Conto corrente con la Posta ANNO VII - 1551 Fascicolo I* - Gennaio-Marzo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale V-·" Ο- Ν UOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentini Direzione e Amministrazione GENOVA, Palazzo Rosso, \^ia Garibaldi, 10 SOMMABJO R. Piattoli, La spedizione dei Lomellino contro il Principato di Gherardo D Appiano ( 1401) — P. Sassi, Appunti per una Storia del Diritto. Marittimo genovese — P* S. Pasquali, Lunigiana e Liguria — N. Cozzolino, Gl' Istituti di cultura a Genova sulla £ne del 1700 e sui primi del 1800 — V. Vitale, Ancora sulla rivoluzione genovese del 174-6 — R. Mo-rozzo della Rocca, Il dispaccio di Carlo Felice a De Geneys per la repressione dei moti genovesi del 1821 — M. Battisi ini, I padri bollan-disti Henschenio e Papebrochio a Genova nel 1662 — VARIETA’ : V. Vitale, Le spese di spedalità per Pasquale Badino — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA ; S. Manfredi, Luigi Torelli ed il Canale di Suez, (C ^ornate) - B. Senaragae, De rebus Genuensibus Commentaria ab anno MCDLXXXVIII usque ad annum MDXIV (C. Bornate) ~ U. Mazzini* Amori e Politica di Aleardo Aleardi (V. Vitale) - B. Nannei, Megollo Lercaro (V. Vitale) — SPIGOLATURE E NOTIZIE — APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA - I nostri morti - Alfredo Poggiolini. • LA SPEDIZIONE DEI LOMELLINO CONTRO IL PRINCIPATO DI GHEPARDO D’APPIANO (1401) L’impresa bellica, per quanto sia stata preparata ed eseguita da cittadini privati, non per questo è da considerarsi senza connessioni colle vicende politiche, che allora si svolgevano. Mentre i suoi organizzatori presero lo spunto della fiera rivai ita tra genovesi ç catalani, che manifestavasi in atroce, continua guerra sui mari, essa venne ad entrare nel quadro della lotta senza quartiere tra la repubblica di Firenze e Gian Galeazzo Visconti per l’egemonia nell’Italia di mezzo. Quantunque Genova fosse sottoposta fortemente all’influenza viscontea, essa non si schierò mai apertamente in favore dell’uno o del-l’altfo dei potenti antagonisti. I suoi interessi mercantili la legavano ad entrambi gli Stati; ecco la causa del suo atteggiamento. La mano di Gian Galeazzo piuttosto facevasi sentire nelle turbinose lotte di partito, che insanguinarono la Liguria in quegli anni, offrendo ad una delle fazioni il suo appoggio interessato. Nel momento che fu operata la spedizione egli era intento a raccogliere forze per contrastare Roberto di Baviera fattogli calare addosso dall’oro fiorentino, cosicché era stato costretto a interrompere i preparativi per la conquista di Bologna, l’ultimo anello della catena stretta intorno a Firenze. Nei suoi disegni, l’attacco alla capitale dell’Emilia doveva coincidere con l’inizio dello sbarramento sistematico delle vie obbligatorie del commercio di Firenze. Pisa e il suo porto, Siena con lo scalo di Talamone, erano comprese nel suo dominio; Paolo Guinigi, novello signore di Lucca e arbitro del porto del Motrone, era entrato nella sua sfefa di influenza. Le vie principali potevano essere bloccate non appena fosse giunto l’istante propizio. Soltanto il lontano e malagevole porto di Piombino signoreggiato da Gherardo d’Appiano sarebbe, forse, rimasto praticabile ai mercanti fiorentini; forse, perchè il principe era troppo debole per resistere ad un invito del Visconti a chiudere il suo porto. A ogni modo, anche astraendo da altre considerazioni che vedremo, non sarebbe stato disutile il premunirsi anche da 2 Renato Piattoli questo lato di secondaria importanza. Di qui l’astuta mossa del Visconti contro l’Appiano (*). * * * Ceduta Pisa e costituitosi un piccolo dominio con l’Elba e Piombino, il figlio di Jacopo d "Appiano si unì a coloro che correvano rapinando i mari concordi nel danneggiare i traffici dei genovesi. I mercanti, sempre all’erta e in ricerca di notizie sugli spostamenti e l’attività dei corsari, tennero dietro alle sue vicende, e in una lettera del 28 ottobre 1400, tra altre comunicazioni concernenti affari in corso, troviamo (2) : Meser Gherardo d’A piano ha disarmato a Piombino, e meser Baldo Spinola anche à disarmato Vuna delle galee. Così ci par farà del’altra, Idio profondi i corsali! Come però non era stata intenzione dello Spinola di lasciare il fruttuoso mestiere, così neppure questo desiderio aveva animato l’Appiano disarmando la sua nave da preda. Il risentimento che per ciò verso -di lui nutrivano i nocchieri liguri era aumentato dal fatto, che egli aveva reso il porto di Piombino un ricetto per i loro avversari più temibili, i pirati catalani, i quali un miglior covo non potevano desiderare, essendo sulla rotta che le navi trafficanti con l’Oriente erano strette a battere andando a Genova e Pisa o venendone. Le numerose piraterie perpetrate contro le navi genovesi nel canale di Piombino o in quei paraggi dai catalani non sarebbero state realizzabili, qualora non vi fosse stato vicino un porto da rifugiarvisi in caso di pericolo o da depositarvi le merci rapinate. Piombino, allora dominato dalla fortezza della Rocchetta, era più che sufficiente alla bisogna. Per tutto il 1400 e i primi mesi dell’anno seguente Gherardo d’Appiano e i suoi favoreggiati ebbero buon giuoco, essendo Genova immersa nel lutto delle guerre intestine; ma quando, sia per il fervore della ripresa che segue a ogni crisi, sia perchè, allarmati dagli eccessivi danni riportati nel traffico marittimo a causa dei predoni, i genovesi corsero alla riscossa e a rintuzzare le offese, si ricordarono di lui e degli altri. L’arresto che compì di Andrea Lomellino e il successivo rilascio dietro un congruo riscatto precipitò gli eventi (3) . (1) Piombino nel periodo immediatamente seguente, quando l’offensiva del Visconti contro il commercio di Firenze era nel suo pieno sviluppo, divenne l’unico porto praticabile ai mercanti fiorentini. Cf. R. PlATTOLI, Il problema portuale di Firenze dell'ultima lotta con Gian Galeazzo Visconti alle prime trattiVe per l’acquisto di Pisa, in « Rivista storica degli archivi toscani », 1930, pp. (2) ARCHIVIO Datini (presso la Casa pia dei Ceppi di Prato), cartella 993. Tutti gli altri documenti mercantili che man mano citeremo, salvo avviso in contrario, trovansi in quella 3tee*ja cartella. (3) Sulle cause deH’arresto e sulle varie versioni del fatto cfr. R. CARDARELLI, Baldacco d’An ghiart e la signoria di Piombino nel 1440 e 1441 ; Roma, 1922, pp. 7-8. La spedizione dei Lomellino contro il principato, ecc. 3 * * * L’apparecchio delia spedizione, se non si potè tenere segreto» fu considerato dai mercanti fiorentini risiedenti in Genova come uno dei sintomi dell’offensiva sferrata già dai genovesi contro i pira li catalani, poiché gli interessati tennero ben nascosto il nome del luogo verso cui la flotta avrebbe salpato. Ovvie ragioni di prudenza consigliavano un tal modo d’agire, se non fu intento dei promotori il mascherare gli intenti da raggiungere con operazioni di minor conto. Infatti gli addetti al fondaco di Francesco di Marco da Prato il 4 maggio 1401 scrissero ai compagni del fondaco di Valenza: È soprastala a dì 7. E non ci viene persona da Pisa nè di Toschana, che n abiamo maraviglia, ben che ne sono chagione cierte juste di Portoveneri. che sono in questi mari per malajare. e a questi dì venono qui in porta di notte e presono uno legno di Marsilia eh’andava a Maiolicha (J) e ruborollo tutto, e per virtù di chostoro (2) si riebbe i legno. Ora, tali navi corsare armate sulla Riviera facevano parte di un gruppo maggiore, come è arguibile da un’altra lettera di quegli stessi mittenti ai soliti destinatari redatta il 15 maggio, dove, a proposito della tensione allora assai forte tra liguri e catalani, così si esprimevano: Le cose da cotesti a questi ci pare seguirano al’usato. Dove si troverano ruberà chi più potrà. Àno ogi cosioro assai e buone navi, e di nuove ogni dì ne fanno a pruova l’uno dell’altro. Tropo si tengono costoro suti opresati da cotesti. È d’altra parte Baldo Spinole con una galea, e que’ di Monaco^ co un’altra, e quel di Finali un’altra, e la galeotta di còrsi; e qui an-; cora s’armerà alcuna galea, secondo si dice. Parci sien atti a rispondere di qua a. catuno. Fino a quel momento dunque era ancora ignota ai più la causa di tanti preparativi, e, stando sulle generali, opinavasi che la flotta fosse inviata contro i catalani, pensiero non privo di fondamento, date le notizie allarmanti che erano da poco giunte dalle città marittime della costa iberica, di cui è traccia in una lettera della compagnia di Ardingo dei Ricci in Genova diretta al fondaco datiniano di Valenza e principiata a stendere 1Ί1 maggio: Delle 3 navi de’ ladri sute in chotesti mari e della ghaloaza presono, abiamo saputo. Idio li profondi! Avisate che chamini tenghono. Che Idio li profondi! E parmi pure chotestoro faranno tanto, che pocha pacie aranno chon chostoro. Idio provegha a quelo bisognia. Ardingo dei Ricci però, di famiglia influentissima nella sua pa- (1) Maiorca. (2) Costoro sono i genovesi, essendo stata redatta in Genova la lettera. E siccome tutte le missive che addurremo furono stese in Genova per essere inviate a Valenza, con costoro, questi sarà sempre da intendere i genovesi, mentre con cotesti, cotestoro gli abitanti di Valenza, cioè t catalani. 4 Renato Piattoli tria, potente -di per sè per le ricchezze e le alte aderenze, era in grado •di saperne più -di tanti altri intorno alle future imprese della flotta, che armava si, se non alla chetichella, che sarebbe stato impossibile, mantenendo il segreto sugli scopi di essa. Pertanto non è da maravigliarsi se nella stessa lettera venivano date informazioni tanto precise come le seguenti : Acci in Riviera si fanno preste 6 ghalee, e saranno fuori infra 8 dì. Sperasi andranno a levare ΓElba e Piombino a meser Gherardo chon fattura del ducha (x). Potrà esere verà loro fatto. E poi terano, forse, la via di chotesta chostiera. Saprete. Allo scadere degli otto giorni dati dal Ricci il mistero era svelato e risaputo che un pensiero concorde aveva mosso tutti gli armatori, infatti il 18 maggio il fondaco datiniano potè aggiungere alla surricordata lettera del 15: Baldo Spinola partì di qui colla galea prese d in (2) Bigia, e qui lasciò la sua e andò in Proenza. Non sapiamo che fatto s ali di poi. E a Monaco s’arma una galea e a Finali una, e a Portoveneri sono armate II galeote di 26 in 27 banchi l’una. E l’altra notte fu trato fuori la galea di Niccoloso Raspeo, ed è a Portofino. Tutte si metono a punto dichono a posta di Lomelini e altri per ire a prender l Elba tiene Gherardo d’Apiano, perchè dà ricetto a’ catelani, va in corso, e prese Andrea Lomelino e fattolo ricattare, il qual è ora qui. Potre li costare caro. Idio mandi male che bene ci metta per la nostra città. Che seguirà saprete. I vari legni costituenti la flotta non si avviarono tutti insieme, ma a scaglioni successivi, verso l’obbiettivo dell’attacco, come rilevasi da una lettera dell 8 giugno : Le II galee sotili armate qui son ite in-ver l Elba, e II galee grosse si mettono a punto per ir là, e as petasi Zoi galea di Finali e quella da Monaco, poi la Spinola, e gente asai v andrà. Idio facci quello il me’ deb’esere. Capitando i llà navile di ghotestoro, porterà pericolo. -Così si avviò al suo destino la spedizione, accompagnata dagli auguii dei mercanti, che speravano potesse allieviare la trista piaga dei predoni. Anche la compagnia di Ardingo dei Ricci, che era al cori ente delle cause politiche che avevano cooperato a indirla, quando il 27 maggio aveva scritto a Valenza: L’armata di qui è a punto. In fra pochi dì sarà fuori, e diciesi farà gran fatti. Idio il voglia e’sia chon bene de’ merchatanti, nutriva i sentimenti di tutto il ceto mercantile di Genova, anche del forestiero. Se al 14 luglio quella stessa compagnia poteva annunziare: Di Toschana è più di non ci à lettere, siche non vi sabiamo (3) dire nulla di nuovo. Ognora s’aspettiamo, e saprenvi dire quelo arà seguito V armata di Pionbmo. Che per tutto ci mandi Idio buone novelle, è da sospettarsi che i nocchieri, insospettiti da tante navi da guerra bat- (1) Del duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti. (2) In nella lingua catalana corrisponde al nostro signore. (3) Sappiamo. La spedizione dei Lomellino contro il principato, ecc. 5 tenti inari, non reputassero prudente abbandonare la fida protezione dei porti dove avevano fatto scalo. Pertanto il primo effetto dell’impresa fu un momentaneo ristagno del traffico marittimo lungo le coste della Penisola. Anche i carteggi mercantili concordano con le fonti cronistoriche nell’assegnare la spedizione all’iniziativa privata. Tuttavia, quando leggiamo in una missiva del fondaco datiniano di Genova del 25 maggio, sotto il giorno 28: Costoro solicitano forte Varmata per ire a l’Elba e Pionbino, cioè questi cittadini vi mettono mano. Andravi gran gente: volea partire la nave grande lomelina e cattana per ire in Aguamorta (‘) ed auto comandamento di non partire: voglono vada là; e galee grosse e altre fuste assai. Che seguirà v’ aviser emo,* data la pubblicità della cosa e la vastità degli apparecchi, sebbene i cittadini avessero allora più libertà di iniziativa che non si creda, specie nei centri marittimi, sorge ili dubbio che ciò avvenisse con la connivenza dei governanti oppure che il potere centrale fosse così esautorato da non riuscire a influirvi minimamente. Noi propendiamo per la seconda soluzione, perchè i mesi che precedettero l’arrivo del ferreo maresciallo Boucicaut videro in Genova dominare una pallida larva di governo. Le autorità partigiane, i capi partito erano i veri rettori delle sorti della Liguria. Così stando la situazione, le influenze politiche straniere, quale quella esercitata da Gian Galeazzo Visconti, avevano maggior agio di manifestarsi. Ora, non per nulla il bene informato Ardingo dei Ricci, senza esitare, fin dai primi preparativi dell’armata, aveva detto : « fattura del duca! »; non per nulla gli addetti al fondaco datiniano augura-vansi che le complicazioni prodotte dall’impresa riuscissero in vantaggio di Frenze. Tutto ciò indica con chiarezza come nella massa viveva il convincimento che anche un movente politico aveva animato i Lomellino e gli altri promotori, a loro volta indotti ed aiutati nell’intento di liberare dai predoni le rotte marittime da Gian Galeazzo Visconti pronto a volgere a proprio beneficio ogni evento. Le novelle che poi giunsero a Genova sull’esito dell’operazione e sugli avvenimenti che la accompagnarono non fecero che confermare tali pensieri e tali voci diffuse. Il 18 luglio il fondaco datiniano informava: L’armata andò al’Elba è stata a le mani con que’ di Piombino e danegiatisi molto insieme, e una delle II galee grosse andò a traverso di là da Vada X migla, di che la bruciarono ed ebon faticha di chanpar li uomini. E, secondo sentiamo, e9 c’è fante proprio (2) da Pisa, e conta come l’Elba è presa per costoro, salvo una tenuta, (1) Aiguesmortes. (2) Cioè un corriere privato, non un pubblico scarselliere. 6 Renato Piattoli che pensiamo di poi Varano auta . Istà *l fatto la posino poi tenere; crediamo però di sì. Idio lasci seguire il meglo. Saprete che fia. Dichono a Pietrasanta era pasato Polo Savelli con 1500 cavalli per ire a Pisa e poi a Pionbino. Sarà fattura del tirano (*) per pigiarsi lui Piombino, se potrà. Idio facci il meglo. Che sentiremo saprete. Contemporaneamente si divulgarono notizie catastrofiche: non solo il Savelli aveva ottenuto il suo scopo, ma persino, dopo aver corsa Piombino, aveva ucciso l’Appiano. Ciò non era affatto vero, ma, essendo un’impresa simigliante a tant’altre del Visconti, vi si prestava fe>de. Di questo ci ha lasciato il ricordo una missiva dello stesso 18 luglio della compagnia del Ricci : Uarmata di chostoro à preso VElba, e dicesi che a Pionbino nulla ànno potuto fare, ma ssì il ducha, che pare la gente v9avia mandato imi aiuto di messe Gherardo Vaveano fatto morire di mala morte e chorso il castello per lo duca, eli è bene de9 suoi tratti questi, se vero è, che tosto si saprà. In una seguente lettera del 26 luglio troviamo l’epilogo della spedizione e la via che presero alcune delle navi radunate per l’impresa: L9armata andò a UElba, arete saputo come s9acordò per fiorini XV mila, e fiorini IIli mila ebono di mendo d9una galiaza rupe là (2), e potero caricar la vena (3) per III dì quella poterono. Le IIII galee sottili n andaro ver Napoli. Che di nuovo sentiremo saprete. Intorno allo svolgimento dell’impresa non soggiungiamo di più, che altri ne hanno a sufficienza parlato (4) d’altronde i passi riportati sono assai chiari di per sè. * * * La calata di truppe viscontee sotto il comando di Polo Savelle risponde alla verità, non solo, che l’ombra che essa dette alla repubblica di Firenze non è priva di reconditi significati. Al carrarese di Padova che lamentavasi di essere molestato da Gian Galeazzo la signoria il 21 luglio aveva scritto: Quod ille dominus multa tentet, et diu noctuque stragem vicinorum, immemor fidei violatorque federum, moliatur, nobis nec incognitum est nec novum. Sunt etenim he continue sue meditationes et artes. Nichil aliud cogitat, nichil aliud, dummodo possit, agit. Sed dabit Deus his quoque finem. Non ergo miramur, quod vos istinc, ut scribitis, terreat..., infatti era stato mandato, (1) Tiranno era uno degli appellativi più di frequente adoperati dai mercanti fiorentini per indicare Gian Galeazzo Visconti. (2) Quindi in tutto 10 mila fiorini, la somma appunto data dallo Stella, mentre a 20 mila secondo il Bizaro sarebbe ascesa. Cfr. R. CardarELU, op. cit., pp. 7-8. (3) Cioè minerale di ferro delle cave famose di Rio dell’Elba. QueU’abbondante ricchezza mineraria fece sempre gola ai mercanti genovesi. (4) R. Cardarelli, op. cit., pp. 7-8. La spedizione dei Lomellino contro il principato, ecc. 7 certo per procurare ai fiorentini un nuovo detrimento, un contingente di lance a Pisa (!). Se dunque Ja situazione politica toscana non era tale da richiedere un nuovo invio di armati, come i maravigliati e dubbiosi interrogativi che il governo fiorentino facevasi sullo scopo di questi dimostra, se l’invio fu contemporaneo all’impresa della flotta ligure, è innegabile un rapporto tra i due fatti. E il -disegno di Gian Galeazzo è chiaro: costretto Gerardo d’Appiano a chiedergli l’aiuto, colle proprie milizie avrebbe occupato le fortezze di Piombino sotto l’apparenza di difenderle. Le truppe allora arrivate dovevano compiere l’opera oppure proteggere le spalle ai soldati mandati a (Piombino, in caso che Firenze, accortasi dell’inganno, avesse tentato un colpo di mano. La resistenza di Piombino e il successivo accordo cogli assalitori resero vano il disegno del Visconti. Fors’anche l’Appiano fu avvisato da amici pisani di quanto tramavaglisi contro, e, invece di cercare soccorsi interessati, preferì mandar via i genovesi riempiendo loro la borsa. La conquista diretta del principato dell’Appiano non sarebbe tornata utile al Visconti allora che pendeva su lui la minaccia dell’imperatore, giacche la guerra colla repubblica di Firenze sarebbe tornata a divampare. Invece una guarnigione nella rocca piombinese avrebbe risolto tutti i problemi. Intanto avrebbe legato -alle proprie fortune quel piccolo principe, che, timoroso del pari e di Firenze e di Milano, per salvaguardare l’integrità del suo territorio incuneato tra i domini viscontei di Pisa e Siena e di quei conti di Montescudaio, i quali, per opposizione alla tendenza soggiogatrice di Pisa, si mantenevano ligi a Firenze, avrebbe sempre piegato dalla parte del più forte. La cittadinanza pisana si sarebbe stretta ancor più a lui, nell’illusione di veder ricostituita l’unità dell’antico territorio minata da tanti eventi contrari. In caso di guerra il passaggio delle milizie da Pisa a Siena e viceversa sarebbe stato sicuro, e, in caso di estrema necessità, i fiorentini rivoltisi ad avviare il commercio per mezzo del porto di Piombino, si sarebbero trovata chiusa anche quest’ultima via di salvezza. Tutto viò ed altro ancora si era ripromesso Gian Galeazzo Visconti inducendo i Lomellino e gli altri armatori liguri già irati contro l’Appiano per i danni che procurava ai loro traffici a compiere una spedizione in grande stile. Una dimostrazione indiretta è offerta anche da un meno noto episodio, che dell’impresa stessa si può considerare una conseguenza. * * * Ritorniamo alla compagnia di Ardingo dei Ricci, che il 31 agosto scriveva al fondaco di Valenza di Francesco da Prato: Siamo a dì 5 di (I) Arch. di Stato di Firenze, Signori, Missive, reg. 25, c. 40/. s Renato Piattoli settenbre per non esere partito nessuno. Ed evi da Pixa che una nave ghrande di G[Ì]anotto Lomellino, eli andava a Ghaeta, partita d9Aghuamorta, molto ricca, è rotta sopra Vada chi dice per chattivo tempo e chi per chattiva marineria, e anchora non si sa se Ila roba si riarà, e, se fia, sarà tutta bagnata; ma di pegg[i]o si dubita. Ghran dano ne seghue a cliatuno, ma qui a costoro si vorano ghrossi, e Dio ristori 9 perdenti. Fino a qui siamo di fronte ad uno dei frequenti naufragi, ma il seguito, come ci è narrato in una lettera del fondaco datiniano di Genova del 14 settembre, è assai più interessante. Scrivevano dunque i mercanti: Dissevisi Varmata di qui, quanto feciono a Pionbino. Per poco ordine ebono, non feciono i fatti arebono potuto. Acordaronsi per danari, e restasi la cosa come prima. E sono di poi tornale le III galee restava a tornare, cioè Andrea Lomelino, tornato di ver Napoli. E fu a Vada, ove rupe Gianotto Lomelino chon pani asai portava a Gaeta. Il detto Andrea ripeschò, e prese di barche navieno, che portavano a Pisa, tanti caricò la sua galea, e qui se ne vene, e vole sai-vocondoto, e prima volVeser dacordo di suo parte, e à discarico qui da 500 pese di pani di Linguadoco. Di pani di Firenze nessuno à palesato. Èssi messo per Aguamorta,e là nè ito per poter discaricare ove vorà i pani di Firenze, che asai ne de9 avere. Idio li metta in cuore di rendere, e ristori i perdenti. (l) Di nostra conpagnia nulla era in detta nave, lodo a Dio. Il fatto si può ricostruire così: la nave di Giannotto Lomellino o per fortunale o per esser condotta da inesperto capitano si era rotta sulle secche di Vada mentre era diretta a Gaeta. Come usavasi praticare, gli abitanti del luogo cercarono di salvare a proprio beneficio iL prezioso carico di panni francesi. (L’opera di recupero era giunta a termine, certo nei limiti del possibile, e le merci si trovavano sulle barche dei salvatori, quando sopraggiunse Andrea Lomellino colle navi che dopo l’attacco contro l’Elba avevano veleggiato verso Napoli, e, è ovvio il dirlo, le ritolse loro. Ora, i più dei panni che costituivano il carico della nave perduta era di proprietà di mercanti fiorentini. * * * Non appena gli interessati vennero a cognizione del fatto indagarono sul come e dove fossero andare a finire le merci, e per prima cosa potettero sapere che il naufragio era avvenuto nei pressi del dominio di Gherardo d’Appiano. Allora ne interessarono la signoria* che invitò il principe ad agevolarli nella ricerca delle merci disperse (1) L’orig. ha perdetti. La spedizione dei Lomellino contro il principato, ecc. 9 con una missiva del 3 settembre; (J) «di lì a quattro giorni un’altra simile diretta al conte Arrigo da Montescudaio, e proprio lui sembra che avvisasse i mercanti fiorentini della iattura fornendo loro insieme notizie sul come era andato il recupero, lo pregava di svolgere una identica azione. (2) Se non proprio niente, poco doveva esser rimasto nelle mani dei marinai di Vada, dopo la razzia di Andrea Lomellino. E il nocciolo del problema stava proprio in questo, nel costringere costui a riconsegnare a chi di dovere le merci strappate ai recuperatori. Una intimazione fatta direttamente al Lomellino non avrebbe avuta alcuna efficacia, non essendo cittadino della repubblica, di qui la missima seguente inviata al governo di_Genova: (3) _j Amici karissimi. Nuper, sicut famam credimus retulisse, navis lomellina, super qua magnam mercatores nostri pannorum et aliarum rerum copiam onerarunt, sicut sunt adversitates mortalium, infeliciter est submersa, non sic tam, quam maxima rerum illarum par> cura, sollecitudine et opera gentium vicinarium iam non esset a maris iniuria vindicata. Supervenit autem navis longa Andree Lomellini, et res mercatorum nostrorum maris faucibus erutas per vim abstulit et in ratem suam cum aliis mercantiis recipiens Januam properavit. Potuit esse dicti Andree intentio forte bona, set mercatoribus nostris, propter dilatam rerum illarum explicationem, nimis, sine dubitatione, nociva. Velit igitur vestra benignitas taliter providere, quod res nostrorum civium eis, sine contentionis molestia, resignentur. Moveat vos tam gravis mercatorum nostrorum calamitas, nec vestre dilectionis humanitas patiatur, quod id quod divina reservavit clementia alicui vestro civi cedat in predam. Quamvis speremus illum bonitate sua cuncta, sua quidem non sunt, libere veris dominis redditurum; cumque quotidie talia contingant mercatoribus, placeat et velitis non aliter tractare mercatores nostros, quam vestros in casu simili cupiretis. (1) Cit. reg. 25 di Missive, c. 52r: Domino Gherardo Leonardo de Appiano: Magnifice domine, amice karissime. Credimus ad vestram noticiam pervenisse, qualiter navÌ3 que dicitur lomellina medio mari brevibus retenta consedit. Et quoniam in ipsa sunt plurium nostrorum civium mercantie, sicut lator presentium nobilitatem vestram plenius informabit, ami-ciciam vestram affectuose requirimus et rogamus quatenus, amore nostri, placeat pro recuperatione rerum nostrorum civium vestros favores impendere, quoque sine danno remaneant, quantum fieri poterit, adiuvare. Quod quidem, licet humanissimum sit et iustum, nobis tamen erit singulariter gratiosum. Datum Florentie, die III septembris, VIIII ind., MCCCC primo. (2) Cit. reg. 25 Missive, c. 62r: Comiti Arrigo de Montescudaio: Nobilis amice karissime. Referunt nobis mercatores nostri quanto favore fuit vestra nobilitas prosecuta recuperatione pannorum, quos super navi lomellina nuper sicut nostis, tam infeliciter perdiderunt, de quo vobis amplissima referimus munera gratiarum. Videmus enim nostra rogamina non fuisse, quantum in vobis erat, nisi plusquam amicabiliter exaudita. Nescimus, post omnem finalemque rerum illarum amissionem, que rapina contigit ianuensium an reliqui quicquam sit. Si quid igitur potest adhuc in tam gravi damno mercatores nostros vestra bonitas adiuvare, placeat id amicabiliter facerc et, gratia favoreque nostro, iacturam hanc, que nimia quidem est, quanto fieri poterit sublevare Quod quidem inter singularia nostra beneplacita memoriter ascribemus. Datum Florentie die VII /septembris 1401, ind. VIIII. (3) Cit. reg. 25. di Missive,, c. 531. 10 Renato Piattoli Nos etenim, licet res liée plurimum habeat liumaninatis atque iusticie, suscipiemus hoc pro gratia singulari. Datum Florentie, die VII septembris, VIIII ind., MCCCC primo. / Tuttavia neppure l’interessamento del governo di Genova potè giovare a qualcosa, avendo il prudente Lomellino posto le mani innanzi coll’entrare nel porto non come un altro navigante pacifico, ma dopo aver chiesto ed ottenuto il salv.ocondotto. Le trattative che di poi condusse coi mercanti interessati intorno alla percentuale di ricupero giunsero a conclusione, cosicché scaricò un certo numero di pezze di drappi francesi; ma nessuna trattativa corse con i fiorentini, nè panni appartenenti a costoro scaricò in Genova. Indi rimise la vela e si diresse alla volta di Aiguesmortes, lasciando credere di voler depositare le merci di fiorentini in qualche scalo provenzale per poter dettare lui le condizioni, se non per venderle a proprio sclusivo beneficio. La verità invece era diversa, e fu conosciuta prima in Firenze che in Genova. Il Lomellino dopo aver strappato ai recuperatori le merci non aveva continuato il viaggio direttamente fino a Genova, ma aveva fatto scalo a Pisa, e proprio in Pisa aveva scaricato tutte le merci che appartenevano a fiorentini. La signoria allora dovette rivolgere al luogotenente ducale e agli anziani di Pisa una preghiera simile a quella già iatta e senza risultati al governo genovese. Nunc autem audivimus nos, indagine curiosa, quicquid superfuit raptoribus atque mari simul congregatum Pisas fecisse deferri..., scriveva il 14 settembre. (*) Difficilmente, invero, avrebbe potuto escogitare il Lomellino un espediente migliore, spuntando ai suoi fini l’odio tra Firenze e Pisa. Ritornando però al momento politico che si attraversava, all’incognita che pendeva sulla sorte futura dei domini viscontei, ci sembra evidente che non sarebbe dovuto entrare nei calcoli del luogotenente Antonio Porro e del Visconti stesso il suscitare nuove ragioni di inimicizia con la repubblica di Firenze, se non vi fosse stato un vincolo di complicità e di reciproco favoreggiamento tra loro e il nobile genovese. E una prova dell’esistenza di quel vincolo non è forse offerta dal fatto stesso che il Lomellino si accanì a danneggiare più che altri proprio i fiorentini? E così, come era da aspettarsi, rimasero lettera morta gli inviti rivolti ai governanti di Pisa; e così a niente valsero le preghiere direttamente fatte ai fratelli di Andrea Lomellini, ricorrendo ad argomenti piuttosto sentimentali, quale il ricordo delle antiche benemerenze della famiglia verso la repubblica e l’amicizia fino allora durata (I) Cit. reg. 25 di Missive,, c. 561. La spedizione dei Lomellino contro il principato, ecc. 11 «alda e costante, (i) Come nel caso che altri con simili invocazioni avessero supplicato Firenze, la stirpe dei navigatori fece orecchio da mercante, che il lucro sopra tutto le stava a cuore. Non rimase perciò che adire le vie giudiziarie, e nel gennaio del 1402 davanti ai consoli del mare di Pisa discutevasi la controversia tra i mercanti genovesi e fiorentini intorno alle merci oramai famose. (2) Renato Piattoli. (1) Cit. reg. 25 di Missive, c. 57r e t. La lettera non reca indicazioni di sorta riguardo al o ai destinatari; solo il contesto ci avverte esser questi i figli di Napoleone Lomellino: Nobiles amici karissimi. Postquam Deo placuit quosdam cives et mercatores nostros de pannis, quos super lomellina navi cum multis aliis onerarunt, damno gravissimo, sicut novistis, afficere, singulari Dei providentia, factum est ut maxima pars florentinarum rerum ad Andree germani vestri manus, sicut sue bonitati placuit, perveniret; nam, nisi nos fallat, spes de preteritis assumpta, cuius in potestatem potuerunt ista redigi, qui gratiosior et favorabilior nostris sit futurus? Quanto quidem retro possumus recordari, semper generosa vestra familia et spetialiter optimus pater vester et vos ipsi per eius vestigia gradiente^ faverunt singulariter civibus florentinis. Qua spe freti, nobilem amiciciam vestram affectuosissime requirimus et rogamus quatenus, contemplatione nostri, placeat cum Andrea predido germano vestro taliter ordinare, quod, quicquid florentinorum inter dictas res repertum est aut contigerit reperiri, benivole restituatur dominis. Hoc vult iusticia, vult honestas ; hoc honor eius totiusque familie vestre postulat, hoc exigit ami-cicie cultus, qui non est etiam honesti lucri gratia deferendus. Nos autem quicquid circa rerum amissarum inventionem per vos diligentie appositum fuerit, quicquidve pro restitutione favoris et auxilii datum erit, nobis cum eterne memorie conservatione reputabimus singulariter gratiosum, et exinde vobis atque sibi reddemus in perpetuum vicissitudine gratitudinis obligati. Datum Florentie, die XXII settembris, VIIII ind., MCCCC primo. (2) Cit. reg. 25 di Missive, c. 68r. Credenziale « Consulibus maris civitatis Pisarum ». La datazione è in stile ab ine., computo fiorentino. Nobiles amici karissimi. Controversia que vertitur inter mercatores nostros et ianuenses occasione mercandarum que recuperate fuerunt ex navi naufraga lomellina, sicut audivimus, in manibus vestris est. Causam igitur atque iusticiam nostrorum civium amicicie vestre, quanta cum affectione possumus, commendamus; et, quoniam res huiusmodi viva voce melius quam litteris «xplicantur, placeat super hac materia prudenti viro ser Matteo de Boromeis de Sanctominiate fiorentino quem legationis titulo destinamus, credere placeat tanquam nobis. Datum Florentie, die XI1II ianuarii, X ind., MCCCC primo. APPUNTI PER UNA STORIA DEL DIRITTO MARITTIMO GENOVESE Da tempo assai antico erano noti ai marinai del Mediterraneo gli istituti giuridici dell’avaria e della contribuzione. Le basi le troviamo naturalmente nel diritto romano : quesiti attinenti alle avarie, vennero da noti giureconsulti risolti con quell’il-luminato criterio giuridico che distingueva i nostri maggiori. Nè potevano cadere in dimenticanza, con la grande ripresa di traffici marittimi dopo il 1000, le pratiche Romane e bizantine, ma, seguendo il movimento evolutivo di tutto il diritto e massime di quelle branche che esulano dal campo del diritto privato, anche esse si modificarono convenientemente e razionalmente così da rispondere in pieno ai nuo- vi bisogni. Il processo di trapasso dal sistema antico al medioevale, è stato ampiamente illustrato dal Bonolis trattando del diritto adriatico medioevale (*), e mi limito perciò a riassumere le sue conclusioni. Mentre nel diritto romano la contribuzione era ammessa solo in caso di pericolo imminente, ed in occasione dell’atto volontario del getto o del riscatto compiuto nell’interesse di tutti, con danno di alcuni, ma senza obbligo — a quanto parrebbe — di consultare mercanti e passeggeri, nel Nópos la contribuzione è ammessa per qualunque sinistro non derivante da colpa e si richiede, nel getto, il consenso degli interessati. D’altra parte gli abusi cui tali consuetudini dovevano aver condotto nel corso dell’Evo medio, spingevano le autorità a porre un limite, una restrizione ai molteplici casi di avarìa, introdotti dalla consuetudine — anche tacendone gli Statuti — nella pratica corrente. E così si spiega il consulto 9 giugno 1428, espressione della tendenza nella Legislazione veneta di un ritorno all’antico. Ritorno che doveva poi anche essere facilitato da un cumulo di circostanze contingenti, quali ad esempio il maggior grado di responsabilità che gravava sempre più nettamente ed unicamente sul capitano della nave, col procedere rapido delle conoscenze nautiche; l’incremento dei traffici o, per dir meglio, il più rapido ritmo degli affari, che esigendo la pressoché continua presenza del « dominus » (1) Bonolis, Diritto Marittimo Medioevale dell1 A driatico, Mariotti, Pisa, 1921, pagg. 397 e eegg. Appunti per una storia del Diritto Marittimo oenovese 13 presso l’Azienda o le aziende maggiori, lo distoglieva dall’intrapren-dere viaggi lunghi, agevolato in ciò dalle relazioni sorte e mantenute con i propri corrispondenti o banchieri negli stati stranieri. Per questi motivi principali, era naturale che colui, sul quale soltanto ormai gravava la responsabilità tecnica e giuridica del buon andamento della navigazione, cioè il capitano, tenesse in caso di sinistri a porre bene in chiaro, tutte le volte che lo poteva, la perfetta normalità della sua condotta in osservanza alle norme nautiche ed alle prescrizioni di legge o di consuetudine; e ciò per evitare le altrimenti naturali conseguenze del semplice fatto della perdita totale o parziale dei beni. Era cioè necessario studiare ed attuare una procedura speciale che aprisse la via all’applicazione, da parte delle magistrature competenti, delle disposizioni di legge o consuetudinarie vigenti in tema di avarìe e di contribuzioni. Tali le premesse e gli sviluppi degli istituti, e non soltanto in Adriatico, ma anche, tutt’al più con lievi varianti, nelle altre parti, del Mediterraneo. La procedura preliminare da seguirsi nel secolo XVII da parte dei capitani di navi genovesi, risulta abbondantemente illustrata da una numerosissima serie di documenti dell’Archivio di Genova, indicatami per gentile condiscendenza dal chiaro professor Di lucci, i quali iniziano però soltanto verso la metà del secolo (*). Essa presenta frequenti punti di contatto con la procedura seguita per denunziare i danni patiti da naviganti per opera di navi straniere armate in corsa (2), e non è improbabile abbia attinto largamente proprio a questa fonte. Così ad esempio, l’affinità balza fuori dall’obbligo del capitano di presentarsi, dopo la preda o l’avarìa comune subita fuori dei mari della patria, alla prima autorità consolare genovese del luogo di approdo, la quale doveva appurare anzitutto la verità dei fatti esposti, procedendo all’interrogatorio degli uomini di bordo, invitati a deporre per ministero del nunzio del Consolato. Erano però ammesse anche le testimonianze e le prove fornite da altre parti, purché riconosciute degne di fede. La procedura poteva anzi iniziarsi sulla base di un attestato probatorio prodotto dal capitanò. Ai primi di novembre dell’anno 1649, la galea o « Patachio » « S. Nicolò da Tolentino » comandata dal genovese Bartolomeo Cavallo, partita il 1° ottobre da Cagliari diretta a Genova con formaggi e merci varie, veniva aggredita da una saettia barbaresca e dopo una lunga caccia catturata nei pressi di Capo Teulada, sotto gli occhi della guarnigione spagnola della torre sorgente nei pressi, la quale — secondo la dichiarazione del Cavallo al Console — « no lés tira diguna (1) A' S\ Genova, Testimoniali all’Estero, Secreti, 1639-1649, N. 277; da questa filza sono tolti tutti i documenti citati nel presente articolo. (2) Cfr. BONOUS, op. cit. - V. anche una mia monografia su La guerra in corsa e iì diritto di Preda secondo il diritto Veneziano in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», Roma, 1929, 1-2. 14 Ferruccio Sassi canonada, no obstant eran aprop dits coi saris no se curaren de dieta fort alesa sino que ne prengueren dit Pataehio ab tot lo carrich segons que clarament lo diu Diego Fadda Artiller che deta fortalesa ab la sua certificatoria quala produxero elle » (il Cavallo). Ed infatti il Fadda, con la sua dichiarazione autenticata per mano .di Notaio, faceva « ... fe de corno ... mui serca del cabo le solia alencuentro un baxell de turcos el qual le dio cassa y el dicho Caualo boluio el bordo atra atierra para saluarse baxo la torre y como el baxell delos turcos era mui lixero cargo todas sus velas, y le dio entima, al sobredicho Caualo, y apenas tubo tiempo de saluarse con el caique habiendo el turco enbiado la lancha para ganarle la tierra y assi los turcos entraron dentro -del nabio. y selo llebaron, y por aber hecho el dicho Cabalo loda su diligenda asta no poder mas, y aberlo uisto por mis hojos » rilasciava l’anzidetta dichiarazione. Scopo dell’azione intrapresa dal Cavallo, era appunto quello che delle sue dichiarazioni, e delle testimonianze scritte del Fadda e orali dei marinai, cc ... sia rebuda sumaria informacsio y rebuda darly copia en authentica forma atalque o endigun temps 110 seli impude culpa alguna, lo que diu y suplica » — attesta il Console che, sia detto per inciso, sembra fosse un catalano, Don Benedetto Nater cavalier di Santiago cc ac de spata » — cc entot lo mi 11 or modo que pote oferese ». Compiuta l’istruttoria, la pratica con copia od originale di tutti gli allegati, veniva dal console trasmessa a Genova, indirizzandola « universis et singulis conssulibus maris et terre civitatis Ianue cete-risque alis (sic) ad Regimen Iustitie ibi aut alibi constitutis vel constituendis ad quem vel ad quos (présentes) testimoniales literas perue-nerint seu quomodolibet presentate fuerint ». Naturalmente allorché il danno seguiva nelle acque territoriali di possedimenti genovesi, o in loro prossimità, la competenza ad istruire le relative denunzie passava ai Commissari, od ai Provveditori, in una parola ai rappresentanti locali del potere centrale. Questo ci dice, ad esempio, un’inquisizione eseguita in occasione del naufragio d’una barca chiamata « S. Michele », che era partita dalla città de « L’Arghè » diretta a Genova con un carico di 40 botti di vino, 90 rasere di grano in mine di Genova 106 circa, 4 cantari di mandarini, e molti cantari di semola, e perdutasi per una raffica improvvisa di vento, nonostante la precauzione di bordar vela al solo trinchetto, sugli scogli del Gargano di Corsica. Intestasi l’inquisizione: «Manifesto fatto da Calvi dal Provveditore Agostino Gardano di Celle, da presentarsi chiuso, sigillato a cui va diretto » ecc. La procedura si svolge la mattina dell’8 novembre 1649 in una sala della cittadella di Calvi in Corsica, presente il « Molto Illustre Sig. Anfrano Grimaldo Commissario ». La formalità della pubblicazione delle testimonianze assume un’importanza veramente notevole, sino ad apparire una condizione di validità dell’atto. Appunti per una storia del Diritto Marittimo genovese 15 Essa è espressamente richiesta dal patrono della barca perdutasi, ed il Commissario genovese, in accoglimento della richiesta stessa intesa ad ottenere che « ... sia per ogni tempo noto e appaia per verità quel- lo che è segnato », dichiara che « ha aperto e pubblicato i suddetti testimoni, e per aperti e pubblicati li vuole, e manda, e ordina, che se ne ha data copia chiusa e sigillata more solito ecc. ». Notiamo per inciso che l’attestazione d’una consuetudine potrebbe riferirsi non solo alle modalità di compilazione e autenticazione d’una copia legale, ma a tutta la procedura da seguirsi in materia; il che resta documentariamente giustificato dall’esistenza di carte analoghe risalenti ad un decennio innanzi. Ma non è inutile seguire almeno saltuariamente, nel suo pittoresco racconto, il patrono della barca. Dice questo, che la raffica « potè far girare il battello a segno che ne fece investire sugli scogli del dicto luogo del Gargano » aprendo una falla nella chiglia; e hauendo ciò visto per iuestire in la piaggia fecimo vela alla maestra per saluare se poteuaino dieta roba », unica manovra che loro restasse a fare. Se-nonchè « ariuato alla ponta della piaggia dell’imbuto, la barca andò a basso e poi con li marinai ci saluassimo sopra il schifo, e poi diedi-mo un cauo che (segue una parola che non ho ben decifrato, ma il cui significato è intuitivo) alla barca, la tirassimo alquanto e poi uenne la notte e il tempo si guastò, ingrossò il mare e stettimo un giorno prima che ci accomodasse, e questo seguì la vigilia delli Santi 31 del passato ottobre... ». Fatto quindi con il battello di bordo un giro attorno alla barca per constatare l’entità dei danni subiti dalla mercanzia, trovarono che rimanevano apparentemente intatte due botti, nelle quali però si erano verificate infiltrazioni di acqua. Non essendo perciò il caso di pensare a salvare il carico, il capitano si preoccupò di salvare gli attrezzi e i denari trovati nella cassa : perciò — egli dice — « della robba che si è portata richiedo sia quentaciata per mia sod-disfatione ». Questo accenno allude quindi chiaramente a un deposito di quanto era stato salvato, in appositi magazzini e cassa dello Stato, dove oggetti e denaro rimanevano evidentemente a disposizione degli armatori, dei mercanti, del « dominus » in una parola, unitamente alla giustificazione legale della perdita incontrata. Dovevasi per certo trattare di un deposito giudiziale in attesa deH’espletamento del giudizio d’avarìa e del regolamento della contribuzione. Ad evitare il sorgere di sospetti, per danni subiti dal carico, sulla bontà della nave, poteva anche il capitano fare e far fare dichiarazioni di carattere tecnico come fece l’armatore Francesco Carpenino che, accortosi dopo un infortunale d’avere in stiva acqua di mare e vino sfuggito alle botti del carico e che abbisognò aggottare, asseriva dinanzi al Console genovese in Livorno di essere partito da Napoli con 16 Ferruccio Sassi nna sua cc polacca forte, stagna, e atta a fare qualsivoglia viaggio ». Ai danneggiati dimostrare eventualmente il contrario. Resta ancora un ultimo caso: quello di perdita subita nelle acque che potremo chiamar nazionali; ma anche in questo caso ci soccorrono le nostre carte. Il giorno della festa di S. Stefano del 1649, nel cc carubeo recto » di Camogli si costituisce il cc padrone » d’un liuto partito da poco da Portofino con due marinai e 3 passeggeri a bordo, che era stato noleggiato nelle Cinque Terre per portare merce varia a Genova. Spinto dalla violenza del vento, il liuto si era rotto sulla costa sotto Capo di Monte, e fu soltanto col valido aiuto della gente del luogo, che si potè salvare una parte del carico, tanto più che uno dei passeggeri, era uscito dall’urto con una gamba rotta, ed un altro con un ginocchio cc sciacato ». La deposizione avviene, in questo caso, avanti il Notaio Antonio Schiaffino, naturalmente camogliese, ed esercitante in Camogli. Mi è mancato il tempo d’accertare se la procedura esaminata sia stata introdotta o meno per effetto di apposite disposizioni legislative, le quali accogliessero precedenti norme consuetudinarie. Su tale punto potarà esercitarsi lo spirito speculativo di altri studiosi più fortunati e soprattutto più dotti. Ferruccio Sassi LUNIGIANA E LIGUBJA Luigi Sorrento, in Aevum, III, 1929, fase. IV., pubblica un meditato lavoro sull’adunata del costume nazionale avvenuta in Roma, durante le nozze principesche; studio cc critico informativo che mette in rilievo i meriti e l’imponente significazione, ma ne rileva con acuto occhio i difetti e le manchevolezze di questa eccezionale adunata », come è stato scritto recentemente nel primo fascicolo di Lares (giugno 1930). Di notevole importanza sono poi alcune osservazioni che l’illustre filologo e folclorista ha modo di fare nei riguardi della Liguria, della Lunigiana e della loro partecipazione sl\T Adunata del costume nazionale tenuta in Roma il 7 di gennaio cc in occasione — come ci avverte il programma ufficiale — delle fauste nozze delle LL. AA. RR. Umberto di Savoia e Maria del Belgio ». Credo non sia discaro che siano qui riferite: cc non possiamo tralasciare di notare la confusione che, in un caso specifico, è risultata appunto perchè la divisione prescelta è stata seguita rigidamente. Nell’unità regionale ligure, combinata secondo il criterio amministrativo, sono comparsi, alla sottodivisione provinciale Spezia, costumi o affini ad altri che si ritrovano e ricompaiono più oltre nell’unità regionale toscana alla suddivisione provinciale Massa-Carrara. Si tratta di un vero strazio, direbbero i Lunigianesi, della loro regione, la quale, come da un pezzo predica e sostiene Manfredo Giuliani con altri valentuomini, ha caratteri etnici suoi propri e ben chiari confini geografici, tali da rendere evidente la sua individualità. Se mai, essa etnicamente va riferita alla Liguria (non al Genovesato) per la sua storia e i suoi usi. Ha certo caratteri che la distinguono dalle regioni vicine (Liguria, Emilia, Toscana), ma se si vuol considerarla come sottoregione, rientra massimamente nella Liguria. E quindi per il corteo si sarebbe potuta aggregare la Lunigiana, in modo distinto, e non separato, a quest’ultima regione, aggiungendo quella parte lunigianese che amministrativamente è unita alla Toscana. Meglio sarebbe stato fare un’eccezione, un piccolo strappo alla divisione fissata, che creare una confusione difficilmente eliminabile dallo spettatore, davanti al quale (ciò che qui importa a noi far notare al di sopra di ogni controversia) sono sfilati costumi lunigianesi con la Liguria, e dopo cinque regioni, altri costumi lunigianesi con la Toscana ». Alla conclusione della liguricità della Lunigiana si tenga ben pre- 18 P. S. Pasquali sente che il S. è giunto attraverso l’esame obbiettivo dei fatti cc al di sopra di ogni controversia » — che l’ha condotto a modificare il sistema tradizionale di accodare la Lunigiana alla Toscana, a cui egli stesso s’era attenuto nella prima parte del Bollettino: Folclore e Dialetti d’Italia (in Aevum, I, 1927, fase. IV). Ma quanto sia ancora difficile il romperla col vieto pregiudizio della Lunigiana toscana ne è prova questa stessa adunata di Roma preceduta, si noti, AdXÏ* adunata dei costumi caratteristici italiani che si tenne a Venezia nel settembre del ’28, dal I Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari del maggio dello scorso anno, dalla I Esposizione Nazionale di Storia della Scienza in Firenze: occasioni /tutte nelle quali l’unità geografica e spirituale della Lunigiana, e il suo carattere profondamente ligure vennero ampiamente documentati (*). Si pensi che nel campo della dialettologia, pur dopo gli studi rivelatori del Restori per l’Alta Val di Magra (2), del Giannarelli per i territori situati lungo la riva sinistra del corso medio della Magra (3), del Bottiglioni per la Lunigiana di Sud-Est (4); ciò nondimeno il Battisti nei suoi Testi dialettali italiani (5) comprendeva anche i dialetti dell’Alta Val di Magra nel gruppo toscano. Più di recente an- (1) Per l’adunata veneziana efr: GIOVANNI PoDENZANA, Tipi di costumi lunigianesi, in II Comune della Spezia, VI, nn. 4-6; e a parte: La Spezia, Tip. Mod., 1928, di pgg. 33. Vedine le recensioni critiche di MANFREDO GIULIANI in Archivio Storico per le Provincie Parmensi, N. S. vol. XXVIII; e di P. S. Pasquali in Aevum, IV, 1930, fase. I, pgg. 97-99. V. anche: P. S. PASQUALI, A proposito di una recente pubblicazione sul costume Lunigianese - Per un Atlante Demologico della Lunigiana; Parma, Off. Graf. Fresching, 1930. Per il I Congr. Naz. delle Trad. Pop., v.: G. PoDENZANA, Il motivo ornamentale nell’arte popolare lunigianese, negli Atti del Congresso, pgg. 162-167. Per l’Esposiz. di St. della Scienza v. il Saggio Bibliografico degli scienziati di Lunigiana, pubblicato a cura del Comune della Spezia in occasione della I Esposizone Nazionale di Storia della Scienza in Firenze; MCMXXIX-VIII. Quasi tutti gli uomini della Lunigiana — cioè del territorio che va lungo il lido del mare dalle chiuse di Seravezza al di là della Punta del Mesco fino a Levanto, e che si spinge all’interno fino alle sorgenti della Vara e della Magra ed è chiuso dal cerchio appenninico — che hanno reso illustre la loro terra nel campo della scienza hanno trovato il loro posto in questo volume da cui rifulge l’unità spirituale della Lunigiana. V. la ree. crit. di P. S. PASQUALI in Aevum, IV, 1930, fase. I, pgg. 72-77. (2) Antonio Restori, Note fonetiche sui parlari dell’Alta Valle di Magra; Livorno, Vigo, 1892. (3) Domenico Giannarelli, Caratteri generali dei dialetti lunigianesi compresi fra la Magra e l’Appennino Reggiano; Tortona, Peila, 1912; e: Studi sui dialetti della Lunigiana compresi fra la Magra e VAppennino Reggiano, in Revue de Dialectologie Romane, V, 1914, pgg. 261-311. A questi aggiungi per la medesima zona due buoni saggi di NUNZIO MACCARRONE, Appunti sulla lingua di G. A. Faye speziale lunigianese del sec. XV, in Archivio Glottologico Italiano, XVIII, 1922, pgg. 475-532; e Di alcuni parlari della media Val di Magra, Saggio fonetico, in Arch. Gl. It., XIX, 1923, pgg. 1-128, con 2 carte. (4) Gino Bottiglioni, Dalla Magra al Frigido, Saggio fonetico, in Revue de Dialectologie Romane; III, 1911, pgg. 77-143; e Note morfologiche sui dialetti di Sarzana, San Lazzaro, Caetelnuovo Magra, SerraValle, Nicola, Cosano, Ortonovo, in ReV. de Dialect. Rom., Ili, 1911, pgg. 339-401. (5) Carlo Battisti, Testi dialettali italiani in trascrizione fonetica, voi. Il; Halle a S., 1921, pgg. 5 e sgg. ; Heft 56 dei Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie. Lunioiana e Liguria 19 cora si poteva leggere: « Toscane: région de Sarzana... », « Toscane: anc. lunig.... » in un saggio su alcuni Problèmes de géographie linguistique romane pubblicato nella Revue de Linguistique Romane (;) da Jacob Jud, uno degli autori dello Sprach - und Sachatlas Italiens und der Siidschweiz. Ma ritornando allo studio del Sorrento, a proposito del termine Genovesato per la Liguria attuale adoperato dal Giuliani i2), e che egli non accetta, va tenuto conto di un’acuta osservazione dello stesso Giuliani (3), e cioè come di fronte alla presente circoscrizione della regione ligure sia più esatta « la denominazione popolare di Genovesato che non quella dotta di Liguria », poiché per entro gli attuali confini amministrativi non sono certo comprese tutte le popolazioni etnicamente liguri, ma solo quelle che ebbero a subire in modo diretto e più a lungo la denominazione e l’influenza di Genova. Ed è appunto per questo che gli abitanti della Val di Magra, liguri an-ch’essi, chiamano genovesi (genvési) quei di Val di Vara e dello Spezzino; così nelle antiche carte geografiche troviamo spesso con tale valore la denominazione di Genovesato cioè « territorio di Genova », per indicare le due Riviere (4). P. S. Pasquali (1) Rev. de Ling. Rom.; II, Juill. - dèe. 1926, n. 7-8; pg. 173 dove troviamo immediatamente uniti esempi aretini e lunigianesi che lo J. adduce per le sue dimostrazioni (estensione dell’area di * DE - EX-CITARE e simili). (2) MANFREDO Giuliani, L’Appennino parmense-pontremolese - Appunti di Geografia Storica per un Programma di ricerche lessicali e folclorìstiche; Parma, 1929; N. 69 della Biblioteca della « Giovane Montagna » ; v. a pg. 30. (3) Nella bella ree. al voi. di Amedeo Pescio: Terre e Vita di Liguria, pubblicata nella Giovane Montagna; a. XXXI, n. 9, 15 sett. 1930. (4) Cfr. il Saggio bibliografico di Cartografia Lunigianese di UBALDO MAZZINI, pubbl. nelle Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze; IV, 1923. fase. I. GL’ISTITUTI DI CULTURA A GENOVA SULLA FINE DEL l/OO E SUI PRIMI DEL 1ÔOO Fra le numerose riforme, che si propugnarono in Genova negli ultimi anni del secolo XVIII, figurano quelle scolastiche. Nel Circolo Costituzionale il cittadino Domenico Scribanis, Scolopio e Giansenista, s’augurava la pronta istituzione di una « Scuola di pubblica, di vera istruzione, la quale pel sentiero della virtù guidasse il popolo ligure alla verace cognizione dei suoi diritti e dei suoi doveri » (!). Il cittadino Ricca diceva il 22 marzo 1798, nel medesimo consesso: «Un’occhiata fuggitiva alle mie scuole. Queste, toltene alcune pubbliche che hanno un po’ migliorato, si meritano una somma e pronta riforma. Son piene di malinconia, di gravami e mille altri inviluppi. Bisogna prima morire che imparare. Povera gioventù a che martirio, a che disperazione è mai ridotta! Giammai qui le viene permesso un libero esercizio d’idee, giammai sforzi d’energia, giammai voli arditi al pensar filosofico e repubblicano. Sempre in una cupa sterilità ed in mille altri frivoli trattegni. Sono scuole che per la più parte guastano anche la sanità, scuole che disordinano il sistema fisica della macchina. La sferza ed il sopraciglio è qui imperioso, con della pedanteria insopportabile. Ah, lasciamo quest’articolo, che porta all’obbrobrio dell’umanità, riforme, riforme! Rappresentanti e brave scelte delle scuole riformabili » (2). L’argomento pareva a tutti importante e molti fecero eco ai proponenti; ma, come era naturale, le discussioni restavano ancora nel campo generico. Il risultato concreto che allora si ottenne, fu la deliberazione di obbligare i maestri di grammatica, umanità e rettorica di tutta la Repubblica a spiegare « tre articoli della nuova Costituzione politica » (3). Vediamo intanto quali fossero queste scuole di cui tanto insistentemente si chiedeva il rinnovamento. Di solito i patrizi genovesi (1) Circolo Costituzionale - 1798, Genova, Discorso proemiale, pag. 3. (2) F. L. MannUCCI, Il Circolo Costituzionale di Genova nel 1798 - « Giornale Storico Lett. della Liguria », N. S. 1926, fase. II. (3) Regio Archivio di Stato Genovese, Sala 30, Repubblica Ligure, filza 142. Gl’Istituti di Cultura a Genova sulla fine del 1700, ecc. 21 mandavano i loro figli ad istruirsi ed educarsi in altre regioni d’Italia. Incominciava però a farsi sentire anche in Genova l’importanza di una educazione pubblica debitamente organizzata. Dopo la soppressione dei Gesuiti nel 1773 il Ser.mo Governo, rimasto quasi disorientato, aveva lasciato piena libertà d’azione ai Collegi e Istituti delle Congregazioni, i quali procedevano con metodi pedanteschi ed antiquati. Solo dopo l’istituzione della Giunta dell’Asse ex-Gesuitico, dalla quale dipendevano i regolamenti e le finanze delle pubbliche scuole, la Ser.ma Repubblica, raccogliendo qua e là diversi professori, aveva istituito le scuole del medio insegnamento corrispondenti al nostro Ginnasio e Liceo. Quanto ai collegi ed ai convitti, non ne esisteva in Genova uno così ampio ed importante da impedire alla maggioranza dei nobili di compiere la loro istruzione, com’essi dicevano all’« estero ». Gli stessi Gesuiti, nel 1761, aveano pensato di sopperire a questa mancanza, ma ormai, neppure in Genova correvano buoni tempi per la Compagnia di Gesù, e il loro disegno abortì per un cumulo di proteste che si scatenarono da ogni parte. Sottratto il dominio delle scuole alle mani dei Gesuiti, si sarebbe potuto, col laicizzarsi dell’educazione, dare un maggiore incremento alla cultura e fare di Genova un indipendente centro di studi, come richiedeva la vita commerciale della città; ma purtroppo lo Stato in Genova non era abituato ad occuparsi dell’istruzione, ed anzi seguiva la massima che cc nelle città mercantili, il sapere è inutile e forse ancora pregiudiziale ». Oltre a queste ragioni ve ne erano altre più gravi di carattere economico. La morente Repubblica non sentì il bisogno di stanziare una somma a beneficio dei pubblici istituti; dovevano bastare i redditi della sostanza ex-gesuitica che fruttava circa settantamila lire l’anno. Si doveva provvedere con tale somma ad una ventina di professori per l’Università, che dopo numerose peripezie si era andata formando; e così pure ai Collegi Solari e Del Bene, alle pensioni degli ex-Gesuiti e ad altre esigenze; cosicché alla giunta amministrativa non rimaneva troppo da largheggiare (I ). Con la caduta della Repubblica anche gli studi sentirono il rinnovamento irresistibile delle nuove idee, avvalorate dalle vittorie napoleoniche. Fra le molte proposte concrete che vennero fatte, intorno all’ordinamento della pubblica istruzione, fu approvata all’unanimità quella di fondare un Istituto Nazionale, destinato a raccogliere tutta la gioventù studiosa ed a farsi diffonditore di nuove dottrine scientifiche e letterarie. Venne subito formato un direttorio esecutivo per la sua creazione cc chè, la pronta attivazione del medesimo, si diceva, era l’unico mezzo di promuovere l’educazione e l’istruzione pubblica, da cui dipende principalmente la felicità dello Stato ». La storia di questo (I) P. L. LEVATI, / dogi di Genova dal 1791 ai 1797 e vita genovese negli stessi arxni - Genova* Tip. della Gioventù, pag. 128, 438 e segg. 22 Nora Cozzolino Istituto, per l’importanza che acquistò subito, si confonde nei primi anni con la storia dell’istruzione genovese. Infatti la legge organica 10 dichiara cc Centro di istruzione e di educazione pubblica e lo compone di trentasei membri residenti e trentasei associati, sparsi nelle varie giurisdizioni della Repubblica. È diviso in due classi di scienze fìsiche e matematiche e di filosofìa, letteratura e belle arti ». Furono chiamati a farne parte i principali cultori di scienze, lettere ed arti della Liguria e nel tono enfatico del manifesto, emesso il giorno dell’inaugurazione, si nota il desiderio di avvilire l’ormai caduta aristocrazia, che in sì lungo periodo di governo non aveva saputo dare 11 posto che meritava alla pubblica educazione ed avvalorare e inco-raggiare nella via degli studi gli spiriti operosi ed intelligenti. Eccone alcuni passi: cc Venite a cooperare alla pubblica felicità. Sono i miei i vostri lumi; per me soltanto vi dotò di talento la natura; lo istituto è il centro in cui dovete riunirvi a fine di formare una massa di luce generale che, diffusa sopra tutta la nazione, perfezioni i costumi, prepari le sagge leggi e distrugga i pregiudizi che annientano la ragione e distruggono l’energia dello spirito »... cc Ecco i sentimenti che animano l’istituto Nazionale. L’edificio di cui va egli gettando le prime fondamenta richiede un genio profondo ed un intrepido coraggio, i suoi limiti sono soltanto circoscritti dalla utilità che forma ad un tempo stesso il principale ornamento e la grandezza. Qual sarà fra i liguri cittadini, che alle voci della patria non risponda allo inquieto desiderio di entrare a parte di tanta gloria e della pubblica riconoscenza? » (^, Sorto con tanti buoni propositi, l’istituto Nazionale, sotto la guida di uomini autorevoli prosperò per alcuni anni, ebbe come primi presidenti nelle due classi il medico Antonio Mon-giardini e l’Aw. Luigi Corvetto che vi dedicarono la loro sagace attività; fu di grande utilità per l’incremento della cultura in genere e per le innovazioni e riforme che portò in ogni campo dell’insegnamento. Vennero allora aperte scuole femminili, affinchè le donne, come era ormai invalso il costume, non fossero condannate ad una completa ignoranza. Nel 1800 un certo Abate Lue, piovuto non si sa donde, fondava per suo conto un Collegio Gallo-Ligure, che in breve dovè popolarsi di alunni, perchè il Direttore domandava, l’anno appresso, nuovi locali. Ma pare che poi le cose volgessero al peggio. L’Abate Lue si trovò ingolfato nei debiti, ed il suo Istituto, che aveva sede in un ex convento, fu soppresso (2). Le riforme giunsero fino all’Università, ove il Mongiardini introii) L. IsnabdI-E. CelESIA, Storia dell’Università di Genova - Genova, Sordomuti, 1867, vol. II, pag. 109-111 e segg. (2) Ved. Archivio di Stato Genovese, Sala 50, Repubblica Ligure, filze 271-273-275-277, registro 401 e 410. Gl’Istituti di Cultura a Genova sulla fine del 1700, ecc. 23 dusse per la prima volta le « Mediche Scienze ». Fu dato grande impulso specialmente agli studi scientifici e tecnici, lasciando da parte completamente o quasi le scienze teologiche e filosofiche, che fino allora avevano avuto tanto importanza nell’educazione della gioventù, manchevolezza questa che ben si comprende se si pensa allo spirito di rinnovamento ed all’agitarsi delle nuove idee che portavano a rigettare tutte le vecchie istituzioni e ad instaurare quei principi di materialismo invalsi nel secolo. Ma eravamo ormai alla vigilia di tutti quegli avvenimenti politici che agitarono la Liguria nei primi anni dell’800 e dovevano porre in second’ordine le questioni della scuola e della cultura. Per queste ragioni, quando il Consigliere De Ambrosie del consiglio dei Sessanta nel 1799, propose la riunione di tutti i collegi della città e dello Stato della Repubblica in un solo Collegio Nazionale, pur essendo stato deliberato dal Consiglio la soppressione di detti istituti, la proposta fu respinta dal Consiglio dei Trenta, nè venne attuata quando il Consiglio dei Giuniori, riformando la deliberazione precedente, approvò l’istituzione di un Collegio Nazionale indipendente dai collegi esistenti. Durante tutto il periodo del Blocco, fra il torbido agitarsi della vita pubblica e privata fra mille sofferenze e privazioni, rifulse, insieme col coraggio e colla perizia dei comandanti, la condotta ammirabile dei cittadini. Le scuole dell’Università proseguirono senza interruzione, e così pure le Scuole Pie di S. Andrea. Queste anzi furono di grande utilità, per la loro ottima posizione e per la sicurezza delle loro mura, i buoni Padri Scolopi quando le cannoniere inglesi avvicinandosi al lido facevano cadere una pioggia di bombe, accolsero numerosi giovani e fanciulle che fuggivano dalle loro abitazioni più esposte al pericolo, e con la parola e con l’opera ne scemavano la paura e l’orrore per la guerra, parlando di patria e di libertà... E così pure l’istituto Nazionale diede ottima prova di sè cercando di « supplire negli ospedali e ne’ pubblici stabilimenti al difetto della legna da ardere ed a ciò che potesse sostituirsi ai mulini per la macinazione del grano, poiché il nemico aveva avviato le acque del condotto del Bisa-gno ». E risolvette « altre quistioni relative alla pubblica igiene » (!). Come si vede, in questo periodo di guerra e di interni disordini i pubblici Istituti si adattarono alle vicende politiche ed a bisogni più urgenti della popolazione. Essi volsero la loro attività per il bene comune cooperando fortemente fra i furori di guerra, i patimenti della fame e le stragi dell’epidemia, a mantenere vivi fra il popolo ed in mezzo alla gioventù quei sensi di amore, di rispetto alle leggi, di ordine e di subordinazione alle autorità, che tanto occorrevano perchè tutte* le libertà di recente proclamate non degenerassero in disordini ed in licenze. (I) L. Isnardi-E. Celesia, Op. cit., pag. 129. 24 Nora Cozzolino * * * Per completare questo rapido cenno sulle scuole, dirò delle Scuole Pie fondate in Liguria da Giuseppe Calasanzio, nel 1626 circa, quando, venuto da Roma in seguito alle persecuzioni sofferte, die’ vita a Savona ed a Carcare, a nuovi istituti per sopperire ai più grandi bisogni del popolo. Queste Scuole ebbero una grande importanza e per molto tempo furono il principale centro di cultura in quanto raccolsero nobili ingegni fra i loro educatori. Ne uscirono uomini come il Molfino, il Molinelli, che si distinsero tra i più grandi teologi della Repubblica, ed il Solari, il Massucco, il Musso che furono professori illustri dell’Università. Tali Scuole si adattarono sempre allo spirito dei tempi e seppero introdurre quelle innovazioni e riforme opportune, prive di ogni servilismo agli antichi sistemi scolastici, che procurarono loro grande stima e popolarità con eterna riconoscenza del popolo stesso a cui esse specialmente si indirizzavano. Ho nominato il P. Celestino Massucco. Questo insigne letterato dedicò molta parte della sua attività per dare nuovo impulso alle riforme scolastiche; egli fu forse il più ardito, fecondo e felice innovatore sotto questo aspetto. Aperto a tutte le novità, pronto ad ogni utile e generosa iniziativa, fornito di una cultura varia e profonda, coraggioso e anzi fin temerario nel sostenere le sue opinioni, egli, nel giornalismo, nei teatri, nei pubblici consessi, sugli spalti dei rivoluzionari combattenti, fu sempre in prima linea. Le sue numerose cantate., le sue orazioni talvolta incendiarie, le sue traduzioni di tragedie francesi ed inglesi (fra le altre il Caio Gracco, il Timoleone, dello Chénier e l’Otello della Shakespeare (!) attestano in questi anni una attività prodigiosa, sebbene, essendo nato nel 1748 Q) egli avesse già varcato i limiti della giovinezza. Oggi la sua fama è ancora raccomandata a quella traduzione totale delle opere d’Orazio, la quale non è solo mirabile in sè (i Francesi stessi, nell’edizione Didot non fecero che ritradurre la sua fatica), ma anche per le lunghe, gustose, vive annotazioni aggiuntevi, in cui egli discorre, sia pure un po’ balzana-mente, di uomini, fatti, teorie contemporanee, seguendo tutto il gran moto degli studi e del pensiero europeo. Un improvvisatore diceva di lui, ancora nel 1829: Qui è Vuomo che il tempo fa restar di stucco, Che, sebben la sua fronte or più s’aggrinza, Pur giovane il saper sempre e il Massucco (3). (1) Ved. il « Monitore Ligure » da lui diretto nel 1798, n. 5, 20, 95. (2) Ved. Archivio di Stato Genovese, Sala 50, Repubblica Ligure, filza 450. (3) Ved. Poesie Estemporanee del Dott. ANTONIO BiNDOCCI da Siena, Cantate in üarie Accademie eseguite in Genova ecc. - Genova, A. Lavagna, 1829, pag. 56. Gl’Istituti di Cultura a Genova sulla fine del 1700, ecc. 2S Ebbene, quest’uomo fu, si può dire, la Ninfa Egeria per ciò che riguardasse il nuovo contenuto pedagogico della scuola ligure. Nel suo commento ad Orazio egli si riferisce spesso, a proposito di testi, letture e precetti, a quanto già aveva scritto in memoriali e lettere anteriori alla fine del secolo XVIII (i). Ma evidentemente, i suoi criteri in materia scolastica si possono ridurre ad uno solo, di valore, secondo me, universale ed eterno: illuminare le menti, non aduggiarle, di guisa che gli scolari possano avviarsi alla vita con attitudini già suscitate e un patrimonio di cultura prezioso. Più settari ci appaiono in genere i criteri adottati dall’istituto Nazionale. Era ivi abolito l’insegnamento religioso. Ogni professore dovea spiegare settimanalmente i diritti ed i doveri dell’uomo. Certi metodi erano critico-polemici; più negativi quindi che positivi. Nella « Arte di ragionare », si doveva intessere una cc storica notizia di quistioni insolvibili e frivole che solevansi trattare nella cosidetta metafisica, facendo rimarcare ai giovani quanta perdita di tempo, quale abuso di parole e per conseguenza il gran numero di idee false, che si acquistavano allora ». Non mancavano però anche buone norme, di tanto in tanto. Un professore di storia generale era tenuto a spiegare la sua materia, considerandola cc anziché una serie di date e di fatti, ... una scuola di morale e di politica », un professore di eloquenza doveva perfezionare il buon gusto dei discenti sopra gli autori latini. V’era infine una cattedra utilissima di commercio e manifattura, e una non meno utile di agricoltura (2). Quando, più tardi, calmati i furoni rivoluzionari, gli spiriti ritornarono sui problemi didattici e pedagogici, vi fu un contemperamento tra l’antico e il nuovo. Chi voglia averne notizia, apra i Saggi filosofici sull9educazione dello spirito; dedicati nel 1812 da Giovanni Battista Sertorio al Marchese Gerolamo Serra, Rettore dell’Accademia Superiore di Genova (Genova, Tip. Pellepiane, 1812). Il Sertorio si propone anch’egli di liberare le menti dall’errore e dalla superstizione, ma questa sua concessione al retaggio della Francia lascia ben presto adito a norme sensatissime. Si badi, egli insegna, a suscitare l’amore del vero, in piena libertà spirituale. La grammatica venga dopo la pratica linguistica. Si rimandi di qualche anno lo studio delle lingue straniere e morte, che ora si incomincia subito, cc Quale strano sconvolgimento dei principi di benintesa educazione gli è mai cotesto di imbarazzare lo spirito dei fanciulli con le noiose aridità d’una lingua forestiera o non più viva, quando ancora eglino non sanno che molto imperfettamente la propria? ». NelFinsegnamento bisogna poi in generale porre noi a contatto intellettuale con le anime in formazione, acuendo la loro innata curiosità, accrescendo la loro naturale (1) Ved. specialmente le note all’Epistole Oraziane, vol. Il, pag. 132. (2) L. ISNARDI, Storia dellUniversità cit., vol. II, pag. 115 e segg. 26 Nora Cozzolino perspicacia. « Il fine di una buona educazione non è di rendere i giovani perfetti in tutte le scienze ed anche in una sola, ma di dare alle loro menti quella disposizione e quelle abitudini che possono metterli in grado di pervenire in appresso da se medesimi a quella parte di cognizioni a cui mirano, e che possa loro giovare per tutto il corso del loro vivere ». Ma le disposizioni naturali « non si manifestano che tardi ». Le istruzioni premature non fanno che soffocarle, se per avventura sono ad esse contrarie. « Quanti cattivi teologi non sarebbero riusciti grandi meccanici, e quanti mediocri matematici non sarebbero stati eccellenti letterati se non si fosse avuta tanta fretta di assoggettarli alla stessa istruzione? ». Si perfezionino invece il senso morale, il religioso, il politico, si additino l’origine ed i progressi delle arti e delle scienze, « la fisica sopratutto è lo studio a cui dovrebbero subito applicarsi i fanciulli ». Di lì si risale alle idee, dalle idee alla storia, dalla storia all’umanità, dall’umanità a Dio. Come si vede, la libertà dello spirito, di cui s’era fatto tanto schiamazzo, ora la si disciplinava senza rinnegarla. E ad avvalorare questo savio indirizzo contribuivano, nelle scuole pubbliche e private, i sacerdoti Giansenisti, operanti in una attuosa penombra di vita. Il De Scalzi ed il De Gregori, maestri del Mazzini, e più ancora quel-l’integro e caritatevole uomo, che fu il loro corifeo in Genova dopo le tragiche persecuzioni dell’Autorità Ecclesiastica austriacante ed assolutista; voglio dire il Padre Ottavio Assarotti, il quale così scriveva nel 1820: cc Sono d’avviso che chi insegna non deve giurar mai sulle parole dei maestri... Dopo cinquanl’anni di continuo esercizio, ____sarò compatito se credo di esser giunto a comprendere che l’insegnamento deve essere così semplice come lo è la natura... Quanto han mai fatto di male agli studi i grammatici e gli eruditi! Colle loro sofisticherie, colle molteplictà dei loro precetti, colle loro critiche, coi loro metodi, dirò con più schiettezza, colla loro ignoranza, sono riusciti a rendere più crassa quella degli altri... » (]). * * * Dopo il periodo burrascoso delle guerre e del Blocco, quando sembrava fosse tornata un po’ di pace in Liguria e oltr’Alpe con l’ascesa di Napoleone al Consolato, si volsero ancora gli animi alle pubbliche cose, e in Genova si gettarono le basi di uno stabile piano di studi per l’Università che fino allora aveva vissuto, come ho già accennato, coi miseri proventi dell’Asse ex-Gesuitico ed era assai ristretta sia per numero di facoltà che di professori. Si ebbe nel 1801 la nomina del Professore di gius pubblico Gio. Battista Molini a Pre- (J) F. L. MannuCCI, G. Mazzini e la prima fase del suo pensiero letterario - Casa del Risorgimento, Milano, pag. 29. Gl’Istituti di Cultura a Genova sulla fine del 1700, ecc. 27 fetto nella Università; nomina voluta dai professori e che parve iniziare un’era di pace stabile e sicura. L’anno dopo si pensò ad una cattedra di botanica, che ancora mancava in Liguria e di questo si occupò il Marchese Gian Carlo Di Negro che, acquistata una villa suburbana, presso la Chiesa di S. Caterina, si sobbarcò volentieri alle condizioni imposte dall’atto relativo, cioè di istituire del proprio a vantaggio degli studiosi e per il bene della città, una cattedra di botanica, mantenendo un orto botanico già fondato dal Marchese Ippolito Durazzo, che vi aveva introdotto buon numero di piante esotiche. La villetta fu pagata ventiduemila lire di Genova, comprese in questa somma quattromila lire che dovevano servire a stipendiare il docente di botanica per sei anni. Primo professore del nuovo insegnamento fu Domenico Viviani di Legnaro, presso Levanto, che doveva poi acquistarsi gran fama come naturalista eminente (J). Egli dopo i primi sei anni, scaduto il contratto col Di Negro, si rivolse al Governo per essere altrimenti stipendiato e così la cattedra di botanica passò alle dipendenze dirette della Università e fu sovvenuta dal-l’Asse universitario. Nel 1801 si fondò anche una società Medica d’emulazione, che durò fino al 1814 e contava tra i suoi ventitré membri residenti anche il Dott. Giacomo Mazzini, padre del grande Agitatore (2). Seguì nel 1802 l’istituzione di una Società Olimpica, la quale aveva forse più scopi mondani che scientifici; veniva chiamata il Casino e nel 1803 fu chiusa dall’Autorità. I documenti che ce ne son rimasti parlano di un grave incidente occorsovi e dell’arresto del suo Presidente (5); è probabile che vi si dessero convegno alcuni degli antichi nobili, per giocare d’azzardo; fors’anche vi si tenevano discorsi politici poco favorevoli alla Francia. Più tardi ancora, nel 1811, si istituì, come risulta dalla Gazzetta di Genova (1811, n. 68), una Società d’emulazione per le Arti e le Industrie, della quale facevan parte uomini molto rappresentativi, ad esempio Gaspare Sauli e molte dame dell’antica aristocrazia, una delle quali era la famosa Antonietta Costa, amica, diremo così, del Monti, e dedicataria poi nel 1825 del famosissimo Sermone sulla Mi-tologia (4). (1) D. Viviani nacque nel 1772 e, conseguita la laurea in medicina, si diede a coltivare le scienze naturali, massime la botanica. Gran parte della sua vita fu dedicata aH’insegnamento universitario. Morì il 15 febbraio 1840. - Cfr. Voi. degli atti della Società Italiana per il progresso delle Scienze, VI Riunione - Genova, 1912. (2) Archivio di Stato, Sala 50, Repubblica Ligure, filza 409. (3) Archivio, come sopra, Repubblica Ligure, filza 400, c. 91-96. (4) Ved. G. BERTONI, Vincenzo Monti e Antonietta Costa - «Giornale storico della letteratura italiana », 1928, pag. 232). 28 Nora Cozzolino * * * Le più grandi riforme riguardo agli studi, si ebbero in Genova quando Napoleone, nel 1804, impugnato lo scettro imperiale, rivolse la sua attenzione alle cose d’Italia di cui desiderava il pieno possesso. Caduta Venezia, rimaneva la Repubblica di Genova, con libertà più di nome che di fatto, ma non sarebbe stato opportuno usare la forza e le armi con Genova che sempre aveva seguito una politica francofila; meglio era vincerla con le lusinghe e le arti, due mezzi che Napoleone sapeva adoperare quando voleva, con la stessa maestria con cui sapeva maneggiare la spada. Ottenuto dopo molte promesse, l’unione della Liguria all’impero Francese, il Bonaparte cominciò col visitare la nuova provincia e il 30 giugno 1805 giungeva in Genova alloggiato al Palazzo del Principe Doria. Fra i molti provvedimenti che prese per il nuovo ordinamento della città e della Liguria ci occuperemo solo di ciò che riguarda gli studi. Uscì il 4 luglio un decreto corcernente l’Università e gli stabilimenti di pubblica istruzione. Vennero raccolti nel Liceo Imperiale tutte le istituzioni e collegi sorti dopo la soppressione dei· Gesuiti, fra i quali il collegio del medico G. Battista Soleri creato nel 1728, il collegio Del Bene fondato nel 1611, per i giovani aspiranti al sacerdozio, il collegio Invrea che aveva preso posto nel palazzo ex-Gesuiti-co, il Liceo, doveva aprirsi nella casa dei Gesuiti detta dagli Esercizi in Carignano; ma, quando erano già iniziati i lavori, fu per decreto del 12 giugno 1811 aperto nel Convento della Nunziata; il solo sufficiente per accogliere trecento alunni. Anche l’Università subì cambiamenti, tramutata in Accademia Imperiale, perse ogni autonomia e divenne suddita in tutto ai cenni del gran maestro dell’università di Parigi. Tale annuncio che avrebbe dovuto suscitare le più libere proteste da parte dei nostri era invece accolto con queste parole che il Rettore rivolgeva a quel gran dignitario degli Studi: « Il bando imperiale del 4 giugno che con pieno e stabile ordinamento rannoda l’Università di Genova a quella di Francia, ha colmo di gioia e di gratitudine l’Accademia ed i distretti finitimi, i quali ripongono ogni fiducia di esistenza, di istruzione e di prosperità nei numerosi e magnifici suoi stabilimenti... » (i). Tutto doveva conformarsi al volere dei nuovi dominatori. Chi legge le raccolte di versi e le orazioni, che uscirono dal 1804 al 1815 in opuscoli o sulla Gazzetta di Genova, non trova che segni d’omaggio all’autorità degli stranieri accampatisi sulla bella Riviera Ligure. La poesia diventa, per usare una espressione felice dell’Hazard, prejet- (I) L. IsNARDl, E. Celesia - Storia dell’Università, cit. Vol. II, pag. 230. Gl’Istituti di Cultura a Genova sulla fine del 1700, ecc. 29 tizia. La nascita del Re di Roma, di colui che avrebbe dovuto assodare l’edifizio creato da Napoleone I, è oggetto di migliaia e migliaia di poesie e prose: bruttissime, s’intende, le une e le altre. Talvolta qualche spirito ribelle par voglia insorgere, ma la sua voce s’attenua. Il campo ove il nazionalismo italiano ancora s’afferina è quello della lingua: si difende la lingua italiana dall’imbastardimento della straniera, come si difende l’ultima trincea in una battaglia perduta. Ad assumere un tale atteggiamento fu un insigne professore dell’Università Genovese: Gaetano Marre, che era, e il fatto è curioso, anche incaricato di insegnare letteratura francese. Non a caso egli sollecitò nel 1806 la pubblicazione delle Memorie dell’istituto Ligure (precursore dell’istituto Nazionale), fra le quali ve n’erano alcune sue, propugnanti l’uso della lingua italiana, anziché di quella francese negli Atti pubblici ed in tutta la produzione culturale. Una, la più importante per noi, intitolata: Prospetto delle vicende delle due lingue italiana e francese, attribuisce l’oscurità di molti recenti libri italiani al neologismo straniero e al filosofismo enciclopedico (]); un’altra, di argomento più vasto e comprensivo, deplorava la gallomania, invalsa in Liguria ed in tutta l’Italia, spiegandone l’esistenza e la diffusione con lo indebolimento dello spirito nazionale, il frazionamento del « Bel Paese » in tanti cc piccoli Stati » soggetti per la più parte al Governo degli stranieri e l’ammirazione che eccita il nome francese cc per la gloria di conquiste, per fama di gentilezza e di urbanità, per lo spirito inventore e vivace della nazione e pel gran numero di sommi geni che vi fioriscono » (2). Senza dubbio, quest’ultima considerazione era in tal mode espressa perchè servisse di passaporto al concetto generale dello scrittore! Ritornava sull’argomento, nel 1809, un F. C., cioè il Professore e Accademico Francesco Carrega, in un opuscolo sull’^4r£e di tradurre (3), ove, movendo dal decreto napoleonico del 9 aprile di quell’anno, che prescriveva in Toscana l’uso della lingua italiana accanto alla francese, lamentava che le traduzioni (ved. a pag. 42) si facessero non in modo da arricchire la lingua nostra, sacro retaggio della nazione, ma da guastarla nella sua intima purezza ed armonia. Non era questo però l’unico mezzo col quale i più nobili spiriti cercavano di esprimere, poco o molto; il loro nazionalismo. Alcuni, restringendosi ai confini della piccola loro patria tradizionale, si ado-pravano ad esaltare la gloria di Cristoforo Colombo e di Andrea Dò-ria, i fasti dell’antica Repubblica marinara e le scoperte e le industrie locali. Con tutto ciò, qualche anno dopo l’annessione del 1805 all’Im- (1) Ved. Memorie dell’istituto Ligure, Genova 1806, Vol. I, pag. 124. (2) Ibidem, pag. 68-69. (3) Su l’arte di tradurre, Genova, G. Giossi, 1809. 30 Nora Cozzolino pero francese, avvenuta con due voti contrari su 28 (uno dei contrari era uscito dalla bocca del nobile Agostino Pareto) (*), l’infranciosa-mento della Liguria poteva dirsi totale. La lingua ufficiale era la francese, le produzioni teatrali erano dei Vaudevilles, la Gazzetta da spedirsi in provincia, prende il titolo di Journal de Gênes (2). Dovunque, un servilismo pauroso, un’acquiscenza adulatrice, un oblio di sè e dei propri destini. Le cose non cambiarono molto a vantaggio dell’educazione pubblica quando, caduto nel 1814 il Governo napoleonico, la Liguria vene annessa al Piemonte, per deliberazione del Congresso di Vienna. Venivano così deluse anche questa volta le speranze di libertà che per un attimo erano state alimentate dalle promesse di Lord Ben-tink e della restaurata repubblica ligure secondo la costituzione del 1576. Era questo il voto universale del popolo ligure che ancora una volta cercava di riacquistare la sua libertà ed autonomia per un momento abbandonata nelle mani della Francia. Interprete e difensore di questo desiderio fu al Congresso di Parigi Agostino Pareto e a Vienna l’inviato Marchese Brignole Sale, che, fondandosi sul diritto e la giustizia con cui in quel Congresso si pretendeva di deliberare, domandava almeno l’indipendenza sotto un sovrano straniero (3). Le decisioni del Congresso furono accolte a Genova con generale freddezza e malcontento, tanto era l’antipatia dei Genovesi verso il Piemonte. Le popolazioni delle due riviere parvero invece assumere un atteggiamento più favorevole per i materiali vantaggi che si ripromettevano da questa unione (4). Neppure esse però festeggiarono con soverchio entusiasmo l’anenssione (5). Ma, per tornare agli studi, fra le condizioni poste nel Congresso di Vienna, fu anche quella che S. M. il Re di Sardegna avrebbe conservati gli Istituti di istruzione e di educazione allora esistenti e avrebbe pure mantenuto a spese del Governo in prò dei sudditi genovesi, i posti gratuiti che erano nel Collegio detto Liceo. Questo Col- (1) Ved. G. De CASTRO, Milano durante la dominazione napoleonica, Milano, Dumolard, 1880, pagina 218. (2) Ved. P. HAZARD, Le revolution Française et les lettres italiennes, 1789, 1815, Paris, Hachette, 1910, pag. 198. (3) G. Gallo, L opera di G. Doria a Genova negli albori della libertà, Genova, Sordomuti, 1927, pag. 6. (4) Vantaggi specialmente commerciali ed agricoli per la riviera d’ ponente, e per l’una e per 1 altra si prevedeva un miglioramento di condizioni per essere nel nuovo Stato i loro abitanti uguagliati e confusi cogli altri sudditi, mentre per l’innanzi sotto la Repubblica di Genova si trovavano in grado di inferiorità. Cfr. Gallesio, Saggio storico della caduta della Repubblica di Genova e della sua riunione al Piemonte (Manoscritto in Biblioteca Civica di Genova, pag. 16). (5) G. Martini, Storia della restaurazione della Repubblica di Genova l’anno 1814, sua caduta e riunione al Piemonte Vanno 1815, Asti, 1858, pag. 271. Gl’Istituti di Cultura a Genova sulla fine del 1700, ecc. 31 legio restò infatti col nome di « Collegio Reale » e continuò a funzionare negli stessi locali dove era stato aperto nel 1812. Tolta al Municipio ogni ingerenza, esso fu messo sotto la diretta vigilanza del Sovrano che chiamò alla direzione i Padri Somaschi (*). Anche l’Università fu mantenuta, ma con gli stessi privilegi di quella di Torino; il che parve ai nuovi moderatori una grazia speciale. Nora Cozzolino (I) Cfr. Demetrio Carta, Il Convitto Nazionale di Genova - Cenni intorno alle sue orìgini e sue vicende, Genova, Tip. Olivieri, 1909. ANCORA SULLA RIVOLUZIONE GENOVESE DEL 1746 Uartìcolo del nostro collaboratore sulVinsurrezione genovese del 1746 lia avuto un’eco notevole fra gli studiosi. Ma i sostenitori intransigenti della tradizione che ripetono con tenace insistenza i medesimi argomenti non si sono acquetati. A una recensione critica pub-blicata nel Corriere Mercantile ha risposto il prof. Vitale nel Giornale di Genova del 4 marzo 1931 e noi riproduciamo l’articolo che compendia ed illustra la trattazione dell’argomento e può maggiormente illuminare i lettori sullo stato della vessata questione. Alla replica del Corriere Mercantile (9-10 marzo) non riteniamo sia più il caso di rispondere perchè entrambi gli studiosi dichiarano di voler chiudere i rivi alla polemica. Aggiungiamo soltanto alcuni brani di documenti recentemente rinvenuti. Immaginavo bene che il 1746 e Balilla avrebbero avuto uno strascico. Sono argomenti che non si toccano impunemente. Lo studio (o meglio la conferenza, e perciò di carattere divulgativo senza possibilità di approfondire discussioni e di apparato critico) pubblicato nell’ultimo numero del Giornale Storico e Letterario della Liguria ha avuto l’onore di un ampio commento da parte di F. Ernesto Morando nel « Corriere Mercantile » del 16-17 febbraio 1931. Commento che, nella squisita compitezza formale, con molto benevole e cortesi espressioni, copre un assoluto dissenso sostanziale. Sia lecito in primo luogo rilevar con soddisfazione che si può essere di pareri affatto opposti rimanendo nelle forme della più cavalleresca cortesia: in queste condizioni fa piacere incrociare il metaforico ferro con avversari così signorilmente elevati. Se ho ben capito, il Morando mi fa troppo onore considerando come una conquista del racconto tradizionale, così per il carattere del moto come per la personalità del Balilla, alcune mie affermazioni ed ammissioni, quasi che l’umile sottoscritto rappresentasse una specie di corrente iconoclastica o ne fosse il portavoce. No, no: alla seduta della Società di Storia Patria, che nel 1927 trattò la questione del Balilla, egli non era presente e, per quel che ne sa, non vi si negò l’esistenza del fatto e del ragazzo, ma si mise in dubbio l’identificazione tradizionale, la quale, come si sa, risale soltanto al 1845. E lui, per conto suo, non ha nessuna intenzione, povero untorello, di spian- Ancora sulla rivoluzione genovese del 1746 33 tar Milano. E ha di Balilla quella altissima concezione che ha cercato, secondo le sue deboli forze, di rappresentare; ma persiste a credere che tra i due che si contendono il nome e il gesto (nelle fonti indicate dal Morando c’è la identificazione Balilla = G. B. Perasso?) non si possa decidere. Con sottigliezza abile e accorta il Morando parte dall’ammissione concorde sull’esistenza del ragazzo dal gesto eroico e sul suo nome, diciamo così, di battaglia, per conchiudere, attraverso i ricordi personali e le tradizioni orali, alla famosa identificazione, quasi che il dire: c’è stato un ragazzo eroica e generoso che si chiamava il Balilla, volesse anche significare: quel ragazzo era segnato nei registri parrocchiali come G. B. Perasso. La illazione, anche se fondata su tardive tradizioni orali, è veramente ardita. Prima di tutto bisogna decidersi per l’uno o per l’altro dei due Perasso in contesa; e d’altra parte la frequenza di quel nome (come chi dicesse oggi Baciccia Parodi) può spiegare che assumesse un valore generico e quasi proverbiale. Per parte mia, avendo letto con qualche attenzione tutti i giornali del periodo rivoluzionario della fine del ’700, nei quali l’accenno ai fatti del 46 è frequente, son rimasto colpito dalla mancanza assoluta della celebre identificazione. Compaiono bensì altri G. B. Perasso, ma spesso con altri soprannomi ed è di quella gente che è meglio perdere che trovare. E per quanto riguarda la tradizione orale, mi permetto di notare, senza offesa di alcuno, che essa, per un fenomeno naturale e comunissimo, subisce assai facilmente alterazioni o equivoci o suggestioni curiosissime. Giorni or sono un valoroso cultore di studi storici faceva ricerche intorno a un garibaldino ligure — siamo dunque a cose e a persone ben recenti e vicine — e non trovando notizie documentarie, si rivolse a due superstiti commilitoni i quali, in piena buona fede, gli assicurarono di ricordarsi del compagno da tempo scomparso, che apparve nelle loro due versioni ad un tempo commerciante morto in Sicilia per caduta da cavallo intorno al 1895, e ingegnere perito nel centro dell’America meridionale, certamente dopo il 1907. E andate a fidarvi della tradizione orale! Con la stessa monotonia con cui altri si ostina nell’identificazione (ed è davvero divertente sentire gli uni giurare che sì, è Perasso di Portoria e gli altri affermare con altrettanta convinzione che è quel di Montoggio) mi permetto di ripetere fino alla noia che tutto questo non conferisce per nulla alla grandezza di Balilla; che la sua vita mortale, quale che essa sia stata, niente aggiunge al gesto e al suo immenso valore simbolico. « Balilla — mi sia permesso ripetere le parole della mia convinzione e del mio sentimento — Balilla è stato un ragazzo ed è diventato un simbolo... Balilla si chiama, chiunque sia stato; Balilla è una realtà e un’idea; Balilla è una tradizione e una forza; Balilla può ancora accendere i cuori e armare le braccia si- Ο 34 Vito Vitale cure. Il nome lia una sua realtà ideale e indistruttibile, è assurto a significare sentimenti che sono sempre stati e sempre saranno negli animi vibranti di fede e di entusiasmo: per questo ha meritato di dare il suo nome a tutti i bimbi d’Italia ». ❖ ❖ ❖ Molto maggiore importanza storica ha l’altra questione dell’atteggiamento della nobiltà nella celebre insurrezione. Il Morando comincia dal contestare che certe questioni si possano risolvere a colpi di autorità. D’accordo; ma a sua volta mi risponde citando autorità di scrittori, dall’Accinelli al venerando Paolo Boselli. Certo, le mie autorità sono assai più modeste; ma si tratta di gente che non aveva i risentimenti personali e le dichiarate avversioni antinobiliari del-l’Accinelli e che la convinzione, sia pure erronea, se l’è fatta dallo studio minuto e paziente di quei documenti d’archivio che altri disdegna. Per parte mia, non ho inteso di sottoscrivere a tutte le affermazioni del Masnovc, il quale potrà aver ricavato eccessive conclusioni dall’unica fonte inedita usufruita, e sia pure non del tutto genuina; ma del Pandiani non si vorrà negare che ha fatto un sereno e severo esame documentario del materiale archivistico. Ciò che più importa è che le affermazioni consegnate non alla labile e suggestionabile memoria, ma alle carte ufficiali destinate a rimanere nel segreto degli scaffali d’archivio, hanno assai maggiore efficacia suggestiva delle più belle frasi rotonde e tornite. Può essere che il Botta Adorno e la Corte di Vienna nell’accusare di doppio giuoco la nobiltà dominante, fossero mossi dal dispetto dello scacco subito; ammettiamo che alla Corte di Parigi si fosse male informati nel dire che il governo aveva agito sotterraneamente; ma i nobili stessi dovevano ben sapere quel che volevano e facevano quando il 7 dicembre per timore di cc giocarsi l’amore del popolo » decidevano di lasciare cc che la gente facesse la sua parte » e di cc coadiuvarla in ogni modo pur andando con destrezza » (Archivio di Stato, Militarium, filza 51/2911, Verbale del Minor Consiglio) e ancora alla fine del moto deliberavano cc di far tutto per mezzo di savii soggetti che s’intendano col popolo » (Militarium, filza 30/2890). Gian Domenico Spinola, anello di congiunzione tra il popolo e il governo, propone al Minor Consiglio il 9 dicembre, dunque durante l’armistizio, che si provveda cc pane al popolo perchè non abbandoni l’impresa e perchè sia sempre devoto al governo », lo stesso Spinola che il giorno prima aveva detto le parole che danno la chiave di tutto un contegno: cc Π corpo nobile non deve fare alcuna mossa nè prendere alcuna ingerenza, ed unicamente star a sentire le proposizioni che saran fatte dal nemico alle quali proposizioni dovrà sempre rispondere il popolo, istruito sempre occultamente dalla nobiltà ». Ancora sulla rivoluzione genovese del 1746 35 Nè si può dire che questo sia un suo pensiero personale e isolato quando si vede che l’abbozzo di trattato da lui presentato al Minor Consiglio è quello appunto che i rappresentanti del popolo poche ore dopo propongono al Botta (Pandiani, doc. VII, pag. 182, -dalla filza sopra indicata). Il Morando, che non si ferma per nulla su questi fatti molto significativi, dà invece grandissimo valore all’awertimento del P. Visetti al Doge, di aiutare almeno segretamente, l’insurrezione popolare. Ma questo avvertimento, piuttosto che un rimprovero e un disperato appello, che quegli non avrebbe fatto se avesse saputo il governo assolutamente ostile e se non avesse rappresentato anche lui una doppia funzione, è apparso evidentemente al Pandiani e appare anche a me un incitamento a continuare o almeno ad accogliere i suggerimenti che quel giorno stesso lo Spinola dava al Minor Consiglio. Con che, non occorre insistervi, nessuno pretende che il governo abbia avuto, ripeterò le mie stesse parole, « un contegno superbamente eroico o spavaldamente temerario », nè che tutti i nobili abbiano seguito volentieri la politica ufficialmente adottata. Ci sono stati episodi come quelli che il Morando ricorda; c’è stato soprattutto un autentico duplice giuoco nel governo. E mentre la tesi che accoglie l’esistenza di questa duplicità debole ed equivoca permette di comprendere i diversi atteggiamenti e le vicende varie della situazione e anche la conservazione di quel nuovo governo popolare improvvisato, che serviva benissimo a convalidare l’atteggiamento d’impotenza assunto dal governo di fronte agli insorti; la tesi dell’assoluta opposizione e del tradimento nobiliare spiegherà gli atteggiamenti dei nobili apertamente avversi all’insurrezione ma non riesce a spiegare le decisioni del Minor Consiglio, il contegno dello Spinola e i fatti che l’accompagnano, a meno che la presentazione delle due proposte di trattato non sia una straordinaria e prodigiosa coincidenza. Neppure, il Morando accenna affatto al contegno rispettoso e deferente del Carbone nel recare al Doge le chiavi della Porta di S. Tommaso e alla trasformazione che lo spirito partigiano ha poi fatto di quelle riverenti espressioni nelle altezzose e minacciose parole delle consuete narrazioni; la sua ammissione urterebbe troppo con l’asserito preciso contrasto di atteggiamenti e di sentimenti. Ma questa tenace opposizione all’ammettere da parte del governo nobiliare quella astuzia diplomatica che si risolve in una cauta, nascosta, timorosa, certo non eroica, collaborazione all’azione popolare, deriva, mi pare, da un particolare stato d’animo, da una speciale posizione mentale e spirituale che si concreta in una pregiudiziale intransigentemente democratica. Non a caso scrivevo nel mio studio che « noi non abbiamo più oggi alcuna ragione demagogica per mantenere artificialmente quel dissidio nobiltà-popolo.... ». Accogliere una, per quanto tenue e guardinga, partecipazione nobiliare alla difesa comune apparirebbe forse 36 Vito Vitale come un'offesa a principi rigidamente democratici, ma, si intende, di una democrazia come la si poteva intendere dai partiti di sinistra avversi ai « consorti », or è, all’ingrosso, mezzo secolo; chiudere gli occhi davanti alle parole da quei nobili stessi consegnate, nelle caute deliberazioni, al segreto degli archivi è voler proiettare tenacemente nel passato remoto non la concezione storico-politica dell’oggi, che sarebbe spiegabile e naturale, ma una concezione storico-politica già superata e perciò anacronistica. Tuttavia non manca neppure ima testimonianza autenticamente democratica a dimostrare che l’intefpre-tazione odierna di studiosi amanti solo della verità e senza pregiudiziali politico-sociali non è poi cosa tanto nuova. Sebastiano Biagini, il più acceso dei democratici della Repubblica Ligure, scriveva il 9 dicembre 1797 nel Censore Italiano, organo massimo della felice « ri-generazione » democratica di figurino francese: « L’abolito Governo oligarchico ha ingannato il Popolo allor quando nel 1746 lo indusse ad insorgere contro le truppe estere ». L’affermazione, si capisce, ha il valore che ha, ma può attestare che qualcuno almeno tra quei democratici, tanto più vicini di noi all’avvenimento, non escludeva assolutamente la partecipazione nobiliare all’insurrezione. Finalmente voglio ancora notare che l’espressione da me usata parlando del moto del ’46: « quello che fu detto il solo avvenimento del secolo XVIII che appartenga veramente alla nazione italiana », se era stata adoperata da Paolo Boselli, lia un’ofigine anche più antica perchè appartiene al democraticissimo Sismondi. « Quel fatto — aggiungevo — nell’esplosione contro il sopruso straniero è il primo e solo moto spontaneo di dignità nazionale, il solo grido di riscossa contro le violenze e le prepotenze delle politiche dinastiche, delle occupazioni militari, delle tortuose e cieche diplomazie trascuranti l’esistenza di un’anima e di una volontà popolare e nazionale, prima del gran turbine rivoluzionario. Con questo di più che non pochi dei movimenti furono allora di imitazione e di ispirazione straniera; questo è di carattere nettamente spontaneo ed antistraniero ». Nel riportare questo brano il prof. Morando ha tralasciato l’ultimo periodo, forse un po’ incomodo. Non sono certo tanto ingenuo o presuntuoso da pensare di poter persuadere il prof. Morando e quanti pensano come lui: mi compiaccio soltanto che l’interpretazione che diremo del Pandiani del grande avvenimento è ormai accettata senza contrasti dagli storici che più onorano gli studi italiani. Ed ora basta davvero; e ripetiamo col poeta: Claudite iam rivos, pueri; sat prata biberunt. Per conto mio prendo solennissimo e inviolabile impegno di non occuparmi mai più — checche altri possa dire o scrivere — del 1746 e di Balilla. C’è tanto altro da fare intorno alla storia di Genova! E i volenterosi sono cordialmente invitati a dare una mano nello sventrare l’im- Ancora sulla rivoluzione genovese del 1746 37 mensa caterva dei documenti d’archivio dai quali la storia di Genova attende ancora, per molte parti, un’indagine compiuta e serena, scevra di vacuo dilettantismo o di stucchevoli monotone ripetizioni. Vito Vitale POSTILLA. — Gian Francesco Pallavicino, ministro genovese a Parigi, scrive al suo governo delle notizie mandate dal Guimont, generale delle truppe francesi in Liguria, al marchese D’Argenson, ministro degli affari esteri di Francia: « La di lui lettera porta le date successive di tutti que’ giorni nei quali è durato l’affare, da quello cioè de 5 in cui è cominciato fin a quello delli 11 in cui non vi eran più Austriaci nella Città e nei suburbii. Nelle prime di esse date dice •che il Governo ha negato al Popolo le armi dimandategli a gran grida e che vedendo ciò non ostante andare le cose innanzi, ha deputato il N. Agostino Lomellino qd. Caroli per quietarlo. Nelli ultimi poscritti poi dice che il Senato stava continuamente unito e che erano state distribuite al popolo combattente delle grosse somme senza che si sapesse d’onde procedessero e lascia in dubbio se il Senato pigliasse o non pigliasse parte in ciò che andava succedendo, nulla però dice in svantaggio del medesimo. ... Ma confesso che la cortezza della mia vista non mi lascia scuo-prire qualsia la positiva intenzione di W. SS. Ser.me circa il di più. Parmi alla verità che elleno riguardino come grandissimo il rischio in cui si è costituito codesto Paese ma non so comprendere qual via vogliano tenere per procurare di garantirnelo : anzi nemmeno giungo a capire se vogliano cooperare a questa scelta o pure preservare di essere imparziali spettatori di ciò che anderà ulteriormente facendo o non facendo codesto Popolo, la di cui fermentazione tengono debba essere di longa durata ». (Arch. di Stato, Genova, Lettere Ministri, Francia n. 49-2225, lettera Pallavicino, 22 Dicembre 1746). « Il Ministro D’Angerson mi si è dimostrato sempre più persuaso che vi sia chi sottomano guidi il Popolo ed i Paesani il che attribuisce al Governo che suppone agire sotterraneamente col mezzo di qualche Cittadini. Io non ho mancato di dirgli che W. SS. Ser.me mi avevano scritto espressamente in data delli 11 che non avevano avuto ingerenza alcuna in ciò che era succeduto ma egli nondimeno rimane nella sua opinione siccome il Conte suo fratello con cui ho avuto a un dipresso gli stessi discorsi » (Ibid, lettera 30 Dicembre). 