R. D E P U T A j2>ï'0 N E DI SIOR L A P AI RIA PER l a L I ,β U R I A ir JT GIORNALE STORICO E LETTERARIO w dki.lA" — ANN^ I 942 « iUì wer DI R E T T O R URO CODIGN OLA • . . ' - - ' . . ’ · ■ - - - - ' V • ν· ·, . - - · . - ■ : ” '· ' - ·. .. · > Anno XVIII - 1942-XX Fascicolo I - Gennaio-Marco GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE MERCANTI MILANESI A GENOVA NEL SECOLO XII Avviene talvolta die lo storico, preoccupato di seguire la grande storia quella che, si usa dire, segna le tappe nel tempo, trascuri di vedere 1 fenomeni più minuti, i fenomeni laterali che sono tuttavia, di indubbio interesse per chi vuoi valutare un’epoca attraverso tutti i fattori e non solo attraverso quelli eminentemente politici o giuri-ilici. Soprattutto studiando il passato non dobbiamo credere che quando la guerra infuriava tutti fossero presi nel vortice di essa; la guerra totalitaria non era stata ancora inventata e quindi molte attività potevano proseguire anche durante essa. Tutto quello che può illuminarci sul commercio, sui traffici, sulle vit (ii scambio, in una parola sull’economia del tempo passato deve essere oggetto di studio, poiché per quanto io sia perfettamente del- 1 idea che non bisogna riportare tutto al fattore economico per nou ricadere negli errori della scuola del materialismo storico, penso tuttavia che il negare completamente (proprio talvolta in odio a quella teoria) il valore preponderante che l’economia può aver avuto nella storia in confronto ad altri elementi ci farebbe cascare in errori altrettanto gravi. Ecco anche perchè, scorrendo la pubblicazione che sta curando la R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria, ho voluto segnare qualche appunto sull’attività dei mercanti milanesi a Genov;f, negli anni che nei volumi pubblicati possiamo avere sott’occhio, riservandomi di tornare sull’argomento ad opera completa (!). (1 ) R· Deputazione di Storia Patria per la Liguria ha finora pubblicatomi volume di introduzione Per l’edizione dei notai liguri del sec. XII a cura di M. Moresco e G. P. Bognetti; un volume di documenti di Oberlo Scriba da Mercato (1190) a cura di M. Chiaudano, R. Morozzo della Rocca; due volumi di Guglielmo Cassinese (1190-1192) a cura di M. W. Hall, h. G Krueger R l Reynolds; un volume di Oberlo Scriba da Mercato (1186) a cura di M Chiau DANO; un volume di Bonvillano (1198) a cura di J. E. Eierman h G Krueger R. L. Reynolds; due volumi di Giovanni di Guiberto (1200-1211) a cura di m’ W. Hall-Cole. H. G. Krueger, R. G. Reinert, r. l. Reynolds. ο GIANLUIGI ΒΑϋΝΙ * * * Tempi duri erano senza dubbio sia per Genova che per Milano quelli che correvano fra la tìne del sec. XII e il principio del XIII : tempi forse di assestamento. Milano aveva condotto a termine la lotta contro il Barbarossa; la pace di Costanza aveva sancito giuridicamente e formalmente la nascita del Comune ; ma anche dopo la vittoria non era questo un momento facile. Tentava Milano di far risorgere la Lega Lombarda (1195), ma inutilmente, sia perchè gli eserciti comunali andavano perdendo rapidamente la loro efficienza, sia perchè nuovi interessi venivano sovrapponendosi su quelli che avevano favorito l’unione di comuni fra di loro avversari, onde Milano stessa diveniva sospetta agli occhi degli altri. Si comincia a passare dalla organizzazione consolare a quella podestarile. In questi stessi anni si andavano formando a Milano nel campo giuridico quelle Cansuetudines che furono poi raccolte nel 1216 (2), e quanto contasse il fattore economico non può sfuggire a chi appunto nelle Consuetudines guardi ciò che ha attinenza ai rapporti coi coloni, coi rustici (J). Anche a Genova in questi anni agonizzava il consolato ; se nel 1190 vi furono ancora sei consoli per il comune e otto per la ^giustizia (4), nel 1191 fu costituito per la prima volta un podestà nella persona di Mangoldo di Brescia, pur continuando ad esistere anche in quell’anno gli otti consoli per la giustizia (5). A Genova puie non correvano anni tranquilli : nel lungo contrasto tra impero e chiesa, Genova era stata per l’imperatore, per quanto a Roncaglia· si fosse opposta a lui nella quistione delle regalie ; ma la sua attività fu soprattutto, come doveva essere, esplicata nel campo dei trasporti marittimi, ricavandone però così poca utilità da essere poi allontanata dalla Sicilia da Enrico VI, che pur molti aiuti aveva ottenuto (2) Cfr. Liber Consuetudinum Mediolani, a cura di F. Berlan, Milano, 1869. (3) Lib. Consuet. Mediol., Rubr. XXIV, De oneribus et districtis et condicionibus, che è, sotto molti aspetti, di grande interesse. (4) Annali Genovesi di Ottobono Scriba; per il Comune furono consoli Rai-mundo di Fressia, Marino Aglio di Rodo-ano, Simoe Vento, Idone di Carma-dino, Lanfranco Pevere, Enrico Piccamiglio; per la giustizia i consoli furono dalla parte della città Ottone di Castello, Bonifacio figlio del fu Ogerio di Guidone, Ugone Alberico, Jalno figlio di Filippo di Grusta, dalla parte del borgo Ansaldo Golia, Beryumino di Campo, Pietro di M-arino, Rainaldo Ar- canto. # (5) Questi consoli furono: dalla parte della città BelJobruno di Castello, Ogerio di Palio, Vilielmo di Ingone Tornello, Villielino Zerbino; dalla parte del Borgo Rolando di Carnadino, Ottone Guaracco, Angelotto Vicecomite, Ful-cone Spezapreda. MERCANTI MILANESI a GENOVA NEL SECOLO XII 3 e che era stato largo di promesse. Anche nell’interno la vita non scorreva serena : nel 1189 vi fu battaglia nel mercato di S. Giorgio tra Guglielmo Vento coi suoi consanguinei da una parte contro quelli della Volta dall’altra; nel 1190 Fulchino e Guglielmo Balbo e Fulchino del Castello uccisero Lanfranco Revere, da questa morte derivarono vendette e contro vendette. Simile inquietudine politica non era tale però da interrompere i traffici. Durante questi anni molte navi lasciavano Genova in soccorso della Terra Santa minacciata, dando così luogo ad un forte movimento del porto e spingendo molti genovesi a recarsi in quelle terre sia per motivi ideali, sia per motivi economici e commerciali, dati i molti interessi che Genova sempre ebbe nel Levante (6). La nuova economia avanzava : il commercio si avviava su vie sempre più lunghe ed importanti; banchieri e commercianti giungevano in tutti i luoghi nei quali si poteva arrivare. Genova città dei traffici, Milano città dell’industria non potevano ignorarsi. Verso Genova si diressero effettivamente non solo le correnti economiche, ma, successivamente e quasi al seguito di queste, anche le correnti politiche milanesi. Infiniti legami univano già Milano a Genova; Paver fatto parte nell’epoca romana della medesima provincia, Pavere poi le due città dipeso dalla medesima diocesi ecclesiastica, Pes-ser stata Genova il rifugio del vescovo di Milano nei primi settantanni delPinvasione longobarda, Pavere il vescovo di Milano avuto ampie possessioni nella riviera ligure per cui a lungo perdurarono tracce dell’influenza della chiesa milanese (7), sono tutti fatti che spingevano la vita milanese ad indirizzarsi verso Genova e il suo porto. I mercanti milanesi che troviamo in Genova fin dal secolo XII sono veramente i precursori dello sviluppo successivo economico e politico di Milano quale comune e signoria. (e) Nel 1187 infatti il Saladino, che dal 1171 si era impadronito dell’Egitto togliendolo ai Fatimiti, aveva occupato Gerusalemme e Hakka in Palestina. Nel 1189 passarono il mare tra gli altri Guglielmo conte di Chalon-sur-Saône, il duca di Borgogna, Filippo Augusto re di Francia, Riccardo re d’Inghilterra; parti, per via di terra, anche Federico I imperatore, perdendo però la vita lungo il cammino. Genova mandò in soccorso della città di Hakka Guidone Spinola, console del comune; partirono anche Nicola Embriaco Fulcone di Castello, Simone d’Oria, Balduino Guercio, Spezapreda, Rosso di Volta e molti altri. (7) Λ Rapallo la chiesa parrocchiale attuale è dedicata ai santi Gervasio e Protasio; poco lontano da Rapallo una frazione di Zoagli ha il nome di S. Ambrogio. Si rammenti che in Rapallo erano appunto proprietà del Vescovo di Milano: si veda G. Rossi, Il rito ambrosiano nelle chiese suffraganee della. Lifjuria, in « Atti della Soc. Ligure di St. Patria », vol. XIX. 4 GIANLUIGI BARNI # * * Sulla pubblicazione nella quale lio scorso per trovare quei pochi cenni che darò, non trovo da dire di meglio se non quello che è in un passo del volume Per Vedizione dei notai liguri del sec. XII, che serve da introduzione ai successivi volumi di documenti : « Ma se il lettore? esperto di documenti medioevali, ripenserà al quadro — quasi solo di carattere politico o chiesastico o rurale — che le pergamene del 1100 gli hanno offerto altrove e all’impressione quasi di lineare monodia che gliene sàra rimasta nell'anima (la voce del-Varaldo; il canto del guerriero; il salmo del monaco; il borbottio del leguleio; la nenia del contadino....) e confronterà quell’impressione con la ricca polifonia che qui Vumanità — compatta, varia, completa — finalmente gli rappresenta, si accorgerà che per lui, dopo il tramonto d)el móndo antico — così umano in certe testimonianze miracolosamente superstiti — questi genovesi rappresentano ad intuito i primi moderni cui riallacciare Vorigine stessa· della nostra ■società » (8). Di negotiatores a Milano abbiamo notizie sia nel Cod. Dipi. Long, (sia in quello della collezione Π.Ρ.Μ., come in quello edito -a cura dello Schiaparelli), sia in raccolte successive (9), ma di essi sappiamo solo il nome e difficilmente intravvediamo la loro attività commerciale. Nei documenti genovesi invece (anche se manca la formale defini zione di negotiator, negociens, ecc.) è proprio il loro commerciare, con debiti crediti compere vendite traffici di ogni genere, che salta agli occhi; si deve giungere a dire che, allo stato attuale delle fonti conosciute, è a Genova e non a Milano che meglio può essere seguita l’attività dei commercianti milanesi. * * * I documenti dai quali il commercio dei milanesi a Genova può risultare sono di tipi diversi e, nelle loro diverse categorie, stanno a mostrarci come nessun campo fosse lasciato intentato. Già le confessioni di debito senza alcuna causa che nel documento le giustifichi (il Besta parlando del pagherò osserva che ad un certo momento (10) la dichiarazione di dover pagare bastò di per sè stessa) ci indicano il movimentò in danaro che avveniva fra commercianti di territori diversi, ma dove poi l’attività specifica dei mila- (8) Moresco M., Bognetti G. P., Per l'edizione dei notai liguri dei sec. XII, Genova, 1938, pag. 5. (9) G. Vittani, C. Manaresi, Gli atti privati milanesi e comaschi del sec. XI, vol. I, Milano, 1933. Visconti A., Note ver la storia della società milanese nei sec. X e XI, in « Arch. Storico Lombardo », serie VII, a. LXI, 1934, pag. 289. (10) Besta E., Le obbigazioni nella storia del diritto italiano, Cedam, Padova, 1937, pag. 264. Nicolini, Studi storici sul pagherò cambiario, Milano, 193G. MERCANTI MILANESI a GENOVA NEL SECOLO XII 5 nesi in Genova può essere maggiormente notata è nella lunga serie delle dichiarazioni di debito con riferimento a merci. Noto subito come si dicano milanesi, non solo quelli che effettivamente sono di Milano, ma anche coloro che sono di località vicine : così Pagano de Morgula si professa « de Morç/ula de Mediolano » (ii) per quanto in questo Morgula si possa forse identificare il Santa Maria alla Molgora che si trova presso Vimercate ; Airaldo che si dice di Milano è alla sua volta di Segrate (12), e cito solo questi due casi per non dilungarmi troppo; un simile fatto ci mostra come già la città esercitasse il suo influsso fino a tal punto che coloro che avrebbero potuto accontentarsi di identificarsi col loro luo go sentono la necessità di dirsi invece della città dominante; osservo però che siffatte indicazioni sono sempre riguardanti luoghi entro il territorio pertinente a Milano, di modo che il dirsi di Milano può non esser strano se si pensa appunto al territorio dipendente e non alla città sola. Alcuni Milanesi a Genova indicano la loro abitazione in Milano. Così Trencavel si dice de Porta lovis (i3) e Negrisolo de Porta Nova (M) ; è forse esagerato vedere in questi dei membri delle famiglie dei capitani delle porte? in tale ipotesi il riferirsi alla porta può servire per indicarci una zona della città, ma anche a mostrarci come membri di famiglie notabili si occupassero di traffici e di commerci anche al di fuori della loro città ; le grandi carestie del sec. X e XI avevano insegnato qualcosa (15), avevano insegnato come l’intermediario fra il produttore e il consumatore fosse necessario, specialmente quando i due non sarebbero riusciti ad incontrarsi per la distanza che li separava : le nuove ricchezze avevano mostrato che una nuova potenza si veniva creando, quella formata dal capitale mobiliare. \ i è un industria milanese soprattutto che si palesa iu questi documenti. Ben noto è infatti di quale importanza fosse nel medio (") Notai Liguri del sec. XII, vol. V, Giovanili di Guiberto, I, n. 326, 27 luglio 1201; Id., n. 602, 18 settembre 1203. (i*) Notai Liguri del sec. XII, Giovanni di Guiberto, I, n. 1036 6 maggio 1205. (13) Notai Liguri del sec. XII, vol. IV, Oberlo Scriba da Mercato, n. 63 30 settembre 1186; id., n. 135, 14 ottobre 1186. Notai Liguri del sec. XII, voi f Oberto Scriba da Mercato, n. 183, 25 febbraio 1190. Notai Liguri del s'ec ΧΠ voi. 11, Guglielmo Cassinese, 1, n. 631, 20 maggio 1191; id., n. 930, 2 settembre 1191; id., II, n. 1783, 24 maggio 1192; id., n. 1826, 1 aprile 1192. Notai Liguri del sec. XII, vol. V, Giovanni di Guiberto, I, n. 84, 19 dicembre 1200; id., n. 89, 19 dicembre 1200; id., Il, n. 1903, 14 aprile 1206; id., n. 1921, 19 aprile 1206. 11 Notai I i'iuri del «v. xii, voi. v. Giovanni di Guiberto, 1, n. 81, 18 dicembre 1200; id., n. 115, 26 maggio 1201; id., n. 126, 2S maggio 1201; id., n. 127, 28 maggio 1201; id., n. 140, 30 maggio 1201; id., n. 141, 30 maggio 1201; id., n. 142, 30 maggio 1201; id., n. 1039, 7 maggio 1205; id., 11, n. 1463, 17 giugno 1205; id., n. 1467, 18 giugno 1205. I15) Visconti A„ Storia di Milano, Ceschina, Milano, 1937, pag. 132. 6 GIANLUIGI BARNI evo in Milano l’industria dei tessuti ed in special modo quella dei fustagni, di tale importanza abbiamo ora un’altra prova. Si rammenti a questo proposito quel che dice il Fiamma al cap. XC della sua opera : « ____ Tertium quod· lialmndamus propter industriam nostrorum mercatorum est pannorum copia. Ipsi enim mercatores di-s currunt per Franciam, FlandriamAngliam ementes lanam subti lem, ex qua in ìiac civitate texuntur panni subtiles nobiles in maxima quantitate, qui tinguntur omni genere tincture, qui per totam Italiam deferuntur.... Fiunt etiam panni grossiores.... », Per quanto il Fiamma sia successivo all’epoca che stiamo esaminando, ci fa vedere un’industria così perfezionata ed attrezzata che dobbiamo pensare come da tempo siffatta operosità milanese dovesse esplicarsi (16). Fra le dichiarazioni di debito in questi volumi esistenti in. cui compaiono dei milanesi più di cento infatti riguardano fustagno ; non per nulla a Milano esisteva una via dei Fustagnari. Si ha l’impressione che per quanto riguarda il traffico dei tessuti in generale e dei fustagni in particolare i milanesi (vi sono che si ripetono con grande frequenza come ad es. quello di Trencavel) avessero a Genova delle case di vendita per le merci prodotte nel territorio lombardo e dico territorio lombardo, e non solo milanese, poiché qualche volta si parla anche di tessuti di Gonio (17) : può veramente questa definizione indicare un tipo di tessuto, ma può anche invece mostrare effettivamente la provenienza di esso; in questa seconda ipotesi possiamo pensare che il negoziante milanese avesse acquistato direttamente dal produttore o da qualche commerciante che aveva portato quei tessuti a Milano. Come si vede la rete dei traffici viene estendendosi ed ampliandosi anche solo esaminando un piccolissimo aspetto. Indubbiamente di maggiore interesse è lo studiare l’attività commerciale di questi milanesi in alcuni contratti di accomendatio e di societas che abbiamo la possibilità di vedere. L’accomendatio può dirsi che, più che essere una forma di contratto commerciale, fosse una figura che storicamente precorse ogni altra di società (18), che ebbe la sua origine proprio nel commercio marittimo e che, unitamente alla societas è strettamente legata alla vita economica di Genova (19). Sia nella societas che nella accomendatio un tale affidava del denaro o delle merci ad un terzo perchè ne trafficasse, dividendo poi con questo gli utili derivati. Il Solmi dice (16) Cfr. Romano G., La guerra fra i Visconti e la chiesa (1360-1376), in « Boll. Pavese di Storia Patria », 1903, dove parlando dello sviluppo commerciale di Milano e dei suoi bisogni accennasi appunto airimportanz-a dei fustagni. (17) Notai Liguri del sec. XII, vol. V, Giovanni di Guiberto, I, n. 627, 19 settembre 1203. (18) Solmi A., Storia del diritto italiano, Vallardi, Milano, 1930, pag. 403. (19) Chiaudano M., Contratti commerciali genovesi del sec. X77, Torino, Bocca, pag. 28. MERCANTI MILANESI A GENOVA NEL SECOLO XII 7 che si trattava di soci, ma non so se questa parola sia esatta ove venga adoperata nel senso odierno. Infatti, ciò che il Chiaudano aveva già notato, Guglielmo Oassiuese rubrica i propri atti sempre col nome di colui che dà il capitale, di modo che il capitalista figura effettivamente più come creditore che come socio, Giovanni di Guiberto rubrica anch’egli spesso così i suoi atti (20) o, se mette entrambi i nomi, quello del creditore vien messo per il primo (21) ; dal contesto poi del documento si nota sempre che chi porta il capitale si ritiene creditore nei confronti di'chi lo riceve a scopo di commercio. In conclusione i due soci non si trovano su quel piano di parità sul quale dovrebbero effettivamente essere se si trattasse di una vera società. In queste accomendntiones, che sono quasi il simbolo della più ampia attività genovese, i milanesi non restano assenti. Ecco Buonvassallo Barbavaira che il 28 agosto 1191 affida ad Oliverio Notula di Quarto centoquarantacinque libbre causa negociandi melius bona fide in Sardegna (22), il documento non ci dice in quale proporzione l’utile dovesse essere diviso poiché ci rimanda a ciò che doveva essere contenuto in una carta societatis che noi non conosciamo, in questo caso dunque il milanese affidava il suo danaro ad un genovese ; ma il 2 dicembre 1191 (23) è invece un milanese, Robino Roba, che riceve in accomendazione merce da Albertono de Vanzono onde negoziarla, non è detto qui per quale destinazione l’accomen-datio venga compiuta, ma poiché si parla di « in reditu » non sono lontano dal supporre che anche per questo contratto si pensasse a commerci trasmarini, anzi il fatto di non specificare il luogo potrebbe i essere indice della fiducia di cui godeva Robino Roba. Due documenti successivi ci possono tanto bene indicare l’intersecarsi di ai> fari che venivano sviluppandosi in Genova che ritengo opportuno riportarli in nota (24) : nel primo il Barbavaira riceve in società da (20) Per quegli «atti che ci interessano vedi i n. 681, 682, 720. (21) N. 561, 562. (22) Notai Liguri del sec. XII, vol. II, Guglielmo Cassinese, I, n. 917. (23) Notai Liguri del sec. XII, νο}. II, Guglielmo Cassinese, II, n. 1365, 2· dicembre 1191. (24) Notai Liguri del sec. XII, vol. V, Giovanni di Guiberto, I, n. 561 : « In nomine Domini amen. Confitetur Barbavaira mediolanensis se recepisse in societate a Rubaldo de Orto lib. CLXI, et Barbavaira ponit de suis lib. XXI causa operamdi et lucrandi in Ianua et in districtu Ianue causa mercandi tamdiu quod placebit dicto Rubaldo. Et predictus Barbavaira promittit predicto Rubaldo semper quando sibi placebit reducere et consignare in potestate eius vel sui certi missi proficuum quod Deus dederit cum capitali et salvo capitali cuiusque de proficuo debet habere Rubaldus duas partes et Barbavaira ter-ciam partem. Et omnes cartas factatas inter se et predictum Rub-aldum retro communi voluntate casant et vacuant. Et c'onfìtentur ambo quod de predictis libris sunt ille lib. XLV quas habet Ogerius de Cavalesi. Et dat ei licentiam dictus Rubaldus quod possit mandare per mare de predictis libris usque in lib. LXXXII cum predictis lib. XLY quas habet Ogerius de Cavalesi. Actum Ianue in volta heredum quondam Bertoloti de Volta, die XVI septembris circa 8 GIANLUIGI BARNI Rubaldo de Orto centosessantuna lire e lo stesso Barbavaira pone vent una lire del suo (indice chiaro questo di come il commerciante avesse bisogno di capitali in quanto spesso le sue capacità tecniche, ciò che avviene normalmente anche oggi, potevano non essere appoggiate su grandi basi economiche), ma nella società vi sono anche quarantacinque lib. « quas habet Ogerius de Cavalesi » : la società aveva per scopo di commerciare in Ianua et districtu lamie, ma il Rubaldo dà permesso al Barbavaira di mandare per mare fino ad ot-tantadue lib. ; una siffatta autorizzazione può stare aneh’essa a dimostrarci come colui che dà il danaro sia sempre raffigurato come creditore, dato che la decisione di impiegare una parte del denaro in traffici per mare non è presa da entrambi (come pure dovrebbe essere se i due fossero soci), ma appare come una licentia che il capitalista concede al commerciante. Nel secondo documento le cose si complicano ancora di più ; il Barbavaira e certo Sergio Scopulo fanno tra loro una società: lo Scopulo vi pone duecentotrentaquattro lib. che, dichiara, provengono dalla accomendatio che fece a lui Gerardus Pe-çus placentinus,delle cose che a sua volta a questi erano state date in accòmendazione da Iohannes Caçola e che erano di Leone Copula : il Barbavaira per suo conto pone in questa nuova società centoqua ranta lib. che erano di quella che egli aveva con Rubaldo de Orto e che abbiamo visto nel primo documento. Come si vede il giro degli affari cominciava ad essere ampio, accennante a quello che sarà il movimento commerciale dei tempi moderni. L’attività commerciale di questo Barbavaira era dunque abbastanza ampia : ma abbiamo ancora la possibilità di notare come questo milanese continuasse nei suoi traffici. medium die. Testes Primus Papa, Wilielmus de Lagneto, Rubaldus filius Petri de Porta » (16 sett. 1203). Id., n. 562: « In nomine Domini amen. Barbavaira et Sergius Scopulus de Sc-ala confitentur se fecisse societatem insimul in qua Sergius Scopulus ponit lib. CCXXXIIII et quas libras confitetur quod sunt de accomendatione quam fecit sibi Gerardus Peçus placentinus de rebus quas accoinendavit ei Iohannes Caçola et que fuerunt Leoni Copule. Et Barbavaira ponit de suis lib. CXL et quas confitetur quod sunt de societate quam habet cum Rubaldo de Orto. Cum hac vero societate debent mercari, lucrari in Ianua et in toto districtu Ianue causa mercandi. Ei quod possint mandare super mare de his libris usque in lib. C. Et dictam societatem debent tenere insimul usque ad festum sancti Ioh-annis junij proximum et antea si eis placebit et salvo capitali cuiusque proficuum quod in ea societate per medium debent inter se partiri. Jurant etiam ambo super sancta Dei Evvangelia predictam societatem salvare et custodire et augere bona fide et sine fraude et non defraudare ultra sol. V. Et habita carta Gerardus Peçus quam fécit Iohauni Caçole de dictis libris non teneatur sibi Sergius postea aliquid de predictis rebus. Et ipse Sergius confitetur quod Iohannes Caçola habet cartam super dictum Gerardum de dictis libris et si non habuerit predictam cartam promittit Sergius reducere res in potestate dicti Gerardi vel sui certi missi. Actum ea die et loco et hora » (16 settembre 1203). MERCANTI MILANESI A GENOVA NEL SECOLO XII 9 Il 20 settembre 1203 (25) il Barbavaira e lo Scopulo danno dieci lib. in accomendatio a Guglielmo Alvernia de Campo ed ad Oliviero Rubeus affinchè ne facciano commercio in Porto Bonifacio ed in Sardegna ; nel medesimo giorno (26) Rubaldo de Orto contraeva una nc-comendatio con Barbavaira e con Sergio Scopulo : si trattava probabilmente di questo, il Rubaldo doveva partire per POriente e allora i due soci gli affidavano trentasei lib. e sei soldi della loro società, dando al Rubaldo il permesso di portarli lino ad Aleppo ; in questo documento il guadagno per i due che davano il capitale veniva fissato nel quarto delPutile. In un altro documento vediamo il milanese Durbeto (27j portare in a cco mandat io ne del denaro e cioè unctias VI 1/2 auri de tarrenis et lis. duplos XIII avuti da un altro milanese Giovanni di Cerliano per trafficare in Alessandria. Questa vòlta è dunque un milanese a mettersi per mare con denaro di altri per recarsi a commerciare in quelle terre del Levante che vedevano Paspra lotta fra Genova e Venezia da economica e commerciale tralignare spesso in sanguinosa guerra. Fra costoro anche il milanese si intrometteva recandosi ben lontano dalla sua pianura lombarda, spinto dal desiderio forse di trovare lui stesso sbocchi per il suo mercato, per la sua produzione. Avendo visto probabilmente come i genovesi guadagnavano bene in quei lontani paesi era più naturale che anche qualche milanese, che forse da anni era a Genova, sentisse il desiderio di recarsi colà e vi si recasse causa negociandi. Fra questi documenti di accomendazione e di società ve n’è ancora uno su cui desidero intrattenermi. Siro di/Milano ed Alda sua moglie contraggono una societas con Maiolo di Doax (28) : l’interessante è che qui vediamo Maiolo mettere il denaro e Siro tutto il lavoro che potrà fare colle sue mani; è dunque un vero rapporto fra capitale e lavoro, ma non sotto forma di locatio operarum, bensì sotto quella della compartecipazione; il lavoratore doveva alla fine del contratto restituire al capitalista oltre il capitale il terzo di ogni utile che potrà ricavare. A garanzia del contratto Siro ed Alda danno una casa quam halent in civitate lamie; l’operato loro, essi dicono, fu fatto dietro consiglio di Giovanni de Portu Delfino e di Alberico Bergognone: questi consiliatores sono probabilmente richiesti dato che nel documento in quistione si impegna anche la donna, bisogna (25) Notai Liguri del sec. XII, vol. V, Giovanni di Guiberto, I, n. 681, 20 settembre 1203. (26) Notai Liguri del sec. XII, vol. V, Giovanni di Guiberto, I,. n. 682 20 settembre 1203. (27) Notai Liguri del sec. XII, vol. V, Giovanni di Guiberto, I, n. 270 23 settembre 1203. (28) Notai Liguri del sec. XII, Giovanni di Guiberto, I, n. 481. 10 GIANLUIGI B ARNI forse risalire per questo al diritto longobardo (20). Una curiosità può forse assalirci, quella di sapere quale lavoro avrà esercitato questo Siro, purtroppo il nostro documento è completamente negativo su questo argomento e noi non possiamo che avanzare l’ipotesi che si trattasse forse di qualche tessitore che dovesse fabbricare a Genova quei fustagni, quei tessuti che abbiamo visto essere uno degli elementi di maggiore importanza nelle relazioni commerciali fra Genova e Milano. Anche i documenti che riguardano cambi di denaro sono preziosi indici dell’attività commerciale dei milanesi nel campo specifico della moneta, potremmo dire nel campo della banca. Notiamo che i cambi sono sempre su Milano, nel senso che chi riceve il danaro in Genova, solitamente in denari genovini, si impegna a pagare l’equivalente in altra moneta a Milano ; vediamo cambi effettuati anche fra milanesi probabilmente per pagamenti che quelli residenti in Genova dovevano fare a Milano, così Anseimo Malcalzato contrae un cambio su Milano con Giovanni di Cerliano. anzi questo documento ci fa vedere come potesse funzionare un contratto di questo tipo (30). Anche quando uno dei contraenti non è di Milano, è di Como, di Piacenza il cambio è sempre effettuato su Milano, che resta quindi la piazza di riferimento. Lo stesso fenomeno notiamo per il rame in un documento del 1190 (31) dove Burcardo Teutonico dichiarava di aver ricevuto da Pietro di Bellacqua e Pietro Trenzando una somma e si obbligava a consegnare loro in Como sette migliari di rame d’Allemagna riferendosi al prezzo che un milia/rùm aveva in Milano. L'attività commerciale dei milanesi in Genova si estendeva anche (29) Edictus cetaraeque lana oh ardorum leges: Ttoth. c. 204; Liutp. c. 22, c. 29, Hanoverae, 1869. •30) Notai Liguri del sec. XII, vol. V, Giovanni di Guiberto, I, n. 61 : « Conn-tetur et Anselmus Malcalçatus se cepisse tot den. ian. ab Iohanne de Cerllieno unde ei dare promittunt lib. XLI et sol. XV et den. VI1II bonorum denariorum imperialium in Mediolano usque ad medium decembrem proximum et quas libras mutuant super Petrum de Vedano et super lohannem de Vedano pro lib. XLI 1/2 quas ei debebant dare usque ad festum omnium sanctorum proximum preteritum sicut continetur in cartis duabus inde factis unam per manum Oberti notarii et aliam per manum Iohannis notarii. Et si ita non atenderit omnes expensas et totum damnum quod pro bis libris recuperandis habebit a termino inde transacto ei restituere promittit. Et inde omnia sua bona ei pignori obligat et si non attenderit ut.supra Cortesius de Bernate promittit solvere pro eo ut supra et proprium et principalem debitorem se constituit. Et Et inde sua bona ei pignori obligat. Et de quibus libris debet Cortesius habere sol. LVII V2 ian. Testes Iohannes Suregonus, Ablaticus de Sexto, Anselmus de Solerio. Actum Ianue in stacione Wilielmi Ebriaci, die ultimo novembris » (30 novembre 1200). . (3i) Notai Liguri del sec. XII, vol. I, Oberlo Scriba da Mercato, n. 200, us ito* braio 1190. MERCANTI MILANESI A GENOVA NEL SECOLO XII 11 * . *tr\ camPi» così vediamo un Benedetto Fulcberato (32) vendere c ìoc i da zoccoli ad un Oberto che appunto faceva lo zoccolaio; ve-ìamo anche alcuni milanesi occuparsi del commercio degli schiavi, uitroppo la schiavitù nel tempo per il quale esaminiamo i no-s n (ounnenti era ancora viva; non solo si trattava di schiavi sa-ìaceni, per i quali si poteva pensare ad una forma di rappresaglia, ma anche di schiavi cristiani, di sardi soprattutto. Era la Sardegna in a i in tali condizioni economiche disastrose che i genitori erano spesso costretti a vendere i propri figli, non solo, ma le leggi che venivano applicate in Sardegna all'incirca in quest’epoca non dimo-sti a va no nessuna inclinazione verso quel favor libertatis che pure già si ritrovava nel codice di Giustiniano (33). Tn uno dei nostri documenti vediamo tre persone Ansaldo, Cicero e Oerardino, di cui le due ultime son dette di Milano, vendere a Gei ai do barbiere uno schiavo saraceno di nome Barca che essi avevano in solido (J4) ; ma in un altro dichiarano Malvestito da Milano e O uzzo da Frasso di aver già ricevuto da Guidone di Rezo per uno schiavo sardo (anzi il documento dice semplicemente sardus, poiché con questa designazione si intendeva dire uno schiavo, tragico destino di questa nostra fiera isola sulla quale pare pesasse ancora ij termine di sardi venales provocato dall’invasione romana) venti soldi, schiavo che doveva avere da dodici a diciotto anni. Guidone da Rezo a sua volta dichiara che alla consegna di tale schiavo avrebbe pagato altri venti soldi, si trattava dunque da parte di Guidone di un anticipo fatto sul prezzo della merce umana che i due soci dovevano recargli dal viaggio (35). < ome la colonia dei milanesi fosse abbastanza numerosa si può veliere anche dai molti che figurano come testi in parecchi atti: si noti che il numero di essi aumenta con l’avanzare degli anni, tanto che i più si trovano in Giovanni di Guiberto, cioè versò la fine del sec. XII e il principio del XIII. Anche questo può spiegarsi tenendo conto che dopo il periodo agitato delle guerre fra comuni ed impero, successe un periodo di relativa tranquillità, nel senso che chi non si interessava (Ielle lotte interne poteva occuparsi dei propri affari. Na- (32) Notai Liguri del sec. Xìl, vol. V, Giovanni di Guiberto, I, n. 531, 12 febbraio 1203. (33) ve(ii i documenti in I Condayhi di S. Nicola di Truiìas e di S. Maria di Honarcado « cura di E. Besta e A. Solmi, Giuffrè, Milano, 1937. Per le leggi usate cfr. Barm G., Il processo per « ostensio cartae » ed un recente docu-mento sardo, in « Arch. Stor. Lombardo », 1939. Per esempi di schiavi sardi nei docc. Renovesi v. : Oberlo Scriba da Mercato, n. 53 '26 Rennaio 1190), n. 164 (20 febbraio 1190), n. 208 (2 marzo 1190), n. 230 (8 marzo 1190), n. 588 (4 agosto 1190j, n. 739 (17 Riugno 1191), n. 821 (10 luglio 1191), ecc. (34) Notai ÌAfjuri del sec. Xìl, vol. V, Giovanni di Guiberto. I, n. 363, 12 agosto 1201. (35) Notai Liguri del sec. X/7, voi. 11, Giovanni Cassinese, I, n. 206, 12 febbraio 1191. 12 Gl AN LU) Gl BARNI turale anche era che la colonia milanese aumentasse di numero a Genova che rappresentava fin d’allora il naturale sbocco al mare del territorio milanese; il traffico d’oltre mare aveva rischi senza dubbio molto gravi, anche se nel 1196 Enrico imperatore aveva con una sua costituzione abolito Vius naufragi (30), ma dava anche guadagni più ampi di quelli fatti nelle zone di terraferma. Abbiamo notato l'intenso traffico di panni che esisteva fra Genova e Milano ed abbiamo a questo proposito ricordato l’importanza che siffatta industria aveva appunto in Milano ; non possiamo non rammentare come proprio i panni, oltre a tutto, potevano essere merce di traffico poiché come tali venivano considerati nel breve della Compagna di Genova del 1157 dove è detto : « (XXVI) Ecjo me scienter non adducam extraneos mercatores per mare ncque res eorum que sint contrarie nostris mercibus ah Arno usque Janwam qui adducant res ex terris sarracenorum que nostris mercibus sint contrarie et nisi sint res illorum hominum qui habitent a Portuveneris usque Viginti-milium, ncque accipiam de rebus eorum extraneorum mercatorum in extraneis terris pro quod debam ei dare Janue precium exceptis panno et ramo et stagno et ferro et coralio et his similia que non sunt nostris contraria.... ». (37). Questa disposizione anche se di qualche anno precedente al momento che noi abbiamo visto, può benissimo avere influito sullo sviluppo delle relazioni di commercio fra Genova e il retroterra. Questa mia nota non ha avuto che uno scopo, indicare come, anche in anni che non possiamo mettere fra i più tranquilli, la vita del commercio continuasse intensissima e come i mercanti milanesi si lanciassero, seguendo quello genovese, sulle vie del mare portando verso il Levante anche i prodotti dell’arte del tessuto e in modo speciale forse i loro fustagni. Da poco era cessato il rumore di armi per la contesa con Federico I ; ora i milanesi lavoravano per preparare quelle ricchezze, quel traffico che, sia pure tra alti e bassi, doveva portare Milano ad essere il vero centro d’affari d’Italia, i genovesi per rendere il loro porto il primo non solo d’Italia, ma anche del Mediterraneo. Le due città sorelle, le due città che nel lavoro vedevano il loro avvenire iniziavano così la loro marcia parallela. Gianluigi Barni (36) « M.G.H. », LL. sect. IV, n. 373, pag. 521. 37 Nicolai F., Contributo allo studio dei più antichi brevi della compatirla genovese, Milano, Giuffrè, 1939. LA POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE APPUNTI ED OSSERVAZIONI ( Gontin. e fine) ! RIME RELIGIOSE LATINE li A-30niTntiv .p0etici latini flel cod· Molfino’ judicati «imiti-e insulsi » da chi per primo pubblicò Topera volgare del Poeta π,Τη κίΓ /,tutti trascurati, anche dallo stesso Mannucci, il !n n a? 11M i-er la prima volta nell’appendice del suo lavo] o ( ) nuli altro di essi ci diede, se non un breve studio esclusiva-mente volto alla versificazione. Ammetto anch’io che tali componimenti non presentano originalità e che, tolti due non di soggetto sacro, appartengono indubbiamente, senza colore personale alcuno, alla innumerevole serie d’inni liturgici, di cui è ricchissimo tutto 1Γ Τ0’· ?’ m tale materia’ riPete all’infinito pressoché gli stessi motivi e le medesime forme. Ma se essi non presentano inte- 1 esse, considerati sotto questo riguardo, non li credo affatto trascurabili sia per la loro stessa vetustà, sia per i problemi che possono suscitare. 1 1< ondamentale mi sembra dover anzitutto affrontare la questione «lei presunto autore, dopodiché, premesse alcune osservazioni critiche sulla pubblicazione delle Rime offertaci dal Mannucci passero ad analizzare le Rime stesse sotto diversi aspetti Vero è che l’Anonimo conobbe, seppur in misura assai mediocre, il latino e le principali opere religiose volgari e latine in voga ai suoi tempi, cosa che ci risultò palese dall’analisi delle Rime «ià studiate e dalle sue stesse frequenti citazioni. Appartenendo il Poe ta alla confraternita di S. Caterina d’Alessandria, è facile che pro- (n) L'Anonimo genovese e la sua raccolta di Rime. Genova, 1904. 14 ANDREINA DAGLIO prio lì abbia acquistato una certa esperienza in materia ecclesiastica, poiché in queste confraternite si usava spesso di recitare in comune determinate preghiere, brani dell’Ufficio divino, ascoltare la lettura e i commenti dei passi del Vangelo, delle sacre Scritture^ cantare inni e laudi religiose. È quindi presumibile che al Nostro, frequentatore di tale ambiente, potè agevolmente derivare una continua reminiscenza di tali argomenti, da rimanerne pienamente imbevuto; ed è lecito supporre che egli qui poteva leggere e avere tra mano opere θ preghiere adottate dal clero, sì dà imprimersi nella sua memoria, per il sovente tornargli all’orecchio, le frasi più comuni e i passi più noti; acquistare, insomma, con facilità tutta quella varia, anche se non molto profonda cultura sacra che già in lui conosciamo. Onde non sarebbe del tutto improbabile pensare che, oltre alla composizione volgare, possa egli aver tentato quella latina, fors’anche conservataci in minor numero in questo cod. Mollino, nel quale per errore s’introdussero composizioni, sicuramente ad altri appartenenti. Ma se ciò è probabile, non è detto che si debba, come tutti fin qui sempre hanno fatto, ritenerlo per certo, ed accettare come indiscutibile sua produzione le Rime latine, che compaiono nel Moltìno. Il Mannucci (prima di lui abbiamo solo qualche accenno in proposito) vuole dedurre da qualche generica affinità d’argomento, e dal solo fatto che tali componimenti sono trascritti nel medesimo codice, ove si conservano le Rime volgari, ch’essi debbano cc senza esitazione » attribuirsi al Genovese. È noto, anzitutto, a quante e varie vicende furono esposti la più parte dei codici medioevali, ^ì che spesso non meraviglia affatto di trovare in uno medesimo riunite opere dei più disparati autori e non di rado anonime. Senza voler qui ripetere la descrizione del deplorevolissimo stato in cui fu trovato il nostro (15), ricorderò solamente che tutta l’opera poetica dell’Anonimo ci giunge da un unico e assai lacunoso manoscritto, certamente copia poco curata d’un originale perduto, copia che, oltre alla negligenza e all’ignoranza dei due copisti che la effettuarono, dovette certamente subire chissà mai quali vicende, dal momento che la prima parte di essa, attribuita al primo amanuense, fu riconosciuta d’epoca alquanto anteriore a quella del secondo. Quantunque al primo amanuense sia attribuibile la trascrizione dei primi sedici componimenti religiosi volgari, quella dei componimenti latini, e parte delle seguenti composizioni volgari, raccolte senza più ordine, nè cronologico, nè d’argomento, mi pare che la stessa strana intromissione di queste Rime latine tra le volgari, a tergo del f. XXV fino a più del mezzo del f. XXXI del manoscritto,, («5) Rimando alla pubblicazione del Lagomaggiore e del Parodi chi volesse avere un’esatta descrizione dello stato attuale del cod. Molfìno. LA POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE 15 pensare che il copista trascrisse, senza preoccuparsi, da codice già disordinato, o più probabilmente da fogli sparsi, sì da riflettere1 nel suo lavoro di copiatura, già tutto il disordine che suoie ciearsi in simili casi, p: non essendo il codice Molfino l’origi ΙπιμΪλ!™ i0pia ?s.sa\ malfatta e trascurata, non si potrebbe allora m-Fi! i' · T u raccolse queste composizioni latine e per il ÎLJ! L'Î1,0! 86 ° le aSSiunse al]e volgari, le credesse erronea-® 0 ta an°nimo? E questo dubbio mi sorge legittimo dal-ppni+„ ΓΘ. come. due di queste Rime latine, contenute nella =’,8ΐαη0 Slcuramente da attribuirsi ad altri autori, e preci- SvTa im 'TS. f ·Λα 8· Β*ΉΙ.(“· uel 1157)) ο a Filippo di ι· ’ a ^a^ma XXM a Giovanni Peckkan, arcivescovo di Canterbury (m. nel 1293), secondo il P,liime e il Ürewes, o a S. escluderà? nel 12^) secondo il Chevalier. Oltre a questi da SîinÜ yyVt°t °Seì’ei 'e COnie molto dubbio pure il componimento onesto Sin 'r ,I anCt" beate VbSine » l10ichè “i risulta che 2i ®° Vinctus compare più completo di ben cinque strofe, ÌSÌ'π ? n™erose e notevoli varianti nel cod. Guelfenbut-teran. 1385 Helmstadiens. 1277, del sec. XV, codice la cui storia ci è sconosciuta. Dato che il planctus tramandatoci dal manoscritto geimanico può risalire (Ic) per la data della sua originaria composi- attHhiriL ein?|Ca o0nte“P°ranea 0 anteriore a quella comunemente attiibmta alle Rime latine del Molfino, e malgrado il suddetto planctus, artisticamente considerato sia notevolmente migliore del genovese pure tali e tante sono le corrispondenze e le uguaglianze dei due tramandatici rispettivamente dai codici in questione, da dovei si senz altro ritenere entrambi derivati da una medesima fonte, i a e lecito qui domandarci, come mai questo solo tra i componimenti latini finora attribuiti aH’Anonimo di Genova, compaia isolato in quest unico codice germanico, per la qual cosa non sarà del tutto improbabile, ammettere ch’esso sia da attribuirsi ad altro autore, come già fu accertato per quei due precedentemente accennati. poiché certamente due di questi componimenti appartengono ad autori diversi e a età diverse, ed anche il planctus mi pare susciti con ragione dubbi circa la sua attribuzione al Nostro, non si potrà torse pensare che queste Rime latine, intromesse così stranamente nel mezzo delle volgari, in quest’unico codice genovese, debbano costituire una specie di raccolta, o meglio un residuo di raccolta d inni religiosi vani, introdotti per chissà mai quali vicende nel-l'opera del Poeta? (16) Il Chevalier nel suo Repertorium hijmnologicum, edito fra il 1872 e 1920, attribuisce a torto questo planctus al secolo XV, mentre è ovvio che" la mera inclusione in un codice di quel secolo, non implica che debba ascriversi al secolo stesso. 16 ANDREINA D AGLIO Nè io direi col Mannucci che questi componimenti latini « possono recarci chiara luce alle poesie genovesi », sia perchè bisognerebbe poter dimostrare anzitutto cli’essi appartengono senza dubbio al Fautore stesso delle volgari, sia perché, se in alcuni si trovano soggetti trattati già nelle Rime dell’Anonimo, per la grande popolarità di questi argomenti si può obbiettare ch’essi non rappresentano affatto un patrimonio ed un carattere esclusivo d’un solo ed unico autore, bensì di tutta la letteratura medioevale.. Così il tema di lode a S. Margherita, quello del pianto della Vergine presente alla croceiissione del Figlio, che troviamo nelle comp. lat. IX e XXVII rispettivamente e nelle volgari ri. XIII e XIV, è terna continuamente trattato in mille modi da tutti i poeti religiosi dell’epoca, nè trovo nulla in esso che particolarmente accenni a fattura d’un medesimo autore. Anche il passo di S. Beda, trattato dall’Anonimo in rima volgare e latina, non implica che l’autore debba essere iì medesimo, poiché tale passo è uno dei più comunemente commentati, nè alcuna corrispondenza sostanziale corre tra il componimento volgare e quello latino. Quanto, poi, alle due composizioni latine di soggetto non religioso incluse fra queste, nessun ostacolo esse muovono alla probabilità della mia opinione, perchè nessun riferimento caratteristico o storico in esse compare, che le ricolleghi intrinsecamente ad una sola delle Rime volgari. Noterò subito, al contrario, — cosa che in seguito avrò agio di meglio dimostrare, — che osservando la* versificazione e la composizione di queste Rime latine, sembra di poter individuare, specie tra alcune di loro, una non trascurabile diversità, sì da inclinarci a crederle piuttosto prodotto di autori e di età diverse, anziché di uno solo. Infatti, la versificazione della lat. XXXIV presenta un tipo nuovo e mai usato in alcun’altra poesia latina o volgare comunemente attribuita aìl’Anonimo, tipo, come fu detto, foggiato sulla ballata tosco-bolognese, e quindi di epoca certamente assai più recente della più semplice e rozza versificazione che compare in altre di queste stesse rime ; ond’io sarei più cauta nell'affermare, come fa il Mannucci, che proprio essa rappresenti l’introdursi di forme poetiche nuove nella poesia del Nostro. Questa versificazione mi sembra, al contrario, troppo contrasti con quella, ad esempio, della strofa o della poesia tutta monorima, che pur in queste composizioni troviamo, per poterla attribuire ad uno stesso e unico autore. Così pure le comp. lat. XIII, XIV, XIX ecc. sembrerebbero di autore più arcaico e meno abile di quello che compose le lat. XXII, XXVII, XXXIV ecc..., nelle quali la rima meno forzata è più ricca e complessa. La stessa osservazione si potrebbe estendere quanto alla abilità espressiva, allo sviluppo ed alla concatenazione dei concetti svolti dal Poeta, contrastando la oscurità e la difficoltà di alcune composizioni, con la maggior chiarezza la POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE 17 copista^ di altre’ pur tenendo conto degli eventuali errori del vare^l Jhhi1*!! finora· ho esposto credo, dunque, legittimo dover solle-autore indiSmfCa 1,a*J:ribuzi0Ile di queste Rime latine all’Anonimo, riflette con 16 qUaU COntrai'iamente si noet-i Rìmo+f Uenza la fattura e la concezione di' un medesimo che l’ai™ S ° PemÒ al]° ‘studioso la scelta di seguire sia l’una chp la ηϊΓι P?mone> non volendo io completamente distruggere an-P U antica, passo ora brevemente a considerare le Rime stesse. dal^Mamw^· biso^“a notare che la pubblicazione di esse offertaci ! > 6 che.vorrebbe essere «diplomatica,), richiederebbe - revisione per eliminare non pochi errori incorsi. I S lavoro + ove scrivo, e il carattere generico dèi Soni 7Z ’ Z ::ietan° dl f0rnire un elenco completo delle corre- maSriale Z T mesa?ezze clle riguardano, sia la trascrizione materiale del codice, sia l’errata interpretazione del medesimo. Basterà qui dare solo qualche esempio. A pag. 239, comp. VII v. 2 o.hifleSpÎtnS/nSUle >}’ Ü tarÌS è errat0’ Uggendosi nel manoscritto culaiamente. tarsis, parola tolta dalla frase del salmo 72; a pag. A ’ V‘ 13 „(< S°8'ls pompis et terrenis», il sogi.s dal Man-•1 corretto regis è invece gasis, come risulta da accurato esame a PaS* 245, comp. XI, v. 20 « Emunda ne omni crimine », il Mannucci proporrebbe me anziché ne, ma nel manoscritto leggesi « emundans omni crimine » ; a pag. 248, comp. XII, y. 31 e veniam si perceperis », il manoscritto reca « vivam si peperceris^; a pag. 265, comp. XXVII, v. 11 «dans jovenem filium», il eoa. da con evidenza jolvannem, come pure nel Guelfenb. ; a pag. 267, comp. XXX, 4 « In manus tuas commendo spiritum meum», il Mannucci tralascia dopo tuas la parola Domine, che però trovasi ne i o no, a pag. 271, comp. XXXIV, v. 33 « A sentia dura », il Mannucci propone in nota la correzione scientia, mentre dal contesto della composizione « A sentia dura — tuere nos ne tradat in obscura », risulta evidente doversi interpretare la parola sentia in sententia. Dirò inoltre che solo trentuno sono i componimenti latini finora posseduti, seppure attribuibili all’Anonimo, poiché, tolti i due sicuramente non suoi, e quello da me creduto assai dubbio, bisogna riconoscere nelle XXII θ XXIII, dateci distinte nella pubblicazione del Mannucci, un’unica composizione. Infatti, il componimento XXII dal medesimo creduto erroneamente mancante, non è che la prima parte del titolo della seguente composizione, dovendosi pertanto leggere così il titolo completo : « Verbum beati Iohannis in Apochalisse. 18 ANDREINA D AGLIO Optimum ad laudandum Deûm ineffabilibus beneficiis eius, que di-stinguntur ut infra » (Comp. XXII secondo il Mannucci) « Benedictio et claritas et sapientia. Gratiarum actio : honor, virtus et fortitudo Deo nostro in secula seculoruni » (comp. XXIII secondo Mannucci). Di queste composizioni, alcune si debbono con sicurezza ritenere solo frammenti come la I, XVIII, conclusione di precedenti strofe, la XXXII ; e lo sono, molto verosimilmente, pure la XXVIII, XXX, troppo brevi, anche se hanno senso compiuto, per formare una completa composizione. Ritengo, poi, trattarsi con ogni probabilità d’un’unica composizione le XI, XII e le III, XIX per quanto dirò di loro trattandole. Per la- lingua latina affermerò che essa si presenta qui non diversa da quella comunemente usata dalla liturgia cristiana di questo periodo, che, come sappiamo, è di generale decadenza, anche se qualche erudito come il Balbi e il Da Varazze si distinse dalla turba di tutti i mediocri, alla· quale senz’altro è da ascriversi il compositore o piuttosto i compositori di queste Rime. Non mi sembra necessario dover ripetere o aggiungere altro sulla versificazione a quanto già fu detto dal Mannucci nella prefazione della sua pubblicazione. Solo insisterò qui nel notare come il processo formativo della strofa, o più propriamente, come egli dice, « della frase melodica » e Fuso della rima in alcune composizioni sia assai più semplice che non in altre. Più complessa questa formazione si presenta, infatti, nei ritmi chiamati dai trattatisti e dal Garlandia « composti », dei quali il Mannucci distingue tre diversi tipi, nelle rime latine di cui trattiamo. La differenza risulta subito palese se si confronta, ad esempio, la comp. XIV, tutta monorima in -um, o la comp. VII a strofa monorima con la comp. II, composta di tre « distinctiones » quadrispondaiche e di una cauda giambica, sempre in quarta sede. Comp. XIV : Christus qui regis fìlium sanavit in Capharneum a cruciatu febrium det se(t) nobis propicium. Comp. VII : Ut naciones singule reges tarsis insule mentis affecti (s) sedule offerte ehristo munera. Comp. II : Antiquatus in peccatis blando ectu perpetratis cursum vite brevitatis deviando tenui. la poesia religiosa dell’anonimo genovese 19* scontro nello m ?1U comPlesso di versificazione non trova ri-rietà di rima la™? gan dell’Anonimo ove, se maggiore è la va-alternanrln«i ή toimazione strofica non è mai nettamente fissata,. una stabile dimov^^ ^ a Vei'SÌ più brevi senza DoÌ^ferilrÒ °ra a parIare di (lue]Ii che Sfinii frammenti, lipvn ro eh essi non presentano caratteristiche degne di ri- relioios:i ΖΖΙΛ TVeCe riunire tra loro gü altri componimenti latini rinvìi en ln questo codice, seguendo come generale crite- compositivoiaZ10ne’ 16 affinità di versificazione e di svolgimente trir^Tv* ^'vvv? S* Presentano i due mediocri componimenti esame-x\x Z 6 AXX1· Le composizioni III, XIX, XXY, XXVIII χχιχ rii λ,· 7^f+ner + · lscret.e> hanno verso più lungo perchè composte coninosi yiorr vtTtt giambiche alternate con due spondaiche. Le noX Z I ’ J1’ VIII> XVII> XXIV> ΧΧΧΠΙ hanno strofe mo-rattpH +7. i versi. ce,. medesima lunghezza ed alcune rivelano ca-,. . 010 simili. Versificazione più complessa e in genere mi-f v°v'v /nSCOn,tra nelle composizioni IX, XI, XII, χνΐ, XXI, XXII / . j yyv r eriamo come isolate la XX, che ha versi rimati a due ?hP fa’ m , vaTv P0.di ballata; la XIV tutta monorima. Noterò rnmnnsitiiTQ6 & ^ c.itate’ simili per versificazione e affinità P ’ senz altro derivano da un medesimo autore, e se non osse la disparita dell’argomento trattato, si potrebbero ritenere . 11 un umea composizione. Si osservi, infatti, in entrambe per-s no la ripetizione identica dei due seguenti versi : Kit mihi propieius pietate plenus bum mi patris filias ihesus uazarenus. La comp. XIX, contrariamente alla III. che ha senso compiuto e oscura e sconnessa nei concetti, non già per diversa abilità del i*oeta, ma per sicura lacuna di trascrizione dato che nel manoscritto i primi quattro versi sono separati dai seguenti mediante- spazio lasciato in bianco, ciò che rafforza l’idea che si tratti solo di un frammento. Affini sopratutto fra loro sono le rime VII, Vili, XI, XII per essere più o meno tutte ricalcate su versetti tolti dai salmi. La VII riporta al verso 2 una frase del salmo 72 applicata dalla Chiesa ai tre Re magi, che vennero ad adorare Gesù, e su questa tutta s’impernia. Nella Vili tutte le strofe hanno nel quarto verso le prime parole dei singoli versetti che compongono il salmo 2, recitato nell’ufficio della domenica e in altre feste dell’anno, e dà di esso una. 20 ANDREINA DAGLIO chiara parafrasi. Le composizioni XI e XII costituiscono, come già dissi, un unico componimento, poiché la XI ha undici strofe ciascuna delle quali comincia con una parola di quelle che compongono il primo versetto del salmo 80 « Deus in nomine tuo salvum me fac et in virtute tua judica me ». Di notevole osservo che all’inizio della strofa ottava è scritto qui veritate, che non può stare per le leggi del verso, mentre il virtute dato dal salmo, starebbe benissimo sia per la quantità sillabica, che per il senso, onde crederei che si tratti di evidente errore dell’amanuense. II. componimento XII ha nove strofe e tutte parimenti cominciano con una parola del secondo versetto del medesimo salmo 80 « Deus exaudi orationem meam, auribus percipe verba oris mei». Sono, quindi, queste due composizioni una parafrasi dei primi due versetti. Anche la comp. XX, che per la versificazione considerai isolata, per argomento rientra nel novero di queste che parafrasano versetti dei salmi. Essa commenta le parole di David nel salmo 118, v. 60 «Paratus sum et non sum turbatus». L’autore si rivela qui migliore, e nell’intènto di far risaltare l’antitesi tra il paratus del profeta e il turiatus del poeta, vi riesce con logica unità e connessione di concetti, non prive persino di un certo impeto lirico : Cur non dispono cor ad id Quod dixit in psalmo David Rore celi perlustratus Paratus sum, non turbatus? Ecco subito dopo quest’invocazione delle parole di David, l’introspezione profonda del Poeta nel suo animo che, contrariamente al « rore celi perlustratus », appare « sorde plenus » e nel contrasto acquista risalto la miseria del suo stato : Ego autem sorde plenus Pauper nimis et egenus, In terrenis excecatus, Sum turbatus, non paratus. La costatazione dolorosa del peccato porta come logica conseguenza l’immagine della « turbam perversorum » alla quale si è trascinati dalla « funes peccatorum » la tradizionale espressione ecclesiastica. Ma nell’ultima strofa il timore del peccatore « malis tantis irretitus» si risolleva con la fede alla speranza della salvezza: t Sed quia Chrisi-i in nomen gero De salute non despero, Cuius opem corde vero Si requiro, salvus ero. la POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE 21 Breve composizione, come si vede, ma legata nelle idee con discreta arte, il che non in tutte queste Rime si può lodare. Si distingue da questo tipo la comp. XXXIII, dedicata alla Vergine Maria. Copiosissimi in essa i soliti tradizionali epiteti e, a guisa· delle litanie, non vi si trovano altri motivi che quelli d’invocazione laudativa. Mediocre, quindi, sia per lo stile che per la versili cazione, e anche poco elegante nel frasario ; questi difetti possono, però, esser derivati dalla legge prefìssasi dall’autore di usare per ogni strofa parole che incomincino ciascuna con la· stessa lettera. Da notare un’altra singolarità di questa composizione, e cioè che l unione delle iniziali dei versi delle singole strofe danno la parola Maria. La comp. XXV è un inno alla Madonna, il quale, senza originalità di sorta, può stare a fianco di tanti altri composti nel medioevo, che presentano pressappoco, eccettuate le abbondanti scorrettezze grammaticali, lo stesso carattere di versificazione e svilupf)0. Ugualmente si dica, quantunque divergenti nel tipo di versi adottati, per le comp. IX, XVI, XXI, XXXV tutte quasi del medesimo stampo, ma delle quali la IX e la XXXV sembrano aver maggior legame tra strofa e strofa della XVI e della XXI. La comp. IX « de sancta virgo Margarita » nelle strofe seconda, terza, quarta, quinta accenna al martirio della Santa, e passa poi con la strofa sesta al tema del semplice inno invocativo. La comp. XXII, come avverte il titolo non compreso dal Mannucci, parafrasa un brano dell’Apoca-lisse di S. Giovanni. Qui l’autore ha saputo ricavare dalle singole parole del brano, non senza eleganza ed una giusta valutazione, una serie bellissima di concetti, i quali descrivono l’intera vita del Salvatore fatto uomo, dalla concezione nel seno di Maria alla discesa dello Spirito Santo. Benedictio, quando la Vergine ricevette la benedizione celeste « Ave gratia piena », per la cui virtù si operò la concezione : Benedictio patuit Cum virgini se prebuit Verbum, quo vox insonuit: Ave plena gratia. Claritas, esprime molto bene la sfolgorante luce portata al mondo dalla nascita del Salvatore in quel verso « Et nox in diem vertitur », seguito da « ut cedat miseria » : Claritas tunc exprimitur Cum natus Christus mititur Et nox in diem vertitur Ut cedat miseria. 22 ANDREINA DAGLIO Sapientia, quando la sapienza divina si fece palese con la sua dottrina e predicazione evangelica accompagnata da miracoli : Sapientia claruit, N Doctrina quam exhibuit Et moribus; et docuit Protendens insignia. Gratiarum actio, la Passione di Cristo per il nostro riscatto : Et gratiarum actio Ejusdem fuit passio Promittendi lata precio Et culparum venia. Honor, il manifestarsi della sua resurrezione : Honor est resurrectio Extincto mortis gladio Ut ductos ab exilio Statuat in patria. Virtus, la gloriosa ascensione: Virtus fuit ascensio Motu peracta proprio Non alius suffragio Sed mira potentia. Fortitudo, la fortezza manifestata dallo Spirito Santo, quando, discese nel cenacolo sugli Apostoli e sulla Vergine : Fortitudo fit celitus Dum mittitur Paraclitus Qui lustrans corda spiritus Dat loqui magnalia. Anche questa composizione, sia per la quasi impeccabilità della versificazione, sia per la limpidezza dei concetti espressi e la logicità della loro concatenazione, è da ritenersi una delle migliori di questa raccolta. * * * Dalla breve analisi di questi componimenti risulta, dunque, evidente — il che già accennai in principio — commessi rientrino, per le loro linee generali, nell’innumerevole e comune serie degli inni laudativi, delle preghiere, e delle composizioni ad argomento religioso, conservateci nelle numerose raccolte innologiche latine del tempo. Mancano, anche i meglio concepiti e svolti, di quella nota originale e caratteristica che li determini di un particolare stile. Vi si trovano le stesse forme espressive, lo stesso frasario quasi LA POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE 23 stereotipato del lessico ecclesiastico, la medesima abilità composi-ìva fredda per lo più e incolore, seppure a volte meglio riuscita pei o svolgimento e per la versificazione meno forzata. È sempre la « essa arte di tutti gli innologhi medioevali, i quali scrivevano facendo opera più di paziente mosaico, con tutte le loro continue reminiscenze di frasi fatte e d’idee tradizionali, che opera di getto, in cui apparisca una qualsiasi individualità. Nul l’altro quindi essi C1 . , **no. c e Pr°va di una buona conoscenza di materia religiosa, poiché si trae continuamente argomento ed espressioni dal Vangelo, - i, breviario, dalle preghiere e dagli inni più usati, altro che una paziente ricercatezza d’artifici e di arzigogoli per comporre versi sui versetti dei salmi, sulle parole delle sacre Scritture, e per parafrasarle, o per combinarle talvolta con abili acrostici. Tutti accorgimenti questi che, seppure li troviamo anche nelle rime volgari dell Anonimo, non ci dànno però una prova chiara della sua personalità, perchè li possiamo ugualmente rinvenire in mille altri scrittori e poeti del tempo, giacché sono conformi al gusto lette-rano d una età e non di un determinato poeta. Tale essendo il carattere di queste Rime ed infinite, altre che posse ìamo, non è quindi cosa facile stabilire unicamente dall’osser-vazione eg 1 argomenti, dei concetti, del metodo e dei mezzi compo- attribuirsi esclusivamente all’Anonimo, anziché ad altri. Oltre alle ragioni all'inizio esposte, l’aver poi notato m esse una certa differenza di composizione, una più o meno facile trattazione del verso, e qualche, sia pure tenue, pregio artistico, non in tutte ugualmente reperibile, m’inclinerebbe a crederle opera piuttosto di compositori vari che di un unico poeta, Andreina Daglio PER LA DIGNITÀ’ E LA SERIETÀ’ DELLA CEITICA Già varie volte sulla Rivista Inganna e Intemelia, Nino Lambo-glia, con la sua- consueta disinvoltura, è partito lancia in resta, come il grande eroe di Cervantes, contro il nostro Giornale, colpevole di esercitare liberamente la critica anche sulla sua produzione scientifica o che si presume tale. Secondo il giovane esuberante amico ho la colpa assai grave di pei mettere ai collaboratori di criticare saggi editi nell’organo della Sezione Ingauna e Intemelia della R. Deputazione di Storia Patria, ciò che costituisce un grave scandalo. Egli sarebbe sino ad un certo punto dalla parte della ragione se la rivista da lui diretta fosse veramente organo della Sezione ; nel fatto essa non è che il suo organo personale, redatta quasi esclusivamente da lui, con intenti in buona parte apologetici dell’opera sua. L’esperienza di sette anni ci autorizza a fare questa evidente constatazione, dalla quale consegue esser troppo comodo che egli si giovi della R. Deputazione come schermo a ogni critica molesta sulla sua attività, schermo, in realtà, non accettabile e che fa il paio con un’altra amena pretesa* di taluni studiosi i qujili, pretendono, a loro volta, perchè pubblicano i loro saggi negli iiV ·?· ?" ?eputazione’ di essere> sol° Per questo fatto, al sicuro dalle critiche di questo nostro Giornale, che è la voce di tale istituzione soltanto però nell’accezione che a questo termine fu dato a questo vocabolo dallo stesso suo presidente su queste colonne, or non è molto tempo. Ora è bene chiarire una volta per sempre questa situazione equi-\0(.i i ttorna c i a me diretto, è ed intende essere non una voce personale di chi la dirige (i lettori sanno che la mia firma brilla per la sua assenza perchè non mi piace togliere lo spazio tanto prezioso ai collaboratori) ma una libera palestra aperta a tutti coloro che intendono di portare un serio contributo agli studi storici e letterari ita ila ni, nell ambito della Liguria; libera palestra che accoglie an- vìril 'J n!?