G lORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI a g NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentini ANNO IV. 1928 Fascicolo 1 Gennaio - Marzo SO/Λ AVARIO Sassi Ferruccio, Signorie in Lunigiana - Spinetta Malaspina - Bassi Adolfo, La Consortia dei Forestieri di Μ. V. della Misericordia - Piattoli Renato, Andrea di Giovanni di Lotto da Prato, maestro di grammatica in Genova - Noberasco Filippo, Il giornalismo savonese - Dell’Onore Erasmo, Il viaggio di Carlo Felice da Genova a Nizza - Pessagno Giuseppe, Ancora una polemica colombiana — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Studi e documenti su Goffrè lo Mameli e la Repubblica Romana (Vito Vitale) -Carlo Bornate, Un amico di Cristoforo Colombo (Nicolò Oderico) (Giuseppe Pessagno) - Marcaggi, Terre de Corse (R. Giardelli) - Giuseppe Portlgliotti, Genova, glorie e splendori (Vito Vitale) - Ugo Bernardini, L’ultimo anno della Repnbblica aristocratica di Lucca (Giuseppe Pessagno) - SPIGOLATURE E NOTIZIE - Appunti per una bibliografia mazziniana. Genova Stab. Tipog. G. B. Marsano Via Casaregis, 24 1928 Giornale storico e letterario della Liguria NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentoni. COMITATO DI REDAZIONE: Giuseppe Pessagno, Pietro Nurra, Vito A. Vitale. L’annata 1927 esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Università di Genova, e del Municipio e della Società d’incoraggiamento della Spezia. DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Genova, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 18 CONDIZIONI D’ABBONAMENTO. Il Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali di circa 80 pagine ciascuno. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature, notizie e appunti per una bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per Γ Italia Lire 30; per Γ Estero Lire 60. Un fascicolo separato Lire 7.50. INDICE DELL’ ANNO 1927 Battistlni Mario - Sui Francesi uccisi a Filattiera nel 1796 . Celle Mario G. - Poesia ed Arte in Ceccardo Roccatagliata Ueooaffidi . Ferrari Michele - Intorno alle origini di Barzana........ Formentini Ubaldo * Intorno al Duomo di Sarzana......... --Lunigiana romantica : 11 Poeta di Sarzana......... --Leggende della « Maritima » : Il Viandante........ · Giampaoli Umberto - Per la storia del Costume. Contributo alla storia del Costume nel 500 ..................... — — Spigolature dall’ Archivio dei Marchesi di alivola...../ . Mannucci F. L. - A proposito della lirica chiabreristica . . . . . . ■ Nurra Pietro · Genova durante la rivoluzione francese. La cospirazione an- tioligarchica............ .......... Pandiani Emilio - Storie di pirati liguri............. ___Considerazioni sugli Annali di Bartolomeo Senarega..... Pastine Onorato - Genova e Massa nella politica mediterranea del primo 1700 .............. · ;......... Pesce .Ambrogio - Luigi Maineri e G. B. Maria Pizzorno....... Sassi Ferruccio - Vicedomini e Gastaldi del Vescovo di Luni..... Vitale Vito - Le relazioni commerciali di Genova col Regno Normanno - Svevo. L’età, normanna................. --Intorno ai Libri Jurium . . .............. --Studi su Goffredo Mameli e i euoi tempi........... Bassi Adolfo - Armi ed amori nella giovinezza di U Foscolo (Vito Vitale) Bassi Silvestro - Il Castello e l’Abbazia deU’AuUa ( A. Saiucci) .... Formentini Ubaldo - Sulle origini e costituzione d’un grande genti-lidio feudale (Fito Vitale)................ Gandoglia Bernardo - In Repubblica. Vita intima degli uomini di Noli (Vito Grosso Orlando - «Genova (Vito Vitale)................ Vitale)........................... Morando F. Ernesto - A. G. Barrili e i suoi temipi (Luisa Bianchì) .... Noberasco Filippo - Giovanni Caboto savonese? (L. F.)........ Nurra P. e Codignola A. - Catalogo della Mostra Ligure del Risorgimento (Vito Vitalei........................ Pessagno Giuseppe - Questioni colombiane (Mario G. Celle)...... Schneider Fribdrich - Kaiser Heinrich VII der Romzug. 131&1313 (Vito Vitule) ............................. Scovazzi I. e Noberasco F. - Storia di Savona (Vito Vitale)....... Ulloa Louis - Christophe Colomib catalan etc. (Giuseppe Pessagno) . . ■ Volpicella Luigi - La questione di Pietrasanta nell’anno 1498 (Vito Vitale) Pag. 252 56 255 43 145 281 48 161 68 335 30 241 » 101-197 151 *> 155 » 3 135 309 365 359 75 72 265 78 267 174 76 169 171 353 70 Pag. Piccola Cronaca Colombiana...... Spigolature e Notizie........ ■ Appunti per una Bibliografìa mazziniana pag. . . . Pag. 179 80, 180, 268. 362 89, 193, 277, 369 % SIGNORIE IN LUNIGIANA SPINETTA MALASPINA « iSui casteUli 'dei Mafliaisjpiaua, -o .gueilifì o gihilbeUlini icihe (fossero, non sventolava, su nessuno di essi, 1’ insegna di un partigiano delle audaci amlbizioni di «principe venturiero » (1). Tuttavia due -figure nella (famiglia dei Marchesi Mailaspina campeggiano — sui (finir del ^OO e agli .inizi del ’300 — ;Sullo -sfondo della storia di iLunigiana : entrambe passate alla posterità coll’ appellativo di « grande », tanto si sollevarono sulla folla oscura e mediocre dei loro omonimi consanguinei. Fiigura fulgidissima di «capitano la prima — « il vajpor di Val di *M'agra » —; (tempra robusta di guerriero e di fine diplomatico la 'Seconda. Se -non Moroello dei Malaspina di Giovagallo, .Spinetta dei Malaspina della Verrucola aveva realmente An sè la stoffa del « (principe ventoriero », ise pure non tale « per da ispessa tmoiitepliciltà di quei rami » da potere essere assunto a « simibolo unico d’ una forza dinastica, che potésse isoorumuoviere (efficacemente, e per migliori vie incamminare le passioni e gli interessi d’ Italia » (2). Ciò nonostante egli esercitò coll’ andar del tempo una meritata influenza 'sud suoi consanguinei -e vale 'la pena di rievocarne la figura veramente interessante per la storia delle signorie in Lunigiana. E’ noto che, XLella seconda metà del secolo XIII, 1’ ondata lucchese — premuta a levante dalla crescente potenza fiorentina; arrestata in Lunigiana dall’ energico atteggiamento del Vescovo Enrico da Fucecchio, mentre cercava uno shocco in Val di Magra lungo la direttrice pedemontana valendosi della strada litoranea. — aveva proseguito la propria opp-ra di penetrazione, talora pacifica e talora condotta colle anni in pugno, in oin punto di minor resistenza, e precisamente in quella zona collinosa faicilimenite valicatoiilie ichie segna il (dliiaploivio (tra le vaMi del Serohio e del- V Aulella. La conquista del iComune di Casola «e Novella ajpriva le porte e conduce va alila fresia a diLscrezione dei Dalo cihe iaii Lucchesi cOonsetgina- (1) Del Lungo, Dante in Lunigiana; discorso letto nel teatro di Sarzana la sera del 6 ottobre 1906 e pubblicato in « Dante e la Lanigiana », Milano, Hoepli, pag. 191. (2) Del Lungo, 1. cit. 2 Ferruccio Sassi vano tutta la parte più alta della Lunigiana Orientale nonché ìi valichi verso la Oarfagnana è verso Reggio : truel 1302 Azzone MiaJiaispina si vede strappata la signoria di Agnino (alle ©palile dei beni ereditari dello Spi-ne>tta), che vien data in «feudo ad Alberto di 'Guglielmo da -Verrucola Bosi, cittadino lucchese, cui di iComune di Agnino giura fedeltà il 2(J settembre di quell’ anno (1). La calata al piano è rapida assai: Pontremoii, Ausila, Sarzana, Fosdinovo e Massa subiscono V influenza lucchese. Le lotte che accompagnano e seguono questa progressiva infiltrazione possono a piuma vista sembrare un episodio delle solite lotte tra comuni e feudatari : ma dhi osservi attentamente, troverà già qualche elemento che-sfugge ad una tale 'valutazione. 11 'Comune non si dibatte più tra le strettoie del primo periodo di .sua vita: esso si !è ormai affermato, ed ora non comJbatte il (feudatario in quanto tale, in quanto vede da questo minacciata la propria esistenza, ma solo perchè trovasi accidentalmente sulla sua via. In altre parole, si tratta di una tendenza espansiva imposta dalla necessità d’ am più vasto respiro, ed è questa che regola, ispira la linea di condotta del comune lucchese. Questo momento è molto significativo in quanto ci permette di stabilire il punto in cui una data entità politica comincia a svolgere un piano di maggior portata e ad inserirsi, per cosi dire, nella vita e nella storia viva d’ Italia, movendosi automaticamente fra numerosi altri aggregati tutti premuti dagli stessi bisogni, tutti miranti ai medesimi fini, ora in accordo, ora in contrasto con essi. E se Γ ostacolo che si oppone all’ espansione è una persona, un organismo di scarsa vitalità e di limitate vedute, Γ urto assumerà per questo Γ aspetto d’ una lotta per la esistenza, ma difficilmente potrà produrre risultati fecondi. Nel caso contrario, le conseguenze si ripercuoteranno inevitabilmente a lungo. E’ ciò che ora vedremo accader in iLunigiana, dove ila cessione operala dai domini di Dallo e Γ acquiescenza dei condomini di Fosdinovo alla preponderanza lucchese avevano gravemente Iesi i diritti che a Spinetta, ai suoi fratelli e al loro zio Azzone spettavano sulle terre di Ver-rucola, Fosdinovo, etc. E dato il carattere energico e poco remissivo del fiero Spinetta, è naturalissimo il fatto che, pur iniziando la sua fortunosa carriera politica ai servizi dell’ Impero e partecipando ad alcune delle più importanti vicende dell’ epoca, egli non tralasci di tener d’ occhio il suo retaggio, pronto sempre a far valere i suoi diritti, come dimostrano la guerra da lui condotta insieme con alcuni consanguinei scontro Firanceschiino dei Cattami di iFosdinovio — guerra terminata con ìa pace del 15 dicembre 1311, e Γ occupazione del iborgo di Aulì a effettuata «nel «1312 in icooperazione coi Malaspina di VilÌiaifinanca ai danni di quelli di Olivola. ‘E’ noto come questi ultimi, guelfi, furono costretti (1) Branchi, Storia della Lunigiana feudale, voi. HI, p. 443, Pistoia, Reggi, 1898. Signorie in Lunigiana 3 dal Conte Guido Novello ad abbracciare le parti dell’ Imperatore quale compenso per la restituzione della terra (1). Piccoli fatti quesiti, ma in realtà .sorda opera di lima e di demolizione dell’ influenza lucchese, preludio alla levata di scudi del successivo anno 1313, che comprometterà — e pareva irrimedi abilmente — la diuturna opera di penetrazione, effettuata sin allora in Lunigiana dal comune lucchese, per non aver questo osato al momento opportuno di impadronirsi con un atto di forza delle terre che già si aggiravano nella sua orbita politica. Non bastava imporre alle terre medesime un mutamento radicale .nella costituzione politica, riducendo la (forma di governo da feudale a popolare e abolendo di conseguenza, del resto giustamente, η vincolo personale dei sudditi verso i signori. Non bastava che i Priori della Società degli Armati e degli Anziani di Lucca rimaneggiassero, il 3 Aprile 1305 i(2) il consiglio del Comune di Verrucola iBosi vietando la permanenza in carica ai consiglieri nominati dal Marchese Azzo Malaspina, dai Nobili di Dallo e dai Nobili di Castello, non ancora del tutto dispositi a subire il predominio lucchese e « potentissimi..... respectu dictorum poipuHarinnm. » icUIl iena ftodltia ogmi (libertà « silendi et dicendi ea que facerent et defensionem dicte terre pro lucano communi nec pos (sent) aliqua secreta que sentirent communi refeme ». Era iperfettaimenité (logico, idate ile premesse, «he ili popola di Verru-cola Bosi, al ifìnè di riprendere « audaciam et vigorem » avesse licenza di fortificarsi e collegarsd « ad honorem et pro lionore lucani communis et populi ». .Prematura era 1’ istituzione del consiglio: -tattica errata, quella di imporre la propria preponderanza attraverso rivolgimenti interni non .sostenuti da un’ adeguata potenza militare; ma la dottrina stessa che si praticava non ne permetteva altre. Ajicora, dunque, Guelfi e Ghibellini in Lunigiana: i Guelfi genovesi, d’ accordo con Lucca, iParma e Reggio, tentano di tagliare la via di ritirata aiir iimipenatore «e di soffocare de resistenze di fatti i sigiDori della vallata, compreso il Vescovo Conte di Luni, che già da un pezzo aveva dovuto sentirsi a disagio, preso coni’ era· alla gola dalla guelfa invadenza lucchese. (La reazione Ghibellina è pronta: «Spinetta ritolse ai Lucchesi Verrucola Bosi, altri Marchesi ritoglievano a Lucca Santo Stefano ed Agula e comincionno guerra a Ludha a posta del dicto re Arrigo ». Ed ancora : « li marchesi Malaspina tolsero a iLucha. Fosdinovo o Bartbassana....... li marchesi Malaspina tolsero a Lucha Sarzana, et Casteluuovo s’ arrendeo a pacti salvo le persone. Et simile tolseno lo poggio idli iGastel AghmoQfo » (3). (1) Ferretti, Cod. diplom. delle relazioni tra la Lunigiana, la Liguria e la Toscana, in « Atti della Soc. Ligure di Storia Patria»», vol. XXXI, parte II, p. LXXVIII. (2) R.° A.o 6.° Firenze - Diplomatico, iRiformazioni, tperg. Malaspina. (3) Sercambi, Cron., passim. 4 Ferruccio Sassi Solo all’ atto della pace coi Marchesi, potè Lucca riavere Sarzana, Carrara e Massa. iMa da Firenze, dove ai era rifugiato, ilL Vescovo di Luni, G ih er andino MaHasipima dei M'arctesi id!i iFiUaJtitieina, dii quaile, per es-sersi -rifiutato da vero Vescovo italiano di aiutare con le sue genti Γ Imperatore Arrigo VII nell’ impresa di Firenze, si era veduto spogliare del comitato d^ai suoi «stesisi 'consanguinei in iseguiito ial ibamdo imperiale del febbraio 1313, tenta, ancora fli affermare nei modi consentiti dalle circostanze i diritti vescovili sul comitato di Luni e nomina suo Visconte un nobile lucchese, il Castracani, ghibellino e sostenitor di parte bianca. 'Conseguenza, quest’ ultima, del predominio acquistato in Sarzana, non igià idai (Lucchesi, come generioamente (spiegano gli autori, ma dai Ghibellini e idai bianchi lucchesi rientrati finalmente in ditta dopo 1’ eccidio dei Guelfi Neri ordinato da Uguccione della Faggiuola, si noti bene, appena due mesi prima. Non solo, ma il contrasto inevitabilmente creato in tal modo tra gli interessi di Uguccione, signore di Lucca, fé . ; di Castruccio, capitano delle schiere di lui, tra le ambizioni di quesito ultimo e le secolari (aspirazioni (dei Marchesi, olitrie a procrastinare e forse impedire la -temuta caduta di Firenze (1), avrebbe ben potuto restituirgli il perduto dominio ove men deciso fosse stato Γ Antelminelli, -e meno ribelli gli umori dei Sarzanesi, i quali, atteggiandosi a cittadini della città di iSarzana, mostravamo 'dii far volentieri la meno itanto diefl dominilo' mar- chionafle quanto (dell vescovile. A\^rebbe ben potuto accadere, ad esempio, che, tolti di mezzo Marchesi e Lucchesi coll’ opera di Castruccio, i Sarzanesi, stanchi di costituire un boccone per le ambizioni altrui, impotenti a reggersi da soli, preferissero il mite dominio vescovile ed anzi lo invocassero. ■Certo il sistema presentava incognite e pericoli molti e fu precisamente, infatti, il difensore dei diritti vescovili colui che dette il colpo di grazia al dominio itemiporale della Chiesa di Luni. Il Vescovo Ghe-rardino fu definitivamente travolto dalla violenza delle lotte col suo gesto suscitate e dalla maggior possanza delle figuré di coloro che delle lotte stesse furono i protagonisti: e con lui, i suoi successori. Ghibellino è il Castracani — per questo appunto esiliato per itanti anni dalla Patria — e ghibellino il Marchese .Spinetta, caldo sostenitore dell’ Impero e dei ghibellini Scaligeri. Eppure si combattono con furore per tanto tempo, sempre colla definitiva vittoria del lucchese il quale, già sin dal 1314, ritoglieva allo Spinetta il munito casteiLlo di Fosdinovo ricacciando così 1’ avversario nel cuore della montagna. Breve sosta nel (1) Non si può og-gigiorno disconoscere l'importantiesima funzione storica assolta da questa città, più o meno consciamente e a dispetto delle terribili lotte intestine, a favore dell’intera nazione italiana durante la guerra contro l’impero. * * * Signorie in Lunigiana 5 1315, nel qruiaiLe anno ài iGaJstmacianii ie i*l 'M'aJliafSipiirna si trovarono sortito (bandiere «dii Uigiuccionie laiìlLa (giornata (di Mtatecatiinii, -dove :lo Spinetta, «che stava coi Pisani avendo sotto di se 50 cavalieri e 1000 pedoni, si ricoprì rii igl-oria (1). -Ripresero quindi le ostilità dopo che nel 1316 il Castracani s* era impadronito della signoria di Lucca, togliendola ad Uguccione. Già ho ricordato, a ‘proposito dei vecchi contrasti tra Lucca e il Ma-laspina, che nel valutarli bisogna tener conto di nuovi elementi, anche se Je parti in contrasto ricorrono ancora ai vecchi nomi di Guelfi e di Ghibellini, andhe se queste stesse parti sono tuttora un comune ed un signore -feudalè. Altro elemento caratteristico, prodotto precisamente dal prevalere degli interessi locaiM quando quel veocJhio dualismo mediae va te jpapato-impero andava cessando pel -fatto stesso che, lontani i pontefici, deboli e ridicoli gli imperatori, non v’ era più a ravvivarlo alcun movente, altro elemento caratteristico, dico, è che tanto il comune quanto Γ organizzazione feudale cospirano curiosamente al medesimo risultato: la signoria. Fenomeno pressoché generate, questo, in tutta Italia; sviluppo logico degli aggregati politici. Tanto il feudalismo quanto il « libero Comune » avevano ipoi.r avuto lumia floro (funzione isjpedifica dia camfpiere. Ma iil feudalesimo, |perr iquanto mjoin isi }possa ipairìliaire d* un vero e proprio regime feuidiaflie in iltaJliia, mon Isi (poteva comceipire ise non iin diilpeinicl-enzia diallfla reale ied effettiva iguipreflna.zilai dell’ imperatore. Quanto al Comune è noto che ineipfpiure ilo istituto ipadieistarile era riusaiftjo a ricondurre End unità idi intontii e id'i (propesiti {Le (forze vive tLefllT -aggregato soc ialite, anzi era istallò a !sua volita isqpr affatto idiallle forze dissoflutrici iraippresentate dia una democrazia divenuta id-eamagogiia di gi oralo tin giorno (più isipimita. Sì d’ uno che 1’ altro non rispondevano più ormai alle necessità dei momento, alla missione storica che erano stati chiamati ad adempiere. Ciò porta inevitaJbilmente alla conclusione che un nuovo organismo doveva subentrare alle logore organizzazioni precèdenti; di qui il conferimento del potere, più spesso 1’ implicito riconoscimento dell’ autorità ad una mente più acuta, e, se vogliamo, meno legata da vincoli, del resto in gran (parte oggettivi ed esterni, ad urna voilan t à capace di imporsi ai laaipricciosi orientamenti, fallile osdiJiLaizioni incerte e ireicrijprocameinite ammiunilanteisi de Mia. miasma. informie ed in sostanza abiudica. Ed ecco QÌlora la, igiginorm : certo Iba ragione iil Picotti quando iiin Min >saio iprege volte 'stfiu-diio scrive (2) con aditone piar ale dhe non si ipotè avére -inno ©tato, ama soilo un governo isignorifle (incapace a fornire Ha -cflasse dirigente. iMa mon bisogna (pera/ltiro idianientioare lie ipecuflia-ili ioarafrteritsrtilclhe dhe ü Picot ti stesso airmmiette essere (proiprie a città e (buona parte del contado — *e fra 1’ altro la vicarìa di Castiglione la quale si stendeva « a Monteperpero supra » — dalle proprie truppe tedesche. Or è precisamente la vicarìa lucchese di Castiglione che il Malaspina promette di cedere alla Repubblica Fiorentina per intero o per quanto gli riuscirà di itfiiajGquifetare (1), (restringendo ili proprio dominio in Garfagnana alia sola vicarìa di iCaaniporgiano, cioè alla parte situata ad occidente del Serchio,' servendo allora questo fiume di confine alle due vicarìe. Dal canto sno il comune di Firenze, ove fosse giunto ad impadronirsi di Lucca, avrebbe dovuto far pressioni affinchè onesta città rinun-ziasse ad ogni e qualunque diritto dhe le spettasse sulla vicarìa di Cam-porgia.no. Il Marchese però contava di rifarsi ampiamente in Val di Magra, e in Lunigiana, dove si faceva promettere Pontremoli, Massa e Mont ign oso. Quanto a Sarzana, antico oggetto delle ambizioni marchionali, era per il momento saggia cosa il lasciarla tranquilla sotto la custodia pisana. E «gli Anziani di Pisa erano iben d&iti da fare per fortificarla. Da una carta idefliT 8 Febbraio 1330 (2), contenente g\i ordinativi di pagamento rilasciati dagli Anziani ai Camerari del Comune a favore della guarnigione permanente dislocata nel Sarzanese, si rileva come in quel [tempo vi fosse in Sarzana il solito castello con rocca munita di torre, mentre un’ altra torre — del borgo questa — si levava fuori la (porta del castello ed altra rocca sorgeva nella terra circostante — forse Sarzanello — Un castello pisano infine era stato edificato all’ Ameglia. •Gli accordi soprari portati scaturi\rano da un urto anteriormente verificatosi tra le ambizioni del Marchese Spinetta, il quale aveva tentato con ogni possa di conservare la signoria di Lucca al nipote Gherardo Spinola, e la politica espansionista del Comune di Firenze che nuovamente ambiva al dominio di tutta la Toscana; politica rimasta interrotta dall’ època della discesa di Arrigo VII del Lussemburgo a causa degli assedi subiti e delle gravissime sconfìtte patite a Montecatini e ad Altopascio. Chi aveva momentaneamente guadagnato era stato il terzo, cioè Giovanni di Boemia, mentrè chi aveva — del resto ragionevolmente — (indietregrgiato imeOiT urto e quindi neir accordo successivamente sitipu-tato, era stato il Malaspina, meno potente e meno fornito a denari che non i banchieri fiorentini. (1) R.o A.o S.o Firenze, «I Capitoli del Comune d: Firenze». XIII, c. 8 9. (2) R.o A.o β.ο Pisa. Provrieioni degli Anziani, Regr. 17, e. 23 to 25 t. 10 Ferruccio -Sassi « Onmai il Malaspina si è decisaménte buttato nel vivo delle lotte italiane, e prende parte agli avvenimenti principali dell’ alta Italia. Fra le ifcre tgramdi rejpiubibttiicilie Toscane — Firenze, Pi sia, fljuioca -— si destreggia abilmente onde conservare Γ indipendenza delle proprie terre e giunger a costituirsi un importante dominio. Il 27 agosto 1335 liquidava intanto del tutto la posizione dei .signori di Dallo, i quali gli cedevano per 500 lire genovesi i loro diritti, giurisdizioni, domini, in Verrucola Bosi •e pertinenze. Il (dominio esercitato dallo Spinetta 'sul contado di G'ariagïiîana non era certo di una grande importanza e non poteva avere, come difatti non ebbe, conseguenze di qualche momento. Si trattava infatti di un piccolo territorio senza centri importanti, senza un vero e proprio centro d’ attrazione dal quale si irradiasse Γ influenza del signore: in sostanza, si riscontrano in esso le qualità d’ un piccolo precoce principato prettamente ed esclusivamente rurale, sul quiaite io Spinetta poteva vantare vasti diritti personali, quali il pacifico e tranquillo possesso delle due vicarìe di Camporgiano e di Castiglione con .tutte le terre, ville, giurisdizioni civili e criminali, mero e misto impero e la « gladii potestas » (1) con una ben decisa tendenza ad affermare su quel dominio ragioni proprie, derivategli (bensì dall’ imperatore, ma ormai da lui esercitate nel proprio esclusivo interesse. (Dominio cihe &i giusitifìcava di per sé stesso, in quanto esisteva e resisteva al cozzare di interessi contrastanti. * * * Battuto e cacciato dall1 Italia Giovanni di Boemia, ecco formarsi la lega italica -contro gli .Scaligeri. .Sono anni di grande attività per lo Spinétta : prima il riuscito colpo di mano sopra Sarzana (1335) poi 1’ allestimento della -spedizione 'destinata all’ assedio di Pontremoli (1336), quindi la nomina a vice agente scaligero in Lucca e la parte attiva presa nel me dessimo -anno alla lolita contro lia lega italica. Quanto a Lucca, cominciarono davvero i grossi guai sul cadere del-Γ estate 1336. Aggrediti e vinti i lucchesi dai fiorentini; «devastati i campi e bruciati i raccolti; in fuga d villici; Γ urto con iGenova.... Sono davvero imipressionaintli 'le -istruzioni icfh-e gli Anziani idi Lucica impaiMvano ai loro legati presso i Signori della IScala affinchè, con la potente intercessione dlel Marchese Spinetta, (tentassero di muovere i sd'gnori a compassione della disgraziata città ;le cui finanze erano esauste mentre la miseria poiemeva /aille porte. Poi, il)a {minaccia dei’ uiltimjo' -disastro : « ifacciarnvoi sa/pene che noi sentiamo c-h^e’ 'Pisani hanno ordinato di fare -exempti V anni ciascun ïucchese che vole ire ad aJbJtare in Pisa e nel contado. Et (1) R.u A.o β.ο Massa. Signorie in Lunigiana 11 però vi ipreghiiamo che idi questo sia/te soiicito, come dovere, si chle la ci'ctà .e ’l contado nostro /non sd disformi per paura delle spese del Comune » (1). Pisa, che si vedeva precluse le vie del mare, stava in agguato oer-oaimdio in ogni (modo idi irivailiersi isul'lla veidclhia rivalile dii terra ferma, ed· a-k Iettava i distrettuali lucchesi ad abbandonare il natio luogo, preventivamente frustando in tal modo i progetti poco rassicuranti attuati poi nel 1339 da Mastino della Scala allorquando ordinava armamenti alla frontiera orientale, verso (Firenze, che avevano lo scopo evidente di proteggere una sua eventuale offensiva verso mezzogiorno contro Pisa con 1’ appoggio della forte base di Pietrasanta. Questi intendimenti di Mastino risultano da un complesso di decreti del 1339, dhe sarebbe troppo lungo esaminare in questa sede, e particolarmente da un decreto del 20 aprile di 'quell’ anno i(all’ epoca del viaggio a Lucca dello Scaligero), emanato dal castello della Verrucola dove il Signore di Verona fu pro-Ibabilmente ospite del Marchese Spinetta. E’ un vero peccato che il carteggio degli Anziani di Lucca presenti, fra gli anni 1336-1339, una grave lacuna. Si può ritenere per altro che frequenti 'doveissiero essere fi (contatti itipa gli Anziani e i Malaspina, e tali da attenuare quel senso di ostilità e quella vecchia ruggine che già un tempo dii iavevia resi 'nietmiloi. Per ili mioomeaito (non v’ eira motivo di discordia: anzi lo Spinetta giunge il 15 settembre del 1339 al punto di richiedere la cittadinanza lucchese. Però «......non sumus suppositi jurisdictioni (liutceinisiis comaniumiis » (2) affetitmia egfli loom omgogüdo. Non si tratta d’ una resa, del riconoscimento d’ un predominio politico, ma solo di uniformarsi al noto principio della territorialità del diritto pel quale i beni immobili seguono la legge dello stato nel quale si .trovano, e di eliminare quindi, per quanto possibile, gli attriti col Comune di iL-ufooa nel cui distretto (Gairiaignama, Mossa, Lunigiana), di Malaspina ha acquistato e intende acquistare numerosi ibeni con regolari contratti valendosi di propri particolari notai. Anche gli Anziani ammettono implicitamente dhe il Marchese Spinetta è il vincitore : « rarissime domine » — gli rispondono — accedit nobis in partem leticale virum tante 'excellentie quemadmodum vos «estis, ad nostram cic-taidiimamtiaim inclliiniaisse » (3). Questi pacifìici acquisti « privato more », numerosi principalmente ndl anaissese (4), Isii lafltenn.avamo all dimetto acquisto di poteri poMici e (1) Istruzioni degtli Anziani a ser Rustico, 29 novembre 1536; dal «Carteggio degli Anziani avariti la libertà », Reg. 53, c. 56 t e .«gç. (2) Anziani avanti la libertà. Reg. c 35, e. 103 v. (3) ib. (4) V. in proposito R.o A.o S.o in Massa, Archivio dei Malaspina di Fosdinovo, Io. 12 'Ferruccio Sassi giurisdizionali (ad es. 1’ eliminazione completa di ogni condominio su Verrucola Bosi, sulle terre e castelli sovrastanti Sarzana e il piano di iLuni, primo fra questi ultimi il castello di Fosdinovo in seguito ampliato e rafforzato) e tutti miravano a nuove infiltrazioni e ad una ipiù vasta influenza. Ora egli <è sicuro nei suoi domini che per un raggio di molte miglia si stendono tutt’ attorno al suo maniero della Verrucola: padrone dello sbocco in piano ed al mare 'della Valle di 'Magra, vigile sugli Appennini di iconltiro laQ vaQico dieü Gemello, eiitgnore die'lflia iGartfiaiginiajna (1); messuino lo minaccia per il momento, e nessun avversario gli incute timore. Non Lucca, dominata 'dallo Scaligero pel iquaflle egli serviva in guerra, e dove era egli stesso molto potente; non Genova —· col territorio della, quale confinava lungo 1’ ultimo tratto del corso della (Magra —, dove nel 1339 erasi verificata la rivoluzione popolare che portava al potere 'Simon Bo'ccanegra, e dove gravi torbidi interni turbavano tuttavia la quiete pubblica; non Pisa, che non aveva ancora trovato Γ energia per reagire all insulto fattole tanti anni prima dallo stesso Spinetta e sembrava essersi in buona pace rassegnata alla perdita di .Sarzana. Anche nella Lunigiana orientale abbiamo quindi un tentativo di signoria, che si può dire per (breve ora riusicito, come per breve ora altro tentativo analogo -era riuscito, niellila seconda ometta del secolo prec edemi e, nella Lunigiana occidentale per opera del conte Nicolò Freschi. Più riuscito può dirsi il tentativo del Marchese Spinetta, in quanto egli aveva potuto porre le mani su un centro importante quale era Sarzana; dhe non era più, è vero, la Sarzana dei tempi del Fieschi, in 'quanto non più capitale d’ un dominio vescovile, ma che. per quanto la sua importanza politica fosse scaduta, costituiva pur sempre Γ unica città, il più grosso centro della bassa e media Magra. La sola forma politica, che si possa assegnare al dominio del Marchese ‘Spinetta sulla città e sulla terra di -Sarzana, non essendo evidentemente un dominio di ragione feudale o privata, è quella della vera e propria signoria. Anche in Sarzana v’è un signore che difende Ta terra amministra la giustizia e Te finanze obbligandosi per suo conto ail rispetto formale di certi statuti, i quali garantiscono determinate facoltà ai cittadini. Aggiungendo a queste considerazioni quelle relative al dominio delle vicarìe lucchesi di Garfagnana, ricordando cHe nel cuor* della montagna lunense sten devasi un possesso feudale sul quale. così come sulle vicarìe, i soli imperatori potevano in diritto vantare 1’ alto dominio, mentre di fatto si trovavano nell* assoluta impossibilità di farlo valere, risulta chiaro come nella Lunigiana ad oriente del Magra, si sia. (1) Il 18 gennaio 1338 i governanti di Lucca, con atto di transazione e di accordo stipulato in Verona, riconoscevano al Malaspina il dominio pieno ed intero della Vicana di Camperai ano. - v. R.o A.o S.o in Massa, Arch. dei Malaspina di Fosdinovo, Io Signorie in Lunigiœna 13 instoujrarto mn muovo (stato, isoirto doni mio di Massa rimase al Malaspiima sino a«ir epoca die Ila moitié, e cioè sino al 1352. Sì trasmise quindi, attraverso alterne vicende, ai suoi nipoti diaiwdo oarigiine a quell (priinicitpato idi iMassà iohe, dai iMa/latsipima attraverso i Cibo-Μailiaspiiima., giunse melile ffniairui idjeg*li E«ste dii Modena. PorainiGi-pato che, se non elbbe tale vastità ed influenza da esser annoverato fra i più importanti d’Italia, fu però illustralo dalle eroiche imprese ê dalla avvedutezza politica di alcuni dei suoi dinasti. Ferruccio Sassi o LA CONSORTIA DEI FORESTIERI DI N. D. DELLA MISERICORDIA DETTA POI DI S. BAlRBAiRA, IiN S. MARIA DEI SERVI, A GENOVA (13934608) I. Il Codice perduto e ritrovato — Sua storia e bibliografia SUO CONTENUTO Una delle più sgradevoli disoccupazioni è,quella di fare anticamera, specialmente nello studio di un dottore a giusta ragione in voga. Chi, per ammazzare il tempo adocchia e studia i numerosi compagni di sventura, chi si tuffa nella lettura delle immancabili riviste; ma la noia e l’impazienza crescono in ragione diretta e geometrica, col durare dell’attesa. .Per me la vista di un buon quadro, di una statuetta, di qualche oggettino artistico, mi riconciliano con quelli che mi precedono, mi fanno sopportare con indulgenza le occhiate furiose di chi e dopo di me. ... Se poi mi accade di scoprire, come questa volta, un bel manoscn miniato in uno stipo a cristalli, allora io dimentico ogni cosa, per guardare affascinato 1’ intangibile tesoro. Per fortuna il padrone di esso, il dott. M. Armando Palmieri, e mio carissimo amico; cosicché pochi giorni dopo posso avere a tutta mia disposizione il bel codice in pergamena, e studiarlo con tutto comodo. iFatte ricerche, mi risultò che questo stesso codice venne nel 18G6 in mano dell'illustre professore Gerolamo Rossi, il valoroso storico di Ventimiglia, che lo ebbe appunto dal proprietario avv. Carlo Viale: lo presentò alla Società Ligure di Storia Patria, e su di esso fece una breve relazione il cav. avv. Cornelio Desimoni. Questi infatti lo dice opera del sec. XVI e accenna brevemente e non con esattezza al contenuto di esso — almeno a quanto appare dal resoconto (Atti della Soc. Lig. di Storia Patria, vol. IV, fase. III, pag. CXiL). Tuttavia il Rossi, conscio dell'importanza del documento, ne trascrisse i primi nove fogli (dei 23 di cui è fonnato il codice membranaceo) e senza alcun commento, se ne togli quelli dialettali alle parole: brandoni, fugatici, maroti, moria, li pubblicò nella Miscellanea di Storia Italiana, edita per cui a della R. Deputazione di Storia Patria, Torino, Rocca, 1870, pagg. 333-344. E a questa pubblicazione, la più complela sinora, attinsero tutti gli storici posteriori. 18 Adolfo Bassi A queste pubblicazioni si riferirono poi il Portigliotti nei suo studio su Γ « Ospedale dei Foresti » in Bollettino del Comune di Genova (maggio 1924) e Mario Labò nel volumetto « Nostra Signora dei Servi », Genova, Tipografìa Arcivescovile, 1967. Entrambi però nè discussero nè conobbero il codice, che anzi si credeva smarrito. E bene dunque riesaminarlo con criteri nuovi e completarne la conoscenza, rischiarando ur» punto di storia economica^religiosa genovese assai importante ed interessante, cui già rivolsero l’attenzione 1’ Accingili, il Giscardi, /il Piaggio, l’Alizeri e con più acume i contemporanei ricordati. * * * Il codice pergamenaceo, iti discrete condizioni di conservazione, è a libro (cm. 17 xeni.23), di 25 fogli, il primo e 1’ ultimo incorporati nella copertina, gli altri numerati solo sul recto. /Sulla copertina del volume, chiuso in origine da quattro legaccioli, vi è, sbiadito: Capitula S. Barbarne. Due pagine bianche. In terza pagina (foglio 2, recto) una mediocre miniatura contorna ilo scritto. In basso, al centro, iSanta Barbara azzurro vestita, con un manto rosso, la lunga palma verde nella sinistra, la destra poggiata alla simbolica torre. Due angeli alati ai fianchi di lei muovono ad inchinarla. Le tre (figurine, segnate ad inchiostro, mostrano sicurezza, proporzione, grazia. Tutto attorno al foglio corre una decorazione floreale, buttata giù alla svelta, e nata da due vasetti accanto agli angeli. Piace per 1’ armonia dei toni prevalenti: verde, azzurro, rosso, violaceo, tra cui corrono svolazzi e fregi a penna. Il contenuto del manoscritto è oltremodo vario e disordinato: ma con un po’ di pazienza lo si distribuisce in tre categorie: 1] articoli, o capitoli o statuti dell'ordine; 2] notizie di lasciti, fatti da soci defunti, coir indicazione de' suffragi stabiliti o per clausola del lascito, o per riconoscenza, in favore deH’anima del benefattore; 3] notizie di avvenimenti concernenti la consortia. E poiché il manoscritto è opera di vari amanuensi, scrittori e' notai, è bene darne subito la cronologia, a cui si giunge dopo accurate e non sempre facili indagini. I. - Manoscritto terminato V 8 luglio 1545 (pag. 2r). Occupa 21 pagine, di cui il iRossi pubblicò le sole prime 16. Tutto il resto del codice è inedito e se ne dà ora per la prima volta notizia. Questa parte è in bella scrittura gotica, con iniziali dei capoversi alternativamente azzurre e rosse. Contiene gli statuti del 1393 e le giunte sino al 1415; le approvazioni: dogale nel 1485, del governatorato sforzesco nel 1493 e dogale nel 1540. I. - Nota del 1551 (pag. 12?) di un lascito. — Scrittura corsiva a tipo gotico. III. - Nota del 1561 (pag. 21r) del notaio Bartolomeo Mayneri su avvenimenti della Consortia. La Consortia det forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 19 Il codice in origine aveva solo 17 fogli, insufficienti a quanto doveva contenere. Nel 1586 vennero inseriti quattro fogli doppi, fra 12? e pag. 21r, di pergamena più spessa e dura. .Essi contengono tutte le scritture posteriori. IV. - Nola del 1586 di un lascito del 1580 sino al lodo dogale dell’ 11 marzo 1586. — Scrittura corsiva. V - Giunte e modificazioni agli antichi capitali, del 1576 e del 1590 (pag. 15r) a caratteri gotici poco accurati; copie del notaio Bartolomeo Mayneri. VI - Copia senza data (ma del 1587) (pag. 18*·) di atti della Repubblica. VII - Approvazione del 1587 (pag. 19r) degli Statuti, con firma: autografo di Mgr. (Antonio iSauli, arciv. di Genova. Vili - Ordini, trascritti nel 1607 (pagg. 22r-23r). Questo il contenuto sostanziale del mss. Vi sono ancora qua e là note marginali e firme di successivi possessori (ultimo Carlo Francesco Viale, che prestò il ms ta Gerolamo (Rossi) : e unico documento cartaceo, sulla pagina interna (24v) della copertina posteriore è attaccata con ostie una obbligazione del 1576 per riscatto d’un censo. iDa questo materiale ignorato affatto e qui debitamente illustrato esce completa la storia interessante di questa importantissima istituzione medioevale. II. LA STORTA DELLA COINiSOiRTIA j, __ Fondazione e sviluppo della Consortia (1393-1485). Il sentimento religioso, la pietà che ci spinge a soccorrere chi soffre per poco si sia in grado di farlo, un bisogno istintivo di procacciarci grazia dal Cielo con opere buone fecero sorgere nel Medio Evo associazioni laiche dai molteplici nomi: comunità, confraternite, corpo-razioni e — a Genova — compagne, consortìe o consorzie, casacce. Esse pullularono allora e prosperarono sotto la protezione e il nome di vari santi : ebbero periodi di grande splendore e di decadenza : vennero sorvegliate dalla Chiesa ora con amore, quando miravano solo ad opere di carità; ora con diffidenza, quando potevano trasformarsi in centri di scissioni e di eresie: e durante la Controriforma vennero ridotte e soppresse in gran numero, col soffocarne ogni spirito di indipendenza. iEd anche perchè trasmodò il lusso, i Papi le misero sotto la direzione e la diretta sorveglianza delle autorità ecclesiastiche. Furono queste confraternite maschili, femminili e miste: onde poche chiese vi furono che non ne avessero aggregata qualcuna. Genova ebbe anch’essa numerose confraternite nel Medio Evo e nell’Età Moderna, e non solo per l’assistenza scambievole de’ soci, ma anche pel soccorso di chiunque: onde i fratelli andarono nelle case e 20 Adolfo Bassi ne’ tuguri a dar aiuto, opera, denaro, protezione. E si giunse alla carità verso i carcerati e i condannati a morte : e si provvide anche alla sepoltura di chi non aveva lasciato mezzi. Tanto zelo di carità evangelica spingeva i buoni verso gli infelici! La storia di queste istituzioni genovesi fu già tracciata dal-Γ Acci-nelli, nel suo rns della 'Beriana : « Dissertazioni sopra i* erigine delle confraternite et oratori, delle istituzioni delle Casaccie » sino dal 1773, e lo Schiaffino, TOliveri, il Giscardi, il Piaggio ci diedero materiale per la loro storia, che andrebbe rifatta sistematicamente con criteri moderni. Poco assai però vi è in essi su 1Γargomento che vorremmo qui esaurire e che pure si lega strettamente con la materia da essi trattata. * * * I forestieri, lontani dalla patria, sentivano più vivo il bisogno di soccorrersi a vicenda. E in Genova presto decisero unirsi fra di loro sotto le ali di una confraternita, che desse una protezione sicura e continua e facesse sentire meno grave il peso del distacco dalla terra natale. Fu così che il 10 agosto del 1393, dopo celebrata la festa di S. (Lorenzo si radunarono nella sacristia della Chiesa di S. Maria de’ Servi alcuni devoti stranieri, che già ne’ giorni precedenti avevano discusso a lungo; e fondarono la « Consortia delli forestieri de la giesia de li servi della beatissima vergine maria madre di misericordia, per salvare le anime che sono presente in questo mondo, e quelle che sono passate in l’altro ». La chiesa de’ (Servi, posta fuori delle mura del Colle di garzano, su un vicolo tortuoso in mezzo al quale scorreva ii Rivo Torbido, che scendeva a mare nel piccolo porto Pisano, era una chiesa di popolo minuto : molti artieri, gente di mare, uomini d’arme, mercatanti. E i fondatori della consortia appartennero a queste condizioni sociali, avendo in più la qualità di stranieri di una delle quattro nazioni: Romana, Lombarda, Tedesca e Francese. '.Non ci stupisca trovare stranieri di due regioni italiche. Lo èrano e si consideravano tali in Genova anche quelli delle altre regioni, i quali anzi avevano le loro case o rioni, ove abitavano a gruppi e famiglie. Nella nostra consortia il sentimento di fratellanza fu inteso con notevole larghezza: chè sotto il nome di Lombardi trovo anche uniti veneziani e piemontesi; e co’ (Romani (che furono sempre i più numerosi) erano compresi anche napoletani e toscani. Così pure fra gli stranieri tedeschi e francesi furono inscritte persone di altre nazionalità, quali greci, albanesi, trentini. Non trovo inglesi nè spagnuoli: de" primi non escludo possano esservene stati : de’ secondi probabilmente non ve ne furono per le vicende politiche della città, per cui dapprima furono La Consortia, dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 21 poco accetti poi, prevalendo essi, in città, nonché essere esclusi dalla corporazione, colla loro ostilità la fecero anche rapidamente decadere. I confratelli gettarono subito le basi della società, provvedendo alla formazione di un fondo sociale. Così poterono procurarsi una stanza presso la Chiesa de’ Servi, in cui tenere le loro adunanze: e comprar cera per le funzioni e per le sepolture, e olio per lampade votive: e formare un dormitorio per i senza te/tto e un piccolo ospedale per gli infermi o feriti. Si posero inoltre sotto la tutela di S. Barbara: il che è indizio che prevalessero fra i soci gli uomini d’arme: e vennero concordando il loro Statuto, o come si chiamavano allora « le ordinationi e li capituli », che furono dapprima pochi e semplici, poi vennero a mano a mano aumentando col crescere della prosperità e coll’estendersi della associazione. 'Nel 1414, il 14 settembre, gran festa nella Chiesa de’ Servi. T confratelli fanno consacrare solennemente il loro altare di S. Barbara con una messa « in canto » e ordinano « che l’altare sia ornato d’apparati, con la morta (mortella) e orifolio (alloro). Et li priori et li massari ge siano alla messa » (cap. 38). I priori erano i capi della confraternita, annuali : ed erano uno per nazione, cioè un lombardo, un tedesco, un romano ed un francese. •Erano assistiti da alcuni consiglieri, scelti fra i soci, i quali potevano essere tanto uomini che donne. Gli uomini dovevano essere tutti stranieri : le donne, no (Capitolo T della Consortia). E questo era saggio consiglio, poiché quegli stranieri spesso si accasavano in Genova, e le mogli servivano a legarli alla terra di volontario esilio. fUno degli articoli più antichi, 1’8° prescriveva: «che nessuno schiavo nè schiava siano ricevuti in la ditta consortia, eccetto se la schiava non fusse di alcuno della ditta consortia ». Il che ricorda come la schiavitù fiorisse in Genova nei secoli XIV e XV e perdurasse ostinata anche più tardi, benché combattuta: e come essa fosse non solo tollerata, ma anche praticamente riconosciuta dalla Chiesa stessa, Le schiave erano spesso concubine de’ loro padroni e formavano la famiglia illegittima loro: onde erano assai potenti ed era bene accettarle nella società, sotto l’apparente protezione del loro signore. Ma non vi potevano evidentemente essere come soci uomini schiavi, come invece credette il Desimoni. Gli obblighi religiosi de’ confratelli erano quelli di assistere alle funzioni sociali e di recitare date preghiere. Nei primi tempi si doveva assistere ogni domenica alla terza messa nella Chiesa de’ Servi. In seguito, quando ebbero cappella propria, « havemo ordinato noi priori et consiglieri chel se dica messa al nostro altare ogni dominica, et apostoli, et feste principale, et le feste della madonna, di santo Laurentio, salito Stefano, santo iolianne battista [i santi delle chiese maggiori di Genova e della Parrocchia da cui dipendevano] et il giorno de tutti li morti, et la festa del dottore santo ambrosio [altra parrocchia vicina] et sempre si debbia dire la messa con l’altare revestito, et tutte 22 Adolfo Bassi le altre messe che se contengono in una carta scritta per Johanne de elavaro notarium » (cap. 13). « Ancora ordeniamo... che sopra tutte le altre feste |sia] quella della madonna santa maria di febraro [(Purificazione di Maria Vergine]; che ciascuno della consortia con devotione et riverentia debbiano fare festa et solennità, facendolo""sapere, che quella si è la principal festa della ditta et honorevole consortia. Et in appresso li priori et li consiglieri pregano ciascuno della consortia, chel non ghe rincresca di essere riverenti alla vergine maria et di pagliare il debito alla consortia. Et ciascuno della ditta consortia havendo fatto suo debito, debbia avere una fugatia et una candella » (cap. 14). Benché dunque la Comunitas fosse stata fondata il 10 agosto 1393, festa di S. Lorenzo, che rimase tra quelle del sodalizio, l’inizio dell'anno sociale venne portato al 2 febbraio, festa della Purificazione, nella quale si esigeva da ogni socio e socia due soldi di quota annuale : e i nuovi ammessi pagavano quattro soldi di buon ingresso, se uomini; due, se donne (cap. 2). Strano assai l’uso di dare a titolo di ricevuta una focaccia e una candela ciascuno! Quest’uso tuttavia degenerò in seguito e dette luogo a gravi inconvenienti, che imposero energiche repressioni. Sinché i soci furono pochi, i priori bastarono a dirigere ed amministrare: ma presto ricorsero all1 aiuto di collettori, che ebbero il nome di massari da « massa » o cumulo delle offerte in denaro, fatti in chiesa: o di guardiani dall*ufficio loro di sorveglianza del patrimonio comune. Essi non solo raccoglievano le elemosine, ma ne facevano pure la distribuzione, secondo gli ordini de’ priori e consiglieri, che venivano registrati da uno scrivano della consortia. Gli uffici di pietà che si proponeva la confraternita così sono esposti ne’ capitoli : (5) « ciaschaduno che sia della nostra preditta consortia, il qual venga in infermità, o in grande necessitade, che lui debbia essere subvenuto di quello che se potrà dalla ditta compagnia ». E ad evitare abusi aggiungono : (6) « Et sei preditto necessitoso, chi havesse ricevuto gratta da la consortia, divenisse in alcuna prosperità, che lui sia obligato restituire ogni premio che havesse ricevuto da la preditta consortia et sia fatto debitore su uno libro et a questa restitutione li priori et officiali debbiano essere solliciti ». Il timore di sperperare o usar male il poco denaro, di cui si disponeva dapprima, impose non solo questo criterio di rivalsa, ma suggerì un capitolo, il 7°, che pare dettato da feroce egoismo : « che nesuno che sia della ditta consortia non possa distribuire nè dare alcuna moneta et beni della ditta consortia, salvo infra li homini et persone de la ditta consortia. Et che nesuno che sia in infirmità et voglia intrare, non sia ricevuto. Eccetto se lui non lassa alcuna cosa del suo proprio alla ditta consortia per l’anima sua ». Ma fu necessario ricorrere a queste misure restrittive per l’indiscrezione di molti soci. Poiché appena la confraternita affittò o possedette stanze nelle vicinanze del convento de’ Servi, e ; La Consortia dei forestieri di IV. D. della Misericordia ecc. 23 vi organizzò un piccolo ospedale, si fece ressa per entrarvi, pretendendo ognuno goderne gratuitamente. Ne venne una nuova ordinanza: « Im-perochè molte volte accade che li maroti [ammalati] con poca discretione vengono a stare in casa della consortia, e dano gran spesa alla consortia, et lasciano il suo a parenti, o amici, o a chi gli piace, donde segue gran danno e detrimento agli altri poveri della consortia, et volendo prò vedere a questa inconvenientia, Ordiniamo che alcuno infermo della consortia vorrà stare in casa della consortia, chel sia ricevuto benignamente, et sia misso in li letti della consortia. Ma prima sia avisato per li officiali della consortia chel ditto infermo debbia consigliare tutte le sue cose in le mani deili officiali della consortia, acciò chel possa essere aiutato del suo proprio, fin che ge ne sarà. E quando il suo manchassc, allora sia aiutato di quello della consortia» (19). * * * Ma non dimentichiamo che lo scopo più alto che si proponevano i confratelli era'di « salvare le anime che sono presente in questo mondo, et quelle che sono passate in l’altro ». Perciò sin dal 1393 si prendono disposizioni pe’ defunti : « Ancora ordinemo noi priori et consiglieri che ogni primo lunesdì dei mese se dica una messa de defuncti per tutti quelli de dict& consortia che sono passati, e signori e donne. Et a questa messa de defuncti li debiano essere li priori e li consiglieri, et li altri officiali della ditta consortia. Et per questa messa de defuncti il convento habbia uno soldo » (12). E ad ogni morte i confratelli intervengono al funebre accompagnamento. « Ancora, sei passa uno della ditta compagnia, cioè sei more, che ciascaduno vada a compagnare il corpo, et se ha a portare li bran-doni della consortia [erano le torce o ceri de’ soci depositati nella confraternita], essendo primamente pagato tutto il debito che quel tal morto avesse lasciato al libro [della società, per quote non soddisfatte], intentendose sempre quando restassero delli beni e moneta di quello chi fusse morto e defunto (!). Et se noi ge fusse de li beni per li quali se potesse satisfare, che in quello caso quelli della consortia ge siano inte-nuti et obligati andarli a farli honore con li brandoni » (3). -Come si vede, pur pensando all’anima del definito, non si dimenticavano gli interessi della società : e non si voleva che- le anime si presentassero a Dio colla macchia di qualche debito terreno. Anzi « se alcuna persona, cioè de la ditta compagnia forestiero morisse senza heredi o senza fare testamento, tutto quello che ha in mobile o possessione, e ogni altra cosa sia tutto ideila benedetta consortia per l’anima sua. Intendendose sempre le preditte cose concesse senza preiudicio del ferzo et heredi, li quali in quel caso siano intenuti pagare la spesa fatta per le essequie et insepelire quel corpo » (6). Se morivano ragazzi, la cerimonia si semplificava : « che nisiuio garzone che venga a morte, non habbia alla sua sepoltura se non quattro 24 Adolfo Bassi brandoni, essendo primamente fatto el dovere [pagato l’eventuale debito] alla consortia, quando gli fusse de la moneta e beni del morto. Et quando non ge ne fusse, la preditta consortia sia obligata farli honore con li brandoni » (19). iLa preghiera pe’ defunti, dapprima libera, venne fissata : « Se muore un confratello, uomo o donna, la domenica seguente lo si annunzi alla messa della consorteria, affinchè ogni fratello reciti cinque pater noster e sette ave marie, o, se non può farlo, faccia dire una messa pel defunto » (14). A ricordo della fondazione della Consorzia vollero i pii confratelli fosse scolpita la nota lapide tuttora esistente, che rappresenta la Madonna della Misericordia, sotto la quale si legge : « MCCGLXXXXIII Dis X Augusti. Questa capella e sepulture con li atri adornamenti si e [è] della consorzia de Madona de Misericordia de foresteri ». E su una casa di fronte alla Chiesa de’ Servi, ove era il loro ritrovo o « caminata » Γ ospedale, i soci posero Γ altra lapidetta : « MCGQLXXXXVI Die XXV de Maii. Questa casa si e della consortia de li forestieri de la Madona de Misericordia di Servi ». •Povere scritte che nella mente de’ fondatori significavano la prima affermazione della fratellanza fra di loro sperduti lontano dalla patria e ricordavano il loro primo possesso sociale : due stanze e due letti da ospitare i fratelli infermi, abbandonati nella capitale della possente Repubblica marinara. E per noi sono pure commovente attestazione, e tra le prime in Genova, di quella lingua volgare, che doveva essere presto il legame spirituale della nazionalità e, un giorno, della nazione italiana. * * * L’incipiente ricchezza costringe a mettere un po’ d’ordine in questo campo delle successioni. Anzitutto si ordina . « uno libro de li defuncti, nel qual libro li priori debbiano scrivere o far scrivere tutti quelli che moriranno: così quelli che moriranno di fuora, come quelli della città, pur chel si sappia che siano morti » (27). È questo un « liber defunctorum » sul tipo de’ soliti tenuti in ogni parrocchia: ma il rintracciarlo sarebbe interessantissimo perchè ci darebbe buone indicazioni sulla quantità e sopratutto sulla qualità della popolazione straniera in Genova dal 1450 circa. Ma nell’Archivio del Convento non esiste più. Inoltre si impone una. seria riforma nella gerarchia degli « ufficiali », poiché i priori si mostrano o inetti o incuranti o disonesti: i massari non rendono coscenziosamente i conti del denaro e della roba che amministrano: e alla fine anche i ciechi, cioè gli onesti, si accorgono che spariscono oggetti e denaro, di elemosina o di eredità, e che è necessario stabilire un controllo rigoroso e continuo. La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 25 Si credette di aver ovviato ad ogni inconveniente colPordinare « che ogni prima domenica del mese li massari fa-ciano rasone delle spèse fatte nel mese passato » «e (11) « che la prima dominica del mese uno priore e doi del .consiglio stiano al banco a vedere tutta la intrata che entra per le persone che sono della ditta compagnia ». Ma gli abusi nacquero tosto, e gravi: tanto che si deliberò: «che niuno massaro... non debbia lenire moneta, nè dinari della ditta consortia, oltra la quantità di fiorini quattro, senza la voluntà delli ditti priori e consiglieri... » (15); « che ogni guardiano il quale sia misso per aver cura e guardia delle cose della ditta consortia debbia dare buona et idonea segurtade de rendere buona ragione delle cose della consortia. Et che ogni anno, cioè fatto la festa di nostra donna de febraro [Purificazione di Maria Vergine], sia renduta per il ditto massaro buona ragione della sua massaria. Li priori, et scrivano, et massaro insieme con tutti li altri della consortia debbiano ricognoscere et farse mostrare dal ditto guardiano tutte le cose de la ditta consortia, e guardare se le ditte cose sono state bene curate dal ditto guardiano. E tutte le ditte cose siano scritte in repertorio; et così ogni anno sia revisto se li manca niente)) (16). IMa neppure questo rimedio fu il tocca e sana: poiché le spèse crebbero a dismisura e senza possibile controllo. Onde, ad esempio, si ricordò con melanconico rimpianto che nel 1452 « se brusava mezza ba-rille de olio in mesi quattuordici » alla lampada dell'altare durante innumerevoli feste (tra cui la « pascha tofania » o Epifania). Ed allora si aumentarono le responsabilità delle cariche esistenti e se ne creò una nuova, verso il 1460. Cioè si ordinarono le elezioni, de’ priori (due militari e due artigiani) a data fissa nel giorno di S. Antonio abate il 17 gennaio, e accanto ai priori si posero due sindaci, con poteri assoluti inquisitivi : e gli uni e gli altri furono vincolati da un giuramento severo (cap. 20, 22, 23, 24). I sindaci due volte Γ anno fanno la revisione dei conti: al 2 febbraio e al 24 giugno: e se i priori ànno nelle elezioni pari voti, essi scielgono chi credono migliore per la con sorti a (25, 26, 27, 29). (Ne veniva, in conclusione, che se i priori erano i capi nominali della società, i sindaci come censori e giudici avevano un potere superiore ad essi e potevano persino degradarli, se indegni. Anche per i sindaci era osservata la legge della rotazione annua regionale: e forse non a caso erano accoppiati i sindaci tedesco e lombardo, più rigidi e severi, con quelli romano e francese, più dialettici ed eloquenti. Pure abile era la restrizione che imponeva ai sindaci di non potere essere , eletti priori se non almeno dopo un triennio, fuorché in caso di estremo bisogno. •Ma attraverso a tutti questi .passaggi la pia società acquistava un nuovo carattere, di società capitalistica, cosicché le cure terrene parvero sopraffare le spirituali. 26 Adolfo Bassi Le preoccupazione di bene amministrare diventava imperiosa. Le sedute del consiglio erano frequenti, e lo scrivano conservava memoria rielle deliberazioni. I massari si erano ridotti a due. (L’uno era detto ancora massaro, e, teneva una delle chiavi della cassa: le altre le avevano, una per ciascuno, i priori. Il secondo era il guardiano. Costui, non sembrando sufficiente l’opera censoria de’ sindaci, ebbe ufficio di zelatore e sollecitatore. « Ancora ordinemo chel guardiano della ditta consortia debbia annuntiare alli priori et a lo massaro et al scrivano, che debbiano essere solliciti in cercare le cose della consortia, cioè le cose de la sagrestia et quelle della casa, cioè li letti e cose de la camera; sotto pena d’una libra di cera al guardiano, se lui non lannunciasse; et così li priori et massaro e il scrivano (se) non ghe venisseno. Et questo se debia fare tre volte l’anno. E la prima cerca se debia fare a kalende di febraro, l’altra a kalende di zugno, et l’altra a kalende di ottobre. Ancora [lo guardiano] lega [legga] lo capitolo [gli statuti] l’ultima dominica di zenaro, e l’ultima dominica di mazo [maggio], e l’ultima di settembre » (36) per richiamare a sè e ai colleglli le responsabilità della loro carica. La riforma tocca anche i semplici confratelli, affinché non manchino ai loro doveri colla scusa di ignoranza: « Ancora ordinemo che quando intrerà alcuna persona in la ditta consortia... statim... se si debbia leggere le preditte regule et ordini » : poi quasi temendo di avere ecceduto, aggiungono « et se non se facesse [tale lettura] non vogliamo che in-correno in alcuna pena. Et nondimeno li huomini de ditta consortia et compagnia siano intenuti subvenire et fare a quelle tale persone di quello che se contiene in li preditti capituli » (89). * * * Le malversazioni maggiori erano avvenute frequenti neirarnministra-zione delle eredità sociali. Perciò su questo argomento si posero speciali restrizioni: « ... Ordiniamo che tutti li beni che lasceranno li defunti se debbiano mettere al libro con bona diligentia, perchè de tal robbe se ne trovato de molti deffetti [sottrazioni]; el li sindichi habbiano bona cura circa questo capitolo » (28). La comunità ereditava stabili, o luoghi del banco di S. Giorgio, o denaro contante, o infine oggetti : mobili, panni, biancheria, vesti, ornamenti d’oro e d’argento. Questi specialmente correvano il rischio di scomparire anche se inventariati, se non erano utilizzati, e ben in vista, nei locali comuni. Perciò si pensò abilmente di porre all’asta il superfluo, dando ai soci un diritto di prelezione, a patto di pagare in contanti « per non fare parlare le gente, et,' se ne faza bene per l’anima di quello chi lassa le ditte cose » (32). E poiché pel gran numero de’ soci col.tempo si era trascurato alla loro morte di onorarne i funebri, si ordinò « Ancora ch’ogni persona La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 27 chi morisse della ditta consortia, li priori e il massaro debbiano essere ad accompagnare quello defuncto, sotto pena de libra una di cera, per biascuno delli priori; et così il massaro » (37). * * * (Presto i confratelli, morendo, testarono in favore della Consortia: spesso non presentandosi eredi, le loro piccole fortune furono devolute ad essa. .Sappiamo che il 10 sett. 1*452 fu seppellito solennemente il priore Simone di Colonia, il quale aveva lasciato L .30 di Genova ai fratelli, che riconoscenti lo seppelliscono nella cappella e gli celebrano una messa perpetua a S. Antonio (cap. 17). (Pochi anni dopo assegnano una messa perpetua il dì di S. Barbara per ranima di Gasparo di Allemagna che lasciò un luogo di S. Giorgio. In base alla riconoscenza, dodici volte maggiore, s’arguisce che lascito importantissimo fu quello del fornaio Antonio da Novara e della moglie: una messa perpetua il secondo dì d’ogni mese (cap. 30). E a Federico di Colonia, detto Todeschin, che il 25 giugno 1461 lasciò L. 80 di Genova si consacra una messa perpetua il dì della Croce, 14 settembre (cap. 31). A poco a poco si crea quasi un’industria delle eredità, e compaiono gli accaparratori di essa. Verso il 1465 muore senza eredi il socio duca Agun di Albania: un tale Pietro di iCluraso se ne accorge ed «è stato sollecito a fare che questa robba venga alla consortia, et però lui [sarà] partecipe per metà » della messa perpetua, « in canto » (cantata) il giorno di S. Nicola (cap. 33). iColPeredità si compra un luogo di San Giorgio: a S. Nicola ogni anno si farà elemosina di 4 soldi dell’interesse, che se ne ricava, a’ poveri per le anime de’ due (cap. 34). Il numero delle niesse obbligatorie crebbe col tempo e con esso si complicarono i rapporti di interessi tra i frati Serviti e i socii: tanto che il 17 gennaio 1476 i priori della consortia in presenza del notaio Gerolamo Bazzurro concordarono definitivamente il lungo elenco delle messe perpetue e il loro compenso. Per renderlo inalterabile lo consacrarono nella lunga lapide posta al basso della seconda colonna nella navata destra di S. Maria dei Servi, riferita soltanto dal Piaggio e non sempre bene interpretata, che qui riporto perchè di non facile lettura (1). il) Lapide del 17 gennaio 1476, in S. Maria dei Servi. - MCCOCLXXVI. Die XVII. Januarii, in die .sancti — Antonii. Notum sit omnibus .hanc scriipturam — legentibus quod venerabiles viri Johannes Dugao — Bieohainus, Johannes Capelerius de Ala-mania, Dominioh — us de Cairn in ascho et Simon de Pistoia priores consor ·— tie forentium gloriosissime virginis Marie convene — runt cum venerato! ilbus patri priori — magistro Steiphano de Bri — galio et aliis fratibus dicti mones teri ; videlicet quod — fratres dicti mon ester ii in perpetuum et. in secula seculorum — teneantur celebrare missam unam cotidie, et omni — ipriimo et secundo dic lune mensis celebrare missam — de- Adolfo Bassi Credettero indubbiamente i confratelli con questo atto eternato nel marmo aver fìssati i loro diritti e i loro doveri verso la Chiesa dei Servi : e così era di fatto. Tuttavia il crescere dei legami giuridici non solo verso i frati serviti, ma anche verso i consoci e i privati, rese loro più difficile farli osservare ed osservarli: di qui la necessità di maggiori sanzioni di cui ci sono prova le nuove questioni che ci si presentano e sono indizio dei crescente sviluppo della Consortia. II. — Riconoscimenti giuridici civile (1485) e religioso (1576) della C0NS0RTL4, CHE NEL 1540 PRENDE DEFINITIVAMENTE IL TITOLO DI S. BARBARA — Periodo del suo massimo sviluppo. La società col crescere di potenza si accorgeva sempre più di avere un punto di debolezza estrema: cioè la mancanza di un riconoscimento legale, senza cui a nulla serviva il suo saggio ordinamento presente, col potere legislativo de’ priori e consiglieri, coll’esecutivo de’ massari e del guardiano, col giudiziario de’ sindaci. Se queste cariche non erano legalizzate, in un conflitto a che servivano? A nulla, fuorché a permettere di farsi gioco dell’ associazione, come certo dovette succedere in casi di eredi che si rifiutavano di riconoscerla come coerede. A questa causa noi dobbiamo se ci furono tramandati i 39 capitoli emessi alla rinfusa dal 1393 al 1485, anno in cui furono ricopiati in ordine non sempre cronologico su bella pergamena e presentati, per aver la sanzione della iRepubblica, a due Anziani di essa, i magnifici Signori nobile Battista Grimaldi fu Battista e notaio Giovanni da Novi. Costoro, esaminato accuratamente il documento, furono relatori su di esso nel consiglio degli Anziani e davanti al Doge il 19 aprile 1845. Era allora doge il cardinale Paolo Gampofregoso, uomo ambizioso energico ed astuto, che aveva voluto egli stesso, probabilmente, in quel periodo di torbidi continui e di congiure, tale riconoscimento giuridico per sottoporre questo consorzio di stranieri alla vigilanza dello Stato. In pieno consiglio, uditi i due relatori, il Doge e gli Anziani « onni modo, via, iure et forma, qui bus melius potuerunt et possunt » confermarono i capitoli della società, ordinando che gli ufficiali e i magistrati del Co- f on tonum, et etiam in cantu celebrare missas infra — scriptae: videlicet in festo purificationis Marie, — in die sancte Barbare, in, die sancti Nicolai, in die sancti A — mibrosii, in die Sancte Margarite, in die omnium de — fontorum, in die Sancte Crucis setembris, in die Sanoti — Antonii et in diie sanct/i Rochi. Et (pniores diete — consortie teneantur omni anno dare et — solvere dicto priori et fratribus libras — duodecim monete currentis et ultra in festo — q>ui’ificationis Manie florinuin unum prò pictantia — et etiam in festo isancte Barbale soldos — decem et etiam soldos quattuor in festo sanoti — Bochi et hoc in perpetuum et in secula seculorum, ut — ,patet in instrumento manu Ieronimi Bazurri — et supra scripta pacta ordinaverunt de — consensu et voluntate omnium diete — consortie. La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 29 mune di Genova li osservino e li facciano osservare « inviolabiliter sub pena sindacamenti et alia » se violati (pag. 8r). I fratelli ne approfittarono per rivolgere al Doge ed agli Anziani il 7 giugno una nuova supplica, affinchè si rendano inalienabili quattro case appartenenti alla Comunità. Due, raccontano, le àn fatte fabbricare presso la Chiesa de’ Servi, accanto alla tintoria di Raffaello di Sangui-neto( nella Montagnola dei «Servi), spendendo le economie della Comunità e facendo qualche debito; due altre case, nella strada maestra, sono loro ab antiquo. Così potranno goderne i fratelli indigenti. Però si riservano di affittarle tutte o in parte, ma non oltre due anni, solo in casi di necessità assoluta: e gli affittanti sieno socii in miseria o malati. II doge udite le ragioni dei priori: connestabile Jane di Cogholenza (Clobenza), caporale Francesco de Argentina (iStrasburgo) e berrettiere Antonio de Vissano, approvò le loro oneste domande, ordinando agli ufficiali della Repubblica di farle eseguire (pag. 9r). Senonchè ottenuto il riconoscimento legale della società e il suo diritto di possesso, i fratelli bentosto si accorsero che i loro ordini fuori della confraternita contro debitori e specialmente in controversie per eredità rimasero inefficaci, l’intervento de’ pubblici ufficiali illusorio e l’appoggio dei magistrati svogliato tanto più in quel periodo di gravi rivolgimenti politici. 11 9 marzo 1493 i priori rivolgono una terza supplica, in una seduta del Consiglio degli Anziani, tenuto da Agostino Adorno, governatore'e luogotenente del Duca di Milano Gian Galeazzo Sforza. Fu letto il memoriale e furono udite le ragioni dei priori Bo-nadeo de iLazaronibus de Averaria, Giovanni de Omelina, Simone de Pistoia (che è già ricordato nella lapide del 1476), e Giorgio d’Alamania; cioè -che la confraternita, pur avendo i capitoli, ed essendo riconosciuta legalmente, si lagnava di non aver chi facesse eseguire i loro ordini: perciò chiedeva uri funzionario della Repubblica a tale scopo. 