono concepite come direttrici della volontà, prima in modo vago e indeterminato, poi più fortemente, moltiplicandosi queste forze per l’acquisto di sempre più viva coscienza, urta contro tinn difficoltà che, coi puri dati dell’esperienza non è dimostrabile: la giustificazione cioè di questo processo psichico di epigenesi nell’ordine etico. Per ultimo G. M. Guyau, rapito nel fiore degli anni alla scienza, mantenne anch’esso aperto, malgrado ogni sforzo in contrario, il GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 465 campo della metafisica, coi due caratteri di improduttività e di variabilità, due esigenze teoricamente giustificabili ma, nel campo della pratica, prive di valore restrittivo perchè ridotte ad una congettura, ad 1111’ipoi»si inafferrabile per quelle anime che non portano già dentro di sè vivo il sentimento della solidarietà e dell’amore verso gli uomini. Quale conclusione possiamo noi dunque dedurre dall’analisi dei principali sistemi morali da E. Kant a G. M. Guyau ? « Noi veniamo », scrive lo Scotti, « a questo inesorabile dilemma: o una morale scientifica senza dati metafisici, ma priva di obbligazione e non sempre efficace nella pratica ; oppure una morale trascendente, ultra scientifica ma obbligatoria..... Libertà e legge morale hanno appunto la loro prima costituzione in questo contrasto incessante fu reale e ideale, in questa limitazione della nostra conoscenza rispetto alla essenza dell' io e del mondo. Tuttavia tale scissione conclude lo Scotti, non conduce in realtà nè allo scetticismo nè al pessimismo, che equivale ad un gratuito dogmatismo; dappoiché l’uomo porta in sè questo impulso prepotente che lo spinge ad attirare 1’ ideale sociale e morale traverso alle prove dolorose ed alle aberrazioni del senso ». Sta bene; ed io accetto e sottoscrivo a queste confortanti conclusioni cui giunge lo Scotti dopo un diligente esame degli scritti più importanti dei filosofi sovra accennati. Ammetto aneli’ io che 1’ esclusione assoluta della metafisica, allo stato delle attuali investigazioni, non è possibile, non solo da ogni principio giustificativo dell’obbligazione morale, ma anche da ogni sistema etico; riconosco la necessità di una credenza nei postulati della metafisica immanente congetturale, ma io domando allo Scotti se egli non cade in una petizione di principio fermandosi puramente alla necessità di questa credenza nella quale, in sostanza, trovano la loro ragione d’ essere e la loro spiegazione tutti i sistemi filosofici di cui sopra è fatto cenno. Ogni sistema, si sa, quanto più è complesso e più vasto, presenta all’ipotesi metafisica uno spazio tanto più vulnerabile ; lo sforzo del filosofo deve dunque essere diretto a delimitare la cerchia delle intuizioni ipotetiche allargando invece quella delle induzioni sperimentali. Ciò posto, e tenuto calcolo dello studio, non superfieiale, fatto dallo Scotti sui sistemi dei maggiori filosofi moderni, tenuto calcolo della duttilità del suo ingegno, della sua facilità di pene-trazione nelle altrui teorie (malgrado il lieve appunto mosso a quella del Renouvieri, della sua abilità nel dimostrarne i paralogismi e le incongnienze apodittiche, ciò posto, non era lecito attenderci da lui la semplice conclusione seguente: « ammettiamo le realità note e crediamo a quelle ipotesi che, lungi dall’essere in contraddizione e in 466 GIORNALE STORICO E LI ΤΊ ERA RIO TELIA LIGURIA disaccordo colle leggi note dell’ universo, sembrano acquistare maggiore probabilità di mano in mano che la scienza va facendo maggior luce. Ora io mi domando: ma quali sono le realità note ? Alla stregua di questi principii la dottrina spiritica, sussidiata dalle ricerche scientifiche del Croockes, del Volpi, del Lombroso, dovrebbe per lo Scotti essere materia di credenza perchè in sostanza essa non è che corollario metafisico di un certo ordine di fatti fisici. Nè basta : gii antecedenti richiamano, in ogni ordine di cose, i conseguenti e da un corollario se ne deducono molteplici i quali alla loro volta danno origine ad altri. Quale sarà il termine di arresto? Non basta dire apostulato metafisico congetturale immanente: perchè, aperto l’adito alla metafisica, tutto diventa congetturale e tutto, per logica concatenazione di cause ad effetti, si riduce ad essere immanente. Nel campo morale poi da quale sistema prenderemo le mosse per architettarvi sopra la nostra credenza metafisica? Lo Scotti vorrebbe ridurre le ipotesi metafisiche, nell’ ordine etico, alle seguenti : a credenza in una potenza indeterminata che si rivela dovunque dal-1’ infimo atomo terrestre alle nebulose più lontane ; dipendenza per parte nostra rispetto a siffatta potenza; esistenza di un fine, per quanto misterioso, in tutta la economia dell’universo n. Ora, senza entrare in merito al carattere di congettura più o meno immanente che possono avere queste ipotesi, è certo che esse acquistano limiti di comprensione differenti, vario contenuto etico, maggiore o minore forza probatoria a seconda che si innestano sulla teoria· di Wundt, di Spencer, di Rosmini o di Schopenauer. Ecco la lacuna che presenta l’opera dello Scòtti : lacuna del resto inevitabile perchè qualunque sistema, anche il più impersonale ed obbiettivo, apre l’adito all’ipotesi metafisica. Come studio critico de’ varii sistemi filosofici moderni l’opera dello Scotti parmi degna del più ampio elogio; come conclusione deduttiva dei suoi studii, essa mi pare manchevole. Noi chiediamo alla filosofia morale il perchè della vita, il perchè dobbiamo informare a certe norme e non a certe altre le manifestazioni della nostra condotta, e, dall’analisi de’varii sistemi giungiamo a preferire quello che meglio risponde alle nostre esigenze psichiche ed in cni meglio ei queti V anima. La ricerca del sistema meglio armonizzante colle condizioni della vita moderna e la determinazione di un legame ideologico fra i dati sperimentali del sistema stesso e le suaccennate ipotesi metafisiche sarebbe stato a mio credere la migliore e la più logica delle conclusioni attendibili, quella che avrebbe dato allo studio un alto valore pratico e l’avrebbe GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 467 portato dal campo della pura speculazione teoretica in quello della prova e dell’ esperimento, assai più fecondo di risultati utili. Ciò che non fu fatto ora può farsi, ad ogni modo, in seguito. E lo Scotti ha la fibra da tanto. Noi riserbiamo quindi per allora le nostre critiche, lo