· Γ re.b,!e essere 'tersamente — la critica storica, lette-rana ed artistica intesa, nel senso letterale della parola e non come PER LA DIGNITÀ E LA SERIETÀ DELLA ÒRITICA 25 la compiacente esaltazione di congreghe o di interessate amicizie ; critica che si ispira ad un concetto di serietà e di dignità, d#, cui non intendo, sino a che avrò l’onore di dirigerla, che si devii. Si rassegni quindi l’amico Lamboglia a questa ineluttabilità : per lui, come per tutti, rivendico il diritto e l’onere di esercitare e di far esercitare la critica, incurante delle reazioni che essa potrà suscitare. La via delle lettere, se ancora non lo sa (non ricorda egli che « è permesso di cadere a chi cammina,·ma non a chi salta »?) è tutt’altro che facile e piana. Arturo Codignola RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Jacopo da Voragine e la swa Cronaca di G-enova dalle origini al 1297. Studio introduttivo e testo critico commentato di Giovanni Mon- leone. Roma, Tip. del Senato, 1941-XIX, di pagine complessive 1225, con 10 tav. f. t. Non v’è grande figura storica che non sia stata variamente giudicata dagli studiosi, a seconda delle vicende politiche o delle tendenze filosofiche e culturali. A questo destino non poteva sfuggire Jacopo da Varagine, frate domenicano, teologo, oratore, agiografo e storico, morto Arcivescovo di Genova nel 1298. Quest’autore dopo aver goduto un tempo fama europea, era dal sec. XVIII caduto in discredito, presso i dotti, sotto i colpi di un razionalismo audace che mentre affermava di volersi attenere alla fedeltà storica, in realtà minava i valori dello spirito in tutte le loro manifestazioni, non escluse quelle delle arti e della poesia. Contro una simile tendenza, e in difesa di frate Jacopo, si levarono di tempo in tempo uomini valenti, italiani e stranieri, ma l’opera loro non raggiunse lo scopo, sia per mancanza di preparazione adeguata, sia per le resistenze che opponeva lo spirito laico dominante, poco incline a tutto ciò che sapesse di ecclesiastico. L’onore di rivendicare in pieno la gloria e la grandezza di Jacopo da Varagine è toccata ad un genovese, Giovanni Monleone, ben noto nel campo degli studiosi per altre sue pubblicazioni. Qui basterà ri- ' cordare la sua opera monumentale su Colombo, edita in cinque lingue dal Municipio di Genova, e la traduzione, o meglio riduzione in bella forma italiana, degli Annali latini di Caffaro e continuatori, in nove volumi. Irto di difficoltà si presentava questo lavoro su frate Jacopo. Si trattava di ricostruire nel suo ambiente storico e culturale una delle più grandi personalità del Medio Evo. La sua Legenda aurea formò un tempo la delizia di intere generazioni ed ancor oggi, dopo essere stata fonte d’ispirazione agli artisti del pennello e dello scalpello, gira il mondo in belle traduzioni italiane e straniere. Ma non a questo solo campo agiografico si è rivolto lo studio diligente e sagace del Monleone, il quale ha fatto oggetto di speciale esame proprio la parte più discussa e meno nota di questo autore, cioè la sua Cronaca di Genova. Di questa esistono numerosi esemplari mano- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 27 scritti, nelle biblioteche d’Italia e d’Europa, ma tuttavia essa può cirsi inedita tino ad oggi, giacché l’edizione che ne diede il Mura-ori nel tomo IX dei Rerum italicarum scriptores si riduce a mala pena a un terzo dell’opera. Un’edizione critica era dunque vivamente -1 studiosi e per assolvere degnamente questo compito il Monleone non ha risparmiato ricerche, dedicandovi ben dieci anni d intenso lavoro. L· nata così quest’opera in tre volumi, editi dall’lsti-u o s orico italiano per il Medio Evo, nella serie Scrittori, sec. XIII. il primo volume comprende un ampio studio introduttivo sulla vita e le opere di frate-Jacopo, dove si ribattono errori diventati tra-ìziona 1, si affermano verità nuove, come l’origine genovese del Da Varagine, si sceverano le opere genuine dalle spurie, con una dottrina sicura, esposta sempre iu forma attraente. Il volume termina colla descrizione dei 43 codici che contengono la Cronaca, lavoro nuovo, che basterebbe da solo a raccomandare quest’opera del Monleone all’attenzione dei (lotti. Per giungere a questi risultati egli ha dovuto esten-‘ eie le sue indagini a tutta la vita e la cultura medievale, e non poteva essere altrimenti, giacché frate Jacopo, poligrafo indefesso, dotato di portentosa memoria» assommò in sé, già prima di Dante, la cultura di quei secoli oscuri, si che il suo nome deve a buon diritto essere collocato accanto a quello dei grandi enciclopedisti medievali Isidoro di Siviglia, Pietro Comestore e Vincenzo di Beauvais Gran secolo davvero fu il 1200 per Genova ! Non solo esso segnò l’apogeo della sua potenza sui man del levante ma anche nel campo degli studi lasciò nomi illustri, come quell’Jacopo Doria, intrepido continuatore degli Annali e delle tradizioni di Caffaro, il gruppo dei poeti che sotto il velo dell’Anonimo ci lasciarono le prime tracce scritte della poesia genovese, fino a quel Balbi, autore del Gatholicon, il primo grande vocabolario latino, che fece testo per molti secoli Il testo critico della Cronaca di frate Jacopo costituisce il secondo volume dell’opera del Monleone. Basta dare un’occhiata alle note per comprendere quale mole di lavoro esso rappresenta. È stato detto, e con fondamento, che da molti anni non usciva in Italia un’opera storica così completa, dal puuto di vista artistico e critico. Il Monleone ha preso come guida della sua edizione il Codice che esiste presso l’Archivio di Stato di Genova, aggiungendo però in nota le varianti di ben altri quattro codici. Né questo è tutto. Frate Jacopo presentava per uno storico di professione una difficoltà speciale. Il libi o infatti non è tutto dedicato a notizie storiche, ma contiene per una buona meta insegnamenti didattici e morali per il miglior governo dello Stato, e sui doveri dei cittadini nella loro vita^privata, familiare e pubblica. Il buon frate, salito sulla cattedra di S. Siro nel 1292, ha voluto lasciare ai suoi concittadini, come un testamento, quest’opera in cui unisce bellamente amor di patria e di religione, è nell’unione di questi due amori fonda una dottrina dello Stato, dove. 28 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA con intuizione felicissima, anticipa qua e là principi che solo oggi hanno avuto pratica e quasi universale applicazione. Ma un’altra difficoltà v’era da superare. Questa Cronaca, anche dove corrisponde al suo nome e dà notìzie storiche, contiene leggende, anacronismi, lacune, inconvenienti questi che già avevano irritato il Muratori, e lo avevano indotto a far tagli senza pietà sul testo originale. Il Monleone, dopo avere scagionato il Da Varagine di questi errori, attribuendoli più che a sua negligenza e mancanza di critica, ai gusti del tempo, interviene opportunamente in una nuova serie di note per rettificare gli errori, colmare le lacune, accostando i fatti fra di loro in modo che s’illuminino e s’integrino a vicenda. Così il lettore illuminato e guidato, ha modo, in quel materiale fiabesco che abbonda nel Da Varagine di conoscere lo spirito e la mentalità del suo tempo. Ma il Monleone va ancora più in là ; ricerca e scopre le fonti di queste leggende, citando opere e autori anche stranieri, facendo insomma opera .completa anche dal punto di vista letterario. Per dare un esempio di queste ricerche del Monleone porterò un solo esempio. Frate Jacopo cita a un certo punto della sua Cronaca lo scrittore greco Aureolus. Chi sarà quest’autore? Ecco un problema più difficile che non quello di Cameade di manzoniana memoria. Ebbene il Monleone ha risolto anche questo caso, ed ecco come. Nel libretto di S. Gerolamo De nuptiis è. citato un « aureolus Theophrasti liber ». Il Da Varagine, leggendo questa frase in un codice, forse non fece attenzione al segno di abbreviazione finale, e lesse « Aureoli Theophrasti liber ». Siccome la letteratura greca era poco nota a quel tempo, il nostro domenicano prese quelV Aureolus per un cognome di persona e come tale lo adoperò per indicare Teo-frasto. Le note del Monleone assumono di tanto in tanto ampiezza notevole, là dove trattano di punti controversi di storia genovese y allora esse si richiamano ad autori speciali, e costituiscono, senza averne l’aria, una preziosa guida per chi studia la storia genovese antica. Il terzo volume comprende una triplice serie di indici: a) indice onomastico della Cronaca; l·) indice onomastico del Commento; c indice bibliografico generale dei 301 manoscritti e delle 455 opere a stampa consultate. Questi indici non solo facilitano la consultazione dell’opera, ma ne mostrano in un colpo d’occhio la vastità e l’importanza per tutta la storia della cultura medievale. Mentre si stampano queste righe compare il vol. X degli annalisti continuatori di Caffaro nella traduzione italiana del Monleone. In esso trova posto anche la Cronaca del Da Varagine, ma limitatamente a quelle parti che sono veramente storiche, e che s’incuneano, per così dire, tra il 1293, ultimo anno a cui giunse Jacopo D’Oria, e il 1297. Ma di questo volume e degli altri che seguiranno colle Cronache dei due Stella fino al 1435, il nostro Giornale parlerà RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 29 a suo tempo. Conchiudendo Giovanni Monleone coi suoi tre volumi su Jacopo da Varagine ha fatto opera grande di studioso e di cittadino. Ha rivendicato dall’immeritato oblio una gloria genovese ed italiana, ha dato un contributo notevolissimo agli studi medievali. L’opera sua resterà come un modello del genere per la diligenza nelle ricerche, per l’acume nella critica, per la grazia letteraria nell’esposizione, e piace che questi insegnamenti ci vengano impartiti in Genova, una città che molti considerano ancora come unicamente in- * tenta ai guadagni materiali, mentre essa non è seconda a nessun’al-tra città italiana nell’agitare e risolvere i problemi dello spirito e della cultura. Umberto Monti λ^ιτο Vitale, La diplomazia genovese. « La diplomazia italiana ». Collezione diretta da Carlo Morandi. Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano, 1941-XX. Il Vitale con questo suo nuovo lavoro si è reso ancora una volta benemerito dei cultori di storia genovese. In questo campo, a cui tuttavia egli non limita la sua attività, i titoli della sua benemerenza sono moltéplici. Essa infatti non è soltanto dovuta alle non poche monografìe su vari momenti delle vicende storiche liguri, monografìe sempre informatissime e in cui fatti e idee, forma e contenuto trovano pieno equilibrio ed espressione efficace ; ma anche ad opere che assumono particolare valore sussidiario e strumentale per chi si accinga a siffatti studi. Oltre ad ampie rassegne bibliogratiche ragionate ed aggiornate («Archivio Storico Italiano», 1938; «Rivista Storica Italiana», 1937, 1939), è da ricordarsi particolarmente, in più diretto rapporto con il volume di cui ci occupiamo, il sistematico spoglio del materiale diplomatico dell’Archivio di Stato genovese, pubblicato negli Atti della Società Ligure di Storia Patria ora « R. Deputazione per la Liguria », (vol. LXIII, 1934: Diplomatici e Consoli della Rep. di Genova). Questo ordinato repertorio di indicazioni documentarie, unico nel suo genere in Italia, e che per la vastità del materiale maneggiato poteva presentare difficoltà non lievi di compilazione per il più esperto ed accurato ricercatore, è sempre di utilissima consultazione per ogni indagine condotta in tale sfera di relazioni. Ora, in un certo senso, quest’ultimo lavoro del Vitale su « La diplomazia genovese » mette in più chiaro valore la sua precedente fatica, pur tanto apprezzata dagli intenditori, in quanto dimostra come essa fatica fosse stata spesa, con perfetta cognizione di causa, intorno ad un oggetto non già di minore interesse o di scarso rilievo, bensì di primo piano per chi voglia rendersi più preciso conto di 30 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA tutto un vasto periodo della storia di Genova (sec. XVI-XVIII) solitamente e ingiustamente valutato al di sotto della sua reale importanza. Il ruolo che Genova giuo'ca in questi secoli nella politica italiana ed europea, per modesto clie si voglia giudicare, merita di essere messo nella sua giusta luce. Basterebbero a giustificare tale esigenza le sue vivaci relazioni con quel centro di vita italiana che è lo Stato sabaudo, la sua funzione economica e finanziaria nei riguardi della Spagna, il problema mediterraneo della Corsica ed altri simili questioni. Fondamentale strumento di attività politica in questo periodo è, anche per Genova, la diplomazia. La quale, pur rivelando, per la nostra Repubblica, un carattere essenzialmente difensivo e conservatore, induce comunque a correggere, attraverso una sua più precisa conoscenza, il giudizio negativo formatosi tradizionalmente sulla storia genovese di questi secoli. « Una diplomazia —- scrive il Vitale —-che quanto più è conosciuta tanto più appare degna di ricordo e di studio come quella che ha avuto non pochi uomini abili e attivi, accorti e circospetti, talora involuti e sornioni, spesso insistenti sino alla petulanza e tenaci sino alla caparbietà, ostinati difensori degli interessi del proprio paese, negoziatori sagaci, osservatoli, acuti degli avvenimenti, conoscitori dei caratteri e della vita dei popoli e dei governi coi quali si sono trovati a trattare ». Già Carlo Morandi, pubblicando alcune relazioni di ambasciatori genovesi, redatte tra la fine del XVII sec. e il XVIII, ebbe altra volta a riconoscere ai documenti genovesi, nei confronti di altri contemporanei sabaudi e veneziani, pregi notevoli ed anche superiori. Di questa diplomazia genovese il Vitale traccia ora anzitutto, in un’ampia introduzione, i lineamenti fondamentali con una trattazione che costituisce per se stessa un apporto nuovo agli studi storici genovesi. Il periodo della massima attività diplomatica per importanza di problemi e organicità di azione va alPincirca dalla fine del XVI alla metà del XVIII sec. A tale età appartengono pure, dopo la legge del 1528, tutte le disposizioni ordinatrici delPistituzione, che si fanno più frequenti nel sec. XVIÏ. L’Autore considera i gradi e le funzioni della rappresentanza diplomatica nei diversi momenti, dagli Oratori e ambasciatori residenti, agli inviati straordinari, ai ministri plenipotenziari, agli agenti e ai segretari di legazione; indica degli stessi diplomatici il trattamento economico e la posizione morale, mostrando come successivamente elementi nuovi vadano infiltrandosi in un campo a lungo riservato alla nobiltà dirigente. Esamina la natura dei documenti relativi alle missioni politiche ; la questione, pregiudiziale in siifatti rapporti, dei titoli, del cerimoniale, delle precedenze, e l’importanza delle diverse residenze. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 31 rapporti con Madrid, in cui si inseriscono questioni come quella unga e spinosa del Finale, forniscono occasione per una chiara di-mos razione, contro il contrario stereotipato giudizio, del dignitoso e, per quanto possibile, indipendente atteggiamento del governo re-pubb icano verso la monarchia iberica. Il fenoirfeno delle congiure, il bombardamento del 1684, le esigenze del problema mediterraneo di Ironie all accostamento anglo-piemontese, l’epilogo doloroso delle vicende corse, il quadro della grande rivoluzione, costituiscono il substrato delle relazioni con la Francia ; mentre i rapporti con l’impero t1, ^. ,fno pretesi diritti feudali· e culminano con l’epico urto ii ii ’ 6 quelli con l’Inghilterra vanno dalle cordialità di O. Crom-r^e c?ie. trovano in Genova decisa resistenza. ra gli tetati italiani, più vivi sono i contatti con Torino e Roma: quelli pregiudicati dal secolare antagonismo, questi dal formalismo dei trattamenti. Utilissime sono le precise, sintetiche indicazioni sul materiale archivistico con le relative informazioni sui documenti già editi. La seconda parte del volume — naturalmente la più estesa_presenta poi una razionale scelta di detto materiale, la quale era resa inizialmente difficile dalla stessa abbondanza di documenti. La scelta si fissò, con felice criterio, prevalentemente sulle relazioni dei ministri. Dei tre momenti dell’azione diplomatica_le istruzioni, il carteggio, le relazioni a missione finita — queste ultime costituiscono gli atti che possono fornire una più completa visione del-1 attività spiegata. Tali atti sono veramente quelli « che offrono più chiare e immediate le prove della maturità politica, della finezza d osservazione e d’intuito, dello scrupolo informativo dei diplomatici ». I limiti entro i quali si svolge l’attività, politica riflessa nei documenti raccolti in questo libro, vanno dagli ultimi decenni del XVI sec. alla Repubblica Ligure e a quella effimera del 1814 : il ’600 vi a parte preponderante. Le relazioni, per il massimo numero inedite e riportate di solito nelle loro parti essenziali, sono logicamente distribuite e col legate fra di loro, con opportune brevi illustrazioni sui soggetti operanti e sui principali motivi di azione presso le diverse Corti, sulle quali i relatori offrono, in parecchi casi, ampie ed acute osservazioni. Ne \ iene fuori, pertanto, un quadro efficace della vita politica della Repubblica, in cui il carattere di frammentarietà insito in pubblicazioni del genere, resta assai attenuato, al di là delle stesse finalità dell’editore, miranti soltanto a porre in rilievo lo spirito e le forme della diplomazia di questo Stato italiano, fornendo una precisa idea delle sue fonti archivistiche. E in verità, chi abbia una conoscenza anche sommaria del periodo storico considerato e possieda un certo senso valutativo del 32 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA documento, potrà trovare nella lettura di questo volume un interesse e un appagamento forse insospettati ; del che va attribuito il merito a chi ha saputo presentarcelo con i segni di una sicura competenza e di una larga dottrina. Onorato Pastine Atti delia Società Economica di Chiavari. Anno 1941-XIX, 8° di pp. 96. R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria. Sezione di Savona. Atti, vol. XXIII, 1941, 8°, di pp. 312. Rivista Inganna e Intemelia, JIT, fase. 2-3 e 4, 1941. Diamo un rapido sguardo all’attività storica davvero lusinghiera, espressa da questo manipolo di pubblicazioni, la cui sostanza particolare esaminiamo brevemente nelle nostre « Spigolature ». La Società Economica di Chiavari, che è giunta al suo centocinquantesimo anno di vita, si presenta con un volume di Atti in cui la storia ha solo una parte, per quanto non trascurabile, e che del resto risponde a quel carattere vario, pratico e scientifico più che storico-letterario, ch’è delTistituzione. Nel volume, per forza di cose piuttosto sottile, accanto alle dettagliate notizie sull’attività sociale e ai chiari cenni storici sulla Società in occasione del 150° anno dalla fondazione, dettati da B. Minoletti, si offre un interessante studio di Ugo Oxilia (Con pubblicazione di docc., sul dott. Prandina e, per la parte scientifica, una diligente esposizione analitica di Raineri Degli Esposti su Alcuni aspetti del problema d etnografi c o - agrar i o del Chiararese, in cui il territorio è considerato in tutti i suoi aspetti geografici, agronomici e demografici, per dedurne interessanti dati comparativi. Tutto interessante gli studi storici è naturalmente il volume, ancora robusto, degli Atti della Sezione savonese della R. Deputazione di Storia patria per la Liguria. Accanto agli Svaghi storici di Italo Scovazzi di diverso interesse e valore, parte inediti, parte rielaborati da precedenti pubblicazioni giornalistiche, ma tutti per diversa ragione attraenti — ed ai due documentati studi storico-giuridici di Carlo Russo,, interessanti il contado savonese e l’ostilità con Genova tra il Medio Evo e l’epoca moderna — non è assente, purtroppo per l’ultima volta, il più valoroso e fecondo scrittore di cose savonesi, il compianto Filippo Nobebasco, della cui attività, tutta rivolta alla divulgazione della cultura regionale oltre che alla scienza storica in se, ha parlato nell’ultimo fascicolo il nostro « Giornale ». Tale sua duplice attività di erudito e di sicuro divulgatore ci è testimoniata anche dai due ultimi scritti di questa raccolta, l’uno sulle Pergamene delVArchivio Comunale di Savona, di cui pubblica in regesto, continuando la sua paziente fatica, il quarto ed il quinto volume, com- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 33 prendenti un complesso di n. 181 documenti, tra il 1193 e il 1886 (e su valore del quale repertorio, rimandiamo a quanto è stato scritto in queste stesse pagine da N. Calvini, 1941, pag. 115 seg.) ; e l’altro ricostruisce sui documenti e le tradizioni il significato e la vita delle Confraternite Savonesi. Il volume si completa però con un’indagine cntico-documentana di Mario Garba sulla Chiesa di Ivrea a Varazze, e con lo studio, in una stesura alquanto raccorciata, di Rosalia Ri-spoli sulla Seconda insurrezione di Corsica apparso nell’Archivio storico di Corsica, e col quale pertanto l’interesse del volume pur dignitosissimo nella sua veste documentaria e scientifica, si allarga ad un orizzonte più vasto che trascende i limiti della coltura regionale e locale. & Della Rivista Inganna Ìntemelia, di cui abbiamo più volte parlato, siamo ormai al « Commiato », dopo di che avremo l’ultima fase di quel trasformismo che annunciavamo altra volta (cfr. « Giornale », η pag‘ 11:L^ ’ e siamo lieti che il contrasto di tendenza da noi allora denunciato, si sia risolto in quella che è la soluzione da noi auspicata, per la necessaria ampiezza e libertà di svolgimenti richiesti da un lato dagli « studi liguri » in particolare, e perchè d’altra parte sia consentito agli studi e alle cronache regionali e paesane quel tono raccolto e, per così dire, di casa, senza del quale perdono spesso freschezza e colorito e bisognava evitare che la cultura regionale osse posta troppo a contatto, e, per così dire, soffocata, dalla scienza, diro, accademica ed universitaria, dinanzi alla quale gli studiosi locali son spesso indotti a ritirarsi nell’ombra. Av ìemo dunque la Rivista di Studi Liguri con intenti rigidamente e analiticamente scientifici —=■ e ad essa auguriamo le fortune e la vasta risonanza di altre pubblicazioni periodiche sorelle_e la Collana storica della Liguria occidentale che raccoglierà le vele per indagini di storia e di cultura più recente e particolare — e non saranno meno interessanti per noi. Non sappiamo quello che potrà essere la Collana oggi, avulsa dall’attività, decisamente archeologica, del giuppo di Bordighera, e ci auguriamo che riprenda anche la vecchia tiadizione di pubblicare raccolte di archivio e documenti per esteso o in regesto, necessarie fonti per un rinnovamento ed un più organico svolgimento della storia locale. Ma quel che sarà la nuova Rwistaì già possiamo arguire dagli ultimi due fascicoli della « vecchia » che.... muore. In essi la sostanza ha già trascorso l’oro-ano nuovo sicché nella tradizione degli studi liguri essi faranno corpo con quello. In realtà, sia i brevi spunti polemici del Lamboglia su Bussana e la toponomastica alassina, sia gli studi maggiori riguardano tutti il substrato etnico ligure nell’arte e nella vita romana o la linguistica ; sicché rientrano direttamente in quello che è il programma della nuova rassegna, dì ricercare « tutti quegli elementi — paietnologici, archeologici, storici, artistici, linguistici, etnografici 34 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA — che hanno contribuito nei secoli a plasmare l’anima e la stirpe ligure.... ». Di essi che recano le firme di Carlo Carducci, di Carlo Felice Capello, di Matteo Bartoli e di Nino Lamboglia, diamo distinto ragguaglio nelle « Spigolature », cui per brevità rimandiamo ; non senza soffermarci però a rilevare la capitale importanza di tutti, quasi, questi studi, dettati anche da specialisti illustri, e che già trascendono, sia per la vastità e la disparità dei problemi trattati, sia per il carattere e la provenienza degli studiosi, i limiti della cultura regionale, e spaziano in quell’ambito più vasto che è nel programma deiristituto di Bordighera. Teopilo Ossian De Negri SPIGOLATURE E NOTIZIE APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DI STORIA E DI CULTURA LIGURE PREMESSA dei limiti dpi °;bltudine1 dl render conto volta ver volta del metodo e (rioni di ·<ηπ7?η lav<>ro, dobbiamo oggi denunciare che inderogabili ra-rinviando w rìf in?eVan° 9erUo limÌtazi°ni rigorosissime, sacrificando o eTenz£è IrtZ T™ Me da vincere ll temP°’ tutt0 ciò che non fosse siderato e (SÌ ^ coerenza de(jli argomenti, la vastità del periodo con- un materiale nnlnt - meni° delle ricerche ci ha voi fatto trovare tra mani bfamo romlmΓ f?’ che n0n Ci vare -Passibile di ulteriori rinuncie. Ab- rhe THiiinrrinVi u 0 “ quanto si riferisce strettamente alla Liguria ciò di cui renàio.™ C n SUe °Tandi n°ure' e faUo allTi ta,jli decisi, ne rèa Zilnnr! ■CaV° singole sezioni; ma abbiamo voluto mante- tica e In nndm IpL·matlv° ? cntico che accresce indubbiamente la nostra fa-dei repertorio t1) ponsablllta’ ma riteniamo che sia uno dei pregi maggiori Urente m ,a9evole la consultazione, data la mole non indif- ~ione dpi rulrlmenr r0f, ’ CUTÌamo nel modo più scrupoloso la distribu-nrffìrn η η particolari sezioni, ed adottiamo come espediente divisa iTjïinïnTZrne, w· caratteTi che mwl rispondere grosso modo alla mversa importanza degli studi citati. scalsTlZlnnTpnZ10ìdiic0v]vi^,ezza è Slat0 ancora una v°lta frustrato dalla ìn-ìmii ',7 , 157‘189· (edito nel 1941, sotto la qual f V antement9 10 cita U c· stesso in scritti posteriori), svi-îinüfiolf conclusiolïu etniche accennate in altre ricerche, sulla base della linguistica con indiscutibile diligenze e informazione bibliografica, anche se le conclusioni non sono sempre sicure, e forse risultano in parte viziate lL?reglUd:?10ice!tÌCO e nordico· = Più notevole sia per il materiale ar-cneoiogico illustrato, sia per le conclusioni originali sull’insediamento montano m età primitiva (sulle quali ci converrà forse tornare in altra sede), è 11 recentissimo X Tracce delle civiltà preromane e romana sui monti delle Alpi Cozze, «L Universo», 1941, n. 10, 647-662, cui strettamente si ricollega ,βπ t )llustrazi°ne di ’Λ Una stipe votiva di età romana, « RII », 1941, ' c non ostante il titolo e la realtà dei reperti interessa ancora la preistoria per ovvie ragioni di substrato, e che sulla scorta degli studi del Lam boglia sviluppa anche elementi etnico-linguistici e studia culti prero-mani, già accennati nel cit. Indagini toponomastiche.... Conferma questo particolare aspetto e questa realtà profonda primitiva della regione ligure in senso lato anche in età posteriore e ormai civile 1 ottimo studio di X C. Carducci, Il substrato ligure nella scultura romana, « RII », 1941, II. 67-95, ove 1Ά., premesse alcune osservazioni generali sul grado di civiltà raggiunto dalla regione anteriormente al dominio romano, procede ad un acuto esame dei monumenti dell’arte romana in Liguria ~ dal Trofeo della Turbia, all’arco di Susa, alla stele etrusca di Mombasi-glio modello di quelle romane locali, al tesoro di Marengo — che giungono 38 SPIGOLATURE E NOTIZIE ai secoli avanzati dell’impero. = Ci porta invece ad età decisamente romana la comunicazione de X Lo stesso sull1 Anfiteatro di Serravalle Scrivi a (Libarna), « Not. degli Scavi », N. S. Ili, 1941, 29-32, che illustra i risultati di scavi recenti e la sistemazione provvisoria dell’anfiteatro libarnese. Cfr. « Le Arti », XIX, fase. IV, 295 seg. = Su Libarna v. anche 3* A. Daglio, Antiche città romane. L., a Vie d’Italia », 1941, n. 8, 947-952. = Ricorderemo per completezza anche * M. Corradi Cervi, Per Vantichità della zona bor-gotarese. « A. S. Parm. », N. S., V, 1940 (ma 1941), pag. 9-15 = che traccia brevemente la storia preromana e romana della regione, con alcune curiose più che criticamente sicure, considerazioni sui Liguri Ilvates e la topografìa itineraria romana. Fonte indiretta di dati storioo-topograflci antichi ed altomedioevali, anche se talora meno sicuri, è l’ampia notat di X P. Peola su Marengo ecc., che interessa peraltro più espressamente la Toponomastica (ofr.) = Di X N. Lamboglia, Postilla Bnssanese. «RII», 1941, 138 seg., in polemica con V. Donetti, «Giornale», 1941, 32 sgg, parla autorevolmente e debitamente altri in questo stesso fascicolo.' Mette conto di appena ricordare le note di G. Miscosi (sui Liguri Apuani, in «Contemporanea», XXXIV, sul Porto di Genova preromana e La cinta di Genova romana, in «CM», 23-V1II e 1-XI). la. cui reputazione di assiduo indagatore di notizie antiquarie meglio si raccomanda aigli spunti di oronaoa sulla Genova di ieri. Recensioni. [E. Curotto, Liguria Antica, 1910]. Cfr. A. Taccona «Il Mondo Classico», 1941, 34 seg., breve esposizione con parole di vivo elogio ; G. L. Babni, « Arch. St. Lomb. », 1941, 235; A. Chiama, «Sec.». 22-1-1941 ; · « Il libro italiano», X-1940 ; G. Vidoni, « La Giustizia Penale». Roma, XII-1940, che mette particolarmente in rilievo, del lavoro del C., quanto riguarda l’ordinamento giuridico della Liguria imperiale. X [N. Lamboolia, Liguria Romana, 1939]. Cfr. S. Oddo, «Il Mondo Classico», 1942, pp. 27-30. STORIA MEDIOEVALE E MODERNA. U. Formentini, Genova nel basso Impero e'nell9 Alto Medioevo, « Storia di Genova », vol. II, 1-279, opera magistrale, su cui torneremo espressamente. Rinviamo intanto alle acute note di X V. Vitale, Alto Medio Evo genovese, « G. di G. », 6-III-1942, e Genova e Milano nell'alto M. E., « Pop. d’It. », 20-1II, di G. Viola, in « NC », 16-IV. = Del pari ci limitiamo per ora a citare le monografie allegate al volume, di X F. Patetta, ima pretesa lettera di Gesù Cristo in un'iscrizione ligure dell'alto M. E., pagg. 281-308. X E. Besta, Il diritto ligure dalla caduta dell'impero Romano al secolo decimo, pagg. 309-320, e * A. Giusti, Lingua e letteratura latine in Liguria, pagg. 321-349, che veramente si rifa al ligure antico, ed interessa più propriamente la sezione linguistica. X Esorbita nel suo nocciolo finale, dal mondo ligure, ma vi rientra peraltro per i suoi sviluppi particolari G. P. Bognetti, Il Gastaldato longobardo e i giudicati di Adaloaldo, Arioaldo e Pertarido nella lite fra Parma e Piacenza, « Studi di storia e di diritto in onore di A. Solmi », Milano, 1941, II, 95-152, che, continuando le ricerche di C. Manaresi, In margine ai placiti del « Begnum Italiae ». « Boll, d. Ist. Stor. Ita!.», n. 54, 1939, investe l’oscuro problema topografico e giurisdizionale della Liguria Orientale nell’alto M. E., riprendendo in esame tra l’altro le conclusioni del Formentini. Cfr. in proposito l’ampia comunicazione di X E. Nasalli Rocca, Il confine municipale diocesano tra Piacenza e Parma. « Boll. Stor. Piac. », 1940, pagg. 3-1β. = Ancora X Lo stesso, Giurisdizioni ecclesiastiche e civili nella regione di Bardi. * A. S. Parm. », N. S. IV, 1939 (ma 1941), pagg. 55-80, sviluppa le indagini, e non solo per il territorio di Bardi, riesaminando anche largamente il problema topografico della Tavola Veleiate. = Fondamentali per le fonti sono oggi M Chiaudano, Manoscritti ed edizioni degli Statuti dell'Offlcium Gazarie civitatis lanue, Ibid. II, 443-404, che confronta e descrive con acume codici ed edizioni per la pubblicazione, auspicata dal Solini, di una raccolta storico-critica delle leggi e delle consuetudini marittime del M. E. = e soprattutto SPIGOLATURE E NOTIZIE 39 G. Monleone, Jacopo da Varagine e la sua Cronaca di Genova dalle origini al 1279. Studio introduttivo e testo critico commentato da G. M., Roma, 1941, voli. 3 di pp. 1225. Dell’opera insigne, edita nelle Fonti per la Storia d'Italia dell’« Istituto Storico Italiano », e dall’A. presentata al Pontefice, al Sovrano ed al Duce, parla con la debita ampiezza il « Giornale ». Cfr. in- . tanto: * G. Viola, « NC », 20-111; U. Monti, « Genova », 11-1942, 7-12 e « Lav. Fascista », 21-11, nonché vari quotidiani in data 20-IX-1941, ed M. C., « Sec. ». 15-1-1942, il quale annuncia anche l’edizione, curata dallo stesso Monleone. degli Annali genovesi di Giorgio Stella. = Intenti più limitati, ma critica non meno severa rivela V. Vitale, Origine e sviluppi di una grande potenza mediterranea medievale, « Popoli »,1941, n. 5, 152-154, perspicua sintesi delle oscure vicende di Genova in età barbarica e precomunale, apparsa prima dell’opera del Formentini, del quale, col suo sostanziale scetticismo sulla capacità marinara e civile di Genova in epoca postbizantina, rappresenta una posi’ zione quasi antitetica, in parte oggi dal V. stesso superata. = Sull’espansione commerciale di Genova interessa R. Doehaerd. Les galères génoises dans la Manche et la Mer du Nord à la nn du XIII et au début du XIV siècle. « Bull, de l’institut hist. Belge de Rome », 1938, che conclude alla priorità della navigazione genovese nella zona della Manica, in base ad atti notarili del Duecento. Cfr. « N. Rivista Storica », 1940, I. ^ A^rmilZ*^ne .Genova nel M. E. dedicai un capitolo anche X A. Sapori, Mercatores, 1 ano Garzanti, 1942, 4o, pp. i6g, il quale qui riprende gli argomenti già accennati in ατ/se della grandezza italiana nel M. E. «Civ. Mod.», 1941, 1-19. = Sulla navigazione geno-v?se„’ un ?enno 'n '0A G. Padoyan, Navigazione di linea e navigazione libera nelle grandi ci a marinare del M. E. «Popoli», 1941, 389-392. = Sull’impero coloniale nel Mediterraneo c Γ· °£ίΠ le recensioni a χ R. Lopez, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo. Bolo-gna^ Zanichelli, 1938, di R. Ciasca, «ASC», 1941, I, 127-130, che fa qualche riserva, notando soprattutto lo scatso rilievo dato alla colonizzazione della Corsica; di P. F. Pa-wU77IBO’ ?n .* ^.uova Italia», 1941, 352; nonché X F. P., Una fonte poco nota per lo studio tir-fi ι^ΛΛ^10ηί .a. **enova ed H Levante: La € Giunta* del traffico - affari col Levante» (157,-1722). «Notizie degli Archivi di Stato», I, 1941-1942, fase. 3o, 108 seg., e ancora X V. Vitale, Le colonie genovesi del Mar Nero. «Popoli», 4o, 1942, 92-95, e sullo stesso particolare argomento scritti occasionali di X M. Baratelli, « Giorn. di Poi. e Lett.», 1941, 413-417; L. Balestrerà «Lav.», 28-VIII ; ***, «G. di G. », 4-X, 2 9-XI. Interesse generale ha ancora, per l’età più recente della Repubblica, il recentissimo volume di X V. Vitale, Diplomazia genovese, Milano, «1SPI », 1942, 16°, pp. 368, pubblicazione di varie Relazioni, tra il 1664 e il 1814, precedute da una introduzione esauriente. Cfr. L. Cialdea, « Lav. », 20-1II; O. Rizzini, « Corr. d. Sera », V. (De * Lo stesso ricorderemo, per quanto esorbiti dal nostro campo, anche il Guicciardini, Torino « Grandi Italiani », 1941, pp. 324, per cui cfr. E. Pandiani, « Sec. », 14-X; A. Zamboni, « G. di G. », 27-XII). Svolgono invece argomenti più limitati C. Russo, Questioni giurisdizionali tra Varazze-Celle ed Albisola in documenti dei secoli XIV, XV, XVI, XVII. Commento e documenti, « Atti Dep. S. P. Sez. Savona », 1941, 141-190, e * lo stesso, Principi di diritto intemazionale in do-cumento del secolo XVI, Ibid., 127-139, a proposito di una questione arbitrale tra Genova e Savona. * V. Βυτι, I Balestrieri genovesi, « Genova », VII, 1941, 5-19. Notevoli appunti per una storia della celebre arma tra i secc. XII e XV, e ancora * E. Coyecque, Ce qu'on trouve sans le chercher dans les vieilles archives notariales. « Rev. hist. ». 1939. 318 segg, tra l’altro una autorizzazione di commercio data da Francesco I ai genovesi (1527); * N. Calvini, La costruzione della Chiesa parrocchiale di Capraia. {Nota di vita civile e religiosa dell'isola), 1756-1763. « Boll. St. Livornese », 1941, III, 189-203. Cronaca nutrita di fatti, desunti da docc. d’archivio, di un periodo burrascoso e delicato nella storia dell’isola. 40 SPIGOLATURE E NOTIZIE Tra i molti spunti di cronaca sull’ambiente e la storia genovese meritano ancora mensione per novità di fonti o utilità di divulgazione: X V. Vitale, Costumi del buon tempo antico Popoli», 1941, 317-318, spigolature curiose e piooanti dai Notai liguri del sec· XII; χ alcuni scritti di G. Salti, ricchi di erudizione e di critica su disparati argomenti di storia civile e religiosa genovese, in «NC», 19 e 22-VI1 ; 27-ΙΧ ; 4, 14, 29-X ; 15, 29-ΧΙ ; 23-ΧΙΙ-1941. X due di L. De Simoni sulla conquista di Almeria, rivendicata ai genovesi oontro uua nota reoento dell'a Osservat. Romano». «NC», 14 e 24-1-1942. X di M. Morandi sulla battaglia del Giglio. «CM», 10-YII (da «Riv. di cultura/ marinara») X di A. Pescio su Ambrogio Spinola nei « Promessi Sposi * X di A. Ro[ta] sulle battaglie della Preveda e di Lepanto. «Lav. », 9-IX, 7-X ; X di U. Levkero su La Maimona e una vicenda delle lotte tra Genova e Pisa^ e un Lazzaro Spinola, feudatario di Masone. « Seo. », 5-VI e 21-VII -, X di C. F. Pallavicino, «Sec.», 16-ΧΠ. G. Piastra, «Lav.», 27-XII. G. Fioritta, « G. di G.», 29-VII e 7-VIII. G. B. Boero, «Seo.», 13-1-1942, eoo., su episodi vari dei seooli XVII e XVIII. Recensioni. [V. Vitale, Nuovi docc. std castello di Bonifacio']. Cfr. R. Ciasca, «ASC», 1941-11, 282-284; G. L. Barni, «Arch. St. Lomb.», 1941, 234 seg.; * « ASI », 1941, 163. X [D. Cam-biaso. Sinodi genovesi antichi]. Ibid., 104. χ [U. Dorini, Un grande feudatario del Trecento: Spinetta Malaspina]. Ibid., 105 X [U. Formentini, ΜίκαορίαΠ· «RSI *» 194I> p. 130 R. Piattoli. STORIA CONTEMPORANEA. E. Codignola, Carteggi di Giansenisti Liguri. Precede una introduzione storica. Segue un'appendice di documenti inediti e rari. Firenze, Le Monnier, 1941, 8°, vol. I di pp. CCLX-688, vol. II di pp. 786: vol. III in corso di stampa. Dell’opera capitale, che ci limitiamo a citare, già erano usciti importanti frammenti e stralci: in «Argomenti », 1941, III, 1-12 su 7 Giansenisti Liguri e l'educazione; in « Civ. Mod. », 1940, 365-397: Giuseppe Poggi è stato giansenista? (Cfr. « ASI », 1941, 110; « Boll. St. Piac. », 1941); in α N. Italia», 1941, 163 segg. 199 segg. : Le origini del Giansenismo ligure. Su queste e su altre* pubblicazioni in argomento, cfr. P. Romano, in « Leonardo », ΧΙ-ΧΠ, 1941, 254-257, e vedi oggi la ricca rassegna Giansenisti italiani iniziata da « Civiltà Moderna », 1941, 212 seg., nonché una noti-cina in « Prov. di Vercelli », 16-XII-1941, sulla riedizione, a cura di E. Codignola degli Studi sul Giansenismo di F. Ruffini, negli « Storici Antichi e Moderni ». NAPOLEONICA. Troppo numerosi e di largo interesse gli studi su Napoleone in generale perchè sia possibile, o anche metta conto, di parlarne nella nostra rassegna particolare. Basti citare gli importanti volumi di R. Ciampini, Napoleone, « I Grandi italiani », 1941 e di P. E. Santangelo, 7 Buonaparte, Garzanti, 1941. = Per il periodo napoleonico in Liguria noteremo invece alcuni scritti minori P. Picanyol, Lettere al P. Giuseppe Solari, a Civ. Mod. », 1940, 183-190, di vari, Francesco Gianni, V. Monti, E. Q. Visconti, S. E. Petronj ed altri, conservate nell’archivio delle Scuole Pie di Chiavari, patria del Solari, ove epli era venuto esule da Roma dopo la Repubblica Democratica del 1798. X i. SCOVAZZI, La pitonessa di Celle, « Atti Dep. S. P. Savona », 1941, 39-54. Originale indagine documentata su una contadina profeta durante la bufera democratica in Savona. X S. Rebaudi, Una lettera degli studenti di medicina al Prof. Olivari nel I anno della Bcpubblica Ligure, a CM », 1-VIII-1941. X E. Seghezza, Genova nel blocco del 1800, a NC », 7-III-1942. * a. R., La partecipazione inalese nella Repubblica Ligure del 1814, « Lav. », 23-VI11-1941. RISORGIMENTO. Mazzini. Pur riservando ad altri l’esame sistematico e critico della letteratura mazziniana, riteniamo opportuno ricordare subito alcuni scritti che interessano più da vicino la nostra rivista, e cioè: SPIGOLATURE E NOTIZIE 41 A?(ÌZZiSim “Tjav :e> 25-11, 1942. Sobria e vigorosa messa a punto sulla. Ìw/i « t dr V, 2,Pr°Posito dell’ultimo volume dell’Edizione nazionale degli \ stesso, La « Maddalena.* di Mazzini. «La Stampa», 8, 10, 11, 12, 13-11-1942, rìrotC^rriC0S MUZ«nep 8l^a scorta dell’epistolario della vicenda sentimentale di Maria- Man-riiiL lî cnni ; involontaria causa, e che offre modi all’A. di mettere in particolare .LZ TT Tqio sensibilità e delicatezza del Maestro. Ne accennano «Bibliografia Fa- Tuio^itL· ·Firenze’ 22IT· * G· B· Boero’ Do cu m&n fazioni inedite sui genitori di Maria Drago Mazzini. «Genova», XII 1942, 27 seg. e «Lav.», 10-111-1942. Garibaldi e Garibaldini. C. De Biase, L'arresto di G. nel settembre 1849 con un appendice di documenti. Firenze, Le Monnier, 1941, 16°, pp. 171. Cfr. « lempo di Scuola », li, 1942. κ G. Antonucci, Sul secondo esilio di G., in >ergomum », in, 1942, x \ Codignola, G. verso il secondo esilio. « oenova», li 1942, 1-6, riespone con chiara parola e informazione sicura nerale8 8 arresto a Chiavari, e della prigionia a Genova del Ge- U. Barengo, A proposito del colonnello Camosso e della liberazione di G. dal Vangnano, 186/ « Riv. dei Carabinieri Reali », 1941, estr. -di pp. 16, pub-iT 7λΙ°τττ! η8?0** ^,tefano Sanzio ed altri docc. dell’archivio dei CC. RR. nii wq 11 Dottor G,\- Pv andina. «Atti Soc. Econ. Chiavari », 1941, 33-61. Dai *8 alla morte dell Eroe attraverso le lettere del P. già in parte pub- SÌL T ia SteFSS0 (C/fr‘ (( Giornale ». 1941, pag. 125). Il lavoro è riprodotto in « Telegrafo » 7/lo-II-1942. Garibaldi sul Mare, ed. dalla Coope- T A/r A0I1DVa’ 1941, 4°’ pp‘ 84, κ Quattro medaglioni di N. ’ L· Manara» A. Bertani, R. Pilo, cfr. « Lav. » e « C. M. » del 22-XII. AltrL?Tl Zi SMiU1 ^fibaldiTni di interesse ligure, di O. Danese, «Lav.», 9-IX ; Timo, «Lav.», W e 27^VII 13 ΥΙΠ ' *’ 9‘V1941 ; Rota’ eLav »· 21-ΧΠ ; P. Rembado, «CM», Ma“Glavuta Ì[aScferlTent° ?€lla. Salma All’Eroe al Mausoleo Gianicolense, si m i Tr ' · scritti, anche importanti che non è possibile citare integral- dl ^ Camicia ^ca^vi ncordiamo quelU di X A. Codignola, nel numero speciale • BibUo?r » « 3-XI-1941 (sul quale cfr. «Il libro Ital. nel Mondo», ottobre 1941; Bibliogr Fase. », novembre 1941; «Le lorze Armate», 28-XI, ecc.), riprodotto ne «II Ìl941*’ naen°o« ^! dl * B‘ MlGLT0RE’ »oe tipo del Risorgimento. «Ics.», - 41, pag. -93 seg. 4 A Lancellotti, G. Μ. Γο età-Sol dato. «Il Libro Ital.», X-1941 819- casionnli ηοηοί^Γ " Innu™«™™li naturalmente le commemorazioni ed esaltazioni oc-l’Eroe nonchè 1 resoconti della cerimonia romana e spunti particolari sulla vita del- Varie. * Catalogo del Museo del Risorgimento (Fondato dalla Società Economica nel 19S8). « Atti Soc. Ec. Chiavari », 1941, 87-92. κ [M. Vanzetti] Inventano del fondo « Polizia » del R. Archivio di Stato di Torino. « Not. Ì-fgÌÌ Stato », I, 14-19, molti docc. riguardano Genova e Nizza. κ P. l·errari, Il Marchese Azzo Giacinto Malaspina di Mulazzo. «Con*. Lunense », 21-\ 1-1941, n. 25, martire della libertà italiana, con bibliografìa. Cfr M. Giuliani, in « G. Mont. », 1941, n. 8. X M. Giuliani, La reazione borbonica a Pontremoli dopo la restaurazione del ’49. « G. Mont », XII-1941. ΪΊθη trattano ex professo la nostra regione, ma hanno comunque larghi riferimenti a persone e oose di Liguria, i volumi X E. Michel, Esuli italiani in Tunisia, Milano, 1941 ; cfr. tra gli altri V. Vitale, «G. di G.», 29-XI e A. Codignola. «Lav.», 4-XII, che mettono in rilievo 1 attività degli esuli liguri, Fedriani, Baffo, ecc.,; X P. E. Taviani Problemi economici nei riformatori sociali del Risorgimento, Milano, 1940, 4o, pp. 246. Tra gli spunti di cronaca meritano un rapido cenno quelli di χ E. M. Bertelli sul Quaresimale di Ugo Bassi a Genova, visto attraverso le impressioni di Maria Mazzini. «Lav » 18-111-1942 ; di X Timo sulla memorabile celebrazione delle giornate del dicembre mi «Lav.», 14-XII-1941 ; di X M. De Marco su varii personaggi chiavaresi. «Lav. Fase.» 27-YI 31-YII, 30-XII-1941, 15*1-1942; di X A. Yaraldo su episodi di Cavour, di Garibaldi, di Laura Di Negro, N. Bixio... raccontati con la solita spigliatezza in «Stampa Sera», 1 III, 11-IY, 19-YII, 6-X.... passim., di X G. Piana sul Soggiorno onegliese di Mussolini, nel 190 «Lav.», 7, 20 e 28-X-1941. Recensioni. [A. Codignola, Anna Giustiniani, 1940]. Cfr. N. De Milio, «Gente Nostra», Roma, 1-111-1942 ; Curiosus, «Giorn. di Sicilia del lun.», 24-XI-1941 — brevi spunti acritici, e S. Camerani, in «Leonardo», XI-X11 1941, 274 seg. X [F. Guglielmino, Genova del lSli al 181.9, 42 SPIGOLATURE E NOTIZIE 1940]. Cfr. G. L. Barici, «Arch. St. Lomb. », 1941, 221-222. X [A. Valori, Garibaldi, 1941], Cfr. F. Seminara, «Il Libro ital. », 1941, VII-VIII, 742 seg. ; E. Canbyari, «Regime Fase.», 27-YII; M. Magni, «Voce di Bergamo», 16-VI ; R. Martinelli, «La Nazione», 24-VI ; V. Zampieri, «Popolo», Pavia, 27-YI ; A. Pomprati. « N. Ant.», 1941, 1-VII, 91 seg. X [E. Morelli, Epistolario di X. Bixio, 1939]. Cfr. O. Mosca, « Corr. di Napoli», 22-111-1941 ; G. Paoli, «Giorn. di Sioiliai, 25-1II-1941 ; S. Yismara, «Aevum», 1941, 416 seg·. X £N. Cuneo, Storia dell'emigrazione ital. in Argentina, 1941]. Cfr. L. Salvatorelli, La Rep. Argentina e il Risorgimento Italiano. «Resto del Carlino», 29-VII-1941 ; C. Magi Spinetti, « N. Ant.», 1941. Μ X, 103 seg. VARIA. La solerte cura di alcuni studiosi di storia della medicina cr ha dato in questi ultimi tempi una collana di monografie che meritano un posto a sè nolla nostra rassegna. L’attività sistematica di X G. Pesce in questo campo è espressa intanto dalla sua Bibliografìa medico-storica ligure sulle malattie infettive e contagiose, Genova, 1941, 8°, pp. 48, con breve introduzione. Di interesse più largo sono de X Lo stesso. Un regolamento di profilassi del 1661, « Genova », IX-1941, 11-15, e X La disinfezione della corrispondenza per la profilassi del Colera, Ibid., XI, 1941, 15-16, tutti lavori solidamente documentati, come gli altri pubblicati dal nostro « Giornale » — e ancora note di cronaca su X II Magistrato di Sanità. « Sec. », 17, VII, e X Un antico libro sulla peste stampato a Genova nel 1630. « Sec. », 26, VIII. Dall’interesse per l’arte è giunto invece agli studi storici X P. Berri, Medici genovesi di Paganini. Il Prof. G. A. Garibaldi e la medicina del suo tempo 178^1845. Genova. 1941, che acutamente indaga tutto un ambiente culturale, allargando la visione oltre i limiti dei precedenti saggi di storia musicale. Cfr. sull’opuscolo le note perspicue di: G. Pesce, « Sec. », 12-ΧΙΙ-1941; V. Vitale, « G. di G. », 7-1-1942; L. Balestrerà ■ Lav. », 8-II e « Il Mare », Rapallo, 14-11 X Del Berri stesso è una nota curiosa. Una eschimese a Genova nel 1838, « Genova », II, 1942, 19-21, che ci riporta alle stesse fonti e allo stesso ambiente genovese. Al quale del resto ci riconduce, con la ben nota competenza, anche , V. Vitale, Sicolò Sauli e la sua famiglia, « Genova », X, 1941, 3-11, ili.; ricca messe di notizie sull’ iniziatore dell’ospedale di S. Martino », mentre a un'età più antica della storia dei nostri istituti ospitalieri ci riporta un altro medico. X R. De Andreis, Ettore Yernazza e Vassistenza sanitaria ai malati poveri. Ibid., XI, 1941, 5-14. Noteremo ancora qui, come felici ricostruzioni dell’ambiente e della vita genovese deir800. X A. Pescio, Gian Carlo Di Xegro, la villetta, gli amici. Lettere inedite di Luigi Biondi, « Genova », Vili, 1941, 15-17, alle quali il Ρ. aggiunge il suo brio abituale. X U. Rinaldi, La tragedia del duca di Galliera riposta nella sua vera luce. « Sec. », 27, XI, notevole messa a punto, su dati di fatto e docc. raccolti dal March. Staglieno, su una incresciosa disavventura del duca, in risposta ad uno scritto apparso su ■ Stampa Sera » il 27-IX. CORSICA, NIZZA. Per neteeeità di spazio. riserbiamo per urna prossima puntata il ricco materiale raccolto, rm riandò nitanfo il lettore alle ririste ‘penalizzate, che raccolgono quanto di scientifico si i scritto in argomento o danno *ist ematica relazione di altri studi sporadici: ed in particolare all·· Archivio Storico di Corsica*. 1941. che accoglie anche ricerche di mostri collaboratori·. (di X N. CllTin nulle Segrete trattatiti di Genora col Paoli tentato a mezzo d’un prete G ari, «ASC», 1941. 118. da spogli di «Lettere di Capra·*» nel R. Archivio di <*tato di Genova; e su X Timori di rbareht còr*i m Capraia. Ibid., 3*6-397. importante ricostruzione di fatti e di ‘rat menti; e di X C. Boznati in una interessante recensione retrospettiva a Jacopo D’Obia, Pasqnalr Paoli.... 1*70. Ibid.. 406-411 >; e per .Vizzo a «Fert» e «Camicia Rossa>, ed oggi al tettimanab «Il Xista»'do». che riprende le pmbblicazioni. « provvisoriamente » »* Roma, per terer detta la fioccala dcU'italianità. SPIGOLATURE E NOTIZIE 43 GENOVA MARINARA. Esploratori e Navigatori. G. T esc ione, Italiani alla pesca del corallo ed egemonie marittime nel Medi· erraneo. Napoli, 1940, anche in particolare sulla pesca ligure in Corsica e araegna, a partire dal sec. XII, per cui rinvia agli studi del Pastine. Cfr. Α.Λ.Β., in « CAM », 1941, 163-165. A Alessandro Malaspina, l'uomo, il navigatore, il dramma. Roma, up. bullo stesso grande navigatore lunigianese. X O. Belsito-Prini, in *’ ί"1941’ 1δ'18· * M* Ghiglione, Luigi Maria D'Albertis ed il suo contributo alla conoscenza della etnografia papuana, « Genova », VI-1941, "f 1 λ 8 * G. », 17-VII. Buon contributo alla conoscenza dell’esplo- ì a ore dimenticato. X Sullo stesso nel centenario della nascita, cfr. L. Zur-CHER, «N.C. », 21-XI. * Su Francesco Sivori e Pietro III di Valacchia pub-note e interessanti stralci da un diario l. f. b. in «Minerva », "» asc- 1°. 2°, 4°. X Can. M. Devoto, L'ammiraglio Jacopo da Levanto dei .ignori da Passano. « Corr. Lunense», 1941, n. 36, note d’archivio. ^^eriehf^nlrnÌfc s® navigatori ed esploratori ligTiri sono troppo occasionali o ge- varai»o rii Ci ®-dl farne cenno spem&co. Basterà ricordare di X F. Gfraci Val- vi PaC15ì°;’ ,LaT*>· 24'xi’ * una nota su Emilio Cerruti da Tarazze, esploratore deUa Malesia. Ibid. 19-11-1942 Recensione: [G. Boxo Ferrari, La trilogia della zela]. Cfr. « L'Universo,, 1941. n. 12, 753-759. COLOMBIANA. Particolarmente feconda in questi ultimi tempi la letteratura e la critica coorti Diana. Alle pur già numerose biografìe, nuove se ne aggiungono, di F. Nobili, Roma, 1940, 8°, pp. 110; di A. Albizzi. Torino, Paravia, 1940, 16° pag. -40. Di gran lunga più importante quella di * P. Revelli, « I Grandi aliani », Torino, 1941, 8°, pp. 280, che ha avuto autorevoli consensi di R. V Λ^α<\ °Va VI1’ 1941’ 23*25’ e di V- VnALE- C. eroe vivo, « G. di G. », 11-1941; mentre è continuata l’aspra polemica sulla precedente opera erudita del Revelli, C. C. e la scuola cartografica genovese, 1938, con una postilla, velenosetta anzichenò, alla recensione di G. Rosso « RSI », 1940, -* segg. . pubblicata da G. Caraci, in « Leonardo », 1941, 89-91, e accenni non meno acri nell altra più vasta polemica Caraci-Crinò, di cui in appresso. Lna certa eco ha avuto anche l’opera di R. Hennig, Columbus und seine Tal. Eine kritische Studie über die Vor-geschichte der Fahrt von 1942. « Abhandl. herausg. von d. Bremer wis-sen:>ch. Gesellsch. », Bd. XII, 1940, pp. 204, che senza avere pretese di originalità scientifica, divulga per i lettori tedeschi le conclusioni più attendibili della critica, specie del Magnaghi. Cfr. * in « Bibliofilia », 1941, p. 38; B. \arenio, in « Popoli », 1941, n. 3; L. De Simoni* in « N.C. », 16-X-1941, che riassume la questione della data di nascita di C., in base a un recente scritto di G. Monleone, in «Telegrafa», 15-V-1941. * Anche la già ricordata edizione della Relazione di viaggio.... di C. curata dal Cad-deo oltre a cenni rapidi ■ CM », 5-V111-1941 , ha suggerito un notevole spunto di X P. L. De Allegri, La vita vissuta su' mare da C. C, * Lav » 16-IX-1941. Ma la polemica di gran lunga più grossa è divampata, e divampa tuttavia, a proposito di X S. Chinò, La scoperta della carta originale di Paolo dal Pozzo Toscanelli che serri di guida a C. C. per il viaggio verso il Suovo Mondo, in « Universo », 1941, n. 6, 379-410, riassunto da « Il Diarista », « La Nazione », 15-16-1Y-1941; L. M. Persone, Popolo d’It. », 4-VIII; * in « Bibliofilia », 1941, 1°, 62 seg.; e varii altri giornali e riviste, anche straniere. Contraddice energicamente alla tesi X G. Caraci. Beffa al Toscanelli. « Leo- 44 SPIGOLATURE E NOTIZIE nardo », 1941, 152-161; Scoperte autentiche e scoperte per ridere. « N. Italia »,. 1941, 391-396; Ancora della pretesa autenticità della Carta dal Pozzo-Tosca-nelli. Ibid., 1942, 25-26, sostenuto del resto autorevolmente da R. Biasutti in « Riv. Geogr. Ital. », 1941, ed A. Magnaghi. Il Crinò si difende non meno decisamente, anzitutto sullo stesso « Popolo d’Italia » che aveva accolto la prima preoccupata critica del Caraci, quindi in un opuscolo edito propriis sumptibus: Per ristabilire la verità, in un articolo in « Il Libro italiano nel mondo », VIII-IX, 1941, 1-23, il cui verbosissimo titolo (Come son pervenuto, ecc.) lo spazio non ci consente di trascrivere, e infine ridà la documentazione della sua tesi in « Riv. Geogr. Ital. », 1941, VI. Nè sono sicuro di aver ricostruito ogni elemento; ma la polemica non è peranco finita: è di oggi una nuova battuta del Crinò, cui risponde il Caraci, in « Leonardo », XI-XII 1941, 261-264. Sicché sospendo ogni giudizio, e solo mi riserbo di tornarci su quando, come pire accenna, in una nota riassuntiva della prima parte della polemica « Bibliofilia », 1941, 206-208, avrà espresso il suo.... giudizio arbitrale il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Sull'origine lunigianese di C. e le sue parentele piacentine pubblica un notevole scritto, peraltro non convincente, il Conte Ascanio Sforza, in a G. Mont.», 1941, n. 9, riassunto in «Corr. d. Sera», 19-IX, e vivamente contraddetto con validi argomenti in «Sec.», 27-IX. Riassume in modo alquanto sbrigativo la breve* polemica una notioina di « G. Mont.», 1941, n. 11, che ritorna anche sulle parentele piacentine di C. con uno scritto di G. Pal-lastbf.lli, Un illustre navigatore piacentino. X Tra ι vari scritti d’occasione, non è priva di interesse e di originalità una serie di spunti di L. De Simoni, su C. C. e i suoi giudici a proposito della canonizzatone del Navigatore, «NC», 23-XI, e su altre Questioni colombiane. «NC», 12-X, 31-X1I-1941, 7-1, 11-11-1942. MISTICA ED ECCLESIASTICA. I. Scovazzi, Un'opera inedita di lì. Mattiauda. « Atti Dep. St. P. », Savona, XXIII, 1941, 34-38 e « Lav. », 20-11-1941, sulla venuta di S. Pietro nell’Ingau-nia ed il suo culto in Liguria. Più ampio ed importante rultimo scritto di F. Noberasco, Le Confraternite savonesi. Ibid., 291-310, che raccoglie notevole messe rii notizie sulle « CaSaccie » e la loro funzione dalle origini medioevali all’800. Intento di pietà e di divulgazione per quanto criticamente informati hanno i volumetti di L. Traverso, Virginia Centurione Bracelli (1587-1651). Genova, 1939, 8°, pp. 342. Cfr. Civ. Catt. », 1942, quad. 2202, 440. * F. De Negri, Genova città di Maria. Cenni Storici. Genova, 1941. Cfr. R. Albites, « NC », 19, VII; κ Λ. Guada laxara, L'angelo di Camporosso, Genova, 1941, cfr. U. Monti, « NC », 27-IX; Ali. « CM », 29-ΙΧ, e soprattutto « Sec. », 12 e 25-ΙΧ, ove un Anonimo ricava dall’opera del G. due succose visioni della Genova dell’800. » D. Sparpaglione, Don Orione. Genova, 1942, cfr. C. Gigli Molinari, « G. di G. », 31-VIII; P. Delfino Sessa, « Sec. », 23-ΙΧ e F. Steno, « Sec. », 25-XI. Note brf'ri di neingrafla ligure: Cassiano da Lanoasco, Figlia dì viceré, al servizio delle in-Jermr. «Genova», 1942, I, 1315. 8. Caterina da Genova, patrona delle infermiere. X D. Coi buso. 8. Alr**andro Saldi e la sua noviina osi arcivescovo di Genova. «Riv. Dioc.», mi, 187-192 e cfr. Μ. M. Cristallo, in «NC», 27-YII. Vita occli-Hlantica eenovexo: Genoi a r la Compagnia di Gesù. «Riv. Dioc.», 1941, 138-146. X Il Card. Gaetano Mimonda. Ibid., 147-150, e · «NC», 30-VIII, a prop. di una recente monografia di M. I)f. Camillis, χ Γ). A. Durante, .1 0 anni dalla morte di Mone. Salvatori Magnasco,, Arcirrtcoco di Genova (1800-1892). «NC», ll-I, e poi 25-1, 1-1II-1942 nonché 8. Sciaccaluoa, «NC», 15 e 21-11. SPIGOLATURE E NOTIZIE 45 GENOVA E LIGURIA Genova di ieri e di oggi. ^ue^.° ^\°}0' necessariamente generico, diamo un rapidissimo cenno di quelle note 1 ornali etica, estemporanee e spesso inorganiche, ma talora non prive di valore 7nm vnriJïh* ° ^ua8t 8em'Pre rapide e colorite, che rappresentano per ciascun autore, pur nella hλ „· a’j jUn ι · eCC ^ G Miscosi, in «CM» riprende le sue note su Genova ottocen-oensiero ° '; 0va ^ntica, ecc, scomposte nella forma che qualche volta tradisce il Genova rii ;Prf. SSp, D°n (h.interesse e di originalità. X Di Λ. M. Ma, Vecchio porto; su Ta a Cavar in’ in eCM», passim, è particolarmente notevole una nota Di Ί \NnnroTt η stesso giornale S. B. prosegue i suoi Ricordi portuali. X «poeti îô ’ 'μ ’ -i ’ orM>inale rubrioa sui «Mestieri» che scopre in angoli na- V T Hv Qix^1 e, P r.esca attiv tà artigiana, interessa più propriamente il folclore. V Tri ο-li oif ·’ nt:lnu^ jn « NC » la sua sistematica illustrazione delle Chiese genovesi, «lav n y ,Γ1 ^^merosissimi spunti ricordiamo ancora: A. Algardi, Amore di Genova, della, lìmη n ' fnfo T? generale. χ U. V. Cavassa, Delizia di Genova nel chiaro della luna. «Genova» 1942-11, 16-18. X A. Ü. Gargani, Balla mia finestra. Ibid., 1941-X, 31-34. «Lav.» IX del D,avolo (via S. Giuseppe). «Sec.», 13-VIII. χ A. Ro, Domoculta, Paesi di Liguria. A· ^n^USÌH·^ Conoscenza dei Liguri. « Lav. », 16-VI1I-1941. È la prerazione w Guido, sentimentale della Liguria, il cui ultimo capitolo: Strada e\.a ^ri^iavera, in « Lav. », 13-VII, conchiudeva l’ampia serie di arti-r n.Lgla o n0i 'annunciata» e che uscirà prossimamente in volume. ue-calzo, Santuari, valli e calanche della Liguria orientale. Ed. Liguria, Savona 1941, 8°, cfr. Gip. « G. di G. », 8-XI; u. v. c„ « Lav. », 20-XII. Racco-g ie scritti di vario interesse, paesistico e letterario, già sparsi in riviste e giornali. Nuovi capitoli di questa personale visione della patria Riviera, sul i i(jullio le Cinque Terre, Riom.aggiore, sono già apparsi in « G. di G. », i 6 ti:. n’ 8'I1I; Genova Π. 1942, 13-15. κ Ρ. Osso, Costa Ligure, Milano, 1942. Cfr. * « G. di G. », 22-11-1942. 1 er ^ Genoyeeato, alcuni spunti interessanti su Bavari di E. Grillo «NC», 17-VII X su nJÀZ* Ìrena dÌ ί,' D;.C· eSec’’ 19-Vm e G. B., «Seo.», 30-ΧΙΙ ; X su Cornigliàno e U Boschetto di f. f. «G di G.», 9-ΙΧ, A. de Crescenzio, «Seo.», 15-XI, G. Salvi, «NC», 16-IX c i, nf . ? e loÎtri dello stesso, «NC», 30-ΧΙ. e L. Ferretti, «Sec.», 12-VIII e 14-XII bulla Riviera di Levante. B. Minoletti, Il problema di Portofino. «CM», 11-X e cfr. * 6-XL X A. Roncallo, Portofino.... e le reliquie di San Giorgio.... «Genova», YI-1941 27-30· , ; C/ì.PELLINf’ -■ da Odinogli alla Cenar a. Ibid., X-1941, 26-30, itinerari turistici. X L. s'% Le orticazioni di Chiavari. Ibid., 21-11-1942. X C. Mori, Storia di S. Maria del Taro. -in1 ;,rarr0CGh,aie’’ 1939'1941· * E· Cozzani, Le Cinque Terre. «Yie d’Italia», XI-194L i210-1221. La Spezia e la Luui^iana: A. Raffellini in una rubrica Spezia dell'ottocento e in articoli vari, in «Corr. Lunense» passim., raccoglie notizie interessanti i quartieri della oittà. In particolare notevole uno scritto su Marinasco, aberrazioni toponomastiche, n. 34, che ha avuto eco nei numeri successivi, χ Nel n. 44 dello stesso settimanale G. Giannini cerca chiarire il mistero deire/’i^watrca, iscrizione del Vassoio di Biassa. X P. Ferrari, Itinerarii lunigtanesi. «G. Mont.», IX-1941 ; Escursioni in Valdimagra: Ponticello, Castelli e «Carni-nate* della 1 alle della Capria. Ibid., XI, XII, 1941; I, II, IH, 1942 in continuaz. Esaurienti studi su un ambiente vetusto e antiche tradizioni. X Del pari bene informati sono i più succinti soritti di N. Zucchi Castellani su I laghi dello Spiaggi q di L. Fugaccia 46 SPIGOLATURE E NOTIZIE su Bratto. Ibid., Vili e X 1&41. X Sempre erudite e nuove le noti ci ne di L·.^ Mussi su personaggi e monumenti di Apuania, in «NC», 26-VII, 10 e 24-VIII, 16-IX, 5-X, 30-XII. Riviera di Ponente: I. Scovazzi, L'area edilizia di Savona dalle origini al secolo XIX. «Atti Dep. St. Patria», Savona, XXIII, 1941, 5-11 e «Lav.», 10-1 e 2-II 1941; «intesi sicura, su ottime fonti, χ B. Beuheecoci, Spazio e tempo dei Balzi Rotti. «Sec.», 23-1X. X N. Caìvini, Cappuccini liguri a Memione. «NC», 8-VII. Sul convento deU’Annnnxiat.a nel sec. scorso. = Notevoli sempre gli saritti di X G. Salvi sn Varigotli, Noli, Piìtale. « NC », 20-V, 2.5-IX, 20-XI, 16-XII, ed i più generici di X L. De Simoni su Sturla, Bonassola, Sestri P., Cervo. Da ricordarsi ancora X R. Baccino, Segreti della nostra terra. «G. di G.», 31-ΧΠ-1941 Notuie storiche e traditioni sulle ricerche dell’oro in Liguria. ARTI FIGURATIVE ARCHITETTURA E RESTAURI. M. Garea, La Chiesa di Invrea a Varazze. ■ Atti Dep. St. P., Savona », vol. XXIII» 1941, 193-213. Ampia indagine storica sui Marchesi del Bosco e di Ponzone„ fondatori della Chiesa nel sec. XII, e descrizione artistica del monumento. C. Ceschi, Progetti del Guarino e del Yittone per la Chiesa di S. Gaetano a Nizza. Palladio, 1941, IV, pagg. 171-177. Importanti osservazioni e rilievi su monumenti che testimoniano l’italianità di Nizza sabauda nel 700, e che· furono tendenziosamente trascurati fino ad oggi da viaggiatori e critici d’oltralpe. P. L. M. Levati e U. De Ferrari, Il Palazzo De Ferrari già Yeneroso in S. Luca d’Albaro. Genova, 1940, 8°, di pagg 90, ili. Il De F. svolge, su appunti del Levati, la storia delle famiglie Lasagna, Veneroso e De Ferrari, e dà una succinta descrizione artistica del palazzo. G. Salvi, Una grandiosa opera del '600 a Genova. Il Molo Suovo. « Genova », 1X-1941, pagg. 3-10. ili. Documentata sintesi di diligenti indagini su fonti d’archivio. Cfr. ancora -NC », 14-XII. Dello stesso, su Frate Oliverio, architetto (? di Palazzo S. Giorgio. « NC », 1-X. « Opera per la Genova Medioevale ». Il « progetto che appare chimerico ma che potrebbe diventare realtà » di Griphus il Comm. David Chiossone, di-rettore del « Secolo XIX ») in « Sec. », 6-VI 1-1941, ha destato larghissima eco nella stampa quotidiana e nella cittadinanza, e si è concretato in maniera oltremodo sollecita e felice, auspice il Sopraintendente ai Monumenti per la Liguria Arch. C. Ceschi, nell’· Opera ». Cfr. per la discussione alla Consulta Municipale i Giornali citt. del 31-VII e ■ Genova », IX-1941, e per il Decreto Ministeriale che costituisce l’Opera. « Sec. », 4-IX. Tra le note suggerite dal ■ progetto » o che comunque interessano Genova antica sono particolarmente significative alcune di * L. De Simoni* ■ NC », 3-VII, 31-VIlì, 14-ΙΧ, su Sottoripa, S. Matteo, il Campanile di S. Siro; di A. Gherso, * Sec. », 10-VII. su Sozziglia; dei frat. Guala, « Lav. »r 13 e 15-VII, che rievocano progetti e.... realizzazioni del passato; e le sagaci considerazioni di X Ang, Genova del Medio Ero e Genova di sempre. « Lav. », 2-IX; G. Coppim, « G. di G. », 13-IX; I Forchi, Restauro di Monumenti e Genova Medioevale e la sua difesa. « Lav. », 12-1 e 20-1II-1942, che suggerisce prudenza nei metodi di restauro, rievocando l’opera di Gaetano Poggi. Su monumenti medioevali genovesi, cfr. inoltre A. Zcccaidi Mfrli su S. Haria di Castello. 12. χ - », 15-VII. X L. Fnmn, At I m χ « NC», 3-VIII. X *ul Palazzo Vecchio dei Comune. «Le Arti », XIX. III. pae. 215. X t. ». * il Palaartto rii lhwiceleone Orna iLtv·», 12-X X Im, iLif.», 22-X. sulla Chi*di Sfuria. Cfr. inoltre X A. T**o. La nlla geno^se nell’arte. «Lav.», 22-VII. X Amo, La Villa Rostnn. «Lav ». 16-IX e 29-ΧΙΙ. X Sulla necessità di re«tanri al Ca-stello di Torri gito, cfr. G«. «Sec.». 11-IX. SPIGOLATURE E NOTIZIE 47 PITTURA, SCULTURA, ARTI MINORI. MUSEI E MOSTRE. r;™E*CAV’ cr°ce bizantina degli Zaccaria nel tesoro del Duomo di inUv310 d- R Scuola Archeol. di Atene e delle Missioni Ital. in 1*1 trv/ i ii’ ’ estr' di ρρ· 8° ^Γ· SQ ottime fonti ricostruisce ,. a. aeli insigne monumento artistico bizantino, integrando le lacune v?· prece,deP-ti con elementi desunti da una pagina del ms. Barbe-a cano latino 3086, ed integrando lo studio con acute osservazioni r ^rni77ATi £ epigrafe e le caratteristiche della croce e della teca. fi! ™;. insioni. « Athenaeum », 1941, 59-71. Il terzo (pag. 67-70) ì r f dell’aut?nticità 0 meno del Sacro Catino del Tesoro di S. Lo- Hofioi’c C 16 u’v0·?11 critica serrata e spietata, e tono anzichenò irriverente, definisce probabile lavoro orientale dell’alto M. E. 11 qua(\T0 di Erminia fra i Pastori. « Genova », I, 1942, pagg. 1-8. enarro oper? meno note, ottimo contributo alla miglior cono- nioin 6 ,Pm ?re ^en^a^e· * M. Bonzi, Sinibaldo Scorza, u Liguria ». Una Maddalena6 w aGenova,)> 1X4941, 17-18; La a Comunione della η cnihn Magnasco. « Genova », II, 1942, 24 seg. Nuove gemme del- ia collana, di cui in « Giornale », 1941, pag. 136. Mo»MA\[üanoNI^/ÌvmSio^qία raragltan°* Wmel secondo centenario della morte). «Il Bo-gno genovese V I 7xri»rw»iPwCi e lnformata notr'ria sul grande scultore del le- ovL. n ^?IT.L· ZüRCHFK> Cinquantenario della morte di Niccolò Barahino. «ISO», 24 ili V tomuiri Τϊ Giuseppe Sant agata. «Genova., X1I-1941. pagg. 13-26, con y d'r MiSf S vh' ?WTg‘° de‘ Genovese «Genova., YII-1941 e «CM·, C-YUl ; Λ κ. Λ1ATKEKI, òacre Edicole. «Genova», 1-1942, 24 seg. '(« Giornale^»* 1941 ^lTTi ^ fr^^H *" *’ ,9*^ * X Sulla Mostra dei Velluti già ricordata «G d? G V ^ vii μ m i?1 n°teV0h scr,tti di M Rizzini in ‘CM>’ 5'^ G· Biohdi, Zoanli ,rPnnfn Ι’τπ' ιϊ', «Genova», VII, 1941; e L. Andreoli, I velluti di bre 1941 uni riron ιΓ 4 ■ - ^ Sul Monumento a C. Ciano, inaugurato nel novem-bre 1941, una ricca -.Uusfranone di C. Marchisio. .Genova», XII, 19«, pagg. 3-12. LETTERATURA E FOLCLORE NOTE LETTERARIE E MUSICALI. D. Bianchi, Chiabrera e Cebà, poeti pindarici. « Atti Accad. Lig. Scienze e e ere », I, 1941, 239-289, da uno studio complessivo sul Pindarismo italiano dalle origini al ’700. Pone i limiti dell’arte del Ch., certo inferiore alla sua fama, mentre il Cebà « meno sorvegliato, interessa più per le sue buone intenzioni che per i suoi meriti reali ». κ G. Sabazio Vanima del Chiabrera, Genova, Pagano, 1942, 16°, pp. 32. Cinque capitoli di varie spigolature e ricordi personali, dettati da un’anima ingenuamente innamorata. Se 1’« anima del Chiabrera» è questa, l’opuscolo è la più convincente conferma della tesi del Bianchi.. . 3* S. Del Bosco, Aspetti di Chiabrera nel suo tempo, a G. di G. », 5-X-1941. I. Scovazzi, Darriliana. « Atti Dep. St. P. », Savona, 1941, 12-34. Quattro capitoli raccolti da precedenti pubblicazioni in « Lav. » e « Rass. d. Prov. di Savona », su / primi passi del giornalismo genovese, Il primo romanzo. Due inedite poesie giovanili, Il romanzo savonese. Cfr ·** 4 G Barrili in « G. di G. », 18-XI1-1941. V. Saffi Catalani. La tormentata rita di un grande poeta sconosciuto. (C. Roccatagliata C.). «Sec.», 2-ΥΙΙΙ. X A. Cappfllini, f’n poeta dimenticato, Padre G. B. Pastorini. «Sec.», 13-XL X A. Rossi. Antonio Baratta, epigrammista genovese. «CM», 18-XII-1941 e 1-1-1942. X G. Bistro, Emanuele Celesia r un verso di Dante. «Genova», VI, 1941. 24-26. Erudta indagine sul * *u///*»* di Pnrg. XXXIII, 36 ed una acuta interpretatione etimologica marinaresca proposta dal ciotto genovese χ Lo stesso. La ibella Costa» e Vincenzo Monti. Ibid.. X, 1941, 12-14, saporita rievdeatione di Antonietta Costa, genovese, innamorata- del M. 48 SPIGOLATURE E NOTIZIE Di Dante, Goldoni, Foscolo, Gozzano, Botto, Pascanola* ed i loro contatti con Genova e la Liguria parlano rispettivamente L. Ff.krf.tti, «Seo.», 1-II-1942; R. BAC^IN0, « Gl·, di G.» 27-XI ; S. Rebaudi, «CM», 8-VII ; A. Rota, «Lav.», 10-YIII ; Aro, «Lav.», 24-11, 194Z ; O. Panseri, «G. di G.», 20-VIII. V. Gavi, Dalla scuola gratuita di A. Costa al Conservatorio Regio.... « Ge-nova», VII 1-1941, 5-14, ili. Ampia cronaca documentata di un secolo di vita deiristituzione. Cfr. « Sec. », 4-IX. S. Fermi,. N. Paganini a Piacenza. « Arch. St. Parm. », N. S., V, 1941» PP· 13. Diligente studio, sulla base spèc. di A. Codignola, Paganini intimo, 1936. Su R. Giazotto, Il melodramma) a Genova, cfr. A. Rava. «Ics», 1941, X, 307. ETNOLOGIA, LINGUISTICA E TOPONOMASTICA. C. De Danilowicz, La carta topografica dell'arte rustica e deWartigianato rurale della Liguria « Lares », 1941, V, 330-343. Prima sommaria relazione, abbastanza informata sulle fonti libresche, ma non altrettanto controllata in loco, per una indagine etnografica generale. E. Isnaldi, Genova e la Liguria nell'« Imago Italiae » di V. Nicouline, che non può avere naturalmente valore scientifico. « Genova », IX, 1941, 19-21. * A. Pasquali, La R. Scuola d'arte di Chiavari 1041. « Lares », XII-1941. M. Bartoli, La posizione del dialetto nizzardo rispetto al provenzale, all'italiano e al francese. « RII », 1941, IV, 147-200. Acuta e dotta indagine, scientificamente impostata e non preoccupata di tesi, che giunge alla conclusione equilibrata: che il nizzardo è « più provenzale che ligure », ma al tempo stesso «più italiano che francese·». P. S. Pasquali, Postille. « Lares », 1941, I, 28-45. Appunti sparsi, anche su cose e vocaboli lunigianesi. U. Levrf.ro, Nel centenario del *Casaccia» e dell'· Olivirri*. «Sec.», 14-XI. con inter. lettere inedite del Caeacc;a e di Emanuele Rossi allOlivieri ed nitri docc. Nella stessa ricorrenza centenaria sorivono spunti notevoli *0A P., in «Sec.», 20-XII ; ed *0* S. U., in ■ CM», 27-XlI-1941 e 31-1-1942. *0 A. Ferraironi, A Fora de Francò u pegur 153-154, tutte note importanti. Su S. F. Bignone ha pubblicato una più completa biografia, ancora P. Muttini, in «Genova», 1941, n 10, 21-25 X La morte del Maestro Domenico Monleone, ha suscitato una larga eco di rimpianti" anche sulla stampa cittadina, cfr. e. c., «Seo.», 18-1; C. Carpone, «G. di G.», 18-1; C. M. Rietmann, B, 19*1; c soprattutto ,Γ. G. e C. Panseki, «Genova», I, 1942, 9-12, con bibliografìa delle opero. ISTITUTI CULTURALI. ARCHIVI E BIBLIOTECHE. A. Beltrami, L'Accademia Ligustica di Scienze e Lettere. Relaz. del Presidente nella seduta iliaugurale. « Atti », I, 1941, 1-5. κ B. Minoletti, Centocinquanta anni di, vita della Società Economica dì Chiavari. Ibid., 121-123, riprodotto in .