11 Consiglio vide la giustezza del lagno e decise che il Vicario Ducale avesse ora e sempre autorità assoluta nel dirimere le quesiioni della confraternita e nel farle rendere sempre giustizia « summarie et de plano, sine stiepitu, ... reiectis cavillationibus quibuscumque ». Così la Confraternita trionfò di tutti i suoi avversari, che non osarono più contrastare ~e cavillare nè su piccole nè su grandi questioni. E il trionfo sarebbe stato perenne, se non fossero continuati i gravi rivolgimenti politici, che ebbero riflesso sulla società e rimisero sull'altalena le sue continue controversie. Preoccupati per il declinare della confraternita e il diminuire del prestigio di essa, i priori il 13 giugno 1520 fanno estrarre copie de’ loro ricorsi al Governo e delle risposte ottenute da messer Francesco Botto notaio e cancelliere del Comune, traendoli dai pubblici protocolli del defunto cancelliere Lazzaro Ponsone (Capitula, pagg. 8^ a 10r); e ricominciano le loro suppliche, documentate, al Comune. Ci rimane l'ultima 30 Adolfo Bassi e più insistente, del 24 marzo 15-iO. In essa annunzia che ora la consorzia à scelto per sè il titolo di santa Barbara: « sub vocabulo nunc sanctae Barbarae »; presenta i documenti precedenti e chiede al Doge ed ai Governatori di Genova che, essendo abolita colla cacciata del Duca di Milano, la carica di Vicario Ducale, venga concesso « alium magistratum sub modis et fonmis, et cum potestate et balia prout fuerat concessa Vicario Ducali ». Tanto più, aggiunge, che pendendo alcune liti e specialmente una dinnanzi al Vicario Arcivescovile, è necessario, e subito, un tale arbitro supremo. E il Doge e i Governatori, discusso a lungo e votato « ad calculos », nominano il magnifico Podestà di Genova a tale ufficio delicato, colla stessa autorità che aveva il Vicario Ducale. Anche di questo ricorso e della decisione i Priori fanno estrarre copia Γ 8 luglio 1545 dal cancelliere Gerolamo /Centurione da Illice, per ogni evenienza (Capitula, pagg. 11 e 12). Ma ormai la società aveva basi solide e se in seguito vennero fatti dei ritocchi, nulla si innovò: le linee direttive erano già nettamente segnate. * # # D’ora in poi nelle nostre pergamene cessa la bella scrittura gotica, per cedere il posto ad un corsivo che va modificandosi e imbruttendosi coi tempi : si r itorna al gotico (ma assai meno bello) quando si aggiungono nuovi capitoli allo statuto. E di qui comincia la parte affatto inedita del codice. Si riprende dapprima Ja rassegna delle successioni più importanti. Nel 1533 si stabilisce una messa perpetua il terzo lunedì di novembre per l’anime del capitano Galeazzo di Livorno, che lasciò alla Consortia scudi 100 d’oro, e di messer Iacopo da Brescia, che lo sollecitò a fare tal lascito (35). Nel 1551 altra messa cantata perpetua il secondo lunedì di novembre per le anime di Claudio de Sabaudia e Bastiano Eiono, che lasciarono un luogo di S. Giorgio e L. 42. Per la prima messa I frati avranno ogni volta soldi 7; per la seconda « soldi dece, e più e mancho, in arbitrio delli Priori, e secondo che a lhoro parerà che meritino perla detta celebracene... ». (Nel 1587 l'arcivescovo di Genova Antonio Sauli aggiunge santamente: «per elemosina». Assai complicata è l’eredità del confratello Antonio Bosio «lei fu Cberto, nativo di Halle nelle Fiandre, morto nel 1580 senza testamento: onde la società fece valere i suoi diritti, sollevando le proleste dei creditori che avrebbero voluto godere indisturbati dell’eredità, il magnifico Scipione D’Oria fu Sebastiano accampa uno strumento del notaio Giovanni »Seb. Paxerio, dell’8 luglio 1575, da cui risulta che il Bosio gli vendette un censo dell’annuo reddito di dieci lire. Allora la Società erede, pel riscatto del censo e pel reddito di esso, si obbliga ad « 1 prò magnifico Scipione D’Oria »: ma non risulta che sia questo 1, essendo questa La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 31 memoria l’unica (come dicemmo) conservata in un ritaglio di carta incollato sulla copertina interna, del volumetto, a pag. 24. Sarà una somma di denaro « pro annis septem et mensibus octo » (che era il termine della scrittura) a meno che (aggiunge il foglio) « in receptione dictarum pecuniarujn magnificus Scipio— faciat cassationem dicti census... ». iNon fu altrettanto semplice acquietare un’altra creditrice dei defunto, tale iDomeneghina Bologna, la quale preso a procuratore il marito Francesco, pel credito di cento lire usurpò quanto rimaneva del Bosio, fingendo ignorare i diritti del consorzio. 'Corsero infinite parole tra i priori e il Bologna, che in realtà aveva architettato tutto il piano: sinché egli il 26 settembre 1582 fece fare Festimo di « uno solaro che resta di detta lieredità » per cento lire e ne entrò in possesso, « a ragione di dui tre » senza citare i priori e fìngendo ignorare i diritti loro, in realtà il solaro valeva più di quattrocento lire: ma per impedire che ci si potesse tornar su, il Bosio fece una finta vendita del solaio, mentre la moglie ne rimaneva proprietaria. « Venuta a notizia alla compagnia ogni cosa ... hanno più volte richiesto al Francesco et alla Domeneghina, che gli restituissero il solaro, con offerta di pagarli il credito con ogni spesa, nonostante che doveria esser obligata alli frutti o alla pensione, non essendo lecito che per lire cento goda quel che rende ogni anno lire venticinque. Et perchè hanno di continuo ha-vuto pastura, hoggi dicendo una cosa, domani un’altra », i Priori, perduta la pazienza, nel settembre del 1584 fecero un primo ricorso al Doge: ma, a quanto pare, la sentenza fu loro contraria. Allora tornarono alla carica e nel murzo 1586 diressero una supplica al Doge ed ai Governatori, affinchè costoro risolvessero la questione. 1 Priori a dar forza maggiore al loro ricorso ricordano i nobili scopi della comunità, quali: curare infermi, far seppellire morti, far celebrare funzioni, beneficare poveri « et in particolar pregar per la conservatione di questo serenissimo stalo », e pregano « di ristorar il termine a detta compagnia a poter riscattare detto estimo, o gravar la Domeneghina a restituirglielo, sborsato che li sarà il suo credito con ogni spesa » (Ivi, pagg. 13, 13**). Al ricorso di Stefano Castiglione si oppone quello presentato da David Vacca: « Li priori... se vogliono come narrano in la loro supplica adoperarsi in opere pie, non doveriano ingiustamente travagliare Doine-neghina Bologna, come hanno fatto e fanno da alquanti anni in qua, poiché è opera pijssima lasciar ch'essa povera donna, che conseguì il suo estimo servati tutti gli ordini della Città in tempo, che li beni stabili della qualità, che sono li compresi in l’estimo, in quel tempo non trovavano compratore, et essendo poi cresciuti di pretio per essersi poi la città riempita d’habitatori, gode il suo quietamente: massime che, se li stabili fussero mancati di pretio, et essa domandasse che li fusse annullato restiino per poterlo conseguire di nuovo a suo utile, le saria 32 Adolfo Bassi data repulsa; così devono esser repulsi detti priori, che hebbero 110-ticìa di tutto, nè potevano giustamente pretendere ignorantia, essendosi fatte le cride, et altre solennità ordinarie in simili atti. Et essi Priori già disdotto mesi e più supplicarono il medemo, che ora supplicano a V. V. S. S. Ser.me e furono repulsi, come consta per la supplica e decreto che si producono ». Le argomentazioni ironiche o cavillose si incalzano : e perdendo la misura eccedono, mancando di rispetto al Consiglio ducale : « Et se si aprisse questa strada che doppo tanti anni si restaurasse il tempo a redimer gl’estimi, V. V. S. S. Ser.me non h&ve-rebbero altro che fare che attendere a simili restaurationi, et li negotii più importanti della Rep.ca resteriano impediti ». ■Non meno capziosa è la perorazione : « Per onde havendo essa Dò-meneghina, povera donna, la giustitia dal suo canto et essendo detta compagnia molto ricca et essa donna quasi miserabile [che fa prestiti ad usura di cento lire!] e gravata de figliuoli [e l’astuto marito non conta?], spera in la bontà e .clemenza di Y.V. fS.iS. Ser.me e giustissime,, che non debbino far gratia ad altri per far disgratia a lei... ». Ala il Consiglio, lette le suppliche, udito il contradditorio delle parti, discriminato e votato « undecim favorabiliter concurrentibus », dà facoltà ai Priori di redimere e riavere il solaio: alla morte della Dome* nichina (che avrà fatte le corna), pagati agli eredi di lei 180 lire di Genova, sia sciolto ogni loro obbligo (/Sentenza 11 marzo 1586, cancelliere Giovanni Francesco; ivi pag. 14**). Da una seduta della confraternita, tenuta il 24 lebbraio 1590 apprendiamo due altri lasciti. Ordinaino una messa cantata pel 5 maggio per la felice memoria di Annibaie Bonaldi da Udine, i cui averi, lire 390 in tutto, passarono alla Compagnia. Ma appreso poco dopo che il magniifìco signor Filippo Lomellino fu Francesco paga un suo debito verso il defunto di lire 561, s. 8, d. 9, e lo passa alla Società, allora si postilla che al 10 febbraio ogni anno in perpetuo si dica una messa cantata per 1 anima del Bonaldi. La riconoscenza è proporzionata all’utile! Nella stessa sedula apprendono essere morto « Franciscum Ma· monum, unum ex fratibus... et reliquisse multa bona », e nominano i due priori don Urbano Bontaredo e Pietro Malvicio « pro recuperatione dictarum raubarum ». # * # La vita interna della Congregazione si svolse sempre tranquilla tra il buon accordo dei priori, dopoché, specialmente, colla riforma del 1540, si pose termine ai possibili soprusi, ai possibili abigeati di amministratori non troppo scrupolosi. Dopo, non avvengono che casi di prepotente vanità o di mania lussuosa, presto repressi. (Nel 1567 succede un caso curioso. Eletti i quattro priori delle quattro nazionalità quello Lombardo, uomo di carattere autoritario e violento, La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 33 vuol sopraffare i colleglli e ridurre in mano sua tutta l'amministrazione. QuelJi ricorrono al Podestà di Genova Alessandro Massaro, da Narni, Γ 11 maggio 1567, che dà loro ragione. Ma il (Lombardo non sottostà alla sentenza, col pretesto che essa non fu data in forma solenne: come se i capitoli non fossero stati abbastanza espliciti in materia. Intanto l’usurpatore lombardo non si lascia buttar di sella, e continua imperterrito la sua tirannia, malgrado una nuova sentenza contraria emessa il 19 gennaio 1569 dal nuovo Podestà Alessandro Na zeli. Terzo ricorso al Doge e ai Governatori: i quali riconfermano le due sentenze dei Podestà e ristabiliscono il riconoscimento dell’autorità assoluta, sulla Confraternita, dei Podestà di Genova presente e futuri, assolvendo pro bono pacis ambo le parti delle spese di liti fatte sino allora: estensore del giudizio il cancelliere della [Repubblica Matteo Senarega. I due priori, Stefanino della Bastia romano e messer Giovanni Tedesco, che avevano ricorso, se ne partono trionfanti (ivi, pag. I8r, 19, liir. Dagli atti del Magnifico Matteo Senarega, cancelliere della Repubblica). Ne dà copia conforme Nicolao Zignago, cancelliere e segretario di Palazzo della Repubblica di Genova per la Città negli anni 1581, 1584, 1587: e -quest'ultima data è indubbiamente la nostra. Poco dopo altro gran subbuglio. Un tale Andrea Cicanese di Bonifacio, giovane bollente e prepotente, usurpa una bussola sociale delle elemosine e per quante richieste gli si facciano, non la restituisce.Dopo quattordici mesi di proteste, lo si cita davanti al Podestà: passano altri due mesi in trattative: alfine per ordine di costui la restituisce. Ma à tanta bile in corpo, che fa la consegna in malo modo: attacca una lite più violenta del solito e d'un tratto lascia correre un ceffone a messer Cristoforo Bellone, priore francese in sostituzione di suo padre Antonio « e in apresso (ha) sfodrato la spada per doa volte, insultando detto inesser Xristofforo: ma per essere statto rittenuto et impedito, non si è passato più avanti. Cos ache invero (h)a dato molta alteratione a tutta la compagnia et tanto più alla inagior parte di essi che erano presenti. Nè per detto aridi ea s’è havuto aichun rispetto alli Priori e consiglieri... che li erano presenti, ma [continuò], temerariamente parlando, poi di haver fatto le cose predette ». Perciò riunitisi d’urgenza la domenica due settembre 1571 « in casa, cioè in la caminata della consortia di Sta Barbara, posta iri contrata di S. Maria de' Servi, iniziatori il sindaco romano Demetrio Bianco Greco e il sindaco Francesco Gallo, volendo « provvedere a un tale inconveniente, acciò che per lo avvenire non si habbi a incorrere in simile neffanda prezuntione, e che habbi da restare per exemplo a tutti li altri di detta compagnia, hanno deliberato et ordinato che detto andrea per lo avenire non possi bavere, nè esserli dato alcuno oflitio, nè carrico, nè benefìcio di detta compagnia fino che non sij passato diece anni proximi da venire. Et così, in virtù di questa, detto andrea privano, et privato se debba intendere, de tutti detti ofticij et benetìcij di detta compagnia per detti 34 Adolfo Bassi ùiece anni a venire: et che resti in exemplo per lo avvenire a tutti li altri ». L'alta e terribile... scomunica è pronunziata e firmata, oltre che dai due, dal priore romano messer Costanzo Perusia, dal vice priore francese Cristoforo Belone, quello che aveva ricevuto la « sguanciata », dal priore tedesco Francesco Grixone, dal priore lombardo messer Giovanne da Rezio, caporale alla porta S. Tommaso; testimoni e firmatari il massaro messer Lazzaro Aragone, messer Gerolamo Vrana fu Antonio e messer Giovanni De Mini fu Pietro: notaio e scrivano della compagnia Bartolomeo Maynerio, che già conosciamo {ivi, pag. 21, 21r). * * * La disciplina si rilassava : questa era la conseguenza di un organismo che invecchiava, par avendo tutta l’apparenza del massimo splendore. Le riforme del 1540 non erano bastate a restaurare l’austerità e la pietà dei primi tempi, quando pochi erano i seguaci e alcune leggi monche e orali bastavano a guidare il piccolo ma disciplinato gregge. Non è quindi a stupire se assisteremo d’ora in poi a tentativi di ritorno all antico, con proposte di nuovi capitoli che sembrano più rigorosi de’ vecchi: in realtà, sentendo questi rilassati, si cerca di ridare loro elasticità e forza, con nuove restrizioni. Stefano della Bastia, che quand’era priore nel 1569, s’era opposto alla prepotenza dei priore lombardo, pieoccupato de' vari indizi di sgretolamento cui aveva assistito, il 21 maggio 1576 propone al consiglio della consorzia la sua riforma. I quattro priori reggano ciascuno per tre mesi la società: nessun priore abbia meno di trent’anni. 1 sindaci al fine del trimestre esigano dallo scadente dal « manegio » un bilancio rigoroso e la verifica della cassa. « E che il priore, quale farà il manegio, sia obligato scòdere [scuotere] li debitori di detta compagnia con tutta quella diligentia potrà ». Quanti morosi! Ogni prima domenica del mese i sindaci veri-iichino i conti : e se scoprono alcuna frode, depongano il priore, lo espellano e gli intiiggano pena adeguata. Tutte le elemosine il priore le faccia d’accordo coi colleglli: se manca, subito sia multato d’una libbra di cera. Se il massaro e gli altri uflieiali saranno convocati pel bene della società da’ priori e dal consiglio, non presentandosi senza giusto impedimento, sieno multati di una libra di cera: gli assenti possono, su consenso del consiglio, essere surrogati da uno accettato da esso (misura questa affatto insufficiente e balorda). « Lo massaro... quando il sabbato andarà atorno con la bussola, sia obligato dire a ognuno, di detta compagnia se li ( = vi) saranno morti quella settimana sepeliti, con dirli: Fratelli, è mancato uno, doi dalla nostra compagnia, e per vigore delle nostri capitoli seti obligati dire cinque pater nostri e sette Ave Marie per le lor anime...». (Il che significa che il pio costume, fondamentale, era andato in disuso). Nessuno « presumi sedere nel luogo La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 35 delli priori, sotto pena di libra una di cera... » (e questo perchè non si aveva più la dovuta reverenza ai capi). Le chiavi delle bussole sieno serrate « sotto Je quattro chiavi» (de’ priori): (ciò indica che la sorveglianza era rilassata). Il massaro al sabato, appena fatta la colletta, consegni la bussola al priore in carica. « Itera che se seguirà qualche differentia fra li fratelli di essa compagnia, che li sindici siano obligati con ogni suo potere farli far pace. E chi non vorrà stare a ubidentia che li detti priori io possono privare, e condannare, come li parerà »! (E questo è un precetto veramente evangelico e bello, che fiorisce ne’ capitoli in gran parte amministrativi o economici della consorzia, come effetto già della reazione cattolica al luteranesimo). « Item che li priori consiglieri e sindici siano obligati venire ogni prima dominica del mese' .e così il lunedì apresso, alla messa de defonti, e gli altri giorni deputati (-stabiliti per commemorare i benefattori più generosi), sotto pena de libra una de cera. E cosi alli morti (=messe e accompagnamenti funebri). F. lo massaro debbe tenir conto di quelli mancheranno, sotto pena di privatione ( = destituzione)». (Tale articolo rivela la negligenza de’ capi stessi nell adempimento dei lorp doveri peculiari, rispondenti agli scopi fondamentali per cui era sorta la consorzia: onde si verificava frequentemente il caso che nelle dimostrazioni di pietà, di gratitudine, di amore vicendevole le messe funebri erano deserte di fedeli, e nelle sepolture il fratello dimenticato se ne andava alla tomba sulle spalle di mercenari senza fratelli nè « brandoni »). Un unico torto ebbe il romano Stefano della Bastia nella sua riforma: desiderò che la nazione romana avesse l’innocuo privilegio di dare il priore del primo trimestre d'ogni anno, «essendo sempre (la romana) la principale lingua in essa compagnia, come appare per due senlentie state date per li M.ci S.ri Podestà... » Messer Pietro Maluccio deputato lombardo, tosto protesta che, lasciando da parte questa precedenza, « sia observato l’antiquita »: nel resto approva il progetto Pare che per consuetudine i lombardi, prevalenti all’inizio della società aves sero il primo luogo nelle cerimonie, anche quando il loro numero cominciò a decrescere: di qui la protesta. «Per la natione tedesca si dice per parte de Antonio trentino, che le sia osservato il secondo luogo della precedentia, come per lo antiquo tempo »: tuttavia propone pio bono pacis che il giorno di S. Antonio « ogni anno siano imbussolate dette quatto nazioni ». e che la sorte decida l’ordine della successione de’ priori. Pel resto accetta, oltre i capitoli antichi, i nuovi proposti. E per i francesi fa la stessa protesta e le slesse osservazioni Battista Maia: solo aggiunge la clausola che il priore uscente debba tenere le chiavi delle bussale. Dalla discussione esce fuori che ciascun priore dava sicurtà Hi 150 scudi «come nel capitolo si contiene»: disposizione che noi non abbiamo trovata ricordata ne’ capitoli anteriori, ma che pare logica conseguenza di tutte quelle garanzie di retta amministrazione imposte nel 1540. 36 Adolfo Bassi Risolto pacificamente il disparere e approvati i nuovi capitoli, la domenica primo luglio 1576 si raduna di nuovo il consiglio per fare alcune aggiunte: « che li ufficiali non possino essere più di dodeci : li priori novi e li priori vecchi e li quattro sindici, li quali non posseno deliberare cosa alcuna se non con li doi terzi a balle bianche e nere, e quello che sarà deliberato con li doi terzi delle balle bianche sia fermo e valido come sententia passata in giudicato ». (iCosì si dava un ordine fìsso al consiglio, sino allora molto irregolare e fluttuante per numero e composizione). Se alcuno à debiti verso la compagnia, non può aver cariche se prima non paga. « Chi presumerà blasfemare il nome di dio, e della madre, e di suoi santi, possi essere condennato in libra una di cera, e più in quello che parerà alli uiliciaii di detta compagnia. I sindaci e i priori per tre anni non possono dalla loro scadenza avere altra carica ufficiale : « sotto pena come sopra ». Ma questo dipendeva dagli elettori più che da loro! Forse gli ambiziosi brigavano per esser eletti nuovamente nella stessa carica o nell’altra rimanente( eludendo così una legge antica) : di qui la nuova misura. « Che ognuno sia obligato stare a ubidienza delli piiori, sotto pena di libra una di cera, in cose lecite e honeste; e non altramenti ». Cioè l’autorità de’ priori non poteva esorbitare dalle finalità della consorzia. (Non si possono aver cariche se non si è soci almeno da tre anni. La costanza di Stefano della Bastia non si smentisce. Egli aveva nel 1567 visto il pericolo di disgregamento della società nell'usurpazione del priore Lombardo: nel ’69 l’aveva vinto — nel 76 aveva imposte nuove leggi meno blande. Ora, approfittando delle particolari condizioni in cui venne'a trovarsi la Chiesa nel 1587 e nel 1590 compiè due nuovi atti che dovevano nel suo pensiero rendere salda e perenne la Consorzia. * * * Il 24 aprile 1585 era eletto papa il frate Felice Peretii. L’influsso del grande pontefice si fece sentire dovunque: quindi anche a Genova. Era quivi arcivescovo Cipriano Pallavicino, vecchio e infermo. Sisto V gli mise subito a fianco come coadiutore, il 2-7 ottobre di quello stesso anno, monsignor Antonio Sauli del fu Ottaviano, genovese dell’illustre famiglia signora di Carignano: uomo acuto di intelletto, pronto di decisione, onesto e ardente, che era già stato nunzio a Napoli, in Portogallo ed in Ispagna ed aveva il titolo di vescovo di Filadelfia. Il Sauli appena giunto crea del proprio il Seminario de’ chierici e cura grandemente la diocesi, tanto più che la sua elezione era « con futura successione et omnino facultade in archiepiscopatu ». Nel 1586, morto il Pallavicino, gli successe. Ma le sue grandi attitudini e la sua integrità lo rendevano caro al Pontefice, che nel 1587, creatolo cardinale, lo nominò Legato Pontificio dell’Armata, che egli preparava contro La Consortia dei forestieri di, N. D. della Misericordia ecc. 37 i Corsari Barbareschi. Nel 1588 — tra un viaggio e l’altro a Roma e l’una e l’altra missione — il Sauli tiene un importantissimo Sinodio Diocesano, le cui conclusioni, stampate nel 1588 e ristampate nel 1605 a Roma, furono tra le principali accettate ed attuate nella Contro Riforma. E continuò l’opera sua bene*fìca in ogni campo, sinché « conoscendo di non potere (narra l’Accinelli in Liguria Sacra, mss. vol. I, pag. 82) con la bramata attenzione assistere al governo della sua chiesa, ne rinunciò liberamente l’amministrazione in quest’anno (1591) ». Egli morì poi carico d’anni e d’onori il 24 agosto 1623 mentre per l’ottava volta partecipava al Conclave. * * * A questo uomo retto, santo e risoluto si rivolse nel 1587 Stefano della Bastia per fare approvare gli statuti antichi e le riforme da lui promosse della Consorzia. Copia di tutti gli atti di essa viene presentata all’arcivescovo, e sono appunto le pergamene da cui noi ricaviamo ogni notizia. Monsignor Sauli esaminò le carte con ogni diligenza; di sua mano è la numerazione dei capitoli antichi, da noi seguita: di sua mano quel saporitissimo « per limosina » all’ ordine di dare dieci soldi, o più, o meno ogni anno per la messa perpetua stabilita nel 1551, ai frati Serviti. Vagliati accuratamente i capitoli, sentenziò di suo pugno: «Praesentes constitutiones cum moderationibus, cum additionibus et limitationibus infrascriptis, approbamus... De Capitulo 2° et 3° solutionem illam pro ingressu tollimus et abolemus (vedi le più antiche disposizioni per l’accettazione di nuovi soci). Capitulis X, XVI, XXII et XXIII addimus ut in redditione rationum interveniat semper curatus sive rector loci. (Per questo ordine importantissimo l’autorità ecclesiastica, che per due secoli non solo era stata tenuta estranea alla società, ma con cui anche come vedemmo, la società era stata altre volte in conflitto e in liti, interviene direttamente; c d’ora ir: poi, il curato di S. Maria dei Servi, è presente ad ogni resa di conti ed esercita un controllo assoluto). In capitulo 14 distributio illarum molarum quas fugaccias vocant in ecclesia ne fiat. (Vieta cioè che si diano in chiesa ai soci che anno pagato le loro quote « una fugatia et una candella »). In reliquis autem, suprascriptas constitutiones, quatenus bonis moribus, sacris canonibus ac Tridentini Pro vinci alisque concilii decretis non adversentur, comprobamus et comilrmamus. In'quorum fidem etc.... Datum Januae die XXVII Julijs 1587. (Firmato:) A. Saulius Archieps. Genuen ». (Ivi, pag. 19?, 20r). II Sauli con polso di ferro aveva stretto i freni agli statuti della consorzia, annullando o riducendo la portata di vari capitoli, introducendo nuovi principi che, se sanarono i mali della Consorzia, ne violavano le libertà: li aggiogava infine alle conclusioni e decisioni del Concaio di Trento. Cosicché il trionfo di Stefano della Bastia e degli austeri riformatori, che avrebbe dovuto logicamente preludere all’apogeo della 38 Adolfo Bassi Consorzia, segnò invece l’inizio del suo rapido tramonto. Pure nel 1500 Stefano, già vecchio, e lieto nell’illusione del trionfo della sua santa riforma, compie l’opera sua. La domenica 24 febbraio, « in tertiis », si raduna « in caminata Sanctae Barbarae » il consiglio al completo : i quattro priori nuovi, il romano Urbano Bontardi di Lucca, il tedesco Gio. Battista Castagna, il francese Stefano Panicelo, il lombardo Pietro Mal-vicio o Maluccio (che era stato compagno di lotta al Della Bastia nel ’76: i quattro consiglieri, priori scaduti, Stefano della Bastia, Manuel Re, Cipriano Tara ed Erasmo di Stefano; i quattro sindaci Chiumens de Chiumeo, romano, Marco de Blaxis tedesco, Stefano Milotus francese e Primo De Petiis in surrogazione del lombardo Francesco Sale, é ordinano con undici voti su dodici di introdurre definitivamente nei capitoli della consorzia quelli approvati il 21 maggio e il primo luglio 1576, aggiungendo questo articolo : « chi non sarà ufficiale non presumi venire dove essi faranno residentia( cioè alle sedute del consiglio) sotto pena di una libra di cera — salvo con licentia ». Si ordina inoltre che tutto il capitale della società sia investito in luoghi del Banco di S. Giorgio : il reddito sia consegnato ai priori della consorzia solo se saranno tutti quattro presenti. E supplicano il Podestà di Genova, elevato a loro giudice e arbitro dal Doge e da’ governatori, approvi ogni proposta, accettandole in massa o correggendole « quibuscumque deffectibus, si qui forte in eo essent, etiam si tales forent, de quibus opporteret facere specialiter mentionem. Et hoc, suo publico decreto in forma » (pag. 15?). Sono testimoni Nicola Bursulius fu Francesco, e Francesco Fontana fu Battista. Il tre marzo 1590 il Podestà di Genova Pietro Maria Carracciolo approva ogni cosa in seduta tenuta a vespro nel proprio ufficio: « salvis tamen semper statutis et ordinibus reipubblice Genue ». Testimoni Manuele Ritio fu Bartolomeo e Giacomo Gandolfo fu Gregorio. Fa copia di tutto il notaio e scrivano della consorzia Bartolomeo Mayneri. (Ivi, pagg. 15 a 18). III. — La consortia e l’arte sacra. I consorti di S. Barbara dalla loro origine, appena raggiunto un modesto benessere, vollero con opere d’arte abbellire la loro chiesa, in cui vivevano in pia fraternità ed ove avrebbero un giorno riposato in eterno. Le belle lapidi che pavimentavano la Chiesa ai tempi del Piaggio sono oggi scomparse tutte, con danno dell’arte e della storia. E parecchie erano dei consorti. Dove finì la tomba del consocio scudiere Jacques Dor le Corte, morto a Nizza il 25 aprile 1514, e che volle esser seppellito nella eua chiesa? E quelle di Simone de Blasie e di Antonio Vigerio, del 1583? E la tomba del 1574 di Gerolamo Mainerò, congiunto del no- La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 39 taio e scriba Bartolomeo ? E quella di Bernardo Casamavari detto Mon-tesor? E quella di Nicolò Carparieto, del 1538? Dove il Sepulcrum Societatis, riserbato ai Consorti in comune ? Tombe tutte che il Piaggio vide ancora ai suoi tempi. -Assai più dolorosa è la perdita di opere d’arte in marmo e in tela ordinate dai soci. Sappiamo del polittico a sette scomparti, per ordine loro apprestato nel 1506 da Pietro Rosaliba, messinese, allievo d’Anto-nello; e delle quattro vetrate dipinte, nel 1508 loro promesse dal benedettino fra Battista da Novara; e delle panche intagliate ordinate da essi nel 1511 ad abili maestri d’ascia. Tutto è scomparso. Così pure, che ne è degli affreschi che ornavano l’abside della loro cappella? Non se ne vede che qualche rimasuglio informe racchiuso in due cerchietti sui costoloni d’ingresso ad essa. Non rimangono che quattro lapidi, di cui ora ci occuperemo dal lato artistico. iLa migliore senza dubbio è quella che non à data e rappresenta la madonnina di Corrado da Francoforte. Di che anno è ? Indicazioni non ve ne sono affatto: ed il Labò (che ne dà la riproduzione), afferma che β (( grazioso bassorilievo della fine del sec. XV o del principio del successivo ». Ora io osservo che i soci forestieri ebbero per loro altare quello dell’Addolorata, nella seconda cappella a destra, ove era la Madonna della Misericordia. Ma più tardi, cresciuto il benessere della società, costruirono la loro cappella in fondo alla stessa navata, scavandola nel tufo, a destra dell’altare maggiore e rendendo asimmetrica la chiesa. E ia inaugurarono nel 1414. Certo non fu profonda come è oggi : forse comprese il vestibolo rettangolare, che dà accesso airaltare odierno. Qui ebbero un loro altarino e non mi pare assurdo che, non potendo pensare al grandioso polittico del 1506 in loro povertà, vi ponessero una immagine del quadro, più modesta in dimensioni, ma pur decorosa, e in marmo, poiché tra i confratelli era più facile trovare scultori che pittori, in una città che aveva la passione della pietra lavorata e abbastanza pochi lavoratori in marmo locali, perchè non dovessero accorrerne forestieri, italiani o no, candidati naturali alla consortia. L’uso dei caratteri gotici nel bassorilievo mi fa pensare che esso risalga al 1414 o sia di poco posteriore. « Dominus Curadus de Forte Francho et consortia foresteriorum fecerunt fieri hanc fìguram ». È un’affermazione di possesso, con un pochino di yanità; come se continuassero: « Come è bello! E vero? » E la pongono nella loro cappelletta. iNel 1509 la cappella è interamente rimaneggiata e ampliata. Allora la madonnina esula. iLa consorzia da tempo à cambiati gusti e modi. Le lapidi del 1176 e del 1509, posteriori alla Madonnina, sono in caratteri romani quasi onciali : ed è poco probabile «che il bel bassorilievo, a caratteri gotici, sia posteriore ad esse. Adolfo Bassi * * * Un bel quesito artistico risolto induttivamente con grande eleganza da Mario iLabò è quello che riguarda il quadro della Madonna della Misericordia, che prima il (Remondini credette posteriore al 1532, ma che è evidentemente trecentesco. Poiché allude ad una pestilenza per le frecce che piovono dall’alto, dalle quali la Vergine difende i fedeli col suo manto, « è logico supporre (dice il Labò) che questo sia un ex-voto per la pestilenza... del 1372, per la quale pure fu invocata in questa chiesa la misericordia celeste ». E poiché sotto il manto vi è un vescovo orante, domenicano, non può essere che l’unico arcivescovo domenicano di Genova Andrea della Torre (1368^1377). Infine, avendo Barnaba da Modena dipinto in Genova dal 1361 al 1383, e mostrando il quadro la sua maniera, è facile che esso sia opera di questo grande primitivo, come intuì il Suida e il Labò anche ritiene. La tavola fu posta sul secondo altare a destra, della Chiesa. E questo fu l’altare della Consortia finché non fu aperta la Cappella di N. S. della Misericordia e di S. Barbara, in fondo alla stessa navata, nel 1414. Nel 1393, quando i pii forestieri fondarono la confraternita loro, grande era il fervore per questa immagine ritenuta miracolosa. È naturale quindi che i forestieri si ponessero sotto la sua protezione. Difatti da essa presero il loro nome più antico ed essa rappresentarono sulla prima lapide commemorativa della fondazione, nel 1393. La ripio-duzione, a dire il vero, non è la più riuscita; chè le corte braccia e le enormi mani pendenti dànno l’idea di due ali di pinguino, sotto cui non ripara alcun fedele. Ma 1’ intenzione di alludere al quadro è evidente. Nella lapide del 1476 il quadro è riprodotto in bassorilievo con maggiori pretese: la Madonna è un’esile (figurina: ma le braccia sono lunghe come tutto il corpo e le mani sono mastodontiche. Vi sono due angeli, come nel quadro : ma reggono il manto, e sotto al manto, a destra, prega un gruppo di uomini in modo perfetto isomorfi, tutti senza copricapi. A sinistra sonvi altrettante donne identiche fra loro, con un velo il capo. Nella lapide del 1509 si ripete ancora lo stesso motivo, con maggiore eleganza di esecuzione, in una bella lunetta che sovrasta lo scritto. Anche le figure — uomini a destra, donne a sinistra — anno varietà di aspetti e di atteggiamenti, che mostrano più maturità di tempi e artista più provetto. Tutto ciò dimostra, come controprova, che il quadro è anteriore al 1393, ma non di molto. D’altra parte sappiamo che è posteriore alla pestilenza del 1372, e posteriore anche alla morte dell’arcivescovo della Torre, cioè al 1377. Se dunque è di Barnaba da Modena, è compreso fra il 1377 e il 1383; se non suo, ad ogni modo non può essere posticipato al 1393. Col tempo l’opera dei tarli minò il tavolato della pittura: il calore dei ceri affumicò le tinte, l’umidità staccò gli intonachi. Allora il quadro La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. 41 fu resecato, conservando poco più della parte centrale e furono rinnovate in parie le dorature del manto di (Maria e segnati su di esso gigli d’oro. Più tardi ancora furono aggiunte le sette spade che puntano al cuore della Vergine. Queste giunte e rifacimenti vanno collegati, io penso, ad avvenimenti importanti o a restauri della Chiesa de’ Servi. :Le grossolane dorature credo vadano connesse ad un’ importantissima data della storia della Consorzia, di cui ci dà notizia Benedetto •da Porto nella sua Cronaca della venuta di Luigi XII a Genova nel 1502, pubblicata dal -Neri (Atti Soc. Lig. -St.. Patria, vol. XIII, fase. V, pag 925) : nel 1502, quando ancora non esisteva il polittico del 'Rosaliba. Si sa ohe il re giunse da Borgo Fornari a Genova il 26 agosto 1502, accolto in città con gran festa e ospite di Gian iLuigi Fieschi nel palazzo di costui, in piazza di S. Maria in via Lata. Orbene : Luigi, che per sette giorni fu a Genova, e fu in più Chiese e palazzi, solo in S. Maria dei Servi compiè una funzione caratteristica dei Re di 'Francia: e non in Duomo o in altre chiese, assai più importanti di questa, che non era neppure parrocchia. Perchè? 11 da Porto non lo dice: ma è facile indovinarlo. In quella chiesa eravi la Consortia de’ Forestieri, e in essa (come nella Città), allora prevalevano i Francesi. Essi, memori dei privilegi e degli attributi del loro Re, lo vollero seco e lo invitarono nella loro chiesa, a dar prova della virtù miracolosa che il cielo gli concedeva, di guarire gli infermi, e in particolare* gli scrofolosi. In tale circostanza (suppongo) fu affrettatamente ridato Toro al quadro di >N. /S. della Misericordia, che il fumo de’ ceri e degli incensi per oltre un secolo aveva offuscato, e (a compier opera grata al Re) sul manto di Maria vennero dipinti grossolanamente e di fretta undici gìgli di Francia d’oro. La giornata del 31 agosto fu fatto un bando per Genova, invitando tutti gli scrofolosi ad accorrere la dimane a’ Servi. E il re « per nulla lasciare da cui sempre più trasparisse la sua benignità, andò in persona (traduco alla lettera dal da Porto) sul far dell’alba nel tempio di S. Maria dei ‘Servi, ove in seguito all’editto era accorsa una gran folla di uomini e donne, colpiti da quegli apostemati, che alcuni chiamano scrofole, e noi umori freddi. Poiché è quasi dimostrato dalla già lunga pratica die i colpiti da tal malattia sono guariti dal tocco dei Re di Francia: sia per una ingenita occulta loro virtù, sia piuttosto per chissà quale divina potenza. Pertanto il clementissimo re, esplicando il suo divino influsso, toccava ad uno ad uno gli infermi, e date loro alcune monete li congedava. Compiuta la. cura, stanco, ritornò in Carigna.no. Di qui, dopo alcune ore di riposo, dopo pranzo per sollevare anima e corpo, si recò nella 42 La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. valle di Terralba, nel palazzo di (Lorenzo Cattaneo. Il domani, due settembre lasciò Genova ». Come la Madonna di Misericordia del quadro e sotto il suo altare scintillante, il Re cristianissimo aveva rinnovato il misterioso prodigio, che si legava al trono di (Francia. Ora poteva continuare il suo viaggio su Napoli, mentre i tocchi delle sue mani, sognando di essersi riparati ancor di più sotto il manto di Maria, attendevano [fiduciosi il miracolo della guarigione. Nel 1509 entro la cappella di iSanta Barbara restaurata e ampliata fu murata una lapide, che io trascrivo perchè male interpretata dal Piaggio, e non bene riassunta dagli altri posteriori. I dodici nomi corrispondono per ordine : ai quattro priori, ai quattro sindaci (priori Tanno prima) e ai quattro consiglieri (tra cui Simone da Pistoia a noi già noto), secondo gli statuti più recenti: «IH S. — Al nome di Dio e della Glorio — sa Vergine Maria Madre di Mis — ericordia et Madona Santa Bar — bera. Qui se fa memoria — corno questa Capella si a — fatto fare li homeni di questa — consorzia delli foresteri con li — priori e li agiunti el consiglio de — [la istess]a compagnia li quali si — [gnori sono] questi infrascripti : — Barone Marchone de Gaeta, Iovanni de — Colonia, 'Nicolò Pariseto, — Iovanni de Protis, Pietro Bocardo, — Mateo de Sangallo, Arbin — de Gaeta, Iovanni de Pezs de — Brilia, Ambrosio de Braida, — Simon de Pistoia, Iovanni — Fantino, Iovanne Tambu — riino de Luikinech. e ist — ata livera nel 1509 — a di 7 setembre Amen + ». L’epigrafista è straniero, anzi francese: ce lo dice l’ortografia e quel « è stata liverà » a été livree {è stata finita). •Nella lunetta che sovrasta la lapide l’artista scolpì la Madonna della Misericordia, col manto e i fedeli. In nessuna delle tre scolture, che riproducono il quadro, la Madonna porta in cuore le sette spade : come non lo aveva il quadro stesso. Qui furono aggiunte pare circa il 1612, all’epoca dei rifacimenti di S. Maria dei Servi dovuti al munifico Paolo Sauli, fratello del cardinale Antonio. IV. — Decadenza e fine della Consorzia di Santa Barbara (1590-1608). La decadenza fu rapida, e impensata, essendo così vicina al suo apparente splendore: ma noi ne mettemmo in luce i sintomi a mano a mano che si presentavano. Dunque poche sono le memorie che rimangono, lasciateci da Giovanni Battista Orsetti : cancelliere come più nobilmente si chiama 1’ antico « scrivano » della società. Poi, la fine. La prima, intitolata « Ordine intorno al sepelir li morti. + 1600 a dì 2 di luglio » dice che il Consiglio all’ unanimità à ordinato che il cadavere di ogni socio, che dispose esser seppellito nella Cappella di S. Barbara, sia dai becchini posto nel cataletto della compagnia. Ma Adolfo Bassi 43 se i fratelli di qualche altro oratorio volessero « farlo mettere nel loro cataletto, et perciò precedere la compagnia, acciò che non segua romore si debbà ritornare in casa con il cattaletto vuodo, per non pregiudicare alla Compagnia. Et ita ecc... ». La ragione intima di questa disposizione non la si capisce bene. ’ILe Compagnie religiose genovesi erano cresciute di numero e potenza ed erano gelóse della antichità e del fasto di questa de’ forestieri, che però cominciava a dar segni di debolezza. Di qui piccole insidie, puntigliosità ad ogni pretesto; a volte baruffe, chiacchiere, liti in pubblico e davanti al podestà. Ma in quei giorni del luglio 1600 doveva certo essere successo da poco qualche incidente disgustoso, che si volle non si rinnovasse più. E vero che la misura adottata non elimina il danno, anzi lo peggiora, che il conflitto minaccia di scoppiare nella cappella di S. Barbara, quando gli « estranei » consegnino il cadavere da tumulare ai confratelli prescelti dal morto. A meno che il ritrarsi dei confratelli significhi tacitamente concedere agli estranei di seppellire tra i loro il defunto, contro la sua stessa volontà. Certo in questi conflitti il movente era sempre il lucro, per gli emolumenti che erano collegati all’accompagnamento e alla tumulazione, oltreché alle largizioni che la famiglia del morto avrebbe potuto fare in seguito. La seconda memoria è della mattina del sei maggio 1607, e si riferisce alla seduta che si tenne nella casa della confraternita. Sopra vi è scritto « Ordine di non fare presenti a nessuno », e contiene un altro attacco all’antico uso immorale delle regalie, contro cui aveva protestato anche 1 arcivescovo Sauli. Il consiglio (l’ultimo che sia ricordato) è quasi completo: i quattro priori il capitano romano Antonio Gatta-lusio, il tedesco Giovanni Meschio, il francese Marco Peyra, il lombardo Vincenzo Castiglione; i priori scaduti- romano Stefano Petrone, francese Francesco Pilleti, lombardo Pier Luigi Marino (manca il tedesco); i sindaci : romano Domizio Tosi, francese Ermanno Lamberto, lombardo Andrea Ghetio (e manca anche qui il tedesco). Costoro espongono « che il far de Presenti di Palme fugacie et cer-riotti [piccoli ceri] apporta molto danno a detta Compagnia, non si imborsando mai intieramente quello si spende da coloro a’ quali vengono fatti li detti presenti di Palme fugacie et cerrioti et altre cose; et [si adunano] per levare 1’ abuso di far detti presenti il quale è anche introdotto da pochi anni in qua; perciò detti Priori Consiglieri et /Sindici, a palle, concorrendovi tutte le palle bianche, hanno fatto et fanno l’infrascritto capitolo (con) il quale per Pavenire hanno ordinato et ordinano che si debba da tutti inviolabilmente osservare sotto la pena et pene in esso contenute; et così etc.... Il tenor del quale segue: cioè che in l’avenire non sia lecito ad alcuno priore, che haverà il manegio, far presenti nè di fugacie, brandoni, cerrioti, Palme nè altra qualsivoglia sorte di presente o dono a 44 La Consortia dei forestieri di N. D. della Misericordia ecc. persona alcuna, de denari di essa compagnia, fuori li presenti soliti et che si sogliono fare alli signori Priori et altri uffìziali, et loro Cancelliere, et Massaro, sotto pena di esser privato di detta Compagnia, et di non poter mai più per tempo alcuno esser ufficiale in essa, et di pagare ciò che avesse sborsato di detta Compagnia per tali presenti o sia doni; e così etc____ ». Bella sentenza austera, draconiana anzi, che à solo il piccolissimo inconveniente che il Consiglio esclude sè stesso dalla legge e impone che i Consiglieri il massaro e persino il cancelliere abbiano il dovuto omaggio di doni, che interdicono ad ogni altro. Ma siamo al tempo delle Grida e probabilmente questa sarà stata osservata al pari di quelle di Manzoniana memoria! * * * Ed eccoci al resoconto delPultima seduta conservatoci dal nostro manoscritto. (( + 1607 a dì 24 di giugno, la mane, in casa di S.ta Barbara, per contra ( = in faccia a) la chiesa di S.ta Marta de Servi a Genova. Li S.ri Priori Consiglieri et Sindici della Compagnia de forastieri di S.ta Barbara hanno ordinato a palle con nove palle bianche che in Γavvenire non debbano li priori o altri ufficiali di detta compagnia di S.ta Barbara andare alla processione del Corpus Domini alla Chiesa o sia Parrocchia di S.to Stefano, nè ad altre parrocchie con torcine f[i]acole o brandoni di cera di detta Compagnia, perchè non vi è obligo alcuno, e per non introdurre nuove usanze in detta compagnia, sotto pena di pagare del loro proprio per chi sarà contra. fatto e sotto ogni altra pena arbitraria, etiam dio di privatione dalla. Compagnia » (pagg. 22r a 23r). Anche di questa ordinanza non si comprende bene la ragione. Se non intervengono le compagnie alle processioni della parrocchia, chi deve colla propria presenza accrescere il decoro di quelle pie manifestazioni? Ma le processioni servivano ad ostentazione di sfarzo e di lusso ruinoso. La nostra società, già in decadenza, vede diminuire gli introiti, crescere le spese. Perciò le tre ultime ordinanze sembrano aver lo scopo di limitare le spese superflue e forse anche di dare maggiore austerità alla consortia. Vano tentativo! I tempi secentistici, lo spagnolismo imperante ànno trasformato anche questa unione di forestieri, per cui i « forestieri » delle quattro nazioni tedesca, francese, lombarda e romana vanno rapidamente lasciando Genova per le mutate condizioni d’ambiente. Pure prima di scomparire, lasciano una traccia del loro passaggio nella Chiesa che li ospitò per 214 anni. Il 21 ottobre 1607 inaugurano un vestibolo da loro fatto costruire lungo la Scalinata alla Montagnola dei Sèrvi, air estremo superiore della parete meridionale della Chiesa: formando così un dado di casa, applicato esteriormente a fianco della Cap- Adolfo Bassi 45 pella di S. Maria e di S. Barbara da essi costruita nel 1509( e addosso alle case di loro proprietà, di cui già parlammo. Ed, in memoria, pongono sulla porta della casetta una statuetta di Santa Barbara ed una lapide, in cui sono ricordati gli stessi priori del 6 maggio ultimo, gli stessi consiglieri già priori, fra cui non compariva il tedesco qui ricordato, Pietro Fefer; gli stessi sindaci, più il tedesco anch’egli allora assente, Guglielmo Ontresingher. Trascrivo la lapide, ricopiata con errori dal Piaggio, con tutta fedeltà : (( D. O. M. — Antonius Gatalusius, Iohannes Mescius, Marcus Peyra, Vincentius — Castiglionus, priores ; Stephanus Petroni, Petrus Fefer, Franciscus — Pileti; Petrus' Lodisius Marinus, consiliarii; Dominicus Tosi, Guglielmus — Ontresingher, Iiermanus Lambertus, et Andrea Pozolus, sindici — societatis forensium iSanctae Barbarae, amota porta inferiori ad — aram deiparae virginis posita, huc ad eorum capellam eandem tran — pferendam et ad ecclesiam ornandam eiusdem societatis aere con — struendam curarunt, ut ex tabulis d. Io. Baptistae Urseti notarii — a. D. MiDCVII undecimo Kal. Novemb. ». La porta soppressa dove si trovava? « Porta inferior ad aram deiparae Virginis » era una porta inferiore presso l’altare della Vergine: non dunque sulla facciata dall’ altare del Santo Amore, inaccessibile esteriormente, ma sul fianco di mezzodì della Chiesa, a sinistra del-1’ Altare dell’ Addolorata, V unico punto interno allo stesso livello del vicolo scosceso. L’anno seguente, 1608, la Consortia scompare. Dopo lunghe e vane ricerche ne trovai finalmente il ricordo, sinora sfuggito agli studiosi, nella Liguria Sacra dell’ (Accinelli, mss. vol. II, pag. 101, in cui si legge: (( Sen-dò in quest'anno priore della Chiesa di S. Maria dei Servi di Genova fra Angelo da Bologna, aggregò in essa alla Confraternita del SS.mo Crocifisso quella delle quattro nazioni foreste, Romana, Gallicana, Lombarda e Germana, col titolo di S. Maria della Misericordia e S. Barbara, ». Τη tal modo la gloriosa Comunità, dopo 215 anni di vita si incorporava in quella del Crocifìsso, sorta nel 1602, da appena sei anni! Ma della Consortia di S. Barbara sopravviveva il ricordo di innumerevoli opere di pietà, di religione, di carità cristiana e d’arte che ci rendono reverenti all'opera sua e alla sua storia. Adolfo Bassi ANDREA DI GIOVANNI DI LOTTO DA PRATO MAESTRO DI GRAMMATICA IN GENOVA Tacciono i documenti sulla famiglia, da cui egli provenne, sull’at-iività che i padri e i suoi consanguinei esercitarono in Prato. Tra le carte datiniane conservasi una 'Scritta del 3 aprile 1403 « fatta per Niccola io di Filippo di Lotto da Prato d’una promessa fattagli per Manmiccio di Lodovico di Metto » (1): forse costui discendeva dallo stesso ceppo del nostro maestro Andrea. Egli steafso accennando a. saio padre, affermava di non sapere se ora vivo o morto, e, chi sa, forse la (sua dimora a Ge·-nova ràppresenta l’epilogo di qualche triste avvenimento familiare. A ogni modo egli dovette partire dailla città nativa in età molto tenera, fatto non infrequente del resto, se in Genova egli prese moglie e vi ebbe i suoi figli, dei quali una femìmina nel 1386 era in età dia mJajritarsi. Il fatto poi della sua amicizia con Francesco di Marco Datlni, 1’ illustre mercante nato in Prato intorno al 1335, il quale — rimiasto orfano nella, peste del 1348 — appena diciottenne, solo, povero·, era corso ad Avignone in cerca di fortuna, per tornare ricco in patria nel 1383, ci indica in lui il compagno dei primi giochi infantili, iil collega delle scappatelle del futuro maestro. Noi non ci dobbiamo immaginare il nostro Andrea solo e sperduto in Genova quando vi mosse i primfil passi: non è improbabile che nella, numerosa colonia di mercanti fiorentini residenti nei loro fondaci genovesi si trovasse qualche,pratese, anzi è cotsa certa, perchè ci sono rimasti molti documenti di un Piero di Buto Bemntendi, il quale, nato in Tobbiana, piccola villa del contado pratese, intorno ail 1343 da famiglia di poveri agricoltori, all’età di 6-7 anni era stato conidotto a Genova, certamente per tenerlo come 'apprendista, come garzone, in qualche bottega. Anzi la vita dei due conterranei ha qualche punto in contatto, nel suo svolgimento, benché non ci sia rimasta prova non dico della loro amicizia, ma neppure della loro reciproca conoscenza. Il Benintendi aveva un compito, un intento da attuare : divenire un grande mercante, tornare un giorno in patria, come tanti altri facevano, colla fama di « ricco », tornarvi da trionfatore, lui che era partito piccolo, nudo e bruco. Il maestro Andrea per altre vie tendeva alilo stesso scopo: altrimenti che significato avrebbe la sua (Minora in Genova, in quella citta dov’era (1) Archivio Datini, Istrumenti e scritti, cartella 1170-M-VH-l. Renato Piattoli 47 gran parlare di fortune rapidamente accumulate, là dove l’oro di tutte le contrade isi riversava a torrenti tramutandosi in lane, in spezie e in aromi, in tutti i prodotti ohe la civiltà di quei tempi richiedeva? Ma nè l’uno nè rateo raggiunsero i loro scopi, Piero per la troppo scrupolosa onestà e .per il corso degli avvenimenti, l’altro per inesatta comprensione de'lla realtà. Come il brillare dello specchietto attira a stormi le allodole, così gli ingenui, le anime candide, facilmente rimangono abbagliati da un luiecichio tutto apparente, da uno splendore in cui solo i forti e gli astuti riescono a penetrare. Così è oggi, così era in antico, perchè attraverso i secoli il fondo deiH’anima umana rimane imjmutato. E nella numerosa schiera degli' illusi sembra si debbano annoverare diversi dei maestri e dei dotti, pratesi. In una. città che oramai alla fine dei ’300 per mutate condizioni cominciava a declinare, in Avignone, quando Tesser sede dei Papi e di multiforme attività mercantile la aveva re£a famosa rinomata in tutte le contrade d’Europa era giunto ser Convenevole da Prato, il grammatico oggi illustre per aver avuto tra i discepoli « il grande architetto della canzone e sempre gli balenò davanti il tristo spettro de'lla fame. Non so se a questo punto giunse il maestro Andrea: certo non ebbe tra i suoi scolari nessun Petrarca da cui togliere in prestito— compatibile sotterfugio — un codice di Cicerone per impegnarlo agli avidi usurai e poter così saziare il bisogno organico più urgente. Ripeto che ignoro se il nostro maestro cadde in sì profonda miseria, tuttavia, è sicuro che non si discosto troppo da essa. Monna Agnola, sorella di suo padre, scrivevagli da Prato pregandolo di •aiutarla a pagare il debito contratto per soddisfare il Comune di Firenze della prestanza di 12 fiorini impostale, ma il maestro le risponde mostrando la sua impossibilità: la famiglia già numerosa che cresce, lu figlia da maritare, richiedono gravi cure « et io mi procace ierò di patire ogni stento »...; si rivolga perciò a Francesco Dati ni, dandogli in pegno qualche terreno, o vendendogli la polizza stessa de'lla prestanza... La lettera è rimasta tra \e carte datiniane, il che significa che monna. Agnola, secondo il consiglio del nepote, si presentò al mercante con essa alla mano, richiedendolo d’aiuto in quella congiuntura. Così l’amicizia antica cominciava a dare i suoi frutti e a esercitare quei buoni utfìci, che mai vengono meno quando è sincera. * * * Non era unico, a sopportare il malanno, della povertà tra i dotti, il nostre maestro Andrea, in Genova sitessa, negli stessi anni. Unito ai documenti dei fondaci di Francesco di Marco Datini ci è rimasto un gruppo di lettere, che fanno parte a isè, in quanto sono dirette ad Agnolo degli Agli fiorentino di nascita, ma vissuto a lungo in Pisa esercitando la mercatura, la quale non l’assorbiva tanto da impedirgli di dedicare un po’ del suo tempo alle lettere. A costui scriveva il 10 ottobre 1388 da Fi- 48 Andrea di Giovanni di 'Lotto da Prato, ecc. lenze SalvesLro Velluti: « Ieri, dì VIIII di questo, per Giovarmi Gienuardo ricevetti vostra lettera, fa di VIII, et quanto per edsa scrivete ò inteso. » Iil medesimo Giovanni' ricordato dal Velluti, che allora doveva trovarsi in Firenze, qualche temipo doipo dimorava in Genova, e di lì richiedeva all* Agli con un breve scritto senza data « quii-li V libri eh’ io vi lassai » (1). E laltri libri >a quel Giovanni « de Calabria » procuravano non lievi preoccupazioni: sembra che un certo fra’ Martino che ne aveva ricevati da lui alcuni se ne foisse partito dal convento di Pisa, da Agnolo degüi Agli inoltre aspettava e sollecitava l’invio dell’importo di' altri libri ancora, danari « che a me fanno grandissimo bisogno », egli dichiarava, e ili bisogno doveva essere pressante se, ricevutili, ringraziava, Agnolo dicendo che gli aveva fatta « grandissima limosina ». La ragione di tutto ciò va cercata in fatti di ordine generale e in fatti di ordine particolare. Non bisogna dimenticare che 1 attività mercantile richiedendo grandi di*sponibilità finanziarie rendeva scarso il danaro liquido e alti i prezzi di sconto, il che provocava salari bassi per i lavoratori e deprezzamento delle rendite fondiarie: Donato di Jacopo Strada — uomo politico questo e amico oltreché dell Datini di Giovanni Gherardi, il noto letterato pratese — in una sua lettera del 19 giugno 1393 constatava rivolto a Francesco di Marco: « Sapii che chi non è merchatante a Firenze e avesse diecimila fiori-nate di posesioni non ci troverebbe credito d’ uno grosso » (2). Di qui il malessere sociale che dominava alla fine del XIV secoik>, aggravato da frequenti crisi rese più dìsastróse dall’ instabilità delle relazioni politiche tra città e città e dalla lotta politica che spesso divampava furibonda entro la cerchia delle mura di ogni singolo centro’. Quest’ ultimo fattore era specialmente sentito a Genova, dove ogni canto grondava di sangue fraterno versato nelle risse civili; a ciò dobbiamo aggiungere il carattere esclusivamente commerciale della città, il che ci spiega i frequenti lamenti del maestro Andrea: da una parte le « grandi spese », cioè il costo elevato della vita, dalli’ altra in Genova « non si fa niente ee non e’ merchatante grosso », cioè potevano resistere e prosperare nella vita industriale solo quei pochi, i quali avevano sufficienti mezzi per padroneg'giaie il mercato e per non essere spazzati via al soffio burrascoso della prima crisi che sopravvenisse e li trovasse -senza una bastevole coipeitura. Quale speranza, in tali condizioni di fatto, persona che esercitasse arti liberali poteva nutrire ? tanto più che, in genere, le persone tra cui il nostro maestro viveva erano « gross'e », cioè gente rozza, abituata più (1) Vedi e runa e l’altra lettera in Giovanni Livi, Dall’Archivio di Francesco Datini Mercante Pratese, Firenze, 1910, pag. 47 e 49. Altre due lettere di G. Genuardo vedile neìl’Apvendice del presente lavoro: trovanei neLl’Aroh. Dat. - Carteggi privati diversi - cart. 1113-N.-III-6. In quanto al mercante Agnolo di Lotto Agli qui ricordato come più oltre, rimando a G. Livi, op. cit., pagg. 24, 39^40, 47-49, e al mio articolo Gli Agli a Prato e cinque lettere di Agnolo di Lotto com/parso neW Archivio Storico Pratese anno VII-Fasc. I-II, 1927. (2) iAreh. Dat. >Carteggio Privato - cart. 1103 - N - II - 7. Renato Piattolï 49 aile amni e al maneggio tiel'le vele, die non alle dolcezze tutte (Spirituali del sapere., * * * 1J pensiero di tornarsene a dimorare in patria o a Firenze, dove dal mercante arricchito stava, per nascere e svilupparsi il tipo del mecenate munifico protettore di letterati, o pure ad Avignone, città sein-ipre splendida, nono-stante il decader lento, cui. sottostava, già era germogliato nella niente del maestro Andrea, quand’ egli riprendeva le interrotte refezioni col vecchio amico·, con Francesco ricco, inviandogli una lettera il 5 maggio 1388. In essa appunto, doipo averlo ragguagliato della morte della moglie, che dopo poco però doveva rimpiazzare riandando a nozze, gli eìsterna il suo desiderio e nello· stesso tempo gli chiede il suo generoso aiuto per trovargli avviamento', in uno di quei centri. E ciò non lo faceva senza scopo: a Prato ed a Firenze era noto e in*· fluente il Datini sia per la ricchezza, sia per i fondaci che vi teneva aperti, e un. altro fondaco·, il primo che avesse gestito, lo aveva, ad Avignone. Per allora non ne fu fatto niente. Forse 1’ amicizia in tant’ anni di lontananza si era intiepidita; pensò però Andrea stesso a rinfrancarla facendo personalmente alla fine del 1389, -secondo ogni probabilità, una visita a. Prato ailla zia, ai vecchi conoscenti come Niccolò calzolaio e la moglie, come Piero Rinaldeschi dottore di leggi e cospicuo suo concittadino, e a Francesco di Marcò· stesso, col quale rimase d’ accordo di trascrivergli un « evangelistario » in volgare, sembra anche che nella steisjsa occasione otto fiorini gli venissero prestati dall’ amico, i quali il maestro promise di rendere al Datimi dandoli « ai suoi di Genova ». Poi che la compagnia, e — di conseguenza — il fondaco djatiniano di .Genova sorsero nel gennaio del 1391, quei «suoi di Genova» non potevano essere se non la preesistente compagnia denominata « Ambrogio di Meo e compagni », cioè Andrea di Bonanno, Luca del Sera, Jacopo e Giovanni di Berto-, i quaiìi ultimi in progresso di .tempo diverranno soci o fattori di Francesco di Marco, la qual compagnia, composta come i nomi lo dicono, tutta da. fiorentini, era quella, colla quale il mercante pratese a preferenza, corrispondeva. Nè Γ uno nè 1’ altro tennero fronte ai loro impegni : Francesco di Marco, sia per dimenticanza, sia per mala voglia, non curò di dar seguito alla promessa fatta ad Andrea l'amanuense di occuparlo dandogli a esemplare un « evangelistario », il maestro a sua volta non trovò modo di rimborsare 1’ amico degli otto fiorini. Ma di questi però aveva il mercante un’ obbligazione scritta, mentre la promessa la aveva fatta a voce: se di essa non si ricordò o non volle ricordarsi, tenne bene a mente i danari: anzi è proprio a causa del debito insoddisfatto che continuò lo scambio di lettere tra 1 due pratesi, perchè il Datini lo fece richiedere una prima volta da Ambrogio di Meo, indi una seconda volta a distanza di tre anni dal medesimo Ambrogio perchè si risolvesse a 50 Andrea di Giovanni di Lotto da Prato, ecc. pagare. iSe perù 11011 mancava la volontà, al buon maestro facevano difetto i mezzi, cosicché tanto alla prima quanto alla seconda richiesta scrisse adì’ amico scusando la sua insolvibilità, e offrendosi sempre a trascrivere il solilo evangelario, tanto per soddisfarlo in qualche modo e per uscire con onore dall’ iiimpegno, « ordinando voi con Andrea di Bonanno d’ avere le carte e 1’ asemiplo ». * * * Bisogna riconoscere che in quell’ acca/siane pecicò il Ostini di malvolere, poiché a lui non poteva manicare nè Γ esemplare dei V-angeili nè le carte per scrivervi la copia. Curavano talvolta i mercanti iil trasporto, se non anche il traffico, dei codici), anzi ci è rimasta la ricevuta che attesta di un (emessale compiuto» cioè completo in ogni sua parte, fors’ anche miniato, rilasciata in Genova da frate Piero agostinano, la quale faccio seguire qui subito appresso : « Sia noto e manifesto per questa lettera come io frate Piero da Pisa lectore del convento di Genova ricevetti da Bruno di Francesco da Firenze merchatante, stando elli in Genova uno messale compiuto, lo quaile li fo mandato da Pisa da frate Bartholomeo dell’ Agnello dell’ Ordine di sancto Augustino, overo da altra peifsona per lui i nel 1380, addì ij del mese di novemlbre, e in testimonianza dii ciò io sopradicto frate Piero dell’ Ordine di sancto Augustino scripsi questa propria (1) cedula di mia mano. Anno Domini 1380, die 9 di dicembre ». Non solo, chè i fondaci di Genova, come quelli degli altri centri mercantili commerciavano largamente in materiali scrittorii e librarli. Probabilmente giungevano a Pisa dalia, via di Genova le pergamene di cui un mercante fiorentino, Andrea del maestro Ambrogio, parlava in una -sua lettera del 22 maggio 1378 diretta ad Angelo degli Agli (2): E’ me de-tto per uno amicho che coistà è venuto overo viene alchimia, volta carte di pecora provenzali, e però, se ve n’ avesse o venisse e tossono buone, vorei ne coaniperasse e mandassimene d:a libre 5 per sagio, e sopra quelle ci aviseremo.......». Al contrario venivano da Firenze a Pisa le coperte per i libri, come ci informa un passo tratto da una lettera del giorno 11 settembre 1379 spedita dalla compagnia di Bongianni Pucci risiedente in Firenze a quella di Andrea del maestro Ambrogio e Lodovico di Guido degli Adimari in Pisa. a Lo libro vi mandiamo: (3) no ne abiamo anchora fatto ragione (1) L’originale ha «■ projyira ». Trovasi il documento nelFAreh. Dat., cart. 1170 già (2) Questa lettera, come pure le altre da cui ho tolto i due passi che seguono, ap-ricordata. par tengono all’Arch. Dat, Fondaco di Pisa, cart. 552-I-II-3. (3) L’orig. ha madamo, e cimiLmente due parole più appresso acliora per ancora. Renato Piattou 51 elio Bartolino. Come Γ arerno fatta ve-dlo diremo. Dite la coverta lue d'eie nostre vecchie e che sarebbe stato il rneglo a farla fare. Noi no ne -aibiamo coverte vechie d1 'avanzo, ma volemola fare fare nuova e non era tropo buona e lire 5 ne voflevano. Ciencftàimo per Γ Arte e com(pra-mola (1) cotesta da tëonifazio di ser Donato, eh’ a lui costò, se Dio Γ aiutò, soldi 55. Voleane lire 3 soldi 10 o almeno lire 3 : credem no’ jdardii; ed è tropo milglore che le nuove ogi si fano ». E -pure da Firenze arrivavano a Pisa le rinomate qualità di carta die uscivano dalle fabbriche dell’Umbria: «Tu dicesti di carte grandi fini fabriianesi e noi ti crediamo aver detto che non vi se ne fano che fini sieno, mia a Ghualdo si fano più fini e di questa ragione mandiamo a Mateo (2) che voi e a fabrianesi. Cosi troviamo scritto in una lettera dell 26 ottobre 1379 giunta alla compagnia pisana di Andrea e Lodovi-co. Piisa stessa era un centro di esportazione di certe qualità di pergamene, come quelle proveniente dalle Marche, e di coperte colorate di cuoio da libri grandi, il qual termine si può intendere in due significati, esprimendo e libro di grande formato e composto da un notevole numero di quaderni, e libro di contabilità o maistro, ma i due significati si identificamo, poiché le compagnie mercantili per registri di cassa tenevano libri grandi nel comune senso della parola: e queste coperte venivano lavorate nella stessa città di Pisa. Togliamo l’informazione da una lettera della fine del 1379 e inviata alla, solita comipagnia pisana del fondaco genovese della «surricordata compagnia del Pucci (3) : « Charte di perghaimeno da ohovertare libri essendo grandi e belle per 20 dozine o più se n’avrebe, però vedi se di quelle che soglono venire delle Marche fossono buone yer qui. Non credo pesino le 6 oltre a 6 in 7 libre. Tu lo dei sapere o ten’ aviso. Venderebonsi bene chi ora n’ avesse. Provedivi o per te, o per te e per noi, chôme ti pare. « E iscliiene di chuoi di bue, da cliovertare libri grandi che si lavorano chostì e sono gialle e alchuna nere » f.r. 1 Γ uno ci vale ni sd. 26, Vedi se vi fosse utile a mandarciene. Sono levatone i fianchi ». Tali esempi — che ho scelti tra infiniti altri da me osservati nell1 archivio di Francesco di Marco — dimostrano chiaramente il mio assunto, come cioè il marcante non vol'Te procurare il materiale necessario al maestro per compiere il noto evangelario, e se Francesco ne possedette uno — ma non so se in volgare — fu perchè Baldo Villanugi ebbe la compiacenza di «donarglielo (4). (1) Veramente nell’orig. trovasi scritto copamola. (2) Matteo di iMone Orlandini imeroante fiorentino e in (Firenze stessa e in Pisa. (3) Arch. Dat. - Fond, di iPisa - icart. 553 - J - II - 4. (4) Ofr. il imio lavoro: In una co.»a. borghese del isec. XIV, ipwblblicato in Arch. Stor. Prat., «anno VI - 1926 - pag. 11 dell* estr. 52 Andrea dì Giovanni di Lotto da Prato, ecc. * * * Έ neppure il pensiero di tornarsene o in patria o altrove aveva il maestro Andrea posto in dimenticanza, anzi su questo punto sempre ribatteva n'eLle lettere scritte all’ amico, infatti le condizioni di Genova che dal 1380 per complicazioni e rivalità politiche interne ed esterne erano andate continuamente peggiorando dovevano sfavorevolmente ripercuotersi su di lui. L’ulttaa lettera accenna ai moti e alla, lotta civile che nel luglio del 1393 aveva Genova come campo d’ azione, e meno male che in essa poteva scrivere « io sono sano et salvo con tutta la mi-a famiglia »; per di più appunto questa per essere aumentata di un figlio gli dava gravi pensieri. Un’ altro figlio oramai era. in età da guadagnare quadche soldo, e il maestro Andrea sperava ned potente amico per occuparlo in un fondaco. Specialmente le preoccupazioni famigli ari fanno sì che la lettera sia tutta un’ appassionata invocazione al buon cuore di Francesco di Marco: di Francesco di M'arco che fino allora aveva fatto il sordo: «(Non so se ì\ avete per isdegno eh' io non v’ o mandati i vostri danari » diceva il maestro, ma egli stesso non pre/stava troppa attenzione ad proprio timore, anzi- era sicuro che 1’ amico fina/lmente si sarebbe risolto a muovergli in aiuto: «.... vi prego.... che mi scriviate come debo fare, o di venire o no, però che, ripassale queste cose di qua, verrei ». Eira dunque il ritorno fermamente stabilito nella sua mente : la quilstione più non doveva essere che di tempo., Così miseramente terminava il suo tentativo; così ad una ad una fino add’ ultima, erano crollate le speranze che un giorno lo avevano portato a Genova. Ma c’ è chi parte e chi arriva : niente vale 1’ esperienza degli altri· per chi ancora ha i suoi sogni incorrotti). « Pochi dì fa ti scrissi di mano di ìCristofano (1) pienamente. Ora la chagione di questa si è che-ΙίΓ aportatore è uno Monte di Leuccio da Prato maestro di suono (2) : e’ viene chostà per sapere se si puote aconciare, e pertanto io te-llo raichomando quanto posso in dalgli aiuto e conisilglio sï come si dà a’ forestieri quando nuovamente giunghone nelle terre. E avisoti che tu no-lli prestassi però danari, anzi se guadagnasse denaro nessuno, che-ttu, >se puoi, gliel chavi di mano, acciò che se gli trovi avanzati. Elgli è liuomo spenditore, sichè gli sarà utile facendo cosi, onde fa’ ti sia racomandato (3) di quanto t’ ò detto, imperò è nostro amicho ». In questi termini scriveva Francesco Datini il 14 atprile 1392 ad Andrea di iBonanno, suo socio nella compagnia di Genova (4); qual sorte (1) Cristofauo di Bartoilo Ida (Barberino fattore ed anohe socio del Datini in diversi fondachi. (2) Con ogni (probabilità iquesto individuo tva decritto alila famiglia pratesev degli Angiolini. (3) Il testo originale torta. scritto racomadato. (4) Arch. Dat. - Carteg. Prix. Div. - «cart. lli& cit. Renato Piattoli 53 abbia di poi avuto quello stirano tipo di nuuJsico a noi poco importa; ci preime invece porre in rilievo Γ aiuto offerto dal mercante a Ini che voleva tentare la fortuna: coinè pronto a favorirlo lo trovò il musico, così non invano a lui ebbe ricorso ili maestro; infatti iH Dat ini ricevuto l’appello dell’amiico il 26 luglio, il 9 agosto dava risposta. Non sappiamo e, forse, mai lo potremo sapere, ciò che Ira essi fu convenuto: forse gli procurò un impiego in Genova stessa, sicché non tornò subito via il maestro, passarono invece degli anni. Il 30 novembre 1395 il fondaco di Genova ‘tra Γ altro scriveva al compagno di Firenze (1) : Al maestro Andrea si dise dalia zia morta a Prato, e infine sull primo pasagiio ne vera lui e la sua famiglia per ire a starsi a Prato: cosi dite a Francesco)), cioè Francesco di Marco che abitualmente risiedeva nella città natale o nella splendida vilLa d)el Palco che vicino ad e'sisa si era coistnuito'. r...... e credo venire quando verrò a Prato, se Dio mi dia vita, per modo che eia ne sarà adegTa e onorata » aveva scritto il maestro: il destino, dispose altrimenti. Chiuiste gli occhi ailla luce monna Aignolia senza che il nilpote fosse a darle 1’ estremo saluto al capezzale, e certo ne soffrì; ne /soffrì a sua volta il nipote nella partenza da Genova, dove tanti anni' in miseria era vissuto, di dove fuggiva portando sefco solo amari ricordi per tornare là dove era nato e rioccupare il posto tenuto da. piccolo nella casa dei padri dalla quatte ancora un essere era partito per non rientrarvi più mai. Per amor della cronaca aggiungerò che verso la fine del gennaio 1396 si trovava il ma'estro in Firenze: « starnane, dì XXVI, ebbi una vostra da maestro Andrea » scriveva per Laipo Mazzei al mercante amico (2); poi lo perdiamo di vista; ma del resto il nostro compito a questo punto è già assolto. (1) Arch. Dat. - Fond, idi Firenze - oart. 658 - L - Œ - 6. (2) Cesare Guasti, certo fmaestro omonimo venuto ad albitare a. tPrarto verso il 1387 (cfr. vol I, nota. 5 a pag. 37) : quest’ailtiimo maestro — ohe Guasti conobbe dagli Estimi esistenti SbWAcli. di St. di Firenze — credo dhe mai sia stato in relazione col Datini. a meno ohe non mi siano sfuggiti tutti i documenti datiniani che parlano di lui. Credo inoltre 03on eia del tutto imitile ricordare tcome Domenico del (maestro Andrea da Prato, notaio (ci restano a-ΤΓ Arc'li. di 1St. kif' tFir. i isuoi (rogiti idal 1415 al 1432), è uno dei più noti verseggiatori del primo ’400, benché Francesco Flamini gli neghi qualsiasi, valore artistico CF. ÏFlam., iLa lirica toscana del Rinascimento etc., dn Annali delia R. Scuola Normale Super. Idi \Pisa, vol. XiV, 1891, |pa|g. 416) : «tenendo iconto idell’ anno in cui comincdò a esercitare il notariato non mi sembra imiprobabile che Domenico sia Γ ultimo figlio rnato in Genova al maestro Andrea. 