mi permetto però di dargli intanto un consiglio. Nello studio de’ sistemi filosofici moderni, lo Scotti apra una pagiua che nel suo scritto attuale fu inesorabilmente chiusa: quella della filosofia russa contemporanea. Forse troverà fra quei sistemi morali, così ancora poco diffusi, quello che racchiude, meglio d’ogni altro, non solo le aspirazioni del presente, ma anche l’anelito dell’avvenire. Ll'igi Garello Guido Manacorda. Benedetto Varchi. L’uomo, il poeta, il critico. Pisa, Nistri, 1903; in-β di pp. 161. (Estr. dagli Annali della R. Scuola Normale Superiore, Vol. XVII). L’ Autore ha soddisfatto pienamente al desiderio che si sentiva di conoscere meglio il Varchi, il quale molta influenza esercitò nella letteratura del suo tempo e come poeta e come critico, con uno studio importante, condotto con buon metodo, con cura, scritto poi in forma geniale, anche là, dove la materia in se stessa è arida. Lungi dal farne una sintesi, perchè temo di trascurare molte cose, rileverò i nuovi risultati del Manacorda. Filosofo, nel senso in cui questa parola veniva usata nel sec. XVI, il Varchi non è un novatore, ma un seguace delle dottrine aristoteliche, sebbene qualche volta se ne stacchi e si contraddica, ora per es. ammettendo una libertà incondizionata nella quistione del libero arbitrio, ora il fatalismo storico. Riguardo alle idee politiche è un moderato, e quindi più facilmente si adattò al principato mediceo. Fu colto, versatile, ma superficiale, e d’una erudizione pedantesca, come erano la maggior parte dei letterati del Risorgimento. Come uomo non riesce una figura simpatica, poiché oltre alle gravi accuse che pesano su di lui, egli spesso enunciava certi principii, che non rispondevano poi alle azioni. L’ A. perciò intende il giudizio dato dal Biagi, che cioè il Varchi è « il vero tipo del letterato cinquecentista, oscillante sempre tra la virtù e il vizio n nel senso ch’egli comprese solo in astratto la virtù, per essere di carattere fiacco. Nell’Accademia fiorentina si cattivò molti amici, ma anche dei nemici, fra cui Alfonso dei Pazzi, che gli lanciò dei sonetti e il Lasca; fra i suoi amici, Silvano Razzi operò in modo efficace a quel risveglio potente di fede, che gli fece abbandonare il mondo per darsi alla religione. Dopo avere esaminato le relazioni coi principali letterati del tempo, l’A. passa allo studio del poeta, e anzitutto ci intrattiene della lirica amorosa. Questa è la più fedele interprete, tra le altre 468 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del cinquecento, delle dottrine platoniche, ma, come opera d’ arte, è una delle tante manifestazioni del Petrarchismo. Anche lui infatti dice il giorno del suo innamoramento, e ne ricorda gli anniversarii, alla presenza dell’ amata donna si strugge come cera al fuoco, pentito si allontana da lei, ma poi ritorna al suo seno; come nelle rime del Petrarca, 1’ animo suo nei sonetti amorosi oscilla tra 1’ amore e la fede, finche questa vince. Il V. saccheggiò anche il canzoniere del Bembo, e più di tutto Dante, sicché alcuni componimenti appariscono come un centone dantesco; non manca qualche reminiscenza oraziana e virgiliana, nonché qualche accenno alle dottrine di Lucrezio, si ispirò qualche volta al sentimento della natura, ma l’arte gli venne meno. Migliori dei sonetti amorosi sono i pastorali, che all’Autore sembrano superiori a quelli di Bernardo Tasso e del Rota, giacche più perfetta si mostra la tecnica del verso, più spiccata l’originalità, più profonda talvolta l’analisi psicologica. I suoi sonetti spirituali sono animati da una corrente viva di fede sincera. Concludendo questa seconda parte, il V. non fu un poeta, ma un facile verseggiatore. il quale seguì la moda d’allora, per conseguenza l’opera sua cadde dopo la morte, nonostante la fama ch’egli godè in vita. Infine nel Varchi critico si sente anche l’influsso delle dottrine aristoteliche, non avendo egli vedute nuove ed originali, cosi nella valutazione dell’opera d’arte era necessario per lui il subbielto, il fine, lo strumento. L’A. esamina poi quel che il Varchi pensava sulle più dibattute quistioni del tempo, sull’uso del verosimile nel poema eroico, sulle tre unità tragiche e sulle quistioni di metrica. In generale la critica letteraria del Varchi ha il difetto di essere applicazione rigida di principii, che avrebbero dovuto intendersi con molta larghezza. Questo si vede bene nel dialogo « 1’ Ercolano n, ispiratogli dal Caro e promesso a lui per difendersi dal Castelvetro. In seguito mancò alla promessa, perchè questa fu fatta colla convinzione che le circostanze non l’avrebbero mantenuta. La difesa perciò è senza calore, e si trova solo nelle prime pagine, perchè lutto il dialogo si aggira sulle discussioni linguistiche. Mentre prima del Varchi, altri critici concepirono il modello d’una lingua fiorentina, ma che avrebbe dovuto apprendersi dall’uso, di contro al Bembo, che ideava una lingua fiorentina chiusa in forme fisse, il Varchi per il primo mostrò la necessità dell’uso come unico elemento costitutivo delle lingue. In ciò le sue dottrine precorrono quelle manzoniane, però egli si rivela cinquecentista, quando voleva che la lingua si chiamasse fiorentina, non italiana. Delineate così le linee fondamentali del lavoro, mi resta a fare qualche osservazione. Il Manacorda (a pag. 29) dice che non meno del Machiavelli, il Varchi intuiva l’ascosa verità umana per alcune sue GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 469 sentenze, come per es. « gli uomini sdimentieano più presto la morte del padre, che la perdita del patrimonio. » Non mi pare che qui sia il caso di richiamare il Machiavelli, poiché quelle considerazioni, quelle sentenze spesso si sentono dire anche da qualunque buon popolano, che non ha nessuna cultura. Le dottrine morali e politiche del Machiavelli, e questo ΓΑ. sa benissimo, son legate a tutto un sistema cosi organico, che nessuno del suo secolo può essere paragonato a lui per alcuna sentenza. Poi non sono d’accordo col Manacorda nel credere che le Storie del Varchi siano testimonio « solenne » dell’amore per il vero. Il u solenne » è troppo, ed io potrei addurre alcuni esempi, in Cuì egli tradisce la verità, per voler fare il cortigiano. Ora un giudizio sicuro sugli storici minori del cinquecento mi pare non si possa dare, se non quando verranno studiate le fonti delle loro storie, se no ci sarà pericolo d’incorrere sempre in gravi errori, in cui caddero il