IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diretto da ACHILLE NERI e da UBALDO MAZZINI ♦ pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria anno v. 1904 Gennaio - Febbraio SOM M A R IO U. Assereto . J-L data della nascita di Colombo accertata da un documento nuovo, ■ S' Sforza: I.o storico Raffaello Rondoni e Alberico Cibo Malaspina prin- cipe di Massa, pag. 17 A. Neri : NotereUe d’Archivio (Tommaso Moroni - Antonio assanno), pag. 22 C. Manfroni : Due nuovi documenti per la storia della Marineria genovese pag. 33 VARIETÀ: Appunti di toponomastica, F. Podestà, pag. 42 — r" 'n^t'ria <]i stamPa nel i846. M. Staglieno, pag. 48 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO : V, si parla di: I. Rjnieri f.V.), A. D’Ancona (G. Bigoni). ' ,'a ' '· Btg°nt)i C. Ferrari (G. Bigotti), Nuovi autografi di C. Colombo (P. Peragalloj, pag. 5, _ ANNUNZI ANALITICI : Vi si parla di: G. Oxilia, D. Bo-nam.c. D. Garoglio G. Roberti, A. Franco, P. Bologna, E. Bertana, G. Flechia, ÌSVtL!' FablÌ’ E· M0tU’ R· Honi,,K' J- JunS iA Oberai,ter), pag. 64 r iruiit E NOTIZIE- PaS- 69 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 72 - SOCIETÀ LIG. DI ST. PATRIA, Cronaca, pag. ;8. LA SPEZIA Società (Γ lucoraggiatncmo editrice AMM1NIS l RAZIONE •euova - Corso Mentane ------l.a Spezia - Amministrazione ^3-·» Tip. m Krancksco Ζαριά .ici Giornale GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA v. · '■ V·^·"· ·?ι - ,. · '..Jv·' Giornale storico e letterario della LIGURIA DIRETTO DA ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME V LA SPEZIA SOCIETÀ d’ INCORAGGIAMENTO EDITRICE MDCCCCIV. . . LA DATA DELLA NASCITA DI COLOMBO ACCERTATA DA UN DOCUMENTO NUOVO Nella Edinburg Review dello scorso ottobre (i), a proposito di alcune pubblicazioni su Cristoforo Colombo, si accenna, fra le altre, alle questioni circa al luogo e alla data della sua nascita. Lo scrittore della riputata rivista scozzese ritiene oziosa la prima a fronte della precisa asserzione dello stesso Colombo nel suo testamento, che da Genova partì e vi nacque (della salì y en ella nacì). Aggiungiamo che ormai, dopo la pubblicazione dei documenti colombiani, tal questione sarebbe esaurita anche senza 1' affermazione decisiva del testamento. Ma egli reputa sempre aperta l'altra questione, quella della nascita, e dopo avere accennato all’ opinione dell’ Harrisse e di altri molti che la determinarono approssimativamente al 1446, espone le considerazioni di coloro che si mostrarono inclinati a posticiparla di parecchi anni; il Payne per esempio che l’ascrive al 1456. A me parve sempre che nel limite di un anno anche la data della nascita possa ritenersi accertata dopo che Marcello Sta-glieno fin dal 1887 pubblicò sul Giornale Ligustico (2), del quale (1) Voi. 406. (2) A. XIV, p. 259. Il documento venne poi riprodotto nella Raccolta di documenti c studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana pel IV centenario della scoperta dell America, Parte II, vol. I. 6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA questo in cui scrivo è la continuazione, il documento del 31 ottobre 1470 da lui trovato fra i minutari del notaro Nicolò Raggio. Basta tener presenti le disposizioni degli Statuti civili e le consuetudini di stile dei notari di Genova per convincersene. I nostri Statuti stabilivano la maggiore età ai venticinque anni compiti; ed allora il cittadino genovese poteva validamente contrarre e ricevere obbligazioni. Stabilivano poi che a diciotto anni compiti il cittadino potesse eccezionalmente essere abilitato a stipular contratti dall’ autorità giudiziaria colla venia ertatis. Ma anche in mancanza di questa a diciotto anni compiti il cittadino poteva stipular contratti purché la sua volontà fosse completata, come per le femmine in ogni età, da quella dei suoi consulenti legali, assistenti e assenzienti. In conseguenza delle disposizioni statutarie i notari genovesi, nel caso di contratti stipulati da maggiorenni, si limitano ad enunciar che il contraente è major annis vigintiquinque ove ciò non sia notorio ed evidente, solo aggiungendo talora la formola faciens palam et pubblicifacta sua per stabilire meglio col!’ uso notorio la sua capacità ad obbligarsi. Nei casi invece in cui il contraente ha superato il diciottesimo anno, ma non ha ancora compiuto il venticinquesimo, oltre alla indicazione nominativa della presenza, consiglio e consenso de’ suoi legittimi consulenti, fanno risultar ch’egli trovasi in quel periodo intermedio nel quale, secondo gli Statuti, il suo consenso ha bisogno di essere completato da quello de’ suoi consulenti per esser valido. E poiché fra quei limiti per la validità dell’ atto è indifferente che il contraente abbia sorpassato d’ un giorno il diciottesimo o gli manchi un so! giorno per compiere il venticinquesimo, cosi la formola generalmente usata è: minor annis vigintiquinque maior tamen annis decemocto, oppure anche soltanto major annis decemocto, coll indicazione del consenso dei consiglieri. Rare volte nelle stipulazioni notarili si accenna ad un' età intermedia e quando ciò si fa evidentemente è per far risultare che il contraente essendo più che diciottenne, come sarebbe strettamente necessario per la validità dell’atto, tanto è più forte la presunzione che sia conscio del valore di esso. Perciò ne segue che ogni qual volta in un atto notarile è indicato che un de’ contraenti è maggiore di 19, 20 etc. anni possiamo esser certi che non ha ancora compiuto i 20, 21 ecc , perchè se cosi fosse GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 7 vi sai ebbe stato interesse ad accennar questa e non l’età in-ferioic. Il dubbio circa l’età del contraente minorenne, che oscilla entro il limite di sette anni nel caso della formola generale minor annis vigintiquinque major tamen annis decemocto, è ridotto entro i limiti di un anno nel caso eccezionale in cui è menzionata un’ età intermedia. 1'- questo appunto il caso dell’ atto pubblicato la prima volta dallo Staglieno. Per esso alla data del 1470,31 ottobre, in Genova Cristoforus de Columbo filius Dominici major annis decem-novem et in prescntia, auctoritate, consilio e consensu dicti Dominici patris sui, si riconosce con questo debitore per una partita di vino ricevuto. Per quel che ho detto delle disposizioni degli Statuti e delle consuetudini notarili è evidente che Cristoforo Colombo, il quale il 31 agosto 1470 aveva compiuto il 190 non doveva avere ancora passato il 200 anno, ed esser quindi nato fra il 31 agosto 1450 ed il 31 agosto 1451. Avendo accennato alle disposizioni degli Statuti circa gli atti dei minorenni ed alla conseguente formula notarile, farò incidentalmente notare che due atti rogati a Savona il 26 agosto 1472 e il 7 agosto 1473 (1), porgono indizio per escludere che C ristoforo Colombo sia nato nel 1446, poiché se così fosse, nell’ agosto del 1472 e a più ragione in quello del 1473 sarebbe già stato maggiorenne, d’ oltre 25 anni, e pertanto non si comprenderebbe l'accenno al consenso del padre che si legge nel primo di tali atti, e a quello del padre e della madre nel secondo, cum auctoritate et consensu dictorum parentium suorum, presentitila, consensicntium et auctoritate eorum prestantium. Ho detto che dall'atto scoperto dallo Staglieno per me risulta evidente la data della nascita di Colombo fra il 31 ottobre 1450 e 31 ottobre 1451. Pur ò duopo convenire che, per non tener presenti i nostri Statuti e le formule de’ nostri notari, si continuò a far questione all' estero ed anche in Italia su quella data (2). Ora il nuovo documento che pubblico da me trovato negli Archivi notarili di Genova credo possa valere (I) Raccolta cit. (2 ì I.’ lincici. Italiana del Boccardo dice il Colombo nato nel 1435 o più probabilmente nel 1445, MEYERS Kottv. Lex. (3a ediz. non avendo potuto veder 1’ultima) nel 1456 « viic Peschel nachgacwìesen hai », VEncyel. 8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA a stabilire definitivamente la data della nascita del gran navigatore secondo si desume dall’atto del 1470 di cui ho parlato sinora, permettendo forse di restringerne l’approssimazione entro limite molto più breve. L’atto rogato a Genova il 25 agosto 1479 è una deposizione giurata che Cristofforus Columbus civis Janue, il quale allora era stabilito a Lisbona e vi dovea tosto ritornare, fa come testimonio a richiesta del nobile Ludovico Centurione. In essa dovendo declinar, come d’uso, la sua età, egli si dice di anni ventisette vel circa. L’ asserzione del 1479 combina perfettamente con quella del 1470 ed avvalora l’interpretazione che ne ho dato. Il 31 ottobre 1470 Cristoforo Colombo ha compito il 190 anno e non ancora raggiunto il 20°; il 25 agosto 1479 egli ha compito i 27 anni e si avvia verso i 28. Quando stipulava 1’ atto del 1470 indicava 1’ età che appena poco prima avea raggiunto, deponendo poi come teste nel 1479 accusava, come è 1’ uso, gli anni già compiti, ma poiché era già prossimo a doverne contare uno di più, aggiungeva vel circa. Pertanto risulta da enunciazioni esplicite in atti notarili pubblici e giudiziari dello stesso Colombo: Che il 25 agosto 1479 egli non avea ancora compiuto il 28° anno (atto Not. Ger.° Ventimiglia trascritto in seguito). Che il 31 ottobre dello stesso anno egli avea già compiuto il 28° anno, perchè nove anni prima alla stessa data avea già compiuto il 190 (atto Not. Nic. Raggio publicato dallo Staglieno). Perciò egli deve aver compiuto il 28° anno d età fra quelle due date, del 25 agosto e 31 ottobre del 1479 e la sua nascita deve fissarsi fra il 26 agosto ed il 31 ottobre del 1451 (0· Non addentrato negli studi colombiani mi terrò pago di questo modesto contributo senza esaminare qual peso, a fronte di questi due atti pubblici emanati dallo stesso Colombo, meritino Britann. ed ultima ed. non modificata per questo punto nel suppl. del 1902) lo fa nascere fra il 1435 ed il 1436, il Larousse nel suppl. riconosce 1’ assurdità delle pretese di chi avea voluto far nascere il Colombo altrove che a Genova ma continua ad indicare il 1436 come l’anno della nascita. Cito enciclopedie e dizionari perchè rispecchiano le opinioni, se non più autorevoli, più divulgate e a loro volta le divulgano largamente. (1) Si noti che il padre già nel marzo 1451 risulta abitante e cittadino di Genova. Raccolta ecc. ibi. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 9 vaghe asserzioni, di epoche però molto più avanzate della sua vita, dalle quali studiosi autorevoli, e lo stesso scrittore della bdinburg Review, han creduto poter desumere eh’ egli sia nato nel 1456-58. Soltanto, a proposito della sua affermazione d’esser entrato sul mare a 14 anni, che lo scrittore della citata rivista vorrebbe interpretar come se in quell' età il padre se lo fosse talora associato in qualche gita di pesca, parmi non sia d’ uopo di ricorrere a tale spiegazione. Quinto, ove suo padre e tutta la sua famiglia avean stabilito la loro residenza, e dove anche dopo il trasferirsi di Domenico a Genova dimoravano tuttavia i suoi più stretti parenti, zio e cugini, era fin d’allora un nido d’arditi uomini di mare; nè dall’ essere il padre tessitor di lana ne consegue che dovesse esserlo il figlio, nè d’ altra parte è provato che il padre stesso non sia stato occasionalmente marinaio. Nel XV secolo al pari che nei precedenti a Genova marinai erano un po’ tutti ; come vediamo mercanti, banchieri, notari passar dagli emboli e dai banchi sulla tolda d’ una nave, assumere il comando d’ una galea od anche d’un' armata, a più facile ragione può credersi che lavoratori e artigiani saltuariamente dai campi e dalle officine corressero al mare. Sappiamo che Domenico Colombo non e-sercitò continuatamente 1’ arte di tessere panni di lana : scorrendo gli atti della già menzionata Raccolta nel 1460 e nel 1469 (15 settembre) lo vediamo nominato senza indicazione di professione. Nel 1464 e 1465 è solo indicato come formaggiaio, nel 1470 è liberato dalla prigione ov’ era stato messo non sappiamo sotto qual imputazione, e non ha indicazione di arte o mestiere. Se pertanto non esercitò continuatamente 1’ arte della lana non vi sarebbe da meravigliarsi se egli stesso Γ avesse talora cambiata con quella del marinaio. A buon conto in una mostra (rassegna) della galera comandata da Lazzaro Assereto, del 1469, fra i marinai ho trovato Dominicus Columbus (1). Non voglio assicurare che si tratti del padre del Cristoforo, ma non parmi nemmeno possa escludersene la possibilità, e che in quel punto in cui avea abbandonato il mestiere del formaggiaio e non ancora ripreso quello del tessitore, prima di entrare in carcere, per sostentare la vita si fosse arruolato ma- (1) R. Arch. di Genova, Not. Frane. Delfino, fil. i.a (mese illeggibile). IO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA rinaio, mestiere che probabilmente già conosceva. E se ciò può credersi del padre, tanto è più possibile che avesse interrotta-mente navigato il figlio ; chi sa se qualche giorno non se ne abbia a trovare il nome fra quei della ciurma di qualche galea, magari giovinetto fra gli scannagalli ! Ma, si potrebbe obbiettare, non essere provato che il Cri-stoforus Columbus dell’atto del 1479 sia l’identico Christofforus de Columbo filius Dominici dell’atto del 1470. Il dubbio che in taluni lettori potrebbe sorgere vedendo la differente ortografia del cognome non ha ragione. Come nei secoli precedenti si formarono col de non solo i cognomi tratti dal luogo di provenienza, ma abbandonarono la forma grammaticale ed assunsero la dialettale anche i patronimici, da un ascendente maschio o femmina, scrivendo de Auria invece di Aurie, de Bonaparte invece di Bonepartis, così nel XV secolo invece cominciò ad introdursi il vezzo, che divenne poi uso quasi generale nel secolo XVI, di abbandonar la particella de, e già cominciossi a scrivere indifferentemente de Duratio o Duratius, de Passano o Passanus e così de Columbo o Columbus (i). Basta dar un’occhiata agli atti notarili pubblicati nella citata Raccolta per (1) Il cognome Colombo può esser tanto di quelli patronimici, derivati dal nome d’ un ascendente, come degli altri più frequenti in Italia tratti dalla località d’origiçe. La prima ipotesi è ovvia, Columius come nome di battésimo lo troviamo, sebbene non frequentissimo; uno ve n’era anzi precisamente di Moconesi come il padre di Cristoforo, stabilito a Quarto mentre Domenico Colombo e fratelli erano lì presso a Quinto. Ma potrebb’ essere che il cognome della famiglia, almeno di una delle diverse famiglie omonime de Columbo, derivasse da nome di località come de Garibaldo che pur a prima vista parrebbe un patronimico. Una valle Columbi sive de Bargono si trova menzionata in un’atto del 1293 (/Voi. Gio. Beno de Blassia, f. 18) e fin dal 1235 un Giovanni Colombo intercede, cioè si fa mallevatore, per un Ottone de Bargono (Noi. Gio. Enr. de Porta, fil. 1, f. 94), il che può farli sospettare entrambi oriundi della stessa vallata. Conforterebbe un po’ la supposizione che il cognome fosse derivato dalla località d’ origine il fatto di trovarlo con quella ortografia de Columbo sin dal XIII secolo a Rapallo ed a Genova e dintorni. Bargone è il nome d’ una piccola località sopra Sestri-Levante, donde trasse il cognome un ramo dei conti di Lavagna ; quella valle era pertanto attigua alla Cicagna dalla quale i Colombo vennero poi a Quinto e vicina a Rapallo, nella cui podesteria la Cicagna, Plecania, era compresa, sebben appartenente alla valle dell’ Entella o Lavagna. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA veder numerosi esempi sì dell'una che dell’altra ortografia, a cominciar dal 1470, tanto negli atti rogati a Savona quanto in quei rogati a Genova, del cognome Colombo. Quanto al mancar l’indicazione della paternità nell’atto da me prodotto, osservo che i notari molte volte l’omettevano, allorché il dubbio sulla identità della persona per altre circostanza era escluso ; per esempio non si trova mai o quasi mai allorché i contraenti sono notari. Nel nostro caso si dovea ritenere inverosimile che esistesse un’omonimo Cristoforo Colombo cittadino genovese stabilito a Lisbona, tanto più che il cognome Colombo, sebbene portato anche da altre famiglie, pure non era fra i più comuni in quel tempo. Invece a parer mio tolgono ogni dubbio sull’identità di Colombo rappresentante del nobile Lodovico Centurione a Lisbona e a Madera col grande navigatore due circostanze notevolissime: i.° Che è noto che in quell'epoca e per vari anni il nostro Colombo dimorò in Portogallo e precisamente anche a Lisbona, prima d’entrare al servizio della Spagna; 2° La mirabile concordanza dei due atti nello stabilire l’età di lui. Potrebbesi forse anche 'aggiungere, l’esser egli rappresentante di un Centurione, famiglia con cui è noto che ebbe relazioni di interessi. Pubblico pertanto questa deposizione del 25 agosto 1479 nella sua integrità, sebben molti particolari di essa non abbiano importanza storica, sia perchè tutto quanto riguarda la persona di Colombo ha interesse, sia perchè ne emergono alcune circostanze della sua vita che ritengo ignorate, come le occupazioni commerciali dalle quali forse traeva i mezzi per vivere a Lisbona, il viaggio a Madera nel 1478 e questa venuta successiva a Genova. Ugo Assereto Genova. Arch. di Stato. Notaro Gerol. Ventimiglia Filza 2a (1474-1504) n. 266. Lodixius Centurionus constitutus in jure et in presentia venerandi officii mercantie. Dicit et exponit quod ipse habiturus est sive habere sperat vel dubitat cum Paulo de Nigro qm. Luce sive cum Cazano eius fratre et dicto Paulo et quia ipse habet nonnullos testes informatos de juribus ipsius Lodixii qui sunt de proximo recessuri de presenti civitate Ianue et in longin- 12 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA quum iter profecturi ideo requirit dictos testes ad eternam rei memoriam et ne fides veri pereat recepi et examinari citatis dictis Cazano et Paulo et quolibet ipsorum coniunctim et divìsim ad videndum jurare testes et faciendum interrogatoria si que fa-cere voluerint et in omnibus juxta formam capituli positi sub rubrica de testibus infirmantibus et in longinquum iter proficiscentibus. Et primo probare intendit et fidem facere quod rey veritas fuit et est quod cum alias de anno proxime preterito eo tempore de quo testes dixerint Paulus de Nigro de commissione ipsius Lodisii et dicti Cazani vel alterius eorum deberet mittere ad insulam Almadere causa emendi certam quantitatem sucharorum et ipse Lodixius misisset dicta occaxione ducatos mille ducentos nonaginta sive groxados mille ducentos nonaginta sive valorem ipsorum dicto Paulo qui debebat emere robas duo millia quadringentas in plus sucharorum Christofforus Columbus de ordine dicti Pauli missus fuit ad insulam Almadere et ibi incaparavit seu emit summam sucharorum supradictam expectans a dicto Paulo provissionem pecuniarum pro solvendo dictum precium sed dictus Christofforus non habuit quam ducatos centum tres cum dimidio et ipsis computatis usque in valorem trecentorum decem millium regalium monete Ulisbone in diversis partitis et diversis temporibus sicut per rationem datam per ipsum ChristofTornm constat. Ita quod propter defectum provisionis pecunie non misse per dictum Paulum dictus Chri-stofforus non potuit habere totam summam sucharorum emptorum et incaparatorum nec potuit onerare super navigio patro-nisato per Ferdinandum Palensium portugalensem dictam quantitatem sucharorum defectu pecuniarum et ita fuit et est rey veritas. Et de predictis plus vel minus nec aliter prout testes dixerint in favorem ipsius. Item quod dicta occaxione dictus Ferdinandus protestatus fuit se velle habere naulum de vacuo quod processit culpa et defectu dicti Pauli qui non providit ad pecunias necessarias occaxione predicta. Item quod ex quantitate sucharorum empta et missa per dictum Christofforum empte fuerunt robe ducente per Ieroni-mum Medicum factorem dicti Pauli ad baratam in parte pannorum lane in valorem regalium a quindecim in viginta millia precio regalium quadringentorum vigintiquinque pro singula roba. Item quod quando dictus Christofforus trasmissus fuit ad insulam Almaderie per dictum Paulum vel dictum Ieronimum Medicum eius factorem dacte tradite et consignate fuerunt ipsi Christofforo diversa panna et alie merces quarum pro una parte vendidit seu venundavit ad baratam et scontro zucarorum ita quod fuit de interesse in precio dictorum zucarorum decem usque in XV pro centenario vel circa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 13 Et de predictis plus et minus etc. Jtem quod ex dictis sucharis missis ut supra empte fuerunt alie robe ducente ab Erogio Catalano precio regalium quadringentorum sexaginta pro singula roba, quod precium fuit aug-mentatum quia in tempore sibi solutum non fuit culpa dicti Pauli qui in tempore debito pecunias non misit nec solvit usque ad mensem januarii anni presentis et ita fuit et est rey veritas. Item quod de predictis omnibus et singulis fuit et est publica vox et fama ac comunis et vulgaris opinio inter habentes noticiam de predictis. Non se astringens etc. Et predicta dicit facit requirit sub reservatione etc. Protestans de expensis etc. + MCCCCLXXVIIII die XXIII Augusti lune in terciis ad banchum juris. Deposita in jure et in presentia prefati officii per dictum Lodisium. Quod officium predicta admissit in quantum de jure tenetur et debet et non aliter et mandavit copiam suprascriptorum titulorum in scriptis mitti presentari et dimitti dicto Paulo sive dicto Cazano eisdemque precepi et mandari quattenus die prima jurica proxima ventura in terciis compareat (sic) coram dicto officio ad facienda sua sive que facere et deponere voluerint, in et circa supradictis titulis et tunc et ab inde in antea compareat (sic) ut supra singulis diebus et horis juridicis ad videndum jurare omnes et singulos testes quos dictus Lodisius producere voluerit in dictam causam. Aliter etc. Et hoc ad instantiam dicti Lodisij. die XXV Augusti Ambroxius de Novaria nuncius retulit hodie die XXIII presentis dicto Paulo etc. Testes pro Ludovico Centurione. In nomine domini Arnen. Noverint universi et singuli presens publicum instrumentum testimoniale inspecturi quod constitutus in presentia mei notarij et testium infrascriptorum ad hec specialiter vocatorum et rogatorum Cristoforus Columbus civis Janue requisitus hic in testem et pro teste recepi et examinari 'debere ad eternam rei memoriam ad instantiam et requisitionem nobilis Ludovici Centurioni probare et fidem facere volentis de infrascriptis. Et primo probare intendit et fidem facere quod rey veritas 14 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fuit et est quod cum alias de anno proxime preterito eo tempore de quo testes dixerint Paulus de Nigro de commissione ipsius Lodixii et dicti Cazani vel alterius eorum deberet mittere ad insulam Amaderie causa emendi certam quantitatem su-carorum et ipse Lodixius misisset dicta occaxione ducatos mille ducentos nonaginta sive groxados mille ducentos nonaginta sive valorem ipsorum dicto Paalo qui debebat emere ru-bas duo milia quadringentas in plus sucarorum Cristofforus Columbus de ordine dicti Pauli missus fuit ad insulam Amaderie et ibi incapparavit seu emit summam sucarorum supradictam, expectans a dicto Paulo provissionem pecuniarum pro solvendo dictum precium sed dictus Cristofforus non habuit quam ducatos centum tres cum dimidio et ipsis computatis usque in valorem tricentorum decem milium regalium monette Ulisbone in diversis partitis et diversis temporibus sicut per racionem da-ctam per ipsum Cristofforum constat, ita quod propter defectum provissionis pecunie non misse per dictum Paulum dictus Cri-stofforus non potuit habere totam summam sucarorum emptorum et incapparatorum nec potuit onerare super navigio patronisato per Ferdinandum Palensium portugalensem dictam quantitatem sucarorum deffectu pecuniarum et ita fuit et est rey veritas. Et ita de predictis plus vel minus aut aliter prout testes dixerint in favorem ipsius. II. - Item quod dicta occaxione dictus Ferdinandus protestatus fuit se velle habere naulum de vacuo quod processit culpa et deffectu dicti Pauli qui non providit ad pecunias necessarias occaxione predicta. III. - Item quod ex quantitate sucarorum empta et missa per dictum Cristofforum empte fuerunt rube ducente per Jero-nimun Medicum factorem dicti Pauli ad baratam in parte pannorum lane in valorem regalium a quindecim in vigintimilin. precio regalium quadringentorum vigintiquinque pro singula roba. IV. - Item quod quando dictus Cristofforus trasmissus fuit ad insulam Amaderie per dictum Paulum vel dictum Jeronimum Medicum eius factorem dacte traddite et consignate fuerunt ipsi Cristofforo diversa panna et alie merces quarum pro una parte vendit seu venundavit ad baratam et scontro sucarorum ita quod fuit de interesse in pretio dictorum sucarorum decem usque in quindecim pro centenario vel circa. V. - Item quod ex dictis sucaris missis ut supra empte fuerunt alie robe ducente ab Erogio Catalano pretio regalium quadringentorum sexaginta pro singula roba quod pretium fuit augmentatum quia in tempore sibi soluptum non fuit culpa dicti Pauli qui in tempore debito pecunias non misit nec solvit usque ad mensem januarij anni presentis et ita fuit et est rey veritas. Et de predictis plus et minus etc. Item quod de predictis omnibus et singulis fuit et est publica GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 15 de^recHct'3 &<” COrrmn's et vu'gar>s opinio inter habentes noticiam Qui quidem Cristoforus predictus. ius jui amento corporaliter tactis scripturis de veritate di-cene a et testificanda testificando dixit se tantum scire de con-en ìs in titulo videlicet quod veritas fuit et est quod cum anno proxime preterito de mense julii ipse testis et dictus au us essent in loco Ulisbone transmissus fuit ipse testis per eumdem Paulum ad insulam Amaderie causa emendi rubas uorrnlia quadringentas sucarorum in plus, cui quidem testi acti ex tunc fuerunt per dictum Paulum vel alium pro eo occaxione predicta regales centum quindecim milia et inde dum ipse testis esset in dicta insula Amaderie, etiam transmissi fuerunt ipsi testi per eumdem Paulum seu alium pro eo occaxione premissa usque ad summam regalium trecentum duodecim milia vel circa computatis dictis regalibus centum quindecim milia, et hoc usque ad illud tempus quo ad dictam insulam apulit navigium patronisatum per Ferdinandum Palensium portugalensem in et super quo navigio onerari debebat dicta sucarorum quantitas, que tamen onerari tunc non potuit licet empta et inca-parata antea fuisset per ipsum testem, licet tamen presentialiter proprie et ad punctum testificare non possit, que pars dictorum sucarorum tunc empta et per eumdem testem incaparata fuisset quia non habet eius librum in quo distincte omnia continentur et scripta sunt et ad quem se reffert. Verum tempore apulsus dicti navigii sucara ipsa empta et incaparata per ipsum testem ut supra in totum habere non potuit defectu pecunie ipsi testi non transmisse per dictum Paulum pro ipsorum sucarorum solucione et ea pars que consignata fuerat ipsi testi per venditores licet non solupta aplicato dicto navilio ab eis minabatur ut illa vendi facerent damno et interesse ipsius testis attento quod eorum debitum et solucionem non faciebat, quibus ex causis dicta sucarorum quantitas in et super dicto navigio onerari non potuit. Reddens causam sui dictus quia ipse testis est idem Cristofforus de quo in titulo fit mentio ex quo predicta per eum testificata scit esse vera ut supra dixit et testificatus fuit. Super secundo titulo incipienti. Item etc. Dicto titulo sibi testi lecto etc. Suo juramento testificando dixit vera esse omnia et singula in eo contenta. Interrogatus de causa scientie et quomodo et qualiter scit contenta in eo. Respondit quia ipse testis est ille contra quem dictus Fer-dinandus fuit proptestatus prout in dicto titulo continetur et cui dedisset eius onus si habuisset provisionem pecunie ab ipso Paulo causa solvendi dictam sucarorum quantitatem. Super tercio titulo incipienti : Item etc. dicto titulo etc. Suo IO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA juramento testificando dixit vera esse contenta in dicto titulo etc. Interrogatus de causa scientie etc. Respondit quia ipse testis predictus interfuit ea vidit et audivit prout supra dixit et testificatus fuit. Super quarto titulo incipienti: Item etc. dicto titulo etc. Suo jutamento testificando dixit vera esse contenta in dicto titulo. Interrogatus de causa scientie etc. Respondit quia ipse testis est ille Cristofforus de quo in titulo fit mentio ex quo predicta in titulo contenta scit esse vera. Super quinto titulo incipienti : Item etc. dicto titulo etc. Suo juramento testificando dixit vera esse contenta in titulo Interrogatus de causa scientie etc. Respondit quia ipse testis est ille qui emit a dicto Erogio in titulo nominato dictas rubas in titulo contentas et pro pretio de quo in eo fit mentio quod pretium fuit augmentatum quia in tempore sibi solutum non fuit culpa dicti Pauli qui in tempore debito pecunias non missit et solvit usque ad mensem januarii vel circa. Super ultimo de publica voce et fama etc. Item etc. dicto titulo etc. Suo juramento testificando dixit quod de testificatis per ipsum testem est publica vox et fama apud ipsum testem et alios habentes noticiam de predictis. Interrogatus si fuit doctus instructus vel rogatus ad sic testificandum. Respondit non. Interrogatus si de testificatis per eum ad ipsum testem spectat commodum vel incommodum. Respondit non. Interrogatus si attinet dicto Lodixio. Respondit non. Interrogatus si est de proximo recessurus respondit sic, die crastino de mane pro Ulisbona. Interrogatus quottannis est quantum habet in bonis et quam partem vellet obtinere. Respondit quod est etatis annorum viginti septem vel circa, habet florenos centum et ultra et vellet obtinere jus habentem. Actum Janue in contracta Santi Siri videlicet in scagno dicti Lodixii anno dominice nativitatis millesimo quadringentesimo septuagesimo nono indicione undecima juxta morem Janue die mercurii vigesima quinta Augusti hora vigesima quarta paulo plus presentibus Iohanne Baptista de Cruce qm. Ieronimi et Iacobo Sclavina Bernardi civibus Janue testibus ad premissa vocatis specialiter et rogatis. GIORNALE STORICO E LETTERARIO UE1.LA LIGURIA 17 LO STORICO RAFFAELLO RONCIONI E ALBERICO CIBO MALASPINA PRINCIPE DI MASSA F rancesco Sansovino, tra gli antenati di Alberico Cibo, sulla fede di Fanusio Campano (uno degli autori inventati dal Cic-carelli), ricorda « Edoardo, barone della Grecia et eccellente nella militia », che, « disceso in Italia ne' tempi delle guerre di Gratiano imperatore, pose il suo dominio nella città di Genova ». Sulla fede di Eleuterio Mirabello (un altro degli autori inventati dal Ciccarelli), « et come è scritto nelle historié de’ Pisani et in certe note nell’Archivio di S. Giorgio in Genova », rammenta Lamberto Cibo, che dice fiorito verso il 1092, il quale < difendendo la Sicilia da’ Mori, che infestavano tutte le marine, occupando molti luoghi di momento, tolse loro l’isole della Capraia, della Gorgona et della Fenegerola, facendosene assoluto Signore » (1). Il dominio de’ Cibo sulla Capraia, benché ammesso e sostenuto dal recente storico di quell’isola (2), è da relegarsi tra’ sogni. Il Principe Alberico, che ci teneva, per meglio chiarirsene fece capo a un dotto erudito, 1' arciprete Raffaello Rondoni, che appunto allora stava scrivendo le sue Istorie Pisane (3). N’ebbe questa risposta: Del 803 Papa Leon III concedè alla chiesa di Santa Maria di Gorgona indulgenza, e fece fede esservi il corpo di San Gorgonio martire, si che in quel tempo era de’ Christiani, e non de’ Mori, e nell’Archivio de’ Canonici Pisani vi è tal privileggio, e in quello del Comune appare che del 962 Otton primo, imperatore, le concedè 1’ isole di Gorgona e Capraia et altre ; il che fu confermato da Federico primo, imperatore, e da Enrico sesto, da Federico secondo, da Carlo quarto e da Lodovico il Bavaro. Matteo Villani, che visse in quegl’ anni, afferma la Capraia esser de’ Pisani. E del 1393 in un libro (1) Sansovino F. Della origine et de’ fatti delle famiglie illustri d’Italia, libro primo, In Venezia, presso Altobello Salicato, 1609 ; c. 95. (2) ClONTNI A. L’ isola di Capraia, impressioni di viaggio e cenni storici ricavati da documenti inediti, Pisa, Libreria Galileo, 1891 ; pp. 40-49. (3I Al Bonaini, « pel silenzio eh’è nei registri del Battistero pisano », non riuscì determinare 1’ anno della sua nascita ; vuole che non incominciasse a scrivere le Istorie prima del 1592 ; prova che mancò ai vivi « il 25 maggio 1619 un’ora avanti desinare ». Cfr. Roncioni R., Delle Istorie Pisane libri XVI, con illustrazioni di Francesco Bonaini ; part. I, pp. X e XX. V,. Gioi ti. Ut e Leti, della Liguria 2 iS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di lettere si vede il medesimo, poi che si diede ordine, che vedendo legni innimici facessero segno. Gio. Gambacorta nel contratto di vendita che fece a Fiorentini di Pisa, si riservò la Capraia. Hora si dice che ben che del 803 fussero quell* Isole de* Christiani, non vietò che in spactio d anni non fus-sero occupate da’ Mori, essendo scarsi per tutta Italia ; e poi che del ro<)2 pare che Lamberto Cibo Γ havesse occupate, scacciandone i Mori, si può essere equivocato e il tempo e il personaggio, o che fusse un altro Lamberto, suo atavo, poiché se del 962 Otton primo, imperatore, investì delle dette isole i Pisani, è dunque segno che non erano loro con giusto titolo, e però può essere che prima del 962 di qualche decina d anni fussero 1 isole occupate da’ Mori, e che il più antico Lamberto Cibo ne scacciasse loro, et egli ne fusse privato poi da’ Pisani, per virtù delle investiture sopì adette , e che quando del 1163 i Genovesi ricuperorno la Capraia, eh essi ne lasciassero la sopraintendenza e con le regalie solite ai discendenti di Lamberto, che potevano essere, come nel Arbore della famiglia si vede, Baiamondo Cibo del il34, qual era fra i consoli nobili al governo della Repubblica, e Rugerone del 1164, ch’era del Consiglio, e intervenne ccn Ministri Regi di Sardegna a instrumenti passati per negotii gravi ; e ne’ medesimi anni si veggono scritti Rubaldino Cibo per sopranome Ben cavalca, et Vicino, Anseimo et Facino, quali erano reputati fratelli del Cardinale Olderico Cibo, creatura di Papa Honorio 2° , qual fu del 1134» come Per ^ecle autentica del Cardinale Gaetano, Camarlengo buona memoria, appare nelle scrittine di S. Eccellenza. Alberico così replicava: 111.re e molto Rev. Sig.»e Veggo per la sua de’ 20 del passato quanto prudentemente discurre del particolare del Sansovino e di Lamberto Cybo ; al che rispondo, che Tesser state 1’ isole Gorgona e Capraia de’ Pisani, non vieta che non possino essere state de’ Genovesi, i quali gueregiando con loro et questi con quelli, spesso si toglieva 1’ un 1’ altro parte di quello che possedevano, conforme al uso delle guerre; e se nel 803, per il privileggio di Leone III, si vede che esse isole erano dei Christiani, può esser che da quel tempo al 962, che Ottone primo le concedè a’ Pisani, che vi corrono pure 158 anni, fossero prese da’ Mori, et Lamberto Cybo scacciandoli se ne im-patronisse, e le perdesse poi del 962, e che i scrittori havessero equivocato ne gl’ anni, che quello può V. S. con la sua prudenza et onorevolenza insieme accomodare benissimo, perchè non è dubio che ne’ libri di San Giorgio, si come non è memoria di Lamberto e de’ Mori, perchè San Giorgio è più moderno assai, vi è nondimeno chiara la memoria che la famiglia Cybo vi mandava podestà; nè questo può già essere mentre erano possedute da’ Pisani, ma quando le possedevano i Genovesi, e particularmente la Capraia ; nè posso hora mandar fede di ciò, essendo che molti anni sono Giovanni Recco agregato ne’ Cybi, et che ha scritto parte delle Istorie Genovesi, havendo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 19 non so che cura in quella casa, lo vidde e trovò lui e me lo scrisse ; la qual lettela sua è a Massa fra molte altre scritture simili. Ma nel libro della famiglia, che io ho et autentico, ce 11e fa mentione, come le farò vedere al ritorno mio in quelle parti. Di quel Ceccarelli, per le ragioni eh’ ella dice, se ben già fu da me conosciuto in Roma, non ne tengo conto alcuno. Ben e vero che di tanti autori eh’ egli adduce, i più non si trovano, ma alcuno si ; et in particulare Leuterio Mirabello, essendo stato stampato nell’Aquila, che così ne disse un libraro di Roma, e che non era molto che 11' haveva uno. E anco stato visto così dal Federici, che V. S. deve conoscere, che percio scrissi al Mercuriale che usasse ogni diligenza di trovare ; come anco priego lei a fare il medesimo, che me 11e farà cosa grata ; come del rimanente che gli scrissi per l’altra mia, rendendole molte grazie della buona volontà che mi mostra. E con questo faccio fine e me le raccomando. Di Genova, 13 di settembre 1600. Pronto per farle servitio Alberico Cybo. Replicò alla sua volta il Roncioni, ma dopo un lungo giro di mesi. Gli diceva: Ill.mo et Ecc.1110 Sig. mio colendissimo, Io non ho potuto giammai rispondere alla cortesissima et amorevolissima lettera scrittami da V. S. 111.ma et Ecc.ma ; et la principal cagione ne è stato l’essermi ritrovato quasi che del continuo involto in grandissimi negotii, che importavano la riputatione et 1’ honore di casa mia. Hora, che Iddio di alcuni 111’ ha tratto, ho preso la penna in mano, et la prima cosa che io faccia si è questa ; che io mi chiamo peccatore et del commesso fallo a lei ne domando perdono, prontissimo a ricevere ogni sorta di gastigo ; et la supplico humilissimamente che ricever voglia, con tutto il cuore suo magnanimo e grande, questa mia benché tarda risposta. So benissimo, Ill.mo Sig.r mio, che i Genovesi guerreggiando con li Pisani gli tolsero questa isola di Capraia; et fu nell’anno del Signore 1163; et altre volte non si trova che da loro sia stata occupata ; et se in questi tempi vi fossero stati mandati pretori o potestà della sua 111.ma stirpe si poterebbe credere ; ma a me non dà noia questo, et solamente non so vedere, nè ritrovare, come Lamberto Cibo l’anno 1092 la togliesse a’ Mori; che due autori dicono questo, Eleuterio Mirabello nelle sue Effemeridi latine, il quale io mostrai qui al sig.r Federici ; et Francesco Sansovino nel suo libro intitolato Delle piti Illustri Famiglie d’ Italia ; 1’ origine de’ quali autori io dirò a Sua Ecc.za 111.ma quello che io ne sento. Il Mirabello è citato da Fanusio Campano, autore che visse nel 1500, pieno di gran cose, il quale tratta della Nobiltà di tutte le Città d’ Italia, et della sua IH.ma casa lungamente. Ma questo autore fu trovato da Alfonso Ceccarelli da Bevagna, et 4 20 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA secondo il parere di molti huomìni dotti, egli compose tal libro, et così a mio tempo si teneva a Roma per vero. Da questo Fnnusio Campano ha tolto di molte cose il Sansovino et allega molti aulori citati da lui. Hora io lasserò darne giudicio a più pratico scrittore di me, se Iwne ho detto di dirne il parer mio. Dirò bene che quanto scrive il Sansovino di I.ara bei lo Cilvo tutto lo cava dal Mirabello ; ma quello che soggiugne che tal cose sono scritte nelle historié dei Pisani, certamente è suo trovato ; e poi l’anno 11K8 dice una cosa, che io non mi so imaginare donde 1’ habbia cavata, asserendo anne Hermes Cibo, cognominato nelle scritture de Insulis, signoreggiò la Capraia con 1’ altre isole circonvicine, il che si legge in uno instrumento di pace fatta fra i Genovesi ed i Pisani ; la qual pace egli se la sognò ; perchè non tratta nulla di questo ; bene è vero, che fu falla tra queste due nationi, con conditione, che mille huomini di ciascuna città la giurassero d’osservare; et quella, dove sono nominati i Genovesi Γ ho io bellissima in cartapecora : et vi è nominato Guglielmo Cibo, et non Hermes. Ho voluto dire questo a V’. S. 111.ma et Ecc.ma per mostrarle che poca fede si può dare a tali autori. Di questa pace n' ha una copia da me il Sig.r Giulio Arqua ta, già degnissimo Rettore di questo Studio, la quale, piacendole, la potrà vedere Cumc a punto ella stà, et ancora la vidde il sig.r Federici. Questo è quanto io posso dire a lei circa a questo fatto. Vorrei sapere se lei nelle sue scritture ha memoria di quel 1 .odovico Cibo, che il Sansovino nell’ 838 lo fa genero di Bonifatio Conte di Corsica e di Sardegna ; se bene non vi ha da essere la Sardegna ; perchè, se questo fosse, la sua antichissima famiglia haverebbe in quelli tempi fatto parentado con noi altri Pisani ; perchè quel Bonifatio fu pisano et nobilissimo et grande Intorno nelle arali, et operò magnifiche cose in aggrandire la sua città, *i come attestano molti autori degni di fede; et io lungamente ne ho discorso nelle mie Historié ; et haverci campo largo di aggrandirle et abbellirle, se potessi sapere di cl»e luogo cavò il Sansovino questa memoria. Perù, se V. S. III.ma et Ecc.ma me ne può dar lume, me ne farà segnalatissimo favore. Et molti anni sono mi fu detto, che I.ei fra le stie scritture haveva gli Annali di Genova scritti da Cafiaro genovese, et quelli fatti da Jacopo Vescovo di \ ara-gine ; i quali sono molto desideroso di vedere ; et se mi volesse fare questa gratia, non so, se io vivessi mille anni, et altrettanti I-a servissi, potessi giamai renderle il contracambio. Et tutti due questi autori sono citati dal Vescovo di N ebbio, et uno da Bernardo Marangoni, che scrive gli Annali di questa città fino al 1175. Mora, Ecc.mo Sig.r mio. havendo discorso seco un peti», non volendo più con questo mio noioso scrivere interrompere i suoi gran pensieri, farò fine, con supplicarla che mi voglia tenere nel numero de' suoi pii» minimi servitori che habbia : et che per tale di me si serva liberamente. Che Nostro Signore Iddio le conceda lunga vita per lienelitio del imo felicissimo Stato ; et a me dia gratia dì potere honorare et esaltare V. S. Ili.ma et Kcc.ma. si come largamente si lo merita; et baciandole GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 21 1 honoratissime et valorosissime mani, chiuderò i lumi et questa lettera, essendo molto di notte. Viva felice et allegramente. Di Pisa, alIi 2 di novembre 1601. Di V. S. Ili .ma et Ecc.ma Devotiss.nio et Obb.1110 Servitore Raffaello Roncioni Cosi gli rispondeva Alberico: 11*·1'* el ni.to R.o S.·* Si tardi mi capitò 1’ altra di V. S. che anco tardi sarà la risposta, la quale è che d’ ogni accidente di sua casa ne voglio essere partecipe, e però quando io sia buono a farle qualche servitio, o allegerirle fastidi, sarò io sempre pronto a farlo con ogni affetto, et in ogni tempo et occasione. Hora, per discorrere sopra quanto V. S. tocca sopra Lamberto Cybo e quelle isole et autori, le ripeto che si può essere equivocato, non solo in decine d* anni, ma in cinquantine nel particolare di Lamberto. Et che i Mori s' impadronissero et in queste parti et dei Regni di Napoli et Sicilia per molli anni, questo è chiaro ; come, che i pretori fossero mandati dalla casa (.vlto in quell’isola, anzi clic son tenuti in San Giorgio quei libri con tonta gelosia, che ben che Gio. Recco, che era agregato per Cybo, lo vedesse, come me ne diede conio, havendo la lettera a Massa, non ho pos-suio vederlo io. D’Ermes Cybo de Insulis, essendo figlio o nipote di Alberto, lo (laverà il Sansovino fatto anch’egli Signore di dette isole, come può essere, perchè in quanto che cosi si chiamasse è verissimo, trovandosi dal 1188 non solo scritto nella pace Pisana, ma in altri rogiti di diversi scrittori di quei tempi, insieme con Rubaldino et Vicino, suoi figliuoli. Che egli non sia nominato nella pace suddetta, che ella ha, ma si bene Guglielmo Tedico, che in quante copie son qui, clic tulle I' ho viste, v* è Hermes, et di Guglielmo elle non sia in queste, vi sono molti nomi clic le casate son taciute et altre sconce late dall' nntichitA, però mi è caro che vi fusse anco Guglielmo, perchè ili lui in S. Francesco qui si vede, nella cappella sua, che era il primato della famiglia; et dall'ArquatO mi farò dar copia di quello che ha lui. Circa dell’ autori, ho copia autentica del Campano, e può essere che fusse fatica del Ceccarelli, et anco no ; ma del Mirabello non si può dir cosi, che perciò ho in isso sottosopra per haverlo, et perché pare che fusse stampato all’Aquila ho anco scritto quivi ; però la drita saria de rinvenirne la persona che ha fatto quello che ha visto V. S., che lo procurarci, e tanto più ne faccio conto, quanto di unti autori citati dal Campano, pochi se ne son trovati, e però verrei questo in ogni modo, et ne la prego quanto posso. Di Lodovico Cybo, che fusse genero di Bonifatio Conte di Corsica, mi ricordo che il Sansovino mi scrisse haverlo cavato da croniche a mano di Gio. Luppio da Caglieri, che potrà governarsene come le parrà da che se le apresenLa Γ ocasionc buona. I.’istorie di Genova del Giustiniano furono scritte scioccamente e con poca diligenza, et il medesimo scrisse il Caffaro et Stella, che 22 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA questi dui io ho, et il Varaggine non scrive più di loro, e con la prima occasione glieli manderò ; nè mai fumo stampati. Hora, oltre a quello che ha scritto il Foglietta, scrive diffusamente il Sig. Roccatagliata, havendo cavato il sciugo dagli Archivi et scritture antiche che erano in confuso et malissimo tenute. Con questa lettera si chiude il carteggio tra il Principe di Massa e lo storico di Pisa. Giovanni Sforza NOTERELLE D’ARCHIVIO (TOMMASO MORONI — ANTONIO CASSAR INO > I. Intorno a Tommaso Moroni da Rieti, rimasto fino a poco fa quasi oscuro ed obliato, oggi possediamo copiose notizie, donde ci vengono chiariti l'esser suo, la sua condizione, le particolarità della vita e degli uffici, le relazioni, I indole, 1 ingegno, e finalmente le opere da lui lasciate (i). Ma i documenti d'archivio che ne segnano passo passo le vicende muovono più specialmente dal 1442, mentre per il tratto anteriore conviene riferirsi alla invettiva contro di lui di Poggio Brac-ciolini (21, il quale espone con particolar cura le peregrinazioni di Tommaso in varie città di Italia, dove, secondo quanto afferma, egli ha fatto conoscere la sua mala natura e i suoi vizi. Fra queste città Genova non è nominata, ne il Bracciolini accenna, neppure indirettamente, a relazioni che il Moroni abbia avuto con essa e con i genovesi. Or bene, noi produciamo qui due documenti dai quali si rileva che si fatte relazioni veramente vi furono. ! I GaBOTTO, Tommaso da Rieti letterato d/l sec. Λ I, in Archivio storico per le Marche e per Γ Umbria, Vol. IV. p. 628 sgg. — GaUOTTO, Altri documenti su Tommaso Moroni da Rieti, in biblioteca delle Scuote Italiane, Vol. V., p. 25 sgg., 53 sgg. — GhinZOWI, Ultime vicende di Tommaso Moroni da Rieti in Archivio Storico Lombardo, vol. XXII, p* 4-sgg. — Novati ET I.AFAVK. L'Anthologie d" un humaniste italien au XV siècle, Rome. Cnggiani, 1892; ρ. 23 »gg. 2i Pubblicala dal Gabotto nel primo «ritto citalo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 23 Il primo è una lettera assai singolare scritta dal doge e dal consiglio degli Anziani, per mano del cancelliere Iacopo Bra-celli, ai consoli ed ai mercanti genovesi dimoranti in Siviglia; eccone il tenore (1) : I homas dux etc. Et consilium Antianorum comunis Janue. Nobilibus et egregis viris consulibus et mercatoribus Januen-sibus Hispali moram facientibus. Venturus est in illam regiam spectatus atque ornatissimus miles, et quod ad nostri seculi decus pertinet iam clarus poeta in ticinensi studio laurea donatus, dominus Thomas Reatinus. Is et quod italus est et quod nostri amantissimo mereretur prolecto vel his causis ut fame honorique suo studiose inserviremus. Nunc vero cum in omni prope genere discipline doctissimus sit, vi autem acritateque memorie, tantum excellat, ut qui etiam experti sunt vix experimento credant, rem indignissimam iudicaremus si qui virtutum suarum gnari sumus, laudes eius omnimodo silentio preteriremus. Accedet igitur ut arbitramur Hispalem ; qua in urjje quum peregrinus erit et incognitus quicquid ei honoris, quicquid officij tribuetur, longe sibi gratius fiet, quam si intra fines Italie ea sibi duplicata prestaren-tur. Quam ob rem monemus vos atque enixius hortamur ut quemadmodum admirabilis virtutibus sui convenit, vos illum colatis observetisque, et in nullo comitatis honorisque officio sibi deficiatis I lec quo maiore cura studioque perfeceritis eo nobis rectius morem geretis : pertinebit etiam ad italorum omnium gloriam, tantum virum Italiam genuisse. Quod si forte regna alia mari petiturus foret, et ulla naves nostre in portu Gadium tunc adessent, volumus navarchos nostro nomine moneatis, ut comes se obsequiososque prestent ei, si constituet illas conscendere. Data XXII Januarij [1439]. L'altro è un decreto del giorno successivo, e dice così (2): 4- die XXIII* Januarij. Illustris et excelsus dominus dux etc. Et Magnificum dominorum Antianorum consilium in pieno numero congregatum: Equum iudicantes et dignitati urbis conveniens honorare spectatum militem et celebrem poetam dominum Thomam Reatinum : Statuerunt ac decreverunt donari sibi de pecunia publica aureos centuni sive l. CC. A cui vien subito dietro il seguente: -f- die XXVI" Januarij. Spectabile officium monete comunis in pleno numero congregatum intellecta deliberatione supra- (Γ) Ardi, «li Stato in Genova, Litterarum, 8-1784, c. 373 r. (2 Ivi Diversorum Reg. 20-521. 24 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA scripta annuit et assensum prebuit ipsi largitioni pro aureis quinquaginta duntaxat sive pro libris C. Inventis septem calculis affirmativis albis unico nigro. II decreto che ha per fermo intime relazioni con la lettera, non ci illumina sulle cause onde il governo genovese fu mosso a codesta largizione, poiché quell' « equum iudicantes et dignitati urbis conveniens honorare » etc. è cosi generico da non farci capaci d'intendere il perchè stimavano equo e conveniente onore sì fatto; anzi quelle parole e lo « spectatum militem, » e il « celebrem poetam » ci sembrano messe lì a posta per mascherare il vero. Se il Moroni avesse reso qualche segnalato servizio alla repubblica, nella deliberazione sarebbe in qualche guisa accennato, non fosse altro con la consueta frase « dignis moti rationibus » o « respectis ». E d'altra parte non possiamo riferirci ad uffici d'indole politica presso il duca Filippo Maria Visconti, poiché in questo tempo Tommaso non era ancora entrato nella sua corte c nelle sue grazie, nè ci è dato argomentare giovasse di questa guisa la repubblica presso altri signori. Si potrebbe supporre che gli fosse affidato un qualche incarico presso i genovesi abitanti nella Spagna, ma oltreché il tenore della lettera non ci consente di crederlo, nessun documento abbiamo trovato che ce ne porga un qualche indizio. Siamo quindi privi di qualunque argomento diretto o indiretto per chiarire le cause del dono e dell' onorifico decreto. Ma volendo pur mettere innanzi qualche congettura, ci sembra non in tutto fuor del propabile, che quella elargizione fosse un favore speciale procuratosi, se non addirittura domandato, dai suoi amici genovesi; forse dal doge stesso, Tommaso da Campofregoso, le cui relazioni con gli umanisti contemporanei sono ormai ben note. Il Moroni, che era allora nel periodo più momentoso delle sue peregrinazioni, giunse forse a Genova a corto di quattrini, avendo ormai finito quanto aveva saputo spillare in altri luoghi a principi e signori; di qui la necessità di rifornire la borsa esausta, tanto più volendo mettersi in viaggio per la Spagna, col proposito forse di condursi anche più lontano. E perciò nel mentre si procurava dal doge una commendatizia così largamente onorevole, può ben darsi abbia fatto intendere le sue poco liete condizioni economiche, e il bisogno GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI.A LIGURIA 2ζ di trovare il danaro sufficiente a’ suoi disegni. Nella invettiva del Bracciolini leggiamo queste parole : « Novas igitur que-sisti sedes, ut, cum priora dona, helluo spurcissime, vorasses, inhiares novis ubi quandiu tua scelera latebunt ». Espressione certo esagerata e propria di un componimento mordace e diffamatorio, la quale però accenna assai probabilmente ad un fatto vero e reale, tanto più se si considera che alcune pecche imputate dal Poggio al suo nemico sono apparse non prive di fondamento dai documenti pubblicati dal Ghinzoni. Il donativo di lire cento di genovini d'oro (oltre lire mille delle nostre) deliberato per onorare il Moroni, potrebbe quindi ritenersi un sussidio iudirettamente richiesto; al quale proposito è notevole il fatto che Γ ufficio della Moneta, come a dire il ministro del Tesoro, con esempio quasi eccezionale riduce alla metà quella largizione, sembrandogli che basti all’uopo. Se abbia compiuto il viaggio di che si tocca nella lettera riferita non sappiamo, nè il Bracciolini lo accenna ; ben importa avvertire che da codesto nuovo documento non solo si rileva che in questo tempo il Moroni era già salito in fama come soldato e come poeta; ma si ha un’altra prova della singolare memoria ond’era dotato, e, che è più perchè notizia ignorata, s' apprende come fosse laureato nello studio di Pavia. In ben diversa figura tornò a Genova il Moroni nel 1461, divenuto diplomatico e consigliere, prima a servizio di Filippo Maria Visconti ed ora di Francesco Sforza. Allorquando il 9 di marzo avvenne la sollevazione che cacciò dal palazzo il luo-goteneute di Francia, il quale si asserragliò nel giorno successivo entro la fortezza di Castelletto, i genovesi inviarono subito un ambasciatore al duca di Milano per richiedere aiuti. « Francesco », scrive il Giustiniani copiando dal Simonetta, « mandò a Genova mille Pedoni, e mandò Tomaso Raitino ambasciatore che dovesse attendere all'espugnazione della Fortezza, e che dovesse dare opera che Paolo Fregoso e Prospero Adorno perseverassero in amicizia, e mandò ancora quantità di denari per mantenere i soldati a questa espugnazione, la quale dubitava che dovesse essere dura e lunga » (1). In fatti Tommaso era già (!) GlUBTIMANI, Annali della AY/>. di Genova, Genova 1854; II, 424 — SlMONETAE, lini, de rebus gestis Francisci Sfortiae, in MURATORI, Κ. I. S., XXI, 821.. 26 GIORNALE STORICO F. LETTERARIO DELLA LIGURIA in Genova il 16 marzo, poiché la Signoria scrivendo questo medesimo giorno a Jacopo del Fiesco capitano di Chiavari intorno alle pubbliche faccende, soggiungeva: * Per nostro conforto el è venudo qui lo M. messer Thomaso Darieti mandato da lo Illustrissimo signore ducha di Milano lo quale senio certi ne porta molte bone coxe » (l). E dell'opera sua rimasero i genovesi pienamente soddisfatti; si come si rileva dalle dichiarazioni espresse nella lettera al pontefice (13 aprile) con la quale lo ragguagliavano delle condizioni della città. Quivi dopo di aver toccato degli avvenimenti, delle disposizioni date per Γ assedio del Castelletto, e degli aiuti ottenuti, soggiungono : « In quo et si civium amicorumque auxilia nobis non desint, hoc potissimum et singulare munus nobis misit Illustrissimus princeps dominus dux Mediolani, quod preciarum et magnificum equitem dominum Thomam de Reate consiliarium suum his rebus prefecit, cuius etsi pridem notissime virtu'es essent, hoc uno exemplo et in tantis rebus quamaxime illas declaravit ; ubi discordantes cives preclara sua oratione primo adventu conciliavit; peditatum qui in urbe erat nutantem spe ac premijs mox confirmavit ;veterum dissensionum memoriam, quibus civitas haud vacua erat, sua sapientia abolevit ; nihilquc demum pretermisit quod ad clarum virum in tantis rebus pertineret, ita ut eius opera suisque virtutibus res omnis ad hunc diem magna ex parte confecta sit ». Le quali lodi ripetono nel di stesso ai reggitori della repubblica di Firenze (21. Pochi giorni dopo che il Moroni era giunto a Genova veniva deliberato di gratificarlo con un donativo, secondo era consuetudine con gli ambasciatori dei principi esteri ; ecco il decreto (3) : MCCCCLX primo die XVIIIJ Martij. Illustris et cxcctaus dominus Prosper Adurnus Dei grazia dux Januensium et populi defensor et Magnifica Consilium dominorum Antianorum et officium pacis Comunis Janue dignis rationibus moti decreverunt dona mitti Magnifico domino Thome Reatino legato Illustrissimi domini Ducis Mediolani asccndcntia a libris quinquaginta ad flo-renos quinquaginta. Se non che il Magistrato della Moneta cui era riserbata l'ap- (1) Ardi, cit.. Littore mm Rej;. n. jl-1797, c. 3 tXr. (2) Arch. cit., Litter. cit., c. 3ì8r. 3» Arch. cil. Drïrnomm Rej>. n. 7^*5*'· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 27 provazione della spesa, consentì con decreto del 20 al donativo « dummodo non excedat summam librarum quadraginta » (1). Decisamente il nostro Tommaso non aveva fortuna presso il parsimonioso magistrato, il quale più tardi non voleva neppur consentire a Gianone Giustiniani, la cui casa era stata scelta per alloggiarlo, la dovutagli pensione, asserendo che non rivestiva il Moroni la qualità d’ ambasciatore e quindi non aveva diritto ad essere spesato con il danaro del comune; fu necessario un ordine perentorio del doge e del Consiglio per rimuovere questo ostacolo e far pagare la somma decretata, nonostante la ripulsa dell' ufficio (2). II. Nell’anno stesso in cui era assegnato il dono in danaro all'avventuriero di Rieti, un umanista siciliano veniva assunto a' pubblici stipendi, secondo abbiamo dal seguente decreto (3); MCCCCXXXIX die prima Junij, Jllustris et excelsus dominus dux Januensium etc. conduxit stipendio publico virum doctissimum Antonium Siculum in greca latinaque lingua insignem, computo aureorum centum anno singulo, ac declaravit anni principium hodie incipere. Affrettiamoci a dire che si tratta qui di Antonio Cassarino da Noto: il quale, reduce da Costantinopoli, si era recato a Venezia nella primavera del 1438, donde probabilmente venne a Genova per insegnare da prima, crediamo, privatamente (ebbe a discepolo Prospero Adorno giovinetto), poi con incarico ufficiale. Coloro che hanno parlato di lui rilevarono che già il Filelfo scrivendogli nel settembre del 1440 lo fa apparire dimorante in questa cità (4), ora noi sappiamo che vi si trovava fino dal- 11 ) Ivi. (2) Ivi, decidi in «lata IO giugno e 17 agosto. 31 Arch. cit. Diversorum Keg. n. 26-521. (4 ) SabhaDINI, litografia documentata di Giovanni Aurispa, Noto, Za-mit, i8<)o; p. 168 sgg. Noterei!* Umanistiche, in Giorn. Ligustico, XVIII, 302 c 305. — BraOGIO, Giacomo Bracelli e Γ umanesimo dei liguri al suo tempo, in Atti d. Soc, Lig% di Star, Pat., XXIII, 22 c 116 sgg. — GaiioTTO, Uh nuovo contributo olla storia de/Γ umanesimo ligure, in Atti cit., XXIV, 57 Hgg. 2S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI.A LIGURIA l'anno innanzi, e fu stipendiato dal comune (ciò che non era noto) nel giugno del 1439. Il decreto sopra riferito 11011 accenna a pubblica lettura; riteniamo tuttavia non si possa dubitare fosse stipendiato a questo fine, sì come d’altra parte ce ne accertano gli altri documenti che ci accingiamo a mandare in luce. Ma i cento genovini d’oro (oltre duemila lire italiane) non erano sufficienti alle necesssità della vita, onde non andò guari che il Cassarino fu obbligato a ricorrere al prestito, e per guarentigia del creditore dovette rifarsi alla autorità del doge. Il quale fu sollecito ad emanare questo decreto (1): MCCCCXXXXI die IIIIa Aprilis. Illustris et excelsus dominus Thomas de Campofregoso dei gratia dux Januensium et libertatis defensor: Non ignorans inopiam pecuniae qua vir doctissimus Antonius Cassarinus nunc premitur, decernit et jubet ut vir nobilis Paulus de Vivaldis, qui rogatus assensit subvenire ipsi Antonio de libris centum, realiter aut personaliter molestari non poscit pro eo quod debebit pro avaria nunc brevi aperienda pro dicta summa librarum centum. Jmmo eam summam sibi libera retineat quoadusque licebit eam cum provisione ipsius Antonij compensare. Que quidem compensatio fiet intra Kalendas octo-bris prorsus et omino. Et sic servari facere promisit ipse J.d. dux. Et ob hoc impressit huic decreto sigillum suum. Sennonché con sì fatto provvedimento non si sanavano in modo fermo e duraturo le piaghe del nostro grammatico, il quale certamente seppe cattivarsi gli animi dei genovesi in guisa da promuovere una discussione in Senato intorno alla sua dottrina, alle procacciatesi benemerenze, ed al suo stato. Di qui il decreto dell’ anno stesso col quale, determinando gli uffici cui doveva attendere, si regolava stabilmente e con larghezza la sua condizione economica. Eccone il tenore (2): X die XII maij. Cum sermo in Senatu aliquando factus esset quantum doctrina plurimarumque rerum cognitione grecarumque ac latinarum peritia literarum valeat vir doctissimus Antonius Cassarinus, qua innocentia morumque integritate sit, quam recte ad Januensem populum afficiatur, multaque eiusmodi magna cum laude sui jactata fuissent, postremoque asseveraretur tria precipue ab eo promitti, si digna mercede labori suo subveniatur; primum adolescentulorum paulo doctiorum eruditionem, deinde (1) Arch. cit., Diversorum Reg. n. 31-526. (2) Ivi. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2g quotannis hieme feriatis diebus lectionem toti civitati, postremo res gestas populi Januensis cum dignitate ab eo litteris mandari. Resque discussione et consilio digna visa fuisset, propte-rea Illustris et excelsus dominus Thomas de Campofregoso dei gratia dux Januensium et libertatis defensor, et magnificum consilium dominorum Antianorum comunis Janue in pleno numero convocatum hec que dicta sunt animo revolventes, nec ignari ea plurimum posse dignitati et comodis Januensis reipublice conferre, sanxerunt ac decreverunt quod deinceps singulis annis eidem Antonio ex publico erario numerentur libre tricente Januenses, quattuor equis pensionibus ut fieri assolet, heque sint annua mercedes laborum ac vigiliarum suarum eo tamen hec omnia prestante que superius memorata sunt. Item et preter hoc donaverunt eum amplissima immunitate ab omni tributo et exatione publica, ita ut sive onus quodvis reale censeatur sive personale aut mixtum, idem Antonius neque in eo describatur nec pro eo directe vel indirecte vexetur. Atque insuper cum donatum esse voluerunt exemptione illa quam victus ac vestitus vocant, qua quidem utatur deinceps eo modo quo utuntur patres XIIelm liberorum, ut tantus vir habeat unde saltem moderatum sumptum faciat, et hec duplicis immunitatis donatio testetur habitam fuisse dignitatis sue rationem. -f- die prima Juni. Spectatum officium monete comunis in pleno numero congregatum, intellectis decreto ac donatione et immunitate superius declaratis et super his prehabito sermone longiore cum discussione et examine ut moris est, ea omnia comprobavit liberum his assensum prestans: inventis sex calculis albis assensorijs, duobus nigris contradicentibus. Qui l’Ufficio della moneta, regolatore ad arbitro supremo delle pubbliche spese, vi pensò su alquanti giorni, ma consentì alla misura dello stipendio, ed ai privilegi concessi dal comune Le trecento lire genovesi (oltre lire tremila italiane) gli vennero corrisposte per poco tempo, chè nel 1443 già le troviamo ridotte a ducentosettantacinque (i), quindi a duecento; le quali diminuzioni ebbero per effetto di raffreddare lo zelo del Cas-sarino nell’ adempimento dei suoi obblighi, onde i moderatori cui era commesso di esaminare il bilancio ordinario e straordinario, nel dicembre del 1444, fra le altre proposte, fecero la seguente: « Item admoneri voluerunt dominum Antonium Cassarinum ut quemadmodum percepit salarium a comuni, ita prestet ea ad que obligatus est ». La quale ammonizione i Muovo Giornale Ligustico (1834) Ser. 2.a, vol. If, p. 102 e in Braguih, 1. c., p. 116. 30 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA venne approvata e subito inflitta, sì come ce ne assicura il cancelliere Jacopo Bracelli, il quale annotò in margine di suo pugno : « Admonitus fuit per me Jacopum iussu domini ducis et officialium predictorum » (i). Se egli abbia ottemperato agli ordini ricevuti non possiamo affermare, certo è che lo stipendio ebbe una nuova riduzione il 20 settembre del 1445, quando le necessità dell’ erario consigliarono i moderatori a proporre, insieme a parecchi altri provvedimenti, anche questo : « Pro annua provisione domini Antonij Cassarmi libras centumquinqueginta sive CL. Declarato tamen quod salarium eius hoc anno quem iam ingressus est, quique dicitur finire iunio venturo, in nihilo sibi minuatur » (2). In questo modo egli non perdette le cinquanta lire che gli volevano falcidiare, perchè dopo pochi mesi avvenne in suo favore una specie di plebiscito, che ci è fatto conoscere dal seguente documento (3): + die lune XXa decembris. Illustris et excelsus dominus Raphael Adurnus dei gratia dux Januensis et Magnifica consilium dominorum Antianorum et officium provisioni comunis Janue in plenis numeris congregata : quorum dominorum antianorum hec sunt nomina: [seguono i nomi e quindi quelli dei provvisori]. Cum ad ipsorum conspectum accessisse vidissent plerosque prestantes cives ex omni genere atque ordine usque ad tricenum prope numerum, multa de doctrina ac moribus preclari ac doctissimi viri Antonii Cassarini magna cum eius laude referentes, ac tandem supplicantes ut cum primum salario publico conductus fuerit libris tricentis, idque ad ducentos septuaginta et quinque libras, postea ad ducentas, et novissime ad centum et quinquaginta redactum sit, que summa parci etiam hominis sumptui nequaquam sufficit, dignentur et dignitati publice et adolescen-tum ingeniis ita consulere, ut vir ille et illustrande civitati et disseminandis litteris admodum utilis, non cogatur egestate premente aliam sibi patriam querere, prehabito inter se se examine ut mos est sanxerunt ac decreverunt quod Antonius ipse remanere intelligatur ac remaneat publico stipendio conductus iterum per annos tres, qui in exitu huius anni sui, hoc est Junio proxime veniente,defluere incipiant; perduret pretera ultra ipsum etiam trienimum salarium eius pro voluntate et ut dici solet beneplacito utriusque partis concordantis. Quod quidem (1) Arch. cit., Diversorum Reg. n. 31-533, dee. in data 14 dicembre. (2) Arch. cit., Diversorum Reg. n. 41-536. (3) Ivi· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 31 eius salarium esse voluerunt ac declaraverunt librarum ducentarum ut erat prius quam a Spectatis Moderatoribus superiore septembri imminutum fuisset. Statuerunt insuper ac iusserunt hoc ipsorum decretum et conductione vim habere conventionis et pacti, nec rescindi aut violari posse quovis modo nisi parte utraque assentiente. Eo anno die mercurij XXIJ decembris. Spectabile officium monete comunis in legittimo numero congregatum absentibus An-freono Spinula et Petro de Montenigro, cognitis decreto et conductione suprascriptis et contentis in eis, precedente examine ut mos est, comprobavit ac ratificavit ea omnia prout decreta promis-saque sunt: inventis sex calculis albis assentientibus, nullo nigro. Questo documento ci fa credere che il Cassarino, avendo veduto ridotto lo stipendio a centocinquanta lire, non solo, come è naturale, abbia fatto le sue rimostranze, ed espresso i suoi lamenti agli amici, ai protettori, agli seolari, ma, che è più, minacciato, e forse cercato, di andarsene da Genova ; le parole : « ut vir ille illustrande civitati et disseminandis litteris admodum utilis, non cogatur egestate premente aliam sibi patriam querere » ci sembrano a questo proposito assai significative. Non sarebbe fuor del probabile ch’egli appunto in questo tempo fosse stato richiesto dal re Alfonso di recarsi a Napoli « magna mercede proposita, » come afferma il Curio (i), il quale deplora fosse « repentina morte praeventum ». Intorno alla data della morte c’è disparere fra gli scrittori. Il Fazello, il Mongitore, e il Cicala (2), l’assegnano al 1444; essi asseriscono sia avvenuta in una sollevazione popolare : ecco infatti la narrazione del primo: < Dum anno salutis 1444 Genuae ob civium magna disidia stricto ferro excursionem multi per urbem facerent, ac nonnulli tentarent in domum ubi Antonius erat, perfractis portis, irrumpere, dum ipse, per fenestram alterius domus, que erat a regione, transilire nittitur, in terram ingenti lapsu concidit, continuoque expiravit » (3). Ora proprio nel 1444 non si trova menzione alcuna di sì fatte turbolenze in Genova, onde il Braggio mise innanzi l’ipo- (t) Il brano si può leggere in Sabbadini, op. cit., p. 172 n. (2) Sono citati rispettivamente dal Sabbadini, op. cit., p. 172, e dal Braggio, op. cit., p. 22 ; la compilazione del Cicala è manoscritta, ma, come il Mongitore, attinge evidentemnente al Fazello. (3 Fa/.ELLUS, De rebus Siculis, Panormi, 1558, p. log. 32 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tesi che il fatto si avesse forse a riferire al principio dell’ anno antecedente, o, per dir più esatto, ai tumulti eccitati nel dicembre 1442, che condussero alla deposizione di Tommaso Fre-goso ; e poiché una lettera del Cassarino al Curio reca la data del 1446, dubitò vi potesse essere errore materiale. Ma poco dopo il Sabbadini e il Gabotto rilevarono che meglio doveva ascriversi sì fatta morte al 1447, quando nel gennaio, Giano Fregoso cacciò gli Adorni (1). E così è veramente, perchè un decreto del 3 ottobre di quest’ anno, col quale si eleggono due giurisperiti a riferire intorno ad una causa degli eredi di Antonio Cassarino incomincia con queste parole: « Cum presenti anno Janua vita perfunctus esset vir doctissimus Antonius Cassarinus » ecc. (2). In questo modo abbiamo potuto con documenti accertare che il grammatico siciliano venne assunto a servizio del comune di Genova nel 1439, e quivi morì sul cadere di gennaio del-1’anno 1447 (3). · Achille Neri (1) In opp. citt. (2) Arch. cit., Diversorum Comunis, fil. η. 16-3036. Si presentavano come eredi Nina moglie del fu Guido Cassarino rappresentata dal procuratore Nicolò de Marciano, e Insona moglie di Bartolomeo Perfetti altra figlia di Guicio rappresentata da Prete Andrea Siciliano ; inoltre Antonio Rido palermitano. Accertata la precisa data della morte, non si può più ammettere che la lettera del Cassarino pubblicata dal Sabbadini (in Biog. doc. di G. Aurispa cit., p. 170-71) sia, come egli crede, del 1447 « III Kal. maii ». Egli la dice posteriore al 1444 perchè presuppone il Fazio a Napoli, dove, secondo la cronologia universalmente accettata (ivi, p. 105) egli si trovava nel settembre 1444. Ma certo ei v’ era già da alcuni mesi (Cfr. Mazzini, Appunti e notizie per servire alla bio-bibliografia di Bari. Facio, in Giorn. stor. e lett. d. Liguria, IV, 412 sgg.'). Dovette partire poco dopo il 6 febbraio insieme agli ambasciatori genovesi Battista Goano e Battista Lomellini, ed a quelli del re di Napoli, Caraffello Caraffa e Giovanni Tedisco, i quali erano a Genova fin dal gennaio (Divers. Reg., n. 36-531, decreto 21 gennaio) ; nè più tornò, mentre i quattro ambasciatori si trovavano di nuovo a Genova senza dubbio nell’aprile (Divers. Reg. 38-533 dee. 20 aprile, e 37'532 dee. 22 aprile). Ora si osservi che nella lettera al Fontano in data del 29 aprile il Cassarino afferma appunto di aver chiesto ad essi ambasciatori notizie di lui, dunque è del 1444. E poiché da essa apparisce che in quel tempo il Fazio era a Napoli, vuol proprio dire che non era tornato. (3) Il successore del Cassarino fu Pietro Perleone da Rimini, il quale GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA DUE NUOVI DOCUMENTI PER LA STORIA DELLA MARINERIA GENOVESE I documenti marinareschi anteriori al secolo XV sono, come tutti sanno, rarissimi : di relazioni ufficiali s'ha appena qualche vago accenno; le relazioni non ufficiali sono tutte generiche, vaghe, incomplete; lasciano indovinare, e non senza sforzo, piuttosto che rivelare, i fatti. Se questo è vero in tesi generale per tutte le marinerie regionali, per Genova, pur così ricca di imprese marittime, dopo che cessano gli Annales, le notizie sono addirittura insufficiènti a ricostruire nelle loro linee generalissime i fatti, di molti dei quali solo per via indiretta ab- già si trovava a Genova nel 1446, ma, secondo nostro parere, non entrò al servizio pubblico cne 1’ anno successivo. Non abbiamo rinvenuto il primo decreto di nomina; ci è occorso bensì il seguente (Divers. Reg. 46-541): MCCCCXXXXVIII die XXV1III Julij. Illustris et excelsus dominus Janus de Campofregoso dei gratia dux Januensium. Et magnificum consilium dominorum Antianorum comunis Janue in legittimo numero congregatum : cui decem interfuerunt, absentibus nobilibus viris Carolo de Gualterio et Bernardo de Marinis. Auditis nobilibus et prestantibus viris domino Andrea Bartolomeo Imperiali legum doctore, Cattaneo de Dernisió, Oberto Justiniano, Nicolao Ceba et plerisque alijs civibus egregijs multa referentibus de integritate morum ac doctrina greceque ac latine lingue peritia doctissimi viri Petri Par-leonis Ariminensis : qui ad erudiendam iuventutem studiis humanitatis publica mercede conductus est ad annum unum duntaxa : Orantibus ut pro dignitate civitatis et disseminandis bonis litteris conducatur in longiora tempora,t ea quidem mercede, qua possit honeste vitam degere, et sepositis alijs curis, bonarum artium studijs operam dare : Intelligentes ea que in laudem et lite-rarum et hominis tunc memorata fuere maxima ex parte vera esse, decreverunt eum conducendum esse in annos quinque a fine huius prioris anni proxime numerandos, mercede librarum ducentarum et quinquaginta in singulum annum ut sic et rei familiaris onus commodi proferre queat nec alijs curis anxius a studijs abstrahatur. Dal tenore di questo decreto ci sembra poter rilevare che da un solo anno egli insegnava a spese della repubblica, ed è quindi a ritenere fosse chiamato ad ufficio siffatto fra l’agosto e il novembre del 1417 (cfr. per questo umanista : Gabotto a proposito di una poesia inedita di Giovan Mario Filelfo, in Atti cit., vol. XIX, p. 499 sgg. — Un nuovo contributo cit. p. 58 sgg. — BRAGGro, op, cit. p. 37 121 sgg.). Che poi quando si recò a Genova venisse da Milano è detto in una sua supplica riprodotta sostanzialmente in decreto 7 febbraio 1449 (Divers. Reg. n. 48-543). G ioni. St. e Lett. della Liguria, V. 3 34 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA biamo cenni vaghi e confusi. Ma accade talvolta che si trovino documenti là dove meno si aspetterebbero, intercalati per caso fortuito in diarii di scrittori, che a tutt'altro scopo avevan rivolta la loro mente ; in filze d’archivio nelle quali parrebbe a prima vista assurdo il ricercarli. Ognuno sa qual tesoro abbia raccolto il Caro nelle filze Notan igitoti dell’Archivio di Genova ed ecco nel Diario del Concilio di Basilea di Andrea Gatari, cronista padovano del secolo XV, apparirci due documenti della maggior importanza per la storia genovese. Come è noto il diario del Gatari, già pubblicato in una cattiva e lacunosa versione tedesca, per cura del Wackernagel nel 1SS5, rivide la luce l’anno scorso nella sua veste italiana dialettale preceduto da una dotta e minuta introduzione storicocritica, per opera del dottor Coggiola (Basilea 1903. Studien und quellen ztir Gesch. des Konz/l von Basel, Vol. V). Il Gatari, che, come ben dimostra il Coggiola, accompagnò, come siniscalco o maggiordomo, il conte G. Francesco Capodilista, uno degli ambasciatori veneti al concilio, narrò molto succintamente la storia esterna del concilio stesso durante il periodo, in cui egli si trattenne in quella città (I433-M35), descrivendo le feste, le accoglienze fatte ai vari ambasciatori, le cerimonie pubbliche, la creazione dei cavalieri etc.; ma di tratto in tratto, non si sa bene come, (forse per vaghezza di arricchire il suo diario) registrò senza indicarne la fonte alcuni documenti estranei al suo argomento e fra questi una relazione della vittoria riportata al Ceni-" baio dalla squadra dj Carlo Lomellino, e della successiva rotta riportata dai Genovesi^ sbarcati in terra sulla via di Sorgati o Salgati. La relazione pare a me che non sia ufficiale7anzi probabilmente fosse mandata da un veneziano, come potrebbe arguirsi dal giudizio poco benevolo sull’o,iera dei Genovesi, perchè, quanto al dialetto, può credersi che il Gatari, come ha fatto per altri documenti, traduca in veneto. Di questa Dattaglia del Cembalo, così notevole per la storia coloniale ligure, ben poco sapevamo fin qui: il Canale nella sua Storia della Crimea 1V0I. II, pag. 53) si limita a riferirci, quasi colle stesse parole, le notizie dello Stella, ricordando l'insurrezione del popolo di Cembalo, durante il regno di Hagi-I)evlet, e la rotta del Lomellino; il Vigna, nel suo pregevole Codice diplomatico delle colonie tauro liguri, durante la signoria del- GIORNALE STORICO K LETTERA kit) DELLA "LIGURIA 35 I ufficio di 3. Giorgio quantunque abbia in appendice un capitolo intorno al Cembalo, non accenna affatto, perchè estranea in parte al suo argomento, alla rivoluzione di quella città; e solo, parlando della presa e del saccheggio di Caffa per opera degli insorti del 1435, ricorda, come per incidente, il Lomellino. È dunque questo documento l’unico che i^parga luce sulla infelice spedizione genovese, e perciò acquista per noi un grande valore. Altro e ancor più notevole documento innesta il Gatari sotto la data del 18 agosto 1435; ed è la relazione che la città di Genova spedì al duca di Milano intorno alla battaglia di Ponza. Di questa importantissima battaglia conoscevamo già la relazione di Biagio Assereto, in dialetto genovese, pubblicata prima dal Giustinian, e recentemente dal Vecchi nel i° volume della sua Storia generale della marma. La relazione, contenuta nel diario del Gatari, è precisamente la stessa dell’Assereto ; se non che il Gatari ci ha conservato un testo meno scorretto e più intelligibile, pur sopprimendo qua e là alcune frasi marinaresche, forse perchè egli, non uomo di mare, non le comprendeva (1). Ambo i documenti sono molto oscuri, ma si completano a vicenda, e l’uno aiuta a comprendere l’altro. Ma è da osser- i ) Non posso (perchè non ho qui il testo del Giustinian) fare una collazione accurata delle due relazioni ; tenendo sott’ occhio il testo genovese, nell’ edizione del Vecchj, noto soltanto le differenze più notevoli, quasi tutte favorevoli al testo datoci dal diarista padovano, e che mutano affatto il significato di alcune frasi : « ve grosse con mi-rabbile bertresche, su le quale erano i re e principi: le altre comunavole etc. galie XI, galeote 6 « Era el vento garbiti m « se forzavano arar a vento navicando inver Porssia (sic) « et le galie soe molto presto furono a noi » « et subito le nave sue col vento in pope, cridando « batagìia, bataglia » con bombarde et balestri m’investi. [11 Gatari non ha capito la frase « e messo il ballatoio, come volle, alla scala di prua » e 1’ ha omessa : poi seguita] « Et forno insieme cattenati. Animoxamente sapiando che da pope vinta l’altra nave et da prodo l’altra, l’altra da lato, non pensai che li nostri compagni patroni fugissero. 36 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vare che a questa relazione ne fa seguito un’ altra, veramente notevole, quasi un post scriptum, importantissimo e per le osservazioni politiche che l’Assereto fa, e più ancora per la lista dei prigionieri fatti da lui nella battaglia di Ponza, quantunque sia assai difficile riconoscere i personaggi storici attraverso alle storpiature dell’ammiraglio, che dettava, del suo segretario che scriveva, e del cronista padovano che ritraduceva. Nè meno utile per la storia il breve elenco delle navi catturate e dei prezzi ai quali furono vendute, secondo il tonnellaggio e lo stato in cui erano ridotte dopo la battaglia. Questo documento era fin ad oggi sconosciuto, ed io non esito a dire, che esso avrà per la storia marinara, e per la storia di Genova, un grande valore, se gli studiosi vorranno esaminarlo con attenzione ed interpretarlo. Nel ripubblicare qui, di sul testo datoci dal dottor Coggiola i due documenti marinareschi, m’è grato di constatare che l’editore si è reso chiaro conto della loro importanza, e, come tutto il resto del diario, ha procurato di illustrarli con ricco corredo bibliografico, quantunque gli siano sfuggiti (nè è da fargliene troppo grave colpa) lo Stella e il Canale e si limiti in una nota a pochi riscontri colla storia del Foglietta. Camillo Manfroni DOCUMENTO I. [Diario Jet Coni·, di Basilea, f>ag. 30j Azo eh’et tuto a vuj sia noto, adì quatro zugno zonssc l’armada de zenovexi al Cinbano che fono nave X galie 9 e do ga- * pero che era grandissima car ma ** - Finalmente lo Altissimo Dè noi dalle hore 12 a re 22/ senza intervallo nè re-poso, habiando rispetto alla giustitia ne dè vittoria. Primamente che la nave de Re la qual noi presento etc. » ¥ duc navi delle soc galee (?) fon tevac dalla battaja e son scampae *> m Son remasi prexoin ro re d’Aragone e ro re de Navarra. ro meistro de San Giacomo, ro duca de Sena μ No so da quae parte incomensÀ a di ri suoi luoghi e re soe proezze « pero ch'era grandissima corina * (sic) « Finalmente, come piacque al' altissimo Dio cobatendo nuj da le ore 12 fina a 22 senza intervallo nè riposso, habiando ri-speto a la santa justitia ne de' vittoria, primamente contra la nave ilei He. la qual prendeseemo. « Le altre dor nove et soe gaiic sonno campate » Son rimasi prcxoui el re di Ragon, eh' / mio pnxùne, et el re di Navarra, Γ In* fante, el maestro di Sam Jacopo, el duca di Scvo Non so da quale patrone jo cominci a dir le soe lode nelle prodeze GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 37 liote, dela quale al deboscar del mar mazor ne mandò una per riviera con uno suo inzegnero fino in Sinopolj e lì dismontà mostrando di voler andar in Tribixonda, e tolto quelo aviso tornò ala sua galiota; de li partitossi andò a trovar la sua armada, la quale era zonta al Cinbano. El sabado sequente che fo adì cinque zugno de maitina habiando la dita armada fato inbarbotare (i) le barche de le sue nave et quale messe sotto el porto et qui con grieve bataglia et taglia la catena del dito porto. Dove di sobito sporsse il suo irgano (2) dentro dal porto et lj se tirò a due a due senpre stando adimpeto dele dite nave et con grande et assai bombarde et mangani, tuti si misse quel zorno a suo luogi. La domenega smontò la zente et messe Γ assedio atorno et fu fato grieve bataglia, dove ne fo morti gran quantità de 1’una parte et de l'altra. El dì seguente la dita armata feno trare alcune bombarde di nave, non de le mazor, et cominciorno a trar più volte in una torre et di queste botò zozo gran parte et con un gran pezo di muro ; per che quilj dentro molto si sbigotino et per alcunj habitanti di quel loco fono a parlamento la sira con el capitanio de Γ armada per tratarli de darli el loco salvo l'aver et le perssone. El quale capitanio volse che i stesse a sua discretione: per che el marti matina dandoli la bataglia gli fu dato una dele porte. Vedendo questo el fio de signor Alessi, el quale s’ atrovò a esser dentro al dito locho, se ritrasse con cercha 70 persone. La zente intrà dentro et seguitando coloro per lo simile ebe el dito colle, fazando uccisione di tuti salvo el fio del signor Alexi (3) el quale fu prexo con uno candioto et cercha (4) di suo mazori, i quali sono tuti menatj ale nave e missi a gran destrita (5)· Fato questo fu messo tuto il Cinbano a sacomano con grande ocisione di perssone. Adì viiij del dito se partì le galie del Cinbano lassando le fantarie atorno ala Calamita (6) dove a queloro (7) dimandò quel loco; fogli risposto ch’el dì seguente a ora di vespro gli seria dado salvo l'avere et le perssone. Venuto l’altro zorno molte zente d’arme ch’eran rimasti al Cinbano se mis-seno ad andare per terra per fin ala Calamita dove vedendo che non apparia alcuno se misseno in ordene et appressentosse (1) Imbarbottare, vale corazzare, ricoprire con catene, legname, tende di cuoio. (2 ! Ir gatto, forse per argano; e vuol forse dire che i Genovesi, rotta la catena del porto, inviarono dentro una loro imbarcazione, che fissasse tni cavo, col quale poi, tirandosi, le navi a vela poterono entrare dentro. (3) Kyr Alexi era il signore di Teodoro, che si era impadronito di Cembalo. 141 Manca qui il numero dei maggiorenti fatti prigionieri. (5) Distretto — prigionia rigorosa. 1 6) Anche oggi si trova segnato il capo Calamita a sud est di Cembalo, nella punta più meridionale della Crimea. (7) Forse « a quell’ ora ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ala terra con scale et altri guarnimenti et non trovando resistentia intraron dentro et atrovano che tuti era fuziti et portate via tute le lor cosse. Vedendo questo subito misse fuoco per tuta la terra et quella arse lassando solamente le mura in pie, et ritornò al Cinbano: l’armmata si misse in ordene per scorere quella reviera di Gutia (i), l'altra armada andò scorendo per la riviera robando zò ch’i trovava, tuti coloro che in sua ubidientia non voleano esser. Adì sabato chiamò suo consiglio. El luni fo divolgato la dita armata andasse in Sorgati. Tuti aliegri se misse in ordene tirando versso la porta de Latin-borgo. Li aspetò su capetanio. El zorno avanti (u mandato uno ambassadore a Sorgati per far paxe et cossi fo fato. Insido il dito de la porta a mezo meio fo taiato a pezi. Torniamo al capitanio eh era zonto. Et trovò tuta la hoste esser zonti ala porta : qui tutj di suo comandamento ad uno ad uno mostrando di far la mostra i fè entrar dentro armadi et circunda alcuni caruzi (2) de la dita terra; et cussi s’andono a disarmar. A 22 del mese da maitina si misse in ordene la dita hoste. Andando la trombeta per la terra tuti furono in arme et tirando la dita zente chi a pie parte suso i carj, i quale furon per numero 612 sui qualj avian messo le sue arme, balestre, monition de veretonj et manteliti, scale, bombarde et altre cosse necessarie. Insidi andò per ispatio di due miglia dove tuta zente si-duta aspetava il suo capitanio, el quale se partì cercha a ore 18 con cavagli forse 60 con tre bandiere spiegate, l una della comunità sua, l’altra del duca (3), l'altra del dito capitanio. Al'insire dela dita porta de Lantinborgo colui che portava la bandiera la rompè in la porta; subito fu rimessa un'altra et ussì fora, tirando versso l'hoste: dove atrovadi tuti d una voxe disse d’andare avanti. E volsse la fortuna che per lo caldo grande tuti misse le sue armi suso i cari. E per lo simile le balestre, et tuti erano in zuponi [che parea andarssamo a nozej et cossi se misse in camino versso Sorgati; caminando le dite zente per spatio de mia x, se atrovò ad un luogo che se chiama Casta-zonia, eh'è miglia cinque luntan da Sorgati. Dove in quel luogo apparse suso una montagna cavagli cinque de Tartari. Viste le zente che andavano in anzi eh’erano cavagli 300 sui quali erano patroni di nave et altre zente mazore i quali avian fato smontare i cavalarj e quilj erano sanza armi ; visti i diti cavali cinque se ritrasse, avanti subito se descoversse altri x et tirando ( I ) Gutla, o meglio Golia per poco esatta reminiscenza slorica fu chiamata spesso, e specialmente dai Veneziani, la regione della Crimea orientale, da Cembalo a Soldaja. (2) Molto probabilmente il Gatari trovò la parola carusi vicoli) nella sua copia, che appare scritta da un veneziano pratico del dialetto genovese; e, senza intenderla, la riprodusse con mutata ortografia. 3 II duca di Milano, Filippo M. Visconti, signore di Genova. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 39 con gli archi le ireze, subito arsaltano le dite zente; et subito se discopersse n cento cavagli et non più; et trovandoli corno di sopra è dito disarmati, cadaun ferito, piovando le freze, se misse in fuga. I Tartari quili seguendo, facendo carne, per modo che l’hoste che dappe venia vedendo i suo da cavalo scampar, parsse ch'el mondo ge vegnisse a mancho ; non attendendo de tuor arme ni balestre se misse in rotta fuzendo in drieto tuti ; i quali podevano esser per numero cercha perssone 5000 et del' armada et altre zente in tuto perssone 8000, dove in fugi, missi lassavan i careazi et arme, dove che li ^Tartari li seguì più de mezo meio. Et se la note non fosse sopraçonta non ne campava homo. Fo cominciata la bataglia a ore XXII et durò fino a serra; quili ch’era fuziti caminò et intrò in la cita a pocho a pocho. Molti se aviano messo fra corpi morti per non esser guasti. E po la notte se levavanno et ventano ala terra. Quili eh' erano scampadi pochi ne fu che jînon fusse ferito, e biato era colui che non avia più di tre ferite, chi de freze, chi di spade, chi de Ianza. Romase i Tartari con victoria, menadi li careazi con tuta la roba in Sorgati feno meravigliosa festa. Il seguente dì doppo la victoria feno che ciaschadun andasse fuora ala campagna et a tuti i morti ta-gliasseno le teste et quello che avesse indosso fosse suo. Cossi fo deliberato et fu cargadi molti cari de teste et quele condute in sieme in certo luogo feno fare doe torre dele dite teste ; per lo quale comandamento i zudei che stano lì prexe animo et metesse a scuoder di christiani, i quali scossi subito ge ta-gliavanno la testa et quela portavan appresso Γ altre et cussi seguite miranda crudeltà. Di 27 giugno corsse cercha 200 cavagli di Tartari fin su le porte del Cinbano per che dado la stremia tuti con le arme corsseno: fo fato signale per quili di fuora di voler essere a parlamento; insì fora uno di quigli, fu dito che i diti tartarj voliano parlare con essi ; gli fu risposto che gli vignirìa mandato uno ambassadore. Et cussi le zente tartare se trasseno in drio. Possa i diti sono stati in molte pra-tihe di paxe. Abiando mandà questi suoi ambassadori a Sorgati adimandâno i prisoni : fu risposto eh1 erano contenti di dargli, ma voliano per ogni prixone di bassa conditione, zoè da remo, aspri 600. Li altri voliano se riscatasse secondo la sua posibi-litade. Ai quali fu risposto eh’el non g’era presoni de tal conditione. Queste pratiche durò per fina adì 13 luio. Et finalmente fu conclusa la paxe fra i Sorgati et quili di Chaffa, di quale prexoni non se 11e atrovò senno 42 di quali se ge n era con-vegnuto dare aspri 2000 per uno et non scosse de 42 se non 25^ In Chaffa è stato disarmato doe galie et una galia ch’era patron ser Babilan di Negro de che l'armata subito levò la zurma; et cossi è passato tuti quisti caxi per questa forma. 40 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA DOCUMENTO II. Adi XXVIII agosto zonsse uno corriero, il quale adusse lettere le quale erano mandate al Duca di Milano per la comunità di Zenova, le quale diseva in questa forma: Magnifice et prestantissime domine mi singolarissime et spectabiles et preclari cives. Avanti che nui scriviamo altro, nui scriviamo eh’ el ve piaga riconoscer questa singular vitoria dal nostro signor Dio e dal bon missier Sam Zorzi et Sam Domenicho in la festa del quale fu la nostra asai sanguinente bataglia, de la quale nui siamo stati vitoriosi non per nostre forze, ma per la virtù di Dio, habiando la justitia de la nostra parte. Lo quatro di questo mese da maitina noi trovamo nel mare di Terarsina assai presso tera l’armata del Re di Ragon di nave 14 ellette infra XX, de le quale n’era nuove grosse con mirabilie bei-tresche, su le quale erano i re et principi, le altre erano co-munavole con homini vj mila per quelo che nui possiam sapere da elli, sì che la minor nave da 300 in 400 homini avia, le altre de 500 in 600. La regale de Vili cento nella quale era il dito Re con infiniti principi et 120 cavalieri, galie XJ, galeote 6. Era alora al vento garbin, noi habiando a mente la vostra co-missione di non prender bataglia, se altramente era possibille era (sic) di dar socorsso a Gajeta, se Sforzavano arar a vento, navicando inver Porssia, et elle sempre seguitandone et le galie soe molto presto furono a noi, ale quale io mandaj uno mio trombeta pregando la maiestà del Re che non ni volesse dar inpazo ma ne lassasse andare a Gaieta et che lo illustrissimo signor nostro et la nostra comunità non volia ni bataglia ni guerra. El venere maitina lui mi mandò uno suo chavalier mi-sier Francesco da Capova col quale parlai largamente con questo che non volevamo ni guera ni bataglia. El dito misier Francesco fece al Re ferma speranza che per paura io lo dicea. Et incontinente mi mandò uno altro chavaliero col suo araldo, quasi comandandomi mi disse eh’ io mettessi a basso le velie ; et subito le^nave sue col vento in pope, cridando « bataglia, bataglia » con bombarde et balestri m’invistì. La prima che ne venne a investire fo la nave del Re con tre altre nave et forno insieme cattenati. Animoxamente sapiando che da pope venia 1’ altra nave et da proda l’altra, l’altra da lato, non pensai che li nostri compagni patroni fugissen, ma molto tosto me aidò et funo in tre mote a nui. Egli et nui et tute galie incathenate riffor-zando le lor nave de homini, oltra peçio (t) era però ch’era grandissima corina; final mente corno piaque al'altissimo Dio co-batendo nuj da le ore 12 fina a 22 senza intervallo ni riposso (1) Qui il Gatari ha omesso una frase, che, secondo il testo del Vecchj, pare voglia significare, che le navi del re bersagliarono 1’ armata genovese gran pezzo ; di tutta questa frase non è rimasto se non gran pezzo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 41 habiando rispeto a la santa justitia ne de’vitoria ; prima mente contra la nave del Re la qual prendessemo et cossi tre altre nostre contra nave n, sichè in summa sono state prexe nave 12 de l’armata del Re et una sua galea brusata et una andà a fondi. Le altre doe nave et soe galle sonno campate per portar novelle. Son rimasi prexoni el re di Ragon, eh'e mio presone (i) et el Re di Navarra l’infante, el maestro di Sam Iacopo, el Duca di Scyò, el Principo di Taranto, el fio! del Conte da Fondi, el Viceré di Zezilia et infiniti chierici, conti, baroni et chavalicri, zentilomini con Minicusso dal’Aquila capitanio di 300 lanze. Li prexoni poi a milgliaro. Avisando la Magnificentia et Reverentia vostra che l’era con questa nave hominj d’arme iooo come sereti avisato (2) più spatio et per conforto de tuti ve certificamo ala Magnificentia et Paternitade vostra eh’ io non so da quale patrone io cominci a dir le soe lode nele prodeze et la grande ubidientia, che sempre son stati dal dì che se partissemo fina a questo : et maxime lo dì de la bataglia, che se elli avessono auto davanti la vostra Signoria non averiano fato meglio. Gli meritano d’ esser lodati et rico-nosiuti singular mente. Christo vi dia gratia che possiamo andar de ben in meglio. Data festinantissime die sexto augusti 1435 hora terciarum in mari. Dum apropinquamus Gaietam ecce novum habemus optimum quod nostri existentes in Gayeta ineutes (ineuntès) campum inimicorum propter victoriam contra reges viriliter insultantes eos inimicos in conflictum posuerunt et retinuerunt multos captivos. Post scriptas litteras quas mitto vobis per Carnem Salatam curssorem domini nostri Pape o hauta una letera la quale manda el prudente et savio homo de Arerem (Assereto) capitanio de 1’armata deio inlustro et excelsso signor nostro la qual vi mando in questa sotoscrita. « Ilustro et excelsso Principo. Da poi la singular vitoria la quale la festa di Sam Domenicho ni fu concessa, adi 5 di questo habiamo navichato versso Gaieta ove era lo campo di molti homini et finalmente lo magnifico Ottolino et misier Francesco Spinola habiando la nuova sabato de la rotta universale del’armata del Re la quale avrà alegrato molto quel campo. Essendo assalirno (3) il campo predito non avia habuto se non le.....(4) (1) Come giustamente osserva l’editore, questa frase eh è mio pre-xone — dirime la controversia intorno alla dedizione del le Alfonso, perchè nell’ edizione del Giustiniani queste parole furono omesse, forse a scopo partigiano. (,2) Si può supplire, col testo Vecchj, « quando haveremo ». (3) Il Coggiola legge assaierno ; ma che c’entra Salerno con Gaeta? Forse 1’ errore deve attribuirsi al Gatari, che lesse male la lettera del-l’Assereto dove certamente era scritto assalirno. (4) Manca una frase del testo. 9 42 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sì che restano infiniti prexoni et prexe bombarde et victaurie assai. Sì che signor mio supplicamo ala Serenità vostra apra bene lo intendimento in questa casone, però che conossendo questa da Dio, la Signoria vostra può aver Italia nelle mani. Certificando ala Serenitade vostra che più de quatrocento zen-tilhomini sono vostri prexoni; e per mazor gaudio de la vostra Celssitudine mando li nomi de li prexoni. Item suplico se doverano esser conduti a Millano che la Signoria vostra non mi voglia tuor el mio honor eh’ io sia queluj che gli conduca, ma sempre si t'aza quelo che piaxe ala vostra S. Data navi die g° augusti 1435. Prima · el Re di Ragon nominato Alfons ( I ) ' Item el Re di Navarra nominato Ioliane El Maistro di Sani Iacopo, nominato Andrie El Principo di Taranto El Duca di Sex fSessa) El Conte dì Castro El Conte di Campo basso El Conte di Catelogna El Conte Zuhanne da Montenix El fiolo del Conte di Fondj El fiolo di misier Christoffano Gaet-tanno Misier Nihola da Spironella viceré di Zezilia El fiolo mazor del dito Re Misier Yesue duca d’Atri El fiolo di misier Mihiele da Precìda Misier Francesco di Beluxo signor di Pantalena Misier Iarex Ianne governador di Sar-ragosa Misier Francesco di Pandi da Prato Misier Iuan da Moncada Misier Infare s. de Incalmuto Misier Francesco di Roges Misier Rodex de Maridoxe Misier Perando da Sandora Misier larme da Ragone Misier Zuan de le Donzelle Misier Salvo da Lastra Misier Zuan Luixe da Navarra Misier fra Piero Prandofior Misier Carluço de Pagne Misier Paris Homedìo Misier Iachemo fiol del s. Malacarne Misier Zuan secretario mazor del Re Misier Socharcio Misier Iachemo de la Lionessa Misier Tomaxo Chaffare Misier Lodio Starcuele Misier Vasalo'di Spiralj Misier Pandoa Pagani de Navarra Misier Francesco Nimbro Misier Antonio de Ugadra Misier Piero Zuhanna de Villafrancha Misier Federigo di Drago Misier Predigo da Calcule Misier Adoardo Sacheto Misier Zuan Pagade de Naversa Misier Zuan da Villa Nagarda Misier Zomorille Misier Ramondo de Balmer Misier Anfons Fortin Misier Ramondo de Banamente Misier Rodigon Dagnus da Castella Misier Lodovis de Ragon Misier Castellani di Fordia Misier Zuan Barnel Misier Piero Carbon Misier Anechin Alarch Misier fra Gartia di Fortefìor Misier lego de Fagliardo Misier Ranbaldo de Lamfrede Misier Rainaldo Ragon Misier laime di Cardona Misier Anthonio de Lanzo de Paga Misier Carlo Pagain Misier Alois Romeo de Barcellona Misier Mihielle Pilligrin (1 ) In questo scorrettissimo elenco ho corretto alcuni fra i più evidenti errori di trascrizione o di stampa ; ma è quasi impossibile ricostruire il testo esatto. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 43 Misier Z'uana de Carnuer Misier Znan de Cardona Misier Francesco Salvier Misier Francesco so zenero Misier laime di Cama Misier Baldissara Ban da Valenza Misier Rigo di Mazara Misier Bellenzier de i Nigri Misier Francesco de Vaga Misier Marini dai Falconj Misier Agostini di Golii Misier Simon di Bon Conti Misier Antonio da Ragona Misier Marom de Asso Misier Raimondo Frasey Misier Francesco da Valenza Misier Piero da Marille Misier Antonio Messo di Spagna Misier Rigo di Zermano Misier Antonio Rosso da Messina Misier Matio di Zenario El gran m.o Rantur Meneguzo da l’Aquila, condutor di zente d’ arme Patroni de nave. Zoiìredo de Morance da la nave mazor Iachemo d’Anfons Uliver Vasteler Chabrioto Reario Bernardo Lorenzo Piero landigi VARIETÀ APPUNTI DI TOPONOMASTICA. 1. « BRAYDA SIVE GLAREA » E LE « BP.AYDE » DEL BISAGNO. Già altrove ebbi a notare come presso di noi durante il medio evo, ed anche più tardi, il nome di Braida o Braya, in dialetto Braea, fosse in peculiar modo attribuito a quei tratti di greto che spaziano all’ orlo dei torrenti, ove le acque non giungono che scarsamente durante le grandi piene e vi depongono una certa quantità di terreno alluvionale, bastevole allo sviluppo di una vegetazione d’erbe da ridurli come a prato ed anche suscettibili di coltivazione (i). A comprovare l’uso di tal (i) PODESTÀ. Montesignano, S. Eusebio, Serrino e la Doria. Genova, tip. della Gioventù, 1902, p. 26. laime Botto Fugazotto Ziguier Francesco de Molio de Barzellona et molti altri nobilli cittadini mercatanti et artesanni sonno statti prexi che molto saria longo ascriver tuti per nome Nave vjij prexe a bottino Nave quattro messe a fondo Nave quattro fo arsse nel porto di Gaietta Galee xit prexe eh’ era nel ditto porto Nave II fuzì ala via di Zezillia con 1’ Intente di Castiglia et doni Piero de Ragona fratei del Re e ’l Prìncipi) di Salerno Nave vendvde. La nave di Morance. Anthonio Carlo Zenovexe compra per fiorini 1100 La nave di Fugazo — Galleotto Gri-maldo conpra per fiorini 2050 Iachemo Calvo compra la nave di Fugazotto et quella di laime in tato per fiorini 3050 Iachemo de Vivaldo compra la nave de Virmines per fiorini 6060 Carlo Talin compra la nave di Ziguer per fiorini 600 Antonio de Ben infra, compra la nave de Uliver per fiorini 1300 44 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA voce citai gli esempi che ce ne presentano parecchi Manuali delle possessioni del Comune pel secolo XIV. Ne’ quali accennandosi ripetutamente ad un possesso posto in Val di Bisagno nei pressi di S. Eusebio e nel luogo detto la Ripa, ne è notato il coiiïïne di questo modo: inferius Broya Bisannis, oppure: inferius glarea Bisannis. Donde s’ impara che Braya e glarea erano voci adoperate a indicare la stessa cosa, o meglio avevano lo stesso significato. Accennai ivi altresì come col nome Braida e Braya, volgarmente Braca, si chiamasse quel tratto di greto del Bisagno stesso, spaziante tra la demolita Porta Pila e la falda del colle di Carignano; Braida dalla quale s’intitolava appunto la via che dalla Porta civica degli Archi metteva già al Ponte di s. Zita e di cui rimane tuttora un tratto a mare della nuova strada che s’addimanda dal XX settembre (ij. Citai infine come un decreto dell’8 ottobre 1521, con che i Padri del Comune vietavano di portar rottami e calcinacci nel greto o brea al di là del Besagno, ci additasse un’ altra Braida sulla sinistra del ridetto torrente dì contro alla dianzi ricordata Braida e costituita ugualmente da un tratto di greto, siccome dice e dimostra il decreto stesso. Ora ecco a conferma di siffatta denominazione in senso di greto, due altri documenti da me recentemente rinvenuti. Il primo dell’8 gennaio 1549 che reca il nome di Braida per indicare un tratto di greto sempre all’orlo del Bisagno, è una supplica sporta al Governo da Andrea Promontorio de Ferrari, nella quale espone com’ egli possiede una terra ortiva in braida seu glarea Bisannis, contigua al Ponte di s. Agata. E poiché i suoi vicini laterali hanno esteso le loro terre, ugualmente ortive, sul greto antistante, domanda che sia concesso anche a lui di fare altrettanto. È l’altro il proclama pubblicato dai Padri del Comune all’effetto di detta concessione; e in questo si legge pure: Braida sive glarea Bisannis. Taccio poi che siffatta doppia dicitura è ripetuta altresì in una nuova successiva domanda del Promontorio. Abbiamo così altre e più recenti conferme che la voce Braida o Braya si usava in significato di « greto », e propriamente di quei tratti, come sopra è detto, spazianti al-1’orlo dei torrenti, che per il sedimento lasciatovi dalle alluvioni, si vanno a poco a poco rivestendo di erbe, e trasformando in prati riducibili a coltivazione e specialmente ad orti, per la facilità di poterli irrigare coll’acque stesse del torrente. Tutto ciò conferma infine un altro proclama del 9 maggio 1578, il quale invitava chiunque avesse voluto opporre alla richiesta fatta da Lazzaro Ermerigo perchè fossegli concesso un tratto di suolo o greto pubblico posto in la Braida di Besagno dal Prato della lana sotto le muraglie (civiche) di Carignano, il (I) Podestà. La Porta di s. Stefano, la Braida e la regione degli Archi, Genova, tip. Sambolino, 1894, p. 15. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 45 qual tratto di suolo pubblico egli aveva ridotto a cultura. La Braida infatti della quale restò memoria nella via di cui dicemmo sopra, si estendeva dai pressi della Porta Pila fino ai piedi del colle di Carignano, presso al Prato della lana, nel qual ultimo tratto ebbe perciò nome di « Braida di Carignano ». E un’ altra Braida ancora e sulla sinistra del Bisagno presso alla Foce, ci viene indicata da due ordini del 3 febbraio e primo aprile 1622 che imponevano ai mulattieri di trasportare i calcinacci e i rottami in braida Brisamnis iuxta Lazaretum. Quanto alla etimologia della voce Braea, ne’ rogiti Braya e Braida, lascio ai dotti lo spiegarlo. Dirò soltanto come fosse scorretta la scritta di « Abrara » che recavano un tempo le targhette murate ai capi del residuo dell’antica via che aveva tolto nome dalla Braea spaziante al di qua del Bisagno. Del detto errore era stata cagione la falsa interpretazione data allo esprimersi del volgo che pronuncia in-a Braea (nella Braida), collegando cioè l’articolo al nome; in quel modo istesso che il popolino dice tuttodì in-o campo, per indicare la nota regione e via del Campo in città, tra la Piazza del Fossatello e la Porta dei Vacca. Ne porge esempio un ordine dei Padri del Comune, del 3 settembre 1619, che ingiunge ad alcuni possidenti di far sbarazzare « elusas eorum molendinorum in loco vocato in a brea. II. U PILA SIVE PONS » E LA DENOMINAZIONE DI BORGO E PONTE PILA. Dell’antico Ponte di s. Zita, narrai già le vicende nelle mie Escursioni in Val di Bisagno (1), e toccai pure della vicina chiesuola, dalla quale esso aveva tolto il nome, unitamente alla circostante regione che or diciamo « Borgo della Pila ». Dirò qui invece della origine di un tale appellativo, ed il perchè e come fosse attribuito alla regione stessa ed alla Porta civica che vi metteva. I nostri Avi davano il nome di Pila non soltanto ai ponti che attraversano rivi o torrenti, ma a quelli eziandio costruiti al margine del Porto per effettuare lo sbarco e 1 imbarco delle merci e^delle persone. Ce ne ammaestra un’ordinanza dei Padri del Comune in data del 10 marzo 1608 che proibiva di vendere mala medica in platea pile Spinulorum; la piazza cioè del Ponte degli Spinola, scomparsa poi per l’apertura della via lungo la Ripa. Così addì 3 aprile successivo, si permette a Pietro Lomellino habendi Ugna ad uso della sua casa: ex pila Calvorum, vale a dire dal Ponte dei Calvi. Tre anni dopo, 1611,21 gennaio, ne abbiamo nuovo esempio in altro decreto che ordina di pagare all’ architetto ed II 1 Genova, tip. Sordomuti, 1878, p. 25 sgg. 46 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA a parecchi ufficiali pubblici diverse somme, in rimunerazione delle fatiche straordinarie fatte durante 1’ escavazione del Porto, mter pilas lignorum et Clavari. Tra il ponte delle legna, cioè, e quello dei Chiavari. Altro esempio ne porge l’imprestito consentito, addì primo giugno 1615, a Gerolamo Gardano di certa macchina per valersene in piantar pali sulla spiaggia di Cogo-leto : ad construendum pontem sive pilam publicam. Un ponte in legno per l’imbarco della calce che in peculiar modo si cuoceva allora in quel paese della Riviera occidentale (ij. Pel 1619 tre altri esempi vengono fuori. Uno del 20 febbraio che si ha in atto di concessione al capitano marittimo Enrico Wulman di scaricare tavole super Pillam Calvorum·, e gli altri del 10 e del 15 successivi in locazione fatta a Bartolomeo Giannotto di un magazzino posto : penes pillam Cattaneorum. Il Ponte de’ Cattanei presso al Mandraccio. Il 21 febbraio 1620, Gio. Paolo Moresco ottiene uno spazio in capite ripe maris pille Mercature ; ossia alla Ripa del Ponte della Mercanzia, allo scopo di porvi stanza per vendere grano. Più valido ancora ed anteriore di più anni ai citati è 1’ esempio che ne somministra una lapide in marmo recante un’iscrizione riferentesi al prolungamento eseguito nel 1590, del già menzionato Ponte dei Calvi. Essa dice: Pilam hanc Nicolaus Gambarupta, Stephaniis Invrea, Iohannes Franciscus Sfrinula, Petrus Baptista de Franchis et Iohannes Thomas de Oliva, Patres Comunis Portusque et Molis Conservatores ex S. C. palmos ducentos vigintiquinque perducendam curaverunt Anno Salutis MDLXXXX. E che siffatta iscrizione si riferisca al prolungamento operato in quell’anno al detto Ponte, ne è indiscutibile prova il decreto edito a tale effetto addì 11 settembre stesso anno, cosi concepito : Posteaquam Deo favente assensu amborum Serenissimorum Collegiorum, adnitentibus infrascriptis Magnificis et Prestantis-simis D. D. Patribus Comunis, Conservatoribus Portus et Molis, remanet perfecta auctio palmorum ducentorum vigintiquinque Pontis Calvorum, propterea decretum affigendum esse menijs eiusdem lapidem marmoreum cum verbis in eo incisis infrasci i-ptis ut posteris sit memoria ecc. Segue quindi la dicitura della lapide, come sopra: Pilam hanc Nicolaus Gambarupta ecc., e chiude: Anno Salutis MDLXXXX (2). Niun dubbio pertanto ( I ) Cogoleto, in dialetto antico e tuttodì : Cogoèuo. Nei documenti medioevali si ha costantemente cogo per « cuoco » e pancoçolo per fornaio da pane. Cogoèuo significherebbe forse « cuocitoio » ossia fornace? In Gogoleto, infatti, erano e tuttodì sono fornaci per la cottura e produzione della calce. Di questa che in antico si navigava al nostro Porto, si hanno notizie, specialmente pel secolo XII. Del pons calcine, sul quale la si sbarcava, e degli ordinamenti sulla pesatura, vendita, gabella e monopolio della calce, è cenno nel Liber Jurium, del Comune. (2i Detta lapide si conserva ora nel Museo del Palazzo bianco. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 47 eh essa non si riferisca al Ponte dei Calvi, il cui prolungamento, siccome si legge in una supplica del 15 marzo 1591, lo aveva reso : ad ornamentum civitatis e proprio ad recipiendum reges et principes. Altro esempio infine della voce Pila, adoperata per indicare un ponte marittimo da sbarco, ce lo somministra il seguente decreto del Senato, in data del 12 giugno 1629, che stante la sua brevità, trascrivo testualmente. Prestantissimi Patres Communis possint rudera fabrice P. Officij Monetarum super Pilam quam vocant M. Spinulorum reponi permittere, ut inde cimbarum ministerio auferantur. Del resto basterebbe da solo 1’ordine dato il 13 gennaio 1623 a Giacomo de Franchi, deputalo alla cura del Porto, perchè facesse aptari pontes seu pillas maris. Ma quel che già ho notato al mio proposito si è che il nome di Pila non era soltanto attribuito ai ponti di sbarco costruiti in mare, ma .ai ponti tutti di qualsiasi fatta. Un atto del 3 luglio 1253, che ricorda una casa posta in Poleevera « loco ubi dicitur ad, pilam super terra sancti Bartholomei de fossato, mentre non addita il dove, ci lascia però comprendere che la regione doveva il proprio nome ad un ponte. Piloni son detti tuttodì gli alti ponti-canali dell’Acquedotto civico, che varcano i rivi di s Pantaleo e della Briscata a Casamavari e del Rivotorbido a Struppa, e così pure è detto 1’ altro a sifone sul Geriato, tra Molasana e Pino. E finalmente venendo al Borgo della città, che ha nome di « Pila » citerò soltanto tre documenti, comecché sufficientissimi a dimostrare l’origine della sua denominazione. Sono questi, un ordine del 29 agosto 1619 che ingiunge ai mulattieri di togliere ed asportare i ruderi da essi versati subtus fornices pille Bisanni; sotto gli archi cioè àz\\a.pila (ponte) del Bisagno; e ciò affinchè restasse libero il passo alle alluvioni del torrente. Altro ordine consimile del 6 dicembre stesso anno reca invece: sub arcubus pille sancte Citte; il ponte di s. Zita, come più comunemente era detto ne’ secoli anteriori ; rovinato nel 1822 per la memorabile piena del Bisagno avvenuta il giorno di s. Crispino. Citerò ultimo un rescritto dell’11 agosto 1645 che incarica 1’ architetto del Comune di visitare la strada che dalla città mette a San Martino d’Albaro, e insieme ad essa : pilam sancte Cite, il ponte predetto ; per riferire quindi sulle riparazioni necessarie all'una e all’altro. E potrei continuare citando altri e più atti di quel tempo, ne’ quali si hanno spessi cenni relativi a case, orti e spazi pubblici, posti ad Pilam Bisamnis; che è a dire nella regione o Borgo presso il ponte stesso. Possiam dunque pienamente convincerci che 1’ abitato contiguo al tempio eretto dai lucchesi al culto della santa vergine Zita, loro concittadina, tolse nome di Pila dal vicino ponte, e fu chiamato poi Borgo del Ponte Pila; denominazione che è ormai consacrata dall’uso di più secoli. Devo però notare che Pila è voce classica latina avente si- 48 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gnificato di molo, scogliera artificiale od argine a difesa di un porto. Ce ne ammaestra Virgilio nelle Eneidi, laddove per similitudine a due combattenti descrive le ondate del Tirreno che irrompono contro il molo del porto di Baia, dicendo: « Talis in Euboico Baiarum littore quondam Saxea pila cadit, magnis quam molibus ante Constructam ponto jaciunt » (1). Ne reca conferma Vitruvio dove insegna il modo di effettuare siffatte costruzioni. Altri pertanto potrebbe soggiungere che i nostri vecchi, considerando forse i ponti di sbarco quali piccoli moli, usassero la parola pila, non già figuratamente, sibbene invece per maggiore proprietà di lingua. Ma per amor del vero, non attribuiamo loro un merito che essi stessi sconfessano nel modo il più assoluto. Imperocché nei numerosissimi atti da essi vergati relativamente al molo vecchio non scrissero mai e poi mai la voce pila, che in tal caso avrebbero invece dovuto adoperare costantemente. Nè tampoco 1’ adoperarono scrivendo del molo nuovo, la cui costruzione si discuteva, si deliberava e si effettuava col sorgere del seicento ; in quel periodo di tempo cioè in che appunto si faceva tanto abuso della voce pila. Riposiamoci dunque tranquilli nel primo nostro apprezzamento, e cioè che la denominazione di « ponte » attribuita agli sbarcatoi del nostro porto, e adoperata ormai da molti secoli, ebbe origine dal fatto che presso di noi i primi sb:rcatoi erano stati costruiti con pali infissi nel fondo del mare e inchiodati con assi e travi, in quella guisa stessa che si gettavano in passato e tuttodì si gettano i ponti lignei sui torrenti e fiumi. Da ciò pertanto e non da altre cagioni il nome di « ponte » dato a siffatti sbarcatoi, e quindi la denominazione di pila attribuita ai ponti di qualunque fatta. Chiuderò con un esempio anche sotto questo ultimo aspetto; il decreto cioè del 21 febbraio 1620 che permette a Gerolamo de Marini e G. B. Grimaldi di construi facere pillam ligneam qua habeatur transitus ex fenestris domus Luce Spintile 'ad domum m. Ioanettini Spinule. Francesco Podestà UN INCIDENTE IN MATERIA DI STAMPA NEL 1846. Anteriormente al 1848, cioè prima che il Re Carlo Alberto concedesse le famose riforme, prodromo della costituzione, la stampa era soggetta ad una severa censura politica e religiosa, e nessuno poteva pubblicare alcunché, senza averne prima ottenuto la permissione. Perciò talora avevano luogo dei dibattiti (1) Aeneid., IX, 710-12. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA fra gli autori o gli editori ed i membri preposti all’ufficio della revisione, e non pochi e curiosi sono gli aneddoti che si raccontano a tale proposito. Ma non è di questi che intendo ora parlare, bensì di un'incidente occorso all’infuori della sfera d azione dell ufficio di revisione, e cagionato dalle idee del più puro assolutismo e militarismo, rappresentato dalla persona del Governatore, Comandante Generale della Divisione di Genova, Marchese D. Filippo Paolucci, Generale d’armata, Ministro di Stato etc. etc. etc., il quale come prima autorità governativa aveva la massima influenza sulle cose della revisione, facendo capo a lui quanto si riferiva alla politica. Si era allora nell’autunno del 1846, e Genova nostra aveva accolto nelle sue mura 1’ ottavo fra i congressi degli Scienziati Italiani, convegni che tanto contribuirono a diffondere nelle varie provincie d’Italia l’idea del patrio risorgimento. Il Congresso si inaugurò il 14 settembre con una solenne funzione di messa e cantata del Te Deum in S. Lorenzo, alla quale intervennero gli scienziati, che poscia passarono nel salone del Palazzo Ducale, ove il Presidente Generale marchese Antonio Brignole - Sale, Ministro di Stato ed Ambasciatore del Re di Sardegna al governo del Re dei Francesi, pronunziò un applaudito discorso d’occasione, e si elessero gli ufficiali delle diverse sezioni. I lavori di queste dotte adunanze si possono leggere in un grosso volume in quarto, edito a cura del Municipio dal tipografo Ferrando, ed un esemplare di esso fu donato a ciascun membro del Congresso. Ma mentre si andava componendo e stampando detto volume, che solo potè essere ultimato un anno dopo la chiusura del Congresso, si faceva un’ altra pubblicazione di pratica utilità per tutti coloro che si interessavano dei lavori del medesimo. E questo era il Diario dell’ ottavo Congresso scientifico Italiano, foglio in quarto, ove oltre i nomi dei congressisti, si dava giornalmente ragguaglio delle loro adunanze, delle memorie, dei doni, e di quanto aveva relazione col Congresso. Questo foglio si stampava anch’ esso a spese del Municipio e dal suo tipografo Ferrando, ed era redatto sulle note che i singoli segretari delle sezioni avevano compilato, e sotto l’alta sorveglianza del marchese Antonio Brignole-Sale presidente generale del Congresso. La qual cosa non impediva che i redattori del Diario si trovassero talora alle prese con gli incaricati della revisione, che non volevano fosse stampata qualche frase o parola detta dai congressisti. Or avvenne che nella seduta del 19 settembre alla sezione di agromonia e tecnologia, presieduta da Raffaele Lambruschini, Pasquale Mancini dava lettura di un rapporto fatto a nome della Commissione incaricata nel precedente Congresso tenuto a Napoli, di raccogliere notizie intorno lo stato della istruzione primaria e tecnica nelle diverse provincie d’Italia, e di esso ve- Giorn. Si. e Leti, della Liguria, V. 4 50 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA niva fatto brevemente cenno nel numero 6 del diario sopra accennato che si pubblicò la sera medesima, ove leggevansi queste parole : « La quale sposizione arricchita e ravvivata da eleganti e nobili riflessioni e desiderii, riscuote più volte unanimi applausi raddoppiatisi con entusiasmo là dove l’egregio Cavaliere, dopo accennata colla scorta dei criminali registri, la forte influenza della popolare istruzione sulla popolare moralità, conclude con quest’altissima sentenza di un moderno: L' istitutore e non il cannone sarà in avvenire Γarbitro dei destini del mondo ». Senonchè mentre il diario si andava stampando, e già alcuni fogli erano stati distribuiti, qualcheduno, tenacemente attaccato alle idee del passato, richiamò Γ attenzione del Governatore sopra la sentenza enunciata, facendone risaltare l’arditezza, ed egli senz’ altro, rappresentante della forza, diede ordine che il diario non fosse distribuito, e solo dopo diversi parlari vi accondiscese, con che però non vi si vedesse la sentenza suddetta, cancellandola con inchiostro da stampa sulle copie già impresse, e facendo l’opportuna correzione alla composizione che era in torchio per le altre. In conseguenza di ciò sulle copie pronte per la distribuzione si soppresse la suddetta sentenza, con sbarre di nero, e si corresse la composizione in torchio, facendo finire il periodo colle paròle raddoppiatisi con entusiasmo. Ma il rimedio delle sbarre di nero era peggiore del male, chè tutti coloro a cui andava in mano il foglio, erano senz’ altro avvertiti da quel nero che doveva essere occorso un qualche incidente e lo andavano ad indagare, per cui la cosa si propalò subito, e le parole soppresse furono ben presto conosciute. Immensi furono i commenti che si fecero a questo fatto, nè certo benevoli all’indirizzo del Governatore. Onde costui, passato il primo impeto, si pentì dell’ordine dato e decise di lasciar correre in avvenire, per cui nel sunto dell’ adunanza medesima stampato in supplemento alla Gazzetta di Genova del 22 settembre 1846, allora questo foglio usciva solo tre volte la settimana, la sentenza incriminata venne stampata per intiero. L’incidente però non era finito. Il marchese Antonio Brignole -Sale presidente generale del Congresso, si offese grandemente della intromissione del Governatore nella pubblicazione del Diario, tanto più che, a quanto dicevasi, Γ articolo nei termini come era stato pubblicato, aveva avuto il suo permesso ed esigeva una riparazione. D’altra parte il Governatore, come capo del Governo, non poteva sconfessare l’opera sua e dichiarare che aveva sbagliato. Occorreva trovare un mezzo termine che salvasse tutte le convenienze e questo fu trovato, e dopo diversi dibattiti convenuto nel modo seguente. Il diario in uno dei prossimi suoi numeri avrebbe pubbli- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cato nella sua integrità il paragrafo mutilato facendolo precedere dalle seguenti parole: Paragrafo intiero sul Rapporto del Sig. Cav. Mancini, letto alla sezione di agronomia e tecnologia, sospeso in parte momentaneamente nel n. 6 di questo Diario, pag. 4-Jcol. 2.a Questo fu fatto nel foglio del 12 settembre 1846 a pag. 123, e così ebbe fine la vertenza. Come si vede le spiegazioni surriferite si addattano ad ogni copia, tanto a quelle sbarrate in nero, come a quelle mutilate, in cui il periodo fu troncato dopo raddoppiatisi con entusiasmo, e le parole in parte alludono alle copie della prima tiratura, che furono distribuite intiere. In conseguenza di quanto ho narrato, tre sono le varietà che incontransi alla pagina 49 del Diario. Primo: quelle in cui il paragrafo fu riportato intiero, e sono quelle stampate e distribuite per le prime. Secondo: quelle in cui fu cancellata con linee nere la sentenza: L'stitutore, e non il cannone, sarà in avvenire Γ arbitro dei destini del mondo, le copie cioè che erano in stamperia già pronte per la distribuzione. Terzo: Quelle dove fu eseguita la mutilazione in torchio, ed il paragrafo finisce colle parole: raddoppiatisi con entusiasmo, le quali vennero stampate e distribuite per le ultime. Le diverse biblioteche di Genova posseggono esemplari di tutte e tre le varietà. La Fransoniana, ne ha uno della prima, cioè completo; la civica della seconda, colla sentenza cancellata dalle linee nere; l’universitaria della terza in cui il periodo è monco e finisce colle parole: raddoppiatisi con entusiasmo. La Brignole-Sale invece ne ha tre : uno della prima varietà elegantemente legato in pelle rossa con taglio dorato; un altro simile a questo ma non legato, ed uno della terza varietà; quella dei Missionari Urbani, lo ha pure di quest’ultima. Nell’archivio municipale poi sono diversi esemplari dei fogli del Diario, ove il numero 6 è in parte colle cancellature sulla famosa sentenza, ed in parte colla correzione fatta in torchio, ove il periodo finisce colle parole sopra accennate, ed uno solo della prima tiratura col periodo intiero. Credo pertanto che di queste ultime se ne sia stampato un molto minor numero di copie, e siano più difficili a trovarsi. Marcello Staglieno In appendice al mio scritto intorno a Bartolomeo Facio, comparso nell’ultimo fascicolo del 1903 di questo Giornale, ho pubblicato i regesti di venticinque lettere del cod. vat. 5197 falsamente attribuite al Facio, e che, per alcuni riscontri trovati in esse, riferii tutte a Gaspaiino Barzizza. Ora debbo notare che non tutte son sue; ma che la III, la IV, la V, la VI e la IX sono del Guarino, già segnate sebbene con varianti, dal Sabbadini nel suo Indice ; che la XV è pure guari-niana, secondo mi scrive lo stesso cortesissimo prof. Sabbadini, il quale dubita pure di altre; e che Γ ultima, del Barzizza, fu già pubblicata dal Furietti (p. 166 sgg.). U. M. 52 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Ilario Ri nie ri. Corrispondenza inedita dei cardinali Consalvi e Pacca nel tempo del Congresso di Vienna [1814-1S15) ricavata dall'archivio secreto Vaticano corredata di sommarii e note preceduta da uno studio storico sugli stati d’ Europa nel tempo dell’ impero napoleonico e sul nuovo assestamento europeo e da un diario inedito del AI.se di San Marzan plenipotenziario in Vienna del Re di Sardegna. Torino, Unione Tip.-Edit., 1903 ; in-8, di pp. LXXXII-774 ; con tav. Questo volume, tutti gli studiosi della nostra storia debbono confessarlo, ha una capitale importanza, perchè, nonostante certe non dissimulate lacune, ci presenta in un modo chiaro, efficace, luminoso le modalità onde si iniziò si svolse ed ebbe compimento il celebre convegno che pareva dovesse riordinare l’Europa con provvedimenti politici seri e duraturi, e negli effetti non raggiunse i fini che si era proposto. L’Italia, come è naturale, ha qui una parte preponderante e spiccata, poiché la restaurazione della sovranità pontificia, e il ricupero del suo territorio, si lega con 1’ assestamento di tutti gli altri stati, gli assegni nuovi ed i compensi, la rettificazione e la delimitazione di confini, la forma di reggimento politico, l’occupazione e la tutela straniera. In fatti l’opera d’integramento territoriale a cui alla fine riuscì il Consalvi, in servigio del Papa, malgrado le opposizioni e gl’ intrighi diplomatici contro cui dovette destreggiarsi e combattere avvedutamente, si delinea e si palesa in mezzo a tutti quei molteplici interessi che tenevano guardinghi e balenanti gli arbitri de’ politici destini d’Europa. Così dalle pagine eloquenti e sagaci di questo singolare carteggio noi veniamo edotti intorno a quei fatti, i quali si svolsero sotto gli auspici della santa alleanza, in un periodo che se chiudeva nelle forme materiali ed esterne, e per forza delle armi e delle contingenze 1’ epoca rivoluzionaria, non aveva certo virtù di por freno al fatale andare delle idee, sì come le conseguenze dimostrarono. Chi ben guarda trova latente e quasi paurosa la persuasione di ciò nell’ animo e nella mente degli stessi sovrani e dei diplomatici a Vienna convenuti, i quali per conseguenza si contentarono di guardare più presto agli interessi particolari e dinastici del momento, anziché penetrare nel fosco avvenire, cui era riservato il compito di lacerare i protocolli, e in nome dei principi sì fieramente combattuti, ma non domi nè vinti, assorgere al concetto della nazionalità e della sovranità popolare, dando vita ed assetto a nuove forme di governo fondate sopra il nuovo diritto pubblico. Il R. a ragione rileva l’importanza per vari rispetti di questo carteggio, il quale giova a rettificare errori ed inesattezze, ristabi- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 53 lendo così la verità dei tatti non bene chiariti o tortamente intesi, per manco di precise informazioni. Ma porge un considerevole contributo di nuove o mal conosciute notizie intorno ad avvenimenti sui quali anche oggi la critica storica tenta, nè sempre con risultati felici, di recare la luce. Le vicende del regno di Napoli e di Gioacchino Murat ricevono qui un notevole rincalzo, donde si penetra nel retroscena diplomatico che produsse gli effetti luttuosi a tutti noti; del pari vien chiarita la obliqua condotta di Talleyrand, rispetto alla rivendicazione dei diritti pontifici, ed ai compensi aspettati dalle due Marie Luise ; si apprendono infine particolari reconditi sull’andamento di quelle negoziazioni e li sforzi de’ maggiori interessati a mantenere gl’ impegni assunti con il trattato di Parigi, singolarmente l’articolo segreto che inconsciamente ingrandiva uno stato italiano destinato ad essere il nocciolo del regno futuro. Nè porge meno interesse il vedere quale impressione destò e quale effetto produsse la fuga di Napoleone e il 3uo ritorno in Francia ; a proposito del qual fatto clamoroso si hanno in queste pagine indizi sicuri di quella specie di cospirazione per la quale l’Italia avrebbe dovuto essere il teatro delle prime imprese del grande capitano, e la base perciò del suo ristabilirsi sul trono imperiale. Ed è questo un episodio che aspetta ancora d’ esser posto in piena luce, onde tornano giovevoli i particolari e gli accenni nel presente carteggio riferiti. Rispetto alle cose di Genova, sebbene già ci fossero note le pratiche del congresso in ordine alla sua riunione al Piemonte mercè il libro di Massimiliano Spinola, pure troviamo nelle lettere del Oonsalvi alcuni tocchi non privi d’interesse. Il fatto per esempio che dalla diplomazia pontificia si vedeva di buon occhio la proposta di erigere in ducato la vecchia repubblica assegnandola alla regina d’Etruria, il che allontanava il pericolo di cercare ad essa un compenso nelle Legazioni. E cosi i foschi giudizi intorno alla impossibilità della fusione de’ due popoli ligure e piemontese, fondati sulle vecchie rivalità, donde la certezza che Genova alla prima occasione avrebbe voltato casacca, e messasi con la Francia contro il Piemonte. Giudizi che fortunatamente Γavvenire dimostrò del tutto infondati; mentre il pericolo non senza ragione temuto dal Oonsalvi, si dissipò indi a poco, in grazia specialmente dell’ accorta opera sua. Ma una parte per noi assai notevole si è ciò che si rileva intorno alla venuta ed alla permanenza in Genova di Pio VII nel 1815. Le notizie date dalle lettere del cardinal Pacca integrano ed illustrano, ciò che già si sapeva per altre fonti ; singolarmente quanto possiamo attingere dalle lunghe informazioni della Gazzetta di Genova; e accenniamo a questa perchè abbiamo acquistato la certezza che essa si procurava le notizie dalla stessa segreteria pontificia, tante 54 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e così intime sono le parentele fra le relazioni del cardinale Pacca e quelle del giornale ; chi ne volesse una prova luminosa non ha che a leggere nelle due fonti (p. 524 e Gazzetta n. 34) il racconto della visita fatta al Papa dal re di Sardegna : d’ altra parte a dare esatta contezza della Cappella papale tenuta per l’Ascensione nella chiesa dell’Annunziata, la segreteria inviava il numero della Gazzetta che ne recava la narrazione; doveva quindi ritenersi emanazione diretta ed ufficiale della Curia. Tuttavia altri curiosi e più larghi particolari ci porge la corrispondenza, così rispetto al viaggio da Roma a Genova, come a dire l’aneddoto della fermata a Rapallo dove per 1’ entusiasmo del popolo il Papa fu a un pelo di cadere in mare se non fosse stato sostenuto da persone robuste, quanto intorno alla gita a Savona per la incoronazione di N. S. della Misericordia, e infine al viaggio di ritorno per il Piemonte. L’E. ha premesso ai documenti un discorso storico, che mette il lettore al fatto delle condizioni politiche dell’Europa, e rassegna le cause ohe diedero luogo al congresso sì come gli effetti che ne seguirono. A questo preambolo tien dietro il diario del ministro di Sardegna SanMarzano, concettoso nella sua brevità e assai caratteristico. Alcune note strettamente necessarie chiariscono qua e là il testo; un indice accurato chiude, con utile degli studiosi, l’importante volume. (N). A. d’Ancona. Lettere inedite di R. Bonghi, G. Capponi, F. D. Guerrazzi, T. Manuani, V. Salvagnoli, N. Tommaseo, G. P. Vibusseux. Pisa, Mariotti, 1903; in-8, di pp. IX-23. — Lettere di G. Berchet, F. .Confalonieri, M. d’Azeglio, C. Fai riel, G. Giusti. Pisa, Mariotti, 1903 ; in-8, di pp. 22. In questi due opuscoli per nozze Alessandro d’Ancona ha dato alla luce parecchie lettere di quei valentuomini de’ quali potrebbe dirsi che « rampogna || L’antica età la nuova », se non si temesse di parer ingiusti coi nostri contemporanei. Le prime, dirette al D’Ancona stesso fra il 1852 e il 1857 si riferiscono a quel primo lavoro del giovane toscano (egli avea diciot-t’ anni quando lo scrisse) eh’ era' il Discorso sulla vita e le dottrine politiche di Tommaso Campanella, e che mostrava così luminosamente la dottrina, l’ingegno, il libero animo di lui. Ben degno quindi d’avere ad incorarlo e sovvenirlo il Mamiani, il Salvagnoli, il Yieusseux e gli altri sunnominati. Dei quali nella bella lettera alla nipote Giulia egli loda la « molta mitezza dei giudizi e la cortesia rara, e dice che nel rileggere queste carte del tempo passato e nello sceglierle gli è sembrato far un tuffo salutare in acque ravvivatrici η. E questo e sembrato anche a noi nel rivedere, attraverso a queste carte i Sabati fiorentini di Casa Vieusseux e {'Accademia di filosofia italica fondata in Genova dal Mamiani. E, a proposito di quest’ultima, piacerà GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 55 al lettore del Giornale sentire che cosa 1’ autore di Ausonio scriveva degli estratti de’ discorsi, da lui fatti all’Accademia stessa intorno alla teoria del progresso (Lettera II, Genova 19 di Ottobre 1853). Le cicalate, com’ egli le chiama, « Ella non sa forse eh’ io non ò uso di scriverle, bensì le rumino molto tempo avanti, poi discorro, come suol dirsi, a braccia e il Boccardo ne raccoglie i concetti assai fedelmente con quella sua mente e mano a vapore, ma per gli ultimi due discorsi mi mancò l’ufficio di qnel carissimo giovine a cagione della sua mal ferma salute. Supplì uno stenografo ignorante e mal pratico e le mie chiacchiere uscirono dalla sua penna stranamente malconcie u. E molto altro dovrei citare da quest’ opuscolo, se non mi chiamasse a se il secondo. Del quale le due ultime lettere, che sono di Massimo d’Azeglio dirette a un Sig. Carlo Calcina, uomo d’affari della nobile famiglia, son tratte da un copioso carteggio, tenuto dal d’Azeglio col Calcina stesso, e che il d’Ancona possiede in copia ; le altre nove sono invece tratte da quello di Donna Co&tanza Trotti-Anconati serbato alla Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma. La mogjlie di Peppino Arconati « la marchesa, donna di alto sentire e di culto intelletto..... seguendo le fortune del marito fu ben presto 1’ amica, la confortatrice, la consigliera fida e sicura di quanti, sfuggiti agli artigli d,ell’aquila grifagna, erano profughi per la stessa causa; e il oastello di Gasbeck in Belgio diventò il convegno di quei poveri esuli, cui ivi sembrava di ritrovare una specie di patria e di famiglia n. Poi, quando doveano partire, si davano colle lettere l’illusione di goder ancora quel dolce tepore, partecipavano all’ amica lontana le speranze loro e gli sconforti, Berchet le trepidazioni per la sorte di Confalouieri, Fauriel l’esultanza per le giornate di Luglio. « Se croîs », quest’ ultimo scriveva, « que tous les peuples de l’Europe ont eu leurs représentants dans cette victoire qui est européenne autant que française η. E negli effetti europea si palesò per il Belgio, ma per la misera Polonia, per la misera Italia non già ! Del Giusti cose nuove non dice la lettera del 20 Aprile 1849, che già sapevamo com’ egli giudicasse il Guerrazzi e il suo governo e a l’orgoglioso disprezzo di tutto e di tutti v. Sempre interessante rileggerà; « Il Granduca non vorrà tornare senza una forza e noi non vorrenmio tedeschi nè lessi, nè arrosto. I Piemontesi sarebbero la mano d’iddto e farebbero un fatto e due servizi : ci assicurerebbero . dell’ordine e c’insegnerebbero a far il soldato ». Quanto ai a capi che sanno benissimo che il loro governo non può durare, ma sono di quella gente che cade sempre in piedi v (lettera del d’Azeglio dalla Spezia 16 febbrajo 1849) la razza loro, oh no, non s’ è ancora perduta di certo ! • » 5<5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Meglio confortarsi lo sguardo e l’animo nell’immagine di Teresa Casati Confalonieri a consunta ma non vinta dal cordoglio, morta sperando nel Signore dei desolati ». Meglio col Berchet ripetere in faccia a quell’ n anima di rospo » dell’ imperatore Francesco l’elogio di Federico Confalonieri: u E un buon Italiano; e quel che è più raro fra di noi, è uomo di carattere alto, nobile, fermo come un forte del medio evo » (Londra '20 Gennaio 1824). E da augurarsi che il d’Ancona abbia il tempo e 1’ agio di spigolare più largamente nel carteggio della Marchesa Costanza, e ci dia altre pagine da mettere allato a queste e a quelle dei Ricordi ed affetti (1). Egli contribuirà a soddisfare sempre meglio il voto del Mamiani che l’Italia non ignori quanta efficacia all’opera della sua redenzione abbiano recato le schiero degli esuli sparsi fra il 1820 e il 1848 in varie parti d’Europa e specialmente in Inghilterra e in Francia. E gliene saranno grati quanti, senza spregiare le lettele in se e per sè, le adorano se esse continuano a tener viva la riconoscenza per i patriotti delle prime giornate. Giudo Bigo»i Gu seppe Oxilia. La moralità di Pietro Colletta. Firenze, Barbera, 1902; in-8, di pp. 95. In generale nelle storie letterarie che vanno per le mani dei giovani, dell’opera del Colletta si leggono gli elogi consueti per la forma, lo stile, il sentimento profondo, il pensiero robusto e gli altri pregi che nell’ emulo di Tacito abbiamo imparato ad apprezzare, ma della sostanza, cioè della veracità dei fatti narrati, ne verbum quidem tutto al più qualche accenno. Appena nel vecchio Ambrosoli trovo qualche cosa di più significativo : « Quanto alla verità dei fatti, non negheremo che il Colletta, narrando cose delle quali fu gran parte egli stesso, abbia potuto illudersi, come forse s’illuse operandole, od anche cercasse velarle, acciocché non servissero ai posteri per denigrare il suo nome *. Nelle quali parole s’intravvede proprio la doppia questione, che nel 1902 ha trattato 1’ Oxilia col suo scritto : riguardo alla moralità del Colletta uomo e alla credibilità del Colletta storico. L’Oxilia, noto per altri lavori di storia e letteratura, e autore recente d’ un volume sul quarantotto, ha buon corredo di dottrina, se non completo, sulla questione. Forse gli nocque l’aver prese le mosse da un articolo del De Nino su Pasquale Borrelli (2) e non aver distribuite con chiarezza le varie testimonianze e distinti i varii (1) V. in questo Giornale, Anno 1903; p. 87. (2) Non compiutamente citato a p. 32 in nota. Sul Borrelli poderoso ingegno e multiforme è desiderata, anche fuoridei suo nativo Abruzzo, qualche più larga notizia. Morì nel 1849. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 57 pumi della sua trattazioni). Ecco purché uuu risultano chiare alcune cose. Perchè p. e., mentre il sottotitolo dello scritto suona u. Pietro Gioidani o Pasquale Borrelli? » si incomincia col citare l’aspro giudizio dato sull’autore della Storia da Niccolò Tommaseo, vi s’inserisce quello che il Tommaseo ha detto del Leopardi, e viceversa il giudizio del Cantu sul Colletta, giudizio che consuona et pour cause con quello del Tommaseo, conviene andarlo a cercare non ivi appresso ma bensì a p. 75? E questo fu qui da me notato, non per pedanteria ma perchè trattandosi d’ un vero e proprio giudizio, le pedanterie dei particolari sono semplicemente garanzie del procedimento. E d’un giudiz o in verità si tratta. Per legittima suspicione allontanati i detrattori della stoffa del Principe di Canosa, ovvero i lirici apologisti come il D’Ayala o il Lazzaro, restano il Capponi col Giordani e gli amici toscani alla difesa ; all’ accusa il Borrelli, Guglielmo Pepe, il Duca di Lauria ed altri egregi e stimabili uomini. Anzi questi rappresentano bene, almeno i due primi, anche la parte civile, a Guai ». aveva scritto il Giordani al Vieusseux nel 1834, u a chi si troverà maltrattato in quei volumi ! », e nelle ultime pagine del libro decimo il Colletta diceva che 1’ opera sua avea a empito gli ozii nuovi a un anima operosa ; ne’ mali che gli veniano dalla prepotenza, suggeriva i lamenti e le vendette ». Le vendette si noti bene. Yi sono molte pagine rivelatrici, molte frasi lampeggianti in quei dieci libri che avrebbero potuto guidare l’Oxilia a meglio comprendere che 1’ nomo ambizioso o vendicativo come statista e come militare, rimaneva tal quale anche quando sotto i geli di Brünn^fra i laureti dell’Arno brandiva il pugnale di Tacito e incideva la grande requisitoria contro i Borboni di Napoli. Nella sua Storia di Napoli sotto Carlo di Borbone testé pubblicata parecchie inesattezze del Colletta notava Michelangelo Schipa (1) e facea pure menzione del preconcetto partigiano per cui venivano esagerati molti pregi del regno di Carlo, per gettare peggior ombra su quelli dei successori. Ma questo preconcetto partigiano in uomo come il Colletta diventava un consigliero terribile di inesattezze non solo, ma di colpevoli reticenze e di infondate accuse. Come gli amici toscani non se ne accorgessero e diventassero, in certo modo, i suoi complici mi è ancora un po’ misterioso. E misterioso rimane malgrado la bella e vibrata pagina in cui il Manfroni (a proposito del lavoro dell’ 0.) ha procurato di spiegare le ragioni dell’ammirazione cieca del Capponi e degli altri per 1’ esule napoletano, che appariva (1) Cito dalVArch. S/or. p.le Prov. Naf>. dove l’opera fu per la prima volta pubblicata; Λ11110 1902, p. 719, Anno 1903. p. 7; 112; 3Si ; 510-n ; 6S4 e qualche altra rettifica vi sarà. 58 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA orinai tutt’altro uomo da quello ch’era stato altra volta nella polizia e nella milizia con Saliceti, con re Gioacchino, con re Ferdinando (1). Appariva diverso ; ma era ? Il Reumont, che ha dato del Colletta un esatto giudizio senza trascendere agli eccessi dello Helfert e dello Hüffer, il Reumont ricorda come il generale non sapeva resistere alla « smania di addurre presunti motivi e pensieri che mascherano la verità coll’attribuire a personaggi storici sentimenti e principii propri di chi scrive. Più d’ una volta il Capponi, nell’ udire 1’ eloquente descrizione dello stato d’animo dell’uno o dell’altro personaggio storico, non potè trattenersi dall’ esclamare : fermati ! Ci fosti tu ? » (2). Ben gradita sarà dunque la biografìa del Colletta che il Manfroni ci annuncia e la nuova edizione della Storia del reame corredata di note critiche. Non vi ha dubbio eh’ egli avrà usufruito per questo lavoro una bibliografia molto più ricca di quella enumerata dall’O. nella sua nota finale ; questa è evidentemente assai scarsa, special-mente per gli ultimi trent’anni del secolo decimonono, ma, in questa materia si procede spesso alla meglio; basta vedere la bibliografia napoleonica del Kircheisen ! E dire che ha trovati dei lodatori ! Intorno aï lavoro dell’ 0. concluderemo che vi è del buon materiale, che il contrapporre il Colletta dei frammenti autobiografici a quello dipinto dal Capponi era un seguire la buona via già tracciata dal Duca di Lauria, che così sull’ uomo che sullo storico dalle premesse dell’O. documentate e abbastanza severe ci aspettavamo come conclusione un più severo giudizio di quello ch’egli ha dato. L’ammirazione per l’opera d’ arte, la riverenza per 1’ esule illustre debbono, alla fine, aver alquanto trattenuta la penna al giovane autore. É un sentimento nobile, e si spiega perfettamente. Ma della Storia del reame, quanto a noi ripeteremo coi Reumont: è un monumento, ma non bisogna lasciarsi abbagliare dal suo splendore! (3). Guido Bigoni Ciro Ferrari. Com’ era amministrato un comune del Veronese al principio del secolo XVI. Verona, Franchini, 1903; in-8, di pp. 97. Ricorderà il lettore che Carlo Cipolla fin dal 1897, fra i molteplici argomenti di storia civile ed economica a cui recò tributo di documenti e acume d’indagini, s’ occupò dei saltarii di Tregnagno, vil- (1) in Atti della R. Accad. di Scienze etc. di Padova (Padova, Randi, 1903) pp. 205 e segg. (2) Reumont. Gino Capponi, I, pp. 150-51 (Milano, Hoepli, 1881). (3) Altra volta (Arch. Stor. p. le Prov. Nap. Anno XIV. fase. 2) 1889 per la tragedia di Casa Addone in Potenza — 27 Febbraio 1799 — già ho menzionata la rettifica, che deve tarsi al Colletta, tenendo conto della Cronaca polentina di Raffaele Rivieli.o (Potenza, Santanello, 1889) p. 40 e segg. Il Riviello opportunamente ha citate in testa al GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 59 laggio del Veronese nel secolo XVI (1) 'II S. ci richiama ora a Tregnago e colla scorta di Zuan Bera da Cazzano notaro del comune, e di due volumi di conti e di note da lui compilati e finora inediti, mediante accurata e minuziosa indagine di detti libri e confronto con altri documenti dell’Archivio comunale di Tregnago e di Verona, ci fa toccare davicino la vita amministrativa del luogo sui primi del cinquecento. Sono dodici capitoletti dei quali soltanto gli ultimi due ci mostrano il sanguigno colore della guerra fra SaD Marco e Γ Impero, poi fra San Marco e la gran lega riflettersi sui libri del notaro ; gli altri si riferiscono alle vicende ordinarie. Interessante è il veder mantenersi ancora qualche vestigio dell’ antica indipendenza del comune, dei tempi in cui il comune era stato un unità non soltanto amministrativa, ma anche politica. Per esempio l’imposizione delle tasse a chi spetta? Alla vexinanza cioè all’assemblea di tutti i padri-famiglia inscritti nell' estimo. Per mezzo di questa, il comune ritrae dai comunisti di che mantenersi e di che pagare quel che esso deve allo Stato, nel caso nostro, alla Serenissima. Troviamo ripetuta menzione nei conti di quel quinquennio, oltreché della imposta ordinària, daja della Signoria, di spese per i fiumi anche fuori del luogo p. e. la daja della brenta, poi per la manutenzione dei ponti e degli argini, per ristaurare le castella, per alloggiare i messi dei rettori e i numerosi rappresentanti dell’ autorità governativa e spesso i militari e questo era come il passaggio delle cavallette. Un interessante capitolo è quello che riguarda la fiera di San Martino, gli uomini d’ arme e le cerne : milizia comunale che trovasi ricordata per Tregnago fin dal 1501 : inesattamente la diceva dunque il Dalla Corte istituita nel 1507. In tempo di pace a Tregnago non toccava armaie che tre schioppettieri ; altri poi doveano stai-pronti secondo gli ordini dei degnissimi rettori di Verona. Ma una ducale di Cristoforo Moro (perchè il S. scrive Mauro ?) fino dal 1469 raccomandava nell’imporre gli alloggi militari d’avere riguardo alla natura dei luoghi, alcuni dei quali erano troppo miseri e inadatti. Bensì come caratteristico dei tempi nota giustamente il F. che gli huomini d’ arme imposti, per così dire, dai rettori al comune in determinate occasioni, direttamente contrattavano col comune il compenso che loro era dovuto. Molto, non diremo di nuovo, ma di curioso contiene il capitolo suo volume le parole del d’Ancona: « Diffidente e non del tutto a torto l’età nostra della storia solenne che, sotto le pieghe del classico paludamento, bene spesso nasconde o dissimula il vero— ». (i) Alcuni studi per la storia della « Sai/aria » in un villaggio de! Veronese (1524-157S) in Atti della K. Accad. delle Scienze (Torino, 1897) vol. XXXI1. 