54 Andrea di Giovanni di 1Lotto da Prato, ecc. — Lettere di — Andrea di Giovanni di iLotto a monna Agnola di Lotto (1) Leti. I. 1836. Febbraio 14. Monna Agnola. Il vostro nepote e figliuolo Andrea di Giovanni di Lotto, sailute con voluntà di vedervi sana et aiegra. Ehi! risposta d’ una lettera, la quale vi mandai, che dice come avete prestato al Cornine di Firenze fior. XII e ch’io, s’io potessi, ve ne mandassi una parte a sodisfare il debito che m’avate fatto. Rispondo ch’i’ò tanta spesa dala parte mia, ch'io non ò da potere aiutare me, però ch’i’ ò quatro figlioli et ogni dì n’as/petto uno o una.; ma se avete tropo disagio, aibiate ricorrso a Francesco di Marco et obligateli la terra inifìno in quella quantità,· se altro non potete fare; comechè vendendoli sarebe meglio perdendone uno fior, o due. Pregovi, se mi volete bene, che comportate il più che potete, però ch’i’ ò la fanciulla, ch’io vi dissi, che è già grande et vorrà marito et io mi procacierò di patire ogni stento, sichè non*·vogliate, se potete, obli-garle le cose, cioè la terra nè la casa, a niuno. J’ are’ la figluola mia mjandata , ma riis(pondeste, che non potevate tenerla per le grandi spese, sono certo, che pure vi bisogna d’essere servita da qualcheuna: Sarebe meglio c' aveste de le vostre che de l’st'à sopratutto a rei molto caro esservi presso, come sempre ò desiderato, pei* sodisfarvi et servirvi. Altro non vi scrivo, ma che Dio vi di'a grati a che facciate quello che sia suo piacere, et Idio v’-alegri'. Fat. ni Genova. Adi’ XIII0 di febraio 1393. Fuori: Francescho di Marcho da Prato ni Firenze o ni Prato sia data. Da Genova. Di’ 18 di febraio 1392. Mfc V. 1393. Lugilio, 17. fiPer] (3) lo vostro Andrea di /Giovanni di Lotto facta. Di’ XVII di luglio 1393. In Genova. (1) o Rin al deschi, amicissimo del Datini. Olii colesse (notizie distese su cotesto personaggio, veda C. Guasti, Ser L. Mazzei cit., voL. I - Proemio - XLVIII e sefe. (2) Il proprio quando si trova nell’indirizzo di orna lettera è un indice quasi sicuro del carattere privato di essa; proprio significa in questo caso personalmente. Ciò ei faceva per distinguerle dalle lettere mercantili, de .quali inoltre avevano altri caratteri distintivi, come, per es., la· tessera mercantile del mittente. (3) La lacuna è d^ta da una cottura nella carta dell’ orig. Renato Piattoli 57 Io non v’ ò scritto più di’ fa per le conditioni, le quali sono state di qua. Sappiate ch’io sono sano et salivo con tiutta la mia famiglia, et volentieri, corrue v’· ò altre volte scritto, mi ritrarrei di qua. Et scrissi vi pregando se voi poteste et vosleste, die mi trovaste qualche aviamento, et -non mi avete inai risposto. Non so se l’avete per isdegno eh’ io non v’ ò mandati i vostri denari. Pregovi per questa, "se vi piace, che dii questa ani rispondiate. Io sono aconcio setmipre al vostro servigio in ciò ch’io passo, però ch’io ire sono tenuto, se non foisise se non per l’amistà antica; però vi pregio che non mi a dimenticate di durare ■-fatica in servigio de’ figluoli miei, cioè di procurare ale cose nostre di costà sicome elle tossono nostre, però che ciò che l’uomo fa di bene piace molto a Dio: farete bene et Diro ve ne renderà, buono merito al’ anima, con ciò sia cosa ch'e li mi'ei iiglucili rimiarebono, s’ io morissi, poveri, però eh’ io non ò di qua niuno aviamento; et però vi prego per l’amor di Dio, che vi siano raicom andati, et che mi scriviate come debo fare, 0 di venire 0 no, però che, riipoelsate queste cose di qua., verrei. Altro non vi scrivo. Idio v’a'legri. Fuori: (1) 1393. Da Genova. Adi’ 26 di luglio Risposta di’ 9 d’ agosto. — Appendice — Lettere di Giovanni Genuardo a Agnolo di Lotto degli Agli Lett. I. 1391. Febbraio, 8 Patri mio dulcissimo. Saociati ch'e mo’ nove-li amenti ho avuta una novella di frati Martino, che non mi piaci et non è bona. Sieondo mio, parmi ha lassato sancto Yironimo po’ c’à ricivuti libri, dundi io so’ molto dolenti infini ala morti, et s’io avissi saputo tuicto quiisto, non aviria avuto da me una fietuca, anti l’avaria dispinsati per l’altro modo per-iranima di quilla san età perssona dii mio patri spiirduali. Non dico più circa qui'sta materia. Ovi scripto più et più altri iictiri che ad vuv piaciJssi di mandarmi quilli denari dili libri, et sip ici aiment i scris/si per Paulo di Rustico da Pisa: non so si avistiti la lictira. Io aspecto tucto di questi benediteti dinari, et non so quando vii-ranno. Pregove che vu y m i li maonidi'ati lo più toisto che vuy potete, perociò che a me fanno grandissimo ^bisogno. To mi ricomandò ala vostra mana Lucia (2) et. ali soy uraccione, et Dio sia cuim vuy. Amen. Amen. Data i Genua. Adi’ VIII di febraro. El vostro Joh(ann!i di Calabria. Fuori : Al mio dulcissimo patri Anigilo di Γ Agli da Fi rene i in Pisa. (1) Per questa*, 'come iper ila /lett. IT (deliT .4 pp. (ho creduto inutile riportr\re l’ind;-rizzo, \percliè coincide esattamente con quello ideila lettera ohe ri spetti v ameute precede. (2) Monna. Lucia era da (moglie di Agnolo. 58 Andrea di Giovanni di Lotto da Prato, ecc. » Lett. II. 1391. Febbraio, 24. Patri mio dulciissiinio. Sacci-ati che a di’ XX d'i fibraro riceveteti vostra gracciosa licti i*a cum quilla dii canbio, et ò ricevuti fi or-èri e XXV per mano di Jacovo Sardo. Io vi rintraccio per milli volti e cossi siati riw-gracciati da Dio, percciò che a me aviti fa'eta grand iisisiimia limoisima. A quista parti non dico più. Mo’ vi vogio pregar! di XL sol. che resta: mandatimi una stateie da pisari, che al uno canto pesi Ir. CL et adi’ailtra porti piso Ir. GL;.et mandatimi uno paio di saioli cum piso di fiorino et cum prso di (lineato et cum pijso di g i glati; et si io poccio fari per vuy alcuna cosa di qua, mandatilami et sarà faicta. In sto’ mio po’ dire io ricomamdo ala vostra man a Lucia et ali soy boni uraccione. Non dico più, ma che ΓAltissimo sia mi vostro guardia. Amen. Amen. Data ni Genua. Adi’ XXIIII di. fìbraro. B1 vostro servitori Job an ni di Calabria. Fuori : Da Genova. Adi' 9 di marzo 1391. Lettere di frate Jacopo Fei (1) ad Andrea di Bonanno Lett. I. 1398. Maggio, 21. Al nome di Dio. Amen. Adi’ XX di magio. Pregovi che se voi mandanti a Roma quelle mie cose, che melo scriviate, e se di là avete avuto risposta; e perdonatemi dello imipatocio chè, come vi diesi, mi pare mille anni di saipere che la persona a cui le mandò l’abbia ricevute, per la promessa facta. Dio sia vostra guardia. In Firenze. Maestro Jacopo Fev de’ frati minori. Salute. Fuori: Andrea di Bonanno ni Genova, Lett. II. 1398. Agosto, 7. In Dei nomine AnKen. Di’ VII d’aighosto 1398. Karissimo fratello. Sappiate che a di’ V decto mese ebbi da Roma come le cose fedelmente furono assegnate, defila quale cosa vi ringratio quanto posso reputarmi sempre a voi obligato. Priegliovi che mi perdoniate di tanta molestia che io v’ 6 dato di mie lettere intorno alla decta faccenda. Dio sia vostra guardia. Malestro Jacopo di Feo .) Salute. A’ vostri piaceri, da Firenze de frati minori / Fuori : Andrea di Bonanno da Prato ni Genova a.presso a Banchi. {Renato Piattoli (1) Ho creduto bene di (portare anche le lettere idi questo frate fiorentino che «i cottoscrive maestro, naturaLmente «del ®uo convento, dirette al socio Datini in Genova, Andrea di Bonanno da Firenze tie non da Prato, come dice il frate), il qualle vi8=>e tanti anni in Genova e vi morì anche, da potersi considerale genovese. Il contenuto di e=ee ci ifa avvertiti come da I lett. sia dello etes.-o anno della 15. i IL GIORNALISMO SAVONESE Una storia del giornalismo savonese, prraciipadménte per mancanza di documteMi e di materiale, non fu miai tentata, se si eccetuino due brevi anticipazioni, cine rispettivamente diedi sul N. del 28 Aprile 1919 de « Il Cittadino »» di 'Genova e e, in mano del famoso Prêfetto ^Conte Chabrol, diventò, non soltanto un organo d’ informazioni, di nonme, ma sopra tutto un nuezzo possente di diffusiocnie dello 'spirito francese e di adorazione dell’ « Uom faitale ». iCaduto Napoleone, troviamo uma pausa fino al 1821, Tanno storico delie ipTimie manifestazioni liberali. Savona, con a caipo il notaio Paolo Boselli, fu cogli innovatori e Santorre di ’Santarosa, fuggiasco, trovò in essa amorevolezze ie aiuti, che furono scontati con esigli e confini. Organo dei liberali era « La sentinella », spiata del continuo e citata smesso nei rapporti dei RR. Ca.rabiniieri e anima del g.iornalte un ottimo leffctenato, Domenico Peirani, progenie di dottiiseimi uomini, come quel-Γ aba/te Nicolò Tomaso, oratore e poeta, che ci è ricordato dallo Spo-torno. Iil P-eira/ni s’lera molto imbevuto di « modernismo » sotto i Francesi, i quali avevan-lo largamente adoperato, finché fu posto a capo degli uffici dell’ Initerno e della Guerra del Dipartimento. Era quindi il più indicato a dirigere un giornale di libertà e di lavrata battaglia. 'Per -quanto Savona, niel 1848, desse ,prové profonde d’ Italianità e di sacrifìcio, dobbiamo venire al segnante 1849 per trovare un giornale, ed è « Il popolano ligure », foglio politico, artistico, commerciale, amministrativo della Divisione. Usciva al mercoledì ë al sabato, era I’ organo del « Circolo popolarne Italiano » e sosteneva il cositriituziona 1 temo dpi Governi, la libertà e Γ autodecisione dei popoli, la Federazione degli 60 Filippo Noberasco Stati Italiani. Indice palpitante dei giorni estremamente laboriosi, solleva alle stelle e maledicea Gioberti, condanna >Pio IX, i moiti genovesi, 1’ idea repulbOblicana e incita, al più puro patriotisano. Dopo 26 Numeri, cessa le pubblicazioni e chiude con una processione Italiana, nobilissima, commovènte. Nel 1853 vede, per brev’ora, la luce « L' indicatore savonese », ise-guì'to, nel -luglio del 1854, 'da « Il saggiaiore », d'i chiarissima, reminiscenza e che, nel manifesto programmatico, scriveva queste belle parole: (( Faremo che, com edi conctti, così 'di lingua e di stile il nostro giornaletto riesca Italiano ». Direttore dei primi tempi tu 1’ abate, un di Scolopio, P. Giovanni 'Solari, anima grande di letterato, di pota, d’oratore, d’ Italiano, immortalato dal 'Gioberti. Al Solari iseguì quel mirabile erudito e polemista e lottatore possiente, che fu Pietro Sbarbaro, il quale imipresse al giornale un carattere nuovo di agilità, di battaglia. (( Il Saggiatore » fu nn alimento sostanzioso di alto patriotismo e la morte di Maria Teresa, di Maria Adelaide, la guerra di Crimea, le pre-potnze austriache, le incertezze librali, la festa dello Statuto, i Francesi a Roma, la letteratura civile, Î antimunicipalismo, la guerra del 1859, Vittorio Emanuele, -Garibaldi furono i grandi temi, trattati con una fede fortemente liberale e profondamnte Italiana. Non manca.rono polemicihe violenti e con « Il Catolico », con « L’ Armonia », con la « Rivinta contemporanca » e, per quistioni locali, con la « Gazzetta di Genova » e col (( Corriere 'Mercantile ». E nemmeno mancarono chiarissimi colia-iboTatori : Agostino Ricci, Euclide Manaresi, Vittorio Poggi, Anton Giulio Barrili. De « Il Saggiatore » non ci son più ìtracce dopo il 1859. Nell’ aprile del 1858 inizia le sue pubblicazioni « Il Diario savonese », prima bisettimanale, poi cotidiano, indi trisetitiman al e, politico, Itterario, economico e che mirava particolarmente agli interessi savonesi. Χ1Γ editoriale del primo numero, constatata la faitlale ascesa del generoso Piemonte, fatto omaggio allo Statuito e ai principii liberali, si auspica che Savona, che la Liguria, ρτί nei palme nte, rechino alla gran causa consensi, concordia, fede, volontà. Un programma molto simile a quello de « il Saggiatore », eppure tra i due fogli non ci fu mJai buon sangue e si trascese spesso alla lotta. Direnare, forse, ispiratore, certo, e anima del giornale il marchese Nicola Cesare GarroTii, spirito multiforme di storico, letterato, poeta, economista. Sotto la sua mano il « Diario savonese » diventa una magnifica Antologia d’ articoli, di poesie altamente patriotiche, di salmi ispiratissimi. Principalmente vibrante Tannata del 1850, che fu probabilmente 1’ ultima. Il 1864 vedé uscire due giornali : <( Il corriere del covmnercw savonese » e il bisettimanale : « Il Chiabrera », cJhe fu edito, per* brev’ ora, a Torino, patriottico e che saldamente sostenne gl’.interessi morali e commerciali di Savona, Il N. 26, che fu Γ ultimo, reca un accorato « Testamento » ai savonesi, parafrasando l’evangelico: «Nella vigna, Il giornalismo savonese fr.aJtielli, vi »è nascoso un gr-an tes-oro: unite i vostri s/forzi: lavorate e lo troverete ». iL’ anno saiaceasivo sorse alla Juce la « Gazzetta savonese », cui i primi passi «furono segnati ida quiell’ aJbate Salari, il cui corpo andatasi spegnendo, «ma Γ anima del quaiie perdurava vivida e invitta. Usciva al anaiìtedì >e -al viemerd e -fece ugual parte al commercio e a un pensiero, ad affetti mag nifi canna ntè Italiani. Erano -fatidici e, quanto poteva risollevare gli animi alla coruteiniplazione di una Italia finalmente una, libera, forte, tutto elblbie p-osto nel nuovo giornale, dal centenario del morto Alighieri, a V. Emanuele, alla Naziorne Italica, ai doveri di fierezza e articoli, «come: « il vero patriota », « Guerra o pace », « Fuori lo straniero ! », « Italia una », « La Venezia », « 11 Tirolo e Γ Istria », <( «Lo scettro e la .tiara » dovrebbero essere incisi nel bronzo. L’ aurenta successiva ‘del 1867 pose e vaghi ò la quistione romana e cosi quella del 1868. lì ,non man cavano intermezzi artistici, letterari e, in questi riposi spirituali, vediamo co.iusrtar.si i bei nomi di -P. F. Pizzorno, Scolopio, di Pietro iGiuriia, di Saverio Bomfigli, di Gerolamo Boccardo, di Francesco Verando. 11 giornale morì, forse, nel 180D. iSul finire del 1866 sorgeva e -durava ancora nel 1867 « Il Le timbro », tri settimanale « con limerei ale, politico, Letterario e locale ». Esordiva con uno splendido articolo, in cui proclamavasi il diriUto Italiano sul Veneto e ne sguiva subito altro in -cui si postulava una pace -romanamente , giù sta e decorosa. 1 Numeri del 1867 unirà vano molto alia Francia e articoli magnifici· asserirono Γ Italianità di Nizza, mentre altri rintuzzarono le offese di Gastagnac al decoro nazionale. Molto scrisse su « li Letimbro » queir anima forte e infelice, che fu il -Sac. Tomaso Tor-rtJero'Ii, innamoralo al pari d* Italia e di Savona sua, che illustrò in ogni sasso, in ogni mimo ria. « IL Lelunìbro » riprese nel 1891, con spirito e professione cattolica e durò sino al 1919 per rivederé la luce in questi ultimi giorni, f*ede.le all’«antico programma. el 1868 sorge il « Bollettino del Comizio Agrario », di lunga vita e variamente «benemerito. Il l*86i> v ede nascere « Il Cittad&m », portavoce della democrazia, che si affermava: suri divisa: «gutta cavat lapidem », chie il suo fond altore, Franco Gozo, s‘ ingegnò d’impersonare in tutta .La sua vita, lunga e pugnace. « Il ('ittadiuw », die* fu sempre nobilmente Italiano, venne, cogli anni, temperandosi e, pur facendo larga parte alla [politica «e agl’interessi savonesi, non di anent icò mai le voci della .storia e delTairte, albergando spesso eletti studi -dei Bruno e di Vii-torio -Poggi. « Il Cittadino » csesò, or è poco, le sue pubblicazioni. Nel 1871 vivie il « Cristoforo Colombo », nel 1872 « L'Asmoiteo », satirico, nel 1873 il « Commercio Savonese », dalla divisa: « Unità r libertà ». Tutti i giornali, passarti ben presto. Il 1875 saluta i natali di un foglio, duraJto a lungo e d’indiscusso valore: «La Liguria Occidentale », organo cattolico-anod-erato. (Dotato di larga cronaca locale, di corrispondenze da Roma, da Toriijo, dall’America, trattò Je più ampie quistioiiì politiche 62 Filippo Noberasco Savona del cap. Giovainni Minuto, tèmpra garibaldina di marinaio e di Savonese, sempre intento a m agn iti car e la su -, da - L'era nuova » andava a il Le timbro». E la sua esistenza non fu tranquilla, chè importune querele vennero a (turbarla. Più decisamente anticlericale fu « La voce savonese », ancJii essa varia ni suoi articoli letterari, culturali, nelle sue poesie, nella cronaca mondana, nei pupazzetti frequmi. Terza: a La lima socialista, iute rcollegiale, sorta a impersonare direttamente il partito, che, in taluni dei visti giornali, aveva dei sostenitori i-riegolari. E non mancò il solito u humour » con « Il frustino », spi tal amen te satirico e « La bohème », umoristico-letteraria, entrambi, però, di brevissima vita. Xel seguente 1899 « La lima » dà a luce una figlia : « La v>oce dei lavoratori », arditamente pugnace e messianicamente catastrofica, in lotta con tutto quanto sapeva di borgheria, specie con « Il Le timbro ». L anno successivo esce una cugina: « La bottiglia >», organo combattivo e tecnicamente bén fatto dei bottigliai.Ebbe parecchi anni di esistenza. In quest'anno non manca « Il commercio savonese », portavoce dei commercianti ed esercenti. E, perchè tutti i partiti avessero una bandiera inalberata, nel 1901 i repubblicani videro sprizzare la loro « FaviUa », di vita non lunga e laboriosa di polemiche coi cugini e cogli avversari. In tempi vicini sorge « La Gioventù », organo fresco e sereno, riflesso di quella vita di bontà, d'elevazione, che si vide negli « Oratori festivi », creati da Don Bosco. Altra crisi di crescenza i*ei 1902 ed ecco*. « La penna » socialista-indipendente, eco dei dissensi del partito, « Sawna », moderato- liberale, e»d elettorale e, nell'anno e in tempi vicini : « Bataclan », mondano-artistico, « Il marciapiede », umoristico, pupazzetto e reo di uK>lte esecuzioni, « La castellana », del bel numero uno, con cercaria più distinta. Tutti giornali, però, che vissero quanto vive un lìore. Durante le stagioni balnéarie non mancavano fogli e foglietti, distribuiti per « ceclame ». Tra i più noti van ricordati « Savona balneatria » e « La pubblicità balnea/ ia », tra i quali scivolavano articoli storici su Il giornalismo savonese 65 nel 1919 come « Il combattente », diana di quei gloriosi soldati che, eroici in campo, Italianissimi sino aiLa morte,, intendevano restarlo anche ne ila palingenesi sangumante del dopo guerra. Non mancarono i popolari con « Bandiera bianca » deli'anno stesso, tutta squillante contro lapropagan-da socialista. Niel 1920 i repubblicani riebbero un organo di lotta ne « La Riviera » e due liberali ne « La concordia liberale » e poi ne «Il risveglio savonese». Finalmente la falange fascista, adunata alle lotte ideali e a quelle delle piazze, in cui lasciò giovani vite di generosi, volle avere sua bandiera e fa prima: « A noi! » nel 1920-21, seguita da a Liguria Nuova » n^l 1922, da « L Avanzata » nel 1925, da il « Brandale » nel 1927. Nel 1924-25 ci fu un audace tentativo di lanciaré una grande Rivista illustrata, che dovesse illustrare le energie, la storia, le glorie della « Nazione Genovese ... Fu un tenuat ivo, ohe dovette cadere a vuoto, poiché « Liguria » non ebbe sostegno da chi avrebbe dovuto. Così sarebtbe finita questa prima, breve scorsa tra il giornalismo savonese, ma si sa, da ricordi, da accenni, che in eipoche, così non saprei individuare, vissero « Il calabrone », « Lucifero », « L'eco ligure », « Il fulmine », « Il furioso », a L avvenire », « L'operaio », « La bandiera », « Il bastone », « La piccola Roma » e forse antri e molti ahri di cui si è persa la memoria. Questa scorsa non vuol, quindi, esser completa e, con questa constatazione sincera, si porgono anticipate grazie per quelle lacune ohe, generosamente, saranno indicate. Filippo Xoberasoo / NOTERELLE STORICHE IL VIAGGIO DI CARLO FELICE DA GENOVA A NIZZA Poi che nel 1815 col tramonto delle fortune napoleoniche, il Re di Sardegna Vittorio Emanuele I ebbe fatto ritorno nei suoi dominii di terraferma, Nizza la fedele attese una sua visita che a causa delle continue preoccupazioni politiche, fu rimandata di anno in anno anche dopo Γ avvento al Trono di Carlo Felice nel 1*821, fino a che la gloriosa impresa di Tripoli condotta da Francesco Sivori nel 1825, mostrando che non era spento Γ antico valore delle armi sabaude, faceva brillare un nuovo raggio di luce sull’ orizzonte politico d’ Italia. •La visita del Re e della Regina Maria Cristina, decisa sul cadere del 1825, ebbe a subire un1 ultimo ritardo per Γ invio di una spedizione navale nell· Egeo (1) avvenuta nel maggio 1826 a tutela del traffico marittimo insidiato dai corsari greci insorti contro il dominio ottomano. Ma poco dopo cominciarono i lavori di riparazione sulla strada del Col di Tenda che i Sovrani avrebbero dovuto percorrere onde recarsi da Torino a Nizza e che dal dominio francese era stata ridotta in pessimo stato. Senonchè Γ Ammiraglio Des Geneys Comandante generale della R. Marina, ottenne dal Re che il viaggio delle LiL. MM. dovesse avvenire per via di mare da Genova a Villafranca sede del primo arsenale marittimo sabaudo fondato dal Duca Emanuele Filiberto « Testa di ferro », sede allora del Comando del secondo Dipartimento militare marittimo. Fu quindi atteso il ritorno dall’ Egeo della Divisione navale composta della fregata la Cristina comandata dal capitano di vascello Luigi Serra, della corvetta il Tritone e del brigantino la Nereide. Inoltre nel luglio il Re volle recarsi ad assistere alla solenne riconsacrazione dell’ Abbazia di Alta Comba in Savoia. Fu di ritorno il 6 settembre al Castello di Agliè ove fissò i particolari per il viaggio a Nizza. Ed in quei giorni fu messo mano a riparare la strada da Villafranca a Nizza acciocché potessero passarvi liberamente le vetture reali mandate da Torino per la via del Col di Tenda. Ed i paesi del litorale provvidero a riparare la strada da Ventimiglia (1) ‘Notizie storiche desunte dai documenti del Museo navale di Spezia. ,<1) V. «La Marina Italiana», Genova, sett. 1927. Il viaggio di. Re Carlo Felice da Genova a Nizza 67 a Finale divenuta impraticabile durante gli ultimi tempi della dominazione francese, acciocché nel viaggio di ritorno a Genova i Sovrani potessero seguire la via di terra. Infine rimase stabilito che i Sovrani avrebbero preso passaggio sul bastimento più importante di allora, cioè sulla fregata la Maria Teresa di cui fu affidato il comando al Contrammiraglio Francesco Ricca di Castel vecchio il quale si trovava disponibile a casa propria in Villa-tranca ove fu inviata una goletta, la Diana al comando di padron Camminata che si mise a sua disposizione e il 16 settembre lo condusse a Genova. Il Castelvecchio aveva preso parte nel 1796 alla eroica difesa di One-glia sotto gli ordini del Des Geneys. ìL’ 8 giugno 1798 a bordo de ΓAlceste aveva preso parte all’ epico combattimento sostenuto dai sardi contro una divisione navale francese. Le fatiche della guerra e della prigionia in Francia lo avevano fiaccato. Non contava più di cinquantatre anni d' età ma soffriva di gotta per cui 1’ anno innanzi aveva rifiutato il comando della spedizione di Tripoli. Il breve viaggio con la 'Corte a bordo era quello che ci voleva per lui, che era Grande di Spagna, cugino del Conte di Ferrere primo scudiero del 'Re e figlio di un vecchio generale conosciuto negli ambienti di Torino. Il Vice Ammiraglio de Costantin comandante del Dipartimento di Villafranca confidenzialmente diceva che sopì atutto gli premeva di ottenere in così propizia circostanza, la gran croce di S. Maurizio e Lazzaro a cui aspirava da un pezzo.......5 Intanto il Marchese d’ Yenne governatore del Ducato di Genova e il Generale Cav. di S. Severino governatore della Contea di Nizza si davano assai da fare per preparare i festeggiamenti a cui doveva dar luogo la visita dei Sovrani. Il magg. Chiodo comandante del Genio a Genova (padre del fondatore dell7 Arsenale di Spezia) incaricò il suo dipendente Tenente Machiavelli di verificare i fondali del porto di Villafranca per studiare la possibilità di far approdare la Maria. Teresa nella Darsena. Ma per ottenere ciò sai ebbe occorso far saltare le roccie situate alla imboccatura di essa e poiché mancava il tempo per tale operazione, rimase stabilito che la fregata avrebbe dato fondo nel mezzo del porto e lo sbarco dei Sovrani e del loro seguito sarebbe avvenuto a mezzo di battelli. Invece fu riparata la porta del bacino della Darsena e fu messo in assetto e pulizia il bacino stesso che da 30 anni non funzionava e durante la dominazione francese era stato lasciato in abbandono. Vi fu immessa all asciutto la mezza galera la Beatrice acciocché i Sovrani dopo aver visitata la sorgente di acqua dolce che sgorgava nel fondo di esso bacino, avessero potuto vedervi immettere l’acqua del mare ed assistere al galleggiamento della mezza galera. Il teatro grande di Nizza era ancora in costruzione. Perciò ne fu sistemato uno piccolo nella chiesa non consacrata di S. Gaetano. La divisione dell’ -Egeo giunse a Genova il 1 ottobre e la Nereide che 68 Erasmo Dell’ Onore essendo da diaci anni in continuo armamento, aveva bisogno di importanti riparazioni, dopo tre giorni fu rimorchiata in Darsena. La Mana Teresa essendosi il 10 ottobre calmato il vento che soffiava da N. violento, uscì dalla darsena e passò in armamento. Vi presero imbarco agli ordini del Castel vecchio, il cap. di fregata cav. Zicavo, il 1° luogotenente di vascello Barrabino, il capitano del Battaglione Beai Navi De Fraia, i luogot. di vasc. Sotgiu e cav. Maurizio de Villarey, i sottoten. di vasc. Paroldo, bar. de Pochette, bar. d’ Auvare, i guardiamarina di la classe cav. Tholosano, nob. di Negro, cav. (1) di Villafalletto, Scoffiero, il guardiani, di 2a classe march. Ceva, il commissario Morin (padre dell’ illustre ammiraglio) il sottoscrivano Augé, il cappellano don Farragut, il primo chirurgo dr. Figlieras, 270 nomini di equipaggio, 74 soldati delle R. Navi, 2 forzati, 10 militar condannati alla catena. L’ armamento della fregata venne ridotto a 18 cannoni da 24 - 27 carronade da 36 - 1 da 16 - 2 cann. di bronzo da 12 - in tutto 48 pezzi di artiglieria invece dei 60 pezzi di pieno armamento. Ciò a scopo di diminuire la pescagione della fregata in rapporto ai bassi fondali di Villafranca. Per lo stesso motivo la Cristina sbarcò il timone di ricambio, le reti d* abbordaggio, le bozze di combattimento e i cannoni di bordaggio (in caccia a prora) mentre fu guernita con sei camerini in più improvvisati in batteria, costruiti da forzati bancalari per il personale di servizio di Corte. La feluca la Concezione, padron Andrea Passano, trasportava a Villafranca i materiali per la illuminazione del porto. L’Amm. de Constantin scriveva al Conte Giuseppe de Villarey Capo di Stato Maggiore del Comando generale di Genova che « les particuliers tenant presque tous au service de la Marine seraient fâchés de ne point être admis à employer leur services en cette circostance ». Sistemava i locali del palazzo del comando di Villafranca per poter dare alloggio alle LL. MM. nel caso che avessero voluto quivi pernottare prima di proseguire per Nizza. Metteva a disposizione della Corte l’appartamento tenuto nello stesso palazzo a disposizione del Conte de Villeneuve, funzionante da Capo di Stato Maggiore, e quello ivi occupato dal Commissario Dupont, come pure gli alloggi del forte occupati dal colonnello cav. De May e dal primo maggiore cav. St. Pierre. Altri alloggi erano messi a disposizione della Corte dal Comandante del Porto cav. De Quincened, dal Commissario di Sanità Lenchantin, dal Quartier mastro tesoriere G. B. Fra-cia, dal Chirurgo maggiore Dupont vecchio lupo di mare che disponeva di un appartamentino da scapolo molto comodo in cui aveva radunato i ricordi di molti combattimenti a cui aveva assistito in servizio della marina napoleonica, lo scrivano del Commissariato Sig. Siga possessore (1) l'indicazione cav. &Ui documenti di queLl’epoca ha valore nobiliare, non cavalleresco. II viaygio di He Carlo FeUee da Genova n Nizza 69 di due « superbes lits pour personnes de distinction », il Sindaco del Comune cav. d’Aprotis, la Contessa d’Andorno. Inoltre l’ammiraglio disponeva per la chiamata in anticipo di 60 inscritti marittimi «tous portes de la meilleure volonté » per rinforzare i servizi della Piazza e delle batterie da costa comandate dal capitano Due che dovevano eseguire le salve al passaggio della nave trasportante i Sovrani. In quei giorni il Ministro degli Esteri si trovava alle prese con le notizie gravi che venivano dall’Oriente intorno alla insurrezione ellenica. Lord Cockrane il famoso ammiraglio inglese che s’era messo al servizio degli insorti, era giunto a Marsiglia ed aveva proseguito pèr Ginevra, covo di cospiratori. In data 23 ottobre l’Amm. de Constantin scriveva al Villarey « voila effectivement une preuve certaine que cet homme n’est autre chose qu’un aventurier ». Già si rendeva manifesta l’opportunità di rinviare una divisione sarda di osservazione nelle acque dell’iEgeo (1). Ma per il momento oc correva pensare alla visita dei Sovrani a Nizza. Il marchese d’ Yenne e il conte barone Des Genevs si recarono a bordo de la Afaria Teresa il 2-1 ottobre per verificare che tutto fosse pronto. Ed all’arrivo dei Sovrani in Genova il 20 ottobre fu issato lo stendardo reale all’albero di maestra con la bandiera di S. Maurizio al trinchetto e la nazionale (azzurra con le croci di Savoia di Sardegna e di Genova) alla mezzana. Il Re avvertì che si sarebbe « messo a disposizione dei marinai e del vento » la sera di domenica 5 novembre (suo giorno onomastico) o la mattina dopo. Ma. il tempo che per tre giorni era stato favorevole, si guast?>. La pioggia che cadde in abbondanza dal 4 al 6 guastò gli archi di trionfo già eretti a Nizza. Faceva freddo. II giorno 5 fu a visitare la Afaria Teresa il principe ereditario Carlo Alberto di Savoia Carignano. Nel pomeriggio del 7 le LI.. MM. presero imbarco. Al loro seguito imbarcarono su la Maria Teresa la Marchesa di Villermosa e la Marchesa Spinola Dama di Corte, il Cavaliere d’onore S. E. Cav. Della Marmora, il primo Scudiere aiut. di campo Conte 'di Ferrere, il primo scudiere del Re March, di Clavesana, il capitano della Guardia March, di Villarmosa, il 2° scudiere del Re March, di S.ta Croce, il ?» scudiere della Regina Cav. Raggi, il Maresciallo d’alloggio cav. Franzoni — su la Cristina il Marchese di San Severino, il 1° scudiere della Regina Cav. Della Marmora, il tenente della guardia Cav. Di Villamarina bacchetta-nera. TI personale di servizio che accompagnava la Corto era costituito da 28 persone. Alle ore \ di sera la divisione sciolse le vele. Alle 9 della mattina dopo la Maria Teresa imboccò il porto di Villafranca. Subito vennero a bordo il Conte de Villeneuve e l'Amm. de Costantin. Alle 10 e mezzo avendo la fregata dato fondo, la Corte sbarcò mentre l’equipaggio face- (1) Partì il 27 mar so 1827 al comando del Berrà. 70 Erasmo Dell1 Onore va il saluto alla voce. TI saluto di 21 colpi con le artiglierie in esito a ordini del Re, fu fatto solo dopo che il corteggio reale fu giunto al palazzo della Marina perchè S. M. la Regina Donna di animo mitissimo non poteva sopportare il rumore delle armi da fuoco. E nel pomeriggio la Corte giunse a Nizza ove trovò quella estate di San Martino che il conte di Villarey aveva auspicata. Al momento dello sbarco il Re accordò al Contrammiraglio di Ca-stelvecchio la tanto sospirata gran croce dell’Ordine dei due Santi. A causa del poco vento la Cristina ed il Tritone che avevano la carena sporca per effetto della campagna compiuta nell’dEgeo, tardarono a giungere in porto. La prima dette fondo alle 6 e mezzo. IL’altro fu rimorchiato dentro poco dopo la mezzanotte dalle imbarcazioni della Maria Teresa. Il giorno 12 a bordo del Tritone un cannoniere cessò di vivere per morte subitanea e due giorni dopo morì improvvisamente un altro a bordo della Cristina. L’Amm. de Constantin scriveva « comme cet evene-ment donne lieu a la plus grande surprise, on va proceder à rouvert ure du cadavere pour découvrir s’il est possible, la cause d’une telle mort ». La peculiarità delle sincopi a bordo di cui solo recentemente è stata data la spiegazione (1) era quindi già stata rilevata anche allora. Le feste offerte ai Sovrani dalla città di Nizza furono assai brillanti. Il giorno 12 vi fu una festa popolare con 12 matrimoni celebrati dal vescovo, sonetti, canzoni, odi, danze e un canto lirico storico offerto dalla nobiltà. Il giorno 18 vi fu una festa marinaresca con corteo di carri allegorici uno dei quali raffigurava una bombarda ed un altro una sciabica con una grande conchiglia da cui uscì un bambino travestito da tritone, figlio del console di marina cav. Ratti per rendere omaggio ai Sovrani, dopo di che ebbe luogo una regata. Il giorno 21 ebbe luogo la festa dei tiratori a segno. Vi intervennero più di 10 mila persone. TI giorno dopo con tempo magnifico i Sovrani si recarono al Santuario della Madonna d’Agnet e alla Turbia. Il giorno 27 ebbe luogo la festa del-Γ Agricoltura e il giorno dopo vi fu un gran ballo a Palazzo Reale. Il Re concesse il titolo di Conte al Signor Salissi già primo console della Città e la gran croce di S. Maurizio è Lazzaro all’intendente generale di Marina Conte di S. Reai, al Conte de l’Escarene e al cav. de iSt. Peire. Diè udienza a una deputazione dei comuni rivieraschi che insistevano perchè nel viaggio di ritorno a Genova seguisse la via di terra, ma non volle che fosse cambiato il programma del ritorno per via di mare, consentendo peraltro che la via di terra fosse seguita dalla Marchesa Spinola perchè soffriva troppo il mare. Terminate che furono le feste il Re volle trascorrere un’altra quindicina di giorni nella città veramente diletta finché il 12 dicembre con tempo bellissimo decise di prendere la via del ritorno e nel pomeriggio (1) V. Amnali di Medioina Navale, genmaio-f ©bbraio 1924. Il viaggio di Re Carlo Felice da Genova a Nizza 71 giunse a bordo della Maria Teresa col suo seguito. Sulla Cristina presero passaggio il Conte di Barbaroux segretario di Gabinetto, il Cav. di Collobi ano 1° ufficiale della Reai Casa, il Villamarina e il Santa Croce. Alle 6 di sera i tre bastimenti tratti fuori del porto a rimorchio da un nugolo di imbarcazioni ufficiali e private, sciolse le vele al vento. Ma il vento scarseggiava sicché rimasero tutta la notte in vista del porto godendo lo spettacolo della illuminazione che formava tutta una catena dall’avandarsena alla punta dell’Ai-garden. Il faro, le batterie di S. Sebastiano e di S. Ospizio avevano fatto a gara neH’adornarsi di luci. Brano magin liticamente illuminati anche i palazzi di Monaco (Montecarlo) fra cui quelli del Conte di Viillarey e del Barone Giacobi. (La giornata del 13 e 14 trascorsero senza che la divisione riuscisse a doppiare il Capo di Noli a causa del vento contrario di HNOE e della corrente che trascinava i bastimenti a SO. Fu fatta una distribuzione straordinaria di vino agli equipaggi affaticati dalle manovre delle vele. Al mattino del 15 erano ancora in vista di Villafranca e poiché la Regina soffriva molto per il mare contrario il Re « manifestò il desiderio di riprender porto ». Alle 4 p. m. la Maria Teresa fu di ritorno alla fonda. Ed i Sovrani essendo subito sbarcati col loro seguito, dopo una breve sosta al palazzo della Marina, tornarono a Nizza ove giunsero a notte con la carrozza del Governatore scortata da 50 fiaccole e dal popolo plaudente. Il Tritone che aveva una pompa inservibile per avaria, segnalava che poteva continuare a navigare sotto costa senza prendere porto. Ma nel pomeriggio del giorno 18 anche esso con la Cristina rientrò a Villa-franca. ! . >- ! Il vento che contrariava la partenza degli ospiti manteneva bellissime le giornate di Nizza. Giungeva notizia deirentrata di una divisione russa nel Mediterraneo al comando del Commodoro Belingshausen. La questione d’Oriente toccava gli interessi di tutte le marine mercantili italiane ma solo il Re di Sardegna se ne dava cura. Quindi Carlo Felice che si sarebbe volentieri trattenuto ancora lungamente a Nizza, pensò che gli occorreva tornare senz’altro alla capitale. ' 1 ! I Nel pomeriggio del giorno 29 con la Regina e col suo seguito giunse a bordo della Maria Teresa che poco prima delle ore 5 mise alla vela col vento di .NO variabile, di conserva con la Cristina ed il Tritone. Nella notte il vento venne meno sicché tutto il giorno dopo, la divisione fece poco cammino e il bastimento ammiraglio si distanziò di circa 5 miglia dagli altri. Giunse a Genova l’ultimo giorno dell’anno e alle 4 p. m. si ormeggiò in porto. L\Amm. Des Geneys e il Marchese d’Yenne si recarono subito a bordo e dopo mezz’ora i Sovrani e la corte sbarcarono mentre i bastimenti presenti facevano il saluto alla voce. η Erasmo Dell’ Onore La Maria Teresa e la Cristina entrarono in Darsena e passarono in disarmo nei primi gliomi del 1827. Dalla Cristina furon rimesse alPinten-denza di Finanza di Genova 127 mila lire spedite da quella di Nizza. All’equipaggio fu distribuito in nome del Re un donativo di IL. 2.300. Ai forzati e ai condannati alla catena militare imbarcati sui tre bastimenti della divisione fu ridotto della metà il tempo della pena con grazia completa per quelli che non avevano da scontare più di un anno. Il viaggio di cui ci siamo alquanto attardati a raccontare la cronaca, ha un significato storico il cui valore non può sfuggire a chi legge, ove si pensi che Nizza la fedelissima, era stata il primo punto in cui la difesa degli Stati Italiani quivi affidati al vecchio generai de Courten, aveva ceduto dinanzi all’irrompere delle truppe rivoluzionarie francesi condotte dal generale Anselme. Ma gli ufficiali nizzardi avevan seguito nella Sardegna inviolata il Re e Nizza non si era mai profusa in quelle manifestazioni di entusiasmo napoleonico che furon frequenti in molte città d’Italia. «Nizza attese poi la visita dei successori di Re Carlo Felice, e quando fu ceduta alla Francia manifestò tutto il suo dolore per bocca di un suo grandissimo figlio: Giuseppe Garibaldi. BRASMO DEiL/L’ ONORE ANCORA UNA POLEMICA COLOMBIANA La nota critica comparsa sul numero scorso di questa Rivista ci ha valso dall’Autore di « Colomb catalan », Luis Ulloa, una risposta che pubblichiamo integralmente : Paris, ce 12 Fevrier 1928. IM. M. les Directeurs du Giornale Storico c letterario della Liguria, Gênes M. M. les directeurs, Je viens de prendre connaissance du compte-rendu que sur mon livre Colomb Catalan et la vraie genèse de la découverte de V Amérique a publié M. G. Pessagno dans le tN° d’Octobre-Decembre (1927) de votre si interessante révue. J’ai un très grand respect des opinions contraires aux miennes pour être frappé de celles, pas très aimables, que M. Pessagno a émis plutôt à mon sujet qu'à eelui de mon livre. Mais je crois, néanmoins, que, dans le terrain neutre de la science, la liberté d’opinion ne doit pas empêcher Γ exactitude des citations. IM. Pessagno dit bien que je me refuse à croire a priori à l’authenticité du document Assereto, mais il tait tout-â-fait que j’expose en détail 'les puissant fondements de mes doûtes. Je connais bien les grandes études qu’à faits M. Pessagno an sujet de ce document j’ai dons le droit de penser qu’il ne trouve pas des raisons à opposer aux miennes. Mais les lecteurs peuvent imaginer que je ne donne pas ces raison (pages 266 et 366 de mon livre). Je n’accuse pas non plus les italiens, comme le laisse comprendre M. 'Pessagno, d'avoir fabriqué des faux. Quand je parle de documents italiens, on voit bien sur mon livre que je fais allusion à ceux que Γ on trouve en Italie. Mais j’accuse clairement, explicitement, catégoriquement le roi castillan Ferdinand le Catholique et ses serviteurs — des Espagnols — ou bien les fpretendants au Majorai de Colomb au XVI siècle, d’avoir été les inspirateurs ou les executeurs des faux. (Le fait qu’ un document se trouve à sa place aux archives officielles ne prouve -rien, -comme l’imagine M. Pessagno. On connaît bien de documents apocryphes trouvés dans ces «conditions, et Γ on a pu démon- 74 Giuseppe Pessagno trer qiT il on été eustitués, de fois depuis des siècles, aux documents authentiques. En tout cas, j’ ai admis, en hypothèse, 1’ authenticité du dit document et j’ai démontré qu’il constitue une preuve formidable contre la thèse -genoise. J’ ai donné aussi 'la vraie explication des mandats secrets du «codicille de 'Colomb que Γ on prétendait expliquer .avec le document en question. M. iPessagno à con sicurezza attribuisce la prima rappresentazione del moro con la benda rialzata, non a Pasquale Paoli, ma ai cartografi tedeschi del sec. XVIII che se ne valsero come motivo ornamentale. Interessanti, perchè potrebbero servire per ricerche più estese, sono pure alcune tradizioni corse riferite daH’autore. Anche in /Corsica il popolo -considera i dolmen abitanti da un essere malvagio che viene identificato nel diavolo, (dolmen di Taravo) o in un orco (dolmen di Revinco). Noterò iche in queste tradizioni possono sopravvivere antiche credenze religiose indigene connesse al culto dei morti e a quegli spiriti della natura che -costituiscono il substrato di ogni religiosità privitiva (2). (!) Corpus summorum Italicarum - Priamo tentativo di un catalogo generale per le monete medioevali e moderne coniate in Italia, o da italiani in altri paesi - Roma, R. Accademia dei Lincei, 1922 - Vol. III, p|p. 597-602. (2) CReinach - Le rmonuments ,de pierre bruite dans les langages et croyances populaires du Re«vue Araheologiqtue 1893 ((XXI), ptp. 194-226; 327-369. — Déchellettb - Manuel d’archéologie 'prehis torique - Paris, IPicard 1908, «pp. 378-381 - Per notizie sul culto 84 Rassegna Bibliografica 11 Cristianesimo identificò nel diavolo tutti gli esseri che costituivano la religiosità rurale e il popolo trasformò o alterò, secondo questo principio, i ricordi del Paganesimo (1). Se qualche studioso avesse modo di raccogliere direttamente in Corsica tradizioni consimili, o connesse ai fenomeni della vita naturale, o vegetale (fonti, alberi ecc.) riunirebbe, con molta probabilità, un materiale assai utile che faciliterebbe gli studi folkloristici servendo pure di sussidio ad altre discipline (2). Dell'età feudale è invece la leggenda di Ors Almanno già riferita da Giovanni della Grossa (3). 10 vi scorgerei un ricordo dello « jus primae noctis » che esistette nel medio evo sotto due forme. La forma più comune e legale sembra implicasse soltanto l'obbligo di un tributo al signore da parte degli sposi; raramente, e soltanto per abuso, egli avrebbe esercitato questo diritto in forma più grave (4). L’uno e l’altro carattere dello « jus primae noctis » è implicitamente ricordato da Giovanni della Grossa e non è impossibile che nelle epoche più fosche del medio-evo qualche signore volesse abusare dei proprii diritti feudali. 11 lettore troverà brevemente esposta in « Terre de Corse » anche la storia deir isola. Un ultimo capitolo illustra le più interessanti località della Corsica. Il Marcaggi fa così rivivere la vita insulare in ciò che in essa vi è di tipicamente corso e il suo lavoro è, anche per questo, notevole. IR. Giardelli » Giuseppe iPortigliotti - Genova - Glorie e splendori - Opera scritta e stampata a cura della « iLevant » - Istituto Bertieri e Vanzetti - MiCMXXVII - pp. 315. Segno dei tempi: questa magnifica pubblicazione di lusso e non venale è dovuta all’ iniziativa di una Compagnia di Assicurazioni marittime. Tra tante forme di propaganda e di réclame economica e industriale nessuna poteva essere più elegante e dignitosa di questa, tanto più che lo scopo non esce dall’ accenno del titolo, non invade e non piega a transazioni indecorose il lavoro che rimane una rievocazione, con la delle {pietre io generale: John Xiubboek : I tempi preistorici, i’ orbyine dell'incivilimento - Versione italiana di Michele (Leeeona - Torino, Unione Tip. Editrice, pp. 607-199. Da consultare .pure jper Je utili (notizie stilla religiosità imediterranea e sarda - La religione primitira in Sardegna di Raffaele Petazzoni - Piacenza-Pont remolese. 1912 - 8° il) C. Pascal · Dèi e Diavoli - Saggi sul paganesimo morente - Firenze, Suceefeisori Le iMonnier, 1904, /pp. 71-90. · (2) Ofr. Corso li. - Per il folklore della Corsica - ili (folklore Italiano 1925 (Anno I), pp. 318-519. (3) Presto Filippini - Storie, Tomo II, ILibr. LI - Pisa, Capurro. (4) Pestile - Stona del Diritto pubblico, l·, pp. 274. Rassegna Bibliografica 85 parola ç con 1* immagine, dei momenti più gloriosi e degli edifici e delle opere d’arte più nobili della Superba. lL’ edizione è veramente sontuosa e le illustrazioni scelte con buon gusto e riprodotte «con perfetta esecuzione accompagnano e spiegano, il testo : sono oggetti d’ arte, simboli, quadri, statue, palazzi e chiese marmoree, quanto «di più caratteristico lia 1’ arte genovese. Il testo non vuol essere una esposizione critica ed efudita ma una sintesi o meglio una serie di quadri vivi e animati, una rievocazione di momenti e personaggi tipici e «caratteristici delia vita genovese attraverso i secoli: talvolta una sintesi poetica, esposta in una prosa efficace e colorita, di lunghi periodi riassunti in brevi pagine vive e brillanti. Vibra costante, attraverso la calda parola fluente, un senso di simpatia profonda per queste vicende millenarie, una commozione contenuta che non cadendo mai nella declamazione volgare le dà un tono alto e nobile. Naturalmente una narrazione di questo genere non deve essere esaminata e giudicata con criteri eruditi : chi volesse compiacersi di così fatto metodo troverebbe dati e fatti discutibili, particolari accolti dalla tradizione le non confermati dalla critica, giudizi non sempre pienamente accettabili, ma sarebbe anche opera pedantescamente inopportuna perchè il lavoro va giudicato nell’ insieme e nel suo carattere divulgativo, nell’ efficacia descrittiva dei singoli quadri e delle riproduzioni panoramiche. Dai tempi preistorici al fiorire nell· età delle Crociate, è un volo rapidissimo; poi 1’ età della grandezza commerciale e coloniale, le lotte con le repubbliche rivali, le forze caratteristiche del commercio coloniale e marittimo, 1’ ardore delle imprese, Γ iniziativa ardimentosa e tenace deg:li individui. I quadri sono 'raccolti per lo più intorno ad un personaggio a un edifìcio a un istituto più rappresentativo: Guglielmo Embriaco, i Vivaldi, Megollo Lercari, la Chiesa di S. iMatteo con i ricordi delle vittorie dei Doria, il Banco di San Giorgio, Colombo. Quando si arriva al (Rinascimento, la materia si amplia: qui si sente lo studioso specialista che si fa quasi prendere la mano — con compiacenza sua e dei lettori — dall’ argomento che gli è famigliare e caro: le magnificenze e i difetti, gli splendori d'arte e di coltura e la serena impudenza morale. E’ vero, qualche volta in questa parte del lavoro Genova ha poco a che vedere e si intravvede appena sullo sfondo, ma quelle figure di papi liguri e di loro nipoti e parenti sono vive e parlanti, quei tipi femminili sono delineati con mano sicura. Anzi abbiamo qui uria che può apparire digressione o almeno i risultati di indagini personali; fa capolino il ricercatore nel presentare la figura di Tomma-sina Spinola, colei che provò una profonda dolcissima passione per Luigi XII e ne morì. Nessuna delle dame conosciute con quel nome in quel tempo si prestava a essere identificata con colei che Luigi XII pianse e fece ricordare nella cronaca -di Jean d’Auton. Il Portigliotti , la nota Rivieta d’Arte e Coltura di Bergamo, ha Del suo Fascicola d’ Agosto 1927 uno studio di Umberto V. Ccuva&sa dal titolo Genova negli Annali di Caf-faro corredato di 14 illustrazioni. * * * Sul quarto volume degli Annali Genovesi di Oaffaro e dei suoi continuatori, curalo da Cesare Imperiale di Sant’ Angelo ®i intrattiene lungamente Vito Vitale nel fase. Ιλ (ottobre 1927) della «Rivista Storica Italiana». * * * Arturo Segre (recensisce ampiamente nel fase, d’ottobre della «Rivista Storica Italiana» la Storia di Savona di I. Scovazzi e F. Ndberasco. * * * Un’ampia recensione della Questione di Pietrasanta nell anno 1496 di Luigi Volipi* cella, dovuta a Vito Vitale è comparsa nel fase, di ottobre della « Rivieta storica ita· 'liana >». * *. * « U Comune di Genova *· — Bollettino Municipale — (Novembre 1927) ha uno scritto (corredato da riproduzioni fotografiche) illuetrante (Luca Cambiaso, insigne pittore genovese, nel 4° centenario dalla eua nascita. Lo scritto è dovuto all Architetto Arturo Pett orelli * * * Arturo Ferretto evoca in « Cittadino ** dell’ 8 Dicembre 1927 ricordi genovesi de La Festa dfjll’Hmmacolata. # * # Ars scrive in «Lavoro» dell’8 Dicembre 1927 intorno a Gbnova negli scrittori della PRIMA METÀ DELL’OTTOCENTO. * * * Cosseria, antico feudo dei Del Carretto al confine ligure-mon ferri no e ricordata da Ettore Zunino in « Oiornale di Genova** del 9 Dicembre 1927. # * * Di Luigi Ajinaldo Vassallo « Marcheisa » e «< Marcbeise *· si parla in «Giornale di Genova» del 9 Dicembre 1927. Lo ecritto è tòlto dal libro di F. Ernctlo Morando « Luiç» Arnaldo' Vassallo e i suoi amici ». * # * Sul Dibci Dicbmbrb 1746 scrive Lazzaro Desi moni in «Cittadino*· del 10 Dicembre 1927 ricordando il Balilla. * # # Dopo la cacciata degli Austriaci da Genova è il titolo d’uno scritto di L. F. in «Taf-faro » del 10 Dicembre 1927. Si ricordano gli aiuti franco-spagnoli e la figura della Pompadour. * * # I nazi in sarmoaxa di Trebisonda — Megollo Lercari — Anno 1380, Γ intitola uno scritto in dialetto genovese pubblicato da «Il Lavoro*· del 13 Dicembre 1927 a firma Nino Pasto e rievocante l’antica leggendaria impresa genovese in Oriente. * * # Arrigo Angiolini parla in «Lavoro*· idei 14 Dicembre 1927 de La Mostra oi Luca Cambiaso, organizzata a Genova da eminenti personalità in onore del (franile Mao*tro rielli Pittura Genovese. .- * 88 Spigolature e Notizie * * * Si riparla di Luigi Arnaldo Vassallo in « Caffaro » del 15 Dicemibre. L#o scritto è tolto dal volume di F. Ernesto Morando: «Luigi Arnaldo Vassallo e i suoi amici». » * * * Il Bilancio della Repubblica di S. Giorgio nel 1541, è brevemente esaminato in «Cittadino » del 15 Dicembre 1927. * * * Maria Vittoria Strata De Fornari patrizia genovese, fondatrice d’ un ordine religioso femminile in (Genova e fpoi elevata agli onori dell'altare, >è ricordata da Januensia su « Corriere Mercantile » del 15-16 Dicembre 1927. * * * Cappelli, cappucci e berretti nell’ antica moda genovese, rievoca Arturo Ferretto in « Cittadino » del 16 Dicembre 1927 * * * Un amico di Mameli, Giambattista Cambialo (patrizio genovese, è ricordato da Spectator in « Giornale di Genova » del 16 Dicembre 1927. * * * .4 recensisce in «Lavoro» del 20 Dicembre 1927 il volume di Anny A. Brrnardy Liguria, imiportante specialmente per la illustrazione del folk-dorè genovese * * * Ool titolo: Il (Nunzio, Amedeo iPescio ricorda in «Secolo XIX» del 20 Dicembre 1927 un· prelato genovese della famiglia Garibaldi, che rappresentò la S. Sede a Parigi nella prima metà del secolo scorso. * * * Ruderi intangibili di Gbnova Superba, è il titolo d’uno scritto di Giacomo Parodi in « Cittadino ■ del 20 Dicembre 1927. * * * Le relazioni tra II Card. D’ Ailly e Colombo, sono ricordate brevemente in « Corriere Mercantile » del 21-22 Dicembre 1927. * * * « Il Lavoro » del 21 Dicembre 1927 pubblica sei sonetti di Alessandro Sachrri ispirati a libri di Zola. * * * Dì piccole cose e di Mameli, scrive C. Pariseli in « Secolo XIX ·· del 21 Dicembre 1927. Nello stesso foglio è riassunta la Conferenza di Μ. M. Martini »u Goppredo Mameli, tenuta il giorno precedente a Genova. La stessa orazione commemorativa è pubblicata da «Caffaro - del 21 Dicembre 1927, e da « Il Giornale di Genova · della stessa data. * * * Sarzano, la collina che costituì il primo nucleo di Genova antichissima è ricordato da'C. Granella in «Cittadino» del 22 Dicembre 1927. * * * Di Ponchielli a Genova è detto brevemente in -Lavoro» del 22 Dicembre 1927. * # * 0. Colombo era Catalano? si domanda Mario Parodi in «Lavoro» del 23 Dicembre 1927 analizzando un recente libro di L. Ulloa. * * * Gli arazzi di Gbnova sono studiati da Arturo Ferretto in «Cittadino·' del 23 Dicembre 1927. # * * Una novella ed un vespaio è il titolo d'uno scritto interessante di Spectator in • Giornale di Genova» idei 27 Dicembre J927. La novella ohe «incitò il vespaio è quella che fu sequestrata dalla polizia, da! titolo: «Paolo da Novi» di Μ. G, Canale. Spigolature e Notizie 89 # # * Gemme sparse di Mameli raccoglie R. S. in «Lavoro» del 30 Dicembre 1927 annunciando la pubblicazione del vol.: « Studi e documenti su Goffredo Mameli e la Repubblica romana (1849) ». # * * Broccati, damaschi b baldacchini di Genova antica illustra Arturo Ferretto in «Cittadino » del 30 Dicemlbre 1927. * * * .1 vii) rosi Amibroise, con un articolo pubblicato in « Revue de la Corse» (ΝθΛ.-dic. 28; dal titolo ÌL\ défense ©e la (Corse sous tA domination iGênoise, /polemizza con €arlo Aru il quale in «Mediterranea» (N. IV e Y del 1927) aveva fatto uno studio con lo Btesso titolo. n vivant; rmutisme klu navigateur au sujet de na patrie qu’il savait méprisée des uns, haïe des autres; affirmatione lancée par trois contemporains au moins que Je gran navigateur était corse. tradition cal-vaise ininterrompue etc. Qui donc apportera la rpreuve décisive, .irréfutable, qui confondra Génois et 'Catalan* et laissera à la Corse lia igloire d’avoir été da ipatrie rl origine de ces deux hommes: Cristophe Colomb et Napoléon Bonaparte?». Abbiamo trascritto questa dichiarazione per informarne i nostri lettori, i quali, come noi, rimarranno ancora per un bel «po’ in attesa di «tale « preuve décisive, irréfutable « ohe ci confonderà. * * * La < Revue de la Coree» (Nov.-dic. 1927) recensisce lo studio di Pietro Pariseila dal titolo I>a Corsica, emigrazione e immigrazione, comparso nella «Rassegna Italiana»., 1927, 25 C. X. · * * * AiKir François Vinrent olii tratta lungamente di Francesco Antonmarchi, medico di Napoleone I a Sant’ Elena. (nato a /Marsiglia e morto a Santiago nel 1838) nella « Revue de la Come » del Nov.-dic. 1927. * * # Por commemorare il centenario della naecita di Goffredo Mameli il Comitato romano della Soc. Naz. per la Storia del Risorgimento ha pubblicato una miscellanea di studi dovuti ad coreici autori col titolo Studi e docunumt-i su Goffredo Mameli e la repubblica Romana (1849). Si veda la Rassegna Bibliografica. # * * La Grande Genova (Bollettino Municipale) nel suo fascicolo di Dicembre 1927 lui uno studio compilato dalla Erezione Civica delle Belle Arti e Storia su Genova *n 90 Spigolature e Notizie Corsica illustrante, anche con buone fotografie, vestigia interessanti, palazzi, chiese ecc. del dominio genovese sull* isola. * * * La Strenna del Pio Istituto dei Rachitici, è uscita quest’anno (Genova, Tip. Artigianelli, 1928), in veste ipiù loissosa (del solito. (E’ -un bel volume illustrato di 160 (pagine con un ricco sommario. Notiamo fra i collaboratori: Antonio Pastore, A. Cuneo, E. Canevello, E. Bertolotto, E. A. Mario, Marino M eretto, Ugo Rod&lla, Flavia Steno, Donna· Rosita, R. Cogorno, Vittorio d’A&te, G. Bernardello, E-uyenia Bechemicci, Erminia Devoto, Marno Fanizzardi, Costanzo Cacone, U. V. Ccwatìtoa, Rosa Sìoave, Co-sta/nzo Carbone ed altri ancora. * * * E. Concas recensisce in « Mediterranea » (Cagliari, Gennaio 1928) i due volumi di Matteo Rocca : I Lucchetti e II Segreto di iPetr’ Antone Lucchetti, il (primo uscito per i ti/pi del Giusti di Livorno nel 1925, il secondo sempre per gli stesisi tipi nel· 1927. Scrive il Concas presentando i due volumi: «< Matteo Rocca ha iniduibb iamen te diritto a particolare considerazione da parte dei suoi compatrioti corsi che hanno in questi ultimi anni, collegando le loro aspirazioni a quelle di Pasquale Paoii, innalzato la bandiera della libertà e proclamato iil principio dell’autonomia. Agili altri suoi scritti numerosi, nei quali i sentimenti di patria, di famiglia e di libertà tro- 9 vano la loro espressione più sincera e più · viva, si uniscono degnamente questi due volumi che formano un tutto organico. .Sono opere idi /battaglia, alle quali la storia serve di legante e di giustificazione. Ambedue precedute da introduzioni che palesano chiaramente il ipensiero dell’ autore >». * * * Sebastiano Deledda recensisce in « Mediterranea » (Cagliari, gennaio 1928) la raccolta di poesie in vernacolo corso di Ghiannettu Notini : Rime (Ajacciu, Stamperia di « A Muvra », 1927. * * * Pietro Parisella tratta in «Mediterranea» (Cagliari, Gennaio, 1928), della Malaria e bonifica in Corsica. * * * Lb monete genovesi del v. sec. A. IC. al 1815 d. (C., (sono illustrate (da- GHalio Miscosi in «Giornale di Genova» del 3 Gennaio 1928. * * * In uno iscritto dal titolo (Paesaggi e glorie «liguri e /colla firma iFra Ginepro da Pompeiana, si ricordano due liguri eminenti : Giuseppe Biamonti poeta e letterato e Gian*· Domenico Cassini astronomo idi igran nome. [Lo scritto è pubblicato in : « Cittadino » del 4 Gennaio 1928. * * * Il trucco di Leo Taxil a Genova è ricordato in uno scritto di R. De Renzis in « Lavoro» del 5 Gennaio 1928. * * * Interessante anche nei traguardi della storia genovese è lo scritto Teodoro I Re della Corsica iItaliana, 'dovuto ad iAngelo iFlamio /Guidi e pubblicato in « Secolo XIX » del 5 Gennaio 1928. * * * Adalgisa Viazzi Posso ha in «Cittadino» del 5 Gennaio 1928 uno scritto: Dopo ìl futurismo — Luca Cambiaso. Nello stesso numero P. Silvestro Basso parla del P. Bartolomeo Parodi da Genova, religioso che abitò 1 ora distrutto Convento di S. M. della Pace e lasciò fama di santità operosa e benefica. * * * Col titolo: Nel nostro bel S. Lorenzo — Il suo tesoro e la sua suppellettile, Arturo Ferretto parla in «Cittadino» del 6 Gennaio 1928 di cospicui arredi sactri ivi conservati e legati a ricordi storici interessanti. Spigolature e Notizie 91 Lo studio è continuato in « Cittadino » del 13 Gennaio 1928 ove si parla dell© stoffe seriche e della. Biblioteca. Nello stesso numero A dalgisa Viazzi-Pesso tià run cenno Delle vetuste ville di Pegli. * * * Arturo Ferretto ricorda in «Cittadino» dell’11 Gennaio 1928: S. E. Mons. Reggio rhe fu a Genova una nobile figrura di Arcivescovo e di cittadino. * * * F. Ernesto Murando pubblica in « Corriere Mercantile » dell’ 11-12 Gennaio 1928 : Nuove Note su Anton Giulio Barrili. * * * Col titolo: XTn iLollobrigida /ligure nell’America del 6ud, Filiberto Scarpelli parla in « 'Giornale di Genova» del 13 Gennaio 1928 di Andrea R/ieso, commerci an te ligure stabilitosi e vissuto in lAlmerica, autore idi versi «burleschi. * * * Mario Parodi (riporta in «Lavoro» del (13 Gennaio 1928: Che cosa dice l’assertore di Colombo Catalano. * * * Sotto il titolo: Christophe Colomb Catalan, si abbozza in « Corriere Mercantile» del 14-15 Gennaio 1928 una critica del recente libro deUT Ulloa. Lo scritto è anonimo. * * * Ars scrive in. «Lavoro» del 15 Gennaio 1928 su Genova negli Scrittori francesi del- l ottocento. Lo scritto continua nel numero del 22 Gennaio dello stesso giornale. * * * Col titolo : Genova e Liguria tremillenaria, Giulio Mis cosi scrive intorno a recentissime antichità liguri e genovesi in «Giornale di Genova» del 15 Gennaio 1928. * * * Di Presepi Genovesi a Milano si parla in «Giornale di Genova» del 14 Gennaio 1928. * * * Genova che scompare, nella Mostra iconografica che ne fu ideata a Palazzo Rosso è ricordata in « Cittadino » del 15 Gennaio 1928 da Flavio Bonanni. * * * Di F. Ei'ne^to Morando è lo scritto : « Lingua genovese e lingua toscana — A proposito di foresti e foestè » in « Corriere Mercantile » del 20-21 Gennaio 1928. * * ·.* Stronchiamo la leggenda d’ un Cristoforo Colombo catalano è il titolo d’ uno scritto di ,4. L. Lucattini in «Lavoro» del 21 Gennaio 1928. * * * Leonardo Koci&shmi scrive in « Secolo XIX » dello stesso giorno su La Polonia del cinquecento e i Genovesi. * * * Un attentato a Bonaparte a Carcare nel 1796 è ricordato da Ettove Zunino in « Giornale di Genova » del 21 Gennaio 1928. * * * Di Una statua ed uno scultore iscrive Paolo Marcello Raffo in «Cittadino» del 22 Gennaio 1928. Si tratta della statua di S. Agnese al Carmine opera di Nicola Traverso valente artista genovese, del quale il Raffo rievoca opiportunamente le opere dimenticate ed il nome negletto. * * * R. De Renzis scrive in « Lavoro » del 26 Gennaio 1928 sii II centenario dhl Teatro Carlo Felice e lb amorose passioni di Bellini e di Verdi. # * # A. Ferretto reca un contributo alla storia della beneficenza ligure con uno scritto intitolato Gli Ospizi di Carità nelle due Riviere in « Cittadino » 27 Gennaio 1928. 92 Spigolature e Notizie * * * A firma L' osservatore * Il Lavoro » del 31 Gennaio 1928 ha uno scritto illustrativo di Leonardo Spinola avventuriero genovese legato aLla famiglia dei Marino della quale a Milano divide le vicende ed imiti) le avventure. * * * Antonio Giusti scrive ne « L’111 astrazione Medica Italiana» del Gennaio 1928 intorno a Goffredo Mameli, facendo un’ ampia recensione dello studio di A. Codignola : ·< La Vita e gli Scritti di G. Maaneli ·> * * * G. Porr ini pubblica in «La Grande Genova» (fase. 31 gennaio 1928) uno studio sul « Carbonchio a Genova ». * * * Brevi note istoriche eu Voltri e eu Rivarolo, son comwparee nel fase, del 31 gennaio 1928 de «La Grande Genova». * * * Intorno a «Fazzoletti patriottici al nostro Museo del Risorgimento A. Codignola pubblica un breve articolo illustrativo in «La Grande Genova» (fase. 31 gennaio 1928. * * * Lio Rubini, nel fase, del 31 gennaio 1928 della «La Grande Genova» scrive intorno ad Un Governo comunale nel dominio della Serenissima. t * * * Mario Bonzi scrive un articolo su Pier Francpsco Sacchi nel quarto centenario della morte in «La Grande Genova» (Bollettino Municiipale), 31 gennaio 1928. * * * Filippo Noberasco parla in «Cittadino» del 2 febbraio 1928 di Ottaviano Vescovo Savona sui primordii del XII secolo. * * * Lo scritto Gli agrumi nella Riviera Orientale di A. Ferretto (in « Cittadino » 3 Febbraio 1928) interessa non soltanto la storia della botanica·, come modestamente dice F autore, ma anche tocca con referenze dettagliate e copiose la storia ligure. * * * Il clamoroso paradosso di Colombo catalano definitivamente distrutto da uno storico francese è il titolo d’uno scritto a finma Mario Parodi comjparso in «Il Lavoro» del 4 Febbraio 1928. * * * In uno scritto che ha per titolo : Alla ricerca del tempo perduto. Vie evoca· in. «Il Lavoro» del 5 Febbraio 1928 ricordi di Genova antica nei pressi della vecchia località di S. M. in Passione. * * * Col titolo: Milano, la razza ligure e un banchiere genovese si recensisce in « Caf-faro » del 6 Febbraio 1928 da G. Bia-dene «un recente libro del Guttierez dove è illra-strata la figura di Tomaso Marino Duca di Terranova. * * * Adalgisa Viazzi-Pesso recensisce in « Iil Cittadino» dell’8 Febbraio il volume di Orlando G-rosso - Sciroccate, interessante per la pittura di ambienti tipicamente liguri e per rilievi folkloristici genovesi. * * * A. Ferretto porta un contributo alla storia della Liguria preromana e romana con uno scritto apparso in « Cittadino » del 9 Febbraio 1928 dal titolo Castellari, Ca-STIGLIONI, ÇA STELI-UZZI, CASTELLI, BASTIE E TORRI. * * * « La Quarta Sponda », quotidiano della Tripolitani a, ha nel suo numero del 9 febbraio 1928 un ampio resoconto della partecnipazione di Genova alla 2» Fiera di Tripoli. Particolarmente v' è illustrato il Padiglione Genovese ideato da Orlando Grosso. Spigolature e Notizie 93 * * * Sotto il titolo La festa d’oggi a Campi Arturo Ferretto ricorda in «- Il Cittadino . dell’ 11 febbraio 1928 il viens romano di Campi, in Valpolcevera, e un pò della .sua storia civile ed eoedesiastica. * * # Amedeo Peecio illustra in «li! Mare» di Rapallo (11 fobfttraio 1928) La leggenda DELLA Μ AI MONA. * * * Le maschere Genovesi nelle loro caratteristiche rappresenta-ziomi oramai scomparse . per offrirgli la signoria di Genova. Lo scritto ha il titolo : La luna di Genova a Milano ed è aipparso nel « Secolo XIX » de^ 19 febbraio 1928. * * * Riparla del Beato Ottaviano Vescovo di Savona e del periodo storico del A. Sailucci. Libero 'Crifo', « Vittorio Emanuele e Mazzini dopo Villafranca », in « Messaggero », 'Roma, 6 marzo 1928. Ripete i noti racconti del Brofferio e del Müller sui supposti colloqui di Vittorio Emanuele il e G. Mazzini, non apportando alcun nuovo contributo. P. P., « Meditando sui libri e sulla vita », in « Regime fascista », Cie-mona, 7 marzo 1928. Breve recensione del voi. di R. Saiucci cit. Ultime pubblicazioni ; P. NURRA — A. CODIONOLA Catalogo della Mostra Ligure del Risorgimento (Genova, Settembre-Ottobre 1925) OENOVA Comitato Ligure Soc. Naz. per la Storia del Risorgimento Italiano Via Garibaldi, 18 (Edizione di lusso, di 500 esemplari numerati fuori commercio — L. 100 1927 P. B. Ο AN DOGLIA Iti Repubblica (Vita intima degli uomini di Noli studiata nell’Archivio del Comune — Pag. 1-696) FINALBORGO - Tip. V. Bolla & Figlio - 1927 GOFFREDO MAMELI “ La Vita e gli Scritti„ a cura di A. Codignola EDIZIONE DEL CENTENARIO 2 voli, con 30 tavole fuori testo « La Nuova Italia » Editrice - VENEZIA GIUSEPPE MAZZINI I doveri dell' uomo Nuova edizione con introduzione a cura di Ari uro Codignola VENEZIA - « La Nuova Italia » Editrice - 1927 Direttore responsabile : Ubaldo Formbntinj OlORNALF. STORICO E LETTERARIO DPI 1 A ΙΠΙ TD|A fondato da ACHILLE NERI LJ l\l A e UBALDO MAZZINI « » Pubblioazione trimestrale NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Forinentini ANNO IV. Fascicolo II 1^28 Aprile - Giugno SOMMARIO Umberto Giampaoli, Michele Ferrari, Discussioni intorno al problema delle origini di Sarzana - Pietro Nurra, Genova durante la rivoluzione francese. Un cospiratore: il patrizio Luca Gentile - Mario Battistini, Visitatori stranieri a Genova - Aroldo Chiama, Il Generale Mambrot a Genova nel 1800 — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Savona nella Storia e nell’Arte. Scritti offerti a Paolo Boselli (Vito Vitale) - Vittorio Pongi-glione, Il libro dei Podestà di Savona deiranno 1250 (Vito Vitale) -Atti della Società Ligure di Storia Patria voi. LVI° - Iscrizioni genovesi in Crimea ed in Costantinopoli (Vito Vitale) - Ersilio Michel, Esuli e cospiratori italiani in Corsica (Vito Vitale) - Ubaldo Formentini, Introduzione alla storia ed alP archeologia cristiana di Luni (Ferruccio Sassi) -Giorgio Falco, Appunti di diritto marittimo medioevale (Ferruccio Sassi) - Enrico Bensa, Francesco di Marco da Prato (Emilio Pandiani) -Emanuele Filiberto (Emilio Pandiani) — SPIGOLATURE E NOTIZIE -Appunti per una bibliografia mazziniana. Genova Stab. Tipog. G. B. Marsano Via Casaregis, 24 1928 Giornale storico e letterario della Liguria NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentini. COMITATO DI REDAZIONE: Giuseppe Pessagno, Pietro Nurra, Vito A. Vitale. L’annata 1928 esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Università di Genova, e del Municipio e della Società d’incoraggiamento della Spezia. DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Genova, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 18 CONDIZIONI D’ABBONAMENTO. Il Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali di circa 80 pagine ciascuno. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature, notizie e appunti per una bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per l’Italia Lire 30; per l’Estero Lire 60. Un fascicolo separato Lire 7.50. DISCUSSIONI INTORNO AL PROBLEMA DELLE ORIGINI DI SARZANA Il documento del Codice Pelavicino intitolato « sicut Sarzana -fuit posita et haediifìcata » non ha ancora finito di attirare l’attenzione degli studiosi, e i lettori di questa (Rivista ne hanno avuto un saggio nello studio di Michele Ferrari, isuUle origini di Sarzana, pubblicato nella scorsa annata /di questa 'Rivista, che tra gili altri pregi ha anche quello della novità della tesi. Per tre secoli gli eruditi si sono lambiccati il cervello chiedendosi dove sarà mai istato quel « iluogo di Asiano » ove i sarza-nesi ottennero nel 1170 dal Vescovo Pipino di Luni di « transmutare » il loro borgo; ed ecco che ora il F. di questa questione principale ne fa una secondaria, anzi trascurabile, perchè dice « ma questo non ha interesse per noi » e isulla fugace citazione di un itinerario basa una dimostrazione piena di erudizione ma che si smonta dinanzi al puro esame del documento. Mi sono creduto autorizzato a commentare lo scritto del F. essendomi anch’io occupato diffusamente dello stesso argomento in un articolo -che 1 A. mi ha fatto l’onore di citare più volte sforzandosi di combatterlo, pure accettandone ila conclusione che a me è sembrata essenziale, cioè 1 ubicazione di Asiano. Suppongo che il lettore abbia dinanzi a sé il doc. del 1170 che riprenderemo partitamente in esame. Esso costituisce una reciproca garanzia tra il vescovato lunense da una parte e i sarzanesi e gli abitanti di Asiano dall’altra, gli ultimi specialmente. Premessa 1 autorizzazione del vescovo ai consoli e uomini di Sarzana di « transmutare burgum supra ripam Macre in loco ubi dicitur Asianus » il Vescovo intende anzitutto garantirsi dei sarzanesi e pei ciò esige che egli e i suoi cattolici successori « omnes antiquas rationes et usus quam consuetudines quas ipse suique antecessores in pre-dicto burgo Sarzane habuerunt ita habeant ». Il predetto borgo di Sarzana che ho sottolineato è appunto quello da trasmutarsi e non può esservi dubbio peirchè anteriormente il doc. non allude ad altri. E’ chiaro, i sarzanesi che dalla trasm/utazione o trasferimento avrebbero ottenuto un ingrandimento, occupando un territorio acquistato dal Vescovo, dovevano dargli assicurazione che igli sarebbero riconosciuti gli stessi diritti che aveva sulla loro primitiva borgata. Più sotto si stabiliscono anche quali diritti avranno i sarzanesi in Asiano; « similiter quoque 102 'Umberto Giampaoli omnes usus et rationes et consuetudines quos solent habere burgenses in Sarzano ita habeant in Asiano ». A quali borghigiani si vuole qui alludere a quelli di Sarzana o di un’altra borgata? Ometto le altre pattuizioni in cui ripetutamente si accenna ai sar-zanesi, come quelle riguardanti gli uomini di Asiano in confronto col Vescovo e chiedo : v’ è in tutto il doc. così minuzioso nella specificazione dei singoli patti un qualche sottinteso o espressione che possa far pensare a persone diverse dai citati contraenti, che potessero avere interesse nelle pattuizioni convenute ? Eppure ΓΑ. ha trovato il modo di far dire al doc. ciò che conviene alla (sua dimostrazione poiché, còni egli scrive » nulla vieta di leggere che Pipino concesse ai consoli e agli uomini di Sarzana di « transmutare, in loco ubi dicitur Asianus, burgum supra ripam Maere »; con la quale trasposizione, invece di Asiano, è un borgo indefinito che viene collocato sulla ripa del Magra. Al iF. però era necessario interpretare in questo modo per poter sostenere che quel tal borgo da trasferirsi dai sarzanesi non era il loro, come era stato creduto finora, ma un presunto « Borgo Maria » ricordato per la prima volta in un itinerario del 1154. La novità della tesi è appunto questa. Trovato che tra Luni e S. 'Stefano si cita la stazione di (( Borgo Maria » ΓΑ. immagina che sia questo il borgo cui allude il doc. del 1170, é per rincalzare questa supposizione è costretto a capovolgere tutto il significato del doc. in quanto si riferisce ad Asiano, che per essere situato sulla ripa del Magra, era destinato a divenire un nuovo .scalo fluviale. Dal contesto del doc. si rileva infatti che il Magra èra navigabile fino ad Asiano, e perciò il vescovo vi si riservava gli stessi diritti che aveva nel porto di Amelia. Ciò è stato notato anche dal Volpe, (ILunigiana feudale pp. 82 e segg.) il quale ha compreso benissimo che furono i sarzanesi a spostarsi, attribuendo peraltro a cause inconsistenti ila loro determinazione. .Sorvolando su altre ovvie obbiezioni che scaturiscono dal contenuto Jel doc. stimo interessante far conoscere che cosa pensò in proposito Achille Neri -che ebbe la bontà di manifestarmi la sua opinione quando dirigendo col Mazzini questa stessa Rivista prese in esame il mio scritto. Genova, 21 Maggio 1915 Ho letto ripetutamente il suo scritto intorno a* Sarzana comunicatomi dall’amico Mazzini; e dico ripetutamente, perchè tante volte ho fra me stésso pensato all’importanza ofie poteva assumere l’istrumento del 1170 per rilevare almeno in via congetturale l’origine del nostro borgo, la sua topografìa, e gli ingrandimenti successivi richiesti evidentemente dalla notevole condizione che veniva acquistando quel primo nucleo di case, dopo che il vescovo, per necessità dovette abbandonare Luni e trattenersi, quasi nomade nelle varie curie o sedi, più lungamente nel castrum Serzane, fino a che non avvenne la traslazione definitiva Discussioni intorno al problema delle origini di Sarzana 103 auistionp6 J?10ceea"a· !Ma nan ho mai avuty agio di studiare a fondo la zioni toroasrafìT1 ^ ,documenti> ne'Ua toponomastica, nelle indica-!^' rP ’,e anChe Λ tradizione, i dati più attendibili per ?a?Dr0LL!nn T1 riSUltat° n0n lonteno dal vero> o itanto meno P abile. Il suo lavoro tende appunto a questo fine... . f °m ,mi consenta di comunicarle quaiLche notiziola che potrebbe essere utile. E’ vero che la denominazione: borgo di Sarzana si ha nel doc. del 1085, ma in atto 8 marzo 1070 ab incarn. (1071) c’è un testimonio : 'Odonis de Sarzana {Reg. Pelav. p. 313). Esisteva già il borgo’ 1" °0Γ. dl manso ™ Vezzano al Monastero di 6. Venerio 25 agosto 08 si legge Actum burgo Garzane (Arch. Torino Abb. S. Venerio) Ivi in altra perg. febbr. 1076 (1077): Actum monte de Sarzama. Riguardo ad Asiamo c e un’opinione messa innanzi da Agostino Bernucci e che potrà ve ere nelle miscellanee del Baluzio. Anche il B. crede che Asiano fosse un borgo, ed ella anzi lo dice comune; ma era veramente bongo o comune, o non piuttosto una località, pur ammesso che vi fossero case ? ne n vero pare che il contesto del doc. ci dica aippunto trattarsi di una loca ita cosi denominata; quel in loco - territorium ipsius loci -quo-tum terre sunt mi dà a credere si tratti di terreno, o come oggi si dice, area fabbricabile, e i provvedimenti per la costruzione di case sembra confortino questa mia opinione. Al proposito potrebbe forse dar lume la perg. dell’Arch. capitolare citata dal Podestà, che reca un istæu-mento del marzo 1129 rogato in Asiano. E’ ben vero ohe il doc. di Pipino ha espressioni le quali pare accennino a comune, specialmente là dove paria di consules Asiani qui modo sunt ecc.; ma a mio giudizio importa osservare ohe la convenzione apparisce stipulata in guisa da farci rite-• nere che 11 nuovo borgo dove i sarzanesi dovevano trasmutarsi dovesse mantenere il nome di Asiano, e perciò tutto quamto si pattuisce a proposito di Asiano si ha da intendere pattuito coi sarzanesi, appena l’atto avesse da questi la sua piena ed intera esecuzione. Ella interpreta il trasmutare dell’istrumento nel senso di addivenire all accrescimento del borgo, e identifica questa nuova costruzione con il borgo novo de Calcandula, donde la conseguenza logica che si tratti di quella parte di Sarzana spaziante a tramontana verso la piazza detta immemorabili platea calcandule. E la cosa assume carattere di venta se si ricordi che la nostra vecchia toponomastica ha sempre indicato la parte inferiore o meridionale della città, la quale mette capo a porta nuova (prima porta romea o romana) col vocabolo di borgo, e di qui la denominazione di nuovo all’ailtro costrutto verso la calcandola. Questa regione attingeva il suo nome dal torrente omonimo, che scorre anche oggi vicino alla città, ed allora doveva scorrere più da presso al borgo, del che abbiamo sicurezza, oltreché per ragioni geologiche dal- 1 esistere una località detta ghiana vecchia a ricordo dell’antico letto di queQ torrente. 104 •Umberto Giampaoli E qui cade in acconcio qualche osservazione a proposito del pun in cui sorse il nuovo borgo in Asiano supra npam Macre, i che ve be a significare ohe il fiume avrebbe dovuto trovarsi a contatto dén vo boro-o e poiché questo non era altro ohe una prosecuzione Z, eh’«che questo doveva sorgere nipajrtessa. Ma è poi vero che il Magra scorresse precisamente cosi da presso a Sa zana 9 ? rilievi geologici del Guidoni ai quali giustamente ella si riferisce ci fanno credere che in tempi remoti il corso del fiume colli di sinistra, e passava perciò vicino al borgo; ma è dubbio se al tempo cui si riferisce il doc. tenesse ancora questa via, anzi risultando ce to che il Magra si gettava in mare fra la chiesuola di S. Maurizio (detta della foce) e l'Amelia, e che questa borgata aveva il suo porto sul delta, è a credere si fosse già allontanato dall’antichissimo suo letto per raggiungere il mare con una igran ourva alle falde del monte iCaprione ;3>be tuttavia interpretare il supra ripam Macre nel senso> di una ripa abbandonata dal fiume, il quale spostandosi venne a foraci ripa nuova, che io ritengo possa essere quella di cui rimangono anch Qcrcr\ le traode alquanto al di sotto della attuale stazione ferroviaria, e che dopo gli ulteriori spostamenti del Magra si disse fino ai giorni n - Stri if.Si spiegherebbe così perchè risultino come firmatari dell’istru-mento soltanto i consoli di Asiano che sono poi quelli di Sarzana concessionari· mettendo in chiaro sempre più, se ce ne fosse di bisogno, che nessun altro all’ infuori dei sarzanesi ebbe interesse nella traslazione del borgo. Egli ritiene anche che il Magra in quell’epoca ex fosse disco-stato dal suo letto primitivo formando una Ripa nuova che doveva ^TSmLo; ma che il fiume non fosse molto neppure nel trecento lo dimostra il ricordo tratto dal De Rossi antico nus s-e deve pre-stansi fede ai documenti. (Resta da considerarsi la questione del « Borgo Maria >» sulla, c presunta esistenza è imperniato lo studio del F. Il Rjetti e lo Sf conoscitori se altri mai della storia lunigianese, considerando che ^ P mo oscuro accenno a quel borgo veniva çhiarito dal secondo del 1191 cui si qualifica S. Maria de Sardena (Sarzana) capirono che si era voluto alludere a Sarzana e tale lo ritennero. Far carico a questi storici insigni di non aver tenuto conto che soltanto nel 1201 la chiesa di . -silio di Sarzana assunse ufficialmente il titolo di Pieve di S. Maria, eredi: andolo dalla prima basilica cristiana di Luni, sarebbe recar ropp grave torto alla loro competenza che li portò logicamente a tale meditalo giudizio. Essi avranno pur pensato che un borgo, il quale da .tessa desi-nazione denota già un non trascurabile raggruppamento di abHanti e che rientrava nella giurisdizione del vescovato lunense, avre -be dovuto lasciare necessariamente una traccia sia pure fuggevo e in qualche documento locale; mentre tutto si restringe agli accenni dei due itinerari Troppo poco invero, nè possono dar credito all esistenza Discussioni intorno al problema delle origini di Sarzana 105 questo borgo le notizie che 1Ά. ci apprende sull’antica viabilità lunigia-nese, se constatiamo che per situarlo lungo il percorso di queste strade eg:i ha dovuto storcere il senso del documento. Vediamo adunque se è possibile portare un po’ di luce in questa faccenda. Che i due accenni « Borgo Maria » e « S. Maria de Sardena » si riferii&canp a una chiesa è incontestabile, ma essendo risaputo che prima del 1201 in .Sarzana V’erano soltanto le pievi di S. Basilio e », di cui è cenno nell’ atto di Pipino del 1170. Ciò devo infatti alla Postilla 107 Nota, da lui pubblicata nel numero odierno di questa Rivista, sul mio scritto « Intorno alle orìgini di Sarzana ». La quale Nota appunto e la lettera del Neri, in essa riprodotta, mi suggeriscono considerazioni e rilievi che giovano ad avvolorare, chiarire e sviluppare la tesi da me sostenuta, e che mi propongo di esporre qui brevemente, -non a scopo polemico o per altro fine che non sia la ricerca della verità, ma perchè mi è sembrato e mi sembra tuttavia, malgrado le obbiezioni in contrario sollevate dal Giampaoli, che la conclusione di quel mio scritto rappresenti veramente 1’ unica interpretazione logica e naturale del documento e che sia quindi la più convincente e probabile che ne è stata data fin qui. Ciò premesso, entro senz’ altro ,in argomento, e mi studierò di seguire ipasso /passo ^tenendo, per quanto possibile J’ordine da lui stesso prescelto, le ragioni del mio egregio contradittore, iil quale dà inizio al suo ragionamento con una punita di mal .celata ironia al mio indirizzo per quella die egli chiama « la novità della lesi », e passa poi subito a farmi .una osservazione o un rimprovero, che io non so proprio di aver meritato. Mi fa carico cioè, basando la sua asserzione su una mia frase presa isolatamente e staccata dal contesto del discorso, di avere io considerata come « secondaria, anzi trascurabile .. la questione, che è stata per tre secoli il tormento degli eruditi, della ubicazione di Asiano dove i Sarzanesi avevano ottenuto dal vescovo Pipino di trasferire il loro borgo. U che mi induce nella convinzione che il Giampaoli non abbia letto il mio scritto con sufficiente attenzione, perchè altrimenti mi avrebbe i ispaniiUlto ila sua ironia e si sarebbe dato ragione della frase da lui incriminata. Difatti, in quanto alla tesi, essa è nuova veramente, ma non è mia. Fu poeta la prima volta a ino’ di sillogismo, come ho dichiarato nel mio scritto, da iMons (Luigi Podestà, senza peraltro tentare di risolverla. Oli fu suggerita da una insanabile contradizione, che egli ebbe a rilevare, fra il concordato intervenuto nel 1170 da parte dei Sarzanesi col vescovo Pipino per il trasferimento del loro borgo, e il fatto, debitamente accertato, che questo ìion ebbe mai a mutare di luogo. Donde e^li trasse la conseguenza: «o che la progettata traslazione non ebbe effetto, o che altro è il significato del documento ». Si tratta di un vero e proprio dilemma, che può essere formulato nel modo seguente: «0 il borgo, cui accenna il documento, era Sarzana, e la pattuita traslazione non ebbe effetto: o questa avvenne realmente, e il borgo da trasferire non era quello di Sarzana ». Su questo dilemma era imperniato il mio scritto: e poiché ero pienamente convinto che il Giampaoli foese riuscito a provare Γ avvenuto trasferimento, e mi trovavo su questo punto pienamente d’accordo con lui, così a me non restava che sviluppare e risolvere la seconda parte 108 Michele Ferrari dei dilemma; ricercare, cioè, e stabilire, se possibile, quale altro borgo, all’ infuori del loro, era stato concesso ai (Sarzanesi di trasferire in Asiano. Questa per me era la questione principale : tutte le altre, compresa pure quella relativa alla posizione del luogo dove il borgo doveva essere trasferito, e che al Giampaoli era sembrata essenziale, avevano solo una importanza secondaria. Perciò la frase >« ma questo non ha interesse per noi », che ha scandalizzato il Giampaoli, non era affatto fuori di luogo, ma aveva anzi la sua ragione di essere. Tanto più che io su quel punto, ripeto, ero pienamente d’ accordo col Giampaoli e ne avevo accettato Γ opinione come riconosce e dichiara egli stesso. 'Essenziale doveva sembrare al Giampaoli che ne aveva fatto il pei-nio della propria dimostrazione, e isi lusingava per questa via idi essere sfuggito alle branche del dilemma formulato dal Podestà, mentre invece -queste Ίο (serravano e lo stringevano irrimediabilmente. 'Conosciamo già come proceda il suo ragionamento. Interpretato il « trasmutare burgum » del documento di Pipino nel sertso di addivenire all’ accrescimento del borgo, egli crede di poterne dedurre che « Sarzana, senza abbandonare la sua sede, avrebbe effettuato un vero trasferimento, trasportando il proprio nome al nuovo borgo creato nel territorio confinante ». (Ragionamento illogico e conclusione inaccettabile, cui egli perviene sforzando il senso del documento e mutando il significato delle parole. E’ un gioco di parole nel quale due cose disparate e inconfondibili fra loro, la traslazione o cambiamento di sede di un borgo e la sua espan-sione, o ingrandimento, si scambiano l’una con l’altra e fìniscon per diventare una medesima cosa. Questo ebbi già a rilevare nel mio scritto; ma il Giampaoli nulla risponde al riguardo. Adduce invece e pubblica a sostegno della sua tesi una lettera scrittagli (dal (Neri, colla quaJle 1923), pa-g. 84-85. Postilla 113 ventare un porto fluviale. I corni del dilemma rispuntano qui un’altra volta inesorabili; nè vale contro di essi invocare, come fa il Giampaoli, credendo di poterli ispezzare .e liberarsene, l’autorità del (De «Rosisi; poiché questi è certamente benemerito della nostra istoria regionale per averci conservato, nella sua « Collettanea », documenti e notizie, che sarebbero /andati altrimenti perduti; ma occorre tuttavia -adoperare molto discernimento e grande \cire ispezione prima di attingere ia quella fonte, ciò che il Giampaoli non ha fatto. Per liberarsi del dilemma fa d’uopo, come è già stato avvertito, leggere e intendere il documento in modo diverso da quello che è stato letto ed inteso fin qui. iLe parole « supra ripam Macre » vanno attribuite non già ad Asiano, ma bensì al borgo da trasferire in Asiano. Qui il vescovo, quando il borgo fosse stato edificato, ossia quando l’accordo avesse avuto piena ed intera esecuzione, riservava per sè e pe1 suoi successori tutte le giustizie, gli usi, le consuetudini, le ragioni, che egli e i suoi predecessori erano soliti avere nel porto di Ameglia. Riserva, s’intende, puramente formale, eccetto che per il legname che la piena del fiume, come accade anche al presente, avrebbe trasportato e abbandonato nel territorio di Asiano (1). Ma essa 'ha tuttavia essenziale (importanza per la nostra ricerca, inquantochè Tesservi richiamati i diritti del vescovo nel porto di Ameglia, induce a ritenere, per logica conseguenza, che il « burgum supra ripam Macre » del documento di Pipino doveva trovarsi appunto « in portu Amelie », giacché altrimenti sarebbe qui addirittura incomiprensibile e fuori di luogo una tale riserva. Donde la legittima «supposizione che esso si trovasse sulla via Emilia, la quale, a occidente di Luni, rasentava proprio quel porto, situato, come apprendiamo dalla lettera del Neri, sul delta del fiume, là dove la Magra si scaricava allora nel mare « fra la chiesuola di S. Maurizio (detta della foce) e ΓAmeglia ». (Resta così stabilita l’ubicazione del borgo « supra ripam Macre » senza punto « storcere il senso del documento », come opina il Giampaoli, che ne prende argomento per negare perfino resistenza stessa del borgo, « Un borgo — scrive egli, e attribuisce 1’ osservazione nientemeno che al ORepetti e allo Sforza — il quale dalla stessa designazione denota già un non trascurabile raggruppamento di abitanti, e che rientrava nella giurisdizione del vescovato lunense, avrebbe dovuto lasciare necessariamente una traccia, sia pure fuggevole, in qualche documento locale; (1) Negli -Statuti /di Sarzana del 1269 sono -contenute disposizioni circa il legname trasportato « vi vel iplena fìuminis, ivel Carcandule, vel alio modo » e abbandonato in terreni altrui. [Le (dispositioni (però, si avverte, riguardavano e trattavano «de li-gnamine non .dotato vel acto ad aliquod opus, nam hoc pertinet ad dominum Episcopum, ut dictum est». Tedi: «Gto Statuti di Sarzana dell'anno MCCLXIX Editi dall’ arcidiacono L. Podestà » pag. 65. Estratto idai Monumenti di Storia Patria Mo-dneesi, tomo IV, Fase, li, (Modena 1893). 114 Michele Ferrari mentre invece tutto si restringe agli accenni di due itinerari. Troppo poco invero, nè possono dar credito all1 esistenza di questo borgo le notizie che V A. ci apprende sull9 antica viabilità lunigianese, se constatiamo che per situarlo lungo il percorso di questa strada egli ha dovuto torcere il senso del documento ». •E’ la medesima accusa già ,fatta per il (borgo di Asiano; ma anche questa, come Γ altra, non ha ombra di fondamento, nè 'merita, affatto di essere rilevata. Veniamo piuttosto all’ affermazione che eg.li fa, cioè, che non si trova di quel borgo alcuna « traccia, sia pure fuggevole, in qualche documento locale » -all’ infuori degli accenni contenuti nei due itinerari. Ora, ise anche la cosa fosse proprio così com’egli afferma, saremmo forse per questo autorizzati a negarne 1’ esistenza ? A me pare di no ; chè anzi è più che naturale, trattandosi di un borgo situato su un tronco di strada secondario e frequentato quasi esclusivamente da pellegrini, che passavano da Luni attrattivi dalla fama di una venerata reliquia, ì ampolla col Sangue di iCristo, è naturai! e, 'dico, (che quel borgo venisse ricordato di preferenza nel loro itinerario. IMa la cosa non è «affatto così coni egli afferma, chè, data 1’ ubicazione del borgo « supra ripam Macre in portu Amelie », non è punto da escludere ed è invece molto probabile che esso avesse fatto parte una volta dei sobborghi di iLuni, ricordati nel diploma imperiale del 1186, col quale (Federico I -confermava al vescovo 'Pietro « civitatem (Lunensem cum fossatis et suburbiis et suburbanis suis », colla ripa del fiume etc. Che ne sa il Giampaoli di quei sobborghi ? Anche di questi forse egli nega 1’ esistenza ? — Certo però non la negavano il !Ner.i e lo Sforza, coi quali ho avuto occasione di trattarne qualche volta. In quanto poi alla identificazione idi quello col « Burgus Marie » o « di S. Maria », ricodato nell’ itinerario islandico del 1154 e in altri due itinerari del tempo (quello inglese dei Crociati e 1’ altro di /Filippo Augusto del 1191) come una stazione stradale esistente sulla via iEmilia, nel tratto compreso fra (S. (Stefano e (Luni, -mi è sembrata e mi sembra tuttavia la più probabile e meno lontana dal vero, data appunto rubicazione del borgo e il suo nome di iS. (Maria, che era quello stesso della cattedrale di Luni. •Se tale non sembra al Giampaoli, non so proprio che farci. E' certo però ohe .quanto egli adduce in contrario è così poco solido e convincente che non meriterebbe -la pena idi fermarci a confuta rio. (Di fatto, se (ad construendam cat-tedralem), concedeva al capitolo, in cambio della chiesa di S. Pietro di Avenza, « plebem Sancti Basili et plebem Sancti Andrée sitas in burgo Sarzane » (4). La prima volta che si trova la chiesa di iSarzana indicata col nome di S. «Maria è in una bolla del 7 marzo 1202, colla quale Innocenzo III confermava 1’ anzidetta convenzione e permuta intervenute fra il vescovo e il capitolo (conventionem et permutationem tam in ecclesiis quam aliis.... auctoritate apostolica confirmamus » (5). Donde risulta pienamente provato che nel tempo a cui risale P itinerario islandico, vale a dire al 1154, la chiesa di S. Maria ancora non esisteva a Sarzana, e che perciò la congettura, in base alla quale il /Repetti e lo Sforza hanno creduto di poter identificare il iBorgo di S. Maria con Sarzana venendo >a mancare di fondamento, è dimostrata del tutto inattendibile e falsa. A questo punto si può finalmente concludere e ritenere, se non con assoluta certezza, almeno con la maggiore probabilità, che nella concessione di Pipino, cui accenna il documento del 1170, il borgo da « transmutare in loco ubi dicitur Asianus » non era punto Sarzana, ma era invece : 1° - Un borgo « supra ripam Macre » i cui abitanti dovevano essere trasferiti in Asiano, ossia in un terreno contiguo a Sarzana di proprietà del vescovo e della chiesa. il) Estratto dal « Giornale tStorico della Luniçiana » IV 1912-15, pag. n. 2 (La Spezia 1913). (2‘, Il « Regesto 'del iCodice Pelavicino «* negli Atti della Soc. Ligrure
  • e di (dazi sul (litorale di ILuni e ilungo la Magra: facoltà e garanzia per 1’ usufrutto dei boschi circonvicini: un mercato settimanale (mercatum solemne), da tenersi in giorno di sabbato nel luogo scelto ad arhitrio dei consoli, e il relativo hanno, cioè la polizia ded mercato e il diritto di giudicare i reati commessi nel mercato o pel mercato, il che (1) O. Volpe, op. ci/t. pag. 79. 120 Michele Ferrari equivaleva a sostituire al vescovo i consoli di iSarzana nel godimento dei redditi relativi al mercato e nell’ esercizio dell hanno. Tanti e cosi fatti diritti e privilegi, che mettevano, sotto questo rispetto, gli uomini di Sarzana quasi adda pari cogli abitanti delle maggiori città vicine, erano stati loro accordati la prima volta, in occasione di un parlamento di consoli delle città toscane tenuto appunto a Sarzana nel 1163, dadi’ arcivescovo (Rinaldo dd Colonia, vicario imperiale, il quatte — iscrive dd Vodpe — « non seppe o non volle resistere alle sollecitazioni di questi Sarzanesi insofferenti di dominio, che negli anni precedenti si erano già mostrati ben disposti all’ Impero e che poi nel 200 addurranno il diploma del 1163 fra i titoli giuridici della loro libertà (1) ». (Ma (è mai supponibile allora che i patti da essi concordati nel 1170 coì vescovo Pipino si riferissero al (loro borgo, come crede il Giampaoli ? E’ possibile mai che d .Sarzanesi rinunzia ss ero spontaneamente a tutti quei (diritti e si rimettessero volontariamente in vassallaggio del vescovo dopo aver gustato de dolcezze del vivere libero ? Che volessero, come scrive il Volpe « sottomettersi spontaneamente ad un reggitore spontaneamente eletto e ad una legge contrattualmente fissata, dimentichi anche della loro diretta dipendenza dalV impero stabilita dal diploma del 1163 (2) ». Se ciò poteva accadere, ed accadde realmente, circa trent anni dopo, quando la forza fé il prestigio dell’ impero erano stati definitivamente fiaccati a Legnano, e Γ indirizzo della politica imperiale era ormai completamente mutato, e ad diploma del 1163 reso nullo da quelli concessi nel 1183 Scriba, Genova, tip. Istituto Sordo Muti, 1882, pagg. 127-128). (3) Il Bonomi venne arrestato il 12 Juglio 1794. (Archivio di Stato di Genova : Collegi Diversorum, an. 1794, filza 386 : Lettera degli Inquisitori in data 18 luglio 1794). Ofr.: P. Nurra : Op. cit., pag. 56. L. T. Belgrano : Op. cit., pag. 156. (4) Archivio di Stato di Genova : Collegi diversorum, anno 1794, filza 384 : Rapporto del Magistrato degli Inquisitori, del 27 gennaio. 5) E. Biblioteca Universitaria di Genova; Collezione Manoscritti: Appunti Storici e Documenti: Esame di don Michele Giustiniano, vol. XI, pagg. 56-37. Esame di Tomaso Lagomarsino, vol. XI, pagg. 37-39. Esame di Giovanni Casareto, vol. XII, cc. 26-27. Genova durante la Rivoluzione Francese 125 si era fatto notare come uno dei più assidui frequentatori della farmacia Morando (1), la quale tfìn dall’ arrivo dell’ Ambasciatore francese Semonville, nel 1791, era diventata un centro di propaganda rivoluzionaria, alimentato specialmente da medici e chirurghi che avevano studiato all’ Università di Pavia (2). ■Quasi ciò non bastasse i'1 patrizio iLuca Gentile aveva impegnato da tempo un aspro e pericoloso duello contro Archivio di Stato di Genova : Secretorum, filza 98, biglietto di calice del 17 maggio 1791. (3) La lettera del Gentile, lunga e appassionata difesa del Bisso, trovasi nel volume ΧΙΠ, cc. 51-53 della Collezione Mss. citata. (4‘, Questa altra lettera di Luca Gentile, in data 26 gennaio 1794, trovasi nel volume XII della Collez. Mss. citata cc. 109-112. (5) Cfr. : P. Nurra: Op. citata, pag. 7 . 126 Pietro Nurra stratura degli Inquisitori la « forestazione di casa » per quindici giorni '(!). Il bollente patrizio era andato su tutte «le furie. « Dicesi che « il motivo del mio arresto, così egli scriveva ad un suo amico, sia « Γ essere io accorso assieme all’ immensa folla Γ altrieri al Ponte Spiti noia, Γ aver amalgamate le mie grida a quelle di 14 o 15 mila Ge-« novesi, che andavano a gara per esternare a’ nemici di Genova il (( loro giusto furore. Può forse ascriversi a delitto a me, o per meglio « dire al Popolo Genovese ? Saria forse presso alcuni una colpa con-« siderare gli Inglesi come nemici ? Ma dunque, o i colpi di cannone « la mattina del 22 non erano analoghi alle intelligenze del Governo o « le grida del Popolo la sera (non) furono altrettanti applausi alle miti sure del Governo ? (2). Perchè dunque il Governo punisce negli in-« dividui ciò che il popolo ha fatto in massa ? Perchè condanna alla « sera ciò che egli ha provocato la mattina ? perchè finalmente nella « nota data al Console gli promette da una parte riparazione degl in-tt suiti fatti alla ‘Nazione Inglese, e dall’ altra li giustifica, dicendo che « se gl’ Inglesi fossero bloccati il Popolo Inglese farebbe peggio ? (3). a Comprendo, anzi ben so, che 1’ aver io pubblicamente sostenuto « gV interessi, e rapporti che legano Genova alla Repubblica Francese, « Γ aver concorso alla sottoscrizione per 1’ equipaggio -Francese al Laz-tt zaretto (4), Γ aver ©echeggialo alile acclamazioni fatte dal popolo ai (t 46 apostoli della neutralità (5), ira’ quali d’ armi e di denaro gli abitanti dei paesi e dei villaggi dei territorio presso Genova, e quelle popolazioni che circa mezzo secolo addietro avevano cooperato nel combattere e scacciare al di là dei confini dp]-1’ antica repubblica gli Austriaci, ora in molti luoghi avevano fatto cau-sa comune -con costoro. Una corrente ostile ai Francesi e al nuovo ordinamento democratico avvenuto nel 1797 s’ era subito manifestata in Liguria, e la sottomissione dei così detti Feudi imperiali non era stata forse così sincera ed unanime come si era creduto da principio (1). Infatti Je cronache di quei tempi parlano di rivolte nella vallata del Bisagno, di occupazioni di palazzi 'nobiliari in Albaro, e della necessaria repressione di questi moti. Notevole anche l’insurrezione di gente armata dalla parte della Polce-vera, e 1 occupazione dei forti Sperone e Tenaglie, la cui riconquista richiedette un assalto in tutta regola che fu diretto dal Generale Du-phot e dal colonnello Seras, e che tfìnì con la resa dei Polceveraschi, e con morti e feriti d’ambe ile parti (2). Ma una delle località del territorio ligure in cui la resistenza ai Francesi fu .più -aspra e continuata fu la vallata del fiume Entella, la Fontanabuona, che ha per suo centro Cicagna; in essa si svolsero non pochi combatt imi enti accaniti e sanguinosi. Colui che impersonò ila rivolta delle campagne contro i Francesi fu un disertore deLl’esercito nazionale ligure, il generale Assereto (3) di famiglila genovese, che tutti gli storici dipingono come un uomo intrigante, veiboso, smanioso di gradi e di onori, e di mediocre capacità. Già tempo addietro egli era riuscito con raggiri, vantando meriti acquistati in precedenza, ad ottenere dal generale Moreau il titolo di generale di brigata, ma poi essendo stato, a giusta ragione, convinto di connivenza col nemico, fu arrestato insieme col suo aiutante ad Ovada. Riuscì a fuggire e passò al campo nemico, accolto favorevolmente dagli Austriaci, cui egli offrì l’opera propria e coadiuvò assai. Egli si era in- (1) Le popolazioni le quali aderirono all’unione furono quelle di Ottone, Garbatila, S. Stefano, Torridiia, Carrega, Rocchetta, Gabella, Mongiardino, Croce, Isola. Ronco! Roccaforte, Arcuata. Venne abolito il nome di Feudi imperiali e sostituito quello di Monti liguri. A. Olavabino, Annali della Repubblica ligure, Vol. I, pag. 114. (2) Anche nella stessa Genova erano gli avversari; il 27 Dicembre 1799 furono fucilate sette persone colpevoli di cospirazione contro il governo democratico ligure. Il generale Marbot cercò di opporsi a questa, condanna, ma inutilmente. A. Clavabino, op. cit., vol. I, pag. 53. Gachot, op. cit., pag. 142. (3) *< Louie Dominique Assereto, d’une ancienne famille ligurienne originaire de Rapallo, eet né le 9 avril 1759 à Gênes. Il va demander du service en France après les événements de 1797, se fait a-ssi*ter de deux témoins venus affirmer qu’il avait, quoique marquis, pris part aux événements de la Révolution. Il s’attribuait le grade de général de brigade. Après avoir servi les Autrichiens, il pouvait obtenir, quand régnait Louis Philippe, le titre de citoyen français. Il est mort à Savone ». Gachot, op. cit., pag. 45, n. 3. 142 Aroldo Chiama caricato dì sollevare le popolazioni -delle campagne, specialmente nelle valli delia iScrivia e della Poloevera, e a questo fine s’ adoperò molto, senza però riuscire come avrebbe voluto, nonostante i suoi manifesti e i suoi appelli alla rivolta (1). ,Se, però, nelle altre vallate e località di campagna la sollevazione non fu così viva, nella Fontanabuona, ripetiamo, non astante le repressioni, lo spirito dii ribellione perdurò, e per tutta la durata ded blocco. Gli Austriaci ebbero negli abitanti di essa validi «cooperatori alle operazioni di assedio: in un assalto ai Forti di Monte iRatti e di Que zzi, assalto in cui, però, essi furono respinti lasciando 400 prigionieri, i Francesi s* impadronirono di oltre 800 scale di legno fabbricate nella Fontanabuona, che dovevano servire ai nemici per salire sulle mirra di Genova. Certo quelle popolazioni, dedite ad lavori tranquilli della campagna, ben poco avrebbero potuto fare se non fossero state appoggiate dal partito che osteggiava i Francesi nelle città liguri, da non pochi nobili genovesi che avevano nei borghi e nei villaggi presso Genova i loro possedimenti, dal clero nemico alle idee innovatrici che erano venute di Francia insieme con -le armi napoleoniche, ed infine, ripetiamo, dal denaro e dalle armi fornite dagli Austriaci. E gli abitanti della media Fontanabuona, è forza pur dirlo, si dimostrarono maggiormente favorevoli ad aiutare costoro all’espugnazione di Genova nella brama viva di saccheggio e di rapina. Ciò apparve in tutto il periodo dell’ assedio in modo molto chiaro, e a Genova tanto si sapeva, che quando il generale Massena dovette, sebbene riluttante, cedere la città per la fame, la mancanza di difensori e l’epidemia ohe infieriva, fra le norme che stabilivano non da resa (giacché egli di resa non volle sentir parlare), ma V uscita dell9 ala destra dell esercito francese da Genova, T articolo 10 diceva: Neussun paesano armato potrà entrare individualmente nè in corpo in Genova. Ad onta di ciò il 4 Giugno 1800, cessato il blocco attorno alla città da .parte degli Austriaci per terra e degli Inglesi per mare, e partiti che furono il generale Massena e le truppe francesi, i seguaci dell’ Assereto venuti dalie campagne al seguito delle truppe (1) Egli era in rapporti con banditi e malfattori della peggiore specie, ad esempio U tristamente famoso Giuseppe Musso, detto il Diavolo, colpevole di molti delitti. Rientrati i Francesi neUa capitale ligure dopo la 'battaglia di Marengo, il Museo riuscì a fi^gire e giunse a Trieste sopra una nave inglese, ma fu arrestato ad istanza del Console di Genova. Ricondotto in queeta città, fu -processato e fucilato Γ 11 novembre 1811. «Confessò di essersi bandito per essersi unito ai nemici della sua patria nell'ultima guerra e di avere per vari anni, munito di patente di capitano dell'infame ex-generaJe Acereto, combattuto i Francesi ed i suoi compatrioti, facilitando l'avanzamento dei nemici, tentando di sedurre aUa fuga la truppa francese, e scortando Rii ufficiali di Assereto e prendere il piano delie fortezze di Genova. La sua vita in seguito non fu che un tessuto di grassazioni, rapine, omicidi a sang-ue freddo di arsone inermi ». A. Clavarino, op. cit., Vol. 4<>, a. 1801. Il Generale Marbot a Genova nel 1800 Austriache d’occupazione, -appena furono dentro alle mura si diedero a saccheggiare qua e là e a far (bottino, e maggiori rapine avrebbero commesso se il generale Hohenzollern, incaricato .del governo della città, dal f&ld-inaresciallo Ott, non si fosse loro opposto con moka energia. Verso la fine del 1799, dopo il Moreau, aveva assunto temporaneamente il comando supremo dell’ala destra dell’esercito francese (quella appunto ohe proteggeva il territorio ligure) il generale (Marbot (1), che era stato poco prima governatore di Parigi, e che a quel tempo si trovava a Savona al comando di una divisione. Egli si recò tosto a Genova, e prese alloggio nel palazzo Centurione, sito sulla piazza della Zecca Cominciò intanto l’anno 1800; l’inverno era tutt’ altro che mite; pero, nonostante la miseria, la vicinanza dell’ esercito nemico e la scarsità dei viveri, il carnevale fu animalissimo (2). spunto durante il comando provvisorio del Marbot che i torbidi della Fontanabuona scoppiarono più forti. I pochi soldati che vi erano di presidio mal potevano reggere ad una guerriglia d’imboscate, con gente esperta dei luoghi e che non rifuggiva da crudeltà. E’ giusto però ne che non tutta la vallata dell’Entella aveva fatto causa comune coi ribelli; come sappiamo dalla Gazzetta nazionale dell’ 8 Febbraio, le parrocchie di iMoconesi, Comia, Gattorna, (Neirone, Roccatagliata, Ognio, iLumarzo, Valle, Tasso, Vallebona, iBoasi e Panesi (quasi tutta 1’ alta Fontanabuona) -si dimostrarono sempre tranquille, se si eccettuano pochi fuorusciti unitisi ai ribelli di altre località. E ciò è tanto vero che una sentenza della Commissione militare (Gazzetta nazionale del 25 Gennaio), manda assolti il cittadino Fr. M. CassinelU d' anni 68, arci-prete in Neirone e il suo cappellano Prete Dom. Bollo, accusati della pubblicazione di un proclama, tendente ad eccitare il popolo alla rivolta, avendo provato che erano stati forzati da altre persone alla lettura di tale proclama (3). Fin dal principio dell’insurrezione in Fontanabuona, il governo aveva mandato colà un corpo di granatieri liguri per sedarla, ma con esito (1) Giovanni Antonio Marbot. nacque a La Rivière il 7 dicembre 1754 morì a Genova il 12 Apri le 1800. Militò sotto Luigi XVI nelle Guardie del Corpo, fu deputato di Corrèzo all "Assemblea legislativa (1791), generale di divisione nei Pirenei Occidental' (1794-95), governatore per qualche tempo di Parigi (1799). quindi generale nell'esercito d'Italia (1799-1800). (2) Nella Gazzetta nazionale della Liguria, N. 32 (25 Gennaio 1800), nel capitolo Varietà, ei aocenna al numero veramente grande delle feste da ballo, al piacere che in esso provano i Liguri, cosa da far meraviglia pensando « che il nemico è sul territorio che la guerra è alle frontiere, al di là dei monti e eu tutti i mari, e chi crederebbe che le armate austro-russe e anglo-saraceni che mìna-coiano la Francia e la Liguria. la libertà e la Repubblica, e quel che è più forte, i balli e i ballerini / //». (S; Quattro giorni dopo, invece, a Genova il sac. Girolamo Bollo, canonico di San Lorenzo, reo di corrispondenza col nenmioo e di eccitamento alla rivolta, veniva condannato iin contumacia alla fucilazione e alla confisca dei beni, col premio di lire mi-ilo a chi lo arrestasse. 144 Aroldo iChiama poco buono. /Si sonava a martello nelle «diverse (parrocchie, a Tribogna, a Serra, a Cic-agim, a Soglio, a Canevaie, a IMserega, a Coreglia. Anche Pian-di-preti ebbe qualche parte nella rivolta. La popolazione di Cicagna (dice ila Gazzetta nazionale dell’ 8 (Febbraio) ha manifestato la sua labbia contro i francesi nelle maniere più atroci. Alcune donne sono includente contro i feriti, e perfino contro gli stessi morti. .Capo degli insorti dell’alta Fontanabuona era un tale, soprannominato iCabano, d’Albaro, condannato già all'esilio; con lui era Benedetto di Leva, anch’egli, per quanto dicevasi, condannato alla forca come ladro, e Giuseppe Olcese, detto il Bocco, aneli’ egli, per quanto dicevasi, condannato alla forca. Costoro, dalla parrocchia di Piandipreti, ove avevano il loro rifugio, intimidivano le popolazioni dei villaggi, iequi sivano armi e viveri, e vietavano alle persone pietose di pi estai soccorso ai francesi feriti negli scontri, sotto minaccia di bruciare loro le case. Nella bassa Fontanabuona principale eccitatore era un certo Emanue e iLeverone di Pietra (1). I ribelli combattevano in piccole bande da 10 a uomini, e si radunavano al segnale del rintocco a martello, che a quan do a quando si sentiva echeggiare sinistramente lungo l’ampia vai a a. Un combattimento fra Fontanini, cui s’erano aggiunte, pare, alcune centinaia di Austriaci (2), contro un piccolo corpo di Francesi ebbe luogo negli ultimi di Gennaio a iMont’ Allegro; sopraffatti dal numero, ι secondi dovettero ritirarsi a Rapallo, e quindi a (Ruta; gli insorti pene trarono in Rapallo, fecero alcuni prigionieri e diedero il sacco a parecchie case. Poco dopo giunsero circa duecento Austriaci, i quali impe ì-rono che i Fontanini si abbandonassero ad altri eccessi. Il 2 Febbraio, però i Francesi ritornarono alla riscossa; avvenne un altro comba ì-mento a Mont' Allegro, e, malgrado una viva resistenza, i ribelli furono 0 J J Il giorno 6 Febbraio il generale Marbot emanava un proclama m lingua italiana e francese agli abitanti della Fontanabuona, proclama che venne senza dubbio diffuso per tutti i paesi della vallata. Esso tu pubblicato dalla Gazzetta nazionale nel solo testo itaJia.no, con qua cne leggera variante, e in piccola parte fu riferito da qualche storico. Ne esiste un esemplare nei due testi francese e itaLiano nell'Archivio municipale di Neirone. Ne diamo qui id testo francese: •PROCLAMATION DU GÉNÉRAL MAiRBOT Commandant 1’ aile droite de 1’ armée d’Italie Aux habitants de la vallée de F'ontanabuona Une partie des habitants de la vallée de Fontanabuona ont pris les a) Di Barbagelata, dice il Maseena nelle eue Mémoires. 2) Anche un certo «barone D'Aapre, fatto poi prigioniero dai Francesi in un com-"r.atti mento avvenuto il 7 Aprile, fomentava nel campo nemico queeta rivolta. A. Thiers, Hietoire du Consulat et de V Empire, I, 1IJ. Il Generale Marbot a » (1). L’ufficiale degradato e disonorato pubblicamente fu condotto a -Genova, i&i minacciava per lui un Consiglio di guerra; ma verso la fine del blocco l’Aiutante generale Thiébault riuscì pranzo il cadavere ohe è stato sepolto eu i rampari della Oittà tra le porte della pila e le porte romane,,. Precisamente dunque eu quella -parte delle mura, le fronti basse, ohe -venne spianata ni 1891, non -propriamente du côté de la mer, come scrisse Marbot figlio. Altri ufficiali francesi vennero ivi sepolti, come apprendiamo dalla stessa Galletta nazionale del 6 Giugno 1801 : « Fra la Porta -Pila e -la Romana, luogo ove si seppelliscono i militari francesi, il Generale Darnand ha fatto inalzare a eue spese, e sotto la. direzione dello scultore Orsolini, un mausoleo in memoria del suo aiutante Dutrey, morto iper le ferite -ricevute l’anno «corso in un -fatto d’armi a Monte Cornea ». Ed ora una domanda: Quando furono rimosse da quel luogo tali tombe? Il giovane Marbot, dopo la resa di Genova, si recò presso Napoleone, vincitore a Marengo; ritorno quindi a Genova, e visitò ancora la tomba del padre; poscia fece ritorno a Nizza, sopra una nave francese. Nelle sue Mémoires egli non accenna affatto che la salma di suo padre sia stata in seguito rimossa e da Genova trasportata in Francia. Se il fatto avvenne, non si spiega che egli, così minuzioso -narratore degli av-venunenti, non vi abbia mai accennato. (1) Gachot, op. cit., pag. 80. 148 Aroldo Chiama a stornare da lui la terribile punizione che pareva sovrastargli, e a fardo reintegrare nel suo grado. Un anno e mezzo dopo, il Saqueleu, trovandosi col corpo d’ esercito francese a San Domingo, vi morì di febbre gialla. * * * L’insurrezione della vallata di Fontanabuona e delle altre regioni vicine, favorita dai luoghi e dail disagio sempre crescente dell esercito francese, stretto in Genova per mare e per terra, malgrado ogni intimazione perdurò ancora, e ripetutamente i rivoltosi di questa ed altre vallate combatterono nelle file degli Austriaca, contro la città, in cui gli orrori dell’assedio erano spaventosi. Ben poco valsero successivi proclami e repressioni da parte del generarle Massena; si può dire che le ostilità nelle campagne non cessarono che con la definitiva cacciata degli Austriaci, dopo che la vittoria di Marengo ebbe in modo sicuro affermato il predominio francese nell’alta Italia. Aroldo Chiama RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Savona nella storia e nell'arte - Scritti offerti a Paolo Bosetti - Genova Tipografa Artigianelli, 1028, pp. VII-372. Nell’adunanza annuale della .R. Deputazione di Storia Patria in Torino, in occasione del novantesimo compleanno dell’illustre e venerando Presidente, -gli fu offerto a iniziativa della Sezione ligure un magnifico volume contenente scritti storici relativi alla sua città natale: dono veramente indovinalo e gradito all’ insigne vegliardo che tanta parte della (multiforme attività ha dato a coltivare e favorire gli, studi della storia. Si tratta in realtà di una silloge degna dell’ uomo che si voleva onorare, di un volume vario e nutrito nel quale valorosi cultori di studi storici hanno recato il frutto della loro indagine e del loro sapere, ravvivandolo quasi alla fiamma della comune devozione. E l’aggirarsi di questi lavori intorno a un argomento geograficamente limitato conferisce loro quella unità sostanziale che suole mancare alle raccolte di questo genere, mentre il frequente allargarsi a vicende e rapporti con altri luoghi e 1 essere opera (per lo più di studiosi avvezzi ad ampi orizzonti e a trattare più vaste materie non fa cadere nel carattere gretto e minuto delle storie esclusivamente municipali. Nella sostanziale unità dell’argomento centrale vi è posto per la storia antica e la recente, per la storia politica e la religiosa, per l’arte e il diritto e il costume in modo da formare entro l’unica cornice un quadro vario di atteggiamenti e di colori. Tema fondamentale della storia savonese è il conflitto d’interessi e la lotta di rivalità dell industre e operosa cittadina col maggior emporio ligure sul mare. Questa rivalità, nota nel magistrale articolo che apre la raccolta lettore Pais, non ha origine nel medioevo quando ha lasciato maggiori tracce e più .cospicui ricordi ma risale assai più indietro, nell’età romana; appare evidente nelle lotte tra (Roma e Cartagine, nei rapporti con Marsiglia. (Ma se i Liguri sono in genere favorevoli a Cartagine, anche perchè i Marsigliesi si appoggiano a Roma, ragioni di carattere commerciale e di espansione verso l’interno mettono di fronte i due centri maggiori della regione. Accostando con mano maestra i pochi elementi isolati e staccati e le scarse, frammentarie notizie forniteci dagli antichi, 1’ illustre storico di Roma mostra come esse acquistino un più ampio significato ricollegate con la storia generale, specialmente dei secoli IV e III, e servano a far rintracciare le origini della rivalità tra gli abitanti delle valli del Tamaro della Bormida della Scrivia determinate non solo dalla volontà degli uomini ma dal rilievo geogra/ffco, quelle ri- 150 Rassegna Bibliografica valità che parvero sparire, ricongiungendosi nel sacro nome di Roma, durante iil -lungo e sicuro dominio romano. (Ricomparvero però nel frazionamento medievale; e poiché costituiscono veramente la trama della storia «savonese per secoli, è naturale che abbiano offerto ampia materia e ricompaiano in modo diverso in parecchi di questi scritti. (L’ideatore e direttore della raccolta, il prof. Enrico Bensa, ne dà anzi un quadro generale schematico ma compiuto in Savona nella storia economica dell'età di mezzo. Quei contrasti traggono origine principalmente da competizioni commerciali e da restrizioni di navigazione imposte dal più potente al minor Comune; perciò la storia economica di Savona è in gran parte costituita e delineata da quelle contese, tra il patto del 1153, che le concede una specie di navigazione di cabotaggio tra la Sardegna da un Iato e Barcellona dall’altro, al 1528 quando ogni autonomia scompare. Anche nelle strettoie dei patti subiti Savona stringe accordi a protezione del suo commercio coi feudatari alle spalle : sono notevoli a questo proposito le acute osservazioni sulla diversa condizione di Genova e di Savona rispetto ai signori feudali. iLa lotta a favore dell’impero nell’età di Federico II illumina Savona di un passeggero splendore: tutto il secolo XIII è tra le due città un alternarsi di ostilità e di alleanze, complicato dal costante rifugio che in Savona trovano i vinti nelle lotte faziose di Genova. Eppure in tanto trambusto il movimento commerciale di quel secolo e del successivo è veramente cospicuo; luminoso è il quadro dell’attività economica savonese sino alla metà del sec. XV. Un caratteristico documento del 1402, del tempo cioè in cui per la signoria del Boucicault la navigazione savonese procedeva più libera, fornisce dati assai importanti e ci porta in mezzo a quel-l’intensa vita commerciale fornendo anche notizie sui principali prodotti e sui generi che la alimentavano. Il documento è recato in appendice; e qui anche si trovano indicazioni bibliografiche e archivistiche preziose per chi volesse approfondire questa materia. Piuttosto alla storia interna che all’esterna del commercio, agli istituti giuridici che lo regolano e ne derivano, rivolge il suo esame un altro insigne maestro del diritto, il prof. Alessandro Lattes nelle Note di diritto commerciale e marittimo dagli Statuti savonesi del medioevo. Partendo dall’esame delle varie redazioni sopravissute degli Statuti, il prof. Lattes indaga con procedimento analitico e comparativo le norme in essi contenute, paragonandole con quelle delle altre città e massime di Genova, rilevando quanto vi è di particolare e notando anche certe lacune, specie nel diritto marittimo, che dovevano evidentemente esser supplite dalle norme correnti nel Mediterraneo, dalle consuetudini e dal Consolato del mare. Conchiude che questi Statuti non presentano rilevanti differenze dalle norme fondamentali del diritto commerciale e marittimo e mette in evidenza i punti ove la deviazione è più notevole e specialmente il fatto caratteristico, e pur naturale, che gli Statuti di Sa- Bas segna Bibliografica 151 vona non hanno alcuna -diretta dipendenza da quelli di Genova: troppo aspramente erano offesi e danneggiati i cittadini di quella dal dominio di questa per ricorrere direttamente alle sue leggi. Ancora sulla storia medievale Arturo Ferretto presenta una Crono-tassi di Savona dal 680 al 1200. Il diligentissimo ricercatore offre qui un saggio di raccolta sistematica, corredata di tutte le necessarie indicazioni bibliografiche e archivistiche dei documenti editi e inediti relativi a Savona per quel periodo. E un utilissimo regesto, per ora di oltre un centinaio di documenti, che è desiderabile isia presto compiuto e reso noto. Tre studi riguardano particolarmente uomini e cose del secolo XV. Angelo Ottolini cd porta in mçzzo alle turbinose lotte civili al tempo del doge Tomaso Campofregoso tra le quali si insinuano le ambizioni e le speranze di Filippo Maria Visconti. Accennate le vicende genovesi sino all’occupazione della città da parte del Carmagnola nel 1421, si ricorda che Savona durante il dogato di Tomaso fu governata da Spinetta suo fratello e si riportano e illustrano tre atti coi quali, caduta Genova, Savona, per mezzo del milite Gaspare Visconti, si sottomette e giura obbedienza al duca di Milano, anche nel caso che Genova dovesse ribellarsi. IL’intéressant e documento, tratto dall’ Archivio di Stato di Milano, è dato in appendice. Il breve e succoso articolo del prof. Mattia Moresco, uno dei più rilevanti della raccolta, esce dalle vicende particolari della città per spaziare in campo più vasto. Vi è esaminato cioè il nepotesimo di Sisto IV, che si presenta poco dopo l’elevazione alla tiara con ben sei cardinali nipoti, alla luce dei due opposti principii che si contrastano nel XV secolo il governo della Chiesa, il papale e l’episcopalista. Il breve studio acuto e sottile, esaminate Je capitolazioni elettorali imposte dal collegio cardinalizio a Paolo II e a Sisto IV, porta un elemento cospicuo al giudizio del fenomeno nepotistico considerandolo sotto questo aspetto che di «solito rimane in ombra: come un elemento di difesa contro lo stesso sacro collegio tendente a costituire la propria autorità al di sopra di quella del papato e contro la minaccia del concilio sempre pericoloso in quelle condizioni al patere centrale e assoluto del papa. Col consueto garbo signorile Luigi iStaffetti ricorda in brevi pagine il fugace vescovado savonese di Gian (Battista Cybo, più tardi Innocenzo Vili. Le poche notizie che restano in proposito sono vagliate con sottile critica acuta e perspicua: breve saggio questo thè riconduce a quella materia nella quale lo Staffetta si aggira con assoluta padronanza. Il secolo XVI è toccato da due studiosi che hanno qualche punto di contatto per il modo della narrazione storica minuta e scrupolosamente documentata, per la conoscenza profonda del tempo e del relativo materiale archivistico, anche, qui, per l’analogia degli argomenti trattati, diversi e pur riconducenti alle eterne contese con Genova. Maieria particolare del nutrito studio di Emilio Pandia/ni è l'estremo tentativo di Savona di rivendicarsi a libertà al tempo e con l'aiuto 152 Rassegtia Bibliografica di Giulio II, sotto il governo di Luigi XII, nel 1507 e negli anni successivi, periodo sul quale il Pandiand ha una speciale e ben provata com-petenza. La lite verte sul pagamento di certe tasse che i Genovesi si arrogano a Savona sui commerci e le gabelle e si svolge attraverso una serie infinita di ambascerie e trattative e lettere con quegli aggiramenti minuti e quella lentezza esasperante di pratiche e di conversari e missive che è caratteristica della complicata diplomazia del tempo. Il Pan-diani segue con minuta e precisa diligenza non disgiunta da vivace eleganza lo svolgersi della contesa, arricchendo la narrazione di una quantità di notizie curiose, come certi tipici tentativi di corruzione di magistrati alla corte del re di Francia, giungendo all’interessante conclusione che sotto Genova e Sa\rona si cela un più ampio dissidio tra Luigi XII e Giulio II. La questione non è risoluta dal re di Francia; ma quando nel 1512 i Francesi abbandonano <Γ Italia e nel 14 perdono a .-Genova anche la fortezza della Briglia, unica loro rimasta, poiché frattanto è morto il pontefice sostenitore, la partita è perduta per Savona. La convenzione del 1515 rappresenta una transazione momentanea ma insieme un ulteriore passo verso la compiuta sottomissione del 1528. La questione studiata da Carlo Bornate è d’altro genere e riproduce un altro lato dell’eterno dissidio. iNel 1502 Giulio II consegna un piano ben combinato per il quale Alessandro Fregoso rinuncia al vescovado di Ventimiglia al quale è trasferito Domenico Vaccari vescovo di Noli e la diocesi di Noli è unita a quella di Savona. Protesta Genova contro il provvedimento lesivo degl’interessi e dell’autorità del suo arcivescovo — infatti la sede di Noli è suffraganea di Genova e Savona invece di Milano — in realtà perchè non vuole a nessun titolo alcun ingrandimento o vantaggio a Savona. Anche qui la vertenza si impiglia in un groviglio di lettere e legazioni e discussioni che il Bornate narra con la sua chiara e minuziosa esattezza in un racconto preciso e ricco di riferimenti archivistici e bibliografici che è un modello di narrazione scrupolosa ed esauriente. Non solo ha ricavato dai documenti tutto quanto potevano offrire ma ha avvalorato e arricchito la ricostruzione con riferimenti attinti alle più varie fonti, dando luogo, al suo solito, a un lavoro che si può dire definitivo. La singolare e complicata vertenza fu chiusa soltanto da Pio III: il Vaccari passò effettivamente a Ventimiglia, ma dopo un breve periodo di unione delle due diocesi di Savona e Noli con Galeotto e Giuliano Della Rovere, dopo l'assunzione di questo al papato sì ritornò all’effettiva separazione e il vescovado di Noli rimase autonomo sino al 1814. Ancora di Giulio II si occupa Alessandro iLuzio riesumando un suo gustoso scritto sulle letture dantesche del pontefice e di Bramante, nel qyale è rilevata, con quella fusione di profonda erudizione e di spigliata vivacità che è dote particolare dell'illustre storico, la curiosa coincidenza che quelle letture dantesche sono appena di un mese anteriori alla spedizione della Mirandola, di un momento cioè nel quale il papa si Rassegna Bibliografica 153 crederebbe impegnato in ben altre occupazioni, un papa poi che la tradizione vorrebbe poco propenso agli studi letterari. E 11 breve studio brillante fa anche interessanti accostamenti tra queüle letture e la bolla contro la simonia e quella per la crociata che il papa voleva condurre p e r son alm en t e. Dal principilo del secolo XVI si passa senz’altro al XIX con Giuseppe Galiav resi che rievoca la figura di Gilberto Chabrol, il prefetto napoleonico di iSavona assunto impensatamente a una funzione politica importante e delicata quando si trovò ad essere il custode di Pio VII colpevole d’aver scomunicato l’invasore dello Stato pontifìcio. Non è davvero simpatica l’immagine che il Gallavresi ci presenta: il funzionario pedantescamente devoto che attua con ogni zelo le crudeli fantasie del- 1 imperatore riesce col tatto signorile e l’esteriore apparenza a ingannare con finzione repugnante il vecchio pontefice. Tra tanti studi dotti e profondi nessuno deve aver toccato il cuore del venerando uomo che si voleva onorare quanto il profilo che Costanzo Rinaudo ha tracciato di Paolo Giacinto Boselli, padre deU’insigne statista, che ebbe parte cospicua come convinto costituzionale negli avvenimenti del 1821 per i quali perdette l’ufficio di segretario del Comune di Savona. Processato, fu assolto perchè, tolto l’atteggiamento favorevole alla costituzione, nulla era risultato a suo carico. Ma non è senza vivo interesse vedere che a lui dovè Ja salvezza «Santorre di 'Santarosa quando, di passaggio per Savona I’ 11 aprile, stava per essere arrestato dai carabinieri : fu il Boselli che ottenne fosse lasciato in libertà e che gli fornì regolare passaporto. La ricostruzione della bella figura è fatta dal Rinaudo con la consueta lucida chiarezza, sulle carte dell’archivio di Torino. Egualmente da documenti torinesi G. Carlo Buraggi ricava qualche notizia su una principessa sabauda che ebbe il titolo di marchesa di Savona soltanto perchè andata sposa nel 1325 a Manfredo Del Carretto che portava quel titolo sebbene la sua famiglia da oltre un secolo non avesse più ingerenza nel governo della città. L’ argomento tocca così assai indirettamente Savona, e la figura stessa di Alasia, figlia di Filippo «principe di Achaia, è molto evanescente nelle scarse notizie rimaste; esce solo un momento dall’oscurità che la circonda con un gesto di ardire e di dignitoso coraggio quando, uccisole il marito dai nipoti nel 1340, appare rinchiusa e risolutamente pronta a difendersi nel palazzo fortificato in attesa degrinvocati aiuti del fratello. Della storia dell'arte savonese si occupa Orlando Grosso in una rapida corsa densa ed elegante attraverso le forme d’arte caratteristiche della regione, dalla pittura alla ceramica, dalla scultura e dell'architettura ai mobili e agli oggetti d’uso. Non vuol essere un’ampia trattazione ma una enumera-zione e un'esposizione di scorcio delle cose più notevoli e dei nomi più insigni, meritevoli di particolare studio. Con 154 Rassegna Bibliografica signorilità elegante e sicura competenza il Grosso traccia così più che altro la tela di indagini più estese die altri potrà compiere. Diffuso invece e minuzioso lo studio di Filippo Nobera^co sul Folklore savonese, sopraccarico di notizie varie, interessanti, spesso curiose, che per il loro carattere frammentario non si possono riassumere : feste religiose, usi, costumi, cerimonie, leggende storiche notevoli quelle sull'origine di Savona, le versioni locala della leggenda alerami-ca, le tradizioni ^ulla prigionia di Pio VII — e poi superstizioni, divertimenti, pròverbi, modi di dire e infinite altre cose raccolte con grande erudizione e talora un po’ ammonticchiate e confuse. Qualche volta si ha l'impressione che il raccoglitore non abbia voluto rinunciare ad alcuna parte della messe studiosamente riunita, nè si distingue bene quel che è tipicamente locale da ciò che è comune ad altri luoghi : i proverbi ad esempio sembrano avere soltanto la forma esterna dialettale ma non presentano caratteri speciali, essendo comuni a tutte le regioni d Italia. La moltitudine dei dati e dei fatti così raccolti ha tuttavia un grande interesse e una notevole importanza per penetrare nell’anima e nella vita intima del popolo savonese. La sola schematica enunciazione della materia contenuta nel volume denso, vario, seriamente pensato e composto, di carattere assai più che occasionale, è sufficiente a indicarne l'importanza e a mostrare che è riuscito a onorare non solo l’uomo illustre al quale è dedicato ma la città e la regione che si propone di illustrare e insieme gli studiosi che lia imo dato con competenza ed amore Topera loro. Vito Vitale Vittorio Pongiglione, Il Libro del Podestà di Savona dell anno 1250. (Annuario del R. Liceo Ginnasio C. «Colombo di Genova per Tanno scolastico 1926-27, a. V.), Genova-Sampierdarena, Scuola Tipografici Don Bosco, 1928. Alla storia di Savona riporta anche il breve ma importante studio del prof. Pongiglione. Dopo aver pubblicato nella Biblioteca della Società Storica Subalpina Le Carle del!'Archivio Capitolare di Savona, il Pongiglione studia il Libro del Podestà o Liber maleflcioi'U'm del 1250, di grandissima importanza in quanto è il più antico che si conosca. E’ noto che l ufficio del Podestà con l'inoltrarsi del secolo XIII si è andato sempre più orientando e limitando alla funzione giudiziaria: il « Libro del Podestà » è perciò un registro delle cause giudiziarie e degli atti di polizia ed ha importanza, più che per alcuni accenni alla vita politica, perchè ne esce illuminata la vita civile e il costume. Descritto il codice, il Pongiglione fa una rapida e vivace rassegna del contenuto ricavando notizie molto interessanti sugli usi e costumi, sul diritto e la procedura, sulle attribuzioni del Podestà nei vari casi sottoposti al suo Rassegna Bibliografica 155 giudizio. Non mancano dati importanti in materia economica, particolarmente sulle gabelle e sui prezzi. Il breve studio acuisce il desiderio della promessa pubblicazione integrale del codice. Vito Vitale Atti della Società Ligure di Storia Patria - Vol. LVI - Iscrizioni Genovesi in Crimea ed in Costantinopoli - Genova, iMCMXXVIII, pp. XV-181. Il nuovo volume degli Atti riporta alle buone tradizioni della Società Ligure e di quella che è stata la prima origine e la prima funzione delle Società e Deputazioni di Storia Patria, la pubblicazione dei documenti e dei monumenti che devono servire di base alla ricostruzione storica. E viene ad aggiungersi alla serie cospicua che gli Atti hanno già consacrato a quell’inesauribile e fondamentale argomento, di storia genovese e ligure che sono le colonie. Queste, co-m’ è ben noto, /possono dividersi geograficamente e stonicamente in due gruppi distinti : le siriache derivate dalle prime Crociate e importanti nei secoli XII e XIII, quelle dall’ Egeo al Mar Nero e al Mar d’Azof che dalla metà del XIII, press’a poco dai trattato di Ninfeo, hanno per due secoli una vita fiorente e un’ importanza economica grandissima. Manca, come di tanti altri argomenti di storia genovese, anzi vorrei dire come della storia genovese, su queste colonie un’ opera compiuta, sistematica, fatta con criteri scientifici e con largo uso delie fonti documentarie; manca e non so se sarà mai possibile. Anche il Codice diplomatico delle colonie genovesi in Oriente, vagheggiato dalla Società Ligure e che sarebbe, di un tale studio, necessaria preparazione, è rimasto ed è da temere che rimarrà un pio desiderio. Sono invece abbastanza numerosi gli studi su argomenti parziali e limitati o le illustrazioni di alcune colonie particolari, in modo speciale di quelle di Caffa e di Costantinopoli, le più cospicue tra tutte. Dalla vecchia opera riassuntiva e, come tutte le sue, un po' frettolosa di Michele Giuseppe Canale alle indagini dell’ Heyd, che riguardano però tutte le colonie italiane, al Codice diplomatico del Vigna, prezioso ma limitato, in due pur grossi volumi, a un breve periodo, allo studio ancora inedito di Silvio Cozzio, a molti studi particolari su limitati argomenti e alle numerose pubblicazioni divulgative che monotone si ripetono e si ricopiano, non sono mancate certo ricerche e illustrazioni. Anzi nel 1913, preparandosi la Mostra storica delle colonie genovesi per Γ esposizione coloniale dell’ anno seguente, il Marchese Cesare Imperiale fece anche una crociera nel Mar Nero e nell’ .Egeo alla ricerca di cimeli, di documenti, di memorie. E la cosa si spiega agevolmente. Quelle sono le colonie delle quali ancora si conserva qualche tangibile ricordo; ancora rimangono, speciailmente in Crimea, avanzi di fortificazioni, frammenti di torri e di edifìci, rimangono sopratutto su vecchi monumenti o tra- 156 Rassegna Bibliografica sportate in musei, iscrizioni e lapidi che parlano dalla lontananza dei secoli dì quegli antichi colonizzatori delle loro opere e delle loro costruzioni. iLe illustrazioni di questi avanzi costituiscono quindi uno degli argomenti più trattati e quasi tormentati : so-no le antiche voci sopravìssute che si interrogano per averne il maggior lume possibile alle nostre scarse conoscenze. Perciò dall’ Oderico che nelle sue « Lettere ligustiche » del 1792 riproduceva, senza tentarne la lettura, il disegno dii alcune iscrizioni, al .Waxel, ai Latisev, al .Retovskv, ai genovesi Re-mondini e Belgrano, le iscrizioni delle colonie liguri die! Mar Nero e particolarmente di Crimea sono state più volte pubblicate e illustrate; -molte furono anche riprodotte nel catalogo della Mostra coloniale pubblicato nel voi. XlLVI degli Atti. Ma nessuna di queste raccolte era completa; la più ampia, quella delT Jurguevich nelle « Memoires de la Société archéologique » di Odessa del 1863, non risponde ai criteri della scienza moderna nè per il metodo della riproduzione nè per la lettura e il commento del testo. La iSig.na Elena Skrzinska dà ora invece la raccolta veramente completa, e si può ritenere definitiva, di tutte le iscrizioni liguri di 'Crimea. Precede uno studio introduttivo nel quale la scrittrice russa, rifacendo a grandi linee la storia della colonizzazione genovese nel Mar Nero e in particolare in Crimea ed esponendone gli ordinamenti amministrativi, dimostra larga e sicura conoscenza dell’ argomento e della relativa letteratura, aggiungendo alle notizie di fonte italiana elementi ricavati da fonti greche e russe meno note e meno accessibili tra noi. Ma la parte veramente importante del lavoro è V illustrazione delle epigrafi fatta con preciso e severo metodo scientifico, con una esattezza bibliografica, un minuto commentario, una sicurezza di lettura e una così precisa e nitida riproduzione iconografica, da costituire veramente un modello in tal genere di lavori e da far ritenere che questo, che si può considerare il corpo definitivo delle iscrizioni liguri in Crimea, non potrà subire modificazioni anche se fortunati e auspicati per quanto non probabili nuovi trovomenti potranno eventualmente accrescerne la mole. I testi epigrafici sono divisi in gruppi a seconda che appartengono a Caffa (oggi Teodosia), Soldaia (Soudak), e Cembalo (Balaklava); nei singoli gruppi precedono le iscrizioni datate, seguono quelle senza data; costituiscono un gruppo a parte le iscrizioni funerarie di Caffa. Si hanno così 39 iscrizioni di Caffa, 14 di Soldaia, 3 soltanto di Cembalo; vi sono aggiunte le riproduzioni di tre frammenti di pietra senza iscrizioni pia recanti scudi e altri segni. Di quasi tutte le iscrizioni è data la riproduzione fotografica; manca per quelle di Soldaia perchè, situate molto in alto sugli avanzi di torri o di mura, non è stato possibile ricavarne le fotografie. Rassegna Bibliografica 157 .Dai dati formiti dalle epigrafi, Γ autrice ha ricavato tutto il frutto possibile per le notizie storiche; assai notevole nell introduzione (pag. 15) e nel testo (ipag. 35 sgg.) la discussione relativa alla torre dedicata ai papa 'Clemente VI nel 1348, con ogni probabilità in occasione di quel- 1 assedio *di Caffa notevo*le fra 1’ altro perchè le navi genovesi reduci dalla Crimea portarono in Europa la peste che fece tanta strage. Notevole egualmente la riproduzione delle epigrafi del 1352 che 'riportano a quest’ anno la costruzione della cinta di mura riferita dai cronisti genovesi al 1357. Data la loro origine, le iscrizioni servono a illustrare specialmente le opere di fortifie azione compiute dalla repubblica a difesa delle sue colonie «contro i Tartari prima, contro i Turchi poi: e questo lavoro preparatorio così scientificamente esatto e compiuto fa attendere con molto desiderio 1’ opera storica su quelle fortificazioni che la signorina iSkrzinska promette. Accrescono pregio al volume magnifiche illustrazioni e tavole fuori testo, parie fornite dalla stessa Skrzinska parte già possedute dalla iSocietà ligure e apparse alla Mostra del 1914, riproducenti vedute di quelle che furono le antiche colonie, o specialmente i resti ancor oggi visibili delle costruzioni delle mura e delle torri attestanti nella massiccia imponenza la grandiosità dell’ opera compiuta da quei colonizzatori. La seconda parte del volume comprende una esatta e definitiva raccolta, dovuta al iProf. Ettore Rossi, di (tutte le iscrizioni genovesi di Gasata, limitatamente alle mura della colonia; è anche per queste si può ripetere, per la compiutezza e il valore della riproduzione, quanto si >dice per le iscrizioni di Crimea. Il bel volume, fornito di preziosi indici, e al quale le molte tavole e le riproduzioni fotografiche danno una lussuosità signorile, è aperto da un proemio del presidente della Società ligure, il comm. Luigi Volpiceli, nel quale è esposta la genesi del volume stesso ed è fatta la meritata parte idi lode al Prof. Alessandro Lattes che ha procurato alla Società lo studio della Sig. Skrzinska. E con commossa parola il Vol-picella ricorda anche un altro benemerito e modesto studioso, Silvio Cozzio, già vice-console a Odessa e spentovi da mano assassina nel dicembre il927, -del quale la Società possiede il manoscritto di uno studio sul dominio genovese .in Crimea, che, quantunque per ragioni di metodo poco adatto -alla pubblicazione, contiene, anche per l’uso di fonti russe poco accessibili in Italia, notizie che possono essere utili agli studiosi. Volume perciò questo per molti rispetti notevole e che, se pure riprende, ma in maniera definitiva, una materia molto trattata, rinnova le .migliori tradizioni della Società ligure in materia di pubblicazione di fonti e di documenti storici. Vito Vitale 158 Rassegna Bibliografica Ersilio (Michel - Esuli e cospiratori italiani in Corsica - Archivio Storico di Corsica, 1925-27. Le ampie e interessanti ricerche che Ersilio Michel vien pubbbli-cando nell’ <« Archivio Storico di Corsica », diretto da Gioacchino Volpe mostrano le attinenze della istoria dell* isola con le altre regioni sìo eponimo della Chiesa di Luni; e il gruppo dei tre vescovi-martiri S. Salario, S. Terenzio, S. Ceccardo). Interessante lo studio della formazione delle leggende su questo gruppo di vescovi. Intorno a S. Basilio, di cui nulla si conosce, si formò molto tardi una leggenda letteraria, che solo recentemente avrebbe trovato una testimonianza numisma-lica in suo favore, in quanto il Mazzini avrebbe ritrovato una zecca lunense del 6° o del 7° «secolo constante di due tipi di moneta recanti impresso l’uno il monogramma ECGL BAE, il secondo lo stesso segno da un verso e dall altro il monogramma VEiNINTIU'SEPCS. Ricordato come la scoperta del Mazzini ponga uno dei problemi più singolari per la storia della monetazione vescovile (tratterebbesi infatti d’una zecca precedente di tre secoli tutte le altre conosciute), e considerato che, mentre è fuor di dubbio l’interpretazione del monogramma di Venanzio, è tut-t’altro che chiara le lettura del segno basiliano, ΓΑ. riJeva esistere sì in Sarzana, alia metà del XII secolo (quindi in epoca molto tarda), una pieve intitolata a San Basilio, ma esser anche la diocesi di (Luni intitolai a a Santa Maria sin dal secolo IX, e, soltanto dopo la traslazione della sede da Luni a Sarzana, aver la pieve di San Basilio assunto il Rassegna Bibliografica 161 titolo vescovile. A complemento della leggenda sul presunto eponimo della chiesa lunense, ecco sopraggiungere nel 1568 l’invenzione delie presunte reliquie del Santo nella chiesa annessa al monastero di San Venanzio in Ceparana. Questo fatto permette all’A. di anticipare in certo quail modo le sue conclusioni .