< Atti Soc. Econ. », 1941, 27-31, e in « NC » 22-VII, = dalla fondazione di Stefano Rivarola nel 1791 ad oggi; brevi note, κ Lo stesso, Lo sviluppo edilizio delVUniversità di Genova. « Annali delle Univ. d’Italia », 1941, 51-56 e 155-159, con una succinta storia dell’Ateneo genovese. 50 SPIGOLATURE E NOTIZIE Archivi e Biblioteche: U. Levrero, Un autografo di Francesco Maria Accinelli alla Beriana. «Genova», X, 1941, 19 seg. X A. Cappellini, L'attrezzatura e la ricchezza della Biblioteca Universitaria. «Lav.», 4-XI. X La nuova rassegna «Notizie degli Archivi aiutato » da ampia notizia degli acquisti di docc. Mal aspini ani presso il R. Aroh. di A pu ama, 1, l 41, 7-8, del passaggio all’Aroh. di Stato dogli importanti Archìvi della R. Università e della Camera di Commercio e Industria di Genova. Ibid., 41-44, del trasferimento da Torino a Genova dei mss Perasso, ibid., 39-40 e fa una. sommaria relazione dei danni causati all "-ren. Genova dal bombardamento navale del 9-II-1941, ibid., 28. X Del Munifico dOno el Sen. Gaslini alla Biblioteca Universitaria, di 67 mss e 140 incunabili, parlano . Mompellio, in «Sec.», 21-XII, ed altri su altri quotidiani. X Sulla Biblioteca e Museo a Andrea D Oria* & Lerici, 1& sua sistemazione nella casa dei D’Oria ed il suo funzionamento, un cenno esauriente in «Accademie e Biblioteche d’Italia», XYI, fase. IV, 194-2, 195. Varia. R. Tosatti, Albori della tipografia genovese, a Genova», 11-1942 X Giornali e vita gior- nalista a Genova nel XVIII secolo. «Sec», 24-VIII. X C. Giahkusso, La « 1 ro Cultura arti, stica», «Genova», 1-1942 = rievocazione di un tipico ambiente del secolo scorso, λ U· V. Óavassa, Un giornalista vivente. «Lav.», 7-X1I = a. prop. delle pubblica.ziom delle Memorie di G. Gandolfi, ricche di inter. memorie della vita ligure di ieri. Direttele responsabile: (RTl RO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca 8. Casciano, 1942-XX Anno XV1I1 - 1942-XX ( Fuecicolo li - Aprile-Giugno GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: AETURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V Spagna e Francia, nella seconda metà del secolo XV, si erano costituite ad unità, si andavano organizzando saldamente all’interno, anelavano ad affermare la loro supremazia fuori dei confini ed a sopraffarsi vicendevolmente. Tutte e due quelle Nazioni, per vicende politiche antecedenti e per motivi dinastici, vantavano diritti su qualche parte d’Italia. Angioini ed Aragonesi avevano lungamente guerreggiato, favoriti spesso e qualche volta aiutati da principi e da repubbliche italiane ; tale era la sorte dell’Italia in quei tempi, nei quali lo straniero trovava sempre fra noi qualche alleato. Dopo tante lotte gli Angioini rimasero esclusi e gli Aragonesi riuscirono a insediarsi in Sardegna, in Sicilia, e nell’Italia meridionale. La contesa, che pareva terminata con l’insediamento degli Aragonesi sul trono di Napoli, si riaccese tra la fine del XV e il principio del XVI secolo non più fra principi deboli e poveri, bensì fra le più potenti monarchie dell’Europa occidentale. L’antagonismo tra Francia e Spagna culminò nella rivalità tra Francesco ì e Carlo V, ed ebbe la massima intensità nel decennio 1520-1530. Il campo di battaglia per tutto questo periodo fu l’Italia, soprattutto la Lombardia e il regno di Napoli, ma neppure le altre regioni poterono andare immuni dai pericoli e danni della guerra. Lo seppe Genova nel 1522 (l) e lo seppe Roma nel 1527. Per dominare in Italia senza contrasti bisognava essere padroni del Mediterraneo occidentale, perchè qui erano le vie di comunicazione e su di esso si svolgeva gran parte della vita economica dei paesi che vi si affacciano. La Francia possedeva due porti sul Mediterraneo : Tolone e Marsiglia : la Spagna aveva Barcellona e Cartagena ; sì l’una che l’altra costruivano galee e mantenevano flotte da guerra; ma nè l’una nè l’altra poteva dirsi padrona del mare. f1) CiREGORin Cortese, Del saccheggio di Genova nel 1522, Genova, 1845. 52 CARLO BORNATE Per consenso unanime, il più grande ammiraglio del tempo, il Signore del Mediterraneo era Andrea D’Oria. Le sue imprese sono così note, a chi abbia un po’ di familiarità colla storia del secolo XVI, che sarebbe ozioso ripeterle. Giova tuttavia osservare che Andrea D’Oria in gioventù attese alla milizia di terra, e fu a servizio di Ferdinando d’Aragona, re di Napoli, e di Giovanni della Rovere, Prefetto di Roma, col quale passò in seguito al soldo dei Fiorentini (2). Tornato a Genova, ebbe assai presto occasione di mettere a profitto l’esperienza, che aveva acquistato nell’arte militare. Il Banco di San Giorgio, che in quel tempo governava la Corsica, per far rispettare la sua autorità e tenere a segno i feudatari, sempre pronti a ribellarsi, nella primavera del 1503, mandò nell’isola alcune compagnie di mercenari comandati da Niccolò D’Oria. Il 6 marzo 1503 i Protettori delle Compere annunciavano al capitano Niccolò l’invio in Corsica di Andrea D’Oria q. Ceve in qualità di luogotenente con fanti 300. An4rea rimase nell’isola fino al settembre di quell’anno, e si fece apprezzare per l’abilità e l’energia con cui seppe condurre a termine gl’incarichi, che gli erano stati affidati (3). La ribellione in Corsica, repressa momentaneamente, riprese con maggior violenza l’anno seguente, per cui l’Ufficio di San Giorgio dovette inviare di nuovo Niccolò D’Oria, che stette nell’isola dal settembre 1504 al febbraio 1506 (4). Quando rimpatriò egli non rimase a Genova, ma si trasferì a Roma, dove fu creato Capitano del Sacro Palazzo (5,). E perchè in Corsica Ranuccio della Rocca persisteva nella ribellione, l’Ufficio di San Giorgio si vide costretto a mandare colà nuove truppe, delle quali elesse Capitano Andrea D’Oria. Tale carica egli conservò dal giugno al settembre 1507 e non ritornò a Genova, se non quando ebbe costretto il ribelle a esulare (6). Fin qui, dunque, Andrea D’Oria aveva dato prove indubbie di capacità e di fermezza nel comando di eserciti terrestri, ma non aveva lasciato sospettare di possedere le doti caratteristiche dell’uomo di mare. Il primo comando marittimo lo ebbe nel 1513, quando già era nel quarantasettesimo anno di età. Sul principio di quell’anno, avendo il Doge Giano Fregoso deliberato di armare due galee a difesa della città, ne diede incarico (2) L. Capelloni, Vita del Principe Andrea D'Oria, Genova, 1863, pag. 18-25. (3) Arch. di Stato, Genova Litterarum Officii Sancti Georg ii, 1501-1504; 1502-1503. (4) Arch. di Stato, Genova, Litterarum Officii Sancti Georgii, 1504-1508; 1505-1507. (5) Arch. di Stato, Genova, Litterarum Officii Sancti Georgii, 1504-1508; lettera 31 ottobre, 1506. f. (e) Arch. di Stato, Genova, Litterarum Officii Sancti Georgii, 1507-1510. I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 53 a Andrea D’Oria (7). Dopo aver cooperato efficacemente a liberare Genova dai Francesi, egli attese a purgare il Mediterraneo dai pira i barbareschi, che ne infestavano le coste. La sua fama salì alle s te le, allorché nelle acque di Pianosa annientò la flotta e fece prigioniero il famoso ammiraglio tunisino Gad-Aly (Godoli). « G était un triomphe sans précédents; on avait enfin abattu orguei t es déprédateurs barbares qui infestaient la mer. La renom-· a AndiH. Dona vola de bouche en bouche du détroit de Gibraltar jusqu a i ichipel; les Turcs ne prononçaient plus son mon qu’avec V°Î’ ‘i8 ^-J^rétiens, <1 o ut il défendait victorieusement la cause en i ustrant Gênes et lui même, étaient pleins d’amour et de reconnaissance. on sentait, l’on savait que l’Europe méridionale pouvait en in opposer un vrai marin aux corsaires qui la désolaient » (8). • ++61 1 mutameuti avvenuti nel 1522, sdegnando di servire Antonio o i- ( orno, fatto Doge di Genova, il D’Oria passò al servizio di Francesco I, re di Francia. Nella lotta ingaggiata tra Francia e Spagna, Andrea D’Oria eia un a oie ci primaria importanza. Le maggiori forze dei conten-en i erano terrestri, e le battaglie decisive furono combattute piuttosto m terra che sul mare, ma le comunicazioni tra Spagna e Italia dovevano necessariamente farsi per mare e la padronanza del Medi-terraneo era allora, come oggi, requisito indispensabile per la vittoria. Quando Carlo di Borbone, nell’estate del 1524, invase la Provenza e pose l’assedio a Marsiglia, la flotta, francese e la spagnola si trovarono impegnate nell’impresa. La città, assediata dalla parte di terra, potè essere rifornita di viveri, di armi e di munizioni dalle galee comandate dal D’Oria, e a o a spagnola, guidata da Ugo di Moneada, che doveva portare e grosse artiglierie all’esercito invasore, fu costretta a ritirarsi. Il nncipe d Oiange, che era partito dalla Spagna su un brigantino per raggiungere l’esercito imperiale quale luogotenente del Borbone, fu sorpreso in mare e catturato. Continuando le sue azioni vittoriose, il D Oria s’impadronì di Savona e di Varazze e sbaragliò la flotta del Moneada·, che tentava di riprendere quest’ultima città (9). La fama delle eroiche imprese condotte felicemente a termine la peiizia nell arte navale, la instancabile attività e l’energia mostrata nelle più difficili contingenze della sua vita davano ad Andrea D’Oria una superiorità indiscussa su tutti i comandanti marittimi del suo (7) E. pandianl, Il primo comando in mare di Andrea D'Oria con uno stu-dio sulle galee genovesi, in Atti della Soc. Ligure di Storia Patria vol LXTV Genova, 1935, pag. 341 segg. 1887^ E ^&1T' André Doria' Un Amiral Condottiere au XVl.me siècle, Paris, (9) M. Mignet, Rivalité de François I e de Charles-Quint, t I Paris 1875 pag. 517 seg.; E. Petit, op. cit., pag. 49-51. * ’ 54 CARLO BORNATE tempo. Nessuno si meraviglierà pertanto se i Sovrani più potenti andavano a gara per averlo al loro servizio. ^ Al principio del 1525, forse prima della battaglia di Pavia, Car- lo V diede incarico al suo ambasciatore residente a Genova di lare pratiche per attirare Andrea DO ria sotto le sue bandiere. Il 2 marzo Lope de Soria così scriveva da 'Genova all’Imperatore : « El vissorey (Carlo di Lannoy) me ha escrito que platique con Andrea Doria si quiere acordarse con sus galeras.para servir à V. M., y helo Iiablado con un pariente suyo para que ïo platique con el : de lo que me responderà darè aviso à V. Μ..... » (10). Per il momento la cosa non ebbe seguito, perchè nella corrispondenza di Lope de Soria non si trova più cenno di tale argomento, ma il D’Oria ebbe sentore della richiesta imperiale e non la dimenticò. Il Re di Francia, sconfitto e fatto prigioniero a Pavia il 24 febbraio 1525, fu tenuto prima nella fortezza di Pizzighettone, indi levato di là il 18 maggio e trasportato a Genova. Egli temeva di essere condotto a Napoli e ne informò segretamente la madre,· Luisa di Savoia, aggiungendo che nella traversata da Genova a Napoli poteva essere liberato dalla flotta francese superiore a quella spagnola per numero di navi e valore di capitani. In Francia si fecero i preparativi per l’audace impresa, ed il Maresciallo di Montmorency, recatosi a Genova con sei galee, informò il Re di quanto era stato predisposto per la sua liberazione. Francesco I, però, ripensando al grave pericolo a cui sarebbe andato incontro, mutò parere, e avendo ottenuto da Carlo di Lannoy, che lo aveva in custodia, la promessa di essere condotto in Spagna, rinunciò al suo progetto (1V/. Il 2 giugno, mentre si trovava a Porto-fino, il viceré di Napoli concesse salvacondotto al Maresciallo di Montemorency per sei galee (12), e l’otto seguente concluse con lui un accordo, in virtù del quale le sei galee francesi dovevano unirsi con la flotta spagnola per fare scorta al re nel viaggio da Portofino a Barcellona (13). Nonostante queste precauzioni del Lannoy, Andrea D’Oria si dichiarò pronto a liberare il Re dalle mani dei nemici, ed espose il suo piano in questo modo. Egli si sarebbe tenuto nascosto con le sue galee presso le isole Hyères, attendendo il passaggio del convoglio. Quando lo avesse avvistato, col favor delle tenebre si sarebbe unito con esso, lasciando un poco addietro le due galee più veloci. Con le (10) A. Rodriguez Villa, Italia desde la batalla de Pavia hasta el saco de Roma, Madrid, 1885, pag. 14. (“) Mignet, op. cit., t. II, pag. 104-106. (12) G. Molini, Documenti di storia italiana, vol. I, Firenze, 1836, pag. 188; C. Bornate, Historia vite et gestorum ver Dominum Magnum Cancellarium (Mercurino Arborio di Gettinara) in Miscellanea di storia italiana, S. III, t. XVII, Torino, 1915, pag. 305. (13) M. Mignet, op. cit. t. II, pag. 106. I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 55 altre quattro avrebbe assalito la nave ammiraglia spagnola con la certezza di sopraffare rapidamente le forze su di essa imbarcate, avrebbe levato di peso il Re, lo avrebbe deposto in uno schifo e trasportato sano e salvo sulle due galee veloci. Se nella mischia avesse dovuto perdere anche le quattro galee assalitrici, il danno sarebbe sempre stato lieve in confronto del vantaggio, che la Francia avrebbe avuto con la liberazione del suo Re. Questo piano arrischiato non piacque nè alla Reggente nè ai Ministri, perchè temevano che nella mischia la vita del Re fosse in pericolo. Anzi lo spirito di iniziativa dell audace genovese fu scambiato per ostinazione o mèglio per insubordinazione ai voleri della Reggente e dei Ministri regi, i quali trassero pretesto per metterne in dubbio il valore, la fama e la glo-ìia, per ostacolarne le iniziative, per diminuirgli lo stipendio e ritardargliene il pagamento (14). Per questo e per altri motivi il DOria, finito il suo contratto, abbandonò il servizio del Re di Francia, e si accordò con Clemente VII (15). Prima della pubblicazione della lega di Cognac (16), quando si credeva che l’animo del papa pendesse ancora incerto fra i due rivali, e Carlo V faceva i maggiori sforzi per attirarlo dalla sua parte (17), Andrea DOria andò a Roma, dove fu ricevuto con grandi onori, e ricordando forse l’invito dell anno precedente, giudicò opportuno visitare anche l’ambascia-tore cesareo e manifestargli la sua devozione all’imperatore (18). Pubblicata un mese dopo la lega e iniziate le ostilità contro le forze imperiali in Italia, il D’Oria, militando in favore del Papa, serviva indirettamente anche la causa francese. Ma il 21 settembre 1526, dopo 1 assalto dato da Ugo di Moncada e dai Colonnesi alla città leonina, Clemente VII firmò una tregua di quattro mesi, per effetto della quale promise di ritirarsi dalla lega col Re di Francia e di richiamare le truppe dalla Lombardia e la flotta dal blocco di Genova (19;). Il richiamo fu di breve durata, perchè Clemente VII, poco disposto ad osservare un patto impostogli con la violenza, non ( L Sigonii, De vita et rebus gestis Andreae Aurìae Melphiae principis libri duo, Genuae, 1586, fol. 17-18; E. Petit, op. cit., pag. 52. (lo) A. Guglielmotti, La guerra dei pirati e la marina pontifìcia dal 1500 1560, vol. I, Firenze, 1876, pag. 269 e seg. (16) La lega fu conchiusa a Cognac il 22 maggio, ma pubblicata ad Angou-leme soltanto il 21 giugno. (17) C. Bornate, op. cit., pag. 327-328. (1S) Lettere dì Giovanni de' Medici detto delle bande nere in Archivio Storico ital. N. s. t. IX, 2, (1859;, pag. 130. « Andrea Doria es venido aquì: ha sido muy bien rescebido y tratado del Papa. Està acordado con la provision que tengo asci ita a V. M. Vinoroè â visitar diziendome que en tanto que servió a franceses no pudo faltar a su débito de hacer la guerra corno podla,: que agora tenia mucho contentamiento por estar θπ serviico de S. S., porque siendo uni-do con S. M. podrla mostrar el deseo que tenia de servirle.... ». El duque de Sessa al Emperador, Roma, 25 mayo 1526; A. Rodriguez Villa, op. cit., pag. 125. (19) L. Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, vol. IV parte II Roma, 1912, pag. 218; C. Bornate, op. cit., pag. 335. 56 CARLO BORNATE pensò affatto di staccarsi dalla lega e rimandò la sua flotta a bloccare Genova. Nella battaglia di Portofino, combattuta il 19 novembre 1526 contro la flotta spagnola condotta da Carlo di Lannoy, Andrea DOria comandava Pala destra della flotta alleata (20). Quando Clemente VII seppe che stavano per arrivare dalla Francia Renato conte di Vaudemont, rappresentante dei diritti degli Angiò su Napoli, con 30.000 ducati e dall’Inghilterra sir John Russel, inviato di Enrico III, con egual somma, interruppe le nuove trattative iniziate coi rappresentanti dell’imperatore e riprese le ostilità. Il 7 febbraio 1527 giunse a Roma Andrea D’Oria « per pigliare ordine de la speditione de le XXX galee che erano a Civitavecchia » e fu deciso che sarebbe andato ad assalire il Regno di Napoli (21). A Civitavecchia il D’Oria imbarca le famose bande nere, capitanate da Orazio Baglioni dopo la morte di Giovanni dei Medici ; imbarca alla Fiumara del Tevere il conte di Vaudemont, il quale, « procedendo come luogotenente del Papa, e sostenuto dalle forze di Venezia e di Francia, occupa Ponza addì 23 di febbraio ; e di là coi proclami e colle armi piglia Mola di Gaeta, Torre del Greco, Castellamare, Sorrento e Salerno » (22). Intanto quella bordaglia che intitolavasi esercito imperiale, comandata da Carlo di Borbone, dopo essersi trattenuta i mesi di marzo e di aprile tra la Romagna e la Toscana, ai primi di maggio si diresse velocemente contro Roma : il 2 giunse a Viterbo « ai 5 attraversò la Campagna e verso sera comparve dalla parte di Monte Mario dinanzi alle mura del Vaticano » (23). Durante il sacco della Città eterna, mentre il Papa era chiuso ili Castel Sant’Angelo, Andrea D’Oria si tenne Civitavecchia e rifiutò di consegnarla ai commissari imperiali fino a che non gli fossero pagati 14.000 ducati di cui era creditore per stipendi arretrati (24). La pratica per guadagnare il D’Oria al servizio di Carlo V non fu nè dimenticata nè interrotta. Essa stava a cuore ad un grande Italiano, il Gran Cancelliere Mercurino di Gattinara, che dal 1518 al 1530, cioè fin quando visse, diresse la politica imperiale ed esercitò un’influenza preponderante sulla formazione spirituale dell’Im- (20) A. Guglielmotti, op. cit., vol. I, pag. 281-283. (21) F. Gualterio, Corrispondenza segreta di Gian Matteo Giberti col Cardinale Agostino Trivulzio dell1 anno 1527, Torino, 1845, pag. 95; L. Pastor, op. cit., vol. IV, parte II, pag. 238. (22) A. Guglielmotti, op. cit., vol. I, pagg. 284-285; F. Gualterio, op. cit., pagg. 105-106, 127, 137, 142, 176. (23) G. De Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, vol. 2, Venezia, 1864, pag. 426. (24) L. Pastor, op. cit., vol. IV, parte II, pag. 277; C. Manfroni, Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma 1897, pag. 274. I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 57 peratore. L’opera del Gattinara poco nota fino a pochi anni fa, ha ottenuto il suo giusto riconoscimento con la pubblicazione della sua « historia vitae et gestorum », dei numerosi documenti che la corredano e la completano, e finalmente con la recentissima storia di Carlo Y di Carlo Brandi. Il 7 giugno 1518 era morto Giovanni Sauvage Gran Cancelliere del Re di Spagna, che aveva con l’opera sua destato malumori e odi popolari. « Son successeur fut une personnalité qui, peu à peu, devait nouer avec les Espagnols de meilleurs rapports et était en même temps comme prédestinée à faire sortir les affaires publiques du monde fermé de la Bourgogne où de l’Espagne où elles s’étaient cantonnés jusq’ici et à organiser de façon grandiose le pouvoir universel de Charles: c’était Mer curi no Gattinara. Son arrivée aux affaires, son entrée dans l’entourage du souverain, est un événement bien plus important que tout ce qui se passait alors aux Cortés, si graves et significatives que fussent ces négociations. Gattinara devait marquer de son empreint non seulement la grande politique, mais plus encore la personnalité même de Charles; comme seul Chiévres l’avait fait avant lui et, après lui, plus personne » (25). Nella sua autobiografia il Gattinara dice che, dovendo sciogliere un voto nel Santuario di Monserrat (26) e volendo recarsi in patria per curare e riordinare i suoi privati interessi, partì dalla Corte cesarea il 30 marzo 1527 ; sciolse il voto, indi continuò il viaggio per Barcellona, ove giunse il 27 aprile. A Barcellona noleggiò alcune navi genovesi ancorate nel porto di Pàlamos, e quando le navi furono pronte per far vela, il 15 maggio, egli si rimise in viaggio e in quattro giorni giunse a Pàlamos. Qui però a causa del cattivo tempo non potè imbarcarsi subito e dovette attendere dieci giorni prima di mettersi in mare (27ì. (25) C. Brandi, Charles-Quint, 1500-1558, Paris 1939, pag. 86. L’opera del Brandi, pubblicata in tedesco nel 1937, fu tradotta in francese da Guy de Bude e pubblicata dal Payot nel 1939. (26) Mont-Serrat sorge a nord ovest di Barcellona sulla destra del fiume Llobregat. Nel famoso Santuario si venera un’immagine della Vergine nera, chiamata la morenita de Catàluna. Nei tempi, di cui qui si tratta, il culto della Morenita era profondamente sentito e largamente diffuso in tutta la Spagna. « Cada dia recibia Montserrat nuevas visitas y nuevos présentes. Y no se crea que eran todos los que le visitaban pobres peregrinos partidos de lejanos paises, infelices romeros subiendo à pie y descalzos la trabajosa montana. en cumplimiento de un voto ó de una expiacion; no por cierto. Mezclados con ellos se prefeentaban a llamar à la puerta del templo — que lo propio se abria para el potentado que para el mendigo — ilustres nombres ce familias poderosas, célébrés apellidos de afamados héroes». V. Balaguer, Las lejendas del Montserrat, Madrid, 1885, pag. 220. (27) C. Bornate, op. cit., pagg. 343-346. 58 CARLO BORNATE A Pàlamos prese alloggio nell’eremo di Nostra Signora delle Grazie e quivi incontrò il Vuon padre eremita, che in altre occasioni si era adoperato per indurre Andrea D’Oria a passare al servizio di Carlo V. Il padre eremita spiegò al Gran Cancelliere che il motivo, per cui la pratica era rimasta senza risultato, si doveva cercare nel ritardo con cui la corte imperiale aveva dato la risposta, poiché questa era giunta quando il D’Oria si era già accordato col Papa. Fatto raccordo, PAmmiraglio non lo poteva più disdire. Ora che il tempo della condotta era presso al suo termine, se sua Maestà desiderava prendere il D’Oria al suo servizio, egli non dubitava di poterlo indurre ad accettare ,a patto clie fossero accolte certe condizioni, che PAmmiraglio poneva per il suo passaggio al servizio dell'imperatore. Alcune di queste condizioni, come quella dello stipendio e la remissione di tutte le colpe che si potessero imputare a lui ed ai suoi congiunti, al Gattinara sembravano ragionevoli. Intorno all’altra condizione che poneva il D’Oria, cioè che la Città di Genova dovesse essere sottratta alle rivalità e alle ambizioni degli Adorno e dei Fregoso, e restare sottoposta soltanto all’alta sovranità imperiale, conservando tutti i suoi privilegi, il Gattinara riteneva che si dovesse per il momento soprassedere, pensando che si sarebbe potuta risolvere più facilmente quando il D’Oria fosse al servizio dell’imperatore. Il padre eremita, uomo savio e accorto, riconobbe la ragionevolezza della proposta del Gran Cancelliere e rispose che sperava di farla accettare anche dal D’Oria. E poiché l’acquisto di un tal Capitano era di somma importanza per l’imperatore, sia per accrescere la sua potenza sul mare e diminuire quella dei suoi nemici, sia per preparare con maggior sicurezza il suo viaggio in Italia, il Gran Cancelliere faceva sapere all’imperatore che egli avrebbe condotto con sé il padre eremita, che era genovese e molto amico di Andrea D’Oria, e per mezzo di lui sperava di potere avere un abboccamento .con l’Ammiraglio e trattare e discutere di presenza. Naturalmente egli avrebbe scandagliato l’animo del D’Oria, ma non avrebbe concluso alcun accordo senza ordine dell’imperatore. Secondo il Gattinara, sarebbe stato molto utile il passaggio del D’Oria al servizio di S. M. per uno o due anni, fino a quando S. M. fosse stato arbitro della situazione e avesse reso ben sicuro il suo viaggio in Italia. Se l’imperatore avesse accolto la proposta, doveva tenerla ben segreta, fino a che le pratiche relative non fossero state condotte felicemente a termine. In questo caso S. M. avrebbe potuto scrivere al Borbone o al viceré Carlo di Lannoy, i quali, in virtù dei poteri di cui erano investiti, avrebbero potuto concludere come a S. M. sarebbe parso di ordinare. Se poi l’imperatore non fosse stato di questo parere, ordinasse di abbandonare le trattative ; nel frattempo il Gran Cancelliere avrebbe trovato modo di tener viva la I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 59 pratica senza procedere oltre, persuaso di servire in tal modo agl’interessi di S. M. (28). Il Gattinara a Pàlamos non conosceva ancora gli avvenimenti d’Italia e credeva il Borbone ancora vivo: soltanto quando giunse a Monaco, il 3 giugno, ebbe notizia del Isacco di Roma e della morte del comandante dell’esercito imperiale. Il documento, di cui qui si tratta, è un pro-memoria scritto di mano del Gattinara e da lui consegnato a persona che si recava alla Corte per farne relazione orale all’imperatore, Però, siccome tale documento si conserva insieme con le lettere scritte dal Gattinara a Carlo V dopo la sua partenza dalla Corte e durante il soggiorno in Italia, è chiaro che anche il pro-memoria andò nelle mani dell’imperatore. Quale sèguito abbia avuta questa iniziativa del Gattinara non è facile dire con precisione, poiché non si conoscono finora altri documenti contemporanei che trattino questa materia. Tuttavia il fatto che, proprio mentre il Papa era prigioniero in Castel Sant'Angelo e Andrea D’Oria aveva in suo potere Civitavecchia, sia stato questi insistentemente invitato a passare al servizio dell’imperatore, dimostra all’evidenza che l’iniziativa del Gattinara ebbe il consenso imperiale, e un tentativo di esecuzione. Il Capelloni non solo conferma l’esistenza delle trattative, ma ci dice anche il motivo per cui il D’Oria in quell’occasione rifiutò le pi offerte imperiali e accettò invece quelle del re di Francia (29). Carlo Sigonio (non si sa se abbia tolto la notizia dal Capelloni o l abbia avuta da altra fonte) ripete press’a poco le stesse cose, specificando che il D’Oria era sollecitato dagl’imperiali « magnis propositis praemiis » (30). F. D. Guerrazzi parafrasa e in parte ampli-' ^ (*·8) Il pro-memoria, che si pubblica in appendice (Documento I), è inedito, pero e stato utilizzato da F. B. von Bucholtz, Geschichte der Begierung Ferdinand. des Ersten., Wien, 1831, t. III, nota a pag. Ite. 29) « in questo repentino ed inaspettato accidente della presa di Roma, e della ritirata del Papa, si ritrovava il Capitano a Civitavecchia sènza partito, ed essendo egli con istanza ricercato dalli ministri cesarei, perchè andasse a sei vire 1 imperatore, parve a lui darne prima notizia al Papa, dal quale ne fu dissuaso, anzi pregato a non dover prestare orecchie a partito, che gli proponessero gl’imperiali, perchè se si accordava con loro, sarebbe stato cagione di farlo condurre prigione in Ispagna o a Napoli, e che per oggetti suoi desiderava che egli si accordasse a servire al re di Francia, la qual cosa per soti-stargli, egli eseguì volentieri ». L. Capelloni, Vita del Principe Andrea D'Oria, pag. 42. Le stesse cose sono ripetute nei Ragionamenti vari di Lorenzo Capelloni, sopra essempii; con accidenti misti, seguiti et occorsi, non mai veduti in luce. In Genova, Appresso Marc'Antonio Bellone, MDLXXVI, pag. 49. (30) « Clemens vero Pont. Summus aegre in arce se recipit, ibique foede per aliquot menses obsessus est: quo tempore, neque Andreae opera uti poterat: neque aequum censebat, diutius eum carere stipendiis, quae iure pacta deberentur; atque, ab eo, qui obsidione premeretur, persolvi non possent. cum deinde comperisset, eum magnis' propositis praemiis sollicitari, ut Caesarianas partes sequeretur, id ne accideret, antevertendum, omnibusque modis conandum 60 CARLO BORNATE fica i due autori precedenti (31) ; il francese Edouard Petit si attiene prevalentemente alla versione del Capelloni (32). I nostri storici in generale passano sopra a questo episodio del 1527 senza farne cenno. Il De Leva vi dedica poche righe, riassumendo rapidamente quanto aveva scritto il Bucholtz e anticipando le pratiche al mese di maggio, quando il Gattinara si trovava ancora a Pàlamos. «Da molto tempo prima ch’ei passasse agli stipendi del Papa, e di nuovo nel maggio del 1527 in occasione che Mercurino da Gattinara, Gran Cancelliere, trovavasi nell’Italia superiore, avevano gl’imperiali introdotte pratiche segrete per trarlo a sè col mezzo di un eremita agostiniano » (33). Quanto al « buon padre eremita » è difficile poterlo identificare. Sappiamo che egli era genovese « et fort familier dudit Andrea Doria » ma non sappiamo a che famiglia appartenesse e se nel suo ordine non fosse qualche cosa più che un semplice frate. Gli Eremitani Agostiniani officiavano in Genova la parrocchia di San Giacomo di Carignano, secondo il Ratti, fin dal 1154, e dal 1475 erano in Santa Maria della Consolazione (34). È noto che il D’Oria, terminato il suo servizio con Clemente VII, si accordò nuovamente con Francesco I e insieme con la flotta veneziana nell’estate 1527 bloccò Genova dal mare, mentre Cesare Fre-goso con truppe fornitegli dal Lautrec l’assaliva dalla parte di terra (35). L’otto agosto, col consenso del Gattinara che si trovava ancora a Genova, dell’ambasciatore cesareo Lope de Soria e del doge Antoniotto Adorno, il D’Oria fu invitato ad un colloquio per trattare la· resa della città alla « Maestà del Christianissimo ». Il D’Oria vi andò, ma non essendo « anchor conclusa la comissione di la università » fu pregato di attendere fino al mattino seguente, « Aspettai et a l’hora determinata sono venuti da me in galera li commessi da li deputati di quella, a causa di salvar quel poco resta alla consunta città, hormai fino a l’ultimo curri ritornarla al servitio et devotione de la Maestà predetta, al che far li ritrovai molto pronti, chi per amore et affectione, chi per timor vedendo il fatto loro disperato, sichè solo accadette ragionar del modo. Fu concluso che tor- putavit, quod hominem tantae virtutis alienari nollet ad amicis, et cum inimicis coniungi. itaque cum Andreas, auctore summo Pontifice secretoque per nuncios hortante, Gallis vero id summo studio contendentibus, iterum ad Gal-liarum Regem accessisset, Rex eum humanissime accepit, continuo res maritimas ei demandavit, (annuum stipendium nummum aureum triginta sex millium decrevit ». Caroli Sigonii, op. cit. fol. 19. (31) F. D. Guerrazzi, Vita di Andrea D'Oria, vol. I, Milano, 1864, pagg. 116-117. (32) E. Petit, op. cit., pag. 61. (33) G. De Leva, op. cit., vol. II, pag. 479. (34) Ratti, Guida di Genova, vói. II, Genova, 1789, pagg'. 78, 87, 89. (35) P. Giovio, La seconda parie delVistoria del suo tempo tradotta per L. Domenichi, In Venetia, MDLX, pag. 81 e seg.; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, i. I, Genova 1799, pag. 233 e seg. I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 61 nariano là dentro ditti deputati, et mandariano da Sua Excellentia uno o doi cum possanza a farli reverentia et darli obedientia per quella città, ne la quale, quantunque sia nato et citadino, che mi stringe pur assai et compatirli et haverli pietà, nondimeno faccio certa sua Illustrissima Signoria che principalmente ricorderò, quel che sono al servitio del Re Christianissimo et honor di sua Excellentia » (36). Il Gattinara, che aveva condotto con sè da Pàlamos il padre Eremita con la speranza di avere per mezzo di lui un colloquio col ria, non stimò prudente in quelle circostanze incontrarsi col luo-go cnen e £»eneiale del suo nemico. Andrea D’Oria, del resto, non scese dalla sua galea, e dopo essersi accordato con « li commessi da li deputati » tornò a Portofino. Il G-ian Cancelliere, d’altra parte, che non ignorava con quanta bramosia i suoi nemici si adoperassero per averlo nelle mani, vide la necessità imprescindibile di allontanarsi da Genova prima che la citta si arrendesse. Partire per via di terra non era neppure da pensarci, tutte le vie erano sorvegliate dalle milizie del Lautrec. Non rimaneva che la via del mare, ma qui le galee del D’Oria facevano uona guardia. « Et dal capo di Paro la notte cingeva con le galee utto il porto fino alla Malapaga. Il giorno poi si tirava in alto: talché non poteva uscire per mare, nè entrar uno schifo, ch’egli non volesse ». Era nella darsena il brigantino del capitano Bernardo Scoto di Levanto ; con lui si accordò il Gattinara per fuggire il pericolo che gli sovrastava. La prudenza e l’abilità del capitano Scoto 11 a ( . e tanta che nella notte fra il 13 e il 14 agosto riuscì con arte mirabile a far passare il brigantino fra le galee del D’Oria e a i aportare il Gran Cancelliere sano e salvo prima in Corsica poi alla spiaggia della Catalogna (37). Dopo gli accordi preliminari del 9 agosto, Antoniotto Adorno mando al Lautrec Vincenzo Pallavicino e Gaspare Bracelli i quali, trattati molto umanamente dal capitano francese, fermarono d’accordo c on lui i patti della resa. Il Lautrec, mentre moveva col grosso delle sue forze verso Pavia, mandò Cesare, figlio di Giano Fregoso, a prendere possesso di Genova. I partigiani dell’Adorno, quando seppero che l’esercito francese si allontanava, tentarono di impedire a Cesare Fregoso di entrare in città,, tuttavia furono sopraffatti e costretti a ritirarsi. Così Genova sul finire dell’agosto 1527 ricadde sotto la dominazione francese e fu governata da Teodoro Tiivulzio (36) Andrea D’Oria al Lautrec, 9 agosto 1527 in M. Sanuto, / .Diarii, t. XLV, 640-641. (37) L. Capelloni, Ragionamenti varii sovra esempli, ecc., pagg. 44-45; C. Bornate, op. cit., pagg. 352-353. 62 CARLO BORNATE in nome del Re Francesco I. Antoniotto Adorno si chiuse nel Castelletto, ma pochi giorni dopo si arrese e si ritirò nei suoi feudi (,3S). Francesco I, che già aveva nominato Andrea DOria suo luogotenente nel Mediterraneo, per dimostrargli quanto apprezzasse il contributo di lui nel riacquisto di Genova, gli conferì le insegne dell’ordine di S. Michele, « onore il più grande, che dessero a quel tempo i Re Christianissimi » (39). Dopo la resa di Genova il Lautrec s’impadronì di Alessandria e di Pavia e dispose l’assedio di Milano con le genti dei Veneziani e del Duca Francesco Sforza, indi si trasferì a Bologna. Il D’Oria ebbe l’ordine di riunire le forze marittime del Re e di veleggiare verso le coste della Toscana per imbarcarvi le truppe comandate da Lorenzo Orsini (Renzo da Ceri) e tentare insieme con l’armata veneta la conquista della Sicilia. A questo scopo, erano state allestite in Provenza dodici galee, sulle quali si erano imbarcati molti fuorusciti siciliani, che si erano offerti al Re di facilitare l’impresa. Andrea D’Oria partì da Porto fino con venti galee e altre navi e andò a Porto Ercole, dove imbarcò le fanterie di Renzo da Ceri. Ciò fatto, mosse incontro all’armata veneta, ma invece di continuare per la Sicilia, a causa del cattivo tempo si ritirò nel porto di Livorno. Qui sorse un gran contrasto fra 1 Orsini e il DOria, insistendo il primo, perchè ad ogni costo si tentasse l’impresa della Sicilia, opponendosi il secondo a cause delle condizioni atmosferiche non propizie alla navigazione, dell’inverno imminente e della scarsa provvisione di viveri. Andrea D’Oria propose di assalire la Sardegna, isola più debole della Sicilia, vicina alla Corsica ricca di buoni porti, e a questo piano aderirono tanto Giovanni Moro, provveditore veneziano, quanto il Lautrec, il quale sperava che l’acquisto della Sardegna facilitasse l’impresa della Sicilia. In Sardegna le truppe del Cristianissimo trovarono una resistenza inaspettata, condizioni climatiche avverse e penuria grande di viveri, di modo che si scoraggiarono e stimarono miglior partito abbandonare l’impresa. Renzo da Ceri propose allora di andare a Tunisi, il cui sovrano era amico della Francia, rifornirsi di vettovaglie, ristorarsi in quel porto e di là muovere all’assalto della Sicilia. Ma il DOria non era dello stesso parere, troppo prudente egli era per mettersi alla mercè dei barbareschi. In conclusione tante forze riunite non conseguirono nessun risultato. I veneziani navigarono verso Pisola di Corfù, Andrea D’Oria rimandò le galee francesi in Provenza, sbarcò la milizia e lasciò le sue galee a Livorno sotto il comando del suo luogotenente Filippino D’Oria ; egli poi. si ritirò a Genova, donde fece relazione del suo operato al Re, esponendogli i motivi per cui non aveva creduto opportuno tentare l’impresa della (38) F. Casoni, op. cit., t. I, pagg. 230-238; A. Giustiniani, Annali della Re-pubblica di Genova, t. II, Genova, 1844, pagg. 694-697. (39) F. Casoni, op. cit., t. I, pag. 239. I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 63 Sicilia. (( Ma avendo Renzo da Ceri scritte molte cose in suo disavvantaggio, attribuendo a sua colpa la cattiva riuscita dell’impresa di Sardegna, e che per sua ostinazione si fosse perduta la buona congiuntura d’occupare la Sicilia, e i fuorusciti siciliani portando contro di lui le stesse querele, parve che il Re aprisse più Porecchio alle relazioni di Renzo, e d’altri appassionati, che alle sue giustificazioni. Onde m lui cominciò a nascere qualche mala soddisfazione » (40). I motivi della mala soddisfazione si possono riassumere così: a) il Re di Francia procrastinava a restituire Savona ai genovesi, anzi pareva che volesse farne un porto rivale a quello di Genova; b) la Corte dopo vani infiingimenti si dichiarò contraria alle riforme politiche vagheggiate dal D’Oria allo scopo di liberare Genova dalle lotte di parte e di creare VUnione dei cittadini in una forma di governo accetta a tutti ; c) Francesco I non si curava di far pagare all’Ammiraglio gli stipendi arretrati, e altre somme di cui egli era creditore ; d) infine non manteneva la promessa di pagare al D’Oria 20.000 scudi per il riscatto del Principe d’Orange, che egli aveva fatto prigioniero presso le coste di Provenza e che il Re si era fatto consegnare e aveva liberato in seguito al trattato di Madrid. Il D’Oria aveva inoltre ragione di querelarsi per il poco conto in che era tenuto dai ministri e dai cortigiani più vicini al Re e sopra-tutto per la velenosa opposizione del Gran Cancelliere Duprat e del Gran Maestro Anna di Montmorency (41ì. Quando il Gattinara lavorava per attirare il DOria al servizio di Carlo V aveva la visione precisa dell’importanza di tale acquisto. I fatti che seguirono confermarono luminosamente quelle previsioni. Ciò che si scrisse allora circa l’incredibile cecità di Francesco I nel prestare orecchio ai consiglieri nemici del D’Oria, si ripete anche ai nostri giorni dagli storici più accreditati. « Le départ de la flotte génoise eut pour cause une rupture survenue entre François I.er et André Doria. Cette rupture, dont les effets s’étendirent à toute le reste du régne de François I.er, fut une des plus grandes fautes de ce prince. Tant qu’il eut à son service André Doria, qu’il avait fait son lieutenent général dans la Mediterranée, François I.er j garda une supériorité qu'il perdit lorsque André Doria passa au service de (40) F. Casoni, op. cit. t. I, pag. 241. Intorno alla spedizione di Sardegna e al contrasto fra Andrea D’Oria e Renzo da Ceri. Cfr. : F. Guicciardini, Storia d'Italia, 1. XVIII, c. 5 'e 6; P. Giovio, op. cit., pagg. 86-87; G. Molini, op. cit., vol. II, pag. 29; G. Muller, Documenti che concernono la vita pubblica di G. Morone in Miscellanea di Storia italiana, t. Ili, Torino. 1865, pag. 651; F. D. Guerrazzi, op. cit., vol. I, pagg. 132-135; E. Petit, op. cit., pagg. 66-68; M. Mignet, op. cit., t. II, pagg. 418-419. (41) M. Spinola, Considerazioni su varii giudizi di alcuni recenti scrittori riguardanti la Storia di Genova in atti della Società Ligure di Storia Patria, vol, IV, fase. IV, Genova, 1867, pag. 313. 64 CARLO BORNATE Charles Quint » (42). A compiere questo grande errore Francesco I fu indotto dal suo Gran Cancelliere Duprat e dal Gran Maestro Anna di Montmorency ; mentre Carlo V ebbe dai suoi consiglieri e da’ suoi luogotenenti in Italia la più cordiale, intelligente e attiva copeiezione nell’attirare al suo servizio il dominatóre del Mediterraneo. Il segretario Juan Perez il 3 giugno 1528 avvertiva PImperatore che il Lautrec, accampato attorno a Napoli, aveva respinto certe richieste di Filippino D’Oria « por lo que el principe de Orange le ha enviado (a Filippino) un_ mensa je, que si quiere servir al Emperador todo lo que pida sobre este punto, le seria concedido (ciudades. y ca-stillo de Castellamare y Vico). No se sabe la respuesta de Filippino, pero es seguro que el principe ha escrito sobre elio. Ha habido una conversaciòn con Antonio de Hijar, que fué enviado con el mensaje del principe al conde Filippino Doria. Su opinion es que puede espe-rarse que dicho capitan y aun su tio Andrea Doria, pasen al servicio del Emperador si sus condiciones son aceptadas. Dichò Antonio es hombre de gran habilidad y experiencia en estos asuntos, empleado con frecuencia por el principe y por Alarcon » (43). Le trattative così iniziate continuarono nei giorni seguenti, e del loro andamento il Perez informava giorno per giorno rimperatore. Il 12 giugno lo avvertiva che Filippino era partito per Genova, e siccome il contratto con Francesco I finiva il 30 di quel mese, si supponeva andasse a consultare Andrea circa il nuovo contratto da stipularsi con Carlo V. Due giorni dopo aggiungeva che da alcuni prigionieri liberati dal DOria si era saputo che Ascanio Colonna e il Marchese del Vasto, fatti prigionieri nella battaglia di Capo d’Orso, si erano accordati con Andrea per il loro riscatto. Il Re di Francia aveva offerto maggior somma per averli nelle mani, ma il D’Oria si era rifiutato di consegnarglieli. Lo stesso giorno, 14 giugno, il Princiue d’Orange indirizzava all’imperatore una lunga lettera, il cui paragrafo ottava è il documento più importante di questo difficile e delicato negozio. Il Principe diceva di aver saputo dal conte Filippino che Andrea D’Oria era molto malcontento del re di Francia e che era disposto di accordarsi con l’imperatore. Il motivo del malcontento era che il Re aveva rifiutato di rimettere Savona sotto il dominio di Genova. Egli era persuaso che se l’imperatore l’avesse assicurato su questo punto e sulla libertà di Genova, gli avesse pagato il soldo per le galee con promessa di qualche concessione nel Regno di Napoli, lo avrebbe attirato al suo servizio. « Vous scavez, sire, quel homme il est et la nécessité ou vous estes. Je vous supplie, sire, ne vouloir refuser riens quii vous demande ; car jamais chose ne vous vint tant a propos que ceste accord, sii vient a bien ; car avec les galleres que vous faictes et les siennes vous serez seigneur de la mer, et aurez (42) M. Mignet, op. cit., t. II, pag. 432. (43) F. De Laiglesia, Estudios historicos, t. I, Madrid, 1918, pag. 126. 1 NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 65 ung des hommes de ce monde qui senteud aussi bien en ce mes-tier » ( ) Annunciava pure di avere spedito un suo agente di fiducia, Vaury, il quale, sotto colore di trattare, pratiche relative al riscatto dei prigionieri, doveva scrutare le intenzioni del D’Oria, e se avesse trovato terreno favorevole a Genova, proseguire Ano in Ispagna per sentire il volere sovrano. Frattanto il segretario Perez dava notizia alla Corte che Ascanio Colonna e il Marchese del Vasto avevano ottenuto il riscatto, mediante la somma complessiva di 25.000 ducati, e stavano cercando il denaro per il pagamento allo scopo di raggiungere l’esercito il più presto possibile. Questi e altri prigionieri spagnoli trasportati a Genova in attesa di versare il prezzo del riscatto, erano lasciati liberi sulla parola. Il -b giugno era già noto che Andrea D’Oria non intendeva conti nuare il servizio di Francesco I, e il 1° luglio il Perez informava Impeiatore che Filippino era partito per recarsi presso Andrea « para convenir en los medios de servir el Emperador ». Da Napoli, assediata dal Lautrec, giungevano invocazioni all’imperatore che solo una poderosa flotta poteva salvare la città, e ciò si sarebbe ottenuto an o con unire la flotta del DOria a quella imperiale. Le stesse cose ripeteva il Principe d Orange. Le trattative procedettero per. alquanto tempo con molta riserva-tezza e con 1 intervento di pochissime persone ; ma di mano in mano che avanzavano e acquistavano consistenza si andava allargando la cerchia dei partecipi; finalmente quando si potè prevedere con sic» e.za esito favorevole, il segreto uon fu più mantenuto e si comincio a parlarne pubblicamente. ο 11 Cardinale Colonna, governatore di Gaeta, scriveva il ,. *? all Imperatore «....inoltre speriamo che la situazione mi-fl m-i p°iche non e un segreto l’accordo fatto con Andrea Doria ». Lope de Sona riferisce il 6 luglio all’imperatore che « hace pocos • lias, catorce galeras trancesas procedentes de Provenza, con un nu evo almirante (Barbezieux) y 800 gascones a bordo, entraron en el puerto de Savona. Andrea Doria que estava en Génova, abiendo oido que venian a quitarle los prisioneros de la ultima batalla naval en el Golfo de Salerno, y que un nuevo almirante habia sido noni-brado para el mando de la escuadra, y tambien que el Bev rehusa devolver Savona a Génova, levo anclas y fué cou sus prisioneros a San Remo, plaza fuerte de la costa, perteneciente a la orden de San Jorge, donde mantiene su resoluciòn de non servir mas al Bey de Francia, y ofrece sus servicios al Papa o a S. Μ. I. Es de presumirT sm embargo, que el Bey tratarà de reconciliarse con él y conservarle (44) F' DE.Ìr;aG“SIA' op- cit- 1 l' P&S· 127· Questa lettera del Principe d’O- io,U,ge ,U Pubbllcata da K. Lanz, Correspondenz des Kaisers Karl V Leipzig· 1844 vol. I, pag 272. segg. Il passo surriferito è citato anche in M. m’ignet, υρ’ cit., t. ii, pag. 436. * 66 CARLO BORNATE en su servicio. Por otra parte es muy probable que Vasto y Co onna, y los demàs prisioneros de Doria, hayan lieclio algùn arreg o con èl, y acaso le hayan prometido, en nombre del Emperador, el gobier-no de Génova y otras ventajas » (45). Se queste voci correvano a Genova non si potevano dire infondate: d’altra parte era naturale che la notizia delle trattative e la riservatezza degli argomenti trat-tati dessero alimento a una serie infinita di supposizioni, che variavano secondo le opinioni, le tendenze, i desideri degl’interessati. Due cose tuttavia apparivano chiare: la risolutezza del D’Oria di lasciare il servizio di Francia ; la resipiscenza di Francesco I, e i suoi vani sforzi per trattenere l’uomo che con la sua leggerezza, con la sua ostinazione, con l’aver prestato fede a’ cattivi consiglieri, egli aveva scontentato e allontanato per sempre (46). In una lettera del 9 luglio all’imperatore, il Marchese del Vasto dice che ancora « se trabajaba por reducir a Andrea Doria al servicio del V. M. », e in una del 12 parla invece della « conclusion tomada con Andrea Doria.... ». I patti furono dunque concordati tra il 9 e il 12 luglio nel castello di Lèrici, ove per maggior sicurezza e col consenso del Banco di San Giorgio il D’Oria si era trasferito con Ascanio Colonna e col Marchese del Vasto. Immediatamente fu spacciato all Impelatole Francesco Eupt, signore di Vaury, col testo delle richieste fatte dall’Ammiraglio. La notizia trapelò subito, perchè il 13 Pietro Cha de Pexaro, procuratore di Sorrento, annunciava che Andrea D Oria si era accordato con l’imperatore. Filiberto d’Orange, luogotenente dell’imperatore in Italia, animato dal vivo desiderio di venire a capo di questa impresa, invocava, il 15 luglio, la cooperazione di Ferdinando, re di Boemia e d’Ungheria, e lo pregava di adoperarsi per la buona riuscita delle trattative in corso, mostrandogli i grandi vantaggi che ne sarebbero derivati al suo dominio. Giovanni Moro, provveditore dell’armata veneta, annunciò il 17 e 18 luglio che Filippino D’Oria da Gaeta sarebbe andato a Corneto per temporeggiare fino a che avesse ricevuto ordini da suo zio (cugino) Andrea. Circa la conclusione delle trattative è significativo quanto scriveva il Marchese del Vasto il 17 luglio «che (egli e il Colonna) avevano concertato che, senza attendere la conferma dalla Spagna, il DOria andasse a soccorrere Napoli, che il marchese desiderava andarci, perciò il D’Oria glielo permetteva, ed egli partiva con le galee a tale scopo ». Le stesse cose ripeteva Ascanio Colonna il medesimo giorno, 17 luglio, confermando nel secondo paragrafo della sua lettera, il cui estratto si conserva nella colecoion Salaœar (nella Biblioteca de la Reai Academia de la Historia di Madrid), « lo que el marqués del Vasto y él han procurado para reducir a Andrea Doria (45) F. De Laiglesia, op. cit., t. I, pagg. 129-130. (46 M. Mignet, op. cit., t. II, pag. 437. I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 67 al servizio de V. M., y que Vaury trae de elio buena resoluciòn, y dice lo mucko que esto cumple al servicio de S. M. y lo rnuclio que el Rey de Francia lia trabajado por haber a él y al marqués, y que ( e no haberse heclio lia nacido entre él y Andrea Doria la discordia ; que después de escrito lo susodicho se concertaron con Andrea Doria conforme e la capitulaciòn que lia traìdo Vaury, y dice lo mucko que este kombre puede servir y los grandes partidos que el Rey de Fiancia y el Papa le hacìan; suplica a V. M. le haga toda buena demostraciòn ; remìtese en lo demàs a Vaury ». Annunciava infine « que se partìan de allì con las galeras de Andrea Doria por procurar socorrer a Nàpoles, y esperà que karà buen efecto, y suplica que a Andrea Doria y al conde Filipino V. M. kaga grandes demo-straciones, y que de todo ka dato , aviso al prìncipe de Orange y otros ministros de V. M. » (47).‘ Gli avvisi dati dal Colonna al principe d’Orange si riferivano alla partenza delle galee, e all’arrivo prossimo dei soccorsi a Napoli, di cui quella città aveva tanto bisogno. La mancanza di aiuti dalla Germania e dalla Spagna e il bisogno urgente di vettovagliare Napoli furono appunto le cause cke indussero Filiberfo di Ckalon a sottoscrivere le richieste del D’Oria senza attendere il consenso imperiale, sicuro cke non sarebbe stato smentito « — Ma perchè (questi SS.ri) conobbero non esser altro rimedio alla salute dello exercito, essendo la munitione del grano quasi al fine, et mancando ogni speranza di averne per alcun’altra via, et così il signor principe firmoe li capitoli suoi (del D’Oria*, et col mezzo del detto S.or marchese del Guasto s’è facto tanta instantia, che detto S.or Andrea è stato contento venir al soccorso nostro senza expectare la^ ratificatione de . M. te, confidandose della promessa et fede del Sig.r prencipe solo, et così è giunto a Gaieta con le XII galere de sua conducta alli 22 del presente, et ha portato seco detti SS.ri marchese del Guasto e Ascaneo.... » (48). Le rickieste del D’Oria firmate da Filiberto di Ckalon e controfirmate dal segretario Bernardino Martirano furono comunicate a Madrid. Il documento originale si conserva nell’Archivio di Stato di Genova (49). Appena ebbe conoscenza di tali richieste, Carlo V scrisse (19 luglio) al Principe d Orange nei termini seguenti « he tenido gran piacer eii lo que me escribìs de Andrea Doria y en lo que teneis^despachado de este asunto con Vaury, porque esta es la cosa que màs deseo, y que màs debo desear par cortar las empresas de mis enemigos y disminuir sus fuerzas en el mar; que yo pueda atraer a mi servicio el dicho Andrea Doria con sus galeras, y recobrar por este medio la escuadra de Génova, y para servirme también de sus galeras y otros (47) F. De Laiglesia, op. cit., t. I, pagg. 131-132. (4S) G. Muller, op. cit., t. Ili, pag. 691; T. Dandolo, Ricordi inediti di Gerolamo Morone, Milano, 1859, pag. 268. (49) Appendice, Documento II. 68 CARLO BORNATE navìos, sin los quales mal podrìa hacer armada tan poderosa <1υ<~ sea superior a la de mis enemigos; y a este efecto, y por existir el diclio Vaury en el trato del dicho Andrea Doria, despaelio al presente un genovés, servidor mìo, del que Balanzon os dirà el nombre, con car-tas al dicho Vaury, y también le escribo a él y a Antonio de Leyva, porque està pròximo, a fin de que por dilatar el asunto no se detenga el concluirlo si viene a punto; en fin, por todos los medios posibles procuren atraer a mi servicio el dicho Andrea Doria- » (°0)· Lo stesso giorno che Carlo V manifestava il vivo desiderio e quasi l’impazienza di veder condotto a termine quest’affare, Andrea D Olia mandava in Ispagna suo cugino Erasmo munito di procura per sottoscrivere il contratto in suo nome. L’Imperatore, come aveva dichiarato in precedenza, approvò tutto quello che Filiberto di Cha-lon aveva promesso. L’atto definitivo venne firmato a Madrid, il 10 agosto, dai consiglieri imperiali Giovanni Manuel, Nicola Perrenot, Francesco Rupt e Giovanni Lalemand da una parte e da Eiasmo D’Oria dall’altra. Carlo V lo ratificò il giorno seguente (51). Prima ancora che queste formalità fossero compiute, il pattto era stato messo in esecuzione, perchè, come scriveva G. Morone all’imperatore, il 22 luglio le galee del D’Oria erano già a Gaeta e vi a^e\ano condotti il marchese del Vasto e Ascanio Colonna, oramai liberati dalla prigionia. In conformità della sesta domanda e della relativa accettazione, il 26 agosto Carlo V emanò il diploma col quale nominava Andrea D’Oria Capitano generale dell’Armata marittima del Mediterraneo e dell’Adriatico (52). - e La soddisfazione dell’imperatore per gli accordi condotti felicemente a termine traspare dalla lettera che il 2< agosto egli indii izzò al Principe d’Orange. In questa lettera Carlo V informa il Sll° luogotenente nel regno di Napoli che egli ha ratificato gli articoli del contratto con Andrea D’Oria, dei quali invia copia ; che ha già fatto pagare a Erasmo D’Oria, in contanti, 2800 scudi come suo stipendio per il quadrimestre luglio-ottobre, e per il resto, che deve essere anticipato ogni due mesi, ha ordinato che i pagamenti si facciano a Barcellona o a. Valenza a scelta dello stesso Erasmo ; e se Andrea (50) F. De Laiglesia, op. cit., t. I, pag. 132. (51) Il documento è stato pubblicato da Cesareo Fernandez Duro, Armata E spanala, App. IX, pag. 364; F. De Laiglesia, op. cit., t. I, pagg. 148-151, ed è riassunto in G. De Leva, op. cit., vol. II, pag. 480; F. Casoni, op. cit., t. I, pagg-270-272; M. G. Canale, Nuova Istoria della Repubblica di Genova, vol. IV, Firenze, 1864, pagg. 457-458. Il testo dato dal De Laiglesia è scorretto e in certi punti inintelligibile. Esso si discosta dal nostro in due punti soltanto : nella domanda quinta, ove, invece di « sesanta milia scuti d’oro del sole » si legge « LXXII mil ducati d’oro » e nella domanda dodicesima, ove, invece di « scuti tre milia d’oro » si legge « Vili mil ducati ». (52) Traduccion del titulo de Capitan generai de la Armada Marittima dee Mar Mediterràneo y Adriàtico, despachado al Principe Andrea TJ'Oria, 26 ago-, sto 1528; F. DI Laiglesia, op. cit., t. I, pagg. 152-154. « I negoziati per attirare ANDREA d’oria al SERVIZIO DI CARLO V 69 non fosse contento, farebbe in modo di soddisfarlo in tutto e per tutto. Avvisa di aver consegnato a Erasmo il diploma della nomina ai Andrea a Capitano generale del Mare Mediterraneo e Adria ico, come lo tenne. D. Ugo di Moncada ; di avergli consegnato il di-p. orna per la concessione del diritto di esportare dalla Sicilia 10.000 salme di grano ; di avere ordinato al viceré di Sicilia di allestire e sue sei galere, perchè siano pronte a unirsi con la squadra del ria, alla quale altre galere saranno inviate dalla Castiglia L? ?Qa' Nfla domanda settima, il D’Oria aveva chiesto 1 e e per la sua flotta la città e il porto di Gaeta, ma l’Impera- ™ιΓβ?+Γ8Ι?08ί0 esserne Per ora impossibile l’accoglimento, -O + a provveduto· Ed ecco che, scrivendo all’Orange, ite. «Resta, entretanto, sobre los dichos articulos, que le hagais ntiegar algnu puerto y plaza en mi reino de Napoles para su 'V f Sl1S »aleras >K L’Imperatore ringrazia il suo luogo-.-h* Î? r61 + Che ha arut0 in que8*0 affare e per la diligenza rin · * .lm0S ra ° \ 6 8 ProPosito del D’Oria aggiunge questo giudi-( ara mi, es hombre probo y de buen servicio, y no tengo duda Wh! ’ n° ®ola“ente bara menos, sino mas, en mi servicio, que el _ ? ^ eI, a losx senores a quienes antes ha servido; asì también i que e tiaten mejor que lo han tratado los demàs; v para empezar y darle a conocer, asì como a sus sobrinos, que no 'tratan • n un principe ingrato, he dic-ho al nombrado Erasmo que mi in-es a de. dar al dicllo capitan Andrés, su tìo, un estado de Tr, S ei!.e ( 10 remo de Nàpoles, segun conocéis mi intencion ». in attesa di maggior guiderdone, Carlo V nominò intanto Filippino uà suo consigliere e ciambellano con una pensione di mille ducati annui; Erasmo e Cristoforo D’Oria, gentiluomini di Corte con pensione di cinquecento ducati annui ciascuno (53). Nella Cranica del Emperador Carlos V di Alonso de Santa Cruz e pubblicata una lettera, che Andrea D’Oria avrebbe indirizzata al-mperatore il 30 agosto 1528. In quella lettera il D’Oria afferma cbe da molto tempo desiderava servire l'imperatore e ringrazia Dio che gli abbia offerto l’opportunità di soddisfare questo suo desiderio. Egli ascrive a particolar fortuna la vittoria di Capo d’Orso non per la gloria che il conte Filippino acquistò alle sue armi, ma peiche di la venne a. lui occasione propizia per liberarsi dal servi-, e Cristianissimo e passare a quello imperiale. Riepiloga il D Oria le cause del suo malcontento verso Francesco I. giustifica la sua condotta e conclude annunciando l’invio di suo cugino Erasmo con il memoriale di ciò che ha da chiedere a S. M. per parte di esso Andrea. Il Santa Cruz non dice donde abbia ricavata questa lettera. Il (53) F. De Laiglesia, op. cit., t. I, pagg. 137-138 70 CARLO BORNATE De Laiglesia, che ha frugato tutti gli Archivi spagnoli per comporre i tré volumi de’ suoi E studios historicos, dice di non avei a rinvenuta da nessun’altra parte. Tale documento, che avrebbe, come si può facilmente intuire, importanza notevole, contiene, purtroppo, strane contraddizioni. A un certo punto infatti dice: « reduxe am* bien a vuestro servicio a la çiudad de Genova, y tomé a partido La fortaleza desterrando de allì al nombre del Rey de Francia». E noto che Genova si liberò dalla soggezione di Francia fra il 10' e il 1-settembre 1528 e che Teodoro Trivulzio rese il Castelletto soltanto ai primi di ottobre. Come poteva il D’Oria scrivere il 30 agosto di a^er avuto a patti la fortezza e di avere sradicato dalla città il nome del Re di Francia? D’altra parte, continuando, la lettera dice: «io enbìo alla a Erasmo Doria,... ». Già sappiamo che Erasmo fu inviato in Ispagna il 19 luglio e che il contratto fra l’imperatore e Andiea D’Oria fu firmato a Madrid il 10 agosto. Neppure qui dunque ι dati concordano. Il De Laiglesia, ristampando la lettera a pag. 139-140 del tomo I de’ suoi E studios historicos, si avvide di questo secondo anacronismo, ma non del primo, che è anche più grave. Egli ciede che ci sia errore nella data; ma se, tenendo conto delle parole ìe a-tive a Erasmo, bisognerebbe anticipare la lettera al 19 luglio, se si pon mente a ciò che si dice della presa della città e della fortezza, occorrerebbe ritardarla all’ottobre. L’autenticità di questa lettela pare dunque, allo stato delle nostre conoscenze, molto sospetta (· ). Questo episodio è forse il più importante, certo il più discusso, della vita di Andrea D’Oria. Gli storici antichi e moderni hanno cercato appassionatamente tutti i particolari, hanno vagliato tutti gli argomenti e si sono, naturalmente, divisi in due schiere. g i uni approvando la condotta dell’Ammiraglio e biasimando il contegno incerto e oscillante di Francesco I; gli altri accusando il D’Oria di ambizione, di avidità di ricchezze e di onori, di malafede e asso -vendo il Re di Francia da ogni censura. Notevole il fatto che, tra· ι favorevoli al DOria, Eduard Petit nomina ventidue autori di tutti i tempi e di tutte le levature, tra questi alcuni di gran fama come il Giovio e il Brantôme (non sempre favorevole) fra gli antichi; il Robertson, il Sismondi, Henry Martin, il Michelet e il Mignet tra i moderni; e tre soltanto contrari: Francesco Guicciardini, Edoardo Bernabò-Brea e Michele Giuseppe Canale, ai quali aggiunge poi Emanuele Celesia (55). Se eccettuiamo il Guicciardini, la cui ostilità verso il D’Oria non è così assoluta come E. Petit vorrebbe, perchè quello storico famoso non esprime un giudizio suo, ma rife- (54) ALONSO DE SANTA Cruz, Crònica del Emverador Carlos V, Madrid, 1920, t. II, pag. 411. « De una carta que de su propia mano escribiò Andrea Doria cuando enviò a Erasmo Doria su sobrino a Espana a concertar con el Empe-rador.... ». (55) E. Petit, op. cit., pagg. 75-76, 98. I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 71 risce quello che si diceva ο si credeva; i più acerbi detrattori il D’Oria li ebbe in casa propria. Anche tra questi, però, occorre distinguere. Il Canale, per esempio, che E. Petit nomina tra quelli che a l’attaquent avec energie », proprio nell’affare di Savona dà ragione al D’Oria e scrive parole che il Francese si guarda bene dal ricordare (5G). Non è il caso di rifare il processo a quel Grande Genovese : chi avesse vaghezza di più ampie e particolareggiate notizie legga le Considerazioni eoe. di M. Spinola e il capitolo V della citata opera di E. Petit e troverà quanto desidera. Il Petit ha trattato l'argomento con molta ampiezza e con animo appassionato ; e mentre si sforza di apparire imparziale, non riesce a dissimulare una forte dose di chauvinisme. ? ^-a nel più che mezzo secolo, trascorso dalla pubblicazione del- 1 opera del Petit a oggi, sono venuti alla luce documenti che hanno mutato in parte gli elementi di giudizio, e che non debbono essere trascurati da chi ricerca la verità vera. f Nelle pagine precedenti è già stato accennato ai motivi che indussero il D’Oria ad abbandonare il servizio del Re di Francia, e ai giudizi contradditori degli scrittori circa la condotta di lui in tale occasione. Quanto al mancato pagamento degli stipendi, al riscatto del principe d’Orange, alla negata consegna del marchese del Vasto e di Ascanio C donna e ad altre questioni secondarie si ammette da tutti ebe il D’Oria aveva pienamente ragione. Le divergenze e le discussioni \ ertono essenzialmente su due punti : la libertà di Genova e la restituzione di Savona. È vero che Andrea D’Oria antepose, in questa circostanza, la libertà della Patria agli interessi privati o è vero il contrario, che sotto colore di propugnare gl’interessi della Patria mirò a soddisfare la sua avidità di danaro e la sua smisurata ambizione? Trattandosi qui non del fatto in sè, ma delle conseguenze molto complesse, la discussione sarà sempre aperta e si potranno sempre addurre argomenti prò e contro. « Ma io, dice Benedetta Varchi, non sappiendo la verità di questo fatto, e veggendo dall’un de' lati la superbia e alterigia franzese del re, e dall’altro la contumacia e ostinazione genovese del D’Oria, lascerò che ognuno ne creda a suo senno, detto che avrò, che avendo il D’Oria poco appresso, potendosene far signore, rimessa Genova in libertà, cosa in tutti i tempi rarissima, ed in questi sola, merita che più si debba credere a’ fatti di lui, che alle parole degli altri » (57). E il Guerrazzi commenta : « Se veramente Andrea restituisse libertà alla patria, esamineremo più tardi, che grave indagine è quella : basti per (56) M. G. Canale, Storia dello Repubblica di Genova, dalVanno 1528 al 1550 Genova, 1874, pagg. 12-13. (57) B. Varchi, Storia Fiorentina, vol. I, Firenze, 1838-1841. pag. 420. CARLO BORNATE ora che così valgarmente fu creduto a codesti tempi, ed anco ai nostri da parecchi si crede, o si finge, e che le condizioni di Genova da quelle eh’erano, e più minacciavano diventare, egli migliorò » (58). La questione di Savona è di altra natura : E. Petit ci insiste, perchè vuol dimostrare che il D’Oria agì con malafede. Il suo ragionamento, spogliato di tutti gli accessori, suona così : Francesco I restituì Savona e il suo distretto ai Genovesi il 1° luglio 1528 (^9) , Γ11 luglio il Re mandò una lettera agli Anziani della Repubblica, annunciando di aver fatto spedire le relative patenti. L\8 luglio il decreto doveva essere pervenuto ' a Genova e quindi conosciuto dal D’Oria; il 18 luglio doveva essere pervenuta anclie la lettera del-Pll : il DOria decise di accettare il servizio di Carlo Λ il 20 luglio, dunque PAmmiraglio prese la sua decisione, quando già sapeva che Savona era stata effettivamente restituita a Genova. Se i provvedimenti e le lettere di Francesco I fossero posteriori al 20 luglio,^ si potrebbe sostenere che egli non seppe conservare il suo ammiraglio : ma poiché il Re provvide prima del distacco del DOria, ogni rimprovero d'indifferenza o d'incapacità rivolto a lui cade da sè. Egli comprese che il DOria gli era utile, anzi necessario, che il suo allontanamento avrebbe avuto gravi conseguenze e fece quanto stava in lui per conciliarselo. « S’il n’a pas réussi, la faute en est à 1 insatiable cupidité d’André Doria, non pas à Finexpérience ou bien à l'ingratitude de François I ». Resta così provato che Francesco I era· deciso a restituire a Genova i suoi diritti e privilegi, a renderle Savona, a dare piena soddisfazione ai desideri dell Ammiraglio e che questi sacrificò gli interessi della Patria alla sua ambizione (60ì. Ma il castello costruito con tanta cura da E. Petit è diventato oggi un « castello in aria ». Non il 20, ma il 10 luglio come s’è visto, il DOria aveva già deciso il suo passaggio al servizio dell'Imperatore e al momento della decisione, trovandosi egli a Lèrici e non a Genova, non poteva conoscere la resipiscenza del Re circa la restituzione di Savona, la quale resipiscenza, nonostante le affermazioni in contrario di E. Petit, era una solenne commedia. Il primo agosto i due oratori inviati da Genova a presentare il decreto del 1° luglio al governatore di Savona. Giov. Francesco Solaro, conte di Moretta, e a sollecitarne l’esecuzione, si sentirono rispondere che egli aveva lettere del Re. posteriori al decreto, in cui si diceva tutto il contrario : e poiché essi insistevano, furono minacciati di essere bastonati (61). Così manteneva le promesse il Re di Francia. Del resto il malcontento di (5S; F. D. Guerrazzi, op. cit., vol. I, pag. 168. 