Anno XVI - 1940-XVIII Fascicolo I - Gennaio-Marzo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE G. B. SPOTORNO E IL “ GIORNALE LIGUSTICO „ (Continuazione - V. numero li 1939-XVII) Nella storia della cultura ligure, lo Spotorno occupa un posto eminente. Ebbe ingegno versatile più che originale; severo metodo di studio, ma scarsa comprensione delle nuove correnti del pensiero e dell’arte. In lui la dottrina vasta e varia e l’amore alla scienza furono pari all’amore esclusivo ed ombroso per la terra in cui nacque. È certo clie lo Spotorno, con preparazione adeguata all’orgoglio ch’egli ebbe della sua origine ligure, riuscì a far noti e ad esaltare un buon numero di glorie paesane, di cui la fama ebbe, per opera sua, precisi limiti, negli elementi sicuri dalle sue ricerche ricostituiti o rivelati. Lo Spotorno fu un ricercatore minuto e scrupoloso ; qualche volta acuto, più spesso metodico e volenteroso, quasi mai capace di una sintetica, visione ed enunciazione di fatti e d’idee. Pur essendo fornito di una cultura non comune per la sua solidità e molteplice varietà, non la sa mai ravvivare con una nota personale caratteristica; è l’erudito che, pur interessandosi e appassionandosi a problemi diversi sia letterari, sia storici, geografici, linguistici o religiosi, tutti li esamina con lo stesso procedimento che è spesso più secco che serrato, più schematico che limpido. Ne è esempio il modo con cui combatte la sua più bella battaglia : la rivendicazione di Colombo a Genova madre. Grava sull’opera dello Spotorno un giudizio del Mazzini: giudizio tagliente tra quanti questi ne abbia dato, stroncatura totale, senza appello. « — Scrivete storie civili, politiche o letterarie, come Tiraboschi, 2 LEONA RAVENNA Coppi, e — peggio — Spotorno ». E, in nota, il Mazzini aggiungeva : « Accoppio i nomi di questi scrittori, non ch'io li creda uguali in merito per dottrina e longanimità di fatiche, ma tutti e tre si toccano in questo che le loro compilazioni non variano oltre i fatti, θ procedono senza lume di filosofìa. Il primo, uomo, come tutti sanno, Claustrale, Bibliotecario di principe, nato a tempi, ne quali la Letteratura era merce di anticamere, o di Accademie, e devoto alla setta, che non ha molto diffamava Dante fra noi, non potea far meglio, a meno d’essere più che uomo. Del secondo non so se non quanto danno i suoi libri ed è poco. Tutte le influenze enunciate si accumulano sul terzo — ignotissimo — più la inettitudine assoluta, & la malafede. Vedi.... per la prima la Storia Letteraria, per la seconda il Giornale Ligustico ogni numero, pagina, linea ».( *). Nè più favorevolmente era stato giudicato lo Spotorno dai giovani dell’Indicatori Genovese. Per tutti scrive Antonio Damaso Pareto consenziente con Salti che nella Revue Encyclopédique a\e\a severamente parlato della « Storia Letteraria della Liguria » (~). C’è da parte del Mazzini, un’animosità scoperta, ma c’è in questa polemica un riflesso di quella che allora vivacissima si combatteva tra Romantici e Classici e nella polemica ognuna delle due parti quanto più è convinta della infallibilità del suo Credo, tanto più fanaticamente combatte, nè vede, nè sa vedere, ciò che di vero e di buono si trova, nella tesi dell’avversario. Lo Spotorno aveva — a sua volta — criticato, volendoli addiiìt-tura demolire, gli scritti del gruppo romantico genovese ed ave\a potentemente contribuito alla soppressione dell Indicatore Genovese, aveva voluto stroncare quelle dottrine di cui 1 Indicatore^ Liiotnese era il nuovo portavoce e non aveva risparmiato con lutazioni e biasimi allo scritto mazziniano D’una letteratura europea. Tutto ciò va tenuto presente per comprendere la vivacità della condanna mazziniana. A commento della quale Achille Neri scrive. <( Giudizio il primo eccessivo e non accettabile, mentre il secondo, f1) G. Mazzini, Sul (Iramma storico, pubblicato ne\Y Antologia senza la Λ0-ta che è integralmente riprodotta negli Scritti, Kdiz. Xaz., vol. I. p. JJAntologia non la stampò a scanso di più acerbe polemiche, che, del resto, non.evitò, pubblicando il saggio citato portante non la firma del Mazzini, ma l’indicazione «Un Italiano». . (2) 'SeWIndicatore Genovese il Pareto la definisce: «opera duna mediocrità consolidata» e poco dopo scrive: «chiunque si faccia con animo riposato ed imparziale ad esaminar questa storia, altro non può trovarvi, se non una sterile abbondanza di notizie biografiche e bibliografiche, di lunghe cronologiche discussioni, di minute particolarità di letterati, nelle quali l'autore pose ad usura il proprio ingegno, accumulando noiosi ed incerti vanti per una folla di scrittori suoi favoriti, il cui nome di ninna fama risuona e enei trasse dalle tenebre, ov’era meglio lasciarli ». Nè meno ostilmente era stato giudicato dalla Biblioteca Italiana, la fatica del dottissimo Barnabita. ' s ·*»£* ·/; 4 LEOΝΑ RAVENNA rispètto alla lotta cogli avversari, 11011 s’allontana- troppo dal vero » (3). Esaminando con attenzione coscienziosa quanto di edito e di inedito lo Spotorno ha lasciato, guardando alla sua condotta di sacerdote, di maestro, di studioso si deve concludere che « malafede » non ci fu in nessuna delle sue azioni. Non ne troviamo traccia nemmeno nelle violente polemiche colombiane, non nei rapporti burrascosissimi con Felice Isnardi, non nei riguardi di nessun suo avversario sia pur de’ peggiori. C’è nello Spotorno una rettitudine, una convinzione così assoluta di essere lui nel vero, ,e gli altri nell’errore, che spesso si è scossi più dalla dirittura di quella coscienza che non dall’acume di quell’ingegno. C’è in lui accanimento e fanatismo, ma i suoi son tutti colpi di combattente leale. « La verità è intollerante di sua essenzial natura ; nè ammette mezzi termini »(4) scrisse lo Spotorno. Ed egli, che della verità si credeva banditore, non usò « mezzi termini ». Per l'altra draconiana sentenza, « inettitudine assoluta » essa è « eccessiva ». Ma « inaccettabile » è solo nell’« eccessivo ». Il dardo mazziniano colpisce l’opera più complessa dello Spotorno la « Storia letteraria della Liguria ». Guardiamo dunque i cinque tomi di cui si compone, divenuti oggi quasi una rarità bibliografica. Quelli che ho esaminati — alla biblioteca Berio — appartennero — i primi quattro — all’Autore e portano correzioni di suo pugno. Il primo tomo, uscito nel 1824, è edito dal Ponthenier. S’inizia con una lettera agli 111.mi Signori Sindaci e Decurioni di Genova in cui lo Spotorno ringrazia per gl’incarichi affidatigli con la sua nomina a Direttore del Ginnasio e a Prefetto della Biblioteca « Berio ». Segue VIntroduzione nella quale rettifica Ferrata attribuzione di liguri ad altre regioni e di non liguri alla Liguria: Fin da queste prime pagine si nota il difetto di un metodo seriamente scientifico. La sua ricerca faticosa si esaurisce nell’accumulare notizie senza il vaglio della critica. Ed il suo stile, che affetta la semplicità dei classici, cade in una pedanteria fredda. L’unico segno della sensibilità dell’Autore è nella passione di erudito della sua terra. All’Introduzione — scritta nel 1821 — segue l’Epoca I e cioè « dall’età più remota fino all’anno di G. C. 1300 ». Si esprime in questo libro l’ammirazione e la venerazione più profonda per Roma e la sua civiltà, per quegli spiriti magni, per (3) A. Neri, La soppressione delVa Indicatore Genovese », Torino, Bocca, 1910, p. .38. (4) Nuovo Giornale Ligustico, fase*. I, 1834. G. B. SPOTORNO E IL «GIORNALE LIGUSTICO» 5 quella grandezza di cui egli sentiva l’orgoglio e che avrebbe voluto veder continuata. E il rispetto e 1’ entusiasmo per l’antica sapienza romana, la fierezza; di quella gloria e il culto di quei grandi s’accordano, rinforzandolo, all’amore per la piccola patria e la sua gente. Riferisco alcune pagine, le più vive, le più calde e sentite sgorgate dal cuore, illustranti appunto la stirpe ligure con un lirismo sincero. Scrive dunque nella conclusione al primo tomo: « Ma i genovesi fosse il naturai vigore dell’ingegno, fosse il vedere i costumi e le città di molti popoli non vollero aspettare il secolo XIV, a destare i buoni studi calpestati e quasi spenti sotto de’ barbari. Quando G. Villani pose mano alla sua cronaca, eran due secoli, che si leggevano i maravigliosi annali di Caffaro.... Allorché Folchetto faceva maravigliare la Provenza de’ suoi Carmi, l’Italia non avea pure un Guittone. Pochissimi sapevano il nome di Esopo, ed Ursone già ne riduceva in lodevoli carmi latini le favole. « Giovanni Balbi mostrò come si avessero a compilare i Vocabolari. Simone ridestò lo studio della Botanica accoppiando alle ricerche sui libri, i viaggi. Pesame de’ semplici.... « Gli ordinamenti politici di Genova vincono di tempo quelli di Pisa, creduti antichissimi. Iacopo d’Albenga formò i tre luminari del diritto canonico.... «Ma quelle macchine, onde fu vinta Gerusalemme, che nulla te meva le schiere de’ crocesegnati; quel condurre le acque lontane a ristorar la città con esempio maraviglioso a’ secoli più colti; e il fabbricare nuove città, scavar pórti, trasportar tribune di chiese, non ci ricordano meglio l’età di Traiano, di Leone, di Luigi XIV? Lo studio del greco, dell’arabo, e del provenzale, ch’erano allora le tre lingue degli uomini dotti e gentili ; le pitture, i musaici, gli arredi orbati d’oro e di gemme, i vasellami preziosi, l’ergere templi, o ristorare £ far belli gli antichi, sembrano occupazioni e trattenimenti di un popolo tranquillo, tutto intento agli ozi del viver civile: e i genovesi questo operavano, nel mentre che difendevano la patria, combattevano Pisa e Venezia, atterrivano l’Oriente, correvano al Caspio, cercavano i popoli dell’Africa, e scoprivano risole Fortunate.... « Egli è gran vanto tener l’impero del mare, o farsi temere sul continente ; o trascurando la gloria delle armi, procurarsi quella delle arti leggiadre, e delle più belle e più severe discipline. Ma Punire insieme come fecero i nostri maggiori, tutti i pregi accennati è gloria nobilissima : che rado si trova ne’ giorni più fausti delle grandi nazioni » (5). 11 forte amore alla terra materna riscalda la dottrina delPerudi- (5) Tomo I, p. 318 e segg. 6 LEONA RAVENNA to che dal proprio sapere trae nuovo orgoglio d’amore per la patria che esalta e innalza come pochi seppero fare e con la parola e con l’opera. Il secondo tomo, pure edito nel ’24, comprende l’Epoca seconda dal 1300 al 1500. Colombo, che lo Spotorno con ottime argomentazioni rivendica autentico figlio di Genova, in una serie di scritti tradotti in varie lingue, e che furono causa di asprissime contese, appare in questa storia letteraria anche come scrittore. Ma ciò non meraviglia, poiché s’è visto appunto in una storia che s’intitola « letteraria » considerare ogni attività del pensiero e del^ lavoro. Infatti esploratori e giuristi, pittori e poeti, musici e prosatori trovan posto in quest’opera che vuol essere qualcosa di più e di diverso da quanto il titolo dice : rassegna di tutti coloro che in qualsiasi modo onorarono la terra in cui nacquero, ricerca quanto più minuta è possibile per rivendicare alla Liguria i tìgli suoi, escludendo con altrettanta precisione abusive intromissioni. Nicoloso da Eecco trova nello Spotorno il suo rivendicatore, colui che gli restituisce il merito della scoperta delle Canarie chiarendo, come altri non aveva fatto ancora, che se i Vivaldi, nella sfortunata impresa, avevano quelle isole conosciute, Xicoloso, scoprendole per la seconda volta, seguendo — senza saperlo — la rotta dei suoi compatrioti, le esplorava e le faceva entrare nel raggio della vita civile. Il terzo tomo è pubblicato nel 1825. Comprende l’epoca terza dal 1500 al 1600 e vi si segue il solito criterio di segnalazione di ogni attività. Anche gli orti botanici — ad esempio — trovano nello Spotorno il mèmore illustratore. Il tomo quarto porta a compimento la terza epoca e contiene una Appendice dedicata all’origine di Cristoforo Colombo. Ê uscito nel 1826. Il quinto tomo espone l’epoca quarta : dal 1638 al 1825. Questo volume uscì nel 1858 a cura del Sacerdote Paolo Rebuffo che lo dedicò al sacerdote Sanguineti (6). Perchè il quinto tomo non uscì vivente l’Autore? Il Canale, che era certo bene informato, si limita a scrivere nel Necrologio già citato: « .... si aspettava da gran tempo il Λ ma infinite pene ed altri travagli gli tolsero di sinceramente condurlo a fine ». È una spiegazione che non soddisfa. Il primo punto, nella sua apparente chiarezza è, invece, oscuro. Chi, che cosa, gl’impediva d’essere sincero? L’autorità politica, quella stessa che gli dette noie per il Giornale Ligustico? Dato il (6) Edito dalla Tip. Schenone. G. B. SPOTORNO E IL «GIORNALE LIGUSTICO» 7 lealismo dello Spotorno verso la Monarchia Sabauda e il suo governo, la supposizione lascia perplessi. L’Autorità ecclesiastica? Tanto meno, anche se il Barnabita aveva lasciato l’ordine, conduceva però vita d’esemplare austerità. Nel suo carattere forse è la chiave di questo fatto. Sensibile e suscettibile, scrupoloso eppur vivo nello scatto, lo Spotorno creò a se stesso un impedimento che nella realtà esisteva solo in proporzioni ridotte. « Non essendo — scrive il Canale — i tempi del tutto risanati, e ancora le idee torbide e scomposte, quell’opera si notò di troppe particolarità, di molto sottile erudizione che di sovente era più d’impaccio che di luce, ma in progresso si riconobbe che dovendosi scrivere la storia particolare di un paese, non una generale, anche le piccole proporzioni si doveano rilevare, perchè solo in vasto regno si mettono i grandi fatti, si tacciono i minori.... ». I tempi non ancora « risanati » e le « idee torbide e scomposte » che il Canale segnala ad attenuare un giudizio non molto favore-, vole sull’opera dello Spotorno, vanno intesi non a riguardo di un momento politico o religioso, ma di condizioni storiche letterarie, per cui polemiche artistiche, esaltazioni municipali, affannosa erudizione intorbidavano le menti e gli animi. Lo Spotorno risentiva appunto di quei tempi anche quando già un metodo di ricerca, una più severa e serena critica erano applicati alla storia e alla letteratura. Quest’opera dunque del Barnabita ligure appena pubblicata appariva ed era vecchia opera erudita del Settecento. Originale certo è la concezione di una storia letteraria che tutta comprenda la vita nei suoi aspetti, lodevolissimo lo scopo che si 'propone, lo spirito che tutta pervade l’opera sua : glorificare i Liguri, ricercandone in ogni campo l’attività e indagando per impedire che altri usurpino glorie nostre. Lodevole intento, dunque, perseguito con la sicurezza di far cosa buona e però senza risparmio di fatica. Ma può quest’erudizione — sia pure in sè eccellente — messa al servizio di quel programma — sia pure esso ottimo — bastare? Quando lo Spotorno ha creduto di poter affermare che Staieno o Persio Flacco o Elvio Pertinace sono liguri, e Colombo è di Genova è soddisfatto. Parafrasando la formula latina del civis rommrns, lo Spotorno crea il civis liguris a cui basta tale crisma per essere considerato con rispetto. Si può proprio dar torto al Mazzini quando taccia « d’inettitudine assoluta » lo Spotorno? Inettitudine ad una critica scientifica sì. Non perciò non dobbiamo essergli grati dell’opera sua perchè se qualcosa di nostre passate vicende culturali vogliamo conoscere è allo Spotorno che dobbiamo ri- 8 LEONA RAVENNA correre, e saccheggiato da infinita gente che quasi mai lo cita egli è la fonte a cui tutti s’abbeverano (7). Ed anche perchè alcune controverse questioni sull’origine di parecchi illustri.... o quasi, sono state dallo Spotorno risolte definitivamente. La sua maggiore gloria è proprio quella già ricordata d’aver rivendicato a Genova Cristoforo Colombo. E gli costò : polemiche assai aspre con Poggi, sindaco di Cogoleto, con Felice Isnardi e con la stessa Censura (8). Ma il male fu che lo Spotorno era troppo letterato per essere uno storico ed era troppo erudito per essere un artista. * * * Al dotto Barnabita un campo era particolarmente adatto : l’illustrazione della regione ligure. Era nel suo dominio : nessuno poteva superarlo nella precisa informazione, nella minuta disanima di fatti storici o geografici o archeologici della terra sua. Nessuno lo vinceva quando la sua scienza serviva a esaltare il suo paese. Quando Goffredo Casalis gli affida le voci liguri per la compilazione del Dizionario Geoffrafico-Storico-statistico-commercialc degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, lo Spotorno le compila con particolarissimo entusiasmo ed estrema diligenza. La voce « Genova » lunga e laboriosa pur essendo rimasta incompiuta, è tra le cose 'migliori del Dizionario e tra quelle scritte dall'eruditissimo Abate. (7) A cominciare dallo stesso M. G. Canale, il quale scrisse una « Storia civile commerciale e Letteraria dei Genovesi dalle origini all'anno 1797 e da questo continuato fino a dì nostri», Genova, Grondona, 1S44. Volumi 5; che è un centone nel quale dimostra d’aver riletto l’opera del suo Maestro non per imitarne i pregi di precisione e dottrina, ma proprio per quei difetti che egli pur vi ha rilevato e per i quaU — s’è visto — fa le sue riserve untuosamente. (8) Nelle sue carte troviamo le lettere del Poggi, deirisnardi, il quale ultimo passa per violenza e volgarità ogni limite tanto che, egli stesso, sente il dovere di scusarsi per ciò che ha scritto privatamente e tace di quello che aveva pubblicamente detto. Vincenzo Ricci, il 15 maggio 1833 a proposito della polemica colombiana scrive allo Spotorno : « Mi pare che noi abbiamo in Genova tutti gli inconvenienti della libertà della stampa senza averne i vantaggi, cioè censori severissimi per ciò che non lo meriterebbe e poi ampia libertà di dir ingiurie ». (Carte Spotorno, cartella 72). Alla censura lo Spotorno non lesina rimproveri perchè essa consente si pubblichino cose non solo offensive per lui, ma per la verità, e qualche censore — per es. il Gavazzi — gH risponde scusandosi per il permesso dato di pubblicare delle lettere del-Tlsnardì. Altra volta è il Revisore Sen. Alvigini che gli rimanda un articolo sulla patria di Colombo perchè vi tolga « ogni frizzo ed aUusione atta a provocare nuove polemiche, discussioni, non sempre moderate ». G. B. SPOTORNO E IL «GIORNALE LIGUSTICO» 9 Il Cciisctlis è fiero della collaborazione di « un letterato la cui fama e bella presso tutte le incivilite nazioni » (9). E vei amente alcune voci scritte dallo Spotorno sono una miniera di saporose notizie raccolte da uno scaltrissimo studioso. Compilatore ideale era il Ligure Barnabita, ma non altrettanto si sare )be potuto dire per la puntualità nella consegna del lavoro fatto. Il Casa lis vide messa a prova la sua pazienza — e doveva essere molta — per avere in tempo utile le voci richieste. Le lettere che di lui abbiamo, dirette all illustre collaboratore genovese, attestano l’affettuosa deferenza, la paziente comprensione : in una parola la buona amicizia. Le ricerche sia storiche che geografiche, filologiche o archeologiche 10 appassionano e gli servono per rettificare una qualche piccola inesattezza o per aggiungere notizie nuove. Le lodi abbondantemente fatte dallo Spotorno al Dizionario del Casalis, ripetutamente apparse nel Ligustico in ogni recensione o estratto, come allora si diceva, di esso, non sono dovute al fatto che 11 recensore era un collaboratore di prim’ordine per quel lavoro, ma al genere di lavoro che meglio non poteva rispondere al gusto e alle capacità sue. * * * tibbe ima multiforme attività quale si può rilevare da una semplice scorsa all elenco — molto sommario — delle sue opere. Quale oratore sacro, godette di larga notorietà. Una raccolta di suoi « Panegirici e discorsi sacri » toglie ogni entusiasmo a noi che leggiamo e non sappiamo quali fascini avesse la dizione dell'oratore per colmare le deficienze sostanziali del panegirico. Lo Spotorno ri-, spetta sempre le norme della sacra oratoria quanto alla forma, ma la sostanza è rarefatta, insignificante, priva non dirò del calore apostolico che è pretender forse troppo, ma di quella sana semplicità e aderenza alla parola di Dio che sola può rendere accetta e utile anche la più elementare spiegazione del Vangelo. Guido Mazzoni nel suo « Ottocento » scrive: « .... e lodati furono G. Defendi, B. Caprile. L. A. Carli, G. B. Spotorno ecc., di cui ci è lecito non parlare » (10). Ed è infatti la miglior cosà : basti perciò questo breve cenno. Dell’opera varia dello Spotorno epigrafista, storico, verseggiato-re, poligrafo-, si potrebbe discorrere a lungo, ma le conclusioni non modificherebbero quella cui si è già giunti. Accanto a qualità di prim’ordine stanno deficienze incolmabili: (o) Casalis, Dizionario, cit., vol. VII, p. 302. (i») fìp. cit., p. 1212. 10 LEGNA RAVENNA di qui lo squilibrio sensibile in tutta la sua abbondante produzione, di qui l’insoddisfatta conclusione dell’insoddisfatto lettore (11). * * * Opera quanto mai personale e perfettamente rispondente alla mentalità sua d’erudito e di maestro è quella svolta dallo Spotorno nel Giornale Ligustico. Fu fondato, per iniziativa sua, con l’appoggio finanziario e morale dei sacerdoti Paolo Rebuffo, Antonio Bacigalupo, Girolamo Valentini, dell’Abate Agostino Maria De Mari (il futuro vescovo di Savona), del marchese Marcello Durazzo. Direttori nominali erano il Bacigalupo e il Rebuffo, direttore effettivo era lo Spotorno, il quale non ne assunse la direzione ufficiale forse per atto di cortesia verso i due sacerdoti che lo avevano aiutato finanziariamente e che gli erano molto devoti. Tutti sapevano però che la volontà dello Spotorno era quella che dirigeva il Ligustico e suo lo spirito animatore. Il primo fascicolo uscì nel gennaio del 1827. Aveva questo titolo: Giornale Ligustico di Scienze> Lettere ed Arti (12). (n) TTn elenco dei più significativi e importanti lavori dello Spotorno non sarà forse del tutto inutile e per ciò si fa seguire a questi appunti clie, ί a un volonteroso, attendono conveniente sviluppo. Trattato dell’arte epigrafica per interpretare le iscrizioni, bavona, zerbini, 1818, voli. 2; . τ7 Della Bibbia Poliglotta di Mons. Agostino Giustiniani, T escovo di Neon o, Bologna, Tip. De Franceschi, 1818; Poesie, Reggio, Davolio, 1818; . Della origine e della patria di C. Colombo, Genova, Tip. A. Frugoni, 1^. · , Notizie storico-critiche del B. Giacomo da Voragine, Arcivescovo di Genova, Tip. Carniglia, II ediz., 1823. Codice diplomatico Colombo-Americano ossia Raccolta di Documenti spei- tanti a C. Colombo, Genova, Ponthenier 1823; Ritratti ed elogi di Liguri illustri, Genova, 1824 ristampati a cura aei Bacigalupo nel 1828 e nel 1838 a cura dello stesso Spotorno ; Storia Letteraria della Liguria, Genova, Pontlienier, 1S24, I e II tomo; 1825, III tomo; 1826, IV tomo; 1858, Vi tomo; Panegirici e Discorsi sacri, Genova, Tip. Pendola, 1833. ( Numerosissime poi le dissertazioni e gli studi estratti dal Giornale Ligustico e dal Nuovo Giornale Ligustico. Il Canale, nel citato Necrologio, dice che lo Spotorno aveva « per le mani una Storia dei Longobardi e un’altra sull’antica pittura genovese, un corso di studi per l’educazione delle fanciulle». Nel foltissimo gruppo di manoscritti, si trovano, infatti abbondanti elementi delle tre opere ricordate. L’jEnciclopedia Italiana (vol. XXXII, p. 417) cita tra le opere dello Spotorno. Storia deir antica pittura genovese e Storia dei Longobardi. Di tali lavori editi non mi risulta invece l’esistenza. (12) Era edito dalla Stamperia Pagano. Usciva ogni bimestre. li primo fascicolo è di 111 pagine; ha una copertina azzurrognola e, nel centro di essa, c*’è un disegno raffigurante il busto di Gabriel Chiabrera. Nel foglio interno, G. B. SPOTORNO E IL « GiORNALE LIGUSTICO» 11 Una lunga Introduzione informa il lettore dei motivi che determinarono la pubblicazione della Rivista. Se molte città italiane hanno un giornale scientifico e letterario, perchè non lo deve avere Genova? si chiede lo Spotorno. E così risponde infiammandosi: « Ê dessa non infelice regione d’Italia, non ignobile parte di questa classica terra prediletta dalla natura e dal cielo, dove la divina fiamma avvivatrice degl’ingegni accende i cuori e le menti all’amore del bello, del sublime, allo studio e al desiderio di quanto può innalzare lo spirito, diffondere il culto della virtù, e rendere cara la vita. « Errore volgare e pregiudizio non dannato abbastanza egli è quello, che mal possano allignare ed aver incremento le scienze là dove, per· la natura del luogo sterile e di angusti confini, un popolo, quale siamo noi Liguri, è costretto a rivolgere le sue cure e quasi intieramente dedicarsi alla navigazione e al commercio. « Ma il commercio e la navigazione aprono lontane e sempre nuove comunicazioni con genti diverse d’indole e di costumi, e sono quindi ricca sorgente di pellegrine nozioni, di non isperati ritrovamenti, di larghi mezzi ad un vivere più agiato e tranquillo ; ne riesce allora più raffinato e più pronto l’incivilimento, e maggiori per conseguen-ra e più rapidi i progressi delle arti, delle lettere e delle scienze ». Secondo motivo per cui un giornale di cultura è necessario pure a Genova è il vasto campo aperto alle indagini scientifiche. Terzo : il plauso che il classicista intransigente potrà dare a chi « fra’ moderni ha saputo camminare più animoso e più felice sulle orme » di Dante, Raffaello, Michelangelo, Pergolesi. « Sarà pertanto oggetto di compiacenza a penna italiana il commendare primi fra’ contemporanei un Vincenzo Monti e Foscolo ed Alfieri e Benvenuti e Camuccini, e Canova, e Paisiello e < Cima rosa, e Rossini.... ». Sostenitore della Proposta del Monti, lo Spotorno biasima i « rancidi e vieti vocaboli, pescati a stento e con puerile diligenza nelle bolge del venerato ’300 », esalta lo scrivere « semplice e naturale ». (Continua) Leona Ravenna riproducente lo stesso disegno, si aggiunge, sotto di esso, il seguente verso d’Orazio : Pindarici fontis qui non expalluit haustus Dal II fase, in poi, scompare il ritratto del Chiabrera e il citato verso è sostituito dai seguenti : Hoc opus, hoc studium parvi properemus, et a-mpli, — Si patriae volumus si nobis vivere clari. DIALETTO LIGURE (Continuazione e fine) 8. lou da ululatus (cfr. lüâ da ululare REW 9039), onde al uà « stordire : far rimanere attonito, strapipo, sbalordito o per rumore o per colpo che abbia rintronato il capo o per qualche impensato meraviglioso avvenimento; intronare ecc. : » (Casaccia). La parola lou a Cogoleto (e non so se sia viva anche altrove) si usa unicamente nell’espressione fa i loi, in cui loi indica quei rumori notturni, che si fanno contro gli sposi in seconde nozze, chiamati cabre in Piemonte, ténebre a Genova. La base di cabre è probabilmente la voce onomatopeica c i « stridere, far rumore » (REW 2451 a). Il nome di ténebre (cfr. l’espressione sün.â e t.) è dovuto certamente alla rassomiglianza con quei numeri, che si sogliono fare nella settimana santa alla fine deH’ofiìciatura; comune al mercoledì, giovedì e venerdì della settimana santa è il rito dell’officio delle tenebre, così dette perchè fino al sec. X si cantava a mezzanotte o anche perchè alla fine del-l’offìciatura « tenebrae in ecclesia fìunt » (cfr. L. R. Barin, Catechismo liturgico, Rovigo, II p. 68). Anticamente questi rumori notturni contro sposi in seconde nozze eran detti, nella riviera di ponente, chiar avuglius (v. Rossi, p. 37); volendo tentarne l’etimologia, si può pensare ad un * chiaravuculus con a base la voce onomatopeica c i (cfr. lo sp. chiar « pigolare », il pg. chiar «strillare, pigolare», eh io «cinguettio») e il suffisso — uculus, — uclus (i gruppi interni intervocalici LJ e CL, GL, in molte parlate ponentine, si riducono a un suono di mezzo tra l’it. gl. e un forte j, Parodi GSLL IV p. 374). La stessa formazione ed un significato affine presenta l’it. «tafferuglio», che alcuni derivano dal suono tàffe proprio di percossa (v. 0.· Pianigiani, Voc. etim. della lingua italiana, Milano 1937, s. v.). Un nome proprio, cioè un soprannome Chiaravuglio si trova anticamente a Taggia (v. Parodi GSLL IV p. 385). 9. Da * mucare «smoccolare (REW 5706) derivano i vocaboli genovesi: 1) mukalümme (a Cogoleto anche bukalümme per dissimilazione del m in b o per influsso di b u k k a) « spegnitoio »; 2) m u k e 11 a « smoccolatoio »; mochete due si legge in un Inventario del 1561 (v. E. Pan-diani, Arredi ed argenti di Andrea D’Oria, estratto dagli « Atti della Soc. Lig. di Storia patria » voi. 53 p. 48); 3) mukettu « stoppino »; 4) mnkku « moccolaia, moccolo, residuo di candela »; in un antico documento si legge prò mochis restitutis (v. E. Pandiant, Vita privata genovese nel Rinascimentor Genova 1915, p. 318). Di ALETTO LIGURE 13 ΛΡτ1(νΛ7ΡΛν (plur' pwéi) da Valus’ cfr. pg. p a o (REW 6182; Parodi n’. 148). -A- Cogoleto pów e pwéi chiamansi quei i>ali sui quali, ben unti di sego, si fanno scorrere le barche per spingerle in mare o tirarle in secco. 11. All abruzzese loffe de monete «schiacciatine di pasta frolla.... lavorata già dalle Clarisse » (G. Vidossi AGI XXX p. 92 n. 76) si può aggiungere anche il gen. petti de mùnega. 12. ré la da reiella (REW 7255 a; Parodi AGI XVI 2 n 211) « matassa; quel viluppo o gruppo di vermicelli, nastrini o capellini, avvolti a guisa di matassa» (Casaccia). Cfr. r. de pei u «fetta di pesce»; r. du fü su « fus aiolo ». 13. s k i le il t e «squillante», detto anche della luce e del cielo; uno dei due esemplari (l’altro è süeùte opp. sii dente), che ancora ci restano nel moderno genovese del part. près, con questa desinenza (v. Parodi GL XIII (1886) p. 12 a proposito di brilente ohe [si trova in antiche rime, cfr. Giov. Flechia AGI Vili 334). Questo participio ha il suo corrispondente nel pistoiese squillente « sereno», su cui Gius. Flechia scrive (estr dal « Bul-lettmo storico pistoiese» 41 (1939) fase. 2-3, p. 6); « cielo squillente per «cielo limpido », cielo d’una serenità bronzea,.'., è modo di dire comunissimo nel pistoiese. L’aggettivo è ardito, se vogliamo, ma pittoresco, potendo la limpidezza associarsi al concetto della libera propagazione del suono ». L’odierno gen. sii il ente riproduce l’arc. scelente (Parodi AGI XV 1 e 2 p. 75, cfr. aless. skient Salvioni AGI XVI 2 p. 318); accanto a squillente a Lucca si trova anche sprillente (Salvioni AGI XVI 3 p. 471 ). 14. stivare «passar l’estate» degli Statuii di Ventimiglia, citati dal Bossi, p. 95, deriva evidentemente da] lat. aestivare; per « passar l’inverno » si diceva yemare opp. sivernare, comesi legge in antichi atti (v. Rossi, p. 92 e 95). Dei due verbi, stivare e sivernare, soltanto il secondo è rimasto nell’odierno gen. siv ern ή da ex-hibernare (Parodi AGI XVI 2 n. 191, cfr. REW 3012 b, che però non cita il gen.). 15. strakwa. Il senso originario, o vicino all’originario, esprimeva Fazione del mare quando spinge un oggetto qualunque alla spiaggia, cfr. l’ant. str aquare degli Statuti di Porto Maurizio (v. Rossi p. 95). Il Casaccia spiega: « rigettare, esser buttato alla, riva del mare » e « fluitare: esser trasportato dalla corrente». A Cogoleto si dice u mà u l’a strakwów «il mare è uscito fuori della riva», u l’é i ù strakw «è un rifiuto» detto d’un miserabile (cfr. nel Cavallo straque «stanche»). Il verbo si adopera pure, fuori della gente di mare, nel significato più generico di «spingersi, cacciarsi» (v Parodi GSLL IV p. 397). La derivazione da extra-vacuare, che proponeva Giov. Flechia AGI III 149 sgg. «nelle sue vecchie e sempre bellissime Postille etimologiche», come giustamente le chiama il Parodi, è difficile ad accettarsi per ragioni di fonetica e di senso (cfr. Parodi GSLL IV p. 397 e REW 3099); l’avvicinamento fatto dal Parodi ib. con l’it. « traccheggiare » non mi pare felice. C’è il corso 14 ANTONIO GIUSTI strakkwu « bene naufragato, relitto di mare», che il Salvioni in-« Rend, del R. Ist. Lomb. » 49 p. 836 mette in rapporto con aqua (REW 570): si può pensare ad influsso corso? Comunque sia, ravvicinamento di strakwa con aqua mi sembra sicuro; si potrebbe supporre un * extra-aquare, come da * sub-aquare il Parodi GL XII (1885-1885) p. 250 sg. ha tratto s uba k à « tuffare nell’acqua ». Del resto nello Statuto di Calizzano il verbo compare nella forma stracare (v. Ross*, p. 127) ; e non è forse erronea per stra quare, come pensa il Parodi, ma è l’esito più comune della labio-velare, come in s uba k;T . 16. stusîi « nettare, pulire», voce plebea e usata quasi sempre in espressioni volgari. Sarà da ricondurre al verbo neolatino studiare, come il piveronese (e di alcune varietà biellesi e canavesane) stüjâ, il nap. sto j are e il sic. stujari (v. Giov. Flechia AGI XVIII p. 318). E per il passaggio di significato scrive molto bene il Flechia: « quanto al processo logico, come da curare, excurare, vennero ai dialetti i verbi significanti nettare, pulire, nettare strofinando, ecc., così da studiare derivaronsi con analoga significazione le citate forme». 17. Da * apertalia è derivato il cogoletese verta g g a «screpolatura», con avulsione dell’articolo (da inavertagga «una screpolatura», cfr. i miei Appunti in GSLL 1937, p. 35sgg.).Per il suffino -alia dice il Grand-Gent (Lat. volg., p. 24 n. 37): « fu usato, in senso collettivo, come un femminile singolare con significato accrescitivo e peggiorativo, in Italia e in Gallia ». III. Notereìla toponomastica. Tega e Teya, malamente italianizzati in «Teglia», sono i riflessi della base prelatina attegia, come rugu (r. d’ægwa « sgorgo d’acqua») e ruyu, ruya del prelatino arrugia (v. Bertoldi in « Rev. de ling.. romane» III p. 263 sgg. e cfr. BEW 678)- Attegia è una parola celtica (v. Meyer-Lübke, in « Sitz.-Ber. Wien » 143 (1901), III p. 13) e compare in un’iscrizione col sicuro significato di aedicula (CIL XIII 6054): Deo Mercurio attegiam teguliciam compositam Severinius Satullinius c(ivis) T(ribocus) ex voto posuit l. I. m. (cfr. K. Kerénti, Die Gôttin Diana im nôrdlichen Pan-nonien in « Pannonia » 1938, p. 207 sg.j. Se tale era l’originale significato dei vocabolo, si potrebbe pensare, ogni volta che ricorre il toponimo Tega opp. Teya, ad un particolare culto di qualche divinità, che poi col cristianesimo sia stato sostituito da quello d’unsanto. A Tega di Varazze si venera san Pietro (san P è de Tega); nel ni. savonese Teya (v. F. Noberasco, Toponimi del Comune di Savona, Savona 1932, p. 49) non so se vi sia traccia di qualche particolare culto. IV. Un libro sui nomi locali di Alassio e Laigucglia. Alla toponomastica dei Comuni di Alassio e Laigueglia Nino Lamboglia dedicò amorose cure, il cui frutto raccolse nel volume recensito su questa stessa Rivista da Lio Rubini (GSLL 1939 p. 64-68). L’a. dispone il ricco* DIALETTO LIGURE 15 materiale in ordine alfabetico senza attenersi ad un raggruppamento ideologico; e questo è un male perchè « nonostante le sue manchevolezze è tale sistema [cioè il raggruppamento ideologico] quello che meglio si presta a un’indagine toponomastica di carattere etimologico » (P. S. Pasquali, 1 nomi di luogo del comune di Filattiera, Milano 1938, p. 10). Così un altro difetto è quello di non far precedere i nomi dall’articolo o dalle particelle, che ordinariamente li accompagnano nella parlata, giacché « la forme nue que nous présentent les cartes et les repertoires géographiques » non è altro che «une abstraction, parfois même une falsification » (Muret in « Rev, de ling. romane » VII 1931, p. 53). Ugualmente insufficienti, come già notò il Rubini, sono le caratteristiche geografiche dei luoghi. Ma codesti sono difetti, cui facilmente rimedierà il Lamboglia in una nuova edizione del suo lavoro, che merita d’altronde, per l’onestà dello sforzo, tutto il nostro riguardo. Appunto per ciò faccio qui seguire alcune osservazioni, che sono una chiara testimonianza dell’attenzione con cui lessili suo libro, e spero che gli possano essere di qualche giovamento. 16. arbure « pioppo λ non può muovere da albula (REW 328) che è un pesce, ma da albarus (REW 318) come àrbaru (n. 13) oppure anche da arbore (REW 606). 25. alpe indicava in origine « alta montagna», secondo la dichiarazione di Servio Alpes, quae Gallorum lingua alti montes vocantur; in seguito venne a significare «pascolo d’alta montagna» (REW 579). Arpizéla è diminutivo di alpe (v. Grandgent, n. 37); impropria è quindi la spiegazione del Rubini «monte rotondeggiante e sprovvisto di alberi». 29. àspera non potrebbe indicare «terreno di difficile accesso» (cfr. Pasquali n. 305), anziché «terreno sterile»? 45. ma enea (opp. b a enea) è il settentrionale ma gen g (ticinese, milanese, pavese, ecc.), il prov. m a e n c « prodotti di terra primaverile» ecc., e deriva dal lat. majus « maggio » (REW 5250). La scomparsa dell’j può essere o un caso di antica caduta (nella protonica come nell’arc. m o u da m a ù « maggiore » e in altri casi come in v ϋ u « vuoto » ecc.; cfr. del resto anche la caduta genovese dell’j intervocalico in tróa «troia», gwau « guaio» ecc.; v. Parodi AGI XVI 2 n. 133) o influsso del prov. magne. Inbaenca si è avuta la dissimilazione del m in b (v. Guarnerio, Fon. rom., p. 623 n. 451); in rnar en cu si ha l’inserzione di un r (v. Parodi AGI XVI 2 n. 162), che si trova pure nel cerianese marcencus (v. Rossi, p. 64) latinizzazione di marseiiku, in cui l’j è mantenuto. Non è il caso dunque, come fa il Rubini, di pensare a derivazione del tedesco. 79. A Cogoleto Bedó e Bedolla sono abbreviazioni del nome Be-n e detta; e così pure sarà deH’alassino B e d ο 11 u , cfr. n. 84 Bernar-d ο 11 u . 96. bi fi ù ii (munte b.) è giustamente connesso dall’a. con bnfia (REW 1396); comune è nel ligure la degradazione dell’ù in i, come bitiru (v. Parodi AGI ΧλτΙ 1 n. 108). Derivare büûu e btMia da pugnus, come fa il Rubini, non è possibile, solo se si considerano i riflessi romanzi di 3 6 ANTONIO GIUSTI tal nome (REW 6814); collegare binùn con piveus (REW 6511) è foneticamente legittimo, ma non dà il senso di « rigonfiamento, prominenza », quale si addice al monte. 109. braya più che «campo suburbano» (cfr. anche Rossi p. 130 e Cavalli p. 32) indica « poderetto, .campo» (v. Lorck, Altbergamaskìsche Sprachdenkmàìer, Halle 1893, p. 210; REW 1266; e più sotto Gius. Flechia); nella braida episcopatus saonensis dei docc. del sec. XIV v’era il palazzo del vescovo di Savona (v. Noberasco, p. 29). 110. bréa è lo stesso che braya; v. sotto quanto scrive Gius. Flechia. 136. Non comprendo come mai l’a. legga buyó da lo boglio, lo b o g 1 u , quando cita appunto arsii n. 27, che è trascritto A r z ο 11 o opp. Arzolo. 153. re un du (campu r.) è condotto a rotundus (BEW 7400). È un errore: ma l5a. v’è stato condotto dalle false trascrizioni catastali r e u n-du, reundo, reondo. Il vocabolo rion eriot è celtico e significa «pascolo recentemente costituito »j cfr. a Cogoleto pré riùii (oggi malamente chiamato pré riundu) ei valdostani Lo riondé (\altomen-che), Grand Àriondet (Bionaz), Morion (Ollomont) ecc. Dice giustamente PAbbé Henry ( Vieux noms patois de localités valdôtaines in Estratto da « Le Messager Valdôtain » 1938, p. 12): « les notaires du moyen âge n ont rien compris à ce mot patois rion: ou plutôt, ils ont compris que ce mot ri on voulait dire rond, et ils ont traduit ainsi: Mont rion mons rotundus, Chanrion campus rotundus ! En nature, il n’existe même pas des prés ronds: comment faire pour les arroser? ». 167. Giustamente l’a. deriva car èra da carraria (cfr. prov. carrei-ra, REW 1718); i riflessi romanzi di callis (REW 1520) non permettono la derivazione del Rubini. Il gen. karugu è da quadruvium (REW 6922) rifatto su karu (v. Parodi AGI XVI 1 n. 158). 201. cianae è da planate (cfr. Rubini). 233. ciò su è l’it. chiuso da claudoe indica « luogo circondato da siepe· (cfr. Pasquali n. 222 e 428); anticamente era scritto pure ioso, pioso (v. anche Giov. Flechia AGI VIII p. 363 e 379). 249. cu deb ó è spiegato per «coda di bue» o «culo di bue». È un po grossa! Non capisco come all*a. non si sia presentata la più semplice e la vera interpretazione « capo di bue ». Per kò cfr. ow kó (opp. ow. ków) du gurnu «a capo del giorno» e l’ant. Co defar (Parodi AGI XVI 1 n. 49 e 116; cfr. anche l’espressione dantesca co del ponte Inf. XXI 64, Purg. III 128). Per bo cfr. Fare, s k ο 1 ab ó « lupinella », leiigua de bo «lauroceraso» e la frase scherzevole oggi de bo (Parodi ib. n. 29); il ni. savonese ka de bo ricorda la famiglia Bove, usa ai pubblici magistrati già nel sec. XVI (v. Noberasco p. 31). 305. Penso anch’io, col Rubini, che ca de fe indichi «casa delle pecore» e non «c. di Fedele»; fe dal lat. jeta (ovis), cfr. Diez, Et. TV. II 8. V. DIALETTO LIGURE 17 feda, REW 3269, Giov. Flechia AGI XVIII p. 292. E così pure il savonese e f e (v. Noberasco p. 36) significa « le pecore ». 368. g i a s s u , ha ragione il Rubini, significa « giaciglio, fogliame, lettiera .per gli animali nelle stalle» (cfr. Giov. Flechia AGI XVIII p. 295, Giov. Flechia GSLL IV p. 272 e del medesimo le belle osservazioni che sotto seguono) e non « sterco, letame» come crede Ta, Il vocabolo.risale ad iacere; nel Codex Diplomaticus Cajetanus la parola iacium indica «mandria » (cfr. De Bartholcmaeis AGI XVI 1 p. 23). Quanto alTit. diaccio «luogo chiuso con rete, dove i pecorai tengono il gregge nella notte », il Pieri AGI XV 1 e 2 p. 157 lo collega con jaculum « sorta di rete » (cfr. Kòrting, Lat.-rom. Wòrt., n. 4550 e REW 4570) in quanto «l’idea di rete è parte integrale di quella specie di stabbio, che è il diaccio», pur non escludendo la derivazione da iacere. 440. Non so come ad Alassio sia pronunziato mascella perchè i segni diacritici, di cui si serve l’a., sono alquanto incerti. Se mascella, si potrebbe pensare a masculus e masculetum (v. Giov. Flechia, Nomi locali d'Italia derivati dalle piante in Estratto dagli « Atti R. Accademia Scienze di Torino» XV, p. Io) « maschietto » = locus in quo plantae vinearum masculae consitae sunt (Foecellini s. v.). Cfr. mascettu ni. savonese (v. Noberasco p. 41). 445. maxé (gen. m azéa) deriva da maceria « muro a secco a sostegno della terra che slama » (v. REW 5204 e l’ampia bibliografia in esso contenuta); maiense qui non ha nulla a che fare. 450, mayóra non potrebbe essere marianula? Rimando a quanto scrissi in GSLL 1938 p, 301. 549. pisciarotta non è un soprannome femminile, ma indica «cascata, acqua che sgorghi da qualsiasi fonte»; in tale forma la voce è prettamente settentrionale, v. Pasquali n. 484. Cfr. il ni. pi§a savonese (Noberasco p. 45) e pièaota cogoletese. 552. Non pis su, come crede il Rubini, ma pits- afferma l’a. che sia d’incerta origine. 558. posarangu più che a fermati zoppo» indicherà «sosta dello zoppo »; con posa (da 'pausa, pausare; cfr.il filattierese posadór Pasquali ii. .477) si designa « quel muretto o quella roccia su cui si posano carichi per poi metterli più facilmente e meglio sulle spalle ». 571. prediccia se derivasse dal pers. perdix, perdice dovrebbe essere p r e d ί z e (da peredize); dicca non potrebbe essere « fortuna » (cfr. des dice a) dallo sp. die ha (REW 2628, Parodi AGI XVI 2 n. 192)! predio c a = prato della fortuna? 573. prepin forse da «prete Peppino» o «prato P. » (cfr. il ni. cogoletese presanin « prato di Giovanni). 575. presa (funtana pr.) è il luogo d’onde si deriva l’acqua mediante un incile in un canale (v. Casaccia); cfr. a Filattiera lama dia presa Pasquali n. 262) e vedi le osservazioni del Rubini. Vedi pure Du--CANGE s. v. canalis, rivotus e De Bartholomaeis AGI XVI 1 p. 25. 586. pusaù daposadù, v. sopra posarangu (n. 558). 18 ANTONIO GIUSTI 651. s a p e 11 u « inciampo, impigliamento » (cfr. il mod. z a p e 11, G-iov, θ Gius. Flechia AGI XVIII p. 312), altrove (come nel piveronese sape], v. Flechia ib.) «chiudenda; valico delle siepi; callaia». Secondo Giov. Flechia AGI III p. 167 sgg., l’origine si deve ripetere dal teutonico, ove, presso il basso tedesco, troviamo la parola tappe significante « piede, zampa, piota », e il verbo zappeln « sgambettare, menare i piedi »; la parola zampa ha la stessa origine (cfr. Diez, Et. W., II 435). 663. sciarto degli Statuti di Tenda (v. Rossi p. 125) indica «terreno dissodato» e deriva da * ex-sartum (REW 3066) come il fr. essart e il prov. eisart. 666. D’accordo col Rurini, si deve credere che seawsa indichi il gelso; l’odierno gen. è sersa, ma in qualche antico documento si trova c e u s a, cfr. sic. ceusu (v. Parodi AGI XVI 2 n. 149 e REW 5696). 18. c u en d a non può essere il gen. c u e ù d a (da eludenda) « palizzata, siepe » e il piveronese d’ugual significato c u v e ii d a (v. Ascoli AGI I p. 123 e Giov. Flechia XVIII p. 238)? Fa difficoltà l’esito k, anziché c, da cl, masi possono ricordare kiii «chino», kinà, kavigga (v. Parodi AGI XVI 2 n. 152). 33. marenghe (casse m.) da * marinieus non è possibile; è la stessa derivazione che maenca (v. sopra n. 45). Antonio Giusti II. Noterelle toponomastiche e lessicali genovesi. I. Noterelle toponomastiche. 1. — Arsènna (Alassio). Pur non escludendo a priori l’ipotesi del Lamboglia (Toponom. dei comuni di Alassio e Laigueglia, Albenga, 1939, p. 32) che trattisi d’una variante, mediante il suffisso prelatino -ènna, di artu « alnus glutinosa», e la presunta connessione di quest’ultimo con la base mediterranea *aliso (sulla quale vedi Battisti, Studi etruschi, V, 664), non saprei rinunciare a vedere in cotesto topònimo un continuatore di * Arc en a, * Argena, Argìnna (etrusco Arenai, lat. A r g e n n u s , Arginnus: Schultze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, 126; Pieri, Toponom. della Valle dell’Amo, 19) che ha dato i toscani Arcena, Argena, Argenna (j). 2. — Brèa: località di Genova (vico, passo) nei pressi di via Gàlata: nel dialetto: in a Brèa (cfr. in u Priùn, in a Gœa a Camogli e a S. Mar- (x) Cfr. il toponimo ligure Varenna (Pegli), con le basi *Varena, * V a r (i) n a (etr. Varinei, Varna, lat. Varenus Varennius: Schultze; 248; Pieri, 54). DIALETTO LIGURE 19 gherifca: A. Giusti, Giorn. stor. e lett. della Lig., XV, 1939, p. 54); «già potente terreno piantato ad orti» come diceva I’Alizieri (citato dal Pescio : I nomi delle strade di Genova, p. 28), che suffragava coll’autorità degli antichi rogiti la supposizione dello Spotorno, doversi trattare della voce di origine longob. b raid a «che suona nei bassi tempi quanto uno spazio di aperta campagna »; voce registrata oggi dal Meyer-Lübke (Rom. Etym. Wôr-terb., N. 1265) e alla quale mettono capo non pochi nomi locali dell’Italia Superiore, segnatamente del Veneto (*). Dalla locuzione in a Brèa (cioè: « nella Brea »), scambiato per in Abrea venne la falsa italianizzazione di Abrara (citata dal Pescio e oggi abbandonata), attualmente Brera. Sui toponimi siciliani della stessa origine vedasi C. Avolio Areh. glott., Supplem. period., VI. 3. — Cisano, Due località della Liguria portano questo nome : una presso Bargagli, l’altra in quel di Albenga. Può rispondere tanto a *Cisianu (da Cisius, registrato dallo Schultze) quanto a Caesianu (da Caesius) che figura nelle Iscrizioni Napoletane, come i numerosi nomi locali italiani Cisano, Cesano del Veronese (cfr. Olivieri, Toponom. Veneta, 59 e 64), del Bresciano e del Bergamasco. Di Caesiani fundi si parla nella Tavola alimentare di Velleja (III 96) e un Fundus Caesia u us è ricordato nella Tavola dei Liguri Bebbiani (2). 4. — Corsà nego, Due Cursànegu si hanno nella Riviera di levante : uno in quel di Sori, l’altro in quel di Bogliasco, corrispondenti al lucchese Corsanico (Viareggio). Si tratta indubbiamente di * Curtianicu (sottinteso fundus, ager, ecc.) derivato dal gentilizio Curtius (cfr. De Vit, Onom. Lat., II, 518-19) e confermato dal Fundus Curtianus della Tavola alimentare dei Liguri Bebbiani. Ager Curtianus presso Henzen (Supplem. airOrelli). N. 6664. 5. — Mezzànego (dial. Mesànegu : cfr. Cas accia). — Potrebbe ri- · spondere così a un *Maesanicu (da Maesius, attestato dalleImcrip-tiones Regni Neopolitani) come a un *Metianicu (da Metius, Me-tianus, confermato dai « saltus praediaque Metiae » della Tavola alimentare di VeÜeja (VI, 69). 6. — Mignànego (Pontedecimo, Vaì_,Polcevera). Non v’ha dubbio che, come s’è visto pei due tepònimi precedenti, si tratti d’un nome locale derivato da nome personale con doppia desinenza aggettivale (-anus, - a η ίο u s); ma che può ugualmente riflettere un * A e m i 1 i a n i c u da A e m i- f1) Cfr. Dante Olivieri, Saggi9 di mia illustrazione generale della toponomastica veneta, Città di Castello, 1915 (ma 1914), p. 248. (2) T. Mommsen, Inscriptiones Regni Neapolitani latinae (Lipsiae, 1S52),. N. 2001 e 1354. 20 GIUSEPPE FLECHIA lius o uu * M a e 1 i a n i c u (da Maelius: Schultze,. 36-1) (L) r come un^ *Aminianicu da Aminius, attestato dal F-undus Aminianus della· , Tavola alimentare di Velleja, VI, 39). 7. — Morànego (Torriglia): dial. Moànegu. Risalirà assai veri-similmente a *Moranicu, e questo al gentilizio M or anus, Mora-n i u s (Schultze, 362), se non è da *Mauranicu (e questo da M a u-r u s). 8· —«Terra de Vidicijs». Trattasi d’una località non identificabile del territorio di Albenga, che figura nel Communis Albingane Cartu-larium del 1326, registrata da Nino Lamboglia nella sua Toponomastica dei comuni di Alassio e Laigueglia (N. 776, p, 125), circa la quale il L. suppone possa identificarsi — pur con qualche riserva — eoi volgare virsa o-vinsa (= * vince a?), cioè «graticcio di canne intrecciate per disseccarvi i fichi » (a). Crederei (o m’inganno?) doversi piuttosto pensare ad una base *vi;ti-^ eia da vitex « vetrice», che ha pur dato non pochi altri nomi, locali italiani, come si può vedere nelle monografie toponomastiche di Giovanni Flechia (3), del Pieri (4) e dell’Olivieri (5). 9. — Yeisce (Montobbio). Alla stessa base da cui fu tratto il topònimo-precedente mette capo il ligure Veisce (pronunzia Veize), corrispondente a * Vèti ce = vitice; il qual Veize sta a vetice come naiza a #nàri.ca (narice), biigaìze (lavandaia) a *bucàtice (cfr. tose, bucatala;; e, circa l’etimo di bucato, v. Flechia, Arch. glott. II, 378; Nigra Arch. gt.,. XV. 102;. Meyer-Lübke, N. 1379). 10. — V i g à n e go (Torriglia). Corrisponde a # Vicanicu da Vicanus, Vicanius, attestato dal fundus Vicanianus della Tavola alimentare di Velleja e registrato nella grande silloge onomastica dello Schultze (380). 11. Noterelle etimologiche genovesi. 1, — babuceia «sorta di pianella da casa e pianella da turchi; il popolo toscano [e il genovese] la usa per pantofola» (Casaccia)^ A Pistoia (r) Sul fenomeno fonetico genovese -gna- da lat. -l.ia- vedasi quanto si disse a proposito di mugugnu (Flechia, Giorn. Stor. e lett. della Ligi,. XV,. 1939, p. 58, n, 1). (2) Quello che a Camogli, Becco, Sori, ecc. si dice grae (= lat. cratis), benché i dizionari del Casaccia, dell’Olivieri e del Frisoni dicano che vi si seccano le castagne e non parlino di fichi. Voce da aggiungere al Meyeb-Lübke (N. 2304). (*) Giov. Flechia, Nomi locali d'Italia derivati da nomi di piante (Esodagli Atti della E. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XV (1880), p. 23. (4) Silvio Pieri, Toponomastica della Valle delVArno,, cit.,. p. 256;, Toponom. delle Valli del Serchio e della Lima, p. 108. (5) Dante Olivieri, Toponomastica veneta cit. p. 188·. / dialetto ligure 21 è detta babbucìa (cfr. Petrocchi). È l’arabo bàbusch che ha datn in. sp. babucha e il fr. habouche (cfr. Kòrting. Lat. Rom. Wòrterb N969 MymhWòrtehrb-’N· 858> e Λβ a sua volta m’ette capo Æ. ■ —1 del %LV" «*-"*·”*“·'“>· **«%■-—·. 2. nito» CaS!cot47ÌU, 6 benardÙn baggiano,.,., uomo goffo e scimunito Casaccia). Cade qui opportuno citare quanto si legge nell’opera di Henry Moisy, Noms de famille normans étudiés dans leurs rapports avec la vieille langue, etc. (Paris, 1875, p. 20): « Au moyen âge, dans le vaste cycle des fables racontant la vie et les aventures des animaux, Bernard était le «ST Ï Γ0UΓ8>,· sicchè ben^du e benardun noa sono altro che Bernardo, -one. Cfr. anche il significato assunto dal nome Bertoldo e vedasi in proposito l’opera di B. Migliorini, Dal nome proprio al nome comune (Biblioteca delΓArchivum Romanicum). P P o ai 8 - b ô z i a « candeliere a mano con manico » (Casaccia), che non ha ben s intende, punto a che fare coll’omeòtropo bòzia „ bugia , Come si può vedere nel lessico del Meyer-Lübkb (N. 1375), al quale manca la voce genovese, la bugia prese il nome dalla città di Bougia in Algeria, ove si fabbricavano ! primi candelieri di tale fatta: «ville d’Algerie (dice il Petit Larousse) d où 1 on tirait beaucoup de cire. Chandelle de cire ou de stéarine, à mèche tressée·»; donde il fr. bougeoir, che lo stesso Larousse definisce : «chandelier portatif, bas, muni d’un plateau avec manche ou anneau pour le saisir» Allo stesso modo dalla località di origine si chiamarono p es gli arazzi (da Arras), le baionette (da Baionne), le pistole e i bisturi ristorino) da Pistoia, il gen. calicò (sorta di tela di cotone) da Calie ut nell’india e madrassu (nome d’una stoffa) da Madras pure nell’india. i·4' T7 g'assu ■ Nel senso di « giaciglio, fogliaccio, lettiera per gli animali nelle stalle » non è registrato nè dal Casaccia nè dall’OLiviERi ma dal Frisoni (p. 134) e lo raccolsi io stesso, anni sono, in una escursione dialettale, a Cravasco, a Isoverde e a Pietra Lavezzara in Val di Polcevera Cor risponde al piem. giass «letto delle bestie » (Levi, Biz. etim. piem p U0 (M) al nap. jazzo, sic. jazzu, prov. jatz, voci tutte deverbali di j a c èo aventi identità di origine («), salvo il prefisso, coll’ital. addiaccio e agghiaccio «luo^o dove i pecorai mettono a riposo le pecore» (Petrocchi). Il Carducci (Ocere edizione nazionale, vol. XIY p. 196) ricorda l’Accadernia pratese dell'Addiaccio, fondata circa il 1539 da quel « dolce lume di toscana eleganza » che fu messer Agnolo Firenzuola, « tolto il nome - soggiunge il Carducci - dal recinto, di corde entro il quale i pecorai raccolgono il gregge la notte». 5. — ) à n u , 1 a n ù s u . I dizionari genovesi (Casaccia, Olivieri Fri soni) registrano lanu (lagnu) nel senso di « lagno; ansietà, cura, pensiero, (1) Nel Promptuarium (piemontese-latino) di Vopisco (Mondovì 1564) si legge: « giazzo, lettiera dei cavalli, stramen ». ' (2) Cf. Giov. Flechia, Rivista di filologia classica, I (1873), pp 400 401 22 GIUSEPPE FLECRTA travaglio », ma non registrano lanusu (lagnusu), che vuol dire «sollecito, attivo, premuroso » come in questi versi d’un poeta genovese moderno, ove si parla di due fratelli di natura diametralmente opposta : questu saviu, lanusu e de recattu, mandillà l’atru, rattellusu e mattu (cioè : « questo savio, premuroso e ordinato, canaglia l’altro, attaccabrighe e matto). Qui non ci interessa tanto l’etimologia, che è la stessa dall ital. lagnarsi (dal lat. laniare; cfr. Korting, N. 4669 ; Meyer-Lübke, N. 2667), quanto il significato, che ricorre altresì nell’antico ital. lagno nel senso di «sollecitudine, cura, pensiero» come nel genovese, quale s’incontra nelle Rime di Franco Sacchetti : tu non te ne dai lagno d’avere il soprannome il quale ebbe egli (*) (tu non ti dai pensiero di avere il soprannome [di magno] che ebbe Carlo Magno); mentre lagnoso negli esempi citati dalla Crusca lia solo il significato di « lamentoso, querulo » ecc. 6. — p à p u a : « specie di oca o di anatra ». Manca a tutti i vocabolari genovesi (cosa che fa meraviglia, essendo comunissima nella Riviera di levante,, almeno, per quanto mi risulta direttamente, da Quarto a Camogli). Corrisponde al tose, pàpero « oca giovane », poi, per estensione, « minchione » e al femm. « sbaglio » (pàpera), e l’origine sarà, naturalmente la stessa, sia che derivi da pappare (cfr. Meyer-Lübke, X. 62143), sia che si tratti, com’è più probabile, di voce onomatopeica, che sarebbe confermata (cfr. Pianigiani, Diz. etim. ital., II, 972) dal gr. παππάζειν « gridare al modo delle oche » (specialmente quando sono disturbate nel mangiare o quando sono inseguite) . 7. — ramadàn, «frastuono, fracasso, rumore, baccano, trambusto, diavoleto» (Casaccia). Angelico Prati (Archivum Romanicum, XX (1936), p. 205), parlando della voce arabico nel senso di «stizzoso», cita « il ramadàn dei Mussulmani, che diede ai Torinesi e ai Milanesi rabadan (e a Centuri in Corsica ramadà), che accenna alla fine del digiuno», e dice che il ramadam è anche mentovato dal Sanudo (1514). È da aggiungere il genovese ramadàn nel senso sopra riferito, e che corrisponde semanticamente al tose, bailamme a sua volta proveniente, come ramadan, dall’arabo-tufco bairam, che indica appunto (e in modo più proprio) la festa rumorosa che tien dietro al digiuno, del ramadan. Da aggiungersi al Meyer-Lübke, N. 7024. L etimo di bailamme manca al Meyer-Lübke. (*) F. Sacchetti, Il libro delle Rime, a cura di Alberto Chiari (Bari, Laterza, 1936), p. 135, verso 129. / DIALETTO LIGURE 23 8. — rauzu «accigliato, di mal umore» (Casaccia). Detto dei bambini vale « irrequieto, piagnucolone, molesto ». Si tratta assai probabilmente della stessa voce che in toscano suona rausèo o raugèo, che dal significato primitivo di « avido, avaro» (Petrocchi) passò a dire «cattivo, molesto»; nel qual senso s’incontra nella Mea di Pólito, poemetto in vernacolo di Jacopo Lori (pievano di S. Marcello Pistoiese nel sec. XVIII), ove si legge: ah, sì, con quel raugèo del mi’ fancillo. Come è dimostrato dal più organico ragusèo (tose.), è aggettivo del nome locale dalmata Ragusa, venuto ad assumere valore spregiativo in quella stessa guisa che genovese è voce spregiativa in Corsica i1) c che il gen. tai-ciu (2) e piem. teicc («tanghero») vale «tedesco» (teutsch o deutscli) e come il volg. ted. tallien (da italiener, italiano) dice, o diceva in passato, «carnefice, boia» (Vedasi in proposito: G. I. Ascoli, Studi critici, I, 117 e A. Prati, Archivum Bomanicum, XX, 235 e 244). 9. — runfò «fornello per la calderina della pasta asciutta». Così lo definisce il Frisoni, unico che lo registri tra i vocabolaristi genovesi; forse perchè l’oggetto designato e il nome relativo si diffusero a Genova e nella Riviera nella seconda metà del· sec. XIX (chi scrive aveva a casa sua, a Camogli, appunto il runfò)·. Si spiega perciò che il più recente (1910) dei dizionari genovesi, quello del Frisoni, accolga tale neologismo; il che è una delle tante prove della diligenza dell’autore. La credo voce introdotta dai marinai, coniata sul nome dell’inventore, il fìsico americano Beniamino Rumford (3), celebre per i suoi studi sul caloree per le sue invenzioni (4). 10. — sciarceli a « ciabatta : scarpa vecchia e logora; figuratamente, donna di mala vita, donnaccia » (Casaccia). E indubbiamente voce di origine arabica, corrispondente all’arabo algerino e marocchino scebrelìa « scarpetta di donna indigena, pantofola da donna ricamata » (N. Maccarrone, Arch. glott., XXIX, 45, n. 5 bis). Della stessa origine il romanesco sciofrella «ciabatta», usato dal poeta Gioacchino Belli. In sciarbella per * sciabrella (come avrebbe dovuto essere) abbiamo una metàtesi, fenomeno comunissimo nel genovese (cfr. A. Giusti. Giorn. Stor. e Leti, della Liguria, XIV (1938) p, 99 sgg. Giuseppe Flechia (<) Cf. Falcucci, Vocabolario corso, 688, 435 e A. Prati, Arch. Boni XX, p. 222. (2) Manca al Casaccia e all’OLiviERi, ma. è registrato dal Frisoni. (3) Fa meraviglia che del grande fìsico Rumford, di cui parlano le enciclopedie minori, non si faccia parola nella grande Enciclopedia Italiana, nè nel Supplemento alla medesima. (4) Alla stessa categoria di nomi comuni derivati dai nomi degli inventori appartengono, p. es., le voci macadàn, mansarda,ghigliottina, shrapnel, ecc. Nota — Le abbreviazioni delle opere più frequentemente citate sono: AGI = Archivio Glottologico Italiano GSLL = Giornale Storico e Letterario della Liguria GL ^ = Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e Letteratura REW = Romanisches Etymologisches Wòrterbuch von M Meyer-Lübke . CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum. PAGANINI AN A L’AMBIENTE MUSICALE GENOVESE NEL SETTECENTO MELODRAMMA ED ORATORIO (Continuazione e fine) L’autore delle parole è ignoto, nè mi interessa conoscerlo ; escludo che le abbia scritte la stessa cantante, la quale però lia taglialo abbondantemente quanto le avevan proposto. Di tali congedi ne potrei trascrivere circa un centinaio, ve ne sono dei chilometrici, tutti d’una povertà esasperante; l’esempio, che ho riprodotto, è il più breve, merito dell’Aguiari, ed è anche l’unico tollerabile. Lucrezia Aguiari era soprattutto meravigliosa nelle arditissime volute di sviluppati gorgheggi, nei trilli acutissimi, nei pichettati brillanti. Gareggiava volentieri coll’ottavino dell’orchestra, infatti, su alcune copie di arie scritte appositamente per lei dai più insigni compositori del tempo, Traetta, .Tornelli, Galuppi, Colla, Bianchi, In-sanguine, Cimarosa, Guglielmi, Anfossi, Piccinini ed altri, vi è l’annotazione * Con flautino obbligato. Possedeva dei flautati deliziosi e ne usava con un gusto squisito. Nicolo Paganini non 1 ha sentita, perchè essa è morta quand’egli era appena nato, ha però visto e forse considerato con attenzione le arie e le fioriture che essa aveva suggerito agli autori sopra citati, e ne ha sentito, parlare dagli orchestrali, che l’avevano accompagnata nelle esecuzioni famose. Anche allora, come ancor oggi, gli orchestrali ricordavano con espressioni entusiastiche i grandi virtuosi di cui avevano ammirato le stupefacenti acrobazie o l’incantevole espressività negli adagi, e dell'indimenticabile impressione riportata si servivano come termine di paragone per giudicare quanti ambissero emulare i migliori. Mi sono indugiato alquanto sull’Aguiari, perchè le caratteristiche della sua virtuosità hanno per noi un interesse particolare. Degli altri si può dire più rapidamente poiché il significato della loro presenza nell’elenco è per noi questo: l’aver essi partecipato, e uon una volta sola, ad esecuzioni genovesi testimonia l’eccellenza raggiunta dalle manifestazioni melodrammatiche ed oratoriche allestite in Genova, e conferma il fervore e l'entusiasmo dell’ambiente. Per conseguenza è superfluo tessere un lungo elogio di Anna Andreozzi, la moglie dell’insigne compositore Gaetano Andreozzi, che in Genova fu ammirato forse più che altrove: di Giuseppe Aprile, il famoso contrattista che filava le note in modo prodigioso; di Matteo Rabbini, tenore festeggiatissimo in tutta Europa;