· la chiesa predetta conservava infatti parecchie lapidi antiche, provenienti da Luni, ricordanti il deposito di fedeli, e forse tolte ad una basilica cimiteriale cristiana Una di queste, forse unita a un sepolcro e datata dal consolato di Basilio, si prestò, male interpretata, a far identificare i resti d’una ignota fedele con quelli del creduto patrono e titolare della Diocesi. Alla stessa conclusione sull’esistenza d’una basilica cimiteriale extra-moenia, è portato ΓΑ. daU’esanie delle leggende sui vescovi-martiri, le quali tutte svolgono, variamente complicandoli, tre temi comuni anche ad altre leggende agiografìche : a) un vescovo ucciso da pirati saraceni o normanni durante incursioni sulla città di Luni; b) un vescovo martire nel vero senso della parola. Dopo aver brevemente accennato alla leggenda di San Salario, dovuta probabilmente alla localizzazione per toponimia nel luogo detto « Solaro », tra Lerici e San Terenzio, del martirio di un « San Salario », accortamente mutato in « iSan Solaro » dai compilatori del Catalogo cronologico della Diocesi nel 1887, l’A. completando l’ampia indagine fatta in questo stesso Giornale (anno III, pp. 281-308) passa a sviscerare la più importante leggenda di San Terenzio che, nella versione popolare serbata da un manoscritto del 300 nel santuario che ne serba le reliquie in Val del Bàrdine, sarebbe un vescovo scozzese ucciso da predoni presso l’Avenza durante un pellegrinaggio a Roma, e il cui corpo, affidato dal vescovo Gualtiero, miracolosamente avvertito, ad un carro senza governo, trainato da giovenchi, fu da costoro trasportato sin là. Un’attenta indagine ha però condotto ΓΑ. ad accertare già diffuso il culto di San Terenzio all’epoca della fondazione del Santuario di San Terenzo del Bàrdine (728) e a individuare un più antico centro del culto; e poiché la leggenda accenna all’Avenza come luogo dell’eccidio, ΓΑ. ha potuto trarre dalle sue osservazioni la logica deduzione che ai-l’Avenza il Santo doveva essere da più secoli onorato, che di là il culto doveva essersi diffuso in Lunigiana, e che nel sec. IX per timore dei pirati il corpo dovette esser trasferito a S. Terenzio del Bàrdine dove la vera storia sarebbe caduta in oblio. E per quanto non sia possibile stabilire la data degli atti di San Terenzio, pur tuttavia pel fatto che ancora alla fine del sec. VI esistevano in remoti pagi sull’estremo confine della diocesi di Luni il culto idolaitra, osservando la topografìa del culto di San Terenzio, considerando che il tema del pellegrino ucciso dai ladroni può esser stato scambiato col tema del vescovo missionario ucciso neiresercizio del suo ministero, e che in Luni esisteva almeno m Rassegna Bibliografica una famiglia romana di « Terenzi », appare pienamente giustificata la. versione della leggenda accettata daM’A., trattarsi cioè d’un vescovo di Luni morto nell’esercizio del suo apostolato anteriormente ai vescovi storicamente accertati, ma che non è necessario trasportare sino all epoca delle persecuzioni. .Non meno interessanti sono le deduzioni deir A. circa la leggenda di San Ceccardo che, per la conferma dell’eccidio del vescovo di Luni secondo le più antiche cronache normanne, per la frequenza del nome longobardico Sicherado in iLunigiana nel sec. IX (v. ad es. Sicherado clerico nell’816) etc., sarebbe il vescovo ucciso dai Normanni nella loro incursione dell’ 860. C’ è, è vero, il fatto che sull’ arca marmorea cinquecentesca, che si presume contenerne le ossa nel Duomo di Carrara, trovasi indicato come anno di morte il 600. Ma non bisogna dimenticare che le iscrizioni dell’ arca riproducono, o meglio intendono riprodurre, secondo una lettura certo errata, quelle trovate sulla presunta tomba del Santo trovata nel XVI sec. nella chiesa di San Ceccardo al piano di Carrara; si sarebbe cioè ripetuto il fatto già verificatosi per la tomba di San Basilio, ed anche in questo caso trattasi molto probabilmente di lapide proveniente da Luni anziché tratte da un non dimostr ab ile centro romano nel sito. Che se poi le iscrizioni della vecchia arca fossero state ricopiate esattamente, oltre allo storico Ceccardo del IX sec., avremmo uno pseudo-Ceccardo protomartire lunese nella cui tomba era stata fondata la basilica. Parrebbe che lo studio delle leggende dovesse così essere scarso di risultati tangibili (dati, fatti), se invece la determinazione precisa delle loro origini topografiche non conducesse ΓΑ. a determinare un punto fondamentale dell’archeologi a cristiana di Luni attraverso la ricerca del territorio della chiesa urbana di Limi. Territorio in origine ristretto alla sola «curtis Lune», forse ridotto ai «mille passus » della.città romana, ed allargatosi solamente in seguito a migrazioni, a movimenti di dispersione sempre più vasti dei nuclei urbani e suhurbani, sino a comprendere la corte di « supra Luna » e la Chiesa e il borgo dell Aven-za, quest’ultima costituente un’accessione della pieve urbana come beneficio del Capitolo. La migrazione avenzese appare confermata, giustamente nota l’A., dalla controversia sorta tra gli uomini di Castelnuovo, Serravalle, Avenza e Carrara, e definita nel 1283 dal vescovo Enrico, per certe terre situate nel suburbio di Luni, reliquie dei diritti che i discendenti del suburbio vi possedevano. Così anche questo documento trova la sua completa giustificazione giuridica e storica, e nel contempo conferma indirettamente che la Chiesa di S. Pietro dell’Avenza deve aver sostituito una precedente chiesa « sedale » suburbana di Luni, da cui anzi ripete il titolo. Così si comprende come il vescovo abbia potuto trasferire nella nuova Chiesa i benefìci spettanti al Capitolo nell’antica sedale; come da queeta sia stata trasportata nella nuova « S. Pietro » la lapide del vescovo Giusto studiata dal Mazzini; come in essa abbia Rassegna Bibliografica 163 potuto esser primamente collocato il corpo del vescovo-martire Terenzio e della stessa provenire ila lapide che provocò la leggenda dello pseu-do-Ceccardo. E poiché le memorie del martirologio lunense vengono così locailiz-zandosi nella vecchia chiesa di San Pietro di Luni, essa, conclude ΓΑ. dovè essere la basilica cimiteriale della città, sinora sconosciuta. L\A. dà quindi riassuntiva notizia della cattedrale di Santa Maria, quale appare dagli scavi sinora praticati, costruita su precedente edifìcio romano, curia o basilica, e per vari indizi (lapidi dedicate a Diocleziano, Galesio, Massenzio; uso di seppellire i morti) la ritiene posteriore al IV sec. ed anzi attribuibile al VI. E con logiche deduzioni, tratte dall’archeologi a cristiana della Tuscia e dalle particolarità costruttive della Chiesa di San Pietro, deduce esser certo questa chiesa la prima e la più importante di Lumi, la cattedrale suburbana a cui vanno uniti tutti i ricordi, del martirologio lumense. JMon resta che iniziare gli scavi tanto di questa come dell’altra ancora inesplorata basilica di San Marco; e poiché, l’A. ha chiamato questa memoria « introduzione », è da sperare che dietro la luce delle scoperte archeologiche non si facciano troppo attendere gli ulteriori capitoli della storia cristiana di Luni così piena di attrazione e promettente risultati inattesi. Ferruccio Sassi Giorgio .Falco - Appunti di diritto marittimo medioevale - (Dal Cartulario di Giovanni di Giona di Portovenere : 1259-75), in « Diritto Marittimo », Fascicoli Gennaio-Febbraio 1927. E! per quanto mi consta »la prima volta che Portovenere forma oggetto di uno studio metodico in ordine a un tema di diritto marittimo. Breve il periodo storico esaminato; limitato il numero dei documenti studiati. ‘Con tutto ciò, molto interessante ed opportuna la monografìa in qunto concerne un punto strategico, un ottimo osservatorio per poter sorprendere e cogliere P evoluzione del diritto marittimo: basta pensare quanto strette relazioni d’ affari ebbero i Portoveneresi con Pisa e col resto del Tirreno, pur rimanendo sotto il vessillo di Genova, per dedurne la. facilità da parte loro di assimilazione e di rielaborazione di dottrine e pratiche giuridiche diverse e fors’ anche talora contrastanti. Giustamente lamenta P A. la grande scarsità di materiale a stampa proveniente dai capaci archivi toscani, riflettente argomenti marittimi: scarsità che ritengo sia pressoché generale, e che non consente quello studio metodico e coordinato del diritto marittimo applicato nelle varie regioni e città, dal quale potrebbero risaltare traccie evidenti di un diritto nostro, scritto o consuetudinario, ma prettamente italiano, più sviluppato e più finito che non la dottrina tradizionale del famoso Consolato del Mare. Questa impressione, che avevo riportata 164 Rassegna Bibliografica dallo studio della guerra di corsa media repubblica veneta, è stata in me riconfermata dagli appunti dell’ A., particolarmente in materia di contratti marittimi, che formano, com’ è ovvio, il più interessante argomento di studio che poissa trarsi dalle carte d’ un uomo di legge come il nostro Giovanni di Giona. I contratti di locazione, di trasporto di cose o persone, di prestito a cambio marittimo, Γ « accomendatio » e la « -societas » nei loro vari schemi, la contribuzione d’avaria, tutta insomma la parte essenziale del moderno diritto marittimo commerciale la vediamo affiorare, opportunamente commentata e brevemente delineata dall’ A., dalle polverose carte del notaio di Portovenere, dimostrando 1’ alto grado di perfezionamento del giure, in tutto degno delle grandi tradizioni delle repubbliche marinare. Precedono con buon ordine d’ esposizione alcune pagine concernenti i negozi per la costruzione e la compra-vendita della nave, ed i rapporti con Γ equipaggio. iLa materia è, in Italia, pressoché nuova, certo per la sinora quasi mancata diffusione di una coscienza marinara, ma la via intrapresa è buona: occorre proseguire se non vorremo che altri venga dall’ estero a rivelare a noi 1’ esser nostro. Ferruccio Sassi Enrico Bensa: Francesco di Marco da Prato; notizie e documenti sulla mercatura italiana del secolo XIV; in 8° grande, p>p. ΧΧΤΙΙ-Λ87 - Milano - Treves, 1928. Accadde or è molti anni che un giovane di 'Prato in Toscana, che aveva nome Francesco ed era nato di un Marco iDatini, -non avendo grandi ibeni dalla fortuna e sentendosi nell’ animo la forza di mutare sua isorte, partissene dalla dolce terra di Toscana e recatosi ad Avignone, ove allora era grande copia di commerci e facilità di guadagni per -esservi trasportata la (Corte (Pontifìcia, il nostro ^Francesco vi fece dapprima suo noviziato in una bottega di «amici toscani, e in non lungo volgere di anni per 1’ indole sua svegliata e per V attività e la prudenza del suo operare giunse a tanto da potere iniziare per conto suo il commercio di panni e idi altre cose necessarie al vestire degli uomini e prosperando sempre più li suoi commerci e sentendo egli sempre grande amore per da sua terra gli piacque di ritornare nella sua patria ove molto onorevolmente fu accolto e vi costruì casa degna deil suo nuovo stato e visse con decoro suo e dei suoi iconcittadini. (Ma messere Francesco (non mise ida parte per ciò i suoi traffici, che anzi li allargò in Francia ed in Spagna ed in molte città della Italia e fu ora in Firenze, ora in Pisa per seguire meglio le sue cose ed anzi in Firenze stessa visse forse più che a (Prato per avere ivi più facile modo di. invigilare ai suoi commerci, e fin che visse curò assai più le cose del corpo che quelle dell’ anima idei che gli facevano rimprovero fedeli Rassegna Bibliografica 165 amici che -e,gli ebbe in 'Firenze, ma quando egli giunse alla ifìne delia sua vita pensò idi «lasciare «buona memoria di sè donamdo alla sua Prato grandi ricchezze perchè con esse fosse costruito un edifìcio per raccogliervi gli infermi. ,La isua volontà fu eseguita e il’ istituzione è rimasta fino ai nostri giorni mantenendo ila «memoria del suo fondatore ie, cosa assai rara, conservando religiosamente le «carte di «lui, e cioè i registri di fatture e di -conti della casa commerciale del Datini, la corrispondenza d’ affari con le 'figliali isparse nell’ Europa, ile polizze di carico, di assicurazione, -di pagamento, ile cambiali, 1 contratti, .insomma tutto 1’ organi-isrno della grande azienda del secolo XIV. Queste carte rimasero per lunghi secoli inesplorate, ma avvenne che per il riordinamento della sede si invitò amo studioso fiorentino a porre mano in quei vecchi volumi ed -apparve allora tutta la loro importanza. 11 riordinatore ne ricavò un ibreve estratto contenente lettere assai interessanti relative a personaggi storici dell’ epoca, mia 1’ archivio presentava ben altro e più -alto interesse per gli studiosi ideila Storia del commercio medio-evale in Italia. Da esso infatti potevano cavarsi come da limpida fonte le più isicure e più complete notizie circa 1’ organizzazione, la struttura, il meccanismo idei traffico d’ una grande casa commerciale nell’ epoca forse più luminosa della nostra attività commerciale nell’ Europa. ;L’ Avv. Prof. Enrico Bensa di iGenova, cominciò a saggiare 1’ archivio 'Datini per luna sua opera sul contratto di assicurazione nel medio-evo e raccolse infatti ida -esso ricca copia di notizie per il suo lavoro; ma di fronte alla grandiosa mole di materiale nacque nello studioso il desiderio di profittare di tanta ricchezza per uno studio completo sull’ opera del grande mercante pratese. Questo desiderio pur non potendo .essere appagato per lunga serie di anni, fu tenuto costantemente dinanzi agli occhi ideil pensiero ifìnchè il prof. Bensa, 'libero da altre cure, pure essendo nell’ età in cui la maggior parte degli uomini non amano che un po’ di riposo dopo Ile aspre fatiche della carriera, si pose con vigoria giovamile alla stesura del suo volume, e ci presenta oggi un’ opera poderosa che può dirsi .un monumento più duraturo e più solenne di quello dedicato al Datini in una piazza della sua città. Il volume del Bensa comprende in sè e la (figura e Γ opera del Datini; per mezzo della acuta analisi «dello studioso noi conosciamo del Datini il carattere, la cultura, i sentimenti, 1’ attività; il Bensa studia il suo uomo con serena imparzialità e ce ne fa conoscere pregi e difetti in modo che abbiamo dinanzi a noi un Datini non stilizzato o deformato dalla esagerata benevolenza di un .ammiratore ma quale doveva essere, uomo fra nomini. .Dopo averci presentato il iDatini, il Bensa ce ne fa conoscere le opere e noi assistiamo ad una attività meravigliosa, molteplice, che dal primitivo fondaco di Avignone si diffonde poi in Italia, in nuovi fondaci a iPrato, a Firenze, a Pisa, a (Genova e nella iSpagna a Barcellona, a Vailenza, nelle iBaleari e si esercita nelle merci più diverse, vino, 166 Rassegna Bibliografica sale, drappi, veli, panni, Jane, sete, schiavi e dalle merci passa agli appalti di gabelle, alle aziende bancarie, alle botteghe di cambio con un intreccio superbo di affari ed una versatilità di provvidenze che sono Γ indice più sicuro di una grande mente organizzatrice paragonabile a quelle dei moderni capitani di industrie. ■Soltanto chi ha lavorato qualche volta sui vecchi registri di conti dei nostri commercianti medioevali è in grado di apprezzare nel suo giusto valore Γ opera di pazienza, di acume, di sintesi faticosa compiuta dal Bensa per ammanirci in poche pagine -succose i.1 frutto delle lunghe ore di lavoro sulle antiche carte irte di rimandi, di richiami, di espressioni in gergo commerciale, di abbreviazioni a volta cervellotiche. (Ma il Bensa, professore di diritto commerciale, non poteva fermarsi al solo studio delle relazioni commerciali, -chè assai più lo attraevano i modi, le leggi, le consuetudini, con cui esse si effettuavano, le difese legali da cui esse erano protette, il meccanismo insomma nel quale si ingranava la grande ruota del commercio europeo e di questo studio più profondo dei registri della casa Datini sono frutto sapiente i capitoli sul contratto di società, sui contratti cambiari e bancari, sul contratto di trasporto, sulla assicurazione ed infine sulla scrittura mer-cajitile, capitoli che contengono pagine interessanti in ispecial modo i cultori della Storia dell’ antico diritto commerciale, ma possono anche dilettare chiunque abbia desiderio di conoscere il’ ambiente, gli usi, le provvidenze che dettero ricchezze e fama mondiale alle grandi case commerciali italiane del medio-evo e del rinascimento. E’ certo però che la maggiore attrattiva, per il lettore non specializzato in materie giuridiche, è data dall’ ultimo capitolo del volume che contiene una vivace descrizione della vita nelle città mercantili alla fine del Irecento. Iti esso si passa dai conviti nuziali all’ allevamento dei bimbi, alla vita nella famiglia, alle case, alle ville, ai viaggi, alle vesti, ai pasti, alla coltura, alla vita pubblica colle sue varie professioni e nelle sue varie manifestazioni, insieme di notizie che presentano un' epoca per tanti riguardi interessante a chi ama quel periodo ancora fresco di giovinezza della nuova gente Italiana. Per gli studiosi delle varie specie di contratti commerciali v’ è poi una ricca appendice di 146 documenti della seconda metà del sec. XIV che suggella questo pregevole volume, il quale palesa in tutta la 6ua struttura la solidità di una costruzione mentale che, pure avendo presenti le linee essenziali della scienza, le ingentilisce colla nobiltà della forma esteriore, frutto della amichevole consuetudine coi più puri autori della nostra lingua. Emiuo Pandiani Rassegna Bibliografica 167 Emanuele Filiberto; pubblicazione del Comitato promotore per onorare la memoria di Emanuele Filiberto nel IV centenario (Iella sua nascita ecc. ecc·; in 4° pp. XXXII-528 - Torino - Lattes, 1928. lEmanuele Filiberto appartiene a quella gloriosa schiera di uomini che nati nella povertà, vissuti nella prima fanciullezza in ambiente pieno di affanni, di delusioni, di rovesci, invéce di rimanere accasciati, trovaino ned loro animo la vigoria per resistere ad ogni avversità, per superare ogni ostacolo, per avviarsi ad una carriera di gloria e di onori e coronare la loro vita coll’infondere nei contemporanei l’ardire e l’ardore della loro anima restando esempio augusto ad un popolo di quanto possa questa nostra natura umana se la si tempri e la si sforzi verso alti destini. Egli 'nacque, è vero, di casa principesca, ma la casa di Savoia, già tanto illustre nell’ età dei tre Amedei era ridotta nella prima metà del sec. XVI nelle più tristi condizioni. Il duc-a Carlo II, padre di Emanuele Filiberto, aveva visto con dolore profondo le sue terre pedemontane invase da ogni lato da milizie spagnole e francesi che avevano ridotto il paese nella più nera miseria, si erano installate da padrone nei borghi, nelle città e taglieggiavano gli abitanti e usavano delle campagne come di comodi campi per le loro lotte sanguinose. Invano Carlo II si era rivolto al cognato Carlo V, al nipote Francesco I perchè sollevassero il suo popolo da tante sciagure; chi ascoltava la sua debole voce in mezzo al clamore delle armi ? Il povero principe fu cacciato anche dalla sua Torino e si rifugiò con la sua famiglia a Vercelli che gli rimaneva con altre due o tre città del (Piemonte come un misero lembo d’una bandiera strapipata da mani nemiche. In questa povera Corte profuga, accanto al padre buono e eanto nella sua cupa disperazione che divenne poi triste rassegnazione al destino avverso, crebbe il piccolo Emanuele, gracile, pallido·, mingherlino, destinato al sacerdozio, chiamato già per augurio il cardina-lino, ma sognante invece nella mente vivace un cavallo focoso ed armi forbite, e gli speroni d’oro e la spada sfolgorante e cento cavalieri che al suo ordine caricassero quella ignobile marmaglia che s’aggirava briaca per le città del suo 'Piemonte. Il destino volle che, per la morte prematura di suo fratello, egli diventasse erede dei diritti ducali della sua Casa ed allora il giovinetto volle diventarne degno; diresse ogni suo sforzo a vincere la debolezza del suo corpo, e fu in breve il più destro, il più infaticato in ogni gioco, in ogni esercizio ed a soli 17 anni chiese al suo buon padre il permesso di lasciarlo partire per raggiungere Tarmata di Carlo V in Germania. E vi andò e vi seppe vivere in modo da fare apprezzare la sua precoce serietà, il suo fervido ingegno, le maniere gentili e l’arte di saper vivere in modo che il potente imperatore lo predilesse ed il figlio di 168 Rassegna Bibliografica Carlo V divenne suo amico, e si formò intorno a lui una corrente di simpatia, ottima base per salire più in alto. Una prima prova di tale simpatia fu Γ incarico al giovane iFiiliiiberto di -accompagnare il futuro Filippo II nel suo viaggio dalla Germania in Ispagna; ed in Ispagna ajppunto i'1 giovane principe di Savoia dette la prima prova del suo valore preparando con massima celerità Barcellona alla difesa contro la flotta francese che s’era improvvisamente presentata dinanzi alla città. Ail ritorno della sua missione, il principe passò per il suo Piemonte desolato, rivide il padre affranto dal dolore a Vercelli, tentò inutilmente di sanare le sue terre dalla lebbra franco-spagnola e ripartì per la Germania per ritentare nella Corte di Carlo V nuove vie in favore dei possessi paterni. Nulla fu ottenuto per essi, ma 1’ imperatore gli diede la prova più grande della sua stima affidandogli il comando dell’esercito tedesco già pronto a nuove lotte con le forze francesi. Aveva appena venticinque anni, ma dette subito prova di aver -la giusta visione di quanto era necessario ad un esercito per vincere: disciplina, severità, giustizia, contatto continuo con i proprii dipendenti. Quando sentì di avere in pugno i suoi uomini, esso li lanciò intrepidamente nella lotta e manifestò -le doti del grande capitano: velocità nel dislocamento, prontezza in ogni decisione, intuito nello scorgere gli errori del nemico e nel profittarne con la massima rapidità. •Nella famosa battaglia di S. Quintino egli dette la prova più perspicua della sua abilità e del suo genio. Egli vi mise in pratica la tattica ardita dell’avvolgimento dell’esercito nemico mediante il prolungamento dell’ala sinistra del suo esercito e precorse di due secoli e mezzo Napoleone nell’ usare 1’ artiglieria sul fronte della battaglia insieme alle fanterie. Dopo la grande vittoria egli chiese all’ imperatore di lasciarlo marciare su Parigi per completare il successo con l’occupazione della capitale di Francia, ma non gli fu permesso di coronare con tale trionfo la sua carriera. Vincitore di S. Quintino ! per il grosso pubblico questo è il maggiore, anzi l’unico titolo di merito di quel principe di Savoia. In verità la giornata di S. Quintino gli procurò fama onorata in tutta l’Europa, gli fruttò nozze auguste con la casa di Francia e, sia pure indirettamente, la restituzione dei vecchi possessi .della sua Casa in Piemonte, ma per la gloria d’ Italia la sua fama incomincia proprio dal momento in cui egli ripone la spada nel fodero, come lo rappresenta la bella statua del Marocchetti eretta in suo onore nel cuore della 6ua Torino. E’ proprio dal momento in cui egli rientra nei vecchi stati paterni, alla testa di cento cavalieri vestiti di velluto, che incomincia la parte più bella, più nobile, più santa, più fattiva, della sua vita. Il suo Stato gli era restituito, ma in realtà molte città erano ancora in mano di guarnigioni Francesi o Spagnole che dichiaravano le une e le altre di essere pronte a partire quando le guarnigioni nemiche avessero alzato il tacco. Rassegna Bibliografica 169 (Situazione difficile per il principe il quale dovette usare tutta la diplomazia imparata alla Corte per staccare faticosamente una dopo l’altra queste ultime piovre straniere dalle loro sedi, pagando spesso grosse somme perchè partissero senza fare saltare in aria le fortezze; fatica che durò più di un decennio prima che egli potesse trarre finalmente il inspiro e dichiararsi padrone in casa propria. Chi non ricorda a questo punto il famoso bozzetto del De Amicis : « Emanuele Filiberto a Pine-rolo » che rievoca appunto l’ingresso del gran capitano nella cittadina finalmente riacquistata ? iDurante questa opera sottile di accortezza diplomatica, Emanuele Filiberto compie già un grande lavoro di riassetto delle sue terre, frutto di una mente lucida, moderna, organizzatrice, consapevole dei bisogni del suo popolo. Con la sua prodigiosa attività compie il miracolo di ricostruire uno Stato, di armarlo, di risanarlo, di avviarlo ai più alti destini. La sua esperienza militare gli dà il mezzo di risolvere il grave problema di una milizia paesana bene inquadrata; il possesso di Nizza e di Villafranca e l’acquisto di Oneglia ló inducono a creare una flotta che si coprirà di gloria nella famosa battaglia di Lepanto, la necessità del momento politico lo consiglia di imporre un governo assoluto che egli istesso limita colla istituzione di un Senato che registri gli editti ducali soltanto dopo avere esaminato se vi sia in essi alcunché di lesivo per Γinteresse dei sudditi. Grandi innovazioni sono da lui promosse nel sistema tributario iper risollevare la situazione finanziaria; una multiforme attività è da lui risvegliata nei campi delTindustria, della agricoltura, del commercio e del credito e poiché uno Stato non può fiorire senza la diffusione della coltura, egli, che di ogni studio era amantissimo, riordina le scuole d’ ogni grado, raccoglie le librerie sparse di Casa Savoia, onora gli studiosi che convengono alla sua Corte, restaura le Università di Mondovì e di Torino. ULa morte lo coglie quando ha appena raggiunto 52 anni di età, ma il suo Stato è ormai consolidato fortemente ed i suoi successori sapranno essere degni del secondo fondatore della Casa di Savoia. La meravigliosa figura di Emanuele Filiberto indusse già molti anni or sono l’illustre Ercole Ricotti a farne oggetto di studio; nell’anno in corso, in occasione del quarto centenario della sua nascita, è già comparsa una ricca fioritura di libretti, di piccole monografìe sul grande restauratore della Casa Savoia, ma Tunica pubblicazione veramente degna di Lui è quella edita per cura del Comitato torinese formatosi per onorare la memoria di Emanuele Filiberto. Il bellissimo volume, adorno di belle tavole illustrative è composto di una serie di saggi di egregi scrittori. Una raccolta di scritti di autori diversi, su speciali argomenti, parrebbe non potere dare una visione esatta e completa della grande figura 170 Rassegna Bibliografica del principe sabaudo; invece il musaico dei vari articoli è così bene combinato che la figura risalta splendidamente, e certo ne va attribuito il merito all’ organizzatore dell’ opera il Prof. C. (Rinaudo, che ha saputo raccogliere intorno a sè gli studiosi più competenti ed ha diviso fra •loro il lavoro in modo che ne uscisse un’opera armonica e pregevole. Il volume non è appesamtito da note erudite; ogni scrittore ha messo tutto il suo impegno nell' esporre in modo piacevole la parte più viva della sua cultura sull’argomento prescelto; chi ha qualche pratica del -mestiere sente sotto la fluidità del racconto, lo sforzo di non fare trasparire quante ricerche e quanto studio sia costata una notizia, un dettaglio; qui sta il grande merito dello scrittore e se tutti si abituassero a scrivere sempre così, i nostri libri di coltura sarebbero assai più letti di quanto siano sinora. I nomi dei singoli autori sono una garanzia della serietà del lavoro; ognuno di essi ha parlato di quanto conosceva meglio e meglio di cosi non poteva parlare. (La morte ha tolto a due di essi, il Prof. E. Bettazzi ed il Prof. A. Segre, di godere con i loro compagni di lavoro della visione dell’opera compiuta, ed a loro vada il rimpianto della gloriosa schiera degli Storici italiani. I rimasti hanno veduto coronato il loro lavoro dalla collaborazione illustre del Duca di Aosta, il quale ha voluto porre il suggello a questa magnifica opera con poche pagine veramente belle in onore del sfuo grande antenato di cui egli ripete il nome e le gesta gloriose. Il Duca di Aosta ha saputo con il suo stile incisivo e corrusco, come una spada ben temprata e ben forbita, raccogliere in poche frasi tutte le magnifiche qualità del suo Antenato ed i suoi meriti verso noi e veTso la nostra Patria. Emilio Padani SPIGOLATURE E NOTIZIE Un ottimo contributo ai dati biografici dei nostri patrioti del Risorgimento dà Adolfo Bassi in una interessante e dotta monografia pubblicata nell « Annuario de. R-. Liceo Ginnasio A. DO ria » di Genova 1926-27. In essa il Bassi, con il suo consueto brio, ci fa rivivere la vita studentesca delle Scuolb civiche Genovesi, degli allievi ohe rispondono ai nomi di Nino Bixio, Stefano Canzio, Emanuele -Quezel, Emanuele Banchero, Stefano Cocchella, Bartolomeo Mar-chelli, Giuseppe Profumo, IPietro Traverso, Vincenzo Briasco, Bgisto Sivelli, Giovanni Della Casa, Tito D© Micheli, Gaetano lAngelbnoo Erede, Stefano Dapino. Tre · ; « Dominio francese » e ·< L’Era novella ». * * * Sul giansenista genovesb Vincenzo (Palmieri si trovano accenni nei «Carteggi bresciani .inediti sulla vita e i tempi di Pietro Tamburini » (1737-1827) editi da P. Guer-rini nell’ultimo fase, del «Bollettino della Società Pavese di Storia Patria» (Luglio-Dicembre 1927, fase. III-IV). * * * o. q. col titolo «« Cronachb Genovesi » ricorda in « Emporium » (Febbraio 1928) la recente Mostra Cambiaso, sorive del riordinamento ideila Galleria di Palazzo Bianco e del restauro di S. Agostino rievocando in ultimo la vecchia Genova nei suoi vicoletti più caratterietici. * * * i La Grande Genova» (Bollettino Comunale) nel suo fascicolo di Febbraio 1928 ha uno scritto di G. rewaqno su II Pinco (sorta di nave) Genovese. # * * Umberto V. Cavassa parla di Ginova medioevale nbgli annali di Ogbrio Pane k Marchisio Scriba ncrtla «Rassegna d’Europa e dell America Latina * di Febbraio 1923. Spigolature e Notizie * * * Gbnova - Glorie e Splendori, il recente volume <ìi G. Portigliotti edito dalla « Lo vaut », è recensito nel «Corriere Mercantile» del 3-4 marzo 1928 a firma a. p. Z. * * * « Il Cittadino » del 13 Marzo 1928 sotto il titolo L’italianità di Colombo riassume una conferenza tenuta (recentemente da Rafael Gay do Montcllà alla « Casa degli Italiani » in Barcellona, diretta a confutare le affermazioni contrarie di parecchi noti scrittori moderni, specialmente spagnoli. * * * Le Industrie Genovesi alla Fibra di Tripoli è il titolo di una breve rassegna descrittiva a firma C. Ritei nel -Cittadino* del 15 marzo 1928. * * * Nel «Giornale di Genova » del 15 marzo 1928 Vito Vitale parla a lungo degli studi più recenti su Pasquale Paoli e recensisce la « Vita » del grande ipatriota coreo,, ora uscita coi tipi del Lemonnier, per Leona Ravenna. * * * « Caffaro ■ del 15 marzo 1928 ci dà, col titolo Passeggiate Genovesi (a firma: Artù) una 'breve rassegna toponomastica evocante ricordi storici di Genova ontica, * * * Arturo Ferretto in uno scritto dal titolo Cronache di Sestei comparso nel -Cittadino· del 16 Marzo 1928, resristra antichi ricordi della vita parrocchiale ricavati da memorie vetuste della Aroipreebiteriale di Sestri-Ponente. * * * C. Panieri recensisce a lungo nel -Secolo XIX- del 18 marzo 1928 il volume di G. B. Vallebona : Il Teatro Carlo Felice. * * * L\ inventrici di tutte le pompb è il titolo di uno scritto di Amedeo Pese io in - Recolo XIX · de] 20 marzo 1928. Ix> scritto è una evocazione di antico folklore genovese. * * * Arturo Ferretto scrive nel -Cittadino· del 23 marzo 1928 su La Chiesa e il luco di S. Eusebio col Castellaro preromano b le Oriole. S. Eusebio è un luogo di Val Bisogno ben noto ai Genovesi come meta di gite estive e autunnali. * * * Di Ettore Bravetta è uno «scritto col titolo: Mecollo Lercari pubblicato nel -Secolo XIX - del 23 marzo 1928. t # t Col titolo De Musset e George Sand a Genova, Art scrive mi -Lavoro· del 24 mar* zo 1928 intorno ad una conferenza tenuta a cura dell’· Alliance Française· da Gabriel Paure. # * * San Zane ô vègio è il titolo di uno scritto di Amedeo Pestio nel - Secolo XIX* de) 29 marzo 1928, inteso ad illustrare la chiesetta omonima che TOrdine di Malta possiede preeso la Cattedrale di 8. Lorenzo * * « Arturo Ferretto ricorda nel - Cittadino - del 30 marzo 1928 II Card. Aldobiandini nei, Genovesato. * « « -Il Mare-, settimanale di Rapano, nel suo numero 31 marzo 1928 ha uno scritto un continuazione) di Amedeo Petcio dal titolo Panorama Emìriaco · La Grandi Pasqua Sono ricordi storici delle epopee crociate, nei riguardi dei genovesi. Lo scritto continua nel numero del 7 aprile. Spigolature e Notizie 173 * * * Flavio Boriarmi scrive di Genova che scompare nella « Rassegna d'Europa e dell’America Latina »» B. Vallebona sul Teatro « Carlo Felice ». * * * Come e da quali artisti pu ideato per la prima volta il teatro « Carlo Felice », è l’argomento trattato su documenti inediti in « La Grande Genova » Bollettino Municipale del marzo 1928 , da Arturo Codignola. * * * Col titolo : I BRIGANTI AVVISTATI A GENOVA E UNA GROSSA VERTENZA ITALO-PRANCBSE, SÌ parla nel « Lavoro » del 3 aprile 1928 di un fatto risalente al 1863. Lo scritto è firmato : « L’Osservatore ». * * * Emanuele Canesi scrive nel «Corriere Mercantile» del 3-4 aprile 1928 su Gandolin b i suoi tempi. E’ una recensione al recente libro di F. E. Morando. * * * Riandando antiche memorie liguri A. Ferretto scrive nel « Cittadino » del 6 aprile 1928 intorno a II Castellaro del Dragone di Camogli· * * * La Passione senza Pasqua, è il titolo di uno scritto pubblicato da Amedeo Pescio nel « Secolo XIX » del 6 aprile 1928. Vi si accenna ai rapporti tra i genovesi e la Terrasanta nel medioevo * * * Il numero del 5-6 aprile 1928 del « Corriere Mercantile » consacra tutta una pagina alla commemorazione centenaria del « Carlo Felice ». C’ è un lungo ecritto di F. Ernesto Morando : Rievocazioni b ricordanze ed un interessante rilievo di X. T. : Appunti sull’opeea del Barabino, con ritratto del medesimo. * * * Intorno a II soffitto del Teatro Carlo Felice, scrive nel «Corriere Mercantile» del-1’ 8 aprile 1928 A medeo Pescio. * * * .4. PettoreUi nel «Corriere Mercantile- dell’11-12 aprile 1928 recensendo un libro di G. Delogu parla del pittore genovese G. B. Castiglione. * * * Navigatori genovesi antesignani nella scoperta dell’Aprica, (tra d quali Tedisio Doria, figlio di Lamba) sono ricordati nel « Corriere Mercantile » del 12-13 aprile 1928. Lo scritto è anonimo. * * * trinano Grande nel «Giornale di Genova» del 13 aprile 1928 scrive intorno a La Liguria alla Fiera di Milano, parlando particolarmente dello stand del Comnne di Genova. * * * Continuando a ecrivere intorno ai personaggi genovesi nella Divina Commedia, A. Ferretto tratta nel « Cittadino » del 13 aprile 1928 di Bonifacio Fieschi Arcivescovo di Ravenna. * * * Il «Corriere Mercantile» del 14-15 aprile 1928 ha un cenno su Paganini a Vinezia. tolto dal - Popolo di Trieste ». * * * L'Illustrazione del Popolo» di Torino ha nel suo numero del 15 aprile 1928 uno ‘«critto a firma L. A. illustrante II Carlo Felice di Gbnova nel primo centenario della Hua narcita. 174 Spigolature e Notizie * * * Amedeo Pescio rievoca nel « Secolo XIX » del 17 aprile 1928 episodi curiosi eul traffico degli schiavi, riguardanti Genova e i commercianti genovesi. Lo scritto ha il titolo: Domina Mabis - Avorio ed ebano. * * * P. Amedeo Da Varazze ricorda nel «Cittadino» del 18 aprile 1928 nell'articolo Cristoforo Colombo, come le ossa di lui trovarono finalmente pace nella Cattedrale di San Domingo. * * * Praepotens Genubnsium Praesidium, è ài titolo d’uno scritto di Lazzaro Desi/moni nel «Cittadino» del 19 aprile 1928. * * * A. Ferretto ricorda incursioni di turchi sulle spiagge liguri parlando de II saccheggio d’ Arenzano, nel « Cittadino » del 20 aprile 1928. * * * Lazzaro Desimoni riepiloga nel « Cittadino » del 21 aprile 1928 talune vicende mercantili e guerriere di Genova in uno scritto dal titolo : L'Araldo di Genova. * * * Amedeo Pescio nel « Secolo XIX» del 21 aprile 1928 scrive intorno a L. A. Vassallo. * * * Di Angiolo Silvio Novaro, ricordato in un discorso da Vittorio D’Aste ei parla nei « Cittadino » del 21 aprile 1928. * * * Ernesto Bianco di S. Secondo scrive nel «Cittadino »del 26 aprile 1928 rievocando un lontano ricordo ligure della Casa d'Aremiberg già feudataria di Millesimo e paesi contigui, dopo i Del Carretto. Lo scritto ha per titolo: Maria Enrichetta Del Carretto. * * * S. R. scrive nei «Corriere Mercantile» del 26-27 aprile 1928 intorno a Vincenzo Bellini a Genova. * * * Col titolo Una gloria pietrese, ei parla nel « 'Secolo XIX » del 27 aprile 1928 di Paolo Accame noto cultore ed illustratore di memorie patrie, specialmente riferentisi a< Pietra Ligure. Lo scritto è di Lino Spotorno. * * * iScrive Arturo Ferretto nel «Cittadino» del 27 aprile 1928 intorno a II Casthl- LAZZO DI RiVAROLO. * * * Col titolo Garibaldi cacciatore, uno scritto non firmato in « Caffaro » del 28 aprile 1928, rievooa la passione cinegetica del Generale riportando una lettera di lui testé (pubblicata dalla « Gazzetta di Calabria ». # * * De: Il Primo Centenario del Carlo Felice, scrive' Fabio Invrea nelUa «Rassegna d'Europa e dell’ America Latina » dell’ aprile 1928. * # * Ma/rciis de Rubris fa in «L’Opere e i igiorni » '(fascicoli di marzo e aprile 1928), una esatta e viva ricostruzione della permanenza a Genova di Massimo d’Azeglio nel settembre-dicembre 1846, illustrando attraverso l’epistolario d'azegliano la prodigiosa attività del patriota in questo periodo. * * * «La Lettura» di Milano nel suo fascicolo di aprile 1928 ha uno scritto di F. Retas co su II Teatro Carlo Felice di Genova. * * * « Le Vie d'Italia e dell'America Latina » nel fasoicolo di aprile 1928 hanno uno scritto (corredato da due illustrazioni) a firma S. N. ricordante Garibaldi nell’America del Sud. Spigolature e Notizie 175 * * * /. F. Moittei"Torre uell’ultiimo fascicolo delia « Eevue de la Corse» del marzo-à/prile 1928, in mi articolo dal titolo Pierre Cyrnée plagiaire ? dimostra che lo storico nazionale dei Corei ha nei suoi lavori saccheggiato spesso e volentieri gli scrittori classici latini in impeciai modo Cesare e Tito Livio. * * * Camillo Riccioni continua nel fase, di marzo-aprile 1928 della « Revue de la Oorse » la sua bella monografia su Tours et château du Cap Corse. La monografia è corredata da nitide illustrazioni. * * * Emilio Francis chini continua l’interessante studio di storia recente, pubblicando le sue ricérche intorno ad « Un siècle d’élections en iCoree » nell’ ultimo fascicolo della « Revue de la Corse »> (marzo-aprile 1928). Questa seconda puntata tratta del periodo 1789-1886. % * * * Amedeo Pescio in uno scritto dal titolo L’Andrin d’Ineja, evoca fatti e personaggi del temipo di Andrea Doria. Lo scritto è nel « Secolo XXX » del 3 maggio 1928. tf * * A Reste e a Pietralavezzara, due luoghi della Val Polcevera ricchi di memorie romane e (medievali, «conduce il ilettore A. Ferretto col suo scritto nel « Cittadino » del 4 Maggio 1928. * * * La nostra Santa è il titolo d’uno scritto di Lazzaro De Simoni nel « Cittadino » del 6 Maggio 1928. Rievoca ricordi storici di Caterina Fieschi Adorno. * * * Il (soggiorno idi Vincenzo Bellini a Genova è ricordato da S. R. nel « Corriere Mercantile » del %-Z e 8-9 maggio 1928. # * * 0. c. scrive nel «Caffaro» del 10 maggio 1928 su L'Indicatore Genovese evocando ricordi mazziniani che si riconnettono a quell’ antico giornale. * # * (Gli Orrori d’ una pestilenza a Genova (quella del 1656) sono ricordati da Umberto Di Leva nel « Giornale di Genova » del 10 maggio 1928. * * * Di (Giacomo Casanova a Genova scrive Mario {Miele nel « Giornale di Genova » dell* 11 maggio 1928. * * * Di una Conferenza di Gaston Broche sul tema Genova in guerra contro Maria Teresa rende conto « Il Lavoro dell’ 11 maggio 1928. * * * Flavia, Steno riassume -nel « Secolo XIX » dell’ 11 maggio 1928 il libro di Ernesto Morando « L. A. Vassallo (Gandolin) e i suoi tempi ». * * * Di Avegno attraverso i secoli scrive A. Ferretto nel «Cittadino» del 18 maggio 1928. * * * Col titolo L’ Angelo dello (Spedale Grande Amed&o Pescio scrive di S. Caterina da /Genova ne « Il Mare » idi Rapallo, (Numero del 19 (maggio 1928. Lo scritto è in continuazione. * * * (Sotto di titolo Colombo lombardo? si discute .nel «Corriere Mercantile» del 22-23 maggio 1928 sulla origine cremonese di Cristoforo Colombo, ipotesi avanzata dalla « Rivista idi Cremona ». * * * Rinaldo Caddeo scrive su La Corsica, Genova ed altre cosb in « Le opere e i giorni » di magigio 1928 muovendo dal recente llibro di Minuto /Grosso : « La Corsica vista, da un vagabondo ». 176 Spigolature e Notizie * * * Edith Southwell Colucci -pubblica, per i tipi idei Giusti idi Livorno un volumetto di Racconti còrsi, tradotti dall* inglese da Maria iRoselli Deoconi. Del bel volumetto, che contiene otto racconti, schiettamente còrsi, dà una buona recensione Z in « Il Marzocco » di Firenze del 3 giugno 1928. * * * Nino Cortese pubblica nell’ ultimo voi. dell’« Archivio storico per le province napoletane » (ipag. 396) una imiportante lettera di Carlo Pisacane a Girolamo Ulloa da Genova tìefl 9 agosto 1855. * * * P. dà B. in un articolo (pubblicato meli’ Almanacco della «A. Muvra » del 1928, tratta a lungo Idi U drama d’ una iOuscenza Còrsa : Ghiareppu 'Fieschi. Viene qui rievocata la figura di Giuseppe Fieschi, 1’ attentatore di Luigi Filippo il 28 luglio 1835, con ricchi cjiiti biografici e interessanti particolari della vita di questo eroe còrso. * * * Col titolo Santi Còrsi il padre Francesco Maria Paolini .pubblica nell Almanacco della «A. Muvra» del 1928 due interessanti biografie: quella di Fra Michelangelo da Corbara (n. il 25 maggio 1785 e morto il i2A ifebbraio dei 1815 a Roma); e quella del Venerabile Bernardino Alberti di Calenzana (n. il 7 aprile 1591 e morto il 28 sett. 1653). * * * 13. L. illustra nell' Almanacco della « A iMuvra » del 1928 la Chiesa dei Còrsi in Roma : « San Crisogonu » rifacendo tutta la -storia di questa [basilica, anteriore al Vo secolo, una fra le più insigni di Roma. * * * Nell’ Almanacco della « A Muvra » dell’ anno 1928, vi,en pubblicato un interessante poemetto inedito, in ilingua italiana idelF aibate Giovanni Franchi di Montemaggiore di Balagna fervente (paolista, dal titolo La Conquista di [Calvi, 1794. * * * P. di C. (porta nell’ Almanacco della « A Muvra » del 1928 un interessante contributo alla divulgazione della storia (genovese. Pulbblica l’articolo in varie (puntate, facendolo (precedere da una ibreve introduzione, in. cui rifacendosi dai tempi della scomparsa della dominazione carolingia, s’occupa "brevemente ideile varie forme di governo della repubblica di (Genova, inizia quindi la ipubblicazione in ordine cronologico — (partendo dal 1187, e cioè dall’ anno della dominazione genovese sulla Corsica, fino al 1769, quando essa >passò alla Francia. — dei nomi dei Consoli dello Stato, dei Consoli dei 'placiti, dei Podestà, dei Capitani del Popolo e dei Dogi Genovesi. * * * Sono usciti i primi due numeri della bella rivista « A Compuona» diretta dal collega Davide Chiossone. Alla consorella i più vivi auguri di lunga vita e al caro amico fondatore e direttori vivissimi rallegramenti per la buona riuscita dei primi fascicoli. APPUNTI per una Bibliografia Mazziniana SCRITTI SU G. MAZZINI PUBBLICATI ALL’ESTERO H. G. E., Mazzini and thè Alto Adige, in «The Italian Mail », Firenze, 7 aprile 1928. Charles Vidal, Charles Albert et le Risorgimento Italien 1831-1848, Paris, E. De Boceard, 1927; Mazzini et les tentatives révolutionnaires de la Jeune-Italie dans les États Sards (1833-1834), id., 1928. Importanti volumi di cui ci ripromettiamo trattarne ampiamente nel prossimo fascicolo. Omero Barrano, Mazzini e la musica, >in « Ita!y America Revi\v », New York, febbraio 1928. Son riportati vari brani della Filosofia della tMusica ed il M. viene definito « 1’ a-nima più musicale e più artistica dell’epoca gloriosa del nostro risorgimento ». Monson P. William, Giuseppe Mazzini, his politicai and economie concept, in « Interprete », \New York, Marzo 1928. Breve riassunto divulgativo delle dottrine politiche ed economiche mazziniane. OPERE E STUDI SU G. MAZZINI PUBBLICATI IN ITALIA G. E. 'Curatolo, Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi, A. Mondadori, Milano, 1928. Il Curatolo dichiara nella sua prefazione4ettera al Capo del Governo, ohe « si propone di porre in piena luce il contrasto che nel periodo dell’azione realizzatrice, divise i due Titani del nostro primo risorgere politico». Anche di questo volume ci ripromettiamo di trattare in uno dei prossimi fascicoli. Giuseppe Mazzini, « Dal Papa al Concilio. Dal Concilio a Dio », Genova, (Libreria Editrice Moderna, 1928. E’ la ristampa di due scritti del Mazzini, il primo del 1849, ed il secondo del 187® ripub-blicati in occasione dell’ anniversario della morte di M. 178 Bibliografia Mazziniana ARTICOLI VARI IN RIVISTE E GIORNALI Pareto iMagliano Bice, Un* amica di Giuseppe Mazzini : Arethusa Milner Gibson Cullum, in « Gran Mondo », .Roma, febbraio 1928. Breve rievocazione ideila simpatica (figura di Arethusa Milner (Gibson Cullum, amica ed ammiratrice del M. Umberto Leocani, Gli amori di Giuseppe Mazzini, in « Popolo di Calabria », -Reggio Calabria, 6 marzo 1928. Recensione del vol. cit. del Baiucci. P. >P., Meditando sui libri e sulla vita, Amori Mazziniani di A. Saluccir m « Regime Fascista », 'Cremona, 7 Marzo 1928. Breve recensione del voi. di A. Salucci cit. * Umberto V. Cavassa, Mazzini e V amore, in « Lavoro », Genova, 10 marzo 1928. Ampia recensione del voi. di A. Salucci cit. Vico Parini, Giuseppe Mazzini nel 56° anniversario della morte, in « Popolo d’ Italia », Milano, 10 marzo 1928. Breve nota commemorativa. P. Pantaleo, Giuseppe Mazzini: V Uomot V Italiano, il Profeta, in « Regime Fascista », Cremona, 10 marzo 1928. Ampia commemorazione nell’ anniversario della morte di M. F. Ernesto Morando, Dieci Marzo - Una tremenda unità dello Spinto, « Corriere Mercantile » del 9-10 marzo 1928. Breve e commossa commemorazione della morte del Mazzini. Alesina a., Per l'anniversario di Mazzini 10 marzo 1872, Una Tremenda unità - L' idea Morale, in « L' Unione », Lodi, 8 marzo 1928. Commemorazione retorica, con citazione di vari brani del M. Parini Vico, Giuseppe Mazzini, nel 56° anniversario della morte, 10 marzo 1872-10 marzo 1028, in « Popolo d'Italia », Milano 10 marzo, 1928. Breve articolo commemorativo. Giuseppe Menghi, Giuseppe Mazzini, 22 giugno 1805 - 10 marzo 1872, in « Giornale del Friuli », Udine, 11 marzo 1928. Breve commemorazione, vibrante di eentimento. __,t Amori Mazziniani, in « Nuova Antologia », 'Roma, 16 marzo 1928. Breve recensione del voi. di A. Salucci cit. /t Bibliografia Mazziniana 179 Profeta A., Giuseppe Mazzini, in « Carroccio », Legnano, 17 marzo 1928. Breve commemorazione di G. Mazzini. Gianluigi Mercuri, Amori mazziniani in « Resto del Carlino » Bologna, 21 marzo 1928. ’ _ Breve recensione del voi. di lA. Saiucci cit. , Amori mazziniani, in « Corriere Mercantile », Genova, 29 marzo Breve cenno sul voi. del Saiucci cit. -, Mazzini e la Francia, in « Stampa », Torino, 5 aprile 1928. Vien idata notizia di un im-portante dono fatto al Museo del Risorgimento di Milano dell’archivio del patriota Francesco àRestelli. Notevole, fra gli altri importanti documenti, una proposta intorno alle condizioni per la mediazione -francese nel '48, redatta dal Cestelli e largamente postillata dal Mazzini. Mario E. A., ILe spose di Mazzini, in a Stato », Napoli, 6 aprile 1928. Ampia recensione (del voi. di A. Salucci ©it. Ottuagenario (iL’), iLa pubblicazione delle opere di Giuseppe Mazzini, in « Torchio », iMiilano, 8 aprile 1928. Serena e giusta protesta per gli ingiustificati attacchi fatti da qualche (pubblicista italiano alla Commissione editrice degli Scritti del Mazzini (Ediz. Naz.), e per le inverosimili proposte di sopprimere in detta Edizione i voli, della Politica e della Letteratura. Sottoscriviamo........ a quattro mani. « La Scure ». di Piacenza del 20 maggio 1928, traccia un breve necrologio del dott. Giovanni Pagani. τι P. fu un ardente mazziniano ed il giornale pubblica due biglietti del a lui, uno del 12 aprile 1869 ed uno del maggio dello stesso anno. I- ATTORELLO Francesco, Mazzini, in « Popolo Toscano », iLucca, 274-1925. Breve recensione defl voi. del Saiucci. Bruno Veneziano Gaetano, Giuseppe Mazzini, in « Il Velite », Roma aprile 1928. Cenno commemorativo di G. Mazzini. Gina del Vecchio, « Una fiammella amorosa nell' epistolario di Giuseppe Mazzini ». G. D. V. rievoca con esatta informazione e stile appassionato e vibrante, l’amore per Mazzini di Maria Mandrot, ohe andrà più tardi sposa a Luigi Amedeo Me-legari. Lo scritto è apparso nella rivista «La Lucerna» di Ancona dell’A-prile 1928. 180 Bibliografia Mazziniana Cilione Carlo, Giuseppe Mazzini critico letterario, in « Arena », Verona, 10 maggio 1928. LI C. .prendendo lo spunto dalla ricorrenza centenaria del 1° numero ^ *Ç.a ore Genovese a Genova (10 marzo 1828) giornale in cui il Mazzini pu ic 1 primi a-rticoli letterari, fa un breve riassunto di questi, senza por are nuovo contributo nè di documenti, nè di critica. g. c., L’ Indicatore Genovese, in « Caffaro », Genova, 10 maggio 1928. Anche Giannino Carta, ma con maggior competenza del Cilione, prende della data del 10 maggio per intrattenersi deW Indicatore Genovese . , sunne ;brevemente ma con (precisione e chiarezza il poderoso avoro Neri eu tale argomento. F. Manisi, La morte di Mazzini in alcune lettere di V. Biusco Onnis, in « Camicia Rossa », (Roma, il4 maggio 1928 e in « IL Opinione », i Spezia del 28 maggio dello stesso anno. Vengono pubblicate dal Manisi sei lettere inedite di Vincenzo Brusco Onmejglla figlia Lina, in cui il fervente patriota mazziniano dava sconsolato da Genova la notizia della tmorte e poi dei funerali del grande Apostolo deli Ttat*. San lettere assai interessanti, piene di dolore e di sconforto, tratte dalle Oarte del Brusco Onnis. Arcari (Paolo, Tra il libro e la vita, La maternità di Maria Mazzini, in « Libri del Giorno », Milano, maggio 1928. Brevissima recensione del voi. di I. Cozzolino Cremona cit. Ultime pubblicazioni ; P. NURRA — A. CODIGNOLA Catalogo detta Mostra Ligure del Risorgimento (Genova, Settembre-Ottobre 1925) GENOVA Comitato Ligure Soc. Naz. per la Storia del Risorgimento Italiano Via Garibaldi, 18 (Edizione di lusso, di 500 esemplari numerati fuori commercio — L. 100 1927 P. B. GANDOOLIA In Repubblica (Vita intima degli uomini di Noli studiata nell’Archivio del Comune — Pag. 1-696) FINALBORGO - Tip. V. Bolla & Figlio - 1927 QOFFREDO MAMELI “La Vita e gli Scritti,, a cura di A. Codignola EDIZIONE DEL CENTENARIO 2 voli, con 30 tavole fuori testo « La Nuova Italia » Editrice - VENEZIA GIUSEPPE MAZZINI / doveri dell' uomo Nuova edizione con introduzione a cura di Arturo Codignola VENEZIA - « La Nuova Italia * Editrice - 1927 Direttore responsabile : Ubaldo Formentoni (jiornale storico E LETTERARIO DELLA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI * * Pubblicazione trimestrale NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Fornientini ANNO IV. 1928 Fascicolo III - IV Luglio - Dicembre SOMMARIO Omero Masnovo. Le radiose giornate genovesi dal dicembre 1746 secondo nuovi documenti - Ferruccio Sassi, Signorie liguri, 1 Campofregoso in Lunigiana - Giannina Gnecco, 11 Palaprat neiropera di Stefano De Franchi - Mario Battistini, Oiovan Maria Lampredi a Genova nel 1789; impressioni e giudizi - Due lettere inedite di Giovanni Fantoni - Giuseppe Leti, A. Codignola, Polemichetta Mameliana — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: P. Luigi Maria Levati, 1 Dogi Perpetui di Genova (Vito Vitale) - I. Scovazzi - F. Noberasco, Storia di Savona, voi. Ili (Vito Vitale) - Orlando Grosso, Sciroccate (Vito Vitale) - Annali Genovesi di Caîfaro e dei suoi continuatori, vol. IV e V (Vito Vitale) - Natale Grimaldi, La contessa Matilde e la sua stirpe feudale, (Ferruccio Sassi). — SPIGOLATURE E NOTIZIE - Appunti per una bibliografia mazziniana. Genova Stab. Tipog. G. B. Marsano Via Casaregis, 24 1928 Giornale storico e letterario della Liguria NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentini. COMITATO DI REDAZIONE: Giuseppe Pessagno, Pietro Nurra, Vito A. Vitale. L’annata 1928 esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Università di Genova, e del Municipio e della Società d Incoraggiamento della Spezia. DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Genova, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 18 CONDIZIONI D’ABBONAMENTO. Il Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali di circa 80 pagine ciascuno. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature, notizie e appunti per una bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per l’Italia Lire 30; per l’Estero Lire 60. Un fascicolo separato Lire 7.50. LE RADIOSE GIORNATE GENOVESI DEL DICEMBRE 1746 SECONDO NUOVI DOCUMENTI La (( (Relazione della sollevazione seguita nella città di Genova lì 5 dicembre 1746 » che riproduco fedelmente, ritoccandone solo la punteggiatura, secondo il sistema moderno, e correggendone gii evidenti errori di ortografìa, che non sono molti, fu da me trovata nel R. Archivio di Stato di Parma, Cartella « Genova - 1746 - Carte del Marchese Pallavicino, Commissario della Repubblica di Genova », fascicolo « Genova 1745-1746 ». E'ssa è in data 13 dicembre 1746. E’ pertanto, in ordine cronologico, la prima narrazione delFavvenimento (1). (1) La prima relazione, finora conosciuta suiraqgamento, porta la data del 15 dicembre ed è intitolata «Lettera di un cittadino genovese ad un suo corrispondente a Landra ». E’ un opuscolo di 15 pp., anonimo, ma opera di Giroflamo Ourio, storiografo deliba Repubblica. Pure anonima è la seconda relazione conosciuta dell’ avvenimento, intitolata «Lettera scrìtta ad un amico in Roma corca da scacciamento dei tedeschi dalla città di Genova ecc. », pubblicata in Arch. stor. ital., 1848, App. N. 20, P(P. 259-294, ma giià apparsa dm francese poco d<*po i fatti che nanra. E’ opera «LeO* sacerdote e avvocato Francesco Maria Del Vecchio e appare scritta il 20 dicembre 1746, a giudicare dalla pag. 292 delia edizione pubblicata, dall'Arch. stor. Stai. Seguirà, in ordine cronologico, la «Storia dell’anno 1746 - Amsterdam-Venezia -ed. Pittori ». Il quarto posto era temuto da la «Storia di Genova degli anni 1745-1746-1747 », uscita nel 1749 dal'le stampe del Soli&ni di Modena, della quale si fece poi una ristampa nel 1750-51 con l’indicazione di Leida. Si credette per lungo tempo, suilfla fede dell’ Accinelili, che (fosse opera di Francesco Maria Doria, ma le pazienti e dotte rucercfoe del marchese di Staiglieno hanno messo in chiaro che è invece opera di Gian Francesco Doria «il quale ebbe commissione dalla Signoria di descrivere quegli avvenimenti con ampia facoltà di servarsi dei documenti più riservati deli’ Archivio dii Stato » Cfr. F. Zevi, La guerra in Italia dal 1742 al 1816 - Roma, Voghera, 1887 parse che un pretesto per potere più liberamente eseguire l’attentato che aveva divisato. Lì 5 del corrente xbre un Capitano d'artiglieria con un caporale ed alcuni soldati imperiali furono a Carignano, per farvi caricare e trasportare sino a S. Lazzaro un Mortaio. Al loro ritorno, trovandosi in mezzo dedla strada chiamata del Re (3), una ruota del Carro sprofondava in un Canale (4) e siccome i soldati non potevano da soli estrar-λ ela, dimandarono il soccorso di moliti paesani, che stavano osservando il) E. -Archivio di Stato - Cartella «Genova, 1746 » - Carte del Marchese PalU vicino. (2) Ivi - Lettera del Grimaldi al Marchese De La Ensenada, in data Genova ; aprile 1742. (3) Cioè in Portoria, dove, come ormai è provato da documenti irrefragabili, av-λβηηβ il fatto che qui si narra. Secondo il Bothkirsch invece (citato dallo Zevi - op. cit., pag. 53, nota 3) il mortaio sarebbe affondato presso β. Tommaso. Ma è una inesattezza dello storico austriaco. Gli storici italiani daü’Accinelli, dal Daria, dal Muratori al Botta, allo Zevi, al Neri e al Pandiani dicono concordemente che il fatto avvenne in Portoria. (4) La fraise va interpretata cum mica salis. La « storia del l'anno 1746. Amsterdam - Venezia - Pitteri, pag. 351 ». narrando 1 avvenimento, dàce che la sera del 6 dicembre, mentre gli auetràac-i trascinavano un mortaio da bombe per il quartiere di Portoria, improvvisamente « ei sfondò la straJa «>tto il di lui peso; cosa facilissima ad accadere in Genova, dove le strade di sotto sono vuote ». LI Muratori, come ai solito, più esatto, aggiunge 'op. cdt., pa^. 389» 184 Omero Masnovo questa condotta, i quali ricusarono di prestarlo, il che obbligolli il venire al rigore ed il caporale diede doro qualche colpo di bastone per costringerveli. Da oiò altamente irritati ricorsero a’ sassii caricandone, così il Capitano coirne i soldati, e furono altresì sostenuti da diverse persone ajrmate, che prontamente vi accorsero e -che spararono qualche colpo di fucile, di modo che i soldati furono obbligati di abbandonare il mortaio, e se ne fuggirono. Il Caiporale corse a rifugiarsi in Chiesa, ma non si sa che sia divenuto del Capitano (1). (Le genti armate si avanzarono in seguito sin verso la porta di S. Tomaso, che era guardata dagli imperiali, sopra de’ quala scaricarono alcuni colpi di fucile. Lì 6 le genti armate trovaronsi molto accresciute di numero, gli uni credendo esser tutti del paese, e gli altri pensando potervi essere degli Spagnoli mescli iati co’ Genovesi (2). Occuparono le tre strade che vanno «... sono assaissime istrado di Genova vuote al di sotto, affinchè pasedino 1 acque scendenti dalle montagne in tempo di piogge, ed anche per le cloache. Al peso di quel bronzo... ». Se poi si considera col Botta (Storia d’Italda - Parigi-Baudry, 1832, IX, pag. 197) che « una grossissima pioggia da quattro giorni diluviava » ia frase del nostro anonimo non impressionerà più nessuno. A inzi da essa apprendi omo che il mortaio sprofondò realmente con un bel pezzo di strada, sì che ad estrarlo, non bastando le forze dei pochi soldati di servizio, fu richiesta d’opera dei curiosi presenti. Ma neppure con l'aiuto di « non .pochi del minuto popolo » (Muratori, op. cit., pag. 390) si .potè estrarlo, tant’era sprofondato. Game finì questo glorioso mortaio? S’ignora, (ofr. Gazzetta di Genova, 1918, JN. pag. 12). Certo fu restituito con igrande solennità alla Cava, la domenica 8 gennaio 1747 (Storia deü’anno 1747, pp. 45-46). (1) Alla presenza di un capitano non accennano nè il Muratori {op. cit., pag. ό nè il Doria (op. oit., pp. 174-175) nè la «Storia dell’anno 1746, pag. 351». Soltanto i Maillebois (op. cit., pag. 325) parla di un capitano austriaco che pruno avrebbe colpito -rudement un habitant». (Che la storia citata, ibenchè anonima, sia del Maillebois appare dagli « Eclaircdssemens présentés au Boi par le Maréchal D »trees Simon, 1758, pag. A-2). . n Ecco com’è raccontato il fatto nel rapporto del comandante austriaco afla_ porta di S. Tomaso, diretto al Maggiore della Piazza di Genova, li d^ento fu ^bbhcato la prima volta dallo Zevi (op. cit., pag:. 