Ranke (1) e, or non è molto, il Perrens (2). Che cosa dice quest’ultimo per es. intorno alle « Storie Fiorentine r> del Segni ? Queste « forse sono preferibili a quelle del Varchi per l’onestà, egli prese la penna colla benigna intenzione di difendere N. Capponi. Ma fortunatamente egli parla delle cose d’Italia e d’altri paesi ». Il Perrens in sostanza viene ad annettere speciale importanza (egli dice chiaramente “ fort heureusement ») alle notizie di altri paesi, delle quali arricchisce il Segni le sue storie fiorentine. Invece e il contrario; dopo uno studio diligente sulle fonti, risulta chiaro che il Segni per tutto ciò, che si riferisce a storia generale, non fa altro che attingere a larghe dosi dalle storie del Giovio, anzi due libri (X e XI) ne sono addirittura compendi. Poco conto pure han tenuto gli storici, dei Commentarii di Filippo Nerli, come quelli che non potevano meritare fede, perchè scritti da un partigiano sfegatato dei Medici. Il male sta nel giudicare questi benedetti storiografi, secondo le idee dei nostri tempi. Dobbiamo riconoscere sinceramente che l’animo umano è più inclinato alle idee di libertà, e s’innamora quindi d’uno scrittore repubblicano, mentre ha repu-gnanza per chi condanna le idee liberali. Se questo fenomeno psicologico è lodevolissimo da un lato, lo storico dall’altro deve giudicare serenamente. Perchè bisogna pensare che nel sec. XVI non esisteva il vero spiriro repubblicano, si trattava sempre d’interessi personali che cozzavano fra loro, larvati in veste patriottica. La repubblica era un’utopia, il principato una necessità storica. Senza dubbio, dopo un esame coscienzioso degli storici del principato mediceo, si dovrà mettere in prima linea il Nerli, come il più ori- fi) Zar Kritik ne met· Geschiditschreiber. Leipzig 1874. Zweite p. 82 e segsr. 2) Histoire ile Florence. Paris 1820. 'Γο. XIII μ. 464 e segg. 470 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gìnale, il più degno di avvicinarsi al Guicciardini e al Machiavelli, diciamolo pure, anche se ciò abbia u savor di forte agrume », per 1’acutezza nello indagare lo spirito dei fatti, delle istituzioni fiorentine, e per avere compreso i suoi tempi. Ho detto originale, perchè la maggior parte degli storici a lui contemporauei attinsero ai Commentarii, anzi talvolta ne trasportarono di peso le considerazioni, come il Segni, il Giovio e anche il nostro Varchi. DelPAdriani appena appena conosciamo alcune notizie della sua vita è delle sue opere, dateci dal Mazzucchelli. Alla « Istoria dei suoi tempi » (di cui scarsissime sono le edizioni e a torto)-generalmente si presta poca fiducia, perchè lo scrittore visse alla corte medicea, e perchè il duca Cosimo gli fornì le sue memorie segrete. Ma si è mai pensato in che cosa potessero consistere queste memorie segrete ? (1) Si sono studiate le molte filze di spogli fatti dall’ A-driani stesso su relazioni di ambasciatori alla corte di Roma, Spagna, Germania, ecc.... che esistono nell’Archivio di Stato di Firenze? Questi spogli (che si possono meglio chiamare Diarii, per il modo in cui son disposti cronologicamente) sono importantissimi, e, prima di avventare giudizi sullla storia dell’Adriani, meritano speciale studio. Il buon Manacorda perdoni questa mia digressioncella, occasionata da quel suo accenno alle storie del Varchi. Del resto le mie povere osservazioni non diminuiscono affatto la bontà del suo lavoro, frutto di lunghe e pazienti ricerche, di molto acume, di una sodissima cultura. Michele Lupo Gentile. Firenze, ottobre 1903. Federico Donaver. Vita di Giuseppe Mazzini. Firenze, success. Le Mon-nier, 1903; in-lG, di pp. IV469. Intorno al celebrato pensatore genovese possediamo ormai una ricca letteratura, la quale non solo si ferma a porgere notizie dell’uomo e delle sue vicende, ma ne ricerca, ne espone e ne discute la vita in relazione del suo tempo, e si rifà a chiarirne il carattere, il pensiero, l’intendimento così nell’ordine politico dei fatti, come in quello letterario della sua produzione critica e filosofica. Ma la biografia di lui era stata dettata per lo più sotto l’impero della passione politica, e per quanto alcuna ve ne fosse pregevole sotto più rispetti, tuttavia mancava di quella serenità che 9i richiede, ed è così difficile nell’attuìzione, in opera di sì fatta ragione, la quale non sem- (i) Per formarsi .un concetto di queste memorie segrete si consnlti un inventario di scritture consegnate dal duca Cosimo a Tommaso dei Medici il 22 Ottobre 1566 per G. B. Adriani (in Biblioteca Nazionale di Firenze. Mgl. XXV. 155). GIORNALE STOIRCG E LETTERARIO DELLA LIGURIA 47 I pio sa e può sottrarsi dal tono apologetico. Di più 9Ì sentiva il bisogno ili una narrazione meramente obbiettiva, che ci presentasse la figura del Mazzini nella sua essenza veritiera, affinchè rispecchiasse limpidamente la sua spiccata individualità, non offuscata del pari dal fumo degli incensi, o dalla luce sinistra proiettata su di lui dagli avversari. E codesto lavoro doveva essere dettato in una forma piana accessibile alla generalità cosi delle persone colte, come di quel gran mondo che oggi si piace delle letture varie ed istruttive; non mancasse in una parola del requisito a si fatto genere di letteratura richiesto, la popolarità. Ora a noi sembra che il libro del D. adempia a tale ufficio e possa quindi considerarsi come una buona produzione fra le pubblicazioni molteplici intorno al nostro risorgimento nazionale. Il concetto dell’a. era quello di accompagnare a ciò che s’attiene alla vita del celebre genovese, la esposizione storica dei tempi in cui egli ha vissuto, e ne’ quali ha impresso tanta orma di sè ; ma a noi non dispiace che egli abbia eletto di omettere questa parte, perchè assai agevo'mente poteva esser tratto in mezzo alle spinose quistioni de’ giudizi, materia sempre controversa e nella quale non tacciono ancora in tutto le passioni politiche. D’altra parte il lavoro, diventato soverchiamente complesso, avrebbe perduto il beneficio della semplicità e quella dote di che abbiamo qui innanzi toccato, per assurgere ad opera più grave e più ardua. L’a. s’intrattiene da principio, com’era naturale, intorno alla famiglia Mazzini, oriunda di Chiavari, e tocca del padre di Giuseppe, medico assai noto in Genova, e poi professore all’Università fino al 1844, anno in cui si ritirò dall’ insegnamento. Era stato a Pavia alunno dello Scarpa, e nell’ospedale di Milano ebbe modo di studiare in ispecie