38 Vito Vitale Dal che si vede che la tesi del contegno doppio ed equivoco della nobiltà, desiderosa « di tenersi in istato di poter parare e menomare il colpo nel caso che divenisse inevitabile con tenersi fuori di ciò che poteva occasionarlo » (giustificazione del Pallavicino ai Ministri francesi dopo che si « era creduto obbligato dalle istruzioni ricevute » a dire che i nobili non avevano avuto parte alcuna nel moto); che la tesi delVaiuto nascosto e inconfessato, non eroico certo ma tuttavia esistente, alVinsurrezione popolare, non è stata inventata dal professor Vitale nel 1930 e neppure dal prof. Pandiani nel 1923, ma risale almeno alla fine del dicembre 1746, pochi giorni dopo Vavvenimento, e ai governanti francesi informati dai capi dei loro eserciti in Liguria* IL DISPACCIO DI CARLO FELICE A DE GENEYS PER LA REPRESSIONE DEI MOTI GENOVESI DEL 1Ô51 Terminato il burrascoso ufficio di Segretario del Principe di Cari-gnano, Alberto Nota era stato esiliato prima presso l’intendenza di Nizza e quindi nominato vice intendente a Bobbio. In riva alla Trebbia rapace, tra pochi amici e molte nostalgie, lo raggiunse la rivoluzione del ’21; la figura dell’uomo, la singolarità di alcuni fatti e la delicata posizione del sito posto tra la Liguria sabauda e il granducato di Modena, meritano qualche parola. Ciò ci è reso possibile dalle carte conservateci dall’avvocato Francesco Castagneri, (che del Nota fu amico e le cui benemerenze patriottiche porrò in luce su altra rivista) tra le quali restano alcuni documenti riguardanti il segretariato del Nota presso il Principe di Carignano e le sue vicende nel 1821. Conosciutesi in Bobbio l’abdicazione di Vittorio Emanuele I e la promulgazione della costituzione, ne esultò il Nota e cercò di assecondare il nascente governo; di questo ci fan fede una lettera di Mons. Isaia Volpi, Vescovo di Bobbio, nella quale rispondendo al Vice intendente lo si assicura il 17 marzo che « sull9oggetto della pubblica tranquillità e dell9obbedienza da prestarsi all9attuale governo » sarebbero state impartite istruzioni ai parrochi, ed una circolare d’identico tenore inviata ai parrocchi dal sindaco di Ottone. Ma il 18 marzo avveniva un fatto curioso, narrato nel documento che pubblico per esteso, e che è in certo qual modo il filo conduttore del mio racconto. Un individuo di Tortona quella sera cercò di farsi vidimare dal sindaco di Bobbio un passaporto per Genova; caduto in incongruenze, disse di provenir da Modena, latore di un messaggio di Carlo Felice al De Geneys. Dopo molte incertezze, si permise, per consiglio del Nota, all’individuo di proseguire, dandogli anzi la scorta di un carabiniere. Fu cosi che un carbonaro (carbonaro fu certo il Nota) fece, in buona fede, pervenire al De Geneys la lettera (*) ed il proclama (2) di Carlo Felic nei quali si sconfessava il movimento costituzionale (3) e che, in buona fede, dovevano far scoppiare la rivoluzione in Genova rimasta fin allora tranquilla e soddisfatta ad un tempo degli avvenimenti torinesi e dell’ottimo governo del De Geneys. (1) Pubblicata dal Boselli: Carlo Alberto e l’Ammiraglio De Geneys, in «Rivista dell’Accademia delle Scienze», Torino 1892, vol. XXVII, pag. 721. (2) A. DE BeauchaMP, Histoire de la Révolution du Piémont, Paris, 1821, pag. 157. (3) C. BoRNATE, L’insurrezione di Genova nel marzo 1821, in « Biblioteca di storia italiana recente », vol. XI, pag. 25 segg. dell’estTatto. 40 Raimondo Morozzo della Rocca Ma, il 26 marzo, la Giunta Provvisoria nominava il Nota Capo Politico della Provincia di Bobbio (J). L’atto di nomina ci è conservato; strappatone un brano ove probabilmente si era espresso in tutti altri termini, il Nota vi scrisse a lato: cc Vedi il Registro segreto, lettera al Cav. Del Pozzo delli 2 aprile in cui si fanno presenti diverse circostanze per cui non è possibile disimpegnare le due cariche »; se non che questa annotazione dovette esser stesa in epoca posteriore: infatti rimane una minuta di lettera al Provana ove il Nota accettando la carica ringrazia ed aggiunge: cc Sarà mia cura di adempiere con tutto il zelo il nuovo ufficio che mi è commesso; e di mantenermi in tale modo la fiducia del Governo e la stima e Vaffetto de9 miei concittadini ». Dippiù rimane una lettera del De Gubernatis, reggente la Segreteria -di Finanze che al 4 aprile ringrazia per delle cc notizie confidenziali sullo stato della frontiera » le quali ci lasciano arguire la devozione del Nota verso il nuovo regime. Le carte del governo Costituzionale che ci sono conservate si riferiscono di massima alla formazione della Guardia Nazionale che venne organizzata dal Nota (28-IIL 29-111, 30-111, 2-IV, 6-IV) ed allo stipendio dei Capi politici (7-III, 1-III, 14-111); in questi documenti l’unico accenno importante si riferisce alla necessità di ordinare al più presto la Guardia Nazionale per cc la difesa del territorio, che noi dobbiamo conservare colla nostra Energia e colla nostra Concordia ai-ramatissimo Nostro Sovrano Carlo Felice e alVimperio della Costituzione ». Più interessante riesce una circolare del 23 marzo a firma Provana, ove si avverte : cc Procurerà Ella in somma di unire tutta la necessaria fermezza ed attività affinchè le leggi e gli ordini dell9attuale governo sieno eseguiti, a quella dolcezza che è conciliabile co9 suoi doveri, e che può far amare il Governo. Sopratutto impedirà sì le pubblicazioni che qualsivoglia altro mezzo, che gli oppositori dell9attuale sistema possono mettere in opera per turbare la tranquillità pubblica, e per far combiamenti dal governo non approvati, questo oggetto che produrrebbe intestine discordie nella società dee sopratutto meritare la sua vigilanza e provocare quelle misure che Ella crederà opportune. ». Gli ultimi documenti costituzionali sono due circolari del 9 aprile a firma Provana che accompagnavano alcuni esemplari della proclamazione della Giunta pubblicata in quel giorno, mentre le truppe del Della Torre erano in marcia verso la Capitale (2). Seguita la reazione e l’opera della Commissione d’inchiesta, il Nota cercò di porre riparo ai trascorsi, e troviamo una minuta ove egli cerca non solo di scagionarsi nia di farsi qualche merito con il proseguimento del dispaccio di Carlo Felice (8-VIII), al qual proposito l’intendente Generale di Genova al 2 agosto gli aveva scritto: (1) A. DE Beauchamp, op. cit., pag. 177 (2) Id. id., pag. 135. Il dispaccio di Carlo Felice a De Geneys, ecc. 41 « Io ignoravo certamente il fatto ». Giungeva infine a tranquillarlo la risposta del 1° agosto ad una sua del 28 luglio al De Gubernatis; cc C. A. Portae inferi non prevalebunt. Vivi tranquillo che presto usci-rai con tuo vantaggio da cotesta tua valle di miserie piena. Te lo pronostica chi lo può sapere. Ridi d9ogni inchiesta, taci e prosegui a servire S. M. con egual zelo », e così pure lo rincuorava una lettera (4-Vili) dell’amico Carpani da Torino del 4 agosto. Ma alla stessa data, da Parma, Ambrogio Berchet (che nel ’24 sospettato di Carbonaria preferì cambiar aria), gli annunziava il dono di un esemplare dell’Orazio Bodoniano da parte della sovrana di Parma alla quale il Nota aveva offerta copia delle sue opere teatrali, esemplare accompagnato da una lettera del Generale Niepperg. Giova stralciare qualche frase alla lettera del Berchet che certo in quei frangenti fu graditissima al Nota: ccVi ripeto per vostro conforto le parole dettemi dal Generale (Niepperg) : Mr Nota est très bien dans Γesprit de LL. MM. le Roi et la Reine de Piémont; S. M. la Reine au surplus le connaît particulièrement. Mettere da una parte questo, la vostra precedente condotta, l’importante servigio reso al vostro sovrano colla pericolosa trasmissione di quel tal piego a Genova, e dall’altra qualche parola che vi trasse dal labbro una indispensabile circospezione, la stessa prudenza, per non aggravare i mali che minacciavano il vostro paese. e giudicate se non avete a sperare vittoria... ». Il Nota, come risulta da altre lettera (’) sfruttò abilmente questo atto di benevolenza sovrana, giungendo a sognare pure un trasloco ed un avanzamento (°). E, mancati gli applausi, in carcere e in esilio gli attori della rivoluzione di marzo, il fratello Giacinto gli scriveva da Torino: cc II prezioso dono che hai ricevuto dalla Sovrana di Parma ha fatto qui un gran senso, ma il piacere che ne ha risentito il tuo Giacinto e Marianna è inesprimibile, massimamente nella circostanza che da taluni mi si andavano facendo delle interrogazioni alquanto suggestive sul tuo conto ». E soggiungeva: cc Giovedì anderà sulle scene la tua rivoluzione in amore... ». DOCUMENTO cc Alle ore nove della sera di domenica 18 marzo, si presentò dal sindaco di Bobbio un individuo per far vidimare un passaporto spedito a Modena per Genova. Veggendo il Sindaco che l’individuo non era il proprietario della carta presentata, si fece chiamare davanti il vero padrone del passaporto il quale si mostrò imbarazzato e confuso nel rispondere. Interrogato se avesse carte, rispose che no; minacciato dai carabinieri di visitarlo estrasse dal seno di sotto alla camicia un piego a forma di lettera con questo indirizzo :a S. S. le Comte De (1) C.te Solaro della Margherita da Napoli, 30 agosto 1821 ; Vedova Bodoni da Parma, 31 agosto 1821 ; etc. (2) Lettera Carpani da Torino, 27 Agosto 1821. 42 Raimondo Morozzo della Rocca Gênais, Gouverneur de la division de Génes, e sotto all’angolo sinistro a chi legge eravi : service de S. A. R. Mr. le duc de Genevois. « Il sindaco tutto conturbato ed affannato per questa cosa, massime atteso gli sconvolgimenti del Piemonte stati conosciuti il giorno innanzi, si recò alla casa del Vice Intendente e gli rimise il pacco, per sapere cosa dovesse in tanto frangente operare. Siccome v’erano alcune persone nella camera, il Vice Intendente pregò il Sindaco di passare in un gabinetto, ove fu esposto il fatto. Frattanto avvisò il comandante dei Carabinieri, benché ammalato con la febbre, ed essendosi già divulgata la cosa s’introdussero pure altre persone. Temendo tutti d’aver qualche grave imbarazzo per le circostanze terribili di quei momenti, nessuno osava dire che partito si dovesse prendere. Il Vice Intendente dopo aver ascoltati tutti pregò il Comandante dei Carabinieri di far presentare l’uomo stesso e di far ritirare tutti, eccetto il Sindaco. Introdotto l’uomo, il Vice Intendente lo interrogò chi fosse, donde venisse, chi gli avesse rimesso il piego e in quale luogo, finalmente a qual’ora dovesse partire: quell’uomo rispose essere di Tortona (lo scrivente non si ricorda il nome), essere venuto da Modena, essergli il piego stato rimesso dalle proprie mani del conte di Ferrera, per essere rimesso a mani proprie di S. E. il Governatore di Genova, essere destinato di partire da Bobbio dopo alcun riposo e prima del giorno. « Siccome il sigillo del piego non era sigillo Reale nè Ducale, alcuno pensò che il plico potesse alle volte essere stato rimesso all’individuo da qualche altra persona, e contenere sotto una falsa soprascrizione altre lettere ed essere diretto a tutt’altri. Il perturbamento e l’ondeggiaie fu grande e furono diversi i partiti che furono proposti. Il Λ ice Intendente disse: Signori: Avendo S. M. il Re Vittorio abdicato, noi tutti dobbiamo sommessione ed obbedienza al Suo successore. Il Conte De Genais è governatore di Genova; dunque il piego non deve essere ritardato nel corso neppur d’un minuto, ed è quello che io chiedo al S.r Sindaco e al S.r Comandante de’ Carabinieri. Essendo però troppo palese questo fatto, per evitare che il pedone soffra alle volte degli ostacoli per via, o sul dubbio propostomi che il piego contenga un falso indirizzo, prego ed invito il S.r Comandante d’intender 1 ora alla quale 1 individuo dee partire, e di farlo accompagnare da un carabiniere sino nell’anticamera di S. E. a Genova. E così fu fatto. 11 Comandante benché nello stato di grossa febbre stette fino molto dopo la mezzanotte in camera col Vice Intendente, e fu compilato il rapporto al S.r Maggiore de’ Carabinieri Cav. Richieri a Genova il quale rapporto è uguale a questa esposizione; furono fatte lagnanze al Vice Intendente di questa misura, al che egli rispose che quando faceva il suo dovere, non sapeva temere di nulla ». (Minuta di Alberto Nota in Carte Castagneri). Raimondo Morozzo della Rocca I PADRI BOLLANDOTI HENSCHENIO e PAPEBROCHIO A GENOVA NEL 1662 Ho già avuto occasione -di scrivere intorno al viaggio di studio che i due collaboratori del padre Bolland, i padri Godefroid Henschen e Daniel Papebroeck, fecero in Italia nel 1660-62 e non mi sembra inutile ricordare in questa breve nota la visita che quelli fecero a Genova, dove si trattenenro dal 5 al 20 marzo 1662 (1). I documenti che rimangono non forniscono abbondanti notizie, perchè il diario che il Papebrochio scrisse si arresta al 24· dicembre 1660, giorno dell arrivo dei due agiografi belgi a Roma (2); le lettera dal p. Henschenio dirette al Bollando nè molte, nè particolareggiate, ma pure degne di che da esse sia tratto quanto ha relazione con la loro attività a Genova (3). Partiti da Anvers il 22 luglio 1660 i p. p. Henschenio e Papebrochio, dopo aver attravérsato una parte della Germania e dell Austria, alla metà di ottobre entravano in Italia e, dopo aver percorso il Veneto, l’Emilia, le Marche, l’Umbria, giungevano a Roma a Natale. Qui si trattennero, dopo aver fatto una breve permanenza a Napoli, fino all’ottobre del successivo anno 1661 e ripreso poi il loro viaggio, per Siena e Firenze, dove rimasero dal 14 ottobre al 18 febbraio 1662, andarono a Lucca. Partiti da questa città il 28 dello stesso mese, per Pietrasanta, Sarzana, Rapallo e Bogliasco, il 5 marzo per una cc via cc amoenissima per montes et valles ad mares et subinde periculosae, cc tum per oliveta et amoenos hortos et illustria palatia » giunsero a Genova, dove si trattennero fino al giorno 20, cortesemente accolti ovunque. Ospiti del collegio dei Gesuiti si recarono subito in chiesa, ed ascoltarono la predica del p. Fabio Ambrogio Spinola, alla quale assisteva il Doge, il senato e molta nobiltà. La famiglia Spinola manifestò in modo particolare la più grande simpatia verso i due viaggiatoti, i quali furono più volte ospiti di Niccolò Spinola cc vir valde (1) Cfr. i miei scritti: / pp. boli. Henschenio e Papebrochio ad Assisi nel 1660. in «Studi Francescani» Firenze, 1930, N. 1-2; e i medesimi a Bologna, in «Archiginnasio» di Bologna, 1930, N. 1-3 e Miscellanea volterrana, Pescia, 1929, pagg. 20-28. (2) Diarium itineris romani anno 1660, suscepti a G. Henschenio et D. Papebrochio, auctore Papebrochio, in «Biblioteca reale di Bruxelles, codice'17671 ». (3) « Bibliot. cit., Codice 7761 », c. 149-154. Le lettere sono datate da Genova 7, 13, 19 marzo e Milano 29 marzo 1662. 44 Mario Battistini amoenus » che li accompagnò anche a visitare il palazzo di Giorgio Spinola. Anche i Doria ed i Fieschi prodigarono loro le più attente cortesie e li agevolarono nelle loro indagini, aiutati in special modo dai padri Marco, Niccolò e Giovanni Gentile, quest’ultimo rettore del collegio dei gesuiti. I bollandisti volsero le loro prime indagini presso i Domenicani « quod iam primarium ordinis hic coenobium est », ma benché ricevuti con ogni deferenza non fu loro possibile, per l’assenza del Priore e dell’archivista, compiere un proficuo lavoro. Visitarono poi S. Bartolomeo degli Armeni, il monastero di S. Niccolò da Tolentino, dove trovarono una ricca biblioteca e molte reliquie, quindi il monastero di S. Sebastiano, popolato di oltre cento monache, molte delle quali appartenenti alle principali famiglie genovesi. Dalla città, dove non molto di interessante per i loro studii trovarono, tanto che il p. Henschenio scriveva il 13 marzo: cc se molto abbiamo lavorato, i resultati non corrispondono al lavoro », i due belgi si recarono nei monasteri dei dintorni. Infatti andarono al Capo Faro all’abbazia dei benedettini del monastero di S. Benigno; al monastero Coronato dei monaci regolari di S. Salvadore, dove videro la miracolosa immagine della Vergine con le bellissime 40 lampade d’argento; poi a Boneto dai benedettini, ma essendo assenti l’Abate ed il Priore, e poiché nessuno possedeva la chiave dell’archivio, si limitarono a lasciare ai monaci un memoriale, riguardo le notizie che ricercavano, e dopo aver visitato la tomba di S. Niccolò di Prussia, abbandonarono il sacro luogo. Si spinsero fino a Rivarolo per visitare i conventi dei Cistercensi e dei Francescani, ed a San Pier d’Arena visitarono quello degli Olivetani. Si può dire che non lasciarono di visitare alcun luogo sacro importante, ma non sappiamo con precisione quali fossero i resultati ' delle loro indagini. È certo però che i due agiografi ebbero nella città di S. Giorgio un’accoglienza larga e signorile. Il padre Doria li accompagnò a visitare l’ospedale e quindi dall’arcivescovo Cardinal Duraz-zo, il quale molto s’interessò ai loro studi ed alle loro ricerche. Anche gl inviti presso nobili famiglie, e tutti degni della signorilità genovese, non mancarono loro, sicché l’Henschenio potè scrivere: « sunt « hic et in reliqua Italia hilares et moribus antiquis ». Nel collegio dei gesuiti ebbero pure un trattamento più ricco e gradevole di quel- lo avuto a Roma, dove pare avessero mangiato molti broccoli, tanto che il 19 marzo 1 Henschenio scriveva al Bollando: « summa différence tia est inter romanos et januenses, cum pisces et alia delicatiora », e mentre a Roma il cuoco « suis romanis broccolis non recreabat » a Genova si danno una sola volta per settimana. L ora della partenza si avvicinava e il 20 marzo riprendevano il loro viaggio per Milano, dove giunsero il 26 di quello stesso mese. Le relazioni che i bollandisti ebbero successivamente con Genova, I PADRI BOLLANDISTI HENSCHENIO E PAPEBROCHIO A GENOVA NEL 1662 45 dopo la loro visita, non risultano molto interessanti dalla Collectanea Bollandiana che .abbiamo studiato; ma non vogliamo dimenticare di dire che a cagione della soppressione degli Ordini religiosi e dei successivi avvenimenti politici, non pochi di quei documenti andarono smarriti o dispersi. Da ciò che ancora rimane risulta che Giovanni Stefano Fieschi della Compagnia di Gesù fu il più attivo corrispondente con i confratelli d’Anvers, ai quali inviò, nel 1664, la copia della vita dei SS. Valentino, Felice e Romolo, tratte da un codice del collegio dei gesuiti (*), nonché la trascrizione della vita di S. Girolamo di Corsica e varie notizie su S. Siro (2). Le ricerche compiute dallo stesso Fieschi intorno alla vita di S. Ampelio, intraprese fin dal 1664, furono coronate da successo, ed il 30 agosto 1670 egli poteva inviare al Papebrochio copia della vita di quel santo « tratta da un antico co-cc dice manoscritto de la confraternita dei fabbri ferrai che si riunisce « nella chiesa parrocchiale di S. Stefano dei monaci di Monteoli-« veto » (3). Inoltre egli si occupò attivamente di ricercare documenti e notizie intorno a S. Colombano ed alla badia di Bobbio e, nel 1675, inviava ad Anvers numerose trascrizioni di documenti e notizie a questo soggetto, riuniti con la collaborazione del padre Giovanni Sal-vaterra, lettore di teologia nel collegio dei gesuiti di Genova (4); notizie che furono completate nel 1717 dal padre Giovan Battista Mosca, il quale trascrisse numerose memorie su S. Colombano da un Codice membranaceo della biblioteca dell’abbazia di Bobbio (5). Mario Battistini (1) «Biblioteca reale di Bruxelles, Codice 8965» (II, 3517), c. 197. (2) «Bibliot. cit., Codice 8955» (II, 3511), c. 192-194. (3) cs. «Cod. 8965» cit., c. 185-196. (4) «Bibliot. reale di Bruxelles, Codice 8950-52» (II, 3509), c. 124-126. (5) cs. «Codice cit.», c. 174. Nel «Codice 8985» (II, 3525), c. 177, si trova la copia dell& « Traslazione del piede di S. Stefano da Costantinopoli a Genova» tratta da un codice del convento di S. Francesco di Genova. Alcune lettere del Fieschi si trovano nei «Codici 7812» (II, 3448), c. 438. VARIETA’ Le spese di spedalità per Pasquale Badino Oste e negoziante di vino, a venticinque anni, nel 1797, Pasquale Badino per i suoi sentimenti democratici era stato nominato dal Governo della Repubblica Ligure « Ispettore del dipartimento del vino » (!). Poi era passato a pesatore della dogana, ma rinunciò al posto, probabilmente nei torbidi e pericolosi giorni del 1800: certo chiese insistentemente compensi e indennità per i danni subiti all’ingresso delle truppe austriache, dopo la capitolazione del Massella, il 4 giugno. La sua stessa qualità di oste dovè offrire il pretesto alle vendette contro i suoi atteggiamenti democratici alle bande armate e contadi-nesche fatte entrare in città, contro i patti della resa, dal famoso pseu-do generale Luigi Assereto. Ristabilita la Repubblica Ligure, il Badino chiese con petulante insistenza, anche presentandosi ogni giorno al Doge, di essere riammesso nel posto di pesatore, o almeno risarcito. Il posto non gli fu dato perchè il Magistrato delle Finanze lo diceva inutile, e l’indennità — quantunque lunghe siano state le discussioni in proposito, anche con rimproveri e liti per invadenza di poteri tra i vari Magistrati — non risulta sia stata concessa (2). Poi per qualche anno si perdono le tracce dell’uomo che dopo la restaurazione fa della sua bottega di oste e liquorista un luogo di convegno per tutti i malcontenti e gli oppositori al regime assoluto. Qui egli ha frequenti visite da parte di sottufficiali e soldati che saranno poi tra i capi della sedizione militare di Alessandria, cosicché non è dubbia la sua funzione di anello di congiunzione tra i malcontenti militari. È quindi dei capi del moto genovese tra il marzo e l’aprile 1821 e se ne atteggia in qualche momento a dirigente proclamandosi anche Capitano della Guardia Nazionale e pretendendo di occupare, coi rivoltosi più accesi, i forti intorno alla città. Un compenso in denaro lo fa desistere dalla pericolosa pretesa, ma il rapido mutar di atteggiamento lo rende sospetto agli altri capi dell’insurrezione, non lo salva però dalla condanna allorché il moto è sedato. Escluso infatti dall’indulto 30 settembre 1821, dal Senato di Genova è condannato a venti anni di carcere con sentenza 5 aprile 1823 (3). (1) Archivio di Stato di Genova, Processi diversi. Sala 71, Filza 262, n. 81. (2) Arch. di Stato, Repubblica Ligure, Sala 50, Atti Magistrato Supremo, n. 401, fol. 68 78 v', 85 ecc.; ottobre-novembre 1803. (3) C. BoRNATE, L’insurrezione di Genova nel marzo 1821, estr. da Biblioteca di Storia italiana 47 In carcere, il Badino, che già i precedenti indicavano squilibrato, impazzisce, e vien rinchiuso nel manicomio di Torino. Il Governatore di Genova, il famoso Trinchieri di Venanson, d’ordine del Ministero dell’interno, chiede allora al Comune di Genova il pagamento della spedalità, invitando i Sindaci a pagare intanto il primo trimestre, in L. 112.25; e i Sindaci e i Ragionieri, pressati da questa richiesta, come riferiscono poi al Consiglio Particolare, pagano sebbene -di mala voglia, affrettandosi ad assicurare in proposito il Governatore (*). Ma quando presentano la spesa per la ratifica, il Consiglio, forse anche indotto dal tono stesso di quella comunicazione, non l'approva (2). La ragione, non indicata nello schematico verbale, è detta invece nella lettera con la quale i Sindaci partecipano al Governatore quel rifiuto (3): e poiché è motivo legale e giustificato, è evidente che il Presidente del Senato, che assiste in qualità di R. Commissario alle sedute, 11011 ha potuto opporsi. I detenuti, si afferma, anche se affetti da infermità corporale o mentale, devono essere a carico del Governo: perciò il Consiglio chiede il rimborso della spesa. Il motivo deve sembrare inoppugnabile .anche al Ministero dell’interno, perchè, dopo esseisi fatto sollecitare più volte, si decide a restituire la somma f*1), del che i Sindaci si affrettano a dare con vivo compiacimento notizia nella prima riunione del Consiglio Particolare (5), È una piccola cosa e una piccola vittoria; ma è un indizio di quell’atteggiamento di difesa dei propri diritti e di resistenza legale in tutti i campi nel quale si riflette la scarsa cordialità dei rapporti tra le magistrature cittadine genovesi e il governo di Torino. Vito Vitale (1) Archivio Civico di Genova, Registro Corrispondenza 1830-33, lettera n. 2742: 30 aprile 1831. (2) Arch. Civ., Consiglio Particolare, Registro 1815-31: 25 giugno 1831. (3) Arch. Civ., Reg. Corrispondenza 1830-33; n. 2826: 27 giugno. (4) Ibid., n. 3036, 3045: 11 e 23 gennaio 1832. (5) Arch. Civ., Consiglio Particolare, Registro 1831-1836, fol. 18: 14 aprile 1832. Rassegna Bibliografica S. Manfredi, Luigi Torelli ed il Canale di Suez, Sondrio, 1930. Nel settembre dell’anno passato, quando venne inaugurato a Trento il monumento a Luigi Negrelli, autore del progetto per il Canale di Suez, giornali e riviste si occuparono dell’avvenimento e colsero l’occasione per mettere in luce la parte avuta -dagl’italiani nella preparazione e neiresecuzione di un’opera di importanza mondiale. Però, mentre si rievocavano fatti e figure di altri tempi e si distribuivano lodi a proposito ed a sproposito, venne lasciato nell’oblìo, o quasi, il nome del valtellinese Luigi Torelli, che fu della grande impresa convinto e caldo assertore anche quando altri, che più tardi, ad opera compiuta, usurparono la fama di fautori, si mostravano o indifferenti o addirittura ostili. Degno di lode, adunque, il Manfredi, che, illustrando con la scorta di preziosi documenti la parte cospicua avuta dal Torelli in una delle più grandi imprese del secolo XIX, ha messo nella sua giusta luce, anche sotto questo rispetto, la figura di un grande italiano. Luigi Torelli appartenne a quella generazione di uomini, che vissero con passione viva e profonda le fasi liete e tristi del Risorgimento Nazionale, e ad esso cooperò con tutte le sue forze. Nel 1846 pubblicò a Parigi i Pensieri sull9Italia di un anonimo Lombardo, contribuendo a preparare gli animi a quell’opera di redenzione che era allora la suprema aspirazione delle menti più elette. Scoppiata la guerra del 1848 si arruolò volontario, fece le campagne del 1848-49, conseguì il grado di Capitano effettivo di Stato Maggiore e meritò due medaglie d’argento al valor militare. Dopo l’armistizio Salasco si stabilì a Torino e si dedicò alla vita politica: fu Deputato e Ministro attivissimo; Senatore, Prefetto a Bergamo, a Palermo, a Pisa, a Venezia. Quando il Lesseps ebbe dal viceré d’Egitto, Said Pascià, la concessione di scavare il canale attraverso l’istmo di Suez, e si pose all’opera per costituire la Società, che doveva fornire i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, preventivati in 200 milioni di franchi, per vincere l’opposizione inglese, pensò di formare una Commissione internazionale di persone competenti, che suffragassero col consiglio e con l’autorità la sua iniziativa. In questa Commissione trovarono posto due Italiani, l’Ing. Luigi Negrelli e Pietro Paleòcapa, Ministro dei Lavori Pubblici -del Regno Sardo. Il Paleòcapa, riluttante ad accettare- 49 il grave peso, acconsentì soltanto dietro le insistenze di Luigi Torelli. Questi, a sua volta, già favorevole fin dal 1854, divenne uno dei più convinti fautori e dei più attivi propagandisti deU*impresa, quando nel 1856 conobbe personalmente il iLesseps. A Genova uno dei primi a dichiararsi favorevole fu l*Ing. Raffaele Pareto, che, in seno alla Società degli Architetti e Ingegneri Civili, mise in evidenza i vantaggi del taglio dell’istmo di Suez. iPorhi, purtroppo, seguirono l’esempio di lui. A questo proposito sono assai interessanti alcuni passi delle Memorie autobiografiche del Torelli, pubblicati dal Manfredi : « A Ge-«nova noi non trovammo che nemici od ir*difTerenti; finalmente si « riuscì ad indurre Balduino, allora giovane, a voler a suo tempo (c rappresentare Lesseps » (pag. 38). « Tra i delegati delle Camere di Commercio italiane (’) taluni « sono evidentemente ostili: non per dire che il lavoro non si farà o « che sia impossibile, ma perchè nessuno può dire quando potrà os-« sere finito e con quali spese. A questo numero appartiene il più « noto e celebre fra gli inviati, il Prof. Boccardo di Genova, ili cui « rapporto esiste sempre ed è scoraggiante; privatamente poi agli « amici e a chi voleva udirlo ripeteva la precida frase: « 11 Canal·* di « Suez lo vedranno i figli dei nostri figli » (pag. 40). E perchè non si creda che il Torelli fosse un pessimista o una lingua maledica, sentiamo che cosa gli scrive Pietro Paleòcapa da Parigi in una lettera dell 26 Giugno 1856 (pag. 48): « Ma intanto non cc debbo tacervi che fa non poca sorpresa il vedere che mentre da tutti cc i porti principali d’Europa vengono al Sig. Lesseps domande perchè cc sia riservata una parte de’ capitali per loro, dal porto di Genova, « stato fissato come centro degli interessi marittimi italiani (escluso il cc Regno Lombardo-Veneto che fa parte degli Austriaci) non solo non cc sia pervenuta alcuna domanda, ma abbiamo invece avuto un rifiuto « dal banchiere a cui s’era indirizzato il Sig. Lesseps, offrendogli di cc rappresentare a Genova gli interessi della Compagnia. Prima della cc mia partenza da costà ho pregato il Marchese Spinola, Consigliere cc di Stato e Deputato, che andava a Genova, procurasse di trovare alee tra reputata casa bancaria ad assumere il detto incarico e voler poi cc darmene tosto partecipazione onde non esporre Lesseps ad un altro cc rifiuto. Ma fino ad ora non ebbi alcun riscontro, e ne sono invero cc dolente e mortificato perchè pare che tra noi non si prenda inte-cc resse alcuno a questa grande e bella impresa. Fate, vi prego, di cc vedere il Marchese Spinola, e domandargli s’egli abbia qualche ri-cc sposta a darmi ». (1) Nell’aprile 1865 le Camere di Commercio di Europa furono invitate a mandare dei rappresentanti a vedere il corso dei lavori. Accettarono Genova, Bologna, Milano, Torino, Venezia e Firenze: Genova fu rappresentata da Giacomo Millo e da Gerolamo Boccardo. Cfr. Il Lavoro, 18 settembre 1930, 50 Rassegna Ribuoorafica La conferma di queste previsioni pessimistiche si ebbe, quando venne aperta la sottoscrizione delle azioni (5-30 novembre 1858). Genova non rispose con queir entusiasmo che era lecito aspettarsi dalla città italiana maggiormente interessata all’apertura di comunicazioni dirette fra il Mediterraneo e l’estremo Oriente. Mentre a Torino furono sottoscritte 616 azioni, a Genova non se ne sottoscrissero che 430. A raffreddare gli entusiasmi contribuì, senza dubbio, la campagna ostile della stampa inglese, ispirata dal lord Palmerston; molti pensavano che contro la volontà dell’Inghilterra difficilmente l’opera sarebbe stata condotta a compimento. In Italia altre cause tenevano perplessi gli animi; prima di tutte la preoccupazione di una possibile ripresa della guerra contro l’Austria, per la preparazione della qualie si richiedeva il massimo raccoglimento e il concorso di tutte le forze, comprese le economiche, a fine di conseguire l’indipendenza nazionale, meta ultima delle aspirazioni della parte migliore dell popolo italiano. A Genova, poi, la passione patriottica e l’impazienza dell’azione erano, si può dire, più vive e più ardenti che altrove, come dimostrarono la preparazione della spedizione Pisacane e il tentativo rivoluzionario del giugno 1857. Nessuna meraviglüa che ogni altra questione passasse in secondo ordine. Alla propaganda per il Canale di Suez forse nocque anche il fatto che essa fosse guidata da uomini di Governo, a cui la grande maggioranza dei Genovesi era contraria. A Genova si vagheggiava la soluzione integrale del problema delle comunicazioni, affermando che l’incremento delle linee di navigazione non avrebbe giovato all traffico del porto, se questo non fosse stato messo in comunicazione con l’Europa Centrale, mediante una linea ferroviaria attraverso la regione alpina, e precisamente per il passo del Lukmanier. Di ciò abbiamo testimonianza non sospetta nel discorso pronunciato dal Deputato Antonio Costa nella seduta della Camera elettiva del 2 luglio 1857, nel quale si lbggono queste testuali parole: ee So bene che mi si verrà rispondendo : aspettate il taglio delie l’istmo di Suez: dalla sua apertura verrà maggior bene alla Sarei degna ed a Genova che non ne venga da tutte queste vostre preoc-ee cupazioni. ee Non sarebbe difficile il dimostrare come il taglio dell’istmo, ee non che essere giovevole a Genova, le sarà esiziale, se esso non la ee trova già fatta intermediaria del commercio dell Oriente col Mare ee del Nord e col Mar Baltico per mezzo del passo del iLuckmanier ». Carlo Bornate. Rassegna Bibliografica 51 Bartholomaei Senaragae, De rebus Genuensibus Commentaria ab anno MCDLXXXVIII usque ad annum MDXIV a cura di Emilio Pandiani, Bologna, Zanichelli. Estratto dalla nuova edizione dei Rerum Italicarum di (L. A. Muratori diretta da Giosuiè Carducci, Vittorio Fiorini e iPietro Fedele, fase. 231 (1° del Tomo XXIV, Parte Vili). Una nuova edizione dei Commentaria de rebus Genuensibus di B. Senarega era una necessità sentita da tutti gli studiosi di storia genovese, in primo luogo perchè, oltre la muratoriana, non esisteva altra edizione, in secondo luogo perchè la prima, data dal grande Muratori, per cause non imputabili a quel dottissimo ed instancabile ricercatore di Archivi, era molto imperfetta. Ottima fu poi l’idea di affidare la cura dellla nuova edizione al Pandiani, preparato di lunga mano al grave compito sia per la precedente edizione, nella stessa Raccolta, dei Commentaria di Antonio Gallo, sia per altri pregevoli lavori intorno al periodo in cui visse e di cui scrisse B. Senarega. Il lavoro non si presentava nè facile nè agevole per le gravi difficoltà estrinseche ed intrinseche da superare: ricercare i codici sparsi per biblioteche ed archivi italiani e stranieri, pubblici e privati, collazionarli, scegliere i più fedeli e corretti, vagliare le diverse lezioni, stabilire la più sicura, dare, insomma, il testo che più veri-similmente si avvicinasse all’originale irreperibile. In una dotta ed accurata prefazione il lP. tratta della famiglila e della vita di Bartolomeo Senarega, enumera i pregi ed i difetti dei Commentaria, descrive i manoscritti e li raffronta per stabilirne le parentele e la derivazione. Le notizie che noi possediamo intorno alla famiglia di B. Senarega non sono abbondanti. Sappiamo che egli ebbe per moglie Inno-centina, figlia di Matteo de Oliverio e che, per mezzo di lei, contrasse relazioni di parentela con la famiglia de Montenigro. Ciò si deduce da un decreto del Senato de’ 5 di marzo 1490, nel quale è detto che In-nocentina, sorella di Gerolamo e di Matteo de Montenigro e moglie di Pietro Stella, lasciò erede delle sue sostanze la figlia Pellegrina, e dispose che, nel caso che essa morisse nubile o senza figli, 11’eredità passasse ai fratelli di essa testatrice o ai loro figli legittimi. Se fossero mancati anche questi, sarebbero sottentrate Isola, figlia del q. Battista de Oliverio e moglie di Francesco de Guiraldis ed Innocentina figlia del q. Matteo de Oliverio e moglie di Bartolomeo Senarega. Ili decreto 5 marzo 1490 sanziona la rinuncia di Francesco de Guiraldis e di Bartolomeo Senarega ai diritti competenti alle loro consorti in virtù del testamento della q. Innocentina, vedova di Pietro Stella, per rendere possibile il matrimonio della figlia di lei, Pellegrina, con Galeazzo Pasqua ('). (1) Arch. di Stato - Genova - Diversorum, Reg. 142-637, anni 1489-1490. 52 Rassegna Bibliografica Matteo de Montenigro doveva essere nomo assai intraprendente, perchè, studiando Fattività marinaresca genovese di quel tempo, lo si incontra spessissimo o come autore o come vittima di piraterie. Che egli fosse legato da rapporti personali con lo suocero di B. Senarega, appare, oltre che dall’atto sopra citato, anche da un cc Inventarium rerum captarum per Matheum de Montenigro repositarum in domo d. Mathei de Oliverio factum per nobilem et egregios viros Lodisium de Ingibertis et paulum de nigrono.... MCCCCLXXXVII die III la-nuarii ». Le robe, di cui si parla nell’inventario, erano il frutto di un atto di pirateria commesso dal Montenigro a damio del senyor almi-rante de castilla, Inigo de Artieta i1). Questo inventario ci dà modo di stabilire che lo suocero di B. Senarega morì fra il 3 gennaio 1487 e il 5 marzo 1490, dove Innocentina è detta figlia quondam Mathei de Oliverio. Siccome poi, tra i fideiussori di Paolo Cassina, che si preparava, « tamquam dominus et patronus » di una nave, a navigare cc ad partes extraneas » figura un Matheus Iustinianus de Oliverio q. Mathei (2), che è verosimilmente lo stesso che il Matheus de Oliverio degli altri documenti, risulta chiarita la denominazione usata da A. M. Buona· roti negli Alberi genealogici di diverse famiglie nobili genovesi, citato dal iPandiani a pag. XIII, per indicare la moglie di B. Senarega cc Innocenza Giustiniani de Oliverio q. Matteo », essendo, d’altra parte, noto che la famiglia Olivieri faceva parte dell’albergo dei Giustiniani, fondato fin dal 1362. (3). Ad un lettore attento non isfuggono i difetti dei Commentaria. Il Senarega, che fu per tanti anni Cancelliere della Repubblica ed ebbe incarichi importanti e delicati presso il re di Francia, il Papa, il re di Napoli, il Duca di Milano, per le funzioni esercitate dovea conoscere bene tutte le questioni di politica interna ed estera che si dibattevano al suo tempo, ma non a tutte diede nella sua opera sviluppo sufficiente e proporzionato. Alcuni fatti importanti passò sotto silenzio o quasi, alcuni accennò in modo troppo sommario, altri espose trascuratamente o inesattamente. Così, per citare qualche esempio, sotto l’anno 1489 il Senarega accenna brevemente alla tregua che i Genovesi, per imposizione di Lodovico il Moro, dovettero fare coi Fiorentini (pag. 13), mentre in realtà le pratiche furono lunghe ed intricate; nel 1490 si sbriga piuttosto rapidamente delle vicende del corsaro Galliano (pag. 18-19) e trascura particolari tutt’altro che trascurabili; nel 1497 sorvola sull’assedio di Tolbne cc che dovette pur avere larga eco in Genova » (pag. 61). Ma più gravi delle omissioni sono le affermazioni erronee. A pag. 34, sotto l’anno 1494, si legge: cc Eodem tempore Pontifex nepo- • (1) Arch. di Stato - Genova - Diversorum Communis ìanue, F. 44, anno 1847. (2) Arch. di Stato - Genova - Diversorum Communis Ianue, F. 44, 2 giugno 1487. (3) A. GIUSTINIANI, Annali della Repubblica di Genova, Genova, 1834, vol. II, pag. 99. Rassegna Bibliografica 53 teni suam ìuliam Alphonsi filio, adolescenti adhuc, despondit, joedus-que inter eos firmatum est ». Qui l’autore confonde stranamente nomi e cose: non Alessandro VI diede sua nipote Giulia (?!) in isposa al figlio di Alfonso II, ma il 7 maggio 1494 Ioffrè Borgia, figlio del iPapa, sposò Sancia, figlila naturale di Alfonso (i). A pag. 60, verso la fine del 1496, il Senarega scrive: « Sub iisdem diebus Margarita Maximi-liani filia, primogenito Hispaniae Regis Ioanni, in matrimonium tradita est, et Imperatoris filia centum quadraginta navium comitatu ad virum Archiducem Burgundiae delata est ». Sorvoliamo pure sui troppo frequenti errori di cronologia [Margherita, figlia di Massimiliano, giunse in Ispagna per unirsi in matrimonio con Giovanni, principe delle Asturie, sul principio del marzo 1497 (2)], ma vorremmo sapere per quale strana vicenda il principe delle Asturie sia diventato Arciduca di Borgogna! Evidentemente il Senarega confonde Giovanni, Principe delle Asturie, con l’Arciduca Filippo di Austria, figlio di Massimiliano I e fratello di Margherita, che nello stesso tempo aveva sposato Giovanna, figlia di Ferdinando e di Isabella di Castiglia. A pag. 141, il ribelle Corso Ranuccio della Rocca, diventa « Reinutius Lechanus »; a pag. 153, parlando degli accordi circa la resa del Ca-stellletto, il Senarega afferma che Giano Fregoso promise di sborsare 50.000 ducati « si Rex intra trimestre subsidium praestaret... », mentre, come dimostro altrove, il motivo, per cui il Fregoso accettava una ipotetica penalità di 50.000 scudi d’oro del sole, era ben diverso. (3) /Per questi e per molti altri esempi, che si potrebbero addurre, non si esagera, quando si dice che i Commentaria del Senarega vanno usati con molta precauzione. Fu, quindi, necessario, nelle note, correggere, rettificare, completare il testo scarso o inesatto. Per questo lavoro minuto e paziente, il Pandiani è stato costretto ad esaminare una mole considerevole di documenti: Litterarum; Diversorum Registri e Filze; Politicorum, Materie politiche, ecc. ecc., e accumulare a pie’ di pagina aggiunte e rettifiche. In questo modo il lettore è guidato alla migliore intelligenza del testo, e può avere conoscenza piena della vita genovese per gli anni pieni di vicende e di avvenimenti capitali per la storia dell’Italia e dell’Europa, che vanno dal 1488 al 1514‘ II (Pandiani (pag. XXIII) non ritiene accettabile l’ipotesi che l’autore abbia scritto i Commentaria negli ultimi anni di sua vita, senza verificare l’esattezza di quanto scriveva, e fidandosi, forse un po’ troppo, della sua memoria. Egli opina, invece, che il Senarega (1) L. Pastor, Storia dei Papi, vol. Ili, Roma, 1912, pag. 311. (2) W. H. PRESCOTT, The history of thè reign of Ferdinand and Isabella, vol. Il, London, 1866, pagina 59. (3) C. BoRNATE,L'atto eroico di Emanuele Cavallo, nell’Annuario del R. Istituto Tecnico «Vittorio Emanuele 11 n di Genova, anno scolastico 1929-1930. 54 Rassegna Bibliografica abbia scritto ili suo lavoro in varie riprese e abbia rimaneggiato, qua e là, la narrazione precedentemente stesa. Può darsi che la sua ipotesi sia più vicina alla verità che la mia, sulla quale 11011 intendo insistere, ben consapevole che, dove manca l’appoggio di una documentazione attendibile, ogni tentativo diretto a stabilire una verità o a scoprire le cause di un errore, deve, per necessità muovere da una convinzione sincera, meditata quanto si vuole, ma sempre personale. Mi preme, tuttavia, di chiarire che la mia ipotesi mirava, più che ad altro, a cercare un’attenuante alle troppe inesattezze dell’autore, perchè altrimenti la incuria di lui sarebbe anche meno perdonabile. Qualunque possa essere la causa delle inesattezze (chiamiamole così!) del Senarega, dobbiamo essere grati al iPandiani che non ha risparmiato fatica per darci un’edizione dei Commentaria che possa essere consultata con piena sicurezza, senza pericolo di ricadere nei lamentati errori. C. Bornate. Ubaldo Mazzini, Amori e politica di Aleardo Aleardi, con prefazione di Giacomo Gorrini; Aquila, Casa editrice Vecchioni, 1930, 2 vol. XV . 238, 322. E lavoro postumo di Ubaldo Mazzini, e deve essere qui ricordato non solo per il suo intrinseco valore ma anche come atto di omaggio alla memoria di chi fu per molti anni operoso condirettore e valoroso collaboratore di questo Giornale. Ed è, quest’opera, una riprova della leggerezza facilona di coloro i quali pensano e -dicono che, tanto, ormai gli archivi è inutile esplorarli, che la manìa dell’inedito ha fatto il suo tempo, che rivelazioni non sono più da attendere. Ed ecco invece che da un dimenticato cassone di una villa genovese, a S. Vito d’Albaro, esce un gruppo di lettere e di carte che contiene delle vere rivelazioni in materia politica e più di biografia e di psicologia, specialmente femminile. Sono lettere che Aleardo Aleardi lasciò, forse provvisoriamente col proposito di tornarle a prendere o di farsele mandare, presso la cc signora Bianca ;>, la notissima Bianca Rebizzo che ebbe tanta importanza e tenne un celebre salotto negli anni più fortunosi del risorgimento; lettere e carte che dopo tanti anni Ubaldo Mazzini scoprì e prese a studiare. Sventuratamente l’opera gli fu interrotta dalla morte, ma con fraterno devoto affetto il Gr. Uff. Giacomo Gorrini mise insieme le fronde sparse, pubblicò quanto il Mazzini aveva preparato, del proemio e delle note, e vi aggiunse un’affettuosa prefazione e un’appendice a compimento dell’opera dell’amico. Rasseqna Bibliografica 55 La quale non ci dà un Aleardi ignoto o inatteso — la parola rivelazione non voleva avere questo significato — ma compie e illumina la figura dell’uomo polilico, specialmente dell’amante e più ancora dell’amato; integra quanto era già noto dall’epistolario pubblicato dal Trezzo e studiato amorosamente dal Biadene, ci porta in mezzo a passioni ardenti patriottiche e sentimentali. La succosa introduzione del Mazzini e le note apposte all’epistolario spiegano particolari e accenni che rimarrebbero oscuri e rivelano nomi, quelli almeno che non era indelicato e imprudente rivelare. Poiché indubbiamente -delle due parti in cui le carte aleardiane possono essere divise, la sentimentale e passionale è più gustosamente interessante; la politica ha un interesse storico più alto e severo. Non troppo tenero della concezione repubblicana, 1 Aleardi comprese e apprezzò le ragioni che avevano indotto Daniele Manin a proclamare, per la suggestione degli antichi ricordi di S. Marco, la repubblica veneziana nel 1848 e si trovò poi, sebbene non personalmente avverso all’unione col Piemonte di Carlo Alberto, a rappresentare la repubblica di Venezia presso la francese; poeta-politico presso l’altro poeta-politico, Lamartine. Aveva a compagno Tommaso Gar, bibliografo e storico di gran valore; e ben presto in luogo del Lamartine di-missionario, si trovarono a trattare con Giulio Bastide. Chi voglia seguire le vicende di questa legazione e specialmente i suoi rapporti col Bastide legga lo studio del Biadego su Aleardo Aleardi nel bien-nio 1848-49 o, meglio, il gustoso e acuto articolo di Alessandro d’Ancona nei suoi Ricordi Storici del Risorgimento italiano. Qui basterà dire che i nuovi documenti diplomatici hanno un cospicuo valore; per esempio, è data per intero la celebre istruzione del Manin e del Tommaseo ai due inviati di Parigi che si conosceva mutila di importanti passi e periodi, uno dei quali raccomandava di impedire la calata di un esercito francese in Italia perchè cc accenderebbe una guerra europea della quale l’Italia pagherebbe la spesa e la pena »; un altro dichiarava che il governo veneto non intendeva che « l’unità italiana sia procacciata per forza o per frode » e che di questo cc sacro nome si mantellino le cupidigie ignobili e le paure ». Accenno evidente a Carlo Alberto, sempre trattato assai poco bene in questi documenti veneti, tra i quali ha singolare importanza una lettera del Manin e del Tommaseo in cui si inveisce contro la deliberata annessione della Lombardia al Piemonte. Siamo, come si vede, nel pieno di quelle impetuose e violente passioni che hanno accompagnato gli sforzi eroici ma disordinati e discordi del ’48 e del ’49. Accanto alla corrispondenza del Governo veneziano, ci sono lettere del più alto interesse del Gar, del Viesseux, del Broglio, di molti altri maggiori e minori e tutte contribuiscono a illuminare il periodo dei sedici" mesi d’esilio dell’Aleardi tra il ’48 e il ’49, che è periodo di eccezionale importanza nella storia italiana. E molto dorrà certo a Rassegna Bibliografica Mario Menghini di non aver avuto prima notizie delle otto lettere mandate all Aleardi da Lodovico Frapolli del quale egli lia studiato recentemente e da par suo le missioni diplomatiche in quei due anni fortunosi. Di altro genere ma di interesse anche più acuto i documenti del secondo volume. Sono lettere femminili: sono talvolta lettere gentili di dame legate all’Aleardi da fervida simpatia intellettuale o da comune sentimento patriottico; sono, più spesso, grida amorose, appassionate, disperate, singhiozzanti tra la torbida gelosia e il cocente desiderio dell amico lontano; dolcezze e languori, sospetti, ripicchi e risentimenti si alternano e si sovrappongono. E si capisce; tra le cure della politica quel curiosissimo e formidabile amatore, che doveva veramente essere un uomo fatale, teneva a sè legate molte domie, tutte egualmente appassionate, tutte frementi, tutte in adorazione dell’cm-gelo consolatore, dell 'angelo santo, della santa creatura che qualche volta, è naturale, diventava vile e spregevole, investito da accuse e recriminazioni. Ma l’uomo magico finiva sempre col trionfare e le poverette pazze d amore chiedevano scusa e si rassegnavano a tollerare qualche rivale pur di non perdere interamente l’amato. Questo secondo volume ha un interesse biografico e psicologico gì alidissimo; per quanto si tratti di un poeta dell’accesa fantasia e dal morbido languore e di un’età dai sentimenti romanticamente accesi ed eccessivi, è un bel caso trovare un uomo che tiene corrispondenza amorosa, tutta, diremo così, ad alta tensione con cinque o sei donne contemporaneamente; un bel caso che, se depone in favore della esteriore capacità sentimentale del poeta e sopra tutto della sua fantasia amatoria ed epistolare, non mostra certo in lui una profonda interiorità di sentimenti. Senza notare che, mentre la signora Ottavia lo assaliva da Padova con una valanga di lettere e Maria Hermann incalzava da Verona e di qui fiottavano M. C. e L. F. e tentavano approcci e schermaglie amorose L. G. e C. M., il pover’uomo, oppresso da tanti affetti e da tanta fatica epistolare, non disdegnava qualche distrazione parigina. Via, non è dubbio che le donne fanno in questo epistolario assai migliore figura del 1 ’irresistibile conquistatore, per sincerità e profondità di sentimento. Alcune almeno e soprattutte la signora Ottavia che il Mazzini chiaramente identifica nella figlia del poeta Cesare Arici, mal maritata e divisa dal marito, le lettere della quale hanno una commovente delicatezza e intensità di affetto congiunta — ed è nota comune anche alle altre — con una profonda passione patriottica. Si potrebbe dubitare dell’opportunità di questo epistolario erotico per la figura e la fama del poeta, ma bisogna notare che se esso Porta alla conoscenza intima di lui e della donna ch’egli amò notevolissimo contributo, non da dell’Aleardi una immagine nuova perchè molto della sua vita era noto e la pubblicazione del primo epi- Rassegna Bibliografica stolario aveva dato luogo a giudizi e a strali piuttosto pungenti: basta pensare che c’entravano Vittorio Imbriani e Ferdinando Martini. I veli ormai erano tolti e del resto questa è la sorte degli uomini che superano in qualunque campo la comune mediocrità e quindi anche di chi si imbatte sul loro cammino, e le carceri di Mantova e di Josephstadt sono state buon correttivo alle esuberanze erotiche e passionali. Nessun rimprovero perciò al Mazzini può esser fatto per averci offerto questa ghiotta indagine, curandola con amoroso interesse e spianando la via al lettore con le note sapienti che lo avvicinano alle persone e alle cose meno note e lo guidano tra i meandri di quelle complicazioni sentimentali. Ma che malinconia pensare ch’egli non abbia potuto veder compiuta l’opera lungamente vagheggiata e curata! Vito Vitale Beatrice Nannei, Megollo Lercaro; Genova-Sampierdarena, 1930, Vili, pag. 17. Ecco quel che capita a diventar vecchi: può succedere di trovarsi a riferire sull’opera di chi è stato discepolo ed è ora collega. Ma nel giudizio intorno all’opuscolo del Dott. Nannei la benevolenza e la soddisfazione quasi paterna del vecchio maestro non hanno a che vedere. Il breve studio, per quanto senza pretese, è efficace e persuasivo. Esaminata la famosa tradizione, e ricostruita la vicenda che vi è narrata o adombrata, si rimane con una assai semplice e modesta conclusione; si è trattato con ogni probabilità di un particolare atto di pirateria forse trasmesso e ampliato dalla tradizione orale finché fu abbellito e colorito con molta abbandonanza di fantasia integratrice da un umanista desideroso di ricavarne una bella e stupefacente narrazione. Che cosa non farebbe un letterato per un bel pezzo di prosa? E qui si tratta per di più di un umanista a cavaliere dei secoli XV e e XVI che — è dimostrato — anche come cronista appare spesso distratto e talvolta inesatto. Prima di lui nessuna notizia e nessun documento; e per di più la determinazione cronologica del fatto è disperante e ha messo nell’imbarazzo perfino il Desimoni. Del resto, a parte l’esame intrinseco della leggenda e la sua fortuna, mi sembra che essa abbia in sé tali elementi morali e psicologici da renderla senz’altro inaccettabile. Che il Lercaro (si chiamasse poi Megollo o altrimenti, e persino sul nome può essere questione) offeso da un cortigiano e non soddisfatto dall’imperatore tagliasse anche un naso o un paio di orecchi, passi; un mercante pirata poteva permettersi questo ancora nel secolo XII: ma quella salamoia in barili di tanti nasi e di tanti orecchi, via, è assolutamente incredibile in un tempo che sarà stato aspro e violento ma lontano ormai da certe pazzesche efferatezze. Gran bella cosa la tradizione; che tuttavia pel suo amore si debba continuare a credere 58 Rassegna Bibliografica a tale inverosimile atrocità disumana mi sembra impossibile. Ma la Nannei è in buona compagnia; e, a parte il fatto che il Manfroni 11011 fa neppur parola della leggenda nel suo studio sulle relazioni fra Genova, l’impero e i Turchi là dove esamina le varie concessioni fatte ai Genovesi e quindi anche quelle che sarebbero state conseguenza del gesto vendicativo e feroce, mi piace che la giovane autrice si sia trovata d’accordo, senza saperlo, con un autentico maestro veramente competente e autorevole. Guglielmo Heyd nella sua Storia del Commercio del Levante nel Medio Evo (cito dall’edizione italiana in Biblioteca dell9Economista, vol. X, pag. 669) dopo aver parlato delle due date possibili, 1314-16 o 1380, aggiunge: « tutto ciò mi sembra un piccolo romanzo storico, dove non c’è di vero, tutt’al più, che le scorrerie fatte nel Mar Nero verso il 1315 da un Megollo Lercari. Se la storia dicesse il vero, Lercari sarebbe stato l’autore principale dei nuovi favori accordati ai Genovesi; ora assolutamente nulla di simile è dato scoprire nel trattato del 1316, ed inoltre, se cerchiamo la natura del nuovo favore accordato ai Genovesi, noi troviamo che Senarega e Giustiniani parlano di un fondaco da costruirsi a spese dell"imperatore, con o senza bagno o forno pel pane, mentre nel trattato si parla di un terreno dove i Genovesi potranno costruire un quartiere chiuso. Altra cosa ancora, secondo l’aneddoto in questione, l’imperatore avrebbe dovuto accondiscendere all’umiliazione di far eseguire nell’interno del fondaco degli affreschi, secondo Senarega, dei bassorilievi secondo Giustiniani, rappresentanti tutte le peripezie del suo conflitto col Lercari. Questo è evidentemente inventato di sana pianta. Per finirla, insomma, con questa relazione di Senarega io mi permetterò di non seguirla nel far coincidere l’origine del Consolato genovese di Trebisonda con l’affare Lercari: queslo Consolato era stabilito già da molti anni ed è poi ancora difficile l’ammettere che questo posto sia mai stato occupato da un funzionario inviato da Caffa, come pretende Senarega ». A sua volta Giorgio Bratianu nel recente poderoso lavoro sul commercio genovese nel Mar Nero parla della spedizione dell’imperatore contro gli scali genovesi di Crimea « à laquelle des consaires comme Ottaviano Doria, Acellino Grillo et Megollo Lercari avaicat risposté en caulant nombre de vaisesaux au large de Trebisonda » (p. 176). E della storia dei nasi e delle orecchie ne verbum quidem; eppure conosce e cita continuamente, e anche nella stessa pagina ove sono le parole riportate, tanto l’Heyd quanto lo studio del Desimoni Intorno all9impresa di Megollo Lercari in Trebisonda. Evidentemente la storiella non gli è parsa una cosa seria. E non tema la dott. Nannei: chi le ha detto che sfatando la inverosimile leggenda sarebbe andata incontro a chi sa quali inconvenienti e pericoli, ha un pochino esagerato. Vito Vitale aSpigolature e Notizie Oreste Ferdinando Tencajoli raccoglie in un bel volume illustralo numerosi interessanti saggi sulla storia di Corsica, pubblicati in parte in varie riviste e giornali. Il volume, dal titolo « La Corsica - Curiosità e notizie storiche con numerose illustrazioni nel testo » è edito dalla libreria di Roma « Modernissima ». Notevoli i saggi dedicati a Papa Formoso, a S. Francesco d’Assisi ed alla sua dimora in Corsica, quello sulla lingua italiana, quello su « I Corsi e la Casa di Savoia ». Importanti sono pure gli articoli dedicati ad illustrare S. Alessandro, Vescovo di Aleria e la residenza di non pochi esuli italiani nell’isola durante il periodo del Risorgimento. ❖ ❖ « Negli « Atti della Società Savonese di Storia Patria », vol. XII (1930), vengono pubblicate cinque importanti monografie a cura di R. Piattoli, A. Cortese, I. Sco-vazzi e Filippo Noberasco. Il primo illustra « La mala ventura di Niccolò Migliorati da Prato, Vicario del Podestà di Savona (sec. XV) »; il secondo porta un importante contributo al « Corpus » della monetazione savonese nello studio « Nomenclatura ed esame delle monete della Zecca di Savona »; il terzo illustra le «Statistiche Napoleoniche sul Circondario di Acqui»; il quarto infine fa un acuto esame de « L’isola di Liguria e la Badia di S. Eugenio » e de « La passione di Gesù Cristo, poemetto inedito in ottava rima del sec. XV ». ❖ ❖ * Leonardo Logorio premette una breve nota biografica allo studio « Il Consolato DEI MARINAI IN PORTO MAURIZIO E LA MARINERIA LIGURE NEL MEDIO Evo, Scritto po-slumo di Giovanni Doneaud, che è stato edito recentemente insieme ad un altro saggio dello stesso autore « Il Commercio e la Navigazione dei Liguri nel Medio Evo » dairistituto Dopolavoristico di Cultura di Imperia. H* ÿ Hî Spartaco Spurgo recensisce in « Mediterranea » di Sassari del novembre 1930 il recente volume di 0. F. Tencajoli « La Corsica ». ❖ ❖ ❖ Nel fascicolo Settembre-Novembre di « l’ert » S. Cordero di Pamparato prosegue il suo studio su « L’occupazione francese di Nizza nell’anno 1691 ». Nello stesso fascicolo A. Cavazzani illustra « Il sentimento d’italianità nella SATIRA MORALE DEL NIZZARDO GlAN CARLO PaSSERONI ». % £ ❖ O. F. Tencajoli illustra in « Fert », fascicolo del Settembre-Dicembre 1930 vari « Documenti su commende nizzarde e savoiarde Nell’Archivio del Sovrano M. Ordine di San Giovanni di Malta ». Nello stesso fascicolo Ai. T. Locatelli detta un saggio « Sull’opera del pittore Ludovico Brea particolarmente in Savona ». Mi A. Cappellini descrive nella storia e nell’arte « Il Santuario di N. S. di Mon-tallegro » sopra Rapallo, in « Genova » Bollettino Comunale del Dicembre 1930. * ❖ * Edmondo Corradi rievoca in « La Stirpe » di Roma del Dicembre 1930 il viaggio di « Garibaldi in Inghilterra », compiuto nel 1864. 60 Spigolature e Notizie « A Compagna » del Dicembre 1930 pubblica una conferenza del compianto Marchese Carlo Durazzo, R. Ambasciatore a Bruxelles, eoi titolo: « Gli Spinola e il mausoleo di N. D. de la Chapelle », intessula di ricordi ed illustrazioni della storia di Genova di cui la Famiglia Spinola fu una delle più cospicue. $ $ $ A. Cappellini prosegue in « A Compagna » del Dicembre 1930 la sua opera di illustrazione dei « Tesori d’arte pittorica » ricordando in ordine alfabetico parecchi buoini artisti genovesi, dal Canzio al Gaggini. ❖ ❖ ❖ Gemma Roggero Monti nel fascieolo eli Dicembre di «A Compagna » riporta i lettori all’antico ospedale di Pammatone, illustrando il nuovo, posto a S. Martino. Lo scritto lia per titolo: « Cosa fu l’ospedale di Pammatone.... ». ❖ ❖ * Una rievocazione storica del francescanesimo in Liguria fa Stefano Rebaudi in « A Compagna » del Dicembre 1930, col titolo: « San Francesco e i primi Francescani in Liguria ». ❖ ❖ ❖ Il « Corriere Mercantile » del 23-24 Dicembre 1930 inizia una nuova rubrica: « Le Famiglie Genovesi » cominciando dal cognome « Acanto », rubrica che sarà attivamente proseguita ad illustrazione completa di tutti i Casati genovesi. ❖ ❖ ❖ « Il protettore degli orefici e un capolavoro del Piola presso Banchi » è il titolo d’uno scritto di « Bar » in « Lavoro » del 27 Dicembre 1930. V è raccontala la tragica fine di Pellegro Piola la «era del 25 Novembre 1640. ❖ ❖ ❖ Vito Vitale in « Giornale di Genova » del 28 Dicembre 1930 scrive attorno ad « Un giudizio d’Andrea Doria » su i Francesi da lui veduti « larghissimi promettitori ma scarsi osservatori delle loro promesse ». ❖ « ❖ Il « Corriere Mercantile » del 30-31 Dicembre 1930 ha un articolo di Ernesto Morando dal titolo: «Un calendario aulico genovese del sec. XVIII». Ne son tratti interessanti rilievi sulle costumanze cittadine dell’epoca. ❖ ❖ * « 0 Confelgo », il rito tradizionale dell’offerta d’un ceppo di lauro al Podestà da parte dell’Abate del Popolo, è illustrato in « Corriere Mercantile » del 31 Dicembre 1930-1° Gennaio 1931 con uno scritto anonimo. ❖ ❖ * « La Chiesa di S. Camillo » nella regione di Porto ria, è illustrata da Lazzaro De Simoni in « Nuovo Cittadino » del 1° Gennaio 1931. ÿ ÿ ÿ Lo scritto « Piazza De-Ferrari prima del 1826 » a firma Λ/., in « Giornale di Genova » del 4 Gennaio 1931 offre una buona descrizione della Chiesa di S. Domenico ora distrutta. * * * « Il Lavoro » del 4 Gennaio 1931 ha uno scritto a firma « Ars » che col titolo « Il Grillo canterino » recensisce un volume di versi in vernacolo di Edoardo Firpo. Spigolature e Notizie 61 # * * Cicilia Paolini F erraro illustra « Villa Doria » a Pegli in « Giornale di Genova » dell’8 Gennaio 1931 e ne descrive il più bell’ornamento che è il Museo Navale testé ordinatovi da Orlando Grasso. ❖ ❖ ❖ « Il Pollupice e le scoperte romane in Loano » è il titolo d’uno scritto di Pietro Rembado im « Lavoro » del 9 Gennaio 1931. Il R. tende a fissare il luogo preciso dovè sorgeva l’antico Pollupice romano. L. D. in « Giornale di Genova » del 9 Gennaio 1931 scrive su « Paganini alla Villetta Di Negro ». A proposito di un busto dedicatogli vivo ancora, alla Villetta, FA. raccoglie giudizi ed aneddoti sul celebre violinista. ώ * * Cesare Imperiale scrive in « Corriere Mercantile » del 10-11 Gennaio 1931 su « Genova durante la giovinezza di Iacopo Doria ». ❖ ❖ ❖ Im senso contrario alla tesi del Rembado sul « Pollupice » (« Lavoro » 9 Gennaio 1931) scrive {alfa) in « Lavoro » del 13 stesso mese, col titolo « Pollupiceide ». ❖ ❖ ❖ Interessa iL folk-lore genovese lo scritto di Edoardo CaneveUo in « Corriere Mercanzie » del 14-15 Gennaio 1931. Ha iper titolo « Quel che fruttarono a Roma ed all’Italia le lumache d’un soldato ligure ». Si tratta d’una più che leggendaria impresa d’un ligure delle coorti di Roma in guerra con Giugurta, annodata alla passione genovese di raccogliere.... lumache. ì'fi ìj: « Il Lavoro » del 16 Gennaio 1931 parla d’ « Un’altra stori\ di Corsica » rilevando i buoni saggi che va pubblicando sulle vicende dell’isola già genovese 1’ « Archivio storico di Corsica » diretto dal Volpe. ❖ * * De « La Chiesa di S. Stefano », vetusta Abbazia olivetana presso l’aulica Porta degli Archi, traccia la storia e narra le vicende Lazzaro De Simoni in « Nuovo Cittadino » del 18 Gennaio 1931. ❖ ❖ ❖ « Leggenda della Lunigiana » è il titolo d’uno scritto anonimo in « Giornale di Genova » del 20 Gennaio 1931 che recensisce un recente libro di ugual titolo dovuto a Ettore Cozzani ed edito dalla « Unitas » di Milano. ÿ ÿ $ Cic, col titolo « Leggende liguri-apuane » scrive in « Corriere Mercantile » del 21-22 Gennaio 1931 su d’un recente libro del Cozzani già segnalato. * * * In « Lavoro » del 22 Gennaio 1931 si descrive il luogo « Dove giace un prezioso cippo militare romano » cioè la colonna miliare che attualmente si trova in una chiesetta dedicata a S. Giacomo, alla Chiappa, frazione del Comune di Cervo, presso Oneglia. * ❖ * Vito Vitale scrive in « Giornale di Genova » del 23 Gennaio 1931 su « Genova or son cent’anni ». Episodi di vita cittadina interessanti. 62 Spigolature e Notizie ❖ * * Col titolo « Colloqui di ombre » A. P. scrive in « Corriere Mercantile » del 23-24 Gennaio 1931 sul Palazzo ex TDurazzo, poi Reale, sulle opere d’arte che contiene, sui personaggi augusti che l’abitarono. ❖ ❖ * « La scoperta dell’America in dialetto genovese » è il titolo d’uno scritto in « Giornale di Genova » del 24 Gennaio 1931 che recensisce una recente versione in vernacolo della ben nota opera pascarelliana. $ ÿ $ a La Chiesa di S. Martino », l’antica Pieve di Albaro, è descritta da Lazzaro De Simoni in « Nuovo Cittadino » del 25 Gennaio 1931. * * * A firma L^D. il « Giornale di Genova » del 27 Gennaio 1931 ha un profilo di due «Patrizi genovesi» ricordevoli per meriti cospicui: Gian Carlo Di Negro e Girolamo Serra. « * * « I primi passi di Giuseppe λ erdi » sono ricordati in « Nuovo Cittadino » del 27 Gennaio 1931 da Roberto D'Oltremare. * * * P· Ernesto Morando scrive in «Corriere Mercantile» del 27-28 Gennaio 1931 « Nel XXX dalla morte d’un grande cittadino genovese » ricordando della vita di Giuseppe λ erdi gustosi episodi. * * * P. G. in « Giornale di Genova » del 29 Gennaio 1931 esalta « La madre Santa dei Liguri », Eleonora Curio madre dei Ruffini. * * « Col titolo « Ζενα-Λ ivajldi » il « Secolo XIX » del 29 Gennaio 1931 pubblica la prefazione di Amedeo Pescio ad un libro postumo di Elisa Vivaldi su a Remigio Zena » (Gaspare Inorea*. * * * Di 0· F· Tencajoli è pubblicato in « Secolo XIX » del 30 Gennaio 1931 un estratto dal suo volume recente a La Corsica » col titolo « Lalla Davi a Imperatrice ». Lo scritto tratta della figlia di Giacomo Franceschini. corso, condotto schiavo a Tunisi nel 1*51, la cui figlia, Marta, divenne favorita del Bey e sultana col nome di Lalla Davia. $ $ « Col titolo « Jvcopo Dori * » il « Corriere Mercantile» del 30-31 Gennaio 1931 riproduce dal recente volume di C. Imperiale « Genova durante la giovinezza di Jacopo Doria » una pagina che tocca direttamente il celebre annalista. * * £ In « A Compagna » di Gennaio 1931 Gino Calcaprina illustra l'opera poetica di Edoardo Firpo, recente poeta vernacolo. ; * * * Antonio Cappellini continua ad illustrare in «A Compagna» di Gennaio 1931 i « Tesori d arte patria » a Genova cosi abbondanti. In questo numero scrive di Cesare Gamba, G. B. Gaulli, Ignazio Gardella, Giuseppe Isola, Lanzetti, Tamman Luxoro, Alessandro Magnasco e della loro attività artistica. Spigolature e Notizie 63 * * £ Su « Il Capitano Enrico D’Albertis », un campione illustre di Genova marinara, scrive E. L. D. in « A. Compagna » di Gennaio 1931. * * * Nella Rivista Municipale « Genova » del Gennaio 1931 Orlando Grosso illustra « U.N PALAZZO DUCENTESCO A BORZOLI, ADORNO DI PITTURE DEL SEC. XIII » da lui osservato e studiato in quella ridente frazione di Genova. ÿ ÿ ÿ Teobaldo Doffra traccia un accurato profilo biografico commemorando il ncstio collaboratore Alfredo Pocciolini, in « Argo » di Firenze, Gennaio 1931. * £ * « Corriere Mercantile » del 2-3 Febbraio 1931 ha uno scritto dal titolo a Il Piazzale della Pace » dovuto a F. Ernesto Morando. Costante rievocaior*' di patri ricordi,, FA. offre in questo articolo le vedute d’un edifizio ora scomparso, la Ckie a e Convento di S. M. della Pace in via XX Settembre, legato a molte memorie cittadine. £ * * A « Le ardesie di Liguria », (dette anche dal luogo che più e migliori ne produceva « Lavagne ») dedica uno studio Sandro Cassone in « Corfiere Mercantile » del 3-4 Febbraio 1931. * ❖ ❖ Lux scrive in « Lavoro » del 4 febbraio 1931 sui « Carnevali antichi », specialmente rievocando quelli genovesi con le loro classiche maschere. * * * Fra Ginepro in « Il Nuovo Cittadino » di Genova del 7 Febbraio 1931 scrive su « Il Ruffini tra i novizi di S. Barnaba » e cioè rievoca la visita al convento descritta dal Ruffini nel « Lorenzo Benoni ». * * * In « Nuovo Cittadino » delT8 Febbraio 1931 Lazzaro De Simoni ricorda ed illustra « La Chiesa di S. Domenico » cospicuo monumento sacro che già sorgeva dov’è ora costruito il Teatro Carlo Felice. * * * In « Corriere Mercantile » delFll-12 Febbraio 1931 è continuata la rubrica « Famic'Je Genovesi ». Vi si parla delle seguenti: Allegri, Alpe, Alzati, Ambro-gini. * * * Boninsegna in un articolo pubblicato su il a Telegrafo » di Livorno del 12 febbraio 1931 illustri la dimostrazione fatta in Piazza Colonna a Roma il 12 febbraio 1831 da numerosi giovani liberali, il conseguente arresto e la condanna di rinque còrsi e cioè di Pietro Simone Gabrielli. Eugenio Giuliardi. Filippo Testori, Carlo Filippo Pacconi e Giacinto Grimaldi. L'articolo porta il titolo a Còrsi che COSPIRAVANO PER l’INDIPENDENZA E L’UNITA ITALIANA ». ❖ * £ Lazzaro De Simoni in ·« Nuovo Cittadino » del 15 febbraio 1931 scrive su a La Chiesa dei Camaldoli » posta sulle alture del Ratti, presso Genova. * $ * Giuseppe Macaggi in un suo scritto dal titolo - L'ultimo santo d in « Lavoro del 15 febbraio 1931 parla della dimora a Genova del Card. Roberto Bellarmino teste elevato all’onore degli altari. In Genova, nella cattedrale di S. Lorenzo, ebbe la laurea in teologia con cerimonia solenne. 64 Spigolature e Notizie ❖ * ❖ F. Ernesto Morando recensisce in « Corriere Mercantile » del 16-17 febbraio 1931 uno scritto pubblicato da V. Vitale in questa Rivista. Lo scritto ha per titolo: « Il moto del 1746 e il Balilla ». ❖ ❖ ❖ « Gli antichi ospedali del Genovesato » sono ricordati in « Corriere Mercantile » del 19-20 febbraio 1931. Lo scritto è anonimo. ❖ * * Su « Balilla », per la identificazione dell’eroe in G. B. Perasso, scrive una lettera al « Corriere Mercantile » (21-22 febbraio 1931) Edoardo Canevello. ÿ ÿ $ Lazzaro De Simoni in « Nuovo Cittadino » del 22 febbraio 1931 scrive su « La Chiesa di S. Silvestro » che trovasi sul colle di Castello. ÿ ÿ ÿ Francesco Gcraci scrive in « Secolo XIX » del 26 febbraio 1931 su « Bellini a Genova ». * ❖ ❖ Dal recente libbro di O. Tencajoli sulla Corsica il « Corriere Mercantile » del 26-27 febbraio 1931 estrae una pagina su « Alessandro Sauli » che vi fu Vescovo di Aleria. $ ÿ ÿ Col titolo « Toponomastica » il « Corriere Mercantile » del 27-28 febbraio 1931 pubblica il primo capitolo del recente lavoro di Giovanni Carraro sulla etimologia dei nomi locali di Liguria. $ $ $ « La Chiesa di Paverano » già annessa ad antico Monastero sull’estremo declivio del colle di N. S. del Monte presso S. Fruttuoso, è illustrata da Lazzaro De Simoni in « Nuovo Cittadino » del 28 febbraio 1931. * * * A. Cappellini inzia in « Genova » Bollettino Municipale di febbraio 1931 un suo studio sulle «Ville Genovesi» con la storia e descrizione di Villa Bombini (detta il Paradiso) ad Albaro. * * * In « Lavoro » del 4 Marzo 1931 F. M. Zandrino ricorda Andrea Podestà in uno scritto « Il primo Sindaco d’Italia ». * * * « L’ Aureli a e la Julia Augusta » antiche vie romaie di cui furono ora scoperte tracce presso Finalborgo sono illustrate in uno scritto anonimo apparso in « Lavoro » del 7 Marzo 1931. * * * F. Ernesto Morando 6crive in « Corriere Mercantile » del 7-8 Marzo 1931 su « Il Balilla e il moto del 1746 ». * * * « Roccatagliata » feudo e castello dei Fieschi in Val d’Aveto è illustrata da Pino Gibelli in « Secolo XIX » dell’8 Marzo 1931. Spioolature e Notizie 65 * * * A. Casaccia scrive « Ancora d’un grande cocolese », e cioè di Onofrio Scassi iu « Il Letimbro » di Savona del 13 Marzo 1931. * * # In « Corriere Mercantile » del 13-14 marzo 1931 Uberto Zuccardi Merli ricorda « Il banchetto romano d’un Cardinale ligure ». Si tratta del banchetto offerto a Roma nel 1473 ad Eleonora d’Aragona dal Card. Pietro Riario, nipote di Papa Sisto IV. ❖ ❖ ❖ Fra Ginepro in « Nuovo Cittadino » del 14 marzo 1931 scrive su « Ruffini e la Madonna Miracolosa di Taccia » rilevando dall’epistolario di Giovanni Ruffini qualche accenno alla Imagine mariana venerata dal popolo di Taggia. Amedeo Pescio ha uno scritto in «Secolo XIX» del 20 marzo 1931 dal titolo: « Robbone e Cappuccio » in cui tratta delle benemerenze dei Cappuccini in Liguria e della predilezione che per essi ebbe il popolo, nonché dei contrasti ch’ebbero col Governo e colla Nobiltà inclinati piuttosto (a dire del Pescio) verso i Gesuiti. * $ Il recente scritto di Carlo Bornate pubblicato in « Annuario del R. Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II di Genova » è sunteggiato in « Corriere Mercantile » del 20-21 marzo 1931 col titolo « L’atto eroico di Emanuele Cavallo ». % :·; :j: M. Strada scrive in « Giornale di Genova » del 21 marzo 1931 su « Riccardo Cobden A Genova ». Il campione del liberismo venne qui nel febbraio 1847 ed ebbe molte onoranze, presiedute da Massimo d’Azeglio. ÿ ÿ $ Col titolo « Passan li Bianchi », Amedeo Pescio evoca in « Secolo XIX » del 26 marzo 1931 episodi del tempo della dominazione francese in Genova, Governatore il Calleville, sulla fine del secolo XIV. :·: ÿ In « Corriere Mercantile » del 26-27 marzo 1931 si continuano i cenni su « Le Famiglie Genovesi » parlandosi dei D'Ancona, D’Andrea, Anfassi, D’Angelo e Anseimi. ÿ :·: ÿ D’un piccolo episodio di storia ligure del 1799 dominanti il genovesato i tedeschi di Mulas, scrive in «Lavoro» del 27 marzo col titolo «La Carmagnola». $ ÿ ^ Da uno scritto di P. Levati pubblicato in « Annuario dell’istituto Vittorino da Feltre » stralcia una bella pagina su « Genova a Lepanto » il « Corriere Mercan tile » del 28-29 marzo 1931. $ $ $ « La Chiesa di S. M. in Passione » posta presso il luogo dell’antico Castello di Genova, è illustrata da Lazzaro De Simoni in « Nuovo Cittadino » del 29 marzo 1931. $ ÿ In « Nuovo Cittadino » del 29 marzo 1931 il Canonico Mussi scrive su « Il Rosario e l’eresia luterana in Garfagnana ». 66 Spigolature e Notizie Hì ❖ *£ Camillo Manfroni ricorda in « Giornale di Genova » del 29 marzo 1931 « II genovese Alessandro Repetti » della benemerita Tipografìa di Capolago. * * ❖ « Mamma Leonora era Terziaria » è il litoio d’uno scritto di Fra Ginepro in « Nuovo Cittadino » del 21 marzo 1931, l*a. dimostra che Eleonora Curlo-Ruffini tu aferitta al Terz* Ordine Francescano. ❖ $ ❖ Il « Giornale di Genova » del 31 marzo 1931 ricorda col titolo « Genovesi in Laguna » alcuni liguri, in posizioni eminenti, ch’ebbero dimora a Venezia e tracce di dialetto ligure alla Giudecca su bocche di operai genovesi colà emigrati. Lo scritto è firmato « Re Mengo ». Η» ·ΐ» H» Uno scritto anonimo in « Giornale di Genova » del 31 marzo 1931 rievoca antiche « Tradizioni genovesi sulla Settimana Santa ». ^ $ ❖ Antonio Cappellini continua in « A Compagna » del marzo 1931 ad illustrare i « Tesori d’arte Patria » trattando delle opere del Paggi, del Palmieri, di Domenico Parodi, insigni artisti genovesi. « rji rjC In « A Compagna » del marzo 1931 Fra Ginepro da Pompeiana illustra le memorie tabiesi dei Ruffini in uno scritto dal titolo: « Nel cinquantenario di Giovanni Ruffini e settantacinquesimo di mamma Eleonora ». ÿ ÿ ^ Giovanni Rizzo in « A Compagna » di marzo 1931 ricorda « I Genovesi nella difesa di Costantinopoli - 1453 ». ÿ :j: :·: « In « Genova » Bollettino Municipale del Marzo 1931 A. Cappellini illustra due celebrate Ville genovesi: « Villa Cambiaso e Villa Pallavicini detta delle Peschiere ». Il Gruppo Universitario fascista pisano ha indetto un concorso per un’opera storica su i «Rapporti tra Pisa e.la Corsica attraverso i secoli». Al vincitore sarà assegnato un premio di L. 2000. APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA ERRATA — Negli Appunti pubblicati nel fascicolo precedente è incorso a pag. 380 un singolare errore tipografico che ci preme correggere. La linea 9, che è ripetuta alla linea 27, dov’è al suo posto, deve essere sostituita dalla seguente: Giuseppe Macaggi, Mazzini travisato, in « Il Lavoro )., Genova, 24 ottobre 1930. Unicuique suum ! Studi e scritti su G. Mazzini pubblicati all’estero G. A. A., Tra Mazzini e Kossuth - La mancata rivoluzione del 953, in « Voce d’Italia », Lima, 18 eettembre 1930. Ampia recensione dello studio di Eugenio Kastner su Mazzini e Kossuth, più volte segnalato. --, / restauri della casa ove visse Mazzini, in « Italia », S. Francisco di California, 19 dicembre 1930. Si dà notizia dell’acquisto da parte dello Stato della Casa Mazzini di Genova, della cessione avvenuta in seguito al Comune della Superba, per allogarvi il Museo mazziniano. Antonio Merenduzzo, Un giudizio di Mazzini su Leopardi, in « Opinione », Philadelphia, 20 di cembro 1930. È ripubblicato l’articolo apparso nel « Popolo d’Italia » del 25 novembre, già segnalato. Gennaro Vassallo, Carlo Ignazio Giordano, medico, poeta e filosofo, in « Opinione », Philadelphia, 21 dicembre 1930. Succinto profilo di Carlo Ignazio Giordano, patriota di Altavilla, che militò nelle file della Giovine Italia. --, Théophile Gautier, in L’Opinione », Paris, 3 janvier 1931. Si dà notizia di nuovi documenti rintracciati nell’Archivio di Stato di Napoli, dai quali si apprende un’ignota notizia sul Gautier, e cioè ch’egli venne espulso, per motivi politici, da Napoli il 4 gennaio 1851. Un secondo documento, scrive la rivista «< atteste que « le Française Teofilo Gottier » était arrivé a Paris le 15 janvier. Le directeur de la police à Naples pouvait désormais dormir tranquille. Il semble que cette expulsion fut due au fait que Gautier avait fréquenté en Suisse des intimes de Mazzini, alors réfugiés à Lausanne ». 68 --, La casa dove nacque Mazzini - I restauri e la destinazione, in « Patria degli Italiani ». Buenos Ayres, 12 gennaio 1931. Si dà notizia dell’avvenuta consegna al Comune di Genova della casa ove il Mazzini ebbe i natali, e degli Istituti che in essa avranno sede dopo i restauri necessari. --5 The Politicai Life and Letters of Cavour, 1848-1861, in « The Times Literary Supplement », 22 gennaio 1931. Breve recensione del voi. di A. J. Whyte, già segnalato. --5 Una tetterà inedita di Mazzini e le sue disavventure commerciali, in « L Italia Nostra », London, 30 Gennaio 1931. Si ripubblica, tacendo il nome dell’autore, 1 articolo di Giuseppe Fonterossi pubblicato su Camicia Rossa del 31 dicembre 1930, già segnalato. P. M. Guala, L'apostolato nazionale e universale di Giuseppe Mazzini, in « Messaggero degli Italiani », Costantinopoli, 27 febbraio 1931. Ampio resoconto della conferenza tenuta da Pilade Mazzei nella Società operaia italiana di Costantinopoli il 19 febbraio, sotto gli auspici della « Dante Alighieri ». --9 La morte di Giuseppe Mazzini, in « Voce del Popolo », Detroit Mich., marzo 1931. Breve nota commemorativa dell’Apostolo. L’a. s’è fermato nella sua conoscenza indiretta del M. ancora all'edizione daelliana se ancor oggi può scrivere: « Le sue opere complete comprendono 18 volumi, e ce ne sono scritte anche in francese ed in inglese. Con tutte le sue vedute radicali, Giuseppe Mazzini fu profondamente religioso ». Aurelio Garobbio, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1931, in « L Adula », Bellinzona, 15 marzo 1931. Ampia recensione del voi. di Leo Pollini, già più volte segnalato. Opere e studi su G. Mazzi ni pubblicati in Italia Giuseppe Fonterossi, Una lettera inedita di Giuseppe Mazzini, in « Camicia Rossa », Roma, 31 dicembro 1930. La lettera del 23 ottobre 1839 è diretta a Fortunato Prandi ed ha attinenza al tentativo fatto dall’Apostolo di crearsi una meno precaria situazione finanziaria mediante un ristretto commercio. Ë nota la sorte poco propizia che ebbe tale iniziativa. L’articolo è stato ripubblicato da ·< Il Lavoro fascista » di Roma (20 gennaio), dalla ■« Nazione » di Firenze (20 gennaio), dal « Corriere Padano ». di Ferrara (20 gennaio), dal « Corriere Mercantile » di Genova (21 gennaio), dal <« Nuovo Giornale » di Firenze (21 gennaio), da a L'Assalto » di Bologna (24 gennaio), da « L’Opinione » di Spezia (26 gennaio) e dal u Corriere di Napoli» del 3 febbraio 1931. Biblioorafia Mazziniana 69 Rinaldo Caddeo, La tipografia Eivetica di Capolago (1830-1353) - Uomini, vicende, tempi, Casa Editrice « Alpes », Milano 1931. La storia della più nota tipografìa italiana all’estero è trattata dal Caddeo magistralmente: non pochi assai interessanti riferimenti al Mazzini ed alla propaganda mazziniana vi si rintracciano; figure poco studiate e quindi poco note balzano nel dovuto rilievo. Il C. già ben noto per altre sue pubblicazioni si rende con questa benemerito degli studi sul nostro risorgimento. Remo Renato Petitto, Studiosi di italiano in Romania, in « Popolo d’Italia », Milano, 2 gennaio 1931. Breve excursus sull’influenza della cultura italiana in Romania. Nel periodo del Risorgimento non pochi romeni aderirono « al movimento mazziniano, come Balcesco, morto a Palermo nel 1852, e soprattutto Costantino Rossetti e Demetrio Bratiano, patrioti che hanno oggi in tutta la Romania monumenti e piazze e vie intitolate ai loro nomi, i quali allora si entusiasmarono dell’agitazione di Mazzini per l’utopistica « confederazione danubiana ». A questo proposito va notato che noi italiani dobbiamo essere molto cauti nel discutere Mazzini, perchè nonostante gli aspetti utopistici delle sue idealità e lo inaccettabile suo misticismo laico, egli ha incendiato tutta Europa del suo entusiasmo, e ancora oggi il nome di Mazzini ha un alto valore di propaganda italiana in tutti i paesi che hanno sofferto giogo straniero. 11 mazziniano Bratiano faceva parte anche del « Comitato centrale democratico europeo », e fu lui che nel 1851 diffuse in Romania un infuocato manifesto di Mazzini contro la tirannia di tutti gli imperialismi e specialmente di quello austriaco ». Alessandro Luzio, Carlo Alberto e i processi della « Giovine Italia », in « Corriere della Sera », Milano, 4 gennaio 1931. A proposito del recente studio del Passamonti sui processi del ’33 già segnalato il L. scrive: u I due protagonisti nella lotta — Carlo Alberto e Mazzini — erano in fondo più vicini di quanto le apparenze mostrassero. Avevano un tratto comune — absit iniuria verbo: — la grafomania. L’uno chiuso nel suo fosco palazzo; l’altro rinserralo in una stanzuccia di Londra scrivevano, scrivevano senza fine, rivelando del pa i i loro segreti, con lettere che ci permettono di ammirarli entrambi, al di sopra d’ogni dissenso di parte. Amavano tutti due ardentemente l’Italia con incrollabile fede nella sua redenzione. Questa fede Carlo Alberto in Oporto riaffermava con solenni parole, rispondendo ai tardi omaggi del Parlamento subalpino; Mazzini, dopo i disastri del 1833, scriveva al Melegari: _ Non bisogna credere tutto finito: la « Giovine Italia » è tale da vincere questa ed altre burrasche; e, forse, quando il cielo è più buio, il lampo sta presso a rompere la tenebra. Fermi e costanti: la causa che predichiamo è immortale». Giuseppe Macaggi, Una lettera inedita di Giuseppe Mazzini, in « Lavoro », Ge-ικη a, 7 gennaio 1931. È un’altra lettera inedita del Mazzini a Fortunato Prandi, non datata, ma dell’ultimo periodo dell’esilio inglese. Richiede in essa all’amico un numero della Westminster Revue e non contiene cose di singolare rilievo. 70 Bibliografia Mazziniana Armando Lodolini, UAntièuropa di Giuseppe Mazzini, in « Antieuropa », Roma, 1 febbraio 1931. Una fra le più geniali creazioni dell’Apostolo, quella della Giovine Europa, vien passata sotto il vaglio critico del L., il quale non tenendo nel dovuto conto quali furono i postulati ideali dai quali trasse origine, giunge a conclusioni originali sì, ma alquanto arbitrarie. G. M., Lettere di Mazzini a A 'alalia Ogarieva, in « 11 Grido d’Italia», Genova, 22 febbraio 1931. In una pubblicazione recente uscita in Russia contenente l’epistolario della famiglia Ogariev (Archiv. Ogariewich, Ediz. di Stato, Mosca, 1930) si contengono sette lettere inedite di Mazzini a Natalia Ogariev. Di una di queste, del febbraio 1865, assai importante perchè il M. ribadisce il suo pensiero religioso, il giornale di Genova ripubblica la traduzione in lingua italiana, facendola precedere da un breve commento. Antonio Manca, Mazzini e la Sardegna, in « Unione Sarda », Cagliari, 26 febbraio 1931. 11 Manca illustra l’azione svolta dal M. in favore dell’isola eroica con precisi e ricchi dati bibliografici. Bice Pareto Magliano, Guglielmo Shaen, in « A Compagna », Genova, febbraio 1931. La benemerita studiosa del Mazzini illustra la figura del Shaen e pubblica quattro importanti lettere inedite dell’Apostolo, le prime due alla signorina Winkworth, cognata del Shaen del 30 gennaio e del 12 giugno 1859, la terza ad Aretusa Milner Gibson del 6 maggio 1864. e la quarta ad Enrichetta Hamilton King del 2 dicembre 1867. Alberto Lumbroso, Giuseppe e Domenico Giuriati nel Risorgimento Italiano, in « Le Opere e i Giorni », Genova, 1 marzo 1931. Il L. riprende in esame, col sussidio di documenti inediti, la Vexata quaestio della responsa bilità che ebbe il Melegari nell’a//o fatto, che avrebbe dovuto compiere il Gallenga in Torino. L’a. propende a considerare il Melegari quale istigatore dell’ideato regicidio. Lo scritto, che è in continuazione, è stato ripubblicato integralmente da « Regime fascista ·> d* Cremona 1Ί1 e il 13 marzo ed in parte dall’<« Ora » di Palermo del 13 marzo. Atvipes, Dalle lettere di JSatalia Ogaroieva - La Religione di Mazzini, in « Il Grido d’Italia », Genova, 8 marzo 1931. Si ripubblica la traduzione di una seconda lettera di Mazzini tratta dal carteggio Ogariev, cui già e’è accennato. La lettera, assai importante perchè l’Apostolo accenna alla forma. zione del suo pensiero religioso, porta la data: 2 marzo 1865. Bibliografia Mazziniana Artìcoli vari in Riviste e Giornali Ver, Il primo arresto di Mazzini, in « Polemica », Bologna, 1 dicembre 1930. Si rievoca l’arresto dell’Apostolo avvenuto in Genova il 13 novembre 1830. L articolo è stato ripubblicato da « L’Opinione » di Spezia del 29 dicembre 1930. Mario Puccioni, I rapporti d i Barone Ricaso'.i con Garibaldi e Mazzini, in « I! Lavoro fascista », Roma, 27 dicembre 1930. In occasione del cinquantenario cella morie di B. Ricasoli, il P. rievoca i rapporti che intercorsero nel 1859 fra il Barone di jerro, il Mazzini e Garibaldi. P. S. Il primo ritorno di Mazzini a Genova, in « Lavoro », Genova, 28 dicembre 1931. Il Silva illustra la permanenza dell’Apostolo ne la sua città natale nel giugno 18^6 alio scopo di preparare l’insurrezione ben nota. Egli si giova — come afferma — del « bel fascio di lettere contenute nel LVI volume delle «Opere di Mazzini », che Mario Men-ghini continua a pubblicare e a illustrare con attività, diligenza e acume del pari mirabili ». Valentino Piccoli, Incontri, in «Popolo d’Italia », 1 gennaio 1931. Succinta recensione del voi. Incontri di G. Bottai, già segnalato. Per quanto riguarda la valutazione della f.gura dell’Apostolo il P. scrive: «Può sembrare paradossale; eppure, meno vicino di Virgilio noi sentiamo Mazzini. Troppe limitazioni siamo obbligati a fare per accettare l’esperienza storica e spirituale di Giuseppe Mazzini. Dobbiamo eliminare la sua rigida pregiudiziale repubblicana; dobbiamo supeiare quel non so che di protestante che è nel suo libero teismo; dobbiamo lasciar da parte le simpatie democraliche, che pure affiorano spesso nelle opere sue. Se però togliamo queste ombre (senza negarle, ma considerandole come secondarie) ci rimane ancora quello che è più alto ed essenziale in Mazzini: una vita vissuta in dedizione completa all’Italia; la coscienza della Nazione vivente; l’antitesi rigida contro la rivoluzione francese e i suoi postumi demagogici; l’idea del dovere posta come norma essenziale di vita e infine — intenso testamento spirituale — le polemiche contro il sorgente socialismo. Queste forniscono al Bottai la parte più interessante del suo saggio ». Tacito Dacnino, La casa di Maria Mazzini, in « Lavoro », Genova, 3 gennaio 1931. 11 Dagnino, in contrasto a quanto venne affermalo dal Saiucci e dal Macaggi, afferma che la casa dove morì Maria Mazzini non è quella dei Forni, ma quella di S. Bartolomeo del Carmine. Suffraga la sua tesi rimandando ai vari resoconti di giornali dai quali si evince che la messa funebre per la madie del Mazzini venne tenuta nella Chiesa di S. Bartolomeo del Carmine. L, in un breve commento dichiara che « la Casa dei Forni era sotto la parrocchia del Carmine e da questa Chiesa - afferma - naturalmente Maria Mazzini mosse verso l’estremo riposo. Ma la casa in cui visse tanti anni e morì, non era in Salita S. Bartolomeo del Carmine, ma in Piazza dei Forni, lungo l’antica Salita S. Nicolosio. Senza alcuno dubbio ». 72 Bibliografia Mazziniana Gofffredo Palazzi, La casa di Maria Mazzini, in « Lavoro », Genova, 4 gennaio 1931. Il venerando mazziniano conferma quanto ebbe a scrivere il Saiucci nella nota da noi segnalata sulle sorti della casa abitata in Genova da G. Mazzini prima deU’esilio; la pone «in fondo alla piazza dei Forni » dove « si dipartiva la salita S. Nicolosio, e prima di giungere alla piazzetta della Chiesa ». Deplora che non vi sia su quelle mura « una lapide » che dica ai posteri «con caratteri di bronzo: di qui partì la Giovine Italia ». Giulio Miscosi, La casa di Mazzini in salita S. Nicolosio, in « Giornale di Genova », 8 gennaio 1931. Ancora sulla esatta ubicazione della casa abitata dal Mazzini prima dell’esilio. Il M. narra le varie trasformazioni subite dalla città nel punto in cui sorgeva la casa di Mazzini. Vincenzo Boccieri, Francesco De Sanctis e Giuseppe Mazzini - Ricordi e divagazioni, in « Corriere dell’Irpinia », Avellino, 8 gennaio 1931. Molti ricordi e troppe divagazioni quasi tutti dedicati al De Sanctis. Il Mazzini è ricordato per un misterioso colloquio avuto a Napoli nel 1860 col D. S. Tacito Dagnino, Carlo Borzone, Pietro De Vincenzi, La casa ove morì M. Mazzini, in « Lavoro », Genova, 9 gennaio 1931. Ancora sulla casa dove abitò Mazzini giovine e dove morì sua madre. Vien pubblicata copia dell’atto di morte di M. Mazzini, dal quale si evince ch’essa mori in una via ch’era sotto la giurisdizione della Parrocchia di S. Agnese e di N. S. del Carmine. G. C., Un amore di Giuseppe Mazzini, in « Gente Nostra », Roma, 11 gennaio 1931. Cose dette e ridette sui rapporti intercorsi fra il M. e la Sidoli. --, La tipografia elvetica di Capolago, in « L’Ambrosiano », Milano, 23 gennaio 1931. Succinta recensione dello studio di Rinaldo Caddeo, già segnalato. Lo stesso volume è recensito dalla «Provincia di Como» del 24 gennaio; da «L’Illustrazione Italiana» di Milano del 15 febbraio a cura di Cesare Spallanzon; da «Regime Fascista» di Cremona del 17 febbraio; da «Echi e Commenti» di Roma del 5 marzo, a cura di Τ. Palamenghi Crispi; da « Italia» di Milano del 13 marzo a cura di (m); da «Veneto» di Padova del 19 marzo a cura di Giuseppe Solitro. Iessie Ferretti-Fontanelli, Giuseppe Mazzini, in « La Voce di Mantova », Mantova, 25 gennaio 1931. Prendendo lo spunto dei restauri della Casa Mazzini in Genova, la F. rievoca in una concisa sintesi la figura dell’Apostolo genovese. Bibliografia Mazziniana 73 Giovanni Gentile, Fede e vita, in «Voce dei Giovani », Messina, 26 gennaio 1931. Si ripubblica il discorso di G. Gentile già segnalato. A. Abruzzese, Mazzini e Manin nel 1848, in « Gazzetta di Venezia », Venezia, 31 gennaio 1931. L’A. illustra i rapporti che intercorsero, le affinità ed i contrasti che unirono e divisero i due grandi italiani durante il periodo della prima guerra dell’indipende'nza. Antonio Mariani, 6 febbraio 1853, in « Italia », Milano, 6 febbraio 1931. Succinta recensione dello studio di Leo Pollini già segnalato. Paolo Pantaleo, La coscienza nazionale nei lavoratori milanesi, in « Regime fascista », Cremona, 6 febbraio 1931. Il P. illustra la partecipazione cosciente del popolo nella sommossa tentata a Milano il 6 febbraio 1853, suffragando la sua tesi attraverso un sagace excursus nell’opera di Leo Pollini già cit. Paolo Pantaleo, I martiri del proletariato milanese, in « Regime fascista », Cremona, 10 febbraio 1931. Il P. prosegue nell’analisi del volume di Leo Pollini, iniziato il 6 febbraio, mettendo in rilievo il grande valore che scaturisce dall’eroico contegno del cosciente martirio dei proletari milanesi immolatisi a Milano il 6 febbraio 1853. Ars, La casa di Mazzini - Chiusura!.... in « Lavoro », Genova, 11 gennaio 1931. Chiusura dell’ormai stucchevole polemica. Scrive il Saiucci: <( 1° - Il signor Tacito Dagnino aveva, dapprima, parlato di Salita S. Bartolomeo del Carmine; ed ora parla di S. Bernardino. 20 - Il documento pubblicato ieri dimostra soltanto (per attestazione del M. R. Don Noceti) che « la suddetta Maria Mazzini abitava al tempo della morte nella casa detta dell’A b-bazia di S. Bernardino ». Ma è proprio quello che ho detto io, nel mio articolo del 21 dicembre u. s. ! « La Casa dei Forni era di proprietà dell’abate di S. Bernardino». Ma l’indirizzo era precisamente: Piazza dei Forni, N. 1197. Come può smentirlo, il cittadino Dagnino? Come fa ad affermare che la casa ..esiste ancora», e proprio in Salita S. Bernardino? E a quale numero, pressa poco? E l’abate (ο ΓAbbazia) di S. Bernardino del Carmine non poteva possedere una o più case, in località vicine? Per conto mio, confermo pienamente quanto ho scritto; e... la pianto qui ». 74 Biblioqrafia Mazziniana --, Gli scritti di Giuseppe Mazzini, in « Popolo Biellese », Biella, 12 febbraio 1931. Si son già segnalate in questi A ppunti le richieste di alcuni giornali intese ad ottenere facilitazioni nella vendita dei volumi contenenti gli scritti mazziniani pubblicati nell edizione nazionale. A tali richieste rispose prontamente la Casa Editrice Galeati, sicché il Popolo Biellese scrive : « Siamo veramente lieti di poter comunicare oggi che i volumi pubblicati complessivamente (Scritti politici - Scritti letterari-filosofici - Epistolario) sono 56, e che per il compimento dell’Edizione Mazziniana saranno pubblicati altri 29 volumi nella misura di quattro volumi all’anno. Fra sette anni circa, dunque, i’inlera Opera sarà completata. La Cooperativa Tipografica Editrice Galeati di Imola ci ha, in questi giorni, informati che il prezzo dei volumi in 8° di 300 e oltre 400 pagine con non meno di due illustrazioni, è di L. 8 a L. 12 per volume. L’importo complessivo dei 56 volumi già pubblicati è di L. 604, con lo sconto del 25 per cento per pagamento pronto, del 20 per cento a un anno, del Id per cento a due anni e del 10 per cento a tre anni. Dobbiamo essere veramente grati alla benemerita Casa Editrice Galeati per le sensibilissime facilitazioni concesse agli acquirenti dell’Edizione Mazziniana, che pongono anche gli studiosi meno abbienti nelle condizioni di potere, con lieve sacrificio, possedere la pregevole Opera ». Paolo Pantaleo, L’azione di Mazzini e la diplomazia di Cavour convergenti, in « Regime fascista », Cremona, 13 febbraio 1931. È la terza puntata dello studio ci P. Pantaleo, in cui si contengono acute osservazioni suggerite all’a. dalla lettura del voi. di Leo Pollini sull’insurrezione milanese del 6 febbraio 1853. A. Casaccia, Mazzini in un pagliericcio in « Letimbio », Savona, 13 febbraio 1931. Il C. rievoca la dimora a Genova nel 1857 del Mazzini ripubblicando notizie orali avute da un modesto popolano, Gerolamo Vernazza, ch’era in quell’anno domestico in casa Pareto. Gino Francesco Gobbi, Letteratura mazziniana, in « Popolo d’Italia », Milano, 14 febbraio 1931. Ampia recensione dello studio di Leo Pollini più volte cit. L’articolo è stato ripubblicato da a L’Opinione » di Spezia del 16 Febbraio. Pietro Orsi, L'anno decisivo per Mazzini e Cavour, in « Popolo d’Italia », Milano, 17 febbraio 1931. L’O. rievoca i fatti che nel 1831 condussero il Mazzini sulla via dell’esilio ed indussero il Cavour ad abbandonare la carriera delle armi. --, L'edizione nazionale degli scritti di Mazzini in « L’Assalto », Bologna. 21 febbraio 1931. Si dà notizia delle condizioni di vendita dei volumi mazziniani, tratta dal « Popolo Biellese » ed in tal modo si commenta: Rasseona Bibliografica 75 « Siamo veramente lieti noi pure di questa decisione presa dagli stampatori imolesi. Come si vede, la pubblicazione dei volumi che mancano al compimento, verrà accelerata, e, se tutto andrà per il meglio, tra sette anni lo studioso potrà avere sottomano completa l’opera di uno dei più grandi genii nostri. Speriamo pure che ciò possa portare ad una conoscenza maggiore di certi episodi della Storia del Risorgimento, storia che purtroppo aspetta ancora chi la sappia rivedere. E sarà veramente questo il più degno monumento per Giuseppe Mazzini, filosofo, letterato e patriotta insigne. Anche nel prezzo la Cooperativa Galeati è venuta incontro al lettore in modo più favorevole. Non è questo il tipo ideale di edizione nazionale, che i volumi dovrebbero costare poche lire, ad ogni modo è doveroso segnalare lo sforzo degli editori ». --, Troppi ammiratori che si atteggiano a veraci interpreti e colleglli di Mazzini, in « Fede Nuova », Roma, gennaio-febbraio 1931. Vivace articolo polemico contro 11 Grido d’Italia e la Comunità mazziniana di Genova, a proposito della recente polemica fra il direttore di quel giornale e G. Macaggi. A Genova — scrive Fede Nuova — « pronubo il capo della Comunità il quale si fa chiamare Sacerdote e Maestro, oratori digiuni del Credo Mazziniano, con incomprensibile fatuità, si appropriano frasi, travisano pensieri e definizioni del Maestro. E da tutti un po’ si va ripetendo: se Egli fosse vivo sarebbe oggi con noi.. No, e poi no 1 Mazzini non può discendere in altri campi: Egli non sta che con Sè stesso. Noi, devoti a Lui come i primi cristiani lo erano di Cristo, ci leviamo indignati a tanta profanazione ! E tale santa indignazione l’ha sentita anche l’antico mazziniano, già deputato al Parlamento, On. Giuseppe Macaggi. Ma quello ieratico capo della comunità mazziniana — per suo uso e consumo — con melliflua serenità, compatendo il « buon » Macaggi — che si degna di riconoscerlo suo Maestro — sostiene imperterrito la rampogna dell’austero Mazziniano. La degna risposta a costoro potrebbe darla soltanto Mazzini, se discendesse armato di una frusta, come Cristo, fra i profanatori del Tempio ! Noi non parliamo ad essi, sibbene per i nostri, e per chi lealmente ci legge con animo obbiettivo e sereno. Che mai va ribattendo all’On. Macaggi l’organo magno della Magna Comunità, che Mazzini imprigionato nella sua irruginita formola repubblicana non è più il Mozzini moderno (sic I) e con sorgnona ingenuità aggiunge che, del resto, Mazzini in vita sua fece una sola repubblica, quella del 1849 a Roma, che durò brevi momenti... Ah! E può scrivere così, ingrata e vile una penna italiana?». Giuseppe Fontekossi, I popolani milanesi del 6 febbraio 1853, in « La Stirpe », Roma, febbraio 1931. Sagace recensione del voi. di Leo Pollini più volte cit. Ugo Manunta, Mazzini e la Sardegna, in « Il Lavoro fascista », Roma, 5 marzo 1931. 11 Manunta non fa che ripetere aggiungendo ben poco di suo, quanto scrisse il Manca nell’articolo pubblicato nell’« Unione Sarda» del 26 febbraio 1931, già segnalato. La « Voce del Mattino » del 7 marzo ripubblica l’articolo facendolo precedere da poche parole dalle quali ai evince che il giorno 8 marzo (sic) ricorre « l’anniversario del grande educatore della gioventù italiana ». 