59 E. Berxobò-Brea, Sulla congiura di Gio. Luigi Fieschi, Genova, 1863. pag. 127. (60 E. Petit, op. cit., pagg. 111-112. 61) I. Scovazzi F. Xoberasco, Storia di Savona, vol. Ili, Savona, 19*28, pag. 117. I NEGOZIATI PER ATTIRARE ANDREA D’ORIA AL SERVIZIO DI CARLO V 73 Andrea D’Orda verso quel sovrano aveva radici molto lontane e complesse ; e la decisione presa nel mese di luglio non era effetto di un’improvvisa alterazione dell’animo, ma risultato di lunga e ponderata meditazione. Carlo Bornate DOCUMENTI I. Promemoria di ciò che il messo dovrà riferire all’imperatore da parte del Gran Cancelliere Mercu-rino di Gattinara (autografo). Vienna, Haus-Hof- und Sta«atsarotiivs, Aus Belgien, P. A. 94, n. 447). Vous dires de bouche a sa M.te comme estant venu en ce lieu me suys lou-gie en cest hermitaige de notre dame de grâce assis sur la porte de palamos, ou ay trouve le bon pere heremite que aultre foys practi Paganini ne era scomunicato, nè poteva provarsi esser pecca-toi e contumace. La disposizione positiva della legge e la giustizia richiedevano quindi che fosse trattato come ogni cristiano (4). Queste conclusioni, asserite con esplicita chiarezza, costituiscono il lato più interessante del documento e ci fanno vedere come tra gli ecclesiastici dell’epoca non tutti la pensassero come Don Caffa-relli, Mons. Manno o Mons. Galvano. Ed allora, se un membro tanto eminente della Curia di Genova la pensava così, perchè anche a Genova, nella « sua » Genova Pa^a- / & (2) Noi pubblichiamo la parte conclusiva dello studio, da f. 40 a f. 43. (3) In Codignola, Paganini intimo, Genova, 1934, pag. 95 segg. (4) Cfr. infra. 78 CASSIANO DA LANGASCO nini non trovò una zolla di pace, non ebbe il conforto di un funerale, se non dopo cent’anni? Rispondere è forse immaturo. Il Ferrari traccia una via, che sarebbe stata quella della salvezza per gli affettuosi esecutori testamentari. La sentenza di Nizza, egli dice, non ha bisogno di riforma, perchè fuori della Diocesi di Nizza non ha valore. Ogni Vescovo ha per limiti della sua giurisdizione i contini del suo territorio e ciò che a Paganini era stato negato nella terra che ne aveva- accolto l’ultimo respiro, poteva e doveva trovarlo altrove. Invece, prima che la salma abbandonasse l’ospitale casa del Conte di Cessole, si erano già mosse le passioni umane, le incomprensioni, le malignità, che tanta parte avevano avuto nell’agitata vita del Violinista, e che, in quelli anni di incandescenza, non permisero una serena visione dei fatti. La voce del nostro Pro-Λ icario si levò invano e Nicolò Paganini, anche da morto, non cessò di essere l’artista errante. ¥ Cassiano da Langasco DOCUMENTO Il sig. Barone Nicolò Paganini di Genova si trasferì nella città di Nizza, per causa di malattia, nel mese di Decembre dell’anno 1839, ove, continuandogli l’infermità, ed aggravandosegli ognor vie-maggiormente fu più volte visitato dal Rmo. Canco. Penitenziere della Cattedrale (*), anche a suggerimento del Vescovo, dal quale non essendosi potuto ridurre a far la sua confessione, e ad adempiere al precetto pasquale, di cui ne correa l’obbligo, morì senza avervi adempito nel giorno 27 maggio 1840. Dopo di che il di lui cadavere fu dal Vescovo, con apposita sentenza, dichiarato privo delle, sepultura ecclesiastica Questa sentenza, se si abbia riguardo al solo inadempimento del precetto pasquale, è illegale e nulla per difetto di diritto, per difetto di forma e per difetto di giurisdizione. Per difello di diritto, perchè.... nella pena del canone « Omes utriusque sexus» non si incorre ipso jure, ma solamente post judicis sententi a tri, la quale non avendo-avuto luogo durante la vita del defunto, non deve aver luogo dopo la di lui morte, ed essendo morto non interdetto, tale dovrà sempre essere considerato, essendo che, come dice Gelasio Papa nel can. 2 quest. 2 cons. 24 « Ecclesia viventes potest ligare non mortuos ». Può bensì dichiararli incorsi in una pena, che avessero già contratto, ma qui non siamo nel caso, perchè li Paganini non l’aveva ancora contratta. Per difetto di forma, perchè.... a ciò necessariamente si richiede la trina citazione o monizione, o almeno una monizione perentoria coll’intimazione della pena (circa monitionem vide Bonacina, De cens., pag. 383 per totum). Per questa ragione, dice Innocenzo IV nel Cap. Statuimus, De sent, exeom., in 6., che la scomunica, data contro chi comunica con uno scomunicato vitando, senza la debita monizione, è nulla. Dice ancora Innocenzo terzo nel cap. Sacro 48, De sent, exeom. che colui il quale fulminerà la scomunica contro alcuno a non praemissa competenti admonitione et non praesentibus personis idoneis, per quas, si necesse fuerit, possit probari monitio », quantunque ciò faccia per giusta causa, resta privato per un mese dall’ingresso in chiesa (Ve- (*) Sulla realtà e il modo di queste visite ved. Codignola cit. p. 82. SUL PROCESSO ECCLESIASTICO A CARICO DI NICCOLÒ PAGANINI di Engel, De sent, excom., n. 7). Ora dalla censura di scomunica alla censura di interdetto personale si può giustamente argomentare. Nonostante alcuni Autori insegnano che, in certi casi la monizione non sia necessaria, ammettono però sempre necessaria la citazione, acciocché il reo si possa difendere; e chi sa se il Paganini fosse stato legittimamente citato coll*intimazione della pena, che non si fosse guadagnato? E ΓEngel, nel suddetto luogo, insegna che le teorie predette procedono nell’interdetto personale. Anzi, ancora dippiù. la censura di scomunica, come pure quella, di interdetto, devono essere date in iscritto, e colla sposizione della causa, e si vegga a questo proposito il ?ir-chius, De sent, excom. al n. 12. Si aggiunga alle cose predette che non era, nel caso nostro concreto, ancora giunto il tempo in cui si potesse fulminare il suddetto interdetto; poiché per la pratica della Chiesa antica, non si poteva di regola generale dare l’interdetto senonchè dopo la Pentecoste; che il tempo pasquale non era forse per Paganini peregrino assai chiaramente conosciuto, prima che ne sia stato a\-vertito dal Canonico, essendo che, nei diversi luoghi, è diverso: così in Bologna, ai tempi di Benedetto 14® si estendeva fino all’ottava della Natività di Maria SS.ma....; in Polonia e nel Ducato di Lituania, per decreto di Urbano 8°, si estende fino alla domenica 2a dopo Pasqua; nell’Indie, al Messico, nell’Etiopia, nella Mauritania, nel regno del Perù si estende fino all’ottava del SS mo Corpo del Signore. Si è veduto-quanto sia estesa e benigna la disposizione del Sinodo di Genova, a cui apparteneva il Paganini sopra del che ora parleremo. Dunque la detta sentenza manca nella forma. Vedremo poi in appresso ancora, come manchi dippiù nella forma per i testi di diritto allegati e motivati, i quali non si possono applicare come furono applicati, senza [diminuire] molto notabilmente la loro significazione. Per difetto di giurisdizione. È dottrina comunemente abbracciata da Dottori che la censura si può dare solamente contro dei sudditi, perchè la potestà di dare censure appartiene alla giurisdizione coercitiva, come comunemente sostengono i'Dottori. Si vegga il Bonacina, De censuris, disp. 1, q. 1, punto 4, n. 12, che cita molti Autori. Ora il Paganini era egli suddito del Vescovo di Nizza? La sudditanza si acquista per domicilio o quasi domicilio. Aveva forse il Paganini il quasi domicilio in Nizza? Confesso che, chi non ha certo domicilio e certa abitazione è soggetto a quel foro in cui si trova, come si ha dal pro\'erbio: « Ubi le invenero, ibi te iudicabo ». Ma ciò non succede, quando si ha certo domicilio e certa abitazione, o quando uno si reca iti un luogo, da cui ha in animo di presto partire. Il quasi domicilio si acquista per una ben notabile dimora, ossia per la dimora di una maggior parte dell’anno, come si verifica negli studenti, che, principiando l’anno scolastico in un luogo hanno l’animo di terminarvelo; ma non si acquista da colui che si porta in un luogo con animo di fermarvisi poco, come a causa di ricreazione, di salute, oppure di villeggiatura (cap. Is qui de sepult. in 6), quantunque per accidens vi si fermasse anche lungo tempo, se continua sempre d: animo di volersene partire e perciò dicono i filosofi che la causa per accidens non è vera causa). Egli non sarà di questo luogo abitatore ma ospite, come insegna il Giureconsulto nella 1. habitare. De hiis qui discurrunt. Ora dalle lettere e dalle disposizioni apparisce che il Paganini non aveva animo di contrarre quasi domicilio in Nizza, ma tutt’altro. Nè mi si dica, che in Nizza e stato giudicato pel foro del delitto, perchè non consta che ve l’abbia commesso. Poiché se si abbia riguardo al precetto pasquale, pare che se si fosse servito della legge del suo luogo avrebbe ben fatto, e si riguardi la massima in genere che « peregrini subiecti non sunt legibus locorum per quae pertran-seunt ». Finalmente per il nostro caso bisognerebbe che il Paganini dovesse avere sua sepuìtura in ÿizza. Ma io trovo scritto comunemente che quando un (*) Nella parte teorica dello studio, che non pubblichiamo. 80 CASSIANO DA LANGASCO ospite viene a morir in un’altra parrocchia, si deve trasportare -alla sua « inolio commode et sine periculo portari, possit ». Il cap. Is qui. De sepult. in 6. così dispone: « is qui habet domicilium'in civitate, vel castro quando ad villam ruralem se transfert recreationis causa, vel ut ruralia exerceat in eadem, si non electa, sepultura decedat ibidem, non in ecclesia dictae villae, sed in sua parrochiali, vel in ea potius, in qua maiorum ipsius ab antiquo sepultura, extitit, sepeliri debet, dummodo absque periculo ad ipsam valeat deportari ». Dunque il Vescovo di Nizza poteva dare questa sentenza per quanto riguarda la. tumulazione nella chiesa della sua diocesi, e non altrove; come difatti si deve intendere la di lui sentenza. E volendosi trasportare altrove, la sentenza predetta non ha più bisogno di riforma, perchè non· è più efficace. Ma si dice che il Paganini fosse scomunicato. Ma non si conosce da quale fondamento si possa cavare la detta scomunica. Forse si argomenta, che nasca dairinadempimento del precetto pasquale? Se è cosi; dirò candidamente; che la detta scomunica da esso non nasce. 11 Monacelli nella p. 1, for. 16 così dice: « Contumaces in adimplendo praeceptum pascale non incurrunt excommunicationem, ut erronea credulitate ducti, multi opinantur, nam. caput « Om--nis utriusque sexus », De Paenit. et remis, et ibi Glossa nullam mentionem faciunt, neque hanc poenam.... Verum quia Episcopus poenam a iure constitutam ex causa potest augere, vel minuere, ut, iuxta criminum qualitatem et mensuram, sit plagarum modus; ideo poterit contra hos contumaces (si ita, per specta condictione, vita, moribus personarum, sibi expedire videatur ) ad excommunicationem procedere, ut in subiecta materia declaravit S. Conar. Concilii apud Fagnanum, etc. ». L’istesso linguaggij tiene il Baruffaldo Ferrarese nei suoi Commenti in foglio al Rit. Rom., tit. 25, § 6 dove esso ha queste parole: « dicam contumaces in adimplendo praecepto paschali non incurrere excommunicationem, ut perperam multi opinantur », e poi, dopo d’aver citato il Monacelli colle suddette parole, prosegue « admonendi sunt parochi quod qui praeceptum paschale non adimplevit, si decedat antequam declaretur incursus in poenam interdicti, sepelindus est in loco sacro, quia non su-biacet peenae donec declaretur ». Si dirà forse che questa scomunica è scritta in qualche sinodo diocesano, e sia pure. Non si trova però nell’ultimo sinodo Genovese e questo revoca tutte le riserve e le censure, contenute nei sinodi precedenti ad eccezione di quelle che il medesimo sinodo ha conlermate; infatti nell’appendice al cap. 8 così si spiega: « Interea declarandum ducimus praeter, reservationes in hac smodo expressas, illasque in iure canonico, vel Romanorum Pontificum constitutionibus comprehenduntur, alias quascumque culparum, censurarum ac poenarum, item limitationes omnes pro hac Dioecesi omnino cessare, ac nullam amplius obbligationem inducere.... ». Si dice infine che il Paganini era manifesto e pubblico peccatore, che mori senza segno di penitenza. In risposta osservo che il caso Paganini non entra fra quelli che dal diritto si chiamano manifesti pubblici peccatori, i quali specialmente si enumerano da tutti gli autori canonisti e teologi; e special niente dal Baruffaldo sopra citato nel § 5. Egli sarà peccatore pubblico e manifesto in un senso comune e non legale, e allora si osserva la penitenza e rimpeni-tenza, che ha luogo sul fine della vita. Per non essere troppo prolisso, lascio di esaminare quali siano li peccatori suddetti che si chiamano legalmente manifesti e pubblici peccatori e sopra gli altri peccatori osservo che bisogna poter congetturare la non eseguita conversione o penitenza, e tutto ciò dovrà essere notorio e pubblico. Ora chi non vede la difficoltà di questa prova, mentre nemo praesumitur malus nisi probetur?· Che notorietà si potrà avere, trattandosi di atti non permanenti, ma transeunti? La notorietà si proverà forse da due o tre testimoni, che tutti depongono dietro un fatto esposto da un ministro della Chiesa, quantunque santo. Tutti sanno che simile notorietà che ebbe luogo da un solo testimonio, non prova più del testimonio medesimo. E d’ai- SUL PROCESSO ECCLESIASTICO A CARICO DI NICCOLÒ PAGANINI 81 tronde un solo testimonio può egli da per sè far fede di un fatto in danno di un terzo, quantunque sia in ciò che riguarda il suo ministro? Io penso di no, quantunque questo fosse un uomo irreprensibile, perchè in ore duorum stai omne verbum, e questo anche succede se si tratta del Penitenziere medesimo, come considera il Calderino nel suo consiglio 2° De testibus, ove dubita, se si debba a lui credere quando depone di avere dato l’assoluzione ad uno dalla scomunica, della cui assoluzione non ne consta che per la sua deposizione; egn prima apporta la ragione contraria, e poi si risolve per l'affermativa. Ma si noti, che egli parla in favorabilibus, e che diversamente procedere deve in 0 ïosis. bi osservi che -il Penitenziere stesso dal medesimo si paragona ad un ΐη<κκνe’ a, un Procuratore, a un avvocato, ad un usciere, che ha un uffizio pubblico, de quali si sanno da tutti le attribuzioni; si osservi che egli parla cu quelle cose, che non si possono provar altrimenti (aliter oblineret in iis quae possint per alios probari); ma, nel nostro caso, la cosa è ben diversa, be ne doveva mandare uno, due, e tre, e quattro e più, come si costuma in si-mm circostanze, per fare il bene, che si desidera; si doveva citare, come già rii disse, e minacciar la pena. Si osservi infine che, secondo il detto Calderino, la suddetta risoluzione non tiene quando dalle circostanze apparisce che se ne debba dubitare. Ora noi ^abbiamo una contro prova in scritto e nei fatti, come si rivela dal processo, etc. Ma noi dobbiamo finalmente rivolgere la nostra attenzione alla questione se , a.gar^ni .^bl:)ia dati o no segni di penitenza. Apparisce dalla deposizione del big. Penitenziere che gli aveva detto di volersi confessare in iscritto, quale circostanza e comprovata dal Vescovo e dal teste X. (3). Apparisce dalla deposizione dell avv.to Rubaudo, che gli comandò di preparare una lavagna ben levigata che non poteva aver altro fine, che quello di voler fare in essa la sua confessione; dunque il Paganini aveva già depostc la pertinacia, quando 1 avesse avuta prima, ed ha dato segni di volersi convertire. Egli è morto a tavola, dunque la sua morte fu imprevista, fu improvvisa, e si applicheranno percio le regole stabilite dalla sacra Cong.; e poco giova il dire che anche ai momento del rifiuto — ammesso per vero — conoscesse che la sua malattia era grave; non argomentava certo che gli dovesse accadere così presto, pei che, come apparisce dalle lettere, egli voleva ancora abbandonare Nizza e portarsi altrove. Ha dato segni di cristianità al teste N. (4). Li ha dati nel testamento, nel farsi ascrivere alla Confraternita, nell’educazione del figlio, etc. „ u?,. . 1S* duftQue che fosse procrastinante, come succede a chi non ha gran facilità di confessarsi; e si può presumere che, in faccia a Dio, possa essere stato conti ito; massime se si riflette che, in quel punto estremo, non si scherza più, nè più si può deludere : o il cristiano ha voglia di morir bene e ne dà segni, ed allora questi si devono interpretare largamente; o vuole morire da bestia e non si contenta di soffrire la sua disperazione, ma bestemmia e si fa conoscere in ogni moto un vero tizzone d’inferno, per la ragione appunto che non può più dissimulare. Queste sono cose che constano assai chiaramente dalle storie sacre e profane. Ora se sta vero che basti, secondo il Perhingh n. 9) « signum poenitentiae tei· saltem pietatis »; se sta vero che basti « quodeumque signum pietatis », chi dirà che non sono segni di pietà, etc. (Il testimonio di uno basta a provare i segni, Van Espen). Finalmente vogliamo a.ncbe, per ipotesi assurda, ammettere che non abbia dato segni di penitenza. Si potrà perciò dopo la morte privare della sepultura ecclesiastica? Ecco le parole del Silvestro, De Sepult., cap. 6: « De hàc eadem re ea generatim in Gallia recepta regula est, a sacra sepultura nullum publicum peccatorem excludi, nisi antea declaratum fuerit, eum in sepulturae in- (8) L’avr. Tito Rubaudo, cfr. Codignola c., p. 8*2 n. 3. (4) Lo stesso, cfr. ibid e p. segg. ) 82 CASSIANO DA LANGASCO terdictum indidisse. Quod supplicio affectos non tantum in Gallia, sed etiam fere in omnibus aliis catholicis regionibus hodie obtinet, ut sepulturae donentur et contraires poenitentiae iis deferendis addicti sunt ». Vi è luogo sicuramente a dubitare se il Paganini si sarà salvato; anche data la negativa sopra questo punto, si dovrà dare enche sopra la sepultura ecclesiastica? No. Perchè sarà un ramo secco, ma che non fu staccato legittimamente dal corpo della Chiesa. La sepultura non gli gioverà, non gli gioveranno le preghiere ed i suffragi della Chiese, ma intanto non potrà giustamente essere privato della sepultura, a cui acquistò il diritto col Battesimo, e quale diritto non può perdere senza una legittima ordinazione della Chiesa, qualunque possa essere lo stato di quell’anime..... Monsignore Carlo Giuseppe Ferrari DUE LETTERE INEDITE DI G. MAZZINI eia Biblioteca Civica di Imperia (*), si conservano una lettera originale del Mazzini e la riproduzione fotografica di un’altra, che, per essere ancora inedite e di notevole interesse, stimiamo opportuno pubblicare ora, appena giuntacene notizia. La pi ima contiene una raccomandazione che il grande Pensatore scrisse a favore di Giacomo Profumo, studente della facoltà d’inge-ff™ dell’Università di Genova, il quale aveva preso parte al moto de 29 giugno 18o<, ma fallito il moto stesso era immediatamente fuggito a Londra, come aveva predisposto il Mazzini. Questi infatti il 14 luglio, in una lettera esprimente soprattutto il proprio accora-mento per l’eroico ma sfortunato sacrificio del Pisacane, parlando dei liberali genovesi perseguitati dalla polizia, accennava ad « uno o due » che erano già a Londra; uno era certo il Profumo (2), collaboratore, già nell’agosto, del Mazzini (3) che volle da allora proteggerlo, mantenendo rapporti di amicizia (4) e cercando con ogni mezzo di procurargli un impiego (5), sebbene non fosse cosa facile (6). A questo momento appartiene la lettera seguente che il Mazzini scriveva ad Antonio Erede : « Mio caro Erede, « Noi non ci siamo visti che una volta, ma tra compatrioti e patrioti una stretta di mano concede diritti al di là del formalismo sociale. Nella· fiducia che sentite com’io sento, m’avventuro a raccomandarvi 1 amico mio Profumo. Voi lo conoscete già e farete sen-z altro quel che potete per lui ; nondimeno credo debito mio di dirvi che se riuscite a giovargli'nel suo intento, avrete me pure grato ed assai. « Credetemi vostro Giuseppe Mazzini ». Ottobre ’57. ( ) Mi segnalò queste due lettere il signor L. Lagorio, bibliotecario della Biblioteca di Imperia, alla cui gentilezza debbo anche l’averle potuto copiare (2) Cfr. Scritti editi ed inediti di G. Mazzini, vol. LVII, pag. 256 (3) Scritti, cit., pag. 266. (4) Scritti, cit., pag. 291. (5) Scritti, cit., pagg. 288, 305, 309, 318, 320, e vol.. LX pag. 21. Queste lettere appartengono all’ottobre dei 1857, come la nostra. (6) Scritti, cit., vol. LX, pagg. 68, 88, 190. 84 NILO CALVINI L’Erede in occasione dei moti di Genova· del giugno del 1857, aveva conosciuto il Mazzini, segretamente venuto a· Genova ; costretto poi a fuggire a Londra, era- rimasto presso il Maestro fino al 1860, anno in cui era tornato in Italia per arrecare aiuto nei preparativi della spedizione dei Mille. La seconda lettera presenta maggior interesse per il suo contenuto che, pur aggiungendo poco alle già note idee mazziniane, sembra qui compendiarle tutte in sintesi sobria ed efficacissima. All Associazione operaia nazionale di mutuo soccorso, fondata in Oneglia nel 1850. che aveva eletto il Mazzini a proprio membro onorano, il Genovese così rispondeva da Londra : « Fratelli miei, « Ebbi vostra del 28 marzo. Accetto con riconoscenza l’onore che avete voluto farmi. Ogni affetto di pòpolo m’è singolarmente caro. In me voi non potete amare che le idee in nome delle quali ho per oltre trent’anni combattuto, com’io potei, e patito e sperato. Ora quelle idee sommano in due : — che l’Italia è Nazione, non d aristocrazia, ma di popolo, di grandezza collettiva, di destini maturati dall’opera e dal sagrifìcio di tutti e realizzabili soltanto col lavoro ordinato di tutti ; — che il lavoro di tutti deve essere a prò’ di tutti, che se la Nazione, sorgendo, potesse mai escludere dall’esercizio dei diritti politici e dal progresso morale, intelletuale, materiale, ch’è suo scopo e dovere, una classe e la più numerosa di cittadini, non meriterebbe d’esistere e non esisterebbe gran tempo. Il vostro eleggermi a membro onorario della vpstra Società inchiude la vostra adesione a quelle idee, e m’è quindi nuovo pegno dell’avvenire. ^ « Io so che oggi l’Italia è governata da uomini per i quali la Nazione non è se non un piccolo numero di cittadini privilegiati di censo e la maggioranza è plebe temuta, diseredata di diritti politici e abbandonata, senza aiuti, a una esistenza che non è vita, dacché si consuma esclusivamente in atti materiali in un lavoro incessante manuale, comandato da condizioni che non si tenta di migliorare e che pur potrebbero migliorarsi senza danno ad alcuno o violazione di ricchezze acquistate. « Ma quelli uomini passeranno. I destini dell’Italia saranno più potenti ch’essi non sono, e chiameranno il popolo, gli uomini del lavoro, i capitalisti delle braccia, al godimento di quei diritti e di quel progresso, ch’essi hanno più di tutti contribuito a fondare col sudore e col sangue. « Preparatevi, o fratelli, per quei destini, accelerateli coll’opera vostra. Le classi operaie devono conquistare coscienza di sè e ordina-mento. Predicate coll’esempio, col sacrifìcio, colla parola, perchè i vostri fratelli in ogni punto conquistino quelle due cose. Il giorno in cui ogni località sulla terra d’Italia avrà una Associazione come la I DUE LETTERE INEDITE D) G. MAZZINI 85 vostra, e tutti avranno, al di sopra della loro vita locale un centro unico, uno Statuto Generale uniforme, una solidarietà ordinaria, da un punto all’altro della Patria comune, i destini che stanno in serbo per voi, saranno presso a compirsi. « Lavoriamo intanto per la rapida unità del Paese, ed abbiatemi fratello. τ ι Giuseppe Mazzini ». Londra, 10 aprile 1862. Nilo Calvini APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 1. Noter elle etimologiche, 1. Il Cristianesimo portò novità anche negli antroponimi; i composti Spera-in-deum, Deus-dedit, Quod-vult-deus sono nomi cristiani tradotti dall ebraico (cfr. Stolz-Schmalz-Leumann-Hofmann, Lateinische Grammatik, Munchen 1928, p. 250). Anche in antichi scritti liguri non mancano tali composti ideilo-mede (= De-lu-me-de e cioè « Dio-lo-mi-diede », Parodi A(.t1a1\ , p. , c . Demeldeas di Pallanza e Demóldeus di Voghera, donde si svolse poi il nome di casato dei Demoidei, G. Serra, Per la storia dei nomi locaL· lombardi e dell Italia superiore in « Zeitschrift für romanische Philologie », LA II, p. o38), Deodedelo (Cafiaro), Deitesalve (Ottobono Scriba) o Detesalve (Ogeno Pane) o Deutesalve (Annalisti), ecc. L’odierno antroponimo Dodero è una cattiva italianizzazione del volgare D o d è , che deriva certamente da Deusdedit o meglio da Deusdet, forma ridotta latina volgare (cfr. Serra, op. cit.). L’esito do-, anzic e d e -(v. Flechia, AGI, Vili, 344 «de.... forma apocopata di de», come e di ego, re di reo, zué di zueo, judeo », cfr. anche AGI, X, 144), trova anche ne om-bardo Dosdè (= Deusdet) e Dodado {=Deodatus), cfr. Serra, op. cit.; può trattarsi di dissimilazione vocalica, o, forse meglio, di influsso di Dommusdet, onde l’odierno antroponimo Doridero (volg. D u n d è ) , cfr domvrdde « Domine -dio » da domine deus (cfr. Flechia AGI, λ III, 349). Per la " e 6 ’ dedit) cfr. l’ant. genov. dege « diedegli » (v. Flechia AGI, X, 160). 2. Buridda, dice il Casaccia, è « pesce in guazzetto ». Modo particolare di cucinare i pesci: pesce tagliato a pezzi e cucinato in umido con olio, ù-nocchi, capperi, funghi, prezzemolo ed altro. Si suol comunemente cucinare in questo modo lo stoccafisso, il grongo ( b r u 11 k u ) , il boldrò ( 0 üd e g u ) , il palombo ed altri ». L’odore, che manda il pesce, e specialmente lo stoccansso, in tal modo cucinato, non a tutti è gradevole; di qui forse il nome buriana, che con ogni probabilità si allaccia ad un greco * borborida « odore di sozzura », da cui Giovanni Alessio (Nuovi grecismi nei dialetti del mezzogiorno a Italia in <( Rivista di Filologia classica », 1942, p. 48) deriva il sic. buridda. « 1 odore che mandano i panni che sanno di rannata », il catanz. vuija, vurvna « odor cu putrido », qorija « puzza di sudiciume ». F y ' Antonio Giusti 2. Noterelle etimologiche genovesi. 1. pastena: « rivoltare la terra profondamente, diveglierla » (Casaccia, p. 574). È, come il piacentino pastanà « rompere e lavorare il terreno per la prima volta », come il nap. pastenare « piantare, trapiantare » e come il veglioto pasnùr (cfr. veglioto precur = pregare; sapur = zappare e v. Ascoli? ^rm. glott., IX, 177-78, n.) la continuazione normale del lat. classico e medievale pastinare « terram fodere et praeparare » (Forcellini), a cui corrisponde il « pastinare overo vangare » dall’antico volgarizzamento del Trattato di Agricoltura di Pier de’ Crescenzi (5, 6, 3). APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 87 2. zànellu « baco: nome che si dà da noi al verme che rode le castagne, benché dicasi anche quello della farina e d’altre cose » (Cas acci a, p. 844). Equivale a Giannello, non essendo che un diminutivo di Zàne (Giovanni), da confrontare col lucchese giannino « baco delle frutta », col moden. svanén « baco delle castagne »; in quella stessa guisa che il tose, tonchio « baco delle civaie » (anziché da * t u n t u s = tunsus come vorrebbe lo Zingarelli, p. 1609) sarebbe null’altro che l’arcaico Tonchio = Antonio, attestatoci, come ben vide il Pieri, dalla Fiera del Buonarroti il giovane. 3· ta n ù n « fornellino, caldano» (Casaccia, p. 769). Curioso vocabolo, 5 Vxiî- ^eyer-Lübke (Rew‘, 8396‘) colloca sotto *subtanus, ma che indubbiamente, insieme coll’ital. atemor « fornello di riverbero » (Petrocchi) e col sic. tannuru « fornello, braciere » (Traina) è voce di origine orientale, diffusa oltreché nell’arabo e nel turco, nell’armeno, nell’ebraico e nell’assiro e fin nel persiano e nell’indostano, (ta/nùr, tannùr), secondo le giuste considerazioni di Enrico Ramondo (Arch. glott., XXXIII, 30). Resta dubbio però se la voce genovese si debba al tramite dell’italiano (toscano) o non derivi piuttosto diretta-mente, come la siciliana, dall’arabo, secondo che parrebbe più verosimile, non essendo la sola (cfr. le parole babuccia, ramadan, sciarbella già da noi precedentemente studiata in questo Giornale, XVI (1940), pp. 20-22-23) venutaci attraverso i traffici marittimi. 4. Ancora dell’ant. gen. intèndin. Tra i vari errori di stampa sfuggiti nella nota relativa a questa voce (cfr. Giorn. St. e lett. della Liguria, XVII, 1941, pag. 106), sia qui segnalato il più grave. Nella quintultima riga del testo in luogo di * intendium deve leggersi * intenditum. Giuseppe Flechia E. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA Soci annuali ammessi nel primo quadrimestre: Di Negro dott. G-iulio (proposto dal nob. Riccardo Maineri); Antonucci dott. G-iovanni (proposto del prof. Vito Vitale); P. Umile da Genova 0. M. C.; Merlini rag. Ruggero (proposti dal socio sig. Giovanni Vernazza). A Soci Vitalizi: Cooperativa « Garibaldi » Società di Navigazione (deliberazione del Consiglio Direttivo); Cerutti Franco (proposto dal prof. Arturo Codignola). In seguito alla morte del compianto prof. Filippo Noberasco, su proposta del Presidente della R. Deputazione è stato nominato Presidente della Sezione di Savona il prof. Italo Scovazzi. Si avvertono i soci che è imminente la pubblicazione dei due volumi: Le iscrizioni sepolcrali genovesi della Chiesa dei Santi Paolo e Domenico in Galata (Pera) e La Schiavitù a Genova nel M. E., la stampa dei quali ha subito ritardi dipendenti dalle attuali contingenze. Altri lavori sono in corso e saranno regolarmente distribuiti nell’anno XXI. Si pregano i soci di versare la loro quota sociale sul C.C. postale della R. Deputazione, 11. 4-7362. DONI PERVENUTI GENNAIO-APRILE 1942 1. R. Istituto Storico Italiano per il Medio Evo: Giovanni Monleone, Iacopo da Varagine e la sua Cronaca di Genova, Voli. 3. 2. P. Saverio da S. Lorenzo della Costa O. M. C., I Cappuccini Genovesi. Chiesa de\V Immacolata Concezione e epigrafi. 3. Ministero dell’Educazione Nazionale: Scritti Editi e Inediti di G. Mazzini, Voi. 92° e 93° (Politica). 4. Istituto per la Storia di Genova (per conto della Cooperativa « Garibaldi » Società di Navigazione). Storia di Genova dalle Origini al tempo nostro: N. Lamboglia, La Liguria Antica, Vol. I. U. Formentini, Genova nel Basso Impero e nelVAlto Medio Evo, Vol. II. 5. Facultade de Letras da Universitade de Coimbra: Revista Portugues dae Historia, Vol. I, Coimbra, 1941. 6. Giovanni Descalzo, Santuari, Valli e Calanche della Liguria orientale, Savona, 1941. 7. Pastine Onorato, Fiere di Cambio e Cerimoniale seicentesco. 8. Pastine Onorato, Di un presunto rapporto fra Geìiova e la Turchia nel settecento. R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA 89 9. Collana di Monografie Alpine: n. 6 opuscoli. 10. Giovanni Monleone, Iacopo da Varagine, Anonimi, Giorgio Stella, Parte I. In: Annali Genovesi di Cajfaro e i cuoi continuatori (a cura del Municipio di Genova). 11. V. Vitale, La diplomazia genovese. Istituto per gli Studi di politica internazionale, Milano. PUBBLICAZIONI PERIODICHE PERVENUTE IN CAMBIO 1. « Japigia », Organo della R. Deputazione di Storia Patria per le Puglie, fase. IV del 1941. 2. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Bollettino n. di gennaio 1942. 3. Skripter, Kungl. Hunwnisttilca Vitensleapssanjundet I, Uppsala, Band 34-35. 4. Bullettino Senese di Storia Patria, a. 1941, fase. III. 5. Quellen und Forschungen aus Italianischen Àrchiven und Bibliotheken, Deutschen Institut in Rom, Band XXXI, Rom 1941. 6. Bollettino Storico Piacentino, ottobre:dicembre, 1941. fase. IV. 7. Uppasala Universitets Arsskrift,, 1941, Band I II. 8. Università Commerciale « Luigi Bocconi »: Giornale degli Economisti e Annali di Economia, Anno IV, gennaio-febbraio 1942, n. 1-2, Milano. 9. Memorie dell Accademia Lunigianese « G. Capjyellini », Anno XXI, fase. I; Anno XXII fase. I, La Spezia. 10. Rassegna Monetaria. Valute e Scambi coli V E stero. Tributi e Banche, Anno XXXIX, n. 1-2, Roma. 11. Atti della Reale Accademia d'Italia. Rendiconti della Classe di Scienze Morali e Storiche, Serie settima, Vol. III, Roma. 12. Archivio Storico Italiano, 1941, disp. II, edito dalla R. Deputazione Toscana di Storia Patria, Firenze. 13. Atti della Reale Accademia Ligure di Scienze e Lettere, Vol. II, fase. I, 1942, Genova. 14. Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Voi. 77°, Tomo II, disp. I, Torino. 15. Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Rendiconti, Vol. LXXIV, 5° della Serie III, fase. II; Classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche, Milano. 16. Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Rendiconti, Voi. LXXIV, 5° della Serie III, fase. II; Classe di Scienze Matematiche e Naturali, Milano. 17. Rivista Inganna e ìntemelia, Anno VI, n. 1-4, Bordighera. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Fernanda Wittghns> Mentore, Guida allo stiodio dell’arte italiana. Milano, Ulrico Hoepli, editore. L’elemento più interessante di questo libro è la sua congegna-tura, l’articolazione delle parti, che l’autrice ha voluto con elegante burocratismo chiamare « sezioni ». È intelligente anche l’ordine, che altri avrebbe potuto magari invertire : Nazioni generali storiche e tecniche, nomenclatura; Panorama della storia delVarte italiana; e soltanto dopo di questo : Bibliografia, Il patrimonio artistico, Il metodo, La tutela del patrimonio artistico. Ë quanto dire pigliare per mano un analfabeta, insegnargli a compitare sul sillabario, ed ammetterlo alla lettura di un libro quando sappia leggere. Poi, miracoli non ne fa nessuno. Gli idioti, i refrattari!, restano tali anche dopo i più amorevoli ed ingegnosi insegnamenti. Ma gli idonei, i ben disposti, benediranno il maestro. Tutto questo si dice per analogia. La Wittgens non viene dall’insegnamento. Viene dal perpetuo esercizio di una grande pinacoteca ; controllo e polemiche di attribuzioni, colloqui con illustri e con sconosciuti, restauri, ufficio di esportazione; che è la più severa ginnastica di coltura artistica, ed un sottoporla, continuamente all’esame dell’applicazione, della pratica. Questa esperienza è naturalmente alla base dei capitoli più tecnici, quello sul « metodo » di studio, che è un avviamento all’identificazione e alla valutazione dell’opera l’arte: e quello sulla «tutela del patrimonio artistico», che va dal restauro alla tutela giuridica ed amministrativa. Ma anche dove parrebbe che la dottrina potesse prevalere sulla conoscenza (Bibliografia e Patrimonio artistico) è ancora la conoscenza che domina, nella scelta delle opere da consigliare a chi ha bisogno di consigli, nelle notizie fondamentali sulle collezioni e sui musei. Poiché la sezione sul patrimonio artistico è un abbozzo di guida ai musei di tutto il mondo ed ai monumenti italiani. Dei musei stranieri sono indicate le principali opere italiane che vi si trovano, che hanno larga parte nelle illustrazioni. Qui si trovano avvertimenti che provano l’esperienza di contatti con l’ignoranza del pubblico. Poiché non deve capitar tutti i giorni di sentire chi confonda Giovanni Morelli il critico d’arte con Domenico Morelli il pittore, anche se RASSEGNA BJBLÏOGRAFICA 91 furono tutti e due senatori. Ma che il VictorwM and Albert Museum ed il South Kensington sieno la stessa cosa può benissimo avvenire di ignorarlo anche a persone di discreta coltura, che non sieno mai andate a Londra. Possono sembrare futilità; ma operano come un filtro per migliorare il tenore dell’educazione intellettaule ; e vorremmo alla fine sapere quanti sono i lettori anche colti che possono onestamente sostenere di non aver imparato niente da questo libro. Noi, che in questa sede, se non da mèntori, un po’ da censori la facciamo, ci dichiariamo soddisfatti dei cenni sui musei e sui monumenti genovesi. Un po’ meno della bibliografia su Genova ; anzitutto perchè non ci vediamo al primo posto il capostipite : Rubens, I palazzi di Genova, Anversa 1622 ; e poi per qualche inesattezza che può fuorviare le ricerche di biblioteca. Le Notizie dell’Alizeri non furono pubblicate in seconda edizione in 6 volumi; ma in una sola edizione di 9. Ratti, Carlo Giuseppe e non Giuseppe, è specialmente benemeiito per VInstruzwne su quanto può vedersi di più bello in Genova, pubblicata in prima edizione nel 1766, ed una seconda volta (Insti uzione) nel 1780, insieme con la Descrizione____ delle due Riviene che la Wittgens cita. Infine, della Guida dell’Alizeri non esi- . ste alcuna edizione del 1864; ma bensì una del 1846 in 3 voli, ed una del 1875 in 1 voi. solo ; ciascuna delle quali ha la sua importanza. Ma il complesso della bibliografia è imponente : ricco, ben scelto e bene ordinato. Segnaliamo il capitolo sulle Fonti della Storia dell arte ; dove sono indicate le edizioni originali e, quando ci sono, le edizioni critiche moderne ; cioè tutte le informazioni occorrenti per venire nel miglior modo a contatto coi testi. Se la Wittgens considera la più ambita ricompensa alla sua fatica il riconoscimento che questo libro è un libro utile, gliela possiamo, da parte nostra, sinceramente garantire. Mario Labò Costantino Baroni, Documenti per la storia dell’architettura a Mi-lamo nel rinascimento e nel barocco. Vol. I, Edifici sacri, Parte I, Firenze, G. C. Sansoni editore. Ben vengano, e con riguardo a tutta Italia, libri di questo genere. II ritrovamento d’archivio non ha dato tutti i suoi frutti che quando il documento è pubblicato, almeno nella parte sostanziale, a disposizione di tutti, per altre utilizzazioni, per ulteriori illazioni, diverse e magari contrarie a quelle che il primo editore ne ha tratto. Quando dalla massa enorme dei documenti conservati negli archivii, non tutti di interesse storico, sarà tratta una biblioteca di regesti, automaticamente classificati per materie dalla competenza dei diversi studiosi, il compito degli storici futuri sarà molto facilitato. E 92 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA cambiando le vedute storiche, i criterii critici, ecc., si vedranno gli stessi documenti dare spunto a conclusioni che del diverso colore del tempo porteranno le tracce, alimentando l’eterna polemica della storia. Il Baroni è tra coloro cui più incombeva il dovere di non tenere per sè le sue scoperte, tanta è la mole (li notizie che in molti anni di assiduo lavoro ha raccolto all’Archivio di Stato di Milano, all’Archivio Storico Civico, in archivii parrocchiali e conventuali. Scartato il progetto iniziale di un ordinamento strettamente cronologico, egli ha preferito un procedimento monografico; cioè raggruppare per singole fabbriche la materia. E per completare al massimo il quadro della documentazione di un particolare monumento ha attinto anche a fonti indirette quali cronache, inscrizioni, ecc. ; e tenendo conto non solo dei documenti inediti, ma anche di quelli editi solo in parte od inesattamente, ed insomma mettendo a partito, con la bibliografia, tutte le informazioni che si posseggono sull’argomento. Decisioni tutte per le quali non è possibile lesinare all’autore la pi6 cordiale approvazione, perchè è da loro ohe il libro ha ottenuto la sua organica chiarezza. Come il titolo porta, questo è il primo di due volumi dedicati agli edifici sacri; il terzo tratterà dei profani. Qui sono studiate dieci chiese, con trascrizioni, o regesti di trecento ottantun documenti. E sarebbe interessante rilevare gli apporti del Baroni alla storia di tutti questi monumenti; ma dovendoci limitare per le ovvie ragioni dello spazio ristretto, ci fermeremo su quelli che offrono un particolare per quanto indiretto rapporto con Genova, perchè vi ebbe parte Galeazzo Alessi, appena uscito dalle sue esperienze genovesi. Anzitutto la chiesa di S. Barnaba, nella quale l’Alessi intervenne fin dal 1561, ed anzi probabilmente l’anno prima, essendo del febbraio 1561 un verbale del Capitolo in cui si dà conto di aver consultato « il signor Galeazzo, architetto peritissimo » ; e si delibera di seguire il suo « parere et desegno ». Ciò si riferisce anche all’organismo costruttivo; poiché è vero che la prima pietra fu posta nel 1545, e nel ’47 la chiesa fu consacrata; ma nel ’61 si discuteva di « fabricare la capella grande », cioè il presbiterio; e la facciata nuova non si costruì che nel ’67. Di quattro anni dopo, del febbraio 1565, è il primo intervento documentato dell’Alessi nella chiesa di S. Maria presso S. Celso. Ma i fatti dovettero essere anteriori alla traccia documentale. Gli vengon infatti pagate, a quella data, in una sola volta, Lire 295. Se si pensa che Vincenzo Seregni, l’ingegnere a cui l’Alessi succedeva, riscuoteva per salario lire 55 all’anno, pure ammettendo che l’Alessi fosse, come di ragione, pagato meglio, si dovrà concludere essere difficile che 295 lire si riferiscano ad un anno solo di attività. Erano però una specie di rata fissa; poiché vediamo pagargli con la stessa 93 cifra il 10 maggio 1568 i disse givi de la fazada, choro, or g a/no, et tabernaculo ; e dopo altri sei mesi con lo stesso valsente li desegni et modelli de la favata de la giesia. S. Celso occupò per parecchi anni Fattività delPAlessi, e ne porta i segni, più apprezzabili alFinterno cbe all’esterno. Per il prospetto, spetta al Baroni il merito di aver documentato l’intervento, finora ignorato, del bizzarro Cesare Cesariano, notissimo quale traduttore ed illustratore di Vitruvio nella •monumentale edizione comense del 1521. Ed egli riconosce cbe la facciata quale si vede non risponde alla semplicità e purezza di quella che mezzo secolo prima aveva progettato il Cesariano. È certo che Martino Bassi successore del- 1 Alessi non tu avaro di varianti ; ma l’esasperazione decorativa che il Baioni rileva nella facciata di S. Maria presso S. Celso è generale nel periodo milanese di Galeazzo Alessi. Ed appunto per questo noi riteniamo ch’egli abbia avuto a Genova il suo momento più genuino e fortunato. Preferiamo, di S. Celso, le sistemazioni interne appunto perchè più contenute e castigate; e risulta'che anche Parchi-tetto se ne teneva, perchè in una lettera ai Sauli del 5 marzo 1569 parla con orgoglio del dìsegnio molto nobile et richo fatto da lui per gli stalli del coro, senza divisione alcuna di scancelle, ma ciascheduno luogo da sedere si può alzare secondo mi pare aver insto in San Mateio. È vero però che si loda anche delle storie di bassorilievo fatto fare m questa Chiesa in San Celso di Milano che sono marmcgliosamente piaciute. E non può trattarsi che della facciata. Insomma, la beniamina fra tute le opere di Galeazzo Alessi fu per lui a buon diritto la basilica di Carignano (mia creatura, la chiama in una lettera ai Sauli del 1568, havendo sempre antiposto cotesto fabrica a tutte V altro mie imprese) ; ma si vede che anche di S. Maria presso S. Celso era abbastanza orgoglioso. Concludendo con 1 augurio che il Baroni non ci faccia sospirare molto il seguito dell’opera sua ,vogliamo ancora segnalare un suo studio sul Morazzone (L Arte, ottobre 1911) in cui sono molto sottilmente indagati gli elementi del pertinace eclettismo del pittore ; e si trovano intelligenti accenni ai rapporti fra la pittura lombarda e la genovese nella prima metà del Seicento. Mario Labò Pietro Berri, // prof. G. A. Garibaldi e la medicina genovese del suo tempo, con 6 illustrazioni fuori testo ; ed. ((Liguria», Savona, 1941-XX. L. 12. È una limpida (in relazione al tema) ed esauriente storia dell’evoluzione scientifica nel campo medico a Genova tra gli anni 1784-1845 che comprendono il periodo di vita terrena del prof. G. A. Garibaldi medico tra i più stimati del Paganini. E Fautore introduce questo studio appunto rifacendosi a questo particolare interessante 94 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA che nondimeno aveva altrove ampiamente trattato (P. Berri, Medici empirici e farmaci nella vita di )U. Paganini; Il calvario di Pagemini), e ohe era stato istruito, con la saputa precisione, da Arturo Codigliela (A. Codignola, Paganini intimo). Trattazione, direi, elastica questa del Berri, chiara e in certo senso animata anche scenicamente oltre che per la passione dichiarata che vive in ogni pagina ed in ogni osservazione. Passione di forma e passione di ricerca (vedi ad esempio le pagine che trattano il colera del 1S31), passione di storico e passione di medico, sì che nel libro si confonda il tutto a dare quella armonica visione degli elementi cronologici nel loro seguirsi passivo e degli elementi scientifici nel loro completarsi progressivo. Oltre che la storia dei nomi PA. fa anche la storia delle esperienze e delle dottrine (indaga e trova quali sono le teorie che alla fine del 700 e ai principi dell’SOO « mettono a soqquadro il mondo medico e pongono in agitazione anche il mondo non medico e con tanto maggiore interesse in quanto, capace di una più vasta informazione, il Berri studia anche tutti gli apporti dottrinali alle scienze che in certo caso sono alla· medicina d’influenza o sono dalla medicina influenzate. L'A. risàie al 600, alla scuola iatromeccanica fondata e sostenuta dai celebri medici italiani Santorio, Borelli, Bellini, Pacchioni, per studiarla con particolare riferimento anche per ciò che essa influisce sulle basi (che poi sono anche Cartesio e Leibnitz) del grande sistema meccanicistico del filosofo Federico Hoffmann. Analizza quindi le dottrine dello Stalli, del Morgagni, del Sydenham (detto l’Ippocrate inglese) del Boerhaave, dello JI n lier e di moltissimi altri scienziati, fra i quali nel settecento, William Cullen (1712-1790) e John Brown. Pagine queste di dottrina e di ampio interesse anche per chi non è medico nè si è occupato mai di medicina come chi qui scrive. Pietro Berri quindi prende a trattare le teorie del Rasori — oltre che medico, discreto poeta e traduttore di Goethe, di Schiller e di Wieland — con il processo scientifico che lo portò alla enunciazione della celebre diatesi del controstimolo. E quindi lo studio del Tom-masini. Ma non soltanto questi medici e questi sistemi che io ho qui sveltamente riportati sono l’oggetto della vasta trattazione del Berri, che cento altri ne studia e ne scruta tutti con riferimenti particolari e con appassionata precisione di titoli e di informazioni sì che il libro ne venga di valore più ampio e di più utile lettura e consultazione. Scritto con svelta comunicabilità di stile e con piacevole movimento, riesce (e in ciò sta il suo pregio maggiore) a interessare specialmente colui che legge il libro a solo scopo culturale, poiché non ha nè mostra di avere quegli angoli di oscuro linguaggio che hanno molti nitri volumi del genere destinati a coloro che per grazia speciale sono alla medicina iniziati o votati. Silvestro Prestifllippo APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Opere e scritti su G. Aìazzini pubblicati ali estero * LA^S Sckrempf, Mazzini und Italien in « Berliner Bòrsenzeitung », Berlin, 10 marzo 1942. ^.pweaeei0 ^ G. Mazzini dal Carbonarismo alla fondazione della Giovine τπαπΙ-λ ™ce ^i1 ®C°P1’ riportando alcune parole del giuramento, aeeenna al rinnovamento morale religioso della sopiptA snoTiatn ηοιιάπλ^λΙλ ^ ,·ι ΛΓηο^.·---- Il <( Neue Zflrcher Zeitung », Zurich, 28 Ian. 1. .42, sotto il titolo, Die italie-niescke M azzini-Ausgabe, tratta della raccolta degli scritti Mazziniani nel-xLdizione Nazionale, iniziata nel 1906 ed ora compiuta, ricordando l’opera ad essa data da Mario Menghini. il « Frankfurter Zeitung », Frankfurt a. M., 2 avr. 1942, e il « Tagesanzeiger », • j.riCi ^ Γ· 1^42, si riferiscono invece all’epistolario con brevi relazioni intestate « Mazzinis Briefsammluno· ». Antonio Conti, Londa e gli Inglesi nelle impressioni di Mazzini in «Squilla italica », Berna, 9 gennaio 1942. cui ^o^te2Pp^^tiCOl° PUbbÜCat0 in ° 11 Popol° d?ItaUa 26 Membre 1941, di Opere e scritti su G. Mazzini pubblicati in Italia Giuseppe Mazzini, Scritti editi ed inediti. Edizione Nazionale, Imola, Galeati ^ (Epistolario L\ II) 1940-XIX, contiene le lettere che vanno dall’agosto 1870 al marzo 1871. ° λ ol. XC I (Epistolario LA III) 1941-XIX, contiene le lettere che vanno dal 5 aprile 1871 al 5 marzo 1872. A ol. XCII (Politica XXIX), contiene scritti dal 1870 al 1871. Vol. XCIII (Politica XXX), contiene scritti dal 1871 al 1872. Pietro de Seta, Una lettera inedita di Giuseppe Mazzini dalVesilio aduna no-bUdo u na fuscaldese in « Bollettino quindicinale del Fascio », Fuscaldo 15 gennaio 1942-31 gennaio 1942. L’articolista pubblica, brevemente illustrandola, una lettera che G. Mazzini diresse da Losanna alla Signora Filomena Aceti da Fuscaldo, il 1° agosto 1862, quasi alla vigilia deirinfausta giornata di Aspromonte. In essa l’apostolo ha accenti di accorata nostalgia per la sua terra non ancora libera ed esprime la fede che dal mezzogiorno d’Italia < debba uscire quell’iniziativa popolare, che sola può fóndare la Patria ». 96 Giuseppe Mazzini, Scritti scelti. Ed. Zanichelli, Bologna, 1941 -XIX, pp. 384, L· 40* « È una delle migliori raccolte degli scritti del Maestro, che fa parte della collezione « Scrittori politici Italiani dell’istituto Nazionale Cultura Fascista. La raccolta è accoro pagliata aa una introduzione illustrativa di Giuseppe Santonastasio e arricchita di pregevoli note dello stesso autore. Fedele Farri, Il Pensiero Sociale ed Economico di Giuseppe Mazzini, « Edizioni L’Impronta », Torino, 1942, pp. 104, L. 6. . . , Studio accurato ed obiettivo, basato direttamente sull’esame degli scritti- di Mazzini, c e 1Ά. dà prova di conoscere a fondo e di interpretare con esattezza di criterio. Di le COIvi:TY1 ’ razioni, che chiariscono ed integrano l’esposizione deUe dottrino mazziniane, scaturiscono com deduzione logica di quelle ed offrono occasione ad opportuni riferimenti anche all epoca presente. Attendiamo dal Prof. Parri altre pubblicazioni sul pensiero e Fazione di Mazzini cne apport , come questa, un nuovo lodevole contributo a quegli studi ai quali egli dedica da tempo devota ammirazione verso il Grande — la sua intelligente operosità. Articoli vari in riviste e giornali Μ. P., Corsica Mazziniana in « LTnione Sarda », Cagliari, 24 novembre 1941. Dopo aver trattato, sulla scorta di documenti inediti, delle agitazioni Carbonare in Corsica, agli albori del nostro Risorgimento, si accenna al passaggio di G. Mazzini pure in una lettera del 1833 dal console di Marsiglia, conte Pagano, al console ai S. JVi. oaraa in Corsica, aw. Boceardi. Articolo riportato anche in « Il Telegrafo », Livorno, 10 die. iJ4i. I)., Mazzini anticomunista in « Il Popolo della Spezia », La Spezia, 24 novembre, 1941. . . Scritto polemico, in cui si mettono in evidenza i principi mazziniani notoriamente con rari al materialismo comunista. Luigi Limoncelli, Giuseppe Mazzini in « La Tribuna », Roma, 27 novembre, 1941. . Ampia relazione del volume delTArdau « Giuseppe Mazzini, Apostolo d italiani G. B. Boero, Documentazioni inedite sui genitori di Maria Drago Mazzini in « Genova », Genova, dicembre 1941. .. . Da ricerche fatte negli archivi parrocchiali di Genova, FA. trae alcune interessanti notiz intorno alla famiglia della madre del Grande Agitatore. Orlando Danese, L'incontro di Mazzi/ni con Federico Nietzsche in «Corriere del Tirreno», Livorno, 1 dicembre, 1941. 5 Rievocando l’incontro tra 1*Apostolo e il filosofo tedesco nel nevoso « paese di Heuben «, presso il Gottardo, l’articolista ne trae alcune deduzioni relative ai grandi avvenimenti cne si stanno svolgendo. Articolo riprodotto in « Il Popolo della Spezia **. La Spezia, 5 gennaio i»4 . Arturo Codignola, Italiani· del Risorgimento per la civiltà della Tunisia in «Lavoro», Genova, 4 dicembre, 1941. In una recensione ampia ed accurata della recente monografia di E. Michel * Gli esuli italiani in Tunisia . il Prof. Codignola mette in rilievo l’importanza che il Mazzini attribuiva a quella regione, considerata come base di operazione per i moti rivoluzionari da iniziarsi nel regno delle Due Sicilie. R. Car, Giuseppe Mazzini di G. Ardau in « Il Popolo del Friuli », l dine, 6 dicembre, 1941. Recensione laudativa di questo volume. Gaetano Falzone, Italia e Ungheria nel Risorgi/mento in « Corriere Adriatico », Ancona, 4 dicembre 1941. Articolo interessante, che lumeggia l’azione dei militari ungheresi durante il moto mazziniano del 6 febbraio 1853. Renzo Sacchetti, Giuseppe Mazzini neU' intimità del suo spirilo in « Ambrosiano », 9 dicembre 1941. Nell’opera dell*Ardau, già citata, il Sacchetti coglie più che altro gli atteggiamenti 8P^Tj" tua li di Mazzini, per cui Egli si distacca, elevandosi, da altre figure, pur grandi, (lei nostro Risorgimento. APPUNTI 97 Vincenzo Filippone, Mazzini e la missione coloniale italiana in « Grido d’Italia. », Genova, 15 dicembre 1941. Artieoi0 già pubblicato in altri giornali nell’aprile del 1941 e del quale fu data notizia nel Fase. IV di questa Rivista, A. XVII, 194-XX. Antonio Gangia, Il pensiero religioso di G. Mazzini in « Grido d’Italia », Genova, 15 dicembre e 30 dicembre 1941. 5?ΐ\?ί?ΓΟ γ®11&!080 di G. Mazzini è esposto, nei due articoli, con una serie di passi tolti dagli scritti dell Apostolo e riportati integralmente, quasi senza comtnento e spesso senza legame tra loro, il primo articolo contiene i passi relativi al concetto di Dio, secondo il Mazzini, nel-λι ï? S1... .p1 rapporti tra Chiesa e Stato e, toccando dell’unità morale europea, sognata dal Mazzini, si cita parte della lettera indirizzata da Mazzini a Pio IX nel 1847. Vito Vitale, Mazzini L'Apostolo in « Giornale di Genova »·. Genova, 18 dicembre 1941. Acuta analisi dell’opera dell’Ardau, nella quale il recensore, notando i pregi e le manchevolezze del lavoro che prende in esame, rileva la sua profonda conoscenza dell’argomento ed una comprensione della grande figura di cui tratta, che certo supera quella dello stesso biografo maz-zmiano · L’articolo è riportato anche in « Grido d’Italia », Genova, 30 die., 1941. Antonio Conti, Londra e gli inglesi nelle impressioni di Mazzini in «Il Popolo di Roma », Roma, 26 dicembre 1941. L A. accompagna il Mazzini, proveniente dalla Svizzera, al suo primo giungere in Inghilterra e ne riferisce le impressioni d’allora e i giudizi che dette poi sulla natura del luogo, sull’indole degli abitanti, sulle condizioni sociali del popolo, sulla classe politica dirigente. Per il quadro clic ne risulta, lumeggiato con cura, l’articolo assume un carattere spiccato d’attualità, che balza con chiara evidenza agli occhi del lettore. Pubblicato anche in « Squilla Italica », Berna, 3 gennaio, 1942. V. sopra. Giuseppe Bruni, La responsabilità delV Inghilterra nella tragedia dei fratelli Bandiera in « Gazzetta dell’Emilia », Modena, 20 dicembre 1941. tanti articoli sull’argomento, nel quale si dà larga parte all’atteggiamento assunto dal Mazzim di fronte al governo inglese, nella dolorosa evenienza. Giuseppe Bruni, Mazzini e Bismark in « Corriere Adriatico », Ancona, 30 dicembre 1941. Esposte le aspirazioni di Mazzini tendenti ad im affratellamento tra l’Italia e la Germania per la liberazione dei due paesi da un comune nemico, ΓΑ. si occupa, nella seconda parte dell’articolo, delle trattative incorse tra l’Agitatore Genovese e il Bismark, per rendere inattuabile una minacciata alleanza italo-francese contro la Prussia e iniziare invece Una cordiale intesa fra questo paese e l’Italia. D. De Gregorio, Mazzini e la Giovane Europa in « Popolo Biellese », Biella, 5 gennaio 1942. Il lavoro dell Ardau su Mazzini e il libro di Lauro Mainardi « Nazionalità e spazi vitali », offrono occasione al De Gregori di richiamare alcuni principi mazziniani sulla missione di Roma e dell’Italia, Scritto un po’ confuso e inorganico, nel quale dobbiamo ancora una volta rilevare le espressioni inesatte di Giovane Europa e Giovane Italia. Titta Madia, Esilio di Mazzini in « Popolo d’Italia », Milano, 9 gennaio 1942. Articolo un po' vago, dove dopo una lunga generica introduzione sulle prime prove di Mazzini cospiratore e un accenno alla sua prigionia, si riassume la vita dell’Apostolo in terra di Francia, fino a quando « stanco — dice 1Ά. — delle vessazioni francesi, si volse verso l’Inghilterra ». E il soggiorno nella Svizzera? Titta Madia, L'Inghilterra contro Mazzini in « Popolo d’Italia », 23 dicembre 1941. Si riferisce all’esilio di Mazzini in Inghilterra. Contiene, come l’altro, digressioni inopportune e inesattezze. I due articoli, fusi in uno, conparvero in « Il popolo delle Alpi », Torino, 4 aprile 1942, sotto il titolo « Mazzini nella nebbia di Londra » e in « Gli oratori del giorno », Roma, 1942, intestato « Il grande Esule e il libero dómos ». Giuseppe Bruni, La questione del Mediterraneo nel carteggio tra B smark e Mazzini in « Corriere Adriatico », Ancona, 11 gennaio 1942. Il Bruni prende ancora in esame il memorandum per Mazzini, inviato dalla cancelleria prussiana alla propria ambasciata in Firenze, durante la corrispondenza tra il Cancelliere di Ferro 98 APPUNTI e ΓApostolo Genovese. Questa volta vi esamina più particolarmente la questione del Mediterraneo, esponendo le idee che il Mazzini e ü Bismark avevano su questo mare. Articolo palpitante di attualità. Alessandro Luzio, Le ultime lettere di Mazzini in « Corriere della Sera », Milano, 14 gennaio 1942. Dall’ultimo volume dell’epistolario mazziniano il Luzio cita alcune lettere che precedettero di poco la scomparsa del Maestro, nelle quali, agitandosi ancora quei problemi cne costantemente lo affaticarono, balena tutto lo spirito di lui, « che, vicino a spegnersi, sembra mandare ι più rui-gidi bagliori di astro di prima grandezza ». Armando Lodolini, Uri ora triste di Mazzini in « Lavoro »; Genova, 16 gennaio 1942. · ‘ Si riferisce al dicembre del 1848, quando Mazzini, nella lontana Inghilterra, ebbe 1 annuncio della morte del padre, avvenuta il 13 dello stesso mese. L’A. insiste sul dolore del ngbo e il rimpianto suo di non aver procurato al padre « una sola gioia in vita », il che contrasta con la quasi comune opinione di una freddezza di rapporti sentimentali tra Giacomo Mazzini e 1 Apostolo. Cesarina Lupati, La madre di Giuseppe Mazzini in « Fonte viva », gennaio 1942. Breve profilo di Maria Mazzini, tratteggiato con garbo e sentimento. Romolo Murri, Mazzini e la missione di Roma in « Il Resto del Carlino », 30 gennaio 1942. ... 1 v n» + L’A., partendo da alcune giuste considerazioni, sui compiti che spettano all Italia nell attuale conflitto, risale alla concezione mazziniana della missione dell’Italia e di Roma, alla quale tenne fede anche negli anni tristi del suo tramonto, come testimoniano gn ultimi quattro volumi degli scritti suoi, che completano l’edizione nazionale. L’articolo si chiude con la conclusione derivante dalle osservazioni precedenti, che « Mazzini è storia che ancor oggi si la, non storia già fatta, che si racconta ». Carlo Rossi, Giuseppe Mazzini in « Festa », Roma, 31 gennaio 1942. Ampia relazione dell’opera delTArdau, della quale Γarticolista fa quasi un riassunto. G-en. Edoardo Scala, Ammonimenti e profezie di un Apostolo in « Le Forze Armate », Roma, 3 febbraio 1942. Considerazioni intorno ai quattro ultimi volumi degli scritti Mazziniani, precedute da una generica esposizione sull’opera della Giovane Italia. Armando Lodolini, Attualità di Giuseppe Mazzini in « Il Maglio », 4 febbraio 1942. . . Contiene alcune giuste osservazioni intorno alla posizione di Mazzini rispetto all ora Presente, in cui si nota una singolare rifioritura di scritti riguardanti la figura e il pensiero dell A-postolo. C. Μ., I moti del ó febbraio in « L’Ambrosiano », Milano, 5 febbraio 1942. j*’ Nel rievocare la storica data, l’A. cade in alcune contraddizioni circa l’apprezzamento sul tentativo mazziniano. Arturo Codignola, La « Maddalena » di Mazzini in « La Stampa », Torino, 8, 10, 11, 12, 13 febbraio 1942. Sono cinque articoli che possono considerarsi cinque capitoli del gentile romanzo d amore, di cui furono protagonisti la giovanetta Maria Mandrot di Borna, nota fino a poco fa col nome di Madelaine e — all’infuori di ogni suo volere — Giuseppe Mazzini. Per quanto si tratti di un episodio già noto, solo incidentalmente o assai brevemente e con qualche inesattezza, ne avevan trattato fin qui gli studiosi del Grande Genovese. Forse più a lungo degli altri ne aveva latto cenno il Saiucci nella raccolta delle « Lettere d’amore » di Giuseppe Mazzini. Il Codignola ora, sulla scorta dell’epistolario mazziniano, ricostruisce la sentimentale vicenda, che ebbe momenti drammatici per la fanciulla, avvinta da una passione senza speranza, e per il Mazzini, combattuto da un contrasto angoscioso di sentimenti, nel quale però il suo spirito pareva come su.D“” marsi, assurgendo a concezioni sempre più alte. Questa luce possente della grande anima ai u. Mazzini si sprigiona dal lavoro del Codignola, condotto con studio appassionato e fine analisi psicologica. Giancarlo Bertieri, Mazzini e Kossuth in « Libro e Moschetto », Milano, 14 febbraio 1942. Solo nelle prime righe si ricorda il patto di alleanza italo-ungherese, stretto nel laoi ira Mazzini e Kossuth: tutto il resto dell’articolo tratta della comunanza d’ideali fra i due popoli e della partecipazione dell’Ungheria alle vicende d’Italia. APPUNTI 99 Arturo Codignola, lutto Mazzini in « Il Lavoro », 25 febbraio 1942. Messi in rilievo i pregi della monumentale raccolta degli scritti di Mazzini nell’Edizione Nazionale, teste terminata, il Prof. Codignola fa la storia delle pubblicazioni mazziniane che la precedettero, risalendo al primo modesto tentativo del 1847 « Scritti di un Italiano vivente », fino all edizione daelliana, che, per quanto migliore delle precedenti era tuttavia insufficiente ^ ìir?*®*11* iSr t^ira del Mazzini », la quale, come giustamente afferma il valoroso Direttore dell istituto Mazziniano, dalla presente raccolta tutto intero si offre « a chi voglia leggerlo con intelletto d amore ». Armando Lodolini, Attualità di Mazzini. Comunione cristiana e associazionismo ili « Il Maglio », Torino, 25 febbraio 1942. L’A. avvicina l’organizzazione benedettina al principio associazionistico di G. Mazzini, che m quella comunione monacale avrebbe visto il primo germe dell’associazione. Nevio Matteini, Mazzini e il ComuniSmo in « Gerarchia », Milano, febbraio 1942. Si riafferma ancora l’opposizione del Mazzini ai principi del comuniSmo, pur nella fervente battaglia ch’egli condusse a favore delle classi lavoratrici. Le stesse idee sono ripetute dal medesimo autore, sotto altra forma e con più ampiezza, nell’articolo pubblicato in « Pattuglia di Punta », Forlì febbraio 1942 e in <■ Grido d’Italia », Genova, 15 marzo 1942. Francesco Palamenghi-Crispi, Giuseppe Mazzini in « Costruire », Roma, marzo 1942. Accanto a giuste e serie considerazioni, si notano affermazioni — per lo meno discutibili — intorno all’azione politica mazziniana. All’articolo segue una recensione del volume dell’Ardau, nella quale il Palamenghi-Crispi, soffermandosi specialmente sulla parte riguardante l’infanzia e la vita familiare del Mazzini, ne vede sminuita e avvinta la grande figura dell’Apostolo. Giuseppe Bruni, La grandezza di Mazzini in « Corriere Adriatico », Ancona, 8 marzo 1942. Articolo divulgativo scritto neH’anniversario della morte di Mazzini, in cui si esaltano la forza motrice delle sue iniziative, le intuizioni profetiche del suo genio. Il diciannovista, Mazzini e Vora attuale in « Il popolo della Spezia », 9 marzo 1942. Altro articolo d’attualità, nel quale si ricorda ancora il famoso incontro fra Mazzini e Nietzsche, « la cui eco, dice l’articolista, si proietta nei giorni nostri ». Articolo riportato anche in « Popolano », Portoferraio, 21 marzo 1942 e successivamente in « Voce del Popolo », Taranto, 5 aprile 1942, in « Giornale di Dalmazia », Zara, 9 aprile 1942, « Fiammata », Foggia, 6 aprile 1942, quest’ultimo firmato Memor. Nino Grasselli, Mazzini e il ComuniSmo, in « Il Veneto », Padova, 10 marzo 1942. L’A., ricordando la raccolta degli scritti di Mazzini di G. Santonastasio, tratta dell’antico-munismo. uno degli atteggiamenti, secondo lui, meno noti del Grande Genovese. Domenico Bulferretti, Giuseppe Mazzini nel settantesimo annuale della morte in « L’Ambrosiano », Milano, 10 marzo. L’articolista s’intrattiene specialmente sulla scomparsa dell’Apostolo e sul lutto che si ri-percosse in tutta Italia. Orlando Danese, Un monito di Mazzini in «Lavoro Fascista», Roma, 11 marzo 1942. Interessante rievocazione dei convegni tenuti nella casa che abitò Mazzini giovinetto, posta in Via S. Bartolomeo del Carmine, dove, sotto il benevolo sguardo della madre e spesso con la presenza di Eleonora Ruffini, fermentava già quelle idee che dovevano condurre a una nuova coscienza italica. Lo stesso articolo è riportato in « Il Popolo della Spezia », La Spezia. 30 marzo 1942, con la firma Luigi D’Antognano. Altri articoli commemorativi pubblicati nella ricorrenza della morte del Maestro sono: Mario Maragi, Attualità di Mazzini in « L’Assalto », Bologna, 14 marzo 1942. 100 APPUNTI Umberto Riparbelli, Mazzini in « Grido d’Italia », Genova, 15 marzo 1942. Ludovico Pagano, Mazzini in « Lavoro cooperativo », 19 marzo 1942, riportato; anche in « Provincia di Como », 22 marzo 1942. E. M. Bertelli, Ugo Bassi nelle lettere di Maria Mazzini ili « 11 Lavoro », 18 marzo 1942. . . L’A. riporta, commentandoli, dal carteggio di Maria Mazzini, i tratti che si riferiscono a Ugo Bassi, allorché questi tenne un quaresimale in Genova, nel 1839. Landò Ferretti, Apostolo e Profeta in « Il Mattino », Napoli, 20^ marzo 1942. Articolo di spiccatissimo carattere di attualità per il riavvicinamento che FA. vede fra gl’ideali mazziniani e quelli voluti dal fascismo. Michele Saponaro, L'epistolario di Mazzini in « Popolo d’Italia », Milano, 22 marzo 1942. ....... Si esalta il valore dell’epistolario mazziniano, di cui si consiglia la lettura ai giovani come reintegratrice di forze spirituali. Raffaele Franchi, Voce di Mazzini in « Corriere Adriatico », Ancona, 22 marzo 1942. . . . È questa la voce che emana, secondo l’articolista, dagli « Scritti scelti » a cura eli (j. banto-nastasio, opera alla quale accennammo più sopra e di cui il Franchi fa una interessante relazione. Vincenzo Chieppa, Mazzini e ΓInghilterra in « Gioventù in armi », Roma, 25 marzo 1942. . ; Trattando del soggiorno di Mazzini in Inghilterra, 1Ά. mette in evidenza le ombre tristi, cne turbarono i suoi giorni d’esilio. Cesare Tevenè, L'iniziativa italiana in « Grido d’Italia », Genova, 30 marzo 1942 Si afferma che l’iniziativa italiana d’una riorganizzazione europea voluta da Giuseppe Mazzini è oggi ripresa e voluta dal governo fascista. Postille All’Istituto Mazziniano si è celebrato, il 10 marzo, l’anniversario della morte del Grande, con una commossa conversazione, « Il volto di Mazzini », tenuta dal dott. Aldo Lechi, che fu vivamente applaudito. Nello stesso giorno, autorità e popolo si recarono in pellegrinaggio alla tomba di Staglieno. τ,τυ· Come hanno riferito quasi tutti i giornali, nel gennaio di quest’anno, 1 Edizione Nazionale degli Scritti di G. Mazzini, si è compiuta. Il Senatore Gentile ha fatto omaggio degli ultimi cinque volumi al Duce, che gli ha espresso la sua alta soddisfazione. Il merito principale della raccolta si deve all’opera infaticabile del Prof. Mario Menghini, che portando a termine l’impresa, ha inalzato all’Apostolo dell’Unità d’Italia, un monumento « aere perennius ». Evelina Rinaldi Direttore responsabile: ARTURO CODIGNOLA Stabilimento. Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, 1942-XX Anno XVIII - 1942-XXI F T„ . , Λ r uecicolo IJ1-J \ - Luglio-Dicembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE IL DOTTOR BENEDETTO MOJON , n In ^oor, scyl1;to. comPaiso sulla Revue des Deux Mondes del 15 arzo 183.,, dal titolo Revue scientifique et littéraire de VItalie -Etats Sardes, scritto che il re Carlo Alberto aveva mostrato di apprezzare grandemente 0), si leggevano queste parole: «Outre l’U-mversite de Turin, il existe en Piémont l’Université de Gènes qui possédé des sa vans distingués. Mojon qui y professe la chimie, est un de ces italiens (dont on ne parle jamais) qui out précédé M. Oersted dans la découverte de l·’électromagnetisme ». Tale scritto era dovuto ana penna di un insigne matematico fiorentino, rifugiato politico a arigi dove, nel 1830, per i suoi particolarissimi meriti, ad onta dei “Ι!'™01'1 suscitati negli ambienti scientifici francesi, gli era stata addata la cattedra di matematica al Collegio di Francia, Guglielmo ι eroi ’ , 11110Jeone) Libri-Carnicci, conte della Sommaja (1803- . ), no issimo anche come bibliofilo (e, sin qui, evidentemente, non taceva torto al proprio nome) ma più tardi, assai meno favorevol mente noto ^ ed anzi perseguito giudiziariamente, come collezionista '.,1.1 111.....1 tini. Ma il chimico Mojon di cui, molto opportunamente, i. .Libri aveva ricordato l'esistenza ed i meriti scientifici, aveva un fratello medico, già professore universitario in Genova ed ivi distintissimo professionista, il cui nome da tempo aveva valicato gli angusti confini del Ducato per affermarsi, iu vari centri universitari italiani e ìancesi, per la sua instancabile e geniale operosità scientifica, nei circoli polizieschi e governativi di Torino (e ne rimase traccia anche nel minuzioso diario del grafomane Carlo Alberto), per le sue non del tutto ortodosse opinioni politiche e religiose. Il Libri, che in casa del medico Mojon aveva goduto di molte attenzioni quando, esule, era passato da Genova, attenzioni di cui par- i1) « J’ai lu aujourd’hui dans la Revue des Deux Mondes — scriveva il Re nel suo Diano in data 29 marzo 1832 (riportato nel Carlo Alberto inedito di F Salata, Mondadoii, ed., 1931) — un article merveilleusement bien fait Dar Libri, sur l’etat de la littérature dans nos Etats ». 102 PIETRO BERRI ve del tutto scordarsi qualche anno più tardi, avrebbe potuto fai menzione nel suo articolo di questo minore ma non meno degno liatello dell’illustre chimico Mojon e decantarne i non comuni pregi. Senonchè la medicina esula completamente dalla trattazione dell articolista. Perciò, a, distanza di oltre cento anni, è un medico ligure che si propone di colmare, come si dice, la lacuna, rievocando, con maggioi copia di particolari -di quanto altri finora abbiano tatto, una figura < i pio-fessionista, di cittadino e di patriota che brilla di singolare uce 111 quelPambiente scientifico e professionale genovese dei primi decenni dell Ottocento, gl altrove da lui più diffusamente descritto (-). Quando, nel 1767, venne soppressa in Ispagna la Compagnia di Gesù, un laico gesuita di nome Benito Mojon, nato verso il li80 a Villarejo de Fuentes, nella diocesi di Cuenca (Nuova Castiglia), che esercitava la farmacia con molta perizia e che, per essere mo o vei -sato anche nella botanica e possedere nozioni mediche, era stato incaricato di insegnare la chimica farmaceutica nel ( ollegio t i cala di Henares, in provincia di Toledo, 11011 potendo più esp icare la propria attività, si trasferì a Genova (3) non si sa per quale particolare richiamo. A Genova il Mojon, dopo aver lavorato zieria di Giacomo Gibbone, posta « nella strada maestra eli S Siro », aperse, verso il 1772, una bottega di speziale nella stessa strada (via di Fossatello) là dove esiste tuttora una farmacia che, passata poi ai figli Giuseppe ed Antonio ed ai discendenti di ques o ultimo, nonostante i successivi mutamenti di proprietà, conservo il nome dei primi titolari, cosi come il suo interno, nelParre&amento e delle decorazioni del soffitto, ha conservato il pristino aspetto. E quando il medico, chimico e botanico inglese, William batt (1744-1812), laureato a Montpellier nel 1770 (4), stabilitosi a Genova verso il 1771 (5), per ragioni di salute, ed ivi, per concessione spe- (2) P berri, il prof. G. A. Garibaldi e la medicina genovese del suo tempo (1784-1845), ed. «Liguria», Savona., 1941. (3) Isnardi-Celesia, Storia dell'Università dì Genova, lip. Soiclomuti, υ nova 1867 Su Benedetto Mojon senior più o meno brevi e non sempre esatti cenni sono reperibili anche nel voi. 35° dell 'Enciclopedia umversal europeoamericana e sul Dizionario del Risorgimento Nazionale. Vedansi inoltre le biografie di Giuseppe Mojon (nota 7 del presente lavoro) e, molto importante, a. Neri, in Rivista ligure di scienze, lettere ed arti, anno XLIL fase. I. gennaio-febbraio 1915. a proposito di una lettera di Bianca Milesi. (4) B. Mojon (junior), Eloge historique de Guillaume Batt, Gravier, Genova, 1812 (5) L’Isnardi (loc. cit.) scrive 1774, data inesatta poiché lo stesso Batt, in una memoria presentata alla Società medica d’Emulazione nel 1801, si nte-riva a vicende professionali svoltesi in Genova con la sua partecipazione nel 1771. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON .103 iimlt l'V ^e,‘eilissimi Collegi, messosi ad esercitare largamente e con iseo·„7!-V,1!a,i %LoOÌffÌ01ie: no,,ostante la religione anglicana da di chimii "ipaV ’ li ; §t0 tlltt(J «:(jno.sciuto e negletto ed uii laborato linn dSpic+T ' Γ’' costruit° a tergo dell’Università, sulla col si delFoÌS f ? 6’ Pei' slla Piativa, furono anche gettate le batolo li ι ,1D1C0 universitario, ad assistente preparatore, col ti-nelkllto ιΐ! Hni,lica' veime Prescelto Benedetto Mojon che finn·ιΗsti ΤΓ tatt° (lomanda d’inscrizione al Collegio dei sXtónn Ρ·ίΓΠ? Sj)ei;0 8010 CÜlq,,e aimi Più tardi, dopo aver τι i_> 4.1. ìle Paite llua spaiale commissione. diede ? ¥^attedra al 1787. Recatosi in Inghilterra, emerito Τοτ-ηΛ^1. Jf1110 successivo e venne nominato professore fessions , η μ T * 1 V’ a eiH)Va Per occuparsi esclusivamente della profri nic'iti ι Λ/Γ sostlt111 nell’insegnamento il prof. Cesare Cane-ern Snî» L ^ 1784’ :Ul,1° in cui· a sua domanda, gli Renettinit ' <'l",;ssa la ‘-ittadinanza genovese, aveva pubblicato apurt nZ 11 rdlTd0la al reggit01'i <ìell’Università, una Pharmico-S* :efonna-getti di Pavia (quello stesso che, più tardi professore a Bologna. tutto quanto si legge intorno alla vita ed alle opere del Mojon, infinite sono le inesattezze e le insufficienze. Erratissime per es., le indicazioni biografiche fornite da. F. Fétis nella Biographie universelles des musiciens. Firmin Didot 1875. ί9) V. Landò, Elogio del fu cittadino Francesco Silvano, in Memorie della Soc. med. di Emulazione, Tomo III, 2° quadrimestre, 1804. (10) G. A. Mongiarmni, Introduzione alla seduta pubblica della Soc. med d'Em. del 26 novembre 1801 (Memorie della S. m. d’Em., Tomo 1, 2° quadrimestre, 1801). 106 PIETRO BERRI manifestò tanta ostilità contro Maurizio Bufalini), fu ristampato dal Fournier di Parigi nel 1S03, doveva essere offerto al Mojon dalla musica. Egli manifestava così, sin dai più giovani anni, un grande amore per Parte. La musica era forse la prediletta, ma, in virtù anche dell’indole e della serietà degli studi fatti, la letteratura e la poesia non erano trascurate. In quell’epoca e per tutto il secolo XIX in genere, una profonda cultura umanistica e filosofica era nei modici tutt’altro che rara. La musico terapia non era, neanche allora, argomento nuovo (11). Il Mojon era stato probabilmente inspirato da un Mémoire sur la musique presentato dal Desessartz all Istituto Nazionale di Parigi il 20 vendemmiaio, dell’anno IX. Ma la terapia con i suoni (più o meno modulati) è antica quanto la civiltà. Non leggiamo anche nel-l’Antico Testamento come l’ipocondriaco Saul, vecchio re atrabi-liare, calmasse i suoi spiriti esacerbati al dolce suono idell’arpa di Davide? Saltuariamente, nel corso dei secoli, vi sono stati tentativi di codificarne, di solito dilatandole, le applicazioni, finché s’è giunti, facendo giustizia di tante esagerazioni e di tante illazioni fantasiose, alla conclusione che la musica, per il nesso esistente fra reazioni psichiche ed innervazione viscerale, possa giovare in certi disturbi funzionali ed in molte forme di nevrosi e che sia anzi impareggiabile elemento di conforto e di rigenerazione morale negli ospedali e nelle prigioni (12), tenendo sempre conto però della recettività individuale poiché « ognuno dalla musica riceve quello che lia già in sè » (13). Il libretto del Mojon ha un valore puramente storico. Esso condensa in 32 paginette una notevole mole di 'dati, colti però senza eccessiva discriminazione, anche dalla mitologia e .d'olla leggenda. Non si riferisce mai ad osservazioni personali, ma alle numerose letture fatte e riporta tutto ciò che gli pare dimostri Γefficacia terapeutica -della musica con estremo candore ed evidente buona fede, anche le affermazioni più inverosimili. Non mancano bei squarci retorici sull’essenza della musica e sui suoi mirabili effetti psichici, non privi di efficaci notazioni fors’anche originali. Non s’acceleravano i palpiti del cuore del giovinetto cittadino Mojon, già spettatore non inerte dell’eroica giornata di Marengo, quando rievocava « quali i11) Un saggio di bibliografia antica e recente sulla meloterapia si trova in A. Pazzini, La medicina primitiva (Vol. I del Trattato enciclopedico di storia della medicina, Miiano-Roma, 1941). Cfr. anche Influenza della musica sull1 organismo umano in G. Mazzini, Il bambino nelVarte musicale, Ist. It. d’Arti grafiche, Bergamo, 1941. (12) R. Assagioli, Musica e medicina, Rassegna Italiana, nov. 1930; A. Ber-tagnoni, La cura con la musica, Corriere della sera, 8 marzo 1941 (in quest’articolo si trovano riassunti e fìssati in modo eccellente i veri termini della questione). (13) A. Bertagnoni, loc. cit. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 107 prodigi di valore non ha prodotto la Marnigliene negli eserciti frantesi, per far trionfare la causa della libertà»? E se la musica nello stato di salute è utile, rientrando essa nelle forze eccitanti che « ravvivano le funzioni animali, esaltano e fortificano la lorza· vitale », nello stato di malattia è altrettanto utile, come dimostrano i latti prodigiosi registrati negli annali della medicina. 11 Mojon ha l’impressione che, nel suo tempo, la musica 11011 operi più quei prodigi che 'determinava in antico, nella Grecia e nell’Oriente. E perchè? « La musica di Pergolesi, Piccinui, Paisiello, — dice egli con adorabile ingenuità — è forse inferiore a quella di ierpandro e di Arione? 0 gli uomini sono divenuti gradatamente più insensibili .·1 ». — Egli è convinto che se la musica fosse usata in tutti quei casi in cui 1 usavano lì 1 i antichi, si determinerebbero gli stessi effetti che gli antichi si ripromettevano, ma « la musica moderna — egli dice — sembra essere divenuta più dolce, più voluttuosa, più disposta alla compassione e 11011 essere fatta che per cattivare i cuori ed ispirare l’amore », mentre gli antichi avevano musica atta a destare qualunque sentimento, tanto che se 11e servivano anche come (li un profilattico contro le.... frenesie amorose e d’un succedaneo della.... cintura di castità.... Astraendo da queste.... portentose azioni attribuite alla musica dei popoli antichi, musica sicuramente ignota al Mojon il quale si fonda esclusivamente sulle letture fatte e sembra non afferrare il concetto così .semplice che anche la musica, come tutte le arti, ina assai più tardi che le arti figurative, ha seguito il progresso della civiltà e che le musiche dell'antichità greco-romana (0 di civilia più remote, se se 11e possedessero esempi) potrebbero parer puerili (quando non cacofoniche come quelle dei selvaggi) anche ad orecchi ottocenteschi, la notazione sul carattere elegiaco e carezzevole delle musiche della Scuola napoletana, le uniche forse con le quali egli avesse famigliarità, non accennando menomamente a Mozart e ad Haydn (i quali, pur non avendo composto musiche di carattere eroico, esprimevano sentimenti ben più virili, non creando di solito per futile diletto, preparando l’avvento di Beethoven) ha un certo interesse, poiché fa presagire il modernissimo problema affacciato dai musicoterapeuti : che, cioè, all’elemento fonico, con le sue varietà tonali, modali, ritmiche, timbriche, debba aggiungersi, non tanto il carattere della composizione (triste, lieto, ecc.), quanto lo stesso suo pathos legato al genio del creatore. Il Mojon deduce da 11’esperienza del passato che la musica corrisponda bene nelle malattie nervose ma dà dell’esagerato a quel Giovali Battista Porta che, convinto di aver trovato nella musica una panacea universale, fabbricava gli istrumenti destinati alla musicojatria con il legno di quelle piante medicinali che sono maggiormente indicate per la guarigione delle singole malattie. Così .108 PIETRO BERRI curava i maniaci con il suono d’un flauto d’elleboro, le malattie linfatiche col tirso, ecc. 11 Mojon dice die il meccanismo d’a&ione della musica è puramente fìsico; la musica agisce in noi e come stimolante meccanico e DISSERTAZIONE SULL’ UTILITÀ' DELLA MUSICA Tanto nello stato di Sanità che in quello di Malattia . D I BENEDETTO MOJON CHIRURGO Membro della Società' Medica d' Emulazione . Pour être hereux , il faut sentir . Mous. Lettres à Emilie Fig. ] - Riproduzione in formato originale del frontispizio della prima pubblicazione del Mojon. come creatrice di sensazioni piacevoli. Se la cava poi con semplicistiche e rudimentali nozioni d’armonia, di fisica dei suoni e di anatomia dell’organo dell’udito. « La musica- — egli dice — considerata come semplice suono, o un rumore agisce particolarmente sulle ramificazioni del nervo acustico; ma, sia in ragione della comunicazione che ha questo nervo con quelli di tutta la macchina, sia per una specie di simpatia nervosa, sia infine per l’unità dell’eccitabilità, la quale ci dimostra il gran consenso ch’esiste fra una parte e l’altra del corpo, quest’azione si manifesta nelle differenti parti della macchina animale ». Ecco perchè, certe persone, al solo udire lo sparo d’un cannone, sentono un’inquietudine · Mojon — scriveva il dottor Landò, segretario della Società medica d’Emulazione, nel rapporto sui lavori del sodalizio entro il 1803 (20) — ha abbandonato la Società, per trasferirsi a Parigi, e profittare di quelle cognizioni che versano a larga mano sulle scienze fisiche i celebri Professori di quella vasta Metropoli. Nota essendo in quella Città una malattia conosciuta sotto il nome di Grippe, il nostro Collega ce ne ha trasmessa ben presto la storia, accompagnata da molte savie riflessioni sopra il suo carattere, ed il miglior modo di curarla. In questa occasione ci ha dato anche un'idea di quelle affezioni catarrali che hanno regnato in vari tempi nella Francia, come si potrà vedere dalla sua Memoria ». Questa Memoria sopra l e pi d e ni io, catarrale che ha regnato in Parigi nell inverno dell'anno Λ7, fu trasmessa dal Mojon alla Società medica d Emulazione il 10 giugno 1803 e diede lo spunto ad 1111 Rapporto sulle malattie epidemiche che hanno regnato nella Città di Genova e luoghi circonvicini nello scorso inverno, letto il 30 «diurno ο σ (ls) L. Marchelli, Memoria sulV inoculazione (iella vaccina, loc. cit., Tomo 1, 1° quadrimestre; O. Scassi, Rifièssioni sulla vaccina, Stamp. della Gazzetta Nazionale, 1801; Vitale (Vito), Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo, Atti della Soc. Lig. di Storia Patria, vol. LIX, 1932; Vitale (Giuseppe). Onofrio Scassi pioniere della vaccinazione jenneriana, « Genova », riv. inun. ottobre, 1940; G. Pesce, art. vari sul Secolo XIX, 11 agosto e 19 sett. 1941, e Priorità genovese nelVintroduzione in Italia della vaccinazione antivaiolosa in Atti della riunione sociale della Soc. it. di Storia delle Scienze mediche e naturali MCMXL1I. La priorità di Scassi e di Marchelli fu riconosciuta anche dal pioniere lombardo della vaccinazione, il varesino Luigi Sacco (vedi E. Bertarelli, Edoardo Jenner e la scoperta della vaccinazione, l.S.M. Milano, 1932). (19) Gazzetta Nazionale della Liguria, N. 5, 17 luglio 1802. (20) Meni. d. Soc. med. d'Em., Tomo lì, 2° quadr., 1803. 112 PIETRO BERRJ successivo dai medici De Ferrari e Landò e dal chimico Giuseppe Mojon. la cui collaborazione era richiesta per le osservazioni meteorologiche, ritenendosi allora che le vicende climateriche rappresentassero il fattore causale delle epidemie e non semplicemente 1111 fattore predisponente, come oggi generalmente si ammette. Nello stesso anno, con una lettera al dottor Batt, il Mojon trasmetteva una traduzione del Rapporto dlelVinnesto della vaccina fatto aW Institut National di Parigi. Un anno dopo (18 giugno 1804), Benedetto Mojon comunicava una Memoria sugli effetti della castratura nel corpo umano. Tal? invio veniva molto probabilmente fatto da Montpellier, poiché, in data 14 agosto 1804, la Gazzetta, Nazionale della Liguria riportava dal Giornale di Medicina di Montpellier che 1’ Ateneo medico di quella città, aveva aggregato fra i suoi soci in qualità di vice-presidente, il « dottor Benedetto Mojon ligure ». La stessa memoria uscì difatti in lingua francese a Montpellier in quello stesso anno e l‘u ristampata a Genova nel 1813. Essa appare anche oggi assai interessante alla lettura, e, sotto un certo aspetto, per alcune osservazioni contenutevi, fa del Mojon un antesignano della moderna endocrinologia. Il padre Solari, eletto nel 1805 segretario della Società medica d’ijmulazione, dopo aver accennato nel consueto rapporto al programma presentato dal Mojon dell’opera alla quale attendeva (le Leggi fisiologiche) così si esprimeva a sua lode : « La grandiosità dell’impresa farebbe credere Fautore un atleta già veterano. Eppure è giovane per anche di primo fiore, ma però tale che s’indirizzo a questa meta persino dai primi studii, che ha perciò scorse da fervido osservatore le più fiorite accademie d’Italia, che soggiornato a Parigi per ben due anni si meritò l’onore e la stima dei Sabattier, Portai, Lacepede, e d’altri lumi più classici dell’istituto ». In quell’epoca il Mojon collaborava anche, assieme al Tambroni, al giornale La Domenica (1803-1804) pubblicato da Antonio But-tura, con l’intento di tener vivo l’onore italiano (21). Egli vi scrisse di cose riguardanti i suoi studi, rivendicando all’Italia il primato nelle scienze fisiche e naturali. Pare che, durante il soggiorno a Parigi, il Mojon avesse avuto la ventura ‘d’incontrarsi in un salotto con Bonaparte il quale lo ravvisò, esclamando : « Eh ! c’est mon petit docteur de Marengo ! » (22). Se l’incontro è realmente avvenuto, non è ardito il ritenere che, sulla carriera accademica del Nostro, abbia avuto una certa influenza la simpatia del Corso prossimo all’autoincoronazione imperiale, così come è più che verosimile il considerare quale riflesso di (21) A Neri, cit. in nota 3. i22) E. Souvestrl, Bianche Milesi Mojon, notice biographique, Paris, 1854. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 113 questa stessa simpatia, le disavventure occorsegli con il mutamento di regime avvenuto in Genova dopo il 1814. Sta di fatto che. nel 1805, quando ormai l’effimera Repubblica Ligure era stata incorporata nell’impero francese (FUniversi tà di Genova nel 1809 verrà- retrocessa ad Académie imperiale subordinata alFUniversità imperiale di Parigi) il Mojon, di ritorno a Genova dalla Francia, con decreto di S. A. S. PArcitesoriere ldelFlmpero, veniva nominato professore supplente 'della Facoltà medica (23). ^ periodo dal 1802 al 1804, il Mojon aveva compiuto viaggi d’istruzione medica in Inghilterra, in Germania ed a Vienna. Ivi divenne amico del celebre Prochaska che assecondò nelle sue ricerche anatomiche (24). Nel 1806 vide la luce in Genova l’opera che a Benedetto Mojon diede vasta e durevole rinomanza negli ambienti scientifici ed universitari di tutta Europa e che, più tardi doveva dargli anche uno dei più fieri dispiaceri della sua vita, le Leggi fisiologiche. Conviene soffermarsi alquanto su questo singolare frutto del vivace ingegno d’un giovane di venticinque anni che s'impone già i onie maestro fra i (lotti dell’epoca e che rivela, attraverso un’opera assai piccola di mole ma densa di concetti, le predilette tendenze dei suoi studi e delle sue ricerche, tendenze già evidenti nei precedenti la- vori. Le Leggi fisiologiche tradiscono F influsso dello spirito francese : chiarezza, semplicità, concisione, praticità, schematismo ne sono le 'doti fondamentali, trattandosi d’un manuale scolastico e rappresentano forse una reazione alle sesquipedali, farraginose dissertazioni infarcite di citazioni che allora andavano per la maggiore (2£). Basta naturalmente la piccolezza della mole dell’opera (in confronto specialmente con i più riassuntivi testi moderni di fisiologia) per far comprendere quanto fosse limitato lo scibilé fisiologico in quel- 1 inizio di secolo che pur doveva veder sorgere, a distanza di pochi decenni, specialmente per merito della Scuola francese, la moderna fisiologia sperimentale, sulla via tracciata dal nostro Spallanzani. (23) Gazzetta di Genova6 novembre 1805. (·2y Dictionnaire encyclopédique des sciences médicales, vedi nota 8. (2o) La fisiologia del tempo eia dominata dall’iinmane mole di lavoro accumulata dallo svizzero Alberto Mailer (1707-1777), discepolo del grande Boerhaave. Ad Haller spetta il merito, degnamente condiviso con Lazzaro Spallanzani (1729-1799), d’aver posto le basi della moderna tisiologia. Ma 1 opera di Haller aveva già trovato un fiero ed audace critico nel vivacissimo ingegno di Giovanni Rasori che, nell’introduzione alla sua tiaduzione dall’inglese della Zoonomia di Erasmo Darwin (Milano, 1803), scriveva: «.... la miglior fisiologia si riduce ad una raccolta di descrizioni di struttura di parti, sterile di utili conseguenze; e ad uno scarso numero di ve- rità isolate, miste a copia di dubbj, d’ipotesi e d’errori: tale è in sostanza la grand’opera di Haller, di cui però i fisiologi posteriori non hanno ancora prodotto altra più grande ». 114 PIETRO BERRI Anche il contenuto del libretto del Mojon risente del l’enorme povertà delle nozioni fisiologiche di quell’epoca e della fallacia di molte ipotesi. Ma è pur opera moderna, se non altro per lo spirito che l’anima, tutto teso all’analisi ed all’esperimento, per quel suo deciso spogliarsi di molte delle scorie d’un passato greve di tradizioni, pel suo animoso puntare verso l’avvenire, per la sensazione precisa posseduta dall’autore che tutto ciò ch’egli arditamente fìssa in assiomi, è transeunte e che spetta al futuro di dire l’ultima parola su d’una quantità di fenomeni. Queste Leggi fisiologiche rappresentano un atto di coraggio e di fede per quei tempi, che spazza via tutte le nebulosità mistiche che hanno aduggiato per secoli il cammino delle scienze esatte. È frutto anch’esso dell’enciclopedismo e d’un positivismo che a taluni parve (e forse con malizia) degenerare nel materialismo. Che cosa il Mojon intendesse esprimere con queste Leggi fisiologiche, ce lo dice egli stesso nella prefazione alla prima edizione (Giossi, Genova, 1806). Opponendosi alla concezione ancora radicata che la fisiologia sia la scienza delle ipotesi e che il principio vitale eluda nella macchina vivente tutte le leggi della fisica, che la scienza delle organizzazioni sia soltanto sul nascere e che l’uomo non perverrà mai a comprenderne i misteri, l’autore afferma che i fatti di cui si occupa la fisiologia poggiano su esatte esperienze e su incontestabili verità. La tisica, e la chimica intervengono a spiegare buona parte dei fenomeni vitali. « Nel ridurre a codice le leggi di questa scienza, io 11011 pretendo di porre a stretto parallelo i fatti che appartengono alla tisica con quelli devoluti alla fisiologia. Le leggi fisiche sono immutabili, le fisiologiche sono invece suscettibili di più variazioni. Ma ciò non vieta che queste pure si possano presentare come le prime, sotto una forma assiomatica, qualora vengano calcolate colla face dell’espe-rienza le varie modificazioni, nelle quali l’organizzazione sottomette i materiali «della macchina animale ». E si ritiene soddisfatto se riuscirà ad esporre i fatti verificati dall’osservazione « con quel-l’austero laconismo che poco curandosi delle parole, 11011 s’occupa (‘lie delle cose ». E ciò sull’esempio di parecchie raccolte di assiomi attinenti a varie scienze, botanica, chimica, patologia, metafìsica. Nella classificazione, il Mojon si attiene al piano proposto dal Grimaud con i perfezionamenti (li Biellat, che considera due grandi classi : quella delle funzioni di conservazione della vita relativa all’individuo e quella della riproduzione in rapporto con la specie. Nelle sue considerazioni non si limita al genere umano ma mette a confronto le funzioni di molte classi e di moltissime specie, riportando anche le basi della loro composizione organica, considerando l’anatomia comparata come a la più ricca sorgente del perfezionamento della fisiologia ». IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 115 11 Mojon mostra di non ignorare la scambievole interdipendenza di tutte le funzioni ed ammette che molte di esse sono ancora ignote nella loro essenza e che appaiono misteriose. Nella prefazione egli LEGGI fisiologiche REDATTE DA B. MOJON Dott. in Medie, ed in Chirurg. : Professore suppl. alle Scuole di Medicina dell’ I. Università di Genova : Membro della Società Medica , della Galvanica , e dell’ Accadem. delle Scienze ed Arti di Parigi : dell’Accademia Reale di Medicina di Madrid: della Società Medica di Bologna : della Società d’Agricoltura, Scienze ed Arti del Dipartimento del Nord: della Società di Medicina pratica, e Vice-Presidente dell Ateneo Medico di Montpellier ec. ec. GENOVA, dalla Stamperia di Giovanni Glossi, Piazza delle Vigne, N.° 422. 1806. Fig. 2 - Frontispizio della prima edizione delle « Leggi fisiologiche » ricorda i moltissimi autori ai Quali è debitore di dati preziosi \ molti gloriosi italiani sono tra questi, da Malpighi a Morgagni, da Spallanzani a Scarpa, da Rasori a Tommasini. Ma fa anche notare come alcune delle leggi esposte siano il frutto di sue particolari esperienze e 'delle osservazioni da lui fatte su collezioni di anatomia umana e comparata consultate 111 varie Università, e degli insegna- lie PIETRO BERRI menti da lui seguiti di Scassi, Cuvier, Portai, Lacepede, fecarpa, Dumas, Barthez, ecc. La prefazione si chiude con queste profetiche parole : « Non pretendo che le leggi fisiologiche ch’io stabilisco siano le sole, e che queste debbano esser considerate come il risultato dell’ultima prova. Porse nuove esperienze apporteranno nuovi lumi nella scienza dell’uomo ; e molti fatti cesseranno d’esser riguardati come verità fondamentali ; nel mentre ch’altri ci si manifesteranno fin qui ignoti, o appena sospettati. Alle vaghe induzioni, ed alle ipotesi essendosi sostituito il metodo analitico e sperimentale, noi abbiamo luogo di sperare, che la scienza della vita, lungi dall’arrestarsi al punto ove è giunta, non troverà limiti, come dice l’illustre Dumas, che in quelli della natura ». Quest’opera ebbe molte edizioni; fu tradotta in francese ed ar-riechita di note dal dottor J. B. Michel, in spagnuolo dall’Ortega ed in inglese da Skine e Warden. Molti illustri medici dell’epoca, come il Tommasini, il Moscati cui, con molta pompa epigrafica, l’opera era stata dedicata, il Borda, il Dumas, lo Scarpa, il Morelli, ecc. espressero su di essa giudizi molto favorevoli. Essa fruttò anche al suo autore il titolo di membro corrispondente di molte accademie e società dell’Ini pero e gli aperse la via alla cattedra. * * Nel maggio 1807 al Mojon fu affidata anche la carica di medico capo dell’Ospedale militare di Genova e di questa sua attività resta traccia nel da lui steso Quadro patologico delle malattìe che hanno dominato nell’Ospedale militare di Genova nell’ultimo semestre del 1807 (26), e nella 'descrizione d’un caso clinico di catalessi (27). Nel novembre del 1810 moriva il prof. G. B. Pratolongo che da molti anni insegnava anatomia e fisiologia. Con decreto del 13 dicembre di quell’anno di S. E. il Senatore Gran Maestro dell’Università Imperiale, Benedetto Mojon veniva chiamato a coprire come titolare la cattedra vacante (28). Con lo stesso decreto, il suo maestro Onofrio Scassi, professore di patologia ed igiene pubblica e privata, veniva nominato Decano della Facolta medica e non era piccolo onore per il ventinovenne Benedetto 1’ essere divenuto collega di tanto insigne concittadino. L’ aver raggiunto 1’ apogeo della carriera universitaria, collocandosi accanto nella gerarchia accademica — non ultimo vanto per sè e per la famiglia — all’illustre fratello Giuseppe, la cui attività gli era certo servita di sprone e d’esempio, così co-' (26) Memorie della Soc. med. d'Emulazione, Tomo IV, i° quadr., 1809. (27) Giornale dei letterati di Pisa, Tomo Vili, part, 3, pag. 565. (28) Gazzetta di Genova, 18 gennaio 1811. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON ] ] 7 me dalle Leggi M fisica e di matematica era forse venuta l’inspira zione per le Leggi fisiologiche, non significava certamente per Benedetto Mojon l’abbandono degli studi prediletti cui anzi poteva dedicarsi anche ex professo senza doverli più dividere, per le sue precedenti mansioni di supplente, con tutte le altre materie d’insegnamento, poiché in quei tempi, i professori così detti supplementari (uno o due in tutta la Facoltà) dovevano sostituire a volte di punto in bianco, quello dei vari titolari che per un motivo qualsiasi si fosse astenuto dalle lezioni. Egli continuava inoltre a curare la pratica professionale e, con passione, seguitava a dare la sua opera disinteressata alle iniziative aventi per iscopo il pubblico bene Co sì lo troviamo segretario della Commissione del vaccino e. dalla '(la: setta di Genova del 3 luglio 1813 rileviamo come il giorno precedente nella cancelleria dell’Ospedale di Pammatone fossero avvenute delle dimostrazioni pratiche per convincere la popolazione dei vantassi della vaccinazione antivaiuolosa. Il prefetto Bourdon de Vatry aveva aperto la seduta ed il Mojon aveva pronunciato un discorso, presentando poi un bambino affetto da vaiuolo e dei lattanti vaccinati da diversi giorni cui egli inoculava ora il pus estratto dalle pustole del bimbo vaioloso. Per convincere maggiormente gli astanti, egli, denudandosi il braccio, faceva \ edere la cicatrice dell’awenuta vaccinazione e si faceva a sua volta inoculare dal collega Guidetti il pus vaiuoloso (29| Sul la Gazzetta di Genova del 4 settembre 1813, il Mojon, nella sua qualità di segretario del Comitato di vaccinazione, pubblicava in lingua francese un trafiletto in cui in sostanza si diceva che il trionfo della vaccinazione nel dipartimento di Genova era assicurato; che tutti gli ostacoli erano stati rimossi ; che sino a tutt’agosto il registro delle vaccinazioni portava un totale di 2800 innesti gratuiti di cui oltre 900 praticati a Pammatone e 1300 nella farmacia Mojon ; che un gì alidissimo numero di vaccinazioni era stato anche praticato in altri rioni della città e in diversi comuni del dipartimento Da tutto (pianto esposto si poteva a priori aver la sicurezza che presto non ci sarebbe più stato in tutto il dipartimento un individuo non sottratto per sempre ai rischi del vaiuolo. E non mancava il pistolotto d’obbligo : essere questi benefici ' risultati «interamente dovuti alla ferma volontà nell’uso saggiamente inteso dei mezzi adottati dal prefetto (Bourdon) per la diffusione della vaccinazione ». Per le loro benemerenze vacciniche tanto il Mojon che (-·) 11 \ eibaie di questa seduta fu pubblicato sul numero successivo della Gazzetta (7 luglio}, col nome dei bimbi vaccinati e di quello affetto da vaiuolo, e con l’avviso che tutti i mercoledì, dalle 10 alle 12, nel vestibolo di Pam-matone, aviebbeio avuto luogo pubbliche sedute gratuite di vaccinazione praticate a turno da vari medici, tra i quali figura sempre il Mojon. 118 PIETRO BERRI il Bourdon sono elogiati anche nel poema di Gioacchino on a, trionfo della Vaccinia pubblicato a Parma nel 1810. Ma non passeranno molti mesi che l'astro dell imperia e signoie del prefetto Bourdon e nume tutelare di Benedetto Mojon, si ec isserà, per tramontare definitivamente di lì a poco, dopo una fugace e pallida ricomparsa. Che cosa avvenne di Genova e del Genovesato è noto. Il respiro di sollievo emesso dai genovesi fu di breve durata. Dopo aver avuto una prova della slealtà inglese, Genova ( ove e piegare il capo alle decisioni del Congresso di Vienna ed adat arsi « facendo boccacce a diventar savoina, ci si abituò a poco a poco e finì col trovare che il governo dei piemontesi non era, per quanto reazionario e liberticida, il peggiore di tutti» (30). Nell’ambiente universitario la reazione non tardò a farsi sentire. L’Università fu benignamente mantenuta in vita da Vittorio Emanuele, ma il marchese Gian Carlo Brignole, ministro di stato, che da membro era divenuto nel 1816 capo della Deputazione agli studi creata dall’ultimo governo provvisorio e mantenuta dal regio cui egli si mostrò estremamente ligio, riunendo poi nelle proprie mani, con la nomina a capo del Magistrato della Riforma degli studi, la direzione dell’istruzione di tutto lo Stato, si adoperò in ogni modo affinchè, tanto nel corpo insegnante quanto fra gli studenti, venisse accuratamente soffocata ogni tendenza liberale ed innovatrice. Donde i molti obblighi, religiosi soprattutto, per i professori e per gli studenti. Venne in parte ripristinato l’ordinamento scolastico anteriore all’occupazione francese e si ricostituirono fra l'altro anche gli antichi Collegi delle Facoltà. Per l’anno accademico 1815-1816 l’organico dei professori della Facoltà di medicina non subì modificazioni, ma quando fu reso di pubblica ragione il decreto reale del 7 settembre 1816 (31), è probabile non destasse molta sorpresa negli ambienti universitari e professionali, un elenco dei componenti la Facoltà medica così costituito : Onofrio Scassi, anatomia e fisiologia; Antonio Mongiardim, materia medica e medicina legale; Luigi Ferrari (32), patologia generale, speciale ed igiene; Niccolò Olivari, clinica interna e nosologia; Pietro Bonomi, istituzioni chirurgiche; Giuseppe Guidetti, clinica esterna ed operazioni ; G. B. Leveroni, ostetricia. E la Gazzetta di Genova del 20 novembre dava notizia che il professor Onofrio Scassi, « dalla cattedra di istituzioni mediche ed igiene traslato a quella d’anatomia, ha aperto il corso delle sue lezioni nella (30) A. Pesci ο, 1 lenivi del Signor Rer/ina, Genova, Stab. tip. del « «Successo », 1902, ristampato in Giorni e figure, Libreria editrice moderna, Genova, 1923. (31) Gazzetta di Genova, 11 settembre 1816. (32) In realtà si chiamava De Ferrari. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 119 !ala de!ìeatl‘° auatomico (li Pammatone con una dotta prolusione la- filici )) ( J. Del Mojon e tanto meno del suo siluramento (come oggi si direbbe), non una parola sulla Gazzetta. Ma il pretesto che dette luogo all’estromissione del Mojon dall’! niversità (cui seguì la dimissione da tutte le altre cariche) e noto, e non è difficile, dopo quanto s’è detto sul suo orientamento politico, dando credito anche alla supposizione che egli, cittadino francese pel latto dell'incorporazione di Genova nell’impero, non volesse pi,, abbandonare tale cittadinanza (**), conoscendo megli,, m seguito il suo atteggiamento in questioni religiose e le sue mai celate simpatie politiche, risalire alle vere ragioni della sua disgrazia 11 provvedimento preso contro di lui, provvedimento che, data la riputazione di cui godeva, dovette fare una grande impressione ne<«1t ambienti genovesi ed empì indubbiamente il suo animo di grande amarezza, era molto grave e di esso si ritennero paghi, per quanto ne san-piamo, i suoi persecutori. I rapporti informativi della polizia sull’ambiente genovese e delle due Ri\iere, spediti a Torino nel 1815 (35) mettevano in cattiva luce tanto Benedetto che Giuseppe Mojon. Ma non v’era professionista ( he, in quei rapporti, non fosse definito « cattivo », politicamente s’intende ; non v’era intellettuale contro cui non si scagliasse l’accusa di giacobinismo. A Torino però, molto giudiziosamente, dovevano tener un conto assai relativo di queste informazioni, tant’è vero che parecchi dei « «attivi », non soltanto non videro pregiudicata la loro carriera ma professori come lo Scassi ed il Leveroni, ebbero titoli, onorificenze e la nomina a medici di corte. E dell’abile, camaleontico Scassi non erano certamente antcor del tutto dimenticati i discorsi e gli inchini tributati a Napoleone imperatore! Ma per Benedetto Mojon evidentemente non esistevano circostanze attenuanti e la sua permanenza nel-l’Università dovette essere considerata non solo sgradita ma pericolosa. In (pianto a suo fratello Giuseppe, la considerazione e gli ono- (3S) Lo Scassi tenne quest’insegnamento sino al 1822. In tale anno egli passò alla cattedra «li clinica medica vacante sin dal 182-0 per la morte di Niccolò Olivari, e all’anatomia e fisiologia fu nominato il dottore collegiato Giacomo Mazzini, padre di Giuseppe. Com’è noto, l’Università fu chiusa in seguito ai moti studenteschi dalla fine d’aprile del 1821 all’ottobre 1823' ma tanto lo Scassi che il Mazzini fecero parte degli insegnanti autorizzati nel gennaio 1822 ad impartire lezioni private nelle loro abitazioni. I3') E. Souvestre, loc. cit. Affermazione con tutta probabilità inesatta La naturalizzazione francese fu chiesta per ovvii motivi dal Mojon nel 1838 quando da più anni soggiornava a Parigi. Tale naturalizzazione fu autorizzata con Regie patenti del Governo Sardo, come risulta da mia lettera dello stesso Mojon (vedi nota 36). (*5) A. Seghi·;, 11 primo anno del Ministero Vailesa (ISU-1SI5), Biblioteca di storia italiana recente, Vol. X - 1928; V. Vitale, Informazioni di poli-ia sull'ambiente ligure (1814-1816), Atti della Soc, lig. di Storia patria, LXI pag. 42-4. 120 PIETRO BERRI ri di cui godette dall'avvento del regime sabaudo, possono essere in relazione con la fama di cui era circondato in tutt’Europa, ma tanno anche pensare che, in politica, i due fratelli seguissero vie, almeno in apparenza, divergenti, per quanto i loro rapporti fossero sempre amichevoli e Giuseppe, nel 1827, tenesse anche a battesimo il secondogenito di Benedetto. Anzi, come risulta tra l'altro da una lettera di Benedetto a Gian Carlo L)i Negro cui fu sempre legato da affettuosissima amicizia e da comunanza d’opinioni letterarie e politiche, lettera scritta il 31 marzo 1837 e cioè dieci giorni 'dopo la morte di Giuseppe (36), Benedetto provò un acerbo dolore per la perdita del fratello (perdita sopravvenuta a breve distanza da quella della sorella Rosa, la cui morte ispirava un sonetto al fecondo Gian Carlo), fratello ch'egli considerava come un eccellente ed amoroso consigliere ed un eventuale appoggio per i suoi tigli nel caso ch’egli avesse dovuto precederlo nella tomba. Quale era dunque il pretesto con cui dalla Regia Deputazione agli studi o per essa dal Brignole o da più in alto ancora, si volle colpire Benedetto Mojon? Ce lo fa conoscere un rapporto di polizia redatto da persona molto bene informata (37). Sotto il nome B. Mojon, il rapporto dice: «Gode di una riputa zione ; fu molto tempo a Parigi. È del partito repubblicano ed appartiene all’indipendenza. Nel 1808 (sic) diede alla luce un Codice di leggi fisiologiche, e quest’opera le (sic) procurò la cattedra di fisiologia in questa Università. Dagli odierni Direttori di questo Instituto fu ultimamente accusato presso il Governo di Ateismo e pretesero di convalidare l’accusa dicendo che nella sopracitata sua opera non parla affatto dell’immortalità deli-anima. Quantunque quest9accusa fosse mal fondata tuttavia fu costretto di portarsi onde giustificarsi presso il Ministro dell'Interno Rig. Vallesa. Le [sic) riuscì di farlo mediante la protezione dell’inviato russo alla Corte di Torino il quale ne prese le difese. Questo accaldato ebbe luogo 10 giorni fa e si seppe da Mojon medesimo. Fa d'uopo rimarcare l'influenza di qiH ministro sul Gabinetto di Torino ». Accusa d'ateismo dunque, mal fondata, come ammette lo stesso informatore, ma in quel momento ben trovata e di sicuro effetto. Infatti il Mojon, per quanto, come s'c visto, potentemente appoggiato (l’inviato di Russia era il Conte di Capo d’Istria), contrariamente a quanto sembrerebbe 'dalle ultime righe di quel rapporto, non rin- (36) È una delle lettere inedite pubblicate recentemente da A. Pescio in Gian Carlo Di Negro, la sua Villetta, gli aulici Benedetto e Bianca Mojon (Rivista municipale « Genova », N° 8, agosto 1942). (37) Frizzi, Quadro caratteristico dei principali individui dello Stato ligure, R. Archivio di Stato di Milano (Copia manoscritta nella biblioteca del Civico Museo del Risorgimento di Genova). IL DOTTOR BENEDETTO MOJON f1 a sl),,lltai'la e, per dimissione d'autorità con la Riforma degli stu- < i del 1816, dovette lasciare l’insegnamento conservando il titolo di pio essore emerito, e, dal 1820 in poi, un’annua pensione di L. 000 riconfermatagli nel 1834 ej^lSSii ancorché residente all’estero, men re la lettura ufologiche veniva proibita nella Biblio- eca j liner sitarla, come si rileva dall’annotazione apposta sul dorso dell esemplare ivi esistente. Non doveva apparire chiaro neanche a lui donde avessero potuto n-ar fuori una simile accusa e, a propria giustificazione e soprat-n o a difesa d’un’opera che gli era tanto cara e che tanto successo elle Osservazioni anatomico-fiistologiche sull epidermide (Pavia, 1814) tradotte anche in francese ed inserite nel Journal des sciences médicales, e un breve discorso accademico Sull’utilità del dolore (Genova, Gravier, 1811, ristampato nel 1821 a Milano dal Pirotta e tradotto in francese alcuni anni dopo). Questo discorso merita di trattenere per un istante la nostra attenzione se non altro per 1’originalità del tema, anche se, in fondo, la trattazione e Pargomentazione lasciano alquanto disillusi. Forse avremmo voluto trovarvi un preannuncio di quanto, con logica sottile, in tempi molto vicini ai nostri, scrisse sui rapporti fra dolore ed azione il troppo dimenticato Ettore Regàlia (39). « Il dolore — scrive Mojon — è il primo sentimento che ci fa conoscere la vita, il solo principio motore di tutte le nostre azioni ; privilegio degli esseri sensibili, egli è necessario all’armonia di tutte le funzioni animali ed organiche ; egli ne è l’alimento, senza di lui la natura sarebbe morta, tutto il creato insensibile (Locke) ». Il dolore avverte sempre la natura animata dei pericoli che la sovrastano e di ciò che le manca ; è l’indice ed il sintomo di un danno imminente o la preparazione di una gioia, tant’è vero che più si gusta la pace dopo la guerra, il sereno dopo la tempesta, ecc., e con la mol lezza non s’assicura il piacere, bensì con lo sforzo si consegue la vittoria, e le più gran'di azioni provengono da travaglio morale e tisico, e anche la gelosia stessa serve alla selezione della specie. Nel campo della medicina poi si hanno parecchi esempi dell’utilità del dolore ed il Mojon ne enumera parecchi per concludere che nell’indi-genza, nelle perseteuzioni, nelle avversità è profìcua la scuola del dolore. Vi si trovano qua e là delle affermazioni che oggi appaiono erronee e puerili; vi sono esempi tolti dalla mitologia e dalla leggenda di cui un fisiologo positivista come il Mojon avrebbe potuto fare a meno, se non fosse forse per la tendenza così diffusa in quell’epoca di far sfoggio d'erudizione. Troviamo ad es., riferito che è il dolore che infiamma la parte dolente, chiamandovi un afflusso di umori e, rendendo più rapidi i periodi del male, le ridona una pronta salute, ripetizione questa d’un concetto più antico. Hoffmann, infatti, riteneva che lo spasmo fosse un mezzo salutare in parecchie infermità. Oggi noi consideriamo lo spasmo come un provvidenziale avvertimento, ma ci affrettiamo a rimuoverlo per il dannoso circolo vizioso ohe determina. (39) E. Regalia, Dolore e azione, saggi di psicologia, R. Carabba, ed. Lanciano, 1920. Fig. 3. - Autografo di Benedetto Mojon (Archivio del Museo del Risorgimento di Genova). Lettera scritta pochi giorni prima della nomina a professore ordinario, a Giuseppe Tambroni, in morte d’un amico. 11 Tambroni, bolognese (1773-1824), paleografo ed archivista, esercitava in queU’epoca un’attività diplomatica al servizio dell'impero francese. Amico del Canova a Roma, aveva introdotto Bianca Milesi negli ambienti artistici romani, parecchi anni prima chiessa diventasse la fidanzata del Mojon. La perdita crudele cui accenna il Mojon, molto probabilmente, non va riferita a persona della sua famiglia, forse ad una fidanzata. Questa lettera è stata oggetto di studio da parte di A. Neri, Riv. lig. di scienze, lettere ed arti, Anno XLII, fase. I, gennaio-febbraio 1915. - Il Naranzi, del quale il Mojon lamenta la perdita, era consigliere di Stato di S. M. l’imperatore di tutte le Russie, Console generale a Genova e Cavaliere dell’Ordine di S. Anna. Proprio nel 1810 egli figurava tra i sottoscrittori del poema II trionio della Vaccinia di Gioacchino Fon ta. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 125 Possiamo sottoscrivere anche oggi all’affermazione (lei Mojon che le sensazioni dolorose possano vincere stati paralitici e reazioni torpide e che una giusta sensibilità dolorifica deponga per una integrità del sensorio (gli antichi avevano notato che il dolore causato dal vescicante è di buon indizio nel tifo anche grave, malattia in cui il sensorio è particolarmente ottuso), ma non sottoscriveremmo di certo, forti di quanto c’insegnano la fisiologia e la farmacologia, a ciò che, secondo il Billon da Ini citato, il Mojon afferma sull’azione degli emetici e dei purganti, i quali sarebbero utili per il dolore che producono poiché, dice Mojon « cominciano dall’irritare il sistema gastrico, ne aumentano quindi la secrezione dei sughi, e per ultimo, ne corrugano la tonaca muscolare, azioni tutte ohe hanno per principio il dolore! ». E che sia proprio vero che la flagellazione (preconizzata da Ip-pocrate) sia un mezzo curativo di parecchie malattie e che molti sessagenari debbano ad essa l’onore della.... paternità, per una così intensa azione stimolatrice delle energie vitali? Ma l’operetta sulY Utilità del dolore c’interessa anche per un certo qual riflesso eh’essa ebbe sulla vita intima del Mojon, poiché tale innocuo discorso accademico, per un inciso contenutovi, che era una parafrasi del noto aforisma- « di dolore non si muore », aveva urtato i nervi al celebre economista e pedagogista Melchiorre Gioia, e il poco benevolo giudizio che questi ebbe a dare sulla pubblicazione elei medico genovese, alterò profondamente e definitivamente gli amichevoli rapporti esistenti fra lui ed una intelligentissima donna che, legatasi d’amicizia verso il 1820 col Mojon, ne divenne, qualche anno dopo, la compagna 'della vita : Bianca Milesi. Bianca Milesi, nata a Milano il 22 maggio 1790, apparteneva ad una facoltosa famiglia borghese. La madre, Elena Milesi Vi-scontini, aveva primeggiato nella buona società milanese e Carlo Porta le aveva dedicato dei versi in vernacolo. Una cugina (figlia d'un fratello della madre), la bella .Matilde Dembowski, fu una delle passioni non icorrisposte di Foscolo e di Stendhal. Bianca, dopo un’incolore vita di collegio, si emancipò presto dai vincoli tradizionali che limitavano Fattività femminile nella famiglia della buona borghesia lombarda. Visse tra gli artisti della scuola neoclassica in gran parte acquisita alle nuove idee diffuse in Italia dalla rivoluzione francese, quali Giuseppe Bossi, Antonio Canova, e soprattutto Andrea Appiani del quale si considerava allieva. Y’era un qualcosa di mascolino in questo suo emanciparsi, un certo che di eccentrico nel modo di fare, di vestire e soprattutto di pensare, ma 126 PIETRO BERRI non tanto forse da giustificare l'accenno un tantinello beffardo cbe di lei fa il Barbiera in un suo sin troppo noto volume (40). Sin dalla prima giovinezza, Bianca viaggiò molto e, dotata di grande cultura letteraria, artistica, storica e filosofica, di una certa vena e di ottimo stile, dopo la pittura, tentò anche la letteratura, scrivendo biografie di Saffo e di Gaetana Agnesi. Ma la politica esercitò su di lei un'intensa attrazione e, stando al Barbiera, le cui affermazioni vanno accolte talvolta con beneficio d'inventario, il suo salotto, precursore di altri famosissimi salotti ch'ebbero una certa importanza nella formazione dell'Italia nuova, divenne un centro d’intrighi sin da quando l'astro napoleonico pareva 11011 dover conoscere tramonto. Ma, con la restaurazione del dominio austriaco in Lombardia, non si tardò a riconoscere eh*'esso era ben peggiore di quello napoleonico, non essendo i governi illuminati e paterni di Maria Teresa e di Giuseppe II, che un remotissimo ricordo. E Bianca Milesi, imbevuta di spirito di libertà e di purissimo amor patrio, diventò una delle più ferventi, influenti ed anche più abili ed avvedute cospiratrici. Risulta ih modo indubbio, non solo dalla biografia del Souve-stre (41) e di altre da questa derivate, ma dagli atti e dai costituti della polizia, dai carteggi editi ed inediti, che la Milesi fu affiliata alle società segrete ed entrò nella Carboneria come « Maestra giardiniera », al pari di Teresa Casati Confalonieri, Matilde Dembowski, Camilla Fè Besana ecc., e che, a gara con altre gentildonne come Fulvia Verri, Cristina di Belgiojoso, ecc., « dal 1820 in poi fu in relazione con (40) R. Barbiera, II salotto della Contessa Maffei, Garzanti ed., Milano (accenni alla Milesi sono contenuti anche in altre opere dello stesso, come La Principessa Belgiojoso, Passioni del Risorgimento, Figure e figurine del secolo XIX, ed. Garzanti). (41) Op. cit., tradotta ed integrata con nuovi documenti da A. Campani, Bianca Milesi-Mojon, La Rassegna nazionale, CXLII-CXLIV, 1905. La stessa biografìa del Souvestre, corredata di documenti inediti, ha servito come traccia anche a Maria Luisa Alessi, Una « giardiniera » del Risorgimento italiano, Streglio ed., 1906 (Emilio Souvestre, romanziere e moralista, era stato, durante il soggiorno parigino dei Mojon, uno dei più assidui frequentatori del loro salon, e gran parte delle notizie da lui riferite provengono da fonte diretta). Il Campani e l’Alessi attribuiscono in marito alla Milesi un medico « francese » Carlo Mojon; di questo inesistente « Carlo » Mojon, hanno scritto anche altri, non afferrandone l’identità con Benedetto Moion (vedi, per es., il Dizionario del Risorgimento nazionale, alle voci « Milesi » e « Mojon »). Come contributo alla biografia di Bianca Milesi, quanto mai importante il capitolo dedicatole da Pietro Paolo Trompeo in Nell'Italia romantica sulle orme di Stendhal, Roma, Casa ed. L. da Vinci. 1924 che completa con molti elementi nuovi la fondamentale biografia del Campani. Molto interessante, soprattutto per la obiettività, quanto vi si legge sulla crisi di coscienza della Milesi fâojon e sulle relazioni di questa con A. Manzoni, li Manzoni era vecchio amico dei Mojon, avendo conosciuto Benedetto a Genova verso il 1807. Ampi indici bibliografici sulla Milesi sono visibili ne\V Enciclopedia biografica e bibliografica italiana, Serie VII e XXXVIII. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 127 quanti ardimentosi prepararono i moti del Risorgimento nazionale e non si peritò, a difesa dei parenti e degli amici, di porre a repentaglio, per poco che avesse tentennato nel negare o nel fuggire all’estero, per lo meno la propria libertà » (42). Ma, negli accaniti processi, presieduti dal rinnegato Salvotti, contro i principali cospiratori, tanto lei che sua cugina Dembowski, manifestarono un’avvedutezza che alcuni illustri prigionieri, pei- loro disgrazia, non ebbero. Durante un viaggiò compiuto a Genova verso il 1820 nell’interesse del proprio cognato Carlo Pisani Dossi coinvolto nei moti rivoluzionari, la Milesi ebbe occasione di far la conoscenza del dottor Mojon. L’incontro avvenne con tutta probabilità in casa del marchese Gian Carlo Di ^Negro, di cui la Milesi, forse a varie riprese, era stata ospite (43j. <( Le opinioni del Mojon — scrive il Souvestre — erano su tutti i punti di vista quelle di Bianca, Attaccato come lei alla filosofia del secolo XVIII, desideroso del progresso, nemico della dominazione austriaca, possedeva inoltre una riputazione di scienza e di bontà che doveva sedurre la giovane, alla quale occorse ben poco tempo per innamorarsi del dottore che da parte sua le dimostrava una viva preferenza ». Alla fine del 1820, venne arrestato per la terza volta a Milano, come sospetto di liberalismo, Melchiorre Gioia. La Milesi, entusiasta delPingegno del Gioia e premurosa verso di lui come per tutti i patrioti, andava a visitarlo in carcere, procurandogli anche un vitto migliore. Dimesso dalla prigione, quel non più giovane pedante a trabiliare, con dispetto forse di vecchio ammiratore disii lu so, si sdebitò verso la Milesi in modo originale ma nient’affatto cavalleresco, con donativi cioè di volumi d’opere sue, enumerati in ragione della quantità di visite e di doni ricevuti! Ma i rapporti si guastarono soprattutto per le acide critiche fatte dal filosofo piacentino all’opuscolo Sull’utilità del dolore scritto dal Mojon che si era già fidanzato con Bianca. E il Gioia, non soddisfatto della sua inurbanità, rincarò la dose delle offese alla Milesi con una balorda Lettera intorno alla Signora B. M-, nella quale il Mojon era definito « un cerretano ». (42) campani, op. cit. (43) La Milesi, pittrice di notevole valore (era stata anche allieva dell’Er-nesta Bisi), aveva tra l’altro eseguito un bel ritratto di Gian Carlo Di Negro, ritratto che, nell’incisione del Longhi (182.2) figura nel Civico Museo del Ri sorgimento di Genova e che è stato riprodotto in recenti articoli ed opere di argomento paganiniano (Mompellio, G. C. Di Negro, il mecenate, « il Secolo XIX », 28 maggio 1940, P. Berri, Il calvario di Paganini, ed. « Liguiia », Savona, 1941: G. Balestrerà Di tanti palpiti, ed. E. degli Orfini, Genova, 1941). Del ritratto di G. C. Di Negro si era occupato anche il Neri nell’articolo citato in nota 3 del presente studio. 128 PIETRO BERRI Ma il matrimonio col « cerretano » non s’annunziava così prossimo. Bianca, nel 1822, dopo l’arresto del delatore Carlo de Castillia, dovette fuggire da Milano. Si rifugiò dapprima nel Cantone di Ginevra, poi viaggiò a lungo attraverso la Svizzera, la Francia, il Belgio, l’olanda, ΓInghilterra. Divenuto possibile il suo ritorno in Italia, fu fissata la data del matrimonio, il quale « era stato ritardato tino a quel momento — scriveva il Souvestre — tanto dalla sua lontananza forzata, quanto dalle opposizioni di sua madre e di alcuni amici i quali, sebbene rendessero giustizia all’uomo di merito ch’ella s’era scelto, sembravano temere che la natura calma di lui e le sue abitudini positive 11011 soddisfacessero completamente alle aspirazioni d’un onore fervido d’entusiasmo come quello di Bianca ; ma la costanza di questa e l’approvazione del Sismondi (44) finirono col vincere tutti gli ostacoli. Il matrimonio ebbe luogo il 21 gennaio 1825 (ΙΛ) e Bianca Milesi, diventata signora Mojon, pose la sua dimora a Genova dove il dottore si era fatto ormai un’importante clientela ». Non poteva certo dirsi una giovane coppia, avendo ormai il Mojon quasi compiuto il 11° anno e la Milesi il suo 35°. Ma se la giovinezza era sfiorita, la tranquilla e calda maturità pareva offrire il più sicuro dei rifugi a quei due cuori che avevano superato tanti affanni e che avevano saputo serbarsi reciprocamente fedeli, vincendo le prove più dure, quella soprattutto 'del tempo e della lontananza. Amore materiato di stima e d’amicizia che nelle gioie della famiglia doveva trovare subito il suo diretto scopo, il suo più profondo consolidamento. E le gioie non tardarono ma, ahimè, aniche i dolori. Due figli, Enrico Carlo, nato il 30 gennaio 1820 e Benedetto Giuseppe, nato il 30 novembre 1827, allietarono la casa, ma il primo di essi morì il 18 giugno 1831, a poco più di sei anni d’età, lasciando 1111 vuoto incoi inabile, per quanto, pochi giorni dopo questa i-1'1 Siiiiondo Sismondi ( 1774-184*2), illustro storico, letterato ed economista ginevrino, ebbe grande influenza sull’animo della Milesi che, conosciutolo a Ginevra, volle èssergli allieva e continuò ad avere con lui e con la di lui-consorte, relazioni quanto mai affettuose e confidenziali, non disgiunte mai peio dalla più alta venerazione. _ (45) La data è riferita dal Souvestre, e riportata più o meno fedelmente da tutti gli altri biografi. Non mi è stato possibile controllarla nè acceitaie dove sia stato celebralo il matrimonio. Un sonetto - A Bianca Milesi, nel giorno delle sue nozze », che non reca data, fu stampato nel 1835 dai Pagano di Genova in una raccolta di Alcuni versi