l’organo dell’udito; de’ quali studi si giovò più anni dopo in una dissertazione letta all’Istituto Ligure sull’organo dell’ udito dei sordo-muti. Afferma il Bolton King che Giacomo fu democratico di fede e di costume; di costume certamente, ma quanto alla politica non abbiamo sicure prove ch’egli appartenesse ai novatori e ne seguisse le dottrine. Troviamo tuttavia che nel 1797 prestò alla patria il suo debito di buon cittadino, poiché ascritto alla guardia nazionale, si distinse così contro i sollevati reazionari del I e δ settembre da essere compreso fra coloro cui venne conferita dal governo la menzione onorevole. Dopo il blocco, creata la Consulta legislativa da Bonaparte, fu chiamato a farne parte nel-l’a°Osto del 1800; nel 1803 venne eletto vice provveditore del Centro, nel 1805 membro del Consiglio circondariale di Clfiavari, poi della commissione per l’annona, e quindi del Consiglio municipale di Genova. Istituita nel 1802 la Commissione speciale per i delitti di grassazione, rapina, omicidio ecc., egli pure nominatone membro non GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LIGURIA accettò, mosso da un alto sentimento della propria responsabilità. Infatti la Gazzetta Nazionale scriveva a questo proposito : “ Giacomo Mazzini allegando di non essere fornito de’ lumi sufficienti per co prire questa carica ha replicatamente insistito per la sua scusa, mentre per 1’ opposto il Magistrato supremo, persuaso della probità, dei talenti, e zelo del pubblico bene di questo degno cittadino pa-ìeva renitente ad accordargliela. Questa specie di contrasto onora il governo non meno che il cittadino Mazzini. Noi rileviamo con compiacenza questo tratto di modestia e di disinteresse. Siamo tanto assuefatti a veder l’opposto! E son tanto pochi l’individui che abbiano la moderazione di riconoscersi meno capaci, e la rara virtù di rinunziare una carica con 600 lire di appuntamento al mese ! « .Riordinato con la legge del 1798 l’istituto Nazionale ebbe subito la nomina di socio residente nella classe di Chimica, Botanica, No-tomia, Medicina e Chirurgia, e in questa sua qualità fece parte più volte della commissione degli esaminatori per i concorrenti all’esercizio della medicina, chirurgia e farmacia. Appartenne altresì alla Società medica di Emulazione (1801-1814), e dopo la unione di Genova al Piemonte fu aggregato al Collegio di Medicina e Chirurgia della Università, e assunse quindi 1’ insegnamento. Queste notizie possono valere a compiere la figura del padre di Giuseppe si come è tratteggiata dal D., ed a far meglio conoscere in quale ambiente domestico questi vide la luce e si svolse la sua fanciullezza. Dei suoi rapporti col figlio dopo la prigionia e l’esi.io del 18ol poco sappiamo, ma sembra che Giacomo carteggiasse con lui se appunto in quell’anno una spia dall’Austria scriveva da Marsiglia al Torresani: u II giovane Masini (sic) ha ricevuto una lettera di suo padre, nella quale gli dice che la imprudente di lui condotta ha aumentato la cattiva prevenzione che si aveva contro di esso ». Sarebbe inutile qui riassumere quanto espone l’a. narrando con diligenza e buon ordine la vita dell’agitatore genovese. Ben ò da avvertire come egli, fedele al suo assunto, non divaghi in considerazioni, o disgredisca intorno alla storia sincrona, sol accennando e toccando quanto strettamente era richiesto alla intelligenza dei fatti che al Mazzini si riferiscono. La cui figura e le cui vicende si rilevano e si apprendono con molta chiarezza da questo libro, in cui non sono trascurati l’animo, la mente, le qualità dell’uomo. Il D. si è giovato di alcune lettere inedite, ed ha opportunamente riprodotto in app'endice alcuni scritti poco noti del Mazzini. Ma è a dolere che le sue ricerche abbiano trovato ostacoli e negative presso qualche persona, la quale possiede tuttavia carte e documenti intorno a quell’ uomo che ormai appartiene alla storia. Forse gli GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 473 sarebbe tornata utile la conoscenza di qualche altra pubblicazione (1). Certo è che il lavoro piace per la imparzialità, 1’ esattezza, e il modo facile e piano della distribuzione e della esposizione, la quale tuttavia potrà essere utilmente ritoccata qua e là in una ristampa. Nel compierne la lettura ci è tornato alla mente il giudizio che intorno al nostro pensatore e all’uomo politico ha lasciato scritto, con molta equanimità, Michelangelo Castelli : « Ho riconosciuto la potenza iniziatrice della sua idea prima, ne ho subito l’influenza, e le pagine infiammate della Giovine Italia produssero in me l’effetto che con tanti ho diviso. Mai però mi ascrissi alla setta, ma dai giorni del 31 fino al giorno d’oggi (1874-75) ho sempre giudicato ugualmente il Mazzini. Nel 47, nel 18, nel 49 non mi illusero certe velleità di patti colla monarchia; presto egli ritornò alle sue idee assolute. Portò in Campidoglio nel 49 la Repubblica e mostrò temperanza ed onestà di governo. Cadde di fronte alle armi di Francia, mostrando tutta la diplomatica potenza del suo ingegno in quelle note che resteranno ad onore del suo Governo. Giunto al potere provò egli pure quale differenza passi tra la parola, la teoria ed i fatti positivi. Ho inteso più volte esprimere il voto che il Mazzini cessasse dall’opera sua riconoscendo il Governo che diede l’unità all’Italia, ed ho sempre creduto che Mazzini doveva a se stesso di finire come principiò colla sua idea e col suo simbolo unico, e non mi sono ingannato! Egli mori dopo aver stigmatizzato le pazze e feroci teorie della Comune e degli internazionalisti ; mori come un vero filosofo, tranquillo, sereno nella fede inconcussa della sua forinola Dio e Popolo. La storia registrerà i suoi errori, ma la sua personalità passerà intatta, e non sarò io quello che esiterà nel dire che per la causa finale italiana l’opera di Mazzini gli dà diritto alla riconoscenza di tutti gli uomini che hanno sentito palpitare un cuore per la patria e la libertà ». A. N. ANNUNZI ANALITICI. Alessandro Lal'ia - Paternostro. Sull’ opera di G. Bovio (appunti). Napoli, Morano, 1903; in 16, di pp. IV-172, con rit. — L’A. mostra buona ed esatta conoscenza di tutto quanto ha scritto il filosofo napoletano, e perciò disciplinando 1’ ampia materia per sommi capi, come a dire i punti salienti del pensiero di lui, ne rileva le dottrine sociali, politiche e let- (1) Nel seguente libro ad esempio: Alt Nord et au Λ/idi. Études littéraires historiques et