  • .si; Le due gemelle ; La scelta dello sposo ; La virtuosa,di Mergellina ; La sen a bizzarra; La virtuosa alla moda·. La sposa fedele-, Oli originali; Cleopatra; Enea e Lavinia·, liccimero; Il Vologeso·, Amor tra le vendemmie; 1 due baroni. Di Adolfo liasse fu eseguita l’opera Siroe; di Giuseppe Haydn l’oratorio La creazione; di Nicolò Jomelli ebbero buona accoglienza gli intermezzi : Don Trastullo ; Don Falcone; L'uccellatore : Cerere placata ; Armida abbandonata. Gaetano Isola, genovese, ha composto numerose opere, vari oratori, molta musica da chiesa, ina delle opere e degli oratori le biblioteche di Genova conservano soltanto pezzi staccati con l’indicazione degli insigni artisti che li hanno eseguiti. Ripeto la stessa cosa per Luigi Lamberti di Savona, per Giovanni Iìattinta Lampugnani e per Nicola Logroscino. Andrea Lucchesi ci interessa non come compositore, ma come direttore d’orchestra. Fu a Mannheim, a Bonn, dove conobbe lìce-thoven giovinetto, ed anche a Genova. Della sua valentia parlano le cronache tedesche con vivo entusiasmo, perciò sarebbe utilissimo sapere quali lavori abbia diretto in Genova, ma per ora io non lo so dire; suppongo che sia stato chiamato per dirigere La Creazione di Haydn. Francesco di Majo e Marcello da Capua ottennero in Genova vivissimi successi, ma non so dire con quali opere; del secondo è probabile la rappresentazione dei lavori 1 tre Orfei-, Le donne bisbetiche’, Furberia e jruntiglio. Gaetano Marinelli è ricordato dalle opere Demofonte ,e Andromaca: Vincenzo Martini, spagnolo, da L’albero di Diana: Giuseppe Misliwecek, presente negli altri elenchi con molta musica da 30 MARIO PEDEMONTE camera, ottenne anche un notevole successo coll’oratorio Ad nino ed Èva. Giuseppe Mosca soggiornò a lungo in Genova ed introdusse in alcune sue opere buffe arie e duetti in dialetto genovese. Le sue opere eseguite a Genova, sono molte, ma particolarmente note sono: La prova d'amore; La fortunata combinazione; I pretendenti delusi. Wolfango Mozart, notissimo ai genovesi come compositore di musica strumentale, non fu altrettanto noto come operista. L’unica opera eseguita con successo pare sia stata II matrimonio di Figaro. Grandissima popolarità raggiunsero invece le opere di Sebastiano Nasolini, Giuseppe Niccolini, Ferdinando Orlandi. Del primo furono rappresentate le opere: Cleopatra; Le feste d’Iside; Mitri-date; Penelope; Merope ; Gli sposi infatuati; del secondo: Alzira■; Bruto; Carlo Magno; Le nozze campestri; I molinari; Il principe spazzacamino; Il trionfo del bel sesso ; Gli Sciti ; I baccanali ài Roma; Lo spazzacamino principe; del terzo: La dama soldato ; // qui prò quo; Il podestà di C ìlio g già ; Il sarto declamatore. ; La pupilla scozzese ; Rodrigo di Valenza ; Le nozze chimeriche. Anche Ferdinando «Paër venne a Genova parecchie volte e vi rimase a lungo per mettervi in iscena le seguenti opere: 1 fuorusciti; Agnese; Griselda; Sargino; Camilla; Il principe di Taranto ; Le astuzie amorose; La virtù nel cimento; Sofonisba; L’orfano riconosciuto; L'eroismo in amóre; Pirro. Un grande maestro, che in Genova acquistò una popolarità paragonabile a quella di Domenico Cimarosa, fu Giovanni Paisiello. Gli oratori: La passione del Redentore, e Susanna, furono ripetuti più volte e credo anche le seguenti opere : La Nina pazza per amore; La Grotta di Trofonio; La serva padrona; Catone in Utica; Le gare generose; Il fanatico in Bolivia; La Molinara; Gli zingari in fiera; Andromaca; La disfatta di Dario; I/ubino e Carlotta ; Re Teodoro in Venezia; La morte di Cesare; La Frascatana; Il barbiere di Siviglia. Notevole è la cantata Giunone e Lucina, scritta in Genova per un complesso corale aristocratico. Silvestro Palma è ricordato per l’opera La pietra simpatica ; Stefano Pavesi per Ines d’Almeida; La festa della rosa; Elisabetta di Inghilterra; Il trionfo delle belle; L’accortezza materna; Davide Perez per L’eroe cinese. Giovanni Battista Pergolesi fu molto amato ed ammirato in Genova per tutto il settecento. Non saprei dire quante volte fu eseguito il suo Stabat, ed anche le sue cantate figurarono spesso nei concerti privati. La serva padrona fu eseguita spesso nei teatri privati come intermezzo a rappresentazioni drammatiche, L’Olimpiade apparve anche nei teatri pubblici. Salvatore Perillo; Giuseppe Persiani; Pietro Persichini ; Brizio 31 Petrueci hanno certamente fatto rappresentare qualche opera, ina non ne so dire il titolo; di Andrea Danican Fhilidor furono rappresentate, forse in teatri privati, Le Maréchal ferrant; Le Sorcier. Più interessante è la produzione di Nicolò Piccinni, che fu a Genova più volte e vi si indugiò alcuni mesi prima di recarsi in Francia. Nel 17G1 era in Genova Carlo Besozzi, il più grande oboista d’Europa, e Nicolò Piccinni scrisse vari assoli da introdursi nelle sue opere per il grande esecutore, e sul manifesto fu scritta l’annotazione : « Il Sig. Carlo Besozzi suona l’oboe ». Delle opere picciniane rappresentate in Genova ricordo anzitutto La Gecchina o La buona figliola, che fu ripetuta molte volte, e quindi II gran dd ; L’Olimpiade; Le vicende della sorte ; L’amante deluso ; La Molinarella ; Il barone di Torreforte; La peccatrice ; Il parrucchiere; Lo sposo burlato ; Le donne vendicate ; Il finto pazzo. Giuseppe Ponzo, genovese, autore dell’opera II re alla caccia ; della cantata Arianna e Teseo e di molta musica strumentale, deve aver raggiunto una rinomanza straordinaria, perchè un bel numero di sue arie' sono state interpolate dai più insigni cantanti in molte opere di autori famosi. Marco Portogallo è ricordato per le opere Le donne cambiate e Rinaldo d’Aste ; Vincenzo Pucitta per le opere La Vestale e La principessa in campagna;· Salvatore Rispoli per l'oratorio Il trionfo di Davide, composto in Genova ed eseguito nel 1798 nell’oratorio filippino di Via Lomellini. Antonio Rossetti ha fatto rappresentare l’opera -Armida nel 1778; Lorenzo Rossi l’ojDera Ifigenia nel 1784 ; di Gian Giacomo Rousseau un gruppo di dilettanti aristocratici hanno rappresentato Le Devin du village e di Filippo Rameau Ippolito e Aricia. Nel 1783 è stato rappresentato Giove in Creta di Giacomo Rust; nel 1774 Ezio di Giovanni Maria Rutini- nel 1784 II furbo contro il furbo ed I raggiri amorosi di Ferdinando Rutini. L’ordine alfabetico raggruppa qui tre compositori che furono considerati tra i più aristocratici del settecento: Antonio Sacchini, Antonio Salieri, Giuseppe Sarti. Tutti e tre hanno portato un bel contributo al repertorio operistico dei teatri genovesi; il primo con le opere: Adriano in Siria; Armida; La contadina in corte; Eumene; Il finto pazzo per amore; L’eroe cinese; Antigone; il secondo con le opere: La secchia rapita; As sur re d’Ormus; La partenza inaspettata; il terzo con le opere: Didone; Medonte; La giardiniera brillante; Le nozze di Dorina; L’Olimpiade; Giulio Sabino. Giuseppe Scarlatti e Giuseppe Schuster sono presenti con molte arie staccate, indice sicuro che alcune loro opere furono eseguite. Gaetano Sciroli sulle copertine della copiosa raccolta esistente in Genova ora è detto napoletano, ora lombardo; forse è di un’altra regione d’Italia, ma in Genova lia soggiornato molti anni e per Genova lia composto molta musica da chiesa, l’oratorio La morte di 32 MARIO PEDEMONTE *Eleazaro, le opere: La caffettiera; La villanella innocente ; Il conte Gian Pascozio; e molta musica da camera. Anche Angelo Tarchi ha fatto un lungo soggiorno in Genova dove ha messo in scena La morte di Cleopatra ; Il disertore e forse molte altre opere come suggeriscono i molti pezzi staccati. Domenico Terradellas e Tommaso Traetta sono ricordati da una infinità di arie, duetti, concertati, senz’alcuua indicazione. Si può quindi affermare che molte delle loro opere incontrarono un grande favore in Genova. La stessa cosa potrei dire di Vittorio Trento e di Giacomo Tritto, ma di questi due maestri posso elencarè Le gelosie villane del primo, Le trame spiritose e La villana riconosciuta del secondo. Chiude la serie Nicola Zingarelli che negli ultimi anni del settecento ha fatto rappresentare in Genova : Pirro, Ines de Castro, Giulietta e Romeo. Nell’elenco manca Gaspare Spontini, perchè mi riservo di parlarne più diffusamente nelle prossime puntate. Per quanto nessuno vi abbia mai accennato, ho la sensazione che il maestro di Maiolati abbia esercitato una particolare influenza sul ventenne Paganini. L’elenco, anche per altre molteplici omissioni, è incompleto e sommario, ad ogni modo sufficiente a dimostrare l’entusiasmo vivissimo di tutto il popolo genovese per la musica italiana e l’importanza di Genova come centro musicale. Se a Genova sono convenuti i più celebrati cantanti ed i più insigni maestri del settecento, vuol dire che Genova esercitava su di essi un’attrattiva almeno eguale a quella esercitata -dalle città musicalmente più famose. In quanto poi all’eccellenza delle esecuzioni genovesi ho già segnalato qualche elemento per giudicarne; oggi ne.segnalo un altro forse più probativo. Invito i miei lettori a rileggere le prime lettere di Niccolò Paganini, raccolte da Arturo Codignola nel prezioso volume Paganini intimo ed a considerare i fugacissimi appunti che egli fa alle esecuzioni di Torino (lettere X, XI, XII) di Roma (lettera XXV e seguenti), e l’interesse vivissimo che egli dimostra nel chiederle notizie dei teatri di Genova. Mario Pedemonte NOTA SULL’ACQUEDOTTO CIVICO DI GENOVA Se non vegliamo tener conto dei riferimenti fatti dagli Autori de 1 passato che indicarono arbitrariamente una data di fondazione, le prime notizie certe sull’acquedotto Civico, il.più antico e per molti secoli runico dei mezzi di approvvigionamento idrico per Genova, risalgono ad un documento del 1295 (r) ; in esso è fatta menzione del-Popera compiuta fino alle porte della città « usque ad locum urbis qui Castelletum dicitur », per trasportare acqua della vai Disagilo « per quem a longe aqua devehitur intra civitatem » (2). Tale documento, riferito frammentariamente dal Podestà (3), servì alPA. per contrastare col Canchero (4), il quale portava come data probabile di prolungamento dell’acquedotto- medioevale fino alla località di Trensasco il 1355, mentre invece esso già vi giungeva nel 1295. Purtroppo non si hanno molte notizie sulPacquedotto romano e solo rimangono imponenti ruderi che testimoniano il percorso di quest’opera iniziata probabilmente sul finire dell’età repubblicana ed alla cui costruzione dovettero attendere maestranze specializzate. Gli storici del passato indicarono arbitrariamente (5) l’epoca della costruzione, basandosi su elementi privi di fondamento storico. Comunque le rovine dell’acquedotto romano e del p'rimo medioevale restano a testimoniare la perfetta conoscenza delle leggi idrauliche e la preoccupazione da parte di chi provvide al fabbisogno idrico di Genova, di convogliare un’acqua che giungesse in città in abbon danza e non inquinata durante il percorso*. Rimane provato che, caduta in disuso la costruzione romana (6), questa venne sostituita con un primo acquedotto medioevale che sfruttava le stesse sorgenti ed un percorso pressoché parallelo se non uguale al precedente. Tale (!) Questa del 1295 è la data che ha maggior attendibilità sulle prime notizie scritte dell’acquedotto giacché, come giustamente rileva il Mosele, le altre anteriori che si riferiscono a sentenze sul divieto di usare acqua a scopo industriale (molini), non fanno sicuro riferimento all’esistenza di un acquedotto in funzione (1152, 1232, 1248). (2) Muratori, R. I. S.; Ann. Genucnses, Vol. XVII. (3) Podestà, L’acquedotto (M Genova. Sordomuti, 1S79. (4) Banchero, Descrizione di Genova e monumenti pubblici. Pellas, 1864. (5) Vedi il Banottero cit. ; il libro Genova e Genovesato compilato sotto la direzione di Francesco Pali, a vicino. Ferrando, 1S46. (6) Il Banchero, op. cit., riferisce molto vagamente «che il romano acquidoso fu posto fuor d’uso, rotto e reso inservibile, o nei tempi delle longobardiche invasioni, ο quando i Normanni ed i Saraceni presero quasi a vicenda -ad infestare il Mare Mediterraneo e l’Italia ». 34 GIOVANNI PESCE acquedotto dopo una serie di prolungamenti (non è qui il caso di riferirli quando già ne hanno parlato diffusamente altri AA.) (7), venne sostituito con uno definitivo (sec·. XVI) che, con ulteriori rifa Giovanni da Rapallo (?): Inaugurazione dell’Acquedotto civico. cimenti, approvvigionò Genova d’acqua potabile fino a pochi anni fa (8) provvedendo, col sussidio di qualche sorgente cittadina, al fabbisogno idrico (°'i. L’acquedotto civico resterà tuttavia sempre a testimoniare quanto in passato è stato fatto nella nostra città per l’approvvigionamento (7) Cfr. Podestà e Banchero, citt. (8) Nel 1917, per decreto Prefettizio, l’acqua del Civico fu dichiarata non potabile e destinata esclusivamente ai lavatoi ed all’innaffiamento stradale. Questa determinazione fu presa in seguito ad epidemie di infezione tifoide di origine idrica. (9) Nell’Opera Descrizione eli Genova e dei Genovesato sono nominate le fontane e le cisterne cittadine che sfruttano l*acqua del Civico e di sorgenti locali. Per sopperire al continuo fabbisogno idrico dovuto al progressivo accrescimento del centro urbano nel 1S55 fu costruito l’acquedotto Nicolay; nel 1882 il De Ferrari-Galliera o del Gorzente e nel 1913 il nuovo Acquedotti* Genovese. Il primo deriva l’acqua dal torrente S’crivia; il secondo dai lagbi artificiali del Gorzente, il terzo dalla zona orientale del sottosuolo cittadino. Recentemente fu costruito un quarto acquedotto, quello di Val Noci, ebe sfrutta l’acqua di un bacino imbrifero nei pressi di Creto. I nota sull’acquedotto civico di Genova 35 dell acqua potabile e, quale insigne monumento storico, ci ricorderà le cure del governo della Repubblica di Genova per un elemento di così grande importanza. Dei due documenti che voglio illustrare in queste pagine, entrambi poco conosciuti specie perché non ricordati da coloro che si occuparono recentemente dell’argomento, il primo è un quadro installato attualmente nel Civico museo di S. Agostino di Genova; il secondo una Grida in volgare del 1487 che fa parte degli Statuti dei Padri del Comune (10). A proposito del quadro sorgono però subito delle contestazioni: nell’opera del Banchero infatti si legge : « Vuoisi che i quattro personaggi che già erano dipinti in una antichissima tavola che si conservai nell uffizio degli Edili e della quale si ha copia in città, vuoisi dico che rappresentassero i due commissari ed i due architetti ricordati nelle lapidi. Io non dissentirò da questa supposizione, giacché parmi clie chi ebbe cura di lasciar memoria di sé in marmi&(n) abbia potuto avere quella più splendida di farsi pingere in tela in atto particolarmente che dinota un po’ di vanagloria tutta propria di un marchese signore, qual era Odoardo·, giacché la prima figura é di esso che spiega il tipo dell’acquedotto innanzi ai tre personaggi che figurano nel quadro i quali tèngonsi come s’è detto pel Dentuto ed i maestri nominati ». Il Banchero aggiunge che le effi°i delle quattro persone sono copia fedele di quelli più antichi della* tavola originale, perduta, dipinta da « un certo Giovanni da Rapallo,’nome ch’io mi sappia, ignoto agli scrittori della storia pittorica nostra ». A proposito dell’attribuzione del quadro al Giovanni da Rapallo, per quanto questa si faccia per una tavola non più esistente, non abbiamo elementi sufficienti per una rigorosa disamina e non credo basti il ragionamento fatto dal Banchero per giustificare una qualunque supposizione, tanto più quando non sappiamo con sicurezza quale episodio rappresenti il quadro e quali persone vi siano veramente effigiate. Il quadro che misura metri 1,80 per 2,45 raffigura invero quattro personaggi che si danno convegno in aperta campagna ed i! loro atteggiamento denota come stiano discutendo tra loro: osser- (io) Desimoni C., Gli Statuti dei Padri, del Comune. Genova, F.lli Pagano, 1886, doc. LX\ I. Tra i diversi atti che si riferiscono all’acquedotto in parte conosciuti, ho scelto questo del 1 luglio 1487, scritto in italiano perchè quali tunque riporti disposizioni precedentemente conosciute, non è privo ’ di in-teresse. (1J) L’A. allude ad una lapide trovata dal Giustiniani a Staglieno lapide che, secondo quanto riferisce in nota il Mosele nello studio Sull’Acquedotto Civico (Genova « Rivista Municipale », 1938) va letta : « Hoc opus completum fuit MCCCLV — De Pecunia Comunis janue, assistentibus — Massariis Dominis Oddoardo de Marchionibus — de gavio et Guillelmo Dentuto et — Scriba cum ipsis Leonardo de Berengerio Notario ». 36 GIOVANNI PESCE vando però attentamente si nota come Tunica persona in atto di ascoltare sia proprio la prima a sinistra la quale, rivolta agli altri in animata discussione (lo denota il vivace gesticolio delle loro mani), sembra piuttosto in atto di apprendere che in quello di spiegare il tipo dell’acquedotto, come vorrebbe il Banchero. Il paesaggio circostante rappresenta ai lati due alture : quella a destra di chi guarda, più elevata, con un fabbricato rustico in zona collinosa, ed una roccia anfrattuosa antistante che inizia bruscamente il pendio : nell’altura a sinistra si notano alcune costruzioni di cui una con torre merlata e bifore, ed un corso d’acqua che scorre ai piedi della collina. Cogli elementi individuabili nel quadro, davvero molto esigui, non credo si possano fissare dati di fatto, nè tanto meno, pensare che il paesaggio rappresenti l’intero percorso dell’acquedotto, dalla presa all’ingresso in città, come hanno supposto altri (12). È quindi assai dubbia, a parer mio, tanto l’attribuzione all’Au-tore dell’originale scomparso (13), quanto il voler riconoscere nel quadro a noi giunto, che tra l’altro è in cattive condizioni di conservazione, i quattro che nel 1355 si occuparono deiraequedotto·. La Grida del 1S17, che non trascrivo perchè edita come ho detto, dal Desimoni, si riferisce alle pratiche di manutenzione dell’acquedotto impartite dal cardinale Paolo di Campofregoso (14) doge dei Genovesi in quell’anno. Il documento si .riferisce ad altri emanati in epoche precedenti ed assai numerosi in tutto il secolo XV (15). ft, come questi altri, di singolare importanza perchè dimostra la preoccupazione negli anziani del Connine di garantire l’approvvigionamento dell’acqua potabile alla città ; ha poi una fisionomia propria ed un interesse particolare per il fatto che è scritto in lingua italiana. ìsei documento, dopo una sommaria enumerazione di precedenti decreti sulla tutela dell’acquedotto, si lamenta che, « niente di meno da certo tempo in qua quelli li quali hanno ville et caze, cossi in la cita corno de fora convertisse quello in suo proprio uso in tale modo che in lo tempo de la state quando la citae bisogna più de a qua, non se p'o pigliare de quel aqueducto alcun comodo ». Per provvedere a tale inconveniente viene istantaneamente comandato « che non vi sia persona, che possi di qui innanti pigliare aqua de lo dicto conducto ». Se poi vi fosse qualcuno che avesse precedentemente praticato « per-tuxi o sià forami per li qua se impachie lo corso de lagua » si ordina (12) Tale è appunto la interpretazione figurativa data da Domenico Piaggio autore di una litografia rappresentante il quadro in parola. (Coll.ne di stampe e litografie esistente nell’Uff. Belle Arti e Storia del Comune di Genova). (13, l’Alizieri, nelle sue Notizie dei professori di Disegno in Liguria, Sambolino. 1870; riporta notizie su questo pittore, tratte dai cartolari del Comune in cui figurano varie commissioni di quadri. (14) Arcivescovo della Città, eletto doge il 25 novembre 14S3 (Giustiniani). (15) yedi gli Statuti dei Padri del Comune citati. NOTA SULL’ACQUEDOTTO CIVICO DI GENOVA 37 tosto che « li serra et de cetero non ne piglie più, nè facia cosa che sia contro lo corso de laqua predicta ». Speciali sanzioni sono poi stabilite per chi ardisse prelevare acqua destinata « a la porta de San Tomao a lo Beverao ». Allo scopo poi di garantirsi il pagamento delle contravvenzioni inflitte ai trasgressori, i Padri del Comune vietano la vendita o l’acquisto di proprietà i cui padroni debbano soddisfare alle contravvenzioni inflitte. Il documento, scritto negli atti del Notaro Gottardo Stella, fu reso di conoscenza con « publica crida in Banchi et per li loci publici et consueti de la cita de Zenoa a ciò neguno possa pretendere ignorancia ». Giovanni Pesce COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA Il lo febbraio 1940-XVIII ha avuto luogo un’adunanza interna della R. Deputazione sotto la presidenza del Senatore Moresco. È stato deliberato di proporre al Ministero dell’Educazione Nazionale di chiamare a coprire il posto vacante nella Deputaziine l’illustre storico e giurista prof. Federico Patetta, Accademico d’Italia e ai posti di corrispondente i professori Enrico Gugliel-mino, Giuseppe Oreste e Nilo Calvini. Queste proposte hanno già avuto la sanzione superiore. A sostituire il compianto marchese Paolo Alerame Spinola nella carica di Vicepresidente il Ministro dell’Educazione Nazionale ha designato il march, dott. Gian Carlo Doria che al grande nome accoppia ben note benemerenze come cultore degli studi storici e araldici. Il Consiglio Direttivo e tutta 1; Deputazione gli rivolgono, con cordiali rallegramenti il più fervido saluto augurale. Il Consiglio Direttivo è stato lieto di accogliere le domande dei nuovi soci : Prof. Ernesto Curotto (proposto dal S*en. Moresco) ; Sac. Bagnasco, Arciprete di Nervi (dal socio Mons. Cambiaso) ; Sac. dott. Pietro Zuccarini, Rettore del Seminario del Chiappeto (da Mons. Cambiaso) ; March. Lodovico Gavotti (dal socio nob. cav. Maineri) ; Prof. Mario Macciò (dal socio prof. Rebaudi) ; Dott. Nicolò Cuneo (dal prof. Vitale); Margherita Miglineri (dal prof. Vitale) ; Bianca Penso (dal prof. Vitale) ; R. Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino.^ Nel settembre 1940-XVIII sarà tenuto a Napoli il primo convegno delle R.R. Deputazioni di Storia Patria. I temi assegnati al convegno sono i seguenti : « I documenti della storia d’Italia esistenti negli archivi stranieri. Piano per im’inclagine sistematica. Proposte ed accordi per una più attiva collaborazione tra le RR. Deputazioni di Storia Patria ». Chi avesse da fornire notizie in proposito o avanzare proposte è pregato di presentarle al segretario prof. Vitale incaricato di riferire per la Deputazione ligure. Sono stati pubblicati nella « Collezione dei Notai Liguri » i volumi seguenti : vol. Ili: Bonvillano (1198) ; vol. IV : Oberto Scriba de Mercato (1186) ; vol. V parte I : Giovanni di Guiberto (1200-1211). I due primi hanno il prezzo di copertina di L. 25, il terzo (compresa la seconda parte di imminente pubblicazione) di L. 100. Come è noto, gli appartenenti alla Deputazione possono avere i suddetti volumi con lo sconto del 75 %. R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA 39 È in distribuzione il II fascicolo del vol. IV degli «Atti» (LiXVIII dell’intera raccolta) : Nuovi documenti stul Castello di Bonifacio nel sec. XIII a cura di V. Vitale. È imminente la pubblicazione del vol. IV della serie del Risorgimento : La- vita\ economica'e lo spirito pubblico a Genova dal 1815 al 18//8 a cura di JE. Guglielmino. Altre importanti pubblicazioni sono in corso. La Deputazione, pur tra le difficoltà dei tempi, continua con ritmo accelerato la propria attività: si augura soltanto che i soci e gli amatori della 'storia genovese e ligure le si stringano attorno sempre più numerosi. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Gaetano Rovereto, Liguria geologica. Un voi. di 743 pag.„ con 190 illustrazioni nel testo e XII tavole. E str. dalle « Memorie della Soc. Geol. Ital. », vol. II, Roma, 1939. Può forse apparire fuor di luogo dire qui di un libro di geologia, eppure esso è legato talmente alle vicende della terra ligure, tratta in modo così completo del movimento scientifico dovuto ai liguri, non solo nel campo della geologia, ma anche in quello della geografia e della preistoria, termina dopo lungo cammino, ordinando in maniera nuova i reperti dei più lontani tempi in cui sono giunti in Liguria i primi uomini, che l’opera può considerarsi anche un primo capitolo della nostra storia regionale. Si affacciano a questa storia numerose figure di conterranei, noti ed ignoti, precursori nei secoli, o contemporanei, fra i quali .parecchi storici, oltreché geografi e naturalisti, di cui forse non era prima ancora detto quanto meritavano. Se ne può fare una succinta enumerazione, a cominciare da Agostino Giustiniani del secolo XV, a venire al Gioffredo, a Salvatore Ravecca, a Bonaventura de Rossi, e se si vuole all’apuano L. Valli-snieri e al monregalese P. Nallino dei secoli XVI-XVIII. Il secolo» XIX lia molto più nomi ; della, prima metà di esso ricordiamo : Mojon, Viviani, Amoretti, Lavaggiorosso, Mongiardini, Franzoni, Della Torre, Guidoni, Canobbio, Sasso, nonché i nizzardi Risso, Verany e Perez, i lunigianesi Bertoloni e Cocchi, e sopra tutti Lorenzo Pareto. Alla seconda metà dello stesso secolo appartengono ancora Pareto e poi Ramorino, Cocchi è Capellini, Issel e Morelli. Undici bibliografie speciali, distribuite secondo i principali capitoli, e una bibliografia delle bibliografie permettono le ricerche a riguardo di quanto hanno fatto questi benemeriti. Bisogna anche dire, che per opera dei suoi studiosi la Liguria è una delle regioni geologicamente meglio conosciute d’Italia. Ha già avuto, prima dell’attuale, due descrizioni geologiche generali : quella del Pareto, fatta in occasione del Congresso degli Scienziati Italiani del 1846, e quella dell’Issel, in occasione delle feste colombiane del 1892 : basterà il seguente particolare per riconoscere la progressiva importanza di queste sintesi : la, prima è di centocinque pagine, la seconda (solo la parte geologica) di quattro-centoquaranta, l’attuale di settecentoquarantre. Inoltre si son fatte / RASSEGNA B ΓΒ LIOGRAFICA 41 in Liguria, per opera dei suoi geologi, delle osservazioni che nella storia della scienza contano fra le prime: ad es. quelle rispetto alle caverne con Salvatore Ravecca, all·uomo fossile con Arturo Issel, alle forme del terreno derivate dalle consistenze geologiche con Gaetano Rovereto, alle nuove teorie sulla, struttura delle montagne ancora con Gaetano Rovereto. Non è qui il caso di ricordare quanto riguarda la geologia propriamente detta ; ma il libro termina con un capitolo sul quaternario che può interessare ogni coltura. È in questo detto dell’uomo paleolitico, che compare in Liguria con una ricchezza di referti che non si ripete in nessun’altra parte della penisola, e ciò nelle Caverne dei Bàusi Rossi o di Grimaldi presso il confine con la Francia. Qui nella Bonna o Caverna dei Bambini si sono trovati, a più di otto metri di profondità, i più antichi scheletri ottenuti da una caverna italiana, quelli di una vecchia e di un giovane, seppelliti insieme con una devozione e una cura e con oggetti che testimoniano molte cose: affetto familiare, credenza in un’altra vita, senso artistico; eppure tali scheletri sono di una razza negroide (a caratteri di negri, ma non negri), la razza di Grimaldi, che può rimontare a trentamila anni, e che è quindi senza relazione con le genti storiche. Al di sopra dei negroidi, a due metri dal suolo, si è trovato lo scheletro di una femmina della razza di Cro-Magnon, nobile razza, rinvenuta anche in altre caverne dei Bàusi, e in inoltre altre località d’Europa, antica per lo meno di quindicimila anni, eppure già dotata (li una scatola cranica talmente ampia, e fornita di tale senso artistico, che si può dire senz’altro la prima rappresentante del vero Homo scvpiens: è razza di cui vi sono ancor oggi residui in Europa, alle Canarie e altrove, e la cui testa, massiccia e squadrata, è persino propria di attuali uomini di Stato. Del 1885, in un discorso inaugurale dell’anno scolastico all’Università Genovese, Arturo Issel sosteneva la grande antichità degli uomini dei Bàusi, mentre altri li ritenevano neolitici. La scienza antropologica italiana doveva svilupparsi dopo. Queste remotissime razze furono in Liguria, come altrove, in lotta o convissero con leoni, leopardi, iene, elefanti, rinoceronti, ippopotami, e con specie della fauna europea attuale, ma che hanno emigrato dalla calda Liguria costiera, come stambecchi, camosci, cervi, alci, bisonti, ecc. Il nostro autore ha riveduto tutte le determinazioni di questi e di quanti altri fossili si sono trovati in Liguria; ha studiato al microscopio i vari tipi rocciosi del territorio; ha percorso a piedi tutto il territorio stesso, frugandolo in ogni angolo ; ha percorso le regioni contermini o prospicienti, le Apuane, la Corsica, le Alpi Occidentali per le necessarie comparazioni; ha concluso con il volume che analizzo utilizzando una fatica durata cinquantanni. Sergio Conti 42 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Rivista Inganna e Intemelia, anno IV, nn. 1-4, 1938; Albenga, 1939. La rivista s’inizia- con una nuova dimostrazione, se pur era necessaria, dell’italianità di Nizza. È Nino Lamboglia che esaminando ]a storia antica del territorio nizzardo, mette bene in chiaro come fino dall’epoca romana quel territorio appartenesse all’Italia. Segue un importante studio sulla « Topografia storica della piana di Albenga nel Medio Evo », della giovane professoressa Vanna Zucchi. Lo studio è per ora limitato ai corsi d’acqua. Esaminando quanto di già edito è noto su questo argomento, e più ancora quanto di inedito si conserva nell’archivio di Albenga, di cui la Autrice è la riordinatrice, la Zucchi ricostruisce la storia dell’irrigazione della fertile pianura, ricordando i problemi che secoli addietro tormentarono intere generazioni. L’esame dei documenti comincia coin gli Statuti di Albenga del 1288, ma si ferma in modo particolare sulle Deliberazioni consigliari, delle quali sono citate nelle note i brani che più interessano l’argomento, a cominciare dalle più antiche fino a quelle del secolo XV. Lo storico di Sanremo Antonio Canepa lasciò inedita, alla sua morte, una illustrazione di antichi documenti relativi a Sanremo. Il figlio, l’ing. Stefano Canepa, riordinando gli scritti del padre mandò alle stampe quanto di detto lavoro era stato scritto a proposito del documento del 16 ottobre 1199, contenente i capitoli di alleanza, di amicizia e di mutua- protezione stipulati fra i Consoli di S. Romolo da una parte ed il Podestà ed i Rettori del Comune genovese dall’altra, documento pubblicato sul « Liber Jurium », colonna 447-450. Il Canepa ne dà qui la traduzione letterale e tutte ]e notizie che valgono ad illustrarlo convenientemente. Il lavoro, la cui pubblicazione era cominciata anni addietro ma sospesa nel 1937, ci auguriamo che continui ancora. Nella rubrica: «Rassegna di archeologia e storia dell’arte », il Lamboglia ci dà notizia di tre edifìci romani, rinvenuti or son tre anni, nel suburbio di Albingaunum. Numerose riproduzioni fotografiche e schizzi accompagnano la chiara esposizione che ne fa il Lamboglia. Dopo un attento esame del ruderi, l’Autore conclude affermando essere uno dei tre edifìci « il più antico finora noto in Albenga » e attribuisce al II sec. gli altri due. Lo stesso scrittore in altro articolo « Nuove epigrafi romane ad Albenga » illustra alcune lapidi e qualche frammento, venute in luce di recente, che vengono ad aumentare il già rilevante numero di iscrizioni antiche riguardanti la forte capitale degli Ingauni. Il restauro della torre e della casa Lenguaglia Doria ad Albenga è oggetto di un altro articolo del Lamboglia·. L’Autore ci fornisce una dettagliata descrizione dell’edificio come era in origine e come si trova attualmente, restituito all’antica architettura. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 43 Ancora il Lamboglia ci descrive in altro articolo le pitture medioevali, dia poco restaurate, della Chiesa di S. Stefano della scomparsa villa di Massaro. Mentre sulla Chiesa di S. Maria della Rotonda in Villanova di Albenga, scrive G. de Angelis d’Ossat, che ne mette in evidenza la singolarità della costruzione. Le numerose lapidi che si scopersero nei dintorni di Ventimiglia alla fine del sec. scorso furono descritte dal Rossi un po’ sommariamente, benché a lui spetti il merito di averne segnalata l’importanza e di averne conservate molte. Una nuova descrizione, con notizie sul loro ritrovamento e un po’ di commento storico, ci dà il Lamboglia illustrando il Museo Civico di Ventimiglia, dove si tentò radunare tutte quelle epigrafi venute in luce da molto tempo o di recente, per preservarle da pericolosi danni. La descrizione proseguirà nel prossimo fascicolo. In seguito a scavi diretti dal Lamboglia nella zona di costruzione della nuova stazione di Ventimiglia, vennero in luce alcune tombe romane con copiosa suppellettile. Il Lamboglia stesso ci descrive quanto rinvenne, nel suo articolo « Nuovi scavi nella necropoli di Albintimilium ». Nella rassegna di Toponomastica ancora il Lamboglia dimostra come alcuni toponimi del nizzardo siano prettamente liguri ; esamina per ora ; Paglione e Vesubia. Lo studio continua. Dopo una breve risposta al Signor Paolo Lebel circa il nome Roja, il Lamboglia si difende dalla recensione fatta da Lio Rubini (pubblicata sul « Giornale Storico e Letterario della Liguria », 1939, Fase. II) al libro del Lamboglia stesso, sui toponimi di Alassio. Seguono due brevi scritti di Enrico Cavalli sui toponimi : Bar-dineto e Gorra. Nella rubrica « Varietà » André Cane scrive su una biografia di Andrea Provana de Leyni, compilata dal Generale G. Sticca; Nilo Calvini rende noto il ritrovamento della cronaca di Montalto e Badalucco di Giovanni Verrando ; G. A. Siila ci fa conoscere la storia della casata dei Gallesio di Finale. Chiudono l'interessante numero della rivista una copiosa rassegna di recenti pubblicazioni, notizie e commenti. Nilo Calvixi Atti R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria. Sezione di Savona, vol. XXI, Savona, Tip. Savonese, 1939, pagg. 307. È una Miscellanea di studi storici scritti dai noti studiosi di quella regione. S’inizia con la parte V della Cronotassi dei principali Magistrati che ressero e amministrarono il Comune di Savona dalle origini alla perdita, della sua autonomia ; cominciata dal compianto Vittorio Poggi ed ora continuata per l’interessamento di Poggio Pog- 44 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA gi. Si tratta qui dei Magistrati dal 1471 al 1500. L’esposizione, come le precedenti accurata, si estende per oltre un terzo del volume ed è completata da. nove tavole illustranti i vari rami del casato della Bovere. Segue uno scritto di G. A. Siila, studioso- di Finale. A lui, già conosciuto per i suoi precedenti sciatti, si deve ora uno studio sul-] Ordine monastico della Mercede. Premesse alcune pagine di sintesi della storia di quelPOrdine fondato dà Pietro Nolasco, nato nel 1181, il Siila ricorda alcuni tra. i più illustri liguri appartenenti a quel-l’Ordine. Passa quindi in una seconda parte del lavoro, a trattare del cognome Nolasco, assai diffuso in Finale. Pur essendo difficile lo stabilire se il cognome abbia tratto origine dal nome del fondatore dellOrdine della Mercede, o viceversa derivi dagli abitatori della vicina Noli, il Siila dimostra su documenti l'antichità del cognome, concludendo che « un legame spirituale certamente corre tra il Finalese e l’antica benemerita istituzione dei Mercedari ». Filippo Noberasco raduna quindi tradizioni e leggende circa i Saraceni in Liguria. Il lavoro, che non ha carattere scientifico, .nè è molto originale, è di piacevole lettura. Al lettore però avrebbe forse fatto piacere una distinzione, dove era possibile, tra quelle leggende che hanno uno sfondo di verità storica e quelle inventate dalla fantasia. popolare. Così, per es., quando racconta che il 25 marzo 1070 (che sicurezza !) gli abitanti di Arma cacciarono i Saraceni dalla grotta ora adibita a Santuario che s’avanza in mare « ad occidente d’Ar-ma di Taggia » (e non poteva, pçr maggior chiarezza e precisione, dire che si trova a Bussana?), l’A. doveva, aggiungere che è una leggenda, di sana pianta inventata pochi secoli fa e riportata d'ai Lotti, dal Martini e da altri, ma contrastante alle più elementari notizie storiche poiché nel 1070 Arma non esisteva ancora. Non c’è alcun documento, neppure di tarda età che assiculi che in quella caverna si siano rifugiati i Saraceni. Esempio di lavoro scientifico ci porge quindi lo stesso F. Noberasco : « Le Sinodi Diocesane Savonesi e la Storia del costume ». Come si comprende dallo stesso titolo l’A. esamina le Sinodi anche sotto l’aspetto storico, ricostruendo, attraverso i provvedimenti in esse presi, le superstizioni, le credenze, la vita insomma dell’epoca, alla quale risalgono. Il Noberasco non riporta alcun documento completo, ma con frequenti citazioni e richiami espone chiaramente il contenuto delle principali. Γη lungo documento, del 1505, è pubblicato da Italo Scovazzi, sulle controversie tra Genova e Savona: « Genovesi e Savonesi davanti al commissario di Giulio II ». È noto che le due città ebbero lunghi contrasti; questa ne è ancora una. parte e delle più accanite: le due città anziché venire ad un accordo davanti al Legato del Papa Giulio II, espongono i propri risentimenti, « Le due parti contendenti RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 45 — scrive lo Scova zzi nella, breve presentazione — son messi a confronto in drammatico contrasto ; a interpretazioni delle convenzioni si contrappongono altre convenzioni, ad argomenti giuridici altri argomenti, a lagnanze accuse, a cavili altri cavilli ». Queste liti perciò non trovarono facilmente una soluzione; la lunga serie di documenti riportanti controversie tra le due città, che lo Scovazzi stesso enumera, ne sono facile prova. Sui Sormano « dinastia di artisti, di cittadini eletti » savonesi, F. Noberasco scrive alcune pagine segnalando, con accurato spoglio di documenti, specialmente rogiti di notai, le opere di alcuni fra i più illustri. Compaiono in Savona fin dal 13.15, ina si resero noti soprattutto al principio del sec. XVI con Pace Antonio, statuario di gran fama. Il Noberasco ne ricorda molti, cercando di ricostruirne la discendenza, che termina con Maria Rosa morta il 16 febbraio 1856. Maria Garea segnala pochi ritrovamenti archeologici ottenuti in seguito a recenti scavi in Varazze, ed indica la probabile esistenza di una vetusta costruzione barbaramente trasformata in ripostiglio della mensa Parrocchiale. Chiude il volume la pubblicazione dello Statuto dei Figuli di Albisola, a cura di G. Morazzoni. Risale alla fine del sec. XVII e testimonia l’importanza che già in tale epoca aveva in Albisola l’arte della maiolica, racchiudendo anche i nomi degli Sciaccarana, dei Salomone, dei Corrado, ecc., che ebbero molta fama, in quel ramo del l’arte. Trovando alcune diversità tra questo Statuto albisolese e quel le dell’« Arte dei Pignatari » di Savona, l’A. emette l’ipotesi « che questo Statuto rappresenti un tentativo degli Albisolesi di sottrarsi al predominio dei savonesi, tentativo subito represso dalla vicina Arte dei Pignatari di Savona ». L’ipotesi può essere vera, speriamo che nuovi documenti vengano a chiarire meglio la questione. Nilo Calvini Anna Maria Biìizio, Ottocento e Novecento. Torino, Unione Tipogra- fico-editrice torinese, in 8°, pag. 571, con 400 ili. È difficile stringere in un libro sia pure di quasi seicento pagine le vicende, il profondo tormento e la- ricca fecondità di risultati dell’arte europea durante tutto l’Ottocento e questi quattro decennii di Novecento. E difficile, anche per chi abbia attitudine ed allenamento allo studio, e sensibilità per le arti figurative, quanto ne possiede Anna Maria Brizio. La quale, per rendere visioni unitarie, e disegnare per quanto possibile organicamente lo svolgimento della sua materia, ha sconvolto il solito ordinamento cronologico e regionale, ed ha invece selezionati gli episodii importanti da un punto di vista formativo. Soltanto per questo spregiudicato procedimento dell’autore il libro, pur facendo parte di una « Storia universale dell’arte », 46 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA ha potuto diventare una storia delio spirito europeo rista attraverso le sue ìnatoifest azioni artistiche, come lo ha delinito Giulia Veronesi, se non addirittura una storia del gusto europeo -durante un secolo e mezzo. Ciò significa che il fatto artistico vi è considerato sotto il solo aspetto legittimo. ‘Rinunziamo ovviamente a seguire il tracciato del libro che, riassunto, non differirebbe gran che da altre trattazioni di ben altro, e inferiore, livello intellettuale. Se diremo che più maturata nelle sue conclusioni ci appare la prima parte, quella che descrive la genesi dell’Ottocento dal Settecento e le sue prime osservazioni, ci si obietterà forse di ricordare troppo che le esperienze più note della Brizio riguardano Parte antica. Osserviamo invece che quel periodo, oltre che disporre di abbondante documentazione, è abbastanza facile da. seguire ed anche da raccontare. Le tendenze si sviluppano lente e senza scosse; le divergenze sono minime. La Brizio si solleva dal tedio di una materia poco brillante ricomponendo su fonti in gran parte trascurate, spiragli molte volte lucenti, l’estetica neoclassica ; divertendosi con la dialettica degli scrittori. Nel discorso sui modernissimi, e addirittura sui contemporanei, sarà più facile che qualcuno trovi da dissentire, perchè questa è materia, ancora fluida, e in piena polemica. La Brizio ne ha avuto le prove; è stata anche accusata, al solito. di esterofilia : ed ha risposto per le rime. Il suo linguaggio dimostra fin dalle prime pagine una svegliatezza critica, ed una precisione, che naturalmente si riportano sull’esame delle opere d’arte. Leggere, per esempio, il confronto fra l'arco del Carrousel e quello delVEtoile; e questo apprezzamento delle « deformazioni » di Délacroix : è tutta la· massa della sua densa consistenza pittorica che si muove e vi sforma sotto la fantasia appassionata del pittore. Le tracce dei seicenteschi italiani in David e anche in Géricault furono, se non erriamo, già avvertite. Ma. originale ci sembra il raffronto fra L'homme au nez casse di Rodin e la testa di Omero del Museo di Napoli : che però svia la Brizio da una valutazione esatta delle esigenze plastiche del mondo interiore di Rodin. Importa specialmente di rilevare la nozione delle continue rispondenze reciproche fra le varie arti, che è costante, c di cui non si poteva dubitare dopo quanto abbiamo premesso. Ovvio era, ad esempio, far intervenire Gauthier, Hugo, Baudelaire, a chiarire le tendenze della pittura romantica. Molto meno comune sentir affiancare l’architettura moderna alla moderna pittura. Tutte le teorie funzionali e razionali sono inadéquate a (fiusti ficare e spie {/are Ir nuore espressioni architettoniche ; le quali invece discendono da un nuovo modo di vedere c di sentire. da un nuovo {fusto; lo stesso ohe ha creato Vim pressionismo e i mori-menti artistici che gli sono succedutiy in jxirti colare il cubismo. È raro sentire apprezzamenti così giusti. In questa sede, è legittimo il solito piagnisteo provinciale sulle RASSEGNA BIBLIOGRAFICA lacune riguardanti Genova e Ja Liguria. A cominciare dall’Accademia Ligustica, fomla.ta nel 1751; e quindi più antica di tutte qiielle che la Brizio cita : di Parma, di Verona, di Milano. Per venire poi agli artisti. Stiamo tanto in guardia contro i pericoli del campanilismo, che siamo quasi certi di non cadervi. Però, letto bene il libro, guardate le illustrazioni, e ripassato l’indice, riteniamo, ad esempio, che una riproduzione di Rayper ci poteva stare. Anche perchè il momento della Scuola grigia9 a Genova, da. identificarsi in parte con quella di Rivara, anche per i suoi riflessi critici che alla Brizio evidentemente interessano, è di importanza notevole. Anche Barabino Nicolò, altro esempio, non vale meno di Gordigiani, di Beccaria, di , Camino. Musso e Gandolfì valgono molto di più; e quest’ultimo, fra gli allievi del Bezzuoli, è ritrattista di molto gusto. Fra gli architetti genovesi che. la Brizio cita (il DAndrade, genovese onorario, era più da. notare come archeologo restauratore, da stare alla pari con Arborio Mei la ; e Dario Carbone non ha progettato la Borsa), è dimenticato il più importante, Carlo Barabino, che nel ruolo dei neoclassici non può mancare. 11 teatro Carlo Felice è molto più belìo del tempio canoviano di Possagno. Ma qui il discorso cadrebbe sul contributo che noi genovesi diamo alla trascuratezza delle cose nostre, e andrebbe in lungo. La Brizio merita che si concluda, più ottimisticamente, con un plauso sincero al suo lavoro, destinato inesorabilmente per la sua natura a molte critiche ; ma in complesso molto ben pensato, e utilissimo anche a studiosi esigenti. Mario Labò APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Opere e scritti su G. M.azzini pubblicati all estero Giuseppe Mazzini, Scrìtti ed>iti ed inediti, volumi LXXX, LXXXI, LXXXII ; Epistolario, volumi XLIX. L. L/I ; e il III vol. ùe\V Appendice. Hermann Raschhofer, Der politische Volkesbegriff im modem en Italien.. Berlin, Volk und Reich Verlag, 1939. Di particolare interesse è quanto l’Autore dice riguardo al concetto di popolo nel pensiero. mazziniano : interesse che non vien meno anche se non si approva quanto a tal propo sito qui si legge· Y. Bukacek. M azzinili o Slovanské Usti/ in « Lkìové Noviny », Brunii, 13 luglio 1939. Recensione dal volume, curato dal Canfora, e intitolato Lettere slave di G. .lazzini. Werner A. Eicke, Italleniscile Philosophie in «Deutsche Zukunst », Berlir, 27 agosto 1939. ... Recensione del volume del Carabellese che mette in evidenza quanto elei Mazzini viene detto. Tiberio Alzasi, La filosofìa sociale di Mazzi/ni. Il centenario dei « Doveri del-V Uomo y in «Messaggero degli Italiani», Costantinopoli. 14 settembre 1939. Esposizione dei concetti fondamentali espressi, nella celebre operetta, dal Mazzini. L9 Inghilterra· e il Piemonte nel 1859 in «Corriere d’America », New-York, 15-16 dicembre, 1939. L'atteggiamento del Mazzini in quel momento drammatico viene ricordato in questo breve scritto. Francesco Ercole ha tenuto a Budapest, nella sede dell*Istituto Italiano di Cultura, una conferenza su Kossuth e Mazzini, il 7 dicembre 1939. Opere e scritti su G. jVtazsini pubblicati in Italia G. Mazzini, Lettere slave, Prefazione di F. Canfora, Bari, Laterza, 1939. Il Canfora — molto opportunamente — data l’attualità palpitante del pensiero mazziniano, raccoglie e pubblica in un agevole volume vari scritti del maestro intorno agli slavi e alla posizione dell’Italia nei riguardi di quei popoli. " Gli scritti sono: Lettere slave (apparse sull’*Italia del Popolo» dell’ll, 13, 16, 19 giugno 1857): Missione Italiana-, T'ita Internazionale (pubblicato il 23 giugno 1866 sul «Dovere»); Politica internazionale (stampato nei nn. 22-29 della «Roma del Popolo»). Gebum*Graziasi, Giuseppe Mazzini a Pietro Sterbhii. Lettera inedita sul «Prestito nazionale », Anagni, Natalia, 1939. È una lettera del Mazzini, in data 21 marzo 1851- APPUNTI 49 Alfredo Grilli, Giuseppe Mazzini e Carlo Bini, in «Livorno», a. Ili, 1939, n. 2. Contiene una lettera inedita del 14 giugno 1842.' Bice Rizzi, Una lettera inedita di Giuseppe Mazzini al Museo Trentino del Risorgimento in «Il Trentino», Trento, ottobre 1939. Ê una lettera del Mazzini in data 24 dicembre 1838 a Maurizio Quadrio. Giovanni Castellano, Dal Risorgimento all’impero, Milano, Garzanti, 1939. Le brevi pagine in cui il C. tenta di comprendere il pensiero e l’opera del Mazzini rintracciando i fili che lo legano al tempo nostro sono da ricordarsi non foss’altro che come indice d: una tendenza abbastanza diffusa a meglio valutare il grandissimo Genovese. Ernesto Benedetto, La « Congrega fiorentina » della Giovane Italia e la· politica granducale negli anni 1832-’33 in «Archivio Storico Italiano», Firenze, 1939, Disp. I e II. Interessante e originale lavoro cli2 sfata la leggenda della nessuna importanza della «Congrega fiorentina » dimostrandone, desunta da documenti finora inesplorati del Buon Governo, la consistenza nell’azione svolta sullo spirito pubblico e negli effetti sull’autorità governativa. Ed è uns. Firenze ben desta e scaltrissima quella che si rivela in questo studio, il quale distrugge la favola dell’indifferenza beffarda e quietista dei fiorentini. In una filza dell’Archivio — informa il Benedetto — c’è una . «gran carta geografica dell’Italia, con su segnate in rosso le linee d’invasione delle orde rivoluzionarie mazziniane». La carta appartenne al Granduca. Questa carta mi piacerebbe vederla inquadrata nel Museo dell’istituto Mazziniano: risposta a quanti anche oggi — come ieri — a una sparuta pattuglia di esaltati riduce la. possente schiera di coloro che l’ideale mazziniano animò e spinse aH’azione trionfatrice. Eccellente studio, serio e sostsnzioso, che ripaga a usura del tempo perso nello spoglio di tante vane ciarle. Articoli vari in riviste e giornali Mons. C. Castiglioni, Lettere inedite di Maurizio Quadrio (18G1-1S74), in « Raetia », Milano, luglio-dicembre 1938; aprile-settembre 1939 e dicembre 1939. La II e la III puntata interessano sopratutto per le vicende dell’i/nttà di cui il Quadrio parla spesso all’amico Gaspare Stampa. Ma l’intera pubblicazione di queste lettere merita di essere segnalata. Pietro Savio, Spigolature Cappuccine all'Archivio Vaticano in « L’Italia Francescana », Roma, luglio-agosto 1939. Di minor rilievo di quelle già segnalate; ma spigolature, tuttavia interessanti. Silvio Pelissa, Il souso di Patria in. Dante ed in Mazzini in « I/idealismo realistico », Roma, luglio-agosto, 1939. Quindici paginette di cui una — diluitissima — dedicata al senso patrio del Mazzini. Pietro Pedrotti, Alcuni documenti inediti su Gustavo Moderni in «Rassegna Sto.rica del Risorgimento », Roma, luglio 1939. Sulla scorta di documenti tratti dall’Archivio di Corte e della Casa Imperiale di Vienna, l’Autore dà interessanti notizie sul Modena. Carmine Jannaco, Nicomede Bianchi e la questione Grilenzoni schermaglie di mazziniani e monarchici in «Rassegna Storica del Risorgimento», Roma, luglio 1939. La bella figura del Grilenzoni riceve nu^va luce e acquista maggior rilievo dal presente studio- 50 APPUNTI Italicus, La spedizione Oudinot contro Roma nel 18J/9 in « Vie del Mondo », Milano, luglio 1939. Narrazione chiara e precisa. Antonio Zieger, Mazzini proclamato sullo Stelvio presidente della Repubblica Italiana in « Atesi a Augusta», Bolzano, luglio 1939. Un episodio poco noto è quello illustrato dallo Zieger: la repubblica italiani proclamata il 12 agosto* 1848 dai difensori dello Stelvio e del Tonale e la nomina del Mazzini a suo presidente: il valore ideale di quell’investitura popolare è facilmente comprensibile. Paolo Leone, Umcuto di Napoleone, III, in « Il Resto del Carlino », Bologna, 29 luglio 1939. L'incubo è Mazzini: nell'articolo ò spiegata la funzione di Colui che in tanto operò in quanto costrinse e il Cavour e Napoleone III a fare ciò che all’Unità d’Italis, conveniva. A. Gancia, Le grandi iniziative e Mazzini in « Il Grido d'Italia », Genova, 30 luglio 1939. L? grandi iniziative sono le rivendicazioni italiane che il Mazzini enunci# e definì inconfutabilmente. E. A. Marf.scotti, Considerazioni e riflessioni sulla Filosofia della musica di Giuseppe Mazzini in «San Marco!», Zara, 5, 19 agosto 1939. Sullo sfruttatissimo soggetto ancora personali riflessioni dell’artieolista. Armando Lodolini, Maria, la madre di Giuseppe Mazzini in « Il scista », Roma, 8 agosto 1939. Il VI Istituto Magistrale di Roma, s’intìtola col nome di Maria Mazzini, non tutti i giornali ne hanno dato notizia plaudendo alla, scelta del nome. Il illustra la figura veneranda della grande Madre- Arturo Codignola, Un ritratto di G. Mazzini in « Genova », Genova, luglio 1939 e in « Corriere Mercantile », Genova, 16 agosto 1939. Il ritratto del Mazzini dipinto dall’Emilia Ashurst fu causa, di vivaci dispute tra la pittrice e il Calamatta che del quadro fece l’incisione. Di tutte queste vicende si occmpa il CocLignola nel presente scritto. Orlando Danese, La famiglia di G. Mazzini in « Corriere Mercantile », Genova, 22 agosto 1939. Una svista di poco conto: il padre di Giuseppe Mazzini, il dottor Giacomo qui chiamato Domenico, non toglie nulla· alla colorita efficacia con cui si presenta la famiglia del grande. Enzo La Canna, Mazzini e lai Francia in « Carlino della Sera », Bologna, 2G agosto 1939. L’Epistolario del Mazzini offre all'articolista materia abbondante per svolgere il suo tema. Antonio Capellini, Jessie White Mano in « Secolo XIX», Genova, 29 agosto 1939. Si presenta, in iseorcio, la figura di questa indomita donna che visse l’azione, se non tutto e sempre, il pensiero ma-zziniano. Antonio Monti, Una lettera di Luigi Dottesio martire dell’idea, unita/ria in « Corriere della Sera », Milano, agosto 1939. Spirito mazziniano anima questa lettera che perciò viene segnalata. Giuseppe Bruni, Elena Casati Racchi in « Popolo Biellese », Biella, 31 agosto 1939. Breve cenno biografico della valente mazziniana. Lavoro Fa- Moltissimi, se L. brevemente 51 Ercole Moggi, Tj’ultimo riposo, della donna più amata da Mazzini in «Amica», Milano, Niguarda, settembre 1939. La rivista «Amica·» è edita dalla Soc. It. Comm. Calze: non ha quindi pretese scientifiche. L’articolo citato può interessare qualche lettrice, ed è quanto gli si può chiedere. Giuseppe Aulisio, Giuseppe Mazzini apostolo d’Italia in «Corriere dell’Irpi-nia », Avellino, 2 settembre 1939. Esercitazione scolastica. Nicola Coco, Mazzini e la rivoluzione francese in «Echi e Commenti», Roma, 5 settembre 1939. L’A. ricorda succintamente la valutazione critica della Rivoluzione francese, fatta dal Mazzini. Remigia Vicenzi, Maria Drago 1774-1852 in « Corriere delle Maestre », Milano, 10 settembre 1939. Brevi notizie intorno alla madre di G. Mazzini. ALFREno De Donno, Dalle delusioni del ’21 ai prwvi accenni rivoluzionari in « Lavoro », Genova, 13 settembre 1939. Appunto perchè fu «Genova cuore del risorgimento» 1Ά. concisamente richiama l’opera del Mazzini che fu la. scintilla vitale di quel cuore e il cervello del movimento che fece risorgere l'Italia- Vincenzo Fllippone, Mazzini in « Nuovo Abruzzo », Chieti, 23 settembre 1939. L’intenzione.... lirica non ci permette commenti. Federico Tortarolo, Alla tomba di una sorella di Mazzini in «Lavoro» Genova, 4 ottobre 1939. Sul loculo che chiude la salma di Maria Rosa Mazzini sarebbe opportuno, suggerisce il -Tortarolo, murare la lapide che gli corrisponde per segnalare ai visitatori la tomba della sorella maggiore di G. Mazzini. Il suggerimento, sensato, merita di essere prontamente seguito. Giovanni Perno, La presunta missione politica napoletana di Giuditta Sidoli in « Giornale d’Italia », Roma, 10 ottobre 1939. Esclude l’esistenza di qualsiasi mandato politi-o alla Sidoli nel suo soggiorno napoletano. Giorgio Lai, Le rivendicazioni italiane nel pensiero di Gioberti e di Mazzini in « Il grido d’Italia », Genova, 30 ottobre 1939. Niente di più, niente di diverso dalle solite dicerie sull’argomento ormai logoro. Ferruccio Quinta valle, 1 tradimenti di Mazzini in «Rassegna di Cultura», Milano, novembre 1939. Replica vivace alle balorde asserzioni di Marie Louise Paillerou che nella «Revue des deux monde» fi· sfoggio della sua ignoranza e della sua improntitudine. L. V., Elisa Ashurst in «Lavoro», Genova, 7 novembre 1939. Profilo di una delle sorelle Ashurst così fraternamente legate a G. Mazzini. n ((Voi di Mazzini » in «Il Popolo della Spezia», La Spezia, 14 novembre 1939 e in molta "parte dei quotidiani italiani. Figuratevi se anche a proposito del Voi non si tirava in ballo Mazzini! Bene. Ma lo leggono quanti lo citano il Mazzini? Paolo Leone, L9Inghilterra e il Piemonte nel 1859, in « Il Resto del Carlino», Bologna, 16 novembre 1939. Storis. nostra ciré è, al grosso pubblico, ignota o peggio mal nota: bene è dunque barrargli come l'opera dei Grandi italiani sia stata difficile per raggiungere quello che gli stranieri in mille modi ostacolarono. APPUNTI Raffaele Ruggiero, Mazzini prigioniero a■ Gaeta in « Roma della Domenica », Napoli, 15 ottobre 1939 e in «Giornale della Campania», Caseirta, 16 novembre 1939. Si tratta di alcuni ricordi riferentisi alla prigionia del Με-zzini a Gaeta. Giuseppe Tursi, ha « Giovine Italia », in Calabria in « Calabria Fascista », Cosenza, 18 novembre 1939. Come dice il titolo dello scritto, esso ricorda il contributo dato dalla Calabria alla gloriosa associa-zione. Nino Barranca, 18J/9 I Francesi contro Roma in « Cultura Moderna », Milano, dicembre 1939. Le. difesa di Roma contro le insidie e le violenze francesi. » Azzo Rubino, Antonio Smaireglia e il rinnovamento dell'opera italiana in « La Porta Orientale », Trieste, ottobre dicembre 1939. Due paginette dedicate alla «Filosofia della Musica» di G. Mazzini, chiare, sensate, fedeli. Una nuova Europa· in «Progresso del Canavese », Ciriè, 1 dicembre 1939. A proposito del radiodiscorso di Chs.mherlain, l’articolista ricorda il sogno mazziniano degli Stati Uniti d’Europa e· l’opera della «Giovine Europa». Armando Lodouni, Scuola sociale italiana: solo il dovere è utile e Scuola sociale italiana: nella giustizia· è Vutile in « Il Maglio », Torino, 13 e 20 dicembre 1939. Due scritti clie fanno chiaramente comprendere alcuni concetti economici del Mazzini. C. G. M., Dove riposa la « mistica rosa■ » in « Corriere Mercantile », Genova, 11 dicembre 1939. Descrizione suggestiva della tomba di Maria Rosa Ma-zzini,· sorella maggiore di Giuseppe, monaca Franzoniana. Nevio Matteini, Mazzini e il Comunisyno in « Politica Nuova », Napoli, 15 dicembre 1939. Cose risapute — d’accordo — ma non da tutti sapute. Postille Un esempio che mi piace segnalare è dato da un giornale di provincia e da un giornalista il cui pseudonimo è un programma e un’affermazione. Il giornale è il « Popolo della Spezia » e il giornalista è « Il diciannovista ». Nella notazione che egli fa nel foglio spezzino dei fatti, delle idee; negli spunti che la quotidiana vicende gli offre; nell’articolo pensato come nell’appunto appena colto sempre Mazzini vi è richiamato, sempre Mazzini permea quella fede e quella coscienza. . È uno che conosce il Maestro e non importa se come ognuno del resto qualche volta gli fa dire un po’ di più o un po’ meno. Sono le piccole deformazioni .nate da un sincero appassionato, disinteressato culto. Che si vuole di più? Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, 1Ü40-XVIII Anno XVI - 1940-XVIII Fascicolo II - Aprile-Giugno GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE L’ANONIMO GENOVESE, POETA DELLA BORGHESIA DI GENOVA TRA IL SEC. XIII-XIV Troppo dimenticata e non da tutti conosciuta l’opera poetica ;delPAnonimo genovese, che visse e cantò negli ultimi decenni del sec. XIII e nell’inizio del seguente. Fu questo fecondo rimatore, del quale, purtroppo, l’avverso destino ha voluto tacere il nome, pur salvandoci buona parte, quantunque non integra, della sua poesia, il primo vero poeta della vita borghese della Repubblica, in quel periodo tanto epico e tragico della sua storia. Infatti, se la ricca e splendida fioritura dei poeti trovadorici genovesi, che vissero e prima di lui cantarono in quella ridente terra di Riviera, ci dimostrò la squisita sensibilità e raffinata inclinazione dei liguri all’arte poetica, essa fu però poesia d’importazione straniera, avente carattere .aristocratico-feudale; poesia, quindi, solo adatta ad una società che, nella vita rinnovata del Comune,· era quasi completamente scoili parsa, in antitesi, anzi, con gli ideali politico-spirituali della « gens nova». Le coscienze da secoli ottenebrate da barbariche tradizioni' e da grette ideologie medioevali, si erano già da tempo dischiuse, e progredivano continuamente verso una concezione di vita sempre più pratica, più attiva, più individualista ; ed oso, anzi, definire moderna. È appunto questa borghesia, di cui una parte è già dominante nel sistema governativo della città, un’altra ancora aspirante a migliorare ed affermare la propria condizione politico-sociale, quella che, irrequieta, turbolenta, mina da un lato la tranquillità della vita cittadina, e si macchia, per soddisfare le sue brame, di sangue fratricida ; dall’altro rigenera con energie nuove e feconde l’attività del proprio Comune, e lo innalza alla gloria, con le imprese -audaci di guerra. Da questa umanità, dunque, tutta latina di stirpe, tutta giova- 54 ANDREINA DAGLIO nile di spirito, sorge il Poeta. E mentre nelle vie e nelle piazze di Genova ancor risuonavano le voci dei giullari, gli erranti cantori delle eroiche e favolose imprese dei paladini di Francia, e delle amorose storie di Brettagna, già vecchie per quegli ascoltatori, assuefatti giornalmente ad udirle, un’altra voce a tutti più cara, perchè più realistica, intima, verace, s’elevava' a magnificare le imprese gloriose della Patria, ad esortare di desistere dalle cruenti lotte di parte, ad ammaestrare alle cristiane virtù, ad elogiare i pregi, o ad ammonire i difetti di quel popolo irruento, operoso e guerriero. Può dunque definirsi la poesia di quest’Anonimo tipicamente indigena e borghese, poiché essa si occupa della vita quotidiana della Repubblica ed usa il linguaggio del luogo, che, già apparso nelle strofe del contrasto bilingue del Yaqueiras, ed in qualche altro documento in prosa, si afferma, in queste Rime, nella storia letteraria d’Italia. Anche il fatto di opporre la lingua natia alle tre lingue modello dell’epoca, io penso ci provi l’emancipazione delle energie sociali e culturali di quella nuova gente, delle quali si fa interprete il Nostro. È, infatti, quella dell’Anonimo la voce stessa della popolazione genovese che, cosciente della propria forza ed orgogliosa della sua esistenza, vuol elevare a grado letterario l’idioma indigeno, rompendo le antiche tradizioni. Osservando la vita, la cultura, il carattere di quest’uomo, mi pare di scorgere sempre più in lui, cosa per quanto io sappia non ancora definita fin qui da nessuno di quanti si sono dell’Anonimo occupati, il vero tipo di cittadino della media classe borghese, di quel ceto che già godeva in Genova una rispettabile agiatezza, dovuta ai propri traffici ed al proprio lavoro, nonché parte attiva nel governo ; di quella· borghesia, insomma, che costituisce sempre il nerbo migliore di ogni Stato, ed il maggior agente della vita d’un popolo. Contrariamente all’ipotesi da altri formulata sull’origine nobiliare guelfa del Poeta, già riconosciuta infondata, questa borghesia, da cui penso egli sorgesse, dovrebbe definirsi, considerata la situazione politico-sociale della Repubblica, in linea generale ghibellina, per che in lotta con l’aristocrazia del denaro, con l’alta borghesia del partito guelfo; ma, comunque sappiamo.che, se l’Anonimo socialmente a quel ceto apparteneva, si vantava di non esser « omo de parte» com’è probabile che non lo fosse, allora, un nucleo dei più saggi e pacifici cittadini, indipendentemente dalla loro condizione sociale nel Comune. E che a questo ceto il Poeta appartenesse sembra confermato, appunto, dal non esser stato egli ricco, poiché ebbe a lamentarsi nella sua composizione ri. XLV (x) di quell’incognito magnate genovese che mirava di togliergli qualche beneficio, necessa- (!) Segno con ri. le rime edite dal Lagomaggiore, con rp. quelle edite dal Parodi. l'anonimo genovese ecc. no. probabilmente al suo sostentamento, o dalPessergli mancati in tasca persino quei « vinti sodi de monea » ; ma, eccettuato qualche momento più travagliato della sua esistenza, non fu certamente indigente, poiché ebbe incarichi rimunerativi, effettuò alcuni viaggi e frequentò, come lascia intravedere in alcuni passi di qualche sua poesia, ritrovi e conviti di gente benestante. Occupò, inoltre, probabilmente in seguito alle democratiche isti timoni della Repubblica, qualche pubblica funzione, come all’ufficio di gabella del sale in Savona, e al seguito del vicario nella Riviera· godette di una certa notorietà, se scrisse l’epistola poetica per Nicolo de Castellonio all’ammiraglio Corrado Boria, fors’anche la supplica latina ai due Capitani del popolo, e partecipò al banchetto offerto dai genovesi al Capitolo generale dei Minori nel 1302. Nè fu egli ignorante, come furono indubbiamente le classi inferiori della popolazione, nè, al contrario, profondamente dotto; fu persona istruita per quei tempi, ma di comune cultura, ancora un po’ ristretta, con uu'impronta ancor grettamente medioevale in certi lati meno evoluti, o meno facili, in genere, a rapida evoluzione Conobbe mediocremente il latino (\:, ed aveva letto le più importanti opere didattico-religiose e religiose in voga ai suoi tempi Non senza una certa boria del suo sapere, egli lo sfoggiò davanti ai meno eruditi e citava loro frequentemente gli scritti di S. Beda il venerabile, di San Gregorio, dei Santi Padri, il Vangelo la Bibbia, i Salmi di David.' i proverbi di Salomone, e nominava persino Avicenna ! Ma di tutte queste opere egli, ben inteso, non ebbe che una conoscenza assai superficiale, grossolana : la sua cultura era frammentaria, unilaterale, circonchiusa come certi tratti della sua mente un po’ rozza, ristretta, superstiziosa o non sempre intelligentemente ossequiente del dogma. Delle centoquarantasette poesie volgari, di cui si compone il suo lacunoso canzoniere, a quelle di dattico-civili e storiche deve certamente rivolgersi chi vuol trovare l'indole vera e sincera del Poeta, la sua-personalità, il tipo di vero cittadino genovese che definii, con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti. Egli predica, nelle Rime didattico-religiose, la mortificazione delle umane passioni, il disprezzo delle ricchezze, dei mondani diletti, degli onori ; sprona persino con visioni raccapriccianti e macabre della morte, con le descrizioni delle terribili pene infernali a tutte le cristiane virtù ; ma nelle didattico-civili dimentica quell’atmosfera, in alcuni punti un po' artificiosamente ascetica, voluta dalla tra- (!) Della sua mediocre conoscenza del latino ebbi un'idea esatta dall’analisi minuta delle Rime religiose ed anche di quelle latine, che io dubitai però ad attribuirgli, in un mio lavoro, ancora inedito, ma che mi propongo tra breve di render noto. 56 ANDREINA DAGLIO dizione letteraria del secolo, anche se nel suo intimo egli è credente, scrupolosamente credente. . . Qui uscito dalle oscure volte del tempio, dalle cupe meditazioni religiose, suscitate nella sua mente dalle accese fantasie medioevali dei predicatori e degli artisti sacri, alla luce della piena vita cittadina di Genova, fra il suo popolo, nelle vie, nelle piazze, lungo il porto, in riva all’immensità azzurra del mare, egli si sente orgoglioso cittadino della Repubblica. Non più la voce ammonitrice dei predicatori, il mistico salmodiare dei fedeli, i lamenti dei penitenti o le dotte parole degli scrittori liturgici, penetrando nell’anima sua, lo inducono a raccogliersi pensoso e a piangere le umane miserie, ma la voce vivace, ciarliera, varia di quel popolo· d’affaristi, di *nel". canti; tutto quel fervore di vita industriosissima lo richiama ad un altro aspetto della realtà pratica della vita, ai bisogni cioè dell esistenza terrena, ed egli, vibrante d’amor patrio, vivificato d umani sentimenti canta, rivolgendosi, di predilezione, ai cittadini più a -tivi e laboriosi della sua città. * * * biella sua Genova, dunque, attiva, pittoresca, popolosa, ove confluivano le genti più numerose e varie, sia italiche che straniere, con tutte le loro varietà di fogge, di costumi, di linguaggi, si aggira 1 Poeta : .... de gente e la citae si spesa clii so camin uor desfazhar che chi ua entro per esa tanta e la gente strangeia en tanto gi conuene andar e de citae e de riuera.... Le vie sono affollate di cittadini d’ogni ceto, frequente il via vai dei mercanti, dei compratori, dei banchieri, degli affaristi m genere, tutti intenti nei propri negozi; e l’Anonimo, quale esperto genovese dalle spiccate caratteristiche del suo popolo, si sofferma con que suoi concittadini, e dà loro utili suggerimenti perche comperino e vendano senza lasciarsi imbrogliare ; perchè non siano pigri ne -l’annotare gli incassi e le spese, acciocché non fallisca loro la memoria ; perchè sfuggano· gli imbroglioni, i truffatori che vivevano d illecito guadagno ed infestavano il Banco di San Gioigio. . Sentitelo com’egli s’intende perfettamente di tutti questi saggi accorgimenti che la vita pratica quotidiana di Genova suggeriva, e come in lui si delinei nitidamente, non più l’estatico asceta medioevale, ma l’affarista, il mercante, il bottegaio genovese,-quel tipo della media classe borghese, insomma, ch’egli dovette m realtà essere, ed alla quale classe egli sopratutto indirizzava la sua poesia. .... Se merchantia usi o butega e inigui ben toa raxon no aver la mente cega ma ponm mente a 1 a saxon si che la noite e lo iorno eie saver ben dar e prende tu te guardi ben intorno che 1 achatar mostra lo \ende.... l’anonimo genovese ecc. . 57 Ed inoltre : .... sempre arregordate de scrive ben li faiti toi Ma se ai lusingatori ti affiderai: .... de mercantia o de dinai belo te mostreran da pruma ma tu gue laxerai la piuma.... Consiglia ad alcuni come sia conveniente comportarsi nelle iitir nei prestiti e nelle malleverie, ad altri insegna la domestica economia, ammonisce infine a star in guardia da tutti gli inganni dei male intenzionati. Le sue massime sono sempre suggerite dal suo buon «seno naturar» e dalla sua esperienza; son sempre nette, decise, non prive di una particolare astuzia e furberia, anche se bonaria, di una certa diffidenza in lui innata. Eccone alcune: .... questo agi sempre per mau che tropo gran promission soren tornar in pizen don.... A chi ha faccia di birbone, non dargli a credenza il tuo: .... s?el a faza de berreta no gi dar lo to in creta.... E lo stesso consiglio clie aveva già dato altre volte : .... a homo chi è senza fe fìanza darno se gi de.... Io stesso, dice il Poeta, sono abbastanza furbo e ben mi guardo dal farmi ingannare : .... chi me engana de monea pu de doa via o trea mai no entra en casa mea.... Ed ecco che Paccortezza e Pastuzia di quest’uomo divengono, persino, malizia quando consiglia di fare attenzione anche alle mani di chi ci sta vicino ! .... e quando alcun in ca te ven no te star in tucte gente avri i ogi e guarda ben a le mani gi ponni mente!... Tutto questo spirito pratico e commercia'lista, tipico in ogni tempo dei liguri, affiora spesso in questa poesia, sì che su quest'argomento ben più ampia materia vi sarebbe da trattare. Ma non disgiunto da ciò è pure nel Nostro borghese del XIII sec., un certo intimo orgoglio personale, per la grandezza della sua gloriosa città e per la sua formidabile potenza coloniale. Ammira, infatti, PAnonimo lo splendore dei mercati, frequentatissimi di compratori e venditori, le belle ed attraenti botteghe. pei’zo che lo ^te esan de mente tu li scrivi incontenente.... '58 ANDREINA DAGLI») fornite delle più ricche e varie merci, quelle botteghe che, soggiunge egli con la sua piacevole consueta facezia « a lombardo o ad altra gente a Genova venuta — gi fan torna le borse ero ve ! ». .... ze, chi destringuer porrea de quanti mainere sea li car naxici e li cendai xamiti, drapi dorai pei ver, zenzavro, e moscao ehi g e tanto manezao e speciarie grosse e sotir ehi no se porean dil- le care pene e i ermerin le.... un e arcornim e 1 atra pelizariai? chi menna tanta mercantia peri le e pree preciose e ioye maraveiose e le atre cosse clie marchanti che mennan da tuti canti?... Semplice quest’elenco, ma vivace, pittoresco e realistico nella descrizione di tutte le merci che, così accostate, avranno donato alle botteghe genovesi la caratteristica dei « bazar orientali » afferman do, al tempo stesso, l’importanza mondiale di quel centro commerciale e l’audacia di quei mercanti. E malgrado le tanto ascetiche virtù, pur da lui decantate, è con compiacimento che l’Anonimo osserva quei « segnor e done e ca-valer » che si aggirano per la città : .... si ordenai de belli arnexi tuti paren marchexi e le done si ben ornae paren reine en veritae 1 si fornie de grain vestir che no se po contar ni dir— Ricercatezza, lusso, sfarzo, infatti, di abbigliamenti, ingentilirsi •continuo di tratti e di costumi, raffinarsi d’usanze, contraddistinguevano questa fiorente borghesia della Repubblica. Genova stessa si abbelliva, in questo periodo, di pregevoli opere d’arte, più sontuose divenivano le case dei ricchi, mentre anche per il popolo solide case di mattoni e pietra si sostituivano alle incomode vecchie case di legno ; più larghe ed igieniche le vie. .... questa citae eciamde tuta pinna da cho a pe de paraxi e casamenti e da monti atri axiamenti de grande aoture e claritae d entro e de for ben agregae con tore e in grande quantitae chi tuta adornan la citae. Il cantore di questa città così prosperosa e feconda osserva con 'compiacimento le grandi opere dell’edilizia pubblica e privata, che ama elogiarle al suo ospite bresciano. Bella la· cerchia delle mura. « chi la circonda tiito intorno », poderosa· la costruzione del molo, atto a correggere il difetto di poca insenatura del porto, illuminato da un « gran fana· » a un miglio da quello di Capo Faro. .... li nostri antigi e chi son aor g an faito e fan un tar lavor per meraveia ver se sor e si fi appellao lo moor.. l’anonimo genovese ecc. 59 E mentre dovunque si fortificava e si ricostruiva, si trafficava con alacre entusiasmo, dagli abili cantieri belle e poderose uscivano le navi, il più valido mezzo di tanta economica floridezza : .... loi* navilio e si grande si riche van le nave soe per tuto lo mar se spande che ben van d atre una doe.... Fervente, quindi, non meno di quella delle vie e delle piazze genovesi la vita del porto, brulicante di lavoratori intenti allo sbarco ed all’imbarco delle merci, all’attrezzatura delle navi; continuo arrivare e partire di taride, di galee per i più lontani paesi, vanto dei genovesi, sia che esse solcassero i mari, raggiungendo le colonie d’Asia e del Mar Nero, sia che partissero armate a difesa della Patria, sia che ritornassero vittoriose dagli scontri pirateschi o nemici. Ed il Poeta anche qui, ai prodi ed audaci naviganti, agli infaticabili mercanti che vanno oltremare alla ricerca di merci rare e costose, ai capi delle ciurme, dà suggerimenti e consigli: .... pensai si far uostro lauor iaua ben e cal e peiga che onne uengai in stao de honor che no te possa cresce breiga primeraminti percazaue per pertuso o per conmento d aver bona e forte naue donde l’aigua intrase dentro chi sea ben insartiaa che per un sor pizen pertuso e de bn nozhe guiaa. uisto o gran legno esse confuso.... Ma quando le tempeste d’odio civile, allora tanto frequenti, sorgevano impetuose a travolgere il ritmo normale e pacifico della vita cittadina, Paspetto di questa città, tutta concorde, disciplinata, febbrilmente attiva, si mutava in quello di una città imperversata dalla malvagità, sconvolta dal terrore, dall’ansia, dal disordine, travagliata dal dolore. Ecco impegnarsi cruenti combattimenti fra concittadini, fra parenti, amici; divampare gli incendi, riversarsi la folla inferocita a cinger d’assedio palazzi, fortezze, pronta a far crollare mura, ad abbattere ostacoli d’ogni genere, a devastare, rubare, uccidere, nonostante che le torri minacciose, cariche d’armati, riversassero sul nemico tutte le insidie della difesa, e salissero al cielo le grida strazianti dei feriti e dei morenti. .... tanto e crexuo lo lor furor a conguao xama de for che travaia son inter lor e bruxao case e gran poer che, per grande engordietae per compir so re voler de sezeosa voluntae, monti omecidij g e faiti lo grande ardor che li an en cor per segnorezar 1 un i atri.... Poi, complicandosi la situazione per l’innestarsi degli interessi politico-sociali dei genovesi a quelli delle altre città, liguri, e per le continue sobillazioni in esse promosse dal partito momentaneamente vinto, non raro il caso che, poco lungi dalla città, eserciti in armi 60 ANDREINA DAGLIO si misurassero con altri eserciti, sì che, di quel fuoco fratricida ed inestinguibile divampasse tutta la Riviera. .... li reami e le citae uego tute travaiae borgui uile e casteli paici, ligi e fraèli e ognuncana logo e terra esser trouo in mortar guerra— Il nostro Poeta, profondamente scosso e rattristato nell anima, allora, vive come tutti i suoi concittadini giornate tristissime d’indimenticabile angoscia. S’adira con quei suoi genovesi, sempre litigiosi, impreca contro le loro bramosie inestinguibili e le loro stolte ambizioni, cerca, a volte, di persuaderli a desistere con amorevole ed assennato ragionamento, a volte esasperato, piange la bella città di Genova, adombrandola sotto le gentili sembianze d’una giovane e prosperosa madre, tradita dai suoi stessi figli. E che altro poteva fare 1’Anonimo, lui povero cittadino, guidato dalla sua saggia inclinazione pacifica, senza ambizione o mire personali, senz’altro desiderio che quello di un po’ di pace, in quel vorticoso turbinare di sfrenate passioni? Era questa la tragedia, quasi universale della vita borghese dei nostri Comuni, condizionata dalla stessa evoluzione di un mondo politico-sociale nuovo che, scalzando e sovvertendo leggi e principii, s’andava sovrapponendo sempre più all’antico, il quale, quantunque agonizzante, tentava ancor con violenza e con tenacia di resistere. Egli avrebbe, come tutti, voluto rifuggire da quanto i nuovi tempi di brutto e di riprovevole portavano, e non poteva soffermarsi ad indagarne le cause, a vagliare quelle ideologie nuove che, per la lotta dolorosa del momento, si sarebbero, in seguito, affermate. Di fronte allo spettacolo nefando di tante umane miserie, di odi così incoercibili e profondi, saliva candida e santa dal tempio laurenziano la preghiera, implorante amore, del pio e serafico arcivescovo; sgorgava dall’anima del Poeta il canto, che cooperava a quel doveroso richiamo. .... Dine voi chi sei da parte chi porta questo nomenario , che guagnai voi de questa arte chi 1 omo tem si azegao d onde o sei tanto animoxi che vexinanza ni parentao Rimediate in tempo, frenatevi, egli dice, non aspettate ad apprezzare la pace quando sarete rovinati dalla guerra ! E sempre con quel suo buon senso borghese, quando ai periodi di lotta si sussegui-vano periodi di tregua e si stringevano i patti, il Nostro, sorridendo-amaramente, pensava che quella pace era solo apparente e non duratura, ed esclamava : e de iniquitai raioxi? paire, frai, barba, ni eoxin guerreza con si gran polvin?... paxe de bocha no vor niente se lo cor no ge consente!.. l’anonimo genovese ecc. 61· Ma pure un’altro aspetto, completamente opposto, della vita genovese del tempo traluce dalle Rime di questo cantore. È l’aspetto festoso di Genova nei giorni gloriosi ed epici dei suoi felici eventi. Si odiavano, si combattevano, si sopraffacevano genovesi con genovesi, ma tutti erano frementi, uniti nella volontà e nell’ azione, quando si doveva levare alto il prestigio e creare la ricchezza e la grandezza della Repubblica. .... ma eram tuti de cor un per far honor de so comun.... La conciliazione avveniva allora simultanea, tacevano i rancori di classe, le divergenze di vedute e di aspirazioni, quelle stesse armi scellerate di poco prima si impugnavano da tutti benedette per una causa giusta e santa. Le navi che, audaci come i loro ammiragli e marinai, sfidavano le insidie dei mari, per operare gli scambi, si mettevano immediatamente al servizio dello Stato e si attrezzavano alla guerra. Altre uscivano nuove e pronte dai cantieri, ed ecco in brevissimo tempo allestita la flotta potente e temibile della grande Genova, flotta che, schierandosi in parata davanti alle coste liguri, era esponente della forza, del valoroso ardore, dell’amor patrio di quel popolo. Si levava fra l’entusiasmo di tutti, che sentivano ribollire nel sangue l’orgoglio di esser genovesi, il glorioso vessillo di San Giorgio! All’imponente spettacolo di tanta epica grandezza, canta il Poeta : .... De com el e bella cossa si ben desposto e traito a cascaum chi andar ge po e osa e de tute cosse si ben ordenao en cossi bello armamento mai no vi stol si grande alcun de tal e tanto fornimento faito per rei ni per comuni... Ed ecco l’elogio caldo e commosso alla valentia ed al coraggio di quegli equipaggi, tutti liguri, che oltre ad esperti marinai, sapevano essere eccellenti soldati : tuto e armao de nostra gente de cor fermo e forte ihera de citae e de rivera no de gente avengnaiza chi per poco se scaviza!... Poi all’annuncio di prodigiose vittorie, quali quelle di Lajazzo e di Curzola, grande il giubilo e l’entusiasmo di tutti, fervorose e magnifiche le cerimonie religiose di ringraziamento e le offerte devote, cospicui gli onori resi ai vittoriosi ammiragli reduci in Genova, fastosi i pubblici divertimenti ed i giuochi, accetto il dilettevole canto dei giullari, più caro e gradito quello del nostro Poeta! È l’esultanza sincera e commossa di tutto il popolo di Genova., che accorre-al porto a ricevere i suoi prodi, mentre sventolano i gloriosi ves- 62 ANDREINA DAGLIO siili e suonano festose le campane del Comune, quella che, nell’anima di quest’ignoto cantore, accende orgogliosi sentimenti municipali, ■ed ispira la sua musa. Il medesimo entusiasmo è pur nei versi che celebrano la vittoria ■di Curzola: Tale dunque la vita della Repubblica quale fu nella sua realtà e quale, ancor oggi, rivive nel canto immortale del suo Poeta. Se non è l’Anonimo genovese, il più dotto, nè il più originale dei nostri rimatori volgari dugentesclii, è però, senza dubbio, il più vario, il più simpatico, perchè primo ci riflesse nella sua opera sinceramente l’anima e la vita dei suoi concittadini, in tutti i suoi aspetti più realistici e molteplici. Ed è anche il più interessante, perchè fa rivivere, in modo vivace e tangibile, ancor oggi in lui il comune tipo di borghese genovese del suo tempo, quale egli fu : onesto, laborioso, patriota, mediocremente colto, astuto sempre, un po’ gretto ancora, un po’ calcolatore, ina sempre bonario, prudente, saggio. ..... L alegranza de le nove chi novamente son vegnue a dir parole me coniove chi no som da fìr taxue ma da tener in memoria si corno car e gram tesoro e tuta la lor ystoria scriveva con letre d oro zo e de gram vitoria che De a daito a li Zenoesi e De n abia loso e gloria contro Venician ofeisi.... .... De, che grande euagimento con setente e sete legni chi esser dorai som degni venze galee provo de cento!... Andreina Daglio L’AFFRESCO DI GIAN DOMENICO TIEPOLO NEL SOFFITTO DELLA GRAN SALA DEL PALAZZO DUCALE IN GENOVA Un violento incendio, sviluppatosi nei locali del Reai Palazzo da notte del 2 novembre 1777, distrusse le Sale del Maggiore e del Minor Consiglio e buona parte della facciata. Nel lavoro di ricostruzione tosto intrapreso col concorso pecuniario della cittadinanza genovese, si dovette pensare non solo ad innalzare muri, a gettare volte, a sistemare tetti ed intonachi, a creare ex novo una monumentale facciata, ma anche a. decorare in modo degno gli imponenti saloni adibiti ai consessi dei reggitori della Repubblica, posto che dessi precedentemente erano istoriati in modo superbo da ricchi stucchi, dorature, figure, prospettive, paesi, e da lodatissimi dipinti a fresco del Francescliini e del Solimene. Così fu che, ultimati i lavori di muratura, si commise al pittore Cav. Carlo Giuseppe Ratti il compito di decorare la sala del Minor Consiglio, detta del Saionetto: lavoro ch’egli condusse onorevolmente a termine (come ancor oggi è dato constatare) con pregiati affreschi ed ampii dipinti ad olio su tela racchiusi entro stucchi e cornici dorate. Contemporaneamente si attese alla decorazione del Salone del Maggior Consiglio, lungo più di 40 m., largo 17 m. ed alto 20 m. : decorazione che doveva esser più ricca e splendida della precedente e che invece, a causa dei continui sovvertimenti politici, non potè mai esser condotta a termine; infatti delle tre medaglie a fresco progettate nel soffitto, solo una, quella centrale, venne eseguita. È per l'appunto di questo dipinto, ossia della grande medaglia a fresco disposta al centro del volto della gran Sala del Reai Palazzo o Palazzo Ducale, di cui vogliamo far parola, portando a conoscenza del pubblico una serie di documenti ufficiali tolti dagli Avvisi dell’epoca, atti ad illuminare il poco noto argomento. * * * Nella patriottica gara accesasi fra le patrizie famìglie genovesi, >onde contribuire pecunariamente alla ricostruzione del Reai Palazzo provato così duramente dalle fiamme, non ultima si dimostrò la nobil famiglia Giustiniani, la quale il giorno di mercoledì 2G marzo 1782 ■ u rassegnò ai Ser.mi Collegi l'offerta d’un Quadro da collocarsi nello -spazio maggiore del volto del Salone del Gran Consiglio, che si sta 64 STEFANO REBAU DI attualmente ristorando ; e ne riportò un grazioso decreto del maggior pubblico gradimento ». Vedi: Avvisi — Genova, 30. marzo 1782 — N. XIII, pag- 57. Mercoledì 26. detto la Patrizia Famiglia Giustiniani rassegnò ai Ser.nii Collegi 1 offerta d’iin quadro da collocarsi nello spazio maggiore del volto del Salone del Gran Consiglio, che si sta attualmente ristorando; e ne riportò un grazioso decreto del maggior pubblico gradimento. Fu, in obbedienza a questo grazioso decreto di assentimento e di nulla osta delle autorità governative, che la patrizia famiglia, in data 31 agosto 1782, pubblicò, su apposito foglio diffuso largamente in tutta Italia, il seguente « Progetto di Concorso », diretto « Agli Eccellenti Pittori», di cui diamo copia, togliendola dal η. XXXV, pag. 273-274 degli Avvisi : Genovas SI. agosto 1782. Dalla Patrizia Famiglia Giustiniani si è pubblicato un Foglio, che ha per titolo: « Agli Eccellenti Pittori Progetto di concorso per la Pittura da eseguirsi sul Volto de In gran Sala del Reai Palazzo della Serenissima Repubblica di , Genova, ammettendovi si■· /’ n-distintamente tanto il'dipinto a olio in tela, quanto l'affresco su muro, per adattarsi alla maniera posseduta da chi sarà prescelto ». «In corrispondenza di quanto con venerato Decreto de’ Ser.mi Collegi fu graziosamente accordato alla Patrizia Famiglia Giustiniani di Genova; i Patrizj Giovanni Enrico, Alessandro, Luca, ed Orazio Giustiniani Governatori, e Deputati della medesima sono venuti in parere di fissare il Soggetto, che ornar dovrà con istoriato dipinto il maggiore dei tre Campi, cioè, quel di mezzo del Volto della gVan Sala del Reai Palazzo ; il qual campo ha di lunghezza palmi 49, e once 7., e di larghezza palmi 29. Genovesi. Sarà quindi incarico del Professore di esprimere : « Nel Cielo la Liguria assisa in Trono adornato dalle distintive Insegne, e Virtù caratteristiche: a’ piedi di esso l’isola di Scio personificata, in atto di ricevere dalla sua Regina i privilegi, ed assoluto dominio, come per merito la prefata Famiglia· ottenne nel 1346, dominio per più di due secoli dalla, stessa conservato, avendovi in tal tempo introdotte le Virtù Cristiane, eretti magnifici Tempj, grandiosi Edifizj, e ben munite Fortificazioni. «Similmente, facendosi di diverse epoche un sol complesso per quell’arbitrio, che, trattandosi di apoteosi di memorabili geste da un solo spirito virtuoso animate, ben compete a’ Pittori, ed a’ Poeti, vi si rappresentera il celebre Jacopo Giustiniani, che depone a’ piedi del mentovato Trono la Spsda a lui ceduta da Alfonso vinto dal valore de’ Genovesi nel 1435, e l’Eroe sarà accompagnato dalle Virtù, che gli convengono; potendo ciò rilevare il valente Professore dalle nostre Istorie- «In fondo al vasto campo vedasi una lingua di terra, sopra cui si rappresenterà nn numero di Giovinetti sagrificati per la nostra S. Fede ; desiderandosi, che come tali sieno contraddistinti da alcuni strumenti di Martirio, per ischivare così il tragico dell’azione. Il fatto dei ventuno Martiri Giustiniani potrà nelle Storie parimente osservarsi. « Dall’altro lato il principio dell’Apennino, sopra cui sia Giano accompagnato dalla Fortezza, Vigilanza, e Commercio, che riceveranno da Nettuno il tributo del mare. «Altri punti storici potrebbero annoverarsi, che si omettono, indicando soltanto a’ piedi del presente varj Autori, che li rapportano, affinchè ciascheduno rimanga in libertà d’introdurre nel Quadro ciò, che meglio potesse tornargli alla perfezione dell’Opera, il di oui primario oggetto si è di esprimere le Glorie della Serenissima Repubblica, alle quali contribuito pur anco avesse qualche Individuo della nominata Famiglia. «Il Poetico della composizione si rimette all’estro, e discernimento di quei Professori, che eul proposto argomento mandar vorranno alla direzione del Sig. Angelo Maria Niccolò Gra-nara Cancelliere della Famiglia in Genova, fra il termine di quattro mesi dalla data di questo Foglio, le produzioni del loro ingegno. Fra queste, dopo un privato, e pubblico esame L’AFFRESCO DI GIAN DOMENICO TIEPOLO ECC. 65 fatto colla maggior diligenza, ed imparzialità, si sceglieranno tre solamente de’ presentati pensieri o modelli, per darsi poi la preferenza a quello, che sarà il meglio inventato second» le regole del sott’insù; il meglio immaginato nell’Istorie; il più elegante nel contorno; il più vero nell'effetto ; ed il più lucido finamente; e più morbido nel colorito. e Chi pertanto avrà saputo meglio corrispondere nel suo disegno al proposto desiderio, sarà trascelto a quest’Opera con quel premio, che prima si converrà dai predetti Signori Deputati ; e gli altri due, quando vogliasi dagli Autori lasciare il modello, saranno proporzionatamente ricompensati. I restanti si ritorneranno ai rispettivi Professori ; avvisandosi, che al ricevere di oiaschedun disegno sarà tenuto segreto il nome di chi lo avrà inviato, e vi sarà apposto dal predetto Sig. Cancelliere un nome Accademico per quel riguardo, che ben si conviene alla delicatezza di ciascheduno, ed all’importanza dell’Opera. Tanto il riceversi, che ii rimandare dei suddetti modelli sarà a spese della Famiglia. «Per ultimo si è giudicato a scanso di equivoco di sottosegnare la misura del palmo Genovese; siccome di far sapere, che il Volto, ove è destinato il Quadro, riceve la maggior luce da varie grandi finestre a mezzo giorno, tutte da una sola parte a mano destra entrando nella gran Sala ; e che la curva dell’arco è di palmi due, e once 1. nella sola lunghezza : essendo questo Volto costrutto, come dicesi, a mezza botte; avvertimenti creduti ne-cessarj alla buona riuscita del progettato lavoro. Genova, 31. agosto 1782. Ma il periodo concesso di quattro mesi per un Concorso così importante si dimostrò troppo breve. Intervennero opportunamente i Delegati della famiglia Giustiniani colla proroga del termine a tutto il mese di maggio 1783. Detta deliberazione venne resa nota per le stampe in data 30 novembre 1782, come appare dal seguente comunicato comparso sugli Avvisi : n. XLYIII, pag. 377 : Genova, 30. Novembre 1782, pag. 377. Xum. XLVIII. I Signor Deputati della Patrizia Famiglia Giustiniani dalla stessa commissionati a far eseguire il già avvisato Quadro nella gran Sala 'del Beai Palazzo, sulle molte istanze pervenute dai più rinomati Pittori ; acciò sia prorogato il termine nello Stampato dei 31. agosto prefisso alla presentazione dei Bozzetti per il noto concorso, hanno deliberato la prolungazione del termine medesimo fino a tutto il venturo Maggio 1783. Il detto concorso ebbe un vivissimo successo. Ben quindici furono i bozzetti inviati al Signor Angelo Maria Niccolò Grana ra, cancelliere della famiglia Giustiniani,, come risulta dalle comunicazioni più sotto riportate, tolte dai numeri degli Avvisi, ove man mano venivano comparendo : Genova, 21. decembre 1782, pag. UOl-hOì. N. LI. In conformità di quanto fu pubblicato dalla Patrizia Famiglia Giustiniani sull’avvisato Progetto del 31. agosto p. p., il signor Angelo M. Niccolò Granare Cancelliere di detta Fa--miglia ha ricevuto ultimamente un disegno di eccellente Pittore, il quale verrà * suo tempo -esaminato a tenore di quanto si legge nel Progetto medesimo Genova, 8. febbraio 1783, pag. hi. y uni. 6. Sabato, primo corrente, è pervenuto alla direzione del Signor Angelo Maria' Niccolò Granare Cancelliere della Patrizia Famiglia Giustiniani un involto contenente un disegno per il concorso del noto Quadro, ed il successivo Mercoledì 5. detto glie n’è stato ricapitato un alti a all’oggetto medesima, provenienti entrambi da eccellenti Pittori. 66 STEFANO RE B A UDI Genova, 22. febbraio 1783, pag. 58. filini. 8. Nei giorni scorsi il Sig. Ang. M. Niccolò Granara Cancelliere della Patrizia Famiglia Giu-stiniana ha ricevuto altro Disegno di eccellente Professore per l’esecuzione del noto Quadro Genova, 8. marzo 1783, pag. 75. JHum. 10. Altro Disegno di eccellente Pittore è pervenuto al Sig. Angelo M. Niccolò Granara Cancelliere della Patrizia Famiglia Giustiniani, per l’Opera già nota. Genova, 12. aprile 1783, pag. 11!,. Nmn. 16. Nella scorsa settimana si ebbero dall’Ufficio della Posta alla direzione del Signor Angelo M. Niccolò Granara Cancelliere della Patrizia Famiglia ‘ Giustiniana altro Bozzetto per la nota Opera da eseguirsi nella gran Sala del Beai Palazzo. Genova, 10. maggio 1783, pag. U5. Nunt. 19. Nei giorni scorsi si ebbero alla direzione del Sig. Angelo M. Niccolò Granara Cancelliere della Patrizia Famiglia Giustiniana altri due Bozzetti per il noto Quadro da eseguirsi nel Salone del R. Palazzo ; andando a tutto il corrente a spirare il termine già prefisso, e successi vomente prorogato per la presentazione dei medesimi. Genova, 7 giugno 1783. pag. 178. Num. 23. In Quest’Ordinario si è ricevuto altro Disegno diretto al Cancelliere della Patrizia Famiglia Giustiniana Sig. Angelo M. Niccolò Granara. Genova, 5 luglio 1783, pag. 209: Nuvi. 27. Il Signor Angelo M. Niccolò Granara Cancelliere della Patrizia Famiglia Giustiniana ha ricevuto altro Disegno per l’esecuzione del noto Quadro. Chiuso definitivamente il concorso, ad iniziare dal 24 agosto 1783, i quindici bozzetti ricevuti (di cui erano tenuti nascosti i nomi degli autori) vennero esposti per la durata di dodici giorni nel chiostro di Santa Maria di Castello, perchè il pubblico potesse liberamente esaminarli ed esprimere spassionatamente il proprio giudizio, che, comunicato alla Commissione Giudicatrice, sarebbe stato bene accolto e tenuto nella dovuta considerazione. Desumiamo queste notizie dal seguente Viglietto trasmesso al Botteghino degli Avvisi, comparso a pag. 265 del n. 34 degli Avvisi 23 agosto 1783 : Genova, 23. agosto 1783, pag. 265. Num. 3!f. Viglietto trasmesso al Botteghino degli Avvisi. A tenore del Progetto di concorso pubblicato dalla Patrizia Famiglia Giustiniani agli eccellenti Pittori, essendosi ricevuti in più volte quindici! Bozzetti, come si è ne’ precedenti Fogli annunziato, due di essi pervenuti solamente in questa settimana, saranno tutti domani esposti al Pubblioo nel Chiostro dei IMI. PP. Domenicani di S. Maria di Castello nel luogo, ove si fanno le prime istruzioni della Dottrina Cristiana ai Ragazzini. Rimarranno ivi per giorni dodici successivi ad oggetto di poter esser veduti, ed esaminati da tutti que’ Professori, ed Amatori delle Belle Arti, che vorranno compiacersi di essere ad osservarli. Si spera con ciò di avere i sentimenti di chi si presterà a farli pervenire anonimi, o espressi al Botteghino degli Avvisi, per valersene a passare col maggiore accerto all’ulteriore privato esame, e quindi determinare colla più plausibile scelta chi dovrà eseguire l’Opera nel R. Salone del Gran Consiglio. Esaurito questo libero esame del pubblico, il giorno di martedì 9 settembre 1783, negli appartamenti ducali, si riunì la Commissione L’AFFRESCO DI GIAN DOMENICO TIEPOLO ECC. 67 Giudicatrice, costituita da quattordici Accademici di Merito delPAc·-cademia Ligustica di Pittura, ecc. e dai Professóri di Pittura Signori Antonio \ illi e Gio. Battista Gnecco alla presenza di Sua Serenità il Doge ( ■ iani batista. Ayroli e dei Deputati della famiglia Giustiniani (Gian Enrico, Alessandro, Luca ed Orazio Giustiniani), per il giudizio definitivo. Con votazione segreta furono designati come i più degni tre bozzetti rispettivamente dal pseudonimo Spiritoso, Animoso e Brillante, de' quali apparteneva il primo al pittore Gio. Cristo-foro Unterperger triestino dimorante in Ifoma e discepolo del Mengs, il secondo al pittore Giacomo Duino inglese e pur esso dimorante in Roma, ed il terzo a Gian Domenico Tiepolo veneziano. In questi termini ne fu data pubblica comunicazione negli Avvisi: Genova, 13. settembre 1783, pag. 289. Num. 37. Martedì, 9. detto, alla presenza di Sua Serenità nel Ducale Appartamento, e presenti pure i Patrizi Signori Gian Enrico, Alessandro, Luca ed Orazio Giustiniani Deputati della Famiglia Giustiniani, radunatisi i Signori Accademici di Merito dell’Accademia Ligustica di Pittura, eccv di cui attualmente è Principe il Serenissimo, in numero di quattordici, aggiunti a questi i Signori Antonio Villi, e Gio: Battista Gnecco Professori di Pittura,- seguì a voti segreti dei medesimi Tesarne privato, ed il giudizio sopra ciascuno de* Bozzetti stati esposti per l’avvisato concorso dalla predetta Patrizia Famiglia; ed i tre, che alla forma del Progetto già pubblicato in agosto 1782, rimasero approvati, sono lo Spiritoso, VAnVmoso, ed il Brillante. Quindi riscontratisi dal M. Cancelliere Not. Signor Angelo M. Niccolò Granara i nomi Accademici colla nota, fino a questo momento conservata in secreto, de’ rispettivi Autori, si è'ritrovato il primo Opera del Signor Gio· Cristoffaro Unterperger Tedesco; il secondo’ del Signor Giacomo Dumo Inglese; ed il terzo del Signor Gio: Domenico Tiepolo Veneziano, i primi due dimoranti in Roma, e questo in Venezia. Saranno rimandati ai loro Astori gli altri Bozzetti non approvati, de’ quali è rimasto occulto -il nome; e giova anche il riflettere, che il mentovato giudizio, fatto col maggior applauso dei predetti Signori Giudici, è stato assai uniforme alle voci comuni raccoltesi dai discorsi generali de’ moltissimi concorrenti a vedere gli Schizzi, mentre sono stati esposti, come si avvisò, nel Chiostro di N. S. Maria .di Castello. Dei tre bozzetti designati dalla commissione tecnica il giorno 0 settembre 1783, la Deputazione della patrizia famiglia Giustiniani costituita dai signori Gian Enrico, Alessandro, Luca ed Orazio Giustiniani, adunatasi sotto la presidenza di 8. Serenità il Doge nei ducali appartamenti il giorno di lunedì 23 agosto 1784, prescelse per l’esecuzione quello del pittore Gian Domenico Tiepolo, al quale rimase quindi definitivamente assegnato il compito di eseguire il grande affresco nel centro del soffitto del Salone del Reai Palazzo. Questa è la comunicazione fatta al pubblico negli Avvisi del 28 agosto 1784, a pag. 273, n. 35: Genova, 28. agosto 178!,, pag. 27$. Num. 35. Lunedì 23. corrente si è adunata coll’intervento di S. Serenità nel Ducale Appartamento la Deputazione de’ Patrizi Signori Gian Enrico, Alessandro, e Luca Giustiniani autorizzati unitamente al Patrizio Sig. Orazio Giustiniani a deliberare la scelta del Professore, che do- 6S STEFANO REBAUDI Tra dipingere il Quadro a fresco nel Volto della Gran Sala del Reale Palazzo, in seguito dell’esame dei quindici Bozzetti stati inviati per il concorso dell’Opera proposta, che da Signori Accademici di Merito dell’Accadeniia Ligustica di Pittura, Ornato, ecc. fu. fatto, e dell’approvazione riportata dai tre frà medesimi, cioè dallo Spiritoso del Signor Gian Cristoforo Unterperger Tedesco, dall’animoso del Signor Giacomo Dumo Inglese, e dal Brillante del Signor Gian Domenico Tiepolo Veneziano. È stato da’ prefati Serenissimo, e Patrizi Signori Deputati destinato, e prescelto l’egregio Sig. Gian Domenico Tiepolo (*), anche come quello, che ha perfettamente corrisposto a tutte le condizioni manifestate nel Progetto già pubblicato in nome della Patrizia Famiglia, diretto ad invitare gli eccellenti Pittori al-l’indicato concorso. Agli altri due egregi Autori venne deliberata una decente ricompensi proporzionata, ritenendosi il rispettivo loro modello ; e ciò sempre di conformità delle prime intenzioni pubblicate nel menzionato foglio d’invito. Il pittore Gian Domenico Tiepolo. prescelto il 23 agosto liS4, per l’esecuzione del grandioso affresco, non giunse a Genova dalla natia Venezia ove dimorava colla famiglia, che il 3 marzo 1TS5. Presentato· il giorno seguente al Doge Giambattista Ayroli dal Patrizio Alessandro Giustiniani, fece egli a S. Serenità grazioso omaggio di una raccolta di incisioni in rame comprendente lavori del padre suo. il celeberrimo Giambattista Tiepolo, del fratello Lorenzo e suoi personali: incisioni clie il Doge consegnò al segretario dell Accademia Ligustica di Pittura, Ornato, ecc., affinchè rimanessero a disposizione di quanti erano in Genova amatori e studiosi di questa arte. Abbiamo tratto queste notizie dai numeri 10 e 1S degli Avvisi : f Genova, 5. marzo 1785, pag. 75. Hum. 10. Detto giorno (giovedì 3 marzo* giunse da Venezia l’egregio Pittore Signor Gio: Domenico Tiepolo, prescelto, come si accennò al n. 35 deUo scorso» liS4, dalla Psirizia Famiglia Giustiniani per dipingere il Quadro nel Volto della Gran Sala del R- Palazzo, a tenore dt. trasmesso Bozzetto. Ieri poi fu presentato a Sita Serenità dal Patrizio signor Alessandro Giustiniani altro de’ Μ. M. Deputati all’esecuzione del progettato Lavoro. Genova, SO. aprile 1785, jxig. 257. Num. 1S. Arendo l’avvisato Professore Signor Gio: Domenico Tiepolo presentato al serenissimo Giam-batista Ayroli Doge deUa Serena Repubblica alcune Opere inventate dal celebre Giamba-tista Tiepolo suo Padre, che morì in Madrid al servigio di S. M. Catt. incise in rame daUo stesso, siccome pure molte altre incise dal predetto Signor Gio: Domenico, e dal Signor Lorenzo di lui Fratello coUa giunta delle proprie: Sua Sereni rÀ dopo di avergli signifie sto il suo particolare gradimento nelTaccerrarle. le bs fatte passare a mani del Segretario del- (1) Gian Domenico Tiepolo, figlio amorevole e discepolo prediletto del grande G:ambat-tista, era nato a Venezia il 30 agosto 1727: perciò nel 1785 toccava di già i 58 anni, ed aveva molto lavorato, specialmente come coUaboratore del padre., occupatissimo a c^uss di numerose ed importantissime commissioni presso le principali Corti d Europa. Dopo Î-* morte del padre, avvenuta a Madrid nel 1770. Gian Domenico era ritornato a Veneiia e quivi aveva preso stabile dimora, sopra tutto occupato ad illustrare ed a dìvul gare con num ero-e incisioni su rame l’opera paterna: ne più se ne aUontanò sino alla morte sopraggiunta nel 1804, salvo che nel 17S5 per eseguire appunto nel Reai Palazzo di Genova il grande affresco -di cui teniamo parola. l’affresco DI GfAN DOMENICO TIEPOLO ECC. 09 l’Accademia Ligustica di Pittura, ecc. Signor Abate Giolfi ; facendone an grazioso dono alla medesima a comodo de’ Giovani Dilettanti, che si applicano a tal Professione, e del Pubblico (1). Gian Domenico Tiepolo pose inizio al suo lavoro di dipintura a fresco nel soffitto del Salone del Keal Palazzo in Genova verso i primi dell'aprile 1785. Xe abbiamo notizia dal n. 15, 9 aprile 1785, degli Avvisi, ove a pag. 113, si legge : Genova, 9. aprile 1785, pag. 115. Rum. 15. Π signor Gio: Domenico Tiepolo giunto, come si disse, da Venezia sua Patria ai 3. dello scaduto Marzo ha posto mano a dipingere a fresco nel Volto della Gran Sala del R. Palazzo .a tenore della nota < sliberatione della Patrizia Famiglia Giustiniani. Il grande affresco, per il quale il pittore ebbe dalla famiglia Giustiniani il compenso di 18.000 lire genovesi, il 14 novembre 1785 era compiuto, con Funanime applauso dei competenti e del gran pubblico ammesso a visitarlo il 14 novembre, come risulta dalla seguente comunicazione apparsa sugli Avvisi del 19 novembre 1785, a pag. 389, n. 47 : Genera, 19. novembre 1785. pag. S89. Num. J7. Lunedì 14, detto fo similmente scoperta alla pubblica osservazione la Pittura a fresco eseguita dal Sig. Gio: Domenico Tiepolo Veneziano nelh Volta della Gran Sala del Reai Palazzo a spese della Patrizia Famiglia Giustiniani, che n’ha fatto pure indorare la cornice- Questa pittura coerentemente al progetto pubblicato fino de’ 31. agosto 17S2 dalla prefata Famiglia rappresenta la Liguria assisa su maestoso Trono fiancheggiata da Pallade e da Ercole, oon vari Geni aU’intorno, e le Virtù Giustizia, Speranza e Carità, e molte altre che la corteggiano. Vicino al Trono si veggono le Insegne della Ser.ma Repubblica, e della Famiglia Giustiniani^ Presentasi sui gradini del Trono medesimo il cel. Jacopo Giustiniani accompagnato dalla Vittoria in atto di ricevere dalla sua Regina la spada, la cui scelta viene approvata da Maggiorenti, che vi figurano spettatori. L’Isola di Scio sotto le sembianze di una Matrona sta additando i magnifici Tempi, e le grandiose fabbriche, che »’innalzarono nel suo territorio ai tempi che fu * posseduta dai Giustiniani. Siede Giano in altra parte sull’Apennino, ed è in atteggiamento di favorire il commercio, vedendosi intanto approdare al lido un VasceUo carico di ricche merci. Scorgesi ancora il Martirio di Giovinetti Giustiniani, che furono uccisi in odio della Religione dai Turchi, e sopra di essi volano in ^aria coUe palme in mano, e coUe corone alcuni Angioli, che ne festeggiano il trionfo. U campo in cui sono istoriati tutti questi diversi fatti, che vi si ammirino, ha di lunghezza palmi 49 e once 7. e 29 di larghezza * * * Il sudato lavoro di Gian Domenico Tiepolo, accolto al suo nascere da un generale coro di consentimenti e di lodi, ebbe però av- Le incisioni di mano di Giambattista Tiepolo sono in rutto trentacinque 1 Capricci: gli Scherzi di fantasia; e le riproduzioni di due suoi dipinti: S. Giuseppe e l'Adorazione dei Jlavi da più beUa e gagliarda incisione deU’artista’ : quefle di Giandomenico ?ono invece reato e settantadue. alcune di sue composizioni, altre -he riproducono opere del padre: Lorenzo incise soltanto nove quadri del padre. La raccolta di incisioni presentata al Doge può riten-r>i sia quella pubblicata da Giandomenico nel 1775 e dedicata al Pontefice Pio VI. dal titolo: t Catfal-^'j di Varie Op r. c;ntenufe Mei predente Volem* inventate dal Celebre Pittore Gio: Batta Tiepolo. Veneto, che fu al ter-rifio di S. M. Colt, morto ir, Madrid li Ï7 Marzo 1770, numero 16 delle quali furono incita dàUo ttexfo e le rimanenti dalli di lui fati, Giandomenico e Lorenzo, potièdute dall’anzidetto /JtojkdoBien ico coll’aggiunta d'altre me opere ». \ 70 STEFANO REBAU DI verso il destino; giacché nel giro di ottantanni circa, sotto la critica inesorabile degli nomini e Fazione dissolvitrice «lei tempo, andò a- totale rovina. Ed anche il ricordo scomparve: infatti nel 1866 nello spazio da esso occupato prese posto un affresco del pittore genovese Giuseppe Isola. Mutati sul finire del Secolo XVIII, col mutare delle vicende sociali e politiche, i gusti del pubblico, F Arte ed i suoi cultori seguirono nuovi opposti orientamenti. I magnati delFAccademia, freddi, compassati, arcigni assertori delle forme del rinnovato classicismo, predicarono il crucifige contro il settecento pittorico e specialmente contro Giambattista Tiepolo padre del nostro, superbo creatore di luminose festanti visioni pittoriche, il qualè fu giudicato e ritenuto gonfio e scorretto artista fantasioso, la cui opera stava a segnare il massimo pervertimento della vacua ed inconsistente pittura del frivolo settecento. Se queste sono le idee che correvano verso la prima metà dell'ottocento sull’opera di Giambattista Tiepolo, genio pittorico di primissima grandezza, figuriamoci in quale considerazione doveva esser tenuto il figlio Gian Domenico, che fu il più felice imitatore del padre e maestro suo, ma la cui « opera pittorica può esser considerata nel suo insieme come una traduzione da una lingua di straordinaria ricchezza a un’altra molto meno copiosa, inizi povera al paragone » (P. Molmenti). Federigo Alizeri, che fu il più autorevole ed ascoltato critico d’arte in Genova durante la prima metà dell’ottocento, così scriveva del lavoro di Gian Domenico Tiepolo, da lui nomato pittore facile ma licenzioso : « L’arte degli scorci e de' sottinsù, degnamente alimentata in Venezia dal Tintoretto e da Paolo, mantenuta ancor con decenza dal Battista Tiepolo, segna i suoi sforzi ultimi e indiscreti in questa pittura del Domenico (che forse era congiunto di sangue a quel primo) ; e non bastano una certa chiarezza di tinte e destrezza d’esecuzione a scusare la stravaganza del concetto, e l’abuso delle industrie artistiche da noi accennate » (*). Sicché aggiunge in altro luogo : « Fn lieve rammarico che in questi ultimi anni rovinasse in gran parte l’intonaco, e senza speranza di rimediarlo » (2). In questi termini, sul valore del mentovato affresco, ancora si esprimeva nel 1846 Giuseppe Banchero a pag. 319, Parte prima del volume « Genova e le Due Riviere » : « È fresco di Tiepolo veneziano, che ben si conosce nelle tinte, ma la stranezza dell’esecuzione è tale che genera confusione e inintelligibilità ». (3) Federigo Alizf.ri, Guida artistica per la città di Genova. Volume I, pag". 