  • va, 111 juei periodo di fosca ed inintelligente reazione, erano assai tristi. Bianca, in una lettera del LS26 .'riportata Fig. 4. - Bianca MUesi Mojon nel 1825 (Miniatura inedita di proprietà della famiglia Bonaldi di Milano, discendente in linea indiretta dai Viscontini). dal Campani) aveva definito Genova una « cloaca » in cui trovano anche uomini liberi, ma ove abbondano sozzure, e trionfano i Gesuiti, spegnendosi od affievolendosi ogni speranza pel futuro risorgimento della patria. Milesi, in lettere alla commi·? amica Bisi, la quale rappresentava l’unico tramite fra di loro (Malvezzi). Nell’opera del Malvezzi il nome di Mojon è sempre scritto Moyon, il che è errato. La grafìa giusta richiede la jota spagnuola originaria, anche se ne sia stata italianizzata la pronuncia. 132 PIETRO BERRI Già da tempo essa s'interessava rdi questioni pedagogiche ed il suo soggiorno a Ginevra le era stato molto profìcuo a questo riguardo (53). Essa vaticinava l’istituzione anche da noi di asili e giardini d'infanzia ; intendeva che l’educazione del fanciullo fosse fatta secondo natura ed in questo senso indirizzò anche quella dei propri tigli. Incredula e beffarda in tema di religione (si atteggiava compiacentemente a « libera pensatrice ») la escludeva totalmente dall'educazione infantile. È facile immaginarsi in quale situazione venisse a trovarsi questa donna (die di Genova aveva dato una così drastica definizione, per il suo ostentato disprezzo dell’aristocrazia e del gesuitismo, per le sue idee politico-sociali, per il proclamato agnosticismo in fatto di religione* per il sistema educativo vagheggiato, in una città così rigidamente conservatrice e bigotta e sotto un governo così intransigente sul terreno politico e religioso come quello carloalbertino. Ne venne naturalmente pregiudicata anche la posizione del marito che, già mal visto nei circoli governativi per i suoi sentimenti liberali, si vide chiudere in faccia molte porte. Si aggiunga a tutto questo un certo disagio nel ménage, per lo spirito di indipendenza e l’indomabile orgoglio di Bianca, e la ripresa 'da parte sua d'una attiva partecipazione alla politica, sotto forma d’un intensificarsi dei suoi mai interrotti rapporti con i Carbonari e delle sue non soltanto formali simpatie per i fuoriusciti italiani residenti a Marsiglia (Mazzini, Porro, Bianco, eicc.), dove avevano da poco costituita la « Giovine Italia », con i ^uali la Mojon manteneva un’assidua corrispondenza (54). Quest’attività era nota anche a Carlo Alberto il quale ne fece cenno nel suo Diano equivocando anzi sulla professione del marito della Milesi : « Nous avons appris qu’ils (i capi cioè dell’associazione di Marsiglia) correspondent à Gênes avec le libraire Doria qui demeure près du Théâtre, et avec la milanaise Milesi mariée à P apothicaire Moayone (Sic) ». Gli apothicaires della famiglia Mojon erano, come sappiamo, Giuseppe ed Antonio (a Giuseppe, anzi, con diploma del 23 marzo 1833, verrà conferito dallo stesso Carlo Alberto, il titolo di farmaci- (s^) La Gazzetta di Genova del 5 agosto 1820 annunciava fra ι libri nuovi : Prime lezioni di Maria Edyewortli, prima traduzione italiana di Bianca Mi-lesi-Mojon. — « (Questo libro — commentava la Gazzetta — riesce di piacevolissima lettura ai ragazzi di cinque ai sette anni Vi domina la inorale più pura, senza che essa vi sia insegnata con aridi precetti: la si tiova ivi continuatamente in azione. La fedeltà e l’accuratezza della traduzione dimostra che l’opera non è uscita in luce per speculazione librai ia, ma pei scine -to amore di veder migliorare in Italia la prma educazione dei fanciulli. Milano, per Antonio Fontana, 1829; e trovasi in Genova dal libraio Gravici, Strada Nuovissima ». (54) p6r [ rapporti fra la Mojon ed il Mazzini vedi le note bibliografiche contenute nell’opera già citata di P. P. Trompeo. (55) loc. cit., pagg. 134 e 180. TL DOTTOR BENEDETTO MOJON 133 sta-pento (se). Ora l’equivoco di Carlo Alberto fa ritenere che anche su di essi e sulla loro farmacia pesassero dei sospetti. Si è tramandata di latti la convinzione (non sappiamo con quanto fondamento) che, 111 quell’epoca, la farmacia Mojon servisse di luogo di convegno per ι cospiratori. Nel 1831 il colera dilaga nell’oriente europeo e negli stati ancora indenni si indicono funzioni religiose propiziatrici e si studiano provvedimenti difensivi. Nel 1832 il colera è in Francia e fa strage, specialmente in Parigi. Nuove e più intense misure profilattiche vengono prese negli Stati Sardi. Da Genova due medici partono per Parigi, allo scopo di studiare in situ « l’indole e il corso della micidiale epidemia » (57), i dottori Evandro Accame e Benedetto Mojon. Nella stessa epoca, vi si recava pure, dopo un soggiorno a Londra il medico genovese Giuseppe Battilana. A proposito del viaggio di Benedetto Mojon a Parigi, sentiamo che cosa ne pensasse l'informatissimo Carlo Alberto. Nel suo Diario, in data 23 aprile 1832 (58), egli scriverà : « Un jeune médecin de Gênes, le 'docteur Accame assez renommé pour son instruction, vient de partir pour Paris à ses frais, pour y étudier le choléra et les manières dont on peut le «nierir C’est certes un beau dévouement. En revanche, le docteur Moion a aussi annoncé qu’il voulait aller à Paris pour la même raison; mais le fait est qu il ne va qu’à Marseille, pour s’y entendre avec les réfugiés ». Il dottor Accame che al ritorno da' Parigi era stato ricevuto m udienza particolare da Carlo Alberto, poi, con R. Patenti del 7 marzo 1835, fors’anclie in relazione alle benemerenze acquisite durante il colera del 1832, sarà nominato medico onorario della lieal Casa in Genova. Che ^ viaggio del Mojon in Francia avesse anche scopi non medici è possibile ; ma non è detto che il pretesto dovesse essere di natura esclusivamente politica, poiché i coniugi Mojon meditavano da tempo di trasferirsi definitivamente a Parigi ed il dottore, contando amici ed ammiratori nella città ove aveva trascorso parecchi anni della sua laboriosa giovinezza, doveva logicamente prepararsi il terreno Ma che, nel tempo stesso, egli si sia interessato del colera è fuori dubbio Lo si rileva da una sua lettera del 27 aprile 1832 da Parigi a Gian Carlo Di Negro «m il quale manteneva cordialissimi rapporti. (59i in cui egli si dichiarava quanto mai soddisfatto della determinazione di recarsi a studiare de visti il colera, in « un gran teatro come Parigi che vi offre degli ammalati a centinaia sotto tutti gli aspetti d’età, di sesso e d’intensità ». « La fisionomia dei cholerosi_scrive egli an- (5 « ™ler«, da] Mojon oW.rn.ll che in Amerim °CChl° nudo’ ma temP° verrà, se è vero volte (già sin (Ι’ΓΐίοιΓ m™^opi° che ingrandisce cinque milioni di — - « tano il Ìngh!0ttiti. a migliaia, irri- ed una volta penetrati nel corno vi ’ r”' "·* 6SS1 Possono entrare si moltiplicano Essi\ ^8Se“inano ™me 1 tarli e vi sendo Drowisti di ìli /w 7· * * ami a(^ immense distanze, es- che ammettersi il œntagioTSoTa’P°trebbe au i "4- i · un etto aa pei sona· a persona a 1a lavi» abituale provenienza è iJ delta dpi Ponffù ·. γ m' 0 atmosferiche ed ambientali favorevoli all. SXodTioneT™™? t χ . » ii coi so dei fiumi, le rive del maro percorrono distanze infinite, facendo sosta laddove trovano mi»' ria, sudiciume, abitazioni malsane, fomiti di esalazioni e di m,Sa 7.10,,,. A che cosa possono din,ne servire i cordoni sanitari» " n ,f sono arrestare sciami d’insetti con le baionette? NieSIcordoni niente contumacie mente lazzaretti, niente isolamento niente aïï ' stenza mercenaria Tutte misnre che «ben lunsi dal ’ nresMvare i paesi da un male d, natura miasmatica quale è il ebotaa. infondo no lo spavento nelle popolazioni, , le predispongono a contrari" Inoltre esse esauriscono il pubblico erario, inceppano il commercio e quindi impoveriscono il paese...... umieitio La parola contagio va dunque proscritta, tanto è materialmente e moralmente dannosa! L’autore ammette che le carovane le w gli eserciti possono essere vettori del germe perchè questo tiova il suo palulum fra grandi masse di uomini e di bestiame sudici e mal nutriti. Ma non è ammissibile che « un uomo isolato, attraver sando un gran tratto di cammino, possa portare a lungo intorno \ se un nuvolo di tali monadi, da divenire centro d’infezione in „11 lontana città ». d Non passa neppur per l’anticamera del cervello al buon Moion che gli « insetti » microscopici, penetrati in «osi grande quantità nel- fu micidiale anche a Genova rinnovando i nefasti dei 1835), per dimostrare la non contagiosi del morbo, si faceva.... soffiare in borra ria (vedi L. Messedaglia, La giovinezza dnn dittatore, Luigi Carlo Ferini meMrn Albrighi-Segati ed.. 1914). Ma le dispute, sovente assai tìamoros^ fra Z' tagiomsti ed anticontagionisti, continuarono per un pezzo finché rinè 1« scope,te di Pasteur, dal 187. i„ poi, * comi»ciarên7S^Sdn“re i' T-mi patogeni delle principali malattie infettive ed epidemiche. Sulle discus siom in mento avutesi in Genova nel 1854, vedi G. Ansaldo, Una estate di '.olera, li Raccoglitore ligure, n. là. 1934. m 130 PIETRO BERRi le vie digerenti, passino anche in quantità; ancor più grande nelle deiezioni, che FabboiKlanza di queste crei contemporaneamente il sintonia più appariscente della malattia ed il mezzo fondamentale della sua diffusione, che l'uomo malato sia perciò il vero tornite di contagio e che per aria non ci sia un bel nulla di alato o di non alato che propaghi la malattia, salvo le non del tutto innocenti mosche, e che tutto quel prodigarsi di famigliari attorno al malato senza la minima precauzione per non contaminarsi, e non l’aria inquinata da miasmi di lontana provenienza, diffonda la malattia di persona in persona, di casa in casa. Ma se il Mojon, che pure era un acuto osservatore ed un sottile ragionatore, non era riuscito a scorgere che il colera portava· precisamente « Γimpronta dei mali comunicabili per mero contatto », non bisogna fargliene una colpa. Agostino Jiassi non aveva ancor resa pubblica la scoperta della causa bacterica del « mal del calcino » del baco da seta. Pasteur 11011 aveva che dieci anni e passeranno ancora oltre dieci lustri prima che Koch scopra il vibrione colerico ; ma era già un progresso se si intuiva che germi animati e microscopici potessero essere la causa delle malattie infettive, E possiamo noi, in coscienza, affermare oggi che non vi sono più punti osculi nella patogenesi e nell’epidemiologia di questo grave flagello die, per il momento, sembra così lontano dai nostri paesi? Date le premesse, su che cosa va fondata, secondo Mojon, la profilassi del colera? Nel rimuovere dalle città tutte le cause generali e parziali d insalubrità e, quando fosse già scoppiata l’epidemia, organizzare per bene i servizi medici, creare ospedali puliti ed ariosi 111 zone sa u 111 e soprattutto far esalare ovunque e largamente vapori insetticidi e, se possibile, usare quei mezzi che inducono forti e rapii e scosse ne l’atmosfera, non escluso lo sparo simultaneo di molti fucili, 0. magari. di.... cannoni, così («me, con evidenti (!?) vantaggi, era stato fatto in Polonia e proposto in Francia. Fucilate e cannonate a vuoto, s’intende, come le cannonate grandinifughe! Il lettore malizioso non creda che i governi russo 0 francese volessero eliminare le sofferenze dei loro più o meno docili e felici sudditi, con un sistema cosi radicale di profilassi e di cura!... Ma oggi ci sembra enorme che si prescrivano. per proteggersi dal colera, abluzioni con aceto o era cloruro di calcio, ma che non si accenni affatto ad una quaism® msu* di distruzione o'di disinfezione degli escrementi. D altra parte: non v’ha dubbio come i principi igienici generali enunciati dal Mojon, fra gli altri quelli relativi agli ospedali (che in quell epoca lasc a vano estremamente a desiderare in quanto a dotazione di acqua e di luce solare e servizi igienici in genere) siano moderni come co zione. E sappiamo anche, ad 01101· del vero, come, < 111.111 < 1 rabile colera genovese >(lel 1835, vi fossero dei dmgen 1 e osp < < IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 1 quali si preoccupavano «li una estrema pulizia «Ielle sale, con disin ezioni mediante uno spruzzo di soluzione di cloruro di calce sui pavimenti all’atto ulella scopatura mattutina, e della lavatura frequente, con la stessa soluzione, dei vasi usati dagli infermi; e che non avevano alcuna paura dell’aria pura, poiché ordinavano l’aper-tura frequente delle finestre nelle 24 ore (el). Il Mojon descrive i sintomi della malattia e trova molte affinità tra le affezioni verminose éd il cholera-morìms. Per la terapia va he-ne il calomelano perchè è un.... insetticida. In quanto ai reperti necroscopici. egli è convinto che l’arrossamento diffuso della mucosa gastroenterica non debba venir considerato come un’infiammazione. Soltanto 1.... flor/omwmaci potrebbero esser portati a crederlo E le « bollicine » ch’egli trova diffuse sulla superficie della mucosa'e che ritiene siano « il risultato costante dell’azione deleteria del miasma choleroso su tale membrana » (ciò che altri in Francia avevano denominato psorentena) non hanno niente a che vedere con «li esantemi che si osservano frequentemente nei colerosi, altro non essendo come oggi sappiamo, che i follicoli intestinali infiltrati. La buona riputazione di cui il Mojon godeva tanto nell’ambiente professionale, come in quello intellettuale, dava un certo qual valore d’assioma alle sue affermazioni. Diciassette anni più tardi dovrà il destino riserbare proprio a lui la più tragica delle smentite ' Che queste Congetture, rese note al pubblico, abbiano riscosso la generale approvazione è però assai poco probabile. La proposta noi di abolire quei cordoni sanitari per i quali tanto si agitavano i Pro tomedicati dei Regi Stati e che dovevano rappresentare, assieme al « purgamento delle lettere e dei pubblici fogli » (al trattamento cioè fatto subire alla posta in arrivo dall’estero mediante suffumigi con vapori di sostanze nitro-solforiche gettate ad intervalli su carboni ardenti e successivo secondo « purgamento » con zolfo e polvere da sparo bagnata di aceto detto dei « quattro ladri ») il non plus ultra delle misure profilattiche, era come gettar sassi in piccionaia. Infatti da una lettera di Benedetto a Gian Carlo Di Negro del settembre 1835 ( 62) si deduce che, essendo nel 1832 le opinioni del Mojon opposte a quelle ufficiali, gli era stato proibito di renderle pubbliche. Non solo ma « quando la. mia dissertazione — egli scriveva_venne stampata iu Lucca, senza però il mio nome in fronte, il governatore Ca- (61) P. Beretta. Rendiconto sulle cure de', cholerosi fatte nello Spedale detto del Papa, Genova. Ferrando, 1835. (62) Vedi nota 36. Il Piscio data questa lettera 22 settembre 1837 il che non può essere esatto sia perchè è chiarissima l’allusione al colera genovese del 1835 e ai provvedimenti del Magistrato di Sanità emessi nell’agosto di quell’anno, sia perchè l’inaugurazione del busto di Paganini, con la relativa memorabile festa nel giardino della Villetta, cui egli accenna, ebbe luogo il 28 luglio 1835 ed infine perchè la morte di Bellini cui accenna pure, avvenne il 24 settembre 1835. 138 PIETRO BERRI stelborgo mi disse che questa pubblicazione mettendomi in lotta col governo, egli mi consigliava di allontanarmi dai (sic) stati di sua Maestà Sarda. Tale intimazione contribuì moltissimo a determinarmi di accettare l’offerta della baronessa di Feuchères d’essere suo medico; e mi determinai di venire a fissarmi in Parigi, ove è permesso, in fatto di medicina, di stampare quel che si vuole ». Si tenga anche conto che le opinioni erano assai divise per quanto concerneva. la contagiosità del morbo e che anche la più semplice divergenza di idee nel campo dottrinale era sufficiente in quell’epoca per dar fuoco alle polveri, suscitando diatribe senza fine, di tono sovente acre e violento, non disgiunto da spiacevoli personalismi. Quasi tutti i medici che in quel momento esercitavano negli ospedali di Genova erano contagionis ti convinti. Ne consegue che l’esodo della famiglia Mojon da Genova, nel corso del 1833, non deve aver suscitato eccessivo rimpianto, salvo che fra i veri buoni amici. I motivi del trasferimento a Parigi furono dunque ad un tempo morali e politici. « Siamo venuti via d’Ita Mi molto a proposito — scriveva la Mojon all’Angeloni da Parigi (63) — ma vi posso dire che non siamo stati mandati via e neppure consigliati ad andarcene. Bensì il rimanere ci diveniva ogni giorno di più insopportabile e l’impossibilità d’educar bene i nostri figliuoli senza farne dei mai-tiri futuri dei vari tiranni della sventurata nostra penisola, è il motivo principale che c’indusse a spatriare». E, in una lettera da Parigi, scritta nel 1835 all’amica Schoppe (64), troviamo ribaditi press’a poco gli stessi concetti: « Pour les mieux élever (intendi, i figli), pour les sortir de l’esclavage, j’ai quitté le beau sol de cette malheureuse et belle Italie, qui renferme mes parents, et des amis que je regrette bien plus que ma patrie, ou qui sont pour moi la patrie véritable. Mon mari a laissé une brillante 'clientelle, ses habitudes chéries, une considération qui est si flatteuse pour un homme qui l’a aquerie avec des travaux honorables; tous ces sacrifices nous les avons faits pour nos enfants.... ». Espatrio dunque doloroso, ma inevitabile e definitivo. L’aria di Genova era divenuta ormai irrespirabile per i liberali (correva l’infausto e sanguinario 1833), e Bianca s’era forse persa di coraggio, e non sperava più in un Italia redenta, molto pessimista circa la possibilità d’un risveglio nazionale da parte degli italiani. « La Mojon — scriveva qualche tempo dopo il Tommaseo al Cantù, da Parigi — ha pochi libri italiani : ne ricevo più io. La povera donna disprezza l’Italia, perchè è donna di prosa, e perchè l’Italia eccede il swo contento » (65). Benedetto d’altra parte si mentiva (63) Campani, loc. cit. (64) Lettera conservata nel Museo del Risorgimento di Genova (n. 1465), che fu argomento di studio da parte di A. Neri (v. nota 3 de] presente lavoro). (65) E. Verga, Il primo esilio di X. Tommaseo, Milano, 1904 (cit. dal Trompeo). IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 139 attratto dalla Francia per educazione, carriera, aspirazioni politiche e scientifiche; colà le sue opere erano più note ed apprezzate che non in Italia ; più larghi vi erano i mezzi di studio e di osservazione; e Parigi, cervello della nazione, città ricca ed intellettuale, ove prosperava una Scuola medica di fama europea comprendente i nomi più illustri del tempo, città, sotto Luigi Filippo, apparentemente propizia a liberta, ospitale a tanti esuli italiani, lo attraeva come una seconda patria. E poi — com’egli scriveva — in fatto di medicina, a Parigi è permesso stampare quel che si vuole! Ala il trasferimento di un medico che ha superato la cinquantina da un centro o\ e esercita· da quasi trent’anni ad un altro ove deve rifarsi una clientela, e impresa disperata o sconsiderata se 11011 si possiede già la sicurezza d’una sistemazione. Tale sicurezza come s’è visto yeni -va offerta al Mojon dalla baronessa de Feuchères che lo aveva assunto come medico personale.. 11 trasferimento a Parigi avvenne nel maggio 1833. I Mojon, da Torino ove s’erano trattenuti alcuni giorni rendendo visita ad amici, tra i quali Pellico, Plana, Azeglio, Balbo, si portarono 111 Isviz-zera. Ivi, nei dintorni di Ginevra, con i bimbi ammalati di morbillo, furono ospiti dei coniugi Sismondi. Alla metà circa di giugno essi raggiunsero la nuova e definitiva residenza (66ì. Avevano lasciato assai a malincuore la patria, ma Benedetto era reso felice dall’idea « che ora potrò dare una completa educazione ai miei tìgli; che potrò pubblicare le mie idee, qualunque esse siano, senz’essere obbligato di mettere il manoscritto sotto gii occhi d’un togato somaro, o sotto la censura d’un tonsurato bestione; che dormirò le mie notti tranquille senza temere che una squadra di sgherri mi trascini in carcere, <1 bene placito eli Sun Eccellenza, sono cose che mi consolano l’animo ». I sentimenti liberali di Benedetto (quelli di sua moglie 11011 erano un mistero per nessuno) ed il sollievo d’essersi finalmen-te sottratto ad un’atmosfera politicamente e spiritualmente cosi opprimente, non potevano essere espressi in modo più chiaro. Ne viene simpaticamente lumeggiata la figura di quest’uomo probo e sincero, tutto dedito alla scienza, alla professione, alla famiglia, amantissimo della patria cui augurava migliori destini. Nella splendida villa che la Feuchères aveva a Saint-Leu, presso Parigi, Bianca trascorse con i figli l’estate del 1834. Ma l’amicizia con Sofia Daw (o Dawes), amante ed erede del vecchio duca di Borbone, ultimo principe di Coudé, moglie d’un barone de Feuchères che, in buona fede, a quanto generalmente si ritiene, aveva creduto di sposare una figlia naturale del Condè (67), cagionò parecchie ama; (66) Vedi noia 36. (67) Sofia Daw, nata nel 1795 nell’isola di Wiglit, era figlia d’un pescatore ubriacone. Morì in Inghilterra nel 1841. L’essere riuscita a diventare l’erede del Condì· le aveva' scatenato addosso un clamoroso processo da parte dei legittimi eredi. 140 PIETRO BERR1 rezze alla famiglia Mojon. Fra gli stessi esuli italiani viventi a Parigi, coloro che facevano capo al gruppo degli Arconati, avevano manifestato la più viva ripugnanza per essere il Mojon medico della famosa intrigante. Ma anche per altre ragioni, forse dipendenti dal carattere di Bianca, torse per le loro idee in tema di religione, i Mojon s’erano attirati l’antipatia di quel gruppo. La marchesa Co stanza Arconati definiva il dottor Mojon antireligioso ed immorale e si scandalizzava delPamicizia affettuosa dimostrata dal Manzoni per Bianca e per suo marito, amicizia che non venne meno neppure dopo la crisi religiosa di Bianca, rivestendosi anzi di molta umana comprensione. Il Manzoni, tra l’altro, nel 1833, quando Bianca doveva trasferirsi in Francia, l’aveva raccomandata a Fauriel. Il salotto, semplice e severo, di Casa Mojon, in Rue St. Nicolas d’Antin, N. 67, a Parigi, vicinissimo alla casa della Belgiojoso (la quale, giunta prima a Parigi, s’era adoperata per Bianca, senza pero che venisse meno la reciproca incompatibilità di carattere (68)? e<* a quella della Dal Pozzo, era frequentato anche da Niccolò Tommaseo. Questi in una lettera del 18 luglio 1834 al Lambruschini (6 ), riferiva d’essere stato invitato dalla Mojon a Saint-Leu, a nome della baio-nessa Feuchères. Egli non aveva accolto l’invito proprio per questo, ( scriveva : « A cagione di questa baronessa parecchi evitano la Casa Mojon, il Libri fra gli altri, che dal marito aveva in Genova ricevuto molte cortesie, non gli rese nemmeno la visita. E con queste durezze il Libri si fa un torto grande. Ottima gente, del resto (intendi ι Mojon) e una sola, una sola, dico, di madri così fatte vonei po^esse vantare ciascuna città d’Italia. Hanno dalla Feuchères 10.000 lan chi, poi il medico guadagna qualche poco in consulti. Ristampa ora in francese le sue Leggi fisiologiche, dove non sono cose nuove, dicono, ma è molta chiarezza e precise le idee. Della sua memoria su la sottigliezza del cranio, indizio di talento musicale, Auquet par a-va come di cosa un po’ pendente all’esagerazione; dell’altro lavoro sulla circolazione del sangue, Brichet disse ch’ei non aveva osservato assai la natura. Non è disprezzato ; ma di lui Brichet medesimo a proposito di non so quale candidatura accademica, < isse M. Moion nous embête. . ,, , « Essa pensa a tradurre le altre opere di miss Edgeworth ; attende alle idee religiose con troppo sottil raziocinio, ma di buona ede <■ sul serio. E il marito, che ora dissente da lei, la lascia tare ed ascolta : tolleranza rara...». Nel 1835, Bianca finì col troncare ogni rapporto con la l· euche- res, ed il dottore che a costei aveva continuato a prestare la^ sua opera, non la seguì in Inghilterra, dove in un primo momento pareva dovesse accompagnarla. (68) A. Malvezzi, op. cit. vol. 2°, pag. ·2β. (69j Riportata in Campani, op. cit. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 141 Bianca, una volta sistemata a Parigi, dove aveva ritrovato tante care conoscenze, aveva continuato ad occuparsi di politica e dava aiuto ai profughi italiani. Ma la sua attività era particolarmente rivolta alla pedagogia e pubblicava molte opere sull’argomento. Essa fu una divulgatrice fra noi di sistemi pedagogici vigenti in Inghilterra, Francia, Svizzera, secondo i piincipii di Locke, Foster. de Saussure, Pestalozzi, Madame Campali, Madame Necker de Saussure, della Edgewortli, della Mallet, ecc. Essa caldeggiava l'istituzione di giardini d’infanzia, giochi froebeliani, palestre ginniche e cercò di fondarne anche a Parigi. Collabora va attivamente col Lam-bruschini, col Tommaseo e col Mayer alla Guida dell’educatore. Più che autrice di opere originali, osserva il Campani, fu libera traduttrice e felice riduttrice in forma italiana di testi stranieri e compilò complessivamente una quindicina d’operette che divennero popolari e che ebbero parecchie ristampe, sulle quali vennero istruiti tanti fanciulli della generazione fra il 1820 ed il 1850. Per il suo libretto delle Prime letture, il Manzoni ebbe a definirla « madre della patria », non piccolo elogio sulla bocca di tanto uomo. Ma in questo periodo, come traspare dalla chiusa del brano riportato dell’agrodolce lettera del Tommaseo e, più propriamente, a partire dal 1831, anno della morte del suo primogenito, Bianca era assillata da problemi religiosi che assunsero entità di una vera crisi di coscienza, ch’ebbe la sua risoluzione nel 1837. Dall’incredulità sistematica propria di coloro che s’erano imbevuti di quell’enciclopedismo filosofico che aveva fatto tabula rasa di tutto ciò che, dai tempi più remoti, era considerato venerabile, sacro, intangibile, dal compatimento per coloro (Manzoni, per es.) che s’erano messi sulla via di Damasco, in lei si fece strada gradatamente il sentimento religioso e la perdita del suo primo bambino rappresentò forse il punto di partenza di questo suo ritorno alla fede. Senonchè il suo « troppo sottil raziocinio » o ciò che ancora il Tommaseo, in un'altra lettera al Lambruschini (r0), definiva « insania pedantesca di ragionare su cose che la non intende », la portarono a studiare metodicamente le varie confessioni cristiane e a consultare quegli amici che avevano profonde convinzioni religiose, come il Manzoni, il Lambruschini, il Sismondi. Eletti amici facevano a gara per indirizzarla in una fede; gli uni, lontani, rimasti in Italia a sanare le cicatrici tìsiche e morali dello spielberghiano carcere duro, come Pellico e Gonfalonieri, che. da ferventi cattolici praticanti, auspicavano un ritorno alla fede della loro diletta Bianchina nel grembo della Chiesa romana ; gli altri più vicini a lei, in ispirito ed in persona, spettatori o partecipi delle sue intime lotte, (7°) Riportata in Campani, loc. cit. 142 PIETRO BERRI come il Sismondi ed il pastore Atanasio Coquerei, precettore dei giovani Mojon, che sottilmente la spingevano verso il protestantesimo. Sull’indomo animo di Bianca, imbevuto di positivismo, roso dalla critica e dall’analisi, i ragionamenti degli amici di Parigi e di Ginevra, avevano trovato un facile terreno. Le sgradevoli impressioni della prima bigotta educazione da lei ricevuta, le astuzie gesuitiche contro cui s’erano infrante le sue generose iniziative nel campo educativo, il ricordo forse delle arti altrettanto gesuitiche con cui il Mojon era stato allontanato da 11’Università, l’aver vissuto in Genova nel periodo più crudo della reazione, la superstizione, l’ignoranza, le persecuzioni della Curia di Roma contro i patrioti, l’appòggio dato dalla Curia stessa a tiranni e tirannelli, contribuirono probabilmente all’abbandono del cattolicismo per adottare pei* sè e per i figli il culto evangelico. Comunque possa essere giudicata questa decisione, anche se, come presume il Tronipeo, « in codesta figlia del tempo suo la pedanteria facesse a mezzo con un certo dilettantismo », essa getta luce sulla singolare tempra di questa donna dalla vita moralmente irreprensibile ed esemplarmente austera, che non si peritava, sicura com'era della propria coscienza e del diritto di disporre anche di quella delle proprie creature, di coinvolgerle nelle conseguenze delle proprie decisioni (71). 11 marito non condivideva forse in tutto e per tutto le idee della moglie, ma, come scriveva l’ispido e pettegolo Tommaseo,.,., lasciava fare. D’altra parte, anche nei rapporti fami gliari, come s’è visto, la volontà di Bianca dominava tirannica. Benedetto sentiva la nostalgia di Genova, ma i doveri professionali e l’educazione dei figli « in una terra di progresso » lo trattenevano a Parigi. Egli, oltre a curare ristampe e traduzioni delle proprie o-pere precedenti, continuava a far gemere i torchi, sempre versatile ed eclettico della scelta degli argomenti, sempre attento osservatore di fenomeni ed instancabile lettore di libri e di gazzette. Nell’estate del 1835, allorquando a Genova infieriva tremendamente il colera, forse Benedetto sentì l’impulso di accorrere in aiuto della città natale e fors’anche qualcuno a Genova s’era stupito ch’egli non si fosse mosso da Parigi. Ma, stando a quanto nel settembre di quell’anno egli scriveva a Gian Carlo I)i Negro ( le occupazioni professionali (aveva in cura la Feuchères) e la convinzione che la sua presenza fosse tutt’altro che gradita per il suo proclamato anticontagionismo, lo fecero desistere. Più tardi invece, venuto a conoscenza del manifesto del Magistrato di Sanità, in cui si riconosceva onestamente l’inutilità, anzi il danno dei cordoni sanitari e perciò in fondo, si veniva a dargli ragione (il manifesto era stato pubblicato il 27 agosto, nella fase più acuta dell’epidemia, anzi (71) Alla morte dei genitori i figli ritornarono al culto cattolico. (72) Vedi nota 36. IL· DOTTOR BENEDETTO MOJON 143 proprio lo stesso giorno del numero più elevato (li denunzie, ed or amava, si noti ciò che oggi appare come un tragico paradosso, la cessazione degli isolamenti perchè questi non risultavano atti ad arginare il morbo dilagante!) il Mojon si sarebbe recato volentieri a Genova. Ma ormai il quel momento il morbo era in fase nettamente Fig. ó. - Altra miniatura inedita di proprietà della famiglia Bonaldi di Milano, rappresentante con ogni probabilità Bianca Milesi Mojon sulla cinquantina. decrescente ed à lui 11011 restava che la soddisfazione di veder ricono-scinta indirettamente da parte dell’autorità sanitaria genovese e direttamente da parte del ceto medico francese, l’esattezza delle proprie opinioni (noi oggi certo 11011 diremmo altrettanto !) con elogi sulla Gazette des Hôpitaux e con benevola considerazione da parte del celebre Broussais. « La mia opinione — scriveva il Mojon -_ ha qui preso consistenza, dopò l’ultimo rapporto fatto all’istituto di Francia, cosicché il microscopico mio nome va crescendo in favore di atomi miasmatici, o aerei! ». Il Tommaseo che ebbe il Mojon come collaboratore ai Sinonimi, nella già citata lettera, accennava a questa attività ed alle ambizio- 144 ni del Mojon, il quale aspirava a qualche candidatura accademica, ambizioni che logicamente davano fastidio ai colleghi parigini, molti dei quali, però nutrivano per lui stima ed amicizia. Nel 1833 vide la luce a Parigi un Mémoire sur la structure et sur Γaction des vaisseaux lymphatiques (letto il 1° ottobrre 1833 alla Società medica di Parigi e confermato dalle esperienze di parecchi illustri anatomici parigini, come annunciava la Gazzetta di Genova del 30 nov. di quel Panno) ; nel 1834 un opuscolo Sur V emploi du gaz acide carbonique pour combattre V amenorrhée et les douleurs utérines qui préccd eut et accompagnent V évacuation menstruelle ; Recherches sur les rapports du orane avec Vorgane de l’ome; nel 1835, Sur Vapplication de Vélectricité dans la chlorose e Expériences sur l'action d’une très haute et d’une très basse température sur les virus; nel 1839, Nouvelles recherches $ur î’ action dynamique du seigle ergo u lé: nel 1841, Commentaire sur le traité de thérapeutique (ko professeur Giacomini (da lui tradotto in francese con la collaborazione del dottor Rognetta (73), nel 1843, Annotazioni sul poema « Della natura delle cose » del Cav. De Poggi(?) ; e, finalmente, biografie di Giovanni da Vigo e Fortunio Liceti, famosi medici rapai-lesi vissuti rispettivamente a cavaliere dei secoli XV-XVI e XVI-XVII, dei genovesi Andalò Di Negro e Demetrio Canevari, rispettivamente filosofo, matematico e poeta del Trecento e medico e filosofo del Cinque-seicento, e degli onegliesi Maria Pellegrina e Carlo Amoretti, giurista insigne della seconda metà del Settecento la prima, poligrafo, fisico, geologo, e mineralogista il secondo, vissuto nella seconda metà dello stesso secolo. Queste biografie fanno parte degli Elogi di liguri illustri, a cura di Don Luigi Grillo, pubblicati in Genova dal Ponthenier nel 184G ed usciti in seconda edizione a Torino nello stesso anno (74). Il nome di Benedetto Mojon, con gli attributi di professore emerito delPUniversità di Genova e presidente emerito della Società medica (li Parigi, figura nell’elenco dei componenti 1 N ili Congresso degli scienziati italiani tenutosi in Genova nel settembre 1846. In tale occasione egli tornò a Genova e partecipò alle riunioni. Da· (73) Filippo Francesco Rognetta, nato nel Reame di Napoli verso il 1800, laureato nel 1828, fu esule a Parigi ove ottenne nel 1832 l’autorizzazione di esercitare la professione e l’insegnamento. Si occupò particolarmente oculistica da Jui insegnata alinole pratique di Parigi e fu uno degli innova' tori della chirurgia oculare. S’occupò anche intensamente di tossico ogi medicina legale. Fondò nel 1842- gli Annales de thérapeutique et de toxicologie. Morì a Napoli nel 1857. , (74) Di tutte le opere del Mojon sinora ricordate (elenco certo più completo di quanti siano a tutt’oggi apparsi, ma che non oso definire il più completo ed esatto) solo di gran parte di quelle stampate in Italia ho potuto prendere diretta visione e di esse ho analizzato soltanto quelle che anche a lettori profani di medicina potessero lumeggiare la fisionomia scientifica ai B. Mojon, inquadrandola nello scibile dell’epoca sua. IL DOTTOR BENEDETTO MOjON 145 gli Atti del Congresso risulta infatti che, nella riunione del 17 settembre, il Prof. Mojon fu chiamato a far parte d’una commissione di medici forestieri presieduta dal De Renzi che, sotto la guida di medici genovesi addetti alle singole istituzioni, si sarebbe recata ;\ visitare i vari stabilimenti sanitari della- città. Gli ultimi anni dei Mojon (che avevano trasferito la loro a lutazione in Rue de l’Arcade, 23 e poi, dopo il 1840, in Rue des Petits Hôtels, 22) furono molto tristi. La realtà della vita quotidiana si faceva sentire in tutta la sua crudezza. Parigi non era nè un Eldorado nè una Ville lumière.... miseria e sporcizia a josa anche là. Bianca aveva un bel darsi d’attorno in opere di bene, predicare, proporre nuovi sistemi educativi ; dovette imparare a proprie spese che cosa sono anche a Parigi i comitati di patronesse. Sprecava energia e denaro urtandosi contro ostacoli che hanno lo stesso nome in tutti i tempi ed in tutti i paesi: burocrazia, indolenza, resistenza passiva, indifferenza, disonestà.... Il quadro politico poi era quanto mai fosco e tale da guastare la buona armonia anche tra i meno faziosi degli esiliati, divisi fra Mazzini e Carlo Alberto. L’atteggiamento francese lasciava perplessi. Bianca intravvedeva nel Re sabaudo il futuro artefice dell’unità d’Italia. Ma le ultime tristi vicende, Novara, la spedizione francese delPOudinot, ecc., gravarono sulla sua anima come un sudario. Xeì-l'ombra era ancora colui che darà alla politica del Piemonte il decisivo colpo di timone, quel Cavour di cui Bianca Milesi Mojon, sin dal 1833, quando il futuro statista era poco più che ventenne, aveva dato un giudizio veramente profetico (75). Nella prima settimana del mese di giugno del 1849, la terza pandemia colerica dall’inizio del secolo, invasa la Francia, raggiunge Parigi e presto non vi sarà lavoro che per i becchini. Bianca Mojon. reduce da un breve soggiorno in campagna, rientra con i primi sintomi della malattia. Il giorno 1 la malattia si dichiara in tutta la sua gravità. Benedetto si prodiga per lei ma ben presto avverte in sè gli stessi sintomi. Il giorno 7, sentendosi aU'estremo delle forze, prega il figlio maggiore di chiamare un medico cui affidare Bianca e si pone a letto. Moriranno entrambi, a poche ore di distanza l’uno dall’altra, lo stesso giorno 8 giugno 1849. Il « miasma clioleroso-asia-tico » aveva voluto farsi beffe dell’anticontagionista Mojon ! Furono sepolti accanto il giorno successivo nel cimitero di Montmartre, laddove da sette anni riposava il loro irrequieto amico Stendhal. Il pastore Coquerei pronunciò l'elogio funebre, commovendo profondamente gli intervenuti (76). ; 75) p salata, Il ( onte di Cavour rivelato alVAustria da ima donna, Nuova Antologia, 16 giugno 1928. (76) « .... une mort cruelle et inopinée vint Γarracher aux charmés d’une existence si douce et qu’il savait si bien remplir » — scriveva il dottor Beau- 146 PIETRO BERRI Proprio nello stesso giorno partiva da Parigi un dispaccio per la Gazzetta di Genova in cui si diceva che il colera infieriva a Parigi con estrema gravità e che l’epidemia aveva assunto il carattere di una pubblica calamità. Ma del medico genovese, morto a 68 anni, come un esule, in terra di Francia, nessuno parlò; e chi se ne ricordava ancora a. Genova? forse in casa di Gian Carlo Di Negro, qualche voce amica si levò a rammemorare ed a compiangere i graditi, gentili ospiti d’un tempo.... Ma, intitolando alla famiglia Mojon (che, pel ramo di Antonio, espresse ancora degni cittadini che presero viva parte alle vicende del Risorgimento nazionale (77), il viale che si stacca a metà di Via Serra, alla sinistra di chi discende verso Brignole, in corrispondenza cioè della zona (Crosa degli Orfani) in cui Giuseppe e Antonio Mojon possedevano una vasta casa d’affitto, scomparsa nelle demolizioni che hanno radicalmente mutato la fisionomia di quella parte di Genova, anche per Benedetto Mojon, medico insigne, erudito cultore d’arte, patriota dal cuore nobile e generoso, ebbe modo, dopo tanti anni, di manifestarsi la memore gratitudine della città natale. Pietro Berri grand nel Dictionnaire encyclopédique des sciences médicales (v. nota 8). — « Mojon était un savant d’un esprit fin, élégant et distingué. Toutes ses oeuvres portent l’empreinte de cette philosophie douce et aimable qui donnait, tant de charmes à sa conversation ». (77) Giuseppe Mojon, figlio di Antonio (n. il 4 maggio 1830 e m. nel 1892) promosse e confortò con aiuti materiali la spedizione dei « Mille ». Fu aiutante ed amico di Menotti Garibaldi (lettere di Menotti a lui sono conservate nel Civico Museo del Risorgimento di Genova) e combattè a Bezzecca. APPENDIC E Il 2 gennaio 1820 moriva il prof. Niccolò Olivari, titolare della cattedra di clinica medica, nella veneranda età di 77 anni (era nato a Camogli l’8 aprile 1743) t1). La R. Deputazione agli Studi presieduta dal marchese Gnllo-Cattaneo, faceva compiere immediatamente dei sondaggi sugli eventuali candidati alla successione. Ne fu dato incarico al marchese Domenico De Marini, consigliere di S. M. e deputato all’insegnamento (2). Il rapporto segreto presentato dal De Marini alla R. Deputazione il 13 gennaio 1820 (3) che si presume me- 0) Dato inedito gentilmente comunicatomi dal sig. Luigi Costa che 1 ha ricavato dagli archivi parrocchiali di S. Maria Assunta di Camogli (Vedi anche II Giornale di Genova, 26 nov. 1942). „ . . . . „ . ,. . (2) Il De Marini era stato nel 1805, assieme a Giacomo Mazzini e G .A. Mongiardini membro del Consiglio municipale e, nel 1814, aveva appartenuto al Governo provvisorio che lo nominava Governatore dei confini orientali. Le informazioni di polizia nel 1815 lo davano «buonissimo». Nel 1815 fu chiamato a far parte della R. Deputazione di cui, nel 1827, morto il Rivarola, come più anziano, diventerà vice-presidente con incarico di presiedere la Deputazione in assenza del Presidente capo residente a Torino e terra la carica sino al 1832. Dal 1818 al 1828 fu anche vice-presidente della Giunta degli Ospedali. (3) Arch. Univ. (R. Archivio di Stato, Genova) scatola 356 (miscellanea di lettere e suppliche varie). IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 147 pitrnmiv^nnoqliiip0tt0 inte^ralmente trascritto, oltre a chiarire i motivi della Dorto con somrn uniV€rsi.Jà dl Benedetto Mojon (il cui nome viene nel rap-Ìnedici e nPr i? CUra evitato!)> è interessante per i giudizi che dà su altri anche nella Ρ«ο5Πι“Κ ^ * &Π°Γα agÜ insegnanti norto (l’nnTwt0118, punitasi lo stesso giorno (4) prendeva atto del rap- ferna da fars^ i gfnn1aÌ0 del Capo della Riforma, relativa alla rjU(J ‘ p cattedra di clinica, ed inoltrava il rapporto stesso a To- lun?a vacanza (nel 1821 intanto l’Università veniva z t ° ° nì D';mClpi° del 1822 erano cominciate le lezioni private i\ na^de)$ttJdeputazione) colmata verosimilmente con una supplenza Scnssi nnrnn Λ “T*0 coadlutore ^11’Olivari, verrà affidata ad Onofrio e religiosi ?r' Patemi Ir dottrina e di sicul i principi politici del Mojon a Giacomo Mazzm^' } U ^ Cede™ rantÌCa Catted,a RAPPORTO SEGRETO DEL Dto. ALL’INSEGNAMENTO SUI CONCORRENTI ALLA CATTEDRA DI CLINICA Nel l’occasione che per la vacanza della cattedra di clinica di questa Re già Università, 1 Eccellentissima Deputazione si prepara in vigore dell’art 7 cap I, tit. I del Regio Regolamento a presentare a S. M. le nomine per !a scelta del successore alla cattedra anzidetta, il sottoscritto Deputato all·insegnamento ha creduto di suo uffizio di raccogliere tutte quelle notizie che potessero servire ad un oggetto di tanta importanza. Ed in verità se si dà uno sguardo allo stato in cui ci vengono rappresentate le Università di Oltremonti, e le ragionevoli ansietà in cui si trovano i Governi sugli effetti che minacciano di produrre i disordini introdotti dal sistema finora invalso nelle medesime, non si può abbastanza bandire la Provvidenza, nel considerare gli eccellenti lisultati che ha prodotto in quella di Genova la Riforma che S. M. ha introdotto nella stessa mediante il Regolamento del 1816, e lo zelo deH’Ecc.ma Dep.ne nell’eseguire le sovrane intenzioni a riguardo della Riforma anzidetta. Il sottoscritto essendo a portata per il suo ufficio di rendere su di ciò testimonianza, può assicurare rEcc.ma Dep.ne del buono spinto che anima il Corpo Professorio, e degli ottimi risultati che appaiiscono nella condotta degli studenti sotto i rapporti scientifici e religiosi. La continuazione di un cosi felice risultato dipende principalmente nella scelta giudiziosa dei Professori che di mano in mano si andranno succedendo nell’insegnamento, e discendendo qui a parlare del rimpiazzo alla vacante cattedra di Clinica, sarebbe stato desiderabile che alcuno degli' attuali signori Professori di Medicina volesse assumersi l’incarico di una cattedra così importante. Dotti tutti e savii, e penetrati della gravità del Ministero loro affidato, rEcc.ma Dep.ne poteva essere sicura sull’oggetto di sua premura, nè a migliori mani poteva consegnare la gioventù che intraprende lo studio delle arti salutari. Essendosi però disgraziatamente i signori Prof.i dimostrati poco inclinati ad assumere la carica di cui si tratta, ed essendo perciò necessario ripiegare alla licerca di soggetti idonei fuori del Corpo Professorio, qui è che le premure dell’Ecc.ma Dep.ne dovranno raddoppiarsi affine di assicurarsi che le nomine da farsi a tale oggetto sieno degne di essere presentate a S. M. (4) id. Atti della R. Deputazione, registro N. 331. 148 PIETRO BERRI Non pochi sono coloro che o fra dottori del Collegio medico, e fuori dello stesso, ambirebbero l’onore della nomina suddetta. E cominciando dai primi il Signoi dottore Covercelli, il sig. dottor Picasso collaboratore del defunto Prof.re di clinica e il sig. dottore Mangini hanno fatto degli uffìzi almeno indiretti a tale oggetto, nè è da lasciar di menzionare il sig. dottore Mazzini vice priore del Collegio, il quale sebbene non abbia dimostrato di attendere a tale cattedra, non può negarsi che sarebbe atto a coprirla. Tutti gli anzi-detti meritano le riflessioni dell’Ecc.ma Dep.ne, e il sottoscritto non può ricusarsi dal rendere loro un’onorevole testimonianza di merito non ordinario sotto i rapporti della capacità, e dell’aggiustatezza del loro carattere. Quanto poi ai Dottori non collegiati che hanno mostrato il desiderio di concoirere alla cattedra in questione, è pervenuto a notizia del sottoscritto che il sig. Guani medico attualmente in condotta nel comune di Levanto, e il sig. dottore Pedemonte, medico in quel di Recco, sarebbero disposti tosto che l’Ecc.ma Dep.ne fosse per fare la nomina di cui si tratta di presentarsi al concorso. Sinora però a riguardo degli anzidetti non ha potuto prendere le notizie convenienti, lo che seguirà colla necessaria diligenza. Frattanto il sottoscritto non deve tacere all’Ecc.ma Dep.ne che fra i Dottori non collegiati i quali attendono alla vacante cattedra di clinica, gli rinviene con sicurezza che vi figura l’autore del libro Leggi fisiologiche, il quale nella riforma del 1816 fu escluso daU’insegnamento in questa Regia Università. Il sottoscritto, alla di cui cognizione sono i motivi che hanno cagionata l’esclusione anzidetta, non può lasciare per debito d’uffizio di fermarsi alquanto su di questo soggetto, acciò l’Ecc.ma Dep.ne sia ragguagliata di quanto lo concerne. Prescinderà di parlare di quanto riguarda i talenti e l’abilità del soggetto di cui si tratta, e sebbene per quanto gli consta non mancherebbero al medesimo la capacità e l’ingegno proprio d’un Professore, sarebbe però da esaminarsi se alle cognizioni teoriche unisce le pratiche tanto necessaiie nell e-sercizio della cattedra di clinica, nella quale mostrò di vacillare sul pi incipio il celebre Tissot, chiamato a coprire quella dell’Università di Pavia. Comunque però l’autore del libro Leggi fisiologiche avesse tutti i dati necessari dalla parte scientifica, egli' vi accompagna la reputazione di uomo miscredente, ed infetto di materialismo, e delle massime morali, che ne sono la conseguenza. Nè questa riputazione è senza un sufficiente londamento. In primo luogo egli è autore del libro più volte detto intitolato Leggi fisiologiche di cui eg 1 servivasi nelle lezioni classiche di sua scuola, come si rileva dagli elenchi stampati in quel tempo. Su questo libro deve esistere all uffizio dell Ecc .ino Capo uno scritto dal quale si scuopre la maliziosa maniera adoperata da -l’autore d’insinuare indirettamente nell’insegnamento della fisiologia il materialismo, e le conseguenze pratiche del medesimo. Questo libro denunziato negli anni scorsi alla Sacra Congregazione dell’indice, va ad essere per quanto ne viene assicurato il sottoscritto da personaggio Eminente, ìnsento con decreto di detta congregazione nell’indice de’ libri proibiti (· K In secondo luogo consta all’Ecc.ma Dep.ne, che. al tempo in cui eia pio-fessore fu d’uopo ammonirlo, e farlo ammonire attesi gli riscontri che s e bero in allora qualmente nelle private ripetizioni che egli faceva ■ &g\i st,1‘ denti in propria casa togliendo il velo al mistero che nelle pubbliche e-zioni doveva necessariamente conservare, iniziava i giovani ai miston c Materialismo, e delle brutali sue conseguenze. In terzo luogo egli fu l’approvatore legale di una tesi che doveva sostenersi nell’anno 1814 dallo studente Biamonti, in cui sotto il gergo consueto (5) Il libro fu effettivamente messo all’indice con decreto del 18 gennaio 18~0 libre/rum prohibitarum, Romae. Typis Vaticanis MCMIV, pag:. 21 o). Singolare la coincidenza del provvedimento con l’autocandidatura del Mo.ion. IL DOTTOR BENEDETTO MOJON 149 iu soppressa dalla Paiì,;. ,sser® (llstlnto da altri organi corporei, tesi che la stampa Z‘a’ d°P0Che ^avvertitamente ne era stata autorizzata ciuam^constTaf detto ,'lbb,astanza Positiv* e notori fatti presenti per δΠιΠΚΑίΤΛ*· S^SSSSST Ti “■? *·"■"·*·* re™ dall'insegnamento e »»«1 mZ£ mMn e",'“cÌsX" S' Xre. ai*Γ5Μ».ίJ^"ï.“i>-”V,ellw™“ iti 7 «■ presentare ‘ all’Ecc.ma Dep.ne. coscritto si ciede sia dovere di rap- De Marini Consigliere di S. M. deputato all’insegnamento Genova, 13 gennaio 1820. STEFANO B (410 VA λ' ANTONIO D'ANDREA, DI GENOVA AMMIRAGLI DELLA CITTA’ D’ANYERSA (SEC. XVII E XVIII) La corrispondenza commerciale di Francesco Gasparim che si conserva nelP archivio del Comune di Bruxelles, ricca minie c 1 direttore (li quel l’are® vio. un completo ordine al e o1^ s=j Gasparmi, na SDÌnto ad abbandonar la patria da Bruxelles, forse verso il 1680 spinto m auu dirette ad UI1 dissesti finanziari, come risulta da alcu g l’autorità amico di Venezia, Pietro ottenere, «col- giudiziaria di Venezia «li ìego.i < ü top-lio del bando» raggiun-Fassenso di tutti i creditori criminailjgg o^eU * al do ai P^dicem^di creditori >, (;)· Gaspaimi (( nlxelles non m’hanno permesso, come già fccns ~ wtârsrsr* rispondere gli arcluvi di « , nuoVo stato, volle rego- »Τ«ΓΧ. '»■'*· ·" »oteI·'" ”· "7T^b7ttistini, La correspondance commerciale dl introduttive di G. Belgique », tome XCIII (1929), PP· 245-280. aN“)C-T,Tc“»“SOmarini, «». *· 'STEFftïfo E 'GTO. ANTONIO to’ ANDREA, AMMIRAGLI DELLA CITTÀ D’AN VERSA ^ tornare, benché egli non rivedesse più la città natale, cecamente ^per pater meglio, e -con animo tranquillo^ commerciare coi proprii connazionali. L’operosità del Gasparini fu, ripeto, così intensa e varia, matic. .mhtnri, £ «lesiastiei italiani, ricorsero a lui. Il marchese 1,*^ Parigi, nel settembre 1698, domandava al Gasparini <1 m ia p . nova, dov’era diretto, una bella scuffia a punto d Ingl u luna, la·qua le fu giudicata tanto bella, che Girolamo Durazzo ne domanda a, maggio 1699. nna per * « di ^ΜαΧΤδρΙηο· fa ^u|p^ avendo^lasciato nna vettura assai comoda e moderna^ lo pregava d’inviargliela a Parigi. I dui! cugim avevano insieme percorso l’Olanda e ad Amsterdam erano entiati ™ «ipp col banchiere Biliotti, corrispondente del Ga panni, Λ quale .1 maggio ordinava di pagare al marchese Ipi < ^ ().imM10 (i000 { due ordine del marchese Marcello suo j>a< re. · ^ avvertiva il 5 nobili genovesi erano a Bruxelles, perche il Essi maggio, il proprio corrispondente d’aver eseguito p («) M. Battisi ini, Il medico /KJÌoflnese » ^Bofogna, sua lettera medica, diretta al Gasparini, in «LA 1933, fase. 5-6. Q (5) « Arch. Com », cit. corrisp. cit., filza, 8. . Filippo r.arlo Spile) Albertina Isabella Rhingrave, moglie del marchese noia, conte di Bruay, che, col consorte, viveva a Bruxelles. STEFANO E GIO. ANTONIO D’ANDREA, AMMIRAGLI DELLA CITTÀ D’ANVERSA 153 erano passati anche da Anversa e vi avevano incontrato Stefano d’An-drea, loro compatriotta, che, ambedue, nelle loro lettere al Veneziano, ricordano, pregandolo « di riverirlo » (7). Qualche altro cliente genovese ebbe il Gasparini : l’abate Enrico Giovanni Isola, nel 1692, Girolamo Pallavicino nel 1704 e Girolamo Grimaldi, che in varie epoche passò per Bruxelles e v’era anche ai primi del 1 <05, dove doveva tornarvi qualche mese dopo in qualità d’In-ternunzio, succedendo a monsignore Bussi (8). I] Grimaldi si valse sempre del Gasparini per ogni genere d’operazioni : acquisto di libri, di pizzi, prestiti di danaro, lettere di credito ecc., ed allorché fu nominato a rappresentare la S.S. a Bruxelles gli dette incarico e procura di prendere in affitto il palazzo di proprietà del conte de la Tour e Tassis, posto in faccia alla chiesa di N. D. du Sablon, abituale residenza dei diplomatici pontefici, di fornirlo di tutto il necessario pel Nunzio, pei domestici e pei cavalli. Pochi altri genovesi, rapidamente passati per Bruxelles, ebbero rapporti col Gasparini e la scarsezza d’essi è da attribuirsi alla poca o ninna tendenza dei liguri all’esercizio delle armi o al gusto di viaggiare degli oziosi nobili di altre regioni, perchè tutti intenti ai traffici ed alla navigazione. Non dimenticherò però di ricordare che, a partire del 1706, almeno per quanto apparisce dalle lettere che rimangono, fu in corrispondenza di affari con Giovanni Andrea Varese, di Genova, ma riteniamo che i rapporti loro fossero molto più antichi, se consideriamo in quale stretti rapporti d’affari il Varese fosse coi D’Andrea. Stabilito ad Anversa, il Varese faceva operazioni bancarie col Gasparini. al quale ad esempio, caricava, nel dicembre 1707, 1576 fiorini pagati a Benedetto Viale, inviato della repubblica di Genova all’Aia, ma lo forniva anche di pizzi, merletti, parrucche e stoffe e nel 1709, da Genova, dove s’era recato per affari, assicurava il Gasparini d’avergli spedito, « fidelini e maccaroni, non in gran quantità, perchè i grani son cari » (9). 11 Gasparini ebbe cari e considerò quasi della propria famiglia i fratelli Niccolò e Gaetano Buonsollazzi, di Genova, il primo segretario del duca di Mondragone, verso il quale tanto il Veneziano, quanto i ΓΓ Andrea avevano crediti elevati e difficili a riscuotere. Il Buonsollazzi stesso, che doveva seguire il vecchio duca nelle sue peregrinazioni, non aveva molto a lodarsi della puntualità di quello, facile alle promesse, ma più facile a non mantenerle, come scriveva al Gasparini da Madrid, ai primi del 1701. Alla fine d’ottobre, da Parigi, gli ripeteva le stesse cose, consapevole che le tergiversazioni (7) « Arch. e eorrisp. », cit. filza, n. 9. (8) « Arch. e eorrisp. », cit. filza, n. 15. Nel registro di Corte si legge: Le '21 mai 1705 Mons. Grimaldi nouvel lnternonce Apostolique en cette Cour eut avec le cérémonies accoutoumées sa première audience publique de S.A.E. « Arch. Stato Bruxelles », Manoscritto 923, c. 95 t. (9) « Arch. e corrisp. », cit. filza, n. 32. MARIO BATTISTINI _ del duca tendevano, questa volta, ad obbligarlo a ritornare_ con lui in Snaona mentre egli era stanco del servizio, del padrone indebita to sempre in cerca di danaro, imitato in questo, dal proprio fig i , che contava sulla non lontana eredità paterna, Forse, per riuscire a farsi completamente pagare, il Buonsollazzi seguì,dl“V°'?tÌ 1 olli in Smio-in « per mia disgrazia — scriveva — benche abbia tatto ogn sforzo per ritornare in Italia ». Ma il 18 marzo 1702 scriveva al Gasparini da Barcellona, tessersene finalmente liberato e g li ani unzia-va che di lì a pochi giorni, sarebbe stato a Genova, sua citta natale, nella quale si trovava anche nel marzo 1704. Che Nicco o uonso -zi fosse intimo ed affezionato al Gasparini provano tutte le sue let tere nelle quali, vengano esse di Francia o di Spagna, si °ceupa con cura Si affari Lo ".ette intatti m col Compostano (li Genova per la fornitura ili amila»?'> nino Magnani di Firenze, per quella degli F e eobaa , e. considerando le ansie e le preoccupazioni dell ami. o, m quel m mento in stato di fallimento, tratta per lui, al ani»! co} ^dtic ’ che travolto dal fallimento di quello, aveva abbandonato lapi opna abitazione e la numerosa famiglia sua e. pei_ c ' < es.o Avogadri, ambedue di Venezia, l'ima di 39-1, l’altra di 231 liouni ι I- Più abbondante è, negli anni successivi, la corrispondenza dei D’Andrea e benché incompleta, mostra (pianto le relazioni col i*a- (>*) «Arch. Stato Biuxelles », Notarile, filza, n. .nota™f>*%™e£Æ contratto segue un « Inventario di quello si trova al ^'orno d hogi lî maMo 1683 nel Teatro in Brusselles apartenente al Sig. Don Stefano A u ie91 a Pietro Fariseau, all’unico scopo di servire ili deposito di fieno, e l’affitto fosse rinnovato nel 1692 e di nuovo nel 1693, fino al 4 settembre 1695, dalla corrispondenza· del D’Andrea risulta che essi, per mezzo del Gasparini, erano entrati in trattative d’affitto col proprietario, fin dal 1693. Se le lettere di quell’anno mancano, la prova è fornita da quanto Stefano D’Andrea scriveva al Gasparini il 2 gennaio 1694 : « Speravo — scriveva, —- di ricevere una lettera del Signor Fiocco, toccante alla dependenza del Teatro e solamente l’ho tenuta da M. Tombelle, quale mi dice essere stato a parlare alla moglie di Fariseau e che per essere assente suo marito non avrebbe potuto agi listare interamente la evacuatione del teatro, però che detta sua moglie l’havea· risposto che dentro di 3 o 4 giorni attendeva il ritorno del marito e che procurarebbe fosse fatto ». Quel che più premeva però al D’Andrea era di vendere il fabbricato e su ciò insisteva anche quando le trattative per l’affitto erano arrivate a buon porto, fcome è provato da quanto don Stefano scriveva al Gasparini il 21 settembre 1694 : « Per quello desidera il Sig. Fiocco toc-ante all’affitto del Teatro, pure desidero molto servirlo e stimarei meglio fusse di sua convenienza il comprare tutto il fondo del Opera e decoratione, mentre per altro resta tuttavia affittato al Sig. Fariseau per tutto septembre del anno venturo e sécondo l’authorità di S. A. Elettorale disponere che il detto Fariseau se la renoncie promptamente, procurerò di servirlo, ma sempre stimerò molto più il trattare della compra di esso et li farei buon partito, restando in tutto promptissimo a vostro ordine ». Due mesi dopo appena, Giovan Antonio, ai quale il padre aveva dato spéciale procura, firmava il contratto d affitto per tre anni, ed alla conclusione dell'affare molto contribuì il Gasparini, che co' D’Andrea era in relazione d’affari, non solamente, ma anche d’amicizia. Infatti Giov. Antonio, inviandogli un regalo d’ottimi pesci, gli scriveva il 9 maggio 1694: « Carissimo amico. La nostra Riviera al presente ci dà mottivo di farli gustare un poco del suo frutto, et per essere subditi che mio Padre commanda come Admiraglio d'essi, ho fatto mettere i suoi subditi in questo barri-letto che piglio l'ardire di mandare a V. S. con il presente messa ge-ro. Prego dunque V. S. ad agradire queste poiché Ancciove in sea-beccio (l9) et goderle in mio nome et scusare l'ardire della familiarità che a non essere frutto de che credo non si trovi, costi non mi (18) Op. cit., p. 96. (1J) Anchois à l'esca cèche : acciughe preparate in modo speciale, in uso a Namur, come marinate. I Vescavèche, termine vallone, derivato dallo spaglinolo « eseabèchc ». 160 M Alti O BATTIST1NI ardirei a questo. Prego λτ. S. ad accettare il buon ‘cuore et in compagnia del Sig. Angelis, bebere a mia salute quando saranno insieme ». Sembra ,clie il figlio dell’ammiraglio s’interessasse anche alla musica ed agli artisti, perchè nelle sue lettere ricorda spesso musici e cantanti addetti all’Opera e fra le altre ricorderemo quella del 15 maggio 1094, in cui scriveva al Gasparini, a proposito d’un artista: « Qui sta Antonio che fa la bestia per cantare e questa mattina ha cantato un notturno et perchè non l'accompagnavano a suo gusto, lo lanciò alla metà, ben che vi era molta gente nella chiesa per sentirlo ». Ohe quest'Antonio avesse un carattere difficile si desume anche dalle lettere d’altri corrispondenti ed il D’Andrea, che forse non lo conosceva abbastanza, se ne lamentava di nuovo qualche giorno dopo, il 21 maggio, perchè « quest·, «cattiva pecora e brutale nel suo tratto » aveva rifiutato di portare al Gasparini una scatola, non sappiamo di che cosa, benché il Veneziano lo avesse sempre trattato con ogni cortesia. Tornando al teatro, il D’Andrea non si mostrò molto.contento, allorché seppe 'che il Bombarda aveva, ai primi del 1696, deciso di costruire un nuovo teatro e prevedendo che, per questo, non avrebbe veduto rinnovato il contratto d’affitto, che gli fruttava 900 fiorini all’anno, scriveva, il 9 marzo 1696, al Gasparini : « Intendo che il sig. Bombarda intraprenda di fabbricare un nuovo teatro per l’Opera e l’auguro ogni prosperità e vedrà quello li costerà ». 11 ritardo della costruzione. del teatro progettato indusse le parti a prorogare il contratto pei* un anno (20) e per un altro ancora nel 1698, sicché è certo che l’impresa Fiocco-Bombarda funzionò nel teatro del D’Andrea per tutto l’anno 1699 (21). Ma l’idea di vendere al Bombarda il vasto locale ed il terreno annessovi, risorse nella niente del proprietario, che molto contava sull’amicizia e sul razione del Gasparini, al quale, 1Ί1 ottobre 1698, scriveva : « Li resto molto agradito per la bontà havea havuto di discorrere con il Sig. Bombarda tocante la compra del Theatro, e non mi meraviglio habbia risposto di non inclinare in essa, stante 1 impegno tiene ilei Novo che fa fabbricare, e come io pretendo di vendere il Theatro e fondo di terra ove tiene il fieno, sempre sarà di suo servitio e convenienza comprare il tutto, et puotrà servirsi il Nuovo Theatro delle loge et altri materiali di legnami, che si trovanno nel mio. Et per questo tengo persona che desidera comprare il tutto, e (20) « Mio figlio — scriveva don Stefano il 14 die. 1697 — mi avisa della bontà teneva in procurare di far passare il nuovo contratto della. Casa t Opera, in che credo non haverà difficoltà ». , (21) E. Closson, op. cit. e H. Liebrecht, op. cit., limitano il periodo dell sercizio del teatio a tutto il 1698, ma gli autori non esaminarono la coriisp. del Gasparini. Don Stefano scriveva infatti il 23 marzo 1699: « Credo clic il sig. Paolo Bombarda riconoscerà meglio il contratto agiustato ultimamente et che resta obligato a continuare sino a principio di novembre et solo a restava facultà di poterlo liberare della locatione in caso di vendita de a Casa del Opera e fondo e mi spiacerebbe s’oifeiischino repliche in questo ». STEFANO E GIO. ANTONIO D^NDREA, AMMIRAGLI DELLA CÌTTÀ D’ANVERSA 161 ■che farebbe mal opera al Sig. Bombarda. E quando si risolva di entrare nella compra, se la mia salute lo permetterà passerò costì, altrimenti andarà mio tìglio per determinare con l’uno, o con l’altro la (letta vendita ». Benché la chiusa fosse, forse, un’abile mossa per svegliare nel Bombarda il timore d’un concorrente, questi, ormai impegnato nella nuova e costosa -costruzione, non ascoltava le proposte del D’Andrea, che non si stancava però, ed il 29 novembre scriveva al Veneziano: « Pei* mio figlio ho inteso la risposta lia data il Sig. Bombarda di non poter aplicarsi alla vendita, anzi compra del Theatro e fondo per quanto si fece dimandare lire tre milia de grossi, e si sarebbe bassato qualche cosa, et fatto facilità nel pagamento, et credevo fosse negocio di sua convenienza, mentre scessarebbe li louag-gi che paga per la casa del Opera et il fondo ove è posto il fieno, e me ne rimetto al suo gusto ». Il Genovese era tenace, aveva nel Ga-sparini 1111 ottimo sostegno e sapeva, che, insistendo ancora, sarebbe riuscito a convincere il Bombarda, pel quale, in fondo, qualche diecina di migliaia di fiorini non era una gran somma. Così, il 30 dicembre 1699, scriveva di nuovo il Gasparini : « Vedo quanto si compiace dirmi toccante al prezzo di 1-1000 ho dimandato per la casa del Opera e fondo, et che la persona a cui istanza lei si era compiaciuto scrivermi, havea risposto essergline di già stato offerto per mio ordine per 12000. Il che non puole sussistere, mentre io mai ho datto tal ordine a persona alcuna et benché essermi costata a me da 17000 et credevo pormi bastantemente alla raggione in perdere da 3000 e lei ben sa in quanto la ho sempre apigionata et non per far Opera e che M. Fariseau per ponere fieno mi pagava da fiorini 900, et in caso la persona che desidera comprare si resolve di haver il fondo et la casa del Opera, mi contenterò di allegarla in fiorini 13 mila, che è quanto posso restringermi per andar lei per in mezzo et il sig. Manuel Cardoso pure mi ne ha scritto con la sua che ricevei mesi sono ». Uomo d’affari, avveduto e pratico, il D’Andrea, che su quel l'immobile aveva già guadagnato una bella somma, giungeva, pur di concludere l'affare, a ridurne il prezzo a 11 mila fiorini ed impaziente che Taf-fare si concludesse al più presto, 1Ί1 gennaio 1700 scriveva al Gasparini : « Attenderò pure di sentire quello liavete operato tocante alla vendita della casa del Opera et fondo, et con l’ultimo pretio avisatovi di fiorini 11000 liberi a me d’ogni spesa mi pare si doverà contentare la persona che desidera comprarla, confidando del suo affetto prora rerà ogni mio vantaggio ». 11 compratore fu proprio il Bombarda, ed il D’Andrea, avvisando il Gasparini, il 30 gennaio 1700, che suo figlio Giov. Antonio si sarebbe recato a Bruxelles per terminare ogni cosa, se ne dichiarava contento; ma come e se il Bombarda pagasse, non sappiamo. È certo però che, dopo conchiuso il contratto, trovò, .sembra, dei pretesti per ritardare i pagamenti, tanto che il D’Andrea 162 MARIO BATTISTINI se ne lamentava col Gasparini nella sua del 14 febbraio 1710, l’ultima nella quale si faccia parola del vecchio teatro dell’Opera Il D’Andrea, pur essendo essenzialmente banchiere, forniva però al Veneziano, secondo l’uso del tempo, merci diverse, per lo più pizzi. merletti, cordovani, tele, velluti, cacao ,zucchero, tabacco, ma il più importante lavoro era quello bancario e di cambio, non solamente per quanto riguardava il vasto commercio del Gasparini, ma anche per i numerosi clienti d’ogni paese, in maggioranza però italiani. Erano militari, diplomatici, prelati, nobili splendenti di titoli, .con borse ornate di magnifici stemmi, spesso però vuote di danaro, che il D’Andrea, più prudente del Gasparini, non serviva tanto facilmente come questo, al quale, non di rado, li dirigeva. Così gli inviava, nel novembre 1695, il marchese Angelelli, in cerca di qualche pataccone e, nel maggio 1696 Carlo Marchelli di Milano, che doveva ricevere la bella somma di 300 patacconi, pel quale il duca marchese di Clavafuentes aveva, il 17 aprile 1696, diretto la seguente lettera : « Al Signor Almirante Don Stefano D’Andrea a Anversa, riavendomi molti mesi sono il Sig. Maestro di campo Don ^arlo Marchelli domandato licenza di rittornare a Milano, et Io datagie a sino dalli 7 del passato mese di Genaro, e rattificatole in ogni lettera, non essendosi compiacciuto ancora di rittornarsene, sara V. h. contenta di rinovarle la mia preghiera di rittornare a casa, e di pagare. e darle cedole di credito del denaro che fosse di bisogno per il di lui viaggio con il suo servitore sino ad Augusta, dove resta da me proveduto di altro ordine e denaro iter venirsene a Milano, e basterà di quel denaro e di quelli ordini che V. S. le dai à per qualsivoglia parte sino a Augusta ne prena V. S. qui sotto la sua semplice ricevuta in virtù della quale corrisponderò a V. S. il pagamento e il presente ordine fatto sotto il medesimo giorno ne mando il duplicato, ma servirà pero solamente per un sohi paganieiito o sia lier una vece tanto, di modo che compito uno 1 altro resti valore e lo saluto. Duca marchese di Clavafuentes ” ( *· Fu però il Gasparini che regolò l’affare, su ordine, è \, < e o stesso D’Andrea che, se evitò d’anticipare una l)e'1 a s°mma 1 iquida, dovette però, come il Gasparini, attendere hmgamente pei vede e golato 1 affare dal duca marchese, che tanto facilmente emetteva cu dini di pagamento. (Mj -, Resto maravigliato - scriveva - dei Poco iavore mi fa « barda doppo di baver rilassato la casa e °ïl^° ,,c ^lrPtpnd-ì n-isare a Illuso a conto di pagar di contanti promuova d.fhculta e pretenda pagare gh(-Trn Gasparini dette al Marchelli .50 talleri e gl[i rilasciò £ credito per 100 talleri per Augusta, altra pure per 100 talle.i pei Colonia una terza per 50 per Verona. Corrisp. cit. fiIza, n. U. STEFANO E GIO. ANTONIO D’ANDREA, AMMIRAGLI DELLA CITTÀ D’ANVERSA 163 Il prevosto Giacomo Maria Barca, che a Ganci si divertiva, attendendo il danaro che 11011 giungeva mai, per ritornare in patria, come scriveva il D'Amlrea il 12 giugno 1607, andava la settimana dopo ad Anversa e riusciva ad avere 25 patacconi per poter pagare i debiti contratti e per poter fare il viaggio di ritorno con tutte le comodità possibili, com’egli stesso diceva; danaro che il D’Andrea caricava al Gasparini, il quale l’aggiungeva ai 50 patacconi dati precedentemente all’allegro^ pi evosto che, giunto in patria, dimenticò lungamente le promesse di pronta restituzione. In ricambio il Gasparini avevay qualche mese prima, dato 250 patacconi al conte Giovanni Carata r per conto del D'Andrea e si può dire dunque che fra i due banchieri esiste un continuo giro d’operazioni, rappresentate spesso da crediti dei quali l’uno e l’altro devono attendere a lungo la liquidazione, come per esempio pel prestito fatto al conte di Soissons e al duca di Saìi Pietro, del quale si parla per qualche anno nella corrispondenza dei due banchieri. Non tutti i clienti erano, per fortuna, della stessa risma; ve ne erano anche de’ buoni, come il padre da Collegllano, che, nel 1698, comprava non poche miniature dal D’Andrea. il quale, Panno seguente, riusciva, per mezzo del Gasparini, a fare un ottimo affare, comprando dal Cristyn, consigliere nel consiglio di Brabante, un arazzo per conto del Mollo, un italiano residente ad Amsterdam. Perchè non devesi credere che il D’Andrea. s'astenesse di trattare con italiani e ricorderò il conte Bolognetti al quale anticipò, nel giugno 1687, la somma di 187 fiorini; il conte Pecori, fiorentino, che viaggiava in compagnia del Liìccese Martini e molti altri, fra' quali non pochi genovesi. A lui infatti si rivolgeva, nel 1698, il marchese Giovanni Agostino Centurione, inviato straordinario della repubblica di Genova a Parigi, chiedendogli camice e merletti per se, poi per Giovan Giacomo Imperiale, forse del suo seguito. Nel 1702 Giovan Autonio D’Andrea riceveva un’identica commissione dal marchese Negrone di Mulazzano, che in quell’epoca occupava a Parigi la carica già avuta dal Centurione. Benché gravemente ammalato, nel maggio 1704 si dava ogni cura per servire ed agevolare in mille modi, nel loro viaggio e nella visita della Fiandra, il marchese Niccolò Cattaneo, figlio del senatore, raccomandatogli da Genova, l’abate Girolamo Grimaldi, poi Internunzio a Bruxelles e monsignor Giulio Imperiale, ambedue della Nunziatura a Parigi, procurando loro danaro, guide ed i passaporti necessari ed urgenti per poter recarsi in Olanda. Perchè è certo che i D’Andrea avevano conservato ottime relazioni nella città natale, dalla quale, nel marzo 1704, il segretario della repubblica, Vicetti, chiedeva a Giov. Antonio, che volesse inviargli varii libri. Nell’ottobre gli veniva spedita da Genova, non sappiamo da chi, una lettera « da fare avere in proprie mani al principe Spinola » come diceva al Gasparini, pregandolo (li eonse* 164 MARIO B ATTIST1NI gnarla al destinatario e di chiedergliene la risposta da inviare a Genova, per la stessa via (24). Prudenti ed avveduti, i D’Andrea non sembra s’abbandonassero, come il Gasparini, a speculazioni azzardate e facevano ogni sforzo perchè nelle operazioni coll’amico, il dare e l’avere fossero, per quanto era possibile, in equilibrio. Infatti, allorché la disgraziata impresa de’ grani condusse, nel 1700, il Gasparini al fallimento, i D’Andrea avevano verso di quello un credito di soli 643 fiorini, somma modesta se si considera l’importanza degli affari trattati ed il passivo enorme del Veneziano. Il vecchio D’Andrea fece ogni sforzo per salvar l’amico ed il 21 giugno 1700 gli scriveva dolendosi della disgrazia che lo colpiva e per augurargli il richiesto salvacondotto, ma a cagione di non poche tratte, ritornategli protestate, gli scriveva di nuovo il giorno dopo : « spero che Lei procuri di solevarmi per liberarmi di una totale rovina per li impegni ho contratto per suo ordine e se può socorermi di qualche effetto vi prego di farlo prima, per non obligarmi a perdere la reputatione con rovina di mia famiglia ». Perchè egli aveva ricevuto, di rimbalzo, un bel colpo, avendo il falli mento del Gasparini provocato quelli del Na-tucci a Parigi, del de Groot a Rotterdam, del Santinelli a Venezia, del Raimondi a Gand e di altri, verso i quali aveva crediti non piccoli. Col Leblond di Venezia, non in stato di fallimento, ma fortemente danneggiato da tanti disastri e che era creditore del Gasparini di 3121 scudi, il D’An-drea non riusciva a regolare una questione di tratte ed alle minacce d’azione giudiziaria, il francese gli rispondeva di « non esser egli soggetto a giustizia ordinaria alcuna, per il carattere che tiene di console di Francia ». Per questo il Genovese scriveva, il 5 ottobre 1700, al Gasparini: « Intanto io mi trovo aggravato e afflitto haven-do pagato qui tutti li protesti venuti e non so come potrò uscirne ». Fortunatamente il Veneziano poteva, nel luglio 1701, fare il concordato grazie alla maggioranza de’ suoi creditori, che accettarono i; 20 \% offerto loro, ma il D’Andrea non si mostrava, il 12 luglio, molto contento coll’amico, non per la modesta percentuale, ma per avergli « ricusato di exprimere nella detta obligatione inviatami, la clausola di dovermi lassiar visitare i suoi libri ». Protesta strana, tanto più che nessun creditore aveva domandato l’inserzione di questa clausola. Si può dire che questa sia una delle ultime lettere di don Stefano, il quale, sofferente di gotta da molti anni, e di cui aveva subito un fiero attacco nel giugno 1699, moriva ad Anversa ai primi di settembre 1701 « dopo tre giorni di malattia, con tutta la rasse-gnatione del buon Christiano» come il figlio Giov. Antonio scriveva il 12 settembre al Gasparini. (24) Eia il ricordato Carlo Filippo Spinola conte di Bruay. Cfr. Μ. Βλττι-stini, Il monumento sepolcrale degli Spinola nella chiescó di Λ. I). de la Chapelle a Bruxelles, in questo « Giornale », 1938, η. 1, p. 54. STE1 ANO E GIO. ANTONIO D ANDREA, AMMIRAGLI DELI,A CITTÀ D’ANVERSA 165 L’attività della Casa D’Andrea non si arrestò per la morte del suo capo, il quale lasciava affidata l’azienda al figlio, già suo colla- p-odpv? nVt'Sn01'ÌÌ1iI1+ l età (l1 (|Uesto a quell’epoca, ma certamente non go eva ottima salute, perchè ai primi di febbraio 1702, benché stesse meglio, era « molto travagliato dalla mia flussione di gotta », nè T ,n '!