religieuses par 1. Gaherkl. Lausanne, Bridel, 1865; si legge un interessante capitolo intitolato : Le marquise Maximilien Spinola, dove si parla degli avvenimenti del 1821 e del 1833 ed anni successivi. Ctoni. St. e Lett. della Liguria 31 474 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA terarie. Si giova sovente delle stesse parole del Bovio, quando in ispecie costituiscono un fondamento sicuro concettuale, intorno a cui si svolge la dimostrazione dell’ idea ; o ne riassume con qualche maestria le non facili dottrine. Il lavoro non ha intento critico, ma apologetico. Alessandro GianETTI. Trentaquattro anni di Cronistoria milanese. Milano, Cogliati, 1903; vol. 1.0 ; in-8 di pag. XVI, 472. — Il concetto di seguitare la storia dal Cusani è buono e quindi va data lode al compilatore di queste memorie le quali movendo dal 1825, debbono arrestarsi al 1859, quando cioè Milano cessa di appartenere all’ Austria e si incorpora politicamente nel nuovo regno d’ Italia. Questo volume giunge intanto fino al 1838. Le fonti donde il G. trae le notizie sono tutte in generale assai conosciute ; basta dire che una delle principali è la Cronistoria del Cantù. Si giova anche di pubblicazioni recenti, si come attinge largamente dai periodici del tempo. Mancano notizie dirette ; c’ è difetto nella disposizione della materia ; e la mano non si mostra sempre felice nella cernita delle notizie e nel vagliarne 1’ attendibilità. Alla fine di ogni anno si trova un necrologio che sarebbe utilissimo se non fosse ne’ particolari insufficente. Con tuttociò il libro, senza avere il valore della storia del Cusani, può riuscire di qualche utilità. ALFREDO SegrÈ. Il teatro pubblico di Pisa nel seicento e nel settecento. In Pisa, Mariotti, 1902 ; in-8, di pp. 47. — Lavoro diligente condotto sui documenti d’ archivio, dal quale si rileva come le prime notizie di un teatro, o stanza, secondo allora si diceva, per le commmedie risalgono al primo ventennio del secolo decimosettimo, sebbene 1’ A. incominci, con dati certi e sicuri, la sua narrazione dal 1647. Ma è certo che prima di quest’anno nel palazzo de’ Consoli del Mare eravi un palco dove si recitava dagli Accademici Lunatici, poiché, fatto disfare dal provveditore della Dogana, venne ricostrutto in seguito agli ordini del Granduca, provocati dai priori della città. Ciò fu nel 1649 per opera di Pietro Giambeili, valente intagliatore; quello stesso a cui si deve il soffitto intagliato della chiesa di S. Maria de Servi di Lucca, e della cattedrale di Sarzana. Le vicende di questo teatro nelle sue varie modalità sono narrate con molti particolari dal S., il quale η n tralascia di avvertire i più minuti accenni a recitazioni e rappresentazioni, sebbene sovente, specie per il seicento, non ci chiariscano intorno agli attori ed ai titoli delle commedie o dei drammi musicali. I nomi dei commedianti appariscono più frequenti lungo il settecento, quando anche più spesso le compagnie comiche si recarono in quella città. Reso insufficiente il vecchio teatro per le mutate condizioni della città, e per le cresciute esigenze artistiche, uno nuovo ne venne costrutto nel I772· L’ A. per alcuni riscontri biografici si e giovato della nota operetta di 1* rancesco Bartoli, ma oggi assai meglio e più utilmente poteva consultare la più recente del Rasi che volge al suo termine. Converrà tuttavia tener conto di alcuni nuovi nomi di comici che il S. registra ricavandoli dai documenti, specie di due Danesi, Pietro e Tommaso, fioriti nell’ ultimo quarto del seicento, il secondo de quali si produceva sotto le spoglie di Tabarrino. A proposito di G. B. Ricciardi che fece recitare in Pisa nel 1683 una sua commedia; sarebbe stato utile riferirsi alla erudita prefazione di Ettore Toci premessa alle Lime burlesche (Livorno 1881Ί. Bertana Emilio. La mente di Giacomo Leopardi in alcuni suoi « Pensieri di bella letteratura italiana e di estetica ». Torino, Loeschei, I9113 » in 8, di pp. 91 Estr. dal Giornale stor. d. lett. 11al.) Dalla ormai nota opera leopardiana il B. trae fuori una buona quantità di brani, di tocchi, di giudizi che in singoiar modo riguardano la nostra letteratura e dimostrano quali concetti il Leopardi venisse elaborando e maturando nella sua mente GIORNALE STORICO E LE'l TER A RIO DELLA LIGURIA 475 sì fatto proposito. Grande fu lo studio posto da lui nella lingua rispetto al suo meccanismo ed all’ uso ; tanto più notevole quanto ei ne dice quando si ricordi che la quistione, nel tempo della sua giovinezza, era sempre accesa e sopra di essa si battagliava fieramente. Or dall’esame delle sue dottrine conchiude il B. che egli non fu un purista, poiché accettava quel tanto di materiale moderno che i nuovi tempi, e l’ognora più accentualo progresso richiedevano. Ad essere completamente modernista gli fu ostacolo quel concetto della eleganza che lo affaticò per tutta la vita, e non gli permise di spogliarsi del tutto da pregiudizi. Meglio la sua modernità si palesa ne’ giudizi e pensieri riguardanti la letteratura. E qui il B. s’ indugia, secondo il tema richiedeva, a raccogliere ed ordinare, acutamente chiosandoli, tutti quei passi, i quali si riferiscono o ad autori in particolare, o al complesso della letteratura italiana, non trascurando i tocchi comparativi con la straniera. Egli rileva qual posto occupi il Leopardi per questo rispetto nello svolgimento degli studi, ne mostra le audaci dottrine, ne considera e ne spiega le contraddizioni illustrando così il giudizio del Graf, il quale a proposito del classicismo leopardiano lo definì « più di forma che di sostanza ». Di qui si apre la vra a mostrare, con molteplici prove, quanto il recanatese si avvicinasse ai romantici, nelle principali teorie, onde questa scuola si contra-distinse ; notevolissimo tutto quanto si riferisce all’estetica. Ben a ragione ΓΑ. ha intitolato questa monografia, densa di osservazioni importanti e di fatti sicuri, la mente del Leopardi, poiché da essa si manifesta qual fu il suo pensiero letterario, come si formò, si svolse e quali pratiche applicazioni ebbe nelle opere, pur soggiacendo alle condizioni fisiche e psicologiche del grand’ uomo. SPIGOLATURE E NOTIZIE. .