94. Genova, presso G. Grondona, 1847. (4) Federigo Alizeri, Guida illustrativa del citta/lino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze, pag. 95. Genova, Ed. Luigi Sambolino, 1875. L'AFFRESCO DI GIAN DOMENICO TIEPOLO ECC. 71 Per avere la giusta e serena valutazione dell’opera dei Tiepolo si doveva giungere a questi ultimi anni. Ma ormai purtroppo il tanto vilipeso e bistrattato affresco di Gian Domenico era totalmente ed in modo definitivo scomparso; al suo posto il pittore genovese Giuseppe Isola nel 1866 aveva disteso un’ampia composizione a fresco destinata ad esaltare le prospere sorti della Liguria mercè il commercio (studiosa composizione e sudato lavoro affermava PAlizeri), che non sappiamo però con quanta autorevolezza e dignità . artistica abbia meritato di sostituire il lavoro di Gian Domenico Tiepolo. Stefano Reibaudi G. B. SPOTORNO E IL “ GIORNALE LIGUSTICO ,, ( Continuazione) S’inizia con una prefazione naturalmente scritta dallo Spotorno nella quale dopo aver passato in rassegna i principali fogli letterari che si stampavano nella Penisola e aver riconosciuto il valore del Y Antologia, accenna alle molte attestazioni di stima che egli ebbe, pervenutegli da ogni parte d'Italia e « da Parigi eziandio » conclude sentenziando: « Ma non sempre le cose migliori hanno amica la sorte ». Non peregrina osservazione, ma vera egualmente. « Io dunque » prosegue «mi sono deliberato di richiamare in vita quelle utilissime Efemeridi, col titolo di Nuoro Giornale■ Ligustico di Lei tere, Scienze ed Arti. E penso che non sarà inutile a Genova, nè all’Italia. Non a Genova ; dovendo servire a far conoscere quanto in essa si stampa, e potendo giovare a destar vaghezza in^ alcuno dimettere in luce i suoi pensieri e le sue ricerche; non all Italia, che viamo notizie abbondanti in una nota del Giornale degli Studiosi (Anno 1, fase. I) e che qui per non tornar ogni volta sull'argomento trascrivo : « Sei fascicoü [del Nuovo G-iorn. Lig., del ISSI] formano un volume di facciate 624 seguite da una tavola di due figure rappresentanti due Pluviometri di cui si tratta in un articolo del Prof. Ferdinando Elice. Che la sua pubblicazione non fosse regolarmente fatta, lo prova, fra le altre cose, il fascicolo IV nella pagina 363, in cui si legge la data : Firenze, addì ì) gennaio 1832 in una lettera ivi inserita, mentre il frontespizio dello stessissimo fascicolo, ha la data 1831, sotto la quale, nella pag. 597, nel Λ I fascicolo, riferisce una lettera del 25 maggio 1983. Per queste osservazioni risulta che la cifra 1831 non serve che per le pagine del volume, e che interruzione vera non sussiste nella pubblicazione che segue col 1S33, sul frontespizio, ma 1834 sulla copertina, quantunque in ambedue si legga volume III; grave errore pel quale sembra che in tutte le raccolte manchi un volume II. Ma questo volume sedicente III per ordine, comincia col Vart. 3 ed ultimo sulle Me/norie Storiche ÉLeU’Ab. Gerini, delle quali si parlava in un art. 2 del fase, λ , annata 1831 pag. 475 col solito sarà continuato. Xè si vuol credere che abbia lo Spotorno voluto lasciar passare un tomo per ultimare il suo giudizio sopra un’opera stampata nel 1831. Il fascicolo I del 1834 già contiene, nella pag. 33, una lettera del 16 aprile 1834, intaDtochè dalla facc. 161 sino alla 1TS si tratta della vita e delle opere del marchese Niccolò Grillo Cattaneo che era morto addì 22. luglio delPanno stesso. Lo Spotorno. giudicando le Memorie del Muletti sulla città di Saluzzo, il Saggio storico d’Albenga delUavv. Cottalasso, e nuovamente condannando la Passeggiata per la Liguria occidentale fatta da Giacomo Navone, mette fine all’annata 1834 colla pag. 20S. Dopo questa, differì al 1837 la sua pubblicazione che venne eseguita coi tipi di Giovanni Ferrando e come serie seconda, vol. I che ha 384 pag., ed altret- li. SPOTORNO E IL «GIORNALE LIGUSTICO» 7‘S desidera un Giornale scevro da spirito di parte, e sollecito della verità anzi che di mercantile guadagno. I quali due caratteri già avvertiti dagli uomini prudenti nel cessato Ligustico, saranno la nor ma del Nuovo ». Con personale sacrificio, lo Spotorno assume per sè tutto il carico finanziario del Giornale da cui se gli vennero poche soddisfazioni morali, affatto gli mancarono i proventi necessari alla sua pubblicazione e tanto meno a fornire allo Spotorno un margine anche piccolo di lucro. « Questo giornale — scrive il direttore di esso — nel Fase. V è fatto sull’idea delle Osservazioni Letterarie di Scipione Maffei, della Storia Letteraria del P. Zaccaria, del Giornale Fiorentino del P. Adami, cioè a dire, il Direttore ne è l’unico compilatore ; lo scrive per suo piacere, lo stampa a sue spese, nulli obnoscius. Riceve peraltro tratto tratto qualche articolo da’ suoi amici, si fa un pregio d’inserirlovi ; ma tutti gli altri estratti, le novelle ed amenità letterarie, le necrologie e gli scritti originali che non portano il nome di qualche autore o le iniziali, o due stellette sono tutti del Direttore ». Con la ripresa del Ligustico, si riaccende la polemica con Y Antologia. quale, nel fascicolo dell’agosto 1831, aveva diretto allo Spotorno, una risposta alla Prefazione, apparsa nel primo numero del risorto giornale. E lo Spotorno — a sua volta — risponde : « Ma un articolo dell’Antologia intitolato al Nuovo Giornale Ligustico, non avendo maturamente pesato le nostre parole.... ci riprende per ciò appunto, di che un animo veramente liberale avrebbe dovuto lodarci. Diceva quella prefazione che dei due Giornali fiorentini, che hanno un solo e medesimo Direttore, ottimo giudicava Y Agrario, ma nell’altro, dico VAntologia, lodati gii articoli di buoni Letterati, e l'anima temperata de’ Toscani, più solleciti del lene, che vaghi delle utopie, notò esservi articoli, lavoro di giovani, che trascrivono da fogli stranieri tutti que’ brani, eh'essi credono contenere qualche novità, immaginando con tal metodo crescer fama e soci al loro giornale « Per questo severo, ma schietto giudizio, Y Antologia ci relega tanto ne conta il vol. II nell'anno 1S3S. Ma il fascìcolo I del vol. Ili che ha la data marzo J838 ed il fase. II, aprile 183S. cominciano con inserzioni di lettere del 9 febbraio, 20 settembre e 9 dicembre 1839 e poi ne si esamina l'indicatore Genovese per Vanno 18J/0 compilato da Paolo Giacometti del fu Francesco. Dopo l’ingegnoso signor Giacometti.... giovane scrittore di buon ingegno ed amico \della verità nella pag. 107 in una nota alla biografia di Ambrogio Multedo si dice: questo essere un raecorciamento di quella data per appendice alla Gazzetta dì Genova, 4 aprile 1S40. L'ultimo articolo intitolato Di Berta figliola di Ugo re d'Italia rimase troncato nella facc. 12S della quale ecco l'ultimo verso : « Pontefice suo figlio. Rispose il Muratori non trovarsi ». 74 LEONA RAVENNA con gli stolti nella caverna di Epimenide, ovvero coi tristi sotto alle stuoie della Tebaìde. Noi non siamo entrati mai nella caverna di Epimenide, ma de’ tristi della Tebaide abbiam letto grandissimi esempi d’eroica virtù. E rendiamo grazie a chi ne ha creduti degni di così bella e onorata compagnia. Afferma il detto articolo cli’esso lia un bisogno invincibile e si fa un sacro dovere di ripetere le verità d’oltre monti; che non vuol mentire alle sue opinioni, nè tradire la causa della verità. E noi similmente abbiamo de’ bisogni, e de’ sacri doveri; noi pure non vogliamo alle nostre opinioni mentire, e molto meno farci traditori alla causa, della verità. Che? Sarà lecito agli oltramontani pubblicare, in Italia le verità d 'oltrem on ti ; e a noi Italiani si farà divieto di promulgare le italiane verità? Sia un po’ più tollerante l’Antologia, e non imiti in Toscana, gentilissima e umanissima contrada, il ridevole esempio di certi stranieri, che rimproverando gl’italiani (li sognata intolleranza, sono in propria casa intollerantissimi ». E contro il romanticume scemo dei piccoli imitatori che allagarono di novelle storiche il campo letterario, lo Spotorno non risparmia ■aggiustatissime stoccate e si trova d’accordo con VAntologia quando dice essere conveniente, per la serietà dell’arte e degli studi — lasciar da parte i romanzi storici e dedicarsi, con adeguati mezzi — :alla storia. Con il Tommaseo, a proposito dell’interpretazione di un verso di Dante, c’è una disputa sostenuta con cortesia e, un tantino più vibrata con il Tonelli — sempre dell 'Antologia — circa la pena di morte. Recensendo l’opera di Lodovico Sauli, « Della Colonia dei Genovesi in Galata » la loda come tale da onorare « il chiarissimo Autore non meno che la Nazione Genovese. L’Italia dee render grazia al cav. Sauli, che abbia con un lavoro originale dimostrato, come è colpa nostra, se ci perdiamo a tradurre goffamente quanto piace'scriver di noi agli autori stranieri. Non ci mancano nè glorie da metter in miglior lume, nè ingegni atti a descriverle. I soli Genovesi possono dar argomento a più volumi ». In una nota poi aggiunge che nelle Memorie dell’Accademia di Francia il tomo XI di M. SS. è pieno di cose genovesi. Si domanda : quante se ne potrebbero adunare sulla Corsica e osserva che « Un’opera sui navigatori e viaggiatori genovesi chiederebbe due volumi » e prosegue dicendo che « La Storia nostra prima del 1100 è intatta ». Caffa — aggiunge — non è argomento inferiore a Galata e Pera. Un’appendice all’articolo ora ricordato serve allo Spotorno per ribattere quanto VAntologia nel numero del giugno 1831, scrive accusando il Sauli di « parzialità dimostrata talvolta per que’ Genovesi ch’egli ama » e di voler liberare i suoi compatrioti dalla taccia G. B. SPOTORNO E IL «GIORNALE LlGUSTTCO» 75 di esser complici del passaggio degli Ottomani in Europa. Lo Spotor-no difende il Sauli e fa propria la tesi di lui. Del resto — conviene dire che la questione della « complicità » genovese nell’occupazione turca delle terre europee è talmente complessa che non è prudente concludere con l’ammetterla. Un affare fu per i genovesi — sta bene — ma tra il profittare di un fatto, qualunque esso sia, e il provocarlo, o favorirlo, .ci corre. Vogliamo credere — che il Turco --- avesse proprio bisogno dell’incitamento o dell’appoggio dei genovesi di Costantinopoli, perchè la Mezzaluna sostituisse la Croce sulla cupola consacrata di S. Sofia? È ingenuo — se non cattivo. Non campanilismo muove il Sauli e lo Spotorno, ma amore del vero e desiderio, quanto mai onesto e lodevole, di liberare dalle ingiuste o almeno esagerate accuse la propria gente. Continuiamo l’esame rapidissimo alle successive annate. Siamo al 1833. La nota precedentemente citata ci risparmia ogni osservazione cronologica. Quando lo Spotorno vuole indicare qualcosa di cattivo gusto, di non chiaro e di vano dice « cosa romantica » e non risparmia i biasimi e le deplorazioni. Contro i giornali che il vèrbo romantico levano a loro bandiera è fermissimo oppositore, ma quando gl*« Inni sacri » o le pagine ricche d’umana poesia e di fede profonda dei « Promessi Sposi » egli ammira, la polemica tace. ' Del resto, la Biblioteca Italiana non è dallo Spotorno guardata con occhio più amico di quello con cui egli guarda VAntologia. Anzi se con questa — talvolta consente — e sempre la rispetta, tale disposizione non troviamo nei riguardi delPauliga rivista austriacante. Come nei precedenti anni, il Nuovo Giornale Ligustico mette in prima linea (pianto può tornare ad onore della gente ligure pur non ignorando quanto altrove si produce di buono. E siccome frequente giungeva a lui l’accusa di municipalismo, egli se ne difende, sempre però insistendo nel suo — del resto giustissimo — desiderio di veder onorati i liguri degni. « Bramerei che Ventimiglia ergesse un monumento al lUamonti o in città o nella villa di S. Biagio, dove nacque: che Vado innalzasse una statua a Pertinace, Savona al Chiabrera, Carcarè un busto al medico ^Castellani, ecc. » e a seguirlo in questa sua monumentomania ci sarebbe da lavorare per un pezzo i1). Tra le opere pubblicate dai professori deir Ateneo genovese, il Nuovo Giornale Ligustico, ricorda quelle di Giacomo Mazzini. Esse i1) Non so se siia sufficiente — a questa stregua — l'omaggio che Genova gli ha fatto, innalzandogli un busto nell’Università e intitolando al suo nome una nuova strada. Alia Berio — un busto marmoreo — ci vorrebbe. 76 LEONA RAVENNA sono: « Pensieri sull'amputazione » traduzione dall’inglese con note;, e « Memoria sull’organo delPudito de’ Sordi e Muti » nel tomo 2° del-Plnstituto o Accademia di Genova, stampato nel 1S09. Non si creda però che l’interesse dello Spotorno si rivolga unicamente a soggetti d’argomento ligure : uno sguardo all’indice degli scritti contenuti nel Ligustico dirà meglio di qualsiasi discorso come vario e vasto esso fosse per ogni forma di progresso. Ecco frattanto — siamo nel 1S34 — una nuova sospensione. Nella miniera delle « Carte Spotorno » troviamo alcune note riguardanti la licenza per la pubblicazione del Nuovo Giornale Ligustico, altre sull’imposta sua soppressione e una proposta per farlo risorgere. Forse il Governo, in quell’agitazione di spiriti, non voleva che s’accendessero polemiche neanche per cause letterarie e voleva la quiete, sia pure la quiete delle tombe. Nel 1837 il divieto fu tolto — e probabilmente — prima ancora e il Ligustico uscì nuovamente. La serie seconda del Nuovo Giornale Ligustico che s’inizia nel 1837, muta nuovamente il motto della copertina. Torna Orazio: « Paulum sepultae distat — Caelata virtus ». Comincia il volume primo con una calda lode a una raccolta di documenti : « Ilistoriae Patriae Monumenta edita iussu Regis Caroli Alberti: Chartarum tomus primus ». « La storia — scrive — è il patrimonio, la maestra, il conforto e il decoro delle nazioni. Ma storia non vi può essere senza i monumenti che ne sono la fonte e la base » e mostra in ogni occasione di sentire tutta l'importanza delle « fonti » e di seguire nei loro lavori i cultori di tali studi. Inizia — ora — una serie di « Lettere sopra la Liguria » degne d’attenzione. Altra serie di lettere pubblica intorno alla « Statistica » fon la sigla A. D. Albo Socilio è il nome arcadico dello Spotorno. « I Genovesi in America » scritto il cui contenuto si può leggere anche oggi con desto interesse. Non c’è lavoro che riguardi la Liguria, da qualsiasi aspetto illustrata che lo Spotorno non passi attraverso il vaglio della sua rara e profonda sapienza. Conosce della Liguria il conoscibile e tutto quel suo sapere anima di così schietto e candido amore che anche le pedanterie non urtano. Niccolò Daneri, da Sarzana, il 21 aprile 1838, gli scrive: « I di lei occhi esercitano nella nostra Liguria, come quei di Argo, una vigilante ed utile censura per mezzo del suo dotto Giornale Ligustico ». E Vincenzo Lotti lo chiamerà : « patriarca della ligure istoria ». A distanza di ìempo, quei giudizi possano ripetersi senza mutarne una virgola. E si comprende come il giornale fosse letto con attenzione e tenuto in gran conto il suo giudizio. Nel 1838, sotto il nome di Albo Docilio, lo Spotorno pubblica alcune lettere dal titolo: a Sull’Autore dell’opera » « De imitatione G. B. SPOTORNO E IL «GIORNALE LIGUSTICO » 77 Christi » in cui nonostante ricerche minute e attente, induzioni che non mancano di finezza e abilità di sottili accorgimenti, giunge a una conclusione che bisogna respingere in pieno anche se non si è — in materia — specialisti come un Puyol. Non a Tommaso da Kempis, ma a Padre Tommaso francese de’ Canonici regolari di S. Vittore in Parigi, priore di S. Andrea in "Vercelli noto a S. Francesco d’Assisi che gli mandò fe. Antonio da Padova, lo Spotorno attribuisce P« Imitazione ». Ma per una errata attribuzione non bisogna dimenticare la bella vittoriosa battaglia da lui combattuta per rivendicare a Genova il suo grandissimo figlio Cristo-foro Colombo, sul quale argomento torna infinite volte nel suo giornale, non contento di averne trattato in lavori che ebbero larga diffusione. E. nemmeno va dimenticata la rivendicazione della priorità genovese nella scoperta delle Canarie dovuta a Nicoloso Recco che, inconsapevole, andò sulla scia segnata dai fratelli Vivaldi. E lascio, come meno importante, l'insistenza con cui lo Spotorno dimostra che Vado è la patria di Elvio Pertinace, e le buone notazioni del Barnabita fatte sul Consolato del Mare, e le moltissime rettifiche, aggiunte o informazioni del tutto nuove. Senza dire che nel ricordare ch'egli fa gli scritti, gli studi di qualche rilievo dei liguri e la vita operosa di molti di questi fornisce elementi preziosi per chi voglia conoscere e valutare l’apporto dato da Genova in ogni campo dell’attività culturale. In una biografia· dell'abate Ambrogio Multedo, lo Spotorno scrive. «Porrem fine alla biografia con una considerazione, quanto onorevole alla nostra Liguria, altrettanto al cuore dolorosa. « Quanti uomini egregi non abbianl noi perduti nel volgere di pochissimi anni? Il marchese Girolamo Serra, il Buffa, il poeto Ner\i, il chimico Mojon, il C. Gallisio autore della « Pompona » e il Viviani valente non meno in mineralogia che in botanica. Oi'a quegli stranieri, che ci credono tutti ravvolti nelle cure del commercio, veggano’le nostre perdite; e dalla grandezza di queste apprenderanno a tenere in pregio gl'ingegni della Liguria ». L’amarezza con cui lo Spotorno lamenta la scarsa considerazione in cui — nuova Cenerentola — Genova era tenuta fuori del campo economico, ci fa comprendere anche meglio il perchè di certe noiose insistenze e di fastidiose minuzie di cui è ingombra tutta l’opera del Barnabita, il quale, volendo far penetrare, in quanti lo leggevano, un concetto adeguato di quelli che egli considerava meriti dei Liguri, non rifuggiva dalla ripetizione e dall’iperlode al fine di far conoscere le glorie (o almeno tali da lui ritenute) della sua terra natale. E davvero, concludendo questa scorsa alle annate 1838 e 1839, con 78 LEONA RAVENNA la quale ultima si chiude la vita, dal Ligustico degnamente vissuta, si può dire che, da questo punto di vista, esso lia ben meritato. Il Giornale Ligustico, che ebbe tanta notorietà al suo tempo ed era considerato come pubblicazione da cui onore e fama avrebbero sempre tratto Genova e la Liguria, perdette ben presto la sua rinomanza e finì nell’o-sciiro oblio, salvo ad essere un nome o 1111 numero di curiosità e rarità bibliografiche. Giustizia del tempo? In verità, pregi e difetti, che abbiamo avuto occasione di notare via facendo, non sono gli uni e gli altri in tale rapporto per cui la massa dei difetti annulli la somma dei pregi. La rivista ebbe una sua azione, una funzione animatrice e rievo-catrice di glorie municipali ; municipali sì, ma non poche di esse superano la cerchia del municipio, della regione e della Nazione stessa. Tale è la gloria di viaggiatori ed esploratori che lo Spotorno, con passione, esaltava della sua Liguria. Colpa — potrebbe dirsi — di quella fitta nebbia che avvolge la Rivista dimenticata fu Tessere stata pubblicata a Genova, in questa Genova, che, se prepotentemente e vigorosamente imprime nella vita politica e in quella economica il suo moto, ò — invece — assai debole e incerta nella vita letteraria: sicché anche quello che di più e di meglio fece in questa — passa — in genere — inosservato e va dimenticato. Non credo: è pregiudizio quello di ritenere esclusivamente assorbita nei materiali interessi Genova, quando, al contrario, le più alte e pure fiamme d’idealità sono in essa divampate pur nei momenti di 'più intensa e fervida attività materiale. Egli è c he la causa per cui lo Spotorno nel 1827 iniziata la sua battaglia, quel suo spirito conservatore di cui il suo classicismo era bandiera, dieci anni dopo era già causa perduta e dieci anni dopo ancora era morta e sotterrata. Quel soffio di vita che anima un pensiero, una parola, uno scritto, un’azione e li rende vivi anche a distanza di tempo, mancava in questa Rivista, quando in quel decennio che precede il 1848 tutta una vita rigogliosamente ferveva e preparava l’avvenire. Ciò che nel Giornale Ligustico vivevate sopravvive — onde lo Spotorno merita il grato nostro ricordo — è ciò che a quella preparazio ne dell’avvenire si collega con il lavoro e la passione dello Spotorno per le glorie di Genova, per la ricerca e la rivalutazione dei titoli di nobiltà di quell’Italia che si svegliava allora alle note dell’inno del nostro poeta. Leona Ravenna RASSEGNA BIBLIOGRAFICA jSli c il fa c Pie monte nel 18JjfS-Jf9. Corrispondenza diplomatica del Governo del regno di Sicilia nel 1848-40 con la missione inviata in Piemonte per l’offerta della Corona al Duca di Genova, a cura del R. Archivio di Stato di Palermo. Roma, Vittoriano, 1940-XVIII, pagg. 308. « Il duca di Genova, figlio secondogenito dell’attuale re di Sardegna, è chiamato colla sua discendenza, a regnare in Sicilia secondo lo statuto costituzionale del LO luglio 1848. « Egli prenderà nome e titolo di Alberto Amedeo Primo Re dei Siciliani per la costituzione del Regno. « Sarà invitato ad accettare e giurare secondo l’art. 40 dello Statuto ». Così deliberava il Parlamento Siciliano, sorto dall’impeto rivoluzionario del 12 gennaio, nella seduta dell’ll luglio 1848, il giorno dopo la promulgazione dello statuto del nuovo regno. E si dava subito opera a nominare una commissione che svolgesse, presso il .ministero di Torino, tutte le pratiche necessarie volte ad ottenere l’accettazione dell’offerta corona da parte di Carlo Alberto e del figlio di lui, il principe Ferdinando. Episodio questo assai noto, ma non privo d’interesse, dato il momento storico in cui si svolse, in mezzo a tanto fluttuare di passioni e di vicende, che danno un'impronta caratteristica a quel quarantotto d’Europa e d'Italia, ribollente di entusiasmi, ondeggiante fra tendenze diverse e spesso in conflitto. Episodio, del quale già si occuparono non pochi studiosi, accennandovi in modo più o meno particolareggiato i biografi del duca, di Genova e dedicandovi altre trattazioni speciali. Quindi ipotesi disparate sui moventi del rifiuto da parte degli interessati, interpretazioni molteplici sulla politica spiegata dalle potenze, nell’ora grave che attraversava l'Italia. Ora molta luce e su questo avvenimento e, in generale, su tutto il periodò a cui esso si riferisce, ci viene dalla pubblicazione della corrispondenza diplomatica del Governo del Regno di Sicilia nel 1848-49 con la missione inviata in Piemonte, per l’offerta della corona al Duca di Genova. Gli atti riportati raggiungono il numero di centotrentacinque e vanno dal 16 aprile 1848 al 0 aprile 1849. E Librino, che li raccoglie e li pub- 80 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA blica, sotto gli auspici del 1\. Istituto per ia -storia del Itis or gi 111 enta Italiano, narra nella prefazione in qual modo, allorché la rivoluzione siciliana fu soffocata dalle truppe del Filangeri, essi fnron posti in salvo; opera benemerita, dovuta a un modesto funzionario del caduto governo, Pietro D'Alessandro, il quale portò con sè, nell’e-silio, il prezioso materiale, passato poi, alla morte del D'Alessandro, parte a Mariano Stabile, parte al Marchese di Torrearsa, parte al principe di Butrea e da questi, o dai loro eredi, depositati in seguito all’Archivio di Stato di Palermo. A questo cospicuo complesso di documenti si aggiunse un’altra serie di atti già in possesso del patriota Matteo Reali, a cui li aveva consegnati il Presidente del Regno Buggero Settimo, durante il comune esilio a Malta. Ê naturale che da una messe così cospicua debbano scaturire abbondanti e pregevolissime notizie. Il prolungarsi del carteggio intanto rivela già .li per sè che il rifiuto alla corona, di Sicilia dato dal Duca di Genova con lettera al Pareto — ministro degli affari esteri al governo Piemontese — nel mese di agosto 1848, non tolse tutte le speranze ai Siciliani, nè troncò le trattative, come molti hanno asserito (vedi anche: V. Ciax, La candidatura di Ferdinando di Savoia ai trono di Sicilia, in « Nuova Antologia », 1915, pag. 352-71). Da una parte i commissari Americo Amari e Casimiro Pisani, rappresentanti a Torino del nuovo governo, ai quali si aggiunsero gli otto componenti la delegazione nominata appositamente per l’offerta in questione, dall’altra il Ministero di Palermo persistono nel considerare non irrevocabile il rifiuto finché non era dato ufficialmente: quindi si tentano e si suggeriscono e si vanno escogitando tutti i mezzi possibili, pur di raggiungere lo scopo. Dai rappresentanti siculi si cercano abboccamenti col re Carlo Alberto e col Principe, si tratta la questione coi ministri sardi e coi diplomatici esteri — fra i quali parte notevolissima rappresentò il ministro inglese Lord Abereromby — mentre dall’isola venivano loro costanti sollecitazioni ad insistere, a restare al proprio posto, anche dopo che ogni speranza pareva perduta, anche quando ormai disastrose volgevano le sorti per il Piemonte e sulla Sicilia incombeva il fantasma-dei risorgente dominio borbonico. Chè il voluminoso carteggio non tratta soltanto — come accennammo — la questione dell'offerta corona : gli ambasciatori riferiscono sulla situazione politica e militare del regno sardo, con accenni talora anche ad altre regioni d’Italia, ad esempio agli avvenimenti di Roma e di Toscana, il ministro degli esteri di Sicilia dal canto suo , comunica a quelli le condizioni del paese; sì che, a traverso la lettura dei loro scritti, si rivive la vita tormentosa dei due stati, negli anni 48-49, fino alla disfatta di Novara» per il Piemonte e alle prime sconfitte dei Siciliani preannuncianti il finale disastro- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Si tocca, della politica degli altri stati (l’Europa — specialmente francese ed inglese — dì fronte alle questioni italiane, si profilano le figure più eminenti del governo sardo — come quella del Gioberti __si danno sulle diverse correnti politiche d’allora giudizi non sempre assolutamente imparziali da parte degl’inviati siciliani, i quali, tendenti ad 1111 unico scopo e fieramente attaccati all indipendenza della loro isola, con difficoltà arrivano a comprendere chi, mosso da altre aspirazioni, considerava sotto una luce diversa la proclamata· indipendenza della terra valorosa, dove pareva fosse di nuovo echeggiata la campana del Vespro. Così troviamo qua e là accenni di velato biasimo agli unitari c fusionisti, mentre, com’è naturale, si sostiene il programma federativo, più conforme alla nuova situazione della Sicilia, die rendeva i suoi tigli — nell’esaltazione della conquistata libertà· — obliosi per l’Italia di un più grande e più alto avvenire. Eppure calda e appassionata era giunta ai Siciliani, fin dal febbraio del ’48, la parola dell’apostolo dell’unità : « Non fate che lo straniero dica, esultando : saranno liberi forse; uniti e potenti non mai. Avete insegnato all’Italia la potenza del valore, insegnatele la santità dell’amore, insegnatele la religione dell’unità che sola può ridarle gloria, missione e iniziativa per la terza volta in Europa » (*). E un seguace dell’Apostolo, in nome dell’unità, rifiutò appunto allora la rappresentanza del nuovo stato di Sicilia presso il re ili Sardegna. Ne abbiamo notizia da una lettera conservata, nel Museo del Risorgimento di Genova e pubblicata dal Prof. Arturo Codiguo-la, in un artìcolo inserito nel Lavoro del 2 aprile 1030; lettera che ci sembra opportuno riportare, perchè può bene accompagnarsi, per l’ar"omento che tratta, all'importante carteggio del quale abbiamo parlato in queste brevi note illustrative. È di Raffaele Rabattino, diretta ad un amico di Civitavecchia Filippo de’ Filippi e porta la data del 19 maggio 1818. « Mi chiedete se accetterei d’essere rappresentante della Sicilia. Prima di accettare avrei bisogno d’ulteriori spiegazioni. Io sto per l’unità assoluta d’Italia. Tutto quanto potrebbe farmi recedere, anche apparentemente, dai miei principi politici non potrei accettare. Ora parmi che, mentre vogliamo tendere all’Ünità d’Italia, accettare una rappresentanza., un consolato d’un Governo, che, se dovesse durar separato, nuocerebbe all’idea che si vagheggia, sia un mancare ai nostri principi ». La Sicilia, come sappiamo, non rimase a lungo separata, cadendo di nuovo sotto il giogo del Borbone, il 1Γ> maggio 1840: e proprio nella ricorrenza «li quel giorno, Garibaudi liberatore, sui campi ili Calafatimi, pronunciava le profetiche parole: «Qui si fa l’Italia o si muore ». Evelixa Rinaldi (i) Vedi lettera
  • sì si spiega quel lievito veneziano innegabile fin da principio nella pittura di Luca Cambiaso. In mezzo ai segni della giustizia in cammino, per il Pordenone, che il Fiocco registra, inseriamo dunque questo cordiale, antico, fattivo omaggio genovese. Mario Labò SPIGOLATURE E NOTIZIE a cura di T. 0. De Negri e N. Calvini NeU’assmiere il compito di redìgere questa Rassegna dalle antiche tradizioni, unica sistematica raccolta di notizie bibliografiche e curios,e sulla vita ligure, intendiamo riportarla all’originario affieno di do ou rn en ta zio) le di tutta la nostra attività storica e culturale in ogni suo aspetto. A questo fine, entro ciascuna sezione, distingueremo dui repertorio bibliografico vero e Proprio le recensioni e le « Notizie», rapida cronaca degli avvenimenti culturali, col sistematico rinvio alle fonti ed· alle relazioni giornalistiche. Inoltre è nostro intendimento fare, almeno annualmente, vn una Appendice, una relazione sommaria dell'attività dei principali Istituti di Cultura di Genova e Liguria, indipendçntemente dalla pubblicazione a stampa. Per rendere più agile e chiara la consultatone ritocchiamo in parte anche la distribuzione della materia e gli espedienti grafici, coordinando rigorosamente le notizie e semplificando i rinvìi. Ringraziamo pertanto il direttore del Giornale che ha voluto accogliere, ogni nostro desiderio. Per la completezza della raccolta invitiamo tutti gli- studiosi a volerci d’ora innanzi comunicare notizia delle pubblicazioni proprie ed altrui che ritenessero meritevoli di menzione, nonché della attività culturale degli Enti che rappresentano. Questa puntata riuscirà ancora largamente incompleta per la ristrettezza del tempo a noi concesso e per le difficoltà particola/ri del momento. Ci ripromettiamo di supplire alle manchevolezze nella prossima puntata, con cui si chiuderà la rassegna del 19.’iO. Lo spoglio delle riviste e dei giornali, salvo poche eccezioni è liniitato all’anno in corso o comunque ai fascicoli pubblicati entro il 19^0. Alla presente puntata collaborarono per la raccolta del materiale entrambi i redattori e pet la· distribuzione di esso il De Negri, il quale anche è responsabile della quasi totalità dei giudizi. Genova, 15 giugno. T. Ο. Γ>. e N. C. / Abbreviazioni KHorn. - Giornale Storico Letterario della Ligura. A.8.1. - Archivio Storico Italiano. Firenze. R.8.1. - Rivista Storica Italiana. Milano. N.R.S. - Nuova Rivista Storica. Napoli. A.S.P. - Atti della R. Deputazione di S-toria Patria per la Liguria. R.E.A. - Revue des Études Anciennes. Parigi. B.P.I. - Bollettino di Paletnologia Italiana. Roma. Sips. - Atti della Soc. Italiana per il Progresso delle Scienze. Bologna. R. Ing. Int. - Rivista Ingauna Intemelia. Bordighera. Ics. - L’Italia che scrive. Roma. Sec. - Il Secolo XIX. Genova. G. di G. - Giornale di Genova. Genova. Lav. - Il Lavoro. Genova. O.M. - Corriere Mercantile. Genova. A'.C. - Il Nuovo Cittadino. Genova. * - Anonimo. SPIGOLATURE E NOTIZIE 8i> \ APPUNTI BIBLIOGRAFICI STORIA PREISTORIA, ETNOGRAFIA PREISTORICA. p. Barocelli, Ernesto SchiappareUi. La preistoria nel Piemonte e nella Liguria. Rassegna Ital., IX, 1938, n. 24G. Cfr. C. Caprino, in B.P.I., 193S, p. 208. A. C. Blanc, Nuovo giacimento paleolitico e mesolitico ai Balzi Rossi di Grimaldi. Rend. Acc. Lincei, Scienze Fisiche, XXVIII. (Lavoro importantissimo sui ricchi giacimenti dei nuovi Riparo M.oehi e Riparo Bombrini)-Cfr. U. RLellini], in B.P.I., 1939, p. 203 e G. Landra, in Sips., XXVII Riun. 193S (1939), vol. II, fase. 2. A. C. Blanc, Riv. di Antropologia, p. 3r sgg., XXXI, 1939. --Dei « mi or obul mi » e della precoce comparsa del mesolitico in Italia. Pubblicaz. deH’Istit. Ital. di Paleontologia Umana. Firenze 1939. (Inter. deduzioni in base agli elementi di scavo comunicati colla memoria precedente). F. Sacco, La bipenne porfirica del Passo Arpeto (Alpi Marittime). Atti Acc. Scienze Torino, vol. LXXIV, 1939. (Relazioni con le incisioni di M. Bego). E. Octobon, Stanislas Bon/ils et les découvertes préJiistriques des Baousse Housse. Nice Historique, maggio-giugno 1938. (Cfr. A. Cane, in R. Ing. Int., IV, 193S (1939), 280 sg. C. Richard, Nuovi scavi nella caverna degli « Arpiorari » o « Parmorari » (Borgìo V e rezzi). B.P.I., 1939, pp. 11-24. (Relazione preliminare sugli importanti scavi compiuti dal R. in· una caverna ch’egli ha particolarmente messo in valore). Ρ. Laviosa Zambotti, Civiltà palafitticola lombarda e civiltà di Gol a secca : origini e interferenze. Riv. Archeol. di Como, fase. 119-120 (1939). (Rapporti con le analoghe civiltà di età eneolitica e del ferro della Liguria.) G. Sittoni, Neo- ed Eneolitici in< Italia. Atti Sips, XXVII Riun. 1938 (1939), vol. VI, p. 226 sgg. --Intorno alla necessità di profonde indagini antropologiche nella Garfa- gnana. Atti Sips, XXVII Riun. 1938 (1939), vol. VI, p. 233 sgg. (Solo nuovi capitoli delFampio studio con cui il S. da anni si dedica alla risoluzione del problema ligure da un puuto di vista antropologico, e, nel secondo studio, anche toponomastico. Conclusioni non sempre attendibili, data la fallacia degli elementi di studio). Ρ. Peola. Strumenti per ricamare tra i reperti archeologici dell'agro alessandrino e tortonese. Alexandria, VII, 1939, pp. 40-46. --Τλstazione preistorica di Castelcerwlo. Riv. St. Arte Archeol., Alessandria, 193S, pp. 3SO-5WT. --Strumenti neolitici rinvenuti a Μ o ut ecas tello (Alessandria). Necessità di distinguere i depositi degli strumenti preistorici in primarii e secondarii. Atti Soc. Se. e Lettere. Genova, IV, 1939, fase. I. (Le stazioni originarie di materiale preistorico alessandrino son da ricercarsi probabilmente nell’Ap-pennino ligure). --I Murici. Riv. St. Arte Archeol., Alessandria, 1939, pp. 5-104. --Protostoria> e romanità dell9Agro Alessandrino. Parte II. Riv. St. Arte Archeol., Alessandria, 1940, pp. 5-106, con XXXVI tav. (Lavori che studiano con larga informazione erudita e somma diligenza, ma talora con criteri un po’ fantasiosi, la preistoria e la protostoria dei Liguri). 90 SPIGOLATURE E NOTIZIE E. Octobon - Essa ì sur le peuplement des Alpes Maritimes des origines à la conquête wmmne. Nice historique, 1940, pp. 128-148. (Importante rassegna critica dello stato attuale delle ricerche di preistoria ligure, come introduzione allo studio sulle popolazioni protostoriche della regione). —.— Ligures, Ibères, Celtes d’a près les textes la linguistique, Γarchéologie, Vanthropologie et la préhistoire. Nice historique, 1940, pp. 3-14. (È peiora ,1a prima parte del lavoro, che tratta dei Liguri. Rassegna delle varie soluzioni proposte per il problema ligure e conclusioni conformi alle consuete della scuola francese). Cfr. G. B. A[:llegri], Sulle orìgini' (Tei liguri. Lav., 27 aprile 1940, che ne dà ampio cenno critico. E. Beati, Genova porto Fenizio (sic). Lav., 1 gennaio. (Considerazioni essen-zialm. toponomastiche, non più fantastiche di altre spesso pubblicate dai nostri giornali). Recensioni. [M. Giuliani, Tomba ad incinerazione nelValta Val di Magra. G-orn., 1939. III]. P. Ferrari, in Cori*. Apuano, 30-XI1-1939. Notizie. TJ. R[ellini], Convegno delle Incisioni Rupestri a Bordighera. B. P. I., 1939, pp. 207-208. N. L[amboglia]. In R. Ing. Int. IV, 1938 (1939), 281-282 annuncia la fondazione di un Centre d’études Iiguro-provençales a Trans-en-Provence, e fa al proposito alcune considerazioni sull’etnologia liguro-romana della Provenza. ANTICA. N. Lamboglia, Il Civico Museo « Girolamo Rossi » di Ventimiglia e le altre collezioni locali di oggetti albvntwviliensi. (la puntata). R. Ing. Int. ΙΛ , 1938 (1939), 163/200. (Accurato repertorio del materiale archeologico albintimi-liense). --Nuovi scavi nella necropoli di Albinti milium. R. Ing. Int. IV, pp. 201 - LOS- G. Corradi, Le stmde romane delVItaUa occidentale. Paravia, Torino, 1939. Cfr. T[accone] in Mondò Classico, 1940, 1S2. N. Lamboglia, La « Descriptio Italiae » augustea. Atti V Congr. Naz. St. Rom., 1940. Can. L. Mussi, Gli Akrites della Lunigiana. X.C., 5-1. (Sugli ultimi pagani a Filattiera). R. Buscaroli, Vestigia romane e cristiane di Lu ni. Osserv. Rom., 4-1. Recensioni. [N. Lamboglia, Liguria Romana. Ist. S-t. Rom., 1939]. E. Cu rotto, N.C., 13-111. (Fa alcuni notevoli rilievi sull'opera del L., rinviando del resto all’ampia ree. di T. 0. De Negri, in Giorn., 1939, IV. Accenna all’attività dell'istituto per la Storia di Genova ed annuncia una propria (?) storia erudita della Liguria romana). — G. Miscosi, Contemporanea, VII, 1940, quad. XXXII, pp. 491-494. (Ree. fatta con la solita acredine ed incompetenza). IN. Lamboglia, Il Trofeo di Augusto alla Turbia. Bordighiera, 1938]. A. Grenier, R.E.A., 1939, p. 263 sg. (Il Grenier fa ampie lodi di questo opuscolo, ed esaminando il penultimo volume della R. Ing. Int. trae argomento per lodare tutta l’attività scientifica del L. pur facendo alcune riserve sulle sue illazioni nei riguardi del problema etnico ligure e spec*. dei rapporti coi Celti). SPIGOLATURE E NOTIZIE 91 [L. Banti, Lutti. Istit. Studi Etruschi, Firenze, 1937]. P. Fraccaro, Athenaeum, 1939. (Accenna anche a N. Lamboglia, Liguria Romana, a proposito del Portus Lunae). — P. Baronoelli, B.P.I., 193S. Notizie. * Gli scavi nella città romana di Nervina. G. di G., 3-1-1940. (Sulla ripresa de- gli scavi di Ventimiglia). * Dono di un cimelio romano al Museo di Finale. Lav., G-I. * La R. Sovraintendanza per i « ponti romani » del Finalese. Lav., 21-11. * Resti di un antico ponte scoperti a Finalpia. Lav., 15-111. Istituto di Studi Romani, Sezione Ligure. Lezioni dell’anno XVIII. [C. Αυτί], Modernità della pittura romana. Cfr. Lav., 5-III etc. [E. Bodrero], Ciò che è Classico, ■ Latino, Romano. Cfr. Lav., 2-IV. [M. ChiaudanoJ, Genova dominatrice del mare nella storia e nella tradizione romana. Cfr. Lav., 2-V. (Not. ed ampia relaz.). MEDIOEVALE. F. Noberasco, I Saraceni in Liguria. Savona, 1939. Cfr. P. Rembado, in Lav., 17 II. M. R., Passi a ritroso. La leggenda del Re Museto. C.M., 1 II. (Sul saccheggio di Genova ad opera dei Saraceni nell'anno 936). A. Moretti, Annalisti genovesi. Caffaro e Oberto Cancelliere. Lav., S I. G. Piastra, La più lu tuga guerra del mondo. Genovesi e Pisani nel Medioevo. C.M., 11 I. G. B. A[llegri], Genova e i suoi rapporti con la Riviera nel sec. XII. Una convenzione con S. Romolo. La guerra econOjmcg, del 1199. Lav. 5 III (A prop. di A. Canepa, Illustrazione di antichi documenti relativi a Sanremo. R. Ing. Int., IV 193S. V. Vitale, Nuovi documenti sul Castello di Bonifacio nel sec. XIII. A. S.P., IV, 1940, fase. 2°. ---Uni aristocrazia· dugentesca e il suo annalista. G. di G., 16 II. (Jacopo Doria, ultimo continuatore di Caffaro). Alma Noè, Pagine d'audacia dimenticata. La sfida di un genovese all'Egitto. Sec. 30 I. (Benedetto Zaccaria 1288-1290). Elda M. Bertelli, Pagine di storia genovese. L’incontro che decìse il ritorno del Papato a Roma. Lav., 8 V. (Sul viaggio lungo la Riviera e rincontro a Genova, nel 1376, in una casa di V. Canneto il Lungo, 6, di S. Caterina da Siena e Papa Gregorio XI). E. Momigliano, Uri segreto genovese della storia d’Inghilterra. Lav. 7 III. (Su Re Edoardo II d’Inghilterra, esule ed ospite segreto dei Fieschi dopo il 1327, secondo una lettera di Emanuele Fieschi vescovo di Vercelli ad Edoardo III). A. Pescio, Un console antico. Sec., 9 V. (Tomaso da Domoculta ai tempi del doge Pietro Fregoso,. 1453-54). G. Terranova, L’Italia e la flotta magiara nel medioevo. Rapporti tra VXJnghe-ria e Genova. C.M., 23 IV. Recensioni. [M. Moresco, G. B. Bo g netti, Per V edizione dei Notai Liguri del sec. XII. J. V. Vitale in R.S.I., 1939, 30£-309. ΙΜ. Chiaudano, R. Morozzo d. R., Notai Liguri: I. Oberto Scriba]. G. Mar in A.S.I., 1939, 116. [M. W. Hall, H. C. Krueger e R. L. Reynolds, Notai Li. guri : II. Guglielmo Cassinese]. G. Mar, Ibid., 256. 92 SPIGOLATURE E NOTIZIE [F. Noberasco, I cronisti savonesi e G. V. Verzellino. Atti Dep. S.P., Savona, 1938]. G. Cab. in A.S.I., 1939, 119. [F. Niooolai, Contributo alito studio dei più antichi Brevi delUi Compagna Genovese, Giuffrè. Milano,. 1939]. R. L·. Vergano, Riv. St. Arte Archeol. Ales’sandria, 1939, p. 487. MODERNA. A. Lodolini, L'a. aristocrazia popolana » nella riv ulta a ut-i francese del 1501. Lav. 30 IV. N. Calvini, La «Cronaca Montìsalti et B ala ducei » di Giovanni T errando. R. Ing. Int. IV, pp. 247-250 (Cronaca del’ ’500, con estratti). P. Antichi giapponesi a Genova. Sec.. 30 V. (Su una missione giapponese dell’agosto 1585). ! A. Cane, A propos d}une Biographie de Provana de Legni. R. Ing. Int. IV, pp. 239-246. Can. L. Mussi, Caterina dei Medici a Massa di Lunigiann. N.C., 27 I. A. Rodino, Giornali cùi ieri e di oggi. G. di G., 9 I. *' Accenna al « Sincero », primo giornale a stampa genovese). O. Pastine, Una questione di politica italiana. del seicento. R.S.I., lOol), pp. 42-83. (Riprende un tema già ampiamente trattato in A.S.P., III 193S e in Giorn. 1938, fase. Ili e IV sui rapporti tra Genova e Venezia in occasione della guerra di Candia). U. Valente, Contro la Repubblica di Genova. Riv. St. del Risorgimento, 1940 III, 265-270. (Riporta e commenta due sonetti e una « consulta poetica » di autore sconosciuto, certo torinese, auspicanti la vittoria di Carlo Em. Ili e di Maria Teresa contro francesi, spagnoli e genovesi nella guerra di successione austriaca). * T n Ss Memorie genovesi. Tre lettere inedite attribuite alla Pompadour :n.c., 3 V. (Inter. perchè vi si accenna ad opinioni correnti in Francia su Genova al tempo della guerra di successione austriaca, e sull’aiuto dato dalla Francia alla nostra città contro la Corsica). _ ** Passi a ntroso. « Finalmente LomelUno ha aperto il portico ». C.M., -O ili. (Sull’impresa del Balilla, con riproduzione di un inter. bassorilievo di Via S. Lorenzo). ... V. Vitale, L’eroico pensato. G. di G., 7 II. (Su Paolo Mattia Dona, gentiluomo e filosofo genovese, amico del Vico a Napoli). N Calvini, P. Martino Natali, s,colopio e giansenista. C.M., IO V. . . ^ p’ GOGGi, La mira di Giovarmi Andrea Serrao secondo recenti indugia N.C., 18 VI. (A prop. di G. Cigno, G.A.,S\ e il Giansenismo nell’ltalm Meridionale. Palermo, 194*)). Recensioni. [E. Rossi Passa vanti, Terni nell'età moderna. Roma 1939]. V. Vitaxe in G. di [O. Pastine, Rapporti tra Genova e Venezia nel sec. XVII. Giorn.,, 193S]. G. Mar in A.S.I.. 1939* p. 127. [C. Bruzzo, Note sulla guerra del 1626. Atti S.P., III 1938]. G. Mar in A.S.I., 1939, p. 126. ' 1A. Biancotti, Andrea Doria, Pavia]. M. Gasparini, R. Ing. Int., I > , p. ~- · CONTEMPORANEA Napoleonica. Pia Onnis, Filippo Buonarroti commissario rivoluzionario a One glia nel 1794-95. N.R.S., XXIII 1939, pp. 285-401, 477-4<>9. SPIGOLATURE E NOTIZIE 93 A. Biancotti, Cosseria e la Campagna di guerra dal 1193 al 1Ί96. Soc. Subalpina Ed., Torino, 1940. M. De Marco, N. e i siti « fremii ». n Mare, llapallo, IS I. (Illustra un decreto napoleonico, che ΓΑ. chiama inedito, illustrante l’arenile di Chiavari : detto decreto però è già stato menzionato dal Prof. Sanguineti in diverse sue pubblicazioni di indole geografica). --Chiavari sotto N. I decreti del Prefetto degli Appennini, Ibid. 8 VI. A. Moretti, Contributo italiano alle battaglie napoleoniche. Ibid., 17 II. p. Un ladro di buon gusto. Monsieur Denoti. Sec., 8 VI. (Sui furti napoleot-nici di opere d'arte nelle raccolte genovesi). Recensioni· [G. Natali, La Rejjubbldca Cispadana e l'abolizione dei Feud/i (1Ί96-97). Atti e Mem. R. Dep. S.P. Emilia e Rom., 1937-38, III]. G. Cab. in A.S.I., 1939, p. 131. (Lo studio riguarda anche la regione lunigianese). [Letizia Venturini, Luigi Corvetto alla luce di un epistolario inedito. Pref. di p. Nurra. Emiliano degli Orsini. Genova, 1940]. E. Zerega, Lav. 17 III. — Ezio M. Gray, Le finanze dì Napoleone e L. C. in C. M., 15 I, da «Tempo». — L. Salvatorelli. C. e Chateaubriand. Lav., 1 VI. — G. Ferretti, Ics., 1940, p. 41. RISORGIMENTO. ^ V. Per la bibliografìa mazziniana rinviamo dlVapposita rassegna che L. Ravenna pubblica su questo Giornale. F. Ercole, Il Risorgimento. I màrtiri. Serie XLII dell’Enciclop. Ital. edita dall’Ist. Ed. B.C. Tosi, Milano. (È il primo volume dei cinque assegnati al Risorgimento dall’Encicl. Tosi. È come un libro sano in cui con commossa parola e profonda erudizione son ricordate le migliaia d’italiani che attestarono con la vita la loro fede nella Patria). G. Garibaldi. A. Monti, Figure e caratteri del Risorgimento. Paravia, Torino, 1939. Cfr. G. Ferretti, Ics., 1939, p. 274. (Tra l'altro parla del « diario agricolo », di G. a Caprera, dell'amicizia di G. e Meucci). N. Tommaseo, Cronichetta del Sessantasei, a cura di Raffaele Ciampini. Einaudi, Torino, 1939. Cfr. G. Bronzini. Ics., 1939, pp. 274-75. L. Salvatorelli, Il diario del Tommaseo. Lav., 20 III. T. Battaglini, Il crollo militare del Regno 'delle Due Sicilie. Collez. Stor. del Risorg. It., Modena, 1939, 8°, voli. 2, pp. 50o. Cfr. P. Leonelli, Ics., 1939, p. 211. ivi. Di Lorenzo, L'impresa dei Mille. Il Tricolore. Roma, 11 IV. * Ricordi storici di G. conservati dal figlio di un eroe del Risorgimento. [4,-cliille Ricci']. Corriere Padano, Ferrara, 13 IV. E. Bianco di S. Secondo. Documenti garibaldini nel R. Archivio dì Stato di} Mantova. Le forze armate, 23 I. P. Rio - Falcino di G. Un frate aretino nelVepopea dei Mille. Gazzetta di Messina, 1S I. GrL Blas, L*epopea garibaldina nel Brasile. G. di G., 16 IV. N. M. Palaniza, G. e la Francia del 1870. Cori*. d’Abruzzo. L’Aquila, 9 III. C. A. Castellani, G. e la Francia : Vora déliai Tunisia. La Stampa, Torino,-25 V. — Id. Primavera del 1881. Ibid., 29 V. --G. e 'il Mediterraneo. Costruire. Roma, maggio 1940, pp. 9-12. 94 SPIGOLATURE E NOTIZIE E. Lanzerotto, G. e V italianità di Nizza in aleum documenti dì fa va resi. Lav. 1VL R. Ruggieri, G. a Napoli. Roma della domenica, Napoli, *-1 I· Stanis Ruinas, G. in Gallura. Lav., 14 V. S. Bozzetti, Acqui Garibaldina. T «Cacciatori degli Appennini». 1 e L*a Gazz. di Messina, 28 III. e . _ C. Spellanzon, G. G. e la Marchesa Raimondi. Giorn. d Italia, 5 T. Alzani, G. G. e la dorma turica. Messaggero degli Italiani, Costantinopoli, SU. U. De Maria, Fra Giovanni Pantaleo. Giorn. di Sicilia, 17 II. V. Fullin, Colloquio con Antonio Ceruti, Vultimo garibaldino della spedizione Medici. C.M., 29 I. L. Costa, Vita e avventure di un garibaldino di C amogli. Il Co mandant e An-v saldo. G. di G., 23 IV. * La morte di un garibaldino a Sœmpierdavena. Lav., 9 I. Notizie. Timo, Si sta demolendo la casa dove venne ideato l’inno di G. Lav., S II. (La casa già di Gabriele Camozzi Vertova, allo Zerbino). ^ _ * Villa Garibaldi. A quando la sua erezione a monumento nazionale? Sec., / V. Sulla «Mostra garibaldina» inaugurata a Villa Garibaldi a Quarto in occasione dell’SO0 anniversario della partenza dei Mille. Cfr. L - V. Cavassa. Un’ora garibaldina nella Villa di Quarto, sede del primo comando dei Mule. Lav. 5 V. Cfr anche * Lav., 6 V; * G. di G., 3 V ; /. s. Sec. 5 V e * Sec., 6 V. L. F. Neri, C.M., 2 V. * Cori*, d. Sera, 6 V. (Ovunque si mette nel giusto rilievo l’operà solerte dell’organizzatore della Mostra A. Codi- gnola). , , [M. Garibaldi], Emilio Evangelisti fu « ferito » a Maddaloni (e non « caaae » come scrisse U. V. Cavassa in Lav., 5 V. Lettera della figlia). Lav., < V. N. Bixio. G. Falcone, N. B. precursore delVImpero. Cori*. Padano, 29 II. P. Fortini, N. B. marinaio « al lungo corso ». Italia marinara. Roma, mar- 20 ~ ΟΛ TT F. Steno, Aspetto romantico di un uomo quaisi storico. (Aless. Bixio) Sec., 20·li. Marbet, Effemeride. Ancora l’a Ossario delle memorie ». Lav., 31 III. (Tra 1 altro parla di una lapide commemorativa di N. Bixio (sic), già in P. Galeazzo Alessi, oggi sparita). ^ * Bov’è il carteggio di Cavour con Alessandro Bivio? Lav., 4 II. (Corregge la notizia di Marbet cit. circa la lapide del Bixio). J. Quadri, lapidi e monumenti, C.M., 8 IV. (Accenna anche alla lapide di Aless. Bixio sopra ricordata). E. Lanzerotto, A proposito del carteggio BixiO-Cgoour. Lav., 8 V. Recensioni. [E. Morelli, Epistolario di N. B., vol. I, Roma, R. Istituto per la st. del Risorgimento Ital., 1939]. C. Morandi, Civ. Fascista, gennaio 1940. C.Pa-riset, Corr. Adriatico, Ancona, 28 I. Ceccarius, La Tribuna, 4' II. C. Spee- SPIGOLATURE E NOTIZIE 95 lan’zon, « L’altro N. /i.», Giorn. d’Italia, 6 II, e 11 Grido d’Italia, 15 IV. V. Vitale, G. di G., 23 II. A Lodolini, Lav. Fascista, 7 IV. G. Ferretti, Ics., 1940 i). 101 seg. Traggono ancora spunto dalla pubblicazione suddetta : Brigante Colonna, G. Mameli nelle lettere eli N. B. Giorn. d’Italia, 9 I. C. Bisi, intimità di B., Lav., 19 III, e la stessa in una conferenza all’istituto Mazziniano. Cfr. Lav.. 19 IV. V. Vitale, Li moglie di N. B., G. di G., 17 IV. Varia. C. Foggi, Uriche di G. Mameli. L’Assalto, Bologna, 13 I. N. Tripodi, Lo studente Mcimeli. Passo Romano, Roma, 14 IV. ---La goliardia di Mameli, Gazz. di Messina, 21 V. F. Noberasco, Una lettera di Gioberti ai Savonesi. Cronache Savonesi 15 VI 1939. A. Codignola, Un dramma intimo di Cavour·. Sina Giustiniani. Garzanti, Milano. (L’opera è annunciata, dall’editore, con ampio cenno informativo, 11 Popolo di Trieste, 21 V, Il Popolo di Romagna, 11 V, Il Meridiano di Roma, 2 VI etc. F. Geraci, La vita genovese di Cavour. G. di G., 15 V. G. Fallone, Rosolino Pilo e Giovanni Correo. Cronaca prealpina, Varese, 8 II. (Narra l’avventuroso viaggio dei due patrioti da Genova alla Sicilia). A. Cereseto, Genova c genovesi d'altri tempi. Una famosa beffa giuocata al carnefice. C.M., 11 I. Recensioni, [A. Codignola, R. Rubaiitno. Bologna 1938]. A. Romano, R.S.I.. 1940. (Ampia recensione, non sempre obbiettiva e serena). C. Morandi, Civiltà Mod., 1939, pp. 405-407. (Rapida e concettosa). Studii Italiene, Bucarest, 1939, VI (annuncio). [L. Ravenna, Il Giornalismo mazziniano. Firenze, 1939]. D. Demarco. N.R.S·., 1939, 546-549. N. Rod. A.S.I., 1939, pp. 273-274. Ampie e notevolissime ree. in cui si rileva l’acume critico particolare della chiarissima nostra collaboratrice). * Liguria Vili, 1939, dicembre p. 28 sg. (notizia). [A. Con stabi le , Problemi economici e contratti politici tra la Liguria e il Piemonte. Giorn., 193S, IV]. G. Mar. A.S.I., 1939, I, p. 134. [F Chinazzi, Vita e pensiero di Giuseppe Chinazzi. (Pagine genovesi dal 1881 al 1899). Roma, 1940]. A. Poggi, Genova « ottocento ». Lav., 0> IV. V. B.' Genova nelV Ottocento. N.C., 12 V. (Questioni di politica francese di fronte a Genova. Si cita anche L. Ravenna, Giornalismo mazziniano). Notizie. * Bice Pareto Mœgliano, Vultima persona che parlò con G. Mazzini. Lav. 2 li. (In occasione della morte). G. G. Triulzi, B. Pareto Magliano. Lav., 2 II. * B. Pareto Magliano nel Famedio di Stagiimo. Deliberazione della Consulta Municipale. Cfr. Lav., 21 III etc*. P. Renebado, Preziosi cimclbi mazziniani donati al comune. Sec·., 10 V. Fatti D’Oggi. ‘V. Vitale, Francia, Italia e Romanità. G. di G.. 13 IV. lo stesso, Italia e Francia·. Contrasto perenne. G. di G-, 24 IV. (Colombo còrso e Virgilio gallico, e sulla retta pronuncia [francese] del latino!). 96 SPIGOLATURE E NOTIZIE A. Codignola, Genovesi a Tunisi: Gaetano Fredia iti. Lav. Ο VI. G. Chiavola, Un·, genovese a Suez. Lav., 20 III. eg. Nel centenario della ferroviaLa linea Tonno-Genova. C.M., 3 VI. D. Macaggi, I goliardi genovesi e il 5 maggio 1915. G. di G., 5 Λ . * Passo Mecan. La battaglia che vide rifulgere il valore degli Alpini liguri.. G. di G., 31 III. A.M.M. In memoria di un eroe. Antonio Cidrello. Lav., 27 II. G. C. Mazzoni, Inaugurazione del Monumento a Margherita di Savoia a Bor-dighera. C.M., 1 IV. CORSICA E NIZZA. Sulla ricchissima letteratura fiorita, in questi ultimi tempi sull impoìtwn-te argomento ci riserviamo di tornare con maggior compiutezza nella p? ossi-ma· puntata, N. D’Althan, La parrocchiale di Cervo d'Imperia consacrata nel li36 dal vescovo di Alesia in Corsica. Corsica antica e moderna, 1039, pp. 200-212. C. Bornate, NoPizie di fonti e documenti. La uccisione di Sanipiero Coiso a Costcuntinopoli. Arch. Stor. di Corsica, 1939, fase. 4°. N. Calvini, Soldati còrsi al servizio di Genova nella Liguria occidentale. Arch St Cors. fase. 4®. A. Ambrosi, Un épisode de la lutté entre Génois et Corsas (1746). Revue de la Corse, XXI, fase. 117. .. --La politique française à Végard de la Corse au XVIII siècle. Ibici. A. C. Pittollet, Notes d’un officier de la GrarMle Armée. Rev. Corse, XX, fase. 116. . n o I. Battesti, L’organisation militaire de la Corse au temps de Paoli. Rev. corse,- XX, fase. 115 e 116. D. Bertone, La Corsica e i D'Oria signori di Dolceacqua■. Il Telegraxo, eciiz. della Corsica, 27-XII-1939. . . L. Balestrerà 1 rapporti tra Genova e Corsica nella luce della realta storica. N.C., 30 V. . V. Vitale, Genova e Corsica tra Inglesi e Francesi. G. di G., 1 VI. Anna S. Bonsignore, Pasquale Paoli e la Corsica negli scritti dei Grandi 11a-Uam. I/Ambrosiano, 5 VI (Not. articolo, ripefuto da varii altri giornali). P. Leone, UInghilterra e la cessione di Nizza e Savoia. Il Resto del Carlino,, 20 II. L. Balestreri, Tradizione italiana di Nizza, N.C., 2 VI. Recensioni. [E. Amicucci, Nizza e VItalia. Con documenti autografi, stampe e fotografia,· 4* ediz. Mondadori, 1939]. C. Beniamino. Alexandria,1939, p. 240. L. Castagna, Ics., 1940,· III, p. 73. [L. Desbiolles, Nice est-elle française? Parigi, 1939]. N.L., R. Ing. Int., ΙΛ · . (È un « carnet d’actualité» volgarmente antistorico). GENOVA MARINARA. G. Chiozza, V avventurosa vita di « Fracas sin da. Volt ri ». Lav., 2 I. (G. Casalino, marinaio tra l’altro del corsaro del cap. d’Albertis). Μ. M. Ravenna, Dalle carte nautiche medioevali al moderno portolano. Lav.-8 VI. (Notizie sui portolani genov.). M. De Marco, Pionieri chiavaresi. Un diario medito del cap. N. Descalzi.-C.M„ 28 II. SPIGOLATURE E NOTIZIE 97 40, marzo. * Programma delle celebrazioni. Tutti i giornali genov, 25 V. Cfr. inoltre molti giornali italiani e stranieri, e particolarmente : * Paganini jubilet 1 Genm, Tyrrala Nya Picking. Stoccolma, 1β IV. * The Paga/nini Célébrations. Weekly News. Roma, 18 V. Delle molte ed esaurienti relazioni che delle celebrazioni stesse apparvero naturalmente su tutti i giornali cittadini, non è nostro compito parlare distintamente. Ne rileviamo solo alcune che hanno un valore critico particolare. C. M. Rietmann, La musica. Note e commenti. Biografie di P. G. di G., 3 V. (Contro Tiinperversare delle biografie di occasione), lo stesso, Chiose ai programmi, e al resto. Ibid., 25 V. (Sulle opere paganiniane riprodotte nei concerti). R. Baccino, N. P. deve riposare a Sfaglieno. G. di G., 17 IL (La proposta del nostro collaboratore ha suscitato una vasta eco, pur rimanendo ineffettuata). Cfr. * La salma dì P. nel Famedio di Staglieno. Lav., 29 IL (Notevole scritto che, sul fondamento di Codignola, polemizza con la città di Parma sulla nascita di P. ed i diritti di Genova). * Spunti. La salma di P. C.M., 2 IV. * La salma di P. sarebbe inumata· a Staglieno. Il Popolo di Roma, 2 IV. C. M. Rietmann, Una proposta: istituiamo a Genova un Premio Internazionale Pagmini. G. di G., 20 II, (Anche questa proposta lia avuto una larga eco di stampa). Cfr. G. Gilardi, G. di G., 26 II. C. M. Rietmann, Ibid., 2 III e 10 III. * « Casa Paganini ». Le complesse finalità culturali ed artistiche dell3istituzione. I concorsi ed i raduni dei violinisti. Lav., 10 IV. (Ï3 il comunicato dell’Ufficio Stampa Municipale, che ampiamente illustra le caratteristiche e le finalità dell’istituzione). Cfr. G. di G., 10 IV; N.O., 10 IV. did., Di N. P. et de quibusdam aliis. N.C., 19 IV. (Per il recupero e la raccolta in Genova dei cimelii e documenti paganiniani dispersi). * Nasce la Mostra dei cimeli Paganiniani. G. di G., 5 V. Su questa manifesta- zione importantissima nel quadro delle celebrazioni centenarie, tornarono naturalmente i critici della stampa quotidiana. Cfr. particolarmente : G. CoppiNi, C.M., 14 V. e. c., Gli strumenti di P. nella Mostra dei Cimelii. G. di G., 11 V; * Sec*., 12 V. U. V. Cavassa, Visitando le sale della Mostra pa-ganiniana. Lav., 26 V. G. Biondi, G&r'Ova in onore di N. P. Gazzetta Azzurra, Genova, 23 V. GENOVA E LIGURIA GENOVA PITTORESCA. Adriano Grande, Ritratto di Genova. Torino, Accame, 1940. (Libro eminentemente pittorico, agile, che ci conduce in una scorribanda piena di sentimento, attraverso una Genova altamente poetica). Cfr. U. V. Cavassa, Amore Φί Genova. Lav., 11 V. C. O. Guglielmixo, G. di G., 13 II. P. Steno, Sec. 17 II. Lig, « Liguria », IX, 1940, fase. 1°. M. De Vecchi, Acquarelli genovesi, 1940. Cfr. Karaban, C.M., 9 V. F. Garibaldi, Internet azione di Genova (con 25 disegni di T. G azzo). Genova, 1939. Cfr. Ics. 1939, p. 47. G. Balestreri, Genova nel giudizio di Wagner. Lav., 29 III. * I ricordi storici della vecchia Genova non vanno dispersi. Sec., δ IV. SPIGOLATURE E NOTIZIE 101 T. A. Buoninsegni, Noticme polemiche su Genovai nostra. Contemporanea VII, fase. XXXI, pag. 453-54. (Contro gli amici del vecchiume e per il rinnovamento edilizio della città). L. De Simoni, Con S. Giorgio e per S. Giorgio sempre. N.C., 24 IV. G. Dufour, Nella regione d’Albaro. Ricordi, di 7'0 anni or sono. N.C., 19 V. (Interessanti notizie storiche e topografiche). V. Montanari, Passeggiate genovesi. Gamaldoli « si affitta ». N.C., 26 V. e. b. Il Grattacielo di Via Dante e il grande teatro sotterraneo. Lav., 30 II. Ermo, Come operano e come vivor»b i J00 pescatori della< Foce. Lav., 6 V. Caróos, Sottoripa, C.M., 22 I. --Salutiamo Via Porta- d’Archi: Ricordi colombiani. La spedizione di Sapri. La fucina delle canzoni genovesi. C.M., 4 V. G. Miscosi, Figure che scompaiono. Ettore, il sapoìnaro polito. C.M., 23 V. A. Balbi, Vecchie stampe genovesi. Osterie di campagna. Il Grido d'Italia, 15 VI. PAESI DI LIGURIA. G. A. Silla, La caspita dei GaUesio- in Finale. R. Ing. Int. IV, pp. 251-280. G. Cenizato, Ca,mogli città dai mMle velieri. Corr. della Sera, 5 III. L. De Simoni, Quarto dei Mille, N.C., 4 I. Cogoleto, ivi, 25 I. Boccadasse ivi, 29 II. * Ua S. Bartolomeo verso la Vittoria. N.C., 5 III. (Sulla nuova rotabile). N. Calvini, N. S. dell’Acquasanta in MoìAalto Ligure. N.C., 31 I. --N. S. della Guardia dd Sanremo. N.C., 41 III. A. Pasetti, Qumte e scena ri da Porto firn a Rapallo. Popolo d’it., 23 III. U. Monti, Pasqua m famiglia. N.C., 24 III. (Migrazioni periodiche di lavoratori della Garfagnana). A Delucchi, Neve e storia sull’Appennino ligure. Lav. 10 II. (M. Centocroci e Varese Lig.). G. B. A., Ospedaletti diventerà Fl'oTeUa o Valdirodi? Lav., 15 III. P. Monaco, La demolenda fortezza « Priamar » nei secoli. G. di G., 1, II. N. Calvini, Ai confini della\ Liguria : dove si parla di Pigna. G. di G., Ed. Imperia, 30-XII-1939. --1 C. s. : Mendatica e Montegrosso, Ivi, 0-1-1940. A. P., Una lezione nella scuola di Agagglo. G. di G., 3 I (in Valle Argentina). * Una grande biblioteca comunale a S. Margherita Lig. G. di G., 19 I. (Donazione della bibliot. di Francesco Costa). * Usanze della vecchia Liguria : « Strade all’incanto ». G. di G. 4 IV. (Curioso appalto del diritto di spazzare la strada a Villaviani, Imperia). M. R., Passi a ritroso. La leggenda di Alœssio. C. M., 11 I. M. RIzzoli, Festa a S. llario. C.M., 13 I. A. Viazzi Pesso, Oltre il Turchino (Acqui) C.M., 22 I. --Un campanile al confine della Liguria. (Ponzone). C.M., 14 II. A. Cappellini, Castelli del Genovesato. Sec., 22 I. A. Blengeri, Ingaunia : Albenga. Albenga, 1939, 8°. P. Ginatta, Castellavo ed i l Santuario di La ni ned usa. Liguria, IX, 1940 n. 2-3. G. Descalzo, La città bimare nel Golfo Tignilo {Sestri Levante) Liguria IX, 1940, n. 4. C. Giorgi, Vezzano — ricco di glorie civiche — e il suo Santuario Mariano. Corr. Lunense,. l-VI-1940. V. Donetti, Il Santuario di Bussana e il suo vero progettista. G. di G. (ed. Imperia) 3 V. C. Moretti, Panora-ma della vecchia Liguria. Le donne di Gamoqli. «Liguria» Vili, nov. 1939, 102 SPIGOLATURE E NOTIZIE A. Barile, Sosta nel paese dei rasai (Albisola). Ibid.. pp. 6-9. T. Concordia, Una gita a Carpa sio. Dis. di U. Martini. Ibid., die. 1939, pp. 22-26. Recensioni. [A. Cane, . Beau lieu sur Mer, recueil historique. Nice, 1937]. N. L., R. Ing. Int. IV, p. 2S3 seg. ARTI FIGURATIVE ARCHITETTURA E RESTAURI. G. De Angelis d’Ossat, La Chiesa d^i S. Maria della Rotonda· in 1 illanova d’Albenga. Riv. Ing. Int. IV, 193S (1939) pp. 154-162. (Importante studio su una chiesiua ignorata a pianta circolare di architettura cinquecentesca campagnola, con elementi di stile gotico attardato). L. De Simoni, Sunt lacrimae rerum. .4 proposito dell'ex Chiesa di S. Sabina. N.C., 9 I. (Sul definitivo deturpamento della chiesa, trasformata in cinematografo). Non tutto è andato perduto. Ibid., 1 III. (Restauro dell esterno dell’abside della stessa chiesa). --S. I. r.y La Badia di S. giuliano. N.G., 16 I. F. Ricci, Il Martirio di S. Giuliano. Lav., I. (L’A. fa voti perchè l’Abbazia di S. G. venga mantenuta al culto). L. De Simoni, S. I. r. La Chiesa dei X mila Crocifissi conte Vho vista io. N.C., 7 III. Cfr. * Addio a una, vecchia chiesa, Sec., 2 III. --Profili d'arte e di storia genovesi. La Chiesa deir Ospedale di S. Martino. N.C., 30 III. --Post fata resurgam. La Chiesa di S.. Maria del Prato. N.C., 9 IV. (Sui prossimi restauri della Chiesa d'Albaro). --Il chwstriì.Jo di S. Andrea. N.C., 2 V. Intorno al chiostrino di S. Andrea. Ibid., 23 V. (Propone la rimozione del eh. in luogo più consono alle finalità per le quali fu costruito, p.e. presso S. M. del Prato a S. l· rancecso d’Albaro). ---Nova et vetera, La Chiesa· di S. Tomaso. N.C., IS V. .... in catnmino. Ibid., 10 V. (Sui lavori di restauro di S. Tomaso, ed in particolare sul rinnovato altare di S. Limbania). --Porta Soprana, N.C., 1δ II. (Deplora lo sfondo venutosi a creare alla Porta lodevolmente restaurata). --Porta dei Vacca. N.C., 13 VI. P'ra Galdino, N. S. delle Grazie a Volt ri. N. C., 6 IV. A. Cappellini, La Badia* di S. Andrea di Sestri. Sec., 6 I. (Storia e descrizione dell’Abbazia, oggi ridonata al culto). --Le fortificazioni di Genova. A. VIAZZI Pesso, La dugentesca abbazia di S. Pietro a Pra. C.M., S I. * La Chiesa abbaziale di S. Bartolomeo del Fossato. C. Μ., 0 II. G. Miscosi, La seicentesca porta della Lanterna a Capo Faro. C.M., 15 II., M. R[izzini], S. Maria Assunta fw Cari guano e la leggenda della swa- fondazione. C. M., 23 II. (Notizie sulle origini di S. M. in \ria Lata). * La zona dei Fieschi. La basilica e il palazzo di Innocenzo IV. C.M., 30 III. U. Zuccardi Merli, Lfa/rte architettonica di Galeazzo Alessi a Genovw. Lav., 14 I (Import, articolo, a proposito delle celebrazioni dei Grandi Umbri). C. Puppo, Sottoripa. Lav., 26 III. (Augura il ripristino o almeno il mantenimento decoroso dei vecchi porticati). Cfr. * C. M., 26 I. SPIGOLATURE E NOTIZIE 103 Recensioni. [L. H. Labande, Les Brea, pentres niçois du XV et XVI siècle. Nizza 19381 · N.L., R. Ing·. Int. IV, p. 283. (Magistrale opera di critica paziente, che mette nella sua piena luce questa scuola quattrocentesca di pittura ligure ed italiana che ebbe largo influsso in Provenza). [E. Tea, Romanità di Carlo Fea. Riv. «Roma», 1937, pp. 269-291]. G. Dpe Angelis d’OssAT, R. ing. Int., IV, p. 286. (Non del tutto bene informata rievocazione dell’insigne archeologo da Pigna). [C. Cesoiii, La\ Cappella di N. 8. di Loreto a Fittale Ligure, lu- cc Chiesa dei cinque «impanili. ». L'Arte, 1938, pp. 26-39]. G. D., R. Ing. Int., IV, p. 286. Esauriente studio