54, nota 1) ohe lo trovò ne Archivio da Stato di Genova filza 30 Militarium, anno 1746: «Il Sig. Comandante alla porta di S. loin aso fa sapere al Sig Maggiore della Piazza che essendo venuti igli artigihen che conducevano un mortalo a lamentarsi che sono stati insultati dalla plebe conducendo detto mortaro e sono stati obbligati di abbandonare detto mortaro, Pertanto prega il detto Sig. Maggiore della Piazza a provvedere che il cetto mortaro sia ben custodito e procurare di prendere detta gente che ha inMohdem artiglieri (Sic!). Porta S. Tomaio, adì 5 dicembre 1746. Bar. De Hu*-e> - . Anche qui nessun accenno alla presenza di un capitano. Neppure il Indiam (op cit pag. 85) accenna alla presenza di un ufficiale. Ma dalla stessa e^lz> giurata del cap. Medici, del Beggimento Varenne. sappiamo che egli ^™’eDte tumulto e si «interpose per sedare il romore » {Pandiani. op. 16 '; u. (2) E’ probabile che « meschiati co’ genovesi » τι fossero anche dagli npa-gnoU. .. ico\ ciVip molti ufficiali e soldati spagnoli perchè ned sappiamo (Dona, op. cit., pag. 152), che molti umcia 1 sT trovavano ancora in città -dopo la partent dell'esercito combinato·· 1 quali avrebbero dovuto tutti esser fatti prigionieri, secondo la capitolazione. 0o=ì, secon i Le radiose giornate genovesi del dicembre 1746 ecc. 185 a metter .capo alila Porta di S. Tomaso, ciò è a dire la strada Balbi, quella di Carogesio, che conduce aJila Piazza de Banchi, e quella de Muratori, come altresì una casa situata dirimpetto alla detta Porta (1). Contro questa fecero scariche ohe durarono sino a mezzogiorno, e l’Imperiali essendosi rinforzati dopo mezzodì in questa porta, dove avevano postato qualche cannone da campagna, obbligarono quelle genti armate a ritirarsi, e ne inseguirono una parte verso la piazza dell’Annunziata, e l’altra parte verso il porto, che ΓImperiali presero, e dove si mantennero sino verso le tre ore dopo mezzogiorno. Quelli che furono inseguiti verso la piazza dell’Annunziata vi si sostennero e la notte dei 6 venendo li 7 ruppero un ponte (2) che avevano davanti e che attraversava la strada; ai di dietro di questo ponte si barricarono con diverse botti pie- la capitolazione, i Genovesi avrebbero dovuto consegnare de porte della città « Il che, γ ce iil Muratori (op. cit., ipag. 377) non ebfbe poi effetto, essendosi come si può ore-dene tacitamente convenute le parti che bastassero de due già consegnate (S Tomaso e La Lanterna) ». Fra i patti della Capitolazione dii II stabiliva che il presidio della Repubblica rimanesse prigioniero di guerra; il III che tutte ile armi dovessero essere consegnate «con tutte Je loro appartenze »; id IV ohe la Serenala Repubblica dovesse ordinare «a· tutti i suoi sudditi soldati e milizie di non commettere ostilità durante la pretento guerra, contro le truppe di S. M. Imperiale, mè quelle de’ suoi alleati, nè contro chi si sia che da essi dipende ». Ma «in realità, è di Muratori che pamla, (op. oit., pag. 387) « le apparenze erano che m quel giorno durasse l’antica .libertà e Signoria, perchè il Doge e il Senato e gli alti magistrati continuavano come prima· nell’esercizio uò sembrare esagerata. Ma anche un anonimo informatore del Botta (Milano, Ambrosiana, carte Botta-Adorno, Cartella Vili graaide - Relazione in data 18 dicemlbre 1746) scrive -che il giorno 10, suonate le campane a stormo, l'attacco alle porte S. Tommaso fu dato « con un numero di gente ohe non può ben sapersi, ma che si suppone non meno di 20 mdila uomini». Sull'argomento si ritornerà, più avanti. 188 Omero Masnovo i posti. Fu per questo che il detto Sig. Generaie, veggendo che Γ affare prendeva cattiva piega giudicò a proposito, dopo che la truppa lo ebbe raggiunto, d’ incamminarsi verso Campo Marone, facendo seco trasportare 500 sacchetti pieni di 500 Geno vi n»e per ciascheduno da 500 soldati (1). Allor che fu giunto a Campo Morone, paesani dii Ponte Decimo con altri di queMe vicinanze essendosi armati attaccarono la retroguardia e la inseguirono sino a un miglio della Bochetta e Pietrai a ve z zar a, donde essi furono poi respinti dalM Schiavoni. Il tutto come sopra succedette il giorno 11, e la sera la truppa riposò alla Bochetta ed il Sig. Generale Botta ai Mulini. Lì 12 egli venne a Voltaggio, e la sera a Gavi, dove furono portati li 500 sacchetti di danari, avendo lasciati indietro tre muli carichi di Genovine. Li nemici da quel tempo non hanno molestato più l’Imperi ali. Hanno però ά sollevati occupate le aitine della Bocchetta, e vi è anche chi dice che un grosso corpo possa passare dalla parte di Savona. Non si sa ancora ciò che sia divenuto dei tre reggimenti che erano a Bisagno, cioè quedOo di Betes, Schuienburg e Kaill, dicendosi da alcuni (1) Il fatto è anche confermato dalla « Storia delTanno 1747. (Amsterdam!-Venezia F. Pitteri), pag. 34», la quale descrivendo la ritirata delle truppe austriache, ecrive : « ... La mattina del giorno 11 -parti avanti giorno la cassa militare, distribuita ;n buona parte, per scarsezza di somieri, tra 500 uomini estratti dai reggimenti, scortata da un battaglione di Palfi, e seguita da porzioni de’ 'bagagli e da tutte le truppe ». Le quali peraltro non sarebbero riuscite a impedire che a Pontedecimo i contadini genovesi predassero cinque muli. H particolare è confermato anche dal Muratori (op. cit., pag. 396) il quale però osserva «... corre anche voce che fossero presi cinque mruli carichi della pecunia dianzi pagata dai igenovesi, ma questo danaro non vi fu chi lo vedesse ». Il Eothkirsh (citato dallo Zevi op. cit. pag. 53 nota 2) dice che furono percepiti dalla cassa imperiale 5.700.000 fiorini. Somma per quei tempi addirittura enorme. La genovina equivaleva a lire 7 e soldi 12 di moneta genovese, ovvero a due fiorini un Kreuzer e un pfonniijng di moneta austriaca (Zevi, op. cit., pag. 62, nota 1). Ma sappiami ctie a d/ue terzi della contribuzione imposta dal Coteck ((Storia deH’anino 1746 pag. 332-335), appena riscossi, furono spediti a Milano alla cassa generale deUl’Armata d’Italia. L’altro terzo, -grazie alla sollevazione, non fu più riscosso. Noi sappiamo pure che il Botta si era fatto consegnare anche 200.000 fiorini «per i magazzini delle truppe genovesi dichiarate prigioniere di guerra» e faceva denaro in ogni modo, requisendo foraggio, concedendo passaporti di navigazione ecc. {op. cit., pag. 394). E’ forse il frutto di queste requisizioni e concessioni arbitrarie che i soldati trasportavano insieme col così detto « tesoro di guerra» che ogni esercito porta con sè. E, poiché siamo sull'argomento, vale la pena di ricordare che a mente dell'art. XI della Capitolazione furono distribuite ai soldati 50.000 genovdne e che, per ordine dell’imperatrice, distribuzioni più abbondanti furono fatte tra gli ufficiali sopra i duo terzi riscossi della Contribuzione. Il principe d)i Lichtenetein avrebbe avuto 100.000 fiorini, il Marchese Botta 50.000, il conte Browne 40.000 e 30.000 il conte di Choteck (op. cit., pag. 332). Le radiose giornale genovesi del dicembre 1746 ecc. 189 che saranno fatti prigionieri, e credendosi da alto che siano stati tra-ci’datd con tutti igilii aanimailati (1). Gli Imperiala hanno lasciato quasi tutti i lotro equipaggi e munizioni da guerra fra le imani dei inemiicii ipeir llocchè i viveri cominciano a mancare. Il Sig. Generale Botta ha giudicato a proposito di ritirare le truppa che erano ancora alla Bocchetta e le ha distribuât e fra Ottaggio Car-i*7/Ì0,o?aV1 6 N0VÌ> dove trovasd in questi dì il Quartier Generale, 13 xbre * * * Secondo il racconto tradizionale le sei giornate Genovesi del 1746 si possono di Vii deire in tre tempi : lil primo tempo (dalla seira del giorno 5 (3) al mezzodì del giorno 8) sa può dire il periodo iniziale e tumultuario dei moti. (1) E degna di Tiilievo la quantità di generali italiani (Botta, Pallavicini, Picco- omûm, Cavriam, Gorani, SerbelToni, Lucchesi, Novati, ecc.) che erano al servizio del- 1 Austria. (2) La sorte di quei soldati, euilla quale corsero le \ocd più dispaiate (ciò che ben tìi comprende data da grani confusione del momento), fu la seguente. Scrive lo Zevi (op. cit., pag. 56) che, il giorno 9 dicembre, circa 700 soldati alemanni, che volevano entrare m città da Porta Pila per rdcongiugersi col Botta, furono costretti a rifugiarsi in alcuni palazzi di Alfbaro. Secondo la Storia dell’anno 1746, pag. 363, quei so dati erano giunti in Bisagno alila spicciolata, a piccoli scaglioni, e li conduceva V gen. Principe Piocolomini. Secondo lo Zevi (op. cit., pag. 56, nota 2) e secondo il i amdìani (op. cit., pag. 101) quelle truppe erano composte di un battaglione e due compagnie dei Reggimento Kheil. Nessuna meraviglia che vi fossero anche reparta dei reggimenti Bettes e Schulemfburg. E’ noto infatti che questi reggimenti erano sparsi lungo la riviera di levante ». (1) Nella nostra relazione l’ora del tumulto di Portoria non è indicata: vi si dice soltanto che il tumulto avvenne « al ritorno » da Carignono, dove gfà Austriaca erano andati a prelevare artiglierie. Ma da varie fonti sappiamo che il tumulto avvenne il lunedì, cinque ducembre, verso le ore 24, (deposizione del capitano Medici, già ricordata) o «dopo pranzo verso le ore 23 sonate». (Deposizione del nobile Gregorio Croce). Le 24, secondo l’uso di quei tempi dii computare le ore, corrispondevano all’ora ohe precede dii tramonto del sole, oseia all’ora in cui gild operai ritornavano dal lavoro. Pieeta così «spiegato il rapido affollarsi di gente attorno al mortaio, affondato proprio on -uno dei quartieri più popolari di Genova. (2) Alcuni documenti indicano alile ore 17 la scadenza dell 'armistizio. Ma, come risulta anche dalla nota precedente, le ore 17 d’ allora corrispondono prese’ a poco alle 10 antimeridiane d’oggi. Le radiose giornate genovesi del dicembre 1746 ecc. 191 numero di 25.000, per essere stata bandita la mobilitazione generale di tutti gli uomini validi al'le armi. ILa nastra relazione non accenna neppure alle missioni del patrizio Nicolò Giovo (1), il giorno 5, del gen. (Eìscher (2), di 6 dicembre, del maggiore Malberghi, il giorno dopo (3), e nemmeno all Le trattative intavolate dal governo genovese col Botta a mezzo del Principe D’Ori,a, il giorno 8 (4), dell principe iD’ Oria e idei jpatóziio Agostino Lomelliind, poi. Ricorda sodo le trattative del padre gesuita Visetti, senza diirci se esse avevano .fin dall’ «imizio carattere ufficiaJle o privato, ma .avendo cura di farci sapere che furono iniziate la sera del giorno 7 (5), riprese il giorno 9, ancora senza risultato, pretendendo 'il p. Visetti che iossero consegnate alla (Repubblica ile porte, i cannoni, «le 'artiglierie ; che non si potesse più esigere alcun denaro, e che non fosse più permesso agli ufficiali e soldati .imperiali d’ entrare dn Genova (6). Il giorno dopo le trattative .sarebbero 'arrivate talla conclusione avendo di p. Visetti limitate le sue pretese (alla «(Liberazione delie polite della città » (7). La figura del padre Visetti merita d’essere illustrata, tant’è importante l’opera di lui dispiegata in quelle giornate. Innanzi tutto va messo bene in chiaro che, contrariamente a quanto è stato affermato fin qui, le trattative del Visetti se ebbero carattere privato in un primo tempo, ebbero carattere ufficiale il giorno 10, come anche la nostra relazione lascia comprendere là dove narra che di p. Vi- ci) Da chi partì la proposta d’armistizio ? Tutti i documenti ufficiali convengono nel dire che furono primi i genovesi a chiedere una sospensione d’armi. Il Murator, di «solito 'bene ’ntformato, lasciò scritto (op. cit. pag. 392) che « consigliato il popolo a proporre un aggiustamento espose un panno bianco ». Quasi negli stessi termini si esprime ila Storia dell’anno 1746, .pag. 361. Ma i)l popolo da chi fu consigliato? Evidentemente dal governo genovese, che dH nascosto ne dirigeva ie mosse, come gli ultimi scritti .sulll’ argomento hanno dimostrato. Ora sappiamo che ail sgoverno della Repubblica il gen. Botta, a mezzo del principe D’Oria, aveva avanzato proposta- di trattare (Pandiiani, op. icit. p. 103 e p. 104, n. 1). Ma non manca chi (come il Doria op. cit. pag. 184) afferma che furono primi ©li austriaci a proporre un armistizio di poche ore «« coll’esporre bandiera bianca all (posto de’ Filippini». Del resto ©e l’armistizio giovava al Botta, o/he aveva bisogno di guadagnare molto tempo per raccogliere truppe, nella speranza di domare l’insurrezione, giovava pure agili insorti che avevano tutto da (guadagnare anche da una breve sospensione della lotta per l’estensione e la militarizzazione del loro moto. Iii Del Vecchio (iloc. cit. pag. 278) afferma adddiritura ohe iil giorno 8 « vedendosi i tedesdhi incalzati daQ popolo..... e concependo qualche timore, diedero segno per capitolare ». (2) Pandiani, op. cit. pag. 87. (3) Pandiani, op. cit. pag. 97. (4) Pandiani, op. cit. pag. 102. (5) Ivi, op. oit. pag. 104 e sg. (6) Ivi, op. cit. pp. 107-110. (7) DI Pandiani (op. cit. pag. 105) inizia ili giorno 8. appena cioè conclusa la tregua, i colloqui del Visetti «intimo amòCo del fratello del Botta» col generale austriaco. Al P. Visetti Γ anonimo attribuisce le richieste che il principe D’Oria e il patrizio Agostino Lomellini, proprio il giorno otto, avanzavano al gen. Botta a nomo 192 Omero Masnovo setta, accompagnato ad un ufficiale genovese concluse col Botta una convenzione in nome della Repubblica. 'Certo anche nel primo tempo doveva agire col consenso del governo, se egli sii affrettava a rimettergli una dettagliata relazione del colloquio avuto col Signor N. N. (1). Il Visetti giocò abilmente d’ astuzia lasciando credere pei* alcuni giorni all generalissimo austriaco che agiva di sua iniziativa e che era mosso solo dal desiderio di pace, mentre tentava di conoscere con esattezza le precise volontà del « Nimico » e di tutto informava il Doge, col quale era in rapporto di amicizia. Il suo doppio gioco è dimostrato dal bigliettino, «scritto dopo il colloquio del giorno 8, e pubblicato dal· Ne ni (2). Il carattere ufficiale delle sue trattative, almeno nell’ultima fase, è chiaramente dimostrato dai seguenti documenti, trovati fra le carte Botta-Adorno, lasciate dal marchese Giulio Porro iLombe/rtenghi (li dicembre 1882) alla Ambrosiana di Molano. 1746 10 Dicembre Il Serenissimo Doge con li Ecc.mi Senatori consegnano al R.do Padre Antonio Visetti, della Compagnia di Gesù, la loro supplica Riverentissima all’Imperatrice Regina affinchè S. E. il Sig. Generale Marchese Botta e gli altri signori generali si degnino, ad oggetto dii sedare questa generale commozione del Popolo e della città tutta — forzata da lui — di rilasciare le porte di S. Tomaso, della Lanterna e suoi posti adiacenti, artiglierie tutta ed altro, senza la qual cosa è certo, certissimo che le SS. S.me saranno danneggiate e tutta la nobiltà sarà sacrificata dal po- della Repubblica (Pandaani, op. oit. pag. 107). Il Del Vecchio (loc. cit. pag. 279) fa pure iniziare il giorno 8 i colloqui del Visetti. (1) E invece noi tappiamo che verso la sera del giorno nove il principe D Oria e il patrizio Lomellini si recarono nuovamente dal Botta insistendo per una positivi risposta alle, domande fatte. Il generale parve disposto a rinunciare a nuo\e contri bimoni, al trasporto delle artiglierie e al possesso della porta di S. Tommaeo, ma non a quella della Lanterna. Di qui la rottura delle ostilità, che furono riprese il giorno dopo, verso le dieci del mattino. U P. Visetti riusciva ad ottenere un altra sospensione d’armi, di mezz’ora, per recarla dal gen. Botta. Su questo colloquio abbiamo una versione che s’avvicina molto a quella del nostro anonimo (Pandiani, op. cit. pag. 114). (2) A. Neri, A proposito della sollevazione 'di Genova nel 1746 (Bivista Ligure di scienze, lettere ed arti, anno XXXVII (1910) - fase. VI, pag. 271. Lo riporta anche il Pandiani (op. cit. pag. 106). Vale la pena di riprodurre l’importantissimo documento. « Caro serenissimo, Io scrivo a V. S. per l’amore del pubblico bene. Se il Marchese Botta non promette in maniera che egli non possa negare d’avere promesso. Vostra Serenità non gli creda punto e non tolo lasci operare la moltitudine, ma, almeno segretamente, cooperi alla comune difesa. Faccia protestare al Nimico (che egli è tale) che assolutamente i signori non possono (più impedire: e mi creda che il darlgli tempo è un armarlo di più. Col più profondo ossequio mi ratifico ». Dietro il biglietto, che non è firmato, ei legge l’annotazione seguente: « 1746-8-Xbre - letto a Ser.mo Coll, sud.to biglietto del P. Visetti del Gesù, scritto a Sua Serenità ». Le radiose giornate genovesi del dicembre 1746 ecc. 193 polo, benché innocentissima e rispettosissima alla casa d’Austria, nelle di cui clementissime viscere si abbandonano. Carrùggio Seg.rio di stato (1) Ed ecco la supplica * Eccellenza, Con quanto di fatica e d’indefessa premura siasi il Governo Serenissimo in tutti li modi possibili adoperato in acquetare la commozione dei popolo di questa capitale, potrà V. E. comprenderlo, non solo dai moltissimi mezzi ai quali perciò si è rivolto, compreso anche quello così rispettabile del Sig. Principe Doria, ma eziandio dalla stessa dolorosissima situazione in cui il Governo medesimo si (ritrova, e di cui fanno fede costante e la partenza di tanti patrizi che abbandonano la città (2) e l’obbligo in cui si sono trovati i medesimi Eccellentissimi Senatori di ridursi ad abitare in Palazzo, per non esporre nelle pubbliche strade ad inconvenienti le 'loro persone, e quella dignità che in altri tempi ha sempre impressi sentimenti di particolare riguardo in tutto il resto dei cittadini. Quali poa siano le circostanze d’una situazione tanto contraria alla forma ed alle leggi più sostanziali della Repubblica, lo dimostrano purtroppo i disordini non mai occorsi da secoli, che devono ora forzatamente tollerarsi, per la dura impossibilità d’ampedirli. Siccome per questi e per tanti altri riflessi, giungono all’estremo le angustie e -l’afflizione dello stesso Governo nell’osservare che inefficaci sono riusciti tutti gli esperimenti usati fìn’ora, così potrà poi la sempre retta comprensiva di V. E. meglio giudicare che rovinoso affatto sarebbe quello d’dmpiegarvi per ultimo le poche truppe che si trovano attualmente in Genova al soldo della Repubblica; mentre queste, che bastano appena a difendere il pubblico palazzo e qualche altro posto di maggior Π) Milano, Ambrosiana·, Carte Botta-Adorno, Cartella XXIV Grande. Π documento si conserva anche nel R. Arch. di stato Genova. Diversorum filza 253 : ove però non ei trova la supplica qui riprodotta, della quale il Pandiani (op. crii. 109-110) riportò solo «pochi periodi, che disse far partte di una lettera inviata da deputati genovesi al generalissimo aufcriaco, da lui trovata in Genova, Arch. di Stato, Militarium, filza 30/2890, Veribaie del 9 dicembre. In realtà si tratta d'una lettera dei deputati genovesi ma portata a destinazione a mezzo del p. Visetti. (2) Alcuni nobili avevano cominciato ad abbandorare la città appena si eentì odor di polvere. Tant’ è vero che, lo stesso giorno 5, il Governo ordinava ai patrizi di non partire da Genova (Pandiani, op. cit. pag 163). Naturalmente l’esodo non fu potuto impedire del tutto, specie nei giorni successivi, quando il trambusto aumentò. Anche il Principe Doria fini per andare in campagna. « Il Principe Doria, che aveva inutilmente consacrati al (bene della au patriotisme desdntéresse d’une classe d’hommes pour Qui la· société n’a rtien fait, et· qui est d’autant plus sensible à la gloire nationale qu’elle n'en peut prétendre aucune de personelle». 196 Omero Masnovo Hiepiilagamdo iil -detto fin qui ; .secondo il (nostro, la (richiesta delle artiglierie da parte del Botta (1) fu la goccia che fece traboccare il vaso; ma « da .diverso tempo » iil governo della iRepubblica andava preparando la riscossa (2) colla collaboirazione -degli apagnuoli, perchè, fin dai primi giorni si videro « spagnuoli mischiata ai genovesi » (3). Non mancava però chi attribuiva ad Belilisle ila rivolta di 'Gemeva che « selon toutes les apparences » era « un ouvrage de Mr. le Maréchal De Bedle-lsle, qui est accoutumé à fonder les operationis de guenre sur les ruses et les trahisons » (4). iSenza 'dubbio tanto il Beilisile quanto glii spagniup'lii erano interessati a creare grattacapi agii austriaci eli e Ili inseguivano nella Francia del sud (5) : ma il Befllisle ned fatti di 'Genova non c’ entrava punto. -- \ E’ noto che la storia del Sismondi è comporta intieramente con la fraseologia de1 Contratto Sociale del Rousseau. Nessuna meraviglia pertanto che il popolo e il suo amore alla libertà siano mossi al primo piano. Carlo Pellegrini, sulle orme del Fueter e del Croce, ha messo ultimamente in evidenza questo influsso rousseauniano nell’opera del Sismondi. (C. Pellegrini - Il Sismondi e la storia della letteratura dell’Europa meridionale). - {Biblioteca dell’Archivum Romanicum. Serie I, Vol. VII - Genève - Leo Oischld, 1926). (1) Circa quest’angomento vedi i cap. X e XI dello studio del Pandiani. Il rancore dei genovesi aveva già avuto occasione di sfogarsi contro gli austriaci, con sassate, anche prima del 5 dicembre. (Pandiani, op. cit., pa-g. 70 - Levati, op. cit., pag. 88). (2) Il Pandiani ha illustrato anche questo punto nei capitodi XII e seguenti del suo lavoro. Per conto mio posso aggiungere che nella relazione inedita, in data 18 dicembre 1746, da me trovata all’Ambrosiana di Milano (Carte Botta-Adorno - Cartella Vili grande) si legge che «< le conferenze dei malcontenti erano già da qualche settimana prima del tumulto assai frequenti nel Convento di Castelletto, ove radunavano in una specie di privato Consiglio ». Di adunanze segrete di popolana per organizzare la rivolta contro gli austriaci parla pure il Gondar (Histoire gén. de la· révolution de Gênes, pag. 60) citato dal Pandiani (op. cit., pag. 64). Nicolò Rolla, nella sua nota petizione, ci informa che i genovesi erano da tempo preparati ad una insurrezione, la quale avrebbe dovuto scoppiare il 22 o il 23 novembre (Pandiani, op. cdt., pag. 194). Il Maillebois (op. cit., pag. 334) aggiunge che « quelques eenateurs fomentaient sourdement et aveo habilité les résolutions désesperées que les habitane semblaient disposés à prendre d. Ma lo facevano con grande circospezione perche una sommossa non riuscita poteva condurre alla distruzione del senato e della città. (3) La presenza di ufficiali e soldati spagnoli ci è confermata anche da altre fonti. Sappiamo da Nicol- Rolla (Pandiani, op. cit., pag. 94 e pag. 196) che il giorno 6 «alcuni ufficiali spagnoili, organizzarono con alcuni ufficiali genovesi il Quartier Generale dei ribelli ». Sappiamo pure dal Gondar, che cacciati gli austriaci, él principe Doria offrì un grande pranzo a tutti gli ufficiali stranieri travestiti e a tutti i gentiluomini travestiti. (Ange Goudar - Histoire générale de la Rev. de Gènes, Ms. del Britieh Museum di Londra — della quale copia manoscritta può consultarsi a Genova nell’ A rch. Stor. del Risorgimento, pag. 202), citato dal Neri (op. cit., pag. 272 e dal Pandiani, op. cit., pag. 116). (4) Relazione del conte Pallavicini - Milano, 30 Dicembre 1746 (Milano, Ambrosiana - Carte Botta-Adorno, Cartella XXIV grande). (5) La spedizione di Provenza fu decisa dal consiglio di guerra tenuto in 8. Pier d'Arena il £9 settembre dai delegati dell'Inghifliterra, deirAnstria e della Sardegna i7/evi, op. cit., pag. 52). E’ noto come, dotpo la sconfìtta subita a Piacenza e l’esito incerto della battaglia del Tidone, l’esercito franco-ispano, temendo che l'esercito pie- Le radiose giornate genovesi del dicembre 1746 ecc. 197 Partutta via che fossero .stati i francesi a sobillare dii popolo di Genova lo si diceva lanche dagli inglesi in ILiiguria (1). E la voce doveva essere ben diffusa se altro informatore comunicava da Milano che «.....Generali e molti ufficiali qua giunti asseriscono che ili governo Serenissimo abbia eccitato il popolo, con previa intelligenza della (Spagna, Francia e BellM-e, e che questi abbia avuto 1’ idea di una diversione ai progetti in Provenza, e di esservi ben riuscito. Gli ufficiali ideile truppe che erano ne,Ila /riviera di Levante asseriscono di a/ve re, due lettere, -scritte d’ ordii ne del Governo a quelle Comunità, acciò, dessero addosso alle dette truppe » (2). Vii fu anche chi, scrivendo di questo argomento, lasciò intendere che la liberazione definitiva di Genova 'Sii doveva sopratutto ai francesi. Era da prevedersi !.... <(..... troupes françaises débarquèrent dans -la ville et, par leur moyen, une isii hereuse révolution eut tout son effet. iSi I’ oppression des Génois était une tache pour leurs alliés, la délivrance de Gènes releva en partie ila réputation de nos armes » (3). In realtà francesi e spagnoli accorsero in laiuto dei genovesi quando già giM laustriaci -erano cacciati e quando compresero che qualunque operazione militare frane o-òspana -in Italia sarebbe stata impossibile •finché di genovesato fosse -nelle mani degli austro^sardi (4). Va rilevato in proposito che i francesi, i quali già gettavano gli occhi avidi sulla Corsica, gongolavano nel constatare che « La icorse, qui se disait oppi imée par Gênes, comune Gênes par les Autrichiens, jouissait, dans montese gili tagfliaisee .La ritirata verso la Francia, abbandonò ignommiramente il genovesato al suo destino, violando ciliari patti di ailileanza, mentre Genova faceva eroici .sacrifizi per mantenere fede alla parola data (O. Masnovo, La condotta della Repubblica di Genova, durante la guerra di -successione austriaca balila » rd/vendica a sè il vanito di eseere stato il primo a -lanciare sassi contro gli austriaci nel famoso incidente di Portoria. La lettera è riprodotta nella Strenna dei Rachitici, Genova, 1908. Ma chi può garantire la autenticità e veridità del documento? In conclusione anche ammettendo che un ragazzo sia stato l'iniziatore della nota sassaiuola (e nemmeno questo risulta in modo sicuro dai documenti) malia ci permette finora di concludere che uno dei due Perasso eia tale ragazzo. E’ noto infatti che i trionfi di BaliiLla datano dalla composizione dell’inno di Ma-meli (1847 - 10 Settembre) mentre dell'eroe di Portoria non ei trova alcuna menzione durante il periodo della rivoluzione francese, ohe è periodo di rivendicazioni popolari per eccellenza. D’altra parte a noi sono stati tramandati i nomi di Michele Costa, Giovanni Molinari, G. B. Ottone, Nicolò Rolla, Andrea Uberdò, Pietro Luohi, Giovanni Carbone, Antonio Lagomarsino, Giuseppe Mattdo Castello, G. Agostino Ma-gioio, Carlo Bava, Tomaso Assereto e di altri che si distinsero nelle famose sei gior- Le radiose giornate genovesi del dicembre 1746 ecc. 199 dai testimoni oculari dell’'avvenimento nelle loro deposizioni giurate, mostrando anch'egli di ignorare il particolare del giovanetto che avrebbe lanciato ili paiano sasso contro gili Aus/timoi. Nè di Balilla si parla in un’ altra relazione inedita, in data 18 dicembre 1746, da me trovata fra le carte iBotta-Adomo. L/a si ripoita qui nelle parti che ci interessano. «La eolievazione è di tutti quanti gli ordini di persone..... e di quelli gentiluomini che ancora compongono il Gran Consiglio, mal prevenuti e dissipasti contro quelli che compongono il Minore..... Le conferenze dei malcontenti erano già da qualche settimana prima del tumulto assai frequenti, nel convento del Castelletto ove radunavasi in una specie di privato consiglio, e la città era universalmente disgustata per -la divisione al di dentro e per le domande e pretensioni al di fuori, allorché succedette il noto accidentale incontro nel trasporto dei cannoni e bastò un vile fachino per mettere il fuoco nella materia già disposta a dare 1’ ultima spinta al grande allarme formatosi principalmente per la meditata riforma del governo e secondariamente per le altre cagioni che davano alimento al fermento già fattosi forte » (1). E invano .sii cerea il nome di Balilla anche nella lettera che Louis Beltran si affrettò a .inviare al Muniain, comunicandogli, a mezzo di corriere speciale, notizie circa gli avvenimenti genovesi. La lettera porta la data Genova, 11 dicembre 1746, il giorno stesso cioè delia liberazione della città dagili austriaci (2). 'Ma qui, più che la mancanza dell' accenno all’ eroico monello quindicenne della leg- nate genovesi. Perchè le cronache tacciono .proprio di .BaMa, mentre ricordano i ragazzi Pittami!® e Carbone? «E’ fuor dd dubbio, scrive ili Donarer, che se veramente da un giovanetto fosse partita l'iniziativa del moto iportoriano, dm guisa che a lui se ne dovesse attribuire il merito, a popolo, del duale era parte, avrebbe subito glorificato 1 eroe, ne avrebbe conservato iH nome, e ne’ suoi canti ne avrebbee conservato la memoria». Invece imi la. Siamo quindi di fronte ad una leggenda letteraria di origine recente, non ad una leggenda popolare contemporanea, « Gi troviamo, afferma il Neri, davanti ad una traditone non già salita dal popolo aUfla letteratura, ma ricostruita’ postuma dai letterati e scesa- nel popolo, il -quale, più che altro, l'ha resa simbolo di 1 libertà ed indipendenza». Achille Neri: Poesie storiche genovesi, nel vol. XIII, fase. V degli atta dettila società ligure di storia patria; F. Donaver, La leggenda di Balilla in Faufulla della Domenica, VIII (1886), 17, 25 aprile, riprodotta in « Uomini e libri », 1888; iFMfppo Zevi, La rivoluzione e l’assedio dd Genova (1746-1747) in Rivista Italiana, anno 1883; E. Pandiani, op. cit.., pag. 86, nota 1. (1) Miilamo, Ambrosiana, Carte Botta-Adorno, Cortella Vili grande: Eisulta scritto dalla riviera di levante e spedita a volta di corriere. E’ lunga 8 pagine ed è opera di un anonimo austriacante che dice di aver spediti emissari qua e là per informazioni precise. Incomincia col dare informazioni preziose sulle truppe in ritirata dalle due riviere. (2) Si accenna poi all’opera ded p. Visetti, afl gran numero de’ riJbeQÜ, al combattimento del giorno 10 che fu il più importante di tutti. L’attacco alle porte di 6. To- 200 Omero Masnovo genda, ci sorprende il fatto che Γ opera svolta dagli spagini odi durante i sed giorni deilla sommossa -è passata sotto liil più assoluto silenzio. Che a Genova fossero rimasti non senio degli ispani — ma anche dei francesi e dei napoletani — sappiamo dal patto VI della capitolazione del 6 settembre che espressamente stabiliva: « Tutti i bagagli ed effetti senza eccezione, spettanti alle truppe Gal-lispane e ;Niapolitane, saranno consegnate fedelmente al Commissario di guerra, nominato a tale effetto; e saranno manifestati e consegnati subito alle truppe imperiali tutti i francesi, spagnoli e napolitani, spettanti all loro esercito, che si trovano ancora in Genova o ne’ suoi sobborghi ». iLo sappiamo anche dal generale Botta stesso che, scrivendo al [Marchese di Gorzegno, segretario di stato di Carlo Emanuele III, gli raccontava come iil giorno 10 (Le truppe imperiali erano state attaccate cc avec une furie inexprimibiile » non solo dalle truppe regolari genovesi ma dai sediziosi della città e della campgna, nonché da soldati e ufficiali francesi e spagnoli prigionieri -di guerra (1). Tuttavia iil contributo -di costoro lalla flotta di Jjiberazione deve essere stato senza importanza se il ‘Beltran non lo accenna nemmeno. Non poteva certo iil contegno di ipoche truppe straniere — per di più prigioniere di guerra — avere influito sensibilmente sul corso degiM eventi. Così come la sassata di un monello non avrebbe potuto suscitare a rivolta una intera città se il popolo non fosse stato pazientemente conquistato-alla politica della insurrezione dagli emissari del Governo, i quali non tro-\7arono molte difficoltà a cattivarsi, in quelle circostanze, la fiducia della folla, sopratutto perchè gii austriaci, facendo incetta di viveri e di altri generi di prima necessità, la avevano ridotta alla disperazione (2). Nè fu difficile al Governo avere dalla sua anche la maggior parte dei nobili, perchè costoro si vedevano rovinati dalle continue ed esorbitanti richieste del gen. Cotek (3). maso fu dato, secondo l’anonimo, « con un numero di gente ohe non può ben saperci, m.i che si suppone non meno di 20 mila uomini ». Anche in questo concorda dunque col nostro, come è già stato riOevato. E concorda anche col Voltaire, Précis du siècle de Louife XV, chap. 21, Révolution de Gènes. (1) Parma, R. Arch. di Stato cart. cit. La lettera incomincia con un sospiro di sollievo : «Ya gras à Dios se hai la esta Capital libre de la opresion de los tudescos E La rivolta di Potrtoria, la sera del lunedì 5 dicembre, sarebbe avvenuta «en el ver pasar en Mortero que conducian los tudescos a S. Pedro de Arenas... para la expe-dicion de Provenza». Nel resto s’accorda con quanto già sappiamo fcuLl’argomento. * (2) Pandiani, op. cit., pag. 122. (3) Levati, op. cit., pag. 88. Le radiose giornate genovesi, del dicembre 1746 ecc. 201 In realtà Γ intimazione che ài Cotek aveva inviato il 30 novembre ai a (Repubblica aveva esacerbato gli animi in sommo grado per la vio-enza de]fla forpna -e per 1’ esorbitanza delle pretese (1). In essa si pretendeva, entro due giorni, ili pagamento delle « restanti cento mila ge-novine in saldo del secondo milione ». Il terzo milione di genovine doveva essere pagato « in contanti o in cambiali esigibili o in viglietti di cartolano del Banco di S. Giorgio ». Un quarto milione di genovine era wirevocabiHmente fissato per i quartieri d’ inverno, a tanto « ascendendo esigenza per il mantenimento di questi iCesarei ùRegi Reggimenti ». S aggiunga la profonda irritazione del governo per La richiesta, avanzata dal Botta il 21 nov. precedente, delle artiglierie occorrenti per Γ assedio di Antibes. (Nonostante le -più solenni proteste della Repubblica .il generalissimo austriaco volle insistere nelle sue pretese : e allora i senatori genovesi, dopo aver deciso di togliere il segreto sui negoziati, propalarono tra i (fiamiliari e i conoscenti le nuove imposizioni austriache. In breve la voce passò di bocca in ibocoa e tutta Genova seppe che anche le soie belle artiglierie, unica difesa che ancora le restasse, a giorni sarebbero state portate via. In breve tutti a genovesi seppero che, se avessero visto passare i loro bei cannoni per le vie della città, il Governo aveva fatto quel che umanamente era stato possibile per impedire quella violenza contro cui aveva protestato e protestava con tutte le forze del-Γ animo. (1) E’ interessante quanto, circa la condotta dei nobili, si legge nella· « Risposta alla lettera del Œfttadimo Genovese che se gli dà dall’amico di Londra». E’ in data alla lettera del Cittadino Genovese die se gli dà dell’amico di Londra». E’ in data 26 dicembre 1746 e trovasi manoscritta fra le carte Botta-Adorno dell'Ambrosiana, Caxtelüa XI grande. Naturalmente è di ispirazione austriaca, così come la famosa «Lettera di un cittadino genovese a un suo corrispondente di Londra», in data 15 dicembre, 1746, era d’ispirazione genovese L’ignoto autore, volendo ad ogni costo difendere la politica finanziaria del conte Cotek, scrive : «... i nobili presto dal sommo delle ricchezze finsero di essere precipitati nel basso della povertà col licenziare servitù, coll’impe-gnare argenti, col vender cavalli per così moltiplicare la plebe, et fargli capire esser li tedeschi la cagione della loro miseria, quando però so quanto sieno ricche codeste case di primo e secondo ordine, a quali era gravissima ingiuria in qualunque altro tempo l'intacco di povertà. Pensate che altre nazioni non sappino le miniere d’oro e d’argento costì introdotte e lasciate ultimamente da spa^gnoli ? l'esuberante utile di codesta Piazza, specialmente sulil'aggio e su camfoi e le grasse tabelle antiche e nuove di codesta Camera e credete eh il Sig. Sopraintendente Chotek fosse sì male informato di poter permettere si accettassero per veri i vostri detti e si eseguissero i vostri ricorsi? Il Pandiani (op. cdt., pag. 92) afferma che « se alcuni tira i nobili si astennero dal partecipare alla insurrezione, molti ve no furono che fin dal primo giorno scesero a combattere a fianco della « santa canaglia », la quale del resto non era, agli inizi della sollevazione, che una sparuta rappresentanza del grande popolo genovese, forse da cinquecento a seicento popolani ». 202 Omero Masnovo iNon solo tra familiari e conoscenti, ma anche « ine1 pubblici ritrovi, a Bandii, negli spacci di caffè e bibite i (membri dei collegi discorrevano delle cose di istato, esponendo a quali termini si trovasse la Repubblica, e •seminando ed accendendo con le loro parole V odiio contro gli stranieri » (1). Quanto asserisce il 'Neri sulla fede dei documenti degli archivi genovesi .era già stato affermato da non pochi earittord del tempo di Balilla. Meritano di essere ricordate le parole del Ma/iLlebois : « Les émissaires des Sénateurs se contentaient de dire aux plus accrédités du peuple; jusqu’ à quand atteindrez-vous que les autrichiens viennent vous égorgèr eutre les bras de vos femmes et de vos emfams, pour vous arracher le peu de nourriture qui vous reste ? Leurs troupes sont dispersées hors de d’enceinte de vos murs : iil n’ y a dams la Ville que ceux qui veillent à la iga 2 Piccolomini » 2 » » 2 Nella Riviera di Ponente - del reggimento Pallavicini Batt. 3 Comp. 2 A Gavi era del Reggimento Sprecher Batt. 1 Comp. 3 A Novi del Reggimento Andlaü Batt. 1 Comp. 2 A Tortona del Reggimento Sprecheo* Batt. 2 Comp. 2 A Mantova si trovavano dei Reggimenti : Traun Batt, 3 Comp. 2 Deutsmeister Batt. 2 Comp. 2 Pali y Batt. 1 e tutto il Regg. A Piacenza era un battaglione del Reggimento Deutsmeister e un battaglione del Reggimento Forgatsch. A Panna, tre battaglioni del iRegg. Leopold iDaun e 3 battaglioni del (Reggimento Graüne. In Provenza si trovavano i Reggimenti: Heinrich Daum, Hiildburgshau-sen, WaMis, Roth, Mercy, Giuiay, PaJlphy, Colioredo, Hagenbach, Staremberg, Esterashy, Petasi, Monastir, Kònig, e alcuni battagl. dei Reggimenti BàrucLau, Piccolomini, Forgatsch. Stando così ile cose appare esagerato quanto afferma il Voltaire (1), che cioè il Botta disponesse di nove regg.; e più vicino al vero appare il Goudar (2) quando riferisce che si trovavano allora sotto le mura di di Genova circa tremila Austriaci; altrettanti presidiavano ile due riviere: « Cifre approssimativamente esatte, scrive il Pandiani, poiché da nostre indagini nelle carte d’ archivio, le truppe suddette dovevano sommare a un massimo di settemila uomini ». Dalla « Dislocazione delle truppe » su riportata appare chiaramente (1)Voltaiire, op. e cap. citati. (2) Citato dal Pandiani, op. cit., pag. 70. Le radiose giornate genovesi del dicembre 1746 ecc. 205 che ee de truppe austriache scaglionate lungo le due riviere sommavano attornio a qualche migMaào di uomini, de truppe che d/l Botta aveva sottomano a S. Pier d’Arena si riducevano effettiva/mente a pochi battaglioni. Nè molti aiuti poteva sperare dalle due riviere, che erano in ainmi; lo •preoccupavano le vallate del Bdsagno e della Polcevera (1). Sappiamo che in Nervi, in iRecco e in altri luoghi le compagnie austriache accantonate erano state fatte prigioniere (2); che un battaglione ded reggimento Kheil (. cit., 'pag. 280, Pandiani, op. cdit., (pag. 90). Nè va dimenticato che Doge della Re-pub bica nel 1746 era Gian Francesco Brignole Sa/le, che l’anno innnanzi era stato il Gen era/l iseimo dell’esercito genovese. Per cui noi oggi non ci meravigliamo più che facchini, ortolani, bottegai, pescatori dn armi mostrassero d’intendersi tanto dell arte della guerra!... (3) Questo doppio giuoco del Serenissimo Governo, meeso dn luce ultimamente dal Pamidianà era già stato ben nileva/to anche dal Nenì, 'loc. cdt., e da tutti glfi storici austriaci deli’avvenimento. La tesi del Neri e del Pandiani era (già stata accettata anche dallo Zevd. op. cit., pag. 54; dal Donaver, La stona della Repubblica di Genova, Genova, L. E. M., 1913, IH, 361; dal Levati, op. cit., pag. 92, e da qualche altro. Le pr;me notizie precise sull’azione ded Governo apparerò mel lavoro del Buona/mici, Commentariorum de Belilo Itadico libri III, Lugdumi Batavorum, 1751, scritto sotto l’ispirazione e la revisione del governo stesso (ctfr. A. Nera, « Lei relazioni di Castruccio Buonamici con dii Governo genovese » dn (Rivista ligure di scienze lettere ed arti Genova, 1912). (4) Nel primo colloquio col Visetti (Pandiani, op. cit., pag. 106). (5) Genova, R. Arch. di Stato, loc. ind. Alla corte di Torino si pensò subito che gli avvenimenti del 5 Dicembre fossero stati meditati a lungo dal Governo genovese, .ì)is 8-5-30, conservata nella Biblioteca Civica Beriana di Genova, trovasi una interessante lettera a stampa « Rispondeva ad un amico comnnorante in Bologna ove si dimostra aver potuto lecitamente di clero genovese impugnar fl’armi nelle odierne emergenze in difesa necessaria Alia patria, nè iin tal caso potrsi a lui incorrre in veruna irregolarità ». E’ in data 10 Ginguo 1747. Λ Felice Luxardi -nel suo Saggio di storia ecclesiastica genovese (Genova - Tip. della gioventù - 1879, III, pp. 235-292) esalta Topera del clero durante tutta la lotta contro ΓAustria. Il Luxardi attribuisce la cacciata dell’austriaco all’opera· solo del clero e del pqpoilO. Esalta sopratutto la figura dell’arcàv. Mone. Giuseppe Maria Saporiti, che il 26 giugno 1747 « fu visto sulla spianata del Bisaguo fare appello a’ suoi preti, schierarli a sè dinnanzi, dividerli in squadroni incuorarli, e con sante parole 6pedirli ai luoghi designati a mamtenimtnto dell’ordine pubblico ». Si dilunga a giustificare con citazioni teologiche la guerra edxa elogiare il contegno del clero, ricordando (pag. 253) che la guerra non era 9oio contro il Regno di «Sardegna, contro il quale i genovesi ebbero per secoli ragioni di particolare rancore, ma anche contro l’Inghilterra « specialmente alla nemica di Santa Romana Chiesa » e contro l’Austria « la quale aveva nei propri eserciti soldati di fede calvinista e luterana sì avversi al cattolicesimo e spregiatori dei nastri divini domni ». Certo anche gli austriaci avevano qualche partigiano nel clero secolare e regolare (Pandiani, op. cit., pag. 109); sopratutto fra preti e frati, sudditi piemontesi (Pandiani, pag. 145). Ma le canoniche e i conventi sospetti furono tenuti d’occhio e messi nell’imposeiibilità dd nuocere (MaiUebois, op. cit., p. 340). In complesso .preti e frati si distinsero e di Genova e in Rotta col Visconti, i genovesi si valessero iin Lunigiana dell’aiuto di Gabriele Malaspina Marchese -di Villafiranca, mentre pure im Laindgiana campeggiava con successo Gian Luigi Fieschi con molti fuorusciti genovesi e con rinforzi viscontei riuscendo a strappare Suvero al Gampofregoso e Vfllilafranca e Villa al Marchese Gabriele. ‘La restituzione di Suvero, Villafranca e Villa fatta dall Visconti al Malaspina spingeva poi Gian Luigi Fi-eschi ad appoggiarsi a Firenze, sotto la cui accomandigia -si erano già posti Tommaso e Spinetta Gampofregoso sin dal 4 Luglio 1422 (1). L’accomandigia del Fieschi è del 19 giugno 1424, ratificata in Sarzana presente anche Prospero gen. Pietro Gampofregoso il 4 maggio 1425 (2), -ed è seguita il 20 giugno di questo stesso armo da quella di Antonio del Fiesco (3) : notevole in quest’ultima carta d-1 particolare che le due parti contraenti fidano neill’amicizia, fede e lealtà di Tommaso d. Pietro Campofregoso « olim ducis Jarnue et civis Jan uè et nunc do-minii Serrezzame » perchè dichiari con pubblico strumento l’anno nel quale — avvenimento non verificatosi, ma previsto — il Duca di Milano od i suoi ufficiali occupassero le rendite di cui il Fieschi godeva in Genova, in località « el Monte », agli effetti della decorrenza di speciale compenso da accordarsi allo spogliato Antonio dai Fiorentini. Questi nuovi aggruppamenti, idi forze non pronosticavano certo nulla di 'buono, ed -erano davvero nubi foriere di tempesta: e guerra si ebbe, lunga e complicata da intricate e minute vicende, sulile quali non è il caso di fermarci. 'Ci troviamo dunque in presenza di una nuova organizzazione politica, riconosciuta -come taile in atti pubblici, avente per centro Sarzana e comprendente, oltre al capoluogo, la rocca di Sarzanelio ed i castelli di Santo Stefano e dell’Ameglia, con i relativi borghi, nonché Falcinello, Castelnuovo e ‘Fermafede: una nuova organizzazione che, se pur piccala, ha una notevole importanza geografica estendendosi su tutto il basso corso della Magra e sulle montagne dominanti da oriente la vallata, dal gomito -ultimo del fiume sino al mare. E’ interessantissimo soffermarsi alquanto sull’effettiva vitalità di questa piccola signoria lunense, attività che possiamo considerare sotto un duplice aspetto: rapporti interni tra signore e sudditi; rapporti esterni tra la signoria come ente politico a sé e gli altri aggregati politici con i quaJ/i la signoria stessa viene a contatto. iSotto ili primo ordine di rapporti, ben poco ci è rimasto del periodo che va dal 1422 sin verso il 1435, nel quale la signoria non è ancora con- (1) « I Capitola del Comune di Firenze », Invedutario e regesto, I, p. 551-2, Firenze, CeMini, 1866-93; ofr anche Branchi, Storia della Lunigiana feudale, II, pag. 9 e segg. (2) « I Cap. » cdt., I, pag. 556 e eegg., e 559. (3) ibid., I, p. 560 e segg. 2Î4 Ferruccio Sassi solidata, mentre le burrasche provocate dai continui passaggi dei Milanesi o dei collegati rendono la situazione molto precaria. Documenti importanti ci ^restano, invece, dei periodo successivo, di rafforzamento e di consolidamento interno, dopo che si sono alquanto calmate le contese in seguito alla perdita di Genova subita dal Visconti. Eissi ci sono stati conservati dal « (Registrimi Vetus » del Comune di Sarzana e ci danno una chiara idea dell’attività spiegata dai Campofregoso nei confronti dei sudditi, sia per precisare i luoghi nei quali deverà iriscuotere la gabella, sia per derimere le consuete questioni di confine periodicamente risorgenti tra i Gomunii di Sarzana e deli’Ameglia,, sia infine per istabilire gli obblighi dei cittadini Sarzanesi verso il signore o per precisare la qualità e la misura delle concessioni ai cittadini stessi. Fra le tante, è per vari aspetti più particolarmente degna di esame una carta del 15 aprile 1447 nella quale sono «estese le concessioni ch$*i Sarzanesi richiedono al Signore, Tommaso idi Campofregoso (1). iLa prima (richiesta è che -si confermino e si ratMchino i patti e le convenzioni intervenute colla « Magnifica et Excelsa . Comunità di Genova; molto probabilmente i Sarzanesi intendono riferirsi alle concessioni fatte loro dal vicario del Re di Francia in Genova nel 1407 (2) e confermate dal Doge nel 1416 (3). E’ perfettamente naturale che nell’atto si parli sempre di « Comu-nitas et homines Sarzane », che ci troviamo cioè di fronte ad un aggruppamento organizzato che ha coscienza di essere tale e come tale si governa con propri statuti, quelli del 1408 approvati e ratificati dal Governatore di Genova nel 1409 (4), pur rimanendo assolutamente sfornito di qualsiasi potere politico, e godendo soltanto di una certa « autarchia »-nel campo amministrativo, civile e penale. Piuttosto è, per lo meno, anormale che ι Sarzanesi si impegnino a fornire per due volte all’anno quindici uomini che debbano stare « in cavalcatam » per giorni otto a loro spese « infra episcopatum lunensem » : per istabilire cioè i limiti d’impiego di uomini, essi si riferiscono alla partizione territoriale ecclesiastica, malto più ampia di quella politica fornita dall’astensione delia signoria civile del Campofregoso. E non è da ritenersi che ciò sia avvenuto a caso, quasi per errore, quando in tutta la carta i Sarzanesi si mostrano molto precisi nel determinare la portata delle loro richieste. Un’altra ragione deve esserci e forse, per trovarla, ci fornisce qualche dilucidazione un’altra carta del « Librum Vetus » (5) : « Lettera del (1) Registrimi Vetus del Comune di Sarzama, a. o. XLIV; cfr. anche Sforza, Bibliografia della Lunigiana, I, Modena, Vincenzi, 1874, p. 173. (2) Registrum Vetus a. c, XLI v. (3) ibid., c. XLII v. (4) iSfoeza, Bibliografia cdit., p. 51*2. (5) ibid, p. 172, n. LXXXI. 1 Carrupofregoso in Lunigiana 215 Consode e Comunità di Trebiano allo Spettabile Arrigo Marcho de Rapallo Visconte di Sarzana etc....... Francamente questo documento non può non recare qualche sorpresa; per ritrovare un altro Visconte idi Sarzana occorre risalire per oltre un secolo il corso della storia e riportarci all’ epoca di Castruccio degli Antelminelli, alii’ ultimo periodo del dominio, ormai puramente nominale, dei Vescovi. (Sono ben noti la portata del titolo di Visconte nella istoria nostra feudale, e gli stretti vincoli che legano i Visconti aillo sviluppo dei comuni e alla storia dei rapporti tra comuni e Vescovi; e se consideriamo ancora «la stretta analogia tra le condizioni del comitato vescovile di Luni all’ epoca dei grande capitano lucchese, e nei periodo di cui trattasi, dovremmo logicamente pensare di trovarci di fronte ad un abbozzato tentativo di riscossa del Vescovo, appoggiato dal consentimento di una buona parte almeno dei cittadini sarzanesi. Non deve peraltro dimenticarsi che la carta surriferita è del 9 ottobre 1434, nel qual anno i Gampofregoso dovevano essere fortemente impelagati nella politica genovese, occupati a scuotere iil giogo visconteo. Questo fatto, accostato ailT origine ligure del Visconte, potrebbe quindi con altrettanta fondatezza far pensare ad una carica provvisoriamente istituita dai Compofregoso. Le altre clausole della convenzione tendono a proteggere al massimo i diritti dei Sarzanesi sui propri beni, e a rèstringere al minimo le prestazioni personali. Nè conviene passare sotto silenzio la necessità per i Campofregoso di mantenere, secondo il malo uso allora vigente, milizie mercenarie, non intendendo i (Sarzanesi esser portati a combattere fuori del Vescovado nè a far servizio alle fortezze. Notevole 1’ intendimento di sviluppare i commerci con la richiesta istituzione d’ un mercato di dieci giorni consecutivi, durante i quali le merci che entravano oi uscivano, vendute od invendute che fossero, dovevano aver libero transito senza pagamento di gabelle. Tommaso Gampofregoso non approva intieramente il tenore dei capitoli sottoposti alla sua approvazione; egli ha tuttora accentrato nelle sue mani ogni potere politico, pur se ha dovuto per ragioni d’opportunità rinunziare successivamente ad alcuni suoi diritti. In una carta del 12 ottobre 1432 (1), ,il Canapofregoso donava, ad esempio, « prò preparatione sive constructione -Palatii et orioiii noviter fiendi in Sarzana, et prò manu-tenendo dietum oriolum quando factum fuerit in campanili Sancte Malie de Sarzana », 1’ intera « collecta forensium » eccezion fatta per quella « illorum de Falcinello » che riservava per sè. Nella carta del 1447 sopra esaminata, la « collecta forensium » viene interamente lasciata ai Sarzanesi « prò ut alias promissum fuit dicte Communitati per prefactum Dominum », indipendentemente cioè dalle considerazioni (1) Registro nuovo del Comune di Sarzana·, c. 270. 216 Ferruccio Sassi che avevano provocata la concessione precedente, ed i Sarzanesi, consci dell· importanza dei successo ottenuto, chiedono che della concessione stessa venga esteso regolare strumento « cairn suis solemnitatibus ». Passando ora ad esanimare 1’ attività esterna della signoria, è necessario fermarsi anzitutto sulla costituzione della medesima. Nel caso «in esame ai>hiamo infatti un vero e proprio atto costitutivo delia signoria, un documento pubblico iil quale crea «e dà vita al nuovo ente. Un altro caso simile si -era già verificato in Lunigiana nella prima metà del secolo precedente, allorché Pisa cedeva al Marchese Spinetta Malaspina la signoria della vicaria di Massa (1). Ci troviamo in presenza d una nuova origine delle signorie, che sfugge ail oixìinairia classificazione in signorie di origine feudale ed in signorie di origine comunale. In entrambi i casi ora ricordati, si tratta d’ un ordinamento politico imposto dal di fuori, non creato da forze interne che abbiano prodotto un mutamento radicale nel concetto del diritto feudale od abbiano avuto bisogno in un dato momento di un’ energia superiore che le organizzale e le disciplinasse. Sì ha immediatamente la percezione che qualcosa è mutato, che già è maturato o sta maturandosi, e se ne scorgono in barlume gli effetti. Le origini della signoria Malaspina in Massa e Campofregoso in Sarzana hanno infatti qualche punto in comune; nel tempo stesso presentano però caratteristiche diversissime. La signoria concessa a Spinetta Malaspina non solo doveva, a termini dell’ atto costi tu ti \ o, avere durata limitata ed essere strettamente personale, ma poteva trovare la sua piena giustificazione, insieme giuridica e di fatto, nella concessione in feudo diretto a favore di Pisa, avvenuta com’ è noto da pai te del-1’ imperatore Federico 1°, di tutto il litorale tirrenico da Civitavecchia a Portovenere. Ed è comprensibile che, a compensare un alleato, Pisa alienasse « prò tempore » e « ad personam » ogni diretto dominio su una determinata striscia del territorio concessole. Ma negli ottant’ anni all' incirca che intercedono tra lo stabilirsi delle due signorie, Campofregoso e Malaspina, Gian Galeazzo λ isconti era divenuto Duca di Milano e nell’ anno 1401 aveva gloriosamente battuto sotto le mura di Brescia Γ imperatore Roberto. In altre parole, lo stabilirsi della signoria Campofregoso è una diretta conseguenza del-Γ affermarsi dei « principato » dn Italia, anzitutto in Lombardia. Che se pur molto tempo ancora doveva trascorrere avanti che sorgesse signoria più illuminata di quante mai siano esistite in Italia quella del Magnifico —, è proprio dagli inizi del XV° secolo che incomincia il declino della signoria come forma di governo per dar origine al prin- (1) cfr. Sforza. Le oabelle e le suppliche imposte a Massa di Lunigiana nella prima metà del sec. XIV, La Spezia. Zappa. 1901 —v. anche un mio studio « Signorie in Lu-nigia-na, Spinetta òialaspina », in «Giornale Storico e Letterario della Liguria», 192 numero 1. 1 Campofregoso in Lunigiana 217 cipato, dove più forte era la mano del governatore, o più raramente per risolversi di nuovo in repubblica, o per dissolver si per sempre nel tempo. Senza voler minimamente entrare in merito alla discussione sulla figura giuridica del principato nei confronti della signoria, ritengo sia fuor di dubbio che nel principato si verificano una più recisa affermazione, e una più netta estrinsecazione d'un diritto reale sul territorio, che a lor volta producono il costituirsi d’ un saldo vincolo giuridico personale verso il -signore da parte d’ una nuova aristocrazia feudale; fenomeno questo, com’ è noto, veramente caratteristico del nuovo periodo storico. Ed è proprio ora che, se pur si nota qua e là un decentramento di attività e di ricchezze delia borghesia cittadina, vediamo una generale ripresa deLT attività politica, rinnovata su altre basi, in tutti quei centri che hanno cominciato col primeggiare indiscutibilmente; dove si è accentrata quella nuova nobiltà feudale a formare altrettante « corti »; dove infine sd è formata una nuova classe dirigente che inizia una tradizione e se già iniziata, ne assicura assai meglio la continuità d’ indirizzo, che con i precedenti ordinamenti politicò, comunaJe e signorile. Necessariamente, dopo costituita, -la signoria Campofregoso doveva trovare per vivere un più forte appoggio, e 1’ abbiamo vista, porsi in un primo tempo sotto Γ accomandigia di Firenze. Se volessimo trovare nel moderno diritto una figura giuridica che ricordasse la medioevale accomandigia, dovremmo logicamente riferirci al protettorato. Nell’ una e nell’ «altro riscontriamo infatti quella « diniinutio capitis » consistente nel divieto all’ accomandatario di far guerra e pace senza il beneplacito dell’ accomandante, e nell’ assoluta assenza d’ una propria rappresentanza diplomatica, che nel caso specifico, data la poca risonanza degli interessi da tutelare, non avrebbe avuto ragione alcuna dd essere, ma che del resto non credo venisse mai concessa dalla repubblica fiorentina ai suoi accomandatari. La catena del protettorato politico era ribadita nel 1423 dal soccorso finanziario (1), permettendosi ai Campofregoso ed ai Fieschi di acquistare separatamente o congiuntamente crediti del Monte di Firenze. Era chiaro il desiderio dei reggitori fiorentini, che avevano ormai estesa la propria influenza sino ai piedi degli Appenini lunensi, sino cioè a limiti geografici ben definiti, di far rivalicare la Cisa al signore lombardo. Scoppiata la guerra nel 1425; interrotta una prima volta con Γ armistizio del 5 maggio 1428 con il lodo del Cardinal Nicolò di Santa Croce (2); ripresa e proseguita con alterne vicende; interrotta una seconda volta con la sentenza arbitrale del 26 aprile 1433 (3) che confermava al Duca il possesso di Pontremoli e del Pontremolese e designava quale confine delle due sfere d' influenza il corso della Magra, è certo (1) Branchi, op. cit. II, p. 222. (2) ibid., pag. 64. (3) Arch. di Stato, Massa - Carte Malaspina di Foedinovo, Io. 218 Ferruccio Sassi che la lotta culmina e si polarizza odila perdita di Genova da parte delle armi viscontee nel 1435, pur se in Lunigiana notevoli fatti d’ arme ancor sa registrano nei 1436, con la venuta di Nicolò Piccinino sceso tra rosseggiar d' incendi e balenar di spade -afe testa delie schiere milanesi, a scorazzare per Val di Magra, a conquistare Carrara, Sarzana, il golfo della Spezia. La, forte resistenza della rocca di Sarzanedlo rompeva, soia, la serie dei successi milanesi ed aimuilava praticamente le imprese del Piccinino, salvando nel tempo stesso 1’ ultimo lembo del dominio Gampo-fregoso. Gli anni immediatamen te successivi segnano dunque in Lunigiana un’ improvvisa rinascita di questa famiglia, una cui lunga serie di rampoili tiene d’ allora in Genova per oltre venti a/n ni la carica del dogado. Indubbiamente la cacciata dei Visconti dalla Superba molto giovamento ha recato ai Campofregoso per svincolare la loro signoria dall’ influenza fiorentina, anzi per /rieostruirla, poiché la sua stessa essenza e personalità erano state completamente travolte negli anni precedenti, col nuovo impulso dato all’ opera dii riassetto interno, i cui segni esteriori già abbiamo più sopra intravveduti, e con Γ incitamento a tentativi di espansioni a danno principalmente dei Malaspina. Sotto questo ultimo aspetto, è particolarmente notevole il periodo che va dal 1435 al 1441, durante il quale, valendosi deMT aiuto delle armi genovesi, e abilmente destreggiandosi nelle guerre scoppiate tra Firenze, Milano e Lucca, Tommaso Campofregoso riesce a conquistare per sé e per i suoi discendenti Carrara, Avenza, Moneta e Castelpoggio, •allargandosi così sino ai piedi delle Alpi Apuane e a diretto confine col Mass es e. L’ avanzata dei Campofregoso in Lunigiana si era iniziata con le armi e per conto della 'Repubblica genovese; con le armi genovesi aveva potuto succecssivamente mantenersi ed allargarsi Ma pur tuttavia è interessante notare come i Campofregoso intendano nel fatto che la cessione della signoria di Sarzana, avulsa dai domini di Genova, rimanga pur ora fatto compiuto in loro favore anche dopo venuta a mancare la causa che aveva determinata la cessione stessa, e seguitino quindi a tenere nettamente distinta la loro qualità di dogi della repubblica genovese, carica elettiva e temporanea, da quella di Signori di Sarzana che è loro attributo «personale, inscindibile, ereditario: in hac parte dominus Sarzane et Sarzanelli et pertinentiarum » dirà di sé il doge Giano Campofregoso in un atto (del 12 Agosto 1448 (1) con il quale egli, arbitro in una lite sorta tra il proprio cugino Spinetta e il marchese Spinetta Malaspina delila Verrucola per il possesso delle terre e rocche di cui si erano gli stessi Campofregoso recentemente impadroniti (Carrara, Avenza etc.), avendo prima sentenziato dover Γ oggetto (1) Areh. di Stato, Massa - Carte Malaspina di Fosdimx>vo lo. I Campofregoso in Lunigiana 219 delia € on/tesa essere totalmente assegnato al cugino Spinetta Campofregoso dietro versamento a favore del Malaspina di una certa somma in fiorini d’ oro, cede in feudo le terre stesse al cugino per sè e per i suoi figli maschi e legittimi, con obbligo di far pace e guerra a volontà del signor di Sarzana. Questo fatto va ricollegato a quanto sopra è stato detto circa lo stabilirsi del principato in Italiia. Non solo nei grandi centri dunque, ma anche /in territori lontani, e di per sè senza eccezionale importanza dal punto di vista della storia generale, vanno facendosi strada le nuove vedute. Nè questo infeudamento è probabilmente il solo: giova ricordare che proprio nel 1448, agli undici di giugno, vediamo un Galeazzo di Campofregoso dare il proprio assenso alla validità dei compromessi stipulati fra Sarzanesi ed AmegLmi per questione di confine, nella sua qualità di « Ameglie Dominus » (1), mentre sappiamo che il territorio ed iil castello dell’ Ameglia avevano sin dagli inizi fatto parte della signoria di Sarzana. •Ci troviamo insomma di fronte non ad una bizzarria, ma ad un vero -e proprio tentativo sistematico di costituire un nuovo piccolo principato, trasformazione della primitiva signoria, mantenendo unità di indirizzo e di forze nell’ organismo che andava sviluppandosi, e facendo gravitare gli interessi di tutta la -regione attorno al centro sarzanese. Che realmente Tommaso Campofregoso ed i suoi successori intendessero costituirsi una residenza ragguardevole sotto tutti gli aspetti nella vecchia città vescovile o nel maniero di Sarzanello accarezzato dall’ effluvio salato del Tirreno o battuto dall’ Aquilone scéndente dal Gottero e dal Corno viglio, è cosa notissima, comprovata da molti fatti e da molte testimonianze. Breve periodo d’ oro per la Figlia di Luni, dove pur lo spirito umanistico mostrava i suoi frutti non acidi nè sipregevoli: è di questo tempo Γ assunzione al soglio pontificio del Parentucelli, il grande Nicolò V°; Flavio Biondo ci parla dei miglioramenti arrecati da Tommaso Campofregoso alla rocca di Sarzanello, da esso « lautissimamente e con grandie splendidezza riedificata)) (2); lo stesso Tommaso ci offre nella sua dimora principesca il raffinato passatempo di una ben fornita biblioteca, visitata anche da Giovanni Aurispa, che vanta la sua gemma più preziosa nel codice di Tito Livio già appartenuto al Petrarca; bibliotecario, Bartolomeo Guasco (3). La creazione di questo piccolo centro umanistico doveva certo sollevare ai Campofregoso lo spirito stanco dalle continue lotte politiche, (1) Registrum vetus del Comune di Sarzana, a c. XLIX t. (2) ofr. Repetti, Dizionario geogr. fisico e stor. della Toscana, Firenze 1543, Vo, pag. 195. (3) Tolgo queste notizie dati’ articolo d’un curioso raccoglitore ed espositore di memorie storiche : Amedeo Pescio, l guardaroba della romagnola, in « Il secolo XIX » del 15 Gennaio 1928. Ferruccio Sassi e render loro più divertente la residenza sarzanese, dove pur li perseguivano le cure di governo : dall « castro magno iSarzaneli » è emanato Γ atto con cui Spinetta Campofregoso « capitaneus ciitra Macram » approva il 22 febbraio 1440, per conto del Doge Tommaso, gli statuti del Comune di Carrara (1); ((in camera cubiculari... que est dn turni Rocche Sarzane », Tommaso concedeva ned 1432 ai sarzanesi, come già si è visto, la (( collecta forensium » per le riparazioni da farsi al palazzo e all' oriolo. Poco tempo ancora trascorre, ed ecco deiliniearsi un nuovo tentativo in grande stile dei Campofregoso, Galeotto e 'Lodovico, d quali con numerosi armati invadono i domini dei Marchesi Malaspina, occupando, speciailmente per opera del primo, tutte le terre, «luoghi e castella dei Marchesi Mail aspina di « Laixolo, Villafranca et Brugnato »; terre che 21 Gennaio 1452 Paolo 'Campofregoso doge di Genova, nel-Γ atto di con-trainre una nuova lega con i Fiorentini contro ili Duca di Milano, dichiara poste sotto la tuteila di Genova (2). L’ ultimo baluardo di quei marchesati sulla destra del Magra, il castello di Luxolo, era infatti caduto nelle mani dei Campofregoso nel settembre dell 1450, dopo un assedio di ben 15 mesi, mentre dall’ altra parte del fiume, verso oriente, 1’ invasione, dopo alterne oscillazioni, si arrestava su per la vadde del Tav-erone di fronte a Licciana e a Pani cale che, due volle conquistate, vennero due volte riprese e defìniti vam ente tenute dai Marchese Fio-ramonte Malaspina di Villafranca (3). Questo momento segna il culmine deld’ espansione dei Campofregoso al cui dominio sfuggono solo la Riviera «sino a Capo Coìvo, in mano diretta dei genovesi, e la fascia montuosa orientale da Massa per Fi-vizzano e Bagnone a Pontremoii. Certamente se questo ancor malfermo dominio avesse avuto il tempo di organizzarsi colflegandosi strettamente al principato sarzanese, avremmo potuto leggere interessanti pagine di -storia originadi e di vita vissuta, in Lunigiana. Ma per ottenere questo, sarebbe stato necessario che Genova fosse riuscita a conservarsi autonoma. iL’ occupazione della città avvenuta per opera di Carlo VII0 dd Francia nel 1458 determinava Γ inizio dello sfaldamento del dominio Campofregoso : sin dal 26 agosto di queld’ anno infatti, i Priori deiie Arti ded Comune di Firenze ricevevano in accomandigia la vedova di Bartolomeo Campofregoso con tutte le terre della signoria di Sarzana e del marchesato di iLuxolo (4). Ricaduta poi Genova in mano agli Sforza, Tommaso e Ludovico Campofregoso, stretti da ogni parte, si adattavano a vendere a Firenze nel 1467 Sarzana e quanto costituiva il nucleo più compatto, più importante per tradizioni e per effettiva vi- '(1) B. Arch. di Stato di Massa - Arch. Malaspina di Fofcdinovo Io. (2) Branchi, op. cit. II, p. 228 e egg. (3) ibid, pag. 66-7. (4) I Cap. etc., I, p. 552-3. I Campofregoso in%Lumgiana 221 taJdtà, di tutto il loro domando (1). E nelQo stesso anno il medesimo Ludovico vendeva a Firenze ogni cosa e diritto spet/tan/tegdi suille terre della media vaille della Magra. E noto come questi ultimi territori finissero invece nelile mani di GaUeazzo Maria Scorza sospettoso, a torto o a ragione, che .Ludovico intrigasse per cacciarlo da Genova. E pure noto del resto che siin dal 1464 si andava vigorosamente riaffermando in Lunigiana il prestigio del Duca di Milano, sin da quando cioè Spinetta Campofregoso aveva istituito erede del feudo di Carrara il proprio figlio naturale Antoniotto, ponendolo sotto la tutela, certo coli’ intuizione di una prossima fine delia signoria, di Cecco Simonetta, il celebre ministro di Francesco Sforza, il quale, elevando Carrara a contea (2) così come in seguito conferiva o tentava di conferire in nome proprio ài Malaspina le terre che i marchesi governavano per diretto infeudamento dell’ Impero (3), non tralasciava occasione per manifestare ed affermare la vitalità del « principato », ali’ infuori e contro ogni soggezione imperiale. Siamo nel periodo di espansione dei Duchi di Miilano, Visconti e Sforza, che della capitale di Lombardia « hanno fatto ii maggior centro politico della penisola con una forza di resistenza e d’ impulso che nessun’ altra signoria possiede » sostituendola a Firenze come « ài più operoso telaio di intrighi » (4). Ben poco interesse possono destare le vicende ulteriori degli ultimi bi andelli del dominio Campofregoso, come non grande importanza riveste ila ben nota guerra di Sarzana combattuta tra Firenze, cui Ludovico e Agostino Campofregoso avevano di sorpresa strappata la città, e la repubblica genovese cui gli stessi 1’ avevano rivenduta quando i Fiorentini (( parendo loro cosa vergognosa e brutta che un privato gentiluomo là avesse del castello di Sere zana spogliati » (5) si erano mossi per ricuperarla. Ferruccio Sassi (1) ibid, p. 659 e sgg. (2) Branchi, op. cit. Ili, *>ag. 758. (3) ibid II, pa-gg. 79, 231 etc. (4) \ olpe, Momenti di Storia italiana, Vallecchi, Firenze, 1925, pa£. 