η':ιΙ10 ,a “igliorar la sua salute le preoccupazioni cagionategli dagli affali, dato il periodo assai difficile che l’Europa attraversava, e quelle che uno de’ figli gli procurava. Le perdite subite pel fallimento del GaSpanni e degli altri ricordati, le difficoltà di riscuotere i crediti che aveva verso la contessa di Salassar, don Domingo de Arreaga conte di Pennaflorida, il marchese di Clavafuen-tes, che don Stefano aveva definito « avaro e poco corretto » tenevano in grave apprensione Giov. Antonio, « perchè questi nobili si gno!!1’ ~ com’egli scriveva al Gasparini il 16 settembre 1704 a proposito d un credito di don Vincenzo di Capua - fanno grandi promesse, ma una volta passate le montagne non si preoccupano più di mente » Di più un complicato affare di gioie, depositate presso l’avvocato Simon di Bruxelles, ed un altro con lo stesso avvocato e col cognato, barone di Ceccatti, lo angustiavano profondamente fin dai pnmi del 1701, e, a cagione della poca onestà dell’uno e dei cavilli dell’altro, gli costarono una bella somma di danaro. Ci mancano «li elementi per poter dire come stessero esattamente le cose tanto per l’uno, quanto per l’altro affare, ma dalle lettere al Gasparini nel seno del quale il D’Andrea versava la piena del proprio dolore e disgusto, sembra, che, per quanto riguarda il di Ceccatti, quegli avesse rinunziato a dei diritti sull’eredità del suocero, indotto dalle belle promesse del cognato, le quali sfumarono presto, come nelle mani del prodigo barone sfumava il danaro. Giov. Antonio, del quale ignoriamo la data di nascita, era forse nato a Genova e, come il padre, aveva conservato spirito ed abitudini italiane e se tanto l’uno, quanto l’altro impiegavano, per necessità degli affari, la lingua francese e senza dubbio anche quella fiamminga, ambedue scrivevano in italiano, in forma elegante e correttissima, e le loro lettere al Gasparini sono, quasi tutte, redatte in questa lingua. Anche Niccolò D’Andrea, del quale parleremo in seguito, impiegava la lingua italiana. 1 D’Andrea, profondamente fedeli al loro paese natale, come del resto è provato rimanessero tutti i genovesi che per lungo scorrer di lustri e di generazioni esercitarono il commercio nel Belgio, vollero che anche i discendenti restassero attaccati alla madre patria e per questo forse Giov. Antonio sposava a Bruxelles, il 26 novembre 1082, Francesca Claudia figlia di Francesco Pavan, barone di Ceccatti, oriundo italiano e di Carlotta Ga-briella Van Velec de Fa-riaux (23). Per l’assenza del padre, o per al- * Arch· Com- Bruxeles », Chiesa di Coudenberg. Reg. matrimonio. (1667'93 ). 166 MARIO BATTISTINJ tra cagione, la sposa fu dal genitore emancipata solamente il 13 aprile 1684 ed il successivo 15 luglio le costituì una dote di 3000 fiorini, oltre i mobili tappezzerie ecc., valutati oltre 1000 fiorini (26). Da questo matrimonio nacquero varii figli : Stefano Carlo, nato a Bruxel les nel 1683, Mccola Giovanni e Maria Cristina, nati senza dubbio ad Anversa, ignoriamo in quale anno (27)· Francesca Pavan di Cec-catti morì in giovine età ad Anversa ai primi di febbraio 1694, lasciando i tìgli in tenera età (28). Stefano Carlo, il maggiore, entrava, ai primi del 1704, senza neppure avvertirne il padre, novizio presso i padri Carmelitani a Louvain e del dolore cagionatogli dal figlio il D’Andrea si sfogava col Gasparini, manifestandogli la propria collera, non solamente contro il figlio, ma anche contro il Padre Provinciale che lo aveva accettato e tanto più era addolorato ed irritato, perchè il giovane, con la irriflessiva sua decisione, aveva troncato le pratiche iniziate per entrare nel reggimento di cavalleria del conte di Beausaert, senza alcun riguardo verso la marchesa di Ri-sbourg, madre del colonnello, che a questo l’aveva raccomandato. Pesta bislacca, il giovane D’Andrea, aveva, prima d'entrare nel con vento, fatto una corsa a Bruxelles, lasciando qua e là de debiti, dopo aver dato fondo ai 40 scudi che aveva in tasca e forse la vocazione gli era venuta in seguito alla scappatella, alla quale il Gasparini aveva riparato, per salvare il buon nome dell’amico. Ma la vocazione non durò a lungo e la regola carmelitana non era forse adatta al temperamento vivace del giovane, che, nel novembre, era di nuovo a Bruxelles, mentre il padre, irritato ancor più, imponeva al Gasparini di non dare al giovane del danaro, perchè non gli avrebbe rimborsato neppure un centesimo, per nessuna ragione, e lo pregava di comunicare allo scapestrato di non presentarsi più davanti a lui, perchè non voleva riconoscerlo più per tìglio. Era pure in collera co’ frati, che non lo avevano informato di niente, e perchè temeva avessero cacciato « questo tìglio che non farà nulla di buono » ; ina il Gasparini riuscì a calmare l’ira del padre che, il 19 dicembre, gli scriveva, assai più calmo, rivelando, sotto l’apparente severità, quanto fosse ancor vivo in lui l’affetto pel tìglio spensierato ed irriflessi- ve) « Arch. Stato Bruxelles», Notarile, filza n. 119, noi.Desmaretz. 11 Pavan portava il titolo anche di signore di Brice, scudiero di S. M. e governatore dell’accademia reale di Bruxelles. (27) « Arch. Com. Bruxelles », recj. battesimo chiesa di Coudenberg (1083-93) c "24 Stefano fu battezzato il 1 nov. 1683 e furono compari i nonni « don Stefano D’Andrea admiralis Antewerpiensis » e la‘ nonna materna. In un lettera del 5 die. 1701 Giov. Antonio ringrazia il Gasparini delle cortesie fatte al figlio Antonio, del quale però non troviamo altro ricordo. (28) Stefano D’Andrea scriveva al Gasparini, il 6 febbraio 169*, che non aveva potuto scrivergli « per l’accidente funesto occorso m mia casa per la morte della Consorte del mio figlio » e, Γ11, aggiungeva: « Mi havera compatito al possibile dell’aflitione ci troviamo, mio figlio et io per la perdila habbiamo fatto di sua moglie » J31KFAN0 E GIP. ANTONIO D’ANDREA, AMMIRAGLI DELLA CITTÀ D* ANVERSA 16 chè (2s«*ivPeva°iÎi9nrirS0 “elPaillto flell° zii> militare in Lorena, per-•x far he aZ dicembreconosco il merlo e non ha inclinatione se « d’esser 81 mostrava contento che il figlio accettas- M»ÌSn»C:Xv?ή Z™‘eri r1 re?gjmant° * ·*"·■ * ciò però comp L 1 G-aspaiim di consigliare il giovane a far preWXsiTtaf r f°p0?ta non venisse dil' padre, e d’indurlo a lrea atevaieritoÏ'°S°’ intimo del Montauban, al quale il D’An· “Ι μ ·> Ma anche quest0 non riuscì secondo i desideri del ni clÌ Λ gennai° 17°5· info™ando il Gasparini d’aver saputo to imi dn BeiUfeart che il figlio s’era arruolato nel suo reggimen- «ióvanotto ^ ^ ». perchè questi ηνβΓ,^Χ'^ΓΓ nemmeno avvertirlo. heil,s° e *senz‘‘ Tutto ciò ed anche la difficoltà degli affari, perchè il 17 aprile 170·., a proposito del rifiuto opposto d’entrare in corrispondenza commerciale coi cugini del Gasparini, scriveva a questo-Tse Ld conoscesse la miseria della nostra borsa ed i pochi affari non J rebbe maravigliato del nostro rifiuto » influì sKvoreÌolmente suìÌe condizioni di salute di Giov. Antonio, il quale a’ primi d’ottobre 1704 era gravemente ammalato, colpito da un attacco di gotta tanto che faceva scrivere Sali» figli, Maria Cristina, cte ignorava foril’ito innoι e scriveva un pessimo francese. Per quasi tre settimane durò quest’incapacità e la ripresa fn lenta, mentre la febbre non Io la sciava e più ancora Io tormentava dopo la scappata del figlio. ,, Essa (la febbre) mi rode » - scriveva il 12 dicembre 1704 — e se aveva ripreso la corrispondenza e gli affari, ai primi di marzo 1705 era se‘-condo una lettera della figlia, dell’ll, « sempre in letto, incomodato della mano destra e non può rispondere ». Pur troppi egli andò continuamente peggiorando ed il 23 giugno 1705 don Niccolò suo zio ne annunziava al Gasparini la morte e lo informava che quella ira stessa gli avrebbe dato sepoltura. Q S d Nei ricordati studi su VAmmiragliato della Schelda non è registrato, tra coloro che cuoprirono l’alta carica, il nome di Giov Intorno D Au rea ma sembra che egli, pur troppo per breve tempo succedesse al padre, perche in un contratto del 4 settembre 1706 col quale ijsuoi tigli Stefano e Mccola creavano loro procuratore l’avvo- (29) « Conosco molto bene — scriveva don Giov. Antonio — ouantn àa\ w stro affetto mi viene rappresentato e quanto importi impegnare Ϊ gioventù perchè non va. d. male potendo dire in favore di questo giovane che non ha havuto mai cattive inclinatione et se non fosse stato indotto dai frati non Laverebbe fatto quello che ha fatto. Nessuno d’essi ha havuto la discretione di farmene consapevole, come se detto mio Aglio fusse stato il figliò d?un boccone, scordandosi li frati li benefiti che sempre han goduti da molti an ffialTsumV C0SS0 d‘re S“‘° S'epha,,“· 168 MARIO BATTISTINI cato Sinom di Bruxelles, sono detti « fils de feu don Juan D’Andrea, fils de feu don Estevan D’Andrea aussi admirai d’Anvers » C0. Non è certo cbe succedesse al padre anche nella carica di console della repubblica i Genova, ma le relazioni che anch’egli ebbe col Vicetti, segretario di quella, e le lettere che, nell’ottobre 1704, ricevette direttamente da Genova pel principe Spinola, di provenienza senza dubbio ufficiale, possono indurre a ritenere che esercitasse anche quest’ufficio. La corrispondenza: della Casa D’Andrea cessa colla morte di no\. Antonio e nessun’altra notizia abbiamo potuto raccogliere su questa Casa bancaria, che riteniamo cessasse d’esistere. Della famiglia rimanevano in vita la vecchia vedova di dou Stefano, mai ricordata nella corrispondenza esaminata, nella quale però esiste qualche lettera di don Niccolò D’Andrea, zio di Giov. Antonio, ignoriamo se zio paterno o materno, ecclesiastico, perchè il sigillo che si trova sulle sue lettere, simile a quello impiegato da Stefano e da Giov. Anto ilio, è sormontato da un cappello prelatizio, con tre nappe per lato, disposte 1 e 2 (31). Queste lettere hanno però poca o nessuna importanza, se si eccettua un poscritto che accompagna una lettera di Gio\. Antonio del 22 marzo 1702, nel quale prega il Gasparini d’informarsi presso il duca d’Arco riguardo ad un debito di don Alfonso de Val-ladolid, forse uno de’ non pochi clienti, lenti a pagare. Ricorderò pure una lettera del 24 giugno 1705, l’ultima, colla (piale prega lo s esso Gasparini di chiedere all'avvocato Simon « quietanza di tutti gli interessi ha havuto con mio nipote sia in gloria » e poiché non aveva trovato fra le carte del defunto « memoria alcuna (li quello lialnn ricevuto in mariaggio nè di che partitione si sia fatta doppo la morte di suo suocero, che cerchi presso qualche notaro o dalla vedova peccarti ,c-he sarebbe di gran benefitio per questi orfani ». Questi, cioè Stefano, già ricordato e Niccola, il primo capitano, il secondo tenente a servizio del re N. S., per mezzo del notaio Ansstau « i iu xelles costituivano, il 4 settembre 1706, anche a nome della sorella Maria Cristina, loro procuratore l’avvocato Simon di Bruxelles, pei -chè vendesse i beni immobili già appartenenti alla defunta loro nonna, situati a Parigi, Genova ed altri luoghi, de’ quali essi erano legittimi eredi (32). In questo contratto non apparisce il nome dello zn don Niccolò, il quale era senza dubbio deceduto ai primi dello stesso anno. Infatti il 26 luglio 170« Giovanni Andrea Varese, negoziante di Genova, abitante ad Anversa, già ricordato consentiva alla dissoluzione del contratto di vendita, rogato dal notaro Vanden ”^T^h. Stato Bruxelles », Notarile, filza »1716, ^oAmseaudi Bruxelles. 11 Denucé, op. cit., non dice, del resto, che Stefano DAndie -, chiama anzi D'Andreas, alla maniera spagnuola, fosse italiano. (31) Cfr. le due riproduzioni del sigillo (N. 2 e 3). (32) « Arch. Stato Bruxelles », Notarile, filza n. 1716. STEFANO E GIO. ANTONIO D’ANDREA, AMMIRAGLI DELLA CITTA D’ANVERSA 169 Cruyssen d’Anversa, col quale don Niccolò D’Andrea gli aveva venduto una sua proprietà posta a Genova (33). Stefano D’Andrea, al quale l’esercizio delle armi non si confaceva troppo, tornò alle giovanili idee di vita monastica, perchè il 26 settembre 1708 chiedeva al Gasparini delle pietre false, per ornare delle reliquie, che facilmente avrebbe trovato fra- « il vestiario, e il materiale dell’Opera che sono nelle mani sue e del Fiocco » e firmava la lettera: « Frere Laurant à St. Jean, Carmes Déchaussés et Novice indigne, autrefois Don Estevan D’Andrea au noviciat au couvent de St. Albert ». ____Mario Battistini ,(,33). " Art*. Stato Bruvelles », Notarile, filza η. 1716, notaro Ansseau. L’an imitazione del contratto, fatta in presenza dell’avvocato Simon procuratore di Stefano e Niccolò D’Andrea e del loro zio il Barone di Ceccatti fu fatta « Perchè si pretende che la proprietà era stata venduta a prezzo inferiore al suo valore ». Mi è stato impossibile d’esaminare i protocolli del notaro Van-den Cruyssen, conservati ad Anversa inaccessibili a cagione della guerra ANTICA LIGrUKIA NOTE DI ARCHEOLOGIA E DI STORIA LIGURE II. L’UNITÀ TERRITORIALE DELLA LIGURIA DI LEVANTE NELL’OPERA DI U. FORMENTINI (*) Il Formentini fu in un certo senso più fortunato dei Lamboglia. Questi dovette elevare quasi dalle fondamenta il suo edifìcio ; per il Formentini tutta una gloriosa tradizione, da Giovanni Sforza a Ubaldo Mazzini ; del quale ultimo soprattutto il nostro raccoglie, realmente ed idealmente, l’eredità, e ne continua l’opera, correggendone gli inevitabili errori ed avvalorandone le scoperte, anche (*) Il sottotitolo di questa seconda puntata, già da molti mesi composta e diffusa in estratto, vuole un chiarimento. Essa avrebbe dovuto precedere la pubblicazione del volume del Formentini su Genova nel Basso Impero e nel-VAUo Medio Evo, secondo della Storia di Genova, oggi noto da tempo. L'opera maggiore, di cui diremo presto con la dovuta ampiezza, almeno pei quel che maggiormente concerne la nostra competenza particolare, giustifica ad usura l’attesa espressa qui in più occasioni. Anzi a dire il vero alcuni fondamentali aspetti della vita ligure medioevale, che abbiam cercato di rico· stiuire attraverso la frammentaria produzione anteriore del F., e parecchie nostre illazioni, hanno trovato nell’opera nuova sviluppo organico e esplicita conferma. Sicché la nostra fatica potrebbe oggi' apparire superflua, se non ci confortsase a pubblicarla nella sua integrità il fatto che per essa diam conto anche di quella notevole parte dell’opera del nostro che trascende i limiti del volume di sintesi, e non è comunque da questo superata o disti utta, la certezza, confermataci dal F. stesso, di aver colto di quell opera qualche aspetto nuovo, e di aver così detto anche qualcosa di nostro; e infine il soddisfacimento per il valore di verità che a quelle nostre illazioni deriva daini nuova autorevolissima conferma. . Prima di chiudere questa nota debbo premettere ancora un chiarimento, perchè il F. non appaia involontariamente coinvolto nel rimprovero che io, nella prima puntata (Giornale 1941, pag. 148, nota 8) muovevo « delicatamente, ma con ragione, ad altri » « Non vi ho citato, ci scrive il Formentini, nel 2° volume della storia di Genova, al 2? capitolo, là dove sostengo la vostra medesima opinione sulla topografìa romana della città. Ad aggravare la cosa si aggiunge che nella mia recensione alla Liguria Romana del L. che, con enorme ritardo, vedrà la luce nell’imminente fascicolo degli Studi Liguri, ho fatto, di nuovo senza ricordarvi, per quanto riguarda la topografìa della Tavola della Polcevera, le stesse osservazioni da voi fatte all’autore nel I\ fascicolo della annata 1939 del Giornale, con tale concordanza di vedute e di ANTICA LIGURIA 171 propiio in un acuto lavoro di elaborazione del ricco materiale archeologico pazientemente e genialmente raccolto dal Maestro (16). Ma Vo-pera del F. va ben oltre questa pur intelligente ed amorosa fatica. λ ito Vitale lia formulato di lui, su queste stesse pagine, uu giudizio che mette conto di ricordare : egli è « un ragionatore implacabile, che parte dai documenti sempre, ma li adopera con tanta finezza, li accosta con tanto accorgimento, che anche le più ardite illazioni e congetture si coloriscono di una luce di credibilità che attira e persuade » (17). A parte un vago senso di dubbio sulla sostanziale validità delle conclusioni del nostro, ch’è proprio del critico illustre, queste parole scolpiscono in modo veramente felice il metodo del F. ; al quale dobbiamo però riconoscere anche una singolare prudenza nelle conclusioni. Egli è uno di quegli studiosi rari (mi vien fatto di accostarlo per questo rispetto ad un suo conterraneo ed amico non meno geniale, cui forse ha dato e dal quale ha ricevuto a sua volta qualcosa del suo metodo : Alfredo Schiaffìni), che elaborano nella propria mente con un ripensamento costante i problemi più ardui e più nuovi, ne colgono l’essenza, tracciano la via da percorrere, senza la mediocre presunzione di giungere a conclusioni definitive, e cioè semplicistiche ; e sono destinati a suscitare in altri amore alla ricerca, mentre la loro probità di studiosi, scevri di ostentazioni, loro vieta di pubblicare il « volume ». Ma i singoli contributi, spunti, note, anche semplici recensioni, son sempre costruttivi, anche se, nascendo per lo più da osservazioni particolari o da casuali riscontri, insomma dalla suggestione del momento che argomentazioni che nessuno potrà pensare che io non abbia mai veduto questo vostro scritto. Ora, io vi prego di credere che, per un caso che non so spiegarmi, non solo il vostro articolo ma tutto il fascicolo mi è sfuggito.... ». Or io, mentre adempio ai gradito dovere, attemperando anche all’esplicito desiderio del Formentini, di dichiarare che quella noticina polemica nei riguardi di altri deliberatamente e per confessato proposito dimentico delle mie osservazioni, non voleva, e non poteva in alcun modo riferirsi a lui, il cui pensiero in proposito non era ancor di pubblica ragione al momento in cui io licenziavo il manoscritto, colgo l’occasione per rilevare come la mia opinione abbia avuto in modo affatto indipendente la conferma più autorevole, quale è il concorde pensiero di un così acuto e profondo conoscitore della nostra storia più oscura; siccchè quella fortuita dimenticanza è per ine, anziché di un ingiustificato rancore, motivo di particolarissima compiacenza', e di incitamento a perseverare con fiducia negli studi intrapresi. (16) Ma in tali lavori il F , del resto già favorevolmente noto per precedenti studi, dimostra appieno la sua indipendenza. Ai frammenti della Forma Spedine del Mazzini le annotazioni dell’amoroso editore danno immediatamente una consistenza nuova (Scavi e monumenti romani del Golfo della Spezia nelle opere edite e inedite di U. Mazzini, « Il Comune della Spezia », II, 1924); e ormai scopriamo un sostanziale capovolgimento di posizioni in quelle Questioni di archeologia luneiise (« Memorie Accad. 'Lunigianese Capellini », MALC. IV, 1923, 91-125), che contengono in nuce già tanti particolari elementi del pensiero critico del F. (17) Cfr. « Giornale », III, 1927. pag. 75. 172 TEOFILO OSSIAN DE NEGRI conferisce loro spontaneità e vivezza estemporanea, sono solo di rado risolutivi. Anzi nemmeno è in programma una risoluzione, che il F. conosce l’arditezza nuova di certe sue deduzioni logiche che acqui stano validità solo attraverso successive conferme, e si riserva quindi ogni volta di tornarci su, spesso correggendo francamente se stesso. E così le ricerche si richiamano a catena, e tutte si richiamano tra loro (1S), perchè tutte si compenetrano di un’unica fonda-mentale sostanza, che è la storia vissuta nella sua organica vicenda interiore, qualunque sia l’argomento particolare proposto o il metodo prevalente dell’indagine ; sicché nessun lavoro può a rigore definirsi archeologico o topografico, storico o toponomastico, e riesce oltremodo difficile stabilire dei gruppi, non fosse altro che per dare ordine e chiarezza all’esposizione. Rinunciamo pertanto a tracciare un quadro sistematico dell’opera del F. che pur sarebbe di per sè molto istruttivo (19), e invece cerchiamo di perseguire, attraverso le (1S) Di tali rielaborazioni successive di singole questioni, ricordo, a titolo di esempio, la geniale ricostruzione dei Fines Sorianenses, accennata in Turris. Il comitato torre sano e la contea di Lavagna dai Bisantini ai Franchi. « ASParm. », XXIX, 1929, pagg. 7-39, ripresa in Scavi e ricerche sul limes bi-santino nelV appennino lunense-parmense. « ASP-arm », XXX, 1930, 39-63, e successivamente ancora in « ASParm. », 1933, pag. XXX seg. e in Per la storia precomunale di Pontremoii. « Quad. Giov. Mont », n. 20, 1938, e che attende ancora Ja sua edizione definitiva; ed in genere quasi tutte le note raccolte recentemente in Studi Veleiati e Bobbiesi, in « MALC », XVII, 1936 (ma 1938), pp. 49-71, la cui fondamentale importanza deriva anche dal valore di conferma che le singole tesi acquistano nella ripresa e nello studio ordinato. (19) Vedi intanto un elenco, per altro non completo, delle pubblicazioni di lui dal 192-2 al 1933 in L. Borghezio, Bibliografia piemontese-ligure, Torino, 19&5. Noi possiamo tuttavia utilmente distinguere, nell’attività del F., alcuni aspetti particolari, cui corrispondono gruppi di monografie in certo modo distinti. Una prima serie di esse, pubblicate tra il 1925 e il 1930, comprende indagini essenziali per ogni successivo sviluppo. Alcune trattano con sicurezza una difficile materia genealogica e feudale: sono i notissimi studi sulla Marca della Liguria Orientale (in questo « Giornale », 1, 1925), sui Bianchi di Erberia .(« Atti Soc. Lig. », LUI, 1926), su Consorterie longobarde tra Lucca e Luni (« Giornale », 1926), sulle Leggende della «Maritima » (Ibid., 1927), sulla Tenuta curtense dei Marchesi di Tuscia in Val di Magra e Val di Taro (« ASParm. », XXVIII, 1928), (per le quali vedi le perspicue note di V. Vitale, Gli studi di Storia Ligure nelVultimo ventennio. « ASI », 1938, pagg. 14-15 del-l’estr.). L’aspetto per noi più interessante di queste indagini sta nello sviluppo in senso topografico delle ricostruzioni genealogiche e storiche; particolarmente notevoli, come vedremo, nei sopra ricordati studi sul limes bizantino (v. nota prec.). Altri lavori risalgono alle origini preromane e romane degli istituti giuridici e territoriali del medioevo: cfr. spec. Conciliaboli, pievi e corti nella Liguria di Levante. (« MALC », 1925 seg.), e Le Origini di Genova (« Il Comune di Genova », 28-11-1926); nonché la ricca serie delle ricerche topografiche sulla Tavola di Veleia, di cui alle pagine seguenti. Questi due distinti indirizzi delle sue ricerche sulla Liguria Orientale, profondamente legate in un sistema chiuso, il F. prosegui fino ad oggi, in monografie spesso non meno essenziali, su Μικαορία, S. Venerio, Brugnato, su cui dovremo spesso tornare. Escono invece in parte da questo quadro, pur non sottraendosi mai alla ANTICA LIGURIA 173 pubblicazioni successive, gli sviluppi di alcuni temi prediletti dal nostro, di carattere prevalentemente topografico ed etnico, che costituiscono indubbiamente il suo apporto più notevole alla conoscenza storica della Liguria orientale o in maggior grado arricchiscono il metodo storico in sè. Nel gran quadro degli studi storico-topografici lunigianesi, che sono il primo e più interessante per noi tra i molteplici aspetti dell’attività erudita del F., rientrano in primo luogo quelli a sfondo genealogico, che si risolvono, attraverso le complesse vicende delle stirpi, nella storia feudale della regione. Anzi proprio in alcune indagini di natura feudale mi par di cogliere il germe di tutta la ricca serie di studi sull’ordinamento territoriale e giuridico della Liguria Orientale in età preromana, romana e medioevale. Scrutando le tenebre del primo Medio Evo lo studioso è costretto a interpretare e sviluppare i pochi dati della tradizione quasi proiettandoli sul terreno, geloso custode delle memorie antichissime, che spesso rigermogliano nelle vicende nuove; entra in gioco, insomma, con tutta suggestione di sviluppi stoiici et etnici, Quasi a cogliere non solo il volto ma anche la sostanza di vita dei monumenti studiati, alcuni lavori di carat’ tere più strettamente artistico ed archeologico, ■ sui quali meno ci occorrerà di ritornare; e sono brevi illustrazioni di reperti e monumenti antichi del Lunense (in « NSA », 1930 e « Giornale », X, 1934) o di importanti Sculture longobarde a Ventimiglia (■■ Riv. Ing. Int.. », li, 1936, pagg. 274-284), o della tomba preistorica di Zeri (Ibid., V, 1940, pag. 146-149) già ricordata che si riallaccia, per gli sviluppi etnici, al più ampio e sistematico studio Sulle statue-stele della Lunigiana.... (« Studi Etruschi », I, 1927). Primo tra tutti, è oggi per organicità e per ampiezza, il lavoro sul complesso monumentale’ di Portovenere (Monumenti di P. Restauri 1939-1934. « MALC », XV, 1934. pagg 24-43· riedito con aggiunte a cura del Comune di Portovenere, 1939), clìe conchiude’ gli studi iniziati nel 1929 (cfr. L'abbazia di S. Pietro in Portovenere « Giornale », V. 1929) per i restauri intrapresi dal Comune. Talvolta le ricostruzioni storiche ricavate con felicissimo intuito dai monumenti trascendono le stesse premesse documentarie: come in due brevi note: Monumenti e memorie della Svezia antichissima, in « Comune della Spezia », Vili, 1932, e Una testimonianza d'arte romanica alla Spezia, « MALC », XVI, 1935, 58 segg chiarificatrici di importanti questioni itinerarie; a non voler ricordare il già cit Conciliaboli.... che da una originaria indagine archeologica sulla pieve di Franiura trae spunto per una delle più geniali conferme della teoria della continuità pagense nelle pievi. Ancora una particolare menzione, anche perchè si ricollega ad un’altra ricca serie di studi sulla storia e la demografia della Spezia antica e moderna, apparsi in gran parte nello stesso periodico, merita il recente Portus Lunae' Luni e la Spezia, « 11 Coni. d. Spezia », XVII, 1939, pagg. 5-15, che conferma ancora una volta, a parer mio senza più possibili obbiezioni, l’identifica-zione del meraviglioso approdo romano col «Golfo dei Poeti».’ Tesi invero non nuova per il F. (cfr. Dal Portus Lunae al Golfo della Spezia, Pontre-moli, 1910 e poi Questioni cit. « MALC », 1923, pag. 105 segg.) e del resto oggi generalmente accettata (cfr. tra l’altro Lamboglia e Crnorro, op. citt.) ma comunque dal nostro ripresa e più solidamente riaffermata contro la recente e pur autorevole tesi contraria della Banti, in Luni, 1937, pag. 68 segg., confermata anche da P. Fraccaro, in ree. alla stessa, « Athenaeum », 1939. 174 TEOFILO OSS ΓΑΝ DE NEGRI la sua prepotenza, l’ambiente. Per esso il mondo barbarico e medievale par profondere le sue radici nella storia antichissima, e questa a sua volta si illumina e si colorisce da quello; sicché da tale processo di indagini parallele e reciproche trova brillante conferma per la nostra regione la teoria ormai largamente dimostrata, ma sempre capace di sviluppi, della continuità nelPAlto Medio Evo di istituti giuridici e agrari preromani e romani, con tanto acume e dottrina studiata topograficamente e giuridicamente su più vasto orizzonte, dal Mengozzi e da Gian Domenico Serra (20). La necessità dunque di spiegare la mancata coincidenza tra corti e pievi in Lunigiana (che è quanto dire tra unità economico-agrico-le, i funài antichi, e circoscrizioni demiche e politiche, i pagi), non- (20) Ricordo, tra i saggi più felici sotto questo punto di vista: In Antiate {St. Vel. e B. cit., 1), audace ricostruzione, da un vago nome del Medio Evo, di un organismo primitivo, fondato su un demotico ligure, del quale il F. ricrea letteralmente la vicenda; e Curtis de Carice (Ibid., n. 4) ove il pago primitivo è desunto in modo essenziale dai docc. del Codice diplomatico bob-biese„ Naturalmente non sempre e non tutto quanto il F. ci prospetta convince. Anzi questo suo persistente risalire al substrato preromano o romano, con un procedimento sottile, a volte quasi naturalistico, sarebbe metodo pericoloso, quando non fosse sorretto da un equilibrio e da un senso autocritico particolari; e lascia in realtà a volte alquanto perplessi sulla sua validità, come quando il F. pare riconoscere una persistenza e una continuità di tipi edilizi « mediterranei » ed « italici » nelle case « a solario » di Val di Vara {Note sulVArchitettura rustica.... cit. « Lares », 1937); o quando sospetta ed afferma rantichità preromana della Comunitas Blaxiae (« Com. d. Spezia », XVII, 1939), che ha pur una fisionomia inconfondibile nel Medio Evo. Vedi peraltro un esempio felice di ricostruzione preistorica nello studio su Berceto (Studi V. e B., cit., 2) e soprattutto nella monografìa su II Monastero dì S. Maria e la Sagra di S. Michele sul Monte di Mulazzo (« ASParma », XXXV, 1935, pagg. 197-204) per quel che riguarda la traccia di culti preistorici nella Sagra (pag. 201 sgg.). . Così può riuscire meno persuasivo in ricostruzioni linguistiche e toponomastiche, nelle quali, a onor del vero, egli non ha mai insistito, lasciando agli specialisti l’ultima parola, e tornando anche a correggere irancamente se stesso, ogniqualvolta nuovi studi o nuovi ripensamenti gliene offrivano 1 opportunità. Son certo che egli oggi non convaliderebbe più il celtismo di tanti toponimi lunigianesi, affermato quando ancora egli, quasi inavvertitamente, soggiaceva al fascino della teoria del Mazzini sulle statue-stele, accettata tia l’altro da quasi tutta la scuola linguistica e paletnologica francese, e che pure il F., sorretto forse proprio dal suo istintivo senso dell ambiente, ebbe il coraggio di ripudiare senza reticenze. (Cfr. Per un dizionario toponomastico della Lunigiana, « MALC », V, pag. 175 segg.; La diffusione dei Liguri an tic v ecc. « Giornale », I, 1925, pag. 55 segg.; Note per lo studio della topografi fondiaria e della toponomastica etrusco-romana nel Golfo della Spezia.^ « MALC. ». IX, 1928, pag. 88 segg.; e per la questione delle stele, prima dell’ampio studiò del 1927, in « Studi Etr. », I, già nel 1924 un cenno importante in un Necrologio di U. Mazzini, in « ASParm. », XXIII, 1923). Ma comunque, a parte qualche deduzione eccessiva, il sostanziale valore del metodo permane, e le ricerche son sempre utili, non fosse altro a sgomberare il terreno da erron più perniciosi, o a rivelare problemi o realtà prima inconsiderate. ANTICA LIGURIA I75 che tra diocesi e municipi romani i21) porta il F. a risalire alla Tabula di Veleia, rinnovandone il riconoscimento topografico tentato m modo sommano dal De Pachtkre (»), in studi fortunatissimi e cne rimangono ancor oggi, per certi rispetti, fondamentali (23) ; dalla originale ricerca Per la storia preromana del Patio.... (« Studi Etruschi », III, 1929, pagg. 51-66) sulle cui conclusioni etniche e linguistiche ci converrà formulare più avanti riserve d’ordine generale alla Korma ReipuUicae Veleiatium (« Boll. Stor. Piacentino ». χχγ’ 1930, pagg. 3-20), più organica e perspicua, pur nella sua rapidità! e per nulla viziata, come la precedente, da preoccupazione di tesi estranee al soggetto. E però è anch’essa ancora in parte uno schema, la base di un sistema passibile sempre di perfezionamenti e sviluppi che il F. si riprometteva allora dagli studiosi regionali, ma che non ha mancato di elaborare in seguito, e fino ad oggi, egli stesso (24) Da questa ricostruzione topografica del municipio veleiate e in parte di quelli contermini nasce la prima riprova della organica unità del territorio montano della Liguria Orientale. Ma la reciproca validità delle conclusioni dell’indagine preistorica e medievale ci vieta di isolare questo gruppo di ricerche da quelle più propria mente medievalistiche del F. Nel ricercare le origini delle circoscri zioni politiche medievali egli è spesso costretto ad arrestarsi ad un momento in cui l’ordine antico è stato radicalmente sconvolto dall’assidua pressione longobarda contro la Provincia Maritima Italo- (2i) Cfr. La tenuta curtense, cit. « ASParm. », xxvm, Spec. pas^ i--> segg., 34. * ' ~ (22’) G. De Pachtère, La tabte hypothécaire de Veleia. Etude sur la vromieté foncière dans VApennin de Plaisance, Paris, 1920. (23) G. Monaco (Veliera. Note storico-topografiche, in « MALC » XVii 1935 spec. pag. 24, nota 42) pare anzi pronunciare in proposito la parola « definitivo », che le stesse ulteriori ricerche del F. dimostrano inopportuna (24) cfr. spec. gli studi oggi rielaborati e raccolti nella miscellanea « Studi Vel. e Bobb. », e tra le identificazioni occasionali, pietre non meno preziose a consolidare l’edifìcio, quella veramente fortunata del toponimo Meline nel recente studio sulla Pieve di S. Giorgio in Val di Taro (Parma. 1939; Tra i contributi di altri studiosi, che rientrano 111 questa stessa atmosfera di studi ne ricorderemo due magistrali, di G. Mariotti, Il Pagus Mercurialis della Tavola Veleiate e il conciliabolo ligure di Robbia.no, riassunto in « ASParm. »' XXXIII, 1933, pagg. XXIV segg. (e di lui ricorderemo anche l’importante monografia sulla Pieve di S. Maria di Fornovo. « Giov. Mont. ». 15-IV-1930 e Parma, 1937), e di G. Micheli, I livellari vescovili nelle terre di Bercelo, a Bibl. Giov. Mont. », 11. 100, 1935 che tratta acutamente dei saltus praedìaque Berusetis e dei coloni lucenses della Tavola. Dei pagi limitanei verso il libar-nese trattano, sulle orme del F., anche G. Monaco, in Forma Italiae, Liburna Roma,1936, e con maggior acume ed indipendenza il Lamboglia (Lig. Rom l, pag. 266 segg.) il quale aveva anche in precedenza tentato di applicare il metodo di ricostruzione dei pagi del F. a un settore della Liguria Occidentale (Topografìa storica delllngaunia nelV antichità. Albenga, 1933, pagg. 24 segg 53 segg. 176 TEOFILO OSSIAN DE NEGRI rum, organizzata contro (li essi in saldi castra limitanei, penosamente e a grado a grado sopraffatti (25ì. È merito anzi precipuo del F. aver riconosciuto e messo in rilievo questa duplicità di origine, antica ed alto medioevale, delle circoscrizioni più recenti, in quella ricca serie di studii, iniziatisi con la Marca Januensis (1925), in cui i due campi di indagine cooperano congiuntamente alla soluzione dei gravi problemi proposti. Ora 1 -intima organicità dei due ordini di ricerche è appunto fondata in modo essenziale sulla loro stretta aderenza alla « territorialità » della regione studiata, e ne ha chiara coscienza il F. stesso, quando riunisce, come si è visto, in un corpo, alcuni particolari Studi Veleiati e Bóbìriesi, che spaziano in una storia di millenni singolarmente uniforme (°6). In verità, è bene ricordarlo e premetterlo a scanso di equivoci, F unità topografica, e storica in questione è profondamente radicata nella natura delFambiente, ma non si traduce quasi mai, nel quadro della storia, in una unità politica ed amministrativa evidente: rimane una tendenza. L’assetto politico ci appare mutevolissimo, capriccioso, sfuggente; e proprio in questa incessante mutevolezza tormentata da mille contrasti, che è ancora di oggi (27), sta la sua relativa organicità, la sua concordia discors. In particolare teniamo presente la legge che le montagne e i crinali qui non dividono, ma congiungono, che il passaggio delle popolazioni dall’uno all’altro versante è frequente e facilissimo, che zone di diversa cultura si ricercano, e nel congiungersi integrano la loro insufficiente economia agricola (28). Con queste necessità economiche spesso concorrono pressanti ragioni strategiche. Sicché vediemo di volta in volta Lucca occupare le alte valli della Magra e del Taro, che sfociano rispettivamente nelle aree di Luni e di Parma, Parma estendere la sua giurisdizione nelPalto Serchio, modenese e reggiano, il comune di Piacenza sostituirsi a quello di Parma nel rivendicare le terre che già erano state di Lucca, pur attraverso gli ardui (25) per tutta questa capitale vicenda vedi in appresso più ampi cenni e L maggior chiarezza dei riferimenti successivi, e data l’importanza della raccolta, ne accenno qui il contenuto sommario: 1) In Antiate (per cui cfr. « ASParm », XXXV, 1935, pag. 99-100); 2) Snltus praediaque Berusetls }ci*· « Boll. Stor. Piac. », XXXI, 1936); 3) Saltus Carucla-Velius (cfr ibid.); 4) Curtis de Carice (cfr. « Quad. Giov. Mont. », n. 2, 1937); 5) Infra valle, saline quattuor: 6) Ecclesia in honore Sancti. Petri, 7) Alpe Adra. (27) Anche oggi Genova giunge con la sua giurisdizione provinciale nelle alte valli di Scrivia, Aveto, Trebbia, e ben più vaste zone di questi stessi bacini montani gravitano sulla economia genovese, ed aspirano a ricongiungersi alla metropoli ligure. ______ (28) Rimando per tutto questo, a prescindere dalla letteratura geogiafica generale, ancora agli studi del Giuliani, cit., e a quanto ho accennato io s esso, con riferimento soprattutto al territorio tra Scrivia e Irebbia, in varie note del già ricordato studio Valbrevenna. ANTICA LIGURIA 177 passaggi traversali del Nure e del Ceno, la diocesi di Luni scendere dal Gottero e dal Brattello al Gotra ed al Taro, e Genova conquistare a danno di Limi l’alta Vara dopo il declino di Brugnato (29j. Ora, questo avvicendamento risponde sì a fattori geografici e topografici essenziali, ma in quanto con essi cooperano forze storielle complesse che, pur conformandosi a quelli, hanno d’altronde la propria ragion d’essere. Due sono le tendenze che, in reciproca antitesi, contribuiscono a determinili e 1 aspetto politico generale della regione, l’una propria delle ere di intensa civiltà « organizzatrice », e l’altra delle civiltà primitive. La prima tende ad infrangere il blocco, annettendo i frammenti alle unità civiche periferiche, l’altra a circuirlo, a isolarlo, e perciò a ricomporlo. Deiraceennato isolamento in età protostorica (cfr. sopra pagg. 11 e segg., nn. 11 e 12), quando la Liguria orientale del ferro ruppe la continuità originaria con i centri di irradiazione lombardi della civiltà incinerante (di Golasecca), è prova ancora il suo perdurare in piena età romaua, quando la Tavola di \eleia, documento epigrafico unico, pare rivelarci una persistente unità demica veleiate, « superante di gran lunga i confini del posteriore municipio romano di Veleia », confortata del resto da una esplicita testimonianza di Plinio (30). Sulle rovine di questa unità, limitata ma non distrutta da Roma (31), con lo sfacelo dell’impero e la nuova fase storica di predominio della campagna, anzi della montagna (32), sull’ordinamento cittadino, sorge un nuovo organismo giuridico-economico che tende a ricostituire l’unità veleiate, pur senza riuscire a ricoprirla interamente : il dominio territoriale del monastero di S. Colombano di Bobbio, e, per riflesso e irradiazione da esso, delle altre abbazie regie disseminate per tutto il territorio montano lungo itinerari importanti. Senza che si possa stabilire una qualsiasi continuità territoriale tra questo dominio bobbiese (33), ed unità civili anteriori (esso si stende anzi, per il suo nucleo essenziale, su vasti frammenti (29) Anche per queste vicende vedi particolari e fonti alle pagine seguenti (30) Cfr. St. V. e B., 1, pag. 53 e nota 3. Qui il F., dal demotico Antias, riconnesso per ipotesi con ΓνΑντιον di Scilace, identificato con Anzo di F immura, ricava hi prima spia toponomastica di una continuità etnica di substrato, che viene poi confermando con una importante serie di altri riscontri toponimici più che probabili. Ma l’ipotesi era già antica, anche se vagamente formulata prima, nel F. cfr. Lunigiana, Genovesato e Liguria, in « Coni. d. Sp. », 1, 1923. (31) Cfr. sopra, pag. 10 seg.; e l’interessante rilievo, ancora del F. circa la quasi assoluta mancanza, per il pago di Cicagna ed altri alpestri della Liguria, dei caratteristici toponimi di fondi romani in ianus. (La pieve di Saii Giovanni Battista di Cicagna, Parma, 1930, pag. 9). (32) Cfr. del F., / Longobardi sul Monte Bardone, « Bibl. Giov. Mont. », ri. 73, 1930, pag. 7. (33) Il quale, d’altra parte, si presenta anche discontinuo nella costituzione dei predii e delle corti, cfr. spec. St. V. e B., 7, pag. 69. TEOFILO OSSIAN DE NEGRI di due municipi romani della nostra montagna, Veleia e Libarna) (34)r è innegabile che esso si estende con quasi assoluta esclusione dei territori municipali di Genova e Luni (35), incuneandosi nella- « Maritima », in una zona intermedia, ch’è proprio quella ove il F. ha notato le più rigorose corrispondenze toponomastiche veleiati, e in ogni tempo si riscontra maggior indeterminatezza di ordinamento civile (36j. (34) Cfr. Ibid. pag. 3, introd. e nota Z. Del resto questo aggiogamento di territori municipali disparati sotto il dominio bobbiese, a parte le confinazioni spesso artificiose ed incerte delle circoscrizioni ufficiali (sia dei municipi romani, sia delle più tarde provincie delle Alpes Cottiae e delle Alpes Appenninici e, che troverebbero proprio tra Veleiate e Libarnese la loro coincidenza Cfr. op. e nota cit.), è invero riprova della sostanziale unità del territorio a levante e a ponente della Trebbia (il cui asperrimo còrso così frequentemente incrociato da vie di transito forse* più efficienti, in età primitive, della stessa via che segue il solco vallivo, non appare davvero una linea di demarcazione decisa nel sistema naturale); e perciò dell'appartenenza del Libarnese, fino alla Scrivia, alla originaria unità del territorio montano da noi riconosciuto e studiato. Su di esso, del resto, non meno che verso la Marittima, pare estendersi l’influsso bobbiese, con la fondazione, proprio sulle rovine di Libarnà, dell’abbazia di Precipiano, fortunata matrice a sua volta, per tutta la zona ex libarnese, di una ricca fioritura di monasteri, per i quali cfr. ancora il mio « YaVbrevenna », pag. 87, nota, e tavole annesse, e quivi la bibliografia essenziale, cui deve aggiungersi oggi, del F. Brugnato, Gli abati, i vescovi, i cives, « MALC », XX, pag. 7. Ma su questa zona, per la quale pure abbiamo oggi l’opera diligentissima, ma in qualche parte discutibile, del Monaco, Libarna, cit., molto rimane ancora da fare. (3δ) Cfr. spec. Turris, cit., pag. 31, ove il F. pone gravi riserve aH’identifì-cazione del predio bobbiese di S. Pietro in Genova, oggi peraltro confermata. St. V. B., cit., 6. (36) Invero la conferma più chiara di questa naturale autonomia del territorio già veleiate e poi bobbiese è data dal costituirsi in esso, in epoche di transizione tra la romana, la monastica e quella dell’espansione comunale, di una unità politica e giurisdizionale tipicamente insediata sui valichi, ch’è precipuo merito del F. aver tentato di ricostruire sulla base di deboli indizi acutamente integrati: il castrum bizantino di Turris (Borgotaro), legato per la difesa della «Maritima» coi Fines Castellani (Castell’Arquato), ed il cui territorio « si affaccia al mare sopra Chiavari » : « usgue ad mare pertingit » secondo la formula dell’Anonimo Ravennate, che suggerisce al F. la sua ri-costruzione (Turris, cit., pag. 37) e che efficacemente scolpisce quella configurazione prevalente terra-mare delle unità territoriali liguri, anche minime come le pievi (Conciliaboli cit., pag. 14), già da noi ricordata, che si ripete in modo costante sotto l’azione dei più disparati fattori, siano essi interni ed economici, come nel caso che vedremo del predio bobbiese, siano estrinseci· e militari, di offesa e di difesa, nell’organizzazione limitanea bizantina non meno che nella costituzione delle Marche, centro a terra e fronte a mare, di Torino, Aleramica e Obertenga. Crollando sotto la pressione longobarda il caposaldo Castell’Arquato, crolla tutto il sistema, consentendo agli aggressori « una delle prime uscite sul Mare Ligure » (o. c. pag. 10, 29 seg.). L’unità par ricomporsi poi nel comitato franco « Torresano », che assorbe gran parte dei predii'bobbiesi, tra le valli appenniniche e Lavagna. Vero è che il F. stesso, sulle orme del Vaccari (pag. 9) avverte la fragilità e inconsistenza relativa di questa circoscrizione (Bobbio, Turris, Lavagna son zone insufficienti a comprendere ciascuna un comitato, quasi frazioni di un’unità più antica, o co- ANTICA LIGURIA I79 Oia questa costituzione di nuclei economico-politici e giuridici autonomi in età primitive risponde in sostanza sempre all’intima ìagione dell isolamento e dell’insufficienza economica della regione montana L esame della Tavola di Veleia ci pone di fronte a una zona indubbiamente povera, anche se non si può accettare senza riserve il quadro di estrema desolazione che ce ne fa il De Pachtère · della povertà delle corti appoderate con stento e fatica dai monaci bobbiesi è conferma lo studio dei diplomi bobbiesi che, tra l’altro il <. a per Cance, Turris ed « Alpe Adra ». Anzi da questa intrinseca mitati minori), e notevoli dubbi affaccia sulla validità di quella ricostruzione, in indagini informatissime, Ferruccio Sassi, il « Comitatulus » di T ava ΧΠ t χΓ^Γη*1 ÌT?? ,m il Tirreno e la Valle ** Po. \ MALC?; ? +· "1 ’■ 1 iì, altlove· E del resto è molto sintomatico il silenzio delle fonti classiche sull appartenenza in età romana del territorio tra Genova e S iq^Chpf°r GABOTTO; sui Munitivi romani, e A. Ferretto, IL ÌoTTO cit °ggl LAtMR°GLIA’ Lig- Rom > 228-232; Cu- ROTTO cit. pag. 47 e nota 3o, e ancora Lamboglia, Lig. Ant pat? 270 nae-ina questa, veramente significativa). Anzi in questo incerto ordinamentoTivfle Òn* ginano saranno da ricercare le causo prime di quelia posteriore inconsistenza e precarietà de. comitati Ma al F„ quali che siano le conclusioni ultime della cntica ,il prob.ema del comitato torresano è tra l’altro oggi riesaminato acutamente da G P. Bogneiti. Il Gastaldato longobardo e i giudicaTdi Adaloaldo, Anoaldo e Periarido nella lite fra Parma e Piacenza in Studi in onore di A. Solmi. Milano, 1941, vol. Il, spec. a pag. 135 sgg)spettoÜ me rito di aver riconosciuto l’indipendenza antica di questa terra da Genova da Piacenza e da Luni (o. c. pag. 25 segg.) poi esaurientemente confermata dal Sassi io. c. pag. 35, 41 segg.); che è quanto soprattutto importava aSS ruev are. (37) Cfr. spec. Turris cit. passim; St. V. e B 4 5 6 7· jntnmn di S. Gioroio in Val di Taro, 1939, cit. Le indagini sui’predii bobbiesi specie della Marittima (e di quello stesso di S. Pietro in Banchi di Genova) cellu e agricole autonome o complementari della vita economica dell’abbazia nro-vano il carattere anche economico dell’espansione bobbiese (per cui vedi no-o-f un’acuta pagina postuma di G. Mariotti, in La strada Francesca di Monti Bordone ecc., « Quad. Giov. Mont. », n. 59, 1940, pag. 13 seg., ove si ha anche un primo sicuro riconoscimento dell’.. Alpe Adra » bobbiese oer cui nfr Formentini in St. Vel. B., 7; tale aspetto è del resto confermato dalla coincidenza, nella stessa zona marittima, di beni al sole di molte altre abbazie longobarde, in rispondenza alle necessità economiche del sistema monastico sia pure in rapporto con la politica regia che protegge tutti i monasteri· Bruciato Berceto, S. Marziano di Tortona, S. Pietro in Ciel d’Oro. (Cfr soec la nota su Midazzo, cit., pag. 201, e Brugnato, pag. 13). Queste stesse'necessità eco nomiche contribuiscono cosi a dare anche al dominio bobbiese quell’orientamento verso il mai e eh è quasi connaturato alle circoscrizioni liguri Per quanto alla costituzione della non ben definita unità bobbiese per la quale non so se. si sia mai tentato uno studio sistematico sotto questo interessante punto di vista (il notevole studio di Mathilde Uhlirz, Die ottonischen Kai scrprivilegien fin das Kloster Bobbio, in ., Archiv für Lrkundenforschun^ .. 1935, che peraltro non ho potuto vedere, si riferisce comunque ad utifeta no’ steriore a quella della prima costituzione del predio in età longobarda) con .corrono in effetto molteplici cause, di libero adattamento all’ambiente’ e di autorità. E del resto Bobbio è fenomeno complesso, che in certo modo eredita nell’Alto Medio Evo, la funzione colonizzatrice e ordinatrice degli antichi isti-tuti municipali romani (cfr. St. V. /?., 4). .180 TEOFILO OSSIAN DE NEGRI povertà della regione, e cioè dalla presenza in essa di compascua e bona publica antichissimi (3S) traggono origine, in età disparate, fatti singolari; in antico una delle realtà più curiose, e, fino a ieri, più sconcertanti, della topografìa veleiate: la confìnazione di Veleia con Lucca e la presenza di coloni lucenses tra le più interne valli, da Bedonia a Bercelo, ove si costituiscono prima consorterie economiche e fondiarie di coloni organizzati in forma capitalistica per sfruttare i saltus pracdiaque, e in processo di tempo si conferma, sulle orme di quelli e con Pappoggio di Roma, in virtù di adsignationes, il dominio territoriale del Municipio di Lucca (39). Su questi stessi bona piiblica, si esercitarono per lo sfruttamento, e poi per il possesso diretto, le contese di Piacenza e di Parma cui sopra accennavo (40), e parimente in zone interpagensi, estranee ai centri plebani tra antiche comunalie, incorporate al demanio regio per diritto di conquista, hanno, per donazione sovrana di quella res nullius, la loro prima costituzione e il primo nucleo poderale i grandi istituti abbaziali (41). (3S) La funzione sociale e politica di questo tipo giuridico rurale primitivo nella costituzione del pago arcaico a centro pascolativo, è ben nota, attraverso l’opera di altri e del nostro (cfr. spec. Conciliaboli....; Origini di Genova; Stona prerom. del Pago, citt. Qualche limitazione in F. Sassi, o. c., pag. 27 seg.·, e se ne potrebbe forse estendere l’efficacia anche nella formazione di aggre gati etnici maggiori. Cfr. ancora il .mio Valbrevenna, pag. 102, nota 2. (39) Che la forma giuridica di questo sfruttamento collettivo si sia continuata, per parte di consorterie lucchesi fino al sec. XIII è la stupefacente scoperta del Micheli (o. c. su Bercelo), acutamente utilizzata dal F. per confermare e sviluppare anche negli aspetti giuridici, economici e politici, la antica penetrazione lucchese, nel sistema veleiate, già prima intravvista nell e-same di documenti feudali. Cfr. La tenuta curtense e Forma Beip. Vel. citt., « ASParm. », XXIX, pag. 260, XXXV, pag. 359, St. Vel. e B., 2. (40) Cfr. Turris cit., pag. 11 segg.; St. V. e B., pag. 56 e nota o, ed oggi io studio del Bognetti, cit. (41) Di questo frazionamento in predii per l’assegnazione regia ai mo steri primo e classico esempio è la stessa tenuta bobbiese, sorta in alide zone intermunicipali, donde si estese per successivi* donazioni attraverso proprio ι saltus praediaque dell’alto Ceno e Taro, in « Maritima » ove incorporei a, ina solo tardivamente, e sempre con esclusione delle pievi risorte sui pagi, le minori unità agricole costituite sui fondi signorili del contado m forma autonoma già nei bassi tempi imperiali. {VaAlpe Adra » e il predio genov® a Banchi, in St. Vel. B. cit. 6 e 7). Per Berceto basti il richiamo ai Saltus prae-diaque Berusetis della Tavola e a quanto si è sopra ricordato. I anmenti nell’agro compascuo e lungo i crinali ed i valichi deH’Appeiinmo si stendono beni di S. Pietro in Ciel d’Oro (cfr. Mulazzo cit., 201). Ma 1 esempio pm significativo è forse ancora Brugnato, del cui organismo economico e p i sarebbe oltremodo proficuo al nostro proposito seguire, sulle orme dei K {Brugnato cit.), tutto il processo di formazione e di dissoluzione. Lffettivamente la sua vicenda ha la sua ragion d’essere nell’ambiente « incolto ». N^que « in suolo vergine » (pag. 18) (e da tal fatto il F. deduce la riprova dell originario carattere regio dell’istituto e della sua fondazione in età longo ai ), non ebbe sviluppo demografico e territoriale, nè dette agli abati-vescovi agio di vita adeguata alla potenza. Cessata la funzione squisitamente politica de a ANTICA LIGURIA 181 Passando ora dalle forme di insediamento e di ordinamento civile primitive a quelle cbe sorgono in dipendenza di forze organizzatrici più vaste e più progredite; e cioè dalle forme particolaristiche ed autonomistiche, regionali e rurali, a quelle disciplinate, urbanistiche o nazionali, insomma autoritarie, imperialistiche, scopriamo che 1 azione determinatrice dell’ambiente su quelle forze estrinseche non è meno efficace. Talvolta anzi proprio gli stessi nuclei di insediamento economico particolari che abbiamo riscontrato nell’agro compascuo, sotto un punto di vista più generale e politico, rappresentano il braccio avanzato di forze che operano da fuori e da lontano, secondo un programma organico ed autoritario che in parte si spunta, costretto ad adeguarsi all’ambiente. I beni assegnati dai Romani ai Municipi di Piacenza, di Parma, di Lucca sulle zone comunitarie o sul territorio delle tribù vinte (42), con la conseguente riduzione ai minimi termini della circoscrizione municipale veleiate, rappresentano un aspetto dell’insistente assedio di Roma contro la Liguria montana, per sgretolarne la consistenza e piegarne la resistenza; cui corrisponderà in età longobarda, con un analogo criterio di intransigenza politica, il sistema di assegnazioni regie ai monasteri per l’effettiva conquista di un territorio rimasto sordamente ribelle anche dopo la spedizione di Rotari (43). Ma la forma più tipica in cui si rivela la reazione dell’ambiente alle avverse azioni periferiche sta nella necessità che ogni forza esterna al gruppo sente di annetterlo interamente, senza scissioni e soluzioni di continuità, che per la potenza « imperialistica » rappresentano una insidia perenne. L’organizzazione limitanea bizantina, che riutilizza contro i Longobardi il limes costituito già in età tardo-romana, fa capo alla Maritima, e questa si appoggia alla talassocrazia bizantina del Tirreno; ma estende la sua fronte sino a fasciare e comprendere tutte le propaggini dei monti verso il Po e la pianura, costituendo su di esse ed oltre il crinale, a ridosso della Riviera, in Val Ceno, in Val Taro, in Val Parma, una catena di castra, per fondazione originaria, che era coincisa con un periodo di economia primitiva, e cioè di autonomia e di predominio del contado, era cominciato il declino! sotto l’azione disgregatrice delle famiglie feudali e delle fazioni popolari del borgo, nonché la compressione di Genova. L’esilio pontremolese dei Vescovi segna la fine di Brugnato, ridotta anche più di Bobbio a un ricordo, e lo sfasciamento del suo organismo vescovile e politico, riassorbito dai vescovati e comitati di Genova e di Luni. (42) Cfr. anche su questo, in generale, la citata recensione al Lamboglia, in « Giornale », X, 1934, pag. 42 segg. (43ì Sulla persistenza bizantina in Maritima e anche nell’alta Magra, in rapporto col transito dalla Italia padana alla Tuscia, il F. insiste in molti scritti, anche recenti: Scavi e ricerche sai limes cit.; Itinerarii medievali. Via quam Bardum dicunt « MALC», XIV, 1933, pag. 42 segg. ; Μικαορία « Atti del V Congr. Intern. Studi Bizantini », 1930, pag. 175, e cfr. anche per questo il cit. studio del Bognettï, pag. 121 sogg. .182 TEOFILO OSSIAN DE NEGRI garantire i valichi troppo depressi (44). Vero è che ben presto, iniziatosi lo sgretolamento del sistema ad opera dei Duchi di Piacenza e di Parma, con le annessioni dei fines Medianenses, dei fines Castellaniy di Turris, del Castrum Bismantinum, si inizia anche un lungo periodo in cui Bizantini e Longobardi si spartiscono il dominio della regione. Ma è un condominio in perenne contrasto, e, per quanto ci è dato penetrarne la tenebra, indefinito. La linea di demarcazione tra le potenze avverse è in costante movimento, e i pas saggi sono comuni e incrociati, per Pobbligato transito dei Bizantini dalla Urbicaria alla Annonaria, da Luni a Ravenna, e dei Lon gobardi da Pavia a Lucca, dalla Longobardia alla Tuscia. Questa è una riprova, stante l’antagonismo dei due mondi, della precarietà del condominio. E infatti i Longobardi non cessano un giorno dal Pinsistere alPoffensiva, condotta con ogni mezzo, dalla violenza armata e intollerante di Rotari, alla pacifica penetrazione monastica di Liutprando. Veramente la colonizzazione monastica si era iniziata;, come è ben noto, già alle soglie del sec. VII, pochi decenni dopo l’invasione, con Pistituzione bobbiese, ed ebbe spesso un atteggiamento non favorevole ai Longobardi, come riafferma il Mariotti cit. (pag. 12) accettando un’opinione delPHartmann ; ma si era propagata sulla nostra montagna con una coincidenza rispetto alla più sollecita conquista longobarda che non può non essere almeno posta in significativo rapporto con quella. Solo però nelle fondazioni monastiche di Liutprando « si traduce e si esplica quel superiore concetto della territorialità dello Stato che la monarchia barbarica aveva raggiungo alPinizio del secolo Vili » (45). La funzione squisitamente culturale e politica di queste fondazioni appare dunque, almeno in quel secolo, intenzionale ed esplicita, nè richiede ulteriore conferma diplomatica (46). Io insisto ora soltanto su di un criterio topografico-sto- (44) Le fondamenta di questo sistema di indagini particolarmente care al F (cfr. « Giornale », X, 1934, pag. 46), sono anzitutto la relazione critica degli scavi sul limes al Μ. Castello di Filattiera, e Turris, più volte ricordata Ma le tappe della ricostruzione sono da allora continue e ins stenti, dai Anes Sorianenses (per cui cfr. sopra, pag. 16, n. 18), ai Fines Castellani (cfr. /n tiate in St V B. cit.), ai Fines Garfanienses, sulla fronte della « Mantima » versò la Tuscia, dei quali ultimi abbiamo nel Μικαορια cit. Vn, sicuro, inquadrato in una esposizione dei principi essenziali delsistema.che è fino ad oggi, in attesa della Storia di Genova, la più persuasiva e ordinata. Cfr. in proposito anche lo studio del Grimaldi, di cui alla nota seguente, spec. Pa^45?9’cfr Bruanato pag. 8, e ancora pag. 5 segg. ove è posto con assoluta chiarezza Π problema^ g'ià spesso accennato dal F non sole. per Brugnato stessa, ma per Berceto e per S. Pietro in Ciel d Oro, Borzone, Precipiano, Sa-vignone cfr « Giornale », X, 1924, cit., Mulazzo cit. Tunis cit. ecc. («) La tesi' del resto non è nuova. Per Bobbio la sostennero storici autorevolissimi: TAMASSiA, Hartmann, Gaudenzi, Romano, Volpe. Ho presente in particolare N. Grimaldi, S. Colombano e Agilulfo. « ASParm. », XXX, 1930, ANTICA LIGURIA 183 nco . che le donazioni regie coincidono con quella zona nullius che maggiormente si presta alla infiltrazione longobarda entro il sistema bizantino. Questa penetrazione, da quegli stessi diplomi che ci disegnano l'avanzata del potere abbaziale, ci si rivela protetta e accompagnata da un ben preordinato sistema di impianti militari, di cui proprio in quel tratto intermedio che dal Valtarese domina la Riviera, penetrata dalla colonizzazione monastica più antica, il F. ha riscontrato tracce significative nella presenza di distretti militari-a rimannici, terrae arimannorum, in funzione limitanea, verso Moneglia ed Uscio, di fronte alle zone di estrema resistenza bizantina rispettivamente di Genova e Luni (47). È quel tipico cuneo di penetrazione, che si incide in un territorio naturalmente precostituito ad accogliere un movimento longitudinale, da cui i Longobardi insistono nella loro pressione, fino a che non abbiano gettato a mare i Bizantini, e così ricomposto a loro vantaggio la continuità di possesso di tutta la fascia montana fino al suo limite esterno. Potremmo proseguire oltre e a lungo in questo esame geostorico, «sempre sulle orme del F., a rilevare la perenne vicenda della singolare unità, spesso intaccata dalle forze esterne che tentano di sgretolarla a loro profitto, ma che si ricompone sempre e si chiude nell’assedio della civiltà, sia essa Petrusca o la celtica, la romana o la comunale, e in certo grado persino la moderna. In realtà anche nel profondo sconvolgimento e nella frattura politica dell’età barbarica, su cui maggiormente ci siamo soffermati, essa si riafferma spec. pag. 94 segg. Il F. apporta alla tesi il contributo notevolissimo delle sue ricostruzioni storico-topografiche. E non vale ad indebolirla la sola obbiezione forse che si potrebbe opporre: che l’istituto bobbiese risponde in primo luogo ai fini della propagazione del Cattolicesimo in un paese ancora semipagano (cfr. in proposito anche il F. Limes cit., pag. 60 segg.; Brugnato pag. 8) e tra i Longobardi stessi in parte ariani; programma che invero trascende di gran lunga quello politico dei patroni, e crea anzi talora rapporti di freddezza tra gli abati e i sovrani, specie dopo la morte di Teodolinda e Agilulfo, e col nuovo sopravvento del partito ariano contrario alla politica religiosa di quel re (Grimaldi cit., pag. 114 e cfr. pag. 99); nè è senza significato il prontissimo omaggio dell’abate, forse preoccupato degli interessi preminenti del Monastero, a re Carlo vincitore di Desiderio, omaggio che fruttò a Bobbio donazioni oltremodo preziose a convalidare un’autonomia economica e quasi politica forse già in atto da tempo (cfr. « Alpe Adra » St. V. B., cit., pag. 20; Brugnato, pag. 9, e Mariotti, La Strada Francesca cit., pag. 13 segg.). Ma ciò* non toglie che, qualunque possa esser stato l’atteggiamento di indipendenza e magari di opposizione di Bobbio di fronte ai re longobardi in particolari momenti della sua storia, i monaci non possono non aver contribuito, inizialmente con funzione anche politica, dopo Liutprando in forma squisitamente culturale, e magari inconsciamente talvolta, all’affermarsi di un potere, d’altronde intransigente e geloso, dal quale di fatto dipendeva gran parte* della loro fortuna. (47) Cfr. spec. ancora Turris, pag. 32; La Pieve di Cicagna, cit·., pag. 7; e sulle arimannie F. Sassi, o. c., pag. 39, e G. P. Bogneiti, o. c., pag. 135, che sembrano in parte dissentire dal nostro. 