  • ., Sec. 1 IL (P»revi cenni storico-artistici). * I restauri dell’antico palazzo del Comune. G. di G., 18 I. Lav., 18 I. Sec., 7 II. * I diritti del tempo. Rimodernamento del « Nazionale » a Genova. Lav., 22 III. (Sulla trasformazione del Teatro di S. Agostino in un moderno cinema-teatro, deliberata dalla Consulta Municipale). Cfr. Dott. P. Castello, Il T. Naz. e l’AccadJemia Filodrammatica. Ibid., 25 III * Il Teatro S Aao-stino, Sec. 23 III. G. P». A., Per l’isolamento del nwnumentale Battistero di Albenga, Lav., 29 III. C. Torre, Il piano regolatore dello Zerbino. Lav., 14 V. SCULTURA, PITTURA, ARTI MINORI. Λ. Straneo, L’arte in Liguria nelle sue vicende storiche. Genova 1940 Cfr * N.C., 25 IV. P.V., in C. M. 25 V. E. Zanzi, L’Ottocento artistico alessandrino e monferrino. Alexandria, luglio 1939, pp. 207-224. (Parla tra l'altro di artisti, che operarono a Genova o a Genova furono molto noti, come G. Pellijsza da Volpedo, Santo Bertelli, enfatico pittore di cui ha largamente parlato il Labò, Giulio Monteverde e Leonardo Bistolfi). M. Bonzi, Il Biscarno. Liguria, IX, η. 1. (Pittore genovese del ’600). U. Silva, Mario. Raimondi. Liguria, IX, 1940, n. 2-3. C. Marchisio, Edoardo De Alberfis. Contemporanea, Vili. 1939 1940 quad XXXI, pp. 442-445. . ’ Il Male delle « Vittorie ». Ibid., pp. 446-453, .con VI Tavole. N. Tallone, Per un contributo delVarte ligure alla sintesi uazioinle della « E. 42 «. Ibid. pp. 417-419. G. Marangoni, Sorrisi d’arte, il patrimonio artistico nel « Golfo dei Poeti ». Cult. Moderna, Milano, gemi. 1940. Cfr. lo stesso, L’arte a Lerici. Lav., 3 L S. Rebaudi, il soffitto del Carlo Felice nella decomzione del 1860. Lirai ria VIII-dic.-1939, pp. 1-4. Cfr. anche. O.M, 25 e 27-V-1940. G. Balestrerà II primo direttore d’orchestra del Carlo Felice. Lav. 18 II 104 SPIGOLATURE E NOTIZIE A. Pescio, L’iscrizione del Carlo Felice. Sec., 27 I. (Illustrazione, con documenti inediti). A. Rodino, Artigianato ligure. L’arte del vetro in Altare. G. di G., 11 II. EMiSMA, I modellisti. G. di G., 14 IV. Can. L. Mussi, Un crocifìsso del 1J38. N.C., 13 III (Nella cattedrale di Sar-zana). --Il Canova a Carrara. N.C., 12 V. Ss, Di due portali genovesf. N.C., 25 V. (Su due sovrapposte in pietra nera di Promontorio, notevoli per soggetto ed esecuzione artistica). MUSEI, MOSTRE ED ARTISTI. Riva, In morte di Angelo Balbi, G. di G., 4 I. (Critico d'arte e pittore). * Due Affreschi del Prof. Aicardi, N.C.. 8 II (nel Pai. Spinola oggi sede della Banca d’America e d’Italia). A. L. Gaibissi. Ricupero d’una iconografìa di N. S. della Misericordia. N.C., ~ 28 IIL * Vittorio Rossi, scultore. Una mostra postuma. N.C., 0 IV. C.M., 6 IV. * In morte del pittore Giuseppe Pennasilico. N.C., 11 IV. G. Cesare Mazzoni, I Pmniii Sanremo. «Sculture d’atleti». Intervista con Gerardi e Venturini, G. di G., 25 I. Sulla prodamazionje dei vincitori elei Premi. Cfr. G. C. Mazzoni, g. di G., 30 e 31 III. * Lav., 31 III, etc. * Mostra dei lavori e ricami sardi a Palazzo Reale. G. di G., 6 II e cfr. C. Bisi. Commiato dalla Sardegna. Lav., 20 II. * Per una grande Mostra del Mare a Genova. G. di G., 11 II. Lega Navale Italiana, VI Mostra d'Arte del Mare. Genova. Palazzo Rosso, 10-25 III 1940. Genova 1940 (Catalogo). M. R., Sguardo alla VI Mostra d’Arte del Mare. O.M., 14 III. Ang, Lav., 23 ITI. E. Balestreri, Liguria, IX, n. 3-4, pp. 5-8. S. PreStifllippo (Stelio de Prévost). La VII Mostra- prelittoriale d'arte. Contemporanea. VII, 1940. quad. XXXII, p. 535. Cfr. * C.M., 2 III. * G. di G., 3 III. L. Axdreoli, Artigiani liguri alla VII Triennale [di Milano]. C M., 4 IV. Riva, Panorama delia VII Tricnn. di Mil. G. di G., 6 IV. (Cernii interessanti sulla partecipazione ligure). A. Anoiolini, Lu VII Trienn. di Mil.. Spiriti e forme dell’arte decorativa contemporanea. Lav., 17 IV. Riva, La XXII Biennale di Veneziai. Panorama della Mostra. G. di G., 19 V. (λΓΐ partecipano tre artisti liguri). * I premi della Biennale al pittore Carena dì Firenze e allo scultore Galletti di Genova. Lav., 25 V. a. pò, La Mostra del Sindacato Provinciale [a Pai. Rosso']. S-ec., 16 VI. LETTERATURA E FOLCLORE NOTE LETTERARIE. G. Spena, Spigolature foscoliane. Luigia Pallavicini caduta da cavallo. Sec. 24 II. V. Vitale, Il Foscolo e Luigia Pallavicini. G. di G., 14 III. P»., Le relazioni di Torquato Tasso con Genova e con illustri genovesi. N.C. 22 III. E. Monchiero, Goldoni e i Genovesi. Lav., 26 ITI. (Si sofferma particolarmente sulla figura di cuoco-giustiziere, genovese, nell’« Adulatore » del commediografo veneziano). H. M., Gènes et Gabriel D’Annunzio. Les Cahiers, Genova VI, fase. 2°. SPIGOLATURE E NOTIZIE 105 R. Parodi Rupert, Paola Parodi Gentile. Liguria, IX, n. 4. (Poetessa di Porto Maurizio). N. Silva, Poesia di Montale. Sec., 6 T. G. Descalzo, Liguria dì Montale. Liguria IX, 1940, fase. 1°. (Sugli aspetti che particolarmente si ispirano all’am-bieiite ligure nella poesia di questo poeta, e spec. in « Le occasioni ». Einaudi, 1939, di cui V. saggi in « Liguria » Ibid. e Cfr. ree. di S. Rosati. Ics. 1939, p. 265. P. Rembado, Pasca relia w Genova. Sec., 25 V. (In occasoine della morte). g. p., Ricordando un poeta lunigianese. Corr. lunigianese, n. 21, 25-V-1940. (Luigi Perasso, con lettera dello stesso). X., Sul socialismo del De Amici s. N.C., 0 VI. Fra Galdino, La fine cristiana del De Anvicis. Ibid., 13 VI. E. Carloy, Sul socialismo del De Amicis. Ricordi, epispdi, aìneddoti. Ibid., 16 VI. (Ricchissima miniera di notizie). Recensioni, [Virgilio. Le Georgiche. Versione di M. Gabellini. Como, 1939]. C. Pastorino. G. di G., 16 I. T. O. De Negri, Virgilio antico e nuovo. X.C., 27 I. u. v. c[avassa]. Lav., 13 II. N. Vernieri. Ics. 1940, p. 66. [P. Striglia, Lettere dal Mediterraneo. Emil. degli Orfini, 1940]. C. Paxseri. G. di G., 10 II. [F. Ferrarotti, I/Impossibile. Genova, 1940]. U. V. Cavassa. Lav., 3 II. [C. Pastorino, Tja prova duella farne, 1940]. U. Monti, La guerra e Vuomo. N.C., 28 III. (Inter. presentazione del romanzo, con acuto esame di tutta l’opera di scrittore del P.). * « Ombre di nomini ». X.C., 19 IV. (Presentazione di un capitolo del romanzo). E. Canesi. Sec·., 4 VI. LETTERATURA DIALETTALE. *)· Felice Santi, Poesie zenìeixi e raccolta di versi. Genova, Derelitti. Cfr. A. Gismondi. N.O., 30 III. Karaban, I versi postumi di F. S. G. di G., 4 IV. Costanzo Carbone (Carcos), Coa çigaa in scia canna. Genova. L’Italia, 1940. (Poesie genovesi). Cfr. G. C., C.M., 6 V. Carcos, .4 vitto- de Pagamn. C.M., 16-20-23 V. (Sagg:i della raccolta suddetta). R. Albites, Un sogno (di un ingegnere poeta). N.C., 13 IV. (A proposito di un volume di poesie dialettali genovesi dell’ing. T. E. Olivari. Genova, 1936, fuori 'commercio). A. Gismondi, [Poesie dialettali genovesi]. N.C., 20 li. 4 IV, 5 VI passim. R. Campora, Poesìe in dialetto. Cronache Savonesi. 15-X-1939. G. Balestrerà 11 teatro dialettale genovese c Gilberto Govi. Liguria IX, 1940,, fase. 1°. Ripubblicato da N.C., 5, III. Notizie. * La poesia dialettale ai venerdì letterari. Tornata del 3 V. (Cfr. giornali citt. del 4 V. ETNOGRAFIA e FOLCLORE. I Scovazzi, Giano. Saggio copra lo spirito ligure. Origini, miti e leggende liguri e piemontesi. Savona, 1939, pp. 262. (Opera profondamente pensata, ricca di osservazioni originali ed interessanti, che merita più ampio esame). Cfr. P. Raimondi, Liguria antica e nuora. Lav., 4 IV. (Dell’opera dello S. mette in particolare rilievo la prima parte, che indaga acutamente l’anima ligure). S. Volta. «Liguria», Vili ott. 1939, pp. 29-30. G. Balestrerà Piccolo saggio sui canditi genovesi. Coritemporanea VII, 1939- 1940, quad. XXXI, pp. 461-462. 106 SPIGOLATURE E NOTIZIË r. tos. / seicento a uni di vita della Compagnie, dei Cavava·n-a. G. di G., 25 IV. G. M. Striglia, Seicento anni di onestà e di lavoro. I Ca rava>nano * Lollianum di Topografìa st-or. delVIngauuia. p. 59, n. 1). --Toponomastica genovese. Vico Carabaghe. N.G., S II (dal nome arabo, «earabaga», di una specie di ordigno bellico). G. (’arraro, Elementi di toponomastica ligure. Savona, 193ί>, P. I., Il dialetto nei nomi locali, ossia nozioni e regole generali iter Vinterpretazione dei toponimi. Cfr. * N.C., Hi I. (Benevola, troppo benevola presentazione di un’opera che, per difetto di metodo linguistico- e non ostante la profonda conoscenza che FA. possiede del dialetto genovese è più curiosa ed interessante che scientifica), P. Rembado, I Saraceni in Liguria. Topóisomastica, castelli e leggende. Lav., 17 II. (Inter. considerazioni, a proposito del recente studio del Noberasco, cit,). Questo articolo ha dato luogo ad una polemichetta sull’« Etimo di JÌorcento * che si protrasse per più mesi. F. Tortarolo. Lav., 1, III. P. Rem bado e F. Tortarolo, Lettere al Direttore. Ibid., 16 III. Prof. Ferruccio? Oalonohi (sic). Ibid., 22 III. (Ma in seguito l’illustre latinista nostro sconfessava la paternità di questa noticina e ne discuteva il contenuto, non criticamente corretto). P. Rem rado [ed E. Cavalli]. Ibid., 24 III (in risicata al Calonghi). G. Miscosi. C.M., 25 IV. I). Castagna, <\M., IO V. L. Rubini, Del nome « Oenovai» e di alcune osservazioni per la storia della città. Lav., 3 III 1939. (Considerazioni troppo facili in una materia troppo difficile). G. Miscosi, Nomi di vegetali di anticl\e strade gehovesi. C.M.. 20 I. --Jl littorale genovese dell*Arena. C.M., 29 II. (Note topograflco-storiche). Recensioni. |P. S. Pasquali, I homi di luogo del Comune di Filattiera. Milano, 1938]. A Ι)αγζατ, In Rév. Topon. R.E.A., 1939, p. 45. (Riassume Π piano dell’opera lodando la pur discutibilissima classificazione del materiale linguistico !>«-*!’ ordine logico, e la veramente grande diligenza dell’A. cui contraddice soltanto la mancata rifusione nel testo delle numerosi ss ime « aggiunte »). ARALDICA. Μ. Κ., Storia e leggenda dello stemma genovese. C.M., 3 I. I. d. V.. Discorso sul Grifo. G. di G., 4 TI. (Notizie storico-araldiche sul Grifo neiremblema genovese, in difesa dei restauratori * di Palazzo San Giorgio. • Intorno allo nt*mma del Comune di Savona. N.C., 0 IV. SPIGOLATURE E NOTIZIE 107 VARIA P. lì grande botanico Domenico Vivi ani. Sec., 16 II. M. Garea. Nicolò Mezzana. (Naturalista sarzanese). « Liguria », IX febb. 1939. fatti e commenti R. Deputazione dì Storia Pairia per la. Liguria. Sezione Inganna e Intemelia. Sull’attività svolta da questa giovane sezione cfr. R. Ing. Int. IV, pp. 288-294. Qui ci limitiamo ad aggiungere che come programma futuro essa attende anche alla compilazione di un completo « Notiziario » sugli studi archeologici e paietnologici in Liguria, con particolare riguardo al problema dei « Liguri ». Esso verrà redatto da una larga serie di specialisti in un Bollettino di cui è imminente il primo fascicolo, da allegarsi alla Rivista Ing. Int. Istituto Mazziniano. Corso di lezioni: E. Goss, Dante e Mazzini, 10 III. —-· E. Bertelli, Maria Mazzini e la Madre Santa, 21 III. — F. Steno, Laura Solerà Mante g azza, 10 IV. i—1 C. Bisi, La compagna di N. Bixio, 18 IV. Istituto per la Storia di Genova. L'Istituto ha definitivamente elaborato il programma della «Storia di Genova dalle origini al tempo nostro », che fu pubblicato con un rapido commento dai giornali non solo cittadini. Cfr. Lav., N.C., Sec. del 24 IV, C.M., 25 IV, La Stampa. 7 V, Tempo di Scuola, 15 V, Liguria, IX. 1940, fase. 4°. Per più ampia relazione cfr. A. Giovo, Intervista col prof. Scarsella. Il Mare, Rapallo, 9 III. t. o. d[e Negri], N.O., 5 V. (Con cenni critici, nonché l'annuncio di una [propria] bibliografia preistorica sistematica della Liguria). Società di Scienze e Lettere di. Genova. La Società ha solennemente commemorato, il 22 II. nell'Aula Magna della R. Università, il suo cinquantesimo anno di vita, con una relazione del Presidente Prof. Achille Beli rami, ed una dotta conferenza del Prof. Luca De Regibus. Cfr. A. Bkltrami. \cl primo cinquantenario della fondazione della Soc. di Se. e Lettere. X.C., S IL c lo stesso, in Sec., 22 11. (Relazione esauriente). V. anche: Lav., G. di G., C.M. del 2.". II. Per la ricorrenza la Società ha pubblicato un utilissimo Catalogo delle Memorie edite negli « Atti* sociali dal /890 al 1939. Pavia, 1939, 8°, pp. 111. % CI Riunione della Società italiana /kt il Progresso dell· Scienze. Un primo annuncio della Riunione, che si terrà in Genova dal 12 al 1S ottobre 1940, e svolgerà fondamentalmente il tema « Il mare », si ha in G. di G. etc. 21 11. Per il più preciso programma, fissato nella prima adunanza del Comitato, tenuta il 30 I a Palazzo Tursi, cfr. * Il mare e ali scienziati, Lav., 1 V. * Sec.. N.C., C.M., 1 V. Istituto di Studi Romani. Sezione Ligure. Per l'attività dell'istituto, relativamente limitata, ma notevolissima, basti Peleneo delle lezioni, riportato sopra. 108 SPIGOLATURE E NOTIZIE Sindacato Professionisti ed Artisti. Segnaliamo soltanto, perchè lo spazio ci vieta (li darne più dettagliato ragguaglio, la fortunatissima iniziativa dei « Venerdì letterari », che tanto favore di pubblico ha raccolto nelle sue brillanti tornate. Premi ed onorificenze. * · La R. Accademia d'Italia ha assegnato un premio per la classe di scienze morali e storiche al Prof. V. Vitale della H. l'niversitìi e solerte segretario della nostra K. Deputazione ili Storia Patria, per le sue notevoli benemerenze nel eamjH» della critica e deU’erudizione storica, nonché al Prof. Queirolo per le sue monografìe di critica letteraria e storica. • · 11 Quadrumviro De Vecchi di Val Cisinon, con lettera in «lata 10 V 104C· ha designato il Prof. A. Codignola a succedere ai March. Bombrini nella presidenza del Comitato «li Genova dell*Istituto per la Storia del Risorgimento. Cfr. Lav., 14 V. Gazzetta Azzurra, 16 V. Sec., 21 V. Lutti. Tra i molti lutti che afflissero negli ultimi mesi il mondo della cultura genovese, ricordiamo solo due che particolarmente hanno colpito la nostra famiglia: il March. Cesare Imperiali: (cfr. Sa'., 23 IV) di cui ha degnamente parlati U. Monti, in . -/. Genova lì march., C. N.G., 30 iv. t*d Arrigo Fugasha che per la sua tragica morte ha lasciato una amarezza acerbissima, Cfr. · In morte di A. F.% Ν.Γ., 30 V (con bibliografia). · · · .4. F. G. di <;., 30 V. Γ. V. Cavassa, A. /·’. Lav., 30 IV. C. Pastorino, A. F. C.M., 30 IV. E Canesi, In memoria di .1. /·’. Liguria, IX, 1940, fase. 4°. Direttore reapotisabile : IRTLÌRO CODIGXOl,A $Ubilimonto Tipografico L. CAPPELLI · Rocc* 8. Casciftr.o. 1940-XVIII •pS Q pm E LETTERARIO DELLA_ L I G TJ R T A Anno XVI - 1940-XVIII ' Fascicolo III - Luglio-Settembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE FIERE DI CAMBIO E CERIMONIALE SECENTESCO Sommario : I. Fiere di mercanzie e Fiere di cambio. — II. La Fiera di Lione e Carlo V : origine e disciplina delle Fiere di cambio genovesi di Besançon (1537-1577). — III. Trasferimento dei banchi di cambio a Piacenza e privilegi concessi dai Farnesi (1579-1621). — IV. Gli « assenti » di Spagna. — V. Le Fiere « di Besanzonc » a Novi (1622) ; crisi dell’attività bancaria genovese. — VI. Nuove Fiere di cambio a Piacenza ed accordi per restituirvi quelle genovesi. — VII. La polemica sui cambi. —· Vili. Provvedimenti della Repubblica per le Fiere e forzato ritardo della loro riconvocazione a Piacenza. — IX. Organizzazione delle Fiere di cambio. — X. La Fiera « di Pasqua » del 1641 : il Duca Odoardo rifiuta l’onore « del cappello » al Magistrato di Fiera. — XI. Uno scrittore genovese alla Corte ducale. — XII. Vicende del contrasto fra il Magistrato di Fiera e il Farnese. — XIII. Abbandono definitivo di Piacenza da parte delle Fiere della Repubblica. — XIV. Le Fiere ristabilite a Novi : loro attività. — XV. Nuovo vano tentativo dei Farnesi per restituire le Fiere di cambio a Piacenza (1651). — XVI. Sintomi di decadenza ; le ultime vicende delle Fiere e strascichi della polemica sui cambi. I. L’episodio che qui si rievoca (LV da una parte conferma la preponderante autorità che esercitò lungamente Genova nell’ambito γεζ, Le relazioni commerciali tra Genova e la Francia nel medio evo. in Coopcrazione intellettuale, VI. Roma, 1937. Cfr. la recens, all'opera dello Schaube, in Giornale Ligustico, XXIII, 30S. (4) Vi partecipavano con Fiorentini, che aspiravano a prevalervi. Genovesi, Lucchesi ed altri. 112 ONORATO PASTINE dominio della Franca. Contea. Egli ottenne ben tosto il suo line, « adnitentìjfeus presertim Genuensibus » (5), continuando a rimanere a Lione le Fiere di mercanzie ed anche, sebbene scemate nella loro attività, quelle di cambio (e). « E veramente — scrive il Peri — si può affermare, che dal suolo de’ nemici nel proprio la sicura miniera dell’oro, e delle vittorie trapiantasse » i7). Il merito e l’autorità principale in tale trapasso erano dovuti senza, dubbio ai banchieri genovesi. « Cuius tam preclarae operae Imperatori navatae, praemium Genuensibus fuit, non quidem ab Imperatore tributum, sed a caeteris mercatoribus ultro concessum, et propriis viribus usurpatum; Ut Consulis, ac Consiliarii alterius electio, qui summum ius inter Mercatores omnes, feriarum tempore, haberent e Genuensibus esset, feriaeque totae a Republica Ge-nuensi penderent » (8). In tal modo avevano origine le famose Fiere di cambio genovesi dette poi sempre di Besanzone, anche quando vennero trasferite in Italia. Di esse la Repubblica stessa assunse una cura, particolare, in conformità di quanto avveniva pure presso gli altri Stati. Tutti i Governi interessati, infatti, estesero ben tosto il proprio controllo sui cittadini dediti a siffatta forma di attività economica, essendo questi ultimi tramite essenziale nel complesso meccanismo dei pagamenti e della circolazione del denaro; anzi finirono per cercare di togliere ai privati tali funzioni delicate, devolvendole a banche statali, anche in vista delle pubbliche occorrenze finanziarie. Ciò accadde in Genova nel 1586 con la riforma· del Banco di S. Giorgio, derivato dalla Casa fondata nel 1407, seguendo ad esso in Venezia il Banco di Rialto (1587) e a Milano quello di S. Ambrogio (5) Raffaele Della Torre, Tractatus de cavibns,. Genuae, excudebat Petrus Joannes Calenzanus, 1641, pag. 22. (6) Rapporti speciali si mantennero per lungo tempo tra le Fiere di Lione e quelle genovesi nei riguardi del prezzo reciproco fissato rispettivamente in scudi del Sole e scudi di marche, come spiega il Peri nell’ultimo capitolo della quarta parte del suo 'Negotia/rite, pubblicata nella seconda metà del sec. XVII. S'intende che banchieri e mercanti genovesi s’incontrano ancora a Lione, dove troviamo nel seicento case di negozio come ad es., quella dei Giovo. (7) Gio. Domenico Peri, Il Negotiante, parte II, 7i). 11 fatto è in naturale rapporto anche con la situazione politica radicalmente modificata dopo la defezione di Andrea D’Oria dalla Francia e il passaggio di Genova alla parte imperiale (1528). Si spiega quindi come si sia pure parlato inesattamente di un’espulsione dei Genovesi da Lione (cfr. Sombart), la quale non è la causa del costituirsi delle Fiere finanziarie di Besançon. Certo è che esse si riunirono a Chambéry prima che a Besançon, la cui Comunità iniziò le trattative per lo stabilirsi colà dei banchi di cambio genovesi, con la partecipazione anche di Fiorentini, Milanesi ed altri « mercatores eampsores », solo nel febbraio del 1535, a quanto asserisce A. Castan, in Revue Historique, 1876, I. (8) Della Torre, op. dt., ib. FIERE DI CAMBÌO ECC. 113 (1593), fatto, come è detto nelle sue stesse leggi, ad imitazione di quello di S. Giorgio. Ma anche le Fiere di cambio continuarono a prosperare e fra di esse quelle genovesi, nelle quali finì per accentrarsi la massima parte del movimento creditizio di quell’epoca. Esse esercitarono infatti una vasta funzione internazionale come mediatrici nel complesso traffico del credito e specialmente per la loro capacità di fornire prestiti Ingenti ai diversi Stati. Tuttavia siffatti istituti fondati sul cambio e sul deposito, con il loro prevalere non giovarono direttamente allo sviluppo dèli’economia di scambio; donde le lagnanze in proposito di molti mercanti del tempo. In via indiretta, però, la loro azione fu utile anche sotto questo riguardo. Il Sombart (9), esaminando la questione in rapporto alla formazione del ca pitalismo moderno, riassume così tale concetto : « Mediata -mente anche questo traffico stimolò certamente l’espansione del moderno sistema economico 1° in quanto che esso servì a facilitare Γutilizzazione ai fini dello Stato moderno delle masse d’argento importate (10) ; 2° in quanto che esso accelerò la formazione della ricchezza nella cerchia del mondo commerciale; 3° in quanto che esso con la sua tecnica influì sulla circolazione «Ielle cambiali nelle fiere di merci ». Delle Fiere genovesi di Besanzone si occupò particolarmente Gio. Domenico Peri nelle sue istituzioni sul negoziante, trattazione della quale egli a ragione rivendica a se stesso la priorità i11). Anche dalla sua opera si vede come fin da principio le nostre Fiere venissero ordinate ed attentamente vigilate dal Governo della Repubblica. « Capitoli » e « Ordini » furono a tal fine elaborati per la-loro disciplina, venendo in seguito modificati, corretti ed integrati man mano che le circostanze lo richiedevano, allo scopo di assicurare il miglior funzionamento di questi importanti organi della vita economica. Così, chiusa la guerra civile dei due Portici, una generale riforma di detti « Capitoli » veniva ordinata dal Senato nel 1577. (9) W. Sombart, Il capitalismo moderno. Vallecchi, Firenze, pag. 323. (i°) Si riferisce all’interpretazione dell’EHRENBERG circa il sistema di tali negoziazioni, « meccanismo complicato per cui si riusciva in quelle fiere a realizzare ed a mobilizzare il carico delle flotte dell’argento della S-pagna » (ib.). (n) La prima parte dell’opera di Gio. Domenico Peri, Il Negotiante (Ca-lenzani, Genova) è del 163S. Anche in questa materia l’Italia, che offrì due secoli prima gli scritti sulla Pratica delia mercatura di Balducci Pegolotti (il quale parla pure dei cambi delle Fiere di Champagne) e dell’UzzAXi, precorre le altre nazioni. L’importante manuale del Savary è soltanto del 1675. V. pure il Trattato (1619) di S. Caccia, ritenuto dal Goldschmidt genovese. L’aspetto giuridico e quello economico delle nostre Fiere furono studiati rispettivamente dall’Ex deman N e dall’EHRENB]ERG (cfr. Sombart, cit.). ONORATO PASTINE III. Ma in questi anni, fosse per le turbolenze d’oltralpe, essendo il vicino Regno di Francia agitato dalle guerre di religione e le Fiandre in piena rivoluzione; fosse'per i dissapori con Spagna riguardo gli « assenti » ed anche la questione del Finale che proprio nel 1577 l’imperatore dava in deposito al Re Cattolico con gran dispetto di Genova; in ogni modo, certo per ragioni di maggior çomodità dei banchieri e mercanti italiani, i quali erano, oltre che genovesi, specialmente milanesi, veneziani, fiorentini e bolognesi, la Repubblica trasferiva le sue Fiere dal dominio spaglinolo di Besançon, in Italia ad Asti e quindi a Piacenza (12). Nel 1579 il duca di Parma, Ottavio Farnese, concedeva ampi privilegi per lo stabilirsi di dette Fiere nell’importante città del suo Ducato, la quale, per la posizione geografica e la facilità· delle comunicazioni con i principali Stati interessati, si mostrava a ciò sommamente adatta. Altri privilegi concesse il Duca Alessandro il 7 giugno 1587 e il 14 ottobre 1588; e certo i Farnesi avevano ogni convenienza che nel proprio dominio un così vasto movimento di affari trovasse sede e incremento; per cui, come si esprime un cronista locale (13), « fecero ad essi Banchieri e Trafficanti i ponti d’oro» con esenzioni e onori molteplici. Così anche Ranuccio I accordò nuovi vantaggi il 15 gennaio 1593, e in particolare, scrive il Della Torre (14), « consulibus nostrae gentis (qui feriis in illis summum ius habent) tribuerit summum ac merum imperium, etiam illud, quod in animadversione in facinorosos homines versatur, denegata quacumque quoquo modo damnatis etiam ad ipsummet Principem provocatione ». Intanto le successive modificazioni introdotte negli « Ordini » riformati nel 1577 avevano dato luogo ad ambiguità e contradizioni che portarono, nella celebrazione delle Fiere del novembre 1593, a spiacevoli disordini, i quali indussero il Governo genovese a nomi- (12) Nel 1575 Filippo II, istigato dai nemici dei Genovesi, aveva negato di effettuare i pagamenti a questi dovuti, causando dissesti e lunghi contrasti. Una supplica all’Imperatóre di banchieri di Besançon, parlando della concessione del « privilegium nundinarum in civitate imperiali Vesuntinensi, prò exercitio cambiorum et recambiorum », ricorda il persistere della denominazione di u feria di Bisançone » e il trasferimento di questa a Piacenza << ob bellorum tumultus obsque alias incommoditates». Π documento è del 1609; il trasferimento a Piacenza è però del 1579 (Giornale Ligustico, 1876, 168). Risulta inoltre che Emanuele Filiberto il 23 giugno e il 26 agosto 1575 accordava privilegi ai banchieri genovesi per le loro fiere celehrantisi nel dominio sabaudo (Abch. St. Torino, Protocolli). (13) Cristoforo Poggiali, Memorie storiche dello; città di Piacenza. Piacenza. 1757-1766. Ristampa a cura di F. Borotti, 1927-33, tomo X, 110. (“) Op. cit., fol. 3. FIERE DI CAMBIO ECC. * 115 nare una deputazione di quattro Magnifici Cittadini, che diedero allo statuto in vigore un nuovo assetto in 39 capitoli, approvati dai Ser.mi Signori con decreti del dicembre 1594 e aprile 1595 (15). A Piacenza, poi, il 2 maggio 1595, in occasione delle Fiere di Pasqua, il notaio e cancelliere Gio. Mario Pinceto dava lettura delle leggi ultimamente riformate ai Banchieri e Trattanti riuniti con i Consiglieri nella casa del Console delle Fiere stesse. E poiché erano ammessi nei pagamenti soltanto gli scudi d’oro così detti delle cinque stampe (Spagna, Genova, Venezia, Firenze e Napoli), i Ser.mi Collegi della Repubblica con decreto del 17 novembre 1595 ordinavano, a istanza del Duca di Parma, « che li scudi che si stamperanno in la zecca di Piacenza, pur che siano di liga, bontà, e peso delli scudi dell’altre cinque stampe et etiamdio, che sieno differenti di stampe dell’altri scudi fin qui in detta zecca di Piacenza, stampati, possino servire in far pagamenti in le Fiere ». In tal modo questo importante istituto genovese si fissava stabilmente a Piacenza, dove continuò ad essere convocato fino al 1621 (16). IV. Col secolo XVII l’Italia perdeva ormai il primato nell’organizzazione finanziaria. Si costituiva nel 1609 il potente Banco di Amsterdam ed altri ne sorgevano ad Amburgo (1619), a Norimberga (162l·) ed altrove ; fiorivano le Fiere di cambio di altri paesi europei. Ma anche durante questo periodo e specialmente nei primi decenni del secolo si conserva l’importanza- di Genova in siffatta sfera di attività. Ingenti patrimoni privati accumulati nelle età precedenti continuavano ad essere impiegati, specialmente per parte della vecchia nobiltà, in larghe operazioni finanziarie in Italia e fuori. Genovesi sono sempre i banchieri di Madrid. La finanza di quella monarchia era alimentata dal denaro ligure, e quando nelle estreme necessità, a conseguirne l’invocato concorso, non bastavano con (15) Sono questi i Capitoli et Ordini delle Fiere di Bisenzone, pubblicati da Gio. Domenico Peri, in appendice alla prima parte del suo NegotUmte con l’aggiunta delle deliberazioni successive fino al i63S> epoca della pubblicazione del libro. Avverto che le opere del Peri cito sempre dall’edizione veneziana del 1682, presso Gio. Giacomo Hertz. (16) Anteriormente al 1621 le Fiere di cambio genovesi si riunirono tuttavia qualche volta anche altrove come a Chambéry, prima ancora che a Besançon, e più tardi a Ivrea, alla Spezia, inì Bisagno e in Albaro. Il Roccatagliata (AnnaU) narra che nel 1588 i banchieri vennero convocati alla Spezia e che in siffatta occasione mercanti genovesi avevano trattato con quelli di Firenze per fare « certe fiere in Pisa ». Il Senato però non consentì perchè « non si poteva a meno (li disgustare il Duca di Parma » ; e noi sappiamo che nel suo Stato in questo tempo si riunivano ordinariamente le Fiere della Repubblica. Per tale fatto e per altre ragioni il Granduca si adirò non poco. 116 ONORATO PASTINE il profitto gli onori e le cariche, il Re si umiliava a scrivere in persona agli assentisti ed a privati cittadini in Genova. Nè mancavano-contrasti all’interno; ma fra allettamenti e recriminazioni, vistose fortune e crisi, perdurava la singolare situazione — come fu acutamente osservato — di un « piccolo popolo d’un piccolo Stato che impone il proprio dominio all’economia del più grande Impero del mondo mentre quasi tutta l’Italia è piegata sotto il dominio straniero » (17). Ancora nel seicento gli « assenti » di Spagna, grossi prestiti fatti a quella. Corona, vengono considerati « la maggior negoziazione de’ cambij, che segua nella Christianità » (18), e sono praticati in massima parte da Genovesi residenti alla Corte del Re Cattolico. Quando poi nel 1627 il Conte Duca d’Olivarez, venuto in aspro conflitto con costoro, volle escluderli da ogni intervento negli affari del suo*. Re. affidandosi invece a Portoghesi, questi, nel tentativo di intraprendere direttamente siffatte operazioni finanziarie, dovettero in definitiva ricorrere ai banchieri genovesi per poterle condurre a compimento. Degli « assenti » erano ordinari quelli fissati ogni anno per partite di molti milioni di scudi e destinati a sopperire alle spese normali per gli eserciti, le galere, i presidi, le frontiere, le Case-Reali, gli ambasciatori, ecc. ; e straordinari quelli stabiliti durante· l’annata- a seconda delle occorrenze, specialmente per i bisogni delle Fiandre o per quelli d’Italia o di altre parti. Ai banchieri genovesi, che collocavano altresì larghi depositi in Venezia, Milano ed altrove, anche i Papi ricorrevano frequentemente.. Orbene, le Fiere di cambio, come si disse, erano sedi quasi indispensabili alle grandi operazioni di prestito (19). A quelle liguri, pertanto, per gli svariati interessi con esse collegati, in vari tempi avevano concessi privilegi Imperatori, Re di Francia, la Repubblica di Venezia, i Duchi di Savoia e di Parma; e il Peri, verso la metà del XVII secolo poteva affermare che in materia di cambi Genova teneva «il primo luogo», avendo questi avuto da essa «la loro culla e i loro ingrandimenti » (20). (17) R. Lopez, Il predominio economico dei Genovesi nella Μοη&τοΐιία Spagnola, in domale Storico e Letterario della Liguria, 1936, II, 69 (18) Peri, op. cit., I. parte, 5K. 0») Gli interessi corrisposti per tali prestiti erano di regola, e spesso anche j>er esigenze speciali, assai forti. Dall’otto e dal dieci per cento si passava più frequentemente al 20 e al 30 %, toccandosi qualche volta arche il 40 o il 50 %. Fonte di particolare guadagno era la concessione di riscuotere pubbliche entrate (asientos). Il fatto è comune a tutte le piazze d’Europa; con tali mezzi formarono ad esempio le loro immense fortune i finanzieri francesi dei sec. XVII e XVIII. (20) Op. cit., II, 79, i>5. — L·. FIERE DI CAMBIO ECC. i_ : V. Ma una nuova fa.se lia inizio per le Fiere di cambio genovesi, quando nel 1621 il Governo della Repubblica le trasferì da Piacenza nel proprio Dominio a Novi. Quali furono le ragioni di tale trasferimento? il Peri (21) dice che esso fu decretato « per agevolar le negotiationi, così richiedendo le conditioni di quei tempi » ; e certo allora s’imponeva la necessità di assicurarne il più controllato funzionamento nelle particolari contingenze di così torbidi anni. Nel 1620 il Governatore spagnuolo di Milano aveva occupato la Valtellina e anche quel residuo di libertà che ancora rimaneva all’Italia· era di nuo(vo gravemente minacciato. Il pericolo incombeva su tutti i Principati italiani, ma per Genova 1’ ansia doveva essere maggiore. Da entrambe le parti infatti essa aveva di che temere e l’alleanza del Duca di Savoia con la Francia poteva preludere ad un suo attacco aperto alla Repubblica, sia per l’indole ambiziosa e guerresca di Carlo Emanuele 1, sia per essere sempre aperta con lui la dibattuta questione di Zuccarello, che Genova riuscirà poca dopo ad acquistare dall’Imperatore contro le aspirazioni del Duca, (dicembre 1622). Comunque sia, il provvedimento del Governo genovese che trasportava le Fiere da Piacenza a Novi fu improvviso ed avrebbe dovuto essere temporaneo, quasi in attesa che maturassero i gravi avvenimenti in corso. Un cronista piacentino afferma che i banchieri genovesi « per comando o consentimento di quel Senato » presero la decisione di cui parliamo « senza pure aver richiesto, non che ottenuto l’assenso de’ Mercanti dell’altre Nazioni per sì notabile mutamento » (22). Più precisamente, dal decreto di approvazione della riforma allora effettuata degli « Ordini » delle Fiere, datato dal 7 gennaio 1622r rileviamo che il Ser.mo Senato, dopo aver nominato il 6 ottobre 1621 i Deputati alla revisione dei Capitoli, aveva pure decretato il 1° dicembre successivo il trasferimento delle Fiere a Novi per due anni, ossia per otto celebrazioni, da quella del febbraio 1622 (detta di Apparizione) a quella del novembre 1623 (detta dei Santi, (23). Molti non furono soddisfatti della decisione del Governo genovese, e numerose piovvero le lamentele provenienti da più parti d’Italia e dalla stessa Spagna, dove i Ser.rni Signori facevano rispondere per mezzo dell’ambasciatore a Madrid, Costantino Pinello, che essi erano « i padroni delle fiere », le quali a loro piacimento ave- (21) lìrid., 1. 87. — Cfr. nota 36. (22) c. Poggiali, cit., t. XI, 29. (23) Riforme detti Ordini delle Fere de Cambi, Genova, Pavoni, 1622. 118 ONORATO PASTINE vano sempre governate, prorogate e riunite « fuori d’Italia in varij luoghi et in Italia in Asti, Invrea, Piacenza, Spezza, Bisagno et Albaro » (2*). Anche nei documenti posteriori, a cui ci riferiamo nel presente scritto, incontreremo la stessa energica affermazione della Repubblica circa la sua assoluta padronanza delle Fiere, delle quali la vedremo ancora disporre a suo piacimento, uniformandosi i Trattanti agli ordini da essa emanati. Tuttavia, sebbene fosse naturale che la Repubblica preferisse di celebrare le Fiere nel proprio Dominio (e di fatto dopo il 1621 furono convocate per lungo tempo a Novi) (25), è altresì vero che a Genova era stata compresa la convenienza della riapertura di tali negoziazioni in Piacenza dopo il predetto trasferimento, seguito negli anni successivi da una crisi non indifferente. Certo fiorentissime erano .sempre state le Fiere di cambio genovesi. Non vi è « alcuna Piazza — afferma il Peri — ove si trovi tanta quantità di contanti quanta importa il giro de’ negozij delle fiere di Bisenzone»; e se il Poggiali, riferendosi a quella celebrata la prima volta in Piacenza nel 1579, considera cospicua la somma di un milione e settecento mila scudi, il Peri stesso calcola che il movimento di capitale in ciascuna di dette Fiere ascendesse a circa dodici milioni, mentre il Della Torre parla di sedici milioni di scudi, sempre per il periodo anteriore alla guerra del 1625. Quando però Fautore del « Negotiante » pubblicava la prima parte della sua opera, e cioè nel 1638, la situazione era alquanto mutata per la diminuzione del numerario disponibile a causa delle necessità di guerra dei diversi belligeranti e in particolare della Repubblica di Genova, e per il decreto spagnuolo del 1627. Come già si accennò, il Conte Duca si era scagliato contro gli assentisti e la stessa nazione genovese, accusata di aver dissanguato con i cambi il tesoro regio ormai esausto per le "lierre incessanti. Pretendeva egli nuovi grossi prestiti senza offerta d’interesse e neppure delle assegnazioni consuete di garanzia. Alle resistenze incontrate aveva deciso di cacciare i Genovesi e di escluderli da ogni ingerenza nelle finanze dello Stato, sostituendo alPa-ssegnazione per i dieci milioni di pezzi dovuti a quei banchieri, già fissata sull’argento che doveva portare la flotta delle Indie, quella su} così detti- (2<) Citato da Oicseppe Axdrtani, Le Fiere di rv/;/»bio penoresi, Genova, 1031. p. lfi. Nel marcio 1024 si occupavano puro di dette Fiere finanziarie ambasciatori straordinari della Repubblica a Crbano VITI. » Non H<*mpre, però. David Veronese (Pratica d'aritmetica mercantile, aggiuntovi un Trattato de’ Carnbij dello stile di Genova, Genova, Pavoni, 1627j ricorda i#*r il 1027 Sestri Levante e per il periodo precedente anche Massa, dove furono riunite certo nel 1(525. Il Casoni ( ìnnali) dice che nel a causa della i***te In Fiera fu trasportata a Sestri Levante « e si celebrò per IMunsi nx! alla S|ieasia ». FIERE DI CAMBIO ECC. 119 <( giuri » (juros : rendite su dogane di città e luoghi del Regno e diritti diversi) allora fortemente svalutati. Aggiungendo a. ciò che i frutti dovevansi riscuotere in viglione ossia moneta di rame, mentre il capitale era fornito in argento, si comprende come ne derivasse un danno incalcolabile e non soltanto per gli assentisti ma. per tutte le case di Genova che erano comunque impegnate negli interessi di quella Corona, poiché, non potendo realizzare i loro crediti, neppure potevano effettuare ì pagamenti dovuti, in modo che venne a determinarsi una- crisi generale, la quale non risparmiò quasi nessuna famiglia della Dominante. VT. # Quanto al provvedimento del 1621, aggiungeremo, in base a quan-t to narra il Poggiali, che i banchieri e mercanti forestieri si porta- rono a Novi la prima volta « per non poter di meno » ; ma appena terminate le fiere del febbraio, il li) dello stesso mese conclusero insieme alcuni capitoli per riprendere le loro riunioni in Piacenza, avuto riguardo « al disturbo, e pericolo non solo della robba, ma della vita, per dover passare per luoghi pericolosi di fuor usciti, e per altre considerazioni ». Detti Capitoli furono approvati dal Senato di Milano per il Re Filippo III (11 aprile), da Ferdinando II di Toscana (24 maggio), da Gregorio XV (21 luglio) e da « altri sovrani » ; sicché venne tenuta nella città padana la fiera di Pasqua del 1622 (26», confermando e rinnovando il card. Odoardo, reggente per il Duca Odoardo da poco salito al trono, tutti i privilegi già accordati dai predecessori, tolte « quelle particolarità, che parlano de’ Genovesi ». I)i tali Fiere, ricordate anche dal Peri, fu eletto Console Pietro Mozzi, senatore fiorentino, il quale poco dopo chiedeva a nome dei Trattanti ed otteneva dal Farnese anche l’istituzione delle Fiere di mercanzia che si celebrassero due volte all’anno con le altre dei cambi (27). Queste ultime si riunivano negli stessi tempi di quelle liguri, ma con la diversa denominazione di Purificazione. S. Gio. Battista, S. Marco e S. Carlo. (26) Ma il 10 giugno 1622, in rapporto ai cambi delle Fiere genovesi, veniva i inviato a Genova dal Governatore dì Milano il Gran Cancelliere Carlo Strada * (protetto del March. Spinola e imparentato con gli Invrea) con lettere del Re Cattolico per il Duce. Detto Cancelliere, uno degli assentisti, a vantaggio proprio e di questi richiedeva che si stabilisse un temperamento nel frutto in corso deirotto per cento, e che il pagamento in Fiera si effettuasse in moneta fr reale. La cosa interessava diversi Senatori e lo stesso Duce che aveva impe- gnato sopra i cambi lire SO mila. Parecchi giorni si dibattè la questione, finché il 2 luglio lo Strada poteva partirsene soddisfatto avendo ottenuto « per conto dei cambi oncie 100 d’oro fossero pagati con lire 107 d'argento » (Diano di Alessandro Giustiniani, cit. dal 1*. L. Levati, Dogi biennali, I, 421). (27) poggiali, cit., t. XT, 27. 120 ONORATO PASTINE I Veneziani poi — trascinati in questi anni nell?alleanza dei Francesi e del Piemonte ili guerra con Genova — ne istituirono altre in Verona, a imitazione di quelle genovesi, per gli stessi mesi di febbraio, maggio, agosto e novembre e con un ordinamento quasi identico; mentre i Toscani si valevano di proprie Fiere stabilite a Rimini. In seguito però i cambisti delle diverse regioni si riunirono ancora con i Genovesi, per cui dovevano essere soppresse le recenti Fiere di Piacenza:, convenendosi peraltro che in questa città si sarebbero di nuovo celebrate quelle di Besanzone, « subito che scriveva il Peri verso il 1638 — siano cessate le turbolenze delle Guerre, che travagliano l’Italia ». Costui considerava, inoltre come sicuro il concorso dei Veneziani e assai probabile anche quello della nazione fiorentina, « la quale sola — aggiungeva — non s’è sin li ora intieramente riunita, conforme hanno fatto tutte Faltre.... Resteranno adunque in breve con sodisfazione universale ridotte le fiere di Bisenzone nel pristino, et antico loro stato, così piaccia alla Divina Bontà prosperarle in servizio della Christianità, con accrescimento ancora delle Hazende de Negotianti » (28). VII. p]ffettivamente, come vedemmo, fra il terzo e quarto decennio del secolo c'era stato un certo rilassamento negli affari ed erano « alquanto scemate le ricchezze in alcuni particolari » appunto per la « cessazione di tali contratti » ma quanto all’invocato intervento della Divina Bontà per far prosperare le Fiere in servizio della Cristianità, vi era chi non ìa pensava propriamente così e metteva in dubbio, anzi negava addirittura Futilità e la legittimità del negozio dei cambi con particolare riguardo alle Fiere di Novi. Intorno all’epoca di cui parliamo una cortese polemica si svolgeva al riguardo fra il citato Gio. Domenico Peri e il giurila Antonio Merenda, primo Lettore di Legge nello studio bolognese, autore di un « De cambio nundinali tractatus » e di lettere scritte su questa materia nel 1647. Gli oppositori rimproveravano ai banchieri di tralasciare i contratti di mercanzie e di dedicarsi soltanto alle operazioni del cambio. Simili vive lagnanze muovevano ad esempio nel 1559 anche i mercanti francesi a Lione. Venivano condannate le così dette « continuazioni dei cambi » ; ma si confondevano fra l’altro i cambi illeciti, come quelli « secchi » o mutui virtuali, condannati anche dalla Chiesa, con i cambi « reali », sia « lil>eri » che « di ricorsa », utili a facilitare il complicato mecca- ( 28) () p. cit., I, 8«. FIERE DI CAMBIO ECC. 121 nismo, per compensazioni e giri, dei pagamenti e (lei negozi, senza abbandonarlo all’arbitrio di pochi speculatori nelle singole Piazze, ma controllandolo secondo norme precise, sotto l’autorità del Magistrato legale e con l’intervento di tutti i principali negozianti delle diverse Nazioni, concorrenti — in persona o per mezzo di loro agenti e procuratori — alle contrattazioni in fiera. Si criticava pure l’uso nei contratti di cambio del così detto « scudo di marche », di valore « immaginario » ossia fittizio e che era al contrario molto conveniente alle operazioni di ragguaglio delle svariate monete in corso (29). Delle Fiere genovesi si valevano del resto normalmente, come vedemmo, i Re di Spagna e gli stessi Pontefici (30), e cambiavano con esse le principali Piazze d’Europa, dove pure si praticava tale traffico. I responsi della Sacra Congregazione dei Cardinali e di alti Prelati stavano a comprovare la correttezza di tali contratti, e le stesse bolle del santo Papa Pio V (oltre a quella di Pio IV del 1559) ammettevano tanto i cambi reali di fiera come quelli da Piazza a Piazza, cambi definiti dal Della Torre regolari i primi, irregolari gli altri. Il Governo della Repubblica, poi, sottoponeva talvolta al-l’Autorità ecclesiastica i casi dubbi in materia, come quelli giudicati da una Congregazione nominata da Papa Urbano Vili,'le cui decisioni furono rese di pubblica ragione dal Governo stesso nel dicembre del 1631. Anche il Della Torre sopra citato riporta nel suo trattato « De cambiis » numerose decisioni della Rota Romana. La polemica sul valore tecnico e morale della contrattazione dei cambi che si collega con la dottrina sull’usura, richiederebbe un esame a sè. Detta dottrina già a metà del secolo XV aveva trovato un temperamento nell’ammissione di un legittimo interesse del capitale. Calvino poi (non per nulla venne rilevato un accostamento fra calvinismo e capitalismo) (31) apertamente giustificava, fra i suoi mercanti ginevrini, l’interesse e la produttività del credito. (29) Nel 1675, anno in cui il Banco di S. Giorgio riceve con una nuova riforma la sua autonomia, i pagamenti dei cambi vengono fìssati a Genova in « biglietti di cartulario », titoli di credito all’ordine, che precorrono i biglietti di banca. La fondazione della Banca d’Inghilterra nel 1694 inizia la costituzione degli Istituti di emissione che sostituiscono quasi del tutto i Banchi di deposito e giro fiorenti fino a quest’epoca. (30) Raffaele Della Torre affermava nel 1645 che nella Corte Pontifìcia non era possibile « instradare a buon fine la pecuniaria » senza il concorso della nazione genovese; per cui tutti i Papi finivano «con favorirla, conosciutane dall’esperienza il bisogno». Archivio di Stato· in Genova, Lettere Ministri, Roma, busta 14/2355, 21 maggio 1645. (31) Opinione diffusa (Gothein, Max Weber, Fanfani, ecc.) non ostante la discutibile e diametralmente opposta valutazione di Alberto Hyma, che vede nel protestantesimo e nel calvinismo un carattere anche più anticapitalistico che nello stesso cattolicismo. 122 ONORATO PASTINE Al contrario teologi, moralisti e tilosoiì come Pascal rimanevano ostili. Abusi reali di spigoli — e abusi non dovevano certo essere rari in Genova, città di larghissimi affari finanziari, se si verificavano spesso anche altrove e nella stessa Roma dei Papi —, astratte valutazioni etico-religiose, ragioni psicologiche comuni a tutte le epoche contro i forti possessori del denaro, interessi particolari, infine, alimentarono la polemica. Noi ricorderemo soltanto che essa durava da tempo. Un primo difensore dei contratti del cambio era stato nel 1515 P. Corrado dei Predicatori e con lui il P. Fabiano, abate di S. Matteo (t)e cani-biis : 1518). La controversia venne dibattuta nella stessa Dominante. Il gesuita Diego Lainez, primo successore di S. Ignazio nel Generalato dell’Ordine, aveva svolto in Genova anche una serie di prediche per indicare al cambista il modo di praticare la sua arte senza violare le prescrizioni della Chiesa. Nel 1567 ì\ benedettino P. Ila-rione da Genova discuteva l’intricata questione dei cambi nel terzo libro del suo De latissimo avaritiae dominatu, pubblicato a Brescia, facendosi forte del consenso del dotto patrizio genovese Nicolò Senarega. Nel 1619 P. Bernardo Giustiniano teatino, dedicava all’arcivescovo di Genova. De Marini il suo scritto sulle continuazioni de* cambi trattate alle Fiere di Piacenza, criticandole aspramente; e un altro arcivescovo di Genova, il cardinale Spinola, ne faceva rivedere le opinioni da P. Anton Benedetto Sansalvatore, già teatino e poi barnabita, assai dotto in teologia. Ma i suoi due lavori del 1620 sui cambi e sulla decisione di un caso, furono posti all’indice, e del Giustiniano da lui confutato venne pubblicata a Mondovì (1621) un’apologia da Ortensio Capellone (3-). //f . Onorato Pastine (( ont/mi a) (32) Spotorno, Storia letteraria della Liguria, III. Verso il 1583 iJ poeta genovese Paolo Foglietta, fratello dello storico Uberto, nel.a commedia // barro (atto II. scena 12*: edita da M. Rosi, in «Atti »Soc. Lig. 8. P. », XXV, III, IMM) prendeva di mira coloro che praticavano i cosiddetti cambi secchi, i quaU ebbero, fra le altre, la condanna di Mons. Bossio, nella sua visita apostolica a Genova (1">82), e quella del Sinodo del card. Sauli (1588). Come è noto, Antonio Serra (1613), sostenendo la libera circolazione della moneta, combatteva, con l’arbitraria alterazione del suo valore, rabbassamelo dei cambi, suggerito erroneamente quale rimedio alla rarefazione della moneta: circolazione e cambi poneva in rapporto olla bilancia dei pagamenti internazioLali. /' LA CASSA DI S. ANTONIO ABATE CAPOLAVORO DI ANTON MARIA MARAGLIANO CENNI STORICI E COME FU ACQUISTATA DALL’ORATORIO DI MELE LA PROCESSIONE I] quindici di Agosto d’ogni anno nel paese di Mele è festeggiato con grande solennità. La Confraternita di S. Antonio Abate, mantenendo un’antica e lodevole tradizione, si reca in processione al Santuario della Madonna dell’Acqnasanta portandovi la magnifica Cassa del Mara-gliano, rappresentante S. Antonio in atto di dolorosa maraviglia, mentre contempla San Paolo eremita morto. La scena si svolge nel deserto della Tebaide; e per la sua perspicuità artistica questo gruppo scultoreo merita un ampio cenno illustrativo. Il quindici di Agosto, fin dalle prime ore del mattino, Mele è in grande movimento. Sono appena, indorate dai primi raggi del sole le creste delle montagne, che i campagnoli discesi dai monti e gli operai che giungono dalle frazioni e dalle valli del Fado e della Biscaccia invadono la piazza dell’Oratorio e si confondono colili abitanti del paese, che in gran parte sono già fuori delle proprie case. In tutti è manifesta la scioltezza dei movimenti e ogni volto esprime la gioia festaiola della ricorrenza solenne. Solitamente, per la clemenza della stagione estiva, l'Agosto si mantiene a buono : il tempo è sereno, rallegrato dal cielo turchino, che pare levigato a posta per il viaggio del sole: cielo e campagna, in perfetta armonia con i sentimenti del popolo, paiono assecondare la mistica bellezza della giornata. La luce schietta del mattino accoglie benigna l’Arca del Santo quando essa· viene tratta fuori dal suo loculo ove è rimasta, per tutto l’intero anno, chiusa nella penombra·: statica e maestosa la Cassa troneggia in mezzo alla piazza, tutta adorna di ex-voti di fiori di ceri, e la gente che le si affolla intorno la contempla con stuporosa attenzione, quasi che ogni anno si rinnovasse il prodigio della prima rivelazione. Questo capolavoro del Maragliano è veramente una robusta ed eccellente composizione in cui il concetto religioso è interpretato e 124 GIUSEPPE PIERUCCI riprodotto con così alto θ inspirato sentimento creativo che, a primo colpo d’occhio, dà la giusta misura della potenzialità spirituale e artistica del geniale autore. Il tempo incalza, ed è perciò necessario attendere ai preparativi della processione. I confratelli hanno già indossato le bianche cappe. dalPOratorio sono già usciti il Cristo e le croci, che si stagliano eretti sopra la folla tumultuante e vociante : su la soglia· dell Oratorio compaiono anche i Superiori con su le bianche cappe i tabarrini rossi rameggiati d’argento, e i mazzieri, chiamati cappe da testa — perchè hanno il capuccio, i quali tengono tra le mani la mazza con l’effige di S. Antonio in argento. Le cappe di costoro, tutte di raso giallo, soqo sorrette nello strascico dai paggetti, e sono anch’esse tutte damascate di ricami d argento e d’oro. I pellegrini e le verginette con i loro tabarrini di velluto nero, seminati di arselle, se ne stanno raggruppati in disparte ; i pellegrini hanno un cappellone calzato fin sopra gli occhi, e le verginette spiccano per la ghirlandella che attornia le loro chiome fluenti e per la sciarpa azzurra messa a tracolla su la veste bianca. Hanno tutti il loro bordone, già ornato del canestrello e della micchetta di S. Antonio. Nell’aria, intanto, ronzano festose le campane, e salgono le note squillanti della banda assembrata davanti alla Cassa, che nell’allegria generale sollecitano in tutti l’assillo della partenza. Finalmente le squadre dei portatori — i camalli — sono riuscite a sistemarsi : sono sedici uomini giovani e nerboruti per ogni squadra : sedici uomini adusati alle fatiche gravi e agli sforzi. Le squadre sono tre, ma possono essere anche di più : ognuna è guidata da due proprii capi-squadra. Le note della banda ormai si sono .spente tra il brusio e il vocio della gente: ed ecco, la prima squadra mettersi alle stanghe, e a un comando imperioso del capo, la pesante Cassa sollevarsi d’impeto sulle spalle forti dei portatori. È un delirio di battimani. — Viva S. Antonio ! — si grida freneticamente per tutta la piazza. La processione si forma rapidamente e si incammina. La folla si è allargata come una massa d’acqua che si sposti. Precedono le cappe da testa, che con le loro mazze segnano il passo; subito dietro viene la banda, che rimette fiato negli strumenti, riattaccando una nuova marcia che accresce la vivacità dell'andatura. I pellegrini e le verginette, bene allineati, procedono in buon ordine battendo sul suolo il bordone da cui dondola il canestrello e la micchetta. LA CASSA DI S. ANTONIO ABATE 125 Quando si tace l’ultima eco della banda, essi intonano la loro laude in onore del Santo, e le loro voci si intrecciano nell’aria in onde argentine : « Lo stuolo pellegrino, pii confratelli, del Grande Antonio Abate con tutta divozion voi seguitate. O Mele fortunato Mele felice che tiene per Primàte il grande penitente Antonio Abate. La squadra pellegrina di Mele eletto di Antonio il grande Santo or di annunziar sua vita si dà il vanto. Così prosegue la laude dei pellegrini, e dietro loro sono avviati i confratelli ed i Superiori, tra i quali è il parroco in cappino cremisi. I portatori della « sergentina » procurano che la processione proceda con ordine. Nel mezzo, tra le file dei confratelli, stanno le croci e il Cristo, tutto intarsiato di rilievi d’argento, con i canti a fregi e a volute, oscillanti e scintillanti nel sole ; e ad esso fanno ala e corteggio i fanali e le torce. La Cassa di Sant Antonio viene ultima : chiude la processione. Con senso di religiosa, maestosità, sul ritmo dei passi brevi e strisciati dei portatori, ella avanza ondeggiando lievemente, come se slittasse leggera sulla calma superficie delle acque. Gli sguardi degli astanti sono tutti rivolti al Santo ; e negli occhi fissi di ognuno brilla la gioia commossa che risale dal cuore: al passaggio della Cassa la gente si segua e un lieve tremolio delle labbra lascia indovinare l’espressione di un voto e il soffio d’una sommessa fervida· preghiera. La processione, giù per la strada provinciale, ora si snoda lenta e solenne, tra l’alternarsi delle musiche e delle laudi, attirando l’ammirazione e la curiosità dei molti valligiani e dei popolani convenuti dai paesi vicini. E noi, approfittando del cammino che dovrà percorrere prima di arrivare al Santuario delPAcquasanta, ci soffermeremo a rievocare in rapidi scorci la storia di questo celebre 126 capolavoro scultoreo, rendendo pure di pubblica conoscenza per quali vicende, sessantasei anni or sono, esso fu da Genova trasferito a Mele. Oggi, la Cassa, di S. Antonio Abate rappresenta per i Melesi Poggetto di maggior venerazione, e insieme è l’opera di più elevato pregio artistico che possieda Pindustre paese dalle trenta-sei cartiere. Con orgoglioso vanto questa Cassa è religiosamente custodita e venerata da tutta la popolazione : e