6θ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sulla tassa del saie generalmente esosa, tanto che in cambiamento di dominio quell’ufficio era il primo ad andar travolto, e così fu anche a Verona durante il governo tenuto da Giorgio Vescovo di Trento per Massimiliano imperatore. Gli elenchi del sale si tenevano con cura particolare che, in mancanza d’uffici anagrafici, supplivano specialmente per iscopi militari. Se c’ erano state bocche celade o conde-nanze per tentativo di sottrarsi alla tassa i salaroli o gli agenti dell’ assuntore del dazio andavano a Tregnago e colà dimoravano fin che le cose non fossero assodate, e il comune pagava. Non sarebbe stato quello un comune italiano se non avesse avuta qualche lite più o meno grossa con un comune limitrofo j era quello di S. Giovanni Ilarione nel Vicentino e perchè non mancasse il “ nome di scherno * di cui parla il poeta i tregnagnesi lo chiamavano, con leggiadra denominazione, della rogna. E il 22 Maggio 1507 n diabolico spirito instigati j>, una ventina di questi aveano tagliate le biade ancora immature che i vicentini aveano seminato in uno dei tratti contestati. Ne vennero gran litigi e risse mortali e grandi spese d’avvocati, secondo che il notaro conteggiava. Finalmente, dopo due anni circa, nel Maggio 1509 il processo criminale a Vicenza finì con sentenza che le uccisioni aveano avuto luogo sul Veronese e gli atti iurono trasmessi a Verona. I termini dei confini furono messi per cura del giudice delegato ; fossero di pietra e alcuno se li movesse ultra citraque pagasse pena di duecento ducati. Dice Zuan Bera che i termini erano alti un nomo e recavano il segno di San Marco e conclude : « Per quella interpositione fu poi messo perpetuo silenzio tra dette due comunità, che il Sig. Iddio le feliciti in perpetua Pace.... Amen v. Altre osservazioni sulle finanze, sul prezzo delle derrate, sull’ammontare delle imposte su quegli importanti particolari che la storia togata spesso trascura, potrà fare il lettore, dopoché si sarà con dispiacere staccato dai conti del notaro Zuan Bera e dei bravo Sig. F. che ce lo ha fatto conoscere (1). Guido Bigoni Nueuos Autògrafos de Cristóbal Colón. Belaciònea de Ultramar. Las publica la Duquesa de Berwick y de Alba Condesa de Siruela. Madrid, Sucessores Rivadeneyra, 1902 ; in-4, di pp. 294, con tav. Fra i numerosi lavori che, celebrandosi in Madrid il Centenario della scoperta d’America, si stamparono dagli scrittori spagnuoli intorno a questo argomento, nessuno ebbe forse l’importanza del vo- (i) Poche copie di questo libro sono vendibili presso la segreteria di Tregnago a beneficio della locale Congregazione di Carità. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 6l lume publicato allora dalla illustre Duchessa d’Alba col titolo — Autógrafoe de Crietóbal Colón y Papelcs de America — Madrid 189‘2. In esso infatti ella raccolse con indefessa e sapiente cura dal ricco archivio domestico una abbondante serie di curiosi ed insigni documenti coi quali, mentre arricchiva con nuovi autografi dell’immortale scopritore dell’America la magnifica collezione che simultaneamente ne publicava la benemeritissima Regia Commissione Colombiana in Roma, ci forniva altresì larga materia per dissipare qualche dubbio, accertar meglio qualche fatto o circostanza del fatto, rettificare qualche giudizio inesatto, distruggere preoccupazioni maligne o inferenze e conclusioni troppo affrettate. E nondimeno di questo eminente servizio prestato alla storia di quell’eccelso momento storico che si impernia in Cristoforo Colombo, la coltissima gentildonna spagnuola non si tenne contenta. Convinta per la propria esperienza delle scoperte fatte nel suo unico archivio, che la Spagna era ancor lungi dall’ aver detto 1’ ultima parola intorno a questo straordinario tema, e che quindi in un campo così vasto non doveva difettare altra messe da raccogliere, la nobile dama volle animosamente con intelletto d’amore proseguire nelle ricerche; e frutto di esse è l’elegante volume che ora annunziamo. Siamo dunque in presenza di nuovi autografi Colombini, della autenticità dei quali non e luogo a dubitare, non solo perchè ce lo afferma colla sua rara perizia paleografica la coscienziosa editrice, ma anche perchè ce ne assicura l’ispezione di due facsimile della grafìa del grande Ammiraglio riprodotti in questo volume. Ora la conoscenza di cosifatti cimelii è sommamente preziosa, sia pure mediocre l’importanza del loro contenuto; poiché si tratta di reliquie di un personaggio che ha impresso nella storia un’ orma gigante, e del quale pertanto ci piace sempre udire, materializzata ormai nella carta, la parola o solenne nel comando, o acccurata nelle relazioni, o entusiasta nei trionfi, o espansiva nelle confidenze dell’amicizia, o triste nei momenti di afflizione e di disgusto, o rassegnata nei pensieri celesti. Ed è da augurare che si accresca ognora il numero di cosifatte reliquie, siano pure per copia autentica. Nè è esagerata la speranza, quando si pensa che grande fu in Colombo la fecondità nello scrivere; tanto che essa passò, come dire, in proverbio fra gli spagnuoli del suo tempo. Vero è che rilevante è già la somma de’ suoi scritti venuti a nostra cognizione ; nondimeno molto ancora resta a desiderare, singolarmente per ciò che riguarda la sua corrispondenza epistolare, la quale, in grazia delle svariatissime vicissitudini in cui egli si trovò, dovette forzatamente essere molto estesa e non poco 62 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA interessante. Laonde non farebbe maraviglia ohe altri documenti Colombini si venissero a discoprire o in qualche archivio privato onde la Spagna abbonda, oppure, come spera la illustre Duchessa d’Alba, en algunas oficinas del listado, donde los diversos litigios que con el sostuvicron las casas de Gelves y Almirante obligarian à presentar muchos de aquellos originales. I nuovi autografi presentati ora nel volume annunciato constano di una procura fatta da Colombo in capo a Michele Ballester ; di sette lettere dirette all’amico Padre Gorriccio, e di una al figlio Diego, colla quale gli partecipa l’invio d’ una grossa pepita d’ oro da offrirsi alla regina Isabella ; tal gioya (scriveva) que antes lie sofrido mil necesitades, que venderla ni fundirla____e que era cargo de concienda ά desfazerla, salvo bolversele, por que vea los milagres de nro Sor. Vi sono inoltre riprodotte alcune sue frasi frammentarie, le quali, dice acconciamente la nobil donna, dejan perceber el grito de triunfo que arrancò al desgraciado Colòn la vista de la sonada tierra, y el naturai apostrofe contra sus incredulos enemigos. Da un altro breve autografo Colombino trovato sul dorso d’una Relaciòn de la gente que fuè con Colòn en el primer viage, veniamo a conoscere una circostanza intorno alla quale non furono fin qui concordi gli scrittori, ed è, che Colombo vi afferma di essere partito nel primo viaggio con una nave e due caravelle. Ciò non e certamente una novità; giacché fino dal giugno del 1493 Giuliano Dati poetava — e disse el tuo sperar ogi comendo — pigli una nave con due charavelle — dì quelle mie armate le più belle — ; e nel Libretto de tutta la navegatione ecc, dell’anno 1494, si dichiarava che Colombo era partito con una nave e do caravelle ; e eziandio in vari luoghi del Diario di bordo, conservatoci in compendio da Bartolomeo de Las Casas, si qualifica come nave il bastimento dell’Ammiraglio; nondimeno, sia perchè le caravelle fossero le imbarcazioni solite a usarsi nei viaggi di esplorazione, sia perchè si credesse che coll’appellativo di nave si volesse decorare la caravella di comando, egli è un fatto che invalse in vari scrittori, anche i più prossimi agli avvenimenti, come Oviedo e poi Garibay, 1’ abito di parlare di tre caravelle. E benché modernamente si ammetta che nave era davvero quella comandata da Colombo, non è per questo che non potesse sussistere qualche dubbio in proposito; visto che i He Cattolici in due loro rescritti in data 30 aprile 1492 scrivevano di avere mandato à Cristóbal Colòn con très carabelas que lleva ; e che altresi nel Diario medesimo di Colombo si legge sotto il giorno 8 agosto 1492 hobo : entre los pilotos de las tres carabelas opiniones diversas, ecc. Ora però, merce questa categorica affermazione rilevata nell’autografo Colombino, ogni esitanza è pienamente esclusa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 63 Quanto alla Relaoión ecc., siamo informati dalla illustre editrice che essa non è di pugno dell’Ammiraglio. Ad ogni modo è interessante non tanto per esserne egli stato possessore, quanto perchè ci dà la certezza d’un fatto che, date le circostanze gravissime del viaggio progettato dall’audacissimo genovese, era assai naturale che si avverasse. Essa è un elenco, incompleto però, delle persone che si erano inscritte per accompagnarlo nella prima spedizione; ed è ovvio che colui il quale, in data 23 giugno 1492, compilava questa matricola la intitolasse : Relaoión de la gente que fué coti Colòn en el primer viage. Or bene, in cosifatta lista trovansi alcuni nomi di persone, le quali non si riscontrano più nella lista pubblicata dal Navarrete, nè in quella rettificata più tardi dal sig. Cesareo Fernandez Duro. E non fa maraviglia codesto; essendo anzi naturalissimo che nella quarantina di giorni che passarono tra il 23 giugno e il 3 agosto alcuni degli inscritti si eclissassero, spaventati dai pessimi pronostici che generalmente si facevano in Palos sulla sorte funesta che era riserbata ai partenti pel viaggio misterioso, restando quindi inutilizzata quella matricola primitiva. Resterebbe ora a fare una recensione della seconda parte del volume, il quale abbraccia le Relaciones de Ultramar; ma è una tale folla di documenti inediti di varia natura, che a dividerli per categorie o per le regioni americane e asiatiche alle quali si riferiscono, e indicare per sommi capi la sostanza dei più rilevanti, non basterebbero parecchie pagine. Sono infatti provvidenze di ordine fiscale, regolamenti governativi, decreti reali, atti giudiziari, concessioni di privilegi, reclami personali, descrizioni di esplorazioni marittime, relazioni sulle Indie Orientali ed Occidentali, sulle isole Filippine, sulle Molucche, sul Giappone, informazioni di carattere religioso, civile, morale, politico ed economico. Basterà quindi avere appena accennato questa mole di documenti, per dare al lettore un’ idea del grande e nuovo materiale che qui si offre allo studio degli storici futuri. Prezioso è pertanto sotto ogni rispetto il valore di questa classica publicazione della illustre Duchessa d’Alba, onore perpetuo della rispettabilissima aristocrazia Spagnuola. Prospero Peragai.lo Nota — Dalla Ilustración Espanda y Americana di Madrid, η. XIII dell’S aprile 1904, rilevo l'infausta notizia che la illustre scrittrice mentre, reduce da Vienna dove era andata a .visitare il Marchese de la Mina, suo fratello, si riposava dalle fatiche del viaggio nelVHôtel Bristol di Parigi per allenarsi al viaggio di ritorno in patria, fu colà aggravata talmente da un suo morbo cronico che spirò la beU’anima il 27 Marzo p. p. Fu assistita con affetto materno ed esemplare abnegazione dalla sua parente l'imperatrice Eugenia. 64 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ANNUNZI ANALITICI. Giuseppe Oxilia. Tre sonetti inediti di Giovanni Prati nel XVIIlo anniversario della sua morte. Firenze, tip. Cooperativa, 1902; 111-4, di ΡΡ· 8. — Si riferiscono al soggiorno in Toscana del Prati nel 1848, argomento ampiamente trattato da Giovanni Sforza, il cui scritto per due volte vide la luce (cfr. Tre episodi del risorgimento italiano, Firenze, 1895, p. I sgg.; e Rivista stor. del risorg. ita/., Ili, 841 sgg. ). L’O. non conobbe questa pubblicazione, poiché vi avrebbe trovato molte cose eh’ egli ha esposto nell’ illustrare i sonetti, ed appreso che il terzo di essi era diretto all’improvvisatore Chiarini, secondo ha lasciato scritto il Duprè ne’ suoi Pensieri sull’ arte e ricordi autobiografici. Gli altri due sono dettati contro il ministero democratico. Tragedia d’ Oreste di Psipsio paragonata con quella di Voltaire da Psipsia [per cura di Diomede Bonamici], Livorno, Arti grafiche Beiforte, [1903]; in-8, di pp. 14. Dall autografo che si conserva nella Nazionale di Firenze, e deve essere quello stesso che figurava con altre scritture della medesima mano, nel catalogo Franchi e C. 11. 102, al n. 1204 (cfr. Natura e Arte, Milano, 1893, p. 374)i >1 B· ha tratto questo curioso paragone dell’ Oreste d’Alfìeri a riscontro di quello del Voltaire, composto dalla contessa d’Albany. Egli vi ha premesso una pagina geniale che dice il tempo e la ragione dello scritto, « nel quale 1 ortografia e la sintassi sono trattati con cinica disinvoltura ; ma come curiosità inedita e come documento del carattere e della cultura della improvvisata critica », può « avere qualche interesse ». E lo ha difatti come beu s appone 1 egregio editore, a cui dovranno esser grati i cultori degli studi di quanto concerne il grande astigiano. Diego Garoglio. Prima sene critica. Versi d’amore e prose di romanzi. Saggi di critica contemporanea. Livorno, Giusti, 1903; in-8, di pp. XVI-325. L a. ha raccolto in questo primo volume, chè altri tre debbono seguirlo, una serie di scritti critici più o meno estesi, già comparsi in giornali, specie sul Marzocco, con la giunta di alcuni in tutto o in parte inediti. Ad essi egli ha accordato in servigio della raccolta parecchie note illustrative, esplicative e polemiche, integrandole con gli additamenti recati in fine, innanzi ad un comodo indice alfabetico. L intenzione e i propositi del G. nel por mano a questa raccolta, sono divisati nella prefazione, che potrebbe dirsi altresì pagina autobiografica, non inutile a chiarire la vicenda e lo svolgimento del suo pensiero letterario ed artistico. Il quale riceve sanzione e rilievo dalle opere diverse di poesia e di prosa eh’ ei viene man mano esaminando, dove il lettore può agevolmente seguire il concetto critico che da forme iniziali e forse non ben definite è venuto maturandosi con maggior consistenza sostanziale, il merito suo di guardare all’ arte per se ed in se stessa, non alle persone, e perciò di esporre liberamente giudizi emanati dalle sue idee, dalle attitudini critiche, e dalla preparazione ed educazione letteraria ed estetica onde lo spirito suo ed il gusto vennero informandosi nell’ osservazione e nello studio. Egli procede quindi per la sua via, discutendo e rilevando, ma senza tergiversare e contradirsi, e usando un linguaggio che può sembrar qualche volta rubesto, ma che è sempre improntato soggettivamente alla verità. Non è fuor di luogo il raccogliere giudizi intorno ad una parte della produzione letteraria contemporanea, nella quale a’ nomi grandi si mescolano i minori, perchè potrà giovare sì come utile documento ai compilatori futuri della storia letteraria. Giuseppe Roberti. Da autografi di grandi musicisti. Torino, Bocca, 1903; in-8, di pp. 21. Compariscono in questa gustosa raccolta nomi celebrati di maestri c di artisti, le lettere dei quali giovano ugualmente alla biografia GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 6$ di ciascuno, come in generale alla storia dell’ arte. Si incomincia con sette lettere di Rossini curiose, e, pur quelle brevi, non trascurabili ; tre ne seguono di Bellini, e tre di Mercadante. Eccone una del nostro Paganini, non priva d’ interesse per se e per la persona a cui è diretta, Annibaie Milzetti dilettante di violoncello ; è scritta da Roma in data 30 dicembre 1818 e aggiunge qualche notizia alle scarse che si traggono dal carteggio del gran violinista col Germi, povero assai per quest’ anno (cfr. Belgrano, Jmbreviaiure, Genova, 1882, p. 377'. Due cantanti di gran fama porgono contributo notevole di loro lettere, e sono Tacchinardi e Rubini ; il primo cantava a Lucca Γ Otello, di cui nel 1818 aveva dato un curioso giudizio quel Del Chiaro (la lettera comparve nella Illustr. Ital. di parecchi anni fa) a cui scrive le due or pubblicate. Chiude la serie una lettera di Ettore Berlioz e un documento del maestro Gossec il cui nome rimase congiunto alle note musicali degli inni e de’ canti della rivoluzione francese. Inutile soggiungere che Γ editore ha opportunamente illustrati questi nuovi documenti tratti dalla raccolta Cossila di Torino. Augusto Franco. Numismatica dantesca. Firenze, Galletti e Cassuto, 1903; in-8, di pp. 19. — Sono quattro note intorno ad un argomento sul quale i commentatori della divina commedia non si sono fermati con quella ponderatezza e specialità di ricerca che sarebbe stata desiderabile ad illustrazione e chiarimento de’ versi danteschi. Assume quindi aspetto di novità tutto quanto vien novamente detto sopra sì fatta materia. Gli studiosi del poema dovranno quindinnanzi tener conto di quel che il F. ragiona. Abbiamo qui la ricerca sulla condanna di maestro Adamo, cui toccò il supplizio, non per la coniazione della falsa moneta, ma per averla introdotta nel dominio fiorentino, e implicitamente la spiegazione di alcuni versi dell' episodio a lui relativo. Succede un rilievo non privo di valore sulle variazioni monetarie in Firenze. Importante quanto è detto con documenti a scagionare Filippo il Bello dall’accusa di aver falseggiato la moneta ; mentre Dante accettò la voce comune avversa per ragioni politiche ed economiche a quel re. In ultimo si prova che « quel di Rascia » del XIX del Paradiso non è Urosio I, ma Stefano Urosio II. PIETRO Bologna. / vescovi appartenenti a famiglie di Pontremoh e del suo territorio. Correzioni e agginnte alle « Memorie storiche della Lunigiana dell’ ab. Emanuele Gerini ». Modena, Vincenzi, I9°3 ï in“8, di pp. 84 (Estr. dagli Atti e Mem. d. R. Deput. di S. Pat. per le Prov. Modenesi, ser. V, vol. III). — Sono diciannove i vescovi dei quali tiene discorso il B.; di quattordici aveva già parlato il Gerini, ma così malamente e con tanti errori da toglier credito a quanto egli viene esponendo. Fra le altre cose inventa di sana pianta iscrizioni non esistite, altre dà scorrette ; attribuisce all1 Aglietti cenni biografici che nell’ opera sua non si riscontrano. E perciò ha dovuto il B. rifare ogni cosa da capo, non solo vagliando accuratamente le affermazioni del Gerini, ma istituendo ricerche nuove, guidato da un metodo critico rigorosamente esatto, donde soltanto è consentito raggiungere la verità. La serie muove del secolo XIV e si chiude con il XIX ; poiché il primo vescovo di cui si parla è Giacomo da Pontremoli che tenne la diocesi di Brugnato nel primo ventennio del trecento, e Γ ultimo è il p. Francesco Fogolla francescano, missionario nella Cina, e titolare di Bagi, decapitato negli eccidi dei 1900. Dà notizie di due fra gli antichi di cui non è menzione nel Gerini e ne’ cronisti locali, e cioè Giovanni da Pontremoli, francescano, arcivescovo di Tebe nel 1418, e Matteo da Pontremoli titolare di Tana nel 1475. Sennonché ben altre notizie storiche possono rilevarsi da questo diligente lavoro, non avendo l’a. trascurato cosa alcuna, la quale fosse atta, pur lateralmente, ad illustrare e a comprovare la sua esposizione E perciò G ioni. St. e Leti, della Liguria, V. 5 66 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA noi vediamo com’ egli abbia usata la maggiore diligenza nel dar contezza della famiglia onde uscirono que’ prelati, rilevandone i personaggi che si sono distinti, e recando documenti a provare la discendenza, e alcuna volta pure il cognome malamente assegnato ad essi dagli scrittori precedenti. Il B. procede guardingo nella ricerca e nelle conclusioni, di guisa che il suo ragionamento riveste tutti i caratteri della credibilità e della persuasione. Chi voglia un esempio della sua prudenza, e della dirittura di giudizio veda la dissertazione intorno a quel Girolamo Galli asserto vescovo di Negropontc sugli inizi del sec. XIV, ma che non è per nulla ricordato da tutti coloro che di quella diocesi discorsero. Buon servigio perciò egli ha reso a questa ragione di studi purgando la storia da tanti errori, e ristabilendo, con rigore di metodo, la verità. Di una nuova estetica. Nota di Emilio Bertana. Torino, Clausen ^tip. Bocca . 1903 ; in-8, di pp. 25 Estr. Atti d. R. Acc. d. Scienze di Tonno, XXXVIII). — E’ un esame della parte sostanziale del noto libro di Benedetto Croce intorno all 'Estetica come scienza dell’ espressione e lingui-stica generale, dove il B. rileva alcuni punti di capitale importanza, spe-cie riguardo alla dottrina dell’ intuizione e dell’ espressione, alla identità di gusto e genio, ne’ quali egli non si trova d’ accordo con 1’ acuto critico napoletano. Perciò espone le sue argute osservazioni in un ragionamento lucido e filato per giungere ad una conclusione negativa a proposito dell' opera sopracitata, la quale sebbene ingegnosa ed ardita pur non riesce convincente, onde a suo giudizio rimane sempre, nel fatto teoretico, assai oscuro il problema della natura dell’ arte e del bello. Giuseppe Flechia. La disfida di Barletta (quattrocento anni dopo). Schio, Marin, 1903 ; in-16, di pp. 34 lEstr. . — E’ uno scritto occasionale per la nota ricorrenza del centenario, ma il fatto, le origini, lo svolgimento sono attinti alle fonti migliori, nè mancano opportune osservazioni, specie per chiarire Γ intento e il concetto della sfida stessa combattuta per 1’onore delle armi italiane, anziché per il principio unitario o nazionale che nelle condizioni politiche di que’ tempi non poteva aver luogo. Si chiude rilevando 1’ importanza di quell’opera d’arte che fu inspirata al D’Azeglio da questo epico avvenimento, e che fu scritta con chiara intenzione politica a prò’ del risorgimento italiano. E’ dettata con garbo e con calore patriotico senza venir meno alle ragioni della storia. Note lessicali ed onomatologiche di Giovanni Flechia edite da Giuseppe I'LECHIa. Torino, Loescher, 1903 ; in-8, di pp. 14 (Estr.). — Oltre a parecchie osservazioni intorno a vocaboli registrati dal Fanfani o in altri dizionari, sono notevoli i rilievi e i riscontri intorno ai Nomi originariamente personali diventati senza più nomi locali e le Forme accorciate di nomi propri italiani. Sull’ origine dei cognomi italiani ha lasciato il Flechia materiale copioso che il nipote si propone di mandare in luce e che è vivamente desiderato. Quattro lettere di Pietro Metastasio a monsignor Angiolo Fabroni, — Un sonetto sul Giuoco del Ponte di Ranieri Bernardino Fabri. Pisa, Mariotti, 1903 ; in-8, di pp. 23 Nozze Gaspari ni -Laureati). —· E’ dedicata questa pubblicazione dal cav. Mariotti al padre della sposa e si compone di due parti. La prima contiene le lettere del Metastasio al Fabroni, precedute da un cenno biografico di questi dettato da Ugo Morini bibliotecario della R. Universitaria di Pisa, dove si conservano gli autografi nel ricco carteggio fabroniano. Sono esse lettere di anni diversi, e cioè 1763, 1770, 1772, 1774; vennero trascelte fra quelle altre del poeta stesso che nell’ indicato carteggio si trovano. Si aggirano in generale sopra le vite degli uomini illustri a cui attendeva il Fabroni, e non mancano di quella cerimoniosità piena di bonomia propria del poeta e del secolo. Notevole ciò che dice nella prima a prò- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 67 posito della biografia che il Fabroni disegnava inserire ne’ suoi volumi, e il tocco nella successiva intorno alla non avvenuta rappresentazione di un suo dramma, poiché così ha « risparmiato una considerabile dose di pazienza, evitando d’ essere spettatore dell’ insopportabile strapazzo col quale sono oggidì esposti più alla derisione che al gradimento del Pubblico i poveri drammatici componimenti ». — Nella seconda parte Alfredo Segrè pubblica il sonetto di Bernardino Fabri, conosciuto per la sua amicizia con il Goldoni. Il S. infatti nella succosa avvertenza nota questa particolarità e aggiunge intorno al Fabri parecchie notizie biografiche. Emilio Motta. Otto pontificati del cinquecento (ΊS5S'1591 ) illustrati da corrispondenze trivulziane. Milano, Cogliati, 1903; in-8, di pp. 29. — I documenti raccolti dal M. muovono dalla relazione di un agente degli estensi, Lorenzo Tassoni, del conclave dal quale uscì eletto Paolo IV ; notevole perchè senza ambagi narra il modo che fu tenuto dai cardinali di parte francese, sebbene in minoranza, per vincere la falange degli Imperiali, dalla quale subito visto voltarsi il vento, alcuni si staccarono ; « miracolo dello spirito santo », come dice il Tassoni. Auspice e condottiero di questa campagna elettorale il cardinale di Ferrara, a cui il nuovo pontefice doveva essere riconoscente per averlo « posto in questo altissimo grado », e perciò egli « vorrà et potrà più appresso lei [S. S.], che qualsivoglia altro signore del mondo, essendo che S. S. Reverendissima ha forzato gli elementi a farlo papa ». — Segue Pio IV della famiglia Medici, zio di Carlo Borromeo, e intorno a questi nominato di fresco cardinale ed arcivescovo di Milano, vertono specialmente i documenti che si riferiscono al periodo del suo pontificato. Importante la lettera del barone Sfondrati sulla tragica fine dei Caraffa, e graziosa quella di Silvio Antoniano per rallegrarsi delle nozze del conte Gio. Battista Borromeo con Giulia Sanseverino. « Hora », gli scrive allegramente, « bisogna mo stampare un Adoncino presto presto, e all’hora sì che voglio che il Barone et io pigliamo la ribrica in mano, et che cantiamo un Epitalamio ». Ahimè, non avrebbe mai immaginato che questa sposa dovesse essere più anni dopo uccisa dal marito ! — Pio V, che successe nel 1566 a Pio IV, ebbe la tiara per la parte vivissima presa alla sua elezione dal cardinal Borromeo (è qui da cor-reggere nel testo « elezione del Medici » in « del Ghislieri ») di cui porge testimonianza un brano di lettera di Camillo Borromeo. Ma del Ghislieri cardinale son prodotte tre brevi lettere in due delle quali si tocca di libri vietati, e di processo per imputazione d’ eresia. — Nulla v* ha che riguardi direttamente Gregorio XIII, soltanto nel suo periodo pontificale si ricorda il giovane Paolo Camillo Sfondrati studente a Roma, di cui si produce una curiosa lettera alla madre per batter cassa, accompagnata dalla nota delle spese; le necessità di quel povero scolaro erano tante, « e il vivere a Roma molto più caro che non a Milano » ! Indorava la pillola con 1 invio di « una scatola di Agnus Dei con certi grani benedetti dalla Trinità ». — Ed eccoci a Sisto V sulla elezione del quale si hanno alcune notizie conclavistiche, donde si apprendono i modi tenuti per la sua riuscita, quando la notte precedente il cardinale « Alessandrino stravestito da seculare andò facendo le pratiche sul più bello del sonno », e il voto del cardinale d’Este fu quello che diede la maggioranza, e perciò all’atto dell’adorazione il papa gli disse: « opus manum tuarum ». Avvenne in questo tempo il noto eccidio di Attoria Ac-coramboni, intorno al quale si reca una lettera dell’ ambasciatore di Savoja a Venezia. — Del tempo in cui sedette sul soglio papale Gregorio XIV, Sfondroti, è qui pubblicata una lettera di Giovanni Botero, dalla quale si rileva com’ ei dettasse una narrazione del conclave di Gregorio XIII, scrittura che gli « fu di tanto fastidio e travaglio » da farlo risolvere a non « impacciar^/ più di scrivere conclavi ; cosa in vero pericolosa, e più atta a nno- 68 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cere che a giovare ». Edotto dalla prima esperienza non volle scriver nulla intorno al conclave di Urbano Vili, pur essendo stato fra i conclavisti. — L’ ultimo pontefice di cui si parla è Innocenzo IX, Facchinetti, alla cui nomina contribuì possentemente il cardinale Sfondrati, che ne dà partecipazione al marchese d’Este ; nè manca di accennare alla riconoscenza del papa, ed ai favori cospicui subitamente ricevuti. — Il M. ha corredato di note opportune tutti questi documenti tratti dalla biblioteca e dall’ archivio trivulziani ; tesori de’ quali è amoroso e competente custode e se ne giova ottimamente in servizio degli studi. R. Honig. Bologna e Giulio II, 1511-1513. Bologna, Azzoguidi, 1904; in-8, di pp. 88. — Sebbene il periodo preso a trattare dall’a. non fosse, nelle sue linee generali, e anche in parecchi particolari, sconosciuto, pure un esame più accurato dei fatti, desunti da fonti edite ed inedite, poteva riuscire utile a presentarci un quadro esatto pieno ed intero di quei terribili anni in cui Bologna ebbe a sopportare le disdette d’ una contesa, che produsse 1’ ultimo effimero dominio dei Bentivoglio, e quindi 1’ assoluta e irrevocabile soggezione al governo pontificio. A questo ha inteso con il presente lavoro 1’ a., il quale muove appunto da quel memorabile assedio della Mirandola, in cui gli istinti guerreschi di Giulio II si manifestarono così gagliardamente, da destare l’ammirazione, non disgiunta dalle critiche rispetto alla condizione dell’ uomo, ed alla politica onde s’ era fatto paladino. Esposti gli avvenimenti che seguirono nella presa di quella città si entra nella parte importante dell’ argomento ; di guisa che noi assistiamo alle vicende diverse, per le quali i Bentivoglio rientrarono in Bologna e ne assunsero il reggimento, le condizioni della città in questo tempo, le modalità del loro governo, tutto quanto in fine si riferisce a quel tumultuoso ultimo anno in cui tennero Bologna. La quale tornò in potere del papa il 10 giugno 1512, e in qual modo, in suo nome, fosse amministrata dai suoi rappresentati fino alla sua morte, è ampiamente narrato in queste pagine, dove non manca il colore locale mercè i particolari aneddotici desunti da cronache inedite e dalle carte d’ archivio. Necessariamente emerge qui la figura di Francesco Maria della Rovere, le cui gesta in questo periodo storico, in diversa guisa giudicate, ricevono rincalzo di osservazioni e di facti. J. Jung, Hannibal bei den Ligurern, p. 43. — L’illustre A., professore dell’ Università di Praga, s’ era altre volte occupato della illustrazione di episodi attinenti alla seconda guerra punica (Wiener Studien XVIIl (1896) p. 99 115·). Ora in questo suo studio si occupa di preferenza di Annibaie presso i Liguri e della via tenuta dal duce Cartaginese nel passaggio degli Apennini. Per giungere a risultati proficui l’A. crede opportuno premettere alcune ricerche sugli eventi dell’ Italia settentrionale e i rapporti dei Romani eoi Galli e coi Liguri alla fine dell’anno 218 e al principio del 217 av. Cr., ed osserva che il passo di Pontremoli era già stato aperto dai Romani fin dalla spedizione contro i Celti del 225 av. Cr. Passa quindi a parlare di Annibaie, studiando le sue mosse e i suoi rapporti coi Galli e coi Liguri, fino alla battaglia della Trebbia. La seconda parte del lavoro (p. 32-43) tratta della via di Annibaie per l’Apennino, e dopo aver esaminate le opinioni degli antichi, e de’ moderni, tenendo nel dovuto conto anche le memorie locali, inclina a credere che Annibaie tenesse la via che da Piacenza, Velleia, per il passo Bratello conduce ne’ Liguri Apuani a Pontremoli, e di lì poi nell’Etruria. Lo studio è condotto con molta diligenza, e l’A. dà prova di aver egli di persona preso visione de’ luoghi, il che, in ricerche di simil genere rendesi necessario. Dobbiamo però osservare, che, oltre ad alcune inesattezze, facilmente scusabili in lavori topografici, che ci trasportano in epoche tanto remote, le cui condizioni topografiche si possono il più delle volte piut- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 69 tosto travedere che conoscere esattamente, 1’ itinerario proposto dall’A. non ci pare affatto rispondente alla narrazione di Polibio, che fin dal primo muoversi dell esercito cartaginese dalla Trebbia, e quindi per tutto il percorso fino all Etruria, lo fa incessantemente passare attraverso luoghi paludosi, mentre non parla mai di difficoltà di passaggio in rapporto all’ elevazione o al dirupamento de luoghi, come avrebbe dovuto accadere per il passo di Bratello, il cui rapido pendio non poteva, nemmeno allora, dar luogo alle paludi di cui parla lo storico greco. Altre circostanze che non militano in favore dell opinione dell’A., ma che pur dovevano esser tenute in gran conto, sono le disposizioni ostili dei Genuates e degli Apuani per Annibaie, essendo essi durante il corso della seconda guerra punica sempre stati alleati e sostenitori dei Romani, ed infine 1’ ostacolo che poteva derivare alla marcia di Annibaie dalla forte posizione romana di Pisa, non molto lungi dalla quale sarebbe passato 1’ esercito cartaginese, senza che figuri nella narrazione alcuna parte che la sua guarnigione abbia avuto in tale passaggio. A ragione quindi l’A. finisce il suo pregevole lavoro dicendo che egli non afferma, ma solo gli sembra, che la via seguita da Annibaie sia quella del passo Bratello, poiché se lo studio del sig. I).r Jung getta qualche nuova luce su questo particolare, è però sempre aperto 1’ adito a nuove ricerche. Giovanni Oberziner SPIGOLATURE E NOTIZIE. .·. Nella interessante monografia di Giuseppe Arenaprimo intitolata: II ritorno e la dimora a Afessina di Don Giovanni d* Austria e della Flotta cristiana dopo la battaglia di Lepanto, redatta sopra documenti nuovamente dall’ a. rinvenuti, si leggono alcuni riferimenti a genovesi banchieri trafficanti in quella città, o in relazione con banchieri messinesi, come è a dire Percivalle Centurione, Girolamo Lomellino, Taddeo e Gio. Battista di Negro. E poi in ispecie per il commercio della seta, Vincenzo e Iacopo Spinola, Raffaele Giustiniano, Giambattista Cicala, Angelo e Giuseppe Usodimare, Sebastiano e Gio. Antonio Cattaneo, Melchiore e Francesco Cafaro, Amelio Fiesco (questi a Taormina) ed altri ancora. Si trova menzione di un Agostino Rivarola tesoriere particolare di Don Giovanni ; di un « Iacopo Liseggi (?) genoisi si-taloro », e di Francesco Roccatagliata mercante di velluti. Infine sono dati alcuni nuovi documenti intorno ad Andrea Calamech scultore carrarese ben noto (Arch. stor. siciliano, Nuova Ser., XXVIII, p. 73 sgg.). .·. Rileviamo dal Bollettino storico della Svizzera Italiana (XXV, p. 164Ì che nella rara raccolta di rime In morte di S. Ecc. il Signor Conte Giovanni Benedetto Arese, dedicate alla contessa Clelia Grillo Borromea (Milano, Frane. Agnelli, in fol.) si legge un sonetto di Giacomo Filippo Lodola genovese indirizzato al noto abate Anton Maria Borga. .·. U11 curiosissimo verbale di bordo scritto in volgare fra l’agosto e il settembre del 1284 ci apprende come una nave ragusca denominata S. Nicolò, che si trovava in quei giorni sotto carico a Tunisi destinata a Pisa, si determina invece a raggiungere Venezia a fine di non perdere tutto il suo avere. E ciò per le notizie ricevute della battaglia avvenuta alla Meloria, vinta dai genovesi contro i pisani, donde la sicurezza che facendo rotta per Pisa sarebbe andata perduta la nave ed il carico, sì come era accaduto a Marin Michel « ke li Genoexi auea preso la soa naue e menahda la çente co lauer e co le persone in prixon » (Archeografo Triestino, Ter. Ser., vol. I, p. 91 sgg.). .·. Dal Diario di messer Luca de Renaldis dalmato, vescovo di Trieste, rileviamo che nel 1498 sul cadere di maggio venne a Genova, di commissione /o GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di Massimiliano I, e quivi si trattenne « per sex menses continuos cum equis V et tot famuclis » per aspettare, secondo le istruzioni, i suoi colleghi legati al re di Spagna. Ma tornò nel dicembre alla corte del suo Signore, e da lui fu nuovamente spedito nel marzo del 1499 « ut irem Genuam et Mediolani ad recuperando vasa argentea impignorata Spinolis ». Fra Genova e Milano si fermò dal 18 marzo al 20 maggio « litigando cum eredibus qm. Nicoli Spinole per vasa argentea que erant illis impignorata per XIII m. du-catos, et probavi illos non debere habere dictam quantitatem, et defalcavi eis V m. ducatos » (Archeografo Triestino, Ser. Torza, vol. I, p. 46-47 . .·. X·. stata messa in vendita a Milano dal libraio L. Battistelli una collezione di autografi, fra cui ne troviamo parecchi che interessano la nostra regione, dei quali ci piace tener nota, rilevandola dal catalogo n. 41. Oltre a lettere singole di Adolfo Bartoli, Girolamo Boccardo, Domenico Bufia, Benedetto Cacciatori, Giuseppe Franchi (scrittori i due primi, uomo politico il terzo, scultori gli ultimi ', se ne hanno tre notevoli di Giuseppe Mazzini, ben trentadue del marchese Niccolò Grillo Cattaneo con sette del figliuolo suo Leonardo tutte d’argomento letterario indirizzate all’ab. Cassina (1773-86), e finalmente quaranta di Carlo Amoretti di Oneglia scritte allo stesso Cassina dal 1799 al 1806, importanti per le notizie storiche contemporanee. .·. Ercole Gnecchi ha dato notizia di uno scudo di Gian Battista Spinola, coniato nella zecca di Vergagni, feudo del quale egli era principe. Di Gian Battista non si conosceva che una piccola moneta d’ argento, forse un quarto di scudo, esistente nel medagliere della R. Università, ora al Museo del Palazzo Brignole - Sale - De Ferrari (Palazzo Bianco ), illustrata dal-Γ Olivieri. Lo scudo presente appartiene alla raccolta numismatica Pogge di Greifswald iPomerania·, che deve essere stata venduta l’anno scorso a Francoforte sul Meno. Eccone la descrizione: « Peso gr. 26.500 — * D * IOANNES * Baptista * Spinula * Busto corazzato a sin. con parrucca — * R * Mar *S*R*I*E* Vergagini * Pimi * Com * P * ET * C (Marchio. Sacri. Romani. Imperii et Vergagni Pnmus Comes Princeps etc.). Nel campo lo stemma Spinola in petto all’Aquila bicipite coronata ». Non reca data « ma dal busto assai giovanile » il Gnecchi crede si possa ascrivere al 1680, data che si trova nell’ altra. Egli poi ritiene fosse coniata a Vienna, mancando qualsiasi documento che accenni alla zecca di Vergagni [Rivista Italiana di numismatica e scienze affini) vol. XVI, p. 187 sgg.). .·. Segnaliamo, sebbene con qualche ritardo, la scomparsa dell’interessante rudere lunense del tempo romano che sorgeva alla bocca di Magra in mezzo al letto del fiume. Quel rudere, chiamato volgarmente VAngelo, fu creduto, e forse era, il nucleo di un antico sepolcro, che segnava probabilmente 1’ andamento di una via scomparsa ; e come tale fu giudicato da C. Promis nei suoi studi archeologici lunensi. In questo Giornale ne fu pubblicata la fotografia (cfr. Anno I, 1900, pp. 452), insieme con uno scritto inedito di G. Guidoni intorno al corso della Magra, non molto tempo prima della sua scomparsa, dovuta alla straordinaria piena del fiume, avvenuta nel-I’ ottobre del 1901. .·. Nella importante monografia di M. Schifa, Il regno di Napoli a! tempo di Carlo di Borione, troviamo ricordato il genovese p. Antonio Piaggio delle scuole pie, miniatoré e calligrafo valente imitatore dei caratteri antichi, a cui si deve il miglior metodo per svolgere i papiri (cfr. sua biog. in Avvisi, Genova 1796, n. 16), chiamato a Napoli nel F753 da Roma per svolgere e copiare i papiri ercolanesi (Arch. stor. delle prm. napoletane, XXVIII. 545). Più innanzi si danno alcune notizie dello scultore Francesco Queirolo 'detto nel testo per errore Giuseppe), le quali illustrano e integrano quelle del Ratti (Vite dei pitt., scult, e arch. genovesi, II, 305). Notevole GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 71 la supplica presentata al re a cui aveva fatto dono del David, con la quale domanda di entrare al suo servizio ; ne ebbe un formale rifiuto, ma per indorargli la pillola gli vennero concessi in dono 100 dobloni d’ oro (Arch. stor. cit., p. 634 sg.). .'. Le Lettere inedite di Bernardo Tanucci a Ferdinando Galiani, pubblicate e illustrate da F. Nicolini (Arch. stor. nap., XVIII, 574) 685) toccano parecchie volte delle cose di Genova, la quale in quegli anni (1763-64) aveva sulle braccia la rivoluzione di Corsica capitanata dal Paoli. I rilievi e i giudizi del Tanucci incisivi e salaci, fanno tenore a quelli del Galiani, nelle note lettere già edite, dettati con acuta vivacità. ·*· Nel mese di gennaio di quest’ anno il libraio Dario G. Rossi di Roma ha posto in vendita per auzione la notevolissima biblioteca del fu principe Demetrio Rhodocanakis di Scio. Il catalogo che il diligente e perito libraio ne ha messo fuori è compilato, secondo il consueto, con buon metodo ed avveduta esperienza. Le cose genovesi vi abbondano, e tutte per lo più in esemplari di buona conservazione, e superbamente rilegati. Chi voglia tener conto della bibliografia riguardante la famiglia Giustiniani, dovrà consultare questo catalogo che è in questa parte ricchissimo. Accenneremo fra 1’ altro alla raccolta delle opere di Michele Giustiniani così quelle da lui scritte, come di altri pubblicate per sua cura, notevole per diversi rispetti ed assai rara ; sì come alla Description et histoire de L’ isle de Scios di Girolamo Giustiniani edita a Parigi sui primi del sec. XVII, alla quale vanno uniti opuscoli di somma rarità, e documenti singolari manoscritti. Troviamo qui l’orazione di Ansaldo Giustiniani per la consegna dello stendardo ad Andrea D’ Oria, stampata a Genova nel 1553 e della quale non si conosceva che una sola copia esistente nella Vaticana al tempo di Michele Giustiniani. — Notiamo infine per amor d’ esattezza come sia errore 1’ asserire (p. 50 che le Opere volgari e latine del Bonfadio, nell’edizione di Brescia 1758-59, contengano la « première édition » della traduzione italiana degli Annali genovesi, poiché essa invece uscì la prima volta in Genova nel 1586, e fu poi unita alle Storie del Foglietta tradotte dal Serdonati, con la data del 1597. Ed è inesatto del pari dare come stampate a Torino le Considerazioni sulle cagioni della ricchezza de’ genovesi ài Agostino Paieto (p. 220), mentre sono effettivamente un estratto dalle Memorie dell Istituto Liguri, dal volume edito nel 1814. .·. Nella Λliscellanea storica della Valdelsa (XI, p. 124 sgg.). MICHELE LUPO GENTILE pubblica una sua varietà intorno a Bartolommeo Scala e i Medici, nella quale sono pubblicate tre lettere del cancelliere fiorentino a Nicodemo Trincadini da Pontremoli, segretario del duca di Milano. Sono tratte dal cod. 834 della biblioteca Riccardiana che altre ne contiene, insieme al carteggio di letterati col Trincadini stesso. Quelle qui messe in luce sono degli anni 1465-1466. Nell’ ultima parte del Contributo alla storia delle relazioni far Amedeo Vili di Savoia e Filippo Maria Visconti di FERO!NΛM)0 GABOTTO i Bollettino della società pavese di storia patria, III, 277 sgg. ) troviamo ai servigi di Filippo Maria Visconti nel 1421 un « nobilem Fabianum de Pon-tremulo, hominem bone condicionis » p. 3°5’ 341)· — G. Romano pubblica in appendice al suo lavoro ; La guerra tra i Visconti e la Chiesa (1360-1376 ) (Ivi, p. 4341 un breve di Gregorio XI a Giovanni del Fiesco vescovo di Vercelli. .·. Nel catalogo n. 158 (novembre 19031 del libraio antiquario P. Luz-zietti di Roma, vediamo messe in vendita fra gli autografi, una lettera di Antonio Bertoloni, 1’ insigne botanico sarzanese, dell’ 1 1 ottobre 1826, una di Gerolamo Lagomarsini della C. di G., e una di Giuseppe Mazzini. .·. Fra le Nouvelles acquisitions du département des Manuscrits de la 72 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Bibliothèque Nationale pendant les années 1 çoo - igo2 di cui rende conto H. Omont (in Bibliothèque de l’ Èco/e des chartes, Ianvier - Avril 1903Ì troviamo al n. 725 il seguente manoscritto in pergamena del sec. XIV : Legende Sanctorum, quas compilavit frater Jacobus Januensis, de ordine Predicatorum. Proviene dalla Abbazia di Cluny e faceva parte della collezione Barrois. .·. Nella recente monografia di Remigio Sabbadini, Un biennio umanistico, sono meglio e più esattamente determinate rispetto alla cronologia le relazioni dell’Aurispa con i Fregoso, di cui Γ a. aveva parlato nella vita dell’erudito umanista di Noto. Per Tommaso Campofregoso tradusse un’Epistola di Falaride che è a c. 52 del Cod. Ambrosiano C. 43 snp. con questo titolo : Aìtrispe translatio ad Thomam de Campofregusio in qua Phalaris regnans negat a se relinquendum fore imperium assumptum nisi cum morte (Gioi-nale stor. d. lett. ita/., Supp. n. 6, pp. 79, 81, 83, 88). .·. Nello splendido volume di Boyer d’Agen, L’Oeuvre du Pinturicchio 1 Paris, Ollendorff, 1903), vediamo riprodotta, come non si potrebbe meglio desiderare, la madonna detta del Cardinale Cibo, che si ammira nella cattedrale di Alassa. I nostri lettori già conoscono quest’opera d’arte per l’ampia illustrazione storica di Luigi Staffetti (Cfr. Giornale, I, 401 sgg.) accompagnata dalla relativa tavola in piccole proporzioni. .·. Richiamiamo 1’ attenzione degli studiosi sopra la diligente monografia di Guido Cappellini, Lo scontro di Rapallo (Nuovo Arch. Veneto, N. S., Ili, I, 69). Egli ha fatto dirette ricerche negli archivi di Genova e di Venezia, di guisa che del fatto, de’ suoi precedenti, delle conseguenze e dei particolari porge una narrazione chiara ed in ogni sua parte documentata. L’ avvenimento in se stesso era noto, ma il C., mentre dà notizie nuove, corregge opportunamente alcuni dettagli degli annalisti, e rileva le ragioni e i procedimenti politici di quei signori e di quelli stati che ad esso ebbero parte. Diciassette documenti corredano e confortano la narrazione. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Alerien. seu Papien. Canonizationis beati Alexandri Sauli e Congregatione clericorum regularium S. Pauli Barnabitarum episcopi Aleriensis et postea Papiensis. Positio super novis miraculis post indultam eidem beato venerationem. 1902. Altolaguirre y Duvale (de) Angel. Cristobai Colon y Pablo dei Pozzo Toscanelli. Es tu dio critico del proyecto formulado por Toscanelli y seguido por Colon, para arribar al extremo Oriente de Asia navegando la via del Oeste. Madrid, imp. de Administración militar, 1903 ; in-4, di PP- X-427. — Cfr. recensione in Revista de Archives, bibliotecas y Museos, 1903, dic., p. 468. Annuario della Sezione Ligure del C. A. I. pel 1904. Genova, Bacigalupi, 1904 ; in-16, di pp. 69, con fig. Arrivasene - Valenti - Gonzaga Carlo. La torre di Galata (in Nuova Antologia, vol. CVIII, p. 703). Atti ufficiali della Conferenza massonica ligure 1903. La Spezia, a cura del Comitato Ordinatore [Tip. F. Zappa] 1904, in-8, di pp. 143. Bacigalupo Francesco. Cenni storici sopra il Santuario di N. S. Causa GIORNALE STORICO E LE I TERARIO DELLA LIGURIA Nostrae Letitìae eretto in S. Pietro di Rovereto, con brevi notizie sulla chiesa parrocchiale. Chiavari, tip. Artigianelli, 1903; in-16, di pp. 75, tav. 3. Barriera Raffaello. I poeti della patria. Torino, Paravia, 1904; in-8, di pp. 306. — Vi si parla di Giovanni Fantoni (58-60), di Goffredo Mameli (147-149) con accenni al Chiabrera, al Pastorini e al Mazzini. Biamonti Giuseppe Luigi. 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Ciò che restera dell’opera di Giuseppe Mazzini 1 in L’ Idea liberale, 1904, 13 marzo). Canna G. Considerazioni sulle poesie di Goffredo Mameli (in Rendiconti del R. Istituto Lombardo, XXXVI, 15-16). V Cappellini Guido. Contributo storico alle relazioni fra Venezia e Genova. Lo scontro di Rapallo (27 agosto 1431) (in Nuovo Archivio Veneto, N. S. T. III., P. I, 69). Caro G. Ein Basler Kaufaun in Genua in Anzeiger fiir Schweiz, Ge-schichte, 1903, n. 4). Casabianca. La lettre et la carte de Toscanelli (in Revue des questions historiques, N. S. T. XXX, p. 140 sgg.). CASELLI Carlo. Il marmo Portolo di Portovenere (in La Rassegna Nazionale, CXXXV, 42 sgg.). Castellini Pietro. San Pellegrino in Val di Sturla. Memorie storiche religiose e civili. Chiavari, Gemelli, 1903 ; in-16, di pp. 29, con tav. ■— Pellegrinaggi al Santuario di N. S. del Ponte. Cenni storici. Chiavari, Gemelli, 1903 ; in-16, di pp. 29, fìg. Celesia Emanuele. Lettera (in Lettere d’ illustri contemporanei [a Giuseppe Olivieri]. Salerno, tip. Nazionale, 1904, p. 304). Centenario (IV) e Incoronazione del prodigioso Crocifisso di Sestri Levante 12, 13 e 14 settembre 1903. Chiavari, Raffo, [1903]; in-fol., di pp. 16, fìg. 74 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Cervetto L. A. Monumenti genovesi. La porta dei Vacca (in Rivista Ligure, 1903, fase. V, p. 239. — Il Natale, il Capo d’ anno e 1’ Epifania nell’ arte e nella storia genovese. Genova, Lanata, tip. della Gioventù, 1903; in-4, di PP· IV-126; con illust. e tav. — Silvio Pellico e i genovesi (in II Cittadino, 1904, n. 34'!. Cervetto L. C. Memorie storiche genovesi. Zemignano (in La settimana religiosa, 1904, n. 10). Christopher Columbus and thè discoveries of America in Edinburgh Revierji, Octob. 1903). Ciani G. Il nome di Corrado II nelle più antiche monete genovesi (in Bollettino di numismatica e di arte della medaglia. Milano, 1903, n. 2). — Monete inedite o rare (in Rivista italiana di numismatica, Milano, 1902, i-2). Monete di Tresana. Cipolla Carlo. L’abbozzo della convenzione conchiusa nel 1167 tra il comune di Piacenza e i Malaspina. Nota. Torino, Clausen, 1903 ; in-8, di pp. 6. (Estr.). Clerc Michel. L’Archéologie Ligure (une enquête à faire) (in Annales de la Société d’études provençales, I, 1904, p. 1). - Codice diplomatico dei Santuari della Liguria edito da A. Ferretto ; ^An. II, Ser. II, n. 4, 5, 6). Colombiana. Dove nacque e dove morì Cristoforo Colombo (in Almanacco moderno illustrato per le famiglie — '904, Palermo, Biondo, 1904, p. 72). Costa Stefano. Il Santuario di N. S. degli Angeli sull’Alpe di Buf-falora 1Isola del Cantone) (in La Madonna della Guardia, 1904, 11. io). C. P. C. [Castellini Pietro]. Il sac. Agostino Busco storico chiava-rese (in II Cittadino, 1903, n. 357). Delle Pere Luigi. Parole dette sulla tomba della Nobil Donna Angela Sergiusti Ved. Berghini il giorno del suo seppellimento nel cimitero di Sar-zana. 6 febbraio 1904. Sarzana, tip. Lunense; in-8, di pp. 7 n. 11. Dent Francis. Perez and Columbus or thè franciscans in America. Roma, tip. poliglotta, 1903 ; in-16, di pp. NI-188, tav. 6. Ernes. Uno storico genovese del sec. XVIII. (in II Cittadino, 1904, n. 89). — ^ il P. Tommaso Olivieri cappuccino, al secolo Ferdinando Antonio. Expérendien. La battaille de Novi ; une lettre de Moreau (in Reime du cercle militaire, 1903, 5, XII). Ferrari Pietro. Val di Magra [Sonetti] (in Gazzetta del popolo della Domenica, 1904, n. 12). Ferretto Arturo. V.' Codice diplomatico. Fondi Enr. Giuseppe Mazzini e il dramma musicale. Roma, Artero, 1903; in-8, di pp. 16. Francesco Zaverio (P.) da S. Lorenzo della Costa. Suor M. Elisabetta Fedele Spallarossa da Pontedecimo clarissa corale nel Monastero GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 75 della SS. 1 rinità di Gubbio. Genova, tip. del Cittadino, 1903 ; in-1 ò, di pp. 44. — Il convento dei Cappuccini di Campi. Cenni storici. Sampierdarena, Tip. Salesiana, 1903 ; in-8, di pp. 76. F[rancesco] Z[averino da S. Lorenzo della] C[osta] (P. . Padre Annibaie Tavarone da Genova missionario Cappuccino 11723-1785) in La Settimana religiosa, 1903, n. 35). — Padre Paolo Valente da Pontedecimo missionario Cappuccino (1781-1849) (ivi, n. 37). — Padre Sisto Rombo da Genova missionario Cappuccino (1817-1895) (ivi, n. 42). Frescura Bernardino. Genova e la Liguria nelle carte geografiche, nelle piante, nelle vedute prospettiche. (Primo contributo per la storia della Cartografia Ligure). Genova, Ciminago, 1903 ; in-8, di pp. 96. [Estr. dagli Atti della Soc. Ligust. di Scienze naturali e geografiche, XIV1. Fumagalli Giuseppe. Di Demetrio Canevari medico e bibliofilo genovese, e delle preziose legature che si dicono a lui appartenente. Firenze, Olschki (tip. Franceschi ni), 1903; in-4, di pp. 61, tav. 7. Gachot E. La Trebbia et Novi in Journal des sciences militaires, fevr. 1903). Gian Matteo Giberti in The Iìnglish Historica! Review, Iules, 1903). Terza parte di uno studio che completa le due comparse nei quaderni antecedenti. Gnecchi Ercole. Uno scudo di Gian Battista Spinola principe di Vergagni (in Rivista ita/, di numismatica e scienze affini, XVI, 187). Goodyear William Henry, A renaissance leaning façade at Genoa. With 10 Half-tone illustrations and 3 plates of surveys. New-York, Macmillan, 1902; in-4, di pp. 22. — Si parla della facciata inclinata di S. Ambrogio. Goggia P. Grottes préhistoriques de la Ligurie (in Cosmos, revue des sciences et leurs applications, Paris, 1902, N. S. XLVI-XLVII). Grillo Guglielmo. Monete inedite di Savona (in Bollettino di Numismatica e di arte della medaglia, Milano, II, 9). Issel A. Sulla scoperta di una antica stazione ligure in Provenza: cenni critici. Genova, Ciminago, 1904; in-8, di pp. 11. Jeanroy A. Un sirventès contre Charles d’Anjou (in Annales du midi, XV, 58 . È il serventese dal trovatore Calega Panzano. Cfr. al proposito Zcitschrijt fiir rom. Philolog., XXVII, 470. Laenen J. Le ministère de Botta Adorno dans les Pays - Bas autrichiens pendant le règne de Marie Therese (1749-1759). Anvers, Librairie néerlandaise, 1902; in-8, di pp. 297. Lettere e recensioni relative alla Storia del R. Istituto Nazionale pei Sordomuti in Genova, pubblicata dal Dott. D. Silvio Monaci nel 1901. Genova, Sordomuti, 1903 ; in-4, di pp. 79. Luxoro A. Gli stalli del coro nel duomo di Genova (in Arte decorativa, Bergamo, 1902, XI). Manacorda Guido. Una causa commerciale davanti all’ Ufficio di Ga- ~6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA zeria in Genova nella seconda metà del sec. XIV (in Studi Storici, vol. XI, 241 ; XII, 171). Mazzini Giuseppe. Epistolario voi. 2. Firenze, Sansoni, 1904; in-8. M AZZINI (II) giudicato da F. D. Guerrazzi. Lettera inedita (in La Biblioteca delle Scuole Italiane, 1904, n. 3). — Lettera del Guerrazzi ad Antonio Ranieri, 31 marzo 1872. Mazzini Pietro. Una lettera inedita di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Petroni (in Caffaro, 1904, n. 70). Mazzoni G. In una gita a Porto Venere (in Riviera Ligure, n. 591. Medin Αντονγο. La storia della repubblica di Venezia nella poesia. Milano, Hoepli, (tip. Allegretti), 1904 ; in-8, di pp. Χλ^Ι-225, con tav. — Cfr. per Genova i capitoli I e X. Messea Federico. Il castello Gavone nel Finale Ligure. Leggenda storica 64; 1743. Genova, Casamara, [1904]; in-8, di pp. 7 con illustr. Meunier D. Cimetières d’Italie — Gênes (in Quinzaine, 21 nov. 1903). Migliorini Livio. Illustrazioni Garfagnine. La chiesa di S. Regolo in Vagli Sotto (in Arte e Storia, 1904, n. 6). ìsERl A. Alcune rime di Gian Vittorio Rossi (in Rassegna bibliografica della letteratura italiana, XI, 238). Sono indirizzate al p. Andrea Fossa genovese. Novella Paolo. La chiesa parrocchiale di S. Zita in Genova (in La Settimana religiosa, 1903, n. 17) — Nella festa di S. Caterina di Genova (ivi, n. 191 — Chiese, cappelle e altari di S. Giovanni Battista (ivi, n. 25) — S. Ambrogio (ivi, n. 49). Olinto. Benedettini neri in diocesi (in La Settimana religiosa, 1903, n. 11, 12) — L’Abbazia di S. Andrea di Borzone (ivi, n. 23) — Canonici regolari in diocesi (ivi, n. 38). Orsini Begani. Marcino Piaggio, in Rivista di letteratura dialettale, fase. IV (ag. 1903) pp. 217-224. Paganini Niccolò. [Lettera ad Annibaie Milzetti] (in Roberti, Da autografi di grandi musicisti, Estr. dalla Rivista Music. Hai., 1903, fase. 4, P- *3)·' Perchè non potrò parlare anch’ io ? : lettera aperta al can. Lorenzo [Sacco], autore del Ragionamento intorno al Monastero delle Clarisse di Rapallo. Genova, Casamara, 1903 ; in-8, di pp. 33. Peretti Nada. Gli scritti letterari di Giuseppe Mazzini. Roma, Casa Edit. Nazionale (tip. della Tribuna), 1904; in-16, di pp. 182. Persiano Fil. La Lucrezia Borgia di Felice Romani. Firenze, Bonduc-ciana, 1903; in-8, di pp. 26. — La Sonnambula di Felice Romani. Firenze - Roma, Bencini, 1903; in-16, di pp. 14. Persoglio L. Storia dell’origine del santuario di Maria SS. della Guardia di Velva. Genova, tip. della Gioventù, 1903 ; in-16, di pp. 63. PlERONi G. TI clima di Garfagnana. Genova, Pagano, 1904; in-16, di pp. 9. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 77 Pizzorni G. B. Brevi cenni storici del Santuario di N. S. delle Grazie tra Iagliolo e Ovada. S. Pier D’Arena, tip. Salesiana, 1902 ; in-16, di pp. 29, con ng. 1 odesià V. Cenni storici del prodigioso Crocifisso che si venera nella perinsigne collegiata Parrocchia di Seslri Levante. Chiavar!, Rafìb, 1904 ; in-8, di pp. 36. I oggi Vittorio. Memorie savonesi d’ argomento vario. — Cose d’ arte in Savona. Scoperta di sepolture dell’ epoca romana nella Fortezza di Savona. Costumanze savonesi del buon tempo antico : Il Natale. Di un incunabulo rai issiino e probabilmente unico della Biblioteca civica di Savona. Un favorito di Giulio II. Savona, Bertolotto, 1903 ; in-8, di pp. 39. U coro monumentale della cattedrale di Savona e gli artisti tortonesi che lo eseguirono. Tortona, Rossi, 1904; in-8, di pp. 27, con tav. Pozzolini Arnaldo. Per il « Robbia » di Genova (in II Marzocco, a· VIII, n. 35). Era nel palazzo Serra in Vico iMele, n. 14. Fu venduto all’ estero e sostituito con una cattiva riproduzione. P. L. P. Le vie di Genova 1 in La Settimana religiosa, XXXIII, 605 ; in continuazione). — Il cinquantenario della ferrovia Genova-Torino (ivi; continua). Preda Agilulfo. Primo contributo alla flora algologica del Golfo della Spezia: Fioridee. Estr. dal Malpighia, XVIII, in-8, pp. 18. [Resasco F erdinando] Effe Erre. X Marzo. Intervista con un ottuagenario già segretario di Giuseppe Mazzini (in Caffaro, 1904, n. 70, e rettifiche, ivi, n. 72). Rinieri Ilario. Corrispondenza inedita dei cardinali Consalvi e Pacca nel tempo del Congresso di Vienna (1814-1815) ricavata dall’archivio secreto vaticano, corredata di sommarii e note preceduta da uno studio storico sugli stati d’ Europa nel tempo dell’ impero napoleonico e sul nuovo assestamento europeo e da un diario inedito del M.se di San Marzano plenipotenziario in Vienna del Re di Sardegna. Torino, Unione tipografico-editrice, 1903; in-8, di pp. LXXXII-774 con tav· — Notizie sulla unione di Genova al Piemonte e di Pio VII in Genova. Roberti Giuseppe. Da autografi di grandi musicisti (spigolature) (in Rivista Musicale Italiana, 1903, X, fase. 4). Una lettera di Nicolò Paganini da Roma, 30 X.hre 1818, e lettera di Mercadante a Felice Romani, da Parigi 16 8bre 1835. Rovereto G. Guida delie Alpi Apuane. Geomorfologia, serie dei terreni, industria dei marmi, sorgenti, caverne ecc., itinerari geologici. Genova, Pagano, 1904 ; in-16, di pp. 28, con fig. Santo [II] Cristo in Sestri Ponente : S. Gio. Battista : memorie storiche (in II Cittadino, 1904, n. 641. Sforza Giovanni. Memorie e documenti per servire alla storia di Pon-tremoli. Parte I (Racconto). Firenze, Franceschini, 1904; toni, uno in vol. II ; in-8, di pp. 862, con tav. SORBELLI A. La biblioteca del Capitolo e Tomaso da Sarzana (È il cap. 30 della monografia: La biblioteca Capitolare della Cattedrale di Ho- 78 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA logna nel sec. XV in Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna, Terza Serie, vol. XXI, p. 439 sg»·)· Toudouxe G. La rénaissance de Gênes (in Tour du monde, 14 nov. 1903). Ugo. Memorie storiche genovesi : Martino Piaggio (in La Settimana religiosa, 1903, n. 4). Vacca Marcello. Medaglioni genovesi. Iacopo Virgilio (in 11 Lavoro, 1904, n. 271). Vasseur M. Note preliminaire sur 1’ industrie ligure (poteries et silex taillés) eu Provence au temps de la colonie grecque (in Annales de la Faculté des Sciences de Marseille, XIII, 1902). Viale Luigi. Note d’arte levantesi (in II Cittadino, 1904, n. 73) “ Cenni intorno ad opere d’ arte in Levanto. Vie [Le] di Genova (P. L. P.). Piazza Manzoni (in La Settimana religiosa, 1903, n. 2) —- Via Maragliano (ivi, n. 5, 6, 7, 10, 12, 13, 17 ) ~ Via Marassi (ivi, n. 19, 20) — Piazza e Vico S. Marcellino (ivi, n. 26) — Piazza e chiesa S. Marco (ivi, n. 33) — Piazza, mura, salita, scalinata, vico S. Margherita (ivi, n. 45) — Piazza S. Maria degli Angeli (ivi, n. 481 — S. Maria di Castello (ivi, 1904, n. 5, 6) —· Santa Maria in Passione (ivi, n. 14) — N. S. delle Grazie (ivi, n. 15) In continuazione. Y. I quadri del Palazzo Rosso di Genova (in Rassegna Nazionale, CXXXIII, 18). SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA CRONACA DELLA SOCIETÀ. Nell’ultima adunanza dell’anno accademico il Presidente on. Marchese Cesare Imperiale dette conto della parte presa dalla Società al Congresso internazionale di Scienze storiche tenuto in .Roma nel-Γ aprile del 1903. La Società vi fu rappresentata dal Presidente stesso, come Delegato speciale, e dai soci proff.ri Eusebio, Rossello, Cogo, Bigoni e Staffetti, dal dott. Romualdi, dall’ avv. Moresco e dal dott. Vacca. Presentò come omaggio al Congresso stesso la relazione sulle pubblicazioni fatte dalla Società dall’anno in cui venne fondata al 1900, dovuta alla cura diligente del prof. Cogo (1). Il Presidente annunziò che il 16 gennaio 1904 si sarebbe fatta la solenne consegna del Palazzo di S. Giorgio al Consorzio autonomo per il Porto di Genova, dall’ on. Emilio Pinchia, sottosegretario di Stato per l’istruzione, in nome del B,. Governo. Prese argomento da ciò per ricordare la viva parte che la Società ha avuto (1) La Società Ligut e di Storia Patria (MDCCCL VIII-MDCCCC). Roina, Artigianelli, 1902. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA JQ per la conservazione e per il restauro dello storico edifizio, compiacendosi di vederlo finalmente tornato alla sua antica gloriosa destinazione, poiché resta cosi assicurata la conservazione dell’insigne monumento. Su proposta del cav. avv. Gaetano Poggi venne, per acclamazione, votato un plauso al Generale Canzio, Presidente del Consorzio. per la tenace energia con cui seppe assecondare i voti della Sojieta ligure o della cittadinanza genovese. Venne poi dato conti) della partecipazione della Società al Congresso storico subalpino, tenuto in Alba dal 10 al 14 di settembre 1903. Vi preselo parte, come speciali delegati, l’on. Emilio Pi neh ia e il prof. Luigi Staffetti. * Per iniziativa del Sig. Kollv, direttore del Museo di Theodosia, l’antica Catta, in Crimea, è sorta la proposta di innalzare in quel-1’antica città, che fu sede delle prime attive glorie coloniali dei Genovesi in Oriente, un ricordo marmoreo. 11 Consiglio della Società, accogliendo con viva compiacenza la proposta, nominava una commissione per avvisare al modo migliore di metterla in atto. La Società si è fatta iniziatrice di una pubblicazione che avrà per oggetto S. Giorgio nella Storia e nell’Arte, e il Consiglio ha deferito l’incarico al cav. L. A. Cervetto di darsi cura particolare della parte artistica, mentre tutti i colleghi si adopre ranno, con ogni lena, della parte storica. Conosciuto l’immane disastro che ha colpito Torino nella insigne sua Biblioteca, la Società scrivendo le sue condoglianze al cav. Carta. Bibliotecario, ha offerto di prestare l’opera sua per rintegrare il materiale scientifico distrutto dall’incendio. Essendo stata comunicata unii lapide recentemente scoperta nei lavori di restauro del palazzo di S. Giorgio, il Consiglio commise al collega Ferretto di presentarne una illustrazione (IX *** La Società ha distribuito il vol. XXXT, parte II, de’ suoi Atti che comprende il Codice Diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante 1275-1281- ; e 1’ appendice al vol. XXVIII, contenente 1’ indice onomastico e topografico dei fascicoli 2° e 3υ del volume stesso, compilato dal dott. Emilio Pandiani. Sono in corso di pubblicazione : Il seguito del Codice diplomatico del Ferretto, il Regesto degli Atti di Maestro Salomone, e il Re- fi) Nel venturo fascicolo del Giornale sarà dato il facsimile dell’iscrizione con la illustrazione del Ferretto. So GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gesto degli Atti riguardanti Sestri antico a cura dello stesso Ferretto. Sta per essere pubblicato altresì il Libro di Ricordi della famiglia Cybo, con introduzione, appendice e note illustiative del prof. Luigi Staffetti. È sotto il torchio l'Annuario sociale pel 1904 contenente, oltre l’elenco completo dei soci, l’indice sistematico degli Atti, quello del Giornale ligustico e del Giornale storico c letterario della Ligui ia che ne è il seguito, il supplemento del catalogo della Biblioteca Sociale e l’indice dei periodici che la Società riceve per cambio delle sue pubblicazioni. *** Il Marchese Pompeo Sertorio ha generosamente fatto dono di parecchie centinaia di opuscoli, fra cui parecchi assai notevoli di Storia ligure e di Storia de! Risorgimento. La Biblioteca sociale si è arricchita di numerose pubblicazioni fra le quali segnaliamo pregevolissimi doni del Marchese Staglieno, e del Cav. L. A. Cervetto che inviava la sua tanto lodata opera sui Gaggini e l’altra sul Natale. Ha acquistato un bell’esemplare dei Ber. ital. Scriptores del Muratori e del Dizionario del Casalis. 11 Presidente on. Marchese Cesare Imperiale è stato chiamato fra i componenti della Giunta esecutiva dell’Istituto storico italiano. * * * Entrarono a far parte della Società i Signori: Moresco avv. Mattia — Pandiani prof. Emilio — Pizzorni don Gio. Batta, parroco di Ti-gliolo — Poggi prof. Gio. Batta — Eomualdi dott. Alfredo — Vacca dott. Giovanni. *** La Società fu rappresentata dal suo Presidente e da vari soci alla solenne consegna del Palazzo di S. Giorgio, fatta il 16 gennaio 1904, dal R. Governo al Consorzio. Il giorno 19 l’on. Emilio Pinchia, sottosegretario di Stato per l’istruzione, visitò le sale della Società al Palazzo Bianco, ed ebbe parole di amichevole deferenza per il Presidente on. Imperiale suo collega, e di cortese saluto e d’incoraggiamento per i numerosi soci che erano intervenuti a riceverlo. Si raccolsero in apposito Album le firme dell’illustre visitatore e di tutti i soci presenti. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE Dante e Vgo di Strasburgo. IVota di Giuseppe Boffito. Torino, Clausen, 1904. Il punto e il cerchio secondo gli antichi e secondo Dante. Nota di GIUSEPPE Boffito. Milano, Rebeschini, 1904. La leggenda del Tornese d’ Oddone III de! Carretto per FRANCESCO No VATI. S. N. tip. // abbozzo della convenzione conchiusa nel 1167 tra il comune di Piacenza e i Ma/aspina. Nota d: Carlo Cipolla. Torino, Clausen, 1903. C. ManFRONI. Don Ciovanni d’Austria e Giacomo Foscarini 1572. Città di Castello, Lapi, 1903. GIOVANNI Sforza. 1Memorie e documenti per servire alla storia di Pontremoli. Parte I (Racconto). Firenze, Franceschini, 1904 ; con tav. ; tom. uno in 2 voi. Giuseppe Giorcelli. L’tilt ima moneta coniata nella Zecca di Casale Monferrato. Milano, tip. Cogliati, 1903. Amedeo Pellegrini. Relazioni inedite di Ambasciatori lucchesi alla Corte di pienna (sec. XVII-XVIII). Lucca, Pellicci, 1902. — Relazioni inedite di ambasciatori lucchesi alla Corte di Madrid (sec. XVI-XVII). Lucca, Pellicci, 1903. — Indice alfa.betico dei nomi propri che ricorrono nelle relazioni degli ambasciatori lucchesi alle Corti di Firenze, Genova, Madrid, Milano, Modena, Parma, Roma, Torino, Vienna. Lucca, Pellicci, 1903. — Inno romano di Giuseppe Garibaldi [edito da Giovanni Sforza]. Torino, Sacerdote, 1904. Bernardino Frescura. Genova e la Liguria nelle carte geografiche, nelle piante, nelle vedute prospettiche. Genova, Ciminago, 1903. Alessandro Tassoni. Difesa di Alessandro Macedone divisa in tre dialoghi con appendice di altri scritti tassoniani a cura di Giorgio ROSSI. Livorno, Giusti, 1904. Giuseppe Roberti. Da autografi di grandi musicisti. Torino, Bocca, 1903. — Benedetto Paiono di Meirano (1763-1830) e i suoi « Mémoires •pour servir à Vhistoire de la dernière guerre des Alpes ». Torino, Paravia, 1904. Vittorio Poggi. Memorie savonesi d’argomento vario. Savona, Bertolotto, 1903. Poesie di Ugo Foscolo. Nuova edizione critica per cura di Giuseppe Chiarini. Livorno, Ciusti, 1904. FRANCESCO Flamini. I significati reconditi della Commedia di Dante e il suo fine supremo. Parte seconda. Il vero : V allegoria. Livorno, Giusti, 1904. CAMILLO Manfroni. Lezioni di-storia d’ Europa e specialmente d’ Italia dal 1748 ai dì nostri. Quarta edizione, commentata. Livorno, Giusti, 1904. Albano Sorbelli La biblioteca capitolare della cattedrale di Bologna nel secolo XI'. Notizie e catalogo (1451). Bologna, Zanichelli, 1904. VlITTORIO Poggi. Il coro monumentale della cattedrale di Savona e gli artisti torto-nesi che lo eseguirono. Tortona Rossi, 1904. ALFREDO Chiti. Il risorgimento iiatia.no nel carteggio di Pietro Contrucci. Napoli. Sangiovanni, 1904 (ed. Paravia). AVVERTENZE Il Giornale si pubblica ordinariamente in fascicoli bimestrali o trimestrali, in modo da formare a fin d’ anno un volume di 480 pagine. Il prezzo di associazione per Γ Italia è di L. 10 annue, per Γ estero di franchi 11. Le associazioni si ricevono esclusivamente alla Spezia presso Γ Ufficio dell’Amministrazione del Giornale. L’Amministrazione concede ai collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti originali. Coloro che ne desiderano un numero maggiore possono trattare direttamente con la tipografia, che ha fissato i segg. prezzi : Da i a 8 pag. Copie 50 L. 6 » 100 » 9 » 100 successive » 7 Da i a 16 pag. Copie 50 L. 10 » 100 » 14 » xoo succ. » 11 r In questi prezzi sono comprese le spese della copertina, della legatura e del porto a domicilio del committente. PREZZO DEL FASCICOLO PRESENTE: !.. 2 GIORNALE storico E LETTERARIO DELLA pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria G. Sforza: Il Cartularium lohannis Ione di Portovenere, pag. Si — F. L. Mannucci: Intorno ad un volgarizzamento della Bibbia attribuito al B. Iacopo da V aragine, pag. 96 — A. N. : La caduta di Luisa Pallavicini (con ritr.), pag. 120 — A. Ferretto: Una lapide pisana nel palazzo di S. Giorgio (con facsimile) pag. 134 — · Bologna: La storia di Pontremoli, pag. 142 — VARIETÀ : F. Podestà. Le cave di pietra nera detta di Promontorio, pag. 188 — A. N. A proposito di G. Torti a Genova, pag. 191 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO : Vi si parla di: G. Rossi (C. Manfroni), H. Moris (G. Rossi), M. Roberti (G. Bigotti), E. Zanoni (G. Bigoni), G. Brizzolara (E. Grego), pag. 198 — ANNUNZI ANALITICI: Vi si parla di: A. Medin, G. Mondami, P. Segato, F. Corridore, C. Musatti, C. Manfroni, G. Giorcelli, M. Labò, A. Boscassi. P. M. Lugano, G. B. Marchesi, D’Ancona e Bacci, A. Luzio, G. U. Oxilia, A. Chiti. pag. 210 — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 218 Necrologie : G. Boccardo - N. Bacigalupo, pag. 221 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 222. diretto da ACHILLE NERI e da UBALDO MAZZINI ♦ ANNO V. Fase. 3-4-5-6 1904 Marzo — Giugno SOMMARIO direzione Genova Corso Mentana LA SPEZIA Societ Λ «Γ Incoraggiamento editrice amministrazione .h Spezia - Amministra7.ione del (ìiornulc GIORNALE STORICO E LETTERAKIO ÌJELLA LIGURIA 8l IL « CARTULARIUM IOHANNIS IONE » DI PORTOVENEKE Tra le carte dell’Abbazia di S. Venerio del Tiro maggiore, isoletta del Golfo della Spezia, che si conservano a Torino nel R. Archivio di Stato, vi è un protocollo notarile del secolo XIII, fino a qui sconosciuto agli eruditi e degno di studio. In un foglio, in principio, aggiunto nel secolo XVII, porta scritto da mano secentista: In tutto questo libro, che è stato riconosciuto e cartulato, non vi sono se non 7 instrumenti che appartinghino al Monastero, cioè : i° - Testimonianza a favore del Monastero fatta da un tal Montanino di Biassa per interesse del Monastero medesimo in Albana, del 1259............carte 31 2° - Rinoncia di 8 pezzi di terra fatta a favore del Monastero da una tal Giovanna figlia del qm. Gio. Ombraro, de 1259.................carte 35 3° - Cura del Ospitale di Massa data dal Monastero, con dichiarazione di alcuni beni del medesimo, nel 1260.... carte 38. 4° - Locazione di 3 pezzi di terra nell’ Isola Palmaria fatta dal Monastero ad un tal Baldovino da Portovenere, del 1260.................carte 46. 50 - Locazione simile di terra nell’isola Palmaria, in luogo detto Pozallo, fatta dal Monastero ad un tal Tancredino del qm. Alberto da Portovenere, del 1260.......carte 50. 6° - Locazione simile di terre nella Palmaria, loco detto alla Scola, fatta dal Monastero al medesimo e nel medesimo anno...............carte 50 e 51. 70 - Sentenza o sia pronuncia dell’Abbate del Tiro per interesse del Monastero, del 1260.....carte 75 e 76. Gli strumenti riguardanti il monastero di S. Venerio sono assai più di sette, ma allora tennero nota soltanto di que’ sette, forse perchè di maggiore utilità e interesse. Al protocollo fu lasciata la vecchia coperta, che nel rovescio porta scritto, di mano d’un dugentista: Cartularium lohannis Ione] e in fronte, ma di mano non così antica, il millesimo 1252, ricorretto poi in 1259; la cifrai e le parole: Libro primo. Nell’Archivio del Monastero aveva la segnatura : W n.° II. Le carte sono numerate Giorn. St. e Leti, della Liguria, V. 6 82 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dall’i al 133; ma il protocollo, disgraziatamente, è acefalo. Infatti incomincia con la fine di un testamento Actum m burgo Portus veneris, in domo heredum quondam lohannis de Boso. Anno dominice nativitatis millesimo ducentesimo quinquagesimo nono, indictione prima, die septima madii, post vesperas. Son dunque periti i contratti dal 1252 fino al 7 maggio del 1259. Vi è poi una lacuna dal 31 decembre del 1259 al 20 marzo del 1260 e dal 10 decembre del 1262 al 30 decembre del 1274. Il registro termina col frammento di un atto senza data, che viene immediatamente dopo uno dell’8 marzo 1275. Centoquattro strumenti appartengono al 1259; gli ultimi quattro però, due de’ quali sono del 27 decembre e due del 31 di quello stesso mese, nel cartulario sono messi come del 1260, costumandosi a Portovenere d’incominciare l’anno con la festa della Natività, cioè dal 25 decembre. Centoventisei son dell’anno 1260; sessantuno del 1261 ; cinquuntadue del 1262; ventisette del 1275. Il notaio Giovanni, che ora si chiamava Ione, ora de Iona, era di Portovenere e figlio di un Giona, anch’esso notaio, che più d’una volta si trova ricordato in questi strumenti. E una fortuna che il presente Cartulario sia scampato alle ingiurie del tempo; contiene notizie preziose per la storia della vita a Portovenere nel secolo XIII. Do, come saggio, un breve regesto di alcuni di tali strumenti, con la speranza che qualche erudito della Lunigiana pigli a farvi su uno studio minuzioso e diligente. Giovanni Sforza N.° I. 1259, maggio 10. Gualtiero, arcivescovo di Genova, scrive a fr. Andrea, abate del monastero di S. Venerio del Tiro, lagnandosi che non abbia fatto ritorno a quel monastero e seguiti a starne lontano, con detrimento « non modicum » del monastero atesso, sia nello spirituale, sia nel temporale. Gli ordina di presentarsi a lui in Genova dentro otto giorni. Fr. Gualtiero, monaco del medesimo monasteio, volendo consegnare questa lettera al suddetto abate, si reca nel monastero di S. Croce del Corvo, interroga il priore don Luca, nonché fr. Michele, fr. Benedetto, fr. Antonio e più altri, per saper dove sia. Rispondono che dimorò più giorni nel cenobio del Corvo e ne partì il 5 di maggio, di buon mattino. Ignorano dove si trovi. Fatto presso il monastero di S. Croce del Corvo « in claustro ipsius monasterii ». giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA 83 N.° II. 1259, maggio 10. 1'r. Gualtiero, monaco di S. Venerio del Tiro, volendo cercare 1 abate fr. Andrea, si reca « apud Hospitalem de Calca-rolla », e non lo rintraccia; interroga Giovanni, maestro di esso spedale, il quale dice che vi fu, ma ne partì la stessa notte « ad galli cantum ». Ignora però dove sia andato. Lo stesso ripete il suo fratello Armanneno, che dimora con lui. Fatto presso lo spedale di Calcarolla. N.° III. 1259, maggio 20. Maestro Enrico, Vicario dell’ArcÌvescovo di Genova, ordina a prete Portovenere rettore della chiesa di S. Pietro di Porto-venere e a prete Giovanni canonico della chiesa di S. Lorenzo di essò luogo di recarsi personalmente al monastero di S. Venerio del Tiro e invitare fr. Andrea, abate del monastero stesso, che da lungo tempo ne sta assente « maliciose », a venire dentro quindici giorni alla sua presenza. Prete Portovenere vi si reca e adempie l’incarico, alla presenza di don Iacopo, di don Guglielmo, di fr. Giovanni e di fr. Gualtiero, monaci, di Bonamico, Conforto, Bartolommeo e Saladino conversi. Fatto presso il monastero di S. Venerio del Tiro, nella chiesa. N.° IV. 1259, giugno 8. Prete Ventura, ministro della chiesa di S. Martino di Riassa [Blaxia] confessa di aver ricevuto da Migliorato Caramella due mine di frumento e promette di pagargli di qui alla festa di tutti i Santi soldi trentasette di Genova. N.° V. 1259, luglio 5. Olitosa figliuola di Aidante quondam Guidonis di Carpena dichiara alla presenza di Franceschino figlio di Buonmigliore quondam Murri di Portovenere, « quod ille puer nomine Iohan-ninus, filius dicte Olitose, quod in brachio tenebat, erat filius dicti Franceschini et de ipso eum susceperat per carnalem conmi-stionem, representans eum filium suum dicto patri suo et primo genitum, ut asserebat, traddens ipsum in virtute dicti Franceschini sui genitoris, dicens: hic est filius vester; et iuravit tactis sacrosantis evangeliis Dei ita esse verum ». Fatto a Portovenere nella casa del suddetto Buonmigliore. 84 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA N.° VI. 1259, luglio 13. Buomigliore quondam Murri e Franceschino, suo figliuolo, promettono ad Alberto quondam Sigembaldi di Portovenere « facere lignum unum navigale, de longitudine cubitorum triginta et nove et altitudine parmorum.....; et ipsum laborare et laborari facere omni laborerio asie et magisterio asie..... et dare ferramenta omnia, videlicet clavos sive acutos et alia cla-vatura »; lavorandovi di continuo « magistros tres », cioè loro due e un altro. Si obbligano inoltre di costruire « barcham unam convenientem et decentem prodicto ligno ». Alberto, dal canto suo, promette di dar loro « lignamen sive covertam prò dictis ligno et barella » e lire ventisei e soldi cinque di Genova per mercede. Fatto a Portovenere. N.° VII. 1259, luglio 20. Guerisino de Summo jugo promette ad Alberto quondam Sygembaldi di consegnargli « apud Aspeciam », dentro il mese d’ agosto, il legname per una saetta, di cubi trentotto, « sine aliqua marcitudine vel magagna », per il prezzo di lire cinque e soldi sei di Genova. Fatto in Portovenere. N.° Vili. 1259, agosto 3. Benenato quondam Avegnate di Vernazza, per conto proprio e de’ suoi fratelli Buonagiunta e Naalino, vende a Faulo de Na-riga di Portovenere « tertiam partem unius barche, dicte Rose », per il prezzo di lire dieci di Genova. N.° IX. 1259, agosto 25. Durante quondam Bostarchi de Volasta dà ad Albertuccio quondam Martini Ferrario de Sarzauo in pagamento delle doti di Vezzosa quondam Albergi Cacatrape, moglie di esso Albertuccio, una casa in Portovenere e un pezzo di terra, pure in Portovenere, nel luogo detto Ulius, non che « cultricem unam et copertorium unum » ; casa, terra e robe stimate venti lire di Genova. Fatto in Portovenere « in domo Ione notarii ». N.° X. 1259, settembre 23. Oreguardo di Portovenere noleggia a Giberto quondam Orlandi, a Ronifazio quondam Melioris e a Boninsegna figlio di Orlandino di Firenze una sua saetta, chiamata Bonaventura Ro- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 85 mana, per caricarvi presso la foce di Grosseto moggia ventidue di sale e portarle a Pisa. Promette di darla loro provveduta « de bonis velis et marinariis et omni apparatu necessario » ; e piglia di nolo cinquantasette lire e dodici soldi pisani. Fatto in Portovenere. XI. 1259, ottobre 28. Guglielmo Podenzolo, Bellerone di Carpena e Guerresino de Summo jugo promettono a Cogo quondam Iacobi de Marino e a Rainello Erro di Portovenere « dare omne corvamen sive li-gnamen unius ligni, cubitorum triginta unius, bonum et sanum videlicet materas garibatas in plano, de parmis novem et dimidio, et timones duos bonos et sanos dicto ligno convenientes et’ omnes alias matherias et stamonarias convenientes ad dictum opus faciendum, absque aliqua marcitudine vel magagna et omne aliud corvamen, exceptis lignaminibus omnibus infrascriptis, videlicet seris de lodro tabulis voghis aposticiis iugo atque carena » ; per il prezzo di ventuna lira e dieci soldi di Genova. Il qual legname dovrà consegnarlo « a Corvo usque ad Gurfum Spezie ». XII. 1259, decembre 4. Bonagheve quondam lohannis Maghigne e Marchesana, sua moglie, promettono a Benvenuto quondam Simonis Castagne di procurare che Verdeta, loro figlia, lo pigli per marito, dandole trentuna lire di Genova in dote, metà in danaro e metà in roba, purché Benvenuto faccia lo strumento dotale « secundum morem et consuetudinem Ianue ». XIII. 1259, decembre 8 Alberto quondam Sygembaldi confessa a Sigembaldo de Donna lacobn e a Rolandino Bagarato di avere avuto per sè e per Nic-colosio quondam Iohannoni, suo cognato, da Ogerio Lardo e Guglielmo Barcha, castellani di Portovenere, lire quindici di Genova come prezzo di una saetta, chiamata le Amelie. XIV. 1259, decembre 9. Giovannino Galleta da una parte e Faziolo de Servo dall’altra fanno pace fra loro, perdonandosi scambievolmente < omnem iniuriam et malivolenciam » detta e fatta, « specialiter occasione feruce » nella quale Giovannino inveì contro Faziolo. 86 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA XV. 1259, decembre 10. Ruffino abate del monastero di S Venerio del Tiro pregò Ogerio Lardi e Guglielmo Barche, castellani di Portovenere, di ricevere le dichiarazioni giurate di alcuni testimoni « super eo quod sciunt de Albana et possessionibus Albane ». Acconsentirono, dandone l'incarico al notaro Giovanni de Iona. Montanino de Blasia, uno de’ testimoni prodotti da Ruffino, dichiarò : « scio et certus sum quod Albana fuit dominorum de Vezano, et quod Albana pervenit ad predictum monasterium Sancti Venerii de Tyro a dominis de Vezano..... Scio et certus sum quod domini de Vezano diviserunt se in quinque partes, prima quorum divisio fuit Almanfredorum, alia Enricorum, alia Grimaldorum, alia Opizonum et alia Lambertorum, qui dicuntur Coneorum. De hiis quinque divisionibus Lamberti et Opizones nullam partem habuerunt in Albana..... Grimaldi diviserunt se in tres partes ; prima pars fuit Rollandini, qui descendit a Guidone filio Fran- ceschini; alia Grimaldini, qui descendit a..... ino de Vezano ; alia Balduini cum suis consortibus, qui descenderunt a Guiscardo, Bellengorio et Monacho. Almanfredi diviserunt se in quatuor partes, una quorum fuit Balzani et Bernazoni et Ge-rardini de Boso, patres quorum fuerunt fratres. Alia fuit Ge-rardini Comitis, qui descendit a Guizolo. Alia Moruelli, Oradini et Enigerami, qui descenderunt ab Enrico quondam Guilliel-mi.....ddà. Alia Servidei et ludices de Valechia, qui descenderunt a Corrado et Ardizone filio Guidonis Lombardi. Henrici non dividerunt, sed discenderunt a Castello filio quondam Gerardi Rogrosi, quod fuit de Albergo domine Matilde. Albertus et Fidancia fuerunt de eadem domo domine Matilde ». Due altri testimoni, Benadù e Bertoldo da Carpena, ripetono le stesse cose. XVI. 1259, decembre 12. Martignone Rubeus de Croco per alcune robe avute da Iacopo Lombardello promette dargli quindici soldi di Genova per la festa di S. Martino « et congium unum musti boni et convenientis » della sua vigna, posta in luogo detto de Luminari, dentro il mese di settembre. XVII. 1259, decembre 15. Guizolino calafato e Guglielmino filius Salembeni, esso pure calafato, promettono a Gerardino quondam Vitelletti, stipulante a nome di Iacopo Presbiteri, suo patrigno, * calcare lignum unum, cubitorum triginta octo..... quod facere debet sive construere Bonusfilius de Cagnolo »; e soggiungono: « promictentes illud GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 87 lignum predictum calcare et laborare omni laborerio nostro ca-lafacie, tam incalcando, quam inclavando, et habere semper et quandocùmque oportuerit magistros tres calafactos, vel nos cum alio eorum, et laborare continue ad dictum lignum quantum in eo spectat ad magisterium calafatie » ; per il prezzo di lire nove di Genova, delle quali dichiarano di avere ricevuto in acconto soldi quarantacinque genovesi. Fatto « in plagia Portuveneris ». XVIII. 1259, decembre 29 (1). A onore di Dio, della Beata Vergine Maria e di S. Venerio confessore « et ad utilitatem et conservationem ecclesie beate Marie Maddalene, que est sita in loco qui dicitur hospitale Mar-chionum de Massa, quod hospitale pertinet ad monasterium Sancti Venerii de Tyro maiore, nullo medio existente », Ruffino, abate del predetto monastero, concede e consegna il suddetto ospedale con tutte le sue possessioni a Gerardo Faìastnno di Sarzana e a Romana, moglie di lui, e gliene affida la cura e il governo, a condizione che debbano rendere annualmente per tre anni nel giorno della festa di S. Venerio, nel mese d’aprile, una lira, e trascorsi i tre anni le decime di tutte le biade, legumi e frutti nascenti dalle suddette terre, che debbono lavorare e migliorare. Dovevano per tutta la vita far residenza nel-l’ospedale, e da esso avere il vitto e il vestito. * Debent ipsi iugales suam residenciam facere in eodem hospitali tali modo quod ipsi soliciti sint et esse debeant ibi facere et manutere hospitalitatem, nisi iusto impedimento guerre incunvemente remanent, et elemosinam et misericordiam impartiri pauperibus et egenis qui declinaverunt ad ipsum locum eorum posse et viribus et secundum facultatis eorum et dicti hospitalis ». Fatto presso il monastero di S Venerio « ante cellarium ipsius monasterii ». XIX. 1260, aprile 3. Niccolosio Baiano e Druello per metter fine alle loro questioni a cagione di una casa di Druello a confine con quella di Niccolosio eleggono arbitri e amichevoli compositori con la più larga podestà Ionam notarium e Sturione de Vitello da Portovenere. XX. 1260, aprile 5; Iona notarius e Sturionus de Vitello di Portovenere arbitri (1) Nell’originale vi sta scritto: « Mcclx », perchè a Portovenere incominciavano Tanno dal giorno della Natività, ossia dal 25 decembre. 88 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA eletti da Niccolosio Baiano e da Druello a comporre le discordie sorte tra loro per una casa, come apparisce dal compromesso per manum lohannis de Iona notarii, stabiliscono che Niccolosio dentro quindici giorni dia a Druello lire otto e soldi dieci di Genova e gli restituisca le tavole che ha in essa casa, « videlicet illas quas dicitur dictus Druellus recomendasse predicto Niccolosio » ; e Druello debba vendere la casa a Niccolosio e farne il relativo strumento. XXI. 1260, aprile 6. Ruffino, abate del monastero di S. Venerio del Tiro, alluoga per anni otto a Chiave Sardo di Portovenere un pezzo di terra posto « in insula dieta Palmacia », coll’obbligo di rendere annualmente dodici barili di vino, buono e puro, uscito dalla stessa terra, al tempo della vendemmia. Fatto presso il monastero di S. Venerio del Tiro avanti la chiesa. XXII. 1260, aprile 7. Manfredino quondam Bonanie e Micheletta, sua moglie, figlia di Niccolò de Gallico, vendono a Bencio da Portovenere « quintam partem unius ligni, quod vocatur Sanctus Iohannes », per il prezzo di lire ventidue di Genova. Fatto in Portovenere. XXIII. 1260, aprile 10. Druello da Portovenere e Berta, sua moglie, vendono a Niccolosio Baione una casa in Portovenere, la quale ha per confine, di sopra la casa degli eredi del fu Enrico de Marzuco, di sotto la casa del compratore, da un lato gli eredi Bernardeti e dall’altro Çarubiutn, per il prezzo di lire otto e soldi dieci di Genova. XXIV. 1260, aprile 15. Rufùno, abate del monastero di S. Venerio del Tiro, alluoga a Ogerio de Balduino di Portovenere per ventinove anni tre pezzi di terra nell’ isola Palmacia, due situati nel luogo detto Scola e uno nel luogo detto Çobia, rendendo annualmente ventinove soldi di Genova nel settembre, o quattordici barili di vino delle terre della Scola a volontà del monastero. Fatto presso il monastero di S. Venerio nel luogo detto in Pontili. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 89 XXV. 1260, aprile 20. Megliorato Caramella confessa a Bonandrea quondam Richehni di Portovenere di avere comprato da lui dieci ♦ metetras, sive mezarolas » di vino, al prezzo di nove soldi l’una, che fanno in tutto lire quattro e soldi dieci di Genova. XXVI. 1260, aprile 25. Stefanino quondam lohannis di Carpena è preso al servizio da Benenato quondam Ferri per anni quattro, dandogli vitto e vestito convenienti e quindici soldi di Genova l’anno. XXVII. 1260, aprile 28. Ruffino, abate del monastero di S. Venerio del Tiro alluoga a Tranchedino quondam Alberti Maiorati di Portovenere per ven-t’ anni un pezzo di terra « cum vineis in ea positis et cum quodam nemore » situata « in insula dieta Palmacia, loco dicto Po-zallo », con 1’ obbligo di rendere annualmente quattro barili di vino al tempo della vendemmia e una mezza libbra di pepe per 1’ ottava di Natale. Fatto presso il monastero di San Venerio avanti la chiesa di quel Santo. XXVIII. 1260, aprile 29. Il suddetto Ruffino alluoga per ventinove anni a Gerardetto quondam Archer ini di Portovenere quattro pezzi di terra, posti « in insula dieta Palmacia », due alla Scola, uno ♦ ubi dicitur ad Bocham » per 1’ annuo fitto di ventidue soldi di Genova per la festa di S. Michele, o barili undici di vino a volontà del monastero. Fatto presso il monastero di S. Venerio. XXIX. 1260, maggio 16. Inventario delle robe e de’ beni lasciati dal fu Musso da Passano, fatto dalla sua moglie Fortosa, alla presenza di Ansaldo Embrono e di Raimondo Bocucio, castellani di Portovenere. Robe: < duo linteamina — paludellum unum de lino — pa-ludellum unum banbaxile — fustanum unum ad feminam — to-allias duo ad unum file prò mensa — toalliam unam ad mensam — toalliam unam ad capud — orale unum banbaxale — tellam cannas duas et brachium unum de lino — sospilale unum — co-hopertorium unum pro lecto — culcitram unam, cossinum et sachonum pro lecto — frassatas duas — baracame unum 90 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI,A LIGURIA linteamina iij usualia — teralium (telare) unum cura suis forni-mentis et usiculis prò teralio — mastram unam — sachos iij — sachonum unum — archetam unam — urzios tres ad oleum — parole unum — catenam unam — ramarole unum — situlam unam — cuncas tres — anulla tria argenti — duodenam unam tabularum — cordonum unum sede — cintum unum lane — virgas duas azarii — falcinum unum — zapam unam sive ligonem — marchum unum — as«iam unam — massaricias minutas usua-lias ad mensam et cochinam — vegetes tres, duorum quorum sunt de barilis octo pro qualibet, aliam esse de barilis sex — tinam unam ad decem barilos — bancham unam ad faciendum oleum — barilem unam ad oleum — securam unam ». Segue la descrizione delle terre. XXX. 1260, maggio 30. Druello di Portovenere noleggia a Murruello quondam Guil-lielmi Moscoioni di Vezzano e a Manfredino quondam Rusteghini una saetta de’ soci e sua, chiamata Pegorala, da Portovenere fino in Sardegna, « vel in Ampuliam, vel Civitate », o a uno di questi luoghi a piacere, « causa honerandi in ea.... castronos vel alias merces », obbligandosi « dictam sagitam preparare de bonis velis et marinaris » e condurla egli stesso al luogo dove verrà caricata, ricevendo il carico dentro dieci giorni dall’ arrivo e poi portare il carico a Portovenere, pigliando di nolo lire dieci di Genova. XXXI. 1260, giugno 6. Testamento di Giovanna moglie di Marchione quondam Salerni. Vuol esser sepolta presso il monastero di S. Venerio del Tiro; lascia lire dieci di Genova per l’anima sua, da spartirsi così: venti soldi al monastero di S. Venerio per cantar messe nel giorno della sua morte, e per cantar messe dieci soldi alla chiesa di S. Pietro e dieci alla chiesa di S. Lorenzo; dieci all’Opera della chiesa stessa, dieci alla Confraternita di Portovenere, dieci allo spedale di S. Giovanni di Genova, cinque agli infermi di S. Lazzaro « de capite fari Ianue », cinque agli infermi di Salvarezza di Sarzana, due al monastero di S. Croce del Corvo per cantar messe e il resto da distribuirsi dal marito a vedove, orfani e luoghi religiosi. Lascia per legito varii oggetti, tra gli altri, la sua suptana vocherami, la sua tunica et supercotum de biffa, una pezza cendati e una tovaglia ricamata. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI.A LIGURIA 91 XXXII. 1260, giugno 10. Giunta de Cigola vende a Nicolao figlio di Giovanni de Insula « medietatem et octenam parte unius sagitte, que dicitur Pegorara », per il prezzo di lire quindici di Genova. XXXIII. 1260, giugno 12. Benenato de Bosco di Portovenere confessa di aver ricevuto da Pedesino quondam Ugolini Grassi di Portovenere lire dodici di Genova in accomandita, « quas, Deo propicio, in Ciciliam in sagitta dicta Pegorara portare debeo, vel quo mihi melius videbitur, causa lucrandi et cum quibus expendere debeo et lucrari per libram sicut ex aliis quos porto. In reditu autem quod in Portuveneri faciam capitale et proficuum quod in dicta accomandita habere potero et lucrari 111 tua vel tui certi missi potestate ponere et consignare promitto infra dies XV postquam dicta sagetta redierit sana ». Fatto a Portovenere « in domo Ione notarii ». XXXIV. 1260, giugno 12. In nomine Domini, amen. Callega rerum que fuerunt quondam Mussi de Paxano, facto de mandato dominorum Ansaldi Embroni et Raimundi Bocucii castellanorum Portuveneris et voluntatis lohannis Scribe de Ast..... curatoris Berte minoris filie quondam dicti Mussi pro solutione facienda Fortasse uxoris quondam dicti Mussi de dotibus suis et scripta per manum lohannis de Iona notarii M.° c°c. Ix.°, indictione secunda, die xij iunii. Predicta autem calega fuit facta per Iacobinum executo-rem sive cintracum Comunis et Curie Portuveneris. Imprimis habuit Fortosa in publica calega vegetem unam pro sol. II, den. II Ian. Item, Bonaventura de Benadu vegetem unam pro sol. III. Item, aliam vegetem pro sol. II. Item, Benvenutus Ferrus tinam unam pro sol. Vili, den. VI. Item, sospetale 1, sol. XVII, den. VI. Item, culcitram, cossinum et saconem, lib. Il, sol. I. Item, cassiam unam, sol. IV, den. VI. Item, mastram unam, sol. Ili, den. VIII. — Item, Bonanus de Bosco, telarium unum fornitum de usaliis suis, sol. VI Item, lamciam unam, den. IV. — Item, Bonaiuncta de Benadu, boham unam, sol. I. Item, scutellas XII, mortarium I et sanaverios III, sol. III. Item, cun-chas III, et banchetam I, sol. II, den. III. — Item, Benvenutus Ferrarius lucernam unam, sedacium unum et crivellum unum, sol. I. Item, urzios IV ad oleum, sol. II Item, corbes III, den. III. Item, subiellos VIIII cum templis XXVIIII, sol. IIII, den. VI. Item, Micheletus vir ipsius Fortose tripodes ad discum et barilem unam, sol. II, den. VIIII. Item, bancham unam ad oleum et ban- 92 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA chotam unam, sol. Ili, den VII. — Item, Bonaiuncta predictus, trassatam unam fraclam et linteamina I1II vetera et lenzain unam et bohas duas cum saehis veteribus, sol. IIII, den. VII Item, ba-rachamen unum, sol. III. Item, frassatan unam, sol IIII. Item, cohopertorium unum, sol. XI, den. II. Item, parole unum, sol. IIII, den. VI. Item, ramarole unum, sol. II, den. VII. Item, ligonem sive zapam unam, sol. II, den Vili. Item, falcinum unum, den. VIIII. Item, marchium unum, den. VI. Item, cultellum unum ad discum, den. VIIIJ. Item, chioram unam, forpices, verrubium et virgas II azarii, sol. I, den. VII Item, serram unam, den. V. — Item, Bonsegnor de Flisco catenam unam, sol. II, den. VII. Item, as-siam unam, den. V. — Item, Bonaiuncta predictus sachos III, sol. I, den. X. Item, spatam unam, securam unam veterem, sol. I, den. II. Item, tabulam unam ad discum, sol. I, den. V. Item, tabulas Vili, sol. I, den. VII. — Item, Sygembaldus de Iacoba archetam ^?) unam, sol. II, den. I. — Item, Micheletus toaliolam unam ad capud, sol. II. Item, toaliam unam ad mensam sive ad discum, sol. I, den. X — Secunda callega predictarum rerum que fuerunt dicti quondam Mussi et que remanserunt ad in-callegandum, facta mandato predictorum castellanorum voluntate dicti cintraci die XX iunii eodem millesimo — Imprimis habuit Micheletus suprascriptus in publica calega linteamina duo, sol. Vili, den. VII; paludellum unum banbaxalle, sol. XII; fustaneum unum, sol. IIII, den. VII; paludellum unum de lino, sol. VI, den. I; telam canne II, brachia I, sol. IIII, den. X; oralle banbaxille, sol. II, den. IIII; banbaxille, sol. I, den. IIII; oralle unum de lino, sol. I, den. II; toallias II ad unum filem prò mensa, sol. Vili; cintum unum lane et cordonum, sol. I, den. I; filum banbaxille, sol. Ili, den. V; filum prò filo ad..... den. Vili ; casiam unam, sol. V. — Sicut expendidit dictus curator de predici is denariis iam diete callege ut infra. — Imprimis dedit in papero den. I. Item, Iacobino executori dedit den. VI. Item, habuit sive retinuit in se pro cura pro dicta idem curator de predictis denariis sol. V. ». XXXV. 1260, giugno 13. Maria moglie quondam Pagani de Carasia di Portovenere, essendo inferma, fa il suo testamento. Vuol esser seppellita presso la chiesa di S. Lorenzo di Portovenere e lascia per 1’ anima sua cinquanta soldi januinorum, de’ quali tre al monastero di S. Venerio del Tiro e tre alla chiesa di S. Pietro di Portovenere per cantar messe; tre alla confraternita di Porto-venere; dieci agli infermi di S. Giovanni di Genova « prò pie-tancia » ; il resto da distribuirsi nel giorno del funerale. Lascia allo spedale della Misericordia di Pisa due lenzuola di tela di lino e « strapuntam unam »; lascia a Berta « filie quondam GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 93 Bonsignoris Barberii » già suo marito, « oregium unum et palu-dellam unam » ; istituisce erede Fiordirosa, sua figlia. Dichiara di essere in debito di venti soldi di Genova a Rainaldo F.rro, per i quali venti soldi esso tiene in pegno una sua cintola d’argento. Asserisce che Adelasia moglie di Pagano Nugnni ha di suo in mano « telam pecias tres de pecten septe et petiam unam cortine » ; e Fiora moglie quondam Adorneti « filum simplum libras quinque ad libram unziarum viginti quatuor et petiam unam tele ». XXXVI. 1260, giugno 15. Ansaldo hmbrano, Nicola..... e Raimondo Bocucins, castellani di Portovenere, volendo conoscere il testamento del fu Pagano de Vignali, a richiesta di Richelda, sua moglie, fanno interrogare varii testimoni. Pietro de Constancia, uno di essi, dichiara: « Paganus de Vignali erat infirmus gravissime in quadam galea armata prò Comuni Ianue in qua egomet testis eram red-deundo de partibus ultramarinis, et fecit idem Paganus venire ad se Guillielminum filium Boneamdree, qui erat scriba in ipsa galea, et ordinavit res suas et fecit dispositionem suam, secundum quod scriptum fuit per manum dicti Guillielmini ». latto in « Portuveneri in Castro novo ». XXXVII. 1260, agosto 15. Prete Portovenere, ministro della chiesa di S. Pietro di Portovenere, per incarico di prete Giovanni, canonico della chiesa di S. Giorgio di Genova e suddelegato di Antonio, arciprete di Filattiera e giudice delegato del Papa, mette in possesso, tanto della chiesa, quanto della canonica, cucina, dormitorio e coro di S. Niccolao di Pugliola, Savorito da Corniglia, chierico della diocesi di Luni, ricevente per mezzo del suo procuratore prete Giovanni da Corniglia. Fatto « apud Puiolam in ecclesia et canonica Sancti Nicolai ». XXXVIII. 1260, settembre 12. Alla presenza di Raimondo Bocucii, castellano di Portovenere Bellino quondam Bonaiuncte Bulfcragii e Giannino de Vivale di Portovenere, « corniti galee diete Allegrancie comuni vocabulo », a richiesta di esso castellano e di Aldemarengo cittadino pisano, dichiarano che in detta galera « erat et est quidam nomine Guillielminus filius Bonandree de Portuvencre scriba omnium introitum et exituum omniumque rerum diete ecu tus, frater. I. dc Var. archi episcopus genuensis ampliavit. Nam dominicales sermones per totum annum stiper evangelia fecit :n singulis dominicis cos triplicando ; quadragesimale quoque addidii per singulos dies.... b etc. Come si vede, egli afferma soltanto che I. da Var. avanzò il Pcraldo nel genere particolare dei sermoni. Il QVETIF, dopo d’ aver ricordata, fra le opere di Iacopo, la Stimma irirtutum et vitiorum GuiUtlmì Peraldt Lugdunensis in compendium redacta, aggiunse: « Hujus compendii plura sunt passim in Bibliothecis exempla : haec mihi occurrerunt Parisiis seti absque nomine auctoris » [Scriptores ordinis IVacdu alorum recintili notisque historicis illustrali etc., Parisiis, ap. I. B. Christophorum Italiani, 1719, vol. II, p. 458. (2» ΙοΗλ.ΝνΙη Tritio vii, abh. Spanhciniensis, De Scriptoribus ecclesia-iti, is. ιπύ per un fila illustribus in Ecclesia l'iris etc., Coloniae, ex officina Pelri (jiicnlel, menv Martiti anni MDXf.VI con Ictt. di prefaz. datata del 1492), p. 209. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA QQ ——————------%___ Lcco le parole che Sisto, nel libro IV, dedica al nostro arcivescovo: < Iacobus, Archiepiscopus Genuensis, ordinis Prae-dicatoium, ex oppido Varaginis quod in ora maritima Ligurum non longe a Genua situm est, vir multae variaeque lectionis, piopria lingua mire facundus et in sacris declamationibus omnium opinione celebris, historiarum quoque non contemnendus scriptor, et Augustini voluminum ita studiosus, ut ea pene memoria teneret, utriusque instrumenti divina volumina primus omnium in Italicam linguam summa fide ac diligentia transfudit. Floruit sub Adelpho Imperatore, anno Domini, MCCCXC » (i). Alcuni che più tardi riportarono questo brano, credettero bene — forse per far risaltare la notizia e prevenire ogni possibile obiezione, giacche s’ ebbe sempre interesse a fregiare di quel lavoro Γ autore della Legenda — di mutare quel < transfudit > (2), alla fine, in « transtulit >. Purtroppo non ve n’era bisogno. Sisto Senense stesso, in un catalogo apposto al libro IV, colloca il da Varagine fra i transatores delle SS. Scritture (3). Riguardo poi alla parola italica, nemmen qui dubbio alcuno; altra non ne usa lo scrittore per indicare il volgare d’Italia dei primi temili, e in italica lingua afferma che scrissero o predicarono parecchi che realmente sappiamo aver ciò fatto, ad es. Innocenzo III (4). Il brano è dunque di una inesorabile chiarezza. La Bibliotheca Sancta fu scritta verso il 1575 (5) e pubblicata Γ anno appresso. Non saprei dire che pensassero subito gli eruditi di quella attribuzione. Antonio della Concezione, comunemente detto il Lusitano, la riferiva intanto con un prudentis- 1 Bibliotheca Sancta a F. SlXTO Senensi, ordinis Praed. ex praecipuis catholicae Ecclesiae authoribus collecta etc., ia éd., Coloniae, ap. Maternum Cholinum, MDLXXVI, p 270, sotto Iacobus, Arch. Gen. (2 1 Che si trova pure nell’ed. posteriore del 1/42, to. I, p. 327. (3) Ed. I» cit., p. 347. 4) Ih. p. 271. Si veda per l’uso del volgare da parte di Innocenzo, Umbertus DE Romans, De eruditione Praedicatorum in Maxima Biblioth. vct. et an Iu/, scriptorum ecclesiasticorum, Lugduni, 1677, to. XXV, P. I, cap. VI, p. 432· 13) Per espressa dichiarazione dell’autore; BibL, ed. I, p. 324, sotto Sixtus Sen. 100 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA simo « fertur » (i): non la raccolse poco dopo il (Jastiglio (2), perchè scriveva in Spagna e certo ignorava F opera di Sisto : forse la fraintese il Razzi, che, tessendo la storia dei più illustri personaggi dell'ordine, magnificava il Nostro per aver « primo » inventato un particolar modo di predicazione (3)· È probabile però che qualcuno la trovasse fin d’allora assai strana e che seco stesso cominciasse a dubitare di una testimonianza così tarda. Sta il fatto che i tempi volgevano infausti per la fama dell’arcivescovo genovese, la cui Legenda aurea già subiva le aspre censure della critica. Nella prima metà del sec. XV, il Vives dichiarava esser quest’opera un parto di uomo dalla faccia di bronzo e dal cuore di piombo (4), e anziché aurea la (I) Bibliotheca ordinis fratrum Praed. virorum inter illos doctrina insignium nomina et eorum quae scripta manu darunt opuscula etc.... auctore R. P. Magistro Kr. Antonio Senensi, Lusitano, Parisiis, ap. Nicolaum Ni-sellium, MDLXXXV, p. 124. < 2) Intendo dei CASriGLlO la Primera parte de ta Historia generai de Santo Domingo y de su 01 den de Predicatores, Matriti, Sanchez, 1584, in f· P8K- '028, e la Stgunda parte de la Historia ecc., Pintiae, Fernandez, 1592, pgg. 593 (cfr. Quêtif et Echard, op. cit., II, p. 309, ra col.) delle quali non vidi che le traduzioni, condotta Γ una da Timoteo Bottoni (Venezia, Giunti, 15891, l’altra da FILIPPO PlGAFETTA Firenze, Giunti, 1596). Le notizie riguardanti il da Var. si trovano nella seconda parte, lib. I, cap. XXXI : « Di frate Roberto di Sassonia, d’ altri Padri, che parimenti vissero al tempo del Generale frate Berengario ». ( 3 Istoria de gli //uomini illustri così nelle prelature come nelle Dottrine del sacro ordine de gli Predicatori, scritta da F. Serafino Razzi, In Lucca, per il Busdrago, 1596, p. 69. 4) V. De causis corruptarum artium, lib. I (De artium deque li/era-rum origine et praestantia), in Opera omnia IOANNIS LUDOVICI VlVES V.\-LENTINUS, ed. a Gregorio MAJANSO, to. VI, Valentiae, in Off. B. Mon-fort, MDCCLXXXII, p. 108. Ved. anche G. Ioannis VoSSli De Historicis latims libri HI, Lugduni Batavorum, ap. I. Maire, MDCXVII, lib. Il, cap. LX, p. 458. — Uno studio sulla varia fortuna della Legenda manca ancora: e sarebbe interessantissimo. Il movimento contrario ebbe origini ben anteriori al sec. XVI, poiché si sa (cfr. Quétik et Echard, op. cit., to II, p. 456, 2a col. ! che Berengario di Landora, arciv. ci*mpostellano, fin dal principio del sec. XIV, aveva comandato a Bernardo Guidone di redigere un* altra l,egenda su atti più sinceri di quelli usati dal da. Var. Ved. anche · ToURciN Histoire des hommes illustres de l'ordre de saint Dominique, to. L Paris, chez Babuty, MDCCXLIII, p. 596. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IOI chiamava ferrea Claudio d’Espencé, prima rettore dell’Università di Parigi e in seguito dottore del Collegio di Navarra, nel calore di un discorso domenicale, sebbene fosse subito indotto a far di ciò pubblica ritrattazione (i). E certo a costoro tenne bordone Melchior Cano (-)- 1560), uno degli ecclesiastici partecipanti al Concilio tridentino, e autore di quei Luoghi teologici, che salirono ad una notorietà non scemata a tutt’oggi (2): quando non si voglia tener conto poi di tutte le invettive lanciate in proposito dagli apostati (3J. Inoltre s’andava rinfocolando la questione se, fra tanto pullular d’eretici, fosse stato conveniente il gittare in pascolo alle moltitudini superstiziose e ignoranti la Bibbia testualmente tradotta, senza le opportune chiose di chi, per ministero elettosi, doveva interpretarla secondo la più rigorosa ortodossia romana (4). Perciò, sulla fine del cinquecento, il Possevino, che dava mano al suo Apparatus Sacer (5), prendeva occasione dalla notizia di tale antichissima versione, di cui lasciava del resto ogni responsabilità a chi l’avea data, per trattarne largamente. Tuttavia egli sembrava dispostissimo a prestarvi fede, e un’unica obiezione muoveva, ma importantissima e tale anzi da dimostrare in lui un acume non ordinario e una cultura molto estesa, quella riguardante cioè la fedeltà, che, a suo parere, non poteva essere eccessiva in un uomo certamente poco abile nel maneggio del pretto volgare italico e poco co- ti) Cfr. Quétif et Echard, op. to. e 1. citt. ; e, per 1’ estesa narrazione del fatto Ioannis Launoius, Historia Regii Navarrei Gymnasii Pa-risiensis, in Opera omnia, to. IV, P. I, Coloniae Allobrogum, sumpt. Fabri et Barrillot et M. M. Bousquet, MDCCXXXII, p. 626; e Iacobi Augusti Thuani, Historiarum sui temporis libri CXXXVUI etc., Aurelianae ap. Heredes Petri de la Rouiere, MDCXXVI ; ved. il lib. XVI, ad. an. 1555, p. 489 : ivi gli altri che ne parlarono. 2) Ved. in proposito Touron, op. e to. cit., p. 597. Però va notato che il Cano non ne parla affatto nel cap. VI del lib. XI dei Luoghi, come vorrebbero lo Spotorno e mille altri sull’ autorità del Dupin (ved. Touron, ib. p. 599) e del Launoy (1. cit.). (3) Ad es. il LaCOPE nelle Deflorationes Legendae Aureae ; su di che Quétif et Echard., to. I, p. 456. (4) Cfr. lo stesso Sisto Senense, tìibt., p. 534. (5) Antonii Posserini Societatis Iesu, Apparatus Sacer ad Scripturas Veteris et Novi Testamenti etc., Venetiis, ap. Soc. Venetam., MDCIII. 102 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA noscitore della verità storica (i). Ma queste incertezze venivano presto tolte da altri scrittori, e quasi tutti dell’ ordine di S. Domenico, cui stava a cuore poter aggiungere nuove lodi all’ autore dell’ormai tanto discusso Leggendario. Che se il P. Michele Pio, nelle sue Vite degli uomini illustri di S. Domenico, s’ accontentava di ricordare fra le opere sue il < Testamento vecchio e nuovo trasportato dal latino in volgare » (2), e il Bzovio di inserire con poco scrupolo l’intero brano del Senense negli An-*ali (3), e il Fabroni poi di copiare letteralmente il Pio (4); il P. Marchese invece, come se avesse avuto modo di aguzzar gli occhi sopra una copia di quella mirabolante versione, la descriveva minutamente e vi scopriva delle « nobilissime annotazioni tutte fondate sulla dottrina dei SS. Padri » (5), e un Anonimo scrittore di una Défense des versions de ΓÉcriture Sainte la notificava agli eruditi d’oltr’Alpe (6), e Andrea Roveta infine, dal quale poi subito il Cave (7), affermava con una inconcepibile sicurezza che essa era stata composta « summa fide atque diligentia... anno millesimo ducentesimo septuagesimo » (8). E non (I Το. II, p. 87: « Divina volumina primus omnium summa fide ac diligentia (ut putat Sixtus Senensis) in italicam Linguam transfudit »; e to. I, p. 237, alla parola Bibbia: « Nec vero uni Sixti Senensi ita fides habenda ut credimus Iacobi de Voragine versionem nulla egere animadversione, quippe cui nec linguae politioris Italiae neque historiarum, quas idem affert de viris sanctis..., notitia fuerit ». 2 Ved. P. II, Pavia, presso Giacomo Ardizzoni e Cr. B. de R.ossi, 1613, coi. 97. 131 Annalium Ecclesiasticorum____ tomus XIII rerum in orbe rhristiano ah anno D.’" iiçS usque ad annum D.nt I2ÇÇ gestarum etc., auctore P. K. Abrahamo BZOVIO, SS. Theol. Doct. oni. Praedicatorum, Coloniae Agrippinae, ap. A. BoOtzerum, sub signo Rubri Leonis, an. MDCXVI, coi. 1023, an. 1292. (4 Delle vite degli nomini illustri di S. Domenico, lib. I, P. II, Bologna. 1620, p. 100. 5 , Sacro Diario Domenicano, to. IV, Napoli. Fasulo, I 5 I.aglio, 167b,p. 123. (6) Pubbl. in Acta Eruditorum, a Lipsia, 1689, p. 178 ; cosi almeno il V Le Long, di cui ci occuperemo più innanzi. .7 i Scriptorum Ecclesiasticorum Historia Letteraria, a Christo fiato usque ad saec. XII' etc.... Editio novissima, Genevae, ap. Gabrielem de Tournes e Filios, MDCCXX, p. 654. (8 Bibliotheca eh fonologica illustrium virorum Provinciae Lombardiae, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 103 voglio fermarmi poi su tutti gli storici che da costoro attinsero ad occhi chiusi (i). Veramente vi fu qualcuno che, prima di pronunciarsi, frugò, scartabellò, domandò a destra e a manca. E un titolo di lode va dato a Riccardo Simon, che. nella sua Histoire critique des Versions du Nouveau Testament (2) scriveva: « Siccome la sua versione non è stata stampata, nè io l’ho trovata in alcuna libreria, non ne posso dir niente » ; sebbene, neppur lui sapendo resistere alla voluttà di collocare fra i volgarizzatori, e primus omnium, il da Varagine, o al dolore di dover smentire l’attendibilissimo Sisto Senense, conchiudesse, spillato il prò’ e il contro, che vi sia « non pertanto luogo a congetturare che questo vescovo abbia fatto soltanto una traduzione del Comestore, che era allora in grande stima, e si leggeva più comunemente che il testo della Bibbia ». Più spassionatamente ci si mise d’attorno, sul principio del sec. XVIII, il P. Iacopo Le Long, al quale quell’asserto volgarizzamento pareva cosa assai oscura. Non fidandosi dei biografi anteriori, perchè tutti « non ex libri inspectione » ma * ex Sixti Senensis fide » (3), la ricordavano, e osservando giusta- S. ord. Praed., Bononiae, ap. Longhi, in f., 1691, p. 28 : ved. per questo scrittore QuÉtif ET Echard, op. cit., to. II, p. 728. (1) Ricorderò tuttavia fra i più cospicui : il Vossio [De historicis /at. ed. cit., 1. cit.) ; V. M. FONTANA (Monumenta Domenicana breviter in Syno-psim co/tecta. Romae, Typ. et. sumpt. N. A. Tinassij MDCLXXV, p. 137, 2a col., ad an. 1292 ; e Sacrum Theatrum Dominicanum, Romae, ex Typ. N. A. Tinassij, MDCLXVI, p. 79, col. 2); F. Ambrogio di Altamura 1 Bibliotheca dominicana, Romae, MDCLXXVII, Typ. & Sumpt. N. A. Tinassij, p. 62, I:l col.); e M. Giustiniani (Gli scrittori /iguri, Roma, Angelo Tinassio, MDCLXVII, p. 284, ia col.). (2) Pubbl. a Rotterdam, per Renier Leers, nel 1690; cap. 40, p. 483. Questa indicazione e i passi riguardanti la nostra versione sono riportati nella Bibl. degli autori greci e latini volgarizzati, pubbl. nel t. XXXVI della Raccolta di Opuscoli del Calogero, Venezia, 1746, p. 139. (3) Ved. Bibliotheca sacra in binos syllabos distincta quorum prior qui jam tertio auctior prodit, omnes sive Textus sacri sive Versionum ejusdem qutivis lingua expressarum Editiones, nec non praestantiores MSS. Codices...; posterior vero continet omnia eorum opera, quovis idiomate conscripta, qui huc usque in sacram Scripturam quid piam ediderunt etc.... labore et industria IaCOHI Le Long. Parisini, Congregationis Oratorii Presbyteri et Bi- 104 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mente che la tacevano Sant’Antonino e il Tritemio, i quali scrissero non molti anni dopo la morte del da Varagine, attese per conto suo alle più diligenti ricerche in Francia; e, quando queste gli riuscirono a vuoto, scrisse al Muratori con viva preghiera di fare altrettanto in Italia. Il Muratori immediatamente se ne occupò, ma rispondeva, indi a non molto, che nè lui in persona, nelle biblioteche milanesi ed estensi, nè il Magliabecchi, cui s’era dato premura di scrivere (i), nelle romane e fiorentine, avean trovato che quel codice esistesse. Oltre tali prove, ben importanti se si pensi che un’opera come quella di cui si trattava, necessariamente avrebbe dovuto spandersi in gran numero di copie, un’altra si affacciò alla mente del Le Long, della quale però, per colpa non sua, non potè egli rilevare il valore: a lui parve strano che nella Cronaca genovese, e precisamente nella biografia del da Varagine, fra le opere da questo enumerate, non figurasse, posto che fosse stata fatta, la traduzione delle SS. Scritture. Ma il Le Long possedeva certamente la Cronaca in un manoscritto tardo e mal esemplato, dove l’ultima delle date era stata malconcia o male interpretata, trovandovisi come tale un MC.CXCV in luogo di un MCCXCVI (cod. estense) o di un MCCXCVI1 (cod. ambrosiano) (2); sicché tra l’anno in cui la Cronaca era stata compiuta e l’anno della morte, il 1298, correva uno spazio di circa tre anni, sufficiente per potervi con un po’ di buona volontà collocare la versione (3). S’ egli avesse bliothecae Domus Praefectr., to. I, Parisiis, ap. F. Mon talari t, ad ripam PP. Augustinorum etc., MDCCXXIII, sotto Bibita Italica., p. 5. (li Ved.il). La lettera inviata dal Muratori al Magliabecchi porta la data del 16 Ottobre 1705 e fu pubbl. nell’ Epistolario ed. da M. Campori, vol. II 1699-705), Modena, 1901, p. 783, n. 7*7- Ecco il passo che c’interessa: « Il Padre I.e Longo dellOratorio di Parigi ultimamente mi scrisse di pregar’ determinatamente Y. S. 111.ma di qualche avviso s’ ella mai avesse osservato ritrovarsi in Italia qualche frammento della Bibbia Italiana della versione di Iacopo da Varagine, arciv. di Genova. Ne parla il Passevino e questo Padre, che fatica intorno alle varie edizioni e versioni della S. Scrittura, ne vorrebbe una pruova ». 2 Questa è la data giusta; cfr. OLIVIERI, Carte e cronache manoscritte per la Storio di Genova esistenti nella Biblioteca Universitaria, Genova, 1855, p. 8. (3) Lo s’ intravede dal modo con cui s’ esprime : « Ipsum lacobi de Va- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 105 saputo che la Cronaca era stata ultimata nel '97, un anno cioè prima della morte, e avesse altresì posto mente al fatto che il Nostro era malaticcio e aggravato da mille cure noiosissime, la ragion dei tempi gli avrebbe fornito mezzi decisivi a risolvere la tesi, senza lasciargli, come non lascia a noi e non può lasciar a chicchessia, dubbio veruno. Dopo d’ allora, sebbene ne fosse tempo, non si mise da parte quella diceria : continuarono alcuni a prestarvi fede sulle orme di Sisto Senense, altri a combatterla su quelle del Le Long. Quantunque fra questi ultimi, mal s’appose il Fontanini, che non dubitò di poter smentire Sisto basandosi sull opinione che « per la sacra disciplina di que' tempi era disdetto il volgarizzare così nudamente, senza spiegazioni e con 'spirito privato la parola di Dio scritta: anzi di più.... non era lecito nè pure di predicar volgarmente in chiesa » ; sebbene la rincalzasse con un’altra che per noi sarà capitale, cioè il difetto in lui di una conoscenza così larga di « alcun dialetto romanzo e volgare da tenersi per adatto e sufficiente a sì grande impresa » (1). E mero vaniloquio la difesa del P. Anfossi contro le parole del Fontanini (2). Basti dire che il buon Padre giudicava il B. arcivescovo non digiuno della cognizione delle due lingue ebraica e greca, dalle etimologie dei nomi premesse alla maggior parte delle vite dei Santi (3). Lo Spotorno poi che nella ragine silentium, cum ad annum 1292 Historiae Genuensis (quam quidem anno 1295 absolvit) sua fusius opera recenset, quemdam hac de versionem scrupulum movet. Ceteris revera tribus annis, quibus supervixit, anno enim 1298, adornare illam potuit ». (1) Biblioteca dell’Eloquenza italiana di M.°’ G. Fontanixi con le annotazioni di A. Zeno, to. II, Venezia, 1753, classe VIII, cap. I, p. 421. La prima delle sue ragioni va connessa agli strascichi delle famose dispute sull’ eresia. (2) Memorie istorie he appartenenti alla vita del Beato Iacopò da Voragine, dell’ordine dei predicatori, arciv. di Genova, Genova, presso G.' Boriando, int. nella lettera, 23 Sett. 1816, p. 79 e sgg. Alle pagine di costui sono degno corredo le note apposte dal Card. G. Spina, editore dell’ opuscolo, e d’ onde tolgo la seguente ingenua, per non dir peggio, osservazione ip. 82): « È strano poi che questo grande letterato [il Fontanini] abbia creduto che il nostro Beato non fosse ancora in tempo di possedere alcun dialetto romanzo e volgare da tenersi per adatto a sì grande impresa. Non era appunto l’epoca aurea della lingua toscana quella nella quale viveva ? », (3) Chi non sapesse che tutte queste, etimologie greche si potevano to- Τθ6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Storia letteraria della Liguria si mostrava poco persuaso dal Le Long (i), tentava, poco appresso, di combatterlo in una particolare monografìa del da Varagine, ma giungeva alle stesse conclusioni negative, appropriandosi le medesime sue argomentazioni e facendosene bello con una leggerezza velata soltanto da osservazioni accessorie e indirette (2). Più recentemente, se taluno si ostinò ancora a giurare nelle parole del Senense e tentò a sua volta con vane parole di riuscire a dotte dimostrazioni (3), una critica più fondata accolse le argomentazioni cronologiche del Le Long, così com’ erano, non preoccupandosi punto dei dati erronei, che, corretti, ci obbligano a stare più che mai dalla sua parte (4). Tuttavia non credo bene trascurare il rispetto della lingua, cui posero mente il Possevino e il Fontanini: quale infatti poteva essere l’idioma usato dal nostro Beato in quella versione? Sisto, che pur dava regolarmente 1’appellativo di volgari alle opere d’epoca tarda, redatte appunto il volgare, se la cavava, in questo e in consimili casi, chiamandolo italico. Toscano non sarebbe stato certamente, giacché il da Varagine non poteva possedere di tal linguaggio numerosi modelli scritti, e nemmeno l’uso pratico di esso, avendo dimorato quasi sempre in Lombardia ed essendosene scostato solo poche volte, per motivi d’ufficio (5). gliere dal De originibus d’ Isidoro, dal De Universo di Rabano, dai Libri vocabiliorum d' Uguccione e del Papia, e dagli altri glossari del tempo, lo apprenderebbe dall’ esame della stessa Legenda, ove tali fonti sono quasi sempre indicate. ili V’ol. I, Genova, Ponthenier, 1824, p. 185. (2) Notizie citt., p. 50 e sgg. 13) Ved., ad es., V'. M. Pf.i.azza, / 'ita de! B. Giacomo ita Va razze deir ord. dei F. l'red., are. di (ìenova, Genova, 1867, p. 27 e 2 X, n. 2. 41 K. Comb \, Storia della Riforma in Italia, vol. I, Introduzione, Firenze, Arte della Stampa, 1881, p. 522. Lo CHEVALLIER, Rrpertoire des Sonnes historiques du moyen-âge, Topo-bibl., Monthêliard, Société anonyme d’Impr., MDCCCXCIX, p. 395, sotto Bible italienne, m’ indica tin articolo particolare del Comma stesso, Bible in Italy frorti early rimes. Non ho potuto vederlo, perchè pubblicato nell’irreperibile Cat/iol. Presbvt., (18821, VIII, 437; ma, considerando che è posteriore solo di un .inno alla pubblicazioni· del cap. Le Bibbie volgari in Italia della Storia sopraindicata, non temo d’ errare credendonelo una semplice traduzione. 5 ) Cfr. Spotorno, Notizie, p. 9 e sgg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IO/ Vero è che tutti i linguaggi dell’alta Italia parvero nel sec. XIII tendere a una lingua unica, fornendole i propri caratteri, pressoché identici in tutti (i); ma di una lingua siffatta non esistono prove scritte, e già in quel tempo, com’ è noto, veniva lentamente infiltrandosi quella di Dante. Che il da Varagine predicasse in dialetto, nessuno più dubita (2) ; ma in latino stendeva i suoi volumi di sermoni, che sono, per sua stessa dichiarazione, una compilazione di ciò che al popolo esponeva giorno per giorno (3), e in latino, ugualmente, la Cronaca, che intendeva di dare al popolo per sua istruzione e ~er suo diletto (4). In-somma, oramai che nell’origine delle letterature neolatine si incomincia a veder chiaro, il credere al volgarizzamento di un’ opera tale, e nel dugento, e per mano di un genovese, costituisce poco men d'un assurdo. Nonostante tutto ciò, io non voglio affatto tacciar di malafede Sisto Senense, al quale ben poco s’ha da rimproverare nel suo biblico emporio; probabilmente egli fu vittima di circostanze speciali, e queste mi farò quind’ innanzi ad indagare. Anzitutto mi sia concesso d’addentrarmi in una vecchia questione. Nel 1471 usciva per le stampe, in Venezia, la traduzione italiana di tutta quanta la Bibbia, col nome di un frate Camaldolese, Nicolò de Malermi (5). La fama che ne riscosse non era (1) Cfr. G. AeCOLI, Saggi ladini, n. 7, Dialetti delle aut. lette rat. del-l’Alta Italia, in Arch. Glott. It., vol. I, pgg. 307, 312, 426, 430; e F. D’Ovidio, Sul Trattato « De Vnlgari Eloqicentia » di Dante, nello stesso Arch., vol. II, p. 89. (2) Si ricordino le parole di Sisto Senense, nel brano riportato: « propria lingua mire facundus». QuÉTIF ET Echard 1 op. e 1. citt.ì diranno di lui: « materna lingua facundus ». Si veda poi il giovanile ma buon lavoro di G. Galletti, Fra Giordano da Pisa Predicatore del sec. XIV, cap'. IV, L'oratoria sacra in Italia fino al sec. XIV, in Giornale Stor. della Leti. It., XXXI, p. 217 e sgg.; specialmente son da vedere le pgg. 222-226. (3) Cfr. il Prologo ai sermoni, ed. Antverpiae, ap. Henricum & Cornelium Verdussen, an. MDCCXII, p. l: « Importuna igitur fratrum instantia, 11011 improba temeritatis audacia, me induxit, ut de Evangeliis Dominicalibus, quae legantur per anni circulum, aliquam facerem compilationem sermonum ». 14) Ed. cit., p. 6., Prologò : « nonnumquam etiam utile est aliqua scriptorum mandare, quae ad instructionem et ad eruditionem perveniant auditorum ». 15 Bibita, dignamente vulgarizzata, per i/ clarissimo religioso duon Ιθ8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA troppo meritata, perchè il Malermi non avea fatto che raffazzonare un’antica versione manoscritta, la quale, per sua mala ventura, veniva stampata in quello stesso anno coi tipi del celebre Ienson (i). Questa seconda però rimase nell’ombra, tanto che non ne ebbe notizia neppure il Fontanini, sebbene odorasse già il marcio e divulgasse, a proposito della prima, dei sospetti (2), che provocarono subito le vivaci proteste del Costadon (3) e più tardi quelle dello Zeno (4), la cui autorità non ammetteva lì per lì polemiche. E il nome del Malermi avrebbe continuato a godersi ogni gloria, se nel frattempo non fosse venuta a galla la versione che non lascia dubbj sulla priorità e che supera 1’ altra Sì che la fama di colui oscura. Lo Zambrini, confrontatele, ritenne il Malermi uno sfrontato plagiario « il quale ebbe l’audacia non solamente di manomettere quest’aureo volgarizzamento, ma ben anco di attribuirlo a sè stesso » (5). E, per vero, che nell’edizione del Camaldolese Nicolò de Μ λ i.rr.m i Veneziano et dii Monasterio de sancto Alleitele di Lemo Abbate dignissimo, Venetia, per Vindelino d·· Spira, in Kalende de Aug. MCCCCLXXI, vii. 2, in f., rarissimo : così lo Zambrini, Le opere volgari a stampa del· sec. XIII e XIV, Bologna, Zanichelli, 1878, col. 77. (1) Bibbia volgare, Venetia (senz. nome di stampatore, ma certamente Nicolò Ienson', in Kal. de Octobrio, MCCCCLXXI, y 11. 2., in f. Rarissimo (Zambrini, ib.) ; ristampata per cura di Carlo Negroni, La Bibbia volgare, secondo la rara ediz. del r> di Ottobre ΛΙC C C CLXXI, Bologna, Romagnoli, 1882, voi. LVII e sgg. della Collezione di opere inedite e rare dei primi tre sec. della lingtia. (2) Op. cit., p. 422: « Il volgarizzamento del Mâlermi (o Malerbi), se pure è suo, e non preso da qualche codice più antico di lui____ ». (3) Lettera critica sopra alcuni sentimenti espressi nella Eloquenza Ital. di M.Vl0r Fontanini intorno a certi scrittori camaldolesi ecc., Roma, 1° Gennaio, 1737, ap. Esami di vari autori sopra il libro intitolato ΓEloq. It. ecc., Rovereto, 1739. (4) Ved. Annotazioni alle parole « se pure è suo », p. 422 : « Il Fontanini, mosso da una segreta passione, che più riguarda 1’ ordine che la persona di lui____ ». Con lo Zeno ved. Marco Foscarini, Della letteratura veneziana, to. IV, Venezia, 1854, p. 360. (5) °P- e 1- cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ΙΟ9 esistesse del dolo, è cosa manifesta. Egli dichiara infatti, e non avrebbe dovuto farlo, in una lettera posta a capo del volume : « Integra tamen Biblia secundum proprietatem literae de verbo ad verbum transtulimus » (i). Va notato nondimeno, senza voler alla nostra volta assumerne qui la difesa, che tali parole miravano, anziché a far rilevare l’originalità dell’opera, a prevenire piuttosto ogni discussione religiosa sul modo d'interpretazione e d espressione dei divini significati; e che il traduttore non mancava d’avvertire: « Verum est jam conversas esse in Italicam linguam quosdam S. Scripturae partes, quae in manus nostras devenerunt ». Del resto, insistendo ad imputargli il dolo, questo sarebbe anche da riversarsi in parte su Girolamo Squar-zafico, il quale aiutò il Malermi nella compilazione dell’opera e si dichiarò mallevadore delia sua fedeltà alla Vulgata (2). Inclinerei più volentieri a credere che costoro, mossi da poco sano criterio, pur valendosi della traduzione anteriore, stimassero di renderla più accessibile al pubblico col toglierle, come effettivamente han fatto, il sapore trecentistico a noi sacro (3). Comunque sia di ciò, è certo che una traduzione completa della Bibbia esisteva fin dal trecento, senza nome alcuno, e che essa era sola. Cercarono naturalmente gli studiosi di stabilirne 1’ autore. Si escluse che potesse essere il B. Giovanni da Tossignano, vescovo di Ferrara nell’anno 1446, tra le cui opere si poneva ( I ) La lettera non si trova nell’ ediz. posteriore del volgarizzamento ma-terbiano, ma è riportata dal Le Long, op. e 1. cit. (2i In un’altra lettera riportata dallo Zeno, Annotaz. ; p. 422. Importante il periodo ; « Venerabilis Dominus Nicolaus de Malerbius sana Biblia ex latino italico reddidit, eos imitatus, qui vulgares antea versiones, si sunt hoc nomine, et non potius confusione nuncupandae, confecerunt. Quantum ad hanc, an fida sit, et juxta vulgatam latinam emendata, testificari id valeo, siquidem meam in illa condenda operam praebuerim ». (3) Altro procedimento non saprei pensare riguardo anche all’ altra versione maierbiana, quella del leggendario del da Varagine (Beato Iacopo da VARAGINE, Le leggende di tutti li sancti et sancte, per Nicolò Ienson francese [senz’ anno, ma forse 1474], in f.; ZAMBRINI, op. cit., 1041 ; veci, pure le osservazioni appostevi). — Sono tante (cfr. PÉRCOPO, Quattro poemetti dei sec. XIV e XV, Bologna, 1885, Romagnoli, disp. CCXI della Scelta di Curiosità lett., p. 49 e sgg.; e Zambrini, sotto Leggende, in op. cit.) le antiche traduzioni ancor manoscritte della Legenda aurea! 110 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA appunto un siffatto volgarizzamento (ij; e la sentenza cominciò a pendere tra il Cavalca e il Passavanti, con maggior favore verso il primo, perchè la sua traduzione degli Atti dei SS. Apostoli figurava inserita di sana pianta nella Volgare jensoniana (2). Oggi pero è dimostrato, con una convincente abbondanza di raffronti, che uno solo non poteva essere stato 1’ autore, troppe essendo le difformità rilevabili fra· i vari libri (3). Stando in tal modo le cose, evidentemente dev’essere esistito qualcuno che, dopo il Cavalca, ha posto mano a raccogliere i volgarizzamenti del Cavalca stesso e <|uelli di altri, e che forse vi ha messo di suo le parti non trovate già volgarizzate. E la Bibbia, per la sua lunghezza e per la sua struttura, appartiene appunto a quel numero di opere che si prestano a parziali traduzioni, ma richiedono poi la buona volontà di un solo o di pochi per comparire da capo a fondo. Orchi poteva essere costui se non il Passavanti, del (juale si vuol riconoscere lo stile qua e colà nella Volgare? 0 non avea egli altresì consigliato tale impresa, ma per un uomo che potesse condurla a dovere ? A me pare che non abbastanza si sia dato valore al seguente passo del suo Specchio : « In certi libri della Scrittura e de’ dottori che sono volgarizzati, si puote leggere, ma con buona cautela; imperò che si truovano molto falsi e corrotti, e per difetto degli scrittori che non sono comunemente bene intendenti, e per difetto dei volgarizzatori, i quali i passi forti della Scrittura a' detti dei Santi sottili e oscuri non intendendo, non gli spongono secondo l’intimo e spirituale 1 II B. G. da Tossivano morì vescovo, in Ferrara, nel 1446. L’ attribuzione data a lui da F. Faustino Maria di S. Lorenzo nella Storia del B. Giovanni da Tossignano ved. NEGRONI, Lettera al Coni.te»' F. Zambrini, prc|")ita all'ed. cit. della /fibbia volgare, p. XVI e da F. PAOLO Moricia, Historia degli huomini illustri per santità di vita e per nobiltà di sangue . he furono Gesuati, Venezia, MDCIIII, ap. Seb. Combi, lib. III, cap. VI, 1’· 3o> * respinta dal Negroni, lett. in op. cit., p. XVII. (2) Il can. FRANCESCO Curioni, Dissertazione critica sui due primi vol-^aruzamenti della /Ubbia stampati in Venezia Γ anno /471, premessa agli .Itti degli Ipostoli volgarizzati da F. D. Cavalca dell’ ord. de’ Pred., Milano, 184;, Tamburini, la volle tutta del Cavalca. Al riserbo dello Zambrini, op. il., col. 79, sepii quello, però più tenue, del Negroni, lett. cit., p. XXI. ' V1 Cfr. la recens. del De BENEDETTI alla Bibbia Volgare, in Ril’ista critica della Lett. II., Anno IV, 1887, η. I, p. lo c sgg. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA I I I intendimento, ma solamente la scorza di fuori della lettera, secondo la grammatica, recano in volgare. Il perchè non hanno lo spirituale intendimento e perchè il nostro volgare ha difetto di propii vocaboli, spesse volte grossamente e rozzamente, e molte vole non veramente la spongono....; conciò sia cosa che, a volerla volgarizzare, converrebbe che l’autore fosse molto sufficiente; che non pure grammatica, ma e’ gli converebbe ben sapere teologia, e delle Scritture sante avere esperta notizia: e essere rettorico e esercitato nel parlar volgare, e avere sentimento di Dio e spirito di santa devozione; altrimenti molti difetti vi si commettono, e sono già commessi. E sarebbe necessario che si vietasse che non si volgarizzassono più; e’ fatti si correggessero per persona che’ sapesse ben fare » (i). Egli certo, per il lungo esercizio religioso, per la pratica del natio linguaggio e per la sua dottrina teologica e retorica, doveva riputarsi, modestia a parte, l’uomo più « sufficiente » per compiere il volgarizzamento. Se non altro, mi par d’intravedere nelle sue parole una qualsiasi disposizione personale. E, non dovendo tradurre tutta la Bibbia, ma solo commentarne i vari libri già resi pubblici e correggerne la lingua, il tempo che corre fra la seconda metà dell’anno 1354, in cui scriveva lo Specchio, e il Giugno del 1357, in cui veniva a morte, poteva più che bastargli a una tal opera (2). Naturale d’altra parte ch’egli non ne facesse pompa o non stimasse cosa opportuna il metterla in pubblico col proprio nome : quando pur non si propenda, e ragionevolmente, a supporre ch’egli l’avesse ancor tra le carte private nel momento della sua morte, e che la divulgazione sia stata postuma. Ed ora si volgati gli occhi al passo di Sisto. Ivi la notizia è data con una sicurezza che colpisce: non si tratta di un « si dice », ma di un’opera che alcuni avean conosciuto e conoscevano a quel tempo, e probabilmente di un’opera stampata, perchè Sisto non tralascia mai, quando accenni a manoscritti, (\) Lo specchio della vera penitenza di Iacopo Passavanti per F. L. POLIDORI, Firenze. Le Mounier, 1856, p. 287. 12 1 Per le notizie della sua vita, ved. Possevinus, op. cit., lo. II, p. 82 ; G. Xf.c.rt. Istoria degli scrittori Fiorentini, Ferrara, 1722, p. 331 ; e Po-i.idoki, prefazione all’ed. cit. dello Specchio. Ben poco però se ne conosce. 112 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA d'indicare dove li ha visti (i). Credettero e sostennero anzi l'Anfossi e lo Spotorno ch’egli la scoprisse in Genova, nello stesso monastero di S. Maria di Castello, assegnatogli per definitiva dimora (2), e tanto più sarebbero rimasti di ciò convinti, se fosse stato loro presente che la Biblioteca di quel monastero, circa un secolo dopo la morte del Senense, veniva in gran parte danneggiata dal ben noto bombardamento (3) : ma il tacere che egli fa dell’esistenza di essa in Genova, e quei pochi particolari che della vita sua conosciamo, parrebbero dissuadercene. Si sa che Sisto, dopo aver rinnegato la religione cattolica e rischiato d’esser arso vivo, ritornò alla prima Fede per consiglio e favore di Michele Ghislieri, cardinale e generale inquisitore in Roma (4). Questi, che poi fu papa col nome di Pio V, ben sapendo il suo uomo versato nella cognizione dei libri talmudici ed esperto delle argomentazioni degli eretici, fra i quali per vario tempo era stato, lo inviò, nel 1559, a Cremona, ove pareva doversi trovare in possesso dei rabbini una considerevole quantità di codici biblici. Le speranze non restarono de- 1 Del Catholicon di Giovanni Balbi, dice (p. 272) : « Habetur Genuae in Bibliotheca Praedicatorum manuscripta ». Senza allontanarmi molto, a p. 290, trovo : « Ioannes de Patris, Galli, Dictionarium in sacra Bibbia vidi in hiliotheca Praedicatorum Lugdunensi manu descriptum » etc. e così passim. 12) V. Spotorno, Notizie, p. 51. Î - Cfr. VlGN.v, Farmacia, Biblioteca e Archivio del Convctito di S. Ai. di Castrilo, in Atti della Soc. Lig. di St. Pai., vol. XX, fase. II, Genova, 1896, p. 391. 4' Nella V'ita di Pio V di A. di Fuen Mayor in QuÉTIF et EchaRI), op. cit. II, p. 207, la col. : « En este officio [di Pio, cioè quello di Commissario generale dell’ Inquisizione] libro a Fra Listo Senes hombre de gran credito mas herege relapso y pertinaz, y condenado al ultimo castigo del fuego. Kcduiolc primerò ytras la vida del alma, puesto a los piez de Iulio III, que entonces presidia en la Iglesia, alcançole gracia de la del cuerpo, diziendo esperara trocado aqucl hombre le avia Dios de hazer instrumento de la salud de muchos.... ; el commissario le [Sisto] hizo admitir entre los suyos, dandole cl habito con proprias manos y vestido ». — Nella dedica della Bibl. tutto ciò è da Sisto ricordato : « Ausus sum illud [opus] piissimi Beatitudinis tuae nomini conscctare, existimans nulli magis convenire... dedicare quam tibi...; atqu· a me uno praesertim, quem tu olim ab inferis revocatum et errorum tenebris erutum, syncerae veritatis lumine illustrasti____meque in hoc sacro Prac- dicatorum ordine ita l>enignitate tua seinper in hanc usque diem fovisti etc... ». y ("IORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA I 13 luse. migliaia e migliaia di siffatti libri vi scoperse Sisto, e subito s ingolfò in un febbrile lavoro di selezione, confrontando, leggendo, sfogliando da mane a sera e destinando al fuoco le carte pericolose (i). È a credere che fin d’allora concepisse I idea del suo volume e cominciasse a raccoglierne i materiali. Ritornato in Genova dopo lunghe peregrinazioni nelle terre d Italia o di Francia, fu accolto « ex devotione » nell’ordine dei Predicatori « inter quos fuit magister et magnus praedicator » (2). Ivi, regolati i conti con la Chiesa Romana, dimostrandosele ormai figlio attivo e obbediente, e sapendosi protetto da un Pontefice innamorato delle arti e veramente mecenate degli studiosi, prese a radunare nella pace claustrale i propri appunti e a coordinare le notizie riferitegli dagli altri. Il lavoro voleva riuscire e riuscì infatti, nonché un’apologia del Cattolicesimo contro gli eretici, un vero manuale teorico-pratico ad uso degli interpreti delle SS. Scritture, in ogni lingua. Solo nel libro IV si trovano le notizie biografiche di tutti coloro che le chiosarono o parafrasarono o tradussero: fra questi il da Varagine. Vediamo di aggirarci fra i pruni. Dalla stessa prefazione del libro sappiamo che Sisto lo compilò sulla scorta di Gerolamo, Gennadio, Isidoro, Onorio, Sigiberto e del Tritemio; * cetera — egli aggiunge — utcumque supplevimus ex variis Italiae, (1) Nella Bibliotheca Sancta, a p. 336: « Pius V., Pont. M., cum ante pontificatum ei divinitus collatum amplissimo ac sacro totius Christianae Inquisitionis Senatui praeesset, anno videlicet humanae salutis MDLIX misit me Cremonam ad abolendos Thalmudicos Hebraeorum libros impiae ac prodigiosae doctrinae, quos Iudaei ex omni ferme Italia in eam urbem, tamquam in commune Iudaicae nationis asylum, convexerant ; cum igitur ea de causa coepissem diligenter evolvere universas ipsorum bibliothecas, & typographicas officinas, omnium, quae tunc in Italia erant, copiosissimas, repperi infinitum numerum Hebraicorum voluminum etc____». Ved. pure Quétif et Echard, op. e 1. citt., ci’ onde il P. R. A. VIGNA nei Domenicani illustri del Convento di S. Maria di Castello, Genova, Lanata, 1886, p. 442, lavoro quasi inservibile per la mancanza assoluta di fonti e citazioni. (2) V. Sillabus filiorum Conventus S. M. de Castello Genuae, in Monumenti storici de! Convento di S. .)