134 TEOFILO OSSIAN DE NEGRI in quella denominazione di Alpes Apeiminae tardo-romana, ma a lungo persistente e non con funzione di puro nome (48), che risponde alla realtà storico-geografica perenne della regione ben più intimamente che la più nota descriptio augustea. Non è ancor morto quel nome quando, col passaggio dell’eredità monastica al feudalesimo (49), e la federazione e fusione delle distinte unità gentilizie, mentre le genti rivierasche rifluiscono alla montagna a premunirsi dalle incursioni saracene, si costituisce nel secolo X quella Marca della Liguria Orientale, o Genovese, che, come già i Bizantini contro i Longobardi, ma rovesciati i fronti, troverà proprio nel nostro acrocoro montano il suo quartiere, appoggiato ai capisaldi della pianura, nella lotta vittoriosa contro i barbareschi a loro volta padroni del mare, dopo caduta la talassocrazia bizantina, e nella prima fortunata impresa ligure in Corsica (50). Poi, venuta a mancare la causa estei-na che Pareva per gran parte determinata, il pericolo saraceno, anche questa unità si indebolisce e si sfalda, perpetuandosi nella feudalità malaspiniana, frammentata nell’ampio ventaglio che va da Tortona. alPAppennino modenese e lucchese, sempre più circoscritta e compressa, ancora una volta, dai grandi vescovati e comuni periferici (51), alla cui vita del resto ogni giorno più essa stessa partecipa, in una quasi istintiva reazione al nuovo immiserirsi della vita del contado. Anzi proprio in questo sapiente intervento nel gioco delle parti dei « comuni », ove i signori feudali trovano scudo al e loro gelosie ed appoggio alle loro ambizioni, la feudalità della montagna difende e conferma la sua autonomia (52). E cosi essa gelosamente e sordamente resiste per secoli, sotto la nominale garanzia dell’impero, fino alla Rivoluzione francese, quando, soppressi 1 « l· elidi Imperiali» e la successiva unità democratica dei «Monti Liguri », la regione troverà ancora una volta, segno 11011 ultimo della genialità del Bonaparte, la sua unità nominale e giurisdizionale ne (48) Anche per questo argomento attendiamo la Storia di Genova immi- nei!,e (^r intanto cenni mof.o pépient neil'intr^ione &· pag. 4, ia / Longob. sul M. [lardone, cit., pag 9; « ASParm. , :XXIX, pa*. a . YYV na s m)· S1 1 e li pag 49 e nota 2; Μικαορια cit., pag. 168 e nota ò. ‘ (49) u'el processo di sfasciamento della P01?"» dtó con il progressivo distacco dal potere regio quasi in bai livello i Signori, in un primo tempo chiamati dagli abati siessi a tenere a li beni del patrimonio abbaziale, vedi un esame acuto in Brucinolo, pag. segg. e cfr. Turris, passim, St. V. B., 7, pag. 70. ^5o\ pfr* xfnrm Jnmiensis cit. « Giornale », Vomì. (Γ,η per |a penetrazione piacentina, sulla direttrice stessa, ma in senso oppostofdegÌf antichi lucchesi, cfr. spec .Turris, pagg 11 ed alfa base GNETTi o. C.;· per la conquista genovese della Riviera e 1 aggi e;^ a fV della Spezia alla Lunigiana feudale, cfr. già in Ltm wiam, (lenovesatoj^ guria, 1923, le linee essenziali, e il Brugnato, ! ortiis Lur , Blaxiae, citt. gli sviluppi e la documentazione. . , Mniasnirìa (52) Cfr. sulla astuta politica dei Malaspina, Formentini, Aiticolo Malaspma, in « Enciclop. Ital ». ANTICA LIGURIA 185 « Dipartimento degli Appennini », facente capo a Chiavari. Da oltre un secolo essa persiste come unità etnica e naturale (53), nel cerchio delle ferrovie che, come la grande rete consolare romana, la evitano e, così, la proteggono, ignorata da chi ne vive fuori, ma intensamente sentita, con fenomeni interessanti di reazione, quasi di ribellione spirituale, dagli studiosi locali. Ma la vita intensa della nazione, estranea ed indifferente a questi palpiti della terra, che sanno di sorpassato, non sente, e non può sentire, quelle voci. * * * Tra i molti altri problemi interessanti, anche da un punto di vasta metodologico, che il F. pone e sviluppa, e che non ci è possibile rilevare singolarmente, non voglio passarne sotto silenzio uno ch’è veramente essenziale, e quasi alla radice della unità territoriale delineata : il problema itinerario, già ricordato nelle premesse, e sul quale a bello studio ho evitato di insistere. Ma questo è tema troppo interessante e complesso perchè io mi attenti di svilupparlo nel breve spazio che mi è concesso. Sicché mi riservo ancora una volta di riprenderlo in una nota ulteriore, allargando al tempo stesso il raggio del nostro esame, dal Formentini e dal Lamboglia, a tutta una schiera di studiosi che in diverso grado hanno toccato questo argomento particolarmente allettante e controverso; non certo con la presunzione di risolvere ogni dubbio, ma nell’intento di aggiornare il problema, eliminando possibilmente qualche errore più grave e in ogni modo cercando di rintracciare, nell’aggrovigliata matassa delle disparate opinioni, le poche linee sicure, sulle quali si dovrà proseguire e costruire (54ì. Teofilo Ossian De Negri (53) Non sarebbe meno istruttivo seguire anche nei tempi moderni, oltrepassando il significato contingente dei decreti di ufficio, il valore intimo delle vicende amministrative e politiche, oltremodo varie ed interessanti, ad esempio, per la Lunigiana dell’800 « parmense » come fu detta, e per la penetrazione modenese in Val di Vara e in Luccliesia. Ma ciò esorbita dal nostro piano, ch’era soltanto di accennare ad una tesi, attenendoci al Formentini; e ci siamo anche troppo lasciati trascinare dall’amore per essa e dall’interesse oggettivo dei fatti. Del resto anche questo aspetto del problema è stato studiato, con la consueta passione e diligenza, da Manfredo Giuliani, il sistematico, vorrei dire, di questo metodo « preistorico », quasi naturalistico, nella storia locale; al quale senz’altro rimando il lettore. Cfr. spec. La Lunigiana parmense prima e dopo il 1859. « Quad. Giov. Mont. », n. 43, 1939, e, in riassunto « ASParm. », XXXV, 1935, pag. XXIV segg. (54) Alle note sulla funzione storica degli itinerarii ed il loro sistema nella Liguria antica, seguiranno alcuni appunti sulla costituzione etnica della regione in età protostorica, ed in particolare sulla penetrazione delVelemento etrusco ai margini ed entro il territorio considerato, suggeritemi ancora, congiuntamente, come le precedenti, dalle ricerche del Lamboglia e del Formentini. VARIETÀ UN CRITTOGRAMMA NEL CODICE PELA-VICINO DELL’ARCHIVIO CAPITOLARE DI SARZANA Il noto codice Pelavicino ο Liber üirmm Ecclesie Lunensis che si conserva nelParchivio capitolare di Sarzana, per quanto abbia fornito materia ad abbondante fioritura- di studi sulla Lunigiana co mitale e vescovile tra i secoli IX e XIII, manca tuttora di una diI -fusa indagine e (li una minuta descrizione sotto l’aspetto paleografico e librario (1). Di conseguenza non si è ancora accennato ad un curioso elemento che, sebbene estraneo al contenuto del volume, ne è venuto a far parte, non sappiamo come, ma certo incidentalmente. Tra l’ultimo fascicolo del codice e la guardia posteriore è inserto un foglio di pergamena, cucito insieme con il fascicolo stesso a guisa di custodia. Misura mm. 345 x 195 ed è mutilo per un tratto della parte inferiore a causa della netta asportazione di una larga striscia, praticata con forbici o con lama tagliente. Nel verso, minuti brandelli di carta stampata, ad esso aderenti, attestano l’apposizione del foglio ad un libro prima di entrare a far parte del codice; nel ritto, in inchiostro chiaro, sono tracciate quattro file di lettere, di mano. Luni e a codice l'eiavicinu ueu λί ciuutu u «,«, — ------ vio Storico Italiano », serie V, tomo XIII, 1894, pp. 81-88; L. Podestà, I vescoii di Luni dall'anno 895 al 1289. Studi sul Codice Pelavicino dell Archivio Capitolare di Sarzana, in « Atti e memorie della R. Deputazione di stona potila per le provincie modenesi », serie IV, tomo VI, 1895, pp. 5-14; Il Regesto del Codice Pelavicino, a cura di M. Lupo Gentile, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », XLIV, 1912, pp. VII-X. UN CRITTOGRAMMA. NEL CODICE PELAVICINO DELL’ARCHIVIO DI SARZANA 187 sembra, del Cinquecento. Parrebbe trattarsi, a tutta prima, di un saggio calligrafico, ma una più minuta analisi persuade tosto che ci si trova di fronte ad una scritta segreta! Notiamo anzitutto la suddivisione delle lettere in gruppi : ciascuno di essi è privo di senso, ma corrisponde, evidentemente, a determinata parola. Si rileva poi nei vari gruppi l’assenza costante di vocaboli fra le molte consonanti e la frequente ripetizione di un medesimo segno, la z, la quale compare ad intervalli fra una, due, al massimo tre consonanti : è chiaro quindi che essa tiene il luogo delle cinque vocali. Osserviamo infine che ogni z è accompagnata da uno o due o tre o quattro o cinque punti : sorge spontaneo, tenendo presente l’ordine delle vocali, di stabilire le seguenti equazioni : 2 = a'l = e‘’l=Ì)'lr=0;~£: = u . La scritta è cifrata quindi secondo un semplice sistema letterale di sostituzione e la descrittazione ne riesce senz’altro agevole. Carissimo quanti fratelo, io t’haviso corno som sano ; ma vorei uno piacere da te ; che mi mandasse una pianta de garofani. Chremeseti Quando, da chi e per chi fu redatto il messaggio? Il suo tenore è fin troppo semplice e tale, si direbbe, da non porgere la necessità di ricorrere alla crittografìa per comunicarlo. Semplice esercitazione dunque? O piuttosto una scritta in doppia cifratura : per sistema di sostituzione e per forma dissimulata o convenzionale? In tale caso, che significherebbe essa realmente? Forse si trovava o si intuiva risposta nella striscia tagliata a pie' della pergamena. Geo Pestarino Un celebre pittore Nizzardo: LUDOVICO BREA Nella storica discussione svoltasi al Senato il 9 giugno 1860, il Senatore Giovanni De Foresta, nativo di Nizza, pur riconoscendo che ragioni di alta politica avevano costretto il Re e il Conte di Cavour a cedere la sua adorata città natale alla Francia ricattatrice. chiede che si abbandoni l'argomento dell'esclusione e del dubbio sull'italianità di Nizza, che gli rende l'ingiusto trattato di cessione tanto più amaro : «____Cedete, se inesorabile necessità vi obbliga a questo doloroso sacrifizio, cedete — egli dice — il territorio nizzardo, ma non cedete le sue tradizioni, i suoi fasti, le sue glorie, che sono pur glorie nostre, perchè sono glorie italianeÎ... Nizza, la città fedelissima. sarà una città francese : io però non cesserò di essere italiano e con voi farò voti che. come già una volta, la fedeltà, il coraggio e la costanza di Nizza salvò la Dinastia Sabauda, ora il di lei sacrifizio serva a condurla agli alti e finali suoi destini, e al pieno trionfo della causa italiana !... ». Parole veramente profetiche, in cui vibrano 1 ardore patriottico del nobile nizzardo che le pronunziava, la sua incrollabile certezza nel glorioso avvenire dell'Italia risorta libera ed una. e il suo legittimo orgoglio delle tradizioni e dei fasti italianissimi di Nizza o per meglio dire il suo verace attaccamento alle glorie nizzarde, considerate vanto indiscutibile della grande Patria italiana !... Ecco perchè, oçgi che Nizza è stata finalmente ricongiunta all Italia. è opportuno rievocare il nome ed illustrare 1 opera dei grandi nizzardi, che nel corso dei secoli raggiunsero fama immortale. poeLi. artisti e scienziati insigni, guerrieri ardimentosi, eroi purissimi, i quali ora più che mai s'impongono all ammirazione e alla grati tu dine di tutti gli Italiani. Riandiamo col pensiero alle floride condizioni dell arte italiana uella sei-onda metà del Quattrocento, allorché — specie nell architettura e nella scultura — si matura il passaggio dell arte goiica a quella del Rinascimento. Come la Grecia di Pericle e la Roma dei (. esari. nel secolo X > tutto vibrante di entusiasmo estetico — l Italia s innamora del bello, si tufifa nel rinascente paganesimo del mondo greco-romano pei attingerne forme nuove e si avvia cosi alla grande arte del Cinquecento : il concetto del buono si è oscurato dinanzi al colto del bello e all amore LUDOVICO BRE A 189 del buon gusto, che informano tutte le manifestazioni e le consuetudini della vita sociale. E se è vero che decade la vita politica, splendono però le lettere e le arti; celebri architetti come il Brannelle.schi. Leon Battista Alberti. Benedetto da Maiano, il Bramante ed altri ; glandi maestri della plastica come il Donatello, Luca e Andrea della Robbia, il Pollaiolo, il Yen-occhio e Mino da Fiesole: pittori insigni e starei per dire veri poeti delle carni fior-enti come il Carpaccio, Be-nozzo Gozzoli. il Ghirlandaio, Luca Signorelli da Cortona nei suoi mirabili affreschi, il Beato Angelico che rinnova e ravviva la tradizione giottesca, il Botticelli soavissimo nelle su? fantastiche ngura zioni e il Perugino con le sue Madonne piene di « deità così gentile », portano nell'arte un senso nuovo di realtà e di umanità unito a freschezza e armonia di vivaci colori, mentre il genio novatore di Leonardo da Vinci — scienziato e filosofo, pittore e scultore sommo — riassume in sè tutte le glorie del Quattrocento per la varietà delle naturali attitudini, per la vastità del sapere e per il culto ardente del-Farte. Accanto a questi artisti merita speciale menzione il grande pittore nizzardo Ludovico Brea. nato a Nizza nel 1150 e vissuto a cavaliere tra il XV e il XVI secolo; il cbe nuoce in parte alla sua fama, poiché il nome dei preclari pittori di quelFepoca di massimo .splendore artistico contribuisce forse ad oscurare la sua rinomanza presso i posteri e gli stessi suoi con temporanei . Divorato fin dall’adolescenza dalla passione per l’arte, egli studia il disegno e la pittura a Roma e a Napoli : formatosi cosi alla scuola dei grandi pittori italiani del Duecento e del Trecento, il giovane artista gode ispirarsi alle bellezze naturali della sua Nizza e delia r:-dente Riviera Ligure e i capolavori artistici, di cui abbondano le città italiane, esercitano sul suo spirito un fascino irresistibile. Tutta via. sebbene sia accertato il suo soggiorno in Italia durante la prima giovinezza, taluni storici ritengono fantastico il viaggio che avrebl-e compiuto a Perugia e \ Roma intorno al 1507. Se è vero che il Brea comincia giovanissimo a dipingere e a pri-meggiare. il 1465 — anno in cui egli contava appena tre lustri — non può certo considera rei la prima data della sua attività, come rLsoità da una dubbia epigrafe, collocata sotto la Madonna della Confraternita della Misericordia a Nizza. Un’altra ejrigrafe non attendibile, riportata dalFAlizeri e posta sotto un dipinto nella chiesa di S. Domenico di Taggia. inclita invece Fanno 1473 come inizio della sua carriera artistica e accenna ad una collaborazione del ventitreenne Ludovico Brea con il valente pittore Giovanni Miraglieti. Gli anni dal 1483 al 1513 segnano il massimo fervore della sua geniale attività: l’ultima tavola del celebre maestro nizzardo, di cui abbiamo notizia, reca la data del 1519 e incerto appare Fanno delia sua morte, forse avvenuta fra il ‘22 e il *25. e che fu un grave lutto 190 ARTEMISIA ZIMEI per il Ducato di Savoia, perchè — sebbene egli lasciasse numerosi seguaci, che degnamente continuarono il suo luminoso indirizzo artistico — scompariva con lui una delle più fulgide glorie della Contea di Nizza. Occorre tener presente che Ludovico Brea appartiene ad una famiglia di pittori insigni : poche notizie si hanno, però, di Antonio Brea, suo pai-ente e discepolo, che con successo dipinge a Genova e a Marsiglia ; e di quel Francesco Brea (non si sa bene se suo figlio o suo fratello), il quale magistralmente lavora a Taggia e di cui si conservano a Nizza due tele, rappresentanti S. Rocco e S. Sebastia no (1525). Suo soggiorno preferito Genova e l'incantevole Riviera Ligure, dove nel prospero fiorire delle industrie e dei traffici Parte era purtroppo lasciata in quasi completo abbandono. Infatti, nelle « Vite dei pittori, scultori e architetti genovesi » (17G8), riferendosi alle condizioni della pittura a Genova nel secolo XV, Raffaello Soprani osserva : « .... Se alcuno mi ricercasse, per qual cagione ne’ tempi antichi non fiorissero in Genova, come fiorivano in altre città d’Italia, uomini eccellenti nella pittura ; gli direi che ciò procedette dall'essere allora tal professione in tutto accomunata con l’arte dei doratori, soggetta a’ Consoli, e sol meccanicamente esercitata da gente idiota nelle più vili botteghe. Imperocché, sdegnando molti nobili ingegni d’avere i loro nomi registrati nelle matricole, non si curarono di segnarli nel maneggio del pennello, come avrebbero di leggieri potuto.... ». Da Nizza a Genova, attraverso tutta la pittoresca Riviera di Ponente, si apre a Ludovico Brea l’ampio teatro della sua intensa attività rinnovatrice: innamorato dell'Italia — culla dell’arte, dove risplendeva il genio di maestri sommi — egli vuole risollevare la pittura ligure dalle tristi condizioni di decadenza in cui si trova e con nizzarda tenacia si propone di fare anche di Genova un centro artistico di prim’ordine. Nizza, Monaco, Mentone, Taggia, Savona e Genova segnano le tap pe della sua feconda opera di rinnovamento dell’arte ligure e, ili» dal 1483, fonda a Genova una scuola pittorica, che diviene ben presto una delle più famose delPepoca. Assurge intanto Ludovico Brea ad autentico caposcuola della pittura nella Liguria Occidentale e di venta Pammirato maestro della tanto apprezzata scuola genovese, che annovera pittori di chiara fama quali Teramo Piaggio e Antonio Se mino, « veri imitatoli del fino e delicato suo stile » ; attraverso la su; complessa opera ed i suoi numerosi discepoli, egli prova così la gioia di vedere il suo sogno d’artista fatto in breve tempo realtà e di assi stere al pieno trionfo del suo radioso ideale artistico. Ispirati per lo più ad episodi biblici e alla Passione di Cristo, i quadri dell’illustre pittore nizzardo rivelano il sincero fervore della LUDOVICO BREA 191 sua fede religiosa, che fu la norma costante della sua laboriosa esistenza. A Genova, nella chiesa di S. Maria della Consolazione, egli dipinge uno dei suoi primi quadri, raffigurante F« Ascensione » (18 di cembre 1474) ; a Palazzo Bianco si ammira una sua stupenda « Crocifissione » (1481), nella chiesa di S. Agostino si conserva la grandio sa (( Strage degli Innocenti » e nel l’interno di S. Maria di Castello s’imponeva all’attenzione dei visitatori la tavola di « Ognissanti » (28 ottobre 1513), una delle sue migliori composizioni, passata poi in possesso del conte Mario Spinola di Genova, che la circondò di inaimi preziosi. A Savona, nella chiesa di S. Maria di Castello, figura un polifti-co, dipinto nel 1490 dal Brea in collaborazione col noto pittore Vincenzo Foppa, che esercitò una notevole influenza su la sua arte. Cinque anni dopo, egli compone 1’« Assunzione », destinata al Duomo di Savona ; inoltre, per ordine del Cardinale Della Rovere, che fu poi Papa Giulio II, e in concorrenza con altri valenti artisti, Ludovico Brea dipinge nell Oratorio della Madonna di Savona quel famoso « S. Giovanni Evangelista » (14 dicembre 1490), che i membri della locale Confraternita Mariana gelosamente conservarono per molti anni e che venne poi trasportato a Roma. Dopo aver rilevati i singolari pregi di quest’opera, Raffaello Soprani la definisce « assai ben concepita nel suo disegno, proporzionata nelPattitudine e d’un colorito molto pastoso e vivace : dote propria del pennello del Brea — egli aggiunge — le cui opere, a motivo della buona tempera ed impressione de’ suoi colori, dopo il corso di quasi due secoli, fresche ed intatte tuttavia si conservano.... ». Nel lungo periodo dal 1483 al 1513 egli lascia, nella chiesa di S. Domenico di Taggia, un bel gruppo di polittici, ora in parte scomposti e di cui alcuni frammenti sono stati rubati parecchi anni fa. Mirabile a Taggia la sua « Annunciazione », dove appare evidente l’influenza di Antonello da Messina, palese anche nel polittico da lui eseguito nella chiesa di S. Giorgio a Montalto. A Nizza, infine, si ammira la sua celebre « Pietà » (1475) e ricordo che — forse intorno al 1522 — egli compose un pregevole trittico per la chiesa di S. Martino a Ghftteauneuf di Grasse. Pur essendo giustamente considerato uno dei maggiori artisti del Quattrocento italiano, la sua arte non è scevra di difetti, quali in special modo la secchezza del disegno, che lo rende inferiore ai gran di maestri contemporanei. Le sue opere hanno vari punti di contatto con l’antica nostra tradizione pittorica del XIII e XIV secolo; il suo stile è piuttosto secco e un po’ angolose sono talvolta le sue figure, sebbene si distinguano per l’ingenuità dell’espressione e l'aggraziata semplicità degli atteggiamenti. Usa spesso le dorature e aureole d'oro circondano le teste dei suoi Santi e delle sue Madonne, 192 ARTEMISIA ZIMEI quasi ultimo ricordo della tradizione ieratica bizantina, da cui tenta invano di allontanarsi, senza peraltro riuscirvi appieno. Predilige il celebre pittore nizzardo le difficoltà prospettiche, dà alle sue figure soavissimi volti dallo sguardo scintillante, snellezza di forme, agilità di movimenti e si compiace di avvolgerle in seriche vesti cadenti in morbidi drappeggi. Vero è che le sue composizioni — caratterizzate dal fervore della fantasia creatrice e dalla smagliante vivacità dei colori —- hanno un’impronta spiccatamente originale, sebbene rechino talora un lieve riflesso dei caratteri propri della pittura lombarda, derivato forse dal Foppa. Ludovico Brea, che ama Genova con un attaccamento quasi pari a quello che nutre verso la sua bella città natale, è il tipico esempio del nizzardo, che si sente italiano di nascita e di fede: « .... benché avesse per patria Nizza, città molto cospicua dell’occidentale Riviera Ligustica: pure affezionato essendosi alla città di Genova —* se live il Soprani — in questo gran tempo visse, mostrandosi sempre più insigne nella facoltà di ben esprimere con colori i suoi concetti.... ». Questa la nobile figura di Ludovico Brea, mirabile artefice del pennello, vanto di Nizza e dell’Italia, le cui opere immortali rifulgono di purissima luce nel limpido cielo della gloriosa arte italica!... Artemisia Zimei RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Ernesto Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, tre voli. (I di 685, II di pagg. 785, III di pagg. 920), Firenze, Le Mounier, 1941-42. I tre ponderosi volumi potrebbero far supporre che ci si trovi dinanzi ad una monumentale raccolta di materiale, ad un diligente lavoro di trascrizione di epistolari e documenti inediti tratti da archivi pubblici e privati. Basta però un rapido sguardo allo studio che apre il primo volume e che l’autore, con eccessiva modestia, intitola Introduzione storica, a dissipare questa prima impressione. L?in-troduzione, che è un poderoso lavoro di ricostruzione storica, narra per la prima volta in forma organica e completa le vicende del giansenismo ligure dalle origini al primo Risorgimento e, in iscorcio, quelle dell’intero movimento in tutta la penisola da Clemente XIV in poi. Al Giansenismo ligure era stato dedicato finora un unico articolo, apparso su questa rivista. Su di esso correvano errori e inesattezze di ogni genere, anche fra gli storici più insigni. L’A., che rimette le cose a posto su molti punti, può quindi fondatamente asserire di essere stato costretto a dissodare da solo un terreno vergine in tutta la sua estensione. I problemi, ch’egli affronta in forma estremamente stringata, (al medesimo argomento promette di dedicare un volume a se) nell'introduzione e nelle note (parecchie migliaia) sono numerosissimi e mutano radicalmente l’opinione corrente, anche fra gli studiosi specializzati, circa il significato storico e Pestensione del giansenismo ligure, che sono stati molto più cospicui che non sia apparso finora, non soltanto nelΓambito delle vicende religiose, ma in quelle altresì della storia politica, specialmente durante il periodo repubblicano. L'introduzione prende le mosse dal Pontificato di Benedetto XIW caratterizzato dalla larga tolleranza di quel papa, propizia agli studi di erudizione ed alla libera discussione dei problemi teologici in seno alle contrastanti scuole cattoliche. In tali discussioni si acuisce inasprendosi la lotta tra Agostiniani, Scolopi, Oratoriani, tutti (sia pure da punti diversi) avversi alla casistica ed al probabilismo dei 194 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA gesuiti, tenacissimi difensori dello spirito retrivo e politicizzante della Controriforma impersonato dalla loro Compagnia. Già durante il papato del Lambertini comincia l’ascesa degli avversari più decisi dei gesuiti. L’elevazione alla porpora del Marefoschi rappresenta il culmine della lotta che termina qualche anno dopo con la soppressione dell’Ordine, s.enza segnare però affatto la fine delia loro strapotenza sotterranea. I due patriarchi del giansenismo ligure appaiono alla ribalta romana in quegli anni. Il primo, lo scolopio Martino Natali, professore di teologia al Collegio Nazareno, che era stato sopraffatto dai suoi emuli del Collegio Romano, aveva dovuto abbandonare in malo modo la sua cattedra, era stato relegato dai suoi ad Urbino e richiamato poi a Roma per intervento del Cardinale Neri Corsini, anch’egli antigesuita, riesci a risalire sopra la sua cattedra soltanto all’avvento del Papa Ganga nel li, Clemente XIV, protettore dei novatori. Ma il Natali lasco tosto Roma, chiamato a Pavia da Giuseppe II, che si proponeva di fare di quella università un centro di opposizione anticurialistica e di diffusione delle idee regalistiche. Insieme col Tamburini e con lo Zola, il Natali esercitò a Pavia una intensa e coraggiosa azione rivoluzionaria, che lasciò tracce profonde. L’autore illustra l’attività del Natali fino nei più minuti partici) lari e ne mette tra l’altro in risalto un aspetto lino ad ora ignorato, le sue relazioni con Dupac De Bellegarde e con la Chiesa dissidente di Utrecht. Gli successe sulla cattedra romana un altro insigne campione del giansenismo ligure, anzi il vero maestro di tutti gli esponenti più rappresentativi del movimento, e in primo luogo dell’abate Eustachio Degola, le cui vicende sono strettamente connesse con la storia della repubblica ligure e con la conversione della famiglia Manzoni. E il Padre Molinelli, anch’egli scolopio, giansenista non meno fervente del Natali, ingegno libero e spregiudicato, agile, sottile, estremamente guardingo e diplomatico però, quanto il padre Natali era invece aperto, irruento e imprudente. La corrispondenza fra il Cucca-gni e il Molinelli, che l’autore ha scoperto e che illustra ampiamente, iia un valore decisivo per chiarire l’evoluzione dei sentimenti e delle idee della Curia e del Pontificato di Pio Λα nei riguardi del gianseni smo italiano. Essa proietta piena luce sulla preparazione psicologica della condanna del giansenismo culminante nella bella Auctorem fidei. L'uno e l’altro, 11011 meno del Tamburini, debbono ormai conside-larsi gli iniziatori di queiratteggiamento di opposizione recisa alla Curia, che doveva culminare nell’aperta rottura, sanzionata dapprima dal Concilio di Pistoia poi dall’adesione dell’ala sinistra del gian seni sino alla rivoluzione francese ed ai regimi democratici. Nel periodo prerivoluzionario le due figure più rappresentative* rassegna bibliografica 195 accanto al Molinelli, sono l’Abate Marcelle Del Mare e l’oratoria no Vincenzo Palmieri. Il pi-imo, la mosca cocchiera del giansenismo ita liano, come lo definisce l’autore, è una figura disuguale e poco coerente, che finisce col mendicare da Roma il perdono e col ripudiare le idee a favore delle quali aveva combattuto a lungo. Il secondo ha avuto un posto di prim’ordine nelle lotte religioso-politiche che culminano nell?attività· rinnovatrice di Leopoldo II e del Vescovo De? Ricci, di cui fu il consigliere e il collaboratore più ascoltato. Costretto alle dimissioni il Vescovo di Pistoia e Prato, il Palmieri, per sottrarsi alla persecuzione, accetta dall’imperatore la no mina all’università di Pavia, dove succede al Natali. Ma abbandona il suo posto all’avvento dei francesi e si ritira a Genova, dove continua a polemizzare con i suoi avversari fino alla vigilia della morte, ma dove si estranea sempre più dall’azione. La figura culminante della generazione più giovane, che rappresenta una svolta decisiva anche nella storia interna del giansenismo e inizia un’attività intensamente rivoluzionaria e democratica, che doveva culminare nel tentativo di fondare anche in Liguria una chiesa nazionale e di istituirvi la costituzione civile del clero, è PAbate Eustachio Degola, cui è dedicato gran parte del III volume. Dalla introduzione e dai carteggi la figura del Degola balza fuori mirabilmente tratteggiata nei suoi vari aspetti : personalità religiosa di primo piano, coerente e salda nella sua fede e giacobino intransigente, egli ha saputo avvincere a sè, con fascino irresistibile, le anime anche più alte e indipendenti che ha incontrato lungo la sua via, un padre Vignoli per esempio, un Benedetto Solari, un Grégoire, un Manzoni. Egli capeggia il clero democratico-portorealistico dell’ultimo decennio del secolo e preannunzia in taluni suoi atteggiamenti il pathos romantico mazziniano. Che il Mazzini, non meno del Manzoni, sia incomprensibile fuori della tradizione democratico-giansenistica della sua città natale, balza evidente da queste pagine, e in particolar modo dal capitolo più felice dell’introduzione, Il giansenismo ligure e Veducazione. L’autore ha per la prima volta chiarito in tutti i suoi particolari la politica ecclesiastica della Repubblica ligure, apparsa finora caotica e priva di qualsiasi idea direttrice. Decisivi sono pure gli argomenti che egli adduce a sostenere la sua tesi, essere stato il Degola ed egli soltanto l’ideatore e l'organizzatore dei missionari nazionali. L’attività del Degola non cessa col tramonto del regime democratico in Genova, muta piuttosto teatro e diventa internazionale. Egli si reca ripetutamente a Parigi, dove stringe vieppiù i suoi legami col Vescovo Grégoire e col clero costituzionale, pur rimanendo anche da lontano il capo amato ed ascoltato del piccol gregge ligure, ogni giorno più assottigliato dalla persecuzione e dalla morte. La fase teologica del giansenismo ligure può dirsi conclusa con 196 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA la fine del secolo. Ma i vinti nel campo teologico e politico si rifu giano nell'educazione, dove continuano ad espletare una profonda azione stimolatrice e liberatrice e preparano una generazione nutrita di tutt’altri ideali, la generazione dei mazziniani, e dei liberali, che li ripudierà, ma dopo aver accolto e fecondato i più pregnanti loro insegnamenti. La lettura attenta degli epistolari è una sicura riprova della sincera onestà e scrupolosa obbiettività con cui l autore ha condensato nell’introduzione, con mano maestra, i risultati delle sue laboriosissime indagini. Per merito suo vediamo finalmente chiaro in uno dei più suggestivi periodi della nostra storia. F. G. Massucconk Rivista Inganna e Intemelia, Anno VI, 11. 1-4 Gennaio-Dicembre, XVI1I-X1X. Albenga 1941 [ma 1912], di pp. 224. — Rivista, di Studi Liguri, Anno Vili. n. 1, Gennaio-Marzo 1912-XX, di pp. 61. Il nostro ormai consueto ritorno all attività culturale dell Istituto di Studi Liguri trova questa volta un volume di eccezione, che costituisce la YI annata della K.I.I., interamente dedita a Mentono nell'ora del suo ritorno all’Italia; e il primo fascicolo della Rivista rinnovata nel suo titolo e nel programma specifico (cfr. « Giornale », 191° pa»· 33 sg.), ma non nella veste e nella serie, (opportunamente si legge in copertina: Anno Vili), a denunciare una continuità che non è solamente formale. . Diverso indubbiamente il motivo di interesse, ma non dispari il valore, delle due raccolte ; le quali ciò non pertanto hanno una loro netta organicità di costruzione, che risponde sempre a quel metodo rigorosamente documentario e critico che è ormai nelle tradizioni del ristituto. , Il volume commemorativo è frutto della collaborazione e del consiglio di insigni personalità della nostra cultura, ma soprattutto della diligente attività di Nino Lamboglia, che si è assunto anche ü compito della redazione di due note importanti. Nella prima su Mentone Intemelia (pag. 9-25 con molte ili.), 1 A. riespone con maggiore organicità e particolare sviluppo nei ri guai di del territorio mentonasco, rielaborando notizie in parte già ec ìt in pubblicazioni anteriori, quel pochissimo che si sa per la pieisto ria locale, e quel poco che per l’età romana ci dicono ! monumenti ; 1 quali, salvo forse per la mansione di Lnmo a Capo S. Martino, sono oltremodo incerti nel riconoscimento e nelPattribuzione, sicché 1 ordinamento romano della zona, marginale rispetto al municipio mte-melio, mal si ricostruisce solo attraverso le memorie medioevali dei primi e pur tardi stanziamenti ecclesiastici e dell entità rustica di Carnolese, ancor pertinente al comitato di \ entimiglia, che consena RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 197 la tradizione dell’antica organizzazione fondiaria romana. Di qui, in una pagina acuta, FA. ricompone l’originario pago ventimigliese da Bordighera a Monaco, sullo sfondo di una unità amministrativa e spirituale indissolubile, dominata a sua volta da inequivocabili ragioni geografiche ed economiche perenni. Ma lo studio non si arresta qui : esso procede alla nascita di un primo borgo sicuramente localizzato e documentato, Poipmo, castel- lo (lei conti di Ventimiglia, poi, coi Vento, attratto nell’orbita della politica di Genova in Riviera, ed alla fondazione infine, nel gioco delle contese, di contro a quello, della· moderna Mentone, mons Otonis, che coi Grimaldi, auch’essi genovesi, fusa nel principato di Monaco, si stacca definitivamente dal suo ceppo intemei io, e per ben cinque secoli non ha più una sua storia ; mentre per altra parte accentua quella sua tendenza all’autonomismo, che è destinata a operare, anche nell’ultima fase della sua storia, prima dell’annessione alla Francia, in modo così singolare. Sono pagine costruite su dati incerti, ma ricomposti con intelligenza ed acume, e con visione netta dei destini che maturano nei millennii, preparando Mentone, de cisamente orientata nei secoli più verso Ventimiglia e la Riviera che verso Nizza stessa, al suo definitivo ricongiungimento alla Liguria. Fin qui, come si è visto, poco ci dicono i documenti di archivio. Più parlano i monumenti e la natura stessa, con le sue necessità ine-liminabili, e la realtà toponomastica e topografica, scrutata nei suoi riposti segreti. Ed è in proposito opportuna, ad integrare la sintesi storica del L., la rassegna critica di alcuni più importanti ed antichi toponimi mentonaschi che egli stesso, nel secondo suo lavoro, ci dà, come primizia della illustrazione completa della toponomastica regionale. (Toponimi di Mentone. pagg.201-209). Nè esce tale studio dal quadro storico della pubblicazione, per lo sviluppo ampio e critico che il L., non nuovo a queste indagini erudite per la zona ligure di Ponente, sa dare al suo lavoro. Addentrarsi nel vivo della materia, sempre suscettibile di riesame e di critica, esorbita dai limiti della nostra segnalazione. Solo ricordiamo che al L. anche qui non sfugge l’occasione di cogliere spunti per ribadire o respingere gros se questioni « liguri », alla cui soluzione anche il materiale topono mastico di Mentone è chiamato a dare il suo contributo. La documentazione si fa invece abbondante nelPepoca nostra : e qui prendono la parola, a illustrare i documenti di archivio, due scrittori di tutt’a-ltro temperamento, Mario Gasparini, che tratta di Mentone e la Rivoluzione francese (pagg. 26-84) e Nilo Calvini che fa nel volume la parte del leone, riprendendo il tema suggestivo di Mentone e Vannessione al Regno di Sardegna (pagg. 85-200). Il Gh-sparini utilizza tutta, la letteratura anteriore, per gran parte di marca francese, e docc. degli archivi mentonaschi da quegli studiosi trop po spesso deliberatamente dimenticati, e in una trattazione succin- 198 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA ta e bene intorniata illumina più che sufficientemente su certi caratteri di reazione alla corrente rivoluzionaria e su certe tendenze autonomistiche, non nuove, come si è accennato, a Mentone, giungendo alla conclusione interessante che la Rivoluzione operò in definitiva per il potenziamento dell’italianità di Mentone, con Feducare gli animi ai principi di nazionalità poi così mirabilmente rifioriti nella rivoluzione gloriosa del ’48. I documenti numerosi, allegati in appendice, rivelano anche più apertamente del testo, tra ’700 e ’SOO, la persistente italianità di lingua di temperamento e di costumi del popolo mentonasco. Questi sentimenti nazionali che per vero appaiono ancora poco rilevanti e decisi, scoppieranno in irrefrenabile entusiasmo di rivolta contro i Grimaldi, francesizzanti, in pieno ’SOO, accordandosi, anzi precorrendo nel tempo, la nostra stessa rinascita. Di questa mirabile fioritura di italianità, poi per tanti anni soffocata nel silenzio da malintesi rispetti poltici, si fa illustratore diligentissimo il Calvini, che ci offre qui uno dei suoi lavori forse di più largo respiro e di più felice sviluppo, utilizzando con perizia ormai consumata i docc. ricchissimi e nuovi, sicché la dottrina che nutre intimamente il suo dire quasi disparisce nella facilità del dettato, e la storia e la cronaca stessa non sono arida elencazione mai di fatti e di nomi, ma sempre vita rivissuta nel suo intimo sapore. Il Calvini, riallacciandosi al precedente lavoro, richiama il primo timido affacciarsi in Mentone di una. sensibilità nazionale, e giunge al suo soffocamento sotto il giogo francese ; ma più lo a\\ ilice il periodo della passione italiana del comune, dal ’4§ al '00. Par quasi impossibile che una storia così viva, così nostra, sia stata anche da noi tanto a lungo obliata. Una delle pagine più gloriose 111 margine al nostro Risorgimento è oggi aperta al lettine italiano .niche più esigente. La piccola e intensa di vita comunità di Mentone ci appare un intero mondo, il cui cuore batte alPunisono con quello di tutti gli italiani. Vero è che sotto si sentono alcune voci discordanti, che denunciano però bentosto i loro ispiratori interessa 1 ne vicino principato monegasco, mal rassegnato alla perdita de a pai e migliore del suo territorio e del suo popolo. Ma l’eloquenza delle cifre, la spontaneità delle manifestazioni, la tenacia e la onestà cristallina dei patriotti stanno a testimoniare una realtà che sarebbe ingiusto voler ancor oggi velare o conculcare. Soprattutto domina, e dalle pagine del C. balza in luce meridiana, una figura austera, che nella sua modestia ha dell’eroico, il conte Carlo Trenca, anima del movimento e intemerato cittadino. Eppure questa storia eroica di Mentone sabauda, anche nel suo sfolgorio di pochi anni, e attraverso la rivalutazione nazionalista del nostro, mantiene un suo colorito, un suo sapore paesano e loca e. L’annessione è un desiderio profondo di tutta la parte mi&lioie < e RASSEGNA BIBLIOGRAFICA J 99 popolo, il quale però mantiene la sua propria fisionomia, aggregandosi, non fondendosi nello Stato Sabaudo, aspirando ad una italianità che non distrugga il suo innato particolarismo. E forse è prò-pilo questa gelosia di una vita raccolta, « distinta », di un particolarismo tipicamente ligure, che lia impedito che il sogno a lungo cullato e con tanta fatica e gioia realizzato, non dovesse fino ad oggi tradursi in una realtà duratura. Non che della spontaneità dei men-tonaschi possiam mai dubitare; ma la presenza di interessi particolaristici ]>no aver quanto meno fornito alla ingordigia umiliata dei Grimaldi, e in funzione di questa a quella sempre vigilante della Francia, che preparava da lunga mano l’annessione di Nizza e del territorio contiguo, la prima serie di appigli a preparare il terreno per una rivincita, che 11011 doveva tardare molti anni a prevalere. In questo senso lo sganciamento di Mentone e Roccabruna da Monaco, indebolendo l’organismo politico e storico del Comune, può aver facilitato allora la politica di annessione francese anche di quel lembo di Riviera ; ma ha al tempo stesso preparato per oggi la redenzione, che è per Mentone. prima che per l’italianissima Nizza, una realtà-indistruttibile. Nelle ultime rapide pagine dello scritto. Mentone e i mentonaschi poco più si sentono operare, quasi oppressi dalla melanconica sorte che grava su loro. Agiscono solo le diplomazie avide e prepotenti. Lo Stato Sabaudo aveva per un decennio giocato con le Potenze, contro .Monaco, per l’annessione. Ed ora una Potenza si faceva beffa di Pie monte e di Monaco, e con un plebiscito affrettato e tumultuoso che par (piasi un colpo di spugna, risolve a suo favore, a suo vedere, per sempre una situazione tanto contesa, 11 più giocato è ancor Monaco, costretto ad accettare ora suo malgrado un compromesso finanziario che per l’insincero ed interessato appoggio francese aveva semine potuto rifiutare al Piemonte; ma non meno giocato appare il Piemonte stesso, sempre così irretito nelle difficoltà diplomatiche e nelle ristrettezze economiche, durante gli annosi colloqui. Un ve- lo di malinconia si stende su questa pagina di storia nostra. o«>oi lilialmente lacerato dal sole della vittoria: ma è anche più amaro" il destino per i mentonaschi, la cui voce, stanca dopo tanta inappagata fiducia, si spegue di fronte alla nuova più grave sciagura, nella quale li ha in definitiva condotti proprio la tenace volontà di redenzione dalla gretta tirannide monegasca. Contro la volontà di Napoleone cede la baldanza sicura di giovanezza ed ingenuità dei men-tonaschi, 11011 meno della tenacia, oggi un po' stanca, del grande Cavour ; di fronte alle baionette francesi ogni resistenza, anche verbale, è ormai vana, nè si rinnovano più le proteste, a meno che, come gravi indizi pare lascino intravvedere, non ne abbia cancellato la eco nei documenti, prudente, la consapevolezza degli usurpatori. 200 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Alla ricchissima appendice di docc., molti dei quali inediti, che accompagna anche questo lavoro, segue 11110 studio di Carlo Ceschi su Lo sviluppo urbano di Mentone sino al 1860 (pagg. 210-219) che perfettamente si intona alPindirizzo storico-topografico di tutta la-silloge. Premessi alcuni importanti rilievi sugli elementi naturali dell1 urbanistica mentonasca, che ne spiegano acutamente tutti i successivi sviluppi, (e sono caratteristiche prettamente liguri : nucleo antico, raccolto attorno al castello, e sviluppo da esso di un abitato arioso lungo la spiaggia a occidente, come a S. Remo, Bordighera, Nizza), PA. esamina alcuni preziosi piani e progetti di sistemazione stradale e urbanistica specialmente dei tecnici sabaudi del periodo dell’annessione, conservati negli archivi della citta. Anche qui la precisione tecnica del relatore non è disgiunta mai da passione dì italiano, giacché il fine dello studioso, felicemente raggimi o, è quello di dimostrare la sollecita cura del Piemonte nel prepaia-re, almeno nel campo tecnico non precluso alla sua attività da sospetti politici, la definitiva annessione. ir Da ultimo una breve illustrazione de Lo stemma civico ai Mentone, di Gaetano de Camelis (pagg. 220-223) chiude il volume, che se non esaurisce quanto può dirsi sulla storia della nostra citta, (altre indagini anche importanti sono apparse in questi ultimi tempi che rivelano la ricchezza di vita e di storia del borgo intemelio), ne (ψ però un quadro molto organico e vasto, e soprattutto è una defini-tiva conferma della sua perenne italianità (M. *- * * L’interesse del volume speciale, che ci lia costretto ad una espo sizione adeguata, non ci consente di dilungarci sull altro fascico o della Rivista, che inizia la nuova serie. Accennerò all essenziale. Nella prima sezione di monografie originali Aristide Caldei . in Galli e Romani damnti alla storia (pagg. 5-19), pubblica un sereno, ma severo giudizio, pur senza pretesa di addurre elementi nuovi al problema e alla polemica, di una concezione sciovinistica^ dei celtismo, dovuta a C. Jullian ed a J. Carcopino, che ha già fatto troppo parlare di sè. . L’architetto Guglielmo De Angelis d’Ossat pubblica con m- portanti osservazioni archeologiche e critiche Un disegno ι (η Nei giorni 1 e 2 marzo 1942 Mentone ha per la piima volta celebrato solennemente, sotto gli auspici del Comitato delle TradizioniMentonasc^, nelle sale del Museo Civico la Rivoluzione Mentonasc; ■ - del Presidente del Comitato, Marcfxlo Firpo, e del P , f-iscicolo Studi Liguri, Nino Lambogua, sono oggi pubblicati in un Pi™o della nuova Collana Menlonasca, edito dall.Istituto (Bordighera, 194-, P KK· 28) che siamo lieti di annunciare oggi ai nostri lettori. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 201 da Sangallo relativo alle terme di Cimelio, (pagg. 20-24) da cui risulta l’importanza del monumento, oggi perduto, ancora sullo scorcio del secolo XV. Nino Lamboglia in un’ampia rassegna su Nuovi scavi a Taggiv, € a Sanremo (pagg. 25*40, 3 tavv. e 14 fig.), ci informa con maggiori particolari descrittivi ed ampi sviluppi topografici su una serie di monumenti romani e paleocristiani che furono messi in luce in una campagna di scavo, celebrativa del bimillenario augusteo del ’37, che purtroppo solo in parte potè avere lo svolgimento previsto. Par ticolarmente fortunata la scoperta, sul luogo stesso ove non si può più oggi dubitare che sia sorta la mansione di Costa Bab nae e ad un tempo un centro pagense, dei resti interessantissimi di un battistero paleocristiano, sommariamente già pubblicato da P. Verzo-ne ; il quale viene ad aggiungersi agli altri noti di Ventimiglia e di Albenga, ma risulta unico a tutt’oggi annesso ad una semplice pieve rustica. Le conclusioni che sulla continuità di vita civile e religiosa tra romanità e medioevo deduce da questi elementi archeologici il L. con un metodo di ricostruzione erudita che egli già altra volta, sulle orme del Formentini, ha fruttuosamente applicato alla sua Riviera, sono veramente felici. Solo in parte editi dal Barocelli erano gli scavi di una villa con piccole terme forse private in regione Foce a Sanremo, di cui il L. dà oggi una illustrazione descrittiva e grafica esauriente; mentre erano affatto inedite le tombe di varia età imperiale scoperte fortuitamente tra il ’39 e il '40 in vicinanza delFArmea a Sanremo, presso tracce di abitati rustici romani, che vengono ad aggiungersi alla già ricca serie di quelli altrimenti noti nella regione. Le Ricognizioni archeologiche nella Liguria di levante (pagg. 41-46) che Luigi Bernabò Brea fa seguire a quelle sui castellieri di Pignone già edite sulla stessa Rivista (cfr « Giornale », 1941, pag. 112) sono ricerche molto diligenti e soprattutto fidenti, ma con risultati oltremodo poveri ed incerti, per confermare con dati archeologici resistenza dei castellieri di Framura, Genicciola e M. Bar-dellone sopra Levante, tra gli altri della Lunigiana da tempo acutamente supposti, su puri indizi toponomastici e topografici, dal Mazzini e dal Formentini. Ma anche i risultati negativi hanno qui, per il rigore delle ricerche, un valore critico sostanziale, e positivo è in ogni modo il riconoscimento e la descrizione del castello di Ce-lasco. Con l’ultima nota, pur nella sua brevità interessante, di Carlo Carducci su II restauro della via romana a Donés (Tal 6/ Aosta) (pagg. 47-51) la Rivista mantiene la sua promessa di allargare il suo campo alla Liguria storica intesa nel suo senso più lato. La parte del fascolo meno appariscente, e pur non meno importante è il repertorio bibliografico. Per mezzo di tale rassegna, de- 202 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA stillata ad uno sviluppo anche maggiore, e che si completerà presto col fondamentale Rejyertorio, di quanto viene comunque pubblicato in argomento, la Rivista si avvia ad essere veramente quello che è suo programma, strumento organico degli studi liguri in ogni campo, storico, archeologico, etnografico, linquistico e naturalistico. La notorietà e competenza dei recensori è garanzia dei giudizi, ed il criterio seguito, non di semplice segnalazione, ma di riesame critico a fondo dei singoli contributi, rende questa sezione non meno viva e nuova delFaltra, se è vero che una revisione, fatta con la dovuta serietà e competenza, vale a conferire talvolta a una prima ipotesi la sua validità, o a distruggere un mito pericoloso, nella vicenda della ricerca scientifica. Per ora incontriamo i nomi di Γ. Form unti xi e ancora di N. Lamboglia. Il primo, col consueto acume esamina un lavoro non recentissimo, ma non ancora superato, del Lamboglia stesso, la Liguria Romana; ne riespone la linea costruttiva e suggerisce con tatto sempre squisito correzioni e ritocchi prudenti a quel primo e spesso audace tentativo di una concreta Forma Lifjuriae. Alcuni rilievi, specie di natura topografica, meriterebbero discussione. Rimando per ora ai cenni che mi è occorso di fare in questo stesso fascicolo, riservandomi di tornare più diffus am ente altra volta sul problema topografico delPagro gemiate e dei suoi rapporti, con la Padana ; nel quale problema, a proposito della pieve di Caranza, collocata erronea mente in vai Trebbia, il F. pare sia occorso in una curiosissima svista, che in lui in verità ci sorprende. Il Lamboglia, in una ricca serie di recensioni, rivela uno spiriti, quanto mai vivace e battagliero. Oggetto dei suoi strali pungenti sono questa volta alcuni scritti 11011 tutti recentissimi di P. Pisola sui Liguri antichi e la loro origine, nonché sulla costituzione aie ìeo-logica ed etnica dell’agro alessandrino. Tale atteggiamento polemico non ci sorprende, perchè abbiamo anche noi rilevato altra vo . Serba. Invero le argomentazioni addotte dal L., a comprovare 1 origine da mare «palude» di quel termine, che una tesi, suggestiva anche per le deduzioni topografiche e storiche che se 11e sarebbero potute ricavare, collegava a tutto 1111 sistema di vie « marittime » dalla regione padana alla Riviera, sono tanto perentorie e sicure, da 111 debolire moltissimo, se non distruggere radicalmente, la tesi cosi RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 203 validamente sostenuta dal Serra. Del quale invece appare definitiva la identificazione con Bardonecchia del Diovia « oppidum Ligu riae » delPAnomimo Ravennate. Come già contro il Peola il L. ribadiva la sua tesi, meritevole di discussione (ed anche questo fa parte del nostro programma- avvenire) della origine nordica dei Liguri storici e della loro relativa indoeuropeizzazione, così da ultimo, accennando a una relazione del Monaco su materiale archeologico vogherese coglie lo spunto per ribadire una tesi che forse egli difende con eccessivo ardore, la non trascurabile penetrazione dell’etrusehismo in Liguria. Come si vede, le notizie sono molte, ed i problemi affrontati con coraggio non meno. Solo per questa sezione attendiamo l’apporto anche di altri 11011 meno valenti recensori che rendano più larga e più varia la visuale nella revisione critica del complesso materiale di studio. Teofilo Ossian De Negri M. Bonzi, Smibaldo Scorza, Savona, 1942, 8°, pp. 22. Lo stesso, 11 Magnasco, Due saggi, Savona 1942 8°,, pp. 1(5. Lo stesso, Pen sieri sull’arte, Savona, 1941, 8° pp. 10. Tito da Ottone, Paolo Gerolamo Brusco, MDCCXLII-MCMXLII (sic). Savona, 1912, 8°, pp. 100. Edizioni di « Liguria ». Da qualche tempo si è fatta sollerte propugnatrice di studi sulla cultura e la storia ligure la Casa Editrice « Liguria » di Savona, con pubblicazioni periodiche e monografie di cui ha più volte avuto occasione di parlare il nostro « Giornale » 0. Noi vorremmo oggi soffermarci più particolarmente sui saggi di critica d’arte di due studiosi di diverso temperamento, ma di pari probità e diligenza, i cui lavori si vanno ogni anno arricchendo e moltiplicando, sì da formare già una collana nobilissima e meritevole della più attenta considerazione (2). (!) cfr. in « Giornale », 1944). M. Pedemonte, L'anno paganiniano, per P. Berri, 11 Calvario di Paganini, pag. 178 sg.; e la ree. di S. Prestifilippu a Ρ. Berri, Il prof. G. I. Garibaldi e la medicina genovese del suo tempo., ibid. 1942, pag. 93 sg. (2) L’attività di « Liguria » nel campo della cultura artistica non si arresta qui. L’ambiente savonese in specie è indagato con curiosità amorosa in ogni suo aspetto. Ricordo tra l’altro: Maria Signorile, Varte della ceramico a Savona e Albisola, 1936, in 4°, pagg. 24 con molte tavv., appassionato studio sulla storia antica e recente di quell’arte; P. Tito Cappuccino, L'omaggio dei Poeti a V. .S. di Misericordia, 1937, in '24°, pagg. 68; ed una ricca serie di monograiie descrittive di borghi e castelli della provincia, che completa questa attività simpaticamente paesana della nostra Editrice. Di altri lavori di più largo interesse, e non pur solo artistico nel limitato e comune senso del termine, ina folcloristico e storico, come il Giano, Saggio sopra lo spirito ligure di italo Scovazzi, 1937, 8°, pagg. 264, vecchio già di qualche anno, ma 204 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Tutto eleganza· e grazia è Τίτο da Ottone nel rappresentare, sulla scorta dei classici, i suoi soggetti. Le singole monografie, già apparse sulla cessata rassegna che dette nome alla Casa, ed oggi riprese e continuate in preziosi opuscoli originali, hanno una loro organi cità fondamentale, utilissima alla conoscenza dei personaggi, spes so ignorati oggi da chi non voglia risalire alla fonte ricchissima, ma un po’ faticosa, dei critici nostri del passato : Sopranis, Ratti, Ali zeri : un sommario della vita, un esame attento dell’arte, un cenno alla fortuna, e infine un diligentissimo repertorio cronologico e topografico delle opere note. Stile rapido, essenziale ; e in una ricca serie di note tutta la minuziosa documentazione, in cui lo studioso trova le fonti e la guida per 1111 eventuale sviluppo. Ma il cultore delle patrie glorie e delle patrie memorie si può ben dir pago di quanto FA. ha qui saputo raccogliere, che per pittori non sempre di primo piano è quanto basta. Del nostro già abbiamo altra volta ricordato l’ampio lavoro sul suo grande ed estroso correligionario Bernardo Strozzi (Il Cappuccino), di cui è uscita una seconda edizione (Genova 1940, 8°, pp. 100, con 9 tavv.). Oggi abbiamo sott’occhio un non meno diligente ed ampio studio su Paolo Gerolamo Brusco, che si scorre rapidamente, rivivendo, attraverso soprattutto la forbita ed acuta parola dell’Ali-zeri, la grazia capricciosa del pittore savonese, che ha saputo vincere la paludata ed accademica diffidenza dei suoi censori con una arte fatta di estrosità contenuta e di vivacità bizzarra, e pur sempre composta e disciplinata, specchio della personalità arguta, ma sinceramente buona e buontempona di un uomo integerrimo e fedele ai principi del buon tempo antico in un’età di sovvertimento sociale e spirituale. Figura che riesce simpatica, anche attraverso la sobria oper , _ incisivi. Il Brusco è così conquistato alla notorietà, nell odierna ri correnza centenaria della morte, ed esce in virtù di questo agile scritto, dal ristretto mondo savonese, in cui, quasi senza eccezione, lui pur formato all’aperta scuola romana del Batoni e del Mengs», ha amato raccogliersi ed ha costantemente operato. Non differente appare, nel complesso, e, vorrei dire, nel «a veste, il piano di lavoro del Bonzi. Anche qui uso sapiente delle fonti, ancor meritevole di nota, e il Santuari, Valli e Clanache della; Liguria, Orientale, di Giovanni Descalzo, 1941, 8°, pagg. 272, per molti rispetti tanto diverso, diremo altra volta trattando della demologia ligure nel quadro della scienza demologica italiana, e dei contributi ad essa fino ad oggi offerti dagli studiosi regionali. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 205 notizie bibliografiche essenziali ed elenci delle opere più significative. Ma la sua tempra è diversa, e, specie negli ultimi saggi, egli si è fatto cesellatore impareggiabile, affinando in un travaglio assiduo il suo stile e il suo stesso pensiero. Scrittore acuto, ma soprattutto pensoso, il B. è parco di parole e nutrito di critica. Ogni sua frase è il frutto di un ripensamento interiore dei valori dell’arte, di un culto raro dell’essenzialità; sobrio e perciò oltremodo perspicuo, personale fino allo scrupolo, e nel dire elegante, di una eleganza tutta cose, imagini, pensieri. Lo stile è concitato, quasi timoroso di dilungarsi e smarrirsi, e oltremodo pittorico nel gioco dei chiaroscuri : aggettivi lampeggianti e sostantivi plastici nel loro affacciarsi significativo; è veramente uno stile, quello che il B. stesso vuole «quasi stillata sostanza» (.Pensieri.... n. 22). Questo tormento interiore si traduce in monografie rapide, nervose, e di mole pressichè inappariscente, ma di valore intrinseco indiscutibile, direi definitivo, anche se l’amore per l’essenzialità più rigorosa talora le rende persino scarne. Nulla in realtà manca alla conoscenza essenziale del soggetto. L’A. scruta con occhio penetran te l’anima dell’artista, o interpreta il quadro rianimandolo di spiriti e di forme, che si dispiegano in imagini vive, e ne discopre la genesi intima. Non trascura preliminarmente ogni indagine per definire con rigore « scientifico » il soggetto, e così riesce ad una inquadratura perfetta di esso nel tempo e nel gioco delle scuole. Ma qua lido egli ha così raccolto gli elementi indispensabili al giudizio, con un lavoro paziente che si intravvede ma non si tradisce, e non appesantisce mai il dettato, (la cronologia e le notizie erudite sono sempre raccolte in appendice, ed anche questa è di una linearità irriducibile), il critico si indugia a contemplare il « quadro » che ha ricomposto, obbiettivamente, senza passione, ma con pacato amore, con calore direi affettuoso, e dice nell’ultima· pagina, ch’è la più sapida e viva, il suo meditato pensiero — e si compiace infine nella contemplazione dell’opera rivelata al suo stesso occhio, e spesso ridotta alle sue più modeste proporzioni, con la gioia del ricercatore di verità appagato. Nel senso del limite ch’egli si è imposto in modo rigorosissimo sta la misura di questa spirituale gioia del critico nel riconoscere la « sua » opera d’arte. Per questo egli è soddisfatto del suo lavoro quando Tesarne lo porta a un giudizio che forse sorprende, e può riuscire per molti un disinganno, come quando coraggiosamente par quasi distruggere l’opera decadente di un artista pur famoso, come Peliegro Piola ; non meno di quando invece la gioia di contemplante, cui accennavo testé, si manifesta in tutta la sua pienezza ingenua e pura, ove gli sia dato di discoprire, di artisti misconosciuti, come un Langhetti o un Tavella, qualche insospettata e sincera virtù, o qualche lavoro ignorato, e possa compiacersene co- 206 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA me di cosa nuova, dissotterrata quasi di sotto la gromma che gii anni molti avevano disteso sulla tela. Ho già avuto altra volta occasione di accennare al JluUnaretto, al Bisca ino, al Piolo,, al Tavella* « gioiellò del preziosismo settecentesco », nonché a saggi più particolari su singole tele sagacemente rivelate. (Cfr. « Giornale», 1940, pag. 103, 213; 1941, pag. 130 ; 1942. pag. 47). Oggi è la volta di Alessandro Ma (/nasco, e di Si nibaldo Scorza. Sul primo, duc saggi: Conclusioni sul 1/agnasco «Punico poeta forse della pittura genovese...,, il musico, il « Paganini del pennel- lo » ; tre sole pagine dì testo, una sintesi rara; e La Comunione della Maddalena, anche più breve del primo, e pur sufficiente, at traverso Pesame di un quadro, a sfatare la diceria di un Magna-sco moralista pungente, enfant terrible del settecento pittorico. Sul- lo Scorza, oltre 3 pagine di « cronologia sommaria », 7 magni lidie tavole felicemente rappresentative delParte, che il Bonzi delinea :n sole 9 pagine di testo così rapide e sue, che quasi sconcertano il lettore, desideroso di seguire ancora una guida così penetrante e sicura, e pur soddisfatto di una « introduzione » all'arte che ne rivela la essenza senza sciuparne l’incanto. Altrove il B. faceva spesso parlare anche i biografi dei suoi artisti, pur rimanendo sempre presente con la sua propria personalità nella scelta dei giudizi, e mai mancando di vagliarli al lume soprattutto della sua provata capacità li indagare Parte dei colori in tutti i suoi aspetti anche anatomici e tecnici. Qui parla ormai unicamente lui, radunando attorno alla figura dello Scorza, in una lineare galleria di nomi pur vivi e parlanti, gli ascendenti e i successori delParte sua, delineandone in brevi tocchi, quasi pennellate alla brava, i pregi di disegnatore di animali e quelli, molto minori, di compositore, e conchiudendo a un giudizio equo e per nulla offuscato da amor del soggetto. Noii meno apertamente delle parole parlano i quadri, riprodotti con discernimento sapiente e che si cercano con desiderio e si « leggono » con diletto. Sicché lo Scorza, paesano e campagnolo, esce vivo e quasi scolpito nei suoi pregi, e, quel che più piace, nelle sue manchevolezze, con le quali anzi PA. ama, senza amarezza, ma con sincerità, chiudere il suo rapido dire. # Vr Questi saggi, nascendo dall’acuta e sempre insoddisfatta pensosità dell’A., hanno maturato e rivelato in lui una personalità ' litica tutta sua. Sicché egli si è trovato oggi nell’animo tutta una suggestione di idee e di principi, sotto forma di aforismi schietti e taglienti, con cui egli riesce ad esprimere mirabilmente se stesso. I na oosetta, dice egli nella sua innata modestia, che non gli pare (piasi che questi pensieri spigolati nelTassidua meditazione anche dell o-pera altrui, gli appartengano: mentre sono essi, pensieri assoluti e RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 20' indefiniti, per lui germogliati nel travaglio costante della ricerca oggettiva e concreta, la più genuina conquista del suo spirito. Da essi balena tutta la interiore spiritualità dello studioso che nutre le pagine critiche. L’arte « deve essere spirituale intellezione e conoscenza » (Pemi&ri, n. 2). In tutto egli ricerca l’intima· luce, l’armonia, 1 unità, e nel formulare il principio, per quell’interiore con sonanza di sentimenti che così spesso avvertiamo nel nostro, anche la parola studiata con amorosa cura assume una dantesca scultorea essenzialita : « Bellezza è fulgor d’armonia : e armonia è attinenza d’ordinata unità » (n. G). Dell’unità in arte ha un culto, e mistica è la sua visione delia bellezza: «Semplicità: nome umile della bellezza » (n. 8). (Chi non vede in questa imagine schietta e piena di grazia qualcosa della figura anche morale e persin fisica del nostro?). Egli cristianamente sente tutto il valore morale dell’arte, e nella valutazione artistica riflette la sua sofferenza nella ricerca del bello e del vero, quando afferma che « la Poesia è figlia della Bellezza e del Dolore » (n. 13), e « il dolore è la preparazione sacra, così alla santità, come all’arte e alla poesia » (n. li). Nel senso della sintesi architettonica (cfr. nn. 24 e segg.), egli scopre l’essenza di ogni arte, e della pittorica in specie, ch’è suo primo amore ; e soprattutto in nome di quella luce e calore che il Cristianesimo ha infuso nella materia « spiritualizzando anche le pietre e i marmi » (n. 29), spezza coraggiosamente una lancia contro l’arte d’oggi « senza intelletto e senza cuore » (n. 30), dalla quale egli costantemente rifugge per pascersi del passato, da cui tutto il nuovo necessariamente deriva (n. 19). Noii sta a me giudicare il pensatore, che potrà a taluno apparire semplicistico nel suo classicismo intransigente, alla luce di ideologie o estetiche trascendentali che il nostro forse deliberatamente vuole ignorare, lutto preso nel costruttivo lavoro del critico; solo mi basta aver cercato di cogliere la semplice schiettezza con cui egli apre se stesso ai pochi eletti lettoli cui si rivolge; che egli stesso giunge ad una definizione del critico d’arte ch’è una aperta confessione di sè, nel suo atteggiamento sempre correttamente, ma intransigentemente polemiche di chi sa tante piccole miserie, e pur mai accusa pre gentilezza squisita: ma è egli stesso, con la sua dirittura e la sua pensosità, un’accusa perenne: «Travaglio di pensiero, non gioco d’immagini sia la Critica d’Arte. Comprenda e giudichi con senso di scienza, non illuda con verbosità colorate » (n. 40). Queste son le sue coserei le, le sue nugae, che invero aprono tanta liwo anche sul valore critico delle monografie, cui torniamo dopo letti i « Peii&ieri » con più intimo amore ed intelligenza. A cogliere i fiori della raccolta, che son poi frutti squisitamente maturi di una mente acuta scaltrita e profonda, ci sarebbe di rinnovare il florilegio. Nè voglio dire di più di un così sobrio scrittore. 208 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA per non incappare nella censura di lui, quando suggerisce con la sua arguzia velata e quasi inconscia, e perciò spesso più acuta e pungente, che « la bellezza è breve e lunga la retorica» (n. 20). Teofilo Ossian De Negri. Giuliano Balestrieri, Di tanti palpiti, variazioni paganinmne, Emiliano degli Oriini Editore, Genova, 1942. L'autore ha raccolto in questo volume otto articoli, precedente-mente apparsi in periodici e riviste, nei quali ci presenta alcuni aspetti della vita, dell’attività e della fama di Nicolò Paganini non ancora particolarmente considerati. A spiegare il titolo scelto per il suo nuovo libro egli ci dice nella Premessa : « Quasi a somiglianza di quella forma musicale, prediletta dal Grande Genovese, que sta pubblicazione è composta di otto variazioni sul tema Paganini, che possono permettere di studiare in vario modo e sotto diversi punti di vista la complessa figura delPartista e delPuomo ». Di tanti palpiti infatti è l'incipit di una celebre aria rossinanaT sulla quale Niccolò Paganini ha ricamato una famosissima serie di variazioni; qua, nel caso nostro, la breve frase può avere un evidente riferimento alla molteplicità delle commozioni che 1 uomo e F artista Paganini suscitano nelF animo di chi si accinge a considerarne l’importanza storica. Il Balestreri definisce tutti gli otto capitoli del suo libro altrettante variazioni del tema Paganini, senonchè il primo capitolo sembra una vera e propria presentazione del tema, come appunio si suol fare nella forma musicale. In tale capitolo egli ci dà una visione panoramica della biografia paganiniana, nella quale un osservatore attento distingue un sempre maggior numero di interessanti dettagli : quelli esposti nei capitoli successivi sono stati più distinta-mente scorti dal Balestreri, che ne ha rapidamente lineato le caratteristiche, mettendone in evidenza la diretta derivazione dall unico soggetto, per cui ben si possono definire variazioni del motivo iniziale. Ma Fautore accenna nella Premessa ad un altro scopo, ad un secondo tema, cioè quello di portare un contributo alla storia del passato musicale di Genova, che, contrariamente alle opinioni coi lenti, è assai ricca. Apparentemente questo contributo non risalta, tuttavia una più attenta e ponderata considerazione lo rileva e lo constata non trascurabile. Se la mamma del futuro artista ha chiesto all’Angelo di far de suo figliolo un violinista eccezionale, vuol dire che nelF umile popolana genovese era ben radicata la convinzione che la gloria di un RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 209 grande esecutore superava tutte le altre. Se Nicolò Paganini si è rivelato un genialissimo organizzatore e direttore di orchestre sinfoniche, vuol dire che in Genova le orchestre e le musiche sinfoniche non erano sconosciute. Inoltre l’essersi formato a Genova P unico epigono paganiniano, Camillo Sivori, ci persuade che l’ambiente musicale genovese era il più propizio ad un’educazione conveniente per raggiungere una tale meta. E Martin Piaggio, che ha trovato espressioni così incisive per magnificare l’arte paganiniana doveva sentire profondamente quanto essa valesse per una remota esperienza, formatasi nella diuturna famigliarità con artisti insigni, fioriti e convenuti nella Genova del suo tempo. Questi immediati riferimenti alla vita musicale genovese, suggeriti dalle variazioni del Balestrerà lasciano scorgere quanti altri se ne potrebbero mettere in evidenza se lo spazio ce lo consentisse. Il nostro piccolo saggio vuol soltanto rendere più attento il lettore di questo bel libro, testimonianza anch’esso dell’amore vivo e tenace dei genovesi per i loro artisti. Mario Pedemonte Contingenze eccezionali hanno disperso il materiale già raccolto e ordinato per le « Spigolature e Notizie » di T. 0. De Negri, che dovevano uscire in questo fascicolo. Ci è giocoforza perciò rinviarne la pubblicazione, completata e aggiornata, al primo numero dell'annata prossima. LA REDAZIONE INDICE DELL’ANNATA 1942 MEMORIE Gianluigi Barni, Mercanti milanesi a Genova nel sec. XII......Pag. 1 Andreina Baglio, La poesia dell1 Anonimo genovese (contili, e fine) .... 13 Arturo Codignola, Per la dignità e la serietà della critica........................24 Carlo Bornate, I negoziati per attirare Andrea d'Oria al servizio di Carlo V 51 Cassia.no da Langasco, Nuovi documenti sul processo ecclesiastico a carico di Niccolò Paganini....................................................................................76 Nilo Calvini, Due lettere inedite di G. Mazzini........................................83 Antonio Giusti-Giuseppe Flechia, Appunti sul dialetto ligure............86 Pietro Berri, Il dottor Benedetto Mojon......................................................101 Mario Battistini, Stefano e Giov. Ant. d'Andrea di Genova ammiragli della città d'Anversa (sec. XVII e XVIII)...................... . 150 T. Ossian de Negri, Antica Liguria (II). TJnità territoriale della Ligaria di Levante nelV opera di U. Formentini......................................................170 Varietà : Ceo PestarinO; Uh crittogramma nel codice Pelavicino deir archivio capitolare di Sarzana..............................................................1S6 Artemisia Zimei, Un celebre pittore nizzardo: Ludovico Brea....................188 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Giovanni Monleone, Jacopo da Varatine e la sua Cronica di Genova dalle origini al 1297 (Umberto Monti)...................... Pag. 26 Vito Vitale, La diplomazia genovese (Onorato Pastine).............. 29 Atti della Società Economica di Chiavari; R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria, Sezione di Savona, Atti vol. XXIII: Rivista Ingauna e Intemelia, III (T. 0. De Negri).............................. 32 Fernanda Wittgens, Mentore, Guida allo studio dell’arte italiana ( Mario Labò)................................................. 90 Costantino Baroni, Documenti per la storia deirarchitettura a Milano nel rinascimento e nel barocco ( Mario Lakò) ................... 91 Pietro Berri, Il prof. G. A. Garibaldi e la medicina genovese del suo tempo (Silvestro Prestifdippo).................................. 93 Ernesto Codignola, Carteggi di giansenisti liguri (F. G. Massuccone) 193 Rivista Ingauna e Intemelia; Rivista di studi liguri (T. O. De Negri). . 196 Mario Bonzi, Sinibaldo Scorza; Magnasco; Due saggi; Pensieri sull’arte (T. 0. De Negri).............................................. 203 Tito da Ottone, Paolo Gerolamo Brusco (T. 0. de Negri)............ 203 Giuliano Balestreri, Di tanti palpiti, variazioni paganiniane ( Mario Pedemonte)................................................... 208 Comunicazioni della R. Deputazione di Storia patria................. 88 Appunti per una bibliografìa mazziniana (Evelina Rinaldi)............ 95 Spigolature e Notizie: Appunti per una bibliografìa generale di storia e di cultura ligure............................................. 35 Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, 1942-XXI