all’occorrenza come già accadde in passato — sarà sempre difesa con tenace volontà e con la perfetta, coscienza di un diritto di assoluta proprietà. ANTON ΜΑΒΙΑ MARAGLIANO Del celebre scultore in legno Anton Maria Maragliano, nato a Genova nel 1664 e morto quivi il 7 marzo 1739, molto si è scritto in merito alle sue numerose opere, quasi tutte (li soggetto religioso, che furono sparse in molte chiese e santuari di Genova e dei paesi della Provincia. Non è compito nostro il tratteggiarne la biograna , nè tanto meno sottoporre a indagine critica e storica la di lui vasta produzione artistica.. . . Come tutti i grandi artefici, anche il Maragliano prima di raggiungere una vera e propria personalità indipendente, nei confronti dell’arte, subì l’influsso e Pindirizzo delle varie scuole e dei vari maestri che l’avevano preceduto, sia nei concetti creativi e di inspirazione, sia nella maniera e nei metodi di esecuzione. Imitò nella sua giovinezza lo stile di G. B. Dissoni, del Poggio, del Torre e di vari altri, riproducendone anche gli stessi lavori, e usando eguale tecnica e coloritura, ma dove trasse più frequenti motivi d’inspirazione e suggerimenti di soggetti artistici fu dai dipinti e dai disegni del pittore Domenico Piola, che egli aveva conosciuto nel laboratorio del Torre, suo maestro. Soltanto con la maturità degli anni, con l’esercizio e l’esperienza cotidiana, che affina il senso estetico nell’assillante aspirazione di pervenire al perfezionamento artistico, il Maragliano arrivò a quel le creazioni di gruppi scultorei che danno la. misura e la caratteristica inconfondibile della sua maniera personale di scolpire, la quale è espressa, nella aggraziata modellatura e curvatura delle linee, negli indovinati atteggiamenti delle figure, nelle espressioni dolci patetiche estatiche dei volti, nelle pieghe e morbidezze «Ielle vestimenta, nella varia distribuzione prospettiva dei piani, nelle giuste e proporzionate distanze tra gli attori della scena e l’ambiente ; in un complesso concettuale e intuitivo, in sostanza, che all occhio del l'osservatore suscita improvviso il senso della grandiosità e della raggiunta armonia. Intendimento dell’artista fu in ogni suo lavoro di sopraelevarsi dalla contingente naturalezza delle espressioni e dei fatti comuni LA CASSA DI S. ANTONIO ABATE 127 della, vita. Nella infinita tastiera dell’umano strumento sensitivo, giova all’artista di far scorrere le dita su quelle corde che meglio vibrano per tonalità e sintonia con i sentimenti che agitano il nostro spirito. È sulla guida di queste intuizioni che il Maragliano trattò la materia lignea con quella virtuosità un pò manierata, che gli servì a raggiungere il cuore del popolo, sempre facile e bisognoso nella primitività del suo sentire a esaltarsi e a commuoversi per tutto ciò che è soprannaturale. In questo ordine di idee e nella esplicazione formale delle sue concezioni creative, il Maragliano non fu che un tardo e più corretto epigone degli artisti del Seicento. La Cassa di S. Antonio Abate che contempla S. Paolo eremita morto risale al periodo che corre tra il 1724 e il 1730 ; cioè alla matura età sessantenne dello scultore, quando già la valentia e la fama del suo nome erano conosciute in Genova· e fuori. Non è possibile elencare il numero delle opere compiute da questo prodigioso artista durante la sua lunga esistenza lavorativa: talune andarono perdute, altre sono sconosciute, o vanno sotto altri nomi, special-mente quelle della sua prima giovinezza. Ancor meno si conosce della sua vita particolare: tutti elementi che sarebbero molto interessanti per ricostruire la vera storia di questo tipico scultore genovese. Del Maragliano si interessarono il Ratti, l’Alizeri, il Cervetto, e molti altri cultori di storia dell’arte più recenti; ma come abbiamo detto, la sua personalità rimane tuttora avvolta nella penombra. Vana fu pure la ricerca del contratto originale, che stabiliva le modalità e il costo della Cassa di S. Antonio Abate : ma è quasi certo che il Maragliano questa opera la eseguì dietro ordinazione dei confratelli dell’oratorio di S. Antonio Abate della Marina, situato in Via Giulia, e meglio conosciuto col nome di Oratorio degli « sbirri ». Il Ratti, che à scritto la vita del Maragliano, così descrive questa Arca : « Rappresenta S. Antonio in atto di contemplare S. Paolo eremita, che dolcemente, sen muore. Io francamente asserisco esser questa la migliore opera, che sia uscita dagli scalpelli del Maragliano. Sta· il Santo Eremita coricato sopra nudi sassi; ed è fasciato in alcune parti del corpo da una povera e mal tessuta stuoia. Tiene le mani posate sopra del petto, stringendo con esse un Crocefisso; ed appare, che egli sia pur allora spirato. E però vedesi l’anima di lui in figura d’innocente colomba volarsene al Cielo, accompagnatavi da una gloria d’Angioli, che han tutta l’aria di Paradiso. Il Santo Abate sta quivi pio spettatore : e nel di lui volto traluce la divozione e la meraviglia. Chiudono poi tutta la composizione due lioni espressi in dispar- 128 GIUSEPPE PIERUCCI te; i quali in addolorato sembiante scavano la sepoltura al Santo defunto. Cose, che, a storiarsi tutte in un gruppo di seul turai, e con l’eleganza, e naturalezza di cui fornite son queste; parmi superin 1 u mana virtù. E sappiano i forestieri che figure così di questa, come delle altre riferite macchine, sono di grandezza al naturale ; di modo che a reggere ciascuna di esse non ci vogliono meno di venti uomini ». . Questa accurata descrizione del Ratti, per quanto minuta nei particolari non risponde all’esattezza, scultorea della Cassa di S. Antonio Abate. Là dove egli accenna che « vedesi l’anima di S. Paolo in figura di innocente colomba volarsene al Cielo » per la precisione storica e artistica si deve rilevare che non si tratta di una colomba, ma l’anima del Santo è immedesimata nella figura del Redentore il quale, sorretto da una voluta di nuvole contesta d’Angioli ad ali spiegate, alza il volto e le mani, nell’atto implorante di essere accolta nella gloria celeste. Tutto il gruppo è leggiadro e aereo, contrastante con la rozza struttura della spelonca, da cui si eleva per miracolo divino. Perfetto per finezza di studio anatomico è il corpo inerte di S. Paolo, adagiato sui sassi contro la spelonca. La rilassatezza e il completo abbandono delle membra l'avvolte d’una sdruscita stuoia suscitano nell’osservatore la immediata sensazione che il soffio della vita sia esulato da poco tempo da quel corpo emaciato dalle lunghe sofferenze della penitenza. Accanto e in basso stanno il teschio e il fuoco: l’uno espressione di morte e l’altro di vita, mentre poco discosti, i due lioni azzannano il terreno sassoso per scavare la fossa. S. Antonio, in atto di avanzare, contempla la dolorosa scena : e l’occhio e l’espressione attonita del volto e l’atteggiamento delle braccia rivelano l’interno affanno che trattiene il suo passo. Due simboli gli stanno a lato: a destra un angioletto che sorregge la mit ria e il pastorale; e a sinistra- il porcello gruffolante nel terreno: l’animale prediletto dal Santo— e tanto caro al popolo di Mele. Tutto il gruppo scultoreo poggia su una costruzione massiccia, artatamente riprodotta in forma di macigni scabri e irregolari, su cui scorrono ramarri, lucertole e altri terragni animali tra erbe e cespugli selvatici. Quest’Arca maravigliosa in cui le figure hanno grandezza naturale, misura nei suoi lati perimetrali m. 3.30x1.80 e pesa kgr. 900 e dalla base all’aureola del Redentore è alta m. 3.15. \('() lìti tl 11(1) Giuseppe Pierucci L’OPEEA STORIOGRAFICA DI CESARE IMPERIALE L’operosità di Cesare Imperiale nel campo degli studi storici lia avuto due principali aspetti : come studioso e come Presidente della Società Ligure di Storia Patria. Fu assunto alla presidenza della Società in un momento che pareva di sfiducia e di sbandamento, quando la morte di Lui°i Tomaso Belgrano aveva, lasciato un vuoto incolmabile e la stanchezza pareva aver preso U nucleo dei volonterosi e degli appassionati che μ erano stretti intorno a lui e al Desimoni, ormai stanco anch’esso e prossimo alla fine. L’Imperiale accettò coraggiosamente la difficile eredità., le dedicò un’azione intensa e continua e per venticinque anni, dal 1895 al 1920. impersonò l’istituzione portando nel proprio lavoro tutti i vantaggi e gl’inconvenienti di un carattere attivo autoritario, accentra tore. Ma la Società visse e prosperò la sedè fu trasportata dalle anguste stanzette di Palazzo Bianco al locale dì Palazzo Bosso dove ancora si trova la R, Deputazione sua continuatrice ed erede; locale che l’incremento .della suppellettile libraria rende un’altra volta insufficiente. Le pubblicazioni quasi sospese, ebbero un ritmo più accelerato; la Società occupò un posto cospicuo tra le consorelle italiane ed ebbe momenti di notorietà anche oltre l’ambito regionale quando organizzò nel 1912 il Congresso della· Società per il Progresso delle Scienze e nel 1914 la Mostra storica delle colonie liguri. Ritiratosi, dopo la guerra, a Venezia, l’imperiale abbandonò la presidenza effettiva della Società che lo acclamò Presidente οποί. ii io, e tale lo ebbe anche la R. Deputazione. L’esposizione analitica della sua azione come Presidente si può trovare nelle relazioni del Pandiani e del Poggi contenute nei volumi XLIII, XLVI e LVII degli Atti sociali. Come studioso, l’imperiale ha rivolto ogni cura a illustrare e diffondere la conoscenza della splendida affermazione politica marinara coloniale di Genova nel periodo più grande della sua storia che gli doleva non vedere adeguatamente conosciuta e apprezzata fuori della sua regione. Dal primo discorso come Presidente della Società Ligure si può dire che questo nobile orgoglio cittadino, rivolto, oltre l’ambito locale, a esaltare una grande gloria italiana, sia stato il motivo ricorrente e lo scopo ultimo della, sua attività di studioso. Perciò Caffaro e gli altri Annalisti, che formano il nu- 130 VITO VITALE cieo centrale di quel periodo, da essi narrato" con eroica sì mplic ita e singolare efficacia, sono l’argomento intorno al quale costantemente la. sua opera si è aggirata. ^ ^ la Se qualche volta ne è uscito è stato per difendere Genova e la sua aristocrazia di governo da ingiusti giudizi, come quan·. ° 11 con convincente efficacia, non disgiunta tuttavia da mu 1 e asP*,J/ e da inopportuni personalismi, l’accusa di indecorosa evie so missione al famoso bombardamento di Luigi XIV aristacrazui genovese nella, lotta tra la Repubblica e Luigi XIV, m « Rassegna zionale », maggio 1927). +wnìon Dire di un editore di testi e di documenti che non tu un tee della storiografìa può sembrare un paradosso ; eppuiein ^ues appunto il suo carattere fondamentale eli studioso . c esseie ® un appassionato dilettante — la. parola va intesa, si compì , nel suo più nobile significato — ‘passato alje foime cie n _ dono più profonda preparazione scientifica e più scaltrita. > ] rienza. Di qui ì pregi e i difetti dell’opera sua: agilità e spontaneità di esposizione rifuggente da pesantezze erudite, tendenza no 1 ni n volgarizzatrice e sforzo costante di inserire la storia oca e storia generale italiana; ma non sempre, proprio m ques o 1 * adeguata preparazione culturale e spesso, d’altra parte, ^ di indispensabili conoscenze nella paleografìa e nella· ecnica- edizioni critiche. nrunp. L’opera alla quale è particolarmente raccomandato il suo pome, l’edizione degli Annali di Gaffwro e dei continuatovi nelle-« i οητι dell’istituto Storico Italiano, ne è tipico esempio. È noto che il pi _ volume fu curato dal Belgrano e pubblicato nel 1894; il secon o colto il Belgrano dalla morte nel pieno del lavoro — fu compiuto nel 1901 dall’imperiale che, dopo lunga interruzione, pubblico i ue successivi volumi tra, il 1923 e il 29, l’ultimo accompagnato da un copioso e diligentissimo indice onomastico e bibliografico c l dal dott. Pietro Muttini della Civica Biblioteca Berio. Le benemerenze di questa edizione sono innegabili. _ 1 ’ che potevano leggersi integralmente soltanto nell’edizione tedesca del Pertz nel XYIII volume dei « Monumenta Germaniae Historié , hanno avuto finalmente un’edizione italiana ben diversa da quella per notissimi motivi monca e insufficiente, del Muratori Ma c è tra l’introduzione al primo volume e le posteriori una evidente difteren , portata anche dalla diversa materia. Il Belgrano parla di Caflaao, delle opere che gli appartengono o gli si attribuiscono, delle vane edizioni degli Annali, dei codici che li contengono con una profonda esattezza scientificai; le introduzioni dell’imperiale sono ampi eleganti riassunti storici costituenti un commentario dei diversi an listi e del periodo che essi narrano. È suo merito principale l a\ l’opeka storiografica di CESARE IMPERIALE 13] messo in luce il carattere ufficiale degli Annali come narrazione del partito o governo a volta a volta dominante, dal momento in cui i Consoli ordinarono di proseguire l’opera cominciata da Caffaro : elemento importante per la valutazione e per l’uso della fonte preziosa. Di più il confronto tra i due codici della Biblioteca Nazionale e dell Ai elùvio del Ministero degli Esteri a Parigi e la collazione con l’esemplare conservato nel Museo Britannico hanno permesso di dare un’edizione più compiuta, integrando anche alcune parti mancanti nel Pertz. Peccato che questi confronti, affidati a terze persone, 11011 diano sempre pieno affidamento di scrupolosa esattezza; almeno l’ultimo volume, come il compianto Leopoldo Valle ha dimostrato, è gravemente difettoso nella riproduzione paleograllca e nella ricostruzione critica del testo. Qualche rilievo può anche esser fatto per qnanto riguarda il commento delle note, massime per la bibliografìa lacunosa e per la riproduzione dei documenti, sempre derivati dall’aiuto altrui perchè l’imperiale non è mai stato ricercatore d’ar-■chivio. Mende dunque non mancano, come in ogni opera umana, e rincrescono perchè i testi editi da un ente così importante come l’Istituto Storico Italiano dovrebbero sempre rappresentare il massimo possibile di perfezione ; ma l’edizione è superiore a tutte le precedenti « ha il grande pregio d’aver messo a disposizione degli studiosi il testo compiuto di questa eccezionale narrazione, continuata per due secoli per ordine del Comune, che costituisce un esempio unico nella storia e nella storiografìa italiana. Da Caffaro l’imperiale ha preso le mosse anche nella sua produzione ricostruttrice ë narrativa. Il volume Caffwro e i suoi tempi, pubblicato nel 1894, e una calda rievocazione dell’opera cronistica, politica, militare del grande annalista che, ammiraglio, console, ambasciatore, fu l’uomo maggiore nella Genova del suo tempo. Non c’è novità di ricerche e di conclusioni ma la figura è messa bene a fuoco e la rievocazione, tra qualche sovrabbondanza e inesperienza di composizione non manca di efficacia. L’autore prende come base indiscutibile e punto di partenza la teoria del Desimoni, che ammette l’origine della Compagnai come consorzio viscontile dei discendenti del visconte Ido ; ma questa opinione non è universalmente accettata e la questione è lungi dall’essere risolta. A parte brevi comunicazioni a congressi storici e coloniali sulle prime colonie genovesi d’oriente e sul loro ordinamento, le altre opere maggiori riguardano i rapporti di Genova con Federico II e l’ultimo annalista, Jacopo Doria. Lo studio su Federico II, comparso nella Rassegna Nazionale nel 1914, fu rifuso e pubblicato a parte con ampia introduzione nel 1923 ά Venezia col titolo Genova e le sue relazioni con Federico II di Svevia. L’introduzione, sempre sulla base degli Annali e della do- « 132 VITO VITALE cumentazione nota, massime del « Liber Jurium », ritesse le vicende dalla fine del XII secolo all’avvento di Federico ; lo studio principale narra il drammatico momento della lotta contro l’imperatore. Il narratore rivive con nobile orgoglio cittadino la sua materia e partecipa dei sentimenti e delle passioni degli uomini e dei tempi di cui espone le vicende; il racconto assume così doti di vivacità e di calore ma; non supera il carattere divulgativo, isola eccessivamente gli avvenimenti genovesi dal resto della complessa politica imperiale e, troppo trascurando l’infinita serie di studi sull’imperatore, non assurge a una comprensione sufficiente, del resto assai difficile, della poliedrica figura e dell’opera molteplice di Federico II. Presentare, per esempio, spregiativamente le Costituzioni Melfitane come il codice dell’assolutismo — anche se tale doveva apparire ai Comuni contemporanei — è mettersi fuori dalla superiore comprensione de l’evoluzione statale per cui esse rappresentavano il primo tentativo di organizzare, sui particolarismi autonomistici, un potere centra e ordinatore. Più efficace invece la rappresentazione del momento culminali e del conflitto. Dopo lunghe e sfibranti trattative, condotte spesso con sottintesi e senza sincerità da ambo le parti che hanno gran 1 interessi da tutelare e sembrano voler protrarre quanto più possibile l’aperto contrasto, Genova, minacciata ad un tempo nella propria autonomia e nel possesso della riviera, che è alla base del a sua potenza di uomini e di navi, si getta risolutamente nella lotta e assume una parte preponderante in aiuto di Innocenzo IV, il papa concittadino. L’età che segue la morte di Federico è argòmento di un altro studio che si apre col movimento per il quale sale al potere il capitano del popolo Guglielmo Boccanegra. ^ La tradizione degli Annalisti, generalmente seguita dagli storici, fa del Boccanegra un ambizioso volgare. L’Imperiale sostiene con buoni argomenti che questo è il giudizio della nobiltà delusa nella speranza di farsene strumento di dominio. L’uomo che tento lina conciliazione basata su un maggiore equilibrio delle cla.ssi so ciali, stipulò il trattato di Ninfeo e cominciò la costruzione del palazzo dei Capitani che fu poi di San Giorgio, non era un tirannico avventuriero. Si può anzi aggiungere che Guglielmo Boccanegra, diverso per origine e svolgimento storico dai primi Capitani del popolo degli altri Comuni, può piuttosto essere assomigliato ai Signori, derivati spesso appunto dai Capitani. Lo studio dell’imperiale {Jacopo Boria e i suoi Annali. Stona di un’wistocrazia italiana nel Duecento, Venezia, 1930) conduce la storia di Genova sino alla fine del secolo, si impernia intorno ad Jacopo Doria, l’ultimo degli Annalisti, ed è la più scorrevole e organica delle sue opere. ÏÏ una esposizione riassuntiva, talora un l’opera storiografica di cesare imperiali 133- po esteriore e superiiciale, dell’ambiente famigliare e cittadino in cui Jacópo boria è vissuto e che egli ha rappresentato nella sua cronaca, una parafrasi degli Annali integrata con notizie di altre cronache e di -documenti, un rifacimento delle prefazioni e delle note agli ultimi volumi degli Annali organicamente rifuse e opportunamente ampliate. Ne esce, in narrazione continuata, senza reale apporto di nuovi risultati, la storia di una aristocrazia, famigliare che ha nello Stato parte preponderante e si chiude, nel periodo studiato, con tre fratelli, per diverso rispetto, insigni: Oberto e Lamba, i vincitori della Meloria e di Curzola, e Jacopo, il narratore. È storia tutta politica ed interna ; quale parte questa aristocrazia abbia nell’attività commerciale e coloniale che costituisce l’aspetto più ti pico della vita genovese non appare, perchè questa materia non è compresa negli Annali. Ma il libro riesce così un po’ monco e unilaterale. Del resto, l’imperiale si è sempre occupato appunto dell’aspetto politico e diplomatico della storia di Genova, e ha in questo campo veramente cospicue benemerenze. Basterebbe ricordare l’opera appassionata e assidua per il ricupero dei « Libri Jurium » che, trasportati a Parigi nel 1808 con altro materiale documentario della Repubblica., si trovano ancora a quell’Archivio del Ministero degli Affari Esteri." Il loro ritorno all’Italia vittoriosa non si farà molto attendere, ma la sorte non è stata benevola col tenace patrizio che non avrà la sodisfazione di veder attuato il suo voto più caro. Egli era riuscito soltanto a ottenere per via diplomatica il permesso di far fotografare i codici ; il nobile interessamento e il generoso mecenatismo del Podestà del tempo, Sen. Broecardi, hanno condotto all’attuazione pratica del progetto, cosicché le fotografie dei nove volumi sono oggi conservate nell’Archivio storico municipale. Si tratta, com’è noto, di un’ampia raccolta di diplomi e di documenti di ogni sorta, fondamentali per la storia della Repubblica, Cominciata nel secolo XIII e continuata in tempi e con criteri diversi sino al XVII, questa raccolta costituisce l’intelaiatura della storia diplomatica non già di una· piccola città chiusa nelle sue mura, assorbita dalle sue lotte interne e coi vicini, ma di una grande repubblica che fa. sentire la sua presenza, in certi momenti con aspetto di potenza dominante, su tutto il Mediterraneo. Più volte, in comunicazioni alla R. Deputazione di Storia Pa tria di Torino e all’istituto Storico Italiano, l’imperiale ha descritto sommariamente il contenuto dei nove codici e richiamato l’attenzione sui documenti loro meno noti o affatto sconosciuti. I più antichi, compresi press’a poco nel primo volume, sono stati pubblicati tra il 1854 e il 57 da Ercole Ricotti su copie esistenti nel-FArchivio di Stato e nella Biblioteca - Universitaria di Genova (Li- 134 VITO VITALE ber Jurium Reipublicae Genuemis) in due poderosi tomi dei « Monumenta Historiae Patriae » della R. Deputazione torinese. Ripubblicare questi documenti in edizione più maneggevole e più •corretta, condotta sull’originale e sulla copia probabilmente eseguita da Jacopo Doria, aggiungendovi tutto quanto di inedito e di sparsamente pubblicato si potesse trovare è stato il proposito lungamente accarezzato al quale l’imperiale ha consacrato la vegeta e laboriosa vecchiaia. Or sono forse dieci anni, avuta. dall’istituto Storico Italiano l’adesione di massima alla pubblicazione di un « Codice diplomatico della Repubblica di Genova », chiese, per attuare il suo piano, la· •collaborazione di alcuni studiosi di storia genovese. Il gruppo si mise alacremente all’opera. Occorreva in un primo tempo raccogliere e schedare tutti i documenti che si potessero trovare, limitando la ricerca alla fine del secolo XIII, per passare poi alla collazione delle diverse edizioni all’intento dì stabilire criticamente, nei casi dubbi, la lezione più esatta o più probabile. Ma non tardarono a sorgere divergenze di principio sui limiti e sui metodi del lavoro tra chi voleva dare la più larga estensione alle indagini e, gettatosi con ardore nell’impresa, fece anche un viaggio all’estero per integrare le ricerche di possibili documenti ignoti, e l’iniziatore che ne temeva un soverchio ritardo all’attuazione pratica dell’iniziativa. Diversi furono anche i pareri sui limiti entro i quali dovessero essere compresi nel Codice i documenti relativi alla Curia Arcivescovile, scelta molto difficile in quanto implicava delicate questioni giuridiche e storiche sull’autorità del vescovo e sul carattere privato o semiprivato di molti documenti. Il dissidio si fece così acuto tra i sostenitori delle due tesi estreme che il gruppo si sciolse e l’imperiale con ardito coraggio, data anche l’età avanzata, si assunse il compito di eseguire da solo il programma vagheggiato. Deve essere ricordato però che uno dei collaboratori aveva già raccolto e schedato tutti i documenti noti sino alla fine del sec. XII — la parte cioè che fu poi pubblicata — indicandone, se del caso, le varie edizioni che avrebbero dovuto essere collazionate per ricavarne il testo definitivo e segnalando il deposito dei pochissimi documenti ancora ignoti. Di queste schede, che gli furono consegnate, l’editore naturalmente si servì. Che non abbia creduto di accennare a questo lavoro preparatorio e al modo onde il materiale della sua raccolta è stato composto e ordinato, è poco male; ma quando, alla line dell’introduzione al Codice [TI Codice diplomatico della Repubblica di Genova, in « Bullettino dell’istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano », n. 50, Roma., 1935-XIII) affermava d’essersi accinto all’impresa troppo fidando nelle proprie forze e nella collaborazione altrui, il naturale rincrescimento e una l’opera storiografica di cesare imperiale 135 spiegabile amarezza lo facevano ingiusto. Sia lecito rendere omaggio alla bontà delle intenzioni e al fervore dei propositi di tutti i collaboratori e riconoscere che la continuazione dell’opera comune fu resa impossibile da asperità di caratteri e dalla mancanza di duttilità conciliante nei due maggiori contendenti e sopra tutto da un disagio morale per cui i collaboratori intendevano di aver voce anche dal punto di vista scientifico e di non essere soltanto materiali esecutori di disposizioni jprecostituite e immutabili. La dolorosa conseguenza di tutto questo è che l’ottima iniziativa del Codice è ora interrotta e non si vede da chi e quando possa essere ripresa e condotta a termine. 1 due volumi del Codice diplomatico della Repubblica di Genova (in (( Fonti » del R. Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma, 1936-XIV e 1939-XVIi) contengono tutti i documenti noti sino al 1190. La raccolta, dato il numero sempre più abbondante di documenti attraverso il secolo XIII, in quella cioè che può dirsi l’età eroica della Repubblica, avrebbe dovuto comprendere parecchi volumi: era assurdo pensare che un uomo solo, e
  • il Duca della Fogliada (3) e fece occupare le altezze ed i Oapucini non ostante il gran fuoco del cannone della piazza e di due fregate Inglesi da 28 et 30 pezzi di cannone e 100 li uomini per ciascheduna che si ritrovavano nel Porto venendo impediti i tiri da molte fabbriche et alberi che esistono su· quelle colline. Ordinò il Sig. Marchese di Caraglio (<*) che si munisse il villaggio con 70 liuommi, 30 (Ite’ quali furono provisti dalle fregate sudette, ma per esser troppo deboi presidio alla vastità del villaggio fu la stessa notte attaccato e forzata la guarnigione a ritirarsi con 10 morti e qualche prigioni rientrando gli altri nel Castello. Nella medesima notte cominciarono i Francesi a travagliare intorno a 3 batterie situando la prima di cannoni e mortai a bombe di là dal porto nel posto detto di Grasole (*), la seconda alli Capucini e la terza fra l’una e l’altra di esse. Il Sig. Cav. Comandante quantunque tentasse con frequenti cannonate di devastare le opere de’ nemici, non potè però impedire, benché ne ritardasse, l’effettuazione incontrando gli istessi intoppi di prima. Alli 17 passarono davanti al porto le gallere di Francia con un convoglio per sbarcare il cannone grosso e mortai alla Torre di......., il che osservatosi dal Comandante delle fregate Inglesi, volle egli uscire dal Porto e ritirarsi contro tutte le istanze del Sig. Marchese di Caraglio e privare la piazza d’ogni AÌUtO. Nella notte delli 24 i Francesi tentarono d’attaccare il petardo alla porta della Torretta, ma dalla piazza ne usci una cannonata a cartoccio che uccise l’uffiziale dell’artiglieria con quelli che più si erano avvicinati, allenta-nandosi li altri. Nella sera delli 26 il Sig. Cav. Comandante della piazza vedendo quasi perfezionate le batterie e perciò vicino l’attacco, stimò necessario provvedere abond antemente la Torretta di vettovaglie e munitione da guerra, essendo quella 1 antemurale del Bastione più debole e che doveva tenerne lontari li aprocci e vi spedì una picola barca solita a fare simil traghetto con un luo- (3) Luigi d'A ii bussoli, duca de la Feuillade, aveva ottenuto il comando del-Γesercito d’Italia dopo il suo secondo matrimonio con Teresa ChamilHrt ti-glia dell’onnipotente ministro di Luigi XIV. Detto comando si concluse poi con la clamorosa sconfitta di Torino del 1706. (4) Angelo Carlo Maurizio Isnardi. marchese di Caraglio, dopo la caduta del castello di Nizza fu valoroso comandante generale della Città di Torino durante l'assedio. (5) Questa località è attualmente denominata : Grasseuil. 138 c· Α· DI CORTANZE gotenente aciò animasse que’ soldati ad una valida diffesa con reiterandoli la promessa d’una buona ricompensa. Gionto questi a riva il bombardiere che stava di presidio nella medema Torretta li diede la mano fingendo di volerlo aiutare, ma apena introdotto secondo il solito per una canoniera fu egli preso da’ nemici che n’erano padroni per tradimento de’ medemi cbe la dovevano diffendere, salvatosi solo uno de’ tre marinari a nuoto, cbe riferì l’accidente. I Francesi col favore della notte stesero subito una linea di botti raddoppiate dalla riva del mare sino al villaggio a 30 passi dalla Torre. Alli 27 a buon liora osservando il Comandante di non p.uoter distrugger col cannone l’accennata linea che non poteva scoprirsi cbe dalla metà della ........ del Baulardo Basfort, pensò al ripiego d’inceneri'rla con fuochi artificiali giachè molto poteva contribuire all’intento il vento fresco cbe in quella giornata soffiava da poneute. A tal fine donque mandò alla linea due bombardieri et un soldato e nel punto che da essi eseguivasi l’ordine, faceva egli cannonare il villaggio e la Torretta aciò puotessero perfezionare l’opera come fecero in puoco tempo senza ricever disturbo da qualche sortita. Il cannone contro la Torre giuocò con tanta facilità che ne dislogiò il nemico, ma prima di lasciarla cooperò anch'esso alla totale caduta. Osservatesi fra’ tanto dalli assediati le grandi provisioni che facevano i Francesi nel villaggio cioè di fascine, botti, gabioni e d’altro, compresero essi dover esser ivi battuti in fac-ia, onde s’aplicarono a coprirsi con traverse et a fare una tagliata al Bastione del Basfort, scopertosi esser quello il disegno dell’attacco, ma non fu ì>ossibile riparare il danno fatto dal cannone istesso della piazza i>ei la &ran frequenza de* tiri, poiché apertesi le cannoniere non tanto da lati (pianto ne* letti e rovinati pur anche i parapetti, rimasero i pezzi totalmente scoperti, mancavano tutti i mezzi al rimedio mentre trovandosi i parapetti di pietra non potevansi piantar pali per collocarvi le fascine, il terrapieno angusto non permetteva l’uso delle botti che liaverebbero occupato il necessa rio sito del cannone e i>er mancanza di terra non potevano farsi tsca'vazxoni per adattarlo. Per suplire ad ogni necessità fu previsto l’unico mezzo delle zolle, ma come gli altri non fu proveduto non trovandosene dietro le mura. Li 2i> dal Sig. Marchese di Caraglio furono spinti nella piazza 10 huomini con un Capitano, un Luogotenente et un Alfiere d’ira Reggimento Svizzero detto della Regina, con che si rinforzarono i posti ma debolmente per la scarsezza dei presidio che apena era di 200 huomini di servizio colli gionti di soccorso. _ . Alli 30 ad hore i> cominciarono a giuocare le batterie de’ Francesi, si di cannoni che rie' mortai a bombe et a pietre. Se lì rispose immediatamente dalla piazza con incessanti tiri et abenchè fosse convogliato un pezzo da 30 cbe ferì un sergente con alcuni bombardieri, non si impedì però il proseguimento de-gli altri sin a notte. I>* batterie nemiche che di continuo tiravano accesero il fuoco in più luoghi e massime alle caserme attigue ad un magazzino della polvere, che con gran pena delli assediati fu proveduto all’incendio. Fu la notte impiegata la guarnigione al travaglio per disimpegnare il cannone dalle ruine, ri- LA DIPESA E LA CAPITOLAZIONE DI VILLAFRANCA 139 mettere alcuni pezzi smontati _e sbarazzare le porte de' magazzini otturate dalle tramezze e muraglie battute. A tutto si provvide operando sotto la continua molestia delle bombe e convenne pur anche sminuire notabilmente la guardia de’ posti, essendosi riconosciuto mancare 170 soldati tra morti e feriti, oltre 16 bombardieri e 2 caporali del Regg.to di S. Nazar e quasi tutti di pietre scagliate da’ parapetti. Alli 31 li Francesi avendo rifatta l’accennata linea delle botti, l’avanzarono per una specie di strada incassata che dalla riva del mare passa all’orlo della fossa, attaccandola; alla punta del Bastione Basfort con un spalleggiamento di gabbioni ripieni di sacchi di terra i quali fermati alla pai-lizzata chiudettero la fossa alla parte del mare. La batteria de’ Capucini batteva incessantemente in breccia il sudetto bastione, quella di Grassole il rovescio abbattendo la tagliata e le ........ e quella dii mezzo il fianco che lo diffonde in cui esisteva una casamatta con 2 pezzi da ........ uno de' quali fu smontato nel primo giorno, rimessosi però s’indirizzarono i tiri d’ambedue contro ì’accennato spalleggiamento per atterrarlo, ma non essendo questi di forza bastevole e la casamatta incapace dì ricevere cannone più grosso fu inutile il tentativo. A sera di questo giorno si videro i cannoni in buona parte smontati e l’altra sepolta da parapetti di sassi per il che non potevano i diffensori comparire sul terrapieno che non fossero infilati dal fuoco che usciva dalle finestre delle case del villaggio. Nella notte gli assediati assicurarono con travi le porte de’ magazzini ridotte in pessimo stato e rimesso qualche pezzo d’artiglieria sgombrarono vari passaggi per accorrere alle necessità. Si caricarono nell’istesso tempo molti feriti sopra batelli ivi spediti da Nizza dal Sig. Marchese di Caraglio per esser colà trasportati, quando si sentì che i nemici havevano attaccato il minatore al Basfort onde dato di mano alle granate et a fuochi artificiali ne fu in breve tempo sloggiato. In questi istessi momenti i Francesi levarono la comunicatione che ancor tenevano lì assediati per terra con Montalbano, havendo spedito il Regg.to di ....... ad impossessarsi del Daza retto e con schifi di gallerà armati custodivano la bocca del porto, con che non fu più possibile al Comandante dar avisi nè ricevere ordini dal S-ig. Marchese di Caraglio. Al primo aprile (6) tolta l’accennata comunicazione ritornò di giorno il minatore e copertosi con tavole, già stava smantellando la muraglia sotto il medemo bastione sostenuto dal gran fuoco d’artiglieria e bombe e sassi. Gettate però a terra le....... e quanto teneva: ingombrata la ......... delli due cannoni della casamatta oposta, con barili di polvere, fuochi artificiali e granate, fu di nuovo scacciato. Questa azione riuscita con tanta felicità inasprì talmente li Francesi che tirarono incessantemente contro la casamatta che era 1 ultima difesa che ancor rimaneva a difensori. Furono in breve tempo smontati li cannoni, quasi affatto abbattuto il ......... e scacciato il capitano (6) Il Durante nella sua opera citata (vol. II, pag. 556) scrive: «Cette forteresse (Villafranca), écrasée par les bombes, capitula le 10 mars ». Dal manoscritto si desume invece che la capitolazione avvenne il 1° aprile od Π giorno seguente. 140 C. A. ROERO DI CORTANZE d'artiglieria per rimmìnente caduta della casamatta, riferì al Comandante che un magazzeno della polvere e delli fuochi artificiali restava totalmente scoperto protestandone necessaria la pronta evacuazione. Tra tanto ritornato il minatore ad attaccarsi al medemo bastione,' si consultava il modo di sostenere ancor la piazza, senza che vi fosse pur uno che ...... intorno alla resa benché da tutti si conoscesse più che matura per l'impossibilità di riscacciare il minatore che violentava Fultima difesa. Nel mentre che si face\ a la dispositione del travaglio per riassettare alla meglio che fosse possibile il tiin-cieramento del Bastione, la porta del soccorso e che anche si pensa\ a di vuo tare il magazzeno della polvere e de’ fuochi artificiali, avisò il capitano della guardia al Bastione dell'attacco che udiva gagliardi scuotimenti di pietre sotto di lui. Vi accorse subito il Comandante col Maggiore e 1 Ingegnere per esser meglio certificato non tanto della notitia che della qualità del lavoro, ma dopo pochi passi fu avvisato che il nemico voleva parlamentare seco. A tal avviso portatosi il maggiore sul terrapieno, se li affacciò un uiBz^ale Francese che disse voler conferire col Comandante per parte d.el Sig. Duca della Fogliada, qual li fece rispondere che andasse alla porta del ^occorso che rhaverebbe ascoltato. Al luogo divisato disse l’uffiziale al Comandante che il suo generale li faceva intendere che era attaccato il minatore, che sape\ a il stato miserabile in cui si trovava la piazza, che non poteva sperare alcun soccorso e che li offeriva una buona capitolazione, la quale non li haverebbe più accordati se si aspettasse che fosse caricata la mina. Il Comandante ri spose alFuffiziale poche parole, che la piazza non era nello stato che credeva il suo generale e che non potendo egli far cosa alcuna senza il parere degli altri uffiziali, aspettasse sin a tanto che li havesse radunati, che poi li haverebbe data risposta. Il Comandante che aveva inteso dall Ingegnere che il minatore era vicino a incontrare la mina vecchia e che quando 1 a\ esse tro vata avrebbe compita l'opera, non rimanendoli che più intraprendere, chiamò i capitani e gli uffiziali d'artiglieria a consilio, sentì il detaglio dello stato della piazza, riflettette alle restanti forze, an’impossibilità del soccorso e sopra ogni altro accidente è poscia col parere delli ragunati uffiziali conchiudet te che era buon servizio del suo Sovrano l'arrendersi quando gli fosse per messo d’entrare in Nizza con tutta la guarnigione. Per 1 appro\ azione di qut sto tanto decoroso et altri articoli, fu spedito il Maggiore al Sig. Duca della Fogliada ed intanto che se ne attendeva le risposte, il medemo Comandante proruppe alatamente in simili sensi : Che il mondo potrebbe far gran caso che egli sia stato obbligato ad arrendersi in sì poco tempo, si consolava però considerando' alla forza e violenza con cui era stato attaccato, alla debolezza della guarnigione ridotta a 70 huomini da servizio, ai difetti della piazza, alle batterie di 18 pezzi da 40 che tirarono in faccia e per fianco 3500 colpi senza aver avuto gran pena ad abbattere i parapetti e le difese fatte di fresco, tralasciando la rovina fatta da 800 bombe e da tre mortai la pietre che tempestavano dal villaggio. Ch’egli avrebbe potuto sostenere la piazza ancor qualche hora. ma che non poteva servire ad altro che a rimanere prigioniero di guerra e privare la piazza di Nizza d'un soccorso che egli credeva necessario. Che LA a [FESA E LA CAPITOLAZIONE DI VILLAFRANCA 141 giudicava bene di anteporre il servizio del suo Sovrano a tutta la gloria che avesse potuto ricavare da una più lunga difesa e correre più tosto i rischi in un altro assedio che vivere pacificamente nell’ozio d’una prigione poiché tutti i suoi sforzi conosceva inutili. Che non poteva sperar soccorso nè per mare nè per terra. Che sapeva che S. A. R. gettava soldati nel Castello di Nizza con molto rischio e spesa. Che quella piazza ne mancava, massime deT bombardieri e che n’era indubitato l’attacco e così stimava di somma importanza Γintrodurvi questa guarnigione che avrebbe perduto infallibilmente come le altre sin ora se ci si fosse ostinato qualche momento di più nella difesa d’una piazza della quale era più che certa la caduta. Ritornato il maggiore dal campo del Sig. Duca della Fogliada, riferì che egli era pronto ad accordare tutto fuorché l’entrata in Nizza, al che haven-doli risposto che senza tal condizione non si sarebbe capitolato, e licentia-tosi, fu richiamato dallo stesso Duca che li propose l'entrata nel Castello di Nizza. Il maggiore gli replicò di non aver facoltà di mutar niente intorno a tal articolo, che ne haverebbe parlato e poi partecipato quanto si fosse risoluto. Si radunarono di nuovo li accennati uffiziali et accettarono la proposizione di entrar nel Castello con tutta la guarnigione, con che si accordò anche ogn’altro articolo ed uscirono dalla piazza di Villafranca dopo 24 hore con i soliti honori et colla particolar gloria di poterai nuovamente impiegare alla difesa del sudetto Castello di Nizza. La difesa del castello di Nizza, alla quale portarono il loro contributo le truppe che erano state costrette ad evacuare Yillafranea, durò sino al 6 gennaio dell’anno 1706 che, con la vittoria di Torino, fu Tanno della rivincita. A questa lunga difesa intessuta di ignorati eroismi e che doveva concludersi aucli’essa con una capitolazione con l’onore delle armi, contribuirono anche gli abitanti di Nizza che volontariamente si erano chiusi nel castello per rinforzare la guarnigione. Possa la storia di questa eroica difesa essere rievocata da uno storico di questa nostra Italia che seppe vittoriosamente resistere all’assedio di cinquantadue stati, monito per tutti che la nostra gente ha sempre la sua gloriosa rivincita. Carlo Alberto Roero di Cortaxze COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA Subito dopo Γarmistizio con la Francia, il i) luglio p. p. la I*· Deputazione si è affrettata a richiamare l’attenzione del Ministero dell’Educazione Nazionale sull’opportunità di ottenere il ritorno in patria del prezioso materiale storico trasportato in Francia nel 1808 e non più restituito. È noto che nel-1*Archivio del Ministero degli Affari Esteri a Parigi esistono parecchi codici. il catalogo della biblioteca di quell’Archivio ne enumera 57 ma si ha motivo di credere che siano molti di più perchè venticinque sono state le casse asportate. Basta ricordare che tra quel materiale sono comprese la copia integra e degli Annali genovesi, le cronache degli Stella, i nove volumi dei LibH Jurium, una copia del codice dei privilegi dìi Colombo, per intendere 1 importanza dell’attesa restituzione all’Italia vittoriosa. La Deputazione non ha mancato di ricordare il codice originale degli Annali di Caffaro conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi e la copia, a neh’essa di grandissimo pregio, finita al Museo Britannico di Londra. In data 18 luglio il Ministero dell’Educazione Nazionale ha richiesto a tutti gli istituti storici e artistici la segnalazione dei manoscritti e di ogni altro materiale da rivendicare: e la Deputazione, orgogliosa di aver prevenuto l’iniziativa ministeriale, ha rinnovato gli elenchi e le notizie ffià trasmesse. Si tratta del più geloso patrimonio storico nazionale ; e, nel campo della cultura, della più legittima e naturale rinvendicazione. * * * Sono in distribuzione il III fascicolo del volume IV degli Atti (LX\ III dell’intera raccolta) Liguria Antica di Ernesto Curotto e il IV volume della serie del Risorgimento: La vita economica, e lo spìrito pubblico a Genova dal al 18J/8 a cura di Enrico Guglielmino. * * * La Deputazione ha avuto negli ultimi mesi perdite particolarmente dolorose : il marchese Cesare Imperiale di Sant’Angelo, già Presidente della Società Ligure di Storia Patria, il prof. Santo Filippo Bignone bibliotecario della Civica beriana, per lunghi anni membro del consiglio direttivo, il prof. Celso Mario Ascari segretario della commissione toponomastica, mons. Davide Sanguineti. Alla loro memoria va il compianto e il reverente omaggio del Consiglio direttivo e di tutti i soci. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Itala Cremona Cozzoj.ino, Maria Mazzini ed il suo carteggio, con 79 lettere di Giuseppe Mazzini. Seconda edizione « La Nuova Italia », Firenze. - L. 25. È dal febbraio 1939 che è scomparsa una donna, la quale al culto (ì\ Giuseppe Mazzini fu costantemente devota; essa aveva ereditato e 1’a.ffetto dei Cremona ed il culto dei Ferrari. Aveva espresso l’ammirazione per gli ideali anche suoi, e Pardore proprio nello studio di ciò che più Pinnamorava, in particolare nel libro dedicato alla madre del maestro. Di questo si pubblica ora una seconda edizione. È un libro in cui la materia è tanta che si corre il rischio di soffermarsi più a lungo di ciò che sia concesso per una recensione. Ci si ferma nella stessa prefazione a ciò che osserva la scrittrice : che « ben a ragione Alessandro Luzio deplora la· sommersione di queste lettere nel mare magnum dell’edizione nazionale, e che tutta questa corrispondenza non sia stata pubblicata in corpo unico, come preludio a tutto l’immenso epistolario ». Per dire il vero, il pensiero e la gratitudine dello studioso vanno proprio più naturalmente, e quindi dapprima, a quel mare magnum che è già adesso e che tanto più diventerà quando sarà intiero, una delle fonti più complete della storia del Risorgimento italiano, e, quel che ancor più conta, una. delle espressioni dello spirito nobilissimo che il Risorgimento, per chi può e sa accostarsi più puramente ad esso, esprime. Ma ben si comprende anche Posservazione del Luzio, richiamata dalla Cremona Cozzolino. È troppo naturale che ci si auguri vengano pubblicate tutte riunite e in volumi a sè le lettere del Mazzini alla, madre ; costituiranno un’opera che non dovrà mancar di note, ma in cui si sentirà più raccolto lo spirito li devozione e d’affetto del figlio e verso la madre e verso quegli stessi ideali che da tale affetto e da tal devozione erano fortificati. Anche ciò non potrà a meno di farsi, come da quel mare magnum si traggono già, e si trarranno, pagine fra loro collegate pei* illustrare atteggiamenti di pensiero e d’azione di fronte a particolari avvenimenti od a particolari problemi filosofici, storici, politici e sociali. Nelle CIX pagine di testo balena un entusiasmo sincero e naturale, risultato dell’ammirazione per due grandezze, quella della madre e quella del figlio, non uguali ma necessariamente fase fra loro. Così per la Cremona Cozzolino « Maria Mazzini.... ha impersonato la donna italiana per quasi mezzo secolo, ergendola ad altezze di eroismo, di abnegazione, di attività patriottica., così da non poterla 144 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA paragonare ad altre Madri pur eroiche e pur tanto degne d’onore e di memoria, essendo essa stata sublime ». Forse è un po’ troppo arrischiata qualche espressione che 1 autrice adopera riguardo alla condotta od alla dottrina politica del Mazzini, poiché ne può comprendere il senso esatto solo chi tale dottrina e la figurai del Mazzini conosca già. Così, si dice che il Mazzini «ηοη tralasciò occasione di dichiararsi pronto a sommergere il suo principio dinanzi alla volontà sovrana del popolo, pur che sorgesse un Uomo che volesse l’unità di tutta l’Italia, senza aiuto straniero»; il Mazzini, invero, non sommergeva· nè avrebbe potuto sommergere nulla, se non annullandosi : egli non poteva che cani minare verso la meta che riteneva fatale. L’autrice s’indugia a notare ciò che una donna tratta più facilmente e spontaneamente, e più sa considerare e valutare : cioè, tutte quelle piccole circostanze, ma di significato sublime, che costituiscono il mondo e la vita famigliare. Soltanto, qualche immagine di troppo cruda e concreta espressione vorremmo fosse stata attenuata . quella, ad esempio, in cui a proposito del mondo nel quale è cresciuto ij Mazzini fanciullo (poiché necessariamente opera materna di Maria Mazzini e giovinezza di Giuseppe si confondono), si dice: « In mezzo a quel cenacolo di patriotti fra cui era il Padre fatto poi tepido e ragionatore, piegante a bigottismo, nessuno pensò che un cervello di eccezionale plasticità era lì in mezzo a loro, ad accogliere tutte le impronte, ad immagazzina,re come su di una pellicola· sensibilizzata fasti e speranze, ire e deprecazioni, da cui s ergeva solenne una parola : Italia ». Una osservazione giusta, vien fatta riguardo alla fonte potente ed inesauribile di energia di Maria Mazzini : nella profezia straordinaria del cugino colonnello Patroni fatta quando Giuseppe era ancora bambino di sette anni, a essa sentì la voce di Dio che le annunciava il destino del figlio e da quel giorno si radicò in lei la convinzione che egli fosse un eletto del Signore ». Si resta talvolta un po’ in dubbio innanzi a considerazioni che si presentano frutto naturale di gentilezza d’animo femminile, interprete d’un animo materno, perchè ci si domanda se non sia andata la immaginazione troppo oltre : così quando a proposito della speranza nata nella madre che il figlio potesse cambiar carriera e passare dalla medicina all’avvocatura, si parla della madre conoscitrice del marito « incomprensore » (che orrenda parola da associarsi alle altre sue affini venute eccessivamente in uso in questi nostri tempi!), del figlio, e « della bontà innata del suo Pippo, che si sarebbe sacrificato per non dargli dolore », e poi si pensa ad una (( lotta » fra padre e madre che sarebbe stata decisa eoi « compromesso » di una prova da far sostenere dal figlio con Passistenza ad una sezione cadaverica. Con questo non vogliamo però dire che RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 14.5 non abbia ragione la Cremona Cozzolino di non rifiutare ciò che ha. scritto nelle sue Memorie Emilia Ashurts, che proprio dopo avere assistito ad una sezione cadaverica il giovine Giuseppe abbia abbandonato gli studi di medicina. Non v’è da meravigliarsi davvero che uno studente di questa facoltà, figlio del titolare della cattedra di anatomia abbia assistito a tale operazione anche se l’anatomia non era in quell’anno per lui obbligatoria. Necessariamente era condotta l’autrice a richiamare sistemi del tempo fin dalle pagine in cui ritrae la figura di Maria Mazzini ; e quindi anche quelli riguardanti l’educazione delle fanciulle della borghesia, costrette, se volevano un po’ emergere fra. la folla comune, a procacciarsi da sole una coltura, poiché ben poco ne davano i conventi presso cui venivano allevate ; piuttosto tali luoghi, ai quali affidavano come allievi figli propri anche carbonari e massoni, conducevano non pochi alla vita ecclesiastica o monacale. La Cremona Cozzolino afferma, e non a torto, che la coltura di Maria Mazzini doveva essere tutt’altro che superficiale, e ne è per lei prova il modo stesso con cui le scrivono i suoi due consiglieri, il Patroni ed il Bre-ganze. Per provare poi l’intelligenza della Mazzini basterebbe, per noi, quel paisso della sua lettera· del 13 luglio 1839 al figlio, nella quale risuona una decisa e cosciente affermazione della propria personalità, che non può essere se non di chi accoppia a belle doti d’animo quelle forti di intelletto abituato a profondi sguardi intimi : « Non è vera la tua osservazione che io trovi sempre bella ogni tua produzione pel solo amore che a te porto. No : distinguo ed anzi pondero imparzialissima ogni cosa tua, e appunto dopo ciò trovo la pura· verità del mio giudizio e di quanto n’esprimo.... Sfido a poter dire al bello brutto e viceversa. Io son convinta che non solo i miei giudizi siano imparziali ma pur anche siano giusti a preferenza, dacché la vera essenza di tutto te stesso non è dato che a me di conoscerla profondamente e quindi di giudicarti in pari modo distinguendo l’intelletto e la sublimità dell’anima tua, rispettivamente come doni singolari di cui il cielo ti fece adorno e di cui la madre tua esulta con tenerezza e riconoscenza». E perchè essa fu donna d’ingegno e di coltura comprese il figlio e l’altezza· delle sue idee, e svolse l’azione di affettuosa protezione, propria, invero, di ogni madre, con la finezza e la costanza necessarie per l’utilità del figlio e per non offendere la suscettibilità del marito, il quale fu di prìncipi liberali, e colto, ma ormai era, quando il figlio iniziò le sue burrascose vicende, d’una età per cui si era formato una concezione del mondo e degli uomini tale da indurlo sì ad ammirare la forza d’ingegno e la nobiltà d’animo del figlio, ma anche a considerare questo, ingiustamente, troppo staccato dalla realtà. Ma qual fosse l’animo suo, e come il figlio dovesse di lui andar 14 6 RASSEGNA B1 ELIOGRAFICA superbo, lo dimostrò durante il colera del 1835 ; e Maria Mazzini con ben giustificato orgoglio scriveva al figlio : « Lo zio (basterà appena ricordare che la madre si esprime come scrivesse invece che al tìglio ad una nipote Emilia), sta bene ed ha coraggio da gigante— ; è impossibile descrivere il suo coraggio e zelo per cui tutta la città lo ammira con vero senso di stima e venerazione. I poveri — ne ha gran quantità — lo benedicono piangendo di tenerezza. Egli sta bene, e anche benissimo di morale perchè soddisfatto del proprio senso virtuoso che il fa così agire. Egli è Punico che agisca, gli altri tutti son fuggiti. Vergogna! ». Oh, che contrasto tra tanta sublimità e la pavida sentenza cortigiana e poliziesca del marchese di Villa-marina, il quale non fece dare di più d’una medaglia d’argento con l’effige di Carlo Alberto all’eroico dottore, perchè bisognava « ricordare che il Prof. Mazzini era padre di Giuseppe Mazzini ! ». Qualche episodio richiamato nel libro, perchè si ricollega a ricordi personali dell’autrice o di suoi cari, lia tutto il sapore, per chi legge, di notizia di sicura famigliarità e dà la soddisfazione di ciò che s’impara quasi per confidenza. Dice la scrittrice a. proposito della repressione Albertina del ’33 : « Ricordava mia Madre che in una mattina del giugno la Mamma sua aveva fatto inginocchiare lei e il fratellino Nicola a recitare il De Profundis : in quel momento sulla piazza della Cava fucilavano Gavotti, Miglio e Biglia, compromessi nella congiura ». I brani delle lettere della madre al figlio lontano nei momenti della trepidazione, e col ricordo delle ansie dolorose, richiamati dalla Cremona Cozzolino hanno il suono d’angoscia e di quasi disperato affanno che l’animo umano sa. comprendere, se il destino ha voluto che egli piegasse qualche momento affranto su se stesso per peso che non può sopportare. « Tutto, tutto compresi e teco dividea nella concentrazione del mio silenzio di morte l’immensità dei tuoi mali ». Eppure di una tal donna un giovane che dovrebbe averla pur conosciuta, che pur allora era ancor devoto al figlio di lei, il novembre del 1835, diede un giudizio spietato e deciso, tanto da concludere: «Comment diable d’un si detestable moule a pu sortir quelque chose de si parfait? Je n’y comprends rien ». Forse, però, chi lia presente come Giovanni Ruffini parli in generale tanto poco devotamente del proprio padre,' non si meraviglierà che di un cruccio così ingigantito della propria madre, per la quale doverosamente sentiva tanto affetto, abbia voluto trovare la causa inescusabile nell’egoismo di Maria Mazzini. Il vero è che questa era di sicura alterezza, a cui la manteneva la severa indole sua e lo stesso geloso intransigente amore pel figlio. Era forza sincera e vergine rozza e amabile solo dui forti, come la terra a cui la gente sua era stata legata. Eleonora Ruffini, più fine, poteva attrarre l’animo sensibilissimo di Giuseppe Mazzini, il quale verso quella madre si sentì RASSEGNA BiBLIOGRAFICA 147 sempre inesorabilmente e dolorosamente obbligato ; per Maria Mazzini tale inappagabile debito non esisteva, nè suo, s’intende, nè del figliolo, per lei solo ornato di meriti superiori. In Maria Mazzini è una fonte irresistibile di disprezzo d’ogni ingiusta prepotenza umana, così che le frasi con cui lo esprime sembrano sibili di staffile : « Quando Dio avrà fissata l’epoca in cui dovremo abbracciarci (ed ho fede l’abbia decretata) i mezzi di facilitarla li susciterà esso, poiché se la ride d’ogni volere ed altrui potere ». E quasi in armonia con la coscienza dell’impenetrabilità dei decreti divini, è un chiudere in sè i moti dell’animo : « Nella mia indole sta che nelle mie forti passioni ed analoghe sensazioni io taccia e mi viva concentrata in esse.... ». Questa potenza intima e la freschezza d’animo con cui è cresciuta, la fanno, lei vecchia, di sentimenti più spontanei e liberi ed altruistici della famiglia in cui è entrata la figlia sua, mondo di egoistica grettezza e di paura. Ma nella concezione del mondo e dell’umanità, Maria Mazzini, giansenista, è pessimista e severa: «In genere l’uomo è perverso perche più di principi manca di cuore, ed è gran sentenza quella che trenta anni sono udiva da un uomo a sani principi e istrutto : che se l’uomo non temesse il carnefice ed il diavolo sarebbe il più feroce essere che esista sulla terra ». E non cede alle parole del figlio, che qui vogliamo solo riportare: «No: l’uomo è nato al bene, ad immagine di Dio.... hai ricevuto le forze necessarie al bene.... si tratta di svilupparle e dirigerle.... tutto sta a trovare un’organizzazione di società, che non gli dia stimoli al male e gliene dia al bene ». La convinzione della perversità degli uomini e l’amore immenso pel figlio moltiplicano le ansie ed i timori suoi : « Altro non temo in te che il gran coraggio ed il poco conto che fai di te individualmente » ; ricordano a noi queste parole, più umili sì ma reali, quelle che il poeta fa dire da Andromaca ad Ettore : « Il tuo valore ti perderà ». Apprensione viva tormentosa continua, che pure, quasi contraddicendosi, non impediva l’azione di diligente e laboriosa collaboratrice nel tener legate al figlio lo stuolo delle ammiratrici elette ed intelligenti, perchè egli era per la madre il vicinissimo a Dio. Donna di finissima intuizione per la luce che è prodotta, dallo stesso amore, ella presente il pericolo, ed il figlio, che ciò ben comprende, è verso di lei devotamente ed affettuosamente ubbidiente, anche se, 'come nel ma.ggio del ’48, brucia dal desiderio di riveder i cari suoi, a lui più vicini perchè dopo anni d’angosciosa nostalgia si trova a Milano, cioè in un luogo della sua Italia·. L’animo umano è troppo suscettibile di moti e perturbazioni, o violente o profonde, od improvvise o da troppo tempo preparate e quindi incancellabili, perchè ad esso non sovrasti incessantemente il pericolo della parziale distruzione di ciò che in lui è fonte indi- 148 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA «pensabile di vita ; è esposto ad un rodio troppo funesto, che pur deve essere frenato. E nessun individuo può da solo resistere ed evitare l’annichilimento di se, se non giungono a fortificarlo e a risanarne le parti più profondamente intaccate soffi d’affetto che lo elevino. Le vicende di ciascuno fanno sì che tali conforti abbiano a circondare F animo della persona cara con più o meno efficacia, conformemente