/. di Castello dell’ Ord. dei Predicatori, orditi, ed il/ustr. dal socio P. R. A. Vigna, in Atti della Soc. Lt'g. di St. Patria, vol. XX, p. 150· Gioiti. St. e Lett. della Liguria, V. 8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Galliae, Hispaniae, et Graeciae Bibliothecis; quas partim per amicos, partim per nos ipsos, multis per Italiam et Galliam susceptis peregrinationibus, non sine magno labore perlustravimus » (i). È chiaro che, scrivendo del da Varagine, egli non poteva aver presente degli autori citati che il Tritemio, essendo gli altri tutti anteriori alla sua morte : fonte del resto sulla quale non ammette dubbi la somiglianza di certe frasi nell’ unti e nell’altro scrittore (2). La mancanza poi nel Tritemio di ogni accenno alla traduzione della Bibbia, è compensata dal ripetuto suo dispiacere di non poter dar ragguagli su parecchie altre opere dello stesso arcivescovo, non viste. Ma, appunto perchè nel Tritemio, unico autore cui Sisto potesse attingere, non v’è tale accenno, siamo obbligati a supporre eh·’ egli lo ricavasse dalle frequenti esplorazioni nelle biblioteche italiane e straniere, durante i suoi viaggi, o dalle comunicazioni dei compiacenti amici cui s’era rivolto. Probabilissimo che qualcuno, interpellato al riguardo, gli scrivesse di tener sott’occhi o di aver visto 0 di aver sentito dire che esisteva quella versione intera stampata: probabile anche che questo qualcuno conducesse il raffronto con la Vulgata, e la dichiarasse compiuta « summa fide ac diligentia >. Evidentemente, i terreni di ricerca sono tanto vasti e la trafila delle persone per le quali giunse forse, con le relative frange, quella notizia fino al libro di Sisto, può immaginarsi tanto estesa da autorizzarci a credere possibile, nella penna d’origine o in altra intermedia, un equivoco. Infatti qui — lo diremo subito — , dovè accadere uno scambio di persona favorito da un’ omonimia: Γ Jacopo della Bibbia in altre parole non era quello nato a Va-razze e arcivescovo di Genova. E circostanze consimili troviamo essersi riscontrate spessissimo rispetto ad opere o a fatti erro -neamente attribuiti allo stesso da Varagine ; sicché l’ipotesi nostra può suffragarsi e costituire alla sua volta un punto d’ appoggio per la conclusione che trarremo o, meglio, proporremo (1) A p. 203 dell’ ed. 1 .a (2) Si confronti con Sisto: « vir ili divinis scripturis exercitatus, apertus eloquio, in sermonibus ad populum declamandis satis idoneum fuit____Claruit temporibus Adelphi Imperatoris, Anno Domini 1290 » > Trtthiïmius, op. e 1. citt. i. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I I 5 tra breve. Bastava che si leggesse o si nominasse un Iacopus ordinis Praedicatorum, perchè, durante più secoli, non si dubitasse di identificarvi l’autore della tanto letta e ammirata Legenda Aurea. Così si attribuirono a lui, senza fondamento, sulla semplice testimonianza di un atto notarile che ricordava un Jacopo dell’ ordine dei Predicatori, una permanenza e una dignità ecclesiastica elevata, in Genova, nel 1258 (1); e, sull’autorità di un capitolo delle Storie del Villani, dove si diceva eh’ era stato mandato al Re d’Aragona « un savio uomo eh’avea nome Frate Iacopo dell’Ordine de’ Predicatori >, un’ambasceria politica a quel re stesso (2). E Flavio Biondo, cui s’imputò altresì falsamente la narrazione, a carico del da Varagine. di un certo fattaccio che pare si sia svolto invece tra Bonifacio VIII e Forchetto Spinola (3), lo rese responsabile di avvenimenti di storia (1) Il documento e l’attribuzione sono in Spotobno, Notizie, p. 8-9. (2) V. Villani, lib. VII, cap. LIX, col. 277, in R. I. S. del Muratori, to. XIII. Sulla falsità delle conclusioni in proposito, v. SPOTORNO, Notizie, pgg. 13-14. (3) Come a rilevare gli errori del Biondo, sarò pronto a scolpamelo. Il Muratori stesso, pref. al Chronicon del da Varag.. p. 3 : « Famosum est quod de ipso referunt Blondus & Philippus Bergomas : nempe Bonifacius Vili P. M. quum lacobo, quem factioni imperiali favere existimabat, sacros cineres die primo Quadragesimales Iejunii porrigeret, in Iacobi oculos ipsum cinerem proiecisse, pro consuetis verbis dicendo : Mevietito quia Gibellinus es et cum Gibellinis in pulverem redigeris. Verum hoc fabulam sapit & siquidem verum foret, censent Eruditi cautiores, id Porchetta Spinulae Iacobi in Archie-piscopatu successori contingere potuisse ». Infatti Filippo da Bergamo, Sup-Wlementum Supplementi delle Croniche, in Venetia per Bartolomeo dell’imperatore et Francesco suo genero, MDL1II, lib. XIII, fol. CDCIVz/.. an. 1291. « Stimo che questo [lacobo da Var.] sia quell’arcivescovo genovese del quale scrive il Biondo hystorico... dicendo nella Chronica sua che questo Are. el dì della cenere, essendo a’ piedi di Papa Bonifacio Vili... et in lo che dal Sacerdote si suol dire ; ricordati huomo che sei cenere, et ritornerai in cenere, et Bonifacio lì disse: recordati Arcivescovo che tu sei Ghibellino et con li tuoi Ghibellini sarai totalmente distrutto » etc. Così o presso a poco si legge il fatto, riferito al da Varagine, in altri, anteriori o posteriori al Muratori : nel Vossius, op. cit. 1. cit.; nel Pio, op. cit. col. 99 ; nel Le Long, op. e 1. citi.; neU’OuDlN, nell’op. e nel 1. che vedremo più innanzi; iiell’ANFOssi, op. e l·. citt., nello Spotorno, Notizie citt.; e in non so quanti altri. Il vero è che tutti costoro, anche i più recenti, si sono accontentati della testimo- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ligure, ch’egli, il da Varagine, nella propria Cronaca, citata tuttavia dal Biondo, non narra: e ciò perchè appunto il Biondo lo confondeva con altri scrittori omonimi, appartenenti allo stato religioso (i). La stessa origine deve supporsi per l'attribuzione a lui dei Sermones Doctrinales, catalogati infatti, nelle biblioteche, sotto le parole Frater Iacobus lannensis Ordinis (2); nianza del frate da Bergamo o di chi direttamente da lui attingeva, il quale poi ha semplicemente sognato di trovar quella notizia nel Biondo. Si veda il passo di costui ^Blondi Flavii forlivensis, Historiarum ab inclinatione Romanorum libri XXXI, Basileae, MDLIX ; in fine : per Hieronym. Fro-benium et Mio. Episcopium, Dec. II, lib. IX, p. 374.-5): « lacobo de Voragine Genuensi presali suffectus est Porchetus Spinola minorum ordinis, qui pro confirmatione ad ipsum Bonifacium pontificem Romam se contulit. Forte dies advenit capitis ieiuni Cinerum appellati, adeuntesque dum res fieret divina, quosque pontifex ipse sinciput pollice cineribus iniuncto sacres in crucem tetigit. Sed Porcheto Genuensi archiepiscopo ad pedes precedenti mutato carmine ceteris dici solito secundum sincipitis consignationem dixit : Memento quod Gibellinus es et cum Gibellinis in cinerem reverteris ; iniecitque in oculos cineres et eum archiepiscopatu eodem die privavit ». Il fatto dunque è proprio riferito allo Spinola non al da Varagine. E da notare peraltro che lo Stella, Annales, to. XVII, R. I. S. del Muratori, col. 1019, riferì giusto. Ma intanto si moltiplicavano fra gli altri gli strafalcioni e si svisavano i fatti ; e nell’ orbita delle inesattezze restavano impigliati anche i dotti che più godon fama di coscienziosi. (1) Il Biondo, dee. II, lib. VI, p. 265 : « Affirmat vero Iacobus episcopus et, sicut saepe diximus, patria Genuensis ». Risalendo (lib. V, p. 238), troviamo che questo Jacopo sarebbe stato un teologo e vissuto nella seconda metà del sec. XII. Perciò il Giustiniani, Castigatissimi Annali ili Genova, illustr. con note da G. B. Spotorno, Genova, 1854, lib. II, p. 265 : « Il Biondo____fa menzione di uno scrittore genovese nominato Giacobo vescovo, il quale non si può credere che fosse il Voragine ». E chiaro che il Biondo invece intendesse proprio costui, non essendo mai esistito (cfr. Spotorno, Storia lett. cit., vol. I, p. 151), nè prima nè dopo, un altro Jacobo arcivescovo, o teologo genovese, o scrittor di Storie, cui attribuire Quelle notizie ; ma è chiaro altresi che lo Jacobo allegato dal Biondo (ved. Spotorno, ib., p. 154) fu scambiato con qualche altro non punto genovese. (2) Cfr. Casimiri Oudini Commentarius de Scriptoribus Ecclesiae antiquis iUorumque scriptis tam impressis quam manuscriptis adhuc extantibus in celebrioribus Europae Bibliothecis etc., to. III, Lipsiae, sumpt. Maur. Georg. Weidmanni, MDCCXXII, coi. 615. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA r 17 delle Distinctiones, sotto quelle di Iacobus lanuensis (i); e così via delle altre opere. Ma una ancora valga per tutte. Dacché Sant Antonino non seppe indicare chi fosse l’autore del Catho-hcon, di quell emporio grammaticale che aveva fatto metter da parte il Liber derivationum di Uguccione e 1’usitatissimo glossario del Papia, ma affermava essere stato un frate genovese dell ordine dei Predicatori (2), persino il Catholicon figurò sotto il suo nome nelle schede dei bibliotecari e nelle pagine dei biografi ecclesiastici (3). È dunque più che lecito il credere che, come per tutte le altre'opere, così sia avvenuto per il volgarizzamento lo scambio di una persona chiamata Jacopo e appartenente all’ ordine dei Predicatori, con lui. Orbene chi potrà essere questo Jacopo che qualcuno, o forse anche lo stesso Sisto, seppe traduttore dell'intera Bibbia, ossia compilatore della Volgare jensoniana? Diamoci a perlustrare tutto il territorio all’ intorno e, a meno che non si voglia' varcar di molto la metà del trecento, non troviamo che Jacopo Passavanti, Jrater orcinus Prad/catorum, di cui s’è posto in evidenza quanto sia probabile l’intromissione nel fatto di que! volgarizzamento, l'unico del resto che esistesse intero e potesse, confrontato con la Vulgata, rispondere esattamente all'espressione laudativa di summa fide ac diligentia. Pur non volendo poi appagarci della possibilità che un codice recasse scritto, ad esempio, all’ incipit (1) Oudin, op. e 1. cit. (2 1 Op. cit., p. 681 : « In Grammaticalibus Catholicon, cuius libri authoris nomen ignoro. Dicitur fuisse conversus et Genuensis et quod frater ordinis praedicatorum certum est. ». (3) Ved. Cavic, op. cit., p. (354; su di che anche Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae aetatis. Florentiae, Typ. Thomae Baracchi et F., DDCCCLVIII, ap. I. Molini, to. 1II-1V, p. 312, ia coi. Per 1’errore dei cataloghi, v. SPOTORNO, Notizie, p. 49. L’ Oudin fu tra quelli che vi caddero ; cfr in proposito BaYLE, Dictionnaire historique et critique, to. I, (2a ed.), Rotterdam, Renier Leers, MCCII, p. 457. Anche rispetto alla Stimma casuum conscientiae prn clericorum suae diocesis institutione, attribuita al da Var. dal ROVETA, op. e 1. citt., e da altri, dietro i suoi passi, vi fu confusione con un Ioannes, probabilmente il Bosnense, fatto diventare, non si sa come, lanuensis (ma v. QuÉTIF. et ECHARD, op. cit., to. 1, p. 459). Non si dimentichi che il nome Jacopo era frequentissimo fra i Domenicani e che di cinque Jacopi domenicani e contemporanei al da Varag. si ha no I IS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA o all' explicit, la formula Translatio quam fecit Iacobus ordinis Praedicatorum con implicito riferimento a! Passavanti — il che, se fosse documentabile, costituirebbe una prova, secondo me, decisiva —, alcune altre circostanze concorrono a favorire l’ipotesi accennata, e tali da acquistare un certo valore, quando si vengano a collocare in mezzo ad ignoti ma giustamente supponibili raggiri di inchieste e di richieste fatte a bibliotecari e a prelati d’ogni grado, tutta gente saputa e quindi dannosa alla verità. Le riassumeremo brevemente. Doctor, theologus e magister vien detto il da Varagine (i); e tali appellativi doveva pur godere il Passavanti, che studiò a Parigi e fu poi lettore di filosofia in Pisa, di teologia in Siena e in Roma (2). Il da Varagine ebbe la carica onorifica di Vicario o Ministro Provinciale dei conventi lombardi: il Passavanti quella di Vicario Generale negli stessi conventi lombardi (3). Al da Varagine si attribuisce un opuscolo su Sant’Agostino e si loda la conoscenza esatta delle opere di quel santo (4): al Passavanti si attribuisce ugualmente un opuscolo su Sant’Agostino (5), e per di più una traduzione del De Civitate Dei (6); non solo, ma, scorrendo lo Specchio, possiamo persuaderci di una conoscenza non minore da parte tizia sicura (Spotorno, Notizie, p. 14). Il Nostro fu anche confuso con Jacopo d’Albenga (Spotorno, Storia lett., vol. I, p. 154). (1) Si ved. i frontispizi delle edizioni dei Sermoni. (2) Ved. V Elogio del POLIDORI, premesso all’ed. cit. dello Specchio, p. XIV. (3) Ved. Polidori, ib. (4) V., dal Tritemio in poi, tutti gli autori ricordati. (5) Il titolo è, secondo Quétif et Echard, op. cit., vol. I. 646, ia col., Additiones in Commentaria F. Thomae de Wallois in libros S. Augustini de Civitate Dei, Londini, 1520, in fol., e si conserverebbe nella Bibl. bar-beriniana. Ne parla però molto prima il Possevino, op. cit., vol. ΓΙ, p. 82. Ved. anche Fabricius, op. cit. to, III-IV, p. 306 ; e G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara, 1722, p. 331 ; quest’ultimo gli attribuisce, oltre che le Additiones, anche i Commentaria. (6) Ved. Possevino, ib., e Fabricius, ib. ; e, per le edizioni di questo volgarizzamento, Zambrini, op. cit., col. 5 e sgg. Chi maggiormente sostenne doversi assegnare al Passavanti fu il Corbineili, uomo che ben sapeva quel che si dicesse; ved. I. M. PaitoNI, Hibliotica degli autori antichi greci e latini volgarizzati, to. I, Venezia, 1776, p. 10 ; e quivi, anche le non trascurabili osservazioni del Paltoni stesso. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I IQ sua delle opere medesime (i). Sarà poi un andar troppo innanzi il voler anche tener conto del fatto che in Siena, dove insegno a lungo il Passavanti, nacque e compiè i primi studj Sisto, e che ivi può quindi aver avuto occasione di sentir atti ibuire a un Jacopo la Bibbia volgarizzata? (2). Nulla dyaltronde è trascurabile, quando la via è buia e il terreno fallace. C on tutto ciò mi guarderò bene di trarre conclusioni avventate. Di sicuro resta, e in modo assoluto, che Iacopo da Varagine non può aver composta quella versione e che la gloria venutagli dalla falsa attribuzione di essa dilegua tutta, checché si continui a dire e ad almanaccare. Ugual sicurezza, se non rischiasse di parere ostentazione, propenderei a mostrare nel sostenere, in base a tanti fatti omogenei, che non va data alla notizia di Sisto Senense altra origine che non sia quella di uno scambio di un fra' Jacopo con io Jacopo nostro. L’ipotesi infine che quell’ignoto Jacopo sia il Passavanti, non vorrà essere più che un' ipotesi, ma assai verisimile e tale da poter servire, giacché non pare ancor definita la questione se il Passavanti abbia o non abbia posto mano nella Bibbia volgare, di nuovo argomento, non trascurabile, spero, ai partigiani di questa opinione. Francesco Luigi Mannucci (1) Ved. segnatamente, nello Specchio (ed. cit.), le pgg. : io, 12, 16, 17, 20, 23, 25, 28, 38, 39, 53, 54, 57, 59, 77, 87, 90, 94, 95, 106, 163, 167, 170, 174, 176, 177, 190, 192, 203, 204,208, 211, 213, 214, 216, 217, 219, 220, 225, 233, 234, 243, 255, 275. 2’8. (2) Mi si obietterà che in patria restò poco agli studj, perchè afferma d’ aver avuto a maestro (ved. Biblioth. S., lib. IV, p. 208) Ambrogio Catarino, che dal 1534, da quando Sisto contava appena dodici anni, insegnò a Tolosa e a Lione. Valga però rammentare che Ambrogio Catarino era concivis di Sisto, senensis patria e conoscitore perfetto tam hetrusci quam latini. — E vero poi che la composizione dello Specchio è posteriore alla dimora del Passavanti in Siena, ma può darsi che già sin d’ allora egli ponesse mano a quel lavoro di compilazione cui ivi accenna. Più ripenso al passo dello scrittor fiorentino e più mi convinco che lì dentro covi una certa volontà di richiamar Γ attenzione degli uditori (si tratta di prediche stese) sopra un’ opera propria. Sarebbe stata gradita assai qualche più ampia notizia della vita sua ; mai, come questa volta, ne sentimmo il bisogno. 120 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA LA CADUTA DI LUISA PALLAVICINI Narra il Belgrano: « Erasi un giorno [nei primi mesi del 1800] la bella donna recata nella riviera di ponente a diporto, con una brigata di gentiluomini genovesi e di uffiziali dell’esercito, fra i quali è da supporre che non mancassero il Foscolo e gli altri poeti ognor disposti a rendere omaggio alla bellezza. Ma, nel ritorno, giunta a quel luogo che per manco d’abitazioni chiamano tuttavia il Deserto di Sestri, il focoso destriero, su cui la Pallavicini venia cavalcando, impennatosi ad un tratto, sfre-nossi a corsa precipitosa. Invano la misera, non potutasi liberare un pie’ dalla staffa, gridava al soccorso; chè l'indomito corsiero la strascinava dapprima nel mare, poi tutta sanguinosa e come morta abbandonavala sulla spiaggia » (i). Il compianto amico, di sempre cara e venerata memoria, attingeva i dati del suo racconto alla tradizione (e molti interrogò di coloro che allora erano vecchi ed oggi sono scomparsi) e per taluni particolari all'ode stessa del Foscolo, la composizione della quale tutti assegnarono appunto al principio del 1800, e cioè al tempo in che ritennero avvenuto il triste caso. Ma un contemporaneo, quello stesso a cui apparteneva il cavallo bizzarro, cagione di tanta disdetta, riferisce il fatto in una forma alquanto diversa, e accaduto, secondo afferma, sulla metà dell’anno precedente. Egli è il barone Thiébault, a que’ dì aiutante generale, e che, come tutti sanno, fu a Genova più volte, e in ispecie al tempo del memorabile blocco, intorno al quale ha lasciato un’opera giustamente apprezzata. Reduce da Napoli con 1’ esercito francese comandato da Macdonald, era caduto gravemente ammalato a Pistoia, e dovette perciò ridursi a Genova per rimettersi in salute, prima di tornare ai suoi uffici militari. Vi giunse verso la metà di giugno del 1799, mentre i francesi combattendo con varia fortuna gli austro - russi, toccarono la sconfitta della Trebbia (17-19 giugno). Ma poiché le sue condizioni, secondo le speranze, non miglioravano, in seguito ad un consulto medico, si decise a tornare in patria « pour (1 ) Jmbreviature di Giovanni Scriba. Genova, Sordomuti, 1882, pag. 277 sg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEI-LA LIGURIA [21 suivre un régime, impossible, en dehors des habitudes sages de la famille ». Egli allora si preparò alla partenza, e fra le altre cose, mise in vendita i suoi cavalli. « Dans le nombre », son sue parole, « se trouvait un très beau chevai arabe, qui avait été remarqué à Gênes et ne pouvait manquer d’y avoir de nombreux amateurs. M.me Pallavicini, une des plus jolies femmes et la meilleure écuyère de Γ Italie, se hâta de me le faire demander afin de l’essayer. J’écrivis aussitôt à cette dame que je mettais le cheval à ses ordres, mais que, dans ma conviction, aucune écuyère au monde, avec une selle de femme, n’était capable de le maîtriser à cause des sauts, des écarts qu' il faisait sans cesse, et sourtout à cause d’une ardeur que douze ou quinze lieues ne suffisaient pas à calmer. Elle me répondit qu’ elle me remerciait du motif de ma lettre, mais qu’ elle ne craignait aucun cheval. Deux heures ne s’ etaient pas écoulées que tout Gênes se trouvait en émoi. Après avoir fait seller et brider le cheval avec le plus grand soin, M.me Pallavicini, parvenue à se placer dessus, s’était dirigée par la porte du Ponant. Tant qu’ elle avait été dans les rues de Gênes ou du foubourg, elle avait contenu son fougueux animal; mais, une fois hors de la ville, celui-ci s’anima et de plus en plus profita de l’espace qui s'étendait devant lui; bientôt, la queue en 1’ air, les crins hérissés, après quelques sauts il ébranla son amazone, lui gagna brusquement la main et l’emporta. Que faire? Des deux ou trois cavaliers qui l’accompagnaient, pas un n’ était monté de manière à la suivre, et quand on 1’ aurait suivie de près, on n' aurait qu' accélérer la rapidité de sa monture. On se borna donc à la tenir en vue, tout en 1’ abandonnant à elle même. Cependant elle ne perdit pas la tête, ne retint plus son étrier que de la pointe du pied et même eut assez d’adresse et de présence d'esprit pour défaire la sangla que’ l’attachait à la selle. Dès lors, moins alarmée de sa position, elle cherca encore à se rendre maîtresse du maudit animal ; n’ y parvenant pas et ne voulant pas être emportée à une trop grande distance, elle s’élança à une place où elle avait aperçu du gazon; par suite de la rapidité avec laquelle elle franchissait l’espace, elle fut jetee au delà, tomba sur le taillant d’une roche et se fendit la bouche d’une manière si fâcheuse qu’ on (ut obligé de recoudre les chairs pour qu’ elles 122 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA reprissent. C' est donc tout en sang qu’ on la rapporta à Gênes. Quant à mon cheval, qui, débarrassé de son écuyère, gambadait assez peu loin de là, on eut mille peines à le rattraper et on ne le ramena que le soir. J’ ai dit que M.me Pallavicini était très jolie; je fus donc désolé d’être la cause, même involontaire, d’un accident qui la défigurait; mais si je m’intéressais à sa beauté, c’était par ce sentiment vague que doit éprouver tout homme à la pensée d’un grand charme de femme trop brusquement rompu » (i). Il Thiébault ordinate le cose sue parti per mare il io luglio (2). Secondo questo racconto la data del disgraziato avvenimento va posta fra il 19 giugno e il 10 luglio, e forse più precisamente al cadere di quello o ai primi del successivo, e perciò, se si vuol ritenere l’ode del Foscolo dettata sotto l'impressione momentanea ed immediata del fatto, conviene ammettere ch’ei si trovasse allora a Genova, il che sembra, stando alla cronologia della sua vita, doversi escludere, poiché la venuta in Genova del poeta è assegnata, come si sa, fra il settembre - ottobre, dopo la battaglia di Novi (15 agosto). Si potrebbe tuttavia rilevare che nella Galleria di Angelo Petracchi, uscita in Genova il 14 dicembre si legge il ritratto della Pallavicini, ma non si accenna per nulla alla caduta, che ne sfigurò la bellezza (3); mentre invece ne tocca il Ceroni nel Papagalletto, pubblicato nella stessa città 1’ 8 marzo successivo. Ed allora bisognerebbe ammettere che l’avvenimento fosse accaduto fra queste due date. Senonchè vuoisi considerare che il Petracchi venne a Genova fuggendo « da Milano l’inondazione austro-sarda », e vi fu accolto con benevolenza dal generale Perignon ; dunque fra il cadere d’aprile e i primi di maggio, ed ebbe perciò tutto l’agio di conoscere la Pallavicini splendida ancora per beltà, e comporre per lei quei versi, che mandati in pubblico più tardi volle, per un senso di squisita delicatezza, lasciare intatti nella lor plastica rappresentazione della bellissima signora. Leggendo (li Thiébault, Memoires, Paris, Pio», 1894; vol. II, p. 552, e III, p. 18 sg. (2) Ivi, p. 23. (3) Galleria Ligure, Genova, st. della Gazzetta Nazionale. 1799. Anno III Repubblicano; p. 23 — Gazzetta Nazionale, 14 dicembre 1799. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 123 poi attentamente l’apologo del Ceroni ci persuadiamo per più accenni come sia da riferirsi piuttosto alla metà del 1799, anziché ai primi mesi dell’anno successivo. D’altra parte la narrazione del Thiébault riveste tali caratteri di sicurezza e di autenticità, da non potersi mettere in dubbio. Posto ciò, e considerata la spontanea viva freschezza della poesia, conviene ricercare, se il Foscolo potesse trovarsi in Genova nel sopraindicato periodo, cioè fra il 19 giugno e il IO luglio. Nell’aprile di quell’anno egli era a Bologna; il 24 (5 fiorile) venne ferito all’assalto di Cento, donde sui primi di maggio si ritrasse a Monteveglio, e vi fu arrestato il 30, dopo ventiquattro giorni che colà si trovava. Condotto a Bazano, poi a Vignola, e subito a Modena, fece qui la sua deposizione dinanzi alla commissione di Polizia, il 7 giugno, e quantunque fosse sospeso qualunque provvedimento intorno a lui (2), con-vien credere che in quei giorni di turbamenti e di confusione, incalzando d’ogni parte i francesi, riuscisse ad essere liberato, onde potè raggiungere Forte Urbano, dal quale mosse la colonna di Montrichard volta all’attacco di Klenau; e poiché questi vinse l’avversario a S. Agata può ritenersi fosse il Foscolo preso dagli austriaci in questo scontro ed avviato con gli altri prigionieri verso Mantova (la città ancora in mano ai francesi era assediata da Kray); chè così ci sembra doversi intendere quanto egli notò nell’ Estratto di servizio : « ne! mese di giugno, fatto prigioniero in una sortita di Fort'- Urbano, e condotto a Mantova » (3). Ma la vittoria di Macdonald a Modena e la successiva 1) // Pappagai letto, apologo. Genova, st. della Gazzetta Nazionale, 1800. Annoiti repubblicano — Gazzetta Nazionale, 8 marzo 1S00; riprodotto in Bei.GRANO, Imbreviature cit., p. 325. (2) Cappelli. Ugo Foscolo arrestato ed esaminato in Modena, in Memorie della li. Acc. di se. lett. ed arti di Modena, vol. VIII. (3) Pubblicato in Prose politiche, Firenze, Le Monnier 1850, p. 613 sg. Ci atteniamo a questo documento autografo, che è il più particolareggiato, e sembra, il più attendibile fra gli altri documenti consimili presentati dal Foscolo alle autorità militari della Repubblica e del Regno. L’ affermazione di aver combattuto con gli Ussari alla Trebbia, che in alcun d’ essi si trova, non infirma ciò eh’ ei dice nell’ Estratto, perchè la battaglia di S. Giuliano si può considerare come un episodio del fatto principale. E può credersi pur vero fosse liberato dalla prigionia militare per cambio procurato dal Fanluzzi. 124 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fortuna nella marcia in avanti procacciò certamente, come si suole, un cambio di ufficiali prigionieri fra il 12 e il 18, ed è quindi ammissibile che il Foscolo « cambiato dalla venuta del-1'esercito di Macdonald » si trovasse « col Primo d’Usseri alla battaglia di Marengo » o per meglio dire, a scanso di confusione, di S. Giuliano, avvenuta nei giorni 19-21 con la peggio degli austriaci. La qual vittoria parziale ottenuta mentre Macdonald toccava alla Trebbia la memorabile sconfitta, non ebbe pratico risultato, che anzi obbligò i francesi, comandati da Moreau, a ripiegare su Genova, ed ecco come si spiegarlo le parole del Foscolo: « ritiratosi cogli ufficiali isolati dopo quella dispersione a Genova » ; quivi, sono sempre sue parole, « fu promosso dopo la battaglia di Marengo, ove si trovò col primo degli Ussari Italiani, capitano per nomina del generale in capo Macdonald ». Infatti questi il 10 luglio passava dalla Spezia, e il 12-13 era a Genova, donde recatosi a Cornigliano, prese gli accordi con Moreau per la riunione dei due eserciti e la prosecuzione della campagna; ottenne quindi dal Direttorio un congedo di convalescenza per « sei decadi », e il 12 agosto « quasi ristabilito delle sue ferite » partì alla volta di Parigi (i). Il Foscolo adunque potè trovarsi a Genova nel periodo in cui, secondo il Thiébault, avvenne il triste caso alla Pallavicini, Nè apparisce improbabile servisse nella ritirata come capitano aggiunto del-Γ aiutante generale Franceschi, perchè questi il 9 luglio s’ imbarcava alla Spezia (Redattore Italiano, Genova, 1799, n. 49, p. 387) per Genova, precedendo d’ un giorno il Macdonald, dal quale appunto in Genova il Foscolo fu promosso, secondo afferma, capitano aggiunto. ( I : Redattore Ital. cit. — Gazzetta Nazionale della Liguria, n. 7, 27 luglio 1799, e n. 10, 17 agosto. — Anche il Martinetti, Ugo Foscolo a Genova, in 11 Monviso, 1884, n. 76, 78; accennando alla riunione a Genova delle due armate e alla venuta del Macdonald, crede « che il Foscolo vedesse Genova, per la prima volta, verso questo tempo ». Già nei Documenti della vita militare di U. F. (in Rivista Europea, 1882, vol. XXIX, p. 422) aveva ritenuto che venisse a Genova dopo la battaglia della Trebbia quando Victor scese per le valli del Taro e della Magra a fine di ricongiungersi con 1’ esercito di Moreau ; al qual proposito osserveremo che Victor il 26 giugno era a Sarzana (Redattore italiano, n. 45 ) donde si recò subito a Genova, e di qui parti per Parigi il 10 luglio [Redattore cit.). Anche in questo caso il Foscolo poteva essere a Genova nei giorni sovraindicati. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 125 ed è fra le cose probabili ch’ei fosse uno di que’ pochi cavalieri che l’accompagnavano; perciò l’ode, anziché nel marzo del 1800, come generalmente si crede, deve essere stata composta nel luglio del 1799. Essa infatti apparisce così calda di sentimento e improntata in certi tocchi oggettivi a tanta verità, da persuaderci sia sgorgata nel momento immediato in cui l’animo del poeta rimase colpito dalla miseranda disdetta, e la feconda fantasia si mosse a dettare que’ versi di mirabile fattura, i quali segnano, in un ai noti sonetti, il « rapido, e quasi improvviso, trapasso dalla inesperienza giovanile alla sapiente maturità dell’arte » (i). Di vero quando noi leggiamo, dopo la classica imprecazione, la strofe : Cliè or non vedrei le rose Del tuo volto sì languide ; Non le luci amorose Spiar nc’ guardi medici Speranza lusinghiera Della beltà primiera ; ci sembra di aver dinanzi agli occhi, come 1’ ebbe il poeta, la gentildonna in que’ primi giorni di sua degenza, mentre e lei stessa e gli altri stavano trepidanti sulla fasi della guarigione. Così egli, assiduo visitatore, la vide allorché ......1’ eterno viso, Mesto, oltraggiato, e pallido (2) Cinto apparia d’ un velo - Ai conviti del cielo, e cioè, fuor di metafora, alle conversazioni, là dove convenivano « le abitatrici olimpie », le quali per la guasta bellezza, Gioìan d’ invido riso. Ond’era pensiero d’animo gentile, e nelle consuetudini naturale, il voto e 1’ augurio in quei primi momenti della « lusinghiera speranza », che « lieta » tornasse alle danze e salisse al cielo < più bella » colei che per lo splendore del volto e dell’aspetto po- (1) Chiarini, Delle poesie liriche e satiriche di U. F., p. XXXV, in Poesie di U. F., Livorno, Giusti, 1904. (2) È la prima lezione, men bella, ma certo più significativa. I 26 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA teva ben dirsi « di Febo la sorella » (i). Ma pur troppo il velo fatale la ricoperse per tutta la vita. E poiché lo stesso concetto vediamo espresso dal Ceroni nel Papagalletto, là dove adombra la Pallavicini in questa ottava: Vedi là quella candida Palomba, Ch’ lia le piume scomposte e rabbuffate? Ahi Γ infelice d’ alto ramo piomba, E ne porta le tempie insanguinate ! Come tanta beltà scontri la tomba Sì dolgono le Grazie desolate : Gioia delle rivali in fronte è sculta, Ma non men vaga sorge, e all’ altre insulta ; ci sembra ovvio il ritenere, come abbiamo accennato di sopra, che anche l'apologo del veronese fosse dettato sul mezzo del 1799, e a nostro parere fra la battaglia della Trebbia e quella di Novi. Lo dicono infatti le prime ottave che ci rappresentano « l'Aquila » la quale « Col doppio rostro e coi rapaci artigli » aveva messo in fuga la schiera « degli Augelli » E Trebbia, Adige e Po fatti vermigli ; e questi « Augei » Al Ligustico lido in varie forme Scendeano fra i timori e le speranze ; E qui stagione ai voti lor conforme Aspettavano intesi a tresche, a danze, Lor disastri pingendo, e loro imprese Alle Beltà dell’ ospite paese. Il che può appunto riferisi, non essendovi cenno alla battaglia di Novi, a quel periodo che intercede fra il cadere di giugno e i primi d’ agosto, in cui i simbolici augelli scesero a Genova, nel desiderio e nella speranza di cimentarsi nuovamente con gli austro-russi, affidati agli aiuti di Francia, e alla perizia militare del generale Joubert che doveva condurli alla vittoria; onde il Ceroni chiudeva il suo apologo così: I II ritratto che diamo qui è rilevato dalla fotografia del quadro descritto dal Belgrano (Imbreviature cit., p. 288), e poiché la tela è sì danneggiata da non permettere una riproduzione diretta, siamo ricorsi alla ben nota perizia del pittore Del Santo, il quale con mano felice ha saputo cogliere la fisonomia e 1’ espressione dell’ originale. giornale STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 29 Me I11 Musa, dai grandi ognor temuta, Richiama alle politiche procelle, ì dì a eternar, in cui lacera esangue, Perda) l’Aquila rea gli artigli e il sangue. Questa contemporaneità dei due componimenti spiega la parentela de concetti, mossi ne’ due poeti dal medesimo sentimento, e dalle stesse circostanze ; non è quindi luogo a parlare di priorità, di derivazione, o di plagio. Ben ci sembra dover notare che « le parecchie poesie » venute « in gara » per quella opportunità, fra le quali « primeggiò quella del Foscolo » (i), non sono giunte fino a noi, neppure per notizia indiretta, e i soli versi, in cui è parola della Pallavicini, sono quelli del Petracchi e del Ceroni ; il primo de’ quali non tocca punto della caduta, e 1’ altro, pur accennandola in un’ ottava, non ne ha fatto soggetto di speciale componimento. È quindi inammissibile la gara affermata dal Carrer, non si sa sopra quali prove o informazioni. L’unica poesia speciale dettata per la gentildonna sì miseramente colpita, è quella del Foscolo, il quale, come si vede dal raffronto con la narrazione del Thiébault, ha evidentemente atteggiato alcuni particolari secondo il genio ed il calore della sua fantasia, senza seguire le modalità reali del fatto. La Pallavicini non fu gettata da cavallo, ma, scioltasi dalla sella, coll’ intenzione di salvarsi, saltò giù, là dove scorse un tratto dì zolle erbose; per mala sorte cadde più oltre, e battendo del viso sulla viva pietra rimase sconciamente ferita. Il cavallo che entra in mare; poi, spaventato dalle onde, torna sulla riva, e, impennatosi rovescia la donna e la trascina, ancora impigliata, pel margine sassoso, è tutto immaginazione del poeta. Il luogo dove avvenne il triste caso, sul lido del mare, e la favola di Ippolito tornata per associazione d’idee alla mente di lui, gli suggerirono certo la descrizione stupenda, dalla quale ha saputo trarre sì alto e mirabile partito. Una poesia di questo genere, ispirata dalla disgrazia avvenuta a bellissima donna, potrebbe far credere ad un amore del poeta per lei. Può dirsi ciò nel nostro caso del Foscolo? Non lo crediamo, perchè 1’ ode, a nostro giudizio, non basta a dar- (i) Carrer, Vita di U. F., p. XXXI, premessa alle Prose e poesie di U. F., Venezia, 1842. Gl orti. St. e Lett. iella Liguria, V. 9 130 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cene la prova, e manca ogni altro indizio o riferimento, anche laterale, a suffragio di sì fatta opinione. Anzi si avrebbe la testimonianza per ritenere che il Foscolo era in questo tempo acceso d’ amore per un’ altra genovese, che lo faceva sospirare invano. Si tratta dell’Annetta Viani Cesena, alla bellezza della quale il Petracchi dedicava questi versi (i): Fosca, e bruna cavigliera Più dell’ ombre della sera : Occhi cari, e risplendenti Più di vive faci ardenti : Bianca gota dove spunta Fresca rosa d’Amatunta : I .abro interprete d’ amore Che se canta, canta al cuore : Nivei denti, auree maniere : Membra armoniche, e leggiere : Dotta in ballo seducente, E in salir cavallo, ardente : Vaga ogn’ opra ; vago ogn’ atto ; Ecco Annetta il tuo ritratto. E Gerolamo Benedetto Rolla pur nel medesimo tempo la descriveva così (2) : Piccolo piede, asciutta gamba, e snella, Occhio vivace eccitator d’ amore, Bocca ridente, dolce la favella, Guancia di rosa, candido il colore, Morbida man di cui non v* ha più bella, D’ alta statura, dell’ età sul fiore, Saggia, ed esperta quanto Palla istessa, Eccovi Annetta in pochi accenti espressa. Finalmente il Ceroni la pose nel novero delle belle genovesi con la seguente ottava: (I) Galleria cit., p. 15. 2 Ritraili Liguri. Genova, 1 Soo, Anno ΙΓΓ, della Repubblica Ligure, Stamperia in Canetto; p. 13. C’è anche la trasformazione in dialetto (p. 14): Oeuggi che poaean dóe moie, aia riente. De perla i deuli, i labri de corallo, Nazin ben faeto, bocca soiiriente, Un pè, che appfinto ύ pâ formao pe ù ballo, Voxe che à Γ in nam uà cantando a gente, Agile ciù d’ un omo in sciù cavallo, I)e coeû ben faeto assae, de corpo snella, Questo è ù ritraeto d’Anuettina bella. MORDALE S IDRICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA t 3 I t apinerà, e qual fia eli’ ora mi accenna Mcmor astro lodar, se tu 11011 sei ? I u die al brillar dei sguardi, e delle penne, imbellisci leggiadra i versi miei ; I e prego e prega, e 11011 ottien, nè ottenne, T-a m obi I turba de’ bramosi Aitgci ; Sola intorno, e d’altrui, vagar ti mira II /'rin&wc/lo dell’Adria, e 11e sospira. Il Fringuelli! dell'Adna, ognun lo capisce, è il Foscolo. Ora una bellezza simile e sdegnosa e ritrosa, saggia ed esperta come Pallade, e per di più d'altrui, non deve meravigliare se aveva acceso le brame del nostro poeta, dotato di quella fervida inclinazione erotica che tutti sanno, e così facile a prendere delle scalmane; ma dinanzi a quel contegno ei non ebbe che la magra consolazione di sospirare. Noi siamo ben lungi dal voler entrare nell’ intricato laberinto degli amori foscoliani, specie di questo turbolento periodo della sua vita; ma accostandoci all opinione di coloro, i quali, con buoni argomenti, ritengono non riferirsi all'amore perla Roncioni tutti i sonetti pubblicati nel 1802 insieme all’ode per la Pallavicini, poniamo innanzi il dubbio che in alcuno di essi, composto a Genova nel secondo semestre del 1799 o a Nizza sui primi dell’anno seguente, qualche cosa si rispecchi dello stato d'animo in cui il Foscolo si trovava, meliti'' era agitato dalle diverse passioni che davano alle sue liriche soggettive il tono elegiaco, col quale fa « strano contrasto » la « contemplazione della bellezza femminile », la « pittura ellenica della natura », così vive e spiccate, dell’ode famosa (1). Se si conoscesse di quei primi sonetti la lezione originale, la forma cioè che essi avevano, quando vennero composti, mentre ora noi li leggiamo rimaneggiati secondo le circostanze che consigliarono il poeta a darli fuori in quella guisa nel 1802, potremmo forse rilevarne qualche argomento intrinseco per riconoscere quando e dove furono scritti, deducendone sufficenti indizi sulla donna dalla quale vennero ispirati. Di codesti rimaneggiamenti porge luminosa prova il sonetto: Così gl' interi giorni, di cui abbiamo la prima lezione che incomincia: Quando la terra e d’ombre ricoverta, ed apparisce evi- I 1 ÜGOLETTI, Studj sui Sepolcri di U. F., Bologna, Zanichelli, 1888. p. 104 e nelle pp. ani. per ciò che ha tratto ai sonetti. 132 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dentemente scritto in un luogo di mare (i). Ora questo sonetto appunto, 1’ antecedente : Perche taccia il rumor di mia catena, e quello: Meritamente, però ch'io potei che subito Io segue ci sembra possano rappresentare la passione amorosa per la Cesena, ed illustrare il tocco, abbastanza significativo nella sua sobrietà, lasciatoci dal Ceroni nell’ ottava riferita. Senza aver la pretesa di fare un commento, per dar rincalzo alla nostra ipotesi, ci contenteremo di qualche osservazione non priva di utilità. I tre sonetti si susseguono ordinati; due composti nella dimora di Genova, il terzo quando il poeta si recò alle Alpi marittime ed a Nizza. La mossa del primo, ed il suo contenuto, rispondono assai bene al primo accendersi del-1’amore, ed alle qualità fisiche della donna secondo ci sono descritte dai contemporanei; inoltre non vi è alcun cenno di corrispondenza da parte di lei, che anzi il silenzio e il freno ne mostrerebbero il contegno e la riservatezza; in una parola il Foscolo qui sarebbe innamorato solo. Lo stesso stato d’animo si può riconoscere nel secondo sonetto (ci atteniamo alla prima lezione); la condizione tuttavia si aggrava; è fortemente preso di lei, si sfoga solingo, la piaga è aperta, il cuore sanguina, langue e s’abbatte perchè la donna riman sempre inflessibile; l’ultima terzina può giovare d’illustrazione alla chiusa del Ceroni, intendendo quel ♦ va lungi da me » nel senso di: non si accosta a me, non si cura delle mie assiduità e delle mie pene, ed è a me involata da altri: Sola intorno, e d’ altrui, vagar ti mira Il Fringuello dell’Adria, e ne sospira. Nel terzo sonetto il Foscolo è lontano, l’indicazione topica è (i) Fu la prima volta stampato nella ediz. Le Monnier delle Opere (vol. XI), e precisamente nel 2° voi. dei Saggi critici (p. 332) sopra una copia fornita agli editori del De Pellegrini, il quale affermava « che a Venezia ognuno » lo « riconosce del Foscolo ». Questa osservazione ha fatto credere che il sonetto fosse composto sulle rive adriatiche ; ma invero era facile a chicchessia riconoscerlo del Foscolo, e nessun argomento intrinseco ci consiglia a farlo risalire al 1797 ; fu ritrovato a Venezia e mandato agli editori delle opere intorno al 1862 ; nè altro si dice o si sa. A noi, considerato l’organismo della edizione pisana dove si trova nella seconda forma, sembra possa essere stato scritto in Liguria, Giornale stòrico e letterario della Liguria 133 precisa, nell estrema riviera di ponente; il concetto sentimentale sta perfettamente in armonia con gli antecedenti, e ne è quasi a dire la chiusa. Lasciando stare i probabili ritocchi per accomodarlo all’ideale della sua pubblicazione del 1802, e le naturali espressioni esagerate; si può benissimo intendere eh’ei fosse « ti atto fra spergiure genti » in que’ monti liguri occidentali dove i controrivoluzionari porgevano efficace aiuto agli austriaci per combattere i francesi, mentre la donna restava a Genova in momenti ognor più difficili. Quel « me sospirando » tanto potrebbe essere un adattamento postumo, quanto una illusione poetica sull andare del Petrarca. Le terzine ci richiamano al sentimento dei sonetti antecedenti. L'amante che da quella donna aveva imparato « alfin che cosa è amore » riconosciute inutili le sue insistenze, e veduti non curati i suoi sospiri, spera trovar ristoro nella vita agitata, nella lontananza, nel tempo; invano, chè « Amor fra l’ombre inferne » lo seguirà « immortale, onnipotente ». E diceva la verità, perchè se in questa circostanza ha imparato davvero ad amare, non molti mesi dopo in Γ oscana ne ha fatto quella applicazione rimasta così celebre nella sua vita. Infine non è fuor di luogo rilevare come la tetraggine e lo sconforto che emergono da tutto il sonetto, rispondano allo stato dell’animo suo in que’ primi due mesi del 1800, che ci è reso manifesto dalle lettere scritte da Nizza al Bossi (1) le quali ci richiamano a quelle del-1' Ortis dalla Pietra e da Ventimiglia (2). Se non che noi diamo, è bene ripeterlo, tutto ciò come semplice congettura possibile e probabile, mancandoci purtroppo a veder chiaro nel periodo di cui abbiamo discorso, quei diretti documenti intimi che sono le lettere, per mezzo delle quali molte cose di fatto si possono fermare ed altre dedurre con maggior sicurezza ed attendibilità. A. N. (li Lettere ined. di Pietro Giordani, Ugo Foscolo ecc., Venezia, Nara-tovich, 1879. Nozze Paccagnella-Pigazzi. N.' IX e X. (2 i Si direbbe che il Foscolo componesse questo sonetto sopra il ponte del Roja di cui parla nell’ Ortis icfr. in Prose Letter., vol. I delle Opere, a p. 122 ). 134 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA L1GUKÌA UNA LAPIDE PISANA NEL PALAZZO DI S. GIORGIO Nel generale restauro, che con intelletto d’ amore si va facendo nel palazzo di S. Giorgio, che canta le glorie di tanti secoli, avendo il piccone demolitore smossa una graziosa mensola di marmo, la quale serviva di piedistallo ad un busto, si scoperse nella parte posteriore della mensola, incastrata nel muro, questo mozzicone d'epigrafe, che torturò per l’interpretazione la mente di non pochi. L’ epigrafe, che è lunga m. 0,53 ed alta m. 0,26, leggermente smussata nell’ultima parola della sesta linea, e priva della parte iniziale delle sei linee, si potrebbe interpretare CIVITAS. PISANA. DE. MENSE. NOVEMBRIS. HEDIK ICARE. PODIO. SALE. TEMPORE. IACOB1. NEAPOLEONIS. DE. I V. REE. IACOB1. DE. PERVSIO. CAPIT. PIS. POPVLi. ET. DE. BONNONIA. PIS. POTESTATIS. ET. DICTI. VRARI. l-'ECIT. EXISTENT!. VITE. POTESTATE. RGATTI. ET. 1ACOBO. DE. MONTANINO. NOTARIO. CVRIE. Puma di dare una qualsiasi interpretazione dell’epigrafe è d’uopo conoscere che nel 1255, secondo ci lasciò scritto l’annalista Bartolomeo Scriba, il podestà di Lucca Guiscardo da Pietrasanta con un manipolo di scelti lucchesi venne a Genova, riferendo che i comuni di Firenze e di Lucca volevano fare un esercito contro i Pisani. I Genovesi, accolta con gioia la buona novella, nel pubblico parlamento, consegnarono al podestà lucchese il vessillo di S. Giorgio, come un tempo Γ aveano consegnato al grande Guglielmo Embriaco, soggiungendo al-Γ atto delia consegna: « Ecce vexillum nostrum: parati sumus ■et erimus totis viribus cum ingenti exercitu maris et terre ire contra inimicos quandocumque placuerit Florentinis et Lucensibus ». 11 vessillo fu recato a Lucca e dovea precedere l’esercito, che preparavasi per rintuzzare l’audacia di Pisa, che si era impadronita del castello di Lerici : « Erat autem castrum munitum per Pisanos. Fecerunt etiam prope ipsum castrum iuxta portam burgum unum in quo multi habitantes illarum partium GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA I 3 5 ad habitandum confluxerant. Burgum foveis et muro circumie-runt et in introitu burgi a parte superiori portam cum duabus turribus construxerant quarum una iam erat competentis altitudinis ». L’ annalista genovese con lusso di particolari racconta le prodezze dell’esercito alleato, che nel 1256 fiaccò la baldanza dei Pisani, insediatisi sul limitare della riviera orientale, dicendoci che l’esercito « ascendit in montem qui est ante castrum.... Ilicis et magis ad obsidionem se appropinquavit. Ipsum autem burgum exercitus Januensis festinanter cepit et delevit et ad expugnationem castri intendit quod subsequenter per vim expugnavit atque cepit. Castellanis et servientibus qui in ipso erant solis personis affidatis, capto ipso castro et murato per Januenses exercitus rediit cum gloria et triumpho » (i). Come si vede, l’annalista ci parla chiaramente della costruzione d’un borgo a Lerici, fatta per opera dei Pisani, e della sua distruzione, fatta per opera dei Genovesi. Dopo questo squarcio di prosa eloquente si consideri il valore di sei versi leonini, scolpiti nel 1256 sull’architrave della porta della cappella nell’interno del castello di Lerici, e che tolgo dal Re-mondini : (1) Bartholomeì Scribae Annales in Pertz, M. G. H. Tom. XVIII, pp· 233-235. 136 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA >i< Mille ducenteno. quinqageno quoque seno Ianua me certe ! Pugnando cepit aperte Undique securis ! me cinxit postea muris Sic uigili cura ! saluat. Oue sunt sua iura Indigeat uere ! Oui linquit castra tenere Sic faciet flendo ! Oui me neglexit habendo 1 1 . Un’ altra lapide, pubblicata per il primo dallo Schiaffino, della quale io pure feci tesoro (2Ì, dice che il primo giorno del mese di dicembre del 1273 Oberto Spinola e Oberto Doria, capitani del Comune e del popolo di Genova fecerunt de novo fieri hunc burgum et hoc opus Ulicis essendo castellani Enrico di Negro e il chiavarese Vivaldo Guercio. Premessi questi cenni storici, comincio a riempire il vano iniziale della prima linea dell’epigrafe, ed immagino che vi sia stato l’anno p. e. il MCCLVI, stile pisano, corrispondente al nostro 1255, preceduto da una croce. Si noti che al posto della croce potea esservi pure uno spazio bianco, o due punti, o una sigla qualsiasi, o la parola Anno e che il MCCL VI poteva essere scritto Millesimo CÇLV1\ o coll’intersecuzione di punti, o in altro modo. Nel 1255 adunque civitas Pisana, che si era impadronita di Lerici. de mense novembris hedificare (cepit hunc burgum in podio sale, cioè cominciò ad edificare questo borgo di Lerici nel poggio di Sala. Mi attengo al cepit, anziché al fecit, perchè il fedi della sesta linea regge un verbo passivo, mentre Γhedificare è attivo. Il nome di Sala è come quella di Paxo e Parax:·, il palazzo di giustizia per eccellenza, che riscontrasi in parecchie località, tanto è vero che il Durange fa corrispondere al nome di Sala i significati di palatium, castrum, curia, domus indiciis expediendis, e il nome e sae sentesi tuttora in Lerici nelle vicinanze dell’ ex convento dei cappuccini. Alla costruzione del borgo di Lerici si pose mano nel dicembre del 1255 tempore lai obi Neapoleonis de Lu [ca potestatis), cioè in tempo di Giacomo di Napoleone da Lucca, podestà di Pisa. 1 Iscrizioni Media-Eaali deità Liguria in Atti delia Soc. Lig. di Stor. Patx., Vol. XII. Parte I. p. S9 e Tavola XL. 2 Codice Diplomatico delle Relazioni fra la Liguria e la Lunigiana ai tempi di Dante, in Atti della Soc. Lig. di Stor. Pair., Io/. XXXI, Fase. I, P- 3'9- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 37 Dal Fi aguienta Historiae Pisanae tolgo che fu podestà di Pisa « Messere Iacopo Napoleone Anno MCCLVI » (i). Il Roncioni scrive « aveva il giudice di Cinerea mosso guerra ad Arriguccio e Rinieri suoi cugini, i quali conoscendosi di forze inferiori si collegarono con Buono di Pino, signore di Balagna, il che fu loro causa di maggior rovina, imperocché il giudice mandando a Pisa ne trasse un gran soccorso e con le sue e le pisane genti, non solamente ottenne vittoria de’ suoi cugini, ma fecesi signore dello stato di Balagna l’anno MCCLVI essendo podestà di Pisa Iacopo Napoleoni. Costoro ricorsero ai Genovesi.... » (2). Ciò spiega perchè fui indotto a porre in cima all’epigrafe l’anno MCCLVI, corrispondente al nostro 1255. La fotografia, per quanto esattissima dell’ epigrafe, eseguita dall Avv. Giuseppe Pessagno, non ci permette del tutto di chiarire in modo esauriente, come apparisce de visu, la congiunzione della lettera L colla V, dandoci il nesso LV.... che. io spiegai per LVCA. E vero che in quattro cronache pisane si trova ricordato il podestà Giacomo Napoleone, senza l’indicazione della città, dalla quale tolse origine, ma le stesse cronache non ci offrono neppure il nome del capitano del popolo, che emerge solamente dall epigrafe. Se poi a qualcuno sembrerà strano che Pisa, nemica di Lucca, proprio nel 1255, avesse un podestà lucchese, rispondo che il Napoleone poteva essere un ghibellino scacciato dalla sua patria, assunto poscia al reggime della podesteria nella città, che l’avea ospitato, nello stesso modo che nel 1293 veniva eletto podestà di Genova.... * vir nobilis ac miles dominus Petrus de Carbonensibus civis Bononie ac de eadem tamquam Gibellinus expulsus et civis Mantuanus effectus... » (3) e questo non avrebbe impedito che Genova potesse muover guerra a Bologna. Manifestata la mia opinione, che è pure quella del colto Avv. Emilio Marengo, professore di Paleografia e Diplomatica al R. Archivio di Stato, che esaminò e studiò attentamente la lapide, proseguo dell’interpretazione. Nella lapide dopo Napoleonis de Lu (caj mancano le parole 1 Muratori, R.R. I.I. S.S., Tom. XXIV. col. 645. 2 Istorie Pisane. Arch. Stor. It. Serie I. Parte I. Tom. VI. p. 537. 3 Pertz. 1. c., p. 351. 138 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA potestatis et e il nesso And, che unito al ree superstite, forma Andree, per cui, continuando il cammino, si viene a conoscere che il borgo di Lerici fu cominciato in tempo di Andrea di Giacomo da Perugia capit lattei) pis {ani) populi, capitano del popolo di Pisa. Le Cronache Perugine raccontano al 1252 che * el Comuno di Perugio scarcò et guastò il castello di Monte (malandrò, il quale era di ser Andrea di Giacomo da Perugia; el qual ca-stelo et tuti gli altri suoi beni (urono pubblicati al Comune di Perugia che si disse che ci avea traditi all’imperatore Federico: el corpo suo fu scavato e poi straginato per tutta la eittade di Perugia - (li. Il Bonaini, il Fabbretti e il Polidori, che curarono le cronache riportano il (atto al 1246-1250, segno evidente dell’inesattezza del cronista, il quale ha forse insieme raggruppato due fatti successi in epoche distinte, onde si può ammettere che a ser Andrea sia stato smantellato il castello, che poscia, ghi-bellin fuggiasco, come il Napoleoni, sia st.ito scelto capitano del popolo di Pisa, la città per eccellenza ghibellina impenitente, e che poi egli tornato in patria, in una di quelle comuni sommosse, riaccendentisi tra fazioni, sia morto, dissepolto e trascinato per la città. Il personaggio nominato nella lapide ha dunque la sua importanza. E vado innanzi. Dai Fragmenta citati emerge clic nel 1257, stile attuale 1256, fu podestà di Pisa « Messere Fabro da Bo-lognia Podestà Anno MCCLVII. In del cui tempo fue la sconfitta dei Pisani a Vecchiano ». Il Roncioni lo chiama Fabbro Fabbri bolognese, il Tronci negli Annali di Pisa lo chiama Fabbro dei Fabbri e ricorda che « sotto di lui i nobili giunsero al colmo della insolenza verüo la plebe, la quale si stancò alla fine di soffrire e tumultuariamente sollevandosi si volle sottrarre alle vecchie gravezze. Creò nuovi magistrati, gli antichi espulse, nè alcuno di questi potè rigodere delle sue dignità senza dichiararsi del popolo ». Il 29 ottobre 1256 l’ambasciatore del Comune di Pisa eletto dal podestà domino fabro quondam domini bonifacii de bononia cedeva a Simone Embrone, accettante a nome del genovese Comune, le ragioni sul castello di Lerici (2). (li Archivio Storico Italiano, Serie I, Farte I, Tom. 16. (2) Liber Iurium, Tom. I, col. 1243. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 139 Il Fabro del fu Ronifazio da Bologna non è un personaggio da prendersi a gabbo, ed è lo stesso, cui accenna ΓAlighieri nel Canto XIV del Purgatorio, Quando in Bologna un Fabro si ralligna. I chiosatori però son di pareri differenti. Il Buti dice che è < uno fabbro che si fece sì grande che venne signore di Bologna e di costui discese messer Fabbro de' Lambertazzi di Bologna » ; altri, e sono i più, dicono iste fuit dominus Faber de Lcimbertaccis de Bononia e che la famiglia dei Lambertazzi era delle principali di Bologna e a capo di parte ghibellina in quella città, e, quando morì (1259) cominciò la decadenza del partito ghibellino in Bologna. Aggiungono inoltre che fu podestà di Pisa, e che è la medesima persona con quel Fabro Lambertazzi, il quale nella spedizione fatta dai Bolognesi contro i Modenesi nell’anno 1228 avea cura del Carroccio. Dante confinò il Fabbro della coorte dei Romagnoli tornati bastardi in mezzo agli invidiosi. Il podestà Fabbro dei Fabbri, che già avea retta la podesteria pisana (nel 1253?) fu l’immediato successore del Napoleone. Nella lapide manca la parola tempore, il nome e cognome del podestà, cominciando la quarta linea colle parole de bonnonia, sulla qual parola è da notarsi 1’ abbreviazione, non posta a casaccio, il che ci fa interpretare BONNONIA e non BONONIA, e poi PIS. PO TESTATIS, cioè podestà di Pisa, ET DICTI Nella prima lezione dell’epigrafe ho supplito colla parola SVCCES-SOR1S (1), cioè successore al Napoleone nell’ufficio di podestà; se non che 1' Ubaldo Mazzini facendomi pervenire un’ illustrazione dell’ epigrafe, che in pochi punti è divergente dalla mia, leggerebbe dicti Andree capitami, cioè in tempo di detto Andrea,, ammettendo necessariamente che il capitano, anziché un anno, sia rimasto in carica un biennio. 11 Tronci negli Annali Pisani, il Repetti nel Dizionario della Toscana affermano che nel marzo del 1256 gli anziani di Pisa spedirono un’ ambasceria ad Alfonso il saggio, re di Castiglia, la quale in nome della repubblica pisana e di tutti i ghibellini suoi amici, essendo sempre vacante l’impero d’occidente, ac- 1 1 Cfr. « Il Cittadino » del 28 Marzo 1904, N. 88. 140 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA clamava quel monarca re ed imperatore dei Romani. Il Repetti soggiunge che fin d’ allora si scopre il sistema economico e le magistrature, di cui allora componevasi il governo di Pisa, consistente in un podestà, in un capitano del popolo, in dodici anziani, in quaranta senatori, in capitani dei militi, consoli di mare, dei mercanti di terra e delle arti. L’ atto però non ci dà il nome del capitano del popolo, che, se stette in ufficio due anni, dovette certamente essere il nostro Perugino. Il (M)VRARI va inteso nel senso odierno di murare, proprio come dice l’annalista Bartolomeo Scriba burgum muris circumlinierunt, e dopo il FECIT, colla scorta del Prof. Emilio Marengo leggo EXISTENTI VITE POTESTATE [ILICIS]. È rimarchevole Γ unione dell’ ultima vocale della parola EXISTENTI colla V di VITE, in modo che apparisce una lettera congiunta, che non ha la forma della V, che si riscontra negli altri vocaboli, per cui le due aste, che compongono la V di VITE non sono della stessa altezza, e la mancanza del punto ci spiega pure la congiunzione delle due lettere. Altri legge EXISTENTE, ma in tal caso cresce una I, e si rintraccia pure un segno di abbreviazione inutile, tauto più che l’incisore non pose alcun segno, che non abbia un significato, eccezion fatta per i due rigoni incavati, che rinchiudono le parole TATIS. ET. DICTI, che sembrano fatti più tardi da un altro scalpello, desideroso di far scomparire quelle parole. Nel primo caso il vite dopo existenti (in vece di existente) si potrebbe sembra sciogliere dum existeret vite potestas, e allora ci sarebbe un esempio in quel dum viveret aevo, che riscontrasi in una lapide milanese dell’anno 902, pubblicata dal Forcella (1); nel secondo caso il senso non vien mutato, ed in ogni modo sapremo che il borgo lericino fu circondato di mura, essendo in vita, o esistendo podestà (di Lerici) un personaggio della famiglia Cargatti, e notaio della curia lericina Giacomo de Montanino. La sesta linea, che potrebbe dar del filo da torcere, comincia con un misterioso R. GATTI, ma il velo si squarcia. Il 25 luglio 1254 il cremonese Giacomo degli Advocati, podestà di Pisa, e antecessore del Napoleone, eleggeva Marzucco Scornisciani (I) Iscrizioni delle Chiese e degli altri Edifici di Milano. Tomo II, p. 189. Milano 1889. . GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELI, a LIGURIA 14 I (il buon Marzucco forte, ricordato daU’Alighieri) per far pace coi Genovesi, di consenso dei consiglieri pisani, tra i quali appunto è noverato Ugone Cargatti (i). Questi adunque, o qualcuno della sua famiglia, fu costituito podestà di Lerici, sotto il dominio pisano. La lapide è monca, come già dissi, nella parte iniziale, e nello spazio deficiente vi potrebbero capire dalle treccici alle diciasette parole, a secondi però delle abbreviazioni, contrazioni e lettere congiunte, usate dall’incisore. Ricostruendola si ottiene : + ANNO. MCCLVI. civitas. pisana, de. mense, novembris [hedificare. CEPIT. HVNC. BVRGVM. IN. podio sale, tempore, iacobi. [Neapoleonis de. lu. ( A. POTESTATIS. ET. AND ree. iacobi. de. perusio. capitanei. [pisarum, populi, et. TEMPORE. FABRI. DE. FABRIS, de bonnonia. pisarum, potestatis. et dicti. ANDREE CAPITANEI M urari fecit. existent! vite, potestate. ILJCIS. VGONE (?) CA rgatti. et iacobo. de. Montanino, notario. [curie. Ed ora nasce spontanea una domanda. Come mai la lapide si trova in S. Giorgio? I nostri antichi Genoati furono predoni innanzi al cospetto di Dio e degli uomini, e sappiamo che dopo la battaglia della Meloria, fu recato persino in Genova il sigillo di Pisa, rubato alla rivale. L’Annalista Bartolomeo Scriba racconta pure che quando i Pisani edificarono a Lerici le due torri * infra ipsas turres erat quidam lapis in quo erat sculptum torsellum ad formam pannorum qui deferuntur de Francia et erat suprascriptio ipsius lapidis Stopa boca al Zenoese Clepa cor alo Portovenerese Strepa torsello alo Luchese qui lapis burgo diruto delatus fuit in Ianuam » (2). (1) Liber lurium, Tom. I, ed. 1186. (2) Pertz, l· c· 142 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La predetta lapide fu recata adunque a Genova. Altre lapidi doveano trovarsi nel castello di Lerici, ricordo del dominio pisano. Di quei monumenti dovea perdersi la memoria, facendo sfregio ai Pisani, mancatori di fede. La nostra lapide, venuta in luce nel palazzo di S. Giorgio, accennava a lavori fatti da gente nemica, e fu con altre a Genova portata in trionfo. Cancellata un’ epigrafe, altra fu posta, ricordante la vittoria del 1256, e composta di sei linee, quante ne contava il ricordo pisano. L’esimio architetto Sig. Marco Aurelio Crotta mi avvisò che il marmo epigrafico, utilizzato per mensola, reca l’impronta del secolo XIII, segno evidente che quel minuscolo trofeo di vittoria fu dopo alcuni anni usato da frate Oliverio per un semplice ornato. Artuko Ferretto LA STORIA DI PONTREMOLI Sforza Giovanni. Memorie e doeumentaper servire alla storia di Pontremoli. — Parte I [racconto], Firenze, tip. di L. Franceschini, 1904; due voi. in (i). Invece il 21 agosto fu nominato governatore Sinibaldo Fieschi, che ne prese possesso il 2 settembre. Alla Cronaca del Ferrari e alle illustrazioni che vi ha fatte l’A seguono i Monumenta res Pontremulenses memorantia ex vanis Tabulariis Italiae cura et studio loannis Sfortiae transcripta. Sono 35 documenti, il più antico dei quali è del 1077, e l’ultimo del 1327, tolti dagli Archivj di Stato di Firenze, Lucca, Modena, Pisa, Torino, da quelli comunali di Parma, Piacenza e Pontremoli, e dall’Archivio Capitolare di Sarzana, per la maggior parte inediti, e consistenti in Privilegi, concessioni, e decreti imperiali, trattati di alleanza e di pace, compromessi, lodi, vendite ecc. Della importanza loro è inutile discorrere, stando in essi tutto il fondamento della storia di Pontremoli nei tre secoli dopo il mille. Con due Appendici termina la parte seconda dell’opera, ossia il volume delle Memorie e dei Documenti. La seconda Appendice, assai breve, è intitolata: Il Villaggio di Montelungo che trovasi a otto miglia, a settentrione, da Pontremoli, sopra uno sprone dell’Appennino della Cisa, lungo la via detta già di Monte Bardone o Francesca. Es^o nel 5 giugno del 774 fu da Carlo Magno donato, colla vicina selva, al celebre monastero di S. Colombano di Bobbio; poi si trova che nel 1014 apparteneva alla non meno celebre Abbazia dei SS. Salvadore e Benedetto di Leno, nel Bresciano, fondata da Desiderio Re dei Longobardi, e che aveva uno spedale sotto il titolo di S. Benedetto. La prima Appendice ha per titolo: La strade del Bratello e della Cisa, quelle due, appunto, delle quali abbiamo fatto cenno in principio, e che suscitarono negli antichi tempi tante controversie e tante guerre fra i Piacentini e i Parmigiani, nelle quali si trovarono necessariamente coinvolti anche i Pontremolesi. In una delle Appendici al 1° volume (2), intitolata: Pontremoli negli (1) Sforza, l''ahrizio Maramaldo governatore di Pontremoli, in Arch. stor. per te Provincie Parmensi, vol.. IV, p. 52. (2 Appendice, II, p. 596 segg. Giornale storico e letterario della Liguria Itmerarj Medioevali, l’A. accresce e completa le notizie date in questa ; ond’ è che stimiamo opportuno di darne conto complessivamente. Osserveremo prima di tutto, a maggior chiarezza, che ΓΑρ-pennino di Lunigiana presenta diversi punti più depressi, che formano altrettante foci o aditi, pei quali si può più facilmente comunicare fra la Lombardia e la Toscana. Giovanni Targioni (i) ne enumera non meno di tredici, ai quali, ai suoi tempi, cioè nel Secolo XVIII, facevano capo altrettante strade di comunicazione più o meno comode e frequentate. Ma le foci più importanti, perchè maggiormente battute, erano due, che abbiamo già ricordate, quella dell’Alpe di Borgo/a, o Bergolla o Borgallo, da cui passò la strada detta Bratello, proveniente da Val di Taro; e l’altra di Monte Bardane, ossia della Cisa, da cui passò la strada che veniva da Fornovo e Rerceto; e questa ultima i iù frequentata dell’altra, tanto che vi fu tracciata nel 1808 la bellissima strada Napoleonica. Anticamente però questa strada della Cisa passava più in alto, cioè per il fìardone che rimane a destra venendo di Lombardia, e si chiamò, oltre che Strada di Monte Bardone, anche Francesca o Romea, dal continuo passarvi di francesi e di pellegrini che andavano a Roma. L’A. diffusamente esamina se la via della Cisa debba ritenersi per quella antica romana detta « Via Emilia di Scauro » la quale, passando per Pisa e Luni, metteva capo, secondo alcuni, ai Sabazi, popolo Ligure, all’occidente di Genova, e, secondo altri, a Tortona. lì Repetti, lo Spotorno, e il Celesia vollero dimostrare che quell’antica via, arrivata a Luni, anziché continuare per la riviera, volgesse a destra, e valicando l’Ap-pennino per Val di Magra, passasse a Tortona, prima di giungere ai Sabazi. L’Oderico e il Sanguinetti, all’opposto, sostennero che la via, continuando per la riviera, passasse dai Sabazi, prima di arrivare a Tortona. L’A. conclude accettando la opinione di questi ultimi, ma soggiunge: « L’aver per altro la Via Emilia proseguito lungo la riviera, non toglie che anche la Val di Magra avesse una strada sua propria. Anche il Tar-gioni lo conghiettura.. .. Uno indizio gravissimo della esistenza di questa strada per il varco della Cisa, come già avvertì il Repetti, è il nome romano di Cassio mantenuto ancora alla più alta sommità di quell’Appennino, ed esservi nella direzione medesima un Foro (Foronovanus adesso Fornovo').... Questa strada però è da credersi costruita dopo l’anno 571 di Roma, nel quale ebbero principio le colonie di Modena e Parma.... Nè la strada della Cisa doveva essere la sola ch’esistesse a tempo de’ romani. Anche il valico del Bratello è da ritenersi fin d allora traversato da una via; e l’archeologo Giovanni Mariotti, che l’ha fatto a’ giorni nostri soggetto di studio, dichiara che non (i) Viaggi per hi Toscana, cit., X, 232-236. 4 152 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mancano ivi i ricordi ed i monumenti di un'antica via romana..... Anzi conviene credere che la via del Bratellosia anteriore all’altra della Cisa perchè appunto da quel valico, toccando Velleja, si andava a far capo a Piacenza, ridotta a colonia fino dall’anno 534 di Roma. Manca affatto ogni prova per annoverare, sia l’una, sia l’altra di esse strade, tra quelle militari. Forse erano semplice-mente municipali, ed è probabile, anzi direi sicuro, che venissero tracciate su’ sentieri già praticati e battuti. L'Appennino, anche prima della conquista romana, dovette avere i suoi luoghi di passaggio; erti, disagevoli, faticosi, ma pur noti e comuni; calcati tanto da modesti viandanti, quanto dagli eserciti dei conquistatori » (1). E qui l’A. comincia dal dichiarare che, secondo I opinione più accreditata, Annibaie dovette pure transitare col suo esercito l’Appennino di Lunigiana l'anno di Roma 535, cioè il 2170 . avanti Cristo; e poi enumera con la scorta del Repetti e sull’autorità di antichi scrittori, i personaggi più illustri e gli eserciti che di là transitarono, cominciando da certi legionarj cristiani, che nel 310 sfuggivano all’eccidio ordinato dall’Imperatore Mas-simino, e venendo sino all’ Imperatore Carlo V e al Pontefice Paolo III, che vi passarono, il primo nel maggio 1536, e il secondo nell’aprile 1539. Con diversi antichi Itinerarj nei quali è ricordato Pontremoli, si stabiliscono i luoghi e le stazioni toccate da coloro che per il Bardone si recavano di Lombardia in Toscana, e viceversa. II più antico Itinerario, l’ultimo recentemente scoperto e pubblicato, che è pure il documento più antico in cui si trovi ricordato Pontremoli, è quello di Sigerico Arcivescovo di Canterbury dell’anno 990 circa. In esso si legge: Adventus Arc/iiesuscopi nostri Sigerici ad Romani.... Luca, Campmajor, (Camajore) Luna, Sce Stephane (Santo Stefano) Aguilla (Aulla) PoHttremell, Sce Benedicte (Montelungo) Sce Moderarne (Berceto etc. etc. Un altro Itinerario importantissimo, fra quelli ricordati dall’A. e che per brevità omettiamo, è quello di Niccolò Abate Tragorense (del monastero di Thingeyar neila Danimarca) il quale si recò nel 1151 in Terra Santa, attraversando la Germania, la Svizzera, l’Italia e la Grecia. E’ scritto in lingua danese, ma fu tradotto in latino dal prof. Enrico Cristiano Werlauff, e da lui pubblicato a Copenaghen nel 1821. Da esso risulta che la via di Monte-bardone per Pontremoli, era la sola praticata da tutti quelli abitanti del Nord che, dopo il mille, solevano portarsi in pellegrinaggio a Roma e in Palestina; fra i quali F Ab. Niccolò enumera non solo gl’islandesi, suoi connazionali, ma i Franchi, Fiamminghi, Galli, Inglesi e Scandinavi. Una lunga introduzione precede i tredici capitoli nei quali è divisa la parte prima dell’opera.... Non ci fermeremo sovr’essa Ix- 354-355- (.IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I53 e su le amplissime note che le fanno corredo, se non per accennai e che vi si trova concentrata una illustrazione completa della città e di tutto il territorio di Pontremoli, sulla scorta dei cronisti locali e di altri autorevoli scrittori, quali sono il Targioni I ozzetti, il (jazzeri, il Gargiolli, lo Zuccagni Orlandini, il Ber-toloni, il De Rossi etc., e coll'aggiunta di ogni migliore e più sicura notizia desunta dalle recenti pubblicazioni officiali. Gli studiosi della regione vi troveranno buona messe per le loro ricerche, mentre a noi interessa soltanto di fermarsi sopra un latto degnissimo di memoria, ma al quale Γ entusiasmo patriottico del 1N47 detto un’importanza storica che, secondo noi, veramente non ha. La valle di Zevi, nel territorio di Pontremoli, fertile di cereali, abbondante di prati e pascoli, ha una popolazione « che si mantiene di belle forme, di robusta complessione, di animo gagliardo, di poche parole, frugale, ospitalissima ma rozza e intollerante d' ogni più piccoia offesa. Le donne vi crescono d una r jbustezza maschile e vi conducon la vita laboriosa e intemerata. Là può veramente dirsi che siano il sollievo del- I uomo ». Nel 1799 un Graziamo, córso, che si qualificava ( abitano Aiutante di campo, Capo dello Stato Maggiore della Sottodivisione della Riviera di Levante, Massa e dipendenze, Comandante al Golfo della Spezia, dopo essere stato il 2 aprile a Pontremoli, con un distaccamento composto di un’ accozaglia di soldati repubblicani liguri e Guardie nasionali di Spezia e di Sarzana per inalzarvi Γ albero della libertà e instaurarvi il governo repubblicano (l), andò nel 26 maggio successivo, con trecento uomini circa, nel territorio di Zeri, probabilmente collo scopo di ridurre alla repubblica quei riottosi montanari. Ma, o che quella truppa raccogliticcia e indisciplinata facesse, come alcuni dicono, larga rapina di bestiame, o oltraggiasse le donne, o anche che gli Zeraschi non volessero sapere di repubblica portata a nome di gente straniera, il fatto è che, suonando le campane a martello, la popolazione si soltevò in massa, e costrinse gl' invasori a fuggire dal loro territorio, dopo averne fatta non piccola strage. Allorché nel 1847 il territorio di Pontremoli fu dato, dal Granduca di Toscana, in baratto ai Borboni di Parma, i Pontremolesi ebbero per un’istante l’idea di impedire quel baratto colla forza; e gli Zeraschi scesero armati, a frotte, dalle loro montagne a far causa comune coi Pontremolesi. II Montanelli dando conto di quest' ultimo fatto, esaltò gli Zeraschi, chiamandoli « famosi per la resistenza del 1799 al Generale Victor, la quale, a confessione di Napoleone stesso, contribuì a fargli perdere la battaglia della Trebbia. Il nostro A. ripete le parole del Montanelli, ma poi, riflettendo bene alla 1 i ( ir. CIMATI Camillo, l'ontremoli e f invasione francese Jet 17Q9. Quattro documenti storici, l’onlrcnioli. Rossetti, 1893. 154 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cosa, nelle Aggiunte e Correzioni (a pag. 842 del vol. II) osserva che veramente Napoleone in nessuna delle opere dettate o ispirate da lui accenna a questo fatto, ed aggiunge essere dimostrato dalle memorie del tempo che Victor passò da Pontremoli diversi giorni dopo al fatto di Zeri, ma senza toccare quella valle. Il Montanelli dunque evidentemente confuse la scorreria del Graziani col passaggio di Victor, facendo dei due fatti un fatto solo, e attribuendogli effetti che non ha avuto nè poteva avere. Sulla origine di Pontremoli si scrissero molte favole, ed anche si fecero molte congetture più o meno erudite. Frate Annio da Viterbo che dette alla luce alcuni frammenti di antichi scrittori, inventati da lui, per quanto sembra ormai accertato ; li annotò, chiosò e commentò largamente. Fra gli altri riporta un brano di Marco Catone, ov’è scritto: Macram ad cujus fontes est Apua oppidum.... e quindi annota: nlinc Pont Remuli dicitur. Molti scrittori, tra’ quali Raffaello Maffei di Volterra, e i Sar-zanesi Landinelli e De’ Rossi abboccarono all’ esca, e si fecero sostenitori di Apua, appoggiandosi anche ad una falsa iscrizione che si diceva esistente (ma non ha mai esistito) in una torre di Pontremoli, nella quale, fra gli altri versi, si leggeva il seguente : Apua sum quondam Marco celebrata Catone. Cosa ne pensassero i cronisti Pontremolesi si è già detto : essi composero subito una leggenda, nella quale neppure manca l’episodio romanzesco di una bellissima fanciulla della famiglia Villani (fra le prime e più illustri del luogo) che riuscì ad innamorare il capitano di una legione di Goti, ivi lasciata di presidio dal Re Alarico, un certo Trepunzio; il quale d’accordo colle più potenti famiglie della vecchia Apua, che si erano rifugiate nei castelli dei monti vicini, riedificò Pontremoli col materiale e sulle rovine di quella. Figuriamoci se la leggenda acquistò crédito in quei tempi, ed in un luogo ove si era costretti a vivere rinchiusi, e quasi in prigione, in anguste case e fra torri fortificate. La fantasia lavorò; e come l’antica donna fiorentina favoleggiava colla sua famiglia — de Trojani, di Fiesole e di Roma, così par di veder la donna pontremolese vegliare, discorrendo colle comari degli ultimi giorni di Apua, e delle gesta romantiche dei fondatori della nuova città. Tanta era la frenesia per Apua che uno dei cronisti pontremolesi, Gio. Rolando Villani, appartenente a quella stessa famiglia della bellissima fanciulla di Trepunzio, nei suoi atti notarili scrisse quasi sempre Appuon-tremoli, invece di Pontremoli, poiché, secondo lui, i Goti distruttori di Apua, nel loro barbaro idioma, chiamavano quella città Appuonter, il qual nome fu poi cambiato in Appuontremoli, e più tardi in Pontremoli! E non basta: nel libro degli Statuti di Pontremoli, stampato a Parma nel 1571 a cura e spese del Comune, Gio. Antonio Costa, che ne fu l’editore, nella lettera di dedica GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 5 5 ai Consiglieri e ai Sindaci si fa eco e banditore della favolosa eggen a· Nel 1780, quantunque allora il fiorentino Giuseppe Averani avesse luminosamente dimostrato che l’esistenza di pua era una favola, Angiolo Anziani pontremolese e Onorato onamici nel loro Compendio storico della Provincia di Lunìgiana, tornarono a spezzare una lancia a favore di quella immaginaria citta, dalla quale vogliono che sorgesse Pontremoli. E finalmente si chiamò e continua a chiamarsi Apuana la Diocesi di Pontre-mol. istituita dal Papa Pio VI nel 4 luglio 1787. Non meno insussistenti sono le congetture, fra le quali basterà ricordare quella dell' Ab. Emanuele Gerini, che, cioè, Pontremoli avesse il suo principio nell’ anno di Roma 447, per Quinto Marzio Tremulo, mentre era console con Publio Cornelio Arnina, ma osservò il Repetti che questa congettura cade di per se stessa, se si rifletta che i Romani non penetrarono nei confini occidentali dell’ Etruria prima dell’anno di Roma 516. L A. fa naturalmente sommaria giustizia di Apua, riassumendo quello che con maggiore larghezza aveva scritto in un altro suo pregievole lavoro; ma a corroborare sempre più le sue dichiarazioni, riporta una lettera del Muratori in data 24 giugno 1730, della quale ci sembra opportuno trascrivere la parte riguardante più strettamente l’argomento: « Che quella nobil Terra (Pontremoli) sia nel tratto di paese dove abitarono i Liguri Apuani, non ho difficoltà a crederlo. Ma che Pontremoli sia lo stesso che Apua degli antichi, confesso il vero che non ne sono sinora persuaso, e amo nelle cose scure, siccome a me par questa, di sospendere il giudizio. Infatti per autorità sufficiente neppur veaS° c^ie v’ fosse Apua, da che niuno scrittore de' vecchi secoli fa menzione di tal luogo. Ancora son rinomati Ligures Friniates presso Livio, e se ne conserva tuttavia il nome nella provincia montana del nostro Frignano, dove sono Fanano, Se-stola e molte altre belle Terre. Ma da ciò non si può con certezza dedurre che al tempo de’ Romani fosse colà una terra denominata Frinia 0 Frinium. 0 quando anche Apua Terrra vi fosse stata, solamente opinando, e non già per cognizione alcuna certa si può dire che fosse dov’è ora Pontremoli. Perciò il voler ciò credere e sostenere non è da persona che cerchi di fuggire gli errori nè voglia precipitare i giudizi. Il più comun parere è che Pontremoli sia stato così detto da Pons Remuli. A me sembra più probabile che il suo nome sia venuto, da Pons tre- 1 mulus-, nell’investitura data da Arrigo III fra gl’Imperatori nel-1’ a. 1077, e da me pubblicata nelle Antichità Estensi Pontremulum. A questo ponte tremante cominciò la gente a fabbricare molte case, e ne venne poco a poco una terra così denominata, come Pontevico, Pontormo ed altre simili terre. (1) » (I) L’ A. riporta questa lettera nella Appendici· I. a pag. 5cji del Vol. II. Vi fa una lunga nota, correggendo in parte e completando la illustrazione 156 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Queste ultime parole del Muratori conferiscono, secondo noi, autorità alla opinione sulla origine di Pontremoli, accettata e e così dichiarata dal nostro A. « A me sembra probabile che fino dal tempo de’ Romani, dove ora è Pontremoli sorgesse una delle innumerevoli mansiones che si costruivano sulle pubbliche strade per fermata e ricovero dei passeggeri, per lo più alla distanza di una giornata di cammino le une dalle altre; e che poi attorno a questa mansio, collo andare del tempo, a mano a mano si fabbricassero delle case, e finisse col tramutarsi in una borgata. » Anche Nicolò Maria Bologna aveva pensato che Pontremoli, in origine, fosse una mansione. Infatti così scrive: (i) « La opportunità del posto ci rende credibile che Pontremoli, nei tempi della potenza romana, giungesse ad essere luogo assai considerevole, se non altro perchè capo e centro di molte vie militari importantissime, di comunicazioni fra le provincie Cisalpine e Transalpine, alle quali doveva servir di mansione, non solamente comodissima e sicura, ma anche invariabile, mercè del ponte sulla Magra, che non si sarebbe potuto altrove costruire in quei dintorni. » Per seguire l’ordine che ci siamo proposti, e anche permeglio chiarire la questione dell’ origine di Pontremoli, crediamo qui di dover dar conto di un’ altra fra le più importanti Appendici, delle quali è corredata la Parte Prima dell’ Opera, quella cioè che ha per titolo: « La più antica Pieve del Pontremolese (2). » In essa l’A. con larghezza di erudizione studia il propagarsi del Cristianesimo nella regione. Con Rutilio Numaziano scorge, verso Γ anno 416 dell’ Era volgare, i cristiani rifugiati a condurre vita monastica nell’ isoletta della Capraia e in quella della Gorgona; pensa che, fin d’ allora, era, forse, popolato di eremiti lo scoglio del Tinello presso il golfo della Spezia, (l'antico porto di Luni), dove Ubaldo Mazzini ha di recente scoperto gli avanzi di un eremitorio de’vecchi tempi cristiani ; nota che Luni era in quel tempo, in gran parte sempre pagana ; la sua diocesi venne fondata o alla fine del III o al principio del IV secolo; ma anche alla fine del secolo VI vi era qualche traccia di paganesimo. « Soltanto » (son parole dell’ A.) « nel corso del V secolo cominciano a sorgere le Pievi nel territorio di Luni ; ma a spizzico, a stento, in mezzo alle traversie crudeli che tanto funestavano allora l’Italia minacciata, poi corsa da Alarico co' suoi Goti, infestata da Radagasio con un altro sciame di barbari, fattane dal Prof. Guaitoli, che la pubblicò per nozze a Carpi nel ifjyi. Dà notizie della famiglia del Marchese Camillo Canossa al quale era diretta, e di Angelo Anziani, fra le carte del quale fu trovata. (lì in Targioni Viaggi, XI, 222. (2) Δ. la ΠΙ, e va dalla pag. 610 alla pag. 653 del Vol. II. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 157 poi da Attila co’ suoi Unni, da Genserico co’ suoi Vandali. Nel 489 reodorico co’ Goti fa il resto. Nelle campagne romane, dove prima biondeggiavano le messi, sorgon padùli, selve,boschi; straripano i fiumi abbandonati a loro stessi ; i ponti vanno in rovina e non sono rifatti; impraticabili le strade. Città e villaggi arsi, distrutti, spopolati; molti tra gli scampati alle spade dei barbari, morirono per la fàme e gli stenti. La Val di Magra corsa e ricorsa dalle torme selvaggie che calavan giù dall’ Appennino, mutò faccia, e la sua popolazione restò quasi annientata. Non erano tempi da pensare a fondar chiese; pochissime bastavano al bisogno. Ecco perchè il numero delle Pievi veramente vecchie è così scarso nella Diocesi di Luni, la quale, soltanto dopo il iooo, prese a popolarsi di chiese. » Prosegue poi 1’ A., sempre sulla scorta di dotti ed autorevoli scrittori ed archeologi, a indagare quando avessero origine le parrocchie di campagna, qual fosse la loro posizione di fronte alle Pievi, quali i rapporti coi Vescovi; e scende a dimostrare come 1’ antica organizzazione dei territori, esistente al tempo dei romani, si trasformasse a poco a poco nella organizzazione ecclesiastica stabilita dal cristianesimo. Il territorio della città a tempo dei romani, chiamavasi Agro (Ager), ed era distinto e diviso da quello delle città confinanti con termini che i magistrati municipali, nell’ esercizio della loro podestà, non potevano oltrepassare. L’ Agro poi si spartiva in Pagi, e ogni Pago in tanti Vici, ossia castella. Sotto il Cristianesimo, ai Pagi si sostituirono le Pievi, che per ordinario assunsero il nome di qualche santo, se alla nuova religione non si adattava il primitivo nome del pago, che sovente si riferiva al culto idolatrico. Ai Vici subentrarono le Parrocchie che, in numero maggiore o minore, furono subordinate a ciascuna Pieve. E intanto, a poco alla volta, vennero grandeggiando i Vescovi nelle città « non solo per 1’ autorità spirituale e per 1’ esenzione loro conceduta dai Principi, ma molto più per la protezione dei popoli contro gli arbitrii degli ufficiali regi, attribuita loro dai nuovi Re. Sedevano infatti a giudizio insieme coi magistrati secolari, ed era lecito alle parti che si stimassero gravate dalle decisioni di costoro, di domandarne ai Vescovi la riforma. Con che ponevasi il germe di posteriori rivolgimenti, in forza dei quali i poteri sociali caddero interamente in mano del clero, intanto che nelle campagne la parrocchia costituiva la base dei Comuni rurali. » (i) Una sola Pieve del Pontremolese è ricordata nelle carte anteriori al mille, quella di S. Cassiano di Saliceto, chiamata allora S. Cassiano d' Urceola, a un miglio circa da Pontremoli. Vien rammentata in un istrumento del 26 luglio 998, e poi in diverse bolle papali del 1148, 1153, 1186, e 1202. Ma il fatto veramente 1 i) FERTILE. Storia del Diritto romano, 1, 78. I 5§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA notevole riguardo a questa Pieve, egli è che essa fu sempre ab immemorabile la chiesa madre di tutte le chiese di Pontremoli, le quali ricevevano da essa nella Settimana Santa gli olii sacri; e il suo Arciprete aveva poi il privilegio, nel giorno del Corpus Domini, di cantare messa solenne nella Chiesa principale di Pontremoli e portare processionalmente il SS. Sacramento per tutta la Terra. Di questo privilegio, uno degli Arcipreti volle che ne rimanesse autentico ricordo per atto pubblico rogato il 27 maggio 1535, alla presenza di tutto il clero, del Commissario di Pontremoli Vincenzo Fieschi, del Castellano del Piagnaro, e delle persone più autorevoli del paese. Questa supremazia della Pieve di Saliceto cessò nel 1721, allorché Innocenzo III, colla bolla In Suprema del 18 Xbre, eresse in Collegiata la nuova Chiesa di S. Maria del popolo di Pontremoli; ma ne nacque una lite che fu dibattuta a Roma per diversi anni, e per la quale furono stampate diverse dotte memorie legali pio e contro le ragioni accampate dalla Pieve di Saliceto a difesa de’ suoi privilegi. Tuttavia essa dovette soccombere, e venne ridotta alla condizione delle altre chiese di campagna. Il villaggio che aveva attorno, già da tempo diminuito d’ importanza, si ridusse a poche case; il fabbricato della Chiesa sformato, guasto, intonacato, imbiancato, perse ogni traccia della sua antichità; e per di più, un fulmine nel 1747, distrusse 1’ ultima reliquia medioevale della chiesa, spezzando la sua vecchia campana, che portava la data dei 1277. Dopo altre erudite osservazioni sugli usi e sulla vita pubblica romana, l’A. conclude che Urreola, quantunque ne sia da secoli scomparso anche il nome < serba il vanto di essere il più antico villaggio del Pontremolese; l’unico di cui ci sia la certezza fosse un Vico a tempo dei romani, anzi quello principale, il capoluogo del Pago. Appunto per questo fu dalla Chiesa di Cristo scelto a Pieve matrice. » ' Colla illustrazione di questa antichissima Pieve, caduta da secoli in abbandono e quasi dimenticata, 1’ A. ha, secondo noi, portata una bella luce sulla origine di Pontremoli. Ammesso, come nessuna ragione di buona critica vieta di ammettere, che 1’ antica Urceola fosse a tempo dei romani, un Vico, anzi il vico principale del Pago, e ritenuto' com’ è indubitatamente provato da consuetudine immemorabile, riconosciuta e sanzionata da documenti, che la Pieve di Saliceto, già d’Urceola, era madre di tutte le Chiese pontremolesi, è facile a chiunque abbia materiale conoscenza dei luoghi, formarsi certa opinione che, a quei tempi, Pontremoli non aveva importanza propria e non poteva essere che un luogo di fermata e riposo dei viandanti, ossia una mansio com’ è già stato accennato. Urceola era situata un miglio circa più in basso di Pontremoli, sulla destra della Magra, in un piccolo altipiano fra lo sbocco dei torrenti giornale STORICO E LETTERARIO DEI,LA LIGURIA I 59 Gordana e leglia, al sicuro della via che, sulla sinistra della Magra, dava sfogo ai due valichi dell’ Appennino, i quali necessariamente facevano capo nel luogo ove sorge Pontremoli, ed ivi dovevano, pur necessariamente, attraversare il fiume. A Urceola, dunque, come capoluogo, trovavasi il centro di tutto il movimento del comune rurale, mentre più in alto, alla congiunzione delle due strade appenniniche, era quel ponte, forse originariamente di legno, e perciò tremante, intorno al quale come scrisse il Muratori, < cominciò la gente a fabbricare molte case, e ne venne a poco a poco una terra » che prese nome di Pontremoli. Nè qui ha termine la importanza di questa III Appendice, giacché la illustrazione della Pieve, offre occasione all’ A. di dimostrare Γ antichità di molte chiese di Pontremoli; di dare notizie particolari sull’antica diocesi di Luni, e di produrre dei documenti sconosciuti. Fra questi è un Extimum Ecclesiarum Episcopatus Lunensis exemptarum et non exemptarum, compilato nel 1470 in occasione del Sinodo che fu tenuto a Sarzana dal Vescovo Anton Maria Parentuccelli. Fra le Chiese ricorda specialmente S. Giacomo del Campo, oggi S. Giacomo della Misericordia, che fino dal 4 febbraio 1252 era soggetta al Capitolo di Luni ; S. Gemignano, della quale esiste memoria fino dal-Γ Agosto 1095; S. Giacomo d’Altopascio, ch’era in origine, una delle tante mansioni o magioni di quell’ordine di Speda-lieri, già fiorente sulla fine del Secolo XI ; S. Pietro, già antichissima Prioria di Benedettini, che nel maggio II33 passò sotto il Vescovato di Brugnato, allora istituito. Di questa Chiesa esistono anche oggi due monumenti, testimoni parlanti della sua antichità, cioè 1' architrave della porta della canonica e un la-berinto sulla facciata della Chiesa, ambedue scolpiti in pietra arenaria. La importanza della mansione sullo sbocco delle due strade appenniniche, andò naturalmente crescendo di mano in mano che aumentava il transito e con esso il commercio. Nei ricordi relativi ad eserciti o personaggi illustri che nei secoli Vil e Vili valicarono 1' Alpe del Bardone non si fa cenno di Pontremoli5 che per altro, si trova notata per la prima volta nello Itinera di Sigerico Arcivescovo di Canterbery, dell’ anno 990 circa, come fu avvertito. Ciò può far ritenere che l’importanza propria di Pontremoli, come terra murata, avesse il suo sviluppo nei due secoli avanti il mille ; e più tardi, per la sua posizione strategica, divenne un forte arnese di guerra, trovandosi che è ricordato nel Secolo XII, come un castello natura locorum ac altissimis turribus munitissimum. Ed invero la più antica memoria di Pontremoli è del 20 maggio 1014, nel qual giorno 1’ Imperatore Arrigo II, detto il Santo, assegnò alla celebre Abbazia di S. Salvadore di Leno, nel territorio di Brescia, duas 16ο GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA partes de strata de Fontremulo, assegnazione che venne poi confermata da Corrado II Re di Germania negli anni 1026 e 1036, da Federigo Barbarossa il 17 agosto 1177> e ^a Enrico VI il 3 g'ugno 1194· Ai cronisti pontremolesi, ed anche al Bologna, rimase oscura la frase duas partes de strata ; crederono che si trattasse veramente di due tronchi di strada, e si lambiccarono il cervello a indagare quali fossero Ma Γ A. giustamente spiega che quelle parole debbono intendersi per due porzioni di pedaggio o gabella che ivi si riscuoteva per conto del Fisco o Camera imperiale; il qual pedaggio non si sa quando avesse principio, ma forse, secondo Γ A. rimonta ai tempi dei Longobardi, ai quali non dovette certo sfuggire Γ importanza della strada. Sessanta tre anni dopo, trovasi un altro documento che è il più antico tra quelli che direttamente riguardano la costituzione politica di Pontremoli. E un brano di diploma di Arrigo IV Re di Germania, inserito in un’altro diploma di Carlo lV del 16 novembre 1354, mancante di data, ma dal Muratori giudicato del 1077, cioè, di quell’ anno famoso, nel quale quel Re andò a Canossa a chieder pace e a fare atto di soggezione al Pontefice Gregorio VII. Con esso è confermata ad Ugo e Folco figli del Marchese d’Este, la concessione di diverse terre, e tra queste, Pontremoli ed altri luoghi del contado di Luni. Ma questo documento non servì finora a dare molta luce sulle condizioni di Pontremoli in quel tempo ; anzi aumentò le incertezze ed i dubbi, perchè, in base a molti riscontri, si ritiene come certo che nè gli Estensi nè i Malaspina esercitassero mai vera e propria signoria in Pontremoli. Le incertezze ed i dubbi furono per altro dileguati dall’ A. indagando con erudizione e chiarezza la costituzione della Lunigiana nei secoli di mezzo. Essa formava un Comitato, che probabilmente aveva per confini quelli stessi dell’ antica diocesi di Luni ; ma il comando del Conte era limitato dai diritti di potestà temporale su varie terre e castella conferiti al Vescovo da Imperatori e da Re. Un Oberto, longobardo di stirpe, forse discendente dai Marchesi e Duchi di Toscana, comparisce, verso la metà del Secolo X, come Conte di Lunigiana, e poi si leva a dignità di Marchese, senza che sia dato scoprire dagli scarsi documenti che ci restano, la precisa natura e i confini della Marca affidatagli. Da uno dei suoi figli, Oberto II, nacquero Alberto Azzo progenitore degli Estensi, e Oberto Obizo progenitore dei Malaspina: questi ultimi ricevettero in cessione dai primi 1’ avita eredità che loro spettava in Lunigiana, e così divennero padroni di tutto quanto gli Estensi possedevano di diritto a di fatto in quella regione. Pontremoli, nel Secolo X, era dunque compresa nel Comitato di Luni, e faceva parte della Marca Obertenga ; per conseguenza il diploma del 1077 non fu una vera e propria con- GIORNALE STORICO E 2.ETTERARIO DELLA LIGURIA l6l cessione a Ugo e 1· oleo, ma una semplice recognizione e conferma delle ragioni avite. Che se di fatto nè essi, nè i Maiasp.na esercitarono signoria in Pontremoli, ciò dipese « da uno ei più grandi e meravigliosi rivolgimenti che registri la s ona i sorger dei Comuni; fatto che, appunto in quel secolo si andava svolgendo e maturando, per poi in quello appresso affermarsi nella sua gagliarda pienezza..... I discendenti di Uberto per ogni dove si trovavano incalzati, respinti, ristretti; a principio perdono ogni signorile diritto, e ogni avanzo di signorili diritti neile città; da ultimo anche i diritti che loro spettavano nelle terre rurali sono oggetto di continua conquista per parte dei nuovi Comuni. I Malaspina..... a levante si trovano rinserrati da Tortona, a settentrione da Piacenza, a mezzogiorno da Genova, tutte e tre città libere, e piene di vigoria, di forza e di vita; e nella stessa Lunigiana, dove pure riesce loro di mantenersi, sempre diminuendo l’avita potenza, e sempre sminuzzandosi e impoverendosi, hanno un rivale e un nemico in Pontremoli, che erettosi a Comune, si governa da per sè, e guerreggia ogni resto di feudale soggezione, e guarda torvo e minaccioso quegli eredi degli Obertenghi, suoi vecchi Signori, in cui si erano andate concentrando con le ragioni avite, anche quelle nuove dei ceppo d’ Este. » Dicemmo già che non ingloriosa è la storia di Pontremoli nel periodo in cui si resse a Comune. Un primo fatto è l’audace resistenza ad Arrigo V, a quel furibondo Re, che ammazzando e bruciando per via, e imprigionando poi slealmente il debole Pontefice Pasquale II, volle per forza ricevere a Roma unzione e corona per la grazia di Dio! Egli era sceso in'Italia per la via di Savoia, e il 12 ottobre del ino era a Vercelli. Mosse di qui per Novara che incendiò, facendo poi subire ugual sorte ad ogni terra o castello che non gli faceva buona accoglienza. Milano soltanto sdegnò di prestargli obbedienza: e la Contessa Matilde se ne stava chiusa e minacciosa nel suo castello di Canossa. Intanto Arrigo, dopo essersi trattenuto per tre settimane a Roncaglia nel Piacentino, e averci riunita quella parte dei suoi soldati che veniva dal Trentino, fece presso il Po una solenne rassegna dell’esercito ascendente a trenta mila soldati a cavallo, oltre gl’ Italiani, e poi si fermò a Parma. Di qui sollecitò la pace colla Contessa Matilde, che fu conclusa nel castello di Bibianello. Assicuratesi in tal modo le spalle, mosse per la via di Monte Bardone, in mezzo a grandi pioggie, per le quali ebbe a perdere molta gente e gran numero di cavalli. Ma i Pontremolesi gli sbarrarono il passo, facendogli vigorosa resistenza, per cui dovè espugnare a forza la Terra, ch’era munita di altissime torri, e la mise a sacco. II Fiorentini riporta un atto della gran Contessa, dato da Pontremoli, dal Palazzo pubblico della Corte, il 4 ottobre ino, G ioni. St. e Lett. della Liguria, V. n IÔ2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che autorizza una donazione (atta da un tale Ugolinello di Nobili alla Pieve di Castelvecchio in Garfagnana, deducendone eh' essa aveva giurisdizione in Pontremoli. Ma ciò non è provato da alcun altro documento ; anzi sembra doversi escludere, qualora si rifletta che se Matilde fosse stata padrona di Pontremoli, avrebbe, dopo la pace fatta a Ribianello, lasciato libero passo ad Arrigo per quella Terra. Ben dice, dunque, ΓΑ., che il documento allegato dal Fiorentini ha tutta 1 aria di essere falso; e, ammesso anche che sia vero, proverà che Ma-tilde il 4 ottobre si trovava a Pontremoli, ma non certamente eh’ essa avesse parte nella resistenza opposta dai Pontremolesi ad Arrigo, essendo avvenuta dopo che aveva fatto pace con lui. Venne poi il tempo tanto famoso per le guerre contro Federigo I Barbarossa e per la lega lombarda. Federigo era venuto più volte in Italia ; ed ora si avviava a Roma per cacciarne il Pontefice legittimo Alessandro III e intronizzarvi il suo antipapa Pasquale III. La Lombardia bolliva d’ odio contro lo straniero e ferveva d’ amore di libertà; le sue città, secondate, da altre del resto d’ Italia, dopo la tristissima sorte toccata ad alcune di esse, specialmente a Milano, lavoravano a raccogliersi per fare argine alla barbara prepotenza dall’ Imperatore ; il quale, già disceso in Italia nel novembre 1166, muoveva da Lodi nel gennaio 1167, dirigendosi a Roma per la via del-1’ Emilia e delle Marche. * A somiglianza di altri paesi, che per quanto avversi all’impero e avidi di vita propria, pur nello Impero riconoscevano per vecchie e per allora non spente nè sradicabili tradizioni, la suprema potestà, anche Pontremoli volle che Cesare con un atto solenne riconoscesse e sanzionasse di diritto le franchigie già conquistate col fatto. » Questo atto solenne è un diploma datato da Reggio il i° febbraio 1167, che l’A. illustra, essendo, egli dice, il primo sprazzo di luce per farsi, almeno in parte, una idea della condizione di Pontremoli in quei giorni. A Roma, Federigo pervenne al culmine della sua potenza, avendo restaurati i diritti dell’ Impero e messo in Vaticano il suo Papa. « Se non che (ci piace dirlo colle parole di un eloquente scrittore) in mezzo a tutti questi fausti successi, d’un tratto apparvero gli angeli sterminatori, armati del flagello delle febbri..... Roma di repente si trasmutò in Gerusalemme, e Γ Imperatore Federigo fu annientato come Sennacherib. Negre nubi calarono il 2 agosto su Roma, e si sciolsero in diluvi di pioggia ; indi succedette un’ ardente caldura, e la mai’ aria che a Roma nell’ agosto è mortifera, produsse febbri pestilenziali. Morte ingloriosa miete il fiore dell’esercito invitto; cavalieri, fanti, scudieri caddero oscuramente, e spesso morivano di repente, cavalcando 0 camminando per le vie: poco andò che GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA non si potè dare sepoltura ai morti. In sette giorni Federigo vide, uno dopo 1’ altro, morire i suoi migliori eroi......I Ί e- deschi ne ebbero terrore, come se la mano di Dio li gastigasse di avere tormentata la Città Santa, incendiato le chiese, polluti di sangue i templi della cristianità. A di 6 di agosto l’Imperatore levò le tende, e sbigottito partì col resto dell’oste, che aveva Γ aspetto di un esercito di ombre » (i) e per la via di Viterbo e Pisa, perseguitato dagli anatemi della Curia Papale, tornò in Lombardia, diretto ai suoi Stati di Borgogna. Ma giunto a Villafranca di Lunigiana, una nuova dolorosa sorpresa lo aspetta. I Pontremolesi, ad onta del favore poco prima ricevuto, eccitati e sostenuti nel loro spirito guelfo, da aiuti che loro vennero dalle città lombarde, gli vietarono il passo ; ed egli non potè conquistarlo colla forza. Si sarebbe certo trovato a mal partito, senza l'aiuto del Marchese Obizo Malaspina rimasto fedele all’impero ; il quale avviandolo pei suoi feudi che serravano da ogni parte Pontremoli, gli fece passare l’Appen-nino più in basso per erti e disagevoli sentieri, ove si perse gran parte del suo equipaggio. Vinto poi a Legnano dalla Lega lombarda, Federigo, dopo pochi altri inutili sforzi, dovè colla pace di Costanza riconoscere, sotto certe condizioni, e assicurare ai Comuni italiani il diritto di eleggere i propri magistrati e darsi leggi e governo. Epoca gloriosa fu questa, che diè principio al più splendido periodo della storia italiana e alla grandezza delle sue città ; se non che venne presto disturbato dalle lotte fra le città rivali e fra nobili e popolo; le quali, in un tempo più o meno lungo, secondo la importanza, la forza e la ricchezza di ciascuna città e dì ciascun paese, ricondussero poi a servitù. Pontremoli, piccola terra, forte solo per la sua posizione, ma non per popolazione, ricchezze, commerci e influenze, e dilaniata ben presto da partiti interni che degenerarono in brutali discordie, potè ancora godere dei benefizi della libertà per un secolo e mezzo circa. Le alleanze e le rivalità dei Pontremolesi furono alternativamente coi Piacentini, coi Parmigiani e coi Marchesi Malaspina. I primi due popoli avevano interesse a tenere aperte e sicure, a loro particolare vantaggio, le comunicazioni colla Toscana per la via di Pontremoli ; e i Malaspina gelosi del loro dominio e della loro influenza in Lunigiana, vedevano mal volontieri, in mezzo alle loro terre, un paese retto a libero comune, che teneva la chiave dell' importante passo dell' Appennino. Lo spettacolo che offrono le continue lotte provocate da queste rivalità è quello stesso che, disgraziatamente, si rappresentava allora in quasi tutta l’Italia. Due piccoli castelli, [ Gregorovius, Storia di Roma, IV, 672. 164 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Grondola e la Rocca Sibillina, il primo situato a cavaliere della strada del Bratello che conduceva a Piacenza, il secondo disputato ferocemente ai Malaspina, sono il pretesto della discordia, che, ad intervalli, si acquieta, ma sempre si risolleva. Alcune città lombarde, Milano, Brescia, Cremona, Crema vi s’intromettono, talvolta per calmare, tal’ altra per inasprire i dissidi. Anche il Pontefice Clemente III è costretto nel 1188 ad intervenire come paciere, per mezzo dei suoi legati Pietro Card, di S. Cecilia e Loffredo Card, di S. Maria in Via Lata, per impedire che il fermento e la discordia non prendesse troppo larghe proporzioni. In mezzo a queste lotte comparisce anche in Lunigiana quella istituzione umanitaria diretta a frenare gli omicidi, gl’incendi e i saccheggi divenuti frequentissimi, che sorse verso il 1031 col nome di Tregua di Dìo, e poi divenne una vera e propria magistratura chiamata semplicemente Tregua ; e Treguatti si dissero i suoi componenti. A Lucca specialmente ebbe largo sviluppo, e durò fino al 1378, formando una delle sette Curie lucchesi : ma, mentre a Lucca i Treguani non erano che una Magistratura civile, in Lunigiana composero un’ associazione armata, che prestava il suo soccorso in imprese di guerra. Perciò resta ancora molto oscurità sul vero scopo e sull ordinamento di questa istituzione, scarsissimi essendo i documenti che ne rimangono. Riguardo alla Lunigiana se ne conosce uno solo, che 1’A. riporta, ed è del 2 settembre 1172, dal quale apparisce che uno dei quattro capi dei Treguani’ in quell’ anno, era un Albertino, console del Comune di Pontremoli, e insieme Treguano. Federigo II dette pure da fare a Pontremoli. Egli era stato inalzato alla dignità imperiale dalla Santa Sede nel 1215; ma, in seguito, le sue relazioni con essa avevano incominciato ad intorbidirsi per gl' indugi frapposti a mantenere la promessa da Li fatta a Innocenzo III d’intraprendere la crociata di Terrasanta. Aggiungasi che nel 1226 la maggior parte delle città lombarde, mal sofferenti del giogo imperiale aveano concluso una nuova confederazione contro Federigo, il quale da S Donnino, nella estate dello stesso anno, pronunziò un decreto che le poneva al bando dell’ Impero. Furono colpite da questo bando Milano, Verona, Piacenza, Vercelli, Lodi, Alessandria, Treviso, Padova, Vicenza, Torino, Novara, Mantova, Brescia, Bologna’ Faenza. Rimasero di parte imperiale Modena, Reggio. Parma’ Cremona, Asti, Pavia, Lucca e Pisa. Appunto in detto anno 1226 l’imperatore passò per la prima volta da Pontremoli; e poiché i Pontremolesi erano allora alleati dei Parmigiani, esclusi dal bando, vi si fermò per qualche giorno, aspettando che i Pisani gl’inviassero un nerbo di soldati che gli facesse scorta sicura sino alla loro città. Da Pontremoli infatti egli datò nel 26 luglio 1226 il diploma col giornale STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA d.UsfittoPrDer |S'°,tt0 'arSUa piotezione i] Comune di Genova. So-i Pontremolesi CCOgllenza ncevuta> Federigo volle gratificarsi prendendo il r 1'Π |jloma ln data del luglio, col quale antichi nrivil .°m“ne sotto la sua protezione, gli confermò gli N I pnvileg' e la giurisdizione. esicrerheeFUÌnte a""° I227’ Π nuovo Pontefice Gregorio IX £ Brindisi peTTa ^'1 ·'“ "b hianHn ,i; · Santa, ma dopo pochi giorni, cam- Pontelicc ; ?OS'(°' t0urna lndietro e sbarca ad Otranto; e il «snatnric ■ " ^ settembre solennemente Io scomunica. Di qui tribolarono °l turbolcnze e guerre, le quali principalmente f f . Stato della Chiesa e il regno di Napoli. Nel 1230 la pace ; e Gregorio prosciolse Federigo dalla scomunica se non che questa pace fu piuttosto una tregua, giacché K S PxfS,t0 ncomindarono, e la guerra arse allora in Lombardia. Nel 1236 cadde per assedio Vicenza, nel 1237 si arresero I adova e Mantova, e nello stesso anno, a di 27 novembre fu combattuta la celebre battaglia di Cortenuova, nella quale 1 Milanesi furono vinti e perdettero il Carroccio. Federigo orgoglioso di avere così vendicato le armi imperiali dalla sconfitta di Legnano, mandò al popolo romano gli avanzi del arioccio milanese, affinchè li custodisse come trofei in Campidoglio; e quelli avanzi glosiosi, caricati sopra muli, con insegne e a tu arnesi di guerra, passarono da Pontremoli diretti a Roma ne gennaio 1238. A quella vista Gregorio restò addoloratissimo, ec arse di sdegno: Dominus Papa usque ad mortem doluit. dicono le antiche cronache, e fatta lega con Genova e con Venezia, prese apertamente le parti delle città lombarde. Sco-munico per la seconda volta l’imperatore (24 marzo 1239), gli dichiarò la guerra, e convocò un concilio a Roma contro di lui; ma l·ederigo lo impedì, facendo catturare presso le isole di Montecristo e del Giglio, dalle flotte Siciliana e Pisana riunite, le navi genovesi che recavano a Roma i prelati (3 maggio 1241) e facendo questi prigionieri. Nell anno appunto in cui fu pubblicata questa seconda scomunica, 1 Imperatore l’ederigo 11 passò per la seconda volta da Pontremoli, diretto a Pisa; ma sembra che allora i Pontremolesi non gl’ispirassero completa fiducia, perchè occupò la fortezza e diversi loro castelli, conducendo poi seco sessanta ostaggi fra i migliori uomini della terra. Arrivato a Luni vi fece prigioniero il Vescovo, e lasciò il Marchese Uberto Pallavicino suo Vicario in Pontremoli e in Lunigiana. Frattanto per il solito castello di Grondola, caduto in mano dei Pontremolesi, i Parmigiani indispettiti ricorsero a Federigo, il quale ordinò, senz’ altro, l’abbattimento delle torri e porte di Pontremoli. Il Podestà di Parma, Princivalle Doria, nel 1243, va con buon nerbo di soldati, ad eseguire quest’ ordine, e 1’ opera di abbattimento incomincia. Ma poiché i Pontremolesi adoperavano ogni l66 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA arte per impedirla, il Pallavicino, Vicario imperiale, fingendosi malato a Villafranca, chiama a sè i consiglieri del Comune di Pontremoli col pretesto di dover loro comunicare cose di grande importanza. Accorrono essi obbedienti e fiduciosi, ma son fatti prigionieri, nè vengono rimessi in libertà sinché le loro torri e le loro porte- non sono completamente distrutte. Nel 1241 entro Roma assediata era morto Gregorio IX, vecchio di quasi cento anni, ma di animo sempre invitto. Gli successe per soli diciasette giorni, Celestino IV ; e la Sede Apostolica rimase poi vacante fino alla elezione d'Innocenzo IV. Durante la lunga vacanza Federigo sospese l’assedio di Roma, riprendendolo poi più tardi, finché, non riuscite le trattattive di pace, Innocenzo riparò coi Cardinali a Genova, condottovi dalla flotta della repubblica. Di lì passò a Lione, ove convocato un concilio, Federigo fu per la terza volta scomunicato^ e quindi deposto (17 luglio 1245). Altre due volte ripassò Federigo da Pontremoli ; nel 1247 recandosi in Lombardia, e nel marzo 1249, ritornando dal regno di Napoli, ov era stato a reprimere la ribellione di alcuni baroni. Offerse allora ai Pontremolesi un miserando spettacolo, trascinandosi dietro in catene Pier delle Vigne, che da lì a poco fece crudelmente abbacinare. In cotesta occasione il Re Enzo, suo figlio, concesse ai Pontremolesi di ricostruire le torri e le porte in premio di averlo aiutato a domare la ribellione di alcuni Marchesi Malaspina. Alla morte di Federigo II esistevano due Re di Germania e dei Romani, Corrado IV, figlio di Federigo, riconosciuto dal partito ghibellino, e Guglielmo Conte di Olanda riconosciuto dal partito guelfo. Quest’ultimo, con diploma dato in Lione nel 16 aprile 12 51, concesse e donò in perpetuo al suo consigliere Niccolò de’ Fieschi, Conte di Lavagna della famiglia di° Papa Innocenzo IV, ed a’ suoi discendenti, il borgo di Pontremoli, col castello e tutti i diritti, giurisdizioni e pertinenze, e dichiarandolo vero signore di quel luogo. Per altro questa concessione non fu portata ad effetto per gli eventi a cui dettero luogo le fazioni locali. Nel periodo decorso dalla morte di Federigo II fino a tutto il Secolo XIII, e anche più oltre, furono quasi generali la guerra e l’anarchia non solo in Italia, ma anche in Germania, ìn Italia la lotta principale fu nelle provincie meridionali, prima fra la Casa Sveva e quella Angioina, e poi fra questa ultima cacciata di Sicilia nei Vespri Siciliani (20 marzo 1282), e la casa di Aragona. Ad essa si aggiunse altra lotta fra le repubbliche, nella quale Genova abbattè Pisa colla celebre battaglia della Meloria (6 agosto 1284), e poi vinse i Veneziani costrin-aendoli a un trattato commerciale (an. 1298). Il Papato era in contrasto e in angustie continue colle fazioni di Roma, capi- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 167 tanate dai Colonnesi e dagli Orsini, le quali finirono con indurre Clemente V (francese) a trasportare la S. Sede ad Avignone. L' Impero ebbe un lungo interregno fino alla elezione di Rodolfo della Casa di Absburgo, il quale, intento a stabilire ed assicurare la sua dinastia in Germania, tanto poco si curò degli affari d'Italia, che neppure pensò a farsi incoronare in Roma. In questa generale confusione le divisioni e i partiti nelle varie città e terre d’Italia si fecero più vive, tanto che nella seconda metà del Secolo XIII, ed anche per tutto il successivo Secolo XIV, la storia è piena dei nomi di Guelfi e Ghibellini. Nelle piccole terre e città, più che nelle grandi, questa divisione dette naturalmente luogo a sfogo di rancori e a vendette di private famiglie, che spesso produssero fatti deplorevoli e raccapriccianti. Pontremoli ebbe non ultima parte in questo triste spettacolo, e non avendo, per la sua piccolezza tanta forza ed autorità da farsi rispettare e mantenere la propria autonomia, affrettò in tal modo il momento in cui dovè cadere in soggezione di uomini e famiglie potenti. È lungo e doloroso il racconto che fa 1’ A. delle vieende di Pontremoli per tutta la seconda metà del Secolo XIII. Due famiglie, gli Enreghini (poi Reghini) a capo del partito guelfo, e i Filippi, a capo del partito ghibellino, si contrastano la supremazia della Terra, si cacciano e si esiliano scambievolmente, uccidendo e distruggendo, ritornano colla forza, aiutati ora dai Piacentini, ora dai Parmigiani, ora dai Malaspina. Finalmente riesce ai Guelfi Enreghini di rientrarvi nel 1293, e vi si fermano per più anni sotto la protezione della Repubblica di Lucca. Ma il loro governo fu debole e fiacco « per cagione di continui contrasti, della irrequietezza e della rabbia delle fazioni, ad arte avvivate e fomentate dai Malaspina; alcuni dei quali parteggiavano coi guelfi, altri coi ghibellini, e tutti poi erano concordi nello scellerato proposito di tener diviso e discorde Pontremoli, per stendervi sopra gli artigli, appena se ne offrisse propizia occasione. » E l’occasione 11011 tardo per la venuta in Italia di Arrigo VII di Lussemburgo. Arrigo scese nell'ottobre del 1310 in Italia, annunziandosi come pacificatore dei partiti e come moderatore supremo delle cose d'Italia, d’accordo colla Chiesa. Grande e nobile concetto, che taluni pensarono essere stato davvero nella mente di Arrigo, ritenuto, per opinione generale, savio e prode. Dante stesso credè di scorgere in lui l'uomo del suo pensiero, e gli riservò un alto seggio nel Paradiso della sua Divina Commedia. Gl'Italiani per altro non ci crederono; e, vero o non vero che fosse quel concetto, si affrettarono a dimostrarlo una utopia. Sotto gli stessi occhi dello Imperatore, a Milano, pochi giorni dopo la sua incoronazione, i ghibellini cacciano con furore i guelfi ; e subito Brescia, Cremona, Crema e Lodi insorgono contro l’Imperatore, che è costretto a ri- l68 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA durli all’ obbedienza colla forza. Firenze, che già aveva dimostrato apertamente la sua contrarietà, si leva a capo di una lega di guelfi, si arma e si prepara a fare resistenza. Insomma la parte di paciere che Arrigo, sinceramente o no, si era assunta, fallisce quasi subito completamente ; ed egli, come bene osservò il Capponi « a malgrado i suoi proponimenti, costretto vessare, costretto inferocire, ben tosto non fu, in mezzo ad uomini italiani, che un imperatore tedesco (i). > Sono note le sue ulteriori vicende, e come miseramente e senza gloria morisse il 24 agosto 1313 a Buonconvento, riuscendo ad essere micidiale all’Italia non meno degli altri Imperatori. In Lunigiana, i Marchesi Malaspina si dichiararono parte favorevoli e parte contrari ad Arrigo; e questa divisione eccitò naturalmente Pontremoli, che fu il campo ove vennero a conflitto le due fazioni rivali. Appena Arrigo ebbe messo piede in Lombardia, la parte ghibellina Pontremolese propose di inviargli un ambasciatore per prestargli ossequio ed obbedienza. Non ci volle altro perchè si accendesse subito la lotta. I Guelfi ebbero aiuti da Lucca, da Genova, da Reggio e da Parma ; i Ghibellini furono soccorsi validamente da Franceschino Malaspina Marchese di Mulazzo, che se ne fece capo e condottiero. La lotta durò lungamente, e fu feroce per stragi e devastazioni. I Ghibellini ricacciati nella parte inferiore del Borgo, loro stanza consueta, vi furono tenuti come assediati, ma si difesero disperatamente, nè alla parte guelfa riuscì di domarli. Finalmente i ghibellini stanchi per la lunga lotta inviarono, sul finire del marzo 1313 Imperatore, che trovavasi a Pisa, un’ am-bascieria colla quale gli fecero conoscere che Pontremoli era la chiave e la porta per venire di Lombardia in Italia, e perciò interessava che egli non l’abbandonasse in altre mani; e gli domandavano aiuto per domare i ribelli. Arrigo accolse di buon grado I ambascieria e mandò a Pontremoli, come paciere, Jacopo da Cassio, il quale per altro è accoltó a colpi di balestra e di freccie dai guelfi della parte superiore del Borgo. Questi allora chiede all’ Imperatore severi provvedimenti per ridurre il paese all obbedienza; e i provvedimenti vennero subito in modo inaspettato da tutti, giacché, 25 giorni dopo, cioè il 6 di luglio, Arrigo concedeva in feudo Pontremoli, col castello e con tutta la sua giurisdizione, al Cardinale Luca Fieschi, nipote di Adriano V, ai suoi fratelli Ottobuono e Carlo e ai loro discendenti. I! Cardinale era figlio di quel Niccolò a cui nel 1251 il Re Guglielmo di Olanda aveva fatto simile concessione, che allora rimase senza effetto, ed era stato uno dei tre Legati che, a nome del Papa, incoronarono l’Imperatore. L A. narra al Cap. IV i fatti di Arrigo in Italia con giusto e nobile entusiasmo per la grande lega guelfa capitanata da (i) Capponi, Stor. della Repub. fior, I, 131. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA \6g Firenze, nella quale « s'incarnò 1’elemento italiano e popolare f resP'nse la conquista e l’ingerenza straniera ». Ma questo fa.’ secondo noi, essere troppo crudo e severo contro I Alighieri, per la ben nota Epistola V, colla quale esortò i principi e i popoli d’Italia ad essere fedeli e reverenti ad rugo, c i nei popoli della lega », egli scrive, « che, in quei giorni batte il cuore dalla vera Italia, non già nel petto di Dante Verrà un giorno, ma per adesso è lontano, che anche Dante (Dante cittadino, intendiamoci), non sfuggirà più come ha fatto fin qui, al giudizio della storia. In quel giorno non vorrei essere ne’ suoi panni; vorrei essere ne’ panni di quei torti che all’ imperatore tedesco serraron le porte della generosa e italiana l*irenze; vorrei essere ne’ panni di parec-C r j· l:ant‘ contemporanei di lui, che per rabbia di parte e odio di vendetta ha consacrati all’infamia e messi alla gogna giù nel suo Inferno. La giustizia è tarda, ma viene, ec’è: verrà anche per i calunniati da Dante ; verrà anche per Dante cittadino. Dinanzi al Vero neanche per il Genio ci son privilegii » Tutto ciò (ci consenta Γ A. di dirlo) potrebbe esser giusto se Dante fosse stato un volgare tirannello o un ambizioso cittadino, che dalla venuta di Arrigo avesse sperato autorità, ricchezze o potenza ; ma il suo grande intelletto mirava più alto, nella desolazione disperata in cui era ridotta l’Italia per le gaie, le prepotenze feudali, e la confusione massima frutto delle i ontinue lotte fra la Chiesa e I Impero. Errante in esilio, si rit oncentrarono nella sua anima tutti i dolori e le speranze d' Italia; cercò una forza potente che potesse salvarla; non la trovò nella indipendenza, e andò cercandola nella unità: ma una unità italiana era allora, in fatto, impossibile anche a pensarci, ed egli la concepì nella grandiosa idea della Monarchia Universale. « L idea di Dante era classica », scrisse il Carmignani, « Ella era quella di vedere restaurato l’impero romano colla costituzione, che buoni imperatori conservarono e rispettarono sempre, dicendosi i generali di una repubblica obbligata dalla sua posizione e dai suoi precedenti a mantenersi colle armi il dominio del mondo. » Nè questa idea era nuova in Italia ai tempi dell’Alighieri : « Stava sempre l’ombra del gran nome di Roma antica e gloriosa, rappresentante dell’italiano primato fra le antiche nazioni. Gl’ imperatori che avevano capitanato le vittoriose sue armi, nati in Roma nel principio, vennero in seguito da straniere nazioni ; ma divenuti imperatori, si dichiararono romani, e fino a Costantino stabilirono in Roma la permanente lor Sede. Era questo sistema che da non pochi in Italia invocavasi, sebbene i desideri fossero rivolti a imperatori germanici ; ed era fra questi desideri pur quello di riveder Roma sede e centro dell’ Impero del mondo, e 1’ Italia tornata ad essere la regina delle nazioni.......Nè si può fare rimprovero I70 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA alla teoria politica dell’ Alighieri di aver sacrificati allo amore di parte i sacrosanti diritti della umanità, quelli di cittadinanza e le pubbliche libertà. Egli vuol difesi, e non alterati dal monarca i diritti naturali dell’umanità nell’ individuo ; quelli delle affezioni del sangue nella famiglia ; quelli della socialità nel Municipio ; quelli dell’ interna ed esterna difesa colla riunione delle forze di più municipi nella città; quelli finalmente di nazionalità nelle relazioni reciproche di più città tra loro in un regno....... La monarchia dell’Alighieri eonosce ed apprezza tutte le esistenze morali e civili che nella loro ordinata gerarchia compongono i corpi politici. Il monarca e 1 autoiita direttrice suprema, e garante della fedele ed esatta amministrazione della giustizia e della pace, e della concordia reciproca fra tutti i municipi, le città ed i regni che cuoprono la terra, indipendenti tra loro nella gestione dei loro sociali interessi. (1) Grande utupia è questa ai nostri occhi, che veggono a sei secoli di distanza, ma che ha larga spiegazione nelle condizioni politiche e storiche dei tampi, e nel supremo sconforto di un'anima grande che aveva perduto ogni fiducia nel risorgimento politico del suo paese. Sbaglieremo, ma con tutta convinzione pensiamo che fino a quando non cesserà l'ammirazione ed il culto per i più alti concepimenti dello spirito umano, la giustizia invocata dall’ A. non verrà. Appena avutane la concessione da Arrigo VII. il Cardinale Fieschi si recò personalmente nel settemare 1313 a mettere ordine nel suo nuovo feudo di Pontremoli e nelle molte possessioni che teneva in Lunigiana e anche al di là dell’ Appennino ; parte per antichi acquisti e parte per recenti concessioni imperiali. Egli mirava a stabilire in Lunigiana una vasta Signoria per la sua famiglia, ma non scelse bene il terreno, perchè i Malaspina erano troppo gelosi della loro autorità e dei loro diritti in quella Provincia. Francescano Marchese di Mu-lazzo, l’ospite di Dante, insorge subito a contestare al Cardinale il possesso di alcuni castelli del territorio pontremolese ; e di qui ne nacque una lunga guerra che durò dal 1314 al 1319, e tenne in grave tumulto una parte della Lunigiana, e special-mente Pontremoli, essendovisi coinvolte le fazioni locali, tu fatta finalmente la pace a mediazione di Roberto Re di Sicilia che allora si trovava in Genova, ma poco durò perchè la Lunigiana fu presto sconvolta dalla potenza invadente di Castruc-cio Castracane degli Antelminelli. Questo nuovo ed intrigato periodo di storia I.unigianese fu già descritto dall’A. in altro suo pregievole lavoro (2), che 1) CarmiGNANì. Dissertazione sulla Monarchia di Dvnte. Livorno, 1844. (2) Sforza. Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana. Ricerche storiche. Modena, Vincenzi, 1891. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 17 I pur serve a più larga illustrazione delle vicende pontremolesi. Anche di esso ci gioviamo nella nostra esposizione. — Gherar-dino Malaspina, Vescovo e Conte di Luni, (il Lutiensetn Pontificem ricordato da Dante nella Epistola IX, diretta ai Cardinali italiani), posto come guelfo, al bando dello Impero da Arrigo VII, con sentenza del 23 febbraio 1312, riparò in Toscana: e per dare ai suoi dominii temporali un protettore potente, nominò, nel 4 luglio 1314, Castruccio Vice Conte di tutte quante le terre, i castelli e le ville appartenenti al Vescovato. (1) L’ esempio di Gherardino fu seguito dai Comuni di Sarzana e di Sar-zanello. Castruccio, che aveva allora trentadue anni, ed era al soldo di Uguccione della Faggiuola, Podestà di Pisa, fece di queste due cariche la base della sua potenza in Luniginna, e il primo scalino per crescere in grandezza e Signoria. Riuscì ad ottenere il 5 agosto 1315 da Federigo d’Austria, Re dei Romani, la dignità di Vicario Imperiale e il grado onorifico di suo Segretario e famigliare ; e quindi, al seguito di una congiura, alla quale sembra che non fosse estraneo, cacciato Uguccione da Pisa, e sollevata Lucca, fu creato nel 17 aprile 1316 uno dei Governatori e condottieri delle milizie del Comune di Lucca ; ufficio ehe gli fu scala a diventare Signore assoluto della città nativa. Egli rivolse allora la mente a riconquistare molte terre della Lunigiana, sulle quali la Repubblica di Lucca aveva esercitato giurisdizione e influenza prima di Arrigo VII ; ed infatti occupò in breve tempo la ròcca di Massa, riducendo a patti quei Marchesi, mosse guerra a Spinetta Malaspina che aveva favorito Uguccione della Faggiuola, togliendogli Fo-sdinovo, la Verricola e tutti gli altri suoi possedimenti e castelli, e costringendolo a fuggire con tutta la famiglia ; e finalmente ebbe in dedizione Gragnana, Groppoli, Gragnola, Cortile, Co-diponte e una quantità di piccoli Comuni, ville e villaggi. Di fronte a questa potenza ghibellina che si estendeva a gran passi nella provincia, non rimasero indifferenti i Pontremolesi sempre agitati dalle passioni. Ad istigazione dello stesso Castruccio, la fazione ghibellina che occupava il Borgo di sotto, ossia la parte inferiore di Pontremoli, lo proclamò suo Signore per cinque anni, il 27 maggio 1321. La fazione guelfa resistè per qualche tempo; ma poi accordatasi anch’essa, Castruccio fu proclamato da ambe le parti Signore assoluto di Pontremoli nel febbraio 1322. Egli allora ne fece quasi la sua cittadella per dominare la Lunigiana, e sembra che colla sua autorità lì Quasi tutti i genealogisti della famiglia Malaspina·assegnano il Vescovo Gherardino al ramo di Filattiera, come nato da Alberto di Opizzone c da Mesca di Niccolò Fieschi Conte di Lavagna ; ma Γ A. asserisce che non si trova documento comprovante di chi sia figliuolo ed a qual ramo appartenga. Fuggito dalla sua Sede, si rifugiò a Fuceccluo, eli’ era divenuto asilo dèi guelfi; e più tardi si trasferì a Firenze, ove morì nel 1321 nel Convento di S. Jacopo d’ Oltrarno. 172 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mettesse a dovere le fazioni, non trovandosi alcun fatto notevole avvenuto sotto il suo governo. Ma l’autorità rafforzò e tutelò anche con precauzioni materiali, giacché per costringere a tranquillità le fazioni costruì un terzo castello, che divideva Pontremoli in due parti : i guelfi stavano di sopra, i ghibellini di sotto, e non potevano comunicare fra loro che mediante una strettissima porta. Singolare provvedimento che dimostra a qual punto erano giunte la discordia e la violenza dei partiti in Italia e specialmente in Pontremoli. Morto Castruccio il 3 settembre 132S, l’imperatore Lodo-vico il Bavaro cacciò da Pontremoli il di lui figlio Arrigo, compiendo un atto di solenne ingratitudine, dopo gli aiuti e i servigi prestatigli dal padre ; e, trovandosi in Pontremoli nell' aprile 1329, mentre ritornava in Lombardia (1), per compiacere gl’ irrequieti pontremolesi, con diploma del 12 dello stesso mese, * prese il Comune sotto la sua protezione, e con ogni pienezza gli confermò i privilegi che gli avevano largito Federigo II e gli altri predecessori ; lo volle immediatamente soggetto alla propria Camera, dichiarando di nessun valore la investitura fattane da Arrigo VII ne' Fieschi, non che quella di lui a favore di Castruccio e suoi discendenti. Poi nell’ atto di partire, lasciò un Vicario a governarlo, o per meglio dire a estorcere denaro dalla borsa dei pontremolesi ; che tale era il mestiere di chi teneva i popoli a nome di quel venturiero. Ma il giuoco ebbe breve durata ; e dopo pochi mesi, stanchi di vedersi di continuo angariati, ghibellini e guelfi, di comune accordo, gli si rivoltarono. Il male accorto Vicario, del quale è ignoto il nome, corse a rifugiasi colle sue genti nel castello del Piagnaro, e per snidarlo di là ci volle una buona somma di fiorini, e fatto si curo negli averi e nella persona mosse alla volta di Parma in traccia del suo Signore. Cacciato in tal modo il Vicario del Bavaro, i Pontremolesi distrussero la fortezza del Piagnaro, perchè non servisse più di asilo ad oppressori e tiranni; e tutti concordi si dettero al Comune di Parma, allora retto da Gio. Rolando de’ Rossi. Così la rievocazione degli antichi diritti di libertà del Comune fatta dal Bavaro non fu che una formula, avendo i Pontremolesi stessi spontaneamente riaperta la strada a nuove Signorie; e il castello del Piagnaro fu presto ricostruito per uso dei futuri tiranni. (1) Lodovico il Bavaro era passato da Pontremoli, anche il 1. di settem-tembre 1327, allorché di Lombardia scese in Toscana. Vi fu allora ricevuto da Castruccio con grande onore, e poi accompagnato ed aiutato validamente nella espugnazione di Pisa. In benemerenza appunto di questi servigi, il Bavaro nominò Castruccio Gonfaloniere dell’ Impero e Duca di Lucca, Pistoia \'olterra e Luni. <.IORnaijE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 173 che virno ora.,ln alt;roi fra Ì tanti guastamestieri imperiali, Imrpo kv" ,.Ir?Plccl.arsi delle cose d'Italia, Giovanni di Luxem- solleri’tntn 1 ' mia’ di Arrigo VII. Brescia, che aveva Vismnti R a SUa ,'[cnuta Pcr liberarsi dalla oppressione dei Lucca fànnn8«aih> Γ"]3’ Reggio: Modena- e Poco dopo, anche ‘ i ubito la loro dedizione; anzi, Parma nel 5 marzo l'animó* dH°Prfma ,ai:S°lut0 padrone; ed egli per gratificarsi i ■ . ssi che di mal’animo vedevano togliersi quella Rnrtr « ^ investi nel giorno stesso di Pontremoli, insieme a 1 ! 3Π|ΐ onnlno> Brescello e Bercelo, dandone loro il pieno t ) imo ne e persone di Rolando, Marsiglio e Pietro de’Rossi, mni;1"0 C lsc mentre recavasi a Lucca che era in quel momento a lui soggetta, e venne signorilmente ospitato a spese del Comune. Il suo governo tu ispirato a diffidenza e ferocia, per cui molte famiglie esularono, e fra queste, quella dei Filippi, calda fautrice dei Rossi, che mai più rimpatriò ; ma fortunatamente ebbe corta durata, giacché Martino battuto dalla lega, perdè, con molte altre citta anche Parma nel maggio 1341 ; e allora i Pontremolesi ne scossero ad un tratto il tirannico giogo, e si dettero ai Visconti. Il movente di questa determinazione dei Pontremolesi fu certo la maggior sicurezza che offriva loro un governo come quello dei Visconti divenuti potentissimi in Italia. Ed infatti per tutto il rimanente del secolo XIV, ossia per oltre sessanta anni, le cose di Pontremoli passarono assai tranquille, e non senza una certa prosperità, sotto cinque Signori della famiglia Visconti, che furono Luchino, l’Arcivescovo Giovanni, Matteo, Galeazzo e Gio. Galeazzo. Luchino signoreggiò da solo Pontremoli, giacché tutto egli faceva e disponeva," quantunque avesse socio nella Signoria il fratello Arcivescovo Giovanni. Morto Luchino il 24 gennaio del 1349, rimase solo al Governo 1 Arcivescovo, che alla sua volta, mancò di vita il 3 ottobre 1354· I tre nipoti di lui, Matteo, Bernabò e Galeazzo si spartirono il dominio ; e Pontremoli toccò a Matteo, insieme a Bologna, Monza, Lodi, Parma, Piacenza e Bobbio. Ma essendo sfuggito di bocca a Matteo < che era assai piacevole Tesser solo nella Signoria » i (rateili lo avvelenarono ; e morì il 28 settembre del 1355» ‘ come un cane, senza confessione, e forse degnamente per la sua dissoluta vita. > (2) Bernabò e Galeazzo divisero la eredità del fratello Matteo, e Pontremoli toccò a Galeazzo. « Fino dal 1375 Galeazzo si era associato nel governo il suo primogenito Gio. Galeazzo, marito d’Isabella, figlia di Giovanni II, il Buono, re di Francia, che gli portò in dote la Contea di Virtus nella Sciampagna. Fu per questo che Gio. Galeazzo si fece chiamare Conte di Virtù. Con la morte del padre, il 4 agosto 1378, egli ebbe la pienezza del comando ; con la morte dello zio Bernabò, da lui imprigionato e fatto avvelenare, il 19 dicembre (1) Cronaca, XI, 56. 2) Villani Matteo - Cronaca lib, V. cap. 81. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 175 del 1385, rimase assoluto padrone di tutto il vasto dominio della lamiglia potentissima dei Visconti. » Da Vinceslao Re dei Romani, Gio. Galeazzo fu creato, con diploma dell' u maggio 1395, Duca della città e diocesi di Milano; e il 13 ottobre dell’anno appresso, anche di tutte le città e terre di cui aveva il comando, fra le quali terras quoque Pontremuli, Sarzanae, Levantine, Carrarie, Sancti Stephani etc. Ma nell’ agosto 1402 egli si ammalò a Pavia, e trasportato nel castello di Melegnano,’ ivi morì il 3 settembre. A Pontremoli ne fu data notizia con lettera del suo figlio primogenito, Gio. Maria, diretta Nobili Viro Potestati, Communi et hominibus terrae nostrae Pontremuli Ai grandiosi funerali che gli furono fatti a Milano il 20 ottobre, la insegna di Pontremoli figurava fra quelle delle quarantesei città e castella grosse suddite al Ducato di Milano. I due figli legittimi di Gio. Galeazzo, Gio. Maria e Filippo Maria, e il figlio bastardo, ma legittimato, Gabriele Maria, si divisero lo Stato del padre. Pontremoli, facendo parte del Ducato di Milano, passò allora sotto Gio. Maria. Ma questa divisione, Γ età minore dei nuovi Signori, per cui dovè essere provveduto con una reggenza, e più di tutto la mancanza di una mano temuta e potente, com’era quella dello estinto Duca, portarono gravi sconvolgimenti negli Stati dei Visconti. Si aggiunga che la lega formatasi tra il Papa ed i Fiorentini contro la çrescente loro potenza, spargeva da per tutto gran fuoco, promettendo aiuto a chiunque si ribellasse; per cui fu mirabil cosa, scrisse il Muratori « il vedere scatenarsi in questi tempi per quasi tutte le città del Ducato di Milano le dianzi addormentate fazioni di guelfi e ghibellini .....Rolando Rossi, coi Correggeschi ed altri guelfi, un gran turbine sollevò nel Parmigiano. Nel dì i° di luglio il Marchese Ugo Cavalcabò occupò Cremona c poi Crema, ed ebbe soccorso dai Fiorentini; Franchino Rusca si fece padrone di Como, la fazione guelfa s’impadronì di buona parte di Rrescia ; in Bergamo si scannarono le due nemiche fazioni; Lodi, laMartesana, Soncino, Bellinzona e moltissime altre terre, chi si ribellò al Duca, e chi fu sottoposta a gravi omicidi e saccheggi. Nè andò molto che anche gli Scotti, i Laudi ed altri nobili di Piacenza, cacciati gli An-guissoli, presero in se il governo di quella città. Tutto insomma era in rivolta, e in mezzo a tanto incendio i Reggenti di Milano pareano incantati » (l). In mezzo a questo generale sconvolgimento, anche Pontremoli si ribellò al Duca di Milano ; nè volle essere da meno di tanti altri paesi nella discordia, perchè 1’ antica divisione ricomparve come d’incanto eccitata dagli antichi pretendenti alla Signoria, Infatti una parte, che sembra fosse la guelfa, si dette u) Muratori, Annali, Ad an. 1403. GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELLA LIGURIA a Pietro de’ Rossi, in noine dei quale prese possesso di metà della terra il suo fratello Giacomo, Vescovo di Verona, il 27 aprile 1404 ; ma 1’ altra parte si dette a Luca ed Antonio Fieschi, i quali, poco dopo, cioè nel 1405, divennero padroni anche dell’ altra metà, per compra che ne fecero (a quanto sembra) dai Rossi. Gli avvenimenti memorabili pontremolesi durante il dominio dei Visconti furono: nel 1348 la peste, che fece nel paese moltissima strage, uccidendo (si legge nello Statuto) molti hommes scientìaii in legalibus, et medicinae, et aliis opportunis scientiis, et virtutibus opportunis ad hominum vitam, de quibus dicta terra Pontremuli, ante dicti anni mortalitatem erat ornata et dotata sufficienter, » nel 1355, il passaggio, all’andata e al ritorno da Roma, ove fu incoronato imperatore, di Carlo IV Re dei Romani, del quale scrisse il Muratori che ritornò al suo paese con molto oro, ma anche con molta vergogni. ; nel 1387 l’ammissione della popolazione rurale alla rappresentanza, con voto semplicemente consultivo, nel Consiglio Comunale di Pontremoli, che per 1’ avanti era composto di soli consiglieri urbani; nel 1388 la istituzione di un Collegio di no-tari, che continuò fiorentissimo sino quasi ai nostri giorni, con privilegi riconosciuti e confermati da tutti i governi che si succedettero in Pontremoli; nel 1391 la riforma e correzione degli Statuti del Comune. Nel Secolo XIV erano fiorenti in Pontremoli, oltre le famiglie degli Enreghini e dei Filippi, già ricordate, anche quelle degli Armani, oriundi di Brescia, dai quali si staccarono i Ricci; degli Alfieri, dei Filisseti, dai quali provennero i Coppini; dei Manganelli che ebbero Giacomo Vescovo di Brugnato dal 1300 al 1320; dei Galli, dai quali uscirono Gerolamo Vescovo di Negroponte nel 1300, e più tardi molti uomni di scienza e di toga; dei Trincadini o Tranchedini che nel successivo secolo XV divennero noti anche nella storia d’Italia per Nicodemo e Francesco suo figlio, agenti diplomatici dei Duchi di Milano; dei Villani non meno illustri per scienzati, magistrati e uomini politici; e finalmente dei Forasacchi, dei Seratti, dei Maracchi e dei Gabbrielli, i qnali ultimi ebbero Giovanni Vescovo di Massa nel 1391 e Arcivescovo di di Pisa nel 1394. La seconda Signoria dei Fieschi su Pontremoli durò dal 1405 al 1431. Nei primi anni, il solito castello di Grondola, che era rimasto in mano dei Rossi, provocò una sanguinosa guerra, nella quale Antonio Rossi morì e Pier Maria fu condotto con molti de’ suoi prigioniero a Pontremoli. A Luca e ad Antonio Fieschi successero un altro Antonio, figlio di Luca per una metà, e per 1’ altra metà i cinque figli di Antonio, Gio. Luigi, Obietto Vescovo di Vercelli, Lodovico Signore di Mas-serano e Crevacuore, Giovanni Abate di Trigoso, e Niccolò. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 177 i utti costoro, Gio. Luigi fu quello che più dimorò a Pontre-m y, ° .pi“ se ne 0CCUPÒ; ma gravi avvenimenti andavano maturandosi, che resero da prima difficile e poi insostenibile la sua posizione. Ucciso a Milano nel 1412 Gio. Maria Visconti, fenomeno di crudeltà e di ferocia, il fratello di lui, Filippo Maria, prese arditamente la corona ducale. A poco a poco, sfruttando 1’ ossequio che aveva Milano verso la casa dei Visconti, sapendo bene scegliere abili condottieri e valersene, e usando ogni arte anche più triste, era riuscito nel 1419 a ridurre sotto il suo dominio quasi tutte le città lombarde, e aveva spinto le sue mire tino a Genova. Occupò egli infatti quella città, cacciandone il Doge Tommaso di Campofregoso, al quale fu data in compenso la Signoria di Sarzana col suo distretto. Di qui ne nacque la guerra tra i fiorentini e il Visconti che continuò lungamente, e durante la quale i fiorentini si affrettarono a stipulare accomandigie coi Fieschi Signori di Pontremoli e con molti Marchesi Malaspina della Valle di Magra, per poter contrastare, all’occorrenza, il passo dell’Appennino al Duca di Milano. Nel tempo stesso erano essi riusciti a stringer lega coi principali Stati d'Italia; per la qual cosa il Visconti, sopraffatto, fu costretto a concludere una prima pace nel 1426; e poi, essendosi riaccesa subito la guerra, una nuova pace che fu conclusa e pubblicata a Firenze il 19 aprile 1428. Due anni dopo cominciò 1' altra guerra dei fiorentini contro Lucca; e Filippo Maria Visconti, non ostante la pace fatta, v’ entrò subito di mezzo. Mandò Niccolò Piccinino ad occupare la valle del 1 aro, che apparteneva ai Fieschi, per esser pronto in ogni evenienza, e scendere a Lucca per la via di Pontremoli; e nel tempo stesso incaricò Francesco Sforza dello sleale ufficio di torre Lucca a Paolo Guinigi, che ne era Signore, sotto falso sembiante di dargli aiuto. Infatti lo Sforza, messi insieme 3000 cavalli e 1500 fanti, dando ad intendere che recavasi per suo proprio conto, verso Napoli, passò ad un tratto velocemente da Pontremoli; e sforzati i passi e le difese dei fiorentini entrò in Lucca nel luglio 1430, ebbe dai congiurati prigioniero il Guinigi, prese dai fiorentini cinquantamila fiorini d’oro per andarsene; e se ne andò, lasciando liberi i fiorentini di riprendere 1’ assedio. Ma il Visconti non se ne stette ; consigliò i Lucchesi a stringere una lega con Genova, e messe Niccolò Piccinino a capo delle truppe di questa lega contro i fiorentini. Il Piccinino infatti scese di Val di Taro con 4000 fanti e 2000 cavalli; attraversò Pontremoli e la Lunigiana, e arditamente, guadando il Serchio, piombò sullo esercito fiorentino, Io ruppe e s’impadronì del campo (2 decembre 1430). Poi ritornò in Lunigiana, conquistò a forza d’ armi i migliori e più importanti castelli dei Malaspina; cacciò i Fieschi da Pontremoli e dal suo territorio, favorito dalla parte ghibellina del Gioiti. HI. e Leti, della Liguria, V. 178 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA borgo di sotto, ed ivi fissò per poco tempo il suo quartier generale (An. 1431J. Di li nuovamente discese in Toscana, continuando nelle sue fazioni militari a danno della repubblica fiorentina. Così Pontremoli ritornò, per la seconda volta, sotto i Duchi di Milano nel 1431 ; e vi rimase anche dopo la pace conclusa nel 26 aprile 1433, a mediazione del Duca di Ferrara, fra Filippo Maria e le repubbliche di Venezia e di Firenze; e quantunque fosse stabilito in quel trattato che ciascuno rientrasse in possesso di quello che prima possedeva, pure i soli Fieschi furono esclusi da questo benefizio. Nel maggio 1432 passò da Pontremoli, e vi fece una breve sosta, Sigismondo Re dei Romani, diretto a Roma, ove nel 31 maggio 1433 cinse la corona imperiale per mano di Eugenio IV. Ebbero allora i Pontremolesi da soddisfare la loro curiosità, osservando questo singoiar tipo d’imperatore, così descritto da un testimone che lo vide a Lucca: « La maggior parte della sua compagnia sono grandi baroni et signori d’ Alemagna e d’Ungaria; huomini di grande ardire e senza paura, franchi et gagliardi ogni uno di loro quanto fosse Hettorre, ma devoti a Dio et suoi santi come romiti o religiosi, et in grande astinenza, et non pajono huomini in nessuno loro atto, ma spiriti angelici .....Lui (cioè il Re Sigismondo) con tutti li suoi, è sempre in capelli, et tutti portano ghirlanda di fiori et d’erba; et spesse volte questo nobil principe, andando per la terra et pigliando per mano le nostre giovane, si ha cavato la ghirlanda di capo et donatala loro, et così ne sono state donate a lui per le giovane, pur di fiori et non d'altra maniera. Io ben credo, che ancora che sia antico (aveva allora sessantasei anni) si arricordi del buon tempo, et così gli giovi pigliarsi piacere; che mai non si vide il più allegro huomo, nè il più piacevole. > (1) Dopo avere tranquillamente ammirato i monumenti di Roma con la guida di Ciriaco di Ancona, Sigismondo per la via di Todi, Perugia e Ferrara, se ne ritornò ai suoi paesi, in arnese di poco più che modesto viaggiatore, senza gloria, ma almeno senza avere recato molestie all'Italia. Anche Alfonso Re di Aragòna e di Sicilia passò da Pontremoli il 3 dicembre 1435, diretto a Portovenere ad aspettare il fratello Don Pietro colle sue galere, quando da Filippo Maria Visconti fu rimesso in libertà, dopo la sconfitta di Ponza, nella guerra di successione al regno di Napoli. Filippo Maria si mostrò subito cortese e deferente alle richieste dei Pontremolesi. Consentì che il Comune si avesse a governare e mantenere come si reggeva a tempo del padre e (i) Bo.vgi. Lettera di B. Martini su la venuta in Lucca di Sigismondo Re dei Romani. Lucca, Cane volti, 1871. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I JQ H-infi" hoc U° ’ ,s!,stern^ diversi altri importanti interessi riguardilo „„.,1· c.,ril)Uti; e fece anche nuove concessioni, i capitoli AnnpnHir *’ fr' Pubb'*cati d^'Osio, sono dall’A. riprodotti in rp* „ e aP insieme a quelli accordati più tardi da U V '|° orza; ^er altro, pochi anni dopo (1436-37) Pontre-■1 ■ 1 11U jljnigiana furono di nuovo sconvolte dalla guerra r 1C. ' ,?Uca 1 Milano, istigato dai fuorusciti fiorentini, riprese 0,1 r° 1 , Ir^n.ze Per mezzo del Piccinino. Ma allora era Capitano genera e tei l· iorentini il conte Francesco Sforza, che mosse con 10 1 ice inino, e lo battè a Barga, costringendolo a ritirarsi quasi rotto in Lunigiana. Si fermò per poco tempo in °,n pemo. ’. ma * essendo logore le sue genti » se ne andò ne ai migiano. Dietro a lui, mosse l’esercito verso la Luni-giana, ne aprile 1437, anche lo Sforza, per recuperare, come m a ti recuperò, Sarzana, Avenza e diverse altre terre, o genovesi o fiorentine, occupate dal Piccinino; e si spinse fino a ontremoli, istigato dai l'ieschieda diversi fuorusciti; ma trovata la terra ben fornita di genti e di vettovaglie dal Piccinino, il ^.sserv.' stato accampato per poco tempo, ritornò indietro, disordine eh’ era in quel momento nella parte di Lunigiana che fa capo a Pontremoli, e la vita infelice di quelle popolazioni non si possono descrivere; ma, per farsene un’idea bisogna leggerle nelle cronache del tempo. Giovanni Antonio v aie di Malgrate, testimone oculare, racconta con verità e vivezza, e con molti particolari, i fatti, del < magnifico chapi-tagno Nicolo Pecenino, venuto in Lunexana a petizione del Ducha di Milano, chiamato Felipo Maria, fiero dragho, che regnava in su la tera, e la fin sua fu cattiva. > E in una cro-nachetta lunigianese, anonima ed inedita, scritta nel Secolo XVI, si legge il seguente brano, relativo a fatti avvenuti appunto nell epoca di cui ci occupiamo, e che è opportuno di riportare. « 1* i 1 attiera è stata sempre guelfa, havendo il braccio della Signoria di Firenze, ed era nella Lunigiana de’ guelfi capo. Mulazzo e Villafranca erano 1’ altro capo, ed avevano il braccio del Duca di Milano, (1) tra i quali Duchi ed i Fiorentini erano grandissime discordie, talmente che in queste parti durò guerra più di sessant’anni, ed in essi sessant'anni non vi fu mai pace, ma tregue ora di un anno, ora di sei mesi, ora d’ otto. In una di esse tregue, sotto fede e con astuzia, furono presi venti uomini delli più facoltosi di Filattiera appresso a quel luogo un mezzo miglio. Per il riscatto dei quali quelli di Filattiera volsero dare cinquanta prigioni della parte 1 Filattiera, Mulazzo e Villafranca disumo 4 i]2, 6, e 9 miglia, rispettivamente, da Pontremoli. Erano tutti feudi dei Malaspina, ma i Marchesi di Filattiera stavano in accomandigia della repubblica fiorentina, mentre quelli di Mulazzo e Villafranca parteggiavano per il Duca di Milano. Di qui le ostilità fra le popolazioni. ISO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA contraria e rendergli Groppoli, che quindici anni avanti quelli di Filattiera avevano preso, e tenuto sempre per forza. Ma non fu possibile riaverli insino a tanto che quelli di bilattiera non pagarono molte migliaja di scudi e restituirno Groppoli. E così fu fatta una mezza pace. Ma ricordandosi quelli di Filattiera che, sotto fede, erano s'tati presi, e che nella prigionia avevano patito molti disaggi et tormenti, ordirono alla parte contraria un stratagemma tale, che n’ ammazzorno grandissimo numero e li diedero la caccia da Serravalle e da Dubbiana (che erano andati ad abbrugiare come in effetto ambidui quei luoghi ab-brugiorno) sino alle porte di Mulazzo e di Villafranca; e se havessero voluto, prendevano essi luoghi, ma non li presero, perchè stimorno che non vi fussero se non donne e ragazzi. Quando giunsero a Mulazzo, non vedevano, per essere di notte, più gente da corrervi dietro, perchè o erano stati uccisi, o erano fugiti, o si erano nascosti: ed erano sopra a centocinquanta fra a piedi et cavallo. Al ponte di S. Maddalena alla Cravia fecero ua poco di testa, per dividersi in due parti per soccorrere Mulazzo e Villafranca, non sapendo 1’orditura, ed in due parti li messero in fuga; e sotto esso ponte, la mattina, si trovarono cinquanta morti di quelli di Filattiera. Per questo il Duca di Milano mandò a stare a Villafranca un suo capitano sviscerato, Bartolomeo da Rimini; quale un giorno, andando a Pontremoli per il vetricaio di Filattiera, che in quel tempo era molto grande, fu all’ improvviso morto da alcuni di Filattiera, ancorché havesse ricevuto servizii grandissimi. Per tale morte il Duca di Milano mandò Niccolò Piccinino con molte migliaja di soldati a piedi ed a cavallo a Filattiera e gli accampò in tre luoghi, alla Pieve, al Rio, ed in Prattoli, dove stettero più d’ un mese, e finalmente la prese. » Filippo Maria (quel fiero ciragho, come lo chiamò il Faie) ebbe una sola figlia, ma illegittima, Bianca Maria, partoritagli da Agnese del Maino, sua amante, il 17 marzo 1424· Quando essa era in età di otto annif la promesse in sposa con atto regolare e solenne di sponsali, al Conte Francesco Sforza, col-l’intendimento di legare a se quel gran capitano. Ma il carattere inconcepibile (così lo qualificò un illustre scrittore) di Filippo Maria non si prese mai con quello generoso e cavalleresco dello Sforza, per cui cercò più volte di mandare a monte il parentado. Lo Sforza per altro non consentì mai di sciogliere la promessa solenne; e finalmente il matrimonio ebbe luogo il 25 ottobre 1441. In questa occasione il Duca Filippo Maria infeudò allo Sforza, a titolo di dote, Cremona e Pontremoli ; la qual concessione fu poi riconosciuta e sanzionata nella pace fatta fra gli stati della lega e il Visconti. Nelle rivalità tra Filippo Maria e Francesco Sforza, Pontremoli ebbe a, soffrire, nel 1446, i danni d' una scorreria fatta GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I S I ,a ^ansever'no e Pier Maria Rossi, i quali, per incarico r Ιρρ,°’ tent:arono inutilmente di cacciarne lo Sforza. Ma le ìivdlita durarono poco, perchè un anno dopo, il 13 agosto 1447, mori r ìlippo Maria ; e dopo un breve contrasto, lo Sforza fu proclamato Duca di Milano. Sotto il suo governo, e finché non cominciò quel lungo periodo d’ immensi guai per 1’ Italia provocato dalla sfrenata ambizione di Lodovico il Moro, i Pontremolesi goderono sufficiente tranquillità che loro permise di occuparsi di opere di pace a vantaggio del paese ; e il IO marzo 1471 ebbero anche agio di ammirare la magnificenza del loro Signore, Galeazzo Maria, allorché, recandosi egli a Firenze, fece breve sosta in Pontremoli, insieme alla moglie Bona di Savoia e a quel numeroso e ricco corteggio che destò le universali meraviglie. Vennero bensì i brutti giorni allorché il Moro, profittando del momento in cui Genova si era sottratta al dominio del Ducato di Milano, durante la guerra mossa da Sisto IV alla Repubblica di Firenze, si unì a Roberto Sanseverino, Capitano delle milizie genovesi, nell’ invadere la Lunigiana ai danni del Duca di Milano. Pontremoli fu allora per qualche tempo assediata, ma inutilmente, perchè Guido di Pier Maria Rossi, inviatovi con molti fanti e con pieni poteri dalla Reggenza di Milano, seppe bene approvvisionarla e difenderla. Questo ed altri avvenimenti, interessanti non solo Pontremoli, ma anehe la Lunigiana, narra 1’ A. con larghe particolarità, nel Capitolo XI, mentre nei due Capitoli successivi, XII e XIII, ultimi dell’opera, espone le dolorose vicende della venuta di Carlo Vili, che, per Pontremoli, finirono con la desolazione di un incendio generale della Terra. Il 18 di ottobre del 1494 giunse il Re a Piacenza. Di lì spinse innanzi un corpo di avanguardia agli ordini di Gilberto di Borbone, Conte di Montpensier, che arrivò a Pontremoli il 20, e proseguì subito per Sarzana. Pontremoli fu rispettata perchè era cosa del Duca di Milano, ma nel resto della valle della Magra il Montpensier trattò da nemici tutti i Malaspina alleati con Firenze, e fece addirittura scempio delle terre e dei castelli dei fiorentini. Quasi tutti furono saccheggiati, in molti uccisi anche gli abitanti senza riguardo a donne e a fanciulli ; ed ovunque « i Francesi si trascinavano dietro, legati colle funi, i paesani in voce di ricchi, perchè ricomprassero a peso d’ oro la libertà ». Nei paesi che non trattavano da nemici, spadroneggiavano da prepotenti, come fecero a Pisa, secondo che racconta un cronista : « Svizzeri e tutte le gente appiè e a cavallo intravano per le case per forza, e volleno alloggiare a discrezione loro, senza pagare; ed entravano ne’ nostri letti e in nostre camere; e bisognava aver pasiensia ». Dopo otto giorni, cioè il 28 ottobre arrivò Carlo a Pontremoli con 7800 cavalieri « e molte donne meretrice franzesi, et oltra di questo, assai persone inutile ». Una parte dell’ esercito, i82 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA con tutta 1’ artiglieria grossa, era andata per mare alla Spezia ; e tutto insieme costituiva, a giudizio del Guicciardini, un esercito formidabile, non per il numero, ma per 1’ agilità della fanteria che ne era il nerbo principale, e per 1’ artiglieria meglio istruita ed armata di quella italiana. Il giorno seguente (mercoledì), alla mattina visitò Carlo il Santuario della Annunziata, presso Pontremoli, e proseguì, andando la sera a dormire al-1’ Aulla ; e di lì a Sarzana, ove seppe ben sfruttare la viltà di Piero de’ Medici. A Pontremoli intanto avvenne, nel giorno ultimo di ottobre, un fatto che fu causa di funeste conseguenze nell’anno futuro. La retroguardia dell’esercito, composta di mille svizzeri, insolentì alcune donne della campagna eh’ eran venute a vender frutta; sgridati costoro da alcuni deputati del Comune e dal nipote di un certo capitano di cavalli, còrso, che ivi era di presidio per il Duca di Milano, si rivoltarono, e sguainate le spade, uccisero il detto còrso. Il popolo, allora, gridando all' armi, attaccò cogli svizzeri una fiera zuffa, nella quale presero parte anche le donne, gettando sassi e tegole dalle finestre e dai tetti L’intervento degli ufficiali, Galeazzo Sanseverino e Lodovico di Lucemburgo, riuscì a quietare il rumore ; ma degli Svizzeri, i8 furono morti e molti feriti. Il Moro che, appunto in quei giorni, per la morte del nipote Gio. Galeazzo, era corso a Milano a cingere la corona ducale, ridiscese subito in Lunigiana, fermandosi qualche giorno prima a Villafranca e poi a Fosdinovo, e visitando spesso il Re eh’ era accampato presso Sarzana. Lo scopo di queste sue visite era di stimolare e spingere il Re « a espugnare Sarzana e ad impadronirsi di Pietrasanta, terre un tempo dei Genovesi, e appunto per questo agognate da lui, divenuto Signore anche di Genova. Il Re ripetutamente gli e le aveva promesse ; ora all’ atto di mantenere la parola, gli e la negò ; e il Moro ne rimase talmente scontento, che separatosi da lui, più non si rividero ; cosa che non restò punto nascosta, ma corse sulla bocca di tutti > (i). Il Re Carlo proseguì la sua strada ; e, dopo essere stato rimesso al dovere dai fiorentini colle celebri parole di Pier Capponi, che furono, come osserva giustamente l’A., il solo bell' atto di quella guerra, compiè presto e facilmente la sua impresa, entrando in Napoli il 21 febbraio 1495. Ma formatasi la lega contro di lui, non gli rimase altro scampo che tornare in Francia. Il 30 maggio partì infatti da Napoli; il 20 giugno (1) Il Moro cominciò sin d’ allora a pentirsi della fiducia riposta nello straniero; e tanto più avrà dovuto pentirsene nei dieci anni di prigionia nel castello di Loches ove miseramente morì dimenticato da tutti. La sentenza dei posteri su lui, fu pronunziata dal nostro Niccolini : Sta - in suol straniero uri obliata polve - chi chiamo lo straniero. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 183 era a Pisa, il 23 a Lucca e il 26 a Sarzana, lasciando ovunque, 0 più o meno, i segni dell' insolenza e ferocia dei suoi soldati. A Massa incendiarono il borgo del Ponte, il Mirteto e altre vi e, e poco ci corse che anche Serzana non subisse la stessa sorte. Intanto 1 avanguardia dell’ esercito regio, comandata dal aresciallo di Giè, che era accompagnato da Gian Giacomo Irivulzio, si avanzava verso Pontremoli, e il Marchese Antonio Malaspina di Lusuolo scriveva dall’Aulla il 22 giugno al Conte Gio. Carlo Anguissola Commissario Ducale di Pontremoli « Dicono che la Majestà del Re viene per la via de Pontremoli... Li Alamanni si dice che hanno voluntate di mal tractare quel loco, ma il Re li ha comandato, secondo mi ha detto uno di quelli tregosi, pena la forcha, che niuno li faccia altro » (1). 1 Pontremolesi, naturalmente, s’ impaurirono, e molti pensarono a mettere al sicuro le loro persone e sostanze, ritirandosi per le ville della montagna. La guarnigione, composta di trecento fanti, mostro di volere far resistenza ed impedire il passaggio; « ma il Trivulzio promise, a nome del Re, che niun soldato entrerebbe in Pontremoli, eccettuati alcuni fanti suoi proprj che occuperebbero il castello e le torri in iscambio della guarnigione che v’ era, la qual dovea essere subito licenziata, e che sarebbero a tutto rigore rispettati i beni, la vita e 1’ onore dei cittadini. I Pontremolesi, confortati da queste assicurazioni, die-der congedo al presidio del forte, nel quale introdussero le genti del Trivulzio e le cose loro più preziose, e si diedero a conversare familiarmente colle milizie attendate fuori della terra » (2). Vane promesse e vana fiducia! perchè gli Svizzeri entrcrono in Pontremoli, e subito messero a fuoco e fiamme la terra, con opera barbara e nefasta che durò tre giorni ; e inebriati di quella feroce baldoria, si ribellarono anche al Trivulzio, assediando il castello del Piagnaro, ov’ erano le sue genti ; assedio che non ebbe seguito e conseguenze per Γ avvicinarsi del Re. Il Comines, che era insieme con Carlo VIII: ci lasciò la più bella e particolareggiata descrizione di questi fatti; e, fra le altre cose, scrisse: « La ville (di Pontremoli) et le chasteau estoient assez bons et en fort pais. S’il y eust bon et grand nombre des gens, elle n’ eust point esté prise : mais il sembloit bien, qu’ il fust vray ce que frère Hièronyme (Savonarola) m’ avoit dit, que Dieu le conduirot par la main jusques à ce qu’il fust en sûreté: car il sembloit que ses ennemis fussent aveugles et abestis qu’ils ne deffendoientce pas ». Se l’esercito della lega, comandato da Francesco Gonzaga, Marchese (1) ROSMINI. Dell’ istoria intorno alle militari imprese e alla vita di Gian [acopo Trivulzio, II, 217. (2) Rosmini, Op, cit., I, 243. 184 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di Mantova, invece di aspettare il Re in Lombardia, per lasciagli poi il passo, sebbene con molto contrasto, a Fornovo, avesse seriamente difesa la posizione di Pontremoli, 1 esercito francese si sarebbe trovato a ben brutto partito, come con-. fessò lo stesso Comines, che attribuì quasi a miracolo la sua uscita dalle strette dell’ Appennino Pontremolese. Carlo Vili, dice giustemente 1’ A., voleva passare, e passò : sua dunque è la vittoria. Nè importa che il Gonzaga facesse inalzare una chiesa a Mantova « e dal pennello di Andrea Mantegna si facesse dipingere inginocchiato à’ piedi della Madonna nell atto di ringraziarla degli allori sognati » e neppure « che facesse coniare, a sue spese, da Sperandio una medaglia commemorante la disfatta, col motto : Ob. restitutam. Italiae libertatem. La pala del Mantegna è al Museo del Louvre, per sua vergogna ; e nella incapacità di questo condottiero, che alla testa d’un esercito, il doppio e più di quello nemico, non seppe sbarrare ai Francesi il passo e farli a pezzi o prigioni ; in questo vanaglorioso, che muta le sconfitte in vittorie, hanno radice i mali tutti che per tanti secoli afflissero, straziarono e flagellarono 1’ Italia, corsa come un campo abbandonato, dagli stranieri >. Il Re intanto era giunto a Villafranca, e di lì, la mattina del 30 giugno, dopo avere udita la messa (chè questa fu la sua abitudine costante prima di mettersi in marcia) si diresse a Pontremoli, ma non potè trovarvi alloggio, essendo ancora fumanti le rovine prodotte dall’incendio; e perciò dopo aver desinato al monastero della SS. Annunziata, proseguì per il villaggio di Mignegno. situato un miglio al di là di Pontremoli al principio della salita dell’ Appennino. Ivi si trovò di fronte alla difficoltà di far passare la montagna all’ artiglieria ; difficoltà così grande, per l’asprezza dei luoghi e la mancanza di strade, che fu anche discorso di rompere i pezzi per procedere con maggior speditezza. Ma gli Svizzeri che temevano l’ira del Re per il grave fallo commesso, si offersero ad eseguire essi stessi la faticosa operazione, a patto che il Re perdonasse loro, come infatti fece. È meraviglioso leggere nel Comines e negli altri scrittori il racconto delle fatiche a cui si sobbarcarono quelli uomini, che a cento e due cento alla volta, accoppiati due per due, con lunghe funi trascinarono per erte appena praticabili tutto quel pesantissimo materiale, animati dall’ esempio dello stesso loro Comandante Mons. De la Tremouille primo Ciambellano e Cavaliere dell’ Ordine del Re, il quale, dicono i detti scrittori, ne acquistò onore grandissimo. Così la rovina e i lutti di Pontremoli servirono al Re per uscire più facilmente dal-1’ imbarazzo. Morto Carlo VIII nel 7 aprile 1498, gli successe Luigi XII, il quale ai titoli di Re di Francia, di Sicilia e di Gerusalemme aggiunse pur quello di Duca di Milano, e d’accordo coi Vene- giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA 185 ziani e col Papa mosse subito guerra allo Sforza, che il 6 settembre del 1499 fu cacciato da Milano. Tentò lo Sforza di ricuperare lo Stato, ma riuscì invece a cadere prigioniero nelle mani dei Francesi il 10 aprile 1500. Sotto la Francia passò allora Pontremoli, che seguiva le sorti del Ducato di Milano ; e le sue peripezie durante il periodo di lotta che allora s’impegnò tra trancia ed Impero furono lunghe e disgraziate. Ne abbiamn dato un brevissimo cenno in principio, nè qui aggiungiamo altro, perchè l’A. chiude la sua narrazione coi fatti del-Γ incendio. Ma se qui ha fine la narrazione delle vicende di Pontremoli nel Medio Evo, non termina la illustrazione larghissima che l’A. ha voluto fare al suo soggetto. Anzi, a questo proposito, non vogliamo tacere che a qualche critico sofistico potrà forse sembrare che le copiose note ai vari capitoli, le appendici ad alcuni di essi, e quelle che fan seguito all’ opera, le quali, tutti insieme triplicano o quadruplicano il volume della narrazione, siano un corredo soverchio alla narrazione stessa, che distrae troppo spesso il lettore, chiamandolo ad ogni momento al riscontro delle fonti, all’ esame dei documenti, a conoscere le opinioni conformi o contrarie dei diversi scrittori, e anche a trattenerlo sui fatti di tempi posteriori. Noi per altro non ci uniremo a questi critici. In argomenti storici, specialmente se svolti, eome questo, con creazione quasi nuova, non si può inventare ; il lavoro che viene presentato è frutto di minute ricerche, di esame e raffronto di documenti, di critica sulle diverse narrazioni e sulle opinioni degli scrittori precedenti: quindi è ben giusto che un coscienzoso autore giustifichi ampiamente 1’ opera sua. Questa è la scuola seguita sempre dallo Sforza in tutti i suoi lavori, che sono pregevoli appunto perchè non rinviano mai scontento chi si appresta a consultarli. Il lettore che non ha agio o pazienza di fermarsi su molte particolarità, passi pure oltre alle Appendici dei Capitoli IV, Vili, IX e XIII; ma al lettore studioso sarà sempre grato di trovare in esse, i documenti estratti dall’Archivio di Stato di Torino, riguardanti le relazioni dello Imperatore Arrigo VII con la Lunigiana; quelli, inediti, relativi alla dominazione dei Fieschi su Pontremoli nel Secolo XV ; i Capitoli accordati ai Pontremolesi da Filippo Maria Visconti e da Francesco Sforza; e finalmente i racconti di diversi scrittori contemporanei sul secondo passaggio di Carlo VIII da Pontremoli. Delle tre prime Appendici all’ opera, abbiamo già avuto occasione di render conto. La quarta riguarda la relazione di Carlo d’ Angiò coi Pontremolesi, in un brevissimo periodo nel quale affidò la custodia di Pontremoli ai Fieschi, occupando eolie sue truppe la Terra. Importante è l’Appendice V, che ha per titolo : La vita a l86 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Pontremoli nel Medio Avo. Sarebbe difficile riassumere quanto Γ A., con la scorta degli Statuti, delle Cronache locali e di altri scrittori vi tratta largamente sull’ antico ordinamento municipale, sui rapporti fra la popolazione del Borgo e quella della campagna, sulle leggi civili e criminali, sugli usi e consuetudini locali, sul regime delle famiglie, sui rapporti di commercio e d’industria con altre provincie, e finalmente sulle persone che in diversi uffici e in varie discipline divennero illustri o notevoli anche fuori di Pontremoli. Solo diremo, in generale, che Pontremoli si governava come gli altri Comuni medioevali. I Consoli, il Capitano del Popolo, il Podestà erano le magistrature allora in uso dovunque, e che pur si trovano ricordate in Pontremoli. Vi era una nobiltà (milites) che formava un corpo da se, trovandosi che nel 1202 Gualtiero, Vescovo di Luni, fece pace coi Malaspina, e giurarono per lui, tra gli altri, anche populus et milites de Pontremulo. Gli esercenti le arti erano disciplinati sotto 1’ arte principale dei Mercanti, della quale sono ricordati i Consoli sino dal 1284. Un Consiglio Generale rappresentava il Comune, e nel suo seno si eleggevano i Dieci Savi o Sapienti che soprintendevano a tutte le spese pubbliche, il Massaro o Tesoriere, il Sindaco che rivedeva l’amministrazione del Podestà, e i Consoli particolari incaricati di vigilare sui diversi servizi del Comune. Quando poi si doveva risolvere qualche affare di grande importanza, si convocavano tutti i capi di famiglia alicujus conditionis et gradus, e tale adunanza si chiamava Parlamento. Il Consiglio generale si componeva di ottanta persone, quaranta del Borgo e quaranta delle ville; ma più anticamente gli abitanti delle ville [rurales) erano esclusi da ogni rappre-s°ntanza. « Benché, » scrive 1’ A. « Pontremoli non abbia ottenuto il titolo di città che nel Secolo XVIII, e altro non fosse che una terra murata; appena divenne Comune autonomo, si atteggiò subito a città e dall’ alto delle sue torri guardava i campagnoli (rurales) come un popolo vinto, escludendolo quindi da ogni benefizio e ingerenza di governo ; fatto che durò a Pontremoli, come negli altri Comuni liberi d’Italia, finché il potere non venne in mano del popolo minuto ». Fu soltanto per opera del Cardinale Luca Fieschi, e di Ottobono e Carlo, suoi fratelli, Signori di Pontremoli, che i rurali poterono ottenere di essere ammessi, circa al 1314, a far parte del Consiglio, ma con semplice voce consultiva ; e così durarono un pezzo. Di qui ne nacquero odii, discordie e anche conflitti, come avvenne nella rivolta della campagna, allorché era Governatore di Pontremoli Fabrizio Maramaldo. Non meno importante è anche 1’ ultima Appendice, col titolo : La Chiesa e il Convento della SS. Annunziata presso Pontremoli, che forma una completa monografia storica e artistica di quel monumento sorto sul cadere del Secolo XV. Finora non si co- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 87 noscevano gli artefici che vi lavorarono, essendo andate disperse C Convento, dalle quali potevansi attingere notizie : ma A., rovistando nell' Archivio notarile di Pontremoli, riuscì a trovai vi i vecchi libri delle entrate e spese relative alla costruzione. T utto 1 insieme di questo monumento è interessante: a Chiesa attuale che fu inalzata ingrandendo e prolungando un altra chiesa che ivi sorgeva, è grandiosa ed ardita, e cresce in maestà per la elevatezza del presbiterio e del coro, a cui si accede mediante una gradinata in macigno composta di 14 scanni , ma è priva di mosse e decorazioni architettoniche che rivelino il genio di un grande maestro. Lo stesso dicasi dei due chiostri del Convento, semplici, proporzionoti, armoniosi, ma non splendidi di elegante finezza. É un monumento insomma che^ piace, che richiama la mente e Γ animo ai buoni tempi dell arte, ed è tanto più pregevole in quanto rivela 1’ abilità, 1 arditezza, il sentimento, il gusto e tutte le altre egregie qualità proprie, nei tempi del rinascimento, anche agli artisti secondari, i quali, iti sostanza non erano che capimaestri muratori. Ed infatti in quella chiesa lavorò per primo un maestro Biagio da Firenze, magister B/asius florentìnus, designato col modesto titolo di murator, del quale è memoria dal 13 agosto 1474 all’ aprile 1475. Esso aveva fra i suoi dipendenti un fratello chiamato Clemente. A lui successe maestro Martino da Lugano, che da tempo viveva in Pontremoli e aveva costruito la rocca di Borgotaro per Obbietto de’ Fiesch i (1). Esso condusse a fine il lavoro: suo è il coro; suo il campanile; sue le sette cappelle minori e quella maggiore ; suo il convento col primo e secondo chiostro, la foresteria, il capitolo e il refettorio. Fra gli artisti minori che lavoravano a far colonne, stipiti, archi e cornicioni, i più sono lombardi, e fra questi, un magister J-acobus comascus habitator Pontremuli che è chiamato anche magister Jacobtis de Lugano, un maestro Bogino del quale non è indicata la patria; un maestro Martino de Zara e un maestro Giovanni de Bissano. Due altre questioni risolve 1’ A. riguardo a questo monumento ; quella relativa alla facciata della Chiesa, e 1’ altra ad un tempietto ottagono, di marmo, che sorge nel mezzo della Chiesa stessa. In mancanza di altre notizie, si era fantasticato, con evidenti anacronismi, che della facciata avesse dato il disegno. Giulio Romano, e del tempietto fossero autori o Matteo Civitali, che nella Cattedrale di Lucca eresse 1’ altro bellissimo (1) Il Fieschi non finì di pagare Martino per questo lavoro, per cui egli rimase in grande povertà; e nel 1467 la Comunità di Pontremoli lo raccomandò alla Duchessa Bianca Maria Sforza. Nella lettera scritta a questo scopo, chc si conserva a Milano nel R. Archivio di Stato, la Comunità qualifica Martino come magistro muratore nostro conterraneo. I 88 GIORNALE STORICO Ë LETTERARIO DELLA LIGURIA tempietto del Volto Santo, o Jacopo Sansovino. Ma 1’ A. prova che la facciata fu opera di Giovanni da Lugano, e dimostra con seri argomenti, che il tempietto deve ritenersi costruito da Niccolò Civitali, figlio del predetto Matteo. Potrà forse rincrescere a qualcuno che siano messi in bando, nella storia di questo monumento, alcuni nomi illustri di artefici di primo ordine ; ma, la verità prima di tutto ; e poi, il monumento resta sempre insigne in se stesso, e come testimonianza del valore artistico dei tempi in cui fu costruito. Pietro Bologna. VARIETÀ LE CAVE DI PIETRA NERA DETTA DI PROMONTORIO. Quel braccio del monte Peraldo che, spiccandosi dalla cima ove torreggia il forte dello Sperone, digrada dolcemente a Gra-narolo, espandendosi in aperta piaggia, si dirama quindi in parecchi poggi, alcuni de’ quali s' adimano a bagnare i lor piedi nelle acque del porto, mentre altri volgendo a occidente vanno a coronare le alture della vicina Sampierdarena. Il dorso principale, invece allungandosi in modo quasi uniforme, va lentamente a tuffarsi in mare a Capo di Faro. Quest’ ultimo tratto che corre da Granarolo al detto Capo aveva anticamente nome di Promontorio, denominazione del resto proprissima se consideriamo che i geografi designano appunto con tale appellativo quei monti che staccandosi dal continente si protraggono a far capo in alto mare. Con tal nome lo vediamo infatti ricordato dallo storico Giustiniani laddove nella prefazione ai suoi Annali, descrivendo la città, soggiunge : « ed in capo di Promontorio 1’ antica Abbazia di san Benigno ». Nè di siffatta denominazione vanno privi gli atti del governo, come ne porge esempio un decreto del 20 marzo 1452 concedente immunità dalle tasse a Bartolomeo Imperiale per la sua casa posta : in villa Promontorij in conspectu portus. Meritata Promontotij dicevasi la salita ch’ebbe poi nome, e tuttodì si addimanda da N. Signora degli Angeli; titolo questo d’ una chiesa e monastero che, eretti in dorso al colle stesso nel 1467, cadevano demoliti sull’ esordire del secolo scorse. « Valle di Promontorio » era detta quella che si sprofonda ad oriente dello stesso, e « Fossato di Promontorio » il rivo che scorre lungh’ essa e mette foce nel porto presso a s. Lazzaro ; valle e rivo che or diciamo appunto di s. Lazzaro. Ma non molto dopo 1’ alba del secolo XVII, il colle e con esso la valle e il rivo perdevano 1’ antico predicato, e la denominazione di GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 89 « 1 lomontorio » si ristringeva a poco a poco a quella falda o diiamazione del colle stesso che, piegando a occidente, s’asside superiormente a Sampierdarena ; a quel ridente poggio cioè che oggidì ha e conserva esso solo il nome di « Promontorio ». A contribuire a questo fatto concorse in ispecial modo la costruzione della cinta murale del 1626, la quale tagliava fuori '1 poggio anzidetto e con esso la chiesa parrocchiale ed il circostante abitato ; i quali però vennero di subito distinti colla espressione di extra moenia; testimoniando così che erano parte del Promontorio. Frattanto la parte a monte di esso colle rimasta chiusa entro la mura civiche, spogliatasi dell’antico nome, tolse invece a dirsi « degli Angeli » dal menzionato monastero ivi esistente. Ne ammaestra un decreto del 1656, 6 settembre, mercè il quale si ordinava il rifacimento del selciato · a sancto Lazaro usque ad Logiam ville Prementorij sancte Marie Angelorum. Nel tempo stesso la plaga inferiore toglieva nome di « Colle di san Benigno » dal vetusto cenobio, esso pure scomparso, che sorgeva a Capo di Faro. Di tal modo il predicato di « Promontorio » emigrava interamente fuori città. Federico Alizeri, che pur spese lunghe ore della sua vita tra le vecchie carte degli archivii, ricercando e raccogliendo notizie intorno agli artisti che operarono in Genova, epperciò anche sugli scultori, ignorava perfettamente ciò. Il perchè nella sua ultima Guida della città, ove accenna alla villa di Promontorio, rivolgendosi al lettore, scriveva « oggimai non discerni nè il come nè il dove 1’ amena collina di Promontorio, extra-moenia si sviscerasse a provvedere i macigni nerastri onde si abbellirono cotanti edifizi e presero forma cotanti portali >. Indarno infatti se ne cercherebbero colà le tracce. Senon-chè a schiarire il mistero si prestava un fatto naturale avvenuto non molto dopo che 1’ Alizeri così scrivesse. Accenno allo scoscendimento di una parte della falda del colle che si adima nella valle predetta di s. Lazzaro. Scoscendimento verificatosi sul cadere del maggio 1891, per uno squarcio operatovi allo scopo di trarne materiale da costruzione, e in conseguenza del quale venivano alla luce l’imbocco d’una galleria penetrante nel vivo della roccia, più parecchi istrumenti in ferro logori ed irrugginiti ed insieme ad essi una lastra di pietra nera con breve iscrizione recante la data del 1519. L’archivista civico Cav. Prof. Angelo Boscassi dando tosto comunicazione di questo fatto sul Giornale Ligustico, con felice intuito, scriveva « molto probabilmente è da credere che la cava di cui si tratta, sia quella antichissima di pietra nera di Promontorio di cui si era perduta la memoria » ; soggiungendo « non si sa quando nè perchè poi abbandonata ». Due cose però restavano sempre a sapere. L’ una come mai la pietra che si cavava da questa valle fosse detta di Promon- igO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA torio, mentre questo nome è, a memoria d’ uomini, proprio soltanto del colle che Sovrasta a Sampierdarena ; tantoché poteva sempre restare il dubbio che la si cavasse di colà e non da altrove. L’ altra cosa poi, il perchè dallo esordire del secolo XVII in appresso si smettesse Γ uso di detta pietra, quasiché ne fossero stati esauriti gli strati. Al primo quesito risposi già dimostrando come per 1’ addietro, e cioè anteriormente al milleseicento circa, il nome di < Promontorio » fosse dato al colle tutto che da Granarolo termina a Capo di Faro, e come perciò la falda di esso che scende nella predetta valle di s. Lazzaro s’intitolasse ugualmente di « Promontorio », e così pure si chiamasse di « Promontorio » il rivo che s’ origina e scorre in essa. Al secondo quesito poi mi è altrettanto facile il rispondere, mercè alcuni documenti da me recentemente rinvenuti e che qui riferisco. E il primo una supplica di Nicolò Queirazza, presentata al Governo il io gennaio 1648, colla quale espone « che nel-1’ anno 1625 fu fatto minare i pilastri di un gran sito vacuo e quello poi chiudere, in quale era dentro acqua viva freschissima ; posta nel fossato di s. Lazzaro il quale si dimanda le priere (petriere) e dal quale si facevano li portari antichi che hoggi si vedono alle case di questa città ». Seguitava dicendo che il sito apparteneva allora a Guglielmo Antonio Queirazza, suo padre ; che la ragione per cui si era fatto minare stava nel sospetto che in quel « sito vacuo » ossia caverna, vi si potesse nascondere qualche migliaio di persone e causar disordini nel governo e guerra al Comune. Soggiungeva infine che in allora Guglielmo Antonio non fece reclamo alcuno, perchè il danno prodotto dalle mine non si èra di subito manifestato ; ma in appresso la sua possessione soprastante andò sprofondando e continuava a sprofondare con danno di esso Nicolò, il quale pertanto ricorreva per essere risarcito. Il sospetto che in quelle caverne si potesse adunare gente armata a danno della Repubblica non era infatti mal fondato se pensiamo alle condizioni politiche di allora; tanto è vero che anche dopo aver minato quelle caverne, si ordinava (1629, 6 febbraio) che la valle fosse chiusa con muro così al di sopra, come al di sotto, lasciando soltanto il passo alle acque, ed in modo che non vi potesse transitare alcuno. Da una relazione di Gio. Maria Cervetto, in data 8 febbraio 1629, e scritta appunto per effettuare la chiusura di dette caverne, abbiamo altra e novella conferma che esse erano conseguenza della estrazione della nota pietra nera. La relazione è così concepita: « Notta delle chaverne quale si son fatte per chaussa (causa) delle chave di Pietra di Promontorio, parte situate nel locho del magnifico G. Agostino Scenturione (Centurione) detto (il luogo) le Priere et parte situate dalla parte GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IÇI Qppos a verso levante sopra il lagho del magnifico Ambrosio ' -fPV ?ue dicendo che nella parte di ponente sotto a ", 3 .. lt;^r'one v' sono cinque caverne una delle quali per a istruzione del monte restò chiusa e le altre sono faci mente otturabili, riempiendole colla materia estratta durante la loro coltivazione. Che dalla parte di levante, vi è una ca-verna avente due ingressi e capace di ottanta uomini, la quale consiglia pure di chiudere; più un’altra caverna grandissima capace di ottocento uomini, essa pure con due ingressi e che si potrebbe pur chiudere nel modo proposto per quelle a ponente. Letta il giorno successivo al Magistrato dei Padri del Comune, questo ordinava al Cervetto di far rovinare con polvere pirica od altrimenti chiudere, pulvere sulfureo destrui vel aliter claudi, le caverne dette, in ubbidienza a quanto era stato imposto dal senato il 6 detto mese. Il 14 del successivo marzo gli si ordinava ancora di far chiudere le caverne ed eseguire quanto prescriveva il decreto stesso. Donde parrebbe che o non si fosse ricorso al mezzo delle mine, o che il loro effetto non fosse stato bastantemente efficace. Infatti altro decreto del 22 novembre 1635 ordinava al ridetto Magistrato di far procedere alla chiusura dei citati antri e fori, antra seu foramina in montibus Promontorij existentia, sì che non vi rimanesse apertura o ingresso alcuno. Alla stregua di tali prove, resta perciò ormai pienamente accertato che la nota pietra nera si estraeva appunto e soltanto da questa valle ; la quale ne’ secoli andati s’ intitolava dal Promontorio, perchè parte del medesimo, epperciò dice-vasi di Promontorio la pietra stessa. Che anzi i lavori di scavo ivi effettuati in questi aniv misero allo scoperto ottimi strati di siffatta pietra, che già si cominciò a nuovamente adoperare in costruzioni di edifici civili, e che oltre a prestarsi opportunissima nelle riparazioni de’ portali, camini e bassorilievi di cui va disseminata Genova nostra e dintorni, potrà invogliare gli scultori d’oggi a valersene specialmente ne’ monumenti sepolcrali, ove pel suo cupo colore, figurerà nuovo ed ottimo materiale. Francesco Podestà. A PROPOSITO DI GIOVANNI TORTI A GENOVA (i). La prima notizia della nomina del Torti a Presidente della R. Università di Genova, comparve nel Censore del i° febbraio 1849, diretto da Luciano Scarabelli. « Possiamo dar per ( I ) La compilazione di queste notizie anedottiche ci è stata suggerita dal notevole scritto di Egidio Beli.orini, Ricerche intorno alla vita ili Giovanni Torti, in Archivio storico lombardo, A. XXXI, vol. I, p. 104 sgg. 192 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA certo », cos'iscrive, « che fu chiamato a presiedere Γ Università di Genova il venerando amico di Manzoni, il Nestore dei Poeti viventi, Gio. Torti. Non dubitiamo che il ligure Ateneo festeggierà una scelta cotanto assennata, e farà plauso all’ ottimo ministro Cadorna, il quale, provvedendo ad un esule onorando, onorava lo Studio di Genova con sì preclaro ornamento » (1). Al che faceva eco la Gazzetta di Genova il giorno 3, riportando la notizia che ne aveva pubblicata il i° la Concordia di Torino. La nomina ebbe sanzione sovrana con decreto del 5 nell’ufficio di Reggente, che un anno dopo, nello stesso dì, diventò effettivo. Ma « il Consiglio dell’Università », sono parole del Censore, < conosciuta appena per avviso privato la nomina, deliberò unanime che in quel magnifico palazzo fosse allestito un alloggio conveniente al venerando emigrato ; e n’ebbe parole onorate dal ministero della pubblica istruzione ». E di fatto il Ministro scriveva a questo proposito al Consiglio stesso in data il febbraio. « Sappiamo inoltre », seguita il giornale, « che la generosa gioventù dell’Università si predispone a ricevere con giubilo questo nuovo suo Preside, cui l’Italia saluta come il poeta filosofo dei nostri giorni. Fortunato quel popolo, benedetta quella terra che tiene in somma onoranza le peregrine virtù dell’ultimo scolaro di Giuseppe Parini » (2). Intanto Giacomo Borgonovo, che fu poi penalista e scrittore assai reputato, giovane allora di ardenti spiriti democratici e che doveva indi a poco sbizzarirsi col Priario sulla Strega, tolse argomento dal nome del nuovo eletto al seguente articolo, che la Gazzetta di Genova, non più giornale « insignificante », come era stata giudicata da un genovese sul cadere del 1847 (3), inserì a titolo d’onore in prima pagina (4), e che per la sua singolarità, e come segno de’tempi ci piace riferire per intero: GIOVANNI TORTI. I vecchi sistemi hanno ceduto all’ urto dei tempi, e quella libertà che ora va illuminando i differenti rami del civile consorzio, pare eziandio sia per inoltrarsi nel tempio sacro alle scienze, nelle scuole cioè, e negli atenei. Noi vedemmo, e con dolore tuttora ne proviamo le terribili conseguenze, una nullità feudale insignita di un titolo che ricorda la barbarie del medio evo, presiedere sovrana al regime di quella scienza, della quale oltre ad essere affatto digiuna, era altresì nemica per principio e per educazione. Vedemmo i professori degli atenei canuti e venerandi, spesse fiate costretti a piegar la testa innanzi ad una di queste larve, e dipendere dal cenno di questa nel sacro Ministerio affidato loro dalla Patria di dirozzare le menti dei giovani, indi- fi) N. 4. — (2) N. 25. (3) Una delle opinioni, Novi, Moretti, 1848 ; p. 15. (4) N. 45, 2 1 febbraio 1849. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IQ3 rizzandole alla conoscenza del vero e del bello. Fu questa una ruina per la patria, ruma dalla quale non andranno esenti che le future generazioni, se pure con queste non avrà tramonto quella libertà che fino ad ora è mal ferma! Sarebbe qui inutile annoverare ad una ad una le conseguenze di questo barbaro regime negli studi, il quale neanco potrebbe tacciarsi col nome di austriaco, imperocché quelle istesse riforme che ora vanno iniziandosi nello Stato nostro, da più anni furono adottate nelle fiorenti università di Germania, e Pavia stessa quantunque doppiamente soggetta e temuta, godeva nel suo Ateneo di quelle istesse modificazioni alle quali noi plaudiamo di cuore. Un denso velo ricopra il passato !____ ma la gioia presente non lo dimentichi, ed anzi'ci sia di scorta alla perfezione. L’amico di Manzoni, il poeta del cuore e della patria, Giovanni Torti, quell’ istesso che ispirato sulle pagine immortali di Dante e di Alfieri, di tali melodie facea risuonare 1’ Italia da meritarsi 1’ ammirazione dei sommi, è chiamato ora a presiedere il Genovese Ateneo. Oh potessi qui trascrivere le sue malinconiche e sublimi armonie, ed appalesare alla gioventù genovese di cui sarai padre e maestro i sublimi consigli che un giorno nella tua Epistola dettavi alla gioventù italiana. L’ ingegno e la sapienza del Torti, la sua costanza e 1’ inarrivabile amore per 1’ Italia ci sieno pegno di un lieto avvenire, e se la ricordanza di Bruto e di Ferruccio saprà vendicare all’ Italia il suo valore nell’ armi, non varrà meno al certo quella di Dante e di Michelangelo, a riconquistarle la supremazia nelle scienze e nelle arti. Giunse in Genova il Torti nei primi dieci giorni di marzo; il suo arrivo « fu accolto con favore dalla città, e dal corpo degli studenti applaudito » (i), e la sera del 9 si recava con il Bertoldi, il Valerio, il generale Antonini, a visitare le scuole serali, dove impartivano lezioni di religione e morale Giuseppe Ausenda professore al Collegio Nazionale, amico intimo di lui, e Luigi Tosi arciprete di Sabbioneta (2). In questa sua nuova dimora si rese caro ad ogni ordine di cittadini, condùcendo una vita modesta nelle cure dell’ufficio, e nella consuetudine degli amici; assiduo ai geniali ritrovi che Francesco Arese, a cui i genovesi nel gennaio del 1849 con atto patriottico avevano affidato il mandato politico al parlamento, soleva tenere in quelle sale del palazzo D’ Oria, che accolsero poi per molti anni Giuseppe Verdi. E dell’ affetto procacciatosi nel corpo accademico si faceva interprete Filippo Poggi nella orazione inaugurale dell’anno scolastico 1851-52, quando * tributava un ben dovuto omaggio di lode ai rari pregi dell’animo e dell’ingegno che da gran tempo l’Italia ammirava in Giovanni Torti > (3). 1 Gazz. di Genova, n. 59, 9 marzo. — (2) Censore, n. 35, 10 marzo. (3) Gazzetta cit., 11. 268, 15 novembre 1851. Gin,,,. St. e l.ett. delta Liguria, V. 13 194 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Quivi la sua musa, sempre sobria, poco produsse ; chè al-l’infuori di quelle epistole, accompagnate da due sonetti, poste in luce nel 1851 e dedicate al suo Arese, nuli’altro compose. Ma le occupazioni e lo stato dell’animo suo lo distolsero dal canto. Ne abbiamo documento in una lettera all’abate Cameroni, di questo tenore (1) : Carissimo Genova il 21 Gennaio 50. ......Nella carissima tua con un volo pindarico ti slanci a pungermi acremente perchè non fo versi, e mi ricordi espresso in una delle celebrate sue canzoni dal vecchio Metastasi©, di non volere per decrepitezza smettere di far all’ amore e di verseggiare. Quanto al fare all’ amore era un proponimento da vecchio matto, nè tu certo mi loderesti d’ averlo, nè si troverebbe una Fille disposta a corrispondervi. Quanto al verseggiare la è un’altra faccenda. O bene o male eh’ io l’abbia fatto in passato, mi pare che ora non lo farei peggio. Ma potere, mio caro ! Ti contrapporrò un passo di un altro poeta, il quale dice - Carmina provenutili animo deducta sereno —. E come vuoi che abbia l’animo sereno un onest’uomo che sa il suo paese in uno stato di tanta miseria di tanto squallore quale è lo stato presente della povera Lombardia; un onest’uomo poi che a settantacinque anni non può certo vagare — Per Lungo di speranze ardito sentie7* —? Il dolore si esprime benissimo in verso quando è passato; ma quando esso e la causa che lo produce è flagrante, ne rimane estinta la lena e tutte le disposizioni d animo e di mente indispensabili a far versi su qualunque argomento. Quanto al resto io sto tìsicamente bene ; il clima di Genova mi è salubre, il soggiorno incantevole, e 1’ impiego cui piacque al Governo di onorarmi non mi è grave, se non perchè mette in una troppo spiacevole evidenza la mancanza di cognizioni positive in ogni genere, di cui mi vergogno, mentre mi colloca e fa sedere come primo in un consesso di dottissimi, che chi ne sa meno ne sa dieci bilioni più di me. Mi duole 1’ intendere dalla carissima tua che sia condannato ad una fatica a cui possono appena durare le tue forze. Ma tu sei il consolatore, il protettore, il padre dei poveri emigrati. Iddio e la loro gratitudine te ne rimeriterà. V a^e II tuo aff.mo Gio. Torti Il grido dell’animo erompe vivo e possente nel considerare le « miserie > e lo « squallore » della « povera Lombardia » ; onde non senza ragione la. Gazzetta, annunziando nell'aprile del 1851 come fosse « accolto con plauso universale il pen- di È 111 copia fra le carte Cameroni nella Biblioteca civica di Treviglio. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA Ig5 siero per cui piacque » al Re « di fregiare delle insegne di cavaliere..... la venerata canizie del degno discepolo del Parini », chiudeva con queste significanti parole: « Valga una siffatta dimostrazione di stima, confermata dal pubblico voto, a rattem-prare alquanto nell’esule venerando il dolore che ogni dì gli rinnova l’immagine della vicina e sconsolata sua patria » (i). La repentina morte del Torti avvenuta il 15 febbraio 1852 alle ore 5.20 pom. ebbe un’eco dolorosa in tutti i cuori e fu vivamente sentita da quanti lo conobbero da vicino. Achille Mauri, che, vedutolo poco innanzi tranquillo e sereno, chiamato in fretta, lo trovò, mezz’ ora dopo, freddo cadavere, scrisse immediatamente quell’ affettuosa necrologia, comparsa il giorno appresso nel Corriere Mercantile (2), la quale poi rifatta inserì ne’ suoi scritti biografici; e la Gazzetta ne faceva argomento di un articolo di fondo, volto a rilevare le benemerenze patriotiche e letterarie del defunto, il quale « per aver amato la patria e celebrato con entusiasmo l’iniziato risorgimento di lei, condusse e chiuse in esigilo gli ultimi anni della sua verde vecchiaia »; egli « alla sua terra natale tornava spesso col desiderio ; ma alle brighe di parte e alle intemperanze politiche seppe e volle mantenersi avverso costantemente. Gli furono conforto e sola gioì i terrena negli ultimi anni della intemerata sua vita pochi provati amici e i suoi libri » (3). Gli vennero celebrate esequie solenni per cura degli amici nella chiesa di S. Sisto il 17 febbraio con intervento delle autorità. Portarono il feretro al cimitero gli studenti; reggevano il drappo funebre emigrati distinti, e gran numero di cittadini presero parte all’accompagnamento; « èra spettacolo pietoso insieme e solenne lo scorgere quell’estrema testimonianza di affetto e di patrio cordoglio, resa alla memoria di chi seppe ispirare benevolenza e devozione figliale in quanti apprezzarono da vicino tanta virtù a tanta modestia congiunta » (4). Dieci giorni dopo il Consiglio della Università, giusta le deliberazioni del 20 e 26 ed il consentimento del governo che raccomandava l’economia, fece celebrare nella chiesa dell’Ateneo la messa funebre, con intervento delle autorità e degli studenti (5). Frattanto il Consiglio delegato (così era allora nominata la Giunta) del Municipio di Genova, accoglieva la proposta del Sindaco, di assegnare alla salma dell’illustre trapassato una tomba distinta nel civico Cimitero sotto il pavimento tra i pi- (1) N. 89, 16 aprile 1851. (2) 16 febbraio, n. 39; fu riprodotta dal Monitore dei Comuni Italiani, Torino, 18 febbraio, n. 16. (3) N. 39 e 40. . (4) Corriere Mere., n. 45» e Gazzetta cit., η. 41· (5) Gazzetta cit., 11. 50, ig6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA lastri di un’arcata con lapide in marmo provvista dalla città, di che gli veniva gran lode dai giornali cittadini, e il Corriere in ispecie. dandone la notizia il giorno innanzi che la proposta ricevesse legale sanzione, scriveva: « Ci è grato annunziare che il Municipio, intesa la lagrimevole perdita dell’ illustre Giovanni Torti, nè volendo tollerare che la spoglia mortale di quell’uomo tanto povero di fortuna quanto ricco di fama andasse confusa nella sepoltura comune, credette provvedere ài decoro della Città concedendo gratis luogo distinto nelle arcate del Cimitero per un monumento che la pietà degli amici ed ammiratori vorrà certamente collocarvi » (i). Quest’ultimo pensiero trovò subito favore, e i tre intimi del Torti, Francesco Arese, Achille Mauri e Guido Borromeo indissero una pubblica sottoscrizione per azioni (2) ; chiamarono quindi il 27 maggio gli azionisti ad una adunanza in casa dell’Arese, dove si addivenne alla nomina della commissione incaricata di mandare ad effetto la proposta; e questa commissione riuscì costituita nelle persone di Francesco Viani vicesindaco, Francesco Arese, Guido Borromeo, Eugenio Ferranti ingegnere, Achille Mauri. Il disegno del monumento, con la firma di Francesco Arese e del-1' architetto Carlo Cecchi, venne approvato dal Consiglio Delegato il 6 giugno del 1853; ma l’esecuzione non fu troppo sollecita, poiché l’opera ebbe compimento soltanto sulla metà dell’anno successivo, essendo stata approvata l’iscrizione del Mauri il 10 giugno 1854. Senonchè la commissione non si trovò in grado di rendere pubblico conto dell’affidatogli incarico prima del 12 dicembre. Essa, dopo aver scusato il ritardo e ricordato che il lavoro era finito da circa quattro mesi, soggiunge : « [[ monumento fu collocato nel Civico Camposanto di Staglieno, e sorge in una delle arcate a sinistra del portico principale, in uno spazio che fu generosamente concesso da questo illustre Municipio. Il disegno venne fatto da uno dei sottoscritti e fu poi adattato alle condizioni del luogo e fatto eseguire dalla conosciuta perizia e diligenza dell’architetto Carlo Cecchi. Esso rappresrnta un gran piedestallo di pianta rettangolare, d’ ordine greco-romano, alquanto rastremato nello specchio, con sobrii ed acconci ornati. Nel centro dei due frontoni è scolpita una corona d’ alloro; nello specchio principale l’effigie del Torti, riprodotta con rara felicità di somiglianza e lavorata con isqui-sito studio in un bassorilievo di forma circolare da quel va- (1) N. 40, 17 febbraio, la deliberazione del Consiglio reca la data del 18, e venne approvata il 14 luglio dal Consiglio Comunale. Mi è debito porgere grazie al cav. Boscassi , il quale gentilmente mi comunicò le notizie attinte dall’ archivio municipale, al quale egli meritamente presiede. (2) La Gazzetta cit., n. 50, 28 febbraio, pubblica 1’ invito di sottoscrizione, a cui fa seguire un sonetto, assai infelice, di Gian Carlo di Negro, in morte del Torti, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IQ7 lente artefice che è il milanese Antonio Galli. L’ altezza totale del monumento è di metri 3.50; la lunghezza massima del basamento è di metri 2, e nello specchio di metri 1.50. Il bassorilievo ha il diametro di un metro. L’opera fu tutta eseguita in matmo bianco di Carrara, e il bassorilievo in marmo statuario di prima qualità ». Si riportano quindi le due iscrizioni del monumento ; una dedicatoria scolpita nella « fodrina posteriore del basamento» che dice così: A Giovanni Torti Nato in Milano il 29 giugno 1774 Morto in Genova il 15 febbraio 1852 Gli ammiratori e gli amici P. Auspice il genovese Municipio che largì questo terreno Alla tomba dell’ esule illustre; 1 altra onoraria nella « fodrina anteriose » che è quella riprodotta nelle guide, e ultimamente dal Bellorini j_i). Senonchè chi visita oggi Staglieno non può leggere la prima, perchè la « fodrina posteriore del basamento » è addossata al muro della nicchia. Sembra tuttavia che una qualche iscrizione sia incisa nello specchio posteriore a quello dove si trova il medaglione, ma poiché dista dal muro pochi centimetri, non si riesce a leggerla. D' altra parte sorge spontanea una domanda : il monumento è sempre stato nel luogo che occupa presentemente ? Dobbiamo rispondere assolutamente di no. Il municipio assegnò il posto alla salma del Torti « sotto il pavimento tra i pilastri di una arcata », e secondo la relazione del 1854 « sorge in una delle arcate a sinistra del portico principale », donde apparisce manifesto che dovette appunto essere innalzato sotto uno di quégli archi, i quali fronteggiano i nic-chioni delle gallerie e sono prospicenti sul campo, e perciò rimanere scoperto da tutti i lati, come dimostra chiaramente il cenno descrittivo della commissione, e come è facile rilevare esaminando anche oggi il monumento ; è ovvio quindi l’intendere la ragione delle due iscrizioni sopra ricordate, le quali in quella guisa erano in tutto leggibili. Vuol dire dunque che tolto, non sappiamo quando nè perchè, dal suo luogo venne infelicemente ricomposto in un nicchione sulla scala a sinistra, con (1) Gazzetta cit., 11. 296, 19 die. 1854. La commissione dà qui il resoconto del suo operato; la spesa superò l’introito, e vi sopperì uno de’ membri, che deve essere l’Arese. Nel primo manifesto aveva promesso di pubblicare i nomi dei sottoscrittori « 1’ incisione a contorni e il prospetto della spesa », ma all’ infuori del citato resoconto, non ci consta sia uscito altro. I9S GIORNAI-E STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA aperta ingiuria al concetto artistico della sua costruzione. E se da vero esiste nello specchio posteriore al medaglione un’epigrafe, può darsi vi fosse fatta scolpire per ripiego (strano ed infelice anch’esso), quando per la nuova collocazione, l’altra veniva ad essere obliterata. Nelle guide di Staglieno il monumento, o vogliam dire più propriamente il medaglione, viene attribuito a Vincenzo Vela. Ora noi sappiamo che il disegno del monumento fu eseguito da uno della commissione e adattato dall’ architetto Cecchi ; infatti venne presentato al municipio con la firma di questi e con quella di Arese, donde s’avrebbe a inferire che essi ne furono gli autori. Quanto al medaglione nella citata relazione si mette innanzi il nome del Galli, nè si nomina per nessun conto il celebre scultore di Ligornetto, d’altra parte Ferdinando Resasco nella pregievole illustrazione del nostro Cimitero (i) l’assegna al Vela, e la sua testimonianza assume non piccolo peso, quando si pensi che egli desume le notizie delle carte lasciate da suo padre Giambattista, 1’ illustre architetto civico al quale si deve, dopo la prima idea di Barabino, la costruzione dell’ opera monumentale. Se la cosa fosse proprio così, converrebbe credere che il Galli sia stato solamente 1’ esecutore valente del modello apprestato dall’ insigne statuario. Confessiamo tuttavia che il silenzio della commissione ci apparisce inesplicabile, e le parole usate a proposito dell’ autore non sono tali da far scomparire ogni dubbio. Ricorderemo in fine che Genova a rendere perpetuo il tributo d’onore all’ospite, al poeta illustre ha intitolato al suo nome una delle sue nuove strade. A. N. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Girolamo Rossi. Storia del marchesato di Dolceacqua e dei Cornimi di Val di Nervia. Seconda edizione, Borcìighera, Gibelli. 1903: iu-tf, di pp. 263 ; con fig. e tav. gen. Infaticabile cultore di memorie patrie, ricercatore indefesso di documenti, Girolamo Rossi, storico di Ventimiglia, ai pregevoli suoi numerosi lavori storici e liaguistici, aggiunge ora una seconda ( I ) La Necropoli di Staglietto, opera storica descrittìva-anedottica, Genova, 1892, p. 252; quivi dopo aver detto che « il cippo è opera dell’insigne scultore Vela » mentre nella tavola in fototipia che lo riproduce è detto « con medaglione di Vincenzo Vela », soggiunge appartenere « la parte decorativa » al Bianchetti ; infatti Γ unico nome che si legge nel monumento come oggi si presenta è quello di Andrea Bianchetti ; certo esecutore della decorazione. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ìgQ edizione, intieramente rifatta, di quella monografia sul marchesato di Dolceacqua e sui D’ Oria del ramo, detto appunto di Dolceacqua, già pubblicata fin dal 1862, e meritamente lodata da tutti i critici. Nell edizione che abbiamo ora dinnanzi, (e che è arricchita di belle riproduzioni fototipiche dei monumenti più pregevoli, e d’una cartina geografica) notevoli sono le modificazioni e le aggiunte statistiche, demogi atìcbe, storiche, genealogiche e bibliografiche. Premessa una chiara ed efficace descrizione della valle di Nervia, nella quale si danno in compendio molte ed importanti notizie sugli otto comuni, di cui è formata (Camporosso, Dolceacqua, Rocchetta, Iso-labona, Apricaie, Perinaldo, Pigna e Castel Vittorio) vien poi brevemente a trattare dell’antichissima storia della regione, rifacendosi dai Liguri JSuburiati, e rapidamente scorrendo, colla scorta delle scarse memòrie rimasteci, fino alle invasioni dei Saraceni. La vera istoria comincia col capitolo III, quando appaiono i Conti di Ventimiglia, feudatari, fra gli altri luoghi, di Dulzagana (Dulzaga, Douzaga) e incominciano le contese fra gli abitanti di quelle terre ed il loro signore. Colla costituzione dei comuni, la signoria dei conti di Ventimiglia riceve gravissimo colpo e finalmente sparisce ; altri feudatari succedono, fra cui su una metà di Dolceacqua, per acquisto lattone, Lanfranco Bulborino, o Borborino, il noto ammiraglio genovese, che fu sconfitto a Trapani nel 1256. Dolceacqua si pone nel 1258 sotto la protezione di Genova; altri comuni della valle fanno altrettanto. E il Rossi esamina gli statuti di Apricaie, da lui scoperti fin dal 1852, e indicati, insieme a molti altri come è ben noto, negli Atti della Società ligure, sotto il titolo Gli Statuti della Liguria. Nel 1270 dagli eredi del Borborino e da altri proprietari comperava il feudo di Dolceacqua e dei luoghi limitrofi Oberto D’ Oria, il futuro vincitore alla Meloria, e da lui ebbe origine quel ramo dei marchesi di Dolceacqua, che ancor oggi si conserva. Ma il Rossi, colla scorta d’ un prezioso documento, da lui scoperto nell’ archivio di Genova, corregge 1’ errore in cui caddero tutti i genealogisti, e dimostra come successore di Oberto nei feudi di va! di Nervia fu il figlio di lui Raffo e non Andriolo, che fu invece erede del feudo di San Remo. Vien poi a narrare diffusamente le guerre civili fra guelfi e ghibellini, D’Oria e Grimaldi, partigiani di re Roberto, che funestarono la regione ; finche Imperiale D’Oria, approfittando delle strettezze in cui si trovavano i comuni della valle, si fece Signore assoluto (1349), abbattendo ogni liberta, e trattando con estremo rigore quelli che osarono ribellarsi. Allorché Nizza si diede alla Casa di Savoia, anche il comune di Pigna ne seguì le sorti, e divenne sede di un castellano sabaudo 200 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA (1888) ; di qui lunghe contese fra i nuovi sudditi della Casa Sabauda e i D’Oria, spesso composte per mediazione, finché nel 1524 Bartolomeo D’Oria, messo al bando dell’impero per aver assassinato Luciano Grimaldi, si fece vassallo di Carlo III di Savoia. Per vendicare l’offesa Agostino Grimaldi si impadroniva dei feudi tutti di Val di Nervia, e li sottometteva al suo dominio, e poco dopo, riuscito ad aver nelle sue mani l’assassino, lo fece processare e dannare a morte. La fortuna di Andrea D’ Oria, divenuto arbitro delle sorti di Genova, giovò anche ai parenti del ramo di Dolceacqna per opera sua furono scacciati i Grimaldi e ristabilita l’antica indipendenza del feudo. Scoppiata la guerra fra Genova e Carlo Emanuele I (1625) i D’Oria (che di mal animo riconoscevano la loro soggezione alla Casa di Savoia conseguenza dell’ atto di vassallaggio fatto da Bartolomeo a Carlo III) parteggiarono per Genova ; ne seguì una breve guerra, dopo la quale Carlo Emanuele si fece vendere da Carlo D’Oria tutti i feudi. Ma avendo poi rifiutato di firmare l’atto, egli fu trattato come ribelle ; i feudi furono occupati, finché nel 1652 il successore di Carlo, Francesco, fece la sua sottomissione e n’ebbe in compenso il titolo marchionale. Anche degli ultimi casi del marchesato, dall’agitato periodo dalle guerre di successione alla rivoluzione ed all’invasione francese, narra sommariamente le vicende il nostro autore, intramezzando il racconto colle biografie di alcuni uomini illustri, nati nella Val di Nervia, tra i quali primeggiano l’astronomo Cassini e il nipote di lui Filippo Maraldi. Certo sarebbe stato opportuno non riunire in un solo elogio i sommi coi molto modesti ed oscuri, e lasciare in disparte, i presidenti di tribunale, i parroci, i preti delle Missioni e i capi-divisione a riposo: ma, dato lo scopo che il libro si propone e il nobilissimo impiego del denaro, che si ricaverà dalla vendita di esso, si comprende e si spiega come il Rossi nelle ultime pagine abbia procurato di accrescere il numero dei suoi lettori, facendo assegnamento sulla vanità campanilistica dei suoi concittadini. E del resto i pregi del lavoro, l’importanza dei nuovi documenti, (fra i quali l’albero genealogico della casa D’Oria di Dolceacqua) largamente compensano questo difetto del lavoro, dovuto all’infaticabile scrittore, che da quasi cinqnant’ anni coi suoi studi storici illustra la sua regione natale. Camillo Manfroki GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 201 Le Sénat de Nice avant 1792, seu attributions judiciaires et politiques. Renseignements historiques tires de ses Archives par Henri Moris, Archiviste des alpes-maritimes, Nice, typog. Mai vano, 1902, in-8, pp. 135. E questo un libro scritto in francese, stampato in Francia, ma che appartiene totalmente all’Italia. Passata la città di Nizza, nel 1388, dal dominio degli Angioini ai duchi di Savoja, vi rimase fedele sino al 1860, in cui cessando essa di far parte del Regno d’Italia che si era formato, veniva restituita alla Provenza, dalla quale aveva, dalle più remote origini, rilevato. Di questo ne fa chiari la dipendenza del suo vescovato dalla metropolitana di Embrun; mentre la finitima Yentimiglia e le altre chiese liguri riconoscevano a loro primate l’arcivescovo di Milano; ne sta in prova ancora il suo viscontado, dipendenza del Contado di Marsiglia ; mentre i confinanti custodi rilevavano dalla Marca d’Ivrea. Abbiamo voluto segnare questi fatti eloquenti, i quali dando ragione dei confini assegnati dalla natura all’Italia occidentale nell’Alpe somma presso Turma, si riferiscono alle vicende storico-geografiche della città di Nizza che potrà gloriarsi d’avere generato all’Italia (mentre vedea sventolare sulle sue mura il vessillo Sabaudo) tre insigni figliuoli: Pietro Gioffredo, Gian Carlo Passeroni e Giuseppe Garibaldi. Autore della monografia su enunciata, si e Enrico Moris, preposto agli Archivi delle Alpi marittime, della cui ricca suppellettile pubblicò un copioso e ragionato Inventario. Si devono pure alla sua penna Les opérations militaires dans les Alpes-maritimes et les Apennins, dans la guerre de succession (1742-48), non che Les campagnes dans les Alpes pendant la Revolution, in cui ebbe a collaboratore Leonzio Krebs. — È più noto fra noi il Cartulairc de VAbbaye de Lerins, intrapreso colla cooperazione di Edmond Blanc nè può passarsi sotto silenzio la stampa, non ha guari venuta in luce, riferentesi al Senato di Nizza. La cui istituzione sebbene dati soltanto dal 1614 ; pure ha obbligato lo scrittore a risalire più avanti, affine di trovar l’addentellato coll’ argomento, che avea preso a trattare, diviso in dodici capitoli. Ci fa conoscere il Moris, che volendo il duca di Savoja Carlo Emanuele I soddisfare non meno i giusti desideri di una eletta parte di sudditi, costretti nelle cause d’appello di ricorrere ai Senati di Ciamberi e di Torino, che rintuzzare, coll’istituzione di un potere centrale giudiziario, l’alterigia del prepotente e indocile conte di Boglìo, con sue lettere patenti dell’8 marzo 1614, erigeva il Senato di Nizza. É questo l’argomento del primo capitolo; mentre si parla nel secondo dello terre, che venivano sottoposte al 202 GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA novello Senato, le prefetture cioè di Nizza, Sospello, Baroellonetta ed Oneglia ; i contadi di Boglio e di Tenda e il marchesato di Dolceacqua. Seguono nei capitoli terzo e quarto le notizie sulle attribuzioni amministrati ve, politiche e giudiziarie del corpo senatoriale; nel quinto sul collegio degli avvocati e dei procuratori. Si ha nel sesto il Regolamento interno, nel settimo il cerimoniale, nell’ ottavo il sistema penale. Si continua nel nono a parlare del-l’Edificio a tal uopo destinato; nel decimo dei Tribunali speciali, nell’ undecimo degli Archivi e chiude il dodicesimo un riassunto storico, politico, economico e sociale, estratto dagli Archivi senatoriali. In questo si tratta di industrie, di opere edilizie, di confini, di Ebrei : si parla del celebre processo di tradimento contro Annibaie Grimaldi Conte di Boglio e del suo figlio Andrea, Barone di Lavai. Vengono ricordati i diritti del Porto franco di Nizza, di λ il lafranca e di Sant’Ospizio; il diritto di Pannalità, e l’elenco dei consolati esteri, chiude finalmente questo capitolo un cenno sommario sulle investiture dei numerosi feudi del contado nicese, cenno che ci rimena a considerare che etnograficamente Nizza non lece mai parte della Liguria. Mentre infatti Genova e le più antiche città sue convenzionate, Luni-Sarzana, Savona, Albenga e Ven-timiglia si onorarono di un corpo di nobiltà cittadina, Nizza non ebbe mai che la nobiltà feudale e quella largita dai principi ; come basterà a convincerne la lettura dei nomi delle famiglie e delle diverse epoche, in cui vennero dai Monarchi sabaudi, dei numerosi feudi della regione nicese, investiti. Da un suddito italiano non si sarebbe potuto ripromettere una trattazione dell’argomento più sincera e più precisa di quella, che ci ha porto 1’ egregio Enrico Morie. Girolamo Rossi M. Roberti. Il collegio -padovano dei dottori giuristi. I suoi consulti nel secolo XVI. Le sue tendenze. Torino, Bocca, 1908; in-8. di pp. 79. Carlo Malagola pubblicando nel 1888 gli Statuti delle Università e dei Collegi dello studio bolognese notava che la storia dei Collegi dei dottori è assai men conosciuta che non quella delle Università degli scolari. Copiose, documentate notizie intorno al Collegio dei dottori giuristi di Padova ha raccolte e discusse il dottore Roberti professore di storia del diritto nella Università di Ferrara. Da uno statuto del codice carrarese del 1284, già pubblicato dal Gloria, rileviamo che fin da quell’anno almeno il Collegio giurista dava consulti. E il Comune con grande liberalità, che la Veneta repubblica poi non imitò, consenti al Collegio gli desse anche se fossero riusciti a danno del Comune stesso. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 203 Ma non è questo il luogo di seguire il R. nelle sue indagini sulla costituzione del Collegio, sul modo come i consulti venivano chiesti, sulla procedura da esso seguita. Ricordiamo invece fra gli esempi di consulti del secolo XVI ricercati e studiati dal R. (1) due chiesti dalla Repubblica di Genova. Nei volumi dell’Antico Archivio Universitario di Padova serbasi una lettera del Doge e Governatori della Ser.ma di Genova al « M.co Alessandro Gentile del Mag.c° M. Nicolò Cittadino nostro n colla data 5 febbraio 1589. Il R. la dà nell’appendice di documenti che correda il suo studio. La Ser.ma si rivolge al Gentile studente in Padova perche consulti il Sacro Collegio Giurista intorno alla lite che agitavasi dinanzi a Cesare fra la repubblica e Scipione Fieschi. TI Gentile è pregato di a assignai· questo travaglio al-l’amor che deve alla patria s. Segue la lettera del Governo al Sacro Collegio stesso (Genova XXI Novembre MDLXX1) posteriore alla precedente di quasi tre anni, se la data è esatta. Con questa dovevano essere « un compendio del fatto e le scritture necessarie » di cui parlasi nella lettera, nella quale pure si aggiunge che “ oltre che la causa sia di debita importanza, le conseguenze che ne potrebbero seguire sarebbero di molto maggiore importanza e rilievo ri. Il parere del Collegio era contrario alle pretese addotte dinanzi a Cesare da Scipione Fieschi, per riavere le terre e castella confiscate dopo la famosa congiura e le condanne del 1547 e del 1552 pronunziate da Carlo V contro Gianluigi Girolamo e Ottobuono Fieschi. Il parere del Collegio e le ragioni avversarie vengono perspicuamente riassunte dal R. Altro consulto, e questo di diritto ecclesiastico, chiese la Repubblica di Genova al Sacro Collegio nel 1651 : tratta vasi del giuspa-tronato su d’ una chiesa e convento, che aveano già appartenuto ai monaci basiliani, e eh’erano fondazione che risaliva a certo nobil cittadino Oberto Puerpero del secolo XIV (1808). Soppresso il convento in principio del secolo XVI, i monaci mutarono il titolo della chiesa e del convento rispettivamente in abbazia e beneficio semplice, continuando a goderne i redditi, mentre la Repubblica affermava su questi i propri diritti e inoltre il diritto di nominare chi doveva officiare nella chiesa, essendo come patrona succeduta essa agli eredi del fondatore, la cui discendenza erasi estinta (2). (1) Quel buon ricercatore delle cose venete medievali, che è Arnaldo Segarizzì, ne avea studiati alcuni riferentisi al Trentino nell’Jirc/i. Treni. del 1901 (anno XVI ; fase. i). (2) La controversia si riferisce al monastero di S. Bartolomeo degli Armeni, la cui fondazione risale al 1308, a' tempi cioè dei!’ arcivescovo Poreheto Spinola : e la lab- 204 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Avremmo per parte nostra desiderato che il R. pubblicasse i documenti anche per questo consulto ma egli ha preferito, naturalmente, diffondersi a ricercare in quei consulti le nuove tendenze dei giuristi padovani conforme allo spirito del secolo XVI (1). Guido Biuoni Enrico Zanoni. Paolo Panda nella vita e nelle opere. Livorno, Giusti, 1904 ; in-8, di pp. 315. Che il Paruta stia a distanza parecchia dal Machiavelli fra i politici del secolo XVI non è dubbio ; è certo anche essere il suo il primo nome che alla mente ci corra, dopo quello del segretario fiorentino, ove pensiamo agli scrittori del gran secolo ammaestrati dalla severa Clio alla scienza e all’ arte di Stato. La distanza surricordata proviene sì dalla minor vigoria dell’ intelletto nel veneziano ma anche da un’ altra ragiono : che per quanto il mio compianto De Leva lo chiamasse « lo storico men veneziano e più italiano di tutti n questo era solo un giudizio di comparazione cogli altri storici nati in sulla laguna, e non già un giudizio assoluto sulla italianità sua. Questa è certo maggiore nell’ autore del Principe come Firenze era fiore se non capo d’Italia, mentre Venezia fu sempre una specie di mondo a se in molti momenti, sotto molti rapporti estranea alla penisola : in lotta con Milano la capitale morale, con Roma la capitale religiosa, con Firenze che vorrei chiamare la capitale civile. La sua origine romano-bizantina tiene la repubblica di San Marco fuori o quasi delle vicende del gran corpo carolingio prima, feudale poi, i suoi rapporti antichissimi brica venne innalzata alle falde della collina di Multedo in un terreno donato da Oberto Purpurerio ai due monaci armeni dell’ ordine di S. Basilio, frate Martino da Segarizza e frate Guglielmo. Innocenzo X soppresse nel 6150 questi frati e ordinò al cardinale Durazzo arcivescovo di Genova, di cacciarli dal convento, ritenendoli come semplici preti sotto la sua giurisdizione, mentre la chiesa fu data in commenda al cardinale Lorenzo Raggi. Allora si accese una controversia fra la Repubblica e il cardinale intorno al giuspatronato, e al diritto di eleggere altro ordine monastico per succedere ai basiliani. Alessandro VII sentenziò in favore della Repubblica, la quale il 1 gennaio 1656 decretò di chiamarvi i Barnabiti. Cos\ entrarono solennemente in possesso il 3 maggio con intervento del doge, del senato e di molta nobiltà (cfr. Giscaroi, Chiese di Genova ; Ms. R. Università). (1) Il documento I pure vuol esser qui ricordato : una richiesta di Ferdinando I Imperatore sulla questione tra Alfonso Marchese di Finale della casa Del Carretto e la repubblica di Genova che lo aveva spogliato del dominio (erroneamente il R. lia letto Marchionem Finaxii e tradotto: di Finasso). A p. 66 in nota si citano anche due lettere di Ferdinando stesso e due del suo successore Massimiliano II sulla « lite degli Adorni », ma senz’altra indicazione. Per i documenti VITI e XVII e il commento relativo fatto dal R. sui processi di stregoneria nel cinquecento, non gli sarebbe stato inutile conoscere lo scritto di Michele Rosi sulle streghe di Triora, di cui fu pubblicata una ncstra recensione in questo Giornale nell’anno I ( 1900, pp. 149-150). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 205 coll Oliente la distaccano dai paesi del sacro impero romano della nazione germanica, la sua splendida, la sua miracolosa e caratteristica cattedrale la congiunge a tutt’altro paese da quello Che Appellili» parte il mar circonda e l’Alpe. Quindi la sua politica grettamente veneziana dopo le grandi vit-toiie su Milano e la pace di Lodi (1454), quindi quella che il Balbo con lagiono chiamò « viltà e stoltezza del volersi tener, nei pericoli comuni, isolata », quindi le pratiche con Francia che poco mancò non oi tirassero in casa la mauvaise guerre prima ancora degli accordi Ira Carlo Vili e Lodovico il Moro, quindi gli odii grandi contiodi lei scatenatisi nella lega di Cambray e poi il suo restringersi nella neutralità e il nuovo appartarsi dagli affari della penisola, solo intendendo a quello che certo era grande e glorioso affar suo e benemerenza grande: la guerra col turco, ma certamente, in nazione sì commerciale non disinteressata politica, non tale da farci dimenticare trascurata da lei quella più grande impresa della nazionale indipendenza « a cui ella sola torse poteva essere capo o centro che ella più che le altre potenze italiane poteva prevedere necessaiia v (1). Ecco perche nel Paruta asssuna pagina è che nemmeno lontanamente possa paragonarsi alla conclusione passionata del Principe ("2) : la contraddizione poi che in lui è palese tra la ragione e la fede lo tiene in quella che il Desanctis giustamente chiamò u mezzanità di spirito » e gli toglie u quella fisionomia di originalità e di sicurezza » proprie degli uomini nuovi (3). Questa maniera che ho procurato d’ adombrare non è quella che ha seguita il prof. Z. nell’ indagare il pensiero del Paruta. Quanto alla vita, egli ne dice poco più di quello che sapevamo dal discorso premesso dal Monzani all’ edizione Le Monnier delle opere politiche del veneziano. Evidentemente l’attenzione dello Z. si è di preferenza rivolta agli scritti del suo autore. Dei quali egli ci dà un riassunto e un’analisi minuziosa, così dei dialoghi Della perfezione della vita politica che dei Discorsi politici ; così delle opere storiche che della famosa Relazione dell’ambasciata di Roma Vanno 1595 e dei (1) Ancora Balbo, Sommario della storia d'Italia. Età settima. (2) Villari. Machiavelli (2 ediz.), Libro II, Cap. V, nel quale agli articoli « l difensori della Chiesa etc. » del Paruta non è cenno, p. 421 e segg. (Milano, Hoepli, 1895). A pp. 437-38 diconsi del Rodino alcune cose che.se non erro, potrebbero anche applicarsi al Paruta. Nemmeno alcuna delle confutazioni parutiane alle asserzioni antiveneziane del Machiavelli è mai dal Villari menzionata. (3) Storia della letteratura, II, p. 285, settima edizione (Napoli, Morano, 189ì). È utile dare il titolo completo dei discorsi parutiani : Dei discorsi politici sopra diversi fatti illustri e memorabili di principi e di repubbliche antiche e moderne. 206 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Dispacci che sono quasi quattrocentocinquanta, e si riferiscono ai tie anni nei quali durò la legazione di Roma (dall’ Ottobre 1592 al-1’ Ottobre 1595). Nel discorso, che avrebbe dovuto premettere alias pubblicazione di tali dispacci l’indimenticabile ab. Rinaldo Fulin, e che fu invece redatto dal suo degno e superstite amico Giuseppe De Leva, già era dichiarato come i dispacci meglio ci facciano entrare nel vivo dei negozi diplomatici non solo, ma li espongano <* con tanto maggiore veracità quanto che la mente non era turbata dal sospetto che potessero essere letti altrove che nel Senato o nel Consiglio dei Dieci n. Fin dal 1864 il Fulin- illustrando alcuni dei dispacci riguardanti un episodio della vita politica del Partita, che era, per caso, sfuggito alle considerazioni del Monzani, diceva, che la pubblicazione intera di quelli doveva u mettere in piena luce la fama n del politico veneziano (1). Questa pubblicazione venne fatta nel 1888 per cura della R. Deputazione Veneta di Storia Patria ; seguirono poi varii studii sul Paruta dei quali troverà indicazione il lettore nell’ ottimo Cinquecento del Flamini, e finalmente questo volume del Z. ricco di pregi specialmente in quanto si riferisce all’analisi degli scritti e alla politica del Paruta riguardo alla Romana Curia. Anche in questo mostrandosi egli venezianissimo, cioè cattolico si ma assai geloso dei diritti dello Stato, reputando egli pure, secondo che dirà poi fra Paolo Sarpi, essere la inframmettenza della Chiesa nella politica non divina cosa ma fraudolenta (2). E del carattere della politica papale nella seconda metà del secolo XVI molto egli aveva imparato fin da giovinetto, dal 1562 quand’ egli avea soli vent’ anni ed aveva accompagnati oltralpe Giovanni di Lezze e Michele Suriano che andavano a complimentare Massimiliano d’Austria nuovo eletto re dei Romani. Erasi allora trattenuto a Trento dove Pio IV avea finalmente riconvocato il Concilio Eucumenico affine di porvi termine, e in casa di Monsignor Contarmi Vescovo di Baffo di cui egli era ospite e in casa di Matteo Dandolo senatore che ospitava il da Lezze e il Suriano molto avea sentito disputare, e da uomini cattolici si ma acuti intorno alle mondanità del Concilio, alle passioni, agli interessi, per i quali anziché a restaurazione si approdo colà a vera e propria reazione. E fu sopra tutto la vittoria di quella parte u quasi tutta italiana.....che condotta dal Caraffa e dai Gesuiti, aveva inoltre più viva in se la tradizione storica del Pontificato n (1). {i ) Pe Leva. P. Paruta nella sua legazione di Roma (Venezia 1888) e la nostra recensione nella Riv. Stor. Ital., fase. I del 1889 12) Battisteli.a. La politica ecclesiastica nella repubblica di l/cnezia (Venezia, 1898) estr. dal N. Arch. Ven. e la nostra recensione nella Riv. Stor. Ital. di quell’ anno. (3) Pai ole del Bakzeu.otti nel suo ultimo libro Dal rinascimento al risorgimento ( GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 20 7 ·, p ascendo da lungo tempo di questa parte i maneggi e la forza FT TT sverl*'ai'e Plesso la Curia Romana il tentativo di o,. 1 eia ^ principe-a cui particolarmente quella appog- ” 1,0 6 P10P0Qeva una Lega, la quale avrebbe finito a met-e a sua isciezione tutta l’Italia. Appena il papa, Clemente Vili, r ■ θ cenno al Paruta così come una vaga idea, non già prin- l0,;1 negoziato, vide tosto il Veneziano dove stava il pericolo, ‘.a ln v'u*e delle opere sue, aveva esaminati profondamente 01 f e^c leghe. E svelando al papa le malcerte celate ragioni a coit,, vantaggi e i sicuri pericoli delle proposte spagnuole, tosi senza parere « per via di discorso » parlando come l’oc-ε om. penava, sia col papa stesso, sia coi più autorevoli cardinali, enne c io Clemente Vili dichiarasse al re che la lega doveva vere caiatteie puramente pacifico e difensivo; così questo, visto scoperto il suo giuoco, lasciò cadere la pratica. D una diplomazia siffatta venne ad avere beneficio non solo la ' pienissima, ma tutta l’Italia. Era l’utile effetto di quel rinnovami nto (e cosi tosse stato maggiore!) che il partito de’ giovani patrizi avea recato fin dal 1583 alla politica interna di Venezia abbattendo la fazione oligarchica, ch’erasi tenuta stretta ai due rami a casa austi iaca, per la necessità d’averne aiuto contro la potenza dei Turchi. Il politico « il diplomatico non son dunque nel Paruta inferiori all uomo e allo scrittore e lo Zanoni vorrà scusarci se la simpatia pei 1 argomento ci ha tratto a parlare di questo nel poco spazio che avevamo disponibile, anziché più paratamente del bel libro che gli fu da lui dedicato. Guido Biooni G. Brizzolara. Ancora Cola di Rienzo e F. Petrarca (in Studi Storici, Pisa, Vol. XII, pp. 353411). Le dispute dei critici intorno a colui, che il Gregorovius stimò essere « il prodotto della contraddizione, in cui Roma nel 1300 si tiovo con sè stessa e col suo tempo n e che il Lombroso definì “ un fenomeno singolare ed un geroglifico per gli storici n, intorno cioè a Cola di Rienzo, non sono ancora cessate. Ed ora il B„ non nuovo allo studio di questo personaggio, ha pubblicato la prima parte d’un suo articolo, in risposta a quanto il Filippini, sullo stesso periodico, aveva scritto, combattendo le opinioni del B. sugli ideali politici del tribuno. Questi ora, non persuaso dagli argomenti del suo contradditore, ripiglia la questione, mostrandosi del tutto (Sandron, 1904) libro vigoroso originale come è desiderio che molti se ne scrivano in Italia ; p. 118 del saggio /. in-8, di pp. 243. — E’ questo un contributo importante all’ epistolario del Tommaseo, che pur un giorno dovrà essere raccolto ed oppoitunamente il lustrato. Diciamo importante per il periodo entro cui si svolge rispetto a .1 vita dell’ autore, all’ ambiente che rispecchia, ai rilievi cui dà luogo, ai giudizi di varia ragione, alle opinioni, agli intendimenti, all operosità di che quivi si hanno documenti spontanei, incisivi, veritieri. Sono lettele scritte li* per li, con que’ tocchi brevi, comprensivi, che rimasero una particolarità caratteristica costante del suo stile e del suo modo di esprimersi. Ma del pari è notevole 1’ acutezza della mente, la cultura larga, il senso del bello, e il gusto affinato che si manifesta sovente, anche nelle più piccole cose e fugaci. Donde si vede come certe doti, certe qualità fosseio in lui connaturate e rimanessero tal quali così negli anni giovanili come ne più tardi. Rileva giustemente il diligente editore che Γ aprire « senza riserve, tutto intero 1’ animo suo ; speranze e sconforti, odi ed amori », al Cantù meglio che ad altri, deriva da « una certa maggiore affinità di carattere e conformità di attitudini e di studi ». Ma se questa corrispondenza epistolare fosse stata pubblicata senza i dovuti riscontri, e le necessarie dilucidazioni, F utile ne sarebbe stato assai minore e parziale. Per buona sorte è venuta alle mani di chi ha saputo dare ad essa forma organica e corredarla di tutte quelle notizie che riescono atte a chiarire cose e persone ; il commento è quindi comportabilmente largo, e soddisfa pienamente alla cuiiosità del lettore, facendogli conoscere le persone ricordate, i fatti accennati anche con semplici allusioni, e tutte quelle pubblicazioni di cui è parola con un corredo bibliografico ricco ed esatto. Oltre ai ritratti del Tommaseo e del Cantù, adornano il volume quelli di altri parecchi, intercalati opportunamente a loro luoghi. Un indice alfabetico dei nomi agevola la ricerca. Perchè a pag. 134 quell’ interrogativo a fortori ? e a pag. 209 quel sic a mitidio ? Camillo Manfroni. Lezioni di storia d’ Etiropa e speciabnente d Italia dal 1748 ai dì nostri. Quarta edizione aumentata. Livorno, Giusti, 1904 ; in-8, di pp. VI-391 — Il favore che questo libro si è acquistato nelle scuole ha la sua ragione nelle qualità intrinseche, e nell agevolezza della forma. Buono il disegno generale, buona la distribuzione della materia, la quale senza salti e senza lacune procede ordinata, e mette dinanzi al lettore la successione dei fatti secondo il razionale concatenamento. Ea nanazione che comprende un secolo e mezzo di storia, insigne per grandiosi avvenimenti, corre rapida e spedita, non ommettendo giudizi od osservazioni critiche, sia che scaturiscano dall' opportunità stessa del racconto, sia che si rilevino implicite nella figurazione degli uomini e delle cose. Il libro, che si vantaggia in questa recente edizione d’ una giunta cospicua in principio (ben venticinque lezioni) ed in fine di alcune nuove pagine sintetiche intorno alle scienze alle lettere ed alle arti, oltre a convenienti ritocchi quà e colà, non è soltanto un utile manuale scolastico, donde il docente può trarre argomento a render vivo e colorito il suo insegnamento, ma un buon aide-memoire per qualunque classe di lettori. Giuseppe Gioecelli. L’ ultima moneta coniata nella Zecca di Casale Monferrato. Milano, Cogliati, 1903 ; in-8, di pp. 7. — Pubblica un sesino di Casale del 1706, moneta denominata altresì madonnina, perchè portava l’ immagine della Madonna di Crea. E’ importante perchè si riferisce all’ultimo anno in cui Casale fu governato dal duca di Mantova, e segna quindi la fine di si fatta dominazione in Monferrato. Per di più viene a correggere la inesattezza dei Promis, i quali pur conoscendo dei rovesci della zecca ca- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA-LIGURIA 213 sa ese con a madonna e 1’ anno 1705, non trovarono alcun esemplare di mone a attuta, e segnarono il 1697 come ultimo confine in cui ebbe vita que a zecca, suffragando la loro opinione con alcune considerazioni, che il i. y or,osamente combatte. La moneta sopravvisse alla distruzione ordinata '•lî coir0 ^me(^eo Poìchè venne portata a guisa di medaglia sospesa Mario Labò. San Giovanni d’Andorno. Genova, Sordo Aiuti, 1903 ; 111 < , 11 pp. 55, con fig. Ecco una descrizione fatta con garbo così dal ato storico come da quello artistico. Non solo noi acquistiamo una piena ed esatta conoscenza di ciò che é il santuario a’ nostri giorni, ma e delle sua oiigine e di ciò che fu. Di più si legge volontieri, perchè dettato in forma semp ice, spigliata, geniale, non priva di qualche tocco di sano e piacevole umorismo. A pag. 28 bisognerà correggere in 1672 il 1675 a proposito della gueira lia la repubblica di Genova e Carlo Emanuele II, e poi sarà doveroso togliere via quell’ accusa di viltà apposta al conte Catalano Alfieri, sul quale il L. potrà leggere utilmente il capitolo VI della bell’ opera del Masi intorno ad Asti e gli Alfieri. Di qui potrà rilevare con quanta cautela convenga leggere le istorie del Brusoni ; scrtftore prezzolato, secondo ne fanno fede il Ricotti e il Claretta. Angelo Boscassi. Illustrazione stòrica dello stemma di Genova. Seconda edizione. Genova, Pagano, 1903 ; in-8, di pp. 35, con IX tav. — Le vicende, le trasformazioni, i concieri onde nel volgere dei tempi andò soggetto lo stemma della città di Genova, si ricongiungono e trovano lor ragione nella patria storia. Non fu dunque un fuor d’ opera quella dell’ a. nel togliere a soggetto di speciale monografia tutto quanto si riferisce alla impresa dei ge novesi, e la fortuna di questo utile lavoro sta appunto nel fatto che ne é stata necessaria una ristampa. A dar piena contezza del suo assunto il B. partisce la narrazione in sette periodi, i quali rispondono alle modalità ed ai cambiamenti del governo, donde il modificarsi dello stemma e relative leggende. E mentre egli attinge dalle istorie nostre i fatti salienti che diedero luogo ai diversi' ordinamenti dello stato; si giova utilmente per la parte rappresentativa, della sfragistica, della numismatica, della scultura, della pittura, dell’ epigrafia. Di qui ci è chiarito come e perchè nello stemma oggi innalzato dal comune permangono i grifoni a sostegno dello scudo crociato, cui sormonta la ripristinata corona ducale, cimata dall’ erma di Giano. E’ qui plasmata tutta la storia gloriosa della ligure metropoli dalle sue origini leggendarie sino a tempi nostri, in una parlante divisa, non vana e cervellotica espressione di boria municipale, ma viva e parlante immagine di virtù cittadina. Il lavoro del B., adorno di belle e ben riuscite riproduzioni delle insegne e degli stemmi, torna quindi giovevole a ben interpretare gli emblemi della impresa comunale, ed a renderne manifesti i significati. La singolare competenza dell’ a. in si fatto argomento araldico riceve rincalzo dalle utili osservazioni che egli ha esposto a proposito dello stemma genovese recentemente scoperto nel Palazzo Ducale (cfr. Il Cittadino, 1904, 11. 161). Placido M. Lugano. Memorie dei più antichi miniatori e calligrafi olivetani. Firenze, Salesiana, 1903 ; in-16, di pp. no. — Questo libretto composto con molta cura, frutto di ricerche diligenti e pertinaci, è mandato in pubblico dall’ a. come « una guida cronologica della biografia d’ogni artista » sul quale s’ intrattiene, poiché egli ha in animo dì darci « una completa illustrazione » dei miniatori e calligrafi olivetani accompagnata da « numerose e buone incisioni ». Lavoro che riuscirà certamente importante, secondo si può desumere da quello che ora ci sta dinnanzi, dove gli artisti 214 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di cui si parla contano a ben ventiquattro, e muovendo dal secolo XIV, scendono fino al XVII. Anzi, a ino’ di conclusione, si tocca dell’ arte del minio nel secolo XIX e sono ricordati alcuni monaci che la coltivarono. Le biografie, sovente accompagnate da un’ utile tavola cronologica delle dimore e degli uffici di ciascuno, poggiano tutti sopra documenti sicuri e sono semplici e sobrie. Va innanzi ad esse una prefazione, dove si discorre in generale de’ miniatori e calligrafi, singolarmente degli ordini religiosi, e in particolare de’ benedettini ; si dà notizia delle fonti e si spiegano alcune modalità e denominazioni, a meglio intendere le notizie biografiche. Giambattista Marchesi. Romanzièri e romanzi italiani del settecento. Studi e ricerche con bibliografìa e illustrazioni. Bergamo, Ist. [tal. d Arti grafiche, 1903 ; in-8, di pp. 431, con fig. — Vasta materia ha preso a trattare 1’ a., e non facile ad essere convenientemente disciplinata, per ridurla nei confini di una giusta trattazione, e presentarla agli studiosi in modo utile e chiaro. Egli con una opportuna divisione ha vinto questa difficoltà. Sette sono i capitoli onde il suo lavoro si compone. Ricerca nel primo quale influenza abbiano esercitato in Italia i romanzi stranieri, dei quali si fecero fi a noi molteplici traduzioni, tutte però sostanzialmente di poco valore, ma che valgono a dimostrare come il gusto singolarmente francese fosse dilagato nella nostra letteratura narrativa, al quale proposito non è fuor luogo osservare come la merce straniera avesse acqistato tanto credito, che gli stessi italiani a rendere accetti certi loro zibaldoni romanzeschi solevano qualche volta gabellarli per traduzione dal francese* E poiché la maggior produzione del settecento, e la più notevole per vari rispetti, si raccoglie nei nomi di Pietro Chiari e di Antonio Piazza, così i capitoli secondo e terzo sono consacrati all’ esame della molteplice opera loro. Tanto dell’ uno come dell’altro vengono analizzati i romanzi di maggiore importanza e alcune scritture polemiche non trascurando le notizie biografiche che si connettono ai loro scritti e giova sovente porgerne ragione. Sul Piazza egli si ferma con maggior lunghezza come quello che era men conosciuto, e la cui opera versatile sta a cavaliere dei due secoli e determina una evoluzione consigliata e richiesta dai tempi e dalle vicende. Si raggruppano nel capitolo quarto i romanzi erotici eh’ ebbero una grande diffusione e acuirono un felice ingegno a dettarne uno, che è indovinata parodia di codesto genere. Sopra i satirici, i morali e i filosofici si aggira il quinto capitolo, dove apparisce notevole 1 analisi di quello dell’ abate Sceriman ; quivi due nomi illustri hanno lor luogo, e cioè Gaspare Gozzi, e Ippolito Pindemonie, a cui si accompagna quello del celebre avventuriero Giacomo Casanova, e fra gli scrittori di romanzi didattici si trova Vincenzo Coco per il suo Platone in Italia. Alessandro Verri e Ugo Foscolo occupano, ed è naturale, il capitolo sesto ; intorno all Ortis egli assomma una serie di osservazioni rilevanti degne di nota. L ultimo capitolo finalmente può dirsi di conclusione come quello che dopo aver studiato il movimento critico intorno al romanzo, e le polemiche suscitate in Francia ed in Italia sopra questo genere letterario, si ferma a considerare le ragioni, lo spirito informatore della produzione romanzesca del settecento, Γ ambiente in cui nacque e si svolse, Γ influenza che subì, e che a sua volta esercitò, fino alla sua trasformazione, ed al sano rinnovellamento. Due appendici compiono Γ importante volume ; nella prima, (scritto già comparso nel Giornale storico della letteratura italiana) espone le vicende di un romanzo satirico, e cioè le Avventure di Lillo cagnuolo bolognese, derivazione di un romanzetto inglese, il quale attinse ad altro francese più antico. Adattato al gusto e al costume italiano ne é una satira assai notevole ; importante altresì perchè per il suo contenutosi riaccosta alla satira pariniana, GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 215 eP°? D*e essere fattura ° traduzione di Gaspare Gozzi; la seconda appen-ice contiene un saggio di bibliografia dei romanzi italiani del settecento, cosi origina i come tradotti, buon materiale per chi voglia intendere a lavoro più comp eto. Il capitolo sul Chiari, che qui torna a stamparsi, accresciuto e con etto, già aveva veduto la luce a parte nel 1900, e in questo giornale ne e un jreve annunzio (A. II, p. 346) con alcune osservazioni, non giunte in, t0mP° a c°noscenza dell’ a. Qualch’ un’ altra ne soggiungeremo qui. « ignoto abate » a cui dedica il Goldoni la sua versione della Storia di miss Jenny (p. 39) è Giammaria (cfr. Studi bibliografici e letterari, Genova, 1-9°, p. 235;. Il brano della Giulietta intorno alle contese teatrali 1 p. 168J venne pu ) licato sulla Scena illustrata in un articolo riguardante alcune testimonianze contemporanee sul Goldoni. Sarebbe interessante ricercare se veramente fu stampata la commedia di Voltaire « nei primi mesi del 1759 » (P* 97 )' mentre il Bengesco dà come· prima edizione quella del 1760 (Lon-ìes, ma Genève) uscita nel maggio, e vedere così in qual modo « una pa i a ombra della commedia volteriana » entrò nel romanzo del Chiari La Bella Pellegrina, che apparisce pubblicato nell’ inverno del 1759, se pur questa data non è una qualche gherminella libraria. Non sarà inutile avvertile che la copia del Discorso all’ orecchio di monsieur Goudar del Piazza appai tenente alla libreria Lochis (p. 182 n. ) non è unica, perchè un altro esemplare si trova nella biblioteca Universitaria di Genova. Così converrà dire che il V annetti collaborò alle Nuove memorie per servire alla storia letteraria e non alla prima serie uscita tra il 1753 e il 1758 (p. 242). Sono infine da correggere alcune inesattezze tipografiche come Pisani in Pirani (Ρ·η 43) ! giornale in volume (p. 78 n); Martinelli in Mutinelli (p. 90 n) ; Lusani in Casati (p. 173 n.) ; Duca in Granduca (p. 182Ì; sarda in corsa (p. 277)· Minuzie che in una nuova edizione certo scompariranno. Manuale della letteratura italiana compilato dai professori Alessandro D Ancona e Orazio Bacci. Firenze, Barbera, 1904 ; vol. II e III, in-8, di pp. 713 e 671. - Con i due presenti volumi resta compiuto questo manuale nella nuova forma rifatta per intero dai compilatori. Già abbiamo detto, parlando dei volumi antecedenti, quali sono i criterii da essi seguiti, e quanta ricchezza di giunte bibliografiche e biografiche, meglio disposte, si riscontrino in questa opera, dove le notizie degli autori vennero diligentemente rivedute e condotte a seconda degli studj migliori e più recenti. Sono qui compresi i secoli XV, XVI e XVII; degli autori si aggiunsero il Cennini, il Ghiberti, Giusto de’ Conti, Leonardo Giustiniani, Bonaccorso da Montemagno, il Coppetta, il Bracciolini, il Vico ; qua e là alcuni nuovi esempi di prosa e di poesia si produssero. Non c’ è bisogno di ripetere le lodi, che per consenso generale, merita quest’ opera utilissima, e non ai soli scolari ; e neppure di toccare de’ suoi pregi ormai ben noti ; si potrebbero forse additare delle ommissioni e qualche inesattezza ; ma un volumetto di prossima pubblicazione con 1’ indice generale alfabetico, conterrà altresì le giunte e le correzioni, per le quali gli autori si rivolgono agli studiosi, ed in esso certo anche' que’ piccoli difetti saranno tolti. E’ opera questa davvero indovinata e della quale autori ed editore possono compiacersi. Il processo Pellico-Maroncelli secondo gli atti officiali segreti per Alessandro Luzio. Milano, Cogliati, 1903 : in-8, pp. 573; con fig. — Non diremo cosa nuova affermando che questo volume ha una grandissima importanza per la storia del nostro risorgimento. E’ frutto di una larga, insistente, coscienziosa ricerca in archivi pubblici e privati, e raccoglie perciò una quantità cospicua di documenti, prodotti o nella parte rilevante, o per sunto o integralmente. E sono tutti documenti originali, d’ incontestata gravità e 216 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di capitale importanza, perchè sviscerano le più riposte vicende della storia rispetto ai casi degli uomini che presero parte agli avvenimenti di quel periodo, onde s’ inizia nel campo della preparazione il movimento nazionale. Il lettore viene guidato dalla mano felice dell’ a. per entro ai segreti recessi dei procedimenti a cui tanti uomini, più o men noti, d’ indole e di carattere diversi vennero sottoposti dagli inesorabili tribunali austriaci, sospinti ad una inquisizione spietata di quel feroce pedante che fu 1’ imperatore ; egli entra nell’ animo degli inquisiti, ne valuta la condizione immediata, le lotte intime, le ansi, gli sconforti, le tormentose vigilie, gli eroici propositi, le necessarie sconfitte ; torture inaudite, rese più fiere dalla ingenuità delle armi da un lato, poste a contrasto con la scaltrezza ingegnosa, con la logica sottile inesorabile, la mente fina e scrutatrice del giudice. Tutti gli uomini che ci passano dinanzi nelle pagine tristi, pietose, tragiche di questo volume, assumono a’ nostri occhi atteggiamenti vivi e parlanti non tanto nel la loro esteriore configurazione, quanto e meglio nell’ intimo senso dello spirito loro, in questa psiche che qui possiamo studiare per mezzo dei mille e quasi inavvertiti particolari, che le parole, le azioni, gli scritti ci rivelano. Uomini diversi per ingegno, per studi, per sociale condizione, per età, per carattere ; non tutti scaldati dal sacro fuoco dell’ amor patrio, alcuno anzi rivelante certe curiose incoscienze ed ignoranze fenomenali ; la massima parte ben lungi dall’ essere e dal sentirsi agguerriti contro un nemico, di cui non misuravano la potenza ; ignari del pari dei principali requisiti che al congiurato si richiedono, si come delle leggi sotto il cui impero i loro atti assumevano la configurazione di grave delitto ; eroi nel campo della idealità, pusilli in effètto all' atto pratico. Leali ed onesti i più, alcuni egoisti e vili, pochi fermi e coraggiosi. Ma se questi ultimi destano ammirazione, vorremmo noi condannare coloro che da natura non ebbero dote d’ animo forte e virile ? Sono certamente da deplorare le debolezze di quelli che poco curanti del proprio onore e della salvezza altrui furono confessi e iinpunitari per proposito ; ma degni d’ alta pietà si manifestano coloro a cui le diuturne lotte processuali, la segregazione, 1’ incertezza dell’ avvenire, la mala conoscenza di cose ed uomini, 1’ inesperienza, fiaccarono 1’ animo, e dinanzi alla inesorabile astutezza dell’ inquisitore, vinti altresì da una invincibile ripugnanza alla menzogna, non ebbero virtù di resistere. E’ utile che la storia conosca nella loro integrità i documenti non sospetti, i quali rivelano ne’ più minuti particolari i casi di quelle terribili istruttorie, e si giovi di tutti gli altri elementi intimi e personali che ad esse si riferiscono ; ma spetta allo storico il trarre da sì fatta congerie quanto meglio valga a lumeggiare imparzialmente la verità. Codesto ufficio si è assunto il L. e invitando il lettore a cibarsi per se del vital nutrimento eh’ ei gli porge, lo scorge ad un giudizio complessivo così sull’insieme dei fatti come sugli uomini che v’ebbero parte. Campeggiano qui sopra tutti, ed era naturale rispetto all’ argomento, i nomi del Pellico e del Maroncelli, le cui figure rimangono meglio chiarite nella loro essenza, anziché offuscate di luce sinistra. Altri potrà, mosso da diversi intenti, insevire contro il povero mutilato dello Spielbergo, ma le menti serene, e i cuori generosi non vorranno per fermo gettare nel fango la memoria di chi ha pure redento gli errori inconsiderati della sua inavvedutezza, con angosciose sofferenze. Quanto al Salvotti, cagione in questi ultimi tempi di tante polemiche, della cui « leggenda » si occupa il L. nell’ ultimo capitolo, non ci riesce simpatico, tutt’ altro, e se dobbiamo convenire nelle attuazioni richieste dalla storica imparzialità a petto di esagerati e passionati giudizi intorno alla sua condotta, per noi rimane sempre 1’ inquisitore, che, pur mantenendosi nei limiti delle forme legali, adempie, lui italiano, al triste ufficio con zelo rigoroso e implacabile severità. Ciò non è certo sfuggito alla segacia dell’ a. GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 2 17 quale ha inteso spiegare qui assai chiaro quali sono stati i suoi intendi-m.n ' Ile, hiori gli studi condotti sulle carte d’ archivio e su quelle prua e e a votti, giungendo ad accettabili conclusioni, le quali ben palesano coni eg ì, ìendendo omaggio al vero, non abbia voluto essere nè denigratore ne apologista. ... rl^ 1 ^Go Oxilia. La campagna toscana del 1848 in Lombardia. Firenze, .Seeber, I9o4 (Savona, Bertolotti, 1903); in-8, di pp. 404. — E’ questa una storia particolare, ampiamente svolta e documentata, di un periodo 11 evante delle vicende del 1848 che si riferiscono alla Toscana, ed al suo concorso alla prima guerra d’ indipendenza ; periodo che si chiuse con una eroica sconfitta, rimasta meritamente celebre nei fasti del nostro risorgimento. , a. ha attinto le notizie cosi a fonti edite, come alle inedite. ti gio\aiono per le prime, numerose pubblicazioni contemporanee e posteriori, alcune delle quali non facilmente reperibili, e i giornali a cui si è rifatto con lodevole circospezione, per le seconde ha tratto ricco maceriale da-*1 aie mi toscani, da inediti diarii, da memorie e testimonianze anche orali di coloro che furono presenti ai fatti eh’ egli viene narrando. Ma non si è ristretto alle sole notizie che riguardano in particolare il suo argomento, poiché secondo opportunità e a migliore intelligenza di esso, si allarga alle condizioni politiche del tempo, e cosi nel testo come nelle note introduce informazioni anedottiche non prive di rilievo e di utilità. Dopo una introduzione nella quale espone gli avvenimenti più notevoli italiani che mossero dovunque lo spirito pubblico, e determinarono gli entusiasmi per l’indipendenza; e quindi la guerra allo straniero; in dieci capitoli divisa tutta la materia, disposta, coni’ era naturale, per ordine cronologico. Di guisa che dal marzo del 1848, in cui si ordinarono e partirono le milizie toscane, all agosto, che segna il loro ritorno, noi possiamo seguire passo passo tutte le vicende di quella campagna e conoscerne 11011 solo quanto ai fatti più salienti si riferisce, ma ciò che ha tratto t’gli uomini, ed ai minuti particolari; donde chiare appariscono le cause determinanti che condussero militarmente e politicamente ai ben noti e disgraziati effetti. L’a. per esseie più esatto, e a dare al suo lavoro, quasi diremo, il colore del tempo si giova sovente della lettera e del tenore dei documenti, che numerosi vien intiamezzando alla narrazione, mentre raccoglie in 1111 appendice singolarmente i rapporti degli ufficiali intorno ai fatti d’ arme. Ed è buon metodo perchè in siffatte opere sovente non rimane il lettore pienamente soddisfatto di quel tanto che gli è riferito dall’ autore, ed ama invece sentire la viva parola di chi scrive consigliato dalle condizioni del momento, o sotto la immediata impressione degli avvenimenti. E’ vero che questi) metodo nuoce in qualche guisa alla composizione artistica del lavoro, ma, specie in certi argomenti, giova mirabilmente alla verità. Tuttavia allorquando chi scrìve si trova in mezzo all' abbondanza dei documenti, gli conviene trascegliere, e dare i testi in tutto o in parte secondo opportunità ; e in ciò, a noi pare, non abbia ΓΟ. serbata la misura richiesta dalla economia del suo libro. Cionondimeno alla storia riesce più utile la sovrabbondanza, che la mancanza, e per questo 11011 vogliamo risparmiare all’a. quelle lodi che meritano la sua diligenza e l’operosità. Fra i libri di varia ragione ne’ quali si discorre della campagna toscana del 1848, certo questo può dirsi a buon diritto il più ampio e il più completo. ALFREDO Chiti. Scipione Forteguerri (il Carteromaco), Firenze, Bernardo Seeber editore, 1903 ; in-8, di pp. VI-105. — Per quanto 1’ autore del presente studio abbia fatto opera più di raccoglitore (raccoglitore sobrio e accorto) che non di critico, di guisa che la sua non può ancora considerarsi Γ opera definitiva intorno alla simpatica figura del Car- 2l8 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA teromaco, è innegabile peraltro che il contributo portato da lui allo studio della vita e dell’ opera letteraria dell’ insigne ellenista pistojese (n. il 4 febbraio 1406, ni. il 16 ott. 1515) non è- nè piccolo nè di scarso valore. Molte sono infatti le notizie inedite che 1’ autore aggiunge a quelle raccolte circa un secolo fa dal Ciampi e alle poche fornite da coloro che più tardi si occuparono del Forteguerri di sfuggita, seguendolo fin dai suoi primi studi iniziati a Pistoja e continuati a Roma prima, poi nello studio fiorentino sotto la guida del Poliziano (detto da Scipione « praeceptor optimus ») e in quello di Padova, e considerandolo poi durante il suo soggiorno a Venezia presso l’Accademia Aldina (i cui ordinamenti egli ebbe speciale incarico di studiare e redigere in greco), poi di nuovo a Roma, a Bologna, a Venezia, a Pistoja, e ancora a Roma e a Pistoja, dove morì nel 1515 -Dànno particolare interesse allo studio del Chiti le Appendici che si leggono in fondo al volume, la prima delle quali dà 1’ elenco degli scritti editi ed inediti del Carteromaco, delle lettere scritte e ricevute da lui ^riprodotte poi in parte nel testo integrale e in parte riassunte nella terza appendice) e la nota dei codici e dei volumi che appartennero al Forteguerri e furono da lui postillati ; nella seconda si ha un saggio delle poesie greche, latine e italiane dell’ umanista ; nella terza si leggono, quali riprodotte, quali riassunte, alcune lettere non prive d’ interesse. Parecchi sono nel libro del Chiti gli errori di stampa, nè mancano l’inesattezze ; notiamo : a p. 7 « studio patarino » per « patavino » ; a p. 8 1’ appellativo di Carteromaco dato al nostro, mentre solo tre pagine dopo si racconta come assumesse questo nome ; a p. 10 : « una certa questione era soi ta fra lui insieme a Giovanni di Marco Rutati contro Nicodemo Forteguerri » ; a p. 38 : « non era permesso fiatare... senza il permesso del tiranno », ed altri ancora. Troppi sono nel saggio di poesie italiane del Carteromaco i versi snaturati : p. 75 (n. 18) « quale agli uomini si nega e ’n ciel si serra » ; p. 77 (n. 21 ) « tu, che del volgare stil se’ un Danubio » ; p. 77 n. 22) « ogni cristian scrittore questo ha negato » « per troppa inver dell’uomo benevolenza » « il naturale le sue ragioni allega » ; p. 78 (n. 23 « perocché uomo non è, ma bruto e fero » « servando a 1’ onesta el suo participio » « quel che bello vede, si prende a mirare »; p. 78 (n. 24) « falsa è l’opinione, falso è ’1 giudizio». (G.F. ) SPIGOLATURE E NOTIZIE. .·. In un Libro ms. di ricordi dell’alfiere Nicolò Manardo Cavalcani di Fivizzano si legge questa curiosa avventura: « 1672. Era venuto a Fivizzano già da qualche tempo il sig. conte Giuseppe Felicini, bolognese, forse fuoruscito dalla sua patria, ma uomo ricco e prepotente, il quale prese ad abitare la casa, che poi fu dei Magnani, sul canto in cima alla piazza, che armò e teneva come una fortezza. Egli poi si diede a vivere sfrenatamente, e con i suoi bravi tutto si faceva lecito, e rapiva donne che a lui piacevano. Si racconta che un giorno vedendo passare una certa giovane Lemmi dal canto del Marzocco, per andare in chiesa a S. Antonio, egli la incantasse e 1’ obbligasse a andare con lui. La verità si è che per i reclami contro questo nobile prepotente venne ordine di Firenze di arrestarlo e di condurlo alla capitale ; ma egli, conoscendo il pericolo, si era barricato e afforzato in casa ; sicché, dati gli ordini alli soldati fatti venire dai quartieri di Monzone e di Terrarossa, uniti a quelli di Fivizzano, assediarono la casa, ed il sig. Governatore Lelio Buzi disse ai medesimi, che Sua Altezza comandava e voleva prigione, o vivo, o morto, detto conte ; però con 1’ arme da fuoco, senza GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2ig imort e a vita, vadino ad eseguire gli ordini, siccome tutti eseguirono con i]1” ,SOlt( * ce^er*la ; e presi tutti i posti che bisognavano, tanto intorno a «i casa, quanto fuori di Mvizzano, si cominciò a sparare una grandissima quanti ta ( 1 moschettate alla volta delle finestre di sua casa a ciò niuno si a acciasse uoii. Se li fece intendere che si rendesse, ma lui alla prima stette un poco sa do ; ma vedendo che le moschettate non cessavano, domandava un accor o di dilazione per quindici giorni; ma questo non gli fu accordato. ec en o egli che il tirare in lungo non era più permesso, tentò di gettarsi giù per un luogo commodo, ma non gii riuscì perchè era stretto. Il sig. Governatole, vedendo questa lunghezza, comanda che se gli getti giù la porta di casa, et incontinente il caporale de’ bombardieri fece condurre un pezzo di cannone pei gettare in terra )a porta. Ma veduto il detto sig. conte ogni sua speianza persa di poter fuggire, si arrese, e disse che sarebbe venuto prigione, ma avrebbe voluto che i famigli non lo avessero toccato. Questo pure non gli riuscì, perchè venne prigione in mezzo al bargello ed al Tenente, con famigli intorno. Era di mezzogiorno quando passò in mezzo alla piazza, con grandissima moltitudine di gente, e mostrava gran cordoglio ; e dopo di lui passarono tutti i suoi bravi legati. Dopo essere stati prigione qui in Fivizzano, furono condotti a Firenze, con quattro donne ancora, che teneva in casa, fra le quali era la Lucia figlia di maestro Bernardino Lemmi di Fivizzano ». . . Giuseppe Manacorda nel suo scritto : L' Allacci e Γ « Italia sacra » dell Ughelli (Studi storici, XII, 453 sgg.) accenna a due lettere del medico rapailese Geronimo Bardi all’ Allacci, dalle quali risulta che procurò notizie all’ Ughelli intorno alle diocesi liguri. .·. Carlo Cipolla da un cod. Ambrosiano già appartenuto all’ insigne Abbazia di S. Colombano di Bobbio, trae una breve narrazione, che riguarda la presa di Damiata del 1219. Illustrandone con largo corredo di notizie e di riscontri il contenuto, che ne’ termini di tempo stà fra il 23 settembre e il 5 novembre, rileva come lo scrittore sia giunto colà quando erano appena arrivati gli aiuti cristiani con le navi che partirono da Genova il 23 luglio e mette innanzi la congettura probabile che possa essere un genovese (Arch. Stor. Lomb., XXXI, Vol. I. pag. 51. .·. Alfredo Romualdi in un suo pregievole scritto intorno alla chiesa e al chiostro di S. Andrea, destinati ormai a scomparire, giustamente rilevava : « In verità non si comprende perchè, se il culto della storia e dell' arte patria ha avuto virtù di salvare e custodire la Porta Soprana (per tacere di più altri monumenti) non si comprende, diciamo, perchè non siasi trovato modo di salvare la chiesa col chiostro di S. Andrea, la cui distruzione non può che recare un profitto insignificante al rinnovamento edilizio e stradale di Genova ». Aggiugendo che allorquando saranno resi di pubblica ragione i disegni dell’ antico edilìzio, « gl’ intelligenti vedranno, purtroppo senza altro risultato che il rammarico, a che cosa si è dato un calcio ; giacché nulla oggi, fuorché il ghiotto valore pecuniario dell’ area, scusa un misfatto artistico, il quale, per di più, toglie 1’ occasione di dare un magnifico elemento pittorico all’ imbocco di via XX Settembre ». Or ecco che Valentino Leonardi deplorando con ragione la demolizione di Porta Cavalleggieri in Roma, e toccando di questa smania demolitrice, in omaggio al progresso, a cui soggiacciono altre città italiane, nota al proposito nostro : « A Genova abbatteranno il chiostro di S. Andrea, opera elegantissima del secolo XII quasi integra, e 1’ antica chiesa collocata su quel colle dove fu pure 1’ arce di Genova romana e la più antica sede del vescovado nel medio evo. Quell’ intellettualissimo ministero delle Poste, che ha mutato il Fondaco dei Tedeschi a Venezia nella anticamera di un albergo di provincia e voleva a Roma coprire il cortile di S. Silvestro, non è riuscito a capire che pel palazzo delle 220 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Poste di Genova che deve sorgere in quel luogo, il chiostro antico poteva essere usufruito in qualche modo, servire magari al deposito dei carrettini. Ma i buoni commercianti di via Luccoli, dallo scanno del banco saliti a quello di Palazzo Tursi si stropicciano le mani, specie se 1’ affare per il Municipio è buono ; e vanno dicendo colle lacrime agli occhi che ne trarranno lavoro gli operai, verso i quali le classi dirigenti di Italia, e particolarmente per abbattere monumenti, mostrano oggi una tenerezza che nessuno avrebbe in esse sospettato almeno sei anni fa ». [Fanfulla della Domenica, n. 16, 17 aprile 1904). Le linee architettoniche della chiesa ci saranno serbate nei disegni, nei rilievi, e nelle fotografie che 1’ assessore arch. Campora, non potendo altro, con lodevole e intelligente proposito ha procurato ; per sua cura gli affreschi migliori opportunamente staccati, andranno ad accrescere la già ricca raccolta municipale, e il chiostro, a quanto ci si dice, verrà ricostruito nel giardino a tergo di Palazzo Tursi. .·. Intorno a Percivalle ed a Simone Doria, il nome dei quali figura, come è noto, fra i trovatori genovesi, pubblica Arturo Ferretto una prima serie di documenti (Studi Medievali, vol. I, pag. 126), che vanno dal 1225 al 1253. Essi riguardano quasi esclusivamente Percivalle figlio di Montanaro e attestano della sua condizione domestica ed economica non solo, ma del conto in che era tenuto in Genova e della stima ch’ei godeva. Si trova presente a molti contratti ; è fideiussore ; arbitro in difficili e delicate controversie ; giudice in cause importanti. Notevole una lettera di Federico II a proposito dei diritti di successione del marchese Federico Malaspina figlio di Corrado. Contemporaneo di Percivalle fu un omonimo detto perciò «iunior» che è probabilmente tutt’ uno col Percivalle figlio di Guglielmo di cui è menzione in alcuni di questi documenti. .·. Angelo Solerti dà notizia di Un balletto musicato da Claudio Monteverde sconosciuto ai suoi biografi (in Rivista Musicale Italiana, vol. XI, 1904, fascicolo II. Il Balletto intitolato Vittoria d’ Amore è opera del genovese Bernardo Morando, e si trova nella edizione delle sue Opere pubblicata a Piacenza nel 1662 : ma qui è riprodotto secondo la rara stampa pubblicata nel carnavale del 1641 in separato libretto, quando avvenne « nella cittadella di Piacenza » questa magnifica festa. Il Morando è notato dai biografi liguri contemporanei, e dallo Spotorno. Sue lettere si trovano nel carteggio del p. Angelico Aprosio alla Biblioteca Universitaria di Genova. .·. E’ pubblicato dalla Casa editrice Ermanno Loescher (Torino) il fascicolo I degli Studi Medievali diretti da FRANCESCO Novati e Rodolfo Renier che contiene : Programma. — Cesare De Lollis — Dolce stil novo e « noel dig de nova maestria ». Laura Torretta — TI Wdlscher Gast d: Tommasino di Cerclaria e la poesia didattica del secolo XIII. Umberto Cosmo Una nuova fonte dantesca ? Bernardo Sanvisenti — Su le fonti e la patria der « Curtial y Guelfa ». C. A. Garufi — Carte e firme in versi nella Diplomatica dell’ Italia meridionale nei secoli XI-XIII. Francesco Novati — Un distico dell’ « Epitaphium Lucani » usato come sottoscrizione notarile nel secolo XI. Marco Vattasso — Contributo alla storia della poesia latina ritmica medievale. Arturo Ferretto — Documenti intorno ai trovatori Percivalle e Simone Doria. Rodolfo Renier — Bollettino bibliografico, (in 8. di pp. 170 con copertina illustrata). Salutiamo con vivi auguri la comparsa di questa nuova rivista alla quale non può mancare 1’ accoglienza favorevole degli studiosi, considerando la ben nota dottrina dei direttori, la serietà degli intenti, il valore dei cooperatori, si come ci assicura il saggio che ne abbiamo in queste prime pagine. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 22 1 ikolamo Boccakdo nacque a Genova il 16 marzo 1820 e mori a „■ 0'.'la ' ]2° mar^° lc*°4' compì a Genova gli studi ed ottenne la laurea in b>ui ispruc cnza. L" in da giovane si dette all’ insegnamento e fu poi per molti anni presi e del] Istituto Tecnico che deve a lui in gran parte il suo ordi-. sua fam;l- Quando in Genova dopo il 1849 si istituì per opera e ' ,‘lmian' 1 Accademia di Filosofia italica, egli ne venne nominato segre ano, e paiecchi saggi vi lesse raccolti nei volumi di quel sodalizio. In-al! ° an ava pubblicando nei giornali scritti più specialmente di economia po 1 ica c e meglio Io fecero conoscere, ond’ ebbe la stima e il favore del conte Cavour da cui gli vennero offerte di uffici cospicui. Non volle abban-i onare lenova e distrarsi dagli studi, e salì ben presto la Cattedra di economia a Università. Entrò a far parte del Consiglio Comunale, ed eletto assessore n proposto alla pubblica istruzione; appartenne altresì alConsiglio Provincia e ec a quello scolastico, come più tardi al Consiglio Superiore della Pubblica stiuzione. Sarebbe lungo enumerare gli uffici molteplici egli incarichi che gli vennero affidati, e così le molte onorificenze italiane e straniere di cui fu insignito, basti qui il ricordo d’aver ottenuto la croce al merito civile, d’esser eentrato nel Con-sig 10 di Stato, e nel Senato del regno, dove portò il contributo della sua operosa dottrina. Moltissime sono le sue pubblicazioni per la massima parte liguai danti le scienze fisiche ed economiche; alcune rientrano più diretta-mente nel campo della storia. Lasciando stare i manuali storici per uso scolastico, dobbiamo rammentare i Saggi di filosofia civile, Genova, Sordo Muti, 1852 , la Memoria sugli spettacoli, premiata dall’Istituto Lombardo, e stampata in Milano nel 1856, poi a Torino il 1858, e a Genova il 1870, che accresciuta e rimaneggiata uscì finalmente col tilolo : Feste, giuochi e spettacoli, Genova, Sordo Muti, 1874; e 'n sec· ediz. nel 1875; il Dizionario dell. economia politica e del commercio due volte stampato (1857-60 e '^74"75J; 'e Prediche di un laico, Forlì, 1872; lo scritto: Degli studi geografici e del loro stato presente in Italia, in Arch. Stor. Ita/. Firenze 1857 ; la dissertazione : Della proprietà letteraria, Torino, 1861 ; infine gli articoli molteplici della Nuova Enciclopedia popolare alla compilazione della quale presiedeva. Nicolò Bacigalupo nato a Genova nel 1837, è morto il 7 giugno 1904. bece i suoi studi nel Collegio degli Scolopi di Savona. Entrò a 18 anni negli uffici municipali di Genova, e dal 1878 teneva con molto onore e con scrupulosa integrità il grave e delicato ufficio di .tesoriere. Ma le occupazioni amministrative non gli tolsero di procurarsi un corredo di buone cognizioni letterarie. Egli, oltre ad una solida conoscenza dei classici greci e latini, aveva appreso, e non superficialmente, il tedesco, P.inglese, il francese e lo spagnolo. Fu poeta vernacolo genialissimo, e i suoi componimenti, oltre alla facilità ed alla felicità della vena, e della tecnica, racchiudono sotto la veste umoristica, il pensiero profondo e il concetto robusto. Si provò altresì con fortuna nella commedia, rispecchiando alcuni atteggiamenti della società eh’ ei studiava con occhio fine da osservatore. Egli stesso calcò fe scene, e si ricordano ancora alcuni difficili caratteri seri e faceti resi da lui con arte perfetta. De’ suoi scritti, molti sparsi nei giornali, specie, in questi ultimi quindici anni, nel Successo, ricordiamo i seguenti: 0 mego per forza, Genova, 1874. — Lo-ritto 0 â pappagallo de mòneghe, poemetto romantico, Genova, 1883. — Pig-giase o nui dò Rosso ô carta, commedia, Genova 1883. — Prose riniae scritte per uso domestico, Genova, 1891. — 0 canto da rumenta, polirne- 222 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tro, Genova. 1893. — Sfroxì a-o Parnaso perpetrae senza intenzion de de-lìngue, Genova. 1893. — Eneide testo originale d’ un reduce troiano, Genova, 1902. — Orazio Odi ed epodi tradii te en zeneise, Genova, 1899. — Fu membro di opere pie, e di associazioni diverse ; era insignito di onori licenze estere, ed ufficiale della Corona d’ Italia. APPUNTI m BIBLIOGRAFIA LIGURE. Astraldi M. C. San Remo rinnovellata ; memorie storiche contemporanee. San Remo, bp. Ligure, 1903; in-8, di pp. 496, eon fig. e rit. Baudrillart André. La Psicologie de la Legende Dorée i iu Minerva. 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Relaz. sul lavoro compiuto dalla Camera nell’ anno 1903, Maggio 1904. Spezia, Tip. Zappa, s. a. in-8 pp. 24. Cantimori Carlo. Saggio sull’ idealismo di Giuseppe Mazzini. Faenza, Montanari, 1904. Castellini Pietro. Borzonasca e il SS. Crocifisso. Bobbio, Mozzi, 1904; in-16, di pp. 12. — La Quaresima. Ricordi storici Chiavaresi. Chiavari, Gemelli, 1904 ; in-8, di pp. 24. — Un ricordo Lavagnese in Parigi e in Roma (in 11 Cittadino, 1904, n. 126). Cipolla Carlo. Una narrazione bobbiese sulla presa di Dainiata nel 1219 (in Archivio Storico Lombardo, XXX, vol. I, p, 5). Giornale storico e letterario della Liguria 223 in "°dÌ^ diplomatico dei Santuari della Liguria edito da A. Ferretto vn· 5 ^ oJ. Il R!i'UNU v'e comunicazione del porto di Genova icon ìustr.). tn Rivista ligure di scienze, lett. ed arti. XXVI ! 1904) pagine 1 ERREt ro Ari uro. Busalla, spigolature storiche. Genova, tip. Gioventù, *· a· [1904]; in-4, di pp. 15 n. n. ύ| | j08811 au*-°grafi di Biagio Assereto (in Supplemento al Caffaro; 1904, 1 lora Federico. Genova nella statistica comparata. In Rivista ligure di se. lett. ed arti., XXVI, II. pp. 83-95. Gallarci Scotti B. Tommaso. Giuseppe Mazzini e il suo idealismo po ìtico e religioso. Discorso. Milano, Cogliati, 1904; in-8, di pp. 50. -, (,A'ni Giulio. Nella solenne inaugurazione della bandiera della Scuola ecmc.i di Sarzana. Discorso pronunciato dal Direttore, 12 giugno 190}. Sarzana, tip. Lunense, 1904, in-8, di pp. 18, con tav. stat. Grilli Luigi. Stefano Grosso (in Roma Letteraria, anno XI, 11. 19-201. Indice delle più importanti pergamene storiche dei codici e dei libri antichi di amministrazione che si conservano nell’ archivio comunale di Sarzana. Sarzana, tipografia Lunense, 1904; 111-4. Loria Gino. Per la festa delle matricole. Parole pron. nell’aula magna dell Univer. di Genova. In Riv. ligure di se. lett. ed arti, XXVI, 2 pp. 76-82. Legend (llie Golden) 111 Ihe Church Quaterlv Review, LVIII, 1903, pp. 29-52 ). Mazzini Giuseppe. Lettere ad Ariodante Mambelli (in Seco/o Illustrato della Domenica, 11. 718, 719. 1903, Milano). — Lettera inedita ; cfr. Ponzani. Mazzini Ubaldo. La sala della tortura nel vecchio palazzo comunale [della Spezia] (in Corriere della Spezia, 1904, n. 22). Mazzoni Guido. [Commemorazione di Stefano Grosso] (in Atti dell’Accademia della Crusca. A. Accad. 1902-1903). Firenze, Galileiana, 1904. p. 26-30). Molli Giorgio. Gian Andrea Doria a Lepanto (in Cosmos Illustrato, Bergamo, 1904, n. 13-14) — Le navi di Lepanto (ivi). Momigliano Felice. L’ estetica musicale di Giuseppe Mazzini e di Riccardo Wagner in La nuova parola, maggio, 1904V Mussi Luigi. Cenni storici di alcune città, paesi ed uomini illustri della Lunigiana. Castellamare di Stabia, Di Martino, 1903 ; in-8, di pp. 54. 224 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURTA Novella Paolo. Memorie storiche genovesi. S. Giorgio' di Bavari (in Settimana Religiosa, 1904, n. 24). Parodi Angelo. Sul Peraldo, passeggiate educative. Notizie storiche. Seconda edizione. Genova, Casamara, 1904 ; in-16, di pp. 123. Peragallo Prospero. Cenni intornio alla colonia italiana in Portogallo nei secoli XIV', XV e XVI. Torino, Paravia, 1904: in-8, di pp. 84. Pietro Sbarbaro, Numero unico edito a cura del circolo « Pietro Sbarbaro » il 20 aprile 1904 ritornando in Savona nel 66 anniversario dalla nascita dell' illustre cittadino. Savona, tip. Cooperativa; in-fol. di pp. 8. Poggi G[aetano]. Luni Ligure-etrusca e Luna colonia romana, Genova, tip. Fili. Pagano, 1904, in-8, pp. 167, tavv. e lìgg. (V. Riv. lig- di se. lett. ed arti, XXVI, 2, pp. 96-101). Poggi (Vittorio). Gli antichi Statuti di Camasio (14331. In Miscellanea di Storia Italiana, .S. Ili, T. IX, pp. 209-246. Ponzani Teodorico. Una lettera inedita di Giuseppe Mazzini (in Diritti della Scuola, 190 \ n. 33). Richardson Ernest. Jacobus de Voragine and thè Golden Legend 1 in The Princeton Tkeological Revieu', I, 1903, pp. 267-81). Salza Abd-el-Kader. Una vendetta di Pietro Aretino contro il Datario Giberti (in Giornale storico della letr. ita!., vol. XLIII, p. 193). Schiappacasse. Memorie storiche genovesi. S. Brigida e Alfonso Pécha (in Settimana Religiosa, 1904 ; n. 20, 21 23 .. Silvio Pellico ( A) nel 50 anniversario della sua morte : numero unico, Savona (31 gennaio 1904). Savona, Ricci, 1904; in-4, di pp. 12. Vie (Le) di Genova di P. L. P. (in Settimana Religiosa, 1904, 11. 17, 19, 20 24). Villa Umberto. Nicolò Bacigalupo (in Successo, XVI [1900] n. 796). Waresquiel [De] Marguerite. Le bienheureux Jacques de Voragine. Paris, 1902 ; in-8, di pp. 227 ; con fig. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE Nella solenne inaugaraziane della bandiera della Scuola Tecnica comunale di Sananti. Discorso pronunciato dal direttore, prof. Giulio Gatti. 12 giugno 1904. Sarzana, tip. Lunense. 11)04. ALBERTO Lumbroso. V ultima nipote, di Napoleone l. La Principessa Matilde. Pi-nerolo, tip. Sociale, 1904. — agonia di un regno. Gioacchino Murat a/ Pizzo (1815). Volume. L addio a! regno di Napoli. Prefazione di Giuseppe Mazzatinti G. Murat a Forlì 1. Roma, Bocca. (Bologna Zanichelli) 1904. ANTONIO Medin. La storia della repubblica di Venezia nella, poesia. Milano, Hoepli, 1904. Le origini degli Sfati Uniti d’America di Gennaro MondaiNL. Milano, Hoepli, I9°4- Cenni intorno alla colonia italiana in Portogallo nei secoli XIV, XP e XI l. Studi di Prospero Peragallo. Torino, Paravia, 1904. Guido Manacorda. Petrus Angelius Bargaeus Pietro Angeli da Barga i. Pisa, Ni-stri, 1903. F. Novati. Vittorio Alfieri e Francesco Zacchiroli (Napoli, Pierro. 1904). Angelo Solerti. L' archivio della famiglia Ariosto. Prato, Giachetti. 1904. Alfredo Segrè. L’ istruzione pubblica in Pisa nei secoli XVI. XVI/ c XI IH. Pisa. Mario tti, 1904. F. Gabotto. Il « podestà dei ribaldi » in Piemànte, [Napoli, Pierro], I9°4· DELL’ACQUA Carlo. Dì San Pio V Papa insigne fautore degli studi e degli studiosi. Note e ricordi storici pel IV suo centenario genetliaco /7 gennaio 1904). Milano, Cogliati, 1904. LUIGI StaFFETTI. La politica di Paolo IH e /’ Italia (a proposito di una recente pubblicazione)■ Firenze, tip. Galileiana, 1004. Stefano Lottici — Giuseppe Si™. Bibliografia generale per la storia parmense. Con prefazione del conte dottor Luigi Sanvitalf.-Simoneta. Parma, Zerbini, 1904. F. Tommaso Gallarati Scotti. Giuseppe Mazzini e il suo idealismo politico e religioso. Milano, Cogliati, 1904. Brevi aneddoti in volgare bobbiese del cadere del secolo XII . .Vota di Carlo Cipolla. Torino, Chausen. 1004. Gioachino Brognoi.IGO. Studi di storia letteraria. Roma-Milano, Albrighi, Segati e C. 1904. PIETRO Castellini. Borzonasca. e il S. Crocifisso. Bobbio, Mozzi, 1904. La Quaresima. Ricordi storici Chiavanti. Chiavari, Gemelli, 1904. POGGI Gaetano. Luni ligure-etrusca e Luna colonia romana. Genova, Pagano, 1904. Luigi Piccioni. A proposito del Monti « abate » ì « cittadino ». Spigolature d'archivio. Imola, 1404. Λ V VERTENZE Il Giornale si pubblica ordinariamente in fascicoli bimestrali o trimestrali, in modo da formare a fin d’ anno un volume di 480 pagine. Il prezzo di associazione per 1’ Italia è di L. 10 annue, per Γ estero di franchi 11. Le associazioni si ricevono esclusivamente alla Spezia presso l’Ufficio deH’Amministrazione del Giornale. L’Amministrazione concede ai collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti originali. Coloro che ne desiderano un numero maggiore possono trattare direttamente con la tipografia, che ha fissato i segg. prezzi : Da i a 8 pag. Da 1 a 16 pag. Copie 50 L. 6 Copie 50 L. 10 100 » 9 » 100 » 14 100 successive » 7 » 100 succ. » 11 In questi prezzi sono comprese le spese della copertina, della legatura e del porto a domicilio del committente. PREZZO DEL FASCICOLO PRESENTE: L. 4 TORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA T τρτ T T3 T A diretto da ACHILLE NERI L/IVJLJ Lvl/\ e da UBALDO MAZZINI ♦ pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria 1904 Luglio — Agosto SOMMARIO G. Sforza: Un sinodo sconosciuto della Diocesi di Luni-Sarzana (1470-71), pag. 225 A. Neri, L Olimpia di Voltaire in Italia, pag. 251 — E. Pandiani, Notizie intorno a tre ambascerie genovesi del sec. XV, pag. 262 — A. Ferretto, Documenti intorno a Oberto Pallavipini vicario di ïederico II, pag. 269 — VARIETÀ: A. N., Intorno al matrimonio di Aldo Manuzio, pag. 277 — G. Sforza, Un pontremolese in Corsica, pag. 279 U. M., Le vicende di un invetriato robbianno '(con fig.) pag. 280 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Si parla di : G. Manacorda (M. L. Gentile), pag. 288 — ANNUNZI ANALITICI: Si parla di: Letterio di Francia, F. Podestà, A. Pellegrini, C. Cipolla, B. Frescura, C. Manfroni, A. dAncona, A. Ferrari, G. Manacorda, F. Novati, U. Foscolo, A. Chiti, G. Gatti, A. Lumbroso, L. Staffetti, E. Bertana, V. Poggi, F. Gabotto, A. Segrè, p. Novati, Cr. Roberti, A. Solerti, E. Bertana, F. T. Gallarati-Scotti, L. Piccioni, pag. 289 — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 301 APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 302. ANNO V. Fase. 7-8 DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-1* LA SPEZIA Società d’Incoraggiamento editrice Tip. ni Francksco Zappa AMMINJSTR AZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale - ' - - . . . ·· . · . -, , · ( ... . < GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELI-,A LIGURIA 225 UN SINODO SCONOSCIUTO DELLA DIOCESI DI LUNI-SARZANA [1470-71] % Da fiio. Pietro Parentucelli di Sarzana, figlio d'uno zio paterno di papa Niccolò V, che visse dal 1414 al 1464 e fu Governatore di Narni, nacque Anton-Maria. Dal cardinal Filippo Calandrini venne ospitato a Bologna e messo sulla via degli studi. II 5 gennaio del 1465 ebbe un canonicato in S. Petronio, e dal 1466 al 1468 tenne cattedra di gius canonico in quel celebre Studio. Si trovava in patria, quando Lodovico e Tommasino Campofregoso vendettero Sarzana alla Repubblica di Firenze; e da concittadini, insieme con altri, fu mandato in ambasceria ai nuovi padroni, per avere almeno salve e inviolate la franchigie sancite dagli statuti e da’ privilegi. Ai Priori di Firenze venne il Parentucelli caldamente raccomandato dal cardinal 1‘ilippo; nè la raccomandazione restò senza frutto, chè, appunto a preghiera de’ Fiorentini, e per le vive istanze del Cardinale, da Paolo II venne eletto Vescovo di Luni-Sarzana, il 6 settembre del 1469. 11 22 d’ottobre, in compagnia del Calandrini, fece solenne ingresso nella sua diocesi; nella quale resta a ricordo di lui l’episcopio, edificato per comando suo, e compito nel 1471. Chiamato a Roma da Innnocenzo Vili, che designava inalzarlo a più alti onori, vi finì la vita nel 1485 (1). Nessuno de’ tanti che hanno scritto intorno alla Chiesa di Luni e a’ suoi Vescovi ricorda il Sinodo che Anton-Maria Parentucelli tenne a Sarzana negli anni 1470 e 1471. Se ne conservano gli atti nella- Biblioteca Estense di Modena tra le carte raccolte da Carlo Frediani di Massa, che il marchese Giuseppe Campori acquistò da’ suoi eredi, e che formano parte della ricca collezione di manoscritti che il colto patrizio modenese lasciava in legato alla sua nativa città. Il Sinodo per sè stesso non ha che uno scarso interesse; ma tra i documenti I Sforza tì. La patria, la famiglia e la giovinezza ili Niccolò V, Lucca, Giusti, 18X4; pp. 309-310. Giorn. St. e Lett- della Liguria, V. >5 226 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che lo accompagnano ha importanza grande Γ Estimo delle chiese della diocesi; il più antico che ci rimanga. Nel darlo alle stampe, insieme con gli atti del Sinodo, l'accompagno col frammento di un altro Estimo, compilato nella stessa occasione ; notevole perchè dà il nome di parecchi de’ parrochi d’ allora Giovanni Sforza I. In nomine Domini, amen. Anno a nativitate eiusdem M.° CCCC.° LXX, indictione iij.a, die xxiiij maii. Congregatis simul et convocatis venerabilibus viris dominis canonicis et Capitulo Lunensi et Sarzanensi in sacrestia ecclesie maioris beate Marie Sarzanensis, de mandato et voluntate venerabilis viri d. Andree de Gandulfis prepositi et canonici lunensis et sarzanensis, mandante etiam reverendo patre d: Bernardo de Perentis, parmense, decretorum doctore, reverendissimi domini, domini episcopi Antonii Marie Episcopi Lunensis et Sarzanensis vicario in spiritualibus et temporalibus generale, absente tamen archidiacono, qui absens erat a civitate Sarzane, ad sonum campanelle, prout moris est, pro infrascripta sinodo habenda et cellebranda. In quo quidem capitulo interfuerunt infrascripti domini canonici et in presentia et assistentia ipsius domini vicarii : d. Andreas prepositus predictus, d. Grisolus quondam Domenichini Grisoli, d. Georgius de Fivizano, d. Io-hannes de Griochis et d. Iacobus de Gragnola, omnes canonici lunenses et sarzanenses, représentantes totum dictum Capitulum Lunensem et Sarzanensem et quod ipsum representare soliti sunt tam de iure, quam de ipsorum stillo et consuetudine. Qui omnes sic collegialiter convocati, facta inter eos propositione per ipsum d. vicarium antedictum, quod cum de mandato suo fuerint omnes plebani, presbiteri et rectores quarumcumque ecclesiarum beneficiati et curam animarum habentes huius dioecesis citati et requisiti pro hac die et hora in civitate Sarzane et in ecclesia prefata pro sinodo facienda et habenda circha reformationem multarum rerum ipsius dioecesis et pro caritativo subsidio imponendo, si sinodus ipsa habenda sit et sic imponi debeat dictum caritativum subsidium, concorditer et una voce, nemine eorum discrepante, statuerunt et deliberaverunt quod sinodus C-IOKNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ipsa lìat et in ea proponatur de caritativo subsidio imponendo una tum aliis propositis fiendis, tam pro reformatione ipsius episcopatus, quam totius cleri, etc. Et sic in capitulo ipso de-cretum, sancitum et deliberatum est per ipsos dominos canonicos antedictos. ^ Acta fuerunt predicta in sacrestia predicta, presentibus ser I hilippono quondam Antonii de Lovatis et Iohanne Pellegrino sci lacobi Rardini, sarzanensibus, testibus ad hec habitis, vocatis et rogatis. II. In nomine Domini, amen. Anno a nativitate eiusdem Μ.» cccc°. Ixx, indictione iij», die XXIIIJ maii. Congregatis simul et convocatis venerabilibus viris dominis plebanis, archipresbiteris, presbiteris et rectoribus beneficiatis ecclesiarum Lunensis et Sarzanensis dioecesis in magno numero et sufficienti de omnibus quarteriis ipsius episcopatus, quarterio Pontremuli dumtaxat excepto, in civitate Sarzane et in ecclesia maiori beate Marie Sarzanensis, de mandato et iussu reverendi patris domini Bernai di de Parentis, parmensis, reverendi in Xpo patris et domini, domini Antonii Marie Dei et Apostolice sedis gratia Episcopi Lunensis et Sarzanensis vicarii in spiritualibus et temporalibus generalis, pro sinodo habenda et celebranda pro rebus urgentibus tam ipsi episcopatui, quam sue dioecesi et ecclesiis eiusdem. In qua sinodo interfuerunt plures quam ducentum beneficiati ipsius dioecesis, ita quod fuit pro ipsa sinodo habenda sufficiens et validus numerus tam plebanorum quam aliorum beneficiatorum. In qua et inter cetera que in ipsa sinodo geste sunt, lecte et exposite fuerunt costitutiones sinodales, que omnes approbate fuerunt, una dumtaxat excepta, que in totum remota et cancellata, anullata et sublata est, nemine de sinodo discrepante, que constitutio est, seu erat, quod tempore arrogationum carnes comedi non debebant, et hoc quare constitutio illa non est de precepto ecclesie, et quare in episcopatu non servabatur et ne diocesani ex illius constitutionis causa propter non observantiam eius ducerentur ad peccandum mortaliter commedendo carnes ; ita quod quilibet qui eo tempore carnes ipsos comedere volebat id facere posset impune, et quod etiam ab esu carnium 228. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sponte eo tempore se abstinere volebat similiter facere posset, ita quod in arbitrio cuiusque esset verum vellent vel non vellent comedere. Ita etiam in sinodo ipsa, sic congregata, facta propositione per ipsum dominum vicarium, quod cum prefatus reverendus dominus Episcopus noviter ad episcopatum pre-dictum fuerit assumptus et promotus et multas pro eo expensas fecerit, tam in bullis habendis, quam annate seu taxe et pro aliis rebus necessariis ipsius episcopatus et pro statu et reformatione ipsius, et invento episcopato ita aservato et depauperato quod nihil ex eo haberi possit pro ipsius reformatione, conservatione et aliis necessariis, necesse sit quod imponatur caritativum subsidium super omnibus ecclesiis et bonis ecclesiasticis et tale quod ex eo possit ipse episcopatus in melius reformari et pro reintegratione expensarum predictarum quare propriis expensis nemo militare debet Qua propositione sic facta, per omnes sinodales antedictos statutum, firmatum, ordinatum et conclusum fuit ac obtemptum, quod ipsum caritativum subsidium imponatur super omnibus ecclesiis et be-nefitiis ecclesiasticis ipsius episcopatus et secundum extimum et valorem eorum, ita quod quodlibet benefitium suum onus ferat et habeat; et hoc nemine discrepante, attentis causis per ipsum dominum vicarium expositis et naratis, et attento maxime quod iuris est et de consuetudine in similibus sit. Et ut ipsum caritativum subsidium imponatur et secundum et modum quo solvi debeat et pro quanta summa, ipsi omnes de sinodo sic, ut dictum est, in unum convocati et nemine discrepante, somati pro quarteriis eorum et sic quilibet de suo quarterio ellegerunt infrascriptos sapientes eorum qui potestatem habeant ipsum caritativum subsidium imponendi ipsorum sino-dalium nomine, et quicquid per eos sapientes factum, terminatum, positum et deliberatum fuerit super predictis locum habeat, observetur et exequetur, auctoritate presentis sinodi et congregatione antedicta. Qui sapientes sunt isti, videlicet : Et primo, pro quarterio Pontremuli dompnus Georgius ser Ber-nabovis de Pontremulo rector ecclesie Sancti Nicolai eiusdem loci ; pro quarterio Tercerii presbiter Iohannes de Bagnono ar-chipresbiter Plebis Sanctorum Ypoliti et Cassiani ; pro quarterio Verugole presbiter Iohannes rector ecclesie Sancte Margherite de Rignano; GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 22Q prò quarterio Aquile et Fosdenove presbiter Ciprianus de Marzasio rector ecclesie Sancti Bartolomei de dicto loco; prò quarterio Garfagnane presbiter Pucinus de Guiduciis de Sillicano archipresbiter Plebis de Castello; prò quarterio Versilie presbiter Iohannes archipresbiter pie-bis de Montetignoso; prò quarterio de Leone presbiter Petrus de Ponzano rector ecclesie Sancti Michaelis de Ponzano; prò quarterio ultramontes Riparie presbiter Melchior de Vir-goleta rector ecclesie de Monterubeo; prò quarterio Riparie citramontes presbiter Petrus archipresbiter Marinaseli! et presbiter Dominicus rector ecclesie Sancti Martini de Blaxia; prò quarterio Capituli dominus Thomas de Benedictis archi-diaconus, dominus Andreas de Gandulfis prepositus. Acta fuerunt predicta Sarzane in ecclesia maiori beate Marie Sarzanensis, presentibus Zanoto quondam Levantini et Iohanne dominico filio Francischini Cadeti, testibus ad hec habitis, vocatis et rogatis. III. Die XXV maii 1470. Convocatis simul et congregatis supradictis sapientibus, el-lectis et nominatis ut supra, in sacrestia ecclesie maioris beate Marie Sarzanensis, in presentia suprascripti reverendi domini vicarii et Capituli antedicti, prò caritativo subsidio imponendo, concluso et determinato ut supra in sinodo celebrata, et habita inter eos matura deliberatione, et discussis hinc inde omnibus partibus, considerata paupertate ecclesiarum episcopatus antedicti, predicti domiqi sapientes statuerunt, ordinaverunt et firmaverunt, quod caritativum subsidium sit et esse debeat hoc modo, quod quilibet beneficiatus solvat et solvere debeat tamen soldos decem imperialium pro qualibet libra sui extimi, sive ecclesie, et non plus; et hoc sit subsidium caritativum quod pro nunc exigi et solvi debeat, ita quod si una ecclesia sit in extimo libras viginti solvat libras decem imperialium in duabus pagis, in prima paga solvatur medietas et sit per totum mensem iunii proximum futurum, in secunda paga altera medietas et solvatur per totum mensem octobris etiam proximum futurum. 230 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Et quare cognoscunt et sciunt quod huiusmodi caritativum subsidium impositum eo modo ut supra non est condecens nec sufficiens pro necessitate domini Episcopi et suis urgentibus negociis et ecclesie sue, sicut longe maiore subsidio indigeat, voluerunt et firmaverunt ac statuerunt quod alterum simile caritativum subsidium imponatur et imponi debeat, et ipsorum auctoritate et potestate nunc imponunt, quod totidem et eo modo solvatur per quamlibet ecclesiam eo modo ut profertur hinc ad duos annos proxime venturos, et temporibus, pagis et modis predictis. Et sic, in omnibus et per omnia, pro ut supra, statuerunt, firmaverunt, sancierunt et ordinaverunt omni via, iure, modo et forma quibus magis et melius de iure potuerunt. Actum in sacrestia predicta, presentibus ser Andrea quondam ser Aronis de Illice et Francischo quondam magistri Bartolomei de Petrasancta, testibus ad hec habitis, vocatis et rogatis. IV. In nomine Domini, amen. Anno a nativitate eiusdem MCCCCLXX, indictione III, die XI octobris. Cum hoc sit quod de mense maii proxime preteriti, XXIIIJ die ipsius mensis, facta fuerit sinodus in civitate Sarzane et in ecclesia maiori beate Marie Sarzanensis et in ea ordinatum, et firmatum quod imponi deberetur caritativum subsidium et pro eo facti fuerunt sapientes et consciliarii omnium quarteriorum qui ipsum caritativum subsidium imponerent et ipsi sapientes id imposuerint non tantum tamen pro necessitate et sufficientia reverendi domini Episcopi ac episcopatus sui ac ecclesie sue, et non sit voluntati sue, nec debito et honestati per illos satisfactum, sed opus sit longe maiore subsidio. Et qui pro sapientibus ellecti sunt pro maiori parte non sint capaces et intelligentes ad similem impositionem habendam. Coadunatis et in unum convocatis et congregatis multis archipresbiteris, presbiteris, rectoribus et beneficiatis presentis dioecesis in civitate Sarzane et in domo reverendissimi in X.° patris et domini, domini Filippi miseratione divina Episcopi Albanensis, Cardinalis Bononiensis, maioris penitentierii, et pro infrascriptis faciendis, cum pre-sentia Capituli Lunensis, de mandato et iussu reverendi in X.