76 Rassegna Bibliografica C. S., Il ligure Alessandro Repelli e la tipogrgafia di Capolago - Gino Duelli era un agente dell9Austria?, in « Lavoro », 6 marzo 1931. Viene illustrata, sulla scorta del voi. del Caddeo più volte cit., la figura del Repetti e 1 a. si sofferma ad esaminare l’accusa di tradito.e che, dai documenti pubblicati dal C. sembra emergere, benché non dall'a. accettata definitivamente. Ben altrimenti C. S. invece giudica, affermando: « Sta intanto per certo che le voci di tradimento non sono nuove contro il Daelli: di lui sospettò il Mazzini, sospettò il Repetti che avrebbe voluto aver precise informazioni sul conto del direttore della Elvetica, e la polizia di Genova — allorché il Daelli si stabilì nel Regno Sardo — s’occupò di lui, segnalando alla polizia di Torino quest’uomo come un sospetto agente deH’Austria. Son queste le miserie e le vergogne di tutti i movimenti politici e sociali di vasta portata : talvolta il sospetto grava ingiustamente, per un complesso di circostanze fortuite, sull’uomo più retto e disinteressato; tal’altra, vicino al martire purissimo, presso all’eroe senza macchia e senza paura cresce il fiore velenoso del tradimento, della venalità o dell’abiezione più sordida ! ». Orlando Danese, Mazzini, in « Popolo d’Ilalia », Milano, 10 marzo 1931. Nella ricorrenza del cinquantanovesimo anniversario della morte dell’Apostolo il D. traccia brevi cenni commemorativi. Paolo Pantaleo, Gli uomini innanzi ad un uomo, in « Regime fascista », Cremona, 10 marzo 1931. Acuta interpretazione delle cause per le quali la figura del Mazzini esercita ancor oggi un grande fascino, come l’ha esercitata nel passato. Il segreto della grandezza del Mazzini l’a. la ritrova « nella sua psicologia », affermazione della quale darà ragione in una seconda puntata pubblicata nello stesso giornale il 12 marzo. F. Ernesto Morando, Giuseppe Mazzini dalla Francia alla Cina. in « Corriere Mercantile », Genova, 10 marzo 1931. Il Morando che l’anno decorso illustrò Giuseppe Mazzini nella letteratura fascista, prosegue e compie la sua indagine indagando l’interesse che l’estero dimostra di avere per il Mazzini attraverso le numerose pubblicazioni da esso ispirate e che noi siamo venuti segnalando. A. Barb., Perchè Mazzini mon in casa d'altri e la sorella Antonietta rifiutò di ospitarlo, in « Lavoro », Genova, 10 marzo 1931. Alpino raccoglie come autentica la leggenda creatasi chi sa come, che il Mazzini abbia chiesto nel 1870 ospitalità alla sorella Antonietta al fine di passare a Genova gli ultimi anni della sua vita, e del rifiuto da lei datogli per suggerimento del padre Persoglio. Afferma inoltre che all annuncio improvviso della morte del fratello, conosciuta per via, sia caduta a terra priva di sensi, ed infine che don Stefano Fasce abbia consegnato al Comitato mazziniano di Genova tutte le lettere che alla sorella aveva inviato l’ApostoIo. L’articolo è stato ripubblicato senza indicazione d autore ne 1 « Arena » di Verona dell’ 11 marzo, nel « Corriere di Napoli » del 12 marzo e ne « L Assalto » di Bologna del 14 marzo. Rasseona Bibliografica 77 Arnaldo Cervesato, Giuseppe Mazzini, in « Roma », Napoli, 10 marzo 1931. Il C. rivendica l’originalità del pensiero mazziniano polemizzando contro i filosofi attualisti. « La pura filosofia — ef?li scrive — più o meno hegeliana (così come è, e agisce nel cielo meramente dottrinale, cioè riflesso, delle sue esperienze fuori, sempre o quasi, da ogni contatto con l’azione vitale) bene :1 Mazzini non amava e non poteva amare. sentiva che la sua orbita è, in un certo senso, esclusivamente « alessandrina ». Ed è perciò che tale filosofia rende oggi al Mazzini con l'ignorarlo, un po’ della indifferenza dove egli le fu costante: stà ad ogni modo, il fatto che essa non può approfondire il mondo mazziniano anche per questa provata verità: che le filosofie, se concludono i mondi già vissuti, non possono pretendere di esaurire i mondi in pieno «fieri», sono, insomma, come l’anatomico cui è dato solo di guardar dentro ai cadaveri e da quel che vede nel morto arguire dalle funzioni del vivo... Ora, poiché il momento di tale dissezione non è ancora venuto pel fenomeno mazziniano, è naturale che le filosofie « attualiste » non abbiano fretta di prenderne conoscenza... Non è forse egli sempre, a un tempo, come scrisse il Pascoli <· e il contemporaneo di Dante, e colui che ha ancora da venire? ». Ma un giorno, certo, si vedrà come tutto egli domini il vitale pensiero contemporaneo, e come non solo siano suoi - prima che d’altri - e il senso « dell’intuizione » del Bergson e la dottrina della « sopravvivenza » del Myers, ma anche il « misticismo » del Maeterlink e il « senso della vita » di Tolstoi. E la necessità di ancorare il centro della coscienza, la vita, in una disciplina morale e ciò che il Mazzini chiamava «legge » della vita. Primato grande e nostro ». L’articolo fu ripubblicato dal « Lunedì dell’Unione » di Cagliari il 16 marzo. Francesco Guardione, Un giudizio di L. Settembrini sulle tre elezioni politiche di Mazzini, in « L’Ora », Palermo, 10 marzo 1931. Il dotto vegliardo siciliano spezza una lancia contro i denigratori dei messinesi i quali, contrariamente a quanto fu affermato dal Saffi, dal Settembrini e da storici recenti, meritano d’essere esaltati per essersi battuti al fine di riuscire a far eleggere deputato il Mazzmi negli anni 1865 e 1866. F. G. Massuccone, La sorella di Mazzini e la fine (lei Grande, in « Lavoro », Genova, 12 marzo 1931. Risposta all'articolo di Alpino già segnalato. 11 M., pronipote di Antonietta Mazzini, ribatte _ e ci sembra vittoriosamente - le asserzioni fatte dall’A. sia per quanto riguarda i rapporti che intercorsero fra Antonietta e ΓApostolo, sia per quanto riguarda le lettere consegnate da don Fasce al Comitato mazziniano. ALESSANDRO Luzio, Il Conte di Cavour di Alfredo Fanzini, in « Corriere della Sera », Milano, 13 marzo 1931. Lo studio del Panzini sul Cavour dà pretesto al Luzio per rimettere a posto non poche valu- 78 Rassegna Bibliografica tazioni avventate sui maggiori nostri fattori del risorgimento. Per quanto ha riguardo al- 1 opera del Mazzini, la sola che qui ci interessa, egli afferma: «< Se i due disprezzati mistici — Carlo Alberto da un lato, Mazzini dall’altro — non avessero dissodato il terreno, imposte nettamente le questioni di riscatto nazionale, di unità, di libertà, a che avrebbero approdato le rari doti del Conte « realizzatore », tutto inteso a crearsi una fortuna privata, anche con mezzi rischiosi di giocatore?». d, La sorella di G. Mazzini, in « Nuovo Cittadino », Genova, 13 marzo 1931. Il giornale cattolico interviene nella polemica fra Alpino e Massuccone affermando che non crede « che la sorella di Giuseppe Mazzini, possa esser morta col rimorso sulla coscienza di avere lasciato il fratello morire lontano da sè. Crediamo bensì che sia morta coj dolore nell animo, nobilmente sopportato, di avere saputo che il fratello era morto in quella fede religiosa che si era foggiata lui, e che non poteva essere la propria, Ella era cattolica, apostolica, romana; ciò che non può dirsi di Giuseppe Mazzini, la cui fede religiosa era ben diversa da quella della sorella e di tutti, del resto, gli filtri membri della famiglia ». --» Attorno ad Antonietta Mazzini, in « Lavoro », Genova, 15 marzo 1931. Risposta polemica agli articoli di Massuccone e del Nuoüo Cittadino già segnalati. Dopo aver affermato che tutte le asserzioni fatte dall’Alpino furono tratte dai giornali cattolici — già da noi segnalate a suo tempo — il giornale conclude: « Orbene, l’aw. Mussuccone ha provato con dati di fatto che ΓAntonietta Mazzini povera non era. Quanto «dia storiella delle lettere portata via dalla Massoneria (storiella uso padre Bresciani) risulta infondata da quanto Massuccone documenta quando elenca il largo stuolo di parenti che assistettero l’infermo nell’ora della morte e rimasero in casa, quali credi, quando essa aveva esalato lo spirito. Come è ammissibile che questi parenti, cattolici, si lasciassero portar via i preziosi documenti da inviati della Massoneria ? E concludiamo rilevando la nota comica di un confratello cattolico che ci ha rimproverato per l’articolo di Barò, senza avvedersi che era tutta farina di un sacco se ηοη suo almeno del suo molino ». A. Leonori-Cecina, A sessantanni dalla morte di Giuseppe Mazzini, in « Popolo Toscano » Lucca, 15 marzo 1931. Scialbo articolo divulgativo della dottrina dell’Apostolo. Alessandro Luzio, Cavour e Vittorio Emanuele, in « Corriere della Sera », Milano, 17 marzo 1931. Il Luzio prosegue l’acuta disanima iniziata nell’articolo del 13 marzo. « Il Mazzini, mi sia permesso riaffermarlo ancora una volta — scrive — non può essere liquidato con frasi generiche: se Cavour se ne valeva ogni momento, come spettro di Banco, da proiettare a terrore di pavide diplomazie. Rassegna Biblioorafica 79 Nel ’59 gli dicono che le Romagne stanno per ricadere sotto l’influsso dell’esule agitatore: «Tanto meglio — esclama un po’ storditamente Cavour — interve remo e lo fucifcremon; ma lo ferma subio la rimbeccata del Rasponi: «Eh no, ne avrete allora da fucilar molti» (Diario Massari, pag. 398). Più equanime il Re dichiarava: che per l'Ital'.a non avrebbe, all’occasione, esitato a farsi mazziniano (ibidem, p. 313). 11 suo presentimento non l’ingannava: si deve a Mazzini se, nel ’60, da’ suoi complotti con Crispi, con Rosolino Pilo, uscì la scintilla che affrettò il processo unitario, tagliando corto al vano ciarlio diplomatico per un assetto federale ». G. B. Mazzaperro - M. b., « Rosa mistica », in « Lavoro », Genova, 18 marzo 1931. Il MazzaferrO prendendo lo spunto dalla discussione su Antonietta Mazzini, chiede se si conoscono dati intorno ad un’altra sorella dell’Apostolo, Rosa, ricordala dalla Mario. Il Betti-notti risponde fornendo esaurienti indicazioni. Alberto Malatesta - Paolo Pantaleo, Mazzini e i moti rivoluzionari del 1853, in « Regime Fascista », Cremona, 20 marzo, 24 marzo e 26 marzo 1931. Il M. risponde agli articoli del P., già da noi segnalati, accusando l’a. d’aver prospettato un solo lato della questione, e cioè di non aver illustrato i dissensi interni del partito mazziniano, causa non secondaria, e conseguenza in parte, del fallito moto milanese del 1853. 11 Pantaleo pubblica la lettera del M. esaurientemente commentandola con argomenti validissimi. I NOSTRI MORTI A ALFREDO POGGIOLINI Annunciamo con dolore la perdita •d’uno dei nostri più valorosi collaboratori, il Prof. ALFREDO POGGIOLINI, spentosi a Nozzano ^ Lucca) il 25 -dicembre u. s. Nato a Firenze, Egli trascorse la massima parie della sua vita alla Spezia, dove, dopo un periodo di brillante attività politica e giornalistica, nella quale fu fraternamente unito ad Ubaldo Mazzini, tenne lungamente, e fin quasi al termine della sua vita, con incomparabile autorità e decoro, la cattedra di Lettere Italiane nell’istituto Tecnico Superiore. Spirito alacre e meditativo, controllato da una severa erudizione, scrittore «d’impeccabile buon gusto, la sua opera *di studioso abbraccia la storia letteraria e politica, con particolare piedilezione per gli studi del Risorgimento; alla storia regionale della Liguria e della •Lunigiana diede un contributo notevolissimo, in non piccola parte testimoniato dalle pagine del nostro Giornale. Ripromettendoci di parlare più degnamente dell’opera sua e di pubblicare la completa biografia, mandiamo alla sua memoria un saluto affettuoso e reverente. Direttore Responsàbile : ÜBALDO FoRMENTINI. industrie; poligrafiche nava — Bergamo — milano — Genova GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA COMITATO DI REDAZIONE: GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova, e del Municipio della Spezia DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: C^enoCa, Palazzo Rossa, Via Qariialcli, i8 CONDIZIONI D'ABBONAMENTO : II Giornale si pubblica, a Genova, in fascicoli trimestrali. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature, notizie ed appunti per una bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per Γ Italia Lire 30 ~ per Γ Estero L. 60 Un fascicolo separato Lire ^.óO - Doppio Lire 1 ó Conto corrente con la Posta ANNO VII - 1551 Fascicolo II ~ Aprile-Giugno GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA -•V fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentini v° \ \\ V Direzione e Amministrazione GENOVA, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 10 SOMMARIO Vito Vitale, Per la storio dello rivoluzione del 1746 e dello cocciofo degli Ausinoci. - Uno relozione sincrono e ufficiale — Ànfonio Costa, L Altra Compono — Arturo Codignola, - Renato Giardelli, Saggio di uno bibliografia generate sulla Corsica — Mario Baftisiini. Un ex mazziniano ucciso ad Anvers nel 1672 — VARIETA* : Carlo Bornate, Supplica dei Padri « Armeni* per la restituzione del « Santo Sudario » — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA : Gerolamo Serra, Memorie per la Storia di Genova dagli ultimi anni de! secolo X Vili allo fine deli anno 1814. (Vito Vitale) — Carlo Bornate, L atto eroico di E. Cavallo. (Emilio Pandioni) — Fra Ginepro da Pompejana. La famiglio dei Ruffini e un padre Cristoforo de! Risorgimento. (Adolfo Bossi) — Domenico Fornara, / Benedettini e lo Madonna di Canneto a Toggio. (Corto Bornate) - SPIGOLATURE E NOTIZIE - APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA. _ PER LA STORIA DELLA RIVOLUZIONE DEL 17 46 E DELLA CACCIATA DEGLI AUSTRIACI I. - UNA RELAZIONE SINCRONA E UFFICIALE (’) Omero Masnovo nel suo studio sul moto del 1746 enumera le più antiche relazioni sul celebre avvenimento e una ne aggiunge del 13 dicembre, la più antica che egli conosca (2). Ma ve n'è un’altra anteriore, e per di più ufficiale. Non si tratta di cosa assolutamente sconosciuta perchè il Pandiani nel suo noto lavoro cita quella relazione se non erro, tre volte (3), ma mi pare che essa ineriti più attento esame o almeno di essere integralmente conosciuta. Si tratta di una lettera all’inviato straordinario a Vienna Giuseppe Spinola cominciata a nome del Governo fin dal giorno G dicembre e, poiché per le condizioni eccezionali del momento non si potè spedirla, continuata via via nei giorni successivi col racconto degli avvenimenti fino alPll, quando, cacciati gli Austriaci, potè finalmente partire. Per il solo fatto di essere relazione sincrona e ufficiale, la lettera ha un’importanza considerevole e uno speciale interesse. Ma chi attendesse grandi rivelazioni rimarrebbe deluso. I fatti sono noti ed esposti nella solita forma; le considerazioni ricordano quelle delle sedute del Minor Consiglio pubblicate dal Pandiani. Solita e costante preoccupazione scagionare il Governo e gettar tutta la colpa sul Botta e sui suoi. E’ molto notevole l’insistenza con la quale il Governo, assumendo il noto atteggiamento d’impotenza dinanzi alla furia popolare, e di costante dolente e devota deferenza verso l’Im- (1) Quando ho affermato (pag. 36 del fascicolo I di Questo Giornale per l'anno in corso) che non mi sarei più occupato del moto del 1746, un valente studioso mi obbiettò che certe promesse non si possono fare; come contenersi infatti di fronte a nuovi documenti? E aveva ragione. Imbattutomi, nel corso di ricerche per altro scopo, in un interessante documento, non resistere alla tentazione di pubblicarlo, anche se non reca nuova luce sui punti con ir.iverei perchè scritto giorno per giorno durante gli avvenimenti. (2) Le radiose giornate genovesi, ecc., in questo Giornale 1928, pag. 181 e seg. (3) E. ΓΑΝΌΙΑΝΙ, La cacciata degli Austriaci da Genova nell'anno 1746, estr. dalla Miscellanea di Storia Italiana, 9. ITI, Tomo XX, pag. 92, -97, 101. 82 Vito Vitale pelatrice e Regina, viene quasi a scagionare il popolo, colpevole sì, ma provocato. La posizione 'Ufficiale assunta sin dal principio è di una precisa chiarezza come è evidente la preoccupazione di separare la re sponsabilità del Governo da quella del Popolo. Ed è anche degno di nota che quello strano Governo appariva riferire cose conosciute solo per sentite dire, perchè così la sua innocenza doveva maggiormente risaltare e parlava degl’insorti come di gente estranea e lontana e di fatti che non avvenissero sotto i suoi occhi. Questo anche per Parmistizio : è un’ignoranza tanto ingenua da essere sospetta. A misura che il racconto procede si chiarisce sempre più Patteggiamento consistente nel riversare tutta la colpa sul Botta Adorno che non vuol cedere in alcun modo alle richieste del popolo inferocito e timoroso delle vendette austriache, e nell’assumere una posizione assolutamente passiva. Decisione anche questa del Minor Consiglio. Diretta alPinviato a Vienna e destinata a esser conosciuta a quei Ministri, intesa a stornare i sospetti di connivenza e le ven dette della Corte austriaca, la lettera deve sopra tutto mostrare che <( ciò che è successo deve riguardarsi l'effetto di una forza irresisti bile a cui non abbiamo avuto riparo anche per le conseguenze così dolorose, che direttamente in noi ne ridonano». Era proprio così innocente il Governo quanto voleva apparire? Era davvero tanto ignaro ed estraneo alPazione popolare almeno nell'opera di parte della nobiltà? A Parigi non ci credevano; come si vede dai fatti e dai documenti qui di seguito addotti dal Prof. Costa, aveva qualche ragione per non crederci anche l’agente con solare a Genova, Bartolomeo Maricone; nè ci credevano a Vienna: e lo Spinola si vide consegnare i passaporti i1). λΊτο V ITALE. DOGE. GOVERNATORI e Procuratori della Repubblica di Genova. M. Nostro Ministro. — Il motivo della presente straordinaria spedizione riguarda un oggetto di tanta nostra premura c he non po tiamo abbastanza incaricare il vostro zelo a corrispondere con tutto Parresto ed attenzione possibile al gravissimo oggetto di cui si tratta. Già siete informato delle istanze fatteci dal Signor Generale March. Botta per il trasporto, ed imbarco di una porzione delPar (1) O. Spinola da Vienna, 31 dicembre 1746; Archivio di Stato, Oenova, Lettere Hi nistri Vienna, Mazzo 75, N. Oen. 2592. Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc.__83 tiglieria di questa nostra Capitale, e delle risposte dategli in nostro nome dai M.ci Nostri Deputati. Cominciò nei giorni scorsi il tra sporto di alcuni cannoni colPintervento di qualche soldatesca au striaca; e quantunque la plebe di questa Città per le di cui st. arie più frequentate passava il cannone, mostrasse di soffrirlo malvolentieri, tanto più che i soldati sudeti, che lo accompagnavano, non lasciavano di commettere qualche piccolo disordine,,con prendere an che talvolta alle botteghe qualche piccola cos*l, che cadeva loro alle mani, pure non si seguì altro maggiore inconveniente. Nel giorno 4 andante mentre uno dei detti cannoni si faceva pas sare per una strada facile a rompersi, alcuni del Popolo ne averti-rono i soldati austriaci, il che diede luogo a qualche parole in seguito delle quali, avendo li detti soldati insultato col bastone la gente, che si era avvicinata, restò poi impedito ogni ulteriore disordine dal-PUffiziale tedesco, il quale tenne in dovere la truppa. Ma nel successivo giorno 5, mentre si trasportava pure dalla stessa truppa un grosso mortaro a bombe, passando questo per la strada detta di Portoria, la sfondò in una parte; e mentre i soldati che vi erano di scorta non bastando a rimettere il detto mortaro, chiamarono in aiuto anche alcuni del Popolo, che vi erano accorsi, .avendo poi taluno di questi dopo il travaglio fatto dimandato qual che pagamento, venne loro risposto con bastonate, nel che si dice avere particolarmente ecceduto un Caporale del Regimento An-dreassi, ne a tale disordine essendosi posto dalla truppa il dovuto riparo, uno di quelli che avea ricevuto qualche colpi di bastone, secondato da altri di quella Plebe, che, come sapete, è assai numerosa, e sensitiva nel (letto quartiere di Portoria, diedero mano a. sassi, e a forza di questi fecero allontanare la truppa, e lasciare il mortaro. Quindi insensibilmente unitasi ai sudetti altra grossa par tita di Popolo si radunarono verso la sera sulla Piazza di questo no stro Palazzo dimandando a forza le armi, e chiedendole con grande strepito per molte ore. Questo popolare tumulto, di cui immediatamente conobbimo tutte le perniciose conseguenze, ci fece pensare, e prendere tutti jjli espedienti possibili per calmarlo, quindi non solo si negarono al Po polo le armi da lui richieste, ma col mezzo di alcuni nostri Patrizi più graditi, e più assennati, e anche con l’opera di molti Ufficiali, e <*olla precauzione di molte Patruglie di soldatesca e di sbirri sparse per la città, procurammo di mettere le cose in quiete, e pai ve di fatto che fossero colmate verso le sei ore della notte. Non mancammo intanto assai subito che vennero a nostra notizia i principj del tumulto sudetto di spedire il nostro Patrizio Nicolò Giovo al Signor Generale Marchese Hotta per informarlo del succeduto e per notificargli le vive nostre premure e gli efficaci 84 Vito Vitale mezzi adoperati per quietare gli animi e per ovviare maggiori disordini. Si portarono pure di nostro ordine dal predetto S.r Generale i Μ. M. Nostri Deputati alle prime ore del giorno 6, per esporgli in sostanza le cose medesime, e per piegarlo acciò col prudente suo contegno, e con tutta la possibile moderazione facilitasse il buon esito dei mezzi, cbe da noi si mettevano in pratica per riuscire a rimettere le cose in calma. Il Sig.r Generale, il quale dovette riconoscere che l'incentivo di tale disordine era stato prodotto dall’imprudenza della .-uà truppa che avea importunamente maneggiato il bastone; non parve però che apprendesse le conseguenze del tumulto, disse che bisognava frenarlo al principio con mezzi risoluti, sogiungendo che se a questi non bastava il Governo, vi avrebbe egli impiegate le sue truppe, e conchiuse che dovendosi continuare il trasporto dell’artiglieria necessaria alla spedizione di Provenza, egli averebbe quella stessa mattina continuato a farla condurre, mandandovi di scorta un picheto di suoi Granatieri; comandato però da un Ufficiale prudente, e discreto, il quale non avrebbe dato luogo ad alcun ulteriore irritamento. Siccome l’articolo dell'artiglieria eia quello, (he avea eccitato nel Popolo i primi moti del precedente tumulto; e siccome oltre i motivi della riffeiita di lui esacei bazione, generalmente lo stesso Popolo mostrava di soffrire malvolentieri che la C.ttà si spogliasse del cannone, dicendole che mancavaie con ciò la diffesa anche contro i turchi; quindi i sudeti nostri Deputati non mancarono di rappresentarlo al Signor Generale. Ma essendo poi di fatto entrato in Città nella stessa mattina del (i il sudeto distaccamento austriaco per proseguire il trasporto del cannone, eccitato di nuovo il Popolo alla vista di detta truppa, si radunò improvvisamente e prima con sassi si oppose all’avanzamento della medesima, che già era entrata in Città, quindi sparsa la voce del nuovo tumulto, egli crebbe molto più ancora del giorno precedente menti e parte del.a Plebe andò per tutto in cerca d’armi anche nelle rase private, sforzò alcune di queste dove alloggiavano i Colonelli di qu ii, he nostro Regimento, e dove perciò si trovava qualche partita di fucili, sfondò le botteghe degli armaroli, e quella dell’impresa ('ella polvere da schioppo, e violentò ancora un Posto delle nostre truppe sulla piazza di banchi per spogliarlo delle armi e parte si radunò nuovamente intorno al nostro Palazzo, chiedendo ad alta voce di volere le armi, le quali però sempre le sono state costantemente da noi ricusate. Ne di ciò contento il Popolo andò in gran folla ai posti delle muraglie, che sono guarniti di cannone ne prese tre pezzi e li condusse precipitosamente in strada Balbi e nel boigo di Piè, e quindi attrupatisi al numero di cinque in sei cento si portarono Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. 85 .anche ad attaccare la d.a porta di San Tommaso dove seguirono molte archibugiate sia per parte della truppa austriaca, sia per parte della plebe. Un distaccamento di detta tru,ppa avanzatosi poi verso la detta strada Balbi, ed un Picheto di Cavalleria innol-tratosi ancora sino sulla piazza della Nunziata, tanto nelFuno, quanto nell'altro luogo seguirono varie archibuggiate, con qualche morti, o feriti, dei quali però nell’immensa confusione delle cose, non potiamo avere precisa notizia, siccome nemmeno di alcuni più piccoli fatti, che possono essere occorsi nelPinterno della Città. Vedendosi però da noi crescere in questo modo un così terribile incidente, continuammo le incessanti nostre piemure per calmare il Popolo sia col mezzo di Patrizi, sia con quello de Religiosi, e di «iltre persone che potevamo credere più accette al medesimo, e nello stesso tempo avendo i nostri Deputati ricevuta dal S.r Generale Marchese Botta un’ambasciàta col mezzo di un nostro Capitante-nente diretta ad avertirli che insinuassero al Governo di far cessare i moti sudetti, mentre altrimenti vi piglierebbe egli le sue misure. Risposero li stessi nostri Deputati prima in voce per la via dello •stesso Capitantenente e quindi più tardi gli trasmisero il b’gl’eto, copia di cui vi tramandiamo qui annessa marcata A (l). Questo biglieto fu portato al Sig. Generale dal nostro Maiesciallo di Campo Sig. Esclier, il quale ebbe anche Pincarico di rappresentargli quanto fossero le nostre inquitudini, e quanti i mezzi che da noi si adoperavano per mettere le cose in quiete, pregandolo nello stesso tempo a contribuirvi dal canto suo con non innovare fratanto cosa alcuna, è togliere con la possibile moderazione ogni motivo d’incitamento ni Popolo totalmente acciecato nelli attuali suoi moti. Λ'βιβο la sera dello stesso giorno 6 venne altra ambasciata dello stesso Sig. Generale in cui nuovamente inculcava di sedare il tumulto, sogiungendo che altrimenti sarebbesi accorta la città delle conseguenze che portava l’aver perduto il rispetto alla truppa di S. M. Voi benvedete quanti motivi di gravissimo dolore ci aggiunge non meno l’uno che l’altro ogetto. Essendosi passata la scorsa notte con alquanto meno d'inquietudine in seguito dei moltissimi mezzi, che abbiamo impiegato per tranquillizzare il Popolo, questa mattina poi giorno de 7, con estremo nostro dolore vediamo che le cose non sono ancora calmate, mentre parte del detto Popolo è accorsa di nuovo in arme verso il borgo di Prò, e verso la strada Balbi, dove vanno seguendo di tanto in tanto qualche colpi di focile, e di cannone, ed altri si sono por tati verso il Bisagno, e si sono impadroniti del cannone che è verso (1; Questo e glf altri alfegati indicati in seguito non sono annessi alla copia della lettera rimasta in Archivio, o meglio alle copie perchè sono due. 86 quella parte ed alcuni hanno eziandio tentato di commuovere le valli di Polcevera e Bisagno, dove hanno dei conoscenti ed a“,1C1· Vi serva la notizia che per occasione del detto tumulto la-truppa austriaca si è appostata in alcuni siti, che dominano la detta strada Balbi, e oltre esservi in maggior numero la truppa verso la Chiesa detta dello Spirito Santo, e sopra la collina che sovrasta a detta strada Balbi, vi sono anche stati situati per parte di detta truppa alcuni pezzi di cannone da campagna, che tirano di tanto in tanto verso la detta strada. . . Oltre tutti gli espedienti già da noi presi, e sopra accennativi per mettere il Popolo in quiete, siccome sommamente ci sta a cuore questo gravissimo ogetto, così anche questa mattina abbiamo messi in pratica tutti gli altri, che l’urgenza del caso ci ha saputi suge rire, e particolarmente quelli di far chiamare tutti i Tapi delle arti, molti Religiosi e quantità di altre persone che abbiamo credute più adattate, sperando pure col Divino aiuto di potervi finalmente riu-scire. Ma siccome egualmente ci importa il far entrare nelle stesse mi sure il Sig. Generale Botta, e di persuaderlo anche in questo così fu uesto caso della costante nostra attenzione e verso di lui. e verso le truppe di Sua Maestà, così abbiamo nuovamente spediti allo stessa Sig. Generale i nostri Deputati per informarlo di quanto siegue e per pregarlo a non dar passi, che ci siano maggiormente rovinosi, e che non intimoriscano, o esacerbino di più li animi della Plebe. Noi non sappiamo ancora qual esito averanno le tante nostre indefesse premure, e il rammarico che abbiamo sia di ciò, che è se guito, sia di ciò, che va succedendo, ci mette pur troppo nelle più terribili angustie, anche in riguardo delle fatali conseguenze che possono temersene. Ma in mezzo a sì acerbi nostri travagli abbiamo creduto necessario l’informarvi dello stato delle cose, incaricandovi in primo luogo a portarvi subito da codesti Regi Ministri facendo loro valere questa nostra attenzione, e successivamente rappresentare ai medesimi la fatalità delle circostanze, e dei pericoli, in cui per questo nuovo incidente si trova il nostro governo, e la <^ittà tutta. Non penerete a far loro comprendere che l’incentivo di questo così fatale disordine nasce in primo luogo dalla disperazione, in cui si trova il Popolo ridotto all’ultima miseria, e per la cessazione del commercio, e per i tanti altri aggravi, e danni, a cui soccombe, onde questa stessa disperazione lo accieca in modo da precipitarsi in qua lonque più strano partito. Vi sarà facile altresì il dimostrare che l’o rigine delli attuali inconvenienti nata dall’importuno contegno di chi ha maneggiato il bastone contro la Plebe, siccome non può in alcun modo imputarsi al Governo, così a noi resta solamente e il rammarico, e il pericolo di ciò, che va succedendo. Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. 87 Farete rimarcare che quanto più facile è la moltitudine a commoversi, tanto più difficile è il rimetterla in quiete, quando una volta ha perduto ogni contegno. Metterete in considerazione il rischio fatale, che può temersene, anche per la sostanziale conserva zione della Repubblica, e per conseguenza le estreme angustie, clic per ogni parte ci affligono ; e principalmente dimostrarete quanto di attenzione anche in questo impensato disordine abbiamo mantenuta, e manteniamo verso di Sua Maestà, e le sue truppe sia con» tutti gli ordini che abbiamo dati per rimettere in dovere il detto Popolo, sia con la resistenza fatta alle violente dimande, con cui ci venivano richieste le armi, sia con tutti quei modi, che ci sono saputi venire in pensiero per evitare i passati inconvenienti, e pei impedii e quei che sono contingibili. Non potiamo certamente dubitare che codesta Corte nelle misure da noi prese, e nei pericoli stessi, che corriamo riconosceià il non intaccabile nostro contegno, e la pienissima attenzione in tutto ciò, che la riguarda, e non può caderci in pensiero che le informazioni, che di qui Le verranno trasmesse dai suoi Generali, non le di mostrino ancli’esse quanto sia stata piena di riguardo, e di attenzione per lei, la nostra condotta. Sarà però speciale vostra cura di confermarla in questi medesimi sentimenti, e di convincerla sempreppiù quanto contrari alle rispettose nostre massime siano quei qualonque fatti, che la cecità e la disperazione produce in un popolo quando egli è giunto al segno di non avere più alcuna Legge. Dal contesto poi delle cose sin qui esposte, siccome voi troverete una bastante instruzione, così vivamente dovrete procurare che dalla, clemenza di Sua Maestà vengano qui spediti ai suoi Generali ordini in modo che la loro moderazione cooperi con Noi a conseguire il buon esito delli attuali disgustosissimi emergenti mentre se Sua Maestà s’è degnata farci assicurare che voleva la conservazione della nostra Repubblica, speriamo che vorrà contribuirvi col togliere qualonque maggior fomite ad una tragedia, di cui da molti secoli non si sarebbe veduta la più fatale, quando non si ottenesse quel riparo, che in tutte le forme possibili da noi si procura rimettendo le cose in quiete, e salvare la Repubblica dal rischio im minente, che altrimenti potrebbe risultargliene. Vi serva pure di notizia che questa mattina una parte di detto Popolo si è portato ad assaltare la casa, dove è stabilito il burò della Posta di Milano, nuovamente qui introdotto, e si dice ne abbi aspor lato del denaro, e delli argenti. Questo fatto insieme con quelli altri, che possono essere seguiti, e che nella somma confusione presente non non sono forse a nostra notizia, ve lo raguagliamo ad effetto, che tanto di questo come delli altri siate informato, rimarcando in S8 Vito Vitale _ tutto Γestremo nostro dispiacere, e la troppo giusta costernazione, in cui si ritroviamo, mentre dalle notizie, che d’ora in ora ci rivengono si sente cresca tuttavia il tumulto in questo stesso gioì no. Noi tenteremo ancora l’espediente di far andare Mons. Arcivescovo per calmare il detto Popolo, o non ne ometteremo alcuno di quelli elie potranno sovenirci, ma vedete quanto sia diffìcile il quietare una Plebe, clie messa in disperazione dalla miseria, ha poi perduto ogni freno nell’attuale suo tumulto. p g~ _ Siamo al giorno 8, e siccome i torbidi presenti ci hanno impedito di spedire questa nostra sino d’ieri come avevamo divisato, così dobbiamo soggiungervi in primo luogo riguardo al latto sopra accennatovi che una parte del Popolo è andata contro la Casa dove trovasi la nuova posta di Milano; viene assicurato che i medesimi Ministri di detta posta possano aver contribuito all'irritamento di detto Popolo con replicati sbarri di fucile fatti contro il medesimo anche prima che egli pensasse ad investire la detta Casa. Intendiamo di segnarvi ciò in linea di puro fatto menue per altro, siccome conosciamo quanta in qualonque caso sia stata la cecità del suddetto Popolo nel mentovato incidente così la riguardiamo con disapprovazione come tutte le altre cose, che nella presente torbida situazione contro ogni nostra aspettativa, sono occorse, o vanno occorrendo. Dobbiamo inoltre sogiungervi che in risposta al precitato biglietto segnato A scritto dai nostri Deputati al Sig. Generale Marchese Botta egli disse in voce al Maresciallo di campo Escher che e per proprio moto e in seguito delli ordini della sua < orte non era certamente sanguinario, ma il Popolo poteva aspettarsi qualora ritornasse in quiete di provare gli effetti della clemenza di S. M. Siccome questa assertiva fu da noi considerata con tutto il giusto peso, che ella meritava, così non mancammo di farne informare il Popolo col mezzo de’ Religiosi sopra indicati; ma lo stesso Popolo, a cui oltre i motivi di disperazione precedenti, si era aggionto anche il timore del risentimento, che sopra di lui potessero fare le armi austriache non si contentò di suddette parole, e per quanto ci fu riferito, dimandò più certa sicurezza anche in iscritto. Le continue premure, e mezzi da noi messi in opera per calmare la moltitudine, siccome già avevano in parte disposti gli animi della medesima così improvvisamente fummo informati la stessa mattina degli 8 che il Popolo si era rivolto ad un partito, che venne da lui immediatamente effettuato, cioè di domandare una specie di anni stizio, per entrar, come egli pretese in trattato col comandante di quel corpo di truppe che trovavasi verso la strada Balbi, così ci «> stato riferto, che seguì doj>o qualche discorsi a noi non ben noti, tenuti da uno della Plebe al Comandante sudetto, e di fatto viddimo Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata,jecc. 89 tutto il giorno 8, che quantonque la Plebe accorresse in folla verso la detta strada, e il borgo di Prè pure non si sentirono i soliti colpi di fucile, e di cannone, e ci rivenne da più parti che il Sig· Principe Doria erasi intromesso per pacificare il Popolo anche col mezzo di miei discorsi, che egli andò tenendo col Sig. Generale Botta. Noi profittando dell’apparenza di quiete, a cui pareva che le cose potessero ridursi, rinforzammo le nostre sollecitudini e 1 mezzi più opportuni per calmare finalmente, se ci fosse riuscito, quel tumulto, di cui tanto fatali possono essere per noi le conseguenze, e spedimmo anche a .mesto ogetto Mons. Arcivescovo per inspirare sentimenti di tranquillità nella Plebe, e per farla anche con questo mezzo da noi appreso come il più efficace, ritornare dentro illimiti del dovere. _ Dobbiamo pure segnarvi che alla sera del sopradetto gi°lu° i nostri Deputati scrissero nuovamente al Sig. Generale Marchese Botta il biglietto di cui vi tramandiamo annessa la copia segnata 13 col fine di fargli sempre più comprendere la costante no.stra attenzione anche in mezzo alle così terribili circostanze del nostro Governo, sia per riceverne qualche titolo di sicurezza con cui ci rendesse più fatibili di quietare il Popolo e di calmarlo nella sua cecità, e nei sopragiuntici suoi timori. H prefato Sig. Generale rispose in voce al Tenente Colonello Malbergh da cui gli venne consegnato il sudetto bi "lieto con sentimenti uniformi a quelli che avea spiegati in risposta al primo biglieto, promettendo nuovamente che non si ■commetterebbe alcuna ostilità per parte delle sue truppe, ne contro le vite ne contro la robba del Popolo, al quale col canale pure dei succennati Religiosi e dei Capi delle arti noi fecimo penetrare questi sentimenti del Sig. Generale, sperando che i medesimi avrebbero potuto contribuire alla tanto sospirata tranquillità. Ma con estremo nostro rammarico ebbimo luogo di conoscere che le sole parole non bastavano, ne a rassicurare i timori della Plebe, ne a calmare i suoi movimenti. In questo giorno i) corrente nel quale nemmeno ci è ancora riuscito di spedire il presente dispaccio per essere le strade della Polce-vera e del Bisagno occupate da Paesani, che anch’essi sono sopra Panni, ci viene riferito oiie nel giorno d’ieri nella Valle di Bisa-<ίιο e verso Albaro, dove ritrovavasi un distaccamento di truppa tedesca questo è stato circondato da Paesani, i quali anch'essi irritati per i trattamenti che dicono aver sofferti e per il dispendio a cui hanno dovuto soccombere volevano assolutamente disfarsi del sudetto ■corpo «li truppe, ed appena con grandissimo stento riuscì al nostro Patrizio Agostino Ajrolo che colà ritrovavasi per regolare gli alloggi della detta truppa di calmare la commozione di quei Paesani, nel che il detto Patrizio si è adoperato con tutti i mezzi possibili, ed anche con pregare in ginocchio i Capi della Valle di Bisagno, acciò contenessero i detti Paesani; con che finalmente gli riuscì di sai vare il detto corpo di truppa. 90 Ma tanto i sudetti Paesani di Bisagno, quanto quelli di Folce vera si mostrarono in oggi così irritati, che ci fanno temere sempre maggiori disordini, e cresce la giusta nostra inquietudine in sentire che questo fermento serpeggia ancora nella Riviera di Levante, dimoda che siamo alla vigilia di veder tutti i Popoli in moto. Qual sia in questo mezzo l’infelice nostra condizione e il pericolo, che corre il Governo, voi stesso potrete abbastanza comprenderlo, e farlo capire altresì con eguale efficacia a codesti Regi Ministri. Con sommo nostro dispiacere dobbiamo infatto avertirvi che il comune irritamento di detti Popoli nasce in primo luogo dall’estrema loro miseria prodotta dal sogiorno delle truppe austriache e dalli aggravi che le medeme vi portano, incompatibili con le forze di un paese sterile, e distrutto, e successivamente deriva dai poco buoni trattamenti, che dalle medesime hanno ricevuto, mentre sapete quali siano i disordini, che suole produrre la soldatesca e quanta mal volentieri li soffra un Paese che non vi è accostumato ed assuefatto a vivere e sotto le leggi di un Governo pieno di dolcezza e di moderazione. In quest'oggi pure 1) corrente non si sentono più colpi di fucile e di cannone, e ci riviene che duri ancora quella tale specie d'ar mis tizio, che si è fatta fra’ le truppe, e il Popolo, ma non per questo cessano le nostre inquietudini, mentre ci viene riferito da più parti, che la commozione dei Popolo non solo continua ma si accresce giornalmente, e che i Paesani di Polcevera e di Bisagno sono in gran movimento. Questi ultimi che dal giorno 7 si erano impadroniti delle forti 'ìicazioni esteriori della Città dalla parte pure di Bisagno, ieri poi hanno forzato un grandissimo numero e a mano armata le porte stesse della Città, nè il corpo di guardia delle nostre truppe ha potuto opponisi, mentre dopo qualche contrarietà è stato obbligata a cedere soprafatto dalla moltitudine. Per lo che i detti Paesani si sono anche impadroniti di qualche armi, e tamburri, il che è pure riuscito ai medesimi quando occuparono i posti della Città soprain-dicativi, onde dette armi, e tamburri sono adesso in loro potere, siccome poi cresce col numero anche la forza del Popolo, così giornalmente commettono nuove violenze, obbligando a forza chiun que incontrano per le strade ad unirsi con loro ; violenza che hanno anche sofferta per quanto ci vien detto, qualche pochi soldati trova tisi a caso per dette strade, onde voi ben comprendete che non vi £ più alcun riguardo capace a ritenere la moltitudine nelPimpeta che la trasporta. Non fà bisogno di rimarcarvi nella luttuosa serie di questi fatali incidenti, quale sia la nostra agitazione, e dolore anco in vista di tutte le conseguenze, che non potiamo abbstanza prevedere e compiangere. Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. 91 Vi tramandiamo pure qui annessa, e mercata C copia di un biglieto che questa sera è stato trasmesso dai MM. nostri Deputati al Sign. Generale Marchese Botta, e siccome dal medesimo osserverete la costante nostra attenzione verso codesta Corte così sarà vostro incarico di farlo comprendere a codesti Rejïi Ministri anco rimarcando quallora ve ne fosse tenuto discorso (pianto inutile e fatale insieme sarebbe stato l’espediente suggerito da detto big. Generale, d’impiegare contro il numeroso Popolo di questa api tale il piccolissimo numero di truppe, che qui si trova al nostro soldo, e il quale, siccome sarebbe stato in un momento soprafatto dal detto Popolo, così non avrebbe contribuito, che alla più cer . rovina della Repubblica. (*) Non essendoci stato permesso di spedire il presente dispaccio nei niorni precedenti per essere state prese e impedite le strade, ci troviamo quindi al giorno 11 C.te, e dobbiamo avertimi, come quella specie di armistizio, che sopra vi è stato indicato, seguito fta il Popolo e la truppa austriaca■ durò fino alla mattina di ieri 10 stante. Proffitando noi di questo tempo abbiamo raddoppiate le vive nostre premure per vedere di rimettere la quiete in detto Popolo, oltre i mezzi di sopra indicativi, ri si è particolarmente impiegato anche il Sig. Principe Doria, ed altresì il Padre Visetti Gesuita. Se questi nostri espedienti fossero stati secondati dal Sig. Generale Mar rhese Hot ta con acondiscendere in qualche modo alle dimando dr, Popolo, che risolutamente voleva le due Porte della ( ittà, o con mettere qualche cosa in iscritto per rasicurare i timori dello stesso Popolo, il quale dopo t tumulti seguiti diceva di non credere ne-meno in canto le proprie vite dall'irritamento che apprendeva nella detta truppa, noi averessimo forse sperato di riuscire nel pieinu-roso intento di quietare gli animi, ila il predetto Sig. Generale ha stimato di operare altrimenti, e fra le altre cose non ha voluto mai per quanto ci riviene assicurare colle opportune cautele, ed in iscritto i timori del detto Popolo. Questo pertanto uscito fuori di tutti i limiti ed attruppatosi in grandissimo numero col unione ancora dei Paesani delle due valli di Bisogno c Polcevera, non si è potuto più contenere in modo che resosi supcriore a qualunque argine ha sforzati vari ponti e porte della fittà si è impadronito a forza di molte armi ha costretto il resto delle gente a seguitarlo, ed insomma si sono le cose ridotte a tale termine, che nella mattina de i 10 portatosi il Popolo ad attacarc le Porte di 8. Tomaso se ne impadronì verso la sera, siccome pure successivamente di quelle della Lanterna, e di rarj altri posti guarniti dalla Truppa Austriaca, e tanto il detto Popolo. quanto i Paesani delle succennate duc 1 alli anno fitta una quantità di Priggionicri che anno introdotto e ranno tuttor a inlro (1) I.· parte* he è «l'altra mino. 92 Vito Vitale ducendo in Città! Noi nella tanto strana confusione delle cose necessitati a un contegno 'puramente passivo e vedendo clic le misure che avevamo messe in opera per la publica quiete non erano state secondate dal Sig. Generale Comandante Botta, si siamo trovati *itila dura necessità di non potersi più in alcun modo opporre al torrente, e fra le gravissime nostre angustie, potete credere quanto considerabile sia stata e sia quella de i pericoli, che corre in mezzo a si grandiosa universale commossione la forma stessa del Governo, per quanto però ci e riuscito abbiamo procurato di far insinuare al detto Popolo con i mezzi che potevamo credere a lui φΐύ grati di usare tutta Vumanità e riguardo verso i soldati ed ufficialità austriaca rimasti priggionieri come ci è finalmente riuscito. Oggi giorno 11 il Popolo e Paesani, che si mostrano sempre più ardenti anno continuato sia dalle parti della Riviera di Levante a circondarey e far priggionieri quei distaccamenti di truppe, che colà si trovavano, sia anche da quella di Ponente verso dove si incamminava il maggior corpo della moltituline, che per quanto si sente, ha intenzione di liberare Savona. E fratanto ci riviene che in S. Pier d’Arcna il Popolo sudetto siasi impadronito di ciò che apparteneva alle Truppe sudette, e (‘he seguiti ad avanzarsi verso Ponente. Da tutti i fatti sin qui esposti, siccome Voi comprenderete, così farete anche constare a codesti Regi Ministri, che in mezzo ai moti universali di un numero incredibile di Gente armata, se non ha potuto opporvisi hi stessa Truppa Austriaca agguerrita, quanto meno ciò era fattibile a noi sproveduti e di soldatesche c di forza; secondo che tutte le divise unicamente usabili, cioè quelle de i mezzi placidi e grati al Popolo sono state rese inutili, perchè non secondate in tempo dalle divise del Sig. Generale Comandante, da lui dipendeva il dare al Popolo quelle sicurezze che nella stia Commissione Egli apprendeva necessarie alla sua cautela; terzo che i nostri sentimenti son sempre stati e sono attualmente quelli di una pienissima invariabile attenzione verso di S. Μ. VImpera trice Regina; onde tutto ciò, che è succeduto deve riguardarsi come Veffetto dyuna forza irresistibile a cui non abbiamo avuto riparo anche per le conseguenze così dolorose che direttamente in noi ne ridondano. Questa rispettosa attenzione è quella che voi dovere te far valere particolarmente presso Codesti Regi Ministri, ed anche a S. M. medesima. assicurandosi, che i fatti sopradescritti sono così chiari, ed evidenti da far comprendere quanta sia stata e sia la nostra os-servanza verso la M. S. anche in mezzo ai più gravi pericoli, e a quelle circostanze delle quali senza nostra colpa sentiamo il maggior peso, e a cui pur troppo non abbiamo avuto e non abbiamo riparo (*)., (ì) Arch. ai Stato, Genova; Lettere Ministri, Vienna, Mazzo N. Oen. 2501. Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. L’ALTRA CAMPANA I documenti, che ora vedono la luce, sono tratti dall’Archivio di Stato e dall’Archivio della guerra di Vienna e contengono molti particolari degni di rilievo. Alcuni sono dei giorni stessi della sommossa : altri sono di poco posteriori. Non mi pare fuor di proposito, dopo che tanto si è scritto intorno a questo argomento, sentire anche la voce degli Austriaci o dei loro parteggianti. Si tratta di un proclama del Botta, datato dal Quartier Generale di S. Pier d’Arena il 0 dicembre 1746 : di una minuta di lettera senza firma, ma certamente delPAgente Consolare Bartolomeo Ma-ricone, datata ancli’essa da S. Pier d’Arena il 9 dicembre 1756 ; di un’altra dello stesso Maricone senza dubbio, benché non firmata, e del 10 dicembre 1746 : di altre due con la firma del detto Console, datate da Vado il 26 dicembre 1746 e il 15 gennaio 1747. Infine, di una Nota diplomatica inviata dalla Corte di Vienna alle Potenze nei primi mesi del 1747. Come conclusione trascriverò due pagine di un diario del tempo, rinvenuto nell’Archivio Parrocchiale di S. Siro in città. Nel 1° documento il Botta, impressionato della piega che han preso gli avvenimenti di Genova, cerca di tranquillizzare la popolazione e di farla tornare, se possibile, all’obbedienza. Le parole del Generalissimo tradiscono una certa inquietudine. La data del 9 è piena di significato. Quelli erano i giorni della tregua che scadeva nella mattinata del 10. Poteva illudersi il Botta a tal segno da credere possibile un qualche accomodamento? Benché d’origine genovese e da tre mesi installatosi a pochi passi dalla Capitale, non pare ch'egli conoscesse la realtà della situazione. Ad ogni modo il giuoco da lui tentato non era destinato a riuscire. Eccolo nella sua integrità : « Ricercatosi onde abbia tratto l’origine la presente commoti zione nel Popolo di Genova : si è inteso esserne il motivo Partiit ficiosa voce fatta precorrere nella Città e Borghi, che dalle Truppe « Cesaree Regie si volesse discendere a dare il sacco tanto alla Caie pitale, come alli già detti Borghi e Riviere; e non essendo mai «stata mente delli Comandanti dell’Armata Imperiale di venire a « questa esecuzione conviene pensare anzi credere che il divulgato ((saccheggio sia invenzione di gente maPintenzionata verso PArmi ((Imperiali, per tener lontana la pubblica quiete anche da questo 94 Antonio Costa « dominio. Si fa perciò con la presente pubblico, e notorio che il Po « polo, e Dominio di Genova, resta pienamente ingannato, prestando « fede a risoluzioni, e massime cotanto aliene dal Clem.mo animo i « S M. Imperiale la Regina d'Ungheria e Boemia. Onde noi, per « rimuovere ciascuno dalle falsei idee già concepite, e per confermarlo « nella certezza della Imperiale Regia Benignità della M. S. facciamo palese a tutti gli abitanti della Città e Dominio di Ge «nova, che debba ognuno starsi queto nelle proprie case senza (( pensare, ne punto temere il divisato saccheggio, e che la ^ ruppa <. sarà da noi sempre tenuta nella consueta regolare disciplina, af «finché non commetta la minima violenza contro chichesia. Dat. « Quartier Generale S. Pier d’Arena, li i> Dicembre 174G — Sotto « scritto : Marchese Botta Adorno. » 0) Il 2° docum. aggiunge una prova non sospetta a favore della parte che l’aristocrazia ebbe nel movimento d’insurrezione. Lo scritto è anonimo : ma dal contenuto (confrontato con quello di altri documenti firmati), si può con fondamento asserire che l’autore e Bartolomeo Maricone agente consolare di S. M. la Regina d Ungheria in Genova. Allo scoppiare della sommossa egli si era in gran fretta ritirato a S. Pier d’Arena. L’ora delle L'0.45 corrisponde nella prima decade di dicembre alle nostre 13.45 circa. Le notizie sono di cronaca minuta, ma non perciò meno interessanti. Questa prosa nella sua semplicità e scorrettezza rispecchia molto bene gli am bienti popolari a cui attingeva Maricone per mezzo de suoi fidi. Si distribuivano armi, denaro, pane e munizioni nelle case de la-trizi. La plebe in rivolta ingrossava a vista d’occhio. Anche ι bottegai, quelli che oggi si dicono esercenti, con un termine più generico e che vorrebbe significare qualche cosa di più nobile e forse anche di più simpatico, si univano al popolino, insieme con non pochi mercanti non bottegai, come dice il documento, ossia negozianti al l'ingrosso. La connivenza o almeno l’acquiescenza del Governo è posta m rilievo dal fatto che il Corpo di Guardia della Polveriera di Cari gnano non si oppose al trasporto della polvere. Così si dica della distribuzione di pane e di vino che si faceva nelle taverne e nei pubblici forni. Il proposito di non servirsi dell’armistizio altrimenti che per meglio organizzarsi e tentar poi il colpo decisivo è messo in rilievo là dove si dice che «la Plebe., l’armistizio d’ieri lo farebbe servire come meglio gli converrebbe ». Il Maricone era bene informato. Sapeva che circa 1500 Bisagnini occupavano l'altura dello Zerbino che domina le porte (\e\V Aquasola e del Bisagno. E come un’altra prova della acquiescenza del Go verno, se non della sua complicità nel movimento, sottolinea il (1) Kriegtarehitc - Wien. — Copia Exped. 746 Xber 551 — faac. 1746-12 - ad 2. b. Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. 95 fatto che le Guardie delle varie Porte lasciavano entrare e uscire ogni sorta di gente armata. Scriveva infatti il Maricone : « Sampierdarena a D Xbre 1746 a ore 20,45. « Da mio domestico partito da Genova a 18,45 ho la seguente « relazione : che in molte case de’ Principali Patrizi, cioè Doge, « Gerolamo Durazzo, Vincenzo Gropallo, Giuseppe De Franceschi, « Pietro Durazzo si vanno distribuendo delle armi, del denaro, del <( pane, munizioni, et altro alla gente commossa, la quale v& in-« grossando a vista d’occliio, unendosi ad essa molti bottegai ben « stanti, e pare che vi siano ancora per quanto si diceva de’ Merci canti non Bottegai. cc Che tutti li artigiani sono commossi, e si vanno generai -r la sua « mala condotta cassato dal servizio) che risiede con gli altri nel « Collegio dei Gesuiti, detto il Quartiere Generale. tt Alli 13 furono distribuite per la città delle Patroglie per ri tiparo delli rubbamenti nelle case, di notte tempo illuminate. Alli Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. 99 *·< 14 si arrollarono dal Quartiere Generale tutta sorta di genti, per « soccorrer Savona, dandosi loro 30 soldi al giorno, pane, ed una Ge « novina d’ingaggio, e furono dalle Gallere trasportati, e sbarcati « in più luoghi della stessa riviera, per schivare le navi inglesi incam-« minate alla loro volta. Alli 15 si pubblicò bando di forca contro « chi più rubbasse o saccheggiasse nelle case. « Alli 16 con campana a martello si ragunò altra gente da man· « darsi a Savona col detto ingaggio e 40 soldi al giorno di paga, e fù <( dalle galee sbarcata altra volta come sopra. Per suplire questo « denaro si girò in ogni Parrocchia, domandandosi in tutte le case « dalli deputati borghesi e mercanti, del denaro per soccorso della «cittadella di Savona, e fù copiosa la raccolta; ma nello stesso « tempo si assicurava, che dal Governo si era clandestinamente lc-·« vato dal tesoro di S. Giorgio tutto il restante peculio da spendersi « sottomano nelle presenti emergenze. « Si pubblicò alli 18 che ciascuno atto all’arme dovesse nelle riti spettive Parrocchie dar il suo nome, sotto pena arbitraria al Quar « tier Generale contro gli transgressori ; | è alli 19 dall’istesso « Quartier Generale fu pubblicato bando di forca contro chi diti cesse che fusse resa la cittadella di Savona, stante che per la voce « precorsa della resa ricusavano tutti di arrollarsi, per marciare al « soccorso. Per radunar maggior numero di gente si fecero chiudere « le botteghe, e Pingaggio si estese a 2 Filippi ; ma confermatasi la ·« resa della Cittadella col ritorno delle Gallere con la detta truppa, « cessò la spedizione. tt Alli 20 d’ordine del Quartier Generale furono levate 4 Cornet pagnie di 50 uomini da ogni Parrocchia della Città senza eccezione tt di persona, fuorché dell’ordine equestre, tenuto bensì a supplire tt con li propri serventi. Tredici uomini di ogni compagnia montavan «la guardia ogni giorno ne’ rispettivi Posti della Città, e suoi conce torni, somministrandosi loro 10 soldi al giorno, ed il pane. « Fu altresì ordinato dal Quartier Generale che chiunque avesse « armi da fuoco dovesse portarle nell’Arsenale di Palazzo dove sareb-« bero loro pagate e che niuno potesse portar armi senza licenza « dello stesso Quartier Generale. Inoltre che senza il Passaporto <( del medesimo niuno partisse dalla Città per mare o per terra, « con proibirsi l’estrazion di qualunque mobile e robbe da uso, per-« messa però quella delle mercanzie da imbarcarsi nel porto, mete diante la licenza e pagamento di dieci soldi per balla. « Alli 21 si spedirono altra volta 3 gallee con truppe regolate « e Paesani per li confini verso Savona, per osservare gli ulteriori «movimenti delle truppe sarde, e temendo nuovamente l’incontro <( delle navi inglesi che si mantengono in questi contorni, sbarcai <( rono la gente in Voltri. « Nello stesso tempo il Governo fece guastare tutte le strade 100 Antonio Costa « conducenti al detto borgo di Volt ri; Pistessa precauzione fu p ratti-« cata nelli cammini che dalla Lombardia conducono alla Bocchetta « e Polcevera. « Nei successivi giorni 22 e 23 non insorse in citta cosa di riti marco, bensì come per Pavanti, continuava il Senato e Consiglio « a suono di campana, secondo il costume, scorrendo liberamente la «città l'ordine equestre e senatorio. Si promulgò anche in questi « giorni che il Governo avesse nominato un Ministro per la Corte «di Vienna·, e che a- quella di Londra sarebbe ito Francesco Doria, « che poco fa ritornò da Versailles. Dal rapporto avuto ieri Paltro « da persona, partita da Genova alli 28, s’intende che lusse altra « volta in armi tutta la Città sulla voce precorsa, che stasse per «calare nella Lombardia un grosso corpo di truppe; nello stesso « tempo si sperava un valido diversivo dalla parte del regno di Na-« poli ; e si allestivano le altre due galee, resto della squadra della « Repubblica. « Passo alla mia tragedia. Alle 120 ore del giorno 10 ritornai dal « Quartiere Generale alla casa del mercante Santagà in San Pier « d'Arena, dove alloggiavo fino dal 7 e senza poterne sortire col mio « segretario; alle 4 ore della stessa notte del 11 al 12 una truppa «di 20 sollevati cinse la casa e fece fuoco col fucile, gridando che « si aprisse la porta, per aversi tutto ciò che fusse delli tedeschi. Io « col Santagà dubitando dell’insulto si provvidimo di S uomini, « fucili, pistolle e munizioni, e facendosi pur da noi fuoco alla « truppa, frattanto se gli rispose che non si apriva di notte la casa «ai ladri; ma che venendo di giorno si giustilicarebbe loro non vi «essere robbe nè equipaggi tedeschi. Non giovò la risposta: onde « fino alle 11 ore si continuarono le fucilate dall'una e l’altra parte, « e dopo di aver tentato d’incendiar la porta di casa, con fuoco di «paglia e fieno, per mancanza di legna; ma indarno, perchè fasciata « di ferro, si ritirarono con due di loro feriti da palla di fucile, « ed altro da colpo di sasso. « Si suppose da noi terminata questa sorta di assedio : ma la « mattina del 12 unitisi alli suddetti altri 100 sollevati giunti dalla «città, accorsero tutti alla casa. Fu forza aprir la porta, con caie pitolazione di non introdursi di più di 4 in 5 per visitarla. La più « parte però, mancando al concerto, scorse la casa, nulla vi trovò, « e con un rinfresco di vino, e di alcune Genovine, dopo un’esat-« tissima ricerca in ogni angolo si ritirò senza salire l’appartamento « al tetto della casa, dove col mio Segretario ci attendevamo di ri-« maner priggionieri sul supposto, che la visita riguardasse prin-« cipalmente la mia persona; assai subito fui avvertito, che altra « truppa di Polceveraschi doveva visitar la casa per farmi priggio-« niere, sendosi divulgato che ivi dimorassi. « L’istesso giorno 12 e nel successivo 13 fu interamente sac- Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. 101 « cheggiata in Genova la mia abitazione in Carignano di modo che « lio perduto mobili, argenti, ed ogni altro utensile compreso ogni « mio vestito e biancheria ; anzi un vestito nuovo che era al sarto, .(( ed una pezza di tela che era presso la maestra di camicie fu dalla « Plebe loro tolta nelle proprie case. « Lo stesso sacco alli 13, ma di poco momento fu dato al Ca « sino con possessione che ho nel fossato di S. Tomaso, anzi futi riosamente discesero perfino li sollevati a proporre la vendita alla « subhasta dello stesso stabile, ma non vi fu avventore. Il detto «mio Segretario, che non potè, perché era in quel dopopranzo ito « in Città, meco imbarcarsi, fù pur egli minacciato di saccheggio, e « dovendosi star celato in casa·, fece si che un Canonico mio amico « si portasse a Palazzo dal Segretario di Stato Giuseppe Maria Serit torio, per rappresentargli, che dal Governo Ser.mo si dovesse ga-« rantir la mia casa dal temuto secondo saccheggio, allegando ovvie « le ragioni, adducendo il recente esempio di aver garantito con « 150 soldati, la casa in città del patrizio Airolo, allorché si voti leva saccheggiare ed abbruciare da numerosi sollevati, e di avere « nello stesso giorno 12 garantito con 50 granatieri e 50 delli stessi « sollevati ad essi uniti d’ordine del Quartier Generale la casa della « Signora Contessa Pallavicini moglie del Sig. Generale. La risposta «del Segretario fu: Che ben era dovuta l’immunità della Persona « e Casa del sig. Maricone ; ma che non si poteva dal Governo metter « freno, e riparo alla furia di un Popolo sollevato. «L’attacco nelle forme della Cittadella di Savona fu alli 2; « alli 18 fu resa priggioniera di guerra la Guarnigione in 1200 « teste: fu condotta a Mondovì, ed il Governatore Adorno con gli « Ufficiali sulla parola passarono a Genova; nella Piazza si sono « trovati 120 cannoni di bronzo, alcuni morta-ri, con abbondanza di «proviande, e Munizioni da guerra. Gli assediati non fecero sor-« tita alcuna: onde fra morti, e feriti vi ebbero da 60 huomini, e «da 700 gli assediarti. Il fuoco fu vivo dall’una e Paltra parte. « La notte del 13 al 14 dubitando gli assedianti suddetti di essere « attaccati dalla turba di sollevati, che per terra partì da Ge ti nova, con 3 Gallere pur cariche di gente, spedì delle truppe alle « alture di Albizzola, e fattosi alto dalli Genovesi, se ne ritornati rono addietro senza far tentativo per cui furono spediti. « Supplico a Y. E. dell’onore de1 suoi comandamenti e con proti fondissimo rispetto mi riaffermo di V. E. Vadoy 26 Xbre 1746. « Ritenuta sino ad oggi S del 1747 la presente per mancanza di « spedizioni a Torino, posso soggiungere a V. E. che le notizie di settembre del-« Panno passato, i Genovesi son diventati, almeno per il tempo che «durerà la guerra, talmente soggetti di S. M. l’imperatrice Regina, (( che senza delitto di ribellione non possono sottrarsi dalla di lei «obbedienza nè mancare alla fedeltà che le hanno giurata. Tutti i « posti della città devon esser consegnati alle truppe di Lei : la guai* « nigione, essendosi resa prigioniera di guerra, tutta Γartiglieria e <( le armi, munizioni di guerra e di bocca sono state devolute a S. <( M. per disporne come crederà. Tutti i soldati, tutta la milizia, « tutti i soggetti della Repubblica erano obbligati a non commettere «alcuna ostilità nè contro di Lei nè contro i suoi alleati. « Il libero passaggio per tutte le fortezze è stato stipulato. 11 « Doge con (3 principali Senatori era tenuto a farLe atto di sommis « sione. Infine questi stessi articoli e tutto ciò che la Capitolazione «confermava in più, erano rimessi alla discrezione di S. M. alla « quale il diritto di disporre e ordinare altrimenti era chiaramente «ed espressamente riservato con le seguenti parole: « Questa con- ii venzione prò visoria avrà tutta la forza, finché venga ratificata « dalla Corte di Vienna, ovvero finché da Essa venga altrimenti di-« sposto». (* Può dopo ciò restar dubbio che in virtù di questa Capitola <(/ione i Genovesi non siano divenuti veri sniditi dedititii di S. ΛΙ. o l’imperatrice Regina? A Lei devono senza contradizione la stessa « fedeltà che i soggetti d'un Paese conquistato devono a colui che <( durante la conquista è suo sovrano. E come ogni ribelle commette « delitto di lesa maestà di I* grado, è incontestabile che per il « più nero tradimento commesso contro PImperatrice Regina se ne «sono resi colpevoli. « Più S. M. è stata dolce e clemente verso di loro, più il loro « delitto diventa atroce. Le si era predetto che gli Articoli della <( Capitolazione non erano sufficienti per tener a freno i Genovesi UÛ6 Antonio Costa « e clie questi conoscevano troppo poco le leggi dell'onore e della « pubblica fede, perchè se ne sentissero obbligati. Con tutto ciò, « non consultando che la sua generosità e la sua grandezza d’animo, « Ella si mostrò indulgente riguardo a parecchi di quegli articoli. « Dandosi poco pensiero della vana ostentazione di sommissione del « Doge, Ella si contentò della promessa di ciò che Le era dovuto « senza insistere su la esecuzione. « Ella non volle affatto annientare la Repubblica·, ma tenerla « in rispetto e sommissione. Sotto questi auspici tutto fu lasciato « nello statu quo. Non confondendo l’innocente con i colpevoli, Ella « diede ordini molti precisi per il sollievo tanto del popolo quanto « dei negozianti. Abolì il monopolio del pane e di altre derrate, « che avevano fatto gemere molte migliaia di uomini per arricchire « un piccolo numero di gente avida del più illecito guadagno. In-« fine non tralasciò cura per raddolcire la sorte di quelli che si « erano sottomessi alla sua dominazione, più che non fosse sotto «la tirannia de’ suoi compatrioti. « Questa cura tuttavia non doveva per nulla derogare nè alla « sua sicurezza, nè agli interessi degli Alleati. E se i suoi ordini «fossero stati esattamente eseguiti, più migliaia di soldati amma-« lati sarebbero ancora in vita e la funesta catastrofe sopravvenuta « non sarebbesi verificata. « L’eccesso è sempre condannabile e la troppa indulgenza è un « eccesso. Ma più questa indulgenza fu eccessiva contro la volontà « della Imperatrice, più devono aversi in orrore quelli che ne hauti no abusato sì crudelmente, gettandosi sotto i piedi la fede pubbli-« ca, le leggi dell'umanità, il diritto naturale e delle genti, insom-«ma tutto ciò che finora fu reputato più sacro nella società umana. « Mentre l’imperatrice si occupava di sollevare lo Stato e i po-« veri, in quanto la sua sicurezza e l’interesse de’ suoi alleati poti tevano permetterlo, gli autori della guerra tramavano il complotto « più nero. Dopo i Vespri Siciliani non si ebbe una congiura o coti spirazione somigliante. tt Come era ben difficile concepire una tale indegnità, così non « si stette abbastanza su l’avviso. Gente bennata stenta a credere « che l'ingratitudine e la perfidia possano essere spinte così lon-« tano. E nondimeno furono spinte, e non dipese dagli autori della « cospirazione se tutte le truppe imperiali che si trovavano negli « Stati della Repubblica non furono senza pietà massacrate. Del « resto non vi fu specie di violenza che non sia stata commessa, ed « anche il diritto delle genti violato nella persona e nei beni del « suo ministro, di cui le case furono saccheggiate. Tutto ciò ac-« cadde per istigazione del governo, come se ne hanno prove con-« vincenti in mano, e non vi fu sorta di artificio indegno che non <( sia stato impiegato per sollevare la plebaglia della città e gli « abitanti dei dintorni. Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. 107 « La perdita di Savona era stata rappreséntata come preludio « di quella di tutta la Repubblica e specialmente della Capitale. « Col pretesto del pagamento delle contribuzioni si caricavano po-« polo e negozianti di tasse, che gli autori della guerra avrebbero « dovuto e potuto sopportar essi. « Inoltre si fece correr la voce che Genova doveva esser sac-« cheggiata dalle truppe imperiali. Le contribuzioni erano state « fissate a 3 milioni di Genovine dai Deputati della Repubblica, copie « appare djalPAtto, ed insieme si era convenuti su le date del pagaci mento. La somma non era eccessiva, nè per le immense ricchezze « di alcuni degli autori della guerra, nè per le perdite cagionate « agli Stati e ai soggetti delP Imperatrice in Italia. Fu dimostrato «ai Deputati della Repubblica che senza toccare i fondi pubblici, « specie quelli del Banco di S. Giorgio, una parte degli interessi an-«nuali bastava per compiere il pagamento della somma, per quanto « sembrasse grande. Piacesse al Cielo che i soggetti dell'imperatrice « in Boemia Slesia Moravia nou fossero stati tassati dai ne(-« mici che a proporzione delle loro rendite, senza che la sostanza « o il capitale fosse diminuito ! Ma per essi non si ebbe la stessa « indulgenza provata dai Genovesi. Convinti che si era bene infor-« mati delle loro facoltà ricorsero ad un altro sotterfugio. Si la-« mentarono che i termini del pagamento eran troppo corti, per « sodisfare denaro contante. L'Imperatrice si mostrò ancor indulgente a questo riguardo, contenta d?aver assicurato il pagamento « di 2 milioni, Ella accordò una proroga di tempo in tempo, do-« poehè i Deputati della Repubblica ebbero consegnato al Conte « Chotec-k patto allegato (1) (lettera C.). Ma accorgendosi che la « Repubblica non cercava che di guadagnar tempo, insistette alla « fine per il pagamento del 2° milione, di cui la più gran parte fu « ricevuta, ma non nei modi che avrebbero dovuto essere usati. « L’atto allegato (lettera D) conferma il suddetto impegno di in-« dicare e cedere fondi sicuri per il pagamento reale di ciò che rima-« neva da pagare. « E per dare altre prove di Sua Clemenza e Bontà regale, S. «M. fece dichiarare che avrebbe, dal 3° milione, condonati tutti « gli interessi che fossero dovuti ai Genovesi, affinchè la Repubblica « potesse loro rimborsarli. Tanto si era scrupolosi di non pregiu-« dicare gli interessi privati per ragion della guerra. « E fu colpa della Repubblica se essa non si liberò dalla con-« tribuzione dei 3 milioni pagando solo 1>40 mila fiorini, essendo il «rimanente valutato come gli stessi Deputati avevano desiderato. «Ma c’è di più. Gli articoli della Capitolazione provano ad evi- (1) Si tratta della obbligatone firmata il 10 settembre 1746 a San Pier d’Arena dai Deputati della Repubblica, Gio-Batta Grimaldi e Lorenzo Fieschi, riguardante i due milioni di Genovine. Antonio Costa « (lenza che, oltre i 3 milioni di Genovine, erano dovute a S. M. la « Imperatrice tutta l’artiglieria, le armi e munizioni di guerra e di «bocca. E come la guarnigione era prigioniera di guerra, si era, « senza contraddizione, in diritto di tassare ad alto prezzo ciò « che le si lasciava per 11011 avvilire la sua dignità. Ma l’Ijnpera-« trice, non consultando, anche 111 ciò, che la grandezza della sua « anima, si contentò d’ordinare che quanto alle prelevazioni dagli « arsenali e dai magazzini, quanto alla riduzione delle truppe e al « giuramento che si esigerebbe da quelle che fossero lasciate in ar « mi si badasse da un lato alla propria sicurezza e dall’altro ai bi-« sogni indispensabili del Governo che non era affatto annientato. « Questo giusto mezzo fu seguito costantemente da S. M., anche « per richiesta di suoi buoni e fedeli Alleati, le potenze marittime. « Ella ha inoltre ridotto l’indennità per i quartieri d’inverno a « un milione di fiorini. E se i suoi ordini fossero stati eseguiti a « tempo e con la voluta circospezione, la sua vigilanza e prudenza « sarebbero apparse luminosamente agli occhi di tutto il mondo, <( non meno che la sua bontà e clemenza. « Giammai Ella ha lasciato di aver l’una e l’altra cura. Ma « le buone parole, le forti assicurazioni, le grandi proteste dei De-« putati della Repubblica hanno tolto, a quelli che dovevano vegliare « la visione del pericolo, quando si era ancora in tempo di preve-« nirl.o. Quella clemenza stessa rese gli autori della cospirazione « più arditi a metterla in esecuzione. « Ne diede l’occasione l’imbarco, che si doveva fare, di alcuni «cannoni e mortai, che tutti erano devoluti all’imperatrice e dei « quali sarebbe stato meglio impadronirsi fin dal principio. Quasi « nello stesso tempo certi nobili Genovesi, sparsi in tutta la re « gione, vi sollevavano il popolo con grandi elargizioni, facendogli « credere che si andava a liberar la cittadella di Savona, la caduta « della quale avrebbe affrettata la loro rovina. Per mantenerli in « questo errore fu loro tenuta nascosta per qualche tempo la ca-■« duta di detta cittadella. Ma siccome l’impostura non poteva man « tenersi, più migliaia di paesani armati si sono presto ritirati alle « loro case. E la Imperatrice non escluderà a costoro, che sono « stati sedotti, gli effetti del giusto suo risentimento, visto che con <( una pronta sommissione essi intendono riparare in qualche modo « il malfatto. Perchè se essi non si sottomettono o tardano a farlo, « il ferro e il fuoco saranno i vendicatori dei barbari eccessi che « hanno commesso. « In attesa niente è più giusto nè più naturale che di pensar «a riparare i danni ingiustamente causati, a spese di quelli che « li hanno prodotti. « L’Imperatrice è senza dubbio, in diritto di confiscare tutti « i beni ed effetti dei Genovesi, eccetto di quelli che sono a suo Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc 109 «servizio o di una Potenza alleata od amica, e che per conseguenza «non son più nè membri nò sudditi della Repubblica. « Il Governo, avendo congiunto il tradimento alla rivolta, cia-« scuno ne è responsabile, ed ogni rivolta, sia che se ne rendano col-« pevoli sudditi nati oppure sudditi temporanei, è sempre stata con· « siderata come delitto di lesa Maestà di 1° grado. Evidentemente « dunque S. M. è in pien diritto di estendere la confisca ai beni ed « effetti più privilegiati. « E se S. M. non vi procede subito, non intende già di legarsi « in alcun modo le mani, ma sospendendo soltanto a questo riguardo « la sua risoluzione Ella si crede obbligata e sequestrare provisio-« nalmente tutti i beni ed effetti situati negli stati di suo dominio, « di qualunque natura siano. Fino alla concorrenza dei danni che « Ella e i Suoi lian sofferto da -una così indegna rivolta e tradimento, « e perchè con essi beni tanto Ella quanto i suoi siano piena-« mente rimborsati di ciò che è dovuto a Lei e ai Suoi, tanto per «effetto delle obbligazioni suddette, quanto per i furti e i saccheg-« gi che furono commessi. Sua Maestà si contenta dunque per ora « di servirsi de’ propri fondi che la Repubblica Le ha offerto prima « per scopi così giusti e indispensabili, poiché nessun privilegio può « estendersi fino ad abolire il diritto di compensazione o ad j)bbU-« gare al pagamento verso colui che violò la fede pubblica, tutte le « leggi divine e umane e aggravò la rivolta più perfida con eccessi «crudeltà e rapine poco conosciute tra le nazioni civili. Perciò S. « M. vuole e ordina ecc.». Una nota stampata, con la data del 3 giugno 1747, porta le seguenti cifre in fiorini. Si tratta dei capitali esistenti entro gli Stati delP Imperatrice e appartenenti a Genovesi. Questi capitali,, sequestrati provvisionalmente, dovevano (ostituire un'eventuale indennità per PAustria. Ne diamo un saggio ai lettori. Filippo Lomellini : 8 mila — Domenico Grillo: 282 mila e 400 — Stefano De Mari: 20 mila — Ugo Fieschi : 4 mila — Giacomo Filippo Durazzo : 17 mila — Stefano Maria Pallavicini : 40 mila — Giorgio Doria 40 mila e (500 — Gerolamo Serra: 13 mila e SUO Collegio Solari: 1(> mila — Abate Lorenzo Raggi: 4 mila e 200 — Carmelitane Scalze di S. Teresa: 7 mila e 900 Padre Anastasio di S. Giuseppe Carmelitano Scalzo: mille — Noviziato dei PP. Gesuiti: 7 mila e 47 Carmelitani di S. Anna: 2 mila e 100 — Ambrosio Negrone q. Antonio: 4 mila — Monache di S. Chiara di Carignano : 11 mila Carmelitane scalze di Gesù e Maria: 0 mila e 100 — Magistrato dei Poveri: 12 mila —, Vescovo di Nebbio in Corsica : G mila. L'ultima- parola voglio che sia d'uno de' nostri. È un umile Antonio Costa fraticello dei Teatini che allora reggevano la Parrocchia di S. Siro in città. In un volumetto, ben rilegato in pergamena che il tempo ha ingiallita, sono alcune pagine interessanti. Lo scrittore, anonimo, si divertì ad elencare tutte le parrocchie e i Vicariati della Diocesi e della Città, e poi mise mano alla cronaca. Non sono notizie minute. Il Teatino scrive in data 27 dicembre 1746, quando la cacciata era ormai un fatto compiuto. Ecco in quali termini ne parla: « Presa dai tedeschi nel scorso settembre la città di Genova, « ed esercitandovi non più intese barbarie, questo popolo solle-« vossi contro i medesimi il 5 dicembre presente e dopo vari giorni « di combattimento riuscì al medesimo di superarli e scacciarli dalle « porte della città alla guardia delle quali aveano il giorno 10 « dedicato alla 1». Vergine di Loreiio...». Nient’altro, quanto all’epica lotta. Ma la cronaca ripiglia con Γ11 di aprile del 1747. Pare quasi una risposta alle accuse di crudeltà lanciate contro la Repubblica dalla· nota Imperiale. « 1747, 11 Aprile. — Radunato i Tedeschi numeroso esercito « si avanzaron verso questa Città con animo di assediarla e sic « come erano indicibili le barbarie che quelli esercitavano con ogni « genere di persone, così tutte le donne, tutti i vecchi e i teneri « fanciulli si ritirarono in città abbandonando buona parte della «Riviera di Ponente, tutta la Valle Polcevera e buona parte di « quella del Disagilo per fuggire dalla lor barbarie, cosicché in « pochi giorni si aumentò alla città più di 20 mila persone inutili « da mantenere, tanta era la miseria e povertà di questa gente che « non aveano con che alimentarsi, e di più tanto era lo spavento ri « masto in loro che muorivano a centinaia il giorno, talché le « Parodile non potevano più reggere nè tampoco i Medici, così che « fu costretto il Publico ad ergere più spedali, cioè oltre l’ospe-« dale grande, che non avea più luogo ove metterli, tuttoché avesse « preso ad affitto alcune case circonvicine, cioè dissi uno in Nore-« gina, l’altro in Carignano nella Chiesa di S. M. in via Lata, un « altro parimente in Carignano nella fabbrica dei PP. Gesuiti, un « altro a S. Anna e qualchedunaltro che ben non mi ricordo ; e pur «ch’il crederebbe? Tanti Spedali non erano sufficienti a dar ri-« cetto a tutti li ammalati di modo che il Serenissimo Governo de-« stinò oltre i suddetti Ospedali, Medici e Chirurgi a tutti i quar-« tieri della Città come pure medicamenti, il tutto gratis per sol-« lievo di questa povera gente, numerandosi morti in Genova in « quest’anno da 19 mila e più persone; e di soia parte la nostra « Parocchia numera 450. Quando a Dio piacque il 2 luglio si riti-« rarono i Tedeschi, ben vedendo che con tutto l’aiuto degli Inglesi « e Savoiardi non potevano giungere ni loro intento e restò la Città « molto sollevata». Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata, ecc. 111 Rimangono altre testimonianze della barbarie Austriaca negli Archivi delle Parrocchie di Città ove i morti in que’ mesi dall’Aprile al Luglio sono numerosissimi e portano accanto alle generalità degli infelici il nome della Parrocchia di Polcevera, di Bisagno, della Riviera di Ponente donde erano fuggiti. E la controprova, per dir così, di tanta violenta morìa si trova negli Archivi delle dette Parrocchie foresi, da alcune delle quali il popolo fuggì in massa, rifugiandosi in Città, in quali pietose condizioni è facile immaginare. L'Arciprete di S. Olcese così scrive nel Registro cui mette jnano al mio ritorno in Parrocchia, dove la furia Austriaca tutto ha distrutto e incendiato: « Siamo stati cacciati, PII aprile, dalle noie stre case dalla barbarie austriaca e costretti a rifugiarci in . Dr. Theol. Gerhaed RìUSCHEN, Manuale di Patologia e delle sue relazioni con la storia dei dogmi, versione Hai. di G. Bruscoli, Firenze, 1904 pag. 23. 134 Varietà Giovanni da Lerici e ad Oberto Spinola, oratori della Repubblica presso il Cristianissimo. Esaurito il loro compito, gli oratori fecero ritorno in patria il 19 giugno 1508'. Il dì seguente il Governatore chiamò a consiglio gli Anziani, gli ufficiali di Balia, di Moneta, di S. Giorgio e di Savona, presenti gli oratori tornati di Francia, per deliberare circa la custodia del « Santo Sudario ». λ arii furono i pareri e diverse le proposte, la decisione fu rimessa alla saggezza e prudenza del Governatore e degli Anziani. \ quali deliberarono : 1° che il Sudario e il piede di S. Bartolomeo dovessero, il giorno del Corpus Domini, che quelPanno cadeva il 22 giugno, essere portati solennemente in processione per la città per far fede al popolo della reale ricuperazione; 2° che dopo la processione le reliquie fossero collocate in San Lorenzo nel sacrario dove si custodiva la « vera Croce » f1) fin tanto che, assunte le necessarie informazioni, fosse stato decretato in quale luogo si dovesse riporre e conservare il «Santo Sudario». Questo, intanto, veniva affidato alla custodia del Vicario generale delP Arcivescovo e delPintero Capitolo di S. Lorenzo. Còl pretesto che nella chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni la reliquia era* poco sicura, le autorità civili e religiose tardavano a riconsegnarla ai legittimi custodi, causando, con questo procedere, un danno economico ai padri Armeni, i quali venivano defraudati del provento delle elemosine che si solevano raccogliere, quando il « Santo Sudario» veniva esposto alla venerazione di fedeli. Fondandosi su questo motivo, ma specialmente sulle disposizioni testamentarie di Leonardo Montaldo, il quale aveva donato la reliquia (( al monastero di S. Bartolomeo degli Armeni con una elemosina perpetua di 300 lire... » (2), il Priore del monastero, anche a nome de' suoi confratelli, presentò al Governatore la supplica seguen e. « Yobis Illustri et excelso domino Regio Gubernatori et locum-tenenti Reverenter exponitur parte servitorum vestrorum prions et fratum Monasterii et conventus ecclesie sancii bartlxolomei Armeniorum Multedi, in suburbiis lanue, Quod cum, anno preteritopei quendam scelestissimum apostatam ipsius conventus, pei pa'u em ct dolum fuerit furto allatum et in regnum franchorum delatum sanctissimum christi sudarium cum pede sancto beati bartholomet, Cristianissimus rex et dominus noster pro iustitia et sua solita caritate ac summa* bonitate reliquias ipsas venerandas statini ad se deferri iussit, easque restituendas oratoribus nostris tradidit atque consignavit. A quibus senatus eos recepit, ipsisque depositis in sacrario sancti bartholomei suam hactenus distulit restitutionem3 que iuie aliquo minime negari potesty Cum maxime sudarium ipsum sanctissi mum fuerit in eadem ecclesia solempniter dedicatum, per quondam (1) Cfr. L. T. Belgrano, Della vita privata dei Genovesi, 2a ediz. - Genova, 1875 - pag. 92-94. (2) A. GIUSTINIANI: Annali della Repubblica di Genova, anno 1384. Varietà 135 dominum Léonardum de Montaldo, lege expressa quod ait ea nullo tempore auferri possit, et sul· promissionibus obligationibus pactis et condictionibus ac modis et formis in suo testamento ac alio instrumento ea causa confecto clare descriptum, Addito etiam quod cum maxima devotione singulis annis in eadem ecclesia solet ostendi, et in eius honorem fraternitas et consortium est religiosis legibus instituta i1), Ex cuius elemosinis celebrationi divinorum servitiorum omnibusque aliis operibus piis et ad decorem necessariis solet provideri. Et quoniam ex dilatione dicte restitutionis ipsi frates maxima danna et incommoda patiuntur, Humiliter supplicatur quod dominatio vestra iustitia dignetur providere, ut reliquie ipsç venerande sine ulteriori dilatione eidem ecclesie restituantur, et tanquapi lari proprio reddantur. Sic enim testatoris fides et voluntas vere restitutionis executio iuraque omnia fieri exponunt. Et ut futuris insidiis provideatur offerunt se paratos solidum tabernaculum reparari vel aliud cautissimum construi facere, in quo sub diversis clavibus reliquie ipse venerandissime sub regimine civium reponantur et cautissime custodiantur, ut clementia vestra se confidunt, Cui humiliter se commendant. » ■« Ostendatur supplicatio procuratori regio, sindico civitatis lanue et sindico seu monacho (?) ut procuratori ecclesie chatedralis (sic) lanue, et asignetur eidem dicere (?) quicquid voluerit ad diem lovis proxime providebitur super contenbis in supplicatione prout Iovis proxime liora terciarum coram Illustri d. vicario} et partibus auditis providebitur super contentis in supplicatione prout deiure et de iusticia » (2). Actum Genue 5 decembris 1508. La supplica ebbe il suo effetto. I quattro cittadini a ciò deputati esaminarono le condizioni di sicurezza del sacrario, esistente nella chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni, e ne constatarono le gravi manchevolezze. Sulla loro relazione il Governatore e gli Anziani deliberarono di far costruire un sacrario più sicuro, che doveva essere chiuso con sei chiavi da custodirsi da sei cittadini, designati dal Governo (18 gennaio 1509). Terminati i lavori, il «Santo Sudario» fu solennemente riconsegnato ai Padri del convento di S. Bartolomeo degli Armeni il 2 aprile 1509. Carlo Bornate. (1) «....lo popolo non ha cossa più veneranda in modo che, quando a li tempi statuti de lanno si mostra, est tanto lo concorso de la gente che lo va a vedeire, che non solitm è pietosa e devota cossa, ma etiam quasi maravigliosa, lo quale ha una fraternità tra homini e «Ione de più de XX mila che tuti desirano et pregano remedio ». Il Governatore e gli Anziani a Luigi XII, 17 die. 1507. C. BOBNATE, Il furto del tSanto Sudario», pag. 221-222. (2) La deliberazione posta in calce alla Supplica 6 scritta con una grafia quasi indeci frabile : si tratta piuttosto di indovinare che di leggere. Il documento, rimasto sconosciuto finora, si trova in Ardi, di Stato - Genova, Senato Filza 1508-1510 · 2—B. Rassegna Bibliografica Gibolamo Shuka, Memorie per la Storia dì Ut-nova dagli ultimi #111111 del secolo XVI II alla fine dell anno /N/}, pubblico te a» t ura di Pietro Nirka, Genova, 1930, pagg. XI1-232 (Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. LVÏÏI). Il prof. Pietro Numi, benemerito e instancabile direttore delift Biblioteca Universitaria ili Genova, ha avuto l'abilita c la fortuna di trovare nella biblioteca dei Marchesi Serra queste Memorie che ora pubblica in*un bel volume della Società Ligure di Storia latria. Bisogna dire subito che non è quel che si attendeva, cioè una storia continuata ed espositha, seguito della nota opera «lei Sena; si tratta invece di duo narrasioni staccate, quasi «lue brevi monografie relative a due momenti specialmente importanti nella storia genovese e nei quali Girolamo Serra ha avuto parte rilevante «* affatto principale: la line della repubblica aristocratica e la breve sua restaura* /ione nel 1814. Scopo preciso dei ricordi esporre l’azione «lei Serra et naturalmente, difenderla; mostrare come nel 1 «i>« non si potesse fare diversamente «la quel ch’egli f«^ce; la vecchia repubblica» non |K>teva più vivere e «Iella nuova egli salvò l’indipendenza e riuscì ad ampliare il territorio; mostrare che nel 1S14 fu fatto quanto era umanamente possibile per conservare l’autonomia. Nel 1*9« non c’era più quell'accordo tra nobiltà e popolo che aveva permesso e favorito l’eroica «lifesa dell’indipendenza mezzo s«^c«>lo prima (me ne dispiace per gl’intransigenti assertori «lei contrasto nobiltà-popolo nel 1746; Girolamo Serra, che non era un «alluvionale» nia il più genovese «li quanti genovesi siano stati mai, è «li parere nettamente diverso); nel 1S14 raccordo «Ielle potenze e, pare pensi, la non tenacissima difesa «li Antonio Brigo ole Sale hanno sacrificato Genova agli egoismi e agli appetiti della diplomazia collegata ai suoi «Ianni. C’è in queste Memorie il solito carattere soggettivo «Ielle opere autobiografiche, che vanno adoperate con prudente cautela, ma c è una calda costante passione, una viva e acuta rappresentazione «li uomini e «li cose, una narrazione, tra qualche ricercatezza formale generalmente scorrevole interessantissima sempre. Piti gioiello letterario rhe documento storico, nota l’acuto editore, e si può in g«»nere consentire; ma «leve essere anche rilevato che alcuni partieo- Rassegna Bibliografica 137 lari e a Doria Bolo », aggiunse : «v. sopra il suo fogliano c. 6S4 e 686, dice Manuele nolo*; ciò Induce a credere che il Federici abbia esaminato il manoscritto della Storia di Andrea Horia del Sigonio e vi abbia letto una prima redazione, nella quale la gloria del fatto era attribuita al Cavallo, mentre nel volume a stampa, per far rifulgere i meriti del partito, si ora posto nell'ombra il popolano. 144 Rassegna Bibliografica _ Vana illusione! Anche nel Cinquecento era assai più facile lottare con Fascia in pugno che con le scartofie legali. Le immunità al Cavallo erano state decretate dal Doge e dagli Anziani, sii proposta dell’Ufficio di Balia, ma occorreva anche il consenso dei Protettori delle Compere di San Giorgio, perchè la famosa Casa di San Giorgio aveva il controllo di gran parte delle gabelle genovesi. 11 fatto eroico era avvenuto nel marzo 1513, il decreto del Governo era stato redatto nell’aprile, la conferma dei Protettori venne nell’agosto, ma., il cancelliere del Banco, presa nota della decisione, si era dimenticato di redigere Patto in piena regola e poco dopo era morto. Passarono i mesi, passò più di un anno dal fatto memorando, ed ecco il nostro Cavallo presentarsi ai Signori Protettori « in legittimo numero congregati » per chiedere che gli si desse, lilialmente, conferma del decreto del Governo. Forse qualche benemerito agente delle tasse era venuto a casa s-ua per riscuotere. 1 Protettori, esaminate le carte, accortisi della dimenticanza del loro cancelliere, vista la sua «nottula del 18 agosto delPanno precedente, finivano con il concedere la immunità sospirata. Il Bornate riferisce, per estenso, anche questo documento e chiude con esso le notizie intorno al Cavallo, ma l’argomento è così interessante che io mi permetto di aggiungere qualche altra notizia sulla vita e le vicende dell’eroico nocchiero. Se il Cavallo aveva stentato alquanto per farsi riconoscere la immunità dalle tasse, ni un dubbio dovrebbe sorgere circa i duecento scudi d’oro, poiché il documento citato affermava che gli erano stati pagati. Mons. Paolo Giovio nelle sue «Istorie» (lib. XII - pp. 289-293) afferma che il bottino fatto sulla nave era stato di « cento botti di vino, quantità grande di frumento e di carne secca, trenta barili di polvere d'artiglieria e armi di ogni sorta, denari per tre paghe, molti vestimenti e diverse cose... per alleggerire il disagio degli assediati » e si potrebbe, credo, aggiungere al bottino la nave stessa ed i prigionieri messi al remo. Il Giovio aggiunge che la preda fu divisa (trecento erano stati i combattenti, secondo il Giovio ed il Sigonio) e che al ('avallo furono dati in ricompensa, cinquecento ducati d’oro. Il documento ufficiale parla solo di duecento, ma almeno questi gli erano stati pagati (ei soluta) se si presta fede al documento stesso. La verità è leggermente diversa. Dopo ben cinque anni dall’avvenimento che era risuonato così altamente, Emanuele Cavallo si presentava ancora dinanzi al Governo dell’eccelso Comune di Genova, chiedendo che si compiesse il pagamento di quei scudi duecento che gli erano stati promessi in premio. Egli affermava che di quei duecento scudi aveva percepito Rassegna Biblioorafica 145 soltanto lire 150; ne mancavano ancora quattrocentocinquanta per raggiungere il valore degli scudi predetti, poiché ogni scudo d’oro valeva lire tre. Egli aveva spesso (sepe numero, dice il latino del documento) chiesto al patrio governo di soddisfare questo obbligo d’onore, ma il suo desiderio non era mai stato esaudito. Finalmente il Governatore, Ottaviano Fregoso, ed il magnifico consilio dei signori Anziani, si radunavano il 16 aprile 1518 per decidere sull’affare. Essi avevano già delegato i magnifici colleghi Oberto di Lazzaro e Giacomo Grillo a rivedere i documenti circa questa faccenda e a riferirne. 1 colleghi dopo aver riveduto quegli scritti ed averli letti, non una, ina ben due volte (semel atque iterum), ne avevano riferito al Doge ed agli Anziani, e questi, dopo avere ponderato assai a lungo l’affare (tandem re tota multum ac diu examinata) ed essersi fatti prestare giuramento dal Cavallo, che, dalla preda fatta a dalla vendita di essa, non aveva ricevuto altro che lire centocinquanta