al grado con cui essa è compresa e sa comprendere; e se si tratta della madre che interpreti ciò che da essa deriva, che essa ha creato, è allora il maggior calore che vien dato,’ che più guarisce e solleva, e che più rinnova e centuplica le forze. Perciò, per quanto ne comprendiamo tutto P accoramento, hanno per noi suono naturale le parole del Mazzini a Napoleone Ferrari dopo la morte della madre: « Mia madre era il vincolo che legava l’Italia alla mia-vita individuale ». La prefazione del libro giunge, come s’è detto, a pagina CIX, e poi seguono per 350 pagine lettere di Giuseppe Mazzini alla madre, di congiunti e di ammiratori e di ammiratrici sue o del figlio a Maria Mazzini, e di Maria stessa ad esse. Documenti tutti che valgono molto per comprendere attività pensiero e stato d’animo di Giuseppe Mazzini, particolarmente negli anni 1851-52. Le lettere avevano bisogno di note intelligenti, e che sufficientemente dessero notizie sui personaggi e sugli avvenimenti in esse richiamati, e di tali note furono arricchite. Costantino Panigada Vittorio Viale - 2* Mostm d’arte a Palazzo Carignano, Gotico e Rinascimento, Catalogo. A cura della Città di Torino, in 8°, pp~ 294, tav. 382. Vittorio Viale, dopo aver raccolta e ordinata la Mostra del Gotico e del Rinascimento in Piemonte, conchiade Topera sua con un ricco ed eruditissimo catalogo, che è la migliore testimonianza durevole di un avvenimento assolutamente memorabile. E che per i continui rapporti artistici fra la Liguria e il Piemonte, massime appunto nel periodo considerato, è di grande interesse anche per noi. Abbiamo apprezzato della mostra, in ripetute visite, tanto il materiale quanto la presentazione eccezionale. Sentimmo gridare alla teatralità : ma non si può negare che, almeno per certe opere, Pam-bientazione adeguata sia un vero completamento estetico. Il pulpito dell’abbazia di Staffarda, per esempio, opera singolarissima di intaglio e di architettura, con la scala di accesso a spirale, non ridotta al minimo come accessorio sopportato, ma svolta, generosa·-mente, col suo parapetto rigorosamente geometrico, poteva cessare j>er un momento di essere un oggetto da museo e ritrovare il suo respiro soltanto in una grande navata di chiesa, come quella che fu ricostruita con accento di verità. In nessun luogo meglio che alle sue RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 149 finestre potevano trasparire le vetrate del Duomo di Aosta che vi furono collocate. Ed un’abside occorreva, per dare intonazione al coro della chiesa di S. Gerolamo a Biella, esposto tutto intexo, coi banchi e gli stalli, e i dossali dipinti da. Defendente Deferrari nel 1523. Le Storie dei SS. Crispino e Crispiniano, pure di Defendente, quasi invisibili nel Duomo di Torino, qui furono esposte con tutta la, loro boiserie come al loro posto ; ma col vantaggio della vicinanza e della luce giusta. Insomma, quell’arte di esporre che gli italiani posseggono ormai da maestri, qui trovò un’applicazione che è da considerare moderna nonostante il suo formale antimodernismo. Di volo ricordiamo la mostra dell’oreficeria, esposta in perfette condizioni di visibilità. Ricordiamo le cassette reliquiario in argento, a rilievi e smalti, con l’incanto magico dell’oreficeria medievale, come le tre del Duomo di Vercelli, e quella della parrocchiale di Villanova Baltea; la croce reliquiario di S. Stefano Bebo, il riccio di pastorale in avorio del santuario di Oropa, in mezzo a, un rutilante tesoro di suppellettile varia. Ma specialmente ci piace fermarci sulla pittura, più legata ad una storia comune, ligure-piemontese. E vi incontriamo dei quasi concittadini. A cominciare dal grande Barnaba da Modena, Givis Januej abitante a Genova per più di trent’anni ; ascritto dunque fra-piemontesi un po’ abusivamente. Ma cinque tavole di Barnaba, quante non ne vedemmo mai riunite insieme, ci fanno approvare l’usurpazione. Ecco manifesta ancora una volta la monotonia di Barnaba ; ma insieme amebe l’ampiezza delle sfumature, delle « variazioni » di cui essa è capace; ed. una solenne grandezza nell’impostare un’ima-gine sacra, con sensibilità pittorica che non inganna. Nella tavola della parrocchiale di S. Matteo a Tortona, l’armonizzazione di un rosa nell’abito del Bambino, con l’azzurro venato d’oro nel manto della Madonna, ha una freschezza di primavera. Ecco, rappresentato da un’opera sola ma esemplare (anche se non è da escludere la collaborazione di aiuti) la Madonna col Bambino e va/rii Santi della Galleria Malaspina di Pavia, Vincenzo Fop-pa. Anche il Foppa abitò lungamente a Genova, e certamente lavorò molto, per quanto fosse continuamente perseguitato per interruzione di opere e inadempienza ai contratti. Nel 1461 si impegnò ad affrescare la cappella di S. Giovanni Battista, nel Duomo, e incassò anche una caparra ; ma dieci anni dopo rinnovava il contratto senza aver dato, nel frattempo, neppure una pennellata. Almeno a quanto pare. Nel 1485 lasciò a metà una tavola per S. Maria di Castello. Nel 1489 subì una specie di sequestro di persona, secondo le leggi del tempo. Anche la bellissima ancona per il Duomo di Savona, da lui, o da altri col suo nome, datata al 1490, fu lasciata incompiuta, ed ultimata da Ludovico Brea. Una tavola dipinse per S. Domenico, un’altra pei- la Certosa di Rivarolo. Ma nonostante i litigi, 150 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA la sua grandezza fu riconosciuta, e per merito intrinseco. Egli arrivò a· Genova oscurissimo. Il primo incarico, nel 1461, gli è dato a condizioni addirittura umilianti. Il compenso è lasciato all’arbitrio dei clienti ; e questi si riservano il diritto di licenziare senz’altro il pittore qualora si imbattano in un altro migliore di lui prima che egli abbia cominciato a lavorare. Ma non passeranno molti anni, e le sue pitture saranno la prova del valore ; e molti pittori dovranno impegnarsi, per contratto notarile, a non sottostare a tale o tal aJtro dei suoi dipinti. Purtroppo, a Genova non rimane più niente di lui; e in tutta la Liguria soltanto l’ancona, savonese, ora· nella Pinacoteca. Ma rimane viva la sua presenza, la sua forza di pittore e dii maestro, almeno l’ombra della sua austerità formale, della sua monocromia argentea così ricca di toni, in quasi tutti i pittori del suo tempo; e studiare finalmente di proposito le sue tracce in Liguria è compito da. assolvere, anche se non promette diletti estetici di grande classe. Altri pittori, anche non primarii, quasi quasi domestici per noi incontriamo nel catalogo della Mostra di Torino. Giovanni Cana-vesio, che firmava PresìMer Johannes C anapesti de Pinerolio la sua prima opera conosciuta, del 1482, che è appunto in Liguria, a S. Bernardo di Pigna. Luca Baudo da Novara, che lavorò soprattutto a Genova, dal 1491 al 1509, e di cui fu esposta una tavola dipinta ai Genova. E meraviglia, veramente, di non incontrare un terzo, Giovanni Mazone di Alessandria, che ebbe bottega aperta a Genova per quasi cinquant’anni, dal 1453 al 1501, e fu più volte console del-l’Arte dei pittori. Artista non trascurabile, derivazione anch’esso provinciale del Foppa come in fondo il Baudo. Dopo di che, astraendo dalla coltura regionalistica, ci lasceremo prendere dalla magia dei puri valori pittorici. Questa pittura piemontese dal Quattrocento al Cinquecento ha una seduzione sottile, fatta di franchezza più che di ingenuità. Chi inizia, con una netta personalità, la tradizione piemontese è Gio. Martino Spanzotti, casalese, fortunata» creazione della critica : poiché l’opera sua fu messa insieme pezzo a pezzo, in base a qualche firma, a pochi documenti, a nessi stilistici. Siamo d’accordo con la Brizio nel riconoscere che le sue pitture reputate più tarde sono di imo sconcertante manierismo (vedi il Battesimo del Duomo di Torino, ed anche la replica esistente a Genova, presso il march. Medici del Vascello). Ma le pili arcaiche, nelPimmobilità statuaria delle figure, sono indimenticabili. Il pittore che nei primi decennii del Cinquecento osa impostare un quadro su due toni, come nella Pietà di Castel S. Angelo (un nero nel manto della Vergine, un bianco periato nel corpo di Cristo, su fondo d’oro), o in quella del Santuario di Tavoleto (eguale, ma ardesia anziché nero, e fondo rosso) è un puro artista. E se egli ha potuto trovare l’inspirazione RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 151 a questa scabra gamma nella pittura catalana, ben rappresentata qui, e che evidentemente conosceva, la. sua sensibilità resta egualmente dimostrata. Ed ancor più vicino a noi è il suo grande discepolo, Defendente Ferrari, di Chivasso, pittore di sottile eleganza, di raffinato gusto. Si è foggiato un suo tipo di Madonna, figura interminabile, con testa piccola, ovale appuntito nel mento; tutta avvolta in un manto, generalmente azzurro, che la incappuccia. Anch’egli usa abilissima -mente il nero*; e lo rileva con tocchi chiari, lo armonizza con rosa e gialli persi, di sicurezza cromatica rara. E ci sorprende per due grandi qualità. Un istinto coloristico per cui tanti particolari di guardaroba, fiocchetti fibbie cordoni, sono interpretati con puro compiacimento cromatico, si riducono a· una pennellata di colore a corpo, messa per introdurre quel colore nella sinfonia, più che per rappresentare iconograficamente quel fiocchetto o quella fibbia. La precisazione formale si ferma dove graverebbe sull’efficienza cromatica. E poi, una vena di narratore sbalorditiva. Un’arguzia di inventiva non trasmodante mai si unisce ad una. forza espressiva di pennello virtuoso, che sa scegliere i particolari importanti, in riassunti formali pieni di significato, e che compone con un senso di spazialità da. grande artista. Certo, egli è ammirabile soprattutto nelle cose piccole ; e non ci si. sazia di guardare le Storie dei SS. Crispino e Crispiniano del Duomo di Torino, gli schienali del coro di Biella, e quelVAdorazione del Bambino, del sig. Dorma, notturno, al lume di una candela, che è di eccezionale finezza. Ci fanno guardare da svogliati, queste piccole composizioni, i grandi quadri, anche di Defendente, in cui la vena pittorica si estenua dietro miraggi troppo alti. E ci 'fanno apprezzare meno quei pittori per i quali la macchina imponente è una faticosa abitudine, come Macrino d’Alba, pittore pure dotatissimo. Come si vede nel suo presunto Autoritratto, ed anche in un Presepio (se è suoi) che nella realistica impostazione farebbe pensare ad un ottocentesco che avesse visto il Morelli. E ci fanno passare indifferenti, forse soltanto esausti, davanti ai pittori le cui macchine sono considerate, e da un certo punto di vista sono, dei capolavori, quali il Sodoma, e persino Gaudenzio Ferraci. Questa pittura provinciale è più genuina quando rimane nei suoi limiti, nel suo intimo jardin secret. Fra i trofei le ancone e le statue di tutte queste sale, dove furono le testimonianze di tre secoli d’arte, è di lei che vi è rimasto più vivo il ricordo. Lo rinfreschiamo sfogliando le pagine di questo bellissimo catalogo, opera veramente meritoria. E non ci nascondiamo il rimpianto che il Piemonte, se pure ci ha prestato tanti pittori semplicemente valenti, non ce ne abbia mandato alcuno di questi, così semplici, così festosi, così cari. Mario Laro 152 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Ernesto Curotto, Liguria Antica. «Atti della il. Deputaz. di St. Patria per la Liguria », vol. IV (LXVIII), fasq. Ili, 8°, pag. 128, Genova, 1910. Facciamo ammencii con massima sollecitudine di un interrogativo curioso e di una lacuna in cui siamo incorsi nelle ultime « Spigolature e Notizie » in cui ci era sfuggita ìa reale consistenza < lei -l’opera che ora presentiamo ai lettori. Non sospettavamo, quando ce ne giunse la eco, un’opera di vasto respiro: auctius atque eli melius fecero (ci fu fatto di esclamare quand’ebbiino finalmente tra mano il volume del Curotto nel l'austera veste degli Atti e lo esamina mino con avidità appassionata). L’opera dignitosissima ci ha subito conquistato per la* sua chiarezza e concettosità. Essa vuol essere un quadro di tutto il mondo ligure antico: ambiente, etìinos, conquista romana, ordinamento giù ridico ed amministrativo. Alle «Premesse» su cui torneremo brevemente, seguono nove capitoli che svolgono il ricco tema, quasi altrettante rapide monografie. Sulla « Stirpe ligure e la Liguria preromana » il C. adduce le fonti letterarie e discute sommariamente !e ipotesi degli studiosi moderni. Il capitolo III su « La Liguria storica secondo la descrizione degli antichi » può essere addotto come tipico del metodo del C. : una elencazione ordinata di tutti i luoghi menzionati dai classici con un sobrio commento e talora, ma solo in via eccezionale ed in nota, discussioni particolari e personali interpretazioni. (Tra l’altro felice l’integrazione stepìianoì dell’iscrizione greca di Porta Soprana, pag. 34, n. 168, e la rivendicazione della romanità di un luogo ignorato dell’Appennino, Marsaglia in Val Trebbia, pag. 49, n. 41j). Nel successivo capitolo sulle « Caratteristiche fisiche e morali dei liguri antichi » sono riassunte indagini care al C. che ha già trattato il soggetto in una numerosa serie (li articoli su quotidiani e riviste: prudente, aderente alle fonti, fedele, più che ai modernissimi inventori di notizie sensazionali ad ogni costo, ai pacati ricercatori antiquarii del secolo scorso. Véramente utile per la sua chiarezza, come guida attraverso i testi e Livio in particolare, nonché la letteratura recente, è soprattutto il capitolo sulla « conquista romana della Liguria », cui fanno (la complemento le notizie sui « Liguri negli eserciti romani » dopo la sottomissione, dedotte dalla non ricca serie delle iscrizioni. Non più le genti, ma le istituzioni e Vopere di civiltà tratta il capitolo sulla « Fusione e romanizzazione della Liguria » : mu n ici pia ciritates, conciliàbula, fora, viae stratae. Fatti e documenti esteriori, i cardini su cui debbono esser basate le indagini critiche. Ma dove questo metodo rigidamente documentario e antiquario trova la sua applicazione più produttiva è negli ultimi capitoli sull’ordinamento politico ed amministrativo prima di Cesare, da Augusto a RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 153 Diocleziano e sino alla caduta dell’Impero, quando, pei* un curioso capriccio della storia, la provincia che ha nome Liguria non è più la marittima, ma la padana che ha centro a Mediolanum, sede del Yicm'ius Italiae. lì; questa certamente la parte più nuova ed importante, perchè risulta dallo studio diretto e acuto di iscrizioni e di testi classici utilizzati per primo dal C. (Il Lamboglia, nella sua ricostruzione archeologico-topografica, si arresta ad Augusto, toccando solo per incidenza questioni di storia amministrativa posteriori all’ordina mento augusteo della regione). Questo il quadro dell'opera, che invero risponde perfettamente alle premesse del chiarissimo autore; quelle premesse in cui il C. poneva decisamente i limiti della sua indagine, insistendo- sul valore effettivo della tradizione superstite nei testi greci e latini e d’altra parte dimostrandosi meno convinto dell’utilità della ricerca sottile della critica moderna. Ma, a nostro parere, se per l’età romana le fonti letterarie sono base essenziale di indagine, almeno per l’età preromana non vale il criterio che « lo studio dell’antichità non può essere fatto col metodo delle scienze esatte »' (pag. 8). Vero è invece che da tempo della materia.si sono impadronite le scienze naturali, la paletnologia, l’antropologia, la linguistica comparata, che son ben lungi dall’a,ver esaurito i loro compiti, e dal l’aver risolto i problemi, ma stanno ben vive sulla breccia e non è giusto mettere troppo leggermente da parte. Le fonti letterarie qui hanno un valore subordinato. Storia e preistoria hanno per lungo tempo seguito due vie divergenti, e solo in anni molto vicini a noi ingegni rari hanno potuto costruire nuove sintesi in cui le due scienze hanno ritrovato il loro naturale equilibrio. Per questo non vogliamo insistere nell’im-putare al C. minor compiutezza e informazione in un campo ch’egli onestamente dichiara non suo, e nel quale del resto egli non va oltre una sommaria visione, quasi ad introdurre l’opera complessiva, che è sagace lavoro di uno studioso di antichità classiche. Ma è tempo'di chiudere la digressione. Fatte queste riserve ><> prattutto sul capitolo che amiamo chiamare introduttivo, l’opera è indubbiamente utilissima, come repertorio vasto e completo, ma agile e rapido delle nostre conoscenze sulla Liguria antica. Ci dà una sintesi documentaria, quell’opera scritta nec indoctis nec doctis ninvis ch’egli si è espressamente ripromesso e che, in tanto rifiorire di studi sul mondo antico anche tra noi, si era ormai dimostrata indispensabile. Teofilo Ossian De ÌÉegri Virginio M. Colciagò, lì P. Luigi M. Bruzza, in « Eco dei Barnabiti », giugno 1940. Il P. barnabita Luigi Bruzza, genovese, mancava ancora di una monografìa completa ; la lacuna viene oggi colmata da questo stu- 154 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA dio di oltre duecento pagine che compendia notizie sulla vita e salile opere dell’illustre letterato e archeologo. Da Genova, dove compì i primi studi, il P. Bruzza. nel 1832, passò a. Roma, da (love, presa la laurea, si recò quale professore prima a Parma poi a Vercelli dove cominciò, con orazioni, varie opere di storia di archeologia e uno studio sui pittori vercellesi, la sua carriera di letterato e di studioso. Nel 1853 veniva trasferito a. Napoli, quindi a Moncalieri ; nel 1867 era nuovamente a Roma. Qui, con nuovi studi archeologici sulla città eterna e sui dintorni, acquistava fama e tributi di lode anche dai maggiori maestri. Una caduta della quale fu vittima mentre visitava e dirigeva gli scavi della Cripta di S. Ippolito, condusse alla morte quell’infati-cabile uomo che fra lo studio e il lavoro aveva trascorsa la sua vita. Lasciò numerose opere stampate e molte inedite, brani delle quali ultime il Colciago riporta in una abbondante appendice con-lenente quasi esclusivamente lettere del grande archeologo, dalle quali risulta maggiormente la sua attività non ancora del tutto nota e la sua amorevolezza nell’aiutare e consigliare il prossimo. L’opera del Colciago è completa : la vita e gli argomenti delle opere del Bruzza, sono esposte diffusamente e con chiarezza ; la figura del barnabita e dell’archeologo balzano vive e ben definite. Nilo Calvini Gio. Bono Ferrari, Capitani di mare e bastimenti di Lir/uria del secolo XIX. Rapallo, 1939. Questo grosso volume di oltre 800 pagine vuol essere l’ultima parola sull’argomento. L’A. ha radunato un ammasso di nomi di navi e di capitani veramente imponente. Lo svolgimento segue un ordine geografico: nella prima parte si parla delle navi e dei naviganti di Genova e dèi paesi che formano oggi la grande Genova.; nella seconda parte dei paesi della Riviera di Levante; FA. promette poi un volume sui « Capitani di mare della Riviera di Ponente ». È l’opera d’un ammiratore ed entusiasta della grande città ligure; opera che perciò risente spesso più l’impulso amorevole di magnificare la potenza marinara della sua terra, che il giudizio sereno ed imparziale dello storico. Le pagine laudative, molte delle quali — occorre riconoscerlo — non sono affatto esagerate, .contrastano però un po’ troppo con numerosi, lunghi e freddi elenchi di nomi di navi, padroni, capitani, porti, ecc., che raffreddano di colpo l’animo del lettore. Poiché il toglierli costituirebbe una grave lacuna, servendo essi a dare una più completa idea della vera forza marinara ligure, e ad agevolare le ricerche di chi compisse ulteriori studi, non sarebbe stato meglio collocarli, ad esempio, in appendice? La mancanza di richiami, di note bibliografiche, ecc., sebbene avreb- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 155 Le potuto giovare chi avesse voluto approfondire qualche punto particolare, è poco sentita essendo lo svolgimento del testo già suffi-ceutemente ampio. Il libro è di facile e, in gran parte, piacevole lettura, accessibile al gran pubblico per il quale è evidentemente scritto. Nilo Calvini Ahtemisia Zimei, Garibaldi nella poesia italiana. Roma Edizioni \ A .T. E. N. A., 1940-XVIII. Artemisia Zimei, già nota e apprezzata per le sue interessanti pubblicazioni di critica letteraria su Francesco d’Assisi, Federico Mistral, Manzoni, Lucio d’Ambra,.Mai-inetti, ecc., e per uno studio su La millenaria potenza e le glorie marinare della Dominante (Riv. inunicip. « Genova », 1931-IX ■, presenta in queste pagine una chiara sintesi dell’epopea garibaldina attraverso il canto dei nostri poeti maggiori e minori. Dopo aver ricordato i poeti garibaldini che combatterono a fianco dell'Eroe (A. G. Barrili, Ugo Bassi, Francesco Dall’Ongaro, Luigi Mercatini, Cesare Abba, Felice Cavallotti, ecc.), la giovane autrice genovese accenna a quei poeti che hanno indirettamente o fuggevolmente cantato le gesta di Garibaldi, come il Niccolini, il Prati, Giacomo Zanella, Giannina Milli, il Morandi, il Bertaeehi e molti altri. Fra i maggiori poeti dell’epopea garibaldina, la Zimei dedica pagine bellissime e finemente psicologiche ai sonetti di « Villa Gloria » dell’indimenticabile e compianto Cesare Pascarella, alle « Rapsodie Garibaldine » del Marradi, alle liriche del Carducci e del Pascoli, alla famosa canzone dannunziana « La notte di Caprera » e al « Poema di Garibaldi » del poeta futurista Paolo Buzzi. Gli ultimi capitoli dell’interessante volumetto, che si presenta in bella veste tipografica, acutamente illustrano l’attività poetica di Garibaldi, la poesia della sua vita desunta da una infinità di luminosi episodi e Fattualità dell’Eroe nell’odierno clima mussoli-niano, oggi che appare prossima la realizzazione di quelle naturali aspirazioni del popolo italiano che Garibaldi additò con profetico ardore. Da queste pagine, dense di pensiero e agili nella forma, balza viva e nella sua vera luce — forse meglio che da un rigoroso studio storico — la figura del grande Nizzardo, tanto che di recente Alfredo Baccelli così ne scriveva all’autrice: « .... è uno studio, come tutti quelli che voi fate, acuto e diligente, e rende con poetica, luminosità la figura dell’Eroe ». I. P, APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su G· Mazzini pubblicati all estero Makko 1). Balabànov, Colloquilo con Mazzini sulla Bulgaria in « Bulgaria », Roma, dicembre 1939. Il colloquio avvenne nel settembre del 1869. Mazzini incita i Bulgari all azione contro La Turchia e alla perseveranza nella dura lotta. La Squilla d'Italia di Berna, del 10 febbraio dà notizia di una conferenza tenuta il 29 gennaio sulla « Giovane Italia » da Paolo Arcari. Giuseppe Mazzini in « Weekly News », Roma, 4 maggio 1940. La nuova edizione di Lettere e Scritti del Mazzini pubblicata dal Rizzoli offre lo spunto X>er il breve articolo. Iu un corsivo intitolato: Torna in scena Mazzini, il « Giornale d Oriente» agnie di negozio genovesi, è pur vero che il fondamento della ricchezza cittadina era dovuto essenzialmente alla navigazione e ai traffici della mercanzia in altri tempi fiorentissimi. Questo notava, anche E. Ferrari con vivace spunto polemico, che dimostra come scottante fosse la questione, là dove, citando il passo di Giovanni Villani in cui si afferma che i genovesi erano i più ricchi e i più potenti cittadini così fra i cristiani come fra i saraceni, aggiunge che tale testimonianza « la falsità dimostra, di sciocca faina, da più ignoranti abbracciata, che siano nate le grandi ricchezze d’oggi de* genovesi da gl’impieghi de’ cambi, e dalle flotte dell’Indie. Non erano questi cambi instituiti, e cento cinquantanni stettero l’indi a discoprirsi, quando» il Villani espresse il giudizio sopra citato (35). Si poteva anzi trovare persino chi, pur essendo ricchissimo, non praticava affatto il cambio, come quel patrizio Gio. Battista Grimaldi, a cui il P. Ilarione sopra ricordato dedicò il suo libro, e che non volle mai saperne di impegnare i suoi ingenti capitali in operazioni del genere. VITI. Ma tutte queste critiche o discussioni non potevano arrestare lo sviluppo delle nostre Fiere di cambio, che il Senato genovese cercava di restituire alla loro antica frequenza, favorendo — mentre ora si riunivano in Novi — il concorso delle diverse nazioni, con 1 assicurare ogni comodità e facilità di soggiorno e di negozio ai Trattanti, e col riordinare anche il Magistrato che ne garantiva il regolare funzionamento. Secondo il decimottavo capitolo degli « Ordini » più sopra ricordati, detto Magistrato, in carica per quattro fiere ossia per un anno, doveva essere costituito da un Console e da due Consiglieri di cui uno genovése ed uno milanese, eletto quest’ultimo dai banchièri di quella città e confermato dal Senato della Repubblica. Ora, il 14 febbraio 1636 il Senato stesso, a meglio raggiungere il suo intento, decretava che il consigliere forestiere fosse o milanese o fiorentino o veneziano, un anno per ciascuna delle tre nazioni. Oltre il predetto Magistrato, che giudicava con autorità tanto l3i) Ferrari Epifanio, Liguria trionfante delle principali nazioni del mondo, Genova, P. G. Galenzani, 1693. Anche nel Barro di Paolo Foglietta (1583 c.) Afranio afferma con evidente esagerazione che « tutte le ricchezze grandi ch’ora si trovano in questa città, sono moderne e non antiche », facendole derivare dai cambi (atto II, scena 12a). FIERE DI CAMBIO ECC. 165 civile che criminale in controversie fra banchieri o fra Trattanti e sensali, altro ve n’era in Genova, formato di tre cittadini ed eletto dal Senato per i giudizi in appello dalle sentenze del Magistrato di Fiera (36). Orbene, contemporaneamente al citato decreto del 14 febbraio 1636 un secondo ne veniva promulgato, mediante il quale si stabiliva che il diritto di appello si continuasse ad esercitare per i Liguri come per il passato, mentre per i Trattanti di altre nazioni fosse devoluta la competenza a cinque giudici, tre genovesi e due forestieri, eletti a maggioranza di voti nelle Fiere stesse dal Console, dai Consiglieri e da tutti quelli che fossero intervenuti a « mettere conto » cioè a fissare il prezzo dello scudo di marche. Ma quanto alla convenuta riconvocazione delle Fiere in Piacenza, la cosa non fu facile ad attuarsi con la voluta, prontezza. Se dap prima la lotta di Genova con i franco-piemontesi nel 1625 e gli ulteriori pericolosi contrasti con il Duca di Savoia, che non ebbero tregua se non con il patto del 1633, avevano costretto i banchieri liguri a svolgere la loro più limitata attività in mercati tenuti entro il Dominio della Repubblica ; la guerra della lega di Rivoli (1635) a cui il Duca Odoardo, inesperto, impulsivo, ambizioso di gloria militare e di ingrandimenti, partecipò con il consueto impeto ma con poca fortuna, impediva il ripristinarsi delle antiche Fiere genovesi in Piacenza. Quelle istituite dal Farnese nel 1622 vi persistettero in vero per molti anni, ma dovettero impegnare un giro sempre meno largo di affari e furono comunque impedite più volte da vicende interne ed esterne. Così leggiamo che nel maggio 1631, al termine della ben nota epidemia, vennero fatti raschiare dalle case degli appestati gli « Jesus » postivi come contrassegno, « per non atterrire li forestieri, e specialmente li Banchieri, li quali di novo ritornorono a fare le sue Fiere ». Così pure nel 1637 il Duca Odoardo, liberato il paese, con la firma della pace, dalle milizie nemiche ed amiche, volendo riordinare il suo Stato, fra l’altro « invitò i Banchieri alle solite Fiere di cambio, i quali in fatti convennero di quest'anno stesso a Piacenza, e vi tennero sul principio di novembre la Fiera detta di S. Carlo ». A queste notizie il Poggiali aggiunge sotto il 1639 che una messa solenne in ringraziamento del felice arrivo a destinazione della fiotta spa-gnuola, venne fatta cantare da banchieri e mercanti, mentre in (36) Ressero questo « Magistrato dei cambi » i più autorevoli patrizi, fra cui quas^. tutti coloro che furono elevati al Dogato. Di questi, Pietro Durazzo, particolarmente attivo negli affari, fra il 1661 e il 1669 fu due volte anche « consul feriarum », e così pure Francesco Invrea nel 1670: e certo si tratta delle Fiere di cambio, diversamente da quanto scrive il P. Levati in Dogi biennali, 11. Detto Mag.to, prima temporaneo, divenne perpetuo nel 1645. 166 ONORATO pastine agosto si trovavano in Piacenza « secondo il solito per la Fiera appellata di S. Giambatista », la quale cadeva nel maggio. Da tale denominazione, diversa da quella della corrispondente Fiera genovese, ei può inferire che tratta vasi ancora delle nuove Fiere piacentine ; per cui quelle di Resanzone 11011 dovettero essere colà riprese se non dopo questa data, mentre dai documenti che citeremo fra poco risulta che \i si riunirono prima· del novembre 1040. Erroneamente fu infatti affermato che dette Fiere non venissero più convocate a Piacenza dopo il 1621 (:*7) ; mentre l’episodio sul quale (37j Fra gli altri, non parla affatto delle Fiere del 1641 Umberto Benassi, che le ignora completamente nel suo pregevole studio citato, ri le rei itesi specialmente al trasferimento delle Fiere stesse nel e ai conseguenti maneggi. Argomento questo sul quale qui non era possibile soffermarci, ma che potrà costituire oggetto di una trattazione a parte, utilizzando altresì, materiale archivistico da noi soltanto parzialmente accennato senza farne di proposito uso. Il lavoro del Benassi potrà allora fornirci, con particolari notizie, anche l’occasione ad alcune osservazioni eccedenti l’economia del presente studio. Tuttavia vogliamo almeno accennare in nota ad una di esse e fondamentale: e cioè alla non precisa e chiara distinzione, riscontrata nel Benassi come in altri, tra le Fiere di cambio genovesi e quelle che diremo propriamente di Piacenza o fiorentine, in quanto sotto la giurisdizione granducale. Il che dà luogo ad una ambiguità di espressioni, neppure eliminata dal fatto che viene dal Benassi riconosciuta in più punti l’assoluta autorità del (ioverno genovese su tale istituto. Il quale, creato — nella sua funzione autonoma — dai banchieri genovesi, rimane sempre sotto il dominio diretto della Repubblica, che lo stabilisce prima a Besançon e poi, a suo piacimento e secondo le convenienze, in località diverse; che chiede per esso ai Farnesi l'ospitalità ben volentieri concessa in Piacenza, e lo trasferisce infine di sua piena autorità a Novi. E ciò anche se per non pochi Trattanti (Veneti, Bolognesi) la nuova sede presenta maggiori scomodità; anche se i Fiorentini si agitano e criticano, industriandosi di sottrarsi al « comando dei Signori (ienovesi » e di assumere essi la direzione delle Fiere, non già « di Besan-zone », ma delle nuove ricostituite in Piacenza insieme con quelle di mercanzia; anche se la Repubblica intavolerà trattative ed impiegherà ora allettamenti ora intransigenze di modi per indurre gli altri « feraldi >» a ritornare ai suoi banchi, còme di fatto in seguito finirà per accadere. Non è quindi esatto prospettare la cosa come se i Genovesi, che avevano in pugno la giurisdizione assoluta delle Fiere, tentassero con « geloso e cupido spirito » d’impadronirsi di una istituzione altrui, di carpirne i vantaggi dopo esservisi insinuati, strappandola con colpo mancino alla sua sede naturale; mentre piuttosto (per ragioni che non credo quelle esposte dal Be-nassi, e comunque a prescindere da esse) intendevano disporre di un proprio organismo economico da loro inventato e retto saldamente, per ottantacinque anni, al di là e al di qua delle Alpi. Non è esatto considerare le Fiere di Novi come sorte « rivali » di quelle piacentine, e parlare di « superba secessione ». Il fatto è precisamente il contrario. Nel febbraio del 1022 tutte le « nazioni » furono costrette a recarsi a Novi alle consuete Fiere « di Besanzone »; e solo colà si determinò la « secessione « per parte dei vari banchieri istigati dai Fiorentini e incoraggiati — si capisce — dai Farnesi. Ma il ramo avulso dal tronco dà. assai scarni frutti, e la secessione » reca ben poca fortuna, se la singolare idea di due FIERE DI CAMBIO ECO 167 qui ^intratterremo riguarda appunto un nuovo e definitivo abbandono della città farne,siana da parte di queste istituzioni genovesi, avvenuto nel 1641. Ed il curioso si è che ciò non accadde per una ragione di carattere economico o di serio interesse politico, bensì per un motivo inerente a quella formalistica suscettibilità secentesca, di cui tanti esempi si hanno nella vita di questa età (38). IX. Prima però di esporre l’episodio a cui ci riferiamo è bene ricordare che le Fiere genovesi o « di Besanzone » — come del resto anche le altre del tempo modellate su di esse — si celebravano quattro volte al ranno ed erano denominate, la prima, « di Apparizione » (convocata il 1° febbraio e così detta dall’apparizione deila stella ai Re Magi nell’Epifania ) ; la seconda, « di Pasqua» perchè si riuniva il 2 maggio cioè poco dopo la solennità pasquale; la terza, « di agosto » dal tempo della sua celebrazione, che s’iniziava il 1° di detto mese, e la quarta, « dei Santi » in quanto cadeva al 2 di novembre. Tali denominazioni erano le stesse delle Fiere di Lione. Tutta la « Contrattaizione », nel giorno e all’ora fissati si riuni va in una vasta sala, per lo più nella casa dello stesso Console, che Fiere funzionanti contemporaneamente in Piacenza viene proposta dai Genovesi ma respinta perchè temuta da Firenze; se il Duca mostra di desiderare vivamente il ritorno dei Genovesi e l’amico Fonseca si interessa con calore per vincere le difficoltà incontrate in questo negozio che « preme mu-cho y que le es de utilidad grande a sa Casa y a Plasencia »; se fui dal 1G23 i danni si fanno sentire assai gravi nelle Fiere piacentine e gli stessi Fiorentini debbono cominciare a « riportarsi a casa grossa somma di contanti non potuti investire »; se il governo ducale sostiene le Fiere nuove « ormai anche per punto d’onore »; se Genova può tener duro finché i banchieri si .vedranno costretti a portarsi a Novi, sia pure con la promessa di nuova generale riconvocazione a Piacenza in tempi migliori; se nel maggio del 1041 tutti, Milanesi e Fiorentini compresi, debbono ubbidire ai decreti dei Senato della Repubblica e ancora seguire il Magistrato di Fiera ligure a Novi. Notiamo in fine che, posta e precisata la predetta distinzione, non rientrerà nel nostro lavoro quanto non' si riferisce direttamente alle Fiere genovesi « di Besanzone » da noi prese in esame. (38) Alessandro Lattes (Genova nella storia del diritto cambiario italiano, in « Rivista, del diritto commerciale », 191:5) accennando molto fugacemente al nuovo abbandono di Piacenza da .parte della Fiera genovese, aggiunse che « per la continuazione della prevalenza fiorentina, fu nuovamente trasportata a Novi »; dal presente scritto risulta invece che ben altra ne fu la cagione. Anche il precedente trasferimento a Novi nel 1G22* lo stesso Autore spiega soltanto come effetto della ripresa autorità dei Fiorentini a Piacenza, e ciò con poco fondamento, come si vede da tutta la nostra esposizione, sebbene, secondo è stato da noi detto, parecchi banchieri tpscani tardassero effettivamente più degli altri a riunirsi di nuovo con i Genovesi. Ancor più scarso valore ha la rivalità fra banchieri genovesi e fiorentini annoverata pure fra i moventi del passaggio da Lione a Besançon nel 1537. ONORATO PASTINE ivi sedeva con i Consiglieri e il Cancelliere in luogo distinto, presiedendo ai lavori che duravano normalmente otto giorni, dedicati ciascuno alle diverse operazioni del cambio. Nelle prime tre giornate dette operazioni avevano carattere pubblico. 11 primo giorno il banchiere anzitutto, raccolti gli « spacci » ricevuti di tratte o rimesse, segnava nel suo libro detto « Scartafaccio » le diverse partite e annotava a parte quelle sospese, avendo cura di regolarle. Portavasi quindi nel luogo di riunione della Contrattazione, dove il Magistrato ordinava che si procedesse alle accettazioni delle partite e che nessuno se ne partisse senza aver operato i riscontri necessari con tutti i debitori e creditori. Nel secondo giorno il negoziante faceva il bilancio delle accettazioni segnando il nome dei debitori e creditori e « puntando » detto bilancio con tutti i banchieri nominati; mandava poscia ai ricorrenti le opportune lettere d'avviso e compilava la nota delle partite che ancora gli restavano sospese, perchè il giorno dopo il Cancelliere le potesse « domandare » pubblicamente, senza di die non si poteva levarne i[ protesto. Il terzo giorno infatti il Cancelliere procedeva per prima cosa a tale operazione. Indi il Magistrato raccomandava alla Contrattazione — spesso su decreto del Senato — di voler soccorrere con elemosine persone bisognose, al fine di propiziare il buon andamento della Fiera. Allontanati quindi dalla sala i sensali, si passava a « mettere il conto » cioè a fissare da parte dei Trattanti i prezzi dello scudo di marche in rapporto alla moneta di ciascuna Piazza. Non tutti i banchieri che davano bilancio in fine Fiera, avevano facoltà di (( mettere il conto » o di partecipale in genere con il voto alle deliberazioni della Contrattazione ; ma soltanto potevano farlo coloro che erano stati autorizzati dal Magistrato dei Cambi di Genova, avendo versato una sicurtà di quattro mila scudi ed ottenuta l’approvazione del Senato e del Magistrato di Fiera. Costoro erano poi quei banchieri, che avendo negozi in tutte le Piazze, potevano essere ben informati della loro situazione. Con la quarta giornata si iniziavano le negoziazioni private con la mediazione dei sensali, e nessuna azione pubblica veniva più compiuta fino a quelle di chiusura della Fiera; a meno che (come accadde appunto nel caso del 1641 che c’interessa) non sorgessero accidenti imprevisti che inchiedessero la convocazione di tutti i Trattanti e loro deliberazioni. In detto giorno si mandavano ai corrispondenti tutte le necessarie informazioni sui prezzi fissati, gli affari compiliti, le partite sospese ecc. Veniva intanto compilato dal banchiere il « libretto dei cambi e degli avalli », in cui sotto ogni Piazza egli notava i cambi dati e presi e gli avalli fatti: si facevano inoltre bollare dal Pesatore FiERE DI CAMBIO ECC. 169 pubblico tutti i contanti, che erano ammessi soltanto in scudi delle cinque stampe. Nel quinto giorno si proseguiva la scrittura del predetto libro e si curava quella di un altro, detto il « Calculo », che era come la guida dello « scartafaccio » e da cui dovevano risultare le somme del credito e del debito che per ciascuna Piazza avevano i banchieri, e le persone su cui trarre e a cui rimettere. Vi si registravano quindi tutte le cedole che si davano fuori Fiera e la nota dei cambi presi e dati con il nome del sensale. Le cose dovevano pertanto essere condotte a tal punto che con il sesto giorno il banchiere potesse procedere alla operazione del « Bilancio dei pagamenti ». Giunte tutte le risposte alle lettere scritte fuori con i recapiti mancanti, il banchiere provvedeva a regolare le ]/artite ancora sospese, che, a Fiera ultimata, dovevano essere protestate, se non fossero risultate pagate. Il Magistrato impartiva le ultime disposizioni e sollecitazioni per i lavori preparatori alla chiusura della Fiera, e il giorno seguente (settimo) ognuno pensava ad ultimare il bilancio, se ancora non era stato approntato, e ad aggiustare ed ordinare le scritture ed i recapiti da unire alle risposte degli « spacci »,( le quali si datavano però dall’ultima giornata di Fiera. Così si giungeva a questo giorno, che regolarmente doveva essere 1’ottavo, in cui tutti i Trattanti erano in obbligo di consegnare al Console i Bilanci dei pagamenti, che venivano riscontrati da quattro Puntatori eletti dal Magistrato. Finita la consegna di tutti i documenti, il Console proclamava nel nome di Cristo chiusa la Fiera e tutti, dopo i complimenti d’uso, se ne partivano per tornare alle proprie sedi. X. Il Magistrato di Fiera nel primo giorno della celebrazione era tenuto a rendere visita di omaggio al Duca, che aveva concesso i privilegi necessari per la negoziazione. Senonchè nella Fiera dei Santi del 1640 e in quella di Apparizione del 1641, il Farnese aveva trascurato, nell’occasione di tale visita, di concedere il consueto onore di far coprire con il cappello il Magistrato stesso, suscitando l’indignazione del Console, il M.co Benedetto Mari, che ne fece le sue rimostranze al proprio Governo. Questo si era inalberato minacciando di rimuovere le Fiere da Piacenza e dando precise istruzioni in proposito al nuovo Magistrato per la Fiera di Pasqua successiva. Erano allora Console e Consigliere rispettivamente i M.ci Bartolomeo Fereto e Lazzaro Maria D’Oria. Giunti a Piacenza regolarmente il 2 maggio, anziché presentarsi al Duca, essi, secondo gli ordini avuti, inviarono al suo 170 ONORATO PASTINE Segretario, il noto Giacomo Gaufrido (39), un biglietto, in cui dichiaravano che la servitù professata verso Sua Altezza Ser.ma li obbligava, con Γoccasione della loro elezione da parte del Sei*.mo Senato alla carica suprema della Fiera., di riverire di presenza il suo Signóre. Pertanto noi godremo — aggiungevano — « di non restar a dietro in ricevei- dalPA.S. quelle grazie, et onori, cli’ella cortesemente suol compartire ad altri cavalieri della nostra· nazione, e con cui particolarmente ha onorato sempre fuori che le due ultime fiere questo magistrato. Ricorriamo per tanto alla gentilezza di V. S. pregandola ad agevolarci la strada alla conservazione di questo onore, a ciò il mondo non stimi che la nobiltà genovese, o alcun di noi liabbia demeritato presso S. A. ». Di fatto, a dette cariche non potevano essere eletti se non cittadini ammessi al Governo e alle magistrature della Repubblica. Ma reiezione non era sempre cosa facile. I nobili che impegnavano i loro capitali nel cambio, si facevano di solito rappresentare nelle contrattazioni da propri corrispondenti o procuratori. Uno dei Capitoli sopra ricordati fissava pertanto norme particolareggiate (ed anche le relative pene per gli inadempienti) in riguardo all’elezione del Magistrato di Fiera, prevedendo pure l’estrazione a sorte, sempre fra cittadini ammessi al Governo, e autorizzando persino la sostituzione personale nelle cariche, quando queste non si fosse riuscito a coprire adeguatamente. Più tardi veniva stabilito ancora che il Senato dovesse designar per ogni Fiera quattro cittadini della stessa qualità dei precedenti, con l’ufficio (li assistere all’intero svolgimento delle contrattazioni, sotto pena di cento scudi per ciascun inosservante (40). Tali disposizioni dimostrano come non di rado cotesti nobili fossero restii o poco solleciti a sostenere le incombenze loro affidate. E certo il De Mari non doveva essere accompagnato da gentiluomini quando si presentò per il dovuto omaggio al Duca Odoardo nel novembre 1040, dal momento che, come aveva dichiarato il Gaufrido, il Farnese non lo aveva fatto coprire, essendo entrata con lui « una mano di fachini ». Ora, riguardo i M.ci Fereto e D’Oria, il Duca aveva aggiunto che in altra occasione non avrebbe ricusato, come cavalieri particolari, di « onorarli del cappello », ma che al presente, come Magistrato nei suoi Stati, essi dovevano senz’altro recarsi a compiere il loro obbligo, senza di che Sua Altezza ne avrebbe fatto vivo « risentimento ». Egli era tanto più fermo nel mantenere il suo punto in quanto il Governo genovese aveva minacciato di rimuovere le (3e II Gaufrido, gentiluomo provenzale, fu precettore del Duca e poscia suo Segretario di Stato e favorito. 10 Capitoli et Ordini delle Fiere di Discnzone, cap. 18 e aggiunte degli anni 1508, 1G09, 1636. FIERE DI 'CAMBIO ECO. 171 Fiere da Piacenza ; e ciò sebbene non mancasse di ostentare indifferenza al riguardo « non premendoli ponto ». 11 Gaufrido aveva inoltre dichiarato sembrargli assai strano che si pretendesse di capitolare visita con il Duca. Tutto ciò era stato (letto al servo stesso latore del biglietto, per cui il Fereto e il D’Oria. comunicavano al loro Governo che avevano pensato di mandare il Cancelliere per dolersi dell’ambasciata ricevuta e per sostenere le loro richieste con quelle maggiori ragioni che i Signori Sei*.mi avessero suggerito. Essi stessi poi esponevano il loro parere che era quello di non « cimentare l’humore » di quel Principe che era «gagliardo e risolutissimo » e ((minutissimamente informato » di quella pratica; e ciò più per il riguardo dovuto all'interesse pubblico che per la preoccupazione di sottrarre se stessi a « qualsivogli incontro ». Intanto si sarebbero astenuti dal mostra-re di avere incombenze ufficiali su questa faccenda. Due giorni dopo (5 maggio) Console e Consigliere scrivevano ancora ai Ser.mi Padroni di essere ogni giorno più pressati a riverire in persona il Duca, il quale si diceva irritatissimo della dilazione. Essi erano sempre in attesa di istruzioni, ed informavano intanto di aver inviato al Gaufrido il Cancelliere, il (piale aveva avuto la stessa risposta data al servitore. Il Segretario del Duca gli aveva espresso inoltre le più vive doglianze per la minaccia di togliere via le Fiere, ciò fosse a vendetta di quanto era passato col M.co De Mari, al quale era stato intimato di compiere la visita dovuta, se non avesse voluto che S. A. facesse « risentimento contro la sua persona » ; o fosse per costringere il Duca a consentire cosa che soltanto dalla smv cortesia si poteva invocare, « essendo Principe da guadagnarsi con l’umiliatione, e non con la punta, posponendo ogni altro interesse quando vi era premura di reputazione ». Ciò rispondeva perfettamente al carattere suscettibile ed altezzoso del Farnese; nè il Gaufrido volle ascoltare altre ragioni e troncò così ogni discussione. 1 M.ci Fereto e D’Oria comunicavano infine di non aver tralasciato di penetrare i veri sentimenti del Duca per mezzo di cavalieri che frequentavano la Corte, valendosi pure dell’influenza di Bernardo Morando, intimo del Gaufrido. XI. Mi si consenta qui una breve parentesi. Il personaggio ora menzionato era il nobile genovese Bernardo Morando, stabilitosi già da molti anni a Piacenza, dove morì nel 1656. Fu nominato cavaliere da Ranuccio II, che nel 1652 lo confermò con titolo di conte nel possesso del feudo di Montechiaro acquistato dal conte Gerolamo An-guissola. 172 ONORATO PÀSTINE Cronisti di Piacenza lo dicono poeta e prosatore « famoso » ai suoi giorni e Ponorano dell’appellativo di « celebre ». Iperbole secentesca ! Scrisse tuttavia versi lodati al suo tempo, ed anche se qualcuno volle vedére in lui una minore affettazione, certo conformò la sua maniera al gusto depravato del secolo (41)· Pii'1 ricordato è il suo romanzo morale Rosalinda. In ogni modo egli godette di molta reputazione alla Corte dei Farnesi, dove per le feste più sfarzose preparò lavori letterari, organizzò e diresse spettacoli molto ammirati, di cui lasciò anche relazioni a stampa. Così per i festeggiamenti del carnevale 1639 compose le ottave accompagnanti il cartello con cui il Duca Odoardo, sotto il nome di Fenicio Cavaliere del Sole, bandì un solenne torneo. Per quella occasione il Morando scrisse pure un’opera per musica intitolata Ercole fanciullo « colla descrizione di un Balletto magnificentissimo ». Nell’anno stesso dell’episodio che stiamo narrando (1641) egli fu « l’inventore e il direttore primario » di feste sontuosissime che ebbero luogo in Piacenza, residenza prediletta da Odoardo, dove dal 1635, nell’imminenza della guerra, aveva stabilito la. moglie Duchessa Margherita con i figli. Lo sfarzo fu tale che i forestieri i quali vi assistettero ebbero a dire che nulla di meglio si era mai visto a Parigi, Vienna e Madrid : e Mons. 'Mazzarino avea osservato che certo il Farnese non abbisognava dell’aiuto di Frància o di altra Potenza, se gli era possibile spendere per puro sollazzo cento mila scudi in un torneo. Altra commedia del Morando, il Rapimento d’Elena, fu rappresentata da eccellenti musici forestieri nel 1645 con « molte varie scene, macchine et rappresentazioni, cosa veramente magnifica ». Compose ancora epitalami, balletti, fantasie, e nel 1655 inaugurò con un suo discorso l’Accademia degli Spiritosi di Piacenza (42). Non è indegna di rilievo la· presenza in questa città, accanto a quei Genovesi dei quali qui ci occupiamo — uomini di negozio, tutti intenti al loro accorto maneggio del danaro e dominatori di un ricco mercato in rapporto con le principali Piazze d’Europa — di un altro Genovese non privo di censo, ma a tutt’aitre cure rivolto: Accostamento che un’altra riflessione ci suggerisce : non doverci raffigurare cioè cotesti uomini d’affari come indifferenti o negati agli allettamenti del sapere e dell’arte. Patrizi che nelle industrie del mare e nelle operazioni bancarie sapevano accrescere smisuratamene i loro opulenti patrimoni, erano gli stessi che erigevano in patria, palazzi 41 Si veda per esempio il sonetto citato da Benedetto Croce, Storia del· l'età barocca //? Italia. Laterza, lìari, 1929, p. 397. i42 Poggiali, cit., t. XI, XII, passim. Il Morando appartenne anche all’Accademia degli Incogniti » (Ji Venezia. Della sua genealogia ha trattato egli stesso in uno scritto del 10*0, edito da G. Tononi, Pisa, 1882. FIERE DI CAMBIO ECC. 173 simili a reggie e templi sontuosi, chiamando artisti valenti ad adornarli con opere d’arte squisita. Nè il semplice mercante in generale era uomo incolto. Gio. Domenico Peri, tipo di trafficante attivo, intelligente e di istruzione non mediocre, voleva che il negoziante possedesse una sufficiente cultura ed anzitutto conoscesse la lingua latina; uso questo, per vero, da molti abbandonato ai suoi tempi. S’intende che particolarmente curata, doveva essere l’istruzione tecnica ; e la scuola che nella Dominante aprì in questi anni David Veronese da Genova, insegnandovi la pratica d’aritmetica mercantile e la tenuta delle scritture, era. frequentata anche da molti forestieri che venivano talvolta « da lontanissime parti per allevarsi sotto la sua disciplina.)) (43'. E vi erano quelli, almeno fra i più distinti di cotesti uomini d’affari, che anche delle lettere e della scienza sapevano apprezzare la bellezza ed il valore, e tale apprezzamento accoppiavano alle loro più spiccate attitudini pratiche. Al qual proposito ci vien fatto ancora di ricordare quei banchieri e mercanti genovesi, preponderanti fra gli stranieri in Anversa, che nel secolo XVI si compiacevano di fondare e coltivare colà un’attiva Accadèmia detta dei Confusi. XII. Ritornando al nostro argomento, aggiungiamo che, come risulta dai dispacci dei due Gentiluomini del Magistrato di Fiera, tutti quelli della Corte ducale, a cui si erano rivolti, li avevano in uu primo tempo consigliati a compiere senz’altro la visita d’obbligo, con la speranza che potessero essere esauditi nelle loro aspirazioni, dopo avere però rinunciato a volerle patteggiale. Ma più che essere di ciò veramente convinti, essi cercavano in tal modo di indurre i Genovesi all’atto di omaggio richiesto, temendo che potesse derivarne qualche cosa di peggio. Comunque ben presto, e forse, come pareva, per intimazione della stessa Corte, si erano tutti ritirati da ogni tentativo di mediazione, apparso subito di esito negativo. Il Pereto e il D’Oria, avvertendo che essi continuavano a trattare come privati, informavano pure che il Gaufrido vantava continuamente l’avere il Duca preso le armi contro la Spagna « per la sua riputazione » ; il che poteva — osservavano essi — « fai· temere di ha ver occasione di qualche impegno»; per cui ritenevano proprio dovere ragguagliare d’ogni cosa le Loro Signorie Ser.me, attendendo sul da farsi ordini « distinti e risoluti ». E le deliberazioni del Governo furono pronte e decise: si rimuovevano cioè dalla carica di Console e Consigliere della Fiera i due Gentiluomini e se ne trasmetteva loro immediatamente avviso, perchè ne dessero comunica- (43) Peri, cit., parte I., p. il. # 174 ONORATO PÀST1NE zione alla Contlattazione, a cui veniva conferita l’autorità di pro-cedere nelle ulteriori operazioni sino a Fiera ultimata. Era questo un provvedimento che tendeva a liberare il Fereto e il IVOria dal-Γobbligo della visita per non doversi piegare alla volontà del Duca, il quale certo dovette rimanere non poco irritato da questa mossa inaspettata (4M. Il giorno 7 maggio il Magistrato si accingeva a dare esecuzione agli ordini ricevuti; ina il mattino seguente un notaro inviato dal Governatore della città, fatta riunire la Contrattazione, annunciava che in seguito ai provvedimenti presi dal Governo della Repubblica, venivano sospesi i privilegi concessi dal Duca ai Trattanti. Non volendosi tuttavia pregiudicare chi non aveva colpa alcuna, si autorizzava a continuare la Fiera sino a.l suo termine. La cosa sembrava contradditoria, per cui il Cancelliere aveva chiesto che tale comunicazione fosse data per iscritto. Acconsentì il notaro, ma non così il Governatore cbe si rifiutò di sottoscrivere la dichiarazione relativa e fece sapere che non s’intendeva rilasciare scritti. Era pur necessario conoscere, per le risoluzioni del caso, le esatte intenzioni ducali, e poiché il Cancelliere Castello non era riuscito a parlare al Governatore, la Contrattazione inviava a Sua, Altezza quattro deputati, i qua]i incontratisi invece a Corte con il Governatore stesso, da lui avevano avuto più precisa risposta. La sospensione dei privilegi s’intendeva limitata al porto (Farmi e all’obbligo di prendere la bolletta per il soggiorno; il Cancelliere poteva del resto rogare gli atti e compiere ogni altra operazione per condurre a termine la Fiera. Una evidente incertezza e confusione si notano .nelle decisioni della Corte forse per un certo contrasto fra ìa maggior temperanza di taluno, come il Governatore, e l’ostinatezza del Gaufrido e specialmente del Duca Odoardo. 