·. Enrico Mauceri pubblica alcuni Nuovi documenti intorno a Domenico Gagini e ad altri scrittori del suo tempo, ne’ quali è ricordato un maestro Guidone di Carrara che avea creato suo procuratore maestro Antonio de Va-nello, abitante in Palermo, dove, come si ritiene, era venuto da Carrara. Di questo mediocre artista poco si sa ; ora il dotumento edito da M. prova come egli scolpisse una statua per la chiesa di S. Vito in Butera ; opera oggi perduta. Ma in Petralia Soprana, sull’ altare maggiore della chiesa del Carmine si vede ancora una madonna col bambino che porta il nome del Vanello (Rassegna bibliografi, dell’ arte italiana, VI, 170 sgg.). .·. Nell’esemplare rarissimo, perchè completo, della pompa funebre celebrata a Bruxelles in morte di Carlo V, troviamo che nel corpo della nave, onde si vollero rappresentare le imprese del celebre imperatore, fra gli altri trionfi uno ve n’ ha che reca la leggenda : Asserte libertatem Genua. Sono poi raffigurati nel corteo Stefano D’ Oria con « Le grand estandart des couleurs », e Ettore Spinola con il vessillo di Bonrgougne (Revista de Archives, bibliotecasy museos, VII, 434 sg.). .·. La raccolta dei ritratti che si conserva nella Biblioteca Nazionale di Madrid, lia i seguenti, incisi nel sec. XVII : Agostino Spinola, cardinale e arcivescovo di Granata; Ambrogio Spinola, il celebre capitano; Filippo e Paolo Spinola marchesi de los Balbasses, grandi di Spagna (Revista cit., catal. II, p. 674-75). .·. Nella raccolta numismatica di Damiano Muoni, messa in vendita a Milano da Giulio Sambon, si trovano monete e medaglie liguri e lunigianesi. Vi sono monete dei Fieschi di Crevacuore e Masserano ; di Maddalena Ma- 476 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA laspina Centurione marchesa di Fosdinovo ; parecchie di Genova del comune, dei dogi, dei re di Francia, dei duchi di Milano, delle colonie, del governo democratico, e alcuni pesi ; dei Cibo di Massa ; degli Spinola di Tassarolo ; e una patucchina (aquilino) rarissima della repubblica di Savona Isec. XIVi. Fra le medaglie le due napoleoniche della venuta di Napoleone a Genova nel 1805 e della riunione della Liguria alla Francia; quella dell’Accademia Imperiale genovese del 1806; una di Paganini ed altre più recenti. .·. Segnaliamo la erudita memoria di Antonio Favaro intorno a Giova» Camillo Gloriosi professore a Padova, un degli amici e corrispondenti di Galileo, perchè vi è tenuto discorso della violenta controversia scientifica da lui avuta col noto medico rapallese Fortunio Liceti. È inutile aggiungere che 1 a. accompagna questo aneddoto con abbondanti e diligenti note bibliografiche (Atti d. R. Istituto Veneto, I-XI11, 25 sgg·)· ·** Albano Sorbelli in una erudita monografia intorno a La biblioteca Capitolare ili Bologna nel sec. XV (cfr. Atti e Memorie il ella R. Deputazione di Storia patria per le provincie di Romagna, Terza Ser., vol. XXI, P- 439 SSS·) s> ferma a ricercare chi potè essere « il fondatore, conservatore, ideatore » di quella insigne biblioteca e mette innanzi il nome di Tomaso Parentucelli da Sarzana. A provare il suo assunto consacra un intero capitolo, che divide in tre paragrafi : nel primo accenna « alla dimora del Parentucelli in. Bologna e al suo amore per i libri » ; nel secondo ricorda « il famoso suo canone bibliografico » ; nel terzo studia « il sorgere, il fiorire, il vario funzionare della biblioteca » per giungere alla conclusione che la Sua ipotesi ha solido fondamento. In questa acuta e diligente esposizione egli non solo si giova di quanto è stato scritto intorno a quel celebre bibliofilo, ma produce notizie nuove ed importanti desunte in ispecie dai documenti notarili bolognesi, donde meglio vien chiarita la sua dimora in Bologna, la vita e 1 opera si.a in quel periodo. Lavoro degno della massima considerazione. A Celle Ligure sj spegneva il 9 settembre 1903 il professore Stefano GLOSSO. Nacque in Albissola Marina il 22 marzo 1824, e fece i primi studi a Savona, e poi a Genova dove nel 1842 entrò nell’ ordine dei Sonia-schi. Dopo aver insegnato rettorica in diversi ginnasi, ebbe la cattedra di greco e di latino nei licei dopo il 1860, e fu in questo ufficio molti anni a Novara e poi a Milano. Ottenne il riposo nel 1889. Valentissimo latinista raccolse nel 1901 « Carminum Congeries » accompagnati da alcune descrizioni. I suoi lavori di critica, sparsamente pubblicati, sono assai numerosi e e tenuti in pregio, tra essi vanno segnalati e appartengono all’ultimo periodo di sua vita, quelli riguardanti la Divina Commedia. Ebbe corrispondenza con gli studiosi maggiori italiani, e con molti stranieri; meritamente se ne procacciò la stima e i’ alto concetto in cui era tenuto. Fu insignito di onorificenze cavalleresche, e nel 1896 eletto accademico corrispondente della Crusca. Diamo qui un elenco, certo non compiuto, de’ suoi scritti : Lezioni di epigrafia latina. Novara, Merati, 1869. —Sugli studi di Fr. Am-brosoli nelle lettere greche e latine. Milano, Bernardoni, 1871. — Lettera filologica all illustre sig. Pietro Fanfani : Dante e i poeti greci, (in Nuoto Istitutore, Palermo, 1874). — Del Supplemento di Ant. Urceo Codro alla Pentolinaria di M. Accio Plauto: lettera critica, Bologna, Fava e Caragnani ι8'~· — N· S. Della Concordia, titolare della chiesa parrocchiale di Albissola Marina, memoria patria. Savona, Ricci, 1879. — Giuseppe Biamonti poeta, professore di eloquenza, pensatore: ragionamento. Bologna, Fava e Ga- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 477 ragnani 1880. — L’Avverbio «Parte» e i commentatori di Dante : lettera, Novara, Miglio: 1880. — Degli studi di Giuseppe Jacopo Ferrazzi su Torquato lasso e delle postille di Torquato Tasso alla Commedia di Dante (in Propugnatore, Bologna, 1881). — Sulle poesie latine di Leone XIII. Milano, '883. — De Carminibus Jos. Rossii ; epistola ad Fr. Zambrinum. Bologna, tip· Mareggiani, 1884. - Inscriptiones, carmina, commentationes. Milano, Hoepli, 1886. — Per le solennità centenarie della battaglia di Lepanto e della traslazione di S. Nicolò da Mira a Bari : iscrizioni e ragionamenti. Novara, Miglio. 