264. (5) Machiavelli, Le istorie fiorentine, Vili, 29. IL PALAPRAT NELL'OPERA DI STEFANO DE FRANCHI Da Monsieur de Palaprat Stefano De Franchi, iil noto commediografo dialettale genovese del 700, traduce una delle più gaie e caratteristiche commedie: «lLa Farce de Maître Pathelin ». Sappiamo che questa graziosa «pièce» risale al secolo XV e che essa è attribuita ad una penna anonima. Per quanto molti studiosi si siano dati a ricercare il nome dell’ autore, esso non potè mai essere stabilito con precisione. La farsa fu ipoteticamente attribuita ora ad Antonio de la Salile, ora a Pierre Blanchet, ora ai Villon. « Per 1' enchaînement naturel des situations, 1’ exacte peinture des caractères, la gaieté du dialogue, la vigueur et la vivacité du style, la « Farce de Maître Pathelin, oeuvre unique pour le temps, est déjà une véritable comédie » La sua originalità, la gaiezza del suo colo-rito invogliarono parecchi -commediografi ad imitarla; così fecero nel 1706 il Palaprat e il Biujès in collaborazione, e così fece ancora il Fournier nel 1872. Per quanto riguarda la collaborazione tra il Palaprat e ili Bruvès, non è forse inutile ricordare, come i due commediograifì. s incontrassero per la prima volta in Italia, allorquando il Palaprat nel 1686 \enne a Roma. Ivi conobbe Γ abate Bruyès, e con lui strinse cara amicizia. Su questi due collaboratori è stata scritta persino una commedia : « Bruyès et Palaprat » che V Étienne fece rappresentare al « Théâtre Français » nel 1806. Alla collaborazione del Bruyès col Palaprat è dovuta la « Farce de Maîitæe Pathelin », che il De Franchi graziosamente traduce nel suo dialetto genovese. « L' avvocato Patella » è una delle commedie dove maggiomenie vibra 1’ umorismo del traduttore, queil’ umorismo eh’ egli riesce a comunicare -pieno e sincero al suo uditorio numeroso ed entusiasta. Il povero Patella è una « macchietta » a tutti nota; appartiene a quella medesima classe di poveri professionisti scarsi d' ingegno, scarsi Il Palaprat nell opera di Stefano De Franchi 223 di denaro, e costretti ad una economia dolorosa, per vivere con quel po’ dii decoro che è indispensabile alla loro condizione sociale. Il povero Patella è un tipo di tutti i luoghi e di tutti i tipi, e anche in Genova settecentesca egli trascinava da sua miseria, per le vie leggiadre, piene di sorriso e di sole. E’ 1’ azzeccagarbugli affamato che scioglie d nodi per gli altri e li arruffa per sè; e noi lo vediamo assidersi nel foro, gaio, furbo, spiantato, imbroglione. Il popolo genovese, che in quel tempo accorreva alla commedia del De /Firanchi certo lo conobbe e lo derise, compassionando la sua miseria e diffidando della sua.... scienza e de'lla sua.... onestà ! Per questo il De Franchi -ama portardo sulle scene del suo teatro, e dipingerlo al popolo così com’ era, come fu, e come forse ancora sarà: pieno di imbrogli, di ignoranza, di miseria e di fame. Una edizione delia « Farce de Maitre Pathedin » è conservata in una miscellanea di parecchie « pièces », pubblicata a Parigi « aux dipens de da Compagnie des Jjibraires » nel 1757, edizione che probabilmente il De Franchi adoperò per la composizione del suo lavoro. I personaggi della traduzione genovese sono gli stessi di quelli della « pièce » del Palaprat, ma i loro nomi vengono opportunamente cambiati, per rendere la commedia più adatta alΓ ambiente genovese. Patelin diventa Giangorgolo Patella, e Madame Patelin diventa Sofronia Sanguisuga; così Cuillaume prende il nome di Chigermo Buffalaballai il furbo Agnelet quello di Martin Begudda e Bartolin quello di Andronico Sbuffa. Questi nomi così ridicoli sono puerilità scherzose, e, leggendoli non possiamo far a meno di sorridere e di pensare alla popolarità che in quel tempo, essi avranno acquistata. L intreccio della commedia è semplicissimo e si può riassumere in poche parole. !L’ Avvocato Patelin titolato, ma spiantato, privo persino di quel po’ di denaro necessario per comprare un misero vestito da sostituire a quello che indossa, pieno di toppe e di frittelle, riesce con una infinità di complimenti e con abile furberia, a carpire ad un mercante di panni, Guillaume, un taglio d’ abito da 30 scudi, eh’ egli porta via senza pagare. E quando, il giorno dopo, Guillaume si presenta in casa di Patelin, pre riscuotere i suoi denari, la moglie dedd’ avvocato afferma che il povero marito suo è in letto ammalio da ben quindici giorni. Guillaume, stupito e sgomento, non vuol credere, ma Patelin fìnge così bene di essere ammalato, da ingannare 1’ uomo più furbo del mondo. Egli urla, piange, delira, canta e, nel falso vaneggiamento delda febbre si precipita, armato, contro il povero Guillaume, chiamandolo ladro e costringendolo a fuggire. Uscito Guillaume, entra il suo pastore, Agnelet, accusato, e non a torto, dal proprio padrone, di aver ucoiso e venduto parecchie pecore. Citato per questo in tribunale, si reca da Patelin e lo prega di volerlo 224 Giannina Gnecco difendere. Patelin, ignorando il nome del padrone di Agnelet, promette al -cliente la sua protezione : .sealtramente ilo consiglila di fìngersi imbecille e <ìi rispondere ad ogni domanda che gli verrà rivolta in Tribunale: « beee.... beee.... »> e nient’altro. Davanti al tribunale, Guillaume riconosce nel difensore dei suo « berger » il ladro del suo panno, e, confuso, stupito, imbroglia in modo assai ridicolo le sue risposte, mescolando comicamente il panno colle pecore, così da sembrare privo di senno. Il giudice, colla frase divenuta proverbiale : « revenons à nos moutons », avverte il povero mercante di non confondersi, ma siccome egli continua più che mai ad imbrogli arsi, tutti lo ritengono pazzo. Agmedet, -dia 'parte sua, interrogato, non sa rispondere che « beee.... beee.... », e riesce così bene a far la parte dell’ imbecille, che Patelin, sostenendo che il poveretto è diventato scemo, a causa delle bastonate inflittegli sul cervello dal crudele padrone, riesce a farlo assolvere. Il giudice, assolto il pastore, condanna il malcapitato mercante. Ma quando Patelin, finito il processo, reclama da Agnelet la ri-compesa che gli spetta per il suo lavoro, si sente ancora risipondeie. « beee... beee.... », e rimane a sua volita ingamato. Le cose però si aggiustano a vantaggio del povero Patelin. Siccome il figlio di Guillaume voleva sposare la figlia di Patelin, e siccome questa unione veniva aspramente contrastata dal mercante, si ricorre ad un inganno. Sa pensa di far credere a) giudice che Agnelet sia morto, in conseguenza d una operazione fattagli per guarire il suo povero cervello ammalato. La fidanzata cameriera di Patelin, reclama in tribunale il risarcimento dei danni, ed esige una giusta punizione pel manesco e brutale padrone. La punizione consiste nientemeno che nella forca, alla quale ad un so patto può sottrarsi Guillaume....., firmando cioè un contratto di matii monio ftra suo ifigüiio e la figlia di BateLin. Sotto 1 incubo di una *ei *1 bile condanna, il mercante acconsente aille nozze, e tutto si accomo a lietamente. Questo è lo sfondo sul quale si svolge la graziosa trama della commedia,, insieme ad una fioritura di vivi particolari, tutti pervasi di fine e riuscita comicità. L’ azione procede con naturalezza e con bi io. Nella prima scena del primo atto, si svolge, nell orngiinale, il soli o quio di Patelin, il quale rattristato dalla sua miseria, non sa come fare a colmarla e a trovare i soldi per provvedersi almeno d un semplice ve stito di panno. Nella traduzione genovese, questo soliloquio si scosta un poco dall o riginale : il De Franchi cercò di ampliarlo, riuscendo opportun amen le ad abbellirlo con 1’ introduzione di nuovi particolari, di nuove riflessioni, che coloriscono sempre meglio la figura di Patelin, e le danno una caratteristica più vivace e simpatica. Osserviamo come nella scena genovese Γ avvocato, inforcati gli oc· Il Palaprat nell opera di Stefano De Franchi 225 chiaii, ripassi le sue carte processuali, brontolando e rimuginando tra sè e sè le varie cause che gli sono state affidate. Ed ecco balzar fuori dail suo brontolìo confuso tipi, cairatteri particolari, (( macchiette » del popolo genovese « plaideur » per un nonnulla. :Le cause di Patella sono i « cèti » della folla, i pettegolezzi della strada, tutti piacenti e pieni di comicità. Ora è la vacca di Polonia, che fa precipitare V asino di Battista; ora è ii)l porco del signor Andronico, che è entrato nell’ orto della signora. Pellin-na, devastandone la piantagione...; ora è lo stillicidio della terrazza della signora Maffonia, che cade sulle fineisitre di Luçian Bac-cogi... Poi.... (»e qui 1’ autore vuol far risaltare la grossa ignoranza del buon Patella e di una gran parte dei colleghi suoi) cc centum oves » latino viene da lui tradotto con cc cento uova » ! ! ! ^Naturalmente, a causa di questa orribile traduzione, Γ avvocato non capisce uin’ acca defila ilite che sta rivedendo, ma non s’ impensierisce per questo, e prosegue imperterrito.... ■Questa piacevolezza, che id De Franchi introdusse per dimostrare 1’ ignoranza di Pate/lin, non potè forse essere afferrata, nçlda sua line comicità, dal popolo che ascoltava; ma egli non la trascurò, perchè s’ accorse che tanto bene coloriva la figura di quel povero avvocato, pieno di miseria e di ignoranza. Anche nelle scene che seguono, per quanto tradotte quasi letteralmente, appaiono pur sempre qua e là certe sfumature e certi coloriti degni di nota. Gli epiteti che si lanciano i coniugi Patelin, nella commedia genovese, sono molto più volgari e plebei di quelM del testo francese. Sofronia insolentisce senza limiti e senza vergogna il povero Patella, che ascolta rassegnato. Ivi abbondano le espressioni particolari del dialetto genovese. Chi-germo, per esempio, nella scena IV, dopo aver comunicato al figlio il furto patito dal suo cc berger », esclama : « L’ ho piggiaio con ro maccaron sciù ro tovaggioeu » (1), frase che abilmente riproduce la corrispondente francese: «Je 1’ ai pris sur le fait». Più oltre notiamo: cc carta bolandrà », per cc carta bollata», e « bezoeugnerae tagli àghene un parmo e oiù un seme zzo » {2), espressione genovese pronunciata da Martin, 11 quale inveisce contro le male lingue degli uomini. iLa maestria con cui il De Franchi (riproduce ila cc vis comica » che anima la commedia francese, prova quanto fosse grande la sua abilità nel penetrare lo spirito dell’ opera eh’ egili traduce. (1) «L’ho preso col maccherone sul tovagliolo». (2) «bisogna tagliargliene nn palmo più nn sesto». 226 Giannina Gnecco Notiamo nel 11° aitto, 1«l traduzione della scena IIIa, così briosa e gaia nedl’originale francese. In essa è rappresentala tutta Γ astuzia di Patelin che si fìnge ammalato dinanzi ad suo oreditore, per esimersi dal pagare il debito. Nella traduzione genovese questa scena nulla perde della sua bellezza e della sua originalità. Vediamo che il (De (Franchi non fa che abilmente tradurre; tuttavia non possiamo fare a meno di attribuirgli una certa forza propria, un contributo (personale allo svolgimento del-Γ interessante e comica scena. Il dialogo nei due testi è lo stesso, i ripieghi, le furberie si identificano; eppure un certo colorito nuovo, caldo, proprio della città in cui -La commedia si svolge, pervade tutta quanta la scena, la trasforma, la rende forse ancor più accessibile alle nienti molto semplici degli saettatori dello Zerbino. Non è certo la Ninfa Calipso, che vaneggia nel cervello di Patelin, ma è invece un brano latino del « Dario » di Quinto Curzio ! iLa iNiinfa Calijpeo, per al buon popolino genovese, non avrebbe rappresentato che un nome senza significato, e la citazione sarebbe passata inosservata. Invece il latino recitato da Patella, per quanto non compreso, avrà certamente impressionato assai quelle piccole menti ignoranti. E la citazione balbettata, del fìnto infermo, sebbene espressa in modo un po’ triviale, pure è indovinatissima, ed aggiunge comicità alla scena (1). Sentiamo sulla bocca di Patella un’ arietta nota al popolo genovese, eh’ egli canta nel delirio della febbre .....« Fron fron mariaeve, belle ».... ecc. Vediamo quindi che il vaneggiare del fìnto infermo è tutta una pit-tura dell’ ambiente genovese, una revocazione dei fatti, degli avvenimenti del tempo, delle persone allora più note, come ad esempio, 1 accenno non casuale alila ballerina Palermi. Così i nomi delle persone che Patella invoca nel suo delirio, come « Ghigermin », « Zane Maria », « Beneito », « Cottardin », sono prettamente genovesi, e forse dovevano appartenere a qualche personaggio, ben conosciuto dalla folla che si assiepava allo Zerbino. Anche nell’ atto IIP, che ai svolge presso a poco come quello del testo francese, ci si accorge sempre più che il Patèlla del De Franchi assume una fisionomia particolare. Esso è anche più..... seccante del Patelin palapratiano, o meglio, ostenta di più la sua fadsa scienza, in quanto che frequenti corrono sul suo labbro le citazioni latine. « Accedant partes litigantes », intona Patella adì’ inizio della causa ; e « si vis recte judicare, audi alteram partem », intercala il Podestà del Comune che fa da giudice. Queste rimbombanti e solenni citazioni dovevano certo fare grande impressione sul rozzo popolo che ascoltava. Osserviamo inoltre che il Patella genovese è più imbroglione e più « plaideur »; egli è pieno di ripieghi e di raggiri, e la sua figura acqui- ti) Scena ITI» - Atto II®. Il Palaprat nell’ opera di Stefano De Franchi 227 sta forse per questo un colorito più vivace ed una caratteristica più marcata. 'Notiamo come nella scena Va dell III0 atto qualche circostanza venga modificata, per adattare meglio io svolgimento dell’ azione all’ ambiente genovese. Mentre nel testo francese Agnelet va a nascondersi in un granaio, il furbo Majrtin invece, sceglie, come nascondiglio, una barca, e questa è veramente giustificata per una scena che si svolge in una città di mare carne Genova. ■Concludendo, la traduzione de « L’ Avvocato Patella », dopo quella dell1 « Avare », è forse la migliore di tutta da produzione defranchiana, sia per Ja vivacità e la perfezione con cui è condotta, sia per il colorito regionale che la « pièce » assume. * * * Altra commedia che il patrizio genovese imitò dal Palaprat è «Le Grondeur », in tre atti, ed in prosa-, recitata per la prima volta dai Comédiens Français ordinaires du Roi nel 1691. In questa 'imitazione id De Franchi si stacca alquanto dall’ originale francese, sopprimendo peirsonaggi, intrighi, circostanze particolari. « Le Grondeur » è una commedia di carattere. In essa si vuol dipingere id tipo dell’ uomo burbero, perennemente irritato contro tutti, attaccabrighe per un nonnulla, di carattere pessimo, di umore insopportabile. Il « grondeur », è un vecchio dottore vedovo con tre figli. Ritorna nedla commedia del Palaprat il solito motivo dell’ « Avare » molieresco, svolto, anche dal Regnard nel suo « Légataire ». Il vecchio vuol sposare la fanciulla già promessa in isposa al figlio suo. E tra coloro che attorniano il vecchio odioso ed odiato, sorge il desiderio di tramare contro di lui un inganno, per impedire quelle nozze e per aiutare la giovinezza e da bontà del figlio. Anche qui, come nel «Légataire ». si ricorre a travestimenti; e chi si traveste è sempre il « valet » furbacchione e intraprendente, che anima quasi tutte le commedie francesi di questo tipo, colui che, nella produzione del Beaumarchais} rappresenterà poi il popolo ribelle che assume la coscienza della propria forza, il valore delle proprie idee e delle proprie azioni, il a Figaro » che prelude il movimento rivoluzio-ìiario. Anche in questa commedia gli intrighi sono ideati dalla servitù, e cioè da iLolive « valet », e da Catau « sellante ». Perchè M. Guichard, il « grondeur », s’invaghisce improvvisamente di Clarice, già innamorata del figlio suo ? Alla poveretta avevano suggerito che, se voleva attirarsi la simpatia del futuro suocero, doveva mostrarsi irritata con tutti ed irascibile contro tutti. Giannina Gnecco M. Guichard assiste infatti ad una scenata, che la ragazza, per seguire i consigli avuti, provoca a bella posta contro la sua cameriera, fìngendo di caccia ria. L’ umore della fanciulla rapisce il vecchio brontolone e lo induce a chiederla in isposa. Per dissuadere M. Guiichard da quelle nozze, s>i pensa di far agire la ragazza nel modo opposto a quello che aveva invaghito il dottore. Essa 'infatti si presenta a lui e, tutta allegra e scherzosa, giri parla di 'balli, di feste, dà vestiti, di visite e di altre simili cose, che atterriscono M. Guichard, e fanno ottenere Γ effetto desiderato. Rimane ancora da strappare all’ intrattabile uomo il consenso per per le nozze tra Clarice e il figlio. Per raggiungere lo scopo si ricorre a Brillon, rampollo minore di M. Guichard, il quale si è allontanato da casa, essendo stato a torto rimproverato dal padre. Trovato il ragazzo, lo si tiene in ostaggio, e si fa credere al dottore che un ufficiale Γ ha preso e arruolato nel suo esercito, pronto per andare al Madagascar. A questa grave notizia, ài povero dottoe si dispera, tanto più che Brillon è per lui il figliolo prediletto. Un altro guaio però lo minaccia: quello stesso ufficiale manda un suo soldato, che altri non è se non il servo LoMve travestito, ad ordinare al dottore di prepararsi per il suo arruolamento in quello stesso esercito. M. Guichard va su tutte le furie; ma a trarlo d* impaccio pensano i complici del tranello. Essi fanno credere al dottore Guichard che quell' ufficiale straniero, così terribile, è cugino del padre di Clarice, e eh' egli ha agito in quel modo per istigazione di questo padre, il quale vuol vendicare la mancata. parola dal dottore riguardo alle nozze di sua figlia. E poiché M. Guichard, malgrado tutte quelle minaccie, non vuol saperne di sposare la ragazza, lo si consiglia a farla sposare al figlio. Il dottore, per salvare Brillon e sè stesso, accetta il consiglio, e il figlio a malincuore.... si adatta a fare un simile sacrificio ! L' intento è raggiunto e la commedia finisce tra la viva allegria. La traduzione defranchiana porta il titolo: «L ommo raozo », e i nomi dei personaggi, come risulta dal seguente prospetto, sono adattati all’ambiente genovese: Lavinio - amante de Tèrignan - amant de Clarice - Clarice - Geronzio - frae de Diaforio Ariste - frère de M. Guichard Argentin-na - camerera Cateau - servante Tiburçio - servito de Diaforio Lolite - valet de M. Guichard manca Hortense - fille de Guichard id. Mondar - amant d* Hortense (Don Prosodia) Vamurra - précepteur Diaforio Trementin-na - rnègo poeu de Il Palaprat nell' opera di Stefano De Franchi 229 Bisogna osservare intanto come nella commedia francese vi sia nn particolare, trascurato nella riduzione dell De Franchi. Esso consiste nel contrastato amore tra la figlia del dottore Hortense ed il suo innamorato Mondor, amore che però finisce anch' esso pei trionfare, mediante un astuto inganno. La soppressione di questo particolare di secondaria importanza, non turba afiatto lo svolgimento principale dell’ azione. 'La mancanza dei personaggi palapratiani: Hortense e Mondor esige la soppressione delle due prime scene dell’ atto 1°, di modo che la commedia genovese incomincia con la traduzione della scena III1 del 1° atto dell' originale. Però quantunque questa scena sia alquanto ridotta, è caratteristica per certe espressioni che traducono, in modo efficace, la corrispondente frase francese. (NeIla scena genovese si accenna inoltre ad una visita che il dottore è andato a fare a Sampierdarena, particolare che naturalmente manca al testo francese, ma che il De Franchi introduce per dar meglio alla commedia il solito colorito regionale. Se prescindiamo dalla soppressione delle parti, che nel testo francese sono dedicate ai personaggi, i quali mancano nel volgarizzamento, le scene seguenti, sino alla VII*, sono tradotte letteralmente e con molto garbo. La scena \ IIa invece, che corrisponde alla Ya della riduzione genovese, viene dal De Franchi molto ridotta, in quanto che il fratello del dottoie, Geronzio, assume, nella commedia genovese, un colorito diverso dall’ originale. Egli non è più il pedante moralista, a volte un po' noioso ed antipatico della commedia francese: è solamente il buon zio di -Lavinio, che vuol aiutare il nipote, cercando di convincere il fratello e di age\ olare 1 inganno a lui teso. Il De Franchi giudica inutili, per il suo ambiente, tutti quei sermoni che Ariste rivolge spesso al fratello, e li sopprime addirittura, per tema di annoiare il suo uditorio turbolento ed impaziente. La scena Vili» dell’ originale ci presenta il piccolo Brillon che invita il padre ad ascoltare il suo componimento. Appena lette le prime parole, egli si sente appioppare uno schiaffo, per corte allusioni che in 05so compaiono, verso coloro i quali vivono sempre in malumore. Π piccolo, adirato, protesta, strappa i quaderni e fugge di casa. Nelle scene seguenti Γ azione precipdta: viene anche soppresso il comico dialogo tra Guichard e il maestro Mamurra che. con il suo latino biascicato filosoficamente, fa inviperire il dottore: e Γ atto si chiude come quello della commedia francese. Durante Γ atto secondo, non possiamo seguire contemporaneamente e collo stesso ordine le due commedie, perchè, quantunque lo svolgimento principale dell' azione rimanga invariato, 1' ordine delle scene è assai mutato, e il loro contenuto spesse volte varia. Giannina Gnecco Anche in questo atto molti «particolari sono tradasciati, e 1 azione ài svolge affrettatamente. Vengono soppressi, per -esempio, i dialoghi pedanti e moraleggianti, pieni dii massime e di noiosi sermoni, ment,re vengono invece sviluppatii certi punti particolari che, spiegando meglio 10 svolgimento deli’ intreccio, servono a chiarire il complicato nodo che si sta intessendo. Il popolo, -che assiste alla commedia genovese, ha bisogno di sapere, di interessarsi, di capire senza sforzo d’intreccio, che nell originale francese è abbastanza complicato. 'Esso mon vuole lezioni di morale; il teatro per lui rappresenta lo scherzo, 'il riso, riposo sereno. E ili De Franchi che lo sa, adatta il suo lavoro a quelle esigenze con lodevole maestria. Molto felicemente e con vivace colorito è riprodotta la scena in cui Clarice si presenta al vecchio dottore, e gli parla dei suoi sfarzosi preparativi per le nozze, del suo umore gaio, del suo carattere gioviale e allegro, amante molto delle feste, dei balli, delle mascherate, dei concerti. E comica assai è la figura del povero « mègo Trementin-na », che inuorridisoe all solo (pensiero della vita eh1 egli sarebbe costretto a condurre, sposando quella donna ! Una scena, pure ottimamente tradotta è la VIIla del 11° atto, che corritsponde alla XVIla dell1 originale francese. In essa Tiburçio, travestito da maestro di ballo, si ipresenta, mandato da Clarice, al dottore, per insegnargli Γ arte sua. 'Comico e curioso assan è il linguaggio che 11 De Franchi mette in bocca del falso maestro ÌRigodon. « Oui, oui », egli diice odile proteste di Diafonio che non vuol ballare — « oui, oui, Voi ! io ne tengo 1’ ordine. Mii hanno pagato bene pour cela e ventrebleu, il faut dancer, pour amour ou per forza ! ». Ancor più denso di comicità è il linguaggio che Argentin-na tiene col maestro di ballo, al quale si rivolge per (persuaderlo a lasciale in pace il povero * Di afori o, che mila e streipita come un matto. Essa pai a in un italiano grottesco, cercando di italiani] zza re il suo (linguaggio genovese. « Poteresci veniire mal otto, e aveine di bezogno de mio pa trône.... » (1), ella supplica ipocritamente rivalità a l.iburç*io. «Je m’en moque», risponde Rigodon e aggiunge imperioso: « Qu’ il danse ! ». L’ atto II0 della riduzione defranchiana si chiude come quello dei testo francese, cioè con la vittoria di Argentim-na, la quale, dopo esser riuscita a dissuadere Diaforio da quell’ orribile matrimonio, si propone di strappargli il consenso per ile nozze del figlio con la bella Clarice. Anche l’atto III0 è tradotto -con molta libertà, poiché sempre si cerca di dare maggior sviluppo alle scene che servono a chiarire 1 in treccio della commedia, di quale nell testo frameese appare un po oscuro. Tiburçio, travestito da ufficiale della colonia dell Madagascar, davanti (1) Potrete diventare ammalà/to. e aver bisogno del mio padrone. fAtU> II·, - Scena Villa). Il Palaprat nell' opera di Stefano De Franchi 231 a Diafoiio, parla un curioso linguaggio che vorrebbe essere spagliuolo, ma che riesce .invece una comica mescolanza di questa lingua con Γ italiano nostro. Diaforio, limpaunito diali’ intimazione dell’ anmolamento, insolentisce il .sedicente ufficiaile, e questi risponde: «Alto hai, Signor, en Madagascar non se sofrem violénçias, ne se permette mancar de palabras. Vai en sto ponto a dar parte de todos a sua Eççellenzia. Ombre de Dios ! esta non è la maniera de trattar, ni con e>l Governador, ni con iun Gnifre-griafre sus rapresemtante » (1). L’ azione continua poi a svolgersi come quella dell’ originale francese; però le scene non seguono sempre lo stesso ordine: alcune sono invertite, altre sono soppresse, e tra queste ultime, quelle specialmente dove abbondano i senmoncini di Garonzio, fratello di Diaforio. Ma la figura del protagonista, del vecchio attaccabrighe, in eterna agitazione, scontrosa, ombrosa, intrattabile spicca sulle altre ed è riprodotta veramente a perfezione. Nessuna sfumatura, nella descrizione di questo carattere sfugge, al nostro traduttore, la cui penna — dobbiamo affermare — molto 'Si accosta a quella delli’ autore fancese. Il testo genovese subisce, nel IH» atto, urna modificazione notevole. Mentre nel lesto francese, chi si traveste da governatore dell’ isola del Madagascar è Mondor, innamorato dii Hortense, figlia di M. Guichard, nella commedia geno-\ese, siccome manca questo personaggio, quella parte viene rappresentata da una donna, e preci saunent e da Clarice, la quale parla anch’essa un comico linguaggio, misto di maccheronico spagnolo e di italiano. « A dove stà a che 1’ ombre falsador de palabras, el segnor Doctor Dia-gnaforios ? » (2) esclama .pomposamente la ragazza, entrando in scena. (Malgrado queste modificazioni, la scena non perde nulla dei suo colorito gaio, del suo umorismo sincero, e procede fresca, svelta, spontanea, sino alla fine, destando una schietta ilarità tra gli attenti ascoi-tetto ri. iScoperto Γ inganno, e viistosi gabbato, il « grondeur » va su tutte le furie, >e 1 ira, d pianti e gli alti guari del protagonista genovese sono davvero straordinari per il loro comico effetto. La figura del veediio nella -commedia genovese è ancor più viva, più reaie, più riuscita di quella -delia commedia francese. iLe sue insolenze, dette nella volgarità ded gergo plebeo, non hanno più freno e sono quelle stesse che ili nostro Steva raccoglieva, passeggiando per le vie e lungo i vicoli da Genova settecentesca. « Comme ! » egli unla rivolto ad Argentin-na « Stria do Diavo, chitolla ,petelea, corbetta, mascarçon-naj e ti scellerato » — aggiunge, (3) Atto Ilio . Scena VI». (2) Scena Xa. 232 Giannina Gnecco rivolto a Lavinio — « iniquo, con quella faccia imperterrita e da barelli de Pontexello, che ti favi o desvittaò, trattarne in sta manea » (1). (La aua collera non 'ha più freno davvero; e, come 1’ Avare molie-resco, che, dopo il rapimento della sua cassetta, prorompe in un grido meraviglioso, il quale esce spontaneo dall’ animo in tumulto, ed invoca contro il ladro e 1’ assassino tutte le potenze terrene ed ultraterrene, così « Γ amino raozo » della commedia genovese, urla il tradimento ed invoca giustizia : « Anniimo, faero e foeugo, gius-tizia, tribunali, prexoin, galee, corde, svéggie, tutti i diavi e i arcidiavi da Curia civì e criminà, annimo diggo ! » (2) e più oltre grida ancora: A bile a me scanna... voi quello chi m’ ha tradio... creppo... sociatto de raggia, de magon... scellerati, perfidi, iniqui... ve farò vedde chi son » (3). La sua bile è al colmo: quest·’ uomo abituato ad alzar la voce per comandare, ad adombrarsi per un nonnulla, ad essere ubbidito ciecamente, ora che ai vede gabbato in modo così grave è naturale sia pieso da un accesso di rabbia formidabile. Colla traduzioine del « Grondeur » il De Franchi, sopprimendo alcuni .personaggi, modificandone altri, invertendo scene e situazioni, introducendo linguaggi comici e strani, fa opera veramente originale e briosa, dove si scorge il suo sagace intuito e il suo pronto ingegno. La commedia genovese, priva di sermoni, adattata con abilità all ambiente, riesce, viva, fresca, brillante. E non mi sembra esagerato attribuire al De Franchi, in alcuni punti del suo lavoro, una certa superiorità sul commediografo francese, tanto più che «Le Grondeur» del Palaprat non rappresenta davvero uno dei migliori lavori del teatro comico francese. Esso è privo infatti di quella profonda analisi psicologica, di quella schiettezza € spontaneità, di quel riso aperto e sereno, che sono doti indispensabili ad una buona commedia. Lo spirito del protagonista, «le curiose caratteristiche, le mani es a zioni conformi all’ indole sua, tutto ciò è appena sfiorato con supeifì cialità di concezione, con povertà di intuito e di analisi. Nello svolgi mento di questa commedia hanno solo importanza gli intrighi, le scene a grande effetto, i travestimenti fantastici, che realmente interessano e divertono questa commedia non ha quindi di per sè un grande valore artistico, e non vive se non per quell’interesse che la fantasia cieatiice (1) Scena IX» - «Come! Strega del diavolo, citrulla, pettegola, ìmfbecille, mascal-zona ! E tu, scellerato, iniquo, con queïla faccia imiperterrita da barcaioli di lontice tu che facevi lo scontroso, trattarmi in questo modo! "· (2) «Orsù! Ferro e fuoco, giustizia, tribunali, prigioni, galere, corde, campane, tutti i diavoli e gli aroidiavoli delila curia civile e criminale, orsù dico!.....». (3) «La bile mi soffoca, voi siete colui che m'ha tradito!.... muoio, scoppi·o di rabbia, di dolore.... scellerati, perfidi, iniqui, vi farò vedere ohi sono! ». Il Palaprat nell opera di Stefano De Franchi 233 deilil autore suscita, mediante Γ intuizione perfetta, di certe s/ituazioni stravaganti e fantastiche. Come mad allora il De Franchi scelse « Le Grondeur » per la sua produzione comica ? Certo un motivo ci fai ; anzi a parer mio, i motivi sono due. Anzitutto la figura del protagonista personifica quella di numerosi altri .tipi del genere che vivono ovunque, ma specialmente tra la nostra gente di (Liguria. Una caratteristica spiccata di certa uomini della no-isrta regione è appunto quel perenne stato di matamore, d’ intolleranza, d’irritazione, quel brontolìo instancabile ed (irragionevole, che è descritto nel (( Grondeur » della commedia francese. Troviamo queste caratteristiche in molti vecchi burberi, brontoloni, ma benefìci, che non sanno rispondere se non con un’ insolenza, con atti rudi, sgarbati, e che sembrano invasi da un perenne spirito di contraddizione, il quale li mantiene in uno stato di perpetuo malcontento. Il nostro patrizio doveva giudicare opportuno ridurre questa commedia, per mettere sulle scene una delle caratteristiche più comuni al popolo genovese. Altro motivo per cui il De Franchi attese con entusiasmo a questa, traduzione va ricercato nell’ interesse eh1 essa presenta, per Γ intreccio dei suoi casi, per la vivacità delle sue situazioni. Ed entusiasmo, interesse, riso schietto e sincero dovette certamente destare questa commedia tra quel buon popolo di lavoratori, incolto, ed estraneo a ciò che poteva rappresentare peœfezione artistica e finezza di studio psicologico, desideroso unicamente di seguire la soluzione di un nodo complicato e di assistere a scene, piene di situazioni imbarazzanti, burlescamente risolte. Giannina Gnecco DOCUMENTI ITALIANI ALL’ ESTERO GIOVAN MARIA LAMPREDI A GENOVA NEL 1789 IMPRESSIONI E GIUDIZI Giovanni Maria Lampredi fu, coni’ è noto, un tenace avveirsario del giansenismo e del vescovo Ricci. Professare all’ università di Pisa, uomo di grande erudizione giuridica e letteraria, il dotto prete fìoientino ebbe una parte importante nel congresso dei Vescovi toscana, nel quale, in qualità di teologo delΓ Arcivescovo di Pisa, parlò, con serrata e vigorosa dialettica, contro il giansenismo. L’ atteggiamento così assunto apertamente, vaJjse al Lampredi, com’ è facile intuire, animi raton entusiasti e neonioi fierissimi, e questi ultimi non disdegnarono di ricor rere alla calunnia per mettere in dubbio la sincerità ed il disinteresse del professore pisano. Epoca di vive passioni e di dotte piene di asprezza, nelle quali gli animi eccitati, non sapevano evntare, come sempre avviene, le esagerazioni. Ma se il Lampredi, e 'le sue lettere ce lo mostra no, non fu sempre temperato nel giudicare uomini ed avvenimenti, è certo però che egli combattè spoglio di ogni personale in temesse, ed anzii spesso lottò con proprio personale svantaggio e danno. Le lettere che si conservano nella Biblioteca ite-ale di Bruxelles, e sono un bel numero, furono scritte dal Lampreda dal 1783 al 17Λ3 e sono direte all’amico Abate Spina, che fu poi arcivescovo di Genova e Carda-naie. Esse sono di un interesse di pitim’ ardine e meriterebbero di essere pubblicate integralmente ma fino ad oggi i miei sforzi sono stati yal11· Poiché per mancanza di mezzi di consultazione non ini è possi 1 e valermi delle lettere stesse per inquadrare le notizie che esse con erigono con gli interessanti lavori del 'Rota, del Nurra, del Rodolico, aei Gambaro e di altri, ho deciso dà trattare separatamente i vana argomenti ai quali il .Lampredi si riferisce, affinchè la materia sia nota agli studiosi che meglio di me potranno valersene. .Fino dall maggio 1789 il Lampredi aveva deciso di intraprendere un viaggio nell’ Italia settentrionale ed il 10 inaggio, scrivendo all amico Spina che aveva particolarmente raccomandato il marchese Remedi — «amabile giovanetto ed ottimamente inalir.ato » lo awenrtiva eie sarebbe ben presto partito per Genova, per proseguire poi per Tonno e Milano. Come ho accennato 1’ amicizia del iLampradi con lo Spina era veramente stretta ed affettuosa e da queste lettere spira una continua Documenti italiani all’ estero 235 e sincera aura di confidenza e di intima affezione che le rende ancor più importanti. Ai primi di giugno ili 'Lampredi partì da Pisa per compiere ili preannunziato viaggilo e, dopo essersi trattenuto due giorni a Sarzana (1’ 8 ed il 9) ospite dellla madre dello Spina, il giorno 11 si trovava già a Genova nella casa del marchese Terràglia, de>l quale, nella lettera del 20 (giugno, tesse ile più ampie lodi. — « Uomo dii semplici costumi, di antica virtù » — il Torroglia era largo di attenzioni verso il Lampredi ed aveva cura di informarlo delle -cose della città e di intro-•durlo presso personaggi autorevoli e di presentarlo nei migliori circoli delila società genovese, alla quale, del resto, il nome del professore pisano non eira ignoto.... Il dotto prete fu così presentato al Doge, intervenne ad una adunanza del Consiglio grande e piicco'lo, andò a conversazione in casa Durazzo e così — « andava vedendo poco per volta il formale ed il materiale di questa 'Repubblica ». — A Genova, dove si trattenne un mese intero, cioè fino al 10 luglio, il Lampreda fu raggiunto dall’ amico Cremarli, altro fiero avversario del vescovo Ricci, e dal Bal-dinotti, e s’ incontrò anche con 1’ Abate Del Ma/re, giansenista accanito, che il mordace fiorentino, in una sua del 21 dicembre 1788, chiama — « negletto e disprezzato ». — 1.1 Lampredi esprimeva questo giudizio sul Del Mare a proposito della preannunziata ristampa del Sinodo di Pistoia che i seguaci del Ricci avevano sparso sarebbe stata fatta a Genova. (Nella citata lettera, scriveva allo Spina: « ....di quest’ Opera se « ne intraprende una ristampa, senza dir dove, in quattro tomi in 4°, « che costeranno sei lire genovesi 1’ uno, e si dice che le associazioni « si prenderanno a Genova da un libraio, che sta sulla piazza delle « Scuole Pie in Genova. Così s’ insinua che questa edizione sd fa a Ge-« nova. E credono con questi vili e puerili artiifizi d’ ingannare il mondo, « come se tutti non sapessero, come pensano là questo articolo i saggi « genovesi. Lo faccia sapere a qualcheduno a Genova, giacché io non « mi sono azzardato a farlo. Io la credo una delle solite astuzie giu-« dajiche del negletto e disprezzato abate Del Mare ». 'Finché dii Lampredi si trattenne a Genova -si ritenne dal fare ampie e particolareggiate comunicazioni aM’ amico ed il 6 luglio lo avvertiva ohe « quando sarò fuori di qui le dirò liberamente quello che md pare « -del Governo di questo Paese, e dai primi Piloti che siedono al Go-« verno di questa Nave ». Ma nel tempo stesso non poteva trattenersi da/l comunicargli che « anche qua si è sparso il contagio. Vi sono an-« «cor qui dei Novatori, o dei Pazzi, i quali, poco solleciti delle dottrine « speculative, abbracciano però i pninoipj dellla nuova setta, che favo-« riscono l’indipendenza e Γ usurpazione, parte perchè generalmente « gli uomini amano d’invadere i diritti e la roba altrui, perchè cre-« dono d’ essere reputati uomini singolari, introducendo .delle novità, <* per un sentimento di vanità puerile, e d’ orgoglio. Alla testa di coti storo dicono che vi sia Luca Giustiniani, che io conosco, e dal quale 236 Mario Battistini « pranzerò domattina, con aniimo di penetrare di suo cuore nel caso, « che egli sia penetrabile. Dei resto parleremo quando io sarò fuori di « qui, dove ho luogo di credere di essere molto osservato dagli emis-« «sarj e corri spondenti del -magno e, del piccolo Sire ». La prudenza consigliava perciò il Lampredi a non affidare alle lettere, che traversavano poi la Toscana, i propri giudizii, molto più che, com’ egli aggiunge nella stessa, i suoi avversari avevano sparso per Genova una infinità di ciarle intorno laida sua visita. Inoltre la posta toscana non presentava nessuna garanzia di sicurezza, perchè lo spionaggio, una delle più ributtanti piaghe del governo dii Leopoldo, non rispettava nemjmeno iil segreto epistolare ed il iLamipredi, che ben conosceva i sistemi toscani, pregava lo Spina di dirigergli le lettere a Milano con Γ indirizzo di Monsieur De Murène. Il viaggio del Lampredi durò fino ai primi di agosto e durante esso, egli potè soddisfare il proprio « desiderio di vedere i'l vasto, e ferti-« Gissimo piano della Lombardia, e del (Piemonte. Ho pasciuto Γ occhio « mio avidissimo delle bellezze della natura e delil’ arte, ed ho tastato « (ili polso ad una buona parte d’ ItaMa per giudicar del progresso che « aveva fatto la malattia del fanatismo, o per dir meglio le tre sorelle : « la frode, la vanità e la stoltezza, sotto il mentito aspetto della Ri-« forma. Ringraziamo Iddio : il maile poi non è così grande, ed io ho « 'luogo *di predire che in breve tempo questa specie di Peste M or aie « anderà a terminare con vergogna e disonore dei pochi vanissimi uo-« mini, che hanno tentato di disseminarla sulla terra ». Così scriveva da Bolgna il 13 agosto dello stesso anno ed ormai sicuro di poter affidare alla posta le proprie lettere, il Lampredi non si tratteneva di comunicare allo Spina le impressioni riportate durante il viaggio. Riguardo la città di Genova egli scriveva: « A Genova « quajlohe Patrizio sciocco ed ambizioso s’ è infettato di questo mal con-« tagioso, ma tra questi nessuno ha abilità capace d’innestarlo agli « altri, e di vincerne 1’ aborrimento generale, che è in una Repubblica « per ogni genere di novità. Girolamo Dur. (Durazzo) è un pallone pieno « « di vento >e come tale è conosciuto da tutti. L. G. sarebbe più insd-« nuante, ma le sue affettate umiltà, la sua ricercata popolarità, e so-« pra tutto «la sua testa pìccola e leggiera lo rendono affatto impotente, « o almeno lo costituiscono tra la classe dei Ragazza ridicoli. Gli altri « che sono i veri capi della 'Repubblica, e che timoneggiano lo stato, « hanno per massima di non rivolger lo sguardo nemmeno aille questio-« ni puramente Teologiche, e in quelle che riguardano la disciplina « esterna, quantunque credano che sarebbe utile una qualche riforma, « con tuttociò non la faranno mai, perocché da una parte non sanno ove « giungerebbe il disordine, e dailTaltm tengono ferma la massima — « Malum bene positum ne moveto. — Io mi sono aiutato parte ridendo « e parte ragionando a confermarli dn questo proposito, e ci son riescito Documenti italiani all' estero 237 « /senza pena, giacché, confermi and oli, io lusingava il loro amor proprio ». Qualche giorno dopo, dii 24 agosto, iil Lampredi, in una sua scritta da Firenze, aggiungeva nuove considerazioni sulilo Stato di Genova, e scriveva: «Il governo della Repubblica di Genova è benissimo concer-« tato per impedire che nessun Corpo di Magistratura usurpi un potere « arbitrario, ed occupi peir conseguenza ila Tirannide. IJ Magistrato dei « così detti Sindacatori Supremi siede come in una specola, esamina at-« tentamiente la condotta di tutti, ascolta le lagnanze, tien forti gli ordini <( deQle reverende Leggi, e non ha altro superiore che il minor Consiglio, « iil quale in sostanza ha la massima influenza nel governo dedlo Stato, « riiducendosi la potestà del maggior Consiglio alla formazione del Se-(< minario, ed altre piccole cose, le quali anche in gran parte passate « nel minor Consiglio devono passare ancora nel grande per ragioni che « lungo sarebbe adesso il mentovare. La gran gelosia dunque del Goti verno è di mantenere l’equilibrio tira i diversi Corpi dellla Magistrati tura, e di sottoporre tutti alila disposizione delle leggi. Quindi è che il « 'Potere esecutivo e il Giiudiciario trovandosi divisole suddiviso in tanti « e grandi e piccoli Magistrati, la forza del primo è debolissima, e il a procedere del secondo è lento, cauto, meticuloso e scrupoloso in guisa, « che i delitti restano molte volte impuniti, e i Giudizj lunghissimi. I « Patrizj più illuminati sentono questo disordine, ma non osano di proli porre il riparo, perchè non potendosi ciò fare che con nuove leggi, e « con dare ad alcuni Magistrati maggiore energia, ed autorità temono, « nel primo, l’influenza del Gran Consiglio ed il pericolo di cangiare gli e pronto (senza forse Valerio) dei potenti e innamorato sopra ogni altra cosa 'della sua arte. Ma più ancora quella lettura mi interessò per un nuovo aspetto dell’uomo, inolio lodato in vita e ammirato nei primi decenni del secalo scanso, e poi maltrattato un po’ ingiustaimenite dai critici e quasi ormai dimenticato. Lo vidi, attraverso queste due lettere, tutto dedito a incoraggiare con aiuti e consigli il nipote Agostino (3), e a cercare per lui chi potesse essergli largo di favori e di onori. Preoccupato della propria salute (aveva quasi cdnquant’anni e morì due anni dopo) e vigile custode dei suoi interessi, mi parve di scorgerlo intento a tastarsi il polso e a rivedere nello stesso tempo con occhio critico i coniti de»l fattore. Tutto nella medesima lettera, è 'assieme uomo di mondo e poeta, zio affettuoso e oculato amministratore, intenditore di cani e (perchè no ?) di belle donne. E’ curioso vederlo passare quasi senza transizione da un argomento (1) Isidoro La Lumia, nato a Paflenmo nel 1823 e mortovi nel 1879, fu storico od erudito di non cornarne valore. Le opere sue principali sono: Studi di storia siciliana; La restaurazione borbonica e la rivoluzione del 1860 in Sicilia; La Sicilia sotto Car- lo V; Giuseppe d’Alesi e la rivoluzlone in Palermo del 1647; Storia della Sicilia sotto Guglielmo il Buono; I Bomani e le guerre servili in Sicilia; La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia; Palervvo, il suo passato, il suo presente e i suoi monumenti, oltre a· molti opuscoli e studi minori. (2) Giosuè Carducci - La lirica classica nella seconda metà del secolo XVIII; La gioventù poetica di Gicrvanni F anioni; Un giacobino in formazione ; Un poeta giacobino in formazione. In: Melica e lirica del setteoento (Opere, vol. XIX, pag?. 163-186; 189-246). (3) Il conte Agostino Famtoni, ohe pubblicò con la data- d’Xtallia Ima Firenze, Piatti), 1823, in 3 voli., le Opere dello aio, premettendovi ùe Memorie biografiche. 240 all’altro : parla di visite, di commedie recitate probaibiilmente in società,, di cani, di disegno, di pittura; dà giudizi sulla propria arte (non troppo modesti, a dire il vero) e ottimi consigli, forse esageratamente pratici per la, materia che toccano, al nipote; do incita a cercare sulle sue orme 3a via dedla gloria e con il’ esempio do esorta a non dimenticare per l’Elicona le pingui campagne di Lunigiiana. Strano uomo in verità ! Eppure è così sincero, così aperto, in queste lettere conifidenz/iali al nipote, che quasi ci si sente tentati di non offendere, sia pure a tanta ^distanza di anni, l’intimità familiaire con la nostra curiosità profana. Fin diad principio sentiamo d’uomo che non disdegna la lode, ma che anzi debolmente se ne schermisce, pei* poi ritrovarla raddoppiata. « Etrusco Orazio » l’aveva chiamato l’Alfieri, ed id nome gild era rimasto (e ci teneva); ail nipote sollecito deida sua salute che lo scongiura di conservare adle Muse l’Orazio toscano, egli assicura che lo conserverà, sì, ma « 'Coclite ». Giacché i suoi versi più si addicono al difensore del Ponte Sublicio che ad favorito di Augusto e di Mecenate. E poi, dopo avere per un momento abbandonato il bisticcio per trattare di cose piiù lievi, vi torna sopra e si mostra ad esempio : ricorda i suoi primi successi poetici, il suo lavoro assiduo e il trionfo : « Ardili di mettermici in redazione [con Orazio] e qualche volta sono giunto a starci a livello. » E’ ardita l’affermazione, ma in buona fede : non esaltava il Cesarotti La sua ode <( Figlio del canto » come superiore alToriginale oraziano « Mercuri, nam te docilis magistro »? (1). Non proponeva ancora d’ Alfieri che le odi sue si scolpissero nell’ oro ? Ma è il suo processo poetico, ila sua teoria d’arte, quel che più ci meraviglia: l'ispirazione non conta, basta «il desiderio di rendersi utile, e conosciuto ». E ad primo passo riesce a collocarsi « fra i distanti »; ma non già basta, e cerca « di perfezionarsi, soprattutto nella forza dei sentimenti, e nell’utilità delle massiime ». Così prima giunge a piacere e poi si sente circondato « da una certa venerazione » e vede unito al suo nome quello « d’amico dei suoi simiM e deli’Italia ». Lasciamo andare quel « perfezionamento..... nella forza dei sentimenti », che basterebbe da solo a mostrare quale abisso separi le nostr e teorie artistiche da quelle del ’700; ma quella « venerazione » non è un po’ comica? Si può pensare il buon Labindo elevato agli onora dell ara e circondato da turiferari e sacrificuli ? E’ Arcadia anche questa ! E i termini che usa nei precetti che dà al nipote ? Non si cerca la gloria, ma si vuol essere « conosciuti »; non si vuol essere illustri, chè basta stare « tra i distinti ». Poi, seguendo una sana (o almeno pratica) teoria, con la « pazienza, e le regole di vincere le difficoltà », ognuno può diventar poeta; e più facilmente potrà farlo un nipote con 1 aiuto di uno zio come iLabindo, se allontani da sé « il malus pudor » e con esso la (1) Orazio, Odi, 1. ΙΠ, 11. Due lettere inedite di Giovanni Fantoni 241 pigrizia e la mancanza di metodo ! Par di vederlo, con la « Regia Parnassi » dinanzi e le dita in aria a contair sillabe ! iPe.r buona sorte il nipote non seguitò le orme siue o, almeno, i suoi poetici parti furono sepolti dall’oblio; ma gli fu ad ogni modo riconoscente, chè a Ini si devono la più compiuta edizione defc Opere e le Memorie ad essa, premesse. Ma la seconda lettera, nella quale raccomanda al nipote l’amico Luigi Lamberti (1) e i suoi compagni di viaggio, è ancor più pratica; pezzo grosso del governo napoleonico, dii Commissario Straordinario Lamberti può essere utdDLe; e utile può essere il Fartini, Provveditore delle truppe. Come cattivarsene la benevolenza ? Si ha un bell’essere cortesi e «idargli idea dei.... talenti» che si possiedono; non basta. E allora, siccome « sono Lombardi, che amano di mangiare, e bever bene », invitiamoli a cena « malgrado che sua sabato giornata un poco infelice » perchè di magro. Così, presi... per la gola, non potranno rifiutar nulla ! Poi, tra una maldicenza sul conto dellla « Bettina » e i saluti degli am/ici pisani, sii -toma a parlar di poesia e sii suggerisce lo studio di una ■antologia lirica. E con pazienza, metodo e studio, si potrà dire : « Sic à tur ad astra » ! E’ l’amara esperienza, forse che lo induce a parlar così, ora che è giunto ad essere Segretario dell’Accademia di Garrara e sita per esserne Presidente, alla vigilia della morte. Se è un po’ utilitaria la sua filosofìa, e molto pratica, si può ben perdonarlo pensando alle sue passate vicende. A. Gasparetti I. Mio Caro Agostino Massa, 5 Marzo 1805. Stavo un poco meglio anche del mio reumatismo al cajpo, essendomi sopravvenuto un raffreddore di testa da due giorni, che pareva volesse impegnare il petto, e che mi faceva lacrimare gli occhi, ed impiegare due o tre fazzoletti ogni giorno. La notte passata però sono stato peggio, ed ho avuto una febbre assai gagliarda con copioso sudore, che però potrebbe risolvere questo maledetto reumatismo più ostinato del re di Svezia in proteggere Luigi XVIII. a valer dominare nel mio capo. Da un’ inquietudine e qualche febbre, e di un tormentissimo reumatismo in fuori, assicurati per la tua quiete, che non ho altro. Accetto il tuo augurio di conservare un Orazio, ma non toscano, bensì quello che gli tenne (1) Luigi Lamibertri, (nato a Reggio Emilia nel 1759, fu poeta e traduttore di lirici greci. Esule per ile sue idee rivoliuaionarie, ebbe poi varie cariche pubbliche e morì a Mdltao nel 1813. Le Poesie tradotte e le Poesie e prose originali furono pubblicate dal Silvestri (Milano, 1822; e nello steeso anno il Torregiani pubblicò a Reggio le Poe-e?'e e Versioni inedite o disperse. 242 lontani dal ponte, e preferisco la sua azione dii salvatore di Roma a tutte le Odi deli’altro, ed a cento mila dettile mie, ohe sono più sul gusto dji\ Orazio Coclite delle sue; giacché sono persuaso iche quel bravo romano avrebbe sentito mal volentieri pari aire d’Augusto, come di Tarquinio. Gli Adami mi sono parsi gii stessi; md hanno mandato il loro baule, e valigia per un uomo con due righe senza sottoscrizione d alcuno, e poi sono scesi a casa mia i»n compagnia del Tene nani. Hanno preso qualche cos*a; ma perché avevano seco tutti i cav alibi, e gli uominii, ed un certo Gervasi non sono restati qui la sera, ma sono andati a Pietrasanta, ove avranno saputo se sia vero, come qua si dàce, che i Lucchesi abbiamo [rimesso al iSerchio il cordone. Poco, o nulla hanno detto delle Comedie, onde ne sò più da te, ed ho piacere che tutto sia andato bene specialmente il Federigo e le tombe di Verona; e che iMariannina siasi fatta un brava donna, assicurandovi in progresso la compagnia, giacché essa per prima, e la F elici na per madre potranno sostenere qualunque dramma, e l’Isotta, la Grazzim, e le altre supp'lire al'le parti minori. Ho piacere che Facchinello si sia fatto onore, come n ero persuaso, cosa che ha fatto sommo piacere a Saverio Salvioni. Gli consegnerai l’acclusa, egualmente, che l’altra, con mille congratulazioni a Grazzini nostro, che saluterai con Bellini, e Ravani, da cui aspetto LI cane col prezzo sborsato, per farglielo rimettere. Tu avrai ricevuto a quest eia dalla mogiltìe di quel bottegajo, che età nella bottega dell’Adorni due scatolette, una con un pettine per l’Anna, e l'altra con colorii, ricchi pennelli e un portafoglio, ed una inda lunga lettera. Ora per Franceschino Sarteschi, che volevo restasse da me, ina non ha potuto per \ia dello zio ti mando un cannello di latta fattomi fare da Saverio, ove ti accludo cinque cani cioè : •L' alano di razza forte 1 JL’accompagno col tono di Buffon su’ i carni; tienti però ai disegni da noi fatti, ed ai colori da me indicati, giacché in Buffon vi è molti errori e muna esattezza di disegno. Io lo mando non ostante per confrontare al bisogno le descrizioni, che sono più esatte, e perchè tu abbia un prototipo qualunque dell’animale. Tienne conto, perch è del Mo-rotti, di cui ho presso di me i tomi di t.utt’ i quadrupedi. Quando avrai fatto una dozzina di animala mi rimanderai il cannello sigillato, come io ti mando, ed io ti rimanderò il cannello con un’altra dozzina d animali ben disegnati; e toccali a penna se occorre. Non metterla a girandolare questa quaresima; fammi il piacere di occuparti per divertimento in questo, e per istudio nel resto. il piccolo Danese Il bracco di Bengala Il cane Leone Il cane di Malta 2 3 4 o Due lettere inedite di Giovanni F anioni 243 Vie righiamo ora a quel, che 'più iimipQFta. Quand’ io teintai le prime mie odi ero dellla tua età. Niuno zio md ajutava, e dirigevo i miei passi, niuno m’ maritava alia gloria che il desiderio di rendermi utile, e conosciuto. L’esempio della scuola di Bernardo Tasso, e del Tolomei, che per 200 anni avevano tentato senza felicità i metri e le marniere dei Greci, e dei Latini mi doveva scoraggiare, pure ardii, tentai, e a dispetto del nonno, che non voleva che facessi iil letterato, ma il legale, diedi fuori un Saggio di fisica, che presto mi coillocò fra i distinti : non mi insuperbii, ma consultando tutti gli uomini più colti, di cui mi feci degli amici, ceircai di perfezionarmi, sopratutto nella forza dei sentimenti, e nell'utilità delle massime, che instruendo in tutti i secoli fanno vivere e leggere sempre gli autori. Prima sfoggiai con la bellezza classica deila dizione, poi con quella del sentimento, e dei precetti: piacqui alla prima, ma una certa venerazione mi circondò alla seconda, e il nome d’amico dei suoi si mòlli, e dell’Italia si collocò fra’ li miei versi. Credi tu, che malgrado l’altrui opinione per me io possa fare dei buoni versi senza fatica [?] T’inganni = nil sine magno vdtae labore dedit mortalibus Juppiter =. Ti confesso che mi costano meno di prima, perchè mi sono assuefatto ad incontrare più facilmente le difficoltà, ed a scorgere più facilmente i mezzi di vincerle; ma chi nega a te questa pazienza, e le regole di vincere le difficoltà [?]. Non te le insegno forse, mentre io dovetti faire da me, e giungere al punto, in cui sono, tastando qual cieco con la punta del bastone per non fracassarmi la testa ? Credilo; tu puoi fare qualunque cosa più facilmente che io non feci, se il vuoi, mo deponi il mal-us pudor qui ulcera celat, e ti forma una ragione inganne- vole di quella pigrizia, e mancanza di metodo di studiare, che fanno diventare tutto difficile. Sopra ogni altra cosa non ti stimare mai buon da nulla: chi si disistima si prostra nel fango, e non ardisce alzarsi perchè teme di comparire imbrattato. La distanza che tu trovi da me a te non è positiva, ma relativa; quanta ve n’ era fra me, ed Orazio ? ardii di mettermici in relazione, e qualche volta sono giunto a starci a livello. Perchè ? Perchè non temetti di dare qual* Icaro — al sinico mare il nome — e mi premunii delle lezioni di Dedalo. Ti mancano forse ali, e lezioni ? Non è vero; avvezzati a volare; tenta liquidum aera; e giungerai ancor tu ad appendere in Sdcilia ad Apolline le tue ali in voto alle porte del Tempio. Sai tu quaTè il segnale del Genio ? L'irritabilità nei contrasti II cane, che rode il sasso ciré gli è stato tirato, aguzza i denti per attaccare, e superare le fiere. Coraggio, se qualche espressione non ti ubbidisce, comunicami il tuo ritrovato, io ti dirò il mio; così ci eserciteremo ambedue. Se vuoi, occuparti, puoi prendere per epigrafe sulla mia cauzione: = Non omnis moriar. = 244 Vedraii, che ho convenuto che il callidum non è reso da dotto; ma astuto dà idea ributtante in Italiano per una divinità in un suo inno; prima avea fatto Canterò te Padre della mia lira celando astuto con giocoso furto quel che ti piacque. Se più ti piacesse, profittane. Ho rice\*uto da Franceschino i fìlippi 4. e gli ho dato scudi romani 3. filippi 5. e soldi 35. che ti farai dare, e porterai con 1 acclusa alla FeLi-cina da parte mia. Con buona grazia sentirai quante some ha vendute dii farina, il fattore, e a che prezzo, giacché mi scrive che non vale due fìilippi, quand'era prima che partissi a 30. barboni, e qui a 4. fìlippi, e mezzo. Procura, che Ravani mi mandi 1*oriolo in una cassetta In buon ordine. Saluta Michelino, le sorelle, e la mamma. Venturini, che fu da me sabato a prendere il caffè fa a tutti mille saluti; sono di cuore 1' amico e zio Giovanni II. Mio Caro Agostino Massa 3. Maggio 1805. Credo che avrai ricevuto la mia lettera per la posta, in cui ti avvisavo, che passava di costà Lamberti nostro Com.° straordinario col Pro\. delle truppe Fanini, per Reggio, ed indi trasferirsi a Milano; ora ti aggiungo, che in loro compagnia viene Gius. Perazze di Genova, che tu hai conosciuto in casa del medico, e che si dice sposo della Bettina. E un giovane di buoni principi, e che ha dei talenti, e che è capace di qualunque servizio per gli amici. Lamberti desidera molto di conoscerli, avendo sentito parlare bene dì te a Modena e Reggio, onde mantieni la sua opinione, e con le attenzioni che gli userai, cordiali al tuo solito, e con dargli idea dei tuoi talenti. Credo che il medesimo sarà situato a Milano, quantunque vorrebbe tornare l'estate quà a terminare le sue operazioni, che con l'assistenza del nostro bravo Ficozzi, che ti saluta, sono state ben prese, e utilissime. Insemina [Lamberti ha fatto quà quello, che nessun altro ha fatto prima di lui. Gli ho raccomandali allo zio Odoardo, perchè gl’inviti a cena, malgrado che sia sabato giornata un poco infelice: tu fa quanto puoi perchè vengano, e ricordati che sono Lombardi, che amano di mangiare, e bever bene. Saluta mamma, e le sorelle, e di’ loro, che gli facciano tutte le cordialità. « Ti mando i due Tomi della Raccolta del Mazzoleni, che ti raccomando per non essere miei, e soggetti alla divisione dei fratelli Salvioni. Troverai in essi una nota dei componimenti fatti per la povera Italia. Due lettere inedite di Giovanni Fantoni 245 Se ne sai alcuno a memoria, o ne hai, mandamelo, in particolare il sonetto deU’Alfieri sulla Crusca. In detta Raccolta del Mazzolerà osserva - Guidicdoni - Casa - Petrarca - Bernardo - Tasso - Poliziano - Manfredi - Fikcaja - Guidi - Fulvio Testi - Bembo - Angelo di Costanzo, e i tentativi del Tolomei e delli suoi scolari sù i metri Greci, e Latini, non meno che quelli del Costanzo, Chiabrera, e Rolli. » Non veggo venire il poltronissimo Michelino con Facchinello, nè Franceschino Sarteschi. Che trascuraggine di non mandarmi almeno i noti articoli per occasioni capitate ftn’ora ! Amami, applicati, e credimi di cuore Il tuo am. e zio Giovanni P.'S. Dino Vacca, Leopoldo suo f.llo, Grassi, Slop, Grazzini, e gli altri amici di Pisa ti salutano — compreso il VabrL Pampani si lagna che tu non gli hai mai risposto. .Noia. - Le due lettere del Fantoni sa trovano nella cartella segnata 2 Qq. G. 115; la prima occupa quattro intere facciate is-folio e reca in alto a sinistra della prima pagina la seguente indicazione di mano del La Lumia : « A utografo del celebre poeta conte Giovanni Fantoni detto/fra gli Arcadi Lab indo·. La seconda Lettera, nello stesso formato, copre soltanto una pagina e meno; anchessa ha in alto a destra l'indicazione suddetta. POLEMICHETTA MAMELI AN A L'illustre storico G. Leti ci ha inviato nel maggio scorso una lette)a che abbiamo il piacere di pubblicare integralmente. Ad essa facciamo seguire la nostra risposta con la quale abbia/m creduto subito di ribattere le cortesi argomentazioni dell'illustre amico. Nel frattempo, per un ritardo subito — indipendentemente aflatto dalla nostra volontà — nella pubblicazione di questo fascicolo, un elemento nuovo s’ è venuto ad aggiungere alla breve polemica. Pubblichiamo quindi anche la seconda lettera con le nuove argomentazioni di Gian-giacorno Palermi, facendola seguir da una nostra breve postilla. * * * Ella vorrà perdonare alla passione che porto ai comuni nostri studi sulla Storia del (Risorgimento, s’io, senza pur conoscerla di persona, mi permetto non solo di scriverle, ma di proporle un’ onesta rettifica. Ella ha scritto pagine magnifiche su Mameli, e la Sua ricostruzione è veramente nuova, completa, interessante. Ma Ella non ha curata 1 indagine sulla vera effigie del Poeta : quistione per molti anni dibattutasi, fino a che io non la trovai, con sicura autenticità, nel 1911 salvo errore di data. Ed ha lasciato ristampare il ritratto di uomo maturo e barbuto, che si trova a Genova, nel Museo del Risorgimento : che, in modo certo, non è, come non può essere il ritratto di Mameli. Io non ne fo debito a Lei. Lei intensamente preso dalle indagini sulla vita, sul temperamento degli scritti del Poeta, ha creduto far bene di presentare il ritratto — dirò cosi — ufficiale, senza avere probabilmente neppure il tempo di approfondire l’iconografia di Mameli. Se non chè, gli è .CERTO che il ritratto del genovese Museo del Risorgimento è apocrifo ! Pare un’ aberrazione tale affermazione, (piando specialmente si pensi che quel ritratto vuoisi donato a Calandrelli dalla Madre del Poeta. Difatti, così è scritto in calce alla tela, in una specie di dedica. Ma la calligrafìa è veramente della Madre ? Chi lo ha mai accertato ? Non solo, ma perchè mai la madre non ha firmato la dedica ? La quale è affatto anonima. Queste circostanze screditano la pretesa autenticità del quadro genovese. Ma V’ è di più e di più grave per escluderla; ed è la descrizione che di Mameli fece Mazzini. Lei dovrebbe usarmi la cortesia di rileggerla, tenendo sott1 occhi il ritratto da Lei riprodotto. Vedrà che in questo non c’ è di Mameli la più lontana somiglianza: Γ età, la barba, il tipo somatico, Γ espressione, tutto Y insieme ne differiscono profondamente. Polemichetla Mameliana 247 Quale allora la vera effìgie ? Fu un problema che mi ha tormentato per vari anni. L’ ho cercata presso gallerie, musei, biblioteche, per tutto invano. Finalmente (mi pare, nel 1911), recatomi un giorno al Museo dei Bersaglieri a Roma, mi colpì un ritratto a lapis, riproducente — V’ era scritto — un bersagliere ignoto della Legione Manara a Roma nel ’49. Lo fissai lungamente, e mi parve di vedere il Mameli descritto dal Mazzini. Pregai il Conservatore del Museo — un vecchio Generale territoriale — di lasciarmi togliere il disegno dal vetro e dalla cornice; ce ne volle, finalmente Γ ottenni, e dietro trovai scritto che quello era il ritratto di Mameli, fattogli dal pittore Isola (suo compagno d’ armi), e passato poi in proprietà di Brusco Onnis, che aveva difatti tanto amato il Poeta. Probabilmente, l’Isola schizzò il ritratto a posa, in una sosta delle azioni militari, suUi spalti del Gianicolo. Difatti quel disegno è tracciato su un pezzo di carta forse da involgere, non del tutto pulito : chè forse d’ altra carta V Isola non disponeva in quel momento. Anche quel disegno bisogna osservare, rileggendo la descrizione che di Mameli ha scritta Mazzini. E’ rispondente in un modo impressionante. Ottenni dal Corpo d’ Armata di fare fotografare il ritratto, e lo mostrai a Visconti Venosta (pochi mesi prima che questi morisse) — il solo allora vivente, che avesse conosciuto Mameli —. Ed ebbi 1’ avvertenza, nel mostrarglielo, di non prevenirlo; gli chiesi solo se, interrogando la sua memoria, non gli fosse sembrato di ricordare quella figura tra le conoscenze della sua gioventù. Egli, senza bisogno di riconcentrarsi, saltò su a gridare : ma non lo vedete ?, è Mameli ! E mi rilasciò nna dichiarazione sotto forma di lettera, tutta di suo pugno, nella quale non ripete quella esclamazione, ma — egli era diplomatico nel sangue — ma afferma che di tutti i ritratti attribuiti a Mameli, quello è il più somigliante. Io ho pubblicato, su articoli e su ‘Riviste, tutto ciò, fino da allora, ed ho riprodotto il detto ritratto sul mio volume — che Lei dovrebbe avere 1’ amabilità di consultare —, edito da F.co Vallardi — sulla « Rivoluzione e Repubblica romana, 1848-49 ». Non pretendo che Lei l’acquisti, è molto costoso. D’ altronde, ne credo esaurita Γ edizione. Ma Lei lo troverà certo nella Biblioteca governativa. Quando Lei tenga presente tutto quanto Le ho esposto, e quando Lei esamini i due ritratti colla scorta sia della descrizione mazziniana, sia del giudizio del Visconti Venosta, io spero e credo che Lei si convincerà che il ritratto del Museo dei Bersaglieri è vero, tutti gli altri — ma più di tutti quello del Museo di Genova — sono apocrifi. Io credo che non dovrebbe lasciarsi trascorrere il centenario, senza la doverosa rettifica. Scrissi al Prof. Casanova, ma questi mi ha risposto che là si è piuttosto contrarii, specialmente perchè il Comm. Men-ghini crede di non dover contraddire a Lei, e di non voler prendere una iniziativa. 