  • opolano, che fu il nostro Emanuele Cavallo. Il primo comandava cinquanta uomini di guardia sulle galee, il secondo ne comandava soltanto venti, ma nel febbraio 1514 gliene furono assegnati trenta e nel marzo altri dieci, in tutto quaranta, mentre il Lomellino aumentava i suoi sino ad ottanta, però poco dopo il Doge mutava consiglio, toglieva ai due Commis-sarii il comando dei soldati ed affidava loro, se abbiamo ben compreso i documenti, l’ufficio di Ispettori. Il Lomellino riceveva una stipendio mensile di L. 90, più una guardia di venti uomini della vecchia compagnia, con stipendio ed alimenti, più un soprasoldo per il vitto di sette uomini, che aveva diritto di tenere a mensa con lui. Il Cavallo, nominato Commissario particolare, aveva lo stipendio di L. 3G e gli erano assegnati due uomini con stipendio e vitto. Il Cavallo restò al servizio della Repubblica fino al 2ij agosto 1514, giorno nel quale la fortezza della Lanterna si arrese. Il Federici, nel suo prezioso Abecedario3 afferma che Emanuele Cavallo, fu capitano di una fusta nel 1517, e infine che la sua sepoltura era nel chiostro di S. Maria di Castello alla data 1520. L’antica severa nobilissima Chiesa che si erge sulla ripida dorsale della collina di Castello contiene molte preziose memorie delle antiche famiglie genovesi. V’è in essa una piccola modesta Cappella dedicata a S. Biagio, l’ultima e la più nascosta delle Cappelle, presso uno degli absidi minori della Chiesa; essa ha le pareti coperte di lapidi mortuarie, postevi probabilmente dopo che il bombardamento di Genova nel 1084 ebbe distrutto parte del chiostro di S Maria di Castello. Le lapidi sono per la maggior parte della fine del ’400 e del ’500; tra esse però v’è quella più antica di Jacopo da Varagine, che spicca per il magnifico marmo nero e per la iscrizione in oro di zecchino. Tutte le altre sono in marmo bianco e tra esse io ritrovai molti anni or sono quella di Ambrogio Sena-rega, Cancelliere della Repubblica, postavi dal figlio Bartolomeo, cancelliere anch’egli e cronista genovese. Anche questa volta la fortuna e la devota attenzione mi assistettero. La lapide del Cavallo è fra quelle che formano una specie di cornice intorno al quadra 147 qualcosa di comune: la serena limpidezza dello sguardo, in cui si specchia quella dell’animo. Fra Ginepro, il nostro, è giovine e sereno: ama il suo paese natale e per distinguersi dagli altri si è scelto un bel nome che lo 148 Rasseona Bibliografica ricorda: Fra Ginepro da Pompejana. Per una stradicciola archeggiata di Taggia vi si deve salire in poco tempo, magari ansimando un poco. E il cappucino batte il sentiero, tanto in salita che in discesa, a passo di carica, al suono dei sandali che difendono i piedi nudi. Va attorno seguendo i fantasmi dei Ruffini, da Villa Eleonora a Castellare, e di lassù per tutta la costa, a destra e a manca. Ma più s’indugia nella sua Taggia con tanto amore dell Ordine suo che spesso dimentica i Ruffini che gli sono così cari, per inneggiare ai Cappuccini, signori di Taggia un tempo per donazioni, signori di Chiese e Conventi per affermazione di bene. Rimasti sempre Signori di Carità anche quando spogliati di tutto « nihil habentes, omnia possidentes» si prodigarono alle povere popolazioni che da generazioni li benedicono. Cosicché le pagine del suo libro: a La Famìglia dei li affini)) si leggono con interesse, tanto più che ha uno stile fiorito e profumato come il timo della sua terra, e ci si culla anche noi alle ali d’azzurro e al profumo di poesia e alla musica delle luci, sinché a un certo punto ci si accorge che PAutore pare faccia i passi magnetici per affascinarci e condurci dove gli pare. E noi che cercavamo i Ruffini? Niente Ruffini per cento pagine... Tolto qualche accenno che lampeggia come specchietto per allodole. E rileggi il titolo per vedere se non hai sbagliato e trovi il sottotitolo : «....e un Padre Cristoforo (lei Risorgimento»— Manco male! e ti lasci condurre badaluccando attraverso i « Sorrisi di Primavera Ligure» a sentire parlare, come e quanto!, di padre Agostino Martini, che Giovanni in una sua lettera del ’54 battezzò «Padre Cristoforo »; e delle benemerenze tabiesi delPOrdine; e dei meriti del Padre Agostino e di Padre Francesco Maria da Taggiar che lo precedette, entrambi confortatori della Marchesa Eleonora : questi dal ’35 al ’37 negli anni dell’esilio dei Ruffini e del colera del ’35-’37 in Genova, quegli dopo: nel colera del ’i54 a Taggia, onde il sopranome datogli da Giovanni. Lo rivediamo (in un intervallo di 26 anni) al capezzale di Agostino, di Eleonora, di Giovanni morenti in Cristo. E poi ritroviamo amici vecchi : il Padre Scolopio Carlo Cagnacci, così benemerito degli studi Ruftiniani, che nella intimità di Giovanni ci appare primo esploratore devotissimo di quelle preziose carte, sacre alla Patria, che Eleonora conservò coraggiosamente; e tante altre care figure: il dott. Martini, fatto paziente ed eroico traduttore per amore di Eleonora, e Federico Rosaz-za, l’amico dei Ruffini dal ’34, e il Cantore estroso dei Ruffini, biel-lese spirito bizzarro, Giovanni Faldella, e Giovanni Battista Conio, il laudatore antico. Il racconto s’avanza e si ripiglia, spesso con un bel sorriso del frate, che non curandosi dell’ordine cronologico, narra la morte Rassegna Biblioorafica 149 cristiana di Agostino, Eleonora e Giovanni, confortata dalle preghiere di Frate Agostino, e poi, dopo una lunga deviazione, i funebri solenni di Giovanni in Taggia in quella triste giornata del 3 Novembre 1881. Sinché Fra Ginepro mette giudizio e si pone a trattare sul serio dei Ruffini narrando di «La Madre eroica e dolorosa del Risorgimento Nazionale ». Riassume forse un po’ alla leggera le vicende di Eleonora dalle sue nozze all'esilio dei figli ; onde manca un forte sfondo del quadro, che mostri in tutta la- loro grandezza la tragedia di Jacopo, la spasimante tortura del quindicennio di esilio di Giovanni e di Agostino e le sue varie fasi, la via crucis terribile della madre sola ed invitta, non meno provata dopo il ritorno dei tigli. Padre Agostino allora le si avvicina per sostenerne il coraggio colla virtù cristiana. Cosicché non ci dispiace se Eleonora rimuore (beninteso nelle pagine del libro) e il buon Padre Agostino da Taggia, ne fa Pelogio e col Padre Cagnacci ne detta le epigrafi. Anche qui PAutore si indugia un poco, quasi a riprender lena per accingersi al capitolo più robusto e importante del libro : « La religiosità di Agostino Ruffini. » Bello e importante capitolo, ricco di documenti in cui si assiste alla formazione cristiana del più interessante forse tra i Ruffini. Nel capitolo successivo sopra « La religiosità di Giovanni » la parabola discende, perchè PAutore è troppo fedele al suo programma onestamente dichiarato (Pag. 277) : « Noi qui ci acconteniamo di rilevare un solo lato della sua vita, quella che riflette il suo sentimento religioso, le sue attitudini di fronte alla fede». E prende troppo sul serio l’episodio dell’improvvisa vocazione per chiostro di Lorenzo Benoni ragazzotto - vocazione presto scomparsa sotto F ironica. condiscendenza dello zio Giovanni - scambiandolo, sotto la ingannevole guida del romanzo, con una ipotetica vocazione giovanile di Giovanni Ruffini. Jacopo subì certo questa crisi e ne uscì per unirsi a Mazzini : Ottavio fu religioso sempre : di Giovanni e di Agostino in giovinezza, nulla prova che lo fossero. Fa invece PAutore sottili considerazioni sul «Vincenzo», il romanzo che l’esimio Prof. Mattia Moresco illuminò nel suo splendido discorso del 24 Maggio a Taggia. Anche il Nostro osserva che in esso è affrontato il problema del dissidio tra la Chiesa e lo Stato, e della Questione Romana, nei suoi riflessi sulla società e sulla famiglia. Il Ruffini imposta il problema, ma, a nostro avviso, non lo risolve. E nella famiglia fa che trionfi l’intransigenza sacerdotale e femminile sul eatto-licismo cavouriano di Vincenzo. E la Conciliazione che il Moresco esalta, è per me, una disperata aspirazione, come la sentiva il Ruffini, più che una meta sicuramente additata. Nè poteva esserlo nel ’67, neppure ad essere profeta. Molti anni dovevano ancora trascor- 150 Rassegna Bibliografica rere, ed essere aperta la. breccia di porta Pia, e divenire il Vaticano una prigione simbolica, prima che gli animi si rasserenassero e la soluzione, in alto invano sognata prima, concepita e voluta poi con tenacia e fede, si realizzasse felicemente. Chiusi gli occhi a Giovanni, rimorto (al solito, nel libro) nel bacio del Signore, Fra Ginepro soddisfatto del lungo cammino compiuto si ristora nei riposi dell’ultimo capitolo : « Riflessi religiosi nel Paesaggio Ligure del - Dottor Antonio -». Ritorniamo un po’ al primo capitolo : ina con una variazione simpatica : la digressione sui santuari fra Lampedusa e Yentimiglia: per chiudersi con un ultimo saluto ai Ruffìni. Cosicché termina il volume con la stessa visione d’incanti rivieraschi, di maggio odoroso, di incensi di Chiese, di miti tonacelle fratesche sui sagrati o fra gli olivi. E si ritorna da capo, a leggere l'alata prefazione che Paolo Boselli, venerando superstite dell’epopea d’Italia, dettò per Fra Ginepro : poesia di forma e critica di concetto, che dovrebbe inorgoglire l’umile frate se non lo vietasse la sua modestia e l’abito che porta. Chiudendo infine il libro, ci si chiede : sono questi i Ruf fini? Eleonora nella sua religiosità vi è tutta rappresentata, senza svolte giansenistiche, senza qualche simpatia pel teismo mazziniano? Agostino è cattolico dal 1848 alla fine miseranda. Giovanni - temiamo - non è fedelmente ritratto nell’aspetto della religione sua se non negli anni ultimi suoi. Il suo spirito antipretesco lo si sente nel « Lorenzo Benoni » ad ogni voltar di pagina : Nel «Dottor Antonio» meno accentuato, ma persistente: e sono le opere del 1854 e del ’5β. E perdura lo stesso spirito nel « Vincenzo » del ’G7. In «Un angolo tranquillo del Giura » Giovanni si adagia tra le libere forme calvinistiche. E in famiglia egli aveva accanto la saggia protestante Cornelia Turner, amata e venerata sempre. Spero in un mio lavoro prossimo mettere in luce questo influsso religioso, più che di lei, della permamenza in Inghilterra sull’esule : per cui Giovanni, allevato come i fratelli cattolicissimamente, allontanatosi dalla Chiesa nell’Università, nel carbonarismo, nella missione della Giovine Italia, ritornò durante l’esilio ad una fede vaga per amore della Madre e per l’apparente liberalismo della Chiesa Anglicana. Tornato in Italia diffidò sempre delle «tonache» in generale, pur amando sinceramente qualche tonaca; sinché Frate Agostino ricondusse a Cristo quell’anima sdegnosa e stanca. L’unico neo del libro di Fra Ginepro è dunque questo : di mostrarci il trionfo della fede cattolica tra i Ruffini, senza mostrarci le lotte attraverso cui giunsero ad essa. Mentre quanto più faticosa fu la conquista, tanto maggiore è il merito di chi è riuscito a domare il suo orgoglio, il buon Fra Ginepro ci fa Giovanni cattolico qu^si Rassegna Bibliografica senza lotta : simile al decorso lento e sicuro di un placido fiume verso il gran mare della Provvidenza Divina. Ci fa assistere un po’ di più alle lotte di Agostino, che invece rimase sempre un mistico, attraverso i suoi errori, e quindi più facilmente ritrovò la fede. Ma il buon Padre non è capace di pensare il male nella saldezza della sua fede e tanto meno in creature superiori, verso cui à una ammirazione entusiastica. 0 temette forse che una scossa in questo campo delle lotte interne offuscasse il candore delle sue pagine, su cui aleggia come una benedizione francescana l’approvazione ecclesiastica e dell’Ordine. Libro dunque bello e buono, ed anche edificante, a cui bisogna però appaiare la conoscenza dei Ruffini nel periodo della giovinezza irruente ed eroica sino al 1833, e in quello dell’esilio sino al ’48. Dopo allora li ritrovi qui nel libro, da quando, tosto o tardi, tornano a Dio e anno comjpiuta la loro evoluzione politica, che li à portati al Parlamento Subalpino, e dopo una brusca evoluzione morale, che U distaccò dal mondo ; l’uno per morire fra sofferenze atroci dopo cinque anni di agonia, l’altro per chiudersi in una solitudine profonda che gli faceva fastidire e pur sopportare cristianamente (quando non poteva sfuggirli) i rumori mondani. Adolfo Bassi. D. F ornar a, / Benedettini e la Madonna di Canneto a Taggia. Ricerche storiche, considerazioni e proposte, Chieri, 1928. Questo opuscolo si può definire un saggio caratteristico di soggettivismo storico. L’autore si è collocato nel centro di quel picco- lo mondo che si è venuto creando con lunghi anni di solitarie .meditazioni, lo ha popolato dei suoi fantasmi, lo ha animato di ipotetiche vicende e ce lo presenta come una realtà. Possiamo concedere che Pautore ih buona fede abbia creduto di averci dato la storia della Madonna di Canneto di Taggia, ma dubitiamo forte che sia riuscito nel suo intento. L’esame particolareggiato di esso ci porterebbe a interminabili discussioni e contestazioni circa il metodo seguito dall’autore e Pat-tendibilità di molte sue affermazioni con perdita di tempo, sciupìo di spazio nelle pagine del « Giornale » e utilità molto discutibile. In sostanza, l’A. avendo saputo ,per caso che a 39 Km. da Sora esiste un Santuario di Canneto dedicato alla B. V., suppose che la Madonna di Canneto fosse stata trasportata dalla Campania a Taggia dai Frati Benedettini, i quali stabilitisi a Pedona (Borgo S. Dalmazzo) al tempo di Gregorio Magno, sarebbero passati di là a S. Dalmazzo di Tenda e da Tenda, a Taggia. Questo supposto stan- 152 Rasseqna Bibliografica zi amento dei Benedettini a Taggia nell’ottavo o nono secolo dell’E. V. non è provato da alcun documento, ma FA. vi supplisce con delle ipotesi, che nella sua mente si trasformano assai presto in verità indiscutibili e diventano a loro volta argomenti a sostegno di nuove ipotesi. Per seguire FA. in questa ricostruzione, bisogna essere animati dalla stessa fede che ha sorretto lui nel lungo cammino attraverso i secoli, bisogna credere sulla sua parola. Se il lettore non è animato dalla stessa fede, può chiudere il libro e riposare senza rimorsi. Del resto FA. trova modo di farci sapere che è molto divoto della Madonna di Canneto ; che venera i frati Benedettini ; ci illumina intorno al clima di Taggia, all’altezza dei monti, che le sorgono alle spalle e la difendono dal freddo boreale, all.’influenza che le Alpi Scandinave esercitano sul clima della Riviera di Ponente; discorre con competenza· delle qualità degli ulivi, delle malattie parassitarle a cui vanno soggetti, dei prezzi di costo della produzione e dei prezzi di vendita dell’olio, ecc. ecc., e termina, proponendo che, data la decadenza della coltivazione dell’ulivo ed il crescente sviluppo della coltivazione dei fiori, la Madonna di Canneto da protettrice dell’albero sacro ad Athena venga elevata alla dignità di protettrice dei floricoltori. Ai quali, naturalmente, lasciamo l’onere e l’onore della decisione. C. Bornate. Spigolature e Notizie E’ stata nominata la Commissione Reale per la pubblicazione degli scritti di Garibaldi, la quale dovrà curarne l’edizione nazionale. La Commissione presieduta dall’on.le Di Marzo, sottosegretario all'Educazione Nazionale, è composta alle seguenti persone: prof. Eugenio Casanova, sopra intendente del-ΓArchivio di Stato di Roma e dell’Archivio del Regno; prof. Codignola, direttore del Museo del Risorgimento di Genova; prof. Adolfo Colombo, direttore del Museo del Risorgimento di Torino; Giuseppe Fonterossi; prof. Alessandro Luzio, Accademico d’Italia; Antonio Monti, direttore del Museo del Risorgimento di Milano; sen. prof. Luigi Rava. ìjC Sfi îjî Antonio Cappellini continua ad illustrare in «A Compagna» del febbraio 1931 i «Tesori d’Arte Patria» parlando dei migliori artisti genovesi di cui illustra via via le opere più cospicue. * # ❖ Un interessante studio sulla migrazione in Corsica di una considerevole colonia romana tra l’VIII ed il X secolo, traccia Pierre Ajutello nella ((Revue de la Corse » del gennaio-febbraio 1931, prendendo in esame « La Croisade d’Ugo Colonna». $ $ $ Nel fase, gennaio-febbraio 1931 della «Revue de la Corse», A. Ambrosi prosegue e termina la pubblicazione del giornale di un ecclesiastico «Au lendemain DE L'OCCUPATION DE LA CORSE PAR LES| FRANÇAIS». * ❖ * E. Ceccarelli nel numero di febbraio del «Forum 'Livii » di Forlì, rievoca gli avvenimenti che condussero « Garibaldi a Forlì nel 1S59». * % * jj, Levrero traccia in «A Compagna» del febbraio 1931 il profilo di <( Matteo Vinzoni » ingegnere e cartografo della Repubblica di Genova. ❖ * * A. Cappellini in «Genova» Rivista Municipale del marzo 1931 scrive sulla «Villa Pallavicino detta delle Peschiere» luogo assai ricordato nella vecchia Storia di Genova. $ * * Marcus De Rubris scrive in «Giornale di Genova» del 3 aprile 1931 su «D’Azeolio a Genova ». 154 Spigolature e Notizie In «Nuovo Cittadino» del 3 aprile 1931, Fra Ginepro da Pómpeiana evocala figura di Padre Semeria · in uno scritto dalf titolo : «Il Genio benefico della Riviera ». »j» ¥ «Remigio Zena» (Gaspare Invrea) è ricordato da in «Giornale di Ge- nova» del 4 aprile 1931. ÿ ÿ ^ In «Corriere Mercantile» del 4-5 aprile 1931 uno scritto anonimo dal titolo: «Pasqua» ricorda la grande parte ch’ebbero ì Genovesi nell’espugnazione di Gerusalemme e nel ricupero del Sepolcro di Cristo. ÿ $ $ Nello stesso numero di detto giornale è ricordato brevemente in altro scrìtto anonimo «Sinibaldo Scorza», pittore esimio del sec. 17.o ch’ebbe a patir guai dalla Repubblica sospettosa della predilezione che per lui ebbe Carlo Emanuele I Duca di Savoia. ❖ ❖ ❖ F. G. in «Giornale di Genova» del 5 aprile 1931 illustra «La Pasqua dei Genovesi a Gerusalemme » ricordando il vessillo di S. Giorgio sul S. Sepolcro- In uno scritto anonimo pubblicato ne l’«Unione Sarda» di Cagliari dell'8 aprile 1931, si rievoca la collaborazione fra « Donizeiti - Ruffini - Mario de Candia » che diede come frutto prelibato il Don Pasquale. * * * Vito Vitale scrive in «Giornale di Genova» dell'S aprile 1931 su Giulio Cesare Vacherò col titolo « Ii. Catilina genovese ». ❖ ìjì Col titolo « L'olio del Gattiluscio » Amedeo Peseio scrive sul «Secolo XIX» del 10 aprile 1931, una pagina di storia coloniale antica (sec. XIY). « Stecchetti a Genova » è ricordato da «Marbet» in « Lavoro » del 10 aprile 1931. * ❖ ❖ « La Chiesa od Oratorio della Concezione » già dipendenza della Chiesa di S. Francesco di Castelletto e ricca di ricordi genovesi, è illustrata da Jjazzaro De Simoni in «Nuovo Cittadino» del 32 aprile 1931. Il «Nuovo Cittadino» del 14 aprile 1931 ha un brevissimo scritto anonimo dal titolo «Benedetto XIV e la Citta’ di Sarzana», dalla quale ebbe in dono un ritratto del Card. Albergati. ❖ ❖ ❖ «Lo caxo di messer Zoane Antonio» è narrato da Amedeo Peseio in «Secolo XIX» del 17 aprile 1931. Si tratta di Giovanni Antonio Fiesco giustiziato a mano del boia per ordine del Doge Giano Fregoso nel vortice politico del 1447. Spigolature e Notizie 155 * ÎJÎ ❖ In «Nuovo Cittadino» del 38 aprile 1931 Antonio Cappellini evoca i «Fasti religiosi e civili nella sollevazione dt Genova contro gi.t Austrjacj v- 1746-48». $ * * «La Chiesa di Santa Fei aprile 1931. Φ ¥ H· Il Generale Colonna de Giovellina traccia un succoso profilo del «General François Gaffori» nel fase, gennaio-febbraio 1931 della «Revue de la Corse». Nel fascicolo marzo-aprile fa seguire al profilo una nutrita Appendice di documenti. îjî îjî ¥ Antonio Cappellini continua in «A Compagna» di aprile 1931 a passare in rassegna i « Tesori d’Arte Patria ». In Questa puntata è illustrata sopra tutto l’opera artistica del Maragliano, celebrato scultore in legno. * ❖ * Uno scritto postumo di Pierre Termier su « La Geologie de la Corse », nel quale si dànno gli ultiDii risultati delle ricerche geologiche nell’isola, è apparso nella «Revue de la Corse» del marzo-aprile 1931. ❖ * ❖ Q. Florio scrive in «A Compagna» di aprile 1931 su «Il Santuario della Madonnetta e la sua origine». * ❖ ❖ In «A Compagna» di aprile 1931 Stefano lìebaudi ricorda «Ugo Foscolo in Liguria». * ❖ * Proseguendo nella sua illustrazione delle più celebrate Ville genovesi A. Cappellini illustra in «Genova» Bollettino Municipale di aprile 1931 «Villa ‘Scassi - λ'illa Rostan - Villa Imperiale ». $ $ $ Raffaele di Tucci con la consueta sagacia e ricchezza di dati attinti da documenti d’archivio illustra nel «Corriere Mercantile» di Genova del 30 aprile-1 maggio 1931 la « Crisi vinicola in Liguria alla metà del seicento ». ❖ ❖ ❖ « Sulle rivalità’ di Genova e Pisa per la Corsica» riporta pagine del Ri-nieri, tratte dall’«Archivio Storico di Corsica» il «Corriere Mercantile» del 2-3 maggio 1931. * * ❖ In «Nuovo Cittadino » del 2 maggio 1931 Domenico Fornara scrive su « I Benedettini nella Vallata di Taggia. Secondo l’autore essi v’avrebbero por-iato l’olivo da Montecassino. 156 Spigolature e Notizie * ❖ * « La Chiesa di Antonio di Boccadasse » antico saccello sotto la diretta giurisdizione del Senato della Repubblica, è illustrata da Lazzaro De Simoni in «Nuovo Cittadino» del 30 maggio 1931. * * * 111 «Secolo XIX» del 3 maggio 1931 è tracciata (a firma B.B.) la storia d’una istituzione genovese del secolo 18° « li- Collegio dei soLDÀ’rmi » detti anche gli Usseri della Divina Pastora. i’fi ❖ ❖ Rosetta Mazzuoli ricorda in «Corriere Mercantile» del 5-G maggio 1931 « Lord Byrqn a Genova». îjî ÿ îjî Fra Ginepro scrive in «Nuovo Cittadino» del 6 maggio 1931 su «Il Padre Cristoforo di Giovanni Ruffini » che sarebbe il padre Agostino Martini di Taggia. H: & 3: Su Lanfranco Cicala poeta genovese del secolo XIII, scrive Amedeo Pescio in «Secolo XIX» del 9 maggio 1931 col titolo.: «Belriso e fin cor». ■ί 'i* '!> Leopoldo Marchetti rievoca sulla scorta delle memorie autobiografiche « Come Garibaldi conobbe Anita », nel «Giornale dell’Arte » di Milano del 10 maggio 1931. ifi ÎJÎ In «Corriere Mercantile» del 12-13 maggio 1931 è recensito ampiamente il volume di P. Luigi Levàti : «I Dogi biennali di Genova dal 152S al 1099». Vito Vitale in «Giornale di Genova» del 1(> maggio 1931 scrive su «Le memorie di Gerolamo Serra» ora pubblicate dal Prof. Nurra che le trasse dagli archivi Serra. «La Chiesa di S. Tomaso» è illustrata da Lazzaro De limoni in «Nuovo Cittadino» del 17 maggio 1931. ί Φ A. G. C. T. illustra in un breve articolo pubblicato ne « La Sesia» di Vercelli del 22 maggio 1931, i rapporti intercorsi fra «Giovanni Rxjffini e Cario Alberto». In «Corriere Mercantile» del 22-23 maggio 1931 si parla de «I Bollandisti IIeuschenio e Papbbrochio a Genova nel 1662» togliendo lo scritto dall’articolo di M. Battistini pubblicato nel nostro «Giornale Storico». * * * Il Canonico Mussi scrive in «Nuovo Cittadino» del 23 maggo 1931 su «Il Mìarcìhese Giulio Cibo e Giannettino Doria» illustrando l’aiuto non indifferente che il Cibo prestò ai Doria in occasione della congiura del Fiesco. « * Spigolature e Notizie 157 $ ìj: * Il «Corriere Mercantile» del 23-24 maggio 1931 ripubblica il noto profilo di Augusto Franchetti su «Giovanni Ruffini». % % * In «Giornale di Genova» del 24 maggio 1931 Vito Vitale scrive di «Giovanni Ruffini diplomatico». % # ❖ «Il Lavoro» del 24 maggio 1931 lia un resoconto di «Una visita a villa ELEONORA, LA STORICA CASA DI TAGGIA DOVE ELEONORA RUFFINI PIANSE IL FIGLIO MARTIRE ED ATTESE I FIGLI ESILIATI». * # * In «Corriere Mercantile» del 27-28 maggio 1931 «Oesmar» rende conto de «Le ricerche in Ispagna di G. Monleone e G. Pessagno» dirette a provare la nascita genovese di Colombo. * * * Interessanti «Ricordi Bastiesi dell’anno 1878» rievoca Luigi Olivieri in «Il Teleorafo » di Livorno del 28 maggio 1931. o ❖ * ❖ X] M. Lugaro recensisce in «Nuovo Cittadino» del 28 maggio 1931 il vo-lume 'di Fra Ginepro «I Ruffih e un Padre Cristoforo nel Risorgimento». & ❖ % Mario De Camillis ricorda in «Nuovo Cittadino» del 30 maggio 1931 «Il Cardinale Gaetano Alimonda» prelato genovese di molta fama, come oratore e conferenziere, verso la metà del secolo scorso. # ❖ ÿ «Genova», Bollettino Comunale del maggio lî)31 lia un’ampia illustrazione de «La Riviera Ligure di Giovanni Ruffini». ❖ ❖ ❖ «Prospero Peragallo» illustre biografo genovese di Colombo è ricordato da P. T. Taviani in «Genova» Bollettino Municipale di maggio 1931. $ ì*ì Un breve scritto su i «Ruderi lunensi» è pubblicato da Giuseppe Rizzo in «A Compagna» di maggio 1931. % & * Sante rargellmi scrive in « Emjorium » del maggio 1931 su « S. M. Elisa Bacciocchi e Nicolò Paganini Capitano dei Gendarmi». ❖ ÿ * Marino Alerello scrive di «Ina curiosa evasione dalla Torre Ducale» in «A Compagna» del maggio 1931. Si tratta del soggetto di una commedia imbastita su di una pretesa evasione di un ufficiale francese nel 1625. $ & Antonio Cappellini continua in «A Compagna» del maggio 1931 il suo studio su i «Tesori d’Arte Patria». 158 Spigolature e Notizie ❖ ❖ ❖ Lavagninus scrive a lungo in «A Compagna» di maggio 1031 su «Sinibaldo Scorza » gentiluomo genovese in buona fama di pittore ed artista. ❖ ❖ ❖ « Un episodio della lotta tra Genova e Federico 77» è ampiamente rievocato in «A Compagna» del maggio 1931. ❖ ❖ ❖ In «popolo d’Italia» del 2 giugno 1931 Orlando Danese rievoca «Una visita di Garibaldi al Vescovo di Cremona». Si tratta di Mons. Novasconi, prelato -ch’ebbe fervida coscienza italiana. ÿ ÿ $ Col titolo « Ville Genovesi » sono ricordate in «Giornale di Genova» del 5 giugno 1931 le Ville Scassi e Rostan, in uno scritto anonimo ricco di dati storici e ricordi paesani. ❖ ❖ ❖ Su «L’Uomo del bosco - (Vir Nemeris) », poema corso, scritto in lingua latina da Giuseppe Ottaviano Nobili Savelli, nuovamente edito da Mario R. Cecconi, Dora. P. traccia in «Il Telegrafo» di Livorno del 5 giugno, una recensione assai severa. ❖ ❖ ❖ Ars ricorda in «Lavoro» del 9 giugno 1931 il soggiorno di «A. Dumas padre a Genova». îjî îjî sjc In « Secolo XIX» dell’ll giugno 1931 Raffaele Di Tucci scrivendo su «D’Artagnan: personaggio storico » ricorda come i Genovesi sperimentassero a loro danno l’influenza di cui godeva il D’Artagnan presso Duigi XIV e narra d’un incidente tra il Governo del Re e la Repubblica a proposito d'un capitano di nave genovese depredato nella rada di Hyères nel 1661. * * # Vito Vitale esorta gli studiosi di storia genovese a « Ritornare al medioevo» ed ai documenti che esso ci offre, per rifare la storia vera, sbarazzandoci di leggende (come quella del Megallo Lercaro). Lo scritto è pubblicato in «Giornale di Genova» del 17 giugno 1931. * ❖ ❖ G. M. Garibaldi col titolo «Pantaleo Garibaldus prò simulacro suo» rievoca in «Corriere Mercantile» del 16-17 giugno 1931 una pagina di storia genovese della prima metà del sec. 17°. * % % «Un piccolo museo d'arte e di curiosità genovesi» cioè quello posseduto degli Ospedali Civili Genovesi è illustrato da Emanuele Campi in « Corriere Mercantile » del 17-18 giugno 1931. 159 >;: îjî ❖ In ((Corriere Mercantile» del 18-19 giugno 1931 si parla del « Senso artistico e signorilità genovese» trattando del mecenatismo come appare nella storia e nelle tradizioni di Genova. * * * Lazzaro De Simoni evoca in « Nuovo Cittadino » del 24 giugno 19.31 «Colui che va ricordato» : Lazzaro Girardoni, Podestà di Genova nel 1227. # ❖ ❖ /. g. scrive in «Giornale di Genova» del 24 giugno 1931 col titolo : « Manifestazioni del FOlicore Genovese » sulle feste e cerimonie di Genova antica in occasione della festa di S. Giovanni P»attista. ❖ ❖ % Su «Il Dramma dei Ruffini » scrive Ars in «Lavoro» del 25 giugno 1931. # ❖ # « La Madonna di Pontelungo » antico Santuario presso Albenga accanto ad un celebrato ponte romano, è ricordata da «Fra Ginepro» in «Nuovo Cittadino» del 27 giugno 1931. ❖ ❖ ❖ In «Giornale di Genova» del 27 giugno 1931 (di girovago» ritesse le storie di «Belvedere» ridente e storico Santuario sopra a Sampierdarena. * ❖ ❖ «Una lettera inedita di Agostino Ruffini» al Magioncalda è pubblicata da F. M. Rossi in «Corriere Mercantile» del 27-28 giugno 1931. APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su G. Mazzini pubblicati all*estero — —, 7? 59° anniversario della morte di Mazzini, in « II Mattino d'Italia », Buenos Ayres, 11 marzo 1931. •Si dà notizia delle cerimonie commemorative avvedute a Genova il 10 marzo nel 59o anniversario iella morte del grande genovese. --, Ricordi di Giuseppe Mazzini, in « Unione », Tunisi, S aprile 1931. Vari anedotti e giudizi curiosi ed interessanti su l’Apostolo. L’articolo si chiude con questa affermazione : « La visione del Pascoli si propaga e concreta nel tempo nostro. Oggi tutta la Nazione è giovane Italia. Mazzini non è più esule in patria ». Perchè Mazzini morì in casa Rosselli e non presso sua sorella Antonietta?, in « Patria degli Italiani », Buenos Ayres, 19 aprile 1931 Si ripubblica l’articolo di Lorenzo Alpino comparso su il « Lavoro » di Genova del 10 marzo 19S1, già segnalato. --, La conferenza di Augustin Thierry alla « Dante Alighieri », in « Nuova Italia», Parigi, 12 maggio 1931. Succinto resoconto di una conferenza tenuta dal T. a Parigi il 9 maggio, in seguito ad invito della Dante Alighieri, su la Principessa Cristina di Beigioioso. Il Thierry illustrò fra l’altro i rapporti che intercorsero fra la patriota lombarda ed il Mazzini. -, Leone XIII, Papa Veggente, in « Vita Coloniale », Cordoba, 21 maggio 1931. A proposito dell’enciclica Rerum Novarum 1Ά. trova una singolare analogia fra la dottrina del Papa Pecci e quella del Mazzini. « Mazzini - scrive - respinse là lotta di classe, che aveva a sua disposizione un’arma a doppio taglio : lo sciopero ; proclamò anzi la collaborazione di classe. « Leone XIII decise con l’enciclica Rerum Novarum, per quanto Mazzini sia apparentemente fuori della Chiesa, la vittoria del Grande di Staglieno sull’autore del Capitale e del Manifesto dei .Comunisti:». A. F. Franchi, La Corsica, in «A Muvra», Aiaccio, 24 maggio 1931. Ampia recensione del volume del Tencajoli già segnalato nelle Spigolature. Si mette in rilievo l’importanza del saggio su Mazzini che si trova nella raccolta. Bibliografia Mazziniana 161 --■, Dante Alighieri, in «Squilla Italica», Berna, 5 giugno 1931. In una corrispondenza da Grenchen si dà notizia della proposta fatta dal Presidente del Comitato della « Dante Alighieri » Carlo Bigolin, di erigere una casa degli italiani che dovrebbe servire a raccogliere i nostri connazionali « nell industre e ospitale cittadina che già accolse tra le sue mura il pensoso attore del risorgimento italiano, G. Mazzini ». Opere e studi sa G. Mazzini pubblicati in Italia Giuseppe Mazzini, Scritti editi ed inediti, Imola, Galeati, 1931. E’ il 57^ volume degli Scritti mazziniani curati con la consueta ?agacia da Mario Menghini. Si prosegue la pubblicazione dell’ E pistolario — giunto ormai al 33o volume che contiene 170 lettere che vanno dall’8 agosto 2856 al 7 marzo 1857 e cioè alla vigilia dell’insu*·- rezione genovese dello stesso anno. G. O., Giuseppe Mazzini al liberale Giacomo Ricci, in «Polimnia», Roma, luglio 1930. Si ripubblica integralmente la lettera del Mazzini al Ricci già edita da Giovanni Spadoni nella Rassegna Storica del Risorgimento; se ne stabilisce con precisione la data, e si porta nuova luce f-ui rapporti intercorsi fra il marchigiano ed il genovese. Alessandro Levi, Amici israeliti di Giuseppe Mazzini, in «La Rassegna mensile di Israel », Firenze, aprile 1931. Il Levi, noto cultore di studi mazziniani, illustra in una nutrita monografia le figure degli amici di Mazzini di razza ebrea: accennato all’Usiglio, sul quale porta scarsissima luce, si sofferma ad illustrare con dovizia di informazioni, i più singolari personaggi delle famiglie Nathan e Rosselli. Nel saggio si trovano pure due lettere inedite del Mazzini, la prima alla Sarina Nathan del luglio 1861 e la seconda a Ernesto Nathan del giuguo 1867. Giuseppe Fonterossi, Un carteggio inedito di Mazzini coti Fortunato Prandi, esule del ’21, in «La Stirpe », Roma, aprile 1931. T! F. studia i rapporti intercorsi fra il Prandi ed il Mazzini con l'ausilio di varie lettere importanti deppostolo ; fra tutte la più significativa e di singolare valore storico è quella della fine del 1834 con la quale invita l’amico a farsi promotore della costituzione della Giovine Europa in Inghilterra. Antonio Monti, Mazzini al tramonto, in « Corriere della Sera » Milano, 15 maggio 1931. L’instancabile direttore del Museo del Risorgimento di Milano illustra vari importanti documenti inediti mazziniani; notevoli fra gli altri un rapporto della polizia pontificia sul Grande Genovese ed una lettera di Mazzini ad ignoto, che risale al 1870, riferentisi all’ultimo suo tentativo insurrezionale. Alessandro Luzio, Antonio Panizzi in « Corriere della Sera », Milano, 21 maggio 1931. La biografìa del Panizzi recentemente pubblicata da Coetanee Brooks da occasione al L. Hibliografia Mazziniana •li portare il suo sagace esame anche sili rapporti intercorsi fra il Panizzi ed il Mazzini ed il contributo è, naturalmeute, di prim’ordine. A. F., Ina lettera inedita di G. Mazzini al pittore Andrea Cefaly, in « Brutium » Reggio Calabria », 31 maggio 1931. ^ ien pubblicata un'importante lettera del Mazzini che risale al 17 novembre 1862 al patriota calabro Andrea Cefaly, in cui insiste sulla necessità di organizzarsi al fine di ottenere «Italia una - Roma metropoli». Articoli vari in Riviste e Giornali Renato d'Ambrosio, T'na nuova edizione delle opere filosofiche (edite ed inedite) e dell1 Epistolario di Marx ed Engels, in « Nuova Rivista Storica », Napoli, gennaio 1931. Nutrita recensione della nuova raccolta, in corso di stampa, degli scritti di Marx-Engele a cura di 0. Rjazanov. Nei tre primi volumi della terza serie che comprendono l’epistolario Marx-Engels dal 1844 al 1853, dal 1854 al 1860, dal 1861 al 1867, si trovano notevoli giudizi dei due filosofi tedeschi su Giuseppe Mazzini. — —, Autografi di Giuseppe 'Garibaldi donali al Comune di Ferrara, in «Avvenire (li Tripoli», 31 marzo 1931. Si seguala il dono fatto al Comune di Ferrara dall’iugegnere A. Estivai del carteggio di Virgilio Estivai, di padre spagnuolo e di madre belga, nato in Francia e combattente in Italia nella campagna del 1859. Fra gli autografi ve ne sono dei mazziniani che verranno editi tra breve da Carlo Zaghi di Ferrara. Alessandro Luzio, Luigi Dottesio e la Tipografia di Capolago, in « Corriere della Sera», Milano, 31 marzo 1931. Il geniale storico nostro prende lo spunto dall’importante studio dal Caddeo pubblicato, per dissipare il sospetto sorto a non pochi lettori dell’opera che il Daelli sia stato colpevole scientemente della condanna del Dottesio e per deplorare il «meschino individualismo» di Carlo Cattaneo, che portò come conseguenza la chiusura della fucina mazziniana di Capolago. 11 L. afferma che il Cattaneo durante la lotta col Mazzini, cedette alle suggestioni del Ferrari e del Cernuschi, per i quali Mazzini era considerato « poco meno che un traditore, un venduto a Carlo Alberto; cosicché diventa più legittima l’illazione che, se effettivamente il Re sardo avesse avuto attorno più accorti1 ministri, l’intesa tentata dal Conte di Cstagnetto col Mazzini avrebbe potuto forse riuscire, ad incalcolabile beneficio della prima riscossa ». •Claudio Isopescu, Un mazziniano romeno : Nicola Balcescu, in cc Corriere Mercantile », Genova, 31 marzo 1931. Si ripubblica l’articolo già segnalato comparso su « La Voce di Mantova » del 24 luglio 1930. L’articolo è stato pure ripubblicato da « Regime Fascista» di Cremona e dal «Giornale del Friuli» di Udine del 7 aprile 1931. Bibliografia Mazziniana 163 Λ. Andbiulli, La Tipografìa Elvetica di Capolago, in « Italia che scrive », Roma, marzo 3931. L’A. definisce « assurda » l’ipotesi che il Daelli sia "tato una spia. ---, Mazzini riveduto e corretto, in « Camicia Rossa », Roma, marzo 1931. « Al periodico genovese II Griilo d'Italia, organo di una associazione o fratellanza eoe!· detta mazziniana, è accaduto un curioso infortunio sul lavoro. Durante una poleinichetta con VOsservatore Romano, esso ha attribuito al Cardinale Ber-tram semplicemente un passo di.. Giuseppe Mazzini. L’equivoco è stato rilevato da quelle vecchie volpi che sono gli scrittori del giornale vaticano, cui II Grido d'Italia, ricordando che un bel tacer non fu mai scritto, avrebbe fatto cosa ottima a non rispondere. In certi casi il rimedio è sempre peggiore del male. Di questo parere non è stato il periodico genovese, il quale ha inteso giustificarsi dicendo di non essersi ricordato che «nei settanta o ottanta volumi ai quali è arrivata l’edizione degli scritti di Mazzini » (veramente sono appeua cinquantasei!) c'era anche il periodo citato dall Osservatore Romano. La risposta del Grido d’Italia ha offerto naturalmente il destro all’Osservatore per una replica spassosa. Ma non è questa che c’interessa, come — 6i badi bene — non c’interessa la polemichetta in sè. \ogliamo piuttosto osservare che il Grido d'Italia ha ammonito l’organo vaticano di non ritirar fuori, nella risposta, Mazzini. E perchè? Perchè, scrive il periodico genovese, « in questo ed altri campi l’abbiamo già riveduto e corretto ». Noi siamo abituati a stupirci di ben poche cose, ma tuttavia dobbiamo riconoscere che questa ci sembra un po’ forte. Mazzini riveduto e corretto? E da chi? Dagli scrittoli del Grido d'Italia. Il quale deve essere un giornale scritto da gente di polso, .«e ha saputo e potuto dire il fatto suo anche a Giuseppe Mazzini. Bisognerà dunque da ora in avanti tenerlo d’occhio, perchè in un foglio di questo calibro c’è sempre sicuramente qualcosa di nuovo da imparare». Adriano Augusto Michieli, La storia di una tipografìa, in «Gazzetta di Venezia », 1° aprile 1931. Breve recensione della monografia, più volte citata, del Caddeo : il M. sostiene che Gino Daelli fu una spia e lo inette in compagnia di due autentici delatori, l*ing. Curti di Vicenza e il dott. Paolo Flora di Treviso. --, Luigi Dottesio e Gino Daelli, La Tipografia Elvetica di Capolago in « Provincia di Como », Como 1° aprile 1931. Si sostiene l’innnocenza di Gino Daelli, incolpato tutt’al più di «imprudente ragazzaggine», e si ripubblica a suffragio di tale tesi i punti più salienti dell’articolo del Luzio già segnalato. Alberto Lumbroso, Giuseppe e Domenico Giuriati nel Risorgimento italiano, in « Le Opere e i Giorni », Genova, lo aprile 1931. E’ la seconda puntata dello studio già segnalato. Paolo Pantaleo, Il 1866, Mazzini e la spedizione dei Mille, in « Regime Fascista », Cremona, 2 aprile 1931. Il P. continua la risposta polemica col Malatesta rivendicando una più equa valutazione dell’opera svolta dal Mazzini nella formazione dell’unità italiana, soffermandosi in parti-colar modo — in questa sesta puntata — ad illustrare l’ispirazione e l’impulso deli'Apo-postolo nell’impresa dei Mille. 164 Biblioguafi a Mazziniana Sac. A. L·., Intorno all’ultima sorella di G. Mazzini. Il « Lavoro » ed il «.Nuovo Cittadino», in «Liguria del Popolo», Genova, 28 marzo, 4 aprile 1931. L’ex aìpino ha lasciato il posto al Sac. A. C. : se ciò non fosse e la stessa persona ci ricomparisse sotto diversa firma, dovremmo dire lo stesso che il tono delle diatribe è mutato, ed in meglio: si risponde senza ingiurie agli articoli già| segnalati de «Il Lavoro» e del «Nuovo Cittadino», e cioè del Barb. (Lorenzo Alpino e non Barbato), del Massuc-cone e di un certo D, che potrebbe anche essere ~Lazzaro de Simoni. L'A. compila un formulario di sei domande alle quali esaurientemente risponde, s intende dal suo punto di vista, riconfermando nella sostanza, quanto già l’ex alpino, con più vivace spirito aggressivo aveva affermato nelle note già segnalate. Paolo Pantaleo, I/impulso mazziniano ai Fati dei Mille, in « Regime Fascista », Cremona, 5 aprile 1931. Continua la risposta polemica del P al Malatesta; si termina l’indagine sulla influenza eseì citata dal Mazzini su l’epica impresa che condusse rapidamente all’unità. --. Ancora della Tipografia Elvetica di Capolago, in « Provincia di Como », Como, 7 aprile 1931. Si ripubblica l'articolo dell’Andriulli già segnalato. P. Pantaleo, Mazzini e le antitesi del Risorgimento, in « Regime Fascista », Cremona, 8 aprile 1931. Il P. prosegue 1 acuta analisi sulla funzione del mazzinianismo nella storia del nostro risorgimento e termina facendo sua la domanda del Luzio : « Se i due disprezzati mistici — Carlo Alberto da un lato, Mazzini dall’altro — non avessero dissodato il terreno, imposto nettamente le questioni di riscatto nazionale, di unità e di libertà a che avrebbero approdato le rari doti del Conte «realizzatore»? Ars, I/albergo del «Leone Rosso», in «Lavoro», Genova, 10 aprile 1931. Il Saiucci rievoca con la consueta ottima informazione la causa dell’arresto di Mazzini e cioè l’aver conferito nel luglio del 1830 il «secondo grado» al maggiore Cottin nella locanda del «Lion Rouge». Gru Lit · Moroni, La Tipografia Elvetica di Capolago nella storia di Varese, in « Cronaca Prealpina », Varese, 10 aprile 1931. 11 M. recensendo la monografìa del Caddeo più volte segnalata, indaga le figure di Varese ricordate in essa ed illustra fra le altre quella di Tranquillo Ronchi che verso la fine del 1852 e al principio del 1853 fu nel Canton Ticino quale emissario di Mazzini. X, I Genovesi in Africa ed in America, in « Liguria del Popolo », Genova, 11 aprile 1931. Succinta recensione dello studio di Carlo de la Roncière sopra La découverte de l'Afrique au moQen âge. Si accenna al tentativo fatto da Paolo Centurione per recarsi in India attraverso la Russia nel 1522, che fallì per il rifiuto di Basilio IV. «Ma il documento esiste — scrive X —, che testimonia il piano ardito concepito dal Genovese e che forma una anticipata confutazione dell’asserzione di Giuseppe Mazzini che la nostra aristocrazia si era sempre dimostrata incapace di idee grandiose». E’ il caso di ripetere manzonianamente: «L’untore! dagli! dagli! all’untore!» Bibliografi a Mazziniana 165 Prof. A. L., Ancora intorno ad Antonietta Mazzini, in «Liguria del Popolo», Genova, 11 aprile 1931. Ancora sulle lettere del Mazzini appartenute ad Antonietta. Dopo aver ribattuto le af fermazioni del Massuccone e dell’Alpino, il Sac. A. C. conclude. «A C0D(^iar 1 ogni cosa non resta se non che ritenere tre cose: l.o che le lettere di . azzini a a sorella Antonietta esistevano alla sua morte insieme a quella di lui alla ma re, tutte furono consegnate dai nipoti agli inviati mazziniani, che avevano appun rico di ritirare i manoscritti di Mazzini. 3.0 Che mentre le lettere di . azzini madre videro la luce, quelle di lui alla sorella furono seppellite nell oblio. E quale ne fu il motivo ? Pensiamo proprio che il motivo religioso ne sia la ragione p ausi ι e. Non piacque agli editori dell’epistolario mazziniano l’atteggiamento rel.gioso assunto dal Mazzini scrivendo alla sorella, e perciò le sue lettere furono soppresse. Ma non è detto che un giorno non possano veder la luce>. Fortunato Rizzi, rei centenario d’una lettera, iu «Minerva», Torino, lo aprile 1931. La lettera è quella indirizzata dal Mazzini a Carlo Alberto, al dimani della assunzione al trono del Re Sabaudo. La ricorrenza suggerisce al R. alcune considerazioni non nuo\t nè acute. Attilio Oraziani, Una lettera a Carlo Alberto, iu «Vedetta Fascista», licenza, 18 aprile 1931. La ben nota lettera del Mazzini a Carlo Alberto del 1831 suggerisce osservazioni non soverchiamente peregrine al G., il quale in base a tale documento definisce il Mazzini non solo un grande patriota ed un pensatore, ma «un precursore e un profeta*. P. Pantaleo, Mazzini, Ricasoli e la Toscana nel 1859, in «Regime Fascista», Cremona 26 c- 28 aprile 1931. Gli articoli del P. in polemica col Malatesta già segnalati hanno provocato una lettera al direttore di «Regime Fascsita» di Mario Puccioni, il quale rivendica «quanto è stato fln’ora obliato e trascurato: quanto cioè la Toscana e i suoi rivoluzionari e governanti, e segnatamente il Barone Ricasoli operarono per l’Unità». Il Pantaleo, dichiara e dimostra con esauriente documentazione che l'importanza dell opera svolta dal Ricasoli e dai rivoluzionari toscani fu importante, ma che deve consi-rarsi come secondaria di fronte all’opera gigantesca, compiuta anche in tali frangenti, dal Mazzini. A. Abruzzese, La manomissione delle lettere di Giuseppe Mazzini, in «Gazzetta di Venezia », Venezia, 29 aprile 1931. La recente monograna del Treveylaud sul Manin e l'assedio di Venezia, da modo aU'Àbrui-zese di dimostrare quanto sia arduo il proposito assuntosi dallo storico inglese di voler scagionare Lord Aberdeen dall'accusa di aver contribuito al martirio dei Bandiera. In un primo tempo il Treveyland ammise che il Mazzini ebbe ragione nelle sue violente proteste per la violazione del segreto postale, ora, senza alcun documento prò-ba torlo sostiene il contrario, evidentemente, per cancellare questa brutta pagina della storia del suo paese. M., Una Santa genovese nella cornice del Risorgimento, in «Secolo XIX», Genova, 30 aprile 1931. E’ la solita lettera del Mazzini ad Angela Costa ripubblicata con l’identico commento per l’ennesima volta. / 166 Bibliografia Mazziniana Alina, Il grande reggente - Il grande iniziato, in « Fede Nuova », Roma, marzo-aprile 1931. Appassionata rievocazione della figura del grande Apostolo dell’Unità, che si chiude con la seguente invocazione : « Salve o Maestro! Il tuo spirito è con noi e ci illumina quanto più s’innalza verso le vie dell'immortalità. c Possa l’Italia tua comprenderti un giorno, possa essa farsi come tu la volesti, iniziatrice della terza civiltà nel mondo». Civius, La Tipografia di Capolago, in « La parola e il libro », Milano, aprile 1931. Succinta recensione della monografia di Rinaldo Caddeo più volte segnalata. A. Abruzzese, La manomissione delle lettere di Giuseppe Mazzini, in « Popolo Toscano », Lucca, 1 maggio 1931. Si ripubblica l’articolo già segnalato. Pietro Orsi, y uova luce sui processi del 1833 in Piemonte in « Gazzetta del Popolo », Torino, 1° maggio 3931. Succinta recensione della monografia del Passamonti già segnalata. Alberto Lumbroso, Giuseppe e Domenico Giuriati nel Risorgimento italiano, in « Le Opere e i Giorni », Genova, 1° maggio 1931. Continuazione e fine dello studio sui Giuriati. P. Cesarini, Carosello, in « Rivoluzione Fascista », Siena, 2 maggio 1931. « Giuseppe Mazziui, grande mente di sociologo e di patriotta, quando ancora per molti non era che un visionario ed un esaltato, entusiasta del moto civilizzatore che spingeva tutte le nazioni ad impossessarsi di una parte di terra africana per costituirsi un comodo sbocco alla sovrabbondanza di braccia lavorative o una base militare o delle industrie redditizie, scriveva additando al popolo Italiano la sua miRsione : — Prima un tempo e più potente colonizzatrice nel mondo, vorrà l’Italia rimanere ultima in questo splendido moto? — Nel moto inevitabile che chiama l'Europa a incivilire le regioni africane, come il Marocco spetta alla penisola Iberica e l'Algeria alla Francia, Tunisi, chiave del Mediterraneo centrale, connessa al sistema sardosiculo e lontana un venticinque leghe dalla Sicilia, spetta visibimente all'Italia. — Tunisi, Tripoli e la Cirenaica formano parte importantissima per la contiguità con l'Egitto e, per esso e per la Siria, coll'Asia di quella zona africana che appartiene veramente, fino ali’Atlante, al sistema europeo. — E sulle cime deli Atlante sventolò la bandiera di Roma quando, rovesciata Cartagine, il Mediterraneo si chiamò Mare nostro. — Fummo padroni, fino al quinto secolo, di tutta quella regione. — Oggi i francesi l'adocchiano e l’avranno tra non molto, se noi non l’abbiamo. Ma il Mazzini era un visionario; alle sue parole i governanti non facevano caso e anche questa volta sorrisero commiserando..... ma la predizione di Mazzini si è avverata ». Adriano Augusto Micheli, La Tipografia Elvetica di Capolago in «Popolo di Lombardia», Milano, 2 maggio 1931. Bibliografia Mazziniana 167 Ancora una recensione del volume di Rinaldo Caddeo : il M. crede anch’egli che si debba giudicare il Daelli una spia. A. Petrilli, Degli amori e di un amore di Giuseppe Mazzini, in «Il Solco Fascista », Reggio Emilia, 8 e 16 maggio 1931. Son due articoli dedicati agli amori del Mazzini, ma in realtà inconcludenti : le solite cose dette e ridette sulle prime simpatie. Attendiamo il seguito che ci pare debba giungere, anche se non è annunciato, per ritornare, eventualmente, sul nostro giudizio. Mario Oriolo, Ritorno di Mazzini, in «Giornale di Basilicata», lotenza, 9 maggio 1931. Saggio di divulgazione del pensiero dell’Apostolo dell’Unità senza tuttavia apportare alcun serio contributo alla bibliografia mazziniana. Mario Puccioni - Paolo Pantaleo, Mazzini, Ricasoli e la Toscana nel 1899, in « Regime Fascista », Cremona. Risposta del Pucoioni e controreplica del Pantaleo sull’importanza ch’ebbero rispettivamente Ricasoli e Mazzini negli eventi che condussero all unità d’Italia. •Cosimo Bertacchi, Giuseppe Mazzini e lo Staio Corporativo Italiano, in «La Scure», Piacenza, 15 maggio 1931. Si ripubblica in parte uno studio del Bertacchi facendolo precedere da una breve nota, da cui stralciamo il periodo più importante: «Preso lo spunto da altra pubblicazione di Alice Galimberti, con prefazione di Arrigo Solmi su « Luci Mazziniane nel Sindacalismo Nazionale » il comm. Bertacchi, commenta e illustra il pensiero Mazziniano in raffronto alla realizzazione dello Stato Corporativo attuale». F. Ernesto Morando, Verso nuovi cimenti, in «Messaggero», Roma, 15 maggio 1931. Diffusa recensione sul volume LVII degli Scritti mazziniani. I « nuovi cimenti » eono rappresentati dal tentativo insurrezionale avvenuto a Genova nel 1857, la preparazione del quale rivive nelle lettere pubblicate in quest’ultimo volume dell’edizione nazionale. Fhik, To' chi si rivede!, in «Grido d’Italia», Genova, 24 maggio 1931. Risposta polemica all'articolo di· Fede Nuova » già segnalato — « Rispondiamo brevissimamente — scrive fra l’altro il « Grido » — che tra Macaggi e il fondatore del nostro movimento abbia trionfato il primo è un'opinione di « Fede Nuova » e come tale è rispettabile. Diremo soltanto che degli appunti mossi al Macaggi da Riparbelli, il Macaggi, pur mantenendo il dissenso, ebbe a congratularsi per la forma, in una lettera indirizzata a Riparbelli stesso, il giorno dopo! La Comunità Mazziniana non tenta di gabellare Mazzini per monarchico. Essa si limita a dimostrare che il Maestro non fu nè volle essere un repubblicano come loro; I repubblicani del 1920-22 e quelli d’oggi. » F. Ernesto Morando, Il volume LVII deçli Scritti di Giuseppe Mazzini, in «Corriere Mercantile» Genova, 26 maggio 1931. Ampia recensione dell’ultimo volume degli Scritti mazziniani, in cui mutatis mutandis il M. afferma quanto già disse neH’articolo sul Messaggero segnalato. 168 Arturo Salucci, VIstituto Mazziniano, in « A Compagna », Genova, maggio ,1931. 11 Salucci dopo aver illustrato come sorse ed a che minto è giunto « la pratica » per l’erigendo Istituto Mazziniano nella Casa Mazzini in Genova, esorta le autoiità a provvedere sollecitamente al fine di realizzare al più presto l'istituto ideato sin dal 1920, Giuseppe Fonterossi, Un carteggio inedito di Giuseppe Mazzini con Fortunato Prandi, esule del ’21, in « L’Assalto », Bologna, 6, 13 giugno 1931. Si ripubblica a puntate l’articolo già pubblicato dal R. in «La Stirpe», da noi segnalato. F. Ernesto Morando, La solenne commemorazione Genovese dei Martiri della Giovine Italia, in « Corriere Mercantile », Genova, 13 giugno 1931. Nel 98° anniversario del sacrificio di Iacopo Ruffini di Miglio, Biglia e Gavotti il M. rievoca la solenne commemorazione di questi martiri della Giovine Italia, tenutasi a Genova nell’aprile del 1890. Direttore Responsobi/e : UBALDO ForMENTINI. INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA - PERGAMO - MILANO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA COMITATO DI REDAZIONE : GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova e del ftÆunicipio della Spezia DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : Gf-enoVa., Palaxxo Rosso, Via Cfarihalcti, 18 CONDIZIONI D’ABBONAMENTO i Il Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni spigolature, notizie ed appunti per una bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per l’Italia L. v30 - per l’Estero L. 60 Un fascicolo separato Lire 7,óO - Doppio Lire 1 ó Aggiunta copertina a tariffa intiera. Conto corrente con la Posta L ANNO VII - 1531 Fascicolo III - Luglio-Settembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentoni Direzione e Amministrazione GENOVA, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 10 SOMMARIO Onorato Pastine, Liguri pescatori di Corallo — Renato Giardelli, Seggio di uno bibliografia generale sulla Corsica — Alfredo Obertello. Dichiarazione di fede di Agostino Ruffini — Ferruccio Sassi, Saggio sull·economia lunigianese del secolo XIII — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Eugene H. Byrne, Genoese shipping in thè twelfth and thirfeenth centuries (Vito Vitale) — Raimondo Morozzo della Rocca, Nuovi documenti inforno ai tentativi di far evadere dallo Spielberg il Conte Federico Confalonieri (Vito Vitale) — I. Scovazzi - F. Noberasco. Savona (Carlo domate) - SPIGOLATURE E NOTIZIE - APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA. LIGURI PESCATORI DI CORALLO La pesca del corallo ebbe, entro il bacino occidentale del Mediterraneo, uno sviluppo millenario, attivata nei mari di limisi, di Algeri e del Marocco, in Ispagna, in Provenza, sul litorale della Penisola e lungo le nostre isole, per opera di Africani, di Catalani, di Provenzali e particolarmente di Italiani. Essa trovò presso di noi assidua, tenace operosità di marinai, che alimentò per tempo l’intelligente industria di nostri artigiani, dedicatisi alla lavorazione di questo ricercato prodotto ; svolgendosi con una continuità, neppure ai giorni nostri in più parti d’Italia interrotta, e special-nieute a Torre nel Greco, che si acquistò nei tempi più a noi vicini meritata fama in questo campo. Fra le popolazioni italiane clie si applicarono, e sul mare e nella manifattura, a tal genere di attività, la ligure occupa senza dubbio posto di avanguardia, cronologicamente e per abilità di lavoratori, essendosene conservate lino ai nostri tempi tradizioni clie andarono sempre più attenuandosi. Dell’argomento si occupò Francesco Podestà in alcune monografie, nelle quali si parla in particolare di corallatori genovesi in Africa e in Sardegna, toccandosi pure — e non poteva essere altrimenti — della Corsica. Ripigliando a trattare con sguardo sintetico questa materia, avrò occasione di illustrare alcuni documenti, che in ispecial modo alla Corsipa si riferiscono, o che interessano il commercio del. corallo. ANTICO COMMERCIO E TASSAZIONE DEL CORALLO A GENOVA Campi dell’attività ligure per' la pesca e il commercio del corallo furono appunto le coste africane, la Sardegna e la Corsica. Scrittori arabi ricordano come nel secolo X e nei successivi la pesca del corallo venisse esercitata nel Magreb, a Bona, a Ceuta e in particolare, per l’eccellenza della qualità, a Marsacares (La Calle). Molti mercanti accorrevano colà da varie parti per quel lucroso commercio, che si svolgeva per mezzo ili appositi sensali; 170 Onorato Pastine mercanti clie Fazio degli Uberti ci fa sapere essere « Pisani e Geno vesi — con altri più, clie guadagnali molt-oro ». Vivi erano i rapporti dei Pisani con la Barberia nel XII secolo, assai prima quindi del trattato coneliiuso nel 1230, dal quale, pattueudovisi che « si deva dilatare il loro fondaco come quello dei Genovesi », si comprende che questi dovevano già godervi vantaggi anche maggiori. Del 1153-51 sono i primi patti stipulati da Genova col re del Marocca Ammiramuno, e in seguito rinnovati dalPAmbasciatore Ottobono degli Alberici (1261) ; ma anteriori certo furono i loro traffici in quei mari. Ottimo il fondaco genovese in Tunisi, rico struito nel 1244 da Ogerio Ricci; mentre fin dal 1235 si era costituita in Genova la prima Maona, che fu appunto quella per la conquista di Ceuta, dove giù lin dal sec. XI fioriva una colonia genovese, come attesta il ricordo di un viens genuensis colà esistente. Il mare di Ceuta dava non poco corallo; di qui e da tutte le vicine regioni africane certo i mercanti liguri esportavano questa merce preziosa. Il semplice commercio del corallo dovette precedere la pesca-diretta. Questa merce è, fin da principio, fra quelle colpite dal sistema di tassazione vigente in Genova. E’ noto come, prima che i diritti di finanza passassero nelle mani del Comune, le principali regalie spettassero ai vicecomites, i quali, dominando sul mercato cittadino, esigevano tasse dai forestieri che v'intervenivano. Tariffe particolari furono confermate nel 1128 e risalgono certo al secolo precedente, in quanto sono calcolate in denari pavesi, che vennero sostituiti, secondo scrive Caffaro, nel 1102 dai brunetti. Di poco posteriore al 1133 è il Pedagium vicecomitum, che sussisteva ancora nel XV secolo, e comprendeva Vintroitus ripe, porte et vicecomitatus. La prima e la terza parte di tale tariffa riguardavano rispettivamente una tassazione per testa dei forestieri che arrivavano per mare, ed altra per le vendite effettuate in Genova. La seconda parte, la ratio introitus vicecomitum prò porta et ripa, fissava il dazio sulle merci pagato a peso per some, il cui contenuto era riconosciuto dall’imballaggio, e che venivano distinte in quattro gruppi a seconda del loro valore. Xel primo gruppo, che pagava il massimo dazio di 18 denari per soma, ed abbracciava pepe, legno di brasile, incenso, indaco, zenzero, cremisi, lacca, cannella, mastice, panni lini, panni di seta, code di volpe e tutte le spezierie, erano pure compresi i coralli. Queste tasse avevano scopo puramente fiscale. Ma quando la borghesia si organizza, già alla fine del sec. xi, nella Compagna, e fende a conquistare, contro i Saraceni, il predominio nel commercio della parte settentrionale del bacino occidentale del Mediterraneo, essa si crea una propria finanza, pur non distruggendo del tutto i Liguri pescatori di corallo 171 diritti vicecomitali ed arcivescovili, fondandola su una vera e propria politica commerciale, che, più tardi, nel XVI sec., assumerà carattere protezionistico verso la fiorente industria locale. Per ora, con politica analoga a quella di Venezia, si tendeva ad assicurarsi il monopolio del commercio con un sistema di tariffe differenziali. Il Pedagium vicecomitum colpiva con Vintroitus porte le merci in esportazione, e il forestiere che giungeva al mercato era soltanto tassato per testa; le nuove imposte comunali invece favorivano l’esportazione, ma cercavano di impedire in ogni modo, con misure proibitive, rimportazione, che i forestieri esercitassero per via di mare dai paesi saraceni e dal Levante. I soci della « Compagna » s’impegnavano a non portare in città nessun straniero abitante fra Genova e l’Arno ad oriente e « Caput Liberum » ad occidente, che venisse per introdurvi mercanzie tratte dagli Stati saraceni, eccezion fatta per i Pisani e le loro merci, o per quelle destinate al consumo locale; così pure non potevano essi farsi mediatori fra stranieri in Genova, a meno che non si trattasse di articoli attinenti all’armamento e approvvigionamento delle navi, escluso sempre ogni fine commerciale. E si giungeva persino all’obbligo di non fare acquisti aU'estero da detti forestieri, se il pagamento della merce doveva aver luogo in Genova. Solo poche mercanzie erano escluse da tale divieto, e precisamente panno; rame, piombo, ferro e corallo, non essendo esse considerate come merci contraria nostris (x). Ciò farebbe dunque pensare che il commercio dei coralli non avesse ancora assunto grande importanza nelle mani dei genovesi, e che esso fosse inferiore alla richiesta, se in qualche modo sfuggiva alle rigide tendenze monopolistiche del Comune. PRIME NOTIZIE STORICHE. — LE PESCHERIE DI MARSACARES Ma intanto, col sec. XII già c’imbattiamo nelle prime notizie storiche riguardanti l'attività dei pescatori liguri. Nel 1154 gli uomini di Portofino (2) dediti alla pesca del corallo, ricostruivano in forma di piccolo tempio, che del fatto conserva memoria in >una lapide, la cappella di S. Giorgio. Pescatori di corallo probabilmente si contavano già allora anche tra le popolazioni della riviera di ponente; e tutti esercitavano la loro industria nei mari di Corsica e di Sardegna, dove Genovesi e Pisani ebbero predominio incontrastato prima del XIV secolo., ed anche lungo le coste della Liguria e della Toscana, nelle quali re- (1) ENRICO SIEVEKING - Studio tulle finanze genovesi nel medioevo e in particolare sulla Casa ■di S. Giorgio in « Atti della Società Ligure di Storia patria », voi. xxxv, parte I.a passim. (2) A. Ferretto - Rapallo - Spigolature storiche, Genova, Tip. della Gioventù, 1889. 172 Onorato Tastine gioni — nel Finalese, a Monte Argentaro e presso Livorno — si sa che nostri marinai corallavano al principio del X\r secolo. Quanto alle coste di Barberia (x), ivi la pesca del corallo fu lungamente nelle mani degli africani stessi, i quali da essa ritraevano il maggior guadagno; poscia passò ai Catalani, che nel 1439 ne ottenevano, nella persona di certo Raffaele Vivez di Barcellona, privilegio esclusivo per la Tunisia. Ma si recavano pure colà per la pesca barche di Cagliari e di Alghero, che il Vivez voleva obbligare a cedergli il terzo del prodotto, suscitando le rimostranze di quei pescatori, i quali, per mezzo dei propri magistrati reclamarono (1446) presso la Comuntà di Barcellona, a fine di ottenere la riduzione di quel diritto. Non so se con le sarde vi fossero anche coralline liguri — i Doria possedevano ancora in Sardegna Castelge-novese; certo la Repubblica, dopo contrasti vari coni i Tunisini, composti una prima volta nel 1432 con F ambasciata di Andrea de’ Mari e delinitivamente nel 1452 per volontà dello stessa ottimo re di Tunisi Otman, aveva ripreso e intensiticato, nella prima metà del XV sec., i propri traffici in quelle regioni. E nel 1451 ecco i Genovesi soppiantare i Catalani anche nella pesca del corallo, ottenendone il privilegio per tutta la costa dal Ras-Djebel (Capo Bosso) verso occidente. Tale privilegio veniva concesso per dieci anni, a cominciare dal 1° maggio 1452, al genovese ( lem ente Cicero, che aveva associato, oltre i fratelli Giacomo, Giorgio e Simone, Leonardo Lomellino, Nicolò Giustiniani e L o disio r Lazzaro ed Arduisio Spinola, e si stabiliva in Marsacarez, dove venivano all'uopo innalzati edifìci e fortificazioni, sotto la protezione della stessa Repubblica. Le pescherie di Marsacares prosperarono rapidamente, e numerosi partecipi all'impresa, per un ninnerò vario
  • iù importante di armamento, tutte le coralline del golfo di Rapallo furono dette Margheritesi. (.2) Qualche altra terra della liviera di ponente si trova talvolta notata nei documenti, come Varazze, Celle, Albissola, Noli, Spotorno, Finale. (3) Podestà - La pesca del cor. in Africa ecc., pag. 23 - Quasi tutti di Alassio sono ï corallatori menzionati nei numerosi atti del notaio genovese Giuliano Canella rogati nel 1470 in Marsacares (Ferretto, Coralli ecc. cit.). Specialmente Alassio, come si dirà in seguito, fu per qualche tempo il centro dove si faceva il commercio del corallo pescato. (4) In altre carte troviamo citato Cervo con Diano e gli altri principali luoghi, dove si armavano coralline, come in alcune suppliche di questi primi decenni del seicento. Di Diano erano i corallatori che nel 1500 avevano chiesto l’autorizzazione alla rappresaglia contro il Λ icario di Alghero; e pure di Diano è un Domenico Ghirardi che nel 1689 domandava alla Giunta del Traffico in Genova l’appalto della pesca nella riviera occidentale per 8 anni, appalto concesso poi a certo Zignacco di Alassio. Della stessa riviera di ponente, e quindi anche d' Cervo, furono quei duecento coi aliatoli che da Bonifacio si recarono a corallare presso le isole di Molara e Tavolara verso la fine del XVII sec. PodestX, La pesca ecc., p. 34; I genovesi ecc., pt). 5, 6, 9). 1S4 Onorato Pastine dei Ser.mi Collegi, nella quale si fa anzitutto osservare come « il sostegno della Comunità del Cervo consiste principalmente nella pesca che si fa de’ coralli, la quale senza dubbio resteria sospesa et impedita, per Pesecutione fatta in detto luogo li mesi passati di ordine del M. 111.re Officio di S. Georgio, e per la molestia che criminalmente era et è datta à molti sotto pretesto de fraudi commesse dal prefato M. 111.re Olì'.o di S. Georgio, del che ne seguirà notabil roina à grhuomini et Università di detto luogo». Essi avevano perciò congregato il loro Parlamento nelPottobre passato, ed eletto con larghissimo suffragio a loro Sindico Geronimo Viale, con speciale balia, « che si legge nell’instrumento del può sindicato » presentato alle LL. SS. Il Viale se ne era venuto quindi subito a Genova, procurando che i Signori Serenissimi « si degnassero d'abbracciar questa causa, et liberassero detti huomini dalla suddetta molestia criminale con quella meglio provigione che loro paresse, con offerire in nome di d.a Comunità d’introdur la detta pesca de coralli nelli mari di Corsica per qualche anni)). I Ser.mi Collegi avevano allora deputato gli 111.mi Paolo Sauli e Gio. Andrea Pallavicino dell’ordine procuratorio, per trattare con PUfficio di S. Giorgio, a fine di « prendere in ciò qualche espediente così per bene della detta Comunità et huomini come per utile che ne risulteria al Publico et alla M. 111.re Casa di S. Georgio », riuscendo «finalmente con la loro solita diligenza destrezza e prudenza », a pervenire ad un « agiustamento raggionevole ». Ora il Viale, in nome della Comunità del Cervo, desideroso che l’aggiustamento avesse la sua esecuzione, di nuovo offriva d’introdur la pesca dei coralli nei mari di Corsica « per il tempo e sotto li modi e forme, che si contiene nelli capitoli » che presentava, supplicando le LL. SS. Ser.me fossero servite a decretare che il loro contenuto venisse puntualmente eseguito « sotto quelle pene che meglio parerà». Letta la supplica ai Collegi, approvati i capitoli ed il parere favorevole dei Deputati Sauli e rallavicini, lo stesso giorno, 27 febbraio, si dava ordine di informarne il Podestà di Cervo, impartendogli le opportune istruzioni. « Desiderando — gli scriveva il Governo — che di nuovo s’introduca la pesca dei coralli in Corsica, così per beneficio di quell'isola come anco di cotesti popoli, hab-biamo volentieri aprovato ed accettato li capitoli, obblationi et obblighi presentati ecc., e perchè è mente nostra che detta pesca s’incammini quanto prima perciò vi ordiniamo, che non solo diate ogni facilità aggevolezza, e comodità che potrà venir da voi, agli agenti et huomini di cotesto luogo, ma di più bisognando le porgiate ogni caldo agiuto perchè si esseguisca la nostra intenzione, e da d.a Communità et agenti si faccia e compisca quello che dal d. Sindico in suo nome è stato per detti capitoli promesso ecc.» . Da questa lettera ben si comprende quanto stesse a cuore Poffare alla Signoria, tanto da passare sopra, ben volentieri, sulla Liguri pescatori di corallo 185 colpevolezza di quei marinai ; cliè il primo dei capitoli proposti così appunto suonava: «li Ser.mi Collegi faccino sì che li M. III.ri Sig.ri Protettori di S. Georgio concedine e dieno impunità remissione et indulto à tutti gli huomini del d.° luogo del Cervo e sua Giurisditione per tutte le fraude comesse da loro ò con agiuto loro rispetivamente sino a questo presente giorno in danno e pre-giuditio delle d.e Compere e della loro Gabelle e così contenute in li processi criminali contro di loro formati come in altro modo ancorché non se ne sia avuto notitia sin qui alcuna». Si vede che non tutti gli imbrogli compiuti da quei buoni uomini direttamente o in sostegno ad altri, non erano neppur tutti giunti a conoscenza delle autorità 1 (continua) Onorato Pàstine. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE SULLA CORSICA (Contiti. Ved. numero preced.) L’ETÀ MODERNA Mantiene un carattere a preferenza storico un’opera anonima apparsa con lo pseudonimo di Orazio Buttafuoco : « Ragguagli dei tumulti seguiti in Corsica dal 1715 al 1730 » esposizione documentata delle cause clie avevano provocato la rivolta e degli avvenimenti contemporanei. Questa pubblicazione apparsa a Lucca nel 1731 fu, come nota il Marini, oggetto di preoccupazione pel governo genovese clie cercò di distruggere l’edizione e di impedirne la diffusione ; ma essa fu il principio di una vivacissima polemica che divampò furiosa in Corsica e a Genova sino alla line del governatorato di Paoli. Corsi e Genovesi iniziarono un’attiva opera di propaganda ciascuno a favore della propria causa: interessava agli uni di dimostrare di non essere libelli, di esser stati costretti alla rivolta dal malgoverno genovese, di rivendicare con l’autonomia dell’isola e con le altre riforme un proprio diritto ; si ribatteva invece dagli altri coll'affermare il diritto di legittimità, coH’attenuare le colpe dei magistrati e coll’insistere sullo spirito ribelle dei Corsi. A questa seconda categoria appartiene la « Lettera di un Corso a un amico nazionale abitante in terra-ferma», la quale, benché voglia servire in apparenza a convalidare le richieste dei Corsi alla repubblica nel 1729, ne è in realtà un’abile confutazione. Egli cerca di alleviare le accuse fiscali contro il sistema genovese sostenendo che la taglia « è un leggerissimo tributo » ; nega che i Corsi siano « confederati» invece di sudditi; sostiene che il malgoverno dei giurisdicenti non può colpire la repubblica che ha cercato col sindacato di reprimere gli abusi : colpa dei Corsi se per interesse e pressione di altri non se ne giovano. Nell’ordine amministrativo se un Corso fosse giurisdiscente l’autore dubita che saprebbe restare imparziale verso parenti e nemici nè crede colpa della repubblica la mancanza di corsi vescovi ; ciò si deve « all’ignoranza nelle scienze, alla rilassatezza nei costumi ». Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica 187 Neppure reggono le accuse nell’ordine legale: « Le leggi sono rigorose quanto basta: per l’omicidio vi è la pena di morte e la confisca dei beni, ina il disordine si cagiona dalla non osservanza; basta il titolo di bandito a procurare vitto e protezione». Non sarebbe neppure utile la creazione di una nobiltà corsa giacché ne nascerebbero nuove ambizioni. Così l’anonimo autore cercava di dimostrare pericolose e illegittime le richieste dei Corsi e allo stesso line mirava certamente un’altra lettera anonima da Colonia (1732) con cui si cercava di confutare le ragioni della rivolta dei Corsi. Ma questi scritti provocarono una confutazione da parte degli isolani: nel 1736 appariva il «Disinganno intorno alla guerra di Corsica», opera attribuita al vescovo Natali che, fiero difensore dei diritti dei suoi concittadini, come ricorda O. Tencajoli, fu invano oggetto di un mandato di assassinio da parte dei genovesi. Le accuse lanciate dai Corsi alla repubblica hanno qui una nuova e più vivace conferma, come molto più vivaci furono le difese della repubblica che apparvero contro questo « libello famoso» a cura del vescovo Giustiniani di Savona. La Corsica sopportava le conseguenze di quella profonda crisi economica politica e morale che aveva colpito già da molto tempo la vita della repubblica : chiusa nei propri ordinamenti aristocratici Genova non poteva con saggie riforme impedire la propria e l’altrui rovina senza andare incontro alle prerogative della classe dominante. Lo sfacelo degli ordini statali inquinati dalla licenza e dal disordine e restati senza autorità per far rispettare la legge, creava la necessità di ricorrere a mezzi violenti e illegali per tutelare l’ordine pubblico; di qui le repressioni crudeli, l'uso di deportare i banditi nell'isola e la grazia concessa a quelli fra loro che uccidessero qualche nemico dello stato. Anche la crisi economica e finanziaria col facilitare la corruzione di funzionari e col provocare l’aumento dei tributi con cui lo stato esausto cercava di far fronte all’esigenze del proprio bilancio, aumentava e aggravava l’antagonismo fra i genovesi e la Corsica dove una classe nuova si era andata formando. Questi fatti non sono stati sempre tenuti nel debito conto, ma sarà indispensabile studiarli il più accuratamente possibile per poter comprendere le condizioni rii Genova e della Corsica nel sec. XVIII. In condizioni diverse si trovava invece la nuova generazione corsa che mal sopportava- di essere sottoposta a un governo odiato e sempre più incapace di farsi obbedire. Di qui la reazione divenuta in breve aperta rivolta, di qui la creazione del generalato che diede col « governo monarchico di un solo » il modo di reagire all’anarchia genovese imponendo un maggior rispetto alla legge e dando all’isola il primo e forse unico momento di reale benessere. Col governo del Paoli l'opera di rigenerazione morale dei Corsi 188 Renato Giardelli venne attivamente intensificata: fu opera sua la creazione dell 'università, fu merito suo l’introduzione della stampa nell isola. Così numerosi scritti uscirono dalle tipografìe camerali dell A-scione (1760 62) e del Batini (1763) i primi tipografi insulari; essi portò un contributo notevolissimo all’elevazione spirituale del popolo, sia combattendo costumi inveterati e dannosi alla quiete pubblica e alla concordia, sia sostenendo la necessità della difesa contro i genovesi e recando probanti ragioni per giustificarla, sia infine dando notizia del governo di Paoli e degli avvenimenti dell isola mediante i Ragguagli di Corsica. Fu questo il primo giornale dell isola pubblicato mensilmente dal 1760 per opera di Domenico Ascione e poi tipograficamente migliorato a cura del Batini a cominciare dal 1763. Nei Ragguagli si troveranno utilissime notizie quasi giornaliere sulla guerra contro i genovesi, elementi interessantissimi sulla situazione di ogni provincia e in genere sugli avvenimenti di carattere interno relativi alla Corsica dal 1760 al 1765. Accentuano invece il carattere di propaganda patriottica due stampe anonime edite dal-l’Ascione (1760) : «La Corsica ai suoi figli» e «La Corsica ai suoi fi gli sleali». Il primo scritto vuole essere una dimostrazione dei beni che produrrebbe ai Corsi la libertà, e delle doti necessarie a conseguirla. L autore dà notizie importanti sull’omicidio per \ endetta che giudica la «prima ragione della schiavitù della Corsica» ; nel se condo opuscolo, volto a persuadere i « figli sleali che per \iltà e per stanchezza e interesse privato » combattevano il partito nazionale e consigliavano l’unione a Genova, ritorna sull argomento facendo risaltare i danni enormi cagionati dall’omicidio e le tristi conseguenze delle vendette private. Anche l’opera di difesa e propaganda nazionale iniziata da Orazio Buttafuoco e da Curzio Tulliano fu continuata nel 1758 dalla Giustificazione della rivoluzione di Corsica attribuita dai Genovesi al vescovo Natali e da altri al can. Salvini. Quest’opera ebbe una diffusione notevole specialmente nell’isola e fu unita nella quinta edizione alle Riflessioni di un genovese e ad una Risposta di un Corso. Le Giustificazioni forniscono notizie di prinTordine sui fatti storici relativi alle passate rivoluzioni, ma due punti dell’opera sono particolarmente importanti : quello riguardante la corruzione dei giuridiscenti genovesi e la chiusa che accenna alle complicazioni politiche a cui poteva dare origine la situazione irregolare della Corsica. Il malgoverno dell’isola fri di rado rappresentanto con maggior precisione, e giudicato con giustizia più equilibrata. Lo scrittore riconosce che la causa prima della corruzione dei giurisdicenti sta nelle loro difficili condizioni finanziarie e sociali ; « i più poveri dei gentiluomini genovesi » retribuiti « con uno stipendio di 15 zecchini veneziani all’anno» erano messi forzatamente per vivere « in necessità di rubare ». Questa nobiltà di secondo ordine inviata dal governo nell’isola Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica 189 « per scaricarsi di un peso » provocò col suo malgoverno le rivolte insulari. Tiranna in Corsica subì alla sua volta le conseguenze di quella vasta crisi economica morale e sociale, che travagliò la repubblica durante i secoli XVII e XVIII. Non meno interessante è l’invocazione ai sovrani di Europa per impedire sia « una pace forzata » che produrrebbe « la ventesima rivoluzione » sia le complicazioni diplomatiche che potrebbero nascere se Genova tornasse padrona della Corsica e se qualche principe per compassione, per interesse o per ambizione » ascoltasse le esortazioni dei Corsi. Secondo Fautore Luigi XV non si poteva illudere che i Corsi avrebbero « sacrificata » per la terza volta « la loro liberta ai re di Francia» come avevano fatto nel 1559 e nel 1729; avrebbero piuttosto accettato la protezione della Francia e, sia pure con rincrescimento, avrebbero rinunziato alla propria libertà per accettare il dominio di Luigi XV. La politica nazionale corsa è ancora indecisa fino al 1758: esclusa in modo assoluto la sottomissione ai genovesi, si ammetterebbe la «protezione» e il dominio di una nazione straniera ; questo punto di vista è però limitato nella lettera di un corso a nn amico di Venezia che fu pubblicata nella 5a edizione delle Riflessioni e risale perciò almeno al 1761. Discutendo sul contegno degli isolani nel caso che Genova riuscisse a vendere la Corsica a qualche principe straniero, l’autore afferma senza esitazione che bisognerebbe combattere chi « intendesse comandare per ragioni comprate dai Genovesi ». Tuttavia — egli aggiunge — se un principe comprasse l’isola per togliere di mezzo un competitore inopportuno e per dare ai Corsi i privilegi e i vantaggi più convenevoli» gli isolani « pur sentendo ripugnanza a rinunziare a una libertà di cui conoscevano il prezzo e di cui cominciavano a gustar le dolcezze» avrebbero forse potuto «sacrificarla a chi, trattando con essi, potesse e volesse compensarne loro la perdita con sicuri ed equivalenti vantaggi. Ma questo atteggiamento dell’opinione pubblica corsa doveva ancora mutare negli anni immediatamente precedenti al 1769 sostituendo al partito degli accomodamenti quello più energico della difesa ad oltranza della unità e della indipendenza nazionale. Gli inizi di questa nuova tendenza più intransigente si erano manifestati lino dal 1761 con la deliberazione della Consulta di Casirna in cui i Corsi avevano deliberato di non far parte coi Genovesi se non fosse stata riconosciuta la libertà e l’indipendenza dell’isola e non fossero state restituite le poche piazzeforti ancora possedute dai Genovesi nel regno. Ma ancor più significativo è il Carteggio di Paoli col ministro francese Choiseul in cui il generale, pur dichiarandosi disposto «per indennizzare il decoro e gli interessi della Repubblica» a ricorrere alla finzione del feudo, non rinunciò mai ai tre principi fondamentali della deliberazione di Cascina su cui regolò tutte le trattative: la libertà, l’indipendenza e l'integrità territoriale del paese. 190 Renato Giardelli Infatti egli chiese che il governo genovese prima d’investire i. corsi dei feudi di Capraia e Bonifacio (progetto 18 maggio 1760) e poi di tutta l’isola, (progetto 22 maggio) dovesse dare « in perpetuo alla nazione [corsa] e al di lei governo il diritto di sovranità». Questo indirizzo nazionale si accentuò ancor più quando la Francia, rinunziando al suo ufficio di mediatrice fra Corsica e Genova, chiese il 12 settembre 1767 il possesso di due piazzeforti dell’isola, richiesta che costrinse Paoli a rompere le trattative e permise alla Francia di ricorrere alle armi per conquistare l’isola accelerando queil’attiva opera diplomatica che aveva da tempo iniziata a questo fine. E in ciò il ministro Choiseul non trovò molti ostacoli come dimostra nno studio del Combi sulle trattative fianco-genovesi ìedatto in base ai documenti elei Diversorum Corsicæ. Le trattative dal marzo 1767 al trattato di Versailles del 15 maggio 1768, provano sicuramente che il governo genovese, timoroso delia formazione di un forte stato corso, preferì, ammessa per consenso unanime la sua incapacità a riconquistare l’isola, di cedere la Corsica alla Francia per assicurare con F appoggio d’una forte potenza i propri dominii di terraferma e nello stesso tempo alleviare con un forte compenso finanziario, la grave crisi economica dello stato. Le lettere politiche scambiate tra il Paoli e il ministro Rivalila dimostrano però che i tentativi della Francia non gli sfuggi-ìono; ed egli insiste ripetutamente sull’interesse che gli stati ita liani, specialmente il Piemonte, avevano nell’impedire l’intervento francese. Ma il carteggio prova anche la cura minuziosa con cui il generale cercò di restaurare l’amministrazione del Regno. Esso fu pubblicato per la prima volta dal Tommaseo insieme a documenti dal 1755 al 1768 e dal 1778 al 1807 e fu successivamente ampliato con 10 lettere, sfuggite al Tommaseo, da N. Bianchi e dal Livi che aggiunse alla nuova corrispondenza da lui edita un proemio su un amico di Paoli: Raimondo Cocchi. Finalmente a cura di M. Pe-relli apparve una nuova raccolta di Lettres nel Bulletin di Bastia. La corrispondenza diretta al Paoli dal 1759 al 1791 fu riunita dal Morati mentre poche altre sue lettere, di notevole interesse, furono fatte conoscere dall’Archivio Storico di Corsica, dalla Revue de la Corse e dalla V Raccolta di Documenti. E’ questa la parte finora nota del carteggio che potrà forse essere considerevolmente ampliato. Dato il carattere dominatore della figura storica del Paoli numerose furono le biografie; alcune limitate a i n determinato periodo della sua vita, altre di carattere più generale. Si riunirono alcuni documenti, come Fatto di e ascita pubblicato dal Graziani; il suo Testamenti!, edito da A. Muvra e dal Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica 191 Yillat, che ricordò con quale cura Paoli favorisse la pubblica opinione: oppure si cercò di definirne il carattere (Grassi) o ancora di illustrarne variamente la figura. Più importanti sono gli studi su vari periodi della sua vita: uno scritto di Letteron su Paoli avanti il. generalato, e a cura del Marini uno studio sulla sua elezione a tale carica, che fu illustrato dal Fontana. Di carattere più generale sono invece le Memorie Storiche di Pasquale Paoli con la loro continuazione fino a Pontenuovo (1755-1769) : uno studio del Kloz condotto sulle Lettere del Tommaseo, un altro dell’ab. Giammarchi e quelli del Lencisa e del Bartoli. Presentano maggiore interesse le biografie deirArrighi e del Doria, quantunque non siano scevre, specialmente la prima, di qualche preconcetto. Recentemente è apparsa un’altra biografia a cura di L. Ravenna. Il Piccioni, nel fare la storia del Capo corso ha poi illustrato una parte poco nota dell’attività, del governo di Paoli ; la creazione della marina corsa, a cui con Manifesto del 1760 fu concesso di far guerra di preda contro i genovesi. Ricorderò ancora un opuscolo con le Determinazioni del congresso còrso del 23 ottobre 1764 e per quanto riguarda le vicende dei presidi uno studio del Yillat, che illustrò le riforme ch’essi avevano introdotto colà : la corrispondenza fra M. Fadart, commissario in Corsica e il conte Marbeuf ; uno studio documentato del Letteron su due deputazioni degli stati di Corsica alla corte di Francia nel 1775 e nel 1785 ; e, infine, uno scritto dell’Ambrosi in cui si narrano le ripercussioni diplomatiche provocate dai Gesuiti, che, espulsi dalla Spagna, si erano rifugiati in Corsica. Non mancarono, come è naturale, ricordi sugli avvenimenti militari in cui si trovò implicato il governo di Paoli combattendo contro i genovesi e i francesi ; — l’impresa fortunata di Capraia, — dal 1767, narrata nei Ragguagli di Corsica e completata da un opuscolo contemporaneo sulla resa del forte — la congiura di Otella — che fu studiata dal Roberti e dal Morati (i colpevoli furono amnistiati con Lettere Patenti del 1778) e infine — Pontenuovo, momento culminante della rovina del Regno di Corsica; variamente valutato dagli studiosi. L’opera del maresciallo di Vaux in relazione a questo scontro fu studiata dal Morley, dal Guibert e dal Canouge: uno scritto di carattere più generale apparve a cura del Letteron ; utili notizie sulla descrizione della battaglia da un testimone oculare, il Lenchères, ufficiale francese ; e un soldato, certo Haly, che aveva preso parte alla spedizione, ne parlò in due lettere pubblicate da L. Lallement. La battaglia di Pontenuovo, insignificante dal punto di vista militare, ebbe una profonda ripercussione nell’opinione pubblica europea che avea seguito con interesse sia gli avvenimenti politici 192 Renato Giardelli del tempo, sia gli sforzi con cui il governo di Paoli aveva cercato di migliorare materialmente e moralmente i corsi. In Inghilterra specialmente il rancore verso la Francia era molto sentito, anche perchè gli scritti di un turista inglese, James Boswell, che primo aveva visitato Pisola e aveva scritto un’entusiastica descrizione di essa, dei suoi abitanti e soprattutto del Paoli, avevano grandemente giovato alla causa degli isolani. Fra le edizioni delPAccount, quella di Glascow è la più completa, ma l’opera fu tradotta anche in olandese, in francese, in tedesco e in italiano. Della versione italiana fu anzi autore Raimondo Cocchi, amico del Paoli e accademico fiorentino e un editore veneziano, il Coloni-bani si valse di essa per pubblicare, con lievi trasformazioni, il Saggio storico del Regno di Corsica. Anche lord Shelbnrne si preocupava della eventuale occupazione della Corsica da parte della Francia e del danno che ne sarebbe derivato all’Inghilterra nel dominio del Mediterraneo; altri sosteneva la necessità di stabilire il libero traffico coll’isola, ma, malgrado queste esortazioni, l’Inghilterra, legata alle guerre d’America, non credette d’intervenire nel Mediterraneo. In Francia, il governo del Paoli fu, com’è naturale, variamente giudicato in ispecie dopo i fatti del 1709. Gli scrittori riformatori si mostrarono favorevoli al Paoli tanto che il Rousseau sostenne nel Contratto sociale che il corso era il solo popolo capace di attuare la legislazione da lui propugnata e si dichiarò disposto a recarsi in Corsica tenendo a questo scopo anche una corrispondenza con Antonio Buttafuoco; ma, come risulta dalle Confessioni, il progetto fallì. Più deciso fu invece il Voltaire che credette di scorgere un mercato nelle trattative fra Genova e la Francia mentre in realtà questo non vi fu, come ammettono gli stessi storici francesi, come ad es. il Villat. Anche il Mercure historique et politique, uno dei più importanti giornali della Francia, offre notizie non disprezzabili sugli avvenimenti corsi e sulle dicerie diffuse probabilmente ad arte nei riguardi della spedizione. Fra gli studi recenti il Courtillier studiò l’atteggiamento dell’opinione pubblica francese e il Villat trattò della quistione corsa quale essa apparve nel sec. XVIII. Gli avvenimenti corsi non mancarono di eccitare anche la parte più conscia e preveggente degli italiani a cui non sfuggivano le gravi conseguenze che poteva avere per tutti gli stati italiani l’occupazione della Corsica da parte della Francia. Bibliografia : ACCINELLI F. M. — Compendio delie Storie di Genova dalla Fila fondazione fino all'anno 1776 del Prete F. M. Accinelli, Genova, presso Angelo Sertora, (Tip. Frugoni), 1851 (v. Continuazione del Compendio). Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica 193 AMBROSI A. — Catalogue Chronologique, Méthodique et par noms d'auteurs des études et document·! publiés par la Société depuis 1881 jusqu’en 1914 dressé par Μ. A. Ambrosi in Bull, de la Soc. des Sciences hist. et nat. de la Corse, 1914 (XXXIV) n. 361-363, pag. 1-59 ANNALES de Géographie, XIX Bibliographie annuelle des Anuales de Géographie. Paris, Colin, 1912. ARCHIVIO Storico di Corsica, Roma, Anno 1, 1925. ARCHIVIO Storico Italiano fondato da Vieusssux e continuato a cura della R. Deputazione di Storia Patria, serie V (Tomo I-XX). BASTIDE — Storia generale e ragionata della Repubblica di Genova dalla sua origine fino a noi, dedicata ai Volontari della Società Patria, 3 voli. — Genova, Franchetti, 1794, (vol. I) — 1705 (voi. III). BERTÙCCI Giuseppe — Repertorio bibliografico delle opere stampate in Italia nel sec. XIX, vol. I-III — Roma, Armanni, 1880 (vol. I) — 1887 (vol. III). BIAGI G. — Indice del Mare Magnum di F. Marucelli pubblicato a cura del Prof. Guido Biagi, Roma, 1888, pag. LVI - 339. BIANCHI Nicomede — Le materio politiche relative all’estero degli archivi di Stato Piemontesi indicate da Nicomede Bianchi, sovraintendente ai medesimi. Bologna-Modena, Zanichelli, 3876 (Memorie, relazioni, lettere e progetti del 1730 al 1771), pag. 453-456 e altri a pag. 277 (1624); pag. 386 (2714); pag. 387 (1724). BIBLIOGRAFIA Colombiana. Enumeracion de libros y documentos concernientes à Cristobai Colòn y sus viaies obra que publica la R. Academia de la Historia por el quarto centenario del descubrimiento de America. Madrid, Establecimiento Tip. De Fortanet, 1892, pag. X, 685. [Notizie importanti su Colombo supposto Corso]. BIBLIOTHECA historica instructa a B. G. Struvio, aucta a C. G. Budero nunc vero a F. G. Menselio digesta amplificata et emendata, Lipsiœ, 1782-1802, 22 parti, 11 voli. — s. v. Corsica, Vol. X, Parte I. B1ZARUS Petrus Senatus populique Genuensis rerum domi forisque gestarum historiae atque annales, Antverpiac Plautina, 1759. [Dalle origini al 1577]. BLANC Joseph. — Bibliographie italico-française ou Catalogue méthodique de tous les imprimés en langue française sur l’Italie T. I. : Rome, Église, Italie. — T. II. : Traduc tions, mémoires et a "ticles. — SuDplément : Tables et Index. — Milano, Messaggi Giocondo, 1886. BONAPARTE Valentini Maria. — La Corsica — Parigi, 1864, Ree . in Arcliiv. 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Paris, Nycn fils et Robustil, 1750. 12°, 3 tomi. BXJLLETTIN de la Société de Géographie. Table alfabétique et raisonnée des matières contenues dans les deux premières séries (1822-1843) redigée par Eugène de Proberville-Paris, chez Artus Bertraud 1815, 8°, pagg. 231. BULLETIN de la Société de Sciences historiques et naturelles de la Corse. Bastia. BULLETIN paroissial de Rogliano. CAMPI Louis. — La bibliothèque d’Ajaccio : notice historique et· bibliografique, A jaccio, lmpr. In-suiaire, 1875, pagg. 380. [Studio notevole.] CANALE M. G. — Nuova Storia della Repubblica di Genova, del suo commercio e della sua letteratura dalle origini all’anno 1797, narrata ed illustrata con note e documenti inediti. Firenze, Felice Le Monnier, 1850-1864, 16° voli. 4. CARABIN. _ En Corse: [con notizie stor. sull’isola], in Bull, trimestr. de Géographie et Archéologie, Orano, 1906, pag. 211-239. 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Storia generale, regionale e locale. Storia politica, ecclesiastica, letteraria ed artistica. Statuti, genealogia, biografia e topografia. Milano, ΠοερΙί, 1913· 8°, pag. 157. CATALOGUE metodique et raii-onnée de la Bibliothèque Cardinal contenant un gran nombre de notes bibliographiques, historiques et littéraires à l’usage des travailleurs et l'analyse de toutes les collections. Parigi, Rue-de Rennes, 1859, 8°, coll. 1248. CATALOGO metodico degli scritti contenuti nelle pubblicazioni periodiche italiane e straniere. Camera dei Deputati. Parte I : Scritti bibliografici e critici, Roma, Camera dei Deputati, 1885, lo Supplem. 1889; 5o suppl. 1907, con indice generale a tutto l’anno-1906. N. S. 1914 (vol. I) · 1921, (vol. II). (continua) Renato Giardelli DICHIARAZIONE DI FEDE DI AGOSTINO RUFFINI Munito, tra l’altro, di una efficace lettera di raccomandazione della buona signora Carlyle datata da Chelsea-Clieyne Kow il 10 Marzo 1840 e -indirizzata a « John Hunter Esquire, Auditor to tlie Court of Session » in Edimburgo, Agostino Buffilii nella primavera dello stesso anno lasciava Londra per la capitale della Scozia. Buone eran le sue speranze di far fortuna, migliori i suoi propositi di lavorare e produrre almeno quel tanto che bastasse al suo sostentamento e di scacciare cosi, col tedio e la stanchezza che l’avevano assalito negli ultimi tempi del suo esilio, la malinconia e la « tetraggine», che n’eran la conseguenza inevitabile. a A Edimburgo, scriveva alla madre da Londra, troverò un compatriota, un amico intimo di Emilia, il quale è disposto ad essere un fratello per me e al quale essa mi raccomanda come fossi carne della sua carne». Quest’amico era il dottor J. Gilioli, insegnante di Italian Language and Literature presso la Edinburgh Institution for thè Education of Young Ladies} 23 Charlotte Square, studente, al dire dello stesso Agostino, in medicina, ma con poco e nessun pensiero di praticarlo nella città d'adozione. La Edinburgh institution for thè Education of Young Ladies era una grande scuola privata che godeva molta reputazione nella classe borghese e nella nobiltà e, come dice lo stesso nome, era aperta alle sole damigelle. Oltre allo studio delle solite materie classiche — lingua latina, inglese, storia, geografìa e scienze — venivano impartite in corsi frequentatissimi lezioni di musica e di lingue moderne, tra cui primeggiava anzitutto il francese, quindi, a pari grado, l'italiano e il te desco, questo vincendola alfine, mutati i tempi, in supremazia su quello. La Edinhurgh Institution non era la sola però: aveva una temibile concorrente nella Scottish Institution for thè Education of Young Ladies, 15 Great Stuart Street, in cui insegnante di italiano era il signor Rampini, domiciliato al N°. 10 di Glaucester Place, e, meno temibile, la Edinburgh Ladies Institution for thè Southern District che, naturalmente, aveva anche nel suo programma l’insegnamento della lingua e della letteratura italiane. L’università per contro non aveva un dipartimento, come si suol dire in inglese, di studi italiani. Ed ecco perchè non riesco a spiegarmi l’affermazione 196 A LI'REDO Ο-KîîTELLO del Nota a pag. 35 del suo Giovanni Ruffini e il Risorgimento Italiano che il Gilioli avesse la cattedra di letteratura italiana in detta università, con quel che segue. Agostino Ruffini scriveva dunque il 3 Aprile dello stesso anno alla madre dalla sua nuova dimora: « Gli affari non si annunciano troppo bene. Scematissime le lezioni di Gilioli. Il tedesco invade... » Invadevano però anche, come s’è visto, le scuole private che dovevano lottare per accaparrarsi gli studenti di italiano, non molto numerosi necessariamente, perchè dedite a questo studio più per ispasso che per bisogno le signorine della buona società. E, come è più facile essere amici — sebbene talvolta non è indispensabile — a tempi fortunosi e in mezzo alla comune prosperità, ed è per contro assai difficile esserlo quando tutt’altre sian le vicende e le condizioni materiali; tra il nuovo venuto a insegnar Γitaliano e il vecchio dominator della piazza sorsero ben presto diffidenze reciproche e differenze profonde; onde tosto non furon più amici. Di fatti Agostino nelle sue lettere alla mamma si lamenta delle defezioni e dei tradimenti di colui al quale avrebbe dovuto sempre restare « affratellato ». Diciamo per la verità che a nessuno dei due va fatta la colpa del dissidio : date le condizioni precarie della loro esistenza e date le loro indoli molto sensibili e accessibili, bisogna, umanamente parlando, riconoscere che l'evento era inevitabile. Dice il proverbio genovese : « Due raccoglitori non possono stare in pace nello stesso campo». Gli aiuti che Agostino ricevette pertanto dai suoi connazionali furono pochi e scarsi. Tutto quello che egli ottenne provenne invece dagli Scozzesi. Primo suo benefattore inestimabile fu quel John Hunter amico dei Carlyles. Bravo scozzese del vecchio stampo, non di famiglia aristocratica ma benestante borghese, studioso della sua materia — la legge —, ma dilettante versatissimo e profondo di poesia e di arti belle, veniva a incontrarsi idealmente con Agostino per un suo spiccato amore d'Italia e di cose italiane, e sopratutto per una· sua innata gentilezza e carità umana che lacevan di lui un giudice sereno ricercato come arbitro e paciere non solo in tribunale ma in vertenze private e in situazioni familiari delicatissime. Da questo vero signore Agostino ricevette gli aiuti che domandava per lui con grazia ma con insistenza la signora Carlyle, e, dopo i primi contatti, l’amicizia più cordiale, anzi diciamo la più incondizionata fratellanza. Non solo infatti il nostro povero esule, introdotto nella miglior società borghese e aristocratica dall'amico volenteroso che godeva fiducia e autorità presso ogni ceto, trovò di che adempiere i s-uoi propositi e soddisfare i suoi voti come maestro di lingua; ma quasi subito ritrovò nella nuova sede del suo esilio quel tepore d’affetti e quelPintima pace che non aveva goduti da tempo e forse mai assaporati. L’amico gli apriva le porte della sua famiglia numerosa : i familiari e i parenti vicini e lontani en- Dichiarazione di fede di Agostino Ruffim 197 travano in dimestichezza con lui e gli concedevano quel che in retorica si chiama amore ma che qui si può benissimo chiamare fiducia e confidenza, cioè stima. A Londra era stato sempre un esule perchè oltre che alla Patria era stato estraneo al mondo che lo circondava. Scriverà poi nella Cronologia Antol· iografica : ((Ignoranza dei modi inglesi...» Breve concetto che esprime tutto resilio nelPesilio. A Edimburgo questo doloroso paradosso cessò. Ed è vero che in parte ciò fu dovuto alla diversa indole degli Scozzesi; ma in parte fu dovuto anche alla per noi curiosa indole di Agostino che veniva a coincidere con quella dei suoi nuovi ospiti ed amici. Non vogliamo dare un peso esagerato a quelle sue parole scritte alla madre nella lettera del 3 Maggio 1840 : « Nel riscontro della mia partenza colla sua malattia (del padre), del mio primo snottare in Edimburgo col suo volarsene dalla terra, io veggo alcun che di soprannaturale, di voluto dalla Volontà Provvida e Suprema » ; benché egli intenda dire chiaramente che se una grazia poteva intercedere suo padre per lui, quest’era quella che egli si recasse a Edimburgo, sua terra ideale. Curioso è ad ogni modo quel che scrisse un altro suo amico fedelissimo, David Masson, come elogio dopo la sua morte : « Per noi suoi amici scozzesi ci fu una mistica ragione di bene negli eventi di quella sua triste e tragica giovinezza, che lo gettarono esule fuori d’Italia. Non era egli mandato tra noi per mostrarci qual tipo d’uomo possa essere un italiano?». Il destino insomma pareva complice nel trarre il nostro rifugiato dal « viperaio di Londra » — come definiva la capitale britannica il Car-lvle — per avviarlo a Edimburgo, dove indole e educazione si sarebbero trovate ad agio e avrebbero potuto anzi mostrarsi, accrescersi e spiccare. Si sa che Agostino era una personalità assai complessa: meditativo e a volte, spesso, meditabondo, era poi anche espansivo e irruente: in lui c’era del temperamento flemmatico genovese e del temperamento frenetico arabo. Non per nulla si innamorava di Lille. Sensibile e sensuale come una fanciulla, era poi austero e freddo come un frate. Tutte queste doti varie e contrarie, che egli stesso definisce assai chiaramente in questa dichiarazione di fede che segue, eran però bene armonizzate da studio e disciplina di se stesso. Studio e disciplina che egli aveva imparati, più che nel lungo praticar con gli uomini, nel lungo praticar con l’anima sua. Poiché Agostino era sopratutto un idealista che amava i soliloqui intimi e aspirava a una perfezione morale. Educatissimo poi e versatile come nessuno della sua famiglia non solo nelle lettere italiane e francesi, ma anche in quelle inglesi (per umiltà si chiamava « pellegrino, se non cittadino, nell’immenso mondo shakespeariano e mìl-toniano»), aveva una particolare predilezione per gli studi severi, gli studi della filosofia e della religione. Pratico e acuto nello stesso 198 Alfredo Oüeiîtello tempo come tutti i Latini, aveva un cumulo di idee o se vogliamo teorie sue proprie che, senza esser campate nelle nubi, tentavan di spiegare i misteri della vita e deiranima che preoccupano appunto le menti in una sensibili· ed austere come la sua. Pertanto egli aveva molto dello Scozzese. Diciamo dello Scozzese tipo, che i difetti e le esagerazioni sono dovunque, in Iscozia come in ogni terra sotto il sole. Quella severa disciplina morale che veniva impartita da secoli da una religione che, nel dubbio di non riescire direttamente efficace, aveva bandito dalle sue cerimonie le pompe e gli addobbi, dalle sue preghiere gli accompagnamenti e le fioriture, dai suoi sermoni la retorica e la improvvisazione^ e che si chiamava senza alcuna esagerazione puritana, aveva dato agli Scozzesi una fisionomia assai distinta dai vicini Inglesi. Conservatori nel costume, lo erano in politica e lo erano in arte. Freddi e compassati all’esteriore, contegnosi e dignitosi nella vita pubblica, sociale e familiare, erano in una idealisti e mistici poiché avevan ben definito lo scopo della vita: la perfezione morale anche a costo di rinunzie. Rininiziavano per esempio alla festa domenicale per chiudersi in un silenzio religioso, per far penitenza di cibi e di spassi di qualunque genere affi ne di osservare il giorno del Signore non solo nella lettera ma anche nello spirito. Amanti per altro della vita e del lieto vivere, erano espansivi e gaudenti gli altri giorni della settimana con quel fuoco e calore che son propri d'una razza che ha in sè oltre a sangue sassone e svedese anche e in prevalenza sangue gaelico. Qui però non esageravano e ad ogni modo, a mane e a sera, il padre o il più vecchio e autorevole della famiglia leggeva ai membri tutti adunati nel libro per antonomasia, deposto in una bellissima custodia accanto del camino — palladio del buon costume e della saggezza tramandata dai padri —, nella Bibbia sacra, un versicolo dei più significativi; e con questo, proposto come meditazione ed esempio del giorno o della notte, si riprendevano le cose della vita per un’altra giornata di lavoro o si lasciavano per un'altra notte di riposo. Bel costume che produceva ordine, serietà, dignità, rettitudine, costanza : doti inestimabili presso un individuo e c5 ' J ' più ancora presso un popolo. Il nostro Agostino partito dunque da Londra con quel suo « spiritual male segreto » di cui fan fede, tra l'altro, quelle dodici « riso* luzioni » formulate in uno dei momenti di più acuta prostrazione, e che gli veniva da dissidio intimo in parte prodotto, come osserva bene egli stesso, dalla inefficace educazione religiosa ricevuta in Italia, venne a ritrovarsi nell’ambiente a ciò più atto e favorevole. S’aggiunga, come abbiamo detto, la comunanza di indole coi suoi ospiti e s’avrà comunanza di ideali e di propositi nella sua nuova vita possiamo ben dire scozzese. Nella lettera da Edimburgo alla madre datata il 30 Ottobre 1843 scrive: Dichiarazione di fede di Agostino Ruffini 199 « Alla domenica sento la domestica leggere a voce spiegata la sua Bibbia in cucina e qualche volta canticchiare un salmo. È difficile immaginarsi da chi non è vissuto in Scozia cosa sia la Bibbia per questo popolo. È il loro lare domestico, il loro Palladio, il codice loro. Se entri in un’osteria di campagna, il primo oggetto che ti colpisce gli occhi è una grande Bibbia sur una tavola. In ogni cucina la Bibbia, in ogni famiglia senz’esagerazione dieci o dodici Bibbie, da edizioni immense e splendide sino a edizioni in sedicesimo. In quasi ogni casa si radunano mattina e sera padroni e servitù insieme a legger la Bibbia. Nel discorrere citano la Bibbia colla massima naturalezza. Oggi appunto ricevo una lettera da una Signora, nella quale mi racconta una sua lunga conversazione con una magnetizzata: conclude dicendo che ha trovato certi versetti nei cap. 2 e 3 della Bibbia che le pare abbiano un nesso in questo mesmerismo, che gli alberi vietati erano due..., e m’invita a parteciparle le mie idee. Altrove si direbbe : è matta : qui invece è cosa in regola, e questa signora è piena d’ingegno, non un’ombra in lei di pinzoccheria. Prescindendo dal merito intrinseco del Libro, da questo culto della Bibbia risulta che tutti sanno leggere, vantaggio immenso... ». Altrove, cioè in Italia, Agostino sa per esperienza che a certe questioni non solo non si presta fede ma neanche attenzione. Chi starebbe a sentir disquisizioni bibliche? Gli è che gli Italiani <( dentro son pappagalli ad altro non buoni che a parlare del loro hel ciclo e della (jloria dei padri loro...)). Ciò che, per lui e secondo lui, non costituisce in vero nessun vanto morale e nessun vantaggio pratico. Gli Scozzesi son d'altra natura: leggon la Bibbia, meditano la ragion delle cose, son uomini pieni di idee e quindi di volontà e di proposito. A Edimburgo e in tutta la Scozia d’uno che discute di cose sottili ed alte come son tutte quelle che toccan le questioni della nostra religiosità e moralità, della nostra missione in questa vita e del nostro ultimo fine, non si dice ch’è una persona intelligente. Ecco ch’egli, che si pasce in realtà di questo cibo fìlosolico, che non è da meno insomma dei suoi ospiti, si troverà nel suo elemento, felicissimo e soddisfattissimo. Alle discussioni religiose però non partecipava solo come una persona « intelligente » : vi partecipava anche col cuore. E non è qui mio compito di toccare della religiosità di lui: ma debbo dire che il problema religioso fu da lui sentito profondamente ed estesamente non solo come problema individuale ma anche collettivo. Cristo cioè, nella cui mediazione egli credette appieno, adempì le profezie dei profeti per ogni uomo in particolare e per tutti gli uomini in genere. Pertanto nel rintracciare la via della rigenerazione per sè, nello studiare in altre parole la sua conversione, rintracciò e studiò la conversione del genere umano. Alla sua dichiarazione di fede bisogna dunque dare un’importanza non limitata ed un significato in gran parte impersonale e universale. 