1889. — Sulle postille del Tasso alla Divina Commedia: dissertazione. Verona, Olschki, 1889. — Delle opere di Guido Ferrari e Gaspare Garadoni : ragionamenti due. Pisa: Mariotti, 1889. — Maria SS. venerata col titolo di madre della Concordia nella chiesa preposituale di Albissola Marina : ragionamento. Savona, Bertolotto, 1899. — Carminum, congeries. Insunt carmina sacra moralia, laudativa virorum dignitate auctoritate, virtute doctrina principimi eccedit mantissa inscriptionum novissimarum. Mediolani, Hoeplius, MDCCCCI. — Lettere (In Fiammazzo, Lettere di dantisti, Città di Castello, 1901, I, p. 36 sgg.) — Mandoni Aless. Ronchini Amadio. Poesie latine recate in versi greci da Stefano Grosso. Torino, Vecco, 1872. — Bervi Fr. Opere con le poesie latine precedute da uno studio del prof. Stefano Grosso. Milano. Sonzogno, 1873. — Cicerone Μ. T. Pro T. Annio Milone : oratio : coi volgarizzamenti di I. Bonfadio, G. Garatoni, A. Cesari e una prefazione di Stefano Grosso. Novara, Miglio, 1875. — Ambrosoli 1' r. Letteratura greca e latina : scritti editi ed inediti raccolti ed ordinati da St. Grosso. Milano, Hoepli, 1877. — Collazio Pietro Apollonio. Il libro delle epistole a Pio II per la crociata contro i Turchi. Versione di C. M. Nay, prefazione di Stefano Grosso e proemio di Carlo Negroni, Novara, Miglio, 1867. — Lettere di Nicolò Tommaseo, Paolo Perez, Eugenio Camerini, Giacomo Zanella, Salvatore Betti, Cesare Correnti indirizzate a Stefano Grosso. Pisa, Mariotti, 1897. — Lettere inedite pressoché tutte di Carlo Boucheron, Amedeo Peyron, Amedeo Ravina, Mich. Ferrucci ecc., pubblicate da Stefano Grosso. Novara, Miglio, 1897. Il 22 ottobre 1903 fu sorpreso da improvvisa, fulminea ed immatura morte ; contava 57 anni) l’ingegnere Francesco Maria Parodi. Era figlio di quel Pietro Paolo cne insegnò le lingue e le letterature straniere, e diede prova del suo valore poetico ; uomo altrettanto colto quanto modesto. Anche il figliuolo, sebbene dato alle matematiche, ed all' arte del- 1 architettura, si piacque erudirsi nelle lettere e scrisse con semplicità e buon gusto. A lui si deve la costruzione del castello medioevale De Al-bertis, il restauro, insieme col prof. D’ Andrade, della Porta Soprana, e il progetto di quello di S. Agostino. Aveva eseguito per incarico del governo Belga la pianta, i rilievi, i disegni del Palazzo Universitario, e stava attendendo in questi ultimi tempi al progetto d’ ingrandimento del monumentale Cimitero di Stagliene». Sostenne uffici in diverse opere pie, e in commissioni edilizie, dove erano apprezzate del pari la bontà e la integrità del carattere, la sagace dottrina, Γ equità e lo squisito senso del giusto. Ricordiamo in ispecie, perchè da lui specialmente prediletta, 1’ amica opera pia così detta del Mandiletto, intorno alla quale scrisse in questo giornale una pregevole monografia. — Diamo l’elenco degli scritti da lui lasciati e che sono a nostra notizia : Cenni sullo Stabilimento di Costruzioni navali e meccaniche G. Ansaldo e C. in Sanpierdarena. Torino, Fodratti, 1873. — Dessèchement du lac Fucino exécuté par S. E. le prince Alex. Torlovia : cenni bibliografici. Genova, 1878. — La Porla Soprana di S. Andrea. Genova, lip. Sordomuti, 4/8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 1882, in unione a Belgrano, e D’Andrade). — Il P. G. B. Giuliani: commemorazione. Genova, tip. Ciminago, 1885. — L’Avv. Antonio Crocco; commemorazione. Genova, tip. Ciminago, 1884. — La Association littérarie et artistique internationale e la protezione delle opere di ingegneria e di architettura. Milano 1898. — Il 2.0 Congresso della Associatione internationale littéraire et artistique. Milano, Gussoni, 1898. — Collocamento di un segnale di livello lungo il littorale ligure. Genova, Ciminago, 1900. — La Compagnia del Mandileito in Genova (in Gioì noie storico e letterario della Liguria, 1902, fase. 3-4). Correzioni ed aggiunte all'art. Poesie in dialetto tabbiese, pag·. 329 sgg. Si notano solo le cose più necessarie. — p. 332, n.: p. 00. corr.: p. 397> stremici. — p. 370, 1. 16 sg.: solo però, ecc., corr.: Cfr. pel pronome di 2a pers., ecc. — p. 371, 1. 6: pnvela, corr. pivela, e così p. 375> 1* 9> a cominciar da piedi, ónva, corr. àwa, e p. 383, 1. 18 sg-, corr. « bwóv> o Iræœu », ecc. — p. 371, 1. 23, sonda, e p. 374, 1. 1, cousa ouru : sono esempi che trovo, scritti così, in componimenti poetici di questi ultimi anni ; ma ora mi si dice che 1’ ou non si sente più se non come un 0 prolungato. — p. 374, ultime linee: tra i fatti che in qualche modo riguardano le consonanti nasali, avrei potuto porre lóngu, che conserva il suo ó (di fronte a dunche, runca, ungia, ecc.). — p. 376, 1. 6 del testo, a cominciar da piedi : toi soi, corr. tòt sài. Aggiungo che c’ è chi m’ assicura che, anche prima del nome, si adopera soltanto questo toi soi, e non to so ; che inoltre ta sa per ‘tua sua’, sono sempre in uso. — p. 386 : le note 2 e 3 son da collocare in ordine inverso. — p. 392, 1. 27: (z-ds), corr.: (z vale dsj. INDICE DELLE MATERIE Un feudatario giacobino. G. SFORZA Pag· 5 Una contesa letteraria sulla Mitologia. U. Mazzini » 47 La fondazione della Bibliot. dei Domenicani in Torino. F. Gabotto » 64 Don Giovanni d’Austria a Portofino, alla Badia della CerVara e a Genova nel 1574. A. Ferretto » 97 X Un episodio della guerra fra Genova e il Duca di Milano (1436). U. Mazzini » 127 Le relazioni di Alberico I Cibo Malaspina principe di Massa con l’Algeria, il Fez, la Persia, 1’ Inghilterra, la Cina e il Giappone. G. Sforza » 139 Genova e Vittorio Alfieri (con facsimile) A. Neri » 193 Le Favolette da recitarsi cantando di G. Ombrerà A. SOLERTI » 227 Il testamento di Spinetta Campofregoso signore di Carrara e la Patria di Niccolò V. G. Sforza » 237 Carlo Botta e Teresa Paroletti E. Regis » 243 Appunti lessicali genovesi G. Flechia » 271 Tresana e l’ultimo de’ suoi marchesi Malaspina L. Staffetti » 279 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 479 Poesie in dialetto tabbiese del sec. XVII pubblicate da E. G. Parodi e G. Rossi, illustrate da E. G. Parodi Pag. 329 Aggiunte e correzioni » 478 Appunti e notizie per servire alla bio - bibliografia di Bartolomeo Facio (con ritr.). U. Mazzini » 400 Per la biografia di Luchetto Gattilusi. F. L. JMannucci » 455 VARIETÀ. Un corale genovese. A. Neri Pag. 73 I voltresi e le « conesse ». F. Podestà » 77 Di una fonte del carme « La bellezza dell’Universo ». A. SCROCCA » 79 A proposito del pittore Carlo da Milano. A. Neri » 153 Alcuni documenti inediti. P. Peragallo » 155 Un pittore lunigianese del quattrocsnto. G. SFORZA » 159 Una lettera inedita di Bernardo Segni. M. L. Gentile » 161 Una lettera inedita di Lazzaro Spallanzani. U. M. » 3*9 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. C. Sardi. I Capitani lucchesi del sec. XVI (A. N.) Pag. i65 O. Marucchi. Giov. Batta. De Rossi (B. Bigoni) » 37'3 G. Scotti. La metafisica nella morale moderna. (L. Garello) Pag. 460 G. Manacorda. Benedetto Varchi. (M. Lupo Gentile) » 467 F. Donaver. Vita di G. Mazzini. (A. N.) » 470 ANNUNZI ANALITICI. C. Contesso. Note e relaz. del March. Paulmy dall’Italia i 745-46 Pag. 83 G. Sommi Picenardi. Un rivale del Goldoni. L’ abate Chiari » 85 D’Ancona e Bacci. Manuale della lett. ital. » 87 D’Ancona. Ricordi ed affetti » ivi G. B. Ferracina. Lett. ined. a Mons. B. Villabruna da dotti » 88 G. Boffito. D’ un altro framm. di breviario del sec. X-XI » ivi P. Tacchi Venturi. Corrisp. ined. di L. A. Muratori con i PP. Contucci Lagomarsini e Orotz » ivi G. B. Ferracina. Le relaz. di G. Bonifacio con Belluno e Feltre » ivi G. Cogo. La Soc. Ligure di St. patria » 89 C. Musatti. I drammi musicali di G. Goldoni » ivi S. De Benedetti. B. Varchi provenzalista » ivi F. Flamini. St. della lett. italiana » 90 L. Staffetti. Una sposa principessa nel cinquecento » 169 E. Celani. Sopra un erbario di Gherardo Cibo » 170 E. Donaver. La madre santa » 171 C. Verrua. Studio sul poema di Nicolò d. Agostini » ivi G. Flechia. Un apologo indiano trad. da Giov. Flechia » iv G. Roberti. Gli otto anni d’ineducazione di 8 Alfieri » 172 G. FLECHrA. Foscolo e Borsieri » ivi G. Gachot. Souvarow en Italie » ivi A. Bernardis. Venezia e il Turco nella 2.a metà del sec. XVII » 173 G. Ricciardi. G. Baretti e le sue lett. fam. ai fratelli » ivi A. F. Doni. Lettere scelte » 174 V. Lazzarini. Le offerte per la guerra di Chioggia e un falsario del quattrocento » ivi G, Cenzatti, Alfonso Lamartine e 1’ Italia » ivi 4$0 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA » ivi » ivi » ivi » ivi F. Gabotto. Estr. dai Conti dell’ Arch. Camerale di Torino relat. ad Aosta (1268-1350) Pag. 175 L. Ariosto. Le satire con introd. e note di G. Tambara » >vi G. U. Oxilia. G. Mazzini uomo e letterato » ivi E. Casanova. Sospens. di ordinam. suntuari in Siena » 176 C. Carnesecchi. Cosimo I e la sua legge suntuaria del 1562 » ivi G. Roberti. La nascita e il battesimo di Carlo Eman. I. » 177 G. PlClNELLl. Cenni storici sui privilegi e sulle prerogative della città e dei consiglieri di Cagliari nel sec. XIV E. Panzacchi. Il libro degli artisti F. Podestà. Montesignano, Sant’Eusebio, Serrino e la Doria. Escursioni » 1 78 G. Assereto. I.ettere ined. del card. Giul. Della Rovere » ivi P. Peragallo. C. Colombo e le accuse di C. Lumbroso » ivi P. Accame. Statuti antichi di Albenga (1288-1350) » 179 P. Castellini. Mons. L. Canepa vescovo di Goltelli-Nuoro in Sardegna » 180 A. D’Ancona. Commemora?., di G. Paris G. Boffito. Int. alla Questio de aqua et terra attribuita a Dante V. Fiorini. Dei lav. di prep. alla nuova edizione dei RR. II. SS Protocarta comitale Sabaud A. Pellegrini. Relaz. ined. di ambasc. lucchesi alla corte di Vienna V. Pogci. Gli statuti antichi di Carpasio (1433) Inventario del R. Arch. di Stato di Cagliari » 182 G. Graziano. Umberto I di Savoia » ivi C. RlNAUDO. Atlante storico » ivi P. Ferrari. Annuario delle dioc. di Luni-Sarzana » 183 N. Lagomaggiore e N. Mezzana. Contributo allo studio dei nomi volgari delle piante in Liguria » ivi C. Salvioni. Di un doc. dell’antico volgare mantovano » ivi P. Segato. A. Bitzius e la letterat. svizzera » 184 Id. Una novella di A. Bitzins trad. in vernacolo feltrino » ivi G. Senes. Importanza scient, della lingua e dialetti della Sardegna » 324 A. LalÌa Paternostro. Sull’ opera di G. Bovio » 473 A. Gianetti. Trentaquattro anni di cronist. milanese >: A. Segrè. Il teatro pubblico di Pisa nel 600 e nel 700 » E. Bertana. La mente di G. Leopardi ecc. » SPIGOLATURE E NOTIZIE. Pag. 90, 185, 325, 475. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Pag. 95, 189, 327. NECROLOGIE. 181 ivi ivi ivi 474 ivi ivi lì Agostino Neri (G. S.) Pag. Pietro Francini (G. S.J » 189 Stefano Grosso » 476 F. M. Parodi » 477 Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE P. ILARIO RlNIERI. Corrispondenza inedita dei cardinali Consalvi e Pacca nel tempo del Congresso di Vie/ina (1814-1815) ricavata dall' archivio secreto Vaticano corredata di sommarli e note preceduta da uno studio storico sugli stati d’Europa nel tempo dell’ impero napoleonico e sul nuovo assesta?nento europeo e da un Diario inedito del M.se di San Marnino plenipotenziario in Vienna del Re di Sardegna. Illustrata con un’allegoria dell’epoca. Torino, Unione tip. editrice, 1903; con tav. Il primo esilio di Nicolò TOMMASEO 1834-1839. Lettere di lui a Cesare Canta edite ed illustrate da Ettore Verga. Milano, Cogliati, 1904; con rit. G. Roberti. Da autografi di grandi musicisti (Spigolature). Torino, Bocca, 193 (Estratto). Giuseppe Ugo Oxilia. La campagna Toscana del 1S48 in Lombardia. Firenze, Seeber, 1904. Augusto Franco. Numismatica Dantesca. Firenze, Galletti e Cassuto, 1903. Guido Manacorda. Una causa commerciale davanti all’ ufficio di Gazena in Genova nella seconda metà del sec. XIV. Pisa, Tip. degli Studi Storici, I9°3 (Estratto). Quattro lettere di PIETRO METASTASIO a Monsignor Angelo Fabroni. Pisa, Mariotti, 1903 (Nozze Gasperlni - Laurenti). Lettere inedite di R. Bonghi, G. Capponi, F. D. Guerrazzi, Γ. Mamiani, \ . Sal-vagnoli, N. Tommaseo, A. Vannucci, G. P. Wieusseux. Pisa, Mariotti, 1903 (nozze Erdra - Franco). Da carteggi inediti. Lettere di Giovanni Berchet, Federico Confaloniert, Massimo D’Azeglio, Claudio Fauriel, Giuseppe Giusti. Pisa, Mariotti, 1903 (nozze Gibellini - Tomielli - Crinino). Alfredo Comandini. L'Italia nei cento anni del secolo XIX illustrata. Milano, Vallardi, 1903, disp. 38, 39, 40. Angelo Boscassi. Illustrazione storica delio Stemma di Genova premiata al Concorso del « Giornale Araldico » del 1895. 2.a Edizione. Genova, Pagano, 1903, con tav. Alberto Scrocca. Studio critico sull' A «amen nom: e sull Oreste di littorio Alfieri. Livorno, Giusti, 1903. Mario Labò. San Giovanni d’Andorno. Genova, Sordomuti, 1903 (Estratto)» Silvio Belloth. Fisonomta di pinacoteca. Genova, Sordomuti, I9°3 (Estratto). Giuseppe Oxilia. La moralità di Pietro Colletta. Firenze, Barbera, 1902. ___ 'fre sonetti inediti di Giovanni Prati. Firenze, Tip. cooperativa, 1902. P. Francesco Zaverio da S. Lorenzo della Costa. Il convento ed i Cappuccini in Pontedecimo. Cenni storici. Genova, Pellas, 1902. — Suor M Elisabetta Fedele Spallarossa da Pontedecimo clarissa corale nel Mona-‘stero della SS. Trinità di Gubbio. Genova, Tip. del Cittadino, 1903. Manuale della letteratura italiana compilato dai professori ALESSANDRO D ANCONA c Orazio Bacci. Firenze, Barbera, 1904, vol. II e III. / sommi pontefici da S. Pietro a Pio X. Cronologia e note storiche per cura di Armando Ferrari. Milano, Cogliati, 1903.