248 G. Leti - A. Codignola Esd io allora ho pensato -che Γ iniziativa può prenderla proprio Lei, in omaggio ailia verità ! Io spero che Ella non me ne voglia per questa lettera franca. An-eh' io, qualche volta, mi sono trovato di fronte al quesito : rettificare, 0 no, qualche errore di data, di citazione, o qualche giudizio; e non ho esitato: ho rettificato. Ora, per esempio, si sta traducendo in francese 1’ ultimo mio volume su « Massoneria e Carboneria nel Risorgimento italiano », e ne colgo F occasione, per correggere nelT edizione francese qualche inesattezza sfuggitami nell’ originale testo italiano. Io ciò considero un mio preciso dovere. . Ossequiandola, e pregandola di farmi sapere ciò che Ella pensi 1 quanto Le ho esposto, La ringrazio, La prego di scusarmi, e Le presen o 1 migliori miei devoti saluti. Dev.mo Avv. Giuseppe Leti Deputato di Storia Patria per le del Comitato romano della Società Naz. per la S. d. R. Illustre collega, la sua cortese lettera e ciò ch'Ella dice in essa non mi hanno stupito : V iconografia mameliana non è certo la cosa che mi abbia occupato meno delle altre nella mia ardua, paziente fatica. Ma purtroppo dove i giun gere alla conclusione cui son giunto: la riproduzione che io o Pu 1 cato è brutta, bruttissima — se vuole — ma è V unica che ha i cara eri assoluti di autenticità non essendo un parto della fantasia i un ar ts a o un ricordo di un amico. E valga il vero: il dagherrotipo, da cui è tratta la litografia è ora di proprietà della Contessa Thellung Rotei eto, ultima della famiglia Mameli. Il dagherrotipo non è e non può essere una falsificazione : d’ altra parte le sembianze del poeta sono identiche a quelle del quadro ad olio raffigurante V « Apoteosi di G. c0*“ servato a Genova nel Museo del Risorgimento, risalente al 1850, fatto dal suo amico pittore Francesco Cogorno, eseguito su tavola, ed esposto nello stesso anno all' Esposizione di Belle Arti a Genota, sono i en ici a quelle riprodotte nella maschera in gesso presa sul cadavere dal Bertoni e da questo portato alla madre di Goffredo, e dalla famiglia i que sta ancora dato al nostro Museo; sono identiche a quel busto che si possiede di lui dello scultore Filippo Burelli compagno d'armi del poeta a Roma e che ora si trova a Genova nella scuola Complementare Goffredo Mameli; infine sono identiche a quelle del busto di Federico Fabiani che si trova nella scalinata dell Università, inaugurato nel 1886 quando ancora erano vivi moltissimi amici di Goffredo. Polemiche Ita Mameliana 249 Le altre immagini riprodotte in litografie varie, pure dell epoca, sono numerosissime e tutte di fantasia : Γ amico Monti, Conservatore del Museo del Risorgimento di Milano, ne inviò nel settembre scorso al Comitato della Mostra Mameliana una ricchissima serie — molte ne possiede anche il Museo del Risorgimento di Genova — ma il Comitato non credette opportuno esporle perchè più d' una era assai irriverente verso la memoria del poeta eroe che si voleva onorare ed era artisticamente negativa. E' indubitato che la fantasia degli artisti è stata su questo argomento per lo meno fertile quanto quella degli storici: non fu infatti pubblicata qualche anno fa nella « Illustrazione Italiana » di Milano la riproduzione di un quadro raffigurante Manara sul letto di morte, e presentato quale Goffredo Mameli ? Anche allora però vi fu chi rilevò subito Verrore e per questo Ella può vedere il mio articoletto 'Mameli o Manara ? pubblicato nella « Gazzetta di Genova » del Settembre 1919. La litografia da me scelta non è quella donata dalla madre di Goffredo al Deputato Calandrelli, e cioè quella del Serafini pubblicata dal Comitato romano della Società Nazionale per la Storpia del Risorgimento nel suo volume « studi e documenti su Goffredo Mameli e la Repubblica Romana (1849) », Imola, Galeati, 1927. Tanto essa però che la mia riproducono, nei tratti essenziali, V effigie del dagherrotipo. La differenza sla in ciò, che Vincisione del Serafini è più abbellita e la madre di Goffredo, non avendo evidentemente altre riproduzioni in dagherrotipia o forse trovando più bella la litografia suddetta la scelse per rinvio al deputato amico. Sul ritratto che si conserva a Roma nel Museo dei bersaglieri e che ha ispirato anche il Temperoni nel suo busto del poeta, ora al Museo del Risorgimento di Genova, non posso discutere perchè non lo conosco de visu, bensì riprodotto. Ho però la convinzione che siano state dalV I-sola ritratte le sembianze di un altro : almeno la barba che è ben delineata nella maschera presa sul volto del poeta dal Bertani, non è uguale a quella del ritratto eh Ella ritiene essere V unico autentico e vero. Eccole la mia opinione in proposito. Mi creda dev.mo Arturo Codignola A questa lettera,l'illustre mio contraddittore aggiungeva il 26 Luglio scorso la seguente nota: « II collega Giangiacomo Palermi, bibliotecario della comunale d'Ancona, mi favorisce ii « Corriere Adriatico » del 6 corrente, nel quale è pubblicato un suo articolo su « Goffredo Mameli ». Vi apprendo una notizia che m’era ignorata: che cioè ii ritratto del Poeta, che si pretende di lui — quello cioè d'uomo maturo e barbuto — è « ripreso da dagherrotipo deteriorato », da Anton Giulio Barrili, a quanto pare, accertato 250 G. Leti - A. Codignola dalla « barba male effigiata (forse una macchia di ruggine prodotta nella lastra dall'umidità) epperò nera e fitta sì da condurre pittori e scultori a dare all' Eroe figura trentenne », anzi più che quarantenne, dico io. Soggiunge il Giangiacomi : « Indubbiamente, ciò che era rimasto incerto fu completato dai Barabino, allora alle dipendenze della litografìa Armanino, e così avremmo la folta barba all'italiana i baffi., e i lunghi ed ispidi capelli, con la aggiunta di qualche ruga, per rendere forse più marziale il ritratto. Il quale, dunque — è manifesto — non è... il ritratto di Goffredo Mameli. » c POSTILLA. La esplicita dichiarazione del Giangiacomi a noi non pare abbia fondamento sicuro. Il bibliotecario egregio d'Ancona non è evidentemente bene informato: egli attribuisce lo schizzo pubblicato nell'opera del Barrili3 al Barabino il quale era morto già dei vari anni quando uscì il volume del Barrili. E' inoltre noto che Γeffigie del poeta pubblicata in tale opera è dovuta al pennello vivace di Pipein Gamba. notissimo pittore genovese, tuttora sano, vegeto e fecondo artista, ü quale trasse le linee fondamentali di Goffredo da una delle tante litografìe del tempo. La informazione, già cosi infirmata da questo dato di fatto, cade del tutto per un'altra informazione precisa che siamo in grado di dare: il compianto storico genovese Achille Neri, or sono circa dieci anni, fece riprodurre dal dagherrotipo conservato dagli eredi Mameli, una assai riuscita fotografia attualmente nel Museo del Risorgimento di Genova ed in essa non vi son traccie di ruggine. Non solo, ma c è di più : il Barrili non conobbe il dagherrotipo, nè i manoscritti di Goffredo in possesso frateilo di liü Giovanni Battista, sibbene si servi per l'opera sua — per ragioni che qui è superfluo accennare — soltanto di ciò che Γ altro fratello di Goffredo, Nicola, possedeva. Questo che affermiamo risulta, d'altra parte, assai chiaramente raffrontando l'edizione curata dal Barrili, con quella curata da me per il centenario. Concludendo : Γillustre amico Giuseppe Leti, il quale crede di raffi-gurare il Mameli nel Bersagliere ignoto della legione Manara, sol perchè ignota mano scrisse dietro allo schizzo il nome dà poeta e quello derìsola, forse non tiene nel dovuto conto 1 incontrovertibile fatto che Goffredo non fu mai bersagliere nè appartenne mai alla legione Manara, e che se il Direttore del Museo dei Bersaglieri, appunto perché vecchio Generale. credette opportuno di esporre lo schizzo con tale leggenda generica, ben dubbia dovette sembrare anche a lui la supposta attribuzione della marno ignota; ed a questi argomenti, come a quello ben noto che Polemichella Mameliana 251 non possiamo non aver tenuto presente, e cioè quello delle famose pagine mazziniane, opponiamo: 1°) La testimonianza della madre; che non può essere infirmata dal dubbio messo innanzi, che la dedica al Calandrella possa essere apografa. Raffronti esalti da noi fatti, e che possono ancora farsi, perchè non sono pochi gli autografi che $i conservano della marchesa Adele Zoagli Mameli, sono a questo propoùto esaurientissimi. 2°) L'importanza iconografica delle opere lasciate da artisti amici del Mameli, quali il busto del Cogomo, e quello soprattutto del Burelli, che combatte a Roma, a fianco del poeta eroe, mentre non rT era V Isola, non può evidentemente, negar ή. 3°) A queste, per noi irrefragabili prove, si aggiunga Γ ultima, quella definitiva: quella della maschera in gesso, (non di quella riprodotta in marmo laureata pubblicata dal Barrili) presa sul volto del morto eroe dal Bertani: nè s'impugni anche Vautenticità di questa perchè documenti probatori di carattere inoppugnabile son conservati, a riprova di essa, nel Museo storico del Risorgimento di Genova. Sic stantibus rebus, possiamo trovarci tutti d'accordo nel deplorare che il dagherrotipo {probabilmente per Γimperizia di chi si serviva del nuovo trovato) non ci abbia conservato una migliore immagine del nostro poeta-eroe, e col Bertani rammaricarci che la maschera non sia ben riuscita; ma a queste colonne d' Ercole, occorre. almeno ci pare, fermarsi per ora. a. c. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA P. (Luigi Maria (Levati - I Dogi iPerpetui di Genova, An. 1339-1528, Studio Biografico, Genova-Certo sa, Marchese e Campora, 1928, pp. XIX, 544. Nella storia agitata e turbolenta della Repubblica genovese Γ età che si dice dei Dogi perpetui, dal 1339 al 1528, tiene il primo posto per violenza di -passioni, \per torbida faziosità, per instabilità di governi e mutar di signorie. Dogi perpetui dovevano essere, cioè a vita, e appena quattro morirono in carica; e quello che è durato per maggior tempo ininterrottamente non ha superato gli otto anni e parecchi hanno dovuto deporre iil potere lo stesso giorno dell’elezione o si sono alternati a distanza di mesi o di settimane in una fantasmagorica successione che dà alla vita politica genovese il carattere di una instabilità morbosa. Messa da parte la vecchia nobiltà maggiore dei Doria, dei Fieschi, dei Grimaldi, degli Spinola ed esclusa daJlle supreme autorità, se non anche dagli uffici e dai comandi marittimi e militari, i rappresentanti della nuova nobiltà, violenti e faziosi, gelosi e insaziabili, si contendono i'1 dominio in un perpetuo rincorrersi, in vicendevole e continuo sopraffarsi, in una frenesia ambiziosa di forze fluttuanti e incapaci di costituirsi in un nucleo solo, in una signoria che accolga in se i poteri e riesca a dominare assoluta; onde sembra che unica regola di vita sia il disordine per il disordine. Guarco, Montaldo, Adorno, Fregoso si combattono in furia atroce alternandosi e soppiantandosi e gettandosi spesso, ne'lla disperazione dii conseguire la vittoria con (le proprie forze e nell’ odio cieco agili avversari, nelle braccia di e/lementi estranei, anche di questi mostrandosi poi subito insofferenti, onde, nella continua e serrata lotta d'influenze tra Milano e la Francia, sembra che Tunica forza dii salvezza deilla pericolante repubblica sia un disperato giuoco di equilibrio tra i due minacciosi vicini alternantisi al governo; sinché 1’ occhio acuto e la fredda sagace ambizione di Andrea Doria non arrestano queU’incomposto tumulto in una forma stabile e salda che, col predominio di una classe e di una famiglia, dà a Genova anche quel tanto di indipendenza che è possibile in una Italia tutta ormai assoggettata alla Spagna. E accanto a tanto furore di ambizioni e a tanta instabilità politica, la difesa tenace dei commerci e delle colonie, e la disperata resistenza alle forze avverse che tendono a respingere Genova dai mari più lontani e a rinchiuderla nel Tirreno divenuto lago aragonese, e l’opera ferma, sagace, continola del Banco di San Giorgio, caratteristico contrasto col fluttuar della vita politica. Appare strano — ed è forse spiegabile con l’intrinseca difficoltà — che, come di tanti altri del resto, anche di questo periodo così importante Rassegna Bibliografica 253 e interessante per i caratteri e già elementi contrastatiti, manchi una vera storia che ad un tempo nairri con «esattezza documentarla gli avvenimenti, attingendo alle fonti criticamente vagliate, e si innalzi a comprendere e a spiegare le ragioni intime di quella vita, inserendola neiMa vita del tempo e nei grandi problemi che travagliano la politica itailiana e intemazionale. Eppure non mancano cronache e storie contemporanee, ma insufficienti alla nostra concezione della storia perchè troppo annailistiche, aride o genericam ente superficiali ; non mancano buoni lavori parziali e frutti cospicui di indagini documentarie; non mancano diligenti studiosa che da anni e forse da decenni con pazienza certosina ricercano gli atti dell’Archivio di Stato, abbondanti per il secolo XV. Manca il lavoro organico ricostruttore; e forse manca perchè nella tenace e invincibile ritrosia individuaJlistica onde ogni studioso è portato a chiudersi nella sua fossetta come una termite e a scavare, a scavare senza guardarsi intorno e stendere intorno la mano agli altri che lavorano come Iìuì, non si è trovato chi abbia oJ tempo, la voglia, l’attitudine ad una larga ricostruzione omogenea e organica, analitica insieme e sintetica, capace di dare a Genova una storia generale o una serie di storie parziali veramente degne del nome e dell’argomento. Ohi si proponesse così fatto intento per i secoli XIV e XV, troverebbe notevole aiuto nel recente volume che sui dogi perpetui ha composto il P. Levati, uno appunto degili accennati infaticabili ricercatori, assiduo indagatore degli archivi e delle biblioteche genovesi; una figura che richiama alla mente quei benemeriti religiosi del 600 e del 700 cui dobbiamo tanti pazienti e minutissimi lavori che hanno posto le basi della nuova storiografìa e tanti dei quaili rimangono ancora manoscritti, preziosa ricchezza d1 inforni azione, nelle nostre biblioteche. Dopo aver rivolto la sua attenzione ai dogi e ‘aMa viltà genovese tra la fine dell XVII secolo a Γ avvento dellla repubblica democratica nel 1797, il Levati narra ora le biografìe dei dogi perpetui e promette quelle dei biennali tra il 1528 e il 1699. Ad opera compiuta — e speriamo sia presto — egli avrà così percorso, ricostruendo le vite dei reggitori, tutta la storia di Genova ducale con una somma mirabile di lavoro, considerevole sopra tutto per la minuta e abbondante informazione. 'Certamente non si può chiedergili quello che non ha voluto dare, una indagine critica e una larga visione sintetica. Già P. Semeria presentandone i precedenti lavori ha indicato il carattere delle sue indagini nella frase espressiva : « P. Levati adopera il microscopio e lo applica e maneggia bene ». Proprio così: e i risultati di questa sua indagine minuta li accosta semplicemente fornendo quasi più i materiali di un racconto che un vero racconto. Qui però il carattere biografico dato al lavoro gli concede per ogni personaggio studiato una maggiore unità e c’è spesso nel giudizio finale un tentativo di comprensione complessiva della figura, che tuttavia si limita frequentemente ad 254 Rassegna Bibliografica esporre e conciliare i diversi giudizi degli annalisti contemparanei o a scegliere tra essi quello che gli pare più equo. Ma l’aver raccolto e ordinato in continuata esposizione, dalle fonti contemporanee e posteriori più attendibili, e anche con ricerche dirette nelle serie di atti dell’Archivio di Stato genovese, tutte le notizie relative ai singoli dogi, Taverne cosi disegnato il profilo riesce utilissimo a chi voglia un poco avvicinarsi a queste figure che nelle storie comuni e negli annali ded Giustiniani e degli altri narratori sembrano rincorrersi senza posa e apparire e scomparire .senza un volto determinato e senza concretarsi in un’immagine precisa Sono trentaquattro biografìe, trentaquattro studi distinti, nei quali però talvolta le notizie si ripetono pressoché eguali. Ned casi frequenti in cui due o più personaggi si alternano nel dogato, era inevitabile, dato il tipo del racconto biografico, che i medesimi fatti fossero ripetuti, tanto per colui che veniva espulso quanto per colui che subentrava, e ciò induce naturalmente un po’ di sazietà nel lettore che legga di seguito le varie biografìe. .'Ma a queste dovrà d’ora innanzi ricorrere chi voglia le più compiute informazioni intorno alle figure più notevoli della storia genovese dell’interessante e complesso periodo, da Simone Boccanegra ad Anto-niotto li Adorno. Qualche volta T informazione avrebbe potuto essere più compiuta: non vedo per Simone Boccanegra usufruita la lunga nota con dati desunti da atti di archivio del Prof. Francesco Poggi nel I volume del Levici e il suo Castello, dove in realtà nessuno andrebbe a cercare notizie sul Doge; nè accennata una défilé maggiora benemerenze del Boccanegra, la sua politica in Corsica quale risulta dall importante studio di Ugo Assereto su Genova e la Corsica, sebbene i lavori del Poggi e dell’Assereto siano poi citati nelle biografìe degfln. altri dogi. Qualche -altra volta >1’ amore all’ argomento porta ad amplificazioni non giustificate : la grande vittoria di Paolo Fregoso contro i Turchi sbarcanti a Otranto è una fantasia di compiacenti esaltatori, perchè nessuna grande vittoria si è avuta in quella disgraziatissima avventura nella quale solo 1’ improvvisa marte di Maometto II salvò la città sventurata, Γ Italia e la cristianità da mali anche peggiori. •La diligenza che si deve generalmente lodare nella raccolta del materiale non si estende però anche all’ esposizione, spesso frettolosa, sciatta e trasandata sino a confinare con 'la scorrezione formale. Non si pretende certo da questo genere di studi un tono aulico o troppo sostenuto, ma il’ accurata nobiltà della forma è sempre un pregio anche se non si creda una necessità intrinseca dell’ opera storica. Periodi come questi : « Ma iin che condizioni, .in quale forma sia stata eseguita ila sentenza di morte, silenzio assoluto, giacché, non solo nessun storico, nè annalista, ma neppure in nessun raccoglitore di memorie patrie, di documenti, se ne fà il benché minimo cenno » (pag. 326); « Non Rassegna Bibliografica 255 parliamo del nipote Battista Fregoso ohe nel tsuo libro voluminoso, al capitolo dove pania della virtù, della fortezza, portandone di di lui esempio, io «chiama degno di gloria immortale » (pag. 332); « Giano I Fregolo che salì di subito i gradini del trono e fu Doge, uno dei primi suoi atti, dopo la liberazione dal carcere defilo zio Tomaso, fu di richiamare «a Genova Pietro suo cugino » (pag. 361); ridondanze sintattiche e grammaticali come questa che Giano II Fregoso è sepolto in S. Anastasio di Verona « ove si vede ancora colà il suo magnifico mausoleo » (p. XIX) o : « alla parola onesta e cristiana alcuni cittadini impedirono 1’ esecuzione » ο « Γ arrivo di nuove e fresche forze Γ obbligarono a ripiegare... » (p. 467) stonano veramente, tanto più in un Libro che si propone «dii essere dii larga lettura ie vuol avere anche un più alio intento : « Studiamo questi dogi perpetui, che oltre ali’ arricchire le nostre cognizioni storiche, impareremo come comportarci nel nostro vivere civile ». In una auspicata .successiva edizione, non dubito che queste mende formali 'Scompariranno e tutta da narrazione sarà sottoposta ad una più accurata revisione, come scompariranno le sviste tipografiche che si convertono talvolta in involontari svarioni, come La materia si amplia quando Savona sembra assumere, anche se indirettamente, una più vasta risonanza nella politica contemporanea per essere scelta a luogo di comegno ira i re di Francia e di Spagna, tra il giugno e il luglio 150«. Anche questo è visto qui naturalmente più che altro in rapporto alla storia della città e alla perpetua sua lite con la metropoli : nè le speranze riposte nei sovrani e le ampie concessioni del re di Spagna portarono 1 effetto desiderato. Campeggia in questo periodo da figura e 1 opera del papa savonese : ma neppure gli aiuti di Giulio II, impegnato in ben altre questioni e desideroso di non urtare troppo le aspirazioni e le suscettibilità genovesi, furono molto utili alla sua città. Questo punto dei rapporti tra Giulio II e Savona e della parte che la minor questione locale esercitò nelle relazioni tra il papa, il re di Fran- Rassegna Bibliografica 257 cia e Genova è assai ben chiarito (pag. 54 e segg.). Le conclusioni possono accostarsi a quelle alle quali è giunto il iPanóiani nello etudio su un episodio qui non toccato della eterna questione. Questa considerazione porta ad un’ altra più generale e di metodo. Il materiale sul quale la Storia è condotta è ricavato interamente dagli storici anteriori o dai cronisti locali, oltre che dal materiale archivistico savonese usufruito con meritoria diligenza e con accorta sagacia. iNla certo, per non ricalcare le orme dei narratori precedenti, sia pure integrate dagli archivi locali e da una notevole cultura bibliografica generale, sarebbe stato necessario compiere un’ indagine ampia in quella fonte che avrebbe potuto dare le più ampie notizie, cioè tT archivio di Stato genovese. S’ intende che un’ indagine così fatta avrebbe richiesto lungo tempo e non lievi fatiche, ma avrebbe condotto anche a risultati assai importanti come hanno dimostrato, a non dir d' altri, e appunto per questo periodo, gli studi del Pandiani e del Bomate, senza notare che avrebbe fornito anche la versione genovese dei fatti e dei loro moventi. Il secondo capitolo della prima parte: La catastrofe, espone la fine dell’ autonomia anche limitata, nella fine dell' indipendenza italiana. Il giuoco a lungo seguito di appoggiarsi alla Francia e di barcamenarsi tra il maggiore e il minore padrone finché la Francia sentiva il bisogno di tenere a freno Γ infida e orgogliosa Genova, falliva col fallire deila politica francese in Italia. Infatti la sconfìtta della Bicocca porta Genova alla parte imperiale col dominio di Antoniotto Adorno e Savona, che ha tentato di difendere il dominio francese, è a sua volta sottomessa, e poco dopo il sospetto di accordi col Connestabile di Borbone determina — occasione lungamente attesa — la rovina del porto e quel-Γ accordo del 13 marzo 1526 che le lascia appena un’ estrema larva di autonomia. Finalmente la Lega di Cognac mette ancora di fronte per Γ ultima volta le due rivali così diverse di forze : Genova con ΓAdorno fedele a Carlo V, Savona occupata dalla fiotta degli alleati. Ma Genova finisce per arrendersi alla lega e una delle ragioni più forti è il desiderio di occupare Savona. Ed ecco, ultimo atto, il gesto di Andrea Doria. Con buona conoscenza del complesso argomento e degli studi su quello che è il momento più importante e decisivo nella vita politica deli Ammiraglio, è rilevata al suo giusto valore la pane che la questione di Savona ha avuto nelle complicate ragioni di quel tanto discusso e variamente giudicato atteggiamento (pag. 113 segg.). Appena occupata Genova, il Doria pensa a Savona e se ne impadronisce : il Comune medioevale è iìnito e, fatto simbolico, sul Priamar, nucleo della città primitiva, culla del Comune e centro di tante memorie, è costruita la nuova fortezza che deve difendere Savona e insieme mantenerla al nuovo stato ligure che si è venuto formando. La seconda parte del volume è nettamente distinta dalla precedente. Qui non più la storia esterna, ma la storia del commercio, delle corpo- 258 Rassegna Bibliografica razioni, delie forme politiche e amministrative, delia vita civile in tutti i suoi rami e le sue manifestazioni attraverso 1’ intera età comunale. Questa parte, 'alila quale le notizie dovevano essere necessariamente fomite dal materiale documentario locale, si può dire anche più compiuta: è prodotto di una indagine vasta e minuziosa che ha messo a profitto anche i protocolli no tarili e dà notizie veramente interessanti. Peccato che i valenti autori non .abbiano potuto valersi n&l campo del diritto degli ottimi studi del Bensa e del Lattes nella raccolta in onore di Paolo Boselli (cfr. Giornale 1928, fase. 2, pag. 150), mentre è integralmente inserito lo studio di Vittorio Pongiglione eoi! «Libro del Podestà (ibid. pag. 154). Qua e là, in quest’ ultima parte, si desidererebbe una maggiore elaborazione del materiale che appare piuttosto accostato che fuso, una maggiore uniformità nell’ economia dell lavoro. Per esempio, tutto ciò che s: riferisce al commercio del secolo XIV e XV ha un veramente cospicuo interesse e fa rivivere una intensa vita di produzione e di scambi; ma mentre per il secolo XIV il lavoro ha carattere originale con citazioni di prima mano, e preziose, dai protocol']! notarili, per il secolo XV si fa il riassunto di precedente lavoro di uno dei compilatori al quale il lettore desideroso delle notizie originali dovrà ricorrere, e forse non senza fatica. Non sarebbe stato meglio seguire anche qui il sistema adottato a proposito dello studio del Pongiglione ? Si sarebbe anche evitata una notevole disformità di metodi nella trattazione di analoghi argomenti. iMa questi rilievi metodici nulla tolgono al valore intrinseco delli o-pera, frutto di indagini diligenti e di un commosso entusiasmo ohe fonde insieme 1’ affetto per la piccola patria e per ila scienza e illumina costante la meritoria fatica. iLa stessa Società Savonese di Storia Patria, alla quale si deve la pubblicazione dell’ opera di Scovazzi e Noberasco, pubblica come X volume dei suoi Atti una miscellanea di studi offerti al suo Presidente S. E. Paolo Boselli. E’ una silloge da mettere accanto a quella pubblicata dalla Sezione ligure della Deputazione di Storia Patria, ma ne differisce per la maggiore limitazione della materia, ristretta a particolari e condotta su fonti puramente locali. Esce dal campo della storia intesa come studio dell’ attività umana la memoria del dottor Migliardi su La fauna delle insenature plioceniche di Lavagnola e di Vado, onde basti averla qui ricordata riservandone 1’ esame agli scienziati competenti. Il contributo dell’ Archeologia savonese di 'Nicolò Mezzana è una diligente ed interessante esposizione, dottamente illustrata, del materiale archeologico conservato nel Museo di Savona e delle fortunate ricerche che lo hanno scoperto e salvato, accompagnata da sagaci illazioni sulla stazione preistorica che prece- Rassegna Bibliografica 259 dette 1' oppido alpino sorgente sul promomtordo di P riamar al tempo di Magone cartaginese, primo accenno delia futura Savona. 'Nel campo della numismatica porta invece il dottor Alessandro Cortese pubblicando, con brevi (note biografiche e illustrative, uno studio inedito, e che si 'riteneva perduto, di Giovanni Tommaso Bedloro 6-ulla zecca e le monete di Savona. Diranno i numismatici se ia memoria, risalente al principio del XIX -e già nota del resto e usufruita dal Promis, abbia in sè tale importanza da meritare d’ esser pubblicata dopo un secolo di studi e di indagini; ma è -evidente che d raccoglitori non hanno voluto tralasciare quest’ opera che onora uno studioso locale del passato e che il Cortese ha accresciuto dd note e commenta dotta e accurati. Passando al campo propriamente storico, ά lavori più importanti appartengono ancora ai due compilatori della (Storia di Savona. Lo Scovazzi riprende in un interessante studio (Il processo dei vegliardi) V eterna materia delle contese con Genova, illustrando un episodio del-1’ età di Giulio II già accennato nella Storia; uno strano processo, cioè, giustamente definito ded più curiosi che si conoscano, nel quale con attestazioni di testimoni di veduta, si trattava di provare de violenze compiute dai 'Genovesi in una delle tante occupazioni armate delà città, nel 1440. E poiché il processo si compiva nel 1508 è naturale che i testimoni avessero tutti un’ età molto rispettabile : d più giovani 77 e 78 anni, il più anziano ben 106 e con lui deposero altri due centenari. Deposizioni di un vaiore molto relativo come si comprende, ma caratteristiche a illuminare lo spirito e d mezzi di quele aspre e tenaci contese. Un altro studio dello Scovazzi illustra la figura di un benemerito e volenteroso ricercatore locale, dii capitano G. B. Minuto, « 6pinto da um’ insaziabile curiosità, da un eroico furore alla indagine storica, ma negato ala istoria »; figura e situazione non insolita tra gli studiosi locali. Il materiale da dui raccolto con fervente passione ma senza ordine e senza, spirito critico e passato poi in possesso del Museo può tuttavia essere utilmente vagliato e indagato da chi abbia la necessaria preparazione: così lo Scovazzi ne ricava l’indicazione cronologica dei magistrati savonesi tra il 1401 e iiil 1528 che riempie la lacuna tra la Cro-notassi del Poggi, la quale arriva all 1400, e la serie dei Podestà del Varai do tra il 1528 e il 1696. Al solito, l’infaticabile Noberasco, che appare veramente preso anche lui da eroico furore per V indagine storica, si fa la parte del leone con tre studi, due dei quali sono anche i più ampi delia raccolta. La Poesia dialettale savonese è una raccolta e una esposizione della poesia dialettale dal Chiabrera, cui sono attribuite due serenate ed una stanza, sino ai più recenti, anzi ai viventi. Sorta dal popolo e opera per lo più veramente di popolani, questa poesia non è in genere gran cosa e l’entusiasmo del raccogüiitore per tutto quanto è cittadino dà adito ad apprezzamenti che appaiono eccessivi; .certo non de mancano qua e là 260 Rassegna Bibliografica spunti notevoli >e una certa grazia spontanea e una popolare vivacità specialmente in materia religiosa e politica, onde acquista anche valore di documento storico. Più densa e nutrita e scientificamente importante la ricerca II Cognome in Savona. Premessa una erudita introduzione generale sull’ o-rigine del cognome e la relativa letteratura, studia 1’ apparire dei cognomi savonesi. Originale e (importante lavoro che non sii limita a riprodurre ‘quanto è stato scritto in materia o a (ripetere le solate notizie, ina che congiunge una vasta e molteplice erudizione con ricerche imjme-diate e originali: esempio di indagine sistematica seriamente scientifica che non sempre hanno gli altri lavori della raccolta. Iil terzo breve studio è il /rifacimento di un articolo altra volta pubblicato su II clero del Savonesato nelV affermarsi della repubblica democratica ligure. (Sono spigolature sull’ azione del citerò democratico tratte da scritture, prediche e documenti vairii, e presentano il linguaggio ben noto e caratteristico della retorica democratica del tempo con la consueta esaltazione del presente, dii giustizia, di pace, di amore, di libertà, di fratellanza e la non meno consueta contrapposizione coi precedenti orrori della tirannide, delli* inganno e deUla prepotenza. Appunti questi che attendono di comporsi in un più vasto organismo di lavoro come quello che sul periodo e le vicende della repubblica democratica ligure vien pubblicando, .in questo giornale, Pietro Nurra. Lo scritto di G. E. Bazzamo su I Frati predicatori e la Chiesa di San Domenico è un riassunto delle vicende di quella chiesa e una descrizione del suo stato attuale, specialmente per quanto riguarda le opere artistiche che Γ adornano; ma, a parte naturalmente lo zelo entusiastico e il sentimento religioso dell’ autore, quel tono apologetico e declamatorio, specialmente della pruna parte, appare un po’ fuori di posto in una raccolta di studi e ricerche storiche alle qualii non arreca in verità alcun contributo. (Raccolta questa di lavori non solo di varia materia ma di vario valore, contenuti spesso in orizzonte ristretto e limitato, che avrebbe guadagnato da una meno minuta ricerca delle esumazioni e delle briciole e da qualche taglio coraggioso, anche se il volume ne fosse venuto più smilzo e succinto, ma attestazione di un fervido amore di patria e di studi che onora la cittadina ligure e i volenterosi indagatori del suo passato non inglorioso. Vito Vitale Orlando Grosso - Sciroccate - Genova, Casa Editrice Nazionale, 1928. Un ìlibriccino di impressioni, di scenette, di quadri vivi, dii tipi caratteristici; una pittura colorita di usi locali, uria descrizione spigliata e viivace, ma accompagnata sempre da sottile vena di nostalgica ma- Rassegna Bibliografica 261 toc-onia per ciò che scompare dd più tipicamente proprio dei costumi e deilile abitudini delia vecchia vita genovese. Non ii testardo lodatore del passato con gto occhi chiusi suille necessità ed il fervore dei presente, ma 1’ uomo tenacemente attaccato alle tradizioni, lalle vecchie abitudini delia sua terra, che non le vede scomparire senza rimpianto perchè è qualche cosa dédia vecchia vita che se ne va, e porta con sè un pò 1’ anima della terra ligure alla quale l’autore si sente legato con una intensità quasi dolorosa. Anche le cose più semplici e comuni, le descrizioni delia viita giormaMera e deile ricorrenze consuete, la festa di 'Natale o quella di San Giovanni o di San Pietro, la villeggiatura o le scampagnate, forniscono materia a spunti delicati di sentimento, a commosse rievocazioni, alla difesa e alla esaltazione costante, tanto più efficace quanto più garbata e misurata, delle virtù e del carattere ligure. iPe-rchè in tutto sii manifesta il buon gusto dell’ artista, in questo ardore contenuto e nella sottile vena ironica, nell’ efficacia delie descrizioni e nella vivezza dei colori onde i quadri si animano sotto i nostri occhi e noi li vediamo veramente vivi e operanti i tipi che egli dipinge e le scenette che ricostruisce -sui colili e in riva al -mare, vediamo con lui i colori della città e del suo mare, sentiamo gli odori delie sue vie e delle cucine. E disseminato, senza parere, un tesoro di finezza, di arguzia, di sentimento: leggere II treno dei manti, Gli amanti di Diana, Il paese di Bengodi. Ma soprattutto efficace ila rappresentazione di certi tipi che rispondono indubbiamente a nomi e ricordi precisi nell1 animo e nella memoria del narratore, tanta hanno precisione di contorni e vivacità di rappresentazione : Raspa, Picca-a-brettio, la scia Beppin son figure vive e parlanti che furono certo reali e meritano di esser divenute « tipi », tipi di quella psicologia complessa, mescolanza di praticità e di idealismo, di interesse e dii poesia che il Grosso mostra costituire il fondo delT anima ligure. Ma il quadretto di quei dotti che lassù in una piccola stanzetta. (Il sonno di Minerva) dimenticano, in interminabili discussioni e rievocazioni storiche e archeologiche, la primavera e il sole e la vita, è di una umanità commossa e profonda, e vien voglia di chiamarli a nome quegli entusiasti che abbiano conosciuto e amato, ritratti con tanta vivezza affettuosa anche se tinta di ironico umorismo. Altre volte il Grosso ha illustrato nei monumenti e nella storia la grandezza e la bellezza di Genova; qui, al’ inno alla Superba, si aggiunge qualche strofa più modesta ma non meno sentita, la rievocazione accorata e affettuosa di tipi e costumi fermati nella descrizione prima che abbiano a scomparire per sempre dalla vita e dalla memoria. Vito Vitale 262 Rassegna Bibliografica Annali Genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori - Vol. IV e V Maestro Bartolomeo e altri Annalisti. Traduzione di Giovanni Monleone. A cura del Municipio di Genova, 1928, anno VII. Della bella traduzione degli Annali a cura del Municipio di Genova, e per opera di Giovanni Monleone, escono contemporaneamente nella consueta veste elegante e signorile, impeccabile anche sotto il rispetto tipografico, i volumi quarto e quinto che comprendono il periodo tra il 1225 e il 1249, la parte contenuta cioè nel terzo volume dell edizione critica del testo originario pubblicata dall’ Istituto Storico Italiano. Anche qui la perizia e il buon gusto del traduttore si manifestano nell sagace accorgimento di rendere la prosa degli annalisti in una veste italiana garbata e scorrevole che pur conserva qualche cosa di arcaico e sa riprodurre bene il sapore di quel latino ora prolisso e pretensioso, ora «scheletrico e frettoloso, a seconda dei diversi redattori. C è nel metodo seguito dal traduttore un punto solo che mi lascia perplesso. Era proprio necessario rendere con la forma medioevaìe e latina il nome dei luoghi ? E se si temeva di perdere il colorito arcaico sostituendo Oneglia e Adbenga, Cadice, Siviglia, OgMo Uniegliia e Albingana, Ca-deso, «Sibilla, Loldo (e qualche volta il traduttore si è visto costretto a mettere in nota la forma moderna del nome) perchè, per esempio, Vi-gueria è s/tajta sostituita senz’ altro con Voghera ? Per quanto riconosca che non mancano buone ragioni anche a sostenere la conservazione della forma antica, per comodità del lettore moderno, nei nomi propri, e -specialmente di luogo, mi sarebbe parsa preferibile fa forma più re cente. A parte questa piccola questione, la versione non solo è aderente al testo ma conserva il carattere vivace ' del 2 maggio 1928, esamina alla luce di documenti curiosi, 1 modi di difesa contro le malattie epidemiche adottati dalla repubblica di xNoli , * * * L’ Almanaccu di « A iMuvra » per 1928 (Aiacciiu, Stamparla di « A Miuvra » Prezzo : 7 franchi) è recensito da S. Detedda in « Mediterranea *> del maggio 1928. * * * In (( Il Mare » del 26 maggio 1928 Amedeo Pescio continua un suoi studio su S. Caterina da Genova, col titolo : L’ Angelo dello spedale GRANDE. * * * In « Secolo XIX » del 7 giugno 1928 Amedeo Pescio scrive col tìtolo La madre di Colombo intorno alle donne forestiere che andavano spose ai genovesi. ■* * * Il « Secolo XIX » del 7 giugno 1928 riproduce dal giornale francese « le Temps » uno studio intorno a Cristoforo Colombo viaggiatore e cartografo. * * * 'Ricorda Terralba e il suo Castello Arturo Ferretto in « Cittadino » dell’ 8 giugno 1928. * * * Di Sinibaldo Fieschi scrive Ferdinando Podestà in « Cittadiino » del 13 giugno 1928. * * * A Canepa è il titolo d’ uno scritto pubblicato nel « Cittadino » del 15 giugno 1925 da A. Ferretto. V’è illustrato un alpestre paese nella va di Sori che fu già vico romano ed il suo castellaro. * * *■ A. Pescio chiede per le Generi di Colombo sepoltura in San Lorenzo con uno scritto d’intonazioaue umoristica: Cristoffa usciere del . cipio « Secolo XIX » 17 giugno 1928 ». * * * Ferdinando Podestà scrive in « Cittadino » del 20 giugno 1928 intorno a Papa Innocenzo IV e la Liguria. * * * Uno scritto inedito di Gandolin su La Famiglia di Mameli già pub blicato nella Rivista « A Compagna » Fascicolo 3°, è riprodotto in « corriere Mercantile » del 20-21 giugno 1928. * * * A Santa Maria del Campo, amena terra ligure conduce ü lettore Arturo Ferretto in uno scritto sul « Cittadino » del 22 giugno 19~o. Spigolature e Notizie 271 1 * * giugno 'S™0 E 1 ìCastellari scrive A· Ferretto in « Cittadino .. del 29 * * 2» ctiTniiio^10 ^IA^GI° D'^ ^oagli notevole pittore delia scuola genovese ^ stufato da Mano Bonzi in « (La Grande Genova » Botottóno Municipale (fase, di giugno 1929). * * * ste^so fascicolo di giugno 1929 de « La Grande Genova » Or-t* ^ osso conto de II Congresso Archeologico di Rodi 6of- iermandosi sipecialmente su i /ricordi genovesi nell’ Isola. * Antonio Orazio Quinzio, eletta figura di artista genovese di recente scomparsa, è commemorato nel fase, di giugno 1929 da «La Grande Genova ». * * Nel fascicolo di giugno 1928 della « (Rassegna d’ Europa e dell’ A-merica Latina » Corrado Marchi rievoca Gandolin. * * * j-,, “ Archivio Storico di Corsica », nn. 1-2, gennaio-giugno 1928, Uoaiao Formentini studia La nobiltà di Napoleone; dimostra la falsila de. doc. 15 maggio 1235 con il quale si sono collegati i Buona'-parte al ceppo dei conti Cadolingd di Toscana; eostdene 1’ origine borghese della famiglia e dia sua probabile appartenenza ad un gruppo di municipes loinerusi emigrati a Sarzana nel secolo XII. * Cesare Candì e la liuteria a Genova sono ricordati da Cesare Marchisio nel fascicolo del giugno 1928 della « A Compagna ». * * * Seb. Deledda in «Mediterranea» del giugno 1928, recensisce L\ VnooNICA VISTA DA ™ VAGAB0ND0 di Minuto Grosso, (ÏRaff. Giusti, Livorno, 19^8) e « iRocconti corsi » di dei 24 luglio 1928 ricorda i castelli di JNfolS, di Affiderà e Castel Covone a Final-borgo. * * * Paolo Be Gaufridy scrive in « Gaffaro » del 26 «luglio 1928 intorno ai ricordi ed alile bellezze «de 'La Villa Doria di Pegli. * * * Nel « Petit Marseillais » del 27 giugno e del 3 e 10 luglio, Bartolomeo Costa, tratta di Santa Restituta, martire corsa. * * * A La Chiesa di S. Marta, ,notevole ediifizio ch del dicembre 1928 su Le Ville e i Giardini della Dominante. * * * Su Anton Giulio Barrili (L’ uomo e Lo scrittore - Opere, vicende aneddoti) -scrive Arturo ILancellotti in « La Grande Illustrazione d’Italia >> del dicembre 1928. * * * Ambroise Ambrosi, direttore de la « Revue de la Corse » ha iniziato nel fascicolo o3 (settembreottobre 1928), una pubblicazione assai interessante : Un recensement de la Corse a la fin du XVII siècle che tro-i vasi manoscritto nedìa R. Biblioteca Univeraitartia di Genova Dello scritto, che è in continuazione, è uscita anche la seconda parte nei fascicolo 54 del novembre-dicembre 1928. * * * Enea Aragosta pubblica uno studio su L’emporio civico della Darsena nel passato e nel presente in « La Grande Genova » fase, di dicembre 1928. * * * Nello ©tesso fascicolo de « La Grande Genova » (die. 1928) Rinaldo Caddeo scrive su La preparazione finanziaria della grande scopert* (d’A-meruca) e l’opera dei finanzieri genovesi in Ispagna. * * * Nella «.Giovane Montagna», Parma, 1-31 dicembre 1928, Manfredo Giuliani pubblica un’ampia memoria sulla geografia storica dell'Appennino pontremolese^parmense, come introduzione ad un programma di ìTìc órche Lessi calti e. fol Monistiche assunte da un gruppo di studiosi luni-gianesi e parmensi, per da cui iniziativa si terrà prossimamente un con- 278 Spigolature e Notizie vegno interregionale a PontremoM. Del magnifico e fondamentale studio del Giuliani daremo in seguito una recensione analitica. * * * Nella frazione Verrucola del comune di F ivi zzano è stato scoperto .un framniejnto di statua-stele appartenente all noto tipo di quella misteriosa statuaria, (il cui .primo esemplare conosciuto è conservato nel Museo Civico 'di -Storia ed Arte di Genova. Per disposizioni della IR. Soprintendenza aille Antichità d’Etruria la stele sarà depositata nel Museo Civico della Spezia, che possiede ora la più ricca collezione di questi monumenti. * * * Al poeta e letterato Ettore Cozzani la R. Accademia delle Scienze di Torino ha conferito il premio triennale per la letteratura della fondazione Gautieri. La relazione del prof. Vittorio Gian ricorda l’opera spiegata durante un ventennio, con le sole sue forze, dal Cozzani, quale scrittore e quale suscitatore di spiritualità e di cultura, sia nel campici delle lettere e dell’arte, sia im quello più altamente civile. Ricorda parti-colarmeaite la pubblicazione dedil’ « Eroica » (rivista che ha avuto le sue origini ailla Spezia ed ora eseguita da più anni a Milano), la quale ha conquistato al suo fondatore e direttore la più larga e meritata rinomanza. * * * (Nell’Annuario del OR. Istituto Tecnico di .Sampierdarena per l’anno 1927-28 testé uscito, Attilio Fazio scrive a lungo su Ambrogio Spinola alle imprese di Fiandra. Lo studio è adorno di numerose illustrazioni. APPUNTI per una Bibliografia Mazziniana STUDI SU G. MAZZINI PUBBLICATI ALL’ESTERO Matter Paul, Les débuts de Mazzini, in « Revue Bleue », Paris, 6 août 1928. L’ililiustre storico francese, prendendo lo spumilo del recente volume di Oh. Vidai, Mazzini et les tentatives révolutionnaires de la Jeune Italie, presenta in una brillante causerie le conclusioni ultime degli storica italiani e stranieri sui primordi dell'azione mazziniana. Petronio» Vittorio Emanuele e Mazzini dopo Varmistizio di Villafranca, in « Progresso Italo'Americano », New-York, 3 settembre 1928. E’ riipubblicata la nota (pagina del Brofferio tsui contatti del Mazzini con Vittorio Emanuele lì dopo il’armasti zio di ViiMafranca. Zandrino F. M., iCinque pensieri inediti di Giuseppe Mazzini, in « Patria degli Italiani », Buenos Ayres, 15 settembre 1928. Lo Z. ripubblica, itraendoli da una rarissima effemeride La Viola del Pensiero, edita nel 1842 a Livorno, alcuni (penedeai dd Mazzini, tratti dalle sue opere. Mattlr Paul, Les débuts de Mazzini, in « Indépendance Belge », Bruxelles, 14 ottobre 1928. Ripubblica l’articoHo già edito nedla Revue Bleue del 4 agosto 1928. OPERE E STUDI SU G. MAZZINI PUBBLICATI IN ITALIA Mazzini Giuseppe, Scritti editi ed inediti, vol. XLIX, (Epistolario XXVII),. Imola, Galeati, 1928. Vien oontanuata la pubblicazione delle lettere che il Mazzini scriEce dal marzio al (settembre 1853, (periodo importante (soprattutto per id tentativo insurrezionale fatto dall’ Orsini in Lunàriana. Ili nuovo volume viene ad arricchire quell’ Edizione Nazionale « monumentale -e ci è igrato ripetere qui 'le (parole di Nelson Gay scritte sulla· Nuova Antologia, trattando di Mazzini e Antonio G allenta, — per ii quale studio vedasi inf ra — la quale resterà anche un monumento a Mario Menghini ohe ha già edito quarantanove voi irmi, con abilità e passione veramente straordinarie u. 280 Bibliografia Mazziniana Da Cowo Ugo, Lettera inedita di G. Mazzini, in « Nuova Antologia », Roma, 16 giugno 1928. Vien tpiiibb Licata dadi* illustre nostro stori co una dnntportantieaiim a lunga lettera a I^ilüjppo Ugoni, eonitta dal Mazzini ned novemlbre 1838. Il Da Corno informa ohe essa verrà, ripoib/blicata « nella Edizione nazionale in quedl'Ejpi stolario che il Mengliimi ordina e commenta con assdidiua passione, dandoci le pagine immortali delllia fede tormentosa e ardente del grande esule ». Fondo Otto, Nel trigesimo della morte del dott. Giovanni Pagani, (Lei-tere di Giuseppe Mazzini) *in « La Scure », Piacenza, 17 giugno 1928. Vengono ipubblicate due lettere del Mazzimi al Pagani, la prima- del 5 luglio 1869 e 'la seconda del 28 agosito 1870. Ad esse ison ipure umdite 'deflde istruzioni per il (redlutamento di militari a favore delilla causa repubblicana, deill' 11 giugno 1869. Errera Anna, La fine d'un amicizia (Mazzini-Ruffini), in « Cultura Popolare », Milano, agosto 1928. I/ esimia educatrice Anna Errerà « con sapiente amore e austero animo » — così presenta di safegdo la direzione di Cultura popolare — ci (presenta in pagine vtìihranti di passione la ricostruzione delle vicende così ricche dii profonda umanità che contrassegnarono non solo l’amicizia che strinse in uno stretto sodalizio od (Mazzini ai Ruffiani, ma pur anche le cause della rottura di esso. €iancitjlli Michele, Mazzini ed il romanticismo, in « Idealismo realistico », Roma, 1 ottobre e 1 novembre 1918. Chiara e 'ben informata ciiMca deiTle teoriche letterarie mazziniane di fronte al «problema del romanticismo. Lo studio sarà continuato. Nelson Gay H., Mazzini e Antonio Gallenga apostoli dell’ Indipendenza italiana in Inghilterra (con nove lettere inedite di Mazzini), in « Nuova Antologia », Roma, 16 ilugMo 1928. I/ illustre storico inglese, per mezzo di lettere mazziniane, rintracciate nell’ An-nuary Brown Memorial a Providence Rhode lefland, è riuscito a portar nuova luce sui rapporti (intercorsa fra ili Mazzini ed iil GaJlilemga. Con precisa informazione -iil Nelson Gay commenta nove lettere di Mazzini indirizzate all Ma-riotiti dal 1835 al marzo 1848, e cioè fino aMa famosa allocuzione fatta dal Mazzini al Lamartine, eh’ ebbe per risultato la- non meno famosa risposta mistificatrice per gli interassi italiani, fatta dal ministro francese. La· figura del Oaldenga ed a rapporti intercorsi fra Lui e iil Mazzini vengono ildu-omdnati da nruova iliuce da questo studio del benemerito scrittore inglese. Sandonà. Augusto, Giuseppe Mazzini e ΓAustria, in «Corriere della Sera», Milano, 12 dicembre 1928. Sulla scorta dei documenti conservatici dagli Archivi di Vienna, il S. illustra i i primi rapporti giunti alia polizia austriaca sul l'attività rivoluzionaria del Mazzini, importante sopra tutti ci sembra quello che dà notizi a dell'arrivo a Milano nell'aprile del 1832 del primo fascicolo della Giovine Italia. Menghini M., La Società Editrice « L'Unione » di Losanna nel 1849, in « Accademie e Biblioteche d'Italia », Roma, dicembre 1928. Importante contributo alla fetori a di; quella società editrice, fondata dal Mazzini, oopo la cadruta delllia Repubblica Romana, editrice d&WItalia del Popolo nella Bibliografia Mazziniana 281 sua terza incarnazione. Da segnalarsi per l’importanza del contenuto, una lettera inedita dd Mart/tia Montecchi a Francesco Dall’Ongaro del 15 giugno 1850, nella quale vien fatta da storia di questo tentativo mazziniano; e pure importante è lo Statuto di questa Società, (che può dinsi inedito, per la rarità- dellla copia in cui fu pubblicato) fondata a Losanna il 29 settembre 1849 dal Mazzini dal Saffi e dal Montecchi. ARTICOLI VARI IN RIVISTE E GIORNALI — —, Mazzini e la Cecoslovacchia, in « Piccolo », Traeste, 22 die. 1928. U giornale dà (notizia dd un lantioodo pufbbli-ca/to dal Nardini Listy di Praga, nel quale viene illuistrata ila figura del Mazziini e vien messo in rilievo la grande influenza che il (grande precursore ebbe sugili ispiriti colti delila Cecoslovacchia. L’autore dell’articolo ricorda il grande apostolo dellla nazionalità oppresse soprattutto per ilia ricorrenza delil’anniversario dello Stato Cecoslovacco, avendo egli conttrjibuito ad esso con una decisiva influenza esercitata anche sul grande patriota e martire ceco Karel Havlicex, imprigionato a suo tempo dagli austriaci a Bressanone, per aver propugnato ila iliberazione del popolo cecoslovacco. Morando E. F., Faville della gran vampa mazziniana, con una lettera dispersa di G. Mazzini, in « Corriere Mercantile », Genova, 15 giugno 1928. L entusiasta mazziniano «< della vecchia /guardia », ripubblica ed illustra una lettera dii Mazzàini ad un suo anonimo corrispondente, autore di -un articolo pub bilicato su La Tribuna di Lugano nel 1868. Disertori Beppino, Giuseppe Mazzini e la Religione delV avvenire, in « Trentino », Trento, giugno 1928. Breve articolo divulgaitivo della teoria mazziniana. Corradi Edmondo, A Genova : un secolo fa, in « Secolo XIX », Genova, 1 luglio 1928. Fra le varie rievocazioni centenarie, notiamo quella dev’indicatore Genovese, il famoso giornaletto mazziniano, intorno al quale l’autore ha· cura soprattutto di mettere in rilievo che « usciva il sabato mattina e pubblicava qualche volta anche le notizie di quella che oggi chiamasi cronaca nera : valle a dire am maz-zamenti1, ruberie, risse, ferimenti, violenze e via discorrendo... » ! ! Cianciui.li Michele, Giuseppe Mazzini : Pagine di religione a cura di Gaetano Badii, in « L'Idealismo Realistico», Genova, 1 luglio 1928. Brevissima recensione della raccolta fatta da Gaetano Badid, edita dal Signore!li dii Milano. Il C. mette in rilievo, ed a ragione, la mancanza di un esame critico esauriente del pensiero religioso mazziniano. Ceraci J., Il dissidio Mazzini-Garibaldi e Crispi, in « Giornale di Sicilia », Palermo, 4 luglio 1928. Breve recezione del volume dd G. E. Curatolo, Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi cit 282 Bibliografia Mazziniana Cesari Cesare, Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi, in « Gazzetta dell E-mìlia », Modena, 5 luglio 1928. Breve recensione del volume citato idei Cura-tulio. Panella Antonio, Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi, in « Marzocco », Firenze, 8 luglio 1928. Recensione, più estesa e più accurata delle precedenti-, del voi. cdt. del Curatolo. A. T., Nascita di Giuseppe Mazzini, in « Nuovo Abruzzo », Chieti, 8 ioigMo >1928. Breve ed assai semplicistica commemorazione dell’anniversario della nascita del-l’Aipostoilo dell’Unità Italiana. — —, Una lettera inedita dà Giuseppe Mazzini, in « Marzocco », Fi- renze, 15 luglio 1928. Breve nota informativa dell·!’artìcolo, cui s’è già accennato, pubblicato da Ugo da Como sulla Nuova Antologia del 16 giugno 1928. Molteni Giuseppe, Il dissidio tra Garibaldi e Mazzini in « Avvenire d'Italia », Bologna, 17 luglio 1928. Il Moltenii /in questa recensione del volume del Ou r aito lo più volte citato, mette in rilievo come l’autore abbia usato a favore di uno dei due personaggi da lui studiati, e cioè del Garibaldi, « un Linguaggio (più da· panegcrista che da storico ». Morando E. F., Giuseppe Mazzini e Giorgio Sand in « Corriere Mercantile », Genova, 18 luglio 1928. Il Morando, sulla stregua delle lettere del Mazzini alila Sand, che vengono pubb i-candosi negli Scritti dell’edizione nazionale, esamina e commenta l’influsso che il Mazxini esercitò «sulla famosa marchesa dii Dudevant. — —, Cimeli mazziniani offerti al Museo del Risorgimento, in « Cor- riere della Sera », Milano, 19 'luglio 1928. Vien data notizia del dono fatto all Museo del Risorgimento dd Milano di \ ari prc ziosi cimeli mazziniani provendenti dalle carte dd quella nobilissima figura di patriota milanese, che fu Giulietta Pezzi. Marcuzzi Antonio, Amori mazziniani, in « Popolo », Trieste, 21 luglio 1928. Recensione del volume di A. Saiucci, edito dal Vallecchi, più vòlte citato D’ Andrea Ugo, Il dissidio tra Garibaldi e Mazzini, in « Giornale d I-talia », [Roma, 25 luglio 1928. Il D’Andrea in un breve saggio, in cui esamina le risultante oud è giunto il Dura tolo nel suo volume più volte citato, osserva dhe la figura del Mazzoni non e etata trattata dal Curatolo con la dovuta serenrità. « Noi sentiamo egli scrive — che la vita del Mazzini è colma di infiniti elementi ideali che fan gran degnare la sua figura e di temipo in tempo (la fan tornare attuale e la rendono imperitura... » e soggiunge : « non ai può giudicare con severità ii Mazzini di fronte agli avvenimenti dal ’48 al ’70 senza prima collocarlo spiritualmente nel piano dhe gli compete »*. Lo stesso articolo verrà ripubblicato d&W Avvenire di Tripoli, del 9 settembre 19 Bibliografia Mazziniana 283 Rivalta 'Ercole, Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi, in « Gazzetta del Mezzogiorno », Bari, 27 higliio 1928. Breve recensione del volume del Curatolo più volte cit. Vella /Bruno iLionello, La musica nel pensiero mazziniano, Iti « Scena Illustrata », Firenze, 1 agos.to 1928. Breve nota, senza novi/tà 'dii o^seirvazioni critiche, suille belile pagine mazziniane intorno aJLla filosofia dediLa musica. Gabrielli Gabriele, Maria Mazzini e il suo ultimo carteggio, in « Tribuna », (Roma, 10 ajgosto 1928. Precisa ed accurata recensione del volume di Italia Cremona CozzoLino su Maria Mazzini ed il suo ultimo 'carteggio, già alitato. R. S., Il dissidio fra Mazzini e Garibaldi, .in « Lavoro », Genova, 12 agosto 1928. In una sornai ta, critica all volume (più volte oit.., l’autore rimprovera il Curatolo di aver proceduto col « [preconcetto di dover trovare tutta la ragione da una parte e «tutto il torto dall’alttra » isenza .preoccuparsi di cercare ila verità al di fuori « dia tesi ipreordi/nate ». Colombo Adolfo, Un dissidio storico: Mazzini e Garibaldi, in «La Stampa », Torino, 15 agosto 1928. Breve recensione del volume del Curatolo più volte citato. , Una pagina di storia : Paola Frassinetti e G. Mazzini, in « L’ Avvenire d’ Italia », Bologna, 18 agosto 1928. Viene niipubbLicata una lettera dell Mazziina del 13 aprile 1849 alla veneranda Paola Frassinetti genovese, che reggeva dtm quei mesi memorandi dii Collegio delle Do-rotee a Roma. Ars, La culla di Mazzini, in « Lavoro », Genova, 21 agosto 1928. A. SaJlucci (pubblica, vari documenta che dovrebbero provare la autencità di ima. cuilla, dn cui di piOooHo Mazztimi avrebbe trascorso i primi mesi della sua vita. ] documenti ili lustrati con molto fervore dal dotto ed appastaonato cultore di studi mazziniani, non portano però ancora, secondo noi, la prova delila autenticità di essa . (Af), Garibaldi contro Mazzini, in « Italia », MiiLano, 21 agosto 1928. Breve recensione del volume del 'Curatolo (più volte cit. (Ricca Vincenzo, La madre di Giuseppe Mazzini, in « Giornale dell I-sola », Catania, 21 agosto 1928. Amjpaia recensione del volume ciit. deDla (Signora Itala OozzoQino Cremona. H> Ricca afferma e moi concordiamo con lui : « La nuova documentazione rivela l'attivissima parte che il’eroica sublime donna (prese nell'apostolato per gfti ideali maz-zimiianii e ila 'lucida· e precisa coscienza di un avvenire splendido riserbato al figlio. » Di ILauro iRaffaele, Il ritorno di Mazzini, in « Vita Nuova », Bologna, «agosto 1928. Breve articolo apologetico delle idealità mazziniane messe a raffronto con quelle dell’Italia d’oggi. 284 Bibliografia Mazziniana > Garibaldi contro Mazzini, in « Momento », Torino, 1 settembre 1928. E’ tnipübbUicato l’articolo già «dit. pubblicato ne ^Italia di M'iiiano del 21 agosto 1928. L. t., Luce storica, in « Regime Fascista », Cremona, 4 settembre 1928. Viene ripubbliica/ta e commentata con entusiastiche (parole, la lettera dell Mazzini a Paola Frassinetti già edita da L'Avvenire d’Italia dd Bologna del 18 agosto 1928. U. R., I dissidi fra Mazzini e Garibaldi, in « Grido d’ Italia », Genova, 6 settembre 1928. Aspra critica· al volume del Curatolo, definito dal Ripar belli « come uno di quei libri coFtagaaud delil'epoca (borbonica, nei quali iH furbo scrittore inizia il eno dire con spampamaite dichiarazioni di oibiettiijvità, per meglio far trangugiare al lettore poco attento, la tesi sostenuta, (intesa a rovesciare la vera verità storia... ». Maioli Giovanni, Mazzini nelV Italia centrale> in « Carlino della Sera », Bologna, 13 settembre 1928. Il Maioli illustra l'opera svolta nell'agosto del 1859 dal Mazzini, ripubblicando vari brani di lettere che l'esule in patria seriose a in « Gazzetta del Mezzogiorno », Bari, 18 settembre 1928. 11 Viterbo ha illustrato 3a figura del Mazzini in una conferenza al Corso di cultura indetto daU'Eoite Pugliese di Bari. In essa l’autore e’è soprattutto soffermato ad illustrare l'opera del Mazzini «nell’insegnamento agli operai italiani di Londra, e la concezione mazziniana del prdblema sociale da lui propugnata attraverso Ία collaborazione tra capitale e «lavoro. Caddeo Rinaldo, Il preteso dissidio tra Garibaldi e Mazzini, in « Piccolo della Sera », Trieste, 19 settembre 1928. Il C., dopo aver anch’egili affermato che il Curatolo ha scritto l’opera sua partendo dal preconcetto dii eealtaire Garibaldi che «fu Ja salute della Patria» e Bibliografia Mazziniana 285 di deprimere ia fìgrura del Manzini che « per (poco me fu la rovina », ribatte e argomentazioni dell'autore con validi e precdei argomenti che denotano una buona conoscenza dei)]'opera mazziniana e conclude: « A che cosa si riduce adunque da preteso dissidio tra Mazzini e Garibaldi? Agli inevitabili malintesi a /piccoli urti, alide aspre parole presto dimenticate che non mancano mai tra uomdma di (passione e di lotta presi nella immane, eccitante fatica della resurrezione di uina Nazione. OQga, cessate le animosità. «lei parliti, fissate nel cielo della patria 'le stelle immortali della nostra redenzione, i due eroi dea pensiero e dell'aaione ci appaiono quali furono, ugualmente necessari e provvidenziali alila causa italiana; e Garibaldi non lo sentiremo menomamente diminuito se lo chiameremo quale egli realmente fu : il più grande, .ili più benefico, ofl. più realizzatore dei discepoli di Mazzini. » Scurto Ignazio, Sulla tomba di un grande Genovese, in « Italia Giovane », Novanta, 22 settembre 1928. Breve rievocazione della figura del Mazzini. t. t., Mazziniana, m « Corriere d’ Italia », /Roma, 26 settembre 1928. Nota polemica contro dii settimanale Comunità monarchica di Torino, « che si è messo a parlare di Giuseppe Mazzini al modo stesso di un monarchico piemontese del 1848 ». Orano Paolo, Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi> in « Lavoro d* Italia »r (Roma, 26 settembre 1928. L’A. prendendo lo spunto dal recente volume del Curatolo, difende il Mazzini dalle accuse mossegli dallo storico garibaldino : « non è meno vero — egli scrive _ dhe, a malgrado delle apparenze, sibaglia ohi crede che Mazzini tenesse più 3. la repubblica che all'unità. Senza l’intransigente repubblicanesimo di Mazzoni soprattutto all’estero, non si sarebbe potuta fare questa Italia una, questa Italia dii popolo, questa Italia della monarchia popolare. Dalila lettera di Carlo Alberto del 1831 alla corrispondenza tra Vittorio Emanuele II e Mazzini pel tramite dell 'ingegnere Diamalla M iil· 1er, è innegabile il riconoscimento che l’Apo-stolo faceva della missione unitaria della dinastia di Savoia. Era con la spada di Carlo Alberto che Mazzini bramava che il Piemonte varcasse il Ticino per « fare l’Italia dalle Alpi al mare » era con l’esercito di Vittorio Emanuele II, con d mezzi da lui fomiti, che nel 1866 Mazzini pensava di costituire un’alleanza italo-prussrana contro l’esasperante orgoglio della Francia imperiale per portare trionfalmente dn Roma Capitale l'Italia unita. » , Curatolo G. E., Il dissidio tra Mazzini e Gambaldi: La storia senza veli, in « Esercito », Roma, settembre 1928. Brere recensione del voi. del Ouratulo citato ohe viene definito « un prezioso volume per la storia del nostro Ri sorgi (mento. » T. c., Tolstoi e Mazzini, in « Grido d’Italia », Genova, 7 ottobre 1928. H Cartolo tenta un parallelo tra ToUstoi e Mazzoni, mettendo in rilievo le affinità del pensiero dei due tgrandi nei riguardi della considerazione dell’arte come missione. > Conferenza delV on. Innocenzo Cappa, Mazzini e la Filosofia della musica, in « Caffaro », Genova, 31 ottobre 1928. Breve resoconto di una conferenza tenuta a Genova da Innocenzo Cappa sulla Filosofia della musica del Mazzini, la sera del 29 ottobre 1928. 286 Bibliografia Mazziniana Zoet., Mazzini il fuggiasco, in « Ordine Fascista », Roma, ottobre 1928. Risposta polemica Olila nota· del Corriere d’Italia del 26 settembre 1928, già accennato. « Olii è dunque Giuseppe Mazzoni — esclama Ettore Zoearo — secondo Egìlberto Martire... a 'braccetto queeta volta con i questurini del Lombardo-Veneto?... Un fuggiasco : un ville fugigiiasco! Preparava complotti, fomentava ribellioni e poi al momento dellla maschia, a guerra dichiarata, scappava. Un retore, un eroe da poltrona, del quale la solita impaziente critica dei fertili cervelli del Bed Paese si è decisa· in modo definitivo a rivedere le bucce, quelle della mensa dii Don Rodrigo ». Dopo aver esaltato con entusiastiche parole l’epopea gloriosa della Repubblica Romana Ilo Z. commenta : « Ma" in quest’epoca in cui la poesia semlbra esiliata nella· soffitta dell’oblio e idei rottami inuitdJlli,, certe strofe eroiche del Risorgimento non (possono toccare neppure ili cuore deliTOn. Martire... « Maineri B., La romita villa di Posalunga sacra al Risorgimento d’ I-talia, an « Cormere Padano », iFeirraira, 8 novembre 1928. Il M. rievoca, con riferimenti storici, Ha giovinezza dei Mazzini soprattutto soffermandosi ad illustrare Ha· villa -di Posaftunga, dove dfl giovane « tutto fronte e s pu ardo » ai raccoglieva nei mesi estri vi a meditare ed a studiare. Guatteri Gualtiero, Mazzini e Vittorio Emanuele, in « Lo Stato », Napoli, 9 novembre 1928. Ili G. (illustra d’opetra del Mazzini, mettendo (in rilievo com’eg'li sacrificò sempre l’idea repubblicana a quella dell’unità e rievoca ia nota offerta fatta dall Apostolo dedl’Unità a Vittorio Emanuele II dopo id’ 1859. Mandalari 0. Camillo, Una lettera apocrifa di Giuseppe Mazzini, in « Camicia Rossa », Roma, 9 novembre 1928. Viene riesumata una pagina assai ibrutta pei detrattori del Mazzini : una circolare ed una lettera apocrife, entrambe attribuite al Mazzini e pubblicate da 7/ Verona deld’apride idei 1863 e dall Opinione dii Torino. L. t., Qua la mano, in « Regime Fascista », Cremona, 16 novembre 1928. Prendendo Qo spunto dalla nota· (polemica, pubblicata neWOrdine fascista di Roma deW'ottobre 1928, cui s’è già accennato, al Regime Fascista riproduce in gran parte (Da stessa nota facendola precedere -da queete parole: «LOrdine Fascista di Roma pubblica un trafiletto su Mazzinii fuggiasco ohe, oltre rimettere le cose a posto, è anche un’ottima .lezione im/parta/ta a genite che vuol fare a storia a modo suo. OLoè una storia di uomini! e di cose combinata secondo ano spirito anti-iitaiManissimo, settario, antistorico, bassamente servale e equi sitamente voftgare !... » --, L’ arte nel pensiero di Giuseppe Mazzini, in « >L’ Opinione », i Spezi a, 26 novembre 1928. Viene dato un ampio ragguaglio della conferenza illustrativa delle teoriche *ua2 zimiane sull’arte, tenuta a «Spezia all’istituto Fascista di Cultura dall avv. m berto Ferraris. Mioli Giovanni, Mazzini « ai Giovani d’ Italia », 1859 in « Rassegna dei Combattenti », novembre 1928. Breve, ma succoso commento al proclama mazziniano, scritto Ai Giovani d Italia dopo Vi'ldafranca. ■Bibliografia Mazziniana 287 A. E., Saiucci A., Amori mazziniani, in « Gruppo d’ Azione », Milano, novembre 1928. Breve recensione del voi. Amori mazzinia/wi do, A. Salucci, oit. T. t., Cinque minuti e più, (in « Corriere d’ Italia », (Roma, 4 dicem. 1928. Kd*?poata ipòLennica di Ettore Zocaro che fa seguito alila nota pubblicata neULOrdinó Fascista dell’ottobre e contro replica del Corriere d’Italia sempre euHla diversa linberpret azione data all valore defU'opera mazziniana ned fa erti dell Risorgimento. Ars·, L’ epistolario mazziniano, .in « Lavoro », Genova, 7 diioem. 1928. Breve recensione del vol. XLIX deU’edizdone nazionale degli Scritti del Mazziini. San Martino (di) A., Una revisione che si impone, in « Liguria del Popolo », 8 dicembre 1928. Aspra (invettiva contro d'articolo de L Ordine Fascista del l'ottobre 1928, in cui s’è ■già. accennato per da critica da esso fatta a EgdiUberto Martire. Dn esso vien ribadita l’accusa al Ma.zz.ind d’essere stato « il sacerdote del pugnale », 1’ « eroe da poltrona » e... chi più ne ha, più ne metta. L. t., Profumi, in « Regime Fascista », Cremona, 13 dicembre 1928. Vemgono illustrate alcune gemme tratte dalle lettere pubblicate nell’ultimo volume pubblicato deg&i Scritti del Mazzini deM’edizione nazionale. --, I rapporti tra Giuseppe Mazzini e V Austria negli incarti ufficiali politici e processuali, in « Piccolo », (Roma, 14 dicembre 1928. Sd dà una breve notizia dell 'interessante pubblicazione ded Sandonà, del 12 dicembre 1928. cui già e’è accennato. Sassi Ferruccio, Signorie in Lunigiana - Spinetta Malaspina Bassi Adolfo, La Consortia dei Forestieri di Μ. V. della Mi-seri cordia ·· # · · · · ····# Piattoli Renato, Andrea di Giovanni di Lotto da Prato, maestro di grammatica in Genova........ Noberasco Filippo, Il giornalismo savonese...... Dell5 Onore Erasmo, Il viaggio di Carlo Felice da Genova a Nizza ...... Pessagno Giuseppe, Ancora una polemica colombiana . L mberto Giampaoli, Michele Ferrari, Discussioni intorno al prohlema delle origini di Sarzana....... Pietro Nurra, Genova durante la rivoluzione francese - Un cospiratore: dd patrizio Luca Gentile...... Mario Battistini, Visitatori stranieri a Genova ..... Aroldo Chiama, Il generale Mambrot a Genova ned 1800 . Omero Masnovo, Le radiose giornate Genovesi del dicembre 1746 secondo nuovi documenti........ Ferruccio Sassi, Signorie liguri : I Campofregoso in Lunigiana Giannina Gxecco, Il Palaprat nell opera di Stefano De Franchi Mario Battistini, Giovan Maria Lampredi a Genova nel 1789 Impressioni e giudizi......... G. Leti - A. Codignola, Polemichetta mameliana .... Rassegna Bibliografica: Studi e documenti su Goffredo Mameli e la Repubblica Romana (1849), (Vito Vitale),......... Carlo Borxate, Un amico di Cristoforo Colombo, Niccolò Ode-rico (Giuseppe Pessagno). Marcaggi, Terre de Corse (Renato G lardelli) Giuseppe Portigliotti, Genova - Glorie e splendori (Vito Vitale) L go Bernardini, L'ultimo anno della Repubblica di Lucca (1798- 1799), (Giuseppe Pessagno)......... Savona nella storia e nell'arte (Vito Vitale) ^ nroRio Pongiglione, Il libro del Podestà di Savona dell'anno 1250, (Vito Vitale)............ Iscrizioni Genovesi in Crimea ed in Costantinopoli (Vito Vitale) Ersilio Michel, Esuli e cospiratori italiani in Corsica, (Vito Vitelle)...............» 158 Ubaldo Formentini, Introduzione alla storia ed alVarcheologia cristiana di Luni, i(iFerjmcciio -Sajsisd).......» 159 Giorgio Falco, Appunti di diritto marittimo medioevale, (Fer- iruOciio iSaesi).............» 163 Enrico Bensa, Francesco di Marco da Prato, (Bmiildo ParaLianii) » 164 Emanuele Filiberto, (EimMo OPamiàiam).......» 167 P. Luigi Maria Levati, I Dogi Perpetui di Genova (Vito Vitale) » 252 I. Scovazzi - F. iNoberasco,. Storia di Savona, voi. ìli ,(Viito Vitale) ................M ^55 Orlando Grosso, Sciroccate, (Viito Vitale)......» ^6^ Annali Genovesi di 'Caffaro e dei suoi continuatori, (Vdito Vitale) » 262 Natale Grimaldi, La contessa Matilde e la sua stirpe feudale (Fternu€icio iSasisii)............” ^ Spigolature e {Notizie: Pagg. 87-94 171-176; 270-278. Appunti per una bibliografia mazziniana: Pagg. 95-98; 177-180; 279-287. Ultime pubblicazioni ; P. NURRA — A. CODIGNOLA datalo go della Mostra Ligure del Risorgimento (Genova, Settembre-Ottobre 1925) GENOVA Comitato Ligure Soc. Naz. per la Storia del Risorgimento Italiano Via Garibaldi, 18 (Edizione di lusso, di 500 esemplari numerati fuori commercio — L. 100 1927 P. B. GANDOOLIA In Repubblica (Vita intima degli uomini di Noli studiata nell’Archivio del Comune — Pag. 1-696) FINALBORGO - Tip. V. Bolla 8t Figlio - 1927 GOFFREDO MAMELI “La Vita e gli Scritti,, a cura di A. Codignola EDIZIONE DEL CENTENARIO 2 voli, con 30 tavole fuori testo « La Nuova Italia » Editrice - VENEZIA GIUSEPPE MAZZINI / doveri dell· uomo Nuova edizione con introduzione a cura di Arturo Codignola VENEZIA - « La Nuova Italia > Editrice - 1927 Direttore responsabile : Ubaldo Formentoni