200 Alfredo Obertello Quale fosse questa sua fede è detto chiaramente nelle pagine ohe seguono : poche, ma, in questo senso, esplicite e definitive, ("onie vi giungesse non è detto invece se non in parte. Certo, come abbiamo visto, molto influì su di lui l’ambiente. Ghè il ritrovare nei volti dei nuovi amici i segni palesi di quella dirittura morale per cui egli combatteva da tempo le sue lotte intime, gli faceva onorare e comunque apprezzare inconsciamente la religione che ve li aveva educati. Ecco perchè dopo >un certo tempo pare lasciasse di frequentare la cappella cattolica per recarsi anche come semplice curioso in abito di ospite alle adunanze protestanti. Alla madre fa sapere di avere assistito « ad una delle lor gran radunanze religiose » in termini che voglion essere giocosi ma che tradiscono il rispetto se non proprio l’ammirazione. « I meridionali (cioè gli Italiani) aggelano là dentro», osserva: e intende che ad essi occorrono incensi, fumo e fiori appunto perchè non curano di intendere e se occorre discutere il verbo che viene loro proposto, paghi solo al suono e alle apparenze. Del resto, ad ogni buon conto, è meglio dar la parola allo stesso Agostino che su tutto ciò s’esprime in termini ben chiari. La di-ehiarazione di fede — come la chiamaron subito coloro a cui fu legata per la vita e per la morte dall’esule italiano fu scritta dopo una discussione d’argomento religioso avuta appunto all uscita di chiesa — evidentemente una chiesa protestante scozzese - con una certa miss Wilson di cui non si ha più memoria, ma che ritengo sia una cugina in secondo o terzo grado di John limiter, e forse una delle nipoti di lord Jeffry il famoso direttore della Ediniburgh Revie w. La dichiarazione è dettata in forma di lettera intima il cui manoscritto è andato perduto. L'autografo che io possiedo è di mano della figlia maggiore di John Ilunter, Jane, in scozzese Jeanie, che, a dieci o undici anni, era la piccola amica prediletta di Agostino da cui veniva chiamata celiando « my wife Jeanie Kuttini, thè Queen ot Sardinia ». Pare che a vecchiaia inoltrata la Wilson mostrasse alla signorina Jane, che fu poi signora Watt, sempre memore del povero esiliato, questa lettera come uno dei suoi tesori più cari e che, dietro insistenza della giovinetta, si inducesse a permetterne una trascrizione, nella sua stessa casa però e sotto la sua diretta sor veglianza. Per fortuna le figlie della signora Watt, che si ricordano d’aver veduto più volte la loro madre china su queste pagine trascritte uella fretta su carta da lettera, conservarono il tutto fra le memorie di famiglia. Così, di generazione in generazione, si trasmise e si trasmetterà questa dichiarazione di fede di un esule italiano, come una specie di testamento religioso. La cui importanza non va esagerata, ma neanche diminuita. A parte il suo bellissimo inglese che ha il sapore di certo stile biblico cojne si riscontra nella classica traduzione delle pagine dell’Eccle siaste, nessun lettore potrà restar muto dinanzi alla umanità che Dichiarazione di fede di Agostino Ruffini 201 spira da questa professione di fede che è una professione di umiltà di nullità, di indegnità dinanzi al CREATORE che ci ha dato la vita e non ne fu mai ripagato di un fiato di grazie. « Oh tre volte triste e inaudito che un uomo che può amar tanto una creatura renda così poco amore al Creatore. Le mie preghiere avrebber da esse cantate dalle più riposte fibre del mio cuore con le vibrazioni e Varmonia- delle corde, d’un salterio». Dove si trovano accenti più umani, sentimenti più puri, ispirazione più religiosa? Questa lettera è bene sia nota : essa infatti aggiunge qualche cosa di più stabile e duraturo ad una fama di pensatore, d’uomo e di poeta che aveva pochi documenti per essere bene sostanziata. Alfredo Obertello My dear Madame, I scarcely alluded to your letter yesterda-y for tliis reason; that a complete silence better befitted it than a few hurried words on our way to and from church. What I did not speak you must allow me to ieri te. Resides that communing with you does do me good, I eagerly seize on this opportunity to speak of myself. Tliis profes-sion of egotism shall not surprise you wlien you consider that there is 011 my part a kind of imposition constant ly practised 011 you and other feniale friends. The nature of 0111* intercurse is sudi as must lead you to a one-sided knowledge of my complex self. It is compréhensible enough, how without thè slighest disposition to cant, being at appointed 01· optional and never long periods of time, in thè company of esteemed and beloved female friends, thè good should floods up to thè surface, tlie bad lie dormant, for tlie time being ne-thermost. Wliat can thè conséquence be save too favourable an appréciation of my character? This I tliink can be in a measure obvia-ted by over-talking about myself, for as I am disposed to speak out thè trutli, a criterion will thus be afforded with Avhich to correct tlie prima facie impression. Thus for example, if my talkative and rat ber nervous mood 011 thursday evening led you to conclude that 1 was far — very far from spiritual perfection — liowever lamentable tlie fact be in itself — I am glad that you arrived at thè conclusion, because a trae 011e. You are fully aware that tlie most difficuìt thing for a human being is to make theorjj a practice, to cut tlie thought, to incarnate Uie idea, to live tlie beliet’. This hold good for all branches of science, for all créations (realizing of thè conceptions) of Literature and tlie Arts, for what hilig or mean concern soever calls on man’s acti-vity to exert itself. With how far tlie greater intenseness and thè inlinitely more everwlielming evidence does thè proposition hold good, wlien applied to Christian practice, tlie Reai not formai, thè 202 Alfredo Orertello Wliole not Partial Christian practice! Wliere in thè perfection aimed at is nothing less tlian thè identifying of man’s wliole self with God’ s will. Whose very possibility could not be restored unto man by any other means than thè unspeakable a 'priori unsupposable mystery of God’ s Son' s Incarnation and Médiation. However thè means iras given ; therefore there is 110 excuse : not even degree of culpability. Slieer unmixed culpability. Shall Ave add, there is 110 explanatiori? With référencé to ooir conscience I fear there is none. « How sad it is that Ave should liesi-tate to believe in thè greatest manifestation of God’ s lo ve — thè gift of His Son as oui* Saviour!». Your exclamation stands unan-swered — unaswerable. But how mudi sad dei* and stranger to pro-fess, to pretend to believe in this manifestation, and yet to live as if sudi manifestation Avere not! Sad and strange — jneasurelessly so Î With reference to our felloAV-creatures, 111 so far at least as Ave speak to account, not to vindicate, to recruit help against, not to contimi ourselves in our obdurateness, there may be some attempi at an explanation. Forget not, noble friend, 111 Avhat country I was born. Certainly : to suppose that there are 110 reai Cliristians amongst thè Catholics Avere to gainsay that tlie heart is thè corner-♦stone and thè touch-stone of Réligion and to forget thè quia multum dilexit of our Saviour. Nevertheless it is unavoidable that by nature of things, thè generality in a Catholic country should sooner or later come to this : to mistake thè symbols of religion for Religion itself : because idolatry is a naturai propensity in man : I say idola try and supersiti ti 011. It Avere roo long to enter here into a détail of thè system of Religious tuition pursued in Italy. Mudi can be inferred from this xliat I, who comparatively speaking Avas placed in favourable cir-cumstances of pious discipline and examples, and possessed moreo ver a certain naturai acuteness of intellect, yet knew nothing, su-spected nothing of tlie true cliaracteristic of religion, until a few years since. The utmost stretch of my mind never brouglit me beyond a conception of morality, between which and rightQOiisness there is a very wide gap. As I did not harm according to tlie laAAr, and went regularly 011 tlie other hand through thè ceremonies prescribed by thè church, I lived in a full security, tlie offspring of complete ignorance. I perused thè Latin bible as 011e does Homer: as a beautiful poem, and Avith a latent admission that all there in was true, but with no sense of tlie miglity corollaries tlie admission brouglit about. During my universitaiy career many things it is true began to tingle a jar within jny mind; Avhich dissonance instead of aAvake-ning me to a sense of my supine ignorance, suggested a strong bias in favour of Rationalism. You will aslc me: by Avhat rule did you live then? Or did you live by 110 rule at all? I had forget a rule for myself, I had a stali- Dichiarazione di fede di Agostino Ruffini 203 dard of virtue in my mind. What will not yonr amazement be wlien yo'u hear that instead of applying to Clirist as a living pattern T went so far back as Zeno and Zeno’ s disciples; that my rule of practical life Avas derived with certain modifications from the principies of thè Stoiks, and that I had presumptuously enough, adop ted Marcus Aurelius, motto «Abstine et sustine »? I was to be com-pared to a man, who in order to see well, waits impatiently till the snn has set, and goes forth in thè moonshine shouting « what a glo-rious day !». Whac would have beeome of me liad I continued in Italy, I can-not say ; but soon, with tlie Catos in my mind, an enthusiastic love for my Country, and tlie buoyancy of youth, pol.itics began to en gross my attention. The conséquences Avith regard to my family Avere thè death of one brother, thè flight from Italy of another, soon followed by my own. My stoicism was put to a severe triai and so mudi the better. At Geneva I began seriously to think and speak about Religion ; liowever never contemplated the possibility of my renouncing Catholicism altogether. Infallibility appeared to me a necessary foundation af a positive Religion. I did not place it in thè Pope, this being a merely optional tenet with the Catho- 1 ics, but tliought that if denied likew^ise to the Ecumenical Council, 110 révélation would be admissible except thè Naturai one. At Paris I grew conversant with tlie Neo-Catholics. There Avas thus a stir raised in my mind : stili ;?11 this neAV activity was chiefly of a· speculative character. One Avould have said tliat I Avas hunting after the solution of some scientiûc problem for science’s sake not for the sake of my so-ul. Even in Tliis country where I had so many opportunities to compare and to learn, 1 continued for a long time to attend tlie Catholic cliapel, though inwardly consciuos that I had become heterodox. A foolish compromise had uoav taken hold of my mind as if Religion were of a compromissorial character. I went to church to honour God, and ail tlie church time Avas spent in hostilily analy-zing and inwardly refuting acts and ceremonies in whicli I associa-ted outAvardly. But if I were to détail ail the stages and gradations of tliought through and by Avhich Avas the transition affected from the former to my present synthesis of religious tenets, I Avould fili pages and pages. So I must come to the resuit, leaving for you the task to supply the blank. The result Avas this. As a speculative Christian my progress Avas certainly great. Upon the most vital questions my mind is uoav made up. What labour, Avhat struggles, how many sleepless nights, Avhat alternations of liope and despondency, what strong tempta-tions to plunge myself again into the pool of self-contented ignorance, if any longer possible, or to solve ail problems into rationa-lism, itself a problem insoluble, I went through silently and solita- 204 Alfredo 0:sestello rily (silence and solitude tlie parents of mudi), he can scarcely imagine, who had never to dispiace as it were thè poles of bis mind, noi* to squeeze out prejoudicés sucked even with thè mother’ s milk, who had thè rìght patii pointed out to bini from his very infancy, ou whoin certainly tlie mighty task devolved and thè high responsibi-lity to tread out tlie patii, to realize tlie theory but who was spa-red thè additional tasi< to filici out thè road for himself, to construct anew thè theory, to supersede one belief, to einbrace another, so different in many points, nay opposite to tlie former ! Another pecu-liarity attending 011 a genuine transition from one conviction to another, wortli noticing is this : that tlie powerful impulse necessarily given to thè mind in an unusual and new direction is likely to carry it not only up to tlie point, but beyond thè point. This will partly account how a man who saw thè destruction of all Révélation in thè rejecting of thè Archimedes punctum of Infallibility} being once convinced of thè imaginary character of this necessity, yea, and of thè incompatibility tliereof with thè generai design of Révélation itself, instead of stopping at this conclusion, may proceed a step further, and question non thè propriety but thè necessity of any church whatever. ΛΥΙιβη I say that my mind is ma de αιρ on thè most vital questions, you must yet take tlie adjective vital in a limited acceptation as even in tlie harren fiekl of spéculation I am stili haunted witli perplexities. I shall give you one instance or two. I believe out and out in thè divine ispiration of thè Scriptures, but whether thè inspiration is constantly literal or not, I cannot take upon me to decide, and rather incline to make exceptions. Again I fully believe in Christ’ s médiation, but whether effectecl by Atonement or Regeneration I cannot say, tliough rather inclined to thè lattei* opinioju Another constant source of perplexity and distress is thè interfe-rence of Reason with Faili. That our Faith should be reasonable I understand. Augustin’ s credo quia ahsurdum proves only to what strange conclusions thè noblest intelligences can be driven. But when Faith presents to us one of her mysteries, not against, beyond our understanding, to have reason immediately starting up as if by pressure of a spring, in thè shapo of an Expounder, of an Arguer, or at least of a Surmiser, is too positive an index to thè want of that docility of mind, of that humbleness of heart so higlily cha-racteristic of thè Practical Christian. Ay, here lies all thè mischief. If I were a real practial Christian, all tliese mental asperities would smooth themselves down into a bland crystalline surface. Light comes from fire. And if there be but a spark in thè heart, what can there be more in thè mind than smoky ilashes? Oh thrice sad and strange that a man who can love thè creature so well should give so little of his love to thè Creator! How many among thè stupidest and most superstitious of my country- Dichiarazione di fede di Agostino Ruffini 205 men would now be burning with charity had they liad all tlie oppor-tunities, lielps, suggestions and jnanifest grâces tliat I bave had I My life ouglit to be a perpetuai thank offering, my thoughts, words and acts a constant glorification of tlie Lord Î My prayers ought to be sung by thè inermost fibres of my whole heart, vibrating and chi-ming like the chords of a Psaltery ! My soul ought to wash away in the lymphs of righteousness the starcli of pride-born virtue and... But enough. Between thè theory and the practice of Chistianity there yawns a chasm abysmal, the arch which shall vault it over, con only be drawn out by God, shand. And now my deara Miss Wilson, you know of my soul more than any persoli on earth. Should I lower in your estimate after this, stili I would not regret having spoken. Of your affection I cannot fear, for truthfulness shall always be acceptable to you, did it even stream out in black flood. At all e vents, you now possess a key to the ebb and flow of my spirits, to the assurance given today that I am quite happy, and to the belying thereof tomorrow, to my cheerfulness and to my dejection, to my habituai pride and to my fits of modesty, to my wisdom and to my ignorance, to the good and the bad which is in me. Your advices are precious to me, and so far as it is given I sali follow them. Your friendship is a blessing to me, and if « affetto paga affetto » I certainly deserve it. To other points of your epistle I shall not reply. Good night, and be-lieve me Yours very truly. A. Ruffini Mia cara Signorina, Ieri, mentre s’andava e si ritornava dalla chiesa non accennai che di sfuggita alla vostra lettera, per questa ragione: un completo silenzio meglio allora le conveniva di poche parole affrettate. Ma quel che non dissi, permettete ora che io scriva. Tanto più che, traendo sempre un gran bene dall’intrat tenermi con voi, non mi par vero che mi si presenti un’occasione per parlarvi di me. Questa professione di egotismo non vi recherà nessuna sorpresa se considerate che, da parte mia, a vostro riguardo e a riguardo d’altre donne amiche, vien mantenuta costantemente una certa reticenza. La natura delle nostre relazioni è tale che non vi può permettere di conoscere più di un unico aspetto della mia complessa personalità. E’ assai evidente infatti che, pur senza la menoma inclinazione a far l’ipocrita, trovandomi nella compagnia di amiche stimate e predilette a tempi stabiliti o trascelti e non mai lunghi, il buono ha da mostrarsi, il male da celarsi per ben altre occasioni. Qual può essere dunque la conseguenza, se non un apprezzamento 206 Alfredo Ol'ep.tello troppo favorevole del mio carattere? Tutto ciò io penso si possa in una certa misura ovviare col parlare a lungo e liberamente di me, poiché essendo io disposto a dir la verità, ne verrà un criterio per correggere la prima e superficiale impressione. Così per esempio se il mio umore loquace e alquanto nervoso di giovedì sera vi portò a concludere che io ero lungi, ben lungi da perfèzion spirituale — per quanto deplorevole sia il fatto in sè stesso —, son lieto che voi siate giunta a questa conclusione perch’essa è veritiera. Voi siete pienamente convinta che la cosa più difficile per noi uomini è quella di praticare la teoria, applicare il pensiero, incarnare la idea, vivere le credenze. Questo vale per tutti i rami delle scienze, per tutte le creazioni (quando sian realizzazioni d’un concetto) della letteratura e delle arti, per qualsivoglia faccenda, grande o meschina, che richieda Vattività dell’uomo per esplicarsi. Ma con quale maggiore intensità e assai maggiore e schiacciante evidenza non varrà la proposizione quando la si applichi alla pratica cristiana, alla vera e non formale, alla totale e non parziale pratica cristiana! Nella cui perfezione desiderata si identifica nientemeno che tutta la vita d’un uomo, del suo proprio essere, con la volontà di Dio. E la cui più elementare possibilità non avrebbe potuto venir ristorata nell’uomo con nessun altro mezzo all’infuori dell’ineffabile ed a priori insupponibile mistero della incarnazione e mediazione del Figlio di Dio. Tuttavia il mezzo fu apprestato, e però non v’è alcuna scusa: non V'è pur anco grado di colpa: v’è colpa pura e totale. E noi aggiungeremo : non v’è spiegazione di sorta? Con riferimento alla nostra coscienza io temo non ve ne sia alcuna. « Com'è triste il fatto che noi abbiarn da esitare a credere nella più grande manifestazione dell’amore di Dio — il dono di Suo Figlio per nostro Salvatore!». La vostra esclamazione rimane inconfutata, inconfutabile. Ma quanto è più triste e inaudito professare e pretendere di credere in questa manifestazione e pur tuttavia vivere come se non fosse ! Ciò è immensamente triste e inaudito ! Per ciò che riguarda i nostri consimili, dato almeno che noi parliamo per esporre non per giustificare la nostra ostinatezza, per farci forza contro e non per confermarci in essa, possiamo ben tentare di dar qualche spiegazione. Non dimenticate, nobile amica, qual sia la contrada in cui son io nato. Certamente, supporre che non ci sian veri cristiani fra i cattolici, sarebbe negare che il cuore è la pietra angolare e la pietra di paragone della religione, e sarebbe dimenticare il quia multum dilexit del nostro Salvatore. Ciò nonostante, è inevitabile che, per la natura delle cose, la genera- Dichiarazione di fede di Agostino Rufi ini 207 lità in un paese cattolico abbia presto o tardi da ridursi a ciò : a scambiare i simboli della religione con la religione stessa, poiché l’idolatria è tendenza naturale nell’uomo : voglio dire idolatria e superstizione. Sarebbe troppo lungo entrar qui nei dettagli del sistema di educazion religiosa che abbiam noi in Italia·. Molto si può inferire da ciò, che io relativamente parlando, mi trovavo in circostanze favorevoli a disciplina e ad esempi di pietà, e possedevo inoltre una certa naturale acutezza di intelletto, non conobbi e non sospettai alcuna delle vere caratteristiche della religione fino a pochi anni fa. Il massimo sforzo della mia mente non mi fece concepire altro più che la solita moralità; eppur fra di essa e la rettitudine v’è tutto un abisso. Siccome io7 stando alla legge, non facevo alcun male e seguivo d’altra parte tutte le cerimonie prescritte dalla Chiesa, vivevo in piena sicurezza ; risultato questo di completa ignoranza. Scorrevo la bibbia latina come si scorrono i libri d’Omero ; con la convinzione d’avere a che fare con un bel poema, e con l’ammissione latente che tutto ciò che vi si conteneva fosse vero, ma con nessun discernimento dei gravi corollari che una tale ammissione importava. Ed è vero che durante i miei anni universitari si insinuò nella mia mente il dubbio su molte cose; ma questo dissidio, anziché risvegliare in me il senso della mia supina ignoranza, mi rese di molto parziale pel razionalismo. Or voi mi domanderete : con qual regola vi governavate allora nella vita? O forse non n’avevate alcuna? Io avevo dimenticato di avere un regola per me ; io avevo un modello di virtù nella mia mente. Qual non sarà il vostro stupore quando udrete che invece di rivolgermi a Cristo come ad un esempio vivente, mi rifacevo così addietro da propormi Zenone e i suoi discepoli; che la mia regola di vita pratica era desunta? con qualche modificazione, dai principi degli Stoici e che avevo adottato, con non indifferente presunzione, il motto di Marco Aurelio « abstine et sustine ». Io potevo essere paragonato a un uomo che, per veder bene, aspetta impazientemente che il sole sia tramontato e procede poscia nel chiaro di luna a gridare: «Che gloriosa giornata!». Che cosa sarebbe avvenuto di me se avessi continuato così in Italia, non saprei. Ma ben tosto, coi Catoni per la testa, un entusiastico amore per la mia terra e lo slancio della giovinezza, la politica cominciò ad assorbire la mia attenzione. Le conseguenze per la mia famiglia furon prima la morte d’un fratello, poi, la fuga d’un altro cui seguì poco dopo la mia. Il mio stoicismo veniva così sottoposto ad una prova ben severa; e fu un bene. A Ginevra prin- 208 Alfredo Ouertello cipiai seriamente a pensare e a parlar di religione. Tuttavia non contemplai mai la possibilità di rinunciare interamente al cattolicesimo. L’infallibilità mi sembrava un fondamento necessario ad una religione positiva. Io 11011 la ponevo nel papa, questo essendo un dogma puramente facoltativo dei cattolici ; ma reputavo che se venisse egualmente negata al concilio ecumenico, non si potrebbe ammettere alcun’altra rivelazione all’infuori di quella naturale. A Parigi entrai 111 dimestichezza coi Neo-cattolici. Ne venne uno scombussolamento nella mia mente. Eppure questa nuova attività era principalmente d’un carattere speculativo. Si sarebbe detto che io andassi rintracciando la soluzione di q-ualche problema scientifico per amor di scienza, non per salute deir anima mia! Perlino in questa contrada dov'eran molte le opportunità che mi si presentavano per far paragoni ed istruirmi, continuai per gran tempo ad attendere le funzioni della cappella cattolica sebbene intimamente conscio che ero divenuto eterodosso. Nella mia mente s’era venuto ora stabilendo un ridicolo compromesso come se la religione fosse di un carattere di transazione. Andavo in chiesa per onorar Dio e spendevo tutto il tempo ad analizzare ostilmente e a rifiutare nell’intimo atti e cerimonie alle quali m’associavo all’esteriore. Ma se dovessi descrivervi per minuto tutte le fasi e le gradazioni di pensiero attraverso cui e per mezzo di cui s'operò il trapasso dall’antica alla mia presente sintesi di opinioni religiose, riempirei pagine e pagine. Sicché debbo venire al risultato, lasciando a voi l/incarico di riempire i vuoti. E questo esso fu. I miei progressi come cristiano diciam così speculativo furon senza dubbio grandi. Ora, sulle più vitali questioni, la mia niente s’è determinata. Ma qual fu la fatica che durai in silenzio e in solitudine (silenzio e solitudine tanto feraci), quali le lotte, quante le notti insonni, quali le alternative di speranza e di disperazione, quali le forti tentazioni di tuffarmi di bel nuovo, se ne avessi avuta ormai più la possibilità, nello stagno dell’ignoranza soddisfatta di se stessa, o di risolvere tutti i problemi in ra-zionalimo — esso stesso un problema insolubile! Tutto ciò può a stento immaginarlo colui che 11011 ha mai dovuto mutare gli indirizzi della sua mente nè espeller pregiudizi succhiati già eoi latte materno, che ebbe indicato il retto sentiero fin dalla primissima infanzia·, e a cui restò bensì Paltò compito e la grave responsabilità di percorrerlo e di mettere in pratica la teoria, ma a cui fu risparmiato il compito addizionale di trovar la strada egli stesso, di rifar di bel nuovo la teoria, di ripudiare una credenza e di abbracciarne •un’altra tanto diversa, in molti punti anzi opposta alla prima. Dichiarazione di fede di Agostino Ruffini 209 I n’altra peculiarità propria di un genuino trapasso da una ad un altra convinzione religiosa degna di esser ricordata è questa: il potente impulso dato per necessità alla mente in una inusitata e nuova direzione è probabile la riduca ad oltrepassare iinanco il li mite stabilito. Questo in parte varrà per spiegare come mai un uomo che vide distrutta ogni rivelazione nel rigettar che fece il punto archimedeo dell’infallibilità·, pur essendo altra volta convinto del carattere immaginario di questa necessità e, sì, anche della incompatibilità relativa al disegno generale della rivelazione stessa, invece di fermarsi a questa conclusione vada un passo manzi e discuta non la opportunità ma la necessità di qualunque chiesa. Quando io dico che la mia mente s’è determinata sulle più vitali questioni non dovete prendere l’aggettivo vitale in un senso limitato, poiché anche nell’arido campo speculativo sono ancora in preda a perplessità. Vi darò qualche esempio. Io credo fermamente nella divina ispirazione delle Scritture; ma non posso decidere se essa sia costantemente letterale o no : anzi son piuttosto inclinato a far delle eccezioni. Ancora: io credo pienamente nella mediazione di Cristo, ma non so dire se sia stata effettuata per espiazione o per rigenerazione, sebbene sia piuttosto inclinato alla seconda opinione. Un’altra continua sorgente di dubbio e di imbarazzo è la interferenza della ragione con la fede. So bene che la nostra fede ha da esser ragionevole. E il credo quia absurdum d’Agostino sta lì a· provare a quali strane conclusioni possan venir guidate le più nobili intelligenze. Ma quando la fede ci presenta uno dei suoi misteri non contrari ma superiori alla nostra conoscenza, aver la ragione che immediatamente scatta come sotto pression d’una molla in abito di commentatrice, di argomentatrice o almeno di suppositrice, è un indice troppo positivo della mancanza di quella docilità di mente, di quella umiltà di cuore che son così altamente caratteristiche del cristiano pratico. Sì, qui è tutto il male. Se io fossi un vero cristiano tutte queste asprezze mentali si ridurrebbero ben presto ad una blanda superfìcie cristallina. La luce vien dal fuoco. E se nel cuore non v’è che una scintilla, vi può forse essere nella mente altro più che gettiti fumosi? Oh, tre volte triste ed inaudito che un uomo che può amar tanto una creatura, renda così poco amore al Creatore! Quanti dei più stupidi e dei più superstiziosi fra i miei compatrioti sarebbero ora accesi dal sacro fuoco della carità se avessero avuto tutte le opportunità, gli aiuti, i suggerimenti e le grazie manifeste che io lio avuti! La mia vita avrebbe da essere una perpetua azione di 210 Alfredo Ohertello grazie, i miei pensieri, le mie parole e i miei atti -una costante glorificazione del Signore Î Le mie preghiere avrebber da esser cantate dalle più riposte fibre del cuore con le vibrazioni e l’armonia delle corde d’un salterio ! La mia anima dovrebbe risciacquare nelle acque della rettitudine l’affettazione d’un’innata orgogliosa virtù e... Ma basta. Tra la teoria e la pratica cristiana si spalanca un abisso insondabile : l’arco che lo soprasti, riunendolo, può solo uscir dalle mani di Dio. Ed ora, mia cara signorina Wilson, voi sapete più della mia-vita di qualsiasi persona in terra. Dovessi scendere nella vostra stima dopo ciò, io non rimpiangerei tuttavia d’aver parlato. Della vostra affezione io non lio da» temere, poiché la sincerità vi sarà sempre accetta, anche se avesse smarginato in nere ondate. In ogni modo voi ora avete la chiave per spiegare il flusso e riflusso dei miei spiriti, l’assicurazione data oggi che io sono affatto felice e la relativa smentita domani, la mia gaiezza e il mio abbattimento, la mia abituale superbia e i miei accessi di modestia, la mia sac-cenza e la mia ignoranza, il buono e il malvagio ch’è in me. I vostri suggerimenti mi sono preziosi, ed io li seguirò alla lettera. La vostra amicizia è per me una benedizione, e se « affetto paga affetto » io certamente lo merito. Ad altri punti della vostra lettera io non risponderò. Buona notte e credetemi il vostro più sincero : A. Ruffini SAGGIO SULL’ECONOMIA LUNIGIANESE DEL SECOLO XIII L'interessante articolo pubblicato dal Prof. Di Tucci su questo stesso Giornale intorno a « Le imposte sul commercio genovese durante la gestione del Banco di S. Giorgio » mi ha suggerito l'idea di tentare una modesta ricostruzione storica dello stato delle finanze e delPeconomia lunigianese nella seconda metà del secolo XIII. L’argomento non è del tutto nuovo ; chiari scrittori, e benemeriti cultori eli storia, quali lo Sforza, il Mazzini, il Formentini, il Can. Mussi ed altri, hanno saltuariamente toccato Γargomento con intendimenti vari e con diverse finalità in non piccolo numero di monografìe, articoli, ecc. Nè potrò evidentemente rivelare nuove carte rimaste sinora ignorate fra le pergamene ingiallite di qualche carfella notarile. o fra gli atti di curia, ma soltanto servirmi di documenti già pubblicati ed arcinoti. Soltanto oso ritenere che lo studio comparativo dei dati, anche se conosciuti, non sia del tutto inutile ai fini d’una maggior conoscenza della situazione economico-finanziaria della Lunigiana e della popolazione che l’abitava, in quell’interessante periodo storico. * * -x- Le premesse dicono da sole clie oggetto della presente ricerca sarà anzitutto, non però esclusivamente, la contea vescovile di Sar-zana, la contea del vescovo Enrico, cioè dell'ultima restaurazione — sotto certi aspetti anche instaurazione — precedente la definitiva rovina. Tempi amari, questi, pei burgensi di Sarzana, nei confronti di quelli del Vescovo Mazzucco, ad esempio. È noto infatti che il processo formativo ed evolutivo del Comune Sarzanese è andato via via impaludandosi, anzi trasformandosi addirittura — in un determinato momento — in un contrario processo involutivo che ha riportato il Connine, dalle estrenie posizioni già raggiunte durante e a seguito degli ultimi tentativi di ribellione aU'epoca del vescovo Guglielmo, ad uno stadio più arretrato di sviluppo. Giustamente ha rilevato il Volpe (J) che nella restaurazione del vescovado successiva alla morte di Manfredi notiamo già l'opera d'una « mano più agile», (i) « Luuigìana Medievale » Firenze, La Voce, 1923, pag. 231. 212 Ferruccio Sassi più pratica, che sa creare dal nulla o quasi una milizia, una giustizia, una burocrazia capaci di dominio effettivo. E sappiamo anche come l'energia del vescovo Enrico si era valsa deH'inquadratura predisposta dai lucchesi per battere proprio i maestri. La situazione finanziario-fiscale rispecchia naturalmente in modo fedele la situazione politica. Non troviamo cioè alcuna traccia, nelle investigazioni affidate alla carta dall'attività del presule venuto da Furecchio, di quella diarchia, cui i sarzanesi mostravano di tenere assai nei primi decenni del secolo. Non che il vescovo Enrico, per quanto nulla ci risulti chiaramente documentato, abbia dato senz'altro di piglio alla spugna astergendo d'un colpo le disposizioni di favore piùo meno volontariamente concesse dai suoi predecessori alle organizzazioni comunali della contea. Quando infatti egli determina nel li’To i doveri dei gastaldi vescovili (x), restituiti ovunque alle funzioni ed all'originaria importanza loro, dispone che il gastaldo preposto alla vasta circoscrizione facente centro nel borgo di Sar-zana assisterà alla pronunzia delle condanne qualora ciò non sia espressamente vietato dagli Statuti e dalle speciali consuetudini delle singole comunità della circoscrizione. Così non parrebbe possa avere il vescovo Enrico posto in non cale la disposizione dello Statuto di Sarzana del 12G9 (2),clie riconosceva al Comune il diritto di imporre e mantenere un proprio pedaggio accanto a quelli degli eredi di Guglielmo Bianco di Vezzano, e del vescovo : o che avesse annullato le concessioni incluse negli Statuti delle singole comunità di parte dei proventi del mercato, della pesca, magari della pesatura pubblica ecc.... (s). Ho usato di proposito la parola comunità per evitare qualsiasi confusione col concerto di comune nell'accezione ordinaria della parola medioevale. Perchè è evidente che da tutti questi comuni (anche se provvisti di propri podestà o consoli), e per conseguenza da tutte queste imposizioni comunali, esula nel modo più assoluto ogni attributo, ogni concetto di sovranità, od anche soltanto di autonomia politica. A guardar bene, allo stesso Comune del borgo (o anche del borgo e del Castello) di Sarzana era sempre mancato il mezzo giuridico per negar validamente i diritti del vescovo o per elevarsi al di lui posto spodestandolo. Nel campo strettamente costituzionale il noto diploma di Federico 11° richiamava il borgo di Sarzana alle dirette dipendenze dell'impero, ma non riconosceva al borgo stesso alcuna facoltà politica : questa avrebbe potuto essere una successiva conquista del Comune, che sarebbe in fondo rientrata nella più perfetta normalità di fatto. Nel campo strettamente finanziario, poi, lo stesso lodo di Grasso canonico di Sarzana e Parente qm. Alberto di (1) cfr. C. P. n. 427, 405. (2) Satutì di Sarzana, pubblicati dal Podestà in Monnm. St. Patr. Prov. Modenesi, Serie degli Statuti, Tomo 10, Fase. I, Modena, 1S93. C. P. n. 10 add. Saggio sull'economia Lunigianese del Sec. XIII 213 Parente Vicedomino, del 1228, accordava ad esempio ai borghesi di Sarzana la libera navigazione alla foce del Magra, ma per soli sei anni. Le stesse controversie a lungo dibattute sulla dogana del sale non servono che a porre in luce il processo formativo del Comune, ma non un suo diritto che non fosse basato sulla forza delle armi o sulla coercizione esercitata attraverso i prestiti. Al contrario i segni distintivi della sovranità li riscontriamo nei diritti tiscali, nelle regalie di ogni genere cedute dalPimpero al vescovo ed a questo spettanti, quali vediamo rigorosamente descritti nelle carte relative ai pedaggi di S. Maurizio, di S. Stefano e Capri-gliola, e dell'Avenza, con assoluta esclusione di compartecipazioni comunali. # Il Di Tucci ha posto in rilievo, pel Comune di Genova, l’avve-nuta sovrapposizione della tassazione comunale al nucleo primitivo dato dai diritti fiscali viscontili. Nella contea vescovile di Sarzana, e neU'epoca di cui stiamo trattando, possiamo parlare, più che di sovrapposizione — che presuppone l'integrità dell* intelaia tura sottostante — di vera e propria commistione di diritti a netta origine feudale e di diritti la cui esazione appare ispirata dai concetti regolatori della finanza dei grandi Comuni autonomi confinanti con la contea. È chiara nelle tariffe vescovili Γorigine signorile delle imposizioni, rifiettenti quelle che nel comune genovese costituiscono il « ius vicecomitatus » ; l'influenza comunale a sua volta si manifesta sia nella generalità dell'imposizione tanto sui forestieri quanto siigli abitanti della contea, sia nella grande quantità delle voci colpite con tariffe ben distinte e specifiche. Avremmo cioè praticamente nel campo finanziario la manifestazione d’una linea politica seguita dai vescovi di Sarzana (già dimostrata dal loro contegno nelle lotte contro l'imperoj e tendente a portare la contea sullo stesso piano giuri dico dei grossi Comuni cittadini. Non diversa, in fondo, è la posizione di diritto, per così dire interno, assunta sia dal vescovo di Sarzana sia dai Comuni autonomi nei confronti dei Comuni amministrativi sorti nell'ambito dei rispettivi territori. Di battuti, per ora non v'è che il Comune sarzanese. Per inciso potremmo rivolgerci per l'ennesima volta una domanda. Se il fondamento dei poteri fiscali del vescovo sta nel (dus comitatus», come mai possono godere in Genova gli stessi diritti le famiglie viscontili, se queste hanno rilevato dai marchesi espulsi dalla città? Esisteva o no una contea genovese, titolari i marchesi? Ma poiché questa non è la sede adatta per tale discussione, è preferibile passare all’esame delle tariffe vescovili lunensi riconoscendo, in base al suesteso riassunto della situazione generale della Lunigiana, che si potrebbe parlare d'una finanza e d'una economia del Comune — ente amministrativo di Sarzana. e d'una finanza e di un'economia, nettamente distinte dalle prime nel campo giuridico e pratico, dell’organismo politico di cui detto Comune è parte e sede 214 Ferruccio Sassi del signore. Delle due è logicamente quest’ultima che maggiormente ci interessa. ■if tt * È naturalmente il Codice Pelavicino che fornisce in materia fiscale il notiziario più completo : e possiamo per l’appunto prender le mosse dalla nota « inquisitio » fatta ad opera del vescovo Enrico nei giorni 8 e 9 agosto 1277 presso gli uomini più vecchi e degni di fede circa il ripatico ed il pedaggio del porto o foce di San Maurizio, dell’Ameglia e del suo distretto (1). Dopo l’espansione genovese nella Lunigiana ad occidente della Magra, l’attività Marittima della contea luuense erasi ristretta^ in quella zona che da Capo Corvo giungeva all’Avenza, e soprattutto, per evidenti ragioni di opportunità topografica, nel porto fluviale di S. Maurizio, alla foce della Magra, dove la relativa profondità delle acque in relazione al modesto pescaggio delle navi consentiva un comodo e sicuro ancoraggio, anche alle maggiori costruzioni dell’epoca. Del resto, per trovare le traccie d'un'attivi|| marinara della Lunigiana all’epoca del dominio vescovile (tralasciando quindi di. occuparci sia dell'epoca romana che dell’epoca delle dominazioni barbariche, sia dell’attività in più antico tempo sviluppata attorno al golfo della Spezia e nei piccoli porti della riviera) non abbiamo che a ricorrere alla solita inesauribile fonte. L’inquisizione ordinata dal vescovo Enrico, durante il tentativo di restaurazione del potere vescovile, per accertare i diritti della curia sugli uomini dell’Amelia e di Barbavano, quali risultavano dalle tradizioni orali, dalle scritture dei registri, dalle deposizioni dei gastaldi e degli ufficiali riscuotitori, ci rivela l’obbligo incombente ai « filii Gerardeti » e ai « filii Odonis » di andare per mare « usque ad Clusam » (2). Ora gli uni e gli altri « sunt cortesiani » e ricoprono presso la curia uffici analoghi a quelli dei siniscalchi in quanto fra l’altro «portant vinum ad mensam et acquam ad manus lavandas et ad aequandum vinum » ; ma nel tempo stesso hanno obblighi di servizio militare, essendo tenuti alla prestazione annuale di otto settimane di « scheraguaita » e di altre otto di « guaita » nel castello dell’Amelia, ed inoltre perchè vanno « ad mare usque ad Clusam ». Mi pare che da questo concetto non possa del tutto escludersi l'allusione ad un servizio marittimo che chiamerei «di stato» per conto del conte - vescovo, e che in tal caso troverebbe necessariamente almeno alle origini il proprio fondamento giuridico in un obbligo di servizio militare sulle navi della contea o fornite alla contea — per richiesta, requisizione, acquisto 05) costava nel maggio 1277, e cioè in ben appropriata concomitanza di tempo con la compilazione scritta delle tariffe lunensi, la somma di 6 lire genovesi corrispondenti, al corso attuale della moneta, a circa lire italiane 412, mentre l’importo della tassazione a S. Maurizio era di 10 soldi genovesi. Alquanto più elevato parrebbe fosse il dazio sui remi da galea, sottoposti ad una tassazione fissa di 4 denari genovesi, pientre n loro valore d'acquisto in Genova nel marzo 1277 (3) variava da un minimo di 20 denari per i remi di 6 e 7 cubiti (m. 3,47 e in. 4,05) sino a 36 denari per quelli di 25 palmi (m. 6,20) e a 45 denari per (ì) Ferretto, op. cit. 1, pag. 80. (2) il), 2, pag. 145. (3; Ferretto, l. cit., nota. Saggio sull'economia Lunigianese del Sec. XIII 219 quelli di 9 cubiti (m.5,20) (se non v’è errore di stampa, bisogna evidentemente ritenere che quest’ultima differenza di prezzo fosse dovuta a un diverso grado di accuratezza nella lavorazione). La misura del dazio d’introduzione vallerebbe quindi inversamente da un minimo del 9% ad un massimo del 20%, non potendosi dubitare, per la stessa portata dell’ordinazione da cui i dati ora citati son tolti, che i remi predetti servissero per l’allestimento di flottiglie e che perciò almeno i più lunghi fossero destinati alla galee. Noto incidentamente che la tariffa del vescovo Enrico, mentre determina i dazi, oltreché pei remi e per gli alberi, anche per i pennoni e i timoni (pei quali però non m’è riuscito trovare dati comparativi), non fa cenno alcuno dei dazi sulle ancore le quali pure facevano parte della dotazione di bordo. Si potrebbe obbiettare, è vero, che la tariffa non prevede neppure l’importazione di altri oggetti (ad es. sartie e vele) non meno indispensabili: ma appunto per questo appare nella sua vera luce lo specifico significato dell’inciso « de trave qualibet » che la carta contiene subito dopo aver parlato degli attrezzi marinareschi e subito prima di far cenno dell’imposizione sul vino e sui legnami. È evidente che l’inciso predetto ha stretta relazione con l’argomento che precede, e che l’estensore della carta intendeva colpire con il dazio di 6 denari genovesi l’introduzione di qualsiasi pezzo lavorato ad uso navale (speroni, paramez-zali, puntali, chiglie etc.). In una parola, notiamo caratteristica la intenzione di proteggere le « industrie, o più semplicemente, le attività attinenti alla lavorazione del legno, e al contrario di favorire l'introduzione di quei prodotti ottenuti da materie prime inesistenti o quasi nel territorio della contea. Questo è appunto il caso del ferro notoriamente mancante in Lunigiana, tanto più dopo che quelle lievi, traccie che pareva fossero state scoperte in quel di Ponzò e nei pressi di Capocorvo erano o volevano essere sfruttate dalle società commerciali all’uopo costituitesi in Genova (*). La scarsezza della materia prima doveva anzi spingere a qualche tentativo di speculazione, se il vescovo Guglielmo, nelle aggiunte agli Statuti di Carrara del maggio 1200 (2), sentiva il bisogno di calmierare questo articolo al prezzo di tre denari lucchesi pari ad un denaro e mezzo genovese, per libbra. Non senza prima rilevare che il cambio sembrava andass.e piuttosto sfavorevolmente pei lucchesi, sarà opportuno notare la concordanza di risultati con i dati fornitici da un atto del notaio Angelino da Sestri del luglio 12GS (8), col quale il ferraio Succio da Savona promette di consegnare in Genova a Bonincontro da Porto-venere due ancore di ferro del peso di 3 cantari (Kg. 141,75) al prezzo di soldi 23 genovesi al cantaro. Otto anni avanti, secondo il prezzo (i) Ferretto, op. cit. 2, pag. 127, 3G2 segg. (Q) C. P. n. 313. (3) Ferretto, op. cil. 1, pag. 152. 220 Ferruccio Sassi determinato negli Statuti di Carrara, un cantaro di ferro grezzo sarebbe costato soldi genovesi 19. Sui prezzi delle navi nella seconda jnetà del secolo XIII, non abbiamo documenti lunensi. Dalle carte genovesi del l· erretto possiamo ricavare invece alcuni dati che, sia per avere le monete genovesi corso legale nella contea vescovile, sia per la frequenza dei rapporti e Γinfluenza che la finanza genovese non poteva a meno di avere sulle terre limitrofe, possono ritenersi suscettibili di adattamento con sufficiente approssimazione. Senonchè anche in questi troviamo cifre troppo lontane le une dalle altre, sbalzi troppo forti dovuti in parte, senza dubbio, alle differenti caratteristiche costruttive dei vari tipi di navi, od anche delle navi del medesimo tipo, ma certo dovuti pel rimanente a cause economiche d’indole generale agenti su tutti i fattori delia produzione e sugli scambi. Ed è appunto ciò che rende non inutile la ricerca. Così, ad esempio, il 28 Settembre 12G7 (i) il maestro d’ascia Soldano promette a Bonencontro da Portovenere di costruire prima dell’aprile successivo un panfilo con carena lungo 30 cubiti (meti'i 17.40), largo in coperta 1G palmi (circa 4 metri), e con un’altezza di costruzione di palmi 8 (circa 2 metri) per il compenso di 190 lire genovesi e con la condizione che il costruttore potesse tenere per sè un ottavo della nave: ciò che eleva il costo complessivo a circa L. 220 di genovesi, pari quindi a lire italiane 1G.000 all’incirca· al costo attuale. Il prezzo è evidentemente elevato per quell’epoca, nò basta a giustificarlo il, particolare cenno che lo scafo debba essere munito di chiglia, che cioè debba essere destinato a mari ove forte è la deriva per effetto di tempeste e correnti — forse verso i mari di Provenza — e a trasporto di merci non molto ingombranti ma di un certo valore come pare si possa; dedurre dal rapporto tra la larghezza e la lunghezza dello scafo (1:4,15) tendente ad assicurare alla nave una buona stabilità anche con mare grosso. Nel 1281, ed il giorno G di novembre (*■), mastro Bonavere da Portovenere, rinomato costruttore in Genova, promette di costruire prima del successivo aprile un panfilo lungo 13 cubiti (circa 25 metri) largo 1G palmi e alto 8, per lire genovesi ISO, cioè oltre 12000 lire italiane attuali. Lo stesso Bonavere, che evidentemente era nemico dell’ozio, aveva giusto in quel tempo in costruzione un panfilo da consegnarsi allo speziale Francesco prima del Natale, delle dimensioni rispettivamente di 40 cubiti (m. 23), 11 palmi, (m. 2,75 circa) e palmi 8 meno un quarto in altezza (m. 1,90) « bene calcatum, pegatum et bene clavatujn et imbancatum de supra copertam cum portis» etc. Q, il tutto per lire genovesi 164, equo compenso d’una costruzione indubbiamente accurata. (1) ibf 2, pag. 432. (*) ib. I. pag. 117. (3) ib. 2 Dag. 395. Saggio Sull’Economia Lunigianese del Sec. XIII 221 Lo stesso fenomeno d’una discesa dei prezzi tra gli estremi del 12G7 e del 1281 riscontriamo nella costruzione delle barche, comprendendo sotto questa denominazione i navigli anche pontati d’una certa mole adatti in modo speciale ai traffici costieri e di piccolo cabotaggio tra il continente e le isole, ma che l’intraprendenza e l’amor di lucro potevano anche trasformare all’occorrenza in pericolosi strumenti di preda agenti in mari molto più lontani. Così il 18 gennaio 12GG Aldebrando di Porta prometteva di consegnare in aprile a Gerardo de Montesanto una barca « de bono lignamine, nigram, calcatam et bene clavatam», per la somma di lire 13 e soldi 5 genovesi 0). Nel 1274 troviamo però una compagnia di armatori di Portovenere che, dopo aver armato in corso il loro panfilo «Leone», acquistano a credito >una barca per la quale promettono di dare ben 78 lire di genovini sulla prima- preda da effettuarsi nei mari di Provenza, Sardegna e Barberia (2). La metà d’un’altra· barca di soli 1G remi viene venduta PII settembre dello stesso aniio per ben 30 lire genovesi : anche questa imbarcazione deve partire in corso (3). Ecco dunque identificata la causa che in quel giro di tempo determinava un brusco rialzo dei valori : la speculazione si. esercitava in vista delle ostilità, e non soltanto sulle navi di recente costruzione, ma anche sugli scafi vecchi e di scarso valor commerciale. Vediamo un ottavo di un panfilo (provvisto di 80 remi, 4 ancore, 2 gomene, 2 vele) venduto per 20 lire genovesi (4) : un decimo d'un altro panfilo — « Sparviero» — venduto per sole lire 2G essendo compresi nella cessione 40 remi e la parte di lucro d^ effettuarsi nel prossimo viaggio (5). Se quindi un panfilo già in uso valeva nel 1274 lire genovesi 1G0, il suo valore risultava eguale a quello che aveva solo tre anni prima nulla meno che una tarida da poco varata dallo scalo di Portovenere (6). Mentre d’altro lato, ancora nel 1278, un quarto di barca nuova coperta vien venduta in Genova da Ricobono de Rustiguzio a Guglielmo de Lazaro drappiere per L. 40 e s. 15, il che ci dà un valore globale della nave di lire 1G3. E non parliamo del costo delle galee, una delle quali « Bonaventura» viene venduta nel settembre 1277 per la bella somma di lire 500 genovesi (7). Tossiamo perciò tracciare l’andamento generale dei prezzi delle navi negli ultimi decenni del secolo XIII. Si raggiunge un’elevatissima quota nel 1267 e da questa si scende fino al 1271 circa, dopo di che si ricomincia a salire sino a toccare livelli elevati nel periodo (1) Fr.RhETTO. op. cit., 2, pag. 29. (2) ib, 2. 340. (3) ib. 2. 392. (4) ib. 2. 372. (5) ib. 2. 350. (6) ib. 2. 244 . (7) ih. 14ó, nota. 222 Ferruccio Sassi 1274-78, dal quale ha inizio un nuovo movimento discendente che si protrae certamente oltre il 1281. Ed i massimi — ci dice qualsiasi manuale di storia generale — coincidono precisamente con i periodi critici della spedizione di Carlo d’Angiò in Italia e della sua guerra con Genova. * * * Terminata la rassegna relativa alle tariffe attinenti alle industrie marittime potremmo passare all’esame, delle tariffe applicate sugli altri svariati prodotti elencati nelle carte citate. Questa seconda j)arte non presenta particolari aspetti caratteristici, e siamo perciò in grado di procedere ad un esame globale dei pedaggi del porto di S. Maurizio, delFAvenza, di Santo Stefano e Caprigliola. Non che ognuno di essi non abbia se non voci contemporaneamente contemplate negli altri : vi sono infatti alcune voci specifiche, come per es. l’importazione del sale, di stoviglie di legno o di vetro o di terra, di pentole, di orci etc... particolari del pedaggio di S. Maurizio e che starebbero perciò a dimostrare un’origine ultramarina di questi prodotti naturali e dei manufatti almeno di maggior fini tezza. Così a sua volta il pedaggio di Santo Stefano, con evidente riferimento alle disposizioni statutarie già accennate, si perde in un esame più minuto del pedaggio del legname. Ma questi soffocanti particolari ci affaticherebbero inutilmente, così come tornerebbe superfluo rilevare che in linea generale i dazi del porto di San Maurizio sono più elevati che non i pedaggi «via terra», e ciò in naturale dipendenza delle spese maggiori occorrenti per la buona manutenzione dell’ancoraggio. Esamineremo perciò le tariffe per grandi linee. I principali articoli di transito o d’introduzione nella contea erano i tessuti, i filati, i cuoi e le pelli; non trascurabile neppure il passaggio e l’introduzione di metalli (ferro, piombo, rame), di prodotti agricoli, del bestiame grosso e minuto. E’ contemplata l'esportazione dalle terre vescovili di vino (denari 4 per ogni somma di 50 libbre) e di pecore (1 denaro per capo); è pure contemplato il caso di ‘uscita· d’un destriero (dal contesto delle voci seguenti nei testi e relative pure ai cavalli si deduce trattarsi d’un cavallo di razza) portato a vendere in Lombardia, in Francia, in Toscana: l’elevatezza della tariffa (soldi .10) dimostra la. povertà della contea in tal ramo delFatti-vità economica agricola, e si riiiette anche sulle tariffe relative al cavallo «mediocri» (soldi 5) e al ronzino (soldi 2-l·). È evidente l'intendimento di evitare Finaridimento di questa fonte di ricchezza, mentre al contrario nessuna preoccupazione desta il movimento commerciale, in entrata od uscita indifferentemente, delle altre specie di animali per uso domestico, come bovi, asini e suini per i quali si corrisjiondeva rispettivamente la tenue somma di 4, 3, 2, denari, Saggio Sull’Economia Lunigianese del Sec. XIII 223 e tanto meno il consueto periodico spostamento dei greggi di ovini in cerca dei pascoli stagionali. Minima poi l’imposizione gravante sui grani e sulle altre biade. Non possiamo ricavare confronti diretti col valore di questi prodotti nella contea, ma il fatto economico può esser dimostrato anche per mezzo di confronti con le carte genovesi. E’ ben vero che quelle fra di esse, cui avremo occasione di fare riferimento, riflettono tutte acquisti di grano siciliano effettuato in Genova da parte di abitatori della Lunigiana genovese, fossero essi commercianti, o più semplicemente conduttori di molini e di forni, ovvero ancora, seguendo l’uso allora vigente, persone appositamente incaricate di procedere ad acquisti per conto di intere comunità. Trattasi cioè di partite di grano importate con non lievi difficoltà causate dai pericoli della navigazione, e da consumarsi in zone notoriamente montuose ove la cultura del frumento era praticamente inattuabile. Certamente, quando pure queste condizioni sfavorevoli non avessero influito in modo specifico sul prezzo praticato nel mercato genovese, dovevano aggiungersi a questo le spese di pedaggio e trasporto. Con tutto ciò è incontestabile la tenuità della tassazione nella Lunigiana vescovile, tenuità che da un lato tendeva a> favorire il commercio di esportazione pel caso — difficile sempre a verificarsi, impossibile poi in quegli anni di convulsioni — di raccolti sovrabbondanti ; dall’altro, e sopratutto, a non ostacolare l’importazione di granaglie e derrate di ogni genere che il suolo non doveva produrre neppur allora in quantità sufficente ai bisogni di tutta la popolazione e del patrimonio zootecnico. * *- * I documenti genovesi che ci possono interessare sono i seguenti. Il 27 gennaio 1266 Sireto e Guarino da Montale e Ricomanno da Pastine della pieve di Ceula comprano da Manuele Castagna in Genova sei mine di grano siciliano pel quale si obbligano a pagare prima di Pasqua lire genovesi 3 e soldi 12, vale a dire soldi 12 per mina (*) : applicando i dati e le tabelle citate dello Schaube, e con le opportune conversioni di misure, ci darebbe un costo di lire italiane al corso attuale 52 circa al quintale. Prezzo che per l'anno successivo si eleva anche a soldi 13,5 per mina cioè a lire 58,5 il quintale; tanto infatti vale il grano siciliano che Giovanni Dentice drappiere in Genova vende a Simone de Fuce da Levanto nella quantità di 10 mine (3). Vengono poi i tempi del « carovita » dovuto alle guerre angioine, ed anche nei prezzi del grano — come già per le navi — notiamo un rilevante aumento: l’8 giugno 1271 alcuni consoci, fra (1) Ferretto, op. ci. 2, pag. 29. (2) ib. II, pag. 88. T.a stessa carta dìi notizia d’un’altra vendita di grano da parte dello stesso Giovanni Dentice per una media di s. 10,5 per mina. Ma ciò è evidentemente frutto di particolari rapporti intercedenti fra ι negozianti. 224 Ferruccio Sassi cui due di Portovenere, pagano per 100 mine di grano siciliano la bella somma di lire genovesi 80, pari a soldi 10 per mina e a 11011 meno di 70 lire italiane attuali al quintale (l). Un dazio di denari tre per soma ed un ripatico di G per ogni mina sbarcata sulla gettata di S. Maurizio, non possono perciò apparire come una misura protettiva della produzione locale. Questa doveva effettivamente essere insufficiente ai bisogni del consumo, nò si prevedeva di potere — per ridurre il fabbisogno — adattare a tale cultura nuove terre od aumentare la produttività delle terre già così coltivate. A tale conclusione mi pare si possa giungere anche per altra via, esaminando cioè, per esempio, l’attività, del vescovo Guglielmo dopo la restaurazione della contea lunense susseguente alla morte di Federico II. La solerte preoccupazione del pastore di Luni, tutta volta a restaurare le sorti spirituali e temporali della sua cattedra, aveva già fortemente colpito l’acuto sguardo del Volpe (2). che ne aveva tratto argomento per illustrare le vicende del colonato lunense alla seconda metà del secolo XIII. Ma, per diversi scopi che quell’insigne storico si era proposti, era passato in seconda linea, rimanendo sin qui in ombra, per quanto mi consta, un lato importante dell’attività economica del nominato vescovo. Che le numerose affrancazioni dei villani avessero lo scopo di procura ce il denaro necessario per restaurare la potenzialità politica, sta bene ; che anche si trattasse « di semplicar l'amministrazione, di riscuotere più comodamente in contanti ciò che prima gli uomini davano in derrate», come scrive il ^Volpe, può esser benissimo; ma tutti quegli atti che in numero veramente imponente, particolarmente nel J2o5, ci mostrano il vescovo Guglielmo intento ad assicurare alla curia il privato possesso di terre e il godimento di redditi precisa-mente in natura (3). — fìtti e canoni annui consistenti in un numero variabile di staia di frumento e, ma in molto minor quantità, di altre derrate — può essere indice ottimo per dimostrare l’assoluta necessità di svincolare la curia dagli influssi provocati sulle scarse scorte monetarie della stessa dagli sbalzi di prezzo dei grani dovuti agli avvenimenti politici dei paesi esportatori e dalla detì-cenza della produzione locale. Non che questa necessità si fosse fatta sentire per la prima 'olta soltanto al tempo del vescovo Guglielmo: il \rolpe aveva appunto preso le mosse nel suo studio dall’obbligo fatto agli « operarii de curte Sarzane », da parte del vescovo Alberto, di dare alla curia 20 moggi di grano annualmente, e dalle successive conferme dei vescovi Pipino e Gualtiero. Ma è certo che la crisi si fa assai più sensibile alla metà del secolo, se il vescovo Guglielmo giunge al punto di richiedere a Λ iviano di Prodomo da Ponzanello, per locazione (1) id, II, pag. 368. (2) op. cit. pag. 196 ggg. (3) C. P. d. 22 add., 506, 445, 289, 505, 458-9, 66, 150, 224, 155 ecc. Saggio suli/Economia Lunigianese del Sec. XIII 225 di una casa nel borgo di Ara di Ponzanello, uno staio annuo di frumento i1). Per converso, giudicando dal punto di vista della curia, poteva il possesso di redditi in natura costituire in determinate contingenze strumento di potenza, od esser a sua volta ritrasformato in altro strumento più rispondente ai bisogni del momento. Lo stesso vescovo Guglielmo non esita nel dicembre 1236 a cedere a Corrado di Lamberto dei domini di Vezzano 12 staia annue di frumento in cambio di quindici uomini che divengono così vassalli e fedeli della curia (2). Questa ha bisogho ora di braccia; i domini invece si dibattono nelle stesse ristrettezze che, non ignote in passato alla curia, faranno gravar su questa il frutto acerbo dei loro morsi verso ■ la metà del secolo.. Si può allora parl.are in senso assoluto d^un’avvenuta trasformazione dell’economia naturale in monetaria? Sì certo, se intendiamo dire con ciò che il denaro è divenuto lo strujnento abituale di misura dei valori; pel resto, a troppe e disparate funzioni — e ne abbiam veduto esempi — ancor si presta l'economia naturale. Molto adusato ancora il sistema di corrisponder fitti in natura nei contratti agrari. Il 3 maggio 1281, Pullo da Yesigna del qm. lodo da Carpena, stipula in Genova nella torre dei Malocello un atto di trapasso d'immobili con Guidone dei Domini di Vezzano (3) : oggetto di compravendita è una casa con terra sita a La Spezia nel luogo « ubi dicitur ad querciam de districtu Yesigne » (forse la località detta Santa Lucia ove tuttora signoreggia una macchia discretamente folta di tali alberi) che Pullo vende a Guidone per la somma di lire 8- genovesi togliendola poscia in locazione con Pannuo fitto di 2 staia di frumento « ad starium Vesigne vel ad quartinum januense in mense augusti ». Dai documenti regestati dal Ferretto rileviamo che il valore del frumento oscillava in Genova nel gennaio-giugno di quel-Panno fra soldi 15 e 17 per mina, a seconda anche della maggior o minor importanza della partita trattata (4) : assumendo a base il valore medio, possiamo indicare in lire italiane 52 al corso odierno Pimporto approssimativo delPannuo fitto globale della casa e del terreno di Pullo da Vesigua (5). E poiché i dati relativi a questa locazione collimano abbastanza bene con quelli sopra indicati relativi alla locazione fatta dal Vescovo Guglielmo a Viviano di Prodomo da Ponzanello, possiamo in semplice via induttiva, ammettendo oscillazioni d'una certa ampiezza, e tenendo in debito conto il fatto che Patto riguardante Pullo da Yesigna contempla un maggior conici) ib. n. 154. (2) ib. n. 449. (3) Ferretto, op. cit. 2, pag. SCO. (4) Su un’altra cessione in enfiteusi da parte di Guglielmo dei domini di Vezzano contro la prestazione annua d'una quarta di frumento, v. ib., 2, pag. 190. (5) Ferretto, op. cit., 2 pgg. 341, 380-1; 226 Ferruccio Sassi plesso di beni e quindi presumibilmente un valore partitario alquanto inferiore al reale, determinare il fìtto medio annoio d’una comune casa rustica lunense nella seconda meta del secolo XIII In circa lire attuali 30. Ci mancano malauguratamente documenti e dati relativi al prezzo di mercato degli immobili in Lunigiana. L’unico atto, ch'io mi sappia, regestato dal Ferretto, riflette la vendita. di V5 d’una casa presso la rocca di Levanto per soldi genovesi 6G, avvenuta il 23 maggio 12G7 {'). Applicando a questa cifra il valore medio del fitto ora indicato, avremmo per la casa oggetto della vendita un tasso d'interesse aggirantesi sul 5% annuo. Tasso che avrebbe potuto salire qualora si fosse trattato di case di recente costruzione, ma che non sembra sia del tutto errato ed infondato quando si rifletta ad un altro fenomeno economico manifesta-, tosi circa in quel tempo nella Lunigiana genovese, e che assume pochi anni più tardi caratteri di vera gravità : la fuga dalle terre, che doveva indurre a svendere i propri beni. Ma su questo avremo agio di ritornare. Doveva invece essere di ben altra natura, a parte anche la ben maggiore potenza economica e la diversa qualità del locatario, la casa che Ivollandino di Federico da Isola aveva concesso in affitto al Comune di. Genova entro il castello di Isola e per la quale doveva riscuotere una pigione, in verità per tempo non determinato dalla carta, di lire genovesi 10 (2). Nè evidentemente può darsi alcuna particolare importanza, a chi consideri il solo lato economico dei fatti, alla somma di lire imperiali ottocento versata dal Vescovo Enrico per entrare in pieno possesso della casa di Sennuccio in Sarzana, già occupata dal Marchese Moroello Malaspina, e senza della quale la curia non avrebbe potuto « bene habere dominium Sarzane » (3) : indice insieme dell’importanza politica dell’acquisto e anche dell'alto valore venale dello stabile. Così come non può servire da punto di riferimento la somma di lire 18 imperiali (circa 1750 odierne) che il vescovo Guglielmo ricavò nel 1229 per aver dato in feudo onorifico a Giovanni qm. Bosone da Portovenere una casa situata nel borgo di Sarzana, nella località Calcandola (4). Abbiamo esaminato sinora i fitti ed i prezzi presuntivi di case nella seconda metà del secolo XIII. Se dai pochi atti pervenutici è lecito trarre deduzioni di maggior portata, rileveremo ancora il forte aumento subito dai costi in confronto ai prezzi praticati nella prima metà del secolo. Due atti del Codice Pelavicino determinano infatti in 12 denari imperiali la pensione annua da corrispondersi (1) Febretto, op. cit. 1, pag. 90. (2) ib, I. pag. ?09. (3) Ο. P. li. G7. (4) n. 347. Saggio Sull’Economia Lunigianese del Sec. XIII 227 «libellario nomine)) per una casa con orto all’Avenza nel 1215 (‘), e per un « casamentum » sorgente nel castello di Soliera nel 1229 (2). La tabella dello Schaube avverte corrispondentemente alle date ora indicate -un vero tracollo nel valore della lira imperiale, che, calcolata in marchi oro anteguerra 34,GO nel 1192, segna verso il 1225 marchi 21,5G continuando a scendere lentamente negli anni seguenti per subire una nuova per quanto non molto accentuata scossa dopo la morte di Federico II. Lo Schaube non dice le ragioni del crollo, ma, poiché, i valori da lui definiti seguono ed accompagnano come un perfetto termometro l’andamento degli avvenimenti politici, dei quali essi appaiono manifesta ripercussione, è da credere che la voragine si sia improvvisamente spalancata alla morte di Enrico VI, e la calata del valore della moneta imperiale fosse già avvenuta alla data del 1215. Per spiegarci quindi la tenuità del prezzo richiesto nei due atti ora citati, dobbiamo far ricorso ad altre cause: in primo luogo all’incertezza degli avvenimenti politici e ai pericoli delle alterne invasioni (si noti che tanto Avenza che Soliera si trovano lungo l’asse del cammino percorso dagli imperatori in marcia da e per Roma), che rendevano poco consigliabile Pinvestimento di capitali in beni immobili; in secondo luogo, e come conseguenza del primo fatto, la relativa sovrabbondanza degli immobili stessi, terre e case, suscettibili di sfruttamento nei confronti della popolazione esistente, almeno nei piccoli borghi e nelle località della campagna vera e propria. * *· * Condizioni di vita senza dubbio più brillante troviamo nel centro della contea, tra questo e la Foce della Magra, od anche sulle coste del Tirreno. In un borgo che, orgogliosamente rilevavano i Sarza-nesi già nel 1219, non trovava l’uguale in tutta la contea; nel quale, con l'abolizione dell’omaggio feudale, già sin d’allora si tentava di trasformare il vetusto organismo in una forma di governo signorile a duplice base — vescovile e popolare —< non essendo riuscito il tentativo di costituire un comune autonomo; in una zona ove si accentrava il traffico marittimo della contea, o là dove le aspre giogaie delle Apuane nascondevano ricchezze conosciute e non trascurate, i nuclei demici non potevano non risentire, passata la bufera sveva, un forte impulso di sviluppo ed attraversare un periodo di assestamento prima, di ripresa economica poi. Bufera che non poteva del resto sconvolgere eccessivamente la zona, troppo premendo a Federico II di non lasciare alle spalle od in punti di vitale importanza focolai di dissenso e di rivolta : la politica sua nei confronti di Sarzana e già stata illustrata ottimamente dal Volpe, al quale (]) n. 347. (2) n. 237. 22S Ferruccio Sassi può ricorrere chi volesse approfondire Vargomento (*), mentre d'altro lato gli sviluppi assunti da Sarzana e dai borghi della valle di Carrara sono documentati, per esempio, dal noto trasferimento in Sarzana di sessanta famiglie arcolesi al tempo del vescovo Guglielmo in esecuzione — come oggidì direbbesi — d’un precedente piano regolatore della città (2), e dall’autobiografìa· del vescovo Enrico ove citansi le costruzioni di nuove case in Vezzale contemporanee alle ricostruzioni in Ponzanello od in Caprigliola (3). Che se è lecito pensare a nuove costruzioni per ragione di igiene edilizia e di sicurezza pubblica, non va certo esclusa la ragione di sviluppo dovuto, in parte a immigrazioni avvenute in questa che costituisce indubbiamente la zona migliore di tutta la contea per fertilità, per attività commerciale e industriale — sia pur questa ancora allo stato primordiale —, per la vicinanza d’un borgo ove già si respira aria di città, sopita poi per forza maggiore di eventi, e che non potè perciò dare tutti i frutti che logicamente si sarebbero potuti attendere dalla pienezza del processo storico. Sull’ammontare complessivo della popolazione della contea non possediamo dati sicuri, ma semplicemente induttivi ed in paxjte ricostruibili sulla scorta della leva per la cerna determinata proporzionalmente pei singoli comuni dal vescovo Enrico nel 1279 (*). I contingenti sono così determinati per ogni 500 uomini di leva : comune di Carrare 146 — Comune di Sarzana 110 — com-une del castello di Sarzana 42 — Serravalle 33 — Castelnuovo 34 — Falcinello 21 — Santo Stefano 18 — Caprigliola 17 — Bolano 24 — Albiano 7 — Stadano, Bruscarolo, Montebello 3 — Ponzanello 12 — Pulica 6 — San Terenzo, La Brina 5. Il totale è di 48G, e bisogna perciò ritenere che i restanti 14 fossero forniti dalle terre vescovili non erette a comune, sulle quali più vivamente era tuttora impresso il sigillo, il carattere di dominio feudale. Sembrerebbe logico che nella ripartizione dei contingenti si fosse seguito il criterio di proporzionare il contributo alla forza demografica dell’aggregato contribuente. Ora, vi sono nel Codice Pela-vicino alcune carte che possono servire al caso nostro. Così, per esempio, l’elenco dei « fumanti » della Brina, composto appunto nel 1279, ci fornisce una lista di 22 nomi (’), mentre sono 32 gli « Homines » dello stesso comune che nello stesso anno giurano fedeltà al vescovo Enrico ( ). Gli nomini di Sarzana, che intervengono al parlamento per eleggere il loro procuratore ed esser nella sua per- ii) nP- cit. pag. 145 S22. (2) C P. n. 44, 45. 4G. (3) ib. n- 4 add. (4) ih. n. 522. (5) C. P. n. 525. (6) ib, n- 522. Saggio Sull’Economia Lunigianese del Sec. XIII 229 sona assolti dalla scomunica lanciata contro di loro dai vescovi di Sarzana e di Brugnato, sono in numero di 356 (*) mentre erano solo 235 i Sarzanesi che nel 1219 giuravano di osservare ι pam convenuti col vescovo Gualtiero (2). L’aumento è relativamente assai forte, ma è in gran parte dovuto all’immigrazione delle famiglie arcolesi, che nel 1245 contavano già da sole oltre <0 uomini (3). Altri atti del Codice si riferiscono a prestazioni di obbedienza e di fedeltà, o a giuramento di statuti o di patti, ma tuttti sono più o meno anteriori alla fissazione della cerna: sappiamo da essi che 94 sono gli -uomini di Bolano nel 1227 ; 33 quelli di Albiano nel 1256 ; 79 (oltre a « complures » non comparsi) quelli di Santo Stefano nel 1257, e in fine 22 quelli delle ville di San Terenzo nel 1260 Quando invece si venga a singoli confronti fra queste cifre e quelle portate dalla «lista di leva;», si scorge a prima vista che non vi fu ripartizione esattamente proporzionale tra i singoli comuni, o, almeno, tra i comuni delle città e quelli delle campagne. In ciò vi è, in fondo, una ragione logica. Abbondavano ancora nel contado gli elementi dai quali per diritto feudale il vescovo poteva pretendere annualmente la prestazione di servizi militari personali, e anzitutto di giorni, talora di settimane di fazione armata ai castelli vescovili o di esecuzione di più svariati servizi ordinari nell’interno dei medesimi (pulizia, accensione del fuoco, cucina, trasporto e fornitura viveri e acqua etc.) Ed era stata anzi particolare fatica del vescovo Enrico ricercare e rinfrescare i suoi diritti con carta scritta in ossequio al noto e vecchio adagio pel quale poco era mancato che i diritti stessi si convertissero già al suo tempo in nebulosi ricordi d’un tempo ormai lontano. Al contrario, di tali obblighi s’era persa la traccia nel borgo di Sarzana, nè il vescovo Enrico si sentiva talmente forte da imporsi, nonché a costoro, neppure agli abitatori della valle di Carrara, come in fondo egli stesso confessa lagnandosi nella sua autobiografia che dalle cave non sia possibile trarre quanto si dovrebbe per le frodi e le mali arti degli interessati. Prendiamo, ad esempio, le cifre relative a Sarzana ; in quella ^he doveva costituire l’unità, la formazione normale della milizia comitale, cioè su 500 uomini, Sarzana contribuiva con un apporto di 110 uomini, pari quindi ad oltre V5 del totale. Contemporaneamente rileviamo, dai documenti già citati, che la cifra di 110 costituisce una ben grossa quota sul numero di 356 uomini presenti al parlamento pei noti fatti del 1278 : ed ammettendo pure che quest’ultimo numero non rappresenti il totale, ma debbasi considerare legittima-mente inferiore al vero per assenze temporanee dovute a malattie, a (1) ib. n. 51. (2) ib, il. 54. (3) ib, n. 45. (4) il), n. 413. 428, 405, 139. 230 Ferruccio Sassi commerci, ad arruolamenti nelle file degli agenti e funzionari vescovili etc., il rapporto massimo 1:4 tra gli uomini mobilitabili e quelli facenti parte del Comune appare pur sempre molto elevato nei confronti del rapporto 1/c adottato ad esempio nel Comune della Brina. 11 rapporto 1/.1 sembra invece adattarsi per quest’ultimo al numero ((fumanti», necessariamente inferiore a quello degli uomini. Estendendo questi rapporti presuntivi agli altri comuni della contea, otterremmo approssimativamente 1200 uomini agglomerati nel castello e nel borgo di Sarzana e nelle ville della valle di Carrara, e all in -circa altrettanti viventi nel contado — forse poche centinaia in più aggiungendo Amelia, Barbazzano e le altre terre riacquisite al dominio vescovile e non figuranti nell'elenco della cerna — con una popolazione complessiva di circa 12.000 anime. Questa cifra risulta sufficientemente proporzionata alla popolazione indicata nel censimento 1021 che per gli stessi luoghi non supera le 40000 persone. Un altro importante movente, che doveva indurre il vescovo Enrico ad effettuare leve a più larga base nei centri maggiori della contea, piuttosto che nelle campagne, consisteva senza dubbio nella necessità di non sottrarre braccia indispensabili a queste ultime. I na tale politica era tanto più necessaria quanto più occorreva ridurre al minimo i pesi delle importazioni di derrate, dovendo per quelle relative alle stoffe e ai metalli dipendere forzatamente dal di fuori. Nel centro della contea abbondava invece l’elemento artigiano, dedito alla lavorazione dei prodotti greggi di provenienza forestiera^ dal quale — più turbolento per natura o fors’anche perchè più soggetto a subire eventuali crisi — era quindi più facile trarre elementi per la cerna. £ molto interessante sotto quest’aspetto l’elenco degli «uomini di Sarzana presenti al parlamento del 1278: troviamo in esso il fedele riflesso della vita cittadina, nei multiformi aspetti della sua attività, di quella vita minuta, ristretta per forza di cose, che trasforma i piccoli fatterelli quotidiani in argomento di cronaca, ma che appunto perciò può apparire al tempo stesso quale oasi riposante pei nostri nervi scossi dal tumulto d’una vita troppo intensamente vissuta. Una vita altresì che offriva, a chi poteva goderne, numerosi agi e le più svariate comodità possibili in quei tempi. Non mancava l’elemento colto che sapeva di leggi e di latino, e che poteva perciò concedersi svaghi più elevati ed assumere posizione di comando nelle lotte del borgo portandovi un soffio delle idee comunali in cui eransi imbevuti presso le varie « Sapienze». Mentre per le vie risuonava il grido del venditore di pesce, il frastuono delle incudini martellate con vigoria ci indicava le fumose officine dei ferrai ed i laboratori dei ramai (numerosi in quel tempo sì gli uni che gli altri), e ad esso si accompagnava il più sommesso ticchettìo indice sicuro d’una bottega di calzolaio. Dal banco levava lo « spada-rius » gli occhi stanchi pel lavoro paziente di cesello o di rifinitura di un’arma destinata a qualche nobile ufficiale di curia, pel quale Saggio Sull'Economia Lunigianese del Sec. XIII 231 intanto il «pellizarius » conciava un fastoso ermellino sorvegliando nel frattempo il lavoro del garzone attorno al robone di un canonico, robone clie il «tintor» confidava già nel suo intimo di veder comparire nella sua azienda di lì a non lungo lasso di tempo. Poco più in là il «corarius» se ne stava intento a tagliar nelle debite proporzioni il cuoio che, opportunamente lavorato, cominciava ad acquistar largo credito negli usi domestici, mentre sulla soglia del negozio il ((ligaro» attendeva la clientela godendosi Pandora caldo sole d’autunno, e già preparando in cuor suo i commenti, o meglio le più o meno abili interrogazioni, sugli avvenimenti che si erano allora allora maturati. Non è un quadretto di genere, questo : ma il veritiero aspetto della città vescovile rivelato dai nomi e dalle professioni dei partecipanti al placito del 3 settembre 1278. Di una sola, importante attività riscontriamo l’assenza: dell’industria del vetro. Ma non occorre andar molto lontano, e ce lo dice il nome di « Matheus vitrarius » teste in un atto stipulato nel castello dell’Ameglia nel febbraio del 1196 (T), il che induce a sperare una non totale scompaia dell’arte nel corso del secolo successivo. Tale. l'ambiente. Vita dunque ben diversa da quella che svolgevasi sia nei centri minori della contea, sia nelle altre terre della Lunigiana, particolarmente genovese. In quelle troviamo naturalmente traccie di un artigianato, ma piuttosto scarse, ridotte alla più pura espressione di modesta arte casalinga, e limitate a ben poche forme e cioè a quelle indispensabili per i bisogni ancor rudimentali delle campagne. Di tutt’altro stile, com’è logico, la vita della Lunigiana genovese. E non soltanto nelle località della costa, dove — come a Porto-venere — ferveva il lavoro dei cantieri da cui annualmente panfìli e persino galee scendevano ad accrescere la floridezza economica della repubblica, genovese, o dove — come nelle anfrattuosità delle Cinque Terre — una notevole flottiglia di barche attendeva alla pesca o al trasporto della rinomata « vernaccia » sui mercati viciniori del continente e delle isole. Dopo Portovenere, nel qual borgo ci viene segnalata l’esistenza d'un mezzanino per la riscossione dei pedaggi che Lanfranco e Con-tessina dei Vento locavano nel 1266 ad un intraprendente notaio — Guglielmo de Predono (*) —, notevole sulla costa il borgo di Levanto che doveva aver assunto già in quell’epoca un certo grado di sviluppo. Vi esercitava l'arte del medico, nel 1272, Oberto da Pon-tremoli, pur se i proventi non lauti della professione lo inducevano ad arrotondarli con l'esercizio della mercatura, come par di leg- (1) C. P. II. 491. (2) Ferretto, op. cit., 1, p. 33. 232 Ferruccio Sassi gere tra le righe del notaio Leonardo Negrini (λ)· ^ i teneva scuola nel 12GÓ Lanfranchino da Bergamo (2). sceso forse in Lunigiana con quella compagnia di suoi conterranei attratti dalla voce dell’esistenza di giacimenti metalliferi in quel di Pignone e a Capo Corvo. Ma troppo forte era l’attrazione esercitata dalla capitale, perchè i Lunigianesi i3ensassero di resistervi, anche se poi, giunti al fine della vita loro e ripensando nostalgicamente al borgo natio, desideravano esservi sepolti, e nell’occasione beneficavano le chiese e le pievi della podestaria, ben note mete di passeggiate e di pellegrinaggi dell'infanzia lontana (3). Le stesse contribuzioni in denaro ed in uomini (avarie) che le apposite deputazioni venivano a percepire dalle singole podesterie in occasione dei frequentissimi armamenti di ilotte, favorivano i sogni di gloria e di avventure col miraggio del dovizioso Oriente, della possibilità di lucrare dalla guerra, se non la ricchezza, almeno quanto poteva bastare per avviare un commercio. E se pure non su tutti avevano presa questi sentimenti, come dimostrano gli innumerevoli atti di sostituzione volontaria delle persone sorteggiate, disposte piuttosto che a partire a versare al sostituente una somma, tuttavia questo stesso fatto della possibilità di sostituire prontamente i sorteggiati riluttanti è di per sè indice eloquente dell’esistenza di un certo malessere economico abbastanza diffuso non solo fra il ceto prevalentemente dedito alle industrie del mare, ma anche tra il piccolo artigianato dei borghi dell’interno che non ricavava dal suo lavoro il necessario alla vita. Anche dall’interno si traevano infatti rematori, per quanto, dato il maggior attaccamento alla terra in genere, alla propria terra in particolare, prevalessero colà l’arruolamento volontario e il reclutamento per la milizia (4). Rilevante ad esempio il numero dei corvaresi che nel 1240 facevano parte del presidio tutt’altro che trascurabile di Carpena (5). Sulla misura del soldo nulla si può dedurre dalle cifre portate dai documenti, se non che parrebbe variasse a seconda dell’ubicazione dei castelli nei quali veniva prestato il servizio. Che un vero artigianato non esistesse, lo dimostra però lo stesso enorme numero di atti pei quali, abitanti delle podesterie lunigianesi, dopo aver affrontato, anche con esemplare disinvoltura, i disagi del viaggio, accordano in Genova i loro figli in qualità di apprendisti presso esercenti, e talora per lungo periodo di anni, a capo dei quali l’apprendista sarà prosciolto da ogni impegno di servire, spesso riceverà perfino i primi ferri del mestiere indispensabili a lavorar per proprio conto, sarà insomma un « maestro ». Gli atti relativi sono, ripeto, innumerevoli e si riferiscono ai più svariati mestieri : cal- (]) ib. 1, p. 266. (2) ib, 1. p- 37. (3) ib. 1 p. 169. (4) Ferretto, op. cit., 1, pag. 58. (5) ib, 2, p. 58. Saggio Sull'Economia Lunigianese del Sec. XIII 233 zolaio, barbiere, lanaiuolo (numerosi in quest’arte quelli di Cor vara), tintore etc... Ma se persino nel campo dell’istruzione, con grave scorno di maestro Lanfranchino da Bergamo, Genova esercitava un particolare ascendente! Ben quattro giovanetti di Ver-nazza sono istruiti nel 1270 « de arte grammatice » da Battizato da \ erona, scrittore, cui il 20 ottobre di quell’anno, Bonaoro da Ver-nazza numera per tale scopo 10 lire genovesi, di rimpetto alla torre di Pietrino Usodimare (l). Ed era pure a Genova che appositi incaricati delle singole comunità, talora i rettori delle pievanie, si recavano per fare acquisti in grande stile di quelle derrate e di quei lavorati di cui le comunità stesse abbisognavano. Di certo la vita in quei luoghi non doveva odorar troppo di acqua di rosa. Oltre alle imposizioni ordinarie e straordinarie d’indole militare (da un atto del 1206 parrebbe che almeno per certe persone una tassazione d’una lira genovese fosse uu limite raggiungibile abbastanza facilmente) (2), ed oltre alle numerose e svariate colletto (del sale, del formaggio etc.), bisognava tener conto anche delle ammende che potevano piovere di punto in bianco sul capo sommesso delle comunità : una multa di 100 lire genovesi appioppata a Levanto nel 1268 non poteva sicuramente dirsi un dono di nozze (3). Aggiungansi i proventi che l’erario genovese poteva trarre dalla cessione di propri diritti demaniali, che estendevansi ad esempio anche sulle spiaggie. Tratti di spiaggia venivano acquistati in quei pochi luoghi della costa lunense che potevano essere utilizzati dallo spirito d’iniziativa degli abitanti. Nel 1266 il taverniere Cagnolo da Monterosso riceve dal compaesano Benvenuto Ferrachini la somma di lire trenta anticipategli per l’acquisto d’un tratto di spiaggia (4). E nel 1268 lo stesso Cagnolo acquistava per lire dieci da Giovanni Albergerio, pure di Monterosso, una striscia di spiaggia della superfìcie di circa 7 metri quadrati, pari quindi alla bella somma — tenuto conto del tempo, del luogo e della natura del terreno — di circa 105 lire italiane al corso attuale per metro quadrato (·'). Mica modesto il fìsco genovese! L’attrazione della metropoli di S. Giorgio si esercitava anche sui luoghi più lontani della Lunigiana, e le carte genovesi ricordano la contrada « pancogolorum » ove abitavano in gran numero i fornai pontremolesi. Ma tutti questi lunigianesi mai dimenticavano i loro conterranei, e li accoglievano di preferenza tra gli apprendisti, o rimanevano volentieri in relazione d’affari con loro, sia che questi avessero preferito affrontare gli incerti d'una lunga navigazione, sia che intendessero trasferirsi a lor volta in Genova, sia che fos- (1) ib.. 1 p. 316. (2) ib 1, p. 42. (3) Ferretto, op. cit. 1, μ. 176. (4) ib, 1, p. 60. (3) ib. I. p. 142. 234 Ferruccio Sassi sero rimasti al loro paese. Nel 1274 troviamo persino un Bernardo da Pontremoli donzello del comune genovese (*). Certo non è da dire clie proprio tutti coloro clie fossero rimasti nei borghi natii versassero in cattive condizioni. Parecchi segni dimostrano una buona attività economica, collegata sopratutto allo sfruttamento terriero che assume talora anche l'aspetto d’oina corrente esportatrice. Nel 1268 Gandolfo Bosso da Savona promette d’imbarcare a S. Terenzo sulla barca « Olivo » 140 metrete di vino da portare a Bonifazio (2). Nel 1281 Levantino da Levanto spediva a Maiorca duecento metrete di vino delle sue terre sulla tarida di S. Nicolò Macellario che doveva recarsi a caricare a Levanto (3), prova questa dell’esistenza d’un buon ancoraggio — per le navi di allora — cioè della possibilità d’un traffico marittimo d’una certa importanza. Ed abbiamo anche le prove d’-una attività molitoria d’un certo rilievo, alla quale, come del resto in tante altre branche, si innestava persino talora un’attività speculativa. Un mulino di Corniglia, di cui possiamo seguire le vicende attraverso due passaggi consecutivi di proprietà avvenuti nel 1266 ad opera di intermediario, valeva ben 100 lire genovesi, cioè all’incirca 7500 lire attuali (4). Non eccessivo valore, ma segno di attività. Undici anni dopo si costituisce in Genova, presso la casa qm. Tomaso Vento — che doveva esser uno dei punti di concentramento dei lunigianesi viventi o convenuti in Genova per affari — una società per costruire nel territorio monterossino -un mulino fornito « molis et rotis in glarea morioni » f ). Ora, da tutti questi incroci diversi d’impiego di capitali (mercatura, industria sfruttamento del suolo) e di attività umana [datori di lavoro e prestatori d’opera, mediatori, speculatori — curiosa davvero l’incetta di pelli di capra sui mercati di Genova e della Riviera eseguita nel 1277 da Zerbino di Sestri Levante per incarico avuto da parte di Giovanni Patriano da Pontremoli (°)], nasceva una «gens nova» che generalmente non aspirava — parlo dei lunigianesi — ad affermarsi nel senso antico della parola. Classe per origine, gusti, istinti e natura, eminentemente popolare e tale rimasta pur dopo che il favorevole andamento degli affari le aveva procurata una certa fonte di agiatezza. Categoria non propriamente ricca e che perciò, anche sotto questo punto di vista, non poteva sperare di conseguire gradi elevati e considerazione tra la vecchia nobiltà mercantile del grande emporio genovese: ma d’altra parte fornita d’una discreta scorta di beni mobiliari, che, mentre permet- (1) ib. 1 p 362 (2) ib. 2. d 137. (3) ih. 2. j) 370 (4) Ferretto, op. cit.. 1. p. 42 (5) ib. 2 p. 120. (G; ib-, 2 p. 114 Saggio sull’economia Lu ni gì ane se del Sec. XIII 235 levano ai possessori di guardare con una certa tranquillità al futuro, attendevano di essere convenientemente impiegati. Di pari passo con questo processo, per così dire, formativo di modesti capitali, notiamo nelle campagne della Lunigiana un contrario processo dissolutivo dell’esistente piccola proprietà terriera. Non che venga questa soppressa; si tratta in definitiva d’una semplice sostituzione di persona perchè la proprietà rimane: soltanto che essa passa· dalle mani dei precedenti proprietari in quella delle classi che potremo designar minute, avuto riguardo al carattere della loro attività, ma capitalisticamente parlando borghese, cui sopra accennatasi. E sono infatti i Lunigianesi emigrati in Genova, o nei fondachi genovesi dell’oriente e dell’occidente, che investono i proventi loro nell’acquisto di beni immobili nei loro paesi d’origine. Si tratta quindi, come dice-vasi, d’un processo dissolutivo degli elementi di una classe, non della proprietà minuta. Gli atti notarili genovesi che ci illustrano e documentano questo fatto economico si presentano numerosi e frequenti particolarmente con l’anno 1277 ed il loro numero cresce negli anni immediatamente successivi, dopo cioè la definitiva cacciata degli Angioini e dei loro partigiani dalla Lunigiana e la conclusione, vittoriosa per Genova, dell’urto col re di Napoli. Giova appunto ricordare come, durante lo svolgersi della lotta, gli Angioini — forse per incitamento di Nicolò Fieschi ad essi collegatosi — si fossero mossi per invadere la riviera, e il Fieschi fosse giunto sin oltre Brugnato. Essendosi svolta la lotta anche per mare, neppure le coste furono risparmiate e sentirono il peso delle armi contendenti. Questa è una delle cause che ci può spiegare il ripetersi dei contratti di compra-vendita in differentissime località della Lunigiana e su una zona che da Levanto giunge sin ad Arcola. Un’altra causa, d'indole generale questa, sembra a mio modesto parere, di poterla indicare nel diminuito potere d’acquisto della moneta; causa, che, concorrendo con la prima già indicata, rendeva critica la posizione dei piccoli proprietari. Diminuiti in genere i raccolti per effetto della guerra devastatrice, reso ormai insufficiente ai bisogni ordinari della vita il quantitativo prodotto, rincarati i prezzi, si rendeva necessaria una scorta sempre maggiore di denaro contante per poter sopperire a quanto il piccolo proprietario era divenuto incapace a produrre. E poiché come s’è visto, il vero, grande mercato d’acquisto era la città di Genova, è evidente che l’andamento di quello si rifletteva con altrettante ripercussioni sui più piccoli centri della Lunigiana genovese. E’ in fondo la stessa crisi che aveva travagliato alcuni decenni avanti l’ordinamento finanziario della contea vescovile di Luni ; o per lo meno mi pare siano identici gli effetti. La crisi finanziaria non era sfuggita al Lupo-Gentile che, commentandone le manifestazioni 236 Ferruccio Sassi nella pubblicazione del Codice Pelavicino (1); scrive esser le carte di locazione, stipulate al tempo del vescovo Guglielmo, un effetto dell’avvenuta trasformazione delPeconomia naturale in economia pecuniaria, per cui rifioriva nel secolo XIII una classe di liberi livellari che aveva sostituito quella dei personalmente obbligati. Il Volpe (2) aveva a sua volta posto l’occhio, accennando ai motivi della trasformazione predetta, alla necessità, di far fi onte a bisogni finanziari urgenti ed aggiungendo a questa altre cause, le quali però, se debbo esprimer francamente il mio pensiero, mi sembra possano in definitiva ridursi ad una sola, unica e vera, che tutte le riassume e la cui importanza politica era stata del resto posta in luce dal Volpe stesso : la formazione del borgo di Sarzana ; successivamente, e in via sussidiaria, delle singole comunità. Perchè è evidente che con lo sviluppo del borgo aumenta il numero dei «bur-genses » che non sono legati al vescovo da originari vincoli di diritto feudale, ma tutt’al più sono a lui vincolati dall'obbligo del « terra-ticum » e da alcune obbligazioni accessorie. Gente dunque che, spinta a darsi ad un’arte per gl.i stessi maggiori bisogni della vita comune, non può esser ripagata delle sue prestazioni d'opera con somministrazioni in natura o solamente con queste, ma che ha bisogno di moneta contante per poter corrispondere le imposte; siano esse reali come il terralico, siano personali come le imposte di fuocatico che almeno in via straordinaria ma ciò ne fa altresì supporre un'esazione ordinaria — venivano per-cette sui « fumanti » della contea, ed anche per poter a sua volta corrispondere a chi di dovere l’importo delle prestazioni ricevute. Conseguenza logica dell’accresciuta importanza del borgo susseguente al trasferimento della sede episcopale e al conferimento al Vescovo dei poteri comitali, e quindi dell’incessante evoluzione qualitativa — oltre che quantitativa — delle classi sociali componenti la popolazione, e delle sempre più profonde differenziazioni di attribuzioni. Per quanto ne manchino i documenti, è da ritenere che Sarzana esercitasse sul territorio della contea, in una scala, ben inteso, più ridotta, le stesse funzioni svolte da Genova nei confronti del territorio della repubblica. Se nella metropoli ligure si corrispondeva all’apprendista persino una paga· giornaliera di denari genovesi 10 (3), è indubitato che, sia pur con qualche differenza in meno, il sistema di retribuzione salariale in contanti dovesse esser divenuto perfettamente normale dovunque. E tutto ciò esigeva naturalmente una più rapida circolazione di denaro, o una maggior quantità di denaro in circolazione: manifestazione importante delle affermazioni del regime basato sulla forza della proprietà mobiliare, i cui (1) op. cit. p. 408. (2) op. cit. p. 198- (3) Febbetto, op. cit., 2. p. X. Saggio sull'economia I/UNigianese del Sec. XIII 237 primi sintomi si erano già presentati in I/unigiana ed in Riviera con caratteri spiccatissimi nello sfaldamento dell’unità gentilizia. Giacché è occorso cenno delle imposte dirette percette in Lunigiana, riunisco qui alcuni dati — isolatamente già noti — relativi alle stesse senz’alcuna pretesa di istituire rapporti insostenibili affatto, ma a puro titolo di curiosità. Nel 1201 il Vescovo chiedeva per diritto di terratico da coloro che fossero venuti ad abitar nel borgo di Sarzana l’annua pensione di denari 6, e le case dovevano evidentemente essere comuni case di abitazione, senza pretese, di dimensioni uniformi, press’a poco quali vediamo esser le case del borgo in località Ceppata edificato nel 1259 dal Vescovo Guglielmo. Nel novembre 1280 Giovanni qm. Panceto de Furno da Levanto dichiara di pagare annualmente al comune di Levanto la somma di 20 soldi annui (pari perciò a circa L. 70 italiane al valore attuale) per terratico spettante al comune stesso, sulla cui terra è edificata la sua casa p). E di fronte all'imposizione straordinaria di 12 soldi per fuoco stabilita dal Vescovo Mazzucco, sta l’imposta ordinaria annuale di denari G genovesi (circa L. 1,80 attuali) per ogni fuoco, che nel .1274 gli uomini di Zignago e Serramaggiore si obbligano di pagare al comune Genovese a simiglianza di quanto già pagavano gli uomini di Corvara (2) : poiché la situazione dei Corvaresi — il cui borgo con la curia ed il castello erano stati acquistati dal Podestà di Genova, Rainiero Cotta, sin dal maggio 1211 per 1800 lire genovesi (8) — dettava la falsariga nel redigere i patti che i Lunigianesi stipulavano con il comune di S. Giorgio nell’atto di sottomettersi a questo. -X- -X- *- Avrebbe con ciò termine la breve rassegna, che mi ero proposto di fare : rassegna che, come avevo premesso, non può evidentemente fornirci dati precisi, troppi essendo gli elementi documentari mancanti, ma che tuttavia oso sperare non abbia fallito lo scopo di riunire il materiale conosciuto in attesa di ulteriori elaborazioni. Ferruccio Sassi (1) Lib. Jur. I, 1418. (2) Ferretto, op. cit., 2, y. 326. (3) Ferretto, op. cit., 1, pag. 301. Rassegna Bibliografica Eugene H. Bvkne — Genoeae shipping in the twelfth and thirteenth centuries, The Mediaeval Academy of America, Cambridge Mas- sachusettes, 1930, pp. 159. L’amico che mi vede questo volume tra le mani mi domanda con aria uon so se di compiacenza o di compatimento : a quando un’altra tirata? Egli conosce il debole e si attende la ennesima deplorazione del fatto che la storia economica e commerciale della Genova del medio evo sia ormai divenuta caccia riservata per gli stranieri. Con che, a scanso di equivoci e con molta gratitudine agl’insigni studiosi per le loro benemerite fatiche coronate di così lusinghieri risultati, si vuol dire soltanto questo, ma questo si ripete con insistenza che può sembrare monomane : mentre all’estero, dalla Romania agli Stati Uniti, si studia· seriamente, sui documenti, la storia genovese del momento più grande e glorioso, in quello che è stato il carattere suo più tipico e più importante, da noi ci si contenta di ripetere e rimasticare sempre le medesime cose e le solite generalità costituite di frasi fatte e di luoghi comuni, quando con grande gontìar di gote e clangor di trombe retoriche, con prose e pose gladiatorie non si esaltano verbosamente quei mercanti, quei navigatori, quei costruttori che non avevano alcuna intenzione di assumere atteggiamenti eroici ma molta di compiere ottimi affari lucrosi e che, se mai, erano eroi inconsci come tutti gli autentici eroi. Ed avviene questo, che mentre noi scriviamo le storie romanzate, le storie poetiche, le storie filosofiche, altri scrive storie, senz’altro e senza aggettivi, cioè indagini e ricostruzioni scientifiche fondate sugli elementi di prova e su dati di fatto, ossia sui documenti. E gli atti dei notai, come ognuno sa, sono la più cospiqua e preziosa fonte della· storia genovese medioevale, anzi la più importante che esista per la storia del commercio del medio evo. Orbene, quella raccolta notarile che non ha eguale per antichità e continuità e abbondanza, da qualche tempo è trascurata. Si sa: è di studio e di uso difficile, di lettura spesso aspra, è una farragine di atti nei quali è assai difficile trovare quel che si cerca : e i giovani hanno sotto mano la critica estetica, la critica filosofica e, nella storia, la fantasia integratrice. E poi i tempi sono dinamici e chi vor- Rassegna Bibliografica 239 rebbe più perdere la pazienza e gli occhi a decifrare quei noiosi atti dei noiosissimi notai? E invece questi atti hanno un interesse enorme e riserbano vere rivelazioni, chi li ricerchi con pazienza e passione : e forse nessuna cronaca e nessun documento diplomatico può dare una ricostruzione altrettanto viva e immediata della vita, riprodotta in tutti gli aspetti, colta in tutte le manifestazioni, perchè i notai sono un elemento essenziale di quell’esistenza e registrano con minuta esattezza e con meticolosa indifferenza tutti gli atti, dalle convenzioni politiche ai più minuti interessi agli impegni più umili o più straordinari ; dalle vendite, dai testamenti, dagli atti matrijnoniali alle partecipazioni alla guerra di corsa, alle spartizioni dei bottini piratici, alle ricerche magiche di tesori, ad autentici contratti amorosi c’è dentro tutto. E non si troverà nessuno che si prenda gli atti di un notaio che abbia rogato per lungo tempo e che si sia salvato dalla dispersione o i notulari di più notai per un determinato periodo e ne cavi una riproduzione vivace della vita vissuta della Genova dugentesca? Era un’idea che sorrideva molto al Belgrano : e pur troppo se quel valentuomo, così poderoso lavoratore, non ha potuto attuarla, c’è molto da temere che nessuno osi affrontarla oggi, quando gli studiosi hanno mezzi e tempo anche minori, quando anzi il tipo degli studiosi adatto a cose di questo genere va scomparendo. Va· scomparendo, dicono, perchè tutto si americanizza : e anche questo è un luogo comune. Dall’America appunto viene la prova che in qualunque ambiente e in qualunque tipo di vita c’è posto per tutte le forme di attività spirituale, dall’America che non ha storia medioevale ed ha Accademie di storia medioevale e studiosi come il Byrne che indagano pazientemente i documenti, anche quelli che appaiono più aridi e ingrati. E’ vero, e questo è americano certamente, che egli ha potuto riprodurre quei documenti con processi meccanici e portarseli tranquillamente a studiare laggiù; come è vero che gli studi sarebbero tanto più semplici e facili se almeno i più antichi protocolli notarili, tanto studiati in passato e con tanti documenti sparsamente pubblicati, potessero essere integralmente riprodotti a stampa; ma la proposta di un rimedio eroico di questo genere sarebbe considerata pazzesca a cagione dell'ingente spesa necessaria. E 11011 è neppure certo che si troverebbe il paziente trascrittore. Restiamo dunque col Byrne 0 veniamo a lui, che è tempo. Dopo gli studi sul commercio con la Siria e con l’Egitto, in questo nuovo volume egli esamina più genericamente tutto ciò che si riferisce alle navi, l’indispensabile mezzo di trasporto di quel commercio, così nel rispetto tecnico come nel mercantile ricavandone conclusioni che hanno valore per tutto il bacino del Mediterraneo e dati e notizie che suppliscono i pochi accenni 0 le lacune dei codici marittimi. 