11 fatto è che, mentre già i Trattanti stavano per riprendere il loro consueto lavoro, ecco di nuovo il notaio inviato dal Governatore con intimazione di non introdurre nessuna innovazione sinché una loro deputazione non si fosse abboccata con lui a casa sua per le ore 23: nel frattempo passassero pure a stornare i cambi fatti nella giornata, che era la settima della Fiera. Nel convegno avvenuto all’ora fissata il Governatore, certo per ordini tassativi ricevuti e diversamente da quanto aveva dichiarato in precedenza, rilevò che, avendo S. A. sospeso i privilegi concessi, L’anirno del Duca era al presente inasprito anche per altri avvenimenti. Nel marzo di quest’anno 1041 con gli editti del card. Antonio Barberini, Camerlengo di S. Chiesa, la contesa per Castro entrava nella sua fase violenta Nella ku«*ìT3 che poi ne segui la Repubblica volle rimanere neutrale; ma i privati genovesi fornirono i mezzi finanziari ad Urbano Vili, con rnoito malcontento dei Principi della « Lega italiana ». FiEfcE t>i Cambio ecc. 175 non poteva essere esercitata alcuna giurisdizione ; tuttavia, sempre per agevolare gli interessati, egli stesso in persona avrebbe assistito alle operazioni della Fiera con un notaio die unitamente al Cancelliere Castello desse' validità agli atti rogati. La risposta dei deputati fu che senza l’ordine dei Ser.mi Signori della Repubblica, « che erano patroni delle fiere», nulla potevano eseguire; aderivano tuttavia alle insistenze del Governatore perchè comunicassero ogni cosa alla Contrattazione, e gli riferissero le deliberazioni che questa fosse per prendere. Ma nella consulta subito eseguita tutti furono del pai-ere che senza nuove disposizioni del Senato genovese non si potessero modificare gli ordini da esso impartiti; per cui mandavano ancora al Governatore per pregarlo di lasciare che la Fiera si chiudesse regolarmente, essendo ormai quasi alla fine, altrimenti i Trattanti ne avrebbero informato la Repubblica e si sarebbero recati a terminarla altrove. Il Governatore stesso replicò che « per ora » egli non poteva fare diversamente ; essere in loro facoltà di riferirne a Genova e (li partirsene; ritenere però più opportuno che ne parlassero prima con il Duca. La Contrattazione, -pertanto, riunitasi ancora, tenuto presente quanto disturbo derivasse specialm'ene ai forestieri (lai non poter ultimare la Fiera, data l’impossibilità di rogare gli atti e chiudere le operazioni o di ottenerne la. proroga, decise di supplicar Sua Altezza perchè volesse concedere quanto aveva richiesto. Non fu possibile però ai deputati inviati al Duca di parlare con lui o perchè egli fosse a letto o perchè non intendesse accordare l’udienza.; nè dal Segretario nulPaltro poterono ricavare se non di rivolgersi al Governatore, che sappiamo aveva esaurite ormai tutte le sue risorse. Non rimaneva quindi che comunicare ogni cosa al Governo di Genova, e a tal uopo,’poiché era già notte e le porte erano chiuse, si richiese l’autorizzazione a lasciar uscire dalla città un corriere, cosa che venne pure rifiutata. Onorato Pastine (Conti una) I L’ANNO PAGANINIAJSO Le testimonianze di perenne e sconfinata ammirazione, tributate a Niccolò Paganini nel primo centenario della sua morte, costituiscono un documentario grandioso ed imponente, quale forse non si osava sperare all’inizio dell'anno. Il periodo d'emergenza, che tutto il mondo preoccupa e distoglie da altri pensieri, 11011 permetteva certo troppo rosee illusioni, ma il ricordo del l'insuperato violinista, còsi estesamente diffuso e così profondamente radicato nell’animo dei singoli e delle folle, ha saputo superare le contingenze contrarie, si è rivelato vivo, robusto, tenace in manifestazioni multiple e significa -rive, che oggi, nel passarle in rassegna, meravigliano e convincono. Infatti la visione anche sommaria di quanto si è fatto in Europa ed in America per celebrare la ricorrenza centenaria, 11011 solo ci conferma che Niccolò Paganini fu, rimane e rimarrà a lungo il più la-moso tra i musicisti famosissimi, ma ci persuade che Niccolò Paganini, forse unico tra gli esecutori prodigiosi, ha saputo vincere il tempo. I cento anni trascorsi dalla sua morte ad oggi non 11e hanno affatto ridotta, sopita, spenta la faina, ancor oggi egli è vivo e presente alla memoria dei nipoti di quelli che lo hanno entusiasticamente acclamato come un esempio tipico di volontà/, di tenacia, di sbalorditiva potenza fascinatrice. Guglielmo Schiller ha detto: lamirabile arte delPesecutore si dilegua come il suono che egli ha destato; per Niccolò Paganini ora dovrebbe fare un eccezione, poiché l'eco del prodigioso canto paganiniano non è dileguata, non è sdenta, non tace, anzi par quasi che essa acquisti maggior risonanza quanto più s'allontana nel tempo la maliosa voce generatrice. Dobbiamo a Cesare Marchisio, Direttore della Rivista Municipale 0 Genova » un ordinato e quasi completo elenco delle manifestazioni celebrative, avvenute in Europa ed in America, h-gli ha radunato e genialmente catalogato notizie di cerimonie, di pubblicazioni, di conferenze, di concerti, di articoli apparsi in periodici e cotidiani, ed ha così compilato l’organico documentario e combinato Pattraente panorama, che vogliamo segnalare e rapidamente illustrare, perchè di tanta ed universale ammirazione resti una sicura traccia anche nella nostra Rivista, che non fu ad altri seconda nel tener viva la fiaccola del ricordo, nel prepararne le manifestazioni in occasione della ricorrenza centenaria. •Cesare Marchisio giustamente avverte che le contingenze attuali non hanno permesso una segnalazione completa e precisa ; ciò 11011 ostante la bella rassegna è riuscita imponente, anche perchè avvalora Canno paganiniano 177 ogni elemento inquadrandolo nella numerosa adunata, che ad altissima voce conferma l'imperitura gloria di Niccolo Paganini. Verranno in seguito supplementi e complementi, il documentario si arricchirà di nuove voci, il panorama si preciserà per ulteriori dettagli. Giungeranno, non solo dall’estero, ma ancora dall’Italia e particolarmente dai centri minori, dove non ha potuto arrivar subito la diligente e sagace ricerca del Marchisio; noi stessi potremmo tìn d’ora aggiungere vari numeri all’elenco, segnalare altri dettagli nel panorama, ma non lo crediamo nè utile nè conveniente. Anche in questa prima stesura il documentario costituisce una prova esuberante, per cui, senza attendere oltre, senza nulla variare, scriviamo il nostro commento conclusivo. Cesare Marchisio inizia la sua cronaca riportando il testo del telegramma inviato dal Podestà di Genova al Duce, quindi, con una ben netta serie di fotografìe opportunamente commentate, ci accompagna alla Mostra dei Cimelii Paganiniani, dove son convenuti in folla Autorità ed Artisti per la solenne inaugurazione. Subito uopo ci guida a rendere omaggio alla Casa Natale del violinista sovrano, facendoci passare tra due litte ali di popolo reverente e commosso. Ci riassume poi la dotta orazione dell’Eccellenza Ildebrando Pizzetti, commentando brevemente il Requiem per sole voci dello stesso Pizzetti, mirabilmente eseguito, sotto la direzione dell'autore, dalla Corale Parmense, istruita dal Maestro Pizzarelli. Con appropriati rilievi ricorda il Concerto Previtali, in cui è stata eseguita musica di maestri liguri prepaganiniani, e mette nel giusto risalto la significativa adunata nella Cattedrale, dove, con l’assistenza pontificale dell'Eminentissimo Cardinale Pietro Boetto è stata ufficiata una Messa in suffragio deil’anima di Niccolò Paga-nini, durante la quale la Cautoria del Seminario Arcivescovile, di retta dal Sacerdote Maestro Mario Pertica, che pochi giorni dopo trovava morte gloriosa come cappellano militare, la Missa Choraiis dell'Eccellenza Lorenzo Perosi. Parla quindi del Quartetto Poltromeri, della chitarrista Ida Presti, del Gruppo Madrigalisti « Città di Milano », i quali ultimi han no ottenuto uu particolare successo colle musiche dei polifonisti liguri, la cui conoscenza riuscì una gratissima sorpresa per tutti. A questo punto, illustrando la sua convincente esposizione con alcune fotografie, ci trasporta a Parma a rendere omaggio alla tomba del Grande, ma ci richiama tosto a Genova ad assistere al Concerto Erede, onorato dalla presenza dell’Altezza Reale la Principessa di Piemonte, e riecheggia gli applausi insistenti ottenuti dal solista Auto-nio Abussi, dalla deliziosa Partita elaborata da Mario Barbieri su temi di Giovanni Battista Pinelli, dal pianista Pietro Scarpini. Conclude la prima parte della Rassegna accennando al magnifico esito del concerto dei giovani solisti : Antonio Abussi, Antonio Janisrro. 178 MARIO PEDEMONTE A. Michelangeli Benedetti, Rina Pellegrini, Alberta Suriam, Ferruccio Tagliavini, al quale ha assistito l’Eccellenza Bottai, unni- stro delFEducazione Nazionale. Alle manifestazioni genovesi furono necessario complemento le seguenti pubblicazioni: il Programma dei Concerti, denso di dati e di date; il Catalogo e l’illustrazione della Mostra di Ornielli, compilato dal prof. Morazzoni, ordinatore della Mostra; il volume « Nie colò Paganini » nei disegni di un impressionista contemporaneo a cura di Ferdinando Gerra, testo di Gerardo Verna celli. La seconda parte della Rassegna s’inizia con l’Omaggio (li Nizza, dove l aganmi è morto. Rileggiamo le lettere scambiate tra il Sindaco di Nizza ed il Podestà di Genova, vediamo le fotografie dell’atto eli morte del .Maestro e della targa marmorea, che individua la casa (lo\ e il .Maestro chiuse la sua vita terrena. Apprendiamo che la « Fides » di Roma sta preparando uu ùlmo « Paganini,, e che il G.Ü.F. di Addis Abeba organizza commemorazioni di vario genere. Opportuno rilievo hanno le manifestazioni di 1 arma ed ampio cenno è fatto per le manifestazioni di Roma, di Venezia, di Tonno, di Asti, di Bolzano, di Alessandria, di Voghera, di Verona, di Napoli di Bologna, di Chieti. Questa parte è indubbiamente la più incompleta ma come abbiam detto, presto saranno aggiunti molti altri nomi di città italiane. Segue la schiera delle città estere, cbe verrà a neh essa accresciuta di molto. Tallin, Montevideo, S. Paolo del Brasile, Nizza, Londra, Kiga, Brunii, Buenos Ayres sono state le più sollecite nel comunicare le notizie dei loro convegni paganiniani. _ Ed ecco l’ultima falange, la più compatta, la più vivace, che diverrà presto ancor più numerosa ; le pubblicazioni e gli articoli di Riviste e Giornali. Cesare Marchisio recensisce brevemente il volumetto del Pizzetti « Paganini », il volume di Maria Tibaldi Chiesa, anch’esso intitolato « Paganini », la collana di sonetti in dialetto genovese del Carbone; il volume di Nino Salvaneschi « Un violino, donne e il diavolo» uscito quest’anno in seconda edizione; l'interessantissimo opuscolo di G. B. Boero « Genealogia di Niccolò Paga-nini » e preannunzia il lavoro di Federico Monpellio, che sarà coi-redato da un'imponente documentazione. Rende più attraente la recensione presentando di ogni volume ed opuscolo l'immagine della copertina. Tra queste pubblicazioni non trova il suo posto il volumetto di Pietro Berri «Il Calvario di Paganini », perchè lo studio del Berri è uscito nel fascicolo della Rivista « Liguria », ed il Marchisio lo ha appena segnalato insieme a tutti gli scritti apparsi in tale fascicolo. A noi pare che tale studio meriti un cenno particolare. L'autore, dopo aver genialmente ricostruito l’infanzia e la giovinezza del Pa- l’ anno paganiniano 179 ganini, dimostra, che i germi dei mali successivi erano già in incu bazione nel fanciullo. Studia quindi passo passo gli sviluppi delle malattie, che costituirono il penosissimo calvario, lungo il quale l’artista, tenace e volitivo, lia saputo prodigiósamente trionfare del male e salire alla vetta luminosa dell’immortalità. Insieme a questo studio, che per ora Cesare Marchisio ha compreso tra gli articoli di,giornali e riviste, sfilano ordinatamente dinanzi a noi oltre trecento scritti, di cui non era possibile per ora segnalare altro che il titolo. 11 Marchisio anche qui snellisce il passo e tempera la monotonia dell’elenco dividendo la lunga schiera in successivi manipoli colla riproduzione di testate degli articoli, quasi sempre ornate di un ritratto paganiniano. Tutti gli argomenti sono stati svolti : la leggenda, gli amori, le malattie, la magia, il satanismo, la bibliografìa, i trionfi, la prigionia, la chitarra, l’avarizia, la generosità, l’amore verso il figliolo, l’amore verso l’Italia; Paganini a Parma, Paganini in Germania, Paganini a Parigi, a Bologna ; l’arte, il sentimento, il ciarlatano, il genio ; Paganini negli Stati üni-ecc. Sappiamo che la preziosa raccolta sarà conservata nella nascente Casa di Paganini e perciò sarà in seguito facile il consultarla e constatare la vitalità della gloria paganiniana dopo cent’anni dalla morte del meraviglioso artista. Mario Pedemonte CENNI STORICI E COME FU ACQUISTATA DALL’ORATORIO DI MELE (Continuazione e fine - V. numero precedente) Non è ammissibile che il Maragliano per costruire questo capolavoro sia ricorso al plagio o all’imitazione. Qualche storico accenna che egli si servì dei dipinti di celebri pittori, e forse anche dell’opera del Fiasella « La morte di San Paolo », che a quei tempi trovavansi a Genova. Noi, scartando a priori questa supposizione, riteniamo che l’ispirazione sia venuta al Maragliano dalla lettura delle « Vita Patrum » volgarizzate dal .Cavalca. Chi serenamente scorre la leggenda di K. Paolo Eremita, descritta dal Cavalca, vi trova tutti gli elementi, e quasi, diremo, il clima mistico più che sufficiente a eccitare il sentimento estetico dell’artista. D’altra parte, la conoscenza del mestiere, le convinzioni personali, gli accorgimenti tecnici, il bisogno assillante del creare, e molte altre inderogabili prerogative, non potevano piegare l’orgoglio d’un vecchio artista ad adattarsi supinamente alla comodità di ricalcare le orme segnate da altri. Sarebbe stata una vile rinuncia di fronte alla schietta genialità e alla fama acquistata ; e il di lui prestigio di grande scultore ligneo avrebbe grandemente sofferto. Pura e inspirata creazione è l’Arca del Sant’Antonio Abate I .E in tale considerazione fu tenuta e ammirata da tutto il popolo Genovese e dai forestieri pei* oltre un secolo e mezzo, quando sulle spalle forti degli « sbirri » era portata trionfalmente per le vie di Genova nelle Casaecie del Venerdì Santo. ORATORIO DEI SANTI ANTONIO ABATE E PAOLO EREMITA IN VIA GIFLIA - GENOVA Estratto rial libro dii verbali delle deliberazioni dei confratelli di detto Oratorio chiamati ira adunanza — o chiamata r/cnerale a normas dei Capitoli. I/anno mille ottocento settantaquattro, nel giorno di venerdì sedici del mese di ottobre ore 7 di sera in questo nostro Oratorio ed a seguito di regolare chiamata generale a nonna dei Capitoli, ordinata dal Sindaco e mediante avviso fatto recapitare per mezzo del confratello mandatario (Drago Giuseppe) j»er deliberare quanto segue, sono intervenuti a questa adunanza in numero LA CASSA DI S. ANTONIO ABATE 181 superiore a quello voluto dai Capitoli per deliberare i seguenti confratelli, e cioè : 1° Taverna Giobatta, sindaco; 2° Fresco Francesco, Il superiore; 3» Verdina Angelo, delegato quale I Superiore; 4*> Codebò Giobatta, segretario; 5° Ricci Gerolamo, cassiere; 0° Merega Bartolomeo, prefetto orchestra; 7° Vaita Nicola; 8° Gandolfo Carlo; 0° Rosso Tomaso; 10° Codebò Giobatta fu D.co; 11° Fossa Antonio ; 12° Colombo Antonio ; 13° Codebò Luca, 14ò Lagomarsino Filippo; 15° Malandrini Sebastiano; 1G° Gamba Giuseppe; 17° Causa Angelo; 18° Drago Giuseppe. Aperta la seduta dal Sindaco, propone e dice essere la chiamata d’oggi per deliberare quanto si è reso necessario a seguito delle già prese deliberazioni intorno alla vendita di mobili spettanti alla Confraternita — ed a seconda di tali proposte dal sindaco si chiede anzitutto la votazione se debbasi o vogliasi alienare la Cassa con gloria ossia la morte di S-. Paolo (opera del Maragliano). Posta ai voti, è accettata la proposta vendita con voti favorevoli sedici e cinque contrari. Dato quindi ingresso e presenza all'adunanza del sig. Bruzzone incaricato del contratto per sè ed altri, il quale a norma di quanto era già in· parola, afferma la proi»osta di lire 1 Hlleottooento per l’acquisto di detta Cassa. K posta ai voti dei confratelli per l’accettazione del contratto per detto prezzo, risulta accettata con tredici voti favorevoli e cinque contrari. Proponesi quindi di conseguenza di nominare la relativa Commissione per compiere il contrattò per atto notarile o privato voluto dai compratori, sono designati dall’adunanza a voce Omnia a comporre la Commissione : Taverna Giobatta, Sindaco; Verdina Angelo, I superiore; Ricci Gerolamo, cassiere e Cobedò Giobatta, segretario. E pel pagamento si rese necessario stabilirsi che le lire 1800 siano all’atto del contratto depositate a mano del Notaro e poi ritirate dalla Commissione stessa una volta consegnata e trasportata la Cassa dairOratorio. Tale libera d'ogni spesa che vogliansi per contratto ed altro essendo tutte a carico dei compratori ut-super essendo l’accordo delle parti ut-super. Per copia conforme estratta che riguarda detto contratto, dal libro su-detto, per essere rimesso agli acquistatori per la loro conoscenza riguardante la Commissione e gli interessati tutti. Genova venti ottobre 1874. per l'autenticazione G. B. Codebò - segretario E dopo dieci giorni dalla Deliberazione, ecco l’Atto di vendita e compra che qui trascriviamo: ATTO DI VENDITA E COMPRA DELLA CASSA DI S. ANTONIO ABATE OPERA DEL MARAGLIANO L’anno milleottocentosettantaquattro addì ventiseì del mese di ottobre, in Genova. Per la presente privata scrittura i sottoscritti : Taverna Giambattista fu Carlo, sindaco; Verdina Angelo fu Gaetano, su- 182 GIUSEPPE PIERÜCCI periore; Codebò Giambattista fu Francesco, segretario e Ricci Gerolamo fu Michele, cassiere della Confraternita dei Santi Antonio Abate e Paolo I eremita, eretto nell’oratorio di tal nome, sito in Genova, Via Giulia, componenti la Commissione speciale nominata dalla Congregazione Generale della Confraternita medesima per deliberazione del sedici ottobre corrente. Hanno venduto e vendono ai qui pure sottoscritti Antonio Bruzzone fu Bartolomeo, Luigi Forno fu Domenico, Lorenzo Parodi fu Giambattista e Benedetto Porrata di Luigi domiciliati il primo a Genova e gli altri in Mele, che accettano una cassa in legno, portatile, con sovraposto gruppo di statue, opera di Mantgliano, rappresentante la morte di S·. Paolo I eremita, quale cassa è di proprietà della detta Confraternita venditrice .dichiarano i compratori di avere visto e visitato il mobile di che si tratta, esserne contenti, e di avere già avuto la reale consegna, per cui consentono a chi di diritto ogni più opportuno discarico. Il prezzo di questa vendita è convenuto e stabilito in- lire italiane mille^ ottocento, che i compratori pagano alla Confraternita venditrice, e per essa ai suddetti Taverna, Verdina, Codebò e Ricci, i quali ne consentono ampia e definitiva quietanza. Giobatta Taverna, Sindaco; Verdina Angelo, superiore (sic); Ricci Gerolamo, cassiere (sic); Codebò Gio. Batta, segretario; Bruzzone Antonio; Luigi Forno; Benedetto Porrata; Lorenzo Parodi. Vend. Mob. p. L. 1800 27 Reg. a Genova il sedici Ombre 1874 dd; 5,40 Keg. 104 n. 9947 Gatti lire trentadne e c.mi quaranta L. 32,40 Demicheli Questi due documenti veridici e inconfutabili, tuttora conservati nell’archivio dell’oratorio di Mele, stanno a dimostrare e a garantire la perfetta legalità dell’acquisto della Cassa di Sant’Antonio Abate, fatto dagli allora Superiori delPOratorio stesso: cionor;ostante, dopo circa ventinove anni, sorse una controversia, a* cui accenneremo in seguito. In virtù di questa compera, l’Arca stupenda sul finire di ottobre dello stesso anno esulava da Genova, e sopra un carro trainato da tre pariglie di cavalli, infioccati e bardati con lucidi finimenti, veniva trasportata a Mele, dove la intera popolazione Pattendeva con gioia impaziente. Raccontano i vecchi che pei* rendere più solenne il suo arrivo, si deliberò di farla pernottare a Veltri, dove era giunta sul far della sera. Il giorno seguente — e il tempo sereno del mite ottobre pareva concorrere alla festa — F Arca, accompagnata da una lunga processione formata da tutti i parrocchiani in massa e guidati dal clero, fece la sua trionfale entrata in paese, tra il clamore delle laudi, il rombare delle campane e il fragore dei mortaretti. LA CASSA DI S. ANTONIO ABATE 183 Mele era giubilante. D’ora in poi, ogni anno, al giorno quindici d’agosto anche il paese dei Cartai avrebbe portato in processione al Santuario d el P A cq u a santa la sua magnifica. Cassa di S. Antonio Abate : essa avrebbe superato per bellezza d’arte e pesantezza tutte le Casse dei Santi che possedevano i paesi circonvicini; e ciò costituiva il giusto orgoglio dei Melesi. CAUSE GIUDIZIARIE La processione al Santuario dell’Acquasanta si effettuò, ogni anno, sempre con la consueta e tradizionale solennità : e sempre fu animata dall’entusiasmo e dalle manifestazioni di giubilo e di soddisfacimento di tutta la popolazione. Per verità storica si deve pure fare accenno alle annuali baruffe, ohe accadevano negli anni andati, al ritorno dal Santuario. Avveniva sovente che tra squadra e squadra dei portatori della Cassa, alquanto alticci per le abbondanti libazioni, na-scessero liti e pugilati per motivi di rivalità e di bravura. Tutto si concludeva in qualche ammaccatura e naso rotto; ma il giorno dopo, sfumati gli spiriti di Bacco, non rimaneva nessun rancore, e tra i paesani ritornava la casalinga serenità. Questa abituale serenità, però, nell’anno 1903 fu scossa da una notizia improvvisa. Cominciò a correre la voce per tutto il paese che i Genovesi rivolevano la loro Cassa di S. Antonio, e che sarebbero venuti presto a riprendersela. L’esasperazione di tutto il paese avvampò di santa ragione, e fu un grido unico il giuramento dei popolani, che piuttosto si saieb-bero fatti ammazzare che lasciarsi portare via il loro Sant’Antonio Abate. La pretesa di ricupero dell’Area del Maragliano da parte dei Genovesi, in verità, non era una panzana, inventata per creare il panico nei Melesi. L’Oratorio di Sant’Antonio Abate di Genova, impugnando la validità del contratto del 1874, rivendicava la restituzione dell’arti-stica Cassa, che da ventinove anni era in possesso dellOratorio di Mele. Ne seguì una causa giudiziaria, che dal 20 dicembre 1903 si protrasse per sette anni nelle aule del Tribunale, senza raggiungere una ragionevole soluzione, finché per gli interposti autorevoli uffici dell’on. avvocato Angelo Graffagni, le due Confraternite in causa addivennero ad un amichevole accordo finale. Per la storia di questa vertenza è opportuno riportare integralmente la deliberazione conclusiva. 184 CONFRATERNITA DI S. ANTONIO ABATE E PAOLO EREMITA IN MELE L’anno millenoveceutodìeci addi 21 del mese di agosto in Mele convocata si è radunata la Confraternita dei S.S. Antonio e Paolo Eremita nelle persone dei signori Superiori Bozzano G. B. di Giacomo, Caviglione Cesare fu Bartolomeo, Puppo G. B. fu Francesco coll’assistenza di me infrascritto segretario, aperta la seduta il Presidente espone : Che dal dicembre 1903 verte dinnanzi all*Autorità Giudiziaria di Genova «ausa tra questa Confraternita e quella dei SS. Antonio Abate e Paolo Eremita di Genova in ordine alla proprietà della Cassa del Maragliano, rappresentante la visita di S. Antonio a S Paolo nel deserto, quale scultura da moltissimi anni trovasi nel possesso di questa Confraternita. Che in detta causa intervenne una prima sentenza del Tribunale 12 giugno 1006, la quale dichiarava tenuta questa Confraternita a riconsegnare a quella di Genova la Cassa artistica, altra della Corte d’Appello 21-27 febbraio 1907 colla quale si ammettevano diversi capitoli di prova testimoniale, e finalmente altra del Tribunale 1 luglio 1909 colla quale si dichiarava la Cassa artistica di proprietà della Confraternita di Genova, che avendo questa Confraternita interposto appello da tale giudicato mediante la autorevole intromissione dell’Onorevole Avv.to Angelo Graffagli! si poterono porre le basi di un’amichevole intesa, la quale consisterebbe nella rinuncia da parte della Confraternita di Genova ad ogni diritto e pretesa sulla Cassa artistica mediante il corrispettivo di L. 4000 compensando tutte le spese dei seguiti giudizi, i quali sarebbero così completamente abbandonati. Ma egli ritiene vantaggiosa la transazione proposta per questa Confraternita, poiché colla stessa si pone termine ad un 'ungo giudizio e si assicura definitivamente a questa Confraternita la proprietà di un oggetto artistico di grande valore venerato da queste popohizioni. Ciò premesso invita i convenuti a deliberare. La Confraternita udito l’esposto del Presidente ritenuta vantaggiosa la pro-posta transazione unanime delibera : 1° Di versare alla Confraternita dei SS. Antonio Abate e Paolo Eremita di Genova la somma di L. 4000 dietro totale rinuncia ai diritti e alle pretese (Iella Confraternita stessa .^ulla Cassa artistica oggetto del giudizio promosso d'innanzi al Tribunale di Genova con citazione 20 dicembre 1903. 2 Di eomi»ensare le spese dei giudizi volti dinnanzi al Tribunale ed alla Corte d’Appello di Genova. :ì Di chiedere all’Onorevole Commissione Provinciale di Beneficenza e di Assistenza Pubblica l’autorizzazione a provvedere alla transazione di cui sopra. 4° Di dare Incarico al Presidente di provvedere alla transazione di cui è caso, non appena ottenuta l’approvazione tutoria, e di esprimere airOnore-vole Avv.to Angelo Graffagli! i sentimenti di gratitudine di questa Confraternita per l'opera utilissima ed amichevole da lui prestata. LA CASSA DI S. ANTONIO ABATE Del che si è redatto il presente verbale, che previa lettura e conferma, viene sottoscritto come segue. 1 Superiori - Sozzano Giobatta, Caviglionc Cesare, Puppo G. B. Il Cancelliere - Gaggero Giacomo Essendo intervenuti i Confratelli in n. di 60 e cioè oltre i tre quarti degli iscritti viventi si dichiara legale la seduta. MUNICIPIO DI MELE Certifica il Segretario sottoscritto, che la presente Deliberazione venne pubblicata a questo album pretorio, domenica 28 agosto 1010 senza reclami. Mele 29 agosto 1910 Il Segretario * A. Bonasso La questione era definita ; ma, purtroppo, l’Oratorio di Mele si trovava in così disagiate condizioni finanziarie, da non potere assolvere l’impegno contratto: fu perciò deciso in altra seduta della Confraternita di chiedere un mutuo di L. 5000 al comm. Emilio Bruzzone : somma occorrente per la transazione e per la liquidazione delle diverse parcelle dei legali defensori della Confraternita e per le spese giudiziarie. Molto benevolmente il comm. Bruzzone aderì alla richiesta e consegnò le L. 5000 al*tasso del 4%; assumendo un’ipoteca per detto prestito sui tre appartamenti e due botteghe situati sul Largo Garibaldi ai nn. civici 77-78-70 di proprietà dell’Oratorio. Ma più degno di memoria e di gratitudine fu il gesto compiuto dal comm. Emilio Bruzzone dopo qualche anno. . Egli, seguendo quella linea di generosa bontà, a cui sen.pre nella vita improntò tutte le sue azioni, rinunciò al credito e alla ipoteca sugli stabili dell’Oratorio. E Mele gliene fu riconoscente. L’Arca di Sant’Antonio Abate finalmente era proprietà assoluta dei Melesi. Così, dopo un periodo quasi decennale di incertezza e di agitate apprensioni, fu possibile ritornare al ritmo sereno e laborioso della vita paesana. L’anno scorso — ma soltanto temporaneamente — l'Arca di S. Antonio fece ritorno a Genova. Nella Mostra delle Casacce Genovesi, che venne apprestata nel Museo Civico di S. Agostino, il capolavoro del Maragliano figurò sovrano fra tutte le altre Cassse di Genova e dei paesi della Liguria. L’ammirazione che suscitò quest'opera nella enorme massa dei visitatori della Mostra fu immensa : ma soprattutto fu motivo di orgoglio per i Melesi l’avere appreso che sul loro Sant’Antonio Abate si indugiò contemplativo lo sguardo sereno di S.A.R. Umberto di Savoia, e che dal di lui labbro ne fu espresso l'elogio e la meraviglia. 186 GIUSEPPE PTERUCCI Dopo questo intermezzo, la Cassa — <*lie può chiamarsi il sacro Palladio del paese — fu ritra sportati}, a Mele, dove à e avrà, per l’avvenire, sempre stabile dimora. ARRIVO E RITORNO DELLA PROCESSIONE Nel tempo che ci siamo indugiati a narrare dell’arte di Anton Maria Maragliano e delle varie peripezie occorse alla Cassa di Sant’Antonio Abate, la. processione è arrivata al Santuario dell’Acquasanta, e ricompostasi in buon ordine, tra suoni ed inni, ha salito la Scala Santa, avviandosi in mezzo a un corteo festante di popolo verso la chiesa del Santuario a sciogliere il voto e a cantare il solenne Te Deum. Assolte le cure dello spirito, è giunta pure l’ora di provvedere alle esigenze del corpo. Infatti tutti i processionanti e la popolazione convenuta·, dopo la funzione si danno attorno ad assalire le trattorie e le posizioni migliori nella campagna e nei giardini per dedicarsi con. generoso appetito alle vettovaglie che si sono portate dietro. È pittoresco lo spettacolo di tutti questi bivacchi : a gruppi, a brigate, a capannelli, la gente seduta su l’erba al rezzo delle annose piante dà rii mano ai cavagni, alle sporte, ai pacchi e alle zucche da vino, e mangia e cionca, tra Ta liegre risate e i canti profani, ch’è un piacere a vederla. A cuor contento vita beata! Sulla piazza ampia del Santuario, nel pomeriggio, la banda svolge il suo programma di pezzi scelti : quindi si procede ad altre pratiche di religione nella Chiesa e nella Cappella ai piedi della Scala Santa, ove la leggenda narra che ivi è apparsa la Madonna. Verso le ore diciassette la processione si rimette incammino per il ritorno, ma a metà strada, in località Gun-nio, fa ancora una sosta. K costumanza tradizionale dei Signori Barba rossa, proprietari della Cartiera del ('unnio, di offrire ai portatori della Cassa pirt di una damigiana di vino. Posato il Sant’Antonio sul piazzale della Cartiera, i camalli si rinfrescano le gole riarse: bevono· e ribevono allegramente alla gloria del Santo e alla grazia dei Barbarossa, poi, con rinnovato vigore, ripresa sulle spalle l’Arca, si avviano verso In Carrubina, dove la processione si riordina per salire al paese. È prossima la sera ; la gente che è rimasta a casa attende, radunata, lungo la strada che guarda verso il Comune e Campogenaro. In lontananza si comincia a sentire il canto dei pellegrini e le note rinforzate della banda che echeggiano energicamente per tutta la vallata: poi, dopo non lunga attesa, nelle svolte della strada che risale verso il Turchino, appaiano in lunga teoria le luci dei ceri LA CASSA DI S. ANTONIO ABATE 187 delle torce e dei fanali che, avanzando, diradono le prime ombre vesperali. La Cassa — tutto un rogo di fiammelle — che suscitano luci ed ombre di grande effetto, riflettendosi sulle figure dei Santi e degli Angioli, procede in coda con pomposa maestà trionfale. La giornata festiva volge al fine; in tutti i fedeli la stanchezza del lungo viaggio è superata dalla intima contentezza del dovere compiuto. L’eco del canto, spiegato ed elevato di tono, è l’espressione più viva e ardente del loro stato di grazia. Il Cristo, le croci, e soprattutto la Cassa di S. Antonio, quando giungono in paese a sera inoltrata, non godono più dell’equilibrio e dell’andatura sostenuta che avevano al mattino, nel momento della partenza della processione. Il brio della festa si accentua nel sangue dei portatori, i quali, sul ritmo delle marce allegre della banda, ora fanno danzare sulla piazza dell’Oratorio il gran. Santo prima di decidersi a rimetterlo nel suo loculo. Questa perdonabile stonatura, che rinnova nel tempo gli istinti primitivi di una fantasia selvaggia, sembrerebbe a tutta prima un atto irrispettoso verso il decoro e i sentimenti religiosi della sacra funzione : ma non è. Questa allegria finale è accolta da tutta la popolazione come la più esaltante manifestazione di omaggio e di ringraziamento al San-to protettore Antonio Aliate, il quale nella benignità dello sguardo rivela di essere molto soddisfatto della gloriosa giornata. Oramai è calata la notte. Tutti i paesani si sono avviati alle loro case, e mano mano vanno spegnendosi i clamori e le luci ovunque, mentre le tenebre e il silenzio regnano sovrani. S. Antonio rinchiuso nel suo loculo attende, contemplando S. Paolo morto, il nuovo quindici agosto deiranno venturo, per riapparire nella gloria del sole. Giuseppe Piekucci RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Arturo Codignola, Anna (riusi nuani. Un dramma intimo di Cavour. Ed. Garzanti, Milano, 1940-XVIII, pagg\ 22S. La donna, secondo lo Zanichelli, non ha quasi alcuna parte nella vita del Conte di Cavour: tuttavia neppur egli tace di una forte passione di lui per una giovane ligure, designata da alcuni biografi del grande statista come P« Inconnue », e della quale anche lo Zanichelli non reputa necessario fare il nome, « perchè — afferma — questa passione, per quanto violenta e anche nobile, 11011 lasciò tracce nelPanimo di Camillo» (vedi Zaxachelli, Owvour, pag. 45-40). Così avvolta nel velo del mistero appare questa interessante figura femminile nelle opere di Domenico Berti, di Evelina Martinengo, cbe chiama queste» « il solo vero episodio d’amore del Cavour » e di altri storici anche posteriori al Faldella, il quale, per primo, rivelò il cognome della sconosciuta, identificata per la marchesa Anna Giustiniani nata Schiaffino, per quanto il Faldella confonda il nome di Anna con quello della madre sua Maddalena. Più tardi, Pamericano Nelson Gay, per un caso singolarissimo, venne in possesso di varie lettere della Giustiniani dirette al Cavour e (li una del Cavour a lei, e la monografia che egli codi pose, dopo tale scoperta, nel 1926, servì come base al Codignola nelPaccingersi ad allargare le ricerche intorno all'argomento, ad approfondirne lo studio, sì da giungere ad una completa ed esatta trattazione di questo che egli chiama « un dramma intimo di Cavour ». Suggestiva vicenda, nella quale i personaggi che si muovono sono osservati dal Codignola con fine analisi psicologica, che ne mette in rilievo ogni atteggiamento spirituale, ne spiega, se non sempre ne giustifica, ogni comportaménto esteriore. Come sfondo, in un primo momento, l'ambiente dei salotti genovesi, ardenti di patriottismo, nei quali si davan convegno «arhonari e giovani mazziniani e daine dell’alta aristocrazia, ugualmente aderenti ai principi di libertà. Fra questi, il salotto Giustiniani, dove In dolce Anna, con la vivacità dell’ingegno, con la cultura non connine — a quell’epoca — in una donna, col calore del sentimento, esercitava un fascino, al quale pochi potevano sottrarsi. Così mentre nota anche il Codignola — difficilmente si può spiegare come una creatura della sua tempra si unisse in matrimonio col marchese Giustiniani, tanto diverso da lei per idee politiche schiettamente reazionarie, per temperamento, per animo, è facile t" 111 prendere invece che una forte corrente di simpatia· si stabilisse presto tra l’a (Fascina lite Nina e il ventenne tenente del Genio, allor- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 189 che questi — di guarnigione a Genova — fu ammesso a frequentare il suo salotto. Il Codignola ci fa assistere allo sbocciare di questo sentimento, che fu, nel sorgere, passione amorosa, e passione politica insieme; giacché il Cavour, nelle sue giovanili aspirazioni alla libertà, in contrasto con ogni forma di soggezione straniera, trovò tale corrispondenza nella, Giustiniani, che già era sotto il fascino delPApostolo del-PUnità, da lasciarsi trascinare a quelle ardite concezioni, abbandonate più tardi, e che lo spinsero ad applaudire con calore alla rivoluzione trionfante in Francia, nelle giornate di luglio del 1830. Ma sul cadere dello stesso anno, il conte di Cavour abbandonò Genova per Torino ; seguirono l’allontanamento nel forte di Bard, nel marzo del-Panno successivo, poi il ritiro dalPesercito, varie traversie politiche, una crisi morale, che lo rese amareggiato e scontento di tutto, mentre Pimagine della giovane ligure si dileguava neiPombra delPoblio. Di fronte à questo stato d’animo del Cavour, il Codignola pone in rilievo il persistente affetto della donna : un affetto che s'ingigantisce con la lontananza e col tempo, spingendola ad ogni tentativo di riavvicinamento. Un incontro da lei voluto e cercato a Torino, dove la Giustiniani si era recata per ragioni di salute, nel giugno del ’34, li pose nuovamente di fronte; e il Codignola ricostruisce abilmente la scena, basandosi sulla lettera d’invito della marchesa e su quanto scrisse il conte di Cavour nel proprio diario. L'incontro, seguito da altri colloqui, parve far risorgere l’antica passione anche nel giovane, che, pur mostrandosi assai diverso da quello d’un tempo anche per il mutato atteggiamento politico, rimase conquiso di fronte alla devozione della donna, alla dedizione completa di lei, e, indignato, contro se stesso, giurò che mai 11011 l’avrebbe abbandonata. Il dramma si avvia alla fase culminante e l’analisi dello studioso si fa più profonda e più acuta. Opposti sentimenti si agitano intanto neH’anima della Giustiniani, dibattentesi ora tra il conforto del rinato amore da parte del Cavour e la puntura atroce del rimorso. Il pensiero di venir meno ai suoi doveri di madre (nel '27 e poi nel ’2S una figlia ed un figlio erano nati successivamente dal suo matrimonio) la tormentava angosciosamente : a questo si aggiungeva il dolore che la sua condotta doveva recare ai genitori, mentre poco si preoccupava del suo modo d’agire di fronte al marito, il quale d’altronde, con un contegno che il Codignola classifica come « cinico », permette da prima, senza intervenire, che la moglie abbia intimi colloqui con ramante, poi con un astutissimo piano ne intercetta le lettere e, pur conoscendo così appieno tutta la forza della passióne della Nina, conserva con lei una calma imperturbabile, clic esaspera la donna, ormai certa che egli sa. In tale situazione, sempre più divampa in lei quel fuoco d'amore che doveva divorarla : sente la sua anima come identificata nell’anima del Cavour, 190 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA e, nella febbre della crescente esaltazione, le si affaccia il pensiero di abbandonar tutto per seguir lui soltanto. Al che il Cavour contrappone invece l’opera persuasiva d’unja mente che ragiona, sintomo troppo sicuro di 1111 sentimento che di nuovo declina. E la vicenda entra in un’altra fase. Dopo un soggiorno in Piemonte, tornati i Giustiniani 111 Liguria, s’iniziano per la Nina le giornate più penose della sua vta. Il Codignola può seguirla ancora e tracciare questa nuova pagina del passionale romanzo, specialmente con l’aiuto del diario inedito di Antonio Crocco, letterato e giurista intimo di casa Schiaffino, diario che si conserva tuttora presso gli eredi. In tal mtxlo molti particolari, fin qui ignorati, vengono messi in evidenza : la rivelazione del marchese Giustiniani alla famiglia della Nina della passione di lei;, l’isolamento della colpevole Vlai parenti e dagli amici, il persistere di quel sentimento fatale, cosa tanto più tragica in quanto che la sventurata donna, non era ormai confortata — come una volta — dalla certezza d’un ricambio d’affetto da parte del Ca.vour. Il quale infatti, « nel pieno vigore intellettuale e fisico — dice il Codignola — era in viaggio alla conquista di un nuovo mondo attraverso la Svizzera, la Francia l’Inghilterra ». Di qui il distacco graduale, ma questa volta definitivo, per quanto il carteggio con la donna continuasse, per quanto l’Anna che aveva formato — come dicemmo - il suo orientamento politico nell’ambiente rivoluzionario di Genova*, si adattasse alle nuove concezioni del Cavour, confessandogli : <« non hai che a dirmi quello che vuoi e pensi ed io vorrò e penserò quello che tu mi dirai ». Rinuncia quindi anche agli ideali che avevano nutrito la sua prima, giovinezza, rinuncia alla paese domestica, pur di conservare il più grande tesoro della sua anima in pena : tentativi inconsulti e vani di tenere accesa nell’animo del Cavour quella fiaccola, che ormai stava per piegare al soffio mite di una tepida pietà. Questa che — anche in lei —ta poco a poco divenne certezza, determinò — scrive il Codignola — il crollo definitivo della tragica esistenza di Nina. E nell’ultimo capitolo dell’interessante lavoro, assistiamo all’epilogo del dramma. — Pur non venendo meno a quell'esattezza storica, per cui ogni affermazione è documentata, ogni deduzione ponderatamente basata sulla realtà, l’esposizione assume un calore <\\ sentimento che avvince sempre più il lettore, che lo rende quasi partecipe anziché indifferente spettatore — di quell intima lotta, che condusse alla decisione fatale 1 eroina di così appassionata vicenda d’amore. IO anche qui una nuova luce apporta il Codi-L'iiola sul l’argomento : jier quanti scrissero precedentemente sulla Giustiniani. la donna follemente innamorata si sarebbe spenta naturalmente per quest’amore : la sua fragile costituzione non avrebbe potuto sostenere lo strazio di una passione non corrisposta, che l’avrebbe sopraffatta e vinta. Invece il Codignola dà un’altra soluzione al rea- 191 listico romanzo : la Giustiniani volle da. sè inabissarsi nell’al di là, e, (Iojjo tre tentativi di suicidio — i primi due sventati per opera dell amico fedele Lazzaro Iiebizzo — arrivò infine all’annientamento delle sue sofferenze terrene. Ne fanno fede alcun pagine d’un suo diario, le annotazioni già citate del Crocco, la stessa testimonianza del Rebizzo, che non arrivò neppure in tempo a salutarla. Strana figura di donna, la cui vita fatta — come vedemmo — di lotte interiori fra passioni contrastanti clie toccano talora il parossismo, è il prodotto dell'età in cui visse: di quel romanticismo del quale non è la Giustiniani la sola esponente: giacche se essa si lascia spingere dalla sua esaltazione tino all’annientamento di sè, convinta anche di togliere un ostacolo alla via luminosa che si dischiudeva dinanzi al genio del Cavour — aspetto pur messo in rilievo dal Codignola — altre figure intorno a lei sono travolte dalla stessa onda di sentimentalismo : quali Lazzaro Rebizzo, che continuò a scriverle lettere anche dopo morta, Carlo Pareto, il giovane patrizio sostituito dal Cavour nel cuore di Nina, che, errante nel mondo per quarant’anni — lei scomparsa — portò sempre sul cuore un medaglione col nome « Anna » legato da un nastro con le parole trapunte « Souviens toi » formate da capelli di donna. La monografia del Codignola è corredata da tre appendici, contenenti il carteggio Giustimani-Cavour (app. 1), il carteggio Nina Giustiniani con vari (app. Il), lettere, documenti e poesie riferentisi a Nina Giustiniani (app. 111). Anche varie illustrazioni adornano il volume, fra le quali, nel frontespizio dell’elegante edizione e nella prima pagina, la riproduzione di un ritratto della marchesa Giusti niani eseguito ad olio dai pittore Giuseppe Cavalieri, reso noto solo ora, perchè rintracciato dal Prof. Codignola presso il Duca Melzi D’Eri 1 degli ultimi eredi Giustiniani. Altro merito del valente storico e ricercatore, che viene a smentire così l’affermazione del già citato Nelson (.ray : « al giorno «Poggi non si conosce alcun ritratto di Anna Giustiniani; il Ruffini ne ha cercato uno invano, e se egli non è riuscito, altri studiosi son ben poco incoraggiati a proseguire le ricerche ». Evelina Rinaldi Rivista Inganna e Intemelia, vol. V, Gennaio-Dicembre 1939, Al- benga, 1940, 8°, pp. 152. Questo fascicolo, che è tutta una annata, un po’ smilza a dir vero, della giovane ed interessante rivista ponentina, è costituito di due parti nettamente distinte, ma che si ricompongono in un insieme organico di preistoria ligure. La prima costituisce gli « Atti del Convegno delle Incisioni Rupestri » tenuto nella primavera del 1939 in occasione dell’omonima Mostra, presso il Museo Bicknell di 192 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Bordiglieli. Le brevi pagine introduttive veramente son parse un po' scarne a noi che quel Convegno ricordiamo con viva memoria, torse perchè la malia di quel meraviglioso mondo, bello di una bellezza eterna che par rinnovellarsi di era in era, sempre mutevole e sempre la stessa, ci aveva affascinato, e nella cordiale comunicazione di spiriti con studiosi giovani e men giovani, ma tutti innamorati della loro disciplina, avevamo scoperto noi stessi, a contatto con lo scavo ancor vivo, i nuovi miracolosi misteri della paletnologia e della stessa archeologia romana, che a Ventimiglia si giova, nelle sue indagini, del metodo stesso della ricerca preistorica: la rigida determinazione stratigrafica. Scoprendo seminascosto sotto gli edifici vistosi della civiltà modernissima tutta una successione di mondi distrutti da millenni e millenni, avevamo Unito col non scorgere più che questa realtà ricostruita dal pensiero umano con potente e sicura capacità fantastica, che inebria, come una sublime poesia, la « poesia dello scavo », che fa parlare le sabbie, le rocce, i frustoli più impercettibili di ogni relitto animale ed umano. Conoscendo da vicino, a contatto col mondo della loro ricerca, gli scienziati di cui oggi leggiamo le pagine, per il profano così aride e crude, e partecipando della loro passione, eravamo andati, noi, quasi neofiti, forse troppo oltre in questo entusiasmo, tanto da smarrire per un momento il senso dell’austerità grave di questa scienza delicatissima. Gli Atti sobrii e le relazioni rigidamente collocate in serie, ci riconducono oggi alla realtà vera, tutta severità di metodo e rigore di esposizione documentaria. Che è giusto che sia tale. Solo avremmo desiderato un po’ più di calore nella illustrazione della Mostra, di cui non so, e non credo, che, all’infuori delle vaghe e inconsistenti cronache sui quotidiani, sia uscita alcuna illustrazione: nonché un cenno almeno riassuntivo di quelle relazioni, alcune, come quella del Barocelli sulla figurazione del Bovide di Monte Bego, veramente importanti, che per vari motivi non bau potuto trovar posto in queste pagine, e dovremo andare a cercare in altre disparate Riviste. Ma intanto vengono qui opportunamente pubblicati alcuni studi essenziali, dalla presentazione analitica e rigidamente documentaria del lavoro decennale di Carlo Conti sulle petrografie di Monte Bego, alle pagine di sintesi con cui il Lamboglia, dalle complesse esperienze degli studiosi, trae argomento per delineare gli sviluppi avvenire della scienza paletnologica ligure, alle sapienti e sottili comparazioni tipologiche su 1111 orizzonte vastissimo della Laviosa Zam-botti. Sullo specifico argomento di questi studi (come delle singole comunicazioni della parte seconda), torneremo brevemente nelle nostre <( Spigolature » in questo stesso fascicolo. Qui ci basti, a conclusione, rilevare come attorno al nuovo centro di studi costituitosi presso il Museo di Bordighera si stia rinnovando quell’interesse per RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 193 le ricerche preistoriche liguri, che dai giorifi ormai lontani del Morelli, dell’Amerano e delibi ssei, dopo la grave parentisi della guerra mondiale, si era venuta affievolendo fra noi. La seconda sezione della Rivista è appunto la più luminosa riprova di questa volontà di rinnovamento. Il « Notiziario di Studi liguri », già da noi annunciato (di·. « Spigolature e Notizie » in Giornale II, 1940, pag. 107), costituisce una iniziativa lodevolissima, destinata, se non andiamo errati, ad un largo sviluppo, sia come informazione aggiornata e viva di quanto si viene man mano discoprendo e studiando sulla preistoria nostra in questi anni di intensa ripresa scientifica, sia come riesame critico, cui intendiamo contribuire modestamente anche noi, del lavoro delle generazioni passate, il cui frutto non si può disconoscere se si vuol pine procedere a tentare vie nuove .per risolvere l’annoso problema. A questo notiziario fa in certo modo da prolusione il breve studio citato del Lamboglia su Val Meraviglie e ie questioni etniche. Ma c’è un preciso programma che lo spazio non ci consente di riprodurre integralmente : un programma minimo, che comprende comunicazioni su singoli problemi e su materiali anche non inediti, paletnologiche, linguistiche e museografiche, limitatamente a quanto concerne il più ristretto mondo della « Liguria » tradizionale ; ed un programma massimo, rappresentato dalla sezione bibliografica, che spazierà con maggiore larghezza a toccare tutte'le questioni che possono in qualche modo interessare, in Europa e nel Mediterraneo, il problema ligure : distinzione e limitazione particolarmente felici! e che ci pare saran garanzia del buon esiti» di questo « esperimento iniziale » cui auguriamo eli buon grado il massimo riconoscimento: la creazione di quell"« Istituto di Studi Liguri » centro di sviluppo e coordinamento ili ogni indagine rivolta ad illustrare le origini nostre, che, sull’esempio del conforme « Istituto di Studi Etruschi» il Lamboglia, animatore di questa nuova impresa, si ripromette (’i. Di tale vasto programma in questa prima puntata solo una parte è iniziata, la più fresca e più originale. Manca ancora la bibliografia, sistematica, retrospettiva ed attuale. Ma già il materiale raccolto ed i nomi dei collaboratori, dal Graziosi, al Lamboglia stesso, al For-mentini, al Richard, al Carducci, dà il più ampio affidamento di si-cura riuscita. T 0 ÜE Nbgri (l) Mentre si componevano queste note il voto del Lamboglia veniva in gran parte, con sollecitudine veramente tempestiva e lodevole tradotto in realtà, con la creazione di un « Centro di Studi Liguri » presso’ il Museo di Bordighera, di cui il Ministro dell Educazione Nazionale nominava Commissario Straordinario il Sen. Mattia Moresco, Presidente della R Deputazione di Stona Patria per la Liguria. L’attività di esso, non forse ancora determinata in ogni sua parte, non potrà contenersi entro i limiti delle Liguria Occidentale, cui si estendeva ieri l’attività scientifica del « Museo BickneU » Noi ci auguriamo che col Lamboglia, segretario del «Centro», cooperino nel compito grave tutte le forze culturali di Liguria e d’Italia ]94 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Con f iode r a z i on e Fascista dei Professionisti ed Artisti^ Celebrazioni Liguri, in 8°, Urbino [1939]. Parte 1, pp. 072. Parte II, pp. 730. Meritava una relazione più .sollecita questa pubblicazione imponente dei 44 discorsi letti per ogni terra di Liguria nell’autunno dell'anno XVI. Ci lia attardato forse il ritrovare in queste limpide pagine, stampate in veste più che decorosa, non più die le crude lezioni, di cui ha a suo tempo ampiamente parlato la critica dei quotidiani, distribuite secondo il rigido criterio dell· ordine in cui furon tenute, senza giustiticazione alcuna delle ragioni che indussero gli organizzatori a scegliere le varie sedi, non sempre ovvie, almeno per il lettore non ligure, cui la pubblicazione è anche particolarmente diretta. C’è un che di occasionale nella distribuzione, cbe ci accosta un abate letterato ad uomini d'arme, Mazzini ai Papi liguri del Medioevo, il leggendario ragazzo fatto quasi mitico eroe per due sole parole che sono un programma di ribellione e di vita, al più fecondo e facondo romanziere di ieri; e ancora, la prosa scarna di un uomo della tecnica a quella forbita di un critico puro, o sbarazzina o magari scialba di un letterato o di un pubblicista ; (li Colombo, di Mazzini, di Garibaldi si parla nell’uno, e si torna a parlare sparsamente nell’altro volume. Era un disordine per gran parte appaiente nelle celebrazioni, dislocate nel tempo e nello spazio : ma in questo raduno ove le ritroviamo schierate in una continuità che allora non ebbero, il contrasto ci appare stridente, eccessivo. ^ Ma lasciamo questo argomento esteriore, e leggiamo, E qui ci bagnerà tenere altro tono. Son tanti medaglioni che si leggono volentieri, perchè ci si sente la parola che vibra, a tu per tu con le folle, non solo e non sempre di dotti. Talvolta la parola è un po’ sostenuta, e ricca di ornati, e anche di impalcature che ben si reggono nella dizione orale, evocatrice di Glorie dinanzi al popolo reverente, ma qui, nel a stampa perenne, denunciano la loro precarietà. E c’è anche discontinuità nel tono e nel metodo, portata dal diverso temperamento degli oratori e dai disparatissimi argomenti e dal vario ambiente che più o meno influisce sulla sensibilità di chi porge. Ciò non pei-tanto le singole monografie sono spesso in sè interessanti ed anche nuove. Elencarle tutte sarebbe impossibile, e d’altra parte il lettore le troverà disciolte e disseminate nelle varie sezioni delle nostre spigolature. Qui accenniamo fugacemente a qualcuna tra quelle che ci pare apportino maggior contributo di novità, o che più felicemente ed originalmente inquadrano la figura prescelta. Una serie per Genova di primissimo piano è quella dei Navigatori, dai Vivaldi, la cui tragica gesta fu il primo volo verso le grandi conquiste oceaniche, e che trovano qui il loro illustratole in Franco Ciarlantini, a Colombo, di cui parlano Revelli e Agnino e Paolucci de' Calboli e, forse con maggior vigore e efficacia, Goffredo RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 195 Bellonci, al Rubattino, òhe S. E. Host-Venturi celebra rinnovatore delle tradizioni marinare di Genova in seno alla grande patria italiana.' Accanto troviamo i Condottieri, che spesso precedettero o seguirono i Navigatori per confermare alla Serenissima i possessi raggiunti da quelli, -dalPEmbriaco ai DOria, rievocati nella parola del Di Giacomo e di Alfredo de Marsico. Ma Genova fu grande non solo e non tanto per la forza e la tempra di suoi singoli figli, ma bene spesso per Topera collettiva dei suoi istituti e dei suoi cittadini. Sicché in uno studio acutissimo sulla politica genovese del ’600 il De Mattei può scoprire più pensiero di popolo che di individui, e l’Asquini può fare assurgere quasi a forza viva, operante, ad eroe del commercio genovese il Banco di San Giorgio. Si avvicendano in queste tornate i nomi più insigni della politica e della cultura nazionale, Marpicati, Solmi, Bottai, che portano il loro contributo alle Celebrazioni regionali, secondo un criterio discusso e discutibile, ma idealmente elettissimo, parlandoci di Abba e di Garibaldi. Taluni, dovendo riprendere temi immensi ed infinite volte sfruttati, come il Mazzini, hanno avuto il pensiero felice di evitare le grandi cose per rifugiarsi nell’intimità dell’eroe, nelle piccole graziose vicende del sentimento, a costo di non portar pietre nuove all’edificio della storia·, come Innocenzo Cappa, che rievoca tratti della spiritualità di Maria Mazzini (ma sul Mazzini leggeremo le pagine perspicue e nutrite di pensiero di un Giuliano, di un Lantini, di un Ercole). Ancora nel nostro glorioso Risorgimento mi piace ricordare il nome di uno dei pochi liguri chiamati a partecipare alla Rassegna, di Vito Vitale, semplice e gentile, ma severo, come il suo eroe Goffredo Mameli. Nè dimenticheremo, col Sen. Moresco, del cui « Balilla » lia già a suo tempo parlato il nostro Giornale, il Sen. Giacomo Reggio, in cui scopriamo, attraverso la sua rievocazione del Duca di Gal liera-, una singolarissima tempra di ligure, sobrio, modesto, sicuro. E Nello Quilici, immolato oggi per la grandezza d’Italia, per quelle pagine vibranti su Vilfredo Pareto che sono una delle cose forse più ghiotte della raccolta. E il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, mirabile tempra di soldato che ricalcò con le armi le orme dei pionieri di cui con felicissima scelta fu chiamato a parlare. Ci rimane a dire di un manipolo di Commemorazioni che per la natura dei soggetti meglio si prestavano ad uno svolgimento organico e originale, anche entro i brevi termini di una lezione, quelle dei letterati ed artisti, che hanno trovato autori di specialissima competenza e capacità, e per di più allenati, per la natura stessa delle loro abituali attitudini, all’indagine critica ed alla elaborazione formale. Sugli artisti non mi soffermo. Son tutti saggi, specie quelli di Roberto Tapini sul Magnasco e di Francesco Fichera su Carlo Barabino, piacevoli e fondamentali ad un tem|H>. Dirò di 196 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Vittorio Cian, che in una conferenza dotta e forbita riesce a renderci interessante periino la figura-, in sè non grande, di Innocenzo Frugoni; e di Giulio Natali, che ci commemora un letterato forse più grande della sua faina, Anton Giulio Barrili. Sicché scopriamo, attraverso le pagine di questi due poderosi volumi, accanto agli eroi che il mondo ci invidia ed onora con noi, personaggi minori, ma ben degni di essere risuscitati nel ricordo degli italiani e dei liguri stessi; nomi anche di letterati, insospettati prima, che la mania forse di considerarci rozzi mercanti e lavoratori ci aveva fatto scordare. Genova ha avuto veramente, anche nell’800, una superba schiera di personalità di ogni tempra e di ogni cultura, aU’avanguardia· sempre sia del pensiero, sia dell’azione : e non solo nella piccola patria particolare, ma nella nazione e nel inondo ; come — mi piace conchiudere con questo nome men noto tra noi, perchè, pur nato in nostra terra, fuori di Liguria esplicò la sua attività tenace — Giampietro Viesseux, mercante tipico dell’intelligenza, che si fa. centro e propugnatore, da Firenze, di squisita italianità. Le pagine del Bandini ce lo presentano vivo in tutta la sua svariatissima attività di letterato e di uomo di mondo, di ligure tenace e di fiorentino brillante. È una conversazione piacevole, penetrante, sbarazzina. Una cosa nuova, un piccolo. gioiello di grazia fra tante dizioni austere e talora paludate. Ed ecco dalla, accolta di amici che si danno convegno attorno al « secondo Granduca » a Palazzo Buon-delmonti, oggi Gabinetto Viesseux, sbocciare quel giardino, 1’« Antologia », che è la maggior gloria, ancor oggi, del Nostro, l’espressione del suo temperamento generoso e gioviale, della sua compostezza e del suo intenso amore di patria. . v . Questa, e non solo questa, è una lettura amenissima ; sicché m definitiva la raccolta, anche nel suo disordine, avvince, e la percorriamo con avidità, e la chiudiamo con una punto di nostalgia. 'Teofilo Ossian De Neghi Corrado Db Biase, lì problema delle ferrovie nel Risorgimento ‘italiano. «Collezione Storica del Risorgimento italiano». Sene I, vol. XXV. Modena, 1940, 8°, pp. 200. Se anche la ricorrenza centenaria delle prime ferrovie costruite in Italia può aver suggerito al De Biase il momento opportuno pei que sta pubblicazione, essa ci appare lavoro serio, ponderato da lunga mano, con vera passione per l’argomento, competenza non comune ed informazione diretta sui documenti d’archivio, i repertori tecnici specializzati e le opere fondamentali nella storia del Risorgimen o italiano, di Rodolico, di Ciasca, di Codignola. Si sa che il problema ferroviario in Italia fu ed è già particolarmente difficile per le aspe- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 197 rità del terreno che si oppongono ad una rete continua ed ordinata. Tali difficoltà furono rese maggiori dal frazionamento politico della Penisola, sicché le necessità di scambi a distanza· erano meno sentite, e le intese per creare nuove vie più lente e inefficaci, e i criteri dei vari governi disparatissimi, quand’anche sia per mentalità retriva, sia per preoccupazioni antinazionaliste, essi non fossero decisamente ostili ad ogni realizzazione di cose nuove. Va da sè che tutto il complesso sistema ferroviario italiano ne doveva risultare viziato, nella sua lenta e frammentaria e difforme costituzione, anche se la tenace volontà di alcuni tecnici e patrioti poterono impedire, in alcuni casi più particolarmente importanti, errori irreparabili per i destini futuri d’Italia. Ma tra tutte le cause contrarie al costituirsi di una rete ferroviaria « italiana » più grave fu il fatto dell’egemonia in molti stati di una sola potenza straniera che, gelosa della sua, preminenza e sospettosa delle aspirazioni unitarie italiane, ritenne suo proprio interesse influire sui singoli favorendo progetti ferroviari orientati unicamente ai rapporti con l’Austria: di qui, nel Regno delle Due Sicilie, il progetto della Napoli-Manfredonia, in relazione coi porti adriatici serviti dalla marina imperiale; di qui, nell’Emilia, il tentativo di far prevalere, sulla linea naturalmente pili utile Bologna-Piacenzai, un raccordo Bologna-Venezia inteso a valorizzare unicamente gli interessi di Vienna. Ora, merito del Di Biase, è di essersi soffermato più che sul lato tecnico del problema, sopra- questo processo interiore del nostro sviluppo ferroviario, nelle parti, prima e terza, descrittive dei progetti e delle imprese ferroviarie nei singoli stati prima e dopo il 1848, ma soprattutto nel capitolo centrale « La questione delle ferrovie nella formazione della coscienza nazionale ». Nella inesaurìbile serie delle polemiche giornalistiche e delle battaglie tecniche e parlamentari, emerge quanto spesso l’occhiuta prevenzione dell’Austria abbia incontrato un efficace alleato « nel gretto municipalismo e nelle discordie interne, antichi malanni della nazione, nag· 154 Artemisia Zimei, Garibaldi nella poesia italiana (I. P.)....................155 Arturo Codignola, Anna Giustiniani (Evelina Rinaldi) .................188 Rivista Inganua e Intemelia (T. 0. De Negri) ....................................191 Celebrazioni liguri (T. O. De Negri) ........................................................194 Corrado De Biase, Il problema delle ferrovie nel Risorgimento (T. 0. De Negri) ....................................................................................196 Leona Ravenna, Appunti per una bibliografia mazziniana ............48, 156 T. 0. De Negri, Nilo Calvini, Spigolature e Notizie........................88, 199 I nostri lutti : C. Imperiale di Sant’Angelo, Santo Filippo Bignone 161, 162 Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca 8. Caeciauo, 1940-ΧΙΧ