° patris et domini, domini Antonii Marie Dei et Apostolice sedis gratia Episcopi Lunensis et Sarzanensis presentis et astantis GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 23 I prelati domini archipresbiteri, presbiteri, rectores et beneficiati antedicti, qui ad missam novam ipsius domini Episcopi venerunt, quam pridie celebravit, scientes et cognoscentes quod ca-litativum subsidium impositum de mense madii, ut profertur, non est sufficiens, ut dictum est, et volentes quod prefatus dominus Episcopus quod iustum sit a suo episcopatu habeat et ipsius ecclesiis, statuerunt et ordinaverunt quod caritativum subsidium in maiori numero habeatur et imponatur; et ut melius exequatur et fiat, removerunt pro maiori parte sapientes primos et loco eorum alios addiderunt et posuerunt, quod potestatem habeant illud augendi et imponendi iuxta eorum voluntatem, et quod per eos factum extiterit et firmatum inviolabiliter observetur. Et primo, pro quarterio Pontremuli et Mulatii posuerunt presbiterum Matheum rectorem ecclesie sancti Gemignani de Pontremulo ; pro quarterio Terzerii, presbiterum Antonium archipresbi-terum de Fillateria, nunc absentem; pro quarterio Verugole, presbiterum Iohannem Petrum ar-chipresbiterum plebis de Crispiano; pro quarterio Aquile et Fosdenove, dominum Georgium, canonicum lunensem et sarzanensem, archipresbiterum plebis Sancti Martini de Viano; pro quarterio Garfagnane, presbiterum Pucinum archipresbiterum plebis de Castello; pro quarterio Versilie, presbiterum Iohannem archipresbiterum plebis de Montetignoso; pro quarterio de Leone, presbiterum Petrum de Luxolo rectorem ecclesie de Ponzano ; pro quarterio Riparie ultra montes, presbiterum Melchionem de Virguleta rectorem ecclesiarum de Monterubeo; pro quarterio Riparie citra montes, presbiterum Lazarum de Manganelis de Pontremulo rectorem ecclesie de Spedia et presbiterum Dominicum rectorem ecclesie Sancti Martini de Blassia. Qui omnes sapientes et consciliarii tocius dioecesis Lunensis et Sarzanensis, ellecti, assumpti et habiti, ut supra, absente tamen archipresbiteio de Fillateria, deinde in unum congregati, una etiam cum domino Thoma de Benedictis archidiacono et domino Andrea de Gandulfis preposito et canonacis lunensibus 232 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA et sarzanensibus sapientibus etiam elleetis pro parte et quarterie Capituli Lunensis et Sarzanensis et in loco predicto et in presentia et in conspectu prefatorum reverendissimi domini, domini Cardinalis antedicti et ipsius reverendi domini Episcopi, habita solemni et matura discussione inter eos et deliberatione, et discussis et consideratis omnibus, tam pro indigentia et necessitate prefati domini Episcopi et episcopatus sui ac ecclesie, quam etiam pro indigentia ecclesiarum episcopatus et recto-rum eiusdem, et omnibus sic habitis, consideratis et attentis, maturo prehabito inter eos consilio et deliberatione, ut pre-fertur, statuerunt, reformaverunt, ordinaverunt et firmaverunt, nomine et vice omnium beneficiatorum in ipsa dioecesi exi-stentium, quam caritativum subsidium imponatur et sic ipsum imposuerunt solvendum hoc modo et pro qualibet ecclesia seu beneficio, scilicet soldos triginta Ianue pro qualibet libra cuiuscumque extimi, ita quod si una ecclesia esset in extimo libras decem solvat libras quindecim Ianue, et sic sigillatim unaqueque pro extimo suo in duabus pagis, in prima solvi debeat medietas et per totum menstm ianuarii proximum futurum et alia medietas deinde per totum mensem augusti proximum etiam secuturum; et exigatur ipsum caritativum subsidium ab omnibus beneficiatis equaliter, secundum extimationem extimi sui, et si quod benefitium esset quod in extimum productum non esset, ponatur et stetur iuramento possidentis et tenentis benefitium ipsum, quod si veram extimationem recusabit seu noluerit, extimetur per sapientem sui quarterii secundum quod intelligere poterit pro illius extimatione. Et sic et eodem modo ipsum caritativum subsidium imposuerunt persolvendum, ut pre-mittitur, omni iure, via, modo et forma quibus et melius ac magis potuerunt et possunt. Et sic rogaverunt menotarium infrascri-ptum ut de ipsis omnibus publicum conficerem instrumentum. Acta fuerunt predicta in civitate Sarzane, in domo prefati reverendissimi domini, domini Cardinalis, presentibus presbitero Iohanne Michaele quondam Bartolomei de Sancto Stefano ple-bano plebis Sancti Pauli de Luca, domino Francischo de Bel-liardis canonico parmense et Batista quondam Michaelis de Franchis de..... (i), testibus ad hec habitis, vocatis et rogatis. (I) Lacuna dell’originale. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 233 V. In nomine Domini, amen. Anno a nativitate eiusdem M.° CCCC.o lxxj.o, indictione quarta, tempore pontificatus Sanctissimi in Xpo patris et domini, domini Pauli divina providentia pape ij anno septimo, die vero sexta iunii. Congregatis simul et convocatis venerabilibus viris dominis canonicis et Capitulo Lunensi et Sarzanensi cum infrascriptis dominis archipresbiteris, presbiteris, rectoribus et beneficiatis plebium et aliarum ecclesiarum et benefitiorum episcopatus Lunensis ex Sarzanensis in numero sufficienti, prout de congregatorum numero infra patebit, in civitate Sarzane, in ecclesia maiori beate Marie Sarzanensis, ad mandatum et requisitionem reverendi in Xpo patris et domini, domini Antonii Marie Dei et apostolice sedis gratie Episcopi Lunensis et Sarzanensis, pro sinodo fienda et celebranda singulo anno temporibus istis pro reformatione totius Episcopatus et pro eis riformandis qui necessarie sunt, tam pro ecclesiis, quam pro salute etiam diocesanorum in reformatione multorum que concernunt tam honorem et cultum divinum, quam etiam animarum salutem, et pro eis fiendis et exequendis que necessaria sunt componere. In qua sinodo congregata, servatis prius que servanda sunt secundum mentem et modum sancte Romane Ecclesie et presene Episcopatus, approbatis aliis constitutionibus sinodalibus, infrascripta etiam constitutiones facte, lecte, exposite et ordinate fuerunt per ipsos omnes congregatos, nemine eorum congregatorum discrepante, cum presentia, asensu et voluntate prefati reverendi domini Episcopi et ipso auctore et proposi-tore et ipse omnes constitutiones infrascripta et ordinamenta nunc facte et firmate, facta et firmata valeant, exequantur et firmiter observentur, prout videlicet: Et primo, quod cum episcopatus iste pro litibus, questionibus et casibus continuo inter diocesanos variis de causis vertentibus et ad episcopalem curam spectantibus et pertinentibus cognoscendis, decidendis et terminandis uno doctore indigerit, qui iure tam canonico quam civile intelligat et in eis professionem fecerit, et sit integer et bonus, qui vicarius generalis existât et ex theorice et pratice sue omnes lites et casus discernat qui nunc sunt et in futurum evenerit, tam inter 234 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ecclesiasticas personas et earum bona, quam seculares et ipsarum bona, que ad ipsum ecclesiasticum offitium spectent et pertineant quomodocumque, et huiusmodi doctor haberi et teneri non possit, nisi cum idoneo et sufficienti salario eidcm dando et assignando, ad quod salarium episcopatus facultates et intratas minime suppetant subeundum ita depauperatile est et fere ad nihilum reductus, ex quo opus est ut salarium ipsum pro tocius dioecesis et episcopatus predicti utilitate et commodo queratur aliunde pariter habeatur. Et discussis exami-natisque omnibus quod examinari et discuti potuerunt, cognitum fuit et est, quod ex operis seu massariis aut censores quarumcumque ecclesiarum prefati episcopatus salarium ipsum extrahatur cum illa etiam sint que magis ipso vicario et do-ctore propter earum curas et negocia indigeat. Ex quo hac presente costitutione statuerunt et ordinaverunt ac firmarunt et sancierunt prefati congregati sinodales antedicti, quod ex bonis, fructibus, introitibus et redditibus universis prefatarum operarum, massariarum vel consortorum omnium et singularum ecclesiarum tamen curatarum quam non ; quod ecclesie ipse ipsas operas, massarias et consortos habeant in prefata dioecesi salarium prefatum idoneum et sufficiens pro ipso vicario do-ctore pro cuiuscumque opere, mnssarie, consorti rate et facultate et iuxta redditum earum annuo valore extrahatur, habeatur et percipiatur et sic ipsis modo predicto salarium ipsum imponatur et imponi debeat, omni exceptioni remota, auctoritate et decreto presentis sinodi. VI. Fragmentum Extimi ecclesiarum Episcopatus Lunensis. Presbiter Antonius. C. de Varano lib. VJ, sol. X. Presbiter Andriolus. C. de Taponecho lib. V, sol. V. C. de Ormeta lib. V, sol. X. De Castro Aquile et Fosdenove. Archipresbiter de Codeponte lih. XXVIIIJ. C. de Alebio lib. V. C. de Vincha lib. VIIJ. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 235 C. de Viano lib. VIJ. C. de Aquila lib. IJ. C. de Monzono lib. IIIJ. C. de Cervaria lib. IIJ. C. de Gragnola lib. IIIJ. Archipresbiter de Viano lib. X. Presbiter Pelegrinus. C. de Tenerano lib. IJ, sol. X. C. Sancte Clare lib. 0, sol.. XV. C. de Cortili lib. O, sol. XIJ. Presbiter Gabriel. C. de Gassano lib. X. Presbiter Çiprianus. C. de Marcaxio lib. VÏIJ, sol. IIJ. Presbiter Michael. C. de Colle lib. O, sol. X. Presbiter Iohannes. C. de Cecina lib. O, sol. X. C. de Sancto Terentio lib XIII, sol. X. C. de Collechia lib. IIIJ. Presbiter Antonius. C. de Bioio lib. VIJ, sol..... C. de Palarono lib..... CARFAGNANA. Presbiter Pucinus. Archipresbiter de Castelo lib. I.VIIJ. Presbiter Iacobus. C. de Rocha lib. IIJ. Presbiter Baptista. C. de Camporezana lib. V. C. de Vitoio lib. VJ. C. de Casiana lib. V. Presbiter Andreas. C. de Valio de Sotto lib. VIIJ, sol. X. Presbiter Lazarus. C. de Valio de Sopra lib. V, sol. V. Presbiter Bartholomeus. C. de Rogio lib. V. Presbiter Dominicus. C. de Corfigiano lib. VJ. C. de Castignola lib. IIJ. Presbiter Leonardus. C. de Niciani lib. IIIJ, sol. X. C. de Sancto Michaele lib. IJ, sol. XV. C. de Vargiano lib. IIIJ. C. de Gragnana lib. IIIJ. Presbiter Franciscus. C. de Maiano lib. IIIJ. Presbiter Antonius. C. Sancti Anastaxii lib. —, sol. V. Presbiter Iacobus. C. de Congia lib. IIIJ. Presbiter Francisais. C. de Dallo lib. IIIJ. C. de Soraio lib. IIIJ, sol. V. 23<ΐ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Presbiter Xpofortis. C. de Silano lib. V. Presbiter Marchas. R. in dicto loco lib. 1J. C. de Rursignana lib. 1I1J. Presbiter lacobus. C. de Livignano lib. 1IIJ. Presbiter Petrus C. de Sancto Donino lib. IliJ. Presbiter Franciscus. C. de Verugula lib. VIIJ, sol... · C. de Petrognano lib..... C. de Puianello lib..... C. de Sancto Romano lib. IIJ. Hospitale dicti castri lib. VIIJ. Presbiter Ugolinus. Archipresbiter de Sancto Laurentio Kb. XXJ. C. de Gramolaso lib. IIJ, sol. XV. Presbiter Petrus. C. de Puiano lib. V. C. de Minazano lib. VIJ. Hospitale de Thea lib. IIJ. Presbiter Pasqualis. C. de Casula lib. V C. de Seramezana lib. IIJ. VERSILIE. Archipresbiter de Monte libero lib. IIIJ. Archipresbiter de Sancto Vitali lib. XIIJ. R. in dieta plebe lib. IJ. C. de Rato, cum capella de Furno, lib. VI, sol. X. Archipresbiter de Massa lib. XXVIJ. C. de Anthogna lib. XJ. Archipresbiter de Montetignoso lib. X, sol. X C. Sancti Eustacii ibidem, lib. VIJ. Presbiter Lucas. Archipresbiter de Valechia lib. VIJ. Presbiter Pasqualis. Renefìtia in dieta plebe lib. IIJ. C. Sancti Martini de Capella lib. IIIJ, cum Renefitio Sancti Anthoni. C. de Tirinca lib. VIJ. C. de Galena lib. VIJ. Propositura Sancti Francisci de Ripa cum membris suis lib. V, sol. V. C. de Stritoio lib. IIIJ, sol. X. C. de Rranchiolano lib. IIJ, sol. X. Hospitale Sancti Lazari de Petrasancta lib. IIJ. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 237 Riparia ultra montes. Archipresbiter de Montali lib. XV1J. Presbiter Simun. B. in dicto loco.. .. Oratorium Sancti Michaelis de Fontana lib. IIJ. Presbiter Iohannes. C. de Ecclesia nova lib. VJ. Presbiter Iohannes. C. de Rismonte lib. V11J, sol. X Presbiter Lazarus. C. de Riorola lib. IIJ. C. Sancte Marie de Monte nigro lib. V. C. Sancte Margarite de Vernacia lib. XVJ. C. domine Andriole ibidem lib..... C. Petri Arasini ibidem lib..... C. Sancte Marie de Regio lib. XI1IJ. C. de Levanto lib. XVIIJ. B. presbiteri Venturini lib. IJ. Presbiter Martinus. C. Sancte Marie ibidem lib. IJ. C. Sancti Bartolomei ibidem lib. IJ. Presbiter Xpofanus. C. Sancti Petri ibidem lib. IJ. C. Sancte Cruce (sic) ibidem lib. IJ. C. Sancti Michaelis lib. IJ. C. Sancti Bernardi ibidem lib. IIJ. C Sancte Marie de la Costa lib.... C. de Meschio..... Presbiter Marchio. C. de Monte rubei lib. XVIIJ. B. Aresmini in ecclesia Sancti lohannis lib. J. B. fratris Michaelis Tonsi lib. IIJ. B. Sandri lib. IJ. C. Facini in Monte rubio lib. IJ. C. de Soioio lib. IIJ. Presbiter Matheus C. Sancti lohannis de Rimazorio lib. VUJ. B. presbiteri lacopi lib. J. B. ibidem Faliari lib. IIJ. C. de Volascha lib. XVIJ. C. domine Rose in Manarola lib. IIJ. C. Sancti Petri de Cornilia lib. XVIIJ. C. Sanctorum Fra:.cisci et Madalene ibidem lib. IJ C. Sancte Marie ibidem lib. IJ, sol. X. Oratorium Sancti Anthoni in ( ornilia lib. J. 23» GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA RIPARIA CITRA MONTES. Presbiter Antonius. C. de Burgeto lib. IJ. C. de Puiasca lib. IJ. Presbiter Ciprianus. Archipresbiter de Pignono lib. VIIIJ. B. in dieta plebe lib. III. C. de Corvaria lib. VIIJ. Presbiter Petrus. C. de Ponzolo lib. VIJ, sol. X. C. de Valipino lib. VIJ, sol. X. Presbiter Lazarinus. C. de Tivegna lib. VIIJ. Presbiter Laurentius. C. Sancti Martini de Durasca lib. VJ, sol. X, cum Benefitio de Follo. Archipresbiter de Colognola lib. XV. Presbiter Gaspar. C. de Carnea lib. VIJ, sol. X. C. de Beverino lib. X. Presbiter Laurentius. C. de Porveraria lib. VJ, sol. X. Presbiter Antonius. C de Valerano lib. VIJ, sol. X. Presbiter Petrus. Archipresbiter de Marinasco lib. XVIIJ. B. in dieta plebe lib. J. C. de Fabiano sol. X. C. de Pegazana lib. IIJ. C. de Carpina lib. VIIJ. Presbiter Dominicus. C. de Blaxia lib. XXIIJ. B. in dieta ecclesia lib. IIIJ. C. de Campilia lib. IIJ. C. de Spedia lib. VIIIJ. Oratorium Sancti Anthoni lib. IJ. Archipresbiter Sancti Veneri lib. XIJ, sol. X. C. de Feleto cum Beneficio de Milearino lib. IIIJ. Archipresbiter de Arcula lib. XXIJ. «-^•Hospitale de Centum clavibus Arcule lib. IIJ. B. Bernucii Provincialis lib. V. Archipresbiter de Tribiano lib. XX. B. in dieta plebe lib. IIJ. C. de Carpiono lib. V. C. de Puvilia lib..... C. de Barbazano lib. X. Presbiter Ludovicus. Prioratus Sancte Marie de Vezano lib. XX, sol. X. GIORNALE S'1'υκκ,ο K LETTERARIO DELLA LIGURIA 23g B. Sancti Petti ibidem lib. IIJ. B. Sancte Madalene ibidem lib. IJ. C. de Marola lib. VIIIJ. C. de Panigaglia lib. VIIJ. Archipresbiter de Amelia lib. V1IJ. DOMINORUM MARCHIONUM DE LEONE. rPesbiter Andreas. Archipresbiter Sancti Andree in Castello lib. XV. C. de Casignana lib. IIIJ, sol. X. C. de Panicale lib. VIIJ. C. de Verogoleta lib. VIJ. C. de Vilafrancha lib. V. Archipresbiter de Vicho lib. XV. Presbiter Baldmus. C. de Trixana lib J. C. de Popleto lib. J, sol. X. C. de Casteoli lib. VIJ. C. de Canosa lib. J. C. de Luxolo lib. IIIJ. C. de Richo lib. VJ. C. de Vila lib. X. C. de Boia lib. VIJ. Presbiter Iohannes. C. de Saltulo lib. VIIJ. Archipresbiter de Robiano lib. VJ. C. de Chiusula lib. VJ, sol.... C. de Costula lib. IIJ. C. de Casale lib. VJ. C de Rio lib. IIIJ. C. de Madrognano lib X. Archipresbiter de Sancto Stelano lib. XVIIJ. Presbiter Petrus. C. de Ponzano lib. VIIIJ. B. in dieta ecclesia lib. IIJ. C. de Calixe lib. XIJ. C. de Bochignola lib. XIJ. C. de Standamilio lib. IIIJ. C. de Felagarda lib. VJ. C. de Albiano lib. XIIJ, sol. X. C. de Caprigiola lib. VIIJ. C de Castrunzolo lib V. 240 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA C. de Padivarma lib. VJ. Presbiter Benedictus. Archipresbiter de Zignagula lib. VIIIJ. Presbiter Iohannes. C. de Valzunchata lib. IIIJ, sol. X. C. de Stadano lib. J, sol. X. Archipresbiter de Venelia lib. XXJ. C. de Sancto Vagirano lib. VIIJ. C. de S..... VII. Hoc est Extimum ecclesiarum Episcopatus Lunensis exemptarum et non exemptarum. Et primo non exemptarum: Plebs de Castello in Garfagnana lib. 58. C. de Rocha iib. 3. C. de Camporezana lib. 5. .C. de Vitoio lib. 6. C. de Cassiana lib. 5. C. de Valle de subtus lib. 8. C. de Valle de supra iib. 5. C. de Rogio lib. 5. C. de Corfiliano lib. 6. C. de Castagnola lib. 3. C. de Niciana lib. 4, sol. 10. C. de Sancto Michaele lib. 2, sol. 10. C. de Vargiano lib. 4. C. de Gragnana lib. 4. C. de Maiano lib. 4. C. de Castelieto lib. 2. C. de Sancto Nastasio lib. 4, sol. 5. C. de Cungia lib. 4. C. de Dalo lib. 4. C. de Soraio lib. 4, sol. 10. C. de Silano lib. 5. Beneficium in dicta ecclesia lib. 2. C. de Bursignana lib. 4, sol. 10. C. de Livigano lib. 4, sol. 10. C. de Sancto Donino lib. 4, sol. 10. C. de Verugola Girlandenga lib. 9, sol. 10. C. de Petrognano lib. o, sol. 10. C. de Pivanello lib. 3, sol. 10. GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 24 I C. de Sancto Romano, lib. 3. Hospitale de Castri, lib. 9. Plebs Sancti Laurentii lib. 21. C. de Gramolazo, lib. 3, sol. 10. C. de Pivano, lib. 5. C. de Minizano, lib. 7. C. de Serra Mèzana, lib. 3. C. de Cassola, lib. 4. Hospitale de Thea, lib. 3. Plebs Sancti Petri de Offiano, lib. 17. Beneficium in dieta Plebe, lib. 5. C. de Rignano, lib. 4, sol. 10. C. de Reveza, lib. 6. C. de Turlago, lib. 2. Plebs de Codeponte, lib. 39. C. de Cirignano, lib. 8, sol. 10. C. de Terenzano, lib. 8. C. de Alebio, lib. 4. C. de Vincha, lib. 8. C. de Viano, lib. 7. C. de Equi, lib. 2. C. de Monzono, lib. 4. C. de Gragnola, lib. 4. C. de Corvara, lib. 3. C. de Livignano, lib. 3. C. de Spizar.o, lib. 2. C. de Gragnana, lib. 4. Plebs de Viano, lib. 10. C. de Tenerano, lib. 2, sol. 10. C. de Marzasio, lib. 8, sol. 10. C. de Colle, lib. 2, sol. 10. C. de Cortiola, lib. 2, sol. 12. Benefitium in plebe de Viano, lib. 2. Plebs de Soleria, lib. 12. Benefitium in dieta plebe, lib. 4. C. de Caneto, lib. 4, sol. 10. C. de Gassano, lib. 10. C. de Colechia, lib. 4. C. de Bioio, lib. 7, sol. 10. Giorn. St. e Lett. della Liguria, V. 16 242 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA L1GUK1A C. de Agnino, lib. 6. C. de Anticho, lib. i, sol. io. C. de Caserano lib. 7, sol. 5. C. de Montigulo, lib. 4, sol. 10. Benefitium in dicto loco, lib. —, sol. 10. C. Sancte Clare, lib. —, sol. 15. C. de Debicho, lib. —, sol. 10. C. de Ulmeta, lib. —, sol. 10. Plebs de Sancto Paulo, lib. 20. C. de Quaranzana, lib. 2. C. de Momio, lib. 4, sol. 10. C. de Arli, lib. 6, sol. 10. C. de Cuto, lib. 7. C. de Verugula Bosorum, lib. 6. C. de Sassalbo, lib. 1, sol. 10. C. de Bolognana, lib. —, sol. 10. C. de Pogugnana, lib. 9. C. de Fivizano Sancti Andree, lib. 3, sol. 10. Hospitale de Fivizano, lib. 1. C. de Po, lib. —, sol. 10. C. de Colignago, lib. —, sol. 10. C. de Turano, lib. 2. Beneficium Sancti Antonii in Fivizano, lib. 3. Benefitium in ecclesia de Arli, lib. 1. Plebs de Crespiano, lib. 21. C. de Cornano, lib. 6, sol. 10. C. de Camporagana et Torzana, lib. 5. C. de Varano, lib. 6, sol. 10. C. de Cisignana, lib. 4, sol. 10. Plebs de Venelia, lib. 21. C. de Sancto Vagerano vel Lizana, lib. 8. C. de Panicali, lib. 8. C. de Vaipiana, lib. 6, sol. 10. C. de Castelana, lib. 5, sol. 10. Benefitium Sancti Antonii in dicta plebe, lib. 2. Plebs Sancti Cassiani de Bagnono, lib. 10. C. de Virguleta, lib. 7. C. de Coloxino, lib. 4, sol. 5. C. de Hera, lib. 4. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 243 C. Sancti lohannis de Villafrancha, lib. 5 C. de Mochignano, lib. 4. C. de Taponecho, lib. 5, sol. 5. C. de Compiono, lib. 2, sol. 5. C. de Pastina, lib. 3. Benefitium Sancte Marie in Sancto Terrentiano, lib. —, sol. 10. C. de Corvarola, lib. 3. C. de Castigiono, lib. 3. Benefitium Sancte Marie ibidem, lib. 1, sol. 10. C. de Furnulo, lib. 1, sol. 10. C. de Bagnono, lib. 2. Plebs de Filateria, lib. 16. C. de Filateria, lib. 4, sol. 10. Hospitale de Capria, lib. 1, sol. io. Hospitale de Salvadonica, lib. 3. C. de Caprio, lib. 35, sol. 10. C. de Scurcetulo, lib. 2. C. de Viana, lib. 5, sol. 5. C. de Rocha Valsusolina, lib. 5, sol. 10. C. de Cavalana, lib. 3. C. de Zigiana, lib. 2. C. de Yrola et Bigio, lib. 3, sol. 10. C. de Mocherono, lib. 3, sol. 10. C. de Feleto, lib. 3, sol. 10. C. de Gragnana, lib. 4, sol. 5. C. de Verturano, lib. 5. C. de Corlaga, lib. 5. C. de Vico et Treschieto, lib. 5. Cura de Mulatio, lib. 5. C. de Gropulo, lib. 5. — C. de Podio, lib. 3, sol. 10. C. de Torchiana, lib. 1. Benefitium Sancti Antonii in ecclesia de Gragnana, lib. 1. Plebs DE VlCHO, lib. 15· C. de Trisana, lib. I. C. de Popleto, lib. i, sol. C. de Casteoli, lib. 7. C. de Canosa, lib. I. C. de Losolo, lib. 4· 2 44 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA C. Sancii Prosperi de Ceregiola, lib. 4. C. de Richo, lib. 6. C. de Villa, lib. 10. C. de Boia, lib. 7. C. de Saltulo, lib. 8. Plebs Sancti Cassiani de Saliceto, lib. 8. C. de Caregiola, lib. 4. C. de Ceretulo, lib. 4. C. de Antena et Fraese, lib. 6. C. de Traverde, lib. 3. C. Sancti Modardi de Rosano, lib 6. C. Sancti Iohannis de Monte de Lama, lib. 4. f— C. Sancti Xpofori, lib. 4. C. de Codullo, lib. 3. C. de Dozano, lib. 2, sol. 10. C. Sanctorum Alexandri et Nicolai, lib. 5. C. de Mignegno, lib. 4. C. Sanctorum Iohannis et Columbani, lib. 5-Benefitium ibidem lib. —, sol. 10. C. Sancte Xpine, lib. 8. Benefitium Sancte Lucie, lib. 1. Benefitium Sancte Katerine, lib. 1. C. Sancti Laurentii de Ziro, lib. 7. C. de Torano et Cavezana, lib. 5. Benefitium Sancti Iacobi de Anthena, lib 2. C. de Cavezana Anthene, lib. 2. C. de Monterisio, lib. 5. C. de Castagnetulo, lib. 5. C. de Arzelata, lib. 5. Oratorium de Cervaria, lib. 2. Benefitium Coradini de Anthena, lib. 2, sol. 10. C. de Arzengio, lib. 4. C. de Prachiola, lib. 8, sol. 10. C. de Opiolo, lib. 3. C. de Antesso, lib. 2, sol. 10. C. de Gravegna, lib. 4. Plebs de Vignola, lib. 9. C. de Basilica et Mulpedis, lib. 4, sol. 10. C. Sanctorum Laurentii et Georgii de Cervaria, lib. 3, sol. 10. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 245 C. de Braia et Brato, lib. 3. C. de Basilica de Pontulo, lib. 5. C. de Succisa, lib. 5. C. de Hena, lib. 3, sol. 10. Hospitale Sancti Bartolomei de Borgalo, lib. 1. C. de Grondula, lib. 1, sol. 10. C. de Montemesio, lib. —, sol. 10. Plebs de Robiano, lib. 6. C. de Chiusola, lib. 6, sol. 10. C. de Tivegio, lib. 8, sol. 10. C. de Costula, lib. 3. C. de Casale, lib. 6. C. de Rio, lib. 4. C. de Bu, lib. 3. C. de Cavalanove, lib. 1. Plebs de Cornia, lib. 9, sol. 10. C. de Scogna, lib. 7. C. de Vallezucchana et Trebiano, lib. 4, sol. 10. C. de Borgeto Sancte Marie Magdalene, lib. 2. C. de Puiascha, lib 2. Plebs de Ceula sive Montali, lib. 17. Benefitia in dieta Plebe, lib. 2. C. Sancti Michaelis de Fontana, lib. 3. C. de Ecclesia nova, lib. 6. C. de Risgonte, lib. 8, sol. 10. C. de Riaroló, lib. 3. Plebs de Pignono, lib. 9. Benefitium in dieta plebe, lib 3. C. de Podenzolo, lib. 7, sol. 10. C. de Valepino, lib. 7, sol. 10. C. de Corvaria, lib. 8. Plebs Sancti Andree in Castello, lib. 15. C. de Tivegna, lib. 8. C. de Madrognano, lib. 10. C. Sancti Remigii de Castiglionzello, lib 5. C. Sancti Martini de Durasca, cum benefitio de Follo, lib. 6, sol. 10. Plebs de Colognola, lib. 15. C. de Carnea, lib. 7, sol. 10. 246 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA C. de Beverino, lib. 10. C. de Porveraria, lib. 6, sol. 10. C. de Valerano, lib. 7, sol. 10. Prioratus Sancte Marie de Vezano, lib. 21, sol. 10. C. Magdalene ibidem, lib. 2. C. Sancti Petri ibidem, lib. 3. Plebs Sancti Venerii, lib. 12, sol. 10. C. Sanctorum Iacobi et Xpofori de Feleta, lib. 2. Hospitale Sancti lohannis de Meliarina, lib. 2. Plebs de Arcula, lib. 22. — Hospitale de Centum clavibus, lib. 3. Benefitium Bertucii in plebe Arcule, lib. 1. Benefitium Proventialis in Arcula, lib. 4. Plebs de Marinascho, lib. 18. B. Sancti Benedicti in dicta Plebe, lib. 1. C. de Fabiano, lib. 10. C. de Pegazana, lib. 6. C. Sancti Antonii de Paveraria, lib. —, sol. 10. C. de Carpena, lib. 8. C. de Blaxia, lib. 23. B. Rolandi in dieta ecclesia, lib. 4. C. de Campillia, lib. 3. C. Sancte Marie de Montenigro, lib. 5. C. Sancti lohannis in Rimazorio, lib. 8. B. presbiteri Iacobi ibidem, lib. 3. C. heredum Falconi de Rimazorio, lib. 3· B. aliud in dicto loco Sancti Martini, lib. 1. C. de Volasca, lib. 17. C. de Rose in Manarola, lib. 3. C. Sancti Petri de Cornilia, lib. 18. C. Sancte Marie Magdalene et Francisci ibidem, lib. 2. C. Sancte Marie in Cornilia, lib. 2, sol. 10. C. de Spedia, lib. 9. Oratorium Sancti Antonii in Spedia, lib. 2. C. Sancte Marie de Manarola, lib. 3. Oratorium Sancti Antonii in Cornilia et in ecclesia Sancti Petri de Cornilia, lib. 2. Monasterium de Zeparana, lib. 34. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 247 C. Sancte Marie de Bollano, lib. 9. Monasterium de Avula, lib. 105. C. de Bibola, lib. 8. X C. de Podenzana, lib. 8.\^ C. de Barbarascho, lib. 5. / C. de Burgonovo, lib. 6. % C. de Arbaretulo, lib. 8. Monasterium de Caneva, lib. 5, sol. 10. C. de Gorascho, lib. 2. % / i , C. de Palarono, lib. 4. Plebs de Trebiano, lib. 20. B. in dieta plebe, lib. 3. C. de Carpiono, lib. 5. C. de Puvilia, lib. 5. B. Sancti Iohannis in ecclesia Sancti Francischi de Ylice, lib. 2. Benefitium Sancte Marie in ecclesia Sancte Lucie de Illice, lib. 2, sol. 10. Adiunctio facte dicto benefitio, lib. 3. Benefitium, lib. 2. Plebs de Amelia, lib. 18. C. de Barbazano, lib. 10. Plebs de Sancto Stefano, lib. 18. C. de Ponzano, lib. 9. B. in dieta ecclesia, lib. 3. C. de Caprigiola, lib. 8. C. de Albiano, lib. 8, sol. 10. C. de Stadano, lib. 8, sol. 10. Benefitium in plebe Sancti Stefani, lib. 1. Plebs Sancti Laurentii de Montelibero, lib. 4. Plebs Sancti Vitalis, lib. 13. B. Sancti Michaelis ibidem, lib. 2. C de Buta, cum C. de Fumo, lib. 6, sol. 10. Plebs de Massa, lib. 27. B. Sancti Antonii ibidem, lib. 1. B. Corporis Xpi ibidem, lib. 1. B. Sancte Marie ibidem, lib. 1. C. Sancti Iacobi in Massa, lib. 3. C. de Anthogna, lib. 11. Plebs Sancti Viti de Montetignoso, lib. 10, sol. 10. 248 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA C. Sancii Eustachii de dicto loco, lib. 7. Plebs de Corvaria alias de Vallechia, lib. 7. Benefitia in dieta Plebe, lib. 3. C. Sancti Martini de Capella, cum Benefitio Sancti Antonii, lib. 14. C. de Terincha, lib. 7. C. de Galena, lib. 7. Prepositura Sancti Francisci de Ripa, cum membris suis, lib. 5, sol. 5. C. de Stritolo, lib. 4, sol. 10. C. de Branchaliano, lib. 3, sol. 10. Hospitale Sancti Lazari prope pontem Petrasancte, lib. 3. Capella de Seraveza, lib..... Capitulum Lunensis et Sarzanensis, extimatum lib. 100. C. de Ugiolo, lib. 10, sol. 10. C. de Nicola, lib. 7, sol. 10. C. de Fonti, lib. 4, sol. 10. C. de Castronovo, lib. 11, sol. 10. C. de Pegazana, lib. 2, sol. 10. C. de Fosdenova, lib. 9, sol. 13. B. Ursi Pini in dieta ecclesia, lib. 1. C. de Zuchano, lib. 5, sol. 15. C. de Pulica, lib. 6, sol. 18. B. Vicepagani, lib. 1. C. de Castro Sarzane, lib. 10, sol. 10. B. Mutii Gulielmi in dieta ecclesia, lib. 1. C. de Brina, lib. 6. C. de Falcinelo, lib. 8, sol. 15. B. Corradi in dieta ecclesia, lib. 1. C. de Ponzanello, lib. 7. C. de Lavachio, lib. 1. B. Magistri Petri in Serzana, lib. —, sol. 10. B. Gerardi Romei, lib. 1. * Hospitale de Gropofoscho, lib. 5, sol. 5. C. de Campo de Pontremulo, lib. 7, sol. 10. C. Sancti Geminiani de Pontremulo, lib. 9, so). 15. B. in dieta ecclesia, lib. 2. Reverendissimus Dominus Episcopus Lunensis et Sarzanensis lib. 200. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 249 C. de Sanrto Terrentio, lib. 13, sol. 10. C. de Calesa, lib. 12. C. de Rochignola, lib. 11. C. de Stadamelio, lib. 4. C. de Padoarma, lib. 6. C. de Braciolis, lib. 7. C. de Marola, lib. 9. C. Sancte Magherite de Vernacia, lib. 16. C. domine Andriole ibidem, lib. 1. C. Sancte Marie de Regio, lib. 14. C. de Ravoschia, lib. 4. Hospitale de Mulatio, lib. 5. Hospitale de Pitaborga, lib. 2. C. de Yrola, lib. 6. C. Sancti Iohannis de Vernacia, lib. 2. C. de Rivalta, lib. 5. Monasterium de Linaro, lib. 15. C. de Felegaria, lib. 6. C. Sancti Nicolai de Villafrancha, lib. 5. C. de Levanto, lib. 18. C. presbiteri Venturini et Bonamici, lib. 2. C. Sancte Marie de la Costa, lib. 4. C. Sancti Antonii de Almescho, lib. 11. C. de Monterubeo, lib. 18. B. Arescii in ecclesia Sancti Iohannis, lib. 3. C. fratris Michaelis et Fonsi, lib. 3. B. Sandri, lib. 2. B. Sancti Laurentii de Tericio, lib. 1. C. Sancti Nicolai de Vale, lib. 3. C. de Furno, lib. 3. C. Facini in Monterubeo, lib. 2. C. de Panigalia, lib. 8. Altare Sancti Iohannis in ecclesia Levanti, lib. 7. Altare Sancte Marie, lib. 4. Altare Sancti Bartolomei, lib. 5. Altare Sancti Petri, lib. 4. Altare Sancte Crucis, lib. 4. Altare Sancti Michaelis, lib. 6. C. Sancti Martini de Suro prope plebem Cornie, lib. 11. 250 GIORNALE STORICO E LETTERARIO I)EI.I,A LIGURIA C. quam tenet presbiter Pestorinus de Rodoano in Levanto lib. 5. Ecclesie exempte. Monasterium de Monte Blanehorum, lib. 39. Prioratus de Montelungo, lib. 16. Monasterium Sancti Georgii, lib. 14. C. de Rosiliana, lib. i. Prioratus de Donicatu, lib. 5, sol. 10. Hospitale Sancti lohannis de Pontremulo, lib. 14. Monasterium de Monte Sancte Marie, lib. io. Monasterium Sancte Crucis de Corvo, cum capella Sancte Crucis de Sarzana, lib. iS. Plebs de Cararia, lib. 25. C. de Gragnana, lib. 4. C. de Colonata, lib. 3. C. de Aventia, lib. 3. Hospitale de Calcagnola, lib. 3, sol. 2. Hospitale Sancti Leonardi de Frigido, lib. 3. Ecclesia Sancte Marie de Porta, hospitale de Ripa, lib 12. C. de Talavorno districtus Mullacii, lib. 5. C. Sancti Remigii de Massa, lib. 8. Hospitale de Cerreto grosso, lib. 4. Quid et quantum solvere debent questores questium, tam camere episcopali, quam notario, et primo : Hospitale Sancti Antonii pro questa Pontremuli, Riparie et per totam partem ultra Macram solvit Curie duc. 8. Item, notario seu Cancellarla pro litera sol. 20. Item, pro questa Fivizani et citra Macram totidem duc. 6. Et pro Cancellarla sol. 20. Item, pro questa Versilie. scilicet in partibus Masse et in partibus Garfagnane duc. 4. Et pro Canzellaria sol. 20. Item, Hospitale Sancti Pellegrini de Alpibus duc. 3. Et pro Cancelleria sol. 20. Procurator Sancti Bernardi duc. 3. Pro litera sol. 20. Procurator Sancti Bartolomei de Benevento duc. 2. Pro litera sol. 20. Procurator Sancte Marie de Roncisvalle solvit duc. 3. GIORNALE storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA 25I Pro litera sol. 20. Procurator Sancti Spiritus de Roma duc. 3. Pro litera sol. 20 Reliqui vero Iratres Sancte Katerine, Sancti Iacobi et omnes alie queste solvunt duc. 1. Pro litera sol. 20. I: OLIMPIA DEL VOLTAIRE IN ITALIA Allorquando il Voltaire, scrivendo nell’ottobre del 1761 al conte d Argentai, chiudeva interrogando: « Je suis bien vieux; pourrai-je faire ancore une tragedie? qu’en pensez-vous f Pour moi, jè tremble », già volgeva nell'animo un nuovo argomento teatrale, di' ei si proponeva sviluppare sulle scene con novità di forma e di concetto, indirizzandolo ad un fine ben determinato, secondo lo spirito anticristiano onde più vivamente si manifesta improntato questo periododella sua vita. Ed ecco che diciasette giorni dopo annunziava a Dalembert: « Tout vieux que je suis, je viens de faire un tour de force, une espièglerie de jeune homme. J'ai fait une tragédie en six jours ». La recita della Merope nel teatro di Ferney gli aveva eccitato l’estro e I' entusiasmo, ed era uscita di getto dalle sue mani quella tragedia che da prima recava il titolo di Cassandre, ed assunse « ' poi quello definitivo d' Olympie. Ma s’egli poteva affermare : « j' ai imaginé comme un éclair, et j’ ai écrit avec la rapidité de la foudre », conveniva che si preparasse all'opera lunga e laboriosa della lima, ascoltando e discutendo le critiche degli amici, singolarmente del d'Argental, in nome eziandio del cenacolo chc soleva adunarsi presso di lui, e quelle più rilevanti e ragionate del cardinal di Bernis, al cui buon gusto si mostra il Voltaire molto deferente, di guisa che, nel fatto in ispecie dell’ Olimpia, si può ben dire accogliesse pienamente i consigli e i suggerimenti di lui, i quali non furono nè pochi nè di piccola importanza. Di qui una quantità considerevole di mutamenti e di modificazioni, ed una delle ragioni per cui tardava ad apparire sul teatro di Parigi; v'erano poi altri scrupoli per lo 252 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA spirito informatore di quella tragedia, e per il modo non consueto, onde l’argomento era stato svolto. Infatti il Voltaire aveva voluto a bello studio scrivere una tragedia spettacolosa, nella quale 1’ apparato scenico potesse colpire gli occhi dello spettatore, nello stesso modo come i versi allietano gli orecchi, e le situazioni drammatiche parlan in un tempo alla fantasia ed al cuore. Ma tutto ciò, secondo il suo concetto artistico, doveva avere una tale fusione da far sì che il componimento riuscisse un quadro vivente, sapientemente diviso in altrettante rappresentazioni plastiche quanti sono gli atti onde la favola si svolge. Nel suo entusiasmo egli aveva detto che codesti quadri erano degni del pennello di Vanloo. Quanto allo spirito è agevole il rilevare come sia al tutto consentaneo agli intendimenti filosofici e religiosi da lui propugnati, e per i quali voleva combattere il fanatismo e 1’ intolleranza. Da ben due anni andava in cerca d’un soggetto che gli permettesse di bandire sulla scena le sue dottrine, e di confermarle con i commenti onde si proponeva illustrare nella divulgazione per le stampe la tragedia. « J’ai choisi ce sujet », scriveva a Dalembert, « moins pour faire une tragédie que pour faire un livre de notes à la fin de la pièce ; notes sur les mystères, sur la conformité des expiations anciennes et des nôtres, sur les devoir des prêtres, sur l’unité d’un dieu prêchée dans tous les mystères, sur Alexandre et ses consorts, sur le suicide, sur les bûchers où les fammes se jetaient dans la moitié de l’Asie; cela m’a paru cureieux, et susceptible d’une hardiesse honnête ». E poco dopo al conte d’Argental : « Le drame de Cassandre est plus mystérieux que vons ne pensez. Vous ne songez q’ au brillant théâtre de la petite ville de Paris, et le grave auteur de Cassandre a de plus longue vues. Cet ouvrage est un emblème. Que veut - il dire? que la confession, la communion, la profession de foi, etc. etc., sont visiblement prises des anciens. Un des plus profonds pédants de ce monde (et c’ est moi) a fait une douzaine de commentaires par A et par B à la suite de cet ouvrage mystique, et je vous assure que cela est édifiant et curieux. Le tout ensemble fera un singulier recueil pour les âmes dévotes ». È chiaro adunque che il fine morale e filosofico che il Voltaire si propose in questa tragedia fu quello di mostrare come nelle antiche religioni, negli GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 253 antichi riti, negli antichi misteri orientali già esistessero le credenze, le estrinsecazioni di culto, i concetti informatori del cristianesimo. Può dirsi d’altra parte una implicita giustificazione del suicidio. Giustamente egli ammoniva il Damilaville: « Songez qu il y a des choses profondes sous cette écorce », per entro alla quale era penetrato così bene il Dalembert da scrivere al maestro con indovinato umorismo: « on dit que vous serez obligé de changer le titre » d' Olympie, « à cause de 1’ équivoque Ο l impie ! », a cui il vecchio sempre spiritoso e beffardo. « Ο l impie ! n’est pas juste, car rien n’est plus pie que cette piece; et j’ ai grand peur qu’ elle ne soit bonne qu ’a être jouée dans un couvent de nonnes le jour de la fête de l’abbesse ». La prima recita ebbe luogo a Ferney il 24 marzo 1762 nel teatro domestico dell’autore, il quale rimase molto contento dell effetto prodotto sugli spettatori, mentre l’audizione lo indusse ad alcune modificazioni eh’ei ritenne necessarie a rendere migliore e più perfetto il suo lavoro. Buon giudice in quella opportunità fu l’attore Lekain appositamente chiamato dal Voltaire. La rappresentazione venne successivamente ripetuta ; nel settembre ■ comparve la tragedia sulle scene di Schwetzingen dinanzi all’elettore Palatino, per cura in ispecie del Colini, il quale indi a poco la fece stampare corredata delle note appostevi dall’autore. Uscì poi anche a Parigi, ma priva di una nota che il Voltaire considerava di capitale importanza, quella cioè riguardante l’ierofante, e finalmente nel marzo del 1764 affrontò il giudizio del pubblico parigino. Le parti erano così distribuite : Olimpie M.lle Clairon Cassandre Lekaine Antigone Bellecour Statira M.Ue Dumensnil Le Hierophante Brizard Sosthène Dauberval Hermas Blainville Non tutti gli attori furono felici nel rappresentare i personaggi loro affidati; il Bellecour non riuscì a dar rilievo alla parte d’Antigono, sebbene lo scusasse in qualche guisa il non ben definito carattere di quel personaggio; Brizard venne giù- 254 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dicato troppo freddo nella importantissima parte del Gerofante, che il Voltaire stesso si compiaceva d’impersonare sulla scena di Ferney. Ottima invece si mostrò la Dumensnil sotto le spoglie di Statira, sì come il Lekaine nella figura di Cassandro; vinse tutti la Clairon incarnando con mirabile slancio e verità la protagonista. Ma la tragedia non ottenne quell’applauso che si riprometteva l’autore, e si sostenne più presto per l’apparato scenico e per la parte spettacolosa, anziché per i buoni versi, e per i sentimenti elevati. Ebbe poche repliche, e quando dopo tre anni si tentò di riprenderne le recite non si riuscì a nulla. Il Voltaire stesso non fece per ciò molte premure, specialmente perchè avrebbe voluto che fosse rappresentata senza arbitrari cambiamenti e mutilazioni. « Il est absolument nécessaire », scriveva al Lekain, « de la jouer comme je l’ai fait, et non pas comme M.lle Clairon l’a défigurée. Elle a cru devoir sacrifier la pièce à son rôle, supprimer et changer des vers dont la suppression ou le changement ne forme aucun sens. On à surtout dépouillé le cinquième acte de ce qui en faisait toute la terreur et l’entérêt ». Ma X Olimpia non tornò sulle scene di Parigi (i). Quando la tragedia sia stata conosciuta in Italia non sappiamo, ma considerando le attive relazioni letterarie di quel tempo, e la bramosia intensa di leggere le novità, specialmente se uscivano dalla penna del Voltaire, si deve credere lo fosse appena che venne pubblicata per le stampe. Non fu tuttavia subito tradotta, poiché, secondo le nostre notizie, la prima versione apparve anonima a Venezia nel 1768, ed ebbe poi successive ristampe nel 1770, 1783, 1791, 1798, 1804, nelle ultime delle quali comparisce il nome del traduttore, che è Leonardo Capitanachi. Prima però di veder la luce per le stampe venne probabilmente rappresentata con buon successo; il che sembra rilevarsi dalla dedica a Borbon Vincenzo Morosini, là dove il traduttore, indirizzando al suo nome « queste carte », aggiunge. (t) Per tutto quanto si è detto fino a qui si può consultare la Correspondance di Voltaire — OLIVIER, Voltaire et les comédiens interprètes de son théâtre, Paris, igoo — Lion, Les tragédie et les théories dramatiques de Voltaire, Paris, 1895 — BENGESCO, Voltaire. Bibliographie de ses oeuvres, Paris, 1882-90. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ......Un chiaro spirto Nel gentil favellar, cui Senna ascolta Prima dettolle, e trasse caldo pianto Da chi le udì, per sua mirabil arte. Con altra lingua poi dell’ infelice Olimpia, all’Adria io palesai la sorte, E de’ Veneti tuoi 1’ umano petto Si scosse di pietà ; terror profondo Occupò 1 alme, e fuor degli occhi vidi Lacrime uscire, interpreti del core. E rimase sul teatro in Venezia sempre accolta favorevolmente, secondo ci afferma un contemporaneo : « Senza lagrime non si può nè leggere, nè ascoltare: noi fummo testimoni vedendola, benché fosse male atteggiata; noi lo siamo leggendola, benché sia duramente tradotta » (i). Che fosse allora recitata in altri teatri italiani non ci è noto, ben ricordiamo che a Napoli nel 1777 fu proibita dal censore ab. Galiani. Egli scrivendo alla d’Épinay intorno all’ufficio che esercitava sulle rappresentazioni teatrali, esce a dire: « Je n’en ai défendu que trois en tous, c’est - a - dire Olympie, le Galet ien et le Tartufe. Toute la ville crie contre moi, de ce que j ai été un censeur trop sèvere, et vaut absoluement qu 'on donne ces trois pièce. Auriez-vous cru à tant de progrès chez nous? N allez pas croire pourtant que ce soit un progrès de lumières, c est un progrès de stupidité. On ne trouve rien de mauvais dans ces trois pièces, parce qu on n’ y entand goutte » (2). Dopo il Capitanachi voltò in italiano 1’ Olimpia Luigi Lan-driani che pur tradusse la Zaira, ed ebbe la ventura di vedere impressi i suoi versi con i nitidi caratteri di Giambattista Bodoni. Egli afferma di conoscere « una sola traduzione del- 1 Olimpia..... d anonimo autore », e facendo alcune considerazioni sulla difficoltà di ben tradurre la poesia, critica implicitamente il volgarizzamento del suo predecessore. Alcuni credono, scrive, sia cosa agevole il tradurre ; * sembra loro che, tutto essendo dall’autore disposto, non si tratti che di semplici parole da un idioma all’ altro.... Non sì di leggieri si esprimono le idee, i sensi e lo spirito dell’originale ; meno le frasi, le (i) Cfr. Notizie storico-critiche sopra V Olimpia in seguito all’edizione di Venezia 1798, che è parte del Teatro moderno applaudito. .2) CROCE, I teatri di Napoli, Napoli 1891, p. 562. GIORNALI·: STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA grazie d’un altro linguaggio. In simili inciampi è sempre d uopo o togliere qualche cosa al testo, massime se soggetto alla rima, come il francese, o aggiungere e cangiare qualche espiessione non compatibile nella lingua in cui si traduce..... Nel tragico segnatamente, ove l’arbitrio ha poco luogo, bisogna, traducendo, sovrattutto che la dizione sia nobile; i versi non duri nè deboli, nè che giammai una sola parola non sia la propria a disegnare la mente dell’autore medesimo, per quanto è possibile. In somma le traduzioni non dovrebbero mostrar punto d’esser tali, ma gareggiando coll’originale, far in modo che appaiano veri originali esse medesime ». Quanto a lui, ha cercato di far del suo meglio « per non essere spregevole all’occhio del pubblico ». Codesto proposito di apparire « originale » ha fuorviato il Landriani, la cui traduzione se vince quella del Capitanachi nel maneggio della lingua, nella fattura e nella tecnica del verso, è però men fedele al testo francese, al quale l’altro si mantiene più pedissequo. Anche nella economia generale del lavoro, questi è riuscito men prolisso, poiché mentre i 1593 versi del Voltaire sono diventati 1977 nella sua versione, quelli del Landriani sono saliti a 2099. Non mette conto fermarci a confronti particolari, a ragguagli ed osservazioni poiché questi due traduttori, rientrano nel numero di quelli, più o meno oscuri che toccarono in sorte alle opere drammatiche del Voltaire, anzi proprio fra coloro di cui non si sa nulla di particolare. Al qual proposito torna opportuno ricordare la sentenza del Bouvy: « les traducteurs », muovendo dal 1737, « naissent et se succèdent pour lui presque sans interception sur tous les points de la péninsule. Il s’en trouve d’illustres et d’obscurs, gens de noblesse, gens d’église, ou simples gens de lettre. Presque toutes les pièces, même les dernieres, même les plus médiocres, sont ainsi traduites et imprimées » (1). È utile tuttavia riferire il giudizio del Landriani sulla tragedia. L’ Olimpia, egli nota, da qualche scrittore è messa accanto alle prime e più belle tragedie del Voltaire « e per la pompa teatrale, e per la cognizione delle Corti, e per l’intelligenza del cuore umano, e pel mirabile contrasto degli affetti i più teneri 1) Bouvy, Voltaire et /’ Italie, Paris, 1898, p. 232. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 2 e i più terribili. Non può questa tragedia essere così agevolmente rappresentata su i nostri teatri come su quelli di Francia, ma non è da porsi in dubbio che anche la sola lettura non abbia ad eccitare un piacer sommo, se si riguardano gli avvenimenti ben intesi e ben condotti, le immagini, e i sentimenti nobilissimi, e sovrattutto i caratteri delineati al vero, e le tante altre bellezze facili a rilevarsi da qualunque lettore. Un sommo sacerdote poi che parla della Divinità con idee sì sublimi e vere, e che distingue i limiti fra il Sacerdozio e l’impero, è forse un soggetto sino ad ora non maneggiato in una tragedia pagana. Egli ci conferma qual fosse l’opinione degli antichi Savi e Filosofi sensati di un sol Ente, creatore dell’Universo, punitore e rimuneratore; e come la turba degli emblematici Dei Ia-sciavasi al popolo, a' pregiudizi del quale sovente non può opporsi la sana ragione Non deve poi recar meraviglia se Voltaire ha qui introdotta una tale mescolanza, essendosi egli adattato ai costumi, alla religione, ed ai tempi in cui egli trasporta Γ avvenimento che forma il subbietto della sua tragedia ». Dal che si deduce che il Landriani non ha compreso il fine dell’autore, nè intimamente rilevato, come si dice, il velen dell’argomento, non isfuggito all’acuto discernimento dell’abate Galiani, il quale, sebben largo e spregiudicato, pur, secondo abbiamo detto, ne vietò la rappresentazione. La tragedia rimase al teatro sui primi del secolo XIX, e comparisce infatti fra quelle permesse nel Regno Italico (i). Forse le rappresentazioni non furono frequenti, specie per le difficoltà sceniche; e forse cessarono affatto dopo la caduta del regno; certo non figura negli elenchi della compagnia reale sarda istituita nel 1821. Vi fu però un tentativo di rimetterla sulla scena da parte di questa compagnia nel 1823, si come vediamo dalla tragedia stessa nella edizione del 1798 (che è compresa nel Moderno Teatro Applaudito), in cui si legge la distribuzione delle parti scritta a penna di fianco ai perso-naggi, e in calce l’approvazione della censura con le cancellature nel testo dei versi e delle espressioni vietate. Esercitava allora l’ufficio di censore Carlo Stefano Facelli professore di storia e geografia all’Accademia militare di To- (IÌ Cfr. Revue Napoleonnienne, vol. II, p. 196. Gioni. Hi. c Leti, della Liguria, V. 17 258 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA rino, il quale « nella storia stabiliva che un governo non può prosperare che all’ombra del pinacolo di S. Pietro, riconosceva come il più grand’uomo stato al mondo Gregorio VII, e riteneva che il trattato del 1815 avesse definitivamente chiuso l’èra delle guerre » (1). Egli cancellava con il « fatale inchiostro rosso » (2) le parole e le frasi che non si dovevano recitare, e quando si trattava di un brano più o meno lungo aveva cura d’inquadrarlo esattamente, e per maggior sicurezza scriveva di fronte un « no » fiammeggiante. Se gli veniva osservato : ma il verso, il senso?...., soleva rispondere che queste cose riguardavano l’autore; tuttavia qualche volta si provava a sostituire egli stesso qualche parola incriminata, quasi a mostrare come si possa facilmente correggere. Nell’ Olimpia egli ha incominciato a sopprimere le parole di Antigono : .... 11 nostro braccio, il nostro sangue Fu che il fè grande, riferendosi ad Alessandro esaltato da Cassandro come grand’uomo, e re (3); poi quelle di Ermante (4): Arte di regno agli occhi della plebe La debolezza è spesso. Più innanzi sono tagliati via i versi seguenti (5.)-; Oli. Per amar la virtù, per seguitarne, O ministro, le leggi, convien forse Aver culla reale? Sta. Ah ! no ; pur troppo Veggo la colpa venerata in trono. e questi del Sacerdote (6): Puri costumi, santitade, c pace Fuggono già, già vinceranno i regi, E un sovrano mortale avremo alfine. (1) Rogiek, L’Accademia militare di Torino, Torino, 1895, pag. 193. (2) Brofferio, Miei tempi, vol. XII, p. 166 sgg. (3) Atto I, se. 2. — (4) Ivi, se. 5. — (51 Atto II, se. 3. (6) Ivi, se. 5. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEI,LA LIGURIA 259 - —-----ç---- Là dove Cassandro propone ad Antigono di risolvere con un duello la loro contesa per la mano d’Olimpia, senza che sia sparso « il sangue compro » de’ loro soldati, dopo aver cancellato quel « compro » sopprime questi versi significanti (1): Qual parte mai nelle discordie nostre Hanno i vassalli ? andar deggiono a morte Per le nostre contese? Un più lungo taglio ha colpito 1’ ammonimento del Gerofante, il quale avendo sorpreso i due rivali che si battono sulla soglia del tempio, ordina che siano separati e gli invita « con mente più tranquilla e cor più cheto » a piegarsi « alla legge » e a rispettare « la sua giustizia » (2): Essa è comune a tutti, E si dee venerar : nella capanna Il p ivero 1’ ascolta, ed i monarchi In trono assisi ; al debole dà forza, Il reo raffrena, e dall’ altare invola Le vittime innocenti. Se uno sposo, Qualunque ei sia, qualunque grado ei vanti, Ha sparso il sangue d’ uno de’ congiunti Della sua sposa, sia pur reso puro Ne’ sacrati misteri, e col vivace Foco di Vesta, e coll’ acque lustrali, Col pentimento ancor, che più del resto E’ necessario ; alla sua sposa lice Passare ad altre nozze in quel dì stesso E senza macchia il può, quando clemente Non perdoni 1’ offesa al par de’ numi. Nè il censore vuole che Ermante, cercando di calmare i fieri propositi di Antigono, il quale giura morte al suo rivale, lo ammonisca (3) : .....Lo credi Λ me, o signor, sagro rispetto 1’ alme Colpirà de’ soldati, inorriditi Si ritrarranno, e non vorran seguire Gli audaci passi tuoi ; e che nel rispondergli Antigono dica fra l’altro: .....io so che sonvi Leggi da rispettarsi, e che a me giova Il popolo imitar, se ’l voglio amico. (i) Atto IV, se. 2. — (2) Ivi, se. 3. — (3Ì Atto V, se. 1. 200 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Non consente in fine che lo stesso Antigono, dopo il suicidio di Statira, di Olimpia e di Cassandro, scosso dalla strage di Alessandro, della sua stirpe e de’ suoi traditori, esclami (i): O dei, di cui lo sdegno il mondo soffre, Sovrani de’ vilissimi mortali, A che mai li formaste ?. e di qual colpa Statira era macchiata ? di qual colpa Olimpia è rea ? La sua penna condanna poi alcune frasi, come: « ma la pietà si stanca — sopra tutto tra i grandi » ; « ognor difende il popolo le leggi »; * delle corti i raggiri »: l’ingiunzione del Gerofante : « Prenci obbedite e tu gran Dio perdona » non gli va, e cancella « obbedite » e « Dio » ; il « monarchi » si deve mutare in « rivali » ; il « trono » in « poter » ; «la tirannide » in « talun di loro »; nè vuole per ultimo che la sacra parola « re » sia profanata cosi in bocca d’Olimpia (2) : .....Ah nell’ orror del sangue Lasciam pur questi re pugnare insieme, la qual parola qui incriminata è piacevolmente sostituita in margine con « rei » dalla mano forse del Bazzi, direttore della compagnia, il quale, certo senza intenzione maliziosa, fa ricordare un noto epigramma dell’Alfieri Cincischiata la tragedia in questa maniera, il « Professore Facelli », così soleva firmare, concedeva il suo « visto il 5 marzo 1823 », e cominciava allora la seconda revisione da parte del direttore scenico, il quale si mise all’opera nell’intento di accorciare alla meglio tutto quanto il censore aveva segnato, e di abbreviare, secondo sogliono i pratici della scena, la tragedia, a suo parere un po’ lunga. E i tagli da lui fatti cadono qua e colà sopra alcuni brani ritenuti non necessari all’intelligenza ed allo svolgimento del fatto; in ispecie poi là dove le linee rosse, e i « no » del censore avevano imposto il divieto. Tuttavia anche a queste seconde soppressioni sembra non essere estraneo il proposito di purgar meglio il testo da certi pensieri, da certi sentimenti alquanto arditi, o che potevano apparire meno castigati. (l) Atto V, se. 7. — (2) Atto III, se. 6. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2ÔI Le parti della tragedia erano state distribuite in questo modo: Manca nella nota l’assegnazione del personaggio di Ermante; è soppressa la parte di un Sacerdote, che è invece riunita a quella della Sacerdotessa. I nomi degli attori sono tutti assai noti, e si trovano nell’elenco della compagnia reale dell'anno suindicato; le notizie biografiche di ciascuno possono leggersi nella bell’ opera del Rasi, inutile quindi discorrerne qui. Giova invece osservare come poche fossero le tragedie del Voltaire comprese nel repertorio drammatico della compagnia, nè vi è memoria di questa; la quale si doveva dunque apprestare per la scena quando Anna Bazzi aveva assunto la parte di madre nobile, lasciando quella di prima attrice a Carlotta Marchionni entrata di fresco nella compagnia (i). Siamo nel periodo in cui, chiuso l’anno comico còl carnevale, questa soleva nella quaresima trattenersi in Torino a fine di preparare con assidue prove a le recite della primavera e dell’estate, e X Olimpia doveva essere una delle rappresentazioni che venivano nuovamente ad arricchire il repertorio; forse la Marchionni presentandosi al pubblico sotto le spoglie della protagonista, sperava di emulare la Clairon, e riportarne nuovi allori. Ma la tragedia, a quanto pare, non comparve sulle scene; nessuna memoria affermativa se ne riscontra in coloro che hanno specialmente parlato della compagnia o della insigne attrice, e non si trova ricordata nè dalla Gazzetta Piemontese, nè dalla Gazzetta di Genova, le quali recano le notizie teatrali di quel- li. COSTEI®, La compagnia reale sarda, Milano, 1893, e relativa re censione con utili rilievi e notevoli giunte di G. Roberti i in Giorn. stor. d. lett. ital., XXIII, 267 sgg.', del quale è da vedere il precedente lavoro: / primi anni delia Comp. Reale Sarda <. Estr. dalla Rivista Contemporanea, 1888). Cassandro Antigono Statira Olimpia Il Gerofante Sostene Una Sacerdotessa D.co Righetti Borgo la Bazzi la Marchionni Bocomini Forati ini la Bocomini Ad.de 2Ó2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA NOTIZIE INTORNO A TRE AMBASCERIE GENOVESI DEL SECOLO XV Alfredo Reumont nel suo saggio intorno alla diplomazia italiana (i), ha raccolto molti ed importanti documenti sulle antiche ambascerie di Firenze, di Venezia e di Roma; ma non fa cenno alcuno di Genova che pure ne ebbe di ragguardevoli e degne di menzione. E siccome nella conclusione egli scrive che i limiti del suo lavoro non gli « hanno consentito di considerare che soli tre stati fra quelli che contava l’Italia », così ho tentato di aggiungere alcune notizie sulle condizioni e le modalità colle quali il comune di Genova, sullo scorcio del sec. XV, inviava le sue ambascerie come un tenue contributo alla storia della diplomazia italiana. Gli ambasciatori solevano essere scelti dall’ufficio di Balia e dagli Anziani. Il loro numero variava a seconda della maggiore o minore importanza della commissione ad essi affidata, della città, o della autorità ed eccellenza del personaggio, o della corte a cui erano diretti. Così riscontrasi che uno solo ne venne mandato al Duca di Savoia (2), due al Re di Casti-glia (3), quattro al papa (4), sedici a Milano (5) e ventiquattro al Re Luigi XII (6). Tra gli ambasciatori poi, mi pare ovvio notarlo, eravi sempre un capo, per lo più dottorato « in utroque », a cui affidavasi l’incarico di dire l’orazione al cospetto del principe e di trattare gli affari pertinenti allo Stato. È naturale che gli ambasciatori, assumendo l’onorifico ufficio, dovessero sostenere molte spese di rappresentanza, e poiché molto spesso la indennità deliberata volta a volta non bastava alle spese necessarie alla dignità dell’ufficio, dovevano ( i ) Della diplomazia italiana dal sec. XIIIal XVI, Firenze, Barbera, 1857. (2) Luglio 1496 ; per congratularsi col nuovo Duca, Arch. Stato di Genova, Divers., Reg. n. 156. 13) Febbraio 1493 ; per trattare la pace col Re. (4) Novembre 1492 ; per 1’ elezione di Alessandro VI. (5- Dicembre 1494; Diversor., Reg. N. 154. (61 Settembre 1499 ; per la cessione di Genova al Re di Francia. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 263 rimetterci del proprio, sicché non di rado vediamo autorevoli personaggi rifiutare l'incarico, perchè non andassero a mal partito le loro sostanze, oppure trascinare la vita in una splendida miseria. Ciò sanno il Machiavelli, quando fu inviato a Sua Maestà Cristianissima, Paolo Copello a Roma, Bernardo Navagero a Carlo V ed altri; perciò anche dopo la minaccia del Gran Consiglio di Venezia, fatta nel secolo XIII (1271) di una multa pecuniaria per chi avesse ricusato di accettare la nomina, questa non era esente da querele, da rimostranze e da recriminazioni, perchè gli stipendi erano troppo esigui (1). In Genova ci si trovava nelle stesse condizioni. Infatti gli ambasciatori che dovevano recarsi nel 1488 a Milano si lagnavano di non avere sufficiente denaro per il viaggio e di esser costretti a rimetterci le loro entrate ed allora il comune fu obbligato a prometter loro un adeguato compenso e li liberò dal pagamento di alcune tasse. Gian Giorgio Fieschi, uno degli ambasciatori, che ne era già immune, fu risarcito sulla parte del focatico di Baldassarre Lomellino (2). Altra volta per lo stesso scopo, il comune di Genova ricorse per sovvenzione al Banco di S. Giorgio (3) o dette incarico all’ufficio di Balia di riscuotere con sollecitudine certe somme da alcuni debitori del comune (4). Ma sembra che anche queste misure non riuscissero a togliere tanti inconvenienti e molti rifiutassero l’onorifica missione, che finiva di essere un peso anche per gli agiati. Appunto perciò, il comune di Genova nel 1496 stabilì che gli eletti, chiamati a rappresentarlo, non opponessero difficoltà ad accettare, e volle fossero aiutati nelle ingenti spese che dovevano incontrare (5). Vediamo ora come venissero formate le più importanti am- ( 1) Reumont, op. cit., p. 230, ove contengonsi altre notizie sull’argomento. (2) Diversorum, Reg. n. 140 ; 7 Ottobre e 27 Ottobre 1488. 13) Diversorum, Reg. n. 143; 30 Marzo 148g. (41 Diversorum, Reg. n. 148; 17 Ottobre 1492. ('51 Diversorum, Reg. n. 156; 1 Luglio 1496. Del resto, sembra che per molto tempo ancora 1’ essere inviati ambasciatori non facesse molto piacere poiché Giuseppe Coluccì nella prefazione ai « Casi della guerra per 1’ Indipendenza d'America » (Genova 1879, vol. I, pag. XIII) ricorda che nelle « Leggi della Repubblica » dell’Archìvio di Stato, cod. 1676-1686, car. 474, si ordinava nell' anno 1686 a Genova che la richiesta di esenzione dall’ ufficio di ambasciatore dovesse presentarsi entro quattro giorni dall' elezione. 264 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA bascerie Genovesi sul finire del secolo XV : una inviata nel 1492 a Roma presso il papa Alessandro VI per congratularsi seco lui della sua recente elezione ; l'altra nel marzo del 1493 a' re di Castiglia e di Aragona, appunto quella che ritornando Γ anno stesso a Genova vi recò per prima la notizia della scoperta del Nuovo Mondo, giusta le asserzioni del Senarega (1) e del Giustiniani (2); la terza nel settembre del 1499 a Milano per consegnare la città di Genova nelle mani del re di Francia Luigi XII. L’ ambasceria ad Alessandro VI fu composta di quattro ambasciatori : Giacomo Spinola, dottore in utroque, Gio. Batt.a Adorno, Palo Fieschi e Siivestro di Invrea, e venne dato ordine agli otto cittadini deputati ad estinguere i debiti del comune, di pagare tutto il necessario per la spedizione (3). I quattro oratori avevano seco quaranta cavalli e quaranta servi, in cui venivano compresi anche i « giovani » ed un provveditore o scalco; al servizio dei cavalli erano addetti dieci mulattieri. Per le spese dei vestiti erasi stabilito la somma complessiva di lire 425, distribuite in ragione di lire 125 per Giacomo Spinola e lire 100 per ciascuno degli altri tre. È spiegabile il di più toccato allo Spinola, ricordando che egli era dottore in legge e doveva tenere il discorso al Papa (4). Colla data del 12 novembre troviamo un mandato di pagamento di lire 1375 che sono di complemento, come è scritto sul mandato stesso, alle lire 3000 (5). In tal modo noi abbiamo notizie precise della somma che il comune di Genova metteva a disposizione de’ suoi ambasciatori ; somma certamente non molto ragguardevole, quando si consideri e la distanza che corre tra Genova e Roma, e lo splendore della corte pontificia alla quale era inviata la missione. Il giorno dopo, 13 novembre, ecco un ordine al priore di S. Domenico di consegnare al « presbiter » Giacomo Bianchi, cappellano degli ambasciatori, <·. nuperrime (1) Annales in Muratori, R. 1. -S., vol. XXIV, col. 534. (2) Annali della Repubblica di Genova, Genova 1854, vol. II, pag. 5^7- (3) Diversorum, Reg. n. 148, pag. 57 v, 17 Ottobre 1492. (4) Diversorum, Reg. n. 148, pag. 58 r, 19 e 25 Ottobre 1492. (5) Ibid., pag. 62 r. giornale sroKico e letterario della Liguria 265 Romam profecturorum » un apparato di altare con tutto Γ occorrente per celebrare la messa pei detti oratori (1). Questi am fasciatori, come tutti quelli che vedremo più avanti, chie- evano prima di partire al Comune di Genova il cosidetto ecretum contra pericula » col quale il comune impegnavasi 1 risarcirli da tutti i danni che avrebbero potuto avere durante la missione (2). Non erano trascorsi più di tre mesi dalla partenza di co-testa ambascieria per Roma che già un' altra era sulle mosse per recarsi in Spagna a trattare della pace col re. Infatti il 22 Febbraio 1493 i quatto officiali dell’ufficio di Catalogna: Gian Battista Grimaldi, Francesco Spinola q. Domenico, Gerolamo Palmare e Silvestro Invrea davano ordine di donare ai due ambasciatori « ituris ad Regem Castelle et Aragone > una veste per ciascuno. Quella però di Francesco Marchese doveva \alere lire 125, mentre 1 altra per Antonio Grimaldi ne doveva valere solo 100. Stabilivano inoltre che a Francesco Marchese fossero assegnate lire 76 mensili dal giorno della sua partenza a quello del ritorno, che entrambi i legati avessero 10 cavalli per ciascuno e si computassero lire 4 al mese pei famigli, affinchè vestissero bene e la stoffa del vestito fosse di egual co-lore, giudicavano sufficienti 5 ducati al giorno pel mantenimento di tutta la compagnia; deliberavano infine che i due ambascia-tori avessero quattro mule e che ad ognuna di esse fosse addetto un mulattiere colla paga di 18 soldi al giorno (3). Come ognun vede, il salario non era molto lauto, e quindi non vi poteva essere gara fra i cittadini per procurarsi l’onore di essere ambasciatori. L’ambasceria che ha un’importanza veramente grande, e sulla quale è d’uopo intrattenerci più a lungo, è quella che nel Settembre 1499 si recò a consegnare la città di Genova nelle mani del re Luigi XII. Ne facevano parte, come già accennammo, ventiquattro persone ed erano accompagnate da due cancellieri : 1) Ibid, pag. 62 r, 13 Novembre 1492. ^2Ì Ibid, pag. 63 r, 14 Novembre 1492. 3 Diversorum, Reg. n. 148, pag. 90 r, 22 Febbraio 1493. 266 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Bartolomeo Senarega e Antonio Gallo, nomi illustri negli annali della storia genovese. Anzi di questa missione discorrono ampiamente lo stesso Senarega (i) ed il Giustiniani (2) e raccontano entrambi con vivezza di colorito un caso pietoso occorso ai due concittadini Pietro Battista di Guizo e Cristoforo Spinola, compagni nella legazione, i quali, per uno sgraziato accidente, precipitarono da una finestra sulla strada rimanendovi sfracellati. Il Belgrano accenna alle istruzioni date ai legati e alle raccomandazioni fatte ad essi perchè si mostrassero prudenti, retti e concordi « Invigilassero attentamente perchè i loro paggi conducessero vita modesta e tranquilla, ed avessero in ispecie di mira i famigli, onde evitare qualunque rissa e scandalo per cui di leggieri avrebbe potuto a' genovesi venir nome di uomini incapaci del queto vivere; al cospetto del re si mostrassero adorni di sontuose vesti, gravi nell’incedere, sommessi nel parlare; non lasciassero mai apparire sui loro visi quei dubbi o timori che potessero nel caso di qualche contrarietà sorprendere gli animi loro; si astenessero di trattare con S. Μ. o co’ suoi delegati di qualsiasi cosa riguardante i loro interessi privati e in ogni emergenza infine spendessero con moderatezza e parsimonia il denaro pubblico > (3). Il Belgrano prosegue diffondendosi a descrivere le pratiche tenute dagli ambasciatori cogli incaricati di S. M. Reale e pubblica anche le relazioni di Antonio Gallo sul modo di procedere dei negoziati; cosicché non avrei più nulla da aggiungere a questo proposito; ma non sembrandomi prive di qualche interesse alcune note di spese per oggetti necessari alla cerimonia della consegna della città, stimo non inutile pubblicarle, perchè sia del tutto chiarita la storia di codesta importante missione diplomatica. La città di Genova doveva essere consegnata al re colla offerta dello scettro, del vessillo, delle chiavi e del sigillo, ad indicare la cessione assoluta di governo sulla città stessa (per (1) Op. cit.· in Muratori cit., col. 569, dove aggiunge anche che questa ambasceria fu fatta « tanto apparatu quanto nunquam nostra urbe factum sit ». (2) Op. cit., vol. II, pag. 595. (3 ) Della dedizione dei Cenovesi a Luigi XII Re di Francia, Torino, Stamp. Reale, 1863, pag. 16. L’istruzione fu pubblicata per intero dal Pélissier in Atti Soc. Lig. di St. Pat., XXIV, 4^3· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 267 traditionem sceptri, vexilli, clavium et sigilli). Perciò appunto il 18 settembre 1499 leggiamo che Donato di Marco e Gian Ambi ogio di Negrone, massari dell’ufficio di Balia, hanno ordine di pagare lire 36 a Battista di Assereto, orefice; « qui facit claves, sceptrum et sigillum argenti qui offerri debent Chri-stianissimo Franchorum Regi in translatione dominii, per oratores, et in fidelitate facienda ». Segue un altro ordine di pagamento di lire 43 e soldi 4 a favore di Gio. Batt.a Grollero e fratelli venditori di seta « pro libris quatuor cum dimidia ta-fetalis albi et rubei, pro vexillo faciendo comunis Ianue, dando Regie Maiestati in translatione dominii huius urbis » (i). In una nota del 23 settembre trovasi l’ordine di pagamento di altre lire 60 all’ artefice Battista Assereto, e ciò mi fa credere che le trentasei consegnategli prima avessero servito a comprare 1 argento e le 60 date dopo fossero come compenso del lavoro condotto a termine. Questo è confermato da un altro ordine di dare lire 13 ad Augusto del Signore per aver fatto il vessillo da portarsi al re. Aggiungasi poi che il giorno successivo i massari pagano lire 23 e sol. 12 a suor Pomelina di Negrone del monastero di S. Andrea « que fecit mantile cum quo copriri debet bacile in quo portabuntur claves vexillum et reliqua ». Questi ultimi atti si trovano nei registri appartenenti al cancelliere Bartolomeo Sanarega, a conto del quale si vedono segnate lire 72, forse le spese del suo viaggio insieme con gli altri ambasciatori (2). A proposito del quale ivi pure si legge la seguente notizia degna di menzione: * 1499 die XXIIII sept. Bartholomeus (Senarega) profectus est Mediolanum ad Chri-stianissimum Franchorum Regem et rediit die. XII novemb. ». Quindi con molta probabilità si può congetturare essere stata altrettanto lunga la permanenza della legazione a Milano. Al ritorno gli ambasciatori facevano la loro relazione ed il Comune procedeva a sua volta alla revisione dei conti, come leggesi in un atto del 1488, dove ad Anfreone Usodimare e Stefano Giustiniani è dato incarico di rivedere le spese fatte dalla legazione di Francesco Marchese e compagni (3) ed in un (1) Diversorum, Reg. n. 159. (2) Diversorum, Re". 11. 159 e 162. (3) Diversorum, Reg. n. 140, 26 Luglio 1488. 268 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI.A LIGURIA altro importante documento del 15061 che credo bene riferire in appendice pel grande interesse che ha nella storia delle ambascerie genovesi. Tratta infatti della formazione di una ambasceria da inviarsi al Re Luigi XII ed in esso appare manifesto lo scrupolo nel precisare il numero delle persone che devono seguire gli ambasciatori, le loro mansioni, i compensi e tutte le altre modalità inerenti a sì fatte missioni. Diversorum Filza 63 X Novembre tSob Mdvito Die X novembris. Magnificum officium Balie excelsi communis Ianue in legitimo numero congregatum volens procedere ad expeditionem Pauli de Francis Burgari et Simonis de lugo oratorum ad Xmum Regem dominum nostrum designatorum: Inprimis constituerunt eorum committatum ut infra: scilicet ut quisque eorum secum ducat famulos sex cum equis suis et peditem sive staferium unum. Et in numero famulorum habeant singuli iuvenem unum, pro salario famulorum et peditum statuerunt libras sex in singulum, mense singulo, pro iuvene vero duodecim, pro vecturalibus quattuor: quos permisserunt illis secum ducere: sol. quindecim singulo die pro singulo vecturale et mulo. Et si eo precio conduci non possent : quantum in eis expendent nullo in se retento beneficio, et ad summum usque in sol. viginti. Pro vectura equorum et seu mularum quattuordecim ipsis comprehensis sol. quinque singulo die. Pro expensis victus hominum equorum et seu mularum sol. viginti singulo die pro homine scilicet a^que equo, ita ut beneficium quodcunque ex his in se retinere possint. In eo tamen beneficio compensentur omnes expense extraordinarie per eos faciende, non tamen que communi pertineant. Insuper dono dederunt ipsis oratoribus libras ducentas pro precio duarum vestium, videlicet libras centum in singulum. Et interea iusserunt ut eis solvantur libre mille octingente. de quibus suo tempore reddant rationem. Et in super cautum fecerunt Antonium Sauli collegam eorum tot locorum comperarum S.11 georgij: super quibus fidem fecit ex decreto ipsius Magnifici offitij dictis oratoribus in lugduno ducatorum quingentorum, ultra libras mille octingentas superius scriptas, quas libr. Mdccc satis esse cal-culaverunt pro mensibus duobus: ex eis quoque solutis vestibus suprascriptis. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2ÔQ DOCUMENTI INTORNO A OBERTO PALLA VICI NI VICARIO DI FEDERICO II A chi s'accingerà di proposito a tessere la biografia di Oberto Fallavicini, non torneranno infruttuosi i documenti, che licenzio al palio, col sussidio dei quali si potrà viemmeglio lu-meggiare la figura di quel cieco strumento della politica di l’ederico Π. Anche i piccoli granelli concorrono alla costruzione d un grande edifizio. Dal sesto e dal settimo documento emerge una questione ignota intorno al vescovo di Brugnato, che le cronotassi dei liguri prelati chiamano Guglielmo Contardo. Il 18 ottobre del 1234 Guillelmus de Lavania ab'umatensis electus costituisce un procuratore nella curia pontificia (1), e il 25 febbraio 1248 Guillelmus de Pandecampo electus pruniatensis riceve da Tignoso de Lagneto quindici lire di genovini di spettanza di Alberto Fieschi, promettendo di restituirle per Pasqua nel chiostro di S. Donato (2). Un atto del 25 aprile 1250 lo chiama sempre Guillelmus bruniatensis electus {3 ), segno evidente che non fu mai consacrato. L’1 maggio 1251 è già ricordato Balduino Pendio da Lavagna bruniatensis electus, ancora canonico della cattedrale di Genova (4). L’ottavo documento, sebbene non ci parli del Pallavicini, è bene venga stampato, essendo l’epilogo della quistione sopra accennata. Arturo Ferretto • v 1 Alti del N'ot. Lumino de Predono, Reg. I, Parte I, f. 302 v., Arch. di St. in Genova. 2 Alti del Noi. Palodino de Sello, Reg. Il, f. 59, Arch. c. s. 3 Atti del'Noi. Giovanni de Vegio, Reg. I, f. 201 v., Arch. c. s. 41 Alti del Noi. Bartolomeo de Fornari, Reg. Ili, Parle I, f. 24. Arch. c.s. 2/0 GIORNALE STOK1CU E LETTERARIO DELLA LIGURIA I. 1233, 22 settembre. — Pasqualino di Negro costituisce procuratore 1’ arciprete di Uscio per eleggere Oberto Pallavicini arbitro nella questione, che lia col monastero di S. Maria di Castiglione. (Atti del Not. Lanfranco, Reg. II, Parte I, f. 136 v„ Arch. di St. in Genova,/. Ego pascalinus de nigro constituo te presbiterum simonem Archipresbi-terum de Augusio presentem et recipientem procuratorem meum et certum nuncium. Ad cooipromitendum et Arbitros eligendos nomine meo et vice mea dominos sigenbaldum canonicum parmensem et obertum pelauecinum vel fratrem suum mAnfredum vel Rolandum lupum super lite et controuersia. seu litibus et controuersiis que uertuntur uel uerti posSent inter me Ab unA pArte cum fratre meo Iohanne et Abbatem et conuentum monasterii sancte MArie de casteliouo et sindicum eiusdem monasterii ex Altera, super ven-dicione facta uel facienda mihi et predicto fratri meo terrarum et possessionum predicti monAsterii positarum in territorio gauii et palodii et taiAroli et precio earumdem...... ut tu predictus simon predictum compromissum uAlles et uAllare possis et confirmare secundum quod uidebitur tibi expedire Ad utilitatem negocii supradicti et ut possis predictos Arbitros eligere et Arbitratores cum omni solempnitate iuris. delegacione tamen facta a Sede Apostolica super ianidictis dominis episcopo terdonensi et R. preposito Ianue. in suo robore et firmitate durante, promittens tibi presbitero svmoni me ratum et firmum habiturum quicquid feceris in iandictis. sub penA librArum quinque centum IAnue. et vpoteca bonorum, meorum habitorum et habendorum. Actum IAnue Ante domum canonicorum sancti lAurencii qua hAbitat obertus bonifacius. testes interfuerunt BonusuAssallus de sAuro iudex phili-pus de -sAuro et IAcobus de garisio die XXII septenibris Ante uesperas [MCCXXXIII]. II. 1240, 8 settembre. — Amizo, milite di Anrico da Monza, podestà di Genova, ordina al Podestà di Rapallo, di inviare in iscritto il nome di coloro, che fuggirono dall’ esercito di Grondona (preparato contro Oberto Pallavicini) (Atti c. Parte II, f. 183). Die VIII Septembris. Dominus Amiço milles domini Anrici de modoecia lanuensis potestatis iuxta domum heredum quondam R[ubaldi]elye ubi tenetur Curia in Rapallo precepit et dixit domino G[uillelmo] de Audo potestati Rappalli sub pena et banno librarum quingentarum Ianue Arbitrio potestatis Auferenda quod usque diem Martis proximum mitat Ianuam in scriptis potestati Ianue nomina vni-uersorum hominum qui de exercitu grondone recesserunt sine licencia testes obertus grognus R[ubaldus] de marino et Enricus de caneua. * giornale storico t letterario della Liguria 271 Iacobi nus de verçi s. V ( 1 ). Sai vus de ioço s. V. hugetus frater Nicole de begano s. V. Salucinus filius fulclionis de deselega s. V. Guillelmus taiaferrum s. V. Gaudencius comes libr. III. I. Item in alia purte. Obertinus nepos Guillelmi ligalli s. X. Extrada de cartulario Willelmi Embriaci. III. '24°, io novembre. — Anrico da .Monza, podestà di Genova, trovandosi a .ipa o, ordina di compensare un cursore, che portò lettere a Piacenza, per invio di soldati contro il marchese Pallavicini. (Atti c. s., f. 182). In presencia testium infrascriptorum. Dominus Anricus de modoetia Ia-nucnsis potestas precepit et lussit Enrico de morello notano, quod ipse dare et solueret de denariis collecte Iacobo pesagultì solidos. XI. Iam.inorum. prò remuneratione. ipsius Iacobi. et pro eius uia quam dictus IAcobus fecit causa, portandi, literas ex parte eiusdem domini Anrici. Ad potestatem piacencie P'O lniblibus mittendis in seruicio comunis Ianue. contra. Marchionem pel-lauicinum. de quibus dictus IAcobus se quietum et solutum vocauit et renun-cians exceptioni non numerate et non Accepte pecunie et orami alii exceptioni. testes Niger de Artusio petrus de çoagio. et pascal de prina. Actum Rappali in domo quondam Rubaidi elye. die XVIIJ. nouembris [MCCXL]. IV. 1240, 3 dicembre. Il cancelliere del Comune di Genova, trovandosi a Rapallo, ordina di dare una somma ad Opizzone de Sanguineto, accettante a nome dei soldati di Meleto, che seguirono il podestà di Genova nel- 1 esercito, fatto contro il marchese Pallavicini. (Not. c. s., f. 182 v.). Iacobus papia. scriba comunis IAuue in presencia domini Anrici de modoetia Ianuensis potestatis, volentis et consencientis et sua uoluntate ipsius potestatis precepit et MAndauit Enrico de morrello notano ut soluat et daret de denariis habitis et perceptis siue collectis per ipsum Enricum de collecta unius denarii et medalie pro libra posse potestacie Rapalli. Opiçoni de Sanguineto recipienti, nomine Militum de meleto. 21 qui fuerunt consecuti potestatem predictam in exercitu, facto uersus MArchionem. pellauicinum. libras. IIII. et solidos, decem et octo Ianuinorura. Itera MArchisio de valigia 'i) I nomi sono scritti nella parte posteriore del foglio volante. (2) Meleto è l’attuale frazione di Mereta ne! distretto di Leivi, alle spalle dei monti, che dividono Rapallo dalla Fantanabuona. -7- GIORNALE STORICO E LEI*TEKAKIO DELLA LIUUK1A esecutori, portatori litteras iliote potestatis, paganino de podeçolo nomine comunis lamie solidos duos Ianue. Ouos dictus Enricus st»luit in Continenti, ut supra. Mandato dicti Iacobi. scribe et consensu, et Mandato diete potestatis. de quibus, denariis «.lieti Opiço et Marchisius. vocati erunt se bene quietos et solutos, renunciantes exceptioni non numerate et non Accepte peccunie. et omni. Alii exceptioni, testes Niger de Artusio. vicarius Rapinili. Badoinus île Ioço. Actum Rappalli Ante domum que fuit cpiondam Rulxildi Elye in platea die lercia decembris Ante primam [MCI XI-].. V. 1240, 4 dicembre. — Il Vicario del Podestà ili Rapallo condanna gli uomini di Rapallo in una multa, o al taglio del piede, essendosi ritìntali di mandar soccorsi ad Amizo, milite del Podestà di Genova, presso Cellasco (contro il marchese Pallavicini) (Not. c. s., f. iSj v.J. die IIII. decembris, dominus Niger de Artusio Iudex et vicarius domini Willelmi de Audo Rappalli et plecanie potestatis, recepto mandato, ex parte domini Aulici, militi'» potestatis Ianue. de succurso mandando, eidem militi Apud cellascum. ut in eius litteris continebatur A parte. Mandatili per suos executores in Burgum ci villas denunciando ut omnis homo, cum Armis. ire debeat Ad presens ad dicium locum. et sono, campanaruro pluries lìeri. fecit stermitam et v«>cc preconia. Vnde cum Aliquis de jiotcstacia Rappali non iuisset ad dictum locum et spreto inm dicto Mandato, omnino, ab Vrniuersis hominibus, dicte protestacie. Dicius Index, in publico par lAmento. vi>ce preconia et sono campane in ecclesia plebis, rapalli. con. dcmpnauii Vniversaliter homines de dicta po tes taci a. et banum. eisdem hominibus. Vniuersaliter confermauit. silicet pro unoquoque milite libras. I,· Ianuinorum. et prò Vnoquoque pedite libras. XX \ . lanuinorum. uel pedem amital. secundum quod ex pnrte dicti. Militis, f ni l impositum, ut in cius li-leris apertis. continebatur tenor quarum continetur 111 cartulario, potcsiacie Rapalli. huius presentis Anni, testes Guirardus pechetus executor. fulchigna-nus de uetega executor. et Ricobonus ciilus executor. et petrus scarsella canonicus dicte plebis. Actum. Rappalli. in dieta plebe. VI. 1248, 6 aprile. — Enrico, canonico di S. Donato, in virtù d una lettera di Innocenzo IV', induce in possesso dei redditi della pieve di Ceula · oggi Levanto Guglielmo, già vescovo eletto di Brugnato, amosso ila Oberto Pallavicini. (Atti del Not. Pii lodi no de Sexto, Reg· Il, f. 97 *■'·* Arch. di St. in Genova). Cum Ego henneus Canonicus sancti donati lamie domini pape. Index delegatus ut Apparet per litteras ipsius domini pape, inferius Annotatas Aucto- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 273 ri tale ipsarum litterarum, induxerim dominum G[uilleìmum] oliin prunaten-sem! Electum in plebis de celila et plebatus ipsius necnon et reddituum ipsius plebis, possessionem et 1·-scomunicali i mus Auctoritate predicta omnes et Singulos contradicentes et rebelles dicto Electo, super preniissis et deten-ctores reddituum ipsius plebis nisi usque Ad certum terminum sic Ablata restituerent: tamen de mandato dicti domini prepositi. Ianue cui A domino papa est inlunctum ui prodictas sententias si que sunt faciat relaxari pre-dictas sententias relaxo si que sunt vel fuere, et pronuncio neminem ex pre-dictis sentenciis teneri Sed quemlibet ab bis pronuncio Absolutum, ienor Autem predictarum litterarum talis est Innocencius episcopus seruus seruorum ilei. Dilecto filio Kurico Canonico sancti Donati. Ianuensis Salutem et Apo-stolicam benedictionem. Sua nobis Dilectus filius.. Electus Ecclesie Bruniatensis Conquestione monstrauit quod eo expulso. A Marchione pelauicino de eadem Ecclesia. Occasione discordie inter principem et ecclesiam imminentes. p.[aganus] Archipresbiter plebis de ceula. lunensis diocesis Administratione. prefate Ecclesie. de manibus, predirti Marchionis temerarie presuncione recepta Romanam ecclesiam eiusque fideles de ipsius nouerentur redditibus impugnare. Nos igitur, contra eundem p.[aganum] suo loco et tempore prout suorum excesuum exegerit qualitas processuri. Discretioni tue per Apostolica scripta Mandamus quatinus prefatum electum in eiusdem plebis et plebatus ipsius, necnon et reddituum dicti p.[agani] Corporalem possessionem inducens ipsum lamdiu tuearis inductum donec de subtractis sibi prouentibus. plene ac integre fuerit satisfactum contradictores per censuram Ecclesiasticam Appellatione postposita compescendo. Datum lugduni \ 11. Kalendas Augusti, pontificatus nostri Anno secundo (1) lata Ianue 111 ecclesia sancti laurentii Testes Guillelmus de bracellis notarius et Manuellis de cucurno. Actum Ianue in ecclesia sancti laurentii MCCXI.VTI1 Inditione quinta die VI Aprilis. Inter nonam et vesperas. VII. 1 ·. 18 <1 aprile — Il prevosto della cattedrale di Genova, già vescovo eletto di Brugnato, amosso da Oberto Pallavicini, e Filippo, arciprete di Ceula vengono ad un concordato, ottemperando in tal modo ad una lettera del |x>nietice Innocenzo IV del 12 gennaio 1248. (Atti c. s.. f. 97 v.) Super eo. quod dominus papa, concessit domino proposito. Ianue. olim Electo pruniacensi plebem de ceula. et fructus et obuenciones ipsius plebis et Archipresbileralus in rccumpençaçione de eo quod p.[aganus] ohm Archipresbiter ipsius plebis Administracionem Ecclesie pruniacensis Accepit de ma- η. Il iiolaro sbaglia, nella registra/.ioiie'della lettera, l'anno del pontificato: giacchi: il » 1 „(tllo ,>,4. anno «condo del pontificato, Innocenzo IV trovavasi a Genova, e non Lione. La lettera avrà forse recalo Anno quinto, dandoci cosi il 26 luglio 1247. Gioiti. St. f l.nt. Mia Liguria, V. 2/4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nibus. Λ1 archionis pellauicini. temerarie, occasione discordie imminentis inter principem et ecclesiam. Ita uolunt et componunt inter se dictus dominus prepositus olim electus pruniateusis ex una parte ei phylipus. nunc. Archipresbiter dicte plebis de ceula ex altera pro bono pacis et Concordie quod dictus dominus prepositus habeat et quiete percipiat et percipere possil hoc anno presenti, totum vimini de vinea dicte plebis, que est in loco ubi dicitur Calcinaria. sine Contradictione edam Archipresbiter! et dicte plebis et Canonicorum dicte plebis. Ita tamen quod dictus Archipresbiter. teneatur dellen-dere. dictum V inuin. dicto domino preposito. Ab omni persona, et illud vinum siue uuam in vinea dare et consignare nuncio Ad voluntatem dicti preposiii dicto preposito. et illud non impedire «eque subtrahere Aliqua occasione, et propterea dictus dominus prepositus. remisit dicto Archipresbitero omne ius. quod habet seu unquam habuit in fructibus siue obuentionibus dicte plebis. Dans licendam ipsi Archipresbitero percipiendi, petendi, exigendi, omnes fructus et obuentiones predictas et hec predicta et singula predicti dominus prepositus et Archipresbiter promiserunt sibi Ad inuicem obseruare et rata et firma perpetuo habere et tenere per se suosque successores inviolabiliter, sub pena dupli de quanto contrafactum esset seu petitum pro qua pena et Ad sic obseruandum omnia bona sua et dicte plebis [pigao] ri obligauerunt tenor litterarum domini pape talis est. Innocentius episcopus seruus seniorum dei dilecto filio preposito Ianue salutem et Apostolicam benedictionem, sua nobis dilectus filius phv[lipus]. Archipresbiter plebis de ceula. peticione monstrauit. quod cum olim Nobilis, vir. Marchio, pellauicinus. Vicarius fr[iderici]. quondam. Imperatoris Ab. Ecclesia bruniatensi Ad quam electus fueras eiciens dolenter, paganum tunc ipsius plebis. Archipresbi terum. lunensis. diocesis. eidem f[riderico]. contra nos et Apostolicum sedem nequiter Adherentem in-trusent in eadem, nos gerentes circa te super hoc debile CompAsionis Allectum fructus et redditus dicte plebis et plebatus eiusdem, quousque de pro-uentibus ipsius ecclesie quos dictus intrasus in anime sue periculum detinebat tibi satisfactum existeret per Enricum Canonicum sancti Donati. Ianue super hoc exeeutorem deputatum A nobis, tibi mandamus assignari cum Autoritate prefata ecclesia de manibus Intrusi, erepta, predicti. plebes ipsa eidem, phy-[hpo]. nobis et Ecclesie Romane denoto fuerit postmodum de mandato nostro Colata. Discretioni tue per Apostolica scripta Mandamus perceptis. Ab eadem plebe. Ac plebatu. ipsius fructibus et prouentibus. contentus existens lam dictum phylipuin super ipsonim (sic) excomunicatum per te. uel per Alium, de cetero. Aliquatenus non molestes faciens relaxari, excomunicalio-nem (sic) sententias si que contra eum uel homines ipsius plebis et plebatus fuerint per exeeutorem eumdem propter hoc Actemis. promulgate. Datum lug-dum 11 Id· lanuarii pontificatus nostri Anno quinto, preterea Rollandus. filius quondam Rubaldalie de paxano intercedens principaliter pro domino Archipresbitero promisit et conuenit. dicto preposito se facturum et curaturum quod dictus Archipresbiter obseruabit et Attendet ut promisit et non contrauernie. * GIORNALE STORICO p, LETTERARIO DELLA LIGURIA 275 et inde prò eo me constituo primum et principalem debitorem et obseruato-rem et obseruarc promitto sub predicta pena et obligatione bonorum meorum, lestes Guillelmus de bracellis. notarius. Manuel de cucurno Actum Ianue in ecclesia sancti, laurentii. Anne MCCXLVIII. Iditione quinta die VI Aprilis inter nonam et terciam. VIII. 1 “4X> 9 aprile. tilippo. arciprete di Ceula, ]iresenta allo zio Giovanni da Cogorno, arcivescovo
  • scriveva il sindaco « esistevano nella chiesa del Convento di S. Francesco de' Minori Osservanti Riformati della Spezia, ne furono levati per ordine di certo Signor Commissasio Arò (3), e furono sbarcati in Arles. L’amo-zione fu eseguita dal Capo Maestro Domenico Svanascini della Spezia ». Due delle colonne descritte avevano appartenuto all’altare di S. Pasquale nel detto Convento, le altre due erano state tolte (i) E invece, con molta probabilità, di Carlo da Milano, detto Carlo del Mantegna. Cfr. S. Varni, Appunti artistici sopra Levanto, ecc., Genova, Pagano, 1870, pag. 27 ; e A. Neri, A proposito de! pittore Carlo da Milano. in questo Giornale, anno IV, 1903, pag. 155. (2 Questa bellissima tela è di Gio. Battista Casoni, che la Iìrmc'> con la data del 1641 e si conserva ora nel duomo di S. Maria della Spezia. (3 ) Leggasi Henraux. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA da altro altare nella chiesa del monastero di S. Francesco di Paola. Quando la maggior parte degli oggetti d’arte rapiti tornò in Italia dopo la caduta di Napoleone, il Capo Anziano (sindaco] e i membri del Consiglio della Spezia ricorsero al governo del re Vittorio Emanuele con lettera del 15 novembre 1816 al fine di ottenere la restituzione del quadro del Casoni e dell’ancona del Robbia per metterli nella chiesa di S. Maria, non essendo quella dei Minori riaperta al culto. Ma pare che il governo di Torino non si decidesse volentieri alla restituzione delle opere d’arte; giacché in seguito, cioè nel luglio del 1817, una speciale deputazione della città si recò nella capitale allo scppo « di impetrare a’ pie’ del trono gli effetti della Sovrana degnazione ». E così fu ottenuta finalmente la restituzione dei due quadri, avendo S. M. ordinato che fossero riconsegnati alla Spezia, con l’obbligo di restituirli ai Padri Minori qualora fossero ristabiliti. Tornarono adunque alla Spezia il 4 settembre da Genova idov'erano stati trasportati di Francia e posti in una sala del palazzo ducale) il quadro del Casoni e Γ ancona robbiana, che furono collocati in Santa Maria, il primo al muro del presbitero in cornu evangelii, l'altra sopra l’altare della Madonna della Misericordia. Ma si ignora la sorte sia delle quattro belle coione di portoro, sia delle altre terre cotte minori robbiane di cui parla l’elenco del 1815. Forse rimasero a Parigi o, più facilmente, a Genova; almeno lo tanno supporre queste parole di una lettera del Sindaco della Spezia all’intendente della Provincia in data del 26 novembre 1817: < Trattandosi però di oggetti di non grande pregio e il cui trasporto, anche solamente da Genova, sarebbe molto costoso, si rinunzierebbe facilmente al loro ricupero, qualora per questo si dovesse incontrare della spesa ». Al principio del 1829 i Minori Riformati di San Francesco tornarono ad occupare il loro'convento ; e l’ancona robbiana, tolta dal Duomo di S. Maria, fu rimessa all’antico suo luogo il 20 di marzo. E vi rimase fino all’anno 1863, quando il Governo italiano occupò il convento, ch’era posto nell’area in cui doveva sorgere l’Arsenale. In vista di questa occupazione la Giunta Comunale della Spezia con suo ordinato del i° giugno deliberava di chiedere per mezzo del Sottoprefetto che il Comune fosse autorizzato a togliere il Robbia per collocarlo « ove meglio piacesse al Municipio di depositarlo ». E con altro ordinato del 22 luglio deliberava di rivolgersi al Re perchè volesse decretare fosse conservato alla città quell'opera d’arte, a soddisfazione delle giuste istanze del Municipio e della popolazione. Ma l’Amministrazione della Cassa Ecclesiastica presso il Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti con lettera del 31 luglio faceva noto al Municipio 282 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA avere la Commissione di alta Sorveglianza (cui era stata rassegnata l'istanza secondo il disposto dell’art. 27 della Legge 29 maggio 1855) proposto al Re che, senza pregiudicare la questione di diritto, il quadro venisse precariamente depositato presso l’Accademia Ligustica di Belle Arti, non avendo ancora il Municipio della Spezia un luogo idoneo dove collocarlo. Infatti la Gazzetta Ufficiale del i° agosto 1863 pubblicava il Reai Decreto, recante la su riferita disposizione, « salvi quegli ulteriori provvedimenti che in progresso di tempo potrebbero aver luogo a favore della città di Spezia, quando questa giustifichi di aver diritto al quadro e di avere disposto in una chiesa aperta al culto un sito idoneo per collocarlo ». Dopo ciò l’ancona robbiana, tolta dal coro dell’ex chiesa dei Minori passò in Genova all’Accademia di Belle Arti, presso la quale rimase fino al 1892. Ma, fra tanto, il Municipio della Spezia non ìinunciava al ricupero dell’opera d'arte. Soppresse le Corporazioni Religiose, con r. decreto del 17 giugno 1866 {Gaz. Uff. 24 giugno) venne disposto che i quadri di pregio dei Conventi dei Cappuccini e dei Riformati della Spezia dovessero passare alla Pinacoteca della Accademia genovese. Sollecitato dalla pubblica stampa (1), il Sindaco della Spezia, Berzolese, dirigeva ('7 luglio) una lettera al Ministro di G. e G. e dei Culti per far prender nota che il quadro robbiano non poteva esser compreso fra le opere d’arte di cui fa cenno il citato decreto; e chiedeva nello stesso tempo la restituzione del quadro; lettera che venne integralmente pubblicata nt\Y Eco del Golfo del 19 successivo. La risposta deH’Amministrazione della Cassa Ecclesiastica (12 settembre) diceva che col decreto del 17 giugno non veniva « per nulla derogato al disposto del precedente r. d. 26 luglio 1863 concernente esclusivamente il quadro ceramico di Luca della Robbia ». In merito poi alla restituzione la lettera soggiungeva che il Ministro di G. e G. e dei Culti non poteva ancora accogliere la istanza, non resultandogìi che fino allora da parte della Spezia si fosse adempiuto alle prescrizioni del Decreto. Nel 1872, dopo i restauri del Duomo, fu ripresa ia pratica; e il Consiglio Comunale con sua deliberazione del 31 maggio, sindaco Borachia, mandava alla Giunta di raccogliere dati e documenti, e di « esporre al Ministero le ragioni del Municipio per la restituzione del prezioso quadro ceramico di Luca della Robbia ». L’incarico di raccogliere i documenti fu dato dalla Giunta ad Agostino Falconici quale mise insieme qualche memoria relativa al Convento, e alcuni dati biografici di Luca della Robbia ; ma quasi nulla che riguardasse l’ancona; di modo che, per allora, non venne replicata l’istanza al Ministro dei Culti. Nel 1880 si procedette ad un 'attestazione giurata. Ai 4 di (i) Cfr. L' βίο Jet Golfo dei 1 luglio 1866. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 283 novembre, a richiesta del Municipio (ff. di sindaco Ambrogio I rial tre vecchi ottuagenari facevano dinanzi al pretore del 1 landamento della Spezia la storia delle vicende dell’ancona dal tempo della prima rimozione per parte de' Francesi fino all’epoca del trasporto a Genova nel 1863, giurando nel tempo stesso che il quadro « è di assoluta pertinenza del Municipio di Spezia il quale lo ha ab immemorabili sempre posseduto », e questo asserendo non solo per averlo sempre pubblicamente inteso dire dai vecchi e ripetere da tutti gli spezzini, ma perchè, ricordando appunto le vicende del quadro, sapevano che tutte le incombenze relative erano state fatte per cura e a spese del Comune; ciò che, del resto, è provato coi documenti. Ma, all infuori dell attestazione, non si trova altro : vuol dire che nel 1880 le pratiche non vennero proseguite. Si ripresero invece nel 1887 (sindaco ff. Ricco), al tempo della Esposizione < iicondariale. Coll’autorevole appoggio del sottoprefetto Savio, presidente della Società d' Incoraggiamento promotrice del-I Esposizione, venne rivolta dal sindaco un’istanza al Ministro di G. e G. e dei ( ulti (lett. del 5 maggio), affinchè — senza intendere di risolvere la questione dei diritti della Spezia — interponesse i suoi uffici presso la Direzione dell'Accademia Ligustica perchè volesse consegnare temporaneamente il quadro < per farlo figurare fra le altre opere d’arte nella Esposizione ». Era un modo indiretto, a quanto sembra, per tentare di avere l'invetriato nelle mani. Ma anche questa volta le pratiche si arenavano nel pelago della burocrazia: 1' 11 luglio il Sindaco mandava ancora schiarimenti all’Ufficio locale del Registro intorno al decreto reale del 1863, e nel settembre si chiudeva l'Esposizione. Il quadro, fra tanto, era sempre presso l’Accademia Ligustica. Ma nel 1892, per le feste del Centenario colombiano, dal- 1 Accademia passò al Municipio di Genova, che lo fece murare nella saletta d’ingresso del i° piano del suo Museo al Palazzo Bianco. Nel 1897 cominciò ad occuparsi della questione la Società d’incoraggiamento; ma solamente nella sua adunanza del 9 settembre 1901 quel Consiglio direttivo deliberava, su proposta del Presidente March. Da Passano, di interessare l’Amministra-zione comunale perchè venisse ripresa la pratica, e l’onorevole De Nobili, allora sottosegretario di Stato, perchè raccomandasse l’istanza del Comune presso il Ministero. Nello stesso tempo (13 settembre) inviava al Sindaco un prò memoria; nel quale, dopo di avere esposte sommariamente le diverse vicende della terra cotta robbiana dal principio del sec. XIX, si esaminavano le disposizioni del decreto del 1863, mostrando che non si poteva intendere che in esso si parlasse di diritto vero e proprio di proprietà per parte del Municipio; e che questi un tal diritto non poteva vantare, reclamando soltanto la restituzione della 284 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA terra cotta in base ad una presunzione della volontà dei donatori, che quell’opera d’arte vollero destinata agli usi del culto. Si dimostrava in fine che alla seconda disposizione del r. d. aveva ormai la Spezia ottemperato sia con la costruzione di nuove chiese, sia cogli iniziati restauri del Duomo. Questo prò memoria servì a motivare l’ordinato della Giunta Comunale in data iSsett. 1901 (Sind. Beverini) col quale si deliberava di chiedere al Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti la restituzione del quadro. Di qui comincia la fase risolutiva della questione. Ricordare ora tutta la lunga odissea di questo affare durante oltre tre anni è inutile. Ricorderò solo che, dopo ì pareri favorevoli del Ministero di Grazia e Giustizia, e di quello della Pubblica Istruzione, la pratica trovò qualche inciampo presso 1’Ufficio Regionale dei Monumenti di Torino; intoppi che furon tolti con la relazione particolare di un competente funzionario dell’Ufficio Centrale di Belle Arti mandato dal Ministro della P. I. alla Spezia nel settembre 1903 ; in seguito al quale rapporto il ministro Orlando ordinava nel novembre la restituzione dell’invetriato, il quale doveva essere posto nella prima nuova cappella di sinistra della chiesa abbaziale di Santa Maria Assunta, recentemente restaurata, in adempimento di quanto disponeva il r. d. del 1863. E così è tornata alla Spezia, dopo tanti anni di esilio, questa insigne opera d’arte del Rinascimento. La scoltura, come s’è detto, è in terra cotta invetriata, e misura tre metri all’ incirca per due e 40 cm. di larghezza alla base, in alto girando a lunetta. Nella metà superiore campeggiano le figure della Vergine dinanzi a Dio Padre sedente, che la incorona, attorniate da una gloria di diciotto angiole e di un cherubino. In mezzo, fra le due figure principali, è lo Spirito Santo in forma di colomba. Nella parte inferiore, sul davanti, quattro santi in adorazione; cioè, a cominciar da sinistra di chi guarda, San Giovanni Battista, Sant’Antonio di Padova, San Bernardino di Siena e San Francesco d'Assisi; nello sfondo, Maria Maddalena ed altra santa, stanti. Tutto all’intorno, meno che nella parte inferiore, gira una larga cornice con un bel fregio policromo di frutti e foglie ad altorilievo, terminante nel bordo esterno con una sagometta ad ovuli tra due listelli. In basso 1’ ancona è disgraziatamente mutila, mancando della predella, che senza dubbio in origine doveva completarla, essa pure a rilievi di figure e ornamenti. E forse erano parte della predella quei « Santi Padri con altre figure della stessa terra, i quali erano ai lati dell’ancona » di cui scriveva il Sindaco all’Intendente nel 1815; sebbene l’espressione ai lati possa far supporre che di qua e di là dell’ancona fossero posti due santi, come nel tabernacolo dell'oratorio della Misericordia a Montepulciano. La tradizione ha sempre attribuito la nostra terracotta a Luca della Robbia (1399-1482); ma in passato s’è data la pa- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 287 orni a al maestro di molti più lavori della sua maniera che eg 1 non abbia fatto. Certamente nemmeno questo è suo, seb-ene anche nel Museo del Palazzo Bianco ne portasse il nome sopra la targhetta (i). Si ripete in generale che Luca non abbia 3 t0, ,e S(7u'ture azzurre e bianche ; ma ciò non è vero affatto perche egli pure, come i suoi scolari e successori, lavorò an-cie a policromia, ed è un suo motivo favorito quello dei grandi testoni di fiori e frutti multicolori, di cui adornò molte delle sue opere. Questo sarebbe, a dir vero, un argomento per ritenere non erronea l’assegnazione della nostra al maestro, se la ma-e soavità dell’espressione e l'atteggiamento delle figure, 1 insieme e la grandiosità della composizione non ce la facessero invece attribuire con tutta probabilità al nipote Andrea (1435. i 525). Chi ricorda ne’suoi particolari V Incoronazione della Madonna del convento dell’Osservanza a Siena, che. c 1 opera più celebrata di questo scultore e la sorella gemella della nostra, si persuaderà facilmente che la mano dello stesso artista ha modellato quelle figure. I confronti poi che si posson fare con altre opere del medesimo autore, come, per tacer d’ altre, con le due ancone della Chiesa Maggiore e delle Stimmate alla Verna, con l’altra bellissima della Rocca di Grodara e finalmente con la Trinità del Duomo d’Arezzo, tolgono qualunque dubbio o incertezza. Quando venisse alla Spezia non si sa, mancando i documenti. Ma senza dubbio fu modellata dal Robbia per il convento di San Francesco, poco dopo la sua fondazione, per incarico di pii donatori: i Santi dell’Ordine che vi figurano ne sono una prova; e appunto in quel tempo maggiormente fioriva l’arte robbiana, alla quale Andrea dette lo sviluppo massimo nel campo artistico-industriale. U. M. 1 t Le Guide, in genere, dicono la stessa cosa ; invece Baedeker assegna quest’ opera, con anche minore probabilità, a Giovanni Della Robbia. Ma nel catalogo delle opere robbiane in appendice alla monografia di Cavallucci e .Mobilier 1’ ancona è assegnata ad Andrea. Cfr. : Les Delta Robbia ìettr vie et leur oeuvre il' après des documents inédits suivie d' un Catalogue de V oeuvre des Della Robbia en Italie et dans les principaux Musées de I’ Europe par J. CAVALLUCCI - EmiËÎ Moi.imer, Paris, 1884, pag. 335. Ecco la descrizione del catalogo : « Retable cintré par le haut. Le Couronnement de la Vierge. Le Christ {sic) et la Vierge sont représentés entourés d’anges, vêtus de longues tuniques, dans diverses attitudes. Au bas de la composition son agenouillés saint Jean-Baptiste, la Madeleine, saint Antoine de Padoue, saint Bernardin de Sienne, une sainte femme et saint François d’Assise. Bordure composée de bouquets de fruits et de feuillages. Figures émaiüées de blanc, fond bleu, vêtements polychromes - Andrea della Robbia ». Nel più recente, ottimo lavoro critico di MARCEL Rey.MO.nd ( Les Delta Robbia, Florence. Alinari, 1897 non è cenno di questo invetriato. Nella fotografia di Sdutto, 11. 1121, è attribuito a Luca; in quella di Alinari. n. 141)32. è genericamente assegnato ai Della Robbia. 288 GIORNAI.E STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Guido Manacorda. Petrus Angelius Bargaeus. Pisa, Nistri, 1903; in-8, di pp. 131. Anni fa Giovanni Pascoli nella sua tanto prediletta Barga, dove il v tolìo incessante della Corsonna e il fragore del Serchio che cerca perennemente il mare sono per lui fonte inesauribile d’ ispirazione poetica, delineava in brevi, ma succose pagine la figura dell’umanista Pietro Angeli detto il Bargeo. Egli, data Γ indole del suo discorso inaugurale, non potè indugiarsi a ricostruirne minutamente la vita e ad analizzarne l’opera complessa; ciò non ostante la sua dissertazione segnò un passo innanzi nella conoscenza di quel poeta e prosatore cinquecentista dopo i monchi ed inesatti studi del Groppi e del Riidiger. Recentemente è comparsa alla luce una nuova monografia del M„ il quale con pazienza e amore ne studia la vita e le opere. Il lavoro del giovane critico, condotto con metodo rigoroso, è esauriente ed è buon contributo alla storia del nostro Rinascimento : appagherà certo il Pascoli che lamentava la poco notorietà dei meriti letterari del Bargeo e onorerà il comune di Barga a cui 1’ opera è dedicata. L’A. prima tesse la vita dell’Angeli correggendo e ampliando di molto coll’aiuto di nuovi documenti le notizie che lo Strozzi, il Crescim-beni, il Mazzucchelli e altri biografi avevano cavato dall’Autobiografia, poi s’intrattiene nello studio delle opere,che mi sembra la parte meglio fatta e più organica. Poiché nelle pagine dedicate alla vita alcuni punti nonsono bene collegati fra loro e si passa spesso da una cosa all’altra senza intimo legame. La produzione poetica e prosastica del nostro umanista viene esaminata dal M. con fine garbo e giusto senso critico. Il Cynegeticon e l'Auoupio sono poemetti di sapore classico, dove a malgrado l’oscurità tecnica di alcune parti c’è una delicatezza tutta moderna accoppiata a un vivo sentimento della natura. In essi la serenità della rappresentazione idillica suggerisce per lo più dei versi ispirati dove l’arte non fa difetto. L’ispirazione invece manca nella Siriade, dove egli si rivela retore e moralista, nonché versificatore eccellente. Le regole aristoteliche vi sono pedissequamente osservate, 1’ azione è confusa e intralciata, perchè il poeta troppo si attiene alla tradizione storica. La Siriade non ispirò la Gerusalemme Liberata come qualcuno aveva creduto, nè fu da questa ispirata. Le liriche varie deH’Angeli in generale sono scadenti, c’è qualche ottimo saggio specialmente in quelle anteriori al 1561, tresche qualche volta e pittoriche. Le liriche che vanno dal ’(>1 sino agli ultimi anni della sua vita, benché il verso sia più elaboriate e GIORNALE STORICO lì LETTERARIO DELLA LIGURIA 289 (Giretto, pure difettano d’ispirazione, perchè il poeta è divenuto coitigiano. La produzione poetica nel complesso è buona, i versi sono trattati con molta maestria. Manca a lui un’idea vivificante e spesso 1 erudito soverchia il poeta. « Ma nell’animo accoglie armonie purissime. Dall’eroico grave e con maestà fluente, al distico t le ben accoglie, secondo vuol Schiller, liquida armonia di acque ìnnalzantisi a colonna e a terra poi melodiosamente cadenti; alla safiica che gli alti voli spicca, ma posa via via negli adonj ; all’altaica di 1 obusta armonia e complessa, onde le imprese potenti e i 1e magnanimi canta; al catulliano verso dov’è languor di carezze, e molle murmure e suon di baci; all’agile giambo mordente; tutti i metri regge e frena con salda mano. E i versi spezza con le cesure, tarda con le sedi spondaiche, rende robusto e rapido con le sineresi, aspro con i jati, impetuoso con le elisioni, fluente con le dieresi ». L opera prosastica del Bargeo, benché vasta, essendo egli stato oratore, storico, filologo, traduttore, archeologo, è di mediocre importanza. L’A. dopo avere esaminato diligentemente la produzione poetica e prosastica conchiude col mettere il Bargeo fra gli ultimi umanisti insigni del cinquecento, degno di stare a fianco del Vettori, sebbene l’opera di questo letterato ricollegata alla dotta tradizione quattrocentista e in particolar modo filologica, fosse stata più duratura. La ricchissima bibliografia delle opere a stampa e manoscritte che riguardano il Bargeo, inserita dal M. come appendice al suo lavoro è condotta con molta cura e perciò è degna di ogni elogio, quando si pensi alle scarse notizie bibliografiche date dal Mazzuchelli e dal Groppi. Michele Lupo Ghntile ANNUNZI ANALITICI. LeTTEKIo di Francia. Franco Sacchetti novelliere. Pisa, succ. Nistri, 1902 ; in-8, di pp. 342. — l.’a. ha giustamente pensato che era doveroso e necessario uno studio, condotto con criteri e metodo moderni, intorno ad un trecentista di tanta importanza, e che pur fra i minori, tiene un posto sì eminente nella letteratura. Innanzi a questo lavoro si avevano monografie, specialmente biografiche, sul poeta e novelliere fiorentino, ma, lasciando stare le deficeuze, non ci davano 1111 esame compiuto della vita e dell’opera di lui ; perciò il libro del F. riprende da capo e con maggior larghezza la materia, presentandoci 1’ uomo e studiando accuratamente lo scrittore in quella che fu la principale manifestazione del suo ingegno, la novella. I primi tre capitoli contengono la vita del Sacchetti narrata con bell’ ordine e ricchezza di particolari, ed uno studio ben fatto intorno ai Sermoni evangelici ; scrittura importante, perchè, secondo nota acutamente l'a., rappresenta « le convinzioni di tutta la sua vita, poggiate sul ragionamento di una mente Giom. SI. e l.ett. tirila Liguria, V. 19 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA seicna ». Delie novelle che ricorrono nei Sermoni, è discorso partitameli te a line di ricercarne le fonti, e le ragioni artistiche e letteiarie. Sono pei <> più attinte da fonti scrìtte, meno schiette ed originali di quelle comprese nel Trecentonovelle al quale vien consacrata, coni' era naturale, la parte pivi estesa del presente volume. Dopo aver dedicato il capitolo quarto a stabilire il tempo in che furono scritte le novelle giungendo con nuove indagini, chiara e persuasiva esposizione a confermare l’opinione del (laspary, il quale le ascrisse al 1392-9:; e seguenti, e a discorrere della fortuna che ebbe la raccolta attraverso ai secoli, fermandosi in ispecie sulle prime edizioni uscite nel settecento, egli entra con sicura preparazione nella 11011 facile ricerca delle fonti e dei riscontri, materia svolta con ampiezza nel quinto capitolo, dove, a più chiara e spedita intelligenza, disciplina e raggruppa le novelle secondo l’affinità dell’argomento, o la medesimezza delle persone. 1. esame di du-gentodiciotto novelle (le dugentoquindici giunte a noi intere del '1recenlonoveUe, e le tre inserite nei Sermoni) conduce l’a. a questa classificazione : novelle storiche, e novelle tradizionali ; ma così nell’ una come nell altra classe se 11' hanno alcune delle quali 11011 è dato determinare le fonti con sicurezza, di guisa che delle centotrentuna storiche quaranta son dubbie, siccome venti sulle settantanove tradizionali ; otto debbono considerarsi come miste. Con la difesa del Sacchetti contro quei critici che gli negano « 1’ intenzione o la consapevolezza dell’ arte » felicemente condotta e le acute osserva/,ioni intorno al valore estetico dell’ opera sua, si chiude questo studio notevolissimo al quale sarà uopo si rifaccia chi voglia addentrarsi nella piena conoscenza della novellistica nel trecento. Ferdinando Podestà. Monumento Ropbiano in Sarzana. Sarzana, tipografia Lunense, 1903; in-8, di pp. 3^> COM lav· ^' ‘u ^ K'·1 fa'oie\ol mente noto per altre pubblicazioni riguardanti Sarzana o 1 vicini paesi. Infatti nel 1897 mandò fuori 1111 breve ricordo di papa Niccolò V. poi una monografia sul prezioso Sangue di Gesù Cristo che si venera nella Cattedrale di Sarzana; l’anno scorso quella intorno a N. S. del Mirteto 111 Ortonovo, ed ora ci viene innanzi con l’elegante libretto che qua sopra abbiamo annunziato. L’occasione dello scrivere gli venne porta dal fatto, invero notevole e altamente lodevole, che un’ ancona di terra cotta invetriata, rimasta moltissimi anni, e fu forse fortuna, nascosta e quasi del tutto obliata, or si trasse alla luce, e co’ debiti restauri maestrevolmente eseguiti da artista eccellente, ebbe degna collocazione nel duomo sarzanese. Il P. ritiene clic questo pregevole lavoro sia da attribuirsi ad Andrea della Robbia, il quale la eseguì per l’Oratorio di S. Girolamo costrutto intorno al 1473, rappresentando essa appunto il titolare e protettore della confraternita ond’ ebbe origine la chiesuola ancora esistente, sebbene più 11011 ci presenti le primitive linee architettoniche del secolo XV. Egli dà dell’ ancona una precisa ed accurata descrizione, 11e dice la storia, e ragiona de suoi piegi. 1·. noto che parecchi documenti intorno a questo medesimo argomento aveva pubblicato, secondo abbiamo di già avvertito (cfr. Giornale, IV, 186;, Clinio Cottafavi nel 1892 ; lavoro di ricerca strettamente erudita, mentre-questo del P. può dirsi piuttosto artistico-religioso. Amedeo Pellegrini. Relazioni inedite di ambasciatori lucchesi alla corte di Vienna. Sec. XV1I-XVIII. Lucca. Pellicci, 1902 ; in-4, di pp. 63. -Relazioni inedite di ambasciatori lucchesi alla Corte di Madrid. Se, . XI I-XVII. Lucca, Pellicci, 1903 ; in-4, di 1Ί’· — I' Pellegrini, che ha già pubblicato le Relazioni inedite di inviati lucchesi alle varie corti d’ Italia (Roma, Firenze, Torino etc.) durante i secoli XVI-XVII, manda ora in luce due altri manìpoli del ricco materiale inedito contenuto nell’ archivio GIORNALE,STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2QI ucc lese sceg ìendo, per questa vòlta le relazioni elle si riferiscono alle due coi i as mrghesi, di Vienna e di Madrid. Si è già osservato che gli inviati ucc lesi sono ben lontani dall’eguagliare in acume e in esattezza gli amba· scia ori 'eneziani, le cui relazióni possono dirsi quasi perfette. Tuttavia anche in queste, che ora il Pellegrini dà alla luce, v’ ha qualche pagina, veramente e ice , poche veramente nelle relazioni di Vienna, se non forse la descrizione e carattere molale e della politica dell’ imperatore Mattias, fatta da Ales-san ro Garzoni e da Francesco Tegrimi nel 1613 : piti frequenti nelle reazioni 1 Madrid, dove la repubblica aveva un ambasciatore residente, che poteva, se abile ed oculato, ben comprendere 1’ indole vera della politica spagnuola. Ma, accanto agli uomini d’ acuta vista, v’ hanno pure degli amimi atori e lodatori perpetui di tutto e di tutti ; pronti a trovar tutto bello, tutto onesto, tutto piacevole ciò che in Ispagna si faceva, persino sotto il governo di Irilippo [II e del duca di Lerma ! In conclusione io non dirò che la pu 1 icazione del Pellegrini sia di grande utilità agli studiosi, ma trovo che se ne potie >be ricavare qualche vantaggio per una migliore conoscenza specialmente pei ciò che riguarda alcuni particolari minuti) della storia politica. Per ciò che riguarda Genova, osserverò che nelle relazioni di Spagna, s’ ha frequente memoria, o di ambasciatori inviati dalla repubblica, o d’ affari trattati. Merita specialmente d’esser segnalato ciò che nel 1602 scriveva Alessandro Lamberti, intorno alla politica seguita di Genova sul principio del Secolo XVII, tra 1*rancia e Spagna; e pur degno di ricordo è il passo della relazione di Giovanni Guinigi i 1649 , in cui di Genova è detto quanto segue: « Genova, erario della Spagnia, e pelago dove si affondano immensi tesori, tiene le sue fortune et de suoi cittadini indisolubili da quelle della Monarchia, perchè, decadendo la confidenza de’ negotianti Portughesi et essendone li Castigliani disapplicati, tutti gli assiemi e gabelle si reducono nella Naltione genovese, delle quali quattro case nobili ritengono 1’ aniinistrazione et il titolo di fattori Regi, poi restano in questa sagace nattione non solamente li negotii di questa Corte, ma di ciascheduna città di Spaglila, di Napoli, Sicilia, Fiandra e Milano, nel quale stato presento che siano più di 15 mila habitatori genovesi. Lascio di trattare de’ Feudi, delle Commende, Dignità, Titoli et grandati che possiedono nelli stati del Re, il quale con tenere li particolari obbligati, liene dipendente la Repubblica, la quale pure anche nelle angustie del 1625 fece esperimento di quanto li habbia importato la protettone di Spagnia. Con tutto ciò sentono i Genovesi che si difficulti alli loro Ambasciatoli la capella regia con li tituli che andrebbono in conseguenza, nè sanno mettere in oblivione le proposizioni che il Conte Duca fece....., cioè di fare una fortezza in Genova con porci presidio Spagnolo, concetto che resta indelebile nelle memorie di chi governa quella Repubblica Serenissima ». Pittura più efficace e più rispondente al vero non si potrebbe desiderare. ì Camillo Maotroni) L’ abbozzo della convenzione conchiusa ne! 1167 tra il comune di Piacenza e I Malaspina. Nota di Carlo Cipolla. Torino, Clausen, 1903; in-8, di pp. 6. — Il documento nella sua redazione ultima e definitiva era noto per le stampe ; 111a il C. ne ha trovato, fra le pergamene di S. Antonino di Piacenza, la prima bozza, e qui la riferisce con alcune notizie illustrative, cosi dal lato storico, come da quello paleografico e cancelleresco. Il confronto di questo abbozzo con la stampa rivela alcune differenze degne di considerazione, e la sua peculiare struttura ci mette in grado di seguire il « processo de! componimento », il quale per giungere al testo definitivo, dovette passare, con giunte, correzioni, ed ommissioni, per tre stadi successivi di compilazione. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Della medicina libri otto di Aur.o CORNELIO CELSO volgarizzamento del dott. Angiolo Dei. Lungo, pubblicato co/ testo latino per cura del fi-elio Isidoro. Firenze, Sansoni, 1904 ; in-8, ili pp. XL-575 — Al volSa rizzamenti dei classici latini, eseguiti per opera di moderni scrittori contemporanei, che già sono comparsi nella collezione del solerte editore fiorentino, or si aggiunge questo di argomento scientìfico, mentre gli altri appartengono alla letteratura e alla storia. Lo presenta al pubblico con amore di figlio e acutezza di critico il filologo fiorentino, a cui tanto debbono le buone lettere, e ben giudica come la tersa prosa di quegli che fu detto 1 Ippocrate latino, e tante lodi si procacciò dal sommo Morgagni, abbia trovato in Angiolo Del Lungo, colto e reputato medico, 1111 traduttore fedele e nella sua semplicità elegante ; onde questa può dirsi la miglior veste italiana data fin qui al testo dello scrittore augusteo. Il qual testo ci è porto novellamente per opera dell’ editore secondo la lezione del Daremberg. vantaggiata di nuove cure in ordine alla interpunzione. Di guisa che Γ opera presente, anche per il bel saggio del traduttore, sopra Celso e la medicina dei romani, non solo si raccomanda di per se, e tornerà per fermo accetta agli scienza ti ed a"li specialisti, ma a tutti quelli altresì che si piacciono dell’eloquio pulito e perspicuo, il quale risponde cosi perfettamente al pensiero dello scienziato, e al gusto dello scrittore. Bernardino Frescura, (lemma e la Liguria nelle carte geografiche, nelle piante, nelle vedute prospettiche. Primo contributo per la storia della Cartografia Ligure. Genova, Ciminago, 1903. in-8, di pp. 95 · Ottimo divisamente questo del F. di raccogliere in un indice ragionato le carte che in qualsiasi modo rappresentano o la città di Genova o la regione il dominio, per usare un vocabolo ufficiale del tempo). Egli viene cosi attuando rispetto alla Liguria, una utile proposta di quell’ erudito ed esperto geografo che fu il Marinelli, e, noi aggiungeremo, si incomincia cosi a colorire 1111 disegno vagheggiato dal Desimoni, il quale avendone più volte parlato con gli amici, proponeva si tenesse nota di tutte le rappresentazioni grafiche n-ferentisi a città singole, e in parte» in tutto al territorio ligure, muovendo dalle più antiche, siano esse più o meno fantastiche. Il metodo tenuto dal-Γ a., molto competente nella materia, è de’ migliori, perchè oltre una esatta descrizione di ciascuna carta ci porge tutte quelle altre notizie che meglio valgono alla sua illustrazione. La messe qui raccolta è già abbondante, e le nuove ricerche a cui attende il F. lo metteranno in grado di accrescerla. Per la ricerca gli potranno forse servire alcuni cenni che si leggono nel catalogo generale della mostra geografica del 1892, e qualche visita presso privati collettori, o pubblici istituti. Qualche cosa troverà al R. Archivio di Stato, e alla Società di Storia patria. X011 sarà inutile consultare certi speciali cataloghi di librai ; ad Amsterdam ad esempio ne uscì 1’ anno scorso uno assai ricco ( Frederik Muller et C.) : Topographie de I’ Europe, avec cartes, vues de li Ih s, dove pure figura Genova cfr. (1 tornale, I\, 94 . Ricordiamo fra le giunte il grazioso atlantino del Coronelli : Il (ienovesato con ben 10 carte; la Liguria dell’ opera Italia del Magini ; la veduta di Genova dell’ Accinelli del 1732 di cui figurava il rame originale all’ esposizione del 1892, e ne furono tirate alcune copie ; La Repubblica Ligure divisa in venti giurisdizioni, delineata a mano a colori da 1. *1 - 1»· (Ing. G. Brusco). Ma la diligenza dell’ a. arricchirà una nuova desiderabile edizione di questo elenco; e intanto aspettiamo lo studio promesso sulle calte nautiche ed i portolani. C. Manfront. Don Giovanni d’Austria e Giacomo Foscanm /57- ( documenti inediti degli archivi dt Padova e di Venezia), ( itla di Castello, % GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2Q3 din·' ’ "'"i ’ 2^‘ — ^ c°l°r‘re il vasto disegno della sua storia a mai ma italiana, I a. non risparmia ricerche diligenti, e spesso rinnovate η are ini già esplorati, affinchè i fatti abbiano a riuscire meglio provati al unii ( ei (ocumenti, studiati con savia e ponderata critica. Per questo amore ■ ' vellta’ non s' rimane dall’esporre altrimenti da qtullo che innanzi . eva atto, alcuno degli avvenimenti importanti che verranno poi a costimi! un.i parte notevole dell opera sua; ne corregge il racconto e deduce nu >\e i pi ragionevoli illazioni. A questo fine mira lo scritto presente che nouait a i casi della lega dopo Lepanto, e la condotta di Don Giovanni ‘ uslll‘1· J-e accuse mosse contro il capitano generale, ed accolte dal M. esso in )aso alla conispondenza di Marco Antonio Colonna, si palesano secondo il carteggio del Foscarini corroborato da altri documenti, non con ormi a velo, e perciò mettendoci innanzi di bel nuovo la narrazione di quei atti, a. giudica più equamente i procedimenti di lui ; i quali se possono e.ssci notati di puntiglio e di non irragionevole risentimento, non appa-™ tultflv‘a, come si era creduto, sleali, e conseguenza di studiata ma- Alessandro D’Ancona. La leggenda di Leonzio. S. n. t. [1903] ; in-8, < i [jp. 24 (Estratto i. yuesta « Storia esemplare », che è parte della let-teiatura popolare a un soldo, altri ha voluto provare fosse d’origine italiana, e di qui migrasse altrove atteggiandosi in forme diverse ; ma il calzante ragionamento del D'A., riprendendo a trattare con la consueta dottrina 1’ argomento, dimostra che ciò non può essere. In Italia scese assai tardi dalla Germania dove fu assai diffusa nel secolo XVII in ispecie per opera dei gesuiti, 1 quali nei loro istituti ridussero a dramma la leggenda, e ne fecero un arma antimachiavellica ; poiché introdussero nell’ azione il segretario fiorentino, si come maestro di scellerate dottrine al giovane Leonzio, e causa efficiente della sua dannazione. Questo carattere 11011 le è rimasto, allorquando scese fra noi ed assunse la forma di poemetto popolare, mentre serbò invece intento ascetico-morale. La sua comparsa viene assegnata dall’ a., e giustamente, a circa un secolo fa, nè acquistò quel favore di altre parecchie ; sul teatro italiano 11011 fu mai, salvo in quello dei burattini. Ha relazioni con la nota e celebre leggenda di Don Giovanni ; il che però 11011 valse a darle alcun favore nè presso i pochi letterati, nè in mezzo al popolino. / sommi pontefici da S. Pietro a Pio A . Cronologia e note storiche per cura di Armando Ferrari. Milano, Cogliati, 190} ; in-8, di pp. 1^5. _ E questo un manuale utilissimo e da tenersi sempre presente dagli studiosi, perchè dà la cronologia dei pontefici secondo la data dell’assunzione; nell’ordine alfabetico generale, e particolare secondo la nazionalità ; quindi con i nomi di famiglia; poi in ordine di durata sul soglio pontificio ; a cui tien dietro la nota quantitativa dei papi omonimi, quella degli antipapi (i quali nel primo elenco sono posti in nota a riscontro de’ riconosciuti legittimi), e finalmente il nome di quelli che sono rammentati da Dante nel poema. A queste tavole di nomi e date segue la Cronologia storica, nella quale sono indicati i principali fatti di ciaschedun pontefice. Quest’ultima parte non va immune da inesattezze. Rileveremo quelle che toccano la nostra regione. S. Eutichiano p. 68) fu di Luni ma non presso Savona, sì presso Sarzana e le sue reliquie non furono inai trasportate a Luni, e da qui a Savona, ma donate da papa Innocenzo X a Filippo Casoni vescovo di San Donnino, e dopo la sua morte dal fratello Niccolò, alla ait tedia le di Sarzana. Adriano V non ebbe nome Ottone (p. 1561 ma Ottobono. Sisto IV è malamente indicato per Francesco d’Albescola della Rovera ; era Francesco della Rovere d Albisola, nato casualmente a Celle. Così si dovrà correggere in Albisola GIORNALE STORICO Ë LETTERARIO DELLA LIGURIA VA/bisole n. 131) patria di Giulio II. Il Bosco «love è nato 1 io V non appartiene alla Liguria y>. 136); e le sculture elei suo monumento nella cappella del Presepio in S. Maria Maggiore sono di Leonardo Sorniani savonese, 11011 di Leonardo da Sarzana, secondo fu provato dal Bertolottw Infine il padre di Urbano VII non si chiamava Comodo ^p. 138) bensì Cosimo. Guido Manacorda. Una causa commerciale davanti all' ufficio di (ia-zeria in Genova nella seconda metà del secolo XII ■ Pisa, tip. degli Studi Storici, 1903 ; in-8, di pp. 88 (Estr. dagli Studi Storici, vv. XI e XII)· ___ La causa 1374-75 > ebbe origine dal fatto che « certi mercanti fiorentini dell’ arte di Calimala » avendo preso « a nolo da alcune genevosi tra i più nobili della città, due navi per trasportare lane dall’ Inghilterra in Italia » non preavvisarono la mancanza della merce nel porto d’ imbarco ; onde le navi non poterono compiere il carico. Quindi rottura di viaggio da parte del noleggiatore ; rottura che i primi scusavano con la forza maggiore, mentre i secondi sostenevano volontaria. Relativa protesta di <|uesti ultimi e conseguente giudizio al tribunale di Bruges, poiché quivi, o in altra città.di 1· landra era stato concluso il contratto di nolo. Quindi nuova controversia dinanzi all’ ufficio di Gazeria in Genova in ordine alla sentenza colà emanata, e sequestro di merci fiorentine in porto a guarentigia. Le vicende di questo giudizio costituiscono appunto 1’ argomento principale del presente studio, condotto sui documenti fiorentini per ciò che ha tratto alla ragione della causa per la quale 1’ arte di Calimala inviò a Genova Filippo Villani, il noto scrittore che intorno ad esso ha lasciato un importante carteggio riprodotto per intero con altri documenti dal Μ. I fiorentini in definitiva ebbero la peggio. L’ a. esposte tutte le circostanze del fatto, si ferma in ispecie all esame della procedura, delle modalità giuridiche, delle disposizioni statutarie, delle consuetudini ; fa la storia, in succoso riassunto, dell’ ufficio di Gazeria, delle leggi ond’ era governato, delle facoltà a lai attribuite, rilevando in modo particolare quale azione esercitasse nel presente letigio, non senza alcuni utili riscontri che si riferiscono al diritto comune, ed alla legislazione contemporanea di altre città. Il M. ha fatto opera utile, illustrando con tanta cura questo importante episodio della storia del diritto commerciale genovese. Controversia tipica intorno alla quale, per conoscerla pienamente, è a dolere manchino i documenti di parte genovese, tanto più vedendovisi mescolati giureconsulti a que’ di reputatissimi, come è a dire Leonardo de Montaldo, poi doge, «il quale » sono parole di tilippo Villani, « è il più possente cittadino dal dogie in fuori che abbi questa citta », e quel Cilistreri Di Negro del collegio de’ giudici e nel 135^ uno de Sapienti de Piotettori e delle compere del Capitolo, preso da prima come avvocato patrocinatore dai fiorentini, indi a poco ritrattosi dalla difesa per le ragioni esposte dai fioientini residenti a Genova e che ci piace riferire: « Noi avevamo preso per nostro savio messer Cilistreri di Xegro eh è 1 meglio ci sia a fatti nostri e avendo promeso d’ aiutarne e già ricieuto alchun denaio da noi e stando noi a sua fidanza mando per noi 4 di fa e diseci che a questa chosa non volea atendere e che nostri denari ci volea rendere perchè da 1 altra parte era stato richiesto che fosse i loro favore e elli rispuose loro noi poteva fare perch’ era obrigato a noi ; e infine e gli ano tanto fatto che gli à promeso di starne mezano, e non farà nè per 1’ uno nè per I altro, e Rambaldo e noi, preghandolo che questo non fose, nulla ci è giovato ; salvo che ci à detto se ’l dogie gliel chomanda, che farà ciò che noi voremo. Di che noi siamo stati al dogie e dettoli che questo è malefatta chosa e che li piaccia di fare che messer Cilestrieri ci aiuti ne la ragione da che à chominciato a difendere la nostra quistione. Il dogie ci rispuose che vi darebbe suo chon- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 295 e 1 ‘dira volta tornasimo a lui. E questa risporta niente ci piacque, e uniamo c le a piieghiere di questi, che domandano e’non faciano per noi Hi e CI wsognerebe ». s KAN('ESC(> Novati. La leggenda de/ Tornese d' Oddone HI Del Carretto. • . η. tij)., in-8, di pp. lj. (;on ja consueta dottrina rileva come nessuno < 1 co oro eie avevano parlato di questa moneta, aveva ben letto e rettamente mici pi i talo quel che è in essa scolpilo. Neppure il Morel-Fatio, a cui si concei eia i vanto di aver meglio d’ogni altro illustrate le parole della leg-,,ι.ικβ. ()ia egli ne ristabilisce la lezione che è di un distico in leonini, semino i costume medievale, e ne dà l’esatta versione; in essa si ricorda la concessione imperiale di battere moneta. Calzanti esempi giovano a chiarire ■ senso di alcuni vocaboli, sui quali i critici recarono diverso giudizio. /oesie di Ugo Foscolo. Muova edizione critica per cura di Giuseppe Chiarini. Livorno, Giusti, 1904 ; in-8, di pp. CXIIl-612. - Dopo ventu uu .inni da che il Chiarini, degli studi foscoliani benemerito, mise fuori la sua prima udizione criiica delle poesie di Ugo Foscolo, la quale fu il fon- I ann nlo e 1 impulso di quelle raccolte che uscirono poi, ha ora creduto „1111110 il tempo opportuno di tornare su quel volume e darlo nuovamente in pii 1 ) ico notevolmente modificato, tenendo conto degli studi comparsi in questo pi timo, e giovandosi delle cure diligenti da lui spese con assiduità sopra gli autografi, e i manoscritti più autorevoli oggidì conosciuti. Egli in un’ ampia pre azione rende conto, con ragguagli e particolari importanti, dell’opera sua si01 gcndo il lettole nell esame della raccolta ed esponendo i criteri onde fu guidato a dare ad essa quell’ordinamento e quell’assetto che, dopo maturo consiglio, gli apparvero i migliori. Si ferma più lungamente sulla parte seconda. la quale comprende Le Grazie ; ed era ragionevole inquantochè questa in ispecie presenta le differenze più salienti in confronto della prima edizione. II Carme così ordinato, porge più agevolezza alla lettura, e sebben, come si sa, frammentario, dà meglio a divedere quello che sarebbe stato se 1' aulore avesse potuto compierlo. Le varianti, le illustrazioni, l’apparato critico manifestano il grande studio che il Foscolo vi metteva attorno, e quel che rimane punge vivamente il desiderio, menfre ci fa deplorare di 11011 possedere il lavoro compiuto, che per venustà di forma, vivezza d’ immaginazioni, e importanza di contenuto, doveva vincere ogni alila poetica produzione. Correda questa parie un’appendice, dove sono descritti i manoscritti delle Grazie or conservati nella Labronica di Livorno. Il discorso intorno alle poesie liriche e satiriche, ricomparisce qui nel disegno e nella sostanza tal quale si legge nulla antecedente edizione: ben è qua e là alquanto sfrondato e in alcuni punti rifuso. Il C. confessa che « per correggerlo e compierlo » avrebbe dovuto « rifarlo di sana pianta » e non se 11e è « sentita la voglia ». E’ quindi facile intendere che 11011 manca di essere deficente: ma questo difetto nulla toglie al merito intrinseco, poiché ciascuno ornai sa quanto abbia acutamente mostrato il C. di vedere a dentro nello spirito e nella mente del poeta. Alfredo Chiti. Il risorgimento italiano nel carteggio di Pietro Conti-ucci. Con documenti. Napoli, Paravia, tip. Sangiovanni) 1904 ; in-16. di pp. 184. — E' questa una larga biografia del sacerdote Pietro Contrucci, tratta dalle carte di lui, dove si fa rivivere il lettore in mezzo alla società pistoiese della prima metà dell’ ottocento. Sebbene la figura del Contrucci 11011 possa aver diritto d’ esser posta fra le più notevoli ed importanti nel periodo del risorgimento, pure in se stessa e per le relazioni numerose con i principali uomini di Toscana e ili fuori, meritava d’ essere posta in rilievo, specie in servizio della storia del liberalismo ne' suoi diversi atteggiamenti e nelle varie mani- 296 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA festazioni. E perciò il lavoro del C. torna assai utile, come quello che attinge la sua ragione da molteplici documenti, i quali suffragano Γ esposizione. Potrebbe notarsi tuttavia che Γ importanza dell' uomo, così dal lato letterario come da quello politico non è tale da giustificare 1’ ampiezza del lavoro ; di che lo stesso C. sembra essersi accorto, donde il titolo del libro superiormente trascritto. D’ altra parte conviene anche osservare che egli con ricchezza e novità d’ informazioni narra, meglio assai di chi lo aveva preceduto, 1 casi del suo pistoiese, ne divisa gli scritti, riferisce i giudizi e le critiche; spiega infine, in relazione del tempo, come si venne formando nell’ animo suo 11 concetto politico al quale rimase fedele per tutta la vita. Anche questo prete ebbe i suoi scatti, le sue passioni, e si lasciò andare a giudizi acri ed ingiusti ; ma il carattere integro, la costanza nelle opinioni, e 1’ amore della patria pongono in giusta estimazione la sua personalità. Notevolissime certe preveggenze. eli’ebbero poi ad avverarsi. Una silloge di lettere sue, e d’altri a lui compiono il volume; sono in generale ben scelte, ma in piti luoghi evidentemente mal copiate. Forse ne ha colpa la fretta, alla quale vorremmo attribuire altresì qualche durezza di stile e certe forme improprie che si riscontrano qua e colà nel testo. In ogni modo anche questo libretto torna utile alla storia letteraria del nostro risorgimento. Nella solenne inaugurazione della bandiera della scuola tecnica comunale pareggiata di Sarzana. Discorso pronunciato dal direttore p'of. GIULIO Gatti. 12 Giugno 1903. Sarzana, Tip. Lunense, IQ04 ; in-8, di pp. 18. — Non è questo discorso una esercitazione rettorica, come qualche volta, forse troppe volte, avviene in sì fatte opportunità. L’ a. con buon consiglio ha colto l’occasione felice per esporre in modo limpido è sereno la storia della scuola nel suo inizio, nello svolgimento, nelle sue fasi ; donde apparisce quanta costanza occorse, quante difficoltà convenne superare per raggiungere il nobile fine di dare assetto stabile ed ordinato ad un istituto che ha preso ormai la sua via, e nel costante incremento prova la ragione di essere e la bontà delle sue funzioni didattiche ed educative. Così è da augurare abbiano compimento e trovino favore i voti e le proposte, che il senno pratico del direttore sottopone ai concittadini, affinchè la scuola raggiunga un maggior grado di perfezionamento. Entrata in Pisa del Serenissimo Gran Duca Ferdinando I De' Medici. Pisa, Mariotti, 1904; in-8, di pp. 14. E’ la narrazione dell’ingresso in Pisa del Granduca il 31 marzo 1588, tratta dalle memorie pisane di Luigi Xavarretti, le quali si conservano inedite neH’Archivio di Stato. Curioso è il modo col quale sono compilate queste memorie. L’ autore le ha intitolate : Il sogno fatto da L. N. la notte veniente del dì 4 marzo 1679 s- P- · egli finge di parlare in visione alla statua di Pisa che adorna il monumento del granduca Ferdinando I, e di avere pure da essa notizie storiche. Ciò si ricava dalla breve ma succosa notizia che Alfredo Segrè prepone al testo, nel quale si leggono particolari non privi d’ interesse intorno alle feste, agli ad dobbi, ai ricevimenti di quella solenne entrata. ALBERTO Lujibroso. L’ ultima nipote di Napoleone I. Pinerolo, tip. sociale, 1904; in-8, di pp. 2j. — Discorre della principessa Matilde, figlia di Girolamo Bonaparte, re di Vestfalia durante il primo impero, morta il 2 gennaio 1904. Sono pagine aneddotiche che si leggono volentieri, e ci fanno conoscere con sufficente chiarezza, nella loro brevità, l’animo, la mente, il costume di questa donna singolare che seppe procacciarsi dovunque, e da uomini disparatissimi, amicizia, affetto, reverenza. LUIGI Staffetti. La politica di Papa Paolo III e F Italia. Firenze, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2Q7 c*st)osi/ion b' I9°4 ’ m"j’ d! ,,p' — k’ a. lia preso argomento alla sua siino lii |L a ,un °Pera i i .ippiccatig i addosso dai nemici, e resa più simpatica mercè la equanime serenità della critica storica. Εμπ,ιο Brrtana. Intorno αΐΐ « Oreste». Roma, tip. Cooperativa, 1903; .'ilii’Vi' L a" C*'e aveva parlato a lungo e con stringente critica >es e 1, nel ,>en nol°. e, comunque si voglia, importantissimo miro, torna qui a farne soggetto di esame, muovendo dalla idea della tragedia stessa, posta a confronto con la forma definitiva dalale dal poeta. Egli· ri ex a qua i c quante modificazioni notevoli subi nella elaborazione, e si ferma in .specie sulla catastrofe ideata in modo diverso da quello di poi adottato, e che avrebbe dato alla tragedia una singolare originalità a petto a tutte le altre sul medesimo argomento. Di qui si fa a dimostrare come abbia in ciò seguito 1 francesi, anche ammettendo gli siano rimasti ignoti i loro lavori. ' ,P° j contraditure della sua opinione rispetto alle affinità fra la tra- gedia dell Alberi e quella del Voltaire, intese affermare che il poeta italiano si tei<>\<> te\oi pei più ragioni. Di qui noi veniamo a conoscere molti particolari inolilo ala società del tempo, singolarmente rispetto agli ordinamenti militali, e ci e aperto I adito a giudicare in qual guisa si conducesse il Patono nel momentoso periodo rivoluzionario, siccome delle sue opinioni intorno a’ atti contemporanei. Notevolissimo ciò eh’ei dice sull’assetto politico del- aia, e la chiara visione del concetto unitario sotto il regimento della -asa i Savoja. Giustamente 1 a. chiude la sua interessante monografia con queste parole: « Sebbene e come uomo e come scrittore non occupi un posto molto importante nella storia del suo tempo, per la varietà dei casi della sua uta, s\o tasi in una delle epoche più straordinarie della storia, quella che sta ,i cavalieie tra il XVIII e il XIX secolo, per 1’ indipendenza e la franchezza, colle quali sostenne contro i più le sue opinioni, per il caldo patriottismo, clic anche lontano dal suo paese egli seppe sempre albergare nel cuore, il nome di Benedetto Patono da Meirano meritava di essere, il più convenientemente che si poteva, rievocato ed illustrato ». ANGELO Solerti, /.'archivio della famiglia Ariosto. Prato, Giachetti, 1904, in-8, di pp. 14, con rii. - Gli avanzi dell’archivio di questa famiglia tornano in Italia, dopo il loro esodo e una sosta in Germania. E’ merito di un bibliofilo ferrarese, Giuseppe Cavalieri, se almeno ciò che rimane delle carte ariostesche viene ricuperato alla patria. Ed ha fatto ottima cosa il S. a segnalare questo bell’ alto, raro pur troppo, dando in un tempo una chiara e particolare notizia di quei documenti, i quali sommano a 254 e vanno dal 1393 al 1676. Egli pubblica un’asserta lettera del gran poeta, la quale si vorrebbe datata del 1490, e sarebbe la più antica fra le conosciute; interessante perchè ci darebbe la prova di una sua gita a Roma: ma dimostra come essa sia invece una fraudolenta contaminazione, trattandosi di una lettera scritta da un Lodovico Ariosto nel 1601, alla quale venne alterata la data e fatte qua e là altre accomodature. Il curioso si è che reca tre attestazioni della autografia dettate dal Cittadella, dalI’Antonelli e dal Faustini. Autentica è invece l’altra lettera del 1504 pur edita dal Solerti, sebbene non scevra in tutto di sospetto. Alcuni altri documenti ariosteschi e tassiani sono qui opportunamente prodotti, notevole un madrigale erotico del l'asso che si conosce per la prima volta. Dà in fine .come giunta alla derrata una lettera dell’Alessandra Strozzi che si conserva a Londra, e 1’ e-lenco dei documenti ariosteschi rinvenuti dal defunto Antonio Valeri, forse nell archivio Vaticano. Quattro ritratti del poeta adornano questo pregevole opuscolo ; quello cioè del Tiziano, del Dossi, del Palma il Vecchio, ed uno anonimo conservato in Sarzana dalla famiglia Podestà. Fra le carte venute in possesso dal Cavalieri si trova una interessante corrispondenza di Girolamo Ghirlanda di Carrara con Virginio Ariosto, la quale sarà messa fuori con altri documenti ed opportune illustrazioni da Giovanni Sforza. Emii.IO BkRTANA. L'Ariosto, il matrimonio e U donne. S. 11. tip. ; in-8 gr., di pp. 34. — Acuta e geniale monografia intorno ad un argomento poco studiato, e che fa desiderare quell’ « assai lungo discorso » necessario, secondo il B., a svolgerlo ampiamente. Perchè qui egli si propone di considerare un sol lato della materia, e più precisamente intende con questa scrittura « aprire la vera intenzione della satira ad Annibaie Malaguccio » sul prender moglie. Ricerca a questo fine quali fossero le idee dell’Ariosto, come si venissero formando, gli atteggiamenti che assunsero nelle diverse contingenze della vita, gettando uno sguardo assai notevole sulla letteratura misogina e filogina del cinquecento, con rilievi importanti ed accettabili conclusioni. Il suo ragionamento corre sicuro e ben nutrito attraverso alle varie manifestazioni onde il poeta esprime più o men alienamente il suo pensiero GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA intorno alle donne ed al matrimonio, riuscendo così a ben cogliere e ad interpretare felicemente il senso intimo .le’ suoi intendimenti, ed a spiegare quelle che potrebbero apparire contraddizioni. Nè men degno di nota si e quanto il B., con molta competenza ed ampio corredo di dottrina sebbene con succosa brevità conveniente all* economia del suo tema, viene esponendo, in rapporto all’ ambiente letterario, dove in più guise si manifestarono gli accusatori e i difensori delle donne ; poiché anche da questo lato riceve migliore lume la satira ariostesca. La quale si illustrerebbe con maggior efficacia se dell'Ariosto si sapesse di più ; si possedesse cioè quella vita del cui difetto 1’a. giustamente si lagna, e che è a deplorare non abbia scritto il Solerti impedito da « vicende non liete » ; onde a cessare la « vergogna » lamentata da questi e dal B. sarebbe desiderabile che alcun giovane volenteroso si ponesse di proposito alla lodevole impresa. F. TOMMASO Gallakati Scotti. Giuseppe Mazzini e il suo ulealismo politico e religioso. Milano, Cogliati, 11)04; in-16. di pp. 5°. — Buona conoscenza delle opere di Mazzini, e della sua vita privata e politica ; serenità di giudizi al di sopra di scuole e di fazioni ; acutezza di rilievi e libera espressione della verità, sono le doli che rendono utile e piacevole la lettura di questo discorso. Dove 1’ a. ha saputo colorire e rendere accessibile al-1’ universale, mercè la spigliata parola, e lo stile vivace, il concetto morale e politico vagheggiato e proseguito dall’ agitatore genovese, al quale e bello e confortante veder resa, anche dagli avversari de suoi sistemi, quella giustizia che non può mancare alle menti elette ed alle anime eroiche quando, cessate le passioni, le cose, gli uomini e le loro idealità vengono sottoposti al controllo equanime della critica storica. Luigi Piccioni. A proposito ilei Monti « abate » e « cittadino ». Spigolature d’archivio. Imola, Galeali, 1904; in-8, di pp. 13. Π P. riferisce da carte d’ archivio, e da cronache contemporanee manoscritte alcuni aneddoti intorno a Vincenzo Monti rispetto ai suoi rapporti con Cesena, la patria dei Braschi a’ cui servi/.i egli stette più anni. F. prima ei comparisce in figura di abate segretario del nipote di Pio VI, e scrive perciò di suo pugno le lettere che in diverse occasioni ebbe necessità di inviare il suo padrone alle autorità Municipali ; lettere che in se stesse non dicono gran cosa, ma provano in qual guisa compiesse il poeta I ufficio suo : curiose alcune che si riferiscono alle onoranze compartite al Papa in occasione del suo inutile quanto ingenuo viaggio a Vienna. Poi ci torna innanzi in Cesena dopo il fatai marzo del 1 797 spogliato delle vesti talari, non servo di principe, ina ufficiale di repubblica con il titolo pomposo di Commissario. — Organizzatore, gratificato dal Guidi cronista locale, insieme al suo compagno Oliva, di « ladro e somarro » (sic) senza più. Quivi sul piedestallo dell’Albero arringa il popolo mentre assiste all’ abbruciamento del Libro 545, porge argomento a Girolamo Rossi di stabilire che la bella ancona dell’ antico Santuario di N. D. dell’Acqua Santa, è opera del pad re Emanuele Macari domenicano, di Pigna. Egli parlando del pittore, rileva la scarsità delle notizie elle si hanno di lui, e corregge alcune inesattezze nelle quali a questo proposito i biografi sono caduti. Illustra e descrive la tavola pregevole, la quale non potrà orinai più dirsi anonima i Arte ? Storia, 1904, η. i, . .·. Giovanni Ognebene pubblica una notizia intorno alle carte del K. Aichivio di Modena, a cui egli presiede, riguardanti Le relazioni della Casu J /'.ite eoli' estero. Quivi troviamo die le corrispondenze degli ambasciatori, agenti e corrispondenti estensi da Genova vanno dal 1449 al 1796, e da Massa dal 1021 al 1780. Nel carteggio dei principi esteri le lettere da Genova sono così ripartite: Dogi 1451-152;, Consiglio 1487, Andrea Doria censore a vita 1527-1559, Doge e Governatori 1547-1790, Protettori delle Compere di S. Giorgio 1453-1502. Quelle de Signori di Massa-Carrara muovono dal marchese Alberico 1491-15 14, e seguono con Ricciarda '538-1553, lino a Maria I e resa 1738-1746; sono poi cronologicamente ordinate le altre dei diversi personaggi appartenenti alla famiglia Cybo Malaspina i4gi-i74<->. 1. a. da una notizia anche degli avvisi onde si arricchisce l’archivio, il primo de quali contiene notizie di Genova dei giorni 19 e 20 aprite 1393. In questa serie sono altresì i novellari o gazzette a stampa, i cui compilatori ricevevano talora incarico di fornire notizie segrete manoscritte : così Francesco I duca di Modena pagava annualmente a quest’ uopo 100 scudi a Michele Castelli noto scrittore della gazzetta che si stampava a Genova Atti ? Memorie della R. Depnt. di Stor. f>at. per ìe prov. Modenesi, Ser. V, voi. ITI. p. 223 . .·. La Galleria di Berlino si è arricchita or non è molto di un busto del vecchio genovese A. Sai vago, eseguito nel 1500 dal Tamagnino, proveniente dalla collezione dell’Imperatrice Federigo Rassegna bibliografica dell’ arte italiana. Ascoli Piceno, A. VII, p. 115 . .·. Il Corpo Reale delle Miniere ha pubblicato la Guida all’ Ufficio geologico Roma, Tip. Mazion. 1904, in-8, di pp. 99 e 8 tav. 1 con un’Appendici sull? collezioni di pietre decorative antiche, nelle quali sono descritte le collezioni del generale Federico Pescetto e del Sig. Pio De Sanctis. In queste collezioni, e specialmente nella prima, sono largamente rappresentati i marmi liguri. Particolarmente interessanti per noi le notizie relative ai monumenti antichi nei quali furono adoperati i marmora ligustica e i lunensia. Anche nel catalogo delle Pietre decorative non considerate come antiche (Serie II) figurano interessatiti campioni di pietre dure, marmi e breccie sia dell’Appen-nino ligure come delle due Riviere. .'. Si è pubblicato il Lexicon typographicum Italiae ossia Dictionnaire géographique d’Italie pour se n'ir à Γ histoire de I' imprimerie dans ce pars di G. Ki;magalli (Florence, Olschki. 1905, in-8). I.e notizie che riguardano la Liguria e la Lunigiana non sono nè molto ampie, nè molto esatte ; non è poi completa 1' indicazione dei luoghi che hanno tipografie. All’ articolo Genova sono riprodotti in facsimile la prima pagina della Summa Pisane/la del 1474 e il frontispizio del Salterio poliglotta del Giustiniani. .·. Nell’.7/innario della nobiltà italiano del corrente anno sono da notarsi alcuni cenni storici di famiglie che appartengono alla nostra regione. Tali gli Airoli, i Borea d’Olmo (S. Remo) e i Borea-Ricci (Albengai, i CarTega-lìertolini, i Clavarino, i Cortesini di Pontremoli, Imperiali. Invrea, 302 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Lavagna ^coliti ili). Montebruno, De Nobili (della Speziai, Orengo, Palla- v ci ni t<.li Genova), Rovereto, Vieino-Pallavicino, Vivaldi Pasqua. .·. Si annunzia che Francesco Paolo Avio e C. Pansieri hanno composto un dramma in versi su Ralil/a. .·. Comparirà fra breve sulle scene di Roma il nuovo dramma di Lucio d'Ambra e G. Lipparini intitolato: Goffredo Mameli, sul quale argomento ha scritto pure un dramma il professor Nulli, da rappresentarsi anch’ esso sui teatri romani. .·. Fra gli amici del giureconsulto e poeta feltrino Cornelio Castaldi (1463-*537) s' trova il genovese Agostino Ortica, noto traduttore di alcuni classici latini. A luì indirizza Cornelio questo breve componimento : Diceris uxorem duxisse, Urtica, nec id tu Vetus sodalis nuncias adhuc mihi, Cum quo partili curas et gaudia semper. Quaeque intulisset sors utrique, suetus es. Gratulor, et dubius tamen, et tibi supplice posco Voce Deos, vastum hoc salvus ut aequor ares. Già codesti distici erano stati pubblicati dal Farsetti nel 1 “57, ed ora li riproduce Giambattista Ferracina nella completa raccolta delle poesie del Castaldi, con il riscontro dei manoscritti ( La vi/a e /e poesie i/a/tane e latine edite ed inedite di COKNELIO Castaldi. Par. II, Poesie. Feltre, tip. Castaldi. 1904, p. 133 . .·. Fra i maestri in Pisa troviamo un Bartolonimeo da Fivizzano che insegnava la lingua latina nel 1514; e nell’ istesso cinquecento un Marco Porzio da Genova maestro d’ abbaco, il quale dopo aver servito gratuitamente per sei anni, venne stipendiato dal connine con « scudi 20 d’oro all anno ». Nel concorso del 1781 fu escluso, fra gli altri, Giovacchino Salvioni di Massa, non essendo suddito toscano ! SegrÈ. L’ istruzione pubblica in Pisa net secoli XVI, XVII e XVIII: pag. 3 seg.). APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. 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GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 303 Esposizione Agricola-Industriale-Didattica dell’antica Lunigiana, Maggio-giugno >904, Sarzana. Elenco degli espositori premiati. Sarzana, Costa, 1904; in· 16, di pp. 21. I* ΕΚ retto ARTURO. Docfflienti intorno ai trovatori Percivalle e Simone Dona (111 Siuiti Medievali, 1904, voi. [, p. i2h). A Calvari di l'on tanabuona. Impressioni e note (in 1! Cittadino, 1904, 11. 178). 1 iLiPi i Luigi. Lettera inedita di Sisto IV e memòrie sull’ origine della sua lanuglia (in Rivista del Collegio Araldico, Roma, 1904, 11. 8 ·. Giamhelli Carlo. Di Giuseppe Biamonti. Cenni biografici e critici (in Memorie della R. Accademia dei Lincei, Ser. V, vol. X . IIobari-Cust R. II. Il Polittico della SS. Annunziata in Poiitreinoli ^in I\.GSsegnd (/ Arte, 1^04 aprile '. Mazzini Ubai.do. Un invetriato robbiano tornato alla Spezia. Ivi, Zappa, 1904, pp. 10, fig. ( listi', d. Corriere della Spezia 11. 34, 26 agosto 1904). [Mazzini] U[bau>o]. U11 monumento spezzino del secolo XIV (in Cor riere della Spezia, 1904, 11. 39). '' Memorie storiche Chiavaresi: Sampierdicanne 1 in La Sveglia, 1904, 11. 20 . I ARODi E. G. Sludj Liguri (continuazione (in Archivio Glottologico, 19OJ, XVI, punì. 2). ^ I A 1erna- li a lui zzi l.EONAklJO. La Chiesa di S. Giorgio dei Genovesi in Palermo. 1 orino, Camilla e Bertolero, 1904; 111-4, di PP· l!^> c',n tav. e fig. I 1ER AN ioni Riccardo. L’impresa di Megollo Lercaro. Novella (in Muova Antologia, 1 luglio 1904). PieroΓΊΈΤ Adele. Nella Riviera di Ponente: peregrinazioni (in Arte e Scienza, Genova 1904, aprile-maggio . PODEòTA l·erdinaniio. Arte antica nel duomo di Sarzana. Genova, Sordomuti, 1904 ; in-8, di pp. 67. [Podestà Luigi. Lettera di « Un lunigianese » sulle origini e l’antichità del villaggio di Gasano]. Tip. Lunense, s. d e 1. [Sarzana] ; 111-8, di pp. II. Poggi G aetano. 1 compascui in Liguria dalla Tavola di Bronzo 11 1 7 a.c.) al Codice Civile italiano (ari. 682): memoria. Genova, Pagano, 1904: in-4, di pp. 32, con tav. RAKKAELLI G. C. L’isoterma Ligure. Genova, Ciminago, 1896; in-8, di pp. io. Le nubi temporalesche. Genova, Ciminago, 1901 ; 111-8. di pp. 22. — Gli osservatori meteorologici di Monte Penna e di Santo Stefano d’Aveto. Genova, Ciminago, 1904: in-8, di pp. t7. Ricordo del VII Centenario della Traslazione della Reliquia ilei Prez.'"° Sangue di X. S. Gesù Crocifisso e della Sede Vescovile di Luni a Sarzana. Sarzana, ('osta, 1904; in-8, di pp. 8 11. 11. 304 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Rossi Girolamo. Una tavola ilei P. Emanuele Macari (in Arte e Storia, 1904, n. 15). Saffi Aurelio. Giuseppe Mazzini compendio biografico nuovamente pubblicato da Giorgina Saffi. Firenze, Barbera, 1904; in-8, di pp. 126. Santerenzo a Shelley (in Corriere detta Spezia, 1904, 11. 36). Seregni G. Del P. Girolamo Sauteri in Archivio Storico Lombardo, XXXI, p. 464). Solerti Angelo. Un balletto musicato ila Claudio Monteverde sconosciuto ai suoi biogn.fi (in Rivista Musicate Italiana, XI, I9°4> fase. 1 ■ Trucco A. F. Gallia contro omnes. L’anno 1799. Appunti storici e militari sugli avvenimenti d' Italia. Milano, Libreria Ed. Naz. (tip. Operai), 1904; in-8, di pp. 532. — Per la Liguria i cup. X-XVI. Varaldo Alessandro. Niccolò Bacigalupi (in Natura ed Arte, XIII, u. 19, p. 477). Vignaud H. A criticai Study of thè varions dates assegned lo thè birth of Christopher Columbus. The reai date 1451. London, Stevens’ sons and Stiles, 1904; in-8, di pp. 121. ZOLESl A. Ghe n' è per tùli. Grandiosa serie di circa boo sonetti in vernacolo spezzino (Seguito al Cansoneo). Spezia, lip. Zappa 1904· in-8, di pp. 285. — ld. vol. II, pp. 71. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. La Francia dalla restaurazione alla fondazione della terza Repubblica (1814-1870) del prof. Giuseppe Brizzolaka. — Un volume di pag. XX-715· Û. Hoepli, edit. Milano. (L. 7,50). Il libro che viene ad accompagnarsi agli altri della « Collezione storica Villari », si raccomanda per la serietà e la genialità. Pur non essendo infatti, come non vuole o deve essere — dato il suo scopo e il largo pubblico per cui è scritto — opera di critica e d’erudizione nel senso stretto della parola, appare assai bene studiato e meditato in ogni sua parte sì da affidare pienamente il lettore, la cui attenzione poi è sempre avvinta dalla forma limpida, attraente ed efficace senza sforzo, dalla maestria con cui i fatti sono disposti e coordinati tra loro e ne sono messe in luce le relazioni di causa e d’effetto. Se a ciò si aggiunge la grande obiettività e serenità del racconto, al libro del Rrizzolara che tratta un argomento così interessante e importante anche per il nostro paese, non possono mancare il favore del pubblico e una larga diffusione. PUBBLICAZIONI RICEVUTE MGame!anÏ79S'Vr,LE· Sul italico » di Leonardo .Sfrenati. Firenze, UtTol To[™AIoNGNon.AKo,nC LoetcheraeI'cte Km"" biografi# cri- C°Rom&,eLoescher e’c^Tgoj,'^00 P''‘C‘dulc da uno studi° critico di Paoi'° Costa. ΑΞ°ε?η?ρΥΰπηοΛ :neloJramma^o\. I, Introduzione: Vol. II, Ottavio *f»’ -903-904. avvenimenti d’itali H ano Ìbr FH‘Γ 'l?*· 'ψ""* '*'**' ‘ "**' D . iunano, j^ibr. Editrice Nazionale, 1904. EMILIOPenco^Γ'';· nd dtl0m0 di Sarzana. Genova, Sordomuti, 1904. San Pierd’Arena’ Gazz°’,9oì· mentala. Trieste, Caprin, 1904. α'?"' *' Petrar£a co”" G,»^™rf!;//ERRACINA'/ Za//to ' '/aW * /οή>“ edite ed inediu di Cor- neho Castaldi giureconsulto feltrino (sec. XV-XVI). Parte II — Poesie con introduzione e varianti. Feltre, tip. Castaldi, 1904 LTari0tti!Y904.Z’ ******* Λ ** in (‘355). Pisa, F. Pintor. .Vuovi documenti Celliniani. Firenze, Londi, 1904. TZLlZ !^ari° " Ce3are 1 di Bastian0 T"l*hi *" L B· Sdmko* Firenze, CHvtnI'E,oo ,EJ0B‘ LfS CnfantS gates en ItalU au XIVe et au XVe iiècU- Toulouse, Chau- » 111 y 1yuj < °MariottÌ *1904* ^ rimatore PUano edita da Leandro Biadene. Pisa, Orazio Baco. Burle e arti magiche di Giovanni Boccaccio. Casteìfiorentino, Gio-vannelli e Carpitelli, 1904. Il:!Um"° ’3°S ddla R- Galleria degli Uffizi. Firenze, Barbera, 1904. Nistri 1904^" nuovo ‘nonfo d’ amore di Gianfrancesco Puteolano. Pisa. Il Padiglione di re Alfonso, edito da Pio Rajna. Firenze, Galileiana, 1904. La venuta a Casale di Benedetto Maurizio di Savoja duca de! Chiablese (luglio 1766) narrala da un contemporaneo e pubblicala da Giuseppe Giorcelli. Alessandria Piccone, 1904. Giuseppe Giorcelli. Un documento inedito della Zecca di Casale Monferrato 7 lu-glio /5//). Milano, Cogliati, 1904. Inventario dei codici superstiti greci e latini antichi della Biblioteca Nazionale di To-nno. Torino, Loescher, 1904. Manuale della letteratura italiana compilato dai professori ALESSANDRO D’ANCONA tf Orazio BaCCI. Vol. VI. Indice generale deir opera. Supplemento bibliografico. Firenze, Barbera, 1904. Adolfo HangINI. F. D. Guerrazzi. Cenni c ricordi ad illustrazione di sci scritti pubblicati in appendice. Livorno, 1904, Giusti. AMEDEO PELLEGRINI. Il Capitano Trentacapilli (a proposito dell'arresto di Gioacchino Murai). Monteleone, La Badessa, 1904. Andrea Franzoni. Francesco De Lemene. Lodi, Dell’Avo. 1904. Uao Assereto. Un censimento del patriziato genovese nel 1621. Roma, Civelli, 1904. Una lettera politica inedita e un sonetto musicale di Enrico Bindi con un’avvertenza del prof. Alfredo Cuiti, Pistoia, Niccolai, 1904. Luigi Piccioni. Intorno alla Scuola Secondaria. Osservazioni e proposte. Torino, Paravia; 1904. AVVERTENZE Il Giornale si pubblica ordinariamente in fasctcoh bimestrali o trimestrali, in modo da formare a fin d’ anno un volume di 480 pagine. Il prezzo di associazione per Γ Italia è di L. 10 annue, per l’estero di franchi 11. Le associazioni si ricevono esclusivamente alla Spezia 'presso 1’Ufficio dell’Amministrazione del Giornale. L’Amministrazione concede ai collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti originali. Coloro che ne desiderano un numero maggiore possono trattare direttamente con la tipografia, che ha fissato i segg. prezzi: Da . a 8 pag. Da . a ,6 pag. _ t 6 Copie 50 L· 10 c°p“5° „ ; .00 · u 100 » 100 SUCC. » XI » xoo successive » 7 In questi prezzi sono comprese le spese della copertina, della legatura e del porto a domicilio del committente. PREZZO DEL FASCICOLO PRESENTE: !.. 2 iORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diretto da ACHILLE NERI e da UBALDO MAZZINI ♦ pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria ANNO V. Fase. 9-12 1904 Settembre — Dicembre SOMMARIO - A w T: }■ rer,° Albert0 e S'> scavi di Luni (con figg. e pianta), pag. 305 e detk Rgp° w° .‘'''r001 (conf*'> Pa»' 337 - U. Mazzini, Di Gerolamo Roman Hnri rnnT r ' Genova», pag. 398 - U. Mazzini, Per la storia delle con- VisrnnH ? viaìrpag' 405 ~ A· Ferretto- Contributo alle relazioni tra Genova e i fi Γ λ l c ’ PaS' 433 ~ VARIETÀ : U. Mazzini, Un documento per la biografia^, Andrea Sansov.no, pag. 438 - L. G. Pélissier, Notes de Pons de l’Héraud ~JÌ M” Un monuìnento spezzino del Trecento, pag. 448 — BOL-ΔΜΜΠΜ7Ι AFICO’ s» Parla di: D. B. Schaedel, P. Boselli, pag. 451 — W A Γ ,!ii' parla di :J. Jung, A. Pellegrini, G. Giorcelli, C. Dall’Acqaa, TURE F. MOXTTiW ?' Br0g^0ll“0' G- B· Ferracina, pag. 458 — SPIGOLA- TURE E NOTIZIE, pag. 465 APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE pag. 470 — Indice del vol. V. ’ LA SPEZIA DIREZIONE Società d'Incoraggiamento editrice AMMINISTRAZIONE Genova - Coreo Mentana --La Spezia - Amministrazione 43-11 Tip. di Francksco Zappa del Giornale AVVERTENZE Il Giornale si pubblica ordinariamente in fascicoli bimestrali o trimestrali, in modo da formare a fin d’ anno un volume di 480 pagine. Il prezzo di associazione per Γ Italia è di L. 10 annue, per Γ estero di franchi 11. Le associazioni si ricevono esclusivamente alla Spezia presso Γ Ufficio deH’Amministrazione del Giornale. L’Amministrazione concede ai collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti orisfinali. Coloro che ne desiderano un numero maggiore possono trattare direttamente con la tipografia, che ha fissato i segg. prezzi : Da i a 8 pag. Da 1 a 16 pag. Copie 50 L. 6 Copie 50 L. .10 > 100 » 9 » 100 > 14 > 100 successive » 7 » 100 succ. » 11 In questi prezzi sono comprese le spese della copertina, della legatura e del porto a domicilio del committente. PREZZO DEL FASCICOLO PRESENTE: L. 4,40 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 305 IL RE CARLO ALBERTO E GLI SCAVI DI LUNI Il Re Carlo Alberto, con brevetto dato a Genova il 24 novembre del 1834, istituì una Giunta di antichità e belle arti, la quale, « sotto la direzione della Segreteria di Stato per gli affari dell’interno », gli dovesse proporre que’provvedimenti, che, « senza ledere il diritto di proprietà, ravviserà propri a promuovere nelle provincie dei reali dominii la ricerca e ad assicurare la conservazione di quegli oggetti che per l’antichità o pel loro pregio saranno riconosciuti importanti per gli studi di antichità e belle arti ». Ne scelse i componenti nel seno dell’ Accademia delle Scienze e di quella di Belle Arti e nell’Università di Torino. Dall’Accademia delle Scienze prese Cesare Saluzzo, Luigi Biondi, Giuseppe Manno e Costanzo Gazzera; dall’Accademia di Belle Arti, Roberto Tapparelli d’Azeglio, Giambattista Biscara e Angelo Boucheron; dall'Univer-sità, il prof. Ignazio Barucchi Direttore del Museo d’ antichità ed egizio (1). Con successivo brevetto dell’11 decembre, il Re, « nell’ atto in cui la Giunta va ad intraprendere i lavori » alla medesima commessi, per « aggiungerle un novello lustro e metterla anche in istato di trarre maggior prò dalle comunicazioni che possono facilmente aver luogo per la natura di quei lavori fra la Giunta stessa e le due Accademie delle Scienze e Belle arti », ne commise la presidenza ai Presidenti delle due Accademie, « i quali perciò » (son parole del brevetto) « non solamente interverranno in tale qualità nelle adunanze della Giunta, sempre che loro torni in grado, ma ne riceveranno anche i rapporti, e dirigeranno alla Segreteria di Stato per gli affari dell’ interno le proposizioni occorrenti, sempre quando, per Γ importanza degli oggetti presi a discutere, ciò stimino di dover fare ». La Giunta volse gli occhi anche a Luni e alle sue rovine. (Γ) A costoro vennero poi aggiunti, per 1’Accademia delle Scienze, A-medeo Peyron e Luigi Librario e come Commissari della Giunta in Torino Domenico Promis, Filippo Lavy e Carlo Promis, che il 25 aprile del 1837 era stato nominato Ispettore de’ monumenti d’ antichità ne’ RR. Stati. Giorn. St. e 1-ett. della Liguria, V. 20 306 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Il Primo Segretario di Stato per gli affari dell’ interno, conte Antonio Maria Tonduti della Scarena, in servigio della Giunta, il 4 giugno del 1834, invitava il Vice Intendente [Sotto Prefetto] della Spezia, che era 1'avv. Andrea Cravazza, ad informarlo sullo ♦ stato attuale e monumenti della già città di Luni ». Il Cravazza, per attingere informazioni e così meglio rispondere alla domanda, fece capo a Michele Grassi, geometra di Sarzanello, ben pratico del territorio di Luni, delle sue rovine e de’suoi scavi; il quale, il 23 di giugno, gli dette questi ragguagli : Illustrissimo Signore, Per adempire nel miglior modo possibile all’ incarico che la S. V. 111.ma si è compiaciuta affidarmi con rispettabilissima sua lettera dei 3 corrente, è mio dovere farle conoscere, che sebbene nei luoghi ove era posta 1’ antica città di Luni non si proceda a quelle escavazioni propriamente dette e tendenti alla scoperta di preziose anticaglie, ma soltanto a quelle che sono richieste dalla veduta di rendere più fruttifero ed a miglior stato di coltura il terreno, ciò non ostante frequenti sono le scoperte di oggetti, che possono essere al sommo interessanti o per le scienze o per le arti. Difatti recentemente ancora in un terreno di proprietà del Capìtolo di questa Cattedrale fu posta allo scoperto un’ antica strada, egregiamente lastricata con pietre calcaree : e non lungi da quella una cloaca o acquedotto, della profondità di un metro e cinquanta centimetri e larga un metro, ricoperta di marmi, che mi sembrano già ad altro uso adoperati, e da macigni ; e poco da quella distante un bel musaico, che, in pezzi ridotto, dal Sig. canonico Mercadanti fu fatto trasportare in Sarzana. Anche in quest’ anno un contadino nel vangare un terreno, scavato nel decorso, ritrovò più monete d’ argento ; ed avendone alcune vedute, una ne scorsi appartenente a Giunio Bruto, di cui si vede da un lato 1’ effigie e dall’ altro due vestali, seguitate da un littore. Io la credo rarissima, anche come monumento, dal sommo rispetto che avevasi fra i Romani a quelle vergini, poiché mentre i littori precedevano i consoli all’ oggetto appunto d’ imprimere nel popolo un rispetto, una reverenza per quell’ autorità, era tale e tanta quella che avevasi per le vestali che riscotevanlo per sè medesime senza la precedenza de’ littori. Altra pure ne riconobbi delle cosi dette famigliari e coll’ effigie di Caio Vibio, e che, a mio credere, è tanto più rara e pregevole in quanto che apparterrebbe a famiglia plebea. Molte di queste monete, non meno che altri oggetti, sono stati venduti in Carrara, non solo perchè gli abitanti del Comune di Ortonovo, da cui sono quei terreni coltivati, sono, come più prossimi a quella città, in mag- GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 307 giori relazioni colla stessa, ma ben ancora perchè essendovi non pochi intelligenti di belle arti vi trovano più agevolmente chi ne faccia acquisto. Io sono convinto che laddove si procedesse a ben regolari e ben dirette escavazioni potrebbe ottenersene un felice resultato ; e non ha guari mi sono io trovato presente a vedere arrestato il vomere di un contadino da quantità di marmi sepolti, e sebbene io 1’ eccitassi a farne 1’ escavazione, mi rispose essere mancante di mezzi per eseguirla. E tanto più utili sarebbero, a mio credere, questi tentativi, se fossero incominciati nell’ area dell’ anfiteatro, all’ intorno di quello, ed in prossimità ai ruderi di un antico sepolcro, che nella loro costruzione hanno non so che di rassomigliante' al celebre di Cecilia Metella nelle vicinanze di Roma. lutta volta che la S. V. 111.ma si determinasse a fare una corsa sul luogo, sarebbe mia cura 1’ indicarle i luoghi ancora intatti ove potrebbesi dar principio alle escavazioni e con ben fondate speranze. AH’ oggetto poi di secondare le benefiche intenzioni del R. Governo a questo riguardo, a me sembra che il miglior sistema da adottarsi quello sarebbe della elezione di un Delegato governativo a presiedere a tutti gli scavi che volessero farsi, ed ai quali non potesse darsi principio senza preventivo di lui avviso ; che a questi dovessero rimettersi tutti gli oggetti spettanti o alle scienze, o alla numismatica, o alle arti belle ancora, mediante ricevuta al consegnamento e descrizione dei medesimi in un registro da lui a quest’ uopo tenuto ; che quelli effetti medesimi si dovessero gelosamente custodire dal Delegato fino a tanto che fattane la recognizione e 1’ esame da persona abile ed intelligente, del pari nominata dal R. Governo, decidesse quali possono meritare essere trasmessi ai Regi Musei, quali debbonsi ai proprietari restituire. Non so se abbia intieramente corrisposto ai desideri della S. V. 111.ma ; se mai non fosse, lo ascriva a insufficienza mia. Si degni però aggradire una testimonianza della buona mia buona volontà, congiunta alla protesta di quel verace ossequio e profondo rispetto con cui mi reco ad onore ripetermi Di V. S. IH.ma Umilissimo devotissimo servitore MICHELE GRASSI Il Cravazza, in compagnia del Grassi, il q di luglio si recò « sul terreno ove esisteva Luni » ; e dopo averne minutamente esaminato gli avanzi ed essersi dato a raccogliere quante più notizie e informazioni gli fu possibile, il 14 del mese stesso inviava al Primo Segretario di Stato per gli affari dell’ interno un lungo rapporto, dal quale trascrivo i brani che offrono interesse maggiore. 30S GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA Da due opposti punti si giunge all' antica Luni, 1’ uno cioè per via di terra, dalla parte di Sarzana, dalla quale città è distante Luni ”er uno spazio dì circa sette miglia, e vi si può andare co ino dame il te in carrozza; 1 altro per mare, sbarcando alla spiaggia denominata Marinella, situata a levante della foce del fiume Magra (lì. 11 terreno che da Sarzana si estende verso Luni è tutto perfettamente piano e coltivato sino alla sponda del Magra. Dalla parte del mare i quella appunto eh’ io prescelsi nella presente mia escursione ) consiste, per breve spazio, in nuda arena e quindi passa in terreno coltivato a boschi, prati e campi sino alla stessa Luni, la quale dista dal mare approssimativamente per un miglio e mezzo. Ciò che primieramente osservai sulla natura dello stesso terreno è che questo, dalla parte del mare e del fiume Magra, è arenoso sino a poca distanza dal luogo dove fu Luni, e che oltre tale linea si cambia gradatamente in terreno nericcio e compatto, il che parvemi comprovare sempre più che Luni fu città marittima anziché mediterranea. Il primo monumento che si presenta a chi arriva dalla parte del mare è un avanzo di un edilìzio, di forma rotonda, avente nella parte superiore una lapide marmorea, con un foro che si dirige nell’ interno, della circonferenza di un palmo. 11 Sig. Grassi pretenderebbe essere stata tale fabbrica i I Intorno a questa località cosi scriveva, da Genova, il 2 settembre-dei 1595, Alberico Cibo Malaspina, Principe di Alassa, al capitano Annibaie Diana di Carrara: « .\Iolto mag.eo carissimo, Il sig.r Battista torre, genti-lhuoino di questa città, ha preso in livello perpetuo da la Comunità le terre della Marinella, con sue giurisditioni, con obligo d’ asciugare i paduli. E’ stato però da me, pregandomi che convenendoli far fare alcune fosse per scoli di quelle acque ini voglia contentare che si possino fare anco in qualche terre di quelle mie giurisditioni, alle qu ili tiene che parimente tornerà di gran bonificamento, come vederete da 1’ alligato suo memoriale ; non intendendo pregiudicare, nè intromettersi in modo alcuno in differenza di confini ; che quando così sia, me risolverò a compiacerli, poiché, oltre che con il retrocorso di quelle acque, che quando piove scorrono per diverse vie a danno di quelle nostre terre, restarebano asciutte et insieme le strade, che tanto inondano, et maggiormente che 11e resultarla buon aria ; onde s’ impone a voi che ne siate sopra i luoghi, in compagnia del sig.r Bartolomeo Bava, mandato del detto Torre, che si trova hora a Sarzana per tal effetto, et da esso intendere et vedere perchè via pensa guidare le fosse e 1’ acque, quante, dove dovranno haver essito e quanto toccarà del nostro, e se sarà pregiuditio al li confini e alle terre, o che utile veramente potrà aportare, dandomi di tutto fedele el pieno ragguaglio ; e per maggior mia sodisfatione me ne mandarete uno schizzo, con dirmi d’ avantaggio tutto quello che intorno di ciò vi occorre. Nè altro ». Sulla Marinella sono da consultarsi : Bufalim MAURIZIO, Risposta alla domanda se si possa secondo le ragioni igieniche permettere lo stabilimento d’ una salina nella Valle di Magra e precisamente nella Marinella, Genova, tip. Arcivescovile, 1847 ; in-8, di pp. 48. — Bertoloni Antonio, Osservazioni sopra le saline che una Compagnia Francese cerca di stabilire nella Marinella di Sarzana, Genova, tip. Pontlienier, 1847; in-8, di pp. 14. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3O9 un sepolcro; ma però nello stato nel quale trovasi quella presentemente, pri-'a Cl°^ di qualunque siasi esteriore ornamento e consistente unicamente in un masso informe di piccole ed irregolari pietre, connesse con molta calce, non parmi che si possa formare un giudizio nè dell’ uso cui fu destinata, nè dell epoca e popoli che 1’ hanno costrutta 1 1). In qualche distanza da tale edilizio e dalla parte di nord-est sonovi gli a-vanzi di un anfiteatro, di forma ellittica, praticabile in tutta la sua superiore circonferenza, e la di cui interna area, che presentemente è coltivata a me-lega, sarà approssimativamente di passi comuni cento settanta nel maggiore suo asse. Dallo stato attuale di siffatto anfiteatro, o pubblica arena, pare si possa dedurre avere lo stesso potuto contenere dalle tre alle quattromila persone. Ciò essendo, si potrebbe da tale dato argomentare quale approssimativamente fosse per essere la popolazione di Luni nel tempo che lo stesso anfiteatro venne costrutto. Da tale monumento e nella direzione sud si passò ad esaminarne un altro, di forma pure rotonda, come è il primo preindicato, ma però di questo meno ampio, di poco elevato dal terreno e per la massima parte ricoperto di sassi e di materiali di edifizi, che furono colà riposti in occasione che si coltivo il circostante terreno. Un avanzo di un lato e di un annessovi campanile di una antica chiesa cristiana fu il quarto edilìzio che all’ ovest dell’ anfiteatro si passò ad esaminare. nel die si è potuto unicamente osservare una diversità di costruzione fra questi fabbrica e le precedenti, in quanto che tale edifizio sarebbe composto di molte qualita di pietre, fra le quali si poterono rilevare varii pezzi di marmo, che furono probabilmente il prodotto delle antiche rovine della Luni etnisca e quindi romana, mentre che ne’ primi non si osservò che pietre di una od al più due specie, e queste per la massima parte rozze e come si ricavarono dai monti lontani o dal vicino suolo. L’ ultimo de' monumenti, che tuttavia esiste al sud-ovest del ripetuto anfiteatro, e che esaminai, fu un avanzo di un edifizio, il quale preten- 1 II Cravazza ha torto, ragione il Grassi. Il Promis 11e fa questa descrizione : « Poco dopo..... vedesi un antico sepolcro, di forma cilindrica, di diametro di circa dodici metri, il quale elevasi ancora a circa otto metri : di esso non rimane che l’ossatura, essendo per due parti sfaldato : si vedono in giro cinque nicchie rettangolari, che con altre cinque, ora mancanti, ne decoravano il perimetro ; sulla sommità conservasi un occhio di marmo per illuminare la cella, alla quale non v’ è accesso. La sua situazione sulla via 1 forse 1’Aurelia) e presso la città, e più di tutto la forma, lo palesano chiaramente per un sepolcro ; fuvvi però chi lo credette un castello d’ acqua, mentre non v’ è alcuna uscita per essa ; ed altri lo disse niente meno che il faro di Luni, quantunqne sia molto discosto dal porto della Seccagna ; la sua costruzione poi, che è del solito emplecton di grosse scaglie, fu detta essere di grandi marmi quadrati ». Cfr. Promis C. Dell’ antica città ili Lutti e del suo stato presente, mtmorie. Massa, ducale stamperia Frediani, 1857 ; p. 94. Sio GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA desi fosse stato una parte del molo che formava il porto della città. Mi si assicurò da varie persone ivi presenti che negli anni trascorsi erano ivi infisse due grosse anella di ferro, destinate probabilmente a legare le navi, e che quindi furono estratte da taluno all’ oggetto di ricavarne dell’ utile, e ciò mediante la demolizione di quella parte di fabbricato che le conteneva e che mi'fu indicata. Siffatta circostanza, convalidando sempre piil 1’ opinione che Luni fosse città marittima, servirebbe altresì a comprovare che era quella fornita anticamente di un proprio contiguo porto e che il golfo della Spezia non vi ha supplito, se pure fu in fatti, fuorché dopo la distruzione di quello. Ciò ammettendosi, dopo tali circostanze di fatto e 1’ attuale realissima esistenza del preindicato edifizio, sarebbe dimostrata erronea 1’ asserzione di quelli antichi e moderni istorici e scienziati che negarono a Luni un proprio porto, attigijb alla città, assegnandogli invece quello dell’ intiero golfo di Spezia, e quindi io potrei dedurne un motivo di compiacenza per tutto ciò che a tale riguardo esposi nel paragrafo 13, capitolo 2. , della mia Statistica di questa Provincia di Levante, che 1’ E. Y. già prima d’ ora ebbe la somma degnazione di esternarmi di avere benignamente accolta. Ciò che di particolare osservai in siffatto monumento e che vidi ripetuto, in un avanzo, probabilmente di una pila di ponte, esistente alla foce del fiume Magra 1', è il sistema di costruzione che venne praticato in tali specie di edifizi. La fabbrica interna, che è la sola che attualmente esiste, consiste in massi di altezza e larghezza di circa un metro e di lunghezza proporzionatamente maggiore, sovrapposti gli uni agli altri e composti irregolarmente di calce e sa^si. Sono essi in sostanza una specie di grosso calcestruzzo, formato a banchi, e ciascuno de’ quali combacia perfettamente con quello che gli è situato al di sotto e con 1’ altro che gli sovrasta, formando così un tutto insieme simile ad un edifizio che fosse formato unicamente di enormi macigni sovraposti gli uni agli altri. Li parte esteriore è totalmente distrutta e non ve ne rimane alcun avanzo, il che forse può essere 1 effetto di essere state esportate, per uso di altre posteriori fabbriche, le pietre che quella costituivano. Siffatta specie di antica costruzione, che diversifica assai dalla moderna, presentando 1’ idea di una grande solidità, la quale altronde sarebbe convalidata dalla vittoriosa resistenza che il molo di Luni oppose agli innumerevoli ed indescrivibili mezzi di distruzione, cui per più e più secoli fu sottoposto, parmi che non possa demeritare Γ attenzione di coloro che si occupano della scienza idraulico - architettonica. Questo è tutto ciò che rimane al giorno d’ oggi esistente e visibile sul suolo dell’ antica Luni. Tutto il resto non è che campi coltivati, già forse (' 1) Questo rudere, chiamato volgarmente l'Angelo, fu travolto ne suoi flutti dalla Magra nella piena dell’ottobre IQOI. Xe venne dato il disegno nel presente Giornale a p. 4 5 ^ dell’anno I. Cfr. anche la p. , 0 dell anno \ . ! GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 311 da moki secoli, a grano e vile, e che trovansi divisi in vari legittimi proprietari. La sola cosa che qui pure osservai è che nella massima parte dell’ a-lea, che era occupata dalla città, il terreno è alquanto più elevato dell’altra parte del ciicostante territorio, il che, a mio credere, non può essere altro thè 1 effetto dei materiali, delle fabbriche distrutte ed ivi convertiti in terra ed in patte tuttavia esistenti, ma con quella frammisti. In uno scavo infatti che, sotto la direzione del Sig. Grassi ed in mia presenza, feci eseguire in un campo ove teslè fu mietuto il frumento, vidi che la terra era assai nera-stra, compatta e frammischiata di pezzi di mattone ed altri sassi di fabbrica, e ciò ad una continuata profondità di un metro ; dopo la quale mi allontanai dal luogo del lavoro, perchè pressato dalla ristrettezza del tempo e dall’ eccessivo caldo dell’ atmosfera. Dalle varie informazioni che ho prese mi è costantemente risultato che ninno scavo venne giammai intrapreso da chiunque siasi all’ oggetto esclusivamente di rinvenire degli oggetti di valore intrinseco, o di antichità, e che se tali scavi ebbero luogo, ciò non fu che per una conseguenza del caso e nel modo che qui descrivo. In occasione che qualche agricoltore arando la terra, o meglio formando delle fosse onde collocarvi le piante di vite o qualche altro albero, accadde che scopri qualche pezzo di marmo, alcune parti di fabbricato, o talora anche delle monete o altri oggetti di antichità. I ale circostanza essendo stata ri feri la ai rispettivi proprietari del terreno, produsse qualche volta in taluno de’ medesimi la volontà, che poi mandarono ad effetto, di proseguire lo scavo, già intrapreso per altro scopo. Quanto al ritrovamento ed esportazione di oggetti d’ antichità, oltre tutto ciò che trovasi a tale riguardo descritto nell’ opera manoscritta del sarzanese Bonaventura De Rossi, una di cui copia esiste altresi in cotesti Regi Archivi di Corte, e cosi pure in quella, ugualmente manoscritta, dell’ altro sarzanese Ippolito Landinelli, non si potrebbe poi realmente conoscere ciò che fu rinvenuto posteriormente e sino al giorno d’ oggi nel luogo di cui ora si tratta. Alcuni marmi, stati scoperti in questi ultimi trascorsi anni, venni assicurato che furono ridotti in calce ed impiegati nella costruzione di case, e taluni trovatisi in possesso de’ proprietari delle terre ove furono escavati, senza che poi, sia per gli uni, che per gli altri, si possa sapere che contenessero o contengano rispettivamente delle antiche iscrizioni, o fossero pregevoli per la loro natura od ornamenti (t . I Scrive Emanuele Repetti : « Oltre molti frammenti antichi, in altri tempi scavati da quei terreni, furono nello scorso anno 1819 ritrovate non poche medaglie, quasi tutte di rame, dell’imperatore Ottaviano, M. Aurelio. Massimino, Costantino, Graziano, ec. ec., un’ ala di bronzo di Amorino o Vittoria, egregiamente scolpita. Il sig. Bologna mi mostrò nella sua casa di 312 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Prima d’ ora mi furono allegate delle scoperte di un candelabro, di una statua di bronzo con smanigli d’ oro, di patere ad uso di sacrifizi, di monete d’argento e di rame e di simili altri oggetti; ma quando ne investigai 1’ attuale esistenza, mi vennero indicati vari diversi possessori, fra quali taluno altresì che 11011 permise mai a chiunque siasi di vedere ed esaminare siffatti monumenti. Come superiormente accennai, chi primieramente rinviene qualche monumento è il coltivatore materiale della terra. Se Γ oggetto scoperto presenta qualche insegna di metallo, o tanto più se sono monete o medaglie, 1 avidità del guadagno gli suggerisce di trafugarlo, per quindi venderlo nascosta-mente a proprio esclusivo profitto; ovvero non amando o non potendo ciò impunemente praticare, lo rimette al proprietario del terreno, dal quale appunto esso agricoltore direttamente dipende, perchè suo colono. Pervenuto 1’ oggetto in queste ultime mani, diventa una proprietà esclusiva del possessore, il quale ordinariamente lo conserva presso di sè con un sentimento di somma affezione, ovvero lo vende o dona a chi meglio gli aggrada. Da questo stato di cose pertanto parmi potersi dedurre che la nomina di un Delegato governativo all’ oggetto di presiedere agli scavi e riceverne i prodotti, progettata dal Sig. Grassi, sia per essere inammissibile, in quanto che sarebbe dimostrato essere improbabile che possa effettuarsi da taluno qualche apposita escavatone all’ oggetto esclusivamente di rinvenire degli oggetti preziosi. E che tale lavoro, qualora fosse per aver luogo, 11011 sia per essere altra cosa fuorché una conseguenza del caso ed un esercizio di quel diritto che esclusivamente appartiene al proprietario del fondo di disporre cioè del proprio fondo come meglio gli aggrada. Il porre de’ vincoli a tale riguardo, e nelle presenti circostanze di fatto, mi parrebbe fosse per essere cosa inutile e vessatoria. Inutile, perchè se il caso o il lavoro di poco tempo ponesse nelle mani del lavorante o del proprietario del terreno qualche mo- . campagna varii bei capitelli di marmo bianco, una colonna di cipollino, teste, torsi, piedi ed altri pezzi di scultura e di ornato, e tra questi un numero di tavole squadrate, di marmo statuario, scavate tutte in un suo campo a Luni, quale dalla loro uniformità e dagli indizi che egli mi diede di una camera a triplice impiantito di mosaico, con una specie di vestibolo o portico, sospettai che servissero esse di controparete alla sala, o per sedili di pubbliche terme Una grande iscrizione di marmo, lunga più braccia, e della quale non prese copia, fu da lui stesso fatta ricoprire in quel terreno, non potendola trasportare ’a motivo della gran mole. Presso la casa colonica del sig. Benettim Picedi, in parte fabbricata sui ruderi d’ un tempio, con finestre di gotica struttura, si è pure scoperto un pozzo di limpid’ acqua, il di cui labro, di circa un braccio di diametro, è di un sol pezzo di marmo statuario, nè molto differisce nella forma da quello che si visita a Roma nel Carcere Mamertino ». Cfr. Repetti E. Sopra l’Alpe Apuana ed i marmi di Carrara, cenni, Badia Fiesolana, 1820; pp. 172-173 · GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 313 numento di valore intrinseco o altrimenti pregevole, la legge sarebbe facilmente ed impunemente delusa ed il Delegato governativo starebbe quindi inutilmente aspettando la denunzia dello scavo e la consegna degli oggetti ritrovati, in quanto che questi dall’ aperta campagna, ove furono escavati, sarebbero segretamente trafugati ed asportati ove meglio piacesse al possessore. Vessatoria, perchè senza un reale utile del Governo di S. M. li proprietari delle terre non potrebbero liberamente ed in ogni tempo esercitare su le stesse quei diritti che ad essi loro competono. Se occorresse che venisse intrapreso e proseguito qualche scavo, ragguardevole per sé stesso e per le scoperte che vi venissero fatte, il che tosto e facilmente sarebbe generalmente conosciuto, in allora soltanto crederei che il Governo di S. M. potesse e gli convenisse di frapporvi la propria autorità; ma per cose, come ora tratterebbesi, puramente accidentali e di poca quantità e qualità, il più savio ed economico partito è quello, a mio credere, di lasciar fare ciò che altrui meglio aggrada, e quindi differire a tempo più opportuno, se pure questo accaderà, il trattare della nomina del Delegato, che il Sig. Grassi proporrebbe, e che presente-mente sarebbe di puro aggravio al Governo e di grave malcontento per quegli agricoltori e proprietari. Qualora poi fosse intenzione del Governo di fare acquisto delle cose già ritrovate e di quelle che venissero a scoprirsi nel modo fin ora praticato, non parmi esservi altro miglior mezzo di quello di incaricare i Sindaci delle Comunità esistenti nella valle del fiume Magra ad indagare chi possieda al giorno d’ oggi o venga di tempo in tempo a possedere de’ monumenti ed oggetti di antichità della già città di Luni e quindi ne procurino dai possessori la cessione a favore e per conto del Governo, e ciò o gratuitamente, o mediante quel prezzo che si stabilirebbe fra il Sindaco ed il respettivo proprietario del monumento. Porrò fine a questo mio scritto coll’ umiliare all’ E. V. alcune monete di rame, che furono non ha guari rinvenute coltivando la terra ove già fu Luni, le quali potei avere in occasione della preindicata mia trasferta in quella località. Nella stessa circostanza e luogo vidi ed esaminai tre altre piccole monete d’ argento, 1’ una delle quali, 1 che è ritagliata nel contorno e porta da un lato una testa e dall’ altro un Ercole, che strozza un leone, ed una inscrizione verticale, in caratteri non so se etruschi o greci ) mi parve assai preziosa. Per semplice curiosità unisco altresì alle preindicate monete alcuni pezzi cubici di vetro, o di altra composizione colorata, che già forse servirono per qualche lavoro mosaico, e che io ed alcune persone di mia compagnia trovammo sparsi su la superficie di vari campi; in uno anzi de’ quali vi rilevammo altresì molti frantumi di preziosissimi marmi d’ Italia e di Grecia, tutti diligentemente lavorati e che perciò ci fecero supporre abbiano potuto 3 14 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA servire di impellicciatura a qualche sontuoso ornamento di tempio o palazzo signorile. Il Primo Segretario di Stato per gli affari dell’interno comunicò questa relazione alla Giunta, ma senza che essa vi deliberasse su e senza che per allora venisse pigliato alcun provvedimento. Cesare Saluzzo tornava a mettere il campo a rumore scrivendo: « Nella vestigia dell’antica città di Luni (vicino a Sarzana) sono frequenti le escavazioni e le occasioni di scoperte, le quali poi non portano frutto utile per la nostra storia a cagione delle dispersioni degli oggetti scoperti. E cosa sommamente desiderabile che si ponga rimedio ad un tal grave disordine, tanto più che anche recentemente si sono fatte, secondo è stato supposto al sottoscritto, scoperte di oggetti molto interessanti, che sono stati venduti a viaggiatori stranieri ». Soltanto nel 1837 si pensò dal Governo a fare degli scavi a Luni per proprio conto e valendosi dell’ opera di un archeologo. Ne fu occasione questo rapporto dell’ Intendente della Provincia di Levante (1), cav. avv. Francesco Serra Boyal, che il 7 marzo del 1837 scriveva dalla Spezia al nuovo Primo Segretario di Stato per gli affari dell’interno, Carlo Giuseppe Beraudo Pralormo : E già da qualche giorno che in una terra di proprietà del Sig. Angelo Remedi 12', posta negli aprichi campi colà dove esistono oggidì le vestigie del-1’ antica città di Luni, facendovi egli eseguire delle scavazioni per obbietto di coltivazione, fu messa allo scoperto la base d’ una colonna. Questo avvenimento suggerì la nobile idea al suddetto signor proprietario di far continuare le escavazioni in modo regolare, nella fiducia di riuscire a qualche interessante scoperta. Fallito non andò il suo divisamento, avvegna- (1) Il Re Vittorio Emanuele I, con lettere patenti del 14 decembre 1818, classificò le Provincie de’ suoi Stati di terraferma. Quella di Levante, con la Spezia per capoluogo, composta di sei Mandamenti e ventinove Comuni e con una popolazione di 64,453 abitanti, venne fatta Vice Intendenza di I.a classe. Carlo Alberto, con regie patenti del 14 ottobre 1836, ordinò che le Vice Intendenze di i.a e 2.a classe pigliassero il titolo d’ Intendenza di 3.3 e 4.a classe. (2) Nacque a Sarzana il 28 settembre del 1806 dal marchese Bartolommeo e dalla marchesa Marina Da Passano. Compiuti che ebbe gli studi letterari nel Collegio Tolomei di Siena, visitò le principali città d’ Italia per istruzione e diporto ; a Roma prese grande amore all’ archeologia e fermò nell’ animo il proposito di consacrarvisi. La vista del Museo di Napoli e delle rovine di Pompei resero più saldo il nobile proposito del giovane patrizio. Tornato in GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 I 5 chè giunse ultimamente a far porre allo scoperto il piano di un grandioso intercolonnio, frammezzato da basi di marmo, sulle quali è tutt’ affatto presumibile, per alcune iscrizioni che vi esistono, fosservi collocate delle statue di bronzo : lo dimostrano eziandio le reliquie di una di queste e gli avanzi de’ ferri che le tenevano avvinte alle basi anzidette. Le colonne scorgonsi costruite in materia, fasciate però e ricoperte di uno stucco lucido, il quale figura marmo. Le basi ed i capitelli sono poi in marmo; e questi, non meno che alcuni frammenti di architravi, voglionsi di egregio lavoro e sì annunziano eseguiti ne’ tempi della perfezione delle arti. In tali escavazioni sonosi eziandio ritrovate alcune monete in bronzo ed altri piccoli oggetti di eguale metallo, che furono dal suddetto Sig. Marchese ritirati. Giunto in cognizione di siffatta scoperta, la quale e per la sua estenzione e per la magnificenza e grandiosità sembra che meritar possa 1’ attenzione del Regio Governo, non che un qualche interesse per parte della Giunta di antichità, nell’ utile scopo della storia patria, io quindi mi reco ad onorevol premura di darne notizia a V. E. per tutte quelle determinazioni che nella di Lei saviezza le piacerà di prendere in proposito. Il io dello stesso mese il Ministro gli rispondeva così: Ho molto graditi i ragguagli comunicatimi da V. S. 111.ma riguardo agli oggetti rinvenuti in seguito alle scavazioni fatte praticare nel suolo dell’ antica città di Luni dal Sig. Marchese Angelo Remedi. Nel ringraziamela io la prego di volere, terminate che saranno le scavazioni predette, occuparsi della descrizione particolarizzata ed esatta di tutti e singoli gli oggetti che si saranno rinvenuti, e trasmetterla poi a questo patria, prese appunto a fare ne’ propri possessi gli scavi di che parla in questa lettera 1’ Intendente. Per molti e molti anni li seguitò con gagliardo amore e grave dispendio ; e co’ preziosi e numerosi oggetti scoperti formò a Sarzana nel suo palazzo un Museo Lunense, che di continua andò accrescendo con perseverante diligenza e instancabile afletto. Quando Carlo Promis prese a ristampare a Massa, co’ torchi de’ fratelli Frediani, le sue Memorie dell’antica città di Luni, invitò il Remedi « a volere stendere nota di quelle cose che furono da lui rinvenute dopo li scavi del 1837 » ; e 1’ archeologo sarzanese ne appagava il desiderio con una relazione, in data del 3 ottobre 1856, che il Promis pose a corredo del suo libro. Il 16 novembre del 1857 il Remedi dava principio ad un nuovo scavo nel campo stesso dove aveva rinvenuto il Poro di Luni. Cfr. RemeDI A. Scavi di Luni; nel Bollettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica per ΐanno 1858, Roma, tip. Tiberina, 1858 ; pp. 8-10. — Scavo fatto in Luni nell’ autunno del 1857, Sarzana, tip. Civica di A. Ponthenier, 1858 ; in-8, di pp. 8. [Seconda edizione ampliata]. — Scavi fatti in Luni nell’autunno del 1857. Terza impressione, Ponzano superiore, tip. dell’immacolata, 1875; in-8, di pp. 10. Tra le varie lapidi scoperte, di singolare importanza fu quella di M. Marcello, che Bartolommeo Borghesi [Oeuvres complètes ; Vili, 590-592] chiamò « preziosa » e che illustrarono Guglielmo Henzen [1W di Luni ; nel Bullettino dell' Instituto 3l6 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA Ministro, accompagnata con una copia fedele delle iscrizioni che saranno trovate incise, come anche da quelle particolari osservazioni che fossero necessarie per porre in grado il Ministero di meglio giudicare del maggiore o minore pregio degli oggetti medesimi, onde poter poi prendere in proposito, con cognizione di causa, quelle determinazioni che saranno riputate più opportune e convenienti. Nell' udienza reale, che ebbe luogo il giorno dopo, il Pralormo ragguagliò di tutto Carlo Alberto, e fu presa la seguente determinazione: < S. M. vuole che si ordini all’intendente di far conoscere se li proprietari degli oggetti trovati sieno disposti a disfarsene, e se fra gli oggetti vendibili ve ne sieno dei meritevoli di fissare l’attenzione del Governo di S. M. ». di corrispondenza archeologica per l'anno 1858, Roma, tip. Tiberina, 1858; pp. 11] e Teodoro Mommsen nel Corpus inscrisptio/ium latinarum. Monsig. Celestino Cavedoni stampò una Postilla all’ iscrizione liineseldi M. Minatio Sabello \_Bulleltino cit.; pp 76-77]. Avendo poi il Remedi preso con nuova lena a disotterrare gli avanzi della distrutta città, tornava nel 1860 a dame conto agli studiosi. Cfr. Remedi A. Relazione degli scavi fatti in Luni nell" autunno 1858 e 5p, e descrizione di itti ripostiglio lunense di monete consolari d’argento, trovato in Carrara nell’aprile 1860, Sarzana, tip. Civica di A. Ponthenier, 1860 ; in-8, di pp. 36. Il 14 decembre del 1882 la Direzione delle RR. Gallerie e Musei di Firenze comprò per il Museo archeologico fiorentino « la ricca e importante collezione di antichità lunesi » del marchese Remedi, pagandola « circa trentamila lire » ; e il venditore, alla sua volta, cedette al Governo il diritto « di esplorare scientificamente il terreno della proprietà Remedi intitolata Mano di ferro e di appropriarsi le antichità che in tali esplorazioni si potessero rinvenire ». Cfr. Arte e Storia, di Firenze, anno II [1883], n. 45. Luigi Adriano Milani, Direttore del R. Museo archeologico di Firenze e Ispettore degli scavi di antichità in Etruria, poco dopo 1’ acquisto fatto, prese a illustrare gli oggetti raccolti dal Remedi con le seguenti pubblicazioni : I frontoni di un tempio tuscamco scoperto in Luni; nel Museo italiano di antichità classica, vol. I, puntata I, pp. 99-102. — Diattiloteca Lunese ; nel Museo suddetto, vol. cit., punt. cit., pp. 131-139. — Museo topografico dell’Etruria, Firenze-Roma, tip. Bencini. 1898; pp. 73-78. — Il Remedi mise pure assieme un copioso Medagliere, formato, in parte, con la piccola, ma interessante raccolta lasciatagli per eredità dal fratello Francesco [1799-1847], e in parte con le rare e molteplici monete da lui trovate negli scavi lunensi, e con più altre che andò a mano a mano acquistando con non lieve dispendio ; Medagliere ricco di tali -e tanti tipi romani e medioevali, da tener fronte a qualsivoglia altro privato d’Italia, che pur troppo andò miseramente disperso. Cfr. Luppi Costantino, Catalogo delle monete romane consolari ed imperiali, delle zecche medioevali e moderne e delle medaglie componenti la collezione del signor marchese commendatore Angelo Remedi di Sarzana, Milano, tip. Pirola, 1884; in-8, di pp. XII-364, con tavole. Cfr. pure : Ciabatti ab. Guido, Museo del marchese Angelo Remedi di Sarzana; nel Bullettino di numismatica italiana, di Firenze, ann. II, 11. 1, novembre e decembre 1867, pp. 5-7. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 I 7 Cesare Saluzzo appena ebbe notizia di questi nuovi scavi si affrettava a scrivere confidenzialmente al Pralormo : In fretta. Il Marzo. Egregio amico, Si fanno in questo momento scoperte importantissime nel sito dell’ antica Luni. Il caso sarebbe di mandare persona intendente, onorata e zelante del legio servizio sulla faccia de’ luoghi, perchè non succeda ciò che a Nizza (al mare) che russi, inglesi, tedeschi, ecc. portano via le cose di maggior pregio che giornalmente vi si scoprono. Sua Maestà mi disse aver formalo il disegno di nominare un Ispettore per la conservazione, ecc. delle cose d antichità, il quale sarebbe in relazione colla Giunta già dianzi creata e che per difetto di mezzi è rimasta perciò men che operosa dopo due anni. E a Ispettore pare che S. M. intendesse di scegliere il Sig. architetto Promis, fratello del suo bibliotecario il). Vedi se ti piace di procurare una determinazione da S. M. che procuri al nostro Piemonte 1’ onore e il lustro, che, anche per tal parte, merita. Sarà onore altresì e lustro del Ministero cui sei degnamente capo. Credo che la faccenda di Luni sia di premura. Trattasi di un vastissimo edilìzio, con splendido colonnato, iscrizioni romane, frammenti di statue, per non parlar di medaglie, ecc. Di cuore Tuo affezionatissimo amico Cesare Saluzzo (i) Carlo Promis, nato a Torino il 18 febbraio del 1808, ebbe un fratello maggiore in Domenico, che fu Bibliotecario del Re Carlo Alberto e Conservatore del suo medagliere. « Laureato architetto nel 1828 » icosì Giacomo Lumbroso , « determinò poco dopo, in agosto, di condursi a Roma. Partì dunque ventenne. Passò per Milano, per Bologna, ove conobbe casualmente Vincenzo Gioberli e ne scrisse ad un amico pronosticandone la fama. Rimase otto anni fuor di Piemonte, salvo un breve ritorno fra il 1832 ed '833, e soggiornò principalmente in Roma. Ivi conobbe il Fea, il Nibby, il Canina, il Bunsen, il Braun, il Franz, Luigi Marini ; studiò nelle loro librerie o alle loro lezioni, e da sè soprattutto. Per otto anni andò misurando, rilevando e disegnando monumenti antichi e moderni. Traendolo ciò che vedeva, attese poi egualmente allo studio della costruzione come a quello dei marmi litterati, all’architettonica ed all’epigrafia. Perlustrò Roma pagana e cristiana e le provincie contermini di Sabina e Campagna, Tuscolo, 1’ antica Amiterno, Alba lucense, Rieti, Anagni, Civita Castellana, Orvieto, gli Abruzzi; studiò le vie antiche ; vide la massima parte degli anfiteatri della penisola ; disegnò le mura tirreniche di Faileri, le rovine di Palestrina, la villa d’Adriano; trascrisse lapidi, frugò nei codici, lucidò disegni di valenti architetti dagli originali conservali nelle biblioteche di Roma, crescendo nelle sue cartelle il tesoro artìstico e in lui quel criterio clic viene dalla lunga pratica oculare di siffatte cose ». Cfr. Lumhroso G. Memorie e lettere di Carlo Promis, architetto, storico ed archeologo torinese, Torino, Bocca, 1877; pp. VIII-IX. A Roma stampò il suo primo lavoro : Le antichità di Alba l'ticense, negli GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA L’Intendente con pronta sollecitudine inviò la descrizione richiesta, che dal Pralormo venne comunicata alla Giunta, il 12 d’aprile, per avere « il parer suo intorno al pregio degli accennati oggetti ed a ciò che convenga meglio al Governo di fare, sia per riguardo alla suggerita continuazione degli scavamenti nel mentovato suolo, sia in ordine all* offerta graziosamente fatta dal Sig. Marchese Remedi di cedere gli oggetti medesimi per essere collocati ne’ RR. Musei > (i). La risposta fu questa : La Giunta di antichità e belle arti, convocata il giorno 24 del corrente aprile, ha ricevuto con riconoscente gratitudine la partecipazione che è pia- Equi, misurate e illustrate, Roma, tip. Monaldi, 1836; in-8, di pp. 260, con 6 tavole. Al quale tennero dietro le Notizie epigrafiche degli artefici marmorari romani, dal IX al XV secolo, Torino, tip. Chirio e Mina, 1836 ; in-4, ^ PP* VIII-32. (1) Nella Relazione fatta alla Classe [di scienze morali, storiche e filologiche della R. Accademia delle Scienze di Torino] nella seduta del dì 11 di giugno 1865 dii prof. cav. AR10DANTE Fabretti intorno ad alcuni monumenti ritrovati nel 1837 dal prof. Carlo Promis nel sito dell antica Luni, vicino tre miglia di Sarzana, e mandati in dono dal sig. marchese Angelo Re me di, possessore di quel sito, alla Giunta di antichità e belle arti, stabilita in quel tempo a Torino ; negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol I [1866], pp. 143-145, si legge: « In seguito al desiderio manifestato dalla Classe, che si prendessero ad esame quei marmi e bronzi romani che fino dal 1837 rinvenuti nel sito dell’antica città di Luni e donati dal marchese Remedi alla Giunta di antichità e belle arti, allora esistente in Piemonte, si trovano tuttora depositati nei magazzini dell’Accademia delle Scienze, la Commissione, nominata nella seduta del 14 maggio scorso e incaricata di verificarne la importanza e proporne la conveniente destinazione, espone il suo avviso alla Classe. I monumenti, di cui si fa parola, e dei quali il comm. Gaspero Gorresio aveva già presentata una succinta descrizione, sono marmi, bronzi e terre cotte, che acquistano pregio dalla conoscenza che tutti furono ritrovati nel luogo stesso ove un tempo sorgeva Γ antica Luni. Fra i marmi primeggiano due statue colossali, ambedue acefale, Γ una delle quali sembra rappresentare Pomona ; e per 1’ arte, che al grandioso non congiunge la semplicità, accenna al declinare del secondo secolo, al regno degli Antonini. x\ltri marmi sono o frammenti di statue minori, od ornamenti (come capitelli ed antefisse) di elegante disegno, o frammenti di iscrizioni romane. Molti sono i piccoli bronzi, di varie forme e natura, i quali se non presentano, uno per uno, una grande importanza, cumulati insieme sono tali da trovar posto in un Museo d’ antichità; ma di singoiar pregio si mostrano due piedi colossali, con molta verità e maestria modellati. Fra le poche terre cotte è pregevolissima una piccola testa lavorata allo stecco, che mostra la mano franca e sicura di un artefice intelligente. Non mancano i mattoni colla marca della fabbrica da cui erano usciti. E’ utile e decoroso che questi monumenti siano tolti dalla oscurità in cui giacciono da sì lungo tempo, e che venga assecondato il legittimo desiderio del donatore che li volle destinati a decoro pubblico. Poiché GIORNALE S'I'üKICÜ E LETTERARIO DELLA LIGURIA 319 ciuto alla S. V. HI.ma di farle intorno ai recentissimi scavi praticati in un fondo ed a spese del Sig. Marchese Remedi di Sarzana. La relazione del Sig. Intendente, il disegno degli oggetti che sono stati scoperti in quel luogo, sebbene non bastino a fondare un fermo giudizio sopra la natura dell’edifizio e quindi dell importanza delle scoperte che proseguendo i detti scavi si potranno posleiionnente fare, bastano però a consigliare che vi si ponga seria attenzione dal Governo di S. M. ; l’andamento e la natura de’ruderi scoperti, i frammenti trovativi di statue in bronzo che si dicono di sorprendente bellezza, le monete, le terrecotte, le iscrizioni, ecc. tutto facendo supporre che il sito tosse quello dell’antica Colonia di Luni. Il Foro era pur sempre, come si sa, il sito principale e monumentale della città, nel quale venivano collocate le statue equestri e pedestri innalzate ad onore de’ benefattori, de’ patroni, degli uomini grandi del paese. E nella vicinanza del Foro sorgevano le bain questo momento col nuovo locale instaurato per la Pinacoteca riceve nuovo ordine anche il Museo di antichità greco-romane ed egizie, la Commissione non esita di manifestare il suo avviso, che quei monumenti, dei quali la R. Accademia delle Scienze si trova per avventura in possesso, siano destinati ad arricchire la serie delle antichità romane che si trovano nel Museo della nostra Università ». Il compianto prof. Fabretti, in una sua lettera del 10 febbraio 1890, mi dava confidenzialmente, questi ragguagli : « L’ operato della Commissione (composta di me e Carlo Promis) era stato provocato dalle reiterate rimostranze del comm. Domenico Promis. La presidenza, per ragioni ignote, si opponeva a cedere, anzi a far vedere gli indicati oggetti, e non ostante la descritta relazione, gli oggetti stessi tornarono nei magazzini. Passò così qualche anno ; ma un bel giorno scrissi una lettera al conte Federigo Sclopis 1 presidente dell’Accademia) con una velata minaccia d’invocare 1’ autorità governativa. E i monumenti lunensi entrarono finalmente nel Museo d’antichità ». Ciò seguì nel 1878. In quel tempo il Fabretti comprò una sedia di marmo, con figure, scoperta a Luni. Se ne trova la descrizione in una lettera che lo scultore Santo Vanii scrisse al prof. Achille Neri il 14 ottobre del 1879, e che fu stampata nel giornale Sarzanese La Lunigiana [n. 41, domenica 19 ottobre 1879]. « Sono ora ben più di venti anni » (gli diceva) « che attraversava la città di Sarzana, per recarmi a Carrara.....e io domandava alla cortesia dei marchesi Amati il permesso di esaminare una sedia in marmo, custodita nella loro casa di Castelnuovo e rinvenuta negli scavi lunensi. Questa è alta centimetri 76, foggiata a semicerchio ed ornata nei bracciuoli da due leoni : de’ quali però il sinistro è assai guasto..... Il dorso della sedia è ripartito da lesene ioniche in quattro specchi, in ciascuno dei quali campeggia 1’ immagine di un guerriero in piedi, scolpita di basso rilievo. Osservandoli nell’ ordine in cui sono disposti da destra a sinistra, il primo^vedesi appoggiato col manco braccio a una colonna in atto di profonda mestizia ; il secondo si cinge la fettuccia per allacciarvi Io scudo, che gli sta ai piedi ; gli altri due hanno il manto sulle spalle e sono armati d’ asta e di spada. Io sarei per credere che questi quattro guerrieri rappresentino gli eroi della Grecia, secondo 1’ Iliade. In tal caso la prima figura esprimerebbe Achille, dolente per la perdita di Briseide, fattagli rapire da Agamennone____Patroclo sarebbe la seconda delle accennate figure ; le due rimanenti potrebbero interpretarsi Ettore ed Aiace____ Noterò che il giorno 10 del corrente mese rividi 320 GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELLA LIGURIA siliche, ì templi più sontuosi, le tenne, il teatro, ecc. Queste cose premesse, la Giunta ha pensato che uno scavo ben eseguito e prudentemente diretto nel sito, di cui si tratta, non potrà 11011 riuscir fruttuosissimo; giovando anzi di avvertire che per le scoperte dovute al solo caso si è notabilmente arricchita 1* epigrafia, e illustrato anzi un punto gravissimo di storia pel riconoscere che se ne fa mediante una delle scoperte iscrizioni che T.uni era dedotta Colonia; cosa 11011 prima dimostrata. In vista di che poi la Giunta medesima è entrata in parere che potrebbe S. M. essere supplicata di inviare sul luogo un architetto archeologo, il quale ogni cosa seriamente esaminata, proposte le norme da seguire per la continuazione degli scavi e fattine per saggio eseguire alcuni sotto gli occhi propri, ne riferisse poscia a V. S. 111.ma, cui la Giunta esporrebbe quindi nuovamente il suo parere e così soddisfarebbe viemmeglio all’aspettazione di V. S. IH.ma ed all’ onore fattole da S. M. Che se tal voto della Giunta fosse ben accolto dalla M. S. pare che la scelta dell’ architetto cui affidare il carico di cui si tratta potrebbe opportunamente cadere sulla persona dell’ architetto Carlo Promis, il quale alle cognizioni architettoniche accoppia per buona sorte quelle archeologiche, niente men necessarie, e che pel lungo suo soggiorno in Roma e la direzione avuta d’ altri lavori simili a quello di cui si tratta, meglio di ogni altra persona potrebbe disimpegnare 1’ incumbenza che gli sarebbe affidata dalla volontà del Sovrano. Quanto alla graziosa offerta del Marchese Remedi, ricordata nella relazione del Sig. Intendente, è parato alla Giunta, che siccome tal offerta è aper- ii pregevole monumento, 11011 però a Caslelnuovo, sibbene nel R. Musco di antichità di Torino, dal quale venne recentemente acquistato, e dove è custodito unitamente ad una serie pregevolissima di bronzi e terre cotte, provenienti del pari dagli scavi di Luni. Anche il Museo civico di Bologna si pregia di un bel monumento luuense. E un ara marmorea, con liassorilievi esprimenti Minerva, Mercurio e un sacerdote sacrificante con un tibicine , e 1’ avea comperata in Genova il pittore Pelagio Pelagi. Molli altri marmi lunensi erano stati raccolti anche dal marchese Gian Carlo Di Negro nella sua Villetta all’Acquasola ; cioè varie iscrizioni, una statua consolare e parecchie teste di Cesari. Sette, fra queste, dopo la morte dell' egregio patrizio, passarono nella mia collezione ». Il Varni 1’ accrebbe anche con varie altre iscrizioni, pure lunensi, avute in dono dal comm. Carlo l·abbricotli di Carrara. A Bologna si conserva pure un’ iscrizione in bronzo, scoperta in Luni nel 1824, « non lungi dalla palude vol;armente detta la Seccagna, presso un antico edifizio, giudicato un tempio » ; iscrizione che fu illustrata, prima da Francesco Okioli [Iscrizione scavata dalle remine dell' antica Luni ; nel Bollettino universale di scienze, lettere, arti e politica, di Bologna, n. 6, 21 gennaio 1825, pp. 61-62. — Uri iscrizione /intense; negli Annali del-ΓInstituto di Corrispondenza archeologica per l'anno 1829, Roma, Salviucci, 1829; fase. I-II, pp. 179-181], poi da Girolamo BIANCONI [Tavola in bronzo della Pontificia Università di Bologna ; negli Anna/t cit., vol. Ili della nuova serie, XVIII di tutta la serie, pp. 67-81, con 1 tav.]. GIORNALE STORICO lì LETTERARIO DELLA LIGURIA 32 1 tissimo indizio di nobile e cortese animo, sarebbe da ringraziarne moltissimo il Sig. Marchese, sebbene per maggior cautela, prima di accettarne gli ef-lelti in tutta la loro estensione, converrebbe aspettare la nuova relazione, tanto intorno alla natura generale delle scoperte fatte, quanto, e molto più, sul valore intrinseco e scientifico delle cose rinvenute, che dopo le prime operazioni sarebbe fatta dall’architetto colà spedito per ordine di S. M. Frattanto il Remedi, « consigliato da molti e valenti scultori », si determinò « di far eseguire il getto in gesso dell’e-gregio piede e del mascherone in terra cotta, ambo ritrovati negli scavi da lui praticati nelle vestigia dell’antica Luni »; e di questi getti ne offrì un esemplare al Ministro dell’ interno, che si affrettò ad inviarli al Presidente capo del Magistrato della Riforma, per essere collocati nel R. Museo d’ antichità. Il 18 di maggio, il Segretario di Stato per gli affari dell’ interno presentava al Re una lunga relazione intorno a questi * scavi nel suolo dell’antica Luni »; relazione che si chiudeva con queste parole: « Per mandare ad effetto le proposte della Giunta d’ antichità occorrono necessariamente parecchie spese, le quali possono ascendere ad una considerevole somma, se la speranza di trovare nuovi oggetti consiglia che siano per alcun tempo continuati gli scavi, imperocché richiederebbesi per essi una lunga e costosa presenza sul luogo dell’ architetto che li dirige, larga indennità ai proprietari de’ terreni in cui si volessero operare, la mercede agli operai da impegnarvisi e varie altre imprevedibili spese. Per far fronte alle medesime non havvi alcun fondo allogato nel bilancio dell’ interno, nè si saprebbe perciò come sopperirvi. Si rassegna quindi Γ occorrente a S. M. onde possa nell’ alta sua saviezza determinare se, sulla semplice speranza di rinvenire oggetti, e forse oggetti di pochissimo pregio, sia, o no, conveniente di procedere di proposito agli scavi suggeriti dalla Giunta sotto la direzione di un architetto da mandarsi espressamente sulla faccia del luogo; ed in caso affermativo manifestare le reali sue intenzioni sulla cassa da cui avrebbonsi a sopportare siffatte spese ». Le determinazioni di Carlo Alberto furono: « S. M. autorizza una spesa di lire 1500 per li scavi di Luni, da regolarsi nelle forme ordinarie » 11 18 luglio il prof. Costanzo Gazzera scriveva alla R. Segreteria di Stato per gli affari dell’interno: (Jioiit. Si. t l'ftt· Arila !-in uri a, V. 322 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La Giunta di antichità e belle arti ha destinato 1’ architetto Sig. Carlo Promis a recarsi sul luogo dell’antica città di Luni, ove nel fondo del Sig. Marchese Remedi vennero scoperte insigni antichità, onde vedere se alcuni ben diretti scavi praticati nel luogo stesso possono promettere idteriori ed interessanti scoperte. Io mi reco ad onore d’ informarne la S. V. IH.ma onde voglia dare gli ordini opportuni perchè sia posta alla disposizione dell architetto predetto Sig. Promis la somma delle lire 1500, che dalla Maestà Sua vennero per tal oggetto destinate. Rimarrà all’architetto l’obbligo di giustificare l’impiego della indicata somma, il elio sarà eseguito subito dopo il ritorno del medesimo Sig. Promis. Gli < ordini opportuni » furono dati, e al cominciar dell’ a-gosto il valente archeologo si mise in viaggio e subito dette mano agli scavi. Frattanto il 10 dello stesso mese il Ministro Pralormo scriveva al Marchese Remedi: * Con mia lettera del 10 dello scorso maggio ho incaricato il Sig. Intendente di co-testa Provincia, fra le altre cose, di porgere li miei più vivi ringraziamenti all’III.ma S. V. per la sua cortese offerta degli oggetti d’ antichità della città di Luni, stati scoperti o che fossero per scoprirsi in seguito degli scavi che Ella permetteva fossero continuati nelle di Lei proprietà, essendo questo manifesto indizio del nobile e generoso suo animo. Venendomi ora acennato che quell'uffizio non sia pervenuto alla S. V. III.ma e che neppure abbia Ella avuto avviso dell' invio sui beni suddetti dell' architetto Promis per procedere seco Lei di concerto alle ulteriori scavazioni, mi reco a gradita premura di parteciparle che S. M., cui ebbi l’onore di render conto d’ogni cosa, ha grandemente apprezzato Γ offerta di V. S. III.ma, per cui ne manifestò la Sovrana sua soddisfazione ». Il giorno 27 cosi gli rispondeva il Marchese Remedi : « Sensibilissimo per la tanta bontà con la quale 1' E. V. si è degnata di espormi la Sovrana soddisfazione, non che di V. E., per l’offerta degli oggetti dell’ antica Luni, mi reco a doverosa premura umiliarle i sentimenti della più alta stima e riconoscenza. È per me poi d’inesplicabile piacere l’avere potuto nei posteriori scavi, praticati sotto la direzione del degnissimo Sig. Carlo Promis, rinvenire oggetti dagli intelligenti avuti in pregio, lusingandomi che questi saranno per essere bene accetti all’ E. V. Voglia degnarsi di ricevere i sentimenti di stima e di ossequio di un suddito attacchissimo al R. Governo di S. M. ». GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 323 Il 29 d’ agosto Carlo Promis terminò gli scavi, e tornato a Torino, il 10 di settembre presentava alla Giunta di antichità e belle arti la relazione di quanto aveva operato ; e la Giunta, il 20 di quel mese, la trasmetteva al Primo Segretario di Stato per gli afTari dell’interno; al quale, due giorni dopo tornava a scrivere: « I resultati soddisfacenti ottenutisi dagli scavi operati a diligenza del Sig. architetto Carlo Promis, Ispettore de’ monumenti d' antichità, a Luni, Provincia di Sarzana (sic), quali V. S. III.ma sarà stata in grado di riconoscere dalla lettura della descrizione interessante statane dal medesimo estesa, di cui molto si compiacque Sua Maestà, debbono sempre più far sentire la necessità di assegnare qualche fondo fisso di cui possa la Giunta di antichità e di belle arti all'uopo disporre, onde in tal modo essere posta in grado di riempire lo scopo della sua instituzione ». Poi soggiungeva: * Ella avrà potuto persuadersi quanto saggiamente il predetto Sig. architetto Promis abbia economizzato li fondi, che si compiacque di assegnare per detto uso; e per la quale cosa pure devesi rendere la dovuta giustizia al proprietario de’ fondi scavati, Sig. Marchese Remedi, che generosamente desiderò contribuire anch'esso all’opera, non volendo essere risarcito di qualche spesa cui la medesima diede luogo ». Rispondeva il Ministro, che « in occasione della formazione del bilancio del Dicastero » dell'interno non ometterà « di far presente a S. M. il desiderio » manifestato dalla Giunta. Ecco la Relazione dello scavo operato nell' area dell' antica citta di Luni per ordine di S. M.\ lavoro veramente « interessante » e che ben merita di vedere finalmente la luce. Sul finir di febbraio del correlile anno 1837 il Sig. Marchese Angelo Remedi volendo fare una piantagione di viti in uno de' suoi fondi sito nel-1’ area dell’ antica città di Luni ad angolo retto tra la strada che mena alla marina e la comunale che da questa porta al villaggio di Ortonuovo, non lungi dall1 anfiteatro di quella celebre città, scassò il terreno, ed approfondatosi a circa un metro, s’ imbattè nel piano superiore di una cimasa di marmo, sopra la quale esisteva tuttora impiombato a posto un piede colossale bellissimo di bronzo, dei quale mancava la metà posteriore. Questa scoperta fu fatta in un lungo peristilio determinato da una linea di colonne e da una parallela di pilastri laterizi ; si scese più basso collo scavo, e tro-vossi che la cimasa basava sopra il suo dado sorretto dallo zoccolo ed ancora occupante il suo sito primitivo. 3.24 GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELLA LIGURIA Allora il nobile proprietario, lusingato da questa bella scoperta, spinse avanti lo scavo, e sterrò tutta intiera la linea del colonnato. La migliore delle scoperte allora fattesi si fu quella di tu) piede di bronzo, della stessa grandezza dell’ antecedente, ma intieramente conservato, e lungo metri 0,348, come è segnato nell’ unito Catalogo; adunque 1’ altezza di questa statua, giusta le solite proporzioni, doveva essere di metri 2,784; cioè colossale. Vi si rinvenne pure la base della statua posta a L. Elvio, quella data da L. Tizio Filarguro, e la lapide dedicata a λί. Turtellio dai Coloni ed abitatori di Luni : le quali sono tutte date per disteso in calce al Catalogo. Vi si trovò pure una prodigiosa quantità di cimase di piedistalli, tutte di marmo di Carrara, alcune delle quali con buone sagome, altre con cattiva maniera lavorate: alcune ben finite, altre lasciate grezze e che è chiaro che dovevano essere rivestite di stucco; non poche di queste cimase hanno nella loro superficie superiore le traccie, ossiano gli incavi lasciativi dai piedi delle sovrapposte statue, che dovevano essere tutte certamente di bronzo e colossali, poiché ne fauuo fede la grandezza di queste Iraccie, le impernature, e qualche avanzo di colatura di piombo, che ancora vi si vedeva. Gli zoccoli de’ piedistalli trovaronsi in gran numero, e quasi tutti al loro posto; pochi però furono i dadi, cioè in numero di tre soli: due coi nomi di L. Tizio e di L. Elvio ed uno liscio artatto. Protrattosi più addietro lo scavo, si scopri una linea di pilastri archeggiali, coi piedritti decorali di mezze colonne ed altre cimase e zoccoli spostati, e li presso si rinvenne un frammento di pilastro, di marmo statuario, decorato per tre lati, essendoché cui quarto lato appoggiava al muro. Vi è intagliata sul davanti : largo in. 0,365 ) una grottesca di perfetto lavoro e ne’ fianchi due candeliere a fogliami; il tutto di Greco anziché di Romano scalpello. Allora il Sig. Marchese Keinedi, arrivato colla sua escavazione alla estremità sinistra del portico, scoprì quattro colonne situale sullo stesso asse perpendicolarmente al descritto portico: la loro costruzione è mista di mattoni rotondati e sasso: il loro diametro assoluto è di ni. 0,908, essendo eguale 0,048 lo stucco che le riveste, decorato a strie; fra ciascuna di esse erano collocati tre zoccoli di basamento. La linea di queste colonne è da un lato interrotta dalla via comunale ad Ortonuovo: dall’ estremità opposta fu da remota epigea guastata colla direzione data ad una chiavica di scolo, che incontra questo colonnato appunto sul suo asse. Parallelamente a questa linea, ed a distanza di m. 5,927, un muro posto nella stessa direzione forma ail un tempo il limite settentrionale del campo, e chiude 1’ area totale di quell’ aggregato di edifici; questo muro era impellicciato con tavole di marmo bianco di Carrara e decorato a basso da uno zoccolo con piccola ed elegante cornice; la sua lunghezza totale è protratta oltre i limiti del fondo. Fra quanto sappiamo delle ricerche fatte nel suolo della città ili Luni. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 325 unica si può dire questa scoperta, poiché, se altre volte (e fu troppo soventi), si erano scavati muri, marini, oggetti d’ arte, iscrizioni ed altro, ogni cosa eia stata barbaramente distrutta, od almeno venduta all’ estero e alla spicciolata. Ora si aveva la pianta di parte dell’ antico fabbricato, 1’ iscrizione dedicata dai coloni, che è di altissimo pregio, come quella che decide di un punto sempre controverso della istoria antica, vale a dire se questa città fosse stata Colonia, Municipio, o Prefettura, essendo ora chiaro che ella era nella prima condizione: si aveva pure il più bel saggio del grado al quale erano in quella città giunte le belle arti, nei due piedi colossali di bronzo, che aggiungerebbero ornamento a qualsivoglia più scelta raccolta; alle quali cose vanno riuniti molti frammenti di ornati, alcuni de’quali di ottimo scalpello, e due capitelli di ordine ionico, che formano una singolare anomalia, essendo uno, che è rarissimo, a volute diagonali, e 1’ altro, di unica invenzione, con otto volute frontali senza alcun pulvino: più la parte inferiore, ossia la metà, di un grandissimo capitello corintio, a foggia di acanto, di ottimo intaglio, e che già coronava un pilastro, largo m. 0,772. Pertanto il Marchese Remedi, conoscendo la cura singolarissima colla quale 1 Augusto Sovrano vuole che ricercate siano e conservate le cose antiche ne’ suoi dominii, recossi a dovere di suddito di offrire a S. M. i prodotti di questo scavo, come pure tutta la estensione del suo fondo a disposizione della M. S. e secondo i comandi che dalla sua sapienza fossero emanati. Avendo S. M. graziosamente voluto che queste belle speranze non restassero intercise, e che fossero proseguite le escavazioni, ebbe la Sovrana bontà di destinare a quest’uso la somma di lire 1500; e la R. Commissione d’ antichità, adunatisi onde mandare ad effetto le Sovrane disposizioni e scegliere la persona che dovesse dirigere lo scavo, volle che a me fosse appoggiato questo onorevole incarico. Portatomi dunque in Sarzana il giorno 5 del passato agosto, tosto posi mano all' opera, e tagliata una diagonale della larghezza di metri 4,500 a partire dalla estremità presso le colonne, mi abbattei prima in un muro co-steggiato da una panchina di tufo. Questo locale apparì allora essere già stato antecedentemente perlustrato, ed infatti non solo il più piccolo frammento non vi si rinvenne, ma anzi viddi che per liberare il suolo dalle macerie che lo ingombravano, i contadini (non so in qual epoca, ma certo molto al di là d’ogni memoria d’uomo) avevano scavata una larghissima fossa, nella quale avevano precipitata dapprima una grandissima quantità di massi informi di pietra calcinacea. quindi uno scarico di pietrami e ciottoli di fiume, e poscia un altro di cocci, tegole infrante e mattonella; li quali tre strati, o correnti, a cosi dire, si prolungano sotto il terreno e vengono a terminare presso il peristilio. L’opposta estremità però di questa fossa, appena scoperta, ampiamente compensò le anteriori mancanze. Scoprissi tosto un muro con nicchia, e quindi in una camera, addossatagli sulla linea posteriore, alla profondità di circa un GIORNALE STORICO F. LETTERARIO DELLA LIGURIA metro e mezzo dal suolo, fra numerosi rottami di coccio, si rinvenne quella serie di bellissimi bronzi segnati ognuno nel seguente Catalogo. Lo stato del luogo mi porta a credere essere stata lì una officina fusoria, od almeno una bottega di venditori di simili oggetti. Infatti, senza che l’edificio offra il minor segno d’ incendio, io vi trovai tante colature di bronzo che oltrepassavano il peso di 32 libbre nostrali: un vaso di terra con imbuto per lavare e sciacquare, 1111 catino e qualche pezzo di crogiuolo; d’altronde, basta 1’ ispezione della pianta di quelle retrostante per tosto vedere che quello non poteva essere nè un edificio pubblico, nè una elegante abitazione: a ciò si aggiunga che ne sono i muri semplicemente intonacati, e non furono mai dipinti. In questo punto allargai lo scavo attorn’ attorno, e vi trovai qualche altro oggetto in bronzo, e fra i rottami di terra cotta mi fu dato di rinvenire un’ antefissa, rotta in due pezzi, ma di bellezza tale da non cedere al paragone colle migliori trovale a Roma ed a Pompei; osservai pure che fra quei ruderi non s’ incontrava alcun mattone, ma bensì sole tegole, per la qual cosa io opino, che caduto il tetto (forse per la troppo sottigliezza de' muri, e per essere dessi anche tuttora con una strapiombatura di quasi uno per dieci rimanessero sepolti tutti quegli oggetti; in fatti questo locale non era mai stato perlustrato. Proseguii lo scavo, ed un poco più basso, accanto ad un muro sporgente, rinvenni uno zoccolo fisso a posto senza il dado; più oltre, 1111 nuovo scarico dì cocci e mattonella mi fece avvertito non essere più quello un terreno vergine. Mi volsi allora al lato meridionale della nicchia: trovai gran parte ilei pavimento ancora intatto, in lastroni di marmo bianco di prima qualità, e nel centro e secondo l’asse della nicchia scoprii un rettangolo, largo ni. 3,855: lungo m. 19,500, il di cui piano si abbassa sotto il livello del lastricato alla profondità di metri 0,750. al qual punto la superficie intiera è occupata da un battuto di coccio | Opus Signinum). Ora le pareti essendo grezze, vedesi che questo cavo non poteva stare cosi in tale vacuità, onde è da credersi che in questo rettangolo già fosse inserito un mosaico, come era uso presso gli antichi e tuttavia dura preseo i moderni: ed alcune tessere di smalto appunto li furono trovate. Esempio consimile lo abbiamo nella stessa Luni, dove, pochi anni sono, il Sig. Podestà scoprì un mosaico di dimensioni pochissimo minori a quelle della superficie in questione, e sotto di esso circa un mezzo metro v’ era pure un battuto consimile 1). Il) De’ mosaici scoperti a Luni dalla famiglia Podestà di Sarzana si legge questa descrizione nel Michelangelo, giornale illustrato, scientifico, artistico, letterario, di Genova, ano. I, n. IO, * aprile 1855, pp. 38-40, con una tavola; « Fu nell’ultimo autunno che tentandosi da noi uno scavo dalla terra lunese, in un podere appartenente al sig. Podestà, si rinvenne, a pochi piedi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 327 Frattanto in questa cavità furono scoperte ( ambedue colcate sul battuto, e vicinissime le due statue, maschile e femminile, ambedue acefale, che io credo appartenere a due Augusti coniugi, e che sono descritte nel Catalogo degli oggetti in marmo. Nello stesso locale stava pure quella testa di putto (ritratto incognito), di maravigliosa bellezza, anch’ essa numerata in Catalogo. Queste furono le scoperte di antichità figurata. I.e cose architettoniche non mancarono. Viddi che l’edificio era adornato da ordine Jonico, del quale si trovò una base, un capitello bellissimo, al quale ( benché spaccato in due ) nulla manca, e numerosi tronchi di colonne scanalate, di diametro eguale in. 0,520; eranvi, oltre ciò, alcuni bei frammenti di capitelli Jonici profondo, un masso di musaico, lungo metri due e mezzo, su due largo, resto forse d’ un grande quanto elaborato pavimento. Ripulito, videsi contenere una figura, e crebbe allora il coraggio e 1’ attenzione per cavarlo dalla terra il più che si poteva intatto. Riuscitosene infatti con non poca fatica, ed al possibile perfettamente, s’ adattò con bel garbo su d’ un carro, accomodato all’ uopo, e trasferito in Sarzana venne messo con poco e diligente, restauro nel mezzo al lastrico d’ una nostra sala. Questo musaico è composto di pietruzze non maggiori d' un grosso cece, e v’ è figurata, grande quanto il vivo, una ninfa, stesa su d’ un mostro marino, fatto come ad un gran serpente. La figura della donna è d’ un accuratissimo disegno, e di maestrevole esecuzione. Essa mostrasi per di dietro, che incurvata la gamba sinistra sul mostro vi s’ asside sopra, e tutta si piega a poggiare il fianco sulle sue molte volute, e volgendo il capo di profilo, con mossa singolarmente leggiadra e vivacissima, par s’invogli di baciarne la grossa testa e a baciarla s’ inchini. Alle carezze 1’ orca mostra di provarne contento con guizzare in torti giri 1’ agile coda nell’ onda, e spalancando le grandissime fauci, s' alza col capo al bacio della ninfa. Veramente singolare contrapposto, in che s’ appagò la bizzarra fantasia dell’ artefice. La donna ha le chiome disadorne e disciolte, siccome è proprio delle acquatiche deità ; ed un panno, che le cade di dosso, fu bellamente condotto ad imitarlo molle d’acqua. Ben inteso, somma precisione nelle forme, l’effetto del chiaroscuro e a maggior grado nelle carni, che certo più bello non saprebbe cavarne abil pittore con istudiato impasto di colori, il contorno non rotto, ma tondeggiante ; molle e sicuro onde a poca distanza la figura acquista tutta la morbidezza d’ una pittura. Anche la tinta quieta e come a dirsi velata di tutto il quadro, il bello equilibrio delle linee e non cosi fortemente marcate, il leggier chiaroscuro tra marmi verdi ed azzurrognoli, di cui composero il lavoro, giovan d’ assai ad accrescerne 1’ illusione. Si direbbe che 1’ artista volesse mostrarci quella scena attraverso 1’ acqua del mare, quasi tra quel biancheggiare del flutto quando Omero ci colora il furtivo abbraccio di Nettuno a Tiro. Insomnia tal opera è improntata d’ un eccellente gusto dell’epoca, che, se di me non fosse temerario anche il semplice supposto, amerei fissare alla migliore d’Augusto.... Certo non di quel secolo, voluto d’010, è da tenersi invece un altro musaico, che fino dall’anno 1824 fu scoperto da mio padre, parimente a Luni, e non di lontano. Questo pavimento era lungo 18 metri e 1 o largo ; e scomposto in vari scompartimenti di que’ meno danneggiati, se ne adornò una nostra cappella domestica. Ma quel musaico, pregevole per molte parti, è assai rozzo nell’ insieme dell’ opera. In tutto ciò che vi è figurato, maschere, geni, animali, alberi, vasi, ec., il contorno è assai goffo, malinteso il passo delle tinte, grossamente sfumate le figure, e il tutto dà a divedere il pessimo gusto dell’epoca.... Che mai adomasse di Luni questo 328 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e Corintii, una testa femminile, ili mediocre scultura, molte medaglie, quasi tutte però del basso impero, ed alcune antelìsse di terra cotta. Una lapida rinvenutavi, tutta frammentata e mancante, non lasciò leggere che il nome: L. VOLIM [m] VS. [/] AVONIVS ; un .litro frammento però c' insegna che quell’ edificio fu ristabilito sotto 1’ impero de’ Vespasiani da uno che fu Prefetto e Legato o Tribuno della legione 2 I .« , cognominata Rapace : ed a tale floridissima epoca del Romano dominio maravigliosamente si adatta lo stile delle parti architettoniche e quello delle due statue. Proseguii l’escavazione sino al muro che chiude di fronte l’edificio, senza trovar altro: di là dal muro l’area antica è interrotta da costruzioni de’bassi tempi. Tentai uno scavo sul fianco di quest’ area, ma la piccola superficie del fondo non mi permise di spingermi oltre; indirizza un carme consolatorio per la morte del figlio Marco, e quella dissertazione storica intorno a Luni, a comporre la quale ebbe argomento da una conversazione eh’ei tenne col Centurione e col D'Oria a proposito della vetusta città. Nei pubblici uffici della magistratura entrò l’anno 1542 quando venne eletto pretore d’Oneglia (4); carica certamente confertagli, per mezzo dell’ammiraglio, dal D Oria, signore di quel feudo, dopo che il Bernucci non riuscì ad ottenere quella richiesta al duca di Mantova. Intanto aveva saputo acquistarsi la fiducia dei suoi concittadini; lo vediamo infatti eletto nel maggio 1542 « sindico e deffensore » in una lite che Sarzana dovette sostenere con Gio. Gioachino da Passano per il pagamento della colta (5); e (1) Così afferma Ippolito Landinelli che primo ne scrisse la biografia nei suoi inediti Trattati istorici di Luni e Sarzana, pubblicata di recente da Giovanni Sforza, Gli studi archeologici sulla Lunigiana e suoi scavi nei secoli XVI e XVII, Modena, Vincenzi, 1895, p. 42. (2) Neri, Andrea D' Or/a e la Corte di Mantova, Genova, Sordomuti, 1898, p. 18. (3) Landinelli, 1. c. — Branchi, Storia della Lunigiana feudale, Pistoia, 1898, II, 297 sgg. — (4) Interrogatori cit. (5) Archivio di Stato in Genova, S. Giorgio, Cancell. Lomellino, Litter., 1542, lett. del 9 maggio degli Anziani di Sarzana. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mentre si trovava in Genova, attendendo alla commissione affidatagli, lo incaricarono, in compagnia di Pellegrino De Medici, di trattare con i Protettori dellOfficio di S. Giorgio alcune cose riguardanti il costruendo palazzo del Capitano (i )■ L anno me desimo e il successivo concorse al vicariato di Corsica, ma non l’ottenne; continuò bensì in ufficio di sindaco a patrocinare gli interessi della sua città (2); fu pure sindaco di Falcinello nel 1544 (3), e si adoperò presso i Protettori per difendere il capitano Segalara da appostegli accuse (4). Nell’ agosto viene nominato giudice dei malefici in Genova, e, finito il suo tempo, procuratore fiscale (5). Si giunge così al 1546, in cui 1 Protettori di S. Giorgio si giovano della sperimentata opera sua, e lo deputano, come speciale commissario, ad esaminare un testimonio importante, Matteo d’Olmeta corso, carcerato nella cittadella di Sarzana, per un omicidio del quale sono imputati Camillo ed Alessandro de’ Gentili di Nonza, pur essi sostenuti in quella fortezza. È curioso il rilevare dalla relazione del Bernucci intorno all’ affidatogli incarico, come Matteo abbia « perseverato in quello che haveva testificato inanzi alli S.n Comissarij nelli tormenti con grande constantia, attento che lui ha patito molto, sendo homini in compagnia de Gregorio Moro in tormentarlo molto inetti »; i quali ad Agostino « hanno fatto rinegare la patienza bisognando eh 'egli facesse mezzo il birro »; sì fatti mal destri esecutori, ove fossero frequenti le cause criminali vorrebbero altri aiuti ; intanto egli ha « fatto dare » a Matteo « uno squasso di corda et alciare due volte interrogandolo diligentemente così in favore della corte come sopra gli interrogatorij delli rei, sia perchè così de jure per validità di tale essame se bisognava fare, sia per discarico della sua anima, sia ancora per darli la penitenza delle sue buggie, acciò che un altra volta nè per (1) Ivi, lett. 2 giugno. (2) Ivi, Singraph. et Suppl., 1543. — Cancell. Sorba, Istrument. 1542-44. (3) Ivi, Cancell. Lomellino, Actorum, 1544. (4) Ivi, Ach. cit. Intorno al Segalara (cfr. Gerini, Uomini illust. di Lunigiana, II, 204) moltissime e particolari notizie forniscono le carte di cancelleria dellOfficio di S. Giorgio. (5) Ivi, Manuali Senato, n. 23-765, dee. 24 agosto e 15 settembre. — Manuali cit., n. 27-769, dee. 4 gennaio 1546· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 341 amore nè per timore debbia offuscare la giustizia ». Se non che 1 esame delle carte lo convinsero che il processo era « molto fiosso et legiermente ordinato », affetto perciò da parecchi vizi ed omissioni che viene enumerando, « le quali cose », conclude, « se si fussono fatte forse si haverebbe la veiità, senza estor-querla con tormenti ». Codeste censure erano dispiaciute ai Protettori, i quali ne ripresero il Bernucci, ma egli le mantenne e meglio le spiegò, aggiungendo : « Se le Μ. V. considererano la mia lettera troverano essere giustificata senza incarico de alcuno, perchè mia natura non è di mordere, ma de dire la mera verità senza rispetto, et maxime alli miei S.ri, come a chi ho servito è cognito » (i). Questo franco ed aperto linguaggio, e più la rettitudine e 1 intelligenza nell’eseguire la commissione, ebbero per effetto che i Protettori, riconosciuti i difetti dell’istruttoria, a lui e a Bernardo Usodimare della Torre affidarono il mandato di condurre a termine il procedimento contro i Gentili. In breve tutto fu compiuto, e la sentenza eseguita, come apprendiamo da quanto il Bernucci scriveva il 15 aprile: « Le Μ. V. intenderano dal Mag.co m. Ber.0 la essecutione fatta nella causa delli corsi a noi comessa, la morte delli quali è stata et sarà terrore et essem-plo a tutti gli sudditi del Mag.™ Uff.0, onde gli altri Sig.ri po-trano conoscere come la giustitia si debbe fare indifferentemente a ciascaduno. S’io col Mag.co M. Ber.0 ho operato cosa alcuna bona, ne sia lodato Iddio, da cui il bene procede, et sia honore delle Μ. V. che si sono degniate cometterme tale incarico in compagnia di homo sì prudente e giusto da esser sempre da me come padre reverito, col quale se non mi sono al presente transferito da loro, Elle mi habbieno escusato, perchè ho mia moglie gravemente inferma et sono vinti giorni non la debbo abandonare, oltra sopra vengano le solenne feste di pasqua quale farò con la mia famiglia, et poi venirò a Genova dalle Μ. V. » (2). Si era frattanto reso vacante il vicariato di Corsica e questa (1) Ivi, Cariceli. Spinola - Caneto, Suppicat., 1546; e Litter., 1546, lett. del Bernucci 19 febbraio. (2) Ivi, Litter. cit., lett. 5 marzo e 15 aprile; Instrument., 1546, libretto di spese. 34^ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA volta venne conferito ad Agostino, il quale prestò il 6 maggio la fideiussione richiesta dalla legge per l’esatto e fedele adempimento deU’ufficio, con guarentigia pecuniaria prestata da molti patrizi genovesi, e perciò con decreto del 5 g'ugn0 ebbe la nomina definitiva per tredici mesi, e per tempo maggiore o minore secondo il beneplacito dei Protettori, essendogli assegnato lo stipendio, un servo compreso, di annue lire trecento, « cum retentione tercidecimi mensis ut moris est » (1). Prima tuttavia di recarsi nell’ isola soddisfece ad una commissione degli anziani di Sarzana, i quali istavano presso l'Ufficio del Banco affinchè nel convento di S. Domenico fossero sostituiti gli osservanti ai conventuali (2). Partì da Genova probabilmente verso la metà di giugno, ed assunto l’ufficio ben presto s’avvide in qual guisa era amministrata la giustizia nell’isola, e quanta e quale corruzione vi fosse; onde scrisse la lettera seguente (3): Molto Mag.ci S.’i et patronj miej osser.HV Fin qui lio cercato essercitanni nell’ ufficij per farine conoscere et acquistare honore, et mi è riuscito che nelli miei sindicati non è mai stato fatto un minimo richiamo, et ho verificato quelli delitti che pareano impossibile a verificarsi· come fanno fede nelle sue patenti Oneglia, Luca, Genova, dove sono stato ufficiale. Hor essendo più provetto sono venuto in questa isola, e per acquistare honore e per utile mio, e temo che 1 un e 1 altro mi an-derà fallito, perciochè qui sono comessi alla giornata varj eccessi d homicidj, di sollevazioni di gente a parte a parte con ferite mortali, di ladroniccij, et quasi mai si retrovano li malfattori, e questo procede che si manda questi stipendiati a pigliare li inditij per verificare il delitto, persone ignorante, che non sanno, non possano, et non vogliano per haver da per tutto qualchi amici, dalli quali f rse pigliano mangiarle. Di maniera che la Giustitia è opressa, li delinquenti rimangano impuniti, con obrobrio et danno della camera et del magistrato, come più volte le M. S. V· hanno veduto in questi processi et biasimato li ufficiali. Mag.c' S.ri ad investigare li maleficij (1 Ivi; Cancell. Spinola-Caneto, Instrument., 1546 — Cancell. Sorba, Instrument., 1545-47· (21 Ivi, Cane. Lomellino, Litter., 1546, lett. degli Anziani di Sarzana 1 giugno. (3) Ivi, Cancell. Spinola-Caneto, Litter., 1546. — In questa lettera accenna a pubblico ufficio in Lucca ; ma a noi non è riuscito trovarne la prova nei documenti. Più innanzi si vedrà invece come non ottenesse d’esservi eletto alla Ruota, secondo desiderava. GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELLA LIGURIA 343 bisogna usar diligentia, astutia e severità minacciando e bravando ove è espediente et max.e tra cotesti arabi chi sono formiche di sorba, non escano per pichiare, che a ciò non son habili detti stipendiati. Onde essendo alli giorni passati stato ferito uno di notte con tre ferite mortale et giettato in un pozzo da dui che conobbe et lo menavano a far un servitio con essi loro, et la morte de una donna soffocata dal marito, et di poi ancora un altro homicidio seguito, non si sono trovati indicij per li stipendiati, et io mi sono doluto col Mag.1'0 Governatore, con dire che tocca a me cavalcar in tali cause importante, come ha fatto m. Pietro della Chiesa et tutti li mei antecessori et eli’ io non intendo lasciarmi uccellare a questa gente et cau-sarme dishonore appresso le M. S. V. non verificando li delitti come è mio costume. Elio mi ha dato risposta, la mente di quelle, secondo la sua instrut-tione esser che non cavalchi salvo per sua instruttione : io non so già cosa di maggiore importantia delli homicidij, delle ferite mortale con sollevation di gente, et delli furti ; se cosi è la mente delle M. S. V. sia con dio, io le dirò bene che cavalcando io ne seguiria 1’ effetto di giustitia, la punition di ribaldi, la pace et il timor di populi, 1’ utile della camera, 1’ honore delli ufficiali, et il guadagno mio. Io m’ escuso che non procederà per mia colpa se non si verificarà li delitti et che non 1' habbia antevenuto et detto. Ben mi dorrò della sorte mia eh’ in questo ufficio manchi delli soliti emolumenti hanno sempre havuto li antecessori vicarij, sia per li stessi viaggi sia per la venuta di Mag.c| comessarij in questa isola, di modo non so come mi potrò intertenere senza alcun estraordinario eh’ io non chiedi licentia prima finisca il mio tempo, non essendo solito rubbare, nè far altre estorsione come se dice farsi in questo loco; io ho scritto la presente di volontà et scientia del Mag.co Governatore acciò le M. S. V. non pensasse fussemo discordi, anzi siamo di comun parere. Le sono suddito et servitore, le suplico si degnano avisarme quale sia la loro intentione, acciò che possi pigliar espediente al caso mio; ch’el nostro S.e iddio le feliciti. Di Calvi alli 3 d’Agosto MDXLVJ. D. V. M. S. Humile suddito et servitor A g fi Rrenuccio vie.» di Cor,ca I protettori del Banco fecero ragione, a quanto pare, dei rilievi e delle lagnanze del vicario, ond’egli seguitò la sua via, esercitando con severità e con giustizia, fino allora non usate, 1’ ufficio suo. Si trovò per questo di fronte a difficoltà ed a pericoli ; ma non s’impaurì, nè volle mutare in nulla la sua condotti. Nel maggio del 1547 ridusse a fine un processo assai complicato per delitti commessi da signorotti delle Giudicarle, e venne « stimolato et tentato per diverse vie illecite » di salvare un de’ rei principali « homo di gran parentado et seguito » ; fu 344 GIORNrtl.E STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA irremovibile, e lo fece decapitare. Senonchè il rigore e l’integrità nell’esercizio delle sue funzioni non solo gli procacciarono l’odio de’ prepotenti isolani, ma il malanimo altresì di alcuni officiali del governo, i quali vedevano di malocchio quel suo procedere per la via dritta e maestra, così per il danno che dal confronto ne veniva alla loro fama, come per certi lucri disonesti de’quali non poteano più giovarsi; di qui le accuse contro di lui, in ispecie del luogotenente di Bastia, che lo fecero prorompere in alte e vive parole a sua difesa. « Se non fusse », scriveva nel giugno del 1547, « ch’io so che Christo di poi che visse anni trentatre al mondo fu crucefixo da Pilato ad instantia de farisei come ribaldo, et che 1’ opre mie et integrità mia sono palese, mi dolerei della mia sorte », e segue denunziando Γ inimicizia del luogotenente, il quale sparla di lui notandolo di disonestà nei processi e di « mangiarie »,non potendo ormai tollerar più tanto strazio; * ma io », continua, « che vivo solo per Iddio e per lo honore, et che desidero accrescerlo et non sminuirlo, non voglio patire che tale opinione sia non solo apresso di se, ma del più vili’ homo del mondo ». Invoca rigorosa indagine intorno al suo operato, e si dichiara pronto a subire qualunque pena se trovato in colpa; * et se troverano che sono homo da bene, come fo professione, ne faciano riprensione al detto locotenente che non voglia avillir il mio honore con la sua lingua come fa il suo, che per Dio gratia lui et io in questa isola siamo conosciuti ». Dopo aver recato parecchie testimonianze della sua rettitudine, conchiude: « Io mi posso dar vanto che non è homo manco codicioso di me et che nelli miei officij non ho mai riportato salvo il bon nome, il vestire et il vivere, et mai in sindicato hebbi alcuna querella, come se sa et si vede nelle mie patente..... Ho molti malivoli in Corsica sia per gli S.ri di Nonza sia per lo S.re di Brando eh' io feci apiccare a Genova, sia per mille altre esecutioni et sentenze date et fatte da me ». Alle rimostranze del Bernucci i Protettori risposero in guisa da calmare 1' agitazione dell’ animo suo, riaffermando la piena fiducia nella onestà di lui e lodando la sollecitudine illuminata nell’adempimento delle sue funzioni, e perciò egli nel luglio scriveva con evidente compiacenza: « Quantunque per essere servidore et suddito della Mag.ca Casa, et per gli honori da quella ricevuti fussi tenuto esporre per lei occorrendoli la GIORNALE STORICO E LETTERARIO bELLA LIGURIA 345 propria vita, nondimeno la cortese opinione et honorevole parole per le dite ultime di V. M. ver me usate m’ hanno in tal modo astretto in servirle, amarle, et reverirle eh’alcuno aggiun-gimento non se gli potria fare ». Dato quindi ampio e minuto ragguaglio delle cose da lui eseguite e dai Protettori domandate, accenna ai tentativi di corruzione fatti più volte e in varie maniere verso di lui, soggiungendo: « et se non diedi castigo a quelli mi tentorono di corrompere lo feci per non essere tenuto troppo scrupoloso et per esser lorS.ri, et non mi pigliar più brighe alle spale, persuadendomi che forse siano soliti di fare così con altri, al detto loro » : quanto al luogotenente, « mi porta odio a torto sia per vana gelosia della sua schiava, sia per non haverlo potuto in qualche causa compiacere a modo suo » ; in fine essendogli stato teso un agguato, dal quale scampò, nel bosco di Casaconi, richiede una scorta di stipendiati per sua sicurezza fino al suo imbarco, avendo ormai compiuto il tempo dell'ufficio, e pienamente sicuro di se, si affida che « la integrità mia oltra la bona fama et le bone opre le comproberà lo mio sindicato » (i). Tornato quindi in patria ebbe incarico, nell’ottobre del 1547, di trattare alcune faccende del comune in unione a Francescotto Parentucelli, singolarmente riguardanti la fabbrica del palazzo pubblico, argomento per il quale dovette più volte recarsi a Genova anche nell'anno successivo, e che gli procurò non poche brighe (2). Intanto venne eletto vicario del Podestà di Genova, e indi a poco giudice de’ malefici; in questa sua qualità ebbe ad occuparsi del processo di stato a carico di Agostino da Barga, uno degli uccisori di Giannettino D’ Oria, di Giambattista de Fornari, e di Ottavio Zino, per attendere al quale si giovò del celebre processo dell’infelice Giulio Cibo (3), disperso negli anni successivi, essendo stato bruciato, a quanto si afferma, per odine di Ferrante Gonzaga. Ma se i doveri di 1 1) Ivi, Cancell. cit., Litter., 1547, lett. 23 maggio, 5 giugno, io luglio. 2) Ivi, Cancell. Sorba, Instrument., 1545-47; Litter., 1531-1550 — Cancell. Lomellino, Litter., 1547 e 1548; Actorum 1548. Notiamo che il Bernucci tornò dalla Corsica dopo il IO luglio 1547 e che è quindi inesatto ch’egli fosse vicario in Genova nel 1546 e vi si trovasse quando scoppiòla congiura del Fieschi icfr. Arch. stor. ital., Sez. 3, T. IV, par. 1, pag. 252^. 13 Interrogatori cit. Cfr. anche Atti Soc. Lig. stor. pat., VIII, 354-355- 34-6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ufficio lo obbligarono a sì fatta inquisizione, egli vi esercitò la rigorosa giustizia del magistrato, poiché, ebbe a dichiarare più tardi in una occasione solenne, « se non esse accitum in aliqua factione et non habuisse aliquam offensam a Fliscis sed beneficio potius et honores et favores » ; infatti si trovò presente alla stipulazione dei capitoli per il matrimonio di Gian Luigi con Eleonora Cibo, e poi alle nozze stesse, a festeggiare le quali compose un epitalamio (i). Questo componimento non si legge fra le sue poesie, dove però si trovano i versi seguenti a ricordo della morte contemporanea di Gian Luigi e di Gian-nettino D'Oria, nella ben nota congiura (2): Doria dum Flisci technis confoditur ecce Una hora utrumque sustulit, una dies : Hic ferro occubuit, tentât dum scandere classem Mergitur insanis, heu miser, alter aquis: Aspice quam simili vixeiunt sorte, inventus, Stemma, decus, cordis par fuit ardor, opes. Stava per spirare nel 1549 l’ufficio suo di giudice civile e criminale, e poiché aveva espresso il desiderio di attendere alla Ruota di Lucca, il Senato, nel maggio, con una attestazione onorevole raccomandò vivamente la cosa a quella repubblica, ritrovandosi * in esso M. Augustino dottrina, virtù e diligenza », di che aveva « fatto experimento in più uffici per avanti da lui esercitati sì in la città come fuori », e la buona prova continuava in quello di che era al presente rivestita. Non ottenne l'intento, che la Signoria di Lucca dichiarava impossibile la nomina del Bernucci alla Ruota, perchè era di Sarzana, luogo non I) Interrogatori cit. Ad analoga domanda a proposito di Giulio Cibo risponde: « Cognovisse dictum 111.mu Iulitim Cibo Massae Sarzanae hosdenovi Ianuae et non Romae quia ipse non fuit Komae tunc temporis de anno 1547 ; erat iuvenis barbatus, potius nigri coloris quam albi et ipsum pluries allocutus fuit, et erat eius vicinus cum dictus III. lulius esset de Massa et ipse testis de Sarzana, et ibat indutus vestibus sericis nigris quando ipsum vidit pluries et erat mediocris staturae potius parvae quam magnae ». Preso, venne mandato a Milano « in carceribus dictae civitatis in cameris honorabilibus, cum quo stetit sp. D. F ranci scus Mascardus Auditor R.mi Cardinalis Cilx> .....pro ut sibi relatum fuit a dicto sp. D. Francisco Mascardo qui Mediolani stetit quousque fuit decapitatus et interea bene tractatus et honorabiliter ». (2) Ms. cit., c. 15. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 347 abbastanza discosto dal dominio della repubblica, secondo le prescrizioni delle leggi (i). Frattanto egli si era recato in patria, dove il marzo dell’anno successivo è deputato, unitamente a Gregorio Monterosso, per sottoporre all’ approvazione dei Protettori di S. Giorgio alcuni capitoli a favore del comune, alla cui ossei vanza siano tenuti i capitani e commissari (2). Sul principio del 1551 fu adoperato dal capitano di Sarzana « come persona più pratica », di che avea dato prove altre volte, nel « cercar le scritture », le quali si riferivano alla causa, lungamente durata, fra il Banco e le figlie del marchese Teodoro Malaspina per diritti dotali, e nel provvedere a certe testimonianze che dovevano all’uopo prodursi (3). Interviene il 12 aprile 1551 al consiglio, nella sua qualità di Priore degli Anziani, e dopo pochi mesi è accusato al Senato genovese da un Gio. Antonio Bianchi, già vicario del capitano di Sarzana, d’aver scritto in nome degli Anziani, ma a loro insaputa, una falsa lettera nella quale si davano al governo pessime informazioni di lui, che stava allora in Genova sollecitando un ufficio giudiziario (4). Imputazione destituita di fondamento, perchè la lettera esiste veramente, ma invece d’essere di mano del Bernucci, come afferma il suo accusatore, è di pugno del cancelliere Girolamo Ivani, e presenta evidenti caratteri d’autenticità. D’altra parte la Signoria di Genova, non tenendo conto alcuno della singolare accusa, ben dimostrò di non darvi alcuna credenza. Il 30 novembre si vede il suo nome fra gli eligendi alle pubbliche cariche per l’anno successivo, e mentre già fin dal dicembre si trovava a Genova sindaco insieme ad Antonio Gandolfo, il 3 gennaio del 1552 il consiglio generale lo nomina, unitamente a Federico Ivani, suo procuratore a patrocinare i diritti del comune nelle contese insorte con gli uomini di Ortonovo, Nicola e Castelnuovo ; costretto a far ritorno in patria sul cadere dell’anno, e sostituito temporaneamente da Domenico Parentucelli, riprende il mandato nel i ) Arch. cit., Lettere al Senato, fil. 31. — Arch. di Lucca, Anziani, lett. 8 maggio. (2) Arch. cit., S. Giorgio, Cancell. Lomellino, Singrap/i. et Supp., 1550. 3 Ivi, Cancell. Sorba, Litter., 1557 ima 1551). — Branchi, op. cit., II, 240 sgg. (4) Arch. Coni, di Sarzana Liber Deliberat, ad annum. — Arch. di Genova cit., Lett. al Senato, fil. 34. 34^ GIORNALE STORICO E LETTERARIO I1K1.LA LIGURIA gennaio seguente, e pone l’operosità e l'ingegno a sostenere le ragioni della patria in materia di confini ( i). La guerra di Corsica turbava in quest’anno la repubblica e poneva a ben dura prova 1’ Ufficio di S. Giorgio, a cui l’isola obbediva, per i gravi provvedimenti che era costretto adottare, a fine di mantenere la sua autorità sopra quel popolo ribelle, il quale riceveva possenti aiuti dalla Francia desiderosa di vendicare le disdette della sua politica volta a togliere Genova al protettorato spagnuolo e a richiamarla sotto le sue ali. L’improvvisa invasione dei francesi, e la presa della Rastia gettarono lo sgomento nel governo della repubblica, massimamente nell’Officio del Banco, cui era commesso provvedere con sollecitudine e con energia in sì fatto frangente. Non appena la triste notizia pervenne al Bernucci scrisse ai Protettori così (2): .ìfollo Mag.e' S.rl ossei·.”" Dio sa quanto mi sia dispiaciuto il successo seguiti) in Corsica, sij per il danno del Mag.c° oflìcio, sij per lo comune risico della città e suoi sudditi, che certo mete conto espor al modo romano, le proprie gioie delle donne, quando mancassero denari, a ricuperarla et vindicarsi di tale ingiuria ; per tanto bisognando io con quatro mei cognati et sei mei cugini soldati et altri nostri parenti si oft'erimo alle Μ. V. alle proprie nostre spese venir a servirle a Lile impresa, ogni sua richiesta, et spenderli la f cultà et la uita come siamo tenuti. Che Dio le conserui e prosperi contra suoi nemici. Di Sarzana alli 28 di settembre 1553. D. V. M. Humile Seruidore Ajr.° Brertuccio Fu questo per fermo atto generoso e patriottico di buon cittadino, espresso con un tocco di romanità come al letterato si conveniva; ma sembra non avesse riscontro dai Protettori e non fosse perciò accettata l’offerta. Frattanto si addensava sul capo di Agostino una tempesta che doveva indi a poco scoppiare improvvisa e rumurosa. Sul cadere di luglio erano stati condotti di Corsica alcuni prigioni imputati d'omicidio e posti il) Arch. cit., S. Giorgio, Cancell. Raimondo. Appod. 1551, 1551-52; Cancell. Lomellino, Litter. 1553 — Arch. Com. di Sarzana, Liber De/ib. cit., Atti 61. 31. 2 Arch. Genova, S. Giorgio, Cancell. Lomellino, Litter. 1553. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 349 parte nella cittadella di Sarzana e parte nel forte di Sarzanello. Questi corsi avevano commesso un delitto comune, al quale sembra non fosse estranea la perturbata condizione dell’isola, ed appartenevano anch’essi ai ribelli; donde il rigoree la gelosia nel sostenerli in carcere in terraferma, dove con maggior speditezza e senza aliene ingerenze si poteva condurre il processo, e punire così, secondo la severità della legge, gli omicidi o i correi dell’ eccidio in un con gli eccitatori di rivolta. Nel mentre che il giureconsulto Giacomo Scribanis, spedito appositamente da Genova, coadiuvato da Giambattista Bordigoni vicario del capitano, attendevano al processo, ecco che il Q novembre due de’ principali inquisiti, Polidoro e Anton Simone da S. Fiorenzo, fuggono dalla cittadella. Il capitano sguinzaglia sulle loro traccie bargello, birri, soldati, e scrive ai podestà dei paesi vicini avvisandoli di sorvegliare i passi ; poi collo Scribanis e col Bordigoni corre in cittadella e procedono ad una rigorosa inchiesta. Mentre il castellano, Pietro Vivaldo, convinto di negligenza e di soverchia larghezza, deferito ai Protettori, viene per loro ordine rinchiuso nel iorte di Sarzanello, in attesa di ulteriore giudizio, dagli interrogatori di Antonio da Ponzano tamburino salta fuori l’accusa di connivenza nella fuga così del Bernucci come del cavalero (messo) Bernardo Bellagamba. Asseriva il tamburino di aver portato al Bernucci delle lettere di Simone da Quilico, altro dei prigionieri, e a questi le risposte del primo; di più che Simone gli aveva promesso del danaro per agevolare la fuga de' due còrsi summenzionati, e il Bernucci ne era restato garante. Ma il da Quilico smentiva codeste accuse, confermandole soltanto vinto dai tormenti, per tornare a negarle subito dopo. Il nostro Agostino appena seppe dal Bella-gamba (che accusato d’aver intascato < una mangiarla di 25 scudi > avea poi preso il volo) il tenore del primo interrogatorio del tamburino, non pose tempo in mezzo e parti per Genova, costituendosi prigioniero in Torre a disposizione dei Protettori, i quali deputarono a procedere contro di lui Giacomo Lercari di Salvo e Agostino Lomellini. Perciò quando il capitano, secondo le istruzioni ricevute, mandò a casa sua per arrestarlo seppe che se ne era andato a Genova la mattina stessa; allora gli perquisì la casa, ma fra le sue carte non ne trovò alcuna che si riferisse in qualche modo ai corsi fuggiti. La mancanza 35° giornale storico e letterario deli.a Liguria del processo (lo abbiamo cercato invano) ci toglie modo di appurare la verità delle appostegli accuse ; soltanto dalle carte sparse e frammentarie, e dalla corrispondenza, ci sembra poter rilevare che le relazioni fra il Bernucci e Simone da Quilico esistevano veramente, ma erano professionali, poiché egli apparisce patrocinatore in Sarzana di quell’ inquisito, come in Genova lo era Antonio Calvi (i). Comunque sia, dopo tre mesi di carcere venne condannato al bando per dieci anni ; sentenza grave e forse dettata da giudici parziali mossi da personale vendetta, siccome egli stesso più tardi in solenne occasione dinanzi al magistrato ebbe apertamente a dichiarare; « et quamvis esset repertus innocens », così si espresse, < nihilominus ad gratiam quorundam civium Genuensium tunc dominorum Sancti Georgii, quos ipse constitutus condemnaverat vel laeserat in offitio in civitate Ianuae et Sarzanae, justitia mediante fuit bannitus extra dominium » (2). Onde il suo primo biografo Ippolito Landinelli, che gli fu nipote e ne raccolse dopo la morte le carte, ebbe a scrivere non senza ragione ch’ei fu oppresso * da false imputazioni » e condannato all’ esilio sotto « giudici appassionatissimi » (3). E che nel suo processo ci fosse la mano dei nemici può darne indizio una denunzia anonima pervenuta al Capitano di Sarzana * di verso Bagnone », e da questi inviata ai Protettori il 3 gennaio mentre il Bernucci si trovava sempre in carcere. Era di questo tenore: « Per l’amore e grande affettione che io ho sempre portato alli S.ri genovesi per esser stato altre volte loro soldato, vi faccio a sapere come li agenti del Re Chr.mo in Italia, il nome delli quali per boni rispetti non li dico per hora, si restino informatissimi dello Stato di Sarzana delle fortezze così della Cittadella come di Sarzanello et di tutta la terra, ca-stele e ville et de le provisioni che vi sono, per mezo d’ uno S.or Aurelio Fregoso informatissimo per il mezo de uno M. Agostino di Bernuccio dottore di Sarzana secondo ho potuto sapere destramente. Si che V. S habia cura al fatto suo che li bassio (1) Ivi, Cancell. Spinola-Caneto, Roll. 1556-1557 (contiene effettivamente lettere ed atti criminali del 1553); Cancell. Lomellino, Litter. 1553, 1554; Marinali Senato, n. 780. (2 Interrogatori cit. ^31 Biografia cit. 1. c. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 351 le mani. E quello che vi dà questo aviso non ve lo dà senza causa et ancora per tali mezi è fatto disegno sopra di la Brunella del S.or Adam Centuriono alla gula (Aulla) et or V.S.puotrà dar aviso al detto S.or Adam > (i). La denunzia era gravissima e implicava un crimine di stato, poiché il Bernucci veniva accusato di tradimento come quegli che si teneva in relazione col Fregoso, un de’ più pericolosi ribelli della repubblica. E si noti come 1’ ultimo rilievo a proposito della Brunella (fortilizio del-l’Aulla) sia volto assai probabilmente a togliere al nostro Agostino in questa sua disdetta l’amicizia e l’appoggio di Adamo Centurione, signore dell’Aulla, ponendo nell’ animo suo il sospetto che veniva tradito da quegli stesso che s' era altra volta tanto adoperato affinchè quella terra fosse da lui acquistata. Or sebbene il capitano, inviando la « litera senza sottoscritto », avvertisse « che a simile litere s’ habbi da dar poca fede », e quanto a se fosse persuaso < che possi esser fatta da alcuno nemico del M. Agostino », può darsi che facesse sui giudici qualche impressione, e, servendo di arma ai malevoli, conferisse a gravare la mano sull’accusato, la cui colpabilità per la connivenza nella fuga dei corsi non riusciva in tutto provata. Costretto adunque ad abbandonare la terra natia rivolgeva a' suoi concittadini, nell’amarezza dell’animo, questi versi (2): Vani ine Ligures agunt inique A cara Patria exulem, quid ergo Restat consilij boni ? Molestant Censura plandas gravi columbas Et corvis avide favent malignis : Sarzanum haec potetis pati et videre ? Nunquid ex civibus tuis fuere Plures, qui immeritas dedere poenas : Horum ob stultitiam, malamque mentem Infelix adeo quod inscientes Paulatìm exitium moratur omnes : Sarzanum haec poteris pati, et videre ? Allontanatosi così dalla Liguria si condusse probabilmente a Firenze, dove, munito d’una commendatizia del cardinale de la Cueva, richiese al granduca Cosimo di Toscana un ufficio (1) Arch. cit. Cancell. Lomellino, Litter. 1554. 12) Ms. cit., c. 30, e in Biblioteca manoscritta di Tom/naso Giuseppe Farsetti, Venezia, Fenzo, 1771, p. 76· — È chiara nei w. 4-6 l’imitazione di Giovenale, Sai., Il, 63. 352 GIORNALE STORICO E LETTERARIO 1JELLA LIGURIA nel magistrato della mercanzia, che gli fu promesso, ma che poi non ottenne (i). Sono forse da riferirsi a questo tempo due epigrammi laudativi in onore di Cosimo, il primo de’ quali dice così : Haeroas quamvis tulerit tot Tuscia, solus Cosine tamen Magni nomen habere meres ; Relligio quoniam et probitas, moresque vetusti Ethruscis opera iam rediere tua : Unde tibi veteres cedant Regesque Ducesque Te tantum posthac fama loquatur anus. L’altro esalta il palazzo Pitti e l’annesso giardino degni d’essere cantati e resi celebri, a petto di qualsivoglia più famoso dell’antichità, di che egli fa fede come testimonio di veduta (2). Si condusse quindi a Roma, e quivi accolto e protetto da Ugo Boncompagni, già suo maestro, salito a questo tempo ad alti gradi in prelatura, scala a maggiori e supreme dignità, ottenne la luogotenenza del governo d’Anagni nel 1555, l’anno successivo fu nominato luogotenente generale della provincia di Campagna e Marittima, poi pretore di Alatri ed avvocato fiscale generale della Romagna; mandato commissario a Spoleto, a Norcia e Cereto, a Civitavecchia per sedare popolari tumulti, ebbe successivamente per un semestre il governo di Faenza e di Cesena, e quindi quasi per due anni tenne l’ufficio di Auditore generale nelle provincie di Romagna e di Campagna e Marittima con il cardinale Boncompagni, con l’arcivescovo di Mai-torana e col reverendissimo Giambattista D’Oria (3). Si giunge così al 1560; ma le pene dell’esilio e il dolore dell’ingiusta sen- (1) Arch. di Stato di Firenze, .Mediceo del Principato, fil. 204 c. 21 t. E ima minuta di lettera del duca Cosimo « a M. Ag."° Bernutio da Sarzana » in data 8 agosto 1554 ; per mala ventura la filza è corrosa e quindi la lettera manchevole ; ecco quello che vi si può leggere : « Ce è stato grato che abbiate rido..... amicitia de un antecessore con la casa.....di farci ser.o per che dove potremo giovarvi lo faremo____ in recognitione de’ meriti loro e v.ri. Il giudice che risiede nella mercantia ci ha da star ancora a tutto Ottobre prò.» ...... qual tempo vedremo se si potrà gratificarvi di quello off.» che desiderate. Al Car.le della Cueva si scrisse in conformità in risp.ta della sua commendatizia ». Documento communicatomi gentilmente da Pietro Bologna. 2 Ms. cit., c. 33. (3) Interrogatori cit. GIORNALE S ['OKICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 353 tenza gli resero travagliosi singolarmente i primi tre anni, della quale condizione dell' animo suo è cenno qua e colà nelle sue poesie dove si sente la mesta eco dell’esule addolorato. Alla moglie vedovata rammenta la fedeltà di Penelope ; si duole vivamente per la morte improvvisa della madre in questi accenti : Quae sors impia sic repente Matrem lam caram rapuit mihi immerenti Extra dum Patria miser vagarer : Aleum cur reditum morata non est ? Ut Nati valuissem obire munus, Amplexusque dare, illiusque ocellos Tristis claudere, et osculum supremum Libare et gelidis gemens labellis. Quis curas animi graves levabit ? Quis domum viduam, meamque prolem Posthac consilijs suis juvabit ? Oh quantis hominum genus procellis Infelix agitur, malisque fatis. Quod nunquam in placida manet quiete Eodem ve statu duas per horas ; Heu dilecta Parens vale, tuique Manes ad superas eant Deorum Sedes, perpetuoque ibi triumphent. A singolare mestizia sono atteggiati i versi in cui canta i lamenti di Filomela, o, con più diretta allusione a se stesso, l'agonia di un Cigno (x). Sul cadere d’ottobre del 1556 per mezzo del reverendo Girolamo Manechia, suo concittadino, fece presentare ai Protettori la supplica seguente (2): Si espone alle Μ. V. da parte de M. Agostino Bernucci de Sarzana fedel suddito loro, come tre anni sono essendo stato inculpato a torto di esser consapevole della fuga di certi Corsi incarcerati nella cittadella di Sarzana, et haver promesso ad un tamburino per causa di tal fuga certi denari, si constituite spontaneamente in torre nelle mani del Mag.co Off.0 per purgare tal calonnia et dimostrare l’inocentia sua, et quelli che havevano per particular odio induto il tamburino ad incolparlo che nelli tre primi esamini suoi non 1’ haveva inculpato, et lo demostrava se in quel tempo gli fusse stato concesso potere far le sue diffese e dir la sua raggione come è anchor pronto di dimostrare quando piacesse a quelle : nella quale torre stete tre mesi incarcerato et inai si potè verifficare cosa alcuna contra di lui ancliora fusse (t) Ms. cit., c. 16, 17, 21, 22. (2) Arch. di Genova cit. Cancell. Sorba, Litter. 1556. (1 forti. St. e l.ett. tirila Liguria, V. 23 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA posto alli tormenti ; più presto quelli Corsi che fugirno essendo repigliati et tormentati lo esculporono, non dimeno fu bandito per diece anni, sententia in vero troppo rigorosa, et quando bene fusse stato culpevole non se gli potea dar maggiore pena, maxime essendo stato sempre esso et suoi antecesori bene meriti di questa Mag.ca Casa. Hora havendo in parte fatto 1’ obedienza et conosendo le Mag. V. non men clemente che giuste, ricore alli misericordiosi piedi suoi humilmente suplicandole gli vogliano far gratia di poter repatriare et governare li soi filioli de li quali è molto aggravato, e ridurse a memoria quanto utile causase al Mag.™ Off.» cossi in Genova quando furno rubati li denari, conio in Corsica del 40 quando si era quasi persa l’obedienza, et altre sue bone opere in questa cita, che oltra farano cossa giusta et pia egli ne restarà perpetuamente ubligato a quelle, che ’l nostro S. Idio le conservi. I Protettori accolsero l'istanza e la sottoposero ai componenti il magistrato che erano in ufficio nel 1554, in seguito al parere de’ quali emanarono il 20 novembre il decreto, col quale il Bernucci veniva liberato dal bando con obbligo di dare fideiussione di 1000 ducati per un triennio. Approfittò subito della concessione e si ridusse in patria, dove gli venne incontanente affidata una commissione dal comune, al quale rende conto dell’opera sua in Genova 1 S febbraio del 1557 (1). Dovette quindi tornare al governo di Faenza, e v’era appunto quando i cittadini, contradicendo a suoi ordini, ricusarono di ricevere entro le mura i francesi e gli svizzeri condotti dal duca d’Aumale, onde incomincio contro i principali fautori del diniegato alloggiamento un rigoroso processo, che non ebbe seguito, mercè l’intervento del cardinale ( arafa, a cui i faentini inviarono all’uopo un loro autorevole deputato(2). Negli ultimi mesi dello stesso anno lo troviamo nuovamente a Sarzana, dove il 19 dicembre viene estratto priore degli Anziani (3). Quivi era ancora sulla metà d'aprile del 1 55^> dopo il qual tempo deve essersi ricondotto nelle Romagne ad esercitare il carico d’auditore, di che abbiamo superiormente toccato. Infatti non è più menzione di lui nelle carte fino al 3 no" vembre del 1560 in cui scrive di suo pugno in nome degli anziani di Sarzana per faccende pubbliche. Rimase dunque in patria anche nell’ anno seguente, secondo si argomenta da parecchie (1) Arch. Com. di Sarzana, Atti, fil. cit. (2) TONDOZZI, Historié di Faenza, fraenza, parafagli, 1675, p. 637. (3) Arch. Com. di Sarzana, Liber Delib. cit. giornale storico k letterari© DELLA LIGURIA 355 scritture sue e da altri documenti, fra i quali ci piace rilevare 10 strumento rogato in Sarzana il 26 aprile dal cancelliere Gio. Agostino De Franchi « in aula magna Palatii novi », col quale tra i sarzanesi da una parte, e gli uomini d’Ortonovo e Nicola dall altra viene fermato un accordo a fine di tacitare le differenze insorte per ragioni di confine e di pascolo; in esso è dei rappresentanti il comune lo < Sp. M. Agostino Brenuci sindico et capo del consiglio » (1). Intanto la consuetudine ripresa con i Protettori, e Γ essere forse stati assunti all' ufficio patrizi a lui più benevoli, gli procacciarono una prova di fiducia, che valse a cancellare lo spiacevole ricordo della ingiusta condanna. Verso la metà d’aprile del 1562 una contesa insorta a Ventimiglia per ragioni di precedenza provocò gravi disordini. Il posto assegnato in cattedrale per assistere alla predica al cancelliere del Capitano, veniva reclamato dal Priore del Consiglio. Accadde perciò in chiesa un vivo alterco, che ebbe un seguito nella notte, poiché furono rotte le panche dove sedevano il capitano e il cancelliere, e fatti altri dispregi alle sedie dei loro fautori. Di qui ire e turbolenze nella città ogni dì rinfocolate, e la uccisione proditoria di Agostino Galiano, un de’ più ferventi in sì fatte lotte. A sedare le discordie ed a procedere contro i colpevoli venne eletto dall’Officio di S. Giorgio 11 nostro Agostino, al quale, con le necessarie istruzioni, rilasciarono una patente di questo tenore 12): Protettori delle Compere di San Giorgio della Ecc.a Rep.ca di Genova. Sappendo che da pochi giorni in qua sono stati commessi nella Città nostra di Vintimiglia alcuni arroganti e prosuntuosi eccessi, e che ultimamente è stato in essa commesso homicidio nella persona di Ag.° Galiano: E temendo che da questi disordini e dal licentioso vivere non possano nascere degli altri inconvenienti in grave danno della pubblica e privata quiete di quella Città: Volendo perciò provedere sì per 1a punitione de’ tristi, come per la regu-latione de’ temerari et tranquillità de tutti, li è parato elegere, si come in virtù delle presenti elegemmo e deputiamo nostro commissaro in detta Città e giurisditione, il Sp.le dottor de leggi M.r Agostino Brenucci di Sarzana, della integrità prudenza et sufficenza del quale molto confidiamo: Con piena e amplissima possanza et auttorità di poter investigare et indagare ogni et (I) Arch. di Genova cit., Cancelliere Calvi, Actor. 1560-61 ; Cancell. De Franchi, Divers. 1560-61, Actor. 1561. ^2) Ivi, Cancell. De Franchi, Divers. 1562. 356 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA singuli eccessi che sono stati in qual si voglia modo commessi contra di chi si voglia publica o privata persona: E così parimente olii babbi il d. homi cidio commesso o di esso sii stalo conscio aiutore o fautore, per tutte quelle vie etiandìo straordinarie che li parirano: E contra li delinquenti procedere poi e punirli secondo che più alla giusticia convenirsi conoscerà etiam sino all’ ultimo della vita inclusiva ne più ne meno come potressimo far noi: Et con possanza anchora di ordinare et fare essequire quel tanto che bisognevole giudicherà per la quiete di quella Città. Ordinemo dunque in virtù delle presenti al m.co Giacobo Italiano cap.° nostro et ad ogni e singoli ufficiali Cittadini et habitanti di d.a Città et giurisditione che prontamente diano m le premesse cose ogni ubidienza al prefato Sp.'e m.r Agostino come farieno a noi medesimi, sotto pena della indignatione nostra, perchè così ci piace. Da Genova a 27 di aprile 1562. Compiuto il mandato tornò a Genova, e dopo aver richiesto, come Sindaco del suo comune e procuratore di opere pie e di privati, alcune concessioni per le rilevaglie, se ne venne a Sarzana, dove si trova presente al Consiglio generale, tenuto in S. Andrea il 22 agosto « projuranda fidelitate praestanti D."° Paridi Pinello Commissario Excelsae Reipublicae Genuae, cui cessum fuit dominium Serzanae a Praestantissimo Officio S.li Georgii », e il 30 viene nominato, insieme a Gerolamo Cattaneo, oratore del comune « ad petendum ab IH.ma Dominatione Excelsae Reipublicae Genuae quod confirmentur Statuta, Capitula, Privilegia, Consuetudines, Honorantiae et Immunitates » che gli uomini di Sarzana avevano ottenuto sotto il reggimento dellOfficio di S. Giorgio (1). Nel 1564 riceve dai suoi sarzanesi un’ altra commissione presso il governo di Genova, dove si reca di nuovo con lo stesso mandato l’anno seguente; nel maggio del ’66 è richiesto dal Capitano della Spezia di un parere legale intorno al processo da lui istruito contro alcuni terrazzani che avevano suscitato turbolenze, e offeso il magistrato; poco dopo viene spedito per la terza volta alla capitale a fine di patrocinare le ragioni della sua città contro gli uomini dell’Ameglia (2). In quest’ anno medesimo e chiamato a rendere testimonianza in favore della Repubblica nella causa pFomossa dal conte Scipione (1) Ivi, Cancell. Cibo Montebruno, Actor. 1559-65 — Arch. Coni, di Sarzana, Liber Delib. 1548-1572 c. 215 sgg. (2) Arch. di Genova, Lett al Senato, fil. 78, 82, ΙΟΙ. — Arch. di Sarzana, Atti, fil. 31· GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 357 Fieschi per la rivendicazione dei feudi (i). Il giugno del 1568 era di bel nuovo Priore degli Anziani, e quattro anni appresso (maggio 1572) si presentava in Sarzana al cospetto de’Sindacatori per sostenere le convenzioni e i privilegi del comune, annunziando che avrebbe del pari sostenuto i diritti de’ concittadini innanzi al Senato, dove per pubblico incarico stava per condursi; contemporaneamente consegnava al Commissario di Sarzana un parere in forma di lettera a pro' del comune di Falcinello che lo aveva eletto suo patrocinatore a difesa de’ propri statuti (2). Da tuttociò si rileva la stima e la fiducia che godeva in patria, e può aggiungersi altresì l’autorità presso i magistrati genovesi, dei quali era ormai tornato pienamente nelle grazie. Saliva frattanto al pontificato Ugo Boncompagni assumendo il nome di Gregorio XIII. Era stato, come abbiamo veduto, protettore del Bernucci allorché, esule, si recò a Roma; sotto di lui aveva questi tenuto l’ufficio d’auditore, e, quando insignito del vescovato di Viesti copriva il carico di vicegerente della Camera apostolica, ne volle ricordare le virtù con i distici seguenti (3) : Non mirum est, quod te Urbs veneratur Martia namque Illam iustitia, et Relligione regis : Quare iam Petri sedes te sancta moratur Mandatis cupiens Hugo subesse tuis. Creato cardinale, gli indirizzava questo breve carme (4) : Te Ugo fama refert modo receptum Inter purpureos patres fuisse ; O felix mihi nuntium, et beatum, O iucunda nimis dies, et albo Vere digna notarier lapillo. Nunc Petri intrepidae fores manebunt Ab omni rabie improba notorum Parvi schismaticos graves tumultus Pendentes, et Apostatimi furores Cum sint cardine tam probo munitae. O praeclara Bononiae propago Te vult Omnipotens Sator Deorum Infirmo pecori suo praeesse : O felix mihi nuntium et beatum. (1) Arch. di Genova, Processus genuensis cit. (2) Arch. di Sarzana, Liber. Delib. cit., c. 376. — Arch. di Genova, Lettere al Senato, fil. 97 ; Litterarum, fil. 10-1967. 13) Ms. cit., c. 28.t (4) Ivi, c. 29Λ 358 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ora che al massimo fastigio era innalzato, a nuove speranze si levò l'animo suo; intanto ne celebrava l’assunzione al trono così (1): Te patria, et genus, et caudam mutilata colubra Prudentem ostendunt, et sine fraude bonum. Per te Relligio, Pietas, probitasque redibunt Et pax iustitiae basia grata dabit. Maxima regnabit per te concordia mundo, Turearum fastus imperiumque ruet. Unde erit unius tandem Pastoris ovile Et Christi dominans surget ubique fides. È ancora vivo il ricordo della memorabile battaglia, pur celebrata da Agostino con un panegirico (2), dopo la quale si credeva sarebbe stato distrutto per sempre l’impero dell’ ottomana possanza, onde nel nuovo pontefice s’ appuntavano le comuni speranze, di cui si fa eco negli auguri il nostro poeta. Eccolo incontanente a Roma, dove ottiene nel luglio del 1572 il governo di Città di Castello (3). Quivi ritrovò, pur in mezzo alle occupazioni dell’importante ufficio, quel benessere e quella tranquillità d’animo che invano aveva innanzi desiderata ; onde a Giuseppe Mascardi, che lo aveva richiesto di notizie, poteva rispondere (4) : Nunc Tiberis ripas, altos nunc visere colles Nitor nunc populo reddere jura gravi ; Recreo deinde animum grato cum nectare Bacchi Molliter umbrosis fultus arundinibus. Res mihi nulla deest ; salvo solamente la presenza dell’ amico e del Contardi, di cui ricorda i piacevoli ragionari e a quelli con la mente ritorna, invocando dall’amicizia loro lettere frequenti, che varranno a dargli più viva immagine del vero, e manterranno sempre più stretti i loro legami. Nel tempo del suo governo erano sorte in quella città vive contese a mano armata tra i fratelli e i congiunti della potente famiglia Vitelli, e Alfonso, bandito, disceso dal Monte S. Maria a commettere violenze, aveva fatto (1) Ivi, c. 36.1 (2) Ivi, c. 34-36. (3j Muzi, Memorie civili di città di Castello, Ivi, Donati, 1844, II, 128. (4) Ms. cit., c. 3;.r GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 5 Q sorgere turbamenti assai gravi (i). A sedarli pose ogni energica cura il Bernucci, che si legò in amicizia con Giulio Vitelli chierico di camera, a cui indirizza alcuni versi nella morte della madre sua Angela Rossi, avvenuta l'n novembre 1573 (2). Di qui egli invia in dono al pontefice pera rinomate (3): Haec pyra quae nunc mitto tibi de Valle Tipherni A Bronchis nomen iam tenuere suum ; Sed postquam coluit tales Florentia fructus Urbs Florentino nomine Roma vocat. Sunt hominum grata, et cruda, el decocta palato, Pectus, cor, stomacum, viscera tota iuvant. Alme pater parvum munus ne despice, namque Non spernit noster parva holocausta Deus. Est animus veteris dantis spectandus amici Qui te in mente sua nocte dieque gerit. Ma poco dopo avergli addolcita la bocca con le saporite frutta 10 ammonisce melanconicamente (4) : Non tibi Nestoream tutum est promittere vitam, Sancte Pater, vita est crastina sera nimis ; Unde boni si es quid caris facturus amicis Fac modo, namque solet tarda nocere dies. Nè invano, poiché essendo stato conferito nel 1573 a Cristoforo Boncompagni, nipote del papa, l’ufficio di governatore generale in Ancona, al Bernucci ne fu affidata la luogotenenza ; successivamente ebbe pure la luogotenenza generale dell’ Umbria, poi 11 governo di Fermo, quello d’Orvieto nel 1575, e dopo due anni quel di Faenza per la seconda volta (5). E per fine stette oltre un anno, luogotenente del cardinale Guastavillani, al governo di Spoleto, dove lo ricorda ancora una iscrizione posta sulle mura lungo la via che scende dalla porta S. Luca a quella di S. Matteo o di Loreto ; dice così : (1) Muzi, Memorie cit., p. 127. (2) Ms. cit., c. 36.* — Muzi, Memorie cit., p. 129. (3) Ivi> c· 37· (4) Ivi> c· 37·1 (5) I.ANDINELLI, Biogr. cit. 1. c. — TONDUZZI, Historié di Faenza cit., p. XXXIII. — Per Orvieto ci resta la seguente stampa in una Miscellanea della Biblioteca Vaticana: Bandi generali \ dell’illustre et exce.te ] signore il S.or Au I gustino Brenucci, \ della magnifica Città d’ Orvieto, suo contado, I e distretto. Governatore Generale [stemma del Gov.re], Dat. ex 360 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA GREG. XIII. PONT. MAX. SEDENTE. AVGVSTINVS. BRENVTIVS. SARZANVS. LOCVNT. GENERALIS. SPOLETTI. HÆC. MOENIA. ET. VTRANO. VIAM. HIC. ET. IN. STRICTVRA. VALLE. FACIEND. CVRAVIT. Anò: Dni. M.D.LXXIX. (i). Il suo ufficio ebbe termine in giugno di quest’anno medesimo 1579* di che fa fede una cronaca inedita, nella quale a proposito del nostro Agostino si legge: « Nel mese di giugno del 1579 M.re Agostino Brenunzi (sic) Genovese Governatore di Spoleti in luogo del Cardinale Guastavillani, avendo inteso doversegli mandare nuovo successore, accomodò tutte le querele che potè per pochissimo, con grandissimo scandolo di tutta la Città, e nell’istesso modo costumorono altri Governatori » (2). Fece quindi ritorno a Sarzana, dove nel settembre del 1580 lo vediamo prendere possesso del Priorato, a cui di nuovo, e fu per 1' ultima volta, era stato eletto (3). Ma quivi non lo ritennero per troppo tempo l’età ormai inoltrata, e le cure domestiche, poiché, stando per rinnovarsi la Ruota di Firenze, egli attese ad un di que’ posti di giudice. Si procacciò a quest'uopo le commendatizie del Buoncompagni arcivescovo di Ravenna, sulle istanze del quale il Granduca Francesco I promise di tenerlo presente nelle prossime elezioni ; infatti con deliberazione del 4 agosto 1581 egli venne nominato fra i sei auditori di Ruota (4). Si trasferì dunque a Firenze e vi rimase fino alla Urbevetri die XVJ Julii M.D.LXXV. — In Perugia MDLXXV del mese di settembre — per Andrea Bresciano; opuscolo di pp. 14 n. n. segn. A—C. È nella Vaticana e la notizia ci fu communicatu dal comm. Fumi. (1) Sansi, Storia del Comune di Spoleto, Foligno, 1884, II, p. 249. (2) Cronachetta ms. presso il cav. Giuseppe Sordini di Spoleto. (3) Arch. di Sarzana, Liber Delib. cit., c. 282.1 (4 Arch. di Stato di Firenze, Mediceo, Registri di Lett. del G. Duca Francesco I, n. 254, c. 27ο.1; Registro di Delib. e Partiti del Luogotenente e suoi Consiglieri dal 1374 al 1582, a c. 191. Il Boncompagni arcivescovo di Ravenna con lett. de’ 2 marzo 1581 raccomandava il Bernucci al Granduca, il quale rispondeva il 7 dando buoni affidamenti ; la prima lettera non si è trovata, ben esiste la risposta dell’ arcivescovo a quella del Granduca ; è. la seguente : GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 361 sua morte, avvenuta nella notte dall’n al 12 gennaio 1584. Il Settimani ne tenne memoria nel suo diario in questo tenore : « Addì XI di Gennaio 1583 [s. f., 1584] mercoledì, la notte seguente morì Messer Agostino Bernucci di Serrezana, Potestà di Firenze, dissesi per soffocazione di gocciola, essendo lui molto vecchio ; nel giorno seguente di giovedì fu acconcio il corpo suo nella Sala del Palazzo de’ Castellani dove faceva sua residenza il Potestà di Firenze, vestito colla veste di teletta d’oro ed il cappello a’ piedi della medesima teletta e colla verghetta nera nella sua mano destra indicante l'antica autorità de’ Potestà di Firenze ; ebbe sepoltura la sera al tardi nella Chiesa di Santo Stefano accompagnato da tutti i giudici e notai della Corte del Palazzo del Potestà » (1). Come si vede moriva nel massimo fastigio del suo ufficio, poiché egli era investito della suprema magistratura, che si traeva a sorte di semestre in semestre fra i sei auditori della Ruota. E moriva improvvisamente sì come ne aveva il presentimento da lui espresso nel seguente Epi-thaphium (2) : Dum timet incautam mortem Brennutius ecce Mors ipsum subito 11011 meditata rapit, Cuius ad Inferias tristes flevere camoenae Et cecinit moesta carmen Apollo lyra ; Lethum importunum, et crudelia fata vocantes Quod non sint vati commiserata suo. Discite mortales, semperque estote parati Servare aeterni iussa timenda Dei. Come si vede dai versi soprariferiti il Bernucci assai teneva Serenissimo Signore e mio sempre osservandissimo padrone La memoria che Vostra Altezza vuole per sua bontà tenere di Messer Agostino Bernucci alla distributione dei luoghi della sua Ruota, sarà nella memoria mia sempre viva occasione di conoscere la gran cortesia di lei verso me, et di pensare come mostrarmele meritevole delli tanti obblighi eh’ io le tengo ; hora reverente le bacio la mano che sì benignamente m’ habbia significato 1’ animo suo a favore di questo valent’ huonio da me amatissimo ; et prego il Signore Dio che sempre con più felici successi prosperi la serenissima sua persona et a me dia gratia di poter, con alcun effetto della mia divotissima servitù, avanzarmi nella favorevole protettione di Vostra Altezza, alla quale humilmente m’ inchino et raccomando. Da Ravenna li XXII di Marzo LXXXI. Di Vostra Altezza Humilissimo et devotissimo servitore Chr. arcivescovo de Ravenna il) Arch. di Firenze, Diario del Settimanni, vol. IV, c. 120 (2) Ms. cit., c. 37.t 362 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA a procacciarsi fama di poeta ; anzi giudicava del suo valore con esagerazione soverchia allorquando, rivolgendosi al cardinale Pier Donato Cesi, gli diceva (i): Si tuus Augustus nostris, Donate, Camoenis Aut veterum Regum Tusca propago foret, Sarzanum forsam potuisset habere poetam Virgilium sicut Mantua clara suum ; Tunc mea Nestoreos ageret feliciter annos Fama ferens nomen nobile ad astra meum : Sed mala paupertas sanctorum pectora Vatum Detinet et passim Musa relicta iacet : Quare Cimerijs coguntur hebescere in umbris Et sua consumpto corpore fama perit. Sì fatto accostamento al maggiore de’ latini, che noi ci contenteremo di chiamare iperbolico, era stato già in precedenza messo innanzi dal celebre Alciato in questo epigramma (2) : Fatidicae Mantus qualis fuit Urbis Alumnius Olim qui cecinit Pascua, Rura, Duces ; Et qualis Verona tibi fuit ipse Catullus Pelignis qualis Naso Poeta suis, Lunensi talis fuerit Brennutius orae A Brenno referens stemmata clara Duce, Qui consulta Patrum, leguraque aenigmata prudens Dum salibus miscet tempora grata suis ; Factus olor niveis scandet super aethera pennis Et canet immenso carmina culta Deo. Nonostante queste lodi, che avranno per fermo lusingato 1' amor proprio di Agostino, e il giudizio più recente di Jacopo Morelli, il quale sentenziò le poesie del nostro « scritte con eleganza » ed aggiunse che « massimamente gli endecasillabi possono per la loro semplicità e bellezza reggere al confronto di qualunque componimento che sia stato fatto in quel secolo » (3), pur non può dirsi ch’ei s’innalzi così da eccellere sopra i non pochi contemporanei. Ben è da rilevare che i suoi carmi, così per la forma come per la sostanza, risentono evidentemente della influenza (1) Ms. cit., c. 3ο.1 Quando nel 1557 il Bernucci era governatore di Faenza, aveva ufficio di Presidente della Romagna monsignor Pietro Donato Cesi vescovo di Narni, che fu poi creato cardinale. (2) Ms. cit., c. I.1 reca la didascalia: « Ad librum Augustini Brenutij Sarzan. Andreas Alciatus Juris consultus ». 3) Biblioteca manoscritta di T. Farsetti cit., p. 73. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 363 esercitata sopra i lirici latini del cinquecento da Marco Antonio Flaminio. Ad alcuni di questi suoi contemporanei si riferiscono diversi de componimenti che si leggono fra i suoi carmi. Così parla « ad Musas de Lampridio » : Fontes Castalij novum dedere Vatem, qui cecinit modos sonoros, Rarum Pegasei decus liquoris ; Io plaudite candidae Camoenae Et tenaci hedera caput volventes Ornetis meritum novi Poetae, Dulce Pindarica lyra canentis Penesque aeolium senem locatae. Loda Romolo Amaseo con i distici seguenti : Cum primum teneros maturo tempore partus Edidit in lucem clara pudore Parens, Imposuit nomen dignum te namque Latinum Tu reparas nomen nobilitasque genus : Romulus ille velut stirpem cum fratre Quirinam Auxit, et imperij parvula sceptra sui, Finitimis postquam implevit cultoribus Urbem Quae domina in Terris unica deinde fuit. Fama quidem docto inter Vates quanta Maroni, Inter scriptores nunc tibi tanta viget ; Quid plura ? es generis lumen certissima gentis Gloria perpetuus totius orbis honor. A Gabriele Faerno manda i suoi versi dicendogli: Romanae fidicon, Faerne, linguae Custos Aonij vigil liquoris, Cuius iam celebris honos vagatur Ubicunque viget decor latinus, Has nugas tibi mittimus legendas Remisso studio severiori ; Et si quae fuerint, notato mendas, Tua ut nunc opera venire possint In lucem ad nitidas manus virorum, Vulgus ambiguum nihil timentes. Celebra ampollosamente le virtù di Giulio Camillo : Calliopaea tibi favet, et decantat Apollo Dulcisonos versus, Pieridumque cohors : Sive paras elego molli describere amores Sive diro Aonidum cingere Marte nemus, Unde tuum nomen Terrarum augebis in Orbe Ornabuntque tuum laurea serta caput ; Cantus Eridani ad rupes dat Cygnus amoenos. Cygnus eris Tuli, tu neque Cygnus eris. 364 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Piange Γ agonia del Molza : Atra tune pçstqifiun rumpuntur stamina vitae, Et prodesse libi nulla medela potest ; Tarn caro orbati moesti vivemus amico, Culpantes lachrymis, impia fata pijs, Nec moriere lamen, quando tibi fama superstes Aeternum in loto proebuit orbe decns : Unde tuum nomen posthac divine Poeta In nostro fixum pectore semper erit. Haec estrema tuo cineri iam dona paramus, Pro sanctae firmo pignore amicitiae. Lancia per fine il suo strale contro Pietro Aretino : Archilocus rabidis tantum non saevit jambìs Quantum, Petre, facit, lingua proterva tua : In nova si migrant animae post corpora mortem. Pastoris latrans efficiere canis 1} : Ma che i contemporanei lo ricambiassero di stima e di amicizia non ci soccorrono prove per affermarlo, chè nelle opere loro non si riscontra mai il nome del nostro, nè il codice che contiene i suoi carmi reca alcun componimento di essi, mentre ivi pur se ne leggono d’ altri di oscuro nome, a lui indirizzati. Ciò viene anche meglio a dimostrare come del suo valore di poeta non corresse viva la fama a’ suoi dì, la quale dipoi, secondo appariste, non ha varcato i confini della sua terra natale. Nè questa deve tuttavia dimenticarlo, non solo ricordando com'ei fosse amorevole e prestante cittadino, di che fanno luminosa fede gli uffici a lui affidati, ma considerandolo altresì come il primo suo istorico, poiché l'unica scrittura di lui in prosa a noi pervenuta è appunto una compendiosa dissertazione istorica intorno a Luni e a Sarzana. Ippolito Landinelli, così ne parla nella sua storia manoscritta (2): * Fece già sono molti anni un breve discorso latino sopra la città di Luni e di Sarzana il dott. Agostino Brennuccio, mio avo materno; uomo oltre la scienza legale, di belle lettere, ad istanza del Sig. Adamo Centurione, gentiluomo genovese, quando quel Signore acquistò lo Stato dell’Avulla e Bibola in questa Provincia e comprò molte colture di terra in quel territorio »; lo lesse con piacere, ma lo trovò « tutto ripieno di quelle opinioni (i) Ms. cit., c. 8.r, 15/, 16/, 18/, 21.% 20.r ( 21 In Sforza, Oli studi archeologici cit., p. 51. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 365 erronee, che da buona parte degli scrittori innanzi a lui non erano state avvertite, anzi che da uomini gravissimi, e prati-chissimi delle antichità erano state rifiutate ». Il lavoro è certo difettoso, e non regge, specie per le origini, alla critica, onde giustamente venne sentenziato testé, che « più che per se stesso, acquista importanza dall’essere la prima monografia che si abbia intorno a Luni » (1). D’altra parte conviene considerare l’occasione dello scritto; l’autore indirizzandolo al Centurione ce la manifesta : « Cum superioribus diebus, quam plures praeclari Cives veterum historiarum non ignari (quorum in numero, et tu aderas), Andream Doriam, hujus aetatis virum in magna gloria, magnisque rebus gestis praestantem salutatum, venissent de Luna Etruriae oppido, Lunensique portu interloquendum (ut fit) in sermonem inciderunt »; ed egli, presente al colloquio, sentendo le varie opinioni e sapendo non esservi alcuna memoria intorno a quell’ argomento, si propose « quidquid ex priscorum monumentorum colligeram sub compendio redigere ». Fu così compilato da lui questo compendio istorico che non si ferma solamente a discorrere di Luni, ma porge rapidi cenni altresì di Sarzana, e ci sembra notevole non tanto per la sua priorità, quanto perchè, lasciando stare il credito eh’ egli concede ad iscrizioni false o male interpretate, ci ha pur conservato iscrizioni genuine, e si è poi giovato di documenti del-1' archivio comunale, di quello del Capitolo, specie del codice Pelavicino ; ricorda di aver consultato un antico codice membranaceo di Lucano, e cita certe cronache a penna * inter libros meorum praedecessorum » scritte « barbara latinitate ac antiquis characteribus » (2). Cio vuol dire che gli era famigliare la ricerca e la lettura dei documenti antichi. Due scritture storico-giuridiche a favore del dominio di Ge- li) Ivi, p. 43-44. 2) Questa disseriazione fu stampala dal Manzi, secondo un suo codice, nella nuova edizione delle Miscellanee del Baluzio (cfr. la Bibliografia in fine, stampe η. VI) con in fronte queste parole : « Scribebat anno 1562 », ora, se, come dice 1' autore, essa ebbe origine da una conversazione intorno a Luni tenuta presente Andrea D’ Oria, vuol dire che venne composta prima del novembre 1560 in cui il D' Oria morì. Ma nella chiusa il B. accenna al passaggio di Sarzana nel 1496 sotto il governo del Banco di S. Giorgio, che la tenne « usque ad annum MD1.X1I ; deinde facta translatione guberni in 366 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nova sopra Sarzana contro le pretensioni della Camera di Milano e del Granduca Cosimo 1 sono citate dal Landinelli, ma a noi non pervennero. Del pari non conosciamo le memorie defensionali a prò’ di Sarzana contro le comunità di Ortonovo e Nicola per controversie in materia di confini e di pascoli, sebbene ci sia venuto a mano un zibaldone a lui appartenuto, dove si trovano note di documenti istorici compulsati a questo fine. Donde apparisce manifesto ch'ei s’era assai addentrato negli studi di storia patria in servizio della sua città, e se ne può dedurre che da questi studi e dalle ricerche d'archivio sia derivata la compendiosa dissertazione della quale abbiamo parlato. Achille Neri BIBLIOGRAFIA MANOSCRITTI. I Poemata D. Augustini Brennutij Jurisconsulti Clarissimi Civis Lunensis Sarzanensis. Cod. cart. dei sec. XVI di mm. 260X 170 di cc. 2 η. n , pp. 4, cc. 54. Nella prima carta sta il titolo della mano stessa dello scrittore del cod.; nella seconda è ripetuto il titolo così modificato: Poemata Domini Augustini De Bernucciis Nobilis Sarzanensis [Stemma dei BernucciJ Sarzanae D cus de B."s Se f hic Ano 1773> e ci Dominicus de Bernuciis scripsit ecc. ; quindi, p. 1-4, sta una Piccola Relazione della vita del Sig.' Agostino Bernucci, Nobile Sarzanese, in fine alla quale si legge: « Io Dom.eo Bernucci scrissi questa relazione il dì 29 e 30 di Maggio del 1773, in Sarzana » ; ed è quella stessa biografia con lievi mutamennti, inserita da Ippolito Landinelli, nei Trattati storici di Luni e Sarzana ras. Il secondo titolo e la relazione sono di mano di Domenico Bernucci che contava allora 16 anni. A c. 1 recto è la dedica del Bernucci a Francesco Alciato, e a tergo un epi- Excellentissimam Gcnuensium Rempublicam ab Illustriss. Duce et Gubernatoribus maxima cum tranquillitate gubernatur », le quali parole evidentemente furono scritte dopo il 1562. Senonche chi ben guarda, agevolmente s’accorge che questa scrittura consta di due parti ; la prima che parla esclusivamente di Luni e del suo porto, secondo il propostosi assunto, dettata innanzi al 1560, l’altra riguardante Sarzana di certo posteriore; e forse aggiunta per corroborare con la storia le ragioni giuridiche in difesa dei privilegi e dei diritti del comune al cospetto del Senato, quando fu a ciò eletto dai suoi concittadini appunto nel 1562, come già venne notato di sopra. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 367 gramma di Andrea Alciato in lode nell’autore; nel verso della c. 2 altro epigramma laudativo di Prospero Caiani, al tergo : Augustini Brennutij I. C. Poemata. Da cc. 1 a 43 recto stanno le poesie del Bernucci. Seguono da cc 43 tergo, a 47 tergo versi indirizzati a lui con le risposte. Da cc. 48 a 50 tergo: Topo-graphia Lunensis Baldassaris Taravasij Canonici Lunen. Sar-zan. Ad Benedictum Lomellmum Cardinalem et Episcopum Lunen. Da cc. 57 a 54 verso: Antonij Mariae de Vicedominis Poetae Arculan. Bononiae Laureati, carme che incomincia: « Forsitan ignoras, Aspasia dicere nomen » ; e a tergo della c. 54 un epigramma e un distico anepigrafo e adespoto. — Il ms. è di mano di Ippolito Landinelli, e si conserva presso l’avv. Carlo Bernucci. II. Augustini Brennutii Sarzani Carmina. Cod. cart. del sec. XVI, di mm. 212x154, cc. 45. Sono unite al volume alcuni fogli più recenti dove è trascritta l'illustrazione di Tommaso Farsetti; l'indice del manoscritto antecedente più copioso; le notizie biografiche dell’autore tratte dal Soprani, dal Landinelli, e dall’ Oldoini ; quindi una parte della citata illustrazione in forma alquanto diversa, e per ultimo una nota riassuntiva delle notizie biografiche di mano d’Iacopo Morelli. Nella Biblioteca Marciana di Venezia, Mss. Latini, Ch. XII, cod. III. 1 componimenti vi sono trascritti in un ordine alquanto diverso da quello seguito nel ms. n. 1, e si arrestano con X Epitaphium Augustini Brennutij·, mancano perciò tutti quelli che nell’altro si leggono da cc. 37 tergo, a cc. 54. Una copia di questo cod fatta modernamente sta nella Biblioteca Universitaria di Genova. III. Poemata D. D. Augustini Brennutii luriconsulti Clarissimi Ciuis Lunen. Sarzan. Cod. cart. di mm. 150X90 del sec. XVIII di cc. 54 di mano di Buonaventura de' Rossi sarzanese. E’ copia del ms., che si conserva presso l'avv. Bernucci. Solamente in fine contiene: In Purificatione B. Μ. V. ad D.Stmeonum Dialogismus D. Hynomini Pontremulensis et Seminarij Lunen. Sarzanen. Praepositus, breve componimento che non esiste nel codice η. I. — Si conserva presso I' avv. Pietro Bologna. IV. Scrittura a favore della Repubblica di Genova contro le pretese della Camera di Milano sopra il dominio di Sarzana. E’ ricordata da Ippolito Landinelli ne’ suoi Irattati istorici di Luni e Sarzana ms. V. Scrittura a favore dii dominio della Repubblica di Genova 368 GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA sopra Sarzana contro le pretensioni del Gran duca Cosimo I de' Medici. Ricordata dal Landinelli cit. VI. Consulto a favore degli uomini di Falcinello. Ms. di cc. 4 nel R. Archivio di Stato in Genova, Litter., fil. 10-1967. STAMPE. I. Ad Fontem Rigahum. Sta a pp. 120-121 del Targioni, Relazioni d‘ alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Firenze, Cambiagi, 1779, vol. XII. II. De marmoreo monte Carrariae. Gli ultimi nove versi di questo breve carme si trovano in Targioni, loc. cit., p. 174. III. Bacchanalia. Tre versi di questo componimento sono riferiti dal Targioni, loc. cit., p. 110. IV. De quibusdam Genuensibus Senatoribus. Sta in Biblioteca manoscritta di Tommaso Giuseppe Farsetti patrizio veneto e bali del Sacr’ Ordine Gerosolimitano. In Venezia MDCCLXXI. Nella stamperia Fenzo; p. 76. V. Ad Sarzanos cives. Sta in Biblioteca manoscritta cit., p. 77. VI. De Luna Etruriae oppido Lunensique portu. Sta in Stephani Baluzii, futelensis, Miscellanea, novo ordine digesta et non paucis monumentis opportunisque animadversionibus aucta opera ac studio I. D. Mansi Archiepiscopi Lucensis. Lucae, MDCCLXIV, apud Vincentium Iur.ctinum, IV, 145-149. Quivi si trova (p. 148) il componimento in versi intitolato nel cod. (c. i8r): De Luna antiqua Civitate. ' VII. [Lettera]. Sta in Sforza, Gli studi archeologici sulla Lunigiana e suoi scavi dal 1442 al 1800 (Estratto dagli Atti d. Dep. di Stor. Pat. per le prov. di Modena, ser. IV, voi. VII), p. 44 E’ scritta da Firenze, 7 settembre 1581, e diretta a Nicolò D’Oria doge di Genova. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 369 APPENDICE GENEALOGIA DELLA FAMIGLIA BERNUCCI (i). l-a riunione di più famiglie, derivate assai probabilmente da un unico ceppo, che si venne allargando col procedere de’ secoli in rami diversi, costituì quella consorzia che assunse 1’ appellativo dei Signori di Vezzano, dal luogo donde ebbero la prima origine, dove Tennero i maggiori possedimenti e dove esercitarono i diritti del loro dominio, che si distese altresì ad una parte cospicua della regione compresa fra Sestri e la Magra. Le antiche memorie ci assicurano della esistenza di questi Signori fin dal cadere del secolo decimo, ma i documenti non ci pongono in grado di determinare con piena sicurezza la genologica discendenza di essi se non sulla metà del secolo decimosecondo. Quindi i * Dominos de Vezano Wilelmum de Opizo, et Cazia-guerram de Cone, et Beringerium de Grimaldo, et Curradum de Malfreth, et Henricum de Willelmo », ai quali ed ai loro consorti l’imperatore Federico I concede la sua protezione, ed ampio privilegio giurisdizionale, con che essi, in atto di omaggio e di fedeltà presentino all’ imperatore, quando si avvìi a Roma « clypeum unum plenum dactylis » (2), rimangono, staccati siccome altri di cui ricorrono i nomi in carte di que’ tempi medesimi, dal grande albero che muove da un Guglielmo Bianco di cui non si conosce la paternità, e non si sa quindi a quale dei sopraindicati ricongiungerlo, mentre dopo di lui abbiamo una discendenza ferma e sicura provata dai documenti. Se una congettura fosse consentita si potrebbe forse ritenere che egli derivasse da Opizzone di cui è detto appunto figliuolo Guglielmo uno de’ consorti, a’ quali l'imperatore fa la concessione ricordata. Da questo Guglielmo quindi noi incominceremo a indicare la genalogia di quella famiglia consortile che assunse in seguito e ritiene ancora il cognome de’ Bernucci, ad essa limitandosi le indagini che ci proponiamo. Federico I imperatore con diploma dato in Pavia il 21 agosto 1175 concede a Guglielmo Bianco di Vezzano ed ai suoi eredi un diritto di pedaggio dal borgo di S. Stefano a Sarzana; e Federico II, dal campo d’assedio di Brescia, nel settembre del 1238 conferma sì fatto privilegio al nipote di Guglielmo, Rollandino figlio di altro Guglielmo Bianco, il quale richiede tale conferma anche a nome dei nepoti suoi Guidone, Opizone (l i A compilare questa esposizione genealogica mi hanno grandemente giovato la memorie raccolte da Domenico Maria Bernucci, le quali si conservano presso 1’ avv. Carlo Bernucci direttore nelle Segreterie Universitarie. 12) Il dip. è inserito nel doc. η. III. La parte sostanziale fu pubblicata dallo Sforza in Giorn. Stor. e lett. d. Lìg., Ili, 353. Gioiti ». e Lett. tirila Liguria, V 370 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e Guglielmo (i). Donde apparisce manifesto che il secondo Guglielmo Bianco ebbe a padre il primo di tal nome, la qual cosa viene ad essere provata con sicurezza dall’atto con cui il 30 maggio 1202 « Gulielmus Blancus de Vezano filius q. Gulielmi Bianchi > cede al comune di Sarzana una parte dei diritti di pedaggio per autorità imperiale a lui concessi (2). Da questo secondo Guglielmo e da Beatrice sua consorte nacque Rollandino, del quale è menzione in parecchi documenti. Il 14 giugno del 1230 insieme al fratello Ugolino dona al vescovo di Luni i possedimenti suoi nel distretto di Vezzano (3); comparisce nella sentenza emanata da frate Jacopino dell’Ordine dei Predicatori il 30 gennaio 1236 per certe differenze insorte col vescovo stesso (4); a lui ed ai suoi consorti conferma Federico li il gennaio del 1239 'a protezione concessa da Federico I ai loro agnati con il possesso dei feudi (5), e, come abbiamo veduto, il settembre dell’anno innanzi aveva confermato il privilegio di riscuotere il pedaggio; finalmente figura come testimonio il 14 luglio 1241 ad un atto di quitanza di Jacobino del fu Bonaparte dì Santo Stefano verso Aldobrandino suo cognato, per la dote di Gisla sua moglie (6). Dal matrimonio di Rollandino con Dulciolina derivò Emanuele, ricordato nella convenzione stipulata il 23 giugno 1273 fra i condomini di Vezzi.no e i Capitani del popolo di Genova (7); e questi generò Bernuccio di cui è parola nel diploma di Enrico VII, dato a Pisa il 19 aprile 1312, con il quale conferma ai ricordati condomini i possessi e i privilegi ad essi conceduti dai suoi antecessori (8). Conviene notare a questo proposito che due sono i diplomi di Enrico con pari data, i quali confermano quelli di Federico I e Federico II riguardanti l'uno la protezione imperiale accor- ili Il diploma di Federico I per il pedaggio fu pubblicalo da Sforza (Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana. Modena, Vincenzi, 1891, p. 143) secondo la lezione del Registro Vecchio del Comune «li Sarzana ; quello di Federico II che lo conferm i venne messo fuori da PODESTÀ ( Un diploma deir imperatore Federico / a Guglielmo Bianchi dei Nobili di Vezzano confermalo al di lui figlio Rolando dati imperatore Federico //, Sarzana, tip. Lunense, 1893' Pur trascritto dal Registro stesso. Lo Sforza poi avverti ( La vendita di Portovenere e i primi Signori di Vezzano. in Giornale stor. e lett. d. Liguria. Ili, 355' che questo diploma esiste nell’originale presso i marchesi De Nobili di Spezia, ed ha « varianti notevoli ». 2) Sforza, Castruccio cit., p. 144. 3 ) Arch. Capitolare di Sarzana, Cod. Pelavicina,, c. 338. 4) Iv>. c. 443. (5) Il dip. è inserito nel doc. III. (6) Cod. Pelav. cit. c 343. (7) Arch. di Stato di Genova, Confinium. Paesi, n. 25. Doc. n. IL Xc ha dato il regesto FERRETTO, Codice dipi, d. retaz. fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante in Atti d. Soc. Lig. d. Stor. Pat., XXXI, Par. I, p. 306 sg. (8) E’ inserito nel doc. III. GIORNALE S TORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 37 I data a quei vassalli, e l'altro il diritto di pedaggio; or mentre nel secondo Aldobrandino, Alberto e Simone richiedono la conferma in nome proprio « et vice heredum q. Rolandini q. Gu-liermi », nel primo vengono espressamente nominati i consorti dei quali si presentano come procuratori, e fra essi « Bernutij q. Manuelis ». Vero è bensì che questo nome < Bernutii » dai trascrittori della pergamena originale fu letto « Tinutij », e da altri anche « Venutii », ma lasciando stare la ragione paleografica che agevolmente chiarisce come 1’ abbreviazione sia stata erroneamente sciolta in Ti o in Ve anziché in ber, abbiamo la prova della esistenza di questo Bernuccio del fu Emanuele de’ signori di Vezzano in due atti del 12 maggio 1320 rogati in Sarzana da Parente di Stupio, col primo dei quali Giacomino del fu Federico da Vezzano a nome suo e dei fratelli Alberto e Rollandino da una parte, e Bernucio del fu Manuele dall’ altra, anche a nome dei loro seguaci, fanno compromesso in Bernabò d’Oria, e Tomasino Spinola di Luculo, eleggendoli arbitri delle liti, omicidi, incendi e danni seguiti fra le parti; col secondo il detto Bernuccio costituisce Oppicino del fu Giovanni Conte da Chiavari si come suo procuratore, a prestare guerantigia per la osservanza del laudo che fossero per dare gli arbitri (1). Di più nel diploma di Carlo IV dato in Pietrasanta il 12 giugno 1355 ricorre fra i condomini vezzanesi il nome « Lutini q. Bernucij » al quale si conferma il possesso di Montedivalli, e la metà di ciò che gli spetta in Vezzano (2). Di qui apparisce manifesto che il Bernuccio generò un Lutino, il quale era già morto nel 1383, poiché in atto 5 settembre del notaro Bondiei si trovano nominati gli eredi c Dni Lutini », il che si ripete in altro istrumento del medesimo notaro in data 24 febbraio 1388 (3). E un de’ discendenti di costui ci vien rivelato dal notaro Cristoforo del fu Gi-liolo, il quale in carta di donazione 27 ottobre 1405, indica come confine * bona Bernutii q. Lutini » (4). Ma questo Bernuccio, che sarebbe nella serie il secondo, era morto innanzi al 1419, poiché Vannuccio del fu Giovannino detto Bajardo di Sarzana nel suo ( 11 Nel protocollo di Giovanni di Parente di Stupio, che si conserva nell’Archivio Notarile di Sarzana, manca un quadernetto che appunto contiene gli strumenti ricordati ; ma uno lo possiamo dare secondo una copia fatta trascrivere da Domenico Maria Bernucci e autenticata dal tribunale nel 1802 (Doc. II) ; dell’altro ci rimane il regesto nelle carte del Bernucci stesso. (2) Doc. η. III. Del presente diploma ci sono pervenute soltanto delle copie del sec. XVII. Esso riproduce con lievi varianti il dip. dello stesso Carlo IV dato pure a Pietrasanta « 2a idus junii » a favore dei Nobili di Vezzano ; ma aggiunge altri consorti in quello non nominati : ne esiste una copia autentica in pergamena del 1453 presso i De Nobili della Spezia. (3) Al tempo di Domenico Maria Bernucci gli atti di questo notaro si conservavano presso il notaro Antonio Del Bello di Vezzano. 1 4 i E’ prodotta nel Processo per la discendenza de’ Sig.ri Nobili in Atti di Pietro Maria Bacigalupo notaro genovese dell’anno 1665. 372 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA testamento, rogato da Ser Giovanni del fu Martino Lavachio di Portovenere il 3 gennaio di quell’anno, chiama eredi in parti uguali Domenico del fu Antonio, e Zachellino del fu Bernuccio di Vezzano fratelli uterini, e suoi figliastri (1). II Vannuccio, uomo assai facoltoso, istituì una cappellania nella chiesa di S. Andrea all’altare di S. Antonio, dove elesse perse e successori la sepoltura, investendone del patronato gli eredi suoi e i loro discendenti, affinchè avessero autorità di eleggere il cappellano, diritto che rimase costantemente nella famiglia Bernucci e da essa fu esercitato fino al secolo scorso. Il pingue patrimonio di cui veniva in possesso consigliò Zachellino a trasferire in Sarzana la sua stabile dimora, di che ci fanno testimonianza molti istrumenti; e quivi divenne ben presto dt’ maggiorenti della terra, di guisa che nel parlamento generale tenuto dagli uomini del comune il 22 nov. 1432 egli è fra gli Anziani (2). Nel 1439 ebbe ufficio di castellano e podestà dell’Ameglia (3); comparisce nel novembre del 1458 fra i consiglieri del comune, ed è nominato il 26 gennaio 1459 uno de’ sindaci revisori dei conti (4). Il 25 febbraio dell’anno stesso gli è affidato, con altri, l’incarico di trattare e comporre le differenze insorte fra gli uomini di Sarzana e quelli di Sarzanello e Castelnuovo, rinnovandogli nel-1’aprile l’incarico con più ampie facoltà mentre pur era nel novero degli anziani (5). Nel dicembre venne estratto anziano e lo vediamo subito nel successivo gennaio esercitare come Priore quel carico (6). E’ anzi notevole che venga in atto pubblico indicato così : « Iachellinum q. Domini Bernucii ex nobilibus de Vezano », designazione che già si trova nel 1433 in atto privato, là dove Zachellino comparisce come testimonio (7). (1) Da strumento dell’ 8 marzo 1372 rogato dal notaro Franchinello q. Vandi, nell’Arch. notarile di Sarzana, risulta che Vannuccio aveva allora in moglie donna Tubia figlia di Giovanni del fu Giacomo de’ Nobili di Trebiano; ma nel testamento, di cui Dom. Maria Bernucci dà un sunto, nomina Lucia sua moglie, la quale probabilmente deve essere la madre di Domenico e Zachellino, il primo avuto da un Antonio da Vezzano, il secondo dal Bernuccio, onde si dovrebbe credere che il Vannuccio fosse il terzo marito. (2) Atti di Pietro Figasecca, oggi perduti. (3) Arch. di Stato in Genova, Divers., Reg. n. 27, atto 19 giugno 1440 di Ser Antonio q. Andreolo da Villa dei Calandrini nella Biblioteca Civica di Sarzana risulta che era sempre in ufficio. (4) Arch. Com. di Sarzana, Liber Delib. 1457-1466, c. 84 e 87. (5) Ivi c. 92, 94, 95, 99, 107. (6) Ivi c. 113. (7) In procura 27 maggio 1433, che fa « Magister Leonardus filius q. M.ri Rizardi Cyruici de Mediolano et nunc familiaris et rechamator M.ei D.»· D.ni Thome de Campofregoso Sarzane Domini » al « prudentem Virum Mar-tinum filium q. M.ri Ambrosii de Mediolano eius patrem uterinum » interviene fra i testimoni « Zachellino Ser Bernutii de Nobilibus de Vezano ,>. Atto Figasecca veduto da Dom. Maria Bernucci . GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA 373 Sul principio di febbraio del 1460, quando stava per rompersi guerra fra Sarzana e il marchese di Fosdinovo, e si ordinavano a ciò le milizie venne eletto Zachellino « primus capitaneus », e sarebbe certo partito in guerra con i suoi tre figliuoli Domenico, Simone e Gio. Antonio anch’essi inscritti fra i soldati, se, per interposizione della repubblica di Firenze, non fosse stata conchiusa una tregua fra i contendenti (1). Sul cadere dell’anno stesso è fra gli otto designati alla nomina de’ pubblici ufficiali ; il 21 febbraio del 1461 viene eletto de’ quattro cittadini deputati a rifare l’estimo, l’anno successivo degli ufficiali di Sanità nel tempo della peste, poi de’ Soprastanti alla grascia ; si trova presente alla nomina dei procuratori per far tregua con il marchese Malaspina e gli uomini di Fosdinovo e Zuccano ; nel novembre del 1463 fa parte di nuovo degli otto deputati alla nomina delle cariche comunali (2). E’ colpito il 3 luglio 1464 da una domestica sventura ; gli muore la moglie Isabetta che viene sepolta in S. Andrea presso l’altare di S. Antonio giu-spatronato della famiglia (3): lo troviamo Priore degli Anziani nel 1465, e del pari eletto anziano due anni dopo, ufficio al quale dovette rinunziare per infermità (4). Intanto avveniva la vendita di Sarzana fatta dai Fregoso alla Repubblica di Firenze, e Zachellino fu degli Otto Sindaci che il 26 febbraio 1468 firmarono le nuove convenzioni con i fiorentini; quindi avendo il Comune nominato Antonio Maria Parentucelli e Conte de Mer-cadanti ambasciatori a quella repubblica, e deputata una commissione a fornir loro le necessarie istruzioni, venne egli chia- (1) Intorno a questo episodio di storia sarzanese, esposto dal Branchi, Storia d. Lunig. cit., III, 558 sgg., desumendolo dalle carte dell’ archivio di Firenze, e dalla narrazione di Bonaventura de’ Rossi nelle sue storie mss., esistono curiosi documenti. nel Liber Delib. cit. del comune di Sarzana c. 112 sgg. che crediamo utile riferire (cfr. Doc. V) poiché gran parte v’ ebbe il Bernucci. (2) Arch. di Sarzana, Liber Delib. cit., c. 125, 130, 156, 177 — Arch. Notarile, Atti di Giovanni Carzola, 7 dicembre 1462. (3) Libro antico doi defunti neH’Arch. Capitolare di Sarzana. — La istituzione della cappella di S. Antonio, come abbiamo detto, è dovuta a Yan-nuccio sopra ricordato, in forza del suo testamento 3 gennaio 1419, nel quale determina altresì il luogo della sua sepultura, che dovrà essere pure de’ suoi eredi, « ante et juxta dictum Altare » di S. Antonio. Infatti vedesi quivi anche oggi. Era decorata dello stemma gentilizio e di una iscrizione, ma l’uno e l’altra vennero guasti dallo scalpello dei democratici del 1797, di guisa che 1’ impresa è al tutto cancellata, e 1’ iscrizione illegibile ; da quanto tuttavia se ne può capire sembra vi fosse apposta da Domenico Maria al cadere del sec. XVIII innanzi ai mutamenti politici. Più tardi, certo a correggere sì fatta obliterazione, vi fu incastrata sotto un’ altra lastra di marmo con le parole seguenti : « Sepulcrum hoc | ab Iaquellino Bernucci | Es nobilibus de Vezano | obtentum | An. MCCCCXIX ». (4) Arch. cit., Liber Delib cit., c. 223; Liber Delib. 1466-1472,0.27. 374 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mato a farne parte (i). E’ ancora menzione di lui ne’ libri comunali degli anni 1469 e 1471, sempre in ufficio di priore degli anziani (2); poi non ricorre più il suo nome: la tarda età lo aveva forse costretto a ritirarsi dalla pubblica amministrazione, chè era pur sempre in vita, secondo apparisce da istrumento riguardante la cappella di S. Antonio, nel novembre del 1476 (3). Parecchi figli rimasero di lui, ma due soltanto fermano la nostra attenzione, come quelli che ne seguitarono la discendenza. Notiamo soltanto di passata che tra le femmine ebbe Maria, moglie nel 1466 di Antonio Ivani chiaro umanista sarzanese (4). Simone, che troviamo inscritto fra gli uomini atti alle armi nelle deliberazioni comunali del 5 febbraio 1460, secondo è detto innanzi, fu padre di Stefano, il quale fece il suo testamento il 5 maggio del 1520(5), con un codicillo in data 7 ottobre, e morì forse poco dopo lasciando in età pupillare Agostino unico suo figliuolo. E’ notevole che in quest’ atto di sua ultima volontà nell’ istituire erede universale Agostino, aggiunge una clausola eventuale, da noi già riferita, a favore dei Fregoso; donde è lecito inferire che gli immobili ch'ei voleva ritornassero a quella famiglia, fossero venuti in suo possesso per largizione dei Fregoso, sia a lui personalmente o ad alcuno de’ suoi antenati ; certo comechessia in compenso di servigi resi a quella potente famiglia genovese. Ma la riferita disposizione testamentaria non ebbe effetto, poiché Agostino lasciò prole, sebbene con lui cessasse il ramo di sua famiglia onde fu generato, privo essendo di discendenza maschile. Se poco, quasi che nulla oltre il nome, sappiamo di Stefano, notizie assai larghe ci sono rimaste del figlio Agostino, le quali vennero da noi raccolte nella monografia precedente. Come abbiamo accennato non ebbe figli maschi, ma soltanto quattro femmine che entrarono tutte in nobili famiglie sarzanesi, i Ricca, gli Ivani, i Calani, i Landinelli; Emilia si maritò con Orazio Landinelli, fu madre di Ippolito canonico del Capitolo sarzanese, ed istorico della patria; di Vincenzo vescovo di Albenga ; del-l’Elena, la quale sposato Pier Antonio Casoni generò Filippo vescovo di S. Donnino, Niccolò conte di Villanova donde discesero i cardinali di questa casata, ed Elisabetta moglie del giureconsulto Giacomo Favoriti, e madre di Agostino, prelato, segretario dei Brevi, critico e poeta latino (6). (1) Arch. cit., Liber Delib. cit., c. 33 ; Registro vecchio, c. 52. (2) Ivi, Liber. Delib. cit., c. 8b, 188. (3) Arch. Notarile, Atti di Gio. Frediano Griffi, 28 novembre 1476. (4) Ivi, Atti del Carzola cit., 23 settembre 1466. Sull’ Ivani cfr. lo studio del Braggio in Giornale Ligustico, XII e XIII. (5) Ivi, Atti di Ser Pellegrino de Medici. (6 Cfr. la biogr. del Favoriti in Giornale Ligustico, IV. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 375 Spento così con Agostino il ramo di Simone figliuolo di Zachellino, la discendenza di questi venne seguitata dall’ altro figlio Domenico già innanzi nominato, come inscritto nel 1460 fra i cittadini atti alle armi. Viene eletto il 12 dicembre 1466 dei rilevatori del Comune, il 26 febbraio 1468 uno de’ Sindaci per le convenzioni fra il Comune e Firenze, e il 29 gli è commesso con altri di accompagnare a cavallo gli ambasciatori sarzanesi mandati a quella repubblica; il i° aprile lo troviamo fra gli anziani, e il 12 luglio 1469 in ufficio di razionale (1). Egli ebbe da Isabella di Ser Nicolò Galvani di Carrara Gio. Antonio, al quale, dal suo matrimonio con Perfetta Petriccioli di Lerici, nacque Domenico, e 'da questi, unitosi a Domenica Meniconi, Giovanni Antonio che sposò Polissena Corbinelli di Carrara, dando vita a Claudio, il quale fu anziano nel 1588 e nel 1598, quindi Priore negli anni 1617 e 1621 (2). Dalla seconda moglie Eleonora Petriccioli (la prima fu Lucrezia Monterossi) ebbe Giovanni Antonio, nove volte anziano nel trentennio che corre dal 1626 al 1656, camerlengo dell’ Opera di S. Maria « homo ricco e di molta integrità » (3); Giovanni Brenuccio deceduto probabilmente in tenera età, e Domenico, uomo di santa vita del quale diamo un cenno biografico. Nato il 9 aprile 1594 passò la prima giovinezza nelle vanità e nella sfrenata licenza; ma presto pentito si diede al servizio divino. Prese gli ordini e fu eletto cappellano della Cappella di S. Antonio, le cui rendite egli impiegò in opere di beneficenza. Condusse una vita piena di privazioni, in continue pratiche di pietà, macerandosi con discipline e cilici. Ebbe visioni celestiali, in ispecie della Vergine, cui professava un culto straordinario, e si narra che allorquando si alzava nella notte a recitare il mattutino, usciva dal volto della sacra imagine, onde era adorna la sua camera, un così vivo splendore che fu più volte creduto fosse ivi scoppiato un incendio. A lui ricorrevano i derelitti per domandar grazie al Signore, e lo si teneva dotato di profetico spirito. Quando morì il 25 gennaio del 1668 venne ritenuto dai sarzanesi in concetto di santo; accorsero in folla alla sua casa a visitarne la salma, e fu così grande la ressa che il governatore dovette mandarvi la guardia, anche per impedire che i visitatori, trascinati da soverchio zelo religioso, non lo spogliassero degli indumenti per tenerli come preziose reliquie. Venne da prima sepolto nella cappella del SSm0 Crocifisso della Cattedrale, nella tomba della famiglia Cattani, secondo il desiderio da lui espresso in fin di vita ; ma quando il giuspatronato di quella (1) Arch. cit., Liber. Delib. cit., c. 11, 33, 38 ; Registro vecchio, c. 52 ; Introitus Cotnums, c. 6. (2) Ivi Lib. Delib. ad annum. (3Ί Lib. Delib. cit.; Arch. di Stato di Genova, Lctt. al Senato, fil. 36g, 18 aprile 1646. 376 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cappella passò il 1719 nel Cardinale Lorenzo Casoni, fu riposto nella cassa già servita per il trasporto dalla Sardegna dei corpi de’ Santi Marino e compagni martiri, e portato nella sagrestia degli argenti ; quivi rimase fino a che, dopo parecchi anni, venne posto in cassetta di piombo nella cappella della Purificazione, dove ora si trova, con la seguente iscrizione : D. Ο. M. Dominico. Bernuccio. Patritio. Sarzanensi. annos. nato, lxxiv. Morum. Suavitate. Integritate. Constantia. Preclaro. Virginis. Matris. Amantissimo. Divino. Saepe. Fulgore. Superumq. Aspectu. Illustrato Obiit. anno, mdclxviij. Die. xxv. Januarij Claud. Fran. Bernuccius. ex. abnepote. Fil. P. Giovanni Antonio sposò Chiara Parentucelli, della famiglia resa celebre da Niccolò V, e da essi nacque Agostino Bernuccio, il quale da Chiara Stasi sua prima moglie ebbe Claudio Francesco anziano nel 1685 (1), mancato ai vivi lasciando, dal suo matrimonio con Chiara Ferrarmi, due figli: Agostino ecclesiastico e Giovanni Antonio anziano nel 1720, 1722 e 1725 (2) Da lui e da Isabella Baracchini discese Claudio Francesco nato nel 1716. Rimasto orfano a quindici anni, prese cura della sua educazione 1’ abate Agostino suo zio, che lo allogò nel collegio Cicognini di Prato, dove si trattenne otto anni; dopo dei quali passò a terminare gli studi nel non men nobile e celebrato collegio Tolomei di Siena. Tornato in patria nel 1741 istruito nella filosofia e nelle arti cavalleresche, secondo il costume dei tempi, ben presto fu impiegato nelle pubbliche magistrature, e quasi subito ebbe ufficio di anziano, e poi di priore. Nè i cittadini dovettero lagnarsi della loro scelta, poiché egli rispose pienamente alla fiducia accordatagli, dando prova manifesta di quel disinteressato amor patrio, donde deriva il véro utile del paese. Se non che a sostenere i pubblici uffici non basta spertezza di mente e copia di sapere, ma vuoisi altresì animo nobile ed invitto, disposto a servire coraggiosamente la patria nelle difficili circostanze, in cui può anco inopinatamente trovarsi. E l’ora della prova anche pel nostro Bernucci non tardò a giungere. Erano quegli anni fortunosi, in cui Genova, levatasi in armi aveva cacciati gli austro-sardi, che sbigottiti dall improvviso ardimento, ne andarono fuggiaschi pei limitrofi paesi. Un tremlia tedeschi s’erano impadroniti della sguernita Sarzana occupanti) Lib. Delib. cil. — 2) Ivi. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 377 done la cittadella, e davano indizio di volervisi afforzare; intanto taglieggiavano con ogni maniera di soprusi i cittadini impotenti alla difesa. Il soprastante forte di Sarzanello rimaneva tuttavia in mano dei Liguri, ed era comandato da Paolo Petralba: quivi al sopravvenire dei nemici avea trovato sicuro ricovero colla sua famiglia Gio. Benedetto Pareto commissario della Città. Vide l’esperto Petralba come fosse di somma importanza lo snidare al più presto gli Alemanni, affinchè fortificati e soccorsi non potessero tentare, con speranza di riuscita, l'impresa del forte. Ma le poche milizie delle quali disponeva non gli consentivano di farsi assalitore, perciò, procacciatisi alcuni aiuti e dal forte S. Maria nel golfo della Spezia e dalle castella circonvicine, ai 17 dicembre, sette giorni dopo 1 eroico fatto di Portoria si dette a bersagliare colle artiglierie la città, facendo intendere agli anneghititi Sarzanesi come dovessero adoperarsi a cacciare i tedeschi, se non volevano soggiacere a danni più gravi. La cittadinanza fu tutta in iscompiglio, e gli anziani incontanente si portarono dai generali tedeschi per avvisare ai modi più acconci di allontanare dalla patria tanto e sì imminente pericolo. Ben vedevano i nemici la difficoltà di mantenersi in quel luogo, tanto più che i regolari ed irregolari accorsi in aiuto di Petralba crescevano ogni dì, già avevano occupate tutte le alture, e si erano asseragliati nel borgo di Sarzanello, distrutto poi l’anno successivo per ragioni strategiche: inoltre mancavano di artiglierie grosse adatte a battere la fortezza. Deliberarono adunque insieme cogli anziani di deputare un nobile, che in ufficio di parlamentario fosse andato da Petralba a sentire le sue intenzioni, e avesse quindi servito di mediatore fra i belligeranti. Ma qui sorgeva una nuova difficoltà ; chi avrebbe assunto sì delicato incarico? Tutti i nobili ufficiati avevano opposto un assoluto diniego, il Bernucci solo volonteroso accettò. Si pose egli subitamente in cammino preceduto da un tamburo tedesco ed accompagnato da un traghetta (messo) del comune e da un suo servitore in livrea. Attraversò senza ostacoli i tedeschi accampati fuori le mura; ma giunto a piedi del colle, appena fu scoperto dalle compagnie irregolari delle castella, quei soldati raccogliticci, ignari delle usanze di guerra, gli spararono contro alcuni colpi di fucile che venturosamente andarono a vuoto, sebbene il Bernucci ed i suoi sentissero fischiare le palle molto vicine alle loro orecchie. Cercava egli di farsi riconoscere in qualità di parlamentario, ma indarno ; quando tratto al rumore il tenente Poggi fece subito cessare il fuoco, castigando severamente le male avvedute sentinelle, e pregò il Bernucci ad andare innanzi con sicurezza. In questa guisa iniziate le pratiche per gli accordi, tutta quella notte, accomodato all’uopo di un buon cavallo, dovette più volte recarsi dalla città al forte Ed ecco in qual guisa egli riuscì, non senza suo grave pericolo, a concludere quellacapitolazione firmata ai 18 dicembre, per la 378 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA quale i tedeschi furono costretti ad abbandonare Sarzana ed il territorio della Repubblica. Gli storici, pur accennando il fatto, tacciono di questo valente cittadino, al quale è dovuta quella lode che giova a vendicarlo dalla immeritata dimenticanza (i). Chi conosce i costumi del secolo passato, non farà certo le meraviglie se diremo che nella gioventù, anzi fino a buon tratto della sua virilità, il Bernucci si mostrò un po' troppo dedito al donneare, e fu piuttosto spendereccio. Una giovane e bella popolana di nome Teresa fermò per maggior tempo il suo affetto, e da lei ebbe un figlio; ma invece di abbandonarlo, come in generale avveniva, non gli dispiacque portasse il suo casato, e lo mandò ad educare a Prato, dove ebbe modo d’imparare la musica da teatro per la quale si sentiva da natura inclinato. Egli è quel Giovanni Bernucci di cui s’incontrano frequenti ricordi nei giornali dell’ ultimo trentennio del settecento, ed il cui nome venne in maggior grido quando si strinse in matrimonio colla distintissima cantante Anna Davya, colla quale passò al servizio della imperatrice delle Russie. Egli era stato bandito dalla Toscana non so per qual «.agione, quando nel dicembre del 1787 fu chiamata la Davya a cantare nel teatro di Firenze; ma essa non volle accettare senza la compagnia del marito ; il che riferito al Granduca, che molto la gradiva, e vedendo come non poteva averla altrimenti, dopo essersi alquanto alterato, disse che se gli fosse presentato un memoriale avrebbe concessa la grazia; come difatti avvenne. I pregiudizi di casta ed altre ragioni di famiglia impedirono a Claudio di sposare la donna amata, alla quale tuttavia procacciò un buon accasamento; ed egli toccando ormai al suo quarantesimo anno tolse in moglie Nicoletta, figlia del conte Girolamo Gnecco di Nervi. Da questo punto incomincia pel Bernucci una nuova vita, poiché era entrata nella famiglia quella che poteva dirsene a buon diritto la restauratrice. Donna amorosa, prudente, saggia e di molto giudizio, seppe ricondurre il marito, coi modi più squisiti ed amorevoli, sopra una via più tranquilla ed economica ; di guisa che ridusse al pareggio il bilancio domestico, facendo rifiorire, una casa alquanto abbattuta. Continuò il marito nei pubblici uffici, ai quali venne sempre chiamato dai suoi concittadini ; poiché lo conoscevano per molte prove amante della patria, di carattere leale e aperto, e di somma onestà ; della qual fiducia egli si mostrò meritevole, esercitando le cariche del comune (dal 1752 al 1786 fu per ben otto volte anziano) con prudenza, attività, disinteresse, « senza rispetti umani e senza ricever regali e far mangerie, costumanza da molti vergognosa- (l) ACCI NELLI, Compendio delle storie di Genova, Genova, Frugoni, 1851; II, 99 sgg. — Storia di Genova dal trattato di Worms fino alla pace d' Aquis-grana [di Gian Francesco D’Oria]. Leida Modena . 1750, p. 205 sgg. giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA 379 mente esercitata, e da tutti i buoni abborrita e biasimata ». Cosi condusse la sua vita fino all’anno 1789, in cui sull’entrare del 14 maggio spirò con grande rassegnazione, in mezzo al compianto dei suoi e di tutta la cittadinanza. Gli furono resi onori funebri degni della sua condizione e della stima che aveva saputo procacciarsi ; quindi il suo corpo venne deposto nella sepoltura gentilizia in S. Andrea (1). Ebbe quattro figli, Domenico Maria nato il 25 maggio 1758 e morto il 4 aprile 1819, Luigi Gio. Antonio, Gio. Antonio, e Stefano Gio. Batta. Domenico Maria, che sposò Chiara Maria Ferrari di Varese Ligure, la sorella della nota Luigia Pallavicini celebrata dal Foscolo, e morì senza prole, merita particolare ricordo per gli uffici sostenuti e le scritture lasciate. Infatti fu anziano nel 1790 e 1793; indi Priore l’anno 1797 in cui avvennero i mutamenti politici della Repubblica di Genova. Divenne allora Presidente dell’Amministrazione Municipale, e in questa carica rimase nel 1798-99. Quando poi, dopo il blocco di Genova, nell’ assetto del governo si formulò una nuova costituzione e Sarzana divenne capo cantone, egli fu eletto a presiedere la Municipalità. Annessa la Liguria alla Francia fece parte della commissione deputata a presentarsi in Genova all’ Imperatore Napoleone, e costituito il dipartimento degli Appennini fu chiamato fra i membri del Consiglio generale. Nel 1808 nominato Maire della città natale stette in ufficio sino al 1814, e caduto il regime francese, allorquando lord Bentinck fece risorgere l’effimera repubblica genovese, entrò nel Gran Consiglio, avendo in patria mutato Γ appellativo di maire con quello di Capo Anziano. Fin da giovane si diede alla ricerca degli antichi documenti di storia patria, tenendo nota di quanto gli occorreva di qualche interesse. Furono in ispecie fortunate le sue indagini intorno alla famiglia Buonaparte, sulla quale compilò una dissertazione assai pregevole, rimasta inedita, ma sfruttata da più scrittori. Dettò alcune altre brevi monografie storiche a lustro e beneficio della patria, anch’esse manoscritte. A chiarire l’origine della sua famiglia s’era proposto di scrivere uno speciale lavoro intitolato: Memorie isterico-genealogiche della Consorteria dei Nobili, 0 Signori di Vezzano, per il quale aveva raccolto copiosissimi materiali e incominciata anche la esposizione. Sono carte da tenere in buon conto, non solo per le molte notizie che porgono, e per un considerevole numero di documenti o copiati per intero 0 prodotti in sunto, ma ancora perchè invano si cercherebbero oggi alcuni degli originali donde vennero tratti. Come ho già avvertito mi hanno servito di guida in questa illustrazione genealogica. Alla quale tornando è a dire come resosi eccelsiastico Gio. ( I Le notizie che ci hanno servito a dettare questo cenno biografico sono desunte dalla Misceli. Ms. C. Vili. 25 della Biblioteca Universitaria di Genova. 380 GIORNALE STORICO E LETTERA RIO DELLA LIGURIA Antonio e divenuto canonico della cattedrale, ai fratelli Luigi e Stefano rimase il compito di seguitare la famiglia. Il primo, che fu Maire di Sarzana negli anni 1807 e 1808, ebbe da Marianna Ollandini un solo figlio, cui impose i nomi di Agostino Domenico Felice, e questi sposatosi con Isabella Malaspina dei marchesi di Fosdinovo, procreò, oltre a quattro femmine (una delle quali, Antonietta, fu moglie del barone Giuseppe Poerio), un maschio, Giuseppe Luigi, morto improvvisamente in giovane età, e perciò questo ramo si spense ; mentre invece quello discendente da Stefano conservò viva la progenie. Infatti dal matrimonio di lui con Maria Rosa Machiavelli uscirono, lasciando stare le cinque femmine, Domenico Maria e Claudio Francesco. L’ uno ammogliatosi con Emilia Menichinelli Zucchi, diede vita a Guglielmo, morto nel fiore di giovinezza, e a Carlo vivente che da Giuseppina Martelli nobile pisana ebbe due femmine ed un maschio, Guglielmo; l’altro, or defunto, segretario del patrio comune, sposò Rosa Rossi vivente con dieci figli Corrado, Alberto, Grimaldo, Luigi Alfonso, Stefano e cinque femmine. DOCUMENTI. i. In nomine domini amen Nos Rollandinus quondam Guidonis de Dona. Guido quondam Vgolini Bonioni. Manuel quondam domini Rollandini. Rollandinus quondam domini Opecini nomine nostro et nomine Lanfranchini quondam domini Rollandini. et Guillelmi quondam domini Vgolini et Sa-ladini quondam domini Opecini et Semidei quondam domini Comitis quorum procuratores sumus secundum formam Instrumenti inde facti manu Mastracij notarii Anno natiuitatis domnii Mcclxxlij die viiij Junij. Oddo de Falcinello quondam Guillelmi Lombardelli nomine meo et nomine Symone filie quondam domini Attolini de vezano cuius procurator sum secundum formam Instrumenti inde facti manu Alberti de Illice notarij Anno natiuitatis domini Mcclxxlij die viiij Junii. Opecinus quondam Bertoldi meo proprio nomine et nos dicti Guido et Manuel nomine Rollandini quondam domini Guillelmi de Grimaldo et nomine frederici quondam domini Raimundini et nomine Gualteroti quondam domini vgolini fratris dicti frederici. et pro quibus Rollandino. Frederico et Gualteroto promittimus vobis dominis Capitaneis co-munis et populi infrascriptis recipientibus nomine et vice comunis Janue nos facturos et curaturos ita quod (omnia) et singula infrascripta habebunt perpetuo rata et firma et attendent, complebunt et obseruabunt nec in aliquo contrafacient. et quod predicta omnia infrascripta ratifficilbunt et approbabunt per publicum instrumentum infra sex menses, et de predictis se obligabunt versus comune Janue sub obligatione bonorum nostrorum. Et Ego dictus F.ollandinus quondam Guidonis nomine petri quondam ferranti et nomine Manuelis et fratris filiorum quondam Engarami de caro et nomine Balduini GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 38 I quondam Paganelli et Ego dictus Guido quondam Vgolini nomine Magistri Iacobi de vezano habentis jura Marrueli Muscoioni pro quibus petro, raa-nuelo et fratre Ego dictus Rollandinus et pro quo Magistro lacobo Ego dictus Guido promittimus vobis dictis Capitaneis recipientibus dictis nominibus nos facturos et curaturos ita quod omnia et singula infrascripta perpetuo habebunt rata et firma et attendent, complebunt et obseruabunt et ipsa ra-tifficabunt at approbabunt per publicum instrumentum infra sex menses et inde se obligabunt versus comune Ianue nec in aliquo contrafacient sub ypo-theca et obligatione omnium bonorum nostrorum. Domini de vezano pro partibus et iuribus nobis competentibus et predictis hominibus in vezano et in territorio vezani et jurisdictione iuribus et pertinentiis ipsius pro nobis et predictis et quolibet predictorum et heredibus meis, promittimus vobis dictis dominis Oberto Spinole et Oberto Auric capitaneis comunis et populi Januensis recipientibus nomine et via ipsi comunis et populi, quod Janue compa-gnam que modo et pro tempore fuerit Intrabimus et eam Jurabimus quan-documque et quociescunque a vobis et successoribus vestris in officio et regimine Ciuitatis per litteras vel per nuncium fuerimus requisiti. Et ex nunc ipsam Compagnam intramus et Juramus, hoc sane intellecto quod homines vezani non cogantur nec debeant venire Januam ad racionem faciendam pro aliquo debito quod deberent ante tempus carente Millesimo ducentesimo vigesimo tercio aliqui Januensi vel de districtu Janue. Consules vero vel potestatem eligere et procreare debemus sicut solitum est. qui causas vertentes inter homines nostros audire debeant et diffinire et eos distringere tanquam homines nostros hoc saluo quod liceat hominibus de Compagna Janue a sen-tenciis latis ab ipsis Consulibus uel potestate contra eos uel aliquem ipsorum appelare ante eum vel eos de dominis de vezano qui a comuni Janue electi fuerint et constituti ad audiendas causas appelacionum ipsorum, et qui teneantur bona fide raciones utriusque partis audire et secundum 'iuris ordinem diffinire. Cuius uel quorum sentenciam per homines nostros qui ante eos ap-pelabunt faciemus obseruari. non obstante ea sententia que prius lata fuerit ab ipsis Consulibus uel potestate a nobis electis uel eligendis. In exercitibus et caualcatis comunis Ianue ire et stare debemus nos et homines nostri sicut alii homines de compagna Ianue in ordinacione bominorum Capitaneorum. Consulum, potestatis alioruinque Rectorum Ciuitatis Janue qui modo sunt et pro tempore fuerint quociescunque et quandocunque ab ipsis per litteras uel per nuncium fuerimus requisiti videlicet per totum lunensem episcopatum et de inde usque ad portum veneris et usque Coruariam. Bozolum et Cazanam ad nostras expensas, extra uero ipsum Episcopatum et confinia predictorum locorum ad expensas comunis Ianue. scilicet ad restauracionem comunis Ianue de armis perditis in bello et equis mortuis et magagnatis secundum quod dampnum poterit passus sufficienter ostendere, quod in utroque capitulo, videlicet tam infra Episcopatum lunensem quam extra intelligatur. Castra omnia que habemus et specialiter Castrum Vezani guarnita et disguarnita in virtute 382 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Comunis Ianue pro suis factis et negociis trademus et deliberemus quocies-cunque et quandocunque a dominis capitaneis. potestate et consulibus seu Rectoribus ciuitatis Janue qui modo sunt et prò tempore fuerint fuerimus requisiti per litteras uel per nuncium. scilicet guerra finita et facto sedato, comune Janue debet in potestate nostra ipsa castra redducere et consignare. Castra uero et Burgum et homines portusueneris in personis et bonis ipsorum promittimus vobis pro comuni Janue et ipsis Comuni saluare. mantenere et defendere contra omnes personas et ipsis auxilium et succursum prestare in ordinacione dominorum Capitaneorum. potestatis, consulum uel Rectorum Ciuitatis Janue qui modo sunt uel pro tempore fuerint aut quociens audiemus quod indigeant nostro auxilio uel succursu uel a Castelanis et potestati ipsius loci qui pro tempore fuerint per litteras uel per nuncium admoniti erimus. Et si sciuerimus uel audiuerimus quod aliquis operetur malum uel prodicio-nem quod absit ipsorum castrorum uel alicuius ipsorum bona fide et sine fraude disturbare studebimus, et ad noticiam dominorum Capitaneorum. potestatis. consulum uel Rectorum Ciuitatis Janue et Castellaneorum. et potestatis ipsorum castrorum faciemus quam cicius poterimus peruenire. Illud idem promittimus attendere et obseruare pro castris coruarie. Bozoli et Cazane. Insuper omnes homines Janue et de districtu Janue in toto posse nostro et districtu et ubique in personis et rebus promittimus saluare et custodire et pro posse ab omnibus defensare, stratas quoque comunis Janue maris et terre et transeuntes per ipsas in personis et rebus in eundo, stando et reddeundo promittimus saluare et custodire nec in eis aliquod impedimentum prestare. Et nos predicti domini de Vezano pro nobis et predictis et quolibet ipsorum tactis sacrosanctis dei euangeliis Juramus predicta omnia et singula attendere, complere et obseruare. et ut supra attendi, compleri et obseruari facere et non contrauenire bona fide et sine fraude, et Insuper Iuramus Compagnam Janue et Juramentum compagne secundum quod in breui ipsius compagne continetur, et fidelitatem Juramus comuni Janue. et hoc fecimus sequentes Conuencionem et promissionem per predecessores nostros factam comuni Janue tempore potestatie domini Andalo olim potestatis Janue. pro qua conuentione ipsi predecessores nostri habuerunt et receperunt a comuni Janue libras Septingentas Janue ut in dicta conuencione continetur, et pro feudis et beneficiis que a comuni Janue habuimus et habemus et nos habituros speramus pro-pterea volumus esse perpetuo fideles. Obedientes et deuoti comuni et populo Januensi. Actum Janue in palacio olim Alberti de fiisco quo habitat dominus Capitaneus Spinula in consilio ancianorum. presentibus testibus vocatis et rogatis Bonifacio de Nigro. Bartholomeo de fontemaroso notario et loisio caluo de porta notario. Anno dominice natiuitatis millesimo ducentesimo, septuagesimo. tercio indictione XV die ueneri. vicesima tercia Junij inter terciam et nonam. Ego Marinus de Monterosato Notarius Rogatus Scripsi. giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA 383 ir. Die XII Maij MCCCXX .Beì-nucius q. D.ni Manuelis de Vezano fecit, constituit, et ordinanti Oppecinum q. lohannis comitis de Clavaro licet absentem siuun procuratorem, actorem et nuncium specialem ad dandum fideius-sores unum, et plures D.nis Bernabovi de Auria, et Tomayno Spinulae de Luchulo de Ianua arbitris, et arbitratoribus in questione, que est inter ipsum Bernucium, et suos sequaces ex parte una, et Iacominum, et fratres ejtis q. D.ni Frederici de Vezano, eorumque sequaces ex altera de observando, et observari faciendo omne laudum, preceptum, sententia, seu arbitrium ferendum per ipsos arbitros inter ipsas partes, et fideiussores indem-pnes conservandum, et generaliter ad omnia alia, et singula faciendum, que in predictis, et circa predicta fuerint opportuna, ( t que verus, et legitimus procurator facere posset, seu ipse constituens si presens esset. Dans, et concedens dicto suo procuratori in predictis, et circa predicta plenum, liberum, et generale mandatum. Promittendo sub obligatione bonorum suorum firma, et rata habere perpetuo queeunque per ipsum suum procuratorem in pre-dictis, et circa predicta facta fuerint, seu con gesta. Actura in districtu Sarzane in ecclesia S. Francischi Ordinis Minorum presentibus Dominis Tomasino, et Iohanne Iudicibus, Iohanne D.ni Rubei, Galeatio Segnutii, et Calandro Portonarii testibus ad hec rogatis, et vocatis. III. In Nomine Sancte, et Individue Trinitatis feliciter Amen. Karolus quartus Divina favente clementia Romanorum Imperator semper Augustus, et Bohemie Rex Nobili Nicolao olim Iacobi de Vezano suo, et Sacri Romani Imperii Fideli dilecto gratiam suam et omne bonum. Imperialis clementie dignitas tunc vere laudis titulis sublimatur, et eminenti decore perfulget, cum Fidelium, et Devotorum suorum Devotionem et Fidem clementer attendit, et eisdem sua liberalitate renovando confirmat que a suis Predeces-soribus juste sibi collata videntur, cum in observandis gratiis, et beneficiis non minus quam Largiendis Laus Imperialis Dignitatis accrescat : Nam dum erga Fideles, et Devotos suos Imperialis benignitatis claritas illucescit, et demonstrat claris effectibus opera Largitatis, tunc Fideles, et Devoti in constantiam Devotionem et Fidem ferventius accenduntur, et ad obsequendum Imperatorie Majestati se offerunt promptiores. Sane supplicatio pro parte Tua Majestati Nostre porrecta Tuo nomine, et ut procuratorio nomine Iacobi, et Frederighi fratrum, et filiorum q.»' Balduini q.m d.‘ Iacobi, Lutini q.ln Bernucii, Dominici q.<" Peroni, Andree q.m Francischini, et Iacobi ejus Nepotis, et filii Frederici, Dinelli q.'" Guillehnucii, Martelli q.m Guidonis, et Morucii q.m Gulielmi nobilium de Vezano, continebat quod pro te, et Heeredibus tuis, nec non pro lacobo, et Frederico fratribus, et filiis q.1" Balduini q.»' Iacobi, et filiis, el heredibus ipsorum de toto 384 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Castro Ponzani cum districtibus, et pertinentiis suis, de quarta parte, ac sexta parte unius quinte partis totius luris, et Dominationis Vezani, ac Iurisdictionis, districtuum, et pertinentiarum suarum, ac etiam Γβ pro te, tuisque heredibus, et pro Iacoho, et Frederico predictis, nec non pro Dinello, Martello, et Morucio antedictis, et pro eorum filiis, et heredibus de Bevelino, et Pulveraria cum juribus, jurisdictionibus, et pertinentiis suis," ac etiam Te ut procuratorem, et procuratorio nomine Lutini q.m Ber-nucii predicti de Monte de Vagi cum juribus, jurisdictionibus, et pertinentiis suis, et de medietate totius juris, et Dominationis Vezani, ac jurisdictionis, districtuum, et pertinentiarum suarum, et etiam Te ut procurator procuratorio nomine Dominici Peroni pedicti de quarta parte, ac sexta unius quinte partis totius juris, et Dominationis Vezani, ac jurisdictionis, districtuum, et pertinentiarum suarum, et Te, ut procurabor, et procuratorio nomine Andree q.m Francischini, et Iacobi ejus nepotis predictorum de Castro Carpine cum juribus, jurisdictionibus, et pertinentiis suis, que, quas, seu quos a Sacro Romano Imperio tenetis, et possidetis, ac Dicti quorum es procurator tenent, et possident, dignaremur de speciali gratia investire, nec non universa, et singula privilegia per Divos Romanos Imperatores, et Reges predecessores nostros Progenitoribus tuis, et quorum es procurator super quibuscunque Terris, Castris, Villis, Fortalitiis, Territoriis, ac Districtibus, possessionibus, bonis, et Feudis, libertatibus, immunitatibus, gratiis, et induitis concessa, et largita approbare, ratificare, et innovare, ac denuo ea omnia cum immunitate plenaria, ac Te dictis nominibns, et tuos, et heredum eorum, ac filiorum, nec non Castra, et bona predicta presentia, et futura in nostram, et Sacri Romani Imperii protectionem recipimus, et tutelam concedere, et largiri de speciali Gratia dignaremur, et specialiter, ac nominatim Privilegium a Divis Frederico Primo, et Frederico Secondo, ac etiam Henrico avo nostro carissimo Romanis Regibus, et Imperatoribus predecessoribus nostris concessum, et innovatum coram Majestate nostra productum, et aliquorum sapientium nostrorum subjectum examini, cujus quidem Privilegii tenor, et forma sequitur in hec verba, videlicet. Henricus Dei gratia Romanorum Rex semper Augustus universis Sacri Romani Imperii Fidelibus présentes literas inspecturis gratiam suam, et omne bonum. Accedentes ad nostre Majestatis presentiam Nobiles, et Prudentes Viri Aldebrandinus Iudex, Albertus q.m Frederici, et Simon q.m Guidonis de Vezano suo, et procuratorio nomine aliorum consortum suorum, videlicet Gualterotti q.m Calandrini, Guiducii q.m Gulielmi, Antonii ejus filii, Comitis qm. Aldebrandini, Iacobi q.m Frederici, Bernuccii q.m Manuelis, Nicolucii q.m Saladini, Pauli q.m Rollandini, Comitis q.»' Thonmsii, Egidii ejus fratris, Guallani q.m Scioli, Hugolini q.m Frascherii, Guelfuccii. q.m Grimaldini, Bertolini q.m Dini, Frediani q.m Henrici, Francisci ejus fratris, Rollandini q.1" Saladini, Lucheti Maraboti, Branchete de Carpena, Bonacursii de Bevelino, et Dominici Maraboti Fidelium nostrorum nobis humiliter supplicaverunt quatenus Privilegium Dive recordationis Frederici Imperatoris Romani pre- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 385 decessoris nostri confirmatum per Dive recordationis Federicum Secundum Imperatorem Romanum etiam praedecessorem nostrum adinstar ejusdem confirmare de benignitate solita dignaremur, cujus Confirmationis, et Privilegii tenor talis est. In Nomine Sancte, et Individue Trinitatis. Fredericus secundus Divina favente clementia Romanorum Imperator semper Augustus, Ierusalem, et Siciliae Rex. lustis Fidelium nostrorum supplicationibus condescendere cogimur, quas nisi favorabiliter audiremur obaudire quod juste petitur per iniuriam videremur. Inde est quod Rollandinus de Gulielmo Bianco, Guirardinus de Opizo, et Rollandinus de Guidone de Vezano Fideles nostri quodam Privilegium Divi Augusti Imperatoris Fsederici avi nostri memorie recolende predecessoribus eorum liberaliter dudum indultum nostro Culmini presentarunt supplicantes humiliter, ac devote ut illud innovare, et omnia, que in eo continentur tam ipsis, quam eorum Consortibus Fidelibus nostris confirmare de nostra gratia dignaremur, cujus tenor per omnia talis est : Fredericus Dei gratia Romanorum Imperato! Augustus. Iustitia exigit, et ratio suadet ut gloriam, et honorem Imperii propensiore studio, modisque omnibus promovere studeamus, et ampliare ut Imperialis corone dignitas nostris temporibus in majus augumentum proficiat. Eapropter Imperii nostri Fidelium presens, et futura etas evidenter cognoscat, quod nos Dominos de Vezano Wilelmum de Opizzo, et Caziagerram de Cone, et Bernigerium de Grimaldo, et Curradum de Malfreth, et Henricum de Vil-lelmo, et universos eorum consortes cum rebus universis, et etiam possessiones quascunque in presenti juste habent, vel imposterum habituri sunt sub nostra Imperiali protectione, ac defensione suscepimus tam pro magnificis, et preclaris eorum servitiis, que nobis ad exaltationem Imperii attentius impenderunt, tam pro fidelitate, et constantia, quam Nobis, nostrisque successoribus Regibus, et Imperatoribus bona fide sicut credimus in futurum semper exhibere curabunt. Scire autem debent Universi Fideles nostri quod predicti Domini de Vezano, eorumque consortes nostri Fideles de jure constituto clypeum unum plenum dactylis Nobis, nostrisque successoribus Romam euntibus presentare debent, et exhibere, et Romanis Regibus, seu Imperatoribus pro statu Reipublice Laborantibus fideliter, et paratissime modis omnibus debent astare. Nostra itaque Imperiali auctoritate statuentes precipimus ut nullus Dux, nullus Marchio, non Comes, non Vicecomes, nulla etiam Civitas, nullaque persona magna, vel parva predictos Dominos de Vezano, nec eorum consortes aliquo modo gravare, molestare, vel inquietare présumât, et ipsi Domini de Vezano cum suis consortibus nulli unquam hominum de aliqua re, vel de aliqua justitia respondeant nisi tantum Persone Nostre, seu certo nostro Misso, nostrisque successoribus Regibus, et Imperatoribus. Si quis vero contra hoc nostrum preceptum facere presumpserit, et predictos Fideles nostros gravare decem libras auri pro pena componat, dimidiam partem Camere Nostre, et dimidiam supradictis Fidelibus nostris, eorumque consortibus. Datum Creinone in Palatio feliciter Amen. Nos itaque, qui Fidelium nostrorum obsequia inremunerata transire Gioin. St. e Lett. Anthonii de Fillitino habitatoribus Sarzanæ etc. 1460. Die 24 Ianuarii. Congregato, et cohadunato Generali Parlamento Hominum Terne Sarzanæ voce præconis, et trino sono campanæ præmissis prout moris est, in quo intervenerunt tres partes, et piures ex quatuor partibus hominum d.æ Terræ : In quo quidem Parlamento propositum fuit per Iachellinum q.m Bernucii de Sarzana Priorem Antianorum pro quadrimestribus præsentibus quod cum alias in quæstione, et differentia vertentibus inter d.am Communitatem Sarzanæ, et Universitatem Sarzanelli ex una, et Universitates Fosdenovi, Castrinovi, Ortinovi, Nicollæ, et Ameliæ ex alia occasione Confinium, et Iurisdictionum Terræ Sarzane a Montexagno inferius usque ad Aquam Parmignolæ, Mare, et Macram turbatarum de anno proximè præterito 1459, et occasione mortis in pluribus vulneratis, et agressionum factarum hinc inde per d.as Universitates, facta fuerit inter ipsas partes quædam tregua duratura ad beneplacitum partium suprascriptarum cum hoc quod ab ipsa tregua nulli partium recedere liceat nisi prius denuntiatum fuerit Magnificis Prioribus Communitatis Florentiae, et ultra assignati sunt dies octo pro contrabando per partem recedere volentem a d.a tregua alteri parti contrafacienti, vel offendenti, cumque de anno proximo præterito, et de mense.....ut supra in praesenti Lib.° Con- celariæ apparet missus fuerit Ambasciator pro parte dictarum Communitatum Sarzanæ, et Sarzanelli S.r Ioannes de Ponzanello habitator Sarzanæ præfactis M.cis D.nis Prioribus tunc temporis existentibus in Palacio d.æ Communitatis Florentiæ pro renunciacione, et notificacione d.æ treguæ, prout ex re-lactione d.> Ambasciatoris in præsenti Lib.0 Cancellariæ legiptime apparet : Cumque Homines præd.æ Universitatis Fosdenovi in eorum mala voluntate perseverantes 11011 cessent illicitis actibus, et obrobriosis verbis præd.os Ho- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3ζ)Ι mines de Sarzanello, et etiam de Sarzana continuo fatigent, et molestent, videlicet in verberando præd.os homines de Castro, et eorum campos frumento suvertere, ac et Custodes pecudum existentes in Iurisd.e Sarzanæ verberare, et vulnerare, et pecudes eorum interficere, cumque propter d.°s excessus, et alios quos innovant, et innovare non cessant, et pro conservatione pactorum in d.a Tregua contentorum, ac ullo unquam tempore Communitatibus Sarzanæ, et Sarzanelli impuctari poscit, et pro pulsanda vi, et iniuria praedictorum hominum de Fosdenovo, et pro conservatione jurium nostrornm, et possessionis nostræ in d.a Iurisd.0, et pro evictanda pæna contenta in d.° Instrumento Treguæ, bonum, et perutile esset in totum d.æ treguæ renumptiare, et d.°s octo dies pro contrabando d.æ Universitati, et hominibus de Fosdenovo tantum denumptiare, et assignare. Qua propositione facta surrexit D.nus Anthonius de Villa Comes Palatinus unus ex Consiliariis, et consulendo dixit, et affirmavit bonum esse renumptiare, et facere in omnibus, et per omnia ut supra propositum est. Et idem in omnibus, et per omnia consuluerunt fiendum esse omnes An-tiani ibi in d.° Parlamento cohadunati excepto Iacobo Ant.° de Griffis, qui ad præsens est absens a terra Sarzanæ. Et idem consuluerunt, et ratificaverunt D. Iacobus de Griffis Legum Doctor, Mag.ei' Silvester Medicus, et omnes alii Consiliarii d.æ Terræ. Et d.a Propositio posita fuit ad partitum ad pissides, et paloUas, et obtentum fuit per centum quinquaginta palotas, viginti palotis tantum in contrarium existentibus. Ac etiam deliberaverunt, et decreverunt præd.i Homines, et Consiliarii, nemine discrepante, quod Literæ renumptiationis, et assignationis termini octo dierum pro contrabando scribantur, et transmittantur per Nuntium Curiæ Terræ Sarzanæ suprascriptis Hominibus, et Universitati Fosdenovi tantum, et pro executione praedictorum, infrascripti tenoris, videlicet : Litera Renunciationis Treguæ cum Hominibus Fosdenovi. Magnifici domini Honorandissimi, et Spectabiles, et Egregii Fratres. Sempre queste nostre Communita sono state, e sono dexiderose de pace, e de bona concordia con ciaschuno nostro Vicino, e Circumstante, e per quella conservare, essendoci turbate le Iurisdicione nostre per voi indebitamente, zà pili dì passati forno contenti di venire a certa Tregua, e convencione con li pacti, che voi sapete, la qual Tregua continuamente per noi è stata ad plenum observata, ne mai in alcuna cosa per noi è stato contrafacto, ma tuto 1’ oposito s’ è facto per voi molte volte provocando li nostri cum molti, et enormi excessi commissi non solamente una volta, ma più per li homeni vostri contra li nostri, e le nostre cose, li quali excessi sono notori], battendo li homeni nostri in li loro lavoreri, rivoltando le sue terre seminate in le jurisdicione nostre, et essendo ancora battuti, e vulnerati li Pastori adducti su li pascimi nostri, ed attizzandoli sue pecore de nocte, et altri excessi, e recresci meliti, li quali adesso se tassello : unde ne parve che questa nostra paciencia dia materia a voi de 392 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA trascorrere de 1’ uno excesso in Γ altro mazore, li quali soferendo versano in grave nostro prejudicio, e dampno, non avendo voi rispecto ne a Tregua, ne convencione, ne ad alchuna promissa, per la qual cosa, acciocché questa nostra paciencia non para venire da nigligencia non deliberamo patir più per lo avvenire tante insolence, et iniurie, ma più tosto per defensione de le persone, e de le cose nostre obviare con li remedii opportuni, ve advisiamo, e noctificamo essere stato contrafacto per voi a la dieta Tregua, e per consequente essere incorsi za più volte in la pena, che in la d.a Tregua se contene, de la quale pena con la presente vi protestiamo, et imperciò da mò inanti non intendiamo essere obligati a la dieta tregua, a la quale per la presente renunciamo, et intendiamo che li octo dì de contrabando che in la dieta tregua se con-teneno cominciano a correre dal dì della presente apresentacione, li quali expresse ve assignamo, e fenidi intendiamo essere in nostra libertade, e de la preselitacione di questa daremo piena fede a Franceschino de Cioleto de Sarzana, et a Iacopino da Sarzanello nostri messi presenti portadori : Appare-chiati niente di meno sempre per noi avvexinare bene con voi, se per voi non mancherà. Sarzanæ XXX Ianuarìi 1460. Anciani, Consilium, et Universitas Sarzanæ et Consilium, et Universitas Sarzanelli Magnificis, et Honorandissimis Dominis Marehionibus de Fosdenovo, ac Spectabilibus, et Egregiis Fratribus Char.mis hominibus fosdenovi. Die suprascripta. Francischinus q.'n Cioleti suprascriptus Nuncius Sarzanæ, et Iacobinus de Sarzanello nuncius d.' Castri retulerunt D.no Vicecomiti Sarz.æ et mihi Conti de Mercatoribus not.° Communis Sarzanæ se suprascriptas Literas de mandato suprascriptorum Consiliariorum, et Universitatum Communis Sarzanæ, et Sarzanelli apresentasse Mag.cis D.nis Marehionibus, videlicet D.na Iohanna, et D.no Spineta ejus filio, et D.no Ant.° de Enreghinis de Pontremulo Vicario Fosdenovi. Responsiva Litera Mag.cae D.nae Iohannae Ancianis, Consilio, et Universitati Sarzanae, Consilio, et Universitati Sarzanelli. Spectabiles, et Egregii Amici, et tanquam fratres Car.mi. Habiamo ricevuto una vostra, a la quale respondendo dighiamo che se fosse vero voi essere desiderosi di pace, e de concordia, come voi dicete, non scrivereste, ni etiamdio imputereste mi, 111 li mei homeni indebitamente come voi facete, e se voi aveste volsuto stare contenti al vostro non bisognava che tra noi, e voi mai fosse facto tregua alchuua, la quale poiché fù facta teniamo essere stata observata, et inviolata interamente dal canto nostro per amore, e reverenda de Iohanni Lorino Commiss.° a ciò mandato per la Mag.ca et Excelsa S. de Firenza, mediante el quale d.a tregua si fece, e se condusse : E contra de quella non intendiamo possa essere innovata alcuna cosa per noi, ne per voi perfìn a tanto se haverà expressa licencia da la prelibata Mag.ca et GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 393 Excelsa S. de Fiorenza corno voi ben sapete soto la pena, la quale in epsa tregua se contene, de la quale per la presente ve protestiamo, et in quella voi essere incorsi per li excessi per voi praticati ne le nostre Iurisdicione, e come appare ne li acti de la nostra Corte, et coram Dio per quanto se contene ne le vostre letere ; conciosiacosachè quello, e quanto avete scripto sia dicto, e scripto con supportacione tasendo lo vero, et postposito omni rubore, et veritade dal canto vostro, la qualcosa non è stata, ni è bene facta, perchè sapete bene che mai non si troverà che habiamo tolto, ne perturbato jurisdicione, ni altra cosa, la quale a voi se apartenga de raxone, ne eciam-dio perpetracto, ni commissi li excessi, li quali voi dicete, e li quali con vostro honore, se quello voi extimate, se poteano tacere, perchè mai non appare che siamo stati mancatori de fede, ne de honore nostro, benché da uno anno in qua habiate volsuto, e vogiate nuovamente fare lo contrario verso de noi, volendo occupare, tore, e perturbare le proprie cose, e giurisdicione nostre, e de tutto siamo volsuto, e de novo vogliamo stare a raxone con voi denanti a la Mag.ca et Excelsa S. de Fiorenza, onde in questa estade mai non voleste comparere avvisandove che se sà, et è per saperse le arte vostre. Al facto del rinuncio de la tregua vedendo noi la optima vostra opinione de la pace, e de la ccncordia ve ringraciamo assai, poiché data, e concessa ve sia licencia da la prelibata M. et Excelsa S. de Fiorenza de farne dicto rinuncio, che la pigiate de qual canto voi volete ; Recordandovi sempre lo bono vicinare, lo qual mai non se troverà sia mancato dal canto nostro etc. Fosdenovi die Ultimo Ianuarii, 1460, e de la presentacione de la presente daremo piena fede a Bartolo de Cornilia portatore de la presente nostro messo. Iohanna Marchionissa Mal. de Fosdenovo Consilium, et Universitas Fosdenovi. Spectabilibus, et Egregiis Amicis tanquam Fratribus Cariss.m>s Ancianis, Consilio, et Universitati Sarzanae, et Sarzanelli. MCCCCLX. die P.° Februarii. Praesentatae fuerunt suprascriptae Literae coralli Dominis Ancianis, et Consilio Sarzanae per Bartolum de Cornilia nuncium Fosdenovi. Die III. Februarii. Recitatae fuerunt, et lectae suprascriptae literae in Genarali Parlamento Sarzanae congregato more solito in Ecc.lia S.l> Andreae de Sarzana, quarum audito tenore et intellectis aliquibus exposicionibus a certis de Parlamento factis, propter quae omnia suprascripta multum suspicionis inductum est omnibus, et potius laesionem ab illis de Fosdenovo quam securitatem habere, et sperari possit visum est omnibus de d.° Parlamento, ut ad tutellam hominum, et rerum Sarzanae elligantur aliqui boni, et discreti viri, quibus curae sit providere de Armis tam offensilibus, quam defensilibus, et de aliis opportunis ad conservacionem, et defensionem hominum Sarzanae, et bonorum suolimi. Item ad ordinandos. Capitaneos cum suis aciebus si res exiget, qui 394 GIORNALE STORICO L LETTERARIO UE1.LA LIGURIA paraci sint obviare volentibus homines de Sarzana opprimere, et ad hoc perficiendum ellegerunt infrascriptos Providos, et discretos Viros, videlicet, D. lacobum de Griffis Legum Doctorem, Mag.rum Sil\estrani de Succinis, D. Leonardum de Parentucellis, D. Ant.um de Villa, Mag.rum Nicoloxium de Brugnate, et Masinellum q.m Ant.·1 de Sarzana. Loco D. Iacobi, qui iturus est in longinquas partes in officio subrogatus est S.r Ioannes de Ponzanello, qui d.us S.r Io : acceptavit, vacante d.° D. lacobo. Quibus Omnes existences in d.° Parlamento auctoritatem plenam dederunt at possint secundum Deliberationem suprascriptam disponere. Die quinta Februarii 1460. Qui suprascripti ellecti simul in Domo S.r Contis cohadunati volentes sibi imposita executioni mandare, p.° ellegerunt infrascriptos, quos constituerunt Capitaneos, si opus erit, ut praesint Guerae, item descripserunt nomina eorum, qui apti sunt ad arma portanda, quos in d.os Capitaneos distribuerunt, et nomina Capitaneorum sunt haec, ac etiam per squadras duxerunt, ut infra, videlicet: lachelinus Primus Capitaneus Io: Petrus de Traschieto Andreas Ferarius Chellus lohannis Chelli Melchio Bernardini Andrionus de Agnino Io : Matheus de Furnulo Nicoloxius de Burgeto Io : Andreas Corsinj S.r Io : de Parentucellis Gabriel Aurifex Lazarinus Sutor Io: Michael Mathei Manechiae Bartholomaeus Barberius Io: Petrus Scalabrini Bertolus de Podenzana Ambroxinus Balduchi Iohannes Boccalarius Mathaens de Corvaria Pasqual de Brignate Andreas Guidonis Sanonus S.r Iacobi Itefaninus Iuliani Vincii Cristoforus de Bollano Geminianus de Monzono Luchinus Guzonelli Bartholomaeus Ant.>> de Tendola Andrionus Boschini Io: Ant.us Petri rubei Iannetus Framengi Catalanotus Andreas de Ormeta Iacobus Pinuchi Stefaninus de Villa BenvenuCus Morucii Io: Petrus de Castiliono Doro.cus de Filletino Leonardus de Fillateria Bertolonus Centofanti Tadeus de Montevaglio Gulielmus Richi nuntii Simon Martini tamburi Andreas Georgii Bernardini Io: Mathaeus Procurantis Io: Ant.UR Blaxii Barberius de Arcula Marianus frater Baroni Maxinellus Secundus Capitaneus Iacometus Iuliani Mercadantis Mathaeus Ferarius M-er Cristoforus Faber Gasparinus Bernardini Ambroxinus Bernardini Cristoforus de Ponzanello Pasqnalis de Borgeto Simon Corsinj de Furnullo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 595 Iacobus basterius Michael de Villa Aloysius de Iaccolis S.r Io: de Ponzanello S.r Iacobus Bernardini Iohannes Scalabrini Filius Bertoli de Podenzana Lardrelus de Corvaria M.ei Loremius Boccalarius Bertonus de Ponzollo S.r Angelus de Griffis Spineta Guidonis Io: Bap.ta M.ri Silvestri Martinus Laurentii Pruiui Richus de Pondenzana Tartalia f.us Fran.c> de Monzono Michael Guzunelli Io: Ant.us Sprichi Antoniolus Boschini Iacobus Castagnarii Ant.us Gravanini Io: Georgius Tanotus Levantini Andreolus de Villa Gamusius M.ri Poli textoris Tartalia de Brugnate Ant.us Dorainichini de Filatene Facinus de Filateria Tonellus Corsinj Dom.cus Zachellini Agustinus de Montedevaglio Calzaretus de Zuchano Andreas Martini Henricus de Brugnate Mathaeus Io: Mathaei Procurantis Dom.cus Ant.ii Blaxii Dom.^ue Centofanti Morucius de Brugnate Tertius Cap.u Doni.cu9 de Villa Petrus Bonus Io: M.ri Cristofori Antonietus Aromatarius M.er Io: de Fillateria M.er Ant.us de Varano Pauletus Marufti Doni.™6 Ant.*‘ Blaxii Io: Dom.cus Bastrerii Io: Ioneiloni de Villa Angelinus de Bozo Addam de M.ro Andrea Lazarus Bardini Leonardus de Villa Iosep Dom.c> de Solleria Antoninus Nigri Ugolinus de Collignacu Catanius de Ponzollo Tomaxinus Guidi Iannetus S.r Caesaris Pedriollus Trombolini Marchus de Collechia M.er Addam Murator Dom.cus de Follo Io: Ant.us Guzunelli Thomeus Luchine Angelottus Boschini Io: Iacobi Castagnarii Frali.eus Garvaninj Io: Aut.us Guidonis Io: Macinelli Simon Zachellini Polus de Ponzollo Montanus Andrucii Filius Meregolli Ant.us de Zuchano Stefaninus Belle Novellus de Corvaria Io: Ant.us Zachellini Petras de Montevaglio Martinus textor Io: Dom.c»8 Bertoloni Ant.us Grossus Teremus de Vezano Remedius de Bugnato Baron us Paschimis Franci»ch.< 'inietti Bernardus Hlaxii (juartus Capii.eu* 396 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Pucetus de Cisirano Iohannes Chelli Manfredus de Bargalio Io: Petrus de Agnino Io: Ant.us de Furnullo Michael de Borgetto Corcinus de Furnullo Aloysius de Brugnato Landiolus Sutor Bartholomaeus de Corvaria Antonietus Sutor Io: Pelegrinus Bardini Dora.eus de Bella Capra Iacopinus Nigri Prosper de Villa Filiponus de Lovatis Andreas Ant.u Grossi Io: Ant.us Guidi March etus Barberius Togninus Trombolini Lunardjs de Montemarcello Cristoforus de Corvaria Frater Dom.ei de Follo Tonus Scalabrini Silvester bella Capra Vicinus Boschini Petrus Castagnarj Luchinus Garvanini Bertolonus Antollinelli Bartholomaeus Pinuchi Aciolinus de Villa Io: Ant.us Moruci Michael Polli textoris Dom.eus Procurantis Ant.us de Fillateria Io: Ant.ii Centofanti Parentinus de Montevaglio Lorencius Bertoni nuntii M.er Matheaus textor Io: Paulus Georgii Morellus Gancine Bertolonus Procurantis lanellus de Illice M.er Iacobus dè Illice Filius Barberii de Arcula. Dom.eus Ant.us de Villa Capitaneus Iulianus de Mercatoribus D. Io: Petrus de Parentucellis Martinus M.ri Ctistofori M.er Nicoloxius de Brugnato M.er Nicoloxius Caligarius Baptista Onofrj Io: Iacopus Cristofori Mathaeus Manechiae Minimus Barberius Bertonus de Borgetto S.r Contes de Mercatoribus Dom.eus de Soleria D. Iacobus de Griffis S.r Iacobus de Benedictis M.er Silvester Iulianus Vincii Laurencius Provini Io: Andreas Montis Marcelli Petrus de Follo Scalabrinus Castagnarus Attollinellus Zanalonus Bertoli Pinelluchus Meregotus de Brugnato Cristoforus de Filateria Bartholomaeus Oliverj Martinus Tamburi Georgius Bernardini M.er Doni.eus de Corvaria Bertolonus Antonj M.er Ant.us Furnarius Fran.eus de Monzono Adanetus D. Leonardus de Parentucellis Petrus Michaelis S.r Caesar de Bonaparte S.r Petrus de Cociis Ant.us Blaxii ,gS giornale storico k letterario DELLA LfGURIA DI GEROLAMO ROMAN E DELLA. SUA « REPUBLICA DE GENOVA » Tra le molte Relazioni sullo stato della Repubblica genovese scritte nel secolo XVI, alcune delle quali sono alle stampe, e molte altre giacciono ancora manoscritte nelle biblioteche e negli archivi, credo sia del tutto sconosciuta agli studiosi della storia ligure e ai bibliografi nostrani la Republica de Genova di Gerolamo Roman, monaco spagnuolo dell’ordine di Sant’Agostino, sebbene venuta alla luce in due differenti edizioni. Il lavoro del Roman, di una certa mole, non è privo di pregi; la copia delle notizie, attinte sempre a sane fonti ; le spesse osservazioni tutt’affatto originali; i giudizi che, per essere l’autore forestiero, s’hanno a ritenere non dettati da passione; il nome stesso dell’autore, ch’ebbe fama a’ suoi tempi di dottissimo ed autorevole, ne rendono assai interessante la lettura; tanto da meritare che se ne' faccia un breve cenno. Girolamo Roman — secondo quello che si legge nella Bibliotheca Hispana di Nicolao Antonio (i) — nacque in Logrogno da Martino e da Agnese da Zamora. Fin da bambino, e poi da giovinetto, ebbe in odio i libri e lo studio « cane pejus et angue », come s’esprime il suo biografo; talmente che, divenuto inviso a’ suoi, fu cacciato di casa. Ed egli, ridottosi allo stremo, finì per entrare nella religione di S. Agostino rifugiandosi nel monastero degli Eremiti nella città di Haro della diocesi di Calahorra, come in un asilo a riparo dalla indignazione (i) Bibliotheca 11 Hispana11 sive ; | Hispanorum, 11 qui 11 vsquam vn-qvamque II sive Latina sive populari siue aliquavis lingua 11 scripto aliquid con-signauerunt [ Notitia, || HIS QUÆ PRÆCESSERUNT LOCUPLETIOR ET CERTIOR [j brevia elogia, editorum atque ineditorum | \ operum catalogum i | Duabus PARTIBUS CONTINENS, I QUARUM HÆC ORDINE QUIDEM REI 11 posterior, conceptu vero prior duobus tomis de his agit, ;| QUI POST ANNUM SECULAREM MD. | j usque ad pæsentem diem floruere. 11 authore 11 D. Nicolao Antonio ||hi-spalensi, I. C. j| ordinis S. Iacobi Equite, ]I patriæ ecclesiæ canonico, II Regiorum negotiorum in Vrbe & Romana Curia || Procuratore generali I Romae ex Officina Nicolai Angeli tinassii, MDCLXXII, in fol. — T. I, pag. 455. GIORNALE STORICO E LETΙΈΚΑΚΙΟ UEI.LA LIGURIA 399 de’ parenti. Dopo qualche tempo il severo biasimo d’un superiore gli fece, come egli stesso racconta, profonda impressione nell animo; tanto da riconciliarlo finalmente con gli studi; ai quali fino da quel giorno con tanta pertinacia si dedicò quan-t’ era stata per Γ innanzi la sua repugnanza nel fuggirli. Mostrò subito particolare inclinazione per le ricerche storiche, e si dette con gran passione allo studio degli antichi scrittori di storia ebraica, greca, latina e moderna, occupandosi di storia ecclesiastica, ed in particolar modo dell' ordine eremitano. Viaggiò, a solo scopo di studio, la maggior parte delle regioni d' Europa, consultando con diligenza le carte d’innumerevoli archivi privati, da cui trasse alla luce gran quantità di scritture autentiche, delle quali si giovò specialmente nel comporre l’opera sua capitale, che è la Storia dell’ordine de' frati Eremitani di Sant'Agostino (i). Mori circa l’anno 1597. (1) Ecco l’elenco delle opere edite ed inedite di Gerolamo Roman, come si trova nella citata Bibliotheca H-spana del Nicolao : 1. Chronic\ de la Orden de los Ermitanos de San Augustin ; centuriis XII hoc est annorum MCLXXX. Historia temperata brevitate pertexta. Salamantice an. 1569, in folio, rursusque ab hoc diuersum opus. 2. Primera PARTE de la Historia de la Orden de los frailes Errni-tanos de San Augustin. Compiuti an. 1572 in-folio : Simulque 3. El Defensorio par la antiguedad de la mistna Orden. 4. RepublicaS del mundo ; XXVII libris, duobusque voluminibus. Medinæ-campi 1575, in folio, deinde auctiores Salamanticæ post vicennium, ann. 1595 apud Ioannem Fernande/. : scilicet de Rebuspublicis Ebrœa, Christiana, Gentilico, sive Romana, Moscovita, Veneta, Genuensium, Helveticorum, Aethiopum, An°lorum, Lucensium, Ragusina, Indica, Tartarica, Sinica, Turcica atque Fezensi. 5. HlSTORIA de la vida de los dos religiosos Infantes de Portugal D. Ibernando hijo de Don luan l v D. Iuana hija de D. Alonso V. Medinæ-campi anno 1595 apud Sant-Iagum del Cauto. 6. Vida de San Nicolas de Tolentino, Cæsar-augustæ an. 1600 in-8. Inedita adhuc latent, in Salamanticensi, ut aiunt, domo relieta, & ab Illustrissimo D. Fr. Augustino Antolinez ex sodali eiusdem domus Compo-stellano Antistite, dum viveret, possessa, quæ sequuntur, hodie jam, ut credere par est, deperditu. 7. Historia ecclesiastica de Espafla ; unico sed vasto volumine conscriptum in senectute opus ; & quod ante alia Romani placebat Antonio a Xepes Benedectinorum sodalium Chronografo clarissimo, ut ipse de se affir- 400 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * * * La Republica de Genova fa parte del primo volume dell’opera Republicas del Mundo, e va dalla carta 392 alla 406; è compresa cioè in 30 pagine in-folio a due colonne (i). S'intitola così: Republi- | ca de Ge- | nova. | ordenada j por F. Hierony- I mo Roman, frayle prò | -fesso, y Coroni- | sta de | la orden de Sant Au- | gustin. | dirigida al muy | Illustre serior Marco Antonio Sauli, | Embaxador de la excellentis | sima Senoria de Ge- | noua, | Y Protonotario de su Sanctitad. Y a toda la I nacion desta Illustrissima Repu- | blica, habitante en | Es-paiia. I Ano M. D. LXXV. mat Centuria secunda ad annum DCLVII cap. Γ11. Pertingebat ab aduentu Salvatoris nostri usque ad annum MCDLXXIV (sic), [forse 1574]. 8. Sagkada Chronica Hebrea : tomis tribus. 9. Annales de la Orden de S. Augustin ; volumen unum : sine id majoris aperis primum dicendum sit, Thomas Herrero Augustinianus in Alphabeto huius ordinis horum duntascat meminit; sed ipse de se melior testis author 111 editione ultima Rerum publicarum in epistola noncupatoria & prologo, hæc etiam laudat. 10. Las MonarQUIAS. Huius in prædicta epistola mentionem habet. 11. Catolica Historia de lo* Saritos de Espafla ; centuriis XVI cui pangendæ majorem Hispaniæ partem se ait peregrinatum, Huius recordatur F. Antonius de Purificatione in Chronico Provincia Lusitana· Eremitarum I Parte, lib. II, tit. II, § V, folio i~5- Præter hanc bona ex parte confectum aliud de Sanctis opiis. 12. Flos Sanctorum, secundum ordinem Breviarii Romani ad veritatis trutinam perpensum. 13. Dela Prédication del Santo Evangelio por lodo e! Orbe de la tierra, Georgius quoque Cardosus in Agiologio Lusitano pleraque alio Romani laudat opera, scilicet, 14. De LAS tres Ordenes militares de Portugal, die XX Martii pag. 263. 15. Historia de Braga, 11 Aprii, pag. 400. & XIV eiusdem pag. 564. Nil horum typis fuit hactenus publicum factum, obeunte scilicet authore ipso, qui melius aliis poterat, Medinæ Campi circa annum MDXCVII. (1) Cito la prima ed:zione : Repuhlicas | DEL MUNDO | oivididas en, xxvii. libros, j ordenadas por F. Hieronvmo I Roman, frayle professo, y Cronista de la orden de S. Augustin. | Naturai de la ciudad de LogroBo. I Dirigidas a i.a S. R. M. dei. Rev Don Philippe, | Rey de las Espafias, nuestro SeSor. | Con Privilegio. I En Medina del Campo, por Francisco del Canto MDLXXV, voli. 2 in-fol. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 40I Questo titolo è disposto a modo di frontispizio entro un fregio silografico. Segue al titolo una epistola dedicatoria a Marc’Antonio Sauli protonotario apostolico e ambasciatore della Repubblica genovese presso la corte di Sua Maestà Cattolica. Di questo ragguardevole personaggio pubblicò una biografia di ignoto autore il Soprani in appendice alla sua opera degli scrittori liguri (i). Sappiamo da quella che il Sauli nacque nel 1523; fu giovanetto alla corte del duca Francesco Sforza in Milano; dopo il 1535 si recò in Padova, donde fu spedito in Inghilterra a dar effetto al trattato di pace già conchiuso fra gli inglesi e i francesi da Gio: Gioachino da Passano, suo zio materno; si addottorò in leggi a Genova nel 1547; da Enrico II di Francia ottenne l’abbazia di San Pietro di Cannes, benefizio cui poscia rinunziò per recarsi a Roma nel 1558, donde fu spedito al duca d’Alva viceré di Napoli ; tornato in patria, fu spedito dalla Repubblica genovese alla corte di Spagna, dove stette fino al 1578, partendone con un’annua pensione di 600 scudi sul vescovado di Pamplona, assegnatagli da Filippo II; morì in Genova nell’età di 95 anni il giorno 11 gennaio 1618. Del Sauli abbiamo alle stampe un discorso sopra le civili discordie del 1575; intorno alle quali scrisse similmente una lettera al principe Gio: Andrea Doria (2). ( I Li scrittori della Liguria, e particolarmente della marittima di Raffaele Soprani. Alt Illustriss. & F.ccellentiss. Signor Marc' Antonio Saoli, In Genova, MDCLXVII, per P. G. Calenzani, in-4, App.ce IH, con titolo e numerazione a parte: Ristretto | della vita | dell’lllustriss. e Reuerendiss Monsignore | MARCANTONIO | Saoli | PROTONOTARIO APOSTOLICO I In Genova MDCLXVII 1 Per P. G. Calenzani etc., di pp. 15. (2) Sauli (Mons. proton.) ambasciatore della Eccel. Repub. di Genova appresso la Maestà Catliol. Lettera sopra le cose della detta Repub. scritta a I' Illustris. Sig. (ìio. Andrea Doria a’ XV d’aprile M.D.L.XXV. Con un Discorso del medesimo su I’ istessa materia. In Milano, per Paolo Gottardo Pontio, MDLXXV, in-4, ΡΡ· 21 ■ — trovasi pure con frontispizio speciale e numeraz. a parte in fine di : Foglietta, Della Rep. di Genova etc. In Milano, per G. A. degli Antoni 1575 in-8, e in: Le discordie e le guerre civili dei genovesi nell’ anno IS75 descritte dal Doge GlO. Batta. Lercaju arrichite di note e doc. importanti da A. Olivieri, la Ediz. Genova, F. Garbarino (S. P. d’Arena, tip. Belgrano, 1857, in-16, pagg. 41 1-444. Giova G ioni. st. e l.ett. della Liguria, V. · 36 402 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nella * Epistola al muy illustre senor Marco Antonio Sauli » il Roman gli ricorda come, conversando insieme intorno a quel suo libro delle Repubbliche del mondo, e mostrandogli la traccia del lavoro, egli gli offerse le storie del Giustiniani come buona fonte per compilare la sua relazione sul modo di governarsi della Repubblica genovese. Ma dopo aver letto il libro del vescovo di Nebbio, egli vide come assai poco in esso poteva trovare che servisse al suo argomento; quantunque, egli dice, gli desse assai lume per ricercar più cose, e investigare ciò che altri avevano tralasciato di dire. Di modo che, trovatosi alle mani tanto materiale quanto mai fin’ allora aveva servito a chi s’era accinto a scrivere sulla stessa materia, si decise ad aggiungere la Repubblica di Genova al libro delle sue Repubbliche. * Bien quisiera yo » continua il Roman, « ser mas largo en esta obra, pero no me dan lugar los libros adonde auian de estar las cosas famosas y de immortalitad, y assi deuo yo ser perdonado de la illustrissima republica, y de Vuestra Senoria cuyo officio de Embaxador grauissimo haze dignamente en la corte del mas poderoso Rey de la Christianitad. Esta mesma salua y satisfacion hago a toda la nacion Ginouesa, que en estos reynos trata con mucha auctoritad y credito. Y esto digo con tanta verdad que en qualquier tiempo que yo hallare otras mas cosas que dezir las afiadire a la obra, porque en todo pretendo de dar lection entera ». Non sarebbe così breve il suo scritto, prosegue, s' egli dovesse scrivere di Genova le imprese guerresche, perchè leggendo le storie de’ diversi regni e repubbliche, si troverà che non v’ è in Asia, Europa ed Affrica regione « adonde las armas Ginouesas no ayan tenido el mejor lugar, de manera que sus tropheos estan por todas partes puestos, en senal de sus valerosas hazanas ». Parla poi il Roman delle fonti del suo lavoro, fra cui, prime fra tutte, gli Annali di Agostino Giustiniani, e altre storie e relazioni ; ma tutte brevi e monche, tanto che egli crede di non esagerare affermando tutto quanto ha scritto essere frutto della sua diligenza: < de manera que si quisiere dezir que ricordare che Top. attribuita dall’O. al Lercari è invece di Scipione Spinola, come fece osservare il can. L. I. Grassi alla Soc. Lig. di St. Patria (Cfr. Atti, IV. CXLV, 452). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 403 todo lo que aqui va es mi propria diligenda no afiadire nada ». I ra le opere consultate accenna pure « las republicas que escrivieron Ubierto Foglieta, y Francisco Souino ». Allude al dialogo scritto in volgare sullo stato della Repubblica di Genova dal Foglietta, intorno al quale dà un giudizio non meno severo di quello de’ concittadini suoi contemporanei: « fue mordaz », egli scrive, « y assi no quise seguir su argumento, porque los que escriuen de aquella manera siempre son aborrecibles y la lectura desagrada de todo punto, y la verdad si no es a su façon no se ha de dezir si se pretende provecho del dezirla ». Giudizio, più che severo, ingiusto, perchè esclude la onestà delle intenzioni, e il sincero proposito, eh’ era nel Foglietta, di recar giovamento alla patria. Quanto all’altro lavoro cui il Roman accenna, si tratta del Capitolo XVI dell’opera di Francesco Sansovino che s’intitola Del governo et amministratione di diversi regni et republiche ; libro eh' ebbe parecchie edizioni, ma in cui il Sansovino mise quasi nulla del suo (i); e forse nulla, nemmeno questa Descrizione del Governo di Genova, la quale si trova anonima sia manoscritta in Biblioteche ed archivi, sia in istampe antiche e moderne (2). Di essa il Roman dice che « està muy desacompafiada de estilo y de cosas ». E termina l’epistola dicendo che se non si troveranno in questa sua Republica cose molto particolari come nell’ altre, se ne incolpino coloro che tagliaron corto nel tramandar le noti/ie, e i tempi antichi, che fra le inquietudini civili del popolo non permetteano che minutamente si raccontassero tante e tante cose che ora sarebbe utile sapere. E, rivolto al Sauli, lo prega di servirsi di quest’opera « de mano de hombre estrangero, entanto que los de la nacion la anaden, o enmiendan ». * * * La « Republica de Genova » si divide in nove capi, che s’intitolano : (1) Cfr. G. SFORZA, Francesco Sansovino e le sue opere storiche, in Mem. il. R- Accad. delle Scienze di Torino, Serie II, T. XLVII, pag. 47. [2) Cfr. U. Mazzini, Sopra gli autori di due Relazioni anonime di Genova, in questo Giornale, anno I, 1900, pag. 26 sgg. 404 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Cap. I. — De la antiguedad y fundacion de la ciudad de Genova quando recibio la fee Catholica, con otras cosas particulares al proposito (cte. 396-r — 396-r.). Cap. II. — De la manera de governarse la republica de Genoua en sus principios (cte. 396-r. — 397_v·)· Cap. III. — Del origen de los Duques en la senoria de Genova, y que ocasion vuo para criar este magistrado [col catalogo di 30 dogi, dal Boccanegra ad Antoniotto Adorno] (cte. 398-r— 399-v.). Cap. IV. — De la manera corno vino la Republica de Genova a gozar de la libertad que oy tiene (cte. 399-v. — 401-v.). Cap. V. — De las personas senaladas que entran en al ayuntamiënto y Senado de Genoua, y quales son del gran con-sejo, con otras cosas dignas de ser sabidas [Ocho gouernadores, procuradores, Podestad]. (cte. 401-v. — 403-r.). Cap. VI. — De los otros magistrados que esta republica tiene para su buen gouierno. [Los cinco Supremos, Rota, Censores] (cte. 403-r. — 404-r.j. Cap. VII. — De la dignidad del Duque corno es eligido con las demas cosas tocantes al proposito (cte. 404-r. — 404-v.). Cap. Vili. — De la orden que se tiene en esta republica enlas cosas de la guerra (cte. 405-r. — 405-v.). Cap. IX. — Que cosa es en la republica de Genoua la Comunidad de sant George (cte. 405-v. — 406-v ). E con l’elogio del Magistrato di San Giorgio ha termine la relazione intorno alla Repubblica Genovese, la quale « solo en este oficio ha tenido gran constanda y firmeza, porque, con auer auido tantas mudanças, en este oficio no se ha uisto; antes parere que toma mas fuerças quando la republica anda inquieta, y segun que se gouierna prudentissimamente, es de creer que perseuerara grandes tiempos ». U. Mazzini giornale storico e letterario DELLA LIGURIA 405 PER LA STORIA DELLE CONGIURE CONTRO GENOVA Son note le secolari brame dei duchi di Savoia d’insignorirsi della Liguria: germogliate nell’animo irrequieto e sempre vago di novità di Carlo Emanuele, che trovava troppo ristretti i confini de’ vecchi stati per soddisfare la sua ambizione di dominio; fomentate presso di lui e de’ suoi successori da fuorusciti genovesi, o banditi o malcontenti o macchinatori di vendette, dettero luogo a guerre e a congiure, che segnarono giorni ben tristi per la Repubblica, e costarono sangue cittadino. Pure, nessun atto riuscì mai all’effetto desiderato; e, leggendo le melanconiche pagine della storia genovese degli ultimi secoli, noi assistiamo allo spettacolo di uno stato in completa decadenza, straziato a morte dalle intestine discordie, insidiato di continuo da potenti vicini, dalle cupidigie di Francia e di Spagna, il quale riesce a mantenere la propria personalità e integrità politica, e come una larva d’indipendenza. Bisognerà che imperversi anche al di qua delle Alpi la bufera della Rivoluzione, che cada la fortuna napoleonica e s’inizi la reazione, perchè le brame dei Savoia siano finalmente saziate, e Genova con le Riviere vada a ingemmare la corona dei re di Sardegna. Carlo Emanuele cominciò nel [583 a tormentar la Liguria, cercando sgretolarne i confini col tentativo su Pornassio; tentativo che fu sventato mercè l'intromissione di Francia; ma non per questo il Duca aveva deposto i suoi desideri di conquista del territorio ligure, e di Genova stessa, che già nel 1601 era stata turbata dalla congiura del Leveratto e del Vassallo in favore della Francia; congiura abortita per delazione del Marasso e finita col supplizio del primo di que’ due capi. Era stato stabilito in quella segreta macchinazione di sorprender Genova per la via del mare e introdurre la gente francese per una piccola porta nei pressi di Carignano; per cui il Senato provvide subito a maggiore sicurezza della città con nuove difese e disposizioni di prudenza e precauzione per l’avvenire. Fra tanto la Spagna, che mirava ad impadronirsi della Lunigiana genovese intendendo di aprirsi per il golfo della Spezia una diretta e sicura corrispondenza con i suoi stati di Lombardia, procurava nuove ansie e 406 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nuovi travagli alla Repubblica, che dette opera in furia ad assicurar la difesa da questa parte con lavori ingenti di fortificazione. Ma sbanditi per le vie diplomatiche anche questi pericoli, non tardarono a sorgerne de’ nuovi per parte del duca savoiardo, il quale, profittando dell’amicizia di Francia, nell’occasione del colloquio di Torino (ottobre 1620) aveva segretamente concertato col maresciallo Lesdiguières l’impresa di Genova col patto che la città sarebbe appartenuta a lui, salvochè gli pervenisse il Milanese; nel qual caso e Genova e le Riviere sarebbero passate sotto la Francia. Circa a questo tempo e alla vigilia di questi avvenimenti si riferisce il documento che pubblico. Un certo Giovanni Ambrogio Oldoini genovese, cui ben eran noti l’animo e gl’intenti del Duca, gli fa pervenire una segreta relazione nella quale gli espone il modo di assalire Genova dalla via di mare, e di facilmente impadronirsene. La famiglia Oldoini ha origine da Cremona, donde si trapiantò in Genova nel 1424 da Antonio venutovi luogotenente generale del Carmagnola, governatore di Genova per il Duca di Milano. Da Genova i discendenti di Antonio si condussero a Brugnato; di qui alcuni si diramarono a Levanto, altri a Pontremoli. Giambattista del fu Francesco di Pontremoli sposò nel 1481 Giorgetta de’ Signori di Passano e fu il primo che, recatosi alla Spezia, vi ponesse stabile dimora. Di questo casato uscirono molti ragguardevoli soggetti, de’ quali qui non è il luogo d’intrattenerci : solo ricorderò il gesuita Agostino, nato alla Spezia nel 1612, che lasciò fama di riputato storico e bibliografo (1). Giovanni Ambrogio nacque in Genova nell’ ultimo ventennio del cinquecento da Francesco nobile cremonese, quivi recatosi intorno al 1571. Fu di professione soldato, ma in giovinezza s’era dato con passione all’arte marinaresca, volgendo di preferenza i suoi studi alla strategia e alle cose di guerra (2). Pare che passasse la maggior parte della sua vita in servizio dei Duchi di Savoia ; almeno queste parole della sua segreta relazione lo fanno intendere : « essendo io non moderno servitore nè sud- fi) Vedi per Agostino e per altri soggetti della famiglia: A. Neri, Notizie di Agostino Oldoini storico e bibliografo ligure del sec. XVI/, in Giornale Ligustico, anno II, 1875, pp. 181-197. (2) Vedi Neri, op. cit., pag. 183 e sg., n. 2. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 407 dito di S. A. S. e di tutta la S. Casa di Savoia ma vecchio avendo consumato tutto il tempo di mia vita in suo servitio ». Aveva lasciato Genova nutrendo in cuore un odio feroce contro i suoi concittadini, che forse ne avevano disconosciuto i ineriti, e i suoi diritti all’inscrizione alla nobiltà. Qua e là nella sua Relazione al Duca egli si protesta di non essere traditore della patria, e solo di volerla grande e felice sotto lo scettro dei Savoia: « Se pare ch’io mi mostri nemico di genovesi, io non li voglio male et vorrei il suo bene et questa sarebbe la strada, et forsi Dio lo permetterà per salute di quel popolo, perchè vi sarebbe giustitia____ Io non posso stando in quella città aspirare a beneficio nessuno nè in Corsica nè per la riviera nè capitano di galere, nè altro, perchè non son scritto nel libro della nobiltà, et se fussi et sapessi più che Salomone non vi è ordine di poter conseguire cosa alcuna.... ». Ma nel tempo stesso sente ogni tanto il bisogno di rinnegarla e di dichiarare ch’egli non vuol essere considerato come genovese: « Io son tanto nemico », son sue parole, « di questo nome ribelle et traditore, come della morte istessa et molto più ; nè vorrei mai al mondo vivere potentissimo con tal nome, tanto l’ho in odio! ». Altro padrone e signore egli non brama che la serenissima Casa di Savoia, da cui per altro, in premio de’ suoi servigi non chiede denari nè grandi ricompense: « Sarò ricco » egli dice « con la gratia di S. A., basta che abbi da vivere et vestire simplicemente e non altro, nè mai dimanderò altro, desiderando solo servire bene, come spero, se haverò occasione d’essere impiegato in qualche cosa ». Le brame adunque di Gio: Ambrogio Oldoino sono modeste assai: egli tradisce la patria solo per avere un impiego qualunque, in modo da tirare innanzi la vita onestamente. Suo padre, come egli confessa, ha « giocato et speso male il suo » ; e però egli, non essendo ricco, studia se qualcuno vuol riconoscere e ricompensare i suoi meriti. Perchè egli ha veramente dei meriti, e grandi: lo assicura egli stesso ad ogni passo. Egli è un inventore, nel senso satirico che si dà al giorno d’ oggi a questa parola. « Si proponeva », si legge nella nota già citata del Neri, « dare il disegno d’un vascello di nuova foggia, atto a combattere da solo con quattro galere, a resistere a qualsivoglia fortuna, ed a stare in sull’ ancora in qualunque spiaggia 40S GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA aperta. Infine anch’egli mettea fuori un po’ di poesia finanziaria, protestando con la più grande serietà avere un suo segreto, mercè il quale, in caso di guerra si poteano incassare molti milioni d’oro, senza il menomo disturbo ». Ma questo non è tutto. A sentir lui, non era nato fin’ allora un genio pari al suo: < Iddio ottimo massimo... », egli dichiara al duca, « si è degnato darmi virtù tale, che non possi haver invidia a quanti siano usciti di Genova, et particolarmente nelle cose marinaresche, poiché il Colombo che trovò le Indie non sapeva più di quello che so io ; anzi non aveva mai navicato tanto com’ io.... Il Doria nè tutti i Doria insieme han mai trovato modo nè inventioni di poter vincere nè superare nè rompere una potentissima armata di mare con tanta facilità et poca spesa come ho trovato io ». Se a questo s’aggiunge un suo segreto comunicato a S. A. il principe Filiberto per « estinguere tutti i barbari corsari », questa sua Relazione sul modo d’impadronirsi facilmente di Genova, in cui son descritti strattagemmi « che altri che io non può essersi immaginato », ed altre meravigliose invenzioni, ben si comprende quale valore fosse il suo e quanta ragione egli avesse di menarne vanto a suo prò. Il modo che l'Oldoino suggerisce al Duca per impadronirsi di Genova è di assalirla dalla parte di mare presso la località detta della Cava, dal luogo cioè già designato dal Vassallo al medesimo scopo. Ma il segreto dell’Oldoino è tutto nell’orditara della macchinazione, nel modo di aver navi e gente di mare, di avvicinarsi alla città senza destar sospetti, di prender terra, di assalire, di vincere : tutte cose che sono con gran copia di particolari descritte in questa sua Relazione. La quale è un documento importante non solo perchè aggiunge un fatto nuovo alla storia delle cospirazioni contro la Repubblica in favore dei Duchi di Savoia e preludia alle congiure di Giulio Cesare Vacherò e di Raffaele Della Torre ; ma anche perchè è in essa una minuziosa ed' esatta pittura delle condizioni di Genova in quel tempo, delle sue interne tribolazioni, della sua esterna impotenza, della sua amministrazione civile e militare; non senza per altro che vi appaia qualche volta una marcata tinta di esagerazione, specialmente là dove si parla dei grandi entusiasmi per il Piemonte, e degli intensi desideri della maggioranza del popolo per il dominio duchesco. GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA 4O9 Si giovò Carlo Emanuele dei suggerimenti di Gio: Ambrogio ? Non pare, giacché egli non fece mai tentativi marittimi contro Genova. Ma dette almeno all’Oldoino la sperata ricompensa? Si deve escludere, perchè Γ anno appresso il fallito traditore esponeva al senato Genovese i pericoli di uno sbarco nemico alla porta della Cava! Leggiamo infatti nella citata nota del Neri: < Restaci di lui una relazione dettata nel 1620, nella quale intende spiegare il modo d’assalire Genova ed impadronirsene con molta facilità dalla parte della Cava, con uno sbarco dal mare. Non è priva affatto d’interesse; e sembra che i Padri vi trovassero qualche cosa di vero, perchè ordinarono subito di fortificare quel luogo » (1). Giocasse 0 no a doppio gioco, questo Oldoino dovette essere una birba matricolata! Se il'senato provvide a lavori dietro i suoi suggerimenti, certo non gli avrà negato le ricompense ch’egli aveva indarno sperato dal Duca; ma fu gran ventura per lui che nulla trapelasse di quanto aveva macchinato a danno della Repubblica, perchè è facile immaginare qual sorta di premio gli sarebbe toccato. U. Mazzini (Arch. di St. di Torino. Materie Politiche. Mazzo i. N. 10, Genova). 1619. 15 marzo Discorso secreto, et importante a S. A. R. di Savoia sovra la città di Genova (2) di Gio Ambroggio Oldoino. In cui premessa una descrizione della città, e fortificazioni della città di Genova, della situazione ed indole de suoi abitanti propone à S. A. R. di Savoia la maniera di facilmente impadronirsene (3). Mosso da vero affetto et non da altro son venuto a servire S. A. S. come la isperienza lo dimostrerà et per dedicarmele ; i ') Il Neri trasse queste notizie dalle carte delPArdi. di Stato di Genova, e citò la Serie Secretorum, Fil. 13, a. 1620. Per quante diligenze abbia fatto ora egli stesso, dietro mia richiesta, allo scopo di ritrovare quei documenti, non gli è venuto fatto. Evidentemente la citazione è errata, e chi sa in quale altra serie bisognerebbe cercare. Urgendo la stampa di questi fogli debbo fare a meno della visione di quelle carte. (2 Queste parole in corsivo sono cancellate con un frego. ^3 1 Le parole da In cui a fine sono di mano diversa. Questo titolo e le 410 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per vero suddito con far le opre; ma se per servire dirò che non so niente, nè son buono da far niente, è cosa chiara ch'io sarò inutile; et dire Tesser buono da fare qualche cosa sarebbe un vantarsi il che a tutti et a me medesimo dispiace grandemente; tuttavia per potersi, bisognando, servir di me prendo per ispediente dire afirmativamente quel che son buono da fare et che spero di fare, assicurando in tanto ch'io son libero ver-tadero e reale, et non so dire buggia in modo alcuno parendomi cosa molto difforme et brutta, che così sempre si troverà di me verità fedeltà intiera, et opre buone come sarà il presente discorso non ad altro che per bene et seruitio di S. A. come anche della Città di Genova sperando (ancorché debole) per servitio di un tanto Prencipe essergli di tanto servitio come è stata tutta Genova, o tutti i genovesi per servitio del Re di Spagna, al quale Re pare che la Città resti quasi dedicata con li Cittadini denari et altro al suo reai servitio. Dico dunque se va a dire il vero, poiché conosco, che Iddio ottimo massimo al quale sia gloria et di suo servitio mi ha dato talento tale di conoscere il vero dal falso, et di non ingannarmi nella mia opinione, perchè vi ne sono pochi, tenendo per certe le cose certe et le dubbie per dubbie, ancorché incerte son tutte le cose del mondo si è degnato darmi virtù tale, chè non possi haver invidia a quanti siano usciti di Genova, et particolarmente nelle cose maritime; poiché il Colombo che trovò le Indie non sapea più di quello che so io ; anzi non haveva mai navicato tanto com’ io, solo che faceva carte da navigare, il Doria nè tutti i Doria insieme han mai trovato modo nè inventioni di poter vincere nè superare nè rompere una potentissima Armata di mare con tanta facilità et poca spesa come ho trovato io, la quale se ben non è provata l’ho però provata io in me medesimo et basta che dichi che è buona et certa, il che se non fussi marinaro non havrei potuto penetrare un tanto negotio. Ma perchè non è tempo adesso di trattare di questa prat- indicazioni di posizione d’Archivio sor.o scritti sopra il foglio che serve di coperta al manoscritto, il quale è sincrono e verisimilmente autografo. Si compone di 48 pp. in fol. n. n. ; sono invece numerati i singoli fogli da ii a xj. meno quindi il primo e 1’ ultimo. Il manoscritto termina alla pag. 46. GIORNALE storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA 41 I tica solo dico che come marinaro ho discoperto modo, che la Città di Genova facilmente si prenderebbe per via di mare, che ciò mi pare di avisare a S. A. S. non perchè la prendi ; ma facci quel più li piace, basta ch’io sono obligato a discoprirgli tal modo, acciò li prenda quell’ispediente, che più li aggrada stando la Città in pericolo grande, come dirò, et non è bene che una Città come quella stia in modo tale, che nessun altro Prencipe li possi entrare, che ciò sarebbe di pregiuditio al mio Ser.mo Padrone, nè io lo debbo comportare; Perchè io non 1’habbi rivelato all’istessa Repubblica che è il mio Padrone rispondo che se ben son nato a Genova non sono genovese, et quando Io fussi io non lo voglio nè posso essere et Genova non è di un Prencipe solo al quale sarei suddito ancorché fosse il maggior tiranno del mondo, perchè io son tanto nemico di questo nome ribelle et traditore come della morte istessa et molto più, nè vorrei mai al mondo vivere potentissimo con tal nome tanto 1’ ho in odio et per hora può bastare queste due parole sin tanto che venga il tempo di dirne altre quattro per conoscere chi sono. E tornando al proposito mio dico, che la Città di Genova ricca essendo posta alla marina è veramente in apparenza a tutto il mondo fortissima per havvere bonissime et forti muraglie nuove per il più poste sopra alte rupi de’ scogli tanto di mare come di terra dove non vi possono salire solo gli uccelli ; Ha il molo et la sua porta con un terribile bastione sopra essa porta con cinque canoni di batteria che guardano fuori et.in mezzo il porto; in mezzo al molo vi n’è un altro, che fa l’istesso effetto, vi è la lanterna che guarda la bocca delLen-trata del porto et cominciando'la Città verso ponente vi è la porta di San Tomaso vicina al [Palazzo del Doria per la qual porta si esce per andar in Lombardia et Piemonte, et per la riviera di ponente di Genova vicina al mare, la quale fa dui effetti guarda per terra et per mare, perchè’cinque pezzi d’artiglieria, che sono sopra la detta' porta, cioè sopra la muraglia più alta servono a tirar in mezzo al porto di mare, et anche a sparar per terra per servitio della stessa porta, et questa è la maestra Porta della Città, l’altra porta maestra è all’altro lato della Città di levante, che si esce per andar alla riviera di levante et in Toscana e a Roma che è l’istesso camino, et questa porta rispetto alla strada 11011 resta altrimente alla marina ma 412 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA lontana buon mezzo miglio, et quivi non è artiglieria ma vi stà in guardia da cento in cento venti sguizzeri moschettieri. Fra mezzo a queste due porte maestre di levante et ponente verso terra vi è altre due porte picole chiamate l'una il portello, l’altra porta dell’aquasola, dove vi sono trenta in quaranta sguizzeri per ogn’ una di queste. Poi tornando alla prima porta verso Piemonte dove comincia il mare et andando sempre dietro al mare vi è l’Arsenale dove si fabricano le galere con bocca in mare et porta in terra, vi è poi la darsena delle galere et delle barche del vino, ripartite con la bocca di mare con una torre con trenta o quaranta corsi, et tre porte in terra senza guardia, et seguendo il camino sempre dietro la marina vi sono sei porte in mare con sei piccioli moli chiamati ponti, dove vengono le barche et vascelli più piccoli levato le navi grosse; in alcuni di essi alle volte vengono ancora galere; a queste sei porte non vi è guardia di giorno, ma di notte due o tre soldati per porta per sentinella, perchè ivi vicino è un corpo di guardia di trenta o quaranta soldati, che può servire a tutte queste sei porte, perchè stà in la piazza de’ nobili o sia negotianti et mercanti vicina al ponte di mezzo un tiro di schioppo dove è la dovana, et di sopra vi è il famoso banco di Santo Giorgio dove è la sacrestia delli danari della Republica et de’ particolari. Queste sei porte hanno il rastello di fuori con la muraglia, cioè la porta di legno rastello solo, et il resto muraglia, et poi le sue porte di ferro, che a’ miei tempi non si faceva guardie di notte nè di giorno a dette porte nè tampoco corpo di guardia in detta piazza de’ mercanti, nè anco vi erano li detti rastelli, parendogli che queste sei porte fussero dentro del porto della Città, il qual porto resta guardato, che ne’ anche una grossa armata vi può entrare stante tutta l’artiglieria nominata; ma anche v’è artiglieria al darse-nale, et alla darsena, che guardano non solo le loro boche, ma anche il porto grande sudetto della Città, oltreché se vi fusse nova o pericolo di armate grosse hanno più di cento canoni di batteria per mettere attorno le muraglie di mare con maggior soldaria, et militie. Contuttociò Gio. Andrea Doria consigliò alla Republica che si dovesse metter quelli rastelli con detto corpo di guardia alla detta piazza nominata. Finito queste sei porte di mare si arriva alla Porta del molo di mare sudetta maestra col bastione sopra bello buono e forte. Vi resta il circuito da giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA 413 nominare da questa Porta del molo sino a quell’ altra porta maestra di levante nominata porta di larco overo di Santo Stefano et in questa distanza consiste il fondamento dell’ entrata de’ soldati per via di mare in questa Città. Dunque partendosi da questa porta del molo per andare sempre dietro la muraglia sino a la porta di larco resta come un arco di balestra il giro et i corni, o sia l’estremità dell’arco, siano l’una e 1’ altra porta, come essendovi la pianta meglio si darebbe ad intendere (ma io non so disegnare). Vi è dall’una all'altra porta dui picoli miglia italiani o vero un miglio e mezzo grossi, che altrettanto giro o più tiene l’altra parte della Città già di sopra nominata, cioè dalla porta del molo sino alla porta di santo tomaso di ponente per mare, et dalla porta di san tomaso di ponente sino alla porta di larco di levante per terra, quasi pari camino per acqua come per terra. Hora dico che dui piccoli miglia vi sono dal molo a larco dietro le muraglie li tre quarti delle quali sono bagnate dal mare et il resto per terra, et dove termina le muraglie della Città col mare et con la terra ivi è la foce di un torrente d’acqua che viene dalla Valle di bisagno sgorgando per aponto nelle radici de scogli de fondamenti di dette muraglie in mare, et qui si distende una spiaggia longa un miglio giusto a riva del mare verso levante in mezzo di quale è il Lazaretto, in dentro verso settentrione il borgo di bisagno, che corrisponde diritto quasi un miglio alla porta di larco, et più a levante di essa spiaggia sono i superbi palazzi et giardini de nobili novi chi vicino alla marina, chi più fra terra, et chi più lontano per dui tre quattro e cinque miglia lontano dalla Città. E tornando alla spiaggia sudetta, perchè ivi si potrebbe sbarcare di giorno et di notte un’Armata, han provisto che vi soprastà nella muraglia cinque canoni di batteria ordinarij, et da cento soldati paesani, cioè della Spetia più fedeli et favoriti, che ripartiti in tre corpi di guardia assistono particolarmente in questa distanza di muraglie sudette cioè dalli confini della porta del molo, sino alli confini della porta di larco maestra di levante sudetta; perchè gli pare che il pericolo sia nel centro della Città dove è il porto, il molo, li bastioni, et a prender la Città importa prendere il Porto; perciò han distribuito la maggior parte de' soldati dall’altra parte della città, parendogli anche che da quell’altra parte vi sia bonissime et altissime muraglie. 414 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Tornando alla nostra banda di dette muraglie dove assistono cento in cento dieci soldati paesani, si domanda quella regione Carignano dove vi sono sontuosissimi palazzi e tempij con vaghi giardini, che è cosa bella esser dentro della Città; ma però questo Carignano non comincia altrimenti dalla porta del Molo, ma sì ben lontano mezzo grosso miglio, et cominciando andar in Carignano si comincia a salire, perchè questo loco è eminente airoso, et è da notare che dove si comincia a salire in Carignano è la muraglia basissima, perchè non vi è scoglio; ma nel più basso loco della città, cavo in dentro, ascoso, secreto, verso levante vi è la salita (come dissi) che ascende in carignano, et verso ponente vi è un'altra salita che va al molo; sicché è un loco che non può essere veduto, nè sentito, nè offeso da nessuna parte, chiamato questo loco la marina di Sarzano; ivi vicino è campo pisano dove a tempo de’ Pisani seguì un fatto d’armi che aponto quivi sbarcò di notte all’improvviso l’armata Pisana che non vi era ancora muraglie; ma più adentro. Perchè le muraglie di Genova moderne sono delle più belle, buone et forti, che a’ tempi nostri si siano ancor viste; ma in questo loco di mare di Sarzano di che io parlo sono riuscite basse, quanto sei in sette altezze di un uomo, ma commode a salirvi, perchè i pescatori di qui con una corda discendono et ascendono in mare a pescare con la canna et altro, et vi è molti pesci per scorrervi come loco più basso di questa parte della Città le acque che piovono et che vengono giù di Carignano, non sendovi scoglio, ma prima vi dava il mare dentro la muraglia, et ancor hora quando è grosso et gonfio et l’istesso mare gli ha adunato tante arene, che resta all’interno asciutto et quivi è stanza di due galere per sbarcare, che con tre o quattro scale può salir comodamente di notte dentro la città cento, ducento, e trecento e più soldati, massime che la muraglia è comoda come dissi; non diritta, ma cade indentro, et è loco remoto, non stando ivi solo poveri tessitori, et è lontano da’ soldati di guardia perchè non solo è assai lontano dal molo, dove stanno tedeschi che hanno in cura quella porta et quelli bastioni, ma anche è lontana dalli soldati paesani detti di sopra, che stanno in Carignano ripartiti in tre parti, là una parte è che da trenta in quaranta stanno ad una parte di mare in Carignano, che non vi è altra porta nominata la cava dove cavano le pietre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4 I 5 per fabricare e acrescere il molo, et questa porta ha un piccolo molo o sia ponte in mare per imbarcar le pietre sopra il pontone, che la porta al molo ha un rastello tutto di legno già vecchio et poco forte, et una semplice porta di legno con catenaccio, et è lontana questa porta dalla marina di Sarzano circa ottocento passi comuni, et non si possono vedere 1’ una con 1 altra per la salita che vi è per il mezzo, et per la via torta e bistorta, et detta marina di Sarzano cava indentro come dissi. In questa porta della Cava han disegnato di fare un molo in mare grande, il quale sarà sicuro da fortune di mare, et anche i vascelli che ivi staranno non potranno per difuori della Città essere abattuti da artiglieria come possono essere quelli che stanno nel molo presente, et per conseguenza in questa porta della Cava vi è disegnato di fare un superbo bastione; però non credo che si effettuerà così presto. Hora dalla porta di questa cava bassa lontano circa oltre ottocento passi comuni vi era un’altra porta bassa detta il portello di Carignano con una commoda spiaggetta per sbarcar gente, dove già dissegnò il Vassallo, che è in Francia (3) si dice per S. M , et quivi han chiuso questo portello, et alzate le muraglie con starvi venticinque in trenta di quei soldati paiselli. Andando più oltre poco lontano vi resta il corpo di guardia di quaranta soldati in circa dove sono li cinque canoni d’artiglieria che guardano la foce di Bisagno col lazaretto già sopra nominato; et qui finisce il repartimento delli cento soldati paesani di Carignano, che prima vi stavano i sguizzeri, stati levati per il dubio di Francia, et poco mancato che non siano stati licentiati come pur essi lo sanno con loro disgusto, perchè contendevano di andare quasi a gara col Colonello, et con tedeschi, che sono da settecento fra dentro la Città, et Savona e Sarzana. E finito le muraglie vi è poi da trecento in quattrocento tedeschi in Palazzo nel centro della Città in guardia del Duce, che si tiene più per paura del popolo nemico, che per altro ; questi dico rafrenano il popolo, et con levargli 1’ arme, che, se non fusse questo, invitati dalla commodità ad un furore, ad un (3> A questo punto nel margine inferiore della pagina, della quale la parola Francia è 1’ ultima, sono queste parole della stessa mano : con poco discorso, le quali non so come s’ attacchino al resto. 4l6 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA movimento repentino, botta per botta entreriano in palazzo, et Deciderebbero chi vi trovassero; ma privati dell’armi, et 1 ostacolo delle guardie, schifano ria ventura. Con tuttociò è tanto nemico il popolo de’ nobili, che ogni poca di occasione o movimento si moverebbero da dovero contro della republica et de’ soldati, lo lo so di certo per sapere i costumi de’ nobili, de’ mercanti, de’ richi, de’ poveri, di quelli di riviera, de tedeschi, corsi, et di ogn’ uno, et fattone particolar professione, et insomma, per abreviarla, so l'animo in questo particolaie di ogn’ uno per longa conversatione et grande astutia saputo intieramente i suoi costumi et gli animi, et in ciò ho havuto particolar sorte. Il palazzo del Senato è grande con questi tedeschi et il Colonello, quali tedeschi stanno in la piazza del palazzo con le loro habitationi a modo di un serraglio con due semplici porte di legno vechie ; ivi saranno dunque per guardia della Città da seicento tedeschi, ducento sguizzeri, e tra paiselli e quelli pochi corsi della darsena oltre ducento che saranno mille; questo è il colmo maggiore; il minore numero sarà da settecento, si può calculare da ottocento cinquanta. Vi sono fuori di Genova lontano venti et venticinque miglia da trecento corsi contro banditi che sempre stanno in campagna d ogni staggione et nelle riviere massime dove stanno banditi repar-titamente. Sin qui ho mostrato la fortezza della Città quasi inespugnabile e tanto più quanto che sarebbe diffesa per raggion di stato da ogni prencipe, quando a bandiere spiegate si volesse occupare, che presa poi non vi sarebbe rimedio. Resta dire le grandi et importanti imperfettioni di questa Città, che la rendono debole et men forte ; ma il principale è il nemico di dentro continuo che è il Popolo nemicissimo mortale de’ nobili, nè giova che i nobili li facessero mille cortesie a quietargli li animi interni malignamente radicati ; ma non solo li fanno cortesie ma tutto il peggio che possono dicono loro massime in queste congionture di carestia per la Città, che se havessero persone a posta in fiandra o altri paesi bassi dove commettessero tanti mila sachi di grani ogn’ anno le cose re-steriano ben ordinate, nè questi fiamenghi, quando vengono destinati per Genova, si tratenirebbero in Spagna a mezzo camino, et la Città patisce ; veramente è un tener poco conto di un tanto popolo; ma chi ha il governo, o che per gli affari suoi essendo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4I/ mercante, non si cura che di guadagnare per sè stesso, o che è nemico del popolo, o che poco dura in offitio perchè tutti li offitii et magistrati di Genova durano poco, et per consequenza le cose vanno male, non possono sperare premio i meritevoli et virtuosi nè castigo i scelerati, et corre per forma la giustizia contro a chi non ha favori, si occidono 1’ un con 1’ altro a tradimento i nobili et ignobili, et è peggio che una spelonca (viva chi vince) et chi può più. Tra li nobili vi sono molte disunioni, et rancori intrinsechi, perchè vi sono i nobili nuovi, quali pochi anni avanti li suoi avi erano tessitori di sete, poi fatti mercanti richi, fatti nobili al tempo de rumori, et così mille altra gente mecanica venuti in richezze grandi, et anche della riviera in un loco de quali non vi è solo mercanti et pescatori, nè vi è mai stato nobile ad ogni modo dui di riviera a tempi miei fatti Duci, et questi nobili moderni, che per aiuto del popolo sono in tal nobiltà, questi istessi sono più nemici del popolo degli altri, sì che è reciproco questo mal animo tra di loro ma tanto grande che è odio mortalissimo. Il popolo chiama i nobili traditori, et che non mordono perchè sono legati, che forse un giorno verrà la sua, et faranno sue vendette, i nobili chiamano il popolo suo nemico. In questo popolo vi sono molti mercanti richi, che aspirerebbero ad essere ascritti nobili perchè per le leggi è cosa ragionevole fare alle volte qualche mercante meritevole et altri nobili ; ma hanno talmente chiuse le porte che non si può entrare, di tali mercanti richi vi ne sono molti, che tutti sono nemici de nobili, et aponto vi ne è qui in Torino un giovine mediocremente ricco il quale ha servitori e cavallo, et credo che le virtù sue meritino di esser fatto nobile; così li nobili di riviera alcuni de’ quali per la legge si dovrebbero ammettere in Genova nel libro della nobiltà, come di Savona di Albenga di Vintimiglia, verso levante poi della Spetia di Sarzana et altri lochi, per ciò non vien fatto, et sono nemici ancora tutta la riviera della nobiltà. Piange questo popolo la perdita del Conte da fiesco che cascasse in mare la notte che li era riuscita la presa di Genova perchè era ben voluto dal popolo et esso lo amava anche molto, lo piange anche questo popolo il quale non l’ha mai conosciuto solo per sentir nominare le sue virtù et bontà così grandi, et così tutti dacordo dicono, che se haves-sero un padrone solo starebbero meglio di governo d’ abon- Giom. St. r l.rtt. della Liguria, \. 4l8 giornale STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA danza de’ grani di giustitia et d’ogni cosa, et io invero confesso, che è così. In tutte le guerre di Piemonte prossime passate questo Popolo si è mostrato molto partiale del Ser.mo Duca di Savoia e veramente gioivano tutti sino a figliuoli, che facesse guerra contro Spagna, et ciò io non lo posso esprimere con quanto gusto ne ragionassero insino a tanto (io lo dico ingenuamente) che dicevano se havesse S. A. havuto alquanta più forza a paragon di quella del Re haverebbe insegnato a procedere a’ Spagnoli, li quali Spagnoli li chiamano marrani non solo dentro la Città ogni giorno in strade et botteghe si facevano piccioli conventicoli a favor di Savoia ; ma anco nella riviera sì di levante come di ponente dove alcune volte passai. Di qui solamente io medesimo vado argomentando, che facilmente riuscirebbe la impresa eh’ io vado esponendo, et potrei dire molte altre cose che per brevità tralascio. Veramente sarebbe convenevole che quel povero popolo, che mai ha havuto bene hor sacheggiato hor sotto Francia hora in libertà de nobili; che loro chiamano schiavitudine fusse una volta per sempre consolato da un Padrone Italiano, quasi dell istessa natione ; che non è conveniente che nessun altro vi metti il piede, massime che questo popolo è anche nemico di francesi, dicendo racordarsi haver sentito dire, che i francesi sono insolenti senza termine di creanza nè altro, che li dispiace molto, et de spagnoli non accade trattarne essendo troppo loro nemici di gran longa. A nobili anche torna conto, perchè sempre vivono con pericolo qualche giorno (stante l’odio perpetuo) a loro, o a loro figlioli con qualche occasione che l’intelletto humano non può arrivare, gli occorrerà qualche fatale disastro o vespro sicilliano; perciò S. A. S. rimediarebbe col suo valore (essendo sua la città) a tanti mali che gli soprastano, et veramente a mercanti come sono loro non tocca nè conviene governar stati, non stanno bene insieme le mercantie et i cambi usurarij con l’Armi et i governi, et non può durare tal repubblica come sempre si è visto per isperienza, et a S. A. non mette a conto havvere una repubblica vicina a’ suoi stati in questa guisa.può considerare come Prencipe Savio i danni et disgusti che col tempo gli possono anche soprastare s’ ίό non gli fussi buon suddito non parlerei; et non havendo altro Pattrone nè Signore in terra mi tengo obligato, perchè li genovesi non son GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 419 mai stati nè voglio mai che siano miei Pattroni, et la mia nobiltà non la cambierei con quasi tutti i nobili di Genova, perchè loro sono mercanti, et io son nemico de mercanti, et chi mi havesse assicurato diventar in pochi anni ricco come Gerolamo Serra che ha il marchesato di Strevi che ha lasciato un milione et cento mila scudi d’oro in oro da esso guadagnati, con traficar come lui, gl’haverei fatto ingiuria; io non amo danari, nè vi è al mondo par mio che sia meno interessato di me. Il Popolo di Genova è imbelle et inerme perchè non sono avezzi all' armi, nè in casa loro hanno spada, nè archibuggio perchè non portandola non se ne curano, nè facendosi meno risegne hanno schioppo, solo qualche cortello, o pugnale o altra arma ruginosa, perchè non si curano il ricco solo d’ arricchire più, il mezzano di giongere il ricco, et il povero di governarsi con la sua famiglia non havendo posessioni sono intenti a gara 1’ un 1’ altro in questo, perciò restano hoggi al mondo la più vile et pusilanima gente che sia al mondo, io credo che vadino del pari con li hebrei, ve n’ è però in tanti qualcheduno bravo huomo, ma questo tale non potrà vivere in Genova perchè è mal visto; perciò dentro di Genova non vi è persona di guerra che vagli un soldo. Se in una Città come quella se vi batte tamburo per far soldati non si può con tutte le diligenze cavare cinquecento soldati, li quali non hanno armi pusillanimi et bisogni. Se la Repubblica volse in tempo di guerre passate di Piemonte mandare soldati a Savona Albenga, et per la riviera di ponente per gelosia di S. A. bisognò che vi mandasse soldati della riviera di levante forzatamente cioè delle militie, et in Genova se ne fece alcune poche compagnie con gran stento, si offersero alcuni giovinetti nobili al Senato di pagar del proprio alquanti soldati se fossero fatti capitani quali heb-bero l’intento et andavano costoro volontari perchè non andavano alla guerra ma solo in guarniggione uno de’ quali non haveva tutto il suo tempo fatto altro che scrivere nelli scrittori] de mercanti et andar in fera di Piacenza de’ eambij et in somma esser mercante, 1' altro haveva studiato molti libri di guerra, ma non era mai stato in fatione alcuna, costoro perchè erano ricchi cercorno di haver la compagnia più grande che fusse possibile aggiùngendo soldati a loro spese, in somma con 420 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gran diligenza li ricercavano et presero quando non sepero che fare altro insino delli fachini vilissimi, fra gli altri vi era dui frattelli gl’ ultimi della compagnia in risegna armati con pica in spalla, et passando per una strada dove era la bottega di un sartore, vedendo gli ultimi in fila questi dui fachini frattelli con altri dui li mira fiso che non li conobbe subito per essere armati con armi lucenti et certificato che eran essi con una furia grande di dispregio gli sputò in faccia et costoro in vece di darli d’un pugnale in faccia abassorno gl’occhi come se fussero stati patientissimi capuccini, che andassero in processione; ciò non lo dico senza gran mistero di fondamento circa la viltà di questa gente ancorché armata, che se i più bravi soldati sono di questa sorte che saranno gl’ altri ? quattro sguizzeri pochi anni sono messero in spavento tutto uno quartiero del più bravo popolo di Genova : intorno ciò haverei da dir molto che per brevità tralascio. Li più bravi sono quelli rustici delle due valli di ponente e levante di Genova, cioè Pol-cevera e bisagno che tutti hanno il schioppo da ruota in campagna ; ma non sono amici de’ cittadini solo de’ banditi et simili li nobili sono in superlativo grado vilissimi et li più valenti sono quelli che fanno fare qualche homicidio con pistole a tradimento, ancorché vi sia bando X anni di relegatione in Corsica tener di esse dentro la città et fuori però costoro sono pochi, et da poch’anni in qua stati tutti occisi, in conclusione chi ferisce a tradimento è tenuto un bravissimo huomo tanto sono vili in questi tempi. Quando io ero giovivetto andando in una scuola d’armi di schermire non vi fu ordine ehe nessuno osasse giocar meco in modo alcuno solo un Cavagliero di malta nè vi era nessuno che sapesse o almeno conoscesse un -poco di tempo di spada perchè più si dilettavano del gioco de dadi, et costoro erano nobili vechi et i più valenti della Città. Claudio Marini è tenuto il più bravo, è quasi più temuto della Città senza quasi tutti gl’ altri per abreviarla sono tante galline, et il popolo tante pecore, et niente meno di quel che dico. La militia de’ tedeschi è una militia quasi simile in se stessa stante la natione che si tiene armigera, perchè i soldati si danno in preda al vino et ogni giorno quasi e notte sono ubriachi massime i vini di Genova che per leggieri che siano offendono il capo gagliardamente et fanno senz’acqua 1’huomo malinconico; GIORNALE STOkICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 42 I costoro non sendogli usi li patiscono molto, et i soldati più vechi per il longo spatio sono in una profonda malinconia et viltà d’animo, che ciò importa assai all’abilità dell’armi. Il Co-lonello è poi capo et compagno di costoro, perchè non vi è huomo dentro della Città più amico di crapula et di vino di costui huomo non mai stato in guerra, et inetto nel suo mestiere, lui è quasi nato et allevato in Genova, perchè era figlio d’ un già colonello, et lui alfiere, nè mai si è partito da questa piazza havuto tal incarico per gran somissioni fatte a senatori mentre che si trattava di mandar a tor in alemagna un Colonello, et così fu fatto lui, sì ben non era a ciò sufficiente. Anzi intendo da proprij tedeschi, che quando d’Alemagna viene qualchuno bnon soldato lui non li può vedere e cerca modi percliè se ne vadino; però costoro aperti gl’occhi han procurato essere proteggiuti da qualche Senatore o altro gentil huomo, sichè fra loro sono in cisma secreta. Li sguizzeri restano disgustati fra loro cioè dentro del suo animo per le cause dette sopra li soldati paesani che stanno in Carignano dove sarà la entrata in la Città sono pochi et soldati bisogni ordinarijssimi li Corsi stanno fuori, dentro però vi ne sono solo quelli pochi alla darsena, et alle volte qualche compagnia di passaggio che sta in una stanza vicino al molo, costoro sebben sono sudditi sono nemicissimi della Republica et de tutti i genovesi; tuttavia io ho avuto tanta sorte che da diversi ho inteso 1’ animo loro; cioè, che il Senato di Genova li tratta male dandoli meno paga che agl’altri chè anche loro stanno lontano casa et passano il mare con pericolo, inoltre sono stratiati sempre in campagna contro banditi, et i principali Corsi dicono che il Palazzo del Dace toccarebbe prima a lor > come sudditi haver quel loco in loco de tedeschi, oltre di questo che da tutti i prencipi sono abbracciati, et vi è pena la vita a chi li va a servire, sichè sono disgustatissimi. In questo stato dunque stà la Città, et supposto che si vogli entrare in questa all’improviso non vi sarà difficoltà di dentro, poiché li soldati non sono uniti altrimenti tutti in una fortezza ma ripartiti alle porte et palazzo, il popolo resta in quella guisa narrata sopra sichè sarebbe facile; il numero di esso popolo cioè fra tutti dentro la città saranno cento mila anime, che levate metà di donne resta cinquanta mila, levati li religiosi li 422 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA figliuoli li vechi stropiati amalati malsani convalescenti mezzi ammalati, et altri per amalarsi che già sentono la ventura in-firmità, resteranno atti all' armi quattordeci in quindeci millia in li quali si dice vi possi essere da sei mila piemontesi sicuramente però io dico che a non esservine solo tre mila è assai, tengo ben per certo che vi ne ha più di sei mila che gl’ antecessori venghino qui di Piemonte habitati in Genova et che di cuore et di fatti siano piemontesi anzi vi sono Cittadini antichi per essempio di cognome Carozzo Chieri Saluzzo et simili questi ultimi nobili novi, che li soi antichi hanno havuto origine di pie-monte ; siccome molti altri nobili novi, che hanno il cognome delli lochi della riviera di Genova, perchè son venuti li antichi di là. Ma che dico io che vi siano sei mila piemontesi ; gli è pur vero che di animo lo sono quasi tutti levati li nobili, sichè la Città è sicuramente di S. A. S. supposto che vogli fare una così buona opra di mettere in libertà quella Città per utile et be-nefitio de nobili et de ignobili ; e per venire al fatto il modo di entrarvi sarebbe questo sequente. Presupongo che S. A. S. habbi in prestito da Venetia otto overo dieci galere, supposto che sia un Prencipe solo che con ogni secretezza gli le accomodi senza fanteria solo con trenta o quaranta soldati per galera, o vero sia la istessa Repubblica secretissimamente che anche gli converrebbe per ragion di stato, et fatto finta di uscir di Venetia, et andare verso Corfù o Candia sì come è cosa ordinaria di mandar in quelle parti galere, che non darebbe nessun sospetto, massime non essendovi sopra fanteria (seben vi è modo senza galere di essequire questo pensiero) et essendo in bocca del golfo di Venezia, in alto mare passar di fuori di Sicillia, traversare in Sardegna, et giù alla vista di Corsica però lontano et arrivare una sera circa le hore ventitré sino in ventiquattro in alto mare di Villafranca circa trentacinque in quaranta miglia et anche più lontano per non essere vedute da vascelli, nè di terra et arrancando remi di notte arrivar a mezza notte dentro il porto di Villafranca et ivi siano pronti tra Nizza et Villafranca tre mila soldati cioè mille cinquecento assoldati tutti bravi soldati che di già fussero tratenuti in dette fortezze, et altretanti presi dalle militie delli più buoni et migliori, che a questo modo il negotio restarebbe se- giornale storico k letterario della ligüria 423 creto senza movimento alcuno nè di soldatesca nè di armata, imbarcati subito con diligenza quietezza et buon ordine sopra dette galere et anche sopra le due galere di Savoia, perchè havendo da stare poche hore li soldati imbarcati poco potrebbero patire, et vi ne starebbe la metà più θ vero altretanti, che se havessero a fare longo viaggio, fra quali soldati vi sarebbe bisogno che vi fussero abastanza archibuggi da ruota o sia da pietra et alquante pistole ; fatta la imbarcatione si potrebbero partire anche 1’ altra notte a hora conveniente, però con essersi prima fatto le dovute diligenze in ritenere tutti i vascelli forestieri et paesani, e ritenere li passi per terra de pedoni e cavalli sin doppo dui giorni che fussero partiti, cominciando alla venuta di esse galere con diligenze straordinarie, et partite dico le galere tirare dritta linea in alto mare verso Genova a segno che nè di terra della riviera nè di Corsica possino esser viste quasi tra mezzo Corsica e Genova se ben esser vedute di Corsica poco importa, et anche dalla riviera, perchè molte volte molte galere passano che non si sa chi siano, et Genova non ha paura solo di armate di cento e più galere, perciò dico non darebbe sospetto. Hora seguendo la navigatione in alto mare ivi non s’incontra vascelli che a remo vadino veloci a Genova, perchè tutti vanno dietro la riviera, nè tampoco di Corsica perchè li brigantini Corsi, vanno di Corsica in Livorno per esservi l’isolette della Capraia e Gorgona per il mezzo, che in ogni sinistro caso ivi prenderiano porto e rifugio, et gionti in Livorno vanno a Genova terra terra con la riviera di levante, solo queste galere potrebbero incontrarsi con qualche navi in alto mare che andasse o venisse di Spagna in questi mari, et in quelli mari navi di Sicillia o Sardegna, che ciò poco importa. Hora tornando al camino dico che navicheranno sin sopra Genova dritto in alto mare nè più a levante, nè più a ponente ma dritto per mezzogiorno che l’armata con Genova restino dritti tramontana e mezzogiorno per spatio di trentacinque miglia più o meno come a loco e tempo meglio si dirà, perchè di terra disalberate non possono essere vedute in lochi eminentissimi più di venticinque miglia et che il tempo sia chiarissimo il che rare volte succede et è torbida l’aria massime d’estate in quelli caldi, et anche d’autunno : onde che si è fatto la prova che una nave grossa con le vele et tempo chiaro dì loco alto non si può ve- 424 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dere più di venticinque in trenta miglia tutto il più, che in tal distanza a pena si vede una Città grande per così dire ; hora essendo in questa lontananza l’armata alle ventitré in venti-quattro hore—disalberata et senza tende, comincierà (andato sotto il sole) a vogar forte et arrivar sopra Genova vicino circa dui miglia con molto silentio e senza fuochi di sopra all’uso aponto che i corsari nostri vanno in levante, o vero i barbari vengono a sacheggiare le nostre riviere, perchè quasi tutti i lochi grossi della riviera di Genova son stati da’ mori sacheg-giati con questo ordine et a proposito dico, che ancorché fusse vista questa armata in alto mare per modo di dire perchè non può esser vista non temerebbe solo li lochi della riviera, et non altrimenti Genova, nè tampoco si haverebbe un minimo sospetto nè una minima dimostratione ne guardia d’avantaggio della ordinaria solo come dissi se fussero cento vele. Dico perciò essendo le galere gionte appresso Genova circa dui miglia sarebbe ancora hora di dormire la chiurma un paro di hore per riposo, perchè in poche hore sarebbero venuti quivi, et finito il poco riposo imbarcare una parte de’ soldati sopra li schifi delle galere massime li archibuggieri da ruota o da pietra, et andarsi acostando gli uni pian piano alla volta della porta della cava col petardo o con petardi in ordine, et gl’ altri schifi con tre o quattro scale di legno poste in mare tirate o remurchiate con una fune andarsene dritti con larga et convenevole distanza alla volta della marina di Sarzano dove è il commodo di sbarcare et atacar le scale, perchè qui è cosa facilissima per non poter essere visti nè sentiti da nessuno, et ivi accomodar le scale et esser pronti per salir dentro della Città al segno che sentiranno ; in questo medesimo tempo dico li altri schifi saranno quasi vicini al piccol molo o sia ponte attaccato alla detta porta commodissimo a sbarcare insino alle donne per essere io pratichis-simo di tutti quelli lochi sin da figliolo, che andavo a nodare et pescare, et essendo dico vicini li detti schifi, sentendo andar vascelli la sentinella dirà chi va là conforme all’ uso, et sentito questo si risponde amici amici, perchè così è 1’ uso di tutti i vascelli che passano quivi di notte tanto quelli aponto picoli, che a remi escono dal porto della Città per andare alla riviera di levante, come quelli che di riviera entrano nel porto, che a tutte 1' hore della notte quivi passano et come dico alla senti- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 425 nella, et a quel picciol corpo di guardia non sarà solo cosa ordinaria, et non manca per questo di riposare il detto corpo di guardia ; hora dico havendo dato risposta amici si finge di batter remi in acqua et vogare per andar avanti ma non si fa forza con li remi, in questo tempo le galere si vanno sempre più approssimando pian piano senza strepito ma con gran silentio col piè del piombo come si dice verso questa porta et due o tre anderanno vicine alla marina di Sarzano, stando così hora è tempo che essendo attaccate le scale alle muraglie salghino sopra centocinquanta in ducento soldati quelli della marina di Sarzano, et in questo istante sbarchino sul ponte li soldati de schifi alla porta della cava, che adesso mi pare che sponti 1’ aurora o sia per spuntare et ripartiti i soldati sopra quel ponte alcuni in guardia di stare alla mira che non si affacci alle muraglie soldati altri vadino ad arrancare il rastello, et attaccar il petardo, et tutte insieme le galere procurino di esser qui vicine o vero gionte, perchè a mano a mano mi pai sopragion-gere sopra li nostri soldati della marina di Sarzano quando costoro di dentro tutti spaventati e tremanti anderanno accendendo le corde di archibuggio, nè li riuscirà solo la fuga la quale sarà dubbia per esser già spalancata la porta et entrati dentro i soldati andar subito sopra quelli altri dui corpetti di guardia sino alli cinque pezzi di artiglieria et subito impadronirsene, et così sarà preso Carignano, nel qual loco con buon ordine già ordinato per avanti qui sotto suoi capitani si metta in ordinanza tutta la soldatesca, et di qui se si hanno da repartire metà verso le muraglie di ponente ei metà verso di levante o vero li dui terzi verso ponente per prendere la porta del molo et la porta di San Tomaso di ponente con altri cinque pezzi d’ artiglieria, chè per di dentro facilmente si prenderebbe massime che non hanno neanche da far colatione in queste porte et così parimente di levante si prenderebbe la porta di larco di levante de’ sguizzeri, li quali se si habbino da mostrare amici o inimici a Savoia io non lo so, però non credo che si vorranno far tagliare a pezzi. 0 vero se si habbi di andare drittamente al palazzo del Duce che facilmente in quel ponto aH’improviso assaltati si prenderebbe massime il Duce che è paurosissimo et vile d’animo dico ogn’uno di essi, che con mandarli una lettera del tenore che so che sai à 426 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA a proposito si renderà subito, et il colonello è amico di vivere e non sarebbe tanto difficile entrar dentro per le porte marcie del serraglio de’ tedeschi, et di questo particolare in altra occasione si raggionerà, perchè vi è molte cose da dire et d avvertire. In questo tempo il Popolo e tutti Cittadini svegliati chi avanti l'uso ordinario, et chi nel istesso tempo secondo i strepiti occorsi et sentendo viva Savoia dirà tutto il popolo viva mille volte sia benedetto Iddio, che una volta siamo liberi e non più schiavi di questi traditori diranno i poveri staremo meglio perchè il Piemonte è abondante et non ci lascieranno patire, che così è vero oltre gli ordini eh’ io dico che se gli prenderebbe di grani di fiandra olanda et altri paesi destinatamente et infalibile; diranno li mercanti richi, sì pure che è venuto il tempo delle nostre vendette, cioè che spereranno essere pari alli nobili et essere anch’essi ascritti nobili et esser pari. Li nobili solo tremeranno di paura, facendo chiudere le porte di casa et particolarmente il Duce, che sarà cosa facile non muoia di paura come seguì al tempo che passò la Regina di Spagna a Genova che il Duce si lasciò levare il loco dal Contestable di Castiglia governatore di Milano et hebbe tanta paura non ostante havesse il colonello de' tedeschi con molta guardia de soldati et gentil huomini armati che se ne morì di paura ; dirà qualche più coragioso popolare io voglio uscir di casa et andare in compagnia delli soldati di Savoia a gridar anch io viva Savoia; ma non ho armi per servire Savoia, e sarò tenuto un huomo da poco ad ogni modo voglio andare: allora io so che coriranno a tenerlo la madre la moglie o le sorelle o li figliuoli, et piangendo li diranno di gratia per quanto amore ci portate non ci abandonate non ci lasciate in tanti pericoli de soldati forastieri, et voi non uscite perchè questa gente fiera vi occi-derà. Altri popolari o artiggiani chiuderanno le porte, e si nasconderanno nelle più intime parti di casa servendosi del moto di Cato, rumores fuge; oltreché tremila soldati armati a gente non avezza a vederne, si crederanno che siano trenta mila, et un soldato li parerà dieci. Resta dire che se venisse una fortuna di mare in qualsivogli loco dove si trovassero come si potriano salvare, se ben di estate, che sarebbe meraviglia, però si ha da presuponere tutte le aversità che possono incontrare, 1 esta anche dire se fosse di GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 427 giorno chiaro come si faria l’istesso effetto, overo ancora se prima si havesse a dar 1’ assalto alla porta della cava, o vero prima la scalada alla marina di Sarzano et prescrutare molto bene questi passi, come anche entrata la soldatesca se fusse anche bene tutto in un tempo assaltare le due porte maestre cioè San Tomaso e San Stefano et il palazzo et lasciare ii molo per ultimo essendo porta di mare oltre di ciò vi è altri modi da prendere detta porta della cava, che tutto ciò per non essere più longo tralascio, che seguirà un’altra volta. Presa Genova non è dubbio che si prende con facilità tutta la riviera massime con la commodità del Piemonte attaccato, et li rive-raschi non meno desiderosi del popolo di Genova. Vi resta Corsica per la presa del qual regno ho trovato modo, che subito si debba anche havere nelle mani, il quale sarà buono seben non ho tempo adesso di discorrerli sopra. Presa Genova dico che resterà il Stato di Milano fiacco per tante cause troppo a tutti note ma particolarmente a Spagna per il servitio della pecunia di Genova, et delle fere de' cambi di Piacenza sogette a’ genovesi a servitio di Spagna e tutti quelli danari di Genova restano a servitio di S. A. S. infinitamente col modo dato, che in Genova sarà molto più facile con altre avvertenze che a suo loco dichiarerò (se ben ho modo molto più facile per detto negotio che proposi li giorni passati a S. A. pel Piemonte che mi risalvo a suo tempo farne il secondo et ultimo discorso). Non sarebbe dico solo cosa ottima per Venetia l’imprestrare queste galere per raggion di stato et il simile tornerebbe di conto all’ istesso Imperator de turchi, che fattogli penetrare il negotio, massime che presa Genova scalo d’Italia sarebbe facile cacciare li Spagnuoli di Milano, et poi di Napoli massime con la intelligenza di Venetia, che et a Venetia et al turco tutto ciò conviene per levarsi d’atorno casa d’Austria, et al turco per abassare quelle forze principali in Christianità che gli sogliono metter più pensiero delle altre, e tutta Italia quieterebbe, che se ben i napoletani e milanesi servono al Re come quelli che non possono a meno non perchè amino li spagnuoli, vi resta di gran vantaggio il modo di rompere un’Armata, che presa Genova con quelle forze si potrebbe effettuare. Li corsari di Tunisi e Barbaria verrebbero anche con galere grosse et fusto a servire con pagarli a tanto il giorno per otto dieci quindeci 428 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 0 più giorni che si prendessero a servitio di S. A. essendo assicurati delle persone et vascelli, et a loro tornerebbe conto et utile, che sarebbe un guadagnar sicuro. Ma per schifare tutti questi fastidij di Venetia et vascelli d infedeli tanto et non della gente dico, che con sei galeoni da guerra si potrebbe mettere ad essecutione questo buon pensiero di tanto servitio a tutti li Italiani. Che nelli paesi bassi si ritrovi sei galeoni da guerra de’ più longhi nè grandi nè picoli con solo cento o cento venti marinari per galeone a nome di Malta o sotto qualche altro nome o stratagema che si dirà, et accommodati questi sei galeoni nella maniera che dirò, cioè abassati di legname più basso che sia possibile, cioè levata quella opera morta, cioè l’altezza della poppa et della prora, levatagli la artiglieria tanto pesante che dà tanto travaglio al vascello che non si può dire d’ avantaggio perchè è carico, che quasi tutto sta di sopra, et di poi bin spalmati alleggerita anche per consequenza alquanta saorra corrispondente al carico di sopra et messi quattordeci remi in circa per ogni banda a tre e quattro per remo degl’istessi marinari ben pagati da vogar non sempre ma solo in l’occasioni importanti col trinchetto alla latina a guisa di galea, correrà questo galeone a remi almeno il terzo o sia la terza parte anzi più di quello che farà una galera a remi la quale farà otto in dieci miglia 1’ hora et questo galeone tre e mezzo in quattro 1’ hora et a farne solo tre a me basta di questo che tanto servirà, cioè che venghino in Villafranca il mese di settembre cioè al principio del mese perchè da’ paesi bassi haveranno felice venire con li soliti venti del giorno che da per tutto spirano con molta freschezza ombra et buon tempo verranno senza vogare basta solo far forza nell’ entrar di notte in Villafranca nella manera accennata sopra con le galere, et occorrendo anche di notte potriano vogare a passare il Stretto di Oibeltarra et gionti dico in Villafranca con l’istesso ordine narrato sopra con le galere imbarcare la soldatesca che vi ne starà dico il doppio che se havessero a far longo viaggio massime questo che sarà di poche hore, che dritta linea non vi sarà da Villafranca a Genova poco più di cento ventimiglia in circa, et con le due galere si verrà al compimento delli tre millia; hora se non corrono a remi questi tanto come le galere non importa dico se ben a la vela correranno quasi tanto; ma vi è di buono che GIORNALE STORICO Κ LETTERARIO DELLA LIGURIA 429 le notti di settembre sono più longhe di quelle degli altri mesi, che essendo sopra Genova trenta o trentacinque miglia vi è tempo di arrivare con aiutar le galere a remurchiare nella maniera che dirò; ma per mettermi più sicuro io ho un modo secreto che se li galeoni saranno lontano di Genova quindeci in venti miglia non potranno di terra in modo alcuno essere scoperti nè visti e lo farò toccar con mano e altri che io non può essersi imaginato tal facile secreto che per brevità non dico. Potranno dunque i galeoni essere alle ventitré in ventiquattro hore vicini a Genova venti miglia, che non saranno veduti, et ancorché fussero veduti poco importa perchè si vedono quasi sempre cinque o sei polache che di Corsica vanno a Genova pure in quelli mari tutte insieme, et le navi fiamenghe a sei dieci quindeci e venti, però d’inverno, nè Genova si cura di veder sei vascelli nè anche cinquanta che in alto mare a pena che si vedono si può sapere che vascelli siano et dico ancora, che se li sei galeoni fussero veduti solo sei miglia lontani di Genova si crederebbero che fussero polache da legne, le quali sogliono portare il trinchetto latino come haveranno questi galeoni per andar meglio quasi contro vento ad orsa come dicono i marinari. Hora arrivati vicino a Genova si ha da tenere l’istesso stile detto di sopra con le galere che quasi et senza quasi faranno l’istesso effetto delle galere però sarebbe meglio le galere per la prestezza et agilità; ad ogni modo dovendo sbarcare con li schifi fa il medesimo effetto; non manco racordare che anche per più cumulo di soldatesca non sarebbe che ben fatto scatenare et sciogliere i forzati et schiavi delle due galere di Savoia in compagnia di tutti i marinari de’ galeoni con 1’ armi in mano ancorché fussero solo pietre et spontoni et con buon ordine et vestiti a proposito non potrebbero fare occorrendo che buon servitio, massime con prometterli la libertà, essendo quasi tutta gente avezza all’ armi, che se ben il popolo è favorevole et senz’armi è pur bene che vi sia gente che e per amore e per timore sottometta ogni cosa et molta soldatesca parerà più grandezza. Se ben ali' improviso si dice huomo assaltato è mezzo perso ancorché sia armato, hora essendo questo popolo disarmato codardo disordinato amico nostro resta spento ogni dubbio anzi crederanno loro, che se campano sino alla sera senza essere tagliati a pezzi loro con la famiglia di 430 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA havere una gran ventura. Anzi sarebbe bene portar sei pedrieri di raggionevole grandezza agli effetti che un altra volta dirò. Sin qui ho detto se ben confesso che di guerre et militia di terra so tanto quanto un muro, io solo dò il modo di entrare et la qualità delle persone e sito et quanto dico solo per modo di ragionare sapendo di ciò più S. A. quando dorme che io nè cento pari miei a studiar molti anni, et se il discorso non darà gusto a S. A. S. la priego perdonarmi, parendomi essere stato obligo mio, nè io voglio nè pretendo sapere in ciò la volontà di S A. ma solo servire fedelissimamente se si degnerà a comandarmi, che mi terrei favoritissimo non havendo altro desiderio che di servire et massime con tutta la secretezza del mondo perchè so che questo è importantissimo anzi sarò come una statua di marmo, che non solo parla ma neanche fa cenni et se di ciò ho fatto motto al sargente maggiore in non posso qui adesso dire la causa ma se la dicessi forse S. A. mi darebbe qualche raggione. Se pare eh’ io mi mostri nemico di genovesi, io non li voglio male et vorrei il suo bene et questa sarebbe la strada et forsi Dio lo permetterà per salute di quella Republica et di quel popolo, perchè vi sarebbe giustitia et per consequenza vi sarebbe Iddio Io non posso stando in quella città aspirare a benefìcio nessuno nè in Corsica nè per la riviera nè capitano di galere nè altro, perche non son scritto nel libro della nobiltà, et se fussi et sapessi più che Salomone non vi è ordine di poter consequire cosa alcuna anzi essere malissimo voluto et odiato, che se fussi sotto un Prencipe assoluto se fusse il più malvagio del mondo sarebbe contra fortuna che almeno in qualche modo non facesse qualche poco conto di me et mi contenterei et forsi poi a poco a poco prender la sua gratia, ma in questa Repubblica si acquista odio et vergogna; oltre di ciò si muta presto li offitiali et si gira la rota; quelli nobili che hanno li carichi ovvero ufficij per il più sono gente vile et intrinsecamente mecanica, che per questo di nuovo non voglio che nessuno di costoro pretenda nè tutti insieme neanche di paragonarsi a me, nè li conosco in niente nè per niente, oltre di ciò anche per quanto intesi già da mio padre li antichi antecessori mi vengono di questi stati andati a Milano Napoli et Spetia. Sempre nobili in ogni parte, et particolarmente in la GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 43' Spetia tanto antichi come qualsivogli casa vechia di Genova dui de quali sono anche nobili in Genova, et mio padre ancorché habbi giocato et speso male il suo, ha però sempre speso il tempo in militie et stato capitano a servitio di Venetia sin nel tempo credo io di Sforza Pallavicino se mal non mi ra-cordo et lui era del stato di Milano, dove anche vi ho parenti che vivono comodissimamente d’ entrata, però io non mi sono mai curato d'intrinsecarmi, perciò io altro padrone nè Signore voglio che la Serenissima Casa di Savoia, se però mi farà un poco degno di tal desiderio, esponendo tutto ciò per la gran raggione ch’io ho et per mia discolpa ch’io sono persona di verità et intiera realtà et amicissimo di virtù et non de vitij, che per niun conto per quanto mi è cara la vita farei un mancamento, anzi io non son tampoco venuto qui per gola de danari nè d’altro. Perchè sarò ricco con la gratia di S. A. basta che habbi da vivere et vestire simpliremente e non altro, nè mai dimanderò altro, desiderando solo servire bene come spero, se haverò occasione d’ essere impiegato in qualche cosa. Pregando intanto S. A. S perdonarmi s’io non havessi scritto, o veramente errato in qualche cosa nel scrivere dando colpa alla ignoranza et anche in non haver avuto tempo di rivedere questo discorso il quale è scritto in fretta et è la prima sbozza, et S. A. facci conto che tuttociò sia fumo perchè mai più ne anche vi penserò parendomi haver fatto quanto io ero obligato, sicome farò in ogn’ altra occasione di suo servitio insieme con la vita istessa come ho per obligo. Se a S. A. S. non piacesse questo modo d’ entrare nella Città, ancorché sia a parer mio bastante, io ne ho un altro al-tretanto facile et sicuro et ambi insieme sicurissimi, ma nel andarvi con vascelli io non ho altro modo, il quale dipende dalla secretezza, et in tal caso servirebbe di coperta l’erario, che ho nel primo discorso proposto; basta per concluderla, come il fatto sia secreto, modo di entrar dentro non mancherà a tutti i modi, chè altri che Gio. Ambroggio non troverà tali modi sufficientemente facili e tutti i richi e potenti che potessero insieme trattar un tal negotio sarà ogni cosa vana perchè ciò non consiste nella gravità della persona o di livree ma nella virtù e nell’ingegno lontana sempre ogni coditia di danari perchè s’io 432 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA havessi havuto caro il danaro, et le richezze di tutto ciò non saria seguito nessun foLdamento. Mi resta dire se sarebbe bene prendere questa Città nel tempo che le galere sì di Genova come di Spagna sotto don Carlo D’Oria fussero nella Città per impadronirsi anche di esse per alcuni bisogni, che potrebbero occorrere in quelli tempi ; ancorché con esser fuori le galere di Genova si sminuiscili da trecento in quattrocento soldati del presidio ; di ciò si raggio-nerà a loco e tempo, perchè vi bisognerebbe qualche discorso, che hormai è tempo ch’io dia fine ad un sì longo raggionamento e vi sarà tempo di altri minucciati discorsi per un tanto negotio come si conviene, restandomi a dire molte particolarità intorno questo discorso non importanti ma molto importanti et importantissime come prattico della Città ; et essendo io non moderno servitore nè suddito di S. A. S. e di tutta la Ser.ma Casa di Savoia ma vecchio havendo consumato tutto il tempo di mia vita in suo servitio, et il restante anche che mi avanza spero con maggior frutto servire; sì come ho sempre havuto scolpito nel cuore come da qualche poco segno si può vedere, perchè essendo in que’ principij Ammiraglio del mare il Ser.mo Prencipe Filiberto mandai a S. A. S. un discorso che era buon modo di estinguere tutti i barbari Corsari, che sino allora studiavo le cose presenti et dui anni sono procurai di venir in Piemonte si come li fu a S A. parlato da un Padre Rev.do qui di S.to Tomaso che sta a Saluzzo che per 1’incommodi delle guerre et altro non mi fu concesso poter venire, che ciò lo raccordo perchè non sono instabile, et a questo servitio ho sempre havuto la mira et questa non è cosa di questi moderni tempi. Si degnerà dunque S. A. S. accettarmi per tale, et non havermi in minor fede de gl'altri suoi servitori ancorché minore di tutti gl’altri, et essendo hormai tempo ch’io ponga fine a questo discorso non potendo a meno fo fine senza pregiuditio di molte altre cose intorno ciò da racordare come delle militie de popoli de’ borghi della Città, et anche se il popolo fusse avvertito et volesse potrebbe anche resistere, il che per chiudere a tutti il passo con facilità è conveniente avertir molte cose, quando però occotra mettere in essecutione questa opra così buona. giornale storico e letterario deli,a Liguria 433 CON TRIBUTO ALLE RELAZIONI TRA GENOVA E I VISCONTI NEL SECOLO XIV IL CONTRATTO NUZIALE DI ISABELLA FIESCH1 CON LUCHINO VISCONTI. Isabella Fieschi, la vergine magna et formosa, come la dipingono i cronisti dell’ epoca, ha per la prima gettato a piene mani il fango in quella famiglia, che oltre la tradizione d’un non mai interrotto guelfismo e d’ una beneficenza inesauribile, avea pure gelosamente conservato l’onore delle sue donne. Gli esempi della prozia Beatrice, sorella del pontefice Adriano V, rimasta nel fiore degli anni vedova di Tommaso II di Savoia, la zia Iacopina, moglie del biondo Opizzo d’Este, meritarono i più sinceri elogi dagli annalisti di Altacomba e di Ferrara (1), mentre un' altra zia, Alagia Fieschi, moglie di Moruello Mala-spina, viveva ancora superba delle Iodi, prodigatele dal divino Alighieri. Luchino Visconti « nobilis miles vir corpore et vultu valde pulcher et bene formatus et omnibus membris corporis sui incolumis et sanus » (2) era già vedovo di due donne prima di impalmare Isabella Fieschi, e, se dovessimo prestar fede al Fiamma, le sue prime nozze sarebbero state celebrate nel 1315, nel qual anno « Luchinus et Stephanus fratres filii Mathei Vi-cecomitis duxerunt uxores » (3). Ma le nozze di Stefano Visconti con Valentina Doria furono invece celebrate nel maggio del 1317, come da documenti irrefragabili chiaramente apparisce (4). (1) D. Carutti, Regesta Comitum Sabaudiae, p. 2QÔ, Torino i8Sg; Cronicha Abbatiae Altacombae, in Mon. Hist. Patr. Scriptores I, 674; MONACHI Patavini, Chronicon in Muratori, R. I. S. Vili, 718 ; Ricobaldi Ferrariensis, Historia Imperatorum, MURATORI, R. I. S. IX, 135. (2) Galvano Fiamma, De Rebus gestis a Vicecomitibus 1328-1342 in Muratori, R. 1. S. XII, 1030. (3) Manipolimi florum in Muratori, li. I. S. XI, ;23. (4) A. Ferretto, Il contratto nuziale tra Stefano Visconti e Valentina Doria in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, An. I. Settembre 1901, Fascicolo III. Oiot n. SI. e LcH- 'ir/la l.ìgmia, \. „>S 434 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Sulla fede del Litta, Luchino sposò prima Violante, figlia di Tommaso, marchese di Saluzzo, vedova di Opizzino Spinola, e poi Caterina di Oberto Spinola nel 1318 « nozze conchiuse, quando i Doria resi sospetti per le loro aderenze coi Visconti furono scacciati da Genova » (1). Violante, figlia del marchese Tommaso di Saluzzo, avea sposato nel 1313 Opizzino Spinola, avendogli portato in dote 6000 fiorini d’oro, per la qual dote vistosa il battagliero capitano del popolo avea dato a pegno il suo castello di Chiaramonte nel Tortonese (2), e soltanto nel giugno del 1316 era rimasta vedova, giacché appunto sotto tal data emerge che « Opicinus Spinula obiit ex febre in Serravalle et in testamento legavit filiae suae uxori marchionis Montis ferrati omnia sua iura quae habebat in Serravalle » (3). Le nozze colla vedova Spinola potevano essere state celebrate nel 1317, contemporaneamente a quelle di Stefano, conoscendo pure dall’Azario che Luchino « habuerat namque unam de Spinulis quam in iuventa et cum alio primo matrimonio quod contraxerat dicitur dilexisse » (4). Il Giulini, dopo aver riferito le opinioni del Fiamma e del-l’Azario, non riuscendo a mettere le cose a posto conchiude : « Quanto alla sua terza donna Isabella o Elisabetta Fieschi io non mi persuado che egli là sposasse se non dopo la pace fra Genovesi e Visconti. Lo stesso Fiamma nel Manipolo dei Fiori accenna un matrimonio di quel principe celebrato nell’anno 1329 e quel tempo conviene ottimamente alle sue terze poco felici nozze colla sopradetta signora. Le magnifiche feste fatte in occasione degli sponsali del figlio di Matteo in Genova furono al dire del Calco le trombe che diedero il segnale della guerra in quella città » (5). Anche questa data è errata. Soltanto Federico Federici coglie nel segno; a metà del secolo XVII scriveva: « Pacificati i (1) POMPEO Litta, Famiglia Visconti, Tavola III. (2) GlOFFREDO DELLA Chiesa, Cronaca di Saluzzo, in Mon. Hist. Patr. Scriptores III, 967 ■ (3) Memoriale GUILLIELMINI VENTURAE, De Gestis civium Astensium, in Mon. Hist. Patr. Scriptores III, 797. (4) Petri Azarii, Chronicon in Muratori, R. I. S. XVI, (5) Storia di Milano, Lib. LXI, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 43 5 guelfi e i ghibellini nel 1331.... desiderando i Visconti havere interesse nello Stato di Genova per stabilire maggiormente l’autorità e grandezza loro, procurarono che Carlo Fieschi maritasse Isabella sua figlia in Luchino Visconte, nel quale era pervenuto la Signoria di Milano, il che si effettuò con poco felice riuscita di questo matrimonio per la soverchia vanità di questa per altro splendidissima donna, alla quale furono sorelle di animo e di genio del tutto differente Ginetta, moglie di Pietro Rosso signore di Parma e di Lucca (1), e Soborgia moglie di Alberto del Carretto, marchese di Savona, ed un’ altra che fu moglie di Godifier de Chalant, governatore di Ginevra e Senatore di Roma » (2). Gli sponsali furono celebrati il 9 febbraio 1331, come dal seguente documento inedito: In nomine Magni dei et Salvatoris domini nostri Iesu Christi et Spiritus Sancti Amen. In presencia mei Georgii de Ponte de Framura notarii infrascripti et testium infrascriptorum ad hec specialiter vocatorum et rogatorum ibidem Nobilis et Egregia domina Thedora uxor bone memorie Magnifici viri domini Karoli de Flischo militis Lavanie comitis palatini necnon Luchinus (3) et Isabella eorumdem nati et quilibet eorum suo proprio nomine facientes predicta Isabella auctoritate et consensu ipsorum domine Thedore et Luchini curatorum ipsius ac prefati domina Thedora et Luchinus curatores et curatorio nomine lohannis necnon tutores et tutorio nomine Anthonii (4) eciam natorum eorum bone memorie prefati domini Karoli et ipsius domine (1) « 1328, 15 ottobre. Sabato Petro Rosso fiolo di Guglielmo e fratelo di Rolando meno per molie gineta fiola di Carlo dal Fiesco di Genova e vene questa a Parma deto di accompagnata da molti nobili di Genova così dal Fiesco come d’ altri in hora di vespero e la domenica lunedì e martedì seguenti grande et honorate nozze con gran convivii furono celebrate da magiori homini e donne di parma nel palazo del episcopo dove smonto detta sposa e non resto citadino ne forestiero terazano o soldato che potesi havere cavalo che non gli andase incontra a deta sposa con ogni trombe trombeti zallamele tamburi et altri istrumenti * (Da Erba, Chronica Parmensia, p. 424, Parma, Tip. Fiaccadori, 1858). (2) Trattato della Famiglia Fieschi, pag. 65. (3) Luchino Fieschi avea sposata Costanza, figlia di Poncello Orsini, cugina del noto Cola da Rienzo (Atti del Not. Tommaso da Cavi, Reg. I, f. 5, Arch. di Stato iti Genova). (æ'i Antonio Fieschi fu vescovo di Luni, 43*5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Thedore ut de tutella et cura ipsorum constat apud acta curie domini Vicarii domini capitanei et Vicharii regii Civitatis Ianne et districtus scripta MCCCXXVII1 die XVII februarii et de inventario per eam confecto constat publico instrumento scripto manu Dominici Villanucii notarii dictis millesimo et die et pro quolibet ipsorum in solidum fecerunt creaverunt nominaverunt constituerunt et ordinaverunt suos et dictorum et minorum dictis nominibus et cuiuslibet eorum procuratores et nuncios speciales ac inde actores periculo facultatum ipsorum domine Thedore et Luchini tutorum et curatorum predictorum domine Isabelle Io-hannis et Anthonii (i) cum decreto et auctoritate infrascripti domini consullis Ianne discretos viros dominum Belfinum de Cle-raschis de Cremona iurisutriusque peritum et Leonardum de Porcho de Sigestro districtus Ianue absentes ambo simul ad in-frascripta videlicet dicta domina Isabella specialiter ad consen-ciendum per verba de presenti nomine ipsius et pro ea in Magnificum et Nobilem virum dominum Luchinum filium bone memorie Magnifici et potentis domini domini Mathei de Vicecomitibus de Mediolano tamquam in suum virum legiptimum et pariter consensum ipsius etiam per verba de presenti recipiendum in eam et ad matrimonium inter eos legiptimum contrahendum cum promissionibus pactis formis modis et cautellis de quibus eisdem videbitur et duxerint ineundum et prefati domina Thedora Luchinus et Isabella dictis nominibus ad agendum et deffendendum et obligaciones pacta promissiones doctis et aliorum ad iurandum de calupnia in eorum constituendum animam et cuiuslibet alterius generis iuramenta prestandum et bona eorum et dictorum minorum obligandum et demum ad omnia et singula peragendum et paciscendum in iudicio et extra quam ipsi constituentes possint dictis nominibus si adessent edam si requirerent speciale mandatum dantes eisdem procuratoribus nunciis et actoribus in predictis omnibus et circha ea et generaliter ac specialiter plenam liberam generalem et specialem administracionem potestatem et bailiam ac plenam liberum et generale et speciale mandatum promittentes dictis nominibus infrascripto domino Consuli placitorum Ianue et mihi notario infrascripto stipulantibus ex officio publico nomine et vice prefati ipsius domini Luchini de Vicecomitibus militis rata grata et firma tenere ac observare et adimplere omnia et singula que per ipsos procuratores nuncios et actores facta procurata fuerint sive gesta vel quomodolibet conventa seu contracta sub pena etiam per eos promittenda vel promissa et sub ypotheca bonorum suorum et dictorum minorum renunciantes in predictis (i) Alla nota dei figli di Carlo Fieschi e di Teodora manca 1’ Eliana, la quale il 20 luglio 1331 riceveva L. 666, soldi 13 e denari 4 dalla madre, essendo andata sposa a Mariano Doria, nipote del noto Branca Doria (Atti del Not. Tommaso Casanova, Reg. II, f. 135, Arch. di Stato in Genova), giornale storico e letterario della Liguria 437 ornili exceptioni in factum doli mali condicioni sine causa et omni juri. Quod mandatum procuratorium et bailiam duret et durare posset dumtaxat hinc ad unum mensem proxime ven-tuium et volentes relevare dictos suos procuratores nuncios et actores ab omni onere satisdandi promisserunt dicto domino consuli et mihi notario predicto stipulantibus et recipientibus ut supra facere et curare ita et taliter quod predicti procuratores nuncii et actores in iudicio sistent si expedient et judicatum solvent et in omnibus suis clausulis fideiubendo pro eis et edam fidemjussores 111 omnem causam cuiuscumque obli-gacionis quam inirent dicti procuratores nuncii et actores tam de judicio sisti quam judicatu solvi in omnibus suis clausulis et alias sub ypotheca et obligacione bonorum suorum et dictorum minorum renuncians juri de principali et omni juri. Et predicta fecit dicta domina Isabella in presencia consensu et voluntate dictorum domine Thedore et Luchini fratris sui ac testium in-frascriptorum quos in hoc casu suos propinquos vicinos et con-sciliatores ellegit et appellavit secundum formam capitulorum Ianue et ad cautellam iurium ad sancta dei Evangelia corporaliter tactis scripturis predicta omnia et singula atendere complere et observare et in nullo contrafacere vel venire racione minoris etatis vel alia racione vel causa sed pocius adimplere confitens se maiorem esse annorum XIIII et dictus Ottolinus de Sancto Syro de Cremona consul Placitorum Ianue sedens pro tribunali in loco infrâscripto quem sibi pro iuridico et ydoneo ellegit statuit decrevit et ordinavit eosdem dominum Belfinum et Leonardum de voluntate requisicione et consensu dictorum domine Thedore et Luchini curatorum et tutorum predictorum actores in predictis omnibus et singulis quibus supra ac eciam in predictis omnibus et singulis suam auctoritatem interposuit et decretum laudans statueno et pronuncians predicta omnia et singula habere debent perpetuam roboris firmitatem et infringi vel revocari non posse aliqua racione vel causa. Actum Ianue in palacio dicte domine Thedore posito in contrata Sancti Donati Anno Dominice nativitatis MCCCXXXI indicione XIII die VIIII februarii circha terciam. Testes Dagnanus Cazanus Rizardus de Marehionibus Gavii et Nicolaus de Fontanegio cives Ianue (1). Come pegno di nozze, dopo un anno del matrimonio, Luchino Visconti elevava al grado di podestà di Milano il cognato Giovanni o Zenotto Fieschi, morto nel 1337 alla battaglia di Pa-rabiago * miles probissimus cuius sororem Luchinus duxerat in uxorem » (2). Arturo Ferretto (1) Atti del Not. Bartolomeo Manarola, Reg. I, f. 64, Arch. di Stato in Genova. (2) Galvano Fiamma, Man. Flor. 1. r., 734, 737. 4jS GIORNALE SToKICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA VARIE T À UN DOCUMENTO PER LA BIOGRAFIA DI ANDREA SANSOVINO. Narra il Vasari nella vita di Andrea Dal Monte Sansovino: « Fu poi condotto a Roma da Papa Giulio IL, e fattagli allogazione di due sepolture di marmo poste in Santa Maria del Popolo, cioè una per il cardinale Ascanio Sforza, e 1’ altra per il cardinale di Ricanati, strettissimo parente del papa; le quali opere così perfettamente da Andrea furono finite, che più non si potrebbe desiderare, perchè così sono elleno di nettezza, di bellezza e di grazia ben finite e ben condotte, che in esse si scorge l'osservanza e le misure dell’arte » (i) 11 tempo preciso dell’ andata del Contucci a Roma, chiamatovi del Della Rovere, e quindi anche la data di quei due suoi capolavori, son rimasti finora incerti. Gli annnotatori delle Vite del Vasari giustamente osservano: « Questi due monumenti di Ascanio Maria Sforza, vicecancelliere di Santa Chiesa, morto nel 1501, e di Girolamo Basso della Rovere, morto nel 1507, debbono essere stati fatti dal Contucci prima del 1509, perchè si trovano ricordati dall’ Albertini nel suo raro libretto De Mirabilibus Urbis Romœ etc., da lui finito di scrivere nel 1509, e impresso dal Mazzocchi in Roma nell’anno seguente. Essi sono nel Coro, e si stimano tra le più belle cose che abbia Roma nel genere di ornamenti e di grottesche » (2). Ora il documento che pubblico nelle sue parti più essenziali ci permette di stabilire che il Sansovino andò a Roma nel 1505, e cominciò a lavorare attorno alla sepoltura del Cardinale Sforza nell’anno seguente; a quella del Cardinal Della Rovere non poteva allora metter mano essendo questi tuttora in vita. Il documento è un contratto di noleggio che Andreas Nicolai de Monte Sancti Savini sculptor marmorum in ripa romana fa con Bartolomeo Ventura di Portovenere il 5 dicembre per il trasporto di venticinque o trenta carrate di marmi di mille-cinquecento libbre ogni carrata e di pezzi due, tre, quattro o cinque, oltre tre carrate d’un pezzo solo, da caricarsi alla spiaggia dell’ Avenza e da scaricarsi in Roma in Rippa seu plagia. Il prezzo del nolo « pro singula carrata » è stabilito d’accordo in « carlinos sedecim papales ». Ecco il contratto, eh’ è fatto alla Spezia dal notaio Paolo Ambrosini, cancelliere delia Comunità: (1) VASARI, Opere, Firenze 1879, vol. IV, pag. 515. (2 Iti. , ibid. nota. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 439 Instrumentum naulixamenti inter andream nicolai de monte sancti sauini de roma et bartholomeum venturam. (Arch. Coni. d. Spezia, Notari, Prot. di Paolo Ambrosini, anno 1505, cte. 347) In nomine domini amen anno a nativitate eiusdem Mdquinto Indictione vi.a secundum Spedie diocesis lunensis et sarzanensis cursum die vero vi decembris sabatti hora vesperis. Ad infrascriptum instrumentum et infrascriptam naulixationem pacta et obligationes pervenerunt et pervenisse fatentur partes infrascripte et sic tacite et contente fuerunt et sunt videlicet Andreas nicolai de monte sancti savini sculptor marmorum in ripa romana omni meliori modo iure via et forma quibus melius potuit et potest naulixavit et naulixat cum bartholomeo ventura De portuveneris in eius sagitea sive galeono carratas viginti quinque usque in triginta marmorum de libris mille quingentis in pondere pro cuiuslibet carrata et de petiis duobus tribus quatuor nel quinque ad minus pro singula carata preter carratas tres de petio uno pro singula carata consignandorum per ipsum nicolaum (sic) intra diem martis proxime venturi ad tardius in plagia laventie ad carricum iuxta solitum aliius loci carricandi pro parte spe-ctante ipsi nicolao (sic) pro viagio presenti fiendo cum primo bono tempore hoc est intra diem martis proxime venturi pro roma in ripa huius civitatis ro-me discarricandi pro mercede naulo et satisfatione ipsorum marmorum cari-candorum et defferendorum et nauicandorum pro dicto loco Rippe seu plagie dare et solvere promisit dictus andreas dicto bartholomeo presenti subito postquam dicti marmores fuerint discarricati in dicta Ripa seu plagia carli-nos sedecim papales pro singula carrata ponderis laventie differende sine exceptione at questione aliqua. Et versa vice dictus bartholomeus per se et suos heredes promisit et convenit eidem andree nicolai presenti etc. intra diem martis proxime venturi ad tardius salvo iusto impedimento accedere ad dictum carricun cum dicto suo galeono ad plagiam lauentie et in eo carricare dicti marmores utsupra consignandos per dictum Andream iuxta solitum aliius loci et postea cum primo bono et tranquillo tempore et mari in eo loco cum dicto galeono recedere recto tramitte navigando ad idem locum rippe romane et dictos marmores discarricare et consignare ipsi andree pro illa mercede et naulo utsupra convento a predicto andrea promisso. Acto tamen ex pacto quod si aliquo casu dictus bartholomeus cum dicto galeono infra dictam diem martis proxime venturi essendo bonum tempus et tranquilo mare accedere non posset intelligatur presens instrumentum non valere et quilibet in sua potestate etc.............. Que omnia etc. Sub pena ducatorum quinquaginta auri et in auro aufferendorum a parte contrafacente et aplicandorum parti observanti etc......... 440 ΙϋοΚΝΑΙ.Κ STORICO Κ LKlTEKAKlO DELI,A LIGURIA Et voluerunt dicte partes ex pacto inter eos convento et inito de acor- dio.......quod pars contrafaciens vel ut supra non observans possit et valeat ad requisitionem simplicem partis obseruantis conveniri citari et arrestari realiter et personaliter Rome pissis spedie Ianue mediolani florentie neapolis et ubique locorum tam coram ecclesiastico foro quam seculari ubi inventa capta et arrestata seu conventa fuerit, etc......... Actura spedie in scanio inferiori domus mei notarij infrascripti presentibus gregorio quondam Johannis dicto bataglia de puteo de virguleta et antonio andrea scalioni ambobus de spedia ad hec vocatis et rogatis. U. Mazzini NOTES DE PONS DE L’ HÉRAULT SUR GÊNES. Pons (de l’Hérault), après avoir été longtemps administrateur des mines de Porto-Ferraio, après être devenu l’un des compagnons les plus fidèles de l’empereur Napoléon dans les derniers actes de sa vie politique, passa dans la retraite une longue vieillesse. Il en employa les loisirs à de fréquents voyages dans cette Italie qu’ il aimait en patriote et en libéral, et où il se rappelait avec joie les beaux temps de son activité passée. Il a réuni dans ses voyages, dans ses séjours à Gênes, à Florence, à Sienne, dans ses excursions dans les Maremmes dont il a préconisé le dessèchement, un grand nombre de notes et de documents, tant sur les mœurs que sur les événements politiques ou militaires. J’ en ai publié déjà quelques fragments curieux dans diverses revues italiennes. J’ espère qu’ on trouvera quelque intérêt à ceux que je prends la liberté de présenter aujourdhui aux lecteurs du Giornale Storico della Liguria : il ont trait aux fêtes religieuses, que Pons étudie avec curiosité, y voyant à juste titre un symptôme révélateur de la mentalité populaire; d’autres sont relatifs à quelques palais et villas visités par le voyageur et décrits avec un enthousiasme qui n’exclut pas une discrète ironie. C’est en 1841 ou 42 que furent rédigées ces notes sur Gênes (1). — Elles sont conservées avec les autres restes des papiers de Pons à la Bibliothèque Communale de Carcassonne; elles forment un cahier oblong de format « italien » cote 11.863, n. 1. L. G. PÈLISSIER I. Fêtes religieuses. [Fol. 1] La procession le jour même du Corpus Domini se compose de tous (1) C’ est à 1’ obligeante érudition de mon savant confrère M. Achille Neri que sont dues les notes qui enrichissent et eclaircissent la publication des souvenirs de Pons. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 44I les clergets ou d’une partie de tous les clergets de Gênes, des autorités, d’une grande partie des différents ordres religieux, des corsps {sic) savants, c’ est-â-dire des facultés et de quelques hommes dévots, car les femmes ne vont pas <1 cette procession, autrement que pour tenir par la main leurs enfants en bas âge, revêtus du costume soit disant d’un Saint. Ainsi j’ai vu un pauvre petit « Saint Pierre » qui avoit à peine trois ans, affublé d’une large culote grecque, d un bonnet grec auquel étoit attaché une auréole, de petits cotumes rouges, et ayant avec cela une chemise de matelot et des bretelles écarlates, une ligne d une main au bout de laquelle pendait un poisson en argent et de 1’ autre main un petit panier de pêcheur également en argent et qui avoit 1’ air d’une passoire à thé. D’autres petits garçons ou petites filles, dans des costumes tout aussi historiques, représentaient la Vierge Marie, la Madeleine ou S. Jean Baptiste [ i v· ]. Chaque paroisse et chaque ordre avoit en téte une croix ; de chaque (sic) de la croix un soldat de la troupe de ligne. Les moines y étaient en égal nombre au moins que les prêtres ordinaires. Il y avait deux cent moines de tout ordre, 40 lévites, 46 séminaristes, 30 prêtres reguliers, 34 chanoines, 300 pauvres de l’Albergo. Le gouverneur et le président du Sénat ne vont jamais â cette procession pour ne pas se céder le pas ; le président du Sénat de Gênes devant 1’ avoir sur tout autre fonctionnaire de la ville, et le gouverneur étant le premier fonctionnaire de 1’ état à Gênes, il en a résulté cette difficulté qu’on a surmonté par ce terme moyen. Les paroisses dirigées par un clerget régulier célèbrent seules la Fête- Dieu. Les églises des couvents, l’Annonciade même, ne font pas cette fête. — La procession de Sainte Sabine, une des plus anciennes églises de Gênes, la plus ancienne peut-être, a eu la [2] procession la mieux en ordre et la plus riche d’ornements sacerdotaux. Des prêtres, des pénitents noirs et des membres de l’amirauté formaient le cortège. Cette procession se fait à la nuit et est d’un très bel effet. Chaque personne porte une torche de cire. Les pénitents ne ressemblent nullement à tous leurs autres confrères. Au luxe de leurs chaussures, à la blancheur et à la finesse de leurs gands, au neuf de leurs cilices, aux limettes d’or qui se laissent voir à travers les trous du capuchon, on distingue bien vite une classe plus élevée que celles qui d’ordinaire forment ces sortes de sociétés religieuses. On nous a dit que parmis (sic) les frères de Sainte Sabine il y avoient plusieurs membres de l’amirauté. La procession, en sortant de l’église entre dans Pré (1) par la porte de Vacca, revient par la rue Lomeline sur la place del (en blanc) et entre à la Nonciade, où elle fait une station, et rentre après cela à Sainte Sabine. La rue Lomelline, tendue en damas rouge galonné d’or sur toute sa longueur, est illuminée par (sic) [ 2 v. ] à toutes les croisées par des torches en cire formant un cordon à la hauteur des bou- (1) Erreur de Pons. La procession passe non à Pré, mais par la via dei Campo où elle entre par Porta di Vacca, descend à Fossatelio et remonte par la via Lomellina. 44- GIORNALI·: STORICO E LETTERARIO Di:Lì.Λ LIGURIA tiques et par des lustres suspendus au milieu de la rue. La place de la Non-ciade a toutes les croisées garnies de bougies et des plus riches damas. Les moines de l’Anonciade, ne prenant aucune part à cette procession, la regardoient venir de dessus les degrés de leur église. C’ était tout bonnement des curieux mêlés aux curieux venus des autres quartiers de la ville. En face de l’église, un détachement de près de deux cents soldats de la ligne commandés par un officier à cheval se développait sur la longueur de la place pour rendre les honneurs au Saint Sacrement, et comme ils ont .mis genoux à terie quand le dais s’est approché, il avaient bien autrement 1’ air de prendre part a la cérémonie que les moines qui n’ ont quitté (sic) de regarder qu’ au moment [fol. 3] où la procession allait entrer chez eux. Us ont couru alors allumer les cierges des autels. De chez M. Miro nous avons vu passer la procession de l’Octave, qui est celle de la Cathédrale. Le vieil archevêque, malgré ses quatre vingts ans passés (1) portoit lui-même le Saint Sacrement. Il remplit rigoureusement toutes les fonctions de son ministère avec le zèle d'un jeune homme. La Procession s’ est arrêtée sur la place S. Mathieu où un reposoir êtoit élevé pour la recevoir. Le curé de S. Mathieu, ayant fermé les portes de sa petite église qui, disoit- il, n’ était pas assez riche pour recevoir une pareille visite, avoit fait dresser le reposoir et s’ était couvert de cette dépense par la location des chaises qui étaient en grand nombre sur la place. La procession était précédée d’un détachement de la ligne qui avoit en tête deux ou trois soldats sans armes chargés d’écarter la foule qui se pressait sur le passage du cortège. Ces messieurs s’acquittaient à coups de pieds et a coups de poings [3V·] de leur charge, d’une manière qui ressemblait bien plus à la colère qu ’au zèle ; 1’ un d’eux ailoit jusqu a la brutalité: je 1 ai vu jeter à terre un jeune homme de quatorze ans. Un jour, au moment où nous dînions, nous entendons dans la rue murmurer des chants d’église, mais à deux voix. Nous nous mettons à la croisée et nous voyons quelques pauvres femmes, quelques pauvres enfans, suivant un pauvre dais entouré d’un pauvre clergé: nous croyons qu’ on porte le viatique à quelque malheureux : non, ce n est pas cela. On nous dit : « Oh, ce ri est rien ! c est la procession de la fête Dieu de Pré ». Ce n’est rien ! Et c’étoit le Saint Sacrement. Pas une vieille tenture, pas une draperie aux croisées, n’avoit annoncé son passage. C étoit le bon Dieu de Pré, le Bon Dieu du Pauvre. Et c’est dans la rue Balby [fol. 4] que nous avous vu cela! Malgré nous, nos idées se sont rapportées (sic) sur toutes ces riches étoffes brodées d’or et de soie, que nous avions vues suspendues aux croisées sous lesquelles devaient passer les trois autres processions dont j’ai parlé déjà; nous nous sommes souvenus qu’ à ces croisées de belles dames jetaient à pleines mains des fleurs sur des moines ou des chanoines, et étaient si empressées à rendre cet espèce de petit hommage à leurs connois-sances que quand le Saint Sacrement arrivait, il n’y en avait plus pour (1) Le cardinal Placido Maria Tadini, mort à 89 ans le vr novembre 1847. giornale storico e letterario della Liguria 443 lui, quoiqu’ elles lui fussent toutes destinées ! Etrange dévotion ! Incroyables moeurs d un pays où 1’ on ne parle que de religion, et où personne ne la comprend bien! Ici chacun a son saint et les miracles de ce saint à vous raconter ; je n’ai jamais entendu citer l’Evangile, j’entends parmi les personnes du monde, parmi surtout celles qui ne pourraient s’ arranger des grandes et sévères leçons du Christ. [ 4 v· ] La Fête Dieu a été renvoyée à quinzaine dans le quartier de San Lazaro. Nous avous vu la procession de ce quartier. Cipoline 1’ avoit faite. Depuis neuf ans elle n’ avait eu lieu, parce qu’ elle occasionne des frais auxquels prennent part tous les habitans du quartier. Cipoline étoit allé de maison en maison, recevant deux, trois sous, quelquefois une moule (?) de chaque paroissien ; puis lui avoit donné plus que toute la paroisse réunie, et cela avoit permis d’employer les tapissiers à decorer tout le quai depuis S. Théodore jusqu’ à la Lanterne. C’ était joli à voir. Des pénitens, rouges, blancs, bleus, que sais -je ? Mais ces hommes vêtus de robes de toile brune, si laides, si usées, avec ces vilains capuchons rabatus sur la figure et qui font peur, qui sont ils? Ce sont les frères des anges, me répond-on. Les frères des anges: c’est à dérouter un artiste! [fol. 5]. Si jamais ceux-laonteu quelque paranté («c) avec les esprits célestes, c’est à ne pas s’en douter, tant ils ont peu de rapport avec eux. Je crois plutôt que c’est la confrérie des Anges, petit coin d’un faubourg de Gênes habité par des pêcheurs, aux bras vigoureux, aux muscles herculéens et qui ont obtenu, grâce à ce qu’ ils n’habitent pas l’intérieur de la ville, de porter un christ des Cazzaccie, chose défendue dans Gênes depuis quelques années. Ce Christ de grandeur naturelle, mis sur une énorme croix, coûte quelquefois la vie à celui qui le porte et plus souvent encor l’estropie pour toujours. C’est là ce qui a fait supprimer les Cazzaccie. Nous avons vu un autre reste de ces fêtes populaires le jour de la Madone du Carminé. De l’église de Santa Fede, qui était tendue et ornée merveilleusement bien, est sortie une procession portant la cazzacia de la Madona del Carmine. Cazzacia vent dire grosse caisse (1). C’est donc une énorme caisse plate, [5V·] sur laquelle est représentée la Vierge du Carmel tenant son enfant qui donne le scapulaire à un moine, je crois à S. Simon Hoc ; les figures sont de grandeur naturelle. Autrefois l’on appelait cazzacia de S. Jacques (2) ou de la Madone la Compagnie à laquelle appartenoit la caisse monumentale ; de plus chaque compagnie avait un de ces Christs gigantesques, mais 1’ une 1’ avoit noir et 1’ antre blanc, et il y avait autant d’antipathie entre les deux compagnies qu’ entre les couleurs des Christs, (1) Le mot Casaccia (Caçaçça on Casassa) suivant le dictionnaire génois di Casaccia veut dire grande maison oratorie ou se reunissaient les confrers. A propos de ces processio et des interdictions du pouvoir civil et militaire cf. Le processioni sostituite alle ìasaccie e modi di provvedervi. (Giornale degli Studiosi, Ge. 1870, A. II. I, p. 406 suiv. (2) Oeuvre d’Anton Maria Maragliano. Cf. Ratti, Vite di pittori e scultori genovesi, Genova 1769, II, 69. Alizeri, Guida di Genova, 1846. 444 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA au point qu’ il est arrivé que les deux compagnies se rencontrant en sont venues aux mains. Le clergé à la vérité n’ a jamais fait partie de ces processions. Qu’ on ne se figure pas que les carnai' ou portefaix du port fussent les seuls à [6] prendre part à ces sortes d’exercices gymnastiques, ou à ces luttes à coups de poings: on se tromperait fort; messieurs tels et tels aujourdhui à la tête de grandes maisons de Gènes ont été cazzacianti. Et l’on cite encore de grandes et nobles dames qui se fesaient gloire de contribuer de leur or et de leurs diamants à 1’ ornement de ces cazzacie. Le jour de Saint Jean nous avons entendu la messe à Saint Laurent. L’ intérieur de l’église n’était qu’ une pièce immense de damas recouvrant tout l’édifice. La chappelle du Saint, éblouissante de richesses, semblait avoir été coulée en or et en argent. La moindre de ces beautés étaient les quatre colonnes du devant qui étaient entourées d’un magnifique velours rehaussé de ces fameuses broderies en relief qui jadis firent la gloire et la fortune de Lyon, et ne sont plus maintenant qu’ un objet de curiosité. Au reste toutes {sic) ces trésors [6V·] paraissent appartenir à l’église, car nous les avions vus tels quels aus mêmes lieus (.rz'c) il y a bien des années. La foule hébahie (sic) d’admiration se presse devant cette chapelle dorée, et nul ne pense à se retourner une seconde pour s’extasier devant ces deux anges agenouillés devant le Saint Sacrement dans la chapelle qui lui est consacrée (i). Non, ces deux figures ne sont pas en marbre! Ces têtes si pures, si doucement inspirées, ces membres si souples, ces draperies si légères, tout cela a toutjours été ainsi: qui pourroit croire que cela a pu être Un bloc informe et que le sciveau (sic) de Canova en fit des esprits célestes ? On ne peut le croire, et pourtant c’est la vérité. Eh bien, à côté de ce chef d’œuvre du génie, des centaines de personnes admirent des dorures ou [fol. 7] des broderies. L’artiste vaudrait-il moins que l’artisant? Non, mais pour apprécier l’un, il ne faut que des yeux, et pour comprendre l’autre il faut de l’âme. C’est à la cathédrale que pour la première fois j’ ai vu une imitation de nos mœurs policières de France. Des sergents de ville se promenant chapeau en téte, les bras croisés derrière le dos, et du temps qu’on disait plusieurs messes, m’ont fait croire que j’ étais à Paris à S.1 Roch. On m’a assuré que cette nouveauté n’a paru que depuis deux mois. Des vols commis par des gammins sur des petites filles qui fesoient leur première communion à S. Cyr ont été le prétexte d. \interrompti\. [fol. 7 v. blanc] II. Quelques palais génois. [8] La famiglie (sic) Durazzo, c’est à dire M. Durazzo père a vendu au roi Charles Albert (2) 1’ ancien palais du Doge Durazzo ; il 1’ a vendu sans (i~) Travail remarquable de G. Gaggini (cf. Alizieri vol. II, 611 loc. cit. I, 44. Cervetto, I Gaggini da Bissone, Milan Hoepli 1903, pp. 199 suiv. ^2) Il fut vendu par Marcello D, lil de Giuseppe, au roi Charles Félix GIORNALE S I DRICO E LE 1'Ι ΕΚΛΚΙΟ DELLA LIGURIA 445 même penser à en retirer les portraits de ses glorieux ancêtres, sans prendre le lit vraiment royal des Durazzo anciens. Charles Albert a mieux compris la valeur de ces reliques historiques ; il a fait remettre à neuf tous ces tableaux et a gardé la chambre au lit des doges pour en faire honneur aux souverains qui peuvent venir le voir à Genes. Ainsi Marie Louise de Parme habita cette chambre Iorsqu en (en blanc) plusieurs souverains étrangers se trouvèrent à Gênes. Charles Albert a pour lui une chambre dont tout le luxe consiste dans une tentine de damas qui n’ a rien de plus merveilleux que celui qui orne bien des pièces de nos financiers de la [ 8 v. ] Chaussée d’Antin. Le lit de ce roi est un petit lit en fer pareil à ceux d’une pension bien tenue. Pomt de ri-deaus, et deux matelas qui n’ont pas plus de trois pouces de hauteur: voilà de quoi se compose cette royale couche. La chambre de la reine n’est guère plus riche ; un mobilier en bois de citronier et pour tout ornement des boutons en cristal aux commodes et aux secrétaires. Le lit semblable à celui du Roi a un matelas de plus et une couronne pour soutenir des rideaux. Cette chambre, 11’ en déplaise à M. Dupouilly, est bien plus modeste que la sienne. Près de cette chambre un petit boudoir à la Louis XV, plus élégant que riche, prouve que la reine a du goût. Un petit autel caché dans une armoire permet à cette princesse d’entendre la messe chez elle. C’est une précaution [9] de dévotion, mais sans prétention; rien ne vise à 1’ effet dévot. Le roi a également une chapelle dans 1' épaisseur du mur d’un petit salon ; 1’ autel est riche ; c’est l’autel du roi, cela se voit. Sous 1’ autel, un Saint Victor, guerrier martyr, représenté de grandeur naturelle et revêtu de son riche costume a suspendu à son colier des reliques. Tout cela, l’autel qui n’est en réalité que la chasse du Saint, est un présent du Pape à Charles Albert. Deux portes se ferment là dessus, et l’on ne voit que de petits tableaux flamands et italiens, dont deux de l’école génoise sont très remarquables. Des chambres de S. M. on entre immédiatement dans les salons et sales d’apparat. Le salon où le roi se tient ordinairement n’ a pour tont tableau qu’ une grande toile représentant la visite de Charles Albert aux sourds et muets. Dans ce tableau, peint par les sourds et muets eux- mêmes, toutes les têtes sont portraits. Si l’on peut mieux trouver sous le rapport de l’art, [ 9 v· ] on ne peut certainement rien voir de plus intéressant que cet ouvrage. Vis a vis est un travail plein de talent d’un jeune artiste de vingt ans, M. (en blanc): c’est le doge Durazzo fesant bénir les drapeaus au moment de partir pour la guerre contre les (en blanc). Beaucoup de détails ne nuisent pas dans cette composition à l’ensemble du sujet, qui est très bien entendu. Ce tableau, quoique de chevalet, annonce un bel avenir à son auteur. Nous avons visité le Zerbino, belle maison de campagne appartenant à M. Marcel Durazzo. M. Marcel Durazzo a introduit un usage nouveau au Zerbino, contraire à l’usage reçu par ses nobles concitoyens. Il est enpres- qui l’habita pour la premiee fois en 1822. Charles Albert y fit faire de grandes restaurations en 1842. 44<5 giornali·: stokicu ι·; ι,κ ιί k .akid della Liguria sèment deffendu au jardinier d’offrir des bouquets aus visiteurs, et cela est très bien fait. Partout ailleurs une [10] jeune fille vient et vous présente d’une main un bouquet ; 1’ amour propre, la bienséance, veulent que dans 1’ autre main vous lui mettiès en monnaie six fois plus que la valeur de ce bouquet. Il en résulte deus inconvénients : le jardin se dégarnit de fleurs, et vos visites sont toujours plus onéreuses que vous ne 1’ auriés voulu, parce que ce bouquet ne vous dispense pas de donner l’étrenne à celui qui vous sert de cicerone. M. Marcel Durazzo a très bien fait. Au Palais Brignole Sale, nous avons vu de beaus tableaus un Titien ou digne de 1’ être, des portraits de Wandick {sic), un admirable de Rubens, et un Raphael qu’ on a placé dans une armoire posée sur un chevalet (l). Comme je n’ai pas vu Raphaël peindre ce tableau, je ne nie ferai pas certainement brûler pour soutenir qu’ il est de lui ; tel qu' il est, il est fort beau pourtant, et le cicerone [ IO v· ] n’aurait pas besoin de dire pour lui donner plus de valeur qu’ un anglois en a offert trente mille livres à M. Brignole Sale qui les a refusées. Cette fureur italienne d’apprécier les chefs d’œuvres des grands maîtres d’après les offres métaliques des Anglais a beaucoup perdu de sa force en Italie. Le goût français domine de toute son élégance la monomanie vandale des Anglais. On ne mutile plus les monumens pour les vendre aux habitants d’Albion, on les montre aux étrangers en leur disant: les plus beaus ornemens que vous voyez viennent de France. Dans ce même palais Brignole, d’un salon étouffant de dorures et de scultures anciennes, on vous fait passer dans des pièces toutes parisiennes et qui n ont [i i] pour toutes richesses que la grâce française de leur mobilier. Nous avons été voir une galerie qui est en vente dans la maison qu’ occupa Salicetti ; sur deux ou trois cents tableaux, sept ou huit mis dans des armoires sont très beaux. Un Albert Durer surtout est ce que j’ ai vu de mieux de ce maître. Ces sept tableaux seraient dignes d’un musée. Parmis le grand nombre des autres, il s’ en trouve de bons, mais aussi d’infiniment médiocres. Le catalogue est une chose vraiment curieuse: divisé en trois parties, il est ainsi conçu : tableaux d’école italienne, flamande, etc.; maîtres inconnus ; bonnes copies. De sorte qu’ on ne peut rien savoir en le lisant, et quand un nom d’auteur se trouve accolé à un tableau, le nom et la peinture n’ ont aucun rapport entre eux. Ainsi sous la vue [ il v ] d’une ville traversée d’un canal, on a mis le nom de Canaletto et tous les petits personnages de ce tableau sont habillés du costume moderne! C est à Gênes qu’ on voit cela ! C’est que Gênes n’est plus la ville des arts: c’est à la rigueur la ville du commerce. Des deux cent cinquante artistes que Gênes a vu naître et dont les talents ont illustré leur patrie, le nom de dix d’entre eux est à peine connu des Génois actuels, malgré que toutes les maisons et les églises de la ville portent la preuve qu’ à une autre époque Gênes eut des enfants dignes de n’être jamais oubliés [fol. 12]. Dans les (1) Aucune mention d’un Raphaël ne se trouve dans le des cription des tableaux de Palazzo Rosso. GIORNALE STORICO li LEITKKAKIO DEI,LA LIGURIA 447 jaidins des Peschiere, belle villa de Mr. Pallavicinî, nous avons vu des dahlia (en surcharge : camélia) d’une surprenante hauteur. Le jardinier de M. Pallavicini, comme celui de M. Marcel Durazzo au Zerbino, fait un grand revenn de la culture des fleurs tropicales. Chez M. Durazzo on nous fit manger des bananes sur l’arbre. De Naples on envoie acheter beaucoup des plantes et des arbustes des Zerbino et des Peschiere. La villa Lomelina que Dupaty a rendue célèbre n’a plus que ses beaux arbres et sa belle position qu’ on ne peut lui ôter; mais à la négligence de son attretient (sic) au dépérissement de ses kiosk, on croiroit qu’ elle est abandonnée, qu elle n’a pas de maitre: elle en a deux au contraire, et [ 12 v. ] voilà son malheur. Deux descendantes de M. Lomellini, et héritières de cette campagne historique, n’ont pas voulu la partager par respect pour le beau nom qu elle porte. Pendant quelque temps, les deux maris de ces dames s’ entendirent pour les fraix de 1’ entretient de la villa; puis ils s’entendirent moins bien, puis ils ne s’entendirent plus du tout, et personne n’a plus rien voulu faire. Pourtant ils viennent habiter à l’automne chacun la moitié du château. Ce sont deux nobles, le marquis Cataneo et le comte Rostan, enobli (sic) pour avoir épousé sa femme. La villa Doria Pamphili à Pegli, qui appartient maintenant à celui des Doria qu’ on nome le Prince, prouve que ce monsieur a plus à cœur le respect de ses ayeux que les [13] propriétaires de Lomellino. M. le prince Doria fait merveilleusement entretenir les bois, les jardins, et les terrasses de sa villa, quoiqu’ il 11e 1’ habite pas plus de dix jours dans 1’ année. Les appartements sont tels qu’ ils étaient du temps du Pére de la Patrie. On n’ ose pas toucher à ces meubles vermoulus, à ces tapisseries fanées par les siècles; on se sent rempli de je ne sais quel sentiment de vénération en regardant tous les portraits de famille qui, là pendus à ces murs, depuis des centaines d’années, ont survécu à toutes ces générations que sont venues s’arrêter tour à tour à leurs pieds pour les contempler. M. Doria mérite certainement 1’ approbation de tous les gens de mérite et de goût. Il peut compter aussi sur la sympathie des artistes auxquelles (sic) il a conservé [ 13 v· ] tant de choses précieuses pour eux. [fol. 15] De riches négociants de Gênes. M. Casanova surtout, qui possède trois millions, a acheté (sic) une belle villa à Campi et en a fait couper tous les arbres pour planter des vignes. Le comte D.1' Scassi, lui, fesait mieux; il prenait en viagger (sic) le bien de ses clients; il étoit si heureux dans ses marchés que bon nombre de campagnes lui sont restées pour peu. [ 13 v. ] Dans nos différentes sorties au jour de fêtes, dans nos courses aux environs de Gênes, nous avons observé bien des changemens survenus dans les mœurs populaires de Gênes. Le peuple paroit plus instruit qu 'autrefois. Il est visiblement moins fanatique ; quelquefois on pourroit dire qu’ il 11e l’est plus du tout. On ne le voit plus s’incliner devant les prêtres ni les nobles. Pour les premiers, il est respectueux, rien que cela ; pour les seconds il est plus qu’ indifférent. A l’église j’ai été frappé du nombre des femmes et des hommes du peuple qui ont un livre et [14] qui lisent leur messe fort attentivement. Le bien être des classes inférieures, si inférieures il y a, est sensible. Tous les dimanches on voit des artisans dans d’élégantes calèches aller en poste aux fêtes des villages. Le nombre des voitures de place a quintuplé au moins depuis quinze ans. Maintenant à Gênes le prolétaire va beaucoup moins à pied que celui de Paris. Si grand nombre d’hommes et de femmes vont encore à pieds nuds, on se tromperoit en croyant que c’ est un signe de misère: c’est tout bonnement parce que les souliers les gênent. On voit des femmes portant des fleurs dans les cheveux, des boucles d’oreilles, et des coliers en or, et n’ayant ni bas ni souliers. Les enfants d’un an vont pieds nus, et 1’ on retrouve dans toutes les petites créatures [ 14 v·] ainsi élevées les mêmes modèles qui ont dans d’autres temps servi au Carlone au Piola a touts les peintres génois pour représenter leurs anges aux membres vigoureux et leurs amours roses et potelées. Que nos frêles enfants de Paris sont peu de chose à côté de ces vigoureux enfants du peuple! M. Dufour avoit voulu essayer de forcer ses ouvriers à se chausser; il leur a même donné des chaussures, ils ont refusé, disant qu’ une fois accoutumés à des souliers, ils ne pourraient peut- être plus s’en passer, et que ce seroit une dépense de plus pour eux. Je me suis levé à cinq heures du matin par un temps d’orage pour voir les paysans [15] de la Polcevera arriver au marché. La pluie tombait à torrent. Tous ces gens là, hommes et femmes, avoient des parapluies dont le plus grand nombre étaient en soie et tous ces hommes et toutes ces femmes à nuds pieds barbotoient dans 1’ eau. Quelques uns tenoient leurs souliers sur leurs bas. (interrompu . UN MONUMENTO SPEZZINO DEL TRECENTO. Nel 1420 ai 23 di agosto il Consiglio della Comunità della Spezia eleggeva Giovanni di Luccoli e Simonino della Toracca con l’incarico di fabbricare un nuovo palazzo pubblico sopra la Curia, in esecuzione della concessione del Senato genovese in data del 16 dello stesso mese. Ecco la deliberazione consiliare: « Item ea die suprascripti sindici et consiliarij utsupra congregati deficientibus suprascriptis. In executione concessionis Illustris d. d ducis scripte per Iohannem de Vallebella Notarium cancellarium prefati d. d. ducis hoc anno die xvj presentis mensis, una cum prefato domino vicario ellegerunt ad construendum et fabricandum seu costruì et fabricari faciendum unum palacium supra curiam spedie prout in dicta concessione latius continetur: Iohannem de luculo. Simoninum de toracha de Spedia » (1). i) Arch. Com. della Spezia, Diversor, Comunis, vol. 4 cte. xij-r. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUKIA 449 Non si trova nell’Archivio di Stato di Genova la concessione senatoria, mancando una gran parte dei decreti del Senato proprio di quell’anno mentre era cancelliere il Vallebella; ma la su riferita deliberazione del Consiglio spezzino basta da sè a documentarci la costruzione del palazzo pubblico, che recentemente è stato demolito per costrurre l’ultima parte dei nuovo. Come resulta da essa, il principio della fabbrica è del 1420; ma già da qualche anno innanzi questa era in progetto, trovandosi, per esempio, negli anni 1416, 1417 e successivi delle multe da applicarsi alla costruzione del nuovo palazzo : « sub pena flore-norum decem... aplicanda operi palacii in spedia construendi » (1); « sub pena florenorum quatuor aplicandorum palacio noviter in Spedia construendo » (2), ecc. Così nello stesso anno 1420 una deliberazione consiliare, mentre vietava di vendemmiare prima degli otto di settembre, stabiliva che la multa che dovevano pagare i contravventori era « aplicanda opere palacii novi in spedia construendi » (3). Ma il palacium novum non era, veramente, nuovo del tutto, perchè, come appare dalla citata deliberazione del 23 di agosto del 1420, doveva venire costruito supra curiam, cioè utilizzando l’edificio già esistente della Curia. La Curia, occorre appena accennarlo, era il Tribunale, il luogo dove il podestà rendeva giustizia: un palazzo che, oltre 1’ abitazione del giusdicente, le carceri, e il luogo per le adunanze degli ufficiali della Comunità, doveva comprendere una loggia terrena, aperta al pubblico, dove appunto, com’ era costumanza d’allora, s’adunava il parlamento, si rogavano gli atti, si amministrava la giustizia civile e criminale : la lobia comunis ubi jura redduntur, come si trova ad ogni passo nei documenti del tempo. La giustizia era, come ho detto, amministrata da un Podestà, il quale dal principio della dominazione genovese in questi luoghi fino al 1343 ebbe sede in Càrpena; nel quale anno, per decreto del primo doge di Genova, la Spezia venne creata a sua volta sede d’una podesteria, ch’ebbe in principio sotto la sua giurisdizione le università di Bastremoli, Follo, Isola, Marinasco, Mi-gliarina, Tivegna, Vallerano e Vesigna, sottratte a quella di Càrpena (4). La costruzione della prima Curia non può adunque essere precedente alla metà del secolo XIV ; e gli avanzi di essa venuti recentemente in luce, durante la demolizione del vecchio palazzo pubblico, chiaramente lo hanno provato. (1) Arch. Com. della Spezia, Diversor. Vicariatus 1417,, 30 gennaio. (2' Arch. Com. della Spezia, Diversor. Vicariatus, 1416, 26 agosto. (3) Arch. Com. della Spezia, Diversor. Comunis, voi. 4 cte. xij-r. (41 Jura Spediae, cod. membr. d. Bibl. Com. della Spezia, voi. 1 cte. 5-v. limiti. SI. t Irli. Mia Liguria, V 450 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * * * Nel demolire i fondamenti di quell’ ammasso di fabbriche, fatte in tanti tempi diversi, ch’era il palazzo del Comune, si è potuto rintracciare benissimo la esatta pianta del primitivo edifizio; e con parte dell’antico materiale rinvenuto nelle demolizioni, con osservazioni e misure fatte e prese sul luogo duranti i lavori, si può anche ricostruire completamente la Curia come doveva essere prima che nel 1420 vi fosse sovracostrutto il novum palacium. Era un fabbricato misurante m. 16 per m. 7,50; aveva lungo tutta la fronte che guardava la piazza al piano terreno un loggiato profondo m. 3,50, aperto dal lato di levante, chiuso invece dal lato opposto, lungo il quale, all'interno, correva una banchina di muratura con sua copertina di lastre di ardesia, che fu trovata intatta ed in posto a un metro sotto il livello dell’ attuale pavimento della piazza. La loggia aveva sulla fronte quattro arcate in mattoni a tutto sesto, sostenute da due pilastri fasciati di bozze di pietra arenaria, e da tre colonne (due delle quali furono trovate in posto insieme con gli archi, incastrati nel muro d’epoca posteriore) pure di pietra arenaria delle montagne del Golfo. Queste colonne, e le quattro analoghe mezze, addossate due al pilastro angolare della loggia, e le altre due agli opposti, hanno un’altezza totale di m. 2,25 dall’origine della base alla fine del capitello; sono di stile lombardo degli ultimi tempi con basi (m. 0,30) mancanti delle foglie agli angoli, fusti (m. 1,45) non rastremati, capitelli (m. 0,80) a foglie diversamente mosse, coperti da abbachi a smussatura molto sfuggente e terminanti in breve listello piatto. La distanza fra gli assi delle colonne era di tre metri, e l’altezza totale delle campate, dalla banchina che riuniva le colonne al cervello dell’arco, di m. 3,80. Tutto l’edificio doveva avere un’altezza di m. 8 all’incirca (dato che ha fornito il pilastro di levante, trovato intatto fino all’altezza del primo piano del palazzo), e aveva un unico piano sopra il loggiato, con tante luci quanti gli archi sottostanti, aperte a bifore, con colonnette di marmo di Carrara posanti sopra davanzali sporgenti, semplicemente sagomati, della solita arenaria, e sorreggenti i due archetti di mattoni che, dato il tempo della costruzione, dovevano essere acuti. In cima correva una cornice, pure di arenaria, sulla quale poggiavano i travicelli del tetto. Quando nel 1420 il palazzo venne ingrandito, la loggia non fu chiusa, trovandosi ricordata per oltre un secolo negli atti pubblici e nei rogiti notarili la lobia 0 lobieta comunis ; furono chiuse le arcate solo quando, per aver alzato il livello della piazza, il luogo divenne impraticabile (6) ; oppure verso il principio del (6) La piazza fu alzata per la prima volta nel 1489 (cfr. U. Mazzini, Di un piccolo monumento ?nedievale e della epigrafe inscrittavi, in Giornale gioknai.e stokico e letterario deli,a Liguria 451 secolo XVII allorché, ingrandito ed alzato un'altra volta il pubblico palazzo, si rese necessario rinforzarlo alle basi con ingrossamenti dei muri e opportuni barbacani. Allora, diviso il loggiato con tanti muri quant’ eran le colonne, le quattro stanze che ne resultarono furono destinate ad uso di carcere, come hanno mostrato le inferriate trovate dentro i muri. Addossata al muro esterno di ponente della Curia, e forse faciente parte di quel primo edifizio, era un’altra fabbrica, di cui furono trovati i resti per un metro sopra i fondamenti. Presentava una superficie interna di m. 6,50x4, con due aperture di porte, un restringimento nel fondo, le basi di due lesene opposte, quasi verso la metà dell’ambiente e due banchine di pietra all’ esterno, verso la piazza. Questi fatti, e l’intonaco serbante traccie di pitture, mi hanno fatto supporre che unita alla Curia fosse una cappella. Le colonne con le relative basi e capitelli, e un certo numero di basette e capitellini di marmo e di pezzi delle due cornici di arenaria furono conservati. Speriamo che si trovi modo di ricostruire in qualche angolo della città la bella loggetta del trecento, il più antico monumento spezzino, tornato alla luce dopo cinque secoli. Meriterebbe la spesa. U. M. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. D. Bernhard Schaedel: Die Mundart von Ormea. Halle, Niemeyer, 1903 : in-8, di pp. 138, con una carta. Il dialetto di Ormea, pieoola borgata di 1800 anime alle rive del Tànaro, offre ghiotto argomento di studio, poiché nelle sue caratteristiche apparisce manifesto il conflitto tra il filone ligure e il piemontese. Schiettamente elaborate secondo norme liguri le vocali d’ uscita, il 0 dinanzi a vocal chiara, il r di formola intervocalica, i nessi pi bl fl, by py, e ligure ancora la la pers. plur. del presente ; ma è pedemontana la risoluzione del 0 velare interno fra vocali, di ot e cl, e verso il nord ci conducono pure le forme di 2a e 3a plurale. Lo Schaedel restrinse la sua indagine alla fonetica e alla flessione verbale ; ma ne 1’ una nè l’altra ci diede complete, trascurando fenomeni intorno ai quali ci duole non essere informati, e traendo il succo del suo lavoro da un materiale poco abbondante, come già osservò il Museafia, Literaturbl. gemi. rom. Phil., 1904, col. 30-31. Non trovo p. e. registrato che 1’-e di plur. fem. viene assimilato all1» to- Ligustico, anno XXIII, 1898, pp. 389 sgg.) ; ma ebbe poi successivi alzamenti fino a oltre m. 1,50 sopra il primitivo livello. Nei recenti scavi furono trovati tre soviapposti pavimenti della piazza. 452 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nico precedente: i ustarì 112, kative kumpanyn ]23, e ancora, in condizioni diverse, brói brache, ma sairutóe 117 ; nè che 1’ -a delle desinenze verbali -óa -ία sparisce davanti all’affisso: tselkóse cercarsi, tsenómc ce-narmi 112, 113 ed altri. Par davvero che lo Schaedel, spingendo lo sguardo troppo lontano per abbracciare, a volo d’ uccello, tutta la distesa dei parlari liguri -pedemontani, perdesse in profondità ciò che veniva acquistando in larghezza; onde, se non sempre affida l’informazione, spesso ancora sembra difettoso il metodo. Tra i molti appunti fatti studiando i materiali e le ricerche dello Schaedel, scelgo quelli che mi sembrano più degni d’ essere comunicati. Poiché il libro non è diviso in paragrafi, li dispongo per ordine di pagine. Pag. 13 — 1’e tonico si oscura in o ; fa eccezione -atu, che resta nella fase -rf, e che l’autore, pur riconoscendo la tendenza del dialetto a conservar l’a riuscito ossitono, vorrebbe importato. Ma nessun dubbio che sia indigeno ; sarà invece importato snidò, attraverso a suldótu, se più tosto non ha subito violenza dal plurale legittiino e usitatissimo suldói. Pag. 14 — tra gli esempi per -ariti leva faudóa, se riviene a faldale, cfr. il piem. faudalin. Non so dubitare di -era, ma rimane allora oscuro gioirà ghiaia. Noto in ogni modo che pur le voci importate subiscono di solito il passaggio di ά in ó. Per ratavoraira v. il Salvioni, Iahresbericht del Vollmôller, IV, 169. Pag. 16 — ami di fronte a nemiu non sarà gallicismo, ma penso che sia da giudicare come amis, per cui v. il Salvioni, Romania, XXIX e Zeitschr. f. rom. Pliil., XXIII, 814; il plur. nemi si legge a pag. 116. Per kaniizu, con iscambio di sufisso, bastava rimandare al Mussafia, heitr., 41, e al Salvioni, Postille s. v. Il passaggio -in: en, è regolare nell’ alessandrino, v. già il Biondelli, 488, e Iachino, Varietà tradizionali e dialettali alessandrine (Aless. 1890) ; per il genovese Parodi, Arch. Glott., XVI, 116. Pag. 17 — non trovo registrato nè il notevole litra 122 nè trai tre ; leverei mastru, che è di origine dubbia ; san seno risulta forse da una confusione di seno e senno. Pagg. 19-20 — snyùr può esser difeso dal'a proclisia ; kiiltu corto è diffuso nell’Alta Italia, v. Arch. Glott., IX, 337, XVI, 299, e vi ravviserei volentieri un influsso germanico. Col Meyer-Lübke 1’ a. ammette che si venga all’ u da o chiuso attraverso un dittongo ou ; non doveva ciò indurre a supporre un dittongo anterióre per ‘Ve chiuso? Pag. 21 — si afferma che palatile seguente stringe 1’ e aperta, ma gli esempi mostrano in parte apertura, in parte chiusura ; dove la norma? Si combatte la nota teoria del Parodi sul dittongo delle vocali aperte in Liguria con argomenti puerili. Se mai, si sarebbe GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 453 dovuto avvertire che due delle testimonianze addotte dal Parodi, Romania, XIX, 479 sgg. hanno nel frattempo perso il loro valore : ariento, per cui v. S. Pieri, Studi Romanzi, I ; 38, e mainera v. Salyioni, XVI, ‘259 n. e ancora, per il notevolissimo fenomeno, i miei Studi Triestini (Archeoqrafo, XXIII) § 17, il Puscariu in Zeitschr. cit., XXVIII, 617 e 1’ Horning ibid., 533. Certo andava tenuto conto delle indagini del vonEttmayer sul dittongo nel territorio lombardo-ladino (Roman. Fosch., XIII, 1902, pagg. 321-672). Pag. 24 — come mai sun sono s’è perduto fra i riflessi di o breve? Pag. 25 — per mairu da matura v. ora la nota magistrale del Salvioni nei Rendiconti dell’ Istituto Lombardo, s. II, vol. XXXVII, pag. 522 sgg., e non v’è alcuna difficoltà a postulare una fase anteriore meiru, cfr. nàiru nero, falsamente inserito dall’a. fra le sillabe di posizione, mentre si tratterà di sviluppo dinanzi ad i, v. anche, per quel che possa valere, trai. Un altro esempio dello stesso fenomeno mi par sicuramente appiattato in sairutó colpo di scure, al qual vocabolo l’a., a guisa di spiegazione, appioppa un punto interrogativo. Vi vedremo un derivato da securis. Alessandria, secondo i fonti, ha ü ed i ; ma per la pronunzia dell’» dinanzi a nasale vedi Iachino pag. 89. Dubbia è di certo la cronologia proposta dal Meyer-Lübke per il passaggio di u: ii, ma dubbia altresì 1’ autorità di sciiima, che potrebbe rappresentare un diffuso spiuma. E per questa voce si può vedere ciò che il Pieri dice dell’alternare di sp sic in Zeitschr., cit., XXVII, 582. Pag. 29 — per -e v. Parodi, Arch. Glott., XVI, 129. Pag. 30 — suta ha subito 1’ attrazione di surra. Pag. 30-31 — secondo 1’ a., le vocali finali tutte, se precedute da r o da l, che poi si estinguono, si mutano in -a. A me par invece certo che se bnnœa less. è il franc, bonheur, 1’ -a non continua la vocale, ma il r ; casi analogici sarebbero il non registrato atta aceto e rea rete, falsamente inserito fra i casi di -re, come vide il Mussafia 1. c., il quale lo giudica metaplasma. Pag. 34 — giakutin avrà il suffisso -ottino. Chiaro pare a me dii-diimenya, al quale si riviene attraverso il diffuso dimenya, per quell’oscuramento che colpisce talvolta pur l’t tonico in vicinanze di labiale. Pag. 35 — notò il Mussafia 1. c. il disordine degli esempi. Come tsàula cipolla passi oltre a cepla io non so vedere ; se per amore della norma che vuole 1’ a da e soltanto in sillaba chiusa, perchè si pone allora mania medolla: menla? Io non dubito che qui si tratti di ri-trazion d’accento con modificazione della vocale originariamente àtona v. Parodi, XVI, pag. 125, § 59, e il citato mairu ec. Essere inesatta l’interpretazione di feeze sozii mostrò il Mussafia. 454 GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA Pag. 37 — per Alessandria i fonti mi darebbero come indigeno z da j-. Pag. 38 — s rimane fuorché dinanzi ad i il; sciultia sortire ha lo se di muoia uscire ; per scéndilai è ovvio pensare a una forma concorrente scindiku o soindaku. Pag. 39 — non persuade che piaze sia rifatto su piazéi, perchè la 3a sing. è usitatissima. Perchè poi Fa. combatta il Meyer-Liibke per ripetere ciò che dice il professore viennese, non si capisce davvero. Pag. 46 — per la caduta del -r intervocalico vedi Parodi, XVI, 340 e Dial. Tabbiese, in questo Giornale IV, III 1. La sillaba -ra, contro 1’ asserzione dell’ a., è manifestamente conservata, come acutamente vide A. Mussafia. Pag. 53-54 — r in Z dinanzi a cons. è od era fenomeno abbastanza comune nel livornese, cfr. Fantocci: Gli ultimi periodi del dominio francese in Toscana, Livorno, 1864, I 7 n., e nel pisano, v. Poesie di Neri Tanfucio, p. 23. Pag. 55 — àtr altro nel Monferrato forse si può difendere con condizioni di proclisia; sul l addossato a consonante nella fonetica sintattica ha discusso recentemente da par suo il Mussafia, prendendo le mosse dal dialetto di Ormea, nella Raccolta di Studi per le nozze Scherillo (Hoepli 1904) pagg. 43 sgg. Aggiungo 1’ uso alessandrino del pronome dinanzi alle forme verbali, che risponde nettamente alla norma : er dinanzi a labiale e gutturale (interr. er kant-li, er port-li, er viil-li ec.), u dinanzi a dentale, sibilante, palatina (interr. u drom-li, u tir-li, u sar-U, u ciam-li, u giog-li ec.) e ugualmente dinanzi a ri (u les-li, u lav-li, u rob-li, u ronf li ec.) ; dinanzi a n, accanto al-1’ u più usitato (« nas-li, u nov-li ec.), parrebbe non inaudito er. Pag. 58 — by nell’ormeasco dà gi; nota però, dal glossario, gobia e trevu. Pag. 59 — per le condizioni delle consonanti geminate nel ligurepedemontano, mi sembrano molto notevoli alcune forme di futuro alessandrine con rr, che saranno propagate da incontri secondari come kurrò varrò, e sulle quali sarebbero necessarie e utili notizie più esatte che io non possa dare. Pag. 60 - Ve parassitico che si sviluppa dinanzi a z (frane, j), andrà probabilmente studiato insieme collo sviluppo di i, che in condizioni poco dissimili avviene su largo territorio, v. Parodi, Dial. Tabb., V 4. — Il passaggio di re-: ar è diffusissimo; e ugualmente diffuso eneir riuscir per uscire. — Manca un capitolo sull’ accento e sugli incontri di vocali. Alla fonetica fa seguito la flessione dei verbi regolari e il pa-radimmn del pres. ind. di alcuni irregolari. Noto poche cose : Pag. 63 fondare rappresenta un compromesso fra tondere e tosare, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 455 v. il ven. e lomb. radar, Studi Triest. cit., § 120. Per mugire noto Γ aless. mózi, ohe in ogni modo può confrontarsi col frane, mengler, Rom. Oram., I, 487. Pag. 71 — strane le forme di 2a sing. in -u, che Γ a. riporta da Viozene e spiega con l’analogia della 1» , dove al postutto 1’ -u tace. Una forma d’impf. in -u è data a pag. 84 per Sampierdarena. Questo -u ora è sentito certamente come esponente di plurale, cfr. a riprova a pag. 104 la 2a sing. del condiz. -rin, propria della 3a plurale. Forse un tempo si ebbe un tentativo di propagazione dell’-i se-gnanumero del plurale dai nomi al verbo, e colla reintegrazione dell’ -u nel plur., si mutò erroneamente in -u pur 1’-i della 2a singolare. 0 poteva agire la concorrenza di forme infinitivali in -« (Viozene) con altre di parlate limitrofe in -i. Pag. 75 — il mutamento di accento nelle forme di la plur. a Garessio non può dipendere da sema, che avrebbe agito forse in senso contrario, ma dalla solita tendenza a conservar la posa sul tema; nelle forme ossitone di Mondovi mi par più probabile che un fenomeno fonetico, 1’ azione di pronomi posposti. Pag. 77 — la sostituzione della 2a sing. alla 2a plur. è fenomeno così diffuso, che non vi può bastare una spiegazione specifica e possibile soltanto in una regione. Ha indubbiamente origine sintattica, per 1’ alternare di due forme allocutive. Sfuggì allo Schàdel che -e've è ben saido nell’alessandrino, nella inversione interrogativa, che di solito è testimonianza di antichità. Pag. 78 — ha notato il Mussafia che, mentre a pag. 35 da -ene si dà per norma -u, i paradimmi mostrano nella 3a pi. -o nell’ ind. e cong. pres., nel cong. impf. e nel condizionale, -u soltanto nell’ imperfetto. Aggiungi, dai testi, avevo 117 avevano, omo III, 116 uomini, e dzuvo 114 giovine. Ugualmente si all'erma a pag. 30 ,che -o -u d’ uscita dànno ma trovo -o nei paradimmi di la pi. del cong. pres. e del condizionale ; e nota ancora ermo 116, aspetaismo ed altri, e il non trascurabile stiramento 113. Pag. 85 — per le desinenze del cong. impf. qui non spiegate, v. il Salvioni negli Studi fil. rom., VII, 211 e, più recentemente, nei Rendiconti citati. Pag. 81 — per spiegare il condizionale in -reisa come una confluenza del condiz. col cong. impf., si ammette nell’ u italiano provinciale n 1’ uso sintattico del cong. impf. al posto del condizionale. Ma finche lo Schàdel non ne porti esempi, non si vede la ragione di abbandonare la spiegazione del Mussafia Beitrag 21 u., v. Studi Triestini § 203 sgg. ; anzi io spero che pur il Gartner Zeitschr. cit. XXVI 632 capitolerà dinanzi alla diffusione di questa formazione, che non ò limitata a territori confinanti col ladino. 456 GIORNALE STORICO IO LETTERARIO DELLA LIGURIA Pag. 92 — certo è importato fat, ma non fan, poiché è inaudito il trattamento di tt come t ; essa forma è foggiata sull’analogia dei verbi in -are, cfr. il ven. maledi sui verbi in -ire. Pag. 94 — l’e del gerundio non ha origine diversa da quello che apparisce in forme finite del verbo. — Mancano notizie sulle forme usate nell’inversione interrogativa, cfr. kuntyóven-ai, 117 ec. Come appendice, lo Schàdel offre alcuni testi moderni ormeaschi trascritti foneticamente, e un glossario. I raccostamenti qui tentati spesso sono inutili (ad-braciare, ac-costumare e simili), non di rado infelici. — badera non è patera, ma padella, cfr. per II goa gallo, fcoa collo, -ellu : ea, e la norma fissata dal Mussafia per -ra ; — per balbaryd v. Nigra Zeits. cit., XXVIII, 643 — buciun è il franc, bouchon, cfr. Mussafia 1. o.; — damentu mi par contener mente, cfr. in amente triest.; — notevole dieu diavolo, ma non so vedervi un fenomeno fonetico (cfr. fyd dyóa) ; forse è il franc, dieu usato per enfemismo; — duyuvdolium, non dupla ; — erbeboa biasimare ; vi sarà appiattato verb- ; — kaciuri mi par di dubbia indigenità ; — hit-si v. Dial. Tabb., IV, 6 ; — kultoa esser necessario, non andrà staccato dai succedanei di oportere ed artari, per i quali v. Salì ioni, Ardi. Glott., XVI, 104 ; il k iniziale verrà da occoi rere o meglio da convenire conventare, v. qui sotto; — lenka va coll’ it. bilenco-, — lunde sarà, parallelamente al difiuso indove, in -unde con dissimilazione: unde per ubi è diffuso, cito solo il Gelindo, 166, la dissimilazione η : n l : n assicurata da numerosi es'empi ; — maccherone dal greco macar è una vieta freddura ; — maraman da mala manu, ; v. però 1’ aless. ma-niman, il com. maneman, che esigono un u mano in mano v o a mano a mano v, con n dissimilato in r (ο l) v. Parodi Studi lig. § 179;_per marazen seduce un mazzarin, con metàtesi e * analogica dal sufi", -cinu ; — che nema corrisponde al diffusissimo noma vide subito il Mussafia:_ nœn, niuno, notevole per lo sviluppo, v. Parodi Arch. Glott., XVI, 127 ; — notevole ugualmente il plur. ònyi anni, assai diffuso; — di paramiia scrisse il Mussafia 1. c. ; — pufai vizi, parrebbe l’it. poffare, ma non saprei dar ragione esatta dell’ -a- ; — puetiimi, penso più tosto a pestare : — per riibatòse v. Salvioni Iahresbericht V 123; bisognerà tener conto di ribaltare ; — sigia avrà g epentetico ; — per skyóa sdrucciolare v. il Pieri in Mise. Ascoli 441; io vi aggiungerei senz’altro l’afr. scriller ; l’inserzione di r dopo e cons. è fenomeno diffuso, studiato dal Salvioni e da altri, v. Arch. Glott., XVI, 519 n. : — spiìncioa v. Parodi, Arch., ΧΛ I, 338; — taciu tactw, — venta, bisogna, è da conventare ; - vyale è forse =r vecchiette, per uso scherzevole ; — volga non può esser warda. Giuseppe Vidossich. lrieste. GIORNALE storico e LETTERARIO DELLA LIGURIA 457 Goffredo Mameli. Commemorazione di Paolo Boselli detta nella Regia Scuola Tecnica u Goffredo Mameli n in Genova il dì XVI Novembre MDCCCCI1 inaugurandosi un busto al « Vate Guerriero ». Genova, Amaniao, 1903; in-8, di pp. 84, con rit. e facsim. Le commemorazioni sogliono alcuna volta essere dimenticate o poste da parte, passato il momento solenne in cui vennero dette, e comunque date fuori per le stampe, si può quasi affermare che hanno la vita di un giorno. Accade altresì che la riposata lettura le fa sovente giudicare in modo assai diverso da quello che parvero nell’audizione. Ma codesto Don si deve dire a proposito del pi esente lavoro del B., il quale ha inteso, cogliendo la buona opportunità, far opera utile e duratura. Infatti egli ha studiato con amore il suo soggetto, nulla trascurando di tutto quello che poteva giovare sì direttamente come per guisa laterale ad illustrarne la figura. Poiché le pagine geniali ond’ei rappresenta il giovane eroe nelle varie contingenze della sua vita, e negli atteggiamenti dello spirito e del-l’ingegno, ben manifestano quali fossero i tempi in cui egli visse, gl’ ideali politici e letterari che poseguì, l’ambiente in mezzo al quale si plasmò l’animo suo, le influenze che determinarono l’indirizzo delle sue energie. Narratore efficace, il B. con intuito sapiente pone dinanzi al lettore que’ fatti che si svolsero uel momentoso periodo della prima riscossa nazionale, toccando, per quanto l’argomento il richiedeva, de’ precedenti, che ad essi furono stimolo e preparazione ; ma la storia del nostro risorgimento non lo svia dal principale sub-bietto, che in quel periodo palpita e si muove la simpatica figura del genovese circonfusa d’ una luce sfolgorante e vivace, sebbene strettamente improntata alla verità. E intorno a lui hanno vita i molteplici personaggi a cui la penna sagace dell’ a. ha saputo dare opportuno rilievo. E perciò ben si paiono nell’opera sua le qualità di critico acuto, e di equanime storico là dove gli è duopo esprimere giudizi o muovere osservazioni; gli uni e le altre sempre confermate alla visione esatta delle cose, alla serena ragione dei fatti. La conoscenza piena e la informazione assai larga così della letteratura riguardante il Mameli, sì come de’ suoi scritti, gli consentono di entrare nell’animo di lui e di scrutarne i pensieri, le opinioni, i concetti, senza cadere in quella cieca ammirazione che travia, ma destando il cosciente entusiasmo che è in un tempo indice sicuro di retto sentire, e fattore non inefficace di sana educazione nazionale. Parecchie sono le monografie intorno al nostro poeta, (incominciando dalle pagine eloquenti di Giuseppe Mazzini), che videro la luce fino a’ nostri giorni, e nessuna è rimasta ignota al B., il quale ne ha fatto 45§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA suo pro’ con studiosa sagacia o imprimendo alla sua scrittura il suggello della propria originalità; onde la commemorazione, dettata occasionalmente, assunse l’importanza di lavoro storico seriamente pensato, leggendo il quale mentre i giovani acquisteranno la piena conoscenza del giovane patriotta e del fervido poeta, e saran punti dal desiderio di meglio approfondire le loro cognizioni sulle vicende del patrio risorgimento, lo studioso raccoglierà, disciplinate con succosa parsimonia e vagliate oon savio consiglio, le notizie d’ un tratto notevolissimo de’ fasti italiani. A. N. ANNUNZI ANALITICI. Julius Jung. Italienische Geschichtswìssenschaft, in Beilage zu Nr. 189 der « Wiener Abendpost » vom 20 August 1903. — Abbiamo già avuto occasione di discorrere in questo Periodico dell’ erudito professore dell’ Università di Praga, il quale con molta cura e passione studia la topografia della Patria nostra negli oscuri secoli dell’ alto medio evo. Nell’ articolo, che ora annunziamo, egli desidera dare ai suoi concittadini una rapida notizia dei progressi compiuti negli ultimi anni dagli studi storici relativi all’ Italia dell’ età di mezzo ; e ricorda brevemente le città marittime, e specialmente Genova, Pisa, Amalfi e Venezia, ed i loro Commerci coll’ Oriente ; che sì gran parte tennero nello svolgimento della civiltà, del benessere e della ricchezza della penisola. Dopo avere accennato alla IV Crociata e alle cause della medesima, ai Normanni e al loro Reame, a Roma e al papato, ai Comuni maggiori, fra cui emergono Milano e Firenze, l’Iung si sofferma a rilevare il tentativo di Federigo Barbarossa di riorganizzare ed estendere il Sacro Romano Impero, appoggiandosi in Italia, segnatamente, sugli altri Comuni che 1’ avidità di quelli maggiori minacciava. Se non precisamente della storia, almeno della topografia di questi comuni, della Lunigiana, di Volterra, di S. Miniato al Tedesco, di Lucca, di Siena, come sappiamo, egli si occupò nei suoi studi. Venne anche parecchie volte in Italia a tale effetto ; ed ebbe modo di avvicinare e di conoscere eruditi italiani ed opere, dei quali discorre brevemente ai suoi connazionali. Più d’ ogni altro, però, gli si dimostrò cortese e largo di ospitalità, di notizie, e di consigli Giovanni Sforza, che stava appunto terminando quella storia di Pontremoli, in cui sono tante indicazioni utili alle sue ricerche particolari. Giovanni Sforza, fra i più attivi eruditi del-1’ Italia presente, gli rammenta i dotti tedeschi che lo conobbero, che lo visitarono nella sua villa di Montignoso o nell’Archivio di Stato di Lucca e poi di Massa : il Reumonts, il Mommsen, il Gregorovius, il Ficker ec., e tutta la pleiade degli eruditi italiani, aggregati alle varie Deputazioni di storia patria, sparse per la penisola. Di queste congreghe di dotti e della loro organizzazione, dopo la rassegna passatane nel Congresso internazionale di Roma giornale storico e letterario della Liguria 459 nel 1903, 1’Iung vorrebbe dare una idea in Germania; in verità senza riuscirvi. E, parlando di loro, ma sempre colla mente rivolta ai suoi studi favoriti, l’illustre professore boemo, accenna ai lavori del Tomasetti sulla Campagna Romana e alla ristampa dei « Rerum Italicarum Scriptores », eh’ egli loda in genere, non senza osservare, con criterio tutto tedesco, come certe fonti, già edite nei « Monumenta Germaniae historia », potrebbero essere tralasciate. Rimpiange col Malfatti la deficienza degli studi storici sulla geografia dell’ Italia medievale, dopo che i progressi del sec. XIX hanno costretto gli studiosi a non tener più in gran concetto il lavoro del settecentista P. Berretti ; e unisce la sua voce a quella del dotto e compianto trén-tino, professore all’ Istituto di studi superiori di Firenze, nella speranza che i direttori della nuova edizione del Muratori comprendano nella pubblicazione tale studio, che colmi la lacuna eh’ egli vivamente deplora. (E. C.) Amedeo PELLEGRINI. Storia della Pieve di Cento dal J220 ai giorni nostri, Lucca, Pellicci, 1903 ; in-8, di pp. 165. — Altre volte ha avuto il nostro periodico a lodare le inedite relazioni degli ambasciatori lucchesi pubblicate dal prof. Amedeo Pellegrini. Il quale della sua attitudine alle indagini storiche continuò a dar prova con saggi di storia di Pieve di Cento pubblicati negli Atti della R. Deputazione di Storia Patria delle Romagne e nella Rivista Abruzzese, trattando il periodo della dominazione estense e il periodo napoleonico. Testé egli stese la^storia tutta della Pieve nella prima parte di questo volume, e, nella seconda, delle varie istituzioni e dei vari aspetti della sua vita politica e sociale. Peccato eh’ egli vi abbia omesso il periodo estense da lui trattato altrove, ma che doveva esser compreso anche in questa cronologica narrazione ! E’ certamente peccato che, per la storia anteriore al secolo XVI, il P. non abbia potuto adoperare documenti inediti dei quali dev’ esser copia negli Archivi governativi e comunali di Romagna e di Emilia. Dei precedenti secoli l’Archivio comunale del luogo, che fu a disposizione del P. non serba oggi che gli Statuti appartenenti al secolo XIV, e del secolo stesso una carta che delimita i confini fra i due borghi rivali di Pieve e di Cento. Per questo tempo sagace uso ha fatto il P. delle cronache ferraresi e bolognesi, per le quali abbiamo ora edizioni e studi assai buoni dei professori G. Rossi e A. Sorbelli, specialmente della così detta Miscella e della storia ben nota del Ghirardacci. La parte seconda del volume che è anche la più importante tratta le materie seguenti : La Pieve fortezza — L' U-niversità (amministrazione) — Podestà, Vicario, Governatore — Sbirri — Soldati — Libertà individuale e di commercio — Reno, Epidemia, contagio — Ecclesiastici, soldatesche. Utili notizie per la storia civile, economica e del costume contengono le note, stampate in minuto carattere che fatica l’occhio in verità, ma ha consentito di comprendere in ispazio non grande moltissime cose. Non direi, come fa il P. cardinale Albornozzi e domìnio bo-naparteo e i documenti, dati alla fine del volume, disporrei in ordine crono- 460 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA logico. Altre osservazioncelle si potrebbero fare sulla disposizione della materia che accusa, se non mi inganno, un po’ la fretta. Del resto, per le ragioni dette sopra, il volume vuol essere raccomandato, e ai terrazzani di Pieve di Cento avrà contribuito a dimostrare che, anche a Pieve, meglio e più civilmente si vive oggi che nei secoli addietro. (Guido Bigon:i) La venuta a Casale di Benedetto Maurizio di Savoia duca del Chiablese (luglio J766) narrata da un contemporaneo e pubblicata da GIUSEPPE GlOR-celli. Alessandria, Piccone, 1904 ; in-8, di pp. 19. — Giuseppe Giorcelli. Un documento inedito della Zecca di Casale Monferrato (7 luglio 1 5! !) ■ Milano, Cogliati, 1904 ; in-8, di pp. 13. — Il dott. G. seguita con queste pubblicazioni la illustrazione del Monferrato, alla quale ha dedicato da tempo i suoi studi, sì come fanno fede le moltissime scritture di varia ragione da lui messe in luce, con piena competenza e perfetta conoscenza della materia. Benedetto Maurizio secondogenito di Carlo Emanuele III ebbe in dono dal padre il reggimento di cavalleria de’ Dragoni di Piemonte, e poiché per la maggior parte si trovava aquartierato a Casale, così in quella città ei dovette venire per prenderne il possesso. I casalaschi da prima non credevano potesse esser vero che ciò sarebbe avvenuto, secondo si andava dicendo, ritenendo che la notizia, di cui si discorreva da tempo fosse mera « diceria volgare, od almeno una di quelle cose che spargonsi a trattenimento dei novellisti chiacchieroni ed a pascolo delle vane speranze », poiché alcuni anni prima le loro speranze della visita del Duca di Savoia, primogenito del re, per una medesima opportunità, erano state frustrate. Ma questa volta la venuta del principe ebbe luogo, e le feste, i ricevimenti, le mostre militari, e tutto quanto egli fece dal 7 al 12 luglio viene minutamente descritto in questa relazione anonima di testimonio oculare. Illuminazione, fuochi d’ artificio, conversazioni, pranzi, opera buffa: Le Contadine bizzarre, e regate o meglio giuochi de’ pescatori sul Po, allietarono questi giorni ; il principe fu da per tutto ; si divertì al teatro, brillò nelle conversazioni fra le donne « con finissimo e ricco gusto ornate », fece spiccare il suo « brio ed il genio militare » nelle riviste, ammirò « la città illuminata dalli più ricchi con torchie di cera, da altri con sevo, e dalli poverelli con olio », e volle visitare anche il Ghetto « dove gli Israeliti avevano fatto una illuminazione veramente vaga con archi trionfali e geroglifici,, e di più vi era un concerto di suoni di varii strumenti » ; rimase assai soddisfatto della regata, la quale « consistette in ciò, che li pescatori della città, in questo abituati ed espertissimi, posti sopra la prora di un bar-chetto, cadauno de’ quali era guidato da due remiganti, vestiti di un uniforme bianco, facevano corsa allo strappo del collo dell’ oca gettandosi nell’ acqua e facendo diversi giuochi ». — L’ a. nel secondo opuscolo prendendo occasione da un nuovo ed importante documento, rileva come non possa ammettersi, secondo fino a qui si è creduto, che la zecca di Casale ripeta la sua origine dal 1404, quando Teodoro II riacquistò questa città. Infatti con la CJ10KNALË STORICO E LE ΓΤΕΚΑΚΙΟ DELLA LIGURIA 46 I scorta di molti documenti egli prova che Teodoro II, uscito da Chivasso pose sua stanza in Pontestura, ma la zecca rimase nella prima dimora che continuò ad essere la capitale del marchesato. E fu soltanto nel 1435, che Gian Giacomo figlio di Teodoro, perduto Chivasso, trasferì la capitale in Casale ; onde dopo quest’ anno deve credersi incominciasse quivi a battere moneta. L’atto del 1511 pubblicato qui la prima volta è importantissimo per la storia di questa zecca, e il G. lo ha convenientemente illustrato. Dell’Acqua Carlo. Di San Pio V Papa insigne fautore degli studi e degli studiosi. Note e ricordi storici pel IV suo centenario genetliaco (/7 gennaio 1904). Milano, Cogliati, 1904; in-8, di pp. 114, con figg. — L’a. ha avuto principalmente l’intenzione di ricordare le benemerenze di Pio V rispetto agli studi nella città di Pavia. Perciò dopo aver riassunte le notizie intorno all’ Università pavese, viene a dare i cenni biografici del Ghislieri, fermandosi a descrivere il tempio di S. Croce innalzato da lui in Bosco, e quindi rifà in uno speciale capitolo la storia del Collegio Ghislieri. Ma qui non si arresta, e spende alcune pagine a discorrere della battaglia di Lepanto e della parte che v’ ebbe a prepararla ed a muoverla il pontefice, chiudendo con le onoranze a lui tributate dopo la sua morte così a Roma come a Pavia. Il libro occasionale è convenientemente illustrato. Quanto alla materia il Dell’A. non dice nulla di nuovo, e per questa compilazione, messa insieme con amore devoto, e sentimento apologetico, si giova delle molte pubblicazioni venute fuori in tempi diversi. Nè avremo altro da aggiungere, se non ci sembrasse doveroso il notare come il capitolo IV riguardante la battaglia di Lepanto, sia in tutto arretrato e insufficiente, mostrandosi 1’a. ignaro di quanto intorno a quell’ avvenimento ha detto la critica moderna. Basti il ricordare che si torna a difendere Gianandrea D’ Oria fondandosi sul libro infelicissimo del Veroggio. Manuale della letteratura italiana compilato dai professori ALESSANDRO D’ANCONA e Orazio BaCCI. Vol. VI. Indice generale dell’ opera, supplemento bibliografico. Firenze, Barbera, 1904; in-16, di pp. XI-140. — Con questo volumetto, preannunziato quando fu compiuta la stampa della edizione rifatta del Manuale, pongono termine i valenti compilatori all’ intera opera, riconosciuta universalmente dalla critica come ottima ed utilissima. L’indice degli autori, non è una magra filza di nomi, ma accanto a ciascuno è posta la data di nascita e quella della morte, onde esso giova come un aiuto a ricordare e a riscontrare codeste notizie con agevole sollecitudine : vengono dopo le indicazioni dei brani prodotti ad esempio. L’ importanza del supplemento bibliografico non può sfuggire a chicchessia, e perchè giunge, quasi diremo, fino al giorno in cui vennero tirati gli ultimi fogli, e perchè copioso, ricchissimo ed esatto : reca ancora alcune correzioni da introdursi nel Manuale. Ma il volume che annunziamo contiene una promessa e quasi un affidamento, il ricordo e qualche saggio non potrebbe desiderarsi troppo a lungo nel Manuale » ; e noi auguriamo che gli a. non tenendo conto di quel « forse » prudenziale, pongano ad effetto il buon proposito. Stefano Lottici, Giuseppe Sitti. Bibliografia generale per la storia parmense. Con prefazione ilei conte dottor Luigi San VITALE — Simonetta. Parma, Zerbini, 1904; in-8 grande, di pp. XI-425. — Il lavoro tentato dal marchese Raimondo di Soragna e lasciato incompiuto, viene ora rifatto interamente dai due a. che hanno unito le loro forze per raccogliere e disciplinare 1’ ampia materia. È diviso in due parti ; la prima registra tutto quanto si riferisce ai ducati in generale, e comprende sei sezioni ; 1’ altra riguarda in singoiar modo il ducato e la provincia di Parma e ne conta dieci ; tutte poi, secondo la loro ampiezza, vengono partite in più paragrafi. Chiudono il volume due indici ; per materie, che dà 1’ indicazione ed i richiami delle parti ond’ è diviso ; per voci, che agevola la ricerca e vuoisi ritenere assolutamente indispensabile in opere così fatte. La messe raccolta e disciplinata dagli a. è molto ricca, e le ricerche debbono esser costate fatica grande nella ragguardevole congerie di scritti svariatissimi editi ed inediti ; nè si vorrà da chicchessia lesinare la lode a que’ volenterosi i quali si sono accinti a questa invero notevole compilazione. Ne sapran grado invece senza riserve ai compilatori tutti quanti gli studiosi, i quali sanno quanta utilità rechino le bibliografie, e quali aiuti preziosi essi ne possono ritrarre. Si potrebbero mettere innanzi dei rilievi intorno alla classificazione e alla distribuzione, a lacune e ad inesattezze; ma codesti rilievi, i quali più o meno toccano a tutte le bibliografie, per lor natura non mai perfette nè compiute, non diminuiscono il merito del lavoro. E certo che gli a., che hanno raccolte nel corso della stampa tante nuove notizie da compilare un’ appendice, dovranno presto o tardi aggiungere un supplemento, e in una diligente revisione del loro lavoro troveranno di che correggere, ed anche alcuna cosa da chiarir meglio per qual ragione sia registrata, o da trasporre, oppure da togliere affatto ; ma il più e il meglio può dirsi compiuto, poiché il libro ha solide fondamente e « rappresenta, un potente contributo agli studi intorno alla storia » parmense. Così giudica, e a noi sembra con giustizia, Luigi San vitale nella ben ragionata prefazione, con la quale presenta agli studiosi il volume porgendo notizie utili a sapersi, e facendo osservazioni notevoli. Attilio Gentille. « Chiare, fresche e dolci acque » una cantone del Petrarca commentata. Trieste, Caprin, 1904 ; in-8, di pp. 95. — Precede uno studio sulla lirica del Petrarca in confronto a quella di Dante, dove in ispecie 1’ a. si ferma a considerare il modo col quale i due poeti hanno atteggiato ed espresso il sentimento dell’ amore. Sebbene non ci dica cose giornale storico e LETTERA RIO DELLA LIGURIA 463 nuove pure è un garbato preludio al principale argomento propostosi dal G. Nella introduzione al commento, oltre un breve cenno bibliografico degli scritti pubblicati specialmente sulla canzone, tocca del nesso che essa ha con gli altri componimenti del canzoniere, discorre della controversia rispetto alla data, eh’ egli inclina a stabilire nel 1342 o fra il '45 e il '47, rilevando qual possa essere stata l’occasione al dettarla, e qual ne.sia, secondo suo parere, il significato; accenna quindi alle versioni ed alle imitazioni, e chiude con alquante osservazioni sulla metrica. Viene quindi riprodotta la canzone nella forma che si legge nel cod. vat. autografo, salvo lievi modificazioni di grafia, e ad ogni strofe è apposto il commento, il quale non solo riguarda le parole singole, il loro valore ed il significato, ma si rifà alla esegesi del concetto generale per discendere alle particolari osservazioni. E qui 1’a. si manifesta bene e largamente preparato a codesto studio, poiché riferisce sempre le opinioni dei commentatori che lo hanno preceduto, a fine di ricercare la più plausibile interpretazione, eh’ egli accoglie in tutto o in parte, quando non ne propone una propria, come quella che meglio s’ attaglia alla lettera ed allo spirito del componimento. Di tal guisa il commento oltre che espositivo, è critico. Ma facile e piano cosi, da soddisfare anche alla intelligenza di que’ luoghi che a prima fronte non si presentano chiari e luminosi. Insomma a noi sembra lavoro di mente acuta, il più ampio che si conosca intomo alla canzone, e per ora il migliore. Nel complesso sente un po’ del farraginoso, ma ciò nulla toglie al suo valore intrinseco. Gioachino Brognoligo. Studi di storia letteraria. Roma-Milano, Al-brighi Segati e C., 1903 ; in-16, di pp. 243. — La maggior parte di questo volume, ben duecento pagine, contiene una serie di studi intimamente e sostanzialmente legati. Il primo ed il più esteso narra la vita e discorre delle opere di Luigi Da Porto ; è corredato da due appendici, in una sono prodotti sei sonetti di lui, due dei quali inediti, e due sue lettere ; 1’ altra è costituita dall’ albero genealogico. Il secondo studio si volge interamente intorno al poemetto di Clizia veronese, del quale si ricerca il suo autore, e si esamina il contenuto in rapporto alla sua fonte, alla storia ed al sentimento. Col terzo l’a. chiarisce la ragione onde i Montecchi e i Cappelletti vengono ricordati dall’Alighieri, sfatando que’ commentatori i quali pretesero vedervi un accenno ai tristi casi di Giulietta e Romeo ; i quali ormai a questo titolo si possono dir leggenda ; e appunto di questa leggenda tratta 1’ a. nel quarto studio che chiude la parte organica, quasi diremo, della presente raccolta. Le ultime pagine contengono tre diverse scritture. Critico-polemica è la prima con la ricerca se possa ammettersi 1’ asserta somiglianza dell’Ivanhoe dello Scott con I Lombardi alla prima Crociata del Grossi, e come debba intendersi al proposito una sentenza del Manzoni. Rileva con la seconda il significato di alcuni versi del Benzone nel suo poemetto Nella, volti, secondo il parere del B. a dare una lezione a lord Byron che aveva detto male di Venezia e GIORNALE STORICO E LE I IKK A R IO PELLA LIGURIA dei veneziani. La Questioncella Pindernontiana richiama 1 attenzione sulla Gibilterra salvata, poemetto dettato in v. sciolti e che comprende 1 inno di Calliope in ottave. Tutti questi scritti erano già comparsi qua e là in periodici letterari, ma l’a., facendo tesoro dei suggerimenti di maestri, e delle osservazioni d’ amici, vi è tornato sopra con ogni diligenza, e li ha più o meno modificati, a fine di renderli meglio accetti agli studiosi. E poiché la critica già li aveva giudicati con favore, singolarmente i primi da noi accennali riguardanti il Da Porto, la nota novella e le quistioni ad essa attinenti, così dee far buon viso a questa ristampa condotta con savio criterio, e confortata da nuovi studi e da meglio disciplinate conclusioni. Giambattista FERRACCIA. La vita e le poesie italiane e latine edite e,i inedite di Cornelio Castaldi giureconsulto feltrino (sei. XV-XVI). Feltre, Castaldi, 1899 e 1904 ; vol. I e II. — Un cenno sulla condizione politica di Feltre, e una più larga notizia degli illustri cittadini che vissero innanzi o furono contemporanei al Castaldi, preludono opportunamente alla biografia di questi. L’a. in quattro capitoli discorre quindi dello scrittore feltrino con copia d’ informazioni attinte da ottime fonti, e col sussidio ed il conforto di numerosi documenti, frutto di accurate e ben condotte ricerche, prodotti in parte od in tutto nel testo, e nelle annotazioni. Egli, rettificato da prima 1’ anno di nascita, che non è il 1480, come tutti hanno creduto, ma il 1463, segue il Castaldi ne’ suoi studi a Padova, dove ottiene nel 1503 la laurea in giurisprudenza ; nella pratica forense a Venezia, donde torna in patria e la serve come soldato nell’agosto del 1511, e quindi come giureconsulto e diplomatico, deputato più volte e in varie contingenze a rappresentarla presso la repubblica di Venezia. E quivi ridottosi all’esercizio dell'avvocatura ebbe opportunità di giovare al suo comune nelle pubbliche controversie, ed ai privati concittadini nei loro affari domestici.· Sessantenne si stabilì a Padova, ma non è provato, secondo fu scritto, che egli fosse lettore in quello studio, nè che ricevesse la cittadinanza ed appartenesse al Consiglio del comune. Più tardi sembra abbia preso di nuovo stabile dimora a Feltre, dove interviene nel 1530 a parecchie sedute del Maggior Consiglio; il 23 giugno 1536 fa testamento idocumento importante e singolare) ; e il 17 gennaio successivo muore onorato dai suoi concittadini. Ebbe ammiratori ed amici gli uomini più notevoli del tempo suo, fra quali è a ricordare il Bembo, il Fortunio, il Virunio, il Navagero, il Fracastoro, Trifon Gabriello ed altri si fatti. Delle poesie italiane e latine del Castaldi il F. non ha parlato di proposito in questa prima parte meramente biografica, poiché era suo proposito darne contezza nella introduzione alla stampa delle poesie stesse, che è il contenuto della seconda parte. Egli studia da prima le rime volgari toccando della scuola petrarchesca seguita dal Castaldi, il quale però ben presto si ritrasse, nè senza rimproveri d’ amici, dalla imitazione servile, venuta di moda al tempo suo. Sono notevoli le poesie erotiche, quelle in ispecie dove canta de' suoi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 465 amori , al qual proposito il 1’. ricerca quali e quante donne hanno potuto ispirare que’ versi, rilevando, con buone ragioni, che una d’ esse fu donna viva ed ebbe nome Beatrice, mentre 1’ altra, a suo parere, è a ritenersi donna affatto ideale. Reca quindi i risultati d’ uno studio accurato intorno alle poesie latine, e chiude con la bibliografia, dove si legge una larga descrizioue dei codici dai quali il F. trasse tutto il materiale della raccolta. Monografia di autore competente ; esposta con sicurezza di dottrina, ed ottima preparazione. SPIGOLATURE E NOTIZIE. Alfredo Melani prendendo occasione da un libretto recente del canonico Ferdinando Podestà (Arte antica nel Duomo di Sarzana, Genova, Sordomuti, 1904) richiama l’attenzione sopra il soffitto ligneo della cattedrale sarzanese, il cui « pregio sta presso a sommità » (Arte e storia, XXIII, 19-20, p. 127). Egli vorrebbe che qualcheduno approfondisse le ricerche documentarie intorno a quest’ opera d’ arte, che è di bellissimo barocco ; la qual cosa già fu fatta in una monografia sul duomo di Sarzana, stampata nel Giornale Ligustico [A. XVII, p. 41 sgg.), e più recentemente per cura della Fabbriceria nel 900 (Sarzana, Tip. Tellarini). .·. Francesco Saloni, direttore del periodico Arte Scenica, sta per ultimare un dramma storico, dal titolo : Giuseppe Mazzini. .·. Nell’agosto di quest’anno venne inaugurata a Villetta Barrea (Abruzzo) una lapide a ricordo di Benedetto Virgilio, soprannominato il bifolco poeta, ch’ebbe fama non piccola nel secolo XVII (1600-1666) e fu sepolto in Roma nella basilica Vaticana. Sotto alla epigrafe venne inciso un distico latino del nostro Agostino Favoriti sarzanese, dettato per essere apposto al ritratto del poeta dipinto per incarico del papa Alessandro VII dal Mola. E’ il seguente : Non impar ego Virgilio, s\ vel mihi civem Vel illi nasci sors dabat agricolam. .·. Vittorio Rossi in una sua monografia intitolata : Francesco Petrarca a Pavia ricorda fra gli amici del poeta, che furono in quella città, il genovese Bartolomeo di Jacopo, di cui aveva dato una buona notizia biografica Francesco Novati nel Giornale Ligustico (a. XVII, fase. r-2). Egli ne prende occasione per aggiungere come quel giureconsulto si trovasse « a Pavia ai 26 aprile del 1377, quando per mandato del vescovo conferì la laurea in utroque a Giovanni da Castiglione (decretalista famoso sotto il titolo, che ottenne nel 1390, di episcopus vicentinus) pronunziando quell’orazione » nota pure al Novati, il quale credette si trattasse di Pietro Filargo che fu vescovo a Vicenza nel 1388 ; del pari era colà 1’ anno successivo 137K poiché « fu accolto nel Collegio dei dottori di diritto (14 gennaio), e fu (2 settembre ì tra gli esaminatori di un laureando in diritto civile ». Rileva pure che tiwi x. St. e leU. 'Iella Ligiiiia, V'. 466 GIORNALE STORICO b) LETTERARIO DELLA LIGURIA 1’ anno medesimo « teneva quell’ ufficio di consigliere del principe, eh ebbe anche sotto Giangaleazzo, ed eia Podestà di Pavia » (cfr. Bollettino della Soc. Pav. di Stor. Pat., a. IV, fase. Ili, p. 392). .·. Nella Vita di Pietro Giannone scritta da lui medesimo, mandata in luce integralmente, secondo 1’ autografo, da Fausto Nicolini, vendicando così 1’ ingiuria della indegna stampa già procurata dal Pierantoni, troviamo un genovese eh’ ebbe relazione coll’ insigne storico napoletano, fatto segno in questi ultimi tempi a gravi critiche. Si tratta di Clemente D Oria, il quale trovandosi a Vienna ambasciatore della repubblica di Genova, conobbe il Giannone e gli affidò il compito di scrivere una allegazione in suo favore nella importante causa a proposito di fidecommesso, che si disputava in Genova in contradditorio con la duchessa di Nevers. Al che adeiì di buon grado il giureconsulto senza volerne ricompensa alcuna, contento della efficace intercessione di lui presso il conte Ralp, segretario di Stato, del quale il D’Orii era amicissimo. Nè il favore di questi gli mancò mai anche in appresso (cfr. Archivio Stor. per le Prov. Napol., XXIX., I, 34^41 · .·. La Libreria Larousse ha recentemente terminata la pubblicazione del-1’ opera di P. Jousset, L’ Italie illustrée, grosso vol. in-4 di PP· 368 a due colonne con numerose figure e carte. La parte che riguarda la nostra regione forma il primo capitolo, e va da pag. 4 a 29. Comprende le segg. materie: « Golfe de Gênes — La còte ligure de Ventimille à la Spezia — Route de la Comiche : Vintimille, Bordighera, San Remo, Port-Maurice, Alassio, Al-benga, Final Marina, cap de Noli, Savone, Cogoleto, Voltri, Pegli, Sestri, San Pier d’Arena. — Gênes. Aspect général, la vieille ville, les palais et le passé, Établissements d’utilité publique, Défenses de la place. Le port. mouvement maritime, objets du trafic, voies d’accès, progrès — Marine marchande italienne: vapeurs, voiliers, personnel. — De Gênes à la Spezia. Environs de Gênes et passages de l’Apennin La côte : Nervi, Portofino, Santa Margherita, Rapallo, Chiavari, Sestri Levante. — Marine da guerre italienne. — La Spezia: ses approches, les défenses, l’arsenal, le port de commerce, Sarzane. — Carrare et les Alpes Apuanes : exploitation da marbre ». Illustrano questa parte 58 bellissime riproduzioni fotografiche di vedute e monumenti, la pianta topografica di Genova a cololori e tre carte geografiche, cioè : la Riviera di Ponente, la Riviera di Levante e il Golfo della Spezia. .·. Pietro Spinola, dell’ordine di S. Francesco, eletto vescovo d’Ajaccio nel 1698, dopo tre anni che giunto alla sua diocesi, si era posto con vero zelo illuminato, non senza difficoltà e disagio, a procurarne il miglioramento, riferisce alla Sacra Congregazione lo stato in cui essa si trovava e propone i mezzi da lui ritenuti migliori per avviarla a condizioni più rispondenti al sacro ministerio ed alla morale disciplina. Due sono le 1 dazioni che egli invia, o per dir più esatto accompagna la relazione latina, che potrebbe dirsi descrittiva e statistica, con una lettera ad un cardinale, appartenente certo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI.A LIGURIA 467 alla Sacra Congregazione, nella quale rileva molli particulari, appena accennati o taciuti in quella, a fine di eccitarlo, mercè liete informazioni, a patrocinare le pregiere e le proposte da lui fatte (Loevjnson, Sulle condizioni religiose della diocesi d’Ajaccio al principio del secolo XVIII in Aiélanges d Archéologie et d’Histoire, XXIV, 205). Da questa lettera apparisce manifesto il disordine in generale dell’ azienda ecclesiastica e quello del clero, singolarmente rispetto alle chiese foranee. Eccone qualche tratto caratteristico. « Mancando a quasi tutti li parrochi la canonica, habitano essi con angustia e sordidezza non credibile a chi non le vede. Ciò serve ad accrescere ne’ popoli la desestimazione a’ loro sacri pastori, i quali veggono uniformi a gli altri nell’ horrenda viltà della casa. Il peggio è che in moltissimi luoghi habitando i parrochi, o per necessità, o per avaritia in qualche parte di casa, ove dimorano strettamente altre famiglie, troppo continui e gravi hanno i pericoli dell’ incontinenza ». Rileva poi lo scandalo della doppia messa. Concessione fatta per stretta necessità temporanea in alcuni casi ; ma divenuta abusiva e generale « per avvanzare la dovuta consueta spesa di mantenere un vicecurato » ; al che egli intanto ha cercato di por freno, sebbene abbia trovato resistenza in taluni luoghi da parte dei parrochi « per 1’ addotta scusa di non trovarsi persona che voglia servire, et il parroco non la trova, perchè non vuole, e sotto mano con minaccie distoglie quelli che il vescovo propone ». Gravi danni da ciò all' istruzione religiosa e alla regolare amministrazione dei sacramenti : gli accadde infatti nelle sue visite « di far battezzare fanciulli stati da secolari battezzati con questa strana forma : in nome di Roma, di Toma e del Papa », e trovò negli abitanti di alcuni villaggi « radicata questa frase circa il misterio della SS. Trinità : esservi tre Dii che esistono in un Dio solo ». Ignoranza non poca nel clero ; scarso il numero dei giovani volti alla carriera ecclesiastica. Anche le rendite dei benefici mal collocate ; ad esempio « la pievania di Talavo, beneficio semplice, che suole vacando darsi a qualche domestico del vescovo » ritiene giustamente debbasi devolvere a nuovo ufficio della cattedrale, dqvendo il vescovo « con altro del proprio ricompensare chi lo serve ». La lunga lettera, in data 1 luglio 1701, termina così : « Quanto alla nota sregolatezza et ignoranza del clero, grazie a Dio non mancano parrochi intelligenti e morigerati, ne’ quali altro non è desiderabile se non che del troppo interessato affetto alli parenti facessero qualche parte alla loro chiesa, io spererei che il decoroso nuovo seminario, il quale darà commodo luogo, anche per li essercitii spirituali da introdursi, sia per essere un buon rimedio. E circa 1’ ereditarie inimicitie rovinose alle case et alla publica quiete, li frequenti omicidii, anco in vendetta trasversale, li quasi comuni spergiuri in giuditio, le superstitioni, et altri eccessi noti del paese, oltre li frequenti scandalosissimi incesti sotto nome di matrimonio continuati, questi sono disordini, per il riparo de’ quali il vescovo da per se non può molto, per quanto si vada procurando di operare il possibile riparo. E provo che dove ci è un parroco di zelo nel coltivare le anime, il 468 GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA paese vive più quieto e senza tanti scandali ». Là dove propone alcuni provvedimenti utili a dotare le pievi di apposita canonica, esce a dire . « Ho considerato che la gloriosa memoria di Gregorio XIII, essendo vacato il vescovato d’Ajaccio, così supplicata la Santità Sua vi destinò in vece di vescovo per alcuni anni vicario apostolico il famoso giurista Mascardi, il quale con i redditi della mensa fabricò la catedrale con struttura non ignobile di tre navi a volta, cupola e bel campanile, se bene poi non fu compita al bisogno di dentro e di fuora ». Si ricorda qui il giureconsulto sarzanese Giuseppe Mascardi, protonotario apostolico, di più uffici, e commissioni di fiducia insignito, che tornato di Corsica, morì in Roma quando il pontefice stava per eleggerlo vescovo d’Ajaccio. .·. La importante monografia di ARRIGO SOLMI, La Costituzione sociale e la proprietà fondiaria in Sardegna (in Arch. Stor. Ital., Ser. V, T. XXXIV, p. 265) rileva con molto acume la benefica influenza determinata in quell’ isola dalle repubbliche, fiorentissime allora, di Pisa e di Genova. E perciò questo studio, condotto sulle fonti migliori, non può essere trascurato da chi si piace entrare nell’ intimo dello svolgimento de’ fatti storici attinenti a Genova in quel periodo glorioso delle sue gesta. .·. Nella solenne apertura degli studi dell’ Università di Messina il prof. Gaetano Salvemini ha dissertato intorno al Pensiero politico e religioso di Giuseppe Mazzini. .·. Luca Beltrami, con quella competenza che gli è universalmente riconosciuta, trattando in un suo articolo intorno a Bramante e la sistemazione del Tevere, (in Nuova Antologia, CXIV, 418 sgg.) rileva l’importanza del libro di Filippo Maria Bonini, di Chiavari, intitolato II Tevere incatenato, dove appunto si legge la notizia bromantesca che ha dato argomento a questo scritto critico. .·. GIUSEPPE Ceci nel suo scritto: Il palazzo degli Studi a Napoli (in Napoli Nobilissima, XIII, 162) rileva che Vitale Lineili carrarese, zio del più celebre scultore Giuliano, eseguì in quell’ edifizio le robuste mensole che sostengono il balcone, e tutti i capitelli sulle colonne e i pilastri del corpo centrale. Intagliò anche i capitelli e le « targhe colle imprese » nel timpano della porta minore, e « l’epitaffio di marmo con sue lettere ripiene di piombo, quale è incastrato nel piperno sopra la porta principale », e le due epigrafi nelle finestre che la fiancheggiano. Ciò fra il 1615 e 1616. Notizia da aggiungere a quelle date dal CampoRI in Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ecc. nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa. Modena, Vincenzi, 1873, p. 90. .·. Un astrologo fin qui ignoto, Antonio d’ Inghilterra (Antonius de An-glia), ci ha lasciato un pronostico per l’anno 1464, conservatoci dal notaro monferrino Antonio Guicciardi ne’ suoi protocolli, a tergo della minuta d’istrumento 23 marzo 1464. In esso è detto sul principio: « A meridie venit homo magnus, fortis, magnaque illustrium comitiva armigerorum, et GtOKNALE STORICO E LK ITEK A KlO DELLA LIGUKlA 469 quasi infinito tumultu, nmaximoque strepitu, et non modico violento ense Liguriam pessundabit, Mediolanum intrabit de voluntate Principis, et cives Papia maximum recipient honorem » (sic). Ferdinando Gabotto che pubblica il documento e lo illustra, crede siano da riferirsi queste parole alla vittoria aragonese sopra l’Angioino, ottenuta mercè 1’ accordo con Iacopo Piccinino, donde l’agevolezza di nuove imprese sforzesche, con le armi del temuto condottiero, nell’ alta Italia. Di che Liguria avrebbe inteso per la prima gli effetti, essendo ben note le cupide aspirazioni dello Sforza sopra Genova e Savona, sì come s’ebbero a chiarire virtualmente indi a poco. L’ a. annunzia a questo proposito uu suo ampio lavoro : Genova e Francesco Sforza (cfr. Biblioteca delle Scuole Italiane, a. X, n. 20, 1904). .·. Nella Revue des bibliothèques (1903, nov.-dic.) e pubblicato da H. BOURDE DE LA ROGERIE 1’ Inventaire d’ une collection de documents et d’autographes conservée au manoir de Keriolet, Finistère, dal quale si rileva che in quella raccolta esistono le lettere dirette ad Alessandro Bixio (il ben noto fratello di Nino) dal 1826 al 1853. —o— Centenari. Il 6 ottobre 1906 ricorre il sesto centenario della venuta di Dante Alighieri in Sarzana, dove ebbe la procura per la stipulazione della pace fra i Malaspina e il Vescovo di Luni Antonio di Camilla ; pace che il giorno medesimo venne confermata nel vicino Castelnuovo. La Società Pro Cultura di Sarzana in seguito a proposta del suo presidente avv. Luigi Delle Pere, il quale pronunziò in proposito un notevole discorso, ha deliberato di celebrare questo centenario in onore del Divino Poeta, e a colorire il disegno ha eletto un comitato con 1’ incarico di compilare un programma di sì fatte onoranze. — Il I novembre 190; cade il primo centenario dalla morte del poeta Giovanni Fantoni noto sotto nome di Labindo. Fivizzano sua patria si prepara fin d’ ora ad onorare questo illustre suo cittadino. — In S. Terenzo al Mare nella prossima estate verrà eretto un ricordo marmoreo nella casa Magni dove trascorse gli ultimi giorni della sua vita P. B. Shelley. Il Comitato promotore del monumento e delle feste è presieduto dal senatore Mantegazza. —o — Accademia Reale delle Scienze di Torino. XV Premio Bressa. La Reale Accademia delle Scienze di Torino, uniformandosi alle disposizioni testamentarie del Dottore Cesare Alessandro Bressa, ed al Programma relativo pubblicatosi in data 7 dicembre 1876, annunzia che col 31 dicembre 1904 si chiuse il Concorso per le scoperte e le opere scientifiche fatte nel quadriennio 1901-1904, al quale concorso erano solamente chiamati scienziati ed inventori italiani. Contemporaneamente essa Accademia ricorda che, a cominciare dal 1 gennaio 1903, è aperto il concorso per il quindicesimo premio Bressa, a cui, a mente del testatore,.saranno ammessi scienziati ed inventori di tutte le nazioni. Questo concorso ha per iscopo di premiare quello 470 GIORNALE STORICO E LET l'EKARlO DELLA LIGURIA scienziato, di qualunque nazione egli sia, che durante il quadriennio 1903-1906, « a giudizio dell’Accademia delle Scienze di Torino, avrà fatto la più insigne « ed utile scoperta, o prodotto 1’ opera più celebre in fatto di scienze fisiche « e sperimentali, storia naturale, matematiche pure ed applicate, chimica, fisio-« logia e patologia, non escluse la geologia, la storia, la geografìa e la sta-« tistica ». Questo concorso verrà chiuso col 31 dicembre 1906. La somma destinata al premio, dedotta la tassa di ricchezza mobile, sarà di lire 9600 (novemila seicento). Chi intende presentarsi al concorso dovrà dichiararlo, entro il termine sopra indicato, con lettera diretta al presidente dell’Accademia, ed inviare l’opera con la quale concorre. L’opera dovrà essere stampata; non si terrà alcun conto dei manoscritti. Le opere presentate dai concorrenti, che non venissero premiati, non saranno restituite. Nessuno dei soci nazionali, residenti o non residenti, dell’Accademia Torinese potrà conseguire il premio. L’Accademia dà il premio allo scienziato che essa ne giudica più degno, ancorché non si sia presentato al concorso. — Premio di fondazione Pollini. Alla fine dell’ anno 19051 l’Accademia Reale delle scienze di Torino conferirà un premio di fondazione del cav. Dr. Giacomo Pollini. Esso sarà di L. 1000, dedotte le tasse e le spese di amministrazione, e sarà conferito alla migliore monografia storica degli attuali Comuni delle antiche provincie piemontesi, manoscritta ovvero stampata nel decennio 1904-1914, sul genere di quella dello stesso Dr. Pollini pubblicata in Torino nel 1896 sul comune di Malesco. Sono esclusi i Comuni capoluogo di provincia e circondario, ad eccezione di quelli di Domodossola e di Pallanza. A tale premio potranno concorrere solamente scrittori di dette provincie. I concorrenti dovranno consegnare i loro lavori stampati o manoscritti prima della fine del decennio. L’Accademia non restituirà agli autori nè le opere a stampa, nè quelle manoscritte presentate al concorso. — Premii di fondazione Cantieri. L’Accademia Reale delle Scienze conferirà nel 1905 un premio di fondazione Gautieri all’opera di Letteratura, Storia letteraria, Critica letteraria, che sarà giudicata migliore fra quelle pubblicate negli anni 1902-1904. Il premio sarà di L. 2500, e sarà assegnato ad autore italiano (esclusi i membri nazionali residenti e non residenti del-l’Accademia) e per opere scritte in italiano. Gli autori, che desiderano richiamare sulle loro pubblicazioni 1’ attenzione dell’Accademia. possono inviarle a questa. Essa però non farà restituzione delle opere ricevute. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Alerien. seu Papien. Canonizationis beati Alexandri Sauli e congregatione clericorum regularium S. Pauli Barnabitarum episcopi Aleriensis et postep. Pa-piensis. Neva positis super miraculis (1903Ì. Annali storici di Sestri Ponente e delle sue famiglie (dal sec. VII al GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 47 1 sec. XV) per Arturo Ferretto. Genova, tip. Gioventù, 1904; in-4, di pp. XIJV-395 (Vol. XXXIV degli Atti d. Soc. Lig. d. stor. pai.). Atti della Società Economica di Chiavari. Luglio MDCCCCIV. Chiavari, Gemelli, 1904 ; in-8, di pp. 67. Bassi Adolfo. Il viaggio da Parigi a Venezia di J. J. Rousseau e la sua sosta a Genova nel 1743 (in Arte e Scienza, a. II, settembre 1904, p. 26). Bologna Pietro. Stefano Bertolini, giureconsulto e statista toscano del secolo XVIII (in Rassegna Nazionale, vol. CXL, p. 188 e 378). BuSCAGLIA D. Due cimeli poco noti nella cittadina di Einalborgo 1 in Arte e Storia, 1904, n. 24-25). Castello Fil. A. Il porto di Genova e il suo consorzio autonomo. In Almanacco italiano, 19°5» PP· 288-306 con 10 ili. e 1 pianta. Cerchiari G. Luigi. Giuseppe Mazzini e il suo centenario. In Almanacco italiano 1905, pp. 306-309 con ritr. e ili. Cervetto Luigi Augusto. Genova e 1’ Immacolata nell’ arte e nella storia. Genova, tip. della Gioventù, I9°4 > 'n"4> di ρρ· IV-149 > con *^ν· e ^S· Chérancé P. Leopold. Saint Léonard de Port-Maurice (1676-1751 ). Paris, Poussielgue s. a. (1903); in-12, di pp. XIV-274. Codice (Piccolo) Diplomatico del Santuario di N. S. della Guardia (in La Madonna della Guardia, 1904, n. 4). De Amicis Edm. Genova e le due Riviere. Numero speciale Natale e Capodanno 1904-1905. Milano, Treves, in fol. con tav. col. e ine. in nero. Ducardo. I genovesi precursori del dogma dell’ Immacolata (in Settimana religiosa, 1904, n. 49). Durand-Gkeville E. Notes sur des tableaux et dessins de collections italiennes (in Rivista d'Arte, Firenze, 1903, n. 8-9; 1904, n. 3-4). Vi si parla di quadri in S. Maria di Castello, Palazzo Bianco, Palazzo Rosso, Palazzo Durazzo-Pallavicini, Galleria Spinola. FabryG. Histoire de l’armée d’Italie, 1796-1797, deLoanoa février 1796-Paris, Champion, 1900; voi. 2. Faldella Giovanni. L’ educazione di un eroe [Goffredo Mameli] (in Nuova Antologia, voi. 104, p. 51)· Ferretto A. Da Rapallo a S. Ambrogio della Costa (in II Cittadino, 1904, n. 224) — A Lavagna. Impressioni e note (ivi, n. 334). — Vedi: Annali. Feste ( Nelle ) giubilari dell’ Immacolata in Genova. Genova, tip. della Gioventù, 1904: in fol., di pp. 8, fig. 472 GlokNAl.k STORICO k LETTERARIO DELLA LIGURIA Giorgi Giorgio. Commemorazione del Sen. Girolamo Boccardo (in Rendiconti della li. Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Ser. V, vol. XIII, pp. ibi-176). Gioroieri Contri Cosimo. Lunigiana [ Versi ]. In Nuova Antologia 16 nov. 1904, pp. 255-262. Comprende: Il forte di Massa — Aprile antico — Monti apuani. Graf Arturo. Dante in Santa Croce del Corvo (in Rivista d’Italia, a· VII, 1904, vol. II, pp. 697-702, e in: A. Gr. Poemetti drammatici, Milano, Treves 1905, pp. 35-41, con 2 ili). JeanroY A. [Recensione al lavoro di Giulio Bertoni sopra I trovatori minori di Genova; cfr. Giornale, V, 302] (in Romania, XXXIII, 1904, p. 610). Jousset. P. L’Italie illustrée. Paris, Lorousse, [1904] in-4. Da p. 4 a 29 descriz. della Liguria e Lunigiana con 58 fìgg., 1 pianta e 3 carte. La B. Vittoria Strata e il terzo centenario dell’istituzione dell’ordine religioso della SS. Annunciata in Genova (in Settimana Religiosa, 1904, n. 31). Lardon Eugenio. Il porto commerciale della Spezia. Ivi, Zappa, 1904, in-8, pp. 15, c. tav. Loevinson Ermanno. Sulle condizioni religiose della diocesi d’Ajaccio al principio del secolo XVIII (in Mélanges d’Archéologie et d'Histoire, Rome, XXIV, 205). Luzio Alessandro. Goffredo Mameli [con documenti sul soggiorno del poeta in Milano nel 1848] (in Corriere della Sera, 1904, n. 59). — Il secondo volume dell’Epistolario di Giuseppe Mazzini (in Corriere della Sera, 1904, 284. Malagoli A. Nino. Piccola guida illustrata, amministrativa, commerciale, industriale di Camogli e Ruta. Genova-Chiavari (Recco, tip. Nicolosio) 1904 ; in-16, di pp. 64, con fig. Mannucci Francesco Luigi. La cronaca di Jacopo da Varagine. Genova, Pagano, 1904 ; in-16, di pp. V-185. — L’Anonimo genovese e la sua raccolta di Rime (sec. XIII XIV). Con appendice di rime latine inedite e tre fac-simili. Genova, Pagano, 1904; in-16 di pp. VII-271. Marenduzzo Antonio. Un giudizio di Giuseppe Mazzini su Giacomo Leopardi (in Natura ed, Arte, 1904, n. 24). Martinetti Corrado, Paesaggi lunesi (in : C. M. Ridolenze, Versi, PP· 41 55» Torino-Roma, S. ed. Nazion. 1905). Sono quattro liriche: Marinella di Luni, Il faro del Tino, Sarzanello, Villa sul mare. GIORNALE storico e letterario DELLA LIGURIA 473 Masnata Luigi. La sagra di S. Michele a Coronata (in Supplemento al ’ Caffaro, 1904, n. 273). Massa Miriam. Genova bella [memorie storiche]. Milano, Cogliati, [904; in-8, di pp. 94, con figg. Mazzini Giuseppe. Due Lettere inedite (in Corriere della Sera, 1904, n. 284). Inserite nella recensione del Luzio al vol. II AtW Epistolario. Melani Alfredo. A Sarzana : nel Duomo (in Arte e Storia, XXIII, 19-20, p. 127). Memorie storiche genovesi : L’ Oratorio della Carità nello Spedale di Pammatone (in Settimana Religiosa, n. 42). — Una pagina inedita del 1638 (iv', n· 44)· — Il voto dei genovesi per la festa dell’ Immacolata (ivi, n. 49). Messea Federico. Le convenzioni Cesaree col Finale Ligure — Codice e provvedimenti politici finaresi dal 1252 al 1733. Note e curiosità storiche. Genova, tip. Operaia, 1904 ; in-8, di pp. 208. Molfino P. Francesco Zaverio. Notizie storiche di Pontedecimo. Genova, tip. Gioventù, 1904; in-16, di pp. 12. Molfino P. Francesco Zaverio. Codice diplomatico dei Cappuccini liguri con prefazione del P. Semeria barnabita. (1530-1900). Genova, tip. della Gioventù, 1904; in-8, di pp. LXXV-495 ! con tav- Morchio Carlo. Appendice alle Vie di Genova. Vico Mattamore (in Settimana Religiosa, 1904, n. 39). Moresco Μ. I rifugiati genovesi a Ginevra nei sec. XVI e XVII 1 in Rivista Ligure di se. lett. ed arti, anno 26, 1904, pp. 312-319). Musatti Eugenio. Leggenda Aurea —- Leggenda di Balilla — Leggenda su lo scopritore dell’America — Leggenda su le ceneri colombiane (in Leggende popolari. Terza edizione con nuove aggiunte. Milano, Hoepli (tip. Allegretti), 1904, pp. 6, 10b, 132, 133). Necrologio della Signorina Merope Bernasconi maestra nel R. Istituto Nazionale pei Sordomuti in Genova dal maggio 1893 a' novembre 1903. Genova, tip. Sordomuti, 1904 ; in-8, di pp. 13, con rit. Novati F. Chi è il postillatore del codice Parigino? [delle Epistolae ad Familiares del Petrarca] (in Francesco Petrarca e la Lombardia, Milano, Cogliati, 1904, pp. 177-192). Si tratta di Giovanni Manzini della Motta di Lunigiana. Novella Paolo. L’ eremo dei Camaldoli in Bisagno — Gli Agostiniani in Genova e S. Nicola di Carbonara — S. Maria dei Servi (in Settimana Religiosa, 1904, n. 34, 36. 39, 40). 474 GIORNALE STo κι co e letterario dei.i.a lkujria Oddone Francesco. Il più antico monastero dei Cistercensi in Italia — Una visita alla Badia di Tiglieto (in Gazzetta del Popolo della Domenica, 23 ott. 1904. pp. 339-341, con 6 figg). Osimo Vittorio. Una figura pariniana. Maria Pellegrina Amoretti (nel voi. In Memoria dì Oddone Ravenna, Padova, Gallina, 1904; pp. 90-101). Pitto Antonio. Storia del Santuario di N. S. della Guardia al Capo Verde presso il Poggio San Remo nella Riviera Ligure Occidentale. 3a ediz. Genova, tip. Gioventù, 1904; in-16, di pp. 62. Prato (Da) Ces. La Chiesa di N. S. di Loreto in Oregina : cenni storici e descrittivi. Genova, tip. del Serafino d’Assisi, 1904 ; in-8, di pp. 52 e i tav. Rajna Pio. Qual fede meriti la letteradi frate Ilario (in Dai tempi antichi ai moderni. Da Dante al Leopardi, raccolta di studi critici di ricerche storiche, filologiche e letterarie. Per le nozze SCHERILLO - Negri. Milano, Hoepli, 1904, p. 195). — Letteradi frate Ilario. Perugia, Unione tip. Cooperativa, 1904; in-16, di pp. 12. Estr. dagli Studi romanzi, n. 2. Sanguineti Luigi Romulo. La Basilica dei Fieschi (in : Il Secolo XX, anno IV, 1905, η. I, pp. 81-88, con 9 ili.). Sant’Ambrogio Diego. Di un bassorilievo del 1566 già esistente in S. Pietro di Novi (in Rassegna d’Arte, maggio 1904). Santuario (II, di N. S. delle Grazie alla Pineta sopra Chiavari (in La Madonna della Guardia, 1904, n. 4). Sommariya Angelo. La lirica pindareggiante in Italia da Orazio a Chia-brera. Genova, tip. della Gioventù, 1904; in-8, di pp. 70. Strasburger Eduard. Streifzüge an der Riviera. Illustriet von Louise Reusch. Jena, G. Fischer, 1904 ; in-rò, di pp. XXVI-481 ; fig. Vie (Le) di Genova (in Settimana Religiosa, 1904, n. 30 a 45). Errori da correggere nell’articolo AGOSTINO BERNUCCÌ: Pag. 367, lin. i verso leggi : recto » » »21 Ch. » Cl. » » » 29 Juriconsulti » Jurisconsulti » » » 34 Simeonum » Simeonem » » » » Hynoìnini » Hyeronimi » 372 » 38 dopo: Reg. n. 27, si aggiunga: doc. η. IV, Da, - giornale storico e letterario della Liguria 475 INDICE DELLE MATERIE ì La data della nascita di Colombo accertata da un documento nuovo U. Assereto.........Pag. Lo storico Raffaello Roncioni e Alberico Cibo Malaspina principe di Massa. G. Sforza ....... Noterelle d’Archivio (Tommaso Moroni — Antonio Cassarino). A. Neri.......... X Due nuovi documenti per la storia della Marineria Genovese. C. Manfroni......... ,\ Il Cartularium lohannis Ione di Portovenere. G. Sforza XIntorno ad un volgarizzamento della Bibbia attribuito al B. Iacopo da Varagine. F. L. Mannucci ...... La caduta di Luisa Pallavicino (con ritratto) A. N. X Una lapide pisana nel palazzo di S. Giorgio (con facsimile). A. Ferretto ........ La Storia di Pontremoli. P. Bologna ..... Un sinodo sconosciuto della diocesi di Luni-Sarzana ( 1470-71 ). G. Sforza ........ L’ Olimpia del Voltaire in Italia. A. N. / Notizie intorno a tre ambascerie genovesi del sec. XV. E. Pandiani X Documenti intorno a Oberto Pallavicini Vicario di Federico II. A. Ferretto ......... £ Il re Carlo Alberto e gli Scavi di Luni. G. Sforza Agostino Bernucci. A. Neri ....... Di Gerolamo Roman e della sua « Republicade Genova ». U. Mazzini y Per la storia delle congiure contro Genova. U. Mazzini . y Contributo alle relazioni tra Genova e i Visconti nel sec. XIV. Il contratto nuziale di Isabella Fieschi con Luchino Visconti. A. Ferretto ........ 33 81 96 120 «34 142 225 ff 262 269 305 337 398 405 433 47<5 gioknale storico k luttbkakio pella ligukia VARIETÀ. ^Appunti di Toponomastica. F. Podestà .... Un incidente in materia di stampa. M. Staglieno Le cave di pietra nera detta di Promontorio. F. Podestà A proposito di G. Torti a Genova. A. N. Intorno al matrimonio di Aldo Manuzio. A. N. Un pontremolese in Corsica. G. Sforza .... Le vicende di un invetriato robbiano (con figura). U. M. Un documento per la biografia di Andrea Sansovino. U. Mazzini Notes de Pons de 1’ Hérault sur Gênes. L. G. Pélissier Un monumento spezzino del Trecento. U. M. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. I. Risieri. Corrispondenza medita dei Cardinali Consalvi e Pacca (1814-15). (N.)........ Pag. 52 A. d’Ancona. Lettere ined. di Borghi, Capponi, Guerrazzi, M;i- miani, ecc. ( G. Bigoni) ...... » 54 G. Oxilia. La moralità di P. Colletta. (G. Bigoni) » 56 C. Ferrari. Com’era amministrato un Comune del Veronese al principio del sec. XV. (G. Bigoni) ..... » 00 IO Nuevos autógrafos de C. Colon. (P. Feragallo) » 60 G. Rossi. Storia del Marchesato di Dolceacqua e dei Com. di Val di Nervia. ( C. Manfroni) ...... » I98 H. Moris. Le Sénat de Nice avant 1792. ( G. Rossi) » 201 M. Roberti. Il collegio padovano dei dottori giuristi. (