240 Rasseona Bibliografica La materia, già accennata più o meno di proposito da Jal nel noto trattato di Archeologia navale, dalPHeyck in G ernia nnd scine Marine ini Mitbcralter, dal Manfroni nella Storia della marina e m opere minori, ha qui una trattazione organica e sistematica divisa in due parti principali. La prima, più tecnica, riguarda i tipi, la costruzione, la capacità, il peso, il costo delle navi; la seconda, economica, studia specialmente i rapporti commerciali tra il proprietario della nave e i mercanti, il contratto di noleggio, con un accenno particolare al tipico contratto della guerra di corsa, le conseguenze anche nel campo marittimo dello sviluppo sempre crescente del sistema di credito e di operazioni bancarie. Sono messi a contributo i numerosi documenti pubblicati specialmente dal Desimoni, dal Belgrano (in modo particolare la preziosa raccolta dei contratti dì noleggio per le crociate di Luigi IX mai sinora sistematicamente sfruttata a questo scopo) e, sparsi in molteplici pubblicazioni, dal Ferretto; sopra tutto i dati sono desunti dai documenti direttamente esaminati dal Byrne dei quali cinquantacinque sono riportati in appendice con una riproduzione che non potrebbe essere più fedele perchè, fatta su copie fotografiche, riproduce anche i pentimenti le cancellature e le correzioni dei notari. Dei tre tipi principali di navi, il lmciiis a vela, la galea, o ga-leotus o sagitta a remi, con due ed eccezionalmente tre alberi con vele di -uso sussidiario per venti leggeri, usata tra Genova e i porti vicini, e la tarida, più pesante e più lenta, a remi e completo arredamento di vele, per i porti più lontani e per le merci più pesanti, il secondo, più veloce, meno costoso, più facile a difendersi, con maggiore adattabilità ad usi diversi, acquistò via via maggiore importanza e fu usato generalmente anche tra Genova e il Levante quando il trasporto dei pellegrini e dei crociati diventò minore, verso la fine del secolo XIII. I singoli tipi sono studiati nella struttura tecnica e nelle qualità nautiche anche in rapporto aÉ’abitabilità e allo spazio lasciato ai passeggeri. La capacità era maggiore di quanto si crede e i dubbi elevati intorno alle affermazioni degli scrittori medievali su questa materia non hanno fondamento. Un viaggio ordinario delle navi maggiori poteva trasportare mille passeggeri, Pequipaggio poteva arrivare a 75 e sino a 100 uomini e il carico, se destinato alle sole mercanzie, si calcola a un massimo di 8000 cantari equivalenti a G00 tonnellate. Le navi di piccola portata appartengono a uno o a pochi proprietari che le governano in persona, e, distinti dai mercanti, non sono generalmente in elevata posizione commerciale o finanziaria. Le maggiori, specialmente dalla fine del XII Secolo, sono possedute per azioni e comandate da amo o più proprietari, molto spesso mercanti anch’essi perchè il mercante avido di guadagno acquista volentieri azioni. Benché il numero ne sia variabilissimo, da 1(> a 70, il Byrne Rassegna Biblioorafica 241 calcola che ima nave di media grandezza sia divisa in circa quaranta azioni o loca, comprate, vendute, ipotecate come qualsiasi merce e che rendono un utile dal 20 al. 50 %. Con la seconda metà del secolo XIII, a misura che i capitali si accentrano in banche, in famiglie., in individui anche il frazionamento del possesso delle azioni si riduce, raccogliendosi nelle mani di piccoli gruppi di ricchi capitalisti. Difficile determinare il costo e il valore delle navi, specialmente per il secolo XII ; i dati più abbondanti per il successivo presentano notevoli diversità derivate da complessi motivi : in genere si può dire €he in media una nave di 40 azioni costasse 500 lire genovesi ; invece navi perfettamente equipaggiate, destinate a viaggi orientali, rappresentavano un valore di circa duemila lire, cinquanta per azione. Le più alte cifre di noleggi e quindi di utile del capitale impiegato nella costruzione navale si hanno nelle crociate di Luigi IX : il re dovette pagare somme veramente esorbitanti rappresentanti un utile del 157 %. Sebbene le cifre posteriori siano alquanto più basse, bastano dati di questo genere, più che tutte le disquisizioni retoriche, a spiegare la ricchezza, la potenza, Γattività di quei mercanti e anche l’impiego dei guadagni nelle grandi costruzioni civili e religiose della città. I documenti permettono di seguirè anche la nave nel periodo della costruzione (che, per le maggiori, avveniva generalmente a S. Pier d’Arena) il costo dei materiali, il processo tecnico della costruzione, il lavoro degli imprenditori e delle maestranze, spesso la compartecipazione loro agli utili del primo viaggio anche a titolo di compenso deir opera prestata; cosicché un varo od un primo viaggio destavano anche stati di eccitazione analoghi a quelli di oggi. La seconda parte del lavoro esamina minutamente i contratti tra i proprietari della nave e i mercanti. È degno di nota che questa forma di contratti non si trova nel secolo XII e anche nel XIII soltanto con grandi mercanti per somme elevate e carichi importanti : vuol dire, conchiude il Byrne, che negli altri casi doveva trattarsi di contrattazioni verbali. Descritte le tipiche forme del noleggio ad cantaratum cioè a peso di merce (dai porti francesi si diceva per cargiam o per torseì-lum) e ad scarsum (affitto di un’intera nave per una somma globale) ei esaminano le forme particolari che i contratti stessi vengono ad assumere nei tre campi principali del commercio genovese : traffico costiero dalla Sicilia a Barcellona, traffico in occidente sulle coste settentrionali dell’Africa, traffico col Levante. Nei primi decenni del secolo XIII questi contratti sono incerti, impacciati, pieni di errori, di correzioni, di aggiunte interlineari, spesso di difficile interpretazione ; poi diventano via via più nitidi e perfetti, segno che il notaio e le parti sanno bene il da farsi e che il contratto ha raggiunto forme ormai definitive, nettamente separali- 242 Rassegna Biblioorafica dosi, a quanto mi pare, dalle anteriori forme in cui era compreso e confuso. Ma questa parte meriterebbe ulteriori indagini, come la affermazione che da principio le contrattazioni di noleggio dovessero essere verbali. Chi ha conoscenza della precisione minuta e diffidente delle contrattazioni medievali anche per cose e interessi di minimo valore, quando qualunque forgia di rapporto economico e giuridico, per lieve che fosse, era ratificata dall’atto del notaio, rimane perplesso. Mi sembra sia piuttosto da pensare a un atto implicito o assorbito da altre forme di contratti, massime quando il proprietario o compartecipe del possesso della nave è aneli’esso mercante e riceve in accomendazione merci o capitali. Interessanti le notizie sulla figura e le funzioni dello scriba. Sulle navTi genovesi è sempre uno solo, ma a Venezia e a Barcellona se ne trovano anche due. Complesso il compito, legalizzato da pubblico giuramento e dal valore ufficiale del cartolario che tien nota di tutti gli accordi fra proprietari e mercanti, degli elementi del carico e delle sue variazioni, di tutta la contabilità della nave. Assai breve il nono capitolo, una specie di excursus sulla particolare forme d’impiego della nave che è la guerra di corsa alla quale partecipano anche privati investitori con impiego di somme molto variabili. Grande naturalmente il rischio in un simile investimento, ma grande anche il profitto, se l’esito è favorevole, capace di ascendere e superare il 100 %. Questa parte, che del resto esulava dallo scopo principale del lavoro, poteva avere più ampio svolgimento. I documenti relativi alla partecipazione di privati a guerra di corsa sono assai frequenti nei notai del 200 e mi auguro di poter studiare in tempo non troppo lontano un cospicuo gruppo di atti trovato in un notaio genovese che rogava in Corsica, dal quale risultano gli usi e le consuetudini della guerra piratica nel Tirreno. Il decimo e ultimo capitolo riassuntivo e conclusivo mostra che il crescente sviluppo del sistema di credito e di operazioni bancarie dopo la metà del secolo XIII determinò una trasformazione anche nelle relazioni tra mercanti e proprietari di navi, sia col differire il pagamento del nolo al ritorno della nave e per mezzo delle banche, sia col concentrare la ricchezza in un numero limitato di capitalisti e col subordinare il sistema di proprietà per piccole azioni al sistema di potenti gruppi finanziari. Interessante conclusione anche perchè investe da un altro lato e smantella la ristretta e inadeguata concezione del mercante medievale italiano del Sombart. Ed ecco come dalla minuta analisi documentaria si può risalire alla sintesi e alle conclusioni di carattere generale le quali, per essere attendibili, hanno bisogno di una sicura base di fatti e di documenti. Lo studio del Byrne mostra quel che dagli atti dei notai si pos- Rassegna Bibliografica 243 sa- con intelligente pazienza ricavare e anche per questo meritava di essere ricordato ed esaminato. Anche se le speranze che trovi imitatori sono molto limitate. Vito Vitale. Raimondo Morozzo della Rocca, Nuovi documenti intorno ai temutivi di far evadere dallo Spielberg il Conte Federico Gonfalonieri (1824-1830). Estratto dalla «Lombardia nel Risorgimento italiano» N. 1-2, 1931; testo pp. 35, documenti pp. 9S. Un giorno dell’estate o dell’autunno 182G Francesco Castagneri Intendente, oggi diremmo Prefetto, addetto al Ministero dell’interno di Torino si trovava in casa di amici, a Milano. Dopo pranzo — era in grande confidenza — si adagiò su una poltrona e vi schiacciò il suo bravo sonnellino. Al destarsi, vide con meraviglia dinanzi a sè due signore la padrona di casa· e un’incognita che gli si gettò ai piedi supplicandolo di aiuto. La scena un po’ melodrammatica ha tutto il colore romantico del tempo, ma acquista un’importanza veramente caratteristica quando si pensi agli attori. L’uomo, avvocato e funzionario stimato per abilità e prudenza in cose legali e amministrative, è passato senza lasciare di sè alcuna traccia notevole, non è stato mai sospetto per ragioni politiche. Ben diversa risonanza hanno i nomi delle due Signore perchè la padrona di casa era la contessa Maria Frecavalli, una delle più note tra quelle che si chiamarono le giardiniere del Risorgimento, celebre e tenuta d’occhio per la parte avuta come anel- lo di congiunzione tra i federati piemontesi e i lombardi nel 1821, e l'ignota era addirittura la contessa Teresa Casati Gonfalonieri. Scopo del colpo di scena appunto invocare dal Castagneri l’aiuto a quella che era la ragione stessa dell’esistenza della dolente, la fuga del marito dal carcere dello Spielberg. Dalle Memorie delPAndryane compagno di condanna e di carcere del Conte Federico allo studio di Alessandro DCincona-, dal carteggio edito dal Gallavresi alle opere del Luzio e del Sandonà sui processi del ’21, alle lettere, studiate dal Bellorini, di Giovanni Ber-chet, che negli ultimi tentativi di fuga ebbe parte rilevante, si hanno notizie sparse, spesso inorganiche, appunto per la loro natura e la loro, provenienza, attestanti un arrabattarsi continuo, un groviglio di progetti falliti e di speranze deluse, un accavallarsi di propositi, un persistere insieme fantastico ed eroico in tentativi irrealizzabili che pur commuovono per la tenacia indomita e la pazienza ardimentosa della donna che dal marito ha appreso la pericolosa arte del congiurare e cospirare e ritesse, non vinta da delusioni e sco- 244 Rassegna Bibliografica ramenti, la tela aggrovigliata dei molti tìli che le si intrecciano e imbrogliano e disperdono tra le mani. Sapevamo di 'uomini insigni e donne elèttissime che le sono state di conforto e di aiuto ; il Bercliet, appunto, e il fratello Camillo Casati, e Paolina An dry an e cognata del recluso e Costanza Arconati Trotti, stupenda figura del patriottismo femminile lombardo che il Luzio ha fatto oggetto di uno studio geniale; e intorno ad essi una folla di ignoti o mal noti, servi fidati o uomini rotti ai pericoli e alle avventure. Ed ecco ora aggiungersi alla schiera la contessa Freca-valli sempre ardimentosa e fidata e per opera di lei il funzionario torinese, dapprima riluttante poi preso anche lui da quel fascino e da quel dolore e gettatosi arditamente nella pericolosa impresa, e un banchiere svizzero che accetta di trovare un uomo pronto ad avventurarsi nella rischiosa faccenda, ed evanescenti figure minori di avidi e intraprendenti avventurieri. La rivelazione viene da un carteggio conservato presso gli eredi del Castagneri in Rivarolo Canavese e studiato e pubblicato dal dott. Morozzo Della Rocca pronipote dell’intendente torinese. E un carteggio a tre che diventa, dopo la morte della Frecavalli nel 1827, un dialogo tra il Castagneri e la Confalonieri, un dialogo na. turalmente convenzionale con frequente mutar di espressioni combinate in modo che spesso è assai difficile riconoscere le persone indicate e orientarsi nel significato riposto delle comunicazioni, ma nel quale si parla generalmente delle trattative matrimoniali di una giovane che dovrebbe uscire dal convento o anche di ostacolati rapporti amorosi tra i corrispondenti. E c’è uno zio intermediario che è per lo più il banchiere Engelfred e ci sono variamente indicati gli avventurieri pronti, verso lauti compensi, a compiere i tentativi di liberazione, un Clagenfurth prima, un cav. Rivafinoli poi. Il Morozzo ha dovuto indubbiamente faticare per l’interpreta-zione delle lettere, la identificazione delle persone e la ricostruzione dei complicati avvenimenti. Una breve schematica narrazione sommaria lasciata dalla vedova del Castagneri fornisce una prima indispensabile chiave, per il resto egli ha lavorato di paziente, tenace induzione arrivando a risultati che sono generalmente persuasivi. Le lettere sono così accompagnate da note che ne permettono la interpretazione e le trentacinque pagine espositive contengono un riassunto sommario e molto succoso dei tentativi e della relativa corrispondenza : si direbbe che l’autore si sia prefisso con spartano laconismo di mettere di suo il minor numero di parole. Altri forse con molto uso di fantasia integratrice vi avrebbe scritto attorno un volume. Nessun drammatico accadimento ignorato e nessun pratico successo ai tentativi e alle speranze della Contessa risulta da queste lettere e dall’esposizione riassuntiva: i tentativi, quando non sono ri- Rassegna Biblioorafica 245 mas^i allo stato di progetto, non hanno superato la fase iniziale: ni a vi appare una nuova via finora affatto sconosciuta per far fuggire il Gonfalonieri, via tanto più notevole per l’intervento, anche se personale e soltanto come intermediario, di un funzionario piemontese durante il regno di Carlo Felice. Queste lettere, che terminano con -un grido di scoramento della Contessa dopo l’ultimo fallito tentativo del ’29 — cui seguiva poco dopo la morte dell’eroica martire dell’amor coniugale come la chiamò il Manzoni — sono una riprova dell’instancabile devozione della donna infelice e ci trasportano nel pieno dell’ambiente romantico di esaltazione passionale e di tenebrose macchinazioni. Vito Vitale. I. Scovazzi - F. Noberasco, Savona, «Edizioni Tiber » 1930 - VITI (Storie municipali d’Italia). Collezione diretta da R. Caggese e A. Malatesta. I due egregi Autori, noti per lavori pregevoli nel campo degli studi storici e in particolare per una Storia di Savona in tre volumi, pubblicata nel 1926, hanno condensato in 170 pagine il buono e il meglio dell’opera maggiore con forma chiara, precisa, tenendosi ugualmente lontani dalla pesantezza del libro scientifico e dalla superficialità di molte opere divulgative: hanno scritto un libro che si legge con piacere e con profitto. La storia di Savona nel Medio evo poco differisce dalla storia di tante altre città dell’Italia settentrionale. Xel periodo feudale Savona diede nome a un Marchesato aleramico; ma ben presto uomini della piccola nobiltà, proprietari di terra, commercianti ed armatori, tutti coloro che mal sofferivano il giogo marchionale si strinsero attorno al vescovo, divenuto, mercè la politica degl'imperatori Sàssoni, il rappresentante e difensore della civitas di fronte al feudatario laico. La popolazione attiva, industriosa, dedita alla vita marinaresca, condotta dall’esperiènza a giudicare gli uomini secondo il loro valore, non poteva rimanere a lungo in balìa di un feudatario laico od ecclesiastico, e come sapeva creare la propria fortuna, voleva essere arbitra della propria sorte. A queste tendenze dei popoli si prestarono favorevoli gli eventi, dapprima con la lotta per le investiture, durante la quale imperatori e papi largheggiarono in concessioni ai Comuni nascenti per acquistarli alla loro causa, in seguito con le Crociate, che, mentre in Oriente condussero alla liberazione, sia pure temporanea del Santo Sepolcro, in Occidente accelerarono la decadenza del feudalismo e l’avvento del libero Comune. In particolare poi il trapasso del regime feudale al comunale venne agevolato a Savona da cir- 246 Rassegna Bibliografica costanze eccezionali dovute al rapidissimo rigoglio del Comune e a 1Γindebolimento della Casa marchionale del Vasto. Quando, però, i Savonesi superati gli ostacoli e conseguita la libertà interna, iniziarono la conquista del contado, urtarono contro un avversario assai più formidabile di quelli che avevano vinto. Genova, la metropoli della Liguria, sebbene intenta alle conquiste in Oriente, non perdeva d?occhio quanto avveniva nelle due Riviere; pronta a correre in aiuto delle sorelle minori per sottrarle all'oppressione feudale, mirava a sostituire la propria autorità a quella del feudatario. Nel gennaio 1.153 i Savonesi accettarono una convenzione in virtù della quale si impegnavano « a obbedire ai consoli di Genova... e a far sì che ogni legno partente da Savona e diretto « in pelago » oltre Sardegna e Barcellona, o di là proveniente, desse prima fondo nel porto di Genova». Ma se costretti da· necessità i Savonesi avevano sottoscritto la convenzione, non era loro intenzione osservarla : essi non desistettero mai dalla lotta contro Genova per riacquistare la loro libertà politica e commerciale, e per circa quattro secoli la storia di Savona si compendia nella storia de’ suoi tentativi per sottrarsi alPe-gemonia genovese. Uno dei momenti più drammatici di questa lotta ostinata corrisponde agli ultimi anni dell’impero di Federico II, ed al pontificato del genovese Sinibaldo Fieschi (Innocenzo IV). Sebbene circondata da ogni parte dai nemici, Genova resistette e vinse; città e feudatari fecero atto di sottomissione: Savona dovette giurare una nuova convenzione che ribadiva « la completa soggezione alla metropoli, non lasciando che una limitata autonomia » (1251). ’JSTelle vicende posteriori, quando Genova, sempre straziata dalle discordie intestine, passò sotto i domini di Francia, del Marchese di Monferrato, dei Visconti e degli Sforza, Savona sperò e a un certo momento si illuse di aver conseguito, mercè la protezione di papa Giulio II, la piena indipendenza con rannullamento di tutte le convenzioni precedenti; ma ogni illusione svanì dopo il 1528, quando Andrea DOria, cacciati i Francesi, mutata la costituzione di Genova, ridusse Savona alla più completa ed assoluta sottomis sione. Tutto questo, del resto, rientra nell’ordine naturale delle cose, cioè neirambito di quelle leggi ineluttabili che regolano gli eventi umani come i fenomeni della, natura. Era illusione credere che Savona potesse svolgere liberamente la propria attività nel Mediterraneo, in contrasto con gli interessi Genovesi, e mantenere la propria autonomia. Genova che aveva vinto e distrutto la potenza prima, che contendeva a Catalani e Provenzali il predominio del Mediterraneo occidentale, non poteva tollerare, nel suo distretto una rivale pronta a dar la mano a tutti i nemici. I Savonesi si dolgono della prepotenza di Genova ; Γarchivio di Genova offre un numero sterjni- Rassegna Biblioorafica 247 nato di documenti, in cui i Genovesi si lagnano delle violenze dei Savonesi e li accusano di ospitare nel loro porto tutti i pirati, tutti i peggiori nemici del nome genovese. Erano i Genovesi oppressori irragionevoli, dominati da egoismo cieco ed intransigente, od erano i Savonesi riottosi per istinto, pronti a sfogare verso i cittadini singoli ed indifesi Podio clie nutrivano in cuore contro la Dominante? O, come è facile supporre, non potrebbe darsi che non esista il taglio netto che divida la ragione dal torto? La risposta, non facile nè semplice, richiederebbe Pesame di una mole considerevole di documenti e potrebbe essere data solo da chi si sentisse assolutamente libero da preconcetti di scuola o di parte, e riuscisse a padroneggiare sotto tutti gli aspetti la varia e complessa materia. Con questo non intendo accusare alcuno di partigianeria : esprimo un’opinione, non un giudizio. Savona riacquistò importanza durante la Rivoluzione francese, quando divenne capoluogo del Dipartimento di Montenotte ed ebbe come prefetto il celebre conte Gilberto Chabrol, novatore sagace ed ardito, impareggiabile suscitatore di energie. Quando, caduto Napoleone, i Congressi di Parigi e di Vienna deliberarono l’unione della Liguria col Regno di Sardegna, forse nessuna città, nessun villaggio dell’antico dominio della Repubblica accolse la notizia con giubilo pari a quello dei cittadini di Savona. Avvenuta l’unione col Regno di Sardegna, e la formazione dell’unità italiana, Savona crebbe rapidamente, e dopo la costruzione delle strade ferrate che la collegarono con Torino e con Alessandria, vide il movimento del porto conquistare uno dei primi posti tra i porti d’Italia. Una ricca bibliografìa completa opportunamente la narrazione delle vicende savonesi. C. Borsate. Spigolature e Notizie I fascicoli gennaio-marzo e aprile-giugno 1031 te\V «Archivio Storico di Corsica» sono, come al solito, ricchi di importanti monografie sulla storia dell'isola. Vi si trovano la continuazione degli studi di Rosario Russo su «La ri-belione di Sampieko Corso» e di padre 1. Rinieri su «I Vescovi di Corsica»; articoli di R. di Tucci su alcuni «Aspetti deila politica genovese in Corsica verso la met4 del Settecento»; di E. Soutliwell Colucci su «Chiese pisane k ricordi storici della Balagna» di I. Imberciadori sui «Corsi in Maremma nella seconda metà del Quattrocento ». Seguono le consuete importanti rassegne Notizie di fonti e documenti, Varietà, Questionario e Bibliografia. ÿ $ ÿ Una «Breve storia del Santuario delle Grazie in Voltri» pubblica Antonio Cappellini (Genova - 1031). Le vicende del Santuario, che è tomba della Duchessa di Galliera, di Antonio Brignole-Sale e d’altri cospicui, vi sono narrate con l’appoggio dei migliori documenti accompagnate con felici rievoeazioui storiche. In «Corriere d’America» di jSTew-York del 14 giugno si dà un ampio resoconto degli «Onori alla memoria d’un Grande Patriota», e cioè della cerimonia commemorativa di Giovanni Ruffini tenuta a Taggia il 24 maggio 1931. ÿ ÿ ÿ Jean Vinciguerra nella «Revue de la Corse» del maggio-giugno 1931 scrive su l'arte di un pittore corso «Auguste Bouchet». Il Generale Colonna de Giovellina illustra la figura de «Le Général Baron J. B. Franceschi - (lTfiii-1813)», nei fascicoli maggio-giugno e luglio-agosto 1931 della «Revue de la Corse». ì[·. :·: Stefano Rebaudi rievoca «Medici, Chirurghi e Speziali in Noli Repubblica» nel fascicolo di giugno 1931 di «A Compagna». Su «Lo Stemma di Genova» scrive Marino Merclli in «A Compagna» fascicolo di luglio 1931. ÿ :·: «La strage della ribaldagia Genovese a Crecy» nel 134G è rievocata in «A Compagna» del luglio 1931 da Giuseppe Rizzo. « Federico Peschiera » artista genovese del secolo scorso è ricordato da Stefano Rebaudi in a A Compagna » di luglio 1931. Spigolature e Notizie 249 « Sax Prospero di Camooli » antica chiesetta dei Monaci Olivetani è illustrato in «Nuovo. Cittadino» del 2 luglio 1931 da Augusto Lenzoni. * * * In «Corriere Mercantile» del 0-7 luglio 1931 F. Ernesto Morando raccoglie sotto il titolo «XI Luglio » una interessante « Anedottiga Mamkliana ». In « Corriere Mercantile » del 7-8 luglio 1931 P scrive su « Il Castello Fot.tzeb di Rivarolo » ricordando tra l’altro 1;Γ~ dimora in esso di Paola Frassinetti. * * * Sulla Abbazia Vallombrosiana di «San Bartolomeo del Fossato» presso Sam-pierdarena, scrive all girovago» in «Giornale di Genova» delFS luglio 1931. ❖ ❖ * L hrrto Zuceardi Merli scrive in «Corriere Mercantile» delPS-9 luglio 1931 col titolo « Sfogliando xjna Guida Genovese del 700 »; Si tratta dell'opera di Domenico Boccolari stampata a Genova dal Gravier nel 3783. Lo scritto, clie ne ricava curiose notizie, continua nel numero seguente : 9-10 luglio. ÿ ÿ ÿ In «Secolo XIX» del 1° luglio 1931 ^Amedeo Pescio recensisce «Il Libro di Frate Ginepro » cioè il recente volume sulla «Famiglia Ruffini» di Fra Ginepro da Pompeniana. :*< \azzaro be Simoni ricorda ri «Nuovo Cittadino» delFll luglio 1931 « La Chiesa di San Paolo», ora distrutta, che sorgeva in prossimità della Stazione Principe, presso alla Salita ancora oggi detta di San Paolo. Ad illustrare Palazzi e Casati della Superba, d. b. scrive in «Giornale di Genova» dell'll luglio 1931 su « I Giustiniani » rilevando le più cele-lebri figure di quel Casato ed accennando all’avito palazzo posto sulla Piazza omonima. ÿ * d. 1). in «Giornale di Genova» del 15 luglio 1931 scrive di « Qltarto, la Città dei Mille » riandandone sommariamente la storia ed illustrande i manoscritti che la Chiesa Parrocchiale possiede e che provengono dal vicino cenobio olivetano di S. Gerolamo. ❖ îjî Hì « La Chiesa di S. Agnese » ch’era in Piazza Bandiera ed è da anni distrutta, è ricordata da Lazzaro De Simoni in «Nuovo Cittadino» del 1G luglio 1931. * * * In «Giornale di Genova» del 17 luglio 1931 all Girovago» illustra il Palazzo « Spinola dl San Pietro » in Sampierdarena, insieme alle vicende più fastose del casato omonimo. ❖ $ $ In «Lavoro» del 17 luglio 1931 e col titolo J: ❖ In « Giornale di Genova » del 24 luglio 1931 all Girovago)) scrive su « La Chiesa della Madonna delle Grazie a Voltri » cbè in apposita cripta accoglie le tombe dei Duchi di Galliera. ÿ # « La Canzone del se e del ma » è il titolo d'uno scritto di «erre» in «Corriere Mercantile» del 24-25 luglio 1931. Illustra due pagine di storia ge novese: la cessione di Corsica genovese alla .Francia nel 17GS e la, Congiura di G. C. Vacchero a danno della Repubblica: 1G28. «$ì ÿ Vincenzo F. Molle rievoca in «Gazzetta di Loano» del 25 luglio 3931 la figura del «Prof. Leone Orsini» . ÿ ÿ ÿ «Il Marzocco» di Firenze del 2G luglio 1931, dà un ampio ragguaglio di Spioolature e Notizie 251 <( UN EROE GENOVESE DEL CINQUECENTO E LE SUE STENTATE RICOMPENSE )) Θ Cioè della recensione dello studio di Carlo Bornate dovuta a Emilio Pandiani, comparsa nell’ultimo fascicolo del nostro Giornale. ÿ ÿ ÿ Michelius in «Corriere Mercantile» del 28-20 luglio 1931 scrive su « L’Abbazia di S. Fruttuoso nella storia e l'atto eroico d’una popolana ». E' costei Maria Avegno che tentando il salvataggio dei naufraghi del «Croesus» affondatosi nel 1858 di fronte all’Abbazia, perdette la giovane vita. ❖ ❖ # In «Nuovo Cittadino» del 20 luglio 1931 Lazzaro De Simoni ricorda ed illustra « La Chiesa di S. Bernardo » già esistente sulla piazza omonima e da molti anni demolita. ÿ ÿ ^ In «Giornale di Genova») del 30 luglio 1031 « Il Girovago» illustra antiche «Tradizioni sampierdarenesi». ❖ ❖ ❖ Nel fascicolo di luglio 1031 il Bollettino Comunale «Genova» reca un Ode latina di Luigi Illuminati dedicata, col titolo «Himnus in Heroas Genuenses», a.i nostri Caduti di Guerra. Ai pregi dell’Ode aggiunge bellezza la squisita traduzione in versi italiani che v’accompagna Mario Celle. ❖ $ ÿ Giovanni Descalzo illustra in «Giornale di Genova» del 31 luglio 1931 un Santuario assi rinomato della Liguria, «Nostra Signora di Roverano» presso Varese Ligure. tk G. Coppellata in «Italia Coloniale» di Roma del luglio 1931 illustra « Un esempio di italiano all'estero : Giovanni Ruffini ». ÿ $ ÿ Sotto il titolo « La Badia sull’onda» F. G. fa la storia della Badia di S. Fruttuoso a Capodimonte presso Portofino, in «Giornale di Genova» del 1 .agosto 1931. $ $ $ In « Giornale di Genova» del 2 agosto 1931 d. b. ricorda «Gli Schiaffino da Oamogli». Uomini politici, diplomatici, navigatori, di quel casato vi appaiono, a cominciare dalla line del XIII. ÿ ÿ $ Aurelio Garobbio recensisce in «Fiamma» di Parma del 3 agosto 1931 il volume del Tencajoli su « La Corsica », già segnalato. ❖ H* ■*!< Lazzaro De Simoni scrive ih «Nuovo Cittadino» del 4 agosto 1931 su « La Chiesa di S. Gerolamo di Quarto» vetusto edilìzio olivetano con annesso •cenobio (ora ricovero di deficienti) che è ricco di patrie memorie. * ❖ ❖ In «Lavoro» del 4 agosto 1931 G-. B. *4. ricorda «Baiardo» pittoresco paesello montano della Liguria ricco di antiche memorie, memorabile per lo scontio avvenutovi tra i Francesi di Massena e gli Austriaci di Von Melas. 252 Spigolature e Notizie * * * In «Corriere Mercantile» del 4-5 agosto 1931 F. Ernesto Morando, scrive su Giambattista Baliano e il Galilei » col quale il Ballano fu in corrispondenza. ❖ ❖ ❖ Arges scrive in «Giornale di Genova» del 6 agosto 1931 su Pisa e Genova alla battaglia della Meloriy». La battaglia navale che segnò la sconfìtta definitiva di Pisf· v’è rievocata in questo suo lontano anniversario. ❖ ÿ * Ancora nel «Giornale di Genova» del 6 agosto 1931 «Tristano» scrive col titolo : «Santi, Pellegrini e Mariani» una breve pagina di storia di Boglia sco, antica terra rivierasca, poco lungi da Genova, a levante. ❖ ❖ ❖ «Il Campanile e il pozzo» è il titolo d'uno scritto di Amedeo Pescio in « Secolo XIX» del 9 agosto 1931 dove la storia del massiccio campanile di San Lorenzo a Genova è rievocata e riassunta a pioposito di recenti restauri. ❖ ❖ * In « Giornale di Genova» del 13 agosto 393.1 Vi/o Vitale scrive di «Ruffici e Brignole-Sale» e cioè, sul dissidio politico tra i due che furono entrambi uno dopo l’altro, Ministri Plenipotenziari del Regno Sardo a Parigi. ❖ ❖ * L’«Opinione» di Filadelphia del 14 agosto 1931 riassume le conclusioni cui è giunto Emilio Pandiani, recensendo nell'ultimo fascicolo del nostro Giornale, la monografìa di Carlo Boriiate su E. Cavallo. L’articolo porta il titolo : «Un eroe genovese del cinquecento e le sue strane ricompense ». $ ·> Ψ V. R. scrive in «Giornale di Genova» del 18 agosto 1931 su « Santa Lim-kania» vergine cipriota che sarebbe approdata a Genova dall’isola natia nel principio del secolo XIII ed accolta nel vetusto Monastero benedettino che ne prese poi il nome, presso Porta S. Tomaso. ÿ ÿ ÿ Gino Galletti in «Il Telegrafo» di Livorno del 20 agosto 1931, recensisce «Fiori di Mucchiu» di p. Tommaso Alfonsi già segnalato. ❖ ❖ ❖ Il Canonico Mussi ricorda in «Nuovo Cittadino» del 22 agosto 1931 «Il Card. Camillo Cibo-Malaspina» e l’autobiografìa, ancora inedita, del porporato massese che visse tra la fine del ’TOO e la prima metà del ’SOO. tfi ifc ìjì erre scrive su ì’«Eterno femminismo genovese» in «Corriere Mercantile» del 25 agosto 1931 muovendo dal più antico monumento del dialetto e della poesia genovese; la canzone di Ran.baldo eli Vaqueiras. * * He L'Alfiere recensisce in «Telegrafo» di Livorno del 27 agosto 1931 la recente monografia di Boninsegna, edita dal Giusti di Livorno : «Un conflitto tra Francia e Corsica nella Roma del secolo XVI11». Spigolature e Notizie 253 S'fi % % «La Chiesa dui Sordomuti» già delle Brigidine eoi titolo di N. S. della Misericordia è illustrata da Lazzaro De Simoni in «Nuovo Cittadino» del 27 agosto 19,31. ❖ ❖ ❖ « Ritratto di donna Ligure » è il titolo d’uno scritto anonimo in «Corriere Mercantile» del 20 agosto 1931. La donna di cui si dà il ritratto è Maddalena Racchi moglie del Capitano Giacomo Racclii di cui fu compagna di navigazione e d’avventure. * ❖ * F. Battollo scrive in «Giornale di Genova» del 27 agosto 1931 su II Santo volto dei Genovesi» illustrando la famosa imagine edessena conservata a S. Bartolomeo degli Armeni. ❖ * ❖ In «Nuovo Cittadino» del 28 agosto 1931 «Fra C'inepro» scrive su «Lo storiografo di Savona» Filippo Noberascò, rilevando i pregi delle sue pubblicazioni che illustrano insieme l’arte e la storia savonese. * ❖ * Nel fascicolo di agosto 1931 de «Le Vie d'Italia e dell’America Latina» Antonio Cappellini illustra « Ville Genovesi del secolo xvi ». ❖ * * Antonio Cappellini continua ad illustrare « I Tesori d’arte patria » parlando nel numero d’agosto 1931 di «A Compagna» specialmente d’uno tra i miglioii pittori genovesi : lo Strozzi. A :·: :jì Uberlo Zuccardi Merli ha in «A Compagna» d’agosto 1931 uno scritto illustrativo su « Tobia Pallavicino, genovese, e l’assedio di Reggio nell’Emilia ». L’assedio spaglinolo di Reggio è del 1655, il Pallavicino difendeva Reggio coi francesi ed ottenne, soverchiato da ingenti forze, di arrendersi con onore. $ $ $ Di «Antonio Frixione » artista non oscuro dell*ottocento scrive Stefano Rebaudi in «A Compagna» di agosto 1931. $ ^ $ «La famiglia Ruffini ed un Padre Cristoforo dei, Risorgimento» è il titolo d’uno scritto di Antonio Cappellini in «A Compagna» di agosto 1931 che recensisce il libro già segnalato di Fra Ginepro da Pompeiana. * ❖ * «Genova» Rivista Municipale, ha nel suo numero di agosto 1931 uno scritto di Lorenzo Alpino su Alessio Olivieri « Il musico deli/Inno di Garibaldi ». $ $ $ Vilo Vitale scrive in «Giornale di Genova» del 1 settembre 1931 di « Uno strano testamento» fatto dal magnifico Giambattista Sauli nel 1783, dal quale si rilevano interessanti particolari dì storia locale. Il Sauli fu Governatole a Savona, Spezia, Novi ed Inviato a Costantinopoli. « ❖ * In «Giornale di Genova» del 1 settembre 1931 Umberto di Leva aduna «1 Ricordi del Caffè del Teatro». Il caffè annesso al Carlo Felice ha un po’ 254 Spigolature e Notizie una sua storia e tutta infiorata dalle memorie di personaggi che lo frequentarono, o di fatti notevoli del Risorgimento che v’ebbero celebrazione od almeno chiose e commenti. Lo scritto è continuato nel numero dei 12 settembre. ❖ * * A. P. in «Lavoro» del 2 settembre 1931 ricorda col titolo «Liguri in Sardegna» le origini genovesi di Carloforte. îjî He Narrajl. I. in «Giornale di Genova» del 2 settembre 1931 «La vendetta di Nicolo S al vago» famoso capo bandito, audace quanto generoso, decapitato poi dalla Repubblica nel 1585. $ $ $ Il «Corriere Mercantile » del 2 settembre 1931 esamina una recente monografia del dott. Piero Monaco dedicata allo studio dei «Velluti di Zoagli». ❖ * ❖ «La Chiesa-Oratorio di N. S. del Rosario» piccolo edifìcio disegnato da C. Barabino ai piedi della salita a S. Francesco di Paola presso Fassolo, è descritta nella sua storia e nei suoi pregi artistici da Lazzaro De Simoni in «Nuovo Cittadino» del 3 settembre 1931. ❖ ❖ ❖ Ligusticus in «Giornale di Genova» del 3 settembre 1931 ha uno scritto dal titolo : «Vigneti di Liguria» ricco di spunti storici. Il «vino delle Cinque Terre» fu ricordato nientemeno che dal Petrarca. ❖ ❖ ❖ X scrive in «Corriere Mercantile» del 3 settembre 1931 su «L’Emporio e il Porto di Genova neli/antichità» una pagina ricca di dati e di rilievi sto rici. Lo scritto è continuato nel numero del 5 stesso settembre. ❖ $ $ Ligustico raccoglie in «Giornale di Genova» del 5 settembre 1931 lo « Sagre di Settembre» che avviano ai Santuarii liguri assai pellegrini, illustrando cosi una pagina folkloristica interessante. Hì ❖ ❖ Il «Nuovo Cittadino» del 5 settembre 1931 ha una breve nota del Canonico ILussi «Sulla madre di Nicolò V Papa», sarzanese e grande Pontefice umanista. # i’fi Uno scritto anonimo in «Popolo d’Italia» del 5 settembre 1931 ricordando le origini del Pio Istituto di S. Corona rileva una propaggine ligure del noto Istituto milanese che ha una importante colonia a Pietra Ligure in riviera di Ponente. Lo scritto ha per titolo : «La città di Santa Corona nei, paese di Pie-tra Ligure». * ❖ ❖ «Il Santuario della Madonna delle Grazie a Voltri» è illustiato in «Secolo XIX» del 5 settembre 1931 da Giuseppe Pierucci il quale vorrebbe trasportato lassù il Chiostrino romanico di S. Andrea, ora allogato presso la Porta omonima in Genova. & ❖ ❖ Col titolo «La Madonna del Boschetto a Camogli», f. n. scrive ili «Nuovo Spigolature e Notizie 255 Cittadino» dell’S settembre 1931 una pagina di storia di un rinomato Santuario mariano presso Camogli specialmente caro ai marinai della riviera levantina. # * * Gino Piva in «Giornale di Genova» dell’8 settembre 1931 scrive di «Caverne e Leggende di Varazze». La storia e la preistoria della Liguria attorno a Pietra Ligure, Borgio e Giusténice vi son brevemente riassunte. * * * Una recensione anonima sul recente volume di And reo Pasqualini - Luigi Olivieri : «I Pinnuti e la Corsica nel 184,S», edito dal Giusti, è comparsa ne «il Telegrafo» di Livorno del 10 settembre 1931. :■« :*< ÿ P. Felice Tessino scrive in «Nuovo Cittadino» del 10 settembre 1931 su «San Nicola e la sua Chlesa in Genova» sorta alla fine del sedicesimo secolo. ÿ ÿ ÿ In «Corriere Mercantile» del 10 settembre 1931 «Januensis» ha uno scritto su «L’esercizio della balestra e il premio delle tazze d’argento». L’abilità dei genovesi nell’uso di quest’arma fu celebrata in Europa e fuori. ÿ ÿ ÿ Marbet scrive in «Lavoro» dell’ll settembre 1931 sulle torri di cui guarni-vansi i palazzi a difesa, specialmente in Sampierdarena. Lo scritto ha per titolo: «Lv Torre nel cortile». ì'fi % # Su «Nuove scoperte archeologiche nel Finalese intorno al campo trincerato romano» riferisce un anonimo in «Secolo XIX» del 12 settembre 1931. * « ❖ D’un educatore genovese dei sordomuti poveri, «L'Abvte Luigi Boselli», scrive brevemente «Libano» in «Lavoro» del 12 settembre 1931. ÿ ÿ $ In «Nuovo Cittadino» del 13 settembre 1931 Lazzaro De Simoni scrive su «La Chlesa della SS.ma Annunziata di Sturla» vetusto tempio agostiniano ricco di opere d’arte. ❖ * ❖ In «Corriere Mercantile» del 14 settembre 1931, sotto il titolo : Note e Bicordi» Vico Mantegazza rievoca tempi, cose e figure di Genova d’una volta, cioè dèlia seconda metà dell'ottocento, quando Genova aveva tra i pochi giornali « Il Movimento» ed il Caffè della Concordia. ❖ ❖ ❖ «Una suonata di Paganini» ricorda in «Lavoro» del 15 settembre 1931 Roberto Pescio, traendone il cenno dalle memorie di Ludwig August Frankl che ascoltò il mago del violino nella Villa Di Negro all’Acquasoia nel 183(>. $ ÿ $ «Il Castello dei, Dragone a Camogli» è illustrato con ricordi storici da aessegu in «Nuovo Cittadino» del 16 settembre 1931. ❖ v ❖ « Finalborgo, Loano o Giustenice? » si chiede A. A. in «Giornale di Genova» 256 Spigolature e Notizie del 16 settembre 1981. Si tratta di identificare il luogo dov’era il campo trincerato romano (detto Pollupice) da collocarsi tra Vada Sabasia ed Alba Inganna. L’articolista propende per Giusténice, cioè per un territorio al margine di questo Comune. * ❖ * X scrive in «Corriere Mercantile» del 16 settembre 1931 «Sui primordii dei giornalismo a Genova». Muove, con 1*. Levati, dai tempi del Doge Clavarezza (1616), per andare a Luca Assarino (1646). ❖ * ❖ Il «Telegrafo» di Livorno del 17 settembre 1931 annuncia che si sta per pubblicare un «Atlante Linguistico della Corsica» a cura del prof. (lino Bottiglioni. ijî î;î ÎJÎ «Il ligure Paolo della Cella primo viaggiatore della Tri politaci a», già discepolo a Genova del Viviani, è ricordato da Carlo Zaglii in «Secolo XIX» del 17 settembre 1031. Il Della Cella, nato nel 1792, morì a Genova nel 1854. $ In « Corriere della Sera» del 18 settembre 1931 uno scritto di Luigi Bottazzi su «Gli ultimi balestrieri» ricorda anche i 1500 Balestrieri di Genova combattenti per Filippo IV di Valois a Crécy e disfatti dai Balestrieri bretoni per un curioso accidente atmosferico che l’autore dello scritto riferisce. ì-ì :·: Lazzaro De Simonì ricorda in «Nuovo Cittadino» del 10 settembre 1931 «La Chiesa di San lazzaro» antico edilizio, ora distrutto, presso il mare, in regione S. Teodoro, località ancor oggi chiamata San Lazzaro. $ :·: ìj : In «Corriere Mercantile» del 10 settembre 1031 scrive X togliendo «Da una descrizione di Genova del secolo XYI1I» interessanti ragguagli sulla città di quel tempo. Lo scritto è continuato nel numero del 22 settembre. ÿ ÿ ÿ Su di «Una questione storica del Finalese» (e cioè sull’ubicazione del campo romano del Pollupice) torna, in aggiunta all’articolo del 12 settembre (contrastato da altro di A. A. del 16 stesso in «Giornale di Genova»), uno scrittore anonimo in «Secolo XIX» del 20 settembre 1031. ÿ ÿ ^ IpOy scrivendo in «Secolo XIX» del 20 settembre 1031 col titolo : «La propi-ziatrice sagra del fuoco per N. S. del Suffragio» evoca fasti guerrieri di Recco nel sec. XVI ricordando due fortilizi ivi costruiti a difesa contro i Corsari. * * * « Ventimiglia, città antichissima» è rievocata da Tùniolo in «Giornale di Genova» del 20 settembre 1031, anche nei suoi rapporti con Genova cui la piccola città fieramente resistette. * * * Uno scritto, anonimo apparso nel giornale «Il Piccolo» del 21 settembre 1031, ricorda «San Bernardino a Triora.» L’A. fornisce interessanti ragguagli sull’alpestre cittadina ligure ma omette di ricordare come nel trecento v’emigrassero Senesi in buon numero cacciati dalla patria in seguito a lotte di parte, il che spiega molto bene la gita che fece.lassù S. Bernardino ed il culto che v’ebbe un’altra Senese, S. Caterina. Spigolature e Notizie 257 ¥ «Un pò di storia dell’apollo», teatro genovese ben nnt« η ι i del Borgo Lanaiuoli, riassume «Urbano ,, in «Lavoro» del 22 settembre^Î^ * * * a(^ alt1r° SU0 serifcto pubblicato in «Corriere Mercantile» del 25 ÌWdSv1,arla’ nel nUmer° del 24 membre liKJl dello stesso giornali a» S.lSZr"’11' m mMta" “> * * * « UmcrS0DiaÓpv^GeD0Va>> del 20 settembre 19al è riassunto col titolo: ^,.,.3 “ censimento di QUATTRO secoli fa» da uno studio di Giacomo piute danaanReDuhhreriSr “11θ indaglni statistiche e demografiche coni- ss EtiBTSr&rgiS.Gorr"" n,t,”e d‘ doc"“nti «—«. * * * ^7,™.în (<°orriere Mercantile» del 2(i settembre 1931 sui «Suona-™ ™ f. i.iTTAt Λ C-ΕΝΟ,Ά nfl pas.^d·,. L Arte dei liutari aveva Caiilr.ji ο,-fanî II, ;°'Jenevauo sagge provvidenze anche a favore deli a vedi va e re-li oifam del Lutare ascritto. Quanto ai suonatori di liuto, già nel duecento sé ne ricordano di famosi. UUUULO sc * * * « Sul governo della Repubblica genovese nel Regno di Corsica» scrive «Janueimi» in «Corriere Mercantile» del 29 settembre 1931. Movendo da un recente scritto del di Tucci in «Archivio Storico di Corsica» aggiunge un piccolo contiibuto di notizie sparse al materiale raccolto del predetto, col proposito i in idi a re quanto già fu scritto sul malgoverno genovese nell’isola. * * * ■r Uno scritto anonimo è consacrato a «L’Antica Compagnia dei Caravana» in «Secolo XIX» del 3» settembre 1931. La storia ed i privilegi di quel Sodalizio tipico genovese vi sono riassunti. q '1° * * * In «Nuovo Cittadino» del 30 ottobre 3931 il «Canonico Mussi» scrive su La Colonia Genovese λ Massa nel 1500». La località che abitarono i genovesi Iantina Ι6 & * ΐΘ famiglie ivi emiSrate da Genova furono una qua- ,7„.„<(SCLLA ?C0P®m .D’UNA CARTA MUTICA FATTA DA CRISTOFORO COLOMBO» (Jamiensm> in «Corriere Mercantile» del 30 settembre 1031. L?A. asei completa notizie già fornite siill’argomento del La Roncière. In «A Compagna» del settembre 1931 Antonio Cappellini chiude la sua rassegna sui ((Tesori d’Artè Patria». Le varié puntate sono ora uscite riunite ti 1Ì!‘a t volumetto assai ^>ene illustrato col titolo: «Genova - Tesori •d’Arte Patria». -«-«vìi * * * «Realtà» Rivista Rotariana, pubblica nel suo fascicolo di settembre 1931 ErneT dal titolo: «I Fidelari di |avon“ t>arfe liano vermicelli. eVa Μ alimentare’ corrispondendo alFita- 258 Spigolature e Notizie * * * Stefano Rebaudi rievoca in «A Compagna» del settembre 1931 l’inaugurazione de «La seconda linea ferroviaria a Genova» che fu la Genova-Voltri aperta airesercizio nel 1S55. Solo nel 1872 la linea di Genova-Ventimiglia fu completa. * # * «La Monaca di Monza... genovese» sarebbe, secondo Mario Faggioni che ne scrive in «A. Compagna» di settembre 1931, Suor Maddalena Fiesclii del monastero di S. Andrea attorno al .1662. * * * Ferdinando Tirinnanzi rievoca «Giovanni Ruffini in «Cordelia» di Bologna del settembre 1931. * * * Xino Lamboglia illustra nella «Collana storico-archeologica della Liguria occidentale», (vol. I, fase. II, Casale, Miglietto, 1931). «Un iscrizione romana inedita di ViLL afar aldi» che risalirebbe, secondo l’a., al 1° secolo a. c. * * * Un importante studio su «L’E\oluzione del presepio ligure», è stato pubblicato da FUippo N. oberas co coi tipi della Tip. Ricci di Savona. L infaticabile storico savonese ha inoltre pubblicato dallo stesso editore una monografìa su « Le antiche Lapidi del Chiostro della Cattedrale di Savona » ed un acuto saggio su «Artisti Savonesi» per i tipi della Tipografìa Savonese. APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su Giuseppe Mazzini pubblicati all* estero Grégoire Morgulis, Une lettre politique inédite de Joseph Mazzini, in «Étu des Italiennes », Paris, fase, avril-juin 1931. Un'importante lettera scritta dal Mazzini a Étienne Borsiczky del 6 marzo 1833, allo scopo di costituire in Ungheria un nucleo di aderenti alla Giovine Europa, è pubblicata dal M., il quale la trasse daH’Archivio di Stato di Vienna. Come sia pervenuta nelle mani del Metternich e le indagini poliziesche che provocò sono oggetto di una breve e succosa presentazione della lettera stessa. ---, Un amico dell3Italia : DeMcki, in «Opinione». Philadelphia, 2 luglio 1931. Succinto profilo del poeta polacco Zdislao Debicki, recentemente deceduto. L’anonimo articolista illustra la dottrina mazziniana, in quanto ebbe influenza sulla vita e sulle opere del Debicki. Vittorio Giglio, I moti del 1821-31 e la nuova missione d’Italia, in «Unione», Tunisi, 23 luglio 1931. Il G. rievoca l’importanza dei moti del ’31 rispetto alla influenza ch’essi esercitarono sull’opera del Mazzini. R, La dottrina morale nell arte, in «Il Giornale d’Orient'e», Alessandria d’Egitto, 25 luglio 1931. Ampia recensione della raccolta di scritti mazziniani curata dal Rispoli. --G. Mazzini, Scritti di Letteratura e d’Arte, in «Messaggero di Rodi», Rodi, 30 luglio 1931. Succinta recensione della raccolta degli scritti letterari del M. curata dal Rispoli. L’anonimo autore in tal modo termina la sua critica : c Qualsiasi valutazione si faccia dei principi dell’estetica Mazziniana, dai quali il Rispoli naturalmente dissente, non si può ammettere che « la necessità di una grande e luminosa idea morale da porre a centro dell’arte, e della poesia », come invocò Mazzini, sia dottrina irremissibilmente condannata e non torni un giorno a risplendere, come stella polare, sui sentieri smarriti dell’arte senza via e senza mèta. » Angelo Otto lini, Le aspirazioni dei letterati dal 1831, in «Unione», Tunisi, 16 agosto 1931. L’O. illustra fra l’altro la singolare importanza ch’ebbe l’opera letteraria del Mazzini nei primordi della sua vita politica. --, La prima tappa del pellegrinaggio dei Figli d’Italia, in «Corriere d’America , New Jork, 21 agosto 1031. Si dà notizia, e se ne illustra la significativa affermazione spirituale, della visita fatta 260 Bibliografia Mazziniana il 19 agosto a Staglieno dal gruppo degli studenti americani aderenti all’asso ciazione Figli d'Italia. , Ina lettera di Mazzini fra i cimeli di Kossuth, in «Il Giornale d'O-riente», Alessandria d’Egitto, 20 settembre 1931. Si dà notizia della lettera scritta dal Mazzini al Kossuth 1 11 novembre 1851, già segnalata. Opere e studi su Giuseppe Mazzini pubblicati in Italia G. Μδζζγνι, Scritti dì letteratura e d’arte a cura di G. Rispoli, Firenze, Vai-lecchi, 1931. Il R. pubblica una scelta di brani letterari del Mazzini facendola precedere da una breve nota, nella quale accenna ai principi ispiratori della critica letteraria ed arti stica dell’Apostolo. Carlo Zaghi, Mazzini, Mayr e la Repubblica Romana, in « Nuovi problemi di politica, storia, ed economia », Ferrara, maggio 1931. Gli avvenimenti accaduti a Ferrara dal gennaio all’aprile 1819 sono studiati dallo Zaghi in un saggio corredato da numerosi documenti inediti, che apportano nuova luce sui rapporti intercorsi fra il Governo della Repubblica lìoinaua e la città taglieggiata dagli Austriaci. Lo Z. ripubblica nel testo integrale l’importante lettera del Mazzini al Mayr del 16 aprile, edita già dal Canevazzi (da noi segnalata), che si servì di una copia incompleta. Rinaldo Caddeo, La Repubblica Romana del J8J/9 in un cartef/(/io inedito di Enrico Ceni liscili, in «Le Opere e i Giorni» Genova, giugno 1931. Quattro importanti scritti del Cernuschi, diretti a Carlo Cattaneo da Roma sono editi e commentati dal Caddeo. Notevole un giudizio assai acerbo sul Mazzini, che contraccambiò l’amico ottenendone il rilascio dalla prigionia per mezzo del dottor Conneau, medico ed amico di Luigi Bonaparte. Alessandro Luzio, Verdi e Mazzini in « Corriere della Sera », Milano, 24 luglio 1931. Il geniale storico, prendendo lo spunto dalla recente pubblicazione del Gatti su Giuseppe Verdi prova come la notizia che il cigno di Busseto sia stato iscritto alla Massoneria dal Mazzini sia da considerarsi come non vera. Rievoca inoltre i rapporti intercorsi fra l’Apostolo ed il Verdi, del quale illustra pure quali siano state le convinzioni religiose. A. Felletti Spadazzi, Gioacchino Bonnet, l'eroico salvatore di Giuseppe Garibaldi, in « Corriere Padano », Ferrara, 2 agosto 1931. L’A. illustra la figura del Bonnet e pubblica sei lettere inedite del Mazzini all’eroico colonnello intorno al lavoro di organizzazione dell’Alleanza Repubblicana. Le lettere dell’Apostolo sono tutce degli ultimi mesi del ìsfic. Alessandro Luzio, Napoleone III e Mazzini, in « Corriere della Sera », Milano, 17 settembre 1931. Il Euzio prende lo spunto, come al solito, dalla pubblicazione dei due ultimi volumi dell'Epistolario mazziniano per portare il suo sagace esame critico sull’opera di due figure preminenti in un momento assai grave del nostro risorgimento, Mazzini e Napoleone III, e su quella del Cavour, che 8ej;pe servirsi delle due forze contrastanti Bibliografia Mazziniana Articoli vari in Riviste e Giornali Carlo Zaghi, Giuseppe Mazzini - Epistolario vol. XXXIII, m «\UOvi „ro-dl polltlca, storia ed economia», Ferrara, maggio 1931. Ampia recensione ile! voi. 57o dell’Ediz. Naz. degli Scritti mazziniani. -, La Repubblica Romana, 9 febbraio, 30 aprile, 5 Inolio 181,8, in « Fede JNuova », Roma, maggio-giugno 1131. Si rievocano ed illustrano le tappe gloriose della Repubblica mazziniana in Roma. —, Il Credo relujxoso, in « Fede Nuova », Roma, maggio-giugno 1931. Si inizia la ristampa a puntate del ben noto scritto mazziniano: Ai membri del Concilio residenti in Roma. Angelo Scocchi, La propaganda di Mazzini a Trieste, in «La Porta Orientale» Trieste 15 giugno 1931. VA prendendo lo spunto dalla lettera del Mazzini indirizzata a Paolo Còrtesi il 22 set-embre 1SC6, già pubblica dal Franciosi, illustra i tentativi fatti dallApostolo di far penetrare in Istria dei buoni dell’Alleanza Repubblicana Universale, per farli acquistare dai seguaci ch’egli aveva iu Istria ed in Trieste. Giuseppe Cocchiara, Antonio Gallenga e le sue profezie, in «La Stampa della sera », Torino, 22 giugno 1931. Il Cocchiara traccia un breve profilo del patriota parmigiano ed illustra i rapporti che intercorsero fra lui ed il Mazzini. Vincenzo Zangara, 1/azzini uomo d'azione, in «Camicia Rossa», Roma, giugno 1931. In rapidi cenni lo Z. traccia un breve profilo deppostolo considerando soprattutto l’opera sua quale uomo d’azione. F. Ernesto Morando, Mazzini a Genova nel 1856, in « Λ Compagna », Genova, giugno 1931. Col sussidio dei voli. 56 e 57 degli Scritti mazziniani e con l’ottima conoscenza che ha dell argomento il Morando rievoca la breve permanenza fatta a Genova dal Mazzini nel giugno del 1856 per preparare i moti in Lunigiana e l’impresa cne si conchiuderà l'anno successivo a Sapri. Umberto Ronchi, Il centenario dell* «Anna Bolena», in «Popolo d'Italia», Milano, 1 luglio 1931. Nella ricorrenza centenaria della prima rappresentazione dell’opera donizettiana il R. rievoca la nota pagina di Mazzini sulla musica dell’artista bergamasco. Giuseppe Fontfrossi, Un carteggio inedito di Giuseppe Mazzini con Fortunato Prandi, esule del 21, in «L'Assalto», Bologna 4,11 luglio 1931. Si lipubblica la penultima e l’ultima puntata dell’articolo già segnalato. Il F. ha ripubblicato in estratto il carteggio correggendo non pochi errori incorsi nella pubblicazione apparsa sui fogli quotidiani. 262 Bibliografia Mazziniana E. Fabietti, Tra ì libri, in «Vedetta Fascista», Vicenza, 11 luglio 1931. Succinta recensione della raccolta di Scritti mazziniani a cura di G. Rispoli già segnalato. Lo stesso volume è brevemente recensito da anonimi critici in fNuova Scuola Italiana» di Firenze del 12 luglio, in «Il Solco Fascista» di Reggio Emilia pure del 12 luglio, dal «Giornale del Friuli» di Udine del 28 luglio, dal «Corriere Adriatica» di Ancona dell’ll agosto, dal «Secolo XX» di Milano, del 14 agosto. Ludovico Eretti, Mass-ini e la spedizione di Crimea, in «Lavoro», Genova, 14 luglio 1931. Ampia recensione del voi. 53o degli Scritti mazziniani. --, Andrea (riannetti, in «L’Opinione», Spezia, 21) luglio 1931. Breve nota commemorativa dell'ardente mazziniano nel primo centenario della sua nascita. --, Pio Riego GanMni, in «L’Italie», Roma, 22 luglio 1931. -Si rievoca la nobilissima figura del Gambini, giovane apostolo mazziniano dell'Istria. A. Petrilli, Gli amori di Giuseppe Maszini. in «Il Solco Fascista», Reggio Emilia, 21) θ 30 luglio 1931. Si ripetono le consuete frasi fatte sulle relazioni amorose che il Mazzini avrebbe avuto con la Susanna Tancioni, la Giovanna Carlyle, ed altre figure di donne che si trovarono sul cammino dell*Apostolo. Gaetano Gallo, Una lettera inedita di Mazzini ad Andrea Cefali/, in «Camicia Rossa», Roma, luglio 1931. Si ripubblica con breve commento la lettera mazziniana edita da «Brutium», già segnalata. Anna Errerà, A ricordo degli inizi della «Giovane Italia» (Agosto 1831), m «Cultura Popolare», Milano, luglio 1931. Il centenario della fondazione del sodalizio Mazziniano fa dettare all’E. brevi note rievocatrici degli ideali che spinsero l’Apostolo a fondare la Giovine Italia. XXX, Gioachino Bonnet, in «Camicia Rossa», Roma, luglio 1931. Si dà notizia dell'articolo pubblicato sul «Corriere Padano» del 2 agosto dal Felletti-Spadazzi, e si ripubblica la lettera del Mazzini al Bonnet del 2 dicembre 1866. P. Pantaleo, La Tipografia Elvetica di Capolago - Dagli inj| all’arresto di Luigi Dottesio. in «Regime Fascista», Cremona. 4 e 6 agosto 1SM1. Ampia e nutrita recensione della monografia di Rinaldo Caddeo più volte segnalata. G. A. Andkiulli, L’ultima critica letteraria di il azzini, in «Resto del Carlino», Bologna. 9 agosto 1931. . . L'A. dopo aver chiarito un punto dubbio nel commento au una delle lettere mazziniane edite dalla Richards, e cioè se un accenno che in essa si ritrova riguardi piuttosto David che Renato Fucini, il brioso Neri Taccio, oltre una primizia prelibata: un saggio di una critica letteraria fatta dal Mazzini ad alcuni sonetti di Renato Fucini. VA. conclude il suo esame con questo giudizio: «Ci sembra che nessuno abbia esa-minato l'arte del Fucini con la penetrazione e la finezza del Mazzini; e quelle brevi righe dirett» alla Venturi chiudono degnamente un'attività critica che, sebbene assai saltuaria e non ricomposta mai ad organicità di sistema, ebbe una notevole impor tanza nell'immissione di alcune correnti nuove del pensiero europeo nella critica letteraria e artistica dell'Italia dell'ottocento. Come può verificar* ognuno, aprendo quella raccolta di scritti letterari del Mazzini che l'editore Vallecchi ha opportunamento pub-blicato proprio in questi giorni.» Vittorio Orazi, Dinamometro bibliografico, in «Oggi e domani». Roma, 10 agosto 1931. . Succinta recensirne dei due volumi mazziniani editi dal Rispoli e dal Rossi, già segna . Bibliografia Mazziniana 263 Innocenzo Cappa, Giuseppe Mazzini innamorato e padre in «Sera» Milano 13 agosto 1931. Si rievocano i rapporti d’amore fra il Mazzini e la Sidoli. -Cesare Spellanzon, II centenario della «Giovine Italia», in «Secolo XX», Milano, 28 agosto 3931. Breve nota illustrativa degli inizi della gloriosa associazione mazziniana. G. Fonteuossi, Un dramma fra gli esuli Luigi Dottesio e la Tipografia Elvetica, in «Il Resto (lei Carlino», Bologna 0 settembre 1931. Ampia recensione della monografia di Rinaldo Caddeo più volte segnalata. Anche il F. dichiara di non credere colpevole il Daelli al quale si può fare soltanto l’appunto di aver proceduto con eccessiva leggerezza. — —, Lettere di Mazzini e Maurizio Quadrio ad un salvatore di Giuseppe Garibaldi, in «Camìcia Rossa», Roma, settembre 1931. Si ripubblicano due lettere del Mazzini al Bonnet giù edite da A. Pelletti-Spadazzi nel «Corriere Padano» del 2 agosto. Luciana Valli, Mazzini e i Ruffini, in «Grido d’Italia , Genova, 30 agosto 1931. La V. esamina i rapporti intercorsi fra il Mazzini ed i Ruffini e conclude formulando un giudizio assai severo sulla condotta tenuta con l’Apostolo dai fratelli di Jacopo. Luigi Salvatorelli, Luigi Ambrosini - Cronache del Risorgimento e Scritti let terari in «Pegaso», Firenze, agosto 1931. Sagace recensione della recente raccolta di scritti cell’Ambrosini curata dal Calumi. Per la critica dell’A. alla personalità del Mazzini, che si trova sparsa in non poche pagine della raccolta, il S. osserva : «Pare a noi che del Hazzmi egli abbia saputo meglio valutare l’anima interiore, la figura morale, che non la efficacia politica concreta. Ma ostavano a ciò, a parte le tendenze personali dell’Ambrosini. le condizioni della nostra storiografia del Risorgimento. Nella quale, a parte il Luzio, che in questo punto ha visto assai addentro, non sapremmo dire quanti si siano resi conto ancora, che il Mazzini è al centro dell’Italia che si fa una, tra il ’48 e il ’60 : al centro dei fatti, non solo delle idee». U. Biscotti, Poeti del Risorgimento : G. Mazzini, in «Vita Nova», Bologna, agosto 1931. Appassionala difesa della figura immortale del grande di Staglieno, contro il fenomeno dell’incomprensione della profonda originalità del suo spirito* che ha dato vita al viazzinianesimo. C. Candida, La Tipografia Elvetica di Capolago, in «Leonardo», Milano, agosto 1931. Succiata recensione! della monografia d> Rinaldo Caddeo più volte segnalata. C. T., Staglieno, in «Regime Fascista», Cremona, 1 settembre 1931. A proposito della recente visita fatta a Staglieno da trecento operai russi sbarcati a Genova. i’A dopo aver osservato quanto profondo sia il divario che corra tra 1 ideale mazziniano e quello sovietico, conclude : « L’era dell’incomprensione è tramontata. Ncn si è tanto scritto e tante discorso di Mazzini dalla guerra in poi. Gli è perchè egli appartiene alla categoria degli Uomini Universali, degli uomini emerso-niani, cioè rappresentativi, i quali, nel loro pensiero, riflettono un pensiero che è nel fondo della psiche collettiva della umanità, nelle loro vieioni di avvenire la sintetica visione che è come frammentaria nelle singole psicologie, nella loro speranza le speranze che, o confuse o coscienti, sorreggono gli uomini nel loro aspro cammino verso la mèta irridescente che traluce tra le foschie del momento o di momenti storici. 2Ó4 Bibliografia Mazziniana Chissà quale emozione avranno provato gli uomini russi innanzi alla tomba austera che raccoglie le spoglie mortali di Colui che, nonostante essendo morto, vive perenne nella coscienza deirTJm&nità.» Giuseppe Cocchiara, ],e profezìe d’un esule, in «Il Lavoro Fascista», Roma, 11 settembre 1931. Si rievocano i fatti più salienti della vita di Antonio Gallenga in Inghilterra e si accenna ai rapporti intercorsi fra lui ed il Mazzini. Domenico Russo, Etudes Italiennes, in «Echi e Commenti», Roma, 15 settembre 1931. Il R. riassume l’articolo del Morgulis già segnalato e ripubblica, traducendola in lingua italiana, la lettera del Mazzini a Étienne Borsiczki del 6 marzo 1833. Luigi Pompili, Mazzini critico letterario, in «Italia Letteraria», Roma, 20 Settembre 1031. Ampia recensione della raccolta di scritti mazziniani curata dal Rispoli, già segnalata. Direttore Responsabile: UBALDO FoRMENTINI INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA — BERGAMO — GENOVA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA COMITATO DI REDAZIONE: GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova e del Municipio della Spezia ♦ DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : Gf-enoVa, Palazzo J^osso, Via x^arnialii, iS CONDIZIONI D'ABBONAMENTO : II Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni spigolature, notizie ed appunti per una bibliografia mazziniana♦ ABBONAMENTO ANNUO per l’Italia L. 50 - per ΓSstero L. 60 Un fascicolo separato Lire 7,óO - Doppio Lire 1 Ó I % Ί y i ' Anonima Industrie Poligrafiche , C. Nava - Bergamo Tel. 32-4 ί ι Conto corrente con la Posta ANNO VII — 1.931 Fascicolo IV — Ottobre-Dicembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale NUOVA serie diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentoni Direzione e Amministrazione GKNOVA, Palazzo Rosso, Via Garitaldi, 10 SOMMAR.IO Giacomo Gorrini, L istruzione elementare in Genova e Liguria durante il Medio, Evo — Onorato Pastine, Liguri pescatori di corallo, — Mario Batfistini, Due ignorati ritratti di Mazzini e di Garibaldi nel Belgio. Mario Pedemonte, I primordi della musica ligure. Antonio Giusti, li dissidio M azzini· Ruffini, — VARIETA’: Evelina Rinaldi, // titolo α Benoni „ e una lettera di G, Mazzini. — A. Codignola, Postilla Renato Giardelli, Saggio di una bibliografìa generale sulla Corsica. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Francesco Salata, Carlo Alberto inedito ( Vito Vitale). Arturo Codignola, Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri (Vito Vitale). — Renato Piattoli, / Ghibellini del Comune di Prato dalla battaglia di Benevento alla pace del cardinal Latino (Vito Vitale). — Tacchini A., Michelet et Montanelli (Adolfo Bassi). — F. E. Morando, Un genovese spirito bizzarro : M. Canzio (Adolfo Bassi). - SPIGOLATURE E NOTIZIE. - APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA. L’ISTRUZIONE ELEMENTARE IN GENOVA E LIGURIA DURANTE IL MEDIO EVO (Contributo alla storia della cultura in Italia) 1 no studio sulla costituzione e il funzionamento delle scuole elementari in Genova e nella Liguria nel medio evo, che non si collochi soltanto dal punto di vista della storia della cultura o della pedagogia, e su di una impostazione esterna i1), ma tenga presente sopratutto l’iifìuenza che esercitarono nella formazione, nello sviluppo e nella vita dell’istruzione elementare i fattori economici e sociali della regione e del tempo, e chieda a questi fattori la ragione della prevalenza assunta dalla cultura primaria in confrouto di quella superiore, può offrire dati e conclusioni interessanti anche perchè esso rappresenta uno dei lati della demografia storica che finora è stato meno trattato. Mi sono accinto a questo studio dopoché una non lieve fatica di ricerche nell Archivio di Stato genovese mi ha messo in grado di completare con nuove, numerose notizie il materiale già pubblicato dal. Massa, e di raccogliere altri elementi inediti per inteorare la trattazione dell’argomento (2). Lungo il secolo decimosecondo in Genova si erano già affermati nuclei scolastici organizzati nell'episcopio e nei monasteri : in essi, insieme con gli elementi della dottrina cristiana o dell'avviamento ai cmei-icato, si insegnavano anche la grammatica e l’aritmetica. ‘ on0 scuole che ^troviamo ancora nel secolo deeimoquarto e piuttosto fiorenti. Si giunse presto, però, alla costituzione di scuole laiclie che, per prima, sui principii del secolo XIII, sorgono per iniziativa di insegnanti privati, e, m seguito, avranno una pubblica ricognizione dallo Stato e dai singoli Comuni del Dominio. Di queste scuole dalment^ PUbblÌChe SÌa Private> intendiamo di occuparci più spe- (1) Alludiamo al lavoro del Massa, Documenti e notifie per la storia dell istruzione in (rénova, in Gior. St. e Lett. delia Lig., 1006. f . (2nNeIle ncerche SOn° stato assistit0 ,ìal compianto cav. Arturo Ferretto e dal prof. Raf aee Di Tueci, alla cui -rande dottrina e insigne cortesia tributo qui pubblico riconoscente omaggio. Per la stona deiristruzione pubblica in Italia nel medio evo, oltre alle vecchie opere del Gi|gbiechl; e deH'Ozanani, si cfr. Salyioli, L’istruzione pubblica in Italia nei eec. t ni. IX e Λ, Firenze, ]898. I - 266 Giacomo Gorrini 11. La notizia che dà Giacomo da Varagme fr» la concesbip dell'uso della mitra nella solennità, fatta da Alessandro III mA 117!» al umilitin, scolannn de .lamia (*), »<>» sappiamo se debba riferirsi ad un maestro ecclesiastico» laico; se pelò lilUttiamo < ìe a mitra, o berretto alto, era il distintivo onorifico di una dignità pubblica, potremo argumentare che è questo il primo Mcerno a, «η maestro secolare. Del resto è di poco posteriore quel · «e » braio 12ls si compongono amichevolmente le differenze insorte ra (1) Itemi be VlUGixt, Croaifo» Januti tr, in MCMtnU. Λ. t· & · tomo **· **' (2) Alenino 01 Siilo M ClWW*. not. OiielWmo C.M*l»« n·.·. I. loi. 13*. "r ' n„a lo Indicheremo .-pr.-.a.nenie. n..„ ci -"Iremo ,lcl materiale pubU,r. de.c a •tndln .lei diritto rom.no. - Ter Flren.-e .1.1 12*7: l>er Mll.no 1 „irbp ve»in .1» RlTi) rial lì'S. - Dopo IWdoena. 0««· è I. prtm» eiltk ebe pre»e * A lioli-ana. λι fnrono ngoalmente »Ιη*οΙί maceri e -otìelà .11 m.eatrl I"1"!' " j maestri ,he Insano nel dominilo o in ,.-**11 W1,„li.. di menanti, rte-.o*.ri.li-.mo »o...Ueo de, Mana·..,.». M delle «meni torme »>»oelallte di laeoro ehe e.raUeri«ano I. medio ero. A ™ « fit. aspetti ff.ni. Meanto di,er,i da ,ne„i di —a. prrr» * n,.e,0, “ teoson i un erto le.ame eon lo ,..dio Mr*^, Cfc J. ^ dei mofjlri < d'ili trolati aedo «Indio di 1 lolnfan π.ι st. · ' , , „„rarilc^ll»' f V »rv IV r v f.Aty ifvT e «rflir. - Quanto a firrow. p<*t ertomeli 1« ai * meum. I. s) ,un Giovanili magister ■'«holarum, die si occupa anche di commercio, giacché, il 24 inaino (1) A 8. e,. , noi. K. de* Furnarii*, I, parto II, fol. 240. (2) A, S. not. Gfo. «li Vogio, 1. parto I . fol. 132v. (3) \. S. Ci. , noi li . do Fumari ii«. IV, fol. 206. d) A. •S. e;.. lidi. B. de* Furnariis, II. fol. 228v. (6) A. s. o„ nnl. Dl do F urnarii*. I . parto I . fol. 164v., 21 agosto 1252. <«) A. s. (*■. noi. Do PrnJ olio, I. parto II, fol. G. (7) A iì., noi. A. do Si gestro, IH. fol. 146. <*) 12 •c Iteo Vezzano 50 Corniglia 40 Tivegni 60 Vejnazza 40 Polverara 45 Monterosso 30 Spezia (*). 150 Fra mura 90 Biassa 30 destri 42 Riomaggiore 50 Recco 30 Non mancano neppure riferimenti a maestri che spiegavano la loro attività, esattamente come i negotiatores delle loggie e degii scagni, nelle prosperose colonie dei genovesi in Oriente. Così, fin dallMl giugno 1289, in Gaffa vi è un Benevento, maestro di scuola (2). e, molto più tardi, il 14 giugno 1437, quasi come un indice della continuità del?istituzione, si trova Alfredo Alfieri, da Albaro (3). A Pera, nel 1390, vi è per maestro di scuola, un magister Thomas (4). IV Accanto ai maestri che abbiamo ricordati fino al 1300, indichiamo quelli che insegnarono fino al 1375, data sotto la quale comincia l'elenco pubblicato dal Massa (5) , elenco che completeremo, anche, con le notizie nuove che siamo riusciti a rintracciare. 1301, 14 sett. Gregorio, magister scholarum (Not. Ign. reg. XXV); 1302, 19 genn. Giovanni di Sant’Ambrogio ; 28 genn. Giacomo di Carignano (Not. A. da Rapallo, II, fol..35v., e fol. 32v.) ; 1303, 11 sett. maestro Benedetto (Not. A. de Gregorio, I, 203) ; 1306, 18 genn. Simon, magister schola (not. G. Osbergerio, I, fol. 107) ; 1307, 11 genn. Martino de Hispania (not. O. Castello, IV, fol. 76) ; 1307, 15 luglio, Pellegrino, magister scholarum in contrata Raveca (not. C. de Catello, VII, fol. 264); 1307, 6 sett. Thomainus de Arnoldis magister scholarum (not. A. de Laneriis, I, parte li, fol. 35v.) ; 1310, 25 agosto, Percivalle da Zoagli (not. L. de Garibaldo), I, parte 1, fol. 47) il quale è ancora insegnante nel 1329 (not. G. Gallo, 11, parte II, fol. 155v) ; 1310, 25 agosto, Guglielmo de Carvari, magister (1) Portovenere aveva una scuola privata nel 1260 : cfr. G. Falco, Una scuola privata di grammatica in Portovenere verso la metà del Duecento, nel Bollettino Storico Bibliografico .Subalpino, diretto da F. Gabotto, anno XIV, n. IV-V, 1910. (2) A.S. G., not. L. de Sambuceto, I, parte II, fol. 100. (3) A. S. G., Diversorum Communis Janue, filza 9, li. 259. (4) Cfr. Atti Soc. Lia. di St. Patria, XIII pag. 158. (5) Op. cit., appendice. 274 Giacomo Gorrini scholarum (Not. L. de Garibaldo, I, parte I, pag. 87); 1311, -5 maggio, Pagano de Carexi (not. B. Vivaldi, 1, loi. 166); 1.311, 11 agosto, Federico Cibo (not. L. cie Garibaldo, I, fol. 99) ; 1312, 2 gennaio, Martino de Castelli, magister scholarum in contrata de Malo nibus (not. C. de Castello, X, fol. 49v.) ; 1313, 18 apr. Martinus de Castella, (not. C, de Castello, III, fol 237) ; 1314, 6 apr.^maestro Giacomo da Carignano (not. L. de Garibaldo, III, fol. 47) ; 1314, 26 sett. Maestro Dino, doctor scholarum in contrata Fontismarosi (not. C. de Castello, IX, fol. 149v.) ; 1315, 27 sett. Francesco da Sarzana, Nicolino di San Prospero, Manuele de Donato, Stefano, magistri scholarum (not. G. di Santa Savina, I, fol. 242); 1316, 25 febbr. Raimondo de Fiorino (not. L. de Garibaldo, III, fol. 39) ; 1316, 7 luglio. Michele de Mediolano (not. L. de Garibaldo, III, loi. 189) ; 1318, 25 febbr. Pietro di S. Matteo (not. L. de Garibaldo, II, fol. 159v.), il quale è sempre vivo nel 1335 (not. B. Λ ivaldi, IX, parte I, fol. 69v) ; 1320, 20 maggio, Aimerico di Bosco (not. S. Vataccio, I, fol. 139); 1320, 12 agos. Benedetto, magister scholarum (not. T. Casanova, II, fol. 53); 1323, 11 ottobre, Giacomo de Carmis (not. L. de Garibaldis, I. parte II, fol. I) ; 1324, 12 aprile, Rolando Pugnotus de Rapallo (not. B. Bennato, I, fol. 62); 1325, 12 dicembre Percivalle de Valle, da Rapallo (not. S. Bat* tigati, I, fol. 106) ; 1328, 13 febbr. Petrus magister scholarum (not. G.' di Santa Savina, 1, fol. *321) ; 1337, 13 giugno, Laurentius de Hugolinis (not. R. de Rapallo, I, fol. 109) ; 1346, 26 giugno, Giovanni di Pontremoli ( not. G. de Ponte, I, fol. 108) ; 1348, 27 febbr. maestro Matteo de Porta (not. G. La vero, fol. 8). Mancano, poi, dall’elenco del Massa, iino al 1400, i maestri : Antonio del fu Giacomo de Penice (19 giugno 1378, not. O. Grasso, fol. 109); Antonio de Varcio (24 maggio 1380, not. A. de Credentia, I, fol 48); Rolando de Timeto (24 gennaio 1381, not. A. Ferracanis, I, fol. 23) ; Antonio Marengo (5 giugno 1381, not. C. Revellino, I, parte I, fol. 98); Giovanni da Pieve (13 novembre 1384, not. A. de Credentia, I, fol. 82v.) ; Prospero da S. Biagio (7 maggio 1387, not. A. Foglietta, I, parte II, fol. 31) ; Giorgio Berrobianco (10 luglio 1392, not. O. Foglietta, VII, fol. 121) ; Francesco Rainaldo di Ovada (26 giugno 1394, not. G. de Aiegro, I, fol. 216v.) e, infine, Oberto de Rogeato (13 nov. 1395, not. O. Foglietta, Vili, fol. 358v.). V Più volte, durante la nostra esposizione, ci siamo imbattuti in maestri r*he, evidentemente, non erano genovesi, e che si erano recati a Genova per esercitarvi la loro professione. Già, nel noto atto di procura del 1298, su tredici maestri, sono forestieri Rufino da Tortona, Tommaso da Fermo, probabilmente ( ino, che sembra toscano, Salvo da Pontremoli, Gregorio da Siena, Berlingiero da Moutevico, e cioè ben sei, e in una circostanza, quella della nomina a rappre- L’istruzione elementare in Genova e Liguria durante, ecc. 275 sentante dell’intero collegio, in cui essi assumono -una figura più che significativa. In un secondo atto di nomina di due candidati, del 4 luglio 1304 i1), i maestri forestieri, su tredici, sono ancora quasi 'ni maggioranza; considerando sempre come genovesi, e piuttosto arbitrariamente, quelli che non sono distinti col loro luogo di origine; Tommaso da Pernio, Giovanni da Piacenza, Salvo da Pon-tremoli, Rufino da Tortona., Giovanni da Brescia, Zino da Pavia mostrano, se mettiamo il documento del 1304 in raffronto con quello del 1298, che la proporzione ira l’elemento locale e quello di importazione è a completo vantaggio di quest’ultimo. Ancora nell’atto di procura del 5 dicembre 1315 (2), si rinvengono i seguenti maestri stranieri: Martino de Hispania, Salvo da Pontremoli, Nicoiino di Saluzzo, Nicola da Pistoia, sempre su tredici maestri (not. A. de Gregorio, Filza 2.a n. 9). Vogliamo seguire da vicino questa forma- di immigrazione professionale ili Genova, limitando il nostro esame al secolo decimoquarto, perchè, crediamo, potrà suggerirci considerazioni non del tutto inutili. L’affluenza di maestri in Genova e in Liguria durante quel secolo, come, già, in quello precedente, è attivissima e si muove da molte città dell’Italia settentrionale e centrale. Da Asti vengono Manuele de Quaterdeis (3 giugno 133S, not. B. Bracelli. II, fol. 26v.), e Manfredo Bianco (23 marzo 1377, not. G. Bardi, II, fol. 3(>v.). Casale concorre col maestro Raimondo che reggeva le scuole in Fontanemarose (24 febbraio 1318, not. L. Garibaldo, II, fol. 159), e col maestro Verone, che ritroveremo χήίι in là. Millesimo, col solo Francesco de Millesimo (27 giugno 1307, not. C. de Castello III, fol. 230v.). Alessandria manda a Genova Alessandrino, il quale è dotto anzi che no, perchè in un atto del 28 giugno 1326 (not. L. de Nazari ο, XI, fol. 33) promette a Pietràio Pietri, da Chiavari, di insegnargli il modo di latinare in tutti i verbi e figure della grammatica e di rendergli familiari, in un anno, nientemeno che Properzio, Catone, Catullo ed Esopo. Vi è poi un Guglielmo de Gua-stis, di Alessandria, che dai 1379 al 1400, regge le scuole di Genova e, sembra, ne ritragga un grande profitto pecuniario. Veramente, il 29 marzo 1379 (not. O. Foglietta, I, fol. 42) si procura una specie di agente produttore, quando costituisce per suo procuratore Guglielmo Bonaventura di S. Remo, per accordarsi con qualsiasi persona che accetti di venire con lui pro repetitore seu reformatore prefati domini magistri, e, insieme, per procurare nuovi scolari. 11 14 ottobbre 1383 (not. G. Paricola, III, fol 295v.) vende una schiava turca, ma il 30 maggio 1395 (not. O. Foglietta, VI, fol. 160) acquista terreni in Sampierdarena. Infine, il 10 aprile 1400 (not. O. Foglietta, IX, 236) fa testamento e lascia, fra l’altro, i libri al tiglio, maestro Lodisio, e ad un Bonifacio studente di medicina. (1) Cfr. Massa, Doc. e not. cit., oag. 180. (2) Accennato, ma non pubblicato dal Massa. 276 Giacomo Gorrini Anche Valenza invia a Genova il maestro Quilico (18 agos. 1400, not. A. Brancaccio, I, fol. 340) e il maestro Domenico (not. B. Gallo, IX, parte il, fol. 192v., 4 nov. 1406). Vi è poi un maestro Berlingherò da Mondovì, in contrèia ortorum sancti Andree (20 maggio 1203, not. U. Scarpa, li, fol. 93). Il maestro Antonio di Ceva insegna a Genova dal 1376 al 1398 (7 febbr. 1376, not. C. Revellino, I, parte I, fol. 41, e XIV, fol. 328). Un bel gruppo di maestri viene da Milano. 11 7 luglio 1316 (not. L. de Garibaldo, II. fol. 123v.), Michael de Mediolano è Magister scholarum, e così lacobua (19 febbr. 1328, not. B. Vivaldi, XII, fol. 29), e così Pantoio de Tentoribus che riceve sette lire e dieci soldi come paga di un mese e mezzo di lezioni (A. S. G., Mag. Rat. Intr. et Exitus, 1354, fol. 75); e il 1° agosto 1397 (not. G. Revellino, I, parte 11, fol. 15, cfr. Massa, pag. 175) Marco de Besuccio, de Mediolano, maestro nella contrada di S. Pancrazio, fa testamento e dichiara di possedere una preziosa raccolta di libri. Giovanni Creili, da Lodi, era andato ad insegnare a Caffa (1° giugno 1398, not. A. Fellone, III, fol. 97); erano, invece, venuti a Genova Albertino Mar-tinengo, da Brescia (5 aprile 1316, not. A. de Gregorio, II, fol. 140) e maestro Giacomo (21 febbr. 1346, not. B. Bracelli, filza 7, c. 35). Da Bergamo si era recato il maestro Vincenzo ad regendas scola-s in Genova (12 luglio 1335, not. ign., reg. DCXI). Il contributo che dà Parma è assai notevole. Fin dal 1298 è in Genova Magi ster* scholarum Giovanni da Parma (not. V. de Sarzana, II, fol. 99y.). Anierico de Parma vi insegna dal 1320 al 1335 (27 giugno 1320, not. A. de Gregorio, I, fol. 220; 4 luglio 1335, not. B. Vivaldi, IX, parte I, fol. 69v.) ; Odolino Sfoglia, che dice di essere di Parma, ed è, propriamente, di Pizzofreddo, è a Genova il 3 luglio 1320 (not. A. de Gregorio, I, fol. 232) ma il 9 febbr. 1333, si trova a Savona e vi ha sposato Cita, del fu Francesco dei Conti di Lavagna, (not. L. de N a zar io, XI, fol. 173v.). Giovanni Fornaciari, da Parma, maestro di grammatica e dottore in leggi, costituisce suo procuratore, il 13 gennaio 1365 (not. Giov. da Sarzana, I, fol. 109), Domenico Bando di Andorra, pei* difendersi nelle liti che gli muove il lettore del Collegio dei Maestri. Liti appianate, evidentemente, perchè Giovanni è sempre magister scholarum grama-tice il 20 novembre 1394 (not. C. Revellino, filza 4a., n. 44); Non meno numerosa è rimmigrazione di maestri da Piacenza. Il primo di essi è Giovanni de Rivigocio, che apparisce in due documenti (18 luglio 1307, not. C. de Castello, VII, fol. 270v. e 2 maggio 1310, not. L. de Garibaldo, I, parte I, fol. 31); a lui segue Francesco Catenaccio (27 giugno 1320, not. A. de Gregorio, I. fol. 220). Nicola de Lembellis de Placentia dai 12 aprile 1362 (not. B. lira-celli, filza 3.a, p. 184) al 3 maggio 1371 (not. Lorenzo de Petra, 1, fol. 107) è sempre magister scola non in Canneto. Il maestro Giacomo è invece di Reggio (25 off. 1310, not. C. de Castello, IX, fol. L’istruzione elementare in Genova e Liguria durante, ecc. 277 12) e non da confondersi col Giacomo de Ursis, suo concittadino, ed ugualmente doctor gramatice scholarum nel 1353 (27 aprile, not. A. de Fedenzolo, I, fol. 40v.) : vi è pure un Albertus de Regio. maestro, nel 1334 (14 dic. not. P. de Pignone, III, fol. I). Pavia, insieme con i dottori in legge, somministrava anche qualche maestro : è difatti pavese quel Francesco de Biscossis che fa un concordato con Simone de Guascis (}) e che fu incaricato da Margherita, contessa di Langasco, di acquistare -una schiava (14 nov. 1368, not. G. Bardi, I, fol. 129v.). Dalla dotta Bologna partono tre maestri: Virgilio, doctor gramatice, che prende una casa in contrata Palatii (17 luglio 1420, not. A. de Gregorio, I, fol. 184), Francesco, che è testimonio in un atto del 26 febbraio 1346 (noe. B. Bracelli, VII? fol. 30), e Giacomo (12 luglio 1335, Xot. Ign. Reg. DCXI). Modena lia aneh’essa il suo rappresentante in Nicola de Maceto, maestro in contrata Raveche (21 nov. 1359, not. X. de Be-ligna.no, I, fol. 51). I meriti di Antonio Pierleoni, da Rimini, niae stro di scuola, dovettero essere eccezionali, se il governo della Repubblica gli accordò la cittadinanza genovese (2). Maestri vennero anche dal \eneto: Tr eri tate, magister scholarum, è di Verona (10 aprile 1401, not. A. Foglietta, II, parte li, fol. 139), e Francesco de Tusculanis è di Treviso (1° sett. 1395, B. Gallo, VII, fol. 10?). Un maestro privato è Salvo de Oliva, di Pontremoli (S giugno 1310. not. R. Casanova, filza l.a, n. 81). Ci sono, poi, un fiorentino, Pietro Lappi de Faraboschis (3 agosto 1380, Div. Coni·. Iati ire, Reg. T. fol. 133) esentato dalle pubbliche avarie (imposte), un pisano matematico, già ricordato, Tomaso da Pisa, Tommaso Angeli, di Viterbo (12 febbr. 1359, not. C. Revellino, λ ΓΙΙ, fol. 55), un altro Tommaso, di cognome Paganellis, da Fermo (2.> sett. 1318, not. A. de Gregorio, II, fol. 141v.) e Giacomo da Crescentino (3). VI Abbiamo lasciata in ultimo, per fare ad essa un luogo a parte, attesa la grande importanza dei documenti che vi si riferiscono, Toglierà. Anch’essa·, come attestano i documenti, e come hanno posto in luce storici antichi e recenti, già dalla fine del XII secolo eia centro notevole di studi (4). Posta fra Pavia e Tortona, che furono rispettivamente runa (j) Cfr. Massa, op. cit., pag. 175. (2) A. S. G., Diversorum Communis Ianuef Reg. 52, 20 marzo 1451. (3) Cfr. ALIZERI, Notizie sulla scultura, ecc. vol. Ili, pag. 224. (4) Per questa parte mi valgo di una breve metnor.H inserita già nell’Annuario del 11. Liceo-Ginnasio Severino Grattoni di Vogherà, anno 192S-29 col titolo : Maestri Vogheresi in Genova e Liguria alla fine del sec. XIV. 278 Giacomo Gorrini centro ])olitico e dì cultura di primo ordine (\) e l'altra centro religioso di primaria importanza, ne risentì i benefici effetti, tanto che dal l'epoca- predetta vi fiorirono prima le scuole religiose, tenute successivamente, dai Padri Benedettini e dai Domenicani, più tardi le scuole regolari per i laici, istituite, come altrove, a spese del Comune, e, insieme con esse, le scuole private ('). Le prime notizie di tali scuole per i laici in Λ oghera risalgono agli anni 1344-45, nei quali frate Gandolfo da Soliasco vi esercitava l'ufficio di maestro di grammatica, e al 1390, nel quale anno, addì 27 febbraio, il Consiglio generale del Comune stabilì lo sti pendio dei maestri di belle lettere, assegnando a Giovanni de !Ni gris 20 fiorini d'oro, ad Antonio della Rocca, « magistri artis gra-© matice », dieci fiorini d'oro per ciascuno. Queste informazioni, piuttosto che da uno studio particolare sull’argomento, che non sarebbe sfuggito, alla meticolosa, cura del Manacorda, son fornite dall'autore di una storia della citta, dai canonico Giuseppe Manfredi, la cui opera, edita già nel 1854, parve a me meritevole di ristampa in occasione dell'XI Congresso Storico subalpino (3).E siccome in quella· stessa circostanza pubblicai anche un mio volume sulle relazioni fra Genova e \ oghera nel medio evo (4) così ebbi allora ’a ventura di raccogliere negli archivi genovesi, altre notizie su alcuni maestri vogheresi; il che mi autorizzò a ritenere che questo risveglio culturale di Λ oghera fu così vivo che eia essa, come da un semenzaio di istruzione, partirono maestri che si recarono altrove, sopratutto nella riviera ligure e a Genova, a professarvi la loro arte. A questo esodo contribuì pure qualche Comune vicino a Vogherà, come Pontecurone, quasi come a significare che, dal capoluogo, l'istruzione s era propagata rapidamente alla periferia. Ecco i maestri : (1) E’ noto che in virtù del Capitolare di Lotario dell’anno 825, che istituì la scuola pubblica e di Stato venne disposto che Pavia estendesse la giurisdizione delle proprie scuole a Genova, Milano, Brescia, Lodi, Bergamo, Novara, Vercelli, Acqui, Tortona, Asti e Como perciò incisivamente anche Voghera, allora piccolo borgo. La scuola di Pavia divenne ce lc-bre e l’eminente tradizione scolastica non si spense mai e irradiò del suo fulgore tutta la vasta zona all'intorno. (2) Col secolo XIV, allorquando, scrive Ferdinando Gabotto, «non vi fu in , Piemonte centro abitato anche minimo, il quale non avesse la sua scuola, e non si desse premura del l’istruzione» (Ferdinando Gabotto, Lo Stato Sabaudo da Amedeo VII ad Emanuele Filiberto, Torino, Roux Frassati, 1895, Vol. Ili, p. 204) ed aggiunge: «Luoghi ove oggidì non sono più che le classi elementari obbligatorie, avevano altra volta, fin dagli inizi del secolo XVI, scuole secondarie rispondenti agli attuali ginnasi e licei». I documenti si fanno più frequenti e ci informano che l’iniziativa di provvedere all’istruzione eia stata avocata a sè dal Comune, fondatore di scuole regolari per i laici. (3) Can. Giuseppe Manfredi, Storia di Voghera, edita nel 1854, ripubblicata in occasione dell’XI Congresso storico subalpino, con prefazione di Giacomo Gorrini, Voghera, tip. Ru-sconi-Gavi-Nicrosini, 1908, pp. 155 e 208.. (4) Giacomo Gorrini, Documenti sulle relazioni fra Voghera e Genova (960-1315), editi per l’XI Congresso storico subalpino. Pinerolo, .Scuola tip. Artigianelli di Pavia, 1908. L’istruzione elementare in Genova e Liouria durante, ecc. 279 Giovanni Datarino de Viclieria comparisce come teste in 1111 atto notarile dell’8 setteinpre 1366 (A. S. G., not. Revelli.no, VI, 109) e in un altro atto del 2 dicembre 1374 (not. Caito, II, fol. I). 11 12 giugno 1382 (not. I. Parisola, I, fol. 48) costituisce suo procuratore generale Stefano Sardo de Vicheria per riscuotere ciò clic gli devono nei distretti di Voghera, Pavia e Tortona. Il 17 agosto dello stesso anno maestro Giovanni de Voghera professor grama-tìce riceve da Per are Scoto di Voghera, del fu Giacometto, 25 fiorini d’oro dovuti a lui, ad Enrico Balduini ed a Bardino Gatto, vogheresi, per atto 4 dicembre 1381, teste Pietro Saredo di Voghera. Il Datarino, dunque, ha stabilito in Genova la sua residenza e ha scelto in essa il suo campo di attività professionale, tanto da incaricare un terzo di attendere ai suoi interessi nella città di origine. Agostino de Mosarellis è un altro vogherese, maestro anch’egii, ma di proporzioni culturali assai più elevate del Datarino. In un atto dell’ll luglio 1382 (not. Parisala, II, foglio 110) il rettore di S. Torpete in Genova costituisce suo procuratore presso la Curia Pontificia il maestro dominum Augustinum de Viclieriaal quale dà il lusinghiero appellativo di magne scient ie vinoni. Il 16 febbraio dell’anno seguente è l’abate di S. Fruttuoso, una delle più notevoli autorità ecclesiastiche cittadine, che conferisce un incarico simile a maestro Agostino. Domenico Lercari, uno dei rappresentanti del ricco e storico patrizio genovese, lo costituisce anch'egli suo procuratore il 6 febbraio 1393 (not. S. Parisola, IV, fol. 27), chiamandolo licentiatum in utroque jure. Un altro maestro, Simone de Pazzarellis, de Voche-ira, districtus Papie, doctor gramatice, funge da teste in a.tto del 12 settembre 1357 (not, B. de Bravellis, II, fol. 126). Ma il personaggio sul quale devo particolarmente soffermarmi è il maestro Lodisio Calvo, di Voghera, intorno al quale ci sono conservati i seguenti cinque documenti che pubblichiamo nel loro testo originale in appendice, perchè, a parte il loro interesse intrinseco, riflettono pure direttamente alcuni punti di questa nostra trattazione. I. 1396, IS maggio. Maestro Lodisio Calvo e maestro Verono da Casale costituiscono ama società per l'apertura e la gestione di una scuola in Cornigliano Ligure. E’ questo uno dei contratti tipici sul modo col quale si istituiva e si reggeva una scuola laica privata. I maestri Lodisio e Verono erano già bene introdotti in Oornigliano, ciascuno di essi vi aveva alunni che, secondo le abitudini genovesi, andavano a villeggiare nell’amenissima cittadina, dall’aprile al novembre. I due maestri mettono in comune gli utili che derivavano dal loro insegnamento : però qui si tratta di allievi ricchi, e i due maestri pensano che, indipendentemente dalla loro clientela normale, ve n’è «un'altra, rappresentata da classi 2S0 meno abbienti e da fanciulli residenti o nati a Cornigliano. Per essa istituiscono una, scuola speciale e vi propongono un terzo maestro : detratte le spese di impianto e quelle per il compenso al maestro, gli utili della scuola sarebbero stati divisi in parti uguali fra Lodisio e Verono. II. 1396, 24 maggio. Il contratto precedente si allarga con nuovi elementi e si perfeziona. Maestro Lodisio e maestro Verono includono nel loro accordo il maestro Giacomo da S. Salvatore ed eleggono a reggere la scuola di Cornigliano il maestro Antonio de Guaytis ua Pontecurone, al quale assegnano uno stipendio non superiore a tre fiorini e mezzo d'oro, alla scadenza di San Martino (tale data, si comprende, era la chiusura dell’anno scolastico e Γinizio del nuovo), e si obbligano di non accettare d’inverno a-lunni provenienti da quella scuola di Cornigliano. Rimaneva per essi il provento delle tasse e diritti emolumenta pagate dagli scolari. Il terzo documento ci porta in modo drammatico in mezzo alle lotte fra maestri, che non sempre si riusciva ad evitare in virtù di quegli accordi cui ho accennato. Dinanzi a fra Benedetto Scaf-facìa dfell’Ordine dei Predicatori, inquisitore deir eretica- pravità nelle provinole della Lombardia superiore e della Liguria, il maestro Marco de’ Besozzi accusa il collega Giovanni di Palina « quod habuit multas mulieres » in virtù di sortilegi e incantagioni fatte sulla scorta di un certo libro del demonio. A seguito di ciò si istituisce un processo e si interrogano i colleghi dei due maestri (tra loro il nostro Lodisio Calvo), nonché tutte le persone colle quali l’accusato ha qualche dimestichezza. Avendo costoro dichiarato concordemente che egli è un «fedele cristiano», «un buon uomo di vita lodevole e di buoni costumi sopratutto per ciò che riguarda i Sacramenti e la devozione alia Chiesa», viene assoluto; l’accusa è dichiarata « frivola » e dettata « ex manifesto odio » ; l’accusatore vien condannato in libre 15, fiorini 12 d’oro, a titolo di pena, «ne delictum remaneat impunitum» e di esempio, «ne facilitas veniae tibi et aliis non prebeat incitamentum deliqnendi ». L'accusa era stata definita frivola, perchè a cuor leggero il Be-sezzi aveva portato a suo sostegno un solo testimone, la cui voce era stata soffocata dal coro unanime dei testi di difesa; l’odio manifesto non è difficile pensarlo provocato dalla gelosia della professione, che sembra dovesse rendere abbastanza a chi si fosse fatto una buona reputazione (x). Nella lotta per conquistarsi tale fama, (1) Sugli onorari dei maestri vedi G. Manacorda, op. cit., parte I, pp. 178-179. Lo stesso autore sostiene che guadagnavano assai specialmente i maestri privati, i quali «allora, come oggi i medici, ricorrevano ad una condotta, solo quando il pioprio valore, o meglio la propria fama, non rendeva loro più fruttifero l’esercizio libero» (Rassegna degli studi sull'antico insegnamento italiano, in Giornale storico della letteratura italiana, vol. XLIX, p. III). Del resto, i reggitori della città dovettero più volte interessarsi delle pretese degli onorari dei L’istruzione elementare in Genova e Liquria durante, ecc. 281 o meglio ancora per eliminare i concorrenti, sembra che qualche volta si adoperassero anche armi disoneste, del tipo di quella che si spuntò nelle mani di Matteo de Besozzi. Oltre che per il fatto in sè, che getta luce sull’ambiente degli educatori del Trecento, il documento) appare singolare anche perchè, asserendo Pinqoiisitore di avere interrogato « omnes et singulos magistros in Ianua comme rantes », veniamo a sapere quanti grammatici esercitavano, nel 13S7. nella città (!) Inoltre quella espressione «omnes et singulos» fa intravedere un interrogatorio al « corpo » degli insegnanti in Genova, e richiama così quel «collegio » che sappiamo costituito nella Superba già nel 1298 (2).e i cui statuti superstiti, del 1444, sono noti per le stampe (3), Il collegio dei maestri, era formato da undici membri ed i loro nomi, oltre quelli dell’accusatore e dell’accusato del processo, sono i seguenti : Georginus de Portai, rector, - Antonius de Ceva, - Guillelmus, de Alexandria, - Odo de Malonis, - Veronus de Casali, - Iacobus de Palma, - Antonius de Valentia, - Lodius de Guastis de Alexandria, - Lodisius de Calvis de Vigeria (4). * * * Gli ultimi due documenti contengono il testamento del maestro Lodisio Calvo e gl’inventarii dei beni da lui lasciati. Uno sguardo meastri liberi. Quanto a Genova, cito un bando, pubblicato sotto il dogato di Agostino Adorno, il 16 ‘ settembre 1497, così motivato: «Cum senatu relatum fuerit praeceptores grammaticae seu magistros scolae valde immoderatas mercedes a patribus extorquere pro docendis pueris..» (A. Massa, op. cit., p 186). Per Venezia, scrive A. Segarizzi che il bisogno generale d'istruzione elementare in citt;t popolose come la regina dell’Adriatico, faceva sì che alle scuole libere accorressero nume rosi gli scolari, e che questi, «per una certa media agiatezza bastassero a rendere ben retribuiti i maestri». Anzi, sarebbe questa la ragione del tardo sorgere delle scuole pubbliche a Venezia, ove le cattedre di filosofia e umanistica furono istituite dallo Sfato soltanto a metà del sec. XV, e l’insegnamento elementare fu organizzato nel sec. XVI. (Cenni sulle scuole pubbliche a Venezia nel secolo XV. e sul primo maestro di esse in Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, lettere e arti, anno scol. 1915-1916, vol. LXXV, parte II. p. 638). (1) Altri dati sicuri, sempre per Geno\a, fornisco il Massa per l'anno 1501, allorquando i maestri erano 22 (op cit., pp. 186-187) e le scuole aperte 16 con 500 alunni (ivi p. 188). (2) G. Manacorda, op. cit., par. I, p. 143. (3) Id., id., pp. 189-205. (4) Informazioni su questi maestri si trovano nell’appendice del più volte citato studio Massa, al paragrafo Notizie di maestri che insegnavano in Genova nei secoli lr7V e. ZK, ricavate da atti notarili (op. cit., pp. 317-319). Accenno qui a due rogiti fra i più interessanti : « 1393, gennaio 12. Per mandato del rettore Autonio di Ceva i maestri del Collegio, Giovanni di Parma, Guglielmo de’ Goasti, Francesco da Treviso, Verono di Casale, Antonio di Valenza, Ludovico, Goasti, Giacomo di San Salvatore radunati promettono a Oddone Malone lire 250 genovine pel corso di cinque anni, purché durante questo tempo non eserciti l’arte magistrale nè si faccia sostituire da altri a suo nome per tutto il territorio delle tre podesterie, e rinunzi ai diritti e agli oneri del Capitolo. Il maestro Francesco de Trevixio abitante in Soxilia querela il collega Raffaele Burnego (di Levanto?) per risarcimento della metà di fior. 3 d’oro che devono pagare insieme per mantenere un ripetitore comune, di nome Leonardo di Tortona, nella villa di San Pier d’Arena. 282 Giacomo Gorrini all’insieme dell’atto, dettato al notaio il 9 ottobre 1397 in occasione della malattia die poco dopo trasse il testatore a. morte, dà l’impressione che questi, sebbene non mancasse di che vivere, non a-vesse fatto una gran fortuna colla professione : cliè gli stessi ferri del mestiere, i libri, piuttosto che acquistati in proprio, li aveva come garanzia di piccoli prestiti e malleverie. Ad ogni modo, pei* non molto che avesse, volle, da uomo abituato all’ordine dell1 insegnamento, « primo notare illos quibus debet, secundo illos a quibus recipere debet, tertio quod vult fieri de bonis suis et quaJitec vult ea disponere». Quanto alle cose da restituirsi troviamo: una toga nera quasi nuova, e quasi tutti i libri di maggior conto, avuti in pegno dal maestro Pietro di Levanto, riscattabili da costui con 14 fiorini (anzi con 12 si corregge subito, lasciando pensare che i due rappresentassero l’interesse vietato come usuraio dalla Chiesa, rinunziato in previsione della morte, « tiynens divinum indicium ») ; un bancale a Margherita, già schiava di Brancaleone Grimaldi, pignorato per il prestito di un fiorino; tre anelli a Francesco Campanaro, avuti contro il mutuo di due fiorini; — alcune tovaglie e altri oggetti casalinghi a Rufino de' Grossi di Vogherà, dovutigli per aver già riscosso in sua vece 20 fiorini ; — 20 fiorini d’oro al fratello limonino, costituenti la parte del reddito a lui spettante di alcuni terreni a Pioverà (*), ereditati dalla madre e amministrati prò indiviso dallo zio materno Francesco Calvo de Pioverà che ne rendeva conto al solo Lodisio; — alcuni oggetti di uso, e cioè due vecchie coltrici, un bricco d'acqua e un vaso di rame a Caterina figlia di Guglielmo Barberi de Spigno : le quali cose « dicit se inveniste et scivisse postea quod erant suae». Con il che, e pensando anche ai prestiti, il maestro Lodisio non si presenta coli’a-spetto di un perfetto galantuomo. Della massa testamentaria eran debitori soltanto lo zio Francesco di 21 fiorini e 29 soldi di imperiali, e Tommaso Ritro da Firenze di 8 fiorini. Se, venduto tutto quanto si fosse trovato in casa e in scuola e tolte 14 lire di genovini per la pigione fino al 1°. novembre 1397 del « mediano » tenuto in locazione, e 8 fiorini per i funerali, fosse restato un attivo, Lodisio volle che si dividesse pei metà fra i poveri e il ricordato zio. Erede universale nei terreni di Pioverà fece la fìglioletta Petrina- sotto la tutela del Calvo, aggiungendo che se Petrina fosse morta prima di prendere marito, avrebbe da lei ereditato il tutore con obbligo che « de dimidia· parte bene fiat pauperibus». Al notaio, infine, jasciò un Valerio Massimo come compenso per la/ stesura· del testamento e per la copia che, most mortem, ne avrebbe fatto dal protocollo. (1) Pioverà, nel mandamento di Sale, fin da allora gravitava nell’orbita di interessi e di affari del borgo di Voghera. L’istruzione elementare in Genova e Liguria durante, ecc. 283 L’inventario dei beni, compilato a cura del tutore delia bimba il 1 febbraio 1398, non si riduce a gran cosa, se si detraggono gli •oggetti posseduti a titolo di pegno. Di oggetti casalinghi testano una fornitura da letto, una da tavola da pranzo e una da cucina limitate allo stretto necessario, eccettuato un certo numero di svariati recipienti da vino; gli indumenti consistono in alcuni abiti, -una camicia, tre paia di calze, di cui una con suola, diversi cappucci, la suppelletile scolastica si compone, quanto alla mobilia, di una cattedra e di tre bancali nei quali eran riposti tutti gli oggetti pignorati e le gioie della Caterina·, bancali tenuti in casa del Collega Verono de Casali col quale Lodisio era associato. La lista dei libri — per lo più in pergamena (papiro) e legati in cuoio, oltre che dei salteri, delle esercitazioni grammatiche di Prisciano (il re. con Donato, della nostra scuola medioevale), e della immancabile Poetria di Gualfredo di Vinesauf i1), dei seguenti classici: Virgilio (Georgiche e Bucoliche), Boezio, di Lucano, Ovidio (Epistole e Metamorfosi), Seneca (Epistulae ad Lucinum e tragoediae), Ovidio (Metamorfosi), Valerio Massimo. Quanto basta per confermarci il modello della mediocre libreria scolastica del Trecento (2), e per farci sapere che maestro Lodisio non si limitava all’insegnamento, diciamo così, inferiore, ma istruiva entrambi i gruppi in cui, nelle scuole di Genova, si dividevano i discepoli di allora, in latinates e in non latinates (3). I na nota apposta dal notaio in fondo del testamento ci informa che il maestro Calvo morì quattro giorni dopo di aver disposto delle sue cose, il 13 di ottobre e fu sepolto in S. Lorenzo. Il notaio afferma di aver pagato dieci lire per le spese di sepoltura, sul banco di Cosma Lomellini, a Matteo de Clavaro. L’annotazione prende il senso dal fatto che il notaio, per avere un esemplare di Λ alerio Massimo, posseduto dal Calvo, aveva rinunziato ai diritti per la redazione del testamento e per le copie. VII Come possiamo spiegarci l’afflusso veramente eccezionale di (1) E' forse superfluo ricordare che il Carducci (Lo Studio bolognese, discorso per VVIII centenario, Bologna, Zanichelli, 1888) esaltò la figura del Vinesauf, docente a Bologna ai primi del Dugento, come precursore del ritorno ai classici. Del quale parere furono anche il Casini e il Bertoni. Contro il Manacorda (op. cit., par. II, p. 233). (2) L’elenco dei libri di un altro maestro in Genova, Matteo de Besuzio, tratto dal testamento di costui del Ι." agosto 1379, è stampato dal Massa (on. cit. pp. 317-31S). Da consultare le tavole di tLibri scolastici nelle biblioteche medievali italiane», nella citata opera del Manacorda (parte II pp. 338-377.) (3) Vedi A. Massa, op. cit., p. 187. Egli sostiene che i latinantes «studiavano i primi elementi della grammatichetta e imparavano a leggere», mentre i non latinantes «si davano al commento degli autori». Sostiene il contrario il Manacorda in Rassegna degli studi, ecc. cit., pag. 113, e nell’opera Storia della scuola, ccc. cit., par. I, pp. 1S0-1SS, nelle quali tratta ampiamente dell'ordinamento degli studi e dei vari corsi scolastici. 284 Giacomo Gorrini maestri di scuola nella Superba? Non crediamo eccessivo affermare^ se si rifletta che il numero dei maestri di cui si occupano i nostri documenti non è assoluto, e che lascia, anzi, sottintenderne un altro assai più vasto, che la causa determinante di questa immigrazione non è limitata semplicemente alle migliori condizioni economiche offerte dalla vita genovese, in quel tempo. Le migliori condizioni economiche ci fornirebbero una spiegazione troppo generica e unilaterale, mentre altri fattori specifici, che metteremo in rilievo, danno al fenomeno il significato più vicino. Un’osservazione preliminare è necessaria, e, per essa, valgono i dati che abbiamo già esposti. Il Governo e la popolazione di Genova non curano eccessivamente la cultura superiore. Non manca, nel medio evo, una vita letteraria, ma essa non è diffusa, non ha un’importanza sua, e non può essere considerata come un centro di irradiazione che attragga a sè 1’ attenzione e lo stimolo imitativo di altre regioni (1). Lo stesso umanesimo, che fu il secolo d’oro della cultura in tutta la penisola, a Genova trovò correnti ristrette, anche se non prive di valore (2). Il collegio dei dottori, già· formato durante il secolo decimoquarto, era l’unione di giudici e di patrocinanti che non compivano a Genova i loro studi o almeno non ebbero uno studio generale che molto più tardi, e per iniziativa di privati (3). Così si spiega il numero piuttosto rilevante di studenti genovesi che frequentano le università italiane e anche qualcuna delle straniere (4). All’opposto, l’istruzione elementare è, non solo incoraggiata nelle iniziative dei privati, ma anche statizzata. I maestri forestieri trovavano a Genova una difesa giuridica nel collegio e una tutela nel Governo il quale riconosceva ad essi il diritto di esercitare la professione, senza l’obbligo di assumere la cittadinanza, e stabiliva con loro speciali condizioni per il. pagamento delle avarie ordinarie. I maestri diventavano in questo modo convenzionati col Comune, ottenendo il vantaggio di pagare ogni anno una somma fìssa, determinata nel decreto di convenzione, molte volte assai lieve : posizione privilegiata di fronte agli stessi cittadini, i quali corrispondevano, invece, ogni anno, una cifra che oscillava sempre, in rapporto con i bisogni della finanza pubblica, giacché il Governo decretava l'ammontare globale della avaria, e speciali commissari! (1) Cfr. Spotopno, Storia letteraria della Liguria, Genova, 1824-27, 4 voi. (2) Cfr. Bbaggio, Jacopo Bracelli e VTJmanesimo in Liguria, Atti Soc. Lig. St. Patr. voi. XXIII. (3) Cfr. Isnardi, Storia dell’Università di Genova, Genova, 18G367, e Lattes, Per la stari* •JelVUniversità di Genova, Atti della R. Università di Genova, vol XXV. (4) Si veda, p. es., Dallari, 1 rotuli dello studio bolognese, Bologna, 1907, e Gloria, Monumenti dell'Università di Padova, 1850, Manacorda, in Annali delle Università Toscane, XXI, 3899, e Giornale Ligustico, 1888, rispettivamente per le Università di Bologna, Padova, Pisa ? Pavia, frequentate dai genovesi e dai liguri nel medio evo. L’istruzione elementare in Genova e Liguria durante, ecc. 285 la ripartivano fra i cittadini contribuenti (*). Parecchi documenti, dei quali qualcuno abbiamo già citato, ci mostrano maestri esonerati da ogni carico di avaria. Si dirà che questa situazione i maestri ebbero comune con i dottori e con altre classi sociali : è questa una assimilazione che irrobustisce la nostra tesi, e dimostra quanta sollecitudine lo Stato genovese abbia usata per l’insegna mento elementare, anche per questo riguardo. Non solamente, dunque, non poneva alcun limite e tanto meno impedimenti all’immigrazione di maestri, ma la invitava ed incoraggiava. Un solo esempio di proibizione si trova, nella legislazione generale o nei provvedimenti particolari del Governo genovese, in materia di dimora di insegnanti stranieri nella Superba: ed è in un decreto del 1403-1407 (2)> col quale si proibiva a chiunque fosse del ducato di Tuscia, di Napoli e di Sicilia o della Romagna di docere pueros in civitate lanue ora-maticam. La ragione di tale legge ci rimane oscura, e nel testo (1\ essa è dichiarata dieta oribilis et auditu. Ma, a mio giudizio, la proibizione si potrebbe spiegare bene per la Toscana a cagione dello stato di guerra quasi permanente con i Visconti di Milano, e press’a-poco analoghe ragioni dovrebbero avere prevalso anche per Napoli e Romagna. I contravventori al detto decreto sarebbero stati puniti con la multa di mille fiorini e, non pagandola, sarebbero incorsi nella pena- della fustigazione £ del bando. L’incoraggiamento ad una larga immigrazione di Insegnanti elementari in Genova da parte delle Supreme autorità dello Stato ha una riprova nel fatto che assai spesso permettevano a maestri di aprire scuole nella città, senza che fossero inscritti nel Collegio professionale e senza i’os-servanza delle norme statutarie della corporazione. Vogliamo portarne un esempio nel significativo documento inedito trascritto integralmente in appendice. In esso il Governo genovese (rappresentato allora dall’arcivescovo di Milano Bartolomeo Capra, governatore per Filippo Maria Visconti, al quale Genova si era sottoposta) respinge una protesta avanzata dal Collegio dei Professori di grammatica cittadini contro la concessione fatta al maestro Francesco della Torre di Castronove di esercitare l’insegnamento. Il Collegio si riferiva alle norme dello Statuto e citava le tre condizioni essenziali per aprire scuole nella città : Pesame sulla moralità .sull’abilità professionale e sulla dottrina dell’aspirante, fatto a cura del Collegio, il pagamento delle tasse, l'immatricolazione nel collegio. Si lamentava che, mentre erano rispettati e mantenuti gli statuti delle arti manuali, fossero violati proprio quelli di un’arte liberale, e chiedeva l'annullamento della concessione fatta al della Torre e un maggior rigore nelle concessioni future. (1) Cfr. SievekiNG, Studio sulle finanze genovesi e in particolare sulla Casa di S. Gìotqw. •traci. Soarrti, Atti Soc. Lig. di St. Patr. XXV, parte I e II. A. S. G. Diversorum, XX, fol. 8. 286 Giacomo Gorrini ^ Il Governo riconfermò in tutta, la loro efficienza gli statuti del collegio dei grammatici, ma non volle revocare la concessione perchè non pareva cosa degna ritornare con un provvedimento in senso contrario su di una deliberazione presa da lui stesso precedente mente. Possiamo ora precisare i nostri concetti. L'insegnamento elementare assunse, in Genova e nella' Liguriar una forma e un indirizzo tipicamente locali. Esso doveva proporsi non un fine culturale generico, sia pure limitato, ma quello di dare ai giovani genovesi il mezzo più pratico che teorico di scrivere una lettera secundum us-um mercatorum januensium e di orientarsi rapidamente e sicuramente nei conti e nei ragguagli fra tante diverse valute correnti negli scali del Mediterraneo, dell*Olanda, dell'Inghilterra e della Germania, e sulle piazze italiane e straniere del medio evo. Le grandi consorterie di banchieri e di negozianti avevano filiali e scagni da per tutto: era necessario conoscere la tenuta dei registri, valutare le lettere di cambio, inviare corrispondenze e rapporti. Sicché l'istruzione si prefigge questo fine e il numero delle scuole genovesi si giustifica con la mravigliosa espansione, troppo nota perchè io la ricordi, del commercio della Superba,, fin dall’alto medio evo f1). La sollecitudine dell’intervento statale nel diffondere e incoraggiare questo grado di educazione culturale a. preferenza di quella superiore si spiega ancli'essa con le linee particolari della costituzione repubblicana di Genova y2). Il governo fu costantemente l’espressione di quelle potenti consorterie di nobiles, cives et negotiatores, che, con tre sinonimi, dai visconti del secolo decimo ai ricchissimi alberghi del secolo decimosettimo, erano gruppi di armatori, di banchieri, e di mercanti. La stessa classe sociale, dunque, nella quale era decisivo e specifico il bisogno di scrivere e far di conti, e che, gradatamente, era riuscita, quasi, ad identificare la stessa Repubblica- col Banco di San Giorgio (3). Infine, la larghezza usata dal governo genovese verso 1 immigrazione degli insegnanti forestieri, ha rilievo dal fatto che, da una parte, per il numero degli allievi, e cioè quasi la jnaggioranza- della popolazione, occorrevano maestri, dall’altra, i genovesi, non considerarono l'istruzione come mezzo per l'acquisto di una nuova professione, ma come il complemento necessario ciella loro professione tia-dizionale, e raramente furono essi stessi insegnanti. (continua) GIACOMO GORRINI (1) Dagli antichi annalisti laici (ed. Imperiale di S. Angelo e di Monleone) al Giustiniani e al Casoni. Tna trattazione speciale in Canale, yuova istoria della Repubblica di Genova. del suo commercio. ecc. Firenze, 1S64, 5 voi. ^ (2) Le stesse fonti, e le monografìe del Belgrano in Atti Soc. Lig. St. Patria, XII e s?gg. (3) Cfr. Manfredoni, MARENGO e Pessagno, Il Banco di S. Giorgio, Genova, 1911. LIGURI PESCATORI DI CORALLO (Contiti, e fine) LA GABELLA DEL CORALLO Era naturale elle i Protettori delle rompere di S. Giorgio molto vigilassero sulle Gabelle, iu quanto esse costituivano la base degli introiti della Casa, pur comparendo uel secolo XVII anche gli introiti delPesercizio bancario, ripreso nel 1580. Il debito pubblico genovese, sistemato nel 1407 con la costituzione della Societas Oom perarum et Bancorum Sancti Georgii, veniva mutato di redimibile in perpetuo con il Magnus contractus solidationis del 1539. Per Festinzione del debito e il pagamento degli interessi della somma totale, furono assegnate alle Compere, in detti) anno, 72 Gabelle i1). Fra le imposte del commercio, la più produttiva era il dazio generale del porto, V introitus carat orum maris, a cui fu aggiunto, sempre nel 1539, F addizionale di dazio delFl %. Esso introito era amministrato dalP«Ufficio del Precedente» (uno degli Uffici di S. Giorgio) con numerosi impiegati. Oltre i carati maris, come si chiamavano sin dalla fine del XIV sec. quelli che prima dicevansi denarii maris3 vi erano poi dazi sopra particolari rami del commercio : così i drictus Angliac et Flandriae, Barbariae, Alcæandriae, super rebus et negotiatione Syriaey Chii. Al qual proposito si ricorda che appaltatori di Marsacares, che mandavano il corallo, come si disse, in Alessandria, avevano appunto ottenuto, in vista dell'importanza del loro commercio, Fesenzione da questo speciale diritto. (1) Alla fine del sec. XVI l'importo complessivo delle gabelle era di circa 179C343 lire, ossia 472721 2/3 ducati. In passato, Governo e privati avevano cercato di procurare un ά diminuzione delle imposte. Non poche fondazioni avevano costituito cittadini benemeriti, che si ebbero nel palazzo di S. Giorgio ricordi di monumenti e di lapidi. Così Luciano Spinola (fondazione del 1473 per l’estinzione di 5 imi oste); Domenico Pastine (fondazione eh·? valse nel 1475 ad estinguere 8 gabelle): Ansaldo Grimaldi (fondaz. del 153«). Famosa l’oiferta li Cristoforo Colombo allfUfficio di S. Giorgio (1502) per alleggerire le imposte sul grano, sul vino e altri viveri. Dopo il 152S, anziché le impist** sui viveri, si mirò a diminuire specialmente quelle che gravavano il commercio. La gabella del corallo si mantenne però sempre elevar». (SlKVBKlNG, op. cit. Il, passim). 288 Onorato Pastine Oltre i dazi generali vi erano poi gabelle speciali su 11011 poche fra le merci più importanti. Non mancava la gabella sui coralli (x). Ancora alla line del sec. XV , tuttavia, questa gabella non pare avesse una normale efficacia. Nell'agosto del 1495 gli uomini di Por-totino erano stati citati per i diritti sulla pesca del corallo a istanza dei Governatori dei «Carati del mare», e i sindaci e procuratori di quella Comunità si lagnavano di questo con i Protettori di S. Giorgio, producendo un certo decreto del 1440 a loro vantaggio, già precedentemente presentato, e facendo notare che mai erano stati molestati in passato dagli antichi Governatori dei « carati » ("). In seguito, però, questa, non meno delle altre gabelle, venne sempre regolarmente riscossa. Anche dopo l’institnzione del porto franco di Genova — che avveniva. proprio nei tempi di cui parliamo fra il 1595, il 1613 e il 1619, in opposizione alla temuta concorrenza di Livorno — le gabelle non cessavano di costituire il nerbo della finanza di S. Giorgio, che anzi, col ravvivarsi del commercio in grazia di quella saggia riforma, doveva pur accrescersi il gettito delle imposte. Ora, nel caso dei nostri corallatori, il vantaggio che il Governo si riprometteva dalla riattivazione della pesca in Corsica, poteva ben portare all’accettazione dell’indulto proposto per le frodi commesse contro le gabelle. I «CAPITOLI» DEL 1609 FRA LA COMUNITÀ DEL CERVO E LA REPUBBLICA, Gli altri capitoli proposti dal Viale ed accettati dai Collegi presentano pure un particolare interesse, sia come tipo di contratto in generale, sia per le particolari notizie che si riferiscono al e con ι zioni della pesca e dei nostri pescatori in questo momento da noi studiato. Vediamoli per esteso: . « Esso Geronimo Viale s’obbligherà verso d.i M. Ill.n big.vi Protettori in nome dell’infrascritti che di sotto si noteranno per li quali prometterà de rato di pagarli in uno de Cart.rij de nume rato (3) 1. 1500 fra due anni prossimi cioè la. metà in fine d o-gniuno d’essi e che fra un mese li sud.i daranno qui sigoità a gu sto delli prefati M. Ill.ri Sig.ri Protettori di pagare qui come sopra d.e 1. 1500 e non dandola esso Geronimo a nome della d.a Comunità (1) Marengo, Manfroni. Pespagno, 11 Banco di S. Giorgio, parte III, cap. IV, p. 174. (2) Ferritto, Coralli ecc., cit. (3) I «Cartularii delle colonne» formavano la scritturazione delle Compere, ed erano registri sui’ quali venivan segnate le somme di pertinenza di ogni creditore «partecipe» o «com- perista». · Moneta di numerato o di cartulario era quella che si «numerava» e scriveva nei cartolarli della Casa di S. Giorgio ad un prezzo che rimaneva costante, (cfr. «Tavole dei valori» di C. Desimoni in appendici a Belgrano, Della vita privala dei gevonesi). Liguri pescatori di corallo 289 s’obliglierà al pagamento delle sudette 1. 1500 come sopra per li su-detti. Il detto Sindico al d.o nome si obbligherà che gl’liuomini di d.o luogo del Cervo e sua Giurisdizione soliti a pescare coralli intro-duranno di novo la pesca de coralli nelli mari dell’isola di Corsica, et che essi ne loro Vascelli, con altri non anderanno a pescare in altri luoghi, ne tampoco ciò faranno per interposta persona in qualsivoglia modo, e che comincieranno la d.a pesca questo presente anno 1609 e persevereranno ogn’anno come sopra per anni quatro continoi compreso il presente, con dichiarazione però che se passati li doi primi anni d.i huomini non voranno continoare d.a pesca in d.a Isola di Corsica che in tal casio debbano compire il d.o obligo nell’isola di Sardegna per li restanti due anni con le •conditioni et in tutto come in apresso, sotto pena in casio di con-trafatione à quanto sopra o a qualsivoglia xjarte di quello, di pagar lo dritto di quanto potesse importar la cabella delli coralli, che potessero condur li vascelli che non osservassero quanto sopra a giu-ditio de prefati M. 111.ri Sig.ri Protettori. Che tutti li patroni de vascelli o coloro che comanderanno d.i vascelli tanto neirisola di Corsica quanto in quella di Sardegna siano tenuti et obligati per detti quattr’anni come sopra a denon-tiare fedelmente e realmente tutti li coralli che haveranno pescato •etiam per mezzo del loro giuramento alli Giusdicenti d’Aiaccio, o Calvi o Bonifacio dove li tornerà conto et essendo in l'isola di Sardegna al consule de Genovesi nella città di Bosa et questo prima di partirsi con loro vascelli respettivamente da ogniuno delli sud.i luoghi et ogn’anno sotto pena in casio di contraiacione per quella somma che fussi meno denuntiata de incorrere in quella pena in quale incorrerebber se portassero detti coralli in questo dominio di Genova e non li denontiassero. Che tutti li suddetti patroni e come sopra ogn'anno per d.i quattr’anni prima di partirsi con li vascelli çer andare a fare d.a pesca debbano denontiare in atti del scrivano della Corte di d.o luogo del Cervo, li vascelli con quali venderanno, da- chi sono comandati et à cui spettano sotto pena parimente d’incorrere in perdite de vascelli ò loro valuta e di più di pagare il dritto della maggior somma de coralli che in quell’anno alcuno d essi vascelli havesse preso et pescato. Che la d.a Comunità di d.o luogo del Cervo e soa Giurisdizione sia obligata· pagar pontualmente alli caratti e dritti il dovuto dritto de tutti li coralli che seranno stati denonciati in d.i luoghi respettivamente ogni anno durante li detti quattr’anni come sopra e di più tutte le pene in quali incorresse d.i huomini per l’inosservanza delli presenti capitoli con conditione però che l’Università et huomini del Cervo restino obligati, la quale comunità habbia attione contro li •contraf adenti, e tutti quelli per li quali f-usse obligata per rettaci- 290 Onorato Pastine mento del danno etiandio prima che paghi cosa alcuna e a quest effetto doverà il M.eo Podestà del Cervo concedere prontissima essecutione all’Agenti d’essa per l'indenità sua, contro li debitori della M. 111.re Casa di S. Georgio tanto per li datij come dritti quanto per le contrafationi e questo etiandio ante damnum passum come sopra. Che la d.a Comunità del Cervo, huomini della soa Giurisditione insieme congregati ad abbondante cautella, et in quanto sia necessario debbano ratificare et approvare fra il termine di un mese e mezzo prossimo tutto quello che liarà promesso et si obligherà detto Sindico in loro nome come sopra tanto verso dei Ser.mi Collegij quanto anche verso li M. 111.ri Sig.ri Protettori di S. Georgio in bona et autentica forma con fare che ogniuno separatamente vadi al notaro, e dia il suo voto, a bocca, il quale notaro habbia poi da notarla tutti particolarmente, et a questo effetto l'Antiani della Comunità etiandio ad instanza del Sindico che in nome loro harà fatto il presente obligo sian tenuti ad ogni sua richiesta di far mettere insieme ΓUniversità per la ratifficatione. Che li prefati Ser.mi Collegij rinovino li capitoli fatti altra volta in materia di d.a pesca e sian serviti di far dar ordini tali che d.a pesca sia favorita et agiutata in modo che dia occaggione et animo a Ili sud.i huomini di poterla continuare non solo per il siluette tempo, ma anco per sempre se così accomoderà et tornerà utile alli sudetti huomini ». I DIRITTI DI PESCA DEL CORALLO. Dai riportati capitoli si rileva che di due specie dovevano essere i proventi della Casa di S. Giorgio : un diritto annuale posticipato di lire 750 e il dazio sul quantitativo di corallo effettivamente ricavato dalla pesca. Per quest’ultimo tributo, alle autorità dell’isola si doveva fare soltanto la denunzia del corallo pescato ; la Comunità poi era tenuta a pagare alla Casa dazi e diritti, come anche le eventuali penalità per trasgressione dei patti. K da notarsi però come la Comunità volesse premunirsi, per sua indennità, contro i singoli debitori per qualsiasi ragione, richiedendo a tal uopo la « prontissima esecutione » del Podestà di Cervo, anche prima che essa avesse effettuato il pagamento. Ma non consistevano soltanto in questi gli obblighi finanziari dei corallatori. Come è detto nei capitoli della Signoria, che esamineremo tra breve, i Mercanti, Padroni e Marinai dell’impresa erano impegnati a pagare, prima che la pesca avesse termine o che si portassero via i coralli da Bonifacio ed Ai accio, il diritto di pesca in lire 40 per ogni fregata; e questo pagamento si doveva effettuare al Commissario di una delle due città còrse, dal quale « si do- Liguri pescatori di corallo 291 veva far fede in scritto del d.o pagamento senza che per detta fede paghino (i pescatori) cosa alcuna» (*). In generale non è da confondere, infatti, tale specie di diritto con quello dovuto alla dogana, dal quale i corallatori potevano an che essere esentati, ('osi, proprio in questi anni, il ricordato Marti aveva ottenuto, nei patti di appalto per le isole di S. Pietro e S. Antioco in Sardegna, l’esenzione del diritto di entrata ed uscita. Il diritto principale, che era quello della pesca, poteva assumere poi tre forme fondamentali : o si trattava di un censo annuale, 0 di una percentuale sul corallo pescato, o di un diritto fisso per corallina. Ai Signori di Barberia, ad esempio, si pagava un tributo an ìi'uale; così il Cicero doveva al re di Tunisi, per la pesca di Marsa cares duemila doppie fersie all’anno, e i Lomellini corrispondevano per Tabarca al signore di Algeri un censo che giunse lino a 1600 scudi, più altri 200 di panni di seta e 1000 di beveraggi. In questi casi, più complessi erano gli obblighi degli appaltatori, dovendo essi, per Marsacares, anche un censo annuo di mille ducati d’oro al Comune di Genova, da pagarsi in rate trimestrali’ all’ufficio di Balia o all’üfficio di S. Giorgio; e spettando, come si disse, l'affitto vero e proprio di Tabarca al re di Spagna. In Sardegna, come in generale per gli appalti concessi dai governo spagnuolo, si seguiva il sistema della percentuale sul corallo pescato, da corrispondersi ora in natura, ora in equivalente moneta, e, come massimo, in ragione della quinta parte del valore, ossia del 20%. Alla cacciata dei genovesi dalla Sardegna (sec. XIV XV), gli Aragonesi imponevano agli stranieri (che Alghero ne era stata esentata) la cessione della ventesima parte del ricavato della pesca. L citati ordinamenti del 1509-1511 seguivano sempre il criterio del tributo proporzionato al quantitativo della pesca, fissandolo in una data somma a seconda del peso (2). Le « Capitulaciones » per Tabarca stabilivano la prestazione della quinta parte in valore, da pagarsi in Genova otto mesi dopo l’arrivo del corallo, e secondo il prezzo fisso di 12 tareni per ogni rotolo, peso di Sicilia, oppure di Gl) scudi per ogni cantaro. Dal quinto devoluto al Re, era da detrarre però, come rimborso, 1 200 scudi annui che gli appaltatori dovevano somministrare agli ufficiali spagnuoli per il servizio che compivano nei riguardi delle pescherie; mentre a carico del re era da segnarsi pure il quinto delle altre imposizioni dovute dagli appaltatori ai Signori di Algeri e di Bona. Anche per le pescherie di S. Pietro e S. Antioco fu sta- (1) Vi era inoltre il diritto di ancoraggio, a cui si accenna in seguito. (■>) Ter gli stranieri vassalli 1. 3 s. fi d. 8 per ogni quintale di 150 libbre; per i vassalli del regno non abitanti di Alghero s. 33 d. 4; per gli Algheresi s. 3 d. 8. - 292 Onorato Pastine bilito da principio, prima della cessione al Marti, il diritto del 20 % per i nazionali e del 22 per cento per i forestieri, in seguito ridotti entrambi al 10 %. Alla fine del secolo, poi, i pescatori che da Bonifacio si recavano alle isole di Molara e Tavolara per co rallare, ricusavano di sottoporsi al tributo del 5,% imposto dai gabellieri, avendo già pagato il diritto di pesca in Corsica. Nel settecento, infine, passata Pisola alla casa di Savoia, si confermava il diritto del 5 % in natura o in contanti sul corallo pescato. Ma anche in Sardegna si incontrano esempi di diritti corrisposti sotto altre forme. Così, per limitarci all’epoca dell’affare di Cervo che stiamo esaminando, mentre il ricordato Marti si obbligava ad un censo annuo di circa 700 ducati; i provenzali pagavano 14 pataconi per barca e ad un diritto fisso per corallina erano pure sottoposti i pescatori liguri, in nome dei quali il Pasino del Canneto supplicava nel 1G00 (x). Ed era questo il sistema normalmente seguito per la pesca in Corsica. Nel 1G09, come vedemmo, il diritto fisso era di lire 40 per fregata; ma più tardi esso venne ridotto a lire 20. CORSICA E SARDEGNA. E ritornando alla nostra convenzione con gli uomini del Cervo, notiamo come la loro promessa (cali 3°) di «introdurre di nuovo» la pesca in Corsica (espressione ripetuta altre volte nelle carte riguardanti quest’affare) sta a indicare chiaramente che i corallatori, dopo aver precedentémente già pescato nell’isola genovese, avevano poi diretto altrove il loro lavoro. Si noti come si insista nell’impegno « che essi nè loro vascelli, con altri non an deranno a pescare in altri luoghi, nè tampoco ciò faranno per interposta persona in qualsivoglia modo » : allusione questa a quegli espedienti, nei quali, vedemmo, erano maestri i provenzali, ma certamente non essi soltanto. Questi « altri luoghi », dove potevano andare a pescare, non è difficile comprendere essere quelli già menzionati della Sardegna. Il mare sardo era allora frequentatissimo da navi mercantili e da pesca. Sono questi gli anni in cui il Commissario generale Carillo, venuto nell’isola per riordinare gli uffici, nella sua « Relaçion al rey don Philippe » (1612) riferiva, fra l’altro, che « i Francesi e i Genovesi erano in continua relazione con i Sardi per la pesca del tonno e del corallo, che si faceva nelle acque di Bosa, di Alghero e di Castello aragonese, dove non meno di trecento legni si vedevano talvolta in una sola primavera» (2). (1) Anche la tariffa del 1825 fissava in Sardegna la tassa di L. 25 di Sardegna (48 di Piemonte) per le barche nazionali e L. 50 di Sardegna (96 di Piemonte) per le straniere. (2) Fb. Corridore - Storia documentata della marina sarda, cit. d· 48. Liguri pescatori di corallo 293 L eventualità, del resto, di una diversione nelle acque sarde è apertamente prospettata in questo stesso capitolo. Infatti l’obbligo della pesca doveva durare quattro anni ; ma i corallatori avanzavano la riserva « che se passati li doi primi anni detti huomini non voranno continoare d.a pesca in d.a Isola di Corsica che in tal casio debbano compire d.o obligo nell’isola di Sardegna per li restanti due anni con le condizioni et in tutto come in apresso, ecc. ». Il pescare in Sardegna non doveva infatti esentarli dal pagamento delle gabelle, ciò che premeva a S. Giorgio. Ed ecco quindi (cap. 4°) come i padroni o i capitani dei vascelli si obbligavano a denunciare « fedelmente e realmente » i coralli pescati, «tanto in Corsica quanto in Sardegna, ai giusdicenti di Aiaccio, Calvi e Bonifacio, per la prima, e al console genovese di Bosa, per la seconda. E poiché, come sappiamo, le frodi in proposito erano all’ordine del giorno, si aggiungevano le solite pene, che non sempre dovevano andare a vuoto, per quanto non bastevoli ad eliminare gli inconvenienti lamentati. Al pagamento poi dei dazi, diritti e penalità, doveva provvedere, come già accennammo, la Comunità di Cervo, che se ne rendeva garante (cap. 6°). Si può ancora notare a proposito di tale denuncia, che non troviamo qui quelle forme di controllo severo, che altrove incontriamo. Cesi, ad esempio, per la fattoria di Tabarca, ufficiali regi sorvegliavano in Barberia rimbarco del corallo per verificarne la quantità ; inoltre, sia a bordo che in terra, esso doveva essere chiuso in casse a doppia serratura, rimanendo una delle chiavi presso gli ufficiali del re. Anche in Sardegna, l’ordinamento del 17G1 prescriveva che allo sbarco del corallo assistesse, per opportuno controllo, i suddelegati della li. Intendenza. Altra denuncia che aveva particolare importanza, e che doveva esser fatta con atto dello scrivano della corte di Cervo, era quella di tutti i vascelli, che ogni anno sarebbero intervenuti alla pesca, nonché dei mercanti che li avrebbero armati e dei « patroni » a cui ne sarebbe stato affidato il comando (cap. 5). Infine non superflua davvero (e l’Ufficio di S. Giorgio vi insisterà) era la garanzia offerta «ad abbondante cautella», che la Comunità del Cervo e gli uomini della sua giurisdizione, in pubblica riunione, dovessero ratificare, entro il termine di un mese e mezzo, quanto era stato convenuto « tanto verso dei Ser.mi Collegij quanto verso li M. 111.mi S.ri Protettori di S. Giorgio in bona, et autentica forma», in modo che ognuno separatamente desse il suo voto dinanzi al notaio (cap. 7). Da canto loro, poi, i Ser.mi Collegi dovevano rinnovare i capitoli «fatti altra volta in materia di d.a pesca», dando tutti quegli ordini, che valessero a favorire l’impresa·, in modo da incoraggiare i pescatori a «poterla continuare non solo per il suddetto tempo ma anco per sempre se così accomoderà et tornerà utile alli 294 Onorato Pastine sudetti huomini ». Dove si osserva che non si trattava di migliorare, ma di rinnovare semplicemente ordini promulgati in precedenza ; il che dimostra che i provvedimenti del Governo, forse già altra volta perfezionati, dovevano corrispondere, in generale, alle esigenze .dell'industria; e che se ragioni di lagnanze vi erano state in passato, dovettero dipendere, in gran parte, dalla applicazione pratica che dette ordinanze ebbero per parte dei pubblici ufficiali. Tuttavia si può effettivamente notare, a proposito di quella diversità di trattamento fra la Sardegna, e la Corsica, la quale era stata rilevata dalla supplica già ricordata degli uomini di Diano e Cervo, che non mancava nella grida del governo genovese una certa preoc cupazione perchè ogni differenza fosse eliminata. Nel cap. 9 è detto infatti espressamente che si voleva restasse « in tutto regulata detta impresa a quella di Sardegna » ; il che risulta in realtà da tutto il contesto. I lamenti, del resto, non mancarono mai anche in altri momenti e in altre regioni; gli abusi, i mali erano quasi sempre gli stessi; molto simili quindi le raccomandazioni, i divieti, le minacce dei Governi. Nella seconda metà del XVII sec. i corallatori liguri ebbero a lagnarsi degli abusi di ufficiali e autorità della stessa Sardegna. Ed ecco il gabelliere di Alghero esigere per ogni barca il più grosso e bel ramo di corallo e due libbre in più e della qualità superiore; ecco la pretesa del 5% sui « ferragli » (coralli minuti) che ne dovevano essere esentati ; ecco il capitano delle torri di quella stessa città richiedere 20 pezzi al mese per le guardie. LA GRIDA DELLA REPUBBLICA PER LA PESCA DEL CORALLO IN CORSICA I Ser.mi Collegi nelle l.oro grida, formata di 11 capitoli, cercavano prevenire i maggiori e più comuni abusi, condannandoli. Decretavano infatti : « che per le patenti o licenze di pescare o reformationi d'esse non possano li Cancellieri o altri o qual si voglia persona pretendere cosa alcuna sotto pena di scudi 300 per ogni volta» (cap. 4). Così pure ordinavano : « Che non sia lecito ne possiano alcuni Comissarij Giusdicenti Caporali Ufficiali Castellani torresiani et altri et qual si voglia prendere ricevere ne meno accettare da detti patroni marinari o altre persone a lor nome et per loro conto et per le su dette cause coralli denari ne qualunque altra cosa ma solamente sieno detti patroni obligati al semplice pagamento del diritto per il pescaggio di lire 40 per ogni fregata, ne possano esser gravati d'altra spesa per minima che sia sotto pena a detti Comissarij Giusdicenti et Ufficiali della privatione delPUfficio et (Fogni altra cor Liguri pescatori di corallo 295 poi ale ad arbitrio del Ser.mo Senato e di più di pagare d’un diece per la somma eli’lia vesserò ricevuto o accetato. » (cap. G). Ed ancora: «che non sia lecito ad alcuna persona di qualsivoglia grado stato e conditione come se li prohibisce in virtù di queste provare ricevere ne domandare ne meno operare clie sieno datti contributi pagati denari coralli o altra 3 sub eisdem paeuis, lege utriusque Concili] ut in actis dicti Secretarij Yiceti». Ed ancora il 18 maggio 1710 veniva rinnovato l’ordine « ut teneantur Corallinae vendendum in portu Genuae ». In questi decreti, a differenza delle disposizioni precedenti, si nota che l'obbligo 11011 consisteva più nel dover portare il corallo in qualsiasi parte del Dominio della Repubblica, ma addirittura nel porto stesso di Genova. Questo, forse, a maggior garanzia e per evitare i tentativi che si facevano per eludere gli ordini del Governo ; al qual fine si specificava pure, a scanso di voluti equivoci, che la disposizione valeva per qualsiasi genere di imbarcazione (). ANCORA DELLA PESCA DEL CORALLO IN CORSICA NEI SEC. XVII-XVIII Per ciò che concerne la Corsica, nelle due suppliche sopra esaminate abbiamo visto ricordata la pesca che aveva luogo nell’isola, ed i relativi utili « di migliaia di scudi » che ne venivano al fisco per gli ancoraggi dei lembi. Ciò dimostra che la convenzione del 1609 aveva dato buoni frutti. Anzi il Cavazza allude ad una « introduzione » della pesca nell’isola genovese nel 1619, con concessioni ai pescatori (1) La pesca ecc. p. 37. (2) « Leggi della Rep.ca di Genova dal 1570 al 1753 », ms. presso l’Archivio di Stato di Genova; estratti pubblicati negli «Annali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio» vol. I, pate III, pag. HO. Liguri pescatori di corallo 305 «innumerevoli privilegi etiandio di giurisdizione», privilegi che ialino pensare a nuovi accordi sempre più larghi a vantaggio dei corallatori, da questi ottenuti negli anni seguenti. Nel secolo XVII poi, l’affare della pesca del corallo rimaneva affidato al « Magistrato di Corsica » (1), a cui spettava concederne la licenza. Ecco il decreto dei Collegi in proposito: « 111.mus Magistratus Corsicae possit proibere piscationem coraliorum in maribus Regni Corsicae sine licentia eiusdem Magistratus sub modis, et pactis ei melius visis per Serenissima Collegia ad calculos audito Excellentissimo Praeside dicti 111.mi Magistratus». Si confermavano frattanto gli antichi capitoli della pesca. Fra i tributi, però, spettanti allo Stato troviamo, oltre il consueto diritto fìsso per barca, anche l’obbligo di una decima parte per qualità del prodotto ricavato dalla pesca. « Ogni vascello, che vorrà pescare coralli paghi scudi 10, e la decima parte del corallo per ogni sorte che prenderà subito finita la pesca· sotto pena della perdita del vascello, e di tutti i coralli, e d’anni cinque di galea ». Di qui 1 obbligo rinnovato ai Patroni di « manifestare fedelmente » i coralli pescati, sotto le pene decretate dai Ser.mi Collegi il 38 marzo 1652. Inoltre si aggiungeva che «la parte de coralli, che spetta alla cancelleria non si dìa in coralli inferiori, ma di tutte le qualità» (2 dicembre 1652). Il Magistrato aveva poi «facoltà di fare le deliberazioni, ordini e gride necessarie à quanto sopra » . I gravami fìssati dal Governo risultavano certo eccessivi, forse anche in rapporto ai tempi e agli attuali proventi della pesca. Il fatto è che il 7 marzo del 1662 veniva dai Ser.mi Collegi « sospesa » la suddetta decima sul corallo «a beneplacito». Senonchè tale sospensione risulta non già in rapporto con una crisi di questa nostra industria peschereccia, ma, al contrario, coincide con un momento di suo sperato sviluppo. L'anno precedente, infatti, si era pescato con fortuna nelle acque còrse; molti vascelli vi avevano corallaio vantaggiosamente, ed ora assai più si apparecchiavano a portarsi colà per la nuova pesca, che si prometteva abbondante; il che recava «11011 ordinaria consolatione» agli Ecc.mi Signori. Di qui i provvedimenti dei Collegi, (1) L’«excellentissimum officium Corsicae» fu istituito non appena i Protettori di S. Giorgio restituirono l’isola alla Repubblica (1502). Da principio si componeva di cinque ufficiali ; nel 1500-67 furono aggiunti altri tre soggetti, due dei quali erano deputati soltanto a c rivedere la scrittura », ma non avevano facoltà di officiare con gli altri sei membri ; nel 1582 il Magistrato fu ridotto di nuovo a cinque ufficiali. Il 27 novembre 1571 fu eletto un altro Magistrato di quattro soggetti nominati dai Ser.mi •Collegi per due anni : doveva sovraintendere alla coltivazione delle terre, alle miniere, alla fabbrica delle torri ; rivedere le suppliche per la concessione di terreni a fine di riierirne ai Colìegi, ed insieme aveva cura anche delle «piscaggioni ». Abolite ne» 1580 questo nuovo Ufficio, le suddette incombenze furono appoggiate al Magistrato piimitivo, al quale venne aggiunto, «come sesto collega, il Cenerai Governatore. 306 Onorato Pàstine rivolti a· incoraggiare un’impresa, da cui si ricavavano tanti « bene iicii, et in specie quello delpintroito », clic non poco premeva. Or dunque Pili.1110 Mag.to di Corsica P8 di marzo si affrettava a trasmettere Fordine del Governo alPËcc.mo Francesco Maria Lo-mellino, General Governatore delPisola. « Presentiamo che Fanno passato siano venuti in cotesti mari a pescare molte coralline, e particolarmente nelli vicini alle torri di Girolate, ve ne siino venute vinti otto dove, per haversi trovata copiosa e buona pesca, siino quest’anno per andarvene sino al numero di sessanta. Ci ha detta notitia recato non ordinaria consolatione ; perchè conoscendo li nostri Colleggi che dal venirvi a pescare le coralline, il pubblico ne riceve molti beneficii, et in specie quePo dell’introito, hanno sotto li 7 del presente sospeso l’ordine di essi-gere la decima de coralli e ridotto la ricognitione a soli scuti diece da lire quattro per ogni corallina, e concesso a Padroni e marinai salvocondotto civile personale, con lo solo contrabando, et anche libera estrattione da qualunque luogo, et in ogni tempo, di una sola mina di grano per vascello, mentre però rispetto all’estrattione non occorri in contrario al Giusdicente di quel luogo, da quale si doverà fare. » (i) L’Ecc.mo Mag.to, comunicando quanto sopra, dava le opportune istruzioni al Governatore, col raccomandargli non solo che avesse cura perchè ogni barca pagasse la « contributione » dovuta, facendosene debitori i Giusdicenti; ma altresì che si provvedesse alla difesa dei vascelli, « Conviene anche — aggiungeva — che mentre le coralline vanno nelli detti mari di Girotte, muniate così bene la d.a torre, che in occorrenza d’invasioni de nemici, corsari e turchi, possano gli huomini di esse .con loro vascelli ricoverarsi, et a quest/effetto, che le provediate di due spingardi, sei moschetti, o qualche maggior quantità di munitione da guerra, et insistiate che da popoli di Niolo si mandino due soldati sopranumerari in conformità delli decreti già fatti. » Ma il 14 aprile 1079 dagli stessi Ser.mi Collegi il diritto di lire 40 per corallina, ancora conservato nei capitoli approvati il 23 febbraio 1669, veniva ridotto a lire 20, che si continuarono a riscuotere dai Giusdicenti nelle loro giurisdizioni. Inoltre si concedeva il «permesso ai marinari di estrarre una mina grano per ogn’uno di essi, e padroni due mine» ; deliberazione che aveva la durata di tre anni, ma che venne rinnovata nel 1681 e 1683. Certo in questi tempi la pesca del corallo attraversò brutti momenti. Si legge (2) infatti, a proposito delle barche, che si recavano (ί) Libro Rosso di Corsica (1571-1737), pag. 465; edito dal « Bulletin de la Société des sciences historiques et naturelles de la Corse » US90-1898). (2) Memorie e note relative alla Corsica dal 1562 al 1730, ms. presso la Biblioteca universitaria di Genova; pubblicato da A. Ambrosi nel «Bulletin de la Société des sciences historiques et naturelles de la Corse» nn. 469-472, 1925. LlOURI PESCATORI DI CORALLO 307 ili Corsica prima delia riduzione del diritto di pesca, che « al presente se ne può dare poco calcolo poiché pochissime sono le coralline che vi vanno ». Nell’elenco poi degli introiti che si ricavavano dall’isola intorno a questo tempo, la pesca del corallo ligura per lire 600 annue, ossia per una delle cifre minori, (*). E sono questi gli anni in cui, come già ricordammo, i pescatori liguri avevano di che lagnarsi, oltre che delle molestie dei corsati, anche delle pretese eccessive a cui erano sottoposti in Sardegna. Ma poiché le pretese erano, di regola, in iAagione dei vantaggi che dall’industria si ricavavano, questo stesso fatto è un segno che ricca continuava a mantenersi la produzione sarda. Ï0 notevole come Gio. Domenico Peri, nel suo libro I frutti d’Alharo, parlando nel 1651 della Corsica, non accenni aliatto alla pesca del corallo, che pure, come ora vedemmo, era cola più o meno attiva; mentre ci attesta l’opulenza delle pescherie di Sardegna, sfruttate, come ci mostra col ricordo degli uomini di Alassio, spe-cialmente dai pescatori della riviera occidentale. « Qui (in ^a1’-degna) — egli scrive — è tanta copia di Coralli, che per tutt’ii Mondo sono dispensati, e se anticamente, come rifiorisce Alessandro ab Alexandro era cosi raro, che come cosa pretiosissima i Sa£er doti Indiani lo portavano sempre al collo, et i soldati francesi [Galli] ne si ornavano i loro scudi, e le celate, bora mercè la quantità, che da quei mari si cava per opera, massime de gli huomini di Alassio, che ogn’anno con numero grande di vascelli appunto domandati coraline vanno à questa pesca è reso presso, che dozzinale ». Ma che la Corsica continuasse a rimanere una base importante pei i nostri corallatori, lo dimostra anche il fatto che da Bonifacio vediamo partire nel 1693 quei duecento circa uomini, certo in massima parte di Alassio, Cervo e Diano, che si recano alla pesca del corallo presso le isole di Tavolara e Molara. Nè il Governo della Repubblica, ancora nel XVIII secolo, tralasciava di favorire ed incoraggiare in ogni modo siffatta pesca nelle della Corsica. Interessante, a questo riguardo, è un documento dell'8 giugno 1T0S, (2) dal quale si possono rilevare tutte le cure che a un tal intento venivano rivolte. Il documento si riferisce appunto allo ((Stile » che si doveva tenere dalle Autorità còrse verso i pescatori di corallo, in occasione della loro «venuta» nelle acque dell'isola genovese. Si tratta di una lettera, non del Mag.to di Corsica, ma scritta_si noti — direttamente dai Ser.mi Collegi al Generale Governatore. Da essa apprendiamo che il trattamento da farsi alle coralline era oggetto particolare delle istruzioni che al Governa- .^1) Complessivamente gli ancoraggi della Bastia davano lire 500.10 e quelli di «Aiaccio. Calvi, Bonifacio et nitri» lire 700 aira. (2) Libro Rotso, cit., pag. 679. Onorato Pàstine tore stesso venivano date nella sua assunzione in carica. «Quantunque 1 attenzione e lo zelo vostro singolare, in tutte le cose, mas· siine de pubblici introiti, — scrivevano il Duce e i Governatori della Repubblica — ci assicuri che in coerenza degli ordini registrati nelle vostre instruttioni consegnatevi da questa Cancelleria, vi starà a cuore di dar l'incombenza per ogni buon trattamento alle coralline, che sogliono portarsi ne’ mari di cotesto Regno alla pesca de’ coralli, tuttavia essendo il tempo in cui sogliono esservisi condotte e condurvisi, ci ha stimolati a praticare le migliori forme per procurarne il possibile e maggior concorso. » La consuetudine delle spedizioni pescherecce continuava dunque ininterrotta secondo l’antico costume ; spedizioni che, sappiamo, provenivano dalle nostre riviere e specialmente da quella occidentale. Qui anzitutto bisognava quindi operare per ottenere quel « maggior concorso » di pescatori, che si desiderava. E i Ser.mi Signori informano infatti di aver « a tal effetto incaricato i Giusdicenti di Rivera a praticare quelle insinuationi che il lor zelo verso il publico servigio e vantaggio le proporrà più efficaci per conseguire il fine, et allettarli a concorrervi nel maggior numero possibile, con prometter loro fra le alte cose, ogni buon trattamento, facilità et assistenza ». Le condizioni che si facevano ai corallatori, migliorate di quanto si era ritenuto possibile, ci sono quasi tutte già note : « esentione di qualunque contributione, a risalva delle lire venti per il pescaggio, e delle tenui somme dell’ancoraggio, con incarico particolare che non le sarà esatto solo in er indennità delle Gabelle : e ciò in esecuzione del Decreto dei prefati Ill.mi Protettori de’ 19 Febbraajo, e 13 3Iarzo 1759». Da essa si ricava che le più elevate tariffe colpivano le seguenti merci: «Panni di seta: 1. 2 s 0 d. 5; zuccaro in polvere: 1. 1 s. 19 d. 6; cioccolata, cacao, spezarie di esito, manna: 1. 1 s. 18; datili d’esito; 1. 1 s. 17 d. 6; grana, incenzo, triacca, argento, ciamellotti, cinapro, canella, coralli : 1. 1 s. 16 d. 8 >. Seguono tutte le altre merci DUE IGNORATI RITRATTI DI MAZZINI E DI GARIBALDI NEL BELGIO La giornata <ΓAspromonte prima, quella di Mentana dopo come già ebbi occasione di scrivere (*), rinforzarono in Belgio l'ammirazione per Garibaldi, per opera specialmente della stampa democratica "e del « Libero pensiero ». Vi contribuirono anche gli attacchi ‘violenti e le basse accuse che, contro il nizzardo, lanciarono i giornali e le riviste cattoliche, emanazione di quel potente partito, avversario irriducibile dell’unità italiana ; partito ricco di uomini e di danaro che raccolse ed organizzò i numerosi volontari! belgi, che, nel 1860, si recarono in Italia per combattere nelle file dei papalini contro i soldati di Garibaldi e contro l’esercito regolare piemontese, e che, contro questo e contro quelli, per mezzo di libri, di opuscoli e di giornali, diffuse le più abbominevoli calunnie, lanciò le più atroci offese. I giornali democratici opposero alla stampa cattolica articoli e pubblicazioni in onore di Garibaldi, raccolsero danaro ed adesioni in favore della causa italiana, si che il nome del condottiero delle camice rosse divenne popolare ed un'aureola di gloria e di ammirazione gli fu intessuta anche in Belgio. Le riproduzioni delle imagini di Garibaldi circolarono abbondanti, ma ben spesso era difficile riconoscerlo in quelle ineleganti litografie. Leonardo van der Kerkhoven, vittore d'Anvers, compone, dop<* [Mentana, il quadro Garibaldi devant Rome che fu esposto a Bruxelles ai primi del 1868 ed intorno al quale sono state vane tutte le mie ricerche (2). Ma già dopo Aspromonte un altro artista belga aveva progettato di riprodurre le vere sembianze del solitario di Caprera : Eugenio le Block, nato in Fiandra, a Grammont, nel 1812, allievo dell’Accademia d’Anvers nella quale città trascorse tutta la vita e morì nel 1893. Pittore di grande valore, ritrattista (1) Cfr. in questo Giobxale, anno 1929. fase. 1-2: lettere inedite di Garibaldi, tratte dalla biblioteca reale di Bruxelles. (2) cfr. l'art, cit. e LftHONNlER : L'école belge de peinture de 1830 à 1905 Bruxelles, 190G, pag. 55. 312 Mario Battistini ed acquafortista, le sue opere avevano ottenuto un magnifico successo ail'esposizione di Parigi del 1839, pel colorito caldo che ricordava il calore di Brouwer. Come Madou e Braekeleer, de Block ave\ra dipinto da principio scene campestri ed allegre, specialmente scene di bracconieri e di guardie campestri ; ma la sua naturale tenerezza per gli umili lo portò ad osservare la vita e Pattività· del popolo lavoratore, e per le sue parole e per le sue idee egli legittimava la propria reputazione di pittore democratico che i suoi quadri gli avevano valso. A Bruxelles e ad Anversa era F amico dei proscritti di ogni parte d'Europa e d’Oltre Oceano, contro ogni dispostisino egli aveva collere generose ed ardite (’). Questo temperamento non poteva lasciar Partista indifferente dinanzi alla questione italiana e nella sua mente nacque Pidea di dare un tangibile attestato della propria ammirazione ai due più grandi campioni della libertà italiana: Mazzini e Garibaldi, i due aspetti della nostra rivoluzione: il pensiero e l'azione. Le difficoltà di tradurre in atto il nobile disegno non erano nò piccole, nè poche, giacche Garibaldi si era, sdegnoso ed addolorato, ritirato nell'isola solitaria; Mazzini viveva in Inghilterra che da tanti anni gli dava largo ed sicuro asilo. Ma Partista seppe superare ogni ostacolo e nell’estate del Ü8G7 si recò in Inghilterra ed ottenne da Mazzini il favore che posasse per lui. Ritornato appena in Belgio, Mentana riaccendeva i non sopiti entusiasmi per Garibaldi e per la questione romana e mentre la stampa democratica opponeva alle ire di quella reazionaria il più largo omaggio a colui che aveva ancora una volta tentato di liberare Roma, il de Block partiva per l'Italia per recarsi presso Garibaldi, liberato dal Varignano. Il « Journal des beaux arts » di Bruxelles, nel N°. 23 del 15 dicembre 1S67 ne dava Pannunzio : « Mr. Eugène de Block est parti « pour l'Italie emportant son Mazzini qui doit être exposé dans « les principales villes du royaume, à moins que, toutefois, la police « italienne qui n’est pas dit-on, fort accomodante pour le quart « d'heure, n'y mette obstacle. De Block a emporté également, dit-onr « un Garibaldi, qu'il doit terminer d’après nature. C’est toute une « profession de foi politique qu’un programme artistique de ce genre ». Xon conosciamo la via che il pittore belga tenne per recarsi in Italia, ma è certo che il suo ritratto di Mazzini (se pure il de Blok ebbe l'audacia o l’imprudenza di entrar con esso in Italia), non fu esposto in nessuna città della penisola. Sappiamo solo che l'artista si recò a Caprera, dove rimase, ospite di Garibaldi, circa due mesi. Lo stesso «Journal des beaux arts y) nel N°. 11 del 15 giugno 18G8 parlava a lungo dell’artista e dei due suoi ritratti, in un articolo che merita riferire: « Il y a plusieurs mois déjà, j'an- (1) 1868, 1ère livraison, pagg. 38-39 ; De Pobtretten : Mazzini en Garibaldi. Due ignorati ritratti di Mazzini e di Garibaldi nel Belgio 313 E. De Block - Mazzini - ritratto dal vero « nonçais aux lecteurs du Journal des beaux arts, le départ pour « l'Italie d'un de nos peintres les plus populaires, Mr. Eugène de « Block, chargé d,exécuter comme pendant au portrait de Mazzini, 314 Mario Battistini « peint à Londres, un portrait de Garibaldi. Ils sont destinés à « être exhibés l'un et l'autre en Angleterre et ailleurs. Le peintre «est revenu, et ses deux oeuvres touchent à leur tin. Il est a peine «besoin d’insister sur le piquant qu'offrent les travaux dont s oc-·< cupe Mr. de Block en dehors même de toute considération artivi stique. Les événements, des dernières années ont rendu le peison-« nage de Garibaldi si populaire, que précisément, a. cause de cela, ( l’on s’est fort peu préoccupé de sa physionomie, les artistes *e contentant de quelques vagues indications. La chemise rouge, le « chapeau rond suffisaient à le rendre reconnaissable. Quant à Maz-« zini, peu de personnes peuvent se vanter d'avoir jamais vu la «reproduction des traits du tribun romain. Mazzini est aujourd’hui « âgé d'environ soixante-huit ans. La physionomie calme a quelque « chose d’incontestablement sympathique. Les traits, largement ac-« cusés, ont de la distinction et s’encadrent à merveille d’une barbe « entièrement blanche. Le visage a une pâleur mate; le front est coü-« tracté par les rides et se développe largement sous une cheveiuie «taillée à l'antique et blanche comme la barbe. L artiste a reP « senté son modèle assis près d’une table où sont plusieurs volumes, « parmi lesquels la Bible est en évidence. Le personnage, vu presque ( e « face, se retourne légèrement vers la droite, position ties v< ble au jeu de lumière qui, venant de la gauche, met en. 1e 1^L « plans du visage. Le costume est uniformément noir ;^point de « le gilet de satin sur lequel se détache uûe chaîne d’or «tonne jusqu’ an col, autour duquel est nouée une craya^ ^ «ne. « Le fond du portrait est d’un brun cliaud ; aucun détai «son uniformité. Vers le haut de la droite, . azzini^a , ^ « deux lignes, aine phrase en langue italienne, qui peu s «par ces mots: gratitude à l’artiste, souvenii à veux qui } _ « Ce dont il faut avant tout louer Mr. de Block, c est d a\ , «en peignant, le caractère politique de l'homme dont ü «jt* «reproduire les traits. A sa place, beaucoup de peintien imaiej « vu dans leur module qu’ un prétexte, et vous eussiez vu dans «le fond, des allégories et des emblèmes plus ou «mais qui eussent considérablement nui a Importance de ljpei^ «ture. On se fût rappelé à propos le Cheirubini^ g · ^ ··: eussions vu la muse remplacée par le génie < Vvécution «Mr. Je Block a fait un portrait et rien cl®plufr^ 0ltl,aits de «ou plutôt comme effet, cette toile rappelle certains ( U « Gallait ; c’est cette gamme chaude et «général de Guaita que nous avons vu M .AOtà1 ΦΦ&aies y «ijeu d’années. La peinture a moins d’accent. Mi. de Block, en «s’écartant de la dimension habituelle de ses personages n «point fait violence à sa nature et il a maintenu, peni < i , trop, cette fusion des contours qui fait une partie du charme de «ses gracieux tableaux de genre, mai il a conservé aussi l’harmonie Due ignorati ritratti di Mazzini e di Garibaldi nel Beloio 315 E. De Block - Garibaldi - ritratto dal vero «de l’ensemble, et c'est, avec l'expression, la grande qualité du por-<( trait de Mazzini. « Le portrait de Garibaldi nous transporte dans un tout autre 316 Mario Battistini « milieu. Ce n'est point dans la solitude de Caprera, qu'il nous appa-« Irait, ( "est revêtu de la chemise rouge et le sabre au côté qu'il « pose devant nous. A 1' horizon est Rome, et de son regard, le « personnage semble dominer l’éspace. Mr. de Block n'a exagéré « pourtant ni la pose, ni l’expression de son modèle dont l'attitude, «pour être ferme, n’est théâtrale. Une fois admis le principe « qui c’était en soldat que Garibaldi devait être peint, il n’était « plus possible de ne point mettre sa physionomie en rapport avec « son costume ; il fallait lui donner ce que l’on appelle l’air mili-« taire : le front haut, la pose altière. 11 n'y a rien de plus dans la « pose du guerrier. Offrant plus de ressources à l’élément pittore-« sque, il y a lieu de croire que le portrait obtiendra, chez certaines « personnes, la préférence sur celui de Mazzini, tandis que au point « de vue de l’art, c’est celui-ci qui m’a semblé l’emporter. Mais com-« me l’artiste le faisait justement observer, il faut tenir compte de « la différence de temperement des deux hommes qu’il était chargé « de peindre. Cette différence, il l’a fort bien exprimée dans ses « portraits qui démontrent, à l'èvidence, que Mazzini doit être un modèle beaucoup plus complaisant que Garibaldi». Qualche mese dopo, il 13 settembre, si apriva a Gand l’esposizione triennale che riuscì altamente interessante. La stampa se ne occupò ed i due ritratti di Mazzini e di Garibaldi attirarono la,speciale attenzione dei giornali, che prendendo a pretesto l’arte fecero, neiresaminarli, sopratutto della politica. Abbiamo esaminato con particolare cura i periodici dell'epoca ed abbiamo scelto fra essi i giornali più autorevoli, rappresentanti correnti politiche diverse, per mettere in evidenza i sentimenti che i due nostri grandi svegliarono nel Belgio. h'Eclio du Parlement di Bruxelles, giornale di tendenza liberale si occupò nel N.° 259 del 15 settembre dei due « portraits « positivement historiques bien que faits tout deux d’après des mo-« dèles très vivants par Mr. de Block ». L’uno — proseguiva — è Garibaldi, in camicia rossa «arrêté au milieu de la campagne ro-« inaine, debout, la main sur son sabre, avec le dôme du Λ atican «derrière lui; l’autre est Mazzini accoudé sur ses livres et rêvant, « dans le silence du cabinet à quelque nouvelle conspiration bonne « à mettre le feu à l’Italie en passant par le reste d’Europe. Les at-« trouppement ne quittent pas ces deux portraits-là. De fait il sont « superbes et nous y reviendrons. Mais la sensation serait bien plus « vive, si l’on pouvait lire les inscriptions qui se trouvent dans un « coin des deux toiles, et qui sont de la main des deux modèles « eux mêmes ; malheureusement elles s’aliget un peu haut et se «laissent malaisément déchiffrer. Celle de Mazzini n’a que deux li· « gués inoffensives; les voici traduites de l’italien : « Remerciements o / «à l’artiste; souvenir pour ceux qui m'aiment. Mazzini)). Suit la « dade : Londres 2Ί août 1867. Mais l’inscription garibaldienne, écrite Due ignorati ritratti di Mazzini e di Garibaldi nel Belgio 317 « tout au long en français, et de la plus belle écriture du héros, est « conçue en ces termes menaçants, que nous reproduisons textuelle <( ment : ((Sans prêtres} la fraternité des peuples sera possible; avec « les prêtres} la fraternité des peuples sera possible ; avec les prê-« les prêtres jamais. Garibaldi. Caprera 25 mars 186S ». Successiva mente, in un altro articolo del G ottobre, X°. 277 lo stesso giornale, parlando di alcuni quadri di quella stessa esposizione, esprimeva qualche riserva riguardo al colore dei due ritratti, ma ne metteva in rilievo l’alta significazione. « Qu’ importe — scriveva — « que la tête de Mazzini soit d’un jaune un peu gras, qui « sent trop la cuisine à l’huile, ou que la casaque de Garibaldi ren-« voie à ses mains des reflets rougeâtres d’un vilain ton? Le fait « est que vous voyez marcher, que vous entendez marcher, que vous <( entendez parler Garibaldi, et que vous suivez la sombre pensée de « Mazzmi sur son front d’airain. Cette dernière figure surtout est <( frappante. Le front dépouillé, les cheveaux plats et collés sur les « tempes, les paupières en bourse, et les joues flétries attestent <( Γaffaissement physique d’une vie qui s’étiole entre les quatre murs « d'un cabinet qui s’use dans un travail sans trêve. Mais en même « temps l’indomptable fermeté des plans et des contours dit celle de « la volonté, et la profondeur du regard laisse entrevoir les abîmes « de cette terrible intelligence. Qui a vu ce type ne l’oubliera pas; «c'est fort beau». Un altro giornale della capitale L'Echo de Bruxelles si occupò largamente dell’esposizione di Gami in una serie d'articoli e nel N°. 261 del 17 settembre e N°. 280 del 6 ottobre riferì testualmente 1 due citati articoli dell7Echo du Parlement, redatti, per ambedue i giornali, da Jean Rousseau. Le Précurseur d’Anvers, che pure largamente si trattenne intorno alla stessa esposizione, nel X°. 294 del 20 ottobre, accennò ai ritratti di Mazzini e di Garibaldi, ma si limitò però ad 1111 breve e sereno esame di essi dal lato puramente artistico. Il critico rilevò la superiorità straordinaria del ritratto di Mazzini su quello di Garibaldi e trovò che « la tête de Mazzini est admirable d'expres-«sion, la pensée se devine sous ce crâne austère et l’attitude est . pleine de naturel et. de dignité. Le dessin est correct, le modèle est « grandemente conçu ; la figure entière est traitée avec noblesse. « On ne trouve pas cette noblesse de facture dans le portrait de Ga-« ribaldi; c’est encore «le la bonne peinture, niais le mouvement n’est «pas beau, le crâne n’a pas ces proportions et fait l'effet d'être « proli lé d’une manière petite et timide». Questo giudizio era confermalo da un’autorevole pubblicazione: Le salon de Gand in un articolo che riferiamo, tradotto dalla lingua fiamminga, nella 318 Mario Battistini quale fu redatto (Μ. «I due ritratti che attirano F attenzione del « pubblico sono quelli di Mazzini e di Garibaldi, gli eroi della rivo-« luzione italiana. Le circostanze che spinsero il de Block ad eter-« nare col pennello i tratti dei due personaggi sono troppo noti <» perchè dobbiamo ripeterle. Le due opere seducono lo spettatore a (i primo colpo d’occhio. Dei due ritratti noi preferiamo quello di « Mazzini. Dalla conformazione della testa si vede che quest'uomo « deve possedere un'anima d'acciaio. Il pensatore, il lavoratore, la « pazienza perseverante ed il coraggio infaticabile, tutto ciò è scoi « pito sulla sua tisionomia. Ci viene assicurato che sono i due primi «ritratti di de Blok, che ha assolto con onore la sua impresa; ma « giudicando dal lato severo dell'arte questi ritratti sono critica-« bili. Quello di Mazzini è letteralmente immerso in toni caldi ed « armoniosi, Ja testa modellata magistralmente ha però una certa « inclinazione e vista a distanza sembra staccarsi in avanti del corpo. « E' forse mi difetto di disegno od è il tono scuro del fazzoletto «che fa Tsembrare mal collocata la testa? Garibaldi l'abbiamo detto, « ci piace meno. Non che il ritratto non possegga qualità brillanti. « Fsso è dipinto da un pennello sicuro ; la forza, la concezione, il « disegno sono anche qui irreprensibili, ma tutto il resto è certa-« mente più debole. Un Tiziano o un Van Dyek avrebbero dato un « altro movimento a questa camicia rossa, dipinta qui in una ma· « niera fredda e meschina attorno al corpo, mentre la testa è avvolta « in un’atmosfera opaca e Garibaldi si trova come affondato nel « suolo. Se potessimo dare un consiglio a de Block noi faremmo spa-« l ire questo errore ed allora il ritratto di Garibaldi sarebbe all al-« tezza di quello di Mazzini». Non abbiamo voluto arrestarci nelle nostre ricerche sull argomento e Tesarne dei giornali belgi dell’epoca non è stato privo d interesse. Se molti quotidiani, quali La Patrie de Bruges, L Indépendance di Bruxelles, L'Escaut d’Anvers, L'Emancipation, Le Journal de Bruges, Le Précurseur d’Anvers, Le Journal de Bruxelles, non si occuparono molto dell’esposizione e meno ancora-dei due ritratti, qualcuno di essi non trascurò di raccogliere le parole con le quali il critico de U Echo du Parlement aveva chiuso il citato articolo. Egli aveva infatti scritto: « On se demande com-« ment la critique carthoLìque pourra trouver le moindre talent dans «une peinture ainsi apostillée». Le Xouvellisté de Gand, organo del partito cattolico, aveva già nel X°. 2Ô8 del 14 settembre, dedicato ai due ritratti un articolo breve, ma denso di disprezzo : « Les portraits historiques des «tribuns Mazzini et Garibaldi — scriveva — faits d après nature, « à Londres et à Caprera par Eug. de Blok, excitent vivement la « curiosité des visiteurs. Chacun tient à faire connaissance avec ces (1) Abbiamo esaminato: Le journal de Bruxelles, Le journal de Bruges, L Indépendance belge, Le Précurseur d'Anvers. Due ignorati ritratti di Mazzini e di Garibaldi nel Bflgio 319 «célèbres révolutionnaires. (Quelle sinistre ligure, boti dieu, que rei le «de Mazzini! Est-ce celle-là que Boniface était ρινί suivn*, pied.v « nus jusq’au but du monde? 11 n’y aurait vraiment pas de quoi! «Ses pérégrinations aux trousses de ce syeopliante, que lui entrili «elles rapporté? Il vit dans l'ombre comme le hibou, enieme de «satellites dont il arme le bras contre le rois. Le pauvre vieux se « désole de ne plus trouver personne qui veuille le seconder dans sa « mission providentielle, et l’Italie, pour raflranenisseaieni de la «quelle il n'a jamais payé de sa personne, va de mal en pis. La «fourberie, l’astuce et la cruauté sont peintes sur le visage de ce « prétendu libérateur, et Marat se fut trouvé un ange a côte d* lui. «Garibaldi du moins, exprime la franchise et la loyauté du soldat. «On ne peut le ranger parmi les bandits et les assassins. L'artiste «a eu tort de l’accoupler à un être aussi méprisable et aussi re «poussant que Mazzini, qu’ il a renié plus d'une fois. < V< i soit «dit sant vouloir porter la moindre atteinte autalent de \!r. «de Block, dont les oeuvres occupent une place distinguée au Sa «Ion». L'articolo, die non è firmato e che è piuttosto un docu mento di cattiveria e di mala fede, fu integralmente riferito ne1 X". 36(5 del 22 settembre, dal giornale Les Wouvelfe> du Joui pure di Gand, ma spettava a Le bien publie «iella stessa ritta, portavoce della più retriva ala del partito cattolico, l onore di versare i più atroci insulti ed il piò fine veleno contro ι due grandi campioni e d’infierire ancora una volta contro l Italia. « Il nous «reste — scriveva il critico libellista — pour finir ce feuilleton, «à parier de deux toiles, fort vantées par la presse libérale et <|iii «constituent un des succès de l'Exposition. Elles représentent deux «héros de la révolution, deux grands scélérats. Mazzini, rinl’atiga «ble conspirateur et le pourvoyeur de l’assassinat politique, et mais qui lui aussi ne manque pas d'expression et de caractère. < Le chef « des chemises rouges » est représenté dans son costume - traditionnel, et portant à la ceinture un grand sabre de cavalerie. Dans le lointain, on distingue les contours de S. Pierre de Rome et du "Vatican. La, tête d'cèle un sentiment de fierté énèrgi- < que et hautaine, mais qui confine à la vantardise. Nous doutons que le portrait soit ressemblant. Le peintre a très probablement < flatté son modèle. Ce qui nous confirme dans cette opinion c’est une légende relative à ce portrait, compì aisament racontée par c la presse libérale. Voici l’histoire en peu de mots : Muni de sa « patente de peintre ordinaire de la Libre pensée, Mr. de Blok « débarque, il y a quelques mois, à Caprera. Il exhibe ses papiers, « on le reçoiti en frère. Garibaldi le fait, asseoir à sa tablé, il man-« gent eusemble la côtelette de l’amitié, ils trinquet «à la fraternité ( des peuples ». Cependant l'artiste était profondément de us. Il espé-« rait contempler le « Conillant Achille» et avoir à peindre une ma-«gni tique d'expression, un oeil plein d'éclairs, etc, etc. Qu’aper-« yoit-ii?. Un homme assez vulgaire, coiffé d’un bonnet grec, <( un officier en retraite qui a laissé croître sa barbe ». Bref le lion « au repos ressemblait singulièrement à un caniche et se prêtait ( très médiocrement à la peinture historique. Que faire? ...Garibaldi * prend sa grosse canne, endosse une capote blanche et propose à c son hôte une promenade sur les rivages fortunés de cette île où «l’on ne rencontre ni gendarmes, ni prêtres, ni soldats. Le peinte tre accepte et, chemin faisant, se permet, comme 011 dit vulgaire-« ment «d'asticoter» un peu son illustre modèle». Général, lui a dis-je pas ne vous serait-il pas possible de donner à votre physiono- 1 mie un expression martiale? ». Pein inutile! l’expression martiale ne « vient pas. Mr. de Block alors s’avise de parler au « général » de ses campagnes. « L'officier en retraite» demeure impassible. En « désespoir de cause, notre malheureux portraitiste prononce enfin «le nom de Pie IX et celui de Rome. Le bouton était trouvé! le < ressort joue!... Le caniche est transfiguré, non pas en lion précise sèment, mais du moins en bète féroce: il rugit. «Oli!!! s'écrie «Garibaldi avec feu; 1111 éclair jaillit de ses yeux, ses traits prirent «une expression menaçante et terrible. Ebloui, je saisis mes pin-sceaux: Restez comme cela m'écriai-je! Mais le généra) avait re· «pris sa physionomie calme. Il se mit à rire en me tapant sur « l’paule et plus jamais, quels que fussent les pièges que j’essayai « de lui tendre, je 11e revis plus l’homme qui devait conduire ses «chemises rouges à la liberté ou à la mort». Lo scrittore, dopo aver riferito il breve passaggio, al quale con evidente malizia ha dato una significazione a proprio uso, riprende: « Ce,11’est donc plus «un portrait tout à fait historique que nous donne Mr. de Block, «et ce renseignement est précieux à recueillir pour «les sculpteurs « qui s’inspireront de ce modèle, lorsqu'on élèvera des statues Due ignorati ritratti di Mazzini e di Garibaldi nel Belgio 321 «aux martyrs (?) de la liberté». «Cette critique étant achevée au « point de vue de l’art, on nous permettra bien de nous occuper « quelque peu de la signification morale et politique de ces portraits « du chef et du condottiere de la révolution italienne. Le journaux « libres-penseurs donnent les proportions d'une manifestation libé-« raie à cette exhibition, qui est tout bonnement un scandale. Ils « signalent à leurs lecteurs les autographes mis par Mazzini et par « Garibaldi au coin des portraits. Le conspirateur de Londres a été «banal: Gratitude àt Γartiste, souvenir pour ceux qui m’aiment. « Londres} 25 août 1867. Mazzini. Le général de M ont retondo s, « comme disaient les zouaves français, a été d’une stupidité féroce. « Voici son isncription: a Sans prêtres la' fraternité des peuples « sera possibile, avec les prêtres jamais! Caprera-, 25 1688. Giu-« seppe Car Umidi y). « Et voilà Jes deux scélérats à qui le libéralisme voudrait dé-« cerner les honneurs d’une précoce apothéose ! Quant à nous il est « pénible de voir des artistes employer leur talent à de pareilles «oeuvres! C’est la dégradation de l’art, parce que c'est l’art mis « au service du mal. On serait froissé de voir exposer au Salon une « suite de portraits d’échappés du bagne ; nous le sommes davan-« tage encore d’ y rencontrer l’image de Mazzini, condamné d'ail-« leurs en pleine Cour d’Assises pour assasinat, et celle de Gari-« baldi, le digne pendant de ce soudoyeur du régicide!... De telles « exhibitions sont contraires à la dignité d’une société civilisée et « dangereuses pour la moralité publique. Dans quelques jours les «< salles de Fexibiton seront ouvertes au peuple. Pensez-vous qu’ il « ressente une bonne impression en y voyant figurer, à l'une des « plus marquantes, et plus en vue que le portrait de S. S. Pie IX «et que celui de S. M. le Roi, l'image de deux célèbres malfaiteurs? «P. S. - On prétend que Mr. de Blok songe à compléter son « Panthéon du crime et à s’adresser à Mr. le directeur de la maison « de force, pour obtenir la permission de reproduire les traits du «citoyen Van Bysselberghe, condammé, il va- quelques mois, à la «peine de mort* du chef d’un triple assassinat commis en notre « ville ». L’ignobile articolo, nel quale brillano della stessa luce la volgarità e la malafede, è un documento degno della maggiore attenzione : esso rispondeva, e forse risponde anche oggi, alla mentalità di una non esigua schiera di conservatori papisti per la quale 1 odio contro l’Italia anelante al suo completo affrancamento, non aveva limiti. Le indagini da noi compiute non ci hanno condotto a fissare se l’indegno scritto fosse riprodotto da altri giornali, ma non ci risulta nemmeno che fosse, da chi ne aveva il dovere, contiobattuto. L’anno successivo 1869 si tenne a Bruxelles l’esposizione generale delle belle arti ed in essa figurarono di nuovo, fra i molti lavori che erano stati esposti a Gand, anche i due ritratti, ma ben 322 Mario Battistini pochi giornali fecero menzione di essi O). Sembra quasi un’oscura congiura del silenzio, più ancora sintomatica, perchè la nuova esposizione offriva facile occasione ai giornali liberali e democratici di dare una piccola lezione agli scrittori degli articoli citati. 1< u il timore di entrare in polemica coi giornali cattolici ? Non mi sembra opportuno rispondere ora alla questione. Ricorderò però che « L E-toile belge » nel N°. 220 dell’8 agosto 18G9, facendo cenno ad altri due quadri esposti dal de Block, uno acquistato e l’altro comandato dal museo moderno di Bruxelles, coglieva l’occasione per rieoi< aie i ritratti di Mazzini e di Garibaldi, scrivendo: « Quel tout autre « accent dans ses portraits de Garibaldi et de Mazzini, d autant « plus hors de pair que le maître n’a pas la spécialité des portraits ». l/Eco du Parlement e L'Echo de limi,velles, giornali ambedue liberali, che abbiamo ricordato a proposito dei loio giudizi in occasione dell’esposizione di Gand, scrissero ancoia una volta intorno ai due ritratti, ripetendo,, in brevi parole, le lodi ed i giudizi espressi Fanno precedente (2). Le Peuple belge, giornale della democrazia più avanzata e che in seguito, modificato leggermente nel titolo, divenne l’organo dell’internazionale socialista, si occupò dei due ritratti nel N». 225-22G del 16-17 agosto. L’articolo è privo d'ogni considerazione politica, ma pure voglio riferirlo integralmente come contributo ad un eventuale studio dei rapporti fra la democrazia belga ed italiana: «Pourquoi est-il si rare et si diffi-«cile de voir un bon portrait? 11 semble que n’ayant qu une figure a. «peindre et pouvant de par la loi de l’usage, faire poseï son mo « dèle aussi souvent et aussi longtemps qu’il veut, l’artiste doive « réussir dans ce genre de peinture avec la plus grande facilite ». Non essendo questa una ragione sufficente per raggiungere la perfezione, perchè allora l’arte del ritrattista sarebbe facile, il critico aggiunge che « les portraits de Mazzini et de Garibaldi par Mr. de « Blok sont des plus remarquables. Ils ont été analisés et loues par « la presse lors du Salon de Gand en 18G-S. La place qu ils occupent «à Bruxelles nuit à leur effet; ils sont exposée à une lumiere frisée « et blanche qui leur ôte de leur belle couleur. Il convient d en faire «l’observation dans le double intérêt de l’artiste et de son oeuvre». (Orne si vede in fatto di prudenza politica non si sarebbe potuto domandare di più! Per l’organo della democrazia di simstra come amava chiamarsi, i quadri di Mazzini e di Garibaldi, spec aln en e dopo gli articoli de Le bien, public e de Le nouvelle e de banu dell’anno precedente, non meritavano maggioie attenzione ci un. pittura ordinaria ! , . Anche Le .Journal des beaux arts (1809 pag. 1-5) clic m _< < però assai dilungato sui due ritratti nel 1S68, confermò il pruno giudizio in un breve periodo, sempre caldo di ammirazione: «Nous “Vu I" nel N. 231 del 10 agosto, il II.o nel X. 232 del 20 agosto. I due articoli sono identici, ma non iurono redatti da .1. Rousseau, ammalato. Due ignorati ritratti di Mazzini e di Garibaldi nel Belgio 323 « sommes étendu sur les portraits de Garibaldi et de Mazzini par « de Block lors du Salon de Gand. Ceux deux belles oeuvres con- ii servent tout leur mérite dans le nouveau milieu où elles sont « placées ». Infine la Chronique belge des arts et de la curiosité del 20 agosto 1869 N°. 23, occupandosi del Salon de Bruxelles, accennò brevemente ai due quadri, ma il critico si limitò ad affermare, non dice su quali prove, che i due ritratti gli sembravano somiglianti all’ originale. I due ritratti furono oltre che nel Belgio, esposti al pubblico anche in Inghilterra come aveva annunziato le lournal des beaux art? Le ricerche die ho potuto compiere a questo riguardo non mi hanno dato un resultato positivo, ma sembra che qualche giornale inglese dell’epoca· facesse cenno delle opere del de Block. Maggiore interesse rappresentava per me la ricerca dei quadri in questione ed a questo mi applicai con intenso ardore, essendo essi di grande importanza per la storia del nostro risorgimento. I miei sforzi furono alfine coronati di successo e devo sovratutti ringraziare l’egregio amico, il Dr. Denucé, il dotto archivista della ville d’Anvers, se sono giunto a rintracciare ed a vedere i due magnifici ritratti, che si conservano nella sede de la Maison des Cooperatemi d’Anvers. Essi sono esposti al secondo piano della grande ala del caffè restaurant, ma dubito che i due ritratti abbiano qualche volta attirato l’attenzióne dei numerosi ed ignari frequentatori. II desiderio di conoscere in qual modo questi ritratti siano giunti là mi ha spinto ad interrogare gli egregi dirigenti della florida organizzazione, ai quali devo rendere pubbliche e vive grazie per F autorizzazione prontamente accordatami di far fotografale e di riprodurre i due preziosi documenti; ma nè quelli, nè il tiglio superstite del pittore, il principe Eduard Albert de Block, hanno potuto fornirmi sicure indicazioni. Sembra che i due quadri abbiano decorato per molti anni la sala delle adunanze della società del Libero pensiero, dalla quale passarono in proprietà della Maison des Cooperateurs. Il principe de Block, dal quale ho avuto la più amicale accoglienza, mi ha informato che le due opere, rimaste sempre in proprietà del defunto suo padre, furono donate, perchè non andassero disperse, alla suddetta società affinchè 1 imagine dei due «tribuni», com'egli si compiace chiamare Mazzini e Gaiibaldi, li-manesse in mezzo al popolo. I due quadri, ottimamente conservati, hanno subito, certamente per opera dello stesso pittore, alcune modificazioni che meritano di essere rilevate. Infatti il ritratto di Garibaldi ha subito oltre alcune correzioni, specialmente nella fattura e nel colore della camicia rossa, due modificazioni importanti. La cupola della chiesa di S. Pietro che appariva nello sfondo e che aveva contribuito a far gridare alto le oche dei giornali -ultra papalini del Belgio, è 324 Mario Battistini scomparsa e pure è scomparsa riscrizione che Garibaldi aveva apposta sulla tela, iscrizione che aveva tanto eccitato la rabbia clericale. Il quadro di Mazzini non sembra avere subito nè modificazioni, nè correzioni, ma non vi si legge più la semplice iscrizione che l'agitatore genovese vi aveva tracciato ed in suo luogo si legge la seguente nota: «Peint d'après nature à Londres en août 18G7» seguita dalla firma dell'artista. Volle o credette questi di calmare gli accaniti detrattori dei due nostri maggiori uomini del risorgimento o volle punire la inerzia dei democratici belgi nel difenderli? L'indagine mi sembra impossibile. Basta che il nome di Eugenio de Block sia ricordato agli italiani ed annoverato fra i veri e disinteressati amici che l’Italia aveva in quel tempo nel Belgio. A lui vada il nostro reverente saluto per averci tramandato l’imagine dei due grandi che tanto contribuirono ed operarono per il nostro riscatto. Mario Battistini I PRIMORDI DELLA MUSICA LIGURE La tradizione musicale ligure, piaccia o non piaccia a chi la nega, risale semplicemente alla preistoria. Bono leggende, verissimo, ma anzitutto non potrebbero essere altro, e poi se le leggende si sono formate, divennero popolari, si son diffuse e conservate a lungi», suggerendo immagini a poeti massimi quali Ovidio, Virgilio, Car ducei, qualche base storica l’hanno, qualche pregio posseggono, qualche simbolo esprimono, qualche indizio rivelano. Carducci nell'Ode «Alla Città di Ferrara», dopo aver descritta la caduta di Fetonte, traducendo quasi letteralmente Virgiglio, soggiunge: « Ov'è che a lutto del fanciullo amate lai lunghi il Be dei Liguri levando tra le populee meste fronde e Vombra de le sorelle, Vecchiezza indusse di canute piume e} abbandonata la dogliosa terra, segai le belle sorridenti in cielo stelle col canto? Ora, se è vero che il mito di Fetonte preannuncia l’eccellenza poetica ed artistica d’Italia è altrettanto vero che i primi ad offrire un qualche elemento per una simile interpretazione del mito furono i Liguri, che abitarono tutta l’Italia compreso il Lazio, dove è sorta poi la Maestra del Mondo; compresa la Sicilia, le altre isole, e qualche territorio fuori d’Italia divenuto musicalmente famoso. Si dice che, quando dall’Alpi e dal mare vennero altre genti, 1 Liguri si ridussero in quel lembo di litorale tirreno che va, grossomodo, da Marsiglia a Sarzana, ma io credo che i Liguri rimasero dove erano, si fusero e si confusero coi sopraggiunti, ai quali insegnarono molte cose, spingendoli ad un rapido progresso e contribuendo validamente alla formazione del carattere italiano, che trova appunto la sua base nell'indole industre e severa dei primi abitatori. 1 Liguri del litorale tirreno, non furono disturbati da altre 326 Mario Pedemonte genti, forse per l’asprezza del paese, elie nello stesso tempo non invitava l’invasione e favoriva la difesa, e si conservarono rudi e agresti, come li definì Cicerone. Ma gii appellativi di Cicerone e tutti gli altri appellativi, affibiati ai Liguri prima e dopo Cicerone, i quali appellativi si potrebbero anche dire altrettanti riconoscimenti di tenacia e di fierezza, non escludono l’attività musicale, anzi la confermarono. Alcune leggende, che ci ricordano la magica efficacia di certe melodie strumentali liguri antichissime, ci fanno pensare che Lucrezio abbia sentito appunto nella· selvosa e pastorale Liguria i nostalgici canti e le dolci querele di cui disse. « Avia per nemora ac silvas saltus'que reperta per loca pasiorurn deserta atque otia dia) ». Indubbiamente prima di diventare audacissimi marinai i Liguri di Liguria furono solleciti pastori. Solo più tardi, utilizzando i divini ozii pastorali, in Liguria non sempre placidi e sicuri, i Genoati, che Diodoro Siculo chiamerà poi: «uomini del mare», cominciarono a spinger nel mar gli abeti, di cui eran folti i loro monti, e, formandosi abilissimi maestri d’ascia, si prepararono alle navigazioni ardite. Sebbene nessuna tradizione ci dica se su le loro poppe col fior del loro sangue i liguri abbian visto ascendere -un qualche Orfeo, noi possiamo egualmente ammettere, che l’antico canto montano e pastorale, già sollievo e conforto alle dure fatiche terrestri, sia stato ancora incitamento fortissimo alle audacie nuove. Quello che Orazio, con fine ironia, definì : « horridus numerus et grave virus » e che Tito Livio disse: « nunc abhorrens et inconditum », in Liguria non fu eliminato, o almeno corretto dalle « munditiae » greche, sebbene i Liguri, già da lungo tempo avessero >un attivissimo commercio coi Greci ; ed in Liguria non solo Orazio, ma ancor noi possiamo affermare: « hodieque manent vestigia ruris ». Ancor oggi in Liguria sopravvivono le vestigia dell’antica vita campestre, ed i Liguri, anche sperduti nelle più lontane regioni, conservarono e conservano le caratteristiche morali della loro stirpe antichissima. Di questo carattere eminentemente conservatore dei Liguri antichi ed attuali c’è testimonianza efficace una vecchia canzone : «E tanti sun i zeneixi e pe’ u mundu si desteixi, che unde van e i stan, n’atra Zena ghe fan». Ma se i Liguri marinai han continuato a cantare come i Liguri pastori, il cadenzato martellar dei magli nei sonori cantieri apprese ad essi l’osservanza precisa di un « numerum genus, » che del loro canto, snelle adorno di improvvise ed esuberanti fioriture, fu ed è caratteristica fondamentale. Questa mia affermazione trova la sua conferma nella prima notizia veramente storica riguardante la musica ligure. Nessuno finora I Primordi della Musica Ligure 327 lux osato dire clie al canto dei primi cristiani i Liguri hanno portato 'Uii qualche contributo, e tanto meno che un tale contributo fu pii! sigili li cat ivo di quello portato da greci ed ehi ci. Il mancato riconoscimento è dovuto ad alcune circostanze, che si ripetono e si rinnovano spesso nella storia musicale ligure ed anche italiana, ma sopratutto al non ancora raggiunto accordo degli storici per stabilire come, quando e da chi è stata evangelizzata la Liguria. Noi sappiamo però con certezza che S. Ilario di Poitiers, reduce dall’esilio, cominciò a comporre i suoi inni ritmici in Liguria ed in Liguria ne sperimentò l’efficacia miracolosa, che ha fatto esclamare a Venanzio Fortunato : « O Hilarii, dulce medicamentum et meritum, ante quem sine mora venena fugata sunt ». Da questo, fatto storico sboccia spontanea una deduzione importante: Se proprio non vogliamo ammettere che il preciso senso ritmico dei Liguri ha suggerito a S. Ilario rinnovazione poetico-mu-sicale, dobbiamo ad ogni modo riconoscere che l’animo,la mente, il gusto dei Liguri erano sufficentemente educati per sentire, per capire, per subire la seduzione di quest’arte nuova. E siccome l’allegoria dei serpenti dell’isola Gallinaria ha dato indubbiamente lo spunto ad allegorie similari, riferentisi tutte a successivi episodi della immane lotta contro gli ariani, tra le quali allegorie è per noi interessantissima quella del basilisco, è logico riconoscere che S. Siro, genovese e vescovo di Genova, fu degno emulo di S. Ilario anche come musico e poeta. Ma prima che S. Siro fosse creato vescovo ed operasse il miracolo famoso, fu a Genova S. Ambrogio, che alcuni storici riconoscono come istitutore della cattedra vescovile genovese. E poiché S. Ambrogio è l’eroe eponimo di tutta l’attività musicale cristiana del secolo IV0, noi possiamo concludere che tale attività ferveva intensa anche in Genova e Liguria. Si potrebbe soggiungere che il canto dei genovesi ha suscitato in S. Ambrogio lo zelo e l’entusiasmo dimostrato di poi nel riorganizzare il canto liturgico nella sua diocesi, ma non si può negare un fervore musicale in Genova al tempo di S. Ambrogio e che tale fervore si è venuto sempre più intensificando nei secoli immediatamente successivi. Appena S. Benedetto di Norcia ebbe costituita la sua famiglia, molti genovesi e liguri sollecitarono d’esservi ammessi e Genova e Liguria divennero centro importantissimo di attività benedettina. Siccome i benedettini furono tutti e sempre zelanti ed intelligenti apostoli del canto liturgico, è naturale ammettere, che i benedettini genovesi, come i loro compagni d’altre regioni, abbian cantato e latto cantare, e che in Genova tutte le solennità cittadine abbian avuta degna e ricca corona di inni e di lodi, come del resto ricorda l’anonimo autore della leggenda di S. Romolo, che. nel descrivere la traslazione delle sacre reliquie, dice. «Cum himnis 328 Mario Pedemonte et laudibus, prosperis navigantes velis, in J anu ens em urbem cuncti laetantes revertuntur ». Che contemporaneamente al canto liturgico sia fiorito in Genova il canto profano sembrerebbe la cosa più naturale del mondor ma, siccome non si son trovati ancora documenti probativi, gli storici non osano affermarlo. E vero che, appena sbocciata, la gai<\ scienza trova in Genova e Liguria un'eletta schiera di cultori, fabbri di rime armoniose e forti, ma non di melodie, almeno così afferma il comm. Carlo Mario Brunetti, recentissimo storico dell’arte dei cavalieri genovesi. Tuttavia il comm. Brunetti, pur negando una specifica attività musicale ai trovatori liguri, dice ad essi la lode più alta e cui possa aspirare un poeta, poiché li dimostra diversissimi dai trovatori d’oltr’alpe, quindi non imitatori, ma originali , e li riconosce schietti, sinceri, poderosi, efficaci, maschi. E allora non si può negare ai trovatori liguri una musicalità reale, se anche non apparente, perchè i filosofi ci insegnano che la musica non è opera ergon, ma opere energeia. Non è il caso di indugiare alquanto per discutere intorno al vero significato di quel «recitando» usato da Mario Eq-uicola nella lode ai trovatori genovesi. Vedremo più innanzi le espressioni di Baldassar Castiglione a proposito di recitar cantando, arte probabilmente nata a Genova come sviluppo della precedente « dizione » dei trovatori liguri. Non risalgo al « dicere carmen » dei poeti latini, nè insisto sul carattere eminentemente conservatore dei liguri, ma non nego che il richiamo è seducentissimo. Ad ogni modo che i trovatoli liguri in qualche caso abbian cantato o fatto cantare le loro poesie valendosi di cantilene altrui, invece che costruirne di proprie, è circostanza secondaria. Anzitutto non è caratteristica particolare dei soli trovatori liguri, e poi, quello che realmente interessa, si è che essi o altri abbiano detto o recitato ed anche cantato le loro poesie, e che tali poesie, per merito della dizione o recitazione efficace abbiano acquistata maggior ampiezza d’espressione e più intensa forza commotiva. Del resto l’utilizzazione di melodie forestiere non significa man-canza di musicalità, anzi lascia adito ad un ampio e fecondo dibattito intorno all’adattamento ligure delle melodie provenzali, dato che quelle melodie famose siano provenzali autentiche, qualifica che tutti ripetono, ma che nessuno si è preoccupato di dimostrare. Come si è negata ai trovatori liguri l’attività musicale creativa, così la si vorrebbe negare anche al popolo nostro, il quale si sarebbe limitato a piegare in atteggiamenti canori regionali cantilene e spunti melodici forestieri, anche quando la voce rinnovatrice di S. Francesco destò in Liguria echi armoniosi di fervide lodi al Creatore ed alle Creature, e sopratutto a Colei, alla quale,, forse traendo ispirazione dagli umili ed anonimi laudesi liguri, su- ι Primordi della Musica Ligure 329 pei stili e perduti, gli architetti cantarono le meravigliose lodi, < manzi alle quali anche gli increduli rimasero e rimangono pensosi. Di queste lodi architettoniche Carducci ha riprodotta da par suo Pespressione semplice, confidente e grandiosa in pochi versi : Isieì (lotici — delubri} tra candide e nere cuspidi rapide salienti — con doppia al cielo fila marmorea sta sull'estremo pinnaeoi placida — la dolce fanciulla di desse tutta avvolta di faville d'oro — Appunto nelle laudi genovesi la dolce fanciulla di Jesse sta sull estremo pinnaeoi placida, cioè simbolo di pace e d’amore, mentre dentro e fuori della città insiste la lotta aspra ed appassionata. Ma anche questa lotta, questo contrasto di passione è nello stesso tempo musica e sorgente di musicalità, che il popolo esprime in canti densi di fervore, se anche modulati su jnelopee antiche. Insomma Genova nel 12° e 33° secolo mi si rivela tutta canora. L’aristocrazia accoglie, ascolta, applaude i suoi trovieri, che narrano d’amore, ma non con svenevole, languida e stereotipa cantilena, e parian virilmente di patria e di fede ; il popolo si commuove alla voce dei suoi laudesi, che celebrano le glorie di Maria; si infiamma nel ripetere significativi canti di esaltazione per gli amici, di esecrazione per i nemici di patria e di parte; si consola ritmando canzoni amorose, non sempre ingenue e castigo to. ma lori emente incise ed incisive; tutti, nobili e plebei, si accodano in lunghe processioni e dialogar salmi, ad intonar inni e litanie ; si compiacciano nell’ammirare un solista famoso marnar .fioriture inesauribili nel dire lezioni, nel proporre antifone; si interessano della scuola corale, a cui vescovi e sacerdoti dedicano cure assidue e generose. Nel 12° secolo i Genovesi han costrutto il loro bol S. Lorenzo ed in essa Chiesa hanno subito istituita -una Schola Cantorum ed una Cantoria non indegna dell’altissimo scopo. Ugo Della Volta, arcivescovo di Genova circa il 1170, con severe ordinanze elimina abusi e sconfinamenti, constatati nelle varie cantorie della città, riorganizza la classe dei « Pu eri Symphoniaci» della Cattedrale, provvede al decoro delle esecuzioni corali. Il suo esempio è seguito dai successori e Jacopo da Varazze, eletto vescovo nel 1292 trova la Cantoria del Duomo in piena efficienza appunto per questo insistente succedersi di saggi e vigili provvedimenti, ognuno dei quali segna* un progresso ed afferma una concorde volontà di far bene. A tanta sollecitudine di gerarchi corrisponde un affluire sempre maggiore di allievi, intelligenti e capaci, che diventano tauto numerosi da imporre lo sdoppiamento della Classe e relativa nomina di un secondo insegnante. Quando sia avvenuto questo sdop- 330 Mario Pedemonte piâmento non si sa con certezza, ma si può stabilire verso la metà del 13° secolo. E poicliò allo sdoppiamento della Scuola * seguito indubbiamente lo sdoppiamento del coro, Genova sarebbe stata la prima città del mondo, che ha organizzato nella sua cattedrale un doppio coro, non solo per il canto antifonico dei salmi, ma per avvicendare ed unire i due gruppi di cantori in una etti-cace esecuzione polifonica di inni e mottetti. Gli storici della musica per quei secoli ci parlano di «ars antiqua » e celebrano soltanto gli organisti di «Notre Dame», gli unici di cui si sa qualcosa. Ma noi sappiamo che il primo arsenale di Francia fu costrutto »a Rouen da 500 operai genoati diretti da Enrico Marchese, Ebertino Spinola, Lanfranco Tartaro ; e tutti possono constatare che esiste una strana e tutt’ora inspiegata somiglianza tra la cattedrale di Genova e quella di Rouen ; quindi non è troppo ardito supporre una qualche relazione tra la Cantoria genovese e quella di Notre Darne. Ma 1-eccellenza della Cappella di Notre Dame è tramontata presto, o almeno è stata soprafatta da elcellenze più splendide; la cantoria genovese lia continuato, modesta ed ignorata, il suo cammino ascensionale. Ed appunto perchè tale ascesa non trovasse impacci e non si attardasse in soste dannose, Percivalle Fieschi, can onico della cattedrale, segretario deir arcivescovo Jacopo da Va-razze, nei primi anni del 1300 legò alcuni suoi beni, perchè fosse assicurara l’assistenza di due maestri al doppio coro della cantoria. Sarebbe interessante conoscere i nomi e l’opera dei. maestri che si son succeduti nella direzione dei due cori, ma per ora non si sa dove pescarli e nemmeno è possibile stabilire se quel Fra Giovanni da Genova, unico rappresentante della musicalità genovese trecentesca nei famosi codici, che a noi tardi nipoti ricordano la bèlla fioritura dell’Ars Nova, sia stato maestro o almeno allievo nella Scuola della Cattedrale genovese. Questo nostro musicista, della cui vita nulla sappiamo, non rappresenta soltanto un’attività musicale profana. Io non conosco il testo della memoria letta dall’avv. Costantino Remondini alla Società di Storia Patria nella tornata del 1875, ma so che, nonostante tale lettura, la notorietà dell’antico maestro genovese è rimasta quella di prima. Tuttavia anche la sola produzione di Fra Giovanni ci permette di pensare che nel 1300 e nei secoli successivi è fiorita in Genova una vita musicale per nulla inferiore a quella di altre città musicalmente famosissime ; ma per essersi svolta nelle sontuose ville, in cui giardini parvero a Petrarca diinora celeste e non terrena, i veri campi elisi dei poeti; nei lussuosi palazzi delia città, che lo stesso Petrarca definì: un recinto sacro alia gioia ed alla bellezza, non ha lasciato tracce evidenti di se. Fu. arte eminentemente privata direi quasi famigliare, quindi spontanea, sincera, fresca, ma nello i Primordi della Musica Lioure 331 stesso tempo scliiva (li rinomanza esterna e di fama diffusa. I documenti relativi sono andati perduti 0 rimangono sepolti in archivi dove^ 11011 è ancora penetrato rocchio indagatore dello storico, dobbiamo quindi per ora accontentarci di ricamare su pochissimi indizi noti per costruire una qualche ipotesi intorno al molto ignoto. Nel 1434 il Doge Tommaso Fregoso richiese a Ferrara, allora centro artistico eminentissimo, alcuni musici per render più efficace il coro della Cappella Ducale. Questo fatto afferma tra l’altro il vivo interesse della famiglia Fregoso per la musica e ci dice che anche in Genova si apprezzava il decoro d’una buona esecuzione. Ma anche in altre famiglie patrizie genovesi l’amore e lo studio della musica è fervido. Solo ammettendo tale amore e tale studio si può spiegare il desiderio di allestire una grandiosa festa musicale e la possibilità di riuscirvi. Appunto nel 1455 fu allestita 111 Genova con pieno successo una festa musicale, veramente d’eccezzione per quel tempo, a cui presero parte 20 cantori e Ti strumentisti. Nè a Ferrara, nè a Urbino, nè a Mantova, nè a Firenze, nè a Napoli se ne radunami tanti per le famose feste ricordate dai cronisti con tanta pompa di dettagli, sopra tutto nei particolari musicalmente poco interessanti. Nel 1477 la famiglia Adorno chiama a Genova Franchino Gaffurio come maestro nella sua Cappella e nella sua Scuola e Lorenzo Fieschi, dopo aver continuata l’interrotta assistenza della sua Casa alla Scuola della Cattedrale, nel 1515 ingrandisce il lascito del suo avo Percivalle con una ricchissima donazione alla Cappella del Duomo. A render significativi gli indizi fin qui elencati concorre il Cortegiano di Baldassar Castiglione. Questo autore introduce a parlar di musica nel suo dialogo un genovese, Federico Fregoso. F poiché «Il Cortegiano» è una fedele rappresentazione della vita signorile di quel tempo; poiché l’autore, definito da Carlo Y° il cavaliere dei cavalieri, possedeva una perfetta conoscenza del mondo aristocratico italiano; poiché i personaggi introdotti a parlare in quel dialogo rappresentano quanto di più squisitamente intellettuale si distingueva allora ; la presenza di due genovesi in quell’accolta, ed il fatto che uno di essi è prescelto a parlar di musica ci permette di supporre una eccellenza musicale nel mondo aristocratico genovese. Certo Federico Fregoso ragiona di musica con vera competenza, e ci parla già all’inizio del ’500 dell’arte di recitar cantando, cioè di quella maniera di canto a solo, di cui le storie della musica ci narrano che fu inventato circa un secolo dopo dalla famosa camerata fiorentina. Ma la Camerata Fiorentina fu definita da un arguto storico nostro recente: Un’accolta di fervidi ingegni molto abili nel farsi la reclame; la qual defi- 332 Mario Pedemonte nizione mette molto bene in evidenza il perchè la musicalità genovese è completamente ignorata: i genovesi non sono reclamisti. Ad ogni modo leggendo il ragionamento di Federico Fregoso nel « Cortegiano » noi abbiamo l’impressione, che esso sia stato veramente trascritto come lo ha pensato ed espresso il genovese; il saggio consiglio con cui esso ragionamento conclude è veramente ed inconfondibilmente ligure: « Ma il condimento del tutto bisogna sia la discrezione». Siamo così giunti alle soglie del '500, il secolo d'oro della musica italiana, ed in questo rapidissimo volo attraverso la storia antica e medioevale abbiamo scorto una attività musicale in Liguria altrettanto fervida quanto sconosciuta, non parrà quindi eccessivamente fantastica la seguente affermazione.: La scintilla, che accese tanta e luminosissima fiamma di gloria musicale italiana, di cui splendon giustamente famosi i secoli decimosesto, decimo-settimo e decimottavo, è scaturita in Genova da un cuore genovese. Sul finir del '400, per ispirazione di Santa Caterina Fiesclii Adorno, Ettore Vernazza ha fondato in Genova ed ha trapiantato a Roma e a Napoli, da dove si è immediatamente diffuso in tut-t’Italia, l'Oratorio del Divino Amore, che nel 1512 ricevette dal glorioso papa ligure Giulio II. la sovrana approvazione. Nell’Oratorio del divino Amore si è preparata la riforma pa-lestriniana; dall’Oratorio del Divin Amore son derivati gli Oratori Filippini; per opera dell’Oratorio del Divino Amore sorsero i Conservatori Napoletani, gli Ospedaletti Veneziani e tutte P altre fucine di magnifici musicisti nostrani, che nei secoli della schiavitù han tenuto vivo nel mondo il nome d’un Italia viva e desiderosa di vivere. II nome di Ettore Vernazza è divenuto popolare fra noi perchè, nella via a lui intitolata fu aperto un Cinematografo, il quale, per aver detenuto abbastanza a lungo un certo primato fra i Cinematografi cittadini, raggiunse fama diffusa. Probabilmente i moltissimi, che in questi anni hanno ripetuto il nome dell'insigne benefattore genovese, {riferendolo al 'Cinematografo, -nou si son preoccupati di sapere quale ne sia stata l’opera feconda di bene: tutto al più si sono accontentati di conoscerlo come fondatore e benefattore munifico delPOspedale degli incurabili. Siccome poi i grandiosi locali dell’Ospedale son divenuti sede degli Uffici Demografici del Comune e del Dopolavoro Dipendenti Comunali, Pammirazione per l’uomo che oltre 400 anni fa ne iniziava la costruzione per accogliervi i più poveri tra i poveri si è andata moltiplicando. Ma se il popolo nostro venisse a sapere che Pattività dell’umile notaro genovese, che non voleva fumo, non si è limitata a quel solo ospedale, ma si è svolta egualmente meravigliosa in molti altri campi, a Genova, a Roma, a Napoli, e, attraverso i Primordi della Musica Ligure 333 numerosi collaboratori zelantissimi, in tutta Italia, allora sarebbe giustamente portato a riconoscere in Ettore Vernazza un eroe massimo della sua stirpe, pur così generosa di spiriti grandi. A dir la verità anche quei pochi studiosi, che si sono industriati di completare le loro conoscenze a questo riguardo, non sono ancora riusciti ad ammirare l’opera vernazziana nella pienezza del suo splendore. Concorrono a render difficile le ricerche due impedimenti abbastanza ingombranti. Anzitutto l’umiltà vera e veramente sentita di Ettore Vernazza, che a Dio solo attribuiva il prosperare d'ogni sua iniziativa. « Quando metto piano a qualcosa, Dio vi mette lo crescente » ; soleva dire quell’anima tutta accesa d’amor di Dio, che ha fondato l’Oratorio del Divino Amore appunto per sempre meglio alimentare la sua fiamma, splendida di luce; che tutto operava non per una meschina gloriola personale, ma per rendere più evidente, più conosciuta, più ammirata la gloria di Dio. Questa umiltà ha fatto si che dell’opera di Ettore Vernazza e di quella dei suoi compagni, come lui umili ed infervorati d’amor di Dio, conosciamo soltanto, e forse non tutta, la parte materiale, <1 nella parte cioè di cui son rimaste traccie evidenti, segni tangibili, documenti sicuri. In questi -ultimi tempi si son potute anche dimostrare alcune conseguenze immediate dell’opera vernazziana, ma le conseguenze un po’ più lontane son rimaste escluse dall'elenco, perchè gli storici, che tali conseguenze hanno preso in considerazione, invece di risalire alle origini si son fermati a mezza strada ed anche prima. Così di Ettore Vernazza e dei suoi compagni sappiamo che a· Genova, a Roma, a Napoli, a Padova, a Venezia e in altre città lian fondato e largamente dotato Ospedali, Ridotti, Rifugi, Lazzaretti ed altre opere assistenziali d’ogni genere, compresi studi di medicina e di diritto, preludio alle successive università dei Gesuiti, complemento necessario ad Ospedali e Rifugi; ma il progredire ed il trasformarsi di alcune tra le istituzioni, magari sotto nome diverso, ma con tendenze identiche, non fu attribuito al loro impulso, al loro esempio, al loro insegnamento, perchè tra l'opera di Ettore Vernazza· e quello dei successori si è venuta ad incuneare la ribellione di Lutero, la conseguente reazione cattolica e, quello che è peggio, la schiavitù d’Italia. Questo po' po’ di roba ha fatto si che tutto quello che era avvenuto prima fosse considerato causa, quello che è avvenuto dopo effetto, così anche la musica palestriniana e l’oratorio di S. Filippo e persino l'eccellenza della cappella di S. Marco si fanno passare come manifestazioni della reazione cattolica e solamente pochissimi in questi ultimi tempi sono giunti ad affermare che molte delle opere, che in genere sono comprese neirunica denominazione di Controriforma, 334 Mario Pedemonte avevano già avuto da Ettore Vernazza impulso e sviluppo promettente. Nessuno però, finora La mai osato pensare che l’opera di Ettore Vernazza abbia avuto qualche merito nell’additar nuove mete ai musicisti di tutto il mondo. La mia dimostrazione non ha la pretesa di essere persuasiva, si lusinga soltanto di far ammettere la probabilità del fatto. L'opera di Ettore Vernazza si è svolta in pieno Rinascimento, vediamo d’inquadrarla nel suo tempo. Si dice che il Rinascimento fu -uno spensierato abbandonarsi ai piaceri del senso, sciolto da ogni freno religioso ; che il Rinascimento fu una travolgente ondata d’entusiasmo per l/antichità pagana da cui furon commossi persino alcuni gerarchi della Chiesa; che il Rinascimento fu un correre affannoso verso una maniera più spregiudicata di vita. Tutte queste definizioni hanno indubbiamente una base, ma non esprimono il concetto nella sua interezza ; non sono complete. A mio parere il Rinascimento avviò bensì Γumanità a comprendere ed ammirare e quindi a creare opere di squisita bellezza, ma non soltanto come soddisfazione materiale di un sempre più vivo e raffinato senso artistico. Non tutti gli uomini si lasciarono sedurre dalle apparenze esteriori, non tutti gli uomini asservirono Γanima ad uno sconfinato desiderio di piaceri materiali. Ad alcuni spiriti eletti, u-mili e generosi, il Rinascimento ha insegnato a comprendere la bellezza terrena come riflesso, come testimonianza, come rivelazione della bellezza divina; questi spiriti eletti, umili e generosi, hanno saputo fare della bellezza terrena una valida cooperatrice delle loro opere benefiche, chiamandola a consolare il dolore, e a corroborare la fede, a confortare la speranza, a dare insomma una visione di paradiso a chi aveva Pinferno nel cuore. Il Rinascimento non fu che uno sviluppo dell’insegnamento di S. Francesco d’Assisi, di cui furono primi ed efficacissimi apostoli quegli anonimi, che iniziarono la costruzione di chiese divinamente belle, appunto perchè la chiesa, convegno e rifugio di afflitti e derelitti potesse dare così profonda· impressione di onnipotenza e di amore, da infondere in quelle anime pazienza e rassegnazione per il male presente, speranza e certezza del bene futuro. Naturalmente ogni sviluppo subisce deviazioni ed alcuni eràn giunti ad ammirale la bellezza come fine a se stessa, fu quindi necessario il richiamo all’indirizzo giusto, e solo chi dello spirito francescano conservava Pumiltà e la generosità poteva efficacemente tentarlo. Così tutte le arti, compresa la musica furono nuovamente avviate al loro scopo più vero ed alto : cantare degnamente la lode di Dio.-Ettore Vernazza personifica magnificamente questa reazione alle esagerazioni del Rinascimento, questo nuovo cantico delle Creature in lode del Signore. E per opera di Ver- i Primordi della Musica Ligure 335 nazza e Compagni la musica da dotta e artificiale si trasformò in artistica e fu gettato il germe fecondo da cui son germogliate le Scuole di Musica italiane, progenitrici di tutte le Scuole Musicali del mondo. Che un uomo eminentemente pratico come Ettore Vernazza, notaro e genovese, abbia pensato al Diritto e alla Medicina è cosa naturalissima ; che'abbia voluto le case dei poveri e dei malati spaziose, piene di sole ed armoniosamente costrutte, è conseguenza logica del modo di sentire del suo tempo; che si sia adoperato perchè attorno ai doloranti, malati e morenti, sorridesse la più squisita gentilezza e fiorisse la parola consolatrice del Divino A-more, è cosciente obbidienza al precetto Cristiano, di cui gli fu maestra la Santa di Pammatone; che egli si sia occupato di musica è indubbiamente difficile ad essere ammesso senza indiscutibili documenti probativi. Eppure chi considera attentamente l’opera di Ettore. Vernazza s’accorge che quella praticità era illuminata da un ideale altissimo, da una fede ed un entusiasmo così vivi, che non solo spiegano l’ipotesi, ma affermano e dimostrano il fatto. La trasformazione della musica dotta in musica artistica s’inizia al tempo di Ettore Vernazza e fu una delle tante conseguenze dovute alla benefica e irresistibile seduzione esercitata dal canto popolare sul divenire della musica artistica. [Quando la musica dei musicisti comincia a discordare dal buon senso, quella musica esula dalle labbra e dal cuore del popolo, che, ripetendo i\ fenomeno d’origine, crea per conto proprio una musica nuova, naturalmente valorizzando le conquiste dei musicisti, nelle quali infonde la sua vita e la sua passione. Tutti gli storici della musica son concordi nel riconoscere che l'arida e artificiosa polifonia dei fiamminghi è divenuta efficacissimo mezzo d’espressione artistica al contatto della musica popolaresca italiana, ma tutti si limitano a considerare, almeno per il tempo anteriore alla ribellione luterana, la sola produzione dei nostri cantori a liuto. Gli storici della musica non conoscono Ettore Vernazza e non si occupano dell’Oratorio del Divino Amore; se conoscessero Ettore Vernazza e studiassero l’influenza dell’Oratorio del Divino Amore, riconoscerebbero che la produzione dei cantori a 'liuto passa in file arretrate per lasciar il primo posto alla attività, canora dei compagni del Divino Amore. Costoro indubbiamente hanno considerato grottesche certe musiche eseguite nelle cappelle più fastose, hanno pensato a qualcosa di più suggestivo e di più toccante per le loro chiesette, ed hanno raggiunto il loro scopo colla semplicità ingenua e spontànea di canti fervidi e fecondi d’entusiasmo. Potrebbe anche darsi che i compagni del Divino Amore non si 336 Mario Pedemonte siano preoccupati gran fatto di quello elle si cantava nelle Cappelle gentilizie e nelle Cattedrali insigni, ma abbian cantato così come dettava dentro e come avevan sentito cantare i loro vecchi. Data la loro profonda· convinzione quel canto povero e disadorno è riuscito indubbiamente più efficace di tutti i canoni combinati dai maestri, e gli inni e le lodi intonate dai Compagni del Divino Amore hanno destato echi sonori in tutt’Italia, perchè in tutt’I-talia la Compagnia benefica si è diffusa e moltiplicata. Si dice che S. Filippo Neri , abbia allettato e quindi persuaso moltissimi col canto di lodi semplici e facili, ina nessuno si è indugiato a considerare l'ambiente in cui S. Filippo Neri si è formato, e a vedere se per caso prima di allettare e persuadere gli altri, egli stesso abbia subito il fascino della commozione e convinzione profonda che si manifestava nei canti dei compagni del Divino Amore. Naturalmente la prova provata che negli Oratori del Divino Amore si cantasse per ubbidire ad un impulso spontaneo dell’animo infervorato ; che nei Rifugi fondati dai Compagni del Divino Amore la musica fosse bene accolta e coinè consolatrice e come educatrice, la prova provata di tutto questo io non la posso dare. Ma noi sappiamo che alcune opere assistenziali, create dai Compagni del Divino Amore per la gioventù bisognosa, si son trasformate a poco a poco in vere e proprie Scuole di Musica. La causa prima di tale trasformazione bisogna cercarla appunto in quel canto spontaneo e sentito, che è entrato coi primi bambini e li ha commossi e li ha educati. I Conservatori napoletani e gli Ospeclaletti veneti iniziano una vita nuova e rinnovata nel primo cinquecento e per tutto il secolo crescono di numero e di importanza ; solo verso la fine del secolo, e per qualcuno nel secolo successivo, avviene la specializzazione a scuole di musica. Nessuno ha saputo finora stabilire, neppure con un’ipotesi più o meno fondata, come, quando, per qual motivo, per opera di chi certe istituzioni assistenziali per la gioventù derelitta sian divenute Scuole di Musica. Qualche ricercatore però ha ordinata una cronologia di fasi attraverso le quali la trasformazione si è compita, ma non è andato oltre, forse pauroso di fantasticar troppo. Io non ho simili paure e suppongo che in quei Rifugi si cominciò a cantare e suonare, naturalmente nel modo più ingenuo e spontaneo, per le funzioni della Chiesetta interna, come cantavano i fratelli del Divino Amore nelle loro radunanze. Si continuò perchè sollecitati a provvedere quel semplice, ma pur così seducente decoro musicale a funzioni di Chiese esterne e si giunse a ricavare un utile materiale da queste prestazioni canore. Sorse così la necessità di una più accurata preparazione dei musici, fino allora improvvisata, e l'insegnamento musicale a poco a poco prese il primo posto. i Primordi della Musica Ligure 337 Questa mia supposizione però, mentre spiega apparentemente bene il trasformarsi dei Conservatori napoletani, può lasciare qualche dubbio per gli Ospedaletti Veneti. Per queste istituzioni l’ipotesi può esporsi così: Da prima le figliole cantarono e sonarono nella Chiesetta, come ho già detto, e per svago tra runa e l’altra ripresa del lavoro e forse anche durante il lavoro. Naturalmente ni cantava e si suonava « ipsa dictante natura », ma a cuore aperto, con animo commosso e infervorato, sì che le nature ben dotate ave-van modo di mettersi in evidenza e destare l’attenzione dei superiori. Dall’attenzione, al consiglio, airinsegnamento regolare è spiegabilissimo il passaggio, e siccome l’insegnamento regolare dava buoni frutti si pensò di indirizzare l’istituzione verso un’altra meta e invece di formare dei buoni artigiani si cercò di formare dei buoni artisti. Ad ogni modo l’origine prima di tante conseguenze mirabili fu appunto quella «ipsa dictante natura» che presiedette le manifestazioni musicali all’inizio. Il canto spontaneo e semplice che nel ’400 era esulato dalla Chiesa vi fu riammesso dai Compagni del Divino Amore insieme alla fede sincera, fervida, serena, confidente, ispiratrice ed animatrice del canto : quindi ai compagni del Divino Amore deve risalire il merito e la lode. Senonchè alcuni storici narrano gli avvenimenti in modo da lasciar capire che la vittoriosa attività canora dei protestanti ha ispirato, sollecitato e guidato la reazione musicale cattolica. Ma sebbene il canto dei protestanti sia stato giustamente definito « l’arma invincibile della nuova fede » non è altrettanto giusto affermare che esso canto ebbe un’influenza musicale sullo sviluppo dell’arte italiana. Tutto al più si può dire che il canto dei protestanti dimostrò l’efficacia del canto sbocciato da una fede profondamente sentita e convinta, e quindi il vittorioso canto dei protestanti accentuò l’attenzione sul modo sincero di cantare dei Compagni del Divino Amore e dei Rifugi da essi fondati. A questo punto viene spontanea la conclusione : L’attività canora dei protestanti 11011 solo non ha ispirata la reazione musicale cattolica, già in pieno sviluppo quando scoppiò la rivolta, ma fu l’attività canora degli iscritti alla Compagnia del Divino Amore, diffusa in tutt’Italia e forse anche fuori d’Italia, che ha mostrato la via sicura ai cantori dell’altra parte. Nè questa· è un’ipotesi fantastica, poiché Lutero conobbe l’oratorio del Divino Amore, forse ne frequentò adunanze e convegni, certamente visitò Ospedali, Rifugi e Ridotti, che i compagni di Ettore Vernazza avevano e continuavano a fondare e a rinnovare, 11e osservò minuziosamente ordinamento e attività, 11e comprese la portata morale, ne utilizzò il consiglio. A qualcuno, giunto fin qui con certosina pazienza, questa mia divagazione su Ettore Vernazza, sembrerà fuori posto, inconse- 338 guente e inconcludente, poiché, se fosse vero che l’opera di Ettore Vernazza ebbe così decisiva influenza sul successivo evolversi dell'arte musicale, tale influenza non si sarebbe sentita soltanto a Roma, a Venezia e in seguito a Napoli, ma avrebbe dato qualche frutto anche in Genova. Senonchè bisogna anzitutto notare che a Roma ed a Venezia il decoro musicale delle Cappelle godeva considerazione massima, era argomento d’interesse generale, era orgoglio cittadino; a Genova c’era dell’altro che interessava di più, Genova non ha mai pensato a farsi della reclame. Tuttavia anche a Genova la musica non era trascurata, e qualche bagliore di quella luminosa gloria musicale genovese scintilla ancor oggi e ci invita a rimetterla in onore. Mario. Pedemonte. IL DISSIDIO MAZZINI -BLUFFINI Il dissidio Mazzini-Kufìini, che portò alla rottura di una lunga amicizia iraterna, diede luogo in questi ultimi tempi a cortesi poloniche di atampa, provocate dai libri di due studiosi genovesi. Primo il Codignola (Mozzini alla ricerca di una fede e il dramma dei Raffini, Genova·, Soc. Lig. di Storia Patria, pag. 110 sgg.) trattò deH’argomentò, negando al dissidio ogni origine ideale, politica o religiosa che fosse, e riducendolo n puro fatto personale. Per contro Fra Ginepro (La fami (/lia Raffini, Soc. Ed. Intera.) insistette su un urto di idee e precisamente suil'opposta concezione, che il Mazzini ila una parte e dall'altra i Kulìini avevano del Cristianesimo. Il libro di Fra Ginepro trovò una buona stampa : il barone Luminoso idi ornale di denota l’I Nov.) e P. Pantaleo (Regime Fascista .<» e lìil Nov.), recensendo il suo libro, aderirono in linea di massima alle sue argomentazioni. Non bastò: l'autore stesso ribadì anche sulla stampa la sua tesi con due articoli comparsi .sul X uovo CU ladino il 28 Nov. e d Γ» Die. 11 secondo articolo, contenendo un chiaro invito al Codigliela di intervenire nella discussione, provocò una lettera aperta di quest’ultimo ai direttori del Giorn. ai dcn. e «lei .Vfioro ('ilI. apparsa il 1Γ» l)ic. e seguita da due postilli», una breve del Lumbroso sul Giorn. di dcn., l'altra lunga di Fra Ginepro sul y uovo Citt. Non intendo qui di entrare nella discussione se il dissidio sia sorto da contrasto di idee o da motivi personali, ma dimostrare soliamo clic esso, in ogni caso, non potè avere la sua origine da un dissenso religioso. E anzitutto una considerazione generale. Γη contrasto di idee non porta mai a rottura d'affetti, se non quando entri in gioco qualche passione oppure l'urto avvenga tra persone d’animo gretto, per le quali la intransigenza del pensiero è sinonimo di mancanza d’educazione. Giacche se è vero che la fede (ammesso che nei Kuflìni ce ne fosse una così profonda all’epoca del distacco) ύ intransigente e genera i martiri di fronte al tiranno, è altrettanto vero che essa rende solleciti del bene spirituale deH'amico e, nonché abbandonarlo alla china del peccato, cerca di richiamarlo alla retta a in. Tutta la- tradizione cattolica lo attesta e chiunque sia un po' ac-climatato a questa religione lo riconosce facilmente. E' chiaro perciò che, essendo da scartare la seconda ipotesi, la prima soltanto può darci la chiave del mistero. Ma quale passione infiammò gli 340 animi dei Ruffini? Il Codignola· pensa all'orgoglio dei fratelli ferito dalla superiorità dell’amico, al cui volo di aquila non potevano adeguare il loro di passerotti. E' una ragione plausibile, tanto più che nessun’altra passione come l’orgoglio può far degenerare ogni discussione in furibonda disputa e dar corpo alle più vane ombre, e d’altra parte ben difficile riuscirebbe spiegare diversamente l’animosità, che i Ruffini nelle loro lettere mosti-ano contro il Mazzini. Ma non insisto su ciò, perchè, come ho (letto sopra, non è questo il mio intento. La rottura del trilustre sodalizio avvenne nel '30. Fino a quell'epoca nessun scritto di Giovanni e Agostino ci induce a credere ad un loro contrasto religioso col Mazzini. Non solo, ma anche dopo non troviamo un così chiaro accenno a tale presunto dissenso da servire come prova definitiva. Ora se un dissidio religioso fosse stato effettivamente la causa della rottura, come mai i Ruffini non lo avrebbero dichiarato esplicitamente evitando che altri potesse pensare a motivi meno ideali e quindi meno belli? Come mai invece ricorre insistentemente nello loro lettere il ricordo di -un oltraggio fatto dal Mazzini alla loro madre? E’ vero, Giovanni scrivendo alla madre adopera spesso la parola Dio, anzi tanto spesso da offendere talvolta la prescrizione dei primo comandamento : ma se tutti quelli che parlali di Dio fossero cattolici, Mazzini sarebbe cattolicissimo. Nei romanzi la religione cattolica e i suoi miniatri non fanno certo una bella figura. Si è detto che egli indulse a questo vezzo per far piacere all’amica Turner e per amicarsi i lettori, in massiina parte protestanti, per i quali anche scriveva in inglese. Motivi questi evidentemente, più die lettera rii, commerciali: ora non è un offendere il Ruffini sostenere che egli cattolico dicesse male della sua religione unicamente perchè i suoi romanzi avessero una larga diffusione? Degli anni del suo esilio svizzero bene disse il Codignola: «accetta, senza forse rendersi conto della profondità del pensiero religioso mazziniano, un vago spiritualismo, che lo porta ad osservare con simpatia, come il fratello Agostino, ogni manifestazione intellettualistica contemporanea, fra cui il lamennesismo ed il sansimonismo ; ma tutto è oggetto della sua fine ironia e, talvolta, del suo sarcasmo ». Di quale cattolicismo perciò possiamo parlare per Giovanni? Di maggiore importanza è la figura di Agostino, sia perchè abbiamo più numerosi elementi di giudizio per valutarla sia perchè egli, come dice Fra Ginepro, « ebbe più ricchezza d’ingegno e splendore di fantasia, più fuoco nelle vene e sensibilità nell’aniina ». Si ha di lui una lettera, scritta ad un’amica inglese intorno al 1843, che ci fa conoscere chiaramente la crisi religiosa della sua, giovinezza. Si è tentato di sminuirne il valore dicendo che essa fu scritta cinque anni almeno dopo la rottura, quando la convivenza di Agostino coi protestanti poteva avere influito sulla ortodossia di Il dissidio Mazzini-Ruffini 341 lui. Ma quale forza ha una tale obbiezione? Anzitutto si dovrebbe dimostrare ciò che è dato come supposizione, e poi, trattandosi di uno scritto, in cui l’autore con sguardo retrospettivo parla della sua evoluzione religiosa, che cosa poteva indurre Agostino a mentire circa il suo passato? Anche qui il troppo zelo rischia di cambiarsi in offesa. Non è Agostino stesso, che in una lettera del 18 febbraio ’37 dice « io parlo di tutto questo con cognizione di causa, perchè son passato per tutti questi passi di follìa »? Adunque, basandosi su tale lettera, possiamo distinguere tre periodi nella vita religiosa di Agostino : la fede praticata per abitudine mai senza intima adesione, la crisi, la nuova fede. Il primo periodo è caratterizzato da ignoranza- completa di tutto ciò che forma materia di fede, da indifferenza per le pratiche di culto cui egli partecipa col corpo ma non con l’animo, da netta separazione tra i principii religiosi ammessi e la pratica della vita non conseguente ad essi principii : in una parolai si tratta di automatismo religioso. I dubbi universitarii non scavano un solco profondo nella sua anima ; ad ogni modo egli prende a modello non già Cristo ma lo stoicismo «li Zenone. La crisi comincia a Ginevra e si compie a Parigi a contatto coi neo-cattolici. Agostino continua in un primo momento la pratica religiosa, ma nell’intimo analizza ostilmente e rifiuta atti e cerimonie, cui esteriormente si associa, attende ancora alle funzioni della cappella cattolica pur essendo conscio di esser diventato eterodosso. Un riflesso di questo suo stato d’animo appare evidente anche nella sua lettera del 3 aprile ’36 scritta alla madre da Grenchen. Le proposizioni della sua nuova fede 11011 brillano certo per chiarezza, e ciò probabilmente perchè nella sua niente non si è formata alcuna concezione religiosa tale da appagare l’esigenze del suo spirito : in fondo è lo stesso turbamento che lo agita, un ondeggiamento tra la vecchia fede, cui più 11011 crede, ma che ancora lo seduce, e qualche cosa di nebuloso, clic intravvede soltanto ma che non lo attira. La sua fede cattolica 11011 era mai sitata così solida da resistere all'onda del dubbio e della critica, e d'altra parte egli non aveva la preparazione di un Renan per risolvere il conflitto, che era. sorto nel suo animo, nè la profonda intuizione del Mazzini per crearsi una sua propria norma religiosa di vita. Non crede più alla rivelazione e rigetta la infallibilità della Chiesa. Parla di rifar di bel nuovo la teoria, di ripudiare una credenza e di abbracciarne un'altra tanto diversa in molti punti, ma quale sia questa teoria e credenza 11011 è dato di saperlo dai s-uoi scritti. Probabilmente il credo quia absurdum dei suoi giovani anni sarebbe stata- forse ancora l’unica formula capace di appagare il suo spirito inquieto, che certo non era fatto per le ardue questioni teologiche, in cui incautamente era incappato. Ilo parlato di confusione derivante da ignoranza dei problemi trattati, ma ciò non toglie che qua e là, forse ad insaputa dello 342 Antonio Giusti stesso scrittore, appaiano nelle sue preposizioni influssi ereticali. Protesta-litica è la sua posizione di fronte alla Bibbia, la cui ispirazione, anche se creduta divina, non sa se sia costantemente letterale o no, propendendo anzi a far delle eccezioni. La mediazione di Cristo, che ritiene effettuata più pel* rigenerazione che per espiazione, è idea prettamente sociniana. Nocino infatti, partendo da premesse scotiste, nega che Dio avesse in alcun modo bisogno di questa satisfactio, giacché la punizione degli innocenti in luogo dei colpevoli si oppone alla giustizia divina , remissione dei jieccaiti e soddisfazione per i peccati sono due concetti contradittorii. E ciò in contrasto con 1’insegnamento paolino e con tutta la tradizione cattolica, non solo ma anche cristiana. E' stato citato, come splendida confessione di fede, il seguente brano della lettera : « La luce vien dal fuoco. E se nel fuoco non v’è die una scintilla, vi può forse essere nella niente altro che gettiti fumosi Oh, tre volte triste ed inaudito che un uomo che può amar tanto una creatura, renda così poco amore al Creatore! Quanti dei più stupidi e dei più superstiziosi fra i miei compatrioti sarebbero ora accesi dal sacro fuoco della carità se avessero avuto tutte le opportunità, gli aiuti, i suggerimenti e le grazie manifeste che io ho avuti Î La mia vita avrebbe da essere una perpetua azione di grazie, i miei pensieri, le mie parole e i miei atti una costante glorificazione del Signore ! Le mie preghiere avrebbero da esser cantale dalle più riposte libre del cuore con le vibrazioni e l’armonia delle corde d’un salterio! ». E' indubbiamente una bella dichiarazione di umiltà davanti al Creatore, ma che non stona sulla bocca di ogni credente, a qualunque religione appartenga ; per essere confessione di fede cattolica, è evidentemente troppo generica. Ma unita a tutto ciò, che la precede, quale cristiano, e tanto meno quale Santo avrebbe il coraggio di sottoscriverla? Oirea poi i dubbi di Agostino per le interferenze della ragione con la fede, e il suo desiderio di avere la ragione non solo come commentatrice ma anche argomentatrice e suppositrice dei misteri superiori alla- nostra conoscenza, 11011 credo sia proprio il caso di incomodare la patrologia del Migne per vedere come il rationabile obsequium del Ruffini (se così può chiamarsi) sia un po’ diverso da quello dei Padri e Dottori, giacché se è vero che essi hanno commentato gli articoli di fede, è ugualmente vero che non li hanno mai revocati in dubbio. Tanto più che l’opera analizzatriee di Agostino era, per sua stessa confessione, ostile e più portata al rifiuto che all’accettazione. Si è detto ancora che la sua concezione del cristianesimo è opposta a quella del Mazzini. Opposta 110, ma certo non uguale ; sebbene qualche espressione di Agostino tradisca l’influsso del Maestro. Il pensare che la religione sia di 1111 carattere di transizione, il discutere non la opportunità ma la necessità di qualunque chiesa non Il dissidio Mazzini-Ruffini 343 ci richiama forse a Mazzini, per il quale il cristianesimo lia fatto il suo tempo? Concludendo dunque anche per Agostino non si può parlare di catolicismo sentito e vissuto nè prima del distacco dal Mazzini, nè negli anni immediatamente successivi. Più tardi i due fratelli rientrarono nella fede religiosa dei padri. Avevano abbandonato la nave, incapaci di dirigerla, durante la tempesta, affidandosi ai flutti del dubbio e della critica senza aver però le braccia; sufficiente-niente allenate a superare la furia dei marosi; stanchi e delusi vi fecero ritorno per finire in pace la loro giornata. Antonio Giusti. VARIET A’ 11 titolo “ Benoni ,, e una lettera di Giuseppe Mazzini Il cinquantenario della morte di Giovanni Rulïini lia· ciato impulso a una ricca fioritura di studi rivolti ad illustrare la figura del patriota, la famiglia cui appartenne, la produzione letteraria di lui. Oggetto di particolari indagini, il romanzo Lorenzo Benoni T che lia uno speciale interesse, perchè in esso si adombrano vicende e personaggi, che hanno rapporto con la vita vissuta dall*autore. Ma a quanti trattarono più o meno diffusamente di questo lavoro, ricercando talora anche il significato del titolo e l’origine di esso, è sfuggita — per quel che a noi risulta — una lettera di Giuseppe Mazzini, che dà del Benoni una ragione diversa da quelle addotte fin qui. Riguardo all’etimologia della parola è esatto, e trova conferma nella nostra lettera, quanto asserisce il Codignola, in una nota alla prefazione del 11° volume dell’epistolario dei Ruffini, in cui egli ricorda giustamente come « il nome Benoni (che in ebraico vuol dire « figlio dell’amarezza ») fu dato da Rachele spirante al suo « secondo figliolo, ma Giacobbe lo chiamò Beniamino » (Op. cit.: pag. exiv). Fu altresì rilevato che, già prima della composizione del romanzo, il nome si riscontra: in alcune lettere dei Ruffini alla madre e si ritenne come un epiteto dato quasi scherzevolmente da lei ai figli: ma è fuor di dubbio - secondo noi - che essi pure lo usassero invece nel triste significato etimologico. Ricordiamo solo — fra gli altri — il passo della lettera di Agostino a Donna Eleonora , per la morte del fratello Ottavio (23 maggio 1839) : « Co-« sì cotesta casa una volta piena di chiasso, non è più, per così «dire, che una tomba, dove vi trascinate tu e il tuo consorte, schiac-(( ciati sotto il peso dei dolori ed anche degli errori dei vostri figli, «di cui ciascuno è Benoni» (Ved. Cagnacci, Giuseppe Mozzini e i fratelli Ruffini, Porto Maurizio, 1893, pag. 220) ; e l’altro passo, ancora più esplicito nel suo accenno biblico, in lettera del 29 luglio 1838, scritta dallo stesso Agostino per le nozze della sorella : « Voi due potete chiamare ciascuno dei vostri figli col nome di « Benoni : ,che vi sia dato almeno di avere una Rachele in Ninetta » (Genova - M'useo Risorgimento - Ms 398 - citata anche da M. R. Bornate, La Giovinezza e Vesilio di Agostino Ruffini). Per la conoscenza assai profonda della Bibbia da parte di 345 Agostino, il Codignola pone innanzi l'ipotesi attendibilissima che questi abbia suggerito al fratello il titolo del suo primo romanzo, traendolo appunto dalla Genesi, mentre altri ne attribuisce, come accennammo, l’idea creatrice a Donna Eleonora. Il Mazzini, nella lettera di cui parliamo, rivendica invece a sè la creazione del nome. La lettera è dell’ll maggio 1853, l’anno in cui comparve per intero il romanzo, del quale il Mazzini ebbe notizia dall’amica inglese Carolina Stansfeld. A questa appunto egli scrive, mostrandosi febbrilmente impaziente di leggere il lavoro : impazienza, che ha qualche cosa di accorato e di nostalgico, per l'improvviso ridestarsi — neH'animo dell'esule — di un. lontano passato di dolori e di speranze. La lettera e inserita nell’Edizioue ^Nazionale degli scritti di Mazzini (voi. xlix - 1928 - pag. 186) e fu precedentemente pubblicata nelle «Lettere ad una famiglia inglese» edite da E. F. Richards (vol. i - pag. 208): . « ....Quel che mi dite circa il romanzo di Edimburgo è assai in- ii teressante, potrei dire importante per me. Dei due Ruffini, uno è « a Genova malato ; e io credevo che, per le sue condizioni fisiche, «non fosse in grado di scrivere un romanzo. L’altro è a Parigi* «ed ha capacità inferiore a suo fratello, e abito mentale piuttosto «tardo, (dii dei due è lo scrittore? Agostino è il più giovane. Credo «che avesse in sè tutto quel che dice Masson: soltanto, guasto, « ostacolato da una esagerata tendenza all'analisi e mancanza di « fede in sè stesso e negli altri. Il nome, Benoni, è, strano a dirsi, «di mia creazione. In ebraico vuol dire: il figlio del mio dolore;* « e ne parlai loro, una quindicina d’anni fa, come titolo di un ipo' «tetico romanzo che mi proponevo di scrivere. L’argomento non «mi piace di vederlo trattato in un romanzo; la memoria dei mar-« tiii è tioppo solenne, troppo sacra per me, perch'io possa imma-« ginar fantasie e invenzioni da porvi come contorno. Ma sono « ner\osamente impaziente di vedere il libro come rivelazione di «sentimenti, presenti e passati, dello scrittore. Voi avevate letto « solo la critica di Masson, a quanto pare, quando mi scriveste.....» La rivelazione 'dei sentimenti dello scrittore ravvivò certo, come un raggio di luce, il buio penoso, che fatalmente incombeva s-ui ricordi purissimi di qneiramicizia giovanile, che aveva avvinto — per anni — i fratelli Ruffini e l'Apostolo. E velina Rinaldi. POSTILLA La segnalazione di Evclina Rinaldi mi induce a credere che il Mazzini a sua volta oblia tratto la primo idea del Benoni da' altro libro che non sia la Genesi, (pur essendo questa sempre la prima 346 fonte) e tale ipotesi mi suggerisce una lettera del (lue)'razzi al Mazzini del 25 decembre 1847, nella gitale accennando al suo Assedio di Firenze dichiara « quanto aumento di affanno accompagnò la nascila di cotesto libro ». E soggiunge: « Certo egli [il libro] fu il Benoni della uria vita se questo nome in idioma; ebraico suona tìglio delPa-ìuarezza » (ved. Guerrazzi, Memorie, Livorno, 1848, pag. 95). Il Mazzimi più preciso del Guerrazzi, dice clic il Benoni indica figlio del dolore ed infatti nella redazione, non riveduta e corretta, della Genesi il brano su indicato suona in tal modo : « Dixit ei ostetrìx: noli timere : quia et hinc habebis filium. Ingrediente autem anima prœ dolore et imminente jam morte: vocavit nomen filii sui bennonì: idest filius doloris mei. Pater vero appellavit eius beni a-min : idest filius dextre » (Genesi, XXXY, 18). Ho voluto a mia volta con questa nota mettere sulla buona via riti vorrà occuparsi ancora dell'argomento. a. c. „ - wf, Ï kl r i-:. (S^ 1 SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE SULLA CORSICA (I) CERVONI. — Manoscritti della Biblioteca di Bastia attribuiti a Marcello Malpighi : Comunicazione. Bullett. delle Scienze mediche di Bologna, Serie VII, vol. Vili, luglio 1897. Estratto : Bologna, Tip. Gamberini e Parmeggiani, 1897, 8°, pag. 1-8. «= CHEVALIER Ulisse — Repert.oire des sources historiques du Moyer Age par Ulisse Chevalier. Parte I.: Bibliographie; Parte ]I. : Topobibliographie. Paris, Libr. Soc. Bibliographique, (1S77-18&6), 1899. (pag. 801-802). — CIPOLLA. — Pubblicazioni sulla storia medioevale d’Italia (1901)... L’Italia meridionale. Le isole, in Nuovo Archivio Veneto, 1905, N. 17, (pag. 49-96); N. 18, (pag. 97-128); N. 19 (pag. 129-183). — CODEX Italiae Diplomaticus quo uon solum multifaria privilegia ab Augustissima Romanorum Imperatoribus Italiae principibus et proceribus concessa atque confirmata verum etiam alia insignia varii generis Diplomata tam edita quam multa anedocta ipsos concernentia continentur quae omnia collegit ac elencho indiccque reali instruxit Johannes Christia uus Lüuig, Francoforti Lipsiae, Impensis haeredum Lauckisianorum, 1735. Torno IV. Sectio III : De Sardiniae regno insuraque Corsica coi. 1379 - 1407. Tomo IIP [altri documenti dal 1126 al 1567]. COLETI Giovanni Antonio — Catalogo deile storie particolari civili ed ecclesiastiche delle cittìi e dei luoghi d’Italia le quali si trovano nella domestica libreria dei Fratelli Coleti in Viuegia, Venezia. Stamp. Coleti, 1779, So, γ. s. Corsica. COLONNA Angelo Francesco. — Commentario delle glorie e prerogative del regno e popoli di Corsica, compos-to da A. F. Colonna — Roma, Stamp. .4. Bernabò (s. d.) 4o fBibl. Nat,] — COMPENDIO delle Storie di Genova dalla sua fondazione sino all'anno MDCCL dove veg gonsi le guerre intraprese dai suoi cittadini per la conservazione e difesa della • Libertà fino alla Paoe di Aqulsgrana; istituzione dei magistrati, fondazioni di chiese e. delle pubbliche fabbriche e di tutto ciò che può desiderarsi per aver una perfetta cognizione delle gesta illustri di detta insigne metropoli. (Tomo I : dalla fondazione al 1700. Tomo 11.: 1770-1750). Lipsia, 1750. (Notizie sulla Corsica in generale. V. indicej. COMPTE RENDU de l’Association Française du Congrès pour l'avancement des Sciences tenu à Ajaccio en 1901. Ajaccio, 1901. CRIVELLl’CCI — Annuario bibliografico creila Storia d’Italia dal sec. IV dell’E. V. ai giorni nostri, Pisa, Tip. studi storici, E904 (1) — 1908 (VII). 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Ed., Genova, Tip. della Gioventù, 1889 (I) 1907 (IX). •GIUSTINIANI Agostino - Castigatissimi Annali della Repubblica di Genova. — Genova. Bellomo, 1537. F. 2. illustrati con note del prof. cav. Spotorno, terza edizione Eeno vese con 1 elogio dell'autore e altre aggiunte. Genova, Canepa, Vol. I e II, (i854- -1856). Corsica, pag. I 123, 162, 178; II 285, 381. 453, 472, 480. 592. [dalle oricini al 1528]. •GRAVEIUS - Burmannus — Thesaurus Antiquitatum et historiarum Italiæ - Lugduni Batavorum Apud Petrum Vander, 1704, (Tom. I) - 1725 (Tom. XV). GRIFFON Léon — Aperçu sur la Corse. Paris, Maire Noyon, 1841, 8e. B. HAENEL Gustav — Catalogi librorum manuscriptorum qui in bibliothecis Galliæ, Helvetiœ, Belgi, Britanniae, Hispaniae, Lusitaniae, adservantur nunc primum editi a Gustavo Haenel - Lipsiae, J. C. Hinrichs, 1S3C, 4o, i Coi. 66 Bastia, Bibliothèque de la Ville. H ANSER Henri — Les sources de l'histoire de France. Paris, Picard, 1907. 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Ed. 1902. — Parte I, Persona, vita di lui e famiglia (E’ bibliografia critica, da completare con quella del Lurn-broso). Ree. Riv. Stor. Vol. XIX; (1 della III serie), 1902, pag. 340. KIRCHEISEN Frédéric — Bibliographie du temps de Napoléon. Genève, Kircheisen, 190$ 1912, 8“, 2 vol. Paris, Champion, 1912. Ree. in Rivista Stor. Italiana, Serie IV, 1913, (Anno 30), pag. 70. [Napoleone e Buttafuoco]. LANGI.OIS Stein. — Les Archives de l'histoire de France. Paris, Picard, 1891-93, pag. 114-115, 314. 452. 510. LANSON Gustave — Manuel Bibliographique de la Letterature française moderne, 1500-1900, Tom. IV, (Rivol. XIX). Paris, Hachette, 1912; Napoleoue, pag. 902-914. Bibliografia Me-rimée, pag. 1321. 350 LASTEYRIE — Bibliographie des travaux historiques et archéologiques publiés par les Sociétés Savantes de la France. Paris, Leroux, 1903, 4°. pag. 201-400. (nel 1917 era al. Tomo VI]. LE JONDRE R. — La Corse et les Corses. Paris, Berger Levrautt, 1904, 1G°, pag. 139. 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Des Impereurs, des Rois, des Princes illustres et des grands Capitaines, des Auteurs anciens et modernes, des Philosophes... des ordres religieux et militaires et la vie de leurs fondateurs, les Généalogies des plu sieurs familles illustres de France et d’autres Pais, l’histoire fabuleuse des Dieux et de Héros de l’antiquité payenne, la description des Empires, Royaumes, Provinces. \illes, Isles... ou l’on remarque la situation... la religione, le gouvernement, les moeurs, les dignitéz, les religions et Sectes des Chrétiens, les jeux, les fêtes, les édités et le Lois., avec l’histoire des Conciles Généraux et Particuliers sous le nom des lieux ôu ils on été tenus... par Louis Moreri, Dixneuviéme et dernière, Edition. Paris, (A. Venise chez françox Fitteri) 1743, F (Tom. I) - 1749 (Tom. VIII). OLIVIERI Agostino. — Carte e cronache manoscritte per la storia genovese esistenti nella Biblioteca della R. Università ligure, indicate ed illustrate. — Genova, Tip. 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Italiana. \Tip Coop. Sociale) 1903, S% pag. XXIV, 75S. [Italia Insulare, Corsica, Malta, yag. 2S6-292]. S0RBELLI Albano — Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, opera fondata dal prof. Giuseppe Mazzatìnti. ForR, Tip. Luigi Bordandixi, 1909, .> e del 34 dovevano allontanargli gli animi dei Genovesi ■creando quello stato di disagio e di sfiducia che durerà, attraverso tutta 1 opera di ricostruzione dello Stato, sino al periodo delle ri- 1 orme politiche, quando parve che per un momento si stabilisse una perfetta comunione di spiriti destinata ancora a infrangersi dinanzi alle disavventure e alle delusioni seguite agli entusiasmi del ’48 Ma qui siamo ormai molto lontani dal Diario nella parte finora nota e questi tempi e questi avvenimenti sono invece illustrati nel recente volume del Codignola. Vito Vitale* Rassegna Bibliografica 357 Arturo Codignola, Dagli albori, della libertà al proclama di Monca-lieri. (Lettere del Conte Ilarione Petitti di Roreto a Michele Erede, dal marzo 18J/6 all'aprile del 1850). Biblioteca di Storia Italiana recente, vol. XIII, 1031. Qui non è più Carlo Alberto che parla ma si può dire che egli rimane egualmente il protagonista perchè il suo nome e la sua opera ricorrono costantemente, ricordati, lodati, esaltati, censurati, discussi a seconda dei diversi momenti e dello stato d’animo dello scrittore, uomo attivo, passionale, insofferente, in quasi tutte le '288 lettere che dal (i marzo 184G al 5 aprile 1850 Ilarione Petitti di Roreto ha scritto a Michele Erede a Genova· e che il Codignola pubblica con ampia introduzione e con corredo di preziose note in isolati nella vita politica o addirittura assorbiti e quelle dei ribelli rifugiati nel contado ed è frutto di indagini documentarie pazienti su materiale scarso e spesso frammentario adoperato con molto acume e molta perizia. Ma sopra tutto 362 Rassegna Bibliografica merita di essere ricordato e conosciuto perché, risolvendo in modo che mi sembra indiscutibile una questione di aspetto locale, porta elementi di fondamentale importanza alla soluzione di un problema caratteristico per i comuni toscani e in genere dell’Italia centrale, il problema dell’orìgine e della reale essenza della Parte Guelfa. Perchè la Parte si trova, da Bologna a Perugia, in tutti i comuni della regione ma ha un’importanza eccezionale a Firenze dove Bonaini e Vii-lari, e Salvemini e Santini, Hartwig, Davidsohn, Caggese, Volpe e numerosi altri l’hanno studiata. Anche a Prato, coinè a Firenze, la Parte, associazione speciale dei guelfi a tutela del guelfismo e degli interessi dei compartecipi, compare in precisa funzione dopo il 12G6 : è, afferma- il Piattoli, dapprima l’unione militare dei guelfi, per lo più nobili esiliati nel periodo ghibellino, che diventa dopo la vittoria un'associazione per la tutela di determinati interessi materiali, la difesa e la protezione del guelfismo, la divisione e lo sfruttamento a vantaggio dei suoi associati delle terre e dei beni già posseduti dai ghibellini. Ma questa associazione, formata dai ribelli e confinati di un tempo per la tutela dei propri interessi, costituisce una parte nettamente differenziata della cittadinanza e diventa l'elemento principale e la maggior difesa del regime col quale confonde i propri interessi, onde può pretendere all’esclusività del guelfismo di cui è anche il sostegno militare. Tuttavia, per quanto elemento principale e nucleo del Comune, la Parte non è la stessa cosa e non si fonde col Comune; rimane una delle associazioni, anzi la centrale, così che i suoi capi fanno parte anche del governo del Comune, ma 11011 si immedesima con esso. Studiando or sono molti anni la Parte Guelfa bolognese avevo creduto di poterla, almeno in certi momenti, identificare col Comune. Dopo le osservazioni del Caggese e del Volpe, la dimostrazione del Piattoli mi conferma nelPopinione che l’argomento dovrebbe essere ripreso e approfondito con nuove indagini e da nuovi e più elevati punti di vista. 'Son io ormai lo farò più certamente, ma il lavoro del Piattoli ha avuto l'effetto di ricondurmi per un momento agli studi dell'ormai lontana giovinezza, e gliene sono grato. Vito Vitale. Michelet e Montanelli d'après des lettres inedites de Michelet... par A. Tacchini, professeur à VAcadémie de Livoiirne (Soc. Anon. Istituto Editoriale Fascista Apuano - Carrara, 1931 IX). Genova lia in questi giorni inaugurato alla memoria dello storico romantico Jules Michelet due lapidi, che 11e ricordano la dimora a Nervi nel 1851. Egli fu tra noi nel 1830 e vi ritornò in seguito; e sempre mostrò Rassegna Bibliografica 363 vivissimo interessamento alla causa italiana in quei tempi fortunosi, sia nella sua corrispondenza co’ patrioti italiani o nelle sue relazioni cogli esuli nostri, sia con pubblicazioni dirette. Ben vengano adunque quante ricerche giovano ad illuminarne la figura. Giuseppe Montanelli di Fucecchio, professore nell’Ateneo di Pisa e ardente repubblicano, comandò un battaglione della piccola eroica schiera degli studenti toscani, che il 29 maggio 1848 presso i villaggi di Curtatone e Montanara sostenne l’urto dell’esercito di Radetzky, sinché fu sopraffatta dal numero. Ma il suo olocausto preparò a Carlo Alberto la vittoria di Goito. Il Montanelli, ferito gravemente, tanto che lo si credette, per qualche tempo, morto, fu fatto prigioniero dagli austriaci. Liberato poco dopo, tornò a Firenze, quando il ministero Capponi, sorto il 17 agosto ’48, stava precipitando per le lotte fratricide dei partiti culminate nel dissidio fra il Capponi e il Guerrazzi : e cadeva il 12 ottobre. Leopoldo II, temendo la guerra civile, chiamò il Montanelli a comporre un nuovo ministero, cui partecipassero il Guerrazzi e il Mazzoni, che erano i rappresentanti del partito popolare: e il nuovo Gabinetto, formato il 27 ottobre, proclamò la Costituente, sino al febbraio '49 in cui Guerrazzi fu proclamato Dittatore, dopo la fuga del Granduca a Gaeta. Per poco; chè, dopo Novara, richiamato a Firenze Leopoldo, il 12 aprile ’49, solo Livorno resistette alle truppe austriache inviate a domarla, sinché PII maggio fu costretta ad arrendersi. Il Montanelli si rifugiò a Parigi, ove visse in dignitosa povertà, lavorando e attendendo con invitta fede il giorno della riscossa. Una ricchissima raccolta di corrispondenza da lui tenuta: 2567 lettere in carteggio con oltre 000 personaggi, tra cui i più importanti uomini politici dell’epoca, fa parte del legato del conte Giacomo Bastogi alla Biblioteca Labronica di Livorno. Il delegato del Municipio Livornese andò a Parigi con una valigia a raccogliere l’e xedità dalla vedova. La contessa gli chiese sorridendo se sapesse di che si trattava, e lo condusse a vedere le 04 buste elegantemente legate che contenevano i manoscritti e 1 inventario dei 54656 autografi in esse compresi ! Ci volle un intiero vagone per trasportarle a Livorno. Materiale storico preziosissimo, cui attinsero primi i francesi : ma che si può dire ancora inesplorato, poiché dorme quasi indi-sturbato nelle sale della Labronica. Una parziale indiscrezione compì in essa il valente prof. Arturo Tacchini, insegnante all’Accademia Navale di Livorno, ricavandone una interessantissima monografìa, che ci ritrae le relazioni tra Jules Michelet e il Montanelli durante l'esilio di costui a Parigi. 364 * * * Le lettere del Mielielet non sono molte, tanto più che, quasi tutte, sono scambiate tra i due amici, che si vedevano spessissimo nella stessa città ; ma ci fanno assistere di scorcio alla loro intimità continua. Vanno dal 1856 al 1861. Il grande storico francese attendeva allora alla sua Histoire de France e precisamente ai volumi IX, X e XI sulle Guerres de Réligion, La Ligue et Heni'y IV, Louis XIV. Ma la sua attività era; multiforme: che nel 1857 imbblicò L 'in secte, frutto delle sue osservazioni sulla vita delle formiche,, fatte durante un periodo di ozio forzato in Isvizzera, per dar modo alla sua salute di ritemprarsi. L'operetta segnò la via maestra su cui dovevano seguirlo pili tardi il Fabre e il Maeterlink. Nel '60 fa uscire la Femme : e poco dopo Le prêtre, ove affronta un problema, che allora turbava fortemente le coscienze : la confessione. Ma la parte dell'opera sua che più ci interessa è quella in cui mostra il suo affetto per l'Italia e il suo ardoje per la causa di essa. Egli aveva già in giovinezza, si può dire, scoperta agli stranieri e in buona parte agli italiani una figura grandissima nostra nella letteratura e nella scienza : Giambattista Vico, il primo uomo moderno nostro. Quest’opera magistrale lo legò in intimità co’ più illustri italiani : e quanti patrioti passarono esuli per Parigi conobbero la sua ospitalità e trovarono ne’ suoi articoli un appoggio generoso alla causa cui essi si erano sacri àcati. È del 1854 il suo volume Un hiver en Italie. E nel volume La mer caldeggia gli ospizi marini, aperti per la prima volta in Italia nel 1860 a Viareggio, e poi imitati largamente all’estero. * * * Tra il Michelet e il Montanelli, nati il primo nel 1798 e il secondo nel 1813, malgrado la differenza di età, si stabilì subito una viva simpatia, accresciuta dalla amicizia delle loro mogli, Athenais Mialaret e la contessa Laura Parra. Il Michelet, messo a pante di ogni concezione del Montanelli, sempre lo incoraggiò a perseverare poiché era problema non solo di poesia, ma anche di pane. Nel ’56 il Montanelli attendeva ad un poema, La conversione d\. Satana, cui cambiò poi il titolo in La tentazione, rimaneggiandolo, allineile non sembrasse imitazione del Consuelo di George Sand o del Satan sauvé del Vigny. Il Michelet, lettolo, diede lodi iperboliche all’autore: ne ammirò i versi (di cui molti in realtà sono brutti) e scrisse che avrebbe voluto discutere con lui sul soggetto, che egli in cuor suo intendeva in tutt’altro modo. Difatti nella sua Sorcière, del 1861, il problema demoniaco è trattato con nuove vedute : quelle da cui derivarono più o meno direttamente il Satana del Carducci e il Lucifero del Rapisardi. Il 23 aprile 1857 fu una data eccezionale pel Montanelli. Egli 365 aveva, scritto un dramma il cui spunto è tolto da Plutarco. Una donna tinge di amare l’assassino di suo marito che essa adorava : al punto che alle suppliche di colui accetta di sposarlo e il giorno delle nozze lo avvelena e avvelena sè stessa. Drammone: ma affidato alla Ristori, ch’era allora a Parigi, parve quella, sera un capolavoro, e rimase nel repertorio della grande tragica. S’era nel periodo in cui la politica di Cavour trionfava a Parigi e tutti guardavano con simpatia all’Italia. E la condizione dei profughi italiani era strana assai : repubblicani la più parte e martiri del loro ideale, dovevano rallegrarsi dei progressi del partito monarchico, che apriva la via alla liberazione d’Italia, mentre essi re-pubblicani delle varie scuole si accanivano gli uni contro gli altri nella discussione di formule e di principi, che divenivano sterili e vani. Il Montanelli, valoroso, idealista, sensibilissimo all’ultima impressione, « era passato senza fermarsi attraverso tutte le dottrine politiche e sociali di questo periodo» scrive il D'Ancona. «Nella grande accolta dei rifugiati che andò formandosi a Parigi e che vi rimase anche dopo il colpo di Stato (di Napoleone III) e l’attentato Orsini, il Montanelli tenne una posizione a parte. Quelli che erano stati in casa loro capi di rivoluzioni o di governi provvisori, si tenevano in disparte: alcuni, sdegnosi e severi, come Gioberti e Manin. Montanelli, come più tardi non si unì a Manin, così (nel 1854) non volle mettersi sotto le bandiere di Mazzini, entrando in 11110 dei numerosi Comitati, fondati dall’esule genovese: e questi lo scomunicò». Alla sua condotta contribuì assai l’amicizia intima sorta fra lui e il filosofo Lammenais, che scrivendogli firmava «tuissimus L». e che 10 scelse fra uno dei sei suoi esecutori testamentari. E vi influì fors’anche la superbia della moglie contessa Parra, che non ammet teva che egli rappresentasse in alcun caso una parte secondaria tra gli emigrati italiani. Questo è certo: che il Montanelli nel 1855 era mi fervente murattiano, cioè un sostenitore della candidatura di Luciano Murat al trono di Napoli. Tanto, che il Guerrazzi s'affrettava con salde ragioni a convincerlo di quanti pericoli fosse pieno 11 suo errore. L'anno dopo s’accosta al Manin ed è fautore dei Savoia, trascinato dal trionfo della politica di Cavour, facendo uno strappo alla sua fede repubblicana. E nel 1857 serve ben più eflicacemente alla causa italiana a Parigi, unendosi alla Ristori e dando al teatro di lei (come vedemmo) la sua «Camma». Ma la sua cooperazione maggiore appare nel 1859, quando tradusse in versi italiani la « Medea » del Legouvé, colla quale la Ristori entusiasmò i francesi sin dalla prima rappresentazione, l'S aprile. L’alleanza dell’imperatore con Vittorio Emanuele II esisteva di già: la Ristori riusciva a rendere popolare la guerra che PAustria dichiarò il 28 aprile. 366 Rassegna Bibliografica Nel giugno il Montanelli è già ad Acqui, volontario garibaldino. Ma la sua stella è al tramonto. Troncata la guerra, il Montanelli entra nel giornalismo, redattore capo di «L'unità Italiana», poi fondatore di «La nuova Europa », in cui combatte per la sua fede e ne raccoglie, amarezze infinite e stanchezza invincibile, tisica e morale, clie lo conducono alla tomba il 17 giugno 1SG2. A" * * Queste varie interessanti vicende rievoca il prof. Tacchini nella sua monografia, scritta in elegante ed agile francese, ove egli prospetta, qua e là, un desiderio, platonico per ora, di un riavvicina-mento fra le due sorelle latine, corroborandolo con ragioni storiche e con affermazioni di grandi, da Mazzini in poi. A noi basta rilevare l'alto significato di questo epistolario tra il Montanelli e il Michelet, sapientemente illustrato dal dotto prof essore dell5Accademia livornese. E le figure di quelli meritano di essere illuminate, poiché, anche se fuòri della schiera mazziniana, ebbero da essa e in essa simpatie e contrasti, quando l'opera- di Mazzini, quella caduca, andava lentamente declinando. Adolfo Bassi: F. E. Morando, Un genovese spirito bizzarro: Michele Canzio. Originali del secolo scorso. Genova, Casa Editrice Nazionale (s. d.). Il Morando, avendo vissuta e vivendo « la vita rotta e capovolta di quel signore della tenebrosa luce che è il giornalista », è l'uomo più adatto per raccogliere di crocchio in crocchio, nelle sue giornate che cominciano sul mezzogiorno per finire nelle ore piccole dei nottambuli, un’infinità di notizie della cronaca quotidiana cittadina, tra cui ne passano a profusione delle carine. Se si pensa poi che egli venne su alla scuola del Barrili e di Gandolin, e quale schiera-di valentuomini avesse Genova nella seconda metà dell'ottocento, è facile immaginare che ricchezza di aneddoti egli possa narrarci su costoro. 11 posto d'onore è dato a Michele Canzio : ma chi gli è di dietro, non può lagnarsi lo stesso. Quante macchiette curiose! H Mazzarella, valoroso guerriero e pastore evangelista ; il mastodontico onorevole Farina ; una schiera di professori: Antonio Canepa e il suo aborrito Alfieri, il mite Ascanio Sobrero cui la ironia della sorte concesse la scoperta della nitroglicerina, il prof. Marzano dai cento tabarri; il dott. Bomba ereticamente cattolico, e don Marconi direttore dello Stendardo Cattolico, e don Domenico Parodi ex ufficiale di marina; Enrico Petrella Rassegna Bibliografica 367 e i Klainguti; infine tante figurine minori e spassose: di tutti costoro il Morando schizza profili alla svelta, non rifuggendo, per ottener io scopo di interessare, dal compiacersi di qualche deformazione caricaturale, come con specchi leggermente concavi o convessi. E| quando non gli vien subito la parola giusta, la crea con sicurezza giornalistica· Su Nicolo Paganini à una nota finale, nella quale, rettificate alcune notizie sulla data della nascita e liveduti appunti del Belgrauo sullaJ vita del sommo violinista dalla leggendaria fama infernale, a sfatarne l’accusa di avarizia racconta l’episodio noto di un suo gesto magnifico : il dono di L. 20.000 al Berlioz, povero e travagliato, che lo ricompensò, dicendo corna dell’Italia, Beozia dell'arte. Ma 11 « pezzo di resistenza » del gustoso volumetto è dato dalla biografia di Michele Canzio, il padre del garibaldino Canzio, entrambi orditori delle più pazze beffe, celebri tutt’ora in Genova, delle quali 1Ά. dà buon saggio, benché tutt’altro che completo. Temo che alcune sieno apocrife: come quella attribuita già a papà Dante, del pesciolino che piange, ad un pranzo, perchè il reverendo mangia il babbo suo : e quella delle misure sul ponte di Carignano, che precedono la sua- demolizione (e di questa Gandolin è fatto autore) : e quella con cui egli si fa presentare in casa, ove non conosce nessuno, di un giovanotto spasimante della padroncina : storiella che udii attribuita a Stefano Canzio con leggere varianti. Le parti serie^ e più importanti, sono quelle che si riferiscono a Michele Canzio scenografo e artista ed a lui impresario del Carlo Felice. E a questo riguardo mi sia lecito ritornare su una proposta da me lanciata già due anni addietro e sinora, purtroppo, caduta a vuoto (*), in cui, in occasione del centenario della fondazione del Carlo Felice, sostenevo la necessità della formazione di un Museo iconografico e documentario di esso, sul tipo di quello della Scala, pel decoro di Genova e per la rivendicazione di Genova artistica, Cenerentola anche nel campo teatrale, come in tanti altri, quale quello della pittura, in cui però la riabilitazione è già venuta. E se la storia del Carlo Felice pare troppo breve, benché gloriosa, non si dimentichi che quella del teatro S. Agostino risale al 1702, e che il teatro Falcone ci ricorda l’architetto del Palazzo Durazzo e del teatro stesso, il lombardo Giovanni Angelo Falcone, morto nel 1657. Teatri, questi due, che coll’altro teatrino delle Vigne, vissero vita intensa sino al sorgere del Carlo Felice, e non si chiusero interamente neppure dopo. Al Falcone vi fu Alessandro Manzoni, come (al tempo de' suoi amori con la sua futura buona moglie Nicoletta Con-nio), vi era stato Carlo Goldoni. Se più si attende, quante memorie scompariranno, tra le poche che non si sono ancora disperse I Ed è una pena che una parte così importante della storia del costume ge- (1) Ved. La Raxtegna ài A. Pellizzari, Giugno-Agosto. 1029, pag. 1£5. 368 Rassegna Bibliografica η oves e arrischi di restare ignorata per sempre, mentre qualche documento ne rimane ancora : e fra qualche anno si rimpiangerebbe amaramente non averlo raccolto in un Museo, a cui affluirebbe presto, ne son certo, materiale abbondante e prezioso. Quanta storia del balletto e del melodramma nei sec. XVII e XVIII ne verrebbe fuori! Έ, della commedia dell’arte e del teatro goldoniano ! Degna premessa alla storia del Carlo Felice. A tutto ciò ripensavo, leggendo queste pagine del Morando e ricordando quelle di Mario Celle sii « I bei tempi del teatro di S. Agostino » pubblicate nella rivista municipale « Genova » (ottobre ?31), in occasione della compera che il Comune fece del teatro S. Agostino· E se ne venisse fuori un Museo del Teatro genovese, benedette le pagine del Morando e del Celle ! Adolfo Bassi. ^Spigolature e Notizie Un rilevante studio anonimo su «I medici nel risorgimento italiano» è stato pubblicato ne «Il Giardino d'Esculapio» di Milano del luglio 1931. Si illustrano, fra le altre, le figure di Giacomo Mazzini e di Jacopo Ruffini . & ìJì # Giuseppe Leonida Capohianco scrive su «FEco forense » di Napoli del li) settembre 1931 intorno alle pagine del Dottor Antonio che illustrano la partecipazione degli eroi napoletani alla storia del risorgimento nazionale. ❖ ❖ # Nel fase, luglio-settembre 1931 dell’« Archivio Storico di Corsica », Rosario Russo continua la pubblicazione della monografìa su « La ribellione di Sampiero Corso»; Gellio Cassi illustra su documenti inediti i rapporti esistenti fra « Il Cardinale Fesch e madama Letizia alla caduta di Napoleone » ; A. Lo-mbmso rievoca la figura di «Un Diplomatico corso» Vincenzo Benedetti. Ricche, come di consueto le rubriche Notizie di fonti e documenti, Varietà, Questionario, Bibliografia, alle auali hanno collaborato E. Michel, G. Micheli, E. South wel Colucci, C. Masi, G. F. Guerrazzi, D. Spadoni. L. Mordini, / V. Vitale, P. Alfonso, M. Paiotti, R. Cardarelli, Alfredo Gianola, Gino Galletti, Umberto Biscottini, Giuseppe Nuzzo. E. Michel tesse inoltre il necrologio di Filippo Marini. ❖ ❖ & Nella «Rivista di storia, arte ed archeologia per la provincia di Alessandria » del luglio-settembre 1931, J?ivio Pi vano illustra «Le carte superstui di Cristoforo Moja », condannato nel ?33 e deputato di Cicogna nel 1849. $ ÿ ÿ Una ricerca originale, interessante per la storia artistica del nostro Duo mo, istituisce Orlando Grosso in « Genova » Rivista municipale del settembre 1931, col titolo': «La Rosa di San Lorenzo» ossia la finestra circolare sulla porta maggiore che fu a dir dell*A., rifatta verso la metà del secolo scorso senza riprodurre la forma dell’antica. * ❖ ❖ «Genova» Rivista municipale, nel suo fascicolo di settembre 1931 riporta una Conferenza da Artemisia Zimei recitata alla Associazione fra Liguri a Roma, col titolo: «La millenaria potenza e le glorie marinare della Dominante.» Lo scritto continua nel seguente fascicolo di ottobre della Rivista stessa. * ❖ * In «Genova» Bollettino municipale di settembre 1931 Antonio Cappellini scrive ancora sulle Ville genovesi del sec*. XVI trattando de « La Villa Doria » e de « La Villa Gropallo allo Zerbino ». 370 Spigolature e Notizie « Januensìs » cerca in «Corriere Mercantile» del 1 ottobre 1031 «Chi fu il COMANDANTE DELLE GALERE GENOVESI ALLA BATTAGLLA DI LEPANTO». Secondo 1 A. Sarebbe Ettore Spinola e Don Giorgio Centuriore come asserisce il P. Levati. $ ÿ ÿ A centodieci anni dalla nascita di Nino Bixio, uno scritto anonimo, in « Giornale di Genova » del 2 ottobre 1931 ricorda ed esalta « II venturiero della GUERRA E DEL MARE ». ÿ ÿ ÿ « La Chiesa-Oratorio delle Cinque Piaghe » edilìzio sacro clie risale ai primi del XVII secolo e sta ora cadendo sotto i colpi del piccone per necessità d'ordine edilizio, è ricordata da Lazzaro De Siììioni in «Nuovo Cittadino» del 3 ottobre 1931. ÿ ÿ ^ scrive in «Nuovo Cittadino » del 6 ottobre 1931 su « Santa Maria di Camogli tempio dell’arte sul mare ». L'articolo è ricco di notizie storiche ed artistiche, oltreché sul massimo Tempio di Camogli, anche sulle cose camogliesi. ❖ ❖ ❖ «Jan uè usis» scrive in «Corriere Mercantile» dei 6 ottobre 1931 di «Un caratteristico privilegio dell’avvocato del T escovo e del casato genovese dei Bqlgasi» ❖ ❖ * L. E. F. scrive in «Lavoro» del 7 ottobre 1931 su una storia romanzesca col titolo : « Il tesoro deli/ufficiale napoleonico sarebbe stato trovato presso Triora ». Si tratterebbe di un cesoro sepolto nel 1S14 in una località ili Valle Argentina. $ ^ $ Paolo Emilio Tavianì ha in «Nuovo Cittadino» del 10 ottobre 1931 una pagina di «Commemorazione Colombiana» dove tocca della controversia annosa sulla patria del grande Navigatore esponendo in succinto i dati che assicurano a Genova l’onore d’avergli dati i natali. ÿ ÿ $ F. Ernesto Morando scrive scherzosamente in «Corriere Mercantile» del 13 ottobre 1931 sul tema: «Archeologia dello spirito genovese». Spirito cui va preso per humor. ÿ ÿ ÿ «Il Telegrafo» di Livorno del 1-1 ottobre 1931 pubblica integralmente il discorso che Fili μ po Bocchi tenne a Filadelfia il 6 luglio su « L'indipendenza americana ed il generale Pasquale Paoli». ÿ ÿ $ «Cent’anni fa, in Sarzana, fu arrestato Garibaldi)». Con questo titolo scrive Ars in «Lavoro» del IS ottobre 1931 rievocando soprattutto l'ambiente del popolare rione ed accennando con rimpianto alle case vecchie che si vanno perdendo o trasformando nella città antica che fu tutta, nell'epoca prisca, attorno a quel luogo pittoresco. Nel numero seguente (20 ottobre) si corregge la inesattezza del titolo non dovuta all'autore. * * * In «Lavoro» del 21 ottobre 1931 è trascritta una pagina del romanzo «Lorenzo Benoni» sotto il titolo «G. Ruffini e le Casaccie genovesi». In essa questa usanza caratteristica dei liguri è assai vivamente descritta. Spigolature e notizie 371 * * * Ibis ricorda in «Lavoro» del 21 ottobre 1031 «L’igiene di cent’anni fa », traendone la descrizione da una deli Iterazione dell’Ufficio Edili di Genova apparsa nel 1831. ÿ ÿ ÿ «Januensis)) scrive in «Corriere Mercantile» del 21 ottobre 1931 su « I Municipi Romani della Liguria marittima ». ÿ ÿ ÿ In occasione del centenario di Sardou F. Ernesto Morando ricorda ili «Corriere Mercantile» del 21 ottobre 1931 «Xe dimostrazioni pei, Rabagas a Genova ». ÿ ÿ ÿ Vito Vitale nell'articolo «Il carteggio Petetti- Erede», pubblicato nel «Giornale di Genova» del 24 ottobre 1931 recensisce il volume di A. Codignola «Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri», teste edito dai Fratelli Bocca di Torino nel XIII voi. della Biblioteca di Storia Italiana recente, pubblicazione dovuta alla R. Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie e la Lombardia. ÿ ÿ ÿ Col titolo : «Pellegrinaggio a porta chiusa » Amedeo Peseio dà conto in «Secolo XIX» del 27 ottobre 1931 del recente volume «I““Fratelli Ruffini» pubblicato dalla Società Ligure di Storia Patria a chiusa del cinquantenario Ruffini ano. ÿ ÿ ÿ Alessandro Luzio rievoca sul «Corriere della Sera» del 27 ottobre 1931, la figura de «Il Conte Ilarione Petitti » recensendo il volume «Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri» testé edito da A. Codignola, che il L.. dichiara fornito di «tutte le doti di storico vero: passione fervidissima per la ricerca, padronanza della vasta letteratura del Risorgimento, capacità costruttiva e spirito critico immune da preconcetti angusti di partito o di scuola ». * * * 11 « Giornale di Genova» del 28 ottobre 1931 illustrando alcune ((Reintegrazioni d’arte nel Palazzo del Governo» a Genova ricorda la storia e le vicende di quell'antico edilìzio che fu sontuosa dimora dei Doria-Spinola. ÿ ÿ $ Prosegu ndo nella sua illustrazione degli antichi Teatri cittadini, Urbano scrive in «Lavoro» del 29 ottobre 1931 su «Il Colomdo in Portoria», Teatro da tempo scomparso coll’apertura «li via Vernazza. * * £ 11 numero di ottobre 1931 di «Genova» Rivista municipale, reca uno studio di Mario G. Celle che illustra « I bei tempi del Teatro da Sant’Agostino», il più antico teatro comunale, poi passato in altre mani ed ora riacquistato dal Comune. Lo studio, die reca un notevole contributo alla storia delle cose genovesi, è poi ampiamente riassunto in «Corriere Mercantile» del 10 novembre seguente. * * * Su « Il capolavoro del Fiaseixa » una tela conservata dai Cappuccini di Voltaggio) scrive Mario Bonzi in «Genova», Rivista municipale dell’ottobre 1931. 372 Spigolature e Notizie * * ❖ Raffaele Di Tucci scrive su « La rivendicazione genovese di Colombo » in «Genova», Rivista municipale deir ottobre 1931. Lo scritto recensisce il recente volume «Colombo» pubblicato dal Comune. ÿ ÿ ÿ Nel fascicolo d'ottobre 1931 de « Le Opere e i Giorni» Eugenio Anaynine scrive su ;< Genova nei giudizi d’alcuni viaggiatori stranieri dei sec. ΧΛ II e XVIII ». I più sono giudizi benevoli, a volte entusiastici : pochi sono duri o sarcastici (Seignelaye e Montequieu). ^ $ «L’Arte gentile della Filigrana di Genova» h illustrata da Antonio Elena in «A Compagna» dell Ottobre 1931. $ ÿ ÿ Uberto Zuccardl Merli segue in «A Compagna» dell'ottobre 1931 le «Orme di Artisti Liguri in Reggio Emilia». Sono ricordati Passetti, Bensa e Nicolò Barebino. * * ❖ In «A Compagna» dell'ottobre 1931 Stefano Rébaudi scrive sulla personalità e la patria dello scopritore dell'America, col titolo « Son nasciùo a Zen a E DE L-V VEGNO». $ ÿ «A Compagna» di ottobre 1931 ha uno scritto a firma C. C. su «Vecchi costumi genovesi» che è una breve recensione del volume pubblicato collo stesso titolo da Cardo Ferrari e ricco di pregevoli xilografie. ÿ $ ÿ F. Battestini scrive in «Revue de la Corse» del settembre-ottobre 19:51 su « L7 ancre de la «Santa Maria», la caravelle de C. Colomb». La. afferma che in Calvi esistette una Chiesa dedicata a «Santa Maria» e che Colombo per il fatto d'aver dato tale nome ad una delle sue caravelle.... deve considerarsi nato in Calvi. ^ ^ ÿ Il generale. Colonna de (novellina scrive su « Le Général Baron Gacomoni (1750-1818)» nel fase, settembre-ottobre 1931 della «Revue de la Corse». % ❖ ❖ Il Dottor Qe Metz[ inizia nel fase, settembre-ottobre 1931 della «Revue de la Corse» un importante studio sulla malattia che condusse alla morte Napoleone I, col titolo « Comment mourut Napoléon - Le mystère de Sainte HÉLÈNE)). % % * Alla memoria (li Enrico Bensa è dedicato un commosso necrologio in «Archivio Storico Pratese» dell'ottobre 1931. % % % «Come morì Giovanni Ruffini» dice Fra Ginepro in «Nuovo Cittadino» del 1 novembre 1931. I/A. dalla tradizione locale e da documenti deduce la morte cristiana del vecchio patriota. Spigolature e Notizie 373 ❖ ❖ ❖ C. C. C. e cioè il capitano Celestino Cappellotti illustra una parte dell'attività diplomatica esercitata da G. Ruilini in Parigi nel 3849 scrivendo in «Le Forze Armate» di Roma del G novembre 1931 su «Giovanni Ruffini e la RICERCA DI UN COMANDASTE PER L’ESERCITO SARDO ». ÿ ÿ $ In « Nuovo Cittadino» del G novembre 1931 Filippo Terrile muove «Alla ricerca di due Chiese dell*antica Pieve di U scio’wT'Yi sono illustrate due località della Valle di Becco : S. Martino del Vento e Tassorello, entrambe ricche di memorie. ❖ ❖ ❖ «Un genovese enciclopedico» ricorda Mio Vitale in «Giornale di Genova» del 7 novembre 1931. Trattasi di don Luigi Serra monaco olivetano, del quale il Vitale profila nettamente, in breve, il carattere focoso, il genio arguto, l'indole virulenta. ÿ ÿ ÿ « Il Nuovo Cittadino » dell’S novembre 1931 pubblica sotto il titolo : « Cristoforo Colombo è genovese » un giudizio (li Carlo De La Foncière tolto e tradotto da «L’Illustration» di Parigi sull opera testé uscita a cura del Comune di Genova a provare la genovesità di Colombo. ÿ ÿ Lazzaro De Simoni scrive in «Nuovo Cittadino» delPS novembre 1931 col titolo: «Sulle orme del ragazzo di Portoria» attorno alla possibilità di individuarlo nel Giambattista Perasso. $ ÿ $ Su «Lo storico campinone del Comune Albingauno» testé rifuso e ricollocato sulla vetusta torre comunale scrive Carlo Rombo in «Secolo XIX» delFS novembre 1931. $ * * « L italianità della Corsica» illustra attraverso un rapido excurgus nella storia dal 1078 a Napoleone III, P. Wilfredo nel fase, di ottobre «Noi e il Mondo» di Roma. L’articolo è ripubblicato da «Il Telegrafo» di Livorno deiril novembre 1931. * * * « Il nuovo Museo D’Archeologia ed Etnografly Americana » ordinato da Orlando Grosso nella Alila Durazzo-Pallavicini è illustrato, in uno scritto anonimo nel «Corriere Mercantile» delTll novembre 1931. * * * Su « I Fratelli Ruffini » scrive F. Ernesto Morando in «Corriere Mercantile » del 12 novembre 1931 recensendo il recente volume di A. Codignola. Il M. mette in rilievo il notevole contributo portato agli studi storici dall*introduzione clie il C. ba premesso alle lettere. ^ ÿ ÿ In «Secolo XIX» del 14 novembre 1931 Amedeo Peseio vorrebbe riaperto «Il processo Genova-Corsica » ossia riformato il severo giudizio già pronunciato contro Genova imputata di malgoverno dell’isola che fu già suo possesso. 374 Spigolature e Notizie * * * Riferisce Jamiensìs in «Corriere Mercantile» del 14 novembre 1931 rievocando un lontano passato, di «Una contkavvenzione al pittore Nicolò da Voltai nel 1375 ». L’artista vi incorse per essere stato trovato fuori, eli notte, senza lume, dopo il suono deU’A-ue Marta serale. Sotto il titolo: «Nel primo centenario della Giovine Italia» A. G. C. T. ripubbblica in «Secolo XIX» del -5 novembre 1931 una lettera di Agostino Ruffini a Federico Rosazzà, già resa nota dalla Rivista « Il Risorgimento Italiano» (A. II fase. I) del Manzone, ma che passò quasi inosservata e non fu pubblicata dal Faldella. Martel in «Il Telegrafo» di Livorno del 17 dicembre 1931 rievoca in un articolo intitolato «Corsica aveva salvato Genova », il contributo di valore dato da un nucleo di Corsi nellOccasione dell’attacco contro Genova, - al tempo della congiura ordita dal Della Torre - avvenuta nel 1G4S da parte dell'esercito piemontese comandato da Carlo Emanuele II di Savoia. * * * 0. F. T enea joli scrive in «Il Telegrafo» di Livorno del 19 novembre 1931 su « La Chiesa di San Martino a Patrimonio». Contrassegnato *, pubblica «Il Lavoro» del 19 novembre 1931 uno scritto dal titolo «Un dramma della coartazione». Vi si racconta un episodio di vendetta corsa: epoca, verso il 17S0. Ne fu teatro il quartiere genovese di Ajaccio e si svolse tra le due famiglie Bonaparte e Tozzo di Borgo in una casa abitata, a metà ciascuna, dalle due famiglie. Arrigo Fu gassa scrive in «Corriere Mercantile» del 19 novembre 1931 col titolo «La polena» evocando vecchie storie di Riviera. Storie, nel senso di tradizioni e leggende, tutte permeate però della realtà viva della storia vera di Genova, animosa, sempre, ad andare sul mare. * * * Il «Giornale di Genova» pubblica nel suo numero del 20 novembre 1031 un breve scritto di Cornelio eli Marzio dal titolo : «Lapidt «enovesi in Oriente». Arnaldo Cipolla scrive su «La Stampa» di Torino del 22 novembre 1931 su « La l-iguiu e la morte dell’Eroe rievocate dalla figlia » e cioè sulla tragica fine di Nino Bixio. Il brillante giornalista incorre in qualche inesattezza · la più curiosa è la notizia di una prossima pubblicazione (li una vita di G. Garibaldi che si sta scrivendo in collaborazione fra il Senatore (sic) A. Luzio ed A. Codignola, che ambedue l’hanno appresa dal Cipolla stesso. ÎJÎ iji Nel « Marzocco » di Firenze del 23 novembre 1931 col titolo « Navigazione genovese medioevale» si riassumono le importanti conclusioni tratte da T7ito Vitale recensendo l'opera del Byrne nel fase. HI del nostro Giornale. * * * « Poesia, leggenda e storia del simbolo di nostra gente » è il titolo d’uno Spigolature e Notizie 375 scritto (li Amedeo Peseio in « Secolo XIX » del 24 novembre 3931. Come simbolo v’è considerato l'antico Faro (o Lanterna) che segna ai naviganti il Porto di Genova. * * * In «Lavoro» del 24 novembre 3931 Arturo Salucci dedica due commosse pagine alla memoria de « La sorella dei Ruffini » ispirandosi al notevole cenno che ne diede Adolfo Bassi nel recente volume « Giovanni Ruftini e i suoi tempi ». * * * Sotto il titolo: «Silloge di Studi» F. Ernesto Morando dà conto in « Corriere Mercantile » del 24 novembre 1931 di alcuni recenti lavori su Genova nel Risorgimento, apparsi nel recente volume «Giovanni Ruffini e i suoi tempi » edito dal Comitato Ligure della Società Nazionale del Risorgimento in occasione del cinquantenario ruffiniano. * * * « Un paese ligure in Sardegna » e cioè Carloforte, antica colonia genovese neirisola, ricorda Paolo Emilio Taviani in «Nuovo Cittadino» del 25 novembre 1931. * * * In «Secolo XIX» del 29 novembre 1931 Ettore Bravetta scrive su «L’Accademia Navale » di Livorno ricordando, tra gli Istituti affini che la precedettero, la «Scuola Navale» di Genova, ch’era la Scuola di marina Sarda, fondata a Genova dal Des Geneys nel 1815 e dove si parlava di preferenza il dialetto genovese. $ ÿ ÿ Antonio Cappellini continua ad illustrare in «Genova», Bollettino municipale, le Ville Genovesi del sec. 17. Nel numero di novembre 1931 è la Villa Serra di Nervi e la Villa Brignole-Sale di Voltri sono ricordate con un cospicuo corredo di dati storici. Φ ❖ ❖ «Genova», Bollettino municipale del Novembre 1931 riporta «L’eco nel mondo dell’opera documentaria sulla genovesità di Colombo ». Riviste e giornali d’ogni paese hanno recensito il volume pubblicato ad opera del Prof. G. Monleone e Dr. G. Pessagno che offre la documentazione del natale genovese del grande ammiraglio. Η* Η* ¥ Pietro Nuira rievoca su importanti documenti « Voci inedite sui Ruffini » in «La Cultura Moderna » di Milano del novembre 1931. Hì ❖ îfc Vincenzo Guarrera scrive in «Lavoro» del 1 dicembre 1931 su «I rimedi d’una volta ». Prendendo occasione da un antico vaso di marmo conservato nel Museo dell’Ospedale Panimatone ricorda la triaca che v’era preparata con gran cura e con particolare solennità regolata dal Governo stesso della Repubblica di Genova. ❖ * * In « Corriere Mercantile » del 2 dicembre 1931 è ampiamente recensito il recente volume «Michele Canzio» pubblicato da F. E. Morando. ❖ * Φ « Socrate » porta in «Giornale di Genova» del 5 dicembre 1931 un «Contri- 376 Spigolature e Notizie buto AL folkore ligure» studiando i soprannomi popolari imperiosi più comuni e caratteristici». * ❖ * Portando «Fiori e Canzoni al figlio di Portoria» Lazza)° ^Ìrosto vorrebbe (in «Nuovo Cittadino» (lei Ô dicembre 1931) che si addnenisse presta a sicura identificazione del P»alilla nel Perasso di Genova. * ❖ * In «Secolo XIX» del 5 dicembre 1931 r\ Gentile corre « Sulle traccie delle Vie Romane nella Liguria di PonfsnTs ». * ❖ ❖ In « Note e ricordi » pubblicati (la Vico ilantegaeza in «Corriere Mercantile » del 5 dicembre 1931 sono lumeggiati paieccln aneddoti garibaldini co l'intento di commemorare meglio il cinquantenario della morte dell i^roc.. « ❖ ❖ F. Ernesto Morando scrive in «Corriere Mercantile» del 5 dicembre 1931 di «Nino Binio » riferendo notizie anedotticlie sulla vita turbinosa del secondo dei Mille. ÿ ÿ ^ Mario Labo prendendo lo spunto dalla pubblicazione colombiana recentemente edita dal Comune di Genova riassume ne «Il Marzocco» di Firenze dei o dicembre 1931 le discussioni non sempre serene ed obbiettive avvenute nei passato e recentemente sulla genovesità di Colombo. L’articolo porta il titolo . Ancora sulla patria di Cristoforo Colombo ». ii: ❖ * Col titolo· «Genovesi, spiriti bizzarri » recensisce in «Lavoro» del 9 dicembre 1931 il recente volume di F. Ernesto Morando su «Michele Canzio». * * * Iu «Corriere Mercantile» del 9 dicembre 1931 è dedicato uno scritto ^anonimo a «Barnaba Cicala Gaserò ». $ :!= ❖ Su «L’eccidio di Rapallo» scrive guglieimo Sensi in «Secolo XIX» del 10 dicembre 1931. Il 4 settembre 1493 la flotta napoletana sbarcata a Ramilo il servizio di Carlo Vili di Francia saccheggiò la cittadina di Ra palio facendo scempio degli abitanti, anche bambini e malati ricoverati all Ospedale. * ❖ * «Storia e mito di Balilla » è il titolo di uno scritto .anonimo pubblicato 111 «Corriere Mercantile» del 10 dicembre 1931. V’è rifatta la cronaca della cacciai·! degli austriaci da Genova. L’A. non crede potersi identitìcaie il Ballila ma pensa con ciò non ne venga sminuito il valore del fatto stoiico. * ❖ * a ve scrive in «Secolo XIX» del 17 dicembre 1931 su «Le Memorie Storiche di' Girolamo Serra» pubblicate dal l’rof. Nurra e che riguardano la storia di Genova tra gli ultimi anni del sec. XVIII e l’anno 1814. * ❖ * In «Corriere Mercantile» del 18 dicembre 1931 è continuato lo scritto allonimo su. Barnaba Cicala Casero » di cui già nel numero del 9 dicembre delio-stesso giornale. Spigolature e Notizie 377 #5% ,s\ (j. scrive in «Nuovo Cittadino» del 22 dicembre 1931 su «Il Saltuario della Pace in Aliulssola ». V’è ricordata la giornata del 18 ottobre 1431 che portò pace alle lunghe lotte tra Albissola e Stella, evento ascritto ad un prodigioso intervento della Madonna. # x * Sotto il titolo: «Cristoforo Colombo Genovese illustra in «Vie d’I- talia e dell’America Latina» del dicembre 1931 la monumentale opera documentaria pubblicata dalla città di Genova a prova della genovesità del grande navigatore. * * * In «Vie d’Italia» del dicembre 1931 Edith Southwell Golucci (trad. di Guido Colucci) pubblica uno scritto illustrante «Vecchie Chiese Corse ». Tra una sessantina di chiese e chiesette romaniche che mantengono vivo ancora in Corsica il buon ricordo della dominazione pisana, l’A. ne sceglie alcune, delle più significative: V’è compreso il cenobio domenicano di Corbara, noto per l'esilio che vi passò il Padre Didon. ❖ ❖ * In «Le Opere e i Giorni» di dicembre 1031 Rinaldo Caddeo ha alcune pagine di «Polemica Colombiana ». Il Caddeo risostiene, contro il Carbia di Buenos Ayres, l’autenticità delle «Historié» di Don Fernando. * * # Una biografia di Fra Francesco Maria da Camporosso, pubblicata anonima nel 1866, anno di morte del Padre Santo, è ripubblicato nei fascicoli di settembre-dicembre 1931 da «Il iPadre Santo ». . ÿ ÿ $ Un importante nucleo di lettere guerrazziane a Bernardo Mattiauda, bar-dinetese di nascita, savonese di elezione, pubblica Filippo Noberasco nell'opuscolo «Alcune lettere inedite di Francesco Domenico Guerrazzi» testé edito dalla Tipogr. Savonese. Le lettere vanno dal 2 giugno 1S69 al 23 dicembre 1879. APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su G. Mazzini pubblicati all9estero C. A., Il centenario della «Giovine Italia» in «Progresso Italo-Americano», New-York, 27 settembre 1931. In un’intera pagina riccamente illustrata si rievoca il centenario della costituzione della Giovine Italia e si dà notizia di numerose lettere, manoscritti, ricordi e cimeli mazziniani conservati nel Brown Memorial di Providence. ---. Una lettera dì Massini fra i cimeli di Kossuth, in «Unione», Tunisi, 7 ottobre 1931. Si dà notizia della lettera diretta dal Mazzini al Kossuth Γ11 novembre 1851 douata da Gabriele Wells al Museo parlamentare ungherese. --, Rievocazioni storiche della riviera ligurein «Corriere degli italiani in Australia », Sidney, 14 ottobre 1931. Succinta notizia delle cerimonie commemorative avvenute a Taggia ed a Genova nel cinquantenario della morte di G. Ruffini e nel centenario della fondazione della «Giovine Italia». --Italian Boolcs in Review, in « Atlantica », New-York, ottobre 1931. L'a. recensisce la raccolta degli scritti letterari del Mazzini, curata dal Rispoli, già segnalata. --. Xjna lettera di Mazzini donata all3Ungheria, in «Corriere d’America », New-York, 1 novembre 1931. Si tratta della lettera del Mazzini al Kossuth dell’ll novembre 1851, già segnalata. ATO, Cimeli mazziniani donati al Comune di Genova, in «Messaggero di Rodi», Rodi, 13 novembre 1931. E- segnalata l'importanza del dono fatto dalla signora Josephine Shaen alla Casa Mazzini di Genova di due pregevoli cimeli del grande Apostolo. Si tratta di un busto m gesso raffigurante le fattezze del Mazzini nella piena virilità al dimani della caduta della Repubblica Romana, firmato Angelo Bezzi con data Londra 1850, e di una c -tarra con data Napoli 1821 donata all’amico William Shaen dal grande Genovese. ---, Preziosi cimeli di Giuseppe Mazzini, donati dalVinglese Shaen a Genova, in «L’Italia Nostra », London, 20 novembre 1931. Si dà notizia del dono fatto a Geuova dalla Signora Josephine Shaen dei cimeli mazziniani già segnalati. --, Una lettera mollo dubbia di Àbramo Idncoln sul Risorgimento Italiano in « Voce del Popolo », Detroit Mich., 27 novembre 3931. Si tratta della vexata quaestio riguardante la ben nota lettera di Lincoln a Macedonio Bibliografia Mazziniana 379 Melloni tradotta dal Mazzini, pubblicata la prima volta molti anni or sono e ri-pubblicata un’infinità.di Tolte, in questi ultimi anni, come testimoniano i nostri Appunti. I n recente articolo di Capobianco sulla Rassegna storica del Risorgimento di Roma, nello quale si è ripubblicata, ha dato la stura ad una infinità di supposizioni, fra lé quali quella di Nejson Gay, raccolta dalla «Voce del Popolo», che il documento sia una falsificazione. - — —, La lettera di Lincoln, in «Carroccio », New-York, novembre 1931. Si ribatte l’asserzicne latta dal «Progresso Italo-Americano» di aver pubblicato sulle sue colonne per la prima volta il 25 ottobre 1931 la ben nota lettera di Lincoln al Melloni e si afferma che essa venne pubblicata fili dal 2 aprile 1920 nel Popolo d'Italia di Milano e ripubblicata dal Carroccio nel maggio successivo. Opere e studi su G* Mazzini pubblicati in Italia --Giovanni Ruffini c i suoi tempi, Genova, presso la Soc. Nazion. per la Storia del Risorgimento - Comitato Ligure 1931. Il Comitato per le onoranze a G. Ruffini nel cinquantenario della sua morte ha edito un’assai importante silloge di studi, condotti su documentazione nuova. Gli autori, Bassi, Bornate, Cavassa, itala Cremona Cozzolino, Escoffier, Guerrieri-Crocetti, Ober-tello, Rinaldi, Vitale, hanno portato un contributo di primissimo ordine alla conoscenza della vita e dell'opera di G. Ruffini e dei tempi in cui sorse Mazzini. Può dirsi che all’Apostolo dell'Unità vi siano cenni in tutti gli scritti. Codignola A., Mazzini alla ricerca di una fede ed il dramma dei Ruffini, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 1931. Questa monografia, la quale non è che l’introduzione al II volume dei Fratelli Ruffini, pubblicata in occasione delle cerimonie commemorative del cinquantenario della morte di G. Ruffini, è dedicata allo studio della formazione del pensiero religioso del Mazzini, e attraverso le poche manifestazioni lasciateci, a quello di Giovanni e di Agostino Ruffini. Si riprende inoltre l’esaime delle cause che determinarono la rottura del sodalizio Maz-zini-Rufflni, le quali, secondo l’a., non sono da ricercarsi in un contrasto esclusiva-mente di carattere religioso. Ferruccio Quintavalle, Mazzini, Torino, Paravia, 1931. Nella collana di scrittori italiani con notizie storiche ed analisi estetiche del Paravia il Q. pubblica una monografia di carattere divulgativo accurata e pienamente rispondente allo scopo prefissosi. P. Pantaleo, La (.{Giovine Italia » e la sua funzione, in «Regime Fascista», Cremona, 31 ottobre, 1 novembre 1931. 11 P. rievoca i postulati fondamentali che ispirarono il Mazzini nella creazione della Giovine Italia ed illustra con precisa informazione le condizioni politiche italiane ed europee negli anni in cui sorse la gloriosa associazione. --, Le origini della Giovine Italia al Congresso del Risorgimento, in «Resto del Carlino », Bologna, 1 novembre 1931. Si dà notizia del notevole contributo di studi portato dalle memorie presentate al XIX Congresso della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento, che si teune a Modena nei giorni 29-31 ottobre e si concluse a Genova il 1 novembre con la commemorazione del cinquantenario della morte di G. Ruffini e del centenario della Giovine Italia. Mario Menghini, oratore ufficiale, rievocò con acuta e profonda dottrina come sorse e quali fini si propose il Mazzini con la fondazione deirassociazione Giovine Italia. 380 Bibliografia Mazziniana ? Le solenni onoranze a Giovanni Raffini - II dotto discorso del prof. M en g h ini sull3opera mazziniana e la «Giovine Italia» in «Corriere Mercantile», Genova, 2 novembre 1931. Si pubblica quasi integralmente il discorso tenuto dal Mengliini a Genova nel Teatro Carla Felice il i novembre. Sulla dibattuta questione della causa che originò la rottura del sodalizio Mazzini-Rufllni l’oratore disse : «Acute indagini e sottili, ma sensatissime deduzioni ricavate dall’esajne compito sulle lettere dei fratelli Ruffini alla madre che va pubblicando un valoroso storico — e ho nominato Arturo Codiguola qui presente e che aviei voluto fosse a questo mio posto — hanno potuto stabilire che il fallimento della spedizione non fu il solo grande dolore che in quei niesi il destino avea riserbato al Mazzini. Un’altra delusione seguiva a quella tremenda tempesta del dubbio da lui descritta in pagine che sembrano scritte col sangue, quando pareva che Jacopo sorgesse dal sepolcro a maledirlo e che la madre sua gli gridasse di renderglielo e altre madri con essa, e il rimorso gli consigliava ad uccidersi. Egli si sentiva forse colpevole da) giorno in cui la madre dei Ruffini era arrivata dolorante a Marsiglia, dove era rimasta sola con ι figli per una settimana, durante la quale il Mazzini, col passaporto che s’era fatto dare da Agostino, era corso a Montpellier a raggiungere Giuditta Sidoli in procinto di diventar madre d’un figlio avuto da lui. E tornato a Marsiglia, s’era svolta una scena che doveva avere terribili conseguenze, cioè la rottura di quel sodalizio che s’era stretto tra loro per la vita e per la morte. Se non che, nei lunghi anni che furono ancora insieme, dal labbro del grande apostolo non esci mai un grido di protesta contro quel fatto ; e anche nel Ì851, accennando a una sua amica di Londra ai dolori morali da lui attraversati personalmente, dichiarava non desiderare assolutamente parlarne o che altri ne parlasse ; e uno di essi era tutto l’affare Ruffini. «I due fratelli non ai serbarono tali. Può dirsi che fin dai primi mesi del loia esilio, i Ruffini, e specialmente Giovanni, accennarono ripetutamente, nelle loro lettere alla madre, a quella crisi d’anime; e più v’insistettero in seguito». Franco Vellani Dionisi, Una lettera di Giuseppe Mazzini a Luigi KossuiliΛ in «Regime fascista», Cremona, G dicembre 1931. ■ La lettera inedita del Mazzini al Kossuth dell’ll novembre 1851, donata dal Wells al Museo del Parlamento ungherese, già segnalata, è pubblicata integralmente dal V. con ampio e sagace commento. Articoli vari in Riviste e Giornali Victoria Gllinati, Una figura enigmatica del Risorgimento : Felice Foresti^ in « Nuovi problemi (li politica, storia ed economia », Ferrara, luglio 1931. La Gulinati in questo studio, che è in continuazione, tenta un processo di riabilitazione del patriota che fu presidente della Congrega Centrale della «Giovine Italia» in America,, ed inizia una ricostruzione assai precisa della vita e delle opere del Foresti, sino ad oggi non compiutamente studiato. F. Ernesto Morando, Il moto di Genova nel ISrn e la spedizione Pisacane, in «Corriere Mercantile», Genova, G ottobre 1931. Il vol. 08® degli Scritti mazziniani, edizione nazionale, raccoglie le lettere dell’Apostola riferentisi in gran parte alla spedizione Pisacane, e dà occasione al Morando dii rievocare con la consueta ricca messe d’informazioni la generosa e sfortunata impresa finita tanto tragicamente. (1. t.), Realismo, in «Regime Fascista», Cremona, 8 ottobre 1931. A proposito del discorso tenuto a Roma da Lord Cecil sulla questione degli armamenti,. Biblioorafia Mazziniana 381 la. dopo aver riportato vari brani della prosa dell'uomo di .Stato inglese soprattutto quelli che accer.nano ai rapporti tra individuo e Stato, in tal modo commenta: « Era necessaria una tragica esperienza perchè un concetto cristiano — illustrato e predicato dal Genio italiano, da Dante a Mazzini — si imponesse alla coscienza del secolo XX! Ritornano le parole del Nostro — aventi sapore di attualità _ che insegnava : «Oggi dopo diciotto secoli di studi, di esperienze e fatiche, si tratta di dar sviluppo a quei germi («noi siamo benché molti un corpo solo e membra gli uni degli altri»), si tratta di applicare quelle verità, non solamente a ciascun individuo, ma a forze nuove, presenti e future, che si chiama l’Umanità». Questa la Legge della Vita, che la esperienza rivela come modo normale di essere della collettività umana». --, La cella ove Andrea Vochieri trascorse le ultime ore. Come lo definì Giuseppe Mazzini, in «Piccolo della Sera». Trieste, 9 .ottobre 1931. Si rievocavano gli ultimi giorni di vita del martire alessandrino del ’33 e si ripubblicano gli episodi che Giovanni Re narrò a G. Mazzini. E. F., Carlo Felice, in «Nuova Scuola Italiana», Firenze, 11 ottobre 1931. A proposito della recente monografia di Francesco Lemmi su Carlo Felice, l’a. osserva : « Certo, la virtù familiare, l’austerità del costume, la profonda convinzione di servire, con la reazione, la causa stessa di Dio, alcuni suoi tratti di magnanimità contro' i suoi stessi nemici personali, riscattano in C. F. gli eccessi a cui lo spinse il rigore delle sue convinzioni assolute. Ma lo storico non ha da giudicare uomini astratti, alla stregua di un tipo ideale umano sempre nel tempo e nello spazio. Coloro che esercitarono il potere assunsero una responsabilità davanti alla storia, e la storia li giudica secondo il bene o il male prodotto dai loro atti alla sorte dei popoli, cui Stato e potere stanno come mezzi a fine. «Cosi essendo, sembra arbitrario avvicinare — come fa il Lemmi concludendo — Carlo Felice a Mazzini, per una pretesa «grandezza morale» che li accomunerebbe nel giudizio della posterità. Non è necessario, a compartire equamente la lode, confondere in una incomparabili altezze. Ma questi appunti non ci impediscono di riconoscere nel volume del Lemmi — considerato nel suo complessso — un utile contributo alla conoscenza di un periodo storico, che le passioni intorbidarono a lungo e in cui fermentarono i primi germi del R'sorgimento». Ο. Facchi, Al)ramo Lincoln per la Dalmazia italiana, in «Popolo di Brescia», Brescia, 13 ottobre 1931. La lettera del Lincoln al Melloni, più volte segnalata, perchè tradotta dal Mazzini, è commentata dal F., il quale rivendica le ragioni ideali che inducono a considerare la Dalmazia come terra nostra. ---, Risorgimento italico in «Luce»., Roma, 14 ottobre 1931 A proposito del recente studio di p. Riuieri sul Gioberti, il foglio romano scrive : « A cent’anni di distanza e dopo il 1848, il 1870, e specialmente il 1929, nè si comprende nè si può ammettere che sopravviva quella intransigente e irata mentalità che condanna e insozza la memoria degli uomini più benemeriti di quel fortunato movimento di redenzione che ha ridato l’Italia a sè stessa. E’ per ciò che non si concepisce che proprio neiranno della Conciliazione (1929) sia venuto fuori un volume del gesuita Ilario Rinieri : (« Il Primato o i Prolegomeni dell’Abate Vincenzo Gioberti »), in cui il Gioberti viene dipinto come settario e cospiratore « avendo appartenuto a quattro sette proibite dalla legge, dalla coscienza e dall’onore». «Orbene, è un insulto all’Italia risorta il dichiarare «La Giovane Italia », le varie «Società dei Carbonari» come composte d’uomini privi di coscienza e d’onore». (1. ,t.), Imparare bisogna, in « Regime Fascista », Cremona, 15 ottobre 1931. Fra le tante amenità che si rintracciano nei giornali quotidiani, quella di un foglio romano, il quale definisce medioevalisti il Mazzini ed il Gioberti, induce Pantaleo a 382 Bibliografia Mazziniana scrìvere fra l’altro: «Per ciò che riguarda Mazzini, rimando > lettori, a due suoi lavori, in cui si concreta il silo , pensiero in ordine ai rapporti tra 14 Centro Gerarchico del medioevo e la modernità : Dal Papa al Concilio, scritto nel 1832, Dal Concilio a Dio, scritto nel 187Ü. Mazzini aveva superato completamente il Medioevo. Bastano queste parole dei Doveri, per dimostrarlo : « L'Umanità è il Verbo vivente di Dio. Lo Spirito di Dio la feconda e si manifesta sempre dì il puro. Dio si incarna successivamente nella umanità. .1 conoscere la legge di Dio avete bisogno di interrogare non solamente la vostra coscienza, ma la coscienza, il consenso del-a Umanità». Non credo siano necessarie altre citazioni per dimostrare che Mazzini, con la sua concezione evolutiva, ma non meccanica, del divenire religioso del mondo, col suo concetto dell’immanenza del divino nella storia e nell'uomo, con la sua concezione della personalità, come avente un eterno valore, avesse enormemente distanziato · lo stesso Gioberti ». Piero Pieri, Lodovico Fra polli e le sue missioni diplomatiche, in « Nuova Italia », Firenze, 20 ottobre 1931. Succinta recensione della monografia di M. Menghiui più volte segnalata. Gian Francesco Marini, Luci ed ombre nella preparazione italica, in « Popolo d’Italia », Milano, 21 ottobre 1931. Il M. riprende in esame l’accusa di traditore elevata contro il Daelli, in occasione della recente monografia di II. Caddeo, più volte segnalata, e pone innanzi 1 ipotesi che l’arresto del Dottesio sia stato provocato dai famigliar! della Bonizzoni. --, L’italianità della Dalmazia rivendicata da Abramo Lincoln in un messaggio a Macedonio Melloni, in «Lavoro Fascista », Roma, 24 ottobre 1931, 11 foglio romano ripubblica la ben nota lettera del Lincoln al Melloni con la postilla mazziniana facendola precedere da notizie biografiche del tisico parmense tratte dal l’articolo pubblicato dal Capobianco nella Rassegna storica del Risorgimento. C. C., Libri nuovi in « Gazzetta del Popolo della sera », Torino, 23 ottobre 19ol. Breve nota nella quale si recensiscono il recente volume del Quintavalle su Mazzini già segnalato e le due pubblicazioni più recenti della Bice Pareto Magliano : le Lettere ad una famiglia inglese e le Lettere e ricordi di G. Mazzini. F. Ernesto Morando, Giovanni Ruffini, in « Corriere Mercantile», Genova, 31 ottobre 1831. Il Morando traccia un acuto profilo di G. Ruffini ed ha non pochi accenni alle cause che determinarono la rottura del sodalizio fra Mazzini ed i suoi giovani amici. Anche per il M. la causa non va ricercata in dissensi di carattere politico e religioso : «è storia pur questa - scrive — per quanto di dolore; ma è storia, e non deve dissimularsi, nè, d'altra parte, gioverebbe oggi, dopo tutto il materiale documentario apparso in luce». G. D. Leoni, Un Impero contro una tipografia, in « Pensiero », Bergamo, ot- tobre 1931. Succinta recensione della monografia di R. Caddeo più volte segnalata. Gualtiero Guatteri, JIazzini e Vittorio Emanuele, in « Gran Mondo », Roma, ottobre 1931. Articolo divulgativo sulla funzione diversa che ebbero nella storia del nostro * c ^ ^ Mazzini e Vittorio Emanuele, che non porta alcun serio contributo di critica nc di documentazione. Francesco Flora, Nel cinquantenario della morte di Giovanni Ruffini, in «L’illustrazione Italiana », .Milano, 1 novembre 1931. Il F. rievocando la figura del ItuIBni e le cause che determinarono il suo distacco dal Mazzini, scrive fra l’altro: .Bisogna .lire che il Ruffini cominciò presto a dubitare della saggezza pratica dei moti mazziniani. Diceva : «Costui ha fiducia negl, uomini e Bibliografia Mazziniana 383 confidenza in sè stesso: a me manca l’una e l’altra ». Ma in realtà la confidenza di Mazzini che si sentiva, sempre solo, era la tenacia delle idee e della missione : una forza divina e una fede per le quali, se pure la pratica e immediata attuazione ideale avesse dovuto soccombere, egli si sentiva rassegnato, non mai sconfitto. Alla viltà della sorte non si arrendeva : «E ce è scritto che i nostri padroni debbano essere più forti di noi per tutta la nostra vita, noi ci rassegniamo, abbiamo Dio contro essi.....». Queste ed altre parole di Mazzini hanno una tal fiera grandezza da valer bene i «fatti»: ed anzi, a lor volta, son fatti di straordinaria potenza, e dicono il dovere della resistenza solitaria ed eroica che prepara la storia del domani». Arp, Xel centenario della «Giovine Italia», in «Lavoro», Genova, 1 no-vembre 1931. Il Saiucci dÌL notizia assai ampia dei due volumi editi in occasione del cinquantenario drfla morte di ^ώο- Sc™‘e * Cavassa- «Il grosso volume è d’un interesse storico cosi evidente e costituisce un do cumento così palpitante che ogni parola di elogio ad Arturo Codignola, del appassionato e intelligente ordinatore, appare davvero superflua β capisce più I R o -gimento leggendo questi intimi sfoghi dell’anima che non le critiche storiche posteri ricostruttori. » __Le onoranze a Giovanni Ruffini e una rievocazione mazziniana a Ge- ’ nova, in «Gazzetta del Popolo», Torino, 2 novembre 1931. Si dà il resoconto della commemorazione fatta a Genova il 1 novembre da Mano 11 quale rie^cò, come già sè segnalato, con una dotta orazione, il centenario oella fondazione della Giovine Italia. Il discorso è ampiamente sunteggiato. ___ pregevoli cimeli di Mazzini donati al Comune di Genova, in «Popolo di Trieste», Trieste, 11 novembre 1931. Si dà notizia del dono fatto dalla Signora Giuseppina Shaen, già segnalato. F. Ernesto Morando, I Fratelli Ruffini, in «Corriere Mercantile», Genova, 12 novembre 1931. Recensione della monografìa del Codignola già segnalata: «Atteso da tutti gli di quello, può dirsi, mondo a sè che è la storia del patrio uorgimen o il M. - il nuovo volume non ha, certo, deluso l’aspettazione; anzi può affermar, l’abbia appagata oltremisura per le cure spese attorno al non tacile a'°™ 1 0. editore, per la coscienza dal valoroso storico recata nella trattazione de ^omen^, che l’arte schietta del Codignola, innamorato del suo soggetto, rende j come la lettura di un romanzo. « \ccennando alle cure editoriali non intendiamo soltanto dire della vasta i us ra rica e critica che accompagna passo passo tutto l'epUtolario come un comment pe, uetuo poiché di ciò i lettori già hanno documentazione dal pi imo \o urne. - «a il dramma Uà Ruffini, il quale davvero scioglie un problema psicologico ed 384 Bibliografia Mazziniana risce ima questione storica per l’indagine mazziniana ; studio, ripetiamo, che nulla lascia a desiderare nella soggetta materia, e per la ricerca accurata, talora minuziosa, delle fonti, e la esposizione di dati di fatto, e la loro valutazione alla luce di un’acuta indagine. «L’Autore si propone di seguire da vicino il formarsi della coscienza religiosa del Mazzini fino alla famosa crisi del dubbio, che segnò non soltanto il suo trapasso, irrevocabilmente fermo, da letterato e cospiratore ed apostolo di una fede, ma che aprì pur nuovi orizzonti ai suoi fratelli d’amore; e indagare, poi, da quali cause remote e prossime, ebbe origine la rottura del sodalizio più che decenne Mazzini-Ruffini». Il Morando conclude accettando l’ipotesi sulle cause che provocarono la rottura del sodalizio prospettata dall’autore. __f Conferenze, in « Giornale (li Genova », Genova, 17 novembre l9ol. Succinto resoconto della superba rievocazione fatta da V. Vitale della figura di Giovanni Ruffini e dei suoi tempi, e dei rapporti che legarono Jacopo, Giovanni ed Agostino ai Mazzini, rievocazione che riscosse l’ammirazione dell eletto pubblico degli studiosi intervenuti numerosi aU’Università Popolare Genovese il lo no\em re Aldo Romano, Γη anno critico pel mazzinianesimo : il 1S57, in «Nuova Italia», Firenze, 20 novembre 1931. Acuta recensione del voi. 58 degli Scritti mazziniani, testé edito nell’edizione nazionale. Arnaldo Ceryesato, Il centenario della « Giovane Italia », in Giornale di Si-cilia», Palermo, 21 novembre 1931. Nota commemorativa. F. Ernesto Morando, Silloge di studi, in « Corriere mercantile », Genova, 24 novembre 1931. Ampia recensione della silloge pubblicata in occasione delle onoranze cinquantenarie Gio\anni Ruffini, già segnalata. Alberto Lumbroso, Perché si raffreddò 1 amicizia fra Modini c i Buffi « Giornale di Genova », Genova, 21 novembre litól. I, L. rendendo lo spunto dalla recente monografia di Fra Ginepro sui Rufflni si chiede Jg la'causa che provocò la rottura del sodalizio Mazzini-Rufflm debba ricercarsi mj^ vario di carattere intimo oppure in un dissenso causato da tesi religiosa e seguendo le orme del frate cappuccino accetta sen=i altro strenuamente sostenuta nel volume accennato ed in vari articoli da P.Pantaleo, Anime e crisi di anime nel Risorgimento, in «Regime fascista Cremona, 26,2S novembre 1931. Amoia recensione della monografia di Fra Ginepro sui AffrontoL de"i alle cause del distacco dovute «all'immensa superiorità d, Mazzini nel raffronto «Certo^era “dT cosa poter seguire Mazzini! Egli I^atojnso j Creatura d’eccezione e di elezione, non ha mai · Tte-Ut-'i che mi- creduto, non ha mai rinunziato alla lotta trenta. * ~ ^ £ che nacciava schiacciarlo ma con lo sguardo fisso „ . . __ nIiqnto curo e<*li vide il suo Genio gli aveva tracciato e sull’orizzonte della stona, per * ‘ ™ sempre rispondere il Sole dell’ideale a cui si era consacrato. La sua vita fu perciò di martirio. Pochissimi avrebbero potuto "Vg* 'epiombandone e la solitudine «Già nel ’37 - in una lettera del! aprile, a Fabnzi - presag a che è la sorte delle ai,in,e superiori: «Quando hanno veduto “ i teorica di dovere, che bisognava fare della vita una continua battag .a, anche certezza di non vincere, se non dono la morte, hanno voltato le spalle» «I fratelli Ruffini e per divergenza di idee religiose e di metod,3 t‘ «^*eJ ^ ^q temperamento che mal sopportava 1 ascenden e imperi i della slla dosi investito di un’alta missione necessariamente aveva la consapevolezza dei « Biblioorafia Mazziniana 385 personalità — e perchè fusi in altro metallo dovevano uno dopo l'altro, per fatale necessità, distaccarsi dall'amico della giovinezza, fin dagli inizi della durissima vita che li attendeva ». A. A., Scritti di letteratura e d'arte, in « Osservatore Romano », Roma. 28 novembre 1931. La pubblicazione degli scritti mazziniani raccolti dal Rispoli offre il destro all a. di portar il ?uo esame critico sulla complessa figura del Genovese, naturalmente, dal punto di vista della più schietta ortodossia cattolica. Fra Ginepro, Perchè i Ruffini si staccarono da Mazzini, in « Nuovo Cittadino », Genova, 2S novembre 1931. Fra Ginepro riprende in esame il problema delle cause che portarono alla rottura del sodalizio Mazzini-Ruffini, a proposito dell’articolo del Lumbroso nel quale venne •‘ecen sito il suo volume. Alle conclusioni cui giunge il Codignola egli oppone la seguente : E’ il ritorno alla fede «nella quale erano stati educati dalla mamma educanda clarissa fina a. 18 anni e poi sempre con fervido spirito terziaria francescana ; del padre studente nel seminario e figlio di quel Giar Vincenzo Ruffini che fu uomo così religioso che rimasto vedovo si fece prete e fu canonico onorato ed esemplare — che determinò in modo irreparabile la rottura con Mazzini. «Questi dalla sua parte aveva risolto il problema religioso col concetto dell'evoluzione progressiva della umanità. «Risalire attraverso la filosofia -alla fede, proclamare l’Umanità, iniziare l'epopea nuova» : ecco il credo e la religione di Mazzini contro cui viene a cozzare specialmente Agostino del quale ci rimangono lettere bellissime ohe ci ririvelano il drammatico dissidio. A corroborare tale affermazione la. fa seguire alcuni brani staccati di lettere di Agostino alla madre. A. Catalano, Una lettera di G. Mazzini a Italia iniziatrice», in «Rivoluzione fascista », Siena 2S novembre 1931. 11 C. ripubblica, commentandola, la lettera che il Mazzini scrisse all’editore Croce di Milano datata 22 marzo e posteriore al 1860, nella quale il Genovese illustra il concetto da lui più \rolte espresso intorno alla missione iniziatrice di civiltà che spetta all’Italia. L’articolo è stato ripubblicato dal «Popolo d’Italia» di Milano, del 1 dicembre. Nora Cozzolino, La pleiade mazziniana, in « A Compagna », Genova, novembre 1931. La C. rievoca l'ambiente in cui Mazzini passò la prima giovinezza e le figure dei suoi primi amici. Articolo di divulgazione senza alcun nuovo apporto. — —Mazzini, Saffi e Armellini.... ribaldi e profanatori di Chiese!!! in «Vedetta d’Italia », Fiume, 4 dicembre 1931. Nota polemica contro uno scritto comparso in «Foglietto della domenica» di Padova. « Nel numero di domenica, 24 novembre assume un tono veramente intollerabile parlando di Pio IX. Dopo un preambolo su la durata eterna della Chiesa e sulla caducità delle istituzioni temporali, quali i reami, le repubbliche e gli imperi; dopo aver accennato all’assunzione di Pio IX al trono pontificio, alle sue simpatie per i liberali e per il movimento nazionale italiano ch’egli immaginava potesse raggiungere la mèta «senza spargimento di sangue», giustificando così il rifiuto di dichiarare la guerra all Austria, il «Foglietto della domenica » passa a contaminare con parole oltraggiose alcuni dei più eletti fattori dell’unità italiana: Mazzini, Cavour, Saffi, Armellini. Continuando a narrare le vicende dell’ultimo Papa - Re, l’ignoto storico ricorda la fuga di Pio IX a Gaeta e lo strazio di Roma, tiranneggiata da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini ed Aurelio Saffi i quali commisero «ogni sorta di ribalderie, violando e profanando chiese e conventi e facendo strage di religiosi ». Per fortuna però le potenze cattoliche, Austria e Francia, restaurarono il potere del Papa, « spazzando *1 sacro suolo di Roma dai ribaldi profanatori». 386 Bibliografia Mazziniana Non soltanto : ma poi in seguito all'azióne di Cavour il povero Papa fu « fellonescamente privato di ogni difesa » e venne messo nella dura condizione di dichiarare guerra ai propri figli o di vedersi « spogliato delle Legazioni dell’Umbria e delle Marche ». E conclude : «E’ possibile che un foglietto uscente in Italia, sia pure dalla tipografia di un Seminario, possa fare il panegirico dell’Austria che nel 1840 soverchiò 1 eroico e generoso Piemonte, ritardando di un decennio la proclamazione del Regno d’Italia, e disseminando di forche mezzo il paése? E’ ammissibile che un ignoto pretonzolo faccia apparire la guerra del 1859 come una campagna di depredazione e di spogliazione a* danni del Pontefice? » Fra Ginepro, Ancora sul dissidio tra i Rubini e Mazzini, in « Nuovo Cittadino », Genova, G dicembre 1931. Con il consueto sistema di raccogliere frasi contenute in lettere dei Ruffini alla madre, staccate dal contesto, l’a. continua ad illustrare il contrasto fra il Mazzini e i Ruflìni, dovuto secondo lui, a gravi dissensi di carattere religioso. L’articolo termina con queste parole rivolte all’autore dei Fratelli Ruffini : «Ed ora ci dirà -1 buon « amico Codignola che « nella concezione religiosa e nella personalità intellettuale e « morale dei Ruffini, non ci sono elementi tali da indurli ad una rottura tanto pro-« fonda, anzi insanabile fra loro ed il Mazzini ? » « Ci dirà che è un« problema di psicologia » e ci avvierà con la lusinga di poterlo risol-« vere, a cercarne la chiave nel «presunto oltraggio» che Giuseppe Mazzini avrebbe « recato a Mamma Eleonora? « Al buon amico che conosce « intimamente » i Fratelli Ruffini e a cui certo non sono « sfuggite le lettere etico-religiose di somma importanza, sebbene non le citi nella « Introduzione, ci rivolgiamo per avere una risposta che ci convinca, e perciò cor-« dialmente gli dedichiamo questa nostra digressione sul dissidio tra il Maestro « e i Discepoli ». Alfredo Galletti, Tommaso Garlyle, in « Resto del Carlino », Bologna 12 dicembre 1931. Il G. rievoca la figura del Carlyle e si sofferma ad illustrare il dissenso politico che lo divise dal Mazzini. Codignola Arturo, Alberto Lumbroso, Il dissidio fra Mazzini e Ruffini, in « Giornale di Genova », Genova, 15 dicembre 1931. Risposta polemica al Lumbroso ed a Fra Ginepro per gli articoli già segnalati. Il C. dopo aver riconfermato che le cause della rottura del sodalizio non si devono rintracciare soltanto in un profondo dissenso di carattere religioso, conclude la sua risposta con queste parole : « Fra Ginepro, che è benemerito degli studi ruffiniani, avrebbe acqui-« stato, secondo noi, maggiore lode se avesse indagato quale tormento spirituale « conducesse tanto Agostino che Giovanni alla fede dei padri negli ultimi anni della « loro vita, come ha provato nel suo recente studio. Per amor di tesi diminuisce di « molto invece le figure religiose del llufflni toccate dalla grazia : il magistero d'arte « del Manzoni mi suggerirebbe qui il ricordo della conversione dell innominato — absitt « iniuria verbo — ma ne faccio frazia all amico frate. «E per concludere questa breve risposta ser me definitiva (perchè se non sono riuscito m « 127 fitte pagine a rendere chiaro il mio pensiero dispero in verità di riuscirvi mai «più), confesserò che mi sorge il fiero sospetto che tutta la colpa della rottura del « sodalizio ricada su uno solo, su Giuseppe Mazzini, che fu troppo grande : e non « soltanto per i suoi contemporanei ». Il Lumbroso fa seguire una postilla nella quale dichiara di non voler entrare in discussione : « La discussione - scrive - è ira il irancescanissimo e assai erudito Fra « Ginepro e il certamente non meno erudito e assai più anziano (sic) prof. Codignola.» Codignola Arturo - Fra Ginepro, A proposito dei rapporti spirituali ire » Raffini e. Mazzini, in « Il Nuovo Cittadino », Genova, 15 dicembre 1931. Il foglio pubblica la stessa lettera inviata dal Codignola al Giornale di Genova, cui Fra. Ginepro fa seguire una lunga risposta nella quale riproduce, come di consueto, nu- J merosi brani di lettere dei Ruffiui. E chiude in tal modo : « Qui mi verrebbe la ten-« t&zione di dire che il Codignola e sua volta forse sia poco acclimatato alla reli-€ gione nostra, ai coscienti fervori di essa. Altro è viverla, altro è studiarla pu « re sentendone tutta la importanza attraverso i documenti. Per me frate il dis-« sidio tra Mazzini e i Ruffini è dissidio di anime, divergenza di idee religiose : e lo « comprendo esattamente perchè si tratta di quella fede la quale genera i martiri. « Ma può comprendere l'egregio amico Codignola « non frate », l’ardente spiritila-« lità, l’ultimo spasimo di quelle anime che per lui sono orgogliose e presuntuose, « e può valutare tutta la importanza di questo altissimo fattore nella loro rottura « con l’antico Maestro? ». Eugenio Casanova, A proposito della lettera di Àbramo Lincoln a Macedonio Melloni, in « Rassegna storica del Risorgimento », Roma, ottobre - dicembre 1931. # Il Casanova in un articolo acremente polemico risponde a tutti coloro che misero in dubbiò l’autenticità della lettera del Lincoln, con la pubblicazione della riproduzione fotografica di parte del documento. Ci auguriamo che la conoscenza del tanto desiderato testo autografo nella riproduzione fotografica, metta la parola fine ad una tanto incresciosa questione, e ciò per la serietà degli studi storici. % Hf * _—__ Direttore responsàbi/e : UBALDO FoRMENTINI. S. A. INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA " BERGAMO - MILANO" GENOVA - PADOVA INDICE DELL’ANNO 1931 MONOGRAFIE X Mario Battistini - I padri bollantisti Henschenio e Papebrochio a Genova 1662 . . pQg. 43 —1 Un ex-mazziniano ucciso ad Anvers nel 1872 ..............128 —, / Due ritratti ignorati di Mazzini e Garibaldi nel Belgio.....„ 3ll Arturo Codignola - Introduzione al Saggio di una bibiiogralia generale sulla Corsica . „ ll2 Antonio Costa - L'altra campana . „ 93 Nora Cozzolino - Gli istituti di coltura a Genova sulla fine del 1700 e sui primi del 1800 » 20 y Renato Giardelli - Saggio di una bibliografia generale sulla Corsica .... pQgg Il4, 186, 347 Antonio Giusti - Il dissidio Mazzini Ruffini . pQg. 339 Giacomo Gorrini - L'istruzione elementare in Genova durante il Medio Evo . . „ 265 Raimondo Morozzo della Rocca - Il dispaccio di Carlo Felice a De Geneys per la repressione dei moti genovesi del I82l . ,, 39 Alfredo Obertello - Dichiarazione di fede di Agostino Ruffini.....;i 195 λν. S. Pasquali - Liguria e Lunigiana . . . „ 12 XOnorato Pastine - Liguri pescatori di corallo . pegg. 159, 286 Mario Pedemonte - I primordi della musica ligure Pag. 325 Renato Piattoli - La spedizione dei Lomellino contro il principato di Gherardo D’Ap-piano (1401)......u \ Ferruccio Sassi - Appunti per una storia del diritto marittimo genovese . », 12 —y Saggio sull’economia lunigianese del secolo XIII.......w 211 Vito Vitale - Ancora sulla rivoluzione genovese del 1746 ........ 32 X—, Per la storia della rivoluzione del 1746 e della cacciata degli austriaci. Una relazione sincrona e ufficiale.....» VARIETA’ Carlo Bornate — Supplica dei padri " armeni „ per la restituzione del “ Santo Sudario „ pag. Arturo Codignola - Postilla a “ Il titolo Benoni e una lettera di G. Mazzini « . . . „ Evelina Rinaldi - Il titolo « Benoni „ e una lettera di Giuseppe Mazzini . . . u ^Vito Vitale - Le spese di spedalità per Pasquale Badino...... RECENSIONI Eugene H. Byrne - Genoese Shipping in the twel- fth and thirteenth centuries (V. Vitale) . pag. Carlo Bornate - L’atto eroico di Emanuele Cavallo (E. Pandiani)..... Arturo Codignola - Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri (lettere del conte Ilarione Petitti di Roreto a Michele Erede, dal marzo 1846 all’aprile 1850) (V. Vitale) „ Domenico Fornara - I Benedettini e la Madonna di Canneto a Taggia (C. Bornate) . . „ Fra Ginepro da Pompeiana - La famiglia Ruffini e un padre Cristoforo del Risorgimento (A. Bassi)....... F. E. Morando - Un genovese spirito bizzarro : Michele Canzio - Originali del secolo scorso (A. Bassi)...... S. Manfredi - Luigi Torelli ed il canale di Suez (C. Bornate)....... U. Mazzini - Amori e politica di Aleardo Aleardi (V. Vitale)....... Morozzo della Rocca - Nuovi documenti intorno ai tentativi di far evadere dallo Spielberg il conte- Federico Confalonieri (V. Vitale) „ 81 133 346 344 46 238 139 356 151 147 375 48 54 243 ^ B. Nannei - Megollo Lercaro (V. Vitale) . . pag. 57 R. Piattoli - I Ghibellini del Comune di Prato dalla Battaglia di Benevento alla pace del Cardinal Latino (V. Vitale) . „ 360 ^ F. Salata - Carlo Alberto inedito (V. Vitale) » 35if~ I. Scovazzi e F. Noberasco - Savona (C. Bornate) „ 245 B. Senaregae - De rebus Genuensibus commentaria ab anno MCDLXXXVIII usque ad annum MDXIV (C. Bornate) ...» 51 ^ G. Serra - Memorie per la storia di Genova dagli ultimi anni del secolo XVIII alla fine dell'anno 1814 (V. Vitale) . . „ 137 A. Tacchini - Michelet et Montanelli d'après des lettres inedites de Michelet (A. Bassi) . „ 361 Spigolature e Notizie ..... pagg. 59, 153, 248, 368 Appunti per una Bibliografia Mazziniana „ 67, 160, 259, 378 I nostri morti - Alfredo Poggiolini . r . pag. 80 * \ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA v . COMITATO DI REDAZIONE t GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova e del Municipio della Spezia / DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : GçenoVa, Patatt&o sso, Via QçcxrïbalcÎi, iS * CONDIZIONI D'ABBON AMENTO : II Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli frimes fra li. Ogni fascicolo contiene serifti originali, recensioni spigolature, notizie ed appunti per una bibliografia mazziniana♦ ABBONAMENTO ANNUO per l’Italia L/ 30 - per l’Kstero L. 60 Un fascicolo separato Lire 7,óO - Doppio Lire 1 ó 4 Anonima Industrie